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Monday, August 4, 2025

GRICE ITALO A-Z A AS

 

Luigi Speranza -- Grice ed Asclepiade: gl’accademici di Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. Based in Rome, he was a member of the Accademia. He wrote a book on the immortality of the soul based on his interpretation of certain pronouncements of the oracle of Apollo at Delphi. Asclepiade. Refs.: Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, “Grice ed Asclepiade,” The Swimming-Pool Library, Villa Speranza, Liguria, Italia.

 

Luigi Speranza -- Grice ed Asclepiade: Roma antica -- filosofia italiana – Luigi Speranza. Filosofo italiano. Friend of Lactanzio. Wrote a book on Providence. Asclepiade. Refs. Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, “Grice ed Asclepiade,” The Swimming-Pool Library, Villa Speranza, Liguria, Italia.

 

Luigi Speranza -- Grice ed Asclepiade: Roma antica -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. He develops a new approach to medicine by introducing ideas on atomism. Asclepiade. Refs.: Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Gricde, “Grice ed Asclepiade,” The Swimming-Pool Library, Villa Speranza, Liguria, Italia.

 

Luigi Speranza – GRICE ITALO!; ossia, Grice ed Ascoli – la scuola di Gorizia – filosofia friulana -- filosofia italiana --  (Gorizia). Abstract. Grice: “We may think of Pirotese as developing along stages: proto-Pirotese, deuteron-Pirotese, trito-Pirotese, Tetarto-Pirotese, Pempto-Pirotese, Hecto-Pirotese, Hebdomo-Pirotese, Ogdo-Pirotese, Enato-Pirotese, Decato-Pirotese, Endecato-Pirotese, Dodecato-Pirotese. Filosofo friulano. Filosofo italiano. Gorizia, Friuli-Venezia Giulia. Considerato il padre della dialettologia e dell’ideolettologia (H. P. Grice) in Italia, è uomo e studioso di indiscusso spessore e importanza. A lui si devono alcune delle più importanti intuizioni e riflessioni in campo filosofico-linguistico. Fonda e dirige l’Archivio Glottologico Italiano, tra le più importanti riviste di filosofia linguistica d'Europa. Il primo volume comprende i “saggi ladini,” a cui è conferito il premio della Fondazione Bopp e il premio della Société pour l'étude des langues romanes di Montpellier. Vi pubblica il celeberrimo saggio, “L'Italia dialettale,” la prima classificazione dello spazio linguistico italiano basato su criteri interni alle varietà linguistiche. È fin da subito attratto da questioni linguistiche-filosofiche, probabilmente grazie all’amicizia con lo studioso Filosseno, figlio di Luzzato. La sua città natale gode ai tempi di una strategica posizione che permette l'approccio a diverse parlate, italiano, tedesco, sloveno, ma anche FRIULANO e veneto. Dopo aver passato i primi anni della maturità a dedicarsi allo studio glottologico e alla riflessione, pubblica il primo fascicolo degli Studi Orientali e linguistici, dimostrando una predisposizione allo studio dei fenomeni del mutamento linguistico e una verace curiosità per le teorie della indoeuropeistica. Per approfondimenti vedasi VILLAR, Gli indoeuropei e le origini dell'Europa. Lingua e storia, cur. Siviero, Bologna, Mulino. Conosce, per sua stessa ammissione, le teorie di Bopp, padre della linguisticacomparata e figura a cui si deve la scoperta delle corrispondenze morfologiche tra lingue  imparentate. I contributi fondamentali della linguistica comparativa, soprattutto nel campo dell'indo-europeistica, sono quelli di Jones, che individua, seppur in nuce, una serie di corrispondenze lessicali tra la lingua latina (“ego”) e la greca (“ego”); Schlegel,che in Über die Sprache und Weisheit der Indier ragiona su di una prima classificazione delle lingue su base morfologica -- per cui distingue tra lingue flessive, agglutinanti, ecc. -- e, sulla scia di quanto affermato prima da Jones, riconferma l'esistenza di una parentela linguistica tra latino (ego) e greco (ego); Bopp, che nel suo saggio più importante, Über das Conjugationssystem der Sanskritsprache in Vergleichung mit jenem der lateinischen (ego) und griechischen (ego) Sprache, individua per primo dei tratti morfologici, e non solo lessicali, in comune tra le due lingue. È infatti errato confermare l' ipotesi di discendenza genealogica tra lingue tramite la presa in analisi del solo lessico simile. Esso infatti, nella scala della vulnerabilità al cambiamento dei diversi domini linguistici, rappresenta il primo che ad esso è suscettibile, per via della facilità con cui avvengono fenomeni di prestito o calco). A Rusk si deve poi l'ulteriore merito di aver individuato tra le lingue citate una serie di corrispondenze a livello fonetico. Ascoli, che da subito dimostrò interesse per la linguistica, si avvicinerà  ben presto anche a questo mondo.  A quei tempi in Germania la filologia germanica stava compiendo grandi passi in ambito linguistico (si ricordino la scoperta delle leggi di Grimm e di Verner che regolano il mutamento fonetico nel passaggio dall'indoeuropeo alle lingue europee, in particolare germaniche) e proprio, tra gli altri, i suoi lavori sulle lingue semitiche, sul sanscrito, sull'iranico, e l'aver introdotto in Italia il metodo storico-comparativo valsero ad Ascoli la nomina di membro della Società  Orientale di Lipsia, oggi Società Orientalistica Tedesca.  A. Muore a Milano.  Il progetto pasitelegrafico e i suoi antecedenti. L'interesse d’A. per il sistema pasi-grafico e il sistema pasi-lalico comincia quando da alla luce un saggio - che non si premura mai di intitolare-, pubblicandolo in appendice al Mosaico filologico. Il Mosaico filologico costituisce una parte dell'opera complessiva Memorie filologiche. Il carattere delle proposte differisce significativamente nelle parti. Nella prima parte, A. enuclea alcuni principi e regole di formazione, derivazione e flessione. Nella seconda parte, con atteggiamento più cauto, annota riflessioni e spunti sulla costruzione di UNA LINGUA UNIVERSALE,  fermandosi sul lessico, sulla morfologia e anche sull'alfabeto, e motivando le ragioni che lo inducono a compiere questo tentativo. BONOMI, Idee per un progetto di lingua universale in un inedito d’A., Milano, Accademia Scientifico-Letteraria. Studi in onore di Vitale, cur. Barbarisi, Decleva, Morgana, Milano, Monduzzi.  L’intuizione di comporre una lingua internazionale deriva da molteplici fattori, che possiamo però considerare tra loro collegati. Da un lato, la sua educazione classica può aver generato in A. l'utopica idea dell'unità linguistica e, quindi, dei popoli. Importante poi è sicuramente la convinzione sull'origine mono-genetica delle lingue. Infine, gioca un ruolo fondamentale il tempo speso per la ricerca nel campo della linguistica comparativa e dei tratti comuni alle lingue, come la conoscenza delle teorie dell'indo-europeistica. I sostenitori della teoria monogenetica credono possibile ricondurre a un unico uomo (o popolo) la discendenza di tutti gli altri. Come conseguenza di questo fatto, alcuni linguisti sostengono che in origine sulla terra fosse parlata e intesa una sola e unica lingua. Almeno fino all'avvento della linguistica scientifica, e soprattutto per influsso della tradizione religiosa, che vuole la nascita delle diverse lingue storico-naturali come castigo a seguito dell'erezione della mitica torre di Babele, nome che qualche studioso accosta a balal, 'confondere' -- GRANDI, Fondamenti di tipologia linguistica, Roma, Carocci  («Bussole»)] -, si crede che la lingua primordiale è l'ebraico e che da questo sono discese tutte le altre. Così ad esempio crede anche Isidoro, quando nelle sue Etymologiae scrive: ex linguis gentes, non ex gentibus linguae exortae sunt. VINEIS, MAIERIÙ, La linguistica medievale, Storia della linguistica, cur. Lepschy, Bologna, Mulino]. Al di là delle influenze religiose, la teoria del mono-genismo linguistico trova sostenitori anche dopo l'avvento della linguistica comparativa (forte delle prime considerazioni attorno ai tratti comuni a più lingue e alla successiva ricerca in ambito di tipologia linguistica - il cui merito va a Humboldt, padre della disciplina e figura a cui A. fa spesso riferimento) e conta tra le sue file numerosi sostenitori anche al giorno d'oggi. S’evince nel saggio la primogenita volontà di utilizzare come sistema di comunicazione internazionale i numeri da 1 a 17, associando a ciascuno una consonante secondo una scala crescente di difficoltà – al l numero 1 la consonante più semplice - e non specifica cosa con questa affermazione intenda (H. P. Grice crede ‘d,’ da ‘dada,’ Speranza ‘b’ da ‘baba’ – mio babbino caro – Strawson ‘m’, da ‘mama’ -- per arrivare fino al 17, stante per la consonante più complicata.  La lingua così pensata d’A. - che ignora completamente i suoni vocalici ed è priva di segni diacritici o di punteggiatura - si configura più come un sistema crittografico per sola scrittura in cui a ogni numero è possibile ricondurre un solo suono, che come una vera e propria lingua – il deutero-Esperanto.  Già nel secondo suo saggio però A. abbandona l'idea di comporre la sua pasi-grafia con i soli numeri arabi, giacché l'uso di numeri superiori al 9 (composti quindi da doppia cifra) causa grossi fra-intendimenti, forse risolvibili solamente tramite l'introduzione di spazi o segni di punteggiatura preposti, a segnarne i confini, opzione che comunque non viene contemplata. Se, ad esempio, si segue una serie di corrispondenze per cui, come in latino, 1=”b”, 2=”c”, 3=”d”, [...] 11=r, 12=s, 13=t in mancanza di spazi tra un numero e l'altro come si puo asserire che “12” = “bc” – la prima e la seconda -- e non “s” – la XII? Così A. propone un sistema alterno di scrittura che prevede l'uso di solo IX consonanti, e precisamente solo di quelle che mancano del tratto +sonoro - cioè le sorde. Per realizzare l'equivalente consonante *sonora*, A. propone di utilizzare il grafo della consonante sorda con sovrapposto un piccolo punto (es. plp] e ?[b]). Cf. H. P. Grice, “Phoneme and distincive features”. Per quanto riguarda il lessico, A. vi riserva la parte più consistente d’entrambe le due parti del  suo saggio. Nella prima, A. propone un sistema di glossopoiesi che define come “graduale,” in cui i nomi primitivi -- di cui disfortunatamente non fornisce una definizione, ma si limita piuttosto a dare una sommaria lista -- posseggono obbligatoriamente la vocale «a» e ai quali, mediante l'aggiunta di altri prefissi vocalici, è possibile MODIFICARE IL SIGNIFICATO secondo una scala privativa. Un'E (seconda vocale) pre-posta al nome primitivo ne scema d'un grado la forza. Un O (la quarta vocale) pre-posto al nome primitivo ne scema di DUE gradi la forza. Un I (la terza vocale) preposto al nome primitivo ci dà il senso OPPOSTO, es. A = “il divino”; E-A, “angelo” – animato incorporale --, oa, “anima” (=animale, uomo, ma essere vivente in gnere --, ia “demonio” – il non-divino – cf. Satana, l’angelo caduto. BONOMI. Non sfugge poi che la lingua del Deutero-Esperanto d’A. Puo rimandare per alcuni versi alla pan-glottia fantasiosa di Comenio che, oltre a sfruttare il procedimento fono-simbolico, prevede una serie di morfi che ha il ruolo di MODULARE GRADUALMENTE il significato – in sensu latu, il SENSO -- delle parole così ottenute. Una ulteriore “A-“ vale allora, come in greco, "privazione" – cf. Grice, “Negation and privation” --,  ', una E "eliminazione", una U "accrescimento"  ', ecc. Quindi, se “lus” significa "luce",  “a-lus” significa  "buio"  -- cf. VELIA, a-peiron.’ E “u-lus” significa "luce splendente" [SIMONE]. CHIUSAROLI, «La Pasi-tele-grafia d’Ascoli (cf. Grice, tele-mentationalism) nella riflessione linguistica europea, tra paradigma universalista e scritture veloci, La cultura linguistica italiana, Roma, Bulzoni. Nella seconda parter, A. propone invece di proseguire mediante un lavoro di tipo comparativo tra le varie lingue al fine di individuare le radici comuni mono-sillabiche, a cui successivamente è possibile modificare il significato in un derivato. Per A., fondamentale importanza nella creazione del lessico deve poi ricoprire la componente onomatopeica, di modo che i suoni che compongono le nuove parole siano quanto più possibile motivati (“ouch” – theory, groan – Grice), icon. A. crede che è onomatopeicamente motivato un nesso bi-tri-sillabici, da cui l'idea di adottare lo stesso principio anche nella sua pasigrafia. In questo è evidente anche l'influenza di Humboldt, al quale A. riporta la teorizzazione di una lingua madre (lingua matrix) che, costruita nella ricerca d’elementi comuni alle lingue "figlie" attraverso l'apporto fondamentale dell'elemento significativo ARBITRARIO (‘ad placitum’) e di quello onomatopeico (motivato e dunque non arbitrario), consenta la comunicazione universale, come nell’antico ario, “il riferimento privilegiao della mia ricerca.” Quando tratta della componente morfologica della sua lingua, propone, come tanti filosofi fanno prima e di lui – dall’Accademia e poi --, una semplificazione delle coniugazioni e delle declinazioni. Questa sostanzialmente è la prima - semplice - proposta (o, se vogliamo, le prime due) che A. fa di lingua, ma non è l'ultima e nemmeno la più importante. Infatti, a seguito della notizia della stampa di un'opera analoga a Vienna, A. si decide di stendere per iscritto, e nel più breve tempo possibile («pure m'impegno di cominciare in pubblici fogli, entro dieci giorni al più tardi»), la sua personale, rivista e definitiva proposta di lingua del Deutero-Esperanto. Così come promete, pubblica dunque il suo progetto integrale di pasigrafia - che nomina Pasitelegrafia - il cui scopo dichiarato è quello di facilitare la comunicazione tramite telegrafo tra differenti parlanti. Dimostra di conoscere i progetti e gl’intenti di Gesner, Bacon, Becker, Kircher, Wilkins, Descartes, Comenio, Leibniz, Dalgarno e altri, così come prima di lui confessano i nostri SOAVE (si veda) e MATRAJA (si veda). A. accenna allo stesso SOAVE (si veda), ma ne critica i risultati asserendo che proponendo SOAVE (si veda) stesso una scrittura universale cade nel sistema figurativo che trascina al labirinto minoico, ed ammisera lo scopo della lingua universale del Deutero-Esperanto, supponendola particolarmente un veicolo letterario, e perciò ostinatamente INUTILE quando si ha il latino di Cicerone e d’Orazio. Come sottolinea Chiusaroli  nel suo saggio su A.l'Autore recupera dunque nomi e temi della teoresi universalista, di cui ri-propone (per superarli, d in parte riproducendoli) la tassonomia combinatoria per l'edificazione di una ‘biblioteca universalis’ dei saperi (Gesner), l'analisi misterica e simbolica delle scritture figurate e crittografiche (Kircher), la propedeutica operazione dell'astrazione delle forme rispetto alle lingue storiche (Bacone), la dominanza attribuita al significato nell'elaborazione del sistema dei primitivi (Comenio), la correlata dimensione logica annessa al presupposto della grammatica generale (Cartesio), il metodo della riduzione alle unità lucreziane minime concettuali (Wilkins) e l'idea della scrittura come strumento di comunicazione globale e l'autonomia del significante pasigrafico (Bacone, Wilkins e Maimieux), l'assunzione del modello matematico per la rappresentazione meta-linguistica del reale (Leibniz), la semplificazione morfologica come indice della perfezione strutturale (Faiguet, GIGLI (si veda)), la redazione del vocabolario di base e/o universale poli-glotta con corrispondenze  numeriche (Hourwitz). La lingua d’Ascoli è allora volta alla comunicazione di tipo tecnico-scientifico, tra nazioni che vogliano lo scambio facile e veloce di informazione, e non alla stesura di opere letterarie. A. cita il lavoro di GIGLI (si veda), la cui lingua la forma egli pure da mutilazioni galliche. Di nuovo, il filosofo goriziano non riserva parole gentili per il collega italiano. La sua idea di lingua Deutero-Eperanto è diversa e scavalca gl’impedimenti grafici legati ai singoli alfabeti, scegliendo di esprimersi per cifre, ciascuna delle quali passibile di trasmutazione in simbolo telegrafico e, quindi, in idea o concetto, comunicabile in tutta l’Italia – “da Gorizia alla Catania, o almeno al di la del stretto di Messina. Il telegrafo è infatti secondo A. lo strumento che rende la ricerca e l'adozione della lingua internazionale o universale del Deutero-Esperanto possibile al suo tempo. La scelta ricade allora su un sistema crittografico, di cui fornisce la chiave, a cui ad ogni idea fondamentale corrisponde un gruppo di cifre e simboli che sono successivamente trasponibili in codice utilizzabile tramite telegrafo. La lingua pasitelegrafica deve essere astratta da ogni lingua – il gallico incluso -- e da ogni grammatica. L’unica cosa che chi ad essa si approccia deve conoscere è l'alfabeto LATINO, il sistema numerico romano – I, V, X, L, C, M --, e la  propria lingua madre: il toscano, non il friulano! Segni pasitelegrafici  I segni utilizzati sono gli stessi che già venivano usati normalmente durante le comunicazioni tramite telegrafo, ovvero la linea, -, e il punto, ., del codice di Morse. La virgola è indicata «..-  - » e il punto fermo «—  —». Le otto categorie    A. divide poi le aree semantiche in OTTO macro-categorie - che molto si avvicinano alla struttura ontologica delle lingue filosofiche a priori - che nomina: Indizi di persona; relazione e moto del discorso; congiunture di moto, tempo e luogo;  II. Religione, universo, la terra;  III: Uomo fisico e morale e gli altri animali;  IV: Commercio, nazioni, paesi, città;  V: diplomazia, cancelleria, guerra, giurisdizione;  VI: scienze, arti, mestieri, loro prodotti e strumenti; VII: tempo, luogo e qualità;  e finalmente, VIII: nomi proprie (“Ascoli,” “Grice,” “Speranza”) -- distingue ciascuna categoria numerandola con i numeri romai da I a VIII. e i cui simboli telegrafici  sono:  2. ..  3. ...  4. -.  5. .-  6. -  7. -.-  8. E per completezza informa che il numero IX sarebbe rappresentato dalla sequenza « ..-» e lo zero  «—.». Ad ogni idea rappresentata sottopone tutte quelle che vi soggiacciono, numerando anche queste, ma pur sempre senza rigore sistematico, ovvero non a mo' di vocabolario o grammatica.  Accanto ad ogni idea vi sono poi due numeri sovrapposti l'uno all'altro e separati da una linea trasversale, il primo dei quali indica a quale categoria appartiene l'idea che accompagna, e il secondo al numero che nella numerazione progressiva della categoria, spetta a tale idea. A seguire A. fornisce le tabelle, dette numeratori pasitelegrafici, delle OTTO categorie, di cui si  fornisce un esempio. Nell'immagine sottostante si riporta a titolo di esempio la tabella immaginata d’A. per la categoria III.    ¾ “uomo,” creatura umana) ⅜ uomo (“vir”) ⅜ trisavolo ¾ bisavo %. antenato ⅗ avo ⅗ “padre” ⅜ “figlio”  ⅜ zio ¾o fratello ¾1 cugino, Categoria III: L' uomo fisico e morale e gl’altri animali.  ⅜1 coraggio  ⅜a salvezza  ⅔a baldanza  ⅜4 timidezza  ⅜5 “speranza”  ⅜& rassegnazione  ⅜7 fedeltà  ⅜s pazienza  ¾9 giustizia  ¾o onestà  ¾1 pietà (compassione)Se si volesse esprimere il concetto di 'uomo' inteso come essere umano di genere maschile (nella tabella al secondo posto) basterebbe tradurre i numeri, detti cifra pasitelegrafica, in simboli telegrafici (sapendo che la linea trasversale è indicata con « ... ») di modo che esca la  trascrizione « ....-.-...». Ciascuna lingua naturale, come il friulano, la sua ‘lingua matrix,’ dove a tal scopo avere il proprio numeratore pasi-telegrafico in cui ogni idea è ben definita – chiara e distinta – cf. Grice, “Descartes on clear and distinct perception” -- o da un vocabolo solo o, nel caso in cui sia necessario, da una ristretta peri-frasi (“bachelor,” unmarried male – Grice/Strawson, In defense of a dogma; in questo modo il lavoro di traduzione deve essere fatto una volta solamente (così nel numeratore francese 3/2 sarebbe “homme” e in quello tedesco Mann, ma la trascrizione pasitelegrafica è sempre la stessa e corrisponderebbe tanto a quella italiana quanto a quella friulana, latina, siciliana, ecc.).  Ciascun paese o popolo (Grice on C. A. B. Peacocke – ‘population utterance meaning”) dove poi procedere alla compilazione di vocabolari nei quali, oltre al significato o SENSO delle parole, è indicato anche il segno telegrafico. E così ogni popolo – e idioletto per gl’individui -- per comprendere i messaggi che arrivano dagli altri paesi non avrebbe che da usare un vocabolario pasitelegrafia-lingua nazionale e, per inviare i messaggi, lingua nazionale-pasitelegrafia.  Il risparmio nell'uso di questo sistema sarebbe, a detta dell'autore, doppio, giacché per comporre i simboli pasitelegrafici sono sufficienti un numero minore di caratteri/segni rispetto al codice Morse (come ad esempio nel caso di 'splendore', nel numeratore italiano indicato da 2/29 e in pasigrafia «.........-“. Ma nel codice Morse «  ......・・・_  --..») e quindi per riprodurlo  si impiega sia meno tempo che meno spazio. Ogni cifra pasitelegrafica può inoltre prevedere ulteriori modificazioni indicate da PIU simboli:  - un punto sovrapposto, che nel telegrafo si indica con una linea che la precede con breve spazio, denota un ENTE che COMPIE l'azione o uno STATO in cui questo continua l'azione indicata dalla cifra – cf. H. P. Grice on von Wright, “Action and Events”. Ad esempio 4/1 significa 'commercio'  (cf. amazione, o amore) ma se sottoposto ad un punto  ⅛ significa “commerciante” “amante,” non “amato” (tel.«--.--»). Un accento circonflesso sovrapposto esprime la natura non-maschile dell'ente o dell'idea rappresentata dalla cifra (es. 3/7 significa 'padre', ma sottoposto ad un circonflesso % ‘l’altro genitore,’ i. e., 'madre'). Di nuovo quindi, come visto in altri sistemi di filosofi precedenti, è sufficiente avere l'idea SOLO MASCHILE – “such artless sexism!” – H. P. Grice -- di ciò che si vuole esprimere e aggiungere ad essa un simbolo, un qualcosa che ne indichi l'essere femminile. Nel telegrafo il femminile è indicato con una linea che segue la cifra pasitelegrafica («....-.-.-.--»). Una parentesi tonda che precede esprime pluralità: ad esempio  significa  'commercianti'. Nel telegrafo è indicato da doppio tratto a seguito della cifra (tel. «—-.  .-. .—»);  un tratto sovrapposto alla cifra indica che l'azione è conclusa o che il soggetto subisce  l'azione e nel telegrafo lo si indica con doppio tratto che precede la cifra (es.  significa 'la donna amata', tel. «— ....--»);un apostrofo anteposto alla cifra (telegraficamente «.—. ») indica che la condizione o l'azione è espressa al tempo presente. Ad esempio la cifra ½*/ significa tu adesso sei commerciante' o più semplicemente 'tu commerci' (tel. «.-...-.-.-.--.--..»);  una barra verticale anteposta alla cifra (telegraficamente « .—. ») indica che la condizione o l'azione è espressa al tempo PASSATO – Grice, “Socrates whatted – drank hemlock”. Ad esempio la cifra ½8 1%8 significa, per dare l’esempio di Colorni-Leibniz,  'Paride FU amante o più semplicemente 'PARIDE amò Elena’ – Nel caso di Patroclo ed Achille, si presuppone che Achille è AMATO da ma non AMANTE di Patroclo (cf. Eurialo ama Niso. Due barre verticali anteposte alla cifra (telegraficamente «—. ») indicano che la condizione o l'azione è espressa al tempo FUTURO CONTINGENTE (“Avra una battaglia navale”.. Ad esempio la cifra ½8. !|⅜8 significa 'Patroclo sarà amante d’Achille’ o ‘Eurialo SARÀ amant di Niso', 'Egli amera';  tre barre verticali anteposte alla cifra (telegraficamente « ...-») esprimono imposizione, o modo imperativo dell'azione (“!Enjoy” – Holdcroft on Vendler – H. P. Grice, “Modes”, “Aspects of reason”. Ad esempio ⅓ Il significa 'sii commerciante'. Una t rovesciata anteposta alla cifra (telegraficamente « -... ») esprime desiderio, supposizione o credenza (come il modo condizionale italiano, o l’ottativo latino – H. P. Grice, “I wish we had it!” --. Ad esempio ¼ 1⅓ significa 'commerceresti' o 'SE fossi commerciante!'. Un grande cerchio anteposto alla cifra (di cui non viene data difortunatamente la trascrizione telegrafica) indica che due o più azioni si svolgono CONTEMPORANEAMENTE (“Patroclo took off his leff and right shoe” (H. P. Grice on J. O. Urmson – “Philosophical Analysis between the two wars”. Ad esempio % 0% 1%% significa Patroclo, mentre era soldato, amò Achille'; una f rovesciata anteposta alla cifra (di cui nuovamente non si conosce difortunatamente la trascrizione telegrafica) esprime l'ente descritto dalla cifra AL MODO INDEFINITO o infinito. Ad esempio J/18 significa 'amare'. Una c rovesciata anteposta alla cifra (telegraficamente « ..-. ») indica che quella è una caratteristica dell'ente rappresentato dalla cifra (ovvero un aggettivo), “amoroso”. Ad esempio • % significa 'europeo', o goriziano, laddove senza la c indicherebbe solamente Europa, o Gorizia. Questo carattere può essere anche duplicato e donare il significato o SENSO di 'maggioranza' (telegraficamente « ..... »). Triplicato e donare il significato di 'assoluto'  (telegraficamente « ...... »), come nell’ablativo latino. Ad esempio  8¾ ¾  significa 'DIVINISSIMO uomo' – ma MORTALE. Una linea che segue la cifra ne indica la natura di AVVERBIO (telegraficamente «.-.»). Ad  esempio ⅝o 1⅝ ¾-  significa 'Luigi agì DIVINAMENTE'. Le parentesi quadre che precedono e seguono la cifra indicano un ente che crea o produce l'idea da questa espressa (telegraficamente «.-.. » che precede la cifra). Ad esempio  coraggioso l'esercito'.  ⅝ [∞ ⅜1]%  significa il vittorioso condottiero che rende. Ordine e distanza tra le cifre . L'ordine delle cifre può variare, ma rimane comunque simile a quello del latino e l’italiano, se non del friulano. Per non confondere agente (Patroclo, Eurialo) e paziente (Niso, Achile), questi sono quanto più separati e in questa sequenza. La distanza tra cifre deve essere simile a quella che normalmente si lascia tra le parole. Ma le cifre che concorrono insieme a definire una sola idea devono essere più vicine tra loro delle altre. Nomi propri. A. associa ad ogni lettera dell'alfabeto latino un numero e ne specifica, per quasi tutti, il suono. Per scrivere un nome proprio non compreso nella categoria VIII, come può essere un cognome (“Grice,” literalmente “pig”), basta scrivere in fila i numeri associati a ciascuna lettera. I numeri pasi-telegrafici che devono servire per lettere sono preceduti e seguiti dai segni «—.-».  1 [a] [b]  [d] ABCDEFGGH1  [e]/[&], non specificato  23456789 [f] [d3] (gl [h]  10 [1] 11 non specificato  12 [k] 13 14 (m] 15[n] 16 [o]/[o], non specificato  17 [p]  18 [kw]  19 [r] 20 [s]/[z], non specificato  21 5 22 [t]  23 (u]  24    [v]  25  W  non specificato  26  Y  non specificato  27    non specificato  28  Z  [dz]/[ts], non specificato    numeri  I numeri si indicano con numeri romani preceduti e seguiti da due v (telegraficamente «-.—»). In questo modo  v 99% v  I numeri ordinali come primo (universita: Bologna), secondo – seconda universita: Oxford, terzo – terza universita: Parigi o Sorboan -- si ottengono aggiungendo alla cifra tre tratti posposti, e così anche telegraficamente (ad esempio 20 ——— significa 'ventesimo', telegraficamente «  ....  -»): Napoli, la ventesima uiversita. I numeri che esprimono ripetizione (una volta, once, due volte, twice, tre volte, thrice) si ottengono aggiungendo alla cifra tre tratti e un punto posposti, e così anche telegraficamente (ad esempio 3--  significa 'tre volte', o ‘thrice’, telegraficamente «... —.») Sistemi crittografici di questo tipo hanno grande fortuna. Ma ovviamente in ragione dello scopo contrario a quello qui perseguito d’A., il rendere illeggibile un testo non possedendone la chiave di lettura. Più sistemi di questo tipo sono ad esempio creati dal padre gesuita, e allievo di Kircher stesso, Francesco Lana conte de’ TERZI (si veda) nella suo saggio “Prodromo, overo saggio di alcune inventioni nuove premesso all'Arte Maestra pubblicato a  Brescia nel 1670.10    Vedasi FRANCESCO LANA CONTE DE' TERZI, Prodromo, overo saggio di alcune inventioni nuove premesso all'Arte Maestra,    opera che prepara il P. Francesco Lana bresciano della Compagnia di Giesu per mostrare li piu reconditi principij della Naturale Filosofia, riconosciuti con accurata Teorica nelle piu segnalate inventioni, ed isperienze fin'hora ritrovate da gli scrittori di questa materia et altre nuove dell'autore medesimo, Brescia, presso Rizzardi. Lana nacque a Brescia e vi    muore. Studia filosofia presso l'ordine dei gesuiti a Roma, dove conosce anche Kircher che lo  introduce alla fisica e al poker. È insegnante di matematica e filosofia.   A., così come è già stato fatto da altri dotti, come per esempio da Kircher nella sua Polygraphia nova et universalis, reinventa allora un codice linguistico nato per CELARE informazioni – cf. J. L. Austin, D-DAY -- di modo che diventi anzi il sistema prediletto per lo scambio di informazione internazionale. Nome compiuto: Ascoli. Keywords: Poto-Esperanto, Deutero-Esperanto, Trito-Esperanto, Tetarto-Esperanto, Pempto-Esperanto, Hecto-Esperanto, Hebdomo-Esperanto, Ogdo-Esperanto Enato-Esperanto, Decato-Esperanto, Endecato-Esperanto, Dodecato-Esperanto. Refs.: Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, “Grice ed Ascoli,” The Swimming-Pool Library, Villa Speranza, Liguria, Italia.

 

Luigi Speranza – GRICE ITALO!; ossia, Grice ed Assarotti: la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale – la scuola di Genova – filosofia genovese – filosofia ligure -- filosofia italiana – Luigi Speranza, pel Gruupo di Gioco di H. P. Grice, The Swimming-Pool Libray  (Genova). Filosofo genovese. Filosofo ligure. Filosofo italiano. Genova, Liguria. Dizionario biografico degl’italiani. Nato da Giuseppe. Entra nell'ordine delle scuole pie. Fatta la professione solenne, insegna nella casa dell'Ordine a Voghera. Inizia gli studi filosofici ad Albenga, e li continua a Genova sotto la direzione d’AGENO (si veda) e GIACOMONE (si veda). Insegna grammatica superiore nella casa professa di Genova, fino a quando divenne insegnante di fisica ad Albenga. Insegna logica a Savona, e logica e fisica a Genova. Insegna teologia a Savona e a Genova. All'insegnamento di filosofia e di teologia d’A. si formarono esponenti del movimento giansenista quali Degola, Buccelli, Capurro, Carosio, e Casella.  A., però, finisce per abbandonare l'insegnamento di quelle discipline per dedicarsi quasi totalmente all'opera di ri-educazione dei sordomuti, “il suo maggior titolo di rilievo filosofico,” nelle parole di H. P. Grice. In Francia, Epée è il primo a richiamare l'attenzione sulla gravità del problema della ri-educazione dei sordomuti e pone a base del suo metodo di insegnamento la mimica griceiana. Interessato a questi esperimenti, che sono continuati da Sicard, A. inizia la ri-educazione di alcuni ragazzi. Incoraggiato dal successo ottenuto, volle allargare il numero dei suoi allievi, ciò che gli è possibile fare quando ottenne da BUONAPARTE (si veda) un finanziamento, la garanzia di alcune borse di studio per sordomuti indigenti, oltre che l'autorizzazione a installarsi in un locale appartenente a corporazioni religiose soppresse. A. pone la sede del suo istituto dei sordo-muti in un convento delle monache brigidine. Finito il dominio di BUONAPARTE (si veda), l'istituto attravese un periodo di crisi, fino a che non prende a cuore le sue sorti, dopo l'annessione della Liguria al regno della Sardegna, il re Vittorio Emanuele, per l'aiuto del quale esso conosce un notevole ampliamento. Ben presto la sua fama si estende all'Italia e anche all'estero. Numerosi illustri personaggi, da Mayer a Cuvier e Staël, lo visitano. Esso è preso a modello da molti altri analoghi istituti fondati a Torino, Milano, Livorno, Roma, Napoli, ecc. Lo stesso Aporti, che lo visita, ne utilizza le esperienze per i suoi asili infantili. All'abdicazione del re Vittorio Emanuele, l'istituzione è presa sotto la protezione del nuovo re Carlo Felice.  Il metodo d’A., MIMICO (alla Grice) ed essenzialmente pratico ed empirico, utilizza l'alfabeto dattilogico, la scrittura e I GESTIi, e si propone d'insegnare ai sordo-muti, oltre che a leggere e a scrivere, cognizioni diverse riguardanti le varie lingue e i vari campi dello scibile, la filosofia inclusa. Il limite di questo metodo è forse quello di dare soverchia importanza al numero delle cognizioni da impartire, col rischio di fornire un'eccessiva e inutile erudizione agli allievi. (Grice: “Do they NEED to *know* Heidegger?”). A. concive il progetto, che non puo però seguire, d’estendere l'istruzione a tutti i sordomuti dello stato sardo. Esegue la sua missione di educatore nonostante le numerose difficoltà economiche e l'ostilità dei gesuiti e del clero retrivo, con una fede porto-realistica. Allievo di Molinelli., legato all'ala più religiosa e mistica del giansenismo ligure, quella di Vignoli, di Degola, al quale è molto vicino, non prende parte alla lotta politica in cui altri suoi amici giansenisti s'impegnano. Neppure partecipa molto alle dispute teologiche. In questo campo pubblica, in collaborazione con  Molinelli, De homine ante et post lapsum et de Ecclesia militante in terris. Propositiones theologicae publice propugnandae, Genova, mentre non ottenneno l'imprimatur ecclesiastico alcune sue tesi intitolate De fructibus divinae Incarnationis,accusate di giansenismo, baianismo e quesnellismo. Gl’è ancora negato, a Genova e a Torino, il permesso di stampare cinquantadue profezie della Bibbia sulla conversione degl’ebrei.  Tutta la fede e le energie d’A. si riversarono così nella ri-educazione dei sordo-muti, attività in cui è co-adiuvato dagl’amici Degola, che dell'Istituto è il cappellano, Scalzi, Carrega, Boselli, che gli succede alla direzione dell'istituto. Ai sordo-muti A. dedica pure numerosissimi saggi, fra cui si ricordano, “Esercizi di pietà ad uso de’sordo-muti istruiti e di chiunque altro desideri praticarli, Genova, e, Ristretto delle dottrine cristiane ad uso de’sordo-muti istruiti nel R. Istituto di Genova, Genova, e Punti di religione ad uso de’sordo-muti istruiti nel R. Istituto di Genova, Genova. A. è anche chiamato a insegnare all'Istituto nazionale di Genova (nel periodo di BUONAPARTE denominato Accademia imperiale), istituto di studi superiori soppresso dalla restaurazione.  Muore a Genova. Refs.: Storia della Università di Genova, di Isnardi, continuata da Celesia, Genova; Mayer, Frammenti di un viaggio Pedagogico, Firenze; Monaci, Storia del R. istituto nazionale dei sordo-muti in Genova, Genova (con bibl.); Donaver, A., Rass. naz.; Codignola, Pedagogisti ed educatori, Milano; Picanyol, Il primo apostolo dei sordo-muti in Italia: A., Rass. di storia e bibl. scolopica; Codignola, Carteggi di giansenisti liguri, Firenze, con il carteggio d’A.); Illuministi, giansenisti e giacobini nell'Italia, Firenze. Ottavio Assarotti. Assarotti. Keywords: love. Refs.: Luigi Speranza, “Grice ed Assarotti,” pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The Swimming-Pool Library. Assarotti.

 

Luigi Speranza -- Grice ed Assiopisto: la setta di Locri –- Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Locri). Grice: “At Oxford we discuss extensively that little riposte by Humpty Dumpty: “Your name, ‘Alice,’ doesn’t mean anything?” It’s different with Assiopisto! Filosofo italiano.  Epicarmo. GIAMBLICO SUMMA PITAGORICA A cura di Francesco Romano Testo greco a fronte (ϑ) ΒΟΜΡΙ͂ΑΝΙ IL PENSIERO OCCIDENTALE Giamblico di Calcide (250-320 ca d.C.) realizzò un grandioso progetto filosofico-scientifico, precisamente quello di rivisitare e rifondare la dottrina neoplatonica di Plotino e di Porfirio nel crogiolo della tradizione pitagorico-neopitagorica. Pitagorismo e platonismo costituivano in tale progetto due facce della stessa medaglia, il cui valore avrebbe dovuto riscattare la filosofia classica, compresa quella di tradizione non platonica, da ogni apparente differenziazione e disarmonia conseguente alla campagna denigratoria condotta contro Platone e l'Accademia, soprattutto da Aristotele e dai Peripatetici. L'idea-cardine di una convergenza (se non coincidenza) tra queste due dottrine rimarrà, dopo di lui, fattore determinante e qualificante di tutte le costruzioni neoplatoniche dalla tarda antichità al Rinascimento e oltre. La Summa pitagorica, i cui trattati vengono qui presentati integralmente, rappresenta un colossale sforzo di sistemazione delle principali dottrine filosofiche sviluppatesi nell'arco dei secoli IV a.C-TIT d.C. La filosofia di Giamblico è l'esempio più significativo di quell'operazione che caratterizzò il pensiero tardoantico e che consiste nel ridurre a unità le diverse branche dell'indagine filosofica per via di una loro gerarchizzazione fondata sulla reale e ordinata disposizione verticale culminante nella teologia, intesa quest'ultima come scienza delle scienze. La matematica, almeno nel suo significato pitagorico, possiede, dal punto di vista della metodologia delle scienze, la medesima funzione che ha l'anima dal punto di vista onto-cosmologico ed etico. La Summa pitagorica costituisce lo specchio di quella realtà unitaria che le varie scienze hanno il compito di predisporre quale oggetto conoscitivo e contemplativo della scienza teologica. E se è vero che neoplatonismo significa in ultima analisi teologia quale unica e vera filosofia, allora il discorso filosofico altro non può essere che discorso sacro insieme matematico e teologico. E se è vero, inoltre, che l'ordine teologico precede sia l'ordine naturale che l'ordine morale, allora l'ordine matematico è non solo ordine divino, ma anche fondamento di qualunque ordine di realtà. Ecco il senso ultimo del pensiero di Giamblico. Francesco Romano è stato fino al 2004 professore

ordinario di Storia della filosofia antica e medievale presso l’Università di Catania e dirige la Collana SYMBOLON che pubblica gran parte dei lavori della Scuola catanese. Si è occupato negli ultimi decenni di storia del pensiero tardoantico, e particolarmente di neoplatonismo. È autore di numerose pubblicazioni (edizioni, traduzioni, monografie storico-critiche, ecc.), alcune delle quali sono: Studi e ricerche sul neoplatonismo (1983); Porfirio e la fisica aristotelica (1985); Proclo. Lezioni sul “Cratilo” di Platone (1989); Giamblico. Il Numero e il Divino (1995); Il Neoplatonismo (1998); Domnino di Larissa. La svolta impossibile della filosofia matematica neoplatonica. Il Manuale di introduzione all'aritmetica (2000); L’Uno come fondamento. La crisi dell'ontologia classica (2004). In copertina: bassorilievo di età ellenistica raffigurante Pitagora con un allievo, Alessandria d'Egitto, Musco greco-romano. Caver design: Polystudio. BOMPIANI TL PENSIERO OCCIDENTALE Direttore GIOVANNI REALE Direttore editoriale Bompiani Elisabetta Sgarbi Direttore letterario Mario Andrcose Editor Bompiani Eugenio Lio Collaboratori Alberto Bellanti Vincenzo Cicero Diego Fusaro Giuseppe Girgenti Roberto Radice Glauco Tiengo GIAMBLICO SUMMA PITAGORICA VITA DI PITAGORA ESORTAZIONE ALLA FILOSOFIA SCIENZA MATEMATICA COMUNE INTRODUZIONE ALL’ARITMETICA DI NICOMACO TEOLOGIA DELL’ARITMETICA Testo greco a fronte Introduzione, traduzione, note e apparati di Francesco Romano . BOMPIANI IL PENSIERO OCCIDENTALE ISBN 978-88-452-5592-2 © 2006/2012 Bompiani/RCS Libri S.p.A. Via Angelo Rizzoli 8 - 20132 Milano TI edizione Il Pensiero Occidentale ottobre 2012 τὸν δὲ ξύμπαντα ταῦτα οὕτως εἰληφότα, τοῦτον λέγω τὸν ἀληθέστατα σοφώτατον᾽ τὴν γὰρ πάντων καλλίστην καὶ θειοτάτην φύσιν, ὅσην ἀνθρώποις θεὸς ἔδωκε κατιδεῖν, οὔποτε ἄνευ τῶν νῦν δὴ εἰρημέ- νῶν μὴ κατιδὼν ἐπεύξηταί τις ῥαστώνῃ παραλαβεῖν. Chi abbia acquisito in tal modo tutte queste matematiche, costui, io dico, è l’uomo più sapiente nel più vero senso della parola, perché senza i suddetti metodi di studio delle matematiche, chi non la conosce non potrà mai vantarsi di apprendere facilmente la più bella e più divina natura che dio abbia concesso agli uomini di conoscere. Giamblico, De com. math. sc. 21,13-18 PREFAZIONE ALL'EDIZIONE INTEGRALE Dicevo nella Prefazione al volume I/ Numero e il Divino che Giamblico rappresenta un momento di alta condensazione (se non addirittura di precipitazione) filosofica nel campo delle tradizioni che in lui confluiscono, e cioè la platonica, la neoplatonica e la neopitagorica (e in qualche modo anche la peripatetica, si potrebbe aggiungere adesso). Le difficoltà che comportano lo studio del suo pensiero e, a maggior ragione, l'edizione e la traduzione dei suoi testi, dunque, sono molteplici anche in relazione alle disparate questioni affrontate dal nostro Autore. In relazione, poi, ai due nuovi testi che in questa edizione integrale vengono aggiunti (i Libri I e II della Summa pitagorica, rispettivamente Vita di Pitagora ed Esortazione alla filosofia), le difficoltà sono ancora più pesanti a causa di alcune caratteristiche, filologiche, ma non solo, a cui si farà cenno più avanti nelle relative Introduzioni. La presente edizione integrale della Summa Pitagorica contiene quindi cinque scritti, e cioè i tre presentati nella precedente edizione del 1995, e precisamente i Libri III (La scienza matematica comune) e IV (L'Introduzione all’aritmetica di Nicomaco), nonché La teologia del- l'aritmetica, la cui autenticità resta tuttora problematica, come si mostrerà più avanti nell’Introduzione, e in aggiunta, come si è detto, i Libri I e II della stessa Surzzz4 giamblichea. In tal modo viene a rea- lizzarsi lo scopo che il collega Giovanni Reale ed io abbiamo inteso raggiungere con questa edizione integrale, quello cioè di potere leggere e fruire in modo editorialmente unitario, ovvero in un unico volume, tutti gli scritti fondamentali del grande filosofo neoplatonico, se si prescinde dal De wzysterzis che merita un discorso a parte. Ringrazio anzitutto il collega Giovanni Reale che con la sua ami-

chevole ma decisa insistenza mi ha alla fine convinto della bontà dell’iniziativa, inducendomi a tornare a occuparmi di quei testi di Giamblico che avevo trascurato perché non di natura esclusivamente matematica (i testi pubblicati nella precedente edizione erano, infatti, 8 PREFAZIONE tutti e tre di contenuto matematico, donde il vecchio titolo «Il Numero e il Divino»). Ringrazio poi il collega Roberto Radice, che mi ha assistito nella preparazione informatica del volume, impegnandosi con generosa intelligenza, grazie anche alle sue indiscusse doti di studioso del pen- siero antico e alla sua grande e competente esperienza editoriale. Ringrazio infine due delle mie allieve, che mi hanno prestato il loro intelligente ausilio, e precisamente Eva Di Stefano e Giovanna R. Giardina, che hanno letto e controllato con puntigliosa attenzione l’intero volume nella sua stesura definitiva, fornendomi talora utili suggerimenti critici. Fiducioso che quest’ultima mia fatica intorno a un Autore che mi ha sempre appassionato assieme agli altri filosofi neoplatonici, possa rendere più stimolante la lettura e lo studio dell’intera sua opera fondamentale, spero anche che i lettori, soprattutto quelli competenti più di me in questo campo, vorranno perdonarmi le lacune e gli eventua- li fraintendimenti, di cui fin d'ora mi assumo interamente la responsabilità. Catania, Università, febbraio 2005. INTRODUZIONE ALLA LETTURA DELLA «SUMMA PITAGORICA» DI GIAMBLICO 1. Vita. Fonte principale della vita di Giamblico è Eunapio.! Giamblico nacque a Calcide in Celesiria (parte dell'antica Siria posta geografica- mente tra il Libano e l’Antilibano), città situata a Est di Antiochia. La sua famiglia era nobile e ricca, probabilmente risalente al regno arabo degli Iturei, oggetto di vicende politiche al tempo di Pompeo e di Antonio, che donò una parte di esso a Cleopatra (sembra che lo stes- so nome lamblichus sia di origine araba). L'anno della sua nascita e quello della sua morte sono assolutamente incerti. La Suda dice solo γεγονὼς κατὰ τοὺς χρόνους Kovotavtivov tod βασιλέως, notizia che dev'essere intesa quasi certamente nel senso che Giamblico visse (o floruit) sotto Costantino il Grande, e quindi prima del 337 d.C., anno di morte dell’imperatore. Ma quanti anni prima della morte di Costantino (tenuto conto che, secondo Eunapio, egli era già morto quando il suo discepolo Sopatro di Apamea giunse alla corte imperia- le, dove sarebbe stato fatto giustiziare dallo stesso Costantino) cade la morte di Giamblico? La risposta a tale domanda dipende dalle noti- zie relative soprattutto ai maestri di Giamblico, che sarebbero stati prima Anatolio e poi lo stesso Porfirio, maestro di Anatolio.? Se si col- loca il floruit di Giamblico nell’età di Costantino, come vuole la Suda, e si calcola l’acmzé all’età di 40 anni (tosto meno che non pit), consi- derato che egli sarebbe morto prima di Costantino (poniamo, una decina di anni prima) all’età di 60-70 anni, allora la sua data di nasci- ta cadrà intorno al 265-270. Una tale data, però, deve essere arretrata un poco perché possa concordare col fatto che avrebbe avuto come maestri Anatolio e Porfirio (quest’ultimo morto intorno al 305). 1 Eunapio, Vitae sophistarum, ed. G. Giangrande, Roma 1956. 2 Per l'identificazione di questo Anatolio con l’autore del Περὶ δεκάδος Perciò si è pensato giustamente di anticipare la data di nascita intor- no al 250; o addirittura al 240.4 Per quest’ultima data propende anche J. Dillon, e l'ipotesi sembra altamente probabile se si identifi- ca il padre di Aristone, discepolo di Plotino,$ con il nostro Giamblico. In questo caso, infatti, Giamblico doveva essere già avanzato negli anni se aveva un figlio che frequentava la scuola di Plotino a Roma (prima del 270). Sulla base di questa identificazione, anche Saffrey concorda con la datazione più alta.” Non meglio informati siamo sui suoi studi e sui suoi maestri. Ho già accennato ai maestri di Giamblico, Anatolio e Porfirio: ora, senza contare le indicazioni della Suda, la quale mostra chiaramente di con- siderarli veri e propri maestri,8 i rapporti tra Giamblico e questi due presunti maestri sono presentati da Eunapio per mezzo di due parti- cipi che lasciano molte perplessità sul tipo di rapporto che Giamblico avrebbe intrattenuto con l’uno e con l’altro. Le parole di Eunapio sono infatti queste: ᾿Ανατολίῳ [...] συγγενόμενος [...] εἶτα μετ᾽ ᾿Ανατόλιον Πορφυρίῳ προσθεὶς ἑαυτόν. Quindi Giamblico, dopo «essere stato insieme con» Anatolio, si sarebbe «associato» a Porfirio: potrebbe essersi trattato di rapporto di amicizia scientificamente (o spiritualmente) interessata, tanto più che la differenza di età, ad esem- pio con Porfirio, era di una decina di anni al massimo. Comunque si consideri e valuti la relazione di Giamblico prima con Anatolio e poi con Porfirio, sta di fatto che con il primo Giamblico avrebbe trovato una sintonia maggiore che con il secondo. Quanto tale differenza di e dei frammenti conservati nei Θεολογούμενα τῆς ἀριθμητικῆς attribuiti a Giamblico e qui tradotti, cf. R. Goulet, Aratolius 157, «Dictionnaire des Philosophes Antiques», I (1989), 179-183. 3 J. Bidez, Le philosophe Jamblique et son école, «Revue des Études Grecques», 27 (1919), 29-40. 4 AI. Cameron, The Date of Iamblichus” Birth, «Hermes», 96 (1968), 374- 376. 3 J. Dillon, Sam:blichus of Chalcis, «ΑΝ» II 36,2 (1987), 865 5. 6 C£. Porfirio, Vita Plot. 9,4. ? Su questo e sui rapporti personali e dottrinali tra Giamblico e Porfirio, cf. H.D. Saffrey, Pourquoi Porphyre a-t-il édité Plotin?, in Porphyre. La Vie de Plotin II, par L. Brisson et Alii, Paris 1992, 40 ss. [31-57]. 8 C£. Suda s.v. Iamblichos: μαθητὴς Πορφυρίου; s.v. Porphyrios: διδάσκα- λος Ἰαμβλίχου. intesa spirituale e dottrinale dipendesse dal fatto che Anatolio aveva interessi, da un lato matematico-pitagorici e, dall'altro lato, spiccata- mente teologico-teurgici, non è facile determinare. Si aggiunga che se questo Anatolio è identico all’Anatolio che divenne vescovo cristia- no,!0 non c’è da meravigliarsi per niente, ché anzi tale identificazione si accorda almeno con alcuni fattori che contribuirono alla formazio- ne fondamentalmente religiosa di Giamblico. Si sarebbe trattato forse di un'anticipazione, con inversione di ruoli, di quello che nei primi decenni del VI secolo avrebbe sperimentato con profitto la Scuola di Alessandria con Ammonio, peraltro anche lui eminente «aristotelico» come Anatolio. Potrebbe comunque essere stato l’Anatolio maestro o amico di Giamblico persona distinta dall’Anatolio vescovo cristiano: non è da trascurare, comunque, l’avvertimento di Dillon, che cioè Anatolii non sunt multiplicandi sine necessitate.®i L'incontro con Porfirio, posteriore a quello con Anatolio, secondo la tradizione, è molto più difficile da collocarsi e determinarsi. Sembra certo che Giamblico “si sia associato” a Porfirio dopo il rien- tro di quest’ultimo dalla Sicilia a Roma, cioè subito dopo la morte di Plotino.!? Che Giamblico abbia avuto rapporti personali con Porfirio 9. Anatolio è, assieme a Nicomaco di Gerasa, fonte primaria dei Theologoumena arithmeticae rimastici sotto il nome di Giamblico e che, se non sono autentici, raccolgono certamente una tradizione comune ai tre autori (intendo dire Nicomaco, Anatolio e Giamblico), mentre Porfirio è e resta un avversario di Giamblico, un “maestro” con cui egli ha polemizzato su punti essenziali della dottrina neoplatonica. 10 A Laodicea, forse dopo che a Cesarea, dove sarebbe stato ordinato, per succedergli, dal vescovo Teotecno. "ΜΙ sono permesso di latinizzare l’espressione inglese di Dillon «we should not multiply Anatolti unnecessarily» (cf. «ANRW» II 36,2 (1987) 867). Si cf. tuttavia R. Goulet, Aratolius 157, cit., 179 ss. 12 È probabile che Giamblico avesse conosciuto sia Plotino che Porfirio a Roma, dal momento che qui avrebbe soggiornato per un certo tempo suo figlio Aristone: ma si tratta di mera congettura. Sul rientro di Porfirio a Roma dopo la morte di Plotino non si possono avere dubbi dal momento che è lui stesso che ci dice di essere tornato a Roma dopo la morte di Plotino e di avervi incontrato Eustochio, il quale gli avrebbe raccontato gli ultimi gior- ni di vita del comune maestro (cf. Vita Plot. 2,12). Dei dubbi sono legittimi, invece, su quando Porfirio abbia fatto ritorno dalla Sicilia a Roma e se qui lo attesta egli stesso in un passo presente in Stobeo,!3 dove dice di avere ascoltato le lezioni di molti Platonici quali Porfirio e molti altri. La sua relazione con il nuovo maestro non dev'essere durata a lungo, a giudicare anche dalle successive polemiche tra i due.!4 Sembra certo anche che, allontanatosi da Porfirio, Giamblico abbia fatto ritorno in Siria, stabilendosi ad Apamea, o forse a Dafne, un sobborgo di Antiochia. Per le notizie su quest'ultima parte della sua vita dipendia- mo quasi esclusivamente da Eunapio,!5 e naturalmente dalle sue ela- borazioni agiografiche delle testimonianze attinte dai discepoli di Giamblico. È incerto, in ogni caso, se Giamblico insegnò anche ad Apamea, e in ogni caso prima che a Dafne. La scuola siriaca di Giamblico fu frequentata da numerosi discepoli, stando alla testimo- nianza di Eunapio. Tra quei discepoli c'erano uomini illustri, come ad esempio quel Sopatro che, come si è detto, finî giustiziato.!6 Ma il suo magistero non si limitò ai discepoli interni alla scuola, ma si estese ad un certo numero di persone che ne ammiravano la dottrina e la sag- gezza e di cui ci è rimasta ampia testimonianza nei resti del suo epi- stolario conservatoci in parte da Stobeo.!7 abbia dato nuovo impulso alla scuola, come io credo altamente probabile (cf. F. Romano, Porfirio di Tiro. Filosofia e cultura nel II secolo d.C., Catania 1979, 60 ss. passim). Contra Saffrey, op. cit., passim. Ma cf. anche L. Brisson, Prosopographie, in Porphyre. La Vie de Plotin I, cit., 107: «Porphyre revint à Rome (2,12). Il y devint chef d’école. Parmi ses disciples, il faut ranger Jamblique et Theodore d’Asiné»). 13 Stobeo, Anth. I 49,37 = 375,24 W-H: ὡς È ἐγώ τινων ἀκήκοα Πλατωνικῶν, οἷον Πορφυρίου καὶ ἄλλων πολλῶν. Resta comunque l’incer- tezza sul vero significato di ἀκήκοα. 14 C'è da dire, tuttavia, che Giamblico dedicò a Porfirio il suo Περὶ τοῦ Γνῶθι σαυτόν, il che comporta una certa frequentazione, oltre che stima e familiarità. 15 Un'altra fonte è Giovanni Malalas, dal quale apprendiamo che in Siria egli apri (o riaprî) una scuola. La notizia di Malalas si riferisce a Dafne e al tempo dell’augustus Galerio (293-310). 16 Altri discepoli di Giamblico furono Edesio, Eustazio, Eufrasio, Eusebio di Mindo, Crisanzio, Ierio, Massimo di Efeso, Prisco, Teodoro di Asine, Dessippo e qualche altro. Legati alla sua scuola sono da considerarsi anche l’imperatore Giuliano, Sallustio neoplatonico e lo stesso Eunapio, nonché due retori, Libanio e Imerio. 17 Vi figurano nomi di discepoli noti, come Sopatro e Dessippo, ma anche 2. Opere. Ciò che resta delle opere di Giamblico è solo una piccola parte della loro vasta estensione e varietà tematica. Attraverso gli scritti per- venutici per intero e i frammenti e le testimonianze di quelli andati perduti, tuttavia, è possibile farsi un’idea sufficientemente adeguata della portata e dell'importanza dell’attività produttiva di Giamblico. Notevolmente difficile è tuttavia stabilire l'ordine cronologico dei diversi commentari, epistole e trattati, ad eccezione forse, tra questi ultimi, di quelli the rientrano nella serie che è tramandata sotto la denominazione di Zuvayoyn τῶν Πυθαγορείων δογμάτων.18 «Une certaine classification — scrive il Larsen — nous semble toutefois pos- sible».!? Ma si tratta di una classificazione, come spiega subito dopo lo stesso autore, la quale non vuole essere sisternatica, bensi fondata semplicemente «sur la fagon dont ils nous ont été transmis»,20 cioè sul fatto che alcuni scritti ci sono giunti per intero, altri in frammenti e altri ancora solo nel titolo. Senza tenere conto, quindi, dell’ordine cronologico, cercherò di indicare qui quali siano le opere più impor- tanti di Giamblico, cominciando dalla succitata Συναγωγή, che certa- mente rappresenta lo sforzo più notevole e sistematico, anche da un punto di vista teorico, del pensiero e dell’insegnamento di Giam- blico.2! Summa pitagorica (opera conservatasi in parte). Preferisco dare questa traduzione di uno dei titoli tramandatici relativamente all’in-

sieme dei nove o, forse,22 dieci trattati di Giamblico costituenti un cor- di illustri sconosciuti, come Macedonio, Poimenio, Asfalio, Arete, Olimpio, Discolio, Agrippa. 18 Come vedremo fra poco, anche questo titolo è dubbio. 19 B. Dalsgaard Larsen, Jambligue de Chalcis exégète et philosophe, Aarhus 1972, 43. Un’ Appendice a questo volume contiene i testi frammen- tari dei Commentari a Platone e ad Aristotele. 20 Ibidem. 21 L'ordine della nostra esposizione corrisponde più o meno a quello di Larsen e di Dillon («ANRW» già cit.). 22 Il decimo libro o trattato, probabilmente consacrato all'astronomia pitagorica, non ci è attestato con certezza, ma la sua esistenza può essere pus unitario solo in parte conservatosi, anziché quello translitterato di Larsen Synagoge Pythagorica, o quello di Dillon Pythagorean Sequence, o quello semplificato e prudente, data l’incertezza della tra- dizione manoscritta, di O'Meara Ομ Pythagoreanism. Un'altra tra- duzione di Συναγωγή è quella che troviamo indicata — ma non adot- tata, come si è detto — quale corrispondente letterale in inglese anco- ra in O’Meara: Collection (of Pythagorean Doctrines) (dal latino Collectio). A parte la scelta di O’Meara, che si spiega, forse, con la comprensibile prudenza di non impegnarsi in una traduzione che in ogni caso si presta a possibili obiezioni e fraintendimenti, la scelta di tradurre Συναγωγή con Surzzza, che è si un latinismo, ma che tuttavia è parola comunemente adoperata anche nella lingua italiana colta,24 mi è apparsa come l’unica possibile alternativa a quella di Sitesî, che ho subito scartata per evidenti ragioni di inadeguatezza semantica. Il Corpus Pythagoricum giamblicheo di cui parliamo, infatti, non rap- presenta affatto una “sintesi” o “raccolta” di dottrine, ma un “insie- me sistematico”, e scolasticamente costruito, di trattazioni tale da costituire una presentazione completa e organica di tutti gli elementi dottrinali di quel “Pitagorismo (neo)platonico” che era nella mente e nell’intenzione pianificata di Giamblico, come ha abbondantemente dimostrato O'Meara.? Se poi si volesse giudicare la mia scelta come desunta dal piano dell’opera. Per un dettagliato e aggiornato esame di que- st'ultimo, rinvio a D.J. O'Meara, Pythagoras Revived. Mathematics and Philosophy in Late Antiquity, Oxford 1989, 30 ss. C£. anche la recensione a questo volume pubblicata da H.J. Blumenthal in «Liverpool Classical Monthly», 16,1 (1991), 10-14, dove si trovano alcune interessanti osservazio- ni soprattutto in merito al rapporto tra l’incertezza di Giamblico a proposi- to dell'origine degli enti matematici (dagli intelligibili o direttamente dall’Uno) e l’influenza di Aristotele. 23 Il termine Συναγωγή è adoperato due volte da Siriano, Ix Meta. 140,15 e 149,30 (al plurale, con riferimento ad altri scritti di Nicomaco dallo stesso titolo, a 103,7). Altri due titoli ci attesta la tradizione e sono: Περὶ τῆς Πυθαγορείου αἱρέσεως (cf. ancora Siriano, In Hermog. I 22,4 s.) e Πυθαγόρεια ὑπομνήματα (cf. Fabricius, Bibl. Gr. TV 288). 24 Avrei potuto adoperare l'italiano comune Sorzzz4, ma avrei corso il rischio di equivoci, tenuto conto anche del fatto che la voce sorzzza appar- tiene al linguaggio matematico entro il quale si muove quasi per intero il con- tenuto di queste opere di Giamblico. 25 Cf. DJ. O'Meara, Pythagoras Revived, cit., 87 («Despite the quantity un atto di dipendenza dal concetto scolastico medievale di Surziza, non si andrebbe molto lontano dalle mie intenzioni, a condizione che si desse a tale concetto quel significato tecnico-letterario,26 che lo rende collegabile alla “scolastica” neoplatonica che di quella medie- vale è certamente l'antica progenitrice. Il testo della Surziza pitagorica ci è giunto attraverso un solo MS, il Laurentianus 86,3 {= ΕἸ del sec. XIV, da cui dipendono tutti i MSS esistenti. In esso si trova il pinax con i titoli dei primi (che potrebbe- ro essere tutti) nove libri o trattati, e cioè: I. La vita di Pitagora [Περὶ τοῦ Πυθαγορικοῦ Biov],7 II. Esortazione alla filosofia [Προτρεπτι- κὸς ἐπὶ φιλοσοφίαν], INI. La scienza matematica comune [Περὶ τῆς κοινῆς μαθηματικῆς ἐπιστήμης ],28 IV. L'Introduzione all'aritmetica di Nicomaco [Περὶ mg Νιχομάκου ἀριθμητικῆς eiooyoyNic],2? V. La and variety of materials used in Or Pythagoreanism -- Platonic, Pythagorean, Aristotelian texts — a unity of conception and of purpose has been found to organize the whole. The work is a protreptic to “Pythagorean philosophy”, leading the reader from more familiar, “common” truths up towards the higher “mysteries” of Pythagoreanism»), passi. 26 Tutti sanno che l’appellativo di Surzzz4a, adoperato nel XII secolo, in unione a Sententiarum, per indicare una raccolta o un compendio di queste ultime (ad es. la Surzzza sententiarum attribuita a Ugo di San Vittore), passò nel secolo successivo a significare non più una raccolta o stesura compendio- sa, bensi la sistemazione organica delle trattazioni dei problemi, magari suscitati dalla lettura delle Sertezzize, ma ormai assurte a dignità filosofica e teologica autonoma (fu netta la distinzione tra sententiarius e summista): questo passaggio si era già verificato con la Summa philosophiae attribuita a Roberto Grossatesta, ma venne a piena maturazione con le due Surzzzae di Tommaso d’Aquino. Ebbene, io ritengo che, almeno nell’intenzione, l’opera di Giamblico e quella di Tommaso non siano affatto differenti. 2? Che non significa Vita di Pitagora, ma La vita condotta secondo i prin- cipi pitagorici. 28 Indicata da alcuni come La scienza matematica “generale”, titolo che a me sembra fuorviante nella misura in cui non dà l’idea che si tratti di una scienza (o, meglio, di un insieme di principi scientifici) che è comune a tutte le scienze matematiche; quindi non una matematica generale accanto alle matematiche speciali, ma l’insieme dei principi matematici che accomunano tutte le scienze matematiche, ovvero che rendono tutte le matematiche una scienza unitaria. 29 Anche in questo caso sarebbe fuorviante intitolare, come fanno alcuni, scienza aritmetica applicata alla fisica [Περὶ τῆς ἐν φυσικοῖς ἀριθμη- τικῆς eno miungl,39 VI. La scienza aritmetica applicata all'etica [Περὶ τῆς ἐν ἠθικοῖς ἀριθμητικῆς ἐπιστήμης ],"}: VII. La scienza aritmetica applicata alla teologia [Περὶ τῆς ἐν θεολογικοῖς᾽2 ἀριθμητικῆς ἐπιστήμης],᾽» VIII. La geometria pitagorica [Περὶ γεωμετρίας τῆς παρὰ Πυθαγορείοις], IX. La musica pitagorica [Περὶ μουσικῆς τῆς παρὰ Πυθαγορείοις]. A questo punto si dovrebbe aggiungere il tito- lo del libro X. L'astroromia” pitagorica [Περὶ σφαιρικῆς τῆς παρὰ Πυθαγορείοις]. Di questi dieci libri noi possediamo solo i primi quattro, di cui il primo e il secondo costituiscono una specie di avvia- mento e incitamento morale (e filosofico generale) ad abbracciare la dottrina pitagorica, il terzo una specie di introduzione generale alla matematica pitagorica, il quarto la prima introduzione specifica alla prima scienza matematica, cioè all’aritmetica. I libri quinto, sesto e settimo si muovevano intorno alle applicazioni dell’aritmetica in set- tori scientifici diversi, ma non separati dalla matematica, e trattavano precisamente degli aspetti fisico, etico e teologico dell’aritmetica. Gli ultimi tre libri, infine, completavano la Sura pitagorica con le altre tre introduzioni specifiche alle scienze matematiche che nell'ordine seguivano l’aritmetica, e cioè alla geometria, alla musica e all’astrono- mia. Il piano dell’opera, dunque, si presenta come una grande enci- clopedia sistematica del pitagorismo, e cioè come una trattazione questo quarto libro come Commentario all'Introduzione all'aritmetica di Nicomaco, giacché si tratta in effetti di una esposizione ampliata e approfon- dita dell'opera di Nicomaco di Gerasa, che peraltro possediamo e quindi possiamo confrontare. Lo stesso Giamblico sembra talora indicare questo suo libro come un vero e proprio trattato autonomo di Introduzione all'arit metica. 30 Si potrebbe intendere anche come La scienza aritmetica considerata come fisica, ovverosia La scienza aritmetica studiata secondo i principi della fisica, o ancora La scienza aritmetica che si può trovare nella fisica. 31 Valga la medesima considerazione fatta sul titolo del Libro V. 32 θεολογικοῖς è congettura di Nauck sulla base di Giamblico Ix Nicom. 125,21: il MS fiorentino ha θεοῖς. La correzione di Nauck non sembra indi- spensabile a Larsen, op. cit. 46, nota 69. 3} Valga la medesima considerazione fatta sul titolo del Libro V. 34 Ovvero La sferica. completa e organica della filosofia neoplatonica, che coincide, nella mente di Giamblico, con l'autentica filosofia pitagorica. Nessuna delle altre opere di questo maestro neoplatonico poteva essere estra- nea a tale piano dottrinale, e tutte rientravano nell’ambito di esso, anche se erano tecnicamente (scolasticamente) destinate a scopi diversi, come ad esempio è il caso dei commentari a Platone e ad Aristotele. Gli scritti esterni alla Sumzzza pitagorica si possono classificare in tre gruppi distinti: da un lato i Trattati filosofici e teologici,35 dall’al- tro lato i Comzmzentari, e infine le Epistole. I primi sono, in ordine di importanza (e di nostra conoscenza) e al di fuori di ogni collocazione cronologica, i seguenti. Sui simboli [Περὶ συμβόλων] (opera perduta: si trova un cenno in Girolamo, Contra Rufinur INI 39,507 A). Ritengo che si debba colle- gare, se non fare coincidere, questo scritto con quello che Giamblico stesso promette in Protr. 112,2, dove, a proposito del quinto “simbo- lo” pitagorico che prescrive di astenersi dal mangiare il melanuro, perché è sacro agli dèi sotterranei, dice che ne parlerà più diffusa- mente nel libro Sus simzboli.37 La teologia dell’aritmetica [Τὰ θεολογούμενα τῆς ἀριθμητικῆς] (opera conservatasi in almeno nove MSS classificabili in due famiglie e di valore molto disuguale). Quest'opera è stata attribuita a Giamblico per via del fatto che potrebbe avere avuto lo stesso conte- nuto del Libro VII che nel πίναξ della Zuvayoyù τῶν Πυθαγορείων δογμάτων ha come titolo Περὶ τῆς ἐν θεολογικοῖς ἀριθμητικῆς ἐπιστήμης. Lo studioso che ha prodotto il maggiore sforzo per dimo- 35 Si tenga conto del fatto che filosofia e teologia costituiscono, per Giamblico e per tutti i neoplatonici a lui posteriori, un’unica dottrina, essen- do la teologia nient'altro che il coronamento della filosofia, 0, se si vuole, la vera e più alta filosofia. 3% Giamblico, Protr. 107,3 Μελανούρου ἀπέχου’ χθονίων γάρ ἐστι θεῶν. Melanuro è il nome del pesce che oggi si chiama “occhiata” [οὐίφία melanu- ra), che ha una macchia nera sulla coda: melanuro, infatti, significa: dalla coda nera. 37 Il termine simbolo equivale qui a precetto. [I strarne l'autenticità è stato H. Oppermann; il quale attraverso un'accurata analisi degli estratti di Nicomaco e di Anatolio contenuti in questo scritto, è giunto alla conclusione che il testo che ci è perve- nuto deriverebbe da una vasta raccolta in cui erano stati messi insie- me, tra gli altri, testi di Nicomaco e di Anatolio, e che tale raccolta di testi coinciderebbe con il Libro VII della Summa pitagorica di Giamblico, da cui avrebbe attinto l'anonimo excerptor. Nonostante la difesa di Oppermann, i Theologoumena arithmeticae sono oggi consi- derati non autentici, e quindi opera di Anonimo (indicati comune- mente come Ps.-Iamblichus o [Tamblichus]), tesi che appare oggi confermata dalla ricerca di O’Meara sugli estratti di Michele Psello dai Libri V-VII della Sura pitagorica39 I misteri degli Egizi [Περὶ μυστερίων τῶν αἰγυπτίων]40 (opera conservatasi): si tratta della risposta che Giamblico, sotto lo pseudo- nimo di un prete egiziano di nome Abammore, indirizza a Porfirio quale autore della Epistola ad Anebone che affronta il problema del significato e del valore filosofico dei riti misterici. Il titolo completo, quindi, sarebbe stato questo: Risposta del maestro Abammone alla Epistola ad Anebone di Porfirio e soluzioni delle questioni in essa con- tenute [᾿Αβάμωνος διδασκάλου πρὸς τὴν Πορφυρίου πρὸς ᾿Ανεβὼ ἐπιστολὴν ἀπόκρισις καὶ τῶν ἐν αὐτῇ ἀπορημάτων λύσεις]. La paternità giamblichea di quest'opera è stata da alcuni, in epoche diverse, contestata con argomenti che alla fine sono risultati ineffica- ci, se è vero che oggi la quasi totalità degli studiosi ritiene che essa sia opera autentica e che anzi rappresenti il fulcro stesso di una ricostru- zione del pensiero di Giamblico.4! Ciò sia detto con buona pace di ΔΑ. Sodano -- autore in questa stessa Collana di una traduzione ita- 38 Cf. «Gnomon», 5 (1929), 545-558 = rec. all'edizione De Falco del 1922. C£. anche V. De Falco, Su/ testo dei Theologoumena arithmeticae in un codice parigino, «Riv.Filol.Istr.Cl.», NS 64 (1936), 374-376, in riferimento a Oppermann, op. cit., 545-548. 39 Cf. D.J. O'Meara, Pythagoras Revived, cit., 15 nota 24; 76 ss. 40 Un altro titolo tràdito è Περὶ τῆς αἰγυπτίων θεολογίας. 4U A parte l’attestazione inequivocabile di Proclo conservata in uno sco- lio che oggi viene premesso all’edizione del De reystertis (cf. ed. des Places, Paris 1966), si cf. 5. Fronte, Sull’autenticità del “De Mysteriis” di Giamblico, «Siculorum Gymnasium», 7 (1954), 234-255; B. Dalsgaard Larsen, liana ampiamente commentata dell’opera --, il quale sostiene che «Giamblico non avrebbe mai scritto un trattato qual è il De mysteriis, un manifesto dell’irrazionalismo cosi scopertamente audace: era ancora troppo filosofo per farlo, nonostante Eunapio cerchi di accre- ditare sul suo conto favole e prodigi. Di esso dovette essere autore un’intellighenzia disperata che cercava con ogni mezzo, non escluso il compromesso, di salvare le ultime istanze del paganesimo, un’'équipe di difensori degli antichi ideali ellenici,42 che s’avviava tuttavia alla superstizione e alla mistica teurgica».4? Se dovessimo accettare questo punto di vista che vede nel De weysteriis un “manifesto dell’irraziona- lismo”,44 dovremmo ritenere come «non-filosofici» la maggior parte degli scritti dei tardi neoplatonici, quali ad esempio Siriano, Proclo e Jamblique, cit., 47 ss.; J. Dillon, Iamzblichus, «ANRW», cit., 876; e, da ultimo, D.J. O'Meara, Pytbagoras Revived, cit., 101 ss. 42 Ma questo si potrebbe dire di tutti i neoplatonici presi in blocco. 43 A.R. Sodano, Introduzione a Giamblico, I misteri egiziani. Abammone, Lettera a Porfirio, Milano 1984, 35. 44 Valutazione che Sodano riprende dal Dodds (The Greeks and the Irrational, Berkeley/Los Angeles 1951). Ma occorre aggiungere che il Dodds nella Introduction alla sua edizione degli Elements of Theology di Proclo, Oxford 1933 [19632] XIX, aveva qualificato lo stesso De mysteriis come un «semi-philosophical treatise». Sembra, purtroppo, che sia dura a morire la tendenza storiografica (alla quale appartengono Dodds e Sodano) a mante- nere ad ogni costo la filosofia greca (ma non solo la filosofia) scevra da ogni presunta “contaminazione” del cosiddetto “irrazionalismo” orientale, men- tre dovrebbe essere assolutamente fuori discussione il fatto che la civiltà greca, e soprattutto la filosofia greca, contenevano in sé connaturati quei germi di “misticismo” che vediamo esplodere (ma sono presenti in tutte le epoche) nell'età tardoantica in generale e nel pensiero neoplatonico in parti- colare. In effetti il neoplatonismo non ritiene per nulla “irrazionali” le pro- iezioni della mente (il neoplatonico direbbe della ψυχή) ἐπέκεινα τοῦ λόγου (dove λόγος è proprietà comune sia alla διάνοια che al νοῦς platonicamen- te intesi) nel processo di ricerca e di attingimento del Principio assoluto. Insomma il teofogico non è negazione del razionale, ma solo un suo supera- mento necessario alla sua stessa fondazione. Il ricorso all’oriente, osserva acutamente Cambiano (Introduzione a E.R. Dodds, Parapsicologia nel mondo antico, Bari/Roma 1991, XXIII), è servito da espediente «per isolare la Grecia come regno della perfetta razionalità»: pretensione quanto mai, que- sta si, irrazionale e antistorica!  Damascio. Io resto, comunque, nella convinzione che Giamblico, se visto con gli occhi dei platonici del IV-VI secolo (intendo dire dell’età post-porfiriana) è “filosofo” anche come autore del De wmeysterits, e che forse anche Porfirio è da collocarsi sullo stesso piano di Giamblico, se ha ragione O'Meara quando dice che il concetto di “filosofia greca”, presente nel De rzysteriis e in qualche misura anche nel De anima di Giamblico, quale versione relativamente moderna degli insegnamenti degli antichi Egiziani e Caldei, sembra essere stata al centro di molti scritti di Porfirio.45 Sull’anima [Περὶ ψυχῆς] (opera perduta: frammenti in Stobeo e altri [cf. Edizioni e Traduzioni, infra]): si tratta di un vero e proprio trattato sull’anima che ha con il De anima di Aristotele solo relazioni estrinseche di ordine tecnico-linguistico (tutt'altro, quindi, che un Commentario al De anima di Aristotele, di cui peraltro sembrerebbe ragionevole, allo stato della ricerca, escludere con Blumenthal l’esi- stenza).46 ΑἹ di là delle apparenti convergenze con la psicologia aristo- telica su tematiche specifiche e mai strutturali, quest'opera contiene una presentazione — sotto forma di una discussione dell'itinerario del- l’anima (meglio, delle anime) dalla caduta originaria al ritorno escato- logico attraverso tutte le vicende dell’incorporazione — di quello stes- so Pitagorismo-Platonismo che costituisce il fondo comune della Summa pitagorica e del De meystertis. Ciò che distingue il De anima dalle altre opere di Giamblico è semmai un certo spessore dossogra- fico che ne scandisce l'andatura argomentativa e teorica. Basti pensa- re, ad esempio, alla nozione di “facoltà” (δύναμις) psichica che si svi- luppa, in gran parte dei frammenti, secondo una concezione che si lascia alle spalle la stessa nozione aristotelica da cui storicamente nasce, e che è caratterizzata da una visione gerarchizzante e altamen- te mediativa che è tipica del pensiero neoplatonico. Chi, come la Taormina,#? ha studiato a fondo tale teoria, sulla base di un attento esame lessicografico confrontato in tutti gli scritti giamblichei, ci tra- 45 Cf. DJ. O'Meara, Pythagoras Revived, cit., 101 5. 46 Cf. H.J. Blumenthal, Did Iamblichus write a Commentary on the De

anima?, «Hermes», 102 (1974), 540-556. 47 D.P. Taormina, I/ lessico delle potenze dell'anima in Giamblico, Firenze 1990. INTRODUZIONE 21 smette la convinzione che il De anizza si trova in un rapporto assolu- tamente organico con tutte le altre opere di Giamblico, e soprattutto con il De mystertîs, all’interno di una comune visione metafisica squi- sitamente neoplatonica che nulla ha a che vedere con i referenti sto- rici estranei alla tradizione platonica, siano essi aristotelici o stoici o di altra origine.48 Potrebbe coincidere con una parte di quest'opera lo scritto riferi- to da Damascio con il titolo Περὶ ψυχῆς μεταναστάσεως [Sulla migrazione dell'anima]. La perfettissima teologia caldaica [Χαλδαϊκὴ τελειοτάτη θεολο- yia] (opera perduta: solo riferimenti e rari frammenti): era una vastis- sima opera in non meno di 28 libri. Probabilmente si trattava di un Commentario agli Oracoli caldaici, sull'esempio, forse, di quello ana- logo di Porfirio e della Philosophia ex Oraculis dello stesso Porfirio. Nella mente di Giamblico gli Oracoli caldaici dovevano occupare un posto dello stesso valore e significato dei Misteri degli Egizi. Naturalmente Giamblico, come tutti i neoplatonici, riteneva che i contenuti di verità filosofico-teologica di queste tradizioni religiose coincidessero con quelli della tradizione orfica, da un lato, e pitagori- co-platonica, dall’altro lato. Un'idea, questa, che verrà a piena matu- razione con Siriano e Proclo. Ha ragione, dunque, O°Meara quando afferma che «in conclusion, it is safe to say that for the Iamblichus of On Mysteries, a Platonic, Egyptian, or Chaldaean Theology could very suitable be read as a sequel to Ox Pytbagoreanism».49 Sugli dèi [Περὶ θεῶν] (opera perduta: una testimonianza in Damascio a proposito della distinzione, che egli attribuisce a Giamblico, tra εἶναι e ὑπάρχειν)."0 Un Περὶ θεῶν è citato due volte 48 Ibidem, 36, dove si sostiene che secondo Giamblico le δυνάμεις del- l’anima sono in stretta correlazione con la struttura cosmologica di cui essa fa parte. Si cf. anche C. Steel, The Changing Self. A study on the Soul in Later Neoplatonism: Iamblichus, Damascius and Priscianus, Brussel 1978, dove è analizzata accuratamente, e con originalità di interpretazione, la dottrina giamblichea delle alterazioni essenziali dell'anima a causa del suo rapporto con il corpo. 4 D.J. O'Meara, Pythagoras Revived, cit., 95. 50 Cf. Damascio, De princ. II 71,25 s. Westerink-Combès. 22 INTRODUZIONE nel De wmeystertis, ma che Giamblico intenda riferirsi a un suo scritto non appare del tutto chiaro, e anzi alcuni lo escludono. La questione è complicata dal fatto che un’altra opera sul “divino” sotto lo stesso titolo, ma al singolare, Περὶ θεοῦ, è citata nel Protrepticus,! dove sembra più sicuro che Giamblico alluda a un suo proprio scritto, che tuttavia non si conosce da altra fonte. Potrebbero i due titoli indicare la medesima opera.5? Sulle statue <degli dèi> [Περὶ ἀγαλμάτων] (opera perduta: rias- sunta da Fozio, cod. 215), il quale la introduce dicendo che Filopono aveva scritto una confutazione di quest'opera di Giamblico). Anche Porfirio ha scritto un’opera dallo stesso titolo (edita da Bidez),53 ma certamente di intonazione filosofica diversa se non opposta, si che appare lecito pensare ad una risposta, anche in questo caso, come nel caso del De mystertis, di Giamblico a Porfirio a proposito del valore e del significato della rappresentazione immaginifica del divino. Del resto lo stesso argomento è trattato in De wmysteriis III 28-29, 167,9- 173,8 Parthey. Commentari ad Aristotele: opere perdute. I pochi frammenti con- servatisi riguardano le Categorie e gli Analitici primi. Commentario alle Categorie. Grazie all’abbondante uso che ne ha fatto Simplicio, noi possiamo oggi farci un’idea sufficientemente chia- ra della valutazione che Giamblico dava dell’opera aristotelica. La sua esegesi è un sapiente miscuglio di testi aristotelici, porfiriani e di quel Pseudo-Archita che Giamblico considerava l’autentico antico Pitagorico: su tale base Giamblico giudicava Aristotele fortemente debitore non solo del platonismo, ma anche e soprattutto del pitago- rismo. E se questo può apparire una scorretta e antistorica interpre- tazione della logica di Aristotele, è tuttavia prova di quell’interesse ad armonizzare Aristotele con Platone e Pitagora che da Giamblico in avanti sarà la via maestra per recuperare al platonismo, nella misura 51 Cf. Giamblico, Protr 120,17. 52 Sul rapporto tra questa o queste opere e la Summa pitagorica, cf. O’Meara, op. cit., 92 ss. A 33 1 Bidez, Vie de Porpbyre, Gand/Leipzig 1913; rist. Hildesheim 1980, 17-23*. INTRODUZIONE 23 del possibile, una parte della tradizione peripatetica quale segno della sua origine platonica. È probabile che i pochi frammenti che si riferiscono a Giamblico nella tradizione dei Commentari al De interpretatione (Ammonio e Stefano, soprattutto) non provengano da un commentario di Giamblico a quest'opera aristotelica, bensî dal suo Commentario agli Analitici primi. Commentario agli Analitici primi. I pochi frammenti rimasti servo- no appena a darci un'idea della divergenza di Giamblico da Alessandro di Afrodisia su un paio di questioni relative alla dialettica e alla struttura del sillogismo. Ancora una volta si trova testimoniato l'interesse del filosofo neoplatonico a tirare Aristotele dalla parte di Platone contro la tradizione peripatetica basata su un’esegesi rispet-

tosamente conservativa del testo aristotelico. E poco probabile che Giamblico abbia composto un Cormrzentario al De caelo, ma sembra da Simplicio che si sia occupato anche di que- st'opera, dal momento che — se dobbiamo credere a Simplicio -- Siriano si sarebbe appoggiato, nella sua confutazione della interpreta- zione che Alessandro aveva dato dello σκοπός di questo trattato ari- stotelico, all'opinione di Giamblico. Ancora più scarsa è la probabilità che Giamblico abbia scritto un Commentario alla Fisica di Aristotele: non sembra che i frammenti incertae sedis che si possono attribuire a Giamblico nell'omonimo Commentario di Simplicio provengano da Giamblico.54 Commentari a Platone: opere perdute. Un buon numero di fram- menti e testimonianze in parecchi autori posteriori ci attestano che Giamblico ha scritto un Commentario al Timeo, un Commentario al Parmenide e un Commentario al Fedro. Esistono anche numerosi rife- rimenti a punti dottrinali relativi all’A/cibiade I, al Fedone, al Filebo55 54 Si cf. Dalsgaard Larsen, op. cit. 54 s. 55 Tra i frammenti relativi a questo dialogo il Larsen inserisce un passo (il fr. 194) ricavato da Damascio, ma che si trova anche citato due volte da Proclo, Theol. Plat. 3,11 = 44,5; 3,13 = 48,25 Saffrey-Westerink. Dillon lo riferisce nel Cow. al fr. 7 relativo a In Phil. (pp. 262 s.). La difficoltà di col- locazione che pone tale frammento sta nel fatto che la prima citazione di Proclo sembra accompagnata da un riferimento preciso a un’opera di 24 INTRODUZIONE e al Sofista. Ma quello che ci permette di valutare l’esegesi giambli- chea sui dialoghi platonici contenuti in tali resti dei suoi commentari è il fatto che noi conosciamo il criterio da lui suggerito e applicato allo studio ordinato dei dialoghi secondo un preciso ordine di lettura. Tale criterio o Carone di lettura è fondato su una rigorosa classificazione degli stessi dialoghi a seconda del loro ruolo nella formazione del filo- sofo neoplatonico. Tutto ciò ci è stato tramandato da uno scritto ano- nimo del VI secolo (circa duecento anni dopo la morte di Giamblico) conosciuto come Prolegomena philosophiae Platonicae.56 La lettura di Platone deve cominciare con l’A/cibiade I continuare con i due dia- loghi etici, Gorgia e Fedone, i due dialoghi logici, Cratilo e Teeteto, i due dialoghi fisici, Sofista e Politico, i due dialoghi teologici, Fedro e Simposio, e concludersi, passando attraverso un dialogo cerniera, il Filebo, con i due dialoghi più importanti — perché contenenti la dot- trina platonica al suo grado sommo --, uno fisico, il Tirzeo, e l’altro teologico, il Parmeride. Questo schema si fisserà nella prassi didatti- ca delle varie Scuole neoplatoniche dei secoli IV-VI, come è possibi- le verificare soprattutto in Siriano e in Proclo. Ep:stole (opere perdute; estratti in Stobeo): si tratta di una ventina di lettere che trovano il loro titolo nella classificazione che ce ne dà Stobeo [il numero tra parentesi indica la successione degli estratti dalla medesima lettera]: A Poimenio (sul demiurgo e la sua provvidenza) A Macedonio (1) e A Sopatro (1) (sul destino)

A Dessippo e Giamblico dal titolo Πλατωνικὴ θεολογία. Il Saffrey nella Note compl. ad loc., mettendo a confronto Proclo, Theo! Plat. 3,11, con Proclo, Ix Parra. VI 1067,33 s., avanza un ragionevole dubbio sull’esistenza di una tale opera di Giamblico, dubbio che viene da lui stesso trasformato in negazione certa in un contributo più recente: La Théologie Platonicienne de Proclus et l’histoire du néoplatonisme (IVe-Ve siècles), in Proclus et son influence, ed. G. Boss & G. Seel, Ziirich 1987, 39-41 [29-441, in cui egli è tornato opportunamente e con forti argomenti sullo stesso problema. 56 Edizioni di C.F Hermann, Platonis opera VII, Lipsiae 1875, 52-78, e di L.G. Westerink, Anonymous Prolegomena to Platonic Philosophy, Amsterdam 1962. INTRODUZIONE 25 A Sopatro (2) (sulla dialettica) A Macedonio (2) (su ciò che è in nostro potere, cioè sul libero arbitrio) A Eustazio e A Sopatro (3) (sull'educazione) A Macedonio (3) (sulla concordia) A Sopatro (4) (sull’ingratitudine) A Sopatro (5) e A Sopatro (6) (sulla virtù) Ad Asfalto (sulla prudenza) Ad Arete (1) e Ad Arete (?) (2) (sulla temperanza) Ad Olimpio (sul coraggio) Ad Anatolio (sulla giustizia) A Sopatro (7) (sulla verità) A Sopatro (8) (sul pudore) A Sopatro (9) (sull’onestà) A Discolio e Ad Agrippa (sul governo) ? (sul matrimonio) A Sopatro (10) (sulla felicità). 7 Il prevalente interesse etico delle Epistole, accompagnato da un certo interesse anche pedagogico e politico, testimonia del prestigio che Giamblico godeva presso i suoi discepoli e i suoi amici, oltre che del ruolo di “padre spirituale” che il maestro neoplatonico in genera- le esercitava in funzione e nel quadro del suo insegnamento. 3. La Vita di Pitagora. È il libro che apre la Surmzzza pitagorica in quanto costituisce la pre- messa generale di tutto il discorso contenuto nei libri successivi.” 57 A me sembra indiscutibile il fatto che la Vita di Pitagora costituisca effettivamente una sorta di Introduzione alla Summa pitagorica e faccia, quin- di, parte integrante di quest’ultima anche dal punto di vista del progetto generale che Giamblico aveva in mente quando si accingeva a scrivere, nel loro ordine naturale, i vari trattati della suo “sistema di filosofia pitagorico- (neo)platonica”. Era indiscutibile, infatti, per Giamblico l’idea che Pitagora 26 INTRODUZIONE

Cosi come appare dal sormzzario, che certamente risale allo stesso Giamblico e che si trova all’inizio del testo, lo scritto consta di 36 sezioni, suddivisi in 267 capitoli, che sono denominati κεφάλαια, ter- mine che non significa precisamente “capitoli”, ma — come giusta- mente traducono e spiegano Saffrey e Westerink nella loro edizione del primo libro della Theologia Platonica di Proclo —,78 “argomenti principali” («principaux sujets»), quindi “contenuto” articolato e suddiviso, appunto “sommario” (non “indice”, ovviamente) nel senso moderno del termine. Ciascuna delle 36 sezioni del sorzzzario com- prende un numero vario di capitoli (0, se si preferisce, paragrafi) a seconda della lunghezza e complessità degli argomenti segnalati, per rappresentasse il punto di partenza di ogni discorso filosofico in chiave (neo)platonica, essendo Pitagora, non soltanto fonte primaria del (neo)pla- tonismo in quanto maestro del maestro Platone, ma anche fondatore di quel pitagorismo con cui -- in ultima analisi -- si identificava (almeno nella valuta- zione di Giamblico) l’intera tradizione platonica. È questa la ragione di fondo per la quale -- a mio avviso — è impossibile o, quanto meno, irragione- vole ammettere — al di là di ogni possibile accostamento per analogia — che l'intenzione di Giamblico nello scrivere (meglio, nel comporre sulla base delle fonti più disparate) la Vita di Pitagora fosse quella di contrapporre una sorta di “vangelo pagano” ai vari vangeli cristiani attraverso la descrizione di un modello di vita altrettanto divino quanto quello di Cristo, ma al tempo stesso accettabile da parte dei pagani (e non soltanto dei filosofi) al contra- rio di quest’ultimo. Tentativi di interpretare la Vita di Pitagora di Giamblico in questo senso si sono riaffermati in occasione della ripresentazione dell’edi- zione di Michael von Albrecht, Jam:blich, Pythagoras: Legende - Lebre - Lebensgestaltung, Darmstadt 2002 (la prima edizione risale al 1963), in cui si trovano dei contributi esplicitamente miranti allo scopo suddetto, e precisa- mente quello di David 5. du Toit, He:lsbringer im Vergleich: soteriologische Aspekte im Lukasevangelium und Jamblichs Vita Pythagorica, pp. 275-294, quello di J. Dillon, Die Vita Pythagorica - ein “Evangelium”, pp. 295-301, e quello di Martin George, Tugenden im Vergleich. Ibre soteriologische Funktion in Jamblichs Vita Pythagorica und Athanasius Vita Antontii, pp. 303- 322, senza contare 58 C£. Proclus, Théologie platonicienne, Livre I, texte établi et traduit par H.D. Saffrey et L.G. Westerink, Paris 1968, p. 1 e p. 129, nota 2: «un xegd- λαῖον — si legge in questa nota — est un sommaire des matières principales contenues dans un chapitre. C'est une courte phrase exprimant aussi fidèle- ment que possible le contenu du texte, les thèses établies, les principes mis en jeu, les sources utilisées, la méthode suivie». INTRODUZIONE 27 cui ci sono delle sezioni che comprendono solo due capitoli, ad esem- pio le sezioni 1, 4, 7, 12, ecc., ma ce ne sono alcune che ne compren- dono parecchi, addirittura fino a ventisette capitoli, come ad esempio la sezione 31. In quest’ultimo caso la materia di cui si tratta è abba- stanza densa e articolata, come si può arguire dal titolo stesso del κεφάλαιον: «Sulla temperanza: come Pitagora la praticò e la insegnò agli uomini con parole e opere e con ogni mezzo, e quante e quali spe- cie di temperanza egli stabili tra gli uomini». La successione degli argomenti del Sommario, considerata da un punto di vista teorico, si presta ad alcune considerazioni critiche. Dopo la prima sezione (capp. 1-2), che costituisce una specie di “proemio” in cui Giamblico parla della filosofia pitagorica in generale e delle difficoltà che com- porta la sua esposizione, segue una seconda sezione (capp. 3-12), in cui egli tratta della famiglia e della patria di Pitagora, dei suoi primi studi e dei suoi primi viaggi. Le sezione 3-4 (capp. 13-19) espone soprattutto il soggiorno di Pitagora in Egitto, dove viene iniziato ai sacri misteri degli Egizi, e il suo ritorno a Samo. La sezione 5 (capp. 20-27) comincia a trattare dei metodi di insegnamento di Pitagora: Pitagora, scrive Giamblico, «intraprese il suo insegnamento che era di tipo simbolico e assolutamente simile a quegli insegnamenti egiziani in cui egli era stato educato». La sezione 6 (capp. 28-32) è dedicata all’espatrio di Pitagora da Samo, dove egli - pensava — non avrebbe potuto continuare a dedicarsi alla filosofia, e alla sua partenza per l’Italia: «salpò verso l'Italia — scrive Giamblico --, ritenendo che sua patria sarebbe stata quella regione che avesse il maggior numero di uomini ben disposti ad apprendere». Egli si stabili a Crotone, dove «raccolse ben seicento uomini, che non solo furono da lui spinti a stu- diare la filosofia che egli insegnava, ma divennero, secondo i suoi pre- cetti, per cosi dire dei “cenobiti”». E furono questi i veri filosofi pita- gorici, cioè i veri discepoli di Pitagora, perché tutti gli altri erano dei semplici uditori, indicati appunto con il nome di “acusmatici”. I membri della comunità sorta a Crotone «ricevettero da Pitagora leggi e comandamenti da valere come “regole divine” [νόμους te παρ᾽ αὖ- τοῦ δεξάμενοι καὶ προστάγματα ὡσανεὶ θείας ὑποθήκας)». Le sezioni 7-11 (capp. 33-57) trattano dei rapporti che Pitagora tenne con le città siciliane e soprattutto con i Crotoniati. Grazie al suo inte- ressamento, «quelle città — scrive Giamblico — furono dotate di buone 28 INTRODUZIONE legislazioni, per cui rimasero a lungo oggetto di invidia da parte dei loro vicini». Spesso Pitagora indirizzava ai cittadini di tali città delle allocuzioni, anche sotto forma di consigli, che si possono compendia- re, dice Giamblico, nella seguente sentenza (ἀπόφθεγμα): «Bisogna allontanare con ogni mezzo e sradicare col ferro e col fuoco e con vari espedienti, dal corpo la malattia, dall'anima l’ignoranza, dal ventre la ghiottoneria, dalla città la ribellione, dalla casa il dissenso, e al tempo stesso la sproporzione in ogni cosa». Le sezioni 12-16 (capp. 58-70) sono consacrate ai principi fondamentali dell’insegnamento filosofico di Pitagora, soprattutto al principio secondo cui la vera sapienza, con cui si identifica la filosofia, è quella che si acquista attraverso lo stu- dio delle matematiche: «Orbene -- scrive Giamblico —, bella è la con- templazione dell’intero universo e degli astri che in esso si muovono, qualora si riconosca il loro ordine, ma questo è tale per partecipazio- ne del Primo e dell’Intelligibile. Ma il Primo era quello <di cui parla- va Pitagora>, cioè la natura dei numeri e dei rapporti, natura che si estende per tutto l'universo, e numeri e rapporti secondo cui tutto è stato coordinato in maniera armonica e organizzato in maniera con- veniente». Grande peso Pitagora dava all'educazione musicale, che egli fissò come prima forma di educazione, ma ancora più peso egli dava, ovviamente, all'educazione dell'anima: «Pitagora — scrive Giamblico — curava divinamente e purificava l’anima e riaccendeva la scintilla del divino che è in essa e manteneva sano e riconduceva verso l’Intelligibile l'occhio divino <dell’anima>, che, secondo Platone, è giusto salvare più che migliaia e migliaia di occhi carnali». Le sezioni 17-25 (capp. 71-114) racchiudono nel loro complesso tutti gli elemen- ti essenziali del metodo di insegnamento e della dottrina di Pitagora: 1) rigoroso esame del carattere a cui egli sottoponeva chi voleva entra- re nella scuola, esame condotto mediante severissime prove che l’aspi- rante pitagorico doveva sostenere positivamente per tre anni di segui- to; 2) cinque anni di pratica del silenzio, durante i quali i beni dei neo- fiti venivano messi in comune; 3) dopo i cinque anni di silenzio, se avevano superato tutte le prove, gli aspiranti venivano ammessi alla scuola con il titolo di “esoterici” e potevano vedere e ascoltare Pitagora all’interno della “tenda” (ἐντὸς σινδόνος);59 4) coloro che 59 Sono questi i cosiddetti uditori interni, come spiega Giamblico più avanti, da distinguersi dai cosiddetti uditori esterni. C£. Vita Pyth. cap. 89. INTRODUZIONE 29 non superavano le prove, e quindi venivano respinti, «ricevevano il doppio dei loro beni, e per essi veniva innalzata una tomba, come fos- sero morti»; 5) le matematiche erano il fulcro dell’insegnamento e della dottrina di Pitagora: «grande e assolutamente necessaria, scrive Giamblico, era — a parere di Pitagora — la cura che occorre avere delle matematiche prima che della filosofia»; 6) sulla base del merito che i discepoli si guadagnavano nel frequentare le lezioni di Pitagora, que- sti li distingueva in due gruppi, «chiamando alcuni “Pitagorici”, altri “Pitagoristi” (τοὺς μὲν Πυθαγορείους καλέσας, τοὺς δὲ Πυθαγοριστάς)». Ma si faceva anche un’altra distinzione, basata su una doppia specie di filosofia pitagorica (δύο ἦν εἴδη τῆς φιλοσοφι- ‘ag), per cui quelli che praticarono questa filosofia «si divisero in due generi — scrive Giamblico —: da un lato gli “acusmatici”, dall’altro lato i “matematici”. Tra questi, i matematici erano concordemente consi- derati dagli altri come “pitagorici”, mentre gli altri non considerava- no tali gli “acusmatici”, e concordavano sul fatto che la dottrina di questi ultimi non era quella di Pitagora, bensi di Ippaso»;f0 7) a parte i metodi delle scienze matematiche, l'insegnamento di Pitagora era basato su due metodi pratici: quello delle proibizioni e quello dei sim- boli: quest’ultimo era certamente il metodo preferito da Pitagora; 8) esistono infine alcune norme alimentari che Pitagora prescriveva nella convinzione che «anche l'alimentazione, quando è buona e ordinata, dà un grande contributo alla migliore educazione»: la prima di tali prescrizioni era certamente quella di non cibarsi della carne degli ani- mali. La sezione 26 (capp. 115-121) espone le varie vicende che por- tarono Pitagora alla scoperta dei rapporti armonici e in generale della musica. La sezione 27 (capp. 122-133) si occupa dell’insegnamento giuridico-politico di Pitagora e dei Pitagorici, nonché naturalmente della loro attività legislativa. Le sezioni 28-34 (capp. 134-247) servo-

no a Giamblico per affrontare il «discorso sulle opere virtuose di Pitagora, non prendendole cosi in generale, bensi dividendole virti per virti». E cosi si parla di ciò che egli insegnò e praticò a proposi- 60 E interessante notare che «la filosofia degli acusmatici è composta di “detti” privi di dimostrazione e di argomentazione (ἀναπόδεικτα καὶ ἄνευ λόγου)». Gli ἀκούσματα, donde traggono il loro nome i cosiddetti “acusma- tici”, erano dei semplici precetti orali, delle istruzioni, alla stessa maniera dei cosiddetti σύμβολα, altro termine che esprime lo stesso concetto pitagorico. 30 INTRODUZIONE to della santità (ὁσιότης), della sapienza (σοφία), della giustizia (δικα- rocvvn), della temperanza (σωφροσύνη), del coraggio (ἀνδρεία), del- l'amicizia (φιλία), e così via. La sezione 35 (capp. 248-264) racconta le vicende del conflitto che a Crotone gli “uomini di Cilone” scatena- rono contro Pitagora e i suoi discepoli e che condusse alla fine di quella scuola, non certo della dottrina che Pitagora vi aveva insegna- to. Pitagora dovette rifugiarsi a Metaponto, dove poi mori. L'ultima sezione, la 36 (capp. 265-267), parla infine dei successori di Pitagora, indicati nome per nome e città per città, almeno — scrive Giamblico — dei Pitagorici che ci sono noti, perché «molti, naturalmente, sono rimasti sconosciuti e anonimi». Sono in tutto 218 uomini e 17 donne.6! 4. Esortazione alla filosofia. È il secondo libro della Sumzzz4 pitagorica e costituisce — a differen- za della Vita Pyth. — la prima trattazione dottrinale avente per argo- mento la validità assoluta della filosofia di Pitagora quale strumento di acquisizione di quella sapienza (σοφία) nella quale è necessario, secondo Giamblico, vivere se si vuole essere felici. La filosofia di cui tratta il Protrepticus si identifica, infatti, con la filosofia pitagorica: non c'è altra filosofia che abbia valore laddove si prescinda da questa. Non si tratta, dunque, di una comune e generica esortazione a filoso- fare -- come poteva essere, ad esempio, il Protrepticus di Aristotele (che del resto costituisce una delle fonti primarie di questo libro di Giamblico) -,62 bensi di un’esortazione ad abbracciare e praticare 6! Per uno sguardo sintetico, ma efficace, del problema delle fonti della Vita di Pitagora di Giamblico, rinvio il lettore alla Introduction. Annexe 1 della traduzione di Brisson&Segonds. Sono interessanti anche alcuni para- grafi dell’Introduzione alla traduzione di M. Giangiulio e il paragrafo III. The Biographical Traditon dell’Introduction alla traduzione di Dillon/Hershbell. 62 Di questa discriminante tra il Protrepticus giamblicheo e la sua parzia- le fonte aristotelica non hanno tenuto conto in genere gli studiosi che negli ultimi centocinquant’anni si sono arrovellati sul problema della ricostruzio- ne del Protrepticus aristotelico sulla base della sua fonte principale, appunto Giamblico. E quel che più sorprende è il fatto che da parte dei maggiori esponenti di tale schiera di aristotelisti, ad eccezione del solo Rabinowitz, mi riferisco soprattutto al Diiring, Giamblico quale fonte di Aristotele è stato fino in fondo uno stile di vita filosofico che peraltro coincide con quello esposto e commentato nel primo libro. Le prime battute del Protr., in effetti, sono una chiara testimonianza di quest'idea di Giamblico, il quale scrive di volere trattare anzitutto [è il titolo del primo κεφάλαιον] di «Quale sia l’inizio della introduzione all’educazione e alla filosofia secondo <l’insegnamento di> Pitagora [ἢ ἀρχὴ κατὰ Πυθαγόραν τῆς εἰς παιδείαν καὶ φιλοσοφίαν εἰσαγωγῆς], e come tale introduzione sia la più comune e quella che si estende a tutti i beni relativi alla filosofia, e quale sia il suo ordine e il fatto che si divida in tre parti, e come proceda sempre verso ciò che è più puro». Interessanti ambedue le espressioni: a) “inizio dell’introduzio- ne” e Ὁ) “all'educazione e alla filosofia”, dove si può notare una certa ridondanza e insistenza quale sintomi dell’assoluto valore di ciò di cui si vuole trattare. Il Protr. contiene 21 capitoli di varia lunghezza e complessità a seconda della materia trattata, che va dalle semplici opinioni comuni messe a confronto con quelle, molto più importanti, dei Pitagorici fino alla catalogazione e interpretazione dei cosiddetti “simboli pita- gorici” in cu si racchiude essenzialmente tutta la sapienza di Pitagora. Il cap. 1 — come si è già detto — affronta in generale il senso e il valo- re di ogni esortazione alla filosofia pitagorica: occorre partire dal generale per procedere verso il bene più perfetto e il fine ultimo di ogni sapere: «cosi come l’anima procede a piccoli passi dalle cose minori a quelle maggiori — scrive Giamblico —, e attraversando tutte le cose belle scopre alla fine i beni più perfetti, allo stesso modo occorre anche che l'esortazione proceda partendo dalle cose genera- li». Ma le cose minori e prime per noi sono appunto le “sentenze note ai più [γνωρίμους τοῖς πολλοῖς γνώμας" che altro non sono se non “imitazioni rispetto alle chiare indicazioni della realtà [ἀπεικαζομέ- νας πρὸς tà ἐναργῆ δείγματα τῶν ὄντων]". È questo l'argomento del cap. 2, che si conclude con queste parole: «Chi presenterà tali tipi di giudicato quasi del tutto privo di originalità filosofica, nient'altro che un mero astuto compilatore. Per una esposizione aggiornata della storiografia su tale argomento, rinvio a E. Berti, Introduzione alla sua nuova traduzione, con testo a fronte, di Aristotele, Protreptico, Torino 2000. Da segnalare anche l’interessante articolo pubblicato nel 1978 da S. Griffo negli «Annali della SNS di Pisa» (cf. Bibliografia). 32 INTRODUZIONE sentenze/immagini [γνωμικὰ ὁμοιώματα] derivanti da cose evidenti, farà un’esortazione generale alla filosofia». Il cap. 3 parla delle esor- tazioni sotto forma di sentenze che invitano e raccomandano la filo- sofia contemplativa. Tali sentenze che sono diverse da quelle imaginifiche di cui si parla nel cap. 2, Giamblico le trae tutte dal Carmen aureum attribuito dalla tradizione a Pitagora. La prima è questa: «Fatica su queste cose, praticale, occorre che tu le ami: esse ti porran- no sulle tracce della divina virtù ». E l’interpretazione che ne dà Giamblico è la seguente: «Attraverso queste parole Pitagora esorta a tutto ciò che di bello c'è nelle scienze e nelle occupazioni matemati- che, ritenendo che non ci si debba risparmiare le fatiche, né trascura- re alcuna pratica di studio, stimolando all’amore e all'impegno per le cose belle, e riducendo tutto questo alla pratica della virtà, e non sem- plicemente di una qualsiasi virtà, ma di quella che ci allontana dalla natura umana, e ci conduce alla divina essenza e alla conoscenza e all'acquisizione della divina virtù». I capp. 4-5 insistono ancora sulle esortazioni alla filosofia contemplativa, aggiungendo le ragioni per cui tali esortazioni pitagoriche sono diverse da quelle di tutti gli altri filo- sofi, in quanto i Pitagorici -- scrive Giamblico -- davano il loro incita- mento alla filosofia «rafforzandolo ingegnosamente e rendendolo cre- dibile con dimostrazioni assolutamente scientifiche e che non com- portavano alcuna inconsequenzialità». Questa volta il discorso di Giamblico prende avvio dall'opera di Archita® dal titolo Sulla sapien- za [Περὶ σοφίας], esattamente dalla seguente esortazione che apre lo scritto: «La sapienza differisce fra tutte le cose umane tanto quanto differisce la vista fra <tutti> i sensi corporei, [49] e l’intelletto differi-

sce dall'anima quanto il sole da <tutti gli altri> astri ». Il cap. 6 affron- ta il tema delle esortazioni alla vita civile e pratica e il cap. 7 quello dell’esortazione alla prudenza [φρόνησις]. Il cap. 8 affronta il tema dell’esortazione alla filosofia partendo dalle nozioni comuni, conclu- dendo che tali nozioni «esortano al dovere di filosofare teoreticamen- te e di vivere il più possibile la vita secondo scienza e intelligenza». Il cap. 9 spiega come sia possibile conseguire lo stesso risultato parten- do dalla “intenzione della natura [ἀπὸ τοῦ τῆς φύσεως BovAmpatog]”: 6 Ovviamente Pseudo-Archita. Cf. H. Thesleff, The Pythag. Texts, Àbo 1965. 43. tutto il ragionamento si basa sulla teoria aristotelica della relazione tra natura e tecnica viste come cause produttrici. Ovviamente anche in questo caso si torna a trattare della prudenza quale facoltà o virti che il saggio pitagorico deve scegliere non per trarne vantaggi, ma per se stessa. Ma l’attività contemplativa reca ugualmente dei vantaggi alla nostra vita. È questo il tema del cap. 10: «Ma che la prudenza con- templativa ci fornisca anche delle grandissime utilità per la vita umana, lo si potrà scoprire facilmente partendo dalle tecniche». I capp. 11-16 trattano della felicità che consegue al vivere secondo pru- denza e che è causa per noi dei piaceri più puri: il filosofare pitagori- camente fa sî che noi riceviamo continuamente diletto e godimento dal contemplare: εὐφραινόμενοι καὶ χαίροντες συνεχῶς ἀπὸ τοῦ θεωρεῖν. Gli uomini comuni non possono comprendere la situazione del filosofo che abbandona i piaceri materiali per non essere turbati nella ricerca dei principi divini su cui costruire la propria sapienza e prudenza. «Se dunque l’anima -- scrive Giamblico — non riesce a rag- giungere la verità quando cerca di esaminare qualcosa in compagnia del corpo (perché è chiaro che in questo caso viene da quello ingan- nata), allora è in qualche modo nella sua capacità di ragionare, se ne ha possibilità da qualche altra parte, che essa può acquisire in modo chiaro qualcosa della realtà. Ma essa, come io credo, ragiona nel migliore dei modi, quando nessuna sensazione la turba, né l'udito né la vista né alcun dolore né alcun piacere, ma essa si trova in sé e per sé al massimo livello lasciando che goda <soltanto> il corpo, e per quanto le sia possibile, non avendo né comunione né contatto con esso, desideri il <vero> essere». Ecco il fine ultimo dell’esortazione alla filosofia: isolarsi dal corpo e trovare nella sola anima la via verso la verità e la felicità. «Dunque anche quaggit l’anima del filosofo disprezza al massimo il corpo e rifugge da esso, e cerca di starsene in sé e per sé». Occorre dunque esortare a filosofare e ad acquistare la vera educazione, dal momento che «l’educazione non è quella che alcuni di coloro che ne fanno professione dicono che sia. Essi presu- mono di introdurre in qualche modo la scienza nell'anima che ne è priva, come se introducessero la vista in occhi ciechi». La παιδεία pitagorica, invece, «consisterà in una conversione che è in qualche modo la più facile ed efficace, perché tenta non di immettere nell’oc- chio <dell’anima> la capacità di vedere, ma di far sî che esso, che pos- siede già quella capacità, senza però averla rivolta nel senso giusto per potere vedere ciò che deve vedere, possa realizzare il suo fine». Il cap. 17 affronta il tema dell’esortazione alla vita temperante, moderata e ordinata «partendo dai discorsi degli antichi e dai miti sacri e dagli altri miti, <soprattutto> da quelli pitagorici». Il cap. 18 giunge allo stesso risultato attraverso un percorso analogico [κατ᾿ ἀναλογίαν], perché, «partendo dai fenomeni che si manifestano nel corpo, passa ai mali e ai beni dell’anima». Il cap. 19 percorre la medesima strada in senso inverso, perché parte dai beni dell'anima e mostra quanto essi siano superiori a quelli del corpo. Il cap. 20 tratta dell’esortazio- ne alla filosofia partendo dalle sue divisioni che non sono tra loro avulse, ma tutte in continuità. Occorre convincersi che nessuna azio- ne può essere compiuta nel migliore dei modi senza la filosofia e che tra le virtà la continenza [ἐγκράτεια] è fondamentale non solo per il filosofo, ma anche per ogni uomo: «in verità ogni uomo dev'essere particolarmente continente al massimo livello; tale è soprattutto, se è superiore alla ricchezza [sc. incorruttibile], che è ciò per cui tutti gli uomini si lasciano corrompere, e se non risparmia la sua vita nel trat- tare seriamente diritti e doveri di ciascuno e nel perseguire la virtù, perché è appunto nei riguardi di queste due qualità che i più si rive- lano incontinenti». Il cap. 21, l’ultimo, dopo avere distinto tre modi di esortazione alla filosofia: «quello per simboli, che appartiene pro- priamente alla scuola <pitagorica> ed è nascosto a tutte le altre scuo- le, quello volgare e comune a tutte le scuole, come terzo infine quel- lo mediano tra le due, che non è né assolutamente volgare né diretta- mente pitagorico, ma neppure avulso completamente dall’uno e dal- l’altro», viene fornito un catalogo completo dei vari “simboli” pitago- rici seguito da una dettagliata interpretazione simbolo per simbolo. I simboli sono in tutto 39 e nascono dal fatto che i Pitagorici «adotta- vano, in ottemperanza della regola del silenzio nei misteri, imposta loro come legge da Pitagora, modi di esprimersi in forma segreta anche nei confronti dei non iniziati e coprivano con i simboli le reci- proche discussioni o i loro scritti». «In verità — scrive Giamblico, a conclusione della catalogazione, prima di darne i significati — tutti questi simboli sono nel loro insieme delle esortazioni ad ogni virti, ma presi singolarmente sono ciascuna un’esortazione a una singola virtù; essi sono appropriati a questa o a quella parte della filosofia e dell’istruzione, ad esempio i primi simboli sono subito raccomanda-

zioni alla pietà e alla scienza divina». Cosi si chiude il terzo libro della Summa pitagorica, che — come si può vedere — presenta un carattere sia letterario che filosofico molto divergente da quello degli altri sin- goli libri. E tuttavia ritengo che lo σκοπός del Protr. sia perfettamen- te in linea con il piano generale del progetto giamblicheo della Zuvayoy e quindi anche con lo σκοπός dell'intera opera, che qui viene presentata, con traduzione italiana e testo a fronte, nel medesi- mo ordine in cui è stata scritta e tramandata. 5. La Scienza matematica comune. Le quattro scienze matematiche: aritmetica, geometria, musica (o armonica) e astronomia (o sferica), si distinguono da tutte le altre scienze perché hanno come oggetto di studio una realtà distinta da quella delle altre scienze, e cioè perché la realtà matematica ha una natura inconfondibile. La realtà matematica non è né di natura intel- ligibile né di natura sensibile, bensi di natura intermedia tra le due.65 Una prima conseguenza di ciò è che gli enti matematici, secondo una tale visione scientifica, non sono concetti astratti dai sensibili, ma enti 6 Per quanto concerne il problema delle fonti, che nel caso del Protr. costituisce un annoso rompicapo, rinvio il lettore ad alcuni paragrafi della Notice della traduzione di des Places. Molto utile è tuttavia la discussione che si trova nell'Introduzione di E. Berti, Aristotele. Protreptico, cit., dove sono efficacemente sottoposte ad analisi critica le varie tesi sul Protrepticus di Giamblico quale fonte più o meno fedele del perduto scritto omonimo di Aristotele. Non si può non riconoscere che il Protr. è una compilazione di testi attinti da vari scrittori e amalgamati insieme dallo stile di Giamblico e dal suo modo di pensare neoplatonico. Mi sento di condividere il seguente giudizio del During (Aristotle's Protrepticus, Gòteborg 1961, p. 26); «His work is a compilation and apart from transitional phrases and certain rather small additions, all material is borrowed from other writers. But it is not a bad compilation». 65 L'identificazione della realtà matematica come intermedia tra realtà intelligibile e realtà sensibile è di evidente origine platonica (Repubblica), ma presuppone l’interpretazione gerarchico-processionale che Plotino aveva dato della struttura dell’ontologia platonico-aristotelica. Cf. le opportune

osservazioni di O'Meara, Pytb. Rev., cit., 44 5. autonomi derivanti dagli intelligibili di cui rappresentano quasi le immagini,66 cosi come i riflessi delle cose nelle acque e negli specchi, dice Giamblico, sono immagini dei sensibili: come dire che la realtà matematica è la stessa realtà intelligibile vista come pura quantità ed estensione, proprietà, quest’ultima, che ne consente l’applicazione

alla realtà sensibile, essendo ambedue divisibili e quantificabili. Una seconda conseguenza è che i principi della matematica appaiono distinti da quelli delle altre scienze, e nella fattispecie dai principi della dialettica, i quali concernono gli intelligibili, e dai principi della fisica, i quali concernono i sensibili. Ci potrà essere, dice Giamblico, una denominazione comune dello stesso principio nei tre domini distinti, ad esempio la quantità, ma si tratterà solo di omonimia, giac- ché la quantità come categoria della dialettica e la quantità come pro- prietà dei corpi non coincidono con la quantità matematica. Lo stes- so discorso vale anche per i due principi comuni alla dialettica e alla matematica, limite e illimitato, i quali saranno intelligibili e immate- riali nella dialettica, mentre parteciperanno della composizione e della divisibilità come cause della quantità numerica e della grandez- za. Le quattro scienze matematiche hanno poi una loro interna dipen- denza gerarchica: l’aritmetica è la scienza matematica che nasce per prima e trascende quindi le altre tre, perché può stare senza di quel- le, mentre quelle la presuppongono. L'aritmetica infatti studia il numero in se stesso, la geometria invece, studiando le figure, non può fare a meno dei numeri. La geometria dal canto suo studia le figure in se stesse, mentre l’astronomia, studiando i movimenti regolari delle 66 Da tale rapporto tra gli enti matematici e gli intelligibili deriva, per ana- logia, il rapporto tra conoscenza matematica e conoscenza dialettica, ambe- due qualificate come ἀνάμνησις. È questo un concetto che si fa strada fino a Proclo, il quale ne dà una esplicita teorizzazione nel suo In Euclidem 46,15 ss., nei seguenti termini: «La conoscenza matematica [ἡ μάθησις] è remini- scenza dei principi razionali eterni che risiedono nella nostra anima, ed è questa la ragione per cui è detta espressamente “matematica” la conoscenza che ci fa pervenire alle reminiscenze di quegli eterni principi [ἡ πρὸς τὰς ἀναμνήσεις ἡμῖν τὰς ἐκείνων συντελοῦσα γνῶσις]». Sul valore teoretico di questo passo procliano, cf. W. Beierwaltes, Denken des Einen. Studien zur neuplatonischen Philosophie und ibrer Wirkungsgeschichte, Frankfurt a. M. 1985, 268 ss. (= tr. it., Milano 1991, 235 ss.). figure celesti o astrali, non può fare a meno delle figure. La musica da parte sua, studiando i rapporti armonici dei numeri e le loro articola- zioni ordinate secondo eccesso e difetto, non può fare a meno del- l’aritmetica, cioè dei numeri in sé. Ma c’è anche un ordine gerarchico duplice, se consideriamo l'affinità tra aritmetica e geometria, da un lato, e astronomia e musica, dall'altro lato, giacché le prime due si occupano rispettivamente del quanto e del quanto grande (cioè del quanto assoluto e del quanto relativo) in riposo, mentre le altre due si occupano degli stessi aspetti del quanto, ma in movimento. Sotto que- sto profilo appare evidente che la matematica in alcune sue scienze specifiche ha a che fare, oltre che con lo spazio, anche con il tempo. Da tutte queste considerazioni, e da tante altre dello stesso gene- re, nasce l’idea di una scienza matematica comune, che — lo ripetiamo - non costituisce una quinta (o prima, in ordine di valore) scienza matematica, bensi un insieme di proposizioni o teoremi che sono comuni a tutte e quattro le scienze matematiche. La conoscenza di questi teoremi comuni è prioritaria rispetto alla conoscenza dei singo- li oggetti delle singole matematiche, e in quanto prioritaria è anche più perfetta, nel senso che ci dà una visione complessiva del tutto ed «è capace di coordinare a partire dall’unità e in vista dell'unità tutti i teoremi matematici».67 Uno dei problemi più spinosi della matematica comune è quello relativo ai criteri di applicazione delle scienze matematiche alla realtà sensibile. Esistono vari modi o criteri di utilizzazione delle matemati- che nel campo della conoscenza della realtà naturale ed è ancora una volta la matematica comune che fissa tali criteri, affinché ciascuna scienza matematica specifica possa fondare in linea di principio la sua operatività in tale direzione. Nel capitolo 32 Giamblico dà una certa lista di tali criteri, che stanno alla base del ragionamento matematico in generale: astrazione [ἀφαίρεσις], quando le forme materiali sono viste senza la materia; adattamento [ἐφαρμογή], quando i calcoli matematici sono applicati ai sensibili; perfezionamento [τελείωσις], quando il ragionamento matematico supplisce alle deficienze dei sen- sibili, nel senso che la matematica fornisce dell’oggetto sensibile, a 67 Giamblico, De comm. math. sc. 20,2 ss. τελειοτέρα τε τῶν καθ᾽ ἕκαστα, σύνοψίν TE κοινὴν ποιουμένη πάντων, ἀφ' ἑνός τε καὶ εἰς ἕν τὰ θεωρήματα πάντα τὰ μαθηματικὰ συντάττουσα. differenza della sensazione, una visione compiuta e perfetta; assirzila- zione [ἀπεικασία], quando si considera l’uguaglianza o la proporzio- ne nel sensibile come immagine del modello formale negli enti mate- matici; partecipazione [μετοχῇ], quando si vede in che senso i rappor- ti in altro, propri dei sensibili, partecipino dei rapporti in sé, propri degli enti matematici; rispecchiamento [ἔμφασις], quando si vede nei sensibili un vago riflesso delle forme matematiche; divisione [διαίρε- σις], quando si vede nei sensibili il dividersi e il moltiplicarsi delle forme matematiche; comparazione [παραβολή], quando si mettono a confronto i sensibili con gli enti matematici; causazione [αἰτία], quan- do, posti gli enti matematici come principi causali, se ne vedono gli effetti nei sensibili. E facile notare come tale elencazione dei modi di procedere della tecnica raziocinativa delle matematiche, anche se non si presenta come una classificazione completa e rigorosa, nasca dallo sforzo di adattare e interpretare il pitagorismo in chiave platonica, giacché per un platonico, che vede nelle forme matematiche solo un riflesso delle forme intelligibili, l'applicazione delle prime al mondo del divenire non può attuarsi se non in funzione e in dipendenza delle seconde. Di qui emerge l’altro serio problema del rapporto tra mate- matica e dialettica. Nel capitolo 33 Giamblico, dopo avere ribadito il carattere inter- medio ma autonomo della realtà matematica, dice che questa costitui- sce il genere comune della matematica, che è appunto oggetto della matematica comune, «genere — egli aggiunge — che contiene in sé tutte le diverse specie, quante e quali che siano». Le quattro scienze matematiche, dunque, nascono per divisione dell’unico genere comu- ne nelle sue diverse specie. Ma come avviene una tale divisione e defi- nizione specifica del genere matematico? Noi sappiamo, e Giamblico lo sa bene, che la divisione è una parte della dialettica, cioè un’opera- zione logica: questo significa, allora, che la matematica assume dalla dialettica il suo metodo divisorio? Ebbene, Giamblico aveva dimo- strato, affrontando nel precedente capitolo 29 questo problema, che i metodi della divisione, della definizione e del ragionamento sillogi- stico di cui si serve la matematica (meglio, di cui si servono le mate- matiche dopo che quelli sono stati fissati dalla teoria comune) non derivano dalla dialettica, per il semplice fatto che la matematica non conosce la realtà in sé e per sé, cioè la realtà intelligibile, come fa la dialettica, bensi la realtà intermedia che le è propria, e quindi scopre e perfeziona e pratica i suoi metodi da se stessa, senza bisogno dell’au- silio di alcun’altra scienza.s8 Tutto ciò dimostra che la razionalità matematica si distingue nettamente dalla razionalità logico-dialettica: in questo il platonico Giamblico si sente, ed è effettivamente, indi- pendente da Aristotele, come lo è — si è visto - anche sul terreno della dottrina dell'anima. Ecco allora i capisaldi della teoria matematica comune, di cui non possono fare a meno le quattro scienze matematiche particolari, e a cui occorre anche attribuire la funzione di collegamento tra la mate- matica e la filosofia, in se stessa e nelle sue parti. É questa teoria comune delle matematiche che ci permette di distinguerle secondo la divisione del genere comune matematico, ma anche di sistemarle uni- tariamente riconducendo costantemente le loro diverse specie di enti matematici (numeri, figure, rapporti proporzionali, ecc.) all’unità da cui nascono. 6. L'Introduzione all’aritmetica di Nicomaco. Il IV Libro della Summa pitagorica è consacrato alla prima scienza matematica, che è l’aritmetica. Non è esatto considerare quest'opera come un vero e proprio commentario allo scritto di Nicomaco di

Gerasa dalla stesso titolo, anche se Giamblico scrive questa sua Introduzione all'aritmetica con un preciso ed esplicito riferimento all'opera di Nicomaco. È infatti lui stesso che stabilisce all’inizio il cri- terio della sua trattazione, fare cioè una esposizione completa del- l’aritmetica pitagorica utilizzando l’opera di Nicomaco che ne è l’espressione più autentica e più pura. Riprodurre dunque l'Introduzione all’aritmetica di Nicomaco senza nulla togliere né aggiungere, significa per Giamblico esporre tutta l'essenza dell’arit- metica pitagorica secondo la migliore tradizione.s? Naturalmente, 68 Cf. Giamblico, De comm. math. sc. 90,2 ss. ἀφ᾽ ἑαυτῆς οὖν εὑρίσκει te αὐτὰ καὶ τελειοῖ καὶ ἐξεργάζεται, τά te οἰκεῖα αὑτῇ καλῶς οἷδε δοκιμά- ζειν, καὶ οὐ δεῖται ἄλλης ἐπιστήμης πρὸς τὴν οἰκείαν θεωρίαν. 6° L'idea che Nicomaco avesse scritto un trattato sull’aritmetica più com- pleto e sistematico rispetto all’Introduzione che noi possediamo, è da consi- derarsi falsa, perché nata da una erronea interpretazione di Giamblico, In precisa Giamblico, fare una completa esposizione dell’aritmetica di Nicomaco non significa trascriverla cosî com'è [μεταγράφειν!, giac- ché anche questo, come il presentarla in forma incompleta, sarebbe un’operazione inutile [περιττὸν γὰρ καὶ τοῦτο]. L'opera di Nicomaco, il quale è «grandissimo aritmetico» [ἀριθμητικώτατος], dotato di sinteticità e precisione e completezza e ordine, costituisce allora la falsariga su cui Giamblico costruisce la sua propria Introduzione all'aritmetica.?0 Se Nicomaco è il modello di Giamblico da un punto di vista stret- tamente aritmetico, diversa appare invece la prospettiva filosofica entro cui il Neoplatonico inquadra e sistema il discorso sull’aritmeti- ca pitagorica: non potrebbe essere altrimenti, se è vero che il pitago- rismo di Giamblico è o vuole essere il suo platonismo. Di qui alcune caratteristiche di questo IV Libro della Surzzza pitagorica che lo diffe- renziano dall'opera di Nicomaco.?! Anzitutto gli excursus storici molto più estesi in Giamblico che in Nicomaco, con aggiunte signifi- cative anche di ordine matematico, quale, ad esempio, la “fiorita di Timarida”. In secondo luogo i continui riferimenti agli altri Libri della Sumzza che denotano un evidente proposito di collegare l’arit- metica, cioè la trattazione tecnica del numero in sé, non soltanto con le altre scienze matematiche, cosa che era stata già prefigurata nel Libro III, ma anche e soprattutto con le parti della filosofia in cui, secondo il piano disegnato nella “matematica comune”, è possibile applicare e rendere proficua la verità matematica. Il numero fisico, etico, teologico, ecc., appaiono qua e là nell’introduzione all’aritmeti- ca per anticipare gli sviluppi della dottrina pitagorica nei libri succes- sivi. Sotto questo profilo anche la terminologia matematica di Nicom.4,14, dove lo scritto di Nicomaco è denominato, in senso molto gene- rale, “Tecnica [o Arte] aritmetica”. Cf. su questo le giuste osservazioni di L. Obertello, Severino Boezio, Genova 1974, I 454, nota 10. 70 Su alcuni punti Giamblico, naturalmente, fa qualche aggiunta o accen- tuazione rispetto a Nicomaco, come ad esempio a proposito delle critiche, talora pesanti, contro Euclide; ma ciò non modifica per nulla il criterio di fondo dell’opera. 71 Le medesime caratteristiche rendono quest'opera di Giamblico assolu- tamente diversa dai Comzientari a Nicomaco sia di Asclepio di Tralle che di Giovanni Filopono. Su questo confronto si veda L. Tarin, Introduction all'edizione di Asclepius of Tralles on Nicomachus, Philadelphia 1969, 15 5. Giamblico si presenta più ricca ed evoluta di quella di Nicomaco: concetti, e relativi termini, come quelli di “rapporto” [λόγος], “rela- zione” [σχέσις], “proporzione” [μεσότης, ἀναλογία], trovano in Giamblico una latitudine semantica e applicativa, che, se non da un punto di vista strettamente matematico, certamente da quello filoso- fico generale appare molto più articolata ed efficace che non in Nicomaco. Per tutte queste ragioni, occorre valutare il criterio di fedele “riproduzione” del testo di Nicomaco che Giamblico si propo- ne di rispettare soltanto come una presa di posizione metodologica generale, o, se si vuole, come una professione di fedeltà alla tradizio- ne pitagorica the vedeva in Nicomaco il proprio legittimo rappresen- tante, più che come un metodo di lavoro esegetico circoscritto all’og- getto suo proprio, nella fattispecie alla riproposizione dell’opera di Nicomaco. Non sarebbe stato questo uno σκοπός adeguato e giustifi- cato per un elemento cosi essenziale del progetto della Sura pitago- rica. 7. La teologia dell’aritmetica. Si è accennato sopra alla questione dell’autenticità giamblichea diquest'opera: voglio adesso approfondire un po’ l'argomento, anche allo scopo di rendere conto del perché io abbia voluto includere la traduzione dei Theologoumena arithbmeticae pseudo-giamblichei tra gli scritti matematici di Giamblico. Dico anzitutto che questa scelta non vuole essere affatto una impli- cita contestazione della tesi corrente della non autenticità di tale scrit- to. Del resto, come si è detto sopra, alcuni, come ad esempio O’Meara, ne indicano l’autore come Aronizo, altri invece come Pseudo-Giamblico o [Iamblichus], e tra questi lo stesso editore moderno del testo, Vittorio De Falco, ma non manca chi, come Dillon, sostiene ancora che l’opera, pur essendo una specie di cento- ne di estratti da Nicomaco e da Anatolio, può essere di fatto conside- rata come un compendio del Libro VII della Sura pitagorica.??2 721, Dillon, Jamblichus, «ANRW», cit., 876: «We also have a curious compilation called “The Theology of Arithmetic”, which as it has come down to us is largerly a cento of passages from a lost work of Nicomachus’ of the same title and of that of Anatolius, Iamblichus' teacher, “On the Il fondamento oggettivo dell’autenticità di questo scritto si trove- rebbe in un esplicito riferimento dello stesso Giamblico nella sua Introduzione all’aritmetica di Nicomaco, alla p. 125,15 dell'edizione Pistelli. In questo luogo Giamblico congeda il suo discepolo (o letto- re) con queste parole: «E qui abbia termine per noi, temporaneamen- te, questa Introduzione <all’aritmetica> condotta secondo l’insegna- mento di Nicomaco Pitagorico; in seguito ti presenteremo, dio per- mettendo, questa stessa Introduzione all'aritmetica in forma più com- pleta, facendo anche in modo che tu possa ormai acquisire con essa un habitus di intelligenza critica; e studieremo insieme quante altre proprietà fioriscano nei numeri da 1 a 10 trattandole secondo l'ordine naturale? e l'ordine morale74 e secondo l'ordine teologico? che prece- de questi due, affinché partendo da queste proprietà aritmetiche ti venga poi più agevole e assolutamente facile l'insegnamento delle tre successive Introduzioni, intendo dire dell’Introduzione alla Musica,76 dell’Introduzione alla Geometria e dell’Introduzione alla Sferica».?8 Appare chiaro, a parte l'inversione di posto tra Musica e Geometria (cosa che non inficia il significato generale del piano di trattazione),?9 come la Teologia dell’aritmetica (Libro VII) concluda la trattazione del numero in sé (Libro IV) e nelle sue applicazioni — alla realtà natu- Decade and the Numbers within It”, which survives. This may in fact be, in summary or infinished form, the work which Iamblichus intended to be seventh in his Pythagorean sequence, as he tells us at In Nicom. p. 125, 15 ff. Pistelli». 7 Corrispondente al Libro V. La scienza aritmetica applicata alla fisica, che segue nell'ordine l'Introduzione all'aritmetica di Nicomaco. 74 Corrispondente al Libro VI. La scienza aritmetica applicata all'etica. 75 Corrispondente, appunto, al Libro VII. La scienza aritmetica applicata

alla teologia. 76 Corrispondente al Libro IX. La musica pitagorica. 71] Corrispondente al Libro VIII. La geometria pitagorica. 78 Corrispondente al Libro X. L'astronorzia pitagorica. 79 L'anticipazione della musica sulla geometria può essere spiegata con il fatto che la musica ha come oggetto il numero (0 quanto) relativo ed è quin- di in diretto rapporto con l’aritmetica che ha come oggetto il numero in sé, mentre la geometria che ha come oggetto la figura (o quanto grande) in sé è in diretto rapporto con l'astronomia che ha come oggetto la figura in movi- mento. Cf. su questa teoria Giamblico, De com. math. sc. 30,7 ss. rale (Libro V) e alla realtà morale (Libro VI) —, prima che il discorso si volga a introdurre la geometria (Libro VIII), la musica (Libro IX) e l'astronomia (Libro X). Questo è l'ordinamento che Giamblico ha imposto al piano della sua Summa pitagorica: in armonia con esso sembra che si collochino i Theologoumena aritbmeticae, o meglio la loro fonte perduta, sempreché si dia per vero che Giamblico abbia condotto a termine il suo progetto. Restano tuttavia alcuni quesiti fondamentali: 1) perché e secondo quale criterio Giamblico avrebbe utilizzato scritti analoghi di Nicomaco e di Anatolio per comporre la parte della sua opera sul pitagorismo relativa alla teologia del nume- ro; 2) se e come il contenuto dei Theologoumena arithmeticae si accor- di con la dottrina del numero the possiamo ricavare dai Libri III-IV conservatisi, e ora anche dagli estratti di Psello dai Libri V-VII. Un ulteriore quesito relativamente al problema se e quando e chi abbia compilato il testo giunto fino a noi, non mi sembra né determinante né importante. Al primo quesito si potrebbe rispondere anzitutto che Giamblico aveva già utilizzato un’opera dallo stesso contenuto e dallo stesso tito- lo, quale l’Introduzione all'aritmetica di Nicomaco, per scrivere la sua introduzione all’aritmetica che faceva pane, come Libro IV, del pro- getto della Surziza pitagorica. In questo Libro IV egli parla esplicita- mente di un’Irtroduzione ben quattro volte, aggiungendo aritmetica solo una volta, a p. 39,8-9, dove non sembra che si alluda a Nicomaco, giacché si dice che il rapporto che sta alla base della generazione di numeri solidi di tipo plintide è tra le fiorite che sono insegnate nella Introduzione aritmetica, e in Nicomaco non trovo alcuna traccia di tali fiorite, mentre della fiorita di Timarida Giamblico tratta nello stesso Libro IV. Bisogna aggiungere che in seguito, alla p. 118,17, si torna a parlare di fiorite dei numeri da 1 a 10, e qui l’accenno sembra riferito al Libro VII. Negli altri luoghi Giamblico accenna all’Introduzione con chiaro riferimento alla sua Introduzione all’aritmetica, cioè al Libro IV.8° Se dunque non c’è da meravigliarsi che Giamblico abbia potuto utilizzare Nicomaco per la stesura del suo Libro IV, identifi- cando sostanzialmente la sua Introduzione con quella di Nicomaco, è possibile supporre che abbia potuto fare lo stesso per la stesura del 80 Questi altri due luoghi sono Giamblico, In Nicom. 104,15 s. e 106,19.  Libro VII, anche se qui aveva a disposizione un certo numero di modelli, oltre a quello di Nicomaco, dato che di Theologoumena ari- thmeticae, cioè di speculazioni teologiche sui numeri, la tradizione pitagorizzante ne conosce parecchi. Lo stesso autore dei nostri Theologoumena ne cita alcuni, ad esempio Lino,8! Megillo,82 Proro,8} per non parlare di Speusippo Accademico, di cui si riporta un lungo

estratto del suo libro Sui numeri pitagorici, che come fonte dei Theo- logoumena occupa, quindi, un degno posto nella tradizione pitagorica. Se ne potrebbero aggiungere degli altri, spulciando i testi neopitagori- ci (di età, quindi, molto più vicina a Giamblico) raccolti dal Thesleff, ad esempio Opsimo, citato da Atenagora,® il Pseudo-Pitagorico Discorso sacro [o Discorso sugli dèi] citato dallo stesso Giamblico nella sua Vita di Pitagora e da numerosi altri scrittori tardoantichi.85 l’Anonimo inno al numero, citato da Proclo nel suo Commentario al Timeo,8 il cosiddetto Anonimo di Fozio (cod. 249) autore di una Vita di Pitagora, in cui sono citati numerosi testi pitagorici anche di teolo- gia aritmetica.8? Ma perché Giamblico avrebbe utilizzato tutte queste opere della tradizione pitagorica, prendendo soprattutto a modelli Nicomaco e Anatolio? Senza dubbio Nicomaco, a parte la fama di cui già godeva come eminente matematico, oltre che come esponente illu- stre del pitagorismo, doveva rappresentare un sicuro fondamento scientifico su cui costruire una teologia dell’aritmetica. In ogni epoca, ma soprattutto nella tarda antichità, scienza matematica e teologia erano andati di conserva sulla strada della ricerca comune e parallela della verità e della saggezza (cioè del massimo livello della virtii): anco- ra prima di Nicomaco e di Anatolio, un altro matematico rappresen- tante della tradizione pitagorico-platonica, Teone di Smirne,88 aveva 81 Cf. (Giamblico], Theo/. arithm. 67,4. 82 Ibid., 34,21 s. 83 Ibid., 57,15. 84 Cf. H. Thesleff, The Pythagorean Texts, cit., 140-141, da identificarsi con l’Opsimo di Giamblico, Vite Pytb. 145,20. 85 Cf. H. Thesleff, The Pythagorean Texts, cit., 164-168. 86 Ibid., 173. 87 Ibid., 237 ss. 88 C£. Teone di Smirne, Expositio rerum matbematicarum ad legendum Platonem utilium, ed. E. Hiller, Lipsiae 1878. INTRODUZIONE 45 dimostrato l’efficacia e la proficuità della collaborazione tra matema- tica e filosofia, soprattutto quando quest’ultima sia la filosofia platoni- ca. E Giamblico aveva assorbito molto di Teone anche attraverso Nicomaco, che fu certamente influenzato da quello anche se lo igno- ra. Ma se Nicomaco poté costituire la base matematica di Giamblico, il maggiore apporto dal punto di vista della teologia dell’aritmetica gli venne dal suo maestro Anatolio, autore — come tanti altri tra cui lo Pseudo-Archita8? e lo stesso Teone — di un trattato Sulla decade,® da cui, a giudicare dall’abbondanza degli estratti nei Theol/ogoumena conservatisi (un numero molto maggiore di quelli di Nicomaco), Giamblico ha certamente tratto materiali e idee perfettamente conso- ni con la parte teologica della sua Summa pitagorica. Le giuste consi- derazioni che fa O’Meara a proposito del divario fra la teologia arit- metica di Nicomaco (contenuta sia nella sua Introduzione all’aritmeti- ca che nei Theologoumena pseudo-giamblichei) e il contenuto degli estratti pselliani dal Libro VII della Summza pitagorica?! potrebbero essere lette anche in ordine alla vicinanza, almeno sotto il profilo strettamente teologico, di Giamblico più ad Anatolio che a Nico- maco. Non dobbiamo dimenticare che Anatolio fu in qualche modo mediatore tra Porfirio e Giamblico. Quest'ultima considerazione ci aiuta a rispondere al secondo que- sito. Lasciando da parte il problema del rapporto storico e testuale tra il Giamblico del Libro VII (o degli ipotetici Theologoumena arithme- ticae) e il Pseudo-Giamblico dei Theologoumena arithmeticae, è certo che la dottrina contenuta in questi due testi, che condividono la medesima condizione di essere un insieme di “estratti” da Giamblico o da fonti primarie della sua teologia del numero, si inquadra essen- 89 Testim. in Teone di Smirne, Expos., cit. 106 Hiller = Thesleff, Pytb. Texts, cit., 21. 9% Anatolio, De decade, ed. J.L. Heiberg, Annales internationales d’histoi- re, Ve section, Paris 1901, rist. Nendeln (Liechtenstein) 1972, 27-41. 9 C£. D.J. O’ Meara, Pythagoras Revived, cit., 103 ss.: «In general — scri- ve l'A. -- Iamblichus’ view of the system of philosophy and of the structure of reality is much more complicated, reflecting in fact the thought, not of a = century Platonist, but of Porphyry's most important and original

pupil». 46 INTRODUZIONE zialmente e organicamente nella cornice più vasta non solo della Summa pitagorica nel suo complesso, ma anche dei maggiori trattati ad essa esterni, quali ad esempio il De mystertis e il De anima (per non contare i commentari a Platone e ad Aristotele e la grande opera per- duta sugli Oracoli caldaici). Sulle relazioni tra la Sura pitagorica e le altre opere di Giamblico, conservate o perdute, rinvio a O’'Meara che ne fa un attento seppur rapido esame.?? Qui m'importa solo di fornire al lettore qualche elemento di valutazione sulla relazione tra Theologoumena, da un lato, e De meysteriis e De anima, dall’altro lato. In generale si può dire che lo stesso fine ultimo del progetto della Summa pitagorica, tendente a dimostrare la perfetta coincidenza tra pensiero pitagorico e pensiero platonico, poteva trovare la sua piena attuazione solo in un discorso che consentisse di svelare l’intima con- nessione tra “il numero e il divino” (per usare l’espressione che ci è servita per intitolare la prima edizione di questo volume), e quindi, in definitiva, nel discorso proprio dei Theol/ogoumena aritbmeticae. Ciò significa semplicemente che la matematica — soprattutto l’aritmetica che ne è la prima radice come scienza comune — non conduce alla conoscenza di quella realtà intermedia tra intelligibile e sensibile che è il suo oggetto proprio se non per consentire alla nostra mente di cogliere quella superiore realtà intelligibile che sta all’origine di tutto e che è oggetto proprio della teologia. Ma esistono elementi testuali

concretamente convergenti tra il testo dei Theologoumena e l’estratto di Psello relativo al Libro VII, quali ad esempio i seguenti due brani: Theol. aritbm. 3,21 ss.: «I Pitagorici, dunque, lo chiamano [sc. 1°1] non solo dio, ma anche intelligenza, e maschio-femmina: intelligenza, perché il potere assolutamente egemonico di dio, che si trova sia nella sua capacità di creare il mondo che in generale in ogni sua attività creativa e in ogni suo potere razionale, anche se non si manifesta nella materia individuale, è intelligenza nell’agire, perché è identità e immutabilità nel conoscere, allo stesso modo dell’1 che, sebbene dif- ferenziato nelle varie specie di enti, contiene in sé tutte le cose allo stato mentale, come se fosse un principio razionale capace di creare come dio, e che non muta rispetto al principio razionale che è in sé, né permette ad altro di mutare, ma che rimane immutabile come lo è 92 Ibid. 91 ss. INTRODUZIONE 47 veramente anche la Moira Atropo»; Sull’aritmetica etica e teologica li. 70 ss. = O’Meara, Pyth. Rev., cit., pp. 226 s.:? «C'è dunque, propria- mente parlando, un prizzo Uro, che potremmo chiamare Dio, che è <insieme> 1 e 3 (il 3, infatti, sviluppa l’inizio, il mezzo e la fine che si trovano nell’1); e ci sono anche la natura ixtelligibile e luminosissima della monade, e il suo potere soprace/este che è principio causativo dell'ordine dell’universo [ἀρχηγὸν διακοσμήσεως], e l'aspetto indivi sibile nelle divisioni del terrestre, colmato nelle sue deficienze, che permettono di elevarsi alla Causa suprerza».? Ma è significativa anche la conclusione dell'estratto pselliano, dove si legge: «c’è infatti un Uno divino e una Monade divina e un Pari e un Dispari trascendenti e oggetti di pensiero secondo rappresentazioni mentali superiori [a quella della matematica] [κατὰ κρείττους ἐννοίας νοούμενα]. E io so - dice Giamblico — che si prova difficoltà ad accettare tutto questo, a causa della nostra negligenza nei confronti degli enti superiori: noi infatti non accettiamo facilmente la contemplazione di ciò che non rientra nelle nostre abitudini o non ci è familiare» (li. 86-90). Con queste parole possiamo mettere a confronto il passo dell’Introduzione all'aritmetica di Nicomaco 10,12 ss., dove si parla della definizione pitagorica di “numero”: «Pitagora invece lo definî come “estensione

e attuazione dei principi seminali immanenti nell’unità”, o, con altra espressione, “il principio numerico che sussiste, prima di tutti i nume- ri, nell'intelletto divino e ad opera del quale e dal quale vengono ordi- nate e mantengono il loro ordine indissolubile le cose numerate”».95 Per quanto concerne in particolare il De m2ysteriîs, non è difficile trovare agganci dottrinali, e in qualche caso anche testuali, con il con- cetto di “numero divino” contenuto nel Libro VII e nei Theo/ogow- 9 Presento qui una mia traduzione del passo, che differisce in qualche punto da quella inglese dello stesso O’'Meara. % Ritengo che I’ ὑπερβαίνει della li. 73 abbia valore transitivo e sia pre- dicato comune a tutti e tre i soggetti: τὸ νοητόν ... τὸ ὑπερουράνιον ἀρχηγόν ... τὸ ἀδιαίρετον. Ma cf. la diversa traduzione inglese di O’ Meara. 35 Pistelli rinvia per queste linee a Nicornaco, Arithw. intr. 13,7 ss., dove però il confronto funziona per Talete e parzialmente per Eudosso, ma non per i Pitagorici, al punto che è lecito congetturare che la fonte di Giamblico sia diversa, forse il Discorso sacro attribuito a Pitagora o lo stesso Περὶ θεοῦ [θεῶν] di Giamblico. 48 INTRODUZIONE mena. Un confronto di tal genere è stato fatto, molto sinteticamente, da O’Meara alle pagine 81 ss. del più volte citato Pythagoras Revived, e vale qui la pena di parlarne. A proposito dell'estratto di Psello dal Libro VII, di cui si è parlato sopra e che comincia alla linea 52 (anche se noi ne abbiamo riferito le linee 70 ss.), O’Meara ritiene che qual- cosa di simile si trova nel De reysterits, di cui egli riferisce i seguenti passaggi:% De wmzyst. I 19, 59,15 ss. Parthey: «A proposito degli dèi, il loro ordine risiede nell’unità di tutti [ἐν τῇ ἑνώσει πάντων], e le loro classi primarie e secondarie e i molteplici enti che nascono intorno a tali classi, tutti, presi nel loro insieme, sussistono nell’Uno [ἐν ἑνὶ tà ὅλα συνυφέστηκε!], e il Tutto in essi è l’Uno, e l’inizio e il mezzo e la fine sussistono insieme in virtà dello stesso Uno; ne consegue che a proposito degli dèi non è necessario cercare donde derivi per tutti loro l’Uno [πόθεν τὸ ἕν ἅπασιν ἐφήκει)»; 261,9 ss.: «Prima dei veri enti e dei principi universali c'è un unico dio, assolutamente primo anche rispetto al primo dio e re, giacché esso resta immobile nella solitudine dell’unità sua propria [ἐν povom τῆς ἑαυτοῦ ἑνότητος]. Nulla, infatti, si può associare ad esso, né l’intelligibile né altro. [...] Da questo Uno si irradiò il dio autosufficiente [...]: questo infatti è principio e dio degli dèi, monade derivante dall’Uno, anteriore all’es- sere e principio dell’essere [προούσιος καὶ ἀρχὴ τῆς ovoiagl». Risulta evidente dalla lettura di brani di questo genere, che si potreb- bero moltiplicare all’infinito, il senso spiccatamente “pitagorizzante” della teologia giamblichea anche nella sua forma di ispirazione miste- rica o egizio-caldaica.9? Un discorso analogo vale per il De amizza negli estratti stobaici, dalla cui lettura è possibile arguire che quest'opera di Giamblico con- teneva in una qualche misura la medesima concezione del rapporto % Li riporto, con qualche ampliamento, nella traduzione di Sodano, apportando qua e là qualche modifica suggeritami anche dalla traduzione inglese di O'Meara. 97 Non si deve dimenticare che i neoplatonici trovavano tra i misteri egizi e quelli caldaici una certa affinità, che si rifletteva soprattutto in un comune linguaggio. Termini come statua divina [ἄγαλμα], segreto [ἀπόρρητος], inef- fabile [appntog], immacolato [ἄχραντος], preghiera [εὐχή], feurgia [θεουρ- via], sacrificio [θυσία], veicolo dell'anima [ὄχημα], padre [πατήρ], fonte [πηγή], sirzbolo [σύμβολον], luce [φῶς] e, naturalmente, tutti i loro paroni- mi, sono comuni alla terminologia misterica, egizia e caldaica. INTRODUZIONE 49 tra filosofia e teologia presente nel De wzysteriis e, di riflesso, anche nei Theologoumena, oltre, naturalmente, a quella nozione di ψυχή che fin dalle sue origini il platonismo ha condiviso con il pitagorismo: relazione estrinseca e temporanea tra anima e corpo, mito della cadu- ta e suo significato filosofico, metempsicosi, giudizio espiazione puri- ficazione ricompensa, affinità col divino, medianità simile a quella degli enti matematici, ecc. Per quanto concerne il contenuto e la struttura del trattato, Giamblico, come si sa, segue il modello esposi- tivo e argomentativo di Aristotele e si serve di abbondante materiale dossografico, seguendo anche in ciò il suo modello; e tuttavia egli si tiene a debita distanza dal suo modello sia nel controllarne i possibili risvolti dottrinali, sia nel trasporre e talora nel trasfigurare i contenu- ti del suo materiale dossografico, ivi compreso quello aristotelico, in una dimensione e qualificazione — anche terminologica — che lascia trasparire chiaramente e inequivocabilmente tutta la natura “neopla- tonica” della sua “scienza dell'anima”. Se si dà uno sguardo allo sche- ma secondo cui il Festugière ha ordinato il materiale frammentario al fine della sua traduzione e del suo commento,98 si nota subito come, nonostante il metodo classificatorio e definitorio di evidente marchio peripatetico — visibile soprattutto nella prima sezione dell’opera che riguarda la natura e le potenze dell’anima --, l'andamento del trattato di Giamblico poco ha a che vedere con quello del trattato di Aristotele, senza contare le “puntate” fortemente critiche che spesso sono rivolte alla dottrina di quest’ultimo, anche se spesso in una forma allusiva e velata che ricorda da vicino quella del De mystertis.99 8. Pitagorismo e Neoplatonismo. Vorrei chiudere queste brevi (necessariamente brevi) considera- zioni introduttive sulla vita e le opere di Giamblico dando uno sguar- do retrospettivo, in rapporto a quanto si è detto fin qui, alla nozione giamblichea di “relazione intrinseca tra pitagorismo e platonismo”, nozione che — vale la pena di richiamare in questa sede -- proprio con 38 C£. A.J. Festugière, La Révélation d'Hermès Trismégiste III, Paris 1953, 177-248 = Appendice I: Jamblique, Tratté de l'àme. 39 Per questo aspetto del De anima, cf. B. Dalsgaard Larsen, Jambligue de Chalcis, cit., 205 ss, 50 INTRODUZIONE Giamblico ha acquistato rilevanza storico-teoretica e a partire da lui si è estesa a tutto il neoplatonismo posteriore (e non soltanto tardo- antico). Certamente prima di Giamblico è possibile reperire momen- ti ed elementi idonei a testimoniare che quell'idea non era venuta mai meno fin dall'antica Accademia: già con Speusippo era cominciata a farsi strada l’idea platonica di una intrinseca correlazione tra aritmo- logia e ontologia, nel senso che la realtà degli enti matematici, che Platone considerava intermedia tra intelligibile e sensibile (natural- mente interpretando a modo suo il pitagorismo, il quale aveva invece sostenuto che il numero, e non l’idea, è l'essenza stessa del reale),100 veniva da Speusippo applicata e sfruttata in chiave metafisica, soprat- tutto a proposito della natura dell'anima. C'è da stare attenti, in ogni

modo, trattando di Speusippo, a non cadere in quell’errore in cui pur- troppo sono caduti illustri studiosi di platonismo e di neoplatonismo, primo fra tutti il Merlan, nell’errore cioè di attribuire a Speusippo idee, non soltanto pitagoriche, ma di un pitagorismo già fortemente neoplatonizzato. E ciò è accaduto per colpa di una testimonianza con- tenuta nella traduzione latina di Guglielmo di Moerbeke della parte perduta del Comrzentario al Parmenide di Proclo.101 Ma se da una parte è vero, come dicevo, che quell’idea del rapporto intrinseco tra pitagorismo e platonismo si fa strada fin dall'antica Accademia, è anche vero, dall’altra parte, che fino alle soglie dell’età plotiniana (intendo dire fino all’età del cosiddetto medioplatonismo)!02 tutta la tradizione pitagorico-platonica non riusci a fare sufficiente chiarezza su un punto che solo con i neoplatonici assume evidente configura- 100 Per comprendere appieno questa divaricazione tra pitagorismo e l’in- terpretazione che Platone ne diede è necessario, tra l'altro, affrontare il pro- blema della trasposizione sernantico-concettuale di εἶδος in ἰδέα. 101 Per una discussione critica su quest’argomento, rinvio a L. Taràn, Speusippus of Athens, Leiden 1981, 350 ss.'= comm. al fr. 48. Cf. anche M. Isnardi Parente, Speusippo. Frammenti, Napoli 1980, 267 ss., anch'essa criti- ca di quella interpretazione neoplatonizzante di Speusippo. 102 Si deve fare eccezione per Numenio, ma la dottrina di quest’ultimo, si sa, è già “pre-neoplatonica”; e tuttavia la sua idea di una coincidenza tra pita-

gorismo e autentico platonismo, più che una sua convinzione storico-teore- tica, sembra essere uno strumento polemico da lui usato in funzione antiac- cademica, Su Numenio e il suo progetto restaurativo dell’autentico platoni- smo cf. O’ Meara, op. cit., 10 ss. INTRODUZIONE 51 zione, sul fatto cioè che la realtà degli enti matematici, pur nella sua indipendenza ontologica quale realtà mediana (cosa che del resto risa- le al più antico platonismo), “discende” dalla realtà intelligibile, né potrebbe valere come “forma” o “essenza” della realtà naturale se non possedesse e non conservasse tale legame metafisico con l’intelli- gibile in sé. Da questo sviluppo in senso neoplatonico del pitagorismo ebbe origine appunto quell’idea di “relazione intrinseca tra platoni- smo e pitagorismo” di cui qui parliamo: di essa Plotino diede la prima impostazione problematico-teoretica,!9 Porfirio ne sperimentò una certa idoneità applicativa,!% ma solo Giamblico la ridusse entro i suoi naturali e incontrovertibili confini teorici e storici. Questo spiega anche il fatto che solo con Giamblico sarebbe stato possibile, perché pensabile, quel progetto generale di una trattazione sistematica del pitagorismo che valesse anche come trattazione sistematica del plato- nismo, almeno nella sua nuova accezione, cioè come neoplatonismo. Ed è significativo il fatto che, se ha ragione — come io credo che abbia - O'Meara nel ritenere che il progetto di una Sura pitagorica Giamblico lo concepisce dopo che ha abbandonato Porfirio,!05 la ragione di una concreta possibilità di pitagorizzare la filosofia (neo)platonica era legata all'abbandono, appunto, di quella idea di una costruzione del nuovo platonismo sulla base di uno studio prepa- ratorio condotto sulla filosofia di Aristotele che Porfirio aveva drasti- camente ripreso - andando, in questo caso, in direzione opposta a quella del suo maestro Plotino — dalla corrente filo-peripatetica del medioplatonismo. Non è tanto Aristotele — che pure è un momento importante nella formazione scientifica del filosofo neoplatonico — quanto Pitagora che fornisce la chiave di volta per la costruzione di un platonismo autentico e tecnicamente perfetto e capace di contene- re tutte le sue originarie componenti storiche e teoriche (in una paro- la il platonismo di Platone): solo Giamblico avrebbe potuto realizza- re senza esitazioni, sul terreno dei rapporti tra Pitagora e Platone, 103 C£. Plotino, πη. VI 6 [34] Sui numeri [Περὶ ἀριθμῶν]. Cf. Plotin. Traité sur les nombres (Ennéade VI 6 [34]), par J. Bertier et Alii, Paris 1980, e la rec. a questo volume di W, Beierwaltes, «Arch.Gesch.Philos.» 67 (1985). 104 Ad esempio nel suo Commentario sull'Armonica di Tolemeo, ed. 1. Diiring, Géòteborg 1932. 15 C£. D.J. O’ Meara, Pythagoras Revived, cit., 30 e 91 ss. 52 INTRODUZIONE quell’idea che Porfirio aveva tentato di difendere, sul terreno dei rap- porti tra Platone e Aristotele, quando scriveva il libro Sulla unitarietà della scuola [o dottrina] di Platone e di Aristotele [Περὶ τοῦ μίαν εἶναι τὴν Πλάτωνος καὶ ᾿Αριστοτέλους αἵρεσιν] .106 Il progetto di Giamblico resterà isolato nella ulteriore storia dei rapporti tra pitagorismo e platonismo, ma non si può trascurare il fatto che l’idea-cardine di una convergenza (se non coincidenza) tra le due dottrine rimarrà fattore determinante e qualificante di tutte le costruzioni neoplatoniche della tarda antichità: la presenza operante del pitagorismo (sotto forma di mzatematismo) in filosofi quali Siriano, Proclo, Domnino, Simplicio e altri, ne è inoppugnabile riprova. In conclusione la filosofia di Giamblico rappresenta non soltanto la più evidente testimonianza del complesso, ma lineare e ininterrot- to rapporto tra pitagorismo e platonismo fino alla teorizzazione di una loro coincidenza sul piano dottrinale e teoretico, ma anche l'esempio più significativo di quell’operazione ancora più complessa che caratterizza il pensiero tardoantico e che consiste nel ridurre ad unità le diverse branche dell'indagine filosofica per via di una loro gerarchizzazione fondata sulla reale e ordinata disposizione verticale culminante nella teologia, intesa quest’ultima come scienza delle scien- ze. L'intera ricerca scientifica può attraversare i diversi livelli di tale ordine gerarchico solo perché di fatto la realtà è una sola, quella divi- na, pur nella diversità delle sue manifestazioni: in questo processo di unificazione delle scienze, la scienza matematica esercita la sua piena e ineliminabile funzione mediatrice. Si potrebbe dire che la matema- tica, almeno nel suo significato pitagorico, possiede, dal punto di vista della metodologia delle scienze, la medesima funzione che ha l’anima dal punto di vista onto-cosmologico ed etico. Il Nuzzero e il Divino sono dunque le due facce di quella medesima realtà che le varie scien- ze hanno il compito di predisporre come oggetto conoscitivo e con- templativo della scienza teologica. E se è vero che neoplatonismo 106 Che si trattasse di un semplice tentativo, forse velatamente polemico verso Plotino, è dimostrato dal fatto che Porfirio scrive (quasi certamente dopo di quello, essendo dedicato a Crisaorio) un altro libro per dimostrare La distanza tra Platone e Aristotele [Περὶ διαστάσεως Πλάτωνος καὶ ᾿Αρι- στοτέλους]. Per tutti e due questi scritti porfiriani, cf. F Romano, Porfirio di Tiro, cit., 143. INTRODUZIONE 53 significa in ultima analisi teologia quale unica e vera filosofia, allora il discorso filosofico altro non può essere che discorso sacro [ἱερὸς λόγος], che è il discorso pitagorico insieme materzatico e teologico. E se è vero, com'è vero, che l’ordine teologico precede sia l'ordine natu- rale che l'ordine morale,!07 allora l'ordine matematico è non solo l’or- dine divino, ma anche il fondamento di qualunque ordine di realtà. 107 C£. Giamblico, In Nicom. 125. NOTIZIA CRONOLOGIA DELLA VITA E DEGLI SCRITTI DI GIAMBLICO 240/250 Nascita di Giamblico a Calcide in Celesiria, 263 Ingresso di Porfirio nella Scuola di Plotino a Roma. 269 ca. Anatolio vescovo a Laodicea (forse dopo che a Cesarea insie- me con Teotecno) e terminus ante quem dell’incontro di Giamblico con Anatolio. 270 Morte di Plotino, probabile rientro dalla Sicilia a Roma di Porfirio e terminus post quem dell’incontro di Giamblico con Porfirio. 290 ca. Ritorno di Giamblico in Siria e stesura del De reysterzis, quale risposta all’Epistola ad Anebone di Porfirio, nonché delle altre opere di Giamblico, compresi i Commentari a Platone e ad Aristotele. 305 ca. Morte di Porfirio. 306/337 Impero di Costantino il Grande. 222 Terminus post quem della stesura delle Epistole di Giamblico. 226,7  Sopatro, discepolo di Giamblico, alla corte imperiale di Co- stantinopoli e termzinus ante quem della morte di Giamblico. BIBLIOGRAFIA I. EDIZIONI E TRADUZIONI DEGLI SCRITTI DI GIAMBLICO Per comodità del lettore presento qui un elenco sistematico e comple- to di tutte le edizioni e le traduzioni degli scritti principali di Giamblico. VITA DI PITAGORA Edizioni: lamblichi De vita Pythagorae et Protrepticae orationes, ed. J. Arcerius Theodoretus (Franekerae 1598). Iamblichi De vita Pythagorica liber, ed. L. Kusterus (Amstelodami 1707). lamblichi De vita Pythagorica liber graece et latine, ed. T. Kiessling (Lipsiae 1815-1816). Iamblichi Vita Pythagorae, ed. A. Westermann, in Diogenis Laertii De clarorum philosophorum vitis, dogmatibus et apophtegmatibus libri decem, rec. C.G. Cobet (Parisiis 1850; iterum 1862). Iamblichi De vita Pythagorica liber, rec. A. Nauck (Petropoli [Pietro- burgo] 1884; rist. anast. Amsterdam 1965). Iamblichi De vita Pythagorica liber, ed. L. Deubner (Lipsiae 1937 [cf. anche Berzerkungen zum Text der Vita Pythagorae des Iamblichus,

«SB.Ak.Berlin» 1935]; rist. anast. con Add. et Com a cura di U. Klein, 1975). Traduzioni: lat. di N. Scutellius (Romae 1556). lat. di U. Obrechtus (Argentorati [Strasburgo] 1700). 58 BIBLIOGRAFIA ingl. di T. Taylor (London 1818; rist. a cura di J.M. Watkins, 1965). ted. di M. von Albrecht (Ziùrich/Stuttgart 1963; rist. Darmstadt 2002, con contributi di J. Dillon, M. Lurje, M. von Albrecht, D.S. du Toit e M. George). ital. di L. Montoneri (Bari 19842 [1973]). ingl. di G. Clark (Liverpool 1989). ital. di M. Giangiulio (Milano 1991). ingl. di J. Dillon & J. Hershbell (Atlanta, Georgia 1991). franc. di L. Brisson & A.Ph. Segonds (Paris 1996). FSORTAZION E ALLA FILOSOFIA Edizioni: Tamblichi Adbortatio ad philosophiam, ed. M.T. Kiessling (Lipsiae 1813). Iamblichi Protrepticus, ed. H. Pistelli (Lipsiae 1888; rist. anast. Stuttgart 1967). Jamblique, Protreptigue, éd. et tr. par É, des Places (Paris 1989). Traduzioni: ted. di O. Schénberger (Wurzburg 1984). ingl. di Th.M. Johnson (Grand Rapids, MI 1988). franc. di E. des Places (Paris 1989), LA SCIENZA MATEMATICA COMUNE Edizioni: in J.B.C. d’Ansse de Villoison, Anecdota Graeca, II 16 (Venetiis 1781). Iamblichus De generali mathematum scientia, ed. IG. Friis (Hafniae [Copenhagen] 1790). Iamblichi De communi mathematica scientia liber ed. N. Festa (Lipsiae 1891; rist. anast. con Add. et Corr a cura di U. Klein, 1975). BIBLIOGRAFIA 59 L'INTRODUZIONE ALL’ARITMETICA DI NICOMACO Edizioni: Iamblichus Chalcidensis, In Nicomachi Geraseni Arithmeticam intro- ductionem et de Fato, ed. S. Tennulius (Daventriae [Arnhem, NL] 1668). lamblichi In Nicomachi Aritbmeticam introductionem liber ed. H. Pistelli (Lipsiae 1894; rist. anast. con Add. et Corr. a cura di 1]. Klein, 1975). Traduzione: lat. in ed. Tennulius, cit. I LIBRI V-VII DELLA SUMMA PITAGORICA: Edizione: estratti in D.J. O'Meara, Pythagoras Revived. Mathematics and Philosophy in Late Antiquity. Appendix I. The Excerpts from Iamblichus' On Pythagoreanism V-VII in Psellus (Oxford 1989), 217-229. Traduzione: ingl. in ed. O'Meara, cit. LA TEOLOGIA DELL’ARITMETICA Edizioni: Iamblichi Theologoumena aritbmeticae. Accedunt Nicomachi Geraseni aritbmeticae libri II, ed. FE Ast (Lipsiae 1817). [Tamblichi] Theologoumena aritbmeticae, ed. V. De Falco (Lipsiae 1922; rist. anast. con Add. et Corr a cura di U. Klein, 1975). 60 BIBLIOGRAFIA [Ἰαμβλίχου] Χαλκιδέως, ἐκ τῆς Κοίλης Συρίας, Νεοπλατωνικοῦ, Τά Θεολογούμενα τῆς ᾿Αριθμητικῆς (Περί τῆς μυστικῆς ἐννοίας τῶν ἀριθμῶν) ᾿Αριθμοσοφία. Μετάφρ. ἐκ τοῦ ἀρχαίου κειμένου ὑπό Ἰοάννου Ἰοαννίδου καί ᾿Αποστόλου Φωτοπούλου (Φιλολόγων), Εἰσαγωγή καί ἐπιμέλεια’ Πέτρου Γράβιγγερ (Αθῆναι, Βιβλιοθήκη Σφιγγός, 1977) η΄-109. Traduzione: ingl. di R. Waterfield (Grand Rapids, MI 1988). I MISTERI DEGLI EGIZI Edizioni: Iamblichi Chalcidensis ex Coele-Syria de meysteriis liber, ed. T. Gale (Oxonii 1678). Iamblichi De mysterzis liber, ed. G. Parthey (Berlin 1857; rist. anast. Amsterdam 1965). Jamblique, Les Mystères d'Égypte, ed. É. des Places (Paris 1966). Traduzioni: lat. di Marsilio Ficino (Venetiis 1497; ried. con altri scritti Venetiis 1516 e 1532, Lugduni [Lione] 1570 e 1577). lat. di N. Scutellius (Romae 1556). ingl. di Th. Taylor (Chiswick 1821 e London 1895). ingl. di A. Wilder (New York 1911 e London 1915). franc. di P. Quillard (Paris 1895 e 1948). ted. di T. Hopfner (Leipzig 1922), franc. in ed. É. des Places, cit. ital. di A.R. Sodano (Milano 1984). ingl. di E. Clarke - J. Dillon - J.P. Hershbell (Atlanta 2003). BIBLIOGRAFIA 61 Sull’anima: Edizione: estratti in Stobaeus, Antho/ogium, ed. C. Wachsmuth & O. Hense, vol. I (Berolini 1884 [voll. I-VI, 1884-1912]): 48,8 = pp. 317,20- 318,15; 49,32-43 = pp. 362,23-385,10; 49,65-67 = pp. 454,10-

458,21 (13 estratti in tutto). Forse anche in Simplicio [= Prisciano?], In De an. (= GAG XI, Berolini 1882) 1,10-20; 5,38- 6,17; 49,31-35; 89,22-90,27; 174,38-41; 187,36-188,7; 214,18-26; 217,23-28; 237,37-238,29; 240,33-241,26; 309,35-310,2; 313,1-30 Hayduck; in Prisciano, Metaphr. in Theophr. (= GAG Suppl. 12, Berolini 1866) 7,11-20; 9,12-16; 23,13-23; 24,1-10; 32,13-19; 32,33-33,1 Bywater; [Filopono] = Stefano, In De an. (= GAG XV, Berolini 1897) 533,21-35 Hayduck. Traduzioni: franc. in A.J. Festugière, La Révélation d'Hermès Trismégiste III, Paris 1953) 177-248 = Appendice I: Jamblique, Traité de l'àme. ingl. di J.F Finamore & J.M. Dillon (Leiden/Boston 2002). I COMMENTARI A PLATONE Edizioni: B. Dalsgaard Larsen, Jambligue de Chalcis exégète et philosophe. Appendice: Testimonia et Fragmenta exegetica (Aarhus 1972) 81- 130. J.M. Dillon, Iamblichi Chalcidensis. In Platonis dialogos Commentariorum Fragmenta (Leiden 1973). Traduzione: ingl. in ed. Dillon, cit. I COMMENTARI AD ARISTOTELE Edizione: B. Dalsgaard Larsen, Jamblique de Chalcis exégète et philosophe. Ap- 62 BIBLIOGRAFIA pendice: Testimonia et Fragmenta exegetica (Aarhus 1972), 9-77. LE EPISTOLE Edizione: estratti in Stobaeus, Antbologiur, ed. C. Wachsmuth & O. Hense, voll. I-V (Berolini 1884 ss. [voll. I-VI, 1884-1912]) passim (cf. elenco in B. Dalsgaard Larsen, Jamzbligue de Chalcis (Aarhus [1972], 50-51). II. LETTERATURA Th. Taylor, The Theoretic Aritbmetic of the Pythagoreans (London 1816; rist. York Beach, Maine 1972). G.H.F. Nesselmann, Versuch einer kritischen Geschichte der Algebra nach den Quellen (Berlin 1842). Iohannes Philoponus, In Nicomachi Introductionem arithmeticam, Part. I-II, ed. R. Hoche (Wesel 1864 et Berolini 1867) (cf. Proclus-Philoponus, In Nicom. L. II, ed. A. Delatte, Anecdota Atbeniensia Il (1939), 129-187;  Proclus-Philopon, Le Commentaire au second livre de l’Arithrnétique de Nicomaque de Proclus-Philopon, par Vassilios C. Papanicolopoulos (Lille, Thèse 3e cycle, 1986) [tiene conto sia dell'edizione Hoche che di quella Delatte]. Nicomachi Geraseni Pythagorei Introductionis aritbmeticae Libri duo, R. Hoche (Lipsiae 1866). Boéthius, De institutione musica, in Boèthit De institutione arithmeti-

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Le radici filosofico-matematiche della tecnologia applicata (Catania 2003) = Symbolon 26. J. Dillon, L.P. Gerson, Neoplatonic Philosophy. Introductory Readings (Indianapolis 2003). F. Romano, L'Uno come fondamento. La crisi dell'ontologia classica (Catania 2004) = Symbolon 27. NOTA EDITORIALE Per la presente traduzione ho seguito le seguenti edizioni: De vita Pythagorica, ed. L. Deubner (Teubner, Leipzig 1937; rist. anast. con Add. et Corr. a cura di U. Klein, 1975). Protrepticus, ed. H. Pistelli (Teubner, Leipzig 1888; rist. anast. Stuttgart 1967). De communi mathematica scientia, ed. N. Festa (Teubner, Leipzig 1891; rist. anast. con Addenda et Corrigenda a cura di U. Klein, 1975). In Nicomachi Aritbmeticam introductionem, ed. H. Pistelli (Teubner, Leipzig 1894; rist. anast. con Add. et Corr. a cura di U. Klein, 1975). Theologoumena arithmeticae, ed. V. De Falco (Teubner, Leipzig 1922; rist. anast. con Add. et Corr. a cura di U. Klein, 1975). Ho utilizzato tali edizioni, dopo avere rifuso nei testi sia gli Addenda et Corrigenda delle edizioni originarie che gli Addenda et Corrigenda predisposti da Klein. Sui testi cosî ottenuti ho operato alcuni interventi, ora secondo congetture degli stessi editori o di altri da loro riferiti in apparato critico, ora secondo congetture e correzio- ni personali, dando di volta in volta notizia al lettore negli apparati delle Note al testo e Note alla traduzione, queste ultime situate in coda. Gli Scholia infine, là dove esistono, sono stati riportati in parte e solo tradotti negli apparati delle note. In tutto questo lavoro mi è stata utile l'edizione informatica del Thesaurus Linguae Graecae cura- ta dalla University of California (Irvine, USA) sotto la direzione di Th.E. Brunner. Il testo greco qui riprodotto, comunque, non ha nulla a che vedere con quello del TLG di Irvine, sia per le abbondanti inte-grazioni e correzioni apportate, sia per la differente formattazione editoriale. Gli apparati delle note alle traduzioni sono, ovviamente, quasi tutti relativi a chiarimenti e complementi interpretativi — spesso come semplici “esplicitazioni” o scilicet —, anche se talvolta servono a ren- dere conto dei criteri di traduzione/interpretazione adottati per par- ticolari passaggi di difficile lettura per noi moderni. Il testo greco è stato riprodotto con l’indicazione, all’interno dello stesso testo, del numero delle pagine (in neretto) e delle linee (a deci- 72 NOTA EDITORIALE ne) della rispettiva edizione, mentre nel testo tradotto è stato indica- to, sempre all’interno del testo, soltanto il numero delle pagine, senza indicazione delle linee. Quest'ultima limitazione è giustificata dalla presenza del testo greco a fronte nonché dal fatto che qualsiasi riman- do sia nelle Note al testo che nelle Note alla traduzione si riferisce alle pagine e alle linee del testo greco. Avrei preferito collocare anche le Note alla traduzione a pie’ di pagina, affinché fossero di maggiore comodità per la lettura, ma la notevole quantità e la sproporzione tra i due tipi di apparato di Note al testo e Note alla traduzione rendevano tecnicamente impossibile il testo a fronte, criterio a cui non si è voluto rinunciare. GIAMBLICO VITA DI PITAGORA περὶ τοῦ Πυθαγορικοῦ βίου [1] Κεφάλαια τοῦ πρώτου λόγου περὶ τοῦ Πυθαγορικοῦ βίου 1. Προοίμιον περὶ τῆς Πυθαγόρου φιλοσοφίας, ἐν ᾧ θεῶν παρά- κλησις προηγεῖται καὶ τὸ χρήσιμον καὶ δύσκολον τῆς πραγματείας συνεμφαίνεται. 2. Περὶ Πυθαγόρου καὶ τοῦ γένους αὐτοῦ καὶ τῆς πατρίδος καὶ τῆς ἀνατροφῆς καὶ παιδείας καὶ τῶν ἀποδημιῶν καὶ τῆς εἰς οἶκον ἐπα- νόδου καὶ τῆς ἐντεῦθεν εἰς Ἰταλίαν ἐξόδου καὶ ὅλως περὶ παντὸς τοῦ κατ᾽ αὐτὸν βίου. 3, Τίς ὁ εἰς τὴν Φοινίκην αὐτοῦ ἔκπλους, καὶ τίς ἡ ἐκεῖ διατριβή, καὶ τίς ἡ ἐντεῦθεν εἰς τὴν Αἴγυπτον ἀποδημία καὶ πῶς γενομένη. 4. Τίς ἡ ἐν Αἰγύπτῳ αὐτοῦ διατριβή, καὶ πῶς ἐντεῦθεν ἀπεδήμησεν εἰς Βαβυλῶνα, καὶ πῶς ἐκεῖ τοῖς μάγοις συνεγένετο, «καὶ» πῶς ἐπανῆλθεν αὖθις εἰς τὴν Σάμον. 5. Τίς ἡ ἐν τῇ Σάμῳ αὐτοῦ κατὰ τὴν ἐπιδημίαν ἐγένετο διατριβή, καὶ πῶς τὸν ὁμώνυμον αὐτῷ θαυμαστῇ τέχνῃ ἐπαίδευσεν, ἀποδημίαι τε αὐτοῦ εἰς τοὺς Ἕλληνας καὶ τρόποι ἀσκήσεως ἐν τῇ Σάμῳ. 6. Αἰτίαι δι᾽ ἃς ἀπεδήμησεν εἰς τὴν Ἰταλίαν καὶ περὶ τῆς ἀποδημί- ας αὐτοῦ ταύτης, καθολικός τε διορισμὸς περὶ Πυθαγόρου ὁποῖός τις ἦν καὶ περὶ τῆς κατ᾽ αὐτὸν φιλοσοφίας. 7. Κοινοί τινες ὡσπερεὶ τύποι τῶν ἐν Ἰταλίᾳ αὐτοῦ πράξεων καὶ τῶν εἰς ἀνθρώπους ἐμφερομένων εἰς τὸ κοινὸν λόγων ὁποῖοί τινες ἦσαν. 8. Πότε καὶ πῶς εἰς Κρότωνα ἐπεδήμησε, τίνα τε ἔπραξεν ἐν τῇ πρώτῃ ἐπιφοιτήσει, καὶ τίνας λόγους εἶπεν εἰς τοὺς νεανίσκους. [2] 9. Τίνας λόγους διελέχθη ἐν τοῖς χιλίοις τοῖς προεστηκόσι τῆς ὅλης πολιτείας περὶ τῶν ἀρίστων λόγων τε καὶ ἐπιτηδευμάτων. 10. Τίνα τοῖς παισὶ Κροτωνιατῶν συνεβούλευσεν ἐν τῷ Πυθαΐῳ κατὰ τὴν πρώτην ἐπιδημίαν. 11. Τίνα ταῖς Κροτωνιατῶν γυναιξὶν ἐν τῷ Ἡραίῳ διελέχθη κατὰ τὴν πρώτην ἐπιδημίαν. 12. Τίς ἡ περὶ φιλοσοφίας αὐτοῦ διάλεξις, καὶ ὅτι πρῶτος ἑαυτὸν φιλόσοφον ἐπωνόμασε καὶ διὰ τίνα αἰτίαν. VITA DI PITAGORA 75 Sommario del primo libro <della Summa pitagorica> sulla Vita di Pitagora. 1. Proemio sulla filosofia di Pitagora, nel quale, dopo una prelimi- nare invocazione degli dèi, si mostrano insieme l’utilità e la difficoltà della trattazione. 2. Su Pitagora e la sua famiglia e la sua patria e la sua crescita e la sua educazione e i suoi viaggi e il suo ritorno a casa e la sua partenza per l’Italia e, insomma, sull’intera sua vita. 3. Quale fu il suo viaggio per mare verso la Fenicia, e quale il suo soggiorno laggit, e il suo viaggio verso l'Egitto e in che modo questo avvenne. 4. Quale fu il suo soggiorno in Egitto, e in che modo di li parti verso Babilonia, e in che modo incontrò laggiù i Magi, e in che modo rientrò a Samo. 5. Che cosa fece durante il suo soggiorno a Sarno, e in che modo educò con arte meravigliosa il suo omonimo, e i suoi viaggi verso la Grecia e i modi della sua attività ascetica a Samo. 6.I motivi della sua partenza per l’Italia e sul suo viaggio in Italia, e la determinazione generale di chi fu Pitagora e quale fu la sua filo- sofia. 7. Quali furono i modi in cui si svolse la sua attività in Italia e di che genere furono i discorsi che rivolse pubblicamente agli uomini. 8. Quando e come parti verso Crotone, e che cosa fece durante il suo primo soggiorno in quella città, e quali discorsi indirizzò ai giova- ni. 9. Quali discorsi pronunciò nell'assemblea dei Mille che governa- va l’intero stato, a proposito del miglior genere di discorsi e di occu- pazioni. 10. Quali consigli diede, nel tempio di Apollo Pizio, ai fanciulli di Crotone durante il suo primo soggiorno. 11. Che cosa disse, nel tempio di Era, alle donne di Crotone durante il suo primo soggiorno. 12. Quale fu il suo ragionamento intorno alla filosofia, e il fatto che egli per primo si chiamò filosofo e per quale ragione. 76 GIAMBLICO 13. Ὅτι καὶ εἰς τὰ θηρία darei vovoav καὶ τὰ ἄλογα ζῷα τὴν διὰ λόγου παιδευτικὴν δύναμιν εἶχε Πυθαγόρας, καὶ τούτων τεκμήρια πλείονα. 14. Ὅτι ἀρχὴν ἐποιεῖτο τῆς παιδεύσεως τὴν ἀνάμνησιν τῶν προ- τέρων βίων, odg αἱ ψυχαὶ πρότερον διεβίωσαν πρὶν εἰς τὰ σώματα ἀφικέσθαι, ἐν οἷς τότε ἐνοικοῦσαι ἐτύγχανον. 15. Τίς ἡ δι᾽ αἰσθήσεως πρώτη εἰς παιδείαν ἀγωγὴ παρ᾽ αὐτῷ, καὶ πῶς ἐπηνωρθοῦτο τὰς ψυχὰς τῶν προσομιλούντων διὰ μουσικῆς, καὶ πῶς ταύτην αὐτὸς τὴν ἐπανόρθωσιν τελείαν εἶχε. 16. Τίς ἡ καθαρτικὴ παρ᾽ αὐτῷ ἄσκησις, ἣν καὶ αὐτὸς συνησκεῖτο, τίς τε ἡ τελεωτέρα αὐτοῦ τῆς φιλίας ἐπιτήδευσις ἦν, καὶ αὐτὴ προ- παρασκευάζουσα εἰς φιλοσοφίαν ἐπιτηδείους. 17. Πῶς τὴν δοκιμασίαν ἐποιεῖτο τῶν πρώτως προσιόντων ἑταίρων ὁ Πυθαγόρας, καὶ τίνας ἐποιεῖτο πείρας αὐτῶν τοῦ τρόπου πρὸ τῆς εἰς φιλοσοφίαν εἰσαγωγῆς. 18. Εἰς πόσα γένη καὶ πῶς διεῖλε τοὺς ὁμιλητὰς ἑαυτοῦ ὁ Πυθαγόρας, καὶ διὰ τίνας αἰτίας οὕτως αὐτοὺς διέκρινεν. 19. Ὅτι πολλὰς ὁδοὺς Πυθαγόρας ἀνεῦρε τῆς ὠφελίμου παιδεύσεως τῶν ἀνθρώπων, ἐν ᾧ λέγεται καὶ ἡ ᾿Αβάριδος πρὸς αὐτὸν αὐτοῦ συνουσία, πῶς τε αὐτὸν ἤγαγεν εἰς τὴν ἀκροτάτην σοφίαν καθ᾽ ἑτέρας ὁδοὺς παιδείας. 20. Τίνα τὰ ἴδια ἀσκήματα τῆς Πυθαγορικῆς φιλοσοφίας, [3] καὶ πῶς αὐτὰ παρεδίδου Πυθαγόρας, καὶ πῶς ἐγύμναζε τοὺς ἀεὶ μετωλαμβά- νοντας τῆς φιλοσοφίας. 21. Περὶ ἐπιτηδευμάτων οἷα κατεστήσατο Πυθαγόρας καὶ δι᾽ ὅλης ἡμέρας παρέδωκε τοῖς ἑταίροις ἐπιμελῶς πράττειν, καὶ παραγγέ- λματά τινα τοῖς ἐπιτηδεύμασιν ὁμολογούμενα. 22. Τίς ὁ τρόπος τῆς παιδείας ὁ διὰ τῶν Πυθαγορικῶν ἀποφάσεων καὶ τῶν εἰς τὸν βίον καὶ τὰς ἀνθρωπίνας ὑπολήψεις διατεινουσῶν. 23. Τίς ἡ διὰ συμβόλων προτροπὴ εἰς φιλοσοφίαν καὶ ἀπόρρητος δογμάτων ἔμφασις καὶ ἀποκεκρυμμένη <, ἣ» μόνοις τοῖς εἰδόσι παι- δείαν παρεδόθη ὑπὸ Πυθαγόρου κατὰ τὴν Αἰγυπτίων καὶ τῶν ἀρχα- ιοτάτων παρ᾽ Ἕλλησι θεολόγων συνήθειαν. VITA DI PITAGORA 77 13. Pitagora esercitò attraverso il discorso la sua capacità educati- va estendendola anche alle belve e agli animali privi di ragione, e di ciò esistono molteplici prove. 14. Pitagora faceva cominciare l'educazione dalla reminiscenza delle vite anteriori, che le anime hanno vissuto in precedenza, prima cioè della loro discesa nei corpi nei quali adesso si trovano ad abitare. 15. Qual era, nell’insegnamento di Pitagora, la prima introduzio- ne all'educazione, cioè quella che si compie per mezzo dei sensi, e in che modo egli correggeva, attraverso la musica, le anime di coloro che lo frequentavano, e in che modo egli stesso raggiunse alla perfezione tale correzione. 16. Qual era, nel suo insegnamento, l’ascesi purificatoria, che egli stesso praticava, e qual era la sua pratica dell’amicizia che in lui era più perfetta che in altri, e come tale pratica fosse preparatoria dell’at- titudine alla filosofia. 17. In che modo Pitagora sottoponeva ad esame i compagni che lo avvicinavano per la prima volta, e a quali prove sperimentali sotto- poneva il loro stile di vita prima di introdurli alla filosofia. 18. In quanti generi e in.che modo Pitagora suddivideva i suoi discepoli, e per quali ragioni faceva tale suddivisione. 19. Pitagora scopri molte vie per educare proficuamente gli uomi- ni; dove si parla anche di Abari e delle lezioni che Pitagora gli impar- ti, e del modo in cui lo condusse alla suprema sapienza con metodi educativi diversi <da quelli che era solito seguire>. 20. Quali erano le pratiche proprie della filosofia pitagorica e in che modo Pitagora le insegnava, e in che modo egli facesse esercitare coloro che via via praticavano la sua filosofia. 21. Sulle occupazioni fissate da Pitagora e su che cosa egli ha inse- gnato ai suoi compagni di fare in modo accurato nell'arco dell’intera giornata, e quali erano i suoi precetti in conformità a quelle occupa- zioni. 22. Qual è il tipo di educazione per mezzo dei divieti pitagorici relativamente sia alla condotta di vita sia alle supposizioni umane. 23. Qual è l'esortazione alla filosofia per mezzo dei simboli e qual è il senso, segreto e nascosto, delle dottrine trasmesse da Pitagora solo a coloro che egli aveva educati secondo il costume degli Egizi e dei più antichi teologi tra i Greci. 78 GIAMBLICO 24. Τίνων ἀπείχετο βρωμάτων καθόλου Πυθαγόρας καὶ τίνων τοῖς ἑταίροις ἀπέχεσθαι παρήγγελλε, καὶ πῶς ἄλλους καὶ ἄλλους νό- μους ἐνομοθέτησε περὶ τούτου κατὰ τοὺς οἰκείους βίους ἑκάστοις καὶ διὰ τίνας αἰτίας. 25. Πῶς καὶ διὰ μουσικῆς καὶ μελῶν ἐπαίδευε τοὺς ἀνθρώπους κατὰ καιρούς τε ὡρισμένους καὶ ὅτε μάλιστα παρηνώχλει αὐτοῖς τὰ πάθη, τίνας τε καθάρσεις νόσων ψυχῆς τε καὶ σώματος δι᾽ αὐτῆς ἐποιεῖτο, καὶ πῶς αὐτὰς ἐπετήδευε. 26. Πῶς τὴν εὕρεσιν ἐποιήσατο Πυθαγόρας καὶ ἀπὸ ποίας μεθόδου ἁρμονίας τε καὶ τῶν ἁρμονικῶν λόγων, καὶ πῶς παρέδωκε τοῖς ἐπηκόοις πᾶσαν τὴν περὶ τούτων ἐπιστήμην. 27. Ὅσα πολιτικὰ καὶ κοινωφελῆ ἀγαθὰ παρέδωκε τοῖς ἀνθρώποις δι᾽ ἔργων καὶ λόγων καὶ διὰ τῆς τῶν πολιτειῶν καταστάσεως καὶ τῆς τῶν νόμων θέσεως δι᾽ ἄλλων τε πολλῶν «καὶ» καλῶν ἐπιτηδευμάτων αὐτός τε καὶ οἱ ἑταῖροι αὐτοῦ. 28. Ὅσα θεῖα καὶ θαυμαστὰ ἔργα διεπράξατο, καὶ ὅσα ἀνήκει εἰς εὐσέβειαν καὶ διὰ τῆς τῶν θεῶν εὐμενείας τὴν μεγίστην παρέχεται εἰς ἀνθρώπους εὐεργεσίαν, ἃ καὶ κατεπέμφθη εἰς τὸ θνητὸν γένος διὰ Πυθαγόρου. [4] 29. Περὶ τῆς Πυθαγόρου σοφίας τίς τε ἦν καὶ καθ᾽ ὅσα γένη καὶ εἴδη διήρητο, ὅπως τε ἀπὸ τῶν πρώτων μέχρι τῶν τελευταίων γνωριστικῶν δυνάμεων τὴν ὀρθότητα καὶ ἀκρίβειαν κατώρθωσε καὶ τοῖς ἀνθρώποις παρέδωκε.30. Περὶ δικαιοσύνης ὅσα τοῖς ἀνθρώποις εἰς αὐτὴν συνεβάλλετο Πυθαγόρας, καὶ ὡς ἄνωθεν ἀπὸ τῶν ἄκρων αὐτῆς γενῶν μέχρι τῶν τελευταίων εἰδῶν ἐπετήδευσεν αὐτὴν καὶ παρέδωκε τοῖς πᾶσι. 31, Περὶ σωφροσύνης ὅπως αὐτὴν ἐπετήδευσε Πυθαγόρας καὶ παρέδωκεν εἰς ἀνθρώπους διὰ λόγων τε καὶ ἔργων καὶ πάσης κτί- σεῶς, πόσα τε αὐτῆς εἴδη καὶ τίνα κατεστήσατο ἐν τοῖς ἀνθρώποις. 32. Περὶ ἀνδρείας ὅσα καὶ οἷα παραγγέλματα Πυθαγόρας παρέδω- κεν εἰς ἀνθρώπους, ἀσκήματά τε ὅσα καὶ ἔργα γενναῖα τὰ μὲν αὐτὸς διεπράξατο, τὰ δὲ καὶ τοὺς χρωμένους αὐτῷ ἐποίησε διαπράξασθαι. 33. Περὶ φιλίας οἵα τε ἦν καὶ ὅση παρὰ Πυθαγόρᾳ αὐτῷ, καὶ ὅπως εἰς πάντας αὐτὴν διέτεινε, πόσα τε αὐτῆς εἴδη κατεστήσατο, καὶ τίνα ἔργα σύμφωνα τοῖς ἐπιτηδεύμασιν οἱ Πυθαγόρειοι διεπράξαν- το. VITA DI PITAGORA 7924. Da quali cibi Pitagora si asteneva del tutto, da quali egli pre- scriveva ai suoi compagni di astenersi, e in che modo egli stabili, a questo proposito, regole diverse a seconda del tipo di vita proprio di ciascuno, e per quali ragioni. 25. In che modo egli educava gli uomini per mezzo della musica e del canto e secondo momenti opportuni, soprattutto quando erano turbati dalle passioni, e in che modo egli purificava l’anima e il corpo delle loro <rispettive> malattie, e in che modo egli praticava tali puri- ficazioni. 26. In che modo e sulla base di quale metodo egli fece la sua sco- perta e dell'armonia e dei rapporti armonici, e in che modo egli inse- gnò ai suoi uditori tutta questa scienza [sc. l’armonica]. 27.1 beni relativi alle città e alla pubblica utilità, che Pitagora stes- so e i suoi compagni insegnarono agli uomini con fatti e con parole, sia stabilendo le costituzioni <di alcune città> sia dettando delle leggi, e per mezzo di molte altre belle occupazioni. 28. Le opere divine e portentose che egli compî, e quelle che siriferiscono alla pietà e che procurano agli uomini, grazie alla benevo- lenza degli dèi, il maggiore beneficio, opere che grazie a Pitagora sono state introdotte anche nel genere umano. 29. Sulla sapienza di Pitagora e di che tipo era e in quanti generi e specie essa si divideva, e il fatto che egli, a partire dalle prime facol- tà conoscitive fino alle ultime, riusciva ad essere corretto e preciso, cose che egli ha insegnato agli uomini. 30. Sulla giustizia: il contributo offerto da Pitagora agli uomini per conseguirla, e come egli la praticò a partire dall’alto, cioè dai generi superiori fino alle ultime specie, e come la insegnò a tutti. 31. Sulla temperanza: come Pitagora la praticò e la insegnò agli uomini con parole e opere e con ogni mezzo, e quante e quali specie di temperanza egli stabili tra gli uomini. 32. Sul coraggio: quanti e quali precetti Pitagora insegnò agli uomini, e quante pratiche e operazioni nobili egli stesso compî, e quali egli fece compiere a coloro che avevano a che fare con lui. 33. Sull’amicizia: quale e di che livello era nello stesso Pitagora, e come egli la estendeva a tutti, e quante specie di amicizia ha stabilito, e quali opere i Pitagorici compivano in accordo con le loro occupa- zioni. 80 GIAMBLICO 34. Σποράδην τινὲς ἀφηγήσεις περὶ ὧν εἶπε καὶ ἔπραξε Πυθαγόρας αὐτὸς ἢ οἱ διαδεξάμενοι αὐτοῦ τὴν φιλοσοφίαν, ὅσαι οὐκ εἴρηνται εἰς τὴν τεταγμένην κατὰ τὰς ἀρετὰς περὶ αὐτοῦ διήγησιν. 35. Τίς ἡ ἐπανάστασις κατὰ τῶν Πυθαγορείων ἐγένετο καὶ ποῦ ὄντος Πυθαγόρου, καὶ διὰ τίνας αἰτίας ἐπέθεντο αὐτοῖς οἱ τυραννι- κοὶ καὶ ἀλιτήριοι ἄνδρες. 36. Περὶ τῆς διαδοχῆς τῆς Πυθαγόρου καὶ τῆς τελευτῆς, καὶ τῶν ἀνδρῶν τὰ ὀνόματα καὶ τῶν γυναικῶν τῶν παραλαβόντων παρ᾽ αὐτοῦ τὴν φιλοσοφίαν. [5] IAMBAIXOY ΧΑΛΚΙΔΕΩΣ ΤΗΣ ΚΟΙΛΗΣ ΣΥΡΙΑΣ ΠΕΡΙ TOY ΠΥΘΑΓΟΡΕΙΟΥ͂ BIOY 1 (1) Ἐπὶ πάσης μὲν φιλοσοφίας ὁρμῇ θεὸν δήπου παρακαλεῖν ἔθος ἅπασι τοῖς γε σώφροσιν, ἐπὶ δὲ τῇ τοῦ θείου Πυθαγόρου δικαίως ἐπωνύμῳ νομιζομένῃ πολὺ δήπου μᾶλλον ἁρμόττει τοῦτο ποιεῖν᾽ ἐκ θεῶν γὰρ αὐτῆς παραδοθείσης τὸ κατ᾽ ἀρχὰς οὐκ ἔνεστιν ἄλλως ἢ διὰ τῶν θεῶν ἀντιλαμβάνεσθαι. πρὸς γὰρ τούτῳ καὶ τὸ κάλλος αὐτῆς καὶ τὸ μέγεθος ὑπεραίρει τὴν ἀνθρωπίνην δύναμιν ὥστε ἐξαίφνης αὐτὴν κατιδεῖν, ἀλλὰ μόνως ἄν τίς του τῶν θεῶν εὐ- μενοῦς ἐξηγουμένου κατὰ βραχὺ προσιὼν ἠρέμα ἂν αὐτῆς παρασπά- σασθαί τι δυνηθείη. διὰ πάντα δὴ οὖν ταῦτα παρα(δ)καλέσαντες τοὺς θεοὺς ἡγεμόνας καὶ ἐπιτρέψαντες αὐτοῖς ἑαυτοὺς καὶ τὸν λό- γον ἑπώμεθα ἧ ἂν ἄγωσιν, οὐδὲν ὑπολογιζόμενοι τὸ πολὺν ἤδη χρό- νον ἠμελῆσθαι τὴν αἵρεσιν ταύτην καὶ τὸ μαθήμασιν ἀπεξενωμέ- νοις καί τισιν ἀπορρήτοις συμβόλοις ἐπικεκρύφθαι ψευδέσι τε καὶ νόθοις πολλοῖς συγγράμμασιν ἐπισκιάζεσθαι ἄλλαις τε πολλαῖς τοιαύταις δυσκολίαις παραποδίζεσθαι. ἐξαρκεῖ γὰρ ἡμῖν ἡ [6] τῶν θεῶν βούλησις, μεθ᾽ ἧς καὶ τὰ τούτων ἔτι ἀπορώτερα δυνατὸν ὑπομένειν. μετὰ δὲ θεοὺς ἡγεμόνα ἑαυτῶν προστησόμεθα τὸν ἀρχηγὸν καὶ πατέρα τῆς θείας φιλοσοφίας, μικρόν γε ἄνωθεν προ- λαβόντες περὶ τοῦ γένους αὐτοῦ καὶ τῆς πατρίδος. VITA DI PITAGORA 81 34. Racconti sparsi sulle cose dette o fatte dallo stesso Pitagora o da coloro che ne hanno ereditato la filosofia, e che non sono state incluse nella descrizione della figura di Pitagora ordinata secondo le <diverse> virtù. 35. Quale fu la sollevazione contro i Pitagorici e dov'era in quel tempo Pitagora, e per quali motivi gli uomini tirannici e scellerati si scagliarono contro di loro. 36. Sulla successione a Pitagora e sulla sua fine: i nomi degli uomi- ni e delle donne che da lui ereditarono la filosofia. Giamblico di Calcide in Celesiria Vita di Pitagora 1 (1) All’avvio di ogni filosofare è costume, io credo — almeno tra i saggi --, invocare un dio, ma nel caso della filosofia, che è chiamata giustamente con lo stesso nome del divino Pitagora, a maggior ragio- ne, io credo, è opportuno farlo, perché, essendo stata questa filosofia insegnata all'origine dagli dèi, non è possibile coglierla altrimenti che con il loro tramite. Un’altra ragione è che sia la bellezza che la gran- dezza di essa superano troppo la capacità umana perché la si possa afferrare d’un sol colpo, ma soltanto chi procede a piccoli passi, sotto la guida di un dio benevolo, può lentamente coglierne qualche bricio- la. (2) Per tutte queste ragioni, dunque, dopo avere invocato gli dèi come nostre guide e avere affidato loro noi stessi e il nostro discorso, seguiamoli ovunque ci guidino, non dando alcuna importanza al fatto che questa scuola già da molto tempo sia rimasta negletta od occulta- ta da strane discipline e da certi simboli segreti, e al fatto che sia stata oscurata da molti scritti falsi e apocrifi, e sia stata, infine, resa di dif- ficile accesso da molte altre difficoltà di tal genere. Per noi è sufficien- te, infatti, la volontà degli dèi, con la quale è possibile sopportare cose ancora più difficili di queste. Ma dopo gli dèi, noi porremo come nostra guida il fondatore e padre della divina filosofia, risalendo ovviamente un po’ più a monte per parlare della sua famiglia e della sua patria. 82 GIAMBLICO 2(3) Λέγεται δὴ οὖν ᾿Αγκαῖον τὸν κατοικήσαντα Σάμην τὴν ἐν τῇ Κεφαληνίᾳ γεγενῆσθαι μὲν ἀπὸ Διός, εἴτε δι᾽ ἀρετὴν εἴτε διὰ ψυχῆς τι μέγεθος ταύτην τὴν φήμην αὐτοῦ ἀπενεγκαμένου, φρονή- σει δὲ καὶ δόξῃ τῶν ἄλλων Κεφαλήνων διαφέρειν. τούτῳ δὲ γενέ- σθαι χρησμὸν παρὰ τῆς Πυθίας συναγαγεῖν ἀποικίαν ἐκ τῆς Κεφαληνίας καὶ ἐκ τῆς ᾿Αρκαδίας καὶ ἐκ τῆς Θετταλίας, καὶ προ- σλαβεῖν ἐποίκους παρά τε τῶν ᾿Αθηναίων καὶ παρὰ τῶν Ἐπιδαυρίων καὶ παρὰ τῶν Χαλκιδέων, καὶ τούτων ἁπάντων ἡγούμενον οἰκίσαι νῆσον τὴν δι᾽ ἀρετὴν τοῦ ἐδάφους καὶ τῆς γῆς Μελάμφυλλον καλουμένην, προσαγορεῦσαί τε τὴν πόλιν Σάμον ἀντὶ (4) τῆς Σάμης τῆς ἐν Κεφαληνίᾳ. τὸν μὲν οὖν χρησμὸν συνέβη γενέσθαι τοιοῦτον’ ᾿Αγκαῖ᾽, εἰναλίαν νῆσον Σάμον ἀντὶ Σάμης σε οἰκίζειν κέλομαι’ Φυλλὶς δ᾽ ὀνομάζεται αὕτη. τοῦ δὲ τὰς ἀποικίας ἐκ τῶν τόπων τῶν προειρημένων συνελθεῖν σημεῖόν ἐστιν οὐ μόνον αἱ τῶν θεῶν τιμαὶ καὶ θυσίαι, διότι μετηγμέναι τυγχάνουσιν ἐκ τῶν τόπων ὅθεν τὰ πλήθη τῶν ἀνδρῶν συνῆλθεν, ἀλλὰ καὶ «τὰ» τῶν συγ- γενειῶν καὶ τῶν μετ᾽ ἀλλήλων συνόδων, ἃς ποιούμενοι οἱ Σάμιοι τυγχάνουσι. φασὶ τοίνυν Μνήμαρχον καὶ Πυθαΐῖδα [7] τοὺς Πυθαγόραν γεννήσαντας ἐκ ταύτης εἶναι τῆς οἰκίας καὶ τῆς συγγε- νείας τῆς ἀπ᾽ ᾿Αγκαίου γεγενημένης τοῦ τὴν (5) ἀποικίαν στείλαν- τος. ταύτης δὲ τῆς εὐγενείας λεγομένης παρὰ τοῖς πολίταις ποιητής τις τῶν παρὰ τοῖς Σαμίοις γεγενημένων ᾿Απόλλωνος αὐτὸν εἶναί φησι λέγων οὕτως: Πυθαγόραν θ᾽, ὃν τίκτε Διὶ φίλῳ ᾿Απόλλωνι Πυθαΐς, ἣ κάλλος πλεῖστον ἔχεν Σαμίων. ὁπόθεν δὲ ὁ λόγος οὗτος ἐπεκράτησεν, ἄξιον διελθεῖν. Μνημάρχῳ τούτῳ τῷ Σαμίῳ κατ᾽ ἐμ- πορίαν ἐν Δελφοῖς γενομένῳ μετὰ τῆς γυναικὸς ἀδήλως ἔτι κυούσης προεῖπεν ἡ Πυθία χρωμένῳ περὶ τοῦ εἰς Συρίαν πλοῦ, τὸν μὲν θυμη- ρέστατον ἔσεσθαι καὶ ἐπικερδῆ, τὴν δὲ γυναῖκα κύειν τε ἤδη καὶ τέξεσθαι παῖδα τῶν πώποτε κάλλει καὶ σοφίᾳ διοίσοντα καὶ τῷ ἀνθρωπίνῳ γένει μέγιστον ὄφελος εἰς (6) σύμπαντα τὸν βίον ἐσόμε- νον. ὁ δὲ Μνήμαρχος συλλογισάμενος ὅτι οὐκ ἂν μὴ πυθομένῳ αὐτῷ ἔχρησέ τι περὶ τέκνου ὁ θεός, εἰ μὴ ἐξαίρετον προτέρημα ἔμελλε VITA DI PITAGORA 83 2 (3) Ebbene, si dice che Anceo, abitante di Same nell’isola di Cefalonia, discendesse da Zeus (aveva meritato questa fama per il suo valore o per una certa grandezza della sua anima) e si distinguesse tra gli altri abitanti di Cefalonia per saggezza e reputazione. Egli ebbe dalla Pizia un oracolo che gli imponeva di radunare una colonia a par-

tire da abitanti di Cefalonia, dell'Arcadia e della Tessaglia, ai quali avrebbe aggiunto abitanti provenienti da Atene, da Epidauro e da Calcide, e di guidare tutti costoro a colonizzare un’isola che per la fer- tilità del suo suolo, <dovuta anche> alla sua posizione geografica, era chiamata Melanfillo, e di dare alla città il nome di Samo, in corrispon- denza con quello di Same di Cefalonia. (4) L'oracolo, dunque, risultò essere di questo tenore: «Io ti esor- to, 0 Anceo, a colonizzare un’isola in mezzo al mare: Samo in luogo di Same; ma Fillide è il suo nome». Che i coloni provenissero dai luo- ghi predetti sono indizi, non solo il fatto che onoravano e sacrificava- no a divinità che risultano trasferiti dai luoghi donde si raccolse la maggior parte di quegli uomini, ma anche le parentele reciproche e le alleanze che i Samii fecero con essi. Ebbene, si dice che Mnemarco e Pitaide, genitori di Pitagora, provenissero dallo stesso casato e paren- tela discendenti da Anceo, che impiantò la colonia. (5) Ma, pur essendo questa la nobile discendenza che si racconta tra i suoi concittadini, uno dei poeti di Samo dice che Pitagora era figlio di Apollo, con queste parole: «E Pitagora, che ad Apollo, amico di Zeus, diede come figlio Pitaide, la più bella tra le donne di Samo». Donde questo racconto abbia ricavato la sua prevalenza sugli altri, è opportuno che venga spiegato. A questo Mnemarco di Samo, che si trovava per motivi di commercio a Delfi assieme alla moglie, la cui gravidanza non era ancora evidente, la Pizia, che egli interrogò a pro- posito di un viaggio in Siria, predisse che il viaggio sarebbe stato molto favorevole e lucroso e che sua moglie era già incinta e avrebbe partorito un bambino, che avrebbe superato in bellezza e sapienza chiunque fosse mai esistito, e sarebbe stato della massima utilità alla vita complessiva del genere umano. (6) Ora, Mnemarco, ragionando sul fatto che il dio non avrebbe emesso, senza essere stato prima interrogato, l'oracolo su suo figlio, se per quest’ultimo non stesse per realizzarsi un privilegio eccezionale 84 GIAMBLICO περὶ αὐτὸν καὶ θεοδώρητον ὡς ἀληθῶς ἔσεσθαι, τότε μὲν εὐθὺς ἀντὶ Παρθενίδος τὴν γυναῖκα Πυθαΐδα μετωνόμασεν ἀπὸ (7) τοῦ γόνου καὶ τῆς προφήτιδος, ἐν δὲ Σιδόνι τῆς Φοινίκης ἀποτεκούσης αὐτῆς τὸν γενόμενον υἱὸν Πυθαγόραν προσηγόρευσεν, ὅτι ἄρα ὑπὸ τοῦ Πυθίου προηγορεύθη αὐτῷ. παραιτητέοι γὰρ ἐνταῦθα Ἐπιμενίδης καὶ Εὔδοξος καὶ Ξενοκράτης, ὑπονοοῦντες τῇ Παρθενίδι τότε μιγῆναι τὸν ᾿Απόλλωνα καὶ κύουσαν αὐτὴν ἐκ μὴ οὕτως ἐχούσης καταστῆσαί τε καὶ προαγγεῖλαι διὰ τῆς προφήτιδος. τοῦτο μὲν οὖν οὐδα(δ)μῶς δεῖ προσίεσθαι. τὸ μέντοι τὴν Πυθαγόρου ψυχὴν ἀπὸ τῆς ᾿Απόλλωνος ἡγεμονίας, εἴτε συνοπαδὸν οὖσαν εἴτε καὶ [8] ἄλλως οἰκειότερον ἔτι πρὸς τὸν θεὸν τοῦτον συντεταγμένην, κατα- πεπέμφθαι εἰς ἀνθρώπους οὐδεὶς ἂν ἀμφισβητήσειε τεκμαιρόμενος αὐτῇ τε τῇ γενέσει ταύτῃ καὶ τῇ σοφίᾳ τῆς ψυχῆς αὐτοῦ τῇ παντο- δαπῇ. καὶ περὶ μὲν τῆς γενέσεως τοσαῦτα. (9) ἐπεὶ δὲ ἀνεκομίσθη εἰς τὴν Σάμον ἀπὸ τῆς Συρίας ὁ Μνήμαρχος μετὰ παμπόλλου κέρδους καὶ βαθείας περιουσίας, ἱερὸν ἐδείματο τῷ ᾿Απόλλωνι, Πυθίου ἐπιγράψας, τόν τε παῖδα ποι- κίλοις παιδεύμασι καὶ ἀξιολογωτάτοις ἐνέτρεφε, νῦν μὲν Κρεοφύλῳ, νῦν δὲ Φερεκύδῃ τῷ Συρίῳ, νῦν δὲ σχεδὸν ἅπασι τοῖς τῶν ἱερῶν προϊσταμένοις παραβάλλων αὐτὸν καὶ ἐγχειρίζων, ὡς ἂν καὶ τὰ θεῖα κατὰ δύναμιν αὐτάρκως ἐκδιδαχθείη. ὃ δὲ ἀνετρέφετο εὐμορφότατός τε τῶν πώποτε ἱστορηθέντων καὶ θεοπρεπέστατος εὐ- τυχηθείς, (10) ἀποθανόντος τε τοῦ πατρὸς σεμνότατος σωφρονέστα- τός τε ηὐξάνετο, κομιδῇ τε νέος ἔτι ὑπάρχων ἐντροπῆς πάσης καὶ αἰδοῦς ἠξιοῦτο ἤδη καὶ ὑπὸ τῶν πρεσβυτάτων, ὀφθείς τε καὶ φθεγ- Ἐάμενος ἐπέστρεφε πάντας, καὶ ᾧτινι οὖν προσβλέψας θαυμαστὸς ἐφαίνετο, ὥστε ὑπὸ τῶν πολλῶν εἰκότως βεβαιοῦσθαι τὸ θεοῦ παῖδα αὐτὸν εἶναι. ὃ δὲ ἐπιρρωννύμενος καὶ ὑπὸ τῶν τοιούτων δοξῶν καὶ ὑπὸ τῆς ἐκ βρέφους παιδείας καὶ ὑπὸ τῆς φυσικῆς θεοειδείας ἔτι μᾶλλον ἑαυτὸν κατέτεινεν ἄξιον τῶν παρόντων προτερημάτων ἀπο- φαίνων, καὶ διεκόσμει θρησκείαις τε καὶ μαθήμασι καὶ διαίταις ἐξαιρέτοις, εὐσταθείᾳ τε ψυχῆς καὶ καταστολῇ σώματος, ὧν τε ἐλά- VITA DI PITAGORA 85 quale autentico dono degli dèi, cambiò subito il nome della moglie da Partenide in Pitaide, in ragione del figlio <che stava per partorire> e <del nome> della profetessa. (7) E quando a Sidone, in Fenicia, sua moglie partorî il bambino, chiamò il figlio Pitagora, in ragione del fatto che gli era stato prean- nunciato dal Pizio. Su questo punto, infatti, occorre non dare retta a Epimenide, a Eudosso e a Senocrate, i quali suppongono che Apollo si sarebbe in quel tempo congiunto con Partenide e questa sarebbe rimasta incinta, mentre prima non lo era, e avrebbe fatto annunciare tutto questo dalla sua sacerdotessa. Cosa che non si deve assoluta- mente ammettere. (8) In verità, che l’anima di Pitagora sia stata inviata agli uomini dal dominio di Apollo, sia che essa si trovasse al seguito di questo dio,! sia che fosse stata altrimenti collocata in una posizione ancora più vicina a quel dio, nessuno potrebbe contestarlo, avendo prova e di una siffatta sua nascita e della multiforme sapienza della sua anima. Tanto basti per quel che concerne la sua origine. (9) Ritornato dalla Siria a Samo, dopo avere fatto moltissimi gua- dagni e avere accumulato grandi ricchezze, Mnemarco fece costruire un tempio che intitolò ad Apollo Pizio, e fece educare il figlio in varie e importantissime discipline, affidandolo ora a Creofilo, ora a Ferecide di Siro, ora a quasi tutti coloro che eccellevano in materia di religione, e lo mise nelle mani di questi perché gli fossero insegnate in maniera soddisfacente, secondo le sue capacità, le cose divine. Egli cresceva ed era, per fortuna, il più bello tra quanti mai fossero stori- camente vissuti, e il più paragonabile a un dio. (10) Dopo la morte del padre egli diventò ancor più venerando e prudente, e pur essendo ancora assolutamente giovane, era già consi- derato degno di ogni stima e rispetto da parte dei più anziani, e tutti quelli che lo guardavano o lo sentivano parlare erano attratti verso di lui, e insomma su chiunque gettasse il suo sguardo, egli appariva meraviglioso, al punto che molti erano sicuri, e giustamente, che egli fosse figlio di un dio. Egli, dal canto suo, rafforzato anche da tali opi- nioni e dall’educazione ricevuta fin da bambino nonché dal suo aspet- to deiforme, ancor più si sforzava di apparire degno dei suoi attuali privilegi, e si fregiava di pratiche religiose e discipline matematiche e di eccellente regime di vita e di un buon equilibrio della sua anima e 86 GIAMBLICO λει ἢ ἔπραττεν εὐδίᾳ καὶ ἀμιμήτῳ τινὶ γαλήνῃ, μήτε ὀργῇ ποτε μήτε γέλωτι μήτε ζήλῳ μήτε φιλονεικίᾳ μήτε ἄλλῃ ταραχῇ ἢ προπετείᾳ ἁλισκόμενος, (11) ὡς δὲ δαίμων τις ἀγαθὸς ἐπιδημῶν τῇ Σάμῳ. διό- περ ἔτι [9] ἐφήβου αὐτοῦ ὄντος πολλὴ δόξα εἴς τε Μίλητον πρὸς Θαλῆν καὶ εἰς Πριήνην πρὸς Βίαντα διεκομίσθη τοὺς σοφοὺς καὶ «εἰς τὰς ἀστυγείτονας πόλεις ἐξεφοίτησε, καὶ τὸν ἐν Σάμῳ κομήτην ἤδη ἐν παροιμίᾳ πολλοὶ πολλαχοῦ τὸν νεανίαν ἐπευφημοῦντες ἐξε- θείαζον καὶ διεθρύλλουν. ὑποφυομένης δὲ ἄρτι τῆς Πολυκράτους τυραννίδος περὶ ὀκτωκαιδέκατον μάλιστα ἔτος γεγονὼς προορώμε- νός τε οἷ χωρήσει καὶ ὡς ἐμπόδιος ἔσται τῇ αὐτοῦ προθέσει καὶ τῇ ἀντὶ πάντων αὐτῷ σπουδαζομένῃ φιλομαθείᾳ, νύκτωρ λαθὼν πάντας μετὰ τοῦ Ἑρμοδάμαντος μὲν τὸ ὄνομα, Κρεοφυλείου δὲ ἐπικαλου- μένου, ὃς ἐλέγετο Κρεοφύλου ἀπόγονος εἶναι, Ὁμήρου ξένου τοῦ ποιητοῦ <, οὗ δὴ δοκεῖ» γενέσθαι φίλος καὶ διδάσκαλος τῶν ἁπάντων, μετὰ τούτου πρὸς τὸν Φερεκύδην διεπόρθμευε καὶ πρὸς ᾿Αναξίμανδρον τὸν dvoi(12)xòv καὶ πρὸς Θαλῆν εἰς Μίλητον, καὶ παραγενόμενος πρὸς ἕκαστον αὐτῶν ἀνὰ μέρος οὕτως ὡμίλησεν, ὥστε πάντας αὐτὸν ἀγαπᾶν καὶ τὴν φύσιν αὐτοῦ θαυμάζειν καὶ ποιεῖσθαι τῶν λόγων κοινωνόν. καὶ δὴ καὶ ὁ Θαλῆς ἄσμενος αὐτὸν προσήκατο, καὶ θαυμάσας τὴν πρὸς τοὺς ἄλλους νέους παραλλαγήν. ὅτι μείζων τε καὶ ὑπερβεβηκυῖα ἦν τὴν προφοιτήσασαν ἤδη δόξαν, μεταδούς τε ὅσων ἠδύνατο μαθημάτων, τὸ γῆράς τε τὸ ἑαυτοῦ αἰτια- σάμενος καὶ τὴν ἑαυτοῦ [10] ἀσθένειαν προετρέψατο εἰς Αἴγυπτον διαπλεῦσαι καὶ τοῖς ἐν Μέμφει καὶ Διοσ«πόλει» μάλιστα συμβα- λεῖν ἱερεῦσι: παρὰ γὰρ ἐκείνων καὶ ἑαυτὸν ἐφωδιάσθαι ταῦτα, δι᾽ ἃ σοφὸς παρὰ τοῖς πολλοῖς νομίζεται. οὐ μὴν τοσούτων γε προτερ- ημάτων οὔτε φυσικῶς οὔτε ὑπ᾽ ἀσκήσεως ἐπιτετευχέναι ἑαυτὸν ἔλεγεν, ὅσων τὸν Πυθαγόραν καθορᾶν. ὥστε ἐκ παντὸς εὐηγγελίζε- το, εἰ τοῖς δηλουμένοις ἱερεῦσι συγγένοιτο, θειότατον αὐτὸν καὶ σοφώτατον ὑπὲρ ἅπαντας ἔσεσθαι ἀνθρώπους. 3 (13) ᾿Ωφεληθεὶς οὖν παρὰ Θάλεω τά τε ἄλλα καὶ χρόνου μάλιστα φείδεσθαι, καὶ χάριν τούτου οἰνοποσίᾳ τε καὶ κρεωφαγίᾳ καὶ ἔτι VITA DI PITAGORA 87 di un controllo del suo corpo, e di una calma e di una serenità inimi- tabili, e non si lasciava mai trascinare né dall’ira, né dal riso, né dalla gelosia, né dalla rivalità, né da nessun altro turbamento o sconsidera- tezza, quasi che un demone buono avesse preso dimora a Samo. (11) Perciò, pur essendo ancora un efebo, la sua grande fama giunse a Mileto e a Priene, <rispettivamente> ai sapienti Talete e Biante, e si propagò nelle città vicine, e molta gente che, in molti luo- ghi, chiamava il giovane, in maniera divenuta ormai proverbiale, “il chiomato di Samo”, lo divinizzava e ne diffondeva la fama. Appena cominciò a crescere la tirannide di Policrate, Pitagora, che poteva avere al massimo diciotto anni, prevedendo dove essa sarebbe arriva- ta e quale ostacolo avrebbe costituito per i suoi propri progetti e per la propria sete di conoscenza, a cui egli teneva sopra ogni cosa, notte- tempo e all’insaputa di tutti, in compagnia di Ermodamante (era que- sto il suo nome, ma veniva soprannominato Creofileo, perché si dice- va che fosse discendente di Creofilo, l’ospite del poeta Omero, di cui sembra fosse divenuto amico e maestro in tutto), andò a visitare, insieme con lui, Ferecide e Anassimandro, il filosofo della natura, e Talete, a Mileto. (12) Incontrando ciascuno di essi, uno alla volta, li frequentò cosi bene che tutti lo amarono e furono sorpresi delle sue doti naturali e lo resero partecipe dei loro insegnamenti. E in particolare fu Talete che lo accolse con gioia e, sorpreso del fatto di trovarlo tanto diffe- rente rispetto a tutti gli altri giovani, perché tale differenza era supe- riore e al di là della fama che lo aveva preceduto, gli insegnò tutte le discipline matematiche che poteva, e a motivo della sua propria vec- chiezza e debolezza, lo esortò a recarsi via mare in Egitto e a metter- si soprattutto in contatto con i sacerdoti di Menfi e di Diospoli, per- ché da quelli, egli diceva, anche lui aveva attinto quelle cose per le quali si era guadagnato presso la gente il nome di sapiente. Nondimeno, diceva Talete, egli stesso non possedeva, né per natura né per esercizio, tante doti privilegiate quante ne vedeva in Pitagora: sicché da tutto questo egli poteva preconizzare che, se si fosse unito a quei sacerdoti, Pitagora sarebbe diventato il più divino e il più sapien- te tra tutti gli uomini. 3 (13) Da Talete, tra l’altro, fu aiutato a economizzare al massimo il suo tempo, e avendo rinunciato, grazie a ciò [sc. al suo risparmio di 88 GIAMBLICO πρότερον πολυφαγίᾳ ἀποταξάμενος, τῇ δὲ τῶν λεπτῶν καὶ evava- δότων ἐδωδῇ συμμετρηθείς, κἀκ τούτου ὀλιγοῦὔπνίαν καὶ ἐπεγρίαν καὶ ψυχῆς καθαρότητα κτησάμενος ὑγείαν τε ἀκριβεστάτην καὶ ἀπαρέγκλιτον τοῦ σώματος, ἐξέπλευσεν εἰς τὴν Σιδόνα, φύσει τε αὑτοῦ πατρίδα πεπυσμένος εἶναι καὶ καλῶς οἰόμενος ἐκεῖθεν αὑτῷ (14) ῥᾷονα τὴν εἰς Αἴγυπτον ἔσεσθαι διάβασιν. ἐνταῦθα δὴ συμ- βαλὼν τοῖς τε Μώχου τοῦ φυσιολόγου προφήτου ἀπογόνοις καὶ τοῖς ἄλλοις Φοινικικοῖς ἱεροφάνταις, καὶ πάσας [11] τελεσθεὶς θείας τελετὰς ἔν τε Βύβλῳ καὶ Τύρῳ καὶ κατὰ πολλὰ τῆς Συρίας μέρη ἐξαιρέτως ἱερουργουμένας, καὶ οὐχὶ δεισιδαιμονίας ἕνεκα τὸ τοιοῦτον ὑπομείνας, ὡς ἄν τις ἁπλῶς ὑπολάβοι, πολὺ δὲ μᾶλλον ἔρωτι καὶ ὀρέξει θεωρίας καὶ εὐλαβείᾳ τοῦ μή τι αὐτὸν τῶν ἀξιο- μαθήτων διαλάθῃ ἐν θεῶν ἀπορρήτοις ἢ τελεταῖς φυλαττόμενον, προσμαθών τε ὅτι ἄποικα τρόπον τινὰ καὶ ἀπόγονα τῶν ἐν Αἰγύπτῳ ἱερῶν τὰ αὐτόθι ὑπάρχει, ἐκ τούτου τε ἐλπίσας καλλιόνων καὶ θειοτέρων καὶ ἀκραιφνῶν μεθέξειν μυημάτων ἐν τῇ Αἰγύπτῳ, ἀγα- σθεὶς κατὰ τὰς Θάλξω τοῦ διδασκάλου ὑποθήκας διεπορθμεύθη ἀμελλητὶ ὑπό τινων Αἰγυπτίων πορθμέων καιριώτατα προσορμι- σάντων τοῖς ὑπὸ Κάρμηλον τὸ Φοινικικὸν ὄρος αἰγιαλοῖς, ἔνθα ἐμό- vate τὰ πολλὰ ὁ Πυθαγόρας κατὰ τὸ ἱερόν᾽ οἵπερ ἄσμενοι ἐδέξαν- το αὐτόν, τήν τε ὥραν αὐτοῦ κερδῆσαι καί, εἰ ἀποδοῖντο, τὴν πολυ(] 5)τιμίαν προϊδόμενοι. ἔπειτα μέντοι κατὰ τὸν πλοῦν ἐγ- κρατῶς αὐτοῦ τε καὶ σεμνῶς ἀκολούθως τε τῇ συντρόφῳ ἐπιτηδεύ-

σει διάγοντος ἄμεινον περὶ αὐτοῦ διατεθέντες καὶ μεῖζόν τι ἢ κατὰ τὴν ἀνθρωπίνην φύσιν ἐνιδόντες τῇ τοῦ παιδὸς εὐκοσμίᾳ, ἀναμ- νησθέντες τε ὡς προσορμίσασιν εὐθὺς αὐτοῖς ὦφθη κατιὼν ἀπ’ ἄκρου τοῦ Καρμήλου λόφου (ἱερώτατον δὲ τῶν ἄλλων ὀρῶν ἠπίσταν- το αὐτὸ καὶ πολλοῖς ἄβατον), σχολαίως τε καὶ ἀνεπιστρεπτὶ βαίνων, οὔτε κρημνώδους τινὸς οὔτε δυσβάτου πέτρας ἐνισταμένης, καὶ ἐπι- στὰς τῷ σκάφει μόνον τε ἐπιφθεγξάμενος «εἰς Αἴγυπτον ὁ ἀπό- VITA DI PITAGORA 89 tempo], a bere vino e a mangiare carne e, ancora prima, a fare pasti abbondanti, limitandosi, al contrario, a nutrirsi di cibi leggeri e ben digeribili, e ottenendo, grazie a tale regime, di potere dormire poco, e di avere un'anima vigile e pura e una salute del corpo perfetta e costante, si recò via mare a Sidone, sia perché aveva appreso che quel- la città era la sua patria naturale, sia perché credeva, giustamente, che da lî gli sarebbe stato più facile passare in Egitto. (14) Avendo incontrato a Sidone i discendenti di Moco, il profeta e filosofo della natura, e gli altri ierofanti fenici, ed essendosi fatto ini- ziare ai misteri divini che esercitavano prevalentemente i sacerdoti di Biblo e di Tiro e di molte parti della Siria, Pitagora si sottopose a tutto ciò non già per superstizione, come si potrebbe supporre per superfi- cialità, ma piuttosto per amore e desiderio di contemplazione e per timore che non restasse nascosto qualcosa di ciò che era degno di essere appreso, in quanto custodito nei segreti degli dèi o nelle inizia- zioni, e poiché egli aveva appreso in precedenza che le cose sacre che esistevano in quei luoghi [sc. in Siria] erano in qualche modo di fon- dazione e filiazione egiziana, e sperando per questo di partecipare in Egitto alle migliori e più divine e più genuine iniziazioni, allora, pieno di ammirazione <per tali cose>, seguendo i suggerimenti del maestro Talete, si fece trasportare senza indugio <verso l’Egitto> da alcuni marinai egiziani, che erano, molto opportunamente, approdati sulla costa sotto il monte Carmelo, in Fenicia, dove Pitagora soggiornava spesso in solitudine nel tempio. Quelli lo accolsero con gioia, perché prevedevano di potere trarre profitto dalla sua giovane età, e di pote- re guadagnare molto da un'eventuale sua vendita. (15) In seguito, tuttavia, poiché durante la navigazione Pitagora si comportava in modo controllato e dignitoso, e cioè secondo la sua innata attitudine, essi divennero meglio disposti nei suoi confronti e intravidero nella compostezza del giovane qualcosa di superiore alla natura umana, e si ricordarono che quando lo videro, appena sbarca- ti, scendere dall’alto del monte Carmelo (essi sapevano che questo era il più santo fra tutti i monti e il più inaccessibile alla maggior parte degli uomini) egli procedeva lentamente e senza voltarsi, e senza che alcun dirupo o roccia difficilmente sormontabile gli ostacolasse il passo, e, avvicinatosi alla nave, chiese semplicemente: “Si va in Egitto?” e che una volta che avevano risposto di sî, egli salî a bordo e 90 GIAMBLICO πλους;» κατανευσάντων αὐτῶν ἐνέβη Kai σιωπῇ ἐκάθισεν ἔνθα μάλιστα οὐκ ἔμελλεν αὐτοῖς ἐμπόδιος ἔσεσθαι [12] (16) νανυτιλλο- μένοις, παρ᾽ ὅλον «τε» τὸν πλοῦν ἐφ᾽ ἑνός τε καὶ τοῦ αὐτοῦ σχήμα- τος διέμεινε δύο νύκτας καὶ τρεῖς ἡμέρας μήτε τροφῆς μήτε ποτοῦ μετασχὼν μήτε ὕπνου, ὅτι εἰ μὴ λαθὼν ἅπαντας ὡς εἶχεν ἐν τῇ ἑδραίᾳ καὶ ἀσαλεύτῳ ἐπιμονῇ κατέδαρθε βραχύ, καὶ ταῦτα διηνε- κοῦς καὶ σεσυρμένου παρὰ προσδοκίαν εὐθυτενοῦς τε συμβάντος αὐτοῖς τοῦ πλοῦ ὡς ἄν τινος παρουσίᾳ θεοῦ“ πάντα συντιθέντες τὰ τοιάδε καὶ ἐπισυλλογιζόμενοι δαίμονα ϑεῖον ὡς ἀληθῶς ἐπεί- σθησαν σὺν αὐτοῖς ἀπὸ Συρίας εἰς Αἴγυπτον μετιέναι, καὶ τόν τε πρόσλοιπον εὐφημότατα πλοῦν διεξήνυσαν καὶ σεμνοτέροις ἤπερ εἰώθεσαν ὀνόμασί τε καὶ πράγμασιν ἐχρήσαντο πρός τε ἀλλήλους καὶ πρὸς αὐτὸν μέχρι τῆς εὐτυχεστάτης συμβάσης αὐτοῖς καὶ ἀκυ- μάντου παρ᾽ ὅλον (17) εἰς τὴν Αἰγυπτίαν ἠόνα τοῦ σκάφους προ- σοχῆς. ἔνθα δὴ ἐκβαίνοντα ὑπερείσαντες σεβαστικῶς ἅπαντες καὶ διαδεξάμενοι ἐκάθισαν ἐπὶ καθαρωτάτης ἄμμου, καὶ αὐτοσχέδιόν τινα βωμὸν πρὸ αὐτοῦ πλάσαντες ἐπινήσαντές τε ὅσων εἶχον ἀκρο- δρύων οἷον ἀπαρχάς τινας κατατιθέμενοι τοῦ φόρτου μεθώρμισαν τὸ σκάφος, ὅπουπερ καὶ προέκειτο αὐτοῖς ὁ πλοῦς. ὃ δὲ διὰ τὴν τοσήνδε ἀσιτίαν ἀτονώτερον τὸ σῶμα ἔχων οὔτε πρὸς τὸν ἀποβιβα- σμὸν καὶ τὴν τῶν ναυτῶν ὑπέρεισιν καὶ χειραγωγίαν ἠναντιώθη τότε οὔτε ἀπαλλαγέντων ἀπέσχετο ἐπὶ πολὺ τῶν παρακειμένων ἀκροδρύων, ἀλλὰ ἐφαψάμενος χρησίμως αὐτῶν καὶ ὑποθρέψας τὴν δύναμιν εἰς τὰς ἐγγὺς διέσωσε συνοικίας, τὸ αὐτὸ ἦθος ἐν παντὶ ἀτάραχον καὶ ἐπιεικὲς διαφυλάττων. 4 (18) Ἐκεϊῖθέν τε εἰς πάντα ἐφοίτησεν ἱερὰ μετὰ πλείστης σπουδῆς καὶ ἀκριβοῦς ἐξετάσεως, θαυμαζόμενός τε καὶ [13] στεργόμενος ὑπὸ τῶν συγγινομένων ἱερέων καὶ προφητῶν καὶ ἐκδιδασκόμενος ἐπιμελέστατα περὶ ἑκάστου, οὐ παραλείπων οὔτε ἄκουσμα τῶν καθ᾽ ἑαυτὸν ἐπαινουμένων οὔτε ἄνδρα τῶν ἐπὶ συνέσει γνωριζομένων VITA DI PITAGORA 91 in silenzio sedette nel punto della nave dove non sarebbe stato affat- to di impaccio durante la navigazione. (16) Per tutta la durata della navigazione egli rimase in una sola e medesima posizione per due notti e tre giorni, senza prendere né cibo né bevanda né sonno, a meno che, all’insaputa di tutti, non si mettes- se a sonnecchiare per breve tempo, seduto e immobile nella medesi- ma posizione in cui si trovava, e questo mentre la loro traversata, ina- spettatamente, filava senza interruzioni, facile e diritta, come se fosse presente un dio: sommando tutti questi avvenimenti, i marinai, ragio- nandoci sopra, si convinsero che realmente un demone divino viag- giasse con loro dalla Siria verso l'Egitto, e cosi essi compirono il resto della traversata in assoluto silenzio e adoperarono, sia tra loro che nei confronti di Pitagora, parole e gesti più solenni del solito, fino a quan- do non approdarono, felicissimamente e in perfetta calma, sulla costa d'Egitto. (17) Li, una volta sbarcato, tutti i marinai, sollevandolo con reli- giosa attenzione e passandoselo l’uno con l’altro, fecero sedere Pitagora nel punto dove la sabbia era più pulita, e dopo avere costrui- to davanti a lui un altare improvvisato, mettendovi sopra quanti più frutti potevano, come se dovessero offrire delle primizie al loro cari- co [sc. a colui che avevano trasportato come un dio), risalirono sulla nave per concludere la loro navigazione là dove avevano previsto. Dal canto suo Pitagora, che aveva il corpo piuttosto indebolito dalla lunga mancanza di nutrimento, né si era opposto prima a sbarcare e ad esse- re sollevato e passato da una mano all'altra, né si astenne a lungo, dopo la partenza di quelli, dalla frutta da cui era circondato, anzi ne mangiò a sufficienza e, dopo avere ripreso le sue forze, si diresse verso le abitazioni che stavano li vicino, conservando sempre lo stesso carat- tere imperturbabile e onesto. 4 (18) Da li egli parti per visitare tutti i templi con la massima attenzione e con accurato spirito di osservazione, e suscitando ammi- razione e affetto nei sacerdoti e nei profeti che andava incontrando, e facendosi istruire con la massima sollecitudine su ogni cosa, non tra- scurando né alcuno degli insegnamenti di coloro che al suo tempo godevano di rinomanza, né alcuno degli uomini che erano noti per la loro perspicacia, né alcuna iniziazione, ovunque fosse celebrata, né 92 GIAMBLICO οὔτε τελετὴν τῶν ὅπου δήποτε τιμωμένων οὔτε τόπον ἀθεώρητον, εἰς ὃν ἀφικόμενος φήθη τι περιττότερον εὑρήσειν. ὅθεν πρὸς ἅπαντας τοὺς ἱερέας ἀπεδήμησεν, ὠφελούμενος παρ᾽ ἑκά(θ)στῳ ὅσα ἦν σοφὸς ἕκαστος. δύο δὴ καὶ εἵκοσιν ἔτη κατὰ τὴν Αἴγυπτον ἐν τοῖς ἀδύτοις διετέλεσεν ἀστρονομῶν τε καὶ γεωμετρῶν καὶ μυούμενος, οὐκ ἐξ ἐπιδρομῆς οὐδ᾽ ὡς ἔτυχε, πάσας θεῶν τελετάς, ἕως ὑπὸ τῶν σὺν Καμβύσῃ αἰχμαλωτισθεὶς εἰς Βαβυλῶνα ἀνήχθη: κἀκεῖ τοῖς μά- γοις ἀσμένοις ἄσμενος συνδιατρίψας καὶ ἐκπαιδευθεὶς τὰ παρ᾽ aù- τοῖς σεμνὰ καὶ θεῶν θρησκείαν ἐντελεστάτην ἐκμαθών, ἀριθμῶν τε καὶ μουσικῆς καὶ τῶν ἄλλων μαθημάτων ἐπ᾽ ἄκρον ἐλθὼν παρ᾽ aù- τοῖς, ἀλλα τε δώδεκα προσδιατρίψας ἔτη, εἰς Σάμον ὑπέστρεψε περὶ ἕκτον που καὶ πεντηκοστὸν ἔτος ἤδη γεγονώς. 5 (20) ᾿Αναγνωρισθεὶς δὲ ὑπό τινων πρεσβυτέρων καὶ οὐκ ἔλαττον ἢ πρόσθεν θαυμασθείς (καλλίων τε γὰρ καὶ σοφώτερος καὶ θεοπρε- πέστερος αὐτοῖς ἐφάνη), παρακαλούσης αὐτὸν δημοσίᾳ τῆς πατρί- δος ὠφελεῖν ἅπαντας καὶ μεταδιδόναι τῶν ἐνθυμίων, οὐκ ἀντι- τείνων τὸν τῆς διδασκαλίας τρόπον συμβολικὸν ποιεῖν ἐπεχείρει καὶ πάντῃ ὅμοιον τοῖς ἐν [14] Αἰγύπτῳ διδάγμασι, καθ᾽ ἃ ἐπαι- δεύθη, εἰ καὶ μὴ σφόδρα προδίεντο τὸν τοιοῦτον τρόπον οἱ Σάμιοι μηδὲ ἁρμονίως (21) καὶ ὡς ἐχρῆν προσεφύησαν αὐτῷ. μηδενὸς οὖν αὐτῷ προστρέχοντος μηδὲ γνησίως ὀρεγομένου τῶν μαθημάτων, ἃ τοῖς Ἕλλησιν ἐνοικίζειν παντὶ τρόπῳ ἐπειρᾶτο, μὴ περιφρονῶν μηδὲ ὀλιγωρῶν τῆς Σάμου διὰ τὸ πατρίδα εἶναι, γεῦσαί τε πάντως βουλόμενος τῆς τῶν μαθημάτων καλλονῆς τοὺς πατριώτας, εἰ καὶ μὴ ἑκόντας, ἀλλ᾽ οὖν ἐπινοίᾳ καὶ μεθόδῳ, παρατηρήσας εὐφυῶς τινα καὶ εὐκινήτως ἐν τῷ γυμνασίῳ σφαιρίζοντα τῶν φιλογυμναστούντων μὲν καὶ σωμασκούντων, πενήτων δ᾽ ἄλλως καὶ ἀπορωτέρων, λογισά- μενος ὅτι εὐπειθῆ ἕξει, εἰ τὰ ἐπιτήδεια ἔκπλεά τις αὐτῷ ἀμεριμ- νοῦντι παρέχοι, προσκαλεσάμενος μετὰ τὸ λουτρὸν τὸν νεανίαν VITA DI PITAGORA 93 alcun luogo che egli non conoscesse, dove, una volta pervenuto, cre- deva di potere scoprire qualcosa di straordinario. Perciò egli si recò presso tutti i sacerdoti, per trarre profitto da tutto ciò che costituiva la sapienza di ciascuno di essi. (19) Trascorse cosi ventidue anni nei santuari egiziani, studiando astronomia e matematica, e facendosi iniziare, non superficialmente né come capitava, a tutti i misteri divini, fino al momento in cui, fatto prigioniero dai soldati di Cambise, fu condotto a Babilonia. E lî, dopo avere frequentato, con gioia ricambiata, i Magi, e dopo essere stato da loro istruito nelle sacre dottrine, e dopo avere appreso il perfettissimo culto degli dèi, giunse presso di loro al più alto livello della conoscen- za dell’aritmetica e della musica e delle altre scienze matematiche; ma dopo avere li soggiornato per dodici anni, ritornò a Samo all’età di circa cinquantasei anni. 5 (20) Riconosciuto da alcuni anziani e ammirato non meno di prima (infatti si rivelò ai loro occhi ancora più bello e più sapiente e più simile a un dio), poiché la sua patria lo supplicava ufficialmente di rendersi utile per tutta quanta la comunità, facendola partecipare alle sue idee, Pitagora, senza opporre resistenza, intraprese il suo inse- gnamento che era di tipo simbolico e assolutamente simile a quegli insegnamenti egiziani in cui egli era stato educato, anche se i Samii non erano entusiasti di quel tipo di insegnamento e <quindi> non vi aderirono cosi com’era conveniente e necessario, (21) Ebbene, anche se nessuno lo frequentava né desiderava autenticamente quelle discipline matematiche che egli si sforzava in tutti i modi di fare attecchire tra i Greci, Pitagora non disprezzò né tenne in scarsa considerazione Samo per il fatto che era la sua patria, e perché voleva assolutamente che i suoi concittadini gustassero la bellezza di quelle stesse discipline, se non volontariamente, almeno per mezzo di un ingegnoso stratagemma. E cosî, avendo osservato, tra coloro che frequentavano il ginnasio e si esercitavano in esercizi fisi- ci, pur essendo peraltro poveri e bisognosi, un giovane che giocava a palla con innata grazia nei movimenti, pensò che lo avrebbe potuto avere come docile scolaro, se qualcuno gli avesse fornito pieni mezzi di sussistenza in modo da farlo uscire dai suoi stenti. E cosî, avendo fatto chiamare il giovane, dopo il bagno, gli promise che gli avrebbe 94 GIAMBLICO ἐπηγγείλατο αὐτάρκη αὐτῷ ἐφόδια εἰς τὴν τῆς σωμασκίας ὑποτροφὴν καὶ ἐπιμέλειαν διηνεκῶς παρέξειν, εἰ διαδέξαιτο αὐτοῦ κατὰ βραχὺ τε καὶ ἀπόνως ἐνδελεχῶς τε, ὥστε μὴ ἀθρόως φορτισθῆναι, μαθήματά τινα, ἃ παρὰ βαρβάρων μὲν ἐξέμαθεν αὐτὸς γέος ὦν, ἀπολείπει δ᾽ αὐτὸν ταῦτα ἤδη διὰ τὸ γῆρας καὶ τὴν τούτου ἀμνημοσύνην. (22) ὑποσχομένου δὲ τοῦ νεανίου καὶ τῇ τῶν ἐπι- τηδείων ἐλπίδι ὑπομείναντος τὴν δι᾽ ἀριθμῶν μάθησιν καὶ γεωμε- τρίας ἐνάγειν αὐτῷ ἐπειρᾶτο, ἐπ᾽ ἄβακος τὰς ἑκάστου ἀποδείξεις ποιούμενος, καὶ διδάσκων παντὸς σχήματος, ὅ ἐστι διαγράμματος, μισθὸν καὶ ἀντίπονον παρεῖχε τῷ νεανίᾳ τριώβολον. καὶ τοῦτο μέ- χρι πολλοῦ χρόνου διετέλεσε ποιῶν, φιλοτιμότατα μὲν καὶ σπού- δαίως τάξει τε βελτίστῃ ἐμβιβάζων εἰς τὴν θεωρίαν, καθ᾽ ἑκάστου δὲ σχήματος παρά(23)ληψιν τριώβολον ἐπιδιδούς. ἐπεὶ δὲ ὁ veavi- ας ὁδῷ τινι ἐμμελεῖ ἀγόμενος τῆς ἐκπρεπείας ἤδη ἀντελαμβάνετο καὶ [15] τῆς ἡδονῆς καὶ ἀκολουθίας τῆς ἐν τοῖς μαθήμασι, συνιδὼν τὸ γινόμενον ὁ σοφὸς καὶ ὅτι οὐκ ἂν ἑκὼν ἔτι ἀποσταίη οὐδὲ ἀπό- σχοιτο τῆς μαθήσεως, οὐδ᾽ εἰ πάντα πάθοι, πενίαν (24) ὑπετιμήσατο καὶ ἀπορίαν τῶν τριωβόλων. ἐκείνου δὲ εἰπόντος «ἀλλὰ καὶ χωρὶς τούτων οἷός τέ εἰμι μανθάνειν καὶ διαδέχεσθαί σου τὰ μαθήματα», ἐπήνεγκεν «ἀλλ᾽ οὐδ᾽ αὐτὸς τὰ πρὸς τροφὴν ἐπιτήδεια ἔχω ἔτι οὐδ᾽ εἰς ἐμαυτόν: δέον οὖν σχολάζειν εἰς πορισμὸν τῶν καθ᾽ ἡμέραν ἀναγκαίων καὶ τῆς ἐφημέρου τροφῆς οὐ καλῶς ἔχει ἄβακι καὶ ἀνο- νήτοις ματαιοπονήμασιν ἑαυτὸν ἀντιπερισπᾶν». ὥστε τὸν νεανίαν δυσαποσπάστως τοῦ συνείρειν τὴν θεωρίαν ἔχοντα «καὶ ταῦτ᾽» εἰ- πεῖν «ἐγώ σοι λοιπὸν ποριῶ καὶ ἀντιπελαργήσω τρόπον τινά“ κατὰ γὰρ ἕκαστον σχῆμα τριώβολον (25) καὐτός σοι ἀντιπαρέξω». καὶ τὸ ἀπὸ τοῦδε οὕτως ἑάλω ὑπὸ τῶν μαθημάτων, ὥστε μόνος Σαμίων συναπῆρε Πυθαγόρᾳ, ὁμώνυμος μὲν dv αὐτῷ, Ἐρατοκλέους δὲ υἱός. τούτου δὴ καὶ τὰ ἀλειπτικὰ συγγράμματα φέρεται καὶ ἡ ἀντὶ VITA DI PITAGORA 95 procurato i mezzi sufficienti per nutrirsi e continuare ad esercitarsi fisicamente, a condizione che si lasciasse istruire un po’ alla volta e senza fatica, ma con assiduità, sf da non appesantirsi tutto d’un colpo, in alcune discipline matematiche che egli stesso, da giovane, aveva appreso dai barbari, e che adesso andava perdendo a causa della vec- chiaia e della conseguente mancanza di memoria. (22) Dopo che il giovane promise di sobbarcarsi <a ciò che gli veniva chiesto>, anche nella speranza di ottenere i mezzi di sussisten- za <promessi>, Pitagora cercò di introdurlo nello studio dell’aritme- tica e della geometria, facendo su un abaco le dimostrazioni su ogni argomento di aritmetica, e dandogli un triobolo, a mo’ di salario e compenso per la fatica, per ogni figura, cioè per ogni diagramma,? che gli insegnava. E continuò a fare ciò per lungo tempo, con molta gene- rosità e impegno, e introducendolo secondo l'ordine più appropriato alla scienza matematica, dandogli un triobolo per ogni figura numeri- ca} che apprendeva. (23) E dopo che il giovane, condotto su una strada ben ordinata, aveva già percepito l'eccellenza e la piacevolezza e la consequenziali- tà delle matematiche, il sapiente, vedendo ciò che accadeva, e che il giovane non si sarebbe più, di sua volontà, allontanato né avrebbe rinunciato ad apprendere, a costo di ogni patimento, invocò la sua povertà e mancanza di trioboli. (24) Ma quello disse: “Ma anche senza trioboli sono capace di apprendere e di ricevere da te l’insegnamento delle matematiche”. E Pitagora di rimando: “Ma io, neppure per me, ho più di che vivere: occorre dunque che io mi dia da fare per procurarmi il necessario quotidiano e il nutrimento di ogni giorno, e non è

giusto distrarsi con  l’abaco e con fatiche vane e senza profitto”. A questo punto il giova-  ne, a cui veniva duro separarsi da quello studio, disse: “Sarò io stesso  a procurarti d’ora in poi queste cose e a comportarmi in qualche  modo come la cicogna con i suoi genitori, perché sarò io a compen-  sarti con un triobolo per ogni figura”.  (25) E da quel momento fu cosî preso dalle matematiche che  assieme a Pitagora abbandonò, unico tra i Samii, la sua patria; egli  portava lo stesso suo nome, ma era figlio di Eratocle. Di lui ci sono  pervenuti gli scritti Sugli istruttori di ginnastica nonché la Prescrizione  sull’alimentazione, indirizzata agli atleti di allora, intesa a far sostitui-  96 GIAMBLICO  ἰσχάδων τοῖς τότε ἀθληταῖς κρεώδους τροφῆς διάταξις, οὐ καλῶς εἰς  Πυθαγόραν τὸν Μνημάρχου τούτων ἀναφερομένων.  λέγεται δὲ περὶ τὸν αὐτὸν χρόνον θαυμασθῆναι αὐτὸν περὶ τὴν  Δῆλον, προσελθόντα αὐτὸν πρὸς τὸν ἀναίμακτον λεγόμενον καὶ τοῦ  Γενέτορος ᾿Απόλλωνος βωμὸν καὶ τοῦτον θεραπεύσαντα. ὅθεν εἰς  ἅπαντα τὰ μαντεῖα παρέβαλε. καὶ ἐν Κρήτῃ δὲ καὶ ἐν Σπάρτῃ τῶν  νόμων ἕνεκα διέτριψε. καὶ τούτων ἁπάντων ἀκροατής τε καὶ  μαθητὴς γενόμενος, εἰς οἶκον ἐπανελθὼν ὥρμησεν ἐπὶ τὴν τῶν  παραλελειμμέ[16](Δ)νων ζήτησιν. καὶ πρῶτον μὲν διατριβὴν ἐν τῇ  πόλεικατεσκεύασε τὸ Πυθαγόρου καλούμενον ἔτι καὶ νῦν  ἡμικύκλιον, ἐν ᾧ νῦν Σάμιοι περὶ τῶν κοινῶν βουλεύονται, νομίζον-  τες δεῖν περὶ τῶν καλῶν καὶ τῶν δικαίων καὶ τῶν συμφερόντων ἐν  τούτῳ τῷ τόπῳ ποιεῖσθαι τὴν ζήτησιν, ὃν κατεσκεύασεν ὁ πάντων  τούτων ποιησάμενος τὴν ἐπι(27)μέλειαν. ἔξω τε τῆς πόλεως οἰκεῖον  τῆς αὑτοῦ φιλοσοφίας ἄντρον ποιησάμενος, ἐν τούτῳ τὰ πολλὰ τῆς  νυκτὸς καὶ τῆς ἡμέρας διέτριβε καὶ τὴν ζήτησιν ἐποιεῖτο τῶν ἐν τοῖς  μαθήμασι χρησίμων, τὸν αὐτὸν τρόπον Μίνῳ τῷ τοῦ Διὸς υἱῷ δια-  νοηθείς. καὶ τοσοῦτον διήνεγκε τῶν ὕστερον τοῖς ἐκείνου μαθήμα-  σι χρησαμένων, ὥστε ἐκεῖνοι μὲν ἐπὶ σμικροῖς θεωρήμασι μέγιστον  ἐφρόνησαν, Πυθαγόρας δὲ συνετέλεσε τὴν περὶ τῶν οὐρανίων  ἐπιστήμην καὶ ταῖς ἀποδείξεσιν αὐτὴν ὅλαις ταῖς ἀριθμητικαῖς καὶ  ταὶς γεωμετρικαῖς διέλαβεν.  6 (28) Οὐ μὴν ἀλλὰ καὶ διὰ τῶν ὕστερον ὑπ᾽ αὐτοῦ πραχθέντων ἔτι  μᾶλλον αὐτὸν θαυμαστέον. ἤδη γὰρ μεγάλην ἐπίδοσιν τῆς φιλοσοφί-  ας. ἐχούσης καὶ τῆς Ἑλλάδος ἁπάσης θαυμάζειν αὐτὸν προαιρου-  μένης καὶ τῶν ἀρίστων καὶ τῶν φιλοσοφωτάτων εἰς τὴν Σάμον δι᾽  ἐκεῖνον παραγεγονότων καὶ βουλομένων κοινωνεῖν τῆς παρ᾽ ἐκεί-  νου παιδείας, ὑπὸ τῶν αὑτοῦ πολιτῶν εἰς τὰς πρεσβείας πάσας  ἑλκόμενος καὶ μετέχειν ἀναγκαζόμενος τῶν αὐτῶν λειτουργιῶν,  καὶ συνιδὼν ὅτι τοῖς τῆς πατρίδὸς νόμοις πειθόμενον χαλεπὸν αὖ-  τοῦ μένοντα φιλοσοφεῖν, καὶ διότι πάντες οἱ πρότερον [17] φιλοσο-  φήσαντες ἐπὶ ξένης τὸν βίον διετέλεσαν, ταῦτα πάντα παρ᾽ αὑτῷ  διανοηθεὶς καὶ φεύγων τὰς πολιτικὰς ἀσχολίας, ὡς δ᾽ ἔνιοι λέγου-  σι, τὴν περὶ παιδείαν ὀλιγωρίαν τῶν τότε τὴν Σάμον οἰκούντων  VITA DI PITAGORA 97  re quella a base di fichi con quella a base di carne, entrambi questi  scritti attribuiti erroneamente a Pitagora figlio di Mnemarco.  Si racconta che, in quella stessa epoca, Pitagora avesse suscitato  ammirazione a Delo, dove aveva visitato e venerato l’altare di Apollo  Genitore detto anche “incruento”.1 Da li egli passò a visitare tutti  quanti i luoghi dell'oracolo <di Apollo>. E soggiornò a Creta e a  Sparta con l’intenzione di conoscerne le leggi. E dopo averle ascolta-  te e imparate, tornato a casa, si dedicò alle ricerche che aveva trala-  sciate.  (26) E innanzitutto fece costruire nella città una scuola che porta  ancora il nome di “emiciclo di Pitagora”, nel quale adesso i Samii  prendono le loro deliberazioni sugli affari pubblici, credendo che  occorra compiere la ricerca del bene e del giusto e del conveniente  proprio in questo luogo che fece costruire colui che aveva meditato  su tutte queste cose.  (27) Fuori città, poi, egli si impadroni di una grotta per esercitar-  vi la sua propria filosofia; in questa grotta trascorreva la maggior  parte della notte e del giorno e compiva le sue ricerche sull’utilità  delle matematiche, seguendo in ciò la medesima intenzione di  Minosse, figlio di Zeus. E superò a tal punto coloro che dopo di lui  utilizzarono i suoi insegnamenti matematici che, mentre quelli si van-  tavano esageratamente delle loro piccole scoperte matematiche,  Pitagora invece perfezionò la scienza dei corpi celesti e la strutturò di  tutte le <necessarie> dimostrazioni aritmetiche e geometriche.  6 (28) Nondimeno Pitagora è ancor più ammirevole per le cose  che fece in seguito. La sua filosofia, infatti, aveva grande diffusione e  l’intera Grecia lo ammirava, e per lui venivano a Samo gli uomini  migliori e i più grandi filosofi, desiderando partecipare alla sua edu-  cazione, e i suoi stessi concittadini lo spingevano a entrare in tutte le  loro ambascerie e lo costringevano a partecipare alle stesse spese pub-  bliche,” ma Pitagora comprendeva bene che, obbedendo alle leggi  patrie, gli era difficile dedicarsi alla filosofia restando in patria, e poi-  ché tutti coloro che avevano filosofato prima di lui erano andati a  vivere all’estero, riflettendo dentro di sé su tutto ciò e cercando di  rifuggire dalle pubbliche occupazioni e, come raccontano alcuni, cer-  cando di evitare lo scarso amore per l’educazione che avevano quelli  98 GIAMBLICO  παραιτούμενος, ἀπῆρεν εἰς τὴν Ἰταλίαν, πατρίδα ἡγησάμενος τὴν  πλειόνων εὖ ἐχόντων πρὸς (29) τὸ μανθάνειν οἰστικῶς ἔχουσαν  χώραν. καὶ ἐν πρώτῃ Κρότωνι ἐπισημοτάτῃ πόλει προτρεψάμενος  πολλοὺς ἔσχε ζηλωτάς, ὥστε [ἱστορεῖται ἑξακοσίους αὐτὸν  ἀνθρώπους ἐσχηκέναι, οὐ μόνον ὑπ᾽ αὐτοῦ κεκινημένους εἰς τὴν  φιλοσοφίαν, ἧς μετεδίδου, ἀλλὰ καὶ τὸ λεγόμενον κοινοβίους, (30)  καθὼς προσέταξε, γενομένους. καὶ οὗτοι μὲν ἦσαν οἱ  φιλοσοφοῦντες, οἱ δὲ πολλοὶ ἀκροαταί, οὺς ἀκουσματικοὺς  καλοῦσιν]! ἐν μιᾷ μόνον ἀκροάσει, ὥς φασιν, ἣν πρωτίστην καὶ πά-  νδημον μόνος ἐπιβὰς τῆς Ἰταλίας ὁ ἄνθρωπος ἐποιήσατο, πλέονες ἢ  δισχίλιοι τοῖς λόγοις ἐνεσχέθησαν, αἱρεθέντες αὐτοὶ κατὰ κράτος  οὕτως, ὥστε οὐκέτι οἴκαδε ἀπέστησαν, ἀλλὰ ὁμοῦ παισὶ καὶ γυναι-  ξὶν ὁμακοεῖόν τι παμμέγεθες ἱδρυσάμενοι καὶ πολίσαντες αὐτοὶ  τὴν πρὸς πάντων ἐπικληθεῖσαν Μεγάλην Ἑλλάδα, νόμους τε παρ᾽  αὐτοῦ δεξάμενοι καὶ προστάγματα ὡσανεὶ θείας ὑποθήκας, ὧν  ἐκτὸς οὐδὲν ἔπραττον, παρέμειναν ὁμονοοῦντες ὅλῳ τῷ τῶν  ὁμιλητῶν ἀθροίσματι, εὐφημούμενοι καὶ παρὰ τῶν πέριξ μακαριζό-  μενοι, τάς τε οὐσίας κοινὰς ἔθεντο, ὡς προελέχθη, [18] καὶ μετὰ  τῶν θεῶν τὸν Πυθαγόραν λοιπὸν κατηρίθμουν ὡς ἀγαθόν τινα δαί-  μονα καὶ φιλανθρωπότατον, οἱ μὲν τὸν Πύθιον, οἱ δὲ τὸν ἐξ Ὑπερ-  βορέων ᾿Απόλλωνα, οἱ δὲ τὸν Παιᾶνα, οἱ δὲ τῶν τὴν σελήνην κατοι-  κούντων δαιμόνων ἕνα, ἄλλοι δὲ ἄλλον τῶν Ὀλυμπίων θεῶν φημί-  ζοντες εἰς ὠφέλειαν καὶ ἐπανόρθωσιν τοῦ θνητοῦ βίου [λέγοντες]  ἐν ἀνθρωπίνῃ μορφῇ φανῆναι τοῖς τότε, ἵνα τὸ τῆς εὐδαιμονίας τε  καὶ φιλοσοφίας σωτήριον ἔναυσμα χαρίσηται τῇ θνητῇ φύσει, οὗ  μεῖζον ἀγαθὸν οὔτε ἦλθεν οὔτε ἥξει ποτὲ δωρηθὲν ἐκ θεῶν [διὰ  τούτου τοῦ Πυθαγόρου]. διόπερ ἔτι καὶ νῦν ἡ παροιμία τὸν ἐκ  Σάμου κομήτην ἐπὶ τῷ σεμνοτάτῳ (31) διακηρύττει. ἱστορεῖ δὲ καὶ  ᾿Αριστοτέλης ἐν τοῖς περὶ τῆς Πυθαγορικῆς φιλοσοφίας διαίρεσίν  τινα τοιάνδε ὑπὸ τῶν ἀνδρῶν ἐν τοῖς πάνυ ἀπορρήτοις διαφυλάττε-  σθαι’ τοῦ λογικοῦ ζῴου τὸ μέν ἐστι θεός, τὸ δὲ ἄνθρωπος, τὸ δὲ οἷον  Πυθαγόρας. καὶ πάνυ εὐλόγως τοιοῦτον αὐτὸν ὑπελάμβανον, δι᾽ ὃν  περὶ θεῶν μὲν καὶ ἡρώων καὶ δαιμόνων καὶ κόσμου, σφαιρῶν τε καὶ  1 Ho tradotto l’intero passaggio interpolato aderendo alla proposta di  Theiler che non ritiene si debba espungere (cf. Add. p. XXXI).  VITA DI PITAGORA 99  che allora abitavano Samo, salpò verso l’Italia, ritenendo che sua  patria sarebbe stata quella regione che avesse il maggior numero di  uomini ben disposti ad apprendere.  (29) E anzitutto Pitagora, nella celeberrima città di Crotone,  indusse molti a divenire suoi seguaci — si racconta che egli in quella  città raccolse ben seicento uomini, che non solo furono da lui spinti a  studiare la filosofia che egli insegnava, ma divennero, secondo i suoi  precetti, per cosi dire dei “cenobiti”:8  (30) ed erano questi i <veri> filosofi, mentre la maggior parte  erano <semplici> uditori, che sono chiamati “acusmatici” — al punto  che, in una sola lezione, la prima in assoluto da lui tenuta in pubbli-  co, appena sbarcò da solo in Italia, come si racconta, più di due mila  persone furono affascinate dai suoi discorsi, e con tanta forza da sce-  gliere di non fare più ritorno a casa loro, ché anzi, assieme a figli e  mogli, stabilirono un immenso “co-uditorio”? e cosi fondarono quel-  la che tutti chiamano la Magna Grecia; essi ricevettero da Pitagora  leggi e comandamenti da valere come “regole divine”, che essi non  trasgredivano per nulla nelle loro azioni, rimanendo in piena concor-  dia con l’intera comunità dei discepoli, onorati e considerati beati  dagli abitanti del luogo, e misero in comune le loro sostanze, come si  è detto prima, e annoveravano inoltre Pitagora tra gli dèi come un  demone buono e filantropo al più alto livello, e lo ritenevano, alcuni  Apollo Pizio, altri Apollo Iperboreo, altri Apollo Peana, altri uno dei  demoni che abitano la luna, altri lo celebravano come questo o quel  dio dell'Olimpo apparso, in forma umana, agli uomini del tempo per  recare utilità e correzione alla vita dei mortali, allo scopo di donare  alla natura mortale la scintilla salvatrice della felicità e della filosofia,  di cui non ci è mai pervenuto, né si avrà mai bene più grande come  dono degli dèi. Di qui il proverbio che ancora oggi si dice a proposi-  to di ciò che è molto venerando: “il Samio dalla folta chioma”.  (31) Anche Aristotele, nel suo scritto Su//z filosofia pitagorica, rac-  conta che i Pitagorici custodivano tra le cose assolutamente segrete la  seguente suddivisione: «del vivente razionale ci sono tre specie: una è  dio, un’altra è l’uomo e una terza è quella a cui appartiene, ad esem-  pio, Pitagora».!° E avevano assolutamente ragione di assumere in tale  suddivisione Pitagora, perché ad opera sua ci è pervenuta e si è stabi-  lita in Grecia, intorno agli dèi e agli eroi e ai demoni e all’universo, al  100 GIAMBLICO  ἀστέρων κινήσεως παντοίας, ἐπιπροσθήσεών τε καὶ ὑπολείψεων  καὶ ἀνωμαλιῶν, ἐκκεν[19]τροτήτων τε καὶ ἐπικύκλων, καὶ τῶν ἐν  κόσμῳ πάντων, οὐρανοῦ καὶ γῆς καὶ τῶν μεταξὺ φύσεων ἐκδήλων τε  καὶ ἀποκρύφων, ὀρθή τις καὶ ἐοικυῖα τοῖς οὖσι παρεισῆλθεν  ἔννοια, μηδενὶ τῶν φαινομένων ἢ δι᾽ ἐπινοίας λαμβανομένων  μηδαμῶς ἀντιπκαίουσα, μαθήματα δὲ καὶ θεωρία καὶ τὰ ἐπιστημονι-  κὰ πάντα, ὅσαπερ ὀμματοποιὰ τῆς ψυχῆς ὡς ἀληθῶς καὶ καθαρτικὰ  τῆς ὑπὸ τῶν ἄλλων ἐπιτηδευμάτων τοῦ νοῦ τυφλώσεως, πρὸς τὸ κατι-  δεῖν δυνηθῆναι τὰς ὄντως τῶν ὅλων ἀρχὰς καὶ αἰτίας ἐνῳκίσθη τοῖς  (32) Ἕλλησι. πολιτεία δὲ ἡ βελτίστη καὶ ὁμοδημία καὶ «κοινὰ τὰ  φίλων» καὶ θρησκεία θεῶν καὶ ὁσιότης πρὸς κατοιχομένους, νομο-  θεσία τε καὶ παιδεία καὶ ἐχεμυθία καὶ φειδὼ τῶν ἄλλων ζῴων καὶ  ἐγκράτεια καὶ σωφροσύνη καὶ ἀγχίνοια καὶ θειότης καὶ τὰ ἄλλα  ἀγαθά, ὡς ἑνὶ ὀνόματι περιλαβεῖν, ταῦτα πάντα τοῖς φιλομαθοῦσιν  ἀξιέραστα καὶ περισπούδαστα δι᾽ αὐτὸν ἐφάνη. εἰκότως δὴ οὖν διὰ πάντα ταῦτα, ὃ δὴ νῦν ἔλεγον, οὕτως ὑπερφυῶς ἐθαύμαζον τὸν Πυθαγόραν. 7 (33) Δεῖ τοίνυν μετὰ τοῦτο εἰπεῖν, πῶς ἐπεδήμησε καὶ τίσι  πρώτοις, τίνας τε λόγους ἐποιήσατο καὶ περὶ τίνων καὶ πρὸς τίνας"  οὕτω γὰρ ἂν γένοιτο εὔληπτα ἡμῖν τὰ τῆς διατριβῆς αὐτοῦ τίνα ἦν  καὶ ὁποῖα ἐν τῷ τότε βίῳ. λέγεται τοίνυν ὡς ἐπιδημήσας Ἰταλίᾳ καὶ  Σικελίᾳ, ἃς κατέλαβε πόλεις δεδουλωμένας ὑπ᾽ ἀλλήλων, τὰς μὲν  πολλῶν ἐτῶν, τὰς δὲ νεωστί, ταύτας φρονήματος ἐλευθερίου  ὑποπλήσας διὰ τῶν ἐφ᾽ ἑκάστης ἀκουστῶν αὐτοῦ ἀνερρύσατο καὶ  ἐλευθέρας ἐποίησε, Κρότωνα καὶ Σύβαριν καὶ Κατάνην καὶ [20]  Ῥήγιον καὶ Ἱμέραν καὶ ᾿Ακράγαντα καὶ Ταυρομένιον καὶ ἄλλας  τινάς, αἷς καὶ νόμους ἔθετο διὰ Χαρώνδα τε τοῦ Καταναίου καὶ  Ζαλεύκου τοῦ Λοκροῦ, δι᾽ ὧν εὐνομώταται καὶ ἀξιοζήλωτοι ταῖς  περιοίκοις μέχρι πολλοῦ διετέλεσαν. (34) ἀνεῖλε δὲ ἄρδην στάσιν  καὶ διχοφωνίαν καὶ ἁπλῶς ἑτεροφροσύνην οὐ μόνον ἀπὸ τῶν  γνωρίμων καὶ τῶν ἀπογόνων δὲ αὐτῶν μέχρι πολλῶν, ὡς ἱστορεῖται,  γενεῶν, ἀλλὰ καὶ καθόλου ἀπὸ τῶν ἐν Ἰταλίᾳ καὶ Σικελίᾳ πόλεων πασῶν κατά τε ἑαυτὰς καὶ πρὸς ἀλλήλας. πυκνὸν γὰρ ἦν αὐτῷ πρὸς VITA DI PITAGORA 101 movimento di ogni specie di sfere e astri (oscuramenti [sc. eclissi],  ritardi e anomalie), di eccentrici e di epicicli, e di tutto ciò che è nel-  l'universo, cielo e terra e tutte le nature che stanno in mezzo, siano  esse visibili o nascoste, una nozione corretta e corrispondente alla  realtà, e che non è affatto in contrasto con nulla che appaia ai sensi o  al pensiero, e ci sono pervenute le matematiche e la scienza specula-  tiva e tutto ciò che c’è di scientifico, cose tutte che danno all’anima gli  occhi per vedere la verità e purificarsi della cecità dell'intelletto deri-  vante dalle altre occupazioni, affinché essa possa scorgere effettiva- mente i principi e le cause dell'universo. (32) Inoltre la migliore costituzione statuale e la concordia tra i  cittadini e il precetto “tra gli amici tutto è comune” e il culto degli dèi  e la pietà verso i defunti, la legislazione e l'educazione e la riservatez-  za e il rispetto per le altre specie viventi e la continenza e la temperan-  za ela perspicacia e la religiosità e tutti gli altri beni <dell’anima>, per  usare un unico termine, tutte cose che ad opera di Pitagora si sono  rivelate desiderabili e degne di studio per gli amanti del sapere. A  ragione dunque, per tutti questi motivi, di cui ora parlavo, si ammira- va in maniera cosi straordinaria Pitagora. 7 (33) Occorre dunque dire, dopo di ciò, come Pitagora soggior-  nò fuori della sua patria e dove anzitutto si recò e quali discorsi tenne  e su che cosa e a chi, giacché in tal modo ci sarà ben comprensibile  quale e di che natura fu il suo insegnamento nella vita di allora. Si rac-  conta dunque che, mentre soggiornava in Italia e in Sicilia, le città che  egli trovò asservite l’una all’altra, alcune da molti anni e altre di recen-  te, Pitagora le affrancò e le rese libere instillando in esse uno spirito  di libertà attraverso i suoi uditori che si trovavano in ciascuna di quel-  le città, e. precisamente Crotone e Sibari e Catania e Reggio e Imera e  Agrigento e Taormina e alcune altre, alle quali diede anche leggi attra-  verso Caronda di Catania e Zaleuco di Locri, dai quali quelle città  furono dotate di buone legislazioni, per cui rimasero a lungo oggetto di invidia da parte dei loro vicini. (34) Pitagora cancellò del tutto <ogni spirito> di ribellione e di  discordia, non soltanto tra i parenti e i loro discendenti per molte generazioni, come si racconta, ma anche in generale in tutte le città d’Italia e di Sicilia, sia al loro interno sia tra di loro. Spesso infatti 102 GIAMBLICO ἅπαντας πανταχῇ πολλοὺς καὶ ὀλίγους «τὸ τοιοῦτον» ἀπόφθεγμα,  χρησμῷ θεοῦ συμβουλευτικῷ ὅμοιον, ἐπιτομή τις ὡσπερεὶ καὶ ἀνα-  κεφαλαίωσίς τις τῶν αὐτῷ δοκούντων [τὸ τοιοῦτον ἀπόφθεγμα)]:  «φυγαδευτέον πάσῃ μηχανῇ καὶ περικοπτέον πυρὶ καὶ σιδήρῳ καὶ  μηχαναῖς παντοίαις ἀπὸ μὲν σώματος νόσον, ἀπὸ δὲ ψυχῆς ἀμαθίαν,  κοιλίας δὲ πολυτέλειαν, πόλεως δὲ στάσιν, οἴκου δὲ διχοφροσύνην,  ὁμοῦ δὲ πάντων ἀμετρίαν», δι᾽ ὧν φιλοστοργότατα ἀνεμίμνη(35)-  σκεν ἕκαστον τῶν ἀρίστων δογμάτων. ὁ μὲν οὖν κοινὸς τύπος αὐτοῦ  τῆς ζωῆς ἔν τε τοῖς λόγοις καὶ ταῖς πράξεσι τοιοῦτος ἦν ἐν τῷ τότε χρόνῳ. 8 Εἰ δὲ δεῖ καὶ τὰ καθ᾽ ἕκαστον ἀπομνημονεῦσαι ὧν ἔπραξε καὶ  εἶπε, ῥητέον ὡς παρεγένετο μὲν εἰς Ἰταλίαν κατὰ τὴν ὀλυμπιάδα  τὴν δευτέραν ἐπὶ ταῖς ἑξήκοντα, καθ᾽ ἣν Ἐρυξίας ὁ Χαλκιδεὺς στά-  διον ἐνίκησεν, εὐθὺς δὲ περί[21]βλεπτος καὶ περίστατος ἐγένετο,  καθάπερ καὶ πρότερον, ὅτε εἰς Δῆλον κατέπλευσεν. ἐκεῖ τε γὰρ  πρὸς μόνον τὸν βωμὸν τὸν τοῦ Γενέτορος ᾿Απόλλωνος προσευξάμε-  νος, ὃς μόνος ἀναίμακτός ἐστιν, ἐθαυμάσθη παρὰ τοῖς ἐν τῇ νήσῳ,  (36) καὶ κατ᾽ ἐκεῖνον τὸν καιρὸν πορευόμενος ἐκ Συβάριδος εἰς  Κρότωνα παρὰ τὸν αἰγιαλὸν δικτυουλκοῖς ἐπέστη, ἔτι τῆς σαγήνης  κατὰ βυθοῦ ἐμφόρτου ἐπισυρομένης, ὅσον τε πλῆθος ἐπισπῶνται  εἶπεν, ἰχθύων ὁρίσας ἀριθμόν. καὶ τῶν ἀνδρῶν ὑπομεινάντων ὅ τι  ἂν κελεύσῃ πράξειν, εἰ τοῦθ᾽ οὕτως ἀποβαίη, ζῶντας ἀφεῖναι πάλιν  κελεῦσαι τοὺς ἰχθῦς, πρότερόν γε ἀκριβῶς διαριθμήσαντας. καὶ τὸ  θαυμασιώτερον, οὐδεὶς ἐν τοσούτῳ τῆς ἀριθμήσεως τῷ χρόνῳ τῶν  ἰχθύων ἐκτὸς ὕδατος μεινάντων ἀπέπνευσεν, ἐφεστῶτός γε αὐτοῦ.  δοὺς δὲ καὶ τὴν τῶν ἰχθύων τιμὴν τοῖς ἁλιεῦσιν ἀπήει εἰς Κρότωνα.  οἵ δὲ τὸ πεπραγμένον διήγγειλαν καὶ τοὔνομα μαθόντες παρὰ τῶν  παίδων εἰς ἅπαντας ἐξήνεγκαν. οἱ δὲ ἀκούσαντες ἐπεθύμουν ἰδεῖν  τὸν ξένον, ὅπερ ἐν ἑτοίμῳ κατέστη; τήν τε γὰρ ὄψιν ἦν οἷον ἐξε- πλάγη τις ἂν ἰδὼν καὶ καθυπενόει εἶναι τοιοῦτον οἷος ὡς ἀληθῶς ἦν. (37) καὶ μετ᾽ ὀλίγας ἡμέρας εἰσῆλθεν εἰς τὸ γυμνάσιον. περιχυ- VITA DI PITAGORA 103  Pitagora indirizzava a tutti, molti o pochi che fossero, come fosse un  consiglio espresso da oracolo divino, ma che compendiava e riassu-  meva le sue opinioni, questa sentenza: “Bisogna allontanare con ogni  mezzo e sradicare col ferro e col fuoco e con vari espedienti, dal corpo  la malattia, dall'anima l’ignoranza, dal ventre la ghiottoneria, dalla  città la ribellione, dalla casa il dissenso, e al tempo stesso la spropor- zione in ogni cosa, e con questo Pitagora richiamava alla mente di cia- scuno, molto affettuosamente, le migliori sue dottrine. (35) Era tale, dunque, in quel tempo, lo stile generale della sua vita, presente sia nei suoi discorsi che nelle sue azioni. 8 Se occorre anche ricordare singolarmente le cose che faceva e  diceva, si deve dire che Pitagora giunse in Italia durante la LXII  Olimpiade, quando fu vincitore nella gara dello stadio Erissia di  Calcide; subito divenne oggetto di ammirazione e di riguardo, come  lo era stato anche in precedenza, quando si era recato a Delo: e infat-  ti laggiù, avendo pregato solo sull'altare di Apollo Genitore, altare che è l’unico “incruento”, suscitò ammirazione presso gli abitanti del- l'isola. (36) In quell’occasione, dopo avere camminato lungo la spiaggia  da Sibari a Crotone, incontrò dei pescatori che stavano ancora tiran-  do dal fondo del mare la rete piena di pesci, e disse loro quanto sareb-  be stato il loro pescato, determinando <esattamente> il numero dei  pesci. E poiché i pescatori si dichiaravano disposti ad agire secondo il  suo invito, nel caso che si fosse verificato quel che diceva, allora  Pitagora li invitò a rilasciare i pesci ancora vivi, dopo averne control-  lato con precisione il numero. E, cosa più sorprendente, per tutto il  tempo della conta dei pesci, nessuno di questi mori di asfissia, pur  essendo rimasti fuori dell’acqua, almeno finché Pitagora rimase li.  Dopo avere, quindi, dato ai pescatori il valore dei pesci,!! si rimise in  viaggio verso Crotone. I pescatori, dal canto loro, raccontarono quel  che Pitagora aveva fatto e, avendo appreso il suo nome dai garzoni,  lo diffusero dappertutto. Coloro, poi, che sentivano raccontare que-  sta storia, avevano desiderio di vedere lo straniero, cosa che era faci- le realizzare, perché il suo aspetto era tale che a vederlo si veniva col- piti e si poteva intuire qual era realmente la natura di quell’uomo. (37) E pochi giorni dopo Pitagora si recò al ginnasio, dove — come 104 GIAMBLICO θέντων δὲ τῶν νεανίσκων παραδέδοται λόγους τινὰς διαλεχθῆναι  πρὸς αὐτούς, ἐξ ὧν εἰς τὴν σπουδὴν παρεκάλει τὴν περὶ τοὺς πρε-  σβυτέρους, ἀποφαίνων ἔν τε τῷ κόσμῳ καὶ τῷ βίῳ καὶ ταῖς πόλεσι  καὶ τῇ φύσει μᾶλλον τιμώμενον τὸ προηγούμενον ἢ τὸ τῷ χρόνῳ  ἑπόμενον, [22] οἷον τὴν ἀνατολὴν τῆς δύσεως, τὴν ἕω τῆς ἑσπέρας,  τὴν ἀρχὴν τῆς τελευτῆς, τὴν γένεσιν τῆς φθορᾶς, παραπλησίως δὲ  καὶ τοὺς αὐτόχθονας τῶν ἐπηλύδων, ὁμοίως δὲ αὖ τῶν ἐν ταῖς ἀποι-  κίαις τοὺς ἡγεμόνας καὶ τοὺς οἰκιστὰς τῶν πόλεων, καὶ καθόλου  τοὺς μὲν θεοὺς τῶν δαιμόνων, ἐκείνους δὲ τῶν ἡμιθέων, τοὺς ἥρωας  δὲ τῶν ἀνθρώπων, ἐκ τούτων δὲ τοὺς αἰτίους τῆς γενέσεως τῶν νεω-  τέρων. (38) ἐπαγωγῆς δὲ ἕνεκα ταῦτα ἔλεγε πρὸς τὸ περὶ πλείονος  ποιεῖσθαι τοὺς γονεῖς ἑαυτῶν, οἷς ἔφη τηλικαύτην ὀφείλειν αὐτοὺς  χάριν, ἡλίκην ἂν ὁ τετελευτηκὼς ἀποδοίη τῷ δυνηθέντι πάλιν αὐτὸν  εἰς τὸ φῶς ἀγαγεῖν. ἔπειτα δίκαιον μὲν εἶναι τοὺς πρώτους καὶ τοὺς  τὰ μέγιστα εὐηργετηκότας ὑπὲρ ἅπαντας ἀγαπᾶν καὶ μηδέποτε  λυπεῖν" μόνους δὲ τοὺς γονεῖς προτερεῖν τῆς γενέσεως ταῖς εὐεργε-  σίαις, καὶ πάντων τῶν κατορθουμένων ὑπὸ τῶν ἐγγόνων αἰτίους  εἶναι τοὺς προγόνους, οὺς οὐδενὸς ἔλαττον ἑαυτοὺς εὐεργετεῖν  ἀποδεικνύντας εἰς θεοὺς οὐχ οἷόν τέ ἐστιν ἐξαμαρτάνειν. καὶ γὰρ  τοὺς θεοὺς εἰκός ἐστι συγγνώμην ἂν ἔχειν τοῖς μηδενὸς ἧττον  τιμῶσι τοὺς πατέρας᾽ καὶ (39) γὰρ τὸ θεῖον παρ᾽ αὐτῶν μεμαθήκα-  μεν τιμᾶν. ὅθεν καὶ τὸν Ὅμηρον τῇ αὐτῇ προσηγορίᾳ τὸν βασιλέα  τῶν θεῶν αὔξειν, ὀνομάζοντα πατέρα τῶν θεῶν καὶ τῶν θνητῶν, πολ-  λοὺς δὲ καὶ τῶν ἄλλων μυθοποιῶν παραδεδωκέναι τοὺς βασιλεύον-  τας τῶν θεῶν τὴν μεριζομένην φιλοστοργίαν παρὰ τῶν τέκνων πρὸς  τὴν ὑπάρχουσαν συζυγίαν τῶν γονέων καθ᾽ αὑτοὺς περιποιήσασθαι  πεφιλοτετιμημένους, [23] καὶ διὰ ταύτην τὴν αἰτίαν ἅμα τὴν τοῦ  πατρὸς καὶ τῆς μητρὸς ὑπόθεσιν λαβόντας, τὸν μὲν τὴν ᾿Αθηνᾶν, τὴν  δὲ τὸν Ἥφαιστον ἐναντίαν γεννῆσαι φύσιν ἔχοντας τῆς ἰδίας ἕνεκα  τοῦ καὶ τῆς πλεῖον ἀφεστώσης φιλίας μετασχεῖν. (40) ἁπάντων δὲ  τῶν παρόντων τὴν τῶν ἀθανάτων κρίσιν ἰσχυροτάτην εἶναι συγχ- ὠὡρησάντων, ἀποδεῖξαι τοῖς Κροτωνιάταις διὰ τὸ τὸν Ἡρακλέα τοῖς VITA DI PITAGORA 105 è stato tramandato --αἱ giovani che gli si erano radunati intorno egli tenne dei discorsi con i quali li incitava a prendere in seria considera-  zione gli anziani, mostrando come nel mondo e nella vita e nelle città  e <in generale> nella natura ciò che precede è più stimato di ciò che  segue nel tempo, ad esempio il sorgere rispetto al tramontare del sole,  l'aurora rispetto alla sera, l’inizio rispetto alla fine, la generazione  rispetto alla corruzione, pressappoco come gli autoctoni rispetto agli  stranieri, e come i capi e i fondatori delle città rispetto a coloro che ci  vivono, e in generale gli dèi rispetto ai demoni, e questi rispetto ai  semidei, e gli eroi rispetto agli uomini, e perciò anche coloro che sono causa di procreazione [sc. i padri] rispetto ai più giovani [sc. ai figli]. (38) Egli diceva queste cose per indurre <i suoi uditori> a stima-  re i propri genitori più che se stessi; egli diceva loro che dovevano  avere verso i propri genitori la stessa gratitudine che dovrebbe avere  chi sta per morire ad uno che potrebbe riportarlo in vita. E poi dice-  va che è giusto, più di tutti, amare e mai recare dolore a coloro che  per primi e al più alto livello ci hanno fatto del bene: solo i genitori  <infatti> ci sono benefici prima che nasciamo, e di tutto ciò che di  buono riescono a fare i discendenti sono causa i progenitori: non  commettiamo alcun peccato verso gli dèi se dimostriamo che i proge-  nitori sono, pit di ogni altro, i nostri benefattori. E infatti è verisimi-  le che gli dèi perdoneranno coloro che stimano pit di ogni altra cosa i propri genitori; e infatti noi impariamo a stimare il divino proprio da loro. (39) Perciò — diceva Pitagora — anche Omero onora il re degli dèi  chiamandolo con questo appellativo: padre degli dèi e degli uomini,  e d'altra parte molti altri creatori di miti hanno trasmesso il mito  secondo cui gli dèi sovrani, <Zeus e Fra>, facendo a gara per procu-  rarsi, ciascuno per se stesso, l'affetto che i figli <generalmente> rivol-  gono alla coppia dei genitori, quando entrambi sono in vita, e assu-  mendo, per questa ragione, il ruolo di padre e di madre insieme, gene-  rarono, l’uno (Zeus) Atena, l’altra (Era) Efesto, ciascuno avente natu- ra contraria a quella del genitore,!? affiché potessero cosi partecipare dell'amore che era il più distante da loro. (40) E poiché tutti i presenti convenivano che il giudizio degli  immortali è quello più autorevole, Pitagora dimostrò ai Crotoniati che, per il fatto che Ercole è il dio proprio dei coloni, allora occorre- 106 GIAMBLICO κατῳκισμένοις οἰκεῖον ὑπάρχειν, διότι δεῖ τὸ προσταττόμενον  ἑκουσίως τοῖς γονεῦσιν ὑπακούειν, παρειληφότας αὐτὸν τὸν θεὸν  ἑτέρῳ πρεσβυτέρῳ πειθόμενον διαθλῆσαι τοὺς πόνους καὶ τῷ πατρὶ  θεῖναι τῶν κατειργασμένων ἐπινίκιον τὸν ἀγῶνα τὸν Ὀλύμπιον.  ἀπεφαίνετο δὲ καὶ ταῖς πρὸς ἀλλήλους ὁμιλίαις οὕτως ἂν χρωμέ-  νους ἐπιτυγχάνειν, ὡς μέλλουσι τοῖς μὲν φίλοις μηδέποτε ἐχθροὶ  καταστῆναι, τοῖς δὲ ἐχθροῖς ὡς τάχιστα φίλοι γίνεσθαι, καὶ μελε-  τᾶν ἐν μὲν τῇ πρὸς τοὺς πρεσβυτέρους εὐκοσμίᾳ τὴν πρὸς τοὺς πατε-  ᾽ρας εὔνοιαν, ἐν δὲ τῇ πρὸς ἄλλους φιλανθρωπίᾳ τὴν πρὸς (41) τοὺς  ἀδελφοὺς κοινωνίαν. ἐφεξῆς δὲ ἔλεγε περὶ σωφροσύνης, φάσκων τὴν  τῶν νεανίσκων ἡλικίαν πεῖραν τῆς φύσεως λαμβάνειν, καθ᾽ ὃν  καιρὸν ἀκμαζούσας ἔχουσι τὰς ἐπιθυμίας. εἶτα προετρέπετο  θεωρεῖν [ἀξιον], ὅτι μόνης τῶν ἀρετῶν ταύτης καὶ παιδὶ καὶ παρ-  θένῳ καὶ γυναικὶ καὶ τῇ τῶν πρεσβυτέρων τάξει ἀντιποιεῖσθαι προ-  σήκει, καὶ μάλιστα τοῖς νεωτέροις. ἔτι δὲ μόνην αὐτὴν ἀποφαίνειν  περιειληφέναι καὶ τὰ τοῦ σώματος ἀγαθὰ καὶ τὰ τῆς ψυχῆς, δια-  τηροῦσαν τὴν ὑγείαν καὶ τὴν τῶν βελτίστων ἐπι(42)τηδευμάτων ἐπι-  θυμίαν. φανερὸν δὲ εἶναι καὶ διὰ τῆς ἀντικειμένης ἀντιθέσεως" τῶν  γὰρ βαρβάρων καὶ τῶν Ἑλλήνων [24] περὶ τὴν Τροίαν ἀντιταξα-  μένων ἑκατέρους δι᾽ ἑνὸς ἀκρασίαν ταῖς δεινοτάταις περιπεσεῖν  συμφοραῖς, τοὺς μὲν ἐν τῷ πολέμῳ, τοὺς δὲ κατὰ τὸν ἀνάπλουν, καὶ  μόνης «ταύτης» τῆς ἀδικίας τὸν θεὸν δεκετῆ καὶ χιλιετῆ τάξαι τὴν  τιμωρίαν, χρησμῳδήσαντα τήν τε τῆς Τροίας ἅλωσιν καὶ τὴν τῶν  παρθένων ἀποστολὴν παρὰ τῶν Λοκρῶν εἰς τὸ τῆς ᾿Αθηνᾶς τῆς  Ἰλιάδος ἱερόν. παρεκάλει δὲ τοὺς νεανίσκους καὶ πρὸς τὴν παιδεί-  αν, ἐνθυμεῖσθαι κελεύων ὡς ἄτοπον ἂν εἴη πάντων μὲν σπουδαιότα-  τον κρίνειν τὴν διάνοιαν καὶ ταύτῃ βουλεύεσθαι περὶ τῶν ἄλλων,  εἰς δὲ τὴν ἄσκησιν τὴν ταύτης μηδένα χρόνον μηδὲ πόνον ἀνηλωκέ-  ναι, καὶ ταῦτα τῆς μὲν τῶν σωμάτων ἐπιμελείας τοῖς φαύλοις τῶν  φίλων ὁμοιουμένης καὶ ταχέως ἀπολειπούσης, τῆς δὲ παιδείας  καθάπερ οἱ καλοὶ κἀγαθοὶ τῶν ἀνδρῶν μέχρι θανάτου παραμε-  νούσῃης, ἐνίοις δὲ καὶ μετὰ τὴν τελευ(43)τὴν ἀθάνατον δόξαν περι-  ποιούσης. καὶ τοιαῦθ᾽ ἕτερα, τὰ μὲν ἐξ ἱστοριῶν, τὰ δὲ καὶ ἀπὸ δογ-  μάτων, κατεσκεύασε, τὴν παιδείαν ἐπιδεικνύων κοινὴν οὖσαν εὖ-  VITA DI PITAGORA 107  va che essi ascoltassero volentieri ciò che comandano i genitori, giac-  ché sapevano che quel dio, per obbedire a un altro dio più anziano,  aveva esercitato le sue fatiche e aveva istituito in onore del padre,  come canto di vittoria per le sue imprese, i giochi di Olimpia. Pitagora  mostrava loro, inoltre, che nelle loro relazioni reciproche essi avreb-  bero dovuto comportarsi in modo tale da non presentarsi ai loro  amici mai come nemici, da un lato, e, dall’altro lato, da divenire il più  rapidamente possibile amici dei loro nemici, e avrebbero dovuto  curare, nell'armonia con i più anziani, la benevolenza che si deve ai  padri, e nell'amore verso gli altri uomini, la comunione che ci lega ai  fratelli.  (41) Poi parlava della temperanza, dicendo che la giovane età  mette alla prova la natura umana, nel senso che, in quell’età, gli appe-  titi raggiungono il loro apice. Poi invitava a considerare che la tempe-  ranza è l’unica virtù che conviene che sia praticata a un tempo e dal  ragazzo e dalla fanciulla e dalla donna e dalla classe dei più anziani, e  soprattutto dai più giovani. E ancora diceva che tale virtù è l’unica  che appare comprendere sia i beni del corpo che quelli dell’anima,  poiché mantiene la salute e il desiderio delle migliori occupazioni.  (42) Tutto ciò risulta chiaro anche se partiamo dall’opposta dispo-  sizione:! infatti tra i barbari e i greci che si sono scontrati a Troia, da  ambedue le parti si è caduti nelle più terribili catastrofi a causa della  incontinenza di uno solo di loro, gli uni durante la guerra, gli altri  durante la via del ritorno, e per questa sola ingiustizia il dio ha fissa-  to una pena di dieci e di mille anni, preconizzando sia la caduta di  Troia sia l'invio delle vergini a Locri al tempio di Atena di Ilio. E  Pitagora incitava i giovani anche all’educazione, invitandoli a riflette-  re su come fosse assurdo, da un lato giudicare la mente come la cosa  più saggia fra tutte e deliberare per mezzo di essa su tutto il resto, e  dall’altro lato non dedicare all'esercizio di essa nessun tempo e nessu-  no sforzo. E diceva anche che la cura dei corpi presto viene meno,  come i cattivi amici, mentre l'educazione perdura fino alla morte,  come gli uomini giusti e buoni, e ad alcuni procura anche dopo la  morte gloria immortale.  (43) E imbasti altri discorsi di questo genere, ricavandoli alcuni da  eventi storici, altri da dottrine filosofiche, per mostrare che l’educa-  zione è l'insieme di quelle buone doti naturali che hanno in comune  108 GIAMBLICO  quiav τῶν ἐν ἑκάστῳ τῷ γένει πεπρωτευκότων᾽ τὰ γὰρ ἐκείνων  εὑρήματα ταῦτα τοῖς ἄλλοις γεγονέναι παιδείαν. οὕτω δ᾽ ἐστὶ τῇ φύ-  σει σπουδαῖον τοῦτο, ὥστε τῶν μὲν ἄλλων τῶν ἐπαινουμένων τὰ μὲν  οὐχ οἷόν τε εἶναι παρ᾽ ἑτέρου μεταλαβεῖν, οἷον τὴν ῥώμην, τὸ  κάλλος, τὴν ὑγείαν, τὴν ἀνδρείαν, τὰ δὲ τὸν προέμενον οὐκ ἔχειν  αὐτόν, οἷον τὸν πλοῦτον, τὰς ἀρχάς, ἕτερα πολλὰ τῶν παραλειπο-  μένων, τὴν δὲ δυνατὸν εἶναι καὶ παρ᾽ ἑτέρου μεταλαβεῖν καὶ τὸν  (44) δόντα μηδὲν ἧττον αὐτὸν ἔχειν. παραπλησίως δὲ τὰ μὲν οὐκ ἐπὶ  τοῖς ἀνθρώποις εἶναι κτήσασθαι, παιδευθῆναι δὲ ἐνδέχεσθαι κατὰ  τὴν ἰδίαν προαίρεσιν, εἶθ᾽ οὕτως προσ[25]ιόντα φανῆναι πρὸς τὰς  τῆς πατρίδος πράξεις, οὐκ ἐξ ἀναιδείας, ἀλλ᾽ ἐκ παιδείας. σχεδὸν  γὰρ ταῖς ἀγωγαῖς διαφέρειν τοὺς μὲν ἀνθρώπους τῶν θηρίων, τοὺς de  Ἕλληνας τῶν βαρβάρων, τοὺς δὲ ἐλευθέρους τῶν οἰκετῶν, τοὺς δὲ  φιλοσόφους τῶν τυχόντων, ὅλως δὲ τηλικαύτην ἔχοντας ὑπεροχήν,  ὥστε τοὺς μὲν θᾶττον τρέχοντας τῶν ἄλλων ἐκ μιᾶς πόλεως τῆς ἐκείνων ἑπτὰ κατὰ τὴν Ὀλυμπίαν εὑρεθῆναι, τοὺς δὲ τῇ σοφίᾳ προ- ἔχοντας ἐξ ἁπάσης τῆς οἰκουμένης ἑπτὰ συναριθμηθῆναι. ἐν δὲ τοῖς ἑξῆς χρόνοις, ἐν οἷς ἦν αὐτός, ἕνα φιλοσοφίᾳ προέχειν τῶν πάντων"  καὶ γὰρ τοῦτο τὸ ὄνομα ἀντὶ τοῦ σοφοῦ ἑαυτὸν ἐπωνόμασε. ταῦτα  μὲν ἐν τῷ γυμνασίῳ τοῖς νέοις διελέχθη.  9 (45) ᾿Απαγγελθέντων δ᾽ οὖν ὑπὸ τῶν νεανίσκων πρὸς τοὺς πατέ-  ρας τῶν εἰρημένων ἐκάλεσαν οἱ χίλιοι τὸν Πυθαγόραν εἰς τὸ συνέ-  δριον, καὶ προεπαινέσαντες ἐπὶ τοῖς πρὸς τοὺς υἱοὺς ῥηθεῖσιν ἐκέ-  λευσαν, εἴ τι συμφέρον ἔχει λέγειν τοῖς Κροτωνιάταις, ἀποφήνα-  σθαι τοῦτο πρὸς τοὺς τῆς πολιτείας προκαθημένους. ὃ δὲ πρῶτον μὲν  αὐτοῖς συνεβούλευεν ἱδρύσασθαι Μουσῶν ἱερόν, ἵνα τηρῶσι τὴν  ὑπάρχουσαν ὁμόνοιαν' ταύτας γὰρ τὰς θεὰς καὶ τὴν προσηγορίαν  τὴν αὐτὴν ἁπάσας ἔχειν καὶ μετ᾽ ἀλλήλων παραδεδόσθαι καὶ ταῖς  κοιναῖς τιμαῖς μάλιστα χαίρειν, καὶ τὸ σύνολον ἕνα καὶ τὸν αὐτὸν  ἀεὶ χορὸν εἶναι τῶν Μουσῶν, ἔτι δὲ συμφωνίαν, ἁρμονίαν, ῥυθμόν,  ἅπαντα περιειληφέναι τὰ παρασκευάζοντα τὴν ὁμόνοιαν. ἐπεδείκ-  VITA DI PITAGORA 109  coloro che primeggiano in ciascun campo di studio, perché sono le  loro scoperte che diventano educazione per gli altri. E questo aspetto  dell'educazione è, per natura, talmente serio che, mentre le altre cose  degne di apprezzamento, di cui alcune, ad esempio la forza, la bellez-  za, la salute, il coraggio, non possono essere acquisite da altri, mentre  altre, ad esempio la ricchezza, le cariche pubbliche e molte altre cose  che qui possiamo trascurare, una volta trasferite ad altri non si possie-  dono più, l'educazione invece può essere acquisita da altri e nondime-  no chi la dà continua a possederla.  (44) Allo stesso modo, mentre alcune cose gli uomini non posso-  no acquistarle, invece possono ricevere l’educazione per propria deci-  sione, e in seguito, chi si dedica agli affari della patria, dà l’impressio-  ne di farlo non già per impudenza, bensi per effetto della sua educa-  zione. Sembra, infatti, che gli uomini differiscano dai bruti appunto  in virtù dell'educazione, ed anche i Greci dai barbari, e gli uomini  liberi dagli schiavi, e i filosofi dagli uomini comuni, e in generale è tale  questa superiorità <dei filosofi> che a Olimpia si sono trovati sette  atleti che correvano più degli altri e provenivano da una sola città,  quella di quei filosofi,!4 e si poterono contare, in tutto il mondo abi-  tato, solo sette uomini che eccellevano per sapienza. Nel tempo suc-  cessivo a quello in cui visse Pitagora, uno solo prevalse su tutti in filo-  sofia,!5 e infatti fu questo il nome che egli si impose al posto di quel-  lo di sapiente.!6  9 (45) Furono questi i discorsi che Pitagora tenne ai giovani nel  ginnasio.  Avendo i giovani riferito ai loro padri i discorsi di Pitagora, i Mille  lo convocarono al sinedrio, e dopo averlo elogiato per le parole che  aveva dette ai loro figli lo invitarono, se egli avesse da dire qualcosa di  utile ai Crotoniati, a rivelarla ai capi della città. Come prima cosa  Pitagora consigliò loro di costruire un tempio delle Muse, affinché  mantenessero la concordia che regnava nella città: queste dee, infatti,  sono accomunate tutte nello stesso nome e per tradizione sono consi-  derate l’una in relazione con l’altra e godono sommamente degli onori  che vengono loro tributati in comune, <insomma> il coro delle Muse  è un insieme unico e sempre lo stesso, ed esse, inoltre, abbracciano  insieme accordo, armonia, ritmo e tutto ciò che procura concordia.  110 GIAMBLICO  vve δὲ αὐτῶν τὴν δύναμιν οὐ περὶ τὰ κάλλιστα θεωρήματα μόνον  ἀνήκειν, ἀλλὰ (46) καὶ περὶ τὴν συμφωνίαν καὶ ἁρμονίαν τῶν  ὄντων. ἔπειτα ὑπολαμβάνειν αὐτοὺς ἔφη δεῖν κοινῇ παρακαταθήκην  ἔχειν [26] τὴν πατρίδα παρὰ τοῦ πλήθους τῶν πολιτῶν. δεῖν οὖν  ταύτην διοικεῖν οὕτως, ὡς μέλλουσι τὴν πίστιν παραδόσιμον τοῖς ἐξ  αὑτῶν ποιεῖν. ἔσεσθαι δὲ τοῦτο βεβαίως, ἐὰν ἅπασιν ἴσοι τοῖς πολί-  ταις ὦσι καὶ μηδενὶ μᾶλλον ἢ τῷ δικαίῳ προσέχωσι. τοὺς γὰρ  ἀνθρώπους εἰδότας, ὅτι τόπος ἅπας προσδεῖται δικαιοσύνης, μυθο-  ποιεῖν τὴν αὐτὴν τάξιν ἔχειν παρά τε τῷ Διὶ τὴν Θέμιν καὶ παρὰ τῷ  Πλούτωνι τὴν Δίκην καὶ κατὰ τὰς πόλεις τὸν νόμον. ἵν᾽ ὁ μὴ δικαίως  ἐφ᾽ ἃ τέτακται ποιῶν ἅμα φαίνηται πάντα τὸν (47) κόσμον συνα-  δικῶν. προσήκειν δὲ τοῖς συνεδρίοις μηδενὶ καταχρήσασθαι τῶν  θεῶν εἰς ὅρκον, ἀλλὰ τοιούτους προχειρίζεσθαι λόγους, ὥστε καὶ  χωρὶς ὅρκων εἶναι πιστούς, καὶ τὴν ἰδίαν οἰκίαν οὕτως οἰκονομεῖν,  ὥστε τὴν ἀναφορὰν ἐξεῖναι τῆς προαιρέσεως εἰς ἐκείνην ἀνενεγ-  κεῖν. πρός τε τοὺς ἐξ αὑτῶν γενομένους διακεῖσθαι γνησίως, ὡς καὶ  τῶν ἄλλων ζῴων μόνους ταύτης τῆς ἐννοίας αἴσθησιν εἰληφότας.  καὶ πρὸς τὴν γυναῖκα τὴν τοῦ βίου μετέχουσαν ὁμιλοῦντας ὡς τῶν  μὲν πρὸς τοὺς ἄλλους συνθηκῶν τιθεμένων ἐν γραμματειδίοις καὶ  στήλαις, τῶν δὲ πρὸς τὰς γυναῖκας ἐν τοῖς τέκνοις. καὶ πειρᾶσθαι  παρὰ τοῖς ἐξ αὑτῶν ἀγαπᾶσθαι μὴ διὰ τὴν φύσιν, ἧς οὐκ αἴτιοι γεγό-  νασιν, ἀλλὰ διὰ τὴν προαίρεσιν. ταύτην γὰρ εἶναι τὴν εὐεργεσίαν  ἑκούσιον. (48) σπουδάζειν δὲ καὶ τοῦτο, ὅπως αὐτοί τε μόνας ἐκεί-  νας εἰδήσωσιν, αἵ τε γυναῖκες μὴ νοθεύωσι τὸ γένος ὀλιγωρίᾳ [27]  καὶ κακίᾳ τῶν συνοικούντων. ἔτι δὲ τὴν γυναῖκα νομίζειν ἀπὸ τῆς  ἑστίας εἰληφότα μετὰ σπονδῶν καθάπερ ἱκέτιν ἐναντίον τῶν θεῶν  εἰσῆχθαι πρὸς αὑτόν. καὶ τῇ τάξει καὶ τῇ σωφροσύνῃ παράδειγμα  γενέσθαι τοῖς τε κατὰ τὴν οἰκίαν, ἣν οἰκεῖ, καὶ τοῖς κατὰ τὴν πόλιν,  2 μόνους-εἰληφότας; ripristinò Klein in Add. p. XXXI, cosî come si legge  nel MS archetipo, Laurentianus 86,3: μόνης-εἰληφότων aveva corretto  Deubner, Bezzerk. 667 (cf. appar. ad loc.).  VITA DI PITAGORA 111  Pitagora mostrava come la loro potenza si riferisca non soltanto alle  più belle dottrine, ma anche all’accordo e all’armonia degli enti.  (46) In seguito egli diceva che dovevano considerare la patria  come un deposito in comune affidato loro dalla moltitudine dei citta-  dini. Dovevano, quindi, amministrarla come se fossero sul punto di  trasmettere ai loro discendenti la fiducia che era stata loro affidata. Il  che sarebbe accaduto con certezza, se essi fossero stati uguali a tutti gli altri cittadini e non si applicassero a nient'altro più che a ciò che è giusto. Gli uomini, infatti, consapevoli che ogni luogo ha bisogno di giustizia, hanno creato il mito secondo cui il posto che Temi occupa  presso Zeus, e Dike presso Plutone è lo stesso che la legge occupa  nelle città, affinché colui che compie ingiustizie in ciò di cui è respon-  sabile appaia nello stesso tempo come uno che compie ingiustizia in  relazione all'intero universo.  (47) Pitagora diceva poi che conviene che nessun membro del  sinedrio abusi del nome degli dèi quando fa un giuramento, anzi fac-  cia uso di discorsi tali che siano persuasivi anche senza giuramenti, e  sappia amministrare la propria casa in modo che ciò possa costituire  un punto di riferimento per la sua decisione nell’amministrare la città.  E nei confronti dei loro figli, Pitagora diceva che essi dovevano com-  portarsi con generosità, anche perché tra gli altri animali solo gli  uomini sono sensibili a questa idea;!7 lo stesso comportamento devo-  no avere anche verso la moglie che condivide la loro stessa vita, con-  siderando che, mentre nei confronti degli altri i patti sono fissati in  tavolette e steli, con le mogli invece il patto sta nei figli. E diceva che  dovevano cercare di farsi amare dai figli non per un legame di natu-  ra, di cui quelli non sono stati responsabili, bensî per loro decisione,  perché questa, essendo un atto della volontà, costituisce un’azione  buona.  (48) Ma dovevano curare anche questo - diceva Pitagora —, e cioè  sia che essi stessi avessero rapporti sessuali solo con le loro mogli, sia  che queste non imbastardissero la loro discendenza <accoppiandosi  con altri> a causa dell’indifferenza o della malvagità dei loro mariti; e  ancora dovevano considerare la propria moglie come una supplice,18  perché era stata tolta dal suo focolare con <le dovute> libagioni!? e  introdotta nella loro casa al cospetto degli dèi. E dovevano essere di  esempio per ordine e temperanza sia a coloro che stavano nella casa  112 GIAMBLICO  καὶ προνοεῖν τοῦ μηδένα μηδ᾽ ὁτιοῦν ἐξαμαρτάνειν, ὅπως μὴ φοβού-  μενοι τὴν ἐκ τῶν νόμων ζημίαν ἀδικοῦντες λανθάνωσιν, ἀλλ᾽ αἰσχυ-  νόμενοι τὴν τοῦ τρόπου καλοκαγαθίαν εἰς τὴν δικαιο(4θ)σύνην  ὁρμῶσι. διεκελεύετο δὲ κατὰ τὰς πράξεις ἀποδοκιμάζειν τὴν ἀργί-  αν’ εἶναι γὰρ οὐχ ἕτερόν τι ἀγαθὸν ἢ τὸν ἐν ἑκάστῃ τῇ πράξει και-  ρόν. ὡρίζετο δὲ μέγιστον εἶναι τῶν ἀδικημάτων παῖδας καὶ γονεῖς  ἀπ᾽ ἀλλήλων διασπᾶν. νομίζειν δὲ κράτιστον μὲν εἶναι τὸν καθ᾽  αὑτὸν δυνάμενον προϊδεῖν τὸ συμφέρον, δεύτερον δὲ τὸν ἐκ τῶν τοῖς  ἄλλοις συμβεβηκότων κατανοοῦντα τὸ λυσιτελοῦν, χείριστον δὲ  τὸν ἀναμένοντα διὰ τοῦ κακῶς παθεῖν αἰσθέσθαι τὸ βέλτιον. ἔφη δὲ  καὶ τοὺς φιλοτιμεῖσθαι βουλομένους οὐκ ἂν διαμαρτάνειν μιμουμέ-  νους τοὺς ἐν τοῖς δρόμοις στεφανουμένους: καὶ γὰρ ἐκείνους οὐ  τοὺς ἀνταγωνιστὰς κακῶς ποιεῖν, ἀλλ᾽ αὐτοὺς τῆς νίκης ἐπιθυμεῖν  τυχεῖν. καὶ τοῖς πολιτευομένοις ἁρμόττειν οὐ τοῖς ἀντιλέγουσι  δυσαρεστεῖν, ἀλλὰ τοὺς ἀκούοντας ὠφελεῖν. παρεκάλει δὲ τῆς  ἀληθινῆς ἀντεχόμενον εὐδοξίας ἕκαστον εἶναι τοιοῦτον οἷος ἂν  βούλοιτο φαίνεσθαι τοῖς ἄλλοις: οὐ γὰρ οὕτως ὑπάρχειν τὴν συμ-  βουλὴν ἱερὸν ὡς τὸν ἔπαινον, ἐπειδὴ τῆς μὲν ἡ χρεία πρὸς μόνους  ἐστὶ τοὺς ἀνθρώπους, τοῦ δὲ πολὺ μᾶλλον (50) πρὸς τοὺς θεούς. εἶθ᾽  οὕτως ἐπὶ πᾶσιν εἶπεν ὅτι τὴν πόλιν αὐτῶν ὠκίσθαι συμβέβηκεν, ὡς  λέγουσιν, Ἡρακλέους, [28] ὅτε τὰς βοῦς διὰ τῆς Ἰταλίας ἤλαυνεν,  ὑπὸ Λακινίου μὲν ἀδικηθέντος, Κρότωνα δὲ βοηθοῦντα τῆς νυκτὸς  παρὰ τὴν ἄγνοιαν ὡς ὄντα τῶν πολεμίων διαφθείραντος, καὶ μετὰ  ταῦτα ἐπαγγειλαμένου περὶ τὸ μνῆμα συνώνυμον ἐκείνῳ κατοικι-  σθήσεσθαι πόλιν, ἄν περ αὐτὸς μετάσχῃ τῆς ἀθανασίας, ὥστε τὴν  χάριν τῆς ἀποδοθείσης εὐεργεσίας προσήκειν αὐτοὺς ἔφη δικαίως  οἰκονομεῖν. οἱ δὲ ἀκούσαντες τό τε Μουσεῖον ἱδρύσαντο καὶ τὰς  παλλακίδας, ἃς ἔχειν ἐπιχώριον ἦν αὐτοῖς, ἀφῆκαν καὶ διαλεχθῆ-  ναι χωρὶς αὐτὸν ἐν μὲν τῷ Πυθαίῳ πρὸς τοὺς παῖδας, ἐν δὲ τῷ τῆς  Ἥρας ἱερῷ πρὸς τὰς γυναῖκας ἠξίωσαν.  VITA DI PITAGORA 113  che abitano, sia ai loro concittadini, e prevenire che nessuno commet-  tesse un qualsiasi tipo di errore, affinché non si restasse nascosti, nel  commettere ingiustizie, per paura delle leggi, ma si fosse indotti alla  giustizia per il rispetto della propria rettitudine di vita.  (49) E a proposito delle azioni, Pitagora li invitava a bandire la  pigrizia, perché in ogni azione non c’è altro bene che il cogliere il  momento opportuno. E definiva come la più grande ingiustizia quel-  la di separare tra loro figli e genitori. E riteneva che l’uomo migliore  è colui che è in grado di vedere da sé il proprio utile, e poneva al  secondo posto colui che è capace di arguire ciò che è vantaggioso per  sé partendo da ciò che capita agli altri, e considerava il peggiore di  tutti colui che aspetta di subire il male per percepire ciò che è il  meglio per sé. E diceva che anche coloro che sono desiderosi di onori  non potrebbero sbagliarsi se imitassero quelli che vengono incorona-  ti vincitori nelle corse: e infatti costoro desiderano ottenere per sé la  vittoria, senza però recare danno ai loro avversari. Anche a coloro che  si occupano di affari pubblici si addice non già di scontentare i loro  contendenti, ma di favorire i loro sostenitori. Incitava chiunque aspi-  rasse alla vera fama ad essere realmente cosî come voleva apparire agli  altri, perché il consiglio non è cosî sacro come l’elogio, dal momento  che l’uso del primo riguarda solo gli uomini, mentre quello del secon-  do riguarda molto più gli dèi.  (50) Poi, per fare un discorso generale, Pitagora diceva che era  capitato loro di abitare la città fondata, come si racconta, da Eracle  quando conduceva le vacche attraverso l’Italia: offeso da Lacinio, egli  uccise Crotone che di notte era venuto ad aiutarlo, credendo per  ignoranza che fosse uno dei suoi nemici, dopo di che annunziò che  avrebbe costruito intorno alla tomba di Crotone una città che avreb-  be portato il suo nome, nel caso che egli stesso fosse divenuto immor-  tale, sicché i Crotoniati — diceva Pitagora — avrebbero dovuto ammi-  nistrare con giustizia in segno di riconoscenza per il beneficio ricevu-  to. E quelli, dopo averlo ascoltato, fecero costruire un tempio alle  Muse e rilasciarono le concubine, che era loro costume avere con sé,  e pretesero che Pitagora rimanesse a discutere separatamente con i  loro figli, nel tempio di Apollo Pizio, e con le loro mogli, nel tempio  di Era.  114 GIAMBLICO  10 (51) Τὸν δὲ πεισθέντα λέγουσιν εἰσηγήσασθαι τοῖς παισὶ  τοιάδε ὥστε μήτε ἄρχειν λοιδορίαν μηδὲ ἀμύνεσθαι τοὺς λοιδορου-  μένους, καὶ περὶ τὴν παιδείαν τὴν ἐπώνυμον τῆς ἐκείνων ἡλικίας  κελεῦσαι σπουδάζειν. ἔτι δὲ ὑποθέσθαι τῷ μὲν ἐπιεικεῖ παιδὶ  ῥάδιον πεφυκέναι πάντα τὸν βίον τηρῆσαι τὴν καλοκαγαθίαν, τῷ δὲ  μὴ εὖ πεφυκότι κατὰ τοῦτον τὸν καιρὸν χαλεπὸν καθεστάναι,  μᾶλλον δὲ ἀδύνατον, ἐκ φαύλης ἀφορμῆς ἐπὶ τὸ τέλος εὖ δραμεῖν.  πρὸς δὲ τούτοις θεοφιλεστάτους αὐτοὺς ὄντας ἀποφῆναι, καὶ διὰ  τοῦτο φῆσαι κατὰ τοὺς αὐχμοὺς ὑπὸ τῶν πόλεων ἀποστέλλεσθαι  παρὰ τῶν θεῶν ὕδωρ αἰτησομένους, ὡς μάλιστα ἐκείνοις  ὑπακούσαντος τοῦ δαιμονίου καὶ μόνοις διὰ τέλους ἁγνεύου(52)σιν  ἐξουσίας ὑπαρχούσης ἐν τοῖς ἱεροῖς διατρίβειν. διὰ ταύτην δὲ τὴν  αἰτίαν καὶ τοὺς φιλανθρωποτάτους τῶν θεῶν, τὸν ᾿Απόλλωνα καὶ τὸν  Ἕρωτα, πάντας ζωγραφεῖν καὶ ποιεῖν τὴν τῶν παίδων ἔχοντας  ἡλικίαν. συγκεχωρῆσθαι δὲ καὶ τῶν στεφανιτῶν ἀγώνων «τινὰς»  τεθῆναι διὰ παῖδας, τὸν μὲν Πυθικὸν κρατηθέντος τοῦ Πύθωνος ὑπὸ  παι[29]δός, ἐπὶ παιδὶ δὲ τὸν ἐν Νεμέᾳ καὶ τὸν ἐν Ἰσθμῷ, τελευ-  τήσαντος ᾿Αρχεμόρου καὶ Μελικέρτου. χωρὶς δὲ τῶν εἰρημένων ἐν  τῷ κατοικισθῆναι τὴν πόλιν τῶν Κροτωνιατῶν ἐπαγγείλασθαι τὸν  ᾿Απόλλωνα τῷ ἡγεμόνι τοῦ οἰκισμοῦ (53) δώσειν γενεάν, ἐὰν ἀγάγῃ  τὴν εἰς Ἰταλίαν ἀποικίαν. ἐξ ὧν ὑπολαβόντας δεῖν τῆς μὲν γενέσεως  αὐτῶν πρόνοιαν πεποιῆσθαι τὸν ᾿Απόλλωνα, τῆς δ᾽ ἡλικίας ἅπαντας  τοὺς θεούς, ἀξίους εἶναι τῆς ἐκείνων φιλίας καὶ μελετᾶν ἀκούειν,  ἵνα δύνωνται λέγειν, ἔτι δέ, ἣν μέλλουσιν εἰς τὸ γῆρας βαδίζειν,  ταύτην εὐθὺς ἐξορμῶντας τοῖς ἐληλυθόσιν ἐπακολουθεῖν καὶ τοῖς  πρεσβυτέροις μηδὲν ἀντιλέγειν" οὕτω γὰρ εἰκότως ὕστερον ἀξιώ-  dev μηδὲ αὐτοῖς τοὺς νεωτέρους ἀντιδικεῖν. διὰ δὲ τὰς παραινέ-  σεῖς ὁμολογεῖται παρασκευάσαι μηδένα τὴν ἐκείνου προσηγορίαν  ὀνομάζειν, ἀλλὰ πάντας θεῖον αὐτὸν καλεῖν.  VITA DI PITAGORA 115  10 (51) E Pitagora, come si racconta, accettò e introdusse il suo  discorso ai figli dicendo che non dovevano né offendere per primi né  rispondere a quelli che offendono, e li invitava a prendersi cura della  loro propria educazione che <peraltro> prende nome da quello della  loro età.20 E ancora stabiliva il principio che chi è onesto fin da fan-  ciullo trova facile e naturale mantenere la propria rettitudine per tutta  la vita, mentre chi in questa fase della vita non è per natura disposto  alla bontà, trova difficile, o addirittura impossibile, correre verso una  buona fine partendo da un cattivo inizio. E mostrava inoltre che i fan-  ciulli sono molto amati dagli dèi, e perciò — diceva — nei casi di sicci-  tà essi vengono inviati dalle loro città a implorare dagli dèi la pioggia,  come se la divinità desse ascolto soprattutto a loro, e solo a loro, per-  ché sono perfettamente puri ed è consentito loro di soggiornare nei  templi.  (52) Per questa ragione — diceva Pitagora — anche gli dèi più  amanti degli uomini, Apollo ed Eros, sono tutti dipinti e scolpiti come  fossero nell'età della fanciullezza. E ancora si è d'accordo che alcune  gare in cui si incoronano i vincitori sono state istituite per via di fan-  ciulli, ad esempio la gara Pitica perché Pitone fu ucciso da un fanciul-  lo, e le gare Nemee e Istmiche per la morte di un fanciullo, rispettiva-  mente Archemoro e Melicerto. Ma a parte questo, al momento della  fondazione della città di Crotone, Apollo promise al capo dei coloniz-  zatori che gli avrebbe concesso di avere discendenza, se avesse con-  dotto la colonia in Italia.  (53) Da questi eventi i Crotoniati avrebbero dovuto comprendere  - diceva Pitagora — che era stato Apollo a provvedere alla loro nasci-  ta, mentre tutti gli altri dèi avevano provveduto a farli diventare fan-  ciulli,21 e che quindi dovevano essere degni di quelle divinità ed eser-  citarsi all'ascolto, per potere essere capaci di parlare, e inoltre che  avrebbero dovuto lanciarsi subito sulla strada che li avrebbe condot-  ti alla vecchiaia seguendo coloro che l’avevano già scelta senza con-  traddire per nulla gli anziani, perché solo cosî in seguito <quando fos-  sero diventati anziani> avrebbero potuto a ragione pretendere a loro  volta di non essere contestati dai giovani. E attraverso tali moniti — si  racconta concordemente -- Pitagora fece sî che nessuno lo denominas-  se con il suo vero nome, ma che tutti lo chiamassero “divino”.  116 GIAMBLICO  11 (54) Ταῖς δὲ γυναιξὶν ὑπὲρ μὲν τῶν θυσιῶν ἀποφήνασθαι λέ-  γεται πρῶτον μέν, καθάπερ ἑτέρου μέλλοντος ὑπὲρ αὐτῶν  ποιεῖσθαι τὰς εὐχὰς βούλοιντ᾽ ἂν ἐκεῖνον εἶναι καλὸν κἀγαθόν, ὡς  τῶν θεῶν τούτοις προσεχόντων, οὕτως αὐτὰς περὶ πλείστου  ποιεῖσθαι τὴν ἐπιείκειαν, ἵν᾽ ἑτοίμους ἔχωσι τοὺς ταῖς εὐχαῖς  ὑπακουσομένους: ἔπειτα τοῖς θεοῖς προσφέρειν ἃ μέλλουσι, ταῖς  χερσὶν αὐτὰς ποιεῖν καὶ χωρὶς οἰκετῶν πρὸς τοὺς βωμοὺς προσενεγ-  κεῖν, οἷον πόπανα καὶ ψαιστὰ καὶ κηρία καὶ λιβανωτόν, φόνῳ δὲ  καὶ θανάτῳ τὸ δαιμόνιον μὴ τιμᾶν, μηδ᾽ ὡς οὐδέποτε πάλιν προσιού-  σας ἑνὶ καιρῷ πολλὰ δαπανᾶν. περὶ δὲ τῆς πρὸς τοὺς ἄνδρας [30]  ὁμιλίας κελεῦσαι κατανοεῖν, ὅτι συμβαίνει καὶ τοὺς πατέρας ἐπὶ  τῆς θηλείας φύσεως παρακεχωρηκέναι μᾶλλον ἀγαπᾶσθαι τοὺς  γεγαμηκότας ἢ τοὺς τεκνώσαντας αὐτάς. διὸ καλῶς ἔχειν ἢ μηδὲ  ἐναντιοῦσθαι πρὸς τοὺς ἄνδρας, ἢ τότε (55) νομίζειν νικᾶν, ὅταν  ἐκείνων ἡττηθῶσι. ἔτι δὲ τὸ περιβόητον γενόμενον ἀποφθέγξασθαι  κατὰ τὴν σύνοδον, ὡς ἀπὸ μὲν τοῦ συνοικοῦντος ἀνδρὸς ὅσιόν ἐστιν  αὐθημερὸν προσιέναι τοῖς ἱεροῖς, ἀπὸ δὲ τοῦ μὴ προσήκοντος οὐδέ-  ποτε. παραγγεῖλαι δὲ καὶ κατὰ πάντα τὸν βίον αὐτάς τε εὐφημεῖν  καὶ τοὺς ἄλλους ὁρᾶν ὁπόσα ὑπὲρ αὐτῶν εὐφημήσουσι, καὶ τὴν δό-  ξαν τὴν διαδεδομένην μὴ καταλύσωσι μηδὲ τοὺς μυθογράφους ἐξε-  λέγξωσιν, οἱ θεωροῦντες τὴν τῶν γυναικῶν δικαιοσύνην ἐκ τοῦ  προΐεσθαι μὲν ἀμάρτυρον τὸν ἱματισμὸν καὶ τὸν κόσμον, ὅταν τινὶ  ἄλλῳ δέῃ χρῆσαι, μὴ γίγνεσθαι δὲ ἐκ τῆς πίστεως δίκας μηδ᾽ ἀντι-  λογίας, ἐμυθοποίησαν τρεῖς γυναῖκας ἑνὶ κοινῷ πάσας ὀφθαλμῷ  χρωμένας διὰ τὴν εὐχερῆ κοινωνίαν. ὅπερ ἐπὶ τοὺς ἄρρενας μετα-  τεθέν, ὡς ὁ προλαβὼν ἀπέδωκεν εὐκόλως, ἑτοίμως καὶ τῶν ἑαυτοῦ  μεταδιδούς, οὐδένα ἂν προσδέξασθαι (56) λεγόμενον, ὡς μὴ  οἰκεῖον αὐτῶν τῇ φύσει. ἔτι δὲ τὸν σοφώτατον τῶν ἁπάντων λεγόμε-  νον καὶ συντάξαντα τὴν φωνὴν τῶν ἀνθρώπων καὶ τὸ σύνολον  εὑρετὴν καταστάντα τῶν ὀνομάτων, εἴτε θεὸν εἴτε δαίμονα εἴτε  VITA DI PITAGORA 117  11 (54) Alle mogli dei Crotoniati si dice che Pitagora cominciò col  manifestare le sue idee sui sacrifici, dicendo che, come esse avrebbe-  ro voluto che fosse giusto e buono chiunque avesse pregato per loro,  ritenendo che gli dèi esaudiscono chi è giusto e buono, cosî esse  avrebbero dovuto tenere nella massima considerazione la loro onestà,  affinché gli dèi fossero disposti ad esaudire le loro preghiere; le cose,  poi, che avrebbero offerto agli dèi, le dovevano preparare con le loro  stesse mani e presentarle agli altari senza l'ausilio dei servi, ad esem-  pio focacce e paste e miele e incenso, e non dovevano onorare la divi-  nità con sacrifici cruenti,22 né fare una spesa eccessiva per una sola  volta come se non dovessero più riaccostarsi agli altari. A proposito  di come dovessero trattare i loro mariti, Pitagora le invitava a pensa-  re che anche i loro padri avevano permesso loro, considerando la loro  natura di donne, di amare quelli che avevano sposato più di quelli che  le avevano generate. Perciò era giusto che esse non si contrappones-  sero ai loro mariti, anzi pensassero di avere vinto solo quando avesse-  ro perso con loro.  (55) Inoltre Pitagora pronunziò in questa riunione delle donne la  sua sentenza, divenuta poi famosa: è sacro per una donna che ha fatto  l'amore con suo marito andare lo stesso giorno nei templi, ma mai se  lo ha fatto con un estraneo. Egli prescriveva loro anche di parlare  sempre bene «αἱ tutti> e di far si che anche gli altri parlassero bene  di quantole riguardava, e di non perdere la reputazione che si era dif-  fusa nei loro riguardi e di non confutare quei mitografi che, conside-  rando il senso di giustizia delle donne derivante dal fatto che, anche  in assenza di testimoni, prestano i propri vestiti e ornamenti ad altri  che ne abbiano bisogno, e senza che da questa loro fiducia derivi  alcun processo né alcuna contestazione, hanno creato il mito delle tre  donne che, in virtù della loro facile disposizione alla comunione dei  beni, si servivano tutte di un unico occhio in comune: cosa che, se  venisse trasposta a proposito degli uomini,23 nel senso che chi è il  primo ad avere l'occhio lo renda volentieri e faccia partecipare pron-  tamente altri a ciò che è suo, nessuno degli uomini accetterebbe, per-  ché non appartiene alla loro natura.  (56) Inoltre Pitagora diceva che colui che è chiamato il più sapien-  te fra tutti gli enti ed è colui che ha ordinato il linguaggio degli uomi-  ni ed ha insomma inventato i nomi, sia egli un dio o un demone o un  118 GIAMBLICO  θεῖόν τινα ἄνθρωπον, συνιδόντα διότι τῆς εὐσεβείας οἰκειότατόν  ἐστι τὸ γένος τῶν γυναικῶν ἑκάστην τὴν ἡλικίαν αὐτῶν συν[31]ώνυ-  μον ποιήσασθαι θεῷ, καὶ καλέσαι τὴν μὲν ἄγαμον κόρην, τὴν δὲ  πρὸς ἄνδρα δεδομένην νύμφην, τὴν δὲ τέκνα γεννησαμένην μητέρα,  τὴν δὲ παῖδας ἐκ παίδων ἐπιδοῦσαν κατὰ τὴν Δωρικὴν διάλεκτον  μαῖαν: È σύμφωνον εἶναι τὸ καὶ τοὺς χρησμοὺς ἐν Δωδώνῃ καὶ  Δελφοῖς δηλοῦσθαι διὰ γυναικός. διὰ δὲ τῶν εἰς τὴν εὐσέβειαν  ἐπαίνων πρὸς τὴν εὐτέλειαν τὴν κατὰ τὸν ἱματισμὸν τηλικαύτην  παραδέδοται κατασκευάσαι τὴν μεταβολήν, ὥστε τὰ πολυτελῆ τῶν  ἱματίων μηδεμίαν ἐνδύεσθαι τολμᾶν, ἀλλὰ θεῖναι πάσας (57) εἰς τὸ  τῆς Ἥρας ἱερὸν πολλὰς μυριάδας ἱματίων. λέγεται δὲ καὶ τοιοῦτόν  τι διελθεῖν, ὅτι περὶ τὴν χώραν τῶν Κροτωνιατῶν ἀνδρὸς μὲν ἀρετὴ  πρὸς γυναῖκα διαβεβόηται, Ὀδυσσέως οὐ δεξαμένου παρὰ τῆς  Καλυψοῦς ἀθανασίαν ἐπὶ τῷ τὴν Πηνελόπην καταλιπεῖν,  ὑπολείποιτο δὲ ταῖς γυναιξὶν εἰς τοὺς ἄνδρας ἀποδείξασθαι τὴν  καλοκαγαθίαν, ὅπως εἰς ἴσον καταστήσωσι τὴν εὐλογίαν. ἁπλῶς δὲ  μνημονεύεται διὰ τὰς εἰρημένας ἐντεύξεις περὶ Πυθαγόραν οὐ  μετρίαν τιμὴν καὶ σπουδὴν καὶ κατὰ τὴν πόλιν τῶν Κροτωνιατῶν  γενέσθαι καὶ διὰ τὴν πόλιν περὶ τὴν Ἰταλίαν.  12 (58) Λέγεται δὲ Πυθαγόρας πρῶτος φιλόσοφον ἑαυτὸν προσα-  γορεῦσαι, οὐ καινοῦ μόνον ὀνόματος ὑπάρξας, ἀλλὰ καὶ πρᾶγμα οἰ-  κεῖον προεκδιδάσκων χρησίμως. ἐοικέναι γὰρ ἔφη τὴν εἰς τὸν βίον  τῶν ἀνθρώπων πάροδον τῷ ἐπὶ τὰς πανηγύρεις ἀπαντῶντι ὁμίλῳ. ὡς  γὰρ ἐκεῖσε παντοδαποὶ φοιτῶντες ἄνθρωποι ἄλλος κατ᾽ ἄλλου χρεί-  αν ἀφικνεῖται (ὃ μὲν χρηματισμοῦ τε καὶ κέρδους χάριν  ἀπεμπολῆσαι τὸν φόρτον ἐπειγόμενος, ὃ δὲ δόξης ἕνεκα ἐπιδειξόμε-  νος [32] ἥκει τὴν ῥώμην τοῦ σώματος: ἔστι δὲ καὶ τρίτον εἶδος καὶ  τό γε ἐλευθεριώτατον, συναλιζόμενον τόπων θέας ἕνεκα καὶ  VITA DI PITAGORA 119  uomo divino, perché sapeva la ragione per cui il genere femminile è il  più appropriato alla pietà, ha dato a ciascuna età delle donne il nome  di una dea, chiamando Kore la donna non sposata, Ninfa quella che  si è unita a un uomo, Madre quella che ha partorito dei figli, e infine  Maia, in dialetto dorico, quella che ha generato dei figli a partire dai  propri figli [sc. la nonna], con il che si armonizza bene il fatto che  anche i responsi degli oracoli di Dodona e di Delfi sono manifestati  attraverso una donna. Grazie a queste lodi della pietà femminile si  racconta che Pitagora ha impresso alla loro semplicità nel vestire un  mutamento tale che nessuna di loro osò più indossare i suoi abiti lus-  suosi, che anzi tutte offrirono al tempio di Era le molte migliaia di  abiti che possedevano.  (57) Si dice anche che Pitagora abbia raccontato la seguente sto-  ria: la virtà di un uomo verso la moglie si è manifestata nella regione  di Crotone, quando Odisseo non accettò l’immortalità che Calipso gli  offriva in cambio dell’abbandono di Penelope, e <cosi> non restava  alle mogli che di dimostrare la propria rettitudine verso i loro mariti,  affinché si dicesse allo stesso modo bene anche di loro. Per dirla in  breve, a causa di questi colloqui si creò intorno a Pitagora una enor- me stima e attenzione sia nella città di Crotone sia, a causa di questa città, nel resto dell’Italia. 12 (58) Si dice che Pitagora fu il primo a chiamarsi “filosofo”, non  soltanto inaugurando un nuovo nome, ma anche insegnandone anti-  cipatamente e utilmente il relativo significato. Infatti — egli diceva —  gli uomini accedono alla vita come fa la folla alle feste nazionali, per-  ché cosi come gli uomini di ogni genere che frequentano quelle feste  arrivano chi per un’esigenza chi per un’altra (uno sollecitato a vende-  re la propria merce a scopo di commercio e di guadagno, un altro  arriva per fare bella mostra della propria forza fisica a scopo di gloria,  e c'è anche un terzo genere di uomini, che è certamente il pit libera-  le,24 che si raduna per ammirate i luoghi e le bellezze delle opere d’ar-  te e la virtuosità degli atti e dei discorsi, cose che vengono esibite di  solito nelle feste nazionali), allo stesso modo, appunto, anche nella  vita una variopinta umanità si raduna nello stesso luogo per svolgere le proprie occupazioni: alcuni infatti sono presi dal desiderio di ric- chezza e di lusso, altri invece sono dominati dalla bramosia dell’auto- 120 GIAMBLICO δημιουργημάτων καλῶν καὶ ἀρετῆς ἔργων καὶ. λόγων, dv ai ἐπιδεί-  ξεις εἰώθεσαν ἐν ταῖς πανηγύρεσι γίνεσθαι), οὕτως δὴ κἀν τῷ βίῳ  παντοδαποὺς ἀνθρώπους ταῖς σπουδαῖς εἰς ταὐτὸ ἀθροίζεσθαι: τοὺς  μὲν γὰρ χρημάτων καὶ τρυφῆς αἱρεῖ πόθος, τοὺς δὲ ἀρχῆς καὶ  ἡγεμονίας ἵμερος φιλονεικίαι te δοξομανεῖς κατέχουσιν. εἰλικρι-  νέστατον δὲ εἶναι τοῦτον ἀνθρώπου τρόπον, τὸν ἀποδεξάμενον τὴν  τῶν καλλίστων (59) θεωρίαν, ὃν καὶ προσονομάζειν φιλόσοφον.  καλὴν μὲν οὖν εἶναι τὴν τοῦ σύμπαντος οὐρανοῦ θέαν καὶ τῶν ἐν  αὐτῷ φορουμένων ἀστέρων εἴ τις καθορῴη τὴν τάξιν κατὰ μετουσί-  αν μέντοι τοῦ πρώτου καὶ τοῦ νοητοῦ εἶναι αὐτὸ τοιοῦτον. τὸ δὲ  πρῶτον ἦν ἐκεῖνο, ἡ τῶν ἀριθμῶν τε καὶ λόγων φύσις διὰ πάντων  διαθέουσα, καθ᾽ οὕς τὰ πάντα ταῦτα συντέτακταί τε ἐμμελῶς καὶ  κεκόσμηται πρεπόντως, καὶ σοφία μὲν ἡ τῷ ὄντι ἐπιστήμη τις ἡ περὶ  τὰ καλὰ τὰ πρῶτα καὶ θεῖα καὶ ἀκήρατα καὶ ἀεὶ κατὰ τὰ αὐτὰ καὶ  ὡσαύτως ἔχοντα ἀσχολουμένη, ὧν μετοχῇ καὶ τὰ ἄλλα ἂν εἴποι τις  καλά᾽ φιλοσοφία δὲ ἡ ζήλωσις τῆς τοιαύτης θεωρίας. καλὴ μὲν οὖν καὶ αὕτη παιδείας ἦν ἐπιμέλεια ἡ συντείνουσα αὐτῷ πρὸς τὴν τῶν ἀνθρώπων ἐπανόρθωσιν. 13 (60) Εἰ δὲ καὶ πιστευτέον τοσούτοις ἱστορήσασι περὶ αὐτοῦ παλαιοῖς τε ἅμα οὖσι καὶ ἀξιολόγοις, μέχρι τῶν ἀλόγων ζῴων ἀνα-  λυτικόν τι καὶ νουθετητικὸν ἐκέκτητο Πυθαγόρας ἐν τῷ λόγῳ, διὰ  τούτου συμβιβάζων, ὡς διδασκαλίᾳ πάντα [33] περιγίνεται τοῖς  νοῦν ἔχουσιν, ὅπου καὶ τοῖς ἀνημέροις τε καὶ ἀμοιρεῖν λόγου νομι-  ζομένοις. τὴν μὲν γὰρ Δαυνίαν ἄρκτον, χαλεπώτατα λυμαινομένην  τοὺς ἐνοίκους, κατασχών, ὥς φασι, καὶ ἐπαφησάμενος χρόνον συχ-  νόν, ψωμίσας τε μάζῃ καὶ ἀκροδρύοις, ὁρκώσας μηκέτι ἐμψύχου  καθάπτεσθαι ἀπέλυσεν: ἣ δὲ εὐθὺς εἰς τὰ ὄρη καὶ τοὺς δρυμοὺς  ἀπαλλαγεῖσα οὐκέτ᾽ ἔκτοτε ὥφθη τὸ παράπαν ἐπιοῦσα οὐδὲ ἀλόγῳ  (61) ζῴῳ. βοῦν δὲ ἐν Τάραντι ἰδὼν ἐν παμμιγεῖ νομῇ καὶ κυάμων  χλωρῶν παραπτόμενον, τῷ βουκόλῳ παραστὰς συνεβούλευσεν εἰ-  πεῖν τῷ βοῖ τῶν κυάμων ἀπέχεσθαι. προσπαίξαντος δὲ αὐτῷ τοῦ βουκόλου περὶ τοῦ εἰπεῖν καὶ οὐ φήσαντος εἰδέναι βοϊστὶ εἰπεῖν, εἰ δὲ αὐτὸς οἶδε, καὶ περισσῶς συμβουλεύειν, δέον τῷ βοὶ παραι- VITA DI PITAGORA 121 rità e del comando, nonché da folli rivalità. Ma il modo più puro di essere uomo è quello che ammette la contemplazione delle cose più  belle, ed è questo l’uomo che Pitagora denomina “filosofo”.  (59) Orbene, bella è la contemplazione dell’intero universo e degli astri che in esso si muovono, qualora si riconosca il loro ordine, ma  questo è tale per partecipazione al Primo e all’Intelligibile. Ma il  Primo era quello <di cui parlava Pitagora>, cioè la natura dei nume-  ri e dei rapporti, natura che si estende per tutto l’universo, e numeri  e rapporti secondo cui tutto è stato coordinato in maniera armonica  e organizzato in maniera conveniente, e la sapienza era una vera e  propria scienza che si occupava delle prime cose belle e divine e pure  e che sono sempre le stesse e allo stesso modo, per partecipazione alle  quali tutto il resto può essere detto bello: la filosofia è amore di tale contemplazione. Bello era dunque anche questo curarsi dell’educa- zione per mezzo della quale Pitagora mirava a raddrizzare la natura umana.?5 13 (60) Se bisogna prestare fede a tutti quelli che hanno scritto  storie su di lui, autori antichi e nello stesso tempo degni di stima,  Pitagora possedeva un certo potere di educare e consigliare col suo  discorso persino gli animali irrazionali, mostrando, con ciò, che l’in-  segnamento può tutto quando si applichi a coloro che sono forniti di  intelletto, se è vero che questo vale anche per quegli enti che sono sel-  vaggi e ritenuti privi di ragione. Si racconta infatti che Pitagora riusci  a catturare l’orsa della Daunia, che recava gravissimi danneggiamenti  alle popolazioni del luogo: <dopo la cattura> egli si mise a carezzarla  per lungo tempo, e a nutrirla con focacce e frutta, e la lasciò andare  dopo averle fatto giurare che non avrebbe mai pit assalito esseri ani-  mati; e l’orsa, una volta liberata, se ne andò immediatamente verso le montagne e le foreste e da allora non la si vide mai più assalire nep- pure un animale irrazionale. (61) Avendo visto, poi, in un pascolo pieno di tanta verdura, a Taranto, un bue che mangiava delle fave verdi, Pitagora si avvicinò al  bifolco e gli consigliò di dire al bue di astenersi dal mangiare fave. E  dopo che il bifolco si mise a schernirlo a proposito della parola “dire”, dicendo che non conosceva la lingua dei buoi, e se per caso Pitagora la conoscesse, gli avrebbe dato un consiglio superfluo, aven- 122 GIAMBLICO νεῖν, προσελθὼν αὐτὸς καὶ εἰς τὸ οὖς πολλὴν ὥραν προσψιθυρίσας  τῷ ταύρῳ, οὐ μόνον τότε αὐτὸν ἀμελλητὶ ἑκόντα ἀπέστησε τοῦ  κυαμῶνος, ἀλλὰ καὶ εἰσαῦθις λέγουσι μηκέτι γεγεῦσθαι κυάμων τὸ  παράπαν τὸν βοῦν ἐκεῖνον, μακροχρονιώτατον δὲ ἐν τῇ Τάραντι  κατὰ τὸ τῆς Ἥρας ἱερὸν γηρῶντα διαμεμενηκέναι, τὸν ἱερὸν ἀνα-  καλούμενον Πυθαγόρου βοῦν ὑπὸ πάντων, ἀνθρωπίναις τροφαῖς  σιτούμενον, ἃς οἱ ἀπαντῶν(62)τες αὐτῷ προσώρεγον. ἀετόν τε  ὑπεριπτάμενον Ὀλυμπίασι προσομιλοῦντος αὐτοῦ τοῖς γνωρίμοις  ἀπὸ τύχης περὶ τε οἰωνῶν καὶ συμβόλων καὶ διοσημειῶν, ὅτι παρὰ  θεῶν εἰσὶν [34] ἀγγελίαι τινὲς καὶ ἀετοὶ τοῖς ὡς ἀληθῶς θεοφιλέσι  τῶν ἀνθρώπων, καταγαγεῖν λέγεται καὶ καταψήσαντα πάλιν  ἀφεῖναι. διὰ τούτων δὴ καὶ τῶν παραπλησίων τούτοις δέδεικται τὴν Ὀρφέως ἔχων ἐν τοῖς θηρίοις ἡγεμονίαν καὶ κηλῶν αὐτὰ καὶ κατέχων τῇ ἀπὸ τοῦ στόματος τῆς φωνῆς προϊούσῃ δυνάμει. 14 (63) ᾿Αλλὰ μὴν τῆς γε τῶν ἀνθρώπων ἐπιμελείας ἀρχὴν  ἐποιεῖτο τὴν ἀρίστην, ἥνπερ ἔδει προειληφέναι τοὺς μέλλοντας καὶ  περὶ τῶν ἄλλων τὰ ἀληθῆ μαθήσεσθαι. ἐναργέστατα γὰρ καὶ σαφῶς  ἀνεμίμνησκε τῶν ἐντυγχανόντων πολλοὺς τοῦ προτέρου βίου, ὃν  αὐτῶν ἣ ψυχὴ πρὸ τοῦ τῷδε τῷ σώματι ἐνδεθῆναι πάλαι ποτὲ ἐβίω-  σε, καὶ ἑαυτὸν δὲ ἀναμφιλέκτοις τεκμηρίοις ἀπέφαινεν Εὔφορβον  γεγονέναι Πάνθου υἱόν, τὸν Πατρόκλου καταγωνιστήν, καὶ τῶν  Ὁμηρικῶν στίχων μάλιστα ἐκείνους ἐξύμνει καὶ μετὰ λύρας ἐμμε-  λέστατα ἀνέμελπε καὶ πυκνῶς ἀνεφώνει, τοὺς ἐπιταφίους ἑαυτοῦ,  αἵματί οἱ δεύοντο κόμαι Χαρίτεσσιν ὁμοῖαι πλοχμοί θ᾽, οἱ χρυσῷ τε  καὶ ἀργύρῳ εὖ ἤσκηντο. [35] οἷον δὲ τρέφει ἔρνος ἀνὴρ ἐριθηλὲς  ἐλαίης χώρῳ ἐν οἰοπόλῳ, ὅθ᾽ ἅλις ἀναβέβρυχεν ὕδωρ, καλὸν τηλε-  θάον, τὸ δέ τε πνοιαὶ δονέουσι παντοίων ἀνέμων, καί τε βρύει  ἄνθεϊ λευκῷ, ἐλθὼν δ᾽ ἐξαπίνης ἄνεμος σὺν λαίλαπι πολλῇ βόθρου τ᾽ ἐξέστρεψε καὶ ἐξετάνυσσ᾽ ἐπὶ γαίης τοῖον Πάνθου υἱὸν ἐυμε- λίην Εὔφορβον ᾽Ατρείδης Μενέλαος, ἐπεὶ κτάνε, τεύχε᾽ ἐσύλα. τὰ VITA DI PITAGORA 123 do dovuto ammonire egli stesso il bue. Allora Pitagora si avvicinò al  toro e si mise a sussurrargli all'orecchio per molte ore, e cosi non  solo lo tenne per tutto quel tempo lontano spontaneamente?? dalle  fave, ma si dice che quello anche in seguito, per tutta la vita, non  gustò più delle fave, e poiché era vissuto lunghissimo tempo a  Taranto, presso il tempio di Era, vi diventò vecchio, ed era chiamato da tutti “il bue sacro di Pitagora”, e si nutriva degli stessi alimenti degii uomini, alimenti che gli offrivano tutti quelli che venivano a vederlo. (62) Una volta che Pitagora si trovava per caso ai giochi Olimpici  a conversare con i suoi intimi discepoli intorno ai presagi e ai simbo-  li e ai segni celesti — questi, egli diceva, sono dei messaggi inviati  anch'essi dagli dèi agli uomini che sono a loro più cari —, si racconta  che un'aquila volò sopra di lui ed egli la tirò giù e, dopo averla acca-  rezzata, la rilasciò. Per queste ragioni, appunto, e per altre del gene-  re, Pitagora si è rivelato come uno che possedeva, sulle belve, il mede- simo potere di Orfeo, incantandole e soggiogandole con la potenza della voce che usciva dalla sua bocca. 14 (63) Ma il migliore inizio Pitagora lo dava alla cura degli uomi-  ni, e cioè quell’inizio che dovrebbero assumere in partenza coloro che  si accingono a imparare la verità anche intorno a tutto il resto. Egli  infatti induceva la maggior parte di coloro che incontrava alla remini-  scenza della vita precedente che la loro anima aveva un giorno vissu-  ta, prima di legarsi al corpo, e mostrava con prove inoppugnabili che  egli stesso era stato Euforbo, figlio di Pantoo e vincitore di Patroclo,  e tra i versi di Omero egli cantava armoniosamente, accompagnando-  si con la lira, e spesso declamava, soprattutto quelli che poteva ritene-  re il suo proprio epitaffio:28 «si inzupparono di sangue le sue chiome,  che erano simili a quelle delle Grazie, e i suoi riccioli, che erano ador-  nati d’oro e d’argento, e come un uomo nutre un lussureggiante vir-  gulto di ulivo su un terreno deserto, dove è sgorgata abbondantemen-  te dell’acqua, bello, rigoglioso, e dove lo agitano soffi di ogni specie  di vento, e fiorisce di bianchi fiori, ma un vento che arriva improvvi- so con forte tempesta lo strappa dal suo concavo sito e lo stende per terra; cosî il figlio di Pantoo, Euforbo dalla bella lancia, fu spogliato dell’armi e quindi ucciso dall’Atride Menelao».?9 Ciò che si racconta, 124 GIAMBLICO γὰρ ἱστορούμενα περὶ τῆς ἐν Μυκήναις «ἀνακειμένης, σὺν  Τρωϊκοῖς λαφύροις τῇ ᾿Αργείᾳ Ἥρᾳ Εὐφόρβου τοῦ Φρυγὸς τούτου  ἀσπίδος παρίεμεν ὡς πάνυ δημώδη. πλὴν ὅ γε διὰ πάντων τούτων  βουλόμεθα δεικνύναι, ἐκεῖνό ἐστιν, ὅτι αὐτός τε ἐγίγνωσκε τοὺς προτέρους ἑαυτοῦ βίους καὶ τῆς τῶν ἄλλων ἐπιμελείας ἐντεῦθἤρχετο, ὑπομιμνήσκων αὐτοὺς ἧς εἶχον πρότερον ζωῆς. 15 (64) Ἡγούμενος δὲ πρώτην εἶναι τοῖς ἀνθρώποις τὴν δι᾽ ai- σθήσεως προσφερομένην ἐπιμέλειαν, εἴ τις καλὰ μὲν ὁρῴη καὶ  σχήματα καὶ εἴδη, καλῶν δὲ ἀκούοι ῥυθμῶν καὶ μελῶν, τὴν διὰ μου-  σικῆς παίδευσιν πρώτην κατεστήσατο διά τε μελῶν τινῶν καὶ  ῥυθμῶν, ἀφ᾽ ὧν τρόπων τε καὶ παθῶν ἀνθρωπίνων ἰάσεις ἐγίγνοντο  ἁρμονίαι τε τῶν τῆς ψυχῆς δυνάμεων, ὥσπερ εἶχον ἐξ ἀρχῆς, συν-  ἤγοντο, σωματικῶν TE καὶ ψυχικῶν νοσημάτων καταστολαὶ καὶ ἀφυ-  γιασμοὶ ὑπ᾽ αὐτοῦ ἐπενοοῦντο. καὶ νὴ Δία τὸ ὑπὲρ πάντα ταῦτα λό-  you ἄξιον, ὅτι τοῖς μὲν γνωρίμοις τὰς λεγομένας ἐξαρτύσεις τε καὶ  ἐπαφὰς συνέταττε καὶ συνηρμόζετο, δαιμονίως μηχανώμενος κερά-  σματά τινων μελῶν διατονικῶν τε καὶ χρωματικῶν καὶ ἐναρμονίων,  δι᾿ ὧν ῥᾳδίως εἰς τὰ ἐναντία [36] περιέτρεπε καὶ περιῆγε τὰ τῆς  ψυχῆς πάθη νέον ἐν αὐτοῖς ἀλόγως συνιστάμενα καὶ ὑποφυόμενα,  λύπας καὶ ὀργὰς καὶ ἐλέους καὶ ζήλους ἀτόπους καὶ φόβους, ἐπιθυ-  μίας τε παντοίας καὶ θυμοὺς καὶ ὀρέξεις καὶ χαυνώσεις καὶ  ὑπτιότητας καὶ σφοδρότητας, ἐπανορθούμενος πρὸς ἀρετὴν τούτων  ἕκαστον διὰ τῶν προσηκόντων μελῶν ὡς διά τινων σωτη(δδ)ρίων  συγκεκραμένων φαρμάκων. ἐπί τε ὕπνον ἑσπέρας τρεπομένων τῶν  ὁμιλητῶν, ἀπήλλαττε μὲν αὐτοὺς τῶν ἡμερινῶν ταραχῶν καὶ  ἐνηχημάτων διεκάθαιρέ τε συγκεκλυδασμένον τὸ νοητικόν,  ἡσύχους τε καὶ εὐονείρους, ἔτι δὲ μαντικοὺς τοὺς ὕπνους αὐτοῖς  ἀπειργάζετο᾽ ἀπό τε τῆς εὐνῆς πάλιν ἀνισταμένων, τοῦ νυκτερινοῦ  κάρου καὶ τῆς ἐκλύσεως καὶ τῆς νωχελίας αὐτοὺς ἀπήλλασσε διά  τινων ἰδιοτρόπων ἀσμάτων καὶ μελισμάτων, ψιλῇ τῇ κράσει, διὰ  χύρας ἢ καὶ φωνῆς, συντελουμένων. ἑαυτῷ δὲ οὐκέθ᾽ ὁμοίως, δι᾽  VITA DI PITAGORA 125  infatti, sullo scudo del frigio Euforbo, consacrato a Micene a Era  Argiva assieme alle spoglie troiane, noi qui tralasciamo di dire perché  è noto a tutti. La sola cosa che vogliamo mostrare con tutti questi  discorsi è la seguente: Pitagora conosceva le sue vite precedenti e cosî,  nell’iniziare a prendersi cura degli altri, egli cominciava da qui, facen-  do loro ricordare la vita che avevano vissuto in precedenza.  15 (64) Ritenendo che gli uomini si prendono cura anzitutto di ciò  che si presenta attraverso la sensazione, se, ad esempio, si vedono  belle figure e belle forme, o si ascoltano bei ritmi e belle melodie —,  Pitagora fissò come prima educazione quella musicale e cioè quella  che egli otteneva attraverso certe melodie e certi ritmi, a partire dai  quali egli curava i modi di vita e i sentimenti degli uomini, e rigenera-  va le armonie che l’anima possedeva all'origine tra le sue facoltà,5° e  si inventava modi per reprimere e guarire malattie del corpo e del-  l’anima. E, per Zeus, ecco ciò che, al di là di tutte queste cose, è degno  di menzione, il fatto, cioè, che Pitagora combinava e armonizzava, in  favore dei suoi intimi discepoli, <delle musiche> che venivano chia-  mate “arrangiamenti” e “compressioni”, dal momento che egli conge-  gnava in maniera demonica mescolanze di certe melodie diatoniche,  cromatiche ed enarmoniche, con le quali facilmente convertiva e ridu-  ceva ai loro contrari le passioni dell'anima, quando queste insorgeva-  no e crescevano in maniera insolita e irrazionale, nonché dolori e ire  e compassioni e gelosie assurde e paure, e appetiti di ogni sorta ed  eccitazioni e desideri ed esaltazioni e depressioni e veemenze, giacché  egli era capace di correggere ciascuno di questi stati d’animo trasfor-  mandoli in virti per mezzo di melodie appropriate come fossero dei  farmaci salutari e bene amalgamati.  (65) Quando, la sera, i suoi discepoli erano pronti per andare a  dormire, Pitagora li liberava dai loro turbamenti e dai frastuoni della  giornata, e purificava la loro mente confusa, e procurava loro un  sonno tranquillo e pieno di sogni belli e, talora, anche profetici; e  quando, <la mattina dopo>, si alzavano dal letto, li liberava dal tor-  pore notturno e dalla fiacchezza e dall’ignavia <che ne seguivano>  per mezzo di particolari canti e melodie costruite, con semplice  modulazione, per mezzo della lira o anche della <sola> voce. A se  stesso, invece, Pitagora non applicava o somministrava mai un simile  126 GIAMBLICO  ὀργάνων ἢ καὶ ἀρτηρίας, τὸ τοιοῦτον ὁ ἀνὴρ συνέταττε καὶ ἐπόρι-  ζεν, ἀλλὰ ἀρρήτῳ τινὶ καὶ δυσεπινοήτῳ θειότητι χρώμενος ἐνητένι-  ζε τὰς ἀκοὰς καὶ τὸν νοῦν ἐνήρειδε ταῖς μεταρσίαις τοῦ κόσμου  συμφωνίαις, ἐνακούων, ὡς ἐνέφαινε, μόνος αὐτὸς καὶ συνιεὶς τῆς  καθολικῆς τῶν σφαιρῶν καὶ τῶν κατ᾽ αὐτὰς κινουμένων ἀστέρων  ἁρμονίας τε καὶ συνῳδίας, πληρέστερόν τι τῶν θνητῶν καὶ κατακο-  ρέστερον μέλος φθεγγομένης διὰ τὴν ἐξ ἀνομοίων μὲν καὶ ποικίλως  διαφερόντων ῥοιζημάτων ταχῶν τε καὶ μεγεθῶν καὶ ἐποχήσεων, ἐν  λόγῳ δέ τινι πρὸς ἄλληλα μουσικωτάτῳ [37] διατεταγμένων, κί-  νησιν καὶ περιπόλησιν εὐμελεστάτην ἅμα (66) καὶ ποικίλως περι-  καλλεστάτην ἀποτελουμένην. ἀφ᾽ ἧς ἀρδόμενος ὥσπερ καὶ τὸν τοῦ  νοῦ λόγον εὐτακτούμενος καὶ ὡς εἰπεῖν σωμασκούμενος εἰκόνας  τινὰς τούτων ἐπενόει παρέχειν τοῖς ὁμιληταῖς ὡς δυνατὸν μάλιστα,  διά τε ὀργάνων καὶ διὰ ψιλῆς τῆς ἀρτηρίας ἐκμιμούμενος. ἑαυτῷ  μὲν γὰρ μόνῳ τῶν ἐπὶ γῆς ἁπάντων συνετὰ καὶ ἐπήκοα τὰ κοσμικὰ  φθέγματα ἐνόμιζε, καὶ ἀπ᾽ αὐτῆς τῆς φυσικῆς πηγῆς τε καὶ ῥίζης  ἄξιον ἑαυτὸν ἡγεῖτο διδάσκεσθαί τι καὶ ἐκμανθάνειν καὶ ἐξομο-  ιοῦσθαι κατ᾽ ἔφεσιν καὶ ἀπομίμησιν τοῖς οὐρανίοις, ὡς ἂν οὕτως  ἐπιτυχῶς πρὸς τοῦ φύσαντος αὐτὸν δαιμονίου μόνον διωργανωμέ-  νον. ἀγαπητὸν δὲ τοῖς ἄλλοις ἀνθρώποις ὑπελάμβανεν εἰς αὐτὸν  ἀφορῶσι καὶ τὰ παρ᾽ αὐτοῦ χαριστήρια δι᾽ εἰκόνων τε καὶ  ὑποδειγμάτων ὠφελεῖσθαι καὶ διορθοῦσθαι, μὴ δυναμένοις τῶν  πρώτων καὶ εἰλικρινῶν ἀρχετύπων ὡς ἀληθῶς ἀντι(67)λαμβάνε-  σθαι’ καθάπερ ἀμέλει καὶ τοῖς οὐχ οἵοις τε ἀτενὲς ἐνορᾶν τῷ ἡλίῳ  διὰ τὴν τῶν ἀκτίνων ὑπερφέγγειαν ἐν βαθείᾳ συστάσει ὕδατος ἢ  καὶ διὰ τετηκυίας πίσσης ἢ κατόπτρου τινὸς μελαναυγοῦς δεικνύ-  εἰν ἐπινοοῦμεν τὰς ἐκλείψεις, φειδόμενοι τῆς τῶν ὄψεων ἀσθενεί-  ας αὐτῶν καὶ ἀντίρροπόν τινα κατάληψιν αὐτοῖς τὸ τοιοῦτον  ἀγαπῶσιν εἰ καὶ ἀνειμενωτέραν μηχανώμενοι. τοῦτο φαίνεται καὶ  ᾿Εμπεδοκλῆς περὶ αὐτοῦ αἰνίττεσθαι καὶ τῆς ἐξαιρέτου καὶ θεοδ-  ὡρήτου περὶ αὐτὸν ὑπὲρ τοὺς ἄλλους διοργανώσεως ἐν οἷς φησί" ἦν  δέ τις ἐν κείνοισιν ἀνὴρ περιώσια εἰδώς, ὃς δὴ μήκιστον πραπίδων  VITA DI PITAGORA 127  metodo, fatto di strumenti o anche della <sola> voce,3! ma servendo-  si di un certo suo potere divino, ineffabile e difficile a comprendersi,  tendeva le orecchie e concentrava l’intelletto sulle sublimi armonie  dell'universo, giacché egli era l’unico, a quanto sembra, che sapeva  ascoltare e comprendere l’armonia e la consonanza delle sfere celesti  e degli astri che si muovono in esse, armonia che esprime una melo-  dia più piena e più pura di quella prodotta dai mortali, perché pro-  dotta attraverso il loro movimento di rivoluzione composto di disu-  guali e variamente differenziate sonorità e velocità e grandezze e  intervalli, ordinate tra loro in un unico rapporto assolutamente musi-  cale, movimento di rivoluzione che è melodiosissimo e al contempo  bellissimo nella sua varietà.  (66) Ristorato da questa musica celeste, messo in ordine il princi-  pio razionale del suo intelletto, come se compisse, per cosi dire, un  esercizio fisico, Pitagora escogitava il modo di offrire ai suoi discepo-  li, quanto meglio gli era possibile, delle immagini di quelle armonie  <celesti>, imitandole sia con strumenti sia con la semplice voce. Egli  riteneva che solo a lui, tra tutti i terrestri, era dato di comprendere e  ascoltare i suoni dell’universo, e credeva che lui solo era degno di  ricevere qualche insegnamento e apprendere da questa fonte e radice  naturale, e di potersi assimilare, per desiderio e per imitazione, ai  corpi celesti, in quanto lui solo era stato felicemente strutturato in tal  senso da parte di quel principio divino che lo aveva generato. D'altra  parte egli supponeva che gli altri uomini, volgendosi a lui e ai benefi-  ci che da lui potevano ricevere, dovevano essere contenti di poter  trarre vantaggi e raddrizzamenti per mezzo di immagini ed esempi,  non essendo essi stessi in grado di percepire i primi e puri archetipi  cosî come sono realmente.  (67) Allo stesso modo noi abbiamo escogitato di mostrare, a colo-  ro che non sono in grado di guardare direttamente il sole per via della  eccessiva luminosità dei suoi raggi, le eclissi in una raccolta d’acqua  profonda o attraverso della pece liquefatta o in qualche specchio  annerito, per rispetto della debolezza della loro capacità visiva e  apparecchiando, in favore di coloro che amano questi fenomeni, una  percezione equivalente <a quella reale>, anche se più sfumata. A que-  sto sembra alludere anche Empedocle, quando parla di Pitagora e  della sua eccezionale, rispetto a quella degli altri uomini, complessio-  ne organica ricevuta per dono divino, dicendo: «C'era tra di loro un  128 GIAMBLICO  ἐκτήσατο πλοῦτον, [38] παντοίων τε μάλιστα σοφῶν ἐπιήρανος  ἔργων ὁππότε γὰρ πάσῃσιν ὀρέξαιτο πραπίδεσσι, ῥεῖά γε τῶν  ὄντων πάντων λεύσσεσκεν ἕκαστα καί τε δέκ᾽ ἀνθρώπων καί τ’  εἴκοσιν αἰώνεσσι. τὸ γὰρ «περιώσια» καὶ «τῶν ὄντων πάντων λεύσ-  σεσκεν ἕκαστα» καὶ «πραπίδων πλοῦτον» καὶ τὰ ἐοικότα ἐμφαντι-  κὰ μάλιστα τῆς ἐξαιρέτου καὶ ἀκριβεστέρας παρὰ τοὺς ἄλλους  διοργανώσεως ἦν ἔν τε τῷ ὁρᾶν καὶ τῷ ἀκούειν καὶ τῷ νοεῖν.  16 (68) Αὕτη μὲν οὖν ἡ διὰ μουσικῆς ἐπετηδεύετο αὐτῷ κατάρτυ-  σις τῶν ψυχῶν᾽ ἄλλη δὲ κάθαρσις τῆς διανοίας ἅμα καὶ τῆς ὅλης  ψυχῆς διὰ παντοδαπῶν ἐπιτηδευμάτων οὕτως ἠσκεῖτο παρ᾽ αὐτῷ. τὸ  γεννικὸν τῶν περὶ τὰ μαθήματα καὶ ἐπιτηδεύματα πόνων ᾧετο δεῖν  ὑπάρχειν καὶ τὰς τῆς ἐμφύτου πᾶσιν ἀκρασίας τε καὶ πλεονεξίας  βασάνους τε ποικιλωτάτας τε κολάσεις καὶ ἀνακοπάς, πυρὶ καὶ  σιδήρῳ κατ᾽ αὐτῆς συντελουμένας, διαθεσμοθετῆσαι τοῖς χρωμέ-  νοις, ἃς οὔτε καρτερεῖν οὔτε ὑπομένειν δύναταί τις κακὸς ὦν. πρὸς  δὲ τούτοις ἐμψύχων ἀποχὴν πάντων καὶ ἔτι βρωμάτων τινῶν. ταῖς  ἐπεγρίαις τοῦ λογισμοῦ καὶ εἰλικρινείαις ἐμποδιζόντων κατέδει-  ξεν [ἐν] τοῖς ἑταίροις, ἐχεμυθίαν τε καὶ παντελῆ σιωπήν, πρὸς τὸ  γλώσσης κρατεῖν συνασκοῦ[39]σαν ἐπὶ ἔτη πολλά, σύντονόν τε καὶ  ἀδιάπνευστον περὶ τὰ δυσληπτότατα τῶν θεωρημάτων ἐξέτασίν τε  καὶ ἀνάληψιν. (69) διὰ ταὐτὰ δὲ καὶ ἀνοινίαν καὶ ὀλιγοσιτίαν καὶ  bAryovaviav, δόξης δὲ καὶ πλούτου καὶ τῶν ὁμοίων ἀνεπιτήδευτον  «περι-» φρόνησίν τε καὶ κατεξανάστασιν, καὶ αἰδῶ μὲν ἀνυπόκριτον  πρὸς τοὺς προήκοντας, πρὸς δὲ τοὺς ὁμήλικας ἄπλαστον ὁμοιότητα  καὶ φιλοφροσύνην, συνεπίτασίν τε καὶ παρόρμησιν πρὸς τοὺς νεω-  τέρους φθόνου χωρίς, φιλίας δὲ πάντων πρὸς ἅπαντας, εἴτε θεῶν  πρὸς ἀνθρώπους δι᾽ εὐσεβείας καὶ ἐπιστημονικῆς θεραπείας, εἴτε  δογμάτων πρὸς ἀλληλα καὶ καθόλου ψυχῆς πρὸς σῶμα λογικοῦ τε  πρὸς τὰ τοῦ ἀλόγου διὰ φιλοσοφίας καὶ τῆς κατὰ ταύτην θεωρίας,  VITA DI PITAGORA 129  uomo di straordinario sapere, che aveva dunque acquistato un’im-  mensa ricchezza d’ingegno, e padroneggiava al più alto livello ogni  genere di sapiente attività: quando infatti dispiegava tutto il suo inge-  gno, era capace di scorgere, senza difficoltà, ciascuna delle cose esi-  stenti in dieci, in venti epoche umane». In effetti, espressioni quali  “straordinario” e “era capace di scorgere, senza difficoltà, ciascuna  delle cose esistenti” e “ricchezza di ingegno” e simili, mostrano  soprattutto l'eccezionale e più precisa, rispetto a quella degli altri  uomini, complessione organica di cui godeva Pitagora sia nel vedere  che nell’udire e nell’intendere.  16 (68) Era questa, dunque, la preparazione delle anime attraver-  so la musica di cui si occupava Pitagora; altra era invece la purifica-  zione della mente e insieme dell’anima intera per mezzo di occupazio-  ni di vario genere che egli esercitava nel modo seguente. Egli ritene-  va che dovesse essere vigoroso il modo di affrontare le fatiche dell’ap-  prendimento delle matematiche e di <simili> occupazioni, e che biso-  gnasse imporre, a coloro che ne fruiscono, contro l’incontinenza e  l'arroganza che sono innate in tutti, prove rigorose e castighi e osta-  coli, da realizzare contro quei vizi col ferro e col fuoco, prove che non  può sopportare e a cui non può resistere chi sia vizioso. Inoltre egli  impose ai suoi compagni di astenersi da ogni sorta di essere animato  e ancora da alcuni alimenti che sono di impedimento a una ragione  vigile e pura, e di sapere tacere e praticare un perfetto silenzio, che  addestra a dominare la lingua per molti anni, e di sapere indagare e  riprendere intensamente e incessantemente le dottrine di più difficile  comprensione;  (69) e perciò egli imponeva anche di astenersi dal vino e di man-  giare e dormire poco, e di disprezzare e resistere senza affettazione  alla gloria e alla ricchezza e a cose simili, e di rispettare sinceramente  gli anziani, e di essere francamente solidali e amichevoli verso i coeta-  nei, e premurosi e stimolanti, senza invidia, verso i più giovani, <in  breve auspicava> amicizia di tutti verso tutti, sia degli dèi verso gli  uomini, per mezzo della pietà e di un culto fondato sulla scienza, sia  delle dottrine tra loro, e in generale dell’anima verso il corpo e della  sua parte razionale verso le <varie> forme di quella irrazionale, per  mezzo della filosofia e della contemplazione che si ha in funzione di  130 GIAMBLICO  εἴτε ἀνθρώπων πρὸς ἀλλήλους, πολιτῶν μὲν διὰ νομιμότητος ὑγιοῦς,  ἑτεροφύλων δὲ διὰ φυσιολογίας ὀρθῆς, ἀνδρὸς δὲ πρὸς γυναῖκα ἢ  ἀδελφοὺς καὶ οἰκείους διὰ κοινωνίας ἀδιαστρόφου, εἴτε συλλήβδην  πάντων πρὸς ἅπαντας καὶ προσέτι τῶν ἀλόγων ζῴων τινὰ διὰ δικα-  ιοσύνης καὶ φυσικῆς ἐπιπλοκῆς καὶ κοινότητος, εἴτε καὶ σώματος  καθ᾽ ἑαυτὸ θνητοῦ τῶν ἐγκεκρυμμένων αὐτῷ ἐναντίων δυνάμεων  εἰρήνευσιν καὶ συμβιβασμὸν δι᾽ ὑγείας καὶ τῆς εἰς ταύτην διαίτης  καὶ σωφροσύνης κατὰ μίμησιν τῆς ἐν τοῖς κοσμικοῖς στοι(7θ)χείοις  εὐετηρίας. πάντων τούτων [ἕν] ἑνὸς καὶ τοῦ αὐτοῦ κατὰ σύλληψιν  καὶ συγκεφαλαίωσιν ὀνόματος «ὄντος», τοῦ τῆς φιλίας, εὑρετὴς καὶ  νομοθέτης ὁμολογουμένως Πυθαγόρας, καὶ διόλου τῆς ἐπιτηδειο-  τάτης πρὸς θεοὺς ὁμιλίας [40] ὕπαρ τε καὶ κατὰ τοὺς ὕπνους αἰτιώ-  τατος τοῖς περὶ αὐτόν, ὅπερ οὔτε ὑπὸ ὀργῆς τεθολωμένῃ περιγίνεται  ποτε ψυχῇ, οὔτε ὑπὸ λύπης οὔτε ὑπὸ ἡδονῆς οὔτε τινὸς ἄλλης ai-  σχρᾶς ἐπιθυμίας παρηλλαγμένῃ, μὰ Δία, οὐδὲ τῆς τούτων ἁπασῶν  ἀνοσιωτάτης τε καὶ χαλεπωτάτης ἀμαθίας. ἀπὸ δὴ τούτων ἁπάντων  δαιμονίως ἰᾶτο καὶ ἀπεκάθαιρε τὴν ψυχὴν καὶ ἀνεζωπύρει τὸ θεῖον  ἐν αὐτῇ καὶ ἀπέσῳζε καὶ περιῆγεν ἐπὶ τὸ νοητὸν τὸ θεῖον ὄμμα,  κρεῖττον ὃν σωθῆναι κατὰ τὸν Πλάτωνα μυρίων σαρκίνων ὀμμάτων.  μόνῳ γὰρ αὐτῷ διαβλέψαντι καὶ οἷς προσῆκε βοηθήμασι τονωθέντι  καὶ διαρθρωθέντι ἡ περὶ τῶν ὄντων ἁπάντων ἀλήθεια διορᾶται. πρὸς  δὴ τοῦτο ἀναφέρων ἐποιεῖτο τὴν τῆς διανοίας κάθαρσιν, καὶ ἦν  αὐτῷ τῆς παιδεύσεως ὁ τύπος τοιοῦτος καὶ πρὸς ταῦτα ἀποβλέπων.  17 (71) Παρεσκευασμένῳ δὲ αὐτῷ οὕτως εἰς τὴν παιδείαν τῶν  ὁμιλητῶν, προσιόντων τῶν νεωτέρων καὶ βουλομένων συνδιατρίβειν  οὐκ εὐθὺς συνεχώρει, μέχρις ἂν αὐτῶν τὴν δοκιμασίαν καὶ τὴν κρί-  σιν ποιήσηται, πρῶτον μὲν πυνθανόμενος πῶς τοῖς γονεῦσι καὶ τοῖς  οἰκείοις τοῖς λοιποῖς πάρεισιν ὡμιληκότες, ἔπειτα θεωρῶν αὐτῶν  τούς τε γέλωτας τοὺς ἀκαίρους καὶ τὴν σιωπὴν καὶ τὴν λαλιὰν παρὰ  τὸ δέον, ἔτι δὲ τὰς ἐπιθυμίας τίνες εἰσὶ καὶ τοὺς γνωρίμους οἷς  VITA DI PITAGORA 131  essa, sia degli uomini tra loro, tra cittadini per mezzo di una sana  osservanza della legge, e tra diversi gruppi etnici per mezzo di una  corretta conoscenza della natura <umana>, e tra il marito e la moglie,  o i fratelli o i parenti, per mezzo di una stabile comunione: sia, in  breve, di tutti verso tutti e ancora verso alcuni animali irrazionali per  un senso di giustizia e di naturale vicinanza e comunanza)? sia, infi-  ne, l'amicizia nel corpo, che è di per sé mortale, al livello di pacifica-  zione e conciliazione tra facoltà contrarie che si nascondono in esso,  per mezzo della salute e del relativo regime di vita, e della temperan-  za, ad imitazione della prosperità che vige tra gli elementi dell’univer-  50.  (70) Poiché di tutti questi casi esiste un unico e medesimo nome  che li sintetizza, cioè “amicizia”, si ritiene concordemente che sia  stato Pitagora a scoprirlo e imporlo come legge: e in generale che sia  lui il responsabile in assoluto della più conveniente relazione con gli  dei da parte dei suoi discepoli, in stato sia di veglia che di sogno, cosa  che non capita né quando l’anima è turbata dall’ira, né quando è svia-  ta dal dolore o dal piacere o da qualche altro turpe appetito, per Zeus,  né dall’ignoranza, che è il più empio e più grave di tutti questi difet-  ti. Partendo da tutto ciò, appunto, Pitagora curava divinamente e  purificava l'anima e riaccendeva la scintilla del divino che è in essa e  manteneva sano e riconduceva verso l’Intelligibile l'occhio divino  <dell’anima>, che, secondo Platone, è giusto salvare più di migliaia e  migliaia di occhi carnali. Solo con esso, infatti, qualora sia rivolto  <lassii> e sia rafforzato dai dovuti ausili e sia bene organizzato, si può  discernere la verità intorno a tutti gli enti, Era appunto in riferimen-  to a questo fine che Pitagora purificava la mente, ed era di questa  natura la sua educazione, ed era a questo che egli mirava.  17 (71) Essendo preparato in tal modo all'educazione dei suoi  discepoli, una volta che i giovani arrivavano da lui e volevano fre-  quentare la sua scuola, a Pitagora non sembrava conveniente accetta-  re subito, senza prima sottoporli ad esame e a giudizio di merito: anzi-  tutto egli cercava di rendersi conto di che tipo di rapporti essi intrat-  tenevano con i loro genitori e con gli altri parenti, poi vedeva chi tra  loro rideva senza motivo o taceva o parlava più del necessario, e anco-  ra quali erano i loro appetiti e chi erano i loro familiari e quale rap-  132 GIAMBLICO  ἐχρῶντο καὶ τὴν πρὸς τούτους ὁμιλίαν καὶ πρὸς τίνι μάλιστα τὴν  ἡμέραν σχολάζουσι καὶ τὴν χαρὰν καὶ τὴν λύπην ἐπὶ τίσι τυγχά-  νουσι ποιούμενοι. προσεθεώρει δὲ καὶ τὸ εἶδος καὶ τὴν πορείαν  καὶ τὴν ὅλην τοῦ σώματος κίνησιν, τοῖς τε τῆς φύσεως γνωρίσμασι  φυσιογνωμονῶν αὐτοὺς σημεῖα τὰ φανερὰ ἐποιεῖτο τῶν ἀφανῶν [41]  (72) ἠθῶν ἐν τῇ ψυχῇ. καὶ ὅντινα δοκιμάσειεν οὕτως, ἐφίει τριῶν  ἐτῶν ὑπερορᾶσθαι, δοκιμάζων πῶς ἔχει βεβαιότητος καὶ ἀληθινῆς  φιλομαθείας, καὶ εἰ πρὸς δόξαν ἱκανῶς παρεσκεύασται ὥστε κατα-  φρονεῖν τιμῆς. μετὰ δὲ τοῦτο τοῖς προσιοῦσι προσέταττε σιωπὴν  πενταετῆ, ἀποπειρώμενος πῶς ἐγκρατείας ἔχουσιν, ὡς χαλεπώτερον  τῶν ἄλλων ἐγκρατευμάτων τοῦτο, τὸ γλώσσης κρατεῖν, καθὰ καὶ ὑπὸ  τῶν τὰ μυστήρια νομοθετησάντων ἐμφαίνεται ἡμῖν. ἐν δὴ τῷ χρόνῳ  τούτῳ τὰ μὲν ἑκάστου ὑπάρχοντα, τουτέστιν αἱ οὐσίαι, ἐκοινοῦντο,  διδόμενα τοῖς ἀποδεδειγμένοις εἰς τοῦτο γνωρίμοις, οἵπερ  ἐκαλοῦντο πολιτικοί, καὶ οἰκονομικοί τινες καὶ νομοθετικοὶ ὄντες.  αὐτοὶ δὲ εἰ μὲν ἄξιοι ἐφαίνοντο τοῦ μετασχεῖν δογμάτων, ἔκ τε  βίου καὶ τῆς ἄλλης ἐπιεικείας κριθέντες, μετὰ τὴν πενταετῆ σιωπὴν  ἐσωτερικοὶ λοιπὸν ἐγίνοντο καὶ ἐντὸς σινδόνος ἐπήκουον τοῦ  Πυθαγόρου μετὰ τοῦ καὶ βλέπειν αὐτόν᾽ πρὸ τούτου δὲ ἐκτὸς αὐτῆς  καὶ μηδέποτε αὐτῷ ἐνορῶντες μετεῖχον τῶν λόγων διὰ ψιλῆς ἀκοῆς,  ἐν πολλῷ χρόνῳ διδόντες (73) βάσανον τῶν οἰκείων ἠθῶν. εἰ δ᾽ ἀπο-  δοκιμασθείησαν, τὴν μὲν οὐσίαν ἐλάμβανον διπλῆν, μνῆμα δὲ aù-  τοῖς ὡς νεκροῖς ἐχώννυτο ὑπὸ τῶν ὁμακόων (οὕτω γὰρ ἐκαλοῦντο  πάντες οἱ περὶ τὸν ἄνδρα), συντυγχάνοντες δὲ αὐτοῖς οὕτως συνε-  τύγχανον ὡς ἄλλοις τισίν, ἐκείνους δὲ ἔφασαν τεθνά[42]ναι, οὺς  αὐτοὶ ἀνεπλάσσοντο, καλοὺς κἀγαθοὺς προσδοκῶντες ἔσεσθαι ἐκ  τῶν μαθημάτων’ ἀδιοργανώτους τε καὶ ὡς εἰπεῖν ἀτελεῖς τε καὶ  VITA DI PITAGORA 133  porto intrattenevano con loro, e a che cosa dedicavano la maggior  parte della giornata, e per quali cose essi provavano gioia o dolore.  Considerava, inoltre, l'aspetto e il modo di camminare e il movimen-  to del corpo nel suo complesso, e facendo loro un esame fisiognomi-  co attraverso gli indizi della loro natura, considerava i risultati come  segni evidenti dei caratteri non apparenti della loro anima.  (72) E chiunque avesse sottoposto a tale esame, lasciava che per  tre anni fosse osservato dall'esterno, per esaminare con quale stabili  tà e autentico desiderio di apprendere si comportasse, e se fosse pre-  parato a tal punto contro la gloria da disprezzare gli onori. Dopo que-  sto periodo di tre anni imponeva a coloro che lo frequentavano un  silenzio di cinque anni, per sperimentare fino a qual punto essi erano  in grado di contenersi, giacché fra tutti i tipi di continenza il più dif-  ficile è dominare la lingua, secondo quel che ci manifestano anche  coloro che hanno istituito i misteri. Durante questo periodo di cinque  anni, ciò che apparteneva a ciascuno, cioè i loro beni, venivano messi  in comune, consegnati a quegli intimi discepoli di Pitagora che erano  stati da lui designati per questo compito, e che venivano chiamati  “politici”, alcuni dei quali erano amministratori e legislatori <della  comunità>. Se poi costoro apparivano degni di partecipare alle dot-  trine, e per questo erano giudicati per il loro stile di vita e altre forme  di onesto comportamento, diventavano, dopo i cinque anni di silen-  zio, per il resto del tempo “esoterici” e potevano ascoltare Pitagora  all’interno della tenda, oltre che vederlo di persona, mentre in prece-  denza partecipavano, fuori della tenda, ai suoi discorsi con il sempli-  ce ascolto senza mai vederlo, dovendo per molto tempo dare prova  del loro carattere.  (73) Se poi a questa prova venivano respinti, allora ricevevano il  doppio dei loro beni, e per essi veniva innalzata una tomba, come fos-  sero morti, da parte dei loro co-uditori (cosi infatti venivano chiama-  ti tutti coloro che stavano intorno a Pitagora), e quando questi ultimi  li incontravano era come se incontrassero degli altri, perché essi dice-  vano che erano morti coloro che essi avevano cercato di “modella-  re”,33 dal momento che si aspettavano che sarebbero divenuti, con i  loro insegnamenti matematici, belli e buoni; essi credevano che quel-  li che erano rimasti sordi a quegli insegnamenti erano “disorganizza-  ti” e, per cosî dire, imperfetti e in qualche modo sterili.  134 GIAMBLICO  στειρώδεις ᾧοντο τοὺς δυσμαθε(74)στέρους. εἰ γοῦν, μετὰ τὸ ἐκ  μορφῆς τε καὶ βαδίσματος καὶ τῆς ἄλλης κινήσεώς τε καὶ καταστά-  σεως ὑπ᾽ αὐτῶν φυσιογνωμονηθῆναι καὶ ἐλπίδα ἀγαθὴν περὶ αὑτοῦ  παρασχεῖν, μετὰ τὴν πενταετῆ σιωπὴν καὶ [τὴν] μετὰ τοὺς ἐκ τῶν  τοσῶνδε μαθημάτων ὀργιασμοὺς καὶ μυήσεις ψυχῆς τε ἀπορρύψεις  καὶ καθαρμοὺς τοσούτους τε καὶ τηλικούτους καὶ ἐκ ποικίλων  οὕτως θεωρημάτων προοδεύσαντας, δι᾽ οὺς ἀγχίνοιαί τε καὶ ψυχῆς  εὐάγειαι πᾶσιν ἐκ παντὸς ἐνεφύοντο, δυσκίνητος ἔτι τις καὶ δυσπα-  ρακολούθητος ηὑρίσκετο, στήλην δή τινὰ τῷ τοιούτῳ καὶ μνημεῖον  ἐν τῇ διατριβῇ χώσαντες (καθὰ καὶ Περίλλῳ τῷ Θουρίῳ λέγεται καὶ  Κύλωνι τῷ Συβαριτῶν ἐξάρχῳ, ἀπογνωσθεῖσιν ὑπ᾽ αὐτῶν) ἐξήλαυ-  νον ἂν τοῦ ὁμακοείου, φορτίσαντες χρυσοῦ τε καὶ ἀργύρου πλῆθος  (κοινὰ γὰρ αὐτοῖς καὶ ταῦτα ἀπέκειτο, ὑπό τινων εἰς τοῦτο ἐπι-  τηδείων κοινῇ διοικονομούμενα, odg προσηγόρευον οἰκονομικοὺς  ἀπὸ τοῦ τέλους) καὶ εἴ ποτε συντύχοιεν ἄλλως αὐτῷ, πάντα  ὁντινοῦν μᾶλλον ἢ ἐκεῖνον ἡγοῦντο εἶναι, τὸν κατ᾽ αὐτοὺς τεθνηκό-  τα.  (75) διόπερ καὶ Λῦσις Ἱππάρχῳ τινὶ ἐπιπλήττων, μεταδιδόντι τῶν  λόγων τοῖς ἀνεισάκτοις καὶ ἄνευ μαθημάτων καὶ θεω[43]ρίας ἐπι-  φυομένοις, φησί «φαντὶ δέ σε καὶ δαμοσίᾳ φιλοσοφὲν τοῖς ἐντυγχά-  νουσι, τόπερ ἀπαξίωσε Πυθαγόρας, ὡς ἔμαθες μέν, Ἵππαρχε, μετὰ  σπουδᾶς, οὐκ ἐφύλαξας δέ, γευσάμενος, ὦ γενναῖε, Σικελικᾶς πολυ-  τελείας, ἄς οὐκ ἐχρῆν τοι γενέσθαι δεύτερον. εἰ μὲν ὧν μεταβάλο-  Lo, χαρησοῦμαι’ εἰ δὲ μή γε, τέθνακας. διαμεμνᾶσθαι γάρ, φησίν,  ὅσιον εἴη κα τῶν τήνου θείων τε καὶ ἀνθρωπείων παραγγελμάτων,  μηδὲ κοινὰ ποιεῖσθαι τὰ σοφίας ἀγαθὰ τοῖς οὐδ᾽ ὄναρ τὰν ψυχὰν  κεκαθαρμένοις. οὐ γὰρ θέμις ὀρέγεν τοῖς ἀπαντῶσι τὰ μετὰ  τοσούτων ἀγώνων σπουδᾷ ποριχθέντα, οὐδὲ μὰν βεβάλοις τὰ ταῖν  Ἐλευσινίαιν θεαῖν μυστήρια διαγέεσθαι' κατ᾽ ἰσότατα δὲ ἄδικοι  καὶ ἀσεβέες οἱ (76) ταῦτα πράξαντες. διαλογίζεσθαι δὲ καλόν,  ὅσον χρόνου μᾶκος ἐκμεμετρήκαμεν ἀπορρυπτόμενοι «σπίλως τὼς  ἐν τοῖς [44] στάθεσσιν ἁμῶν ἐγκεκολαμμένως, ἕως ποκὰ διελθόντων  VITA DI PITAGORA 135  (74) Se dunque, dopo essere stato da loro esaminato fisiognomi-  camente a partire dal suo aspetto fisico e del suo incedere e di altre  forme di movimento e di atteggiamento, e dopo avere fornito buona  aspettativa di sé, dopo un silenzio di cinque anni e dopo essere stato  addestrato a tanti insegnamenti, come a dei misteri, e dopo tali e tante  iniziazioni e purificazioni e purgazioni dell'anima procedenti da tanto  varie dottrine, con le quali nascono in tutti, da sempre, acutezza e  vivacità dell'anima, qualcuno veniva ancora trovato lento nel progre-  dire e nel seguire l'insegnamento, allora a costui innalzavano nella  scuola una stele alla memoria (come fu fatto, si dice, per Perillo di  Turi e per Cilone, il governatore di Sibari, una volta che furono da  loro respinti) e lo cacciavano dal co-uditorio, dopo averlo caricato di  molto oro e argento (questi beni, infatti, erano accantonati e lasciati  in comune, ed erano amministrati in comune da alcuni addetti a que-  sta funzione, i quali ricevevano per questo scopo il nome di “ammini-  stratori”); e se qualche volta capitava loro, per altre ragioni, di incon-  trarlo, essi ritenevano che fosse un altro qualsiasi piuttosto che quel-  lo che per loro era morto.  (75) Perciò anche Liside, nel censurare un certo Ipparco che  aveva comunicato dei discorsi di Pitagora a gente non introdotta alla  scuola e cresciuta senza formazione matematica e speculativa, dice:  «Si racconta che tu, o Ipparco, insegni filosofia a chiunque incontri,  anche pubblicamente, cosa che Pitagora ha proibito severamente,  come tu ben sai, ma tu non mantieni tale divieto perché hai gustato in  Sicilia, mio caro, quel lussuoso stile di vita, rispetto a cui quella rego-  la non doveva essere per te secondaria.34 Se tu dovessi cambiare atteg-  giamento, io me ne rallegrerò, diversamente tu <per me> sei morto.  Infatti — egli dice — pietà vorrebbe che ci si ricordasse dei precetti sia  divini che umani di Pitagora, e non si condividessero i beni della sua  sapienza con coloro che nemmeno in sogno si sono purificati nell’ani-  ma, perché non è lecito offrire a chiunque capiti ciò che si è acquisi-  to seriamente con cosî grandi battaglie, né esporre ai non iniziati i  misteri delle due dee di Eleusi; coloro che hanno questo sono tanto  ingiusti quanto empi.  (76) E bene calcolare quanto tempo abbiamo misurato quando ci  purificavamo delle sozzure incise nei nostri cuori, fino a quando, con  il passare degli anni, noi siamo divenuti capaci di accogliere i discor-  136 GIAMBLICO  ἐτέων ἐγενόμεθα δεκτικοὶ τῶν Mvov λόγων. καθάπερ γὰρ oi βαφεῖς  προεκκαθάραντες ἔστυψαν τὰ βάψιμα τῶν ἱματίων, ὅπως ἀνέκπλυ-  τον τὰν βαφὰν ἀναπίωντι καὶ μηδέποτε γενησουμέναν ἐξίταλον, τὸν  αὐτὸν τρόπον καὶ ὁ δαιμόνιος ἀνὴρ προπαρεσκεύαζε τὰς ψυχὰς τῶν  φιλοσοφίας ἐρασθέντων, ὅπως μὴ διαψευσθῇ περί τινα τῶν ἐλπι-  σθέντων ἐσεῖσθαι καλῶν τε κἀγαθῶν. οὐ γὰρ κιβδήλως ἐνεπορεύε-  το λόγως οὐδὲ πάγας, ταῖς τοὶ πολλοὶ τῶν σοφιστᾶν τὼς νέως ἐμπλέ-  κοντι, ποτ᾽ οὐδὲν κράγυον σχολάζοντες, ἀλλὰ θείων καὶ  ἀνθρωπίνων πραγμάτων ἧς ἐπιστάμων. τοὶ δὲ πρόσχημα ποιησάμε-  νοι τὰν τήνω διδασκαλίαν πολλὰ καὶ δεινὰ δρῶντι, σαγηνεύοντες  où κατὰ κόσμον οὐδ᾽ ὡς (77) ἔτυχε τὼς νέως. τοιγαροῦν χαλεπώς τε  καὶ προαλεῖς ἀπεργάζονται τὼς ἀκουστάς. ἐγκίρναντι γὰρ ἤθεσι  τεταραγμένοις τε καὶ θολεροῖς θεωρήματα καὶ λόγως θείως, καθά-  περ εἴ τις εἰς φρέαρ βαθὺ βορβόρω πλῆρες ἐγχέοι καθαρὸν καὶ διει-  δὲς ὕδωρ᾽ τόν τε γὰρ βόρβορον ἀνετάραξε καὶ τὸ ὕδωρ ἐπαφάνιξεν.  ὁ αὐτὸς δὴ τρόπος τῶν οὕτω δὴ διδασκόντων τε καὶ διδασκομένων"  πυκιναὶ γὰρ καὶ λάσιαι λόχμαι περὶ τὰς φρένας καὶ τὰν καρδίαν  πεφύκαντι τῶν μὴ καθαρῶς τοῖς μαθήμασιν ὀργιασθέντων, πᾶν τὸ  ἅμερον καὶ πρᾶον καὶ λογιστικὸν τᾶς ψυχᾶς ἐπισκιάζουσαι καὶ  κωλύουσαι προφανῶς αὐξηθῆμεν καὶ προκύψαι τὸ νοατικόν. [45]  ὀνομάξαιμι δέ κα πρῶτον ἐπελθὼν αὐτῶν τὰς ματέρας, ἀκρασίαν τε  (78) καὶ πλεονεξίαν ἄμφω δὲ πολύγονοι πεφύκαντι. τᾶς μέν νυν  ἀκρασίας ἐκβεβλαστάκαντι ἄθεσμοι γάμοι καὶ φθοραὶ καὶ μέθαι  καὶ παρὰ φύσιν ἁδοναὶ καὶ σφοδραί τινες ἐπιθυμίαι, μέχρι  βαράθρων καὶ κρημνῶν διώκουσαι᾽ ἤδη γάρ τινας ἀνάγκαξαν ἐπιθυ-  μίαι μήτε ματέρων μήτε θυγατέρων ἀποσχέσθαι, καὶ δὴ παρεωσά-  μεναι πόλιν καὶ νόμον καθάπερ τύραννος, ἐκπεριαγαγοῦσαι τὼς  ἀγκῶνας ὥσπερ αἰχμάλωτον ἐπὶ τὸν ἔσχατον ὄλεθρον μετὰ βίας  ἄγουσαι κατέστασαν. τᾶς δὲ πλεονεξίας ἐκπέφυκαν ἁρπαγαί,  λαᾳστεῖαι, πατροκτονίαι, ἱεροσυλίαι, φαρμακεῖαι, καὶ ὅσα τούτων  ἀδελφά. δεῖ ὦν πρᾶτον μὲν τὰς ὕλας, αἷς ἐνδιαιτῆται ταῦτα τὰ πάθη,  πυρὶ καὶ σιδήρῳ καὶ πάσαις μαθημάτων μηχαναῖς ἐκκαθαίροντας  καὶ ῥυομένως τὸν λογισμὸν ἐλεύθερον τῶν τοσούτων κακῶν, τὸ  VITA DI PITAGORA 137  si di Pitagora. Cosî come, infatti, i tintori, dopo averli puliti, prepara-  no con sostanze caustiche i vestiti che devono tingere, affinché assor-  bano la tintura in modo che resti indelebile e mai possa scolorirsi, allo  stesso modo anche il divino Pitagora preparava le anime di coloro che  si erano innamorati della <sua> filosofia, affinché non avesse a sba-  gliarsi sul conto di qualcuno di coloro che egli sperava sarebbero  diventati onesti e virtuosi. Pitagora infatti non faceva commercio di  discorsi illusori né si serviva di quegli inganni, con cui la maggior  parte dei sofisti, che non dedicano mai il loro tempo a qualcosa di  buono, adescano i giovani, ma aveva conoscenza scientifica di realtà  divine e umane. I sofisti invece, prendendo a pretesto l'insegnamento  di Pitagora, compiono molti e terribili misfatti, poiché irretiscono i  giovani senza ritegno e non certo a caso.)  (77) Essi perciò rendono i loro uditori riottosi e temerari, perché  mescolano dottrine e discorsi divini con caratteri disordinati e torbi-  di, come se uno versasse in un profondo pozzo pieno di fango dell’ac-  qua pura e limpida, perché in questo caso si rimescolerebbe il fango  e si farebbe sparire l’acqua pura. È questo, appunto, il metodo di  coloro che insegnano e imparano alla maniera dei sofisti, perché densi  cespugli crescono nella mente e nel cuore di coloro che sono iniziati  alle discipline matematiche in modo impuro, in quanto gettano  ombra su ciò che le anime hanno di educato e mite e razionale, e  impediscono che si sviluppi ed emerga chiaramente ciò che esse  hanno di intellettivo. Ma io vorrei, anzitutto, chiamare per nome, a  proposito di tali storture, le loro madri, e cioè l’incontinenza e l’arro-  ganza. Questi due vizi sono prolifici per natura.  (78) L'incontinenza, da un lato, ha fatto nascere matrimoni illeciti e  corruzioni e ubriachezze e piaceri contro natura e alcuni appetiti vio-  lenti che spingono fino al baratro e al precipizio <morali>, perché gli  appetiti hanno già costretto alcuni a non astenersi dal violentare e  madri e figlie, e poiché tali desideri disprezzano la città e la legge cosi  come fa il tiranno, essi si instaurano legando i gomiti come quando si  fa con un prigioniero di guerra, e spingendo con violenza alla più  completa rovina. L'arroganza, dall’altro lato, ha fatto nascere ruberie,  brigantaggi, parricidi, sacrilegi, avvelenamenti, e quanti altri mali  sono fratelli di questi. Occorre, dunque, anzitutto che noi, dopo avere  purificato col ferro e col fuoco e con tutti i mezzi che può fornirci la  138 GIAMBLICO  τανικάδε ἐμφυτεύεν τι χρήσιμον αὐτῷ καὶ παραδιδόμεν.»  (79) τοσαύτην ἐπιμέλειαν καὶ οὕτως ἀναγκαιοτάτην ᾧετο δεῖν  μαθημάτων πρὸ φιλοσοφίας ποιεῖσθαι Πυθαγόρας, τιμήν τε ἐξαίρε-  τον ἐτίθετο καὶ ἐξέτασιν ἀκριβεστάτην περὶ τὴν διδασκαλίαν καὶ  μετάδοσιν τῶν αὐτῷ δεδογμένων, βασανί[46]ζων τε καὶ διακρίνων  τὰς τῶν ἐντυγχανόντων ἐννοίας διδάγμασί τε ποικίλοις καὶ θεωρί-  ας ἐπιστημονικῆς μυρίοις εἴδεσι.  18 (80) Μετὰ δὴ τοῦτο λέγωμεν ὅπως τοὺς ἐγκριθέντας ὑφ᾽ ἑαυτοῦ  διήρηκε χωρὶς κατὰ τὴν ἀξίαν ἑκάστους. οὔτε γὰρ τῶν αὐτῶν μετέ-  χειν ἐπ᾽ ἴσης πάντας ἦν ἄξιον, μὴ τῆς ὁμοίας ὄντας φύσεως, οὔτε  ἄξιον ἦν τοὺς μὲν πάντων τῶν τιμιωτάτων ἀκροαμάτων μετέχειν,  τοὺς δὲ μηδενὸς [ἢ] μηδόλως μετέχειν καὶ γὰρ τοῦτο ἦν ἀκοιν-  ὦνητον καὶ ἄνισον. τῷ μέντοι μεταδοῦναι τῶν ἐπιβαλλόντων λόγων  ἑκάστοις τὴν προσήκουσαν μοῖραν τήν τε ὠφέλειαν ἀπένεμεν  ἅπασι κατὰ τὸ δυνατὸν καὶ τὸν τῆς δικαιοσύνης λόγον ἐφύλαττεν,  ὅτι μάλιστα τὴν ἀξίαν ἑκάστοις ἀποδιδοὺς ἀκρόασιν. κατὰ δὴ  τοῦτον τὸν λόγον τοὺς μὲν Πυθαγορείους καλέσας, τοὺς δὲ  Πυθαγοριστάς, ὥσπερ ᾿Αττικούς τινας ὀνομάζομεν, ἑτέρους δὲ  ᾿Αττικιστάς, διελὼν οὕτως πρεπόντως τὰ ὀνόματα τοὺς μὲν γνησίους  εἶναι ἐνεστήσατο, τοὺς δὲ ζηλωτὰς τούτων δηλοῦσθαι ἐνομοθέτησε.  (81) τῶν μὲν οὖν Πυθαγορείων κοινὴν εἶναι τὴν οὐσίαν διέταξε καὶ  τὴν συμβίωσιν ἅμα διὰ παντὸς τοῦ χρόνου διατελεῖν, τοὺς δὲ  ἑτέρους ἰδίας μὲν κτήσεις ἔχειν ἐκέλευσε, συνιόντας δὲ εἰς ταὐτὸ  συσχολάζειν ἀλλήλοις.  καὶ οὕτω τὴν διαδοχὴν ταύτην ἀπὸ Πυθαγόρου κατ᾽ ἀμφοτέρους  τοὺς τρόπους συστῆναι. κατ᾽ ἄλλον δὲ αὖ τρόπον δύο ἦν εἴδη τῆς  φιλοσοφίας δύο γὰρ ἦν γένη καὶ τῶν μεταχειριζομένων αὐτήν, οἱ  μὲν ἀκουσματικοί, οἱ δὲ μαθηματικοί. τουτωνὶ δὲ οἱ μὲν μαθηματι-  VITA DI PITAGORA 139  scienza matematica, le foreste in cui dimorano queste passioni, e resa  libera la ragione da cosi grandi vizi, piantiamo, a quel punto, in essa  qualcosa di utile e gliela insegniamo».  (79) Tanto grande e assolutamente necessaria era — a parere di  Pitagora — la cura che occorre avere delle matematiche prima che  della filosofia; ed egli stimava straordinariamente e ricercava in  maniera assolutamente precisa l’insegnamento e la trasmissione delle  sue dottrine, sottoponendo ad esame e giudicando le menti di coloro  che incontrava per mezzo di vari espedienti didattici e forme di spe-  culazione scientifica.  18 (80) Dopo di che diciamo come Pitagora distribuisse in grup-  pi, a seconda della dignità di ciascuno, coloro che da lui venivano  ammessi alla scuola. Non era, infatti, opportuno che tutti partecipas-  sero ugualmente ai medesimi insegnamenti, non possedendo essi la  medesima natura, né era opportuno che alcuni partecipassero alle  lezioni di più alto valore, e altri non potessero partecipare affatto ad  alcuna lezione, perché questo sarebbe stato un fatto contrario al senso  della comunità e dell’eguaglianza. In effetti, col comunicare a ciascu-  no la parte che gli era più conveniente dei discorsi che egli destinava  loro, e col distribuire a tutti ciò che era loro utile secondo le loro  capacità e secondo un giusto rapporto, si conservava la migliore con-  dizione perché Pitagora desse lezioni a ciascuno secondo il merito.  Secondo questo rapporto, egli denominò, appunto, alcuni  “Pitagorici”, altri “Pitagoristi”, cosi come noi chiamiamo “Attici”  alcuni, “Atticisti” altri, distinguendo cosî, in modo conveniente,  secondo i loro nomi, da un lato quelli che stabiliva essere i suoi genui-  ni discepoli, dall’altro lato quelli che riteneva potessero manifestarsi  come loro seguaci.  (81) Egli dispose, dunque, che i Pitagorici avessero in comune i  beni e conducessero per tutto il tempo una vita in comune, mentre  invitò gli altri [sc. i Pitagoristi] a mantenere il possesso delle loro pro-  prietà private, ma convivendo riuniti nel medesimo luogo per studia-  re in comunione tra di loro. E cosi la successione a Pitagora si costi-  tuî, fin dalla sua epoca, in ambedue questi modi di essere discepoli.  Ma anche da un altro punto di vista ci furono due specie di filosofia  pitagorica, perché anche quelli che la praticarono si divisero in due  140 GIAMBLICO  κοὶ ὡμολογοῦντο [47] Πυθαγόρειοι εἶναι ὑπὸ τῶν ἑτέρων, τοὺς δὲ  ἀκουσματικοὺς οὗτοι οὐχ ὡμολόγουν, οὔτε τὴν πραγματείαν αὐτῶν  εἶναι Πυθαγόρου, ἀλλ᾽ Ἱππάσου: τὸν δὲ Ἵππασον οἱ μὲν Kpo(82)ta-  νιάτην φασίν, οἱ δὲ Μεταποντῖνον. ἔστι δὲ ἡ μὲν τῶν ἀκουσματικῶν  φιλοσοφία ἀκούσματα ἀναπόδεικτα καὶ ἄνευ λόγου, ὅτι οὕτως  πρακτέον, καὶ τἄλλα, ὅσα παρ᾽ ἐκείνου ἐρρέθη, ταῦτα πειρῶνται  διαφυλάττειν ὡς θεῖα δόγματα, αὐτοὶ δὲ παρ᾽ αὑτῶν οὔτε λέγειν  προσποιοῦνται οὔτε λεκτέον εἶναι, ἀλλὰ καὶ αὑτῶν ὑπολαμ-  βάνουσι τούτους ἔχειν βέλτιστα πρὸς φρόνησιν, οἵτινες πλεῖστα  ἀκούσματα ἔσχον. πάντα δὲ τὰ οὕτως «καλούμενα» ἀκούσματα  διήρηται εἰς τρία εἴδη τὰ μὲν γὰρ αὐτῶν τί ἐστι σημαίνει, τὰ δὲ τί  μάλιστα, τὰ δὲ τί δεῖ πράττειν ἢ μὴ πράττειν. τὰ μὲν οὖν τί ἐστι  τοιαῦτα, οἷον τί ἐστιν αἱ μακάρων νῆσοι; ἥλιος καὶ σελήνη. τί ἐστι  τὸ ἐν Δελφοῖς μαντεῖον; τετρακτύς᾽ ὅπερ ἐστὶν i ἁρμονία, ἐν ἧ αἱ  Σειρῆνες. τὰ δὲ τί μάλιστα, οἷον τί τὸ δικαιότατον; θύειν. τί τὸ  σοφώτατον; ἀριθμός: δεύτερον δὲ τὸ τοῖς πράγμασι τὰ ὀνόματα τιθέ-  μενον. τί σοφώτατον τῶν παρ᾽ ἡμῖν; ἰατρική. τί κάλλιστον; ἁρμονία.  τί κράτιστον; γνώμη. τί ἄριστον; εὐδαιμονία. τί δὲ ἀληθέστατον λέ-  γεται; ὅτι πονπροὶ οἱ ἄνθρωποι. διὸ καὶ ποιητὴν [48] Ἱπποδάμαντά  φασιν ἐπαινέσαι αὐτὸν τὸν Σαλαμίνιον, ὃς ἐποίησεν: ὦ θεοί, πόθεν  ἐστέ, πόθεν τοιοίδ᾽ ἐγένεσθε; ἄνθρωποι, πόθεν ἐστέ, πόθεν κακοὶ  ὧδ᾽ ἐγένεσθε; (83) ταῦτα καὶ τοιαῦτά ἐστι τὰ τούτου τοῦ γένους  ἀκούσματα’ ἕκαστον γὰρ τῶν τοιούτων μάλιστά τί ἐστιν. ἔστι δ᾽  αὕτη ἡ αὐτὴ τῇ τῶν ἑπτὰ σοφιστῶν λεγομένῃ σοφίᾳ. καὶ γὰρ ἐκεῖνοι  ἐζήτουν, οὐ τί ἐστι τἀγαθόν, ἀλλὰ τί μάλιστα᾽ οὐδὲ τί τὸ χαλεπόν,  ἀλλὰ τί τὸ χαλεπώτατον (ὅτι τὸ αὑτὸν γνῶναί ἐστιν)" οὐδὲ τί τὸ  ῥάδιον, ἀλλὰ τί τὸ ῥᾷστον (ὅτι τὸ ἔθει χρῆσθαι). τῇ τοιαύτῃ γὰρ  σοφίᾳ μετηκολουθηκέναι ἔοικε τὰ τοιαῦτα ἀκούσματα: πρότεροι  VITA DI PITAGORA 141  generi: da un lato gli “acusmatici”, dall'altro lato i “matematici”. Tra  questi, i matematici erano concordemente considerati dagli altri come  Pitagorici, mentre gli altri non consideravano tali gli acusmatici, e  concordavano sul fatto che la dottrina di questi ultimi non era quella  di Pitagora, bensi di Ippaso; e Ippaso era di Crotone secondo alcuni,  di Metaponto secondo altri.  (82) La filosofia degli acusmatici è composta di “detti”36 privi di  dimostrazione e di argomentazione, ad esempio “è cosi che bisogna  agire”, e tutte le altre affermazioni di Pitagora, essi cercano di custo-  dirle come dottrine divine,}? ed essi non presumono di parlare in  prima persona né di dire ciò che si deve dire, anzi suppongono che  quelli di loro che posseggono la maggior parte di tali detti, hanno la  migliore disposizione alla saggezza.?8 E tutti questi “detti” — cosiddet-  ti — si dividono in tre specie: alcuni di essi, infatti, sono del tipo “che  cosa significa”, altri del tipo “che cos'è al massimo livello”, altri anco-  ra, infine, del tipo “che cosa bisogna fare o non fare”, Ebbene, i detti  che esprimono “che cosa è” sono, ad esempio, questi: “che cosa sono  le isole dei beati?”, “sole e luna”; “che cos'è l'oracolo di Delfi?”, la  “Tetraktus”, che è l’armonia, nella quale si trovano le Sirene. I detti  che esprimono “che cosa è al massimo livello” sono, ad esempio, que-  sti: “qual è la cosa più giusta?”, “sacrificare”; “qual è la cosa più  sapiente?”, “il numero: e in seconda posizione viene ciò che ha impo-  sto i nomi alle cose”. “Qual è la cosa più sapiente in noi?”, “la medi-  cina”. “Qual è la cosa più bella?”, “l'armonia”. “Qual è la cosa più  potente?”, “l'intelligenza”. “Qual è la cosa migliore?”, “la felicità”.  “Che cosa si dice che sia la cosa più vera?”, “Che gli uomini sono mal-  vagi”. Perciò si racconta che Pitagora ha celebrato il poeta  Ippodamante di Salamina, il quale ha scritto i seguenti versi: «O dèi,  donde venite, donde siete nati dèi? O uomini, donde venite, donde  siete nati cosi malvagi?».  (83) Sono questi e di tale natura i “detti” di questo genere: ciascu-  no di essi, infatti, significa qualcosa al massimo livello. Ma questa  sapienza è identica alla cosiddetta “sapienza dei sette sapienti”, per-  ché anche quei sapienti ricercavano, non già “che cos'è il bene”, ma  “che cosa è al massimo livello”: non già “che cos'è il difficile”, ma  “che cos'è il difficilissimo” (cioè il “conoscere se stesso”); non già “  che cos'è il facile”, ma “che cos'è il facilissimo” (cioè “adeguarsi alla  142 GIAMBLICO  γὰρ οὗτοι Πυθαγόρου ἐγένοντο. τὰ δὲ τί πρακτέον ἢ οὐ πρακτέον  τῶν ἀκουσμάτων τοιαῦτά ἐστιν, οἷον ὅτι δεῖ τεκνοποιεῖσθαι (δεῖ  γὰρ ἀντικαταλιπεῖν τοὺς θεραπεύοντας τὸν θεόν), ἢ ὅτι δεῖ τὸν  δεξιὸν ὑποδεῖσθαι πρότερον, ἢ ὅτι οὐ δεῖ τὰς λεωφόρους βαδίζειν  ὁδοὺς οὐδὲ εἰς περιρραντήριον ἐμβάπτειν οὐδὲ ἐν βαλανείῳ λούε-  σθαι’ ἄδηλον γὰρ ἐν πᾶσι (84) τούτοις εἰ καθαρεύουσιν οἱ κοιν-  ὠνοῦντες. καὶ ἄλλα τάδε' φορτίον μὴ συγκαθαιρεῖν (οὐ γὰρ δεῖ  αἴτιον γίνεσθαι τοῦ μὴ πονεῖν), συνανατιθέναι δέ. χρυσὸν ἐχούσῃ  μὴ πλησιάζειν ἐπὶ τεκνοποιίᾳ. μὴ λέγειν ἄνευ φωτός. σπένδειν [49]  τοῖς θεοῖς κατὰ τὸ οὖς τῆς κύλικος οἰωνοῦ ἕνεκεν, καὶ ὅπως μὴ ἀπὸ  τοῦ αὐτοῦ πίνηται. ἐν δακτυλίῳ μὴ φέρειν σημεῖον θεοῦ εἰκόνα,  ὅπως μὴ μιαίνηται' ἄγαλμα γάρ, ὅπερ δεῖ φυτεῦσαι ἐν τῷ οἴκῳ.  γυναῖκα οὐ δεῖ διώκειν τὴν αὑτοῦ, ἱκέτις γάρ᾽ διὸ καὶ ἀφ᾽ ἑστίας  ἀγόμεθα, καὶ ἡ λῆψις διὰ δεξιᾶς. μηδὲ ἀλεκτρυόνα λευκὸν «θύειν»"  ἱκέτης γάρ, (85) ἱερὸς τοῦ Μηνός, διὸ καὶ σημαίνουσιν ὥραν. καὶ  συμβουλεύειν μηδὲν παρὰ τὸ βέλτιστον τῷ συμβουλευομένῳ᾽ ἱερὸν  γὰρ συμβουλή. ἀγαθὸν οἱ πόνοι, αἱ δὲ ἡδοναὶ ἐκ παντὸς τρόπου  κακόν' ἐπὶ κολάσει γὰρ ἐλθόντας δεῖ κολασθῆναι. θύειν χρὴ ἀνυ-  πόδητον καὶ πρὸς τὰ ἱερὰ προσιέναι. εἰς ἱερὸν οὐ δεῖ ἐκτρέπεσθαι"  où γὰρ πάρεργον δεῖ ποιεῖσθαι τὸν θεόν. ὑπομένοντα καὶ ἔχοντα  τραύματα ἐν τῷ ἔμπροσθεν τελευτῆσαι ἀγαθόν, ἐναντίως δὲ ἐναντί-  ον. εἰς μόνα τῶν ζῴων οὐκ εἰσέρχεται ἀνθρώπου ψυχή, οἷς θέμις  ἐστὶ τυθῆναι᾽ διὰ τοῦτο τῶν θυσίμων χρὴ ἐσθίειν μόνον, οἷς ἂν τὸ  ἐσθίειν καθήκῃ, ἄλλου δὲ μηδενὸς ζῴου. τὰ μὲν οὖν τοιαῦτα τῶν  ἀκουσμάτων ἐστί, τὰ δὲ πλεῖστον ἔχοντα μῆ[50]κὸς περί τε θυσίας  καθ᾽ ἑκάστους τοὺς καιροὺς πῶς χρὴ ποιεῖσθαι τάς τε ἄλλας «θεῶν  τιμὰς» καὶ περὶ μετοικήσεως τῆς ἐντεῦθεν καὶ περὶ τὰς ταφάς, πῶς  δεῖ καταθάπτεσθαι. (86) ἐπ᾽ ἐνίων μὲν οὖν ἐπιλέγεται τί δεῖ, οἷον  VITA DI PITAGORA 143  consuetudine”). Tale sapienza, infatti, sembra abbiano seguito i  “detti” degli acusmatici, dal momento che i sette Sapienti precedono  Pitagora. I detti del tipo “che cosa bisogna fare o non fare” sono di  questa natura, ad esempio “bisogna fare figli” (perché bisogna lascia-  re chi ci sostituisca nel venerare gli dèi); oppure “bisogna calzare  prima il piede destro”, oppure “non bisogna percorrere le grandi  strade, né intingere la mano nell’acqua lustrale, né lavarsi in un bagno  pubblico”, perché non è chiaro, in ogni caso, se quelli che lo frequen-  tano sono puliti.  (84) E altri detti come questi: “non aiutare a scaricare” (perché  non c’è ragione di fare scansare la fatica a qualcuno), mentre si deve  aiutare a caricare. “Non accoppiarsi per fare figli con una donna che  sia carica d’oro”.3? “Non parlare al buio”. “Libare agli dèi dal lato  dell’ansa della coppa, per buon augurio e per non bere dallo stesso  lato”. “Non portare sull’anello l’immagine di un dio come sigillo”,  per non contaminarlo (l’immagine sacra, infatti, si deve installare in  casa). “Non scacciare la propria moglie”, perché è una supplice,40 ed  è per questo che noi la sposiamo, strappandola al suo focolare, pren-  dendola con la mano destra. “Non sacrificare un gallo di colore bian-  co”, perché è un supplice, sacro al dio Men, ed è per questo che <tali  galli> segnano l’ora.  (85) E ancora “non dare, a chi lo chiede, se non il consiglio  migliore”, perché il consiglio è cosa sacra. “Sono un bene le sofferen-  ze, mentre i piaceri sono un male sotto ogni aspetto”, perché, essen-  do venuti al mondo per punizione, dobbiamo essere puniti. “Bisogna  sacrificare, ed entrare nei templi, a piedi nudi”. “Per entrare in un  tempio non bisogna deviare <dal proprio cammino>“, perché il dio  non deve essere considerato qualcosa di secondario. “E un bene  morire da fermi sullo stesso posto e recando ferite sul petto; recarle  sul dorso è un male” .4! “Solo con gli animali in cui non entra l’anima  umana è lecito sacrificare; perciò bisogna mangiare soltanto animali  sacrificabili, e nessun ‘altro animale”. Sono tali, dunque, alcuni tra i  detti <degli acusmatici>, ma ce ne sono altri che hanno un'ampiezza  maggiore e riguardano sia il modo in cui bisogna compiere i sacrifici,  secondo le singole occasioni, sia il modo in cui devono essere celebra-  te le altre onoranze divine e per quanto concerne la dipartita <da que-  sto mondo> e per quanto concerne le sepolture.  144 GIAMBLICO  ὅτι δεῖ τεκνοποιεῖσθαι ἕνεκα τοῦ καταλιπεῖν ἕτερον ἀνθ᾽ ἑαυτοῦ  θεῶν θεραπευτήν, τοῖς δὲ οὐδεὶς λόγος πρόσεστι. καὶ ἔνια μὲν τῶν  ἐπιλεγομένων δόξει προσπεφυκέναι ἀπ᾽ ἀρχῆς, ἔνια δὲ πόρρω’ οἷον  περὶ τοῦ τὸν ἄρτον μὴ καταγνύναι, ὅτι πρὸς τὴν ἐν ἅδου κρίσιν οὐ  συμφέρει. αἱ δὲ προστιθέμεναι εἰκοτολογίαι περὶ τῶν τοιούτων οὐκ  εἰσὶ Πυθαγορικαΐ, ἀλλ᾽ ἐνίων ἔξωθεν ἐπισοφιζομένων καὶ πειρ-  ouévov προσάπτειν εἰκότα λόγον, οἷον καὶ περὶ τοῦ νῦν λεχθέντος,  διὰ τί οὐ δεῖ καταγνύναι τὸν ἄρτον: οἱ μὲν γάρ φασιν ὅτι οὐ δεῖ τὸν  συνάγοντα διαλύειν (τὸ δὲ ἀρχαῖον βαρβαρικῶς πάντες ἐπὶ ἕνα  ἄρτον συνήεσαν οἱ φίλοι), οἱ δ᾽ ὅτι οὐ δεῖ οἰωνὸν ποιεῖσθαι  τοιοῦτον ἀρχόμενον καταγνύντα καὶ συντρίβοντα.  ἅπαντα μέντοι, ὅσα περὶ τοῦ πράττειν ἢ μὴ πράττειν διορίζου-  σιν, ἐστόχασται πρὸς τὸ θεῖον, καὶ ἀρχὴ αὕτη ἐστί, καὶ ὁ βίος ἅπας  συντέτακται πρὸς τὸ ἀκολουθεῖν τῷ θεῷ, (87) καὶ ὁ λόγος αὐτὸς  ταύτης ἐστὶ τῆς φιλοσοφίας. γελοῖον γὰρ ποιοῦσιν ἄνθρωποι ἄλλο-  θέν ποθεν ζητοῦντες τὸ εὖ ἢ παρὰ τῶν θεῶν, καὶ ὅμοιον ὥσπερ ἂν εἴ  τις ἐν βασιλευομένῃ χώρᾳ τῶν πολιτῶν τινὰ ὕπαρχον θεραπεύοι,  ἀμελή[51]σὰς αὐτοῦ τοῦ πάντων ἄρχοντος" τοιοῦτον γὰρ οἴονται  ποιεῖν καὶ τοὺς ἀνθρώπους. ἐπεὶ γὰρ ἔστι τε θεὸς καὶ οὗτος πάντων  κύριος, δεῖν ὁμολογεῖται παρὰ τοῦ κυρίου τὸ ἀγαθὸν αἰτεῖν᾽ πάντες  γάρ, odg μὲν ἂν φιλῶσι καὶ οἷς ἂν χαίρωσι, τούτοις διδόασι τἀγα-  θά, πρὸς οὗς δὲ ἐναντίως ἔχουσι, τὰ ἐναντία.  τούτων μὲν αὕτη καὶ τοιαύτη σοφία. ἦν δέ τις Ἱππομέδων  [Δργεῖος] ᾿Ασινεὺς Πυθαγόρειος τῶν ἀκουσματικῶν, ὃς ἔλεγεν ὅτι  πάντων τούτων ἐκεῖνος λόγους καὶ ἀποδείξεις εἶπεν, ἀλλὰ διὰ τὸ  παραδεδόσθαι διὰ πολλῶν καὶ ἀεὶ ἀργοτέρων τὸν μὲν λόγον  περιῃρῆσθαι, λελεῖφθαι δὲ αὐτὰ τὰ προβλήματα. οἱ δὲ περὶ τὰ  μαθήματα τῶν Πυθαγορείων τούτους τε ὁμολογοῦσιν εἶναι  Πυθαγορείους, καὶ αὐτοί φασιν ἔτι μᾶλλον, καὶ ἃ λέγουσιν αὐτοί,  VITA DI PITAGORA 145  (86) Ebbene, in alcuni detti si aggiunge il “perché si deve”, ad  esempio: “bisogna fare figli per lasciare qualcun altro che ci sostitui-  sca nel venerare gli dèi”, in altri invece non si aggiunge alcuna ragio-  ne. E alcune delle aggiunte appariranno essere state fatte fin dall’ini-  zio, altre successivamente; un esempio di queste ultime è il detto “non  spezzare il pane”, perché questo non aiuta il giudizio nell’Ade. Altre  giustificazioni a proposito di tali detti non sono di origine pitagori-  ca,42 ma sono state fatte da alcuni estranei alla scuola che, sofistican-  doci sopra, hanno cercato di adattarvi una plausibile giustificazione,  ad esempio anche a proposito di quel che si è appena detto, del per-  ché, cioè, “non bisogna spezzare il pane”; alcuni infatti dicono che la  ragione è che non bisogna sciogliere <il pane> che unisce (anticamen-  te tutti, alla maniera dei barbari, si riunivano amichevolmente intor-  no a un solo pane), altri invece dicono che la ragione è che non biso-  gna cominciare a dare un <cattivo> augurio come quello di “spezza-  re e sbriciolare”.  Tutti questi detti che danno una qualche determinazione sul fare  o non fare puntano, comunque, al divino, ed è questo il loro princi-  pio: l’intera vita dev'essere coordinata nel senso di seguire dio, ed è lo  stesso principio*? di tale filosofia.  (87) Cadono nel ridicolo, infatti, gli uomini quando cercano di  ricavare il loro benessere da altrove piuttosto che dagli dèi, e si com-  portano come se uno, trovandosi in un territorio governato da un re,  venerasse qualcuno dei suoi concittadini, senza preoccuparsi di chi ha  per se stesso autorità su tutti, perché gli uomini — pensano i Pitagorici  - fanno qualcosa del genere. Poiché infatti esiste un dio che è signo-  re di tutto, ne segue che occorre chiedere a lui il bene, perché tutti  sono benèfici con coloro che essi amano e di cui si compiacciono,  mentre si comportano in modo contrario con coloro verso cui hanno  sentimenti contrari.  E questa e di tale natura la sapienza di costoro [sc. degli acusma-  tici]. C'era un tale Ippomedonte, un Pitagorico acusmatico, argivo di  Asine, il quale diceva che Pitagora aveva parlato dei principi raziona-  li di tutti questi detti <attribuiti agli acusmatici>, dandone anche una  dimostrazione, ma che, a causa del fatto che quelli che li avevano tra-  smessi erano stati numerosi e sempre più negligenti, se ne era perdu-  ta la spiegazione razionale ed erano rimaste solo le proposizioni ini-  146 GIAMBLICO  ἀληθῆ εἶναι. τὴν δὲ αἰτίαν τῆς ἀνομοιότητος τοιαύτην γενέσθαι  φασίν. (88) ἀφικέσθαι τὸν Πυθαγόραν ἐξ Ἰωνίας καὶ Σάμου κατὰ  τὴν Πολυκράτους τυραννίδα, ἀκμαζούσης Ἰταλίας, καὶ γενέσθαι  συνήθεις αὐτῷ τοὺς πρώτους ἐν ταῖς πόλεσι. τούτων δὲ τοῖς μὲν πρε-  σβυτέροις καὶ ἀσχόλοις διὰ τὸ ἐν πολιτικοῖς πράγμασι κατέχεσθαι,  ὡς χαλεπὸν ὃν διὰ τῶν μαθημάτων καὶ ἀποδείξεων ἐντυγχάνειν,  ψιλῶς διαλεχθῆναι, ἡγούμενον οὐδὲν ἧττον ὠφελεῖσθαι καὶ ἄνευ  τῆς αἰτίας εἰδότας τί δεῖ πράττειν, ὥσπερ καὶ οἱ ἰατρευόμενοι, οὐ  προσακούοντες διὰ τί αὐτοῖς ἕκαστα πρακτέον, οὐδὲν ἧττον τυγχά-  νουσι τῆς ὑγείας" ὅσοις δὲ νεωτέροις ἐνετύγχανε καὶ δυναμένοις  πονεῖν καὶ μανθάνειν, τοῖς τοιούτοις δι᾽ ἀποδείξεως [52] καὶ τῶν  μαθημάτων ἐνετύγχανεν. αὐτοὶ μὲν οὖν εἶναι ἀπὸ τούτων, ἐκείνους  δὲ ἀπὸ τῶν ἑτέρων. περὶ δ᾽ Ἱππάσου λέγουσιν. ὡς ἦν μὲν τῶν  Πυθαγορείων, διὰ δὲ τὸ ἐξενεγκεῖν καὶ γράψασθαι πρῶτος"  σφαῖραν τὴν ἐκ τῶν δώδεκα πενταγώνων ἀπώλετο κατὰ θάλατταν ὡς  ἀσεβήσας, δόξαν δὲ λάβοι ὡς εὑρών, εἶναι δὲ πάντα ἐκείνου τοῦ  ἀνδρός: προσαγορεύουσι γὰρ οὕτω τὸν Πυθαγόραν καὶ οὐ  καλοῦ(β89)σιν ὀνόματι. λέγουσι δὲ οἱ Πυθαγόρειοι ἐξενηνέχθαι  γεωμετρίαν οὕτως. ἀποβαλεῖν τινα τὴν οὐσίαν τῶν Πυθαγορείων. ὡς  δὲ τοῦτο ἠτύχησε, δοθῆναι αὐτῷ χρηματίσασθαι ἀπὸ γεωμετρίας.  ἐκαλεῖτο δὲ ἡ γεωμετρία πρὸς Πυθαγόρου ἱστορία. περὶ μὲν οὖν τῆς  διαφορᾶς ἑκατέρας τῆς πραγματείας καὶ ἑκατέρων τῶν ἀνδρῶν τῶν  ἀκροωμένων Πυθαγόρου ταῦτα παρειλήφαμεν. τοὺς γὰρ εἴσω σινδό-  νος καὶ ἔξω ἀκροωμένους τοῦ Πυθαγόρου καὶ τοὺς μετὰ τοῦ ὁρᾶν  ἀκούοντας ἢ ἄνευ τοῦ ὁρᾶν καὶ τοὺς εἴσω καὶ ἔξω διωρισμένους  οὐκ ἄλλους ἢ τοὺς εἰρημένους ὑπολαμβάνειν προσήκει, καὶ τοὺς  πολιτικοὺς δὲ καὶ οἰκονομικοὺς καὶ νομοθετικοὺς ἐν τοῖς αὐτοῖς  ὑποτίθεσθαι χρή.  19 (90) Καθόλου δὲ εἰδέναι ἄξιον, ὡς πολλὰς ὁδοὺς Πυθαγόρας  3 μάλιστα Deubner/Klein: λέγουσιν Iambl. De comm. math. sc. 77,19  Festa/Klein.  4 πρώτως Deubner/Klein: πρῶτος Iambl. De comm. matb. sc. 77,21  Festa/Klein.  VITA DI PITAGORA 147  ziali. Ma i Pitagorici Matematici4 riconoscono sî che gli Acusmatici  sono Pitagorici, ma dicono di se stessi che lo sono ancora di più, e che  le cose che dicono sono vere. E dicono che la causa di tale differen-  ziazione è la seguente.  (88) Pitagora giunse dalla Ionia, e precisamente da Samo, quando  questa città era sotto la tirannia di Policrate, mentre l’Italia era al suo  massimo splendore, e gli esponenti principali delle città entrarono in  rapporto di amicizia con lui. E con quelli di loro che erano più anzia-  ni e non avevano tempo libero perché occupati negli affari pubblici,  si che era difficile per loro occuparsi di dimostrazioni matematiche,  Pitagora si intratteneva in conversazioni non impegnative, pensando  che non ne avrebbero avuto minore vantaggio se avessero saputo che  cosa fare anche senza conoscerne la ragione, come accade anche a  coloro che sono sottoposti a cure mediche, i quali, pur non compren-  dendo perché devono seguire le singole istruzioni del medico, nondi-  meno guariscono. Con quelli che erano più giovani, invece, e in grado  di sopportare le fatiche dell’apprendimento, Pitagora si intratteneva a  discutere di dimostrazioni matematiche. I Matematici dunque diceva-  no che essi discendevano da questi ultimi discepoli, mentre gli altri  [sc. gli Acusmatici] discendevano dai primi. Di Ippaso si dice che era  un Pitagorico, e che sarebbe perito in mare come empio per avere  divulgato la sfera che egli per primo aveva costruita geometricamen-  te a partire da dodici figure pentagonali,45 e cosi ebbe fama di averla  scoperta lui la sfera, mentre era tutto merito di “quell'uomo” (deno-  minavano, infatti, cosi Pitagora, anziché chiamarlo per nome).  (89) I Pitagorici dicono che la geometria fu divulgata nel modo  seguente: un Pitagorico perse le sue sostanze, e una volta accaduto  questo, gli fu data la possibilità di guadagnare denaro sfruttando la  geometria. La geometria era chiamata da Pitagora “indagine”. Sono  queste, dunque, le notizie che abbiamo raccolto intorno alla differen-  za tra i due tipi di dottrina e i due tipi di uomini che hanno ascoltato  le lezioni di Pitagora, perché come uditori di Pitagora dentro la tenda  o fuori della tenda,46 distinti cioè tra quelli che ascoltandolo lo vede-  vano o non lo vedevano, ovvero come uditori interni o esterni, non si  devono intendere altri se non quelli già menzionati, mentre ad essi  bisogna aggiungere, come sottogruppi,” i politici, ossia gli ammini-  stratori e i legislatori.  148 GIAMBLICO  παιδείας ἀνεῦρε καὶ κατὰ τὴν οἰκείαν φύσιν ἑκάστου καὶ δύναμιν  παρεδίδου τῆς σοφίας τὴν ἐπιβάλλουσαν μοῖραν. τεκμήριον δὲ μέ-  γιστον᾽ ὅτε γὰρ Ἄβαρις ὁ Σκύθης ἐξ Ὑπερβορέων, ἄπειρος τῆς  Ἑλληνικῆς παιδείας ὧν καὶ ἀμύητος [53] καὶ τῇ ἡλικίᾳ προβεβηκώς,  ἦλθε, τότε οὐ διὰ ποικίλων αὐτὸν εἰσήγαγε θεωρημάτων, ἀλλ᾽ ἀντὶ  τῆς πενταετοῦς σιωπῆς καὶ τῆς ἐν τῷ τοσούτῳ χρόνῳ ἀκροάσεως καὶ  τῶν ἄλλων βασάνων ἀθρόως αὐτὸν ἐπιτήδειον ἀπειργάσατο πρὸς τὴν  ἀκρόασιν τῶν αὐτῷ δογματιζομένων, καὶ τὸ περὶ φύσεως σύγγραμ-  μα καὶ ἄλλο τὸ περὶ θεῶν ὡς ἐν βραχυ(θ])τάτοις αὐτὸν ἀνεδίδαξεν.  ἦλθε μὲν γὰρ Ἅβαρις ἀπὸ Ὑπερβορέων, ἱερεὺς τοῦ ἐκεῖ  ᾿Απόλλωνος, πρεσβύτης καθ᾽ ἡλικίαν καὶ τὰ ἱερατικὰ σοφώτατος,  ἀπὸ τῆς Ἑλλάδος ὑποστρέφων εἰς τὰ ἴδια, ἵνα τὸν ἀγερθέντα χρυσὸν  τῷ θεῷ ἀποθῆται εἰς τὸ ἐν Ὑπερβορέοις ἱερόν. γενόμενος δὲ ἐν  παρόδῳ κατὰ τὴν Ἰταλίαν καὶ τὸν Πυθαγόραν ἰδὼν καὶ μάλιστα εἰ-  κάσας τῷ θεῷ, οὗπερ ἦν ἱερεύς, καὶ πιστεύσας μὴ ἄλλον εἶναι, μηδὲ  ἄνθρωπον ὅμοιον ἐκείνῳ, ἀλλ᾽ αὐτὸν ὄντως τὸν ᾿Απόλλωνα, ἔκ τε ὧν  ἑώρα περὶ αὐτὸν σεμνωμάτων καὶ ἐξ ὧν προεγίνωσκεν ὁ ἱερεὺς  γνωρισμάτων, Πυθαγόρᾳ ἀπέδωκεν ὀιστόν, ὃν ἔχων ἀπὸ τοῦ ἱεροῦ  ἐξῆλθε, χρήσιμον αὐτῷ ἐσόμενον πρὸς τὰ συμπίπτοντα δυσμήχανα  κατὰ τὴν τοσαύτην ἄλην. ἐποχούμενος γὰρ αὐτῷ καὶ τὰ ἄβατα διέ-  βαινεν, οἷον ποταμοὺς καὶ λίμνας καὶ τέλματα καὶ ὄρη καὶ τὰ  τοιαῦτα, καὶ προσλαλῶν, ὡς λόγος, καθαρμούς τε ἐπετέλει καὶ λοι-  μοὺς ἀπεδίωκε καὶ ἀνέμους ἀπὸ τῶν εἰς τοῦτο ἀξιουσῶν πόλεων  βοηθὸν αὐτὸν γενέσθαι. (92) Λακεδαίμονα γοῦν παρειλήφαμεν  μετὰ τὸν ὑπ᾽ ἐκείνου γενόμενον αὐτῇ καθαρμὸν μηκέτι λοιμῶξαι,  πολλάκις πρό[54]τερον τούτῳ τῷ παθήματι περιπεσοῦσαν διὰ τὴν  δυστραπελίαν τοῦ τόπου, καθ᾽ ὃν ᾧκισται, τῶν Ταὐγέτων ὀρῶν  πνῖγος ἀξιόλογον αὐτῇ παρεχόντων διὰ τὸ ὑπερκεῖσθαι, καὶ Κρήτης  Κνωσσόν. καὶ ἄλλα τοιαῦτα τεκμήρια ἱστορεῖται τῆς τοῦ ᾿Αβάριδος  δυνάμεως. δεξάμενος δὲ Πυθαγόρας τὸν ὀιστὸν καὶ μὴ ξενισθεὶς  πρὸς τοῦτο, μηδὲ τὴν αἰτίαν ἐπερωτήσας δι᾽ ἣν ἐπέδωκεν, ἀλλ᾽ ὡς è  ὄντως ὁ θεὸς αὐτὸς ὦν, ἰδίᾳ καὶ αὐτὸς ἀποσπάσας τὸν “Αβαριν τόν    VITA DI PITAGORA 14919 (90) In generale è opportuno sapere che Pitagora inventò molti metodi educativi e che trasmetteva a ciascuno la parte di sapienza che gli spettava secondo la sua propria natura e le sue capacità. La miglio- re prova di ciò è la seguente: quando Abari, lo Scita, giunse dagli     Iperborei, ed era inesperto dell'educazione greca e non iniziato e in     età avanzata, allora Pitagora, anziché imporgli il quinquennio di silen-     zio e l'ascolto delle sue lezioni e altre fatiche per tutto quel tempo, lo     ritenne capace di seguire l'insegnamento delle sue dottrine, e gli fece     apprendere in maniera approfondita, anche se con lezioni brevissime,     il suo scritto Sulla natura e un altro scritto Sugli dèi.     (91) Abari infatti giunse dagli Iperborei, dove era sacerdote di     Apollo, quando era già di età avanzata e sapientissimo in campo reli-     gioso, di ritorno dalla Grecia verso il suo paese, per depositare nel     tempio degli Iperborei l'oro che aveva raccolto per il suo dio. Egli     allora, passando per l’Italia e vedendo Pitagora e credendo che somi-     gliasse moltissimo al dio di cui egli era sacerdote, e convinto che non     era altro che lo stesso dio, e quindi neppure un uomo simile a quello,     ma realmente il dio Apollo, e partendo da certi indizi che vedeva in     lui e che erano quei venerabilissimi segni che egli, in quanto sacerdo-     te, riconosceva, consegnò a Pitagora una freccia che egli aveva preso     dal tempio quando era partito, perché gli sarebbe potuta servire in     occasione di situazioni difficili che avrebbe potuto incontrare duran-     te un cosî lungo pellegrinaggio. Cavalcando, infatti, quella freccia     aveva potuto attraversare luoghi inaccessibili, ad esempio fiumi e sta-     gni e paludi e montagne e altri luoghi del genere, e, come si racconta,     volgendo la parola a quella freccia compiva atti purificatori e storna-     va pestilenze e venti dalle città che gli chiedevano aiuto.     (92) Abbiamo infatti appreso che Sparta, dopo essere stata puri-     ficata da Abari, non ha più subito pestilenze, mentre prima incappa-     va spesso in tale sciagura per la insalubrità del luogo su cui è stata     costruita, perché è sovrastata dalle montagne del Taigeto che le inflig-     gono una notevole calura soffocante; lo stesso trattamento Abari     riservò a Cnosso di Creta. E si raccontano altre simili prove del pote-     re di Abari. Pitagora, dal canto suo, dopo avere ricevuto la freccia,     senza meravigliarsi del fatto e senza domandare la ragione per cui     Abari gliela aveva consegnata, anzi comportandosi come se fosse     150 GIAMBLICO     τε μηρὸν τὸν ἑαυτοῦ ἐπέδειξε χρύσεον, γνώρισμα παρέχων τοῦ μὴ     διεψεῦσθαι, καὶ τὰ καθ᾽ ἕκαστα τῶν ἐν τῷ ἱερῷ κειμένων ἐξαριθμη-     σάμενος αὐτῷ καὶ πίστιν ἱκανὴν παρασχών, ὡς οὐκ εἴη κακῶς εἰκά-     σας, προσθείς τε ὅτι ἐπὶ θεραπείᾳ καὶ εὐεργεσίᾳ τῶν ἀνθρώπων     ἥκοι, καὶ διὰ τοῦτο ἀνθρωπόμορφος, ἵνα μὴ ξενιζόμενοι πρὸς τὸ     ὑπερέχον ταράσσωνται καὶ τὴν παρ᾽ αὐτῷ μάθησιν ἀποφεύγωσιν᾽     ἐκέλευσέ τε μένειν αὐτοῦ καὶ συνδιορθοῦν τοὺς ἐντυγχάνοντας,     τὸν δὲ χρυσόν, ὃν συνήγειρε, κοινῶσαι τοῖς ἐπιτηδείοις, ὅσοιπερ     ἐτύγχανον οὕτως ὑπὸ τοῦ λόγου ἠγμένοι, ὥστε βεβαιοῦν τὸ δόγμα τὸ     λέγον «κοινὰ τὰ φίλων» δι᾽ (93) ἔργου. οὕτω δὴ καταμείναντι αὐτῷ,     ὃ νῦν δὴ ἐλέγομεν, φυσιολογίαν τε καὶ θεολογίαν ἐπιτετμημένην     παρέδωκε, καὶ ἀντὶ τῆς διὰ τῶν θυσιῶν ἱεροσκοπίας τὴν διὰ τῶν     ἀριθμῶν πρόγνωσιν παρέδωκεν, ἡγούμενος ταύτην καθαρωτέραν     εἶναι καὶ θειοτέραν καὶ τοῖς οὐρανίοις τῶν θεῶν ἀριθμοῖς οἰκειο-     τέραν, ἄλλα τε τὰ ἁρμόζοντα τῷ ᾿Αβάριδι παρέδωκεν ἐπιτηδεύματα.     ἀλλ᾽ οὗ δὴ ἕνεκα ὁ παρὼν λόγος, ἐπ᾿ ἐκεῖνο πάλιν ἐπανέλθωμεν, ὡς     ἄρα ἄλλους ἄλλως, ὡς ἔχει ἕκαστος φύσεως καὶ δυνάμεως, ἐπανορ-     θοῦν ἐπειρᾶτο. πάντα μὲν [55] οὖν τὰ τοιαῦτα οὔτε παρεδόθη εἰς     τοὺς ἀνθρώπους, οὔτε (94) τὰ μνημονευόμενα ῥάδιον διελθεῖν: ὀλί-     ya δὲ καὶ τὰ γνωριμώτατα διέλθωμεν δείγματα τῆς Πυθαγορικῆς     ἀγωγῆς καὶ ὑπομνήματα τῶν ὑπαρχόντων τοῖς ἀνδράσιν ἐκείνοις     ἐπιτηδευμάτων.    20 Πρῶτον μὲν οὖν ἐν τῷ λαμβάνειν τὴν διάπειραν ἐσκόπει εἰ     δύνανται ἐχεμυθεῖν" (τούτῳ γὰρ δὴ καὶ ἐχρῆτο τῷ ὀνόματι) καὶ     καθεώρα εἰ μανθάνοντες ὅσα ἂν ἀκούσωσιν οἷοί τέ εἰσι σιωπᾶν     καὶ διαφυλάττειν, ἔπειτα εἴ εἰσιν αἰδήμονες ἐποιεῖτό τε πλείονα     σπουδὴν τοῦ σιωπᾶν ἤπερ τοῦ λαλεῖν. ἐσκόπει δὲ καὶ τὰ ἄλλα πά-     ντα, μὴ ἄρα πρὸς πάθος ἢ ἐπιθυμίαν ἀκρατήτως ἐπτόηνται, οὐ     παρέργως τὰ τοιαῦτα ἀεὶ ἐπιβλέπων, οἷον πῶς πρὸς ὀργὴν ἔχουσιν     ἢ πῶς πρὸς ἐπιθυμίαν, ἢ εἰ φιλόνικοί εἰσιν ἢ φιλότιμοι, ἢ πῶς πρὸς     5 Questo verbo, che qui viene attribuito direttamente a Pitagora, corti-     sponde al sostantivo σιωπή molte volte adoperato da Giamblico.     VITA DI PITAGORA 151     veramente il dio [sc. Apollo], tirato in disparte Abari, gli fece vedere     la sua coscia d’oro, dandogli cosi la prova che non si era ingannato,     gli enumerò ad una ad una le cose che erano depositate nel tempio,     dando cosi una sufficiente prova di fiducia che non avesse congettu-     rato male su di lui, e aggiunse che egli, Pitagora, era venuto fra gli     uomini per curarli e beneficarli, e che per questo aveva assunto forma     umana, cioè perché essi, stupendosi per la sua superiorità, non ne fos-     sero turbati al punto di allontanarsi dal suo insegnamento; e invitò     Abari a rimanere con lui per correggere insieme coloro che avessero     incontrato, e a mettere l’oro che aveva raccolto in comune con quelli     che ne erano degni, con quelli cioè che fossero guidati dalla ragione     al punto di stabilire con i fatti quale loro dottrina quella che dice     “tutto è comune tra amici”.     (93) Cosî dunque ad Abari, che aveva accettato di rimanere,     Pitagora insegnò in maniera sintetica ciò che abbiamo appena detto,     cioè la scienza della natura e del divino, e gli insegnò, al posto del-     l’aruspicina attraverso i sacrifici, la precognizione attraverso i nume-     ri, pensando che quest'arte fosse più pura e più divina e più appro-     priata ai numeri celesti degli dèi; e insegnò ad Abari altre pratiche che     gli erano convenienti. Ma torniamo a quello che è lo scopo del pre-     sente discorso, cioè al fatto che Pitagora cercava di correggere chi in     un modo e chi in un altro, a seconda della natura e delle capacità di     ciascuno. Ebbene, non tutto ciò che riguarda queste sue attività è     stato tramandato agli uomini, né è facile esporre ciò di cui è rimasta     memoria.    (94) Esponiamo dunque poche notizie schematiche, quelle più     note, a proposito dell’educazione pitagorica, nonché alcune memorie     sulle occupazioni proprie di quegli uomini.     20 Anzitutto, dunque, nell’intraprendere l’esame <di quelli che     incontrava>, Pitagora osservava se essi avevano la capacità di “prati-     care il silenzio” (era questo, infatti, il termine di cui si serviva) e vede-     va se apprendevano quanto ascoltavano e se erano capaci di conser-     varne memoria, senza divulgarlo,#8 e poi se erano verecondi; e faceva     molta più attenzione al tacere che non al parlare. E osservava anche     tutte il resto, e cioè se si eccitavano esageratamente per passione o     appetito, guardando sempre, in maniera non superficiale, ad aspetti     152 GIAMBLICO     φιλονεικίαν ἔχουσιν ἢ πῶς πρὸς φιλίαν. εἰ δὲ πάντα ἀκριβῶς αὐτῷ     ἐπιβλέποντι ἐξηρτυμένοι ἐφαίνοντο τοῖς ἀγαθοῖς ἤθεσι, τότε περὶ     εὐμαθείας καὶ μνήμης ἐσκόπει᾽ πρῶτον μὲν εἰ δύνανται ταχέως καὶ     σαφῶς παρακολουθεῖν τοῖς λεγομένοις, ἔπειτα εἰ παρέπεταί τις αὐ-     τοῖς ἀγάπησις (95) καὶ σωφροσύνη πρὸς τὰ διδασκόμενα. ἐπεσκόπει     γὰρ πῶς ἔχουσι φύσεως πρὸς ἡμέρωσιν, ἐκάλει δὲ τοῦτο κατάρτυ-     σιν. πολέμιον δὲ ἡγεῖτο τὴν ἀγριότητα πρὸς τοιαύτην διαγωγήν"     ἀκολουθεῖν γὰρ ἀγριότητι ἀναίδειαν, ἀναισχυντίαν, ἀκολασίαν,     ἀκαιρίαν, δυσμάθειαν, ἀναρχίαν, ἀτιμίαν καὶ τὰ ἀκόλουθα, πραό-     mi δὲ καὶ ἡμερότητι τὰ ἐναντία. ἐν μὲν οὖν τῇ διαπείρᾳ τοιαῦτα     ἐπεσκόπει καὶ πρὸς ταῦτα ἤσκει τοὺς μανθάνοντας, τούς τε     ἁρμόζοντας τοῖς ἀγαθοῖς τῆς παρ᾽ ἑαυτῷ σοφίας ἐνέκρινε καὶ οὕτως     ἐπὶ τὰς ἐπιστήμας [56] ἀνάγειν ἐπειρᾶτο. εἰ δὲ ἀνάρμοστον κατίδοι     τινά, ὥσπερ ἀλλόφυλόν τινα καὶ ὀθνεῖον ἀπήλαυνε.     21 Περὶ δὲ τῶν ἐπιτηδευμάτων, ἃ παρέδωκε δι᾽ ὅλης ἡμέρας τοῖς     ἑταίροις, μετὰ τοῦτο φράσω“ κατὰ γὰρ τὴν ὑφήγησιν (96) αὐτοῦ ὧδε     ἔπρασσον οἱ ὑπ᾽ αὐτοῦ ὁδηγούμενοι. τοὺς μὲν ἑωθινοὺς περιπάτους     ἐποιοῦντο οἱ ἄνδρες οὗτοι κατὰ μόνας τε καὶ εἰς τοιούτους τόπους,     ἐν οἷς συνέβαινεν ἠρεμίαν τε καὶ ἡσυχίαν εἶναι σύμμετρον, ὅπου     τε ἱερὰ καὶ ἄλση καὶ ἄλλη τις θυμηδία. ᾧοντο γὰρ δεῖν μὴ πρότε-     ρόν τινι συντυγχάνειν, πρὶν ἢ τὴν ἰδίαν ψυχὴν καταστήσουσι καὶ     συναρμόσονται τὴν διάνοιαν᾽ ἁρμόδιον δὲ εἶναι τῇ καταστάσει τῆς     διανοίας τὴν τοιαύτην ἡσυχίαν. τὸ γὰρ εὐθὺς ἀναστάντας εἰς τοὺς     ὄχλους ὠθεῖσθαι θορυβῶδες ὑπειλήφεισαν. διὸ δὴ πάντες οἱ     Πυθαγόρειοι τοὺς ἱεροπρεπεστάτους τόπους ἀεὶ ἐξελέγοντο. μετὰ     δὲ τὸν ἑωθινὸν περίπατον τότε πρὸς ἀλλήλους ἐνετύγχανον, μάλι-     VITA DI PITAGORA 153     di tal genere, ad esempio come si comportavano di fronte all'ira o     all’appetito, o se erano litigiosi o ambiziosi, o come si comportavano     di fronte alla rivalità o all'amicizia. E se, dopo avere osservato accura-     tamente tutte queste cose, gli apparivano muniti di buoni costumi,     allora passava all'esame della loro buona disposizione all’apprendi-     mento e alla memoria: anzitutto vedeva se erano capaci di seguire     quello che veniva loro detto in maniera rapida e chiara, poi se erano     accompagnati da affezione e da temperanza di fronte a ciò che veni-     va loro insegnato.     (95) Osservava infatti qual era il loro atteggiamento naturale di     fronte a un'azione di ammansimento, e chiamava questo “preparazio-     ne”. E riteneva la selvatichezza fattore ostile al tipo di trattamento     educativo che egli si proponeva, perché alla selvatichezza si accompa-     gnano inverecondia, impudenza, intemperanza, inopportunità, diffi-     coltà nell'apprendere, anarchia, disprezzo, e tutto ciò che ne conse-     gue, mentre a mitezza e a mansuetudine si accompagnano atteggia-     menti contrari a quelli. Nel mettere alla prova i discepoli, dunque,     Pitagora cercava di capire tali qualità e mirando a queste esercitava i     suoi discenti, e giudicava quelli che erano adatti ai beni della sua     sapienza e cosi cercava di istruirli nelle scienze; se poi scorgeva qual-     cuno che era inadatto, lo mandava via come fosse uno appartenente     ad altra tribù o uno straniero.     21 Dopo di che io parlerò delle occupazioni che Pitagora ha inse-     gnato a svolgere ai suoi compagni durante l’intera giornata: agivano     cosi, infatti, secondo le sue istruzioni, coloro che erano da lui guida-     ti.    (96) Di buon mattino questi uomini facevano delle passeggiate     solitarie e si recavano in quei luoghi dove potevano trovare in misura     adeguata quiete e tranquillità, e dove c'erano templi, boschi sacri e     qualche altro godimento dell’anima. Essi credevano infatti che non     dovessero incontrare nessuno prima di avere dato stabilità alla pro-     pria anima e ordine alla propria mente; ritenevano che questo tipo di     tranquillità sia adatto a rendere stabile la mente, perché considerava-     no fattore di tumulto interiore il cacciarsi nella folla appena alzati. Ed     è per questo, appunto, che tutti i Pitagorici preferivano sempre i luo-     ghi più sacri. Dopo la passeggiata mattutina era l’ora di incontrarsi tra     154 GIAMBLICO     στα μὲν ἐν ἱεροῖς, ei δὲ μή ye, ἐν ὁμοίοις τόποις. ἐχρῶντο δὲ τῷ     καιρῷ τούτῳ πρός τε διδασκαλίας καὶ μαθήσεις καὶ πρὸς (97) τὴν     τῶν ἠθῶν ἐπανόρθωσιν. μετὰ δὲ τὴν τοιαύτην διατριβὴν ἐπὶ τὴν τῶν     σωμάτων ἐτρέποντο θεραπείαν. ἐχρῶντο δὲ ἀλείμμασί τε καὶ δρό-     μοις οἱ πλεῖστοι, ἐλάττονες καὶ πάλαις ἔν τε κήποις καὶ ἐν ἄλσε-     σιν, οἱ δὲ καὶ ἁλτηροβολίᾳ ἢ χειρονομίᾳ, πρὸς τὰς τῶν σωμάτων     ἰσχῦς τὰ εὔθετα ἐπιτηδεύοντες ἐκλέγεσθαι γυμνάσια. ἀρίστῳ δὲ     ἐχρῶντο ἄρτῳ καὶ μέλιτι ἢ κηρίῳ, οἴνου δὲ μεθ᾽ ἡμέραν οὐ     ᾽μετεῖχον. τὸν δὲ μετὰ τὸ ἄριστον χρόνον περὶ τὰς πολιτικὰς οἰκονο-     μίας κατεγίνοντο, περί τε τὰς ἐξωτικὰς καὶ τὰς ξενικάς, διὰ τὴν τῶν     νόμων πρόσταξιν: πάντα γὰρ ἐν ταῖς [57] μετ᾽ ἄριστον ὥραις ἐβού-     λοντο διοικεῖν. δείλης δὲ γινομένης εἰς τοὺς περιπάτους πάλιν     ὁρμᾶν, οὐχ ὁμοίως κατ᾽ ἰδίαν, ὥσπερ ἐν τῷ ἑωθινῷ περιπάτῳ, ἀλλὰ     σύνδυο καὶ σύντρεις ποιεῖσθαι τὸν περίπατον, ἀναμιμνησκομένους     τὰ μαθήματα (98) καὶ ἐγγυμναζομένους τοῖς καλοῖς ἐπιτηδεύμασι.     μετὰ δὲ τὸν περίπατον λουτρῷ χρῆσθαι, λουσαμένους τε ἐπὶ τὰ συσ-     σίτια ἀπαντᾶν᾽ ταῦτα δ᾽ εἶναι μὴ πλεῖον ἢ δέκα ἀνθρώπους συνευω-     χεῖσθαι. ἀθροισθέντων δὲ τῶν συσσιτούντων γίνεσθαι σπονδάς τε     καὶ θυσίας θυημάτων τε καὶ λιβανωτοῦ. ἔπειτα ἐπὶ τὸ δεῖπνον     χωρεῖν, ὡς πρὸ ἡλίου δύσεως ἀποδεδειπνηκέναι. χρῆσθαι δὲ καὶ     οἴνῳ καὶ μάζῃ καὶ ἄρτῳ καὶ ὄψῳ καὶ λαχάνοις ἑφθοῖς τε καὶ ὠμοῖς.     παρατίθεσθαι δὲ κρέα ζῴων θυσίμων [ἱερείων], τῶν δὲ θαλασσίων     ὄψων σπανίως [χρῆσθαι]᾿ εἶναι γάρ τινα αὐτῶν δι᾽ αἰτίας τινὰς (99)     οὐ χρήσιμα πρὸς τὸ χρῆσθαι. μετὰ δὲ τόδε τὸ δεῖπνον ἐγίνοντο     σπονδαί, ἔπειτα ἀνάγνωσις ἐγίνετο. ἔθος δ᾽ ἦν τὸν μὲν νεώτατον     ἀναγινώσκειν, τὸν δὲ πρεσβύτατον ἐπιστατεῖν ὃ δεῖ ἀναγινώσκειν     καὶ ὡς δεῖ. ἐπεὶ δὲ μέλλοιεν ἀπιέναι, σπονδὴν αὐτοῖς ἐνέχει ὁ οἰ-     νοχόος, σπεισάντων δὲ ὁ πρεσβύτατος παρήγγελλε τάδε ἥμερον     φυτὸν καὶ ἔγκαρπον μήτε βλάπτειν μήτε φθείρειν, ὡσαύτως δὲ καὶ     ζῷον, ὃ μὴ πέφυκε βλαβερὸν τῷ ἀνθρωπίνῳ γένει, μήτε (100) βλάπ-     τειν μήτε φθείρειν. ἔτι πρὸς τούτοις περί τε τοῦ θείου [58] καὶ περὶ     τοῦ δαιμονίου καὶ περὶ τοῦ ἡρωικοῦ γένους εὔφημόν τε καὶ ἀγαθὴν     VITA DI PITAGORA 155     loro, soprattutto nei templi, e se no, in luoghi simili. E sfruttavano     questa opportunità sia per insegnare che per apprendere e per correg-     gere i loro caratteri.     (97) Dopo questo tipo di attività si dedicavano alla cura dei loro     corpi. La maggior parte di loro si esercitavano nella corsa dopo esser-     si unti, e alcuni, di numero minore, si esercitavano, in vecchi giardini     e boschi sacri, chi nella lotta, chi nel lancio del peso, chi nel pugilato,     preoccupandosi di scegliere gli esercizi ginnici adatti alla resistenza     dei loro corpi. A pranzo usavano pane e miele o addirittura un favo,     e durante la giornata non bevevano vino. Dopo pranzo si occupava-     no della pubblica amministrazione, concernente sia gli esterni alla     comunità? che gli stranieri, perché cosi prescrivevano le loro leggi;?°     erano tutti affari, infatti, che essi intendevano sbrigare nel pomerig-     gio. Verso sera poi essi tornavano a fare delle passeggiate, non solita-     rie come la mattina, ma passeggiavano in due o in tre insieme, per     richiamare alla memoria le cose che avevano apprese ed esercitarsi in     occupazioni di livello superiore.     (98) Dopo questa passeggiata prendevano un bagno, e dopo il     bagno si recavano alle mense comuni; in queste potevano mangiare     non più di dieci uomini insieme. Appena riuniti i commensali faceva-     no libagioni e sacrifici con erbe aromatiche e incenso. Poi andavano     a consumate il pranzo, che doveva terminare prima che il sole tra-     montasse. Bevevano vino e mangiavano focacce, pane e companatico,     e verdure sia cotte che crude. Avevano a disposizione della carne di     animali sacrificabili, ma raramente dei pesci di mare, perché alcuni di     questi, per certe ragioni, non erano idonei ad essere consumati.     (99) Dopo che avevano cosî consumato il pranzo, facevano     <ancora> libagioni, poi si davano alla lettura. Era costume che la let-     tura fosse fatta dal più giovane, mentre il più anziano imponeva che     cosa e in che modo bisognava leggere. Quando stavano per lasciare la     mensa, il coppiere versava loro ancora del vino per una libagione, e il     più anziano dava loro mentre libavano i seguenti precetti: non dan-     neggiare né distruggere una pianta coltivata e fruttifera, e allo stesso     modo non ferire né uccidere un animale che per natura non sia noci-     vo per il genere umano.     (100) Inoltre: per la stirpe degli dèi e dei demoni e degli eroi abbi     pensieri devoti e benevoli, allo stesso modo comportati con i genitori     156 GIAMBLICO     ἔχειν διάνοιαν, ὡσαύτως δὲ καὶ περὶ γονέων te καὶ εὐεργετῶν δια-     νοεῖσθαι, νόμῳ τε βοηθεῖν καὶ ἀνομίᾳ πολεμεῖν. τούτων δὲ     ῥηθέντων ἀπιέναι ἕκαστον εἰς οἶκον. ἐσθῆτι δὲ χρῆσθαι λευκῇ καὶ     καθαρᾷ, ὡσαύτως δὲ καὶ στρώμασι λευκοῖς τε καὶ καθαροῖς. εἶναι     δὲ τὰ στρώματα ἱμάτια λινᾶ" κῳδίοις γὰρ οὐ χρῆσθαι. περὶ δὲ θήραν     οὐ δοκιμάζειν καταγίνεσθαι, οὐδὲ χρῆσθαι τοιούτῳ γυμνασίῳ. τὰ     μὲν οὖν ἐφ᾽ ἡμέρᾳ ἑκάστῃ τῷ πλήθει τῶν ἀνδρῶν παραδιδόμενα εἴς     τε τροφὴν καὶ τὴν τοῦ βίου ἀναγωγὴν τοιαῦτα ἦν.          22 (101) Παραδίδοται δὲ καὶ ἄλλος τρόπος παιδεύσεως διὰ τῶν     Πυθαγορικῶν ἀποφάσεων καὶ τῶν εἰς τὸν βίον καὶ τὰς ἀνθρωπίνας     ὑπολήψεις διατεινουσῶν, ἀφ᾽ ὧν ὀλίγας ἐκ πολλῶν παραθήσομαι.     παρήγγελλον γὰρ ἐκ φιλίας ἀληθινῆς ἐξαιρεῖν ἀγῶνά τε καὶ φιλο-     νεικίαν, μάλιστα μὲν ἐκ πάσης, εἰ δυνατόν, εἰ δὲ μή, ἔκ γε τῆς     πατρικῆς καὶ καθόλου ἐκ τῆς πρὸς τοὺς πρεσβυτέρους: ὡσαύτως δὲ     καὶ ἐκ τῆς πρὸς τοὺς εὐεργέτας. τὸ γὰρ διαγωνίζεσθαι ἢ διαφιλο-     νεικεῖν πρὸς τοὺς τοιούτους ἐμπεσούσης ὀργῆς ἢ ἄλλου τινὸς τοιού-     του πάθους οὐ σωτήριον τῆς ὑπαρχούσης φιλίας. ἔφασαν δὲ δεῖν ὡς     ἐλαχίστας ἀμυχάς τε καὶ ἑλκώσεις ἐν ταῖς φιλίαις ἐγγίνεσθαι"     τοῦτο δὲ γίνεσθαι, ἂν ἐπίστωνται εἴκειν καὶ κρατεῖν ὀργῆς ἀμφότε-     ροι μέν, μᾶλλον μέντοι ὁ νεώτερός τε καὶ τῶν εἰρημένων τάξεων     ἔχων ἡνδήποτε. [59] τὰς ἐπανορθώσεις τε καὶ νουθετήσεις, ἃς δὴ     πεδαρτάσεις ἐκάλουν ἐκεῖνοι, μετὰ πολλῆς εὐφημίας τε καὶ εὐλα-     βείας ᾧοντο δεῖν γίνεσθαι παρὰ τῶν πρεσβυτέρων τοῖς νεωτέροις,     καὶ πολὺ ἐμφαίνεσθαι ἐν τοῖς νουθετοῦσι τὸ κηδεμονικόν τε καὶ     οἰκεῖον: οὕτω γὰρ εὐσχήμονά τε γίνεσθαι (102) καὶ ὠφέλιμον τὴν     νουθέτησιν. ἐκ φιλίας μηδέποτε ἐξαιρεῖν πίστιν μήτε παίζοντας     μήτε σπουδάζοντας: οὐ γὰρ ἔτι ῥάδιον εἶναι διυγιᾶναι τὴν     ὑπάρχουσαν φιλίαν, ὅταν ἅπαξ παρεμπέσῃ τὸ ψεῦδος εἰς τὰ τῶν     φασκόντων φίλων εἶναι ἤθη. φιλίαν μὴ ἀπογινώσκειν ἀτυχίας ἕνεκα     ἢ ἄλλης τινὸς ἀδυναμίας τῶν εἰς τὸν βίον ἐμπιπτουσῶν, ἀλλὰ μόνην     εἶναι δόκιμον ἀπόγνωσιν φίλου τε καὶ φιλίας τὴν γινομένην διὰ     κακίαν μεγάλην τε καὶ ἀνεπανόρθωτον. τοιοῦτος μὲν οὖν ὁ τύπος ἦν     τῆς διὰ τῶν ἀποφάσεων παρ᾽ αὐτοῖς γινομένης ἐπανορθώσεως, εἴς τε     πάσας τὰς ἀρετὰς καὶ ὅλον τὸν βίον διατείνων.     23 (103) ᾿Αναγκαιότατος δὲ παρ᾽ αὐτῷ τρόπος διδασκαλίας     VITA DI PITAGORA 157     e i benefattori, e aiuta la legge e combatti l’illegalità. Dette queste     cose, ciascuno di loro se ne tornava a casa. Vestivano un abito bianco     e immacolato, come pure erano bianche e immacolate le coperte dei     loro giacigli. E vestiti e coperte era tessuti di lino, perché non usava-     no tessuti di lana. Quanto alla caccia, essi non l’approvavano, e non     la praticavano neppure come esercizio fisico. Tali erano, dunque, le     cose che venivano insegnate quotidianamente alla moltitudine di que-     gli uomini per il loro nutrimento e la condotta della loro vita.     22 (101) Si tramanda anche un altro metodo di educazione     mediante le “proibizioni”5! pitagoriche concernenti e la condotta di     vita e le supposizioni degli uomini: di esse presenterò qui alcuni esem-     pi tra i tanti. Esse infatti prescrivevano di eliminare competizione e     rivalità dalla vera amicizia e, possibilmente, da qualsiasi amicizia in     assoluto, o quanto meno da quella verso i genitori e in generale verso     i più anziani, come pure verso i benefattori. Il competere e il rivaleg-     giare con persone di questo genere, infatti, quando subentra l’ira o     un’altra passione del genere, fa perdere l’eventuale amicizia. I     Pitagorici dicevano che nelle amicizie occorre che ci sia il meno pos-     sibile di lacerazioni o ulcerazioni; e questo avviene, se ambedue le     parti sanno cedere e dominare l’ira, ma soprattutto la parte più giova-     ne e quella che si trovi comunque nelle posizioni di cui si è detto.52 Le     correzioni e le ammonizioni, che i Pitagorici chiamavano “riaccorda-     ture”,9 credevano che dovessero essere date dai più anziani ai più     giovani con parole molto dolci e con circospezione, e che nelle ammo-     nizioni dovesse apparire molta sollecitudine e familiarità, perché in tal     modo l’ammonizione risultava <al contempo> decorosa e proficua.     (102) Dall’amicizia non si deve mai eliminare la fiducia né per     scherzo né seriamente, perché non è facile mantenere ancora salda     un’eventuale amicizia, una volta che sia subentrata la menzogna nei     comportamenti di coloro che pretendono di essere amici. Non si deve     misconoscere un’amicizia per un infortunio o altra difficoltà che può     capitare nella vita, al contrario può essere giustificato motivo di     rinunzia a un amico e a un’amicizia unicamente la malvagità grande e     incorreggibile. Tale era, dunque, il tipo di correzione che i Pitagorici     facevano attraverso proibizioni, le quali concernevano tutte le virti e     in generale la condotta di vita.     158 GIAMBLICO     ὑπῆρχε καὶ ὁ διὰ τῶν συμβόλων. ὁ γὰρ χαρακτὴρ οὗτος Kai παρ᾽     Ἕλλησι μὲν σχεδὸν ἅπασιν ἅτε παλαιότροπος ὧν ἐσπουδάζετο,     ἐξαιρέτως δὲ παρ᾽ Αἰγυπτίοις ποικιλώτατα ἐπρεσβεύετο. κατὰ τὰ     αὐτὰ δὲ καὶ παρὰ Πυθαγόρᾳ μεγάλης σπουδῆς ἐτύγχανεν, εἴ τις     διαρθρώσειε σαφῶς τὰς τῶν Πυθαγορικῶν συμβόλων ἐμφάσεις καὶ     ἀπορρήτους ἐννοίας, ὅσης ὀρθότητος καὶ ἀληθείας μετέχουσιν ἀπο-     καλυφθεῖσαι καὶ τοῦ αἰνιγματώδους ἐλευθερωθεῖσαι τύπου, προ-     σοικειωθεῖσαι δὲ κατὰ ἁπλῆν καὶ ἀποίκιλον παράδοσιν ταῖς τῶν     φιλοσόφων τούτων μεγαλοφυΐαις καὶ ὑπὲρ ἀνθρωπίνην {60] (104)     ἐπίνοιαν θεωθεῖσι. καὶ γὰρ οἱ ἐκ τοῦ διδασκαλείου τούτου, μάλι-     στα δὲ οἱ παλαιότατοι καὶ αὐτῷ συγχρονίσαντες καὶ μαθητεύσαν-     τες τῷ Πυθαγόρᾳ πρεσβύτῃ νέοι, Φιλόλαός τε καὶ Εὕὔρυτος καὶ     Χαρώνδας καὶ Ζάλευκος καὶ Βρύσων, ᾿Αρχύτας τε ὁ πρεσβύτερος     καὶ ᾿Αρισταῖος καὶ Λῦσις καὶ Ἐμπεδοκλῆς καὶ Ζάμολξις καὶ     Ἐπιμενίδης καὶ Μίλων, Λεύκιππός τε καὶ ᾿Αλκμαίων καὶ Ἵππασος     καὶ Θυμαρίδας καὶ οἱ κατ᾽ αὐτοὺς ἅπαντες, πλῆθος ἐλλογίμων καὶ     ὑπερφυῶν ἀνδρῶν, τάς τε διαλέξεις καὶ τὰς πρὸς ἀλλήλους ὁμιλίας     καὶ τοὺς ὑπομνηματισμούς τε καὶ ὑποσημειώσεις καὶ αὐτὰ ἤδη τὰ     συγγράμματα καὶ ἐκδόσεις πάσας, ὧν τὰ πλείονα μέχρι καὶ τῶν     ἡμετέρων χρόνων διασῴζεται, οὐ τῇ κοινῇ καὶ δημώδει καὶ δὴ καὶ     τοῖς ἄλλοις ἅπασιν εἰωθυίᾳ λέξει συνετὰ ἐποιοῦντο ἐξ ἐπιδρομῆς     τοῖς ἀκούουσι, πειρώμενοι εὐπαρακολούθητα τὰ φραζόμενα ὑπ᾽     αὐτῶν τίθεσθαι, ἀλλὰ κατὰ τὴν νενομοθετημένην αὐτοῖς ὑπὸ     Πυθαγόρου ἐχεμυθίαν θείων μυστηρίων καὶ πρὸς τοὺς ἀτελέστους     ἀπορρήτων τρόπων ἥπτοντο καὶ διὰ συμβόλων ἐπέσκεπον τὰς πρὸς     (105) ἀλλήλους διαλέξεις ἢ συγγραφάς. καὶ εἰ μή τις αὐτὰ τὰ σύμ-     βολα ἐκλέξας διαπτύξειε καὶ ἀμώκῳ ἐξηγήσει «περιλάβοι», γελοῖα     ἂν καὶ γραώδη δόξειε τοῖς ἐντυγχάνουσι τὰ λεγόμενα, λήρου μεστὰ     καὶ ἀδολεσχίας. ἐπειδὰν μέντοι κατὰ τὸν τῶν συμβόλων τούτων     τρόπον διαπτυχθῇ καὶ [61] φανὰ καὶ εὐαγῆ ἀντὶ σκοτεινῶν τοῖς πολ-     λοῖς γένηται, θεοπροπίοις καὶ χρησμοῖς τισι τοῦ Πυθίου ἀναλογεῖ     καὶ θαυμαστὴν ἐκφαίνει διάνοιαν, δαιμονίαν τε ἐπίπνοιαν ἐμποιεῖ     VITA DI PITAGORA 159     23 (103) Per Pitagora esisteva un metodo di insegnamento assolu-     tamente necessario, ed era quello che si faceva attraverso i “simboli”.     L’uso dei simboli, infatti, era tenuto in grande considerazione presso     quasi tutti i Greci, perché esso è il più antico, ma era particolarmen-     te tenuto in conto, in svariatissime forme, presso gli Egizi. Allo stesso     modo anche per Pitagora tale metodo era da tenersi in grande consi-     derazione, a condizione che si vedano in maniera chiara le articolazio-     ni delle forme e dei contenuti concettuali nascosti nei simboli pitago-     rici, e si veda a quanta correttezza e verità essi partecipino, una volta     svelate e liberate dal loro carattere enigmatico, e appropriate, secon-     do un insegnamento semplice e lineare, alla genialità di questi filoso-     fi, che sono stati <meritamente> deificati oltre ogni umana immagina-     zione.    (104) E infatti quelli di loro che provengono dall’insegnamento     diretto di Pitagora, soprattutto i più antichi e coetanei a lui e che da     giovani hanno ascoltato le lezioni di Pitagora già vecchio, Filolao ed     Eurito, Caronda e Zaleuco e Brisone, e ancora Archita il vecchio e     Aristeo e Liside ed Empedocle e Zamolxi ed Epimenide e Milone,     Leucippo e Alcmeone, Ippaso e Timarida, e tutti quelli del loro     tempo, una moltitudine di uomini illustri e superdotati. Le loro     discussioni e le reciproche conversazioni e le memorie e annotazioni     e gli stessi loro scritti già composti e tutte le loro pubblicazioni, di cui     la maggior parte si è conservata fino ai nostri tempi, essi non li rende-     vano comprensibili di primo acchito a coloro che li ascoltavano per     mezzo di un linguaggio comune e popolare e accessibile a tutti gli     altri, cercando di rendere le cose che dicevano facili ad essere seguite     da quelli, ma adottavano, in ottemperanza alla regola del silenzio nei     divini misteri, imposta loro come legge da Pitagora, modi di esprimer-     si in forma segreta anche nei confronti dei non iniziati e coprivano     con i simboli le reciproche discussioni o i loro scritti.     (105) E se qualcuno, dopo avere trascelto questi stessi simboli,     non li spiegherà e comprenderà per mezzo di una seria interpretazio-     ne, allora le cose che essi dicono sembreranno a chiunque risibili e da     vecchia donnetta, infarcite di futilità e di chiacchiera. Ciononostante,     qualora venga spiegato il modo di esprimersi con tali simboli e questi     divengano per la maggior parte degli uomini chiari e luminosi, invece     che oscuri, allora essi appaiono analoghi ad alcuni vaticini e oracoli di     160 GIAMBLICO     τοῖς νενοηκόσι τῶν φιλολόγων. οὐ χεῖρον δὲ ὀλίγων μνημονεῦσαι     ἕνεκα τοῦ σαφέστερον γενέσθαι τὸν τύπον τῆς διδασκαλίας. «ὁδοῦ     πάρεργον οὔτε εἰσιτέον εἰς ἱερὸν οὔτε προσκυνητέον τὸ παράπαν,     οὐδ᾽ εἰ πρὸς ταῖς θύραις αὐταῖς παριὼν γένοιο. ἀνυπόδητος θύε καὶ     προσκύνει. τὰς λεωφόρους ὁδοὺς ἐκκλίνων διὰ τῶν ἀτραπῶν βάδιζε.     περὶ Πυθαγορείων ἄνευ φωτὸς μὴ λάλει.» τοιοῦτος, ὡς ἐν τύποις εἰ-     πεῖν, ὁ τρόπος ἦν αὐτοῦ τῆς διὰ συμβόλων διδασκαλίας.     24 (106) Ἐπεὶ δὲ καὶ ἡ τροφὴ μεγάλα συμβάλλεται πρὸς τὴν     ἀρίστην παιδείαν, ὅταν καλῶς καὶ τεταγμένως γίγνηται, σκεψώμε-     θα τίνα καὶ περὶ ταύτην ἐνομοθέτησε. τῶν δὴ βρωμάτων καθόλου τὰ     τοιαῦτα ἀπεδοκίμαζεν, ὅσα πνευματώδη καὶ ταραχῆς αἴτια, τὰ δ᾽     ἐναντία ἐδοκίμαζέ τε καὶ χρῆσθαι ἐκέλευεν, ὅσα τὴν τοῦ σώματος     ἕξιν καθίστησί τε καὶ συστέλλει: ὅθεν ἐνόμιζεν εἶναι καὶ τὴν κέγ-     χρον ἐπιτηδείαν εἰς τροφήν. καθόλου δὲ ἀπεδοκίμαζε καὶ τὰ τοῖς     θεοῖς ἀλλότρια ὡς ἀπάγοντα ἡμᾶς τῆς πρὸς τοὺς θεοὺς οἰκειώσεως.     κατ᾽ ἄλλον δὲ αὖ τρόπον καὶ τῶν νομιζομένων εἶναι ἱερῶν σφόδρα     ἀπέχεσθαι παρήγγελλεν ὡς τιμῆς ἀξίων ὄντων, ἀλλ᾽ οὐχὶ τῆς κοινῆς     καὶ ἀνθρωπίνης χρήσεως, καὶ ὅσα δὲ εἰς μαντικὴν ἐνεπόδιζεν ἢ     πρὸς καθαρότητα τῆς ψυχῆς καὶ dyvelav ἢ πρὸς σωφροσύνης καὶ     [62] (107) ἀρετῆς ἕξιν, παρήνει φυλάττεσθαι. καὶ τὰ πρὸς εὐάγειαν     δὲ ἐναντίως ἔχοντα καὶ ἐπιθολοῦντα τῆς ψυχῆς τάς τε ἄλλας καθα-     ρότητας καὶ τὰ ἐν τοῖς ὕπνοις φαντάσματα παρῃτεῖτο. κοινῶς μὲν     οὖν ταῦτα ἐνομοθέτησε περὶ τροφῆς, ἰδίᾳ δὲ τοῖς θεωρητικωτάτοις     τῶν φιλοσόφων καὶ ὅτι μάλιστα ἀκροτάτοις καθάπαξ περιήρει τὰ     περιττὰ καὶ ἄδικα τῶν ἐδεσμάτων, μήτε ἔμψυχον μηδὲν μηδέποτε     ἐσθίειν εἰσηγούμενος μήτε οἶνον ὅλως πίνειν μήτε θύειν ζῷα θεοῖς     μήτε καταβλάπτειν μηδ᾽ ὁτιοῦν αὐτά, διασῴζειν (108) δὲ καὶ τὴν     πρὸς αὐτὰ δικαιοσύνην ἐπιμελέστατα. καὶ αὐτὸς οὕτως ἔζησεν,     ἀπεχόμενος τῆς ἀπὸ τῶν ζῴων τροφῆς καὶ τοὺς ἀναιμάκτους βωμοὺς     VITA DI PITAGORA 161     Apollo Pizio e rivelano una mente sorprendente, e producono una     divina ispirazione in coloro che abbiano compreso il significato intel-     lettivo del loro linguaggio. Non è male ricordare alcuni di tali simbo-     li allo scopo di rendere più chiaro questo tipo di insegnamento.     “Quando si cammina occasionalmente, non bisogna affatto né entra-     re in un tempio né adorare, neppure se ci si trovi a passare proprio     nelle vicinanze delle porte «ἀεὶ templi>”.54 “Togliti i calzari quando     offri un sacrificio o ti prosterni”. “Percorri i sentieri, evitando le gran-     di strade”. “Non parlare di cose pitagoriche al buio”. Tale era, per     parlare approssimativamente, il suo modo di insegnare per simboli.     24 (106) Poiché anche l’alimentazione, quando è buona e ordina-     ta, dà un grande contributo alla migliore educazione, esamineremo     alcune delle norme che Pitagora ha fissato in proposito. Degli alimen-     ti egli disapprovava in generale tutti quelli che producono flatulenza     e causano turbamento <corporeo>, mentre approvava e invitava a     consumare gli alimenti che hanno proprietà contrarie, che cioè stabi-     lizzano la costituzione corporea e sono astringenti;5 perciò egli cre-     deva che anche il miglio fosse adatto all’alimentazione <umana>. In     generale disapprovava anche gli alimenti che sono estranei agli dèi     perché ci allontanano dalla familiarità con loro. Ma per altro verso     prescriveva di astenersi assolutamente da quegli alimenti che erano     considerati sacri, perché degni di essere onorati, ma non usati comu-     nemente dagli uomini, ed esortava ad evitare quegli alimenti che     erano di impedimento alla divinazione o alla purezza e castità del-     l'anima o a un carattere temperato e virtuoso.     (107) Faceva scartare anche gli alimenti che erano contrari alla     vivacità dell'anima e che ne offuscavano le altre forme di purezza e le     apparizioni in sogno. Pitagora, dunque, dettò queste norme di carat-     tere generale a proposito dell’alimentazione, e in particolare tolse una     volta per tutte ai filosofi che avevano raggiunto i massimi livelli della     speculazione i cibi più sofisticati e ingiustificati, raccornandando loro     di non mangiare mai esseri viventi né bere vino né sacrificare animali     agli dèi né recar danno ad alcuno di essi, e di mantenere anche la più     accurata giustizia nei loro confronti.     (108) Anche Pitagora viveva in questo modo, astenendosi dall’ali-     mentarsi con carne di animali e prosternandosi davanti agli altari     162 GIAMBLICO     προσκυνῶν, καὶ ὅπως μηδὲ ἄλλοι ἀναιρήσωσι tà ὁμοφυῆ πρὸς ἡμᾶς     ζῷα προθυμούμενος, τά τε ἄγρια ζῷα σωφρονίζων μᾶλλον καὶ παι-     δεύων διὰ λόγων καὶ ἔργων, ἀλλ᾽ οὐχὶ διὰ κολάσεως καταβλάπτων.     ἤδη δὲ καὶ τῶν πολιτικῶν τοῖς νομοθέταις προσέταξεν ἀπέχεσθαι     τῶν ἐμψύχων: ἅτε γὰρ βουλομένους ἄκρως δικαιοπραγεῖν ἔδει     δήπου μηδὲν ἀδικεῖν τῶν συγγενῶν ζῴων. ἐπεὶ πῶς ἂν ἔπεισαν δί-     rata πράττειν τοὺς ἄλλους αὐτοὶ ἁλισκόμενοι ἐν πλεονεξίᾳ; συγ-     γενικὴ δ᾽ ἡ τῶν ζῴων μετοχή, ἅπερ διὰ τὴν τῆς ζωῆς καὶ τῶν στοι-     χείων τῶν αὐτῶν κοινωνίαν καὶ τῆς ἀπὸ τούτων συνισταμένης συγ-     κράσεως (109) ὡσανεὶ ἀδελφότητι πρὸς ἡμᾶς συνέζευκται. τοῖς μέ-     ντοι ἄλλοις ἐπέτρεπέ τινων ζῴων ἅπτεσθαι, ὅσοις ὁ βίος μὴ πάνυ ἦν     ἐκκεκαθαρμένος καὶ ἱερὸς καὶ φιλόσοφος" καὶ τοὐ[63]τοις χρόνον     τινὰ ὥριζε τῆς ἀποχῆς ὡρισμένον. ἐνομοθέτησε δὲ τοῖς αὐτοῖς καρ-     δίαν μὴ τρώγειν, ἐγκέφαλον μὴ ἐσθίειν, καὶ τούτων εἴργεσθαι πάν-     τας τοὺς Πυθαγορικούς᾽ ἡγεμονίαι γάρ εἰσι καὶ ὡσανεὶ ἐπιβάθραι     καὶ ἕδραι τινὲς τοῦ φρονεῖν καὶ τοῦ ζῆν. ἀφωσιοῦτο δὲ αὐτὰ διὰ τὴν     τοῦ θείου λόγου φύσιν. οὕτως καὶ μαλάχης εἴργεσθαι ἐκέλενεν, ὅτι     πρώτη ἄγγελος καὶ σημάντρια συμπαθείας οὐρανίων πρὸς ἐπίγεια.     καὶ μελανούρου δὲ ἀπέχεσθαι παρήγγελλε“ χθονίων γάρ ἐστι θεῶν.     καὶ ἐρυθρῖνον μὴ προσλαμβάνειν δι᾽ ἕτερα τοιαῦτα αἴτια. καὶ     «κυάμων ἀπέχου» διὰ πολλὰς ἱεράς τε καὶ φυσικὰς καὶ εἰς τὴν     ψυχὴν ἀνηκούσας αἰτίας. καὶ ἄλλα τοιαῦτα διεθεσμοθέτησε τού-     τοις ὅμοια, καὶ διὰ τῆς τροφῆς ἀρχόμενος εἰς ἀρετὴν ὁδηγεῖν τοὺς     ἀνθρώπους.    25 (110) Ὑπελάμβανε δὲ καὶ τὴν μουσικὴν μεγάλα συμβάλλεσθαι     πρὸς ὑγείαν, ἄν τις αὐτῇ χρῆται κατὰ τοὺς προσήκοντας τρόπους.     εἰώθει γὰρ οὐ παρέργως τῇ τοιαύτῃ χρῆσθαι καθάρσει" τοῦτο γὰρ     δὴ καὶ προσηγόρενε τὴν διὰ τῆς μουσικῆς ἰατρείαν. ἥπτετο δὲ περὶ     τὴν ἐαρινὴν ὥραν τῆς [64] τοιαύτης μελῳδίας" ἐκάθιζε γὰρ ἐν μέσῳ    VITA DI PITAGORA 163     incruenti, e desiderando che anche gli altri cercassero di non elimina-     re ciò che è di natura simile a noi [sc. gli animali], e rendendo <in     qualche modo> saggi ed educando gli animali selvatici con le parole     e con le opere, ma senza far loro del male con punizioni. Anche tra i     politici, inoltre, impose a coloro che dettavano le leggi di astenersi dal     mangiare carne di animali, poiché era necessario che quelli che inten-     devano fare giustizia al più alto livello mai fossero ingiusti con gli ani-     mali che sono nostri simili. Giacché, in che modo avrebbero potuto     convincere gli altri ad agire secondo giustizia se essi stessi fossero stati     colti in flagrante delitto di arroganza? Ο ὃ appunto affinità di natura     tra noi e gli animali, giacché questi, dal momento che hanno in comu-     ne con noi la vita e gli stessi elementi e la mescolanza che di questi si     compone, sono legati a noi uomini come fossero nostri fratelli.     (109) Pitagora tuttavia permetteva a coloro che, diversamente dai     discepoli veri e propri, conducevano una vita non del tutto purificata     e santa e filosofica, di alimentarsi con la carne di certi animali; e per     loro determinava un periodo di tempo ben preciso in cui dovessero     praticare l’astinenza. A questi stessi imponeva la regola di non “masti-     care”56 cuore e non mangiare cervello, e a tutti i Pitagorici era vietato     di mangiare questi organi, perché sono strumenti di guida e come     delle scale di accesso e delle sedi del pensare e del vivere. Questi orga-     ni erano ritenuti sacri in viti della natura del “logos” divino. In tal     modo Pitagora prescriveva anche di evitare di mangiare malva, per-     ché è primo messaggero e indizio della simpatia dei corpi celesti verso     ciò che si trova sulla terra. E prescriveva di astenersi anche dal man-     giare il pesce melanuro, perché è sacro agli dèi degli inferi. E di aste-     nersi anche dall’assumere come cibo il pesce fragolino, per altre     ragioni del genere. E anche il precetto “astieniti dalle fave” aveva     molte ragioni di ordine religioso e fisico e psicologico. Egli impose     anche altre norme simili a queste, perché cominciava dall’alimenta-     zione per guidare gli uomini alla virtù.     25 (110) Riteneva anche che la musica contribuisce grandemente     alla salute, qualora la si usi nei modi convenienti. Egli infatti aveva     l'abitudine di servirsi in maniera non superficiale della funzione puri-     ficatrice della musica. Era questo, infatti, il metodo che Pitagora     denominava appunto “terapia mediante la musica”, E nella stagione     164 GIAMBLICO     τινὰ λύρας ἐφαπτόμενον, καὶ κύκλῳ ἐκαθέζοντο οἱ μελῳδεῖν δυνα-     τοί, καὶ οὕτως ἐκείνου κρούοντος συνῇδον παιῶνάς τινας, δι᾽ ὧν EÙ-     φραίνεσθαι καὶ ἐμμελεῖς καὶ ἔνρυθμοι γίνεσθαι ἐδόκουν. χρῆσθαι     δ᾽ αὐτοὺς καὶ κατὰ τὸν ἄλλον χρόνον τῇ μουσικῇ (111) ἐν ἰατρείας     τάξει, καὶ εἶναί τινα μέλη πρὸς τὰ ψυχῆς πεποιημένα πάθη, πρός τε     ἀθυμίας καὶ δηγμούς, ἃ δὴ βοηθητικώτατα ἐπινενόητο, καὶ πάλιν αὖ     ἕτερα πρός τε τὰς ὀργὰς καὶ πρὸς τοὺς θυμοὺς καὶ πρὸς πᾶσαν     παραλλαγὴν τῆς τοιαύτης ψυχῆς, εἶναι δὲ καὶ πρὸς τὰς ἐπιθυμίας     ἄλλο γένος μελοποιίας ἐξευρημένον. χρῆσθαι δὲ καὶ ὀρῤχήσεσιν.     ὀργάνῳ δὲ χρῆσθαι λύρᾳ᾽ τοὺς γὰρ αὐλοὺς ὑπελάμβανεν ὑβριστικόν     τε καὶ πανηγυρικὸν καὶ οὐδαμῶς ἐλευθέριον τὸν ἦχον ἔχειν.     χρῆσθαι δὲ καὶ Ὁμήρου καὶ Ἡσιόδου λέξεσιν ἐξειλεγμέναις πρὸς     ἐπανόρθωσιν ψυχῆς. (112) λέγεται δὲ καὶ ἐπὶ τῶν ἔργων Πυθαγόρας     μὲν σπονδειακῷ ποτὲ μέλει διὰ τοῦ αὐλητοῦ κατασβέσαι τοῦ     Tavpopevitov μειρακίου μεθύοντος τὴν λύσσαν, νύκτωρ ἐπικωμά-     ζοντος ἐρωμένῃ παρὰ ἀντεραστοῦ πυλῶνι, ἐμπιπράναι μέλλοντος"     ἐξήπτετο γὰρ καὶ ἀνεζωπυρεῖτο ὑπὸ τοῦ Φρυγίου αὐλήματος. ὃ δὴ     κατέπαυσε τάχιστα ὁ Πυθαγόρας. ἐτύγχανε δὲ αὐτὸς ἀστρονομού-     μενος ἀωρί᾽ καὶ τὴν εἰς τὸν σπονδειακὸν μετα[6δ]βολὴν ὑπέθετο τῷ     αὐλητῇ, δι᾽ ἧς ἀμελλητὶ κατασταλὲν κοσμίως οἴκαδε ἀπηλλάγη τὸ     μειράκιον, πρὸ βραχέος μηδ᾽ ἐφ᾽ ὅσον οὖν ἀνασχόμενον μηδ᾽ ἁπλῶς     ὑπομεῖναν νουθεσίας ἐπιβολὴν παρ᾽ αὐτοῦ, πρὸς δὲ καὶ ἐμπλήκτως     ἀποσκορακίσαν (113) τὴν τοῦ Πυθαγόρου συντυχίαν. Ἐμπεδοκλῆς     δὲ σπασαμένου τὸ ξίφος ἤδη νεανίου τινὸς ἐπὶ τὸν αὐτοῦ ξενοδόχον     Ἄγχιτον, ἐπεὶ δικάσας δημοσίᾳ τὸν τοῦ νεανίου πατέρα ἐθανάτωσε,     καὶ ἀίξαντος, ὡς εἶχε συγχύσεως καὶ θυμοῦ, ξιφήρους παῖσαι τὸν     VITA DI PITAGORA 165     primaverile egli si dava a questo tipo di canto: faceva sedere, infatti,     al centro qualcuno che suonasse la lira, e tutt'intorno sedevano quel-     li che erano capaci di cantare, e cosî, mentre il suonatore di lira muo-     veva il suo plettro, gli altri cantavano in coro dei peani, dai quali essi     credevano di essere allietati e riempiti interiormente di armonia e di     ritmo. Anche per il resto dell’anno essi si servivano della musica come     strumento terapeutico,     (111) ed esistevano alcune melodie che erano composte per com-     battere le passioni dell’anima, nonché i suoi stati di scoraggiamento e     di rimorso, e queste melodie erano le invenzioni di maggiore aiuto, e     ancora altre melodie composte per i momenti di ira e di impetuosità     e per ogni altra distorsione dell'anima in preda a tali sentimenti, ed     esisteva anche un altro genere di melodia che era stato trovato per gli     appetiti. Facevano uso anche di danze. Come strumento musicale     usavano la lira, perché ritenevano che i flauti avessero un suono vio-     lento e da festa popolare e niente affatto adatto a uomini liberi. Si ser-     vivano anche, per la correzione dell'anima, di passi scelti dalle poesie     di Omero e di Esiodo.     (112) A proposito delle opere di Pitagora, si racconta anche che     egli una volta, mediante un canto di intonazione spondaica, con l’aiu-     to di un flautista, ha spento il furore di un giovanotto di Taormina     ubriaco, che nottetempo, impazzito d’amore per la sua innamorata,     davanti alla porta di casa di un suo rivale in amore, stava per dare     fuoco alla casa, perché era stato infiammato ed eccitato da una melo-     dia frigia. Pitagora mise fine rapidissimamente a quell'episodio. Egli     era capitato li in un’ota insolita della notte per praticare astronomia;     e allora impose all’auleta di passare a un canto di intonazione spon-     daica, che ebbe l’effetto immediato di placare il giovanotto, che disci-     plinatamente se ne tornò a casa sua, mentre poco prima non soppot-     tava né poco né punto di sottostare al tentativo di ammonizione di     Pitagora, ché anzi aveva follemente mandato al diavolo l’intervento di     Pitagora.    (113) Ma già Empedocle, ospite di Anchito, nel momento in cui     un giovane aveva tirato fuori la spada contro di quello, perché aveva     emesso pubblica condanna a morte contro il padre dello stesso giova-     ne, e si era precipitato con la spada in mano, come preso da confusio-     ne e impeto, per colpire il giudice di suo padre, come se Anchito fosse     166 GIAMBLICO     τοῦ πατρὸς καταδικαστήν, ὡσανεὶ φονέα, Ἄγχιτον, μεθαρμοσόμενος     ὡς εἶχε τὴν λύραν καὶ πεπαντικόν τι μέλος καὶ κατασταλτικὸν     μεταχειρισάμενος εὐθὺς ἀνεκρούσατο τὸ νηπενθὲς ἄχολόν τε,     κακῶν ἐπίληθον ἁπάντων κατὰ τὸν ποιητήν, καὶ τόν τε ἑαυτοῦ ἕενο-     δόχον Ἄγχιτον (114) θανάτου ἐρρύσατο καὶ τὸν νεανίαν ἀνδροφονί-     ας. ἱστορεῖται δ᾽ οὗτος τῶν Ἐμπεδοκλέους γνωρίμων ὁ δοκιμώτατος     ἔκτοτε γενέσθαι. ἔτι τοίνυν σύμπαν τὸ Πυθαγορικὸν διδασκαλεῖον     τὴν λεγομένην ἐξάρτυσιν καὶ συναρμογὰν καὶ ἐπαφὰν ἐποιεῖτο,     μέλεσί τισιν ἐπιτηδείοις εἰς τὰ ἐναντία πάθη περιάγον χρησίμως     τὰς τῆς ψυχῆς διαθέσεις. ἐπί τε γὰρ εὐνὰς τρεπόμενοι τῶν μεθ᾽     ἡμέραν ταραχῶν καὶ περιηχημάτων ἐξεκάθαιρον τὰς διανοίας     φδαῖς τισι καὶ μελῶν ἰδιώμασι καὶ ἡσύχους παρεσκεύαζον ἑαυτοῖς     ἐκ τούτου καὶ ὀλιγονείρους τε καὶ εὐονείρους τοὺς ὕπνους, ἐξανι-     στάμενοί τε ἐκ τῆς κοίτης νωχελίας πάλιν καὶ κάρους δι᾽ ἀλλο-     τρόπων [66] ἀπήλλασσον ἀσμάτων, ἔστι δὲ καὶ ὅτε ἄνευ λέξεως     μελισμάτων. «ἔστι» τε ὅπου καὶ πάθη καὶ νοσήματά τινα ἀφυγίαζον,     ὥς φασιν, ἐπάδοντες ὡς ἀληθῶς, καὶ εἰκὸς ἐντεῦθέν ποθεν τοὔνομα     τοῦτο εἰς μέσον παρεληλυθέναι, τὸ τῆς ἐπῳδῆς. οὕτω μὲν οὖν     πολυωφελεστάτην κατεστήσατο Πυθαγόρας τὴν διὰ τῆς μουσικῆς     τῶν ἀνθρωπίνων (115) ἠθῶν τε καὶ βίων ἐπανόρθωσιν. ἐπεὶ δὲ     ἐνταῦθα γεγόναμεν ἀφηγούμενοι τὴν Πυθαγόρου παιδευτικὴν σοφί-     αν, οὐ χεῖρον καὶ τὸ τούτῳ παρακείμενον ἐφεξῆς εἰπεῖν, ὅπως     ἐξεῦρε τὴν ἁρμονικὴν ἐπιστήμην καὶ τοὺς ἁρμονικοὺς λόγους.     ἀρξώμεθα δὲ μικρὸν ἄνωθεν.     26 Ἐν φροντίδι ποτὲ καὶ διαλογισμῷ συντεταμένῳ ὑπάρχων, εἰ     ἄρα δύναιτο τῇ ἀκοῇ βοήθειάν τινα ὀργανικὴν ἐπινοῆσαι, παγίαν     καὶ ἀπαραλόγιστον, οἵαν ἡ μὲν ὄψις διὰ τοῦ διαβήτου καὶ διὰ τοῦ     κανόνος ἢ νὴ Δία διὰ διόπτρας ἔσχεν, ἡ δ᾽ ἁφὴ διὰ τοῦ ζυγοῦ ἢ διὰ     τῆς τῶν μέτρων ἐπινοίας, παρά τι χαλκοτυπεῖον περιπατῶν ἔκ τινος     δαιμονίου συντυχίας ἐπήκουσε ῥαιστήρων σίδηρον ἐπ᾽ ἄκμονι     ῥαιόντων καὶ τοὺς ἤχους παραμὶξ πρὸς ἀλλήλους «συμφωνοτάτους»     ἀποδιδόντων, πλὴν μιᾶς συζυγίας. ἐπεγίνωσκε δ᾽ ἐν αὐτοῖς τήν τε     διὰ πασῶν τήν τε διὰ πέντε καὶ τὴν διὰ τεσσάρων συνῳδίαν, τὴν δὲ     μεταξύτητα τῆς τε διὰ τεσσάρων καὶ τῆς διὰ πέντε ἀσύμφωνον μὲν     VITA DI PITAGORA 167     un assassino, Empedocle, dicevo, adattando la lira che teneva in mano     e intonando una melodia idonea ad addolcire e rasserenare l’animo,     si mise a cantare subito il verso seguente: «[un farmaco] che dissipa il     dolore e l’ira, e fa dimenticare tutte le pene»57 come canta il Poeta, e     liberò il suo ospite Anchito dalla morte e il giovane da un omicidio.     (114) Si racconta che Anchito divenne da allora il più illustre tra     i discepoli intimi di Empedocle. Inoltre la scuola pitagorica nel suo     complesso operava la cosiddetta “preparazione” e “armonizzazione”     ed “emendazione” per mezzo di certe melodie capaci di invertire util-     mente le disposizioni dell’anima in direzione delle passioni contrarie.     E infatti, al momento di andare a dormire, i Pitagorici purificavano le     loro menti dai turbamenti e dalle risonanze della giornata per mezzo     di alcuni canti e di particolari melodie e in tal modo procuravano a se     stessi un sonno tranquillo e accompagnato da pochi e buoni sogni, e     alzandosi dal letto essi di nuovo si liberavano dal torpore del letto per     mezzo di canti di altro tenore, e talvolta anche per mezzo di melodie     senza parole. E talora guarivano anche da alcune passioni e malattie,     come si racconta, facendo dei veri e propri incantesimi, e probabil-     mente è da qui che è entrato nell’uso comune il termine “incantesi-     mo”. Cosi dunque Pitagora fissò il metodo più proficuo per correg-     gere i caratteri e gli stili di vita degli uomini per mezzo della musica.     (115) Poiché fin qui abbiamo esposto la sapienza educativa di     Pitagora, non è male parlare qui di seguito anche di ciò che riguarda     da vicino questo argomento, cioè in che modo egli scopri la scienza     dell'armonia e i rapporti armonici. Ma ricominciamo da un po’ più in     alto.    26 Trovandosi una volta a riflettere e ragionare intensamente se     era possibile escogitare quale strumento avrebbe potuto dare all’udi-     to un aiuto solido e non ingannevole, come ad esempio quello che la     vista ha trovato per mezzo del compasso e del regolo o, per Zeus, per     mezzo della diottra, o che il tatto ha trovato per mezzo della bilancia     o dell’invenzione delle misure, passeggiando nei pressi di una fucina     per una certa casualità divina, udi dei martelli che battevano del ferro     su un’incudine e che producevano dei suoni che, mescolati insieme,     erano in perfetto accordo tra loro, ad eccezione di una sola coppia di     suoni. Pitagora riconobbe in quei suoni gli accordi di ottava, di quin-     168 GIAMBLICO     ἑώρα αὐτὴν καθ᾽ ἑαυτήν, συμπληρωτικὴν δὲ ἄλλως τῆς ἐν αὐτοῖς     μειζονότητος. (116) ἄσμενος δὴ ὡς κατὰ θεὸν ἀνυομένης αὐτῷ τῆς     προθέσεως εἰσέδραμεν εἰς τὸ χαλκεῖον, καὶ ποικίλαις πείραις     παρὰ [67] τῶν ἐν τοῖς ῥαιστῆρσιν ὄγκων εὑρὼν τὴν διαφορὰν τοῦ     ἤχου, ἀλλ᾽ οὐ παρὰ τὴν τῶν ῥαιόντων βίαν οὐδὲ παρὰ τὰ σχήματα     τῶν σφυρῶν οὐδὲ παρὰ τὴν τοῦ ἐλαυνομένου σιδήρου μετάθεσιν,     σηκώματα ἀκριβῶς ἐκλαβὼν καὶ ῥοπὰς ἰσαιτάτας τῶν ῥαιστήρων     πρὸς ἑαυτὸν ἀπηλλάγη, καὶ ἀπό τινος ἑνὸς πασσάλου διὰ γωνίας ἐμ-     πεπηγότος τοῖς τοίχοις, ἵνα μὴ κἀκ τούτου διαφορά τις ὑποφαίνηται     ἢ ὅλως ὑπονοῆται πασσάλων ἰδιαζόντων παραλλαγή, ἀπαρτίσας     τέσσαρας χορδὰς ὁμοῦλους καὶ ἰσοκώλους, ἰσοπαχεῖς τε καὶ ἰσο-     στρόφους, ἑκάστην ἀφ᾽ ἑκάστης ἐξήρτησεν, ὁλκὴν προσδήσας ἐκ τοῦ     κάτωθεν μέρους, τὰ δὲ μήκη τῶν χορδῶν (117) μηχανησάμενος ἐκ     παντὸς ἰσαίτατα. εἶτα κρούων ἀνὰ δύο ἅμα χορδὰς ἐπαλλὰξ συμ-     φωνίας εὕρισκε τὰς προλεχθείσας, ἄλλην ἐν ἄλλῃ συζυγίᾳ. τὴν μὲν     γὰρ ὑπὸ τοῦ μεγίστου ἐξαρτήματος τεινομένην πρὸς τὴν ὑπὸ τοῦ     μικροτάτου διὰ πασῶν φθεγγομένην κατελάμβανεν: ἦν δὲ ἣ μὲν     δώδεκα τινῶν ὁλκῶν, ἣ δὲ ἕξ. ἐν διπλασίῳ δὴ λόγῳ ἀπέφαινε τὴν διὰ     πασῶν, ὅπερ καὶ αὐτὰ τὰ βάρη ὑπέφαινε. τὴν δ᾽ αὖ μεγίστην πρὸς     τὴν παρὰ τὴν μικροτάτην, οὖσαν ὀκτὼ ὁλκῶν, διὰ πέντε συμ-     φωνοῦσαν, ἔνθεν ταύτην ἀπέφαινεν ἐν ἡμιολίῳ λόγῳ, ἐν ᾧπερ καὶ αἱ     ὁλκαὶ ὑπῆρχον πρὸς ἀλλήλας" πρὸς δὲ τὴν μεθ᾽ ἑαυτὴν μὲν τῷ βάρει,     τῶν δὲ λοιπῶν μείζονα, ἐννέα σταθμῶν ὑπάρχουσαν, τὴν διὰ τεσ-     σάρων, ἀναλόγως τοῖς βρίθεσι. καὶ ταύτην δὴ ἐπίτριτον ἄντικρυς     κατελαμβάνετο, ἡμιολίαν τὴν αὐτὴν φύσει (118) ὑπάρχουσαν τῆς     μικροτάτης (τὰ γὰρ ἐννέα πρὸς τὰ ἕξ οὕτως ἔχει)" ὅνπερ τρόπον ἡ     VITA DI PITAGORA 169     ta e di quarta, e si accorse che il rapporto intermedio tra l'accordo di     quarta e quello di quinta, pur essendo dissonante preso in sé e per sé,     era capace di colmare tuttavia la differenza di grandezza intercorren-     te tra quei due accordi.58     (116) Contento che in virtù di un dio egli era venuto a capo di un     suo progetto <di ricerca>, entrò nella fucina, e avendo visto dopo vari     tentativi che la differenza di suono stava nella <differente> massa dei     martelli, e non era dovuta alla forza di quelli che battevano <il ferro>,     né alle forme delle loro estremità, e neppure alla deformazione del     ferro battuto, dopo avere desunto con precisione il valore dei pesi dei     martelli e avere notato che questi avevano bilanciamenti assolutamen-     te uguali tra loro,59 se ne tornò a casa, e dopo avere conficcato all’an-     golo tra due pareti un unico chiodo, affinché non si manifestasse alcu-     na differenza tra questo chiodo <e un eventuale altro chiodo>, ovve-     rosia, in breve, affinché non si potesse sospettare un mutamento di     effetti dovuto a chiodi di diversa natura, dopo avere appeso al chiodo     quattro corde fatte della stessa materia e di uguale lunghezza, e di     uguale grossezza e torsione, sospese alle corde dei pesi attaccandoli     ciascuno all’estremità inferiore di ciascuna corda, e facendo in modo     che le lunghezze delle corde fossero assolutamente uguali fra loro.     (117) Quindi, facendo vibrare insieme le corde alternativamente a     due a due, trovò gli accordi di cui si è detto, a seconda della coppia     di corde che faceva vibrare. Infatti comprese che la corda tesa dalla     sospensione del peso più grande risuonava con la corda tesa dal peso     più piccolo secondo un accordo di ottava: erano infatti l’una tesa da     dodici unità di peso, l’altra da sei unità. Cosî Pitagora mostrava che     l'accordo di ottava è appunto di rapporto doppio, il rapporto che     mostravano gli stessi pesi. La corda che sopportava il peso più gran-     de risuonava con la corda che sopportava il peso vicino a quello pit     piccolo, cioè otto unità, secondo un accordo di quinta, donde     Pitagora mostrava che l’accordo di quinta è di rapporto emiolio, il     rapporto in cui anche i pesi si trovavano tra loro; la stessa corda tesa     col peso maggiore risuonava con la corda che era tesa col peso di nove     unità secondo un accordo di quarta, analogamente ai pesi. E Pitagora     comprendeva appunto che questo accordo è ovviamente di rapporto     epitrite, mentre era di rapporto emiolio, naturalmente, l'accordo tra     questa stessa corda di nove unità e la corda più piccola     170 GIAMBLICO     παρὰ τὴν μικρὰν ἡ oxto [68] πρὸς μὲν τὴν tà ἕξ ἔχουσαν ἐν ἐπιτρίτῳ     λόγῳ ἦν, πρὸς δὲ τὴν τὰ δώδεκα ἐν ἡμιολίῳ. τὸ ἄρα μεταξὺ τῆς διὰ     πέντε καὶ τῆς διὰ τεσσάρων, ᾧ ὑπερέχει ἡ διὰ πέντε τῆς διὰ τεσ-     σάρων, ἐβεβαιοῦτο ἐν ἐπογδόῳ λόγῳ ὑπάρχειν, ἐν ᾧπερ τὰ ἐννέα     πρὸς τὰ ὀκτώ, ἑκατέρως τε ἡ διὰ πασῶν σύστημα ἠλέγχετο, ἤτοι τῆς     διὰ πέντε καὶ διὰ τεσσάρων ἐν συναφῇ, ὡς ὁ διπλάσιος λόγος     ἡμιολίου τε καὶ ἐπιτρίτου, οἷον δώδεκα, ὀκτώ, ἕξ, ἢ ἀναστρόφως τῆς     διὰ τεσσάρων καὶ τῆς διὰ πέντε, ὡς τὸ διπλάσιον ἐπιτρίτου τε καὶ     ἡμιολίου, οἷον δώδεκα, ἐννέα, ἕξ, ἐν τάξει τοιαύτῃ διὰ πασῶν. τυλ-     duo δὲ καὶ τὴν χεῖρα καὶ τὴν ἀκοὴν πρὸς τὰ ἐξαρτήματα καὶ     βεβαιώσας πρὸς αὐτὰ τὸν τῶν σχέσεων λόγον, μετέθηκεν εὐμηχάνως     τὴν μὲν τῶν χορδῶν κοινὴν ἀπόδεσιν, τὴν «ἐκ» τοῦ διαγωνίου πασ-     σάλου, εἰς τὸν τοῦ ὀργάνον βατῆρα, ὃν χορδότονον ὠνόμαζε, τὴν δὲ     ποσὴν ἐπίτασιν ἀναλόγως τοῖς βάρεσιν εἰς τὴν τῶν κολλάβων     ἄνωθεν σύμμετρον (119) περιστροφήν. ἐπιβάθρᾳ τε ταύτῃ χρώμενος     καὶ οἷον ἀνεξαπατήτῳ γνώμονι εἰς ποικίλα ὄργανα τὴν πεῖραν     λοιπὸν ἐξέτεινε, λεκίδων τε κροῦσιν καὶ αὐλοὺς καὶ σύριγγας καὶ     μονόχορδα καὶ τρίγωνα καὶ τὰ παραπλήσια, καὶ σύμφωνον     εὕρισκεν ἐν ἅπασι καὶ ἀπαράλλακτον τὴν δι᾽ ἀριθμοῦ κατάληψιν.     ὀνομάσας δὲ ὑπάτην μὲν τὸν τοῦ ἕξ ἀριθμοῦ κοινωνοῦντα φθόγγον,     μέσην δὲ τὸν τοῦ ὀκτώ, ἐπίτριτον αὐτοῦ τυγχάνοντα, παραμέσην δὲ     τὸν τοῦ ἐννέα, [69] τόνῳ τοῦ μέσου ὀξύτερον καὶ δὴ καὶ ἐπόγδοον,     νήτην δὲ τὸν τοῦ δώδεκα, καὶ τὰς μεταξύτητας κατὰ τὸ διατονικὸν     γένος συναναπληρώσας φθόγγοις ἀναλόγοις, οὕτως τὴν ὀκτάχορδον     ἀριθμοῖς συμφώνοις ὑπέταξε, διπλασίῳ, ἡμιο(! 2θ)λίῳ, ἐπιτρίτῳ, καὶ     VITA DI PITAGORA 171     (118) (stanno infatti in rapporto nove a sei); lo stesso tipo di     accordo, epitrite, era quello tra la corda di otto unità di peso, che è     vicina alla più piccola, e quella di sei unità, mentre era di rapporto     emiolio l’accordo tra la stessa corda di otto unità con quella di dodi-     ci unità. Dunque l’intervallo tra l'accordo di quinta e quello di quar-     ta, cioè l'intervallo di cui l’accordo di quinta eccede quello di quarta,     veniva precisato come un rapporto epiottavo, cioè un rapporto di     nove a otto, e quindi si dava prova che l’accordo di ottava è una com-     binazione duplice, da un lato sta nella connessione tra l'accordo di     quinta e quello di quarta, come doppio rapporto costituito da un     emiolio ed un epitrite,0 quale ad esempio quello tra 12 : 8 : 6, oppu-     re inversamente dalla connessione tra l'accordo di quarta e quello di     quinta, come doppio rapporto costituito da un epitrite ed un emio-     lio,6! quale ad esempio quello tra 12 : 9 : 6, in un ordine tale da costi-     tuire un accordo di ottava. Dopo essersi incallito sia le mani che l’udi-     to ad appendere i pesi e a calcolarli con esattezza secondo il rappor-     to delle loro relazioni, Pitagora tramutò molto ingegnosamente il     sistema generale di sospensione delle corde, quella relativa al chiodo     posto all'angolo delle pareti, al giogo dello strumento [sc. della lira],     giogo che egli chiamò “cordotono”, nonché la quantità di tensione     delle corde, in rapporto ai pesi, alla corrispondente torsione dei     bischeri posti nella parte superiore dello strumento.     (119) Ora, servendosi di questo tipo di scala [sc. di giogo della     lira] come di un regolo infallibile, estese in seguito questa sua espe-     rienza a varie specie di strumenti musicali, cimbali,2 flauti, zampo-     gne, monocordi, trigoni,$ e altri strumenti del genere, e scopri che in     tutti questi strumenti si poteva percepire una consonanza numerica-     mente invariabile. Avendo chiamato “ipate” [sc. più bassa] la nota     associata al numero 6, “mese” [sc. mediana] quella associata al nume-     ro 8, che è in rapporto epitrite con quella, “paramese” [sc. vicina alla     mese] la nota associata al numero 9, che è di un tono più acuta della     mese ed è appunto di rapporto epiottavo,65 “nete” infine chiamò la     nota associata al numero 12, e dopo avere riempito gli intervalli con     note rapportate a quelle principali secondo un genere [sc. una scala]     diatonico, ordinò cosi l’ottacordo sotto i numeri dei vari accordi, cioè     doppio [sc. 2/1], emiolio [sc. 3/2], epitrite [sc. 4/3] ed epiottavo [sc.     9/8), che è anche la differenza tra gli ultimi due.     172 GIAMBLICO     τῇ τούτων διαφορᾷ, ἐπογδόῳ. τὴν δὲ πρόβασιν ἀνάγκῃ τινὶ φυσικῇ     ἀπὸ τοῦ βαρυτάτου ἐπὶ τὸ ὀξύτατον κατὰ τοῦτο τὸ διατονικὸν γένος     οὕτως εὕρισκε. τὸ γὰρ χρωματικὸν καὶ ἐναρμόνιον γένος αὖθίς     ποτε ἐκ τούτου αὐτοῦ διετράνωσεν, ὡς ἐνέσται ποτὲ δεῖξαι, ὅταν     περὶ μουσικῆς λέγωμεν. ἀλλὰ τό γε διατονικὸν γένος τοῦτο τοὺς     βαθμοὺς καὶ τὰς προόδους τοιαύτας τινὰς φυσικὰς ἔχειν φαίνεται,     ἡμιτόνιον, εἶτα τόνος, «εἶτα τόνος, καὶ τοῦτ᾽ ἔστι διὰ τεσσάρων, σύ-     στημα δύο τόνων καὶ τοῦ λεγομένου ἡμιτονίου. εἶτα προσληφθέντος     ἄλλου τόνου, τουτέστι τοῦ μεσεμβοληθέντος, ἡ διὰ πέντε γίνεται,     σύστημα τριῶν τόνων καὶ ἡμιτονίου ὑπάρχουσα. εἶθ᾽ ἑξῆς τούτῳ     ἡμιτόνιον καὶ τόνος καὶ τόνος, ἄλλο διὰ τεσσάρων, τουτέστιν ἄλλο     ἐπίτριτον. ὥστε ἐν μὲν τῇ ἀρχαιοτέρᾳ τῇ ἑπταχόρδῳ πάντας ἐκ τοῦ     βαρυτάτου τοὺς ἀπ᾽ ἀλλήλων τετάρτους τὴν διὰ τεσσάρων ἀλλήλοις     δι᾿ ὅλου συμφωνεῖν, τοῦ ἡμιτονίου κατὰ μετάβασιν τήν τε πρώτην     καὶ τὴν μέσην καὶ τὴν τρίτην χώραν μεταλαμβάνοντος κατὰ τὸ     τετράχορδον (121) ἐν δὲ τῇ Πυθαγορικῇ τῇ ὀκταχόρδῳ, ἤτοι κατὰ     συναφὴν συστήματι ὑπαρχούσῃ τετραχόρδου τε καὶ πενταχόρδου, ἢ     κατὰ διάζευξιν δυεῖν τετραχόρδων τόνῳ χωριζομένων ἀπ᾽ ἀλλήλων,     ἀπὸ τῆς βαρυτάτης ἡ προχώρησις ὑπάρξει, ὥστε τοὺς ἀπ᾽ ἀλλήλων     πέμπτους πάντας φθόγγους τὴν διὰ πέντε συμφωνεῖν ἀλλήλοις, τοῦ     ἡμιτονίου προβάδην [70] εἰς τέσσαρας χώρας μεταβαίνοντος,     πρώτην, δευτέραν, τρίτην, τετάρτην. οὕτω μὲν οὖν τὴν μουσικὴν     εὑρεῖν λέγεται, καὶ συστησάμενος αὐτὴν παρέδωκε τοῖς ὑπηκόοις     ἐπὶ πάντα τὰ κάλλιστα.     27 (122) Ἐπαινεῖται δὲ πολλὰ καὶ τῶν κατὰ τὰς πολιτείας πραχ-     θέντων ὑπὸ τῶν ἐκείνῳ πλησιασάντων. φασὶ γάρ, ἐμπεσούσης μέν     ποτε παρὰ τοῖς Κροτωνιάταις ὁρμῆς πολυτελεῖς ποιεῖσθαι τὰς ἐκφο-     ρὰς καὶ ταφάς, εἰπεῖν τινα πρὸς τὸν δῆμον ἐξ αὐτῶν, ὅτι Πυθαγόρου     διεξιόντος ἀκούσειεν ὑπὲρ τῶν θεῶν, ὡς οἱ μὲν Ὀλύμπιοι ταῖς τῶν     θυόντων διαθέσεσιν, οὐ τῷ τῶν θυομένων πλήθει προσέχουσιν, οἱ     δὲ χθόνιοι τοὐναντίον, ὡς ἂν ἐλαττόνων κληρονομοῦντες, τοῖς κομ-     μοῖς καὶ θρήνοις, ἔτι δὲ ταῖς συνεχέσι χοαῖς καὶ τοῖς ἐπιφορήμασι     VITA DI PITAGORA 173     (120) E scopri in tal modo che, per una certa necessità naturale,     la progressione dalla nota più grave a quella più acuta avviene secon-     do questo genere diatonico. Egli infatti espose, allora, il genere cro-     matico e quello enarmonico di seguito a partire da questo diatonico,     come ci sarà possibile mostrare allorché parleremo della musica. Ma     in verità questo genere diatonico indica che per natura i suoi gradi e     le sue progressioni stanno in questo: un semitono, poi un tono, poi     ancora un tono, e questo è l'accordo di quarta, cioè una combinazio-     ne di due toni e di un cosiddetto semitono. Aggiunto, poi, un altro     tono, cioè quello <che si chiama> “intercalato”, nasce l'accordo di     quinta, che è combinazione di tre toni e di un semitono. Poi, di segui-     to a quest’ultimo accordo, un semitono e un tono e ancora un tono     fanno nascere un altro accordo di quarta, cioè un altro rapporto epi-     trite. Sicché, mentre nell’eptacordo più antico accadeva che tutte le     note che stanno al quarto posto tra loro a partire da quella più grave     producevano nel loro insieme un accordo di quarta, essendo il semi-     tono collocato in progressione al primo posto, al posto mediano e al     terzo posto, cosî come nel tetracordo, (121) invece nell’ottacordo     pitagorico, sia in quello composto per connessione di un tetracordo e     un pentacordo, sia in quello composto per disgiunzione da due tetra-     cordi separati tra loro da un semitono, l'avanzamento avrà inizio a     partire dalla corda più grave in modo che tutte le note che si trovano     al quinto posto tra loro si accordano insieme secondo un accordo di     quinta, essendo il semitono collocato in progressione in quattro posti,     cioè al primo, al secondo, al terzo e al quarto posto. Cosî dunque -- si     racconta — Pitagora scopri la musica, e dopo averla ridotta a sistema     la insegnò ai suoi uditori per tutti i loro migliori fini.     27 (122) Sono elogiate molte azioni, anche quelle concernenti le     città, compiute dai suoi discepoli. Si racconta infatti che una volta,     quando i Crotoniati furono presi dall’impulso di celebrare sfarzosa-     mente funerali e sepolture, uno dei discepoli di Pitagora disse al     popolo che aveva ascoltato Pitagora spiegare, a proposito degli dèi,     che gli dèi che abitano l'Olimpo gradiscono le disposizioni d'animo     di coloro che sacrificano, senza badare alla quantità degli oggetti del     sacrificio, mentre quelli che stanno negli inferi fanno il contrario, per-     ché, poiché avrebbero ricevuto in sorte domini meno importanti, gra-     174 GIAMBLICO     καὶ τοῖς μετὰ μεγάλης δαπάνης évayi(123)opoîc χαίρουσι. ὅθεν διὰ     τὴν προαίρεσιν τῆς «τοιαύτης; ὑποδοχῆς Πλούτωνα καλεῖσθαι τὸν     Ἅιδην, καὶ τοὺς μὲν ἀφελῶς αὐτὸν τιμῶντας ἐᾶν κατὰ τὸν ἄνω κό-     σμον χρονίους, ἀπὸ δὲ τῶν ἐκκεχυμένως πρὸς τὰ πένθη διακειμένων     ἀεί τινα κατάγειν ἕνεκα τοῦ τυγχάνειν τῶν τιμῶν τῶν ἐπὶ τοῖς     μνήμασι γινομένων. ἐκ δὲ τῆς συμβουλίας ταύτης ὑπόληψιν     ἐμποιῆσαι τοῖς ἀκούουσιν, ὅτι μετριάζοντες μὲν ἐν τοῖς ἀτυχήμασι     τὴν ἰδίαν σωτηρίαν διατηροῦσιν, ὑπερβάλλοντες δὲ τοῖς ἀναλώμα-     σιν ἅπαντες πρὸ μοίρας καταστρέψουσιν. (124) ἕτερον δὲ διαιτητὴν     γενόμενόν τινος ἀμαρτύρου πράγματος, χωρὶς μεθ᾽ ἑκατέρου τῶν     ἀντιδίκων ὁδῷ προάγοντα, κατὰ μνῆμά τι στάντα φῆσαι τὸν ἐν τούτῳ     κείμενον ἐπιεικῆ καθ᾽ ὑπερβολὴν γενέσθαι. τῶν δὲ ἀντιδίκων τοῦ     μὲν πολλὰ κἀγαθὰ κατευξαμένου τῷ τετελευτηκότι, τοῦ δὲ εἰπό-     ντος᾽ [71] «μή τι οὖν αὐτῷ πλεῖόν ἐστι;» καταδοξάσαι, καὶ     παρεσχῆσθαί τινα ῥοπὴν εἰς τὴν πίστιν τὸν ἐγκωμιάσαντα τὴν καλο-     καγαθίαν. ἄλλον δὲ δίαιταν εἰληφότα μεγάλην, ἑκάτερον πείσαντα     τῶν ἐπιτρεψάντων, τὸν μὲν ἀποτῖσαι τέσσαρα τάλαντα, τὸν δὲ     λαβεῖν δύο, καταγνῶναι τρία, καὶ δόξαι δεδωκέναι τάλαντον     ἑκατέρῳ. θεμένων δέ τινῶν ἐπὶ κακουργίᾳ πρὸς γύναιον τῶν ἀγο-     ραίων ἱμάτιον καὶ διειπομένων μὴ διδόναι θατέρῳ μέχρις ἂν ἀμφό-     τεροι παρῶσι, μετὰ δὲ ταῦτα παραλογισαμένων, καὶ σύνεγγυς τοῦ     κοινῇ θεμένου λαβόντος θατέρου καὶ φήσαντος συγκεχωρηκέναι     τὸν ἕτερον, εἶτα συκοφαντοῦντος ἑτέρου τοῦ μὴ προσελθόντος καὶ     τὴν ἐξ ἀρχῆς ὁμολογίαν τοῖς ἄρχουσιν ἐμφανίζοντος, ἐκδεξάμενον     τῶν Πυθαγορείων τινὰ φῆσαι τὰ συγκείμενα τὴν ἄνθρωπον ποιή-     σειν, ἂν ἀμφότεροι παρῶσιν. (125) ἄλλων δέ τινων ἐν ἰσχυρᾷ μὲν     VITA DI PITAGORA 175     discono lamentazioni e canti funebri, e ancora continue libagioni e     banchetti funebri e offerte molto costose.     (123) È questa la ragione per cui, a causa della sua particolare pre-     ferenza nell’accettare offerte, l’Ade viene chiamato “Plutone” [sc. il     ricco], e coloro che lo onorano in maniera non sfarzosa egli li lascia     vivere a lungo nel mondo superiore [sc. sulla terra], mentre tra colo-     ro che sono disposti a spendere senza riserva per i loro funerali, egli     sempre fa discendere di sotto [sc. fa morire] qualcuno perché possa     fruire delle onoranze che si fanno sui sepolcri. Con questo discorso     fatto a mo’ di consiglio quel Pitagorico aveva voluto rendere edotti i     suoi uditori che con la moderazione nelle sventure si sarebbero assi-     curata la propria salvezza, mentre tutti quelli che eccedevano nelle     spese avrebbero posto fine alla loro vita prima del tempo predestina-     to.    (124) Un altro Pitagorico — si racconta —, nominato arbitro di una     lite che non aveva testimoni, si recò in una strada con ciascuno dei     due litiganti separatamente e, fermatosi dinanzi a un sepolcro, disse     che in quel posto era sepolto un tale che era vissuto molto, ma molto     onestamente. E poiché uno dei due litiganti augurava molti beni al     morto, mentre l’altro diceva: “ma che cosa ci ha guadagnato?”, allora     quel Pitagorico si fece una brutta idea di quest’ultimo e fu incline a     dare credito all’altro che aveva elogiato la rettitudine del morto. Un     altro Pitagorico, scelto come arbitro in una lite molto importante,     dopo avere convinto ambedue i contendenti, l’uno a pagare quattro     talenti, l’altro a prenderne solo due, emise una sentenza a pagare tre     talenti, dando cosi l'impressione di avere regalato un talento a ciascu-     no dei due. Una volta due uomini, con intenzione fraudolenta, lascia-     rono in deposito ad una donna del mercato un mantello con la con-     dizione che non lo riconsegnasse a nessuno dei due prima che fosse-     ro stati ambedue presenti, dopo di che i due concepirono un ingan-     no, e qualche tempo dopo uno dei due venne a riprendersi ciò che era     stato posto in comune, dicendo che l’altro era d’accordo; in seguito     quello che non era venuto sporse denuncia contro la donna e produs-     se davanti ai magistrati l'accordo iniziale; allora un Pitagorico, che     aveva ricevuto <l’incarico di arbitro>, disse che la donna avrebbe     rispettato con l’uomo quanto concordato nel caso si fossero presenta-     ti entrambi.     176 GIAMBLICO     φιλίᾳ πρὸς ἀλλήλους εἶναι δοκούντων, εἰς σιωπωμένην δὲ ὑποψίαν     διά τινα τῶν κολακευόντων τὸν ἕτερον ἐμπεπτωκότων, ὃς εἴρηκε     πρὸς αὐτὸν ὡς τῆς γυναικὸς ὑπὸ θατέρου διεφθαρμένης, ἀπὸ τύχης     εἰσελθόντα τὸν Πυθαγόρειον εἰς χαλκεῖον, ἐπεὶ δείξας ἠκον-     nuévnv μάχαιραν ὁ νομίζων ἀδικεῖσθαι τῷ τεχνίτῃ προσέκοπτεν ὡς     οὐχ ἱκανῶς ἠκονηκότι, καθυπονοήσαντα ποιεῖσθαι τὴν παρα-     σκευὴν αὐτὸν ἐπὶ τὸν διαβεβλημένον, «αὕτη σοι» φῆσαι «τῶν ἄλλων     ἐστὶν ἁπάντων ὀξυτέρα, πλὴν διαβολῆς». καὶ τοῦτ᾽ εἴπαντα ποιῆσαι     τὸν ἄνθρωπον ἐπιστῆσαι τὴν διάνοιαν καὶ μὴ προπετῶς εἰς τὸν     φίλον, (126) ὃς ἔνδον ἦν προκεκλημένος, ἐξαμαρτεῖν. ἕτερον δέ, ξέ-     νου τινὸς ἐκβεβληκότος ἐν ᾿Ασκληπιείῳ ζώνην χρυσίον ἔχουσαν     καὶ τῶν μὲν νόμων τὸ πεσὸν ἐπὶ τὴν γῆν κωλυόντων ἀναιρεῖσθαι,     τοῦ δὲ ξένου σχετλιάζοντος, κελεῦσαι τὸ μὲν [72] χρυσίον ἐξελεῖν,     ὃ μὴ πέπτωκεν ἐπὶ τὴν γῆν, τὴν δὲ ζώνην ἐᾶν’ εἶναι γὰρ ταύτην ἐπὶ     τῆς γῆς. καὶ τὸ μεταφερόμενον δὲ ὑπὸ τῶν ἀγνοούντων εἰς τόπους     ἑτέρους ἐν Κρότωνι γενέσθαι λέγουσιν, ὅτι θέας οὔσης καὶ     γεράνων ὑπὲρ τοῦ θεάτρου φερομένων, εἰπόντος τινὸς τῶν καταπε-     πλευκότων πρὸς τὸν πλησίον καθήμενον᾽ «ὁρᾷς τοὺς μάρτυρας;»     ἐπακούσας τις τῶν Πυθαγορείων ἤγαγεν αὐτοὺς ἐπὶ τὸ τῶν χιλίων     ἀρχεῖον, ὑπολαβών, ὅπερ ἐλέγχοντες τοὺς παῖδας ἐξεῦρον, καταπε-     ποντικέναι τινὰς τὰς ὑπὲρ τῆς νεὼς πετομένας γεράνους μαρτυρο-     μένους. καὶ πρὸς ἀλλήλους δέ τινες, ὡς ἔοικε, διενεχθέντες, νεωστὶ     πρὸς Πυθαγόραν παραβαλόντες, ὡς ὁ νεώτερος προσελθὼν διελύε-     το, φάσκων οὐ δεῖν ἐφ᾽ ἕτερον ποιεῖσθαι τὴν ἀναφοράν, ἀλλ᾽ ἐν     αὑτοῖς ἐπιλαθέσθαι τῆς ὀργῆς, τὰ μὲν ἄλλα αὑτῷ φῆσαι τὸν ἀκούον-     τα διαφερόντως ἀρέσκειν, αἰσχύνεσθαι δὲ ἐπὶ τῷ πρεσβύτερος ὧν     μὴ πρότερος [ὧν] αὐτὸς προξελθεῖν.     (127) *** καὶ ταῦτα πρὸς ἐκεῖνον εἰπεῖν καὶ τὰ περὶ Φιντίαν καὶ     Δάμωνα, περί τε Πλάτωνος καὶ ᾿Αρχύτου, καὶ τὰ περὶ Κλεινίαν καὶ     Πρῶρον. χωρὶς τοίνυν τούτων Εὐβούλου τοῦ Μεσηνίου πλέοντος εἰς     οἶκον καὶ ληφθέντος ὑπὸ Τυρρηνῶν καὶ καταχθέντος εἰς     VITA DI PITAGORA 177     (125) Essendo due altri uomini, che apparivano essere in solida     amicizia tra loro, caduti in tacito sospetto perché un adulatore aveva     detto ad uno dei due che sua moglie era stata sedotta dall'altro amico,     un Pitagorico, che per caso era giunto in una fucina si accorse che     quello che si riteneva offeso stava mostrando al fabbro una spada che     gli aveva affilata si, ma non abbastanza, supponendo che l’uomo si     preparava <ad usare quella spada> contro l’amico calunniato <dal-     l’adulatore>, disse: “è più aguzza di ogni altra cosa, tranne che della     calunnia”. E cosî dicendo indusse quell’uomo ad essere più ragione-     vole e non si precipitasse a commettere l'errore «αἱ uccidere> l’ami-     co, che <nel frattempo> era stato da lui invitato a recarsi a casa sua.     (126) E ancora, avendo uno straniero lasciato cadere a terra, nel     tempio di Asclepio, una cintura piena d’oro, e dato che le leggi impe-     divano di raccattare le cose cadute a terra <nei templi>,66 e quello     straniero si lamentava di tale divieto, un Pitagorico lo invitò a raccat-     tare l’oro perché non era caduto a terra, e se mai abbandonare la cin-     tura perché questa sf era per terra. Si racconta anche un episodio che     ebbe luogo a Crotone, ma che da alcuni viene spostato, per ignoran-     za, in altri luoghi: durante uno spettacolo si videro delle gru che sor-     volavano il teatro, e allora qualcuno tra quelli che erano tornati da un     viaggio per mare disse al suo vicino: “vedi i testimoni?”. Allora un     Pitagorico, che aveva inteso quelle parole, li condusse davanti all’as-     semblea dei Mille, perché sospettava ciò che poi scoprirono quelli che     avrebbero sottoposto a contraddittorio i loro schiavi, e cioè che ave-     vano gettato in mare della gente mentre le gru, volteggiando sopra la     nave, facevano da testimoni. E ancora, alcuni uomini che, a quanto     pare, solo di recente si erano accostati a Pitagora, entrarono in dispu-     ta tra loro, perché il piti giovane, che si era avvicinato all’altro per rap-     pacificarsi, diceva che non bisognasse fare ricorso ad altri come arbi-     tro, ma erano in grado di dimenticare da soli la loro collera, mentre     l’altro che l’ascoltava diceva che era particolarmente contento di tutto     il resto che quello gli aveva detto, ma che si vergognava del fatto che,     essendo più anziano, non era stato lui a prendere l’iniziativa per     primo.    (127) [/acuna]® e gli raccontò anche queste cose sia su Finzia e     Damone che su Platone e Archita, e su Clinia e Proro. Ma a parte     queste storie, c'è anche quella che concerne Eubulo di Messene, che     178 GIAMBLICO     Τυρρηνίαν, Ναυσίθοος ὁ Tuppnvéc, Πυθαγόρειος ὦν, ἐπιγνοὺς     αὐτὸν ὅτι τῶν Πυθαγόρου μαθητῶν ἐστιν, ἀφελόμενος τοὺς λῃστὰς     μετ᾽ ἀσφαλείας [73] (128) πολλῆς εἰς τὴν Μεσήνην αὐτὸν κατέ-     στησε. Καρχηδονίων τε πλείους ἢ πεντακισχιλίους ἄνδρας, τοὺς     παρ᾽ αὐτοῖς στρατευομένους, εἰς νῆσον ἔρημον ἀποστέλλειν μελ-     λόντων, ἰδὼν ἐν τούτοις Μιλτιάδης ὁ Καρχηδόνιος Ποσιδῆν     ᾿Αργεῖον, ἀμφότεροι τῶν Πυθαγορείων ὄντες, προσελθὼν αὐτῷ τὴν     μὲν πρᾶξιν τὴν ἐσομένην οὐκ ἐδήλωσεν, ἠξίου δ᾽ αὐτὸν εἰς τὴν ἰδί-     αν ἀποτρέχειν τὴν ταχίστην, καὶ παραπλεούσης νεὼς συνέστησεν     αὐτὸν ἐφόδιον προσθεὶς καὶ τὸν ἄνδρα διέσωσεν ἐκ τῶν κινδύνων,     ὅλως δὲ πάσας εἴ τις λέγοι τὰς γεγενημένας ὁμιλίας τοῖς     Πυθαγορείοις πρὸς ἀλλήλους, ὑπεραίροι ἂν τῷ μήκει τὸν ὄγκον καὶ     τὸν καιρὸν τοῦ συγγράμματος.     (129) μέτειμι οὖν μᾶλλον ἐπ᾽ ἐκεῖνα, ὡς ἦσαν ἔνιοι τῶν     Πυθαγορείων πολιτικοὶ καὶ ἀρχικοί. καὶ γὰρ νόμους ἐφύλαττον καὶ     πόλεις Ἰταλικὰς διῴκησάν τινες, ἀποφαινόμενοι μὲν καὶ συμβου-     λεύοντες τὰ ἄριστα ὧν ὑπελάμβανον, ἀπεχόμενοι δὲ δημοσίων προ-     σόδων. πολλῶν δὲ γιγνομένων κατ᾽ αὐτῶν διαβολῶν ὅμως ἐπεκράτει     μέχρι τινὸς ἡ τῶν Πυθαγορείων καλοκαγαθία καὶ ἡ τῶν πόλεων     αὐτῶν βούλησις, ὥστε ὑπ᾽ ἐκείνων οἰκονομεῖσθαι βούλεσθαι τὰ     περὶ τὰς πολιτείας. ἐν τούτῳ δὲ τῷ χρόνῳ δοκοῦσιν αἱ κάλλισται     (130) τῶν πολιτειῶν ἐν Ἰταλίᾳ γενέσθαι καὶ ἐν Σικελίᾳ. Χαρώνδας     τε γὰρ ὁ Καταναῖος, εἷς εἶναι δοκῶν τῶν ἀρίστων νομοθετῶν,     Πυθαγόρειος ἦν, Ζάλευκός τε καὶ Τιμάρης οἱ Λοκροί, ὀνομαστοὶ     γεγενημένοι ἐπὶ νομοθεσίᾳ, Πυθαγόρειοι ἦσαν, οἵ τε τὰς Ῥηγινι-     κὰς πολιτείας συστήσαντες, τήν τε γυμνασιαρχικὴν κληθεῖσαν καὶ     τὴν ἐπὶ Θεοκλέους ὀνομαζομένην, Πυθαγόρειοι λέγονται εἶναι,     Φύτιός τε καὶ Θεοκλῆς [74] καὶ Ἑλικάων καὶ ᾿Αριστοκράτης᾽ διή-     νεγκαν «δὲ» ἐπιτηδεύμασί τε καὶ ἔθεσιν, οἷς καὶ αἱ ἐν ἐκείνοις τοῖς     τόποις πόλεις κατ᾽ ἐκείνους τοὺς χρόνους ἐχρήσαντο.     ὅλως δὲ εὑρετὴν αὐτὸν γενέσθαι φασὶ καὶ τῆς πολιτικῆς ὅλης     παιδείας, εἰπόντα μηδὲν εἰλικρινὲς εἶναι τῶν ὄντων πραγμάτων,     ἀλλὰ μετέχειν καὶ γῆν πυρὸς καὶ πῦρ ὕδατος καὶ πνεῦμα τούτων καὶ     ταῦτα πνεύματος, ἔτι καλὸν αἰσχροῦ καὶ δίκαιον ἀδίκου καὶ τάλλα     VITA DI PITAGORA 179     navigando verso casa, fu preso dai Tirreni e fatto sbarcare in Tirrenia,     dove Nausitoo il Tirreno, che era un Pitagorico, dopo averlo ricono-     sciuto come uno degli allievi di Pitagora, lo sottrasse ai pirati e con     molta cautela lo fece rientrare a Messene.     (128) Quando i Cartaginesi erano sul punto di spedire in un'isola     deserta più di cinquantamila uomini, che erano dei loro soldati, allo-     ra Milziade il Cartaginese, avendo visto che tra quelli c'era Posideo     l’Argivo -- erano ambedue Pitagorici —, gli si avvicinò e, senza rivelar-     gli ciò che stava per fare, gli disse che era opportuno che ritornasse al     più presto a casa sua, e lo sistemò su una nave che era di passaggio,     dandogli l'occorrente per il viaggio, e cosi salvò l’uomo dai pericoli.     Insomma, se si dovessero raccontare tutte le cure che i Pitagorici si     sono prese l'uno per l’altro, si andrebbe oltre la lunghezza e l’occasio-     ne di questo scritto.     (129) Ebbene, vado a parlare piuttosto di queste altre cose, cioè del     fatto che alcuni Pitagorici furono uomini di stato e di governo. E     infatti alcuni custodirono le leggi e amministrarono delle città in     Italia, da un lato dichiarando e consigliando le cose che ritenevano     migliori, dall’altro lato astenendosi dal fruire di rendite pubbliche. E     anche se molte calunnie furono lanciate contro di loro, tuttavia pre-     valsero per un certo tempo la rettitudine dei Pitagorici e la volontà     delle città stesse, al punto che queste vollero che fossero loro ad     amministrare tutto ciò che concerneva le costituzioni. E in questo     periodo di tempo sembra che siano nate, in Italia e in Sicilia, le     migliori costituzioni.     (130) E infatti Caronda di Catania, che sembra essere stato uno     dei migliori legislatori, era Pitagorico, ed erano Pitagorici Zaleuco e     Timare ambedue di Locri, che furono famosi per la loro attività legi-     slativa, e si dice che fossero Pitagorici anche i redattori delle costitu-     zioni di Reggio, sia quella che fu chiamata “ginnasiarchica” sia quella     che prese il nome da Teocle, e cioè Fizio e Teocle ed Elicaone e     Aristocrate; costoro si distinsero per le loro occupazioni e i loro     costumi, di cui fruirono anche le città che in quei tempi erano in quei     luoghi.    In generale si dice che Pitagora sia stato l’inventore anche dell’in-     tera educazione politica, e uno che diceva che nessuna delle cose esi-     stenti è genuina, ché, al contrario, la terra partecipa del fuoco e il     180 GIAMBLICO     κατὰ λόγον τούτοις (ἐκ δὲ ταύτης τῆς ὑποθέσεως λαβεῖν τὸν λόγον     τὴν εἰς ἑκάτερον μέρος ὁρμήν: δύο δὲ εἶναι κινήσεις καὶ τοῦ σώμα-     τος καὶ τῆς ψυχῆς, τὴν μὲν ἄλογον, τὴν δὲ προαιϊιρετικήν), πολιτειῶν     δὲ γραμμάς τινας τοιάσδε τρεῖς συστησάμενον, τοῖς ἄκροις     ἀλλήλων συμψαυούσας, μίαν ὀρθὴν γωνίαν ποιούσας, τὴν μὲν ἐπί-     Tpitov φύσιν ἔχουσαν, τὴν δὲ πέντε τοιαῦτα δυναμένην, τὴν δὲ     τούτων ἀμφοτέρων ἀνὰ μέσον. (131) λογιζομένων δ᾽ ἡμῶν τάς τε τῶν     γραμμῶν πρὸς ἀλλήλας συμπτώσεις καὶ τὰς τῶν χωρίων τῶν ἀπὸ     τούτων, βελτίστην ὑποτυποῦσθαι πολιτείας εἰκόνα. σφετερίσασθαι     δὲ τὴν δόξαν Πλάτωνα, λέγοντα φανερῶς ἐν τῇ Πολιτείᾳ τὸν ἐπίτρι-     τον ἐκεῖνον πυθμένα τὸν τῇ πεμπάδι συζευγνύμενον καὶ τὰς δύο     παρεχόμενον ἁρμονίας. ἀσκῆσαι δέ φασιν αὐτὸν καὶ τὰς μετριοπα-     θείας καὶ τὰς μεσότητας καὶ τὸ σύν τινι προηγουμένῳ τῶν ἀγαθῶν     ἕκαστον εὐδαίμονα ποιεῖν τὸν βίον, καὶ συλλήβδην προσευρεῖν τὴν     αἴρεσιν τῶν ἡμετέρων ἀγαθῶν καὶ προσηκόντων ἔργων.     (132) ἀπαλλάξαι δὲ λέγεται τοὺς Κροτωνιάτας καὶ τῶν παλλα-     κίδων καὶ καθόλου τῆς πρὸς τὰς ἀνεγγύους γυναῖκας [75] ὁμιλίας.     πρὸς Δεινὼ γὰρ τὴν Βροντίνου γυναῖκα, τῶν Πυθαγορείων ἑνός,     οὖσαν σοφήν τε καὶ περιττὴν τὴν ψυχήν, ἧς ἐστὶ καὶ τὸ καλὸν καὶ     περίβλεπτον ῥῆμα, τὸ τὴν γυναῖκα δεῖν θύειν αὐθημερὸν ἀνιστα-     μένην ἀπὸ τοῦ ἑαυτῆς ἀνδρός, ὅ τινες εἰς Θεανὼ ἀναφέρουσι, πρὸς     δὴ ταύτην παρελθούσας τὰς τῶν Κροτωνιατῶν γυναῖκας παρακαλέ-     σαι περὶ τοῦ συμπεῖσαι τὸν Πυθαγόραν διαλεχθῆναι περὶ τῆς πρὸς     αὐτὰς σωφροσύνης τοῖς ἀνδράσιν αὐτῶν. ὃ δὴ καὶ συμβῆναι, καὶ τῆς     γυναικὸς ἐπαγγειλαμένης καὶ τοῦ Πυθαγόρου διαλεχθέντος καὶ     τῶν Κροτωνιατῶν πεισθέντων ἀναιρεθῆναι παντάπασι τὴν τότε ἐπι-     πολάζουσαν ἀκο(]! 33)λασίαν. ἔτι φασὶ Πυθαγόραν, ἀφικομένων εἰς     τὴν πόλιν τῶν Κροτωνιατῶν ἐκ τῆς Συβάριδος πρεσβευτῶν ἐπὶ τὴν     ἐξαίτησιν τῶν φυγάδων, θεασάμενόν τινα τῶν πρέσβεων αὐτόχειρα     γεγενημένον τῶν αὐτοῦ φίλων, μηδὲν ἀποκρίνασθαι αὐτῷ. ἐπερομέ-     VITA DI PITAGORA 181     fuoco dell’acqua e l’aria di ambedue quegli elementi e questi dell’aria,     e ancora il bello partecipa del brutto e il giusto dell’ingiusto e tutto il     resto di ambedue in proporzione (da questa ipotesi egli <arguiva>     che la ragione si muove nell’un senso e nell’altro}; diceva poi che ci     sono due tipi di movimento, quello del corpo e quello dell'anima, il     primo irrazionale, il secondo decisionale);68 si dice anche che Pitagora     abbia fissato, per le costituzioni politiche, tre linee tali da intersecar-     si tra loro, agli estremi, si da formare un solo angolo retto: la prima     linea aveva un rapporto epitrite, la seconda misurava cinque (che     elevato al quadrato equivaleva ai quadrati delle altre due),70 la terza,     infine, era di misura intermedia tra le prime due.?!     (131) Se noi calcoliamo sia le linee che si incontrano tra loro <agli     angoli>, sia le superfici a cui danno luogo <se elevate al quadrato>, si     vede disegnata la migliore immagine di costituzione politica. Si dice     che Platone abbia usurpato questa opinione quando dice chiaramen-     te nella Repubblica che quella base epitrite, combinata con il cinque,     forniva due armonie. E si dice anche che Platone si sia esercitato nella     moderazione delle passioni e nella dottrina delle proporzioni e nel far     si che ciascuno renda la propria vita felice in concomitanza con un     bene essenziale, e, in breve, abbia scoperto il criterio di scelta dei     nostri beni e delle nostre opere.          (132) Si dice poi che Pitagora abbia indotto i Crotoniati ad allon-     tanarsi sia dalle loro concubine, sia, in generale, da ogni rapporto     <illegittimo> con le donne. È infatti a Dinone, moglie di Brontino,     uno dei Pitagorici, e donna sapiente e di anima eccezionale, che viene     riferito questo bello e celebre detto (che alcuni riferiscono invece a     Teano): “La donna deve sacrificare lo stesso giorno in cui ha finito di     fare l’amore con suo marito”,72 a lei appunto si erano rivolte le mogli     di Crotone scongiurandola di unirsi a loro per far sî che Pitagora     discutesse intorno alla temperanza?? che i loro mariti dovevano prati-     care nei loro confronti. E in effetti quello che chiedevano accadde:     dopo che Pitagora, su invito della donna [sc. Dinone], ebbe fatto il     suo discorso, i Crotoniati si persuasero di abbandonare del tutto, da     quel momento, l’intemperanza che in quel tempo era diffusa.     (133) Ancora, si dice che Pitagora, quando giunsero nella città di     Crotone degli ambasciatori da Sibari per chiedere la consegna dei     profughi, vedendo che uno degli ambasciatori era stato diretto assas-     182 GIAMBLICO     νου δὲ τοῦ ἀνθρώπου καὶ βουλομένου τῆς ὁμιλίας αὐτοῦ μετέχειν,     εἰπεῖν ὡς οὐ θεμιστεύοι τοῖς «τοιούτοις» ἀνθρώποις' ὅθεν δὴ καὶ     παρά τισιν ᾿Απόλλωνα νομισθῆναι αὐτόν. ταῦτα δὴ πάντα καὶ ὅσα     μικρὸν ἔμπροσθεν εἰρήκαμεν περὶ τῆς τῶν τυράννων καταλύσεως     καὶ τῆς τῶν πόλεων ἐλευθερώσεως τῶν ἐν Ἰταλίᾳ τε καὶ Σικελίᾳ     καὶ ἄλλων πλειόνων δείγματα ποιησώμεθα τῆς εἰς τὰ πολιτικὰ ἀγα-     θὰ ὠφελείας αὐτοῦ, ἣν συνεβάλλετο τοῖς ἀνθρώποις.     28 (134) Τὸ δὴ μετὰ τοῦτο μηκέθ᾽ οὑτωσὶ κοινῶς, ἀλλὰ καὶ κατ᾽     ἰδίαν ἀποτεμόμενοι τὰ τῶν ἀρετῶν ἔργα αὐτοῦ τῷ λόγῳ     κοσμήσωμεν. ἀρξώμεθα δὲ πρῶτον ἀπὸ θεῶν, ὥσπερ καὶ νομίζεται,     τήν τε ὁσιότητα αὐτοῦ πειραθῶμεν ἐπιδεῖξαι [76] καὶ τὰ ἀπ᾽ αὐτῆς     θαυμαστὰ ἔργα ἐπιδείξωμεν ἑαυτοῖς καὶ τῷ λόγῳ κοσμήσωμεν. ἕν     μὲν οὖν δεῖγμα αὐτῆς ἐκεῖνο ἔστω, οὗ καὶ πρότερον ἐμνημονεύσα-     μεν, ὅτι δὴ ἐγίνωσκε τὴν ἑαυτοῦ ψυχήν, τίς ἦν καὶ πόθεν εἰς τὸ     σῶμα εἰσεληλύθει, τούς τε προτέρους αὐτῆς βίους, καὶ τούτων πρό-     δηλα τεκμήρια παρεῖχε. μετὰ τοῦτο τοίνυν ἐκεῖνο. Νέσσον ποτὲ τὸν     ποταμὸν σὺν πολλοῖς τῶν ἑταίρων διαβαίνων προσεῖπε τῇ φωνῇ, καὶ     ὁ ποταμὸς γεγωνόν τι καὶ τρανὸν ἀπεφθέγξατο πάντων ἀκουόντων"     «χαῖρε, Πυθαγόρα». ἔτι μιᾷ καὶ τῇ αὐτῇ ἡμέρᾳ ἔν τε Μεταποντίῳ     τῆς Ἰταλίας καὶ ἐν Ταυρομενίῳ τῆς Σικελίας συγγεγονέναι καὶ     διειλέχθαι κοινῇ τοῖς ἑκατέρωθι ἑταίροις αὐτὸν διαβεβαιοῦνται     σχεδὸν ἅπαντες, σταδίων ἐν μεσαιχμίῳ παμπόλλων καὶ κατὰ γῆν     καὶ κατὰ θάλατταν ὑπαρχόντων, οὐδ᾽ ἡμέραις ἀνυσίμων πάνυ (135)     πολλαῖς. τὸ μὲν γὰρ ὅτι τὸν μηρὸν χρύσεον ἐπέδειξεν ᾿Αβάριδι τῷ     Ὑπερβορέῳ, εἰκάσαντι αὐτὸν ᾿Απόλλωνα εἶναι τὸν «ἐν» Ὑπερ-     βορέοις, οὗπερ ἦν ἱερεὺς ὁ Αβαρις, βεβαιοῦντα ὡς τοῦτο ἀληθὲς     ὑπολαμβάνοι καὶ οὐ διαψεύδοιτο, καὶ πάνυ τεθρύλληται. καὶ μυρι-     ‘a ἕτερα τούτων θειότερα καὶ θαυμαστότερα περὶ τἀνδρὸς ὁμαλῶς     καὶ συμφώνως ἱστορεῖται, προρρήσεις τε σεισμῶν ἀπαράβατοι καὶ     λοιμῶν ἀποτροπαὶ σὺν τάχει καὶ ἀνέμων βιαίων χαλαζῶν τε χύσεως     παραυτίκα κατευνήσεις καὶ κυμάτων ποταμίων τε καὶ θαλασσίων     VITA DI PITAGORA 183     sino di uno dei suoi amici, si rifiutò di dargli risposta. Ma poiché quel-     l’uomo insisteva nella sua richiesta e voleva ottenere udienza da     Pitagora, questi disse che ad uomini di quel genere “non avrebbe dato     responsi”; da qui alcuni ricavarono l’idea che egli fosse Apollo. Tutto     questo e tutto il resto che abbiamo detto poco prima intorno alla cac-     ciata dei tiranni e alla liberazione di molte città sia in Italia che in     Sicilia e in molte altre regioni, dobbiamo considerarli indizi dei bene-     fici con i quali egli contribuiva al benessere degli uomini nella vita     pubblica.    28 (134) Dopo di che noi dobbiamo cercare di organizzare il     nostro discorso sulle opere virtuose di Pitagora, non prendendole     cosi in generale, bensi dividendole virtù per virtù. E dobbiamo     cominciare anzitutto dagli dèi, come si fa di solito, e dobbiamo cerca-     re di mostrare la sua santità e spiegare a noi stessi, anche organizzan-     dole nel discorso, come da questa provengono le sue opere prodigio-     se. Ebbene, un segno della sua santità sia quello di cui si è fatta men-     zione anche prima, e cioè il fatto che Pitagora conosceva la sua pro-     pria anima, qual era la sua natura e da dove era venuta nel suo corpo,     e le sue vite precedenti, e di tutto ciò egli presentava delle prove evi-     denti. Dopo di questo c’è in verità un altro indizio: una volta, mentre     attraversava il fiume Nesso assieme a molti suoi compagni, rivolse la     parola al fiume e questo gli rispose con voce alta e chiara, come tutti     poterono ascoltare: “Salve, o Pitagora”. Ancora, in una sola e mede-     sima giornata egli si trovò contemporaneamente a Metaponto in Italia     e a Taormina in Sicilia, e discusse in pubblico con i suoi compagni     nell’un posto e nell’altro (quasi tutti gli storici lo hanno confermato),     pur essendoci tra le due città una distanza di moltissimi stadi sia per     terra che per mare, per coprire la quale occorrono molti giorni.     (135) Che infatti Pitagora abbia mostrato la sua coscia d’oro ad     Abari l’Iperboreo, al quale apparve come l’Apollo degli Iperborei,     dove Abari era sacerdote, e che abbia fatto ciò per assicurare Abari     che la sua impressione era la verità e non una menzogna, è storia     molto diffusa. E se ne raccontano concordemente migliaia di altre di     queste storie, e di più divine e prodigiose, su Pitagora, e si racconta     anche che egli abbia predetto in modo infallibile terremoti e abbia     scongiurato rapidamente pestilenze e calmato venti impetuosi e     184 GIAMBLICO     ἀπευδιασμοὶ πρὸς εὐμαρῆ τῶν ἑταίρων διάβασιν. dv μεταλαβόντας     Ἐμπεδοκλέα τε τὸν ᾿Ακραγαντῖνον καὶ ᾿Επιμενίδην τὸν Κρῆτα καὶ     Ἄβαριν τὸν Ὑπερβόρειον πολ[77](13δ)λαχῇ καὶ αὐτοὺς τοιαῦτά     τινα ἐπιτετελεκέναι. δῆλα δ᾽ αὐτῶν τὰ ποιήματα ὑπάρχει, ἄλλως τε     καὶ ἀλεξανέμας μὲν ὃν τὸ ἐπώνυμον Ἐμπεδοκλέους, καθαρτὴς δὲ τὸ     Ἐπιμενίδου, αἰθροβάτης δὲ τὸ ᾿Αβάριδος, ὅτι ἄρα ὀιστῷ τοῦ ἐν     Ὑπερβορέοις ᾿Απόλλωνος δωρηθέντι αὐτῷ ἐποχούμενος ποταμούς     te καὶ πελάγη καὶ τὰ ἀβατα διέβαινεν, ἀεροβατῶν τρόπον τινά,     ὅπερ ὑπενόησαν καὶ Πυθαγόραν τινὲς πεπονθέναι τότε, ἡνίκα καὶ     ἐν Μεταποντίῳ καὶ ἐν Ταυρομενίῳ τοῖς ἑκατέρωθι ἑταίροις     ὡμίλησε τῇ αὐτῇ ἡμέρᾳ. λέγεται δ᾽ ὅτι καὶ σεισμὸν ἐσόμενον ἀπὸ     φρέατος, οὗ ἐγεύσατο, προηγόρευσε, καὶ περὶ νεὼς οὐριοδρο-     μούσης, ὅτι καταπον(137)τισθήσεται. καὶ ταῦτα μὲν ἔστω τεκμήρια     τῆς εὐσεβείας αὐτοῦ. βούλομαι δὲ ἄνωθεν τὰς ἀρχὰς ὑποδεῖξαι τῆς     τῶν θεῶν θρησκείας, ἃς προεστήσατο Πυθαγόρας τε καὶ οἱ ἀπ᾽ αὖ-     τοῦ ἄνδρες.     ἅπαντα ὅσα περὶ τοῦ πράττειν ἢ μὴ πράττειν διορίζουσιν ἐστό-     χασται τῆς πρὸς τὸ θεῖον ὁμολογίας, καὶ ἀρχὴ αὕτη ἐστὶ καὶ βίος     ἅπας συντέτακται πρὸς τὸ ἀκολουθεῖν τῷ θεῷ, καὶ ὁ λόγος οὗτος     ταύτης ἐστὶ τῆς φιλοσοφίας, ὅτι γελοῖον ποιοῦσιν ἄνθρωποι ἄλλο-     θέν ποθεν ζητοῦντες τὸ εὖ ἢ παρὰ τῶν θεῶν, καὶ ὅμοιον ὥσπερ ἂν εἴ     τις ἐν βασιλευομένῃ χώρᾳ τῶν πολιτῶν τινὰ ὕπαρχον θεραπεύσῃ,     ἀμελήσας αὐτοῦ τοῦ πάντων ἄρχοντος καὶ βασιλεύοντος" τοιοῦτον     γὰρ οἴονται ποιεῖν καὶ τοὺς ἀνθρώπους. ἐπεὶ γὰρ ἔστι τε θεὸς καὶ     οὗτος πάντων κύριος, δεῖν δὲ ὡμολόγη[78]ται παρὰ τοῦ κυρίου τάἀ-     γαθὸν αἰτεῖν, πάντες τε, οὺὗς μὲν ἂν φιλῶσι καὶ οἷς ἂν χαίρωσι, τού-     τοις διδόασι τἀγαθά, πρὸς δὲ οὺς ἐναντίως ἔχουσι, τἀναντία, δῆλον     ὅτι ταῦτα (138) πρακτέον, οἷς τυγχάνει ὁ θεὸς χαίρων. ταῦτα δὲ οὐ     ῥάδιον εἰδέναι, ἂν μή τις ἢ θεοῦ ἀκηκοότος ἢ θεοῦ ἀκούσῃ ἢ διὰ     τέχνης θείας πορίζηται. διὸ καὶ περὶ τὴν μαντικὴν σπουδάζουσι᾽     μόνη γὰρ αὕτη ἑρμηνεία τῆς παρὰ τῶν θεῶν διανοίας ἐστί. καὶ ὁμῶς     VITA DI PITAGORA 185     improvvise grandinate e rasserenato ondate di fiumi e di mari per     consentire ai suoi compagni un attraversamento più agevole. Poiché     godevano di tali poteri anche Empedocle di Agrigento ed Epimenide     di Creta e Abari l’Iperboreo, si racconta che anch’essi hanno spesso     compiuto prodigi del genere.     (136) Ne sono evidenti testimonianze le loro poesie, e lo sono del     resto anche il soprannome di Empedocle “colui che allontana i venti”,     e quello di Epimenide “purificatore”, e di Abari “colui che cammina     nell'aria”, perché appunto, trasportato da una freccia regalatagli da     Apollo Iperboreo, era capace di attraversare fiumi e mari e luoghi     inaccessibili, in un certo qual modo come se viaggiasse per aria, cosa     che avrebbe avuto il potere di fare anche Pitagora — pensano alcuni --     allorché nello stesso giorno conversò con i suoi compagni in ambedue     le città, Metaponto e Taormina. Si racconta anche che Pitagora abbia     predetto, a partire da un pozzo da cui aveva attinto dell’acqua, che si     sarebbe verificato un terremoto,74 e che, di una nave che correva col     favore del vento, predisse che sarebbe affondata.          (137) E siano queste le prove della sua pietà. Ma io voglio mostra-     re, partendo dall’alto, i principi che Pitagora e i suoi uomini si prefis-     sero per la venerazione degli dèi.          Tutto ciò che i Pitagorici stabiliscono a proposito del fare o non     fare mira all'accordo con il divino, ed è questo il principio <delle loro     azioni> e anche l’intera loro vita è coordinata per seguire dio, ed è     questa la ragione di tale filosofia, perché gli uomini fanno ridere     quando cercano la fonte del loro benessere in altro che presso gli dèi,     e si comportano come se uno, trovandosi in un territorio governato     da un re, venerasse qualcuno dei suoi concittadini, senza preoccupar-     si di chi ha per se stesso autorità e sovranità su tutti; perché gli uomi-     ni — pensano i Pitagorici — fanno qualcosa del genere. Poiché infatti     esiste un dio che è signore di tutto, e da questo segue che occorre     chiedere a lui il bene, perché tutti sono benèfici con coloro che essi     amano e di cui si compiacciono, mentre si comportano in modo con-     trario con coloro verso cui hanno sentimenti contrari, allora risulta     evidente che bisogna fare le cose di cui il dio si compiace.     (138) Queste cose però non è facile conoscerle, a meno che si     ascolti uno che abbia ascoltato dio o <direttamente> dio, o se ne     abbia un’acquisizione attraverso un’arte divina. Ed è per questo che i     186 GIAMBLICO     δὲ τὴν αὐτῶν πραγματείαν ἀξίαν «ἄν» τῳ δόξειεν εἶναι τῷ οἰομένῳ     θεοὺς εἶναι, τοῖς δ᾽ εὐήθειαν θάτερον τούτων καὶ ἀμφότερα. ἔστι δὲ     καὶ τῶν ἀποταγμάτων τὰ πολλὰ ἐκ τελετῶν εἰσενηνεγμένα, διὰ τὸ     οἴεσθαί τι εἶναι αὐτοὺς τὰ τοιαῦτα καὶ μὴ νομίζειν ἀλαζονείαν,     ἀλλ᾽ ἀπό τινος θεοῦ ἔχειν τὴν ἀρχήν. καὶ τοῦτό γε πάντες οἱ     Πυθαγόρειοι ὁμῶς ἔχουσι πιστευτικῶς, οἷον περὶ ᾿Αριστέου τοῦ     Προκοννησίου καὶ ᾿Αβάριδος τοῦ Ὑπερβορέου τὰ μυθολογούμενα     καὶ ὅσα ἄλλα τοιαῦτα λέγεται. πᾶσι γὰρ πιστεύουσι τοῖς τοιούτοις,     πολλὰ δὲ καὶ αὐτοὶ πειρῶνται, τῶν τοιούτων δέ, τῶν δοκούντων     μυθικῶν, ἀπομνημονεύουσιν ὡς οὐδὲν ἀπιστοῦντες ὅ τι ἂν εἰς τὸ     (139) θεῖον ἀνάγηται. ἔφη γοῦν Εὔρυτόν τις λέγειν ὅτι φαίη ποιμὴν     ἀκοῦσαί τινος ἄδοντος, νέμων ἐπὶ τῷ τάφῳ τοῦ Φιλολάου, καὶ τὸν     οὐθὲν ἀπιστῆσαι, ἀλλ᾽ ἐρέσθαι τίνα ἁρμονίαν. ἦσαν δὲ οὗτοι ἀμφό-     τεροι Πυθαγόρειοι, καὶ μαθητὴς Εὔρυτος Φιλολάου. φασὶ δὲ καὶ τῷ     Πυθαγόρᾳ τινά ποτε λέγειν ὅτι δοκοίη ποτὲ ἐν τῷ ὕπνῳ τῷ πατρὶ     διαλέγεσθαι τεθνεῶτι καὶ ἐπερέσθαι: «τίνος τοῦτο [τὸ]     ση[79]μεῖον;» τὸν δ᾽ οὐθενὸς φάναι, ἀλλ᾽ ὡς διελέγετο αὐτῷ     ἀληθῶς: «ὥσπερ οὖν οὐδὲ τὸ ἐμοὶ νῦν σε διαλέγεσθαι σημαίνει οὐ-     θέν, οὕτως οὐδὲ ἐκεῖνο». ὥστε πρὸς πάντα τὰ τοιαῦτα οὐχὶ αὑτοὺς     εὐήθεις νομίζουσιν, ἀλλὰ τοὺς ἀπιστοῦντας" οὐ γὰρ εἶναι τὰ μὲν     δυνατὰ τῷ θεῷ, τὰ δὲ ἀδύνατα, ὥσπερ οἴεσθαι τοὺς σοφιζομένους,     ἀλλὰ πάντα δυνατά. καὶ ἡ ἀρχὴ ἡ αὐτή ἐστι τῶν ἐπῶν, ἃ ἐκεῖνοί     φασι μὲν εἶναι Λίνου, ἔστι μέντοι ἴσως ἐκείνων: ἔλπεσθαι χρὴ     πάντ᾽, ἐπεὶ οὐκ ἔστ᾽ οὐδὲν ἄελπτον" ῥάδια πάντα θεῷ τελέσαι, καὶ     ἀνήνυτον οὐδέν. (140) τὴν δὲ πίστιν τῶν παρ᾽ αὐτοῖς ὑπολήψεων     ἡγοῦνται εἶναι ταύτην, ὅτι ἦν ὁ πρῶτος εἰπὼν αὐτὰ οὐχ ὁ τυχών,     ἀλλ᾽ ὁ θεός. καὶ ἕν τοῦτο τῶν ἀκουσμάτων ἐστί᾽ «τίς εἶ, Πυθαγόρα;»     VITA DI PITAGORA 187     Pitagorici si occupano scientificamente anche della mantica, perché     questa è l’unica arte che sa interpretare autenticamente i pensieri?5     ispirati dagli dèi. E tuttavia la loro dottrina della mantica apparirà     degna di considerazione a chi crede nell’esistenza degli dèi, mentre     altri considereranno una scempiaggine una delle due cose [sc. la man-     tica ο la credenza negli dèi] o ambedue. E anche la maggior parte     delle loro interdizioni sono nate da iniziazioni, per il fatto che essi cre-     devano che queste ultime sono qualcosa di concreto e non le ritene-     vano delle imposture, ma cose che provengono da qualche dio. E     nondimeno tutti i Pitagorici prestavano fede a racconti del genere di     quello relativo ad Aristeo di Proconneso o di Abari l'Iperboreo e a     tutti i racconti del genere. Essi infatti credono a tutti i racconti di que-     sto genere, ed essi stessi di molti cercano di farne esperienza, ma di     quei racconti che si presentano come dei miti, essi ne conservano     memoria come se non dubitassero di niente che sia qualcosa che si     possa fare risalire al divino.76     (139) Si racconta per esempio che Eurito diceva che un pastore gli     avrebbe detto di avere ascoltato, mentre pascolava sulla tomba di     Filolao, un tale che cantava, e di non avere dubitato di nulla di ciò che     cantava, ma gli avrebbe chiesto in quale armonia cantasse. Erano     ambedue Pitagorici, ed Eurito era stato allievo di Filolao. Si racconta     anche che una volta un tale avesse detto a Pitagora che un giorno gli     era sembrato, in sogno, di avere parlato col padre che era già morto,     e avesse chiesto a Pitagora: “che cosa significa questo?”, e quello gli     avrebbe risposto che non significava nient'altro se non che avesse par-     lato veramente a suo padre. “Cosi come, dunque — diceva Pitagora --,     non significa niente se tu parli adesso con me, allo stesso modo anche     quel sogno non significa niente”. Sicché i Pitagorici, in casi del gene-     re, non credevano affatto di essere loro gli sciocchi, bensi coloro che     non ci credevano, perché non esistono per il dio cose possibili e cose     impossibili, ma ogni cosa è possibile. Ed è questo l’inizio dei versi che     i Pitagorici attribuiscono a Lino, ma di cui sono forse loro i veri auto-     τί; “Bisogna sperare in tutto, poiché non c’è nulla di cui disperare;     tutto è facile a dio realizzare, e non c’è nulla che egli non possa com-     piere”.    (140) L’affidabilità delle loro supposizioni essi ritengono che con-     sista in questo, nel fatto cioè che non è stato un uomo qualsiasi a dire     188 GIAMBLICO     φασὶ γὰρ εἶναι ᾿Απόλλωνα Ὑπερβόρεον: τούτου δὲ τεκμήρια     ἔχεσθαι ὅτι ἐν τῷ ἀγῶνι ἐξανιστάμενος τὸν μηρὸν παρέφηνε χρυ-     σοῦν καὶ ὅτι Ἅβαριν τὸν Ὑπερβόρεον εἱστία καὶ τὴν ὀϊστὸν αὐτοῦ     ἀφείλετο, ἣ ἐκυβερνᾶτο. (141) λέγεται δὲ ὁ Ἄβαρις ἐλθεῖν ἐξ     Ὑπερβορέων, ἀγείρων χρυσὸν εἰς τὸν νεὼν καὶ προλέγων λοιμόν.     κατέλυε δὲ ἐν τοῖς ἱεροῖς, καὶ οὔτε πίνων οὔτε ἐσθίων ὥφθη ποτὲ     οὐθέν. λέγεται δὲ καὶ ἐν Λακεδαιμονίοις θῦσαι τὰ κωλυτήρια, καὶ     διὰ τοῦτο οὐδεπώποτε ὕστερον ἐν Λακεδαίμονι λοιμὸν γενέσθαι.     τοῦτον οὖν τὸν Ἄβαριν παρελόμενος ἣν εἶχεν ὀιστὸν χρυσῆν, ἧς     ἄνευ οὐχ οἷός τ᾽ ἦν τὰς ὁδοὺς ἐξευρί[80](142)σκειν, ὁμολογοῦντα     ἐποίησε. καὶ ἐν Μεταποντίῳ, εὐξαμένων τινῶν γενέσθαι αὐτοῖς τὰ     ἐν τῷ προσπλέοντι πλοίῳ, «νεκρὸς τοίνυν ἂν ὑμῖν» ἔφη, καὶ ἐφάνη     νεκρὸν ἄγον τὸ πλοῖον. καὶ ἐν Συβάρει τὸν ὄφιν τὸν ἀποκτείναντα     τὸν δασὺν ἔλαβε καὶ ἀπεπέμψατο, ὁμοίως δὲ καὶ τὸν ἐν Τυρρηνίᾳ     τὸν μικρὸν ὄφιν, ὃς ἀπέκτεινε δάκνων. ἐν Κρότωνι δὲ τὸν ἀετὸν τὸν     λευκὸν κατέψησεν ὑπομείναντα, ὥς φασι. βουλομένου δέ τινος     ἀκούειν οὐκ ἔφη πω λέξειν πρὶν ἢ σημεῖόν τι φανῇ, καὶ μετὰ ταῦτα     ἐγένετο ἐν Καυλωνίᾳ ἡ λευκὴ ἄρκτος. καὶ πρὸς τὸν μέλλοντα ἐξαγ-     γέλλειν αὐτῷ (143) τὸν τοῦ υἱοῦ θάνατον προεῖπεν αὐτός. καὶ     Μυλλίαν τὸν Κροτωνιάτην ἀνέμνησεν, ὅτι ἦν Μίδας ὁ Γορδίου, καὶ     ᾧχετο ὁ Μυλλίας εἰς τὴν ἤπειρον, ποιήσων ὅσα ἐπὶ τῷ τάφῳ ἐκέλευ-     σε. λέγουσι δὲ καὶ ὅτι τὴν οἰκίαν αὐτοῦ ὁ πριάμενος καὶ ἀνορύξας,     ἃ μὲν εἶδεν οὐδενὶ ἐτόλμησεν εἰπεῖν, ἀντὶ δὲ τῆς ἁμαρτίας ταύτης     ἐν Κρότωνι ἱεροσυλῶν ἐλήφθη καὶ ἀπέθανε᾽ τὸ γὰρ γένειον ἀποπε-     σὸν τοῦ ἀγάλματος τὸ χρυσοῦν ἐφωράθη λαβών. ταῦτά τε οὖν λέγου-     σι πρὸς πίστιν καὶ ἄλλα τοιαῦτα. ὡς δὲ τούτων τε ὁμολογουμένων     καὶ ἀδυνάτου ὄντος περὶ ἄνθρωπον ἕνα ταῦτα συμβῆναι, ἤδη     οἴονται σαφὲς εἶναι ὅτι ὡς παρὰ κρείττονος ἀποδέχεσθαι χρὴ τὰ     VITA DI PITAGORA 189     quelle cose per primo, bensi lo stesso dio. Ed ecco uno di questi loro     detti: “Chi sei, o Pitagora?”. Ebbene, essi dicono che è Apollo     Iperboreo; e di ciò danno come prova il fatto che Pitagora, durante i     giochi, nell’alzarsi fece vedere la coscia d’oro, nonché il fatto che ospi-     τὸ in casa sua Abari l’Iperboreo e gli tolse la freccia che era la sua     guida.??    (141) Si racconta che Abari fosse giunto dagli Iperborei, e andas-     se raccogliendo oro per il tempio e predicendo pestilenze. Egli sog-     giornò nei templi e non fu mai visto bere o mangiare nulla. E si dice     che a Sparta egli fece dei sacrifici apotropaici,78 e perciò a Sparta non     si ebbero, da allora, mai più pestilenze. Dopo avere dunque sottratto     ad Abari la freccia d’oro che possedeva, senza la quale non era pi in     grado di trovare i suoi percorsi, Pitagora stabili con lui un accordo.?9     (142) E a Metaponto, quando alcuni pregavano che fosse per loro     il carico di una nave che stava accostandosi al porto, Pitagora disse:     “potreste, in verità, avere un morto”, e quella nave rivelò che portava     <effettivamente> un motto. E a Sibari Pitagora afferrò il serpente vil-     loso che era capace di uccidere <per stritolamento>,8° e lo cacciò via,     come aveva fatto anche a Taormina con un piccolo serpente, che era     capace di uccidere col suo morso. E a Crotone Pitagora — come si rac-     conta — accarezzò l'aquila bianca che se ne stava tranquilla. E quan-     do, a Caulonia,8! qualcuno espresse il desiderio di ascoltarlo, Pitagora     disse che non avrebbe parlato prima che si fosse rivelato un qualche     segnale, e dopo ch’ebbe dette queste parole, arrivò l’orsa bianca. E ad     uno che voleva annunziargli la morte del figlio, Pitagora gliela comu-     nicò ancora prima che quello parlasse.     (143) E fece ricordare a Millia di Crotone che era stato Mida figlio     di Gordio, e Millia si recò nel continente per compiere sulla tomba     <di Mida> tutto ciò che Pitagora gli aveva consigliato di fare. Si rac-     conta anche che colui che comprò la casa di Pitagora e vi fece degli     scavi non ebbe il coraggio di dire a qualcuno ciò che vi aveva visto, e     in conseguenza di quest’errore, a Crotone fu imprigionato e condan-     nato a morte per avere commesso un furto sacrilego: egli infatti era     stato sorpreso a rubare la barba d’oro che era caduta da una statua     sacra. Si raccontano dunque tali prodigi e altri del genere, per rende-     re credibile <la santità di Pitagora>. E siccome su queste storie c’è     accordo, e <tuttavia> sembra impossibile che tutti questi prodigi     190 GIAMBLICO     παρ᾽ ἐκείνου λεχθέντα καὶ οὐχὶ ἀνθρώπου. ἀλλὰ καὶ τὸ ἀπορούμε-     νον τοῦτο σημαίνειν: (144) ἔστι γὰρ παρ᾽ αὐτοῖς λεγόμενον ὅτι     ἄνθρωπος δίπος ἐστὶ καὶ ὄρνις καὶ τρίτον ἄλλο.     τὸ ) γὰρ τρίτον Πυθαγόρας ἐστί. τοιοῦτος μὲν οὖν διὰ τὴν εὐσέβε-     tav ἦν καὶ ἐπὶ τῆς ἀληθείας ἐνομίζετο εἶναι. [81] περὶ δὲ τοὺς     ὅρκους εὐλαβῶς οὕτως διέκειντο πάντες οἱ Πυθαγόρειοι, μεμνημέ-     νοι τῆς Πυθαγόρου ὑποθήκης τῆς ἀθανάτους μὲν πρῶτα θεούς, νόμῳ     ὡς διάκειται, τίμα καὶ σέβου ὅρκον, ἔπειθ᾽ ἥρωας ἀγαυούς, ὥστε     ὑπὸ νόμου τις αὐτῶν ἀναγκαζόμενος ὀμόσαι, καίτοι εὐορκεῖν     μέλλων, ὅμως ὑπὲρ τοῦ διαφυλάξαι τὸ δόγμα ὑπέμεινεν ἀντὶ τοῦ     ὀμόσαι τρία μᾶλλον τάλαντα καταθέσθαι, ὅσουπερ τετίμητο τὸ     τοιοῦτον τῷ δικασαμένῳ. (145) ὅτι δ᾽ οὐδὲν ᾧοντο ἐκ ταὐτομάτου     συμβαίνειν καὶ ἀπὸ τύχης, ἀλλὰ κατὰ θείαν πρόνοιαν, μάλιστα τοῖς     ἀγαθοῖς καὶ εὐσεβέσι τῶν ἀνθρώπων, βεβαιοῖ τὰ ὑπὸ ᾿Ανδροκύδου     ἐν τῷ περὶ Πυθαγορικῶν συμβόλων ἱστορούμενα περὶ Θυμαρίδου     τοῦ Ταραντίνου, Πυθαγορικοῦ. ἀποπλέοντι γὰρ αὐτῷ καὶ χωριζο-     μένῳ διά τινα περίστασιν περιέστησαν οἱ ἑταῖροι ἀσπαζόμενοί τε     καὶ προπεμπτικῶς ἀποτασσόμενοι. καί τις ἤδη ἐπιβάντι τοῦ πλοίου     εἶπεν: «ὅσα βούλει, παρὰ τῶν θεῶν, ὦ Θυμαρίδα.» καὶ ὃς     «εὐφημεῖν» ἔφη, «ἀλλὰ βουλοίμην μᾶλλον, ὅσ᾽ ἄν por παρὰ τῶν     θεῶν γένηται». ἐπιστημονικὸν γὰρ τοῦτο ἡγεῖτο μᾶλλον καὶ     εὔγνωμον, τὸ μὴ ἀντιτείνειν καὶ προσαγανακτεῖν τῇ θείᾳ προνοίᾳ.     πόθεν δὴ οὖν τὴν τοσαύτην εὐσέβειαν παρέλαβον οὗτοι οἱ ἄνδρες,     εἴ τις βούλοιτο μαθεῖν, ῥητέον ὡς τῆς Πυθαγορικῆς κατ᾽ ἀριθμὸν     θεολογίας παράδειγμα ἐναργὲς ἔκειτο παρὰ Ὀρφεῖ. (146) οὐκέτι δὴ     οὖν ἀμφίβολον γέγονε τὸ τὰς ἀφορμὰς παρὰ [82] Ὀρφέως λαβόντα     Πυθαγόραν συντάξαι τὸν περὶ θεῶν λόγον, ὃν καὶ ἱερὸν διὰ τοῦτο     ἐπέγραψεν, ὡς ἂν ἐκ τοῦ μυστικωτάτου ἀπηνθισμένον παρὰ Ὀρφεῖ     τόπου, εἴτε ὄντως τοῦ ἀνδρός, ὡς οἱ πλεῖστοι λέγουσι, σύγγραμμά     ἐστιν, εἴτε Τηλαύγους, ὡς ἔνιοι τοῦ διδασκαλείου ἐλλόγιμοι καὶ     ἀξιόπιστοι διαβεβαιοῦνται ἐκ τῶν ὑπομνημάτων τῶν Δαμοῖ τῇ θυγα-     VITA DI PITAGORA 19]     siano potuti accadere per uno che era soltanto uomo, allora si dà per     certo che bisogna accogliere le cose che si dice siano state compiute     da Pitagora come compiute da un ente superiore e non da un uomo.     Ma anche questo termine “uomo” è difficile dire che cosa significhi:     (144) presso i Pitagorici, infatti, si dice che: “bipede è l’uomo, ma     anche l'uccello e un’altra terza specie”.82 La terza specie, infatti, è     Pitagora. Di tale specie era dunque per la sua pietà ed era ritenuto     esserlo veramente. Verso i giuramenti, poi, tutti i Pitagorici erano     disposti con tanta circospezione, ricordandosi della regola di     Pitagora: “onora anzitutto gli dèi immortali, come dispone la legge, e     rispetta il giuramento, e in secondo luogo onora gli eroi gloriosi”, al     punto che uno di loro, obbligato dalla legge a prestare giuramento,     sebbene fosse sul punto di giurare, nondimeno per conservare la dot-     trina <pitagorica> preferi, piuttosto che giurare, sottoporsi al versa-     mento di tre talenti (era questa l’ammenda <per mancato giuramen-     to> prevista per chi era coinvolto in una causa).     (145) Che i Pitagorici ritenessero che nulla accada per caso o per     fortuna, bensi secondo la divina provvidenza, soprattutto agli uomini     buoni e pii, è cosa sicura da quello che racconta Androcide nello     scritto Sui simboli pitagorici, a proposito di Timarida di Taranto, che     era un Pitagorico. Mentre stava per intraprendere una navigazione     per allontanarsi a causa di una circostanza avversa, i suoi compagni gli     si strinsero intorno per salutarlo e accomiatarsi da lui. E uno di loro     disse a Timarida, che era già salito sulla nave: “Ti giunga dagli dèi, o     Timarida, tutto quello che tu vuoi”. E quello di rimando: “Taci!     Piuttosto possa io, al contrario, volere tutto ciò che mi viene dagli     dèi”. Egli infatti riteneva scientifico8? e ragionevole piuttosto non resi-     stere alla divina provvidenza o disdegnarla. Ebbene, se si vuole     apprendere da dove questi uomini abbiano ricavato tanta pietà, biso-     gna dire che il modello della teologia aritmetica di Pitagora risiede     chiaramente in Orfeo.     (146) Non c'è più alcun dubbio, dunque, che Pitagora, prenden-     do spunto da Orfeo, abbia composto il suo Discorso sugli dèi, che è     stato perciò intitolato anche <Discorso> sacro, come fosse uno scritto     uscito quasi come un fiore dal luogo più profondo dei Misteri Orfici,     sia esso realmente, come dicono la maggior parte delle fonti, di     Pitagora oppure di Telauge, come assicurano alcuni illustri e fedede-     192 GIAMBLICO     τρί, ἀδελφῇ δὲ Τηλαύγους, ἀπολειφθέντων ὑπ᾽ αὐτοῦ Πυθαγόρου,     ἅπερ μετὰ θάνατον ἱστοροῦσι δοθῆναι Βιτάλῃ τε τῇ Δαμοῦς θυγα-     τρὶ καὶ Τηλαύγει «ἐν» ἡλικίᾳ γενομένῳ, υἱῷ μὲν Πυθαγόρου, ἀνδρὶ     δὲ τῆς Βιτάλης κομιδῇ γὰρ νέος ὑπὸ τὸν Πυθαγόρου θάνατον ἀπο-     λελειμμένος ἦν παρὰ Θεανοῖ τῇ μητρί. δηλοῦται δὴ διὰ τοῦ ἱεροῦ     λόγου τούτου [ἢ περὶ θεῶν λόγου, ἐπιγράφεται γὰρ ἀμφότερον] καὶ     τίς ἦν ὁ παραδεδωκὼς Πυθαγόρᾳ τὸν περὶ θεῶν λόγον. λέγει γάρ᾽     ««λόγος: ὅδε περὶ θεῶν Πυθαγόρα τῶ Μνημάρχω, τὸν ἐξέμαθον     ὀργιασθεὶς ἐν Λιβήθροις τοῖς Θρᾳκίοις, ᾿Αγλαοφάμω τελεστᾶ μετα-     δόντος, ὡς ἄρα Ὀρφεὺς ὁ Καλλιόπας κατὰ τὸ Πάγγαιον ὄρος ὑπὸ     τὰς ματρὸς πινυσθεὶς ἔφα, τὰν ἀριθμῷ οὐσίαν ἀίδιον ἔμμεν ἀρχὰν     προμαθεστά[β3)ταν τῶ παντὸς ὠρανῶ καὶ γᾶς καὶ τᾶς μεταξὺ φύ-     σιος, ἔτι δὲ καὶ θείων «ἀνθρώπων» καὶ θεῶν καὶ δαιμόνων     δια(147)μονᾶς ῥίζαν.» ἐκ δὴ τούτων φανερὸν γέγονεν ὅτι τὴν     ἀριθμῷ ὡρισμένην οὐσίαν τῶν θεῶν παρὰ τῶν Ὀρφικῶν παρέλαβεν.     ἐποιεῖτο δὲ διὰ τῶν αὐτῶν ἀριθμῶν καὶ θαυμαστὴν πρόγνωσιν καὶ     θεραπείαν τῶν θεῶν κατὰ τοὺς ἀριθμοὺς ὅτι μάλιστα συγγενε-     στάτην. γνοίη δ᾽ ἄν τις τοῦτο ἐντεῦθεν᾽ δεῖ γὰρ καὶ ἔργον τι παρα-     σχέσθαι εἰς πίστιν τοῦ [δὲ] λεγομένου. ἐπειδὴ “Αβαρις περὶ τὰ     συνήθη ἑαυτῷ ἱερουργήματα διετέλει dv καὶ τὴν σπουδαζομένην     παντὶ βαρβάρων γένει πρόγνωσιν διὰ θυμάτων ἐπορίζετο, μάλιστα     τῶν ὀρνιθείων (τὰ γὰρ τῶν τοιούτων σπλάγχνα ἀκριβῆ πρὸς διάσκε-     yiv ἡγοῦνται), βουλόμενος ὁ Πυθαγόρας μὴ ἀφαιρεῖν μὲν αὐτοῦ τὴν     εἰς τἀληθὲς σπουδήν, παρασχεῖν δὲ διά τινος ἀσφαλεστέρου καὶ     χωρὶς αἵματος καὶ σφαγῆς, ἄλλως τε καὶ ὅτι ἱερὸν ἡγεῖτο εἶναι τὸν     ἀλεκτρυόνα ἡλίῳ, τὸ λεγόμενον παναληθὲς ἀπετέλεσεν αὐτῷ, δι᾽     ἀριθμητικῆς (148) ἐπιστήμης συντεταγμένον. ὑπῆρχε δ᾽ αὐτῷ ἀπὸ     τῆς εὐσεβείας καὶ ἡ περὶ θεῶν πίστις παρήγγελλε γὰρ ἀεὶ περὶ     θεῶν μηδὲν θαυμαστὸν ἀπιστεῖν μηδὲ περὶ θείων δογμάτων, ὡς πάν-     ta τῶν θεῶν δυναμένων. καὶ θεῖα δὲ τὰ δόγματα λέγειν (οἷς χρὴ     VITA DI PITAGORA 193     gni membri della Scuola, i quali avrebbero desunta la notizia dalle     Memorie lasciate dallo stesso Pitagora alla figlia Damo, sorella di     Telauge, Merzorie che — come si racconta — Damo, dopo la morte di     Pitagora, consegnò a Bitale, sua figlia, e <indirettamente> a Telauge,     figlio di Pitagora, perché, raggiunta l’età, sarebbe divenuto marito di     Bitale; egli infatti, essendo ancora giovinetto alla morte di Pitagora,     era stato lasciato in custodia alla madre Teano. Attraverso questo     Discorso sacro [o Discorso sugli dèi, perché possiede ambedue i titoli]     risulta chiaro chi abbia insegnato a Pitagora ciò che si deve dire sugli     dèi.84 Pitagora dice infatti: «Questo è il Discorso sugli dèi di Pitagora,     figlio di Mnesarco, che io <Pitagora> ho appreso quando fui iniziato     ai misteri a Libetra in Tracia, perché me lo ha comunicato il telesta     Aglaofamo:85 questi mi comunicò infatti che Orfeo, figlio di Calliope,     ispirato dalla madre sul monte Pangeo, diceva: “l’essenza eterna del     numero è il principio più preveggente dell'universo mondo, e cielo e     terra e ciò che ha natura intermedia, oltre che radice del persistere     degli uomini divini e degli dèi e dei demoni”».     (147) Da ciò risulta evidente che Pitagora ha desunto dagli Orfici     l’idea che l'essenza degli dèi è determinata dal numero. Per mezzo di     questi numeri egli faceva meravigliose predizioni e secondo i numeri     praticava il culto degli dèi, soprattutto perché la natura del numero e     quella degli dèi sono assolutamente dello stesso genere. Si potrebbe     conoscere tutto: ciò dal seguente fatto (perché bisogna procurarsi dei     fatti per potere credere alle parole). Poiché Abari continuava ad     occuparsi dei sacri riti che gli erano consueti e si procurava per mezzo     di vittime sacrificali quelle predizioni che sono particolarmente care     ad ogni razza barbarica, soprattutto sacrificando uccelli (le viscere di     questi, infatti, erano ritenute strumenti precisi per un’indagine divi-     natoria), Pitagora dal canto suo, desiderando che non venisse meno il     suo studio <principale> della verità,86 la procurò ad Abari per mezzo     di qualcosa di più sicuro e senza sangue e uccisioni, e con un diverso     procedimento, anche perché riteneva che il gallo è sacro al dio Sole,     e gli fece sperimentare quello che si chiama la “onniverità”, che si     costruisce per mezzo della scienza aritmetica.     (148) Dalla sua pietà proveniva anche la fede che Pitagora nutri-     va nei confronti degli dèi: egli infatti prescriveva di non dubitare mai     di alcunché di meraviglioso che concerna gli dèi o le divine dottrine,     194 GIAMBLICO     πιστεύειν) ἃ Πυθαγόρας παρέδωκεν. οὕτως γοῦν ἐπίστευον Kai     παρειλήφεσαν περὶ ὧν δογματίζουσιν ὅτι οὐκ ἐψευδοδόξηται, ὥστε     Εὔρυτος μὲν ὁ Κροτωνιάτης, Φιλολάου ἀκουστής, ποιμένος τινὸς     "ἀπαγγείλαν[δ4]τος αὐτῷ ὅτι μεσημβρίας ἀκούσειε Φιλολάου φωνῆς     ἐκ τοῦ τάφου, καὶ ταῦτα πρὸ πολλῶν ἐτῶν τεθνηκότος, ὡσανεὶ     ᾷδοντος, «καὶ τίνα, πρὸς θεῶν,» εἶπεν «ἁρμονίαν;» Πυθαγόρας δ᾽     αὐτὸς ἐρωτηθεὶς ὑπό τινος τί σημαίνει τὸ ἰδεῖν ἑαυτοῦ πατέρα     πάλαι τεθνηκότα καθ᾽ ὕπνους αὐτῷ προσδιαλεγόμενον, «οὐδέν»     ἔφη’ «οὐδὲ γὰρ ὅτι μοι ἄρτι λαλεῖς σημαίνει τι.»     (149) ἐσθῆτι δὲ ἐχρῆτο λευκῇ καὶ καθαρᾷ, ὡσαύτως δὲ καὶ     στρώμασι λευκοῖς καὶ καθαροῖς. εἶναι δὲ τὰ τοιαῦτα λινᾶ κῳδίοις     γὰρ οὐκ ἐχρῆτο. καὶ τοῖς ἀκροαταῖς δὲ τοῦτο τὸ ἔθος παρέδωκεν.     ἐχρῆτο δὲ καὶ εὐφημίᾳ πρὸς τοὺς κρείττονας καὶ ἐν παντὶ καιρῷ     μνήμην ἐποιεῖτο καὶ τιμὴν τῶν θεῶν, ὥστε καὶ παρὰ τὸ δεῖπνον     σπονδὰς ἐποιεῖτο τοῖς θεοῖς καὶ παρήγγελλεν ἐφ᾽ ἡμέρᾳ ἑκάστῃ     ὑμνεῖν τοὺς κρείττονας. προσεῖχε δὲ καὶ φήμαις καὶ μαντείαις καὶ     κλη(, 50)δόσιν, ὅλως πᾶσι τοῖς αὐτομάτοις. ἐπέθυςε δὲ θεοῖς λίβα-     νον, κέγχῤους, πόπανα, κηρία, σμύρναν, τὰ ἄλλα θυμιάματα: ζῷα δὲ     αὐτὸς οὐκ ἔθυεν οὐδὲ τῶν θεωρητικῶν φιλοσόφων οὐδείς, τοῖς δὲ     ἄλλοις τοῖς ἀκουσματικοῖς ἢ τοῖς πολιτικοῖς προστέτακτο σπανίως     ἔμψυχα θύειν, ἤπου ἀλεκτρυόνα ἢ ἄρνα ἢ ἄλλο τι τῶν νεογνῶν, βοῦς     δὲ μὴ θύειν. κἀκεῖνο δὲ τῆς εἰς θεοὺς τιμῆς αὐτοῦ τεκμήριον, τὸ     παρηγγέλθαι μηδέποτε ὀμνύναι θεῶν ὀνόμασι καταχρωμένους. διό-     περ καὶ Σύλλος, εἷς τῶν ἐν Κρότωνι Πυθαγορείων, ὑπὲρ τοῦ μὴ ὀμό-     σαι χρήματα ἀπέτισε, καίτοι εὐορκήσειν μέλλων. ἀναφέρεταί γε     μὴν εἰς τοὺς Πυθαγορικοὺς καὶ τοιόσδε τις ὅρκος, αἰδῶ μὲν ποιου-     μένων ὀνομάζειν Πυθαγόραν [85] (ὥσπερ καὶ θεῶν ὀνόμασι     χρῆσθαι πολλὴν φειδὼ ἐποιοῦντο), διὰ δὲ τῆς εὑρέσεως τῆς τετρακ-     τύος δηλούντων τὸν ἄνδρα’ οὔ, μὰ τὸν ἁμετέρας σοφίας εὑρόντα     τετρακτύν, παγὰν ἀενάου φύσεως ῥιζώματ᾽ ἔχουσαν. (151) ὅλως δέ     VITA DI PITAGORA 195     dal momento che gli dèi sono onnipotenti. E “divine dottrine” (alle     quali bisogna credere) i Pitagorici chiamavano quelle che ha insegna-     to Pitagora. Ebbene, essi credevano e avevano assunto dottrine sulle     quali avevano la convinzione che non potessero essere ritenute false,     a tal punto che Eurito di Crotone, uditore di Filolao, quando un     pastore gli annunziò che, a mezzogiorno, aveva udito la voce di     Filolao provenire dalla sua tomba, come se cantasse, e questo accade-     va quando quello era già morto da molti anni, disse: “e, per gli dèi, in     quale tonalità?”. Lo stesso Pitagora, interrogato da un tale su che cosa     significasse il fatto di avere visto in sogno il proprio padre, morto da     molto tempo, conversare con lui, disse: “Niente, perché neppure     significa qualcosa il fatto che tu ora stai parlando con me”.87     (149) Pitagora vestiva un abito bianco e immacolato, come pure     erano bianche e immacolate le coperte del suo giaciglio. E vestito e     coperte erano tessuti di lino, perché non usava tessuti di lana.88 Un     costume questo che egli ha insegnato anche ai suoi uditori. Usava     anche indirizzare parole augurali verso gli enti superiori e in ogni     occasione rammemorava e onorava gli dèi, al punto che anche duran-     te il pranzo faceva libagioni agli dèi e raccomandava che ogni giorno     si innalzassero inni agli enti superiori. Teneva in gran conto anche le     profezie e le divinazioni e i presagi, e insomma tutto ciò che era dovu-     to al caso.8?     (150) E sacrificava agli dèi con incenso, miglio, focacce, favi,     mirra e altri aromi; e non sacrificavano mai, né lui né altri dei filosofi     speculativi, degli animali, mentre agli altri suoi <discepoli>, acusma-     tici e politici?" veniva da lui ordinato di sacrificare ogni tanto degli     esseri viventi, o galli o agnelli o altri animali appena nati, purché non     fossero buoi. Anche questo è prova della sua stima verso gli dèi, il     fatto cioè che Pitagora prescriveva di non fare mai giuramento serven-     dosi di nomi di divinità. Ed è per questo che Sillo, uno dei Pitagorici     di Crotone, pur di non prestare giuramento, preferi pagare un’am-     menda in denaro, sebbene fosse sul punto di giurare il vero. Viene     riferito ai Pitagorici anche un giuramento di questo genere, poiché     provavano pudore a pronunciare il nome di Pitagora (cosî come ave-     vano anche molta discrezione nell’usare nomi di divinità), mentre     usavano chiaramente il nome di Pitagora quando dovevano indicarlo     come lo scopritore della “Tetraktus”: “No, per colui che ha scoperto     196 GIAMBLICO     φασι Πυθαγόραν ζηλωτὴν γενέσθαι τῆς Ὀρφέως ἑρμηνείας τε καὶ     διαθέσεως καὶ τιμᾶν τοὺς θεοὺς Ὀρφεῖ παραπλησίως, ἱσταμένους     αὐτοὺς ἐν τοῖς ἀγάλμασι καὶ τῷ χαλκῷ, οὐ ταῖς ἡμετέραις συνε-     ζευγμένους μορφαῖς, ἀλλὰ τοῖς ἱδρύμασι τοῖς θείοις, πάντα περιέ-     χοντας καὶ πάντων προνοοῦντας καὶ τῷ παντὶ τὴν φύσιν καὶ τὴν     μορφὴν ὁμοίαν ἔχοντας, ἀγγέλλειν δὲ αὐτῶν τοὺς καθαρμοὺς καὶ     τὰς λεγομένας τελετάς, τὴν ἀκριβεστάτην εἴδησιν αὐτῶν ἔχοντα.     ἔτι δέ φασι καὶ σύνθετον αὐτὸν ποιῆσαι τὴν θείαν φιλοσοφίαν καὶ     θεραπείαν, ἃ μὲν μαθόντα παρὰ τῶν Ὀρφικῶν, ἃ δὲ παρὰ τῶν     Αἰγυπτίων ἱερέων, ἃ δὲ παρὰ Χαλδαίων καὶ μάγων, ἃ δὲ παρὰ τῆς     τελετῆς τῆς ἐν Ἐλευσῖνι γινομένης, ἐν Ἵμβρῳ τε καὶ Σαμοθράκῃ     καὶ Λήμνῳ, καὶ εἴ τι παρὰ τοῖς κοινοῖς,6 καὶ περὶ τοὺς Κελτοὺς δὲ     καὶ (152) τὴν Ἰβηρίαν. ἐν δὲ τοῖς Λατίνοις ἀναγινώσκεσθαι τοῦ     Πυθαγόρου τὸν ἱερὸν λόγον, οὐκ εἰς πάντας οὐδ᾽ ὑπὸ πάντων, ἀλλ᾽     ὑπὸ τῶν μετεχόντων ἑτοίμως πρὸς τὴν τῶν ἀγαθῶν διδασκαλίαν καὶ     μηδὲν αἰσχρὸν ἐπιτηδευόντων. [86] λέγειν δὲ αὐτὸν τρὶς σπένδειν     τοὺς ἀνθρώπους καὶ μαντεύεσθαι τὸν ᾿Απόλλωνα ἐκ τρίποδος διὰ τὸ     κατὰ τὴν τριάδα πρῶτον φῦναι τὸν ἀριθμόν. ᾿Αφροδίτῃ δέ τι θυσιά-     ζειν ἕκτῃ διὰ τὸ πρῶτον τοῦτον τὸν ἀριθμὸν πάσης μὲν ἀριθμοῦ φύ-     σεως κοινωνῆσαι, κατὰ πάντα δὲ τρόπον μεριζόμενον ὅμοιον λαμ-     βάνειν τήν τε τῶν ἀφαιρουμένων καὶ τὴν τῶν καταλειπομένων δύνα-     μιν. Ἡρακλεῖ δὲ δεῖν θυσιάζειν ὀγδόῃ τοῦ μηνὸς ἱσταμένου σκο-     ποῦντας τὴν ἑπτά(153)μηνον αὐτοῦ γένεσιν. λέγει δὲ καὶ εἰς ἱερὸν     εἰσιέναι δεῖν «λευκὸν καὶ» καθαρὸν ἱμάτιον ἔχοντα καὶ ἐν ᾧ μὴ ἐγ-     κεκοίμηταί τις, τὸν μὲν ὕπνον τῆς ἀργίας καὶ τὸ μέλαν καὶ τὸ     ῥυπαρόν,7 τὴν δὲ καθαρειότητα τῆς περὶ τοὺς λογισμοὺς ἰσότητος     καὶ δικαιοσύνης μαρτυρίαν ἀποδιδούς. παραγγέλλει δέ, ἐν ἱερῷ ἄν     τι ἀκούσιον αἷμα γένηται, ἢ χρυσῷ ἢ θαλάττῃ περιρραίνεσθαι, τῷ     πρώτῳ γενομένῳ καὶ «τῷ» καλλίστῳ τῶν ὄντων, σταθμωμένῳ τὴν     τιμὴν τῶν ἁπάντων. λέγει δὲ καὶ μὴ τίκτειν ἐν ἱερῷ᾽ οὐ γὰρ εἶναι     6 τοῖς κοινοῖς Deubner/Klein: Τουσκανοῖς Rohde: Τουρρηνοῖς Nauck.     Ma a me non sembra necessario, anche perché cosi sarebbe assorbito l’arti-     colo τοῖς che si trova sempre, almeno in tale contesto, quando vengono indi-     cati gli abitanti di una regione.     ? Accolgo la correzione di πυρρόν in ῥυπαρόν proposta da Wakefield,     come fanno pure Brisson/Segonds. Altri mantengono πυρρόν, ma non si vede     quale significato possa qui avere dire: nero e rosso. Sonno come nero e spor-     co corrisponde al contrario di veglia come bianco e puro da poco prescritti.     VITA DI PITAGORA 197     la Tetraktus della nostra sapienza, fonte che contiene in sé le radici     dell’eterna natura”.     (151) In generale si dice che Pitagora fosse emulo di Orfeo nel     modo di spiegare e presentare <le proprie idee>,92 e che onorasse più     o meno alla stessa maniera di Orfeo le divinità cosî come erano raffi-     gurate nelle statue <di marmo> o di bronzo, non collegate alle nostre     figure umane, bensî alle costruzioni divine, giacché le divinità     abbracciano tutto e provvedono a tutto e hanno natura e forma simi-     li a quella dell’universo, e si dice anche che Pitagora abbia fatto cono-     scere <realmente> i riti purificatori degli Orfici ovvero i loro cosid-     detti Misteri, perché egli ne aveva la conoscenza più esatta. E ancora     si racconta che Pitagora abbia creato una sintesi tra filosofia divina e     culto degli dèi, avendo imparato alcune cose dagli Orfici, altre dai     sacerdoti degli Egizi, altre ancora dai Caldei e dai Magi, altre infine     dalle iniziazioni che si facevano a Eleusi, a Imbro e a Samotrace e a     Lemno, anche se qualcosa l’aveva trovata presso <altre> comunità, sia     celtiche che iberiche.     (152) Si racconta poi che presso i Latini si leggeva di Pitagora il     Discorso sacro, non a tutti né da tutti, ma da parte di coloro che erano     pronti a partecipare all’insegnamento pitagorico relativo ai beni e non     praticavano alcunché di male. Pitagora diceva che gli uomini devono     libare tre volte, e che Apollo rende i suoi oracoli dal tripode perché il     numero che nasce per primo è il tre. E diceva che bisogna sacrifica-     re ad Afrodite il sesto giorno, perché il sei è il primo numero che par-     tecipa dell’intera natura del numero, in quanto, comunque diviso,     risulta uguale alle sue potenze, sia di quelle sottratte che di quelle resi-     due.9 E diceva che bisogna sacrificare a Eracle nell’ottavo giorno dal-     l’inizio del mese, perché i Pitagorici osservavano che la sua nascita era     stata settimina.%     (153) Egli dice anche che bisogna entrare in un tempio indossan-     do un vestito bianco e puro e nel quale non si sia dormito, essendo     per lui, da un lato il sonno, il nero e lo sporco prova di inattività, e     dall’altro lato la purezza prova di equità e giustizia nei ragionamenti.     Prescrive poi, nel caso fosse stato versato involontariamente del san-     gue in un tempio, che lo si purifichi o con oro o con acqua di mare,     essendo <il mare> l’ente nato per primo e <l’oro> quello più nobile,?     perché fissa il valore di ogni cosa. Pitagora dice anche che non biso-     198 GIAMBLICO     ὅσιον ἐν ἱερῷ καταδεῖσθαι τὸ θεῖον τῆς ψυχῆς εἰς τὸ σῶμα. (154)     παραγγέλλει δὲ ἐν ἑορτῇ μήτε κείρεσθαι μήτε ὀνυχίζεσθαι, τὴν     ἡμετέραν αὔξησιν τῶν ἀγαθῶν οὐχ ἡγούμενος δεῖν τὴν τῶν θεῶν     ἀπολείπειν ἀρχήν. λέγει δὲ καὶ φθεῖρα ἐν ἱερῷ μὴ κτείνειν, οὐδε-     νὸς τῶν περιττῶν καὶ φθαρτικῶν [87] νομίζων δεῖν μεταλαμβάνειν     τὸ δαιμόνιον. κέδρῳ δὲ λέγει καὶ δάφνῃ καὶ κυπαρίττῳ καὶ δρυΐ καὶ     μυρρίνῃ τοὺς θεοὺς τιμᾶν, καὶ μηδὲν τούτοις ἀποκαθαίρεσθαι τοῦ     σώματος μηδὲ σχινίζειν τοὺς ὀδόντας, ταύτην πρώτην γονὴν τῆς     ὑγρᾶς φύσεως καὶ τροφὴν τῆς πρώτης καὶ κοινοτέρας ὕλης     ὑπολαμβάνων. ἑφθὸν δὲ παραγγέλλει μὴ ὀπτᾶν, τὴν πραότητα λέγων     μὴ προσδεῖσθαι τῆς ὀργῆς. κατακάειν δὲ οὐκ εἴα τὰ σώματα τῶν     τελευτησάντων, μάγοις ἀκολούθως, μηδενὸς τῶν θείων τὸ θνητὸν     μεταλαμβάνειν ἐθελήσας. (155) τοὺς δὲ τελευτήσαντας ἐν λευκαῖς     ἐσθῆσι προπέμπειν ὅσιον ἐνόμιζε, τὴν ἁπλῆν καὶ τὴν πρώτην αἰνιτ- τόμενος φύσιν κατὰ τὸν ἀριθμὸν καὶ τὴν ἀρχὴν τῶν πάντων. εὐορ-     κεῖν δὲ πάντων μάλιστα παραγγέλλει, ἐπεὶ μακρὸν τοὐπίσω, θεοῖς     δ᾽ οὐδὲν μακρὸν εἶναι. πολλῷ δὲ μᾶλλον ἀδικεῖσθαι ὅσιον εἶναι λέ-     γει ἢ κτείνειν ἄνθρωπον (ἐν ἅδου γὰρ κεῖσθαι τὴν κρίσιν), ἐκλογι-     ζόμενον τὰς περὶ τὴν ψυχὴν καὶ τὴν οὐσίαν αὐτῆς τὴν πρώτην τῶν     ὄντων φύσεις. κυπαρισσίνην δὲ μὴ δεῖν κατασκευάζεσθαι σορὸν     ὑπαγορεύει διὰ τὸ κυπαρίσσινον γεγονέναι τὸ τοῦ Διὸς σκῆπτρον ἢ     δι᾽ ἄλλον τινὰ μυστικὸν λόγον. σπένδειν δὲ πρὸ τραπέζης παρακα-     λεῖ Διὸς σωτῆρος καὶ Ἡρακλέους καὶ Διοσκόρων, τῆς τροφῆς     ὑμνοῦντας τὸν ἀρχηγὸν καὶ τὸν ταύτης ἡγεμόνα Δία, καὶ τὸν     Ἡρακλέα [καὶ] τὴν δύναμιν τῆς φύσεως, καὶ τοὺς ALoc(156)x6povc     τὴν συμφωνίαν τῶν ἁπάντων. σπονδὴν δὲ μὴ καταμύοντα προσφέρε-     σθαι δεῖν φησί: οὐδὲν γὰρ τῶν κα[88]λῶν ἄξιον αἰσχύνης καὶ ai-     δοῦς διελάμβανεν. ὅταν δὲ βροντήσῃ, τῆς γῆς ἅψασθαι παρήγγελλε,     μνημονεύοντας τῆς γενέσεως τῶν ὄντων. εἰσιέναι δὲ εἰς τὰ ἱερὰ     κατὰ τοὺς δεξιοὺς τόπους παραγγέλλει, ἐξιέναι κατὰ τοὺς ἀριστε-     ρούς, τὸ μὲν δεξιὸν ἀρχὴν τοῦ περιττοῦ λεγομένου τῶν ἀριθμῶν καὶ     θεῖον τιθέμενος, τὸ δὲ ἀριστερὸν τοῦ ἀρτίου καὶ διαλυομένου σύμ-     βολον τιθέμενος. τοιοῦτός τις ὁ τρόπος λέγεται αὐτοῦ γεγονέναι τῆς     VITA DI PITAGORA 199     gna partorire in un tempio, perché si commette empietà nell’impri-     gionare, in un tempio, il divino dell'anima nel corpo.     (154) Egli prescrive poi di non tagliarsi né le unghie né i capelli in     tempo di festa, perché ritiene che non si debba trascurare l’autorità     degli dèi per far crescere il nostro benessere. Dice poi che in un tem-     pio non bisogna ammazzare nemmeno un pidocchio, perché crede     che non si debba coinvolgere il divino in nessuna azione superflua o     distruttiva. Dice poi che bisogna onorare gli dèi con offerte di cedro,     alloro, cipresso, quercia e mirto, e che non bisogna con queste piante     né purificarsi il corpo né pulirsi i denti, perché ha l’idea che siano     nate per prime dalla natura umida e siano progenie della prima e più     comune materia.” Prescrive poi di non arrostire un cibo già bollito,     perché dice <allegoricamente> che “la mitezza non ha bisogno del-     l’ira”.100 Non permetteva poi di bruciare i corpi dei defunti, perché,     seguendo i Magi, voleva che ciò che è mortale non partecipi del divi-     no0,101    (155) Considerava un’azione pia accompagnare i defunti vestiti di     bianco, alludendo cosi alla natura semplice e prima secondo il nume-     ro, ovvero il principio di ogni cosa.!°2 Prescrive poi che soprattutto si     giuri secondo verità in ogni occasione, poiché il futuro è lungo, ma     niente è lungo per gli dèi. Dice poi che è cosa molto più pia subire     ingiustizia anziché uccidere un uomo (perché è nell’Ade che si emet-     te il giudizio), tenendo conto che l’anima e la sua essenza costituisco-     no la prima natura degli enti.!0% Pitagora dice ancora che non bisogna     costruire bare di legno di cipresso, per la ragione che di tale legno è     lo scettro di Zeus (o per qualche altra mistica ragione). Egli racco-     manda di non sedersi a tavola prima di avere offerto libagioni a Zeus     Salvatore e a Eracle e ai Dioscuri, celebrando Zeus come fondatore e     rettore del nutrimento, e Eracle come il potere della natura, e i     Dioscuri come l'armonia del tutto.     (156) Dice anche che bisogna offrire libagioni senza chiudere gli     occhi, perché di nessuna cosa bella — egli spiegava — bisogna avere né     vergogna né pudore. Prescriveva poi che, quando tuona, bisogna toc-     care la terra, ricordandosi della nascita degli enti. Prescrive poi di     entrare nei templi dal lato destro e di uscire da quello sinistro, perché     egli poneva la destra come principio dei numeri detti “dispari”, che     egli considerava di natura divina, mentre poneva la sinistra come sim-     200 GIAMBLICO     περὶ τὴν εὐσέβειαν ἐπιτηδεύσεως, καὶ τάλλα δέ, ὅσα παραλείπομεν     περὶ αὐτῆς, ἀπὸ τῶν εἰρημένων ἔνεστι τεκμαίρεσθαι, ὥστε περὶ μὲν     τούτου παύομαι λέγων.     29 (157) Περὶ δὲ τῆς σοφίας αὐτοῦ, ὡς μὲν ἁπλῶς εἰπεῖν, μέγι-     στον ἔστω τεκμήριον τὰ γραφέντα ὑπὸ τῶν Πυθαγορείων     ὑπομνήματα, περὶ πάντων ἔχοντα τὴν ἀλήθειαν, καὶ στρογγύλα μὲν     παρὰ τὰ ἄλλα πάντα, ἀρχαιοτρύπου δὲ καὶ παλαιοῦ πίνου διαφε-     ρόντως ὥσπερ τινὸς ἀχειραπτήτου χνοῦ προσπνέοντα, pet     ἐπιστήμης δὲ δαιμονίας ἄκρως συλλελογισμένα, ταῖς δὲ ἐννοίαις     πλήρη τε καὶ πυκνότατα, ποικίλα τε ἄλλως καὶ πολύτροπα τοῖς     εἴδεσι καὶ ταῖς ὕλαις, ἀπέρισσα δὲ ἐξαιρέτως ἅμα καὶ ἀνελλιπῆ τῇ     φράσει καὶ πραγμάτων ἐναργῶν καὶ ἀναμφιλέκτων ὡς ὅτι μάλιστα     μεστὰ μετὰ ἀποδείξεως ἐπιστημονικῆς καὶ πλήρους, τὸ λεγόμενον,     συλλογισμοῦ, εἴ τις αἷς προσῆκεν ὁδοῖς κεχρημένος ἐπ᾽ αὐτὰ ἴοι,     μὴ παρέργως μηδὲ παρηκουσμένως ἀφοσιούμενος. ταῦτα τοίνυν     ἄνωθεν τὴν περὶ τῶν νοητῶν καὶ τὴν περὶ θεῶν (158) ἐπιστήμην     παραδίδωσιν. ἔπειτα τὰ φυσικὰ πάντα ἀναδιδάσκει, τήν τε ἠθικὴν     φιλοσοφίαν καὶ τὴν λογικὴν ἐτελειώσατο, μαθήματά τε παντοῖα     παραδίδωσι καὶ ἐπιστήμας τὰς ἀρίστας, ὅλως τε οὐδὲν ἔστιν εἰς     γνῶσιν ἐληλυθὸς περὶ [89] ὁτουοῦν παρὰ ἀνθρώποις, ὃ μὴ ἐν τοῖς     συγγράμμασι τούτοις διηκρίβωται. εἰ τοίνυν ὁμολογεῖται τὰ μὲν     Πυθαγόρου εἶναι τῶν συγγραμμάτων τῶν νυνὶ φερομένων, τὰ δὲ ἀπὸ     τῆς ἀκροάσεως αὐτοῦ συγγεγράφθαι, καὶ διὰ τοῦτο οὐδὲ ἑαυτῶν     ἐπεφήμιζον αὐτά, ἀλλὰ εἰς Πυθαγόραν ἀνέφερον αὐτὰ ὡς ἐκείνου     ὄντα, φανερὸν ἐκ πάντων τούτων ὅτι Πυθαγόρας πάσης σοφίας     ἔμπειρος ἦν ἀποχρώντως. λέγουσι δὲ γεωμετρίας αὐτὸν ἐπὶ πλεῖον     ἐπιμεληθῆναι" παρ᾽ Αἰγυπτίοις γὰρ πολλὰ προβλήματα γεωμετρίας     ἐστίν, ἐπείπερ ἐκ παλαιῶν ἔτι καὶ ἀπὸ θεῶν διὰ τὰς τοῦ Νείλου     προσθέσεις τε καὶ ἀφαιρέσεις ἀνάγκην ἔχουσι πᾶσαν ἐπιμετρεῖν     ἣν ἐνέμοντο γῆν Αἰγυπτίων οἱ λόγιοι, διὸ καὶ γεωμετρία ὠνόμα-     σται. ἀλλ᾽ οὐδ᾽ ἡ τῶν οὐρανίων θεωρία παρέργως αὐτοῖς κατε-     ζήτηται, ἧς καὶ αὐτῆς ἐμπείρως ὁ Πυθαγόρας εἶχε. πάντα δὴ τὰ περὶ     VITA DI PITAGORA 201     bolo del “pari” e di ciò che si dissolve.1% Tale era — come si racconta     - il suo modo di esercitare la pietà, mentre tutto ciò che noi qui tra-     lasciamo in merito a questa sua pietà, è possibile provarlo con quel     che si è detto, sicché io smetto di parlare di questo argomento.     29 (157) Sulla sapienza di Pitagora, per dirla in breve, dobbiano     trovare la prova più grande nelle Mezorie scritte dai Pitagorici, le     quali contengono la verità su tutto e sono ben forbite rispetto a tutte     le altre testimonianze, e odorano in maniera singolare di una patina     invecchiata e antiquata che è come una peluria mai sfiorata da alcuna     mano, e accompagnate da una scienza divina sono argomentate sillo-     gisticamente al più alto livello, e piene e dense di idee, oltre che varie-     gate e diversificate nelle forme e nei contenuti, ma particolarmente     prive di ridondanze e insieme di deficienze nelle espressioni e il più     possibile piene di fatti evidenti e incontestabili, che siano accompa-     gnati da completa dimostrazione scientifica, come si è detto, da     “sillogismi”,106 qualora le si approcci usando metodi convenienti,     dedicandovisi in maniera non superficiale né disattenta. Tali Merzorie     in effetti insegnano, a partire dall’alto,197 la scienza degli intelligibili e     degli dèi,108     (158) Dopo di che queste Merzorie approfondiscono l’insegna-     mento di tutta quanta la fisica, e perfezionano la filosofia morale e la     logica, e insegnano le varie scienze matematiche, ovvero le scienze     migliori, e insomma non c’è nulla di ciò che è stato dagli uomini ridot-     to a conoscenza in qualsiasi campo, che in questi scritti non venga     spiegato alla perfezione. Se dunque si è d’accordo che alcuni di tali     scritti a cui ora si fa riferimento siano dello stesso Pitagora, e che gli     altri siano stati composti a partire dalle sue lezioni, e perciò gli auto-     ri non li attribuiscono a se stessi, ma li fanno risalire a Pitagora come     suoi scritti autentici, risulta chiaro da tutto ciò che Pitagora fu abba-     stanza esperto di ogni genere di sapienza. Si racconta però che egli     coltivò di più la geometria: infatti presso gli Egizi sono molti i proble-     mi di geometria, dal momento che fin dai tempi antichi, ma anche ad     opera degli dèi per via dei flussi e riflussi del Nilo che aggiungono o     sottraggono territorio, i dotti erano costretti a prendere le misure di     tutta la terra che gli Egizi abitavano, ed è per questo che tale scienza     è stata denominata “geometria” [sc. misurazione della terra]. Ma     202 GIAMBLICO     τὰς γραμμὰς θεωρήματα ἐκεῖθεν ἐξηρτῆσθαι δοκεῖ" τὰ γὰρ περὶ     λογισμοὺς καὶ ἀριθμοὺς ὑπὸ τῶν περὶ τὴν Φοινίκην φασὶν     εὑρεθῆναι. τὰ γὰρ οὐράνια θεωρήματα κατὰ κοινόν τινες     Αἰγυπτίοις καὶ (159) Χαλδαίοις ἀναφέρουσι. ταῦτα δὴ πάντα φασὶ     τὸν Πυθαγόραν παραλαβόντα καὶ συναυξήσαντα τὰς ἐπιστήμας     προαγαγεῖν τε καὶ ὁμοῦ σαφῶς καὶ ἐμμελῶς τοῖς αὐτοῦ ἀκροωμέ-     νοις δεῖξαι.     φιλοσοφίαν μὲν οὖν πρῶτος αὐτὸς ὠνόμασε, καὶ ὄρεξιν αὐτὴν     εἶπεν εἶναι καὶ οἱονεὶ φιλίαν σοφίας, σοφίαν δὲ ἐπιστήμην τῆς ἐν     τοῖς οὖσιν ἀληθείας. ὄντα δὲ der καὶ ἔλεγε tà ἄυλα καὶ ἀίδια καὶ     μόνα δραστικά, ὅπερ ἐστὶ τὰ ἀσώματα, ὁμωνύμως δὲ λοιπὸν ὄντα     κατὰ μετοχὴν αὐτῶν οὕτως καλούμενα σωματικὰ εἴδη καὶ ὑλικά,     γεννητά [90] τε καὶ φθαρτὰ καὶ ὄντως οὐδέποτε ὄντα. τὴν δὲ σοφίαν     ἐπιστήμην εἶναι τῶν κυρίως ὄντων, ἀλλ᾽ οὐχὶ τῶν ὁμωνύμως, ἐπει-     δήπερ οὐδὲ ἐπιστητὰ ὑπάρχει τὰ σωματικὰ οὐδὲ ἐπιδέχεται γνῶσιν     βεβαίαν, ἀπειρά τε ὄντα καὶ ἐπιστήμῃ ἀπερίληπτα καὶ οἱονεὶ μὴ     ὄντα κατὰ διαστολὴν τῶν καθόλου καὶ οὐδὲ ὅρῳ ὑποπεσεῖν εὐπερι-     γράφως δυνάμενα. (160) τῶν δὲ φύσει μὴ ἐπιστητῶν οὐδὲ ἐπιστήμην     οἷόν τε ἐπινοῆσαι᾽ οὐκ ἄρα ὄρεξιν τῆς μὴ ὑφεστώσης ἐπιστήμης     εἰκὸς εἶναι, ἀλλὰ μᾶλλον τῆς περὶ τὰ κυρίως ὄντα καὶ ἀεὶ κατὰ τὰ     αὐτὰ καὶ ὡσαύτως διαμένοντα καὶ τῇ «ὄντα» προσηγορίᾳ ἀεὶ συνυ-     πάρχοντα. καὶ γὰρ τῇ τούτων καταλήψει συμβέβηκε καὶ τὴν τῶν     ὁμωνύμως ὄντων παρομαρτεῖν, οὐδὲ ἐπιτηδευθεῖσάν ποτε, οἷα δὴ τῇ     καθόλου ἐπιστήμῃ ἡ τοῦ κατὰ μέρος. «τοιγὰρ περὶ τῶν καθόλου»     φησὶν ᾿Αρχύτας «καλῶς διαγνόντες ἔμελλον καὶ περὶ τῶν κατὰ     μέρος, οἷα ἐντί, καλῷς ὀψεῖσθαι.» διόπερ οὐ μόνα οὐδὲ μονογενῆ     οὐδὲ ἁπλᾷ ὑπάρχει τὰ ὄντα, ποικίλα δὲ ἤδη καὶ [τὰ] πολυειδῆ     θεωρεῖται, τά τε νοητὰ καὶ ἀσώματα, ὧν τὰ ὄντα ἡ κλῆσις, καὶ τὰ     σωματικὰ καὶ ὑπ᾽ αἴσθησιν πεπτωκότα, ἃ δὴ κατὰ μετοχὴν κοινωνεῖ     τοῦ ὄντως γενέσθαι. (161) περὶ δὲ τούτων ἁπάντων ἐπιστήμας     VITA DI PITAGORA 203     anche la teoria dei corpi celesti, della quale Pitagora era anche esper-     to, fu per i Pitagorici oggetto di ricerca tutt'altro che superficiale.     Tutti i teoremi relativi alle linee sembra, appunto, che provengano     dall'Egitto, perché ciò che concerne i calcoli e i numeri — come si rac-     conta -- è stato scoperto, invece, dai Fenici. I teoremi celesti alcuni,     tuttavia, li fanno risalire a Egizi e Caldei insieme.     (159) Avendo acquisite e accresciute tutte queste scienze, Pitagora     -- come si racconta — le fece progredire e le mostrò ai suoi uditori in     modo sapiente e al contempo bene ordinato.     Pitagora, dunque, fu il primo a usare il nome “filosofia”, e a dire     che essa è “desiderio di sapienza”, come dire “amore di sapienza”, e     che “sapienza” è “scienza della verità degli enti”. Ma con il termine     “enti” egli intendeva dire gli enti immateriali ed eterni e i soli ad esse-     re “efficaci” [sc. “attivi”], cioè gli incorporei, e che gli altri enti — le     cosiddette forme corporee e materiali, generate e corruttibili e che     non sono mai veramente enti — sono chiamati cosi per omonimia in     virti del fatto che partecipano dei primi. Ma la sapienza è scienza     degli enti in senso proprio, non già di quelli detti per omonimia, poi-     ché gli enti corporei né sono oggetto di scienza, né ammettono cono-     scenza esatta, essendo enti infiniti e scientificamente inafferrabili,     come se fossero “non enti” per distacco dagli universali e incapaci     anche di sottostare in modo ben circoscritto ad una definizione.     (160) Degli enti che per loro natura non sono oggetto di scienza non     è possibile neppure concepire, per cosî dire, scienza; è verisimile,     dunque, che non esista desiderio di una scienza che come tale non esi-     ste, ma piuttosto di quella che concerne gli enti in senso proprio, che     sono sempre identici e permangono allo stesso modo e coesistono     sempre con la loro denominazione di “enti”. E infatti la conoscenza     di questi enti ha come sua proprietà quella di essere sempre seguita     dalla conoscenza degli enti per omonimia, anche se quest’ultima non     sia stata mai esercitata, come dire che alla scienza dell’universale     segue quella del particolare. «Orbene - dice Archita — coloro che     hanno conosciuto bene gli universali stanno per vedere bene, cosî     come sono, anche i particolari». Perciò gli enti non sono unici né di     un solo genere né semplici, ma si osservano già come vari e multifor-     mi, come enti intelligibili e incorporei, a cui appartiene la denomina-     zione di “enti”, e come enti corporei e soggetti a sensazione, i quali     204 GIAMBLICO     παρέδωκε τὰς οἰκειοτάτας καὶ οὐδὲν παρέλιπεν ἀδιερεύνητον. καὶ     τὰς κοινὰς δὲ ἐπιστήμας, ὥσπερ τὴν ἀποδεικτικὴν καὶ τὴν ὁριστικὴν     καὶ τὴν διαιρετικήν, παρέδωκε τοῖς ἀνθρώποις, ὡς ἔστιν ἀπὸ τῶν     Πυθαγορικῶν ὑπομνημάτων εἰδέναι. εἰώθει δὲ [91] καὶ διὰ κομιδῇ     βραχυτάτων φωνῶν μυρίαν καὶ πολυσχιδῆ ἔμφασιν συμβολικῷ     τρόπῳ τοῖς γνωρίμοις ἀποφοιβάζειν, ὥσπερ διὰ χειροχρήστων τινῶν     λόγων ἢ μικρῶν τοῖς ὄγκοις σπερμάτων ὁ Πύθιός τε καὶ αὐτὴ ἡ     φύσις πλήθη ἀνήννυτα καὶ δυσεπινόητα ἐννοιῶν καὶ ἀποτελεσμάτων     ὑποφαίνουσι. (162) τοιοῦτον δή ἐστι τὸ ἀρχὴ δέ τοι ἥμισυ παντός,     ἀπόφθεγμα Πυθαγόρου αὐτοῦ. οὐ μόνον δὲ ἐν τῷ παρόντι ἡμιστιχίῳ,     ἀλλὰ καὶ ἐν ἑτέροις παραπλησίοις ὁ θειότατος Πυθαγόρας τὰ τῆς     ἀληθείας ἐνέκρυπτε ζώπυρα τοῖς δυναμένοις ἐναύσασθαι, βραχυ-     λογίᾳ τινὶ ἐναποθησαυρίζων ἀπερίβλεπτον καὶ παμπληθῆ θεωρίας     ἔκτασιν, οἷόνπερ καὶ ἐν τῷ ἀριθμῷ δέ τε πάντ᾽ ἐπέοικεν, ὃ δὴ πυκ-     νότατα πρὸς ἅπαντας ἀπεφθέγγετο, ἢ πάλιν ἐν τῷ «φιλότης ἰσότης»     [φιλότης], ἢ ἐν τῷ «κόσμος» ὀνόματι, ἢ νὴ Δία ἐν τῷ «φιλοσοφία», ἢ     καὶ ἐν τῷ «ἐστώ», ἢ καὶ ἐν τῷ **,8 ἢ [τὸ διαβοώμενον] ἐν τῷ     «τετρακτύς». ταῦτα πάντα καὶ ἕτερα πλείω τοιαῦτα Πυθαγόρας     πλάσματα καὶ ποιήματα εἰς ὠφέλειαν καὶ ἐπανόρθωσιν τῶν συνδια-     γόντων ἐπενοεῖτο, καὶ οὕτως σεβαστὰ ἦν καὶ ἐξεθειάζετο ὑπὸ τῶν     συνιέντων, ὥστε εἰς ὅρκου σχήματα περιίστατο τοῖς ὁμακόοις᾽ [92]     οὔ, μὰ τὸν ἁμετέρᾳ γενεᾷ παραδόντα τετρακτύν, παγὰν ἀενάου φύ-     σεως ῥιζώματ᾽ ἔχουσαν. τοῦτο μὲν οὕτω θαυμαστὸν ἦν τὸ εἶδος av-     τοῦ τῆς σοφίας.     (163) τῶν δ᾽ ἐπιστημῶν οὐχ ἥκιστά φασι τοὺς Πυθαγορείους     τιμᾶν μουσικήν τε καὶ ἰατρικὴν καὶ μαντικήν. σιωπηλοὺς δὲ εἶναι     καὶ ἀκουστικοὺς καὶ ἐπαινεῖσθαι παρ᾽ αὐτοῖς τὸν δυνάμενον     ἀκοῦσαι. τῆς δὲ ἰατρικῆς μάλιστα μὲν ἀποδέχεσθαι τὸ διαιτητικὸν     εἶδος καὶ εἶναι ἀκριβεστάτους ἐν τούτῳ, καὶ πειρᾶσθαι πρῶτον μὲν     καταμανθάνειν σημεῖα συμμετρίας ποτῶν τε καὶ σίτων καὶ ἀνα-     παύσεως, ἔπειτα περὶ αὐτῆς τῆς κατασκευῆς τῶν προσφερομένων     σχεδὸν πρώτους ἐπιχειρῆσαί τε πραγματεύεσθαι καὶ διορίζειν.     ἅψασθαι δὲ [χρὴ] καὶ καταπλασμάτων ἐπὶ πλείω τοὺς Πυθογο-     8 ἢ καὶ ἐν τῷ cum lacuna Deubner/Klein post Rohde.     9 πόνων codd., ma la correzione di Deubner/Klein in ποτῶν è accettabi-     le per analogia con l’intero passaggio ripetuto al $ 244.     VITA DI PITAGORA 205     sono comuni <solo> per partecipazione di ciò che realmente è.     (161) Su tutte quante queste cose Pitagora ha insegnato le scien-     ze più appropriate e non ha lasciato nulla di inesplorato. E ha inse-     gnato agli uomini le scienze comuni, quali l’apodittica e la oristica e     la dieretica,!9? come si può apprendere dalle Merzorie Pitagoriche.     Pitagora era solito anche ispirare simbolicamente ai suoi intimi disce-     poli, per mezzo di parole le pit brevi in assoluto, numerosissime e     molteplici riflessioni, cosîf come fanno Apollo Pizio e la stessa natura     nel fare apparire una quantità inesauribile e inimmaginabile di idee,     l'uno, per mezzo di certi discorsi di uso comune, o di prodotti <natu-     rali>, l’altra, per mezzo di semi di piccola grossezza.     (162) E di questa natura la sentenza dello stesso Pitagora che dice:     “l’inizio e la metà di ogni cosa”. Ma non soltanto nel presente emisti-     chio, ma anche in altri più o meno dello stesso tenore il divinissimo     Pitagora nascondeva le scintille della verità per coloro che erano in     grado di trasformarle in fiamme, racchiudendo cosî come un tesoro,     in un parlare conciso, un’estensione discorsiva sconfinata e piena di     dottrina, quale ad esempio questa sentenza: “ogni cosa si adatta al     numero”,!1° che Pitagora adoperava spessissimo davanti a tutti <i suoi     uditori>, o ancora quest'altra: “amicizia è uguaglianza”, o queste altre     costituite di un solo nome: “cosmo”, oppure, per Zeus, “filosofia”,     oppure “essere”, oppure “**”, oppure “Tetraktus”. Tutte queste     espressioni, e ancora altre dello stesso genere, plasmate e create da     Pitagora, egli le concepiva per aiutare e correggere coloro che viveva-     no con lui, e cosî erano venerate e ricercate da coloro che le compren-     devano, al punto che divennero forme di giuramento per i co-uditori:     “No, per colui che ha insegnato alla nostra generazione la     “Tetraktus”, fonte che contiene le radici dell'eterna natura”. Cosi     meravigliosa era questa sua forma di sapienza.     (163) Tra le scienze, i Pitagorici — come si racconta — stimano al     più alto grado la musica e la medicina e la mantica. Essi sanno man-     tenere il silenzio e sono pronti all'ascolto, e celebrano chi tra loro è     capace di ascoltare. Della medicina essi accolgono con favore, soprat-     tutto, la branca relativa alla dieta e sono molto precisi in questo set-     tore, e cercano anzitutto di apprendere ciò che indica la proporzione     tra bevande, alimenti e riposo; e poi essi sono stati forse i primi a     ricercare e praticare e stabilire le regole della stessa preparazione     206 GIAMBLICO     ρείους τῶν ἔμπροσθεν, tà δὲ περὶ τὰς φαρμακείας ἧττον δοκιμάζειν,     αὐτῶν δὲ τούτων τοῖς πρὸς τὰς ἑλκώσεις μάλιστα χρῆσθαι, «τὰ δὲ»     περὶ τὰς τομάς τε καὶ (164) καύσεις ἥκιστα πάντων ἀποδέχεσθαι.     χρῆσθαι δὲ καὶ ταῖς ἐπῳδαῖς πρὸς ἔνια τῶν ἀρρωστημάτων.     ὑπελάμβανον δὲ καὶ τὴν μουσικὴν μεγάλα συμβάλλεσθαι πρὸς     ὑγείαν, ἄν τις αὐτῇ χρῆται κατὰ τοὺς προσήκοντας τρόπους.     ἐχρῶντο δὲ καὶ Ὁμήρου καὶ Ἡσιόδου λέξεσι διειλεγμέναις πρὸς ἐπανόρθωσιν ψυχῆς. dovro δὲ δεῖν κατέχειν καὶ διασῴζειν ἐν τῇ μνήμῃ πάντα τὰ διδα- σκόμενά τε καὶ φραζόμενα, καὶ μέχρι τούτου συσκευάζεσθαι τάς τε μαθήσεις καὶ τὰς ἀκροάσεις, μέχρι [93] ὅτου δύναται παραδέχε- σθαι τὸ μανθάνον καὶ διαμνημονεῦον, ὅτι ἐκεῖνό ἐστιν ᾧ δεῖ γιγνώσκειν καὶ ἐν ᾧ γνώμην φυλάσσειν. ἐτίμων γοῦν σφόδρα τὴν μνήμην καὶ πολλὴν αὐτῆς ἐποιοῦντο γυμνασίαν τε καὶ ἐπιμέλειαν, ἔν τε τῷ μανθάνειν οὐ πρότερον ἀφιέντες τὸ διδασκόμενον, ἕως περιλάβοιεν βεβαίως τὰ ἐπὶ τῆς πρώτης μαθήσεως, καὶ καθ᾽ ἡμέραν λεγομένων ἀνάμνησιν «ποιούμενοι» τόνδε τὸν ([65) τρόπον. Πυθαγόρειος ἀνὴρ οὐ πρότερον ἐκ τῆς κοίτης ἀνίστατο ἢ τὰ χθὲς γενόμενα πρότερον ἀναμνησθείη. ἐποιεῖτο δὲ τὴν ἀνάμνησιν τόνδε τὸν τρόπον. ἐπειρᾶτο ἀναλαμβάνειν τῇ διανοίᾳ, τί πρῶτον εἶπεν ἢ ἤκουσεν ἢ προσέταξε τοῖς ἔνδον ἀναστὰς καὶ τί δεύτερον καὶ τί τρίτον, καὶ περὶ τῶν ἐσομένων ὁ αὐτὸς λόγος᾽ καὶ πάλιν αὖ ἐξιὼν τίνι πρώτῳ ἐνέτυχε καὶ τίνι δευτέρῳ, καὶ λόγοι τίνες ἐλέχθησαν πρῶτοι καὶ δεύτεροι καὶ τρίτοι, καὶ περὶ τῶν ἄλλων δὲ ὁ αὐτὸς λόγος. πάντα γὰρ ἐπειρᾶτο ἀναλαμβάνειν τῇ διανοίᾳ τὰ συμβάντα ἐν ὅλῃ τῇ ἡμέρᾳ, οὕτω τῇ τάξει προθυμούμενος ἀναμιμνήσκεσθαι, ὥς ποτε συνέβη γενέσθαι ἕκαστον αὐτῶν. εἰ δὲ πλείω σχολὴν ἄγοι ἐν τῷ διεγείρεσθαι, καὶ τὰ τρίτην ἡμέραν συμβάντα τὸν αὐτὸν (166) τρόπον ἐπειρᾶτο ἀναλαμβάνειν. καὶ ἐπὶ πλέον ἐπειρῶντο τὴν μνήμην γυμνάζειν᾽ οὐδὲν γὰρ μεῖζον πρὸς ἐπιστήμην καὶ ἐμπειρίαν καὶ φρόνησιν τοῦ δύνασθαι μνημονεύειν. ἀπὸ δὴ τούτων τῶν ἐπιτηδευμάτων συνέβη τὴν Ἰταλίαν πᾶσαν φιλοσόφων ἀνδρῶν ἐμπλησθῆναι καί, πρότερον ἀγνοουμένης αὐτῆς, ὕστερον διὰ Πυθαγόραν Μεγάλην Ἑλλάδα κληθῆναι, καὶ πλεί- VITA DI PITAGORA 207 degli alimenti. I Pitagorici poi si occupano, più che i loro predecesso- ri, dei cataplasmi, mentre approvano di meno i farmaci, e tra questi si servono soprattutto di quelli che curano le ulcerazioni, mentre non accettano per nulla ciò che riguarda le incisioni e le cauterizzazioni. (164) Si servono, per certe infermità, anche degli incantesimi. Essi ritenevano anche che la musica contribuisca grandemente alla salute, qualora la si usi nei modi convenienti. Si servivano anche, per la cor- rezione dell’anima, di passi scelti dalle poesie di Omero e di Esiodo. Credevano anche che si dovesse ritenere e conservare nella memoria tutto ciò che viene insegnato e detto, e organizzare insieme sia le cose imparate che quelle ascoltate fino a quando può accoglier- le la facoltà di apprendere e memorizzare, poiché è proprio questa la facoltà con cui si deve conoscere e in cui si deve custodire ciò che si ha in mente. Stimavano dunque molto la memoria e la esercitavano molto e ne avevano molta cura, e nell'apprendere non abbandonava- no ciò che veniva insegnato prima di avere consolidato ciò che con- cerne la dottrina dei principi, e ciò che veniva detto giorno per gior- no lo richiamavano alla memoria nel modo seguente. (165) Il filosofo pitagorico non si alzava dal letto prima di avere richiamato alla memoria ciò che era accaduto il giorno precedente. E questa azione di rammemorazione la compiva nel modo seguente. Cercava di richiamare alla mente qual era stata la prima cosa che aveva detto o ascoltato o ordinato ai domestici appena alzato, e poi la seconda e poi la terza, e cosi anche per le successive; e ancora cerca- va di ricordarsi chi aveva incontrato, uscendo di casa, per primo e per secondo e per terzo, e quali parole aveva detto per prime e per secon- de e per terze, e cosi anche per le altre <in successione>. Egli cerca- va, infatti, di richiamare alla mente tutto ciò che era accaduto nell’in- tera giornata, desiderando ricordare ciascuna cosa nello stesso ordine in cui era capitata. Se poi al momento di svegliarsi aveva più tempo libero, allora cercava di ricordarsi allo stesso modo anche quello che era accaduto fino a due giorni prima. (166) E cercavano di esercitare il più possibile la memoria, perché non c'è cosa migliore per la scienza e per l’esperienza e per la saggez- za che avere capacità mnemoniche. Per tutte queste pratiche dei Pitagorici accadde che l’intera Italia si riempi di filosofi, e mentre prima non era tenuta in conto, dopo, 208 GIAMBLICO στους παρ᾽ αὐτοῖς ἄνδρας φιλοσό[ϑά)φους καὶ ποιητὰς καὶ νομοθέ- τας γενέσθαι. τάς τε γὰρ τέχνας τὰς ῥητορικὰς καὶ τοὺς λόγους τοὺς ἐπιδεικτικοὺς καὶ τοὺς νόμους τοὺς γεγραμμένους παρ᾽ ἐκείνων εἰς τὴν Ἑλλάδα συνέβη κομισθῆναι, καὶ περὶ τῶν φυσικῶν ὅσοι τινὰ μνείαν πεποίηνται, πρῶτον Ἐμπεδοκλέα καὶ Παρμενίδην τὸν Ἐλεάτην προφερόμενοι τυγχάνουσιν, οἵ τε γνωμολογῆσαί τι τῶν κατὰ τὸν βίον βουλόμενοι τὰς Ἐπιχάρμου διανοίας προφέρονται, καὶ σχεδὸν πάντες αὐτὰς οἱ φιλόσοφοι κατέχουσι. περὶ μὲν οὖν τῆς σοφίας αὐτοῦ καὶ πῶς ἅπαντας ἀνθρώπους ἐπὶ πλεῖστον εἰς αὐτὴν προεβίβασεν, ἐφ᾽ ὅσον ἕκαστος οἷός τε ἦν μετέχειν αὐτῆς, καὶ ὡς παρέδωκεν αὐτὴν τελέως, διὰ τούτων ἡμῖν εἰρήσθω. 30 (167) Περὶ δὲ δικαιοσύνης, ὅπως αὐτὴν ἐπετήδευσε καὶ παρέδωκε τοῖς ἀνθρώποις, ἄριστα ἂν καταμάθοιμεν, εἰ ἀπὸ τῆς πρώτης ἀρχῆς κατανοήσαιμεν αὐτὴν καὶ ἀφ᾽ ὧν πρώτων αἰτίων φύε- ται, τήν τε τῆς ἀδικίας πρώτην αἰτίαν katido ev: καὶ μετὰ τοῦτο ἂν εὕροιμέν τε, ὡς τὴν μὲν ἐφυλάξατο, τὴν δ᾽ ὅπως καλῶς ἐγγένηται παρεσκεύασεν. ἀρχὴ τοίνυν ἐστὶ δικαιοσύνης μὲν τὸ κοινὸν καὶ ἴσον καὶ τὸ ἐγγυτάτω ἑνὸς σώματος καὶ μιᾶς ψυχῆς ὁμοπαθεῖν πά- ντας, καὶ ἐπὶ τὸ αὐτὸ τὸ ἐμὸν φθέγγεσθαι καὶ τὸ ἀλλότριον, ὥσπερ δὴ καὶ Πλάτων μαθὼν παρὰ τῶν Πυθαγορείων συμμαρτυρεῖ. (168) τοῦτο τοίνυν ἄριστα ἀνδρῶν κατεσκεύασεν, ἐν τοῖς ἤθεσι τὸ ἴδιον πᾶν ἐξορίσας, τὸ δὲ κοινὸν αὐξήσας μέχρι τῶν ἐσχάτων κτημάτων καὶ στάσεως αἰτίων ὄντων καὶ ταραχῆς᾽ κοινὰ γὰρ πᾶσι πάντα καὶ ταὐτὰ ἦν, ἴδιον δὲ οὐδεὶς οὐδὲν ἐκέκτητο. καὶ εἰ μὲν ἠρέσκετό «τις τῇ κοινωνίᾳ, ἐχρῆτο τοῖς κοινοῖς κατὰ τὸ δικαιότατον, εἰ δὲ μή, ἀπολαβὼν ἂν [95] τὴν ἑαυτοῦ οὐσίαν καὶ πλείονα ἧς εἰσενηνόχει εἰς τὸ κοινὸν ἀπηλλάττετο. οὕτως ἐξ ἀρχῆς τῆς πρώτης τὴν δικαιο- σύνην ἄριστα κατεστήσατο. μετὰ ταῦτα τοίνυν ἡ μὲν οἰκείωσις ἡ πρὸς τοὺς ἀνθρώπους εἰσάγει δικαιοσύνην, ἡ δὲ ἀλλοτρίωσις καὶ καταφρόνησις τοῦ κοινοῦ γένους ἀδικίαν ἐμποιεῖ. ταύτην τοίνυν πόρρωθεν τὴν οἰκείωσιν ἐνθεῖναι βουλόμενος τοῖς ἀνθρώποις καὶ VITA DI PITAGORA 209 grazie a Pitagora, essa fu chiamata Magna Grecia, e vi nacquero mol- tissimi filosofi e poeti e legislatori. E infatti accadde che sia le tecni- che retoriche che i discorsi epidittici!!! e le leggi scritte siano stati introdotti in Grecia da loro, e a proposito dei filosofi della natura, tutti quelli che hanno fatto una qualche menzione hanno citato anzi- tutto Empedocle e Parmenide di Elea, mentre quelli vogliono trovar- si d'accordo in qualche cosa che riguardi la condotta di vita citano i Pensieri di Epicarmo, che trovano posto presso quasi tutti i filosofi. Sulla sapienza di Pitagora, dunque, e su come egli abbia fatto progre- dire al massimo tutti quanti gli uomini verso la sapienza, per quanto ciascuno fosse in grado di parteciparne, e su come egli la abbia inse- gnata alla perfezione, sia dunque sufficiente quel che abbiamo detto. 30 (167) A proposito della giustizia, come Pitagora l’abbia prati- cata e insegnata agli uomini, potremmo apprenderlo nel modo miglio- re se noi la concepiamo a partire dal suo primo principio e dalle prime cause che la fanno nascere, e se scorgiamo anche la prima causa dell’ingiustizia; dopo di che troveremo anche come egli evitasse que-  st’ultima e facesse in modo che l’altra attecchisse bene. Orbene, prin-  cipio della giustizia è la comunione <dei beni> e l’uguaglianza e la  condizione per cui tutti abbiano il medesimo modo di sentire come  fossero stretti in un solo corpo e in una sola anima e possano chiama-  re la medesima cosa il “mio” e il “tuo”, cosî come Platone attesta di  avere imparato dai Pitagorici.  (168) Ecco dunque ciò che Pitagora costrui meglio di chiunque  altro, bandendo dai costumi ogni aspetto di individualismo e facendo  crescere la comunione dei beni fino a comprendere quelli di minor  valore, essendo anche questi cause di ribellione e di tumulto; infatti  tutti i beni erano comuni e identici per tutti, e nessuno possedeva  nulla come proprietà individuale. E se qualcuno veniva accolto nella  comunità, poteva servirsi dei beni comuni nella maniera più giusta, se  invece non veniva accolto, poteva riprendersi i propri beni, e forse  qualcosa di più di ciò che aveva messo in comune, e andarsene via. È  cosi che Pitagora, fin dal primo momento, stabili la giustizia nel modo  migliore. Dopo la comunione dei beni, in verità, è il “senso di appar-  tenenza”!12 all'umanità che conduce alla giustizia, mentre il “senso di  estraneità” e il disprezzo per il genere umano!! creano ingiustizia.  210 GIAMBLICO  πρὸς τὰ ὁμογενῆ ζῷα αὐτοὺς συνέστησε, παραγγέλλων οἰκεῖα vopi-  Ce αὐτοὺς ταῦτα καὶ φίλα, ὡς μήτε ἀδικεῖν μηδὲν αὐτῶν μήτε  φονεύειν (169) μήτε ἐσθίειν. ὁ τοίνυν καὶ τοῖς ζῴοις, διότι ἀπὸ τῶν  αὐτῶν στοιχείων ἡμῖν ὑφέστηκε καὶ τῆς κοινοτέρας ζωῆς ἡμῖν συμ-  μετέχει, οἰκειώσας τοὺς ἀνθρώπους πόσῳ μᾶλλον τοῖς τῆς  ὁμοειδοῦς ψυχῆς κεκοινωνηκόσι καὶ τῆς λογικῆς τὴν οἰκείωσιν  ἐνεστήσατο. ἐκ δὲ ταύτης δῆλον ὅτι καὶ τὴν δικαιοσύνην εἰσῆγεν  ἀπ᾽ ἀρχῆς τῆς κυριωτάτης παραγομένην. ἐπεὶ δὲ πολλοὺς ἐνίοτε καὶ  σπάνις χρημάτων συναναγκάζει παρὰ τὸ δίκαιόν τι ποιεῖν, καὶ τού-  του καλῶς προενόπσε, διὰ τῆς οἰκονομίας τὰ ἐλευθέρια δαπανήμα-  τα καὶ τὰ δίκαια ἱκανῶς ἑαυτῷ παρασκευάζων. καὶ γὰρ ἄλλως ἀρχή  ἐστιν ἡ περὶ τὸν οἶκον δικαία διάθεσις τῆς ὅλης ἐν ταῖς πόλεσιν εὐ-  ταξίας᾽ ἀπὸ γὰρ τῶν οἴκων αἱ πόλεις (170) συνίστανται. φασὶ τοίνυν  αὐτὸν τὸν Πυθαγόραν κληρονομήσαντα τὸν ᾿Αλκαίου βίον, τοῦ μετὰ  τὴν εἰς Λακεδαίμονα πρεσβείαν τὸν βίον καταλύσαντος, οὐδὲν  ἧττον θαυμασθῆναι κατὰ τὴν οἰκονομίαν ἢ τὴν φιλοσοφίαν, γήμαν-  τα δὲ τὴν γεννηθεῖσαν αὐτῷ θυγατέρα, μετὰ ταῦτα δὲ Μένωνι τῷ  Κροτωνιάτῃ συνοικήσασαν, ἀγαγεῖν οὕτως, ὥστε παρθένον μὲν  οὖσαν ἡγεῖσθαι τῶν χορῶν, γυναῖκα δὲ yevo[96]uévnv πρώτην προ-  σιέναι τοῖς βωμοῖς τοὺς δὲ Μεταποντίνους, διὰ μνήμης ἔχοντας ἔτι  τὸν Πυθαγόραν καὶ μετὰ τοὺς αὐτοῦ χρόνους, τὴν μὲν οἰκίαν αὐτοῦ  Δήμητρος ἱερὸν (171) τελέσαι, τὸν δὲ στενωπὸν Μουσεῖον. ἐπεὶ δὲ  καὶ ὕβρις καὶ τρυφὴ πολλάκις καὶ νόμων ὑπεροψία ἐπαίρουσιν εἰς  ἀδικίαν, διὰ ταῦτα ὁσημέραι παρήγγελλε νόμῳ βοηθεῖν καὶ ἀνομίᾳ  πολεμεῖν. διὰ ταῦτα δὲ καὶ τὴν τοιαύτην διαίρεσιν ἐποιεῖτο, ὅτι τὸ  πρῶτον τῶν κακῶν παραρρεῖν εἴωθεν εἴς τε τὰς οἰκίας καὶ τὰς  πόλεις ἡ καλουμένη τρυφή, δεύτερον ὕβρις, τρίτον ὄλεθρος" ὅθεν  «παρήγγελλεν» ἐκ παντὸς εἴργειν τε καὶ ἀπωθεῖσθαι τὴν τρυφὴν καὶ  VITA DI PITAGORA 211  Volendo dunque instillare negli uomini questo senso di appartenenza  muovendo da lontano,!!4 Pitagora stabili anche un’affinità di natura  tra gli uomini e gli animali, prescrivendo che gli uomini considerasse-  ro gli animali loro propri parenti e amici, in modo da non commette-  re ingiustizia contro nessuno di essi né ucciderlo né mangiarlo.  (169) Colui, dunque, che ha assimilato gli uomini agli animali per  il fatto che questi sono composti degli stessi nostri elementi e parteci-  pano della vita che hanno piuttosto in comune con noi, a maggior  ragione ha inculcato il senso di appartenenza in coloro che erano  accomunati da un’anima della stessa natura, di natura cioè razionale.  Muovendo da tale senso di appartenenza è chiaro che Pitagora intro-  dusse negli uomini anche la giustizia che cosî veniva prodotta a parti-  re da un principio assolutamente appropriato. Ma poiché talvolta la  mancanza di beni costringe molti uomini a commettere qualche azio-  ne contro la giustizia, allora Pitagora provvide giustamente anche a  questo, predisponendo per sé in modo sufficiente, per mezzo di una  <saggia> amministrazione, i mezzi economici necessari per essere un  uomo libero e giusto. E d’altronde principio di buona amministrazio-  ne dei propri beni è la giusta disposizione dell’intero buon ordina-  mento delle città, perché le città si costituiscono a partire dalle singo-  le abitazioni.  (170) Si racconta dunque che lo stesso Pitagora, dopo avere ere-  ditato gli averi di Alceo, che era morto dopo un’ambasceria a Sparta,  fu ammirato per la sua capacità di amministrare i propri beni non  meno che per la sua filosofia, e una volta sposato educò la figlia che  le era nata — e che in seguito andò sposa a Menone di Crotone - in  maniera tale che da ragazza conduceva i cori, e da sposata era la prima  a frequentare gli altari; e i Metapontini, che si ricordavano ancora di  Pitagora anche dopo il tempo della sua vita, fecero della sua abitazio-  ne un tempio di Demetra, e del vicolo dove abitava un luogo sacro  alle Muse.  (171) E poiché spesso la tracotanza e il lusso e la noncuranza delle  leggi spingono all’ingiustizia, per queste ragioni Pitagora prescriveva  di aiutare giorno per giorno la legalità e combattere l’illegalità. Ed è  per questo che egli faceva la seguente divisione: il primo dei mali che  abitualmente si insinuano nelle case e nelle città è quello che si chia-  ma “lusso”, il secondo male è la tracotanza, il terzo è la rovina;1!5 di  212 GIAMBLICO  συνεθίζεσθαι ἀπὸ γενετῆς codpovi te καὶ ἀνδρικῷ βίῳ, δυσφημίας  δὲ πάσης καθαρεύειν τῆς τε σχετλιαστικῆς καὶ τῆς μαχίμου καὶ τῆς  (172) λοιδορητικῆς καὶ τῆς φορτικῆς καὶ γελωτοποιοῦ. πρὸς τούτοις  ἄλλο εἶδος δικαιοσύνης κάλλιστον κατεστήσατο, τὸ νομοθετικόν, ὃ  προστάττει μὲν ἃ δεῖ ποιεῖν, ἀπαγορεύει δὲ ἃ μὴ χρὴ πράττειν,  κρεῖττον δέ ἐστι καὶ τοῦ δικαστικοῦ᾽ τὸ μὲν γὰρ τῷ ἰατρικῷ προσέ-  οἶκε καὶ νοσήσαντας θεραπεύει, τὸ δὲ τὴν ἀρχὴν οὐδὲ νοσεῖν «ἐᾷ»,  ἀλλὰ πόρρωθεν ἐπιμελεῖται τῆς ἐν τῇ ψυχῇ ὑγείας. τούτου δὲ οὕτως  ἔχοντος νομοθέται πάντων ἄριστοι γεγόνασιν οἱ Πυθαγόρᾳ προσελ-  θόντες, πρῶτον μὲν Χαρώνδας ὁ Καταναῖος, ἔπειτα Ζάλευκος καὶ  Τιμάρατος οἱ Λοκροῖς γράψαντες τοὺς νόμους, πρὸς δὲ τούτοις  Θεοκλῆς!9 καὶ Ἑλικάων καὶ ᾿Αριστο[97]κράτης καὶ Φύτιος, οἱ  Ῥηγίνων γενόμενοι νομοθέται. καὶ πάντες οὗτοι παρὰ τοῖς αὑτῶν  πολίταις ἰσοθέων τιμῶν (173) ἔτυχον. οὐ γὰρ καθάπερ Ἡράκλειτος  γράψειν Ἐφεσίοις ἔφη τοὺς νόμους, ἀπάγξασθαι τοὺς πολίτας  ἡβηδὸν κελεύσας, ἀλλὰ μετὰ πολλῆς ἐννοίας καὶ πολιτικῆς  ἐπιστήμης νομοθετεῖν ἐπεχείρησαν. καὶ τί δεῖ τούτους θαυμάζειν,  τοὺς ἀγωγῆς καὶ τροφῆς ἐλευθέρας μετασχόντας; Ζάμολξις γὰρ  Θρᾷξ ὧν καὶ Πυθαγόρου δοῦλος γενόμενος καὶ τῶν λόγων τῶν  Πυθαγόρου διακούσας, ἀφεθεὶς ἐλεύθερος καὶ παραγενόμενος  πρὸς τοὺς Γέτας, τούς τε νόμους αὐτοῖς ἔθηκε, καθάπερ καὶ ἐν ἀρχῇ  δεδηλώκαμεν, καὶ πρὸς τὴν ἀνδρείαν τοὺς πολίτας παρεκάλεσε, τὴν  ψυχὴν ἀθάνατον εἶναι πείσας. ἔτι καὶ νῦν οἱ Γαλάται πάντες καὶ οἱ  Τράλλεις καὶ οἱ πολλοὶ τῶν βαρβάρων τοὺς αὑτῶν υἱοὺς πείθουσιν,  ὡς οὐκ ἔστι φθαρῆναι τὴν ψυχήν, ἀλλὰ διαμένειν, τῶν ἀποθανόντων,  καὶ ὅτι τὸν θάνατον οὐ φοβητέον, ἀλλὰ πρὸς τοὺς κινδύνους  εὐρώστως ἑκτέον. καὶ ταῦτα παιδεύσας τοὺς Γέτας καὶ γράψας αὐὖὐ-  τοῖς τοὺς νόμους μέγιστος τῶν (174) θεῶν ἐστι παρ᾽ αὐτοῖς. ἔτι τοί-  νυν ἀνυσιμώτατον πρὸς τὴν τῆς δικαιοσύνης κατάστασιν  ὑπελάμβανεν εἶναι τὴν τῶν θεῶν ἀρχήν, ἄνωθέν τε ἀπ᾽ ἐκείνης  πολιτείαν καὶ νόμους, δικαιοσύνην τε καὶ τὰ δίκαια διέθηκεν. οὐ  χεῖρον δὲ καὶ τὰ καθ᾽ ἕκαστον ὅπως διώρισε προσθεῖναι. τὸ διανο-  εἶσθαι περὶ τοῦ θείου, ὡς ἔστι τε καὶ πρὸς τὸ ἀνθρώπινον γένος [98]  οὕτως ἔχει ὡς ἐπιβλέπειν καὶ μὴ ὀλιγωρεῖν αὐτοῦ, χρήσιμον εἶναι    10 Θεοκλῆς ho corretto io per collazione con il $ 130 (ν p. 73,28  Deubner/Klein, ma anche trad. Brisson/Segonds, Note ad loc.): Θεαίτητος  Deubner/Klein.    VITA DI PITAGORA 213    qui il fatto che Pitagora prescriveva assolutamente di evitare e tenere  lontano il lusso e di assuefarsi fin dalla nascita a uno stile di vita tem-  perante e virile, e di tenersi puri da ogni maldicenza, sia essa dovuta  a indignazione o ad ostilità, a biasimo, a volgarità, a irrisione.   (172) Oltre a queste forme di giustizia Pitagora ne stabili benissi-  mo un’altra, cioè la giustizia legislativa, che comanda ciò che si deve  fare e proibisce le azioni che non bisogna compiere, e che è superio-  re anche al potere giudiziario, perché mentre quest’ultimo somiglia  alla medicina che cura gli ammalati, quella invece all’inizio non per-  mette neppure che ci si ammali, ma alla distanza si preoccupa della  salute dell'anima. Stando cosi le cose, quelli che erano più vicini a  Pitagora divennero, fra tutti, i migliori legislatori, anzitutto Caronda  di Catania, poi Zaleuco e Timarato, i quali scrissero le leggi per i  Locresi, e inoltre Teocle ed Elicaone e Aristocrate e Fizio, che furono  legislatori di Reggio. E tutti costoro hanno goduto presso i loro con-  cittadini di onori simili a quelli che si tributano agli dèi.   (173) Essi infatti, a differenza di Eraclito, il quale disse che avreb-  be scritto le leggi per gli Efesini, dopo avere invitato i cittadini ad  impiccarsi una volta raggiunta l'età adulta, cercarono di legiferare con  molta riflessione e scienza politica. E perché meravigliarsi di costoro,  sapendo che avevano partecipato a un'educazione e a un nutrimento  liberali?116 Zamolxi il Trace, infatti, che era schiavo di Pitagora e  ascoltò i suoi discorsi, divenuto libero e recatosi presso i Geti, stabili  le loro leggi, come abbiamo mostrato anche all’inizio, e incitò quei cit-  tadini ad essere coraggiosi, convincendoli che l’anima è immortale.117  E ancora oggi tutti i Galati e i Tralli e molti tra i barbari persuadono  i propri figli che non è possibile che l’anima di coloro che muoiono  perisca, ma che al contrario sopravviva, e che non bisogna avere  paura della morte, ma bisogna essere forti di fronte ai pericoli. E  avendo insegnato tutto questo ai Geti e avere scritto per loro le leggi,  essi lo considerano il più grande fra gli dèi.   (174) Pitagora, inoltre, considerava l’autorità degli dèi lo stru-  mento più efficace per stabilire la giustizia, e muovendo da quella  autorità dispose la costituzione e le leggi, la giustizia e il giusto. Non  è male aggiungere anche in che modo egli determinò tutto questo in  dettaglio. Che si dovesse pensare, a proposito del divino, che esso esi-  sta ed abbia relazione con il genere umano al punto da non perderlo    214 GIAMBLICO    ὑπελάμβανον οἱ Πυθαγόρειοι rap’ ἐκείνου μαθόντες. δεῖσθαι γὰρ  ἡμᾶς ἐπιστατείας τοιαύτης, ἧ κατὰ μηδὲν ἀνταίρειν ἀξιώσομεν:  τοιαύτην δ᾽ εἶναι τὴν ὑπὸ τοῦ θείου γινομένην, εἴπερ ἐστὶ τὸ θεῖον  τοιοῦτον «οἷον» ἄξιον εἶναι τῆς τοῦ σύμπαντος ἀρχῆς. ὑβριστικὸν  γὰρ δὴ φύσει τὸ ζῷον ἔφασαν εἶναι, ὀρθῶς λέγοντες, καὶ ποικίλον  κατά τε τὰς ὁρμὰς καὶ κατὰ τὰς ἐπιθυμίας καὶ κατὰ τὰ λοιπὰ τῶν  παθῶν’ δεῖσθαι οὖν τοιαύτης ὑπεροχῆς τε καὶ ἐπανα(] 75)τάσεως,  ἀφ᾽ ἧς ἐστι σωφρονισμός τις καὶ τάξις. ᾧοντο δὴ δεῖν ἕκαστον αὑτῷ  συνειδότα τὴν τῆς φύσεως ποικιλίαν μηδέποτε λήθην ἔχειν τῆς πρὸς  τὸ θεῖον ὁσιότητός τε καὶ θεραπείας, ἀλλ᾽ ἀεὶ τίθεσθαι πρὸ τῆς δια-  νοίας ὡς ἐπιβλέποντός τε καὶ παραφυλάττοντος τὴν ἀνθρωπίνην  ἀγωγήν. μετὰ δὲ τὸ θεῖόν τε καὶ τὸ δαιμόνιον πλεῖστον ποιεῖσθαι  λόγον γονέων τε καὶ νόμου, καὶ τούτων ὑπήκοον αὑτὸν κατασκευά-  ἵειν, μὴ πλαστῶς, ἀλλὰ πεπεισμένως. καθόλου δὲ ᾧοντο δεῖν  ὑπολαμβάνειν μηδὲν εἶναι μεῖζον κακὸν ἀναρχίας" οὐ γὰρ πεφυκέ-  ναι τὸν ἄνθρωπον διασῴζεσθαι (176) μηδενὸς ἐπιστατοῦντος. τὸ μέ-  νειν ἐν τοῖς πατρίοις ἔθεσί τε καὶ νομίμοις ἐδοκίμαζον οἱ ἄνδρες  ἐκεῖνοι, κἂν ἦ μακρῷ χείρω ἑτέρων: τὸ γὰρ ῥᾳδίως ἀποπηδᾶν ἀπὸ  τῶν ὑπαρχόντων νόμων καὶ οἰκείους εἶναι καινοτομίας οὐδαμῶς  εἶναι σύμφορον οὐδὲ σωτήριον. πολλὰ μὲν οὖν καὶ ἄλλα τῆς πρὸς  θεοὺς ὁσίας ἐχόμενα ἔργα διεπράξατο, σύμφωνον ἑαυτοῦ τὸν βίον  τοῖς λόγοις ἐπιδεικνύων οὐ χεῖρον δ᾽ ἑνὸς μνημονεῦσαι, δυναμέ-  νου καὶ τὰ ἄλλα σαφῶς ἐμφαίνειν. [99] (177) ἐρῶ δὲ τὰ πρὸς τὴν πρε-  σβείαν τὴν ἐκ Συβάριδος εἰς Κρότωνα παραγενομένην ἐπὶ τὴν ἐξαί-  τησιν τῶν φυγάδων ὑπὸ Πυθαγόρου ῥηθέντα καὶ πραχθέντα. ἐκεῖνος  γάρ, ἀνῃρημένων τινῶν τῶν μετ᾽ αὐτοῦ συνδιατριψάντων ὑπὸ τῶν  ἡκόντων πρεσβευτῶν, ὧν ὃ μὲν τῶν αὐτοχείρων, ὃ δ᾽ υἱὸς τετελευ-  τηκότος ὑπ᾽ ἀρρωστίας τῶν τῆς στάσεως μετεσχηκότων, ἔτι μὲν τῶν  ἐν τῇ πόλει διαπορούντων, ὅπως χρήσονται τοῖς πράγμασιν, εἶπε  πρὸς τοὺς ἑταίρους ὡς οὐκ ἂν βούλοιτο μεγάλα πρὸς αὐτὸν  διαφωνῆσαι τοὺς Κροτωνιάτας καΐ, δοκιμάζοντος αὐτοῦ μηδ᾽ ἱερεῖα  τοῖς βωμοῖς προσάγειν, ἐκείνους καὶ τοὺς ἱκέτας ἀπὸ τῶν βωμῶν    VITA DI PITAGORA 215    di vista e da non trascurarlo, i Pitagorici ritenevano, per averlo appre-  so da Pitagora, che tutto questo fosse utile, perché noi abbiamo biso-  gno di una tale sovrintendenza, alla quale sarà opportuno da parte  nostra non opporsi in nessun modo: tale infatti è l’autorità che pro-  viene dal divino, se è vero che il divino è di tale natura da essere  degno di reggere l’universo intero. I Pitagorici dicevano, infatti, e ave-  vano ragione di dirlo, che l’essere vivente è per natura tracotante e  variegato sia nei suoi impulsi che nei suoi appetiti e in tutto il resto  delle sue passioni; di conseguenza ha bisogno della supremazia e della  minaccia <del divino>, che hanno come effetti una certa temperanza  e un certo ordine.   (175) I Pitagorici credevano appunto che ciascuno di noi, nella  consapevolezza della propria variegata natura, non deve mai dimenti-  care la pietà e il culto verso il divino, ma avere sempre presente alla  mente che il divino guarda e tiene d’occhio la condotta degli uomini.  Dopo il divino e il demonico i Pitagorici credevano che si dovesse  tenere nel massimo conto genitori e legge, e che ci si dovesse predi-  sporre ad ascoltarli senza infingimenti, ma in modo convinto. In gene-  rale credevano si dovesse ritenere che non c’è male più grande del-  l'anarchia, perché l’uomo per sua natura non può salvarsi quando  nessuno lo assiste.   (176) Quegli uomini erano dell’idea che si dovesse rimanere all’in-  terno dei costumi e delle leggi dei padri, anche quando fossero di  gran lunga peggiori degli altri, perché il facile abbandono delle leggi  esistenti per fare proprie delle innovazioni non è affatto conveniente  né salvifico. Orbene, Pitagora compi molte altre opere attinenti alla  sua pietà verso gli dèi, mostrando cost uno stile di vita consonante con  i suoi discorsi; non è male ricordare una sua opera che sia in grado di  mettere chiaramente in evidenza anche le altre.   (177) Dirò che cosa Pitagora disse e fece in occasione dell’amba-  sceria che giunse da Sibari a Crotone per chiedere la consegna dei  profughi.!!8 Poiché, infatti, alcuni tra coloro che avevano frequentato  la scuola di Pitagora erano stati uccisi dagli uomini giunti con l’amba-  sceria — tra i quali c’era uno degli assassini e un altro che era figlio di  uno di coloro che avevano partecipato alla ribellione ed era morto per  malattia — e i cittadini di Crotone si domandavano ancora in che  modo si dovessero comportare, allora Pitagora disse ai suoi compagni    216 GIAMBLICO    ἀποσπᾶν. προσελθόντων δ᾽ αὐτῷ τῶν Συβαριτῶν καὶ μεμφομένων, τῷ  μὲν αὐτόχειρι λόγον ἀποδιδόντι τῶν ἐπιτιμωμένων οὐ θεμιστεύειν  ἔφησεν. ὅθεν ἠτιῶντο αὐτὸν ᾿Απόλλωνα φάσκειν εἶναι παρὰ τὸ καὶ  πρότερον ἐπί τινος ζητήσεως ἐρωτηθέντα «διὰ τί ταῦτ᾽ ἐστίν;»  ἀντερωτῆσαι τὸν πυνθανόμενον, εἰ καὶ τὸν ᾿Απόλλωνα λέγοντα τοὺς  (178) χρησμοὺς ἀξιώσειεν ἂν τὴν αἰτίαν ἀποδοῦναι. πρὸς δὲ τὸν  ἕτερον, ὡς ᾧετο, καταγελῶντα τῶν διατριβῶν, ἐν αἷς ἀπεφαίνετο  Πυθαγόρας ἐπάνοδον εἶναι ταῖς ψυχαῖς, καὶ φάσκοντα πρὸς τὸν  πατέρα δώσειν ἐπιστολήν, ἐπειδὰν εἰς ἅδου μέλλῃ καταβαΐνειν,  καὶ κελεύοντα λαβεῖν ἑτέραν, ὅταν ἐπανίῃ παρὰ τοῦ πατρός, οὐκ  ἔφη μέλλειν εἰς τὸν τῶν ἀσεβῶν τόπον παραβάλλειν, ὅπου σαφῶς  οἶδε τοὺς σφαγεῖς κολαζομένους. λοιδορηθέντων δ᾽ αὐτῷ τῶν πρε-  σβευτῶν, κἀκείνου προάγοντος ἐπὶ τὴν θάλατταν καὶ περιρραναμέ-  νου πολλῶν ἀκολουθούντων, εἶπέ τις τῶν συμβουλευόντων τοῖς  Κροτωνιάταις, ἐπειδὴ τὰ ἄλλα τῶν ἡκόντων κατέδραμεν, ὅτι καὶ  Πυθαγόρᾳ προσκόπτειν ἀπενοήθησαν, ὑπὲρ οὗ, [100] πάλιν ἐξ  ἀρχῆς, ὥσπερ οἱ μῦθοι παραδεδώκασιν, ἁπάντων ἐμψύχων τὴν  αὐτὴν φωνὴν τοῖς ἀνθρώποις ἀφιέντων, μηδὲ (179) τῶν ἄλλων ζῴων  μηδὲν ἂν τολμῆσαι βλασφημεῖν. καὶ ἄλλην δὲ μέθοδον ἀνεῦρε τοῦ  ἀναστέλλειν τοὺς ἀνθρώπους ἀπὸ τῆς ἀδικίας, διὰ τῆς κρίσεως τῶν  ψυχῶν, εἰδὼς μὲν ἀληθῶς ταύτην λεγομένην, εἰδὼς δὲ καὶ χρησίμην  οὖσαν εἰς τὸν φόβον τῆς ἀδικίας. πολλῷ δὴ μᾶλλον ἀδικεῖσθαι δεῖν  παρήγγελλεν ἢ κτείνειν ἄνθρωπον (ἐν ἅδου γὰρ κεῖσθαι τὴν κρί-  σιν), ἐκλογιζόμενος τὴν ψυχὴν καὶ τὴν οὐσίαν αὐτῆς καὶ τὴν  πρώτην τῶν ὄντων φύσιν. βουλόμενος δὲ τὴν ἐν τοῖς ἀνίσοις καὶ  ἀσυμμέτροις καὶ ἀπείροις πεπερασμένην καὶ ἴσην καὶ σύμμετρον  δικαιοσύνην παραδεῖξαι, ὅπως δεῖ αὐτὴν ἀσκεῖν ὑφηγήσασθαι, τὴν  δικαιοσύνην ἔφη προσεοικέναι τῷ σχήματι ἐκείνῳ, ὅπερ μόνον τῶν  ἐν γεωμετρίᾳ διαγραμμάτων ἀπείρους μὲν ἔχει τὰς τῶν σχημάτων  συστάσεις, ἀνομοίως δὲ ἀλλήλοις διακειμένων ἴσας ἔχει τὰς τῆς    VITA DI PITAGORA 217    che non avrebbe voluto che i Crotoniati fossero con lui in grande  disaccordo e che, dal momento che non approvava che agli altari si  conducessero delle vittime sacrificali, neppure approvava che gli  ambasciatori strappassero dagli altari i supplici [sc. i profughi]. E poi-  ché i Sibariti gli si avvicinarono per fare le loro rimostranze, all’assas-  sino che era il portavoce di quelle lamentele Pitagora disse che non  avrebbe dato alcun responso oracolare; di qui l’accusa che quelli gli  fecero di pretendere di essere Apollo, anche perché in precedenza ad  uno che gli poneva la domanda: “perché stanno cosi le cose?”,  Pitagora aveva ribattuto all’interrogante domandandogli se gli sem-  brasse opportuno chiedere ad Apollo la ragione degli oracoli che dà.   (178) Ed a un altro che lo scherniva — come egli credeva — per le  lezioni in cui Pitagora mostrava la risalita delle anime, e pretendeva  che Pitagora, non appena fosse disceso nell’Ade, consegnasse una let-  tera a suo padre e lo invitava a riportare sù la risposta, quando fosse  risalito dal luogo dov'era suo padre, Pitagora disse: “io non approde-  τὸ al luogo degli empi, dove so per certo che vengono puniti gli assas-  sini”. E mentre gli ambasciatori lo insultavano e Pitagora, seguito da  molti, avanzava verso il mare per purificarsi, uno dei consiglieri dei  Crotoniati, dopo avere inveito contro il comportamento degli amba-  sciatori, disse che erano stati, tra l’altro, cosî insensati da insultare  Pitagora, su cui nessun altro animale -- ammesso che tutti gli esseri  viventi, come i miti hanno insegnato, si mettessero di nuovo a parlare  la stessa lingua degli uomini, cosî come accadeva all’origine — osereb-  be pronunciare nemmeno una parola irriverente.   (179) Pitagora scopri anche un altro metodo per allontanare gli  uomini dall’ingiustizia, quello del mito secondo cui le anime sono sot-  toposte a giudizio, sapendo, da un lato, che esso racconta la verità e,  dall’altro lato, che è anche utile a incutere la paura dell’ingiustizia.  Prescriveva dunque che si dovesse molto più subire un’ingiustizia  piuttosto che uccidere un uomo (perché nell’Ade si sarà giudicati),  tenendo conto dell’anima e della sua essenza e della prima natura  degli enti. A proposito della giustizia, che è uguale nelle cose disugua-  li, proporzionale in quelle prive di proporzione e limitata in quelle illi-  mitate, volendo Pitagora mostrare quale descrizione si debba dare del  suo esercizio, disse che la si può paragonare a quella figura geometri-  ca che, unica tra le descrizioni della geometria, ha infinite le compo-    218 GIAMBLICO    (180) δυνάμεως ἀποδείξεις. ἐπεὶ δὲ καὶ ἐν τῇ πρὸς ἕτερον χρείᾳ  ἔστι τις δικαιοσύνη, καὶ ταύτης τοιοῦτόν τινα τρόπον λέγεται ὑπὸ  τῶν Πυθαγορείων παραδίδοσθαι. εἶναι γὰρ κατὰ τὰς ὁμιλίας τὸν  μὲν εὔκαιρον, τὸν δὲ ἄκαιρον, διαιρεῖσθαι δὲ ἡλικίας τε διαφορᾷ  καὶ ἀξιώματος καὶ οἰκειότητος τῆς συγγενικῆς καὶ εὐεργεσίας, καὶ  εἴ τι ἄλλο τοιοῦτον ἐν ταῖς πρὸς ἀλλήλους διαφοραῖς ὃν ὑπάρχει.  ἔστι γάρ τι ὁμιλίας εἶδος, ὃ φαίνεται νεωτέρῳ μὲν πρὸς νεώτερον  οὐκ ἄκαιρον εἶναι, πρὸς δὲ τὸν πρεσβύτερον dkarpov: οὔτε γὰρ  ὀργῆς οὔτε ἀπειλῆς εἶδος πᾶν «ἄκαιρον» οὔτε θρασύτητος, ἀλλὰ  πᾶσαν τὴν τοιαύτην ἀκαιρίαν εὐλαβητέον [101] εἶναι τῷ νεωτέρῳ  πρὸς τὸν πρεσβύτερον. παραπλήσιον δέ (181) τινα εἶναι καὶ τὸν  περὶ τοῦ ἀξιώματος λόγον᾽ πρὸς γὰρ ἄνδρα ἐπὶ καλοκαγαθίας  ἥκοντα ἀληθινὸν ἀξίωμα οὔτ᾽ εὔσχημον οὔτ᾽ εὔκαιρον εἶναι προ-  σφέρειν οὔτε παρρησίαν πάλιν οὔτε τὰ λοιπὰ τῶν ἀρτίως  εἰρημένων. παραπλήσια δὲ τούτοις καὶ περὶ τῆς πρὸς τοὺς γονεῖς  ὁμιλίας ἐλέγετο, ὡσαύτως δὲ καὶ περὶ τῆς πρὸς τοὺς εὐεργέτας.  εἶναι δὲ ποικίλην τινὰ καὶ πολυειδῆ τὴν τοῦ καιροῦ χρείαν’ καὶ  γὰρ τῶν ὀργιζομένων τε καὶ θυμουμένων τοὺς μὲν εὐκαίρως τοῦτο  ποιεῖν, τοὺς δὲ ἀκαίρως, καὶ πάλιν αὖ τῶν ὀρεγομένων τε καὶ ἐπι-  θυμούντων καὶ ὁρμώντων ἐφ᾽ ὁτιδήποτε τοῖς μὲν ἀκολουθεῖν και-  ρόν, τοῖς δ᾽ ἀκαιρίαν. τὸν αὐτὸν δ᾽ εἶναι λόγον καὶ περὶ τῶν ἄλλων  παθῶν τε καὶ πράξεων (182) καὶ διαθέσεων καὶ ὁμιλιῶν καὶ ἐντεύ-  ἕξεων. εἶναι δὲ τὸν καιρὸν μέχρι μέν τινος διδακτόν τε καὶ ἀπαρά-  λογον καὶ τεχνολογίαν ἐπιδεχόμενον, καθόλου δὲ καὶ ἁπλῶς οὐδὲν  αὐτῷ τούτων ὑπάρχειν. ἀκόλουθα δὲ εἶναι καὶ σχεδὸν τοιαῦτα οἷα  συμπαρέπεσθαι τῇ τοῦ καιροῦ φύσει τήν τε ὀνομαζομένην ὥραν καὶ  τὸ πρέπον καὶ τὸ ἁρμόττον, καὶ εἴ τι ἄλλο τυγχάνει τούτοις  ὁμοιογενὲς ὄν. ἀρχὴν δὲ ἀπεφαίνοντο ἐν παντὶ ἕν τι τῶν τιμιωτάτων  εἶναι ὁμοίως ἐν ἐπιστήμῃ τε καὶ ἐμπειρίᾳ καὶ ἐν γενέσει, καὶ πάλιν  αὖ ἐν οἰκίᾳ τε καὶ πόλει καὶ στρατοπέδῳ καὶ πᾶσι τοῖς τοιούτοις  συστήμασι, δυσθεώρητον δ᾽ εἶναι καὶ δυσσύνοπτον τὴν τῆς ἀρχῆς  φύσιν ἐν πᾶσι τοῖς εἰρημένοις. ἔν τε γὰρ ταῖς ἐπιστήμαις οὐ τῆς    VITA DI PITAGORA 219    sizioni delle figure, mentre ha uguali le dimostrazioni del quadrato  dei lati anche se disposti in modo dissimile tra loro.119   (180) E poiché anche nel rapporto con l’altro esiste una certa giu-  stizia, i Pitagorici insegnavano — come si racconta -- anche un certo  modo di esercitare tale giustizia che è il seguente: nelle relazioni con  gli altri c'è il momento dell'opportunità e quello della inopportunità,  e la distinzione dipende dalla differenza di età o dignità o parentela o  beneficenza, e se esiste nelle reciproche differenze <tra gli uomini>  qualche altro fattore del genere. C’è infatti una forma di relazione che  si rivela non inopportuna da parte di un giovane verso un altro giova-  ne, mentre si rivela inopportuna verso l'anziano, perché non è inop-  portuna qualsiasi forma di ira o di minaccia o di sfrontatezza, al con-  trario bisogna evitare ciascuno di tali atteggiamenti come inopportu-  no per il giovane nei confronti dell'anziano. Più o meno lo stesso è il  discorso che riguarda la dignità.   (181) Nei confronti di un uomo, infatti, che abbia raggiunto per  la sua rettitudine un’autentica dignità non è decoroso né opportuno  comportarsi o esprimersi con assoluta libertà, e neppure in nessuno  degli altri modi di cui si è appena detto. Più o meno lo stesso discor-  so faceva Pitagora a proposito del rapporto con i genitori, cosî come  anche con i benefattori. Quanto all’opportunità del rapporto, essa è  varia e multiforme, perché tra coloro che si adirano o si infuriano,  alcuni lo fanno opportunamente, altri inopportunamente, e ancora  tra coloro che aspirano a qualcosa e lo fanno per appetito o per  impulso, in alcuni casi seguono il momento opportuno, in altri quel-  lo inopportuno. Lo stesso discorso vale a proposito delle altre passio-  ni e azioni e disposizioni e relazioni e incontri.   (182) Ma il momento opportuno è insegnabile perché non privo  di razionalità ed ammette uno studio approfondito, ma fino a un certo  punto, perché in generale e preso per se stesso non ha nulla a che  vedere con tutto ciò. Alla natura del momento opportuno si accom-  pagnano e fanno da scorta elementi che hanno pressappoco questi  nomi: “stagione” o “momento conveniente” o “momento adatto”, o  altro, se ce n'è, che sia dello stesso genere di questi. I Pitagorici  mostravano che principio è sempre, sia nella scienza e nell’esperienza  che nella generazione, e ancora nella casa e nella città e nell’esercito e  in tutti i sistemi del genere, un qualcosa di assolutamente prezioso,    220 GIAMBLICO    τυχούσης εἶναι διανοίας τὸ καταμαθεῖν τε καὶ κρῖναι καλῶς βλέ-  ψαντας εἰς τὰ μέρη τῆς πραγματείας, [102] (183) ποῖον τούτων ἀρχή.  μεγάλην δ᾽ εἶναι διαφορὰν καὶ σχεδὸν περὶ ὅλου τε καὶ παντὸς τὸν  κίνδυνον γίνεσθαι μὴ ληφθείσης ὀρθῶς τῆς ἀρχῆς οὐδὲν γάρ, ὡς  ἁπλῶς εἰπεῖν, ἔτι τῶν μετὰ ταῦτα ὑγιὲς γίνεσθαι ἀγνοηθείσης τῆς  ἀληθινῆς ἀρχῆς. τὸν αὐτὸν δ᾽ εἶναι λόγον καὶ περὶ τῆς ἑτέρας  ἀρχῆς οὔτε γὰρ οἰκίαν οὔτε πόλιν εὖ ποτε ἂν οἰκηθῆναι μὴ  ὑπάρξαντος ἀληθινοῦ ἄρχοντος καὶ κυριεύοντος τῆς ἀρχῆς τε καὶ  ἐπιστασίας ἑκουσίως. ἀμφοτέρων γὰρ δεῖ βουλομένων τὴν ἐπιστα-  τείαν γίνεσθαι, ὁμοίως τοῦ τε ἄρχοντος καὶ τῶν ἀρχομένων, ὥσπερ  καὶ τὰς μαθήσεις τὰς ὀρθῶς γινομένας ἑκουσίως δεῖν ἔφασαν γίνε-  σθαι, ἀμφοτέρων βουλομένων, τοῦ τε διδάσκοντος καὶ τοῦ μανθά-  νοντος᾽ ἀντιτείνοντος γὰρ ὁποτέρου δήποτε τῶν εἰρημένων οὐκ ἂν  ἐπιτελεσθῆναι κατὰ τρόπον τὸ προκείμενον ἔργον. οὕτω μὲν οὖν τὸ  πείθεσθαι τοῖς ἄρχουσι καλὸν εἶναι ἐδοκίμαζε καὶ τὸ τοῖς διδα-  σκάλοις ὑπακούειν. τεκμήριον δὲ δι᾽ ἔργων (184) μέγιστον παρεί-  χετο τοιοῦτον. πρὸς Φερεκύδην τὸν Σύριον, διδάσκαλον αὐτοῦ  γενόμενον, ἀπὸ τῆς Ἰταλίας εἰς Δῆλον ἐκομίσθη, νοσοκομήσων τε  αὐτὸν περιπετῆ γενόμενον τῷ ἱστορουμένῳ τῆς φθειριάσεως πάθει  καὶ κηδεύσων αὐτόν: παρέμεινέ τε ἄχρι τῆς τελευτῆς αὐτῷ καὶ τὴν  ὁσίαν ἀπεπλήρωσε περὶ τὸν αὑτοῦ καθηγεμόνα. οὕτω περὶ πολλοῦ  τὴν περὶ τὸν διδάσκαλον ἐποιεῖτο σπουδήν.   (185) πρός γε μὴν συνταγὰς καὶ τὸ ἀψευδεῖν ἐν αὐταῖς οὕτως εὖ  παρεσκεύαζε τοὺς ὁμιλητὰς Πυθαγόρας, ὥστε φασί ποτε Λῦσιν προ-  σκυνήσαντα ἐν Ἥρας ἱερῷ καὶ ἐξιόντα συντυχεῖν [103] Εὐρυφάμῳ  Συρακουσίῳ τῶν ἑταίρων τινὶ περὶ τὰ προπύλαια τῆς θεοῦ εἰσιόντι.  προστάξαντος δὲ τοῦ Εὐρυφάμου προσμεῖναι αὐτόν, μέχρις ἂν καὶ  αὐτὸς προσκυνήσας ἐξέλθῃ, ἑδρασθῆναι ἐπί τινι λιθίνῳ θώκῳ    VITA DI PITAGORA 221    ma la natura del principio in tutte le cose di cui si è detto è difficile a  vedersi e comprendersi. Nelle scienze, infatti, non è proprio di una  mente qualsiasi, una volta che si è guardato bene alle varie sezioni  della dottrina, l’apprendere e il giudicare qual è quella di esse che ha  funzione di principio.   (183) Ma fa una grande differenza e nasce il rischio quasi sull’in-  tera dottrina e su ciascuna sua sezione, qualora non se ne apprenda  correttamente il principio, perché, per dirla in breve, non c’è più  nulla di valido in quel che segue, quando se ne ignori il vero princi-  pio. Lo stesso discorso vale anche per quanto concerne il principio di  una cosa diversa dalla scienza: infatti né una casa né una città <ad  esempio> potranno essere bene amministrate se non c’è un vero capo  o padrone, il cui comando o padronanza non abbia il consenso <degli  altri>. Occorre infatti che la funzione del sovrintendere sia voluta da  ambedue le parti, cioè tanto da chi comanda quanto da chi è coman-  dato, cosi come, dicono i Pitagorici, occorre che gli apprendimenti  per essere corretti siano voluti da ambedue le parti, sia dall’insegnan-  te che dal discente, perché se l’una o l’altra delle suddette parti doves-  se mai fare resistenza, l’opera che ci si propone non si realizzerebbe  nel modo dovuto. Cosî, dunque, Pitagora riteneva giusto obbedire ai  magistrati e ascoltare gli insegnanti. Ed egli ne diede con i fatti la  prova migliore, cioè questa.   (184) Si imbarcò dall’Italia verso Delo per recarsi da Ferecide di  Siro, che era stato suo maestro, per curarlo della malattia in cui era  incappato, malattia che viene chiamata “ftiriasi”, e <infine> rendergli  gli onori funebri; e <infatti> rimase con lui fino alla sua morte e  compî quest’atto di pietà per il suo maestro. Di cosi grande valore egli  riteneva il fatto di prendersi cura del proprio maestro.   (185) Per quanto riguarda i patti e il dovere di non smentigli,  Pitagora predisponeva i suoi discepoli a tal punto che si racconta che  una volta Liside, dopo essere stato in adorazione nel tempio di Era,  uscendo si imbatté in Eurifamo di Siracusa, uno dei suoi compagni,  che stava entrando nel vestibolo di quel tempio. Eurifamo fece sî che  Liside si impegnasse ad aspettarlo fino a quando non fosse uscito,  dopo avere fatto anche lui la sua adorazione, e quello si sedette su un  banco di pietra che trovò collocato in quel posto. Cosî Eurifamo  compi la sua adorazione e subito si immerse in uno dei suoi pensieri    222 GIAMBLICO    ἱδρυμένῳ αὐτόθι. ὡς δὲ προσκυνήσας ὁ Εὐρύφαμος καὶ ἔν τινι δια-  νοήματι καὶ βαθυτέρᾳ καθ᾽ ἑαυτὸν ἐννοίᾳ γενόμενος δι᾽ ἑτέρου  πυλῶνος ἐκλαθόμενος ἀπηλλάγη, τό τε τῆς ἡμέρας λοιπὸν καὶ τὴν  ἐπιοῦσαν νύκτα καὶ τὸ πλέον μέρος ἔτι τῆς ἄλλης ἡμέρας ὡς εἶχεν  ἀτρέμας προσέμενεν ὁ Λῦσις. καὶ τάχα ἂν ἐπὶ πλείονα χρόνον αὖ-  τοῦ ἦν, εἰ μή περ ἐν τῷ ὁμακοείῳ τῆς ἑξῆς ἡμέρας γενόμενος ὁ  Εὐρύφαμος καὶ ἀκούσας ἐπιζητουμένου πρὸς τῶν ἑταίρων τοῦ  Λύσιδος ἀνεμνήσθη. καὶ ἐλθὼν αὐτὸν ἔτι προσμένοντα κατὰ τὴν  συνθήκην ἀπήγαγε, τὴν αἰτίαν εἰπὼν τῆς λήθης καὶ προσεπιθεὶς ὅτι  «ταύτην δέ μοι θεῶν τις ἐνῆκε, δοκίμιον ἐσομένην τῆς σῆς περὶ συν-  θήκας εὐσταθείας».   (186) καὶ τὸ ἐμψύχων δὲ ἀπέχεσθαι ἐνομοθέτησε διά τε ἄλλα  πολλὰ καὶ ὡς εἰρηνοποιὸν τὸ ἐπιτήδευμα. ἐθιζόμενοι γὰρ μυσάττε-  σθαι φόνον ζῴων ὡς ἄνομον καὶ παρὰ φύσιν, πολὺ μᾶλλον ἀθεμιτώ-  τερον τὸ ἄνθρωπον ἡγούμενοι κτείνειν οὐκέτ᾽ ἐπολέμουν. φόνων δὲ  χορηγέτης καὶ νομοθέτης ὁ πόλεμος᾽ τούτοις γὰρ καὶ σωματο-  ποιεῖται. καὶ τὸ «ζυγὸν» δὲ «μὴ ὑπερβαίνειν» δικαιοσύνης ἐστὶ  παρακέλευσμα, πάντα τὰ δίκαια παραγγέλλον ἀσκεῖν, ὡς ἐν τοῖς  περὶ συμβόλων δειχθήσεται. πέφηνεν ἄρα διὰ πάντων τούτων  μεγάλην σπουδὴν περὶ τὴν τῆς δικαιοσύνης ἄσκησιν καὶ παράδοσιν  [104] εἰς ἀνθρώπους πεποιημένος Πυθαγόρας ὡς ἐν τοῖς ἔργοις καὶ  ἐν τοῖς λόγοις.   31 (187) Ἕπεται δὲ τῷ περὶ τούτων λόγῳ ὁ περὶ σωφροσύνης, ὥς  τε αὐτὴν ἐπετήδευσε καὶ παρέδωκε τοῖς χρωμένοις. εἴρηται μὲν οὖν  ἤδη τὰ κοινὰ παραγγέλματα περὶ αὐτῆς, ἐν οἷς πυρὶ καὶ σιδήρῳ τὰ  ἀσύμμετρα πάντα ἀποκόπτειν διώρισται. τοῦ δὲ αὐτοῦ εἴδους ἐστὶν  ἀποχὴ ἐμψύχων ἁπάντων καὶ προσέτι βρωμάτων τινῶν ἀκολάστων,  καὶ τὸ παρατίθεσθαι μὲν ἐν ταῖς ἑστιάσεσι τὰ ἡδέα καὶ πολυτελῆ  ἐδέσματα, ἀποπέμπεσθαι δὲ αὐτὰ τοῖς οἰκέταις, ἕνεκα τοῦ κολάσαι  μόνον τὰς ἐπιθυμίας παρατιθέμενα, καὶ τὸ χρυσὸν ἐλευθέραν μηδε-  μίαν φορεῖν, μόνας δὲ τὰς ἑταίρας. καὶ αἱ ἐπεγρίαι δὲ αἱ τοῦ λογι-  σμοῦ καὶ αἱ εἰλικρίνειαι τῶν ἐμποί(! 88)διζόντων τοῦ αὐτοῦ εἰσιν    VITA DI PITAGORA 223    e precisamente in quello che era per lui più profondo degli altri, e  quindi usci da un’altra porta del tempio dimentico <dell’accordo  preso con Liside>, il quale rimase immobile come si trovava per il  resto della giornata e della notte sopraggiunta e per molta parte anco-  ra della giornata seguente. E forse sarebbe rimasto lî ancora più a  lungo, se Eurifamo, che si era recato nel co-uditorio il giorno seguen-  te, non si fosse ricordato della cosa dopo avere sentito dire che i suoi  compagni cercavano appunto Liside. E cosî andò a cercarlo mentre  quello era ancora li ad aspettarlo secondo l’impegno preso, e lo con-  dusse via, dicendogli per quale motivo se ne era dimenticato e aggiun-  gendo queste parole: “Questa dimenticanza me l’ha inviata un dio,  perché si mettesse alla prova la tua fermezza nel rispettare i patti”.   (186) Pitagora stabili come norma anche l’astinenza dal mangiare  esseri viventi e lo fece per la ragione, tra molte altre, che si tratta di  una pratica pacificatrice. Infatti coloro che si fossero abituati a prova-  re ribrezzo per l’uccisione degli animali come fatto illecito e contro  natura, ritenendo che era molto più ingiusto uccidere l’uomo, non  avrebbero più fatto la guerra. La guerra appunto procura e stabilisce  come legge le uccisioni, perché sono queste che la irrobustiscono.  Anche il precetto “non sorpassare una bilancia” è un’incitazione alla  giustizia perché invita a esercitare tutto ciò che è giusto, come si  mostrerà nel nostro scritto Sui sirzboli.12° Con tutti questi precetti  Pitagora ha rivelato la grande cura che metteva nell’esercitare la giu-  stizia e nell’insegnarla agli uomini sia con le sue opere che con i suoi  discorsi.    31 (187) A questo discorso sulla giustizia segue quello sulla temperan-  za, su come Pitagora l'abbia praticata e insegnata a coloro che fruiva-  no delle sue lezioni.121 Ebbene, si è già detto dei suoi precetti genera-  li sulla temperanza, nei quali vengono determinate tutte le spropor-  zioni che bisogna tagliare col fuoco e col ferro.!22 Di questa stessa spe-  cie sono l'astinenza dal mangiare qualunque essere vivente oltre che  alcuni cibi che favoriscono l’intemperanza, e il farsi servire nei ban-  chetti pietanze dolci e molto costose, ma poi rimandarle indietro ai  servi, anche solo allo scopo che le pietanze rifiutate mitighino gli  appetiti, e che nessuna donna libera rechi indosso dell'oro, cosa che  è permessa soltanto alle cortigiane. Della stessa specie sono anche i    224 GIAMBLICO    εἴδους. ἔτι δὲ ἐχεμυθία te καὶ παντελὴς σιωπή, πρὸς τὸ γλώσσης  κρατεῖν συνασκοῦσα, ἥ τε σύντονος καὶ ἀδιάπνευστος περὶ τὰ  δυσληπτότατα τῶν θεωρημάτων ἀνάληψίς τε καὶ ἐξέτασις, διὰ τὰ  αὐτὰ δὲ καὶ ἀνοινία καὶ ὀλιγοσιτία καὶ ὀλιγοὐπνία, δόξης τε καὶ  πλούτου καὶ τῶν ὁμοίων ἀνεπιτήδευτος κατεξανάστασις, καὶ αἰδὼς  μὲν ἀνυπόκριτος πρὸς τοὺς προήκοντας, πρὸς δὲ τοὺς ὁμήλικας  ἄπλαστος ὁμοιότης καὶ φιλοφροσύνη, συνεπίτασις δὲ καὶ παρό-  ρμῆσις πρὸς τοὺς νεωτέρους φθόνου χωρίς, καὶ πάντα ὅσα τοιαῦτα,  εἰς τὴν αὐτὴν (189) ἀρετὴν ταχθήσεται. καὶ ἐξ ὧν δ᾽ Ἱππόβοτος καὶ  Νεάνθης περὶ Μυλλίου καὶ Τιμύχας τῶν Πυθαγορείων ἱστοροῦσι,  μαθεῖν ἔνεστι τὴν ἐκείνων τῶν ἀνδρῶν σωφροσύνην καὶ ὅπως αὐτὴν  Πυθαγόρας παρέδωκε. τὸν γὰρ Διονύσιον τὸν [105] τύραννόν φασιν,  ὡς πάντα ποιῶν οὐδενὸς αὐτῶν ἐπετύγχανε τῆς φιλίας, φυλαττο-  μένων καὶ περιισταμένων τὸ μοναρχικὸν αὐτοῦ καὶ παράνομον, λό-  χον τινὰ τριάκοντα ἀνδρῶν, ἡγουμένου Εὐρυμένους Συρακουσίου,  Δίωνος ἀδελφοῦ, ἐπιπέμψαι τοῖς ἀνδράσι, λοχήσοντα τὴν μετάβα-  σιν αὐτῶν, τὴν ἀπὸ Τάραντος εἰς Μεταπόντιον εἰωθυῖαν κατὰ  καιρὸν γίνεσθαι᾽ ἡρμόζοντο γὰρ πρὸς τὰς τῶν ὡρῶν μεταβολὰς καὶ  τόπους εἰς τὰ τοιάδε ἐπελέγοντο ἐπιτηδείους. (190) ἐν δὴ Φάναις,  χωρίῳ τῆς Τάραντος φαραγγώδει, καθ᾽ ὃ συνέβαινεν αὐτοῖς ἀναγ-  καίως τὴν ὁδοιπορίαν γενήσεσθαι, ἐλόχα κατακρύψας τὸ πλῆθος ὁ  Εὐρυμένης. ἐπειδὴ δὲ οὐδὲν προϊδόμενοι ἀφίκοντο οἱ ἄνδρες περὶ  μέσον ἡμέρας εἰς τὸν τόπον, λῃστρικῶς αὐτοῖς ἐπαλαλάξαντες ἐπέ-  θεντο οἱ στρατιῶται. οἱ δὲ ἐκταραχθέντες μετ᾽ εὐλαβείας ἅμα τε τὸ  αἰφνίδιον καὶ αὐτὸ τὸ πλῆθος (ἦσαν γὰρ αὐτοὶ σύμπαντες δέκα που  τὸν ἀριθμόν), καὶ ὅτι ἄνοπλοι πρὸς ποικίλως ὡπλισμένους διαγωνι-  σάμενοι ἔμελλον ἁλίσκεσθαι, δρόμῳ καὶ φυγῇ διασῴζειν αὑτοὺς  διέγνωσαν, οὐδὲ τοῦτο ἀλλότριον ἀρετῆς τιθέμενοι: τὴν γὰρ  ἀνδρείαν ἤδεισαν φευκτέων τε καὶ ὑπομενετέων ἐπιστήμην, ὡς ἂν ὁ  ὀρθὸς (191) ὑπαγορεύῃ λόγος. καὶ ἐπετύγχανον δὲ ἤδη τούτου  (βαρούμενοι γὰρ τοῖς ὅπλοις ἀπελείποντο οἱ σὺν Εὐρυμένει τοῦ    VITA DI PITAGORA 225    precetti sul mantenere sempre sveglia la mente e liberarla da ciò che  lo impedisce.   (188) Ancora, il sapere tacere e il fare assoluto silenzio, che insie-  me esercitano a dominare la lingua, nonché il sapere acquisire e ricer-  care intensamente e ininterrottamente le dottrine intorno agli argo-  menti di più difficile comprensione, e per le stesse ragioni anche  l’astenersi dal vino e il mangiare e dormire poco, e il resistere senza  affettazione alla gloria e alla ricchezza e a cose simili, e il rispettare  sinceramente gli anziani, ed essere francamente solidali e amichevoli  verso i coetanei, e premurosi e stimolanti, senza invidia, verso i più  giovani, e tutte quante le virtà di tal genere saranno classificate sotto  la medesima virtà, <la temperanza>.   (189) E da ciò che raccontano Ippoboto e Neante a proposito dei   Pitagorici Millia e Timica, è possibile apprendere la temperanza di  quegli uomini e il modo in cui Pitagora gliela insegnò. Infatti si rac-  conta che il tiranno Dionigi, poiché per quanti sforzi facesse non otte-  neva l’amicizia di nessuno dei Pitagorici, dal momento che questi si  guardavano ed evitavano il suo atteggiamento di governante assoluti-  sta e contrario alla legge, inviò una schiera di trenta soldati, al coman-  do di Eurimene di Siracusa, fratello di Dione, per tendere loro un’im-  boscata in occasione della loro abituale migrazione da Taranto a  Metaponto, perché essi si adattavano al passaggio delle stagioni sce-  gliendo i luoghi a queste più adatti.  (190) Eurimene tese l’imboscata nascondendo la sua truppa a Fane,  zona periferica di Taranto piena di burroni, attraverso la quale i  Pitagorici dovevano necessariamente passare sulla via del ritorno. E  appena i Pitagorici giunsero, verso mezzogiorno, sul luogo senza pre-  vedere nulla, i soldati li assaltarono levando grida di guerra alla  maniera dei pirati. E quelli, sconvolti dalla paura sia per la sorpresa  che per il numero degli assalitori (erano in tutto una decina), anche  perché, dovendo combattere privi di armi contro gente variamente  armata, sarebbero stati <certamente> catturati, decisero di salvarsi  dandosi di corsa alla fuga, ritenendo che questo atteggiamento non  fosse per nulla estraneo alla virtù, perché sapevano che il coraggio è  scienza di ciò che si deve o fuggire o subire, secondo quanto suggeri-  rebbe la retta ragione.   (191) Ed erano già riusciti a fuggire (perché i soldati di Eurimene,    226 GIAMBLICO    διωγμοῦ), εἰ μή περ φεύγοντες ἐνέτυχον πεδίῳ τινὶ κυάμοις ἐσπαρ-  μένῳ καὶ τεθηλότι ἱκανῶς. καὶ μὴ βουλόμενοι δόγμα παραβαίνειν  τὸ κελεῦον κυάμων μὴ θιγγάνειν ἔστησαν καὶ ὑπ᾽ ἀνάγκης λίθοις  καὶ ξύλοις καὶ τοῖς προστυχοῦσιν ἕκαστος μέχρι τοσούτου ἠμύνον-  το τοὺς διώκοντας, μέχρι τινὰς μὲν αὐτῶν ἀνῃρηκέναι, πολλοὺς δὲ  τετραυματικέναι. πάντας μὴν ὑπὸ τῶν δορυφόρων ἀναιρεθῆναι καὶ  μηδένα [106] τὸ παράπαν ζωγρηθῆναι, ἀλλὰ πρὸ τούτων θάνατον  ἀσμενί(192)σαι κατὰ τὰς τῆς αἱρέσεως ἐντολάς. ἐν συγχύσει δὴ  πολλῇ τόν τε Εὐρυμένην καὶ τοὺς σὺν αὐτῷ καὶ οὐ τῇ τυχούσῃ γενέ-  σθαι, εἰ μηδὲ ἕνα ζῶντα ἀγάγοιεν τῷ πέμψαντι Διονυσίῳ, εἰς αὐτὸ  μόνον τοῦτο προτρεψαμένῳ αὐτούς. γῆν οὖν ἐπαμήσαντες τοῖς  πεσοῦσι καὶ ἡρῷον πολυάνδριον ἐπιχώσαντες αὐτόθι ὑπέστρεφον.  εἶτα αὐτοῖς ἀπήντησε Μυλλίας Κροτωνιάτης καὶ Τιμύχα  Λακεδαιμονία, γυνὴ αὐτοῦ, ἀπολελειμμένοι τοῦ πλήθους, ὅτι  ἔγκυος οὖσα ἡ Τιμύχα τὸν δέκατον ἤδη μῆνα εἶχε καὶ σχολαίως διὰ  τοῦτο ἐβάδιζε. τούτους δὴ ζωγρήσαντες ἄσμενοι πρὸς τὸν τύραννον  ἤγαγον, μετὰ πάσης κομιδῆς καὶ ἐπιμελείας διασώσαντες. (193) ὃ  δὲ περὶ τῶν γεγονότων διαπυθόμενος καὶ σφόδρα ἀθυμήσας ἐνέφαι-  vev. «ἀλλ᾽ ὑμεῖς γε» εἶπεν «ὑπὲρ πάντων τῆς ἀξίας τεύξεσθε παρ᾽  ἐμοῦ τιμῆς, εἴ μοι συμβασιλεῦσαι θελήσετε». τοῦ δὲ Μυλλίου καὶ  τῆς Τιμύχας πρὸς πάντα ἃ ἐπηγγέλλετο ἀνανευόντων, «ἀλλὰ ἕν γέ  μεν ἔφη «διδάξαντες μετὰ τῆς ἐπιβαλλούσης προπομπῆς  διασῴζεσθε». πυθομένου δὲ τοῦ Μυλλίου καὶ τί ποτ᾽ ἐστίν, ὃ  μαθεῖν προθυμεῖται, «ἐκεῖνο» εἶπεν ὁ Διονύσιος; «τίς ἡ αἰτία, δι᾽  ἣν οἱ ἑταῖροί σου ἀποθανεῖν μᾶλλον εἵλαντο ἢ κυάμους πατῆσαι;»  καὶ ὁ Μυλλίας εὐθὺς «ἀλλ᾽ ἐκεῖνοι μὲν» εἶπεν «ὑπέμειναν, ἵνα μὴ  κυάμους πατήσωσιν, ἀποθανεῖν, ἐγὼ δὲ αἱροῦμαι, ἵνα τούτου σοι  τὴν αἰτίαν μὴ ἐξείπω, κυάμους (194) μᾶλλον πατῆσαι». καταπλαγέ-  ντος δὲ τοῦ Διονυσίου καὶ μεταστῆσαι κελεύσαντος αὐτὸν σὺν βίᾳ,  βασάνους δὲ ἐπι[]1θ07]φέρειν τῇ Τιμύχᾳ προστάττοντος (ἐνόμιζε γὰρ  ἅτε γυναῖκά τε οὖσαν καὶ ἔπογκον ἐρήμην τε τοῦ ἀνδρὸς ῥᾳδίως  τοῦτο ἐκλαλήσειν φόβῳ τῶν βασάνων), ἣ γενναία συμβρύξασα ἐπὶ  τῆς γλώσσης τοὺς ὀδόντας καὶ ἀποκόψασα αὐτὴν προσέπτυσε τῷ  τυράννῳ, ἐμφαίνουσα ὅτι, εἰ καὶ ὑπὸ τῶν βασάνων τὸ θῆλυ αὐτῆς    VITA DI PITAGORA 227    appesantiti dalle armi, smettevano di inseguirli), se fuggendo non fos-  sero incappati in un campo seminato a fave e già in avanzata fioritu-  ra. E non volendo trasgredire il principio dottrinale secondo cui si  deve evitare di toccare le fave, si fermarono e ciascuno di loro fu  costretto a respingere gli inseguitori con pietre e bastoni e con tutto  ciò che gli capitava tra le mani, finché alcuni rimasero uccisi e molti  feriti. Ma tutti i Pitagorici, a loro volta, furono uccisi dai lancieri e  neppure uno fu catturato vivo, anzi davanti a tutto questo essi prefe-  rirono la morte secondo i comandamenti della scuola.   (192) Ora, Eurimene e i suoi compagni erano in grande confusio-  ne e a ragione, se non potevano condurre alcun Pitagorico vivo pres-  so Dionigi che li aveva inviati esortandoli a compiere solo questo.  Dopo avere, dunque, ammassata della terra sui corpi dei caduti e  costruita sul posto una sepoltura comune, se ne tornarono indietro.  In seguito incontrarono Millia di Crotone e Timica di Sparta, sua  moglie, che avevano perso i contatti col gruppo dei Pitagorici, perché  Timica, che era incinta e ormai al decimo mese di gravidanza,!2? per  questa ragione camminava lentamente. E contenti di catturare vivi  <almeno> questi, li condussero dal tiranno, dopo averli catturati con  ogni cura e attenzione.   (193) Ma quello [sc. Dionigi], informato su ciò che era accaduto,  sembrava assai scoraggiato. “Ma voi — disse [sc. rivolto a Millia e  Timica] -- più di tutti gli altri otterrete da me gli onori che meritate,  se vorrete regnare assieme a me”. Ma poiché Millia e Timica rifiuta-  vano tutte queste promesse, “ma insegnatemi — disse — almeno una  cosa, e sarete posti in salvo con una scorta conveniente”. E poiché  Millia gli chiedeva che cosa volesse sapere, “questo — disse Dionigi —:  qual è il motivo per cui i tuoi compagni hanno preferito morire piut-  tosto che calpestare le fave?”. E Millia subito rispose: “ma mentre  quelli -- disse - hanno sopportato di morire pur di non calpestare le  fave, io invece preferisco piuttosto calpestare le fave pur di non rive-  lartene la ragione”.   (194) Dionigi rimase colpito <dalla risposta di Millia> e invitò <i  suoi> a bandirlo con la forza, e comandò di sottoporre a tortura  Timica (credeva infatti che, essendo donna e incinta e senza il marito,  avrebbe parlato facilmente per paura della tortura), <ma> la donna  con la sua forza d’animo serrò la lingua tra i denti fino a tagliarla e la    228 GIAMBLICO    νικηθὲν συναναγκασθείη τῶν ἐχεμυθουμένων τι ἀνακαλύψαι, τὸ  μὴν ὑπηρετῆσον ἐκποδὼν ὑπ᾽ αὐτῆς περικέκοπται. οὕτως δυσσυγκα-  τάθετοι πρὸς τὰς ἐξωτερικὰς φιλίας ἦσαν, εἰ καὶ βασιλικαὶ τυγχά-  νοῖεν. (195) παραπλήσια δὲ τούτοις καὶ τὰ περὶ τῆς σιωπῆς ἣν  παραγγέλματα, φέροντα εἰς σωφροσύνης ἄσκησιν᾽ πάντων γὰρ  χαλεπώτατόν ἐστιν ἐγκρατευμάτων τὸ γλώσσης κρατεῖν. τῆς αὐτῆς  δὲ ἀρετῆς ἐστι καὶ τὸ πεῖσαι Κροτωνιάτας ἀπέχεσθαι τῆς ἀθύτου  καὶ νόθης πρὸς τὰς παλλακίδας συνουσίας, καὶ ἔτι ἡ διὰ τῆς μου-  σικῆς ἐπανόρθωσις, δι᾽ ἧς καὶ τὸ οἰστρημένον μειράκιον ὑπὸ τοῦ  ἔρωτος εἰς σωφροσύνην μετέστησε. καὶ ἡ τῆς ὕβρεως δὲ ἀπάγουσα  παραίνεσις εἰς τὴν αὐτὴν ἀρετὴν ἀνήκει.   (196) καὶ ταῦτα δὲ παρέδωκε τοῖς Πυθαγορείοις Πυθαγόρας, ὧν  αἴτιος αὐτὸς ἦν. προσεῖχον γὰρ οὗτοι, τὰ σώματα ὡς ἂν ἐπὶ τῶν  αὐτῶν «ἀεὶ» διακέηται, καὶ μὴ ποτὲ μὲν ῥικνά, ὁτὲ δὲ πολύσαρκα᾽  ἀνωμάλου γὰρ βίου ᾧοντο εἶναι δεῖγμα. ἀλλὰ ὡσαύτως καὶ κατὰ τὴν  διάνοιαν οὐχ ὁτὲ μὲν ἱλαροί, ὁτὲ δὲ κατηφεῖς, ἀλλὰ ἐφ᾽ ὁμαλοῦ  πράως χαίροντες. διεκρούοντο δὲ ὀργάς, ἀθυμίας, ταραχάς, καὶ ἦν  αὐτοῖς παράγγελμα, ὡς οὐδὲν δεῖ τῶν ἀνθρωπίνων συμπτωμάτων  ἀπροσδόκητον εἶναι παρὰ τοῖς νοῦν ἔχουσιν, ἀλλὰ πάντα [108] προ-  σδοκᾶν, ὧν μὴ τυγχάνουσιν αὐτοὶ κύριοι ὄντες. εἰ δέ ποτε αὐτοῖς  συμβαίη ἢ ὀργὴ ἢ λύπη ἢ ἄλλο τι τοιοῦτον, ἐκποδὼν ἀπηλλάττοντο,  καὶ καθ᾽ ἑαυτὸν ἕκαστος γενόμενος (197) ἐπειρᾶτο καταπέττειν τε  καὶ ἰατρεύειν τὸ πάθος. λέγεται δὲ καὶ τάδε περὶ τῶν Πυθαγορείων,  ὡς οὔτε οἰκέτην ἐκόλασεν οὐθεὶς αὐτῶν ὑπὸ ὀργῆς ἐχόμενος οὔτε  τῶν ἐλευθέρων ἐνουθέτησέ τινα, ἀλλὰ ἀνέμενεν ἕκαστος τὴν τῆς  διανοίας ἀποκατάστασιν (ἐκάλουν δὲ τὸ νουθετεῖν πεδαρτᾶν)" ἐπο-  τοῦντο γὰρ τὴν ἀναμονὴν σιωπῇ χρώμενοι καὶ ἡσυχίᾳ. Σπίνθαρος  γοῦν διηγεῖτο πολλάκις περὶ ᾿Αρχύτου «τοῦ» Ταραντίνου, ὅτι διὰ  χρόνου τινὸς εἰς ἀγρὸν ἀφικόμενος, ἐκ στρατιᾶς νεωστὶ παραγε-  γονώς, ἣν ἐστρατεύσατο ἡ πόλις εἰς Μεσσαπίους, ὡς εἶδε τόν τε  ἐπίτροπον καὶ τοὺς ἄλλους οἰκέτας οὐκ εὖ τῶν περὶ τὴν γεωργίαν  ἐπιμελείας πεποιημένους, ἀλλὰ μεγάλῃ τινὶ κεχρημένους ὀλιγωρί-    VITA DI PITAGORA 229    sputò in faccia al tiranno, mostrando cosî che, seppure la sua natura  di donna, vinta dalla tortura, poteva essere costretta a rivelare qualco-  sa di ciò che avrebbe dovuto mantenere segreto, almeno aveva elimi-  nato da sé l’organo che poteva servire allo scopo. Era tale la indispo-  nibilità dei Pitagorici a fare amicizia con gli estranei alla scuola, anche  quando avevano a che fare con sovrani.   (195) Più o meno dello stesso genere erano anche i precetti rela-  tivi al silenzio, perché essi portavano a esercitare la temperanza; infat-  ti tra tutti gli esercizi di continenza quello più difficile è il dominio  della lingua. Appartiene alla medesima virtù il fatto che Pitagora aves-  se convinto i Crotoniati ad astenersi dall’avere rapporti sessuali, empi  e illegittimi, con le concubine, e ancora la correzione per mezzo della  musica, con la quale egli riusci a ridurre a temperanza anche il giova-  notto reso folle dal suo amore.!24 Anche il monito che allontana dalla  tracotanza si ricollega alla medesima virtù.   (196) Anche i seguenti insegnamenti, di cui egli stesso era autore,  Pitagora ha trasmesso ai Pitagorici. Questi infatti si preoccupavano  che i loro corpi si mantenessero sempre nelle stesse condizioni, e non  fossero ora magri ora grassi, perché essi credevano che questo fosse  segno di uno stile di vita sregolata. Ma allo stesso modo anche nella  mente si mantenevano non ora allegri ora tristi, bensi <sempre> gio-  iosi con regolare mitezza. Evitavano scatti d’ira, scoraggiamenti, tur-  bamenti, e avevano come precetto che nessun evento umano debba  cogliere inaspettato coloro che hanno intelligenza, i quali al contrario  devono aspettarsi tutto ciò di cui essi stessi non siamo padroni. Se poi  talvolta capitava loro o uno scatto d’ira o un’afflizione o qualcos'altro  del genere, allora essi se ne liberavano, e ciascuno, standosene in soli-  tudine, cercava di smaltire e curare la sua affezione.   (197) Si raccontano sui Pitagorici anche queste cose, cioè che nes-  suno di loro, quando era adirato, né puniva alcun servo né ammoni-  va alcun uomo libero, anzi ognuno di loro attendeva di riprendere la  propria ragionevolezza (chiamavano “correggere” l’ammonire); infat-  ti trascorrevano l’attesa usando silenzio e tranquillità. Spintaro, ad  esempio, raccontava spesso, a proposito di Archita di Taranto, che  questi, un certo tempo dopo essere rientrato nel suo podere, appena  di ritorno da una spedizione militare che la città aveva compiuto con-  tro i Messapi, venuto a sapere che l'amministratore e i servi non si    230 GIAMBLICO    ας ὑπερβολῇ, ὀργισθείς τε καὶ ἀγανακτήσας οὕτως ὡς ἂν ἐκεῖνος,  εἶπεν, ὡς ἔοικε, πρὸς τοὺς οἰκέτας, ὅτι εὐτυχοῦσιν, ὅτι αὐτοῖς ὦργι-  σται᾿ εἰ γὰρ μὴ τοῦτο συμβεβηκὸς ἦν, οὐκ ἄν ποτε αὐτοὺς ἀθῴους  γενέσθαι τηλικαῦτα ἡμαρ(]9ϑ8)τηκότας. ἔφη δὲ λέγεσθαι καὶ περὶ  Κλεινίου τοιαῦτά τινα’ καὶ γὰρ ἐκεῖνον ἀναβάλλεσθαι πάσας νου-  θετήσεις τε καὶ κολάσεις εἰς τὴν τῆς διανοίας ἀποκατάστασιν.  οἴκτων δὲ καὶ δακρύων καὶ πάντων τῶν τοιούτων εἴργεσθαι τοὺς  ἄνδρας, οὔτε δὲ κέρδος οὔτε ἐπιθυμίαν οὔτε ὀργὴν οὔτε [109] φιλο-  τιμίαν οὔτε ἄλλο οὐδὲν τῶν τοιούτων αἴτιον γίνεσθαι διαφορᾶς,  ἀλλὰ πάντας τοὺς Πυθαγορείους οὕτως ἔχειν πρὸς ἀλλήλους, ὡς ἂν  πατὴρ σπουδαῖος πρὸς τέκνα σχοίη.   καλὸν δὲ καὶ τὸ πάντα Πυθαγόρᾳ ἀνατιθέναι τε καὶ ἀπονέμειν  καὶ μηδεμίαν περιποιεῖσθαι δόξαν ἰδίαν ἀπὸ τῶν εὑρισκομένων, εἰ  μή πού τι σπάνιον’ πάνυ γὰρ δή τινές (199) εἰσιν ὀλίγοι, ὧν ἴδια  γνωρίζεται ὑπομνήματα. θαυμάζεται δὲ καὶ ἡ τῆς φυλακῆς ἀκρίβε-  ta' ἐν γὰρ τοσαύταις γενεαῖς ἐτῶν οὐθεὶς οὐδενὶ φαίνεται τῶν  Πυθαγορείων ὑπομνημάτων περιτετευχὼς πρὸ τῆς Φιλολάου  ἡλικίας, ἀλλ᾽ οὗτος πρῶτος ἐξήνεγκε τὰ θρυλλούμενα ταῦτα τρία  βιβλία, ἃ λέγεται Δίων ὁ Συρακούσιος ἑκατὸν μνῶν πρίασθαι  Πλάτωνος κελεύσαντος, εἰς πενίαν τινὰ μεγάλην τε καὶ ἰσχυρὰν  ἀφικομένου τοῦ Φιλολάου, ἐπειδὴ καὶ αὐτὸς ἦν ἀπὸ τῆς συγγενεί-  ας τῶν Πυθαγορείων καὶ διὰ τοῦτο μετέλαβε τῶν βιβλίων.   (200) περὶ δὲ δόξης τάδε φασὶ λέγειν αὐτούς. ἀνόητον μὲν εἶναι  καὶ τὸ πάσῃ καὶ παντὸς δόξῃ προσέχειν, καὶ μάλιστα τὸ τῇ παρὰ τῶν  πολλῶν γινομένῃ᾽ τὸ γὰρ καλῶς ὑπολαμβάνειν τε καὶ δοξάζειν ὀλί-  γοις ὑπάρχειν. δῆλον γὰρ ὅτι περὶ τοὺς εἰδότας τοῦτο γίνεσθαι:  οὗτοι δέ εἰσιν ὀλίγοι. ὥστε δῆλον ὅτι οὐκ ἂν διατείνοι εἰς τοὺς  πολλοὺς ἡ τοιαύτη δύναμις. ἀνόητον δ᾽ εἶναι καὶ πάσης ὑπολήψεώς  τε καὶ δόξης καταφρονεῖν: συμβήσεται γὰρ ἀμαθῆ τε καὶ ἀνεπανό-  ρθωτον εἶναι τὸν οὕτω διακείμενον. ἀναγκαῖον δ᾽ εἶναι τῷ μὲν ἀνε-  πιστήμονι μανθάνειν ἃ τυγχάνει ἀγνοῶν τε καὶ οὐκ ἐπιστάμενος, τῷ    VITA DI PITAGORA 231    erano presa buona cura delle coltivazioni, ché anzi le avevano ecces-  sivamente trascurate, preso dall’ira e dall’indignazione, per quanto  egli ne fosse capace, disse ai suoi servi, a quanto sembra, che poteva-  no ritenersi fortunati se egli si era adirato contro di loro, dal momen-  to che, se ciò non fosse accaduto, essi non sarebbero in quel caso  rimasti impuniti dopo cosi grave errore.   (198) Anche a proposito di Clinia, Spintaro raccontava che aves-  se pronunciato parole del genere: e infatti raccontava che quello  aveva rimandato ogni ammonizione e punizione a quando avesse  ripreso la propria ragionevolezza. Diceva poi che i Pitagorici evitava-  no lamenti e pianti e ogni cosa del genere, né era causa di disaccordo  tra di loro il profitto o l’appetito o l’ira o l’amore di gloria o alcun’al-  tra passione del genere, anzi tutti i Pitagorici si comportavano nei loro  reciproci rapporti come si comporterebbe un padre premuroso verso  i figli.   È una bella cosa anche il fatto di riferire e attribuire a Pitagora  ogni loro gesto e di non trarre, se non raramente, motivo di vanto  dalle loro scoperte; e infatti sono pochissimi i Pitagorici dei quali si  riconosce la paternità di Memorie.125   (199) Suscita ammirazione anche la cura con cui tenevano segre-  te le loro dottrine, dal momento che nel corso di tante generazioni,  sembra che nessuno, prima dell’età di Filolao, si sia imbattuto in  Memorie di nessun Pitagorico, ché anzi Filolao è stato il primo a pub-  blicare quei tre famosi libri, che Dione di Siracusa — come si raccon-  ta — acquistò per cento mine su suggerimento di Platone, nel momen-  to in cui Filolao si era ridotto in grande ed estrema povertà, poiché  anch'egli proveniva dalla comunità dei Pitagorici e perciò poteva  accedere ai loro libri.   (200) A proposito dell’opinione, si racconta che essi dicevano  queste cose. E da uomini non intelligenti seguire ogni opinione e di  chiunque, e soprattutto l’opinione espressa dai più, perché appartie-  ne a pochi la capacità di intendere e opinare nel modo giusto. È chia-  ro infatti che tale capacità è di coloro che sanno, ma questi sono  pochi. È chiaro, di conseguenza, che tale capacità non si può estende-  re ai più. È da uomini non intelligenti, d’altra parte, anche disprezza-  re qualunque supposizione e opinione, perché chi assumesse questa  disposizione resterebbe irreparabilmente ignorante. È necessario,    232 GIAMBLICO    δὲ μανθάνοντι προσέχειν τῇ τοῦ ἐπισταμένου τε καὶ διδάξαι δυνα-  μένου ὑπολήψει τε [110] (201) καὶ δόξῃ, καθόλου δ᾽ εἰπεῖν ἀναγ-  καῖον εἶναι τοὺς σωθησομένους τῶν νέων προσέχειν ταῖς τῶν πρε-  σβυτέρων τε καὶ καλῶς βεβιωκότων ὑπολήψεσί τε καὶ δόξαις. ἐν δὲ  τῷ ἀνθρωπίνῳ βίῳ τῷ σύμπαντι εἶναί τινας ἡλικίας ἐνδεδασμένας  (οὕτω γὰρ καὶ λέγειν αὐτούς φασιν), ἃς οὐκ εἶναι τοῦ τυχόντος πρὸς  ἀλλήλας συνεῖραι᾽ ἐκκρούεσθαι γὰρ αὐτὰς ὑπ’ ἀλλήλων, ἐάν τις μὴ  καλῶς τε καὶ ὀρθῶς ἄγῃ τὸν ἄνθρωπον ἐκ γενετῆς. δεῖν οὖν τῆς τοῦ  παιδὸς ἀγωγῆς καλῆς τε καὶ σώφρονος γινομένης καὶ ἀνδρικῆς πολὺ  εἶναι μέρος τὸ παραδιδόμενον εἰς τὴν τοῦ νεανίσκου ἡλικίαν,  ὡσαύτως δὲ καὶ τῆς τοῦ νεανίσκου ἐπιμελείας τε καὶ ἀγωγῆς καλῆς  τε καὶ ἀνδρικῆς καὶ σώφρονος γινομένης πολὺ εἶναι μέρος «τὸ»  παραδιδόμενον εἰς τὴν τοῦ ἀνδρὸς ἡλικίαν, ἐπείπερ εἴς γε τοὺς  πολλοὺς ἄτοπόν τε καὶ γε(202)λοῖον εἶναι τὸ συμβαῖνον. παῖδας  μὲν γὰρ ὄντας οἴεσθαι δεῖν εὐτακτεῖν τε καὶ σωφρονεῖν καὶ ἀπέχε-  σθαι πάντων τῶν φορτικῶν τε καὶ ἀσχημόνων εἶναι δοκούντων, νεα-  νίσκους δὲ γενομένους ἀφεῖσθαι παρά γε δὴ τοῖς πολλοῖς ποιεῖν ὅ  τι ἂν βούλωνται. συρρεῖν δὲ σχεδὸν εἰς ταύτην τὴν ἡλικίαν ἀμφότε-  pa τὰ γένη τῶν ἁμαρτημάτων᾽ καὶ γὰρ παιδαριώδη πολλὰ καὶ  ἀνδρώδη τοὺς νεανίσκους ἁμαρτάνειν. τὸ μὲν γὰρ φεύγειν ἅπαν τὸ  τῆς σπουδῆς τε καὶ τάξεως γένος, ὡς ἁπλῶς εἰπεῖν, διώκειν δὲ τὸ τῆς  παιγνίας τε καὶ ἀκολασίας καὶ ὕβρεως τῆς παιδικῆς εἶδος, τῆς τοῦ  παιδὸς ἡλικίας οἰκειότατον εἶναι᾽ ἐκ ταύτης οὖν εἰς τὴν ἐχομένην  ἡλικίαν ἀφικνεῖσθαι τὴν τοιαύτην διάθεσιν. τὸ δὲ τῶν ἐπιθυμιῶν  τῶν ἰσχυρῶν, ὡσαύτως δὲ καὶ τὸ τῶν φιλοτιμιῶν γένος, ὁμοίως δὲ  καὶ τὰς λοιπὰς ὁρμάς τε καὶ διαθέσεις, ὅσαι τυγχάνουσιν οὖσαι  τοῦ χαλεποῦ τε καὶ [111] θορυβώδους γένους, ἐκ τῆς τοῦ ἀνδρὸς  ἡλικίας εἰς τὴν τῶν νεανίσκων ἀφικνεῖσθαι. διόπερ πασῶν δεῖσθαι  τῶν (203) ἡλικιῶν ταύτην πλείστης ἐπιμελείας. καθόλου δ᾽ εἰπεῖν  οὐδέποτε τὸν ἄνθρωπον ἑατέον εἶναι ποιεῖν ὅ τι ἂν βούληται, ἀλλ᾽  ἀεί τινα ἐπιστατείαν ὑπάρχειν δεῖν καὶ ἀρχὴν νόμιμόν τε καὶ εὐ-  σχήμονα, ἧς ὑπήκοος ἔσται ἕκαστος τῶν πολιτῶν᾽ ταχέως γὰρ ἐξί-    VITA DI PITAGORA 233    poi, che colui che non sa apprenda le cose che ignora e non conosce,  e colui che apprende, a sua volta, segua la supposizione e l’opinione  di colui che sa ed è capace di insegnare <ciò che sa>.   (201) In generale i Pitagorici dicevano che i giovani che tengono  alla loro salvezza devono necessariamente seguire le supposizioni e le  opinioni dei più anziani e di coloro che hanno vissuto rettamente.  Nella vita umana, considerata nel suo complesso, ci sono alcune età  “distribuite al loro interno” (era questo il termine che — come si rac-  conta — essi usavano), le cui parti non è possibile a chiunque collega-  re l’una con l’altra, perché si respingono a vicenda, qualora non si  sappia educare, in maniera giusta e corretta, l’uomo fin dalla sua  nascita. Occorre dunque che molta parte dell'educazione del fanciul-  lo, intesa a renderlo giusto e temperante e coraggioso, venga trasmes-  sa all'adolescenza, e allo stesso modo molta parte della cura e del-  l'educazione dell’adolescente, intesa a renderlo giusto e coraggioso e  temperante, sia trasmessa all'uomo adulto, dal momento che è assur-  do e ridicolo ciò che accade alla maggior parte degli uomini.   (202) Infatti si ritiene <comunemente> che quando si è fanciulli  bisogna essere ordinati e temperanti e astenersi da tutto ciò che si  ritiene volgare e indecoroso, mentre quando si diventa adolescenti si  è lasciati liberi, almeno per la maggior parte di loro, di fare ciò che si  vuole. In questa età [sc. nell'adolescenza] confluiscono quasi tutti gli  errori di entrambe le altre età [sc. della fanciullezza e dell’età adulta],  perché gli adolescenti commettono sia gli errori dei fanciulli sia quel-  li degli adulti. Infatti il rifuggire da ogni sorta di serietà e di ordine,  per dirla in breve, e il tenere dietro a ogni specie di giuoco e di intem-  peranza e di tracotanza propria dei fanciulli, è certamente la cosa più  appropriata alla fanciullezza: una tale disposizione, dunque, si trasfe-  risce dalla fanciullezza all’età seguente. D'altra parte il genere degli  appetiti violenti, cosi come quello dell'amore per gli onori e allo stes-  so modo il resto degli impulsi e delle disposizioni, che sono comune-  mente di un genere aspro e turbolento, si trasferiscono dall’età adul-  ta a quella adolescenziale. È questa la ragione per cui l’adolescenza,  fra tutte le età, ha bisogno della massima cura.   (203) In generale, i Pitagorici dicevano che non è possibile mai  lasciare fare all'uomo quello che vuole, anzi sempre ci dev'essere una  qualche sovrintendenza e un'autorità che indichi ciò che è legale e    234 GIAMBLICO    στασθαι τὸ ζῷον ἐαθέν τε καὶ ὀλιγωρηθὲν εἰς κακίαν te καὶ φαυλό-  mnta. ἐρωτᾶν τε καὶ διαπορεῖν πολλάκις αὐτοὺς ἔφασαν, τίνος  ἕνεκα τοὺς παῖδας συνεθίζομεν προσφέρεσθαι τὴν τροφὴν τεταγ-  μένως τε καὶ συμμέτρως, καὶ τὴν μὲν τάξιν καὶ τὴν συμμετρίαν ἀπο-  φαίνομεν αὐτοῖς καλά, τὰ δὲ τούτων ἐναντία, τήν τε ἀταξίαν καὶ τὴν  ἀσυμμετρίαν, αἰσχρά, ὃ καὶ ἔστιν ὅ τε οἰνόφλυξ καὶ ἄπληστος ἐν  μεγάλῳ ὀνείδει κείμενος. εἰ γὰρ μηδὲν τούτων ἐστὶ χρήσιμον εἰς  τὴν τοῦ ἀνδρὸς ἡλικίαν ἀφικνουμένων ἡμῶν, μάταιον εἶναι τὸ συνε-  θίζειν παῖδας ὄντας τῇ τοιαύτῃ τάξει᾽ τὸν αὐτὸν δὲ λόγον εἶναι καὶ  περὶ τῶν (204) ἄλλων ἐθῶν. οὐκ οὖν ἐπί γε τῶν λοιπῶν ζῴων τοῦτο  ὁρᾶσθαι συμβαῖνον, ὅσα ὑπ᾽ ἀνθρώπων παιδεύεται, ἀλλ᾽ εὐθὺς ἐξ  ἀρχῆς τόν τε σκύλακα καὶ τὸν πῶλον ταῦτα συνεθίζεσθαί τε καὶ  μανθάνειν, ἃ δεήσει πράττειν αὐτοὺς τελεωθέντας. καθόλου δὲ  τοὺς Πυθαγορείους ἔφασαν παρακελεύεσθαι τοῖς ἐντυγχάνουσί τε  καὶ ἀφικνουμένοις εἰς συνήθειαν εὐλαβεῖσθαι τὴν ἡδονήν, εἴπερ τι  καὶ ἄλλο τῶν εὐλαβείας δεομένων" οὐθὲν γὰρ οὕτω σφάλλειν ἡμᾶς  οὐδ᾽ ἐμβάλλειν εἰς ἁμαρτίαν ὡς τοῦτο τὸ πάθος. καθόλου δέ, ὡς  ἔοικε, διετείνοντο μηδέποτε μηδὲν πράττειν ἡδονῆς στοχαζομένους  (καὶ γὰρ ἀσχήμονα καὶ βλαβερὸν ὡς ἐπὶ τὸ πολὺ τοῦτον εἶναι τὸν  σκοπόν), ἀλλὰ μάλιστα μὲν πρὸς [112] τὸ καλόν τε καὶ εὔσχημον  βλέποντας πράττειν ὃ ἂν fi πρακτέον, δεύτερον δὲ πρὸς τὸ συμφέρον  τε καὶ ὠφέλι(δθδ)μον, δεῖσθαί τε ταῦτα κρίσεως οὐ τῆς τυχούσης.  περὶ δὲ τῆς σωματικῆς ὀνομαζομένης ἐπιθυμίας τοιαῦτα λέγειν  ἔφασαν τοὺς ἄνδρας ἐκείνους. αὐτὴν μὲν τὴν ἐπιθυμίαν ἐπιφοράν  τινα εἶναι τῆς ψυχῆς καὶ ὁρμὴν καὶ ὄρεξιν ἤτοι πληρώσεώς τινος ἢ  παρουσίας τινῶν αἰσθήσεως ἢ διαθέσεως αἰσθητικῆς. γίνεσθαι δὲ  καὶ τῶν ἐναντίων ἐπιθυμίαν, οἷον κενώσεώς͵ τε καὶ ἀπουσίας καὶ  τοῦ μὴ αἰσθάνεσθαι ἐνίων. ποικίλον δ᾽ εἶναι τὸ πάθος τοῦτο καὶ  σχεδὸν τῶν περὶ ἄνθρωπον πολνυειδέστατον. εἶναι δὲ τὰς πολλὰς τῶν  ἀνθρωπίνων ἐπιθυμιῶν ἐπικτήτους τε καὶ κατεσκευασμένας ὑπ’  αὐτῶν τῶν ἀνθρώπων, διὸ δὴ καὶ πλείστης ἐπιμελείας δεῖσθαι τὸ  πάθος τοῦτο καὶ φυλακῆς τε καὶ σωμασκίας οὐ τῆς τυχούσης. τὸ μὲν  γὰρ κενωθέντος τοῦ σώματος τῆς τροφῆς ἐπιθυμεῖν φυσικὸν εἶναι,  καὶ τὸ πάλιν ἀναπληρωθέντος κενώσεως ἐπιθυμεῖν τῆς προ-    VITA DI PITAGORA 235    decoroso, autorità alla quale ciascun cittadino dovrà essere sottopo-  sto, perché l’essere vivente, se abbandonato e negletto, cede rapida-  mente al vizio e alla malvagità. I Pitagorici — come si racconta — spes-  so ponevano e discutevano la seguente domanda: a qual fine noi abi-  tuiamo i fanciulli ad un’alimentazione ordinata e proporzionata, e  mostriamo loro come cose belle l'ordine e la proporzione, e come  cose contrarie a queste, e quindi brutte, il disordine e la sproporzio-  ne, per cui l’ubriachezza e l’ingordigia sono oggetto di grande biasi-  mo? Se infatti nulla di ciò ci potrà essere utile quando giungiamo  all’età adulta, è vano abituarci da fanciulli a un tale ordine; ma lo stes-  so discorso vale per le altre abitudini.   (204) Ebbene, non accade di osservare tutto questo a proposito  degli altri esseri viventi, che vengono allevati dagli uomini, ché al con-  trario il cagnolino e il puledro subito fin dall’inizio si abituano e  apprendono ciò che dovranno fare una volta che siano divenuti adul-  ti. In generale i Pitagorici -- si dice -- raccomandavano, a coloro che  incontravano e che giungevano nella loro comunità, di essere circo-  spetti di fronte al piacere, se mai ci sia qualcos'altro che meriti circo-  spezione, perché nulla ci fa scivolare e piombare nell’errore tanto  quanto il piacere. In generale — a quanto sembra - i Pitagorici si sfor-  zavano di non compiere mai nessun’azione mirando al piacere (e  infatti nella maggior parte dei casi un tale scopo è indecoroso e noci-  vo), ma di fare ciò che si deve fare guardando in primo luogo al bello  e al decoroso, e in secondo luogo al conveniente e all’utile, e tutto ciò  esige un giudizio preso non a caso.   (205) Per quanto concerne il cosiddetto “appetito corporeo”, i  Pitagorici dicevano — come si racconta — le cose seguenti: considera-  to in se stesso, l'appetito è una sorta di moto dell’anima e un impulso  o desiderio di una qualche soddisfazione o presenza di certe sensazio-  ni o disposizioni sensoriali. Ma c'è anche l’appetito delle cose contra-  rie a queste, ad esempio di vacuità e di assenza di percezione ovvero  del non percepire alcunché. Questa passione è variegata e quasi la più  multiforme tra le passioni dell’uomo. Ma molti appetiti umani sono  acquisiti e costruiti dagli uomini stessi, e perciò questo tipo di passio-  ne ha bisogno della massima cura e cautela e di un particolare eserci-  zio fisico. Se il corpo è vuoto, infatti, l’appetito di nutrirsi è naturale,  e se è pieno, l’appetito di una conveniente evacuazione è anche que-    236 GIAMBLICO    σηκούσης φυσικὸν καὶ τοῦτ᾽ εἶναι: τὸ δὲ ἐπιθυμεῖν περιέργου  τροφῆς ἢ περιέργου τε καὶ τρυφερᾶς ἐσθῆτός τε καὶ στρωμνῆς ἢ  περιέργου τε καὶ πολυτελοῦς καὶ ποικίλης οἰκήσεως ἐπίκτητον  εἶναι. τὸν αὐτὸν δὴ λόγον εἶναι καὶ περὶ σκευῶν τε καὶ ποτηρίων  καὶ διακόνων καὶ θρεμμάτων τῶν εἰς τροφὴν (206) ἀνηκόντων.  καθόλου δὲ τῶν περὶ ἄνθρωπον παθῶν σχεδὸν τοῦτο μάλιστα  τοιοῦτον εἶναι οἷον μηδαμοῦ ἵστασθαι, ἀλλὰ προάγειν εἰς ἄπειρον.  διόπερ εὐθὺς ἐκ νεότητος ἐπιμελητέον εἶναι τῶν ἀναφυομένων,  ὅπως ἐπιθυμήσωσι μὲν ὧν δεῖ, φυλάξωνται δὲ τῶν ματαίων τε καὶ  περιέργων ἐπιθυμιῶν, ἀτάρακτοί τε καὶ καθαροὶ τῶν τοιούτων ὀρέ-  ξεων [113] ὄντες καὶ καταφρονοῦντες αὐτῶν τε τῶν ἀξιοκατα-  φρονήτων καὶ τῶν ἐνδεδεμένων ἐν ταῖς ἐπιθυμίαις. μάλιστα δ᾽ εἶναι  κατανοῆσαι τάς τε ματαίους καὶ τὰς βλαβερὰς καὶ τὰς περιέργους  καὶ τὰς ὑβριστικὰς τῶν ἐπιθυμιῶν παρὰ τῶν ἐν ἐξουσίαις ἀναστρε-  φομένων γινομένας: οὐδὲν γὰρ οὕτως ἄτοπον εἶναι, ἐφ᾽ ὃ τὴν ψυχὴν  οὐχ ὁρμᾶν τῶν (207) τοιούτων παίδων τε καὶ ἀνδρῶν καὶ γυναικῶν.  καθόλου δὲ ποικιλώτατον εἶναι τὸ ἀνθρώπινον γένος κατὰ τὸ τῶν  ἐπιθυμιῶν πλῆθος. σημεῖον δὲ ἐναργὲς εἶναι τὴν τῶν προσφερο-  μένων ποικιλίαν: ἀπέραντον μὲν γάρ τι πλῆθος εἶναι καρπῶν, ἀπέ-  ραντον δὲ ῥιζῶν, ᾧ χρῆται τὸ ἀνθρώπινον γένος. ἔτι δὲ σαρκοφαγίᾳ  παντοδαπῇ χρῆσθαι, καὶ ἔργον εἶναι εὑρεῖν, τίνος οὐ γεύεται τῶν  TE χερσαίων καὶ τῶν πτηνῶν καὶ τῶν ἐνύδρων ζῴων. καὶ δὴ σκευα-  σίας παντοδαπὰς περὶ ταῦτα μεμηχανῆσθαι καὶ χυμῶν παντοίας μί-  ἕξεις. ὅθεν εἰκότως μανικόν τε καὶ πολύμορφον εἶναι κατὰ τὴν (208)  τῆς ψυχῆς κίνησιν τὸ ἀνθρώπινον φῦλον ἕκαστον γὰρ δὴ τῶν προ-  σφερομένων ἰδίου τινὸς διαθέσεως αἴτιον γίνεσθαι. ἀλλὰ τοὺς  ἀνθρώπους τὰ μὲν παραχρῆμα μεγάλης ἀλλοιώσεως αἴτια γενόμενα  συνορᾶν, οἷον καὶ τὸν οἶνον, ὅτι πλείων προσενεχθεὶς μέχρι μέν  τινος ἱλαρωτέρους ποιεῖ, ἔπειτα μανικωτέρους καὶ ἀσχημονεστέ-  ρους τὰ δὲ μὴ τοιαύτην ἐνδεικνύμενα δύναμιν ἀγνοεῖν. γίνεσθαι δὲ  πᾶν τὸ προσενεχθὲν αἴτιόν τινος ἰδίου διαθέσεως. διὸ δὴ καὶ  μεγάλης σοφίας τὸ κατανοῆσαί τε καὶ συνιδεῖν, ποίοις τε καὶ πό-  σοις δεῖ χρῆσθαι πρὸς τὴν τροφήν. εἶναι δὲ ταύτην τὴν ἐπιστήμην τὸ  μὲν ἐξ ἀρχῆς ᾿Απόλλωνός τε καὶ Παιῶ(Ζθθ)νος, ὕστερον δὲ τῶν περὶ  ᾿Ασκληπιόν. περὶ δὲ γεννήσεως [114] τάδε λέγειν αὐτοὺς ἔφασαν.    VITA DI PITAGORA 237    sto naturale; l'appetito di nutrimento raffinato, invece, o di vesti e  coperte raffinate e lussuose e di un’abitazione raffinata e molto costo-  sa e variopinta, è artificioso. Ebbene, lo stesso discorso vale per le  suppellettili e le coppe e la servità e gli animali che vengono allevati  per nutrirsene.   (206) In generale, tra le passioni che riguardano l’uomo l’appeti-  to è forse la passione che al più alto livello è tale da non arrestarsi mai,  anzi da procedere all'infinito. È per questo che subito fin dall’infan-  zia bisogna avere cura che i fanciulli, mentre crescono, appetiscano  <soltanto> le cose di cui hanno bisogno, e si preservino dagli appeti-  ti inutili e superflui, e siano esenti da turbamenti e scevri da tali desi-  deri e disprezzino sia le cose stesse che meritano disprezzo sia coloro  che sono irretiti tra gli appetiti. Ma soprattutto bisogna capire che gli  appetiti inutili e dannosi e superflui e violenti nascono in coloro che  si trovano al potere, perché non c’è niente che sia cosi assurdo che  non attragga l’anima di fanciulli e uomini e donne che si trovino in  tale condizione.   (207) In generale, il genere umano è molto variegato in virtà della  grande quantità dei suoi appetiti. Ne è segno evidente la varietà degli  alimenti: c'è infatti una illimitata quantità di frutti, ma anche una illi-  mitata quantità di radici, che il genere umano utilizza <per alimentar-  si>. Ancora, esso si serve si una varietà di carni animali, e sarebbe una  fatica scoprire di quale animale esso non si cibi tra quelli che vivono  sulla terra o nell'aria o nell'acqua. In verità sono state escogitate  anche una varietà di modi di preparare questi alimenti e una varietà  di mescolanze di sapori. Di qui, probabilmente, il fatto che il genere  umano sia affetto, nei moti della sua anima, da molteplici manie,   (208) perché ciascun alimento è causa, appunto, di una particola-  re disposizione d'animo. Ma gli uomini, mentre si accorgono di que-  gli alimenti che causano improvvisamente grande alterazione, ad  esempio del vino — che bevuto in quantità eccessiva rende, fino a un  certo punto, allegri e in seguito piuttosto maniaci e indecenti —, igno-  rano invece gli alimenti che non mostrano un tale potere. Ma ogni ali-  mento causa una particolare disposizione d’animo. Ed è perciò un  fatto di grande sapienza comprendere e avere coscienza di quali e di  quanti cibi ci dobbiamo servire per alimentarci. È questa la scienza  che all’inizio fu propria di Apollo Peone,!26 e in seguito di Asclepio.127    238 GIAMBLICO    καθόλου μὲν dovro δεῖν φυλάττεσθαι τὸ καλούμενον προφερές  (οὔτε γὰρ τῶν φυτῶν τὰ προφερῆ οὔτε τῶν ζῴων εὔκαρπα γίνεσθαι),  «ἀλλὰ δεῖν γενέσθαι» τινὰ χρόνον πρὸ τῆς καρποφορίας, ὅπως ἐξ  ἰσχυόντων τε καὶ τετελειωμένων τῶν σωμάτων τὰ σπέρματα καὶ οἱ  καρποὶ γίνωνται. δεῖν οὖν τούς τε παῖδας καὶ τὰς παρθένους ἐν πό-  VOLG τε καὶ γυμνασίοις καὶ καρτερίαις ταῖς προσηκούσαις τρέφειν,  τροφὴν προσφέροντας τὴν ἁρμόττουσαν φιλοπόνῳ τε καὶ σώφρονι  καὶ καρτερικῷ βίῳ. πολλὰ δὲ τῶν κατὰ τὸν ἀνθρώπινον βίον τοιαῦτα  εἶναι ἐν οἷς βέλτιόν ἐστιν ἡ ὀψιμάθεια ὧν εἶναι καὶ τὴν (210) τῶν  ἀφροδισίων χρείαν. δεῖν οὖν τὸν παῖδα οὕτως ἄγεσθαι, ὥστε μὴ  ζητεῖν ἐντὸς τῶν εἴκοσιν ἐτῶν τὴν τοιαύτην συνουσίαν. ὅταν δ᾽ εἰς  τοῦτο ἀφίκηται, σπανίοις εἶναι χρηστέον τοῖς ἀφροδισίοις. ἔσεσθαι  δὲ τοῦτο, ἐὰν τίμιόν τε καὶ καλὸν εἶναι νομίζηται ἡ εὐεξία ἀκρα-  σίαν γὰρ ἅμα καὶ εὐεξίαν οὐ πάνυ γίνεσθαι περὶ τὸν αὐτόν. ἐπαι-  νεῖσθαι δ᾽ αὐτοῖς ἔφασαν καὶ τὰ τοιάδε τῶν προὐπαρχόντων  νομίμων ἐν ταῖς Ἑλληνικαῖς πόλεσι, τὸ μήτε μητράσι συγγίνεσθαι  μήτε θυγατρὶ μήτ᾽ ἀδελφῇ μήτ᾽ ἐν ἱερῷ μήτ᾽ ἐν τῷ φανερῷ᾽ καλόν τε  γὰρ εἶναι καὶ σύμφορον τὸ ὡς πλεῖστα γίνεσθαι κωλύματα τῆς ἐνερ-  γείας ταύτης. ὑπελάμβανον δ᾽, ὡς ἔοικεν, ἐκεῖνοι οἱ ἄνδρες περιαι-  ρεῖν μὲν δεῖν τάς τε παρὰ φύσιν γεννήσεις καὶ τὰς μεθ᾽ ὕβρεως  γιγνομένας, καταλιμπάνειν δὲ τῶν κατὰ φύσιν τε καὶ μετὰ σωφρο-  σύνης γινομένων τὰς ἐπὶ τεκνοποιίᾳ σώφρονί τε [115] (211) καὶ  νομίμῳ γινομένας. ὑπελάμβανον δὲ δεῖν πολλὴν πρόνοιαν  ποιεῖσθαι τοὺς τεκνοποιουμένους τῶν ἐσομένων ἐκγόνων. πρώτην  μὲν οὖν εἶναι καὶ μεγίστην πρόνοιαν τὸ προσάγειν αὑτὸν πρὸς τὴν  τεκνοποιίαν σωφρόνως τε καὶ ὑγιεινῶς βεβιωκότα τε καὶ ζῶντα καὶ  μήτε πληρώσει χρώμενον τροφῆς ἀκαίρως μήτε προσφερόμενον  τοιαῦτα ἀφ᾽ ὧν χείρους αἱ τῶν σωμάτων ἕξεις γίνονται, μήτι δὴ  μεθύοντά γε, ἀλλ᾽ ἥκιστα πάντων ᾧοντο γὰρ ἐκ φαύλης τε καὶ  ἀσυμφώνου καὶ ταραχώδους κράσεως μοχθηρὰ (212) γίνεσθαι τὰ  σπέρματα. καθόλου δὲ παντελῶς ᾧοντο ῥᾳθύμου τινὸς εἶναι καὶ  ἀπροσκέπτου τὸν μέλλοντα ζφοποιεῖν καὶ ἄγειν τινὰ εἰς γένεσίν τε  καὶ οὐσίαν, τοῦτον μὴ μετὰ πάσης σπουδῆς προορᾶν, ὅπως ἔσται ὡς  χαριεστάτη τῶν γινομένων ἡ εἰς τὸ εἶναί τε καὶ ζῆν ἄφιξις, ἀλλὰ    VITA DI PITAGORA 239    (209) Sulla procreazione i Pitagorici — come si racconta — diceva-  no queste cose. In generale essi credevano che bisogna evitare la  cosiddetta “precocità” (perché né le piante né gli animali precoci pro-  ducono buoni frutti), ma occorre che trascorra un certo tempo prima  che essi producano dei frutti, allo scopo che i semi e i frutti nascano  da corpi robusti e giunti a maturazione. Bisogna dunque fare cresce-  re i fanciulli e le fanciulle tra sforzi ed esercizi ginnici e adeguate  prove di sopportazione, fornendo loro un’alimentazione conveniente  a una vita operosa e temperante e resistente. Sono molti gli aspetti del  vivere umano che è meglio imparare tardi: tra questi c’è anche il  <buon> uso delle relazioni amorose.   (210) Occorre dunque che il fanciullo sia educato in modo che  non cerchi relazioni di tal genere prima di avere compiuto venti anni.  Ma <anche> quando abbia raggiunto questa età, l’uso dei rapporti  sessuali deve essere raro. E questo si verificherà qualora sarà conside-  rata cosa preziosa e giusta la vigoria fisica, perché non possono coesi-  stere affatto nella medesima persona incontinenza e vigoria fisica. Si  dice anche che i Pitagorici lodavano le seguenti consuetudini preesi-  stenti nelle città greche: non avere rapporti sessuali né con la madre  né con la figlia né con la sorella né in luogo sacro né in pubblico, per-  ché è giusto e conveniente che a tale attività sia posto il maggior  numero di ostacoli. Quegli uomini ritenevano, a quanto sembra, che  bisogna impedire sia le procreazioni contro natura sia quelle ottenu-  te con tracotanza, e che tra i figli generati secondo natura e con tem-  peranza bisogna accettare quelli ottenute in maniera casta e legale.128   (211) Essi ritenevano, poi, che coloro i quali <intendono> gene-  rare dei figli devono usare molta previdenza verso i nascituri. La  prima e maggiore previdenza è, dunque, quella di predisporsi alla  procreazione avendo vissuto e vivendo in modo casto e salutare e  senza eccessiva e inopportuna alimentazione, e senza alimentarsi di  cibi da cui possano derivare le peggiori disposizioni del corpo, e  soprattutto senza ubriacarsi, perché essi credevano che da una catti-  va e disarmonica e disordinata costituzione corporea si genera uno  sperma di cattiva qualità.   (212) In generale i Pitagorici credevano che sia assolutamente  negligente e sconsiderato chi si accinga a procreare e a portare <quin-  di> qualcuno a nascere ed esistere senza prevedere con la massima    240 GIAMBLICO    τοὺς μὲν φιλόκυνας μετὰ πάσης σπουδῆς ἐπιμελεῖσθαι τῆς σκυλα-  κείας, ὅπως ἐξ ὧν δεῖ καὶ ὅτε δεῖ καὶ ὡς δεῖ διακειμένων προσηνῆ  γίνηται τὰ σκυλάκια, ὡσαύτως δὲ καὶ τοὺς (213) φιλόρνιθας (δῆλον  δ᾽ ὅτι καὶ τοὺς λοιποὺς τῶν ἐσπουδακότων περὶ τὰ γενναῖα τῶν ζῴων  πᾶσαν ποιεῖσθαι σπουδὴν περὶ τοῦ μὴ εἰκῆ γίνεσθαι τὰς γεννήσεις  αὐτῶν), τοὺς δ᾽ ἀνθρώπους μηδένα λόγον ποιεῖσθαι τῶν ἰδίων ἐκ-  γόνων, ἀλλ᾽ ἅμα γεννᾶν εἰκῆ τε καὶ ὡς ἔτυχε σχεδιάζοντας πάντα  τρόπον καὶ μετὰ ταῦτα τρέφειν τε καὶ παιδεύειν μετὰ πάσης ὀλιγ-  ὡρίας. ταύτην γὰρ εἶναι τὴν ἰσχυροτάτην τε καὶ σαφεστάτην αἰτίαν  τῆς τῶν πολλῶν ἀνθρώπων κακίας τε καὶ φαυλότητος" βοσκηματώδη  γὰρ καὶ εἰκαίαν τινὰ [116] γίνεσθαι τὴν τεκνοποιίαν παρὰ τοῖς  πολλοῖς. τοιαῦτα τὰ ὑφηγήματα καὶ ἐπιτηδεύματα παρὰ τοῖς ἀνδρά-  σιν ἐκείνοις διὰ λόγων τε καὶ ἔργων ἠσκεῖτο περὶ σωφροσύνης,  ἄνωθεν παρειληφόσιν αὐτοῖς τὰ παραγγέλματα ὥσπερ τινὰ πυθό-  χρήῆστα λόγια παρ᾽ αὐτοῦ Πυθαγόρου.   32 (214) Περὶ δὲ ἀνδρείας πολλὰ μὲν ἤδη καὶ τῶν εἰρημένων oi-  κείως καὶ πρὸς αὐτὴν ἔχει, οἷον τὰ περὶ Τιμύχαν θαυμαστὰ ἔργα  καὶ τὰ τῶν ἑλομένων ἀποθανεῖν πρὸ τοῦ τι παραβῆναι τῶν  ὁρισθέντων ὑπὸ Πυθαγόρου περὶ κυάμων καὶ ἄλλ᾽ ἄττα τῶν  τοιούτων ἐπιτηδευμάτων ἐχόμενα, ὅσα τε Πυθαγόρας αὐτὸς ἐπετέ-  λεσε γενναίως, ἀποδημῶν πανταχοῦ μόνος καὶ πρὸς πόνους καὶ κιν-  δύνους ἀμηχάνους ὅσους παραβαλλόμενος, ἑλόμενος δὲ καὶ τὴν  πατρίδα ἀπολιπεῖν καὶ ἐπὶ τῆς ἀλλοδαπῆς διατρίβων, τυραννίδας δὲ  καταλύων καὶ πολιτείας συγκεχυμένας διατάττων, ἐλευθερίαν τε  ἀπὸ δουλείας ταῖς πόλεσι παραδιδοὺς καὶ τὴν παρανομίαν παύων,  ὕβριν τε καταλύων καὶ τοὺς ὑβριστὰς καὶ τυραννικοὺς κολούων,  καὶ τοῖς μὲν δικαίοις καὶ ἡμέροις πρᾶον ἑαυτὸν παρέχων καθηγε-  μόνα, τοὺς δὲ ἀγρίους ἄνδρας καὶ ὑβριστὰς ἀπελαύνων τῆς συνου-  σίας καὶ μὴ θεμιστεύειν τούτοις ἀπαγορεύων, καὶ τοῖς μὲν συναγω-  νιζόμεγος προ(215)θύμως, τοῖς δὲ παντὶ σθένει ἐνιστάμενος. πολλὰ  μὲν οὖν τούτων ἔχοι τις ἂν λέγειν τεκμήρια καὶ πολλάκις αὐτῷ  κατορθωθέντα, μέγιστα δὲ πάντων ἐστὶ τὰ πρὸς Φάλαριν αὐτῷ μετὰ  παρρησίας ἀνυποστάτου ῥηθέντα τε καὶ πραχθέντα. ὅτε γὰρ ὑπὸ  Φαλάριδος τοῦ ὠμοτάτου τῶν τυράννων κατείχετο, καὶ συνέμιξεν  αὐτῷ σοφὸς ἀνήρ, Ὑπερβόρειος τὸ γένος, Ἄβαρις τοὔνομα, αὐτοῦ    VITA DI PITAGORA 241    cura affinché la venuta all’essere e alla vita dei suoi generati sia la più  favorevole possibile, al contrario di quanto accade ai cinofili, che si  prendono ogni cura affinché la cucciolata nasca di indole buona, sce-  gliendo da quali genitori, in quale momento e con quali condizioni  debbano essere generati, cosi come fanno anche gli ornitofili   (213) (ma è chiaro che anche tutti gli altri che si occupano di alleva-  mento degli animali si prendono ogni cura affinché la loro nascita non  sia casuale), gli uomini invece non tengono in alcun conto la procrea-  zione dei propri figli, anzi li generano a caso e come capita, agendo in  ogni modo con improvvisazione, dopo di che li allevano e li educano  in tutta noncuranza. Ed è infatti questa la ragione più forte e più chia-  ra della malvagità e cattiveria della maggior parte degli uomini: i più  infatti procreano in maniera bestiale e casuale. Sono tali gli orienta-  menti e le pratiche che i Pitagorici esercitavano con le parole e con le  opere a proposito della temperanza, avendo essi ricevuti dall’alto,  cioè dallo stesso Pitagora, questi precetti come degli oracoli della  Pizia.    32 (214) A proposito del coraggio, molte delle cose che sono state  dette lo riguardano propriamente, ad esempio i meravigliosi fatti rela-  tivi a Timica e a coloro che preferirono morire anziché trasgredire le  proibizioni di Pitagora sulle fave, e le altre pratiche del genere, che  Pitagora stesso esercitò in maniera eccellente, viaggiando da solo per  ogni dove e affrontando numerose fatiche e straordinari pericoli, sce-  gliendo anche di abbandonare la patria e soggiornare in terra stranie-  ra, rovesciando tirannidi e mettendo ordine in città disordinate, e  ridando la libertà a città asservite e facendo cessare l’illegalità, e  demolendo la tracotanza e stroncando gli uomini tracotanti e tiranni-  ci, e proponendosi con la sua mitezza a guida dei giusti e dei mansue-  ti, e allontanando dalle sue lezioni gli uomini violenti e tracotanti  rifiutandosi anche di dar loro responsi, e combattendo animatamente  assieme ai primi e opponendosi con tutta la sua forza ai secondi.   (215) Ebbene, si potrebbero fornire molte prove di tali eventi straor-  dinari che Pitagora riusci spesso a compiere, ma la prova maggiore fra  tutte è ciò che egli disse e fece con irresistibile libertà di parola nei  confronti di Falaride. Infatti, quando egli era prigioniero di Falaride,  il più crudele dei tiranni, e un uomo sapiente di stirpe Iperborea, di    242 GIAMBLICO    τούτου ἕνεκα ἀφικόμενος [117] τοῦ συμβαλεῖν αὐτῷ, λόγους te  ἠρώτησε καὶ μάλα ἱερούς, περὶ ἀγαλμάτων καὶ τῆς ὁσιωτάτης θερα-  πείας καὶ τῆς τῶν θεῶν προνοίας, τῶν TE κατ᾽ οὐρανὸν ὄντων καὶ τῶν  περὶ τὴν γῆν ἐπιστρεφομένων, ἄλλα τε πολλὰ τοιαῦτα ἐπύθετο,  (216) ὁ δὲ Πυθαγόρος, οἷος ἦν, ἐνθέως σφόδρα καὶ μετ᾽ ἀληθείας  πάσης ἀπεκρίνατο καὶ πειθοῦς, ὥστε προσαγαγέσθαι τοὺς ἀκούον-  τας, τότε ὁ Φάλαρις ἀνεφλέχθη μὲν ὑπὸ ὀργῆς πρὸς τὸν ἐπαινοῦντα  Πυθαγόραν Ἅβαριν, ἠγρίαινε δὲ καὶ πρὸς αὐτὸν Πυθαγόραν, ἐτό-  λμα δὲ πρὸς τοὺς θεοὺς αὐτοὺς βλασφημίας δεινὰς προφέρειν καὶ  τοιαύτας οἵας ἂν ἐκεῖνος εἶπεν. ὁ δ᾽ “Αβαρις πρὸς ταῦτα ὡμολόγει  μὲν χάριν Πυθαγόρᾳ, μετὰ δὲ τοῦτο ἐμάνθανε παρ᾽ αὐτοῦ περὶ τοῦ  οὐρανόθεν ἠρτῆσθαι καὶ οἰκονομεῖσθαι πάντα ἀπ᾽ ἄλλων te πλε-  ιόνων καὶ ἀπὸ τῆς ἐνεργείας τῶν ἱερῶν, πολλοῦ τε ἔδει γόητα νομί-  ζειν Πυθαγόραν τὸν ταῦτα παιδεύοντα, ὃς γε αὐτὸν καὶ ἐθαύμαζεν  ὡς ἂν θεὸν ὑπερφυῶς. πρὸς ταῦτα Φάλαρις ἀνήρει μὲν μαντείας,  ἀνήρει δὲ καὶ τὰ ἐν τοῖς (217) ἱεροῖς δρώμενα περιφανῶς. ὁ δ᾽  Ἅβαρις μετῆγε τὸν λόγον ἀπὸ τούτων ἐπὶ τὰ πᾶσι φαινόμενα  ἐναργῶς, καὶ ἀπὸ τῶν ἐν ἀμηχάνοις, ἤτοι πολέμοις ἀτλήτοις ἢ νό-  σοις ἀνιάτοις ἢ καρπῶν φθοραῖς ἢ λοιμῶν φοραῖς ἢ ἄλλοις τισὶ  τοιούτοις παγχαλέποις καὶ ἀνηκέστοις παραγιγνομένων δαιμονίων  τινῶν καὶ θείων εὐεργετημάτων ἐπειρᾶτο συμπείθειν, ὡς ἔστι θεία  πρόνοια, πᾶσαν ἐλπίδα ἀνθρωπίνην καὶ δύναμιν ὑπεραίρουσα. ὁ δὲ  Φάλαρις καὶ πρὸς ταῦτα ἠναισχύντει τε καὶ ἀπεθρασύνετο. αὖθις  οὖν ὁ Πυθαγόρας, ὑποπτεύων μὲν ὅτι Φάλαρις αὐτῷ ῥάπτοι θάνα-  τον, ὅμως δὲ εἰδὼς ὡς οὐκ εἴη Φαλάριδι μόρσιμος, ἐξουσιαστικῶς  ἐπεχείρει λέγειν. ἀπιδὼν γὰρ πρὸς τὸν Ἄβαριν ἔφη, ὅτι οὐρανόθεν  [118] ἡ διάβασις εἴς τε τὰ ἀέρια καὶ τὰ ἐπίγεια φέρεσθαι  πέ(18)φυκε, καὶ ἔτι περὶ τῆς πρὸς τὸν οὐρανὸν ἀκολουθίας πάντων  διεξῆλθε γνωριμώτατα τοῖς πᾶσι, περί τε τῆς ἐν τῇ ψυχῇ αὐτεξουσί-  ov δυνάμεως ἀναμφισβητήτως ἀπέδειξε, καὶ προϊὼν περὶ τῆς τοῦ λό-  γου καὶ τοῦ νοῦ τελείας ἐνεργείας ἐπεξῆλθεν ἱκανῶς, κάθ᾽ οὕτω  μετὰ παρρησίας περὶ τυραννίδος τε καὶ τῶν κατὰ τύχην πλεονεκ-  τημάτων πάντων, ἀδικίας τε καὶ τῆς ἀνθρωπίνης πλεονεξίας ὅλης,  στερεῶς ἀνεδίδαξεν, ὅτι οὐδενός ἐστι ταῦτα ἄξια. μετὰ δὲ ταῦτα    VITA DI PITAGORA 243    nome Abari, volle incontrarlo, perché venuto apposta per intrattener-  si con lui, e gli rivolse dei discorsi a mo’ di questioni, soprattutto di  ordine religioso, intorno alle statue sacre e al culto più santo e alla  provvidenza degli dèi, sia di quelli che stanno in cielo sia di quelli che  sono rivolti verso la terra, e molte altre questioni ancora,   (216) e Pitagora, dal canto suo, in atteggiamento del tutto ispirato,  com’era per sua natura, diede delle risposte assolutamente vere e con-  vincenti, tanto da conquistare gli uditori, a quel punto Falaride si  accese d’ira contro Abari che lodava Pitagora, e si irritò contro lo stes-  so Pitagora, e osò proferire contro gli dèi delle terribili bestemmie,  quali poteva proferire solo un uomo come lui. Abari, dal canto suo,  per tutta risposta ringraziò Pitagora, e in seguito imparò da lui, e da  molte altre fonti e <soprattutto> dall’attività sacrificale, che ogni cosa  dipende ed è governata dal cielo, e ben lungi dal ritenere un mago  Pitagora che gli insegnava quelle cose, ne ebbe straordinaria ammira-  zione come fosse un dio. Dinanzi a tutto questo Falaride si mise a  negare esplicitamente le divinazioni e tutto ciò che si compie nei riti.  (217) Abari, allora, spostò il discorso da questi argomenti a ciò che  appare evidente a tutti, e muovendo dalle azioni benefiche con le  quali alcuni demoni e divinità ci assistono nelle gravi difficoltà, siano  queste guerre insopportabili o mali incurabili o distruzioni di raccol-  ti o diffusioni di pestilenze o simili calamità difficilissime a superarsi  e irrimediabili, tentava di convincere Falaride che esiste una divina  provvidenza che va al di là di ogni speranza e potenza degli uomini.  Ma Falaride anche a questo reagiva in modo spudorato e spavaldo. A  questo punto Pitagora, sospettando che Falaride stesse tramando per  ucciderlo, ma sapendo al contempo che non era destinato a morire ad  opera di Falaride, cominciò a parlare in maniera autoritaria.  Volgendo, infatti, lo sguardo verso Abari, disse che esiste per natura  un passaggio che porta dal cielo alle regioni aeree e terrestri,   (218) e ancora espose nel modo più accessibile a tutti l’idea che ogni  cosa segue il suo rapporto col cielo, e dimostrò in modo inconfutabi-  le che nell’anima esiste la facoltà del libero arbitrio, e procedendo  giunse a discutere adeguatamente di quale sia la perfetta attività della  ragione e dell’intelletto, e passò cosi a dare, con libertà di parola, soli-  di insegnamenti sulla tirannide e su tutti i privilegi della fortuna e sul-  l'ingiustizia e tutta l'arroganza degli uomini, mostrando che tutte que-    244 GIAMBLICO    θείαν παραίνεσιν ἐποιήσατο περὶ τοῦ ἀρίστου βίου καὶ πρὸς τὸν  κάκιστον ἀντιπαραβολὴν αὐτοῦ προθύμως ἀντιπαρέτεινε, περὶ  ψυχῆς τε καὶ τῶν δυνάμεων αὐτῆς καὶ τῶν παθῶν, ὅπως ἔχει ταῦτα,  σαφέστατα ἀπεκάλυψε, καὶ τὸ κάλλιστον πάντων, ἐπέδειξεν ὅτι οἱ  θεοὶ τῶν κακῶν εἰσιν ἀναίτιοι, καὶ ὅτι νόσοι καὶ ὅσα πάθη σώμα-  τος ἀκολασίας ἐστὶ σπέρματα. περί τε τῶν κακῶς λεγομένων ἐν τοῖς  μύθοις διήλεγξε τοὺς λογοποιούς τε καὶ ποιητάς. τόν τε Φάλαριν  μετ᾽ ἐλέγχων ἐνουθέτει, καὶ τὴν τοῦ τυράννου δύναμιν, ὁποία τίς  ἐστι καὶ ὅση, δι᾽ ἔργων ἐπεδείκνυε, περί τε τῆς κατὰ νόμον κολά-  σεως, ὡς εἰκότως γίνεται, τεκμήρια πολλὰ παρέθετο, περί τε τῆς  διαφορᾶς ἀνθρώπων πρὸς τὰ ἄλλα ζῷα παρέδειξε περιφανῶς, περί τε  τοῦ ἐνδιαθέτου λόγου καὶ τοῦ ἔξω προϊόντος ἐπιστημονικῶς  διεξῆλθε, περί τε νοῦ καὶ τῆς ἀπ᾿ αὐτοῦ κατιούσης γνώσεως ἀπέδει-  ξε τελείως, ἠθικά τε ἄλλα πολλὰ (219) ἐχόμενα τούτων δόγματα  περὶ τῶν ἐν τῷ βίῳ χρηστῶν ὠφελιμώτατα ἐπαίδευσε, παραινέσεις  τε. συμφώνους τούτοις συνήρμοσεν ἐπιεικέστατα, ἀπαγορεύσεις τε  ὧν οὐ χρὴ ποιεῖν παρέθετο καὶ τὸ μέγιστον, τῶν «κατὰ πεπρωμένην  καὶ» καθ᾽ εἱμαρμένην καὶ κατὰ νοῦν δρωμένων τὴν διά[1|9]κρισιν  ἐποιήσατο [καὶ τῶν κατὰ πεπρωμένην καὶ καθ᾽ εἱμαρμένην], περὶ  δαιμόνων τε πολλὰ καὶ σοφὰ διελέχθη καὶ περὶ ψυχῆς ἀθανασίας.  ταῦτα μὲν οὖν ἄλλος ἂν εἴη τρόπος λόγων᾽ ἐκεῖνα δὲ καὶ μάλα τοῖς  περὶ ἀνδρείας (220) ἐπιτηδεύμασι προσήκει. εἰ γὰρ ἐν αὐτοῖς μέ-  σοις ἐμβεβηκὼς τοῖς δεινοῖς σταθερᾷ τῇ γνώμῃ φιλοσοφῶν ἐφαίνε-  το, παντάπασι παρατεταγμένως καὶ καρτερούντως ἠμύνετο τὴν  τύχην, καὶ εἰ πρὸς αὐτὸν τὸν ἐπάγοντα τοὺς κινδύνους ἐξουσίᾳ καὶ  παρρησίᾳ χρώμενος ἔνδηλος ἦν, πάντως που καταφρονητικῶς εἶχε  τῶν νομιζομένων εἶναι δεινῶν ὡς οὐδενὸς ἀξίων ὄντων. καὶ εἰ τοῦ  θανάτου προσδοκωμένου, ὅσα γε δὴ τὰ ἀνθρώπινα, ὠλιγώρει τούτου  παντάπασι καὶ οὐκ ἦν προσιέχων» τῇ παρούσῃ τότε προσδοκίᾳ,  δῆλον δήπουθεν ὡς εἰλικρινῶς ἀδεὴς ἦν πρὸς θάνατον. καὶ τούτων  δὲ ἔτι γενναιότερον διεπράξατο, τὴν κατάλυσιν τῆς τυραννίδος  ἀπεργασάμενος καὶ κατασχὼν μὲν τὸν τύραννον μέλλοντα ἀνηκέ-  στους συμφορὰς ἐπάγειν τοῖς ἀνθρώποις, ἐλευθερώσας δὲ τῆς duo-  τάτης τυραννίδος Σι(221)κελίαν. ὅτι δὲ αὐτὸς ἦν ὁ ταῦτα κατορ-    VITA DI PITAGORA 245    ste cose non hanno alcun valore. Dopo di che fece un divino monito  intorno al migliore genere di vita e lo contrappose animatamente al  peggiore genere di vita, quello di Falaride, e rivelò nella maniera più  evidente come stanno le cose a proposito dell'anima e delle sue facol-  tà e delle sue passioni, e — discorso più bello fra tutti -- dimostrò che  gli dèi non sono responsabili dei mali!2° e che malattie e affezioni del  corpo sono frutto!30 di intemperanza; e criticò anche gli scrittori e i  poeti per i loro cattivi racconti mitologici. E con queste confutazioni  egli intendeva ammonire Falaride, e gli indicava con i fatti quale e  quanto grande fosse il potere del tiranno, e forniva molte prove di  come probabilmente avveniva la sua punizione secondo la legge, e gli  mostrò chiaramente la differenza tra gli uomini e gli altri animali, e  giunse a trattare scientificamente del discorso interiore e di quello che  procede verso l’esterno,!3! e gli spiegò alla perfezione <la natura> del-  l'intelletto e la conoscenza che da esso discende,   (219) e gli insegnò molte altre dottrine morali che, in rapporto all’in-  telletto e alla conoscenza, sono di grande utilità per i beni della vita,  e vi collegò nel modo più conveniente gli ammonimenti che si accor-  dano con quelle dottrine, e vi aggiunse le proibizioni che indicano ciò  che non si deve fare; e -- cosa più grande di tutte — fece una distinzio-  ne tra ciò che si compie per destino o per intelligenza, e discusse di  molte sapienti dottrine a proposito dei demoni e dell'immortalità del-  l’anima. Ma questo sarebbe oggetto di un altro discorso: e qui convie-  ne trattare soprattutto di ciò che concerne le sue pratiche relative al  coraggio.   (220) Se infatti, pur trovandosi in mezzo a terribili situazioni, egli  appariva capace di filosofare con mente solida, se respingeva la fortu-  na in maniera assolutamente ferma e perseverante, e se contro la stes-  sa persona che gli procurava i pericoli usava apertamente autorità e  franchezza di linguaggio, ciò vuol dire che egli si comportava in  maniera assolutamente sprezzante verso le cose che sono ritenute  pericolose come se fossero di nessun valore. E se non si curava affat-  to della morte, che pure si aspettava — cosa del tutto umana —, e non  prestava alcuna attenzione a tale eventualità, anche quando era pre-  sente, allora è assolutamente e semplicemente chiaro che egli non  aveva paura della morte. Ma egli fece qualcosa di ancora pit nobile di  tutto questo, quando operò il crollo della tirannide e trattenne il    246 GIAMBLICO    θώσας, τεκμήριον μὲν καὶ ἀπὸ τῶν χρησμῶν τοῦ ᾿Απόλλωνος, τότε  τὴν κατάλυσιν διασημαινόντων τῷ Φαλάριδι γενήσεσθαι τῆς ἀρχῆς,  ὅτε κρείττονες καὶ ὁμονοπτικώτεροι γένοιντο καὶ συνιστάμενοι  μετ᾽ ἀλλήλων οἱ ἀρχόμενοι, οἷοι καὶ τότε ἐγένοντο Πυθαγόρου  παρόντος διὰ τὰς ὑφηγήσεις αὐτοῦ καὶ παιδεύσεις. τούτου δ᾽ ἔτι  μεῖζον τεκμήριον ἦν ἀπὸ τοῦ χρόνον ἐπὶ γὰρ τῆς αὐτῆς ἡμέρας  Πυθαγόρᾳ τε καὶ ᾿Αβάριδι Φάλαρις ἐπῆγε κίνδυνον περὶ θανάτου  καὶ αὐτὸς ὑπὸ τῶν ἐπιβουλευόντων ἀπεσφάγη. καὶ τὸ κατ᾽  Ἐπιμενίδην δὲ τῶν (222) αὐτῶν τούτων ἔστω τεκμήριον. ὥσπερ γὰρ  Ἐπιμενίδης ὁ [120] Πυθαγόρου μαθητής, μέλλων ὑπό τινων ἀναι-  ρεῖσθαι, ἐπειδὴ τὰς ἐρινύας ἐπεκαλέσατο καὶ τοὺς τιμωροὺς θεούς,  ἐποίησε τοὺς ἐπιβουλεύοντας πάντας ἄρδην περὶ ἑαυτοῖς ἀπο-  σφαγῆναι, οὕτω δήπου καὶ Πυθαγόρας, ἐπαμύνων τοῖς ἀνθρώποις  κατὰ τὴν τοῦ Ἡρακλέους δίκην καὶ ἀνδρείαν, τὸν ἐξυβρίζοντα καὶ  πλημμελοῦντα εἰς τοὺς ἀνθρώπους ἐπ᾽ ὠφελείᾳ τῶν ἀνθρώπων ἐκό-  λασε καὶ θανάτῳ παρέδωκε δι᾽ αὐτῶν τῶν χρησμῶν τοῦ ᾿Απόλλωνος,  οἷς ἦν αὐτοφυῶς συνηρτημένος ἀπὸ τῆς ἐξ ἀρχῆς γενέσεως. τοῦτο  μὲν οὖν τὸ θαυμαστὸν αὐτοῦ τῆς ἀνδρείας κατόρθωμα ἄχρι  τοσοὐ(223)του μνήμης ἠξιώκαμεν. ἄλλο δὲ τεκμήριον αὐτῆς ποιη-  σώμεθα τὴν σωτηρίαν τῆς ἐννόμου δόξης, δι᾽ ἣν αὐτός τε μόνα τὰ  δοκοῦντα ἑαυτῷ ἔπραττε καὶ τὰ ὑπὸ τοῦ ὀρθοῦ λόγου  ὑπαγορευόμενα, μήτε ὑπὸ ἡδονῆς μήτε ὑπὸ πόνου μήτε ὑπ᾽ ἄλλου  τινὸς πάθους ἢ κινδύνου μεθιστάμενος ἀπ᾽ αὐτῶν, οἵ τε ἑταῖροι αὐὖ-  τοῦ πρὸ τοῦ τι παραβῆναι τῶν ὁρισθέντων ὑπ᾽ αὐτοῦ ἡροῦντο ἀποθα-  νεῖν, ἐν παντοδαπαῖς τε τύχαις ἐξεταζόμενοι τὸ αὐτὸ ἦθος ἀδιάφθο-  ρὸν διεφύλαττον, ἐν μυρίαις τε συμφοραῖς γενόμενοι οὐδέποτε ὑπ᾽  αὐτῶν μετετράπησαν. ἦν δὲ καὶ ἀδιάλειπτος παρ᾽ αὐτοῖς παρά-  κλησις τὸ «νόμῳ βοηθεῖν ἀεὶ καὶ ἀνομίᾳ πολεμεῖν», καὶ πρὸς τὸ  εἴργειν καὶ ἀπωθεῖσθαι τὴν τρυφὴν καὶ συνεθίζε(22ά)σθαι ἀπὸ  γενετῆς σώφρονι καὶ ἀνδρικῷ βίῳ. ἦν δέ τινα μέλη παρ᾽ αὐτοῖς πρὸς  τὰ ψυχῆς πάθη πεποιημένα, πρός τε ἀθυμίας καὶ δηγμούς, ἃ δὴ βοη-    VITA DI PITAGORA 247    tiranno che stava per infliggere agli uomini sciagure insanabili, e libe-  τὸ la Sicilia dalla piti crudele delle tirannidi.   (221) Che sia stato Pitagora a portare a compimento tali imprese, se  ne ebbe prova dagli oracoli di Apollo, allorché essi annunciarono che  il potere di Falaride sarebbe crollato, quando i suoi sudditi fossero  divenuti migliori e più concordi e più uniti tra loro, quali essi diven-  nero, presente Pitagora, attraverso i suoi consigli e insegnamenti. Una  prova migliore di questa fu data dalla concomitanza temporale: il  giorno stesso, infatti, in cui Falaride fece rischiare la morte a Pitagora  e ad Abari, egli stesso fu assassinato da coloro che cospiravano con-  tro di lui. E come prova di questi stessi avvenimenti valga l’episodio  di Epimenide.   (222) Allo stesso modo, infatti, dell'allievo di Pitagora, Epimenide,  che quando stava per essere ucciso da alcuni uomini, dopo avere  invocato le Erinni e gli dèi vendicatori, fece si che coloro che lo insi-  diavano si scannassero tutti tra loro, cosî appunto anche Pitagora, che  veniva in soccorso degli uomini in virtî della giustizia e il coraggio di  Eracle, puni e consegnò alla morte colui che eccedeva in tracotanza e  sbagliava verso gli uomini, proprio per aiutare gli uomini, avvalendo-  si degli stessi oracoli di Apollo, ai quali era legato per sua stessa natu-  ra fin dalla nascita. Ecco dunque il meraviglioso atto di coraggio che  Pitagora riusci a compiere e che noi abbiamo ritenuto degno che fosse  raccontato cosî estesamente.   (223) Altra prova del suo coraggio noi potremo trovarla nel fatto che  Pitagora manteneva ferma la legittima opinione, per cui egli faceva  soltanto ciò che gli appariva dettato dalla retta ragione, senza che ne  fosse distolto né dal piacere né dalla sofferenza né da alcun’altra pas-  sione o situazione di rischio, e anche nel fatto che i suoi allievi prefe-  rivano morire anziché trasgredire i suoi divieti, e messi alla prova in  difficili occasioni di ogni sorta mantenevano inalterato il medesimo  loro modo di comportarsi, e non lo mutavano mai pur in mezzo a  innumerevoli sventure. Ed essi raccomandavano continuamente di  “aiutare sempre la legge e combattere l'illegalità”, e a respingere e  fuggire il lusso e abituarsi fin dalla nascita a uno stile di vita tempe-  rante e coraggioso.   (224) I Pitagorici si servivano di alcune melodie composte per com-  battere le passioni dell'anima, nonché i suoi stati di scoraggiamento e    248 GIAMBLICO    θητικώτατα ἐπινενόητο, καὶ πάλιν αὖ ἕτερα πρός te τὰς ὀργὰς kai  πρὸς τοὺς θυμούς, δι᾽ ὧν ἐπιτείνοντες αὐτὰ καὶ ἀνιέντες ἄχρι τοῦ  μετρίου σύμμετρα πρὸς ἀνδρείαν ἀπειργάζοντο. ἦν δὲ καὶ τοῦτο μέ-  γιστον εἰς γενναιότητα ἕρμα, τὸ πεπεῖσθαι ὡς [121] οὐδὲν δεῖ τῶν  ἀνθρωπίνων συμπτωμάτων ἀπροσδόκητον εἶναι παρὰ τοῖς νοῦν  ἔχουσιν, ἀλλὰ πάντα προσδοκᾶν, ὧν (225) μὴ τυγχάνουσιν αὐτοὶ  κύριοι ὄντες. οὐ μὴν ἀλλ᾽ εἴ ποτε συμβαίη αὐτοῖς ἢ ὀργὴ ἢ λύπη ἢ  ἄλλο τι τῶν τοιούτων, ἐκποδὼν ἀπηλλάττοντο, καὶ καθ᾽ ἑαυτὸν  ἕκαστος γενόμενος ἐπειρᾶτο καταπέττειν τε καὶ ἰατρεύειν τὸ πάθος  ἀνδρικῶς. ἦν δὲ γεννικὸν αὐτῶν καὶ τὸ περὶ τὰ μαθήματα καὶ ἐπι-  τηδεύματα ἐπίπονον καὶ αἱ τῆς ἐμφύτου πᾶσιν ἀκρασίας τε καὶ  πλεονεξίας βάσανοι, ποικιλώταταί τε κολάσεις καὶ ἀνακοπαὶ πυρὶ  καὶ σιδήρῳ συντελούμεναι ἀπαραιτήτως καὶ οὔτε πόνων οὔτε καρ-  τερίας οὐδεμιᾶς φειδόμεναι. τοῦτο μὲν γὰρ ἀποχὴ ἐμψύχων  ἁπάντων καὶ προσέτι βρωμάτων τινῶν ἠσκεῖτο γενναίως, τοῦτο δὲ  ἐπεγρίαι τοῦ λογισμοῦ καὶ εἰλικρίνειαι τῶν ἐμποδιζόντων ἐπε-  τηδεύοντο, τοῦτο δὲ ἐχεμυθία τε καὶ παντελὴς σιωπή, πρὸς τὸ  γλώσσης κρατεῖν συνασκοῦσα ἐπὶ ἔτη πολλά, τὴν ἀνδρείαν αὐτῶν  ἐγύμναζεν, ἥ τε σύντονος καὶ ἀδιάπνευστος περὶ τὰ δυσληπτότατα  (226) τῶν θεωρημάτων ἐξέτασίς τε καὶ ἀνάληψις, διὰ ταὐτὰ δὲ ἀνοι-  via καὶ ὀλιγοσιτία καὶ ὀλιγοῦπνία, δόξης τε καὶ πλούτου καὶ τῶν  ὁμοίων ἀνεπιτήδευτος περιφρόνησις᾽ καὶ ταῦτα πάντα εἰς ἀνδρείαν  αὐτοῖς συνέτεινεν. οἴκτων δὲ καὶ δακρύων καὶ πάντων τῶν τοιούτων  εἴργεσθαι τοὺς ἄνδρας ἐκείνους φασί. ἀπείχοντο δὲ καὶ δεήσεων  καὶ ἱκετειῶν καὶ πάσης τῆς τοιαύτης ἀνελευθέρου θωπείας ὡς ἀνά-  νδρου καὶ ταπεινῆς οὔσης. τῆς δὲ αὐτῆς ἰδέας τῶν ἠθῶν θετέον καὶ  ὅτι τὰ κυριώτατα καὶ συνεκτικώτατα τῶν ἑαυτῶν δογμάτων ἀπό-  ppnta ἐν ἑαυτοῖς διεφύλαττον ἅπαντες ἀεί, μετὰ ἀκριβοῦς ἐχεμυθί-  ας πρὸς τοὺς ἐξωτερικοὺς ἀνέκφορα διατηροῦντες ἀγράφως ἐν  μνήμῃ, τοῖς διαδόχοις [122] (227) ἅπερ μυστήρια θεῶν μεταπαραδι-  δόντες. διόπερ οὐδὲν ἐξεφοίτησε τῶν γε λόγου ἀξίων μέχρι πολλοῦ,  διδασκόμενά τε καὶ μανθανόμενα ἐντὸς τοίχων μόνον ἐγνωρίζετο.    VITA DI PITAGORA 249    di rimorso, e queste melodie erano le invenzioni di maggiore aiuto, e  ancora altre melodie composte per i momenti di ira e di impetuosi-  tà;!52 con esse operavano per rendere più o meno intense le passioni  fino a renderle di misura proporzionata al coraggio.!33 Ma il suppor-  to più grande per la loro nobiltà d’animo era la loro convinzione che  nessun accadimento umano deve essere inatteso per coloro che hanno  intelligenza, anzi questi devono attendersi tutte quelle cose che pos-  sono loro capitare perché non sono in loro potere.   (225) Ma se capitava loro di essere presi dall'ira o dal dolore o da  qualche altra passione del genere, allora cercavano di sbarazzarsene,  e ciascuno cercava, isolandosi, di smaltirla e porvi rimedio con corag-  gio, ed erano per loro fatti naturali sia lo sforzo di apprendere le  matematiche e di praticarle, sia la messa alla prova dell’incontinenza  e dell’arroganza che sono sentimenti innati in tutti gli uomini, sia le  varie punizioni e restrizioni ottenute inesorabilmente col ferro e col  fuoco e senza alcun risparmio né di fatica né di pazienza. Ed è per  questo, infatti, che essi si esercitavano nobilmente nell’astensione  dalla carne di qualsiasi animale oltre che da certi alimenti, e ancora si  esercitavano a tenere la facoltà razionale sveglia e sgombra da impe-  dimenti, e ancora esercitavano il coraggio con la riservatezza e l’asso-  luto silenzio, che mantenuto per molti anni li aiutava a dominare la  lingua, e ancora praticavano un’intensa e incessante investigazione e  ripetizione delle dottrine più difficili,   (226) e per questo essi si astenevano dal vino e mangiavano e dormi-  vano poco, e disprezzavano senza affettazione la gloria e la ricchezza  e cose simili; e tutto ciò era per loro uno sprone verso il coraggio. Si  racconta che quegli uomini evitavano di lamentarsi e di piangere e di  manifestare simili emozioni. Si astenevano anche da preghiere e da  suppliche e da ogni servile adulazione del genere in quanto riteneva-  no che fosse segno di debolezza e abiezione. Bisogna ritenere del  medesimo genere di costume anche il fatto che tutti i Pitagorici man-  tenevano sempre segrete, tra di loro, le più importanti ed essenziali  tra le loro dottrine, custodendole nella memoria senza metterle per  iscritto, con accurata segretezza nei confronti degli estranei, per tra-  smetterle ai loro successori come misteri divini.   (227) E per questa ragione che per lungo tempo non è trapelato nulla  delle loro dottrine di cui valesse la pena di discutere, e le cose da loro    250 GIAMBLICO    ἐπὶ δὲ τῶν θυραίων καὶ ὡς εἰπεῖν βεβήλων, εἰ καί ποτε τύχοι, διὰ  συμβόλων ἀλλήλοις οἱ ἄνδρες ἠνίττοντο, ὧν ἴχνος ἔτι νῦν [ὧν] περι-  φέρονται τὰ θρυλλούμενα, οἷον «πῦρ μαχαίρῃ μὴ σκάλευε» καὶ τὰ  τοιαῦτα σύμβολα, ἅπερ ψιλῇ μὲν τῇ φράσει γραώδεσιν ὑποθήκαις  ἔοικε, διαπτυσσόμενα δὲ θαυμαστήν τινα καὶ σεμνὴν ὠφέλειαν  παρέχεται τοῖς μετα(228)λαβοῦσι. μέγιστον δὲ πάντων πρὸς ἀνδρεί-  αν παράγγελμά ἐστι τὸ σκοπὸν προθέσθαι τὸν κυριώτατον,  ῥύσασθαι καὶ ἐλευθερῶσαι τῶν τοσούτων εἰργμῶν καὶ συνδέσεων  τὸν κατεχόμενον ἐκ βρεφῶν νοῦν, οὗ χωρὶς ὑγιὲς οὐδὲν ἄν τις οὐδὲ  ἀληθὲς τὸ παράπαν ἐκμάθοι οὐδ᾽ ἂν κατίδοι δι᾽ ἧστινος οὖν  ἐνεργῶν αἰσθήσεως. «νοῦς» γὰρ κατ᾽ αὐτοὺς «πάνθ᾽ ὁρῇ καὶ πάντ᾽  ἀκούει, τάλλα δὲ κωφὰ καὶ τυφλά». δεύτερον δὲ τὸ ὑπερσπουδάζειν  διακαθαρθέντι λοιπὸν αὐτῷ καὶ ποικίλως ἐπιτηδειωθέντι διὰ τῶν  μαθηματικῶν ὀργιασμῶν, τὸ τηνικάδε τῶν ὀνησιφόρων τι καὶ θείων  ἐντιθέναι καὶ μεταδιδόναι, ὡς μήτε τῶν σωμάτων ἀφιστάμενον ἀπο-  δειλιᾶν, μήτε πρὸς τὰ ἀσώματα προσαγόμενον ὑπὸ τῆς λαμπροτάτης  αὐτῶν μαρμαρυγῆς ἀποστρέφεσθαι τὰ ὄμματα, μήτε τῶν προ-  σηλούντων τῷ σώματι τὴν ψυχὴν παθημά[123]τῶν καὶ προσπε-  ρονώντων ἐπιστρέφεσθαι, ὅλως δὲ ἀδάμαστον εἶναι πρὸς πάντα  γενεσιουργὰ καὶ καταγωγὰ παθήματα᾽ ἡ γὰρ διὰ τούτων πάντων  γυμνασία καὶ ἄνοδος τῆς τελειοτάτης ἀνδρείας ἦν ἐπιτήδευσις.  τοσαῦτα καὶ περὶ τῆς ἀνδρείας ἡμῖν τεκμήρια κείσθω περὶ  Πυθαγόρου τε καὶ τῶν Πυθαγορείων ἀνδρῶν.   33 (229) Φιλίαν δὲ διαφανέστατα πάντων πρὸς ἅπαντας  Πυθαγόρας παρέδωκε, θεῶν μὲν πρὸς ἀνθρώπους δι᾽ εὐσεβείας καὶ  ἐπιστημονικῆς θεραπείας, δογμάτων δὲ πρὸς ἄλληλα καὶ καθόλου  ψυχῆς πρὸς σῶμα λογιστικοῦ τε πρὸς τὰ τοῦ ἀλόγου εἴδη διὰ φιλο-  σοφίας καὶ τῆς κατ᾽ αὐτὴν θεωρίας, ἀνθρώπων δὲ πρὸς ἀλλήλους,  πολιτῶν μὲν διὰ νομιμότητος ὑγιοῦς, ἑτεροφύλων δὲ διὰ φυσιολογί-  ας ὀρθῆς, ἀνδρὸς δὲ πρὸς γυναῖκα ἢ τέκνα ἢ ἀδελφοὺς καὶ οἰκείους    VITA DI PITAGORA 251    insegnate e apprese restavano note soltanto tra le pareti della scuola.  Dinanzi agli estranei, ai profani, per cosî dire, quegli uomini parlava-  no tra loro, se mai dovesse capitare, enigmaticamente per simboli, di  cui ancora oggi circolano come traccia dei simboli famosi, quali ad  esempio: “Non attizzare il fuoco con il coltello” e simboli del genere,  che somigliano — nella loro pura espressione letterale — a delle regole  da vecchietta, ma che, una volta spiegate, forniscono una straordina-  ria e venerabile utilità a coloro che le comprendono.   (228) Ma il precetto più grande di tutti in rapporto al coraggio è quel-  lo di proporre come scopo più importante di preservare e liberare  l'intelletto da tutte quante le pastoie e le catene che lo frenano fin dal-  l'infanzia, senza di che non è affatto possibile né apprendere né scor-  gere nulla di sensato né di vero, qualunque sia la facoltà sensitiva con  cui si operi. “L'intelletto” infatti — a loro parere — “vede tutto e inten-  de tutto, e tutto il resto è sordo e cieco”. A un intelletto che sia stato  purificato di tutto il resto e reso capace di applicarsi a vari studi  mediante iniziazioni matematiche, viene come secondo compito, a  quel punto, quello di instillargli e comunicargli qualcosa di proficuo  e di divino, di modo che non provi sbigottimento quando si allonta-  na dalle cose corporee, né, accostandosi agli incorporei, distolga il suo  sguardo a causa del loro assoluto fulgore, né volga la sua attenzione  alle passioni che inchiodano l’anima al corpo e ve la conficcano, ma  sia assolutamente inflessibile nei confronti di tutte le passioni che  concernono la funzione generativa e che portano l’anima verso il  basso: esercitarsi in tutte queste cose, infatti, ed elevare <la loro  anima>, in questo consisteva <appunto> la loro pratica del coraggio.  Ecco quello che dobbiamo stabilire quale prova del coraggio di  Pitagora e dei Pitagorici.    33 (229) Pitagora insegnò in modo evidentissimo l’amicizia di tutti  verso tutti, degli dèi verso gli uomini, per mezzo della pietà e di un  culto fondato sulla scienza, delle dottrine tra loro, e in generale del-  l'anima verso il corpo, e della sua parte razionale verso le <varie>  forme di quella irrazionale per mezzo della filosofia e della contem-  plazione che si ha in funzione di essa, degli uomini tra di loro, tra cit-  tadini per mezzo di una sana osservanza della legge, tra diversi grup-  pi etnici per mezzo di una corretta conoscenza della natura <umana>,    252 GIAMBLICO    διὰ κοινωνίας ἀδιαστρόφου, συλλήβδην δὲ πάντων πρὸς ἅπαντας  καὶ προσέτι τῶν ἀλόγων ζῴων τινὰ διὰ δικαιοσύνης καὶ φυσικῆς  ἐπιπλοκῆς καὶ κοινότητος, σώματος δὲ καθ᾽ ἑαυτὸ θνητοῦ τῶν ἐγκε-  κρυμμένων αὐτῷ ἐναντίων δυνάμεων εἰρήνευσίν τε καὶ cuppipa-  σμὸν δι᾽ ὑγείας καὶ τῆς εἰς ταύτην διαίτης καὶ σωφροσύνης κατὰ  μίμησιν τῆς ἐν (230) τοῖς κοσμικοῖς στοιχείοις εὐετηρίας. ἐν πᾶσι  δὴ τούτοις ἑνὸς καὶ τοῦ αὐτοῦ κατὰ σύλληψιν τοῦ τῆς φιλίας ὀνόμα-  τος ὄντος, εὑρετὴς καὶ νομοθέτης ὁμολογουμένως Πυθαγόρας ἐγέ-  νετο, καὶ οὕτω θαυμαστὴν φιλίαν παρέδωκε τοῖς χρωμένοις, ὥστε  ἔτι καὶ νῦν τοὺς πολλοὺς λέγειν ἐπὶ τῶν σφοδρότερον εὐνοούντων  ἑαυτοῖς ὅτι τῶν Πυθαγορείων εἰσί. δεῖ δὴ καὶ περὶ τούτων τὴν  Πυθαγόρου παιδείαν παραθέσθαι καὶ τὰ παραγγέλματα, οἷς ἐχρῆτο  πρὸς [124] τοὺς αὑτοῦ γνωρίμους. παρεκελεύοντο οὖν οἱ ἄνδρες  οὗτοι ἐκ φιλίας ἀληθινῆς ἐξαιρεῖν ἀγῶνά τε καὶ φιλονεικίαν, μάλι-  στα μὲν ἐκ πάσης, εἰ δυνατόν, εἰ δὲ μή, ἔκ γε τῆς πατρικῆς καὶ  καθόλου ἐκ τῆς πρὸς τοὺς πρεσβυτέρους ὡσαύτως δὲ καὶ ἐκ τῆς  πρὸς τοὺς εὐεργέτας. τὸ γὰρ διαγωνίζεσθαι ἢ διαφιλονεικεῖν πρὸς  τοὺς τοιούτους ἐμπεσούσης ὀργῆς ἢ ἀλλοῦ τινὸς τοιούτου πάθους οὐ  σωτή(231)ριον τῆς ὑπαρχούσης φιλίας. ἔφασαν δὲ δεῖν ὡς ἐλαχίστας  ἀμυχάς τε καὶ ἑλκώσεις ἐν ταῖς φιλίαις ἐγγίνεσθαι" «τοῦτο δὲ γίνε-  σθαι,» ἐὰν ἐπίστωνται εἴκειν καὶ κρατεῖν ὀργῆς ἀμφότεροι μέν,  μᾶλλον μέντοι ὁ νεώτερός τε καὶ τῶν εἰρημένων τάξεων ἔχων  ἡνδήποτε. τὰς ἐπανορθώσεις τε καὶ νουθετήσεις, ἃς δὴ πεδαρτάσεις  ἐκάλουν ἐκεῖνοι, μετὰ πολλῆς εὐφημίας τε καὶ εὐλαβείας ᾧοντο  δεῖν γενέσθαι παρὰ τῶν πρεσβυτέρων τοῖς νεωτέροις, καὶ πολὺ ἐμ-  φαίνεσθαι ἐν τοῖς νουθετοῦσι τὸ κηδεμονικόν τε καὶ οἰκεῖον" οὕτω  γὰρ εὐσχήμονά τε γίνεσθαι καὶ ὠφέλιμον τὴν νουθέ(232)τησιν. ἐκ  φιλίας μηδέποτε ἐξαιρεῖν πίστιν μήτε παίζοντας μήτε σπουδάζον-  tag: οὐ γὰρ ἔτι ῥάδιον εἶναι διυγιᾶναι τὴν ὑπάρχουσαν φιλίαν,  ὅταν ἅπαξ παρεμπέσῃ τὸ ψεῦδος εἰς τὰ τῶν φασκόντων φίλων εἶναι  ἤθη. φιλίαν μὴ ἀπογιγνώσκειν ἀτυχίας ἕνεκα ἢ ἄλλης τινὸς ἀδυνα-    VITA DI PITAGORA 253    del marito verso la moglie o i figli o i fratelli o i parenti per mezzo di  una stabile comunione: in breve amicizia di tutti verso tutti e ancora  verso alcuni animali irrazionali per un senso di giustizia e di naturale  vicinanza e comunanza,15 e infine del corpo di per sé mortale, al livel-  lo di pacificazione e conciliazione tra facoltà contrarie che si nascon-  dono in esso, per mezzo della salute e del relativo regime di vita, e  della temperanza ad imitazione della prosperità che vige tra gli ele-  menti dell'universo.   (230) Poiché in tutti questi casi esiste un unico e medesimo nome  che li sintetizza, cioè “amicizia”, si ritiene concordemente che sia  stato Pitagora a scoprirlo e imporlo come legge: e lo abbia insegnato  a coloro che lo frequentavano in maniera cosî splendida che ancora  oggi la maggior parte degli uomini, a proposito di coloro che si trat-  tano con reciproca benevolenza, dicono che appartengono alla cate-  goria dei Pitagorici. Occorre dunque presentare anche l'educazione  che Pitagora offriva intorno a tali argomenti nonché i precetti, di cui  si serviva nei rapporti con i suoi intimi discepoli. Essi dunque prescri-  vevano di eliminare competizione e rivalità dalla vera amicizia e, pos-  sibilmente, da qualsiasi amicizia in assoluto, o quanto meno da quel-  la verso i genitori e in generale verso i più anziani, come pure verso i  benefattori. Il competere e il rivaleggiare con persone di questo gene-  re, infatti, quando subentra l’ira o un altro tipo di passione, fa perde-  re l'eventuale amicizia.   (231) I Pitagorici dicevano che nelle amicizie occorre che ci sia il  meno possibile di lacerazioni o ulcerazioni; e questo avviene, se ambe-  due le parti sanno cedere e dominare l’ira, ma soprattutto la parte pit  giovane e quella che si trovi comunque nelle posizioni di cui si è  detto. Le correzioni e le ammonizioni, che i Pitagorici chiamavano  “riaccordature”, credevano che dovessero essere date dai pit anziani  ai più giovani con parole molto dolci e con circospezione, e che nelle  ammonizioni dovesse apparire molta sollecitudine e familiarità, per-  ché in tal modo l’ammonizione risultava <al contempo> decorosa e  proficua.   (232) Dall’amicizia non si deve mai eliminare la fiducia né per scher-  zo né seriamente, perché non è facile mantenere ancora salda  un’eventuale amicizia, una volta che sia subentrata la menzogna nei  comportamenti di coloro che pretendono di essere amici. Non si deve    254 GIAMBLICO    μίας τῶν εἰς τὸν βίον ἐμπιπτουσῶν, ἀλλὰ μόνην εἶναι δόκιμον ἀπό-  γνῶσιν φίλου τε καὶ φιλίας τὴν γινομένην διὰ κακίαν μεγάλην τε  καὶ ἀνεπανόρθωτον. ἔχθραν ἑκόντα μὲν μηδέποτε αἴρεσθαι πρὸς  τοὺς μὴ τελείως κακούς, ἀράμενον δὲ μένειν εὐγενῶς ἐν τῷ διαπο-  λεμεῖν, ἂν μὴ μεταπέσῃ τὸ ἦθος τοῦ δια[125]φερομένου καὶ προσγέ-  νηται εὐγνωμοσύνη. πολεμεῖν δὲ μὴ λόγῳ, ἀλλὰ τοῖς ἔργοις" νόμι-  μὸν δὲ εἶναι καὶ ὅσιον τὸν πολέμιον, εἰ ὡς ἄνθρωπος ἀνθρώπῳ  πολεμήσειεν. αἴτιον μηδέποτε γίνεσθαι εἰς δύναμιν διαφορᾶς,  εὐλαβεῖσθαι «δὲ» (233) ταύτης τὴν ἀρχὴν ὡς οἷόν τε μάλιστα. ἐν τῇ  μελλούσῃ ἀληθινῇ ἔσεσθαι φιλίᾳ ὡς πλεῖστα δεῖν ἔφασαν εἶναι τὰ  ὡρισμένα καὶ νενομισμένα, καλῶς δὲ ταῦτ᾽ εἶναι κεκριμένα καὶ μὴ  εἰκῆ, καὶ δῆτα καὶ εἰς ἔθος ἕκαστον κατακεχωρισμένον δεῖν εἶναι,  ὅπως μήτε ὁμιλία μηδεμία ὀλιγώρως τε καὶ εἰκῆ γίνηται, ἀλλὰ μετ᾽  αἰδοῦς τε καὶ συννοίας καὶ τάξεως ὀρθῆς, μήτε πάθος ἐγείρηται  μηδὲν εἰκῆ καὶ φαύλως καὶ ἡμαρτημένως, οἷον ἐπιθυμία ἢ ὀργή. ὁ  αὐτὸς δὲ λόγος καὶ κατὰ τῶν λειπομένων παθῶν τε καὶ διαθέσεων.  ἀλλὰ μὴν τεκμήραιτο ἄν τις καὶ περὶ τοῦ μὴ παρέργως αὐτοὺς τὰς  ἀλλοτρίας ἐκκλίνειν φιλίας, ἀλλὰ καὶ πάνυ σπουδαίως περικάμ-  πτειν αὐτὰς καὶ φυλάττεσθαι, καὶ περὶ τοῦ δὲ μέχρι πολλῶν γενεῶν  τὸ φιλικὸν πρὸς ἀλλήλους ἀνένδοτον διατετηρηκέναι, ἔκ τε ὧν  ᾿Αριστόξενος ἐν τῷ περὶ Πυθαγορικοῦ βίου αὐτὸς διακηκοέναι  φησὶ Διονυσίου τοῦ Σικελίας τυράννου, ὅτε ἐκπεσὼν τῆς μοναρχί-  ας γράμματα (234) ἐν Κορίνθῳ ἐδίδασκε. φησὶ γὰρ οὕτως ὁ  ᾿Αριστόξενος: «οἴκτων δὲ καὶ δακρύων καὶ πάντων τῶν τοιούτων  εἴργεσθαι τοὺς ἄνδρας ἐκείνους ὡς ἐνδέχεται μάλιστα’ ὁ αὐτὸς δὲ  λόγος καὶ περὶ θωπείας καὶ δεήσεως καὶ λιτανείας καὶ πάντων τῶν  τοιούτων. Διονύσιος οὖν ὁ ἐκπεσὼν τῆς [126] τυραννίδος καὶ ἀφι-  κόμενος εἰς Κόρινθον πολλάκις ἡμῖν διηγεῖτο περὶ τῶν κατὰ  Φιντίαν τε καὶ Δάμωνα τοὺς Πυθαγορείους. ἦν δὲ ταῦτα τὰ περὶ τὴν  τοῦ θανάτου γενομένην ἐγγύην. ὁ δὲ τρόπος τῆς ἐγγυήσεως τοιόσδε  τις ἦν. «εἶναί» τινας ἔφη τῶν περὶ αὑτὸν διατριβόντων, οἱ πολλάκις  ἐποιοῦντο μνείαν τῶν Πυθαγορείων, διασύροντες καὶ διαμωκώμε-    VITA DI PITAGORA 255    misconoscere un'amicizia per un infortunio o altra difficoltà che può  capitare nella vita, al contrario può essere giustificato motivo di  rinunzia a un amico e a un’amicizia unicamente la malvagità grande e  incorreggibile.!33 Non bisogna mai scegliere volontariamente un’ini-  micizia verso coloro che non siano dei perfetti malvagi, mentre biso-  gna perseverare nobilmente nella contesa, finché il contendente non  cambi il suo comportamento e non divenga assennato. Occorre com-  battere, poi, non con le parole, ma coi fatti: il nemico sarà legittimo e  sacro, se combatterà da uomo a uomo. Non bisogna mai, per quanto  è possibile, farsi responsabile di discordia, e non bisogna, per quanto  è possibile, assolutamente prenderne l’iniziativa.   (233) Per far si che un’amicizia divenga vera amicizia, dicevano i  Pitagorici, occorre che un gran numero di condizioni siano definite e  pattuite, e queste devono essere decise a ragion veduta e non a caso,  e dunque occorre anche che siano disposte in relazione al carattere di  ciascuno degli interessati, in modo che nessun aspetto della relazione  sia frutto di negligenza o casualità, ma sia accompagnato da rispetto  e riflessione e sia ben ordinato, e nessuna passione, ad esempio un  appetito o un accesso d’ira, possa emergere per puro caso o per leg-  gerezza o per errore. Lo stesso discorso valeva anche per le rimanen-  ti passioni e disposizioni. Ma che i Pitagorici evitassero accuratamen-  te le amicizie con stranieri, ché anzi le schivassero e se ne guardasse-  ro con assoluta serietà, e che avessero fermamente cercato per molte  generazioni i rapporti di amicizia fra di loro, lo si potrebbe provare  partendo da ciò che Aristosseno, nella sua Vita di Pitagora, dice di  avere ascoltato personalmente da Dionigi, tiranno di Sicilia, allorché  spodestato del suo potere assoluto si recò a Corinto a fare il maestro  di scuola.   (234) Ecco infatti quel che dice Aristosseno: «Quegli uomini evitava-  no il più possibile di lamentarsi e di piangere e di provare ogni emo-  zione del genere; lo stesso discorso valeva per la adulazione e la pre-  ghiera e la supplica e per ogni manifestazione del genere. Dionigi  dunque, una volta spodestato della suo potere tirannico, giunto a  Corinto, ci raccontava spesso la vicenda relativa ai Pitagorici Finzia e  Damone.!36 Si trattava di una cauzione offerta per un condannato a  morte. La faccenda della cauzione si svolse cosî. C'erano alcuni mem-  bri della sua corte — diceva Dionigi — che menzionavano spesso i    256 GIAMBLICO    νοι καὶ ἀλαζόνας ἀποκαλοῦντες αὐτοὺς καὶ λέγοντες ὅτι ἐκκοπείη  ἂν αὐτῶν ἥ τε σεμνότης αὕτη καὶ ἡ προσποίητος πίστις καὶ ἡ ἀπά-  θεια, εἴ τις (235) περιστήσειεν εἰς φόβον ἀξιόχρεων. ἀντιλεγόντων  δέ τινων καὶ γινομένης φιλονεικίας συνταχθῆναι ἐπὶ τοὺς περὶ  Φιντίαν δρᾶμα τοιόνδε. μεταπεμψάμενος ὁ Διονύσιος ἔφη τὸν  Φιντίαν ἐναντίον τέ τινα τῶν κατηγόρων αὐτοῦ εἰπεῖν, ὅτι φανερὸς  γέγονε μετά τινων ἐπιβουλεύων αὐτῷ, καὶ τοῦτο μαρτυρεῖσθαί τε  ὑπὸ τῶν παρόντων ἐκείνων, καὶ τὴν ἀγανάκτησιν πιθανῶς πάνυ  γενέσθαι. τὸν δὲ Φιντίαν θαυμάζειν τὸν λόγον. ὡς δὲ αὐτὸς  διαρρήδην εἰπεῖν, ὅτι ἐξήτασται ταῦτα ἀκριβῶς καὶ δεῖ αὐτὸν  ἀποθνύσκειν, εἰπεῖν τὸν Φιντίαν ὅτι, εἰ οὕτως αὐτῷ δέδοκται ταῦτα  γενέσθαι, ἀξιώσαι γε αὑτῷ δοθῆναι τὸ λοιπὸν τῆς ἡμέρας, ὅπως οἱ-  κονομήσηται τά τε καθ᾽ αὑτὸν καὶ τὰ κατὰ τὸν Δάμωνα: συνέζων  γὰρ οἱ ἄνδρες οὗτοι καὶ ἐκοινώνουν ἁπάντων, πρεσβύτερος δ᾽ ὧν ὁ  Φιντίας τὰ πολλὰ τῶν περὶ οἰκονομίαν ἦν εἰς αὑτὸν ἀνειληφώς.  ἠξίωσεν οὖν ἐπὶ ταῦτα (236) ἀφεθῆναι ἐγγυητὴν καταστήσας τὸν  Δάμωνα. ἔφη οὖν ὁ Διονύσιος θαυμάσαι τε καὶ ἐρωτῆσαι, εἰ ἔστιν ὁ  ἄνθρωπος οὗτος ὅστις ὑπομενεῖ θανάτου γενέσθαι ἐγγυητής. φήσαν-  τος δὲ τοῦ Φιντίου μετάπεμπτον γενέσθαι τὸν Δάμωνα, καὶ διακού-  σαντα τὰ συμβεβηκότα φάσκειν ἐγγυήσεσθαί τε καὶ μενεῖν αὐτοῦ,  ἕως ἂν ἐπανέλθῃ ὁ Φιντίας. [127] αὐτὸς μὲν οὖν ἐπὶ τούτοις εὐθὺς  ἐκπλαγῆναι ἔφη, ἐκείνους δὲ τοὺς ἐξ ἀρχῆς εἰσαγαγόντας τὴν διά-  πειραν τὸν Δάμωνα χλευάζειν ὡς ἐγκαταλειφθησόμενον καὶ  σκώπτοντας ἔλαφον ἀντιδεδόσθαι λέγειν. ὄντος δ᾽ οὖν ἤδη τοῦ  ἡλίου περὶ δυσμὰς ἥκειν τὸν Φιντίαν ἀποθανούμενον, ἐφ᾽ ᾧ πάντας  ἐκπλαγῆναί τε καὶ δουλωθῆναι. αὐτὸς δ᾽ οὖν ἔφη περιβαλών τε καὶ  φιλήσας τοὺς ἄνδρας ἀξιῶσαι τρίτον αὐτὸν εἰς τὴν φιλίαν παραδέ-  ξασθαι, τοὺς δὲ μηδενὶ τρόπῳ, καίτοι λιπαροῦντος αὐτοῦ, συγκα-  θεῖναι εἰς τὸ τοιοῦτον.» (237) καὶ ταῦτα μὲν ᾿Αριστόξενος ὡς παρ᾽  αὐτοῦ Διονυσίου πυθόμενός φησι. λέγεται δὲ ὡς καὶ ἀγνοοῦντες    VITA DI PITAGORA 257    Pitagorici, per schernirli e metterli in ridicolo, chiamandoli persino  impostori: dicevano che la loro solennità e presunta fedeltà e impas-  sibilità sarebbero venute meno se qualcuno li avesse impauriti abba-  stanza.   (235) Ma poiché altri dicevano il contrario, ne nacque una contesa e  si ογα la seguente macchinazione nei confronti di Finzia. Mandato a  chiamare Finzia — diceva Dionigi — e messolo a confronto con i suoi  accusatori, disse di avere prove evidenti che Finzia aveva complotta-  to con altri contro di lui, e poiché i presenti testimoniavano che tale  accusa era vera, l'indignazione di Dionigi apparve assolutamente cre-  dibile. Finzia dal canto suo mostrò stupore per quel discorso. Ma sic-  come Dionigi dichiarava apertamente di avere condotto precise inda-  gini su quell’accusa e che <di conseguenza> bisognava condannarlo a  morte, allora Finzia disse che, se da un lato era d’accordo che la cosa  dovesse andare cosî come diceva Dionigi, chiedeva che almeno gli  fosse concesso il resto della giornata per badare all’amministrazione  degli affari suoi propri e di Damone, dal momento che i due uomini  vivevano insieme e avevano ogni cosa in comune, e Finzia, che era pit  anziano, aveva riservato per sé l’amministrazione della maggior parte  degli affari di casa. Chiese dunque che gli si desse l'opportunità di  andar via per sbrigare quegli affari e propose che Damone fosse il suo  mallevadore.   (236) Allora Dionigi si stupi e chiese se esistesse quell'uomo che  accettava di fare da mallevadore a costo di morire. Finzia rispose di sî  e cosi fu fatto venire Damone, il quale, dopo avere ascoltato quel che  accadeva, dichiarò che avrebbe fatto da mallevadore e che sarebbe  rimasto li fino a quando Finzia non fosse ritornato. Dionigi dunque  raccontava di essere rimasto subito colpito da questi fatti, mentre  quelli che all’inizio avevano condotto quell’esperimento deridevano  Damone e lo beffeggiavano dicendogli che Finzia lo avrebbe lasciato  a fare da cervo sacrificale. Ma quando il sole era già al tramonto  Finzia ritornò per morire, cosa che colpi e soggiogò tutti quanti.  Allora Dionigi -- come egli stesso raccontava — abbracciando e strin-  gendo a sé i due Pitagorici chiese loro di ritenerlo degno di essere  accolto come un terzo amico, ma quelli, nonostante le sue insistenze,  in nessun modo acconsentirono alla richiesta di Dionigi».   (237) E tutto questo racconto Aristosseno dice di averlo appreso da    258 GIAMBLICO    ἀλλήλους οἱ Πυθαγορικοὶ ἐπειρῶντο φιλικὰ ἔργα διαπράττεσθαι  ὑπὲρ τῶν εἰς ὄψιν μηδέποτε ἀφιγμένων, ἡνίκα τεκμήριόν τι λάβοιεν  τοῦ μετέχειν τῶν αὐτῶν λόγων, ὥστ᾽ ἐκ τῶν τοιῶνδε ἔργων μηδ᾽  ἐκεῖνον τὸν λόγον ἀπιστεῖσθαι, ὡς ἄρ᾽ οἱ σπουδαῖοι ἄνδρες καὶ  προσωτάτω γῆς οἰκοῦντες φίλοι εἰσὶν ἀλλήλοις πρὶν ἢ γνώριμοί τε  καὶ προσήγοροι γενέσθαι. καταχθῆναι γοῦν φασι τῶν Πυθαγορικῶν  τινα μακρὰν καὶ ἐρήμην ὁδὸν βαδίζοντα εἷς τι πανδοχεῖον, ὑπὸ κό-  που δὲ καὶ ἄλλης παντοδαπῆς αἰτίας εἰς νόσον μακράν τε καὶ  βαρεῖαν ἐμπεσεῖν, ὥστ᾽ ἐπιλιπεῖν αὐτὸν τὰ ἐπιτή(238)δεια. τὸν μέ-  ντοι πανδοχέα, εἴτε οἴκτῳ τοῦ ἀνθρώπου εἴτε καὶ ἀποδοχῇ, πάντα  παρασχέσθαι, μήτε ὑπουργίας τινὸς φεισάμενον μήτε δαπάνης  μηδεμιᾶς. ἐπειδὴ δὲ κρείττων ἦν ἡ νόσος, τὸν μὲν ἀποθνήσκειν  ἑλόμενον γράψαι τι σύμβολον ἐν πίνακι καὶ ἐπιστεῖλαι, ὅπως, ἄν τι  πάθοι, κριμνὰς τὴν δέλτον παρὰ τὴν ὁδὸν ἐπισκοπῇ, εἴ τις τῶν  παριόντων ἀναγνωριεῖ τὸ σύμβολον τοῦτον γὰρ ἔφη αὐτῷ [128]  ἀποδώσειν τὰ ἀναλώματα, ἅπερ εἰς αὐτὸν ἐποιήσατο, καὶ χάριν ἐκ-  τίσειν ὑπὲρ ἑαυτοῦ. τὸν δὲ πανδοχέα μετὰ τὴν τελευτὴν θάψαι τε  καὶ ἐπιμεληθῆναι τοῦ σώματος αὐτοῦ, μὴ μέντοι γε ἐλπίδας ἔχειν  τοῦ κομίσασθαι τὰ δαπανήματα, μή τί γε καὶ πρὸς εὖ παθεῖν πρός  τινος τῶν ἀναγνωριούντων τὴν δέλτον. ὅμως μέντοι διαπειρᾶσθαι  ἐκπεπληγμένον τὰς ἐντολὰς ἐκτιθέναι τε ἑκάστοτε εἰς τὸ μέσον τὸν  πίνακα. χρόνῳ δὲ πολλῷ ὕστερον τῶν Πυθαγορικῶν τινὰ παριόντα  ἐπιστῆναί τε καὶ μαθεῖν τὸν θέντα τὸ σύμβολον, ἐξετάσαι τε τὸ  συμβὰν καὶ τῷ πανδοχεῖ πολλῷ πλέον ἀργύριον ἐκτῖσαι τῶν δεδα-  πανημένων. (239) Κλεινίαν γε μὴν τὸν Ταραντῖνόν φασι πυθόμενον,  ὡς Πρῶρος ὁ Κυρηναῖος, τῶν Πυθαγόρου λόγων ζηλωτὴς ὦν, κινδυ-  νεύοι περὶ πάσης τῆς οὐσίας, συλλεξάμενον χρήματα πλεῦσαι ἐπὶ  Κυρήνης καὶ ἐπανορθώσασθαι τὰ Πρώρου πράγματα, μὴ μόνον τοῦ  μειῶσαι τὴν ἑαυτοῦ οὐσίαν ὀλιγωρήσαντα, ἀλλὰ μηδὲ τὸν διὰ τοῦ  πλοῦ κίνδυνον περιστάντα. τὸν αὐτὸν δὲ τρόπον καὶ Θέστορα τὸν  Ποσειδωνιάτην ἀκοῇ μόνον ἱστοροῦντα, ὅτι Θυμαρίδης εἴη «ὦ  Πάριος τῶν Πυθαγορείων, ἡνίκα συνέπεσεν εἰς ἀπορίαν αὐτὸν  καταστῆναι ἐκ πολλῆς περιουσίας, πλεῦσαί φασιν εἰς τὴν Πάρον,    VITA DI PITAGORA 259    Dionigi in persona. Si racconta anche che i Pitagorici, anche quando  non si conoscevano l’un l’altro, cercavano di compiere gesti di amici-  zia nei confronti di coloro che non avevano mai visto prima, sempre-  ché avessero qualche prova che quelli condividevano le loro stesse  dottrine, sicché da questi fatti si evince la credibilità di quel detto,  secondo cui “gli uomini saggi anche se abitano in terre lontanissime  sono amici tra di loro ancor prima di familiarizzare e di rivolgersi la  parola”. Orbene, si racconta che un Pitagorico, dopo avere percorso  un lungo e solitario cammino, arrivò in un albergo e, a causa della fati-  ca o per altre varie cause, cadde in una lunga e grave malattia, sicché  egli esaurf tutti i suoi mezzi di sussistenza.   (238) L'albergatore, tuttavia, o per compassione verso quell’uomo o  perché lo aveva ospitato, gli forni tutto <ciò di cui aveva bisogno>,  senza alcun risparmio né di assistenza medica né di spesa. Ma poiché  la malattia si aggravava, il Pitagorico, convinto di morire, scrisse un  simbolo su una tavoletta e pregò l’albergatore di appendere lo scritto  ai margini della strada, dopo la sua morte, per vedere se qualcuno dei  passanti lo riconoscesse, perché quello — egli diceva — gli avrebbe rim-  borsato le spese fatte per lui, e lo avrebbe ringraziato al posto suo.  Dopo che quello mori, l’albergatore gli tributò gli onori funebri e si  prese cura del suo corpo, anche se non sperava di recuperare le spese  sostenute, e ancor meno di ricevere gratitudine da qualcuno che aves-  se riconosciuto quello scritto. Nondimeno, sebbene stupito per quel-  la raccomandazione, fece ugualmente il tentativo e tenne esposta con-  tinuamente la tavoletta in mezzo alla strada. Molto tempo dopo un  Pitagorico di passaggio si fermò e riconobbe chi aveva posto quel sim-  bolo, e indagò sull'accaduto e ripagò l’albergatore molto più di quan-  to avesse pagato.   (239) Si racconta poi che Clinia di Taranto, venuto a sapere che Proro  di Cirene, il quale era un seguace degli insegnamenti di Pitagora,!7  correva il rischio di perdere ogni sua sostanza, raccolta una certa  quantità di denaro, si recò per mare a Cirene e rimise in sesto gli affa-  ri di Proro, non solo senza preoccuparsi di intaccare le proprie  sostanze, ma anche senza lasciarsi fermare dal pericolo della naviga-  zione. Allo stesso modo si racconta che anche Testore di Posidonia,  appena apprese, solo per sentito dire, che Timarida di Paro era un  Pitagorico che era caduto nell’indigenza da ricchissimo che era, dopo    260 GIAMBLICO    ἀργύριον συχνὸν συλλεξάμενον, kai dvarmm(240)cacdar αὐτῷ τὰ  ὑπάρξαντα. καλὰ μὲν οὖν ταῦτα καὶ πρέποντα τῆς φιλίας τεκμήρια.  πολὺ δὲ τούτων θαυμασιώτερα ἦν τὰ περὶ τῆς κοινωνίας τῶν θείων  ἀγαθῶν καὶ τὰ περὶ τῆς τοῦ νοῦ ὁμονοίας καὶ τὰ περὶ τῆς θείας  ψυχῆς παρ᾽ αὐτοῖς ἀφορισθέντα. παρήγγελλον γὰρ θαμὰ ἀλλήλοις  [129] μὴ διασπᾶν τὸν ἐν ἑαυτοῖς θεόν. οὐκοῦν εἰς θεοκρασίαν τινὰ  καὶ τὴν πρὸς τὸν θεὸν ἕνωσιν καὶ τὴν τοῦ νοῦ κοινωνίαν καὶ τὴν τῆς  θείας ψυχῆς ἀπέβλεπεν αὐτοῖς ἡ πᾶσα τῆς φιλίας σπουδὴ δι᾽ ἔργων  τε καὶ λόγων. τούτου δὲ οὐκ ἂν ἔχοι τις εὑρεῖν ἄλλο βέλτιον, οὔτε  ἐν λόγοις λεγόμενον οὔτε ἐν ἐπιτηδεύμασι πραττόμενον. οἶμαι δ᾽  ὅτι καὶ πάντα τῆς φιλίας ἀγαθὰ ἐν αὐτῷ περιέχεται. διόπερ καὶ  ἡμεῖς ὥσπερ ἐν κεφαλαίῳ τούτῳ τὰ πάντα περιλαβόντες τῆς  Πυθαγορικῆς φιλίας πλεονεκτήματα παυόμεθα τοῦ πλείω περὶ  αὐτῆς λέγειν.   34 (241) Ἐπεὶ δὲ κατὰ γένη τεταγμένως οὕτω διήλθομεν περὶ  Πυθαγόρου τε καὶ τῶν Πυθαγορείων, ἴθι δὴ τὸ μετὰ τοῦτο καὶ τὰς  σποράδην ἀφηγήσεις εἰωθυίας λέγεσθαι «τεκμήρια» ποιησώμεθα,  ὅσαι οὐχ ὑποπίπτουσιν ὑπὸ τὴν προειρημένην τάξιν. λέγεται τοίνυν  ὡς φωνῇ χρῆσθαι τῇ πατρῴᾳ ἑκάστοις παρήγγελλον, ὅσοι τῶν  Ἑλλήνων προσῆλθον πρὸς τὴν κοινωνίαν ταύτην τὸ γὰρ ξενίζειν  οὐκ ἐδοκίμαζον. προσῆλθον δὲ καὶ ξένοι τῇ Πυθαγορείῳ αἱρέσει  καὶ Μεσσαπίων καὶ Λευκανῶν καὶ Πευκετίων καὶ Ῥωμαίων.  Μητρόδωρός τε ὁ Θύρσου «ἀδελφός, τῆς» τοῦ πατρὸς Ἐπιχάρμου καὶ  τῆς ἐκείνου διδασκαλίας τὰ πλείονα πρὸς τὴν ἰατρικὴν μετενέγκας,  ἐξηγούμενος τοὺς τοῦ πατρὸς λόγους πρὸς τὸν ἀδελφόν φησι τὸν  Ἐπίχαρμον καὶ πρὸ τούτου τὸν Πυθαγόραν τῶν διαλέκτων ἀρίστην  λαμβάνειν τὴν Δωρίδα, καθάπερ καὶ τὴν ἁρμονίαν τῆς μουσικῆς.  καὶ τὴν μὲν Ἰάδα καὶ τὴν Αἰολίδα μετεσχηκέναι τῆς ἐπὶ χρώματος  προσῴῳδίας, ᾿Ατθίδα δὲ κατακορέστερον μετεσχηκέναι τοῦ χρώμα-  τος, [130] (242) τὴν δὲ Δώριον διάλεκτον ἐναρμόνιον εἶναι, συνε-  στηκυῖαν ἐκ τῶν φωναέντων γραμμάτων. τῇ δὲ Δωρικῇ διαλέκτῳ  μαρτυρεῖν τὴν ἀρχαιότητα καὶ τὸν μῦθον. Νηρέα γὰρ γῆμαι Δωρίδα  τὴν Ὠκεανοῦ, τούτῳ δὲ μυθεύεσθαι γενέσθαι τὰς πεντήκοντα θυγα-  τέρας, ὧν εἶναι καὶ τὴν ᾿Αχιλλέως μητέρα. λέγειν δέ τινάς φησι  Δευκαλίωνος τοῦ Προμηθέως καὶ Πύρρας τῆς Ἐπιμηθέως γενέσθαι    VITA DI PITAGORA 261    avere raccolto molto denaro, si recò per mare a Paro e gli permise di  riacquistare il suo patrimonio.   (240) Sono queste, dunque, le belle e convenienti prove dell'amicizia  <dei Pitagorici>, ma molto più sorprendenti erano le loro determina-  zioni circa la comunanza dei beni divini e la concordia intellettiva!38  e la natura divina dell’anima. Essi infatti si richiamavano spesso l’un  l’altro alla prescrizione <di Pitagora>!59 di non disperdere il dio che  era in loro. Tutta la loro cura dell'amicizia, dunque, mirava — con fatti  e con parole — ad una certa fusione con dio, all'unione con lui e alla  comunione dell’intelletto e dell’anima divina. Non si potrebbe trova-  re nient'altro che sia, o detto con parole o realizzato nella pratica,  migliore di questo loro modo di intendere l’amicizia: credo che in  esso siano contenuti tutti gli aspetti buoni dell’amicizia. È per questa  ragione che noi, una volta che abbiamo racchiuso, come abbiamo  fatto in questo capitolo, tutti i vantaggi dell’amicizia pitagorica, smet-  tiamo di dilungarci ancora su di essa.    34 (241) Dopo avere percorso cosi ordinatamente, genere per genere,  gli argomenti relativi a Pitagora e ai Pitagorici, è tempo ormai di for-  nire prove di cose che vengono raccontate di solito in modo sporadi-  co, e che non rientrano <quindi> nell'ordine predetto. Si racconta  dunque che i Pitagorici prescrivevano a tutti i Greci che giungevano  nella loro comunità di adoperare la loro patria lingua, perché non  approvavano che si parlasse con accento straniero.!40 Alla scuola pita-  gorica si unirono anche degli stranieri [sc. dei non greci]: Messapi,  Lucani, Peucezi e Romani. Il fratello di Tirso, Metrodoro, che appli-  cò alla medicina la maggior parte degli insegnamenti di suo padre  Epicarmo e di Pitagora, esponendo al fratello i discorsi del padre,  dice che Epicarmo e, prima di lui, Pitagora ritenevano che quello  dorico fosse il dialetto migliore, cosî come lo è nella musica l'armonia  dorica. Diceva anche che i dialetti ionico ed eolico hanno un certo  accento cromatico, e che il dialetto attico lo ha ancora più forte,   (242) mentre il dialetto dorico è enarmonico, perché è costituito  <prevalentemente> di vocali. Anche il mito testimonia che quello  dorico è il dialetto più arcaico. Infatti Nereo sposò Doride figlia di  Oceano, e quest’ultimo ebbe — secondo il mito — cinquanta figlie,  delle quali una è la madre di Achille. Alcuni raccontano — dice    262 GIAMBLICO    Δῶρον, τοῦ δὲ Ἕλληνα, τοῦ δὲ Αἰόλον. ἐν δὲ τοῖς Βαβυλωνίων ἀκού-  eu ἱεροῖς “Ἕλληνα γεγονέναι Διός, τοῦ δὲ Δῶρον καὶ Ξοῦθον καὶ  Αἰόλον, αἷς ὑφηγήσεσιν ἀκολουθῆσαι καὶ αὐτὸν Ἡσίοδον.  ὁποτέρως μὲν οὖν ἔχει, περὶ τῶν ἀρχαίων οὐκ εὐμαρὲς (243) δέχε-  σθαι τἀκριβὲς τοῖς νεωτέροις ἢ καταμαθεῖν, ὁμολογούμενον δὲ δι᾽  ἑκατέρας τῶν ἱστοριῶν συνάγεσθαι τὸ πρεσβυτάτην εἶναι τῶν δια-  λέκτων τὴν Δωρίδα, μετὰ δὲ ταύτην γενέσθαι τὴν Αἰολίδα,  λαχοῦσαν ἀπὸ Αἰόλου τοὔνομα, τρίτην δὲ τὴν ᾿Ατθίδα, κληθεῖσαν  ἀπὸ ᾿Ατθίδος τῆς Kpavaod, τετάρτην δὲ τὴν Ἰάδα, λεγομένην ἀπὸ  Ἵωνος τοῦ Ξούθου καὶ Κρεούσης τῆς Ἐρεχθέως, τεθειμένην δὲ  τρισὶ γενεαῖς ὕστερον τῶν πρότερον κατὰ Θρᾷκας καὶ τὴν  Ὠρειθυίας ἁρπαγήν, ὡς οἱ πλείους τῶν ἱστορικῶν ἀποφαίνουσι.  κεχρῆσθαι δὲ τῇ Δωρικῇ διαλέκτῳ καὶ τὸν [131] (244) Ὀρφέα, πρε-  σβύτατον ὄντα τῶν ποιητῶν. τῆς δὲ ἰατρικῆς μάλιστά φασιν αὐτοὺς  ἀποδέχεσθαι τὸ διαιτητικὸν εἶδος καὶ εἶναι ἀκριβεστάτους ἐν  τούτῳ, καὶ πειρᾶσθαι πρῶτον μὲν καταμανθάνειν σημεῖα συμμετρι-  ‘ag ποτῶν τε καὶ σίτων καὶ ἀναπαύσεως, ἔπειτα περὶ αὐτῆς τῆς κατα-  σκευῆς τῶν προσφερομένων σχεδὸν πρώτους ἐπιχειρῆσαί τε πραγ-  ματεύεσθαι καὶ διορίζειν. ἅψασθαι δὲ καὶ καταπλασμάτων ἐπὶ  πλεῖον τοὺς Πυθαγορείους τῶν ἔμπροσθεν, τὰ δὲ περὶ τὰς φαρμα-  κείας ἧττον δοκιμάζειν, αὐτῶν δὲ τούτων «τοῖς: πρὸς τὰς ἑλκώσεις  μάλιστα χρῆσθαι, τὰ δὲ περὶ τὰς τομάς τε καὶ καύσεις ἥκιστα  πάντων ἀποδέχεσθαι. χρῆσθαι δὲ καὶ ταῖς ἐπῳδαῖς πρὸς ἔνια τῶν  ἀρρωστημάτων. (245) παραιτήσασθαι δὲ λέγονται τοὺς τὰ μαθήματα  καπηλεύοντας καὶ τὰς ψυχὰς ὡς πανδοχείου θύρας ἀνοίγοντας  παντὶ τῷ προσιόντι τῶν ἀνθρώπων, ἂν δὲ μηδ᾽ οὕτως ὠνηταὶ  εὑρεθῶσιν, αὐτοὺς ἐπιχεομένους εἰς τὰς πόλεις καὶ συλλήβδην  ἐργολαβοῦντας τὰ γυμνάσια καὶ τοὺς νέους καὶ μισθὸν τῶν  ἀτιμήτων πράττοντας. αὐτὸν δὲ συνεπικρύπτεσθαι πολὺ τῶν λεγο-  μένων, ὅπως οἱ μὲν καθαρῶς παιδευόμενοι σαφῶς αὐτῶν μεταλαμβά-  νῶσιν, οἱ δ᾽, ὥσπερ Ὅμηρός φησι τὸν Τάνταλον, λυπῶνται παρόντων  αὐτῶν ἐν μέσῳ τῶν ἀκουσμάτων μηδὲν ἀπολαύοντες. λέγειν δ᾽ ab  τοὺς οἶμαι καὶ περὶ τοῦ μὴ μισθοῦ διδάσκειν τοὺς προσιόντας, cÙc  καὶ χείρους τῶν ἑρμογλύφων καὶ ἐπιδιφρίων τεχνιτῶν ἀποφαίνουσι.    VITA DI PITAGORA 263    Metrodoto -- che Deucalione, figlio di Prometeo, e Pirra, figlia di  Epimeteo, generarono Doro, il quale generò Elleno, che a sua volta  generò Eolo. Nei santuari babilonesi, invece, si sente dire che da Zeus  sia stato generato Elleno, e da questo siano stati generati Doro e Xuto  ed Eolo, la quale tradizione è stata seguita anche dallo stesso Esiodo.  Comunque stiano le cose — (243) e non è facile per i moderni, intor-  no a questi antichi racconti, ricavare o apprendere qualcosa di preci-  so —, c'è accordo sul fatto che da ambedue i racconti si evince che il  dialetto dorico è il più antico, dopo di esso viene quello eolico, che  prende nome da Eolo, terzo è il dialetto attico, che prende nome da  Attide figlia di Cranao, e quarto è il dialetto Ionico, detto cosi da Ione  figlio di Xuto e Creusa, figlia di Eretteo, dialetto quest’ultimo costrui-  to tre generazioni dopo i precedenti, al tempo dei Traci e del ratto di  Orizia, come indicano la maggior parte degli esperti di storia. Del dia-  letto dorico si servi anche Orfeo, che è il più antico tra i poeti.   (244) Della medicina i Pitagorici accolgono con favore, soprattutto, la  branca relativa alla dieta e sono molto precisi in questo settore, e cer-  cano anzitutto di apprendere ciò che indica la proporzione tra bevan-  de, alimenti e riposo; e poi essi sono stati forse i primi a ricercare e  praticare e stabilire le regole della stessa preparazione degli alimenti.  I Pitagorici poi si occupano, più che i loro predecessori, dei catapla-  smi, mentre approvano di meno i farmaci, e tra questi. si servono  soprattutto di quelli che curano le ulcerazioni, mentre non accettano  per nulla ciò che riguarda le incisioni e le cauterizzazioni. Si servono,  per certe infermità, anche degli incantesimi.141   (245) Si racconta anche che essi disprezzavano coloro che fanno della  scienza oggetto di commercio e che ad ogni uomo che incontrano  aprono le loro anime come fossero le porte di un albergo, e anche se  nonostante ciò non trovano dei compratori, essi si spandono per le  città e, per dirla in breve, cercano di trarre guadagno dai ginnasi e dai  giovani e si fanno pagare per cose che non hanno prezzo. Pitagora,  invece, dissimulava molta parte dei suoi insegnamenti, affinché potes-  sero averne chiara comprensione <solo> coloro che erano educati a  principi puri, mentre altri dovessero angustiarsi perché — come dice  Omero di Tantalo -, pur in presenza e quasi immersi in quegli inse-  gnamenti, non erano in grado di trarne alcun vantaggio. Essi diceva-  no anche — come io credo — che coloro che danno insegnamento a    264 GIAMBLICO    τοὺς μὲν γὰρ ἐκδομένου τινὸς ἑρμῆν ζητεῖν εἰς τὴν διάθεσιν τῆς  μορφῆς ξύλον ἐπιτήδειον, τοὺς δὲ [132] προχείρως ἐκ πάσης φύσεως  ἐργάζεσθαι τὴν ἀρετῆς ἐπι(24δ)τήδευσιν. προνοεῖν δὲ δεῖν μᾶλλον  λέγουσι φιλοσοφίας ἢ γονέων καὶ γεωργίας" τοὺς μὲν γὰρ γονέας  καὶ τοὺς γεωργοὺς αἰτίους εἶναι τοῦ ζῆν ἡμᾶς, τοὺς δὲ φιλοσόφους  καὶ παιδευτὰς «τοῦ» καὶ εὖ ζῆν καὶ φρονῆσαι, τὴν ὀρθὴν οἰκονομί-  αν εὑρόντας. οὔτε δὲ λέγειν οὔτε συγγράφειν οὕτως ἠξίου, ὡς πᾶσι  τοῖς ἐπιτυχοῦσι κατάδηλα εἶναι τὰ νοήματα, ἀλλ᾽ αὐτὸ δὴ τοῦτο  πρῶτον διδάξαι λέγεται Πυθαγόρας τοὺς αὐτῷ προσφοιτῶντας, ὅπως  ἀκρασίας ἁπάσης καθαρεύοντες ἐν ἐχερρημοσύνῃ φυλάττωσιν οὗς  ἂν ἀκροάσωνται λόγους. τὸν γοῦν πρῶτον ἐκφάναντα τὴν τῆς συμμε-  τρίας καὶ ἀσυμμετρίας φύσιν τοῖς ἀναξίοις μετέχειν τῶν λόγων  οὕτως φασὶν ἀποστυγηθῆναι, ὡς μὴ μόνον ἐκ τῆς κοινῆς συνουσίας  καὶ διαίτης ἐξορισθῆναι, ἀλλὰ καὶ τάφον αὐτοῦ κατασκευασθῆναι,  ὡς δῆτα ἀποιχομένου ἐκ τοῦ μετ᾽ ἀνθρώπων βίου τοῦ ποτε ἑταίρου  γενο(247)μένου. οἱ δέ φασι καὶ τὸ δαιμόνιον νεμεσῆσαι τοῖς ἐξώφο-  ρα τὰ Πυθαγόρου ποιησαμένοις. φθαρῆναι γὰρ ὡς ἀσεβήσαντα ἐν  θαλάσσῃ τὸν δηλώσαντα τὴν τοῦ εἰκοσαγώνου σύστασιν. τοῦτο δ᾽ ἦν  δωδεκάεδρον, ἕν τῶν πέντε λεγομένων στερεῶν σχημάτων, εἰς  σφαῖραν ἐκτείνεσθαι. ἔνιοι δὲ τὸν περὶ τῆς ἀλογίας καὶ τῆς ἀσυμ-  μετρίας ἐξειπόντα τοῦτο παθεῖν ἔλεξαν. ἰδιότροπός τε μὴν καὶ συμ-  βολικὴ ἦν ἡ σύμπασα Πυθαγόρειος ἀγωγή, [ἐν] αἰνίγμασί τισι καὶ  γρίφοις ἔκ γε τῶν ἀποφθεγμάτων ἐοικυῖα διὰ τὸ ἀρχαΐζειν τῷ  χαρακτῆρι, καθάπερ καὶ τὰ θεῖα τῷ ὄντι καὶ πυθόχρη[133]στα λό-  yia δυσπαρακολούθητά roc καὶ δυσερμήνευτα φαίνεται τοῖς ἐκ  παρέργου χρηστηριαζομένοις. τοσαῦτα ἄν τις καὶ ἀπὸ τῶν σπο-  ράδην λεγομένων τεκμήρια ἂν παράθοιτο περὶ Πυθαγόρου τε καὶ  τῶν Πυθαγορείων.   35 (248) Ἦσαν δέ τινες, οἱ προσεπολέμουν τοῖς ἀνδράσι τούτοις    VITA DI PITAGORA 265    pagamento a chiunque capiti appaiono ancora peggiori degli scultori  di erme e degli artigiani sedentari: infatti, mentre questi ultimi, quan-  do qualcuno ordina un’erma, vanno alla ricerca del legno adatto a  ricevere la forma di erma, i primi, invece, sono pronti a lavorare per  fornire l'attitudine alla virti qualunque sia la natura «αἱ chi vuole  acquistarla>.   (246) I Pitagorici dicono che occorre darsi pensiero più della filosofia  che dei genitori o dell’agricoltura, perché è vero sî che i genitori e gli  agricoltori sono responsabili della nostra vita, ma i filosofi e gli educa-  tori lo sono del vivere bene e del pensare, in quanto hanno trovato la  giusta maniera di gestire gli affari domestici. Si racconta che Pitagora  riteneva opportuno che né si parlasse né si scrivesse in modo tanto tra-  sparente da rendere i propri pensieri evidenti a chiunque, ché anzi egli  insegnava come prima cosa a coloro che lo frequentavano di mantene-  re il silenzio, purificandosi di ogni incontinenza, sui discorsi che aves-  sero da lui ascoltati. E un fatto che i Pitagorici — come si racconta —  odiarono tanto chi per primo rivelò,!42 a chi non era degno di condi-  videre le loro dottrine, <una dottrina pitagorica>, cioè la natura della  commensurabilità e incommensurabilità, che non solo lo esclusero  dalla loro comunità scolastica e dal loro regime di vita, ma anche  costruirono per lui un sepolcro come se realmente uno che era stato  un tempo loro compagno fosse uscito dalla vita degli uomini.   (247) Altri raccontano che anche il mondo degli dèi si è vendicato di  coloro che avevano divulgato gli insegnamenti di Pitagora. Infatti  perî in mare come empio chi aveva rivelato il metodo per costruire  una figura di venti angoli <solidi>: questa figura era il dodecaedro,  una delle cosiddette cinque figure solide <regolari>, che poteva esse-  re iscritto in una sfera.!4 Alcuni hanno raccontato che la stessa sorte  subi colui che aveva divulgato la teoria <pitagorica> dell’irrazionali-  tà e della incommensurabilità.!44 In realtà l'educazione pitagorica nel  suo complesso aveva un carattere particolare ed era di natura simbo-  lica, in quanto simile, per il suo carattere arcaizzante, a certi enigmi  e oscuri discorsi fatti di sentenze, cosi come gli oracoli realmente  divini e manifestati dal dio Pizio appaiono, a coloro che consultano  l'oracolo in maniera superficiale, in qualche modo difficili da segui-  re e interpretare. Ecco dunque le testimonianze che si possono forni-  re, partendo da racconti sporadici, su Pitagora e i Pitagorici.    266 GIAMBLICO    καὶ ἐπανέστησαν αὐτοῖς. ὅτι μὲν οὖν ἀπόντος Πυθαγόρου ἐγένετο  ἡ ἐπιβουλή, πάντες συνομολογοῦσι, διαφέρονται δὲ περὶ τῆς τότε  ἀποδημίας, οἱ μὲν πρὸς Φερεκύδην τὸν Σύριον, οἱ δὲ εἰς  Μεταπόντιον λέγοντες ἀποδεδημηκέναι τὸν Πυθαγόραν. αἱ δὲ αἰτί-  αι τῆς ἐπιβουλῆς πλείονες λέγονται, μία μὲν ὑπὸ τῶν Κυλωνείων  λεγομένων ἀνδρῶν τοιάδε γενομένη. Κύλων, ἀνὴρ Κροτωνιάτης, γέ-  ver μὲν καὶ δόξῃ καὶ πλούτῳ πρωτεύων τῶν πολιτῶν, ἄλλως δὲ χαλε-  πός τις καὶ βίαιος καὶ θορυβώδης καὶ τυραννικὸς τὸ ἦθος, πᾶσαν  προθυμίαν παρασχόμενος πρὸς τὸ κοινωνῆσαι τοῦ Πυθαγορείου  βίου καὶ προσελθὼν πρὸς αὐτὸν τὸν Πυθαγόραν ἤδη πρεσβύτην  ὄντα, ἀπεδοκιμάσθη διὰ τὰς προ(24θ)ειρημένας αἰτίας. γενομένου  δὲ τούτου πόλεμον ἰσχυρὸν ἤρατο καὶ αὐτὸς καὶ οἱ φίλοι αὐτοῦ  πρὸς αὐτόν τε τὸν Πυθαγόραν καὶ τοὺς ἑταίρους, καὶ οὕτω σφοδρά  τις ἐγένετο καὶ ἄκρατος ἡ φιλοτιμία αὐτοῦ τε τοῦ Κύλωνος καὶ τῶν  μετ᾽ ἐκείνου τεταγμένων, ὥστε διατεῖναι μέχρι τῶν τελευταίων  Πυθαγορείων. ὁ μὲν οὖν Πυθαγόρας διὰ ταύτην τὴν αἰτίαν ἀπῆλθεν  εἰς τὸ Μεταπόντιον, κἀκεῖ λέγεται καταστρέψαι τὸν βίον" οἱ δὲ  Κυλώνειοι λεγόμενοι διετέλουν πρὸς Πυθαγορείους στασιάζοντες  καὶ πᾶσαν ἐνδεικνύμενοι [134] δυσμένειαν. ἀλλ᾽ ὅμως ἐπεκράτει  μέχρι τινὸς ἡ τῶν Πυθαγορείων καλοκαγαθία καὶ ἡ τῶν πόλεων  αὐτῶν βούλησις, ὥστε ὑπ᾽ ἐκείνων οἰκονομεῖσθαι βούλεσθαι τὰ  περὶ τὰς πολιτείας. τέλος δὲ εἰς τοσοῦτον ἐπεβούλευσαν τοῖς  ἀνδράσιν, ὥστε ἐν τῇ Μίλωνος οἰκίᾳ ἐν Κρότωνι συνεδρευόντων  τῶν Πυθαγορείων καὶ βουλευομένων περὶ πολιτικῶν πραγμάτων  ὑφάψαντες τὴν οἰκίαν κατέκαυσαν τοὺς ἄνδρας πλὴν δυεῖν,  ᾿Αρχίππου τε καὶ Λύσιδος᾽ οὗτοι δὲ νεώτατοι (250) ὄντες καὶ  εὐρωστότατοι διεξεπαίσαντο ἔξω πως. γενομένου δὲ τούτου καὶ λό-  γον οὐδένα ποιησαμένων τῶν πόλεων περὶ τοῦ συμβάντος πάθους  ἐπαύσαντο τῆς ἐπιμελείας οἱ Πυθαγόρειοι. συνέβη δὲ τοῦτο δι᾽ ἀμ-  φοτέρας τὰς αἰτίας, διά τε τὴν ὀλιγωρίαν τῶν πόλεων (τοῦ τοιούτου  γὰρ καὶ τηλικούτου γενομένου πάθους οὐδεμίαν ἐπιστροφὴν ἐποιή-  σαντο), διά τε τὴν ἀπώλειαν τῶν ἡγεμονικωτάτων ἀνδρῶν. τῶν δὲ  δύο τῶν περισωθέντων, ἀμφοτέρων Ταραντίνων ὄντων, ὁ μὲν  Ἄρχιππος ἀνεχώρησεν εἰς Τάραντα, ὁ δὲ Λῦσις μισήσας τὴν ὀλιγ-  opiav ἀπῆρεν εἰς τὴν Ἑλλάδα καὶ ἐν ᾿Αχαΐᾳ διέτριβε τῇ    VITA DI PITAGORA 267    35 (248) Ma c’erano alcuni che osteggiavano questi uomini [sc. i  Pitagorici] e che insorsero contro di loro. Orbene, che ci sia stato un  complotto mentre Pitagora era in viaggio, lo dicono tutti concorde-  mente, ma c'è discordanza proprio su quel viaggio: alcuni dicono che  Pitagora era andato a trovare Ferecide di Siro, altri che si era recato a  Metaponto. I motivi del complotto furono molti — a quanto si raccon-  ta --ἰ uno di tali motivi fu dato dai cosiddetti “uomini di Cilone”, ed  è questo. Cilone, uomo di Crotone, preminente tra i suoi concittadi-  ni per nascita e fama e ricchezza, ma che era, peraltro, di carattere dif-  ficile e violento e turbolento e tirannico, aveva messo ogni impegno  per condividere lo stile di vita pitagorico e una volta che ebbe incon-  trato Pitagora in persona, quando questi era già vecchio, fu da lui  respinto per i motivi suddetti.145   (249) A quel punto Cilone e i suoi amici ingaggiarono una dura bat-  taglia contro Pitagora e i suoi compagni, e fu cosi forte e incontrolla-  bile l'orgoglio dello stesso Cilone e di coloro che si erano schierati  dalla sua parte, che la lotta durò fino agli ultimi Pitagorici. Fu dun-  que per tale ragione che Pitagora se ne andò a Metaponto, e li — come  si racconta — cessò di vivere; i cosiddetti Ciloniani invece continuaro-  no a complottare contro i Pitagorici e a rivelare tutta la loro avversio-  ne contro di loro. Ciononostante la rettitudine dei Pitagorici e la  volontà delle città prevalsero fino al punto che queste vollero che i  loro affari pubblici fossero amministrati dai Pitagorici. Ma il complot-  to dei Ciloniani contro i Pitagorici arrivò al punto che, mentre questi  erano radunati nella casa di Milone a Crotone per dibattere su que-  stioni politiche, quelli appiccarono il fuoco alla casa e bruciarono vivi  tutti i Pitagorici tranne due, Archippo e Liside: questi, che erano i più  giovani e <quindi> i più robusti, riuscirono in qualche modo ad aprir-  si un varco e uscire fuori dalla casa.   (250) Dopo questo evento, poiché le città non avevano tenuto in nes-  sun conto l’accaduto, i Pitagorici cessarono di occuparsi di esse. E  questo accadde per due ragioni, sia per l'indifferenza delle città (que-  ste infatti non mostravano alcuna preoccupazione per la natura e la  gravità della tragedia che si era consumata), sia per la perdita dei  Pitagorici più idonei a dirigere gli affari pubblici. Dei due sopravvis-  suti, poi, che erano ambedue di Taranto, Archippo fece ritorno a  Taranto, mentre Liside, il quale odiava l’indifferenza <di quelle    268 GIAMBLICO    Πελοποννησιακῇ, ἔπειτα εἰς Θήβας μετῳκίσατο σπουδῆς τινος  γενομένης" οὗπερ ἐγένετο Ἐπαμεινώνδας ἀκροατὴς καὶ πατέρα τὸν  Λῦσιν ἐκάλεσεν. ὧδε καὶ τὸν βίον κατέστρεψεν. οἱ δὲ λοιποὶ τῶν  Πυθαγορείων ἀπέστησαν τῆς Ἰταλίας πλὴν ᾿Αρχύτου τοῦ  Tapav[135](251)tivov: ἀθροισθέντες δὲ εἰς τὸ Ῥήγιον ἐκεῖ διέτρι-  βον μετ᾽ ἀλλήλων. προϊόντος δὲ τοῦ χρόνου καὶ τῶν πολιτευμάτων  ἐπὶ τὸ χεῖρον προβαινόντων *** ἦσαν δὲ οἱ σπουδαιότατοι Φάντων  τε καὶ Ἐχεκράτης καὶ Πολύμναστος καὶ Διοκλῆς Φλιάσιοι,  Ξενόφιλος δὲ Χαλκιδεὺς τῶν ἀπὸ Θράκης Χαλκιδέων. ἐφύλαξαν  μὲν οὖν τὰ ἐξ ἀρχῆς ἤθη καὶ τὰ μαθήματα, xaitor ἐκλειπούσης τῆς  αἱρέσεως, ἕως εὐγενῶς ἠφανίσθησαν.   ταῦτα μὲν οὖν ᾿Αριστόξενος διηγεῖται᾽ Νικόμαχος δὲ τὰ μὲν ἄλλα  συνομολογεῖ τούτοις, παρὰ δὲ τὴν ἀποδημίαν (252) Πυθαγόρου φησὶ  γεγονέναι τὴν ἐπιβουλὴν ταύτην. ὡς γὰρ Φερεκύδη τὸν Σύριον,  διδάσκαλον αὐτοῦ γενόμενον, εἰς Δῆλον ἐπορεύθη, νοσοκομήσων  τε αὐτὸν περιπετῆ γενόμενον τῷ ἱστορουμένῳ τῆς φθειριάσεως πά-  θει καὶ κηδεύσων. τότε δὴ οὖν οἱ ἀπογνωσθέντες ὑπ᾽ αὐτῶν καὶ  στηλιτευθέντες ἐπέθεντο αὐτοῖς καὶ πάντας πανταχῇ ἐνέπρησαν,  αὐτοί τε ὑπὸ τῶν Ἰταλιωτῶν κατελεύσθησαν ἐπὶ τούτῳ καὶ ἐξερρί-  φησαν ἄταφοι. τότε δὴ οὖν συνεπιλιπεῖν συνέβαινε τὴν ἐπιστήμην  τοῖς ἐπισταμένοις, ἅτε δὴ ἄρρητον ὑπ᾽ αὐτῶν ἐν τοῖς στήθεσι διαφυ-  λαχθεῖσαν μέχρι τότε, τὰ δὲ δυσσύνετα μόνα καὶ ἀδιάπτυκτα παρὰ  τοῖς ἔξω διαμνημονεύεσθαι συνέβη, πλὴν ὀλίγων πάνυ, ὅσα τινὲς ἐν  ἀλλοδημίαις τότε τυχόντες διέσωσαν ζώπυρα ἄττα (253) πάνυ ἀμυ-  δρὰ καὶ δυσθήρατα. καὶ οὗτοι γὰρ μονωθέντες καὶ ἐπὶ τῷ συμβάντι  οὐ μετρίως ἀθυμήσαντες διεσπάρησαν μὲν ἄλλος ἀλλαχῇ, καὶ οὐκέ-  τι κοινωνεῖν ἀνθρώπῳ τινὶ [136] λόγου τὸ παράπαν ὑπέμενον, μονά-  ζοντες δ᾽ ἐν ταῖς ἐρημίαις, ὅπου ἂν τύχῃ, καὶ κατάκλειστοι τὰ  πολλὰ τὴν αὐτὸς ἑαυτοῦ ἕκαστος συνουσίαν ἀντὶ παντὸς ἠσμένιζον.  διευλαβούμενοι δὲ μὴ παντελῶς ἐξ ἀνθρώπων ἀπόληται τὸ φιλοσο-  φίας ὄνομα καὶ θεοῖς αὐτοὶ διὰ τοῦτο ἀπεχθάνωνται, διολέσαντες  ἄρδην τὸ τηλικοῦτον αὐτῶν δῶρον, ὑπομνήματά τινα κεφαλαιώδη  καὶ συμβολικὰ συνταξάμενοι τά τε τῶν πρεσβυτέρων συγγράμματα    VITA DI PITAGORA 269    città>, salpò verso la Grecia e dimorò in Acaia, nel Peloponneso, e  poi si trasferi a Tebe, città che dimostrava una certa attenzione nei  suoi confronti. Li divenne suo uditore Epaminonda, che chiamò  Liside “padre”. E cosi si concluse la sua vita. Tutti gli altri Pitagorici,  ad eccezione di Archita di Taranto, abbandonarono l’Italia;   (251) e radunatisi a Reggio, lî soggiornarono uniti tra loro. Col passa-  re del tempo e col peggiorare dell’organizzazione politica [...] ma i  più impegnati erano Fantone ed Echecrate e Polimnasto e Diocle,  nativi di Fliunte, e il calcidese Senofilo tra i Calcidesi provenienti  dalla Tracia. Essi dunque conservarono i costumi originari e le scien-  ze matematiche, sebbene la scuola andasse esaurendosi, finché non  scomparvero onorevolmente.   Sono questi, dunque, i fatti che racconta Aristosseno; e Nicomaco ne  racconta altri che concordano con questi, ma dice che quel complot-  to ebbe luogo mentre Pitagora era assente.   (252) Infatti si era imbarcato verso Delo per recarsi da Ferecide di  Siro, che era stato suo maestro, per curarlo della malattia in cui era  incappato, malattia che viene chiamata “ftiriasi”, e <infine> rendergli  gli onori funebri.!46 Fu allora che <i Ciloniani>, che erano stati  respinti e condannati al vituperio!” dai Pitagorici, li assalirono e li  bruciarono vivi tutti ovunque si trovassero, e quelli per questo  <misfatto> furono lapidati dagli Italioti e buttati fuori senza sepoltu-  ra. A quel punto dunque accadde che assieme a quegli scienziati  venne meno anche la scienza, giacché questa fino a quel momento era  stata custodita dai Pitagorici nel segreto dei loro petti, e accadde che  soltanto le cose incomprensibili e inspiegabili furono tramandate  presso gente estranea alla scuola,!48 ad eccezione di pochissime dot-  trine che alcuni che si erano trovati in quel tempo all’estero poterono  conservare quali fiammelle del tutto deboli e difficili da procacciarsi.  (253) Ebbene, anche questi ultimi, isolati e scoraggiati profondamen-  te per l'accaduto, si dispersero qua e là, e non sopportarono pit asso-  lutamente di comunicare con alcun uomo, e si isolarono in regioni  disabitate ovunque capitasse, e quasi del tutto chiusi in se stessi cia-  scuno preferiva stare in compagnia di se stesso anziché di chiunque  altro. Ma preoccupandosi che il nome della filosofia non sparisse  completamente dal consorzio umano ed essi stessi non fossero invisi  agli dèi per il fatto di avere distrutto completamente un cosi impor-    270 GIAMBLICO    καὶ ὧν διεμέμνηντο συναλίσαντες κατέλιπον ἕκαστος οὗπερ ἐτύγ-  χανε τελευτῶν, ἐπισκήψαντες υἱοῖς ἢ θυγατράσιν ἢ γυναιξὶ μηδενὶ  δόμεναι τῶν ἐκτὸς τᾶς οἰκίας. αἱ δὲ μέχρι παμπόλλου χρόνου τοῦτο  διετήρησαν, ἐκ διαδοχῆς τὴν αὐτὴν ταύτην ἐντολὴν ἐπιστέλλουσαι  τοῖς ἐπιγόνοις.   (254) ἐπεὶ δὲ καὶ ᾿Απολλώνιος περὶ τῶν αὐτῶν ἔστιν ὅπου διαφω-  νεῖ, πολλὰ δὲ καὶ προστίθησι τῶν μὴ εἰρημένων παρὰ τούτοις, φέρε  δὴ καὶ τὴν τούτου παραθώμεθα διήγησιν περὶ τῆς εἰς τοὺς  Πυθαγορείους ἐπιβουλῆς. λέγει τοίνυν ὡς ἐκείνῳ παρηκολούθει  μὲν εὐθὺς È ἐκ παίδων ὁ φθόνος παρὰ τῶν ἄλλων. οἱ γὰρ ἄνθρωποι, μέ-  χρι μὲν διελέγετο πᾶσι τοῖς προσιοῦσι Πυθαγόρας, ἡδέως εἶχον,  ἐπεὶ δὲ μόνοις ἐνετύγχανε τοῖς μαθηταῖς, ἠλαττοῦτο. καὶ τοῦ μὲν  ἔξωθεν ἥκοντος συνεχώρουν ἡττᾶσθαι, τοῖς δ᾽ ἐγχωρίοις πλεῖον  φέρεσθαι δοκοῦσιν ἤχθοντο, καὶ καθ᾽ αὑτῶν ὑπελάμβανον γίνεσθαι  τὴν σύνοδον. ἔπειτα καὶ τῶν νεανίσκων ὄντων ἐκ τῶν ἐν τοῖς ἀξιώ-  μασι καὶ ταῖς οὐσίαις προεχόντων, συνέβαινε προαγούσης τῆς  ἡλικίας μὴ μόνον αὐτοὺς ἐν τοῖς ἰδίοις βίοις πρωτεύειν, ἀλλὰ τὸ  κοινῇ τὴν πόλιν [137] οἰκονομεῖν, μεγάλην μὲν ἑταιρείαν συναγηο-  χόσιν (ἦσαν «γὰρ» ὑπὲρ τριακοσίους), μικρὸν δὲ μέρος τῆς πόλεως  οὖσι, τῆς οὐκ ἐν τοῖς αὐτοῖς ἔθεσιν οὐδ᾽ ἐπιτηδεύμασιν (255) ἐκεί-  νοις πολιτευομένης. οὐ μὴν ἀλλὰ μέχρι μὲν οὖν τὴν ὑπάρχουσαν  χώραν ἐκέκτηντο καὶ Πυθαγόρας ἐπεδήμει, διέμενεν ἡ μετὰ τὸν  συνοικισμὸν κεχρονισμένη κατάστασις, δυσαρεστουμένη καὶ  ζητοῦσα καιρὸν εὕρασθαι μεταβολῆς. ἐπεὶ δὲ Σύβαριν ἐχειρώσαν-  το, κἀκεῖνος ἀπῆλθε, καὶ τὴν δορίκτητον διῳκήσαντο μὴ κατα-  κληρουχηθῆναι κατὰ τὴν ἐπιθυμίαν τῶν πολλῶν, ἐξερράγη τὸ  σιωπώμενον μῖσος, καὶ διέστη πρὸς αὐτοὺς τὸ πλῆθος. ἡγεμόνες δὲ  ἐγένοντο τῆς διαφορᾶς οἱ ταῖς συγγενείαις «καὶ» ταῖς οἰκειότησιν  ἐγγύτατα καθεστηκότες τῶν Πυθαγορείων. αἴτιον δ᾽ ἦν, «ὅτι» τὰ μὲν  πολλὰ αὐτοὺς ἐλύπει τῶν πραττομένων, ὥσπερ καὶ τοὺς τυχόντας,    VITA DI PITAGORA 271    tante loro dono, dopo avere composto delle Mezorie di natura som-  maria e simbolica e avere raccolto gli scritti dei Pitagorici più anziani  e le loro proprie Merzorie, li lasciarono ciascuno là dove capitò di  morire, raccomandando ai loro figli o figlie o mogli di non consegnar-  li a nessuno che fosse estraneo alla famiglia. E le famiglie mantenne-  ro questo impegno per molto tempo, trasmettendo per successione ai  loro discendenti questa stessa istruzione.   (254) Ma poiché sugli stessi eventi esiste un racconto di Apollonio  che è discordante su qualche punto, e molte cose egli aggiunge rispet-  to a ciò che è stato detto su questi eventi, allora è bene che noi pro-  poniamo il suo racconto sul complotto contro i Pitagorici. In realtà,  egli dice, Pitagora era stato accompagnato subito fin dall'infanzia dal-  l’odio degli altri. Infatti, finché Pitagora era disposto a dialogare con  coloro che lo avvicinavano, gli uomini lo trattavano dolcemente, ma  allorché egli cominciò a intrattenersi solo con i suoi allievi, cominciò  a godere di minore considerazione. Quelli accettavano si di essere da  meno rispetto ad uno che veniva dall’estero, ma detestavano il fatto  che dei loro concittadini pensassero di essere tenuti in maggior conto,  e sospettavano che quelli si radunassero contro di loro. In seguito,  anche per il fatto che i giovani provenivano da famiglie preminenti  per fama e ricchezza, accadde che essi con l’avanzare nell’età non solo  primeggiavano nella vita privata, ma finivano per avere in comune  anche l’amministrazione della città, ed è vero si che avevano costitui-  to una grande eteria (erano infatti più di trecento), ma erano pur sem-  pre una piccola parte della città, la quale quindi non era governata  con gli stessi costumi né con le stesse occupazioni dei Pitagorici.  (255) Nondimeno, dunque, finché i Crotoniati occuparono il territo-  rio attuale e anche Pitagora vi soggiornò, rimase in vigore la costitu-  zione che durava dal momento della fondazione della colonia, pur  essendo oggetto di malcontento e si cercasse di trovare un’occasione  per mutarla. Ma dopo che ebbero sottomesso Sibari, e dopo che  Pitagora andò via, e i Pitagorici decisero di non distribuire, secondo  quanto desiderava la maggioranza dei cittadini, le terre occupate con  le armi, esplose l’odio che era rimasto silenzioso, e la moltitudine si  schierò contro i Pitagorici. E i capi della rivolta furono quelli che ave-  vano strettissimi legami di parentela e di intimità con i Pitagorici. E la  ragione era che essi, al pari della gente comune, erano infastiditi dalla    272 GIAMBLICO        ἐφ᾽ ὅσον ἰδιασμὸν εἶχε παρὰ τοὺς ἄλλους, ἐν δὲ τοῖς μεγίστοις καθ  αὑτῶν μόνον ἐνόμιζον εἶναι τὴν ἀτιμίαν. ἐπὶ μὲν γὰρ τῷ μηδένα τῶν  Πυθαγορείων ὀνομάζειν Πυθαγόῤξιι ἀλλὰ ζῶντα μέν, ὁπότε βού-  λοιντο δηλῶσαι, καλεῖν αὐτὸν θεῖον, ἐπεὶ δὲ ἐτελεύτησεν, ἐκεῖνον  τὸν ἄνδρα, καθάπερ Ὅμηρος ἀποφαίνει τὸν Εὔμαιον ὑπὲρ  Ὀδυσσέως μεμνημένον᾽ τὸν μὲν ἐγών, ὦ ξεῖνε, καὶ οὐ παρεόντ᾽ ὀνο-  μάζειν αἰδέομαι’ πέρι γάρ μ᾽ ἐφίλει καὶ ἐκήδετο λίην, (256)  ὁμοτρόπως δὲ μηδ᾽ ἐκ τῆς κλίνης ἀνίστασθαι ὕστερον ἢ τὸν ἥλιον  ἀνίσχειν, μηδὲ δακτύλιον ἔχοντα θεοῦ σημεῖον φορεῖν, ἀλλὰ τὸν  μὲν παρατηρεῖν ὅπως ἀνιόντα προσεύξων[]38]ται, τὸν δὲ μὴ περιτί-  θεσθαι, φυλαττομένους μὴ προσενέγκωσι πρὸς ἐκφορὰν ἤ τινα τό-  πον οὐ καθαρόν, ὁμοίως δὲ μηδ᾽ ἀπροβούλευτον μηδ᾽ ἀνυπεύθυνον  μηδὲν ποιεῖν, ἀλλὰ πρωὶ μὲν προχειρίζεσθαι τί πρακτέον, εἰς δὲ  τὴν νύκτα ἀναλογίζεσθαι τί διῳκήκασιν, ἅμα τῷ σκοπεῖσθαι καὶ  τὴν μνήμην γυμναζομένους, παραπλησίως δ᾽, εἴ τις τῶν κοιν-  ὠνούντων τῆς διατριβῆς ἀπαντῆσαι κελεύσειεν εἴς τινα τόπον, ἐν  ἐκείνῳ περιμένειν, ἕως ἔλθοι, δι᾽ ἡμέρας καὶ νυκτός, πάλιν ἐν  τούτῳ τῶν Πυθαγορείων συνεθιζόντων μεμνῆσθαι (257) τὸ ῥηθὲν  καὶ μηδὲν εἰκῆ λέγειν, ὅλως δ᾽ ἄχρι τῆς τελευτῆς εἶναί τι προστε-  ταγμένον κατὰ τὸν ὕστατον «γὰρ» καιρὸν παρήγγελλε μὴ βλα-  σφημεῖν, ἀλλ᾽ ὥσπερ ἐν ταῖς ἀναγωγαῖς οἰωνίζεσθαι μετὰ τῆς εὐ-  φημίας, ἥνπερ ἐποιοῦντο διωθούμενοι τὸν ᾿Αδρίαν. τὰ μὲν τοιαῦτα,  καθάπερ προεῖπον, ἐπὶ τοσοῦτον ἐλύπει κοινῶς ἅπαντας, ἐφ᾽ ὅσον  ἔγνωσαν ἰδιάζοντας ἐν αὑτοῖς τοὺς συμπεπαιδευμένους. ἐπὶ δὲ τῷ  μόνοις τοῖς Πυθαγορείοις τὴν δεξιὰν ἐμβάλλειν, ἑτέρῳ δὲ μηδενὶ  τῶν οἰκείων πλὴν τῶν γονέων, καὶ τῷ τὰς οὐσίας ἀλλήλων μὲν παρέ-  χειν κοινάς, πρὸς ἐκείνους δὲ ἐξηλλοτριωμένας, χαλεπώτερον καὶ  βαρύτερον ἔφερον οἱ συγγενεῖς. ἀρχόντων δὲ τούτων τῆς διαστά-  σεως ἑτοίμως οἱ λοιποὶ προσέπιπτον εἰς τὴν ἔχθραν. καὶ λεγόντων    VITA DI PITAGORA 273    maggior parte delle azioni dei Pitagorici, in quanto questi ultimi tene-  vano un comportamento contrario a quello di tutti gli altri, e credeva-  no -- tra le questioni di maggiore importanza — che il fatto che <spes-  so> i Pitagorici mancassero di rispetto per qualcuno non fosse altro  che un atto di avversione contro di loro. A proposito, ad esempio, del  fatto che nessun Pitagorico chiamasse Pitagora per nome, né quando  era in vita né dopo la sua morte, ma lo chiamasse il “divino”, “quel-  l'uomo”, cosî come fa Omero quando mostra come Eumeo menziona  Odisseo: «a nominarlo, o straniero, benché non sia presente, io ho  vergogna, perché molto mi amava mi aveva a cuore»,199   (256) cosi come del fatto che né si alzassero dal letto dopo la levata  del sole, né portassero anelli con l’effigie di un dio, ma nel primo caso  i Pitagorici aspettavano che il sole si levasse allo scopo di potere fare  le loro preghiere, nel secondo caso essi non cingevano quel tipo di  anelli per evitare di doverli portare a un funerale o in qualche luogo  impuro, e allo stesso modo non facevano nulla che non fosse stato  deliberato in anticipo e di cui non fossero <quindi> responsabili, anzi  fin dal mattino si tenevano pronti per ciò che dovevano compiere, e  verso sera facevano il resoconto di ciò che avevano gestito, per eser-  citarsi nello stesso tempo a esaminare la loro capacità mnemonica, e  parimenti, se qualcuno di coloro che facevano parte della scuola aves-  se richiesto loro di andare in un certo luogo, essi sarebbero rimasti in  quel luogo, di giorno e di notte, fino a quando quello non fosse arri-  vato, e ancora <si infastidivano> del fatto i Pitagorici erano soliti di  mandare a memoria ciò si era detto e di non dire nulla a caso,   (257) e in generale il fatto che fino al momento della morte c’era sem-  pre qualche cosa che veniva ordinata: infatti Pitagora prescriveva che  all’ultimo istante della vita non si bestemmiasse, ma si facessero pre-  sagi con parole augurali alla maniera di quelle che si adoperano nelle  evocazioni, come facevano coloro che affrontavano l'Adriatico. Cose  di tal genere infastidivano — come si diceva sopra — di solito tutti  quanti, nella misura in cui si sapeva che i Pitagorici si isolavano in se  stessi, pur essendo stati educati assieme agli altri. I parenti dei  Pitagorici, poi, sopportavano più difficilmente e consideravano come  più pesante il fatto poi che quelli tendessero la mano destra solo ai  Pitagorici, e a nessun altro dei parenti ad eccezione dei genitori, e che  condividessero tra loro le sostanze che avevano in comune, e che    274 GIAMBLICO    ἐξ αὐτῶν τῶν χιλίων Ἱππάσου καὶ Διοδώρου kai Θεάγους ὑπὲρ τοῦ  [139] πάντας κοινωνεῖν τῶν ἀρχῶν καὶ τῆς ἐκκλησίας καὶ διδόναι  τὰς εὐθύνας τοὺς ἄρχοντας ἐν τοῖς ἐκ πάντων λαχοῦσιν, ἐναντιου-  μένων δὲ τῶν Πυθαγορείων ᾿Αλκιμάχου καὶ Δεινάρχου καὶ  Μέτωνος καὶ Δημοκήδους καὶ διακωλυόντων τὴν πάτριον πολιτείαν  μὴ καταλύειν, ἐκράτησαν οἱ τῷ (258) πλήθει συνηγοροῦντες. μετὰ  δὲ ταῦτα συνιόντων τῶν πολλῶν διελόμενοι τὰς δημηγορίας κατηγό-  ρουν τῶν αὐτῶν ἐκ τῶν ῥητόρων Κύλων καὶ Νίνων. ἦν δ᾽ ὃ μὲν ἐκ τῶν  εὐπόρων, ὃ δὲ ἐκ τῶν δημοτικῶν. τοιούτων δὲ λόγων, μακροτέρων δὲ  παρὰ τοῦ Κύλωνος ῥηθέντων ἐπῆγεν ἅτερος, προσποιούμενος μὲν  ἐζητηκέναι τὰ τῶν Πυθαγορείων ἀπόρρητα, πεπλακὼς δὲ καὶ  γεγραφὼς ἐξ ὧν μάλιστα αὐτοὺς ἤμελλε διαβάλλειν, καὶ δοὺς τῷ  γραμματεῖ βιβλίον (259) ἐκέλευσεν ἀναγιγνώσκειν. ἦν δ᾽ αὐτῷ ἐπι-  γραφὴ μὲν «λόγος ἱερός», ὁ δὲ τύπος τοιοῦτος τῶν γεγραμμένων.  τοὺς φίλους ὥσπερ τοὺς θεοὺς σέβεσθαι, τοὺς δ᾽ ἄλλους ὥσπερ τὰ  θηρία χειροῦσθαι. τὴν αὐτὴν ταύτην γνώμην ὑπὲρ Πυθαγόρου μεμ-  νημένους ἐν μέτρῳ τοὺς μαθητὰς λέγειν" τοὺς μὲν ἑταίρους ἦγεν  ἴσον μακάρεσσι θεοῖσι, τοὺς δ᾽ ἄλλους ἡγεῖτ᾽ οὔτ᾽ ἐν λόγῳ οὔτ᾽ ἐν  ἀριθμῷ. (260) τὸν Ὅμηρον μάλιστ᾽ ἐπαινεῖν ἐν οἷς εἴρηκε ποιμένα  λαῶν: ἐμφανίσκειν γὰρ βοσκήματα τοὺς ἄλλους ὄντας, ὀλιγαρχικὸν  ὄντα. τοῖς κυάμοις πολεμεῖν ὡς ἀρχηγοῖς γεγονόσι [140] τοῦ  κλήρου καὶ τοῦ καθιστάναι τοὺς λαχόντας ἐπὶ τὰς ἐπιμελείας.  τυραννίδος ὀρέγεσθαι παρακαλοῦντας κρεῖττον εἶναι φάσκειν  γενέσθαι μίαν ἡμέραν ταῦρον ἢ πάντα τὸν αἰῶνα βοῦν. ἐπαινεῖν τὰ  τῶν ἄλλων νόμιμα, κελεύειν δὲ χρῆσθαι τοῖς ὑφ᾽ αὑτῶν ἐγνωσμέ-  νοις. καθάπαξ τὴν φιλοσοφίαν αὐτῶν συνωμοσίαν ἀπέφαινε κατὰ  τῶν πολλῶν καὶ παρεκάλει μηδὲ τὴν φωνὴν ἀνέχεσθαι συμβουλε-  υόντων, ἀλλ᾽ ἐνθυμεῖσθαι διότι τὸ παράπαν οὐδ᾽ ἂν συνῆλθον εἰς  τὴν ἐκκλησίαν, εἰ τοὺς χιλίους ἔπεισαν ἐκεῖνοι κυρῶσαι τὴν συμ-  βουλήν. ὥστε τοῖς κατὰ τὴν ἐκείνων δύναμιν κεκωλυμένοις τῶν    VITA DI PITAGORA 275    <quindi> venivano sottratti ai parenti. E dopo che questi cominciaro-  no subito a contestarli, anche gli altri si abbandonarono al rancore. E  siccome nello stesso Consiglio dei Mille Ippaso e Diodoro e Teage  dicevano che tutti potevano partecipare alle magistrature e all’assem-  blea e che gli arconti dovessero dare i loro rendiconti davanti ai citta-  dini estratti a sorte fra tutti, mentre i Pitagorici Alcimaco e Dinarco e  Metone e Democide erano contrari e volevano impedire che venisse  sciolta la patria costituzione, allora prevalsero coloro che difendeva-  no la causa della moltitudine.   (258) Dopo di che, essendosi radunati in molti, gli oratori Cilone e  Ninone lanciarono le loro accuse contro i Pitagorici, pronunciando  distinte concioni. Il primo, Cilone, proveniva dalla classe agiata, il  secondo, Ninone, da quella popolare. Pronunciate queste concioni,  delle quali quella pronunciata da Cilone era stata la più lunga, l’altro  oratore, Ninone, prosegui arrogandosi il merito di avere ricercato le  dottrine segrete dei Pitagorici, e di avere screditato questi ultimi aven-  do ricostruito e messo per iscritto la maggior parte di quelle dottrine.  Dopo avere <quindi> consegnato al cancelliere un libro, gli ordinò di  leggerlo.   (259) Il titolo di quel libro era “Discorso sacro”, mentre il contenuto  dello scritto era di questo tenore: «Gli amici siano venerati come dèi,  e gli altri soggiogati come bestie selvagge. Gli allievi esprimevano su  Pitagora questo stesso pensiero in versi: “I compagni li considerava  uguali agli dèi beati, gli altri non li teneva nella benché minima consi-  derazione”.   (260) Si elogi Omero soprattutto per quei passaggi in cui dice “pasto-  re di popoli” 15° perché fa vedere che gli altri sono greggi, mentre lui  è membro di un’oligarchia. Si faccia guerra alle fave come capostipiti  del sistema del sorteggio e dell’attribuzione ai sorteggiati degli incari-  chi pubblici. Si aspiri alla tirannide, raccomandando di dire che è  meglio essere un giorno toro che bue in eterno. Si elogino le consue-  tudini degli altri, ma si ordini di servirsi di quelle riconosciute da noi  stessi». Per dirla in breve, Ninone mostrava come la filosofia dei  Pitagorici fosse una congiura contro la gente comune e raccomanda-  va che non li si lasciasse parlare neppure come consiglieri, ma si riflet-  tesse sul fatto che egli stesso non si sarebbe potuto affatto recare in  assemblea, se quelli avessero convinto i Mille a convalidare la loro    276 GIAMBLICO    ἄλλων ἀκούειν οὐ προσήκειν ἐᾶν αὐτοὺς λέγειν, ἀλλὰ τὴν δεξιὰν  τὴν ὑπ᾽ αὐτῶν ἀποδεδοκιμασμένην πολεμίαν ἐκείνοις ἔχειν, ὅταν  τὰς γνώμας χειροτονῶσιν ἢ τὴν ψῆφον λάβωσιν, αἰσχρὸν εἶναι νομί-  ζοντας, τοὺς τριάκοντα μυριάδων περὶ τὸν Τετράεντα ποταμὸν περι-  γενομένους ὑπὸ τοῦ χιλιοστοῦ μέρους ἐκείνων ἐν αὐτῇ (261) τῇ  πόλει φανῆναι κατεστασιασμένους. τὸ δ᾽ ὅλον οὕτω τῇ διαβολῇ τοὺς  ἀκούοντας ἐξηγρίωσεν, ὥστε μετ᾽ ὀλίγας ἡμέρας, μουσεῖα θυόντων  αὐτῶν ἐν οἰκίᾳ παρὰ τὸ Πύθιον, ἀθρόοι συνδραμόντες οἷοί τ᾽ ἦσαν  τὴν ἐπίθεσιν ἐπ᾽ αὐτοὺς ποιήσασθαι. οἱ δὲ προαισθόμενοι, οἱ μὲν  εἰς πανδοκεῖον ἔφυγον, Δημοκήδης δὲ μετὰ τῶν ἐφήβων εἰς Πλατέας  ἀπεχώρησεν. οἱ δὲ καταλύσαντες τοὺς νόμους ἐχρῶντο ψηφίσμασιν,  ἐν οἷς αἰτιασάμενοι τὸν Δημοκήδην συνεστακέναι τοὺς νεωτέρους  ἐπὶ τυραννίδι, τρία τάλαντα ἐκήρυξαν δώσειν, ἐάν τις αὐτὸν ἀνέλῃ,  καὶ γενομένης μάχης, κρατή[]4]]|σαντος αὐτοῦ τὸν κίνδυνον [ὑπὸ]  Θεάγους, ἐκείνῳ τὰ τρία (262) τάλαντα παρὰ τῆς πόλεως ἐμέρισαν.  πολλῶν δὲ κακῶν κατὰ τὴν πόλιν καὶ τὴν χώραν ὄντων, εἰς κρίσιν  προβληθέντων τῶν φυγάδων καὶ τρισὶ πόλεσι τῆς ἐπιτροπῆς παραδο-  θείσης, Ταραντίνοις, Μεταποντίνοις, Καυλωνιάταις, ἔδοξε τοῖς  πεμφθεῖσιν ἐπὶ τὴν γνώμην ἀργύριον λαβοῦσιν, ὡς ἐν τοῖς τῶν  Κροτωνιατῶν ὑπομνήμασιν ἀναγέγραπται, φεύγειν τοὺς αἰτίους.  προσεξέβαλον δὲ τῇ κρίσει κρατήσαντες ἅπαντας τοὺς τοῖς  καθεστῶσι δυσχεραίνοντας καὶ συνεφυγάδευσαν τὴν γενεάν, οὐ  φάσκοντες δεῖν ἀσεβεῖν οὐδὲ τοὺς παῖδας ἀπὸ τῶν γονέων διασπᾶν.  καὶ τά τε (263) χρέα ἀπέκοψαν καὶ τὴν γῆν ἀνάδαστον ἐποίησαν.  ἐπιγενομένων δὲ πολλῶν ἐτῶν καὶ τῶν περὶ τὸν Δείναρχον ἐν ἑτέρῳ  κινδύνῳ τελευτησάντων, ἀποθανόντος καὶ Λιτάτους, ὅσπερ ἦν  ἡγεμονικώτατος τῶν στασιασάντων, ἔλεός τις καὶ μετάνοια ἐνέπε-  σε, καὶ τοὺς περιλειπομένους αὐτῶν ἠβουλήθησαν κατάγειν. μετα-  πεμπόμενοι δὲ πρεσβευτὰς ἐξ ᾿Αχαΐας δι᾽ ἐκείνων πρὸς τοὺς ἐκ-  πεπτωκότας διελύθησαν (264) καὶ τοὺς ὅρκους εἰς Δελφοὺς ἀνέ-    VITA DI PITAGORA 277    proposta. Sicché lasciare parlare i Pitagorici non conveniva a coloro  che erano stati impediti con la forza di ascoltare gli altri, anzi doveva-  no considerare la loro mano destra, che da quelli era stata respinta,  come un’arma contro i Pitagorici, nel momento in cui alzavano la  mano o prendevano il sassolino per votare le loro idee, pensando che  sarebbe stato vergognoso, per loro che avevano sconfitto al fiume  Tetraente!51 ben trecentomila uomini, che adesso nella loro propria  città apparissero sopraffatti dai Pitagorici che sono la millesima parte  di quelli.152   (261) Insomma, Ninone inasprî con la sua falsa accusa coloro che lo  ascoltavano al punto che, dopo pochi giorni, mentre i Pitagorici sacri-  ficavano alle Muse in una casa vicina a tempio di Apollo, si radunaro-  no in massa quanti poterono per aggredirli. Ma i Pitagorici, che ave-  vano previsto ciò, alcuni si rifugiarono in un albergo, mentre  Democede assierne agli efebi si ritirò a Platea. I Crotoniati allora,  dopo avere abrogato le leggi <correnti>, votarono dei decreti in cui  ritenevano Democede responsabile di avere costituito i più giovani in  tirannide e proclamavano di dare tre talenti a chi lo avesse ucciso, e  una volta ingaggiata la battaglia, avendo Teage sconfitto il pericolo  costituito da Democede, gli furono attribuiti dalla città i tre talenti.  (262) Ma poiché esistevano molti mali sia in città che nel territorio cir-  costante, messi sotto accusa gli esuli, fu affidato l’arbitrato a tre città,  Taranto, Metaponto e Caulonia, i cui delegati — che furono ricompen-  sati in denaro per la decisione che dovevano assumere, come è scrit-  to nelle Memorie dei Crotoniati — pensarono bene di esiliare i colpe-  voli. Ma avendo ottenuto la vittoria nel processo, i Crotoniati vi  aggregarono tutti quelli che erano in disaccordo con il regime costi-  tuito e li esiliarono assieme alla famiglia, dicendo <a loro giustificazio-  ne> che non si doveva commettere il misfatto di separare i figli dai  genitori. E <inoltre> azzerarono i debiti e ridistribuirono la terra.  (263) Trascorsi molti anni, morto Dinarco in un’altra situazione peri-  colosa, morto anche Litate, che era il capo supremo dei rivoltosi,  subentrarono una certa compassione e un ripensamento, e i  Crotoniati vollero richiamare dall'esilio quei Pitagorici che erano  sopravvissuti. E fatti venire dall’Acaia degli ambasciatori, per loro tra-  mite si riconciliarono con gli esiliati e consacrarono a Delfi i loro patti  giurati.    278 GIAMBLICO    θηκαν. ἦσαν δὲ τῶν Πυθαγορικῶν καὶ περὶ ἑξήκοντα τὸν ἀριθμὸν οἱ  κατελθόντες ἄνευ τῶν πρεσβυτέρων, ἐν οἷς ἐπὶ τὴν ἰατρικήν τινες  κατενεχθέντες καὶ διαίτῃ τοὺς ἀρρώστους ὄντας θεραπεύοντες  ἡγεμόνες κατέστησαν τῆς εἰρημένης καθόδου. συνέβη δὲ καὶ τοὺς  σωθέντας, διαφερόντως παρὰ τοῖς πολλοῖς εὐδοκιμοῦντας, κατὰ τὸν  καιρόν, ἐν ᾧ λεγομένου πρὸς τοὺς παρανομοῦντας «οὐ τάδε ἐστὶν  ἐπὶ Νίνωνος» γενέσθαι φασὶ ταύτην τὴν παροιμίαν, κατὰ τοῦτον  ἐμβα[!42]λόντων τῶν Θουρίων κατὰ χώραν ἐκβοηθήσαντας καὶ pet  ἀλλήλων κινδυνεύσαντας ἀποθανεῖν, τὴν δὲ πόλιν οὕτως εἰς TOÙ-  ναντίον μεταπεσεῖν, ὥστε χωρὶς τῶν ἐπαίνων, ὧν ἐποιοῦντο περὶ  τῶν ἀνδρῶν, ὑπολαβεῖν μᾶλλον ταῖς Μούσαις κεχαρισμένην  ἔσεσθαι τὴν ἑορτήν, «εἰ» κατὰ τὸ Μουσεῖον τὴν δημοσίαν ποιοῖντο  θυσίαν, «ὃ» κατ᾽ αὐτοὺς ἐκείνους πρότερον ἱδρυσάμενοι τὰς θεὰς  ἐτίμων. περὶ μὲν οὖν τῆς κατὰ τῶν Πυθαγορείων γενομένης ἐπιθέ-  σεως τοσαῦτα εἰρήσθω.   36 (265) Διάδοχος δὲ πρὸς πάντων ὁμολογεῖται Πυθαγόρου γεγο-  νέναι ᾿Αρισταῖος Δαμοφῶντος ὁ Κροτωνιάτης, κατ᾽ αὐτὸν  Πυθαγόραν τοῖς χρόνοις γενόμενος, ἑπτὰ γενεαῖς ἔγγιστα πρὸ  Πλάτωνος: καὶ οὐ μόνον τῆς σχολῆς, ἀλλὰ καὶ τῆς παιδοτροφίας καὶ  τοῦ Θεανοῦς γάμου κατηξιώθη διὰ τὸ ἐξαιρέτως περικεκρατηκέναι  τῶν δογμάτων. αὐτὸν μὲν γὰρ Πυθαγόραν ἀφηγήσασθαι λέγεται  ἑνὸς δέοντος ἔτη τεσσαράκοντα, τὰ πάντα βιώσαντα ἔτη ἐγγὺς τῶν  ἑκατόν, παραδοῦναι δὲ ᾿Αρισταίῳ τὴν σχολὴν πρεσβυτάτῳ ὄντι.  μεθ᾽ ὃν ἡγήσασθαι Μνήμαρχον τὸν Πυθαγόρου, τοῦτον δὲ  Βουλαγόρᾳ παραδοῦναι, ἐφ᾽ οὗ διαρπασθῆναι συνέβη τὴν  Κροτωνιατῶν πόλιν. μεθ᾽ ὃν Γαρτύδαν τὸν Κροτωνιάτην διάδοχον  γενέσθαι, ἐπανελθόντα ἐκ τῆς ἀποδημίας, ἣν ἐποιήσατο πρὸ τοῦ  πολέμον᾽ διὰ μέντοι τὴν συμφορὰν τῆς πατρίδος ἐκλιπεῖν τὸν βίον.  ἕνα δὴ μόνον γενέσθαι (266) τοῦτον, ὃς ὑπὸ λύπης προὔλιπε τὸν  βίον. τοῖς δ᾽ ἄλλοις [143] ἔθος εἶναι γηραιοῖς σφόδρα γενομένοις  ὥσπερ ἐκ δεσμῶν τοῦ σώματος ἀπαλλάττεσθαι. χρόνῳ μέντοι γε  ὕστερον ᾿Αρεσᾶν ἐκ τῶν Λευκανῶν, σωθέντα διά τινων Éévov,  ἀφηγήσασθαι τῆς σχολῆς: πρὸς ὃν ἀφικέσθαι Διόδωρον τὸν ᾿Ασπέν-  διον, ὃν παραδεχθῆναι διὰ τὴν σπάνιν τῶν ἐν τῷ συστήματι ἀνδρῶν.    VITA DI PITAGORA 279    (264) Erano circa sessanta i Pitagorici che rientrarono a Crotone,  senza contare gli anziani, alcuni dei quali si erano dedicati alla medi-  cina e poiché erano in grado di curare i malati per mezzo della dieta,  si erano posti alla guida del suddetto rientro. E accadde anche che i  Pitagorici che si erano salvati, godendo di ottima stima da parte delle  masse — si racconta che in quel periodo sia nato il seguente proverbio,  rivolto ai fuorilegge, “non siamo più al tempo di Ninone” -, allorché  gli abitanti di Turi fecero irruzione nel territorio di Crotone siano  venuti in loro aiuto e siano morti correndo i loro stessi rischi, e la città  di Crotone mutò a tal punto che, a parte gli elogi che furono rivolti ai  Pitagorici, si pensava che la festa sarebbe stata più gradita alle Muse,  se si fosse operato un sacrificio pubblico nel tempio delle Muse -- tem-  pio che essi avevano precedentemente costruito su suggerimento  degli stessi Pitagorici per onorare quelle divinità —. Ecco dunque  quanto c’era da dire a proposito dell'aggressione che si verificò con-  tro i Pitagorici.    36 (265) Tutti sono d’accordo nel dire che successore di Pitagora  fu Aristeo di Crotone, figlio di Damofonte, vissuto al tempo dello  stesso Pitagora, quasi sette generazioni prima di Platone; e Aristeo fu  ritenuto degno non solo di dirigere la scuola, ma anche di allevare i  figli di Pitagora e di sposarne <la moglie> Teano, per il fatto che egli  padroneggiava egregiamente le dottrine pitagoriche. Si racconta infat-  ti che Pitagora in persona guidò la scuola per trentanove anni, essen-  do vissuto in tutto quasi cento anni, e la trasmise ad Aristeo quando  questi era già molto vecchio. Dopo Aristeo fu capo della scuola il  figlio di Pitagora Mnemarco, che a sua volta la trasmise a Bulagora,  sotto la cui direzione accadde che la città di Crotone subi un saccheg-  gio. Dopo Bulagora divenne successore di Pitagora Gartida di  Crotone, dopo un suo soggiorno all’estero che egli aveva iniziato  prima della guerra: la sua morte avvenne proprio a causa della sorte  che aveva subîfto la patria. È stato appunto l’unico Pitagorico morto  prima del tempo perché ucciso dal dolore;   (266) per tutti gli altri invece la morte giunse di solito quando  erano già molto vecchi, come se si fossero liberati dai vincoli del loro  corpo. Tra quelli che vennero dopo, comunque, fu successore di  Pitagora il lucano Aresa, il quale si era salvato grazie ad alcuni stra-    280 GIAMBLICO    οὗτος δὲ εἰς τὴν Ἑλλάδα ἐπανελθὼν διέδωκε τὰς Πυθαγορείους  φωνάς. ζηλωτὰς δὲ γράφειν γενέσθαι τῶν ἀνδρῶν περὶ μὲν  Ἡράκλειαν Κλεινίαν καὶ Φιλόλαον, «ἐν» Μεταποντίῳ δὲ Θεωρίδην  «καὶ» Εὔρυτον, ἐν Τάραντι δὲ ᾿Αρχύταν. τῶν δ᾽ ἔξωθεν ἀκροατῶν  γενέσθαι καὶ Ἐπίχαρμον, ἀλλ᾽ οὐκ ἐκ τοῦ συστήματος τῶν ἀνδρῶν.  ἀφικόμενον δὲ εἰς Συρακούσας διὰ τὴν Ἱέρωνος τυραννίδα τοῦ μὲν  φανερῶς φιλοσοφεῖν ἀποσχέσθαι, εἰς μέτρον δ᾽ ἐντεῖναι τὰς διανοί-  ας τῶν ἀνδρῶν, μετὰ παιδιᾶς κρύφα ἐκφέροντα τὰ Πυθαγόρου δύγ-  ματα. (267) τῶν δὲ συμπάντων Πυθαγορείων τοὺς μὲν ἀγνῶτάς τε  καὶ ἀνωνύμους τινὰς πολλοὺς εἰκὸς γεγονέναι, τῶν δὲ γνωριζο-  μένων ἐστὶ τάδε τὰ ὀνόματα:   Κροτωνιᾶται Ἱππόστρατος, Δύμας, Αἴγων, Αἵμων, Σύλλος,  Κλεοσθένης, ᾿Αγέλας, Ἐπίσυλος, Φυκιάδας, “Ἔκφαντος, Τίμαιος,  Βοῦθος, “Ἔρατος, Ἰταναῖος, Ῥόδιππος, Βρύας, Εὔανδρος, Μυλλίας,  ᾿Αντιμέδων, ᾿Αγέας, Λεόφρων, ᾿Αγύλος, Ὀνάτας, Ἱπποσθένης,  Κλεόφρων, ᾿Αλκμαίων, Δαμοκλῆς, Μίλων, Μένων   [144] Μεταποντῖνοι Βροντῖνος, Παρμίσκος, Ὀρεστάδας, Λέων,  Δαμάρμενος, Αἰνέας, Χειλᾶς, Μελησίας, ᾿Αριστέας, Λαφάων,  Εὔανδρος, ᾿Αγησίδαμος, Ξενοκάδης, Εὐρύφημος, ᾿Αριστομένης,  ᾿Αγήσαρχος, ᾿Αλκίας, Ξενοφάντης, Θρασέας, Εὔρυτος, Ἐπίφρων,  Εἰρίσκος, Μεγιστίας, Λεωκύδης, Θρασυμήδης, Εὔφημος, Προκλῆς,  ᾿Αντιμένης, Λάκριτος, Δαμοτάγης, Πύρρων, Ῥηξίβιος, ᾿Αλώπεκος,  ᾿Αστύλος, Λακύδας, Ἁνίοχος, Λακράτης, Γλυκῖνος  ᾿Ακραγαντῖνος Ἐμπεδοκλῆς  Ἐλεάτης Παρμενίδης  Ταραντῖνοι Φιλόλαος, Εὔρυτος, ᾿Αρχύτας, Θεόδωρος, ᾿Αρίστιππος,  Λύκων, Ἑστιαῖος, Πολέμαρχος, ᾿Αστέας, Καινίας, Κλέων, Εὐρυ-  μέδων, ᾿Αρκέας, Κλειναγόρας, ἽΑρχιππος, Ζώπυρος, Εὔθυνος,  Δικαίαρχος, φιλωνίδης, Φροντίδας, Λῦσις, Λυσίβιος, Δεινοκράτης,  Ἐχεκράτης, Πακτίων, ᾿Ακουσιλάδας, ἽΚκκος, Πεισικράτης,  Κλεάρατος, Λεοντεύς, Φρύνιχος, Σιμιχίας, ᾿Αριστοκλείδας,  Κλεινίας, Ἁβροτέλης, Πεισίρροδος, Βρύας, Ἕλανδρος, ᾿Αρχέμαχος,  Μιμνόμαχος, ᾿Ακμονίδας, Δικᾶς, Καροφαντίδας  Συβαρῖται Μέτωπος, Ἵππασος, Πρόξενος, Εὐάνωρ, [145] Λεάναξ,  Μενέστωρ, Διοκλῆς, Ἕμπεδος, Τιμάσιος, Πολεμαῖος, Ἕνδιος,  Τυρσηνός  Καρχηδόνιοι Μιλτιάδης, Ἅνθης, Ὁδίος, Λεώκριτος  Πάριοι Αἰήτιος, Φαινεκλῆς, Δεξίθεος, ᾿Αλκίμαχος, Δείναρχος,    VITA DI PITAGORA 281    nieri. Sotto la sua direzione giunse alla scuola Diodoro di Aspendo, il  quale fu accolto <solo> perché nella struttura scarseggiavano gli  uomini. Quest'ultimo poi, recatosi in Grecia, si mise a diffondere i  discorsi dei Pitagorici. Egli scrive che seguaci dei Pitagorici erano: ad  Eraclea Clinia e Filolao, a Metaponto Teoride ed Eurito, a Taranto  Archita. Tra gli uditori esterni c'era anche Epicarmo, anche se questi  non proveniva alla struttura pitagorica; giunto a Siracusa egli si asten-  ne dal filosofare a causa della tirannide di Ierone, ma mise in versi i  pensieri dei Pitagorici, esprimendo cosî, <come> per gioco, le dottri-  ne di Pitagora.   (267) Fra tutti i Pitagorici nel loro complesso, molti, naturalmen-  te, sono rimasti sconosciuti e anonimi, di altri, invece, che ci sono  noti, ecco i loro nomi.    Di Crotone: Ippostrato, Dimante, Egone, Emone, Sillo, Cleostene,  Agela, Episilo, Ficiada, Ecfanto, Timeo, Buto, Erato, Itaneo,  Rodippo, Briante, Evandro, Millia, Antimedonte, Agea,  Leofrone, Agilo, Onata, Ippostene, Cleofrone, Alcmeone,  Damocle, Milone, Menone.   Di Metaponto: Brontino, Parmisco, Orestada, Leone, Damarmeno,  Enea, Chilante, Melesia, Aristea, Lafaone, Evandro, Agesidamo,  Senocade, Eurifemo, Aristomene, Agesarco, Alcia, Senofante,  Trasea, Eurito, Epifrone, Irisco, Megistia, Leocide, Trasimede,  Eufemo, Procle, Antimene, Lacrito, Damotage, Pirrone,  Ressibio, Alopeco, Astilo, Lacida, Anioco, Lacrate, Glicino.   Di Agrigento: Empedocle.   Di Elea: Parmenide.   Di Taranto: Filolao, Eurito, Archita, Teodoro, Aristippo, Licone,  Estieo, Polemarco, Astea, Cenia, Cleone, Eurimedonte, Arcea,  Clinagora, Archippo, Zopiro, Eutino, Dicearco, Filonide,  Frontida, Liside, Lisibio, Dinocrate, Echecrate, Pactione,  Acusilada, Icco, Pisicrate, Clearato, Leonteo, Frinico, Simichia,  Aristoclida, Clinia, Abrotele, Pisirrodo, Briante, Elandro,  Archemaco, Mimnomaco, Acmonida, Dicante, Carofantida.   Di Sibari: Metopo, Ippaso, Prosseno, Evanore, Leanatte, Menestore,  Diocle, Empedo, Timasio, Polemeo, Endio, Tirreno.   Di Cartagine: Milziade, Ante, Odio, Leocrito.    282 GIAMBLICO    Μέτων, Τίμαιος, Τιμησιάναξ, Εὔμοιρος, Θυμαρίδας  Λοκροὶ Γύττιος, Ξένων, Φιλόδαμος, Εὐέτης, Εὔδικος, Σθενωνίδας,  Σωσίστρατος, Εὐθύνους, Ζάλευκος, Τιμάρης  Ποσειδωνιᾶται ᾿Αθάμας, Σῖμος, Πρόξενος, Κραναός, Μύης,  Βαθύλαος, Φαίδων  Λευκανοὶ Ὅκκελος καὶ Ὅκκιλος ἀδελφοί, ᾿Αρέσανδρος, Κέραμβος  Δαρδανεὺς Μαλίων  ᾿Αργεῖοι Ἱππομέδων, Τιμοσθένης, Εὐέλθων, Θρασύδαμος, Κρίτων,  Πολύκτωρ  Λάκωνες Αὐτοχαρίδας, Κλεάνωρ, Εὐρυκράτης  Ὑπερβύρειος Ἅβαρις  Ῥηγῖνοι ᾿Αριστείδης, Δημοσθένης, ᾿Αριστοκράτης, Φύτιος,  Ἑλικάων, Μνησίβουλος, Ἱππαρχίδης, Εὐθοσίων, Εὐθυκλῆς,  Ὄνγψιμος, Κἀλαῖς, Σελινούντιος   [146] Συρακούσιοι Λεπτίνης, Φιντίας, Δάμων  Σάμιοι Μέλισσος, Λάκων, Ἄρχιππος, Ἑλώριππος, Ἕλωρις, Ἵππων  Καυλωνιᾶται Καλλίμβροτος, Δίκων, Νάστας, Δρύμων, Ξενέας  Φλιάσιοι Διοκλῆς, Ἐχεκράτης, Πολύμναστος, Φάντων  Σικυώνιοι Πολιάδης, Δήμων, Στράτιος, Σωσθένης  Κυρηναῖοι Πρῶρος, Μελάνιππος, ᾿Αριστάγγελος, Θεόδωρος  Κυζικηνοὶ Πυθόδωρος, Ἱπποσθένης, Βούθηρος, Ξενόφιλος  Καταναῖοι Χαρώνδας, Λυσιάδης  Κορίνθιος Χρύσιππος  Τυρρηνὸς Ναυσίθοος  ᾿Αθηναῖος Νεόκριτος  Ποντικὸς Λύραμνος. οἱ πάντες GIN.  Πυθαγορίδες δὲ γυναῖκες αἱ ἐπιφανέσταται: Τιμύχα γυνὴ [ἡ]  Μυλλία τοῦ Κροτωνιάτου, Φιλτὺς θυγάτηρ Θεόφριος τοῦ  Κροτωνιάτου, Βυνδάκου ἀδελφή, Ὀκκελὼ καὶ Ἐκκελὼ «ἀδελφαὶ  Ὀκκέλω καὶ Ὀκκίλω» τῶν Λευκανῶν, Χειλωνὶς θυγάτηρ Χείλωνος  τοῦ Λακεδαιμονίου, Κρατησίκλεια Λάκαινα γυνὴ Κλεάνορος τοῦ  Λακεδαιμονίου, Θεανὼ [147] γυνὴ τοῦ Μεταποντίνου Βροτίνου,  Μυῖα γυνὴ Μίλωνος τοῦ Κροτωνιάτου, Λασθένεια ᾿Αρκάδισσα,  Ἁβροτέλεια Ἁβροτέλους θυγάτηρ τοῦ Ταραντίνου, Ἐχεκράτεια  Φλιασία, Τυρσηνὶς Συβαρῖτις, Πεισιρρόδη Ταραντινίς, Θεάδουσα  Λάκαινα, Βοιὼ ᾿Αργεία, Βαβελύκα ᾿Αργεία, Κλεαίχμα ἀδελφὴ  Αὐτοχαρίδα τοῦ Λάκωνος. αἱ πᾶσαι ιζ΄.    VITA DI PITAGORA 283    Di Paro: Eezio, Fenecle, Dessiteo, Alcimaco, Dinarco, Metone,  Timeo, Timesianatte, Eumero, Timarida.   Di Locri: Gittio, Senone, Filodamo, Euete, Eudico, Stenonida,  Sosistrato, Eutinoo, Zaleuco, Timare.   Di Posidonia: Atamante, Simo, Prosseno, Cranao, Mie, Batilao,  Fedone.   Di Lucania: Occelo e Occilo, fratelli, Aresandro, Cerambo.   Di Dardano: Malione.   Di Argo: Ippomedonte, Tinostene, Eueltone, Trasidamo, Critone,  Polittore.   Di Laconia: Autocarida, Cleanore, Euricrate.   Degli Iperborei: Abari.   Di Reggio: Aristide, Demostene, Aristocrate, Fizio, Elicaone,  Mnesibulo, Ipparchide, Eutosione, Euticle, Opsimo, Calaide,  Selinunzio.   Di Siracusa: Leptine, Finzia, Damone.   Di Samo: Melisso, Lacone, Archippo, Elorippo, Eloride, Ippone.   Di Caulonia: Callimbroto, Dicone, Nasta, Drimone, Senea.   Di Fliunte: Diocle, Echecrate, Polimnasto, Fantone.   Di Sicione: Poliade, Demone, Stratio, Sostene.   Di Cirene: Proro, Melanippo, Aristangelo, Teodoro.   Di Cizico: Pitodoro, Ippostene, Butero, Senofilo.   Di Catania: Caronda, Lisiade.   Di Corinto: Crisippo.   Di Etruria: Nausitoo.   Di Atene: Neocrito.   Del Ponto: Liramno. In tutto 218.    Le donne Pitagoriche più note sono: Timica, moglie di Millia di  Crotone, Filtide, figlia di Teofrio di Crotone e sorella di Bindaco,  Occelo ed Eccelo, sorelle di Occelo e Occilo di Lucania, Chilonide,  figlia di Chilone di Sparta, Cratesiclea di Laconia, moglie di Cleanoro  di Sparta, Teano, moglie di Brotino di Metaponto, Miia, moglie di  Milone di Crotone, Lastenia di Arcadia, Abrotelia, figlia di Abrotele  di Taranto, Echecratia di Fliunte, Tirsenide di Sibari, Pisirrode di  Taranto, Teadusa di Laconia, Boio di Argo, Babelica di Argo,  Cleecma, sorella di Autocarida di Laconia. In tutto 17.    NOTE ALLA «VITA DI PITAGORA»    1 συνοπαδός è termine attinto da Platone. Cf. Plat. Phdr 248c2 ss., a pro-  posito della legge di Adrastea.   2 Qui si vuole precisare che il termine “figura” indica non la figura geo-  metrica, bensi quella aritmetica, cioè la configurazione di una esposizione di  numeri.   3 Non può non trattarsi, in questo contesto, che delle figure poco prima  spiegate come diagrammi, cioè come figure numeriche.   4 Perché vi si facevano offerte senza vittime, ma solo a base di biade.   5 Quindi non per esercitare il suo insegnamento, come nell’emiciclo,  bensi allo scopo di avere un luogo tutto suo per filosofare in forma esoteri-  ca.   6 C£. Plat. Minosse 319b ss., dove, a commento di alcuni versi di Omero  (Od. 19,178 s.), Platone fa addirittura un’esegesi della parole con cui il Poeta  presenta Minosse come Διὸς μεγάλου ὀαριστής, spiegando che, avendo il  termine ὀαριστής il significato di “chi conversa familiarmente <con qualcu-  no>”, ciò indica «che Minosse conversò familiarmente e frequentò per nove  anni [δι᾽ ἐνάτου ἔτους] l’antro di Zeus, allo scopo di essere istruito da Zeus  come da un vero sapiente». L'espressione δι᾽ ἐνάτου ἔτους, che equivale alla  successiva ἐνάτῳ ἔτει, corrisponde all’ ἐννέωρος omerico (questo è tuttavia  riferito al tempo durante cui regnò Minosse), ma è stata da taluni fraintesa e  tradotta, erroneamente, «ogni nove anni» [semmai, allora, «ogni otto  anni»!].   ? Le cosiddette “liturgie”, che erano dei servizi che i cittadini più facol-  tosi di una città prestavano a proprie spese.   8 Cioè delle persone che per studiare filosofia conducevano una vita di  comunità.   9 Cioè una grande comunità di uditori che si riunivano insieme per svol-  gere attività scolastiche. La voce ὁμακόοι (co-uditori) e i paronimi  ὁμακοεῖον e ὁμακοίον (comunità di co-uditori e, talora, la sala dove si riu-  nivano) sono spiegati da Giamblico al $ 73, dove si dice che «con questo  nome erano chiamati tutti coloro che stavano intorno all'uomo [sc. a  Pitagora]». È chiaro che si tratta di uditori che costituiscono una “comuni  tà scolastica” perché stanno insieme o si riuniscono per ascoltare le lezioni di  Pitagora. Io ne do una traduzione distinta da quella relativa ad altre voci  indicanti discepoli di Pitagora, quali ad esempio: ἑταῖρος (compagno),  ὁμιλητής (discepolo), γνώριμος (intimo, che può indicare il familiare o il  discepolo più vicino al maestro), μαθητής (allievo 0 studente), ecc.    VITA DI PITAGORA 285    10 Cf. Aristot. Fr. p. 132 Ross.   11 L'espressione: δοὺς δὲ καὶ τὴν τῶν ἰχθύων τιμὴν τοῖς ἁλιεῦσιν viene  comunemente tradotta «dopo avere pagato ai pescatori il prezzo del pesce».  Soltanto Brisson/Segonds lasciano intendere che potrebbe trattarsi non di  pagamento, ma di qualcos'altro, che tuttavia non appare chiaro. Essi infatti  traducono «Après avoir donné le prix des poissons aux pécheurs». Che cosa  può significare “dare il prezzo dei pesci ai pescatori”? Io lo intenderei nel  senso di “stimare il valore venale, ecc.”. Perché mai Pitagora avrebbe dovu-  to pagare ai pescatori il prezzo del pescato, quando essi sarebbero certamen-  te andati a venderlo? Al contrario, è lecito giustificare la stima venale del  pescato come ulteriore segno della capacità calcolativa di Pitagora di quan-  to avrebbero ricavato i pescatori dal pesce venduto, Del resto egli aveva già  stimato e fatto verificare la esatta quantità, meglio il numero esatto, dei pesci  pescati.   1? Essendo, cioè, ciascuno di sesso opposto a quello del genitore: figlia  femmina quella di Zeus, figlio maschio quello di Era.   15 Cioè dalla virti opposta alla temperanza, che è la intemperanza (ἀκο-  λασία). Per tale opposizione, si cf. Aristot. Rbet. I 9, 1366b13 ss. Altre virtà  opposte alla temperanza possono essere la stoltezza o imprudenza (ἀφρο-  σύνη) o, meglio ancora, l’incontinenza (ἀκρασία), Sembra perciò accettabi-  le la correzione di ἀντιθέσεως in διαθέσεως proposta da Cobet e accolta da  Brisson/Segonds (cf. app. cr. dell’ed. Dibner/Klein).   14 Cioè da Crotone.   15 Cioè lo stesso Pitagora. Non è ben chiaro quel che qui si dice, ma appa-  re evidente che si intende dire che anche dopo Pitagora l’uomo sapiente fu  chiamato filosofo in virtà del fatto che questo appellativo se l’era attribuito  una volta per tutte appunto Pitagora.   16 Pitagora si chiamò “amico della sapienza” invece che “sapiente” tout  court.   17 Il rifiuto della correzione di Deubner ha la seguente motivazione. Con  quella correzione il senso del discorso cambia notevolmente e infatti qui tro-  viamo differenti traduzioni. Secondo la correzione di Deubner, infatti, il  senso è questo: poiché questo è il solo atteggiamento che provano anche gli  altri animali (cf. Dillon/Hershbell, Giangiulio); secondo la lezione dei MSS  invece il senso è quest'altro: poiché tra tutti gli animali solo gli uomini pro-  vano questo sentimento (cf. von Albrecht, Montoneri, Clark, Brisson/Se-  gonds). Il primo senso sembra improbabile nella misura in cui è assurdo  pensare che la generosità sia l’unico sentimento comune a uomini e bruti. Il  secondo senso appare dunque più verisimile, in quanto il sentimento di  generosità è, tra tutti quelli che provano gli uomini, a differenza dei bruti,  quello che viene percepito meglio, anche perché si tratta di intravedere l’in-  tenzione che resta nascosta al di lì della manifestazione di generosità ed è    286 GIAMBLICO    quindi solo oggetto di “compréhension intuitive”, come traducono  Brisson/Segonds.   18 Cioè come una persona che ha diritto, per costume religioso, a preten-  dere sostegno e aiuto dal marito come una supplice dall’autorità a cui si  rivolge. Cf. il precetto pitagorico riferito al cap. 84.   19 Cioè secondo le norme e i costumi della tradizione, e quindi con licei-  tà e serietà.   20 Παιδεία da παῖς, παιδός.   21 Ovviamente fanciulli disposti ad essere educati come si deve.   22 Ritengo che qui l’espressione φόνῳ δὲ καὶ θανάτῳ si debba prendere  in endiadi.   23 Nel senso limitativo di “maschi”.   24 Nel senso che non appartiene alle varie categorie di lavoratori.   25 Si ricordi che poco fa si era detto che gli uomini vengono al mondo  come una massa dalle inclinazioni più variegate.   26 Il bue era in verità un toro, quindi.   27 Nel senso che il toro, ascoltando Pitagora, indirettamente si asteneva  dal mangiare le fave.   28 In quanto erano i versi omerici relativi alla morte di Euforbo per mano  di Menelao.   29 Hom. Il. 17,51-60.   30 Significa questo che secondo Pitagora la storia e la civiltà aveva corrot-  to l’anima umana? In ogni caso è chiaro che tutta l'educazione, a comincia-  re da quella musicale, ha come fine la correzione delle disarmonie che il  modo di vita degli uomini poteva avere provocato nelle loro anime.   31 Lett.: della sola trachea, cioè con il fiato emesso dai suoi polmoni.   3? Per il fatto, cioè, che tra gli uomini e alcuni animali c’è rapporto di con-  vivenza (animali domestici) e anche di comportamento.   3) Cioè di educare formandoli alla dottrina pitagorica.   34 L'espressione ἃς οὐκ ἐχρῆν tor γενέσθαι δεύτερον viene tradotta in  vario modo, ad es. «qui n’aurait pas dù te vaincre» [Brisson/Segonds],  «which ought not to happen to you a second time» [Dillon/Hershbell],  «dem du nicht hàttest erliegen sollen» [von Albrecht], «alle quali non avre-  sti dovuto indulgere” [Montoneri e Giangiulio], «though you should have  got the better of it» [Clark]. In effetti il δεύτερον non può qui avere altro  senso se non temporale oppure ordinale: io preferisco questo secondo, anche  perché lo si può intendere in senso estimativo.   35 Cioè selezionando quelli che conviene loro irretire.   36 Gli ἀκούσματα, donde traggono il loro nome i cosiddetti “acusmati-  ci”, erano dei semplici precetti orali, delle istruzioni, alla stessa maniera dei    VITA DI PITAGORA 287    cosiddetti σύμβολα, altro termine che esprime lo stesso concetto pitagorico.   37 Cioè come pure rivelazioni divine.   38 Come dire che quanto più precetti o modi di istruzione si inventano  tanto più si è saggi.   39 Si tratta, evidentemente — come si deduce anche dal $ 187 — di una pro-  stituta.   40 Cf, $ 48.   41 È evidente il significato di questo precetto: per essere considerati valo-  rosi in battaglia, è necessario che si resista sul campo e non si fugga dinanzi  al nemico, nel qual caso le ferite si trovano sul dorso e non sul petto.   42 Non sono, cioè, state fatte dagli acusmatici, a prescindere, in questo  caso, dal fatto che questi siano da considerarsi veri Pitagorici o meno. Cf.  sopra $ 81.   43 In questo contesto il termine A6yog ha certamente il medesimo signifi-  cato del precedente ἀρχή.   44 L'espressione, presa alla lettera, è oi δὲ περὶ τὰ μαθήματα τῶν  Πυθαγορείων che comunemente viene tradotta “i Pitagorici che si occupa-  no delle matematiche”. In effetti si tratta di una perifrasi che sta a indicare  quella sezione dei Pitagorici che sono stati classificati in precedenza come  “Matematici”, per distinguerli dagli “Acusmatici”. Cf. Iambl. De com.  mathem. sc. 76,24 ss.   45 Sembra evidente che nell’espressione διὰ δὲ τὸ ἐξενεγκεῖν kai ypd-  ψασθαι πρῶτος σφαῖραν τὴν ἐκ δώδεκα πενταγώνων l'aggettivo πρῶτος non  dev'essere accordato con tutti e due gli infiniti ἐξενεγκεῖν e γράψασθαι,  perché non ha senso dire che Ippaso avrebbe “per primo divulgato e descrit-  to”, mentre ha senso dire che Ippaso avrebbe per primo scoperto e descrit-  to il metodo in questione. Di un medesimo segreto il primo divulgatore  diviene l’unico. In questo caso Ippaso viene presentato come lo scopritore di  quel metodo e al contempo come colui che lo avrebbe divulgato fuori della  scuola, commettendo cosi un atto di empietà. Del resto dai $$ 246 e 247 si  evince rispettivamente che la prima divulgazione di un segreto pitagorico  riguarda la teoria dell’incommensurabile (il divulgatore in questo caso fu  espulso dalla scuola e ritenuto morto) e che peri per mare come empio colui  che aveva rivelato il metodo per costruire una figura di venti angoli, cioè il  dodecaedro. Anche se in questi ultimi due paragrafi non si dice il nome, è  evidente che si tratta di Ippaso. Ritengo quindi più logico accordare l’agget-  tivo πρῶτος solo all'infinito γράψασθαι, in quanto si vuole indicare in que-  sto caso che Ippaso fu “il primo” a “descrivere” (cioè a costruire geometri-  camente) la sfera servendosi del dodecaedro: il senso dell’espressione, dun-  que, è il seguente: Ippaso divulgò fuori della scuola il metodo della costru-  zione della sfera che egli per primo aveva scoperto. Che la sfera nascesse    288 GIAMBLICO    dalla circoscrizione a un dodecaedro si può evincere anche dal fatto che  Platone dice nel Tirzeo che del dodecaedro si servi il demiurgo per adorna.  re il cosmo (sferico) dopo averlo creato con tutti gli altri solidi regolari. È  l’unico solido regolare, quindi, ad avere questa funzione universale. Cf.  Iambl., De comm. math. sc. 77,21, e nota alla trad. 190.   46 Cf. sopra $ 72.    47 ὑποτίθεσθαι è in questo testo un bapax legomenon e dev'essere, quin-  di, preso con un significato forte.   48 Io interpreto in tal modo l’espressione οἷοί té εἰσι σιωπᾶν καὶ διαφυ-  λάττειν, dove non mi convince la ripetizione di “fare silenzio” e quindi riten-  go che si debba subordinarlo all’altro verbo (διαφυλάττειν): in breve σιωπᾶν  καὶ διαφυλάττειν significa in questo contesto “mantenere il silenzio su ciò  che si è appreso nella scuola”.   49 Cioè i non iniziati, ovvero quelli che stavano “fuori della tenda”.   50 Si tratta, com'è ovvio, di quel gruppo di cosiddetti “politici”, i quali si  occupavano sia dell’amministrazione dei beni che della legislazione. Sono  chiamati “amministratori” e “legislatori”: cf. $$ 72 e 89.   51 Lett.: massime che si esprimevano in forma di negazione, e quindi di  invito a “non fare”. Nel paragrafo successivo si parlerà di “simboli” che sono  anch'essi delle massime in forma negativa, ma di genere diverso, precisamen-  te un po’ più bisognevoli di interpretazione (non dei semplici detti, quindi).   52 Cioè di figlio o beneficato.   5 Io attribuisco qui al termine πεδάρτασις quel significato “musicale”  che trovo, con traduzione leggermente diversa, in Dillon/Hershbell. Si trat-  ta infatti di un concetto di aggiustamento o intonazione simile a quella che  si fa con gli strumenti musicali (0 con le racchette da tennis ai giorni nostri).   54 Come dire che non bisogna visitare il tempio e pregare cosi per caso,  ma predisponendosi adeguatamente.   55 È questo indubbiamente il significato del verbo συστέλλει, così come  intendono giustamente alcuni traduttori (von Albrecht, Montoneri e  Giangiulio), diversamente non si spiegherebbe la congiunzione ὅθεν:  Pitagora, infatti, avrebbe considerato il miglio alimento adatto alla nutrizio-  ne dell’uomo perché esso aveva appunto tale proprietà. Basti riferirsi a  Galeno, De simpl medic., vol. XII, p. 16,8-9 Kiihn, dove si legge che «il  miglio [...] asciuga l’intestino — ἡ κέγχρος [...] τὴν κοιλίαν ἐπιξηραίνει».  Appare ovvio che “asciugare” l’intestino è la stessa cosa che “astringerlo”.  Altri significati non sembrano possibili: ad es. “le [sc. il corpo] maintien-  nent” (Brisson/Segonds) o “control the functions {sc. del corpo]”  (Dillon/Hershbell) o “sustain the state [sc. del corpo)” (Clark).   56 Vengono adoperati qui due verbi affini, ma certamente di significato  differenziato: τρώγω [rosicchio, rodo, addento, mastico] ed ἐσθίω [mangio,    VITA DI PITAGORA 289    in senso lato]. Quale potrebbe essere la vera ragione di tale differenziazione  semantica? Suppongo che il cuore più che mangiarlo era conveniente masti-  carlo per trarne gli umori senza ingoiare le parti callose e indigeste del  muscolo. Un po’ come si faceva con il lentischio che veniva masticato per  sbiancare i denti [σχινοτρώκτης era chiamato il masticatore di lentischio].   57 Hom. Od. IV 221.   58 Cioè la differenza di un tono, ovvero il rapporto 1 a (1+1/8) [ovvero 8  a 9, che è un rapporto epiottavo], che, nella proporzione musicale, cioè  armonica con quattro termini, ad esempio 6, 8, 9, 12, costituisce il rapporto  intermedio 8 a 9, che sta tra il rapporto epitrite 6 a 8 dell'accordo di quarta  e il rapporto emiolio 6 a 9 dell'accordo di quinta: i due accordi, infatti diffe-  riscono di un tono. Si tratta di una proporzione (o, meglio, di una redietà,  per usare il vero termine tecnico) che è detta armonica, perché — come si dice  in Giamblico, In Nicom. 108 — in essa è possibile scorgere in germe i rappor-  ti musicali. In 3, 4, 6, ad esempio, si può vedere il cosiddetto accordo di  quarta, che è il più piccolo tra tutti gli intervalli armonici, ed è visibile nel  rapporto epitrite 3 a 4; l'accordo di quinta, che segue a quello di quarta, ed  è visibile nel rapporto emiolio 4 a 6; e infine l'accordo di ottava, che è la com-  binazione di ambedue gli accordi precedenti, ed è visibile nel rapporto dop-  pio 3 a 6. Ora, tra gli accordi di quarta e di quinta intercorre, come rappor-  to intermedio, quello di un tono, ovvero il rapporto 8 a 9, che è rapporto  epiottavo. Tale rapporto non costituisce alcun accordo vero e proprio, ovve-  ro — ciò che è lo stesso — costituisce un “accordo dissonante”, come notò  Pitagora. Insomma, l’accordo di tono non è un accordo se non nella misura  in cui colma la distanza tra l'accordo di quarta e quello di quinta.   59 σηκώματα e ῥοπάς sono termini che qui stanno a indicare il primo il  valore ponderale del martello, il secondo il valore bilanciato, cioè la lunghez-  za del manico del martello medesimo (ovviamente un martello di un certo  peso con un bilanciamento maggiore batte con una forza maggiore rispetto  a un altro martello dello stesso peso, ma con bilanciamento minore).   60 In effetti è costituito da una moltiplicazione. Infatti il rapporto emio-  lio 12/8 moltiplicato per il rapporto epitrite 8/6 dà 2 [12/8 x 8/6 = 3/2 x 4/3  = 12/6=2/1=2].   61 Si tratta di una inversione dei fattori di quel prodotto, per cui quest’ul-  timo non muta.   62 Lett. piatti a percussione.   63 Specie di arpe a forma di triangolo.   64 Il rapporto 8 a 6 è infatti epitrite, cioè 1+1/3.   6 Il rapporto 9 a 8 è infatti epiottavo, cioè 1+1/8. 1/8 è la misura del  tono.   6 Ritengo che la legge vietasse di riprendere le cose cadute per terra, ma    290 GIAMBLICO    solo nei templi, perché avevano toccato un suolo sacro. Del resto non si spie-  gherebbe perché l’aneddoto dica che lo straniero aveva lasciato cadere a  terra qualcosa mentre si trovava all’interno di un tempio.   67 Sembra che qui Giamblico abbia estratto una parte delle storie che  Aristosseno avrebbe appreso da Dionigi II di Siracusa esule a Corinto dopo  la sua perdita della monarchia. Cf. Porph. Vita Pyth. 59.   68 Cioè basato sulla libera scelta della volontà.   69 Cioè aveva la misura di 3, che ha con il 4 della seconda linea un rap-  porto epitrite (4/3).   70 Il testo qui non può essere tradotto alla lettera, ma il termine Svva-  μένην indica certamente il rapporto quadrato e il termine τοιαῦτα non può  non riferirsi alle altre due linee, che sono però della stessa natura, cioè eleva-  te al quadrato.   71 Si tratta, come è facile vedere, del triangolo rettangolo pitagorico, cioè  composto di tre misure: 3 4 5, di cui le primi due sono i cateti e la terza è la  diagonale (32+42=52),   12 C£. sopra $$ 55-56.   73 In realtà, come si evince da quel che segue, si trattava di convincere i  mariti ad essere fedeli alle loro mogli.   74 C£. Porph. Fragmenta, 408F,27 -29 Smith (= p. 479 s.) = Philol. Hist. ap.  Eus. PE X 3,27 ss., dove si legge che, secondo il racconto di Androne,  «Pitagora un giorno a Metaponto, avendo sete, attinse dell’acqua da un  pozzo e dopo averne bevuto [πιών] predisse che da lî a tre giorni ci sareb-  be stato un terremoto». Sembra, dunque, che sia fuorviante la traduzione di  coloro che, accordando ἀπὸ φρέατος a σεισμὸν ἐσόμενον, traducono nel  senso che Pitagora avrebbe predetto che un terremoto si sarebbe generato  da un pozzo, da cui aveva attinto dell’acqua. Intendono cosi il testo von  Albrecht («Er soll auch ein Erdbeben vorausgesagt haben, das von einem  Brunnen ausgehen wirde, von dem er trank»), Giangiulio («E si racconta  inoltre che avesse preannumciato un terremoto destinato a originarsi da un  pozzo dal quale stava bevendo») e Montoneri («Si dice anche che abbia pre-  visto un terremoto che avrebbe avuto origine da un pozzo in cui egli beve-  va»). In effetti sembra più corretto accordare ἀπὸ φρέατος al verbo προηγό-  pevoe, come fanno Brisson/Segonds («On rapporte aussi qu il annonga un  tremblement de terre ἃ venir ἃ partir d’un puits, dont il avait bu l’eau») e la  Clark («It is also said that he predicted an earthquake from the condition of  a well from which he drank»). In ogni caso resta innegabile il fatto che la pre-  dizione del terremoto è messa in rapporto con un pozzo o, meglio, con l’ac-  qua di un pozzo con la quale Pitagora si era dissetato e dalla cui natura (forse  dal suo gusto) egli, non si sa bene come, aveva ricavato la sua predizione.   75 Ho sempre tradotto il termine διάνοια con “mente”, trattandosi, in un    VITA DI PITAGORA 291    contesto pitagorico come questo, di un termine che indica concettualmente  ciò che costituisce la facoltà di pensare in generale, e non già una facoltà  raziocinativa ben distinta da altre facoltà più o meno razionali, come accadrà  nelle filosofie classiche. Tuttavia in questo preciso contesto relativo alla man-  tica più che della “mente” in generale come attività di pensiero dell’uomo, si  tratta del contenuto di pensiero che proviene da un'ispirazione divina e  quindi ho tradotto “i pensieri” nel senso di contenuti oggettivi e non sogget-  tivi di una mente ispirata dagli dèi.   76 Insomma, i Pitagorici non credono nei miti in quanto tali, ma solo per-  ché contengono elementi che possono indirizzare al divino, di qualunque  natura essi siano (scientifica o mitologica).   77 Qui occorre dare un significato particolare al verbo ἀφείλετο, dal  momento che in verità la freccia fu donata da Abari a Pitagora e non sottrat-  ta da quest’ultimo. La cosa non cambia, perché in ogni caso Pitagora privò  involontariamente Abari del beneficio di quell’arnese. Del resto Abari glie-  l'aveva consegnata, più che regalata, perché lo identificava con il dio Apollo  Iperboreo.   78 Il termine qui usato è κωλυθήρια (lett. “di storno” o “di allontanamen-  to"), cioè atti a stornare o allontanare qualche sciagura imminente.   79 Ottenne, cioè, che rimanesse con lui e si associasse alla sua opera edu-  cativa, ricevendone a sua volta insegnamenti di particolare metodologia. Si  cf. sopra i $$ 90-93.   80 Dal confronto con l’episodio del piccolo serpente di Taormina, si  arguisce che il serpente “villoso” di Sibari fosse capace di uccidere in altro  modo che non mordendo.   81 Ritengo opportuno anticipare, nella traduzione, il luogo di questo pro-  digio, se è vero che i due momenti (la risposta di Pitagora a chi lo pregava di  parlare e l'apparizione dell’orsa bianca) non possono non avere un diretto  collegamento.   82 Cf. sopra $ 31.   83 Io traduco il termine ἐπιστημονικόν secondo il suo più comune signi-  ficato, mettendo da parte ogni interpretazione metaforica, come fanno colo-  ro che traducono plus sage (Brisson/Segonds) o more wise  (Dillon/Hershbell) o greater wisdom (Clark) o von tieferer Erfahrung (von  Albrecht) o maggiormente conforme alla ragione (Giangiulio) o ragionevole  (Montoneri), giacché l’espressione è messa in bocca a un uomo che, oltre ad  essere un Pitagorico, era un grande matematico. Iambl. Ix Nicom., lo cita  ben cinque volte, soprattutto per la sua famosa “fiorita di Timarida”, di cui  peraltro lo stesso Giamblico si serve per dimostrare alcune sue idee matema-  tiche. C£. Iambl., 1» Nicom. 11; 27; 62; 65; 68; passim.   84 L'espressione ripetuta τὸν περὶ θεῶν λόγον non può avere la seconda    292 GIAMBLICO    volta lo stesso significato di “titolo” dello scritto pitagorico: occorre quindi  tradurlo in senso più ordinario, cioè come “un parlare degli dèi” o “un dire  ciò che si deve sugli dèi” o “un ragionamento sugli dèi” o semplicemente, nel  caso più normale, “ciò che si dice sugli dèi” in questo scritto di Pitagora.   85 Il termine τελεστής è comune alla tradizione misterica e oracolare, cioè  lo si ritrova sia nella letteratura orfica che in quella caldaica. Si sa che ambe-  due queste tradizioni hanno lasciato la loro influenza e le loro tracce indele-  bili negli scrittori platonici e soprattutto neoplatonici. Tuttavia occorre  distinguere il significato di τελεστής nell’uno e nell'altro contesto: infatti,  mentre nel contesto caldaico (visibile soprattutto negli scritti di Proclo) esso  significa “teurgo”, ovvero colui che occupa il più alto rango nella ‘pratica di  iniziazione, nel contesto orfico, che è quello di cui ci stiamo occupando  (anche se la fonte è Giamblico: occorre pensare alla fonte di Giamblico,  ovviamente), esso non può essere chiamato teurgo. Ed ecco perché io prefe-  risco traslitterarlo in “telesta”, ad evitare appunto ogni confusione storica e  teorica. Qualcuno preferisce la traduzione “iniziatore”, che si giustifichereb-  be per analogia con il termine “iniziato”. Ma mentre quest’ultimo non pre-  senta seri rischi di fraintendimento, il primo invece sî. Del resto, nella lette-  ratura ricordata, per indicare l’iniziato si adopera il termine μεμυημένος, che  non ha, ovviamente, la medesima radice di τελεστής.   86 Cioè lo studio delle scienze matematiche.   87 Cf. sopra $ 139.   88 C£. sopra $ 100.    89 È interessante qui l’uso del termine αὐτόματον perché indica qualun-  que accadimento o fatto che non si può spiegare scientificamente. Pitagora,  insomma, aveva un senso spiccatamente religioso verso ciò che non rientra-  va nella spiegazione matematica della realtà, senza che ciò significasse nega-  re valore divino anche alla scienza matematica. Era questione di metodo:  secondo la matematica tutto accade per una spiegazione scientifica e razio-  nale e ha una spiegazione chiara e inconfutabile, mentre tutto ciò che sfugge  a tale metodo non può essere rifiutato come inesistente, ma rinviato ad altre  cause di ordine non scientifico e quindi dovute all’intervento diretto della  divinità, ciò che appunto si chiama il “caso”.   % Cf. sopra $ 107, dove il termine θεωρητικός è usato al superlativo.   91 Cf. sopra $$. 72 e 89. I “politici” erano divisi in “amministratori” e  “legislatori”, come si è visto.   32 Non è facile intendere e tradurre questa espressione τῆς Ὀρφέως  ἑρμηνείας te καὶ διαθέσεως; certamente i due termini ἑρμηνεία e διάθεσις  non hanno il comune significato rispettivo di “interpretazione” e “disposi-  zione d'animo” che si trova in altri testi filosofici, perché qui si riferiscono  allo stile di Orfeo, e precisamente al suo modo di comporre ed esprimere le  proprie idee. Altri danno al primo termine il significato di “stile retorico” e    VITA DI PITAGORA 293    al secondo il comune significato di “disposizione”, senza tenere conto che i  due termini sono strettamente congiunti per via del te xai. Si ricorda che  spesso te καί più che una semplice congiunzione indicano una congiunzio-  ne per somiglianza o contrasto (cf. LSJ s.v, A II).   9 τοῖς ἱδρύμασι τοῖς θεοῖς: espressione oscura, che potrebbe qui indica-  re le forme o figure divine che si possono trovare nell’universo, e che quindi  vengono distinte da quelle umane. E probabile che qui si alluda alle forme  geometriche che Pitagora costruiva per ispirazione divina, oltre che, natural-  mente, per scienza matematica.   % Il primo vero numero per natura è il numero 3, che è la somma del pari  e del dispari. Cf. [Iambl.] Theo. arithm. 14,15 ss. De Falco/Klein: «[...]  infatti il 3 è il primo numero dispari in atto, poiché è, secondo la sua stessa  denominazione, “oltre l’uguale”, avendo cioè qualcosa di pit dell’uguale  nella sua parte aggiuntiva [cioè in quell’ 1 che aggiunto al 2 forma il 3; il 2,  si era detto in precedenza, è chiamato “uguale”, quindi il 3 va oltre l’ugua-  le], ed ha la prerogativa di essere il numero successivo ai due primi principi  e anche uguale alla loro somma». Cf. anche [Iambl.] Theo/. arithm. 17,15: «Il  3 è inizio del numero in atto [ἀρχὴ kat ἐνέργειαν ἀριθμοῦ ἡ τριάς]».   95 Per comprendere questo discorso, si cf. ancora una volta [Iambl.]  Theol. arithm. 42,16 ss.: «Il 6 è il primo numero perfetto: esso infatti si può  calcolare con le sue proprie parti, perché contiene 1/6, 1/3 e 1/2 di sé». Le  potenze di 6 sono i suoi divisori, cioè 3 2 1, la cui somma è uguale appunto  a 6. Comunque diviso, quindi, o per 3 0 per 2 o per 1, il prodotto di ciò che  si ottiene (cioè di ciò che è sottratto e di ciò che resta) è uguale allo stesso  numero. Infatti: 6/3=2, ma 2x3=6; oppure 6/2=3 e ancora una volta 3x2=6;  oppure 6/1=6, ma 6x1=6.   % Cioè dopo il compimento del settimo mese, quindi all’inizio dell’otta-  vo mese,   57 καλλίστῳ non può non avere qui che tale significato, perché preso  come misuratore del valore (o prezzo) di ogni merce.   9 È questo il significato poetico di τροφή che qui appare calzante. C£.  Sofocle, Orest. e Ps.-Euripide, Cyc/. Certo, se si dovesse dare il senso di  “nutrimento”, avrebbero ragione Brisson/Segonds di considerare questo un  «texte mystérieux» (cf. nota a p. 194).   99 L'acqua?   100 Nel senso che ciò che è già cucinato ed è, quindi, mangiabile, non  acquista nulla dall’essere ricucinato in modo violento, come appunto avvie-  ne con l’arrosto.   101 Cioè del fuoco.   102 Non è chiaro il rapporto tra bianco e numero. Probabilmente il bian-  co è ritenuto il colore primario, oppure quello che racchiude in sé tutti i    294 GIAMBLICO    colori.   103 È questa una traduzione che tiene conto del testo cosî come è ripetu-  to al successivo $ 179.   104 È chiaro che qui si vuole alludere alle proprietà “aritmologiche” del  numero 2, che è principio del pari e “ammette ogni specie di dissoluzione”  [ἡ δυὰς ... φθορᾶς πάσης ἀναδεκτική] e «appare anche come l’infinità, se è  vero che esso è anche la diversità, e quest’ultima comincia appena fuori dal-  l’unità e si estende all’infinito. Si può dire anche che il 2 è il numero che pro-  duce l’infinità» (cf. [Iambl.], Theo/. aritbm. 12,15 sgg,).   105 Qualche linea sopra.   106 In realtà la dimostrazione scientifica risulta “piena” o “completa”  quando è fondata, come vuole Aristotele, sul sillogismo apodittico o dedut-  tivo.   107 Cioè dai primi principi.   108 Cioè la filosofia (che in sostanza si identifica con le matematiche) e la  teologia.   109 Cioè le tecniche rispettivamente della dimostrazione, della definizio-  ne e della divisione.   110 Non è facile tradurre questa sentenza a causa dei vari significati che  può assumere il verbo ἐπέοικεν. Io lo traduco “si adattano”, nel senso di  “sono paragonabili”. Non mi sembra corretta l’interpretazione che danno  alcuni traduttori: «All things are like unto number» (Dillon/Hershbell);  «Der Zahl — es gleichet ihr alles» (von Albrecht); «Et au nombre toutes cho-  ses on ressemblance» Brisson/Segonds), perché in questo caso non si inten-  de dare l’idea di “somiglianza”. Le cose tutte “non somigliano”, ma “si adat-  tano” al numero nel senso che ammettono di essere ridotte a numero. In tal  senso appaiono un po’ più accettabili le traduzioni «all things correspond to  number» (Clark) e «Tutte le cose al numero consentono» (Montoneri e  Giangiulio).   111 Cioè le declamazioni.   112 Il termine οἰκείωσις non può avere in questo contesto uno dei vari  significati che si riscontrano nelle dottrine etiche di età classica ed ellenisti-  ca, tanto meno quello specificamente stoico. Del resto οἰκείωσις dev'essere  intesa in contrapposizione al successivo suo contrario ἀλλοτρίωσις.   113 Il testo dice καταφρόνησις τοῦ κοινοῦ γένους, quindi il disprezzo per  il genere comune, ma è chiaro che qui si tratti del genere umano, che è  appunto comune a tutti gli uomini.   114 Nel senso, io credo, che l’affinità di natura tra uomini e animali in  quanto esseri viventi era una ragione a monte per giustificare 4 fortiori l’affi-  nità degli uomini tra loro.   115 Non è chiaro qui se si allude alla rovina economica o alla distruzione    VITA DI PITAGORA 295    vera e propria della casa o della città.   116 L'alimentazione ordinata faceva parte dell'educazione pitagorica. Cf.  $ 106.   117 Non appare del tutto evidente la relazione tra coraggio e immortalità  dell'anima: probabilmente qui il coraggio sta per la speranza in una ricom-  pensa dopo la morte. In effetti, come insegnava Platone, che certamente era  vicino in questo ai Pitagorici, il coraggio è una virtà dell’anima che contri-  buisce, in armonia con le altre virtù, alla “giustizia” dell'anima.   118 (ἢ, $ 133.   119 Cf. $ 130. Si tratta del triangolo rettangolo scaleno, i cui lati, nel-  l’esempio addotto al $ 130, misurano 3 4 5. Una tale figura geometrica ha  infatti un’infinità di configurazioni (tante quanti sono i multipli rispettiva-  mente di 3 4 5: ad esempio il triplo corrisponde al triangolo 9 12 15, per cui  la somma dei quadrati di 9 e 12 [81+144] è uguale al quadrato di 15 [225]),  ma la stessa proprietà di presentare il quadrato dell’ipotenusa sempre ugua-  le alla somma dei quadrati dei cateti.   120 È un'opera che Giamblico annunzia anche in Protr. 112,2 Pistelli.   121 Qui si adopera il termine generico χρωμένοις e non uno degli altri ter-  mini che indicano i suoi discepoli (quali ad esempio ἑταῖροι, oprAntai,  μαθηταί, γνώριμοι), perché si vuole interpretare la funzione educativa di  Pitagora nel suo significato più universale. Del resto qualche linea prima si  parlava dell’insegnamento della giustizia che Pitagora destinava a tutti gli  uomini in generale. Lo stesso vale dunque anche per la temperanza.   122 Cf, $ 34, dove sono appunto indicate per nome i vizi che occorre sra-  dicare dal corpo e dall’anima: malattia, ignoranza, ecc.   13 Cioè al nono mese già compiuto, e quindi all’inizio del decimo.  Questo per dare il senso dell’avanzato stato di gravidanza, come dire che  poteva partorire da un momento all’altro. Che il parto avvenisse di solito  all'inizio del decimo mese, cioè a nono mese già compiuto, lo dice Galeno  che segue Ippocrate. Cf. Gal. In Hipp. VI libr. Epidem. 17a, 810,13 ss.:  «Ebbene, coloro che ritengono opportuno contare otto o dieci mesi a parti-  re dal momento dell’aborto [ὅσοι μὲν γὰρ ἀπὸ τοῦ τῆς ἀμβλώσεως χρόνου  [ἐξ] ὀκτὼ ἢ δέκα μῆνας ἀριθμεῖν ἀξιοῦσι], dicono che l’utero soffre di soli-  to in questi due periodi, cioè mell’ottavo e nel decimo mese [τὴν «ὑστέραν»  φασὶν εἰθίσθαι κακοπαθεῖν ἐν δυσὶ τούτοις χρόνοις, ὀγδόῳ καὶ δεκάτῳ  μηνί], perché verso l’ottavo mese il feto si capovolge, e nel decimo mese  viene partorito [κατὰ μὲν γὰρ τὸν ὄγδοον μῆνα στρέφεσθαι τὸ ἔμβρυον,  ἀποκυίσκεσθαι δ᾽ ἐν τῷ δεκάτῳ]».   124 Cf. $ 112.   125 In effetti la maggior parte degli scritti dei Pitagorici sono pseudepigra-    fi.    296 GIAMBLICO    126 Sembra evidente che non si tratti di due divinità, ma solo di Apollo  chiamato Peone, cioè Soccorritore.   127 Cioè i medici.   128 Castità non significa, naturalmente, astinenza, ma sobrietà.   129 È plausibile che i “mali”, della cui responsabilità sono poco prima sca-  gionati gli dèi, siano da intendersi, per opposizione, come “mali morali”.   130 Qui il termine σπέρματα non può essere tradotto con “semi”, pena un  rovesciamento incomprensibile del discorso: si sta trattando infatti delle   “cause” dei mali (morali o corporei), e non si vede come un male fisico possa  essere causa di un male morale (l’intemperanza). È probabile, anzi, che in  questo contesto il termine ἀκολασία debba essere inteso come sinonimo di  ἀκρασία (incontinenza).   131 Evidente allusione alla distinzione di origine stoica tra λόγος ἐνδιάθε-  toc e λόγος προφορικός.   132 Cf, $ 111.   133 Si ricordi che si sta parlando di quest’ultimo come la virtù preminen-  te dei Pitagorici, i quali preferivano morire piuttosto che trasgredire i precet-  ti di Pitagora.   134 Per il fatto, cioè, che tra gli uomini e alcuni animali c’è rapporto di  convivenza (animali domestici) e anche di comportamento.   135 Il lungo passaggio che da $ 230 (= p. 124,1) arriva fin qui è una ripe-  tizione di $ 101,4-102,8 (= pp. 58,15-59,13).   136 Cf. sopra $ 127.   137 Lett. «dei discorsi di Pitagora», dal momento che anche i discorsi che  Pitagora teneva in pubblico erano suoi insegnamenti (essoterici).   138 È questo un concetto già espresso al $ 30 (= p. 17,21), dove troviamo  il participio ὁμονοοῦντες al posto di νοῦ ὁμόνοια. Si tratta, come si può  evincere da quel passaggio, della concordia di sentimenti con la quale, fin  dalla sua fondazione in Magna Grecia, ciascun Pitagorico'si legava, e resta-  va legato, all'intera comunità dei discepoli di Pitagora.   139 Questa integrazione mi sembra necessaria, dal momento che il verbo  παραγγέλλειν, nelle sue varie forme sia verbali che nominali, è riferito  costantemente a Pitagora e alle sue prescrizioni.   140 Come sarebbe accaduto se gli stranieri avessero parlato un dialetto a  loro estraneo, ad esempio il dorico, che era gradito ai Pitagorici. Sembra  questa l’interpretazione più plausibile di un passaggio alquanto ambiguo e  poco chiaro. Ho trovato varie traduzioni tra loro incompatibili, ο addirittu-  ra di senso rovesciato. La prescrizione (o esortazione, se si deve intendere il  παρήγγελλον come vogliono Brisson/Segonds) data ai Greci che arrivano  presso la comunità pitagorica di adoperare il loro proprio dialetto patrio,  non credo possa significare altro se non che ciascun Greco dovesse parlare    VITA DI PITAGORA 297    nella sua lingua di origine. Non credo perciò che il dialetto patrio sia il dori-  co, come pensano Dillon e Hershbell. La ragione [espressa dal γάρ] non è  altrettanto chiara e inequivocabile, anche perché è tutta concentrata nel  senso da dare all’infinito gevitew: a me sembra piuttosto logica la ragione  per cui i Pitagorici non volessero che i Greci nuovi arrivati parlassero un dia-  letto straniero, se ipotizziamo che dava loro fastidio sentire parlare un dialet-  to, ad esempio il dorico, con accento innaturale perché pronunziato da chi  non era abituato a usarlo.   141 Questo $ 244 è per intero una ripetizione di $ 163,7-164,2.   142 Certamente Ippaso. Per il significato da dare all’espressione πρῶτον  ἐκφάναντα, cf. sopra $ 88, dove Ippaso viene indicato come colui che per  primo costruf la sfera circoscrivendola a un dodecaedro e che divulgò tale  sua scoperta   143 Cf. $ 88, dove si mette in rilievo che il dodecaedro ha dodici facce  pentagonali.   144 Cf. $ 246. In effetti si tratta della medesima teoria concernente il fatto  che il rapporto tra lato e diagonale di un triangolo rettangolo, in quanto  grandezze incommensurabili appunto, equivale a un numero irrazionale, a  un numero cioè che, in forma decimale, non può essere rappresentato da un  numero di cifre finito né di forma periodica, nella fattispecie alla radice qua-  drata di 2.   145 Cioè perché aveva un pessimo carattere.   14 Ripetizione di $ 184 (= p. 102,17-20).   147 Lett. «scritti sulla stele [στηλιτευθέντες]», cioè segnati per nome sulla  colonna dell’infamia.   148 E quindi incapace di renderne conto.   149 Hom. Od. 14,145 s.   150 Hom, I/. 1,263, passim.   151 Oppure Traente, se si accetta la lezione Τράεντα proposta dal Bentley  sulla base di Diodoro Sic. ΧΙ 22,1.   152 Cioè trecento: cf. $ 254 supra.    GIAMBLICO    ESORTAZIONE ALLA FILOSOFIA    [3=36dP] Sommario del secondo libro    <della Surzzza pitagorica>    IAMBAIXOY XAAKIAEQY THX KOIAHY  XYPIAX IIPOTPEITTIKOX ΕΠῚ DIAOYODIAN    [3] KEDAAAIA TOY AEYTEPOY ΛΟΓΟΥ͂    α΄ Τίς ἡ ἀρχὴ κατὰ Πυθαγόραν τῆς εἰς παιδείαν καὶ φιλοσοφίαν  εἰσαγωγῆς, καὶ πῶς κοινοτάτη ἐστὶ καὶ εἰς πάντα τὰ εἰς φιλοσοφίαν  ἀγαθὰ διατείνουσα, τίς τε αὐτῆς ἡ τάξις καὶ ὅτι τριχῇ διαιρεῖται,  καὶ πῶς ἀεὶ πρόεισιν ἐπὶ τὸ καθαρώτερον.  β΄ Γνωμικὰ ὁμοιώματα προτρεπτικὰ ἀπὸ τῶν ἐναργῶν πᾶσι κινοῦντα  ἡμῶν τὴν προθυμίαν ἐπὶ τὸ γενναίως ἀντιλαμβάνεσθαι τῆς κοινῶς  κατὰ πᾶσαν αἵρεσιν νοουμένης ἀρετῆς.  γ΄ Πυθαγορικαὶ γνῶμαι προτρεπτικαὶ ἔμμετροι, εἰς πᾶσαν τὴν  ἀρίστην καὶ θειοτάτην φιλοσοφίαν παρακαλεῖν δυνάμεναι.  δ΄ Ἐπιστημονικαὶ ἔφοδοι εἰς προτροπὴν τείνουσαι τῆς  θεωρητικῆς φιλοσοφίας μετὰ τοῦ καὶ διδασκαλίαν παρέχειν ὅσον τε  καὶ ἡλίκον ἀγαθόν ἐστιν ἡ σοφία καὶδιὰ τίνας αἰτίας περισπούδα-  στον τοῖς εὖ φρονοῦσι.  ε΄ Πυθαγορικαὶ ἰδίως προτροπαὶ πολὺ παραλλάττουσαι τὰς παρὰ  τοῖς ἄλλοις φιλοσόφοις παρακλήσεις καὶ [20] ἰδίας ποιούμεναι τὰς  ἐφόδους.  ς΄ Σύμμικτοι προτροπαὶ πρός τε τὴν πρακτικὴν καὶ πολιτικὴν  ἀρετὴν καὶ πρὸς τὴν τῆς τελειοτέρας κατὰ νοῦν σοφίας κτῆσίν τε  καὶ χρῆσιν. i   ζ΄ [4] Ἰδιάζουσαι παρακλήσεις πρὸς τὴν θεωρητικὴν φιλοσοφίαν  καὶ διαφερόντως τὴν κατὰ νοῦν ζωήν, αἱ μὲν ἀπὸ τῆς τοῦ ὄντως  ἀνθρώπου φύσεως, αἱ δὲ ἀπὸ τῶν ἐναργῶν ὑπομιμνήσκουσαι τουτὶ  τὸ προκείμενον.  η΄ Ὑπομνήσεις ἀπὸ τῶν κοινῶν ἐννοιῶν παραμυθούμεναι τὸ πρώτως  ὀρεκτὸν καὶ δι᾽ ἑαυτὸ αἱρετὸν φιλοσοφίας, ἐναργῶς τε προάγουσαι  εἰς τὴν προτροπὴν ἀπὸ τῶν γνωρίμων τοῖς πᾶσιν.  θ΄ ᾿Απὸ τοῦ βουλήματος τῆς φύσεως ἔφοδος εἰς προί 10]τροπὴν κατὰ  τὴν Πυθαγόρου ἀπόκρισιν, ἣν εἶπε τοῖς ἐν Φλιοῦντι πυνθανομένοις  τίς ἐστι καὶ τίνος ἕνεκα γέγονε" ταύτῃ γὰρ ἑπομένως συλλογιζόμε-  θα τὴν προτροπὴν ὅλην.  ι΄ Ὅτι καὶ μεγάλας ὠφελείας παρέχεται πρὸς τὸν βίον ἡ θεωρητικὴ  φρόνησις, ὑπομνήσεις πλείονες καὶ ἀπὸ πλειόνων ἀφορμῶν τρόποι    ESORTAZIONE ALLA FILOSOFIA    Sommario! del secondo libro  <della Sura pitagorica>?    1. Quale sia l’inizio della introduzione all'educazione e alla filoso-  fia secondo <l’insegnamento di>? Pitagora, e come tale introduzione  sia la più comune e quella che si estende a tutti i beni relativi alla filo-  sofia, e quale sia il suo ordine e il fatto che si divida in tre parti, e  come proceda sempre verso ciò che è più puro.   2. Sentenze protrettiche a mo’ di immagini, che a partire dalle  cose più evidenti a tutti ci spingono a impegnarci sulla genuina virtà  cosî come è concepita in generale secondo ogni scuola filosofica.‘   3. Sentenze protrettiche pitagoriche in versi, capaci di invitarci ad  ogni filosofia che sia la migliore e la pit divina.   4. Percorsi scientifici tesi ad esortare alla filosofia contemplativa e  a insegnare nello stesso tempo quanto grande e potente sia il bene  della sapienza e per quali ragioni debba ricercarlo chi è assennato.   5. Esortazioni propriamente pitagoriche che vanno molto al di là  delle raccomandazioni degli altri filosofi e che aprono percorsi parti-  colari.   [37dP] 6. Esortazioni mescolate alla virtà pratica e politica non-  ché all'acquisto e all'utilizzo della sapienza più perfetta dal punto di  vista intellettivo.   [4] 7. Raccomandazioni particolari alla filosofia contemplativa e  specialmente alla vita intellettiva, derivanti alcune dalla vera natura  dell’uomo, altre dall’evidenza delle cose (queste ultime richiamano il  presente discorso).   8. Richiami che derivano da nozioni comuni e che incoraggiano a  ciò che nella filosofia è desiderabile primariamente e da scegliere per  se stesso, e che conducono in modo evidente all’esortazione muoven-  do da ciò che è noto a tutti.   9. Percorso verso l’esortazione a partire dall’intenzione della natu-  ra, secondo la risposta che Pitagora diede, a Fliunte, a coloro che gli  domandavano chi fosse e perché fosse nato; seguendo tale risposta,  infatti, noi ragioneremo sull’intera esortazione.   10. Che la prudenza teoretica offra anche grandi utilità alla vita, è  un fatto che mostrano molti richiami e modi di servirsene, che, a par-    302 GIAMBLICO    TE τῆς χρείας ὑποδείκνυνται διάφοροι καὶ πρὸς πολλὰ τέλη τῶν  συμφερόντων ἡμῖν συμβαλλόμενοι.   ια΄ Ὅτι τῷ τὸν κατὰ νοῦν ἑλομένῳ βίον καὶ τὸ χαῖρον [20] διαφε-  ρόντως ὑπάρχει.   ιβ΄ ᾿Απὸ τοῦ πρὸς εὐδαιμονίαν φέρειν φιλοσοφίαν τελέως καὶ  ἀληθῶς ἔφοδος εἰς προτροπὴν τοῦ φιλοσοφεῖν τελέαν καὶ ἀνυσιμ-  OTOTMV.   ιγ΄ ᾿Απὸ τῶν περὶ φιλοσοφίας ἐννοιῶν ἔφοδοι εἰς προτροπὴν κατὰ  τὰς Πυθαγορικὰς ὑποθέσεις καὶ κατὰ τὰς ἀληθεῖς περὶ ψυχῆς  δόξας.   18° ᾿Απὸ τοῦ βίου τοῦ ἐν φιλοσοφίᾳ καὶ τῆς ὅλης ζωῆς τοῦ φιλοσόφου  ἀφορμαὶ εἰς προτροπήν, ὁμοῦ ἐξ [5] ἀντιπαραθέσεως ἐπιδεικνύου-  σαι ὅσῳ δή τινι προέχει N τοιαύτη ἐνέργεια τῶν ἄλλων τῶν  δοκούντων εὐδοκίμων εἶναι βίων.   ιε΄ ᾿Απὸ τῆς παιδείας καὶ ἀπαιδευσίας ἡ προτροπή, εἰ τὸ μὲν μέγι-  στον τῶν ἀγαθῶν, τὸ δὲ τῶν κακῶν μέγιστον, εἰ καὶ αὐτά τέ ἐστι  τοιαῦτα καὶ ἔοικε τοιούτοις τισὶν ἑτέροις οἷαπέρ ἐστιν αὐτά, καὶ  ὅτι φιλοσοφία μὲν παιδείας ἐστὶν ἡγεμών, τὸ δὲ ἐναντίον κατάρχει  ἀπαιδευσίας.   15° [10] Ἄλλαι ἔφοδοι ἀπὸ τοῦ τέλους τῆς παιδείας προτρέπουσαι  ἐπὶ τὴν συγγενῆ πρὸς τὸ παιδεύεσθαι φιλοσοφίαν, τό τε ἔργον ὁμοῦ  τῆς φιλοσοφίας ἐπιδεικνύουσαι καὶ τὴν ὅλην αὐτῆς ἐπιμέλειαν περὶ  τὰς ἀρίστας ἐνεργείας τῶν τῆς ψυχῆς δυνάμεων.   ιζ΄ ᾿Απὸ τῶν παλαιῶν λόγων καὶ τῶν ἱερῶν μύθων τῶν τε ἄλλων καὶ  τῶν Πυθαγορικῶν ὑπομνήσεις εἰς προτροπὴν ἐπὶ τὸν σώφρονα καὶ  μέτριον καὶ κεκοσμημένον βίον᾽ αἱ δὲ αὐταὶ μεταβάλλουσι τὴν διά-  νοῖαν ἡμῶν ἐκ τοῦ πρὸς τὴν ἀκολασίαν καὶ τοῦ κατὰ τὴν ἡδονὴν  βίου.   in [20] ᾿Απὸ τῶν ἐναργῶς περὶ τὸ σῶμα φαινομένων τάξεων καὶ ἀπὸ  τοῦ περὶ αὐτὸ κόσμου κατὰ τὴν ἀνάλογον μετάβασιν τῆς διανοίας  ἐπὶ ψυχὴν μεταβαίνοντες ποιούμεθα τὴν προτροπὴν γνωρίμως τοῖς  ἀκούουσι καὶ πιθανῶς διὰ τὸ ἀπὸ τῶν ἐναργῶν αὐτὴν προϊέναι.   1θ΄ ᾿Απὸ τῶν ἐν τῇ ψυχῇ ἀγαθῶν ἔφοδος εἰς προτροπὴν ὡς ὄντων  κυριωτάτων εἰς εὐδαιμονίαν, καὶ ἀπὸ τῶν ἀρετῶν ὡς αὐτάρκων  ὑπαρχουσῶν πρὸς τὸν μακάριον βίον ἣ ὁμοία παράκλησις.    ESORTAZIONE ALLA FILOSOFIA 303    tire da molti impulsi, sono diversi e contribuiscono a molte realizza-  zioni dei nostri vantaggi.   11. Sul fatto che a colui che abbia scelto di vivere intellettivamen-  te appartiene in maniera eccellente anche la gioia.   12. Dal fatto che la filosofia porta alla perfetta felicità deriva  anche il vero percorso verso la perfetta e più efficace esortazione a  filosofare.   13. A partire dalle nozioni intorno alla filosofia, percorsi all’esor-  tazione secondo le premesse pitagoriche e secondo le vere opinioni  sull’anima.   [38dP] 14. Impulsi all’esortazione derivanti dallo stile di vita filo-  sofico e dall’intera vita del filosofo, impulsi che al tempo stesso [5]  mostrano per contrapposizione quanto, fra tali attività che sembrano  essere <ambedue> apprezzate, la prima sia superiore all’altra.   15. L'esortazione che deriva dall’educazione o dalla mancanza di  educazione, se la prima sia il più grande dei beni, e l’altra il più gran-  de dei mali, e se esse siano tali in se stesse e sembrino a taluni altri  quali esse sono in se stessa, e il fatto che mentre la filosofia è guida  dell'educazione, il suo contrario invece comandi la mancanza di edu-  cazione.   16. Altri percorsi, derivanti dal fine dell'educazione, che sono  protrettici alla filosofia nella sua connaturalità rispetto all’essere edu-  cati, e che mostrano al tempo stesso l’operare della filosofia e la cura  che l’intera filosofia si prende delle migliori attività delle facoltà del-  l’anima.   17. A partire dai discorsi degli antichi e dai sacri miti e da altri  discorsi anche pitagorici, i richiami all’esortazione verso la vita tem-  perante e moderata e ordinata; gli stessi richiami che stornano la  nostra ragione dalla vita intemperante e dedita al piacere.   18. Partendo dagli ordinamenti che appaiono in maniera eviden-  te essere relativi al corpo e trasponendo il discorso dal mondo corpo-  reo all’anima in virtù di un analogo passaggio della ragione, noi siamo  in grado di esortare nobilmente e in modo convincente gli uditori per  il fatto che la nostra esortazione procede da fatti evidenti.   19. Percorso all’esortazione derivante dai beni dell’anima, in  quanto sono quelli più importanti per la felicità, nonché la simile rac-  comandazione derivante dalle virtà in quanto sono sufficienti per la  vita beata.    304 GIAMBLICO    κ΄ [6] Μεμιγμέναι ὑποθῆκαι προτροπαῖς κοινῇ διήκουσαι ἐπὶ πάν-  τα τὰ ἀγαθὰ καὶ τὰ μέρη πάντα τὰ ἐν φιλοσοφίᾳ καὶ τὰ τέλη τοῦ  βίου, ὧν στοχάζεται ἡ ἀρετή.  κα΄ Τίς ἡ συμβολικὴ προτροπὴ καὶ πῶς γίνεται διὰ συμβόλων, ἀνάπ-  τυξίς τε καὶ κοινὴ τῶν συμβόλων καὶ ἰδία ἑκάστου, μόνον ἀπ᾽ αὐτῶν  τὸ προτρεπτικὸν ἐξηγουμένη ποσαχῶς γίνεται, τὴν δὲ ἄλλην πραγ-  ματείαν περὶ τῶν συμβόλων ἀλλαχοῦ ὑπερτιθεμένη.    IAMBAIXOY ΧΑΛΚΙΔΕΩΣ ΤΗΣ ΚΟΙΛΗΣ [10]  ΣΥΡΙΑΣ ΠΡΟΤΡΕΠΤΙΚΟΣ ΕΠῚ ΦΙΛΟΣΟΦΙΑΝ    I. Περὶ μὲν Πυθαγόρου καὶ τοῦ κατ᾽ αὐτὸν βίου τῶν τε  Πυθαγορικῶν ἀνδρῶν τὰ σύμμετρα ἐν τοῖς πρὸ τούτων εἰρήκαμεν,  ἀρχώμεθα δὲ τὸ λοιπὸν αὐτοῦ τῆς αἱρέσεως ἀπὸ τῆς κοινῆς εἰς  πᾶσαν παιδείαν καὶ μάθησιν καὶ ἀρετὴν παρασκευῆς, ἥτις οὐ κατὰ  μέρος ἀπολαβοῦσα πρὸς ἕν τι τῶν πάντων παρασκευάζει τὸν  ἄνθρωπον ἐπιτήδειον, ἀλλ᾽ ὡς ἁπλῶς εἰπεῖν τὰς ἐν αὐτῷ προθυμίας  προτρέπει εἰς πάντα μὲν τὰ μαθή[7]ματα, πάσας δὲ τὰς ἐπιστήμας,  πάσας δὲ τὰς ἐν τῷ βίῳ καλὰς καὶ γενναίας πράξεις, πάσας δὲ παι-  δείας, καὶ ὡς ἔπος εἰπεῖν πάντα ὅσα μετέχει τοῦ καλοῦ. οὔτε γὰρ  ἄνευ τοῦ προτραπῆναι οἷόν τέ ἐστιν ὁρμῆσαι ἐπὶ τὰ καλὰ καὶ γεν-  ναῖα ἐπιτηδεύματα, οὔτε οἷόν τε εὐθὺς ἐπὶ τὸ ἀκρότατον καὶ τελε-  ιτιότατον ἀγαθὸν προευτρεπίζειν τινὰ πρὶν ἐμποιῆσαι ὑποκατα-  σκευὴν τῆς ψυχῆς διὰ τῆς προτροπῆς" ἀλλ᾽ ὥσπερ ἡ ψυχὴ κατὰ  βραχὺ πρόεισιν ἐπὶ τὰ μείζονα ἀπὸ τῶν ἐλαττόνων, διὰ πάν[10Ί]των  τε διέξεισι τῶν καλῶν, καὶ ἐπὶ τῷ τέλει τὰ τελεώτατα ἀγαθὰ  εὑρίσκει, οὕτως καὶ τὴν προτροπὴν δεῖ ὁδῷ προϊέναι ἀρχομένην  ἀπὸ τῶν κοινῶν. εἰς γὰρ φιλοσοφίαν ἁπλῶς παρορμήσει καὶ πρὸς  αὐτὸ τὸ φιλοσοφεῖν συλλήβδην καθ᾽ ἡντινοῦν ἀγωγήν, μηδεμιᾶς τῶν  αἱρέσεων ἄντικρυς προκρινομένης, ἀλλὰ κοινῶς κατὰ γένος  ἁπασῶν ἐπαινουμένων καὶ παρὰ τὰ ἀνθρώπινα ἐπιτηδεύματα πρε-  σβευομένων κατά τινα κοινὸν καὶ δημώδη προτρεπτικὸν τρόπον.  μετὰ δὲ ταῦτα μέσῃ τινὶ μεθόδῳ χρηστέον, οὔτε παντάπασι δημώδει  οὔτε [20] μὴν ἄντικρυς Πυθαγορικῇ, ἀλλ᾽ οὐδὲ ἀπηλλαγμένῃ  ὁλοσχερῶς ἑκατέρου τοῦ τρόπου τούτου. ἐν δὲ ταύτῃ κοινάς τε    ESORTAZIONE ALLA FILOSOFIA 305    [6=39dP] 20. Regole miste che si estendono comunemente a  esortazioni a tutti i beni e a tutte le loro parti della filosofia e ai fini  della vita, a cui mira la virtù.   21. Quale sia l'esortazione simbolica e come sia fatta attraverso  simboli, e in quanti modi si disvelano i simboli in generale e ciascuno  di essi in particolare, spiegandone l’aspetto protrettico solo a partire  da essi, e spostandone altrove il resto della trattazione.    [40dP] Giamblico di Calcide in Celesiria  Esortazione alla filosofia    1. Di Pitagora e della sua vita, nonché dei Pitagorici, abbiamo  detto in modo appropriato nel libro precedente, <adesso> invece  cominciamo a trattare il resto della sua scuola a partire dalla prepara-  zione generale a tutta l'educazione e all’apprendimento e alla virti,  educazione che non prepara l’uomo, assumendolo in modo parziale,  ad un'unica occupazione fra tutte, bensi lo esorta, per dirla in breve,  a impegnarsi interiormente in tutte le [7] matematiche, da un lato, e  dall’altro lato in tutte le scienze, e in tutte le azioni belle e nobili della  vita, e nell'educazione, e per cosî dire in tutto ciò che partecipa del  bello. Infatti non è possibile, senza essere esortati, né provare impul-  so per le belle e nobili occupazioni, né predisporre immediatamente  qualcuno al più alto e più perfetto dei beni, prima di averne prepara-  ta l’anima attraverso l’esortazione; ma cosi come l’anima procede a  piccoli passi dalle cose minori a quelle maggiori, e attraversando tutte  le cose belle [41dP] scopre alla fine i beni più perfetti, allo stesso  modo occorre anche che l’esortazione proceda partendo dalle cose  generali. Essa infatti darà assolutamente impulso alla filosofia e, per  dirla in breve, allo stesso filosofare secondo una qualsiasi formazione,  senza preferire pregiudizialmente nessuna scuola, ma apprezzandole  tutte insieme e in generale, e valutandole per le occupazioni umane  secondo un metodo protrettico generale e volgare. Dopo di che  occorre utilizzare un metodo intermedio, che non sia né assolutamen-  te volgare né direttamente riservato ai Pitagorici, ma neppure del  tutto lontano dall’uno e dall’altro di tali metodi. In questo metodo noi    306 GIAMBLICO    πάσης φιλοσοφίας τάξομεν παρορμήσεις, ὥστε κεχωρίσθαι αὐτὰς  Πυθαγορικοῦ βουλήματος κατά γε τοῦτο, συμμίξομεν δὲ ἐγκαιρότα-  τα καὶ τὰς τῶν ἀνδρῶν τούτων κυριωτάτας δόξας [εἰς ἃς προτρέπειν  τῶν Πυθαγορικῶν), ὥστε οἰκεῖον γίγνεσθαι [τὸν τρόπον] τῶν [8]  Πυθαγορικῶν ἀνδρῶν κατά γε τοῦτο τὸν τρόπον τῶν λόγων᾽ ἀφ᾽ οὗ  δὴ λεληθότως, ὡς τὸ εἰκός, ἀπὸ μὲν τῶν ἐξωτερικῶν ἐννοιῶν ἀπο-  στησόμεθα, μεταβησόμεθα δὲ καὶ οἰκειωσόμεθα ταῖς κατὰ τὴν  αἵρεσιν τεχνολογουμέναις ἀποδείξεσιν, οἷον διά τινος γεφύρας ἢ  κλίμακος κάτωθεν εἰς ὕψος ἀνιόντες. ἐπὶ δὲ τῷ τέλει τὰ ἴδια προ-  τρεπτικὰ τῆς Πυθαγορικῆς αἱρέσεως συντάξομεν, ἀλλότρια καὶ  ἀπόρρητα τρόπον τινὰ πρὸς τὰς ἄλλας ἀγωγὰς ὑπάρχοντα.   II. [10] ᾿Αρξώμεθα δὲ τὸ λοιπὸν ἀπὸ τῶν ὡς πρὸς ἡμᾶς πρώτων.  ἔστι δὴ τὰ ἐναργῆ ταῦτα καὶ φαινόμενα πᾶσι καὶ μηδέπω προειλ-  ηφότα τὴν οὐσίαν τῆς ἀρετῆς, κατὰ δὲ τὰς κοινὰς ἐννοίας περὶ αὐτῆς  ἀνεγείροντα ἡμῶν τὴν προθυμίαν κατά τινας γνωρίμους τοῖς πολ-  λοῖς γνώμας, ἀπεικαζομένας πρὸς τὰ ἐναργῆ δείγματα τῶν ὄντων.  ἔχουσι δὲ αὗται ὧδέ πως.   Ψυχῇ ζῶντας ἡμᾶς τῇ ταύτης ἀρετῇ ῥητέον εὖ ζῆν, ὡς ὀφθαλμοῖς  ὁρῶντας τῇ τούτων ἀρετῇ καλῶς ὁρᾶν. οὔτε χρυσοῦ νομιστέον ἰόν,  οὔτ᾽ ἀρετῆς αἶσχος [20] ἅπτεσθαι, καθάπερ εἰς ἄσυλον τέμενος τὴν  ἀρετὴν [9] ὁρμητέον, ὅπως πρὸς μηδεμίαν ἀγεννῆ ψυχῆς ὕβριν ὦμεν  ἔκδοτοι. [περὶ κοινωνίας βίου καὶ παραμονῆς.] ἀρετῇ μὲν θαρσητέ-  ον ὡς σώφρονι γαμετῇ, τύχῃ δ᾽ ὡς ἀστάτῳ πιστευτέον ἑταίρᾳ.  κρεῖττον μετὰ πενίας ἀρετὴν ὑποληπτέον ἢ πλοῦτον μετὰ κακίας,  ὀλιγοσιτίαν μετὰ ὑγείας ἢ πολυφαγίαν μετὰ νόσου. βλαβερὰ μάλι-  στα τροφῆς μὲν ἀφθονία τῷ τὸ σῶμα, κτήσεως δὲ τῷ τὴν ψυχὴν δια-  κειμένῳ κακῶς. καὶ ἐπισφαλὲς καὶ ὅμοιον μαινομένῳ δοῦναι μά-  yarpav καὶ μοχθηρῷ δύνα[]0]μιν. καθάπερ τῷ ἐμπύῳ βέλτιον τὸ  καίεσθαι τοῦ διαμένειν, καὶ τῷ μοχθηρῷ τὸ τεθνάναι τοῦ ζῆν. τῶν  κατὰ σοφίαν θεωρημάτων ἀπολαυστέον ἐφόσον οἷόν τε, καθάπερ    ESORTAZIONE ALLA FILOSOFIA 307    ordineremo incitazioni generali ad ogni filosofia, in modo da tenerle  separate dall’intenzione di Pitagora in proposito, e mescoleremo  molto opportunamente le più importanti opinioni dei filosofi pitago-  rici, in modo che in virtù di tale stile pitagorico divenga proprio dei  [8] Pitagorici; a questo punto noi ci allontaneremo dolcemente,  com'è giusto che sia,” dalle nozioni essoteriche, e passeremo, per ren-  derle familiari, alle dimostrazioni tecnicamente approfondite proprie  della scuola, elevandoci dal basso verso il punto più alto come attra- verso un ponte o una scala. Alla fine metteremo insieme i discorsi protrettici propri della scuola pitagorica, che sono in qualche modo forme di educazione estranee e segrete rispetto a quelle delle altre scuole. 2. Cominceremo adesso dalle cose che sono prime per noi. E que- ste sono in verità cose evidenti e visibili a tutti [42dP] e che non pre-     suppongono affatto l’essenza della virtà, e che risvegliano il nostro     impegno secondo le nozioni comuni relative alla virtà in virtà di certe     sentenze note alla maggior parte degli uomini, sentenze che sono imi- tazioni rispetto alle chiare indicazioni della realtà. Esse sono pressap- poco le seguenti. Poiché noi viviamo per mezzo della nostra anima, bisogna dire che viviamo bene per mezzo della sua virtù; allo stesso modo, poiché     vediamo per mezzo degli occhi, bisogna dire che vediamo bene per     mezzo della loro virtà. Non bisogna né credere che la ruggine possa     intaccare l’oro, né il vizio la virtà. Bisogna lanciarsi nella virti come     in un santuario inviolabile, [9] allo stesso modo non dobbiamo arren-     derci a nessuna ignobile tracotanza dell'anima. Bisogna fidarsi della     virtà come di una moglie casta, e della fortuna come di una compa-     gna incostante. Meglio assumere la virti accompagnata da povertà     che la ricchezza accompagnata da malvagità, nonché la sobrietà     accompagnata da salute che la voracità accompagnata da malattia. È     assolutamente nociva l'abbondanza di cibo a chi sta male nel corpo, e     l'abbondanza di possedimenti a chi sta male nell’anima. È parimenti     rischioso dare una spada a un pazzo e il potere a un malvagio. Allo     stesso modo, per uno che ha una ferita suppurata è meglio essere cau- terizzato piuttosto che rimanere in quello stato, e per un malvagio è meglio morire piuttosto che vivere. Bisogna godere, per quanto è pos- 308 GIAMBLICO ἀμβροσίας καὶ νέκταρος ἀκήρατόν te γὰρ τὸ ἀπ᾽ αὐτῶν ἡδὺ καὶ, τὸ     θεῖον τὸ μεγαλόψυχον δύναται [τε] ποιεῖν, καὶ εἰ μὴ ἀιδίους, ἀι-     δίων γε ἐπιστήμονας. εἰ εὐκτὸν ἡ εὐαισθησία, μᾶλλον σπουδαστὸν     ἡ φρόνησις" ἔστι γὰρ τοῦ ἐν ἡμῖν πρακτικοῦ νοῦ οἱονεί τις εὐαι-     σθησία᾽ δι᾽ ἣν μὲν γὰρ ἐν οἷς πάσχομεν οὐ παραισθανόμεθα, δι᾽ ἣν     δὲ ἐν οἷς πράττομεν οὐ παρα[10]λογιζόμεθα. καὶ τὸν θεὸν σεβόμε-     θα κατὰ τρόπον, εἰ τὸν ἐν ἡμῖν νοῦν παρασκενυάσαιμεν πάσης κακί-     ας ὥσπερ τινὸς κηλῖδος καθαρόν. κοσμητέον ἱερὸν μὲν ἀναθήμασι,     τὴν δὲ ψυχὴν μαθήμασιν. ὡς πρὸ τῶν μεγάλων μυστηρίων τὸ μικρὰ     παραδοτέον, καὶ πρὸ φιλοσοφίας παιδείαν. ὁ μὲν τῆς γῆς καρπὸς δι᾽     ἐνιαυτοῦ, καθ᾽ ἕκαστον δὲ ὥρας μόριον ὁ «τῆς» φιλοσοφίας ἀποδίδο-     ται. καθάπερ χώρας μάλιστα ἐπιμελητέον τῷ τῆς ἀρίστης ἐπιτυχό- ντι, καὶ ψυχῆς, ὅπως τῆς [10] φύσεως ἄξιον ἐνέγκηται τὸν καρπόν. Τοιαῦτα ἄν τις ἀπὸ τῶν ἐναργῶν γνωμικὰ ὁμοιώματα παρατιθέμενος κοινῶς ἂν εἰς φιλοσοφίαν προτρέψειεν. III. Ἔστι δὲ καὶ ἄλλος τύπος γνώμαις χρώμενος καὶ αὐτός, οὐκέ-     τι δὲ διὰ παραβολῆς ἀντιπαρατιθεὶς τὰς ὁμοιώσεις, ἔμμετρος καὶ     ἐναρμόνιος, γνήσιος τῶν ἀνδρῶν τούτων, ὃν ἔχομεν παρειληφότες     ἐν ἄλλοις τε καὶ ἐν τοῖς Χρυσοῖς ἔπεσιν, ὧν ὀλίγα ἄττα δείγματα     παραθετέον τὰ τοιαῦτα“ [20] ταῦτα πόνει, ταῦτ᾽ ἐκμελέτα, τούτων     χρὴ ἐρᾶν ce‘: ταῦτά σε τῆς θείας ἀρετῆς εἰς ἴχνια θήσει. διὰ γὰρ     τούτων εἰς πάντα τὰ καλὰ μαθήματά τε καὶ ἐπιτηδεύματα προτρέ-     πει, μήτε πόνων φείδεσθαι οἰόμενος δεῖν, μήτε μελέτην ὑφιέναι     μηδεμίαν, εἰς ἔρωτά τε καὶ προθυμίαν τῶν καλῶν διεγείρων, καὶ     [11] πάντα ταῦτα ἀνάγων εἰς τὴν τῆς ἀρετῆς ἐπιτήδευσιν οὐχ ἁπλῶς     τῆς τυχούσης, ἀλλ᾽ ἥτις ἡμᾶς ἀφίστησι μὲν τῆς ἀνθρωπίνης φύσεως,     ἐπὶ δὲ τὴν θείαν οὐσίαν καὶ τὴν γνῶσιν τῆς θείας ἀρετῆς καὶ τὴν κτῆσιν αὐτῆς περιάγει. ἀλλὰ μὴν εἴς γε τὴν θεωρητικὴν σοφίαν διὰ τούτων παρακαλεῖ" τούτων δὲ κρατήσας γνώσεαι ἀθανάτων τε θεῶν 1 τρόπον: τρόπον erron. des Places. ESORTAZIONE ALLA FILOSOFIA 309 sibile, delle contemplazioni secondo sapienza, come fossero ambrosia     e nettare, perché è puro il piacere che da esse deriva e il loro caratte-     re divino può rendere magnanimi, se non addirittura eterni, [43dP]     in quanto ci dà effettivamente la scienza delle cose eterne, Se è vero     che bisogna auspicarsi di avere buona sensibilità, la prudenza è anco-     ra più degna di essere perseguita, perché è come una buona sensibili-     tà del nostro intelletto pratico; per mezzo di essa infatti noi evitiamo     di subire inganno nelle nostre percezioni, ed evitiamo anche di ingan-     narci nel calcolare le nostre azioni. [10] E noi veneriamo dio come si     deve, se preserviamo il nostro intelletto puro da ogni malvagità come     da una macchia pestifera. Bisogna adornare il tempio con delle offer-     te, e l’anima con le scienze matematiche. Allo stesso modo, bisogna     insegnare i piccoli misteri prima dei grandi misteri, e bisogna educa-     re prima di insegnare filosofia. Mentre il frutto della terra si riprodu-     ce annualmente, quello della filosofia invece si riproduce ogni minu-     to. Come deve prendersi cura della terra soprattutto chi ne abbia     avuta in sorte quella di migliore qualità, cosi bisogna fare anche con l’anima, affinché produca il frutto che è degno della sua natura. Chi presenterà tali tipi di sentenze/immagini? derivanti da cose evidenti, farà un’esortazione generale alla filosofia. 3. C'è anche un altro tipo di esortazione che si serve anch'esso di     sentenze, ma che non pone più a mo’ di parabola le immagini alle     sentenze, giacché è già in versi e in musica, ed è genuinamente pita-     gorico, e noi lo possediamo per averlo appreso tra l’altro nei Versi     aurei, di cui è giusto presentare qui poche indicazioni, e cioè le     seguenti: “Fatica su queste cose, praticale, occorre che tu le ami: esse     ti porranno sulle tracce della divina virtà”.? Attraverso queste paro-     le Pitagora esorta a tutto ciò che di bello c’è nelle scienze e nelle     occupazioni matematiche, ritenendo che non ci si debba risparmiare     le fatiche, né trascurare alcuna pratica di studio, stimolando all’amo-     re e [44dP] all’impegno per le cose belle, e [11] riducendo tutto     questo alla pratica della virtii, e non semplicemente di una qualsiasi     virti, ma di quella che ci allontana dalla natura umana, e ci conduce     alla divina essenza e alla conoscenza e all'acquisizione della divina     virtà. Ma in effetti Pitagora ci invita alla sapienza contemplativa con le seguenti parole: “Quando tu avrai dominato queste cose, conosce- 310 GIAMBLICO θνητῶν τ᾽ ἀνθρώπων σύστασιν, ἧ te ἕκαστα διέρχεται ἧ te κρατεῖται" [10] γνώσῃ δ᾽, ἣ θέμις ἐστί, φύσιν περὶ παντὸς ὁμοίην,     ὥστε σε μήτε ἄελπτ᾽ ἐλπίζειν μήτε τι λήθειν. τούτων γὰρ οὐκ ἔστιν     ἄλλα θαυμασιώτερα τοῖς εὖ πεφυκόσιν εἰς τὸ παρορμᾶσθαι γεν-     ναίως εἰς τὴν θεωρητικὴν φιλοσοφίαν. ἡ μὲν γὰρ γνῶσις τῶν θεῶν     ἀρετή τέ ἐστι καὶ σοφία καὶ εὐδαιμονία τελεία, ποιεῖ τε ἡμᾶς τοῖς     θεοῖς ὁμοίους, ἡ δὲ τῶν ἀνθρωπίνων ἐπιστήμη τάς τε ἀνθρωπίνας     ἀρετὰς παρέχει καὶ τῶν ἡμετέρων πραγμάτων ἐμπείρους ποιεῖ, τά     τε ἀπὸ τούτων ὠφέλιμα καὶ βλαβερὰ διακρίνει, καὶ τὰ μὲν φυλάττε-     ται [20] τὰ δὲ περιποιεῖ, καὶ ὅλως τὴν σύστασιν ἥτις ἐστὶ τῆς     ἀνθρωπίνης ζωῆς λόγῳ τε καὶ ἔργῳ καταμανθάνει. τὸ δὲ θαυμασιώ-     τατον ἐκεῖνο διδάσκεται ἀπὸ τῆς τοιαύτης εἰδήσεως, κατὰ τί διέ-     ρχεται εὐλύτως καὶ ἀκωλύτως ἕκαστα τῶν ἐν ἡμῖν, ὅσα ἐστὶ τῆς κρείττονος μοίρας, καὶ κατὰ τί κρατεῖται καὶ κωλύεται, ὥστε μὴ δύνασθαι ῥᾳδίως ἐξιέναι καὶ τῶν δεσμῶν ἀπολύεσθαι. [12] Ἡ δὲ μετὰ ταύτην γνώμη εἰς φυσιολογίαν ποιεῖται τὴν παρά- κλησιν καὶ πᾶσαν τὴν περὶ τὸν οὐρανὸν θεωρίαν. ἣ γὰρ τούτου     φύσις ἀεί ἐστιν ὁμοία κατὰ τὴν αὐτὴν περιφορὰν ὡσαύτως     περιοῦσα, ἣν ἐάν τις καταμάθῃ, οὔτ᾽ ἂν ἀπροσδόκητά ποτε προσδο- κήσειεν, οὔτ᾽ ἂν ἀγνοήσειέ τι τῶν Kat ἀνάγκην αὐτῷ μελλόντων συμβαίνειν. Αἱ δὲ ἐπὶ τούτοις γνῶμαι ἀπὸ τῆς προαιρετικῆς ἐν ἡμῖν ζωῆς ποιοῦνται τὴν παράκλησιν, οἷον [10] γνώσῃ δ᾽ ἀνθρώπους αὐθαίρε-     τα πήματ᾽ ἔχοντας τλήμονας. εἰ γὰρ ἀρχαὶ τῶν πράξεών εἰσιν οἱ     ἄνθρωποι, καὶ δύναμιν ἔχουσιν ἐξ ἑαυτῶν οἰκείαν εἰς αἵρεσιν τῶν     ἀγαθῶν καὶ φυγὴν τῶν κακῶν, ὁ μὴ χρώμενος ταύτῃ τῇ δυνάμει τῶν     δοθέντων ἐκ φύσεως αὐτῷ πλεονεκτημάτων ἐστὶν ἀνάξιος. οὐδὲν     οὖν ἄλλο λέγει ἢ τοῦτο, ὅτι ἡμεῖς τὸν δαίμονα αἱρούμεθα, καὶ ὅτι     αὐτοὶ ἑαυτοῖς ἐσμεν ἐν τύχης τάξει καὶ δαίμονος, καὶ ὅτι εὐδαίμο-     νας αὐτοὶ ἑαυτοὺς παρασκευάζομεν᾽ ὃ πρὸς [20] μόνον τὸ καλὸν     προτρέπει καὶ τὴν τούτου τιμὴν δι᾽ ἑαυτὸ αἱρετὴν ἐπιδείκνυσι. Παραπλήσια δὲ τούτῳ καὶ τὰ τοιαῦτά ἐστιν᾽ [13] οἵ τ᾽ ἀγαθῶν πέλας 2 θαυμασιώτερον des Places. ESORTAZIONE ALLA FILOSOFIA 311 rai la costituzione!® degli dèi immortali e degli uomini mortali, dove cioè ciascuna <di tali realtà> si sviluppa <liberamente> e dove viene     trattenuta;!! e tu conoscerai, per quanto ti è consentito, che la natu-     ra è sempre la medesima, !? sicché né tu puoi sperare ciò che è inspe-     rabile, né alcunché ti rimane nascosto”. Ebbene, non esistono cose     più straordinarie di queste per coloro che sono capaci per natura di     slanciarsi nobilmente verso la filosofia contemplativa, perché la     conoscenza degli dèi è perfetta virtù e sapienza e felicità, e ci rende     simili agli dèi, e d’altra parte la scienza delle cose umane fornisce le     virtù umane e ci rende esperti delle nostre faccende, e serve a farci     distinguere ciò che esse producono di utile o di nocivo, e ci preser-     vano da alcune cose e ce ne procurano delle altre, e insomma ci fa     apprendere a parole e a fatti la costituzione che è propria della vita     umana. Ma la cosa più straordinaria che viene insegnata da un sape-     re siffatto è il conoscere come si sviluppi liberamente e senza intop-     pi ogni aspetto della nostra vita, quali siano le sue parti migliori, e come siano trattenute e impedite al punto che non si possa facilmen- te uscirne svincolandosi dai legami. [12] La sentenza successiva a questa è la raccomandazione all’in- dagine sulla natura e ad ogni forma di contemplazione del cielo. La     natura di quest’ultimo, infatti, è sempre la medesima,!) [45dP] per-     ché ruota allo stesso modo secondo la stessa rivoluzione, e se qualcu- no la vuole apprendere, né potrà attendersi cose inaspettate, né potrà ignorare che cosa stia per accadergli necessariamente. Le sentenze successive a queste sono raccomandazioni prodotte     dalla vita che noi stessi scegliamo, ad esempio: “Tu conoscerai che gli     uomini, quando sono sventurati, subiscono le sventure che si sono     scelte”. Se infatti gli uomini sono causa delle loro azioni, possiedono     anche il potere, che deriva proprio da loro stessi, di scegliere i beni e     di fuggire i mali, perché colui che non si serve di questo potere è inde-     gno dei vantaggi che la natura gli dà.!4 Nient'altro dunque dice <que-     sta sentenza> se non questo, cioè che noi scegliamo il nostro demone,     e.che siamo per noi stessi nel ruolo della fortuna e del demone, e che ci procuriamo da noi stessi la nostra felicità: cosa che esorta alla sola bellezza e mostra che il valore di questa è l'essere scelta per se stessa. Più o meno vicine a questa sono le sentenze del tenore seguente: [13] “Coloro che, da un lato, quando sono vicini ai beni né li guarda- 312 GIAMBLICO ὄντων οὔτ᾽ ἐσορῶσιν οὔτε κλύουσι, λύσιν δὲ κακῶν παῦροι συνιᾶσι. τὸ γὰρ ἐγγὺς εἶναι τἀγαθὰ καὶ συμπεφυκέναι ἡμῶν τῇ     ψυχῇ πάντων δὲ ὑπάρχειν οἰκειότατα ἡμῖν, θαυμαστῶς ἐστι προ-     τρεπτικά. καὶ τὸ μήτε ὁρᾶν μήτε ἀκούειν, ὑπὸ δὲ τῆς αἰσθήσεως     ἐπισκοτεῖσθαι, δαιμονίως εἰς τὴν νοερὰν ζωὴν παρακαλεῖ, ὡς τοῦ     νοῦ μόνου καὶ ὁρῶντος πάντα καὶ ἀκούοντος. ἡ δὲ ἀπαλλαγὴ τῶν     κακῶν, ἣν ὀλίγοι καθορῶσι, προτρέπει εἰς [10] τὴν λύσιν τὴν ἀπὸ τοῦ σώματος καὶ τὴν ζωὴν τὴν καθ᾽ ἑαυτὴν τῆς ψυχῆς, ἥντινα μελέτην θανάτου προσαγορεύομεν. Καὶ ἄλλος δ᾽ ἐστὶ προτρεπτικὸς τρόπος ἐφεξῆς ἀπὸ τῆς διαβολῆς τῶν κακῶν. οὐ γὰρ ἀνεκτόν ἐστι κυλινδρίοις ἐοικότας ἄλλοτ᾽ ἐπ᾽ ἄλλα φέρεσθαι, ἀπείρονα πήματ᾽ ἔχοντας. τὸ γὰρ βίαιον καὶ ἀλόγιστον καὶ εἰκῇ φερόμενον καὶ ἄλλοτε ἀλλοῖον καὶ μάλιστα τὸ ἀπέραντον ἡ κακία παρίστησιν, ἃ δεῖ διαφερόντως φεύγειν. [20] Ἡ δὲ μετὰ ταῦτα γνώμη ἐστὶ τοιαύτη λυγρὰ γὰρ συνοπαδὸς ἔρις βλάπτουσα λέληθε σύμφυτος, ἣν οὐ δεῖ προάγειν, εἴκοντα δὲ φεύγειν. ἐνταῦθα καὶ τὸ διττὸν τῆς ἀνθρωπίνης φύσεως ἐπέδειξε, καὶ τὸ παραπεφυκὸς ἡμῖν ἀπὸ τῆς γενέσεως [14] ἀλλόέτριον ζῷον, ὅπερ οἱ μὲν πολυκέφαλον θηρίον, οἱ δὲ θνητόν τι ζωῆς εἶδος, ἄλλοι δὲ φύσιν γενεσιουργὸν καλοῦσιν’ ἐνταῦθα δὲ ἔριν σύμφυτον ἐπω- νόμασεν, οὐχ ὡς ἴσην τάξιν ἔχουσαν ἡμῶν πρὸς τὴν κυριωτάτην ζωήν, ἀλλ᾽ ὡς συνοπαδὸν συνακολουθοῦσαν τῇ πρεσβυτέρᾳ ζωῇ. ταύτην δὴ οὖν παραγγέλλει φεύγειν, ἀντὶ δὲ ταύτης ἀνταλλάττεσθαι τὴν ἄνευ ἐναντιώσεως ἑνοειδῆ νοερὰν ἐνέργειαν, ἥτις ἀντὶ μὲν τοῦ βλάπτειν ἀγαθοειδής ἐστιν, ἀντὶ δὲ τοῦ ῥέπειν [10] εἰς ὄλεθρον σωτηρίας ἀρχὴν παρέχει, καὶ τὴν μὲν ἐπεισοδιώδη καὶ δευτέραν συνεπομένην ὑπόστασιν ὡς ἀλλοτρίαν ἐκτὸς μεθίησι, τὴν δὲ πρωτουργὸν καὶ ἀφ᾽ ἑαυτῆς καὶ ἐν ἑαυτῇ πάντα ἔχουσαν τελεω- τάτην ζωὴν προσείληφε. διὰ πάντα οὖν ταῦτα ἐκείνην μὲν ὡς ἐπὶ βραχύτατον συστέλλειν ἄξιον, ταύτην δὲ προάγειν ὡς ἐπὶ πλεῖστον" καὶ οὕτως εἰς τὴν κατὰ νοῦν ζωὴν ἡ τοιαύτη προτροπὴ γέγονεν ἀνυ- σιμωτάτη. Πρός γε μὴν τὴν θείαν τελειότητα καὶ τὴν μετὰ θεῶν συνεπομένην ἀρίστην κατάστασιν αἱ τοιαῦται [20] γνῶμαι παρακαλοῦσι᾽ Zed πά- ESORTAZIONE ALLA FILOSOFIA 313 no né li ascoltano, raramente, dall’altro lato, comprendono come libe- rarsi dai mali”. Che i beni ci siano vicini, infatti, e siano connaturali all'anima di tutti noi e ci appartengano come le cose più proprie, tutto ciò è straordinariamente protrettico. E il non guardare e il non ascol- tare, da un lato, e l’essere ottenebrati dalla sensibilità, dall’altro lato, sono uno splendido invito alla vita intellettiva, come se fosse il solo intelletto a guardare e ascoltare ogni cosa. E la liberazione dai mali, che pochi [46dP] osservano, esorta a liberarci dal corpo e a vivere la vita dell'anima in se stessa, che noi chiamiamo “meditazione sulla morte”. C'è, in successione, anche un altro metodo protrettico che è quel- lo che deriva dalla ripugnanza verso i malvagi. Non è tollerabile, infat- ti, che simili a oggetti cilindrici “i malvagi, pur subendo infinite sven- ture, si muovano di qua e di là”.!5 La malvagità infatti produce la vio- lenza e l’irrazionalità e il muoversi a caso, e ora qua ora là, e soprat- tutto l’illimitatezza, cose che bisogna assolutamente fuggire. La sentenza successiva è la seguente: “Malefica compagna, infat- ti, colpisce di nascosto l’innata contesa, che non bisogna alimentare, ma fuggire cedendole il passo”. [14] E qui la sentenza indica la dop- pia natura dell’uomo, nonché l’animale straniero che la natura ci ha messo accanto fin dalla nascita, e che alcuni chiamano mostro police- falo, altri una specie mortale di vita, altri ancora natura generatrice; ma qui Pitagora ha denominata “innata” la contesa, non in quanto ha un posto uguale a quello che hanno gli aspetti relativi alla nostra vita più propria,!6 ma in quanto è compagna che segue la nostra vita più nobile. E quella appunto che Pitagora prescrive di fuggire, e cioè quella che noi dobbiamo sostituire con la nostra attività intellettiva che è uniforme e priva di contrasti, attività intellettiva che, invece che colpire, è affine al bene e, invece che inclinare verso la rovina, è punto di partenza per la salvezza, [47dP] e lascia fuori come straniera la realtà avventizia e quella secondaria che ne consegue, e assume la vita primordiale e perfetta che ha da sé e in sé ogni cosa. Per tutto ciò, dunque, è opportuno ridurre al minimo la prima e alimentare al mas- simo quest’ultima; e cosî tale esortazione alla vita secondo intelletto diviene la più efficace. In effetti alla divina perfezione e alla migliore collocazione nel seguire gli dèi ci invitano le sentenze del tipo seguente: “Padre Zeus, 314 GIAMBLICO τερ, ἦ πολλῶν γε κακῶν παύσειας ἅπαντας, εἰ πᾶσιν δείξεις οἵῳ τῷ δαίμονι χρῶνται. ἀλλὰ σὺ θάρσει, ἐπεὶ θεῖον γένος ἐστὶ βροτοῖσιν. ἐν δὴ τούτοις μία μὲν ἀρίστη παράκλησις εἰς τὴν θείαν εὐδαιμονί- αν ἡ μεμιγμένη ταῖς εὐχαῖς καὶ ἀνακλήσεσι τῶν θεῶν καὶ μάλιστα τοῦ βασιλέως αὐτῶν [15] Διός, δευτέρα δὲ ἡ τοῦ δοθέντος καὶ συγ- κληρωθέντος ἡμῖν ἀπὸ τῶν θεῶν δαίμονος δεῖξις ἐμφανὴς καὶ δι᾽ αὖ- τοῦ πάλιν πρὸς τοὺς θεοὺς ἀναγωγή. οὐδὲ γὰρ ἂν ἄλλως τις δυνηθείη πρὸς τὸ θειότατον ἑαυτοῦ καὶ κυριώτατον τῆς οὐσίας ἀναδραμεῖν, εἰ μὴ τῷ τοιούτῳ δαίμονι ἡγεμόνι χρήσαιτο, ὃν δεῖ πάντα τὸν ἐραστὴν τῶν θεῶν γνησίως ἀποκαθαίρειν. ἀφ᾽ οὗ δὴ πρώτη μὲν ἔσται κακῶν παῦλα τῶν συμπεφυκότων ἡμῖν ἀπὸ τῆς γενέσεως, ἔπειτα γνῶσις ἡμῖν ἀληθινὴ [10] παρέσται τῆς δαιμονίας καὶ μακαρίας ζωῆς, ὅση τίς ἐστι καὶ ὁποία᾽ μεθ᾽ ἧς ἀνιόντες τὸ ἀρχηγὸν θεῖον γένος τῶν ἀνθρώπων κατοψόμεθα, καὶ εἰς αὐτὸ ἐνιδρυθέντες τέλος ἕξομεν τοῦ προτεθέντος ὑπὸ τῶν θεῶν τοῖς ἀνθρώποις μακαριωτά- του βίου. Ἐπὶ τέλει τοίνυν πρὸς τὴν μετάστασιν τῆς ψυχῆς προτρέπει καὶ τὴν ζωὴν αὐτῆς τὴν καθ᾽ ἑαυτήν, καθ᾽ ἣν ἀπήλλακται τοῦ σώματος καὶ τῶν τῷ σώματι συνηρτημένων φύσεων. λέγει δὲ οὕτως" ἡνίοχον γνώμην στῆσον καθύπερθεν ἀρίστην, [20] ἢν δ᾽ ἀπολείψας σῶμα ἐς αἰθέρ᾽ ἐλεύθερον ἔλθῃς, ἔσσεαι ἀθάνατος θεὸς ἄμβροτος, οὐκέτι θνητός. τὸ μὲν οὖν ἐν τῇ ἀνωτάτω τάξει τὸν ἄριστον νοῦν ἡγεμόνα προστήσασθαι, τῆς ψυχῆς ἀκραιφνῆ τὴν ὁμοιότητα διασῴζει πρὸς τοὺς θεούς, εἰς ἣν καὶ [16] προτρέπει πρώτως᾽ τὸ δ᾽ ἀπολιπεῖν τὸ σῶμα καὶ μεταστῆναι εἰς τὸν αἰθέρα, μεταλλάττειν καὶ τὴν ἀνθρωπίνην φύσιν εἰς τὴν τῶν θεῶν καθαρότητα καὶ ἀντὶ θνητοῦ βίου ἀθάνατον ζωὴν προαιρεῖσθαι, εἰς τὴν αὐτὴν οὐσίαν τε ἀποκα- θίστασθαι παρέχει καὶ μετὰ θεῶν περίοδον, ἥνπερ εἴχομεν καὶ πρότερον πρὶν ἐλθεῖν εἰς ἀνθρώπινον εἶδος. πέφηνεν ἄρα καὶ ἡ τῶν τοιούτων παρακλήσεων μέθοδος εἰς ὅλα τὰ γένη τῶν ἀγαθῶν καὶ πρὸς πάντα τὰ εἴδη τῆς BeA[10]tiovoc ζωῆς ἡμᾶς προτρέπουσα. IV. Εἰ δὲ δεῖ λοιπὸν καὶ ἐπὶ τὰς ἐσωτερικάς τε καὶ ἐπιστημονι- κὰς προτροπὰς ὁρμῆσαι, προχειρισώμεθα πρώτας ἐκείνας, ὅσαι ESORTAZIONE ALLA FILOSOFIA 212 tu ci renderai tutti liberi da molti mali se indicherai a noi tutti di quale demone dobbiamo servirci. Ma tu abbi coraggio, perché divino è il genere dei mortali”.!? [15] In queste parole c’è in primo luogo una raccomandazione alla felicità divina, che è la migliore, perché è mescolata alle preghiere e alle invocazioni degli dèi e soprattutto di Zeus che è il loro re, ma in secondo luogo una chiara indicazione del demone che ci è concesso o dato in sorte dagli dèi,!8 e dell'ascesa per mezzo di lui di nuovo verso gli dèi. Non si potrebbe, infatti, per nien- t'altro risalire verso l'aspetto più divino e più importante della pro- pria essenza, se non per mezzo di tale demone, di cui ci si serve come guida, e che ha il compito di rendere autenticamente puro ogni aman- te degli dèi. Da ciò appunto verrà una prima cessazione dei mali che ci sono connaturali fin dalla nascita, poi ci sarà dato di conoscere     veramente la vita divina e beata, e quanto grande e di che natura essa sia: innalzandoci assieme ad essa, noi osserveremo la primigenia e divina natura degli uomini, e stabilendoci in essa possiederemo il fine della vita più beata che è stata proposta dagli dèi agli uomini. [48dP] Alla fine, dunque, Pitagora esorta l’anima a trasferirsi <lassti> e a vivere la sua propria e autonoma vita, secondo la quale essa si allontana dal corpo e dalle disposizioni naturali da esso dipen- denti. Ecco che cosa dice: “Assumi come auriga l'ottima intelligenza!? che è quella che viene dall'alto [sc. dagli dèi], e se dopo avere abban- donato il corpo giungerai al libero etere, sarai immortale come un dio, non più un uomo mortale”.20 Orbene, il fatto che il migliore intellet- to si colloca come guida al posto più elevato, questo mantiene intatta la [16] somiglianza dell'anima agli dèi, somiglianza a cui è rivolta anche la prima esortazione; mentre il fatto di abbandonare il corpo e l'emigrare verso l’etere, e il trasferire la natura umana alla purezza degli dèi e lo scegliere una vita immortale al posto di una mortale, tutto questo consente di restituirla all'essenza degli dèi e alla rivolu- zione in loro compagnia, situazione che noi avevamo prima di giun- gere alla forma umana. È chiaro dunque che il metodo di tali racco- mandazioni ci esorta a tutti i generi dei beni e ad ogni forma di vita migliore. 4. Se a questo punto occorre affrontare anche le esortazioni eso- teriche e scientifiche, allora tratteremo anzitutto di quelle che, col for- 316 GIAMBLICO μετὰ τοῦ διδαχὴν παρέχειν τῶν κυριωτάτων καὶ πρώτων οὐσιῶν ὁμοῦ καὶ προτρέπουσιν ἐπὶ τὴν θεολογικὴν καὶ νοερὰν αὐτῶν ἀνεύ- ρεσίν τε καὶ μάθησιν, καὶ πρὸς τὴν πρεσβυτάτην σοφίαν παρακα- λοῦσιν. ᾿Αρχύτας τοίνυν ἐν τῷ Περὶ σοφίας εὐθὺς ἀρχόμενος προ- τρέπει οὕτως" «τοσοῦτον διαφέρει σοφία ἐν πᾶσι τοῖς ἀνθρωπίνοις [20] πράγμασιν, ὅσον ὀψις μὲν αἰσθασίων σώματος, νόος δὲ ψυχᾶς,     ἅλιος δὲ ἄστρων. ὄψις τε γὰρ ἑκαβολεστάτα καὶ πολυειδεστάτα τᾶν ἀλλᾶν αἰσθασίων ἐντὶ καὶ νόος ὕπατος λόγω καὶ διανοίας τὸ δέον ἐπικραίνων καὶ ὄψις καὶ δύναμις τῶν τιμιωτάτων ὑπάρχων. ἅλιός γε μὰν ὀφθαλμός ἐντι καὶ ψυχὰ τῶν φύσιν ἐχόν[] 7]των᾽ ὁρῆταί τε γὰρ δι᾽ αὐτῶ πάντα καὶ γεννῆται καὶ νοῆται, ῥιζωθέντα καὶ γενναθέντα δὲ τράφεταί τε καὶ ἀέξεται καὶ ζωπυρῆται μετ᾽ αἰσθάσιος.» πάνυ ἐπιστημονικῶς ἐνταῦθα τήν τε φύσιν καὶ ἐνέργειαν τῆς σοφίας ἐπι- δείκνυσι, καὶ ἀπὸ τοῦ χρησιμωτάτην αὐτὴν εἶναι καὶ ἡγεμονι- κωτάτην ποιεῖται τὴν προτροπὴν ἐπὶ τὸν νοῦν καὶ τὴν θεωρίαν. καὶ ἄλλο δὲ θαυμάσιον οἷον εἰς προτροπὴν ἀγαθὸν παρέχεται. ἀπὸ γὰρ τῶν γνωρίμων ποιεῖται τὴν ὑπό[0]μνησιν δι᾽ ἀναλογίας ἐναργοῦς. τὸ γὰρ ὄψιν εἶναι ὀξυτάτην τῶν αἰσθήσεων καὶ ἀκριβεστάτην καὶ τιμιωτάτην πᾶσι πρόδηλον, καὶ τὸ τὸν ἥλιον τῶν ἄστρων ὑπερέχειν οὐδένα λέληθε, καὶ τὸ τὸν νοῦν τῆς ψυχῆς εἶναι ἐξάρχοντα ἐν ταῖς κοιναῖς ἐννοίαις προειλήφαμεν. ἀπὸ δὴ τούτων τὸ διαφέρον παρα- δηλοῖ τῆς σοφίας πρὸς ἅπαντα τὰ ἀνθρώπινα πράγματα γνωρίμως καὶ ἐπιστημονικῶς, ὥστε εὐμαθὲς εἶναι τὸ ἀληθὲς καὶ εὔληπτον τοῖς ἀκούουσι τὸ κρυπτόμενον ἐν ἀφανεῖ. πρὸς τούτοις τοίνυν καὶ ἀπὸ τῶν δια[20]φορῶν ἑκάστου ἥ τε εἴδησις τῆς σοφίας καὶ ἡ πρὸς αὐτὴν προτροπὴ ἀναδιδάσκεται. τοῦτο μὲν γάρ, εἰ ἡ ὄψις ἐκαβολεστάτα καὶ πολυειδεστάτα τᾶν ἀλλᾶν αἰσθασίων ἐντί, καὶ ἡ σοφία κατὰ τὰ αὐτὰ τὰ πορρωτάτω ἀφεστηκότα ὡς παρόντα νοεῖ καὶ πάντων τῶν ὄντων τὰ εἴδη περιείληφεν ἐν ἑαυτῇ τοῦτο δέ, εἰ ὁ νόος ὕπατος     λόγω καὶ διανοίας τὸ δέον ἐπικραίνων καὶ ὄψις καὶ δύναμις τῶν τιμιωτάτων ὑπάρχων, πάντως που καὶ ἡ σοφία ὡσαύτως [18] ὑπερέχει λόγου καὶ διανοίας καὶ ταῖς ἁπλουστέραις τούτων ἐπι- ESORTAZIONE ALLA FILOSOFIA 317 nire l'insegnamento insieme delle sostanze principali e primarie, esor- tano anche alla scoperta e all’apprendimento teologico e intellettivo di esse, e invitano alla più alta sapienza. In verità Archita, nel suo scritto Sulla sapienza, subito fin dall’inizio fa la seguente esortazione: “La sapienza differisce fra tutte le cose umane tanto quanto differisce la vista fra <tutti> i sensi corporei, [49dP] e l’intelletto differisce dal- l’anima quanto il sole da <tutti gli altri> astri. La vista infatti è fra tutti gli altri sensi quello che raggiunge gli obiettivi più lontani?! e che assume più forme, <cosi come> l’intelletto è assolutamente superiore alla ragione discorsiva22 nel portare a termine il suo compito ed è visione e potenza delle cose più preziose. Il sole, da parte sua, è occhio e anima delle cose naturali; [17] tutte queste cose infatti si vedono e si generano e si concepiscono tramite lui, e una volta che siano radicate e generate si nutrono e crescono e si accendono alla vita dei sensi”.2> In maniera assolutamente scientifica qui Archita mostra sia la natura che l’attività della sapienza, e partendo dal fatto che que- sta è assolutamente utile e atta a guidare, esorta all’intelletto e alla contemplazione. È un altro meraviglioso bene viene fornito a mo’ di esortazione, e cioè il fatto che la sapienza, muovendo da cose note,     produce la reminiscenza tramite un’evidente analogia. Che la vista sia fra i sensi quello più acuto e preciso e più prezioso, è cosa nota a tutti, e che il sole sia superiore a tutti gli altri astri, nessuno lo ignora, e che l’intelletto stia a capo dell'anima, lo abbiamo già assunto tra le nozio- ni comuni, Da ciò appunto risulta, in maniera evidente e scientifica, la differenza tra la sapienza e tutte quante le altre cose umane, al punto che è facile apprendere e comprendere la verità per coloro che intendono ciò che si nasconde nell’invisibile. Inoltre, è certamente a partire da ciascuna di tali cose diverse che si insegna a conoscere real- mente la sapienza ed anche ad esortare ad essa. Questo infatti <vuole significare Archita>: se la vista è fra tutti gli altri sensi quello che rag- giunge gli obiettivi più lontani e assume più forme, anche la sapienza [50dP] pensa come presenti le cose che in se stesse sono le più lonta- ne, e contiene in sé le forme di tutti gli enti; e <vuole significare> anche questo, cioè che, se l’intelletto è più elevato del discorso e della ragione nel portare a termine il suo compito ed è anche visione e potenza delle cose più preziose, allora anche la sapienza, in ogni caso, è parimenti [18] superiore al discorso e alla ragione e contempla gli 318 GIAMBLICO βλητικαῖς νοήσεσι τὰ ὄντα θεωρεῖ, τά τε ἀγαθὰ κρίνει ἀφ᾽ ἑαυτῆς καὶ ἐπιτελεῖ ἐν ἑαυτῇ, τῶν τε νοητῶν ἐστιν ὄψις καὶ δύναμις τῶν θειοτάτων καὶ τελειοτάτων ἐνεργειῶν ὑπάρχει᾽ τοῦτο δ᾽ αὖ, εἰ ὁ ἥλιος ὀφθαλμός ἐντι καὶ ψυχὰ τῶν φύσιν ἐχόντων ὁρῆταί τε γὰρ δι᾽ αὐτῶ πάντα καὶ γεννῆται καὶ νοῆται, ῥιζωθέντα καὶ γενναθέντα δὲ     τράφεταί τε καὶ ἀέξεται καὶ ζωπυρῆται μετ᾽ [10] αἰσθάσιος: δῆλόν     που καὶ ἀπὸ τούτων γίγνεται ὡς ὀφθαλμός ἐστι καὶ ζωὴ τῶν νοερῶν     ἡ σοφία, καὶ τὸ ὁρᾶσθαι τοῖς νοουμένοις παρέχει πᾶσι καὶ τὸ εἶναι     τοῖς οὖσι, δημιουργίας τε πάσης ἀρχηγὸς γίγνεται ἐν τῷ κόσμῳ καὶ     γεννήσεως τῆς πρώτης καὶ τάξεως, καὶ δὴ καὶ ἐν ἡμῖν ὡσαύτως. τὴν     δὴ τοιαύτην τε καὶ τοσαύτην αἰτίαν καὶ τοσαῦτα ἀγαθὰ παρέχου-     σαν τίς οὐκ ἂν μετὰ μεγάλης σπουδῆς μεταθέοι ἂν προθύμως, βου-     λόμενος τῆς ἀρίστης εὐδαιμονίας μεταλαμβάνειν;          ‘H μὲν οὖν ἀπὸ τοῦ τίμιον εἶναι τὴν σοφίαν [20] προϊοῦσα εἰς προ-     τροπὴν ἔφοδός ἐστι τοιαύτη, ἡ δὲ ἀπὸ τοῦ ὄντως ἀνθρώπου     ὑπομιμνήσκουσα τῆς ἐπὶ τὰ αὐτὰ προτροπῆς διὰ τῶν" ἑξῆς ἐπιδείκ-     νυται τῶν οὕτω λεγομένων «ἄνθρωπος πάντων ζῴων ἐπὶ πολλὸν γέ-     yove σοφώτατος" θεωρῆσαί τε γὰρ δυνατός ἐντι τὰ ἐόντα καὶ ἐπι-     στάμαν καὶ φρόνασιν λαβὲν αὐτῶν ἁπάντων. παρὸ καὶ ἐνεχάραξε     [καὶ ἐπεσημήνατο]" τὸ θεῖον αὐτῷ τὸ τῶ παντὸς λόγω σύσταμα, ἐν ᾧ     τά τε εἴδεα πάντα τῶ [19] ἐόντος ἐνδέδασται καὶ ταὶ σαμασίαι [τε]     τῶν ὀνυμάτων τε καὶ ῥημάτων. τοῖς μὲν γὰρ φθόγγοις τᾶς φωνᾶς     τόπος ἀφώρισται φάρυγξ καὶ στόμα καὶ ῥῖνες. ὥσπερ δὲ τῶν     φθόγγων, δι᾽ ὧν τὰ ὀνύματά τε καὶ ῥήματα τυπούμενα σαμαίνεται,     γέγονεν ἄνθρωπος ὄργανον, οὕτω δὲ καὶ τῶν νοαμάτων ἐν τοῖς ἐό-     ντεσσιν ὀπτιζομένοις.6 ἔργον σοφίας τοῦτο δοκεῖ μοι ἦμεν, ποθ᾽     ὅπερ καὶ γέγονε καὶ συνέστα ὁ ἄνθρωπος [10] καὶ ὄργανα δὲ καὶ     δυνάμεις εἴλαφε παρὰ τῶ θεῶ.» αὕτη ἡ ἔφοδος ἐπὶ τὴν προτροπὴν     ἀπὸ τῆς φύσεως γέγονε τοῦ ἀνθρώπου. εἰ γὰρ σοφώτατός ἐστι καὶ     θεωρῆσαι τὰ ὄντα δυνατός, τῆς θεωρητικῆς αὐτὸν καὶ θεολογικῆς     σοφίας δεῖ ἀντιποιεῖσθαι καὶ εἴπερ ἐπιστήμην καὶ φρόνησιν     λαβεῖν ἁπάντων δύναμιν ἔχει παρὰ τῆς φύσεως, τὴν ἀποδεικτικὴν               3 τῶν: τῶς erron. des Places.          4 καὶ ἐπεσημήνατο eliminò Pistelli post Vitelli.          5 [te] eliminò Pistelli: ταὶ des Places post Thesleff.          6 ἐν τοῖς ἐόντεσσιν ὀπτιζομένων sine cruce des Places.               ESORTAZIONE ALLA FILOSOFIA 319               enti per mezzo di pensieri più semplici e più diretti che non quelli, e     giudica da se stessa i beni e li realizza in se stessa, ed è visione degli     intelligibili nonché potenza delle attività più divine e più perfette; e     poi <vuole significare> anche questo, e cioè che, se il sole è occhio e     anima delle cose naturali (tutte queste cose infatti si vedono e si gene-     rano e si concepiscono tramite lui, e una volta che siano radicate e     generate si nutrono e crescono e si accendono alla vita dei sensi), allo-     ra a partire da ciò risulta chiaro in qualche modo che la sapienza è     come occhio e vita degli enti intellettivi, e consente a tutti gli enti pen-     sati di essere contemplati e a tutti gli enti di esistere, e <cosî> diven-     ta principio fondante dell’intera creazione e della prima generazione     e dell'ordine di ciò che è nel mondo, e allo stesso modo, quindi, anche     di ciò che è in noi. Una causa di siffatta natura e cosî grande e che     offre beni cosî grandi, chi non si impegnerebbe a trattarla con grande     cura, volendo partecipare della migliore felicità?          È tale dunque il percorso che, a partire dal fatto che la sapienza è     preziosa, procede all’esortazione, l’altro è quello che, a partire dall’ef-     fettiva realtà dell’uomo, richiama alla memoria questa stessa esorta-     zione per mezzo di ciò che Archita espone con le seguenti parole:     [51dP] “Tra tutti gli esseri viventi il più sapiente è l’uomo, perché è     capace di contemplare gli enti e di acquisire di essi tutti scienza e pru-     denza. Perciò il divino ha anche impresso?4 nell’uomo l’intero sistema     della ragione, nel quale sono state distribuite tutte le forme dell’esse-     re [19] e i significati dei nomi e dei verbi. Infatti alle articolazioni     della voce è stata assegnata come sede la faringe e la bocca e le nari-     ci. Cosi come l’uomo è divenuto strumento delle articolazioni della     voce, per mezzo delle quali vengono significati i nomi e i verbi che vi     sono impressi, allo stesso modo è divenuto strumento anche dei pen-     sieri che si presentano in maniera visibile? negli enti. A me sembra     opera della sapienza ciò da cui è stato generato e di cui si compone     l’uomo, nonché gli organi e le facoltà che egli ha ricevuto da dio”.26 È     questo il percorso all’esortazione che parte dalla natura dell’uomo. Se     infatti questi è il più sapiente <degli animali> ed è in grado di con-     templare gli enti, occorre che esiga per sé la sapienza contemplativa e     teologica; e se è vero che egli ha per sua natura la capacità di conse-     guire scienza e prudenza in ogni cosa, allora occorre che persegua la     scienza dimostrativa e la virti secondo prudenza come quella che gli               320 GIAMBLICO               ἐπιστήμην αὐτὸν δεῖ μεταδιώκειν καὶ τὴν κατὰ φρόνησιν ἀρετὴν ὡς     μάλιστα αὐτῷ πρέπουσαν. διότι γε μὴν ἐνετυπώσατο ἐν αὐτῷ τὸ     θεῖον τὸ τοῦ παντὸς λόγου [20] σύστημα, ἐν ᾧ καὶ τὰ εἴδη πάντα τῶν     ὄντων καὶ αἱ σημασίαι ἐνυπάρχουσι τῶν ὀνομάτων τε καὶ ῥημάτων,     διὰ τοῦτο τῆς λογικῆς αὐτὸν φιλοσοφίας πάσης ἀντιλαμβάνεσθαι     προσήκει, ἐπειδὴ οὐ τῶν σημαινομένων μόνον «διὰ τῶν φθόγγων     ὄργανον» γέγονεν ὁ ἄνθρωπος, ἀλλὰ καὶ τῶν νοημάτων τῶν ἐν τοῖς     οὖσι [20] θεωρὸς ὑπάρχει, καὶ πρὸς τοῦτο γέγονε καὶ ὄργανα καὶ     δυνάμεις εἴληφε παρὰ τοῦ θεοῦ. διὰ ταῦτα δὴ πάλιν περὶ πᾶν τὸ ὄν,     ἡ ὄν, τῆς θεωρητικῆς σοφίας ἐφίεσθαι αὐτὸν χρή, καὶ τὰς ἀρχὰς καὶ     τὰ κριτήρια πάσης γνώσεως μεταθεῖν ἐπιστημονικῶς περὶ πάντα τὰ     γένη τῶν ὄντων’ αὐτόν τε τὸν νοῦν καθ᾽ ἑαυτὸν καὶ τὸν καθαρώτα-     τον λόγον ἐπισκοπεῖσθαι ἀξιον᾽ καὶ ὅσαι ἀπ᾽ αὐτοῦ ἀρχαὶ ἐνδίδον-     ται εἰς τὰ καλὰ καὶ ἀγαθὰ τοῦ ἀνθρωπίνου βίου, καὶ ὅσα περὶ     ἀρετῶν [10] ἐπιλογιζόμεθα καθόλου, καὶ ὅσα περὶ μαθημάτων ἢ     ἄλλων τινῶν τεχνῶν ἢ ἐπιτηδευμάτων μανθάνομεν, προσήκει προ-     θύμως ἀναδιδάσκεσθαι. καὶ οὕτω πρὸς ὅλην τὴν φιλοσοφίαν καὶ ἡ     ἀπὸ τῆς φύσεως τοῦ ἀνθρώπου ὁρμωμένη γέγονε παράκλησις.          Ποιεῖται δὲ καὶ ἄλλην σύμμικτον ἔφοδον ἐπὶ τὰ αὐτὰ προτρέπου-     σαν ὧδέ πως «γέγονε καὶ συνέστα ὁ ἄνθρωπος ποττὸ θεωρῆσαι τὸν     λόγον τᾶς τῶ ὅλω φύσιος: καὶ τᾶς σοφίας ὦν ἔργον «κτᾶσθαι» καὶ     θεωρὲν τὰν τῶν ἐόντων φρόνασιν.» ὃ δή φαμεν [20] ἐν τούτοις σύμ-     ULKTOV, ἐκεῖνό ἐστι τῇ γὰρ ἰδίᾳ φύσει τὴν κοινὴν συνεκέρασεν, ὡς     ἐχουσῶν τούτων συμφωνίαν πρὸς ἀλλήλας. εἰ γὰρ ὅ τε λόγος τοῦ     ἀνθρώπου θεωρητικός ἐστιν ἐν τῷ λόγῳ τᾶς τῶ ὅλω φύσιος καὶ ἡ     σοφία τοῦ ἀνθρώπου κτᾶται καὶ θεωρεῖ τὰν τῶν ἐόντων φρόνασιν,     ὁμοῦ μὲν ὁμολογία οὖσα ἀποδέδεικται τῆς μεριστῆς τοῦ λόγου καὶ     τῆς τοῦ ὅλου νοερᾶς φύσεως, ὁμοῦ δὲ καὶ ἡ προτροπὴ τελεω[21]τέρα     γέγονεν. οὐ γὰρ ἄλλως διαβιωσόμεθα κατὰ φύσιν, οὗ πάντες διαφε-     ρόντως ἐφιέμεθα, ἐὰν μὴ κατὰ λόγον ζῶμεν τὸν θεῖον καὶ τὸν     ἀνθρώπινον, οὐδὲ ἄλλῃ πῃ εὐδαιμονήσομεν, ἐὰν μὴ κτησώμεθα διὰ     φιλοσοφίας καὶ θεωρήσωμεν τὴν τῶν ὄντων φρόνησιν. ἄλλη τοίνυν     ἐν τούτοις τοιαύτη νοείσθω σύμμιξις" ἐν ταὐτῷ γὰρ παρορμᾶν ἐπι-               7 οὐ: Οὐ erron. des Places.               ESORTAZIONE ALLA FILOSOFIA 321               conviene al più alto livello. Proprio per questo la divinità ha impres-     so in lui l’intero sistema della ragione, in cui esistono tutte le forme     degli enti e tutti i significati dei nomi e dei verbi; perciò conviene a lui     assumere tutta la filosofia razionale, poiché l’uomo non è soltanto     strumento dei significati per mezzo delle articolazioni della voce, ma     è anche capace di contemplare i pensieri che sono negli enti,     [20=52dP] e per questo fine egli è nato e ha ricevuto da dio sia gli     organi che le facoltà. E perciò, ancora a proposito di tutto l’essere in     quanto essere, è necessario che egli miri alla sapienza contemplativa,     e rintracci scientificamente i principi e i criteri di ogni conoscenza     relativa a tutti i generi degli enti; ed è opportuno che egli indaghi sul-     l'intelletto in sé e sulla ragione più pura: e tutti i principi che da que-     st'ultima sono forniti ai fini del bello e del bene della vita umana, e     tutto ciò che noi in generale computiamo sulle virtù, e tutte le scien-     ze matematiche e alcune altre tecniche e professioni che noi imparia-     mo, tutto questo conviene che sia appreso con impegno. È questa la     raccomandazione all’intera filosofia quando si prendono le mosse     dalla natura dell’uomo.          Archita mostra anche in che modo sia possibile un altro percor-     so, questa volta misto, che esorta alle medesime cose: “L'uomo è nato     ed è strutturato per contemplare la ragione della natura dell’univer-     so; ed è opera della sapienza?” acquistare e contemplare la ragione     degli enti”.28 Ciò che in effetti intendiamo dire in questo caso <par-     lando di percorso> “misto” ha la seguente ragione: <Archita> ha     mescolato la natura comune con quella propria <dell’uomo>,?? come     se ambedue potessero accordarsi tra loro. Se infatti, da un alto la     ragione dell’uomo è capace di contemplare al suo interno?0 la ragio-     ne della natura universale, e dall’altro lato la sapienza dell’uomo     acquista e contempla la ragione degli enti, sono contemporaneamen-     te dimostrati l'accordo tra la natura individuale?! della ragione e     quella intellettiva dell’universo, e al contempo anche l'esortazione     diviene più perfetta. [21] Infatti noi non vivremo secondo natura,     che è ciò a cui tutti noi miriamo particolarmente, se non viviamo     secondo una ragione <al tempo stesso> divina e umana, né saremo     felici in altro modo se non [53dP] acquisiremo e contempleremo     attraverso la filosofia la ragione degli enti. In verità occorre conside-     rare in tutto ciò un’altra mescolanza, e cioè che <Archita> cerca di               322 GIAMBLICO               χειρεῖ εἴς τε τὴν πρακτικὴν καὶ θεωρητικὴν φιλοσοφίαν. τὸ μὲν γὰρ     κτήσασθαι φρόνησιν ποιητικῆς τινός ἐστι καὶ πρακτικῆς ἀρετῆς     [10] ἔργον, ἧς τέλος οὐ τὸ κατιδεῖν ἁπλῶς οὑτωσίν, ἀλλὰ τὸ προσλα-     βεῖν αὐτὸ διὰ τῶν ἐνεργειῶν, τό γε μὴν θεωρῆσαι τοῦ θεωρητικοῦ     νοῦ ἐνέργημα ὑπῆρχε. πρὸς ἀμφότερα τοίνυν ἡ προτροπὴ δεόντως     γέγονεν.         Ἐπεὶ τοίνυν μᾶλλον τὸ κοινὸν καὶ διατεῖνον ἐπὶ πάντα τῆς σοφίας     ἀγαθὸν διαφαίνεται, καὶ ἡ προτροπὴ τελεωτέρα πρὸς αὐτὸ γίγνεται     διὰ τῶν τοιούτων᾽ «ἁ σοφία οὐ περί τι ἀφωρισμένον ἐντὶ τῶν ἐόντων,     ἀλλ᾽ ἁπλῶς περὶ πάντα τὰ ἐόντα, καὶ δεῖ μὴ πρώταν αὐτὰν τὰς ἀρχὰς     αὑτᾶςϑ ἀνευρέσθαι, ἀλλὰ τὰς [20] κοινὰς τῶν ἐόντων’ οὕτω γὰρ ἔχει     σοφία περὶ πάντα τὰ ἐόντα ὡς ὄψις περὶ πάντα τὰ ὁρατά. τὰ ὦν     καθόλω πᾶσι συμβεβακότα συνιδὲν καὶ θεωρὲν τᾶς σοφίας οἰκῆον,     καὶ διὰ τοῦτο σοφία τὰς τῶν ἐόντων ἁπάντων ἀρχὰς ἀνευρίσκει.»     πάλιν γὰρ ἐνταῦθα οὐκ ἀφορίζει περί τι [22] μέρος τὴν ἐνέργειαν     αὐτῆς, ἀλλὰ κοινῇ διήκειν φησὶν ἐπὶ πάντα τὰ ὄντα, τάς τε ἀρχὰς     τὰς κοινὰς τῶν ὅλων φησὶν αὐτὴν ἐπισκοπεῖν καὶ κατὰ γένη ταῦτα     θεωρεῖν καὶ κατὰ ἁπλουστάτας ἐπιβολάς, ὥσπερ ἡ ὄψις τοῖς     ὁρατοῖς ἐπιβάλλει, τούς τε καθόλου λόγους πάντων φησὶν αὐτὴν     περιέχειν, καὶ πρὸς τούτῳ θεωρεῖν καὶ διαλογίζεσθαι μόνην δὲ     καὶ ἀνυπόθετον εἶναι ἐπιστήμην, ἅτε δὴ τῶν ὄντων πάντων τὰς     ἀρχὰς ἀνευρίσκουσαν καὶ περὶ τῶν οἰκείων ἑαυτῆς ἀρχῶν     δυνα[10]μένην λόγον διδόναι. εἰς καλὸν ἄρα συμβαίνει ἡ ἔφοδος     τῆς προτροπῆς᾽ εἰ γὰρ τῆς τοιαύτης σοφίας οὔτε καθολικωτέραν     οὔτε τελειοτέραν οὔτε κοινοτέραν οὔτε αὐταρκεστέραν οὔτε ἀγα-     θοειδεστέραν ἢ καλλίονα δυνατὸν λογισμῷ λαβεῖν, ταύτης ἐφίε-     σθαι χρὴ τοὺς βουλομένους κατὰ λόγον καὶ νοῦν εὐδαιμονεῖν.          Ἐν τῷ τέλει τοίνυν πρὸς αὐτὸ τὸ ἀκρότατον ἄνεισιν ἡ παράκλησις     ὧδέ rog: «ὅστις ὧν ἀναλῦσαι οἷός τέ ἐντι πάντα τὰ γένεα ὑπὸ μίαν     τε καὶ τὰν αὐτὰν ἀρχὰν καὶ πάλιν συνθεῖναί τε καὶ συν-     αριθ[2Ζ0]μήσασθαι, οὗτος δοκεῖ μοι καὶ σοφώτατος ἦμεν καὶ πανα-     λαθέστατος, ἔτι δὲ καὶ καλὰν σκοπιὰν εὑρηκέναι, ἀφ᾽ ἃς δυνατὸς               8 αὑτᾶς Pistelli post Vitelli: αὐτὰς des Places post Thesleff.               ESORTAZIONE ALLA FILOSOFIA 323               spronare nello stesso tempo verso la filosofia pratica e verso quella     contemplativa. L'acquisire prudenza, infatti, è opera di virtii che pro-     duce qualcosa, ma anche di virtù pratica, il cui fine ultimo non è     quello di osservare <il bene>?? cosi semplicemente, ma quello di con-     seguirlo attraverso le azioni, mentre il contemplare è azione dell’in-     telletto contemplante. L'esortazione <di Archita> in effetti deve esse-     re stata rivolta ad ambedue questi scopi.          Ma poiché il bene della sapienza è maggiormente visibile quando     è comune e si estende a tutto, anche l’esortazione al bene diviene più     perfetta per via delle seguenti parole di Archita: “La sapienza non     riguarda un determinato ente, ma tutti gli enti in assoluto, e non deve     anzitutto scoprire i suoi propri principi, ma i principi comuni <a     tutti> gli enti;?? in tal modo infatti la sapienza sta a tutti gli enti come     la vista sta alle cose visibili. E proprio della sapienza il vedere e con-     templare le proprietà di ogni cosa in generale, ed è per questo che la     sapienza è capace di scoprire i principi di tutti quanti gli enti”.     Archita, infatti, a questo punto, ancora una volta, non stabilisce che     l’attività della sapienza concerne qualcosa di particolare, [22] ma che     la sua natura si estende in generale a tutti gli enti, e afferma che essa     esamina i principi comuni dell’universo e li contempla secondo i loro     generi e secondo le intuizioni più semplici,)4 cosî come la vista intui-     sce le cose visibili, e afferma ancora che la sapienza contiene i rappor-     ti matematici universali di ogni cosa, oltre che contemplarli e ragio-     narvi sopra; ed è una scienza unica e anipotetica,36 [54dP] in quanto,     appunto, scopre i principi di tutti gli enti ed è capace di rendere     ragione degli stessi suoi propri principi. Il percorso dell’esortazione,     dunque, giunge a un bel risultato: se infatti non è possibile ottenere     per argomentazione una sapienza né più universale, né più perfetta,     né più comune, né più autosufficiente, né più affine al bene ovvero     migliore di questa, allora è necessario che la desiderino coloro che     vogliono essere felici secondo ragione e intelletto.          Alla fine, dunque, la raccomandazione <di Archita> si eleva a     quello che è in sé il punto più alto, più o meno con queste parole:     “Chiunque sia capace di ridurre tutti i generi ad un solo genere e ad     un solo principio e di nuovo sia capace di ricomporli e computarli,     costui è — a mio parere — anche il più sapiente e colui che dice assolu-     tamente la verità, e che ha scoperto, inoltre, anche un bel punto di               324 GIAMBLICO               ἐσσεῖται τὸν θεὸν κατοψεῖσθαι καὶ πάντα τὰ ἐν τᾷ συστοιχίᾳ Kai     τάξει τᾷ ἐκείνω κατακεχωρισμένα, καὶ ταύταν ἁρματήλατον ὁδὸν     ἐκπορι[23]σάμενος τῷ νόῳ κατ᾽ εὐθεῖαν ὁρμαθῆμεν καὶ τελεοδρο-     μᾶσαι τὰς ἀρχὰς τοῖς πέρασι συνάψαντα καὶ ἐπιγνόντα διότι ὁ θεὸς     ἀρχά τε καὶ τέλος καὶ μέσον ἐντὶ πάντων τῶν κατὰ δίκαν τε καὶ τὸν     ὀρθὸν λόγον περαινομένων.» σαφῶς δὴ καὶ ἐν τούτοις τὸ τέλος ἐπέ-     θηκε τῆς θεολογικῆς προτροπῆς, μὴ ἵστασθαι ἀξιῶν ἐπὶ τῶν πολλῶν     ἀρχῶν καὶ πάντων τοῦ ὄντος γενῶν, ἀναλύσειν δὲ προθυμούμενος     ὑπὸ μίαν τε καὶ τὴν αὐτὴν ἀρχὴν τὰ πάντα, [10] ἀπὸ δὲ τῆς μιᾶς     διαιρῶν κατὰ ἀριθμὸν ὡρισμένον τὰ πλησίον τοῦ ἑνὸς καὶ οὕτως     ἀεὶ τὰ πορρωτέρω ἀφιστόμενα καὶ διιστάμενα ἐπισκοπῶν, ἕως ἂν     ἐπὶ τὰ σύνθετα καὶ ἐκ πολλῶν συνεστηκότα συναριθμήσηται τὸ     πλῆθος; ἐπ᾽ ἄμφω τε οὕτω προϊὼν ἱκανὸς ἦν ἀνάγειν τε ἑαυτὸν ἀπὸ     τοῦ πλήθους ἐπὶ τὸ Èv καὶ κατάγειν ἀπὸ τοῦ ἑνὸς ἐπὶ τὸ πλῆθος.     ἐπεὶ δὲ μάλιστα ἀληθείας καὶ σοφίας ἐφιέμεθα, προτρέπων ἐπὶ τὴν     τοιαύτην ἐπιστήμην σοφώτατον καὶ παναληθέστατόν φησιν εἶναι     τὸν τὴν τοιαύτην διαιρετικὴν ἔχοντα ἐπιστήμην [20] διὰ τῶν πρώτων     εἰδῶν καὶ γενῶν, συνάγοντά τε αὐτὴν εἰς ἕν διὰ τῆς ὁριστικῆς     ἐπιστήμης, τοῦ τε ἑνὸς ὄντα θεωρητικόν, ὅπερ τέλος ἐστὶ πάσης     θεωρίας. καὶ τούτου δ᾽ ἔτι κυριώτερον ἀγαθὸν ἐπήγαγε, τὸ ὥσπερ     ἀπὸ σκοπιᾶς ἐντεῦθεν δύνασθαι τὸν θεὸν καθορᾶν καὶ πάντα τὰ ἐν     τῇ συστοιχίᾳ τοῦ θεοῦ. εἰ γὰρ πάσης ἀληθείας καὶ εὐδαιμονίας οὐ-     σίας τε καὶ αἰτίας καὶ τῶν ἀρχῶν ὁ θεὸς ἐξηγεῖται, σπουδαστέον ἐν     τούτῳ [24] μάλιστα ἐκείνην τὴν ἐπιστήμην κτήσασθαι, δι᾽ ἧς ἀτενί-     σει τις αὐτὸν καθαρὸν καὶ δι᾽ ἧς πλατεῖαν εὑρήσει τὴν πρὸς αὐτὸν     πορείαν καὶ δι᾽ ἧς τὰ τέλη ταῖς ἀρχαῖς συνάψει. τελεωτάτη γὰρ ἡ     τοιαύτη ζωὴ καὶ εὐδαιμονία, οὐκέτι διωρισμένως τὰ τελευταῖα ἀπὸ     τῶν πρώτων διακρίνουσα, ἀλλ᾽ εἰς ἕν τὰ συναμφότερα ταῦτα συλλα-     βοῦσα ἀρχάς τε καὶ τέλος καὶ μέσον ὁμοῦ συνέχουσα. τοιαύτη γάρ     ἐστιν ἡ θεία αἰτία, ἧς δεῖ ἀντέχεσθαι τοὺς μέλλοντας εὐδαιμον-     ήσειν. οὕτω μὲν [10] οὖν ἡ προτροπὴ διὰ πάντων διεξελθοῦσα τῶν τε     ἐν ἡμῖν καὶ τῶν ἐν τῇ φύσει καὶ ὡς ἔπος εἰπεῖν διὰ πάντων τῶν     ὄντων, συνεκεφαλαιώσατο πάσας τὰς ἐφόδους εἰς μίαν τὴν ἐπὶ τὸν     θεὸν ἀνήκουσαν ἀναγωγήν.               ESORTAZIONE ALLA FILOSOFIA 325               osservazione, da cui sarà in grado di osservare dio e tutto ciò che si     colloca nell’ordine e nella posizione di esso, e si procura questa via     carrabile [23] per mezzo dell’intelletto, si slancia e percorre lo stadio     in linea retta collegando i punti iniziali con quelli finali e riconosce     perciò che dio è inizio e fine e mezzo di tutto ciò che viene portato a     termine secondo giustizia e retta ragione”. È chiaro, dunque, che in     queste parole egli abbia posto il fine ultimo dell’esortazione teologi-     ca, non ritenendo opportuno fermarsi ai molteplici principi e a tutti i     generi dell’essere, ma desiderando ridurre il tutto ad un unico e     medesimo principio, e partendo da quest’unico principio, per divisio-     ne secondo un numero determinato, osservare ciò che è prossimo     all’Uno e cosi ciò che sempre più [55dP] si allontana e si distanzia da     esso, fino ad enumerare nella loro quantità numerica le cose che sono     composte e costituite di molti fattori; e procedendo cosî in entrambi     i sensi di marcia egli fu in grado di elevarsi dai Molti all’Uno e discen-     dere dall’Uno ai Molti. E poiché noi miriamo al più alto livello di veri-     tà e di sapienza, poiché egli esorta a una tale scienza, dice che è il più     sapiente e uno che dice assolutamente la verità colui che, possedendo     una siffatta scienza che divide secondo le prime specie e i primi gene-     ri, è capace di ricondurre specie e generi all’Uno per mezzo della     scienza definitoria, e contemplare l’Uno che è il fine ultimo di ogni     contemplazione. Ed ha aggiunto un bene ancora più importante di     questo, cioè osservare, partendo da lî come da un punto di osserva-     zione, dio e tutto ciò che si trova nel suo ordine. Se infatti dio è a capo     di ogni verità e felicità ed essenza e causa e di ogni principio, occorre     adoperarsi [24] soprattutto nell’acquisire quella scienza, per mezzo     della quale lo si può fissare nella sua purezza e si potrà scoprire in     tutta la sua ampiezza la via che porta a lui e si potranno collegare i     punti finali a quelli iniziali. Tale vita e tale felicità sono infatti perfet-     tissime, perché non distinguono più in maniera determinata ciò che     sta alla fine da ciò che sta all’inizio, ma li raccolgono ambedue in     unità, e contengono insieme inizio, fine e mezzo. Tale è infatti la causa     divina, a cui si devono appoggiare coloro che si accingono ad essere     felici. È cosî, dunque, che l'esortazione, attraversando ogni cosa, sia     ciò che è in noi sia ciò che è in natura, attraversando per cosi dire tutti     quanti gli enti, riassume tutti i percorsi riducendoli all'unico percor-     so che porta a dio.               326 GIAMBLICO               V. Δεῖ δὲ λοιπὸν αὐταῖς ταῖς Πυθαγορικαῖς διαιρέσεσι     προσχρῆσθαι εἰς τὸ προτρέπειν. πάνυ γὰρ ἐντρεχῶς καὶ τελειότατα     καὶ πρὸς τὰς ἄλλας φιλοσοφίας ἐξηλλαγμένως οἱ κατὰ τήνδε τὴν     αἵρεσιν διήρουν ἑπόμενοι ταῖς ἐκείνου διδασκαλίαις τὸν εἰς παρό-     ρμήῆσιν ἐπὶ φιλοσοφίαν λόγον, εὐμηχάνως ἐπιρρωννύντες καὶ [20]     πιστούμενοι ἀποδείξεσιν ἐπιστημονικωτάταις μηδὲν ἀνακόλουθον     συναγαγούσαις. εἰσὶ δὲ τοιαῦται.          Πάντες ἄνθρωποι βουλόμεθα εὖ πράττειν, εὖ δὲ πράττομεν, εἰ ἡμῖν     πολλὰ ἀγαθὰ παρείη. ἀγαθὰ δὲ τὰ μέν ἐστι κατὰ σῶμα, ὥστε ἱκανῶς     αὐτὸ παρεσκευάσθαι πρὸς τὴν κατὰ φύσιν συμμετρίαν καὶ κρᾶσιν     καὶ ῥώμην’ τὰ δὲ ἐν τοῖς ἐκτός, ὥσπερ εὐγένειαι καὶ δυνάμεις καὶ     τιμαὶ ἐν τῇ ἑαυτοῦ πατρίδι [25] τὰ δὲ περὶ ψυχήν, ὡς τὸ σώφρονά τε     εἶναι καὶ δίκαιον καὶ ἀνδρεῖον, καὶ διαφερόντως τὸ σοφὸν εἶναι     μεθ᾽ ὧν οὐ μικρὸν διαφέρει τὸ συνεπιλαμβάνειν καὶ τὴν εὐτυχίαν     ταῖς ὀρθαῖς πράξεσιν, ἤτοι ὑπὸ τῆς σοφίας ἐπιφερομένην, ἢ καὶ καθ᾽     αὑτὴν ἔχουσαν ἰδίαν τινὰ δύναμιν. ἀλλ᾽ οὐκ εὐθὺς εὐδαιμονοῦμεν     διὰ τὰ παρόντα ἀγαθά, εἰ μηδὲν ἡμᾶς ὠφελοῖ: ὠφελεῖ δὲ οὐδέν, εἰ     εἴη μόνον ἡμῖν, χρῴμεθα δὲ αὐτοῖς μή. οὐδὲ γὰρ ἄλλο οὐδὲν παρὸν     διὰ τὴν κτῆσιν ὠφελεῖ ἄνευ τοῦ [10] χρῆσθαι αὐτῷ, οὐδ᾽ εἴ τις οὖν     πλοῦτον καὶ ἃ νῦν δὴ ἐλέγομεν ἀγαθὰ κεκτημένος εἴη, χρῷτο δὲ αὖ-     τοῖς μή, οὐκ ἂν εὐδαιμονοῖ διὰ τὴν τούτων τῶν ἀγαθῶν κτῆσιν. δεῖ     ἄρα μὴ μόνον κεκτῆσθαι τὰ τοιαῦτα ἀγαθὰ τὸν μέλλοντα εὐδαίμο-     va ἔσεσθαι, ἀλλὰ καὶ χρῆσθαι αὐτοῖς, ἢ οὐδὲν ὄφελος τῆς κτήσεως     γίγνεται. ἀλλ᾽ οὐδὲ τὸ χρῆσθαι μόνον ἐξαρκεῖ, ἀλλὰ δεῖ προσεῖναι     τὸ ὀρθῶς χρῆσθαι. πλέον γὰρ θάτερόν ἐστιν, ἐάν τις χρῆται μὴ     ὀρθῶς ὁτῳοῦν πράγματι, ἢ ἐὰν ἐᾷ᾽ τὸ μὲν γὰρ κακόν, τὸ δὲ οὔτε     κακὸν οὔτε ἀγαθόν. [20] ἀλλὰ μὴν ἔν γε τῇ χρήσει τε καὶ ἐργασίᾳ     πάσῃ τῇ περὶ ὁτιοῦν τὸ ἀπεργαζόμενον τὸ ὀρθῶς χρῆσθαι ἐπιστήμη     παρέχεται. καὶ περὶ τὴν χρείαν οὖν ὧν ἐλέγομεν τὸ πρῶτον τῶν     ἀγαθῶν, πλούτου τε καὶ ὑγιείας καὶ κάλλους, τὸ ὀρθῶς πᾶσι     χρῆσθαι τοῖς τοιούτοις ἐπιστήμη ἡγουμένη καὶ κατορθοῦσά ἐστι     τὴν πρᾶξιν. où μόνον οὖν εὐτυχίαν, ἀλλὰ καὶ εὐπραγίαν ἡ ἐπιστήμη     παρέχει τοῖς ἀνθρώποις ἐν πάσῃ κτήσει τε καὶ πράξει, καὶ οὐδὲν               ESORTAZIONE ALLA FILOSOFIA 327               5. Occorre inoltre servirsi delle stesse divisioni pitagoriche in     ordine all’esortazione. Seguendo infatti gli insegnamenti di Pitagora,     i filosofi della scuola pitagorica dividevano con molta e perfetta soler-     zia, e in maniera diversa rispetto alle altre filosofie, [56dP] il discor-     so di incitamento alla filosofia, rafforzandolo ingegnosamente e ren-     dendolo credibile con dimostrazioni assolutamente scientifiche e che     non comportavano alcuna inconsequenzialità. Tali dimostrazioni     sono le seguenti.          Tutti noi, uomini, vogliamo essere felici, ma possiamo esserlo     <solo> se possediamo molti beni. Ma i beni sono, alcuni relativi al     corpo, in modo che questo sia sufficientemente fornito della propor-     zione e della complessione e della vigoria che gli sono propri per     natura, altri esterni al corpo, come la nobiltà e il potere e gli onori     nella propria patria; [25] altri ancora sono relativi all'anima, come     l'essere temperanti e giusti e coraggiosi, e specialmente l’essere     sapienti; assieme a questi beni non è di scarsa importanza che ci venga     in aiuto anche la buona riuscita delle corrette azioni, sia che derivi da     sapienza sia che abbia in se stessa una certa propria capacità. Ma la     presenza di <tali> beni non ci procura subito la felicità, se essi non ci     sono utili: e non ci sono per niente utili, se noi le possediamo soltan-     to, ma non ce ne serviamo. Nessun altro bene, infatti, che sia presen-     te in noi, ci è utile <solo> per il fatto che lo possediamo, senza che ce     ne serviamo, né se qualcuno, dunque, possedesse ricchezza oltre a     quei beni di cui ora parliamo, ma non se ne servisse, sarebbe felice per     il fatto di possedere questi beni. Occorre perciò che chi sarà per esse-     re felice non possegga soltanto tali beni, ma ne faccia anche uso, se no     a nulla gli servirà il possederli. Ma non basta neppure il solo servirse-     ne, anzi occorre che si aggiunga l’uso corretto di essi, perché è un     male in più servirsi non correttamente di qualsiasi cosa [57dP] piut-     tosto che rinunciare a servirsene: da un lato, infatti, ci sarebbe un     male, dall'altro lato né male né bene. Ma in ogni uso e azione relati-     vamente a qualsiasi cosa da compiere, è la scienza che fornisce l’uso     corretto; e dunque a proposito dell’uso dei beni di cui parlavamo     prima, cioè ricchezza e salute e bellezza, è la scienza che ci guida a ser-     virci correttamente di tutti questi beni e che ci indica il corretto agire.     Non solo dunque la buona riuscita, ma anche l’agire bene è la scien-     za che li fornisce agli uomini, ogni volta che, possedendo un bene, lo               328 GIAMBLICO               ὄφελος τῶν ἄλλων κτημάτων ἄνευ φρονήσεώς τε καὶ σοφίας. τί γὰρ     ὄφελος κεκτῆσθαι πολλὰ [26] καὶ πολλὰ πράττειν νοῦν μὴ ἔχοντα     μᾶλλον ἢ ὀλίγα; οὐχ ὁ μὲν ἐλάττω πράττων ἐλάττω ἐξαμαρτάνει,     ἐλάττω δ᾽ ἐξαμαρτάνων ἧττον ἂν κακῶς πράττοι, ἧττον δὲ κακῶς     πράττων ἄθλιος ἂν ἧττον εἴη; συγχωρεῖν ἀναγκαῖον τούτοις, καὶ ὅτι     ὁ μὲν τὰ εἰρημένα ἀγαθὰ κεκτημένος ἄνευ νοῦ πλείονα πράξει, ὁ δὲ     τὰ ἐναντία ἔχων [tà kakà]? ἐλάττονα. ἐν κεφαλαίῳ ἄρα κινδυνεύει     πάντα ἃ τὸ πρῶτον ἔφαμεν ἀγαθὰ εἶναι, οὐ περὶ τούτου αὐτοῖς ὁ     λόγος εἶναι, ὅπως αὐτά γε καθ᾽ [10] αὑτὰ πέφυκεν ἀγαθὰ εἶναι,     ἀλλ᾽, ὡς ἔοικεν, ὧδε ἔχει: ἐὰν μὲν αὐτῶν ἡγῆται ἀμαθία, μείζω     κακὰ εἶναι τῶν ἐναντίων, ὅσῳ δυνατώτερα ὑπηρετεῖν τῷ ἡγουμένῳ     κακῷ ὄντι᾽ ἐὰν δὲ φρόνησις καὶ σοφία, μείζω ἀγαθά: αὐτὰ δὲ καθ᾽     αὑτὰ οὐδέτερα αὐτῶν οὐδενὸς ἄξια εἶναι. μόνη τοίνυν ἡ μὲν σοφία     ἀγαθόν ἐστιν, ἡ δὲ ἀμαθία κακόν. ἐπειδὴ τοίνυν εὐδαίμονες μὲν     εἶναι προθυμούμεθα πάντες, ἐφάνημεν δὲ τοιοῦτοι γιγνόμενοι ἐκ     τοῦ χρῆσθαί τε τοῖς πράγμασι καὶ ὀρθῶς χρῆσθαι, τὴν δὲ ὀρθότητα     καὶ εὐτυχίαν ἐπιστήμη ἐστὶν ἡ παρέχουσα, [20] δεῖ δή, ὡς ἔοικεν,     ἐκ παντὸς τρόπου πάντα ἄνδρα παρασκευάζεσθαι, ὅπως ὡς σοφώτα-     τος ἔσται᾽ μόνον γὰρ τοῦτο τῶν ὄντων εὐδαίμονα καὶ εὐτυχῆ ποιεῖ     τὸν ἄνθρωπον. ἀναγκαῖον οὖν φιλοσοφεῖν τοῖς βουλομένοις εὖ     πράττειν' ἡ δὲ φιλοσοφία ὄρεξίς ἐστι καὶ κτῆσις ἐπιστήμης, οὐχ     ἥτις κτητικὴ μόνον ἐστὶ τῶν δοκούντων ἀγαθῶν, οὔθ᾽ ἥτις ποιητικὴ     αὐτῶν, χρηστικὴ δὲ οὔ. τοιαύτης οὖν δεῖ ἐπιστήμης, ἐν fi συμπέπτω-     κεν [27] ἅμα τό τε ποιεῖν καὶ τὸ ἐπίστασθαι καὶ χρῆσθαι τούτῳ ὃ     ἂν ποιήσῃ. εἰ τοίνυν αἱ μὲν ἄλλαι πᾶσαι ἐπιστῆμαι θηρευτικαί     τινές εἰσι καὶ παρασκευαστικαὶ τῶν ἀγαθῶν, μόνη δὲ ἡ τελέα δικα-     ιοσύνη καὶ φρόνησις τὴν κατ᾽ ἀξίαν χρῆσιν ποιοῦνται ἑκάστῳ καὶ     ἀναφέρουσι ταύτην πρὸς τὸν ἡγεμόνα νοῦν, αὕτη ἂν εἴη ἧς dei ἀντι-     ποιεῖσθαι. καὶ γὰρ τὸ θεωρεῖν καὶ κρίνειν ἐν αὑτῇ!ῦ ἔχει καὶ τὰς     ἀρχὰς ἔχει τῆς ὀρθῆς χρήσεως τῶν ἀγαθῶν, ἧς τυχόντες καλῶς ἂν     τὸν ἐπίλοιπον βίον διεξέλ[]Ο]θοιμεν. τοιαύτη τίς ἐστιν ἡ ἐκ τῆς     «πρώτης» διαιρέσεως προτρεπτικὴ ἔφοδος.          Ἄλλη δέ ἐστι παρὰ αὐτοῖς τοιαύτη διαίρεσις: ὡς ἔστι μέν τι ψυχὴ     ἔστι δέ τι σῶμα ἐν ἡμῖν, καὶ τὸ μὲν ἄρχει τὸ δὲ ἄρχεται, καὶ τὸ μὲν               9 [tà κακὰ] conservò des Places.     10 ἐν αὑτῇ Pistelli: ἑαυτὴν des Places post Vitelli.               ESORTAZIONE ALLA FILOSOFIA 329               vogliano mettere in pratica, e nessun altro bene posseduto è utile     senza prudenza e sapienza. A che serve, infatti, possedere moli beni     [26] e fare molte cose, piuttosto che poche, se non si ha intelletto?     Non è forse vero che chi agisce meno sbaglia meno, e chi sbaglia     meno agirà male di meno, e chi agisce male di meno sarà infelice di     meno?»7 È necessario concedere che ciò è vero, e che è vero anche che     chi ha acquistato i beni suddetti senza intelletto, agirà <male> di più,     mentre chi possiede il contrario dei beni <sc. i mali>, agirà <male> di     meno.8 Per riassumere, dunque, sembra che per quanto concerne     tutte quelle cose che noi prima dicevamo essere beni, il discorso non     sta nel fatto che essi siano beni, ma, a quanto pare, nel modo seguen-     te: se li guida l’ignoranza, i beni sono i mali peggiori, in quanto sono     ancora più potenti <dei mali> nel servire una guida che fosse catti-     νΔ;}9 se invece a guidarli sono prudenza e sapienza, allora sono dei     beni a maggior titolo; in sé e per sé, d'altra parte, essi non hanno     alcun valore nell’un caso o nell’altro. In verità solo la sapienza è bene,     e solo l'ignoranza è male. Poiché dunque tutti noi desideriamo essere     felici, e d’altra parte abbiamo mostrato che possiamo diventarlo a     partire dall’uso, anzi dall’uso corretto delle cose, [58dP] e che è la     scienza che fornisce la correttezza e la felicità, allora occorre, a quan-     to pare, che ogni uomo si preoccupi in tutti i modi di essere il pit     sapiente possibile, perché solo questa condizione rende l’uomo felice     e fortunato. È necessario dunque filosofare, se si vuole essere felici; e     la filosofia è aspirazione e possesso di scienza, non di quella che è solo     capace di acquisire dei beni presunti tali, né quella che li crea ma non     li usa. Occorre dunque una scienza tale che in essa possano trovarsi     [27] insieme e la creazione e la scienza e l’uso di ciò che si sarà crea-     to. In effetti, se fra tutte le scienze ce ne sono alcune che danno la cac-     cia e altre che procurano i beni, ma soltanto la perfetta giustizia e la     prudenza ne creano l’uso adatto a ciascun bene e riportano quest’uso     all’intelletto egemone, allora sarà alla giustizia che occorre appigliar-     si. Anche perché essa ha in se stessa la capacità di contemplare e giu-     dicare e possiede i principi dell’uso corretto dei beni, ottenuto il     quale, noi potremo trascorrere bene il resto della nostra vita. Tale è il     percorso protrettico che deriva dalla prima divisione.          Ma i Pitagorici fanno quest'altra divisione: in noi, una cosa è l’ani-     ma, altra cosa il corpo, e l'una comanda l’altro è comandato, e l’una               330 GIAMBLICO               χρῆται τὸ δ᾽ ἐστὶ τοιοῦτον οἷον è χρῆται, καὶ τὸ μὲν θεῖον καὶ ἀγα-     θὸν καὶ οἰκειότατον ἡμῖν, τὸ δὲ ἄλλως συνηρτημένον ὑπουργίας     τινὸς ἕνεκα καὶ χρείας ἐχόμενον τῆς εἰς τὸν κοινὸν βίον τὸν     ἀνθρώπινον. δεῖ τοίνυν τοῦ ἄρχοντος μᾶλλον ἀλλὰ μὴ τοῦ ἀρχομέ-     νου, καὶ τοῦ θειο[20]τέρου καὶ οἰκειοτέρου ἡμῖν ἀλλὰ μὴ τοῦ κατα-     δεεστέρου ἐπιμελεῖσθαι.          Ταύτῃ δ᾽ ἐστὶ παραπλησία τοιαύτη διαίρεσις" ὡς τριχῇ τὰ ἡμέτερα     πάντα διήρηται, εἴς τε ψυχὴν καὶ σῶμα καὶ τὰ τοῦ σώματος᾽ τούτων     δὲ τὰ μέν ἐστι πρῶτα, τὰ δὲ δεύτερα, τὰ δὲ τρίτα καὶ προηγουμένως     [28] μὲν δεῖ στοχάζεσθαι τῶν τῆς ψυχῆς, τὰ δ᾽ ἄλλα τῆς ψυχῆς     ἕνεκα πράττειν: καὶ γὰρ τοῦ σώματος ἐπιμελεῖσθαι χρὴ ἀναφέρον-     τας αὐτοῦ τὴν ἐπιμέλειαν ἐπὶ τὴν τῆς ψυχῆς ὑπηρεσίαν, καὶ τὰ     χρήματα κτᾶσθαι δεῖ διὰ τὸ σῶμα, πάντα δὲ τῆς ψυχῆς ἕνεκα δια-     τάττειν καὶ τῶν τῆς ψυχῆς ἀρχουσῶν δυνάμεων. εἰ δὴ τοῦτο οὕτως     ἔχει, οὐδὲν τῶν δεόντων πράττουσιν ὅσοι χρημάτων μὲν πέρι τὴν     πᾶσαν σπουδὴν ἔχουσι, δικαιοσύνης δὲ ἀμελοῦσι δι᾽ ἣν ἐπιστόμε-     θα ὀρθῶς χρῆσθαι [10] τοῖς χρήμασι, καὶ τοῦ μὲν ζῆν καὶ ὑγιαίνειν     φροντίζουσι τῷ σώματι, τοῦ δὲ ὀρθῶς χρῆσθαι τῇ ζωῇ καὶ τῇ ὑγείᾳ     ἀμελοῦσι, καὶ τῆς μὲν ἄλλης παιδείας ἐπιμελοῦνται δι᾽ ἣν οὐδέπο-     τε ὁμονοητικὴν φιλίαν κτήσασθαι δύνανται, τὴν δὲ τῆς ὁμονοίας     ἀρχηγὸν ἐπιστήμην παρορῶσιν ἥτις διὰ φιλοσοφίας μόνης κάλλιστα     παραγίγνεται, καὶ ταῖς μὲν πράξεσιν ἐπιχειροῦσι, τὸ δὲ πῶς δεῖ     πράττειν ἕκαστον τῶν ἔργων οὔτε ἴσασιν οὔτε λογίζονται.          "Att ἄλλης δὲ ἀρχῆς διαιροῦσι τὰ τοιαῦτα᾽ χωρὶς [20] δήπουθέν     ἐστιν αὐτὸς ἕκαστος, τὸ ἑαυτοῦ, ἅ ἐστι τῶν αὑτοῦ. αὐτὸς μὲν οὖν     ἕκαστός ἐστιν ἡμῶν ἡ ψυχή, τὸ δ᾽ αὑτοῦ ἐστι τὸ σῶμα καὶ τὰ τοῦ     σώματος, ἃ δ᾽ ἐστὶ τῶν αὑτοῦ, τὰ χρήματά ἐστιν, ὅσα τοῦ σώματος     ἕνεκα κτώμεθα. καὶ ἐπιστῆμαι τοίνυν τρεῖς εἰσιν ἐπὶ τοῖς τρισὶ     τούτοις πράγμασιν. ὁ μὲν οὖν τὰ τοῦ σώματος γινώσκων, τὰ αὑτοῦ     ἀλλ᾽ οὐχ αὑτὸν ἔγνωκεν. [29] ὅθεν οἱ ἰατροὶ οὐχ ἑαυτοὺς     γιγνώσκουσι καθόσον ἰατροί, οὐδὲ οἱ παιδοτρῖβαι καθόσον παιδο-     τρῖβαι. καὶ ὅσοι δὲ πορρωτέρω τῶν ἑαυτῶν τὰ περὶ τὸ σῶμα     γιγνώσκουσιν, οἷς τοῦτο θεραπεύεται, ὡς οἱ γεωργοὶ καὶ οἱ ἄλλοι               ESORTAZIONE ALLA FILOSOFIA 331               si serve l’altro è tale che quella se ne possa servire, e l’una è divina e     buona e la cosa a noi più appropriata, l’altro è composto in modo     diverso in vista di un servigio da rendere e serve alla comune vita degli     uomini. Ebbene, occorre curarsi più di ciò che comanda che non di     ciò che è comandato, [59dP] e più di ciò che è più divino e a noi più     appropriato che non di ciò che è inferiore.          Quasi identica a questa è la seguente divisione. Tutto ciò che noi     siamo si divide in tre elementi: anima, corpo e le cose che apparten-     gono al corpo; di queste ultime alcune sono prime, altre seconde, altre     terze; e anzitutto [28] occorre tenere d’occhio le cose dell’anima,     tutto il resto occorre farlo in vista dell'anima; e infatti bisogna occu-     parsi del corpo riportando la cura di esso alla superiorità dell'anima.     E occorre acquistare le ricchezze attraverso il corpo, ma ordinandole     tutte in vista dell'anima e delle sue facoltà che ne hanno il comando.     Se le cose stanno proprio cosi, allora non fanno nulla di ciò che     dovrebbero, coloro che volgono tutta la loro cura alle ricchezze, ma     trascurano la giustizia in virtà della quale noi sappiamo servirci cor-     rettamente delle ricchezze, e neppure coloro che si curano della vita     e della salute del corpo, ma trascurano di servirsi correttamente della     vita e della salute, e si preoccupano di quell’educazione con cui non     possono mai acquisire una concorde amicizia, e trascurano la scienza     che governa la concordia e che ottiene il suo massimo risultato solo     per mezzo della filosofia, e neppure coloro, infine, che intraprendono     le loro azioni senza sapere né calcolare come occorre compiere cia-     scun'azione.         Da un diverso punto di partenza i Pitagorici fanno la seguente     divisione: occorre distinguere nettamente l’identità di ciascuno di noi     da ciò che è proprio di noi stessi e da ciò che ci appartiene.40 Ebbene,     ciascuno di noi è la sua anima,#! ciò che è proprio di ciascuno di noi     è il corpo e ciò che appartiene al corpo,*2 ciò che appartiene a ciascu-     no di noi è la ricchezza, le cose cioè che noi acquistiamo in vista del     corpo. [60dP] Anche le scienze, in verità, sono tre in rapporto a     queste tre cose. Chi conosce, dunque, le cose del corpo, conosce ciò     che appartiene a se stesso, ma non se stesso. [29] Ne consegue che i     medici non conoscono se stessi in quanto medici, né i maestri di gin-     nastica conoscono se stessi in quanto maestri di ginnastica. Anche     coloro che conoscono le cose che concernono il corpo in maniera pit               332 GIAMBLICO               δημιουργοί, πολλοῦ δὴ δέουσιν ἑαυτοὺς γιγνώσκειν: οὐδὲ γὰρ τὰ     ἑαυτῶν οὗτοι γιγνώσκουσι. διὰ ταῦτα δὴ καὶ βάναυσοι αὗται αἱ     τέχναι δοκοῦσιν εἶναι. μόνη δὲ σωφροσύνη ἐστὶν ἡ τῆς ψυχῆς     γνῶσις, καὶ τῷ ὄντι ἡμετέρα ἀρετὴ μόνη ἐκείνη ὑπάρχει, ἥτις [10]     τὴν ψυχὴν βελτίονα ἀπεργάζεται. ταύτης ἄρα μάλιστα ἀντι-     ποιεῖσθαι ἄξιον τοὺς βουλομένους ὁμολογουμένως τῇ ἑαυτῶν οὐσί-     ᾳ διακοσμεῖν τὸν ἑαυτῶν βίον καὶ ἑαυτοὺς ἀπεργάζεσθαι καλοὺς     καὶ ἀγαθούς, καὶ τῷ ὄντι ἑαυτῶν ἐπιμελεῖσθαι προαιρουμένους.     Τῆς δὲ αὐτῆς ἔχεται γνώμης καὶ ταῦτα' ὡς τῶν ἡμετέρων κτημάτων     μετὰ θεοὺς ψυχὴ θειότατον οἰκειότατόν τέ ἐστι, τὰ δ᾽ ἡμέτερα διττὰ     πάντα ἐστὶ πᾶσι, τὰ μὲν κρείττω καὶ ἀμείνω δεσπόζοντα, τὰ δὲ ἥττω     καὶ χείρω δοῦλα. τὰ δεσπόζοντα οὖν προτιμητέον [20] τῶν δουλε-     υηόντων. οὕτως οὖν τὴν ψυχὴν μετὰ θεοὺς τῶν ἄλλων προτιμητέον     πάντων. τιμᾷ δὲ αὐτὴν οὐχ ὁ χείρονα ἐκ βελτίονος ἀπεργαζόμενος,     οὐδ᾽ ὁ κακῶν καὶ μεταμελείας ἐμπιπλὰς αὐτήν, οὐδ᾽ ὁ φεύγων τοὺς     ἐπαινουμένους πόνους καὶ φόβους καὶ ἀλγηδόνας καὶ λύπας     (ἄτιμον γὰρ αὐτὴν ἀπεργάζεται ὁ τοιοῦτος), οὐδ᾽ ὁ φεύγων τὸν θά-     νατον (τὴν γὰρ λύσιν τὴν ἀπὸ τοῦ σώματος καὶ τῆς ψυχῆς τὴν καθ᾽     ἑαυτὴν ζωὴν δυσχεραίνοιτο ἂν ὁ τοιοῦτος), οὐδ᾽ ὁ πρὸ ἀρετῆς προ-     τιμῶν [30] κάλλος ἢ χρήματα (τῶν γὰρ χειρόνων οὕτω τὴν κρείττο-     va ψυχὴν καταδεεστέραν ἀποφαίνει). μία τοίνυν ἔσται τιμὴ τῆς     ψυχῆς ἡ κατὰ τὸν ὀρθὸν λόγον ζωὴ καὶ κατὰ νοῦν τελειότης τῆς     ψυχῆς καὶ τὸ ὁμοιοῦσθαι τοῖς οὖσιν ἀρίστοις παραδείγμασι καὶ τὸ     τοῖς ἀμείνοσιν ἕπεσθαι τὰ χείρονα, ὅσα γενέσθαι βελτίω δύναται,     καὶ τὸ φεύγειν μὲν τὸ κακόν, ἰχνεῦσαι δὲ καὶ ἑλεῖν τὸ πάντων     ἄριστον, καὶ ἑλόντα αὖ κοινῇ ξυνοικεῖν τὸν ἐπίλοιπον βίον. τοῦτο     δὲ οὐδὲν ἄλλο ἐστὶν ἢ δεόντως [10] φιλοσοφεῖν, ὥστ᾽ ἐξ ἅπαντος     τρόπου φιλοσοφητέον τοῖς βουλομένοις εὐδαιμονεῖν.          Τελέως δ᾽ ἂν καὶ οὕτως ἐπὶ τὸ αὐτὸ ἐκ διαιρέσεως ἐπέλθοιμεν. τρία     τριχῇ ψυχῆς ἐν ἡμῖν εἴδη κατῴκισται, τὸ μὲν ᾧ λογιζόμεθα, τὸ δὲ ᾧ     θυμούμεθα, τρίτον δὲ ᾧ ἐπιθυμοῦμεν. τυγχάνει δ᾽ ἕκαστον αὐτῶν     κινήσεις ἔχον’ τὸ μὲν οὖν αὐτῶν ἐν ἀργίᾳ διάγον καὶ τῶν ἑαυτοῦ     κινήσεων ἡσυχίαν ἄγον ἀσθενέστατον ἀνάγκη γίγνεσθαι, τὸ δὲ ἐν     γυμνασίοις ἐρρωμενέστατον᾽ διὸ φυλακτέον, ὅπως ἂν ἔχωσι τὰς               ESORTAZIONE ALLA FILOSOFIA 333               esterna, in quanto sono mezzi per curare il corpo, ad esempio gli agri-     coltori o gli altri artigiani, hanno molto bisogno di conoscere se stes-     si, perché questi non conoscono nulla di se stessi. E per questo, dun-     que, che tali arti sembrano volgari. Solo la conoscenza dell’anima è     temperanza, e solo questa è la nostra vera virti, la quale rende miglio-     re la nostra anima. Questa dunque è opportuno che si sforzino al mas-     simo di acquisire coloro che vogliono ordinare la propria vita in modo     conforme alla propria essenza e rendersi <cosî> belli e buoni, e deci-     dono di prendersi cura realmente di se stessi.          A questa sentenza si collegano le cose seguenti: dei beni che pos-     sediamo, dopo gli dèi è l’anima quello più divino e appropriato, e tutti     i nostri beni sono per tutti noi di due tipi: quelli superiori e migliori     che sono padroni, quelli inferiori e peggiori che sono servi. I beni-     padroni, dunque, devono essere più stimati dei beni-servi. Cosî, dun-     que, fra tutti gli altri beni, a parte gli dèi, è l’anima che dev'essere più     stimata; non la stima chi la rende da migliore peggiore, né chi la riem-     pie di mali e pentimento, né chi fugge, quando se ne ha prova, le fati-     che e i timori e le sofferenze e i dolori (perché costui la rende priva di     stima), né chi fugge la morte (perché costui non tollererebbe il fatto     che l’anima e la vita in se stessa si sciolgano dal corpo), [61dP] né chi     stima [30] bellezza e ricchezza più che virtà (perché in tal modo     mostra che l’anima, che è migliore, è inferiore alle cose peggiori). Non     ci sarà dunque per l’anima che un solo onore, la vita secondo retta     ragione e la perfezione dell'anima secondo intelligenza e l’assimilarsi     a quelli che sono i modelli migliori e il far sf che le cose peggiori, o     almeno quelle tra esse che siano in grado di migliorare, vengano dopo     le migliori, e ancora il fuggire il male, e il cercare e scegliere il meglio     di ogni cosa, e una volta scelto il viverci insieme per tutto il resto della     vita. Tutto ciò non è nient'altro che filosofare come si deve, sicché in     ogni caso chi vuole essere felice deve filosofare.          Infine, potremmo giungere a questo stesso risultato partendo     dalla seguente divisione. In noi dimorano tre specie di anime, con la     prima ragioniamo, con la seconda siamo impetuosi, con la terza     abbiamo appetiti. Accade che ciascuna di tali anime possieda i suoi     propri movimenti; e dunque quella tra esse che resta inerte e se ne sta     tranquilla necessariamente diventa la più debole, mentre quella che si     tiene in esercizio diviene la più robusta; perciò occorre stare attenti               334 GIAMBLICO               κινήσεις πρὸς ἀλλήλας συμμέτρους. [20] διαφερόντως δὲ δὴ τὸ     κυριώτατον τῆς ψυχῆς εἶδος, ὅπερ δαίμονα ὁ θεὸς ἑκάστῳ δέδωκε     καὶ ὅπερ ἀπὸ γῆς ἡμᾶς αἴρει πρὸς τὴν ἐν οὐρανῷ ξυγγένειαν ὡς     ὄντας φυτὸν οὐκ ἔγγειον, ἀλλ᾽ οὐράνιον, τοῦτο δὴ μάλιστα ἀσκητέ-     ον. τῷ μὲν γὰρ περὶ τὰς ἐπιθυμίας ἢ περὶ φιλονεικίας ἐσπουδακότι     καὶ ταῦτα σφόδρα διαπονοῦντι πάντα τὰ δόγματα ἀνάγκη θνητὰ ἐγ-     γεγονέναι, καὶ παντάπασι καθόσον μάλιστα δυνατὸν γίγνεσθαι     θνητῷ, τούτου μηδὲ σμικρὸν ἐλλείπειν, ἅτε τὸ τοιοῦτον     ηὐξη[31]κότι- τῷ δὲ περὶ φιλομάθειαν καὶ περὶ τὰς τῆς ἀληθείας     φρονήσεις ἐσπουδακότι καὶ ταῦτα μάλιστα τῶν αὑτοῦ γεγυμνα-     σμένῳ, φρονεῖν μὲν ἀθάνατα καὶ θεῖα, ἄνπερ ἀληθείας ἐφάπτηται,     πᾶσα ἀνάγκη mov, καθόσον δ᾽ αὖ μετασχεῖν ἀνθρωπίνῃ φύσει ἀθα-     νασίας ἐνδέχεται, τούτου μηδὲν μέρος ἀπολείπειν, ἅτε δὴ ἀεὶ     θεραπεύοντα τὸ θεῖον ἔχοντά τε αὐτὸν εὖ κεκοσμημένον τὸν δαίμο-     va ξύνοικον ἑαυτῷ, διαφερόντως εὐδαίμονα εἶναι. θεραπεία δὲ δὴ     παντὶ παντὸς μία, τὰς οἰκείας ἑκάστῳ [10] τροφὰς καὶ κινήσεις ἀπο-     διδόναι᾽ τῷ δ᾽ ἐν ἡμῖν θείῳ ξυγγενεῖς εἰσι κινήσεις αἱ! τοῦ παντὸς     διανοήσεις καὶ περιφοραί. ταύταις δὴ οὖν ξυνεπόμενον ἕκαστον δεῖ     τὰς περὶ τὴν γένεσιν ἐν τῇ κεφαλῇ διεφθαρμένας ἡμῶν περιόδους     ἐξορθοῦν, διὰ τὸ καταμανθάνειν τὰς τοῦ παντὸς ἁρμονίας καὶ περι-     φοράς, τῷ κατανοουμένῳ δὲ τὸ κατανοοῦν ἐξομοιῶσαι κατὰ τὴν     ἀρχαίαν φύσιν, ὁμοιώσαντα δὲ τέλος ἔχειν τοῦ προτεθέντος     ἀνθρώποις ὑπὸ θεῶν ἀρίστον βίου πρός τε τὸν παρόντα καὶ τὸν     ἔπειτα χρόνον. οὐ γὰρ δὴ λυσιτελεῖ τὸ παντοδαπὸν [20] θηρίον     ὥσπερ τὴν ἐπιθυμίαν εὐωχοῦντας ποιεῖν ἰσχυρόν, οὐδὲ τὸν λέοντα     οἷον τὸν θυμὸν καὶ τὰ περὶ τὸν λέοντα τρέφειν ἄξιον καὶ ἰσχυρὰ     ποιεῖν ἐν ἡμῖν, τὸν δὲ ἄνθρωπον ὥσπερ τὸν λόγον λιμοκτονεῖν καὶ     ποιεῖν ἀσθενῆ, ὡς ἕλκεσθαι ὅπῃ ἂν ἐκείνων ὁπότερον ἄγῃ, καὶ     μηδὲν ἕτερον ἑτέρῳ συνεθίζειν μηδὲ φίλον ποιεῖν: ἀλλὰ πολὺ     μᾶλλον τὸν ἐν ἡμῖν θεῖον ἄνθρωπον τοῦ πολυκεφάλου θρέμματος ἐγ-     κρατῆ ποιητέον, [32] ὅπως ἂν τὰ μὲν ἥμερα τῶν ἐπιθυμιῶν εἴδη               U ai: αἱ erron. des Places.               ESORTAZIONE ALLA FILOSOFIA 335               affinché le varie anime abbiano dei movimenti tra loro proporzionati.     In particolare, la specie di anima più dominante, che dio ha donato     come demone a ciascuno di noi e che ci solleva dalla terra verso la     parentela celeste in quanto noi siamo piante non già terrestri, ma cele-     sti, è proprio quella che si deve esercitare al massimo grado. Chi infat-     ti ha prestato tutta la sua cura agli appetiti e alle contese e le pratica     assiduamente, necessariamente rende mortali le sue opinioni, e     comunque, per quanto sia possibile che egli divenga mortale, non gli     mancherà molto, giacché ha fatto crescere un tale aspetto della sua     anima;[31]44 chi invece ha prestato tutta la sua cura all'amore per la     scienza e ai pensieri di verità [62dP] e ha esercitato al massimo livel-     lo tutto ciò, è assolutamente necessario, in qualche modo, che abbia     pensieri immortali e divini, qualora si metta in contatto con la verità,     e per quanto si ammetta che la natura umana possa partecipare del-     l'immortalità, non vi sarà lontano per niente, giacché appunto avrà     sempre il culto del divino, e avendo in sé il demone che convive con     lui in maniera bene ordinata, gode di straordinaria felicità. La cura     che ognuno di noi, dunque, deve avere per ogni sua specie di anima,     è quella di attribuire a ciascuna anima i suoi propri alimenti e movi-     menti: d’altra parte sono congeneri al divino che è in noi i:movimen-     ti razionali e circolari dell’universo.49 E appunto conformandosi a tali     movimenti, dunque, che ciascuno di noi deve correggere i cicli     <razionali> che nella nostra testa sono corrotti in rapporto alla gene-     razione,4 attraverso l'apprendimento delle armonie e dei movimenti     circolari dell'universo, e d’altra parte chi osserva si assimila a ciò che     viene osservato,#7 in virti della natura originaria,48 e assimilandosi     perviene al compimento della migliore vita che gli dèi hanno propo-     sto agli uomini sia per il tempo presente che per il futuro. Non reca     alcun vantaggio, infatti, il rafforzare, ingrassandola, la multiforme     bestia che è in noi, cioè l'appetito, né è opportuno nutrire e rafforza-     re il leone che è in noi, cioè l’impeto e tutto ciò che lo concerne, e dal-     l’altra parte far morire di fame e indebolire l’uomo, cioè il principio     razionale, in modo che quest’ultimo sia trascinato dove voglia con-     durlo ciascuno dei primi due, e non cercare di affiatarli l’uno all’altro     e renderli amici tra loro; ma occorre soprattutto rendere l’uomo divi-     no che è in noi dominatore della bestia policefala,1° [32] in modo da     nutrire e addomesticare le forme mansuete dei nostri appetiti, e impe-               336 GIAMBLICO               τρέφῃ καὶ τιθασσεύῃ, τὰ δὲ ἄγρια ἀποκωλύῃ φύεσθαι, σύμμαχον     ποιησάμενος τὴν τοῦ θυμοῦ φύσιν καὶ κοινῇ πάντων κηδόμενος,     φίλα ποιησάμενος ἀλλήλοις τε καὶ ἑαυτῷ, οὕτως αὐτὰ θρέψει. καὶ ὁ     μὲν τοιοῦτος κατὰ πάντα ἔσται ἄριστος, ὁ δ᾽ ἐναντίος οὐδὲν ὑγιὲς     ἔχει. καὶ τὸ μὲν καλὸν ἐν τῷ τοιούτῳ διαφαίνεται (ὑπὸ γὰρ τῷ θείῳ     τὰ θηριώδη τῆς φύσεως ὑποτάττεται), τὸ δ᾽ αἰσχρὸν ἐν τῷ ἐναντίῳ.     ὑπὸ γὰρ τῷ ἀγρίῳ τὸ ἥμερον [10] δουλοῦται, καὶ τὸ βέλτιστον ὑπὸ     τῷ μοχθηροτάτῳ καὶ τὸ ἑαυτῷ!2 θειότατον ὑπὸ τῷ ἀθεωτάτῳ τε καὶ     μιαρωτάτῳ δουλοῦται καὶ ἐπὶ τῇ αὑτοῦ ψυχῇ πλημμελεῖ. καὶ μὴν τό     γε ἀκολασταίνειν διὰ τὰ τοιαῦτα πάλαι ψέγεται, ὅτι ἀνίεται ἐν τῷ     τοιούτῳ τὸ ἐπιθυμητικὸν εἰς ἐλευθερίαν πέρα τοῦ δέοντος. καὶ ἡ     αὐθάδεϊα δὲ καὶ δυσκολία ψέγεται, ὅταν ὁ θυμὸς ἀναρμόστως     αὔξηται καὶ συντείνῃται. τρυφὴ δὲ ἐπὶ τῇ!" τοῦ αὐτοῦ ἀνέσει ψέγε-     ται, ὅταν ἐν αὐτῷ δειλίαν ἐμποιῇ. κολακεία δὲ καὶ ἀνελευθερία     παρενοχλεὶῖ, ὅταν τις τὸ θυμοειδὲς [20] ὑπὸ τῷ ὀχλώδει θηρίῳ ποιῇ,     καὶ ἕνεκα χρημάτων καὶ τῆς ἐκείνου ἀπληστίας προπηλακιζόμενον     ἐθίζῃ ἐκ νέου ἀντὶ λέοντος πίθηκον γίγνεσθαι. καὶ τάλλα δὲ ἀπὸ     τούτου δῆλα ὡς ἐστὶ δεινά, ὅσα τὸ βέλτιστον ἐν ἡμῖν εἶδος ἀσθενὲς     ἀπεργάζεται. μόνως τοίνυν εὐδαιμονήσομεν ὑπὸ τοῦ θείου καὶ φρο-     νίμου ἀρχόμενοι. οὕτω γὰρ εἰς δύναμιν πάντες ὅμοιοι ἐσόμεθα καὶ     φίλοι τῷ [33] αὐτῷ κυβερνώμενοι. δηλοῖ δὲ καὶ ὁ νόμος ὅτι τὸ     τοιοῦτον βούλεται, πᾶσι τοῖς ἐν τῇ πόλει ξύμμαχος ὦν: καὶ ἡ τῶν     παίδων ἀρχή, τὸ μὴ ἐᾶν ἐλευθέρους εἶναι, ἕως ἂν ἐν αὐτοῖς ὥσπερ     ἐν πόλει πολιτείαν καταστήσωμεν, καὶ τὸ βέλτιστον θεραπεύσαντες     τῶν παρ᾽ ἡμῖν, τούτῳ ἀντικαταστήσωμεν φύλακα ὅμοιον καὶ ἄρχον-     τα ἐν αὐτῷ, καὶ τότε δὴ ἐλεύθερον ἀφίεμεν. οὐκοῦν ὅ γε νοῦν ἔχων     πάντα τὰ αὑτοῦ εἰς τοῦτο ξυντείνας βιώσεται, πρῶτον μὲν μαθήμα-     τα τιμῶν ἃ τοιαύτην [10] αὐτοῦ τὴν ψυχὴν ἀπεργάσεται, τὰ δὲ ἄλλα     ἀτιμάζων, ἔπειτα τὴν τοῦ σώματος ἕξιν καὶ τροφὴν οὐχ ὅπως τῇ     θηριώδει καὶ ἀλόγῳ ἡδονῇ ἐπιτρέψας ἐνταῦθα τετραμμένος ζήσει,     ἀλλ᾽ οὐδὲ πρὸς ὑγείαν βλέπων, οὐδὲ τοῦτο πρεσβεύων, ὅπως ἰσχυ-     ρὸς ἢ ὑγιὴς ἢ καλὸς ἔσται, ἐὰν μὴ καὶ σωφρονήσειν μέλλῃ ἀπ’     αὐτῶν’ ἀλλ᾽ ἀεὶ τὴν ἐν τῷ σώματι ἁρμονίαν τῆς ἐν τῇ ψυχῇ ἕνεκα               12 τὸ ἑαυτῷ Pistelli: ἐν αὑτῷ des Places.     15 ἐπὶ τῇ: ἐπί τῇ erron. des Places.               ESORTAZIONE ALLA FILOSOFIA 337               dire di far crescere quelle selvagge, [63dP] alleandosi alla natura del-     l'impeto e accomunandoli tutti nella nostra cura, e cosî l’uomo” li     potrà nutrire, rendendoli amici tra loro e con se stesso. E sarà un tale     uomo assolutamente il migliore, mentre il suo contrario non ha nulla     di sano. E nel primo si manifesta il bello (perché la sua natura bestia-     le è assoggettata alla sua natura divina), mentre nel suo contrario si     manifesta il brutto, perché la parte mansueta è schiava di quella sel-     vaggia, e la parte migliore è schiava di quella peggiore e la sua parte     più divina è schiava di quella più nemica del divino e più impura e     <cosi> l’uomo pecca contro la sua propria anima. E in effetti, l’esse-     re intemperante è da tempo biasimato per il fatto che in esso l’anima     appetitiva si abbandona a una smodata libertà. D'altra parte anche la     caparbietà e intrattabilità vengono biasimate quando l’impeto cresce     e insieme si eccita in modo sproporzionato. Il lusso invece viene bia-     simato per il rilassamento che esso comporta, quando vi si genera     viltà. Anche l’adulazione e la illiberalità disturbano quando l’anima     impetuosa viene asservita alla bestia turbolenta e, infangata per amore     di ricchezza e per l’insaziabilità della bestia, si abitua fin dalla giovi-     nezza a divenire da leone scimmia. Da questo risulta chiaro che sono     funesti anche gli altri sentimenti che indeboliscono in noi l’aspetto     migliore. Diverremo dunque felici soltanto se siamo retti da ciò che è     divino e razionale, perché in tal modo, governati dallo stesso princi-     pio, noi saremo, per quanto possibile, tutti simili e amici. [33] Ed è     chiaro che anche la legge vuole una cosa del genere, essendo essa     alleata con tutti i cittadini; anche il comando sui fanciulli, cioè il non     lasciarli liberi finché [64dP] non avremo stabilito in loro, come nella     città, una costituzione, e dopo avere curato in tal modo la parte     migliore di ciò che è in noi, non avremo stabilito in loro un guardia-     no e un governatore simile al nostro, e solo allora li lasceremo liberi.     Chi ha intelletto, dunque, vivrà facendo tendere tutte le proprie ener-     gie a questo fine, e anzitutto terrà nella dovuta stima quelle scienze     che rendono tale [sc. divina e razionale] la sua anima, e disprezzerà     tutte le altre, poi per quanto concerne il carattere e la cura del suo     corpo vivrà non già come uno che si affida ai piaceri bestiali e irrazio-     nali ed è tutto rivolto ad essi, ma neppure guarda alla salute, né si pre-     occupa di essere forte o robusto o bello, se non per acquisire tempe-     ranza anche da tali cose, ma sempre si mostrerà capace di collegare,               338 GIAMBLICO               ξυμφωνίας ἁρμοττόμενος φανεῖται, ἐάνπερ μέλλῃ τῇ ἀληθείᾳ μουσι-     κὸς εἶναι. οὐκοῦν καὶ τὴν ἐν τῇ τῶν χρημάτων κτήσει σύνταξιν οὐκ     εἰς ἄπειρον αὐξήσει [20] ἀπέραντα κακὰ ἔχων, ἀλλ᾽ ἀποβλέπων     πρὸς τὴν ἐν ἑαυτῷ πολιτείαν καὶ φυλάττων, μή τι παρακινῇ αὑτοῦ     τῶν ἐκεῖ διὰ πλῆθος οὐσίας ἢ δι᾽ ὀλιγότητα, οὕτω κυβερνῶν προ-     σθήσει καὶ ἀναλώσει τῆς οὐσίας καθόσον ἂν οἷός τε. ἀλλὰ μὴν καὶ     τιμάς γε εἰς ταὐτὸν ἀποβλέπων τῶν μὲν μεθέξει ἑκών, ἃς ἂν οἴηται     ἀμείνω αὑτὸν ποιήσειν, τὰς δὲ φεύξεται ἰδίᾳ καὶ δημοσίᾳ, ἃς ἂν     ἡγῆται λύσειν τὴν ὑπάρχουσαν ἕξιν. καὶ ἑνὶ δηλονότι τῷ πάντα τὰ     ἄλλα ἀνταλλάσσεσθαι ἐπιχειρήσει ἑνὸς τούτου μόνου, τοῦ φρό-     νησιν κτήσασθαι, [34] καὶ πάντα πράξει δουλεύων τῇ τοῦ νοῦ     κτήσει. τοῦτο δὲ οὐδὲν ἄλλο ἐστὶν ἢ τὸ φιλοσοφεῖν, ὥστε καὶ κατὰ     ταύτην τὴν διαίρεσιν πάντων μάλιστα φιλοσοφητέον τοῖς βουλομέ-     νοις εὖ πράττειν.          Εἰς ταὐτὸ δὲ φέρει τέλος καὶ ἡ τοιάδε ἔφοδος. πᾶσα φύσις ὥσπερ     ἔχουσα λόγον οὐθὲν μὲν εἰκῇ ποιεῖ, ἕνεκα δέ τινος πάντα, καὶ     μᾶλλον τοῦ ἕνεκά τινος τὸ εἰκῆ ἐξορίσασα πεφρόντικεν ἤπερ αἱ     τέχναι, ὅτι καὶ φύσεως αἱ τέχναι ἦσαν μιμήματα. τοῦ δὲ ἀνθρώπου     συνεστῶτος [10] φύσει ἐκ ψυχῆς τε καὶ σώματος, βελτίονος δὲ     οὔσης τῆς ψυχῆς τοῦ σώματος καὶ ἀεὶ τοῦ βελτίονος ἕνεκα ὑπηρ-     ετουμένου τοῦ χείρονος, καὶ τὸ σῶμα τῆς ψυχῆς ἕνεκά ἐστι. τῆς     ψυχῆς δὲ τὸ μὲν ἦν ἔχον λόγον, τὸ δ᾽ οὐκ ἔχον, ὅπερ καὶ χεῖρον.     ὥστε τὸ ἄλογον ἕνεκα τοῦ λόγον ἔχοντος. ἐν δὲ τῷ λόγον ἔχοντι ὁ     νοῦς: ὥστε τοῦ νοῦ ἕνεκα πάντα εἶναι ἀναγκάζει ἡ ἀπόδειξις. τοῦ     δ᾽ αὖ νοῦ αἱ νοήσεις ἐνέργειαι, ὁράσεις οὖσαι νοητῶν, ὡς τοῦ     ὁρατικοῦ ἐνέργεια ὁρᾶν τὰ ὁρατά. νοήσεως οὖν καὶ νοῦ «ἕνεκα» πά-     ντα αἱρετὰ τοῖς [20] ἀνθρώποις, εἴπερ τὰ μὲν ἄλλα τῆς ψυχῆς ἕνεκα     αἱρετά, νοῦς δὲ τὸ βέλτιστον τῶν κατὰ ψυχὴν povov,!4 τοῦ δὲ βελτί-     στου τὰ ἄλλα συνέστηκε χάριν. πάλιν δὲ τῶν διανοήσεων ἐλεύθεραι     μὲν ἦσαν ὅσαι δι᾽ αὑτὰς αἱρεταί, δούλαις δὲ ἐοικυῖαι αἱ δι᾽ ἄλλα     τὴν γνῶσιν ἀπερείδουσαι᾽ κρεῖττον δὲ πανταχοῦ τὸ δι᾽ αὑτὸ τοῦ δι᾽               14 μόνον eliminò des Places.               ESORTAZIONE ALLA FILOSOFIA 339               per accordo, l'armonia del suo corpo a quella della sua anima, sem-     preché voglia divenire un vero musico. Ebbene, anche nell’acquisizio-     ne dei beni non accrescerà il loro accumulo all’infinito, in modo da     procacciarsi mali infiniti, ma guardando alla sua propria costituzione     e cercando di mantenerla, starà attento a non sconvolgere i suoi pro-     pri elementi per eccesso o difetto di ricchezza, in modo da poterli     governare aumentando o diminuendo, per quanto egli potrà, quella     ricchezza. Ma anche per quanto concerne gli onori, puntando allo     stesso scopo, parteciperà volentieri di quelli che penserà possano     migliorare se stesso, e fuggirà sia in privato che in pubblico quelli che     riterrà possano corrompere il suo attuale carattere.5!1 Ed è anche chia-     ro che soltanto con lo scambio di tutti gli altri beni, egli cercherà di     ottenerne uno solo, quello della prudenza, [34] e <cosi> compirà     ogni azione dedicandosi all’acquisizione dell'intelletto. Ciò non è     altro che il filosofare, sicché anche secondo una tale divisione occor-     re soprattutto filosofare se si vuole essere felici.5?          [65dP] Allo stesso fine conduce il seguente procedimento. Tutta     la natura, come se fosse razionale, non compie nulla a caso, ma ogni     cosa in vista di qualcosa, e avendo escluso la casualità, essa si è preoc-     cupata della finalità più che le arti, in quanto anche le arti erano imi-     tazioni della natura. Ma poiché l’uomo è composto per natura di     anima e di corpo, e poiché l’anima è superiore al corpo e sempre l’in-     feriore è assoggettato in vista del superiore, anche il corpo esiste in     vista dell'anima. Ma nell’anima una parte era razionale e un’altra     parte irrazionale, che era anche quella inferiore; sicché l’irrazionale     esiste in vista del razionale. Ma nella parte razionale c’è l'intelletto;     sicché è dimostrato necessariamente che ogni parte dell’anima esiste     in vista dell'intelletto. Ora, gli atti dell’intelletto sono le intellezioni,     che sono visioni degli intelligibili, cosî come il vedere le cose visibili è     atto della facoltà visiva. Dunque anche per gli uomini ogni loro scel-     ta deve essere in vista dell’intellezione e dell’intelletto, se è vero che     tutto il resto è scelto in vista dell'anima, e soltanto l’intelletto è nel-     l'anima la parte migliore, e tutte le altre parti sono costituite in fun-     zione di <questa> che è la parte migliore. Ancora, tra i pensieri erano     degni di un uomo libero quelli scelti per se stessi, mentre erano degni     di un servo quelli che basano la loro conoscenza su elementi ad essi     esterni; ma sempre è superiore ciò che vale per se stesso rispetto a ciò               340 GIAMBLICO               ἄλλο, ὅτι καὶ τὸ ἐλεύθερον τοῦ μὴ τοιούτου. χρωμένων δὴ τῶν πρά-     ἔεων τῇ διανοίᾳ, κἂν αὐτὸς [35] ὑποβάλλῃ τὸ συμφέρον καὶ ταύτῃ     ἡγῆται, ἀλλ᾽ ἔπεταί γε ταύταις καὶ δεῖταί γε καὶ τοῦ διακονήσον-     τος σώματος καὶ ἀναπίμπλαταί! γε καὶ τῆς τύχης, ὑπὲρ ὧν ἀποδίδω-     σι τὰς πράξεις ὧν ὁ νοῦς κύριος, καὶ διὰ σώματος αἱ πολλαί. ὥστε     τῶν διανοήσεων αἱ δι᾽ αὐτὸ ψιλὸν τὸ θεωρεῖν αἱρεταὶ τιμιώτεραι     καὶ κρείττους τῶν πρὸς ἄλλα χρησίμων’ δι᾽ αὑτὰς δὲ τίμιοι αἱ     θεωρίαι καὶ αἱρετὴ ἐν ταύταις τοῦ νοῦ ἡ σοφία, διὰ δὲ πράξεις αἱ     κατὰ φρόνησιν᾽' ὥστε τὸ ἀγαθὸν καὶ [10] τίμιον ἐν ταῖς κατὰ σοφίαν     θεωρίαις, θεωρίαις δὲ οὐ δήπου πάλιν ταῖς τυχούσαις" οὐ γὰρ πᾶσα     ἁπλῶς κατάληψις τίμιον, ἀλλ᾽ ἡ τοῦ ἄρχοντος σοφοῦ ὄντος καὶ τῆς     ἐν τῷ παντὶ ἀρχῆς, αὕτη καὶ σοφίᾳ σύνοικος καὶ οἰκείως ἂν     ὑποκέοιτο. αἰσθήσεως μὲν οὖν καὶ νοῦ ἀφαιρεθεὶς ἄνθρωπος φυτῷ     γίγνεται παραπλήσιος, νοῦ δὲ μόνου ἀφῃρημένος ἐκθηριοῦται, ἀλο-     γίας δὲ ἀφαιρεθεὶς μένων δ᾽ ἐν τῷ νῷ ὁμοιοῦται θεῷ. καταργητέον     οὖν εἰς δύναμιν τῆς ἀλογίας τὰ πάθη, ταῖς δὲ τοῦ νοῦ καθαραῖς     ἐνεργείαις καὶ εἰς [20] ἑαυτὸν καὶ τὸ θεῖον ἀφορώσαις χρηστέον,     καὶ ταῖς διεξόδοις τοῦ νοῦ ζῆν μελετητέον, πᾶν τὸ τῆς προσοχῆς     ὄμμα καὶ τὸν ἔρωτα πρὸς τοῦτον συνάψαντα. οὐ γὰρ δὴ τὰ περὶ τὸν     θεὸν καὶ τὰ θεῖα θεωρητέον τῶν πράξεων ἕνεκα. οὐ γάρ φασι θεμι-     τὸν εἶναι χραίνειν τὴν θέαν τοῦ θείου καταδουλούμενον τῷ τοῦ     χρησίμου ἀνθρώποις ἀναγκαίῳ, οὐδ᾽ ὅλως τὸν νοῦν ἀσπαστέον διὰ     τὰς χρείας *** εἰκὼς πρὸς ταύτας (μόνος δὴ πασῶν [36] τῶν ἄλλων     ἃς ἔχομεν ἐπιτυχὴς δυνάμεων), ἔμπαλιν δὲ καὶ τὰς πράξεις καὶ πά-     via τὰ ἄλλα πρὸς νοῦν καὶ τὸν θεὸν συντακτέον, καὶ ἀπὸ τούτου καὶ     τῶν κατὰ μέρος καθηκόντων τὸ εὐλόγιστον ἀναμετρητέον. δικαία τε     γὰρ καὶ κατ᾽ ἀξίαν ἡ κρίσις καὶ μόνη πασῶν ἱκανὴ τὴν ἀληθινὴν     ἀνθρώποις εὐδαιμονίαν παρασκευάζειν. ᾧ γὰρ τῶν ἄλλων διαφέρο-     μεν ζῴων, ἐν μόνῳ δὴ τούτῳ τῷ βίῳ διαλάμπει, ᾧ οὐκ ἦν τι τυχὸν καὶ               15 ἀναπίμπλαταί: ἀναπίμλαταί erron. des Places.               ESORTAZIONE ALLA FILOSOFIA 341               che vale per altro, poiché anche ciò che è libero è superiore a ciò che     non lo è. Ebbene, quando nelle azioni si usa la ragione, sebbene chi     agisce [35] si ispiri a ciò che <ad essa> conviene e giudichi in questa     direzione, nondimeno nel seguire le azioni esso anche ha bisogno di     servirsi del corpo e può essere contaminato dalla fortuna in ciò per     cui compie le azioni sotto il dominio dell'intelletto, anche <perché>     molte delle sue azioni sono compiute per mezzo del corpo. [66dP]     Ne consegue che tra i pensieri quelli scelti in virtà della pura contem-     plazione sono più validi e migliori di quelli che sono utili ad altro     scopo; ma tra di essi sono preziosi per se stessi quelli relativi alla con-     templazione e tra questi che riguardano l’intelletto dev'essere scelta la     sapienza, mentre tra quelli che riguardano le azioni <sono preziosi     per se stessi> i pensieri relativi alla prudenza; sicché ciò che è buono     e prezioso sta tra le contemplazioni secondo sapienza, e, ancora una     volta, non certo tra le contemplazioni di qualsiasi natura, perché non     ogni percezione in quanto tale ha valore, bensi quella di chi è al     comando ed è principio dell’universo, ed è questa la contemplazione     che si potrebbe propriamente considerare come inseparabile dalla     sapienza. Orbene, se a un uomo si toglie sensibilità e intelletto egli     diviene pressoché una pianta, se gli toglie il solo intelletto somiglia a     un bruto, se infine gli si toglie la irrazionalità e lo si lascia in possesso     del <solo> intelletto egli diviene simile a un dio. Occorre dunque     reprimere, per quanto possibile, le passioni dell'anima irrazionale, e     utilizzare le pure azioni dell’intelletto che riguardano sia se stessi sia     il divino, e darsi cura di vivere secondo i procedimenti discorsivi del-     l'intelletto, collegando a quest’ultimo l’intero sguardo della nostra     attenzione e il nostro amore. Non bisogna infatti considerare dio e il     divino in vista delle azioni, perché non è lecito, si dice, contaminare     la contemplazione del divino quando si è asserviti alla necessità di ciò     che è utile agli uomini, né bisogna assolutamente dare addio all’intel-     letto per via dei nostri bisogni ***53 (è appunto la sola facoltà, tra     tutte [36] quelle che possediamo, ad avere successo <anche riguardo     alle azioni>), al contrario bisogna coordinare sia le <nostre> azioni     che tutto il resto con l'intelletto e con dio, e a partire da questo e dai     doveri particolari bisogna calcolare la giusta misura. È infatti giusto     ed espresso secondo il merito il giudizio, che è anche l’unico tra tutti,     capace di fornire agli uomini la vera felicità. [67dP] Ciò per cui, infat-               342 GIAMBLICO               où μεγάλην ἔχον ἀξίαν. λόγου μὲν γὰρ καὶ φρονήσεως μικρά τινὰ     [10] καὶ ἐν ἐκείνοις αἰθύγματα, σοφίας δὲ θεωρητικῆς ταῦτα μὲν     παντελῶς ἄμοιρα, μόνοις δὲ μέτεστι θεοῖς" ὡς αἰσθήσεσί γε καὶ     ὁρμαῖς πολλῶν ἤδη ζῴων τῆς ἀκριβείας καὶ τῆς ἰσχύος λείπεται     ἄνθρωπος, καὶ μόνον τοῦτο ὄντως ἀγαθὸν ἀναφαίρετον, ὃ δὴ περιέ-     χειν συγχωροῦσι τὴν τοῦ ἀγαθοῦ ἔννοιαν, οὐδαμῶς μὲν τοῖς     τυχηροῖς ὑποτάττοντος ἑαυτὸν κατὰ τοῦτον τὸν βίον τοῦ σπουδαίου,     ἀπὸ δὲ τῶν ὑποχειρίων τῇ τύχῃ μάλιστα δὴ πάντων ἑαυτὸν ἐλευθερ-     ὠσαντος. διὸ καὶ τὸ θαρρεῖν ἐξ ὅλης τῆς γνώμης ἐν τούτῳ     διατελοῦντα [20] ἔνεστι τῷ βίῳ. τίνος γὰρ τίς αὐτὸν ἀφαιρήσεται     τὸν πάλαι τῶν ἀφαιρεθῆναι οἵων τε ἑαυτὸν ἀλλοτριώσαντα, ἔχοντα     δὲ τὸν ὄντως ἑαυτὸν καὶ ζῶντα ἐν τοῖς ἑαυτοῦ καὶ τρεφόμενον ἀπὸ     τῶν αὑτοῦ καὶ τῆς ἀμετρήτου ᾧ συνῆπται θεοῦ εὐζωίας; τοιαῦται     μὲν οὖν ἡμῖν ἔστωσαν αἱ πρὸς τὴν τελειοτάτην σοφίαν Πυθαγορικαὶ     παρακλήσεις.         VI. ᾿Επεὶ δὲ ἀνθρώποις διαλεγόμεθα, ἀλλ᾽ οὐχὶ τοῖς τὴν θείαν     μοῖραν τῆς ζωῆς πρόχειρον ἔχουσι, δεῖ [37] συμμιγνύναι ταῖς     τοιαύταις παρακλήσεσι τὰς πρὸς τὸν πολιτικὸν καὶ πρακτικὸν βίον     προτροπάς. ὧδε οὖν λέγωμεν: τὰ ὑποκείμενα πρὸς τὸν βίον ἡμῖν,     οἷον «τὸ»͵ σῶμα καὶ «τὰ» περὶ τὸ σῶμα, καθάπερ ὄργανά τινα     ὑπόκειται, τούτων δ᾽ ἐπικίνδυνός ἐστιν ἡ χρῆσις, καὶ πλέον θάτε-     ρον ἀπεργάζεται τοῖς μὴ δεόντως αὐτοῖς χρωμένοις. δεῖ τοίνυν ὀρέ-     γεσθαι τῆς ἐπιστήμης κτᾶσθαίΐ τε αὐτὴν καὶ χρῆσθαι αὐτῇ προ-     σηκόντως, δι᾽ ἧς πάντα ταῦτα εὖ θησόμεθα. φιλοσοφητέον ἄρα ἡμῖν,     [10] εἰ μέλλομεν ὀρθῶς πολιτεύσεσθαι καὶ τὸν ἑαυτῶν βίον διάξειν     ὠφελίμως. ἔτι τοίνυν ἄλλαι μέν εἰσιν αἱ ποιοῦσαι ἕκαστον τῶν ἐν     τῷ βίῳ πλεονεκτημάτων ἐπιστῆμαι, ἄλλαι δὲ αἱ χρώμεναι ταύταις,     καὶ ἄλλαι μὲν αἱ ὑπηρετοῦσαι, ἕτεραι δὲ αἱ ἐπιτάττουσαι, ἐν αἷς     ἐστιν ὡς ἂν ἡγεμονικωτέραις ὑπαρχούσαις τὸ κυρίως ὃν ἀγαθόν. εἰ     τοίνυν μόνη ἡ τοῦ κρίνειν ἔχουσα τὴν ὀρθότητα καὶ ἡ τῷ λόγῳ               ESORTAZIONE ALLA FILOSOFIA 343               ti, siamo diversi dagli altri animali risplende appunto solo in questo     modo di vivere a cui mancherebbe qualsiasi elemento che sia casuale     o privo di grande valore. Anche negli animali infatti esistono delle     piccole scintille di ragione e di prudenza, ma queste sono del tutto     prive di sapienza contemplativa, che si deve attribuire solo agli dèi,54     cosi come, d’altra parte, l’uomo è privo di quella precisione e forza di     sensibilità e di impulso che hanno molti animali;55 ed è solo questo il     vero bene che non si può togliere <all’uomo>,56 e che concordemen-     te si ritiene contenga la nozione di bene,57 se egli non si sottomette     mai a ciò che è fortuito in virtà di una vita da saggio, bensi si rende     libero il più possibile da tutto ciò che è soggetto alla fortuna. Perciò     è possibile trarre, da questa intera sentenza,?8 anche <l’esortazione>     ad “avere coraggio”, finché ci si trovi a vivere questa vita. Infatti che     cosa si potrà togliere all'uomo che si sarà da tempo distaccato dalle     cose che potevano essergli tolte, e che possiede realmente se stesso e     che vive di ciò che gli appartiene e che si nutre di ciò che gli è pro-     prio nonché della incommensurabile felicità di dio alla quale egli si è     collegato? Tali siano dunque per noi le esortazioni pitagoriche alla più     perfetta sapienza.          6. Poiché noi stiamo ragionando con degli uomini, che tuttavia     non hanno facile accesso alla vita divina, allora dobbiamo [37]     mescolare a tali esortazioni quelle che incitano alla vita civile e prati-     ca. Facciamo dunque un discorso di questo tenore: le cose che stan-     no a fondamento della nostra vita, quali ad esempio il corpo e tutto     ciò che lo riguarda, la sorreggono a mo’ di strumenti, il cui utilizzo     non è privo di rischi, e comporta effetti piuttosto negativi per coloro     che non li adoperano come si deve. Occorre dunque desiderare la     scienza e acquistarla e usarla [68dP] in modo conveniente, <perché>     attraverso di essa noi potremo stabilire l’uso corretto di tutti quegli     strumenti.5? Occorre dunque filosofare, se vogliamo essere dei buoni     cittadini e vogliamo condurre in maniera proficua la nostra vita.     Ancora, altre sono le scienze che producono ciascuna delle cose che     recano vantaggi nella vita, altre invece le scienze che si servono delle     prime, e altre ancora le scienze che sono loro ausiliarie, e altre infine     che le comandano, perché <solo> in queste, in quanto più egemoni-     che, sussiste il bene vero e proprio. Se dunque solo la scienza che     giudica secondo correttezza e si serve della ragione e contempla il               344 GIAMBLICO               χρωμένη καὶ ἡ τὸ ὅλον ἀγαθὸν θεωροῦσα, ἥτις ἐστὶ φιλοσοφία,     χρῆσθαι πᾶσι καὶ ἐπιτάττειν κατὰ φύσιν δύναται, φιλοσοφητέον ἐκ     παντὸς [20] τρόπου, ὡς μόνης φιλοσοφίας τὴν ὀρθὴν κρίσιν καὶ τὴν     ἀναμάρτητον ἐπιτακτικὴν φρόνησιν ἐν ἑαυτῇ περιεχούσης. ἔτι τοί-     νυν, ἐπεὶ τὰ δυνατὰ καὶ ὠφέλιμα πάντες αἱρούμεθα, ἀποδεικτέον!ὁ     ὡς τῷ φιλοσοφεῖν ἀμφότερα ταῦτα ὑπάρχει, καὶ ὅτι τὴν χαλεπότητα     τῆς κτήσεως ὑποδεεστέραν ἔχει τοῦ μεγέθους τῆς ὠφελείας" τὰ γὰρ     ῥάω πάντες ἥδιον πονοῦμεν. ὅτι μὲν οὖν τὰς [38] περὶ τῶν δικαίων     καὶ τῶν συμφερόντων, ἔτι δὲ περὶ φύσεώς τε καὶ τῆς ἄλλης ἀληθεί-     ας ἐπιστήμας δυνατοὶ λαβεῖν ἐσμεν, ῥάδιον ἐπιδεῖξαι. ἀεὶ γὰρ     γνωριμώτερα τὰ πρότερα τῶν ὑστέρων καὶ τὰ βελτίω τὴν φύσιν τῶν     χειρόνων. τῶν γὰρ ὡρισμένων καὶ τεταγμένων ἐπιστήμη μᾶλλόν     ἐστιν ἢ τῶν ἐναντίων, ἔτι δὲ τῶν αἰτίων ἢ τῶν ἀποβαινόντων. ἔστι δ᾽     ὡρισμένα καὶ τεταγμένα τἀγαθὰ τῶν κακῶν μᾶλλον, ὥσπερ     ἄνθρωπος ἐπιεικὴς ἀνθρώπου φαύλου' τὴν αὐτὴν γὰρ ἔχειν [10]     ἀναγκαῖον αὐτὰ πρὸς ἄλληλα διαφοράν. αἴτιά τε μᾶλλον τὰ πρότε-     pa τῶν ὑστέρων’ ἐκείνων γὰρ ἀναιρουμένων ἀναιρεῖται τὰ τὴν οὐ-     σίαν ἐξ ἐκείνων ἔχοντα, μήκη μὲν ἀριθμῶν, ἐπίπεδα δὲ μηκῶν, στε-     ρεὰ δὲ ἐπιπέδων!, στοιχεῖα δὲ τῶν ὀνομαζομένων συλλαβῶν]."7 ὥστε     εἴπερ ψυχὴ μὲν σώματος ἄμεινον (ἀρχικώτερον γὰρ τὴν φύσιν ἐστί),     περὶ δὲ σῶμα τέχναι καὶ φρονήσεις εἰσὶν ἰατρική τε καὶ γυμνα-     στική (ταύτας γὰρ ἡμεῖς ἐπιστήμας τίθεμεν καὶ κεκτῆσθαί τινας αὖ-     τάς φαμεν), δῆλον ὅτι καὶ περὶ ψυχὴν καὶ τὰς ψυχῆς!8 ἀρετάς ἐστί     τις ἐπιμέ[20]λεια καὶ τέχνη, καὶ δυνατοὶ λαβεῖν αὐτήν ἐσμεν,     εἴπερ γε καὶ τῶν μετ᾽ ἀγνοίας πλείονος καὶ γνῶναι χαλεπωτέρων.     ὁμοίως δὲ καὶ τῶν περὶ φύσεως πολὺ γὰρ πρότερον ἀναγκαῖον τῶν     αἱτίων καὶ τῶν στοιχείων [39] εἶναι φρόνησιν ἢ τῶν ὑστέρων. οὐ     γὰρ ταῦτα τῶν ἄκρων οὐδ᾽ ἐκ τούτων τὰ πρῶτα πέφυκεν, ἀλλ᾽ ἐξ     ἐκείνων καὶ δι᾽ ἐκείνων τάλλα γίγνεται καὶ συνίσταται φανερῶς.     εἴτε γὰρ πῦρ εἴτ᾽ ἀὴρ εἴτε ἀριθμὸς εἴτε ἄλλαι τινὲς φύσεις αἰτίαι     καὶ πρῶται τῶν ἄλλων, ἀδύνατον τῶν ἄλλων τι γιγνώσκειν ἐκείνας               16 ἀποδεικτέον des Places, ma congetturò anche Pistelli.     17 [, στοιχεῖα - συλλαβῶν] conservò des Places.     18 ψυχικὰς des Places.               ESORTAZIONE ALLA FILOSOFIA 345               bene nella sua totalità, e cioè la filosofia, è capace di servirsi di tutte     le altre scienze e comandarle per sua stessa natura, allora occorre in     ogni modo filosofare, in quanto solo la filosofia contiene in se stessa     il retto giudizio e la prudenza capace di comandare in modo infallibi-     le. Ancora, poiché noi tutti preferiamo le cose possibili e utili, occor-     re dimostrare che ambedue tali generi di cose appartengono al filoso-     fare, e che la difficoltà di acquisirla ha una grandezza inferiore a quel-     la della sua utilità, perché noi tutti facciamo con maggior piacere le     cose più facili. Orbene, è facile dimostrare che noi siamo capaci di     attingere [38] le scienze relative alle cose giuste e convenienti, e anco-     ra quelle relative alla natura e al resto della verità,61 perché sempre le     cose primarie e migliori per natura sono entrambe più note, le pri-     marie rispetto alle secondarie e le migliori per natura rispetto alle peg-     giori. La scienza delle cose determinate e ordinate, infatti, vale più     della scienza dei loro contrari, e ancora la scienza delle cause vale più     di quella degli effetti. D'altra parte i beni sono determinati e ordinati     più di quanto non lo siano i mali, lo stesso vale per l’uomo dabbene     rispetto all’uomo cattivo, perché è necessario che tra loro ci sia la stes-     sa differenza <che c’è tra i contrari>. E le cose primarie sono cause     più delle secondarie, perché, tolte le prime, sono tolte anche le secon-     de, che [69dP] ricevono l’essere dalle prime, ad esempio le lunghez-     ze dai numeri, le superfici dalle lunghezze, i solidi dalle superfici.     Sicché, se è vero che l’anima è meglio del corpo (perché è per natura     più principiale), e le arti e le discipline relative al corpo sono la medi-     cina e la ginnastica (perché noi poniamo queste come scienze e dicia-     mo che alcuni le possono acquisire), è chiaro allora che esistono     anche uno studio e un’arte intorno all’anima e alle sue virtà, e che noi     siamo capaci di apprenderli, se è vero che possiamo conoscere cose di     cui siamo più ignoranti e che sono più difficili. La stessa cosa vale per     le scienze della natura, perché è necessario conoscere le cause e gli     elementi [39] prima che le cose che ne derivano. Queste, infatti, non     sono tra i primi principi, né questi ultimi derivano da esse per natu-     ra,65 ma tutto il resto nasce e si costituisce, evidentemente, dai princi-     pi e per mezzo di essi. Sia il fuoco sia l’aria o il numero o alcune altre     nature sono, infatti, cause e primi principi di tutte le altre cose, ed è     impossibile conoscere queste ultime senza conoscere quelli; in che     modo infatti si potrebbe conoscere il discorso ignorando le sillabe, o               346 GIAMBLICO               ἀγνοοῦντας" πῶς γὰρ ἄν τις ἢ λόγον γνωρίζοι συλλαβὰς ἀγνοῶν, ἢ     ταύτας ἐπίσταιτο μηδὲν τῶν στοιχείων εἰδώς;          Ὅτι μὲν οὖν τῆς ἀληθείας καὶ τῆς περὶ ψυχὴν [10] ἀρετῆς ἐστιν     ἐπιστήμη καὶ διότι δυνατοὶ λαβεῖν αὐτάς ἐσμεν, ταῦτα ἡμῖν     εἰρήσθω περὶ αὐτῶν᾽ ὅτι δὲ μέγιστόν ἐστι τῶν ἀγαθῶν καὶ πάντων     ὠφελιμώτατον τῶν ἄλλων, ἐκ τῶνδε δῆλον. πάντες γὰρ ὁμολογοῦμεν     ὅτι δεῖ μὲν τὸν σπουδαιότατον ἄρχειν καὶ τὸν τὴν φύσιν κράτιστον,     τὸν δὲ νόμον ἄρχοντα καὶ κύριον εἶναι μόνον᾽ οὗτος δὲ φρόνησίς     τις καὶ λόγος ἀπὸ φρονήσεώς ἐστιν. ἔτι δὲ τίς ἡμῖν κανὼν ἢ τίς ὅρος     ἀκριβέστερος τῶν ἀγαθῶν πλὴν ὁ φρόνιμος; ὅσα γὰρ ἂν οὗτος ἕλοιτο     κατὰ τὴν ἐπιστήμην αἱρούμενος, ταῦτ᾽ ἐστὶν ἀγαθά, καὶ [20] κακὰ     δὲ τὰ ἐναντία τούτοις. ἐπεὶ δὲ πάντες αἱροῦνται μάλιστα τὰ κατὰ     τὰς οἰκείας ἕξεις (τὸ μὲν γὰρ δικαίως ζῆν ὁ δίκαιος, τὸ δὲ κατὰ τὴν     ἀνδρείαν ὁ τὴν ἀνδρείαν ἔχων, ὁ δὲ σώφρων τὸ σωφρονεῖν ὁμοίως),     δῆλον ὅτι καὶ τὸ φρονεῖν ὁ φρόνιμος αἱρήσεται πάντων μάλιστα:     τοῦτο γὰρ ἔργον ταύτης τῆς δυνάμεως. ὥστε φανερὸν ὅτι κατὰ τὴν     κυριωτάτην κρίσιν κράτιστόν ἐστι τῶν [40] ἀγαθῶν ἡ φρόνησις. οὐ     δὴ δεῖ φεύγειν φιλοσοφίαν, εἵπερ ἐστὶν ἡ μὲν φιλοσοφία, καθάπερ     οἰόμεθα, κτῆσίς τε καὶ χρῆσις σοφίας, ἣ δὲ σοφία τῶν μεγίστων     ἀγαθῶν. οὐδὲ δεῖ χρημάτων μὲν ἕνεκα πλεῖν ἐφ᾽ Ἡρακλέους στήλας     καὶ πολλάκις κινδυνεύειν, διὰ δὲ φρόνησιν μηδὲν πονεῖν μηδὲ     δαπανᾶν. ἦ μὴν ἀνδραποδῶδές γε τοῦ ζῆν ἀλλὰ μὴ τοῦ ζῆν εὖ γλίχε-     σθαι, καὶ ταῖς τῶν πολλῶν αὐτὸν ἀκολουθεῖν δόξαις ἀλλὰ μὴ τοὺς     πολλοὺς ἀξιοῦν ταῖς αὑτοῦ, καὶ τὰ μὲν χρή[10]ματα ζητεῖν τῶν δὲ     καλῶν μηδεμίαν ἐπιμέλειαν ποιεῖσθαι τοπαράπαν.          Καὶ περὶ μὲν ὠφελείας καὶ μεγέθους τοῦ πράγματος ἱκανῶς ἀποδε-     δεῖχθαι νομίζω, διότι δὲ πολλῷ ῥᾷάστη τῶν ἄλλων ἀγαθῶν ἡ κτῆσις     αὐτῆς, ἐκ τῶνδε πεισθείη τις ἄν. τὸ γὰρ μήτε μισθοῦ παρὰ τῶν     ἀνθρώπων γινομένου τοῖς φιλοσοφοῦσι, δι᾽ ὃν συντόνως οὕτως ἂν     διαπονήσειαν, πολύ τε προεμένους εἰς τὰς ἄλλας τέχνας ὅμως ἐξ     ὀλίγου χρόνου θέοντας παρεληλυθέναι ταῖς ἀκριβείαις, σημεῖόν               ESORTAZIONE ALLA FILOSOFIA 347               si potrebbero comporre queste ultime senza conoscere nessuna lette-     ra dell'alfabeto?          Che ci sia, dunque, scienza della verità e della virtà dell'anima e     che noi siamo in grado di attingerle, era ciò che dovevamo dire in pro-     posito; che poi tutto questo sia il più grande dei beni e di tutte le altre     cose utili, risulta chiaro da quel che segue. Tutti noi infatti siamo d’ac-     cordo che deve comandare colui che è il più saggio, e cioè colui che è     il migliore per natura, e che solo la legge debba comandare e signo-     reggiare; e la legge, d’altra parte, è una sorta di prudenza e di discor-     so derivante da prudenza. E ancora, quale sorta di canone o limite più     preciso dei beni esiste per noi se non [70dP] l’essere prudente?     Giacché le cose che il prudente sceglierà, dal momento che le avrà     scelte secondo scienza, saranno dei beni, e i mali saranno <appunto>     il contrario dei beni. Ma poiché tutti scelgono soprattutto le cose che     si adattano al loro proprio carattere (il giusto, infatti, sceglie il vivere     giustamente, chi ha coraggio il vivere coraggiosamente, il temperante,     similmente, il vivere in modo temperante), è chiaro allora che anche     il saggio sceglierà soprattutto il vivere secondo prudenza, perché que-     sto è opera di tale facoltà.7 Ne consegue in modo evidente che, a giu-     dicare nel modo più autorevole, [40] la prudenza è il migliore dei     beni. Non bisogna dunque fuggire la filosofia, se è vero che la filoso-     fia è, a nostro giudizio, possesso e uso della sapienza, e la sapienza è     il bene più grande; non bisogna neppure, per amore di ricchezza,     navigare verso le colonne d'Ercole, esponendosi a molti rischi, men-     tre per conseguire prudenza non occorre né faticare né dissipare ric-     chezza. Non c’è dubbio che è da schiavo affannarsi a vivere ma non a     vivere bene, e a seguire le opinioni della massa ma non ritenere la     massa degna della nostra opinione, e a cercare la ricchezza senza darsi     per niente alcuna cura delle cose belle.          Anche a proposito dell’utilità e della grandezza della filosofia io     credo che tutto ciò sia sufficiente, ma del fatto che il possesso di essa     sia molto più facile di quello degli altri beni, si potrebbe essere per-     suasi dal seguente discorso. Perché il fatto che quelli che filosofano     non chiedano agli uomini alcun compenso, e che, anche quando con-     cedono un certo vantaggio a quelli che corrono per conseguire le altre     arti, tuttavia li superino in esattezza, [71dP] tutto ciò a me sembra un     segno della facilità della filosofia. Ancora, il fatto che tutti amino fre-               348 GIAMBLICO               μοι δοκεῖ τῆς περὶ [20] τὴν φιλοσοφίαν εἶναι ῥᾳστώνης. ἔτι δὲ τὸ     πάντας φιλοχωρεῖν ἐπ᾽ αὐτῇ καὶ βούλεσθαι σχολάζειν ἀφεμένους     τῶν ἄλλων ἁπάντων, οὐ μικρὸν τεκμήριον ὅτι μεθ᾽ ἡδονῆς ἡ προσε-     δρεία γίγνεται" πονεῖν γὰρ οὐδεὶς ἐθέλει πολὺν χρόνον. πρὸς δὲ     τούτοις ἡ χρῆσις πλεῖστον διαφέρει πάντων᾽ οὐδὲ γὰρ δέονται πρὸς     τὴν ἐργασίαν ὀργάνων οὐδὲ τόπων, ἀλλ᾽ ὅπῃ τις ἂν θῇ [41] τῆς οἱ-     κουμένης τὴν διάνοιαν, ὁμοίως πανταχόθεν ὥσπερ παρούσης ἅπτε-     ται τῆς ἀληθείας. οὐκοῦν ἀποδέδεικται καὶ ὅτι δυνατὸν καὶ διότι     μέγιστον τῶν ἀγαθῶν καὶ κτήσασθαι ῥάδιον ἡ φιλοσοφία, ὥστε     πάντων ἕνεκα προθύμως αὐτῆς ἀντιλαμβάνεσθαι ἄξιον.          VII. Ἴδοι δ᾽ ἄν τις τὸ αὐτὸ γνωριμώτερον ἀπὸ τούτων. τὸ φρονεῖν     καὶ τὸ γιγνώσκειν ἐστὶν αἱρετὸν καθ᾽ αὑτὸ τοῖς ἀνθρώποις (οὐδὲ     γὰρ ζῆν δυνατὸν ὡς ἀνθρώποις ἄνευ τούτων), χρήσιμόν τε εἰς τὸν     βίον ὑπάρχει' [10] οὐδὲν γὰρ ἡμῖν ἀγαθὸν παραγίγνεται, è τι μὴ     λογισαμένοις καὶ κατὰ φρόνησιν ἐνεργήσασιν τελειοῦται. καὶ μὴν     εἶτε τὸ ζῆν εὐδαιμόνως ἐν τῷ χαίρειν ἐστὶν εἴτε ἐν τῷ τὴν ἀρετὴν     ἔχειν εἴτε ἐν τῇ φρονήσει, κατὰ ταῦτα πάντα φιλοσοφητέον. ταῦτα     γὰρ μάλιστα καὶ εἰλικρινῶς διὰ τοῦ φιλοσοφεῖν ἡμῖν παραγίγνεται.     ἔτι τοίνυν τὸ μέν ἐστι ψυχὴ τῶν ἐν ἡμῖν τὸ δὲ σῶμα, καὶ τὸ μὲν     ἄρχει τὸ δὲ ἄρχεται, καὶ τὸ μὲν χρῆται τὸ δ᾽ ὑπόκειται ὡς ὄργανον.     ἀεὶ τοίνυν πρὸς τὸ ἄρχον καὶ τὸ χρώμενον συντάττεται ἡ τοῦ ἀρχο-     μένου καὶ τοῦ ὀργάνου [20] χρεία. τῆς δὲ ψυχῆς τὸ μὲν λόγος ἐστὶν     ὅπερ κατὰ φύσιν ἄρχει καὶ κρίνει περὶ ἡμῶν, τὸ δ᾽ ἕπεταί τε καὶ πέ-     φυκεν ἄρχεσθαι. πᾶν δὲ εὖ διάκειται κατὰ τὴν οἰκείαν ἀρετήν᾽ τὸ     γὰρ τετυχηκέναι ταύτης ἀγαθόν ἐστι. καὶ μὴν ὅταν γε ἔχῃ τὰ μάλι-     στα καὶ κυριώτατα καὶ τιμιώτατα τὴν ἀρετήν, τότε εὖ διάκειται. τοῦ     βελτίονος ἄρα φύσει βελτίων ἐστὶν ἡ κατὰ φύσιν ἀρετή. βέλτιον δὲ     τὸ κατὰ φύσιν ἀρχικώτερον καὶ μᾶλλον ἡγεμονικόν, ὡς ἄνθρωπος     πρὸς τὰ ἄλλα ζῷα οὐκοῦν ψυχὴ μὲν σώματος βέλτιον (ἀρχικώτερον     γάρ), [30] ψυχῆς δὲ τὸ λόγον ἔχον καὶ διάνοιαν. ἔστι γὰρ τοιοῦτον     ὃ κελεύει καὶ κωλύει, καὶ δεῖν ἢ μὴ δεῖν φησι [42] πράττειν. ἥτις               ESORTAZIONE ALLA FILOSOFIA 349               quentare la filosofia e vogliano studiarla abbandonando ogni altra     occupazione, non è un piccolo indizio del fatto che lo studio assiduo     della filosofia sia piacevole, perché nessuno vuole faticare a lungo     <senza provare un qualche piacere>. Inoltre, l’uso della filosofia dif-     ferisce moltissimo da quello delle altre arti, perché non occorre nes-     suno strumento o luogo per esercitarla, ché anzi ovunque, [41] nel-     l'universo, si ponga mente, da ogni parte si entra in contatto con la     verità come se fosse presente. Si è dunque dimostrato anche cosî che     è possibile e facile acquisire il più grande tra i beni che è la filosofia,     sicché, per tutte queste ragioni, è opportuno impegnarvisi con ardo-     re.         7. Si potrebbe ottenere la medesima conclusione in maniera più     chiara, partendo dalle seguenti considerazioni. Il pensare e il conosce-     re sono, per gli uomini, desiderabili per se stessi (perché gli uomini in     quanto tali non possono vivere senza di questi), e sono anche utili per     la vita, perché a noi non arriva alcun bene che non sia realizzato con     nostro calcolo e con prudente attività. E infatti, si faccia consistere il     vivere felici nell'essere lieti o nel comportarsi secondo virtù o nell’es-     sere prudenti, tutto ciò comporta la necessità di filosofare, perché tali     beni ci arrivano soprattutto e in maniera genuina attraverso il filoso-     fare. Ancora, dei nostri due elementi costitutivi, cioè l’anima e il     corpo, la prima comanda e l’altro è comandato, e l’una si serve del-     l'altro e questo le è sottoposto come suo strumento. Sempre dunque     l'uso di ciò che è comandato e dello strumento è subordinato a ciò     che comanda e ne fa uso. Ma nell’anima è la ragione che per natura     comanda e giudica delle cose che ci riguardano, [72dP] mentre il     corpo per natura la segue ed è da essa comandato. E ogni cosa risul-     ta bene ordinata a seconda della sua propria virtà, perché l'avere rea-     lizzato la propria virti è un bene. Ed è, appunto, quando a possede-     re la virtii sia ciò che si trova al massimo livello ed è l'elemento più     importante e più prezioso, che si ottiene la buona disposizione <di     ogni cosa>; orbene, di ciò che è migliore per natura, è migliore     <anche> la virtà secondo natura. Ma è migliore ciò che per natura è     più atto a comandare e a fare da guida, cosî come lo è l’uomo rispet-     to agli altri animali; dunque l’anima è migliore del corpo (perché è più     atta a comandare), e d’altra parte nell'anima è migliore la parte che     possiede la ragione e il pensiero, perché è quella che permette o vieta,               350 GIAMBLICO               ποτὲ οὖν ἐστιν ἀρετὴ τούτου τοῦ μέρους, ἀναγκαῖον εἶναι πάντων     αἱρετωτάτην ἁπλῶς τε πᾶσι καὶ ἡμῖν" καὶ γὰρ ἂν τοῦτο, οἶμαι, θείη     τις, ὡς ἤτοι μόνον ἢ μάλιστα ἡμεῖς ἐσμεν τὸ μόριον τοῦτο. ἔτι τοί-     νυν ὅταν ὃ πέφυκεν ἔργον ἑκάστου μὴ κατὰ συμβεβηκὸς ἀλλὰ καθ᾽     αὑτὸ λεγόμενον κάλλιστα ἀποτελῇ, τότε καὶ τοῦτο ἀγαθὸν εἶναι     λεκτέον, ταύτην τε ἀρετὴν θετέον κυριωτάτην, καθ᾽ ἣν ἕκαστον     αὐτὸ τοῦτο πέφυκεν ἀπεργάζεσθαι. τοῦ μὲν οὖν συνθέτου [10] καὶ     μεριστοῦ πλείους καὶ διάφοροί εἰσιν ἐνέργειαι, τοῦ δὲ τὴν φύσιν     ἁπλοῦ καὶ μὴ πρὸς τὶ τὴν οὐσίαν ἔχοντος μίαν ἀναγκαῖον εἶναι τὴν     καθ᾽ αὑτὸ κυρίως ἀρετήν. εἰ μὲν οὖν ἁπλοῦν τι ζῷόν ἐστιν ὁ     ἄνθρωπος καὶ κατὰ λόγον καὶ νοῦν τέτακται αὐτοῦ ἡ οὐσία, οὐκ     ἄλλο ἐστὶν αὐτοῦ ἔργον ἢ μόνη ἡ ἀκριβεστάτη ἀλήθεια καὶ τὸ περὶ     τῶν ὄντων ἀληθεύειν. εἰ δ᾽ ἐστὶν ἐκ πλειόνων δυνάμεων συμπεφυ-     κύς, δῆλόν ἐστιν ὡς ἀφ᾽ οὗ πλείω πέφυκεν ἀποτελεῖσθαι, ἀεὶ τούτων     τὸ βέλτιστον ἔργον ἐστίν, οἷον ἰατρικοῦ ὑγεία καὶ κυβερ[20]νήτου     σωτηρία. βέλτιον δὲ οὐδὲν ἔχομεν λέγειν ἔργον τῆς διανοίας ἢ τοῦ     διανοουμένου τῆς ψυχῆς ἡμῶν ἀληθείας. ἀλήθεια ἄρα τὸ κυριώτα-     τον ἔργον ἐστὶ τοῦ μορίου τούτου τῆς ψυχῆς. τοῦτο δὲ δρᾷ κατ᾽     ἐπιστήμην ἁπλῶς, μᾶλλον δὲ κατὰ τὴν μᾶλλον ἐπιστήμην, ταύτῃ δ᾽     ἐστὶ θεωρία τὸ κυριώτατον τέλος. ὅταν γὰρ δυοῖν ὄντοιν θάτερον     διὰ θάτερον αἱρετὸν ἦ, βέλτιόν ἐστι τοῦτο καὶ μᾶλλον αἱρετὸν δι᾽     ὅπερ αἱρετόν ἐστι καὶ θάτερον, οἷον ἡδονὴ μὲν τῶν ἡδέων, ὑγεία δὲ     τῶν ὑγιεινῶν᾽ ταῦτα γὰρ ποιητικὰ λέγεται τούτων. [43] οὐκοῦν τῆς     φρονήσεως, ἥν φαμεν δύναμιν εἶναι τοῦ κυριωτάτου τῶν ἐν ἡμῖν, οὐκ     ἔστιν αἱρετώτερον οὐδέν, ὡς ἕξιν!9 πρὸς ἕξιν κρίνεσθαι τὸ γὰρ     γνωστικὸν μέρος καὶ χωρὶς καὶ συγκείμενον βέλτιόν ἐστι πάσης τῆς     ψυχῆς, τούτου δὲ ἐπιστήμη ἀρετή. οὐκ ἄρα ἐστὶν ἔργον αὐτῆς οὐδε-     μία τῶν κατὰ μέρος λεγομένων ἀρετῶν: πασῶν γάρ ἐστι βελτίων, τὸ     δὲ ποιούμενον τέλος ἀεὶ κρεῖττόν ἐστι τῆς ποιούσης ἐπιστήμης"     οὐδὲ μὴν ἅπασα τῆς ψυχῆς ἀρετὴ οὕτως ἔργον οὐδ᾽ ἡ εὐδαι[]0]μονί-               19 ἕξιν des Places, ma sospettò anche Pistelli: ἕξις codd.               ESORTAZIONE ALLA FILOSOFIA 351               e dice se bisogna fare o non fare. [42] Quale che sia, dunque, la virtà     di questa parte <dell’anima>, essa sarà necessariamente la più deside-     rabile in assoluto per tutti e per noi stessi; e infatti si può stabilire, io     credo, che noi siamo o unicamente o al massimo grado una tale parte.     Ancora, quando l’opera di ciascuna cosa realizza il meglio per natura     e non per accidente, ma per se stessa, allora si dovrà dire che anche     questo è bene, e si dovrà porlo come la sua virtù principale, secondo     la quale ogni cosa opera cosî per natura. Di ciò che è composto e divi-     sibile esistono, dunque, molteplici e differenti attività, mentre di ciò     che per natura è semplice e che possiede la sua essenza non in relazio-     ne ad altro, necessariamente unica sarà la virtù che esso avrà propria-     mente per se stesso. Se dunque l’uomo è un animale semplice e la sua     essenza è stata ordinata secondo ragione e intelletto, la sua opera non     sarà nient'altro che unicamente la più esatta verità, cioè il dire <esat-     tamente> la verità intorno agli enti; se invece [73dP] è composto per     natura di più potenze, allora è chiaro che l’opera migliore sarà quella     dalla quale l’uomo è realizzato per natura in modo più perfetto, quale     ad esempio la salute per il medico o la salvezza <in un naufragio> per     il nocchiero. Ma noi dobbiamo dire che la migliore opera del pensie-     ro o, <meglio>, della facoltà raziocinativa della nostra anima, non è     altro che la verità. La verità dunque è l’opera più propria di questa     parte dell'anima. E quest'opera viene svolta <dall'anima> semplice-     mente in virti della scienza, e soprattutto in virti dell'aspetto più     forte della scienza, cioè della contemplazione che è il fine principale     di essa. Quando infatti, fra due enti, l’uno sia desiderabile in virtà del-     l’altro, allora è migliore e più desiderabile quello per cui è desidera-     bile anche l’altro, ad esempio il piacere rispetto alle cose piacevoli, la     salute rispetto alle cose salutari: si dice infatti che queste sono <tali     perché> produttive di quelle.68 [43] Dunque della prudenza diciamo     che essa è la facoltà di ciò che in noi c’è di più proprio, e di cui non     c’è nulla di più desiderabile, a giudicare dal confronto tra l’una e l’al-     tra delle nostre facoltà;6? la parte razionale, infatti, sia da sola che in     composizione con le altre, è migliore dell’intera anima, ed appartiene     ad essa la virtà della scienza. Nessuna virtù tra quelle che si dicono     particolari è dunque opera di tale parte dell'anima, perché questa è     migliore fra tutte, e d’altra parte il fine prodotto è sempre migliore     della scienza che lo produce, e in verità nessuna virtù dell'anima è sua               352 GIAMBLICO               a. εἰ γὰρ ἔσται ποιητική, ἑτέρα ἑτέρων ἔσται, ὥσπερ οἰκοδομικὴ οἱ-     κίας, ἥτις οὐκ ἔστι μέρος τῆς οἰκίας, ἡ μέντοι φρόνησις μόριον τῆς     ἀρετῆς ἐστι καὶ τῆς εὐδαιμονίας" ἢ γὰρ ἐκ ταύτης ἢ ταύτην φαμὲν     εἶναι τὴν εὐδαιμονίαν. οὐκοῦν καὶ κατὰ τὸν λόγον τοῦτον ἀδύνατον     εἶναι τὴν ἐπιστήμην ποιητικήν βέλτιον γὰρ δεῖ τὸ τέλος εἶναι τοῦ     γιγνομένου, οὐδὲν δὲ βέλτιον εἶναι φρονήσεως, πλὴν εἴ τι τῶν     εἰρημένων, τούτων δὲ οὐδὲν ἕτερον αὐτῆς ἐστιν ἔργον. θεωρητικήν     τινα ἄρα φατέον εἶναι ταύτην τὴν ἐπιστήμην, [20] ἐπείπερ ἀδύνατον     ποίησιν εἶναι τὸ τέλος. τὸ φρονεῖν ἄρα καὶ τὸ θεωρεῖν ἔργον τῆς     ἀρετῆς ἐστι καὶ τοῦτο πάντων ἐστὶν αἱρετώτατον τοῖς ἀνθρώποις,     ὥσπερ οἶμαι καὶ τὸ τοῖς ὄμμασιν ὁρᾶν, ὃ καὶ ἕλοιτό τις ἂν ἔχειν, εἰ     καὶ μή τι μέλλοι γίγνεσθαι δι᾽ αὐτὸ παρ᾽ αὐτὴν τὴν ὄψιν ἕτερον. ἔτι     εἰ τὸ ὁρᾶν ἀγαπῶμεν δι᾽ ἑαυτό, ἱκανῶς μαρτυρεῖ τοῦτο ὅτι πάντες     τὸ φρονεῖν καὶ τὸ γιγνώσκειν ἐσχάτως ἀγαπῶσιν. ἔτι εἴ τις ἀγαπᾷ     τόδε τι διὰ τὸ συμβεβηκέναι ἕτερον αὐτῷ τι, δῆλον ὅτι μᾶλλον     οὗτος βουλήσεται ᾧ μᾶλλον ὑπάρχει [44] τοῦτο: οἷον εἰ τυγχάνει     τις. αἱρούμενος τὸ περιπατεῖν ὅτι ὑγιεινόν, εἴη δὲ μᾶλλον αὐτῷ     ὑγιεινὸν τὸ τροχάζειν καὶ δυνατὸν παραγενέσθαι, μᾶλλον     αἱρήσεται τοῦτο κἂν ἕλοιτο γνοὺς θᾶττον. εἰ τοίνυν ἐστὶν ἀληθὴς     δόξα φρονήσει ὅμοιον, εἴπερ αἱρετὸν τὸ δοξάζειν ἀληθῶς ταύτην     καὶ κατὰ τοσοῦτον καθόσον ὅμοιον τῇ φρονήσει διὰ τὴν ἀλήθειαν,     εἰ μᾶλλον τοῦτο τῷ φρονεῖν ὑπάρχει, μᾶλλον αἱρετὸν τὸ φρονεῖν     ἔσται τοῦ δοξάζειν ἀληθῶς. ἀλλὰ μὴν τό γε ζῆν τῷ αἰσθά[]0]νεσθαι     διακρίνεται τοῦ μὴ ζῆν, καὶ ταύτης παρουσίᾳ καὶ δυνάμει τὸ ζῆν     διώρισται, καὶ ταύτης ἐξαιρουμένης οὐκ ἔστιν ἄξιον ζῆν ὥσπερ     ἀναιρουμένου τοῦ ζῆν αὐτοῦ διὰ τὴν αἴσθησιν. τῆς δὲ αἰσθήσεως ἡ     τῆς ὄψεως διαφέρει δύναμις τῷ σαφεστάτη εἶναι, καὶ διὰ τοῦτο καὶ     μάλιστα αἱρούμεθα αὐτήν αἴσθησις δὲ πᾶσα δύναμίς ἐστι γνωρι-     στικὴ διὰ σώματος, ὥσπερ ἡ ἀκοὴ τοῦ ψόφου αἰσθάνεται διὰ τῶν     ὦτων. οὐκοῦν εἰ τὸ ζῆν μέν ἐστιν αἱρετὸν διὰ τὴν αἴσθησιν ἡ δ᾽     αἴσθησις γνῶσίς τις, καὶ διὰ τὸ γνωρίζειν αὐτῇ δύ[20]νασθαι τὴν               ESORTAZIONE ALLA FILOSOFIA 353               opera cosî come la scienza, neppure la felicità. Se infatti sarà produt-     trice <di qualcosa>, sarà diversa dalle cose che produce, come lo è     della casa l’opera che la costruisce, la quale non è parte della casa, e     tuttavia la prudenza è parte della virtà e della felicità, perché noi     diciamo che la felicità o deriva dalla prudenza o è questa stessa virti.     Dunque, anche secondo questo ragionamento è impossibile che la     scienza sia produttrice, perché il fine è migliore di ciò che viene pro-     dotto, e d'altra parte non c’è niente di migliore della prudenza, tran-     ne qualcuna delle cose suddette,7° ma nessuna di queste [74dP] è     opera diversa dalla prudenza. Dunque si deve dire che questa scienza     è una scienza contemplativa, se è vero che è impossibile che il suo fine     sia la produzione <di qualcosa>. Il pensare, dunque, e il contempla-     re sono opera della virtù e tale opera è per gli uomini la più desidera-     bile, come — io credo — lo sia il vedere per gli occhi, cosa che si prefe-     rirebbe possedere, anche se con il vedere non dovessimo ottenere     nient'altro che la vista. Inoltre, se noi amiamo il vedere per se stesso,     ciò è prova sufficiente che tutti amano sommamente il pensare e il     conoscere. Inoltre, se si ama una determinata cosa per il fatto che essa     abbia una proprietà diversa da essa, è chiaro che si vorrà di pit la cosa     a cui soprattutto appartiene quella proprietà; [44] ad esempio, se     accade che qualcuno preferisca passeggiare perché è salutare, ma se     gli è più salutare il correre ed è possibile che lo pratichi, allora prefe-     rirà di più il correre e lo preferirà più velocemente, ammesso che lo     sappia. Se dunque l’opinione vera è simile al pensare,7! se è vero che     l'opinare con verità è preferibile in virtii di tale somiglianza con il     pensare e in quanto è simile al pensare in virtà della sua verità, allo-     ra, se questa proprietà [cioè la verità] appartiene più al pensare <che     all’opinare>, il pensare sarà più preferibile dell’opinare con verità.     Ma il vivere, appunto, si distingue dal non-vivere per la capacità di     percepire, ed è per la presenza di tale capacità o facoltà che il vivere     si determina, e una volta soppressa tale facoltà non è più opportuno     vivere, come se venisse meno la vita assieme alla sensibilità. Ma la     facoltà della vista differisce da quella della sensibilità per il fatto che     è la più chiara,72 e perciò noi la preferiamo sopra tutte le altre facol-     tà; ma ogni sensazione è capacità di conoscere attraverso il corpo,     come l'udito è capacità di percepire il suono per mezzo delle orec-     chie. Dunque se il [75dP] vivere è desiderabile per via della sensazio-     ne e la sensazione è una forma di conoscenza, e noi desideriamo <la               354 GIAMBLICO               ψυχὴν αἱρούμεθα, πάλαι δὲ εἴπομεν ὅτιπερ δυοῖν dei μᾶλλον     αἱρετὸν ᾧ μᾶλλον ὑπάρχει ταὐτόν, τῶν μὲν αἰσθήσεων τὴν ὄψιν     ἀνάγκη μάλιστα αἱρετὴν εἶναι καὶ τιμίαν, ταύτης δὲ καὶ τῶν ἄλλων     ἁπασῶν αἱρετωτέρα καὶ τοῦ ζῆν ἐστιν ἡ φρόνησις κυριωτέρα τῆς     ἀληθείας ὥστε πάντες ἄνθρωποι τὸ φρονεῖν μάλιστα διώκουσι. τὸ     γὰρ ζῆν ἀγαπῶντες τὸ φρονεῖν καὶ τὸ γνωρίζειν ἀγαπῶσι δι᾽ οὐδὲν     γὰρ ἕτερον αὐτὸ τιμῶσιν ἢ διὰ τὴν αἴσθησιν καὶ μάλιστα [45] διὰ     τὴν ὄψιν. ταύτην γὰρ τὴν δύναμιν ὑπερβαλλόντως φαίνονται     φιλοῦντες" αὕτη γὰρ πρὸς τὰς ἄλλας αἰσθήσεις ὥσπερ ἐπιστήμη τις     ἀτεχνῶς ἐστιν.          VIII. Οὐ χεῖρον δ᾽ ἔτι καὶ ἀπὸ τῶν κοινῶν ἐννοιῶν ὑπομνῆσαι τὸ     προκείμενον, ἀπὸ τῶν ἐναργῶς πᾶσι φαινομένων. παντὶ δὴ οὖν     τοῦτό γε πρόδηλον, ὡς οὐδεὶς dv ἕλοιτο ζῆν ἔχων τὴν μεγίστην ἀπ᾽     ἀνθρώπων οὐσίαν καὶ δύναμιν, ἐξεστηκὼς μέντοι τοῦ φρονεῖν καὶ     μαινόμενος, οὐδ᾽ εἰ μέλλοι τὰς νεανικωτάτας ἡδονὰς [10], ζώειν     χαίρων, ὥσπερ ἔνιοι τῶν παραφρονούντων διάγουσιν. οὐκοῦν ἀφρο-     σύνην, ὡς ἔοικε, μάλιστα πάντες φεύγουσιν. ἐναντίον δὲ φρόνησις     ἀφροσύνῃ, τῶν δ᾽ ἐναντίων ἑκάτερον τὸ μὲν φευκτόν ἐστι τὸ δὲ     αἱρετόν. ὥσπερ οὖν τὸ κάμνειν φευκτόν, οὕτως αἱρετὸν ἡμῖν τὸ     ὑγιαίνειν. φρόνησις οὖν, ὡς ἔοικε, καὶ κατὰ τοῦτον τὸν λόγον φαί-     νεται τὸ πάντων αἱρετώτατον où δι᾽ ἕτερόν τι τῶν συμβαινόντων, ὡς     μαρτυροῦσιν αἱ κοιναὶ ἔννοιαι. εἰ γὰρ καὶ πάντα τις ἔχοι, διεφθαρ-     μένος δὲ εἴη καὶ νοσῶν τῷ φρονοῦντι, οὐχ αἱρετὸς ὁ [20] βίος" οὐδὲν     γὰρ ὄφελος οὐδὲ τῶν ἄλλων ἀγαθῶν. ὥστε πάντες καθόσον αἰσθά-     νονται τοῦ φρονεῖν καὶ γεύεσθαι δύνανται τούτου τοῦ πράγματος,     οὐδὲν οἴονται τάλλα εἶναι, καὶ διὰ ταύτην τὴν αἰτίαν οὔτ᾽ ἂν     μεθύων οὔτε παιδίον οὐδ᾽ ἂν εἷς ἡμῶν ὑπομείνειεν εἶναι διὰ τέλους     τὸν βίον. διὰ δὴ τοῦτο καὶ τὸ καθ[46]εύδειν ἥδιστον μὲν οὐχ     αἱρετὸν δέ, κἂν ὑποθώμεθα πάσας τῷ καθεύδοντι παρούσας τὰς     ἡδονάς, διότι τὰ μὲν καθ᾽ ὕπνον φαντάσματα ψευδῆ, τὰ δ᾽ ἐγρηγορό-     σιν ἀληθῆ. διαφέρει γὰρ οὐδενὶ τῶν ἄλλων τὸ καθεύδειν καὶ τὸ     ἐγρηγορέναι πλὴν τῷ τὴν ψυχὴν τότε μὲν πολλάκις ἀληθεύειν,     καθεύδοντος δὲ ἀεὶ διεψεῦσθαι τὸ γὰρ τῶν ἐνυπνίων εἴδωλόν ἐστι     καὶ ψεῦδος ἅπαν.               ESORTAZIONE ALLA FILOSOFIA 355               sensazione> perché l’anima con essa è capace di conoscere, ma noi     prima abbiamo detto che fra due cose è sempre preferibile di più     quella che possiede di pit la stessa proprietà <per cui è preferibile>,     allora tra le facoltà sensoriali la vista è necessariamente la più deside-     rabile e la più preziosa, ma più di essa e di tutte le altre facoltà e della     stessa vita è desiderabile la prudenza, che è quella che domina di più     la verità. Coloro che amano il vivere, infatti, amano il pensare e il     conoscere; per nient'altro, infatti, essi lo apprezzano se non per la sen-     sibilità e soprattutto [45] per la vista, perché sembra che essi amino     quest'ultima facoltà in misura eccellente, perché è semplicemente     come una scienza nei confronti degli altri sensi.          8. Ma è ancora meglio richiamare alla mente la materia presente     partendo dalle nozioni comuni, che sono a tutti evidenti. Ebbene, è     assolutamente chiaro che nessuno preferirebbe vivere possedendo la     massima ricchezza e il massimo potere, se tuttavia gli mancasse la     facoltà di pensare e fosse matto, neppure se egli potesse vivere goden-     do dei piaceri più intensi, come fanno alcuni dissennati. Dunque tutti,     come sembra, rifuggono dalla imprudenza. Ma la prudenza è il con-     trario dell’imprudenza, e allora i due contrari sono l’uno da fuggire,     l'altro da desiderare. Dunque, cosî come dobbiamo rifuggire dalla     malattia, allo stesso modo dobbiamo desiderare la salute. Dunque,     come sembra, anche la prudenza, secondo questo ragionamento,     [76dP] appare la cosa più desiderabile fra tutte non certo per qual-     cosa che possa accadere al di fuori di essa,7 come attestano le comu-     ni nozioni. Se infatti si possedesse ogni cosa, ma si fosse distrutti o     malati nella facoltà pensante, la vita non sarebbe <più> desiderabile,     perché neppure alcun altro bene sarebbe vantaggioso. Sicché tutti,     nella misura in cui percepiscono la prudenza e la possono assaporare,     ritengono che tutto il resto è nulla, e per tale ragione nessuno di noi     tollererebbe di trascorrere tutta la sua vita in stato di ebbrezza o di     fanciullezza. È per questo, appunto, che il dormire [46] è piacevole     ma non desiderabile, per quanto supponessimo che nel dormiente     siano presenti tutti i piaceri, e la ragione è che le <nostre> rappresen-     tazioni sono false quando dormiamo, vere quando siamo svegli. Il     dormire e l’essere svegli non differisce per nient'altro se non per il     fatto che l’anima nella veglia afferra spesso la verità, mentre nel sonno     afferra sempre il falso: i sogni, infatti, non sono che immagini e false     rappresentazioni.              356 GIAMBLICO               Καὶ τὸ φεύγειν δὲ τὸν θάνατον τοὺς πολλοὺς δείκνυσι τὴν φιλομά-     θειαν τῆς ψυχῆς. φεύγει γὰρ ἃ [10] μὴ γιγνώσκει, τὸ σκοτῶδες καὶ     τὸ μὴ δῆλον, φύσει δὲ διώκει τὸ φανερὸν καὶ τὸ γνωστόν. διὸ καὶ     μάλιστα τοὺς αἰτίους ἡμῖν τοῦ τὸν ἥλιον ἰδεῖν καὶ τὸ φῶς, αὐτούς     φαμεν δεῖν τιμᾶν ὑπερβαλλόντως καὶ σέβεσθαι πατέρα καὶ μητέρα     ὡς μεγίστων ἀγαθῶν αἰτίους αἴτιοι δέ εἰσιν, ὡς ἔοικε, τοῦ     φρονῆσαί τι καὶ ἰδεῖν. διὰ τὸ αὐτὸ δὲ τοῦτο καὶ χαίρομεν τοῖς συν-     ήθεσι καὶ πράγμασι καὶ ἀνθρώποις, καὶ φίλους τούτους καλοῦμεν     τοὺς γνωρίμους. δηλοῖ οὖν ταῦτα σαφῶς ὅτι τὸ γνωστὸν καὶ «τὸ»20     φανερὸν καὶ τὸ δῆλον ἀγαπητόν [20] ἐστιν᾽ εἰ δὲ τὸ γνωστὸν καὶ τὸ     σαφές, δῆλον ὅτι καὶ τὸ γιγνώσκειν ἀναγκαῖον καὶ τὸ φρονεῖν     ὁμοίως.         Πρὸς δὴ τούτοις, ὥσπερ ἐπὶ τῆς οὐσίας οὐχ ἡ αὐτὴ κτῆσις ἕνεκα τοῦ     ζῆν καὶ τοῦ ζῆν εὐδαιμόνως τοῖς ἀνθρώποις, οὕτως καὶ ἐπὶ φρον-     ήσεως οὐ τῆς αὐτῆς οἶμαι δεόμεθα πρός τε τὸ ζῆν μόνον καὶ πρὸς τὸ     ζῆν καλῶς. τοῖς μὲν οὖν πολλοῖς πολλὴ συγγνώμη τοῦτο πράττειν     (εὔχονται μὲν γὰρ εὐδαιμονεῖν, ἀγαπῶσι δὲ κἂν μόνον δύνωνται     ζῆν), ὅστις δὲ οἴεται μὴ [47] πάντα τρόπον ὑπομένειν αὐτὸ δεῖν,     καταγέλαστον ἤδη τὸ μὴ πάντα πόνον ὑπομένειν καὶ πᾶσαν σπουδὴν     σπουδάζειν ὅπως κτήσηται ταύτην τὴν φρόνησιν ἥτις γνώσεται τὴν     ἀλήθειαν.         Γνοίῃ δ᾽ ἄν τις τὸ αὐτὸ καὶ ἀπὸ τούτων, εἰ θεωρήσειεν ὑπ᾽ αὐγὰς τὸν     ἀνθρώπειον βίον. εὑρήσει γὰρ τὰ δοκοῦντα εἶναι μεγάλα τοῖς     ἀνθρώποις πάντα ὄντα σκιαγραφίαν. ὅθεν καὶ λέγεται καλῶς τὸ     μηδὲν εἶναι τὸν ἄνθρωπον καὶ τὸ μηδὲν εἶναι βέβαιον τῶν [10]     ἀνθρωπίνων. ἰσχύς τε γὰρ καὶ μέγεθος καὶ κάλλος γέλως ἐστὶ καὶ     οὐδενὸς ἄξια, κάλλος τε παρὰ τὸ μηδὲν ὁρᾶν ἀκριβὲς δοκεῖ εἶναι     τοιοῦτον. εἰ γάρ τις ἐδύνατο βλέπειν ὀξὺ καθάπερ τὸν Λυγκέα     φασίν, ὃς διὰ τῶν τοίχων ἑώρα καὶ τῶν δένδρων, πότ᾽ ἂν ἔδοξεν     εἶναί τινα τὴν ὄψιν ἀνεκτόν, ὁρῶν ἐξ οἵων συνέστηκε κακῶν; τιμαὶ     δὲ καὶ δόξαι τὰ ζηλούμενα μᾶλλον τῶν λοιπῶν ἀδιηγήτου γέμει     φλυαρίας" τῷ γὰρ καθορῶντι τῶν ἀιδίων τι ἠλίθιον περὶ ταῦτα σπου-               20 τὸ integrò Pistelli post Rose.               ESORTAZIONE ALLA FILOSOFIA 357               Anche il fatto che tutti fuggano la morte è indizio dell'amore per     il sapere da parte dell’anima, perché questa fugge le cose che non     conosce, cioè il tenebroso e l’oscuro, mentre per natura persegue ciò     che è chiaro e conoscibile. Perciò coloro che per noi sono soprattut-     to causa del fatto che vediamo il sole e la luce, e cioè il padre e la     madre, noi diciamo che devono essere onorati e venerati sopra ogni     cosa, in quanto sono all’origine dei nostri beni più grandi; dobbiamo     loro, infatti, come sembra, il pensare e il vedere. Per questa stessa     ragione noi godiamo delle cose e degli uomini che ci sono familiari, e     chiamiamo amici questi familiari. Tutto questo mostra chiaramente     che ciò che è conoscibile e visibile ed evidente è degno di essere     amato; ma se lo è ciò che è conoscibile e chiaro, evidentemente lo     saranno necessariamente e allo stesso modo il conoscere e il pensare.          [77dP] Oltre a ciò, cosî come, a proposito della ricchezza, il suo     possesso non è per gli uomini lo stesso quello in vista della vita e quel-     lo in vista della felicità, allo stesso modo anche a proposito della pru-     denza, noi non ne abbiamo lo stesso bisogno — io credo — per vivere     soltanto e per vivere bene. Ebbene, per la maggior parte degli uomi-     ni si può provare molta indulgenza se agisce così (perché da un lato     essi pregano di essere felici, dall’altro lato si contentano anche se sono     in grado solo di vivere), ma chiunque ritenga di non [47] dovere tol-     lerare di vivere ad ogni costo, sarebbe ridicolo che non tollerasse ad     ogni costo anche di esercitare ogni sforzo per acquistare quella pru-     denza che farà contemplare la verità.          Si potrebbe acquisire lo stesso risultato e partendo da queste con-     siderazioni, se si contemplasse in piena luce la vita umana, perché si     scoprirebbe che tutto ciò che agli uomini appare essere grande non è     altro che illusione. Di qui si dice giustamente anche che l’uomo è     nulla e che non c’è niente di sicuro tra le cose umane, perché forza e     grandezza e bellezza sono cose ridicole e prive di nessun valore, e la     bellezza sembra essere tale solo perché non vediamo nulla con preci-     sione. Se infatti qualcuno potesse vedere tanto acutamente quanto si     racconta vedesse Linceo, il quale era capace di vedere attraverso i     muri e gli alberi, non sembrerebbe allora intollerabile a vedersi un     uomo nell’osservare di quali brutture esso è costituito? Onori e repu-     tazioni, che sono più di ogni altra cosa oggetto di invidia, abbondano     di indescrivibile futilità, perché a chi osserva le cose eterne sembra               358 GIAMBLICO               δάζειν. τί δ᾽ ἐστὶ μακρὸν ἢ τί πολυχρόνιον τῶν ἀνθρωπίνων; ἀλλὰ     διὰ [20] τὴν ἡμετέραν ἀσθένειαν, οἶμαι, καὶ βίου βραχύτητα καὶ     τοῦτο φαίνεται πολύ. τίς ἂν οὖν εἰς ταῦτα βλέπων οἴοιτο εὐδαίμων     εἶναι καὶ μακάριος, οἱ πρῶτον εὐθὺς φύσει συνέσταμεν, καθάπερ     φασὶν οἱ τὰς τελετὰς λέγοντες, ὥσπερ ἂν ἐπὶ τιμωρίᾳ πάντες; τοῦτο     γὰρ θείως οἱ ἀρχαιότεροι λέγουσι τὸ φάναι διδόναι τὴν [48] ψυχὴν     τιμωρίαν καὶ ζῆν ἡμᾶς ἐπὶ κολάσει μεγάλων τινῶν ἁμαρτημάτων.     πάνυ γὰρ ἡ σύζευξις τοιούτῳ τινὶ ἔοικε πρὸς τὸ σῶμα τῆς ψυχῆς.     ὥσπερ γὰρ τοὺς ἐν τῇ Τυρρηνίᾳ φασὶ βασανίζειν πολλάκις τοὺς     ἁλισκομένους προσδεσμεύοντας κατ᾽ ἀντικρὺ τοῖς ζῶσι νεκροὺς     ἀντιπροσώπους ἕκαστον πρὸς ἕκαστον μέρος προσαρμόττοντας,     οὕτως ἔοικεν ἡ ψυχὴ διατετάσθαι καὶ προσκεκολλῆσθαι πᾶσι τοῖς     αἰσθητικοῖς τοῦ σώματος μέλεσιν. οὐδὲν οὖν θεῖον ἢ μακάριον     ὑπάρχει [10] τοῖς ἀνθρώποις, πλὴν ἐκεῖνό γε μόνον ἄξιον σπουδῆς,     ὅσον ἐστὶν ἐν ἡμῖν νοῦ καὶ φρονήσεως" τοῦτο γὰρ μόνον ἔοικεν     εἶναι τῶν ἡμετέρων ἀθάνατον καὶ μόνον θεῖον. καὶ παρὰ τὸ τῆς     τοιαύτης δυνάμεως δύνασθαι κοινωνεῖν, καίπερ ὧν ὁ βίος ἄθλιος     φύσει καὶ χαλεπός, ὅμως οὕτως ὠφκονόμηται χαριέντως, ὥστε δοκεῖν     πρὸς τὰ ἄλλα θεὸν εἶναι τὸν ἄνθρωπον. «ὁ νοῦς γὰρ ἡμῶν ὁ θεός»,     εἴτε Ἑρμότιμος εἴτε ᾿Αναξαγόρας εἶπε τοῦτο, καὶ ὅτι «ὁ θνητὸς     αἰὼν μέρος ἔχει θεοῦ τινοσ». ἢ φιλοσοφητέον οὖν ἢ χαίρειν     εἰποῦσι τῷ ζῆν ἀπιτέον [20] ἐντεῦθεν, ὡς τὰ ἄλλα γε πάντα φλυαρί-     α τις ἔοικεν εἶναι πολλὴ καὶ λῆρος.          Οὕτως ἄν τις τὰς ἀπὸ τῶν «κοινῶν» ἐννοιῶν ἐφόδους συγκεφαλαιώ-     cato δεόντως εἰς προτροπὴν τοῦ δεῖν φιλοσοφεῖν θεωρητικῶς καὶ     ζῆν ὅτι μάλιστα τὸν κατ᾽ ἐπιστήμην καὶ τὸν τοῦ νοῦ βίον.          IX. [49] Ἄνωθεν δὲ ἀρχόμενοι ἀπὸ τοῦ τῆς φύσεως βουλήματος     ἐπὶ τὴν αὐτὴν προτροπὴν προχωροῦμεν οὑτωσί. τῶν γινομένων τὰ     μὲν ἀπό τινος διανοίας καὶ τέχνης γίνεται, οἷον οἰκία καὶ πλοῖον     (ἀμφοτέρων γὰρ τούτων αἰτία τέχνη τίς ἐστι καὶ διάνοια), τὰ δὲ διὰ     τέχνης μὲν οὐδεμιᾶς, ἀλλὰ διὰ φύσιν ζῴων γὰρ καὶ φυτῶν αἰτία     φύσις, καὶ κατὰ φύσιν γίνεται πάντα τὰ τοιαῦτα. ἀλλὰ μὴν καὶ διὰ               ESORTAZIONE ALLA FILOSOFIA 359               stolto occuparsi di quelle futilità. Ma che cosa c’è di lungo e duratu-     ro nelle cose umane? È piuttosto a causa della nostra debolezza, io     credo, e della brevità della nostra vita che anche questo appare molto.     Chi dunque, osservando tali cose, potrà credere di essere felice e     beato, se [78dP] anzitutto siamo stati costituiti fin dall’origine, come     dicono coloro che celebrano i misteri, come se dovessimo essere tutti     puniti? Questo infatti dicono per ispirazione divina gli antichi quan-     do affermano [48] che la <nostra> anima sconta la sua pena e che noi     viviamo per scontare alcuni grandi peccati, giacché l’aggiogamento     dell'anima al corpo sembra essere perfettamente qualcosa del genere.     Come infatti si dice che i Tirreni spesso torturano i prigionieri legan-     doli vivi in faccia a dei cadaveri, cioè ciascuno con la faccia contro la     faccia e con le membra in corrispondenza alle membra, allo stesso     modo sembra che l’anima sia stata disposta e collegata con tutte le     parti sensoriali del corpo. Nulla di divino o di beato, dunque, appar-     tiene agli uomini tranne quella sola parte che è degna di cura, cioè     quella che si riferisce all’intelletto e al pensiero, perché questa parte     sembra essere in noi la sola immortale e la sola divina. E per il fatto     che noi possiamo partecipare di tale facoltà, sebbene la nostra vita sia     per natura misera e piena di difficoltà, tuttavia essa è regolata in     maniera cosî gradevole che l’uomo crede di essere un dio a confron-     to degli altri esseri viventi. “L'intelletto, infatti, è il nostro dio” — sia     che dica questo Ermotimo o Anassagora —, e ancora “La vita umana,     sebbene mortale, partecipa di qualche dio”. Bisogna dunque o filoso-     fare oppure, dando addio [79dP] alla vita, partire da quaggià, come     se tutto il resto sembrasse essere una grande e futile sciocchezza.          Ecco come si possono ricapitolare nel modo più conveniente i     percorsi che, partendo dalle comuni nozioni, esortano al dovere di     filosofare teoreticamente e di vivere il più possibile la vita secondo     scienza e intelligenza.          [49] 9. Cominciando dall’alto, cioè dall’intenzione della natura,     noi procediamo alla stessa esortazione nel modo seguente. Delle cose     che nascono, alcune nascono da una certa ragione e tecnica, ad esem-     pio una casa o una nave (perché ambedue hanno come causa una     certa tecnica e ragione), altre invece non nascono ad opera di alcuna     tecnica, ma per natura: causa degli animali e delle piante, infatti, è la     natura, e tali enti si generano tutti secondo natura. Ma in verità alcu-               360 GIAMBLICO               τύχην ἔνια γίνεται τῶν πραγμάτων᾽ ὅσα γὰρ μήτε διὰ τέχνην μήτε     διὰ φύσιν [10] μήτ᾽ ἐξ ἀνάγκης γίγνεται, τὰ πολλὰ τούτων διὰ τύχην     γίνεσθαί φαμεν. τῶν μὲν οὖν ἀπὸ τύχης γιγνομένων οὐδὲν ἕνεκά του     γίγνεται, οὐδ᾽ ἔστι τι τέλος αὐτοῖς᾽ τοῖς δὲ ἀπὸ τέχνης γιγνομένοις     ἔνεστι καὶ τὸ τέλος καὶ τὸ οὗ ἕνεκα (ἀεὶ γὰρ ὁ τὴν τέχνην ἔχων     ἀποδώσει σοι λόγον δι᾽ ὃν ἔγραψε καὶ οὗ ἕνεκα), καὶ τοῦτο [ὅτι]     βέλτιόν ἐστιν ἢ τὸ διὰ τοῦτο γιγνόμενον. λέγω δ᾽ ὅσων καθ᾽ αὑτὴν ἡ     τέχνη πέφυκεν αἰτία καὶ μὴ κατὰ συμβεβηκός: ὑγείας μὲν γὰρ ἰα-     τρικὴν μᾶλλον ἢ νόσου κυρίως ἂν θείημεν, οἰκοδομικὴν δὲ οἰκίας,     [20] ἀλλ᾽ οὐ τοῦ καταβάλλειν. πᾶν ἄρα ἕνεκά του γίγνεται τὸ κατὰ     τέχνην, καὶ τοῦτο τέλος αὐτῆς τὸ βέλτιστον, τὸ μέντοι διὰ τύχην οὐ     γίνεται ἕνεκά του: συμβαίη μὲν γὰρ ἂν καὶ ἀπὸ τύχης τι ἀγαθόν, οὐ     μὴν ἀλλὰ κατά γε τὴν τύχην καὶ καθόσον ἀπὸ τύχης οὐκ ἀγαθόν, ἀό-     ριστον δ᾽ ἀεὶ τὸ γιγνόμενόν ἐστι κατ᾽ αὐτήν. ἀλλὰ μὴν τό γε κατὰ     φύσιν ἕνεκά του γίγνεται, καὶ βελτίονος ἕνεκεν ἀεὶ συνίσταται ἢ     καθάπερ τὸ διὰ τέχνης᾽ μιμεῖται γὰρ οὐ τὴν τέχνην ἡ φύσις ἀλλὰ     [50] αὐτὴ τὴν φύσιν, καὶ ἔστιν ἐπὶ τῷ βοηθεῖν καὶ τὰ παραλειπόμε-     va τῆς φύσεως ἀναπληροῦν. τὰ μὲν γὰρ ἔοικεν αὐτὴ δύνασθαι δι᾽     αὑτῆς ἡ φύσις ἐπιτελεῖν καὶ βοηθείας οὐδὲν δεῖσθαι, τὰ δὲ μόλις     καὶ παντελῶς ἀδυνατεῖν, οἷον αὐτίκα καὶ περὶ τὰς γενέσεις" ἔνια     μὲν δήπου τῶν σπερμάτων εἰς ὁποίαν «ἂν» ἐμπέσῃ γῆν ἄνευ φυλακῆς     γεννῶσιν, ἔνια δὲ προσδεῖται τῆς γεωργικῆς τέχνης᾽ παραπλησίως     δὲ καὶ τῶν ζῴων τὰ μὲν δι᾽ αὑτῶν ἅπασαν ἀπολαμβάνει τὴν φύσιν,     ἄν[Π0]θρῶπος δὲ πολλῶν δεῖται τεχνῶν πρὸς σωτηρίαν κατά τε τὴν     πρώτην γένεσιν καὶ πάλιν κατὰ τὴν ὑστέραν τροφήν. εἰ τοίνυν ἡ     τέχνη μιμεῖται τὴν φύσιν, ἀπὸ ταύτης ἠκολούθηκε καὶ ταῖς τέχναις     τὸ τὴν γένεσιν ἅπασαν ἕνεκά του γίγνεσθαι. τὸ γὰρ ὀρθῶς γιγνόμε-     νον ἅπαν ἕνεκά του γίγνεσθαι θείημεν ἄν. οὐκοῦν τό γε καλῶς,     ὀρθῶς; καὶ τὸ μὲν γιγνόμενον γίγνεται, γέγονε δὲ τὸ γεγονὸς τό γε     μὴν κατὰ φύσιν ἅπαν καλῶς, εἴπερ τὸ παρὰ φύσιν φαῦλον καὶ τῷ     κατὰ φύσιν *** γένεσις ἕνεκά του γίγνεται. καὶ τοῦτο ἴδοι [20] τις     ἂν καὶ ἀφ᾽ ἑκάστου τῶν ἐν ἡμῖν μερῶν᾽ οἷον εἰ κατανοοῖς τὸ βλέφα-     ρον, ἴδοις ἂν ὡς οὐ μάτην ἀλλὰ βοηθείας χάριν τῶν ὀμμάτων γέγο-               ESORTAZIONE ALLA FILOSOFIA 361               ne cose si generano per fortuna, perché quelle che non si generano né     per tecnica né per natura né per necessità, noi diciamo che la maggior     parte di queste si generano per fortuna. Delle cose, dunque, che sono     generate dalla fortuna, nessuna si genera in vista di qualcosa, né esi-     ste di esse alcun fine; di quelle che sono generate dalla tecnica esiste     invece un fine ovvero qualcosa in vista di cui sono generate (perché     sempre chi opera tecnicamente ti fornirà la ragione per cui <ad esem-     pio> ha scritto qualcosa e in vista di cui lo ha fatto), e questa ragione     è qualcosa di meglio della stessa cosa che si genera. Sto parlando delle     cose la cui causa è naturalmente la tecnica per se stessa e non per acci-     dente, perché noi porremo propriamente la medicina come causa     della salute più che della malattia, e l'architettura come causa della     costruzione di una casa, più che della sua demolizione. Dunque tutto     ciò che è fatto per tecnica si genera in vista di qualcosa, e questo fine     è qualcosa di meglio che la stessa tecnica, [80dP] mentre ciò che     nasce per fortuna non nasce in vista di qualcosa, perché è vero si che     dalla fortuna potrebbe nascere un bene, ma in quanto appunto nasce     secondo fortuna e in quanto lo genera la fortuna, non è un bene,     essendo sempre qualcosa di indeterminato ciò che si genera secondo     fortuna. Al contrario ciò che si genera secondo natura si genera in     vista di un fine, e si costituisce in vista di qualcosa di meglio che non     quello che si genera per tecnica, giacché non è la natura che imita la     tecnica, [50] bensi questa la natura, e la tecnica esiste per aiutare e     supplire alle omissioni della natura. Alcune cose, infatti, sembra che     la natura le possa realizzare da se stessa senza avere bisogno di alcun     aiuto, mentre altre riesce a farle a stento o non ci riesce affatto, come     ad esempio accade per le germinazioni: alcune sementi germogliano     senza una protezione qualunque sia la qualità del terreno in cui sono     state seminate, altre invece hanno bisogno della tecnica dell’agricoltu-     ra; la stessa cosa vale più o meno anche per gli esseri viventi, perché     alcuni traggono da se stessi tutta loro natura, l’uomo invece ha biso-     gno di molte tecniche per sopravvivere, prima al momento della     nascita e poi quando deve nutrirsi. Se dunque è la tecnica che imita la     natura, è da quest’ultima che discende per le tecniche anche il fatto     che ogni loro produzione avviene in vista di qualcosa, giacché tutto     ciò che si genera correttamente —? si potrebbe stabilire —, si genera in     vista di qualcosa. Orbene, ciò che si genera bene, si genera corretta-               362 GIAMBLICO               VEV, ὅπως ἀνάπαυσίν τε παρέχῃ. καὶ κωλύῃ τὰ προσπίπτοντα πρὸς     τὴν ὄψιν. οὐκοῦν ταὐτόν ἐστιν οὗ τε ἕνεκα γέγονέ τι καὶ οὗ ἕνεκα     δεῖ γεγονέναι᾽ οἷον εἰ πλοῖον ἕνεκα τῆς κατὰ θάλατταν κομιδῆς     ἔδει γίγνεσθαι, διὰ τοῦτο καὶ γέγονε. καὶ μὴν τά γε ζῷα τῶν φύσει     «te καὶ κατὰ φύσιν» [51] γεγενημένων ἐστὶν ἤτοι πάντα τοπαράπαν     ἢ τὰ βέλτιστα καὶ τιμιώτατα" διαφέρει γὰρ οὐδὲν εἴ τις αὐτῶν τὰ     πολλὰ παρὰ φύσιν οἴεται γεγενῆσθαι διά τινα φθορὰν καὶ μοχθηρί-     αν. τιμιώτατον δέ γε τῶν ἐνταῦθα ζῴων ἄνθρωπός ἐστιν, ὥστε δῆλον     ὅτι φύσει τε καὶ κατὰ φύσιν γέγονε. καὶ τοῦτό ἐστι τῶν ὄντων οὗ     χάριν ἡ φύσις ἡμᾶς ἐγέννησε καὶ ὁ θεός. τί δὴ τοῦτό ἐστι     Πυθαγόρας ἐρωτώμενος, «τὸ θεάσασθαι» εἶπε «τὸν οὐρανόν», καὶ     ἑαυτὸν δὲ θεωρὸν ἔφασκεν εἶναι τῆς [10] φύσεως καὶ τούτου ἕνεκα     παρεληλυθέναι εἰς τὸν βίον. καὶ ᾿Αναξαγόραν δέ φασιν εἰπεῖν     ἐρωτηθέντα τίνος ἂν ἕνεκα ἕλοιτο γενέσθαι τις καὶ ζῆν, ἀποκρίνα-     σθαι πρὸς τὴν ἐρώτησιν’ ὡς «τοῦ θεάσασθαι [τὰ περὶ] τὸν οὐρανὸν     καὶ «τὰ» περὶ αὐτὸν ἄστρα τε καὶ σελήνην καὶ ἥλιον», ὡς τῶν ἄλλων     γε πάντων οὐδενὸς ἀξίων ὄντων. εἰ τοίνυν παντὸς ἀεὶ τὸ τέλος ἐστὶ     βέλτιον (ἕνεκα γὰρ τοῦ τέλους πάντα γίγνεται! τὰ γιγνόμενα, τὸ δ᾽     οὗ ἕνεκα βέλτιον καὶ βέλτιστον πάντων), τέλος δὲ κατὰ φύσιν τοῦτό     ἐστιν ὃ κατὰ τὴν γένεσιν πέφυκεν ὕστατον [20] ἐπιτελεῖσθαι περαι-     νομένης τῆς γενέσεως συνεχῶς: οὐκοῦν πρῶτον μὲν τὰ κατὰ τὸ σῶμα     τῶν ἀνθρώπων λαμβάνει τέλος, ὕστερον δὲ τὰ κατὰ τὴν ψυχὴν, καί     πὼς ἀεὶ τὸ τοῦ βελτίονος τέλος ὑστερίζει τῆς γενέσεως. οὐκοῦν     ψυχὴ σώματος ὕστερον, καὶ τῶν τῆς ψυχῆς τελευταῖον ἡ φρόνησις;     τοῦτο γὰρ ὕστατον ὁρῶμεν [52] γιγνόμενον φύσει τοῖς ἀνθρώποις,     διὸ καὶ τὸ γῆρας ἀντιποιεῖται τούτου μόνου τῶν ἀγαθῶν᾽ φρόνησις     ἄρα τις κατὰ φύσιν ἡμῖν ἐστι τὸ τέλος καὶ τὸ φρονεῖν. ἔσχατον οὐ     χάριν γεγόναμεν. οὐκοῦν εἰ γεγόναμεν, δῆλον ὅτι καὶ ἐσμὲν ἕνεκα     τοῦ φρονῆσαί τι καὶ μαθεῖν. καλῶς ἄρα κατά γε τοῦτον τὸν λόγον               21 γίγνεται: γίγεται erron. des Places.               ESORTAZIONE ALLA FILOSOFIA 363               mente; ma ciò che si genera o si è generato secondo natura, si è gene-     rato bene, se è vero che ciò che si genera contro natura non si genera     bene, e <d’altra parte> la generazione secondo natura avviene in vista     di qualcosa. Ed è ciò che si può vedere anche da come si costituisce     ciascuna delle nostre parti: se tu osservi, ad esempio, la palpebra, vedi     che non si è costituita invano, ma per aiutare gli occhi, [81dP] sia per     farli riposare sia per fare da ostacolo a ciò che li potrebbe colpire. È     identico, dunque, ciò in vista di cui una cosa è nata e ciò per cui dove-     va nascere: se ad esempio una nave deve essere costruita in vista del     trasporto via mare, questo è ciò in vista di cui è stata costruita. E gli     esseri viventi, appunto, sono tra le cose che si generano per natura e     secondo natura [51] o quasi tutti o i migliori e più pregevoli, perché     non fa differenza se si pensi che molti di essi siano nati contro natura     a causa di qualche corruzione o malformazione. L'essere vivente più     pregevole di quaggiù è certamente l’uomo, sicché è evidente che esso     sia nato sia per natura sia secondo natura. Qual è dunque quella real-     tà per la quale la natura e dio ci hanno generati? Pitagora dà questa     risposta: “Per contemplare il cielo” — egli dice —, e diceva che egli stes-     so era un contemplatore della natura e che era venuto alla vita in vista     di ciò. Anche Anassagora, si dice, interrogato da qualcuno sul perché     si scelga di nascere e di vivere, rispose alla domanda: “Per contempla-     re il cielo e gli astri che vi si trovano, e la luna e il sole”, come se tutte     le altre realtà non avessero alcun valore. Se dunque il fine di ogni cosa     è migliore <della cosa stessa> (perché tutto ciò che si genera, si gene-     ra in vista di tale fine, e d’altra parte ciò in vista di cui si genera è     meglio e anzi il meglio di tutto), e se d’altra parte fine secondo natu-     ra è in ultima istanza il realizzarsi naturalmente secondo la generazio-     ne, quando questa [82dP] procede con continuità, allora sono anzi-     tutto le potenze corporee degli uomini che attingono il loro fine, e in     seguito quelle dell’anima, e in qualche modo il fine del meglio viene     sempre dopo la generazione. Dunque l’anima viene dopo il corpo, e     la facoltà finale dell'anima è la prudenza, perché questa per natura noi     la vediamo nascere per ultima [52] negli uomini, ed è anche questa la     ragione per cui la vecchiaia pretende la prudenza come suo unico     bene; dunque è una prudenza il nostro fine secondo natura e il pen-     sare è in ultima istanza ciò in vista di cui siamo nati. Dunque se siamo     nati, è chiaro che noi esistiamo in vista del pensare e apprendere qual-               364 GIAMBLICO               Πυθαγόρας εἴρηκεν ὡς ἐπὶ τὸ γνῶναί τε καὶ θεωρῆσαι πᾶς     ἄνθρωπος ὑπὸ τοῦ θεοῦ συνέστηκεν. ἀλλὰ τοῦτο τὸ γνωστὸν πότε-     ρον ὁ κόσμος ἐστὶν ἤ τις ἑτέρα φύσις, [10] σκεπτέον ἴσως ὕστερον,     νῦν δὲ τοσοῦτον ἱκανὸν τὴν πρώτην ἡμῖν. εἰ γάρ ἐστι κατὰ φύσιν     τέλος ἡ φρόνησις, ἄριστον ἂν εἴη πάντων τὸ φρονεῖν. ὥστε τὰ μὲν     ἄλλα δεῖ πράττειν ἕνεκα τῶν ἐν αὐτῷ γιγνομένων ἀγαθῶν, τούτων δὲ     αὐτῶν τὰ μὲν ἐν τῷ σώματι τῶν ἐν «τῇ» ψυχῇ, τὴν δὲ ἀρετὴν τῆς φρον-     σεως τοῦτο γάρ ἐστιν ἀκρότατον. τὸ δὲ ζητεῖν ἀπὸ πάσης     ἐπιστήμης ἕτερόν τι γενέσθαι καὶ δεῖν χρησίμην αὐτὴν εἶναι, παν-     τάπασιν ἀγνοοῦντός τινός ἐστιν ὅσον διέστηκεν ἐξ ἀρχῆς τὰ ἀγαθὰ     καὶ τὰ ἀναγκαῖα: διαφέρει γὰρ [20] πλεῖστον. τὰ μὲν γὰρ δι᾽ ἕτερον     ἀγαπώμενα τῶν πραγμάτων, ὧν ἄνευ ζῆν ἀδύνατον, ἀναγκαῖα καὶ     συναίτια λεκτέον, ὅσα δὲ δι᾽ αὑτά, κἂν ἀποβαίνῃ μηδὲν ἕτερον,     ἀγαθὰ κυρίως οὐ γὰρ δὴ τόδε μὲν αἱρετὸν διὰ τόδε, τόδε δὲ δι᾽     ἄλλο, τοῦτο δὲ εἰς ἄπειρον οἴχεται προῖΐόν, ἀλλ᾽ ἵσταταί που.     γελοῖον οὖν ἤδη παντελῶς τὸ ζητεῖν ἀπὸ παντὸς ὠφέλειαν ἑτέραν     παρ᾽ αὐτὸ τὸ πρᾶγμα, καὶ «τί οὖν ἡμῖν ὄφελος;» καὶ «τί χρήσιμον;»     ἐρωτᾶν. ὡς ἀληθῶς γάρ, ὅπερ λέγομεν, [53] οὐδὲν ἔοικεν ὁ τοιοῦτος     εἰδότι καλὸν κἀγαθὸν οὐδὲ τί αἴτιον τῷ διαγιγνώσκοντι καὶ cvvai-     τιον. ἴδοι δ᾽ ἄν τις ὅτι παντὸς μᾶλλον ἀληθῆ ταῦτα λέγομεν, εἴ τις     ἡμᾶς οἷον εἰς μακάρων νήσους τῇ διανοίᾳ κομίσειεν. ἐκεῖ γὰρ οὐ-     δενὸς χρεία οὐδὲ τῶν ἄλλων τινὸς ὄφελος ἂν γένοιτο, μόνον δὲ     καταλείπεται τὸ διανοεῖσθαι καὶ θεωρεῖν, ὅνπερ καὶ νῦν ἐλεύθε-     ρόν φαμεν βίον εἶναι. εἰ δὲ ταῦτ᾽ ἐστὶν ἀληθῆ, πῶς οὐκ ἂν αἰσχύνοι-     to δικαίως ὅστις ἡμῶν ἐξουσίας γενομένης ἐν μακάρων [10]     οἰκῆσαι νήσοις ἀδύνατος εἴη δι᾽ ἑαυτόν; οὐκοῦν οὐ μεμπτὸς ὁ     μισθός ἐστι τῆς ἐπιστήμης τοῖς ἀνθρώποις, οὐδὲ μικρὸν τὸ γιγνόμε-     νον ἀπ᾽ αὐτῆς ἀγαθόν. ὥσπερ γὰρ τῆς δικαιοσύνης, ὥς φασιν οἱ     σοφοὶ τῶν ποιητῶν, ἐν Ἅιδου κομιζόμεθα τὰς δωρεάς, οὕτω τῆς φρον-               ESORTAZIONE ALLA FILOSOFIA 365               cosa. Ha detto bene, dunque, Pitagora, stando a questo ragionamen-     to, che ogni uomo è stato costituito da dio per conoscere e contem-     plare. Ma se ciò che è conoscibile per primo sia il cosmo o qualche     altra natura, forse dovremo indagarlo in seguito, per il momento ci     basti avere raggiunto questa prima conclusione.?5 Se infatti il fine     secondo natura è <per noi> la prudenza, il pensare sarà fra tutte la     nostra facoltà migliore. Ne consegue che dobbiamo operare in tutto     il resto in vista dei beni che ci sono propri, e di tali beni alcuni che     appartengono al corpo sono in vista di quelli che sono nell’anima, e     d’altra parte dobbiamo esercitare la virtù in vista della prudenza, per-     ché questa è il bene sommo. Ma cercare che da ogni scienza nasca     qualcosa di diverso da essa, e pretendere che la scienza sia utile, è pro-     prio di chi ignora del tutto che quanta distanza ci sia fin dall'origine     tra il bene e il necessario (tale distanza è infatti grandissima). Le cose,     infatti, che sono amate per qualcos'altro, cioè le cose senza le quali è     impossibile vivere, devono essere dette necessarie e concause, mentre     le cose che sono amate per se stesse, anche se non se ne ricavi nien-     t'altro, devono essere dette beni in senso proprio, perché una deter-     minata cosa non può essere desiderabile a causa di un’altra determi-     nata cosa, e questa a causa di un’altra ancora, perché procedendo cosi     si andrebbe all'infinito, senza potersi fermare da nessuna parte.     Dunque è assolutamente ridicolo cercare da ogni cosa un’utilità     diversa dalla cosa stessa, e domandarsi “che cosa [83dP] dunque è     utile per noi?”, o “a che cosa serve?”. In verità, infatti, cosa che noi     andiamo dicendo, [53] chi si comportasse cosî non somiglierebbe per     nulla ad uno che sappia ciò che è giusto e bene, neppure ad uno che     riconosca quale sia la causa e quale la concausa. E potrebbe vedere     che più di ogni altra cosa è vero quel che noi diciamo, se qualcuno ci     introducesse nella sua propria ragione come nelle isole dei beati. Li     infatti non si ha bisogno di nulla né alcun’altra cosa può essere utile,     ma rimane soltanto il ragionare e il contemplare, cosa che anche ora     noi diciamo essere una vita libera. Ma se è questa la verità, come     potrebbe non vergognarsi giustamente chi di noi, avendo la possibili-     tà di andare ad abitare nelle isole dei beati, se ne rendesse incapace a     causa di se stesso? Dunque non è da disprezzare la ricompensa che gli     uomini ricevono dalla scienza, né è un piccolo bene quello che nasce     da essa. Cosî come, infatti, nell’Ade, come raccontano i saggi tra i               366 GIAMBLICO               oewg ἐν μακάρων νήσοις, ὡς ἔοικεν. οὐδὲν οὖν δεινόν, ἂν μὴ dai-     νηται χρησίμη οὖσα μηδ᾽ ὠφέλιμος: οὐ γὰρ ὠφέλιμον ἀλλ᾽ ἀγαθὴν     αὐτὴν εἶναί φαμεν, οὐδὲ δι᾽ ἕτερον ἀλλὰ δι᾽ ἑαυτὴν αἱρεῖσθαι     αὐτὴν προσήκει. ὥσπερ γὰρ εἰς Ὀλυμπίαν αὐτῆς ἕνεκα τῆς θέας     ἀπο[20]δημοῦμεν, καὶ εἰ μηδὲν μέλλοι πλεῖον ἀπ᾽ αὐτῆς ἔσεσθαι     (αὐτὴ γὰρ ἡ θεωρία κρείττων πολλῶν ἐστι χρημάτων), καὶ τὰ     Διονύσια δὲ θεωροῦμεν οὐχ ὡς ληψόμενοί τι παρὰ τῶν ὑποκριτῶν     ἀλλὰ καὶ προσθέντες, πολλάς τε ἄλλας θέας ἑλοίμεθα «ἂν» ἀντὶ     πολλῶν χρημάτων: οὕτω καὶ τὴν θεωρίαν τοῦ παντὸς προτιμητέον     πάντων τῶν δοκούντων εἶναι χρησίμων. [54] οὐ γὰρ δήπου ἐπὶ μὲν     ἀνθρώπους μιμουμένους γύναια καὶ δούλους, τοὺς δὲ μαχομένους     καὶ θέοντας, δεῖ πορεύεσθαι μετὰ πολλῆς σπουδῆς ἕνεκα τοῦ θεά-     σασθαι αὐτούς, τὴν δὲ τῶν ὄντων φύσιν καὶ τὴν ἀλήθειαν οὐκ     οἴεσθαι δεῖν θεωρεῖν ἀμισθί. οὕτω μὲν οὖν ἀπὸ τοῦ βουλήματος τῆς     φύσεως ἐπιόντες προετρέψαμεν ἐπὶ τὸ φρονεῖν ὡς ἐπὶ ἀγαθόν τε     ὑπάρχον καὶ δι᾽ αὑτὸ τίμιον, κἂν μηδὲν ἀπ᾿ αὐτοῦ χρήσιμον γί-     γνῆται ὡς πρὸς τὸν ἀνθρώπινον βίον.          Χ. [10] ᾿Αλλὰ μὲν ὅτι γε καὶ ὠφελείας τὰς μεγίστας ἡμῖν πρὸς τὸν     ἀνθρώπινον βίον παρέχεται ἡ θεωρητικὴ φρόνησις, εὑρήσει τις     ῥᾳδίως ἀπὸ τῶν τεχνῶν. ὥσπερ γὰρ τῶν ἰατρῶν ὅσοι κομψοὶ καὶ τῶν     περὶ τὴν γυμναστικὴν οἱ πλεῖστοι σχεδὸν ὁμολογοῦσιν ὅτι δεῖ τοὺς     μέλλοντας ἀγαθοὺς ἰατροὺς ἔσεσθαι καὶ γυμναστὰς περὶ φύσεως     ἐμπείρους εἶναι, οὕτω καὶ τοὺς ἀγαθοὺς νομοθέτας ἐμπείρους εἶναι     δεῖ τῆς φύσεως, καὶ πολύ γε μᾶλλον ἐκείνων. οἱ μὲν γὰρ τῆς τοῦ     σώματος ἀρετῆς εἰσι δημιουργοὶ μόνον, οἱ δὲ περὶ τὰς τῆς [20]     ψυχῆς ἀρετὰς ὄντες καὶ περὶ πόλεως εὐδαιμονίας καὶ xaxodaruo-     νίας διδάξειν προσποιούμενοι πολὺ δὴ μᾶλλον προσδέονται φιλο-     σοφίας. καθάπερ γὰρ ἐν ταῖς ἄλλαις τέχναις ταῖς δημιουργικαῖς     ἀπὸ τῆς φύσεως εὕρηται τὰ βέλτιστα τῶν ὀργάνων, οἷον ἐν τεκτο-     νικῇ στάθμη καὶ κανὼν καὶ τόρνος τὰ μὲν ὕδατι καὶ φωτὶ καὶ ταῖς     αὐγαῖς τῶν ἀκτίνων ληφθέντων, πρὸς ἃ κρίνοντες τὸ κατὰ τὴν     αἴσθησιν ἱκανῶς εὐθὺ καὶ λεῖον Pacavito[S5]uev, ὁμοίως δὲ καὶ     τὸν πολιτικὸν ἔχειν τινὰς ὅρους δεῖ ἀπὸ τῆς φύσεως αὐτῆς καὶ τῆς     ἀληθείας, πρὸς οὖς κρινεῖ τί δίκαιον καὶ τί καλόν καὶ τί συμφέρον.     ὥσπερ γὰρ ἐκεῖ τῶν ὀργάνων ταῦτα διαφέρει πάντων, οὕτω καὶ               22 αὐτῆς: αὐτῆς erron. des Places.               ESORTAZIONE ALLA FILOSOFIA 367               poeti, noi riceviamo i doni della giustizia, allo stesso modo -- come     sembra — nelle isole dei beati riceviamo quelli della prudenza. Niente     di male, dunque, che la prudenza non appaia essere utile né vantag-     giosa, perché noi diciamo che essa non è utile bensi buona, né convie-     ne preferirla per altro se non per se stessa. Come infatti ci rechiamo     ad Olimpia in vista dello spettacolo in sé, anche se da questo non     verrà niente di più (giacché lo spettacolo in sé vale più di molte ric-     chezze), ed assistiamo alle Dionisiache non per ottenere qualcosa     dagli attori, anzi pagando del denaro, e scegliamo molti altri spettaco-     li a costo di molto denaro; cosi anche lo spettacolo dell’universo è più     apprezzabile di tutto ciò che può apparire utile. [54] Non si deve     certo affrontare un viaggio con molta fatica per vedere degli uomini     che imitano donnette e schiavi, o della gente che gareggia, [B4dP] e     non dovere poi ritenere di contemplare gratuitamente la natura degli     enti e la verità. Cosi dunque, muovendo dall’intenzione della natura,     noi esorteremo al pensare come ad un bene che è anche prezioso per     se stesso, sebbene da esso non nasca alcunché di utile per la vita     umana.         10. Ma che la prudenza contemplativa ci fornisca anche delle     grandissime utilità per la vita umana, lo si potrà scoprire facilmente     partendo dalle tecniche. Come infatti i medici più esperti e quasi tutti     gli esperti di ginnastica sono d’accordo sul fatto che per diventare     bravi medici o ginnasti occorra essere esperti della natura, cosî anche     per diventare dei buoni legislatori occorre essere esperti della natura,     e molto più di quelli. Questi infatti sono soltanto demiurghi della     virtà del corpo, i legislatori invece, essendo demiurghi della virti del-     l’anima e pretendendo di dare lezioni sul benessere o il malessere     dello stato, hanno molto pit bisogno della filosofia. Cosî come, infat-     ti, nelle altre arti, cioè in quelle artigianali, è a partire dalla natura che     sono stati scoperti i migliori strumenti, ad esempio nell’architettura il     filo a piombo e il regolo e il compasso, ricavati gli uni dall'acqua e gli     altri dalla luce e dai raggi luminosi, strumenti che permettono, giudi-     cando in rapporto ad essi, di mettere alla prova ciò che alla percezio-     ne appare sufficientemente in linea retta e uniforme, [55] allo stesso     modo anche il politico deve possedere alcune regole desunte dalla     stessa natura e dalla verità, in rapporto alle quali giudichi che cosa sia     giusto e bello e vantaggioso. Come infatti in quelle arti quegli stru-               368 GIAMBLICO               νόμος κάλλιστος ὁ μάλιστα κατὰ φύσιν κείμενος. τοῦτο δ᾽ οὐχ οἷόν     τε μὴ φιλοσοφήσαντα δύνασθαι ποιεῖν μηδὲ γνωρίσαντα τὴν     ἀλήθειαν. καὶ τῶν μὲν ἄλλων τεχνῶν τά τε ὄργανα καὶ τοὺς λογι-     σμοὺς τοὺς ἀκριβεστάτους οὐκ ἀπ᾽ αὐτῶν τῶν πρώτων [10] λαβόντες     σχεδὸν ἴσασιν, ἀλλ᾽ ἀπὸ τῶν δευτέρων καὶ τρίτων καὶ πολλοστῶν,     τούς τε λόγους ἐξ ἐμπειρίας λαμβάνουσι: τῷ δὲ φιλοσόφῳ μόνῳ τῶν     ἄλλων ἀπ᾽ αὐτῶν τῶν ἀκριβῶν ἡ μίμησίς ἐστιν’ αὐτῶν γάρ ἐστι     θεατής, ἀλλ᾽ οὐ μιμημάτων. ὥσπερ οὖν οὐδ᾽ οἰκοδόμος ἀγαθός ἐστιν     οὗτος ὅστις κανόνι μὲν μὴ χρῆται μηδὲ τῶν ἄλλων μηδενὶ τῶν     τοιούτων ὀργάνων, ἑτέροις δὲ οἰκοδομήμασι παραβάλλων, ὁμοίως     ἴσως κἂν εἴ τις ἢ νόμους τίθεται πόλεσιν ἢ πράττει πράξεις ἀπο-     βλέπων καὶ μιμούμενος πρὸς ἑτέρας πράξεις ἢ πολιτείας     ἀν[20Ο]θρωπίνας Λακεδαιμονίων ἢ Κρητῶν ἤ τινων ἄλλων τοιούτων,     οὐκ ἀγαθὸς νομοθέτης οὐδὲ σπουδαῖος" οὐ γὰρ ἐνδέχεται μὴ καλοῦ     μίμημα καλὸν εἶναι, μηδὲ θείου καὶ βεβαίου τὴν φύσιν ἀθάνατον     καὶ βέβαιον, ἀλλὰ μόνον ὅτι μόνου τῶν δημιουργῶν τοῦ φιλοσόφου     καὶ νόμοι βέβαιοι καὶ πράξεις εἰσὶν ὀρθαὶ καὶ καλαί. μόνος γὰρ     πρὸς τὴν φύσιν βλέπων ζῇ καὶ πρὸς τὸ θεῖον, καὶ καθάπερ ἂν εἰ     κυβερνήτης τις ἀγαθὸς ἐξ [56] ἀιδίων καὶ μονίμων ἀναψάμενος τοῦ     βίου τὰς ἀρχὰς ὁρμεῖ καὶ ζῇ καθ᾽ ἑαυτόν. ἔστι μὲν οὖν θεωρητικὴ     Tide ἡ ἐπιστήμη, παρέχει δ᾽ ἡμῖν τὸ δημιουργεῖν κατ᾽ αὐτὴν ἅπαντα.     ὥσπερ γὰρ ἡ ὄψις ποιητικὴ μὲν καὶ δημιουργὸς οὐδενός ἐστι (μόνον     γὰρ αὐτῆς ἔργον ἐστὶ τὸ κρίνειν καὶ δηλοῦν ἕκαστον τῶν ὁρατῶν),     ἡμῖν δὲ παρέχει τὸ πράττειν τι δι᾽ αὐτὴν καὶ βοηθεῖ πρὸς τὰς πρά-     ξεις ἡμῖν τὰ μέγιστα (σχεδὸν γὰρ ἀκίνητοι παντελῶς ἂν εἶμεν στερ-     ηθέντες αὐτῆς), οὕτω δῆλον ὅτι καὶ τῆς ἐπιστήμης [10] θεωρητικῆς     οὔσης μυρία πράττομεν κατ᾽ αὐτὴν ὅμως ἡμεῖς, καὶ τὰ μὲν λαμβάνο-     uev2) τὰ δὲ φεύγομεν τῶν πραγμάτων, καὶ ὅλως πάντα τὰ ἀγαθὰ δι᾽     αὐτὴν κτώμεθα.          ΧΙ. Ὅτι τοίνυν τοῖς ἑλομένοις τὸν κατὰ νοῦν βίον καὶ τὸ ζῆν     ἡδέως μάλιστα ὑπάρχει, δῆλον ἂν γένοιτο ἐντεῦθεν. φαίνεται διττῶς     λέγεσθαι τὸ ζῆν, τὸ μὲν κατὰ δύναμιν τὸ δὲ κατ᾽ ἐνέργειαν ὁρῶντα     γὰρ εἶναί φαμεν ὅσα τε ἔχει τῶν ζῴων ὄψιν καὶ δυνατὰ πέφυκεν               23 λαμβάνομεν: λαυβάνομεν erron. des Places.               ESORTAZIONE ALLA FILOSOFIA 369               menti differivano da tutti gli altri, cosi anche la legge più giusta è     quella che [85dP] più di ogni altra risulti conforme alla natura. Ma è     impossibile che possa fare ciò chi non si metta a filosofare e non cono-     sca la verità. Anche nelle altre arti gli strumenti e i calcoli più precisi     si conoscono desumendoli più o meno non già dalle realtà primarie in     sé, bensi da quelle secondarie e terziarie o ancora più lontane, e assu-     mono <quindi> i loro ragionamenti dall'esperienza; al filosofo, inve-     ce, unico fra tutti ali altri, appartiene la capacità di imitare partendo     dalle realtà precise in sé, giacché egli è capace di contemplare tali real-     tà in sé, ma non le loro immagini. Come dunque non è un buon     costruttore di case chiunque non si serva del regolo né di alcun altro     di tali strumenti, ma prenda a modello le altre costruzioni, cosî forse     anche chi imponesse delle leggi o compisse azioni <politiche> guar-     dando e imitando le azioni degli altri o le costituzioni politiche umane     degli Spartani o dei Cretesi o altre del genere, non saranno un legisla-     tore né buono né serio, giacché non si dà una copia bella di ciò che     bello non è, né si dà una copia immortale e stabile di ciò che non è     per natura né divino né stabile, ma è chiaro che, tra i demiurghi, solo     le leggi del filosofo sono stabili e le azioni <politiche> giuste e belle.     Solo chi guarda alla natura, infatti, vive anche in rapporto col divino,     e come un buon pilota [56] che fa dipendere i principi della sua vita     da principi eterni e fissi intraprende la navigazione <della vita> e vive     per se stesso. È dunque questa scienza contemplativa quella che for-     nisce a noi la capacità di costruire ogni cosa secondo scienza. Cosî     come la vista, infatti, [B6dP] non è né creatrice né artefice di alcun-     ché (perché la sua unica operazione è di discernere e mostrare ciascu-     no degli enti visibili), ma ci fornisce la capacità di operare qualcosa     per mezzo di essa e ci è di grandissimo ausilio nelle nostre azioni (per-     ché saremmo quasi completamente immobili se privati di essa), allo     stesso modo è chiaro che, pur essendo tale scienza contemplativa, noi     possiamo tuttavia compiere per mezzo di essa moltissime operazioni,     sia assumendo alcune cose sia evitandone altre, e insomma possiamo     acquisire per mezzo di essa tutti quanti i beni.          11. Che dunque il vivere sia soprattutto piacevole per coloro che     scelgano la vita secondo intelletto, appare evidente da quanto segue.     Sembra che il vivere si dica in due modi, da un lato secondo la poten-     za e dall’altro lato secondo l’atto: noi diciamo infatti che sono veden-               370 GIAMBLICO               ἰδεῖν, κἂν μύοντα τυγχάνῃ, καὶ τὰ χρώμενα τῇ δυνάμει καὶ προσ-     βάλλοντα τὴν ὄψιν. ὁμοίως δὲ καὶ τὸ ἐπίστασθαι [20] καὶ τὸ     γιγνώσκειν, ἕν μὲν τὸ χρῆσθαι καὶ θεωρεῖν λέγομεν, ἕν δὲ τὸ     κεκτῆσθαι τὴν δύναμιν καὶ τὴν ἐπιστήμην ἔχειν. εἰ τοίνυν τῷ μὲν     αἰσθάνεσθαι τὸ ζῆν διακρίνομεν καὶ τὸ μὴ ζῆν, τὸ δ᾽ αἰσθάνεσθαι     διττόν, κυρίως μὲν TÒ24 χρῆσθαι ταῖς αἰσθήσεσιν ἄλλως δὲ τὸ" δύ-     νασθαι (διόπερ φαμὲν αἰσθάνεσθαι *** καὶ [57] τὸν καθεύδοντα     λέγοντες, ὡς ἔοικε), δῆλον ὅτι καὶ τὸ ζῆν ἀκολουθήσει διττῶς λεγό-     μενον’ τὸν μὲν γὰρ ἐγρηγορότα φατέον ζῆν ἀληθῶς καὶ κυρίως, τὸν     δὲ καθεύδοντα διὰ τὸ δύνασθαι μεταβάλλειν εἰς ταύτην τὴν κί-     νησιν, καθ’ ἣν λέγομεν ἐγρηγορέναι τε καὶ τῶν πραγμάτων αἰσθά-     νεσθαί τινος. διὰ τοῦτο καὶ εἰς τοῦτο βλέποντες, ὅταν οὖν λέγηταί     τι ταὐτὸν ἑκάτερον δυοῖν ὄντοιν, ἢ δὲ θάτερον λεγόμενον ἢ τὸ     ποιεῖν ἢ τὸ πάσχειν, τούτῳ μᾶλλον ἀποδώσομεν ὑπάρχειν τὸ λεχ-     θέν, [10] οἷον ἐπίστασθαι μὲν μᾶλλον τὸν χρώμενον τοῦ τὴν     ἐπιστήμην ἔχοντος, ὁρᾶν δὲ τὸν προσβάλλοντα τὴν ὄψιν τοῦ Suva-     μένου προσβάλλειν. οὐ γὰρ μόνον τὸ μᾶλλον λέγομεν καθ᾽     ὑπεροχὴν ὧν ἂν εἷς ἡ λόγος, ἀλλὰ καὶ κατὰ τὸ πρότερον εἶναι τὸ δὲ     ὕστερον, οἷον τὴν ὑγείαν τῶν ὑγιεινῶν μᾶλλον ἀγαθὸν εἶναί φαμεν,     καὶ τὸ καθ᾽ αὑτὸ τὴν φύσιν αἱρετὸν τοῦ ποιητικοῦ.26 καίτοι τόν γε     λόγον ὁρῶμεν ὡς οὐχ ἧ ἐστι κατηγορούμενος ἀμφοῖν, ὅτι ἀγαθὸν     ἑκάτερον ἐπί τε τῶν ὠφελίμων καὶ τῆς ἀρετῆς. καὶ ζῆν ἄρα μᾶλλον     φατέον [20] τὸν ἐγρηγορότα τοῦ καθεύδοντος καὶ τὸν ἐνεργοῦντα τῇ     ψυχῇ τοῦ μόνον ἔχοντος: διὰ γὰρ ἐκεῖνον καὶ τοῦτον ζῆν φαμεν, ὅτι     τοιοῦτός ἐστιν οἷος ἐκείνως27) πάσχειν ἢ ποιεῖν. οὐκοῦν τό γε     χρῆσθαι παντὶ τοῦτ᾽ ἐστίν, ὅταν εἰ μὲν ἑνὸς ἡ δύναμίς ἐστι, τοῦτο     αὐτὸ πράττῃ τις, εἰ δὲ πλειόνων τὸν ἀριθμόν, ὃ ἂν τούτων τὸ βέλτι-     στον, οἷον αὐλοῖς, ἤτοι μόνον ὅταν αὐλῇ χρῆταί τις ἢ μάλιστα“ ἴσως               24 τὸ Pistelli post Kiessling: τῷ des Places.     25 τὸ Pistelli post Kiessling: τῷ des Places.     26 ποιητοῦ corresse des Places, ma invano.     27 ἐκεῖνος Pistelli: ἐκείνως des Places, ma cf. Pistelli in appar. ad loc.               ESORTAZIONE ALLA FILOSOFIA 371               ti sia quei viventi che hanno la vista e hanno quindi per natura la     facoltà di vedere, anche quando tengono gli occhi chiusi, sia quei     viventi che si servono di tale facoltà visiva e di fatto la esercitano. La     stessa cosa vale per il percepire e per il conoscere: noi diciamo che     una cosa è il farne uso e <quindi di fatto> contemplare, altra cosa il     possedere tale facoltà ed avere <già> la scienza. Se dunque noi distin-     guiamo il vivere perché possiamo percepire e il non vivere, e diciamo     che il potere percepire si divide in due modi, da un lato nel fare uso     dei sensi in senso proprio e dall’altro lato nel potere farne uso (e per-     ciò noi diciamo, come sembra, che ha capacità di percepire [57]     anche chi dorme), è chiaro che anche il vivere seguirà questo duplice     modo di essere detto: da un lato infatti si deve dire che vive realmen-     te e propriamente chi è sveglio, dall'altro lato anche chi dorme per il     fatto che ha la possibilità di passare a quel movimento, in virtà del     quale diciamo che si è svegliato e percepisce qualcosa. Perciò, con lo     sguardo rivolto a tutto questo,76 quando dunque la stessa cosa si può     dire come se fossero due cose, [87dP] mentre una delle due è detta o     l’agire o il patire, allora è a questa che attribuiremo piuttosto quello     che si è detto, ad esempio che percepisce piuttosto chi si serve <del     conoscere> e non chi possiede la scienza, e vede piuttosto chi eserci-     ta di fatto la vista e non chi potrebbe esercitarla. Non solo, infatti, noi     diciamo “più” secondo l'eccesso di quantità a proposito delle cose     che hanno un’unica definizione, ma lo diciamo anche a proposito     delle cose che sono secondo il prima e il dopo, ad esempio diciamo     che la salute è un bene “più” che le cose sane, e ciò che per natura è     preferibile per sé lo è “più” di ciò che lo produce. E tuttavia, per     quanto concerne la definizione, noi vediamo che non è per il fatto che     essa è predicata di ambedue che parliamo di bene sia a proposito del-     l’utile che a proposito della virtà. Dunque si deve dire anche che vive     “più” chi è sveglio che non chi dorme e “più” chi vive in atto in fun-     zione della sua anima che non chi la possiede soltanto, giacché noi     diciamo che è a causa di chi ha la vita in atto che vive anche chi ha la     vita in potenza, perché quest’ultimo, allo stesso modo di quello, è     capace di agire o patire.7? Dunque il servirsi di qualunque cosa consi-     ste in questo: quando e se esiste la potenza di una sola cosa, questa     stessa cosa la si fa passare all’atto, mentre se esistono un certo nume-     ro di cose in potenza, si fa passare all’atto la cosa migliore fra di esse,               372 GIAMBLICO               γὰρ ἐπὶ τούτῳ καὶ τὰ τῶν ἄλλων. [58] οὐκοῦν καὶ μᾶλλον χρῆσθαι     τὸν ὀρθῶς χρώμενον φατέον: τὸ γὰρ ἐφ᾽ ᾧ καὶ ὡς πέφυκεν ὑπάρχειν     τῷ χρωμένῳ καλῶς καὶ ἀκριβῶς. ἔστι δὴ καὶ ψυχῆς ἤτοι μόνον ἢ     μάλιστα πάντων ἔργον τὸ διανοεῖσθαί τε καὶ λογίζεσθαι. ἁπλοῦν     ἄρα ἤδη τοῦτο καὶ παντὶ συλλογίζεσθαι ῥάδιον ὅτι ζῇ μᾶλλον ὁ     διανοούμενος ὀρθῶς καὶ μάλιστα πάντων ὁ μάλιστα ἀληθεύων,     οὗτος δέ ἐστιν ὁ φρονῶν καὶ θεωρῶν κατὰ τὴν ἀκριβεστάτην     ἐπιστήμην᾽ καὶ τό γε τελέως ζῆν τότε καὶ τούτοις [10] ἀποδοτέον,     τοῖς φρονοῦσι καὶ τοῖς φρονίμοις. εἰ δὲ τὸ ζῆν ἐστι τῷ ζῴῳ γε ταὐτὸν     παντὶ ὅπερ εἶναι, δῆλον ὅτι κἂν εἴη γε μάλιστα καὶ κυριώτατα     πάντων ὁ φρόνιμος, καὶ τότε μάλιστα τοῦ χρόνου παντὸς ὅταν     ἐνεργῇ καὶ τυγχάνῃ θεωρῶν τὸ μάλιστα τῶν ὄντων γνώριμον. ἀλλὰ     μὴν ἥ γε τελεία ἐνέργεια καὶ ἀκώλυτος ἐν ἑαυτῇ ἔχει τὸ χαίρειν,     ὥστε ἂν εἴη ἡ θεωρητικὴ ἐνέργεια πασῶν ἡδίστη. ἔτι τοίνυν ἕτερόν     ἐστιν τὸ ἡδόμενον πίνειν καὶ τὸ ἡδέως πίνειν οὐδὲν γὰρ κωλύει μὴ     διψῶντά τινα μηδὲ οἵῳ χαίρει πόματι προσφερόμενον [20] πίνοντα     χαίρειν, μὴ τῷ πίνειν ἀλλὰ τῷ συμβαίνειν ἅμα θεωρεῖν ἢ     θεωρεῖσθαι καθήμενον. οὐκοῦν τοῦτον ἥδεσθαι μὲν καὶ ἡδόμενον     πίνειν φήσομεν, ἀλλ᾽ οὐ τῷ πίνειν οὐδὲ ἡδέως πίνειν. οὐκοῦν οὕτως     καὶ βάδισιν καὶ καθέδραν καὶ μάθησιν καὶ πᾶσαν κίνησιν ἐροῦμεν     ἡδεῖαν ἢ λυπηράν, οὐχ ὅσων συμβαίνει λυπεῖσθαι παρουσῶν ἡμᾶς ἢ     χαίρειν, ἀλλ᾽ ὧν τῇ παρουσίᾳ καὶ λυπούμεθα πάντες καὶ χαίρομεν.     καὶ ζωὴν οὖν ἡδεῖαν ὁμοίως ἐροῦμεν, ἧς ἡ παρουσία τοῖς ἔχουσιν     [59] ἡδεῖα, καὶ ζῆν ἡδέως οὐ πάντας ὅσοις ζῶσι συμβαίνει χαίρειν,     ἀλλ᾽ οἷς αὐτὸ τὸ ζῆν ἡδὺ καὶ χαίρουσι τὴν ἀπὸ ζωῆς ἡδονήν. οὐκοῦν     τὸ ζῆν ἀποδίδομεν τῷ μὲν ἐγρηγορότι μᾶλλον ἢ τῷ καθεύδοντι, τῷ               ESORTAZIONE ALLA FILOSOFIA 373               ad esempio, a proposito dei flautisti, o quando ci si serve del flauto     nell'unico modo possibile o quando se ne fa uso nel migliore dei     modi; forse questo vale anche a proposito degli altri casi. [58]     Bisogna dunque dire anche che fa più uso di una chi ne fa un uso cor-     retto, giacché in chi fa un uso giusto e preciso è presente il perché e     il modo in cui una cosa esiste per natura. Ebbene, anche dell'anima     esiste un’operazione che è o unica o migliore fra tutte, e cioè il pensa-     re o ragionare. È dunque facile e semplice per chiunque capire que-     sto, cioè che vive più chi ragiona correttamente e soprattutto chi più     di ogni altro attinge nel migliore dei modi la verità, ma costui è colui     che pensa e contempla secondo la scienza più esatta; ed anche il vive-     re in modo perfetto bisogna in questo caso [88dP] attribuirlo a costo-     ro,78 cioè a coloro che sono prudenti e saggi. Se poi il vivere è per ogni     vivente identico all’essere,7° allora è chiaro che il saggio esiste come     tale in maniera maggiore e più propria di tutti gli altri viventi, e in     questo caso soprattutto quando per tutta la sua vita esercita la sua sag-     gezza e quando gli capita di contemplare la cosa più conoscibile fra     tutte.80 Ma la perfetta attività e priva di intralci ha in se stessa il suo     proprio godimento, sicché sarà l’attività contemplativa più piacevole     fra tutte. Inoltre, una cosa è in verità il bere come oggetto di piacere     e altra cosa il bere piacevolmente: nulla infatti impedisce che chi non     avendo sete né una qualche bevanda piacevole a sua disposizione,     possa godere nel bere, non già per il fatto di bere, ma perché gli capi-     ti al contempo di guardare o essere guardato mentre sta seduto.     Dunque di costui noi diremo che prova piacere e beve provando pia-     cere, ma non perché sta bevendo né perché beve piacevolmente. In     tal modo dunque diremo che anche il camminare e lo stare seduto e     l’apprendere e ogni altro movimento del genere può essere piacevole     o doloroso, ma non perché capita in presenza di tali movimenti di     provare dolore o piacere, bensi perché a causa della loro presenza noi     tutti proviamo dolore o piacere. Ebbene noi diremo che anche la vita     può essere piacevole, quando la sua presenza è piacevole per coloro     che la vivono, [59] e che vivono piacevolmente non tutti coloro a cui     capita di provare piacere mentre vivono, ma coloro per i quali il vive-     re è piacevole e che provano piacere dalla vita. Dunque il vivere noi     lo attribuiamo più a chi è sveglio che non a chi dorme, e d’altra parte     più a chi è prudente che non a chi è insensato, e diciamo che il piace-               374 GIAMBLICO               dpovovvTi? δὲ ἢ τῷ ἄφρονι μᾶλλον, τὴν δ᾽ ἀπὸ ζωῆς ἡδονὴν τὴν ἀπὸ     τῆς χρήσεως γιγνομένην φαμὲν εἶναι τῆς ψυχῆς τοῦτο γάρ ἐστι τὸ     ζῆν ἀληθῶς. εἰ τοίνυν καὶ πολλαὶ ψυχῆς εἰσι χρήσεις, ἀλλὰ κυριω-     τάτη γε πασῶν ἡ τοῦ φρονεῖν ὅ τι μάλιστα. δῆλον τοίνυν ὅτι καὶ τὴν     yiyvo[10]uévnv ἀπὸ τοῦ φρονεῖν καὶ θεωρεῖν ἡδονὴν ἢ μόνην ἢ     μάλιστα ἀναγκαῖον ἀπὸ τοῦ ζῆν εἶναι. τὸ ζῆν ἄρα ἡδέως καὶ τὸ χαί-     ρειν ὡς ἀληθῶς ἤτοι μόνοις ἢ μάλιστα ὑπάρχει τοῖς φιλοσόφοις. ἡ     γὰρ τῶν ἀληθεστάτων νοήσεων ἐνέργεια καὶ ἀπὸ τῶν μάλιστα ὄντων     πληρουμένη καὶ στέγουσα ἀεὶ μονίμως τὴν ἐνδιδομένην τελειό-     τητα, αὕτη πασῶν ἐστι καὶ πρὸς εὐφροσύνην ἀνυσιμωτάτη. ὥστε καὶ     δι᾽ αὐτὸ τὸ χαίρειν τὰς ἀληθεῖς καὶ ἀγαθὰς ἡδονὰς φιλοσοφητέον     ἐστὶ τοῖς νοῦν ἔχουσιν.          XII. Εἰ δὲ δεῖ μὴ μόνον ἀπὸ τῶν μερῶν τοῦτο [20] συλλογίσα-     σθαι, ἀλλὰ καὶ ἀπὸ τῆς ὅλης εὐδαιμονίας ἄνωθεν τὸ αὐτὸ κατασκε-     vacat, λέγωμεν διαρρήδην ὅτι δὴ ὡς ἔχει πρὸς εὐδαιμονίαν τὸ φιλο-     σοφεῖν, οὕτω καὶ πρὸς τὸ σπουδαῖον ἡμῖν ἢ φαῦλον εἶναι αὐτὸ δια-     κεῖσθαι. πάντα γὰρ τὰ μὲν πρὸς τοῦτο τὰ δὲ διὰ τοῦτο πᾶσιν     αἱρετέον εἶναι, καὶ τὰ μὲν ὡς ἀναγκαῖα τῶν πραγμάτων τὰ δὲ ἡδέα     δι᾽ ὧν εὐδαιμονοῦμεν. οὐκοῦν τὴν εὐδαιμονίαν τιθέμεθα ἤτοι φρό-     νησιν εἶναι καί τινα σοφίαν ἢ τὴν ἀρετὴν ἢ τὸ μάλιστα χαίρειν «ἢ»     πάντα [60] ταῦτα. οὐκοῦν εἴτε φρόνησίς ἐστι, φανερὸν ὅτι μόνοις ἂν     ὑπάρχοι τοῖς φιλοσόφοις τὸ ζῆν εὐδαιμόνως, εἴτε ἀρετὴ ψυχῆς ἢ τὸ     χαίρειν, κἂν οὕτως ἢ μόνοις ἢ μάλιστα πάντων᾽ ἀρετὴ γάρ ἐστι τὸ     κυριώτατον τῶν ἐν ἡμῖν, ἥδιστόν τε πάντων ἐστὶν ὡς ἕν πρὸς ἕν ἡ     φρόνησις, ὁμοίως δὲ κἂν ταῦτα πάντα ταὐτὰ φῆ τις εἶναι τὴν εὐδαι-     μονίαν, ὁριστέον ἐστὶ τὸ φρονεῖν. ὥστε φιλοσοφητέον ἂν εἴη πᾶσι     τοῖς δυναμένοις: ἢ γάρ τοι τοῦτ᾽ ἐστὶ τὸ τελέως εὖ ζῆν, ἢ μάλιστά γε     πάντων ὡς [10] ἕν εἰπεῖν αἴτιον ταῖς ψυχαῖς. ἀλλ᾽ ἐνταῦθα μὲν διὰ     τὸ παρὰ φύσιν ἴσως εἶναι τὸ γένος ἡμῶν χαλεπὸν τὸ μανθάνειν τι     καὶ σκοπεῖν ἐστι, καὶ μόλις αἰσθάνοιτο, διὰ τὴν ἀφυΐαν καὶ τὴν     παρὰ φύσιν Conv: ἂν δέ ποτε δυνηθῶμεν σωθῆναι πάλιν ὅθεν ἐληλύ-               28 φρονοῦντι: φρονοῦτι erron. des Places.               ESORTAZIONE ALLA FILOSOFIA 375               re che deriva dalla vita è quello che proviene dall'uso che si fa del-     l’anima: è questo infatti il vivere veramente. Se è vero che ci sono     molti usi dell'anima, tuttavia quello più importante di tutti è l’uso     della facoltà di pensare il più possibile. É tuttavia chiaro che anche il     piacere che deriva dal pensare e dal contemplare è necessariamente o     il solo o il migliore proveniente dalla vita. Il vivere piacevolmente,     dunque, e il provare piacere appartengono in verità o ai soli filosofi o     soprattutto a loro [89dP], giacché l’attività dei pensieri più veraci,     che è soprattutto piena di realtà e che contiene sempre in modo sta-     bile la perfezione che <quei pensieri> le imprimono, è questa la più     efficace fra tutte ai fini del benessere interiore. Di conseguenza, per     questa stessa ragione anche per godere i piaceri veri e buoni coloro     che possiedono intelligenza hanno il dovere di filosofare.          12. Se poi bisogna fare un tale ragionamento non soltanto parten-     do dalle parti della felicità, ma anche costruendolo a partire dalla feli-     cità nella sua interezza, allora dobbiamo dire chiaramente che il filo-     sofare ha rapporto con la felicità cosi come lo stesso filosofare si trova     in rapporto con il nostro essere seri o sciocchi, giacché noi dobbiamo     scegliere ogni cosa o in rapporto alla felicità o in funzione di essa, e le     cose che ci rendono felici sono o necessarie o piacevoli. Dunque noi     possiamo stabilire che anche la felicità è o una prudenza o una certa     sapienza o una virtù o consiste nel godere di esse o in tutto o in mas-     sima parte. [60] Dunque, se è una prudenza, allora è chiaro che solo     ai filosofi appartiene il vivere felici, se è una νἱττύ dell’anima o il godi-     mento <come tale>, allora anche in questo caso la felicità apparterrà     o ai soli filosofi o soprattutto a loro, perché la virti è ciò che noi     abbiamo di più appropriato, e fra tutte le nostre proprietà, confron-     tate ad una ad una, la più piacevole è la prudenza. Parimenti, se si     dice chela felicità è tutte queste cose insieme, allora bisogna definirla     come lo <stesso> pensare. Ne consegue che bisogna che filosofino     tutti quelli che ne hanno facoltà, giacché il filosofare o è il perfetto     vivere bene, o — per dirla con una sola parola — ne è, più di ogni altra     cosa, la causa <prima> per le anime. Ma quaggiù, per il fatto che il     genere umano ha la probabilità di vivere contro natura, diviene diffi-     cile apprendere e riflettere, e ciò potrebbe appena essere percepito a     causa <appunto> della nostra vita innaturale o <addirittura> contro     natura; [90dP] ma potendo talvolta salvarci ritornando là donde               376 GIAMBLICO               θαμεν, δῆλον ὡς ἥδιον καὶ ῥᾷον αὐτὸ ποιήσομεν πάντες. νῦν μὲν     γὰρ ἀφειμένοι τῶν ἀγαθῶν διατελοῦμεν πράττοντες τὰ ἀναγκαῖα,     καὶ μάλιστα πάντων οἱ μάλιστα μακάριοι δοκοῦντες εἶναι τοῖς πολ-     Xoîc ἐὰν δὲ τῆς οὐρανίας ὁδοῦ λαβώμεθα καὶ ἐπὶ τὸ σύννομον     ἄστρον τὴν [20] ζωὴν τὴν ἑαυτῶν ἀπερείσωμεν, τότε φιλοσοφήσομεν     ζῶντες ἀληθῶς καὶ θεώμενοι θεωρίας ἀμηχάνους τὸ κάλλος, ἀτενί-     ζοντες τῇ ψυχῇ πρὸς τὴν ἀλήθειαν ἀραρότως καὶ θεώμενοι τὴν τῶν     θεῶν ἀρχήν, εὐφραινόμενοι καὶ χαίροντες συνεχῶς ἀπὸ τοῦ     θεωρεῖν, ἡδόμενοι [61] χωρὶς πάσης λύπης. οὕτως οὖν ἐπιόντες εἰς     πᾶσαν εὐδαιμονίαν εὑρίσκομεν ἡμῖν συμβαλλόμενον τὸ     φιλοσοφεῖν: διόπερ αὐτοῦ ἀντιλαμβάνεσθαι ἄξιον ὡς σπουδαιοτά-     του καὶ μάλιστα ἡμῖν προσήκοντος.          XIII. Εἰ δὲ δεῖ καὶ ἀπὸ τῶν περὶ φιλοσοφίας ἐννοιῶν ποιήσασθαί     τινα ἐπὶ τοῦτο παράκλησιν, ἴθι δὴ καὶ ἀπὸ τούτων ἐπέλθωμεν     οὑτωσί. κινδυνεύουσιν ὅσοι τυγχάνουσιν ὀρθῶς ἁπτόμενοι φιλοσο-     φίας λεληθέναι τοὺς ἄλλους, ὅτι οὐδὲν ἄλλο αὐτοὶ ἐπιτη[10]δεύου-     σιν ἢ ἀποθνήσκειν τε καὶ τεθνάναι. καὶ μάλα εἰκότως. λέληθε γὰρ     τοὺς πολλοὺς ἧ τε θανατῶσι καὶ ἡἣ ἄξιοί εἰσι θανάτου καὶ οἵου     θανάτου οἱ dc ἀληθῶς φιλόσοφοι. θάνατος μὲν οὖν ἐστιν οὐκ ἄλλο     τι ἢ ἡ τῆς ψυχῆς ἀπὸ τοῦ σώματος ἀπαλλαγή, καὶ ἔστι τοῦτο τὸ τεθ-     νάναι, χωρὶς μὲν ἀπὸ τῆς ψυχῆς ἀπαλλαγὲν αὐτὸ καθ᾽ αὑτὸ τὸ σῶμα     γεγονέναι, χωρὶς δὲ τὴν ψυχὴν τοῦ σώματος ἀπαλλαγεῖσαν αὐτὴν     καθ᾽ αὑτὴν εἶναι. τούτου δὴ οὖν οὕτως ἔχοντος, εἰκότως δὴ οὐκ ἔστι     φιλοσόφου ἀνδρὸς ἐσπουδακέναι [20] περὶ τὰς ἡδονὰς καλουμένας     τὰς τοιάσδε, οἷον σίτων τε καὶ ποτῶν, οὐδὲ τὰς τῶν ἀφροδισίων᾽     ἀλλ᾽ οὐδὲ τὰς ἄλλας τὰς περὶ τὸ σῶμα θεραπείας ἐντίμους ἡγήσεται     ὁ τοιοῦτος, οἷον ἱματίων διαφερόντων κτήσεις καὶ ὑποδημάτων, καὶ     τοὺς ἄλλους καλλωπισμοὺς τοὺς περὶ τὸ σῶμα οὐ τιμᾷ, ἀτιμάζει δὲ     καθόσον μὴ πολλὴ ἀνάγκη μετέχειν αὐτῶν. ὅλως δοκεῖ ἡ τοῦ τοιού-     του πραγματεία οὐ περὶ τὸ σῶμα εἶναι, ἀλλὰ καθόσον [62] δύναται     ἀφεστάναι αὐτοῦ, πρὸς δὲ τὴν ψυχὴν τετράφθαι. καὶ ἐν τοῖς τοιού-     τοις οὖν δῆλός ἐστιν ὁ φιλόσοφος ἀπολύων ὅτι μάλιστα τὴν ψυχὴν     ἀπὸ τῆς τοῦ σώματος κοινωνίας διαφερόντως τῶν ἄλλων ἀνθρώπων.               ESORTAZIONE ALLA FILOSOFIA 377               siamo venuti, è chiaro che tutti potremo rendere la nostra condizione     naturale più piacevole e più facile. AI presente in verità, essendo lon-     tani dai <veri> beni, passiamo la vita facendo le cose ad essa necessa-     rie, e soprattutto lo fanno quelli che sembrano alla maggioranza degli     uomini i più beati di tutti; ma se dopo avere preso la via del cielo ci     appoggeremo all’astro a cui è associata la nostra stessa vita, allora filo-     soferemo conducendo una vera vita e contemplando la bellezza di     una visione straordinaria, tendendo con la nostra anima verso la veri-     tà indefettibile e contemplando il principio degli dèi, ricevendo con-     tinuamente diletto e godimento da quel contemplare, provando pia-     cere [61] senza alcun dolore. In tal modo dunque, avvicinandoci alla     completa felicità, scopriremo che il filosofare ci aiuta; è opportuno     perciò che ci si metta impegno come fosse un’attività serissima e che     ci conviene al di sopra di ogni altra.          13. Ma se bisogna anche fare qualche raccomandazione per tutto     ciò, muovendo dalle nozioni relative alla filosofia, ecco a quale risul-     tato possiamo giungere per questa strada. Tutti coloro che intrapren-     dono a filosofare correttamente rischiano che gli altri dimentichino     che i filosofi di nient'altro devono preoccuparsi se non di morire o di     essere morti. E a buon diritto, perché i più dimenticano che i veri filo-     sofi sono tali in quanto amano morire e in quanto sono degni di morte     e di un certo tipo di morte. Ebbene, la morte non è altro che la sepa-     razione dell’anima dal corpo, e questo è appunto l’essere morti: da un     lato il corpo, privo dell'anima, resta separato in sé e per sé, dall’altro     lato l’anima, priva del corpo, è <anch’essa> separata in sé e per sé.     Cosi stando, dunque, le cose, è giusto che non sia proprio [91dP] del     filosofo preoccuparsi dei cosiddetti piaceri quali, ad esempio, quelli     del mangiare e del bere, né di quelli erotici; ma neppure alle altre cure     del corpo il filosofo darà valore, ad esempio all'acquisto di indumen-     ti e di scarpe speciali, e non apprezzerà neppure gli altri ornamenti     del corpo, e disprezzerà quanto non sia assolutamente necessario     averne parte. In generale sembra che la preoccupazione del filosofo     non riguardi ciò che è corporeo, [62] bensi quanto sia possibile aste-     nersi da esso, e orientarsi verso l’anima. È in questi casi, dunque, che     si manifesta il filosofo, quando cioè egli libera il più possibile l’anima     dalla sua comunione con il corpo, diversamente di come fanno gli     altri uomini. Ed è per questo, immagino, che la maggior parte degli               378 GIAMBLICO               καὶ δοκεῖ γέ mov διὰ τοῦτο τοῖς πολλοῖς ἀνθρώποις, ᾧ μηδὲν ἡδὺ τῶν     τοιούτων μηδὲ μετέχει αὐτῶν, οὐκ ἄξιον εἶναι ζῆν, ἀλλ᾽ ἐγγύς τι     τείνειν τοῦ τεθνάναι ὁ μηδὲν φροντίζων τῶν ἡδονῶν aî διὰ τοῦ     σώματός εἰσι. καὶ μὴν περί γε αὐτὴν τὴν τῆς φρονήσεως [10] κτῆσιν     ἐμπόδιον τὸ29 σῶμα, ἐάν τις αὐτὸ ἐν τῇ ζητήσει κοινωνὸν συμπαρα-     λαμβάνῃ. οἷον τὸ τοιόνδε λέγω" οὐκ ἔχει ἀλήθειάν τινα ὄψις τε καὶ     ἀκοὴ τοῖς ἀνθρώποις: τὰ γὰρ τοιαῦτα οἱ ποιηταὶ ἀεὶ ἡμῖν     θρυλλοῦσιν, ὅτι οὔτε ἀκούομεν ἀκριβὲς οὐδὲν οὔτε ὁρῶμεν. καίτοι     εἰ αὗται τῶν περὶ τὸ σῶμα αἰσθήσεων μὴ ἀκριβεῖς εἰσι μηδὲ σαφεῖς,     σχολῇ αἵ γε ἀλλαι᾽ πᾶσαι γάρ που τούτων φαυλότεραί εἰσιν. οὐκοῦν     εἰ ἡ ψυχὴ τῆς ἀληθείας ἀποτυγχάνει, ὅταν μετὰ τοῦ σώματος ἐπι-     χειρῇ τι σκοπεῖν (δῆλον γὰρ ὅτι τότε ἐξαπατᾶται ὑπ᾽ αὐτοῦ), [20]     πάντως ποῦ ἐν τῷ λογίζεσθαι, εἴπερ που ἄλλοθι, κατάδηλον αὐτῇ γί-     γνεταί τι τῶν ὄντων. λογίζεται δέ γέ πον τότε κάλλιστα, ὅταν αὐτὴν     τούτων μηδὲν παραλυπῇ, μῆτε ἀκοὴ μήτε ὄψις μήτε ἀλγηδὼν μηδέ     τις ἡδονή, ἀλλ᾽ ὅτι μάλιστα αὐτὴ καθ᾽ αὑτὴν γίγνηται ἐῶσα χαίρειν     τὸ σῶμα, καὶ καθόσον δύνηται μὴ κοινωνοῦσα αὐτῷ μηδὲ ἁπτομένη     ὀρέγηται τοῦ ὄντος. οὐκοῦν καὶ ἐνταῦθα ἡ τοῦ φιλοσόφου ψυχὴ     μάλιστα ἀτιμάζει τὸ σῶμα καὶ φεύγει ἀπ᾽ αὐτοῦ, ζητεῖ δὲ αὐτὴ καθ᾽     αὑτὴν γίγνεσθαι.          [63] Μάλιστα δὲ ἔσται τοῦτο δῆλον ἀπὸ τῆς τῶν εἰδῶν θεωρίας. τὸ     γὰρ δίκαιον αὐτὸ καὶ καλὸν καὶ ἀγαθὸν καὶ πάντα οἷς ἐπισφραγι-     ζόμεθα τὸ ὅ ἐστιν, οὐδεπώποτέ τις τοῖς ὀφθαλμοῖς εἶδεν, οὐδὲ ἄλλῃ     τινὶ αἰσθήσει τῶν διὰ τοῦ σώματος ἐφήψατο αὐτῶν, ἀλλ᾽ ὃς ἂν μάλι-     στα ἡμῶν καὶ ἀκριβέστατα παρασκενυάσηται αὐτὸ ἕκαστον δια-     νοηθῆναι περὶ οὗ σκοπεῖ, οὗτος ἂν ἐγγύτατα ἴοι τοῦ γνῶναι     ἕκαστον. οὐκοῦν ἐκεῖνος ἂν τοῦτο ποιήσειεν καθαρώτατα, ὅστις ὅ     τι μάλιστα αὐτῇ τῇ [10] διανοίᾳ ἴοι ἐφ᾽ ἕκαστον, μήτε τὴν ὄψιν     παρατιθέμενος ἐν τῷ διανοεῖσθαι μήτε ἄλλην αἴσθησιν ἐφέλκων     μηδεμίαν μετὰ τοῦ λογισμοῦ, ἀλλ᾽ αὐτῇ καθ᾽ αὑτὴν εἰλικρινεῖ τῇ     διανοίᾳ χρώμενος αὐτὸ καθ᾽ αὑτὸ εἰλικρινὲς ἕκαστον ἐπιχειροίη               29 τὸ: to erron. des Places.     30 ψυχῆ: ψυχ erron. des Places.               ESORTAZIONE ALLA FILOSOFIA 379               uomini credono che colui che non prova piacere di tali cose né vi     prende parte, non è degno di vivere, ma è come uno che è prossimo     a morire perché non si cura di nessuno di quei piaceri che si provano     attraverso il corpo. E in verità il corpo fa da impedimento alla stessa     acquisizione della prudenza, se nella ricerca di questa lo si assume     come compagno. Ecco ciò che intendo dire: vista e udito non posseg-     gono per gli uomini alcuna verità, perché è di questo tenore ciò che i     poeti ci cantano sempre, cioè che noi non siamo capaci né di udire né     di vedere alcunché di preciso. Ma se è vero che questi due sensi cor-     porei sono tra quelli che non hanno né precisione né chiarezza, allo-     ra non potranno averne affatto gli altri sensi, perché in qualche modo     questi ultimi sono più deboli di quelli. Se dunque l’anima non riesce     a raggiungere la verità quando cerca di esaminare qualcosa in compa-     gnia del corpo (perché è chiaro che in questo caso viene da quello     ingannata), allora è in qualche modo nella sua capacità di ragionare,     se ne ha possibilità da qualche altra parte, che essa può acquisire in     modo chiaro qualcosa della realtà. Ma essa, come io credo, ragiona     nel migliore dei modi, quando nessuna sensazione la turba, [92dP]     né l'udito né la vista né alcun dolore né alcun piacere, ma essa si trova     in sé e per sé al massimo livello lasciando che goda <soltanto> il     corpo, e per quanto le sia possibile, non avendo né comunione né     contatto con esso, desideri il <vero> essere. Dunque anche quaggiù     l’anima del filosofo disprezza al massimo il corpo e rifugge da esso, e     cerca di starsene in sé e per sé.          [63] Ma questo sarà chiaro soprattutto partendo dalla teoria delle     idee, perché il giusto in sé e il bello in sé e il buono in sé e tutto ciò     che noi suggelliamo come “ciò che è”, giammai si possono vedere con     gli occhi, né afferrare con qualche altro senso tra quegli stessi che     operano attraverso il corpo, ma chi di noi sarà preparato al massimo     livello a pensare in se stessa qualunque idea egli osservi, questi potrà     avvicinarsi il più possibile alla conoscenza di essa. Dunque renderà     tale idea assolutamente chiara chiunque giungerà a ciascuna idea     soprattutto per mezzo della stessa ragione, né userà la vista nel pen-     sarla, né si porterà dietro assieme al ragionamento alcun altro senso,     ma, servendosi della pura ragione in sé e per sé, cercherà di andare     alla caccia di ogni puro ente in sé e per sé, liberandolo soprattutto da     qualsiasi cosa che appartenga alla vista e all’udito e — in una parola --               380 GIAMBLICO               θηρεύειν τῶν ὄντων, ἀπαλλαγεὶς ὅ τι μάλιστα ὀφθαλμῶν τε καὶ ὦτων     καὶ ὡς ἔπος εἰπεῖν ξύμπαντος τοῦ σώματος, ὡς ταράττοντος καὶ οὐκ     ἐῶντος τὴν ψυχὴν κτήσασθαι ἀλήθειάν τε καὶ φρόνησιν, ὅταν     κοινωνῇ. οὗτος γάρ ἐστιν, εἴπερ τις ἄλλος, ὁ τευξόμενος τοῦ ὄντος.     ἀνάγκη δὴ οὖν ἐκ πάντων τούτων [20] παρίστασθαι δόξαν τοιάνδε     τινὰ τοῖς γνησίοις φιλοσόφοις, ὥστε καὶ πρὸς ἀλλήλους τοιαῦτα     ἄττα λέγειν, ὅτι κινδυνεύει τι ὥσπερ ἀτραπὸς ἐκφέρειν ἡμᾶς μετὰ     τοῦ λόγου ἐν τῇ σκέψει, ὅτι,1 ἕως ἂν τὸ σῶμα ἔχωμεν καὶ ξυμπε-     φυρμένη «ἦ» ἡμῶν ἡ ψυχὴ μετὰ τοιούτου κακοῦ, οὐ μήποτε κτησώμε-     θα ἱκανῶς οὗ ἐπιθυμοῦμεν. φαμὲν δὲ τοῦτο εἶναι τὸ ἀληθές. μυρίας     μὲν γὰρ ἡμῖν ἀσχολίας παρέχει τὸ σῶμα διὰ τὴν ἀναγκαίαν [64]     τροφήν. ἔτι δὲ ἄν τινες νόσοι προσπέσωσιν, ἐμποδίζουσιν ἡμῶν τὴν     τοῦ ὄντος θήραν. ἐρώτων δὲ καὶ ἐπιθυμιῶν καὶ φόβων καὶ εἰδώλων     παντοδαπῶν καὶ φλυαρίας ἐμπίπλησιν ἡμᾶς, ὥστε τὸ λεγόμενον ὡς     ἀληθῶς τῷ ὄντι ὑπ᾽ αὐτοῦ οὐδὲ φρονῆσαι ἡμῖν ἐγγίγνεται οὐδέποτε     οὐδέν. καὶ γὰρ πολέμους καὶ στάσεις καὶ μάχας οὐδὲν ἄλλο παρέ-     χει ἢ τὸ σῶμα καὶ αἱ τούτου ἐπιθυμίαι. διὰ γὰρ τὴν τῶν χρημάτων     κτῆσιν πάντες οἱ πόλεμοι γίνονται, τὰ δὲ χρήματα ἀναγκα[]0]ζόμε-     θα κτᾶσθαι διὰ τὸ σῶμα, δουλεύοντες τῇ τούτου θεραπείᾳ" καὶ ἐκ     τούτου ἀσχολίαν ἄγομεν φιλοσοφίας πέρι διὰ πάντα ταῦτα. τὸ δὲ     ἔσχατον πάντων ὅτι, ἐάν τις ἡμῖν καὶ σχολὴ γένηται ἀπ᾽ αὐτοῦ καὶ     τραπώμεθα πρὸς τὸ σκοπεῖν τι, ἐν ταῖς ζητήσεσιν αὖ πανταχοῦ     παραπῖπτον θόρυβον παρέχει καὶ ταραχὴν καὶ ἐκπλήττει, ὥστε μὴ     δύνασθαι ὑπ᾽ αὐτοῦ καθορᾶν τἀληθές, ἀλλὰ τῷ ὄντι ἡμῖν δέδεικται     ὅτι, εἰ μέλλομέν ποτε καθαρῶς τι εἴσεσθαι, ἀπαλλακτέον αὐτοῦ     καὶ αὐτῇ τῇ ψυχῇ θεατέον αὐτὰ τὰ πράγματα᾽ καὶ τότε, [20] ὡς     ἔοικεν, ἡμῖν ἔσται οὗ ἐπιθυμοῦμέν τε καί φαμεν ἐρασταὶ εἶναι,     φρόνησις, ἐπειδὰν τελευτήσωμεν, ὡς ὁ λόγος σημαίνει, ζῶσι δὲ οὔ.     εἰ γὰρ μὴ οἷόν τε μετὰ τοῦ σώματος μηδὲν καθαρῶς γνῶναι, δυοῖν τὰ     ἕτερα, ἢ οὐδαμοῦ ἔστι κτήσασθαι τὸ εἰδέναι ἢ τελευτήσασι τότε     γὰρ αὐτὴ καθ᾽ αὑτὴν ἔσται ἡ ψυχὴ χωρὶς τοῦ σώματος, πρότερον δὲ     οὔ. καὶ ἐν ᾧ ἂν ζῶμεν, οὕτως ὡς ἔοικεν ἐγγυτάτω ἐσόμεθα τοῦ εἰδέ-               31 ὅτι: dar erron. des Places.               ESORTAZIONE ALLA FILOSOFIA 381               all'intero corpo, come da ciò che turba e impedisce all’anima, quan-     do ne è in comunione, di acquisire verità e prudenza, giacché è pro-     prio costui, se c'è qualcuno, che sarà in grado di raggiungere il     <vero> essere. È necessario dunque che, partendo da tutte queste     ragioni, i filosofi autentici si mettano in mente un’opinione del gene-     re, in modo che siano capaci di parlare in questo modo anche tra di     loro, dicendo che c’è il rischio che noi andiamo fuori strada nella     ricerca assieme alla nostra ragione, nel senso che, finché possediamo     il corpo e la nostra anima sarà mescolata [93dP] con tale sventura,     mai potremo acquisire a sufficienza ciò che desideriamo, e cioè quel-     lo che diciamo essere la verità. Il corpo infatti ci procura un'infinità     di occupazioni a causa delle necessità della sua nutrizione; [64] inol-     tre possono sopraggiungere alcune malattie, che ci sono di impedi-     mento nella caccia al <vero> essere. E poi le passioni amorose, e gli     appetiti e le paure e le fantasie e le futilità di ogni genere ci riempio-     no a tal punto che -- per dire come stanno veramente le cose — dal     corpo mai ci potrà venire alcuna saggia riflessione. E infatti le guerre     e le sedizioni e le battaglie nient'altro le procura se non il corpo e gli     appetiti ad esso legati, perché tutte le guerre nascono per acquistare     ricchezza, e noi siamo costretti ad acquistare ricchezza per il corpo,     perché siamo asserviti alla cura di esso; e perciò, a causa di tutto que-     sto, non troviamo tempo per occuparci della filosofia. E il colmo di     ciò è che, se qualche momento di tregua ci viene dal corpo e ci vol-     giamo ad esaminare qualcosa, allora esso ci procura, nella ricerca,     improvvisamente da ogni parte un tumulto e un turbamento atti a     sconvolgerci, al punto che siamo da ciò resi incapaci di vedere la veri-     tà, anzi ci viene indicato realmente che, se mai potremo conoscere     qualche cosa di chiaro, occorrerà liberarsi del corpo e con la sola     anima considerare le cose in se stesse; e a quel punto, come sembra,     avremo ciò che desideriamo e di cui diciamo di essere amanti, cioè la     prudenza, e solo dopo che saremo morti, secondo il significato di     questo nostro discorso, e non da vivi. Se infatti non è possibile insie-     me col corpo conoscere nulla in modo chiaro, una delle due, o non     sarà possibile mai acquisire il sapere o possiamo farlo solo da morti,     giacché solo allora l’anima sarà in sé e per sé, in quanto separata dal     corpo, prima no. E finché noi viviamo, cosî come sembra <dal nostro     ragionamento>, noi saremo il più possibile vicini al sapere, se per               382 GIAMBLICO               vat, ἐὰν ὅ τι μάλιστα μηδὲν ὁμιλῶμεν τῷ σώματι μηδὲ κοινωνῶμεν,     ὅ τι μὴ πᾶσα ἀνάγκη, μηδὲ ἀναπιμπλώμεθα τῆς τούτου [65] φύσεως     ἀλλὰ καθαρεύωμεν ἀπ᾽ αὐτοῦ, ἕως ἂν ὁ θεὸς αὐτὸς ἀπολύσῃ ἡμᾶς.     καὶ οὕτω μὲν καθαροὶ ἀπαλλαττόμενοι τῆς τοῦ σώματος ἀφροσύνης,     ὡς τὸ εἰκός, μετὰ τοιούτων ἐσόμεθα καὶ γνωσόμεθα δι᾽ ἡμῶν αὐτῶν     πᾶν τὸ εἰλικρινές; τοῦτο δ᾽ ἐστὶν ἴσως τὸ ἀληθές. μὴ καθαρῷ γὰρ     καθαροῦ ἐφάπτεσθαι μὴ οὐ θεμιτὸν ἦ. κάθαρσις δὲ τοῦτο ξυμβαίνει,     ὅπερ πάλαι ἐν τῷ λόγῳ λέγεται, τὸ χωρίζειν ὅ τι μάλιστα ἀπὸ τοῦ     σώματος τὴν ψυχὴν καὶ ἐθίσαι αὐτὴν καθ᾽ αὑτὴν πανταχόθεν [10]     ἐκ τοῦ σώματος συναγείρεσθαί τε καὶ ἀθροίζεσθαι, καὶ οἰκεῖν     κατὰ τὸ δυνατὸν καὶ ἐν τῷ νῦν παρόντι καὶ ἐν τῷ ἔπειτα μόνην καθ᾽     αὑτήν, ἐκλυομένην ὥσπερ ἐκ δεσμῶν ἐκ τοῦ σώματος. τοῦτο δὲ θά-     νατος ὀνομάζεται, λύσις καὶ χωρισμὸς ψυχῆς ἀπὸ σώματος. λύειν δέ     γε αὐτήν, ὥς φαμεν, προθυμοῦνται ἀεὶ μάλιστα καὶ μόνοι οἱ φιλο-     σοφοῦντες ὀρθῶς, καὶ τὸ μελέτημα αὐτὸ τοῦτό ἐστι τῶν φιλοσόφων,     λύσις καὶ χωρισμὸς ψυχῆς ἀπὸ σώματος. ὥστε τὸ μέγιστον ἡμῖν ἀγα-     θὸν ἡ φιλοσοφία παρέχουσα, τὴν ἀπαλλαγὴν τῶν [20] ἐν τῇ ψυχῇ καὶ     γενέσει δεσμῶν, περισπούδαστος ἂν εἴη διαφερόντως.          ᾿Αλλὰ μὴν καὶ ἡ ὀνομαζομένη ἀνδρεία τοῖς οὕτω διακειμένοις     μάλιστα προσήκει, καὶ ἡ σωφροσύνη, ἣν καὶ οἱ πολλοὶ ὀνομάζουσι     σωφροσύνην, τὸ περὶ τὰς ἐπιθυμίας μὴ ἐπτοῆσθαι ἀλλ᾽ ὀλιγώρως     ἔχειν καὶ [66] κοσμίως, τούτοις μόνοις προσήκει, τοῖς μάλιστα τοῦ     σώματος ὀλιγωροῦσί τε καὶ ἐν φιλοσοφίᾳ ζῶσιν. εἰ γὰρ ἐθέλεις     ἐννοῆσαι τήν γε τῶν ἄλλων ἀνδρείαν τε καὶ σωφροσύνην, δόξει σοι     εἶναι ἄτοπος. οἶσθα γὰρ δήπου ὅτι τὸν θάνατον ἡγοῦνται πάντες οἱ     ἄλλοι τῶν μεγάλων κακῶν. οὐκοῦν φόβῳ μειζόνων ὑπομένουσιν     αὐτῶν οἱ ἀνδρεῖοι τὸν θάνατον, ὅταν ὑπομένωσι. τῷ δεδιέναι ἄρα     καὶ δέει ἀνδρεῖοί εἰσι πάντες πλὴν οἱ φιλόσοφοι. καίτοι ἄλογόν γε     δέει τινὰ καὶ δειλίᾳ [10] ἀνδρεῖον εἶναι, τί δὲ οἱ κόσμιοι αὐτῶν; οὐ     ταὐτὸν τούτῳ πεπόνθασιν; ἀκολασίᾳ τινὶ σώφρονές εἰσι; καίτοι     φαμέν γε ἀδύνατον εἶναι, ἀλλ᾽ ὅμως αὐτοῖς συμβαίνει τούτῳ ὅμοιον               ESORTAZIONE ALLA FILOSOFIA 383               quanto è possibile non avremo alcun rapporto del corpo, e tanto     meno avremo comunione con esso, se non per assoluta necessità, né     ci faremo contaminare dalla sua [65] natura, anzi ci purificheremo di     questa, finché [94dP] dio stesso non ce ne libererà <con la morte>.     E in tal modo saremo puri perché liberi dalla mancanza di prudenza     propria del corpo, e staremo, come sembra, insieme a coloro che     hanno la nostra stessa condizione8! e conosceremo da noi stessi tutto     ciò che è puro; ed è forse in questo che consiste la verità, perché non     può essere lecito a ciò che è puro avere contatto con ciò che puro non     è. La purificazione consiste — come si dice in un vecchio discorso --82     nel separare il più possibile l’anima dal corpo e nell’abituarla a riunir-     si e raccogliersi in sé e per sé a partire da ogni parte del corpo, e ad     abitare per quanto le sia possibile, sia nel tempo presente che in quel-     lo futuro, sola in se stessa, libera dal corpo come da catene. Ed è ciò     che si chiama “morte”, scioglimento e separazione dell'anima dal     corpo. Ma sciogliere l’anima, come andiamo dicendo, lo desiderano     sempre, soprattutto e soltanto coloro che esercitano una corretta filo-     sofia, ed è questo appunto l’esercizio dei filosofi: sciogliere e separa-     re l’anima dal corpo. Sicché la filosofia che ci procura il bene più     grande, cioè la liberazione dai vincoli che si trovano nell’anima e nella     generazione, sarà da ricercarsi in modo particolare.          Ma anche ciò che si chiama “coraggio” conviene a coloro che     hanno una tale disposizione, ed anche la temperanza, ovvero ciò che     i più chiamano temperanza, cioè il non farsi prendere dagli appetiti,     ma essere noncuranti <del corpo> e [66] onesti, conviene ai soli filo-     sofi, cioè a coloro che sono al più alto livello noncuranti <del corpo>     e che vivono di <sola> filosofia. Se infatti tu vuoi [95dP] farti un’idea     del coraggio e della temperanza di coloro che non sono filosofi, ti     apparirà che sono sentimenti strani, giacché tu sai certamente che     tutti costoro collocano la morte tra i grandi mali. Ebbene, è per paura     di mali maggiori che gli uomini coraggiosi affrontano la morte, quan-     do l’affrontano. Dunque tutti, tranne i filosofi, sono coraggiosi perché     temono, cioè per paura. Sembra assurdo, tuttavia, che uno sia corag-     gioso per paura e per viltà. Ma che dire degli uomini onesti? Non     sono forse nella stessa condizione di costoro? Sono temperanti per     una certa intemperanza? In verità noi diciamo che questo è impossi-     bile, ma nondimeno accade loro di provare qualcosa di simile alla loro               384 GIAMBLICO               τὸ πάθος τὸ περὶ ταύτην τὴν εὐήθη σωφροσύνην. φοβούμενοι γὰρ     ἑτέρων ἡδονῶν στερηθῆναι καὶ ἐπιθυμοῦντες ἐκείνων, ἄλλων ἀπέ-     χονται ὑπ᾽ ἄλλων κρατούμενοι. καίτοι καλοῦσί γε ἀκολασίαν τὸ     ὑπὸ τῶν ἡδονῶν ἄρχεσθαι᾽ ἀλλ᾽ ὅμως συμβαίνει αὐτοῖς κρατουμέ-     νοις ὑφ᾽ ἡδονῶν κρατεῖν ἄλλων ἡδονῶν. τοῦτο δ᾽ ὅμοιόν ἐστιν ὃ νῦν     δὴ [20] ἔλεγον, τρόπον τινὰ δι᾽ ἀκολασίαν αὐτοὺς σεσωφρονίσθαι.     οὐ τοίνυν αὕτη ἐστὶν ἡ ὀρθὴ πρὸς ἀρετὴν ἀλλαγή, ἡδονὰς πρὸς     ἡδονὰς καὶ λύπας πρὸς λύπας καὶ φόβον πρὸς φόβον καταλλάττε-     σθαι, μείζω πρὸς ἐλάττω, ὥσπερ νομίσματα, ἀλλ᾽ ἦ ἐκεῖνο μόνον τὸ     νόμισμα ὀρθόν, ἀντὶ οὗ δεῖ πάντα ταῦτα καταλλάττεσθαι, φρόνησις,     καὶ τούτου μὲν πάντα καὶ μετὰ τούτου ὠνούμενά τε καὶ πιπρασκό-     μενα τῷ ὄντι ἦ καὶ ἀνδρεία καὶ σωφροσύνη καὶ δικαιοσύνη καὶ     συλλήβδην ἀληθὴς ἀρετὴ μετὰ φρονήσεως, καὶ προσγινομένων [67]     καὶ ἀπογιγνομένων καὶ ἡδονῶν καὶ φόβων καὶ τῶν ἄλλων πάντων     τῶν τοιούτων. χωριζόμενα δὲ φρονήσεως καὶ ἀλλαττόμενα ἀντὶ     ἀλλήλων σκιαγραφία τίς ἐστιν ἡ τοιαύτη ἀρετὴ καὶ τῷ ὄντι ἀνδρα-     ποδώδης τε καὶ οὐδὲν ὑγιὲς οὐδὲ ἀληθὲς ἔχει, τὸ δὲ ἀληθὲς τῷ ὄντι     ἐστὶ κάθαρσίς τις τῶν τοιούτων πάντων, καὶ ἡ σωφροσύνη καὶ ἡ     δικαιοσύνη καὶ ἡ ἀνδρεία καὶ αὐτὴ ἡ φρόνησις μὴ καθαρμός τις ἦ.     καὶ κινδυνεύουσι καὶ οἱ τὰς τελετὰς ἡμῖν οὗτοι καταστήσαντες οὐ     φαῦλοι [10] εἶναι, ἀλλὰ τῷ ὄντι πάλαι αἰνίττεσθαι ὅτι ὃς ἂν ἀμύ-     ntog ἢ ἀτέλεστος εἰς Ἅιδου ἀφίκηται, ἐν βορβόρῳ κείσεται, ὁ δὲ     κεκαθαρμένος τε καὶ τετελεσμένος ἐκεῖσε ἀφικόμενος μετὰ θεῶν     οἰκήσει. εἰσὶ γὰρ δή, φασὶν οἱ περὶ τὰς τελετάς, «ναρθηκοφόροι μὲν     πολλοί, βάκχοι δέ τε παῦροι», οὗτοι δ᾽ εἰσὶ κατὰ τὴν ἐμὴν δόξαν     οὐκ ἄλλοι ἢ οἱ πεφιλοσοφηκότες. εἰ τοίνυν καὶ ἀρετὴν τελείαν καὶ     κάθαρσιν τῆς ψυχῆς φιλοσοφία μόνη παρέχειν πέφυκε, μόνης αὐτῆς     ἀντιλαμβάνεσθαι ἄξιον. εἰς γὰρ θεῶν γένος μὴ φιλοσοφήσαντι καὶ     παντελῶς καθαρῷ [20] ἀπιόντι οὐ θέμις ἀφικνεῖσθαι ἄλλῳ ἢ τῷ     φιλομαθεῖ. ἀλλὰ τούτων ἕνεκα οἱ ὀρθῶς φιλόσοφοι ἀπέχονται τῶν     κατὰ τὸ σῶμα ἐπιθυμιῶν ἁπασῶν καὶ καρτεροῦσι καὶ οὐ παραδιδό-     ασιν αὐταῖς αὑτούς, οὐχὶ οἰκοφθορίαν τε καὶ πενίαν φοβούμενοι,               ESORTAZIONE ALLA FILOSOFIA 385               schietta temperanza, perché, temendo di privarsi di altri piaceri che     pure desiderano, si astengono da alcuni piaceri perché dominati da     altri. In verità si chiama intemperanza il lasciarsi comandare dai pia-     ceri, ma nondimeno accade a quegli stessi che sono dominati dai pia-     ceri di dominare a loro volta altri piaceri. E questo è qualcosa di simi-     le a ciò che si diceva poco fa: in qualche modo costoro sono tempe-     ranti in virtà di un’intemperanza. Non è certo questo uno scambio     corretto in favore della virtà, scambiare cioè piaceri con piaceri e     dolori con dolori e paura con paura, il più con il meno, come se fos-     sero monete, anzi l’unica moneta che conta è quella con cui si devo-     no scambiare tutte le altre monete, cioè la prudenza, e di tale moneta     ci si serve per tutti gli acquisti e le vendite quando si tratta di corag-     gio e temperanza e giustizia e, in una parola, di vera virtà accompa-     gnata da prudenza, si aggiungano [67] o si eliminino piaceri o paure     o qualsiasi altra cosa del genere; in assenza di prudenza, anche le cose     scambiate con altre costituiscono una virtù tale da essere un inganno     ed è realmente una virtà da schiavi e non ha niente di sano e di vero,     e la vera virtù è una reale [96dP] purificazione da cose del genere, e     la temperanza e la giustizia e il coraggio e la stessa prudenza non sono     che una sorta di rito purificatorio. Ε non corrono il rischio di essere     per noi degli incapaci anche costoro che hanno fissato per noi le rego-     le dei riti iniziatici, ma che in realtà fin dai tempi antichi alludono al     fatto che colui che giungesse all’Ade senza iniziazione ai piccoli e ai     grandi misteri, rimarrebbe impantanato, mentre colui che si sia puri-     ficato e sia stato iniziato ai misteri, una volta giunto laggiù, vi abiterà     in compagnia degli dèi. Come dicono, infatti, coloro che si occupano     delle iniziazioni, “molti sono i portatori di ferula, ma pochi i baccan-     ti”, e questi ultimi, a mio parere, non sono altri che quelli che hanno     filosofato. Se dunque è la sola filosofia a fornire sia la perfetta virtù sia     la purificazione dell’anima, allora è opportuno che ci si impegni solo     in essa, perché pervenire presso il genere degli dèi non è consentito a     chi non abbia filosofato e sia partito completamente puro, e quindi a     nessun altro se non a chi ama il sapere. Ma è per questo che coloro     che filosofano correttamente si astengono da tutti quanti gli appetiti     corporei e vi oppongono resistenza e non si abbandonano ad essi, né     temono la rovina della loro casa e la povertà, come fanno i più per     amore di ricchezza; né tanto meno hanno timore di perdere i diritti               386 GIAMBLICO               ὥσπερ οἱ πολλοὶ καὶ φιλοχρήματοι: οὐδὲ αὖ ἀτιμίαν te καὶ dboti-     αν μοχθηρίας δεδιότες, ὥσπερ οἱ φίλαρχοί τε καὶ οἱ φιλότιμοι,     ἔπειτα ἀπέχονται αὐτῶν. τοιγάρτοι τούτοις μὲν ἅπασιν ἐκεῖνοι οἷς     τι μέλει τῆς ἑαυτῶν ψυχῆς, ἀλλὰ μὴ σώματα πλάτ[68]τοντες ζῶσι,     χαίρειν εἰπόντες οὐ κατὰ τὰ αὐτὰ πορεύονται αὐτοῖς, ὡς οὐκ εἰδό-     σιν ὅπῃ ἔρχονται, αὐτοὶ δὲ ἡγούμενοι οὐ δεῖν ἐναντία τῇ φιλοσοφί-     ᾳ πράττειν καὶ τῇ ἐκείνης λύσει τε καὶ καθαρμῷ ταύτῃ τρέπονται     ἐκείνῃ ἑπόμενοι, ἣ ἐκείνη ὑφηγεῖται. γιγνώσκουσι γὰρ οἱ φιλομα-     θεῖς ὅτι παραλαβοῦσα αὐτῶν τὴν ψυχὴν ἡ φιλοσοφία ἀτεχνῶς δια-     δεδεμένην ἐν τῷ σώματι καὶ προσκεκολλημένην, ἀναγκαζομένην δὲ     ὥσπερ δι᾽ ἐργμοῦ διὰ τούτου σκοπεῖσθαι τὰ ὄντα ἀλλὰ μὴ αὐτὴν     [10] δι᾽ αὑτῆς, καὶ ἐν πάσῃ ἀμαθίᾳ κυλινδουμένην, καὶ τοῦ ἑργμοῦ     τὴν δεινότητα κατιδοῦσα ὅτι δι᾽ ἐπιθυμίας ἐστίν, ὡς ἂν μάλιστα     αὐτὸς ὁ δεδεμένος ξυλλήπτωρ εἴη τῷ δεδέσθαι, - ὅπερ οὖν λέγω,     γιγνώσκουσιν οἱ φιλομαθεῖς ὅτι οὕτω παραλαβοῦσα ἡ φιλοσοφία     ἔχουσαν αὐτῶν τὴν ψυχὴν ἠρέμα παραμυθεῖται καὶ λύειν ἐπιχει-     ρεῖ, ἐνδεικνυμένη ὅτι ἀπάτης «μὲν» μεστὴ ἡ διὰ τῶν ὀμμάτων σκέ-     ψις, ἀπάτης δὲ ἡ διὰ τῶν ὦὥτων καὶ τῶν ἄλλων αἰσθήσεων, πείθουσα     δὲ ἐκ τούτων μὲν ἀναχωρεῖν ὅσον μὴ ἀνάγκη αὐτοῖς χρη[20]σθαι,     αὐτὴν δὲ εἰς αὑτὴν ξυλλέγεσθαι καὶ ἀθροίζεσθαι παρακελευομένη,     πιστεύειν δὲ μηδενὶ ἄλλῳ ἀλλ᾽ ἢ αὐτὴν αὑτῇ, ὅ τι ἂν νοήσῃ αὐτὴ     καθ᾽ αὑτὴν αὐτὸ καθ᾽ αὑτὸ τῶν ὄντων, ὅ τι δ᾽ ἂν δι᾽ ἄλλων σκοπῇ ἐν     ἄλλοις ὃν ἄλλο, μηδὲν ἡγεῖσθαι ἀληθές; εἶναι δὲ τὸ μὲν τοιοῦτον     αἰσθητόν τε καὶ ὁρατόν, ὃ δὲ αὐτὴ ὁρᾷ νοητόν τε καὶ ἀειδές. ταύτῃ     οὖν τῇ λύσει οὐκ οἰομένη δεῖν ἐναντιοῦσθαι ἡ τοῦ ὡς ἀληθῶς φιλο-     σόφου ψυχὴ οὕτως ἀπέχεται τῶν ἡδονῶν τε καὶ ἐπι [69] θυμιῶν καὶ     λυπῶν καθόσον δύναται, λογιζομένη ὅτι, ἐπειδάν τις σφόδρα ἡσθῇ     ἢ λυπηθῇ ἢ φοβηθῇ ἢ ἐπιθυμήσῃ, οὐδὲν τοσοῦτον κακὸν ἔπαθεν ἀπ’     αὐτῶν ὡς ἄν τις οἰηθείη, οἷον ἢ νοσήσας ἤ τι ἀναλώσας διὰ τὰς ἐπι-     θυμίας, ἀλλ᾽ ὃ πάντων μέγιστόν τε κακῶν καὶ ἔσχατόν ἐστι, τοῦτο               52 σώματα des Places: σώματι Pistelli, che in verità sospettò σώματα in     appar.              ESORTAZIONE ALLA FILOSOFIA 387               civili e la reputazione come conseguenza della loro miseria, come     fanno gli amanti del potere e degli onori, una volta che si siano aste-     nuti da quei piaceri. E proprio per questo, coloro che hanno in qual-     che modo cura della propria anima, e che anzi non vivono per pla-     smare i loro corpi, [68] dicendo addio a tutti questi desideri, non si     incamminano sulla stessa strada di <tutti> gli altri che non sanno     dove vanno, ritenendo essi di non dovere compiere nulla di contrario     alla filosofia e in funzione del fatto che questa è strumento di libera-     zione e di purificazione, si rivolgono ad essa per seguire il cammino     lungo il quale essa li guida. Conoscono bene, infatti, gli amanti del     sapere, che la filosofia, quando accoglie la loro anima assolutamente     imprigionata nel corpo e legata ad esso, e costretta come [97dP] in     una prigione, e non stando in sé e per sé, a guardare la realtà attraver-     so di esso, e come avvoltolata nell’assoluta ignoranza, e quando la filo-     sofia osserva che il rigore di quella prigione è dovuto all’appetito     come se fosse soprattutto lo stesso prigioniero a collaborare nel veni-     re imprigionato, — è questo, ripeto, ciò che conoscono gli amanti del     sapere, cioè che la filosofia, quando accoglie la loro anima che si trova     in queste condizioni, la esorta dolcemente e cerca di liberarla,     mostrando che è piena di inganno l’indagine che si fa con gli occhi, e     piena di inganno anche quella che si fa con le orecchie e con gli altri     sensi, e persuadendola a separarsi da tali sensi per tutto ciò per cui     non sia necessario servirsene, e raccomandandole di collegarsi e rac-     cogliersi in se stessa e di non fidarsi di nient'altro che di se stessa in     ciò che, rimanendo in sé e per sé, essa può pensare della realtà in sé e     per sé, e di ciò che essa può esaminare per mezzo di altri mezzi e che     è diverso in cose diverse, le raccomanda di ritenere che nulla possa     esserci di vero, e che cose di questo genere sono di natura sensibile e     visibile, mentre ciò che l’anima <in sé e per sé> vede è di natura intel-     ligibile e invisibile —. Ritenendo dunque di non doversi opporre a tale     liberazione, l’anima del vero filosofo si astiene allora realmente dai     piaceri e dai desideri [69] e dai dolori per quanto le sia possibile, cal-     colando che, quando uno prova intensamente piacere o dolore o     timore o desiderio, non subisce nessuno di quella specie di mali che     egli può immaginare, quali ad esempio il cadere malato o l’andare in     rovina a causa dei propri appetiti, bensi quel male che è il maggiore     ed estremo fra tutti i mali, e lo subisce senza calcolarlo, cioè il fatto               388 GIAMBLICO               πάσχει καὶ οὐ λογίζεται αὐτό, ὅτι δὴ ψυχὴ παντὸς ἀνθρώπου ἀναγ-     κάζεται ἅμα τε ἡσθῆναι σφόδρα ἢ λυπηθῆναι ἐπὶ τούτῳ καὶ     ἡγεῖσθαι, περὶ ὃ ἂν πάσχῃ μάλιστα τοῦτο, τοῦτο ἐναργέστατόν [10]     τε εἶναι καὶ ἀληθέστατον, οὐχ οὕτως ἔχον: ταῦτα δὲ μάλιστα ὁρατά.     οὐκοῦν ἐν τούτῳ τῷ πάθει μάλιστα καταδεῖται ψυχὴ ὑπὸ σώματος,     ἐπεὶ ἑκάστη ἡδονὴ καὶ λύπη ὥσπερ ἧλον ἔχουσα προσηλοῖ αὐτὴν     πρὸς τὸ σῶμα καὶ προσπερονᾷ καὶ ποιεῖ σωματοειδῆ, δοξάζουσαν     ταῦτα ἀληθῆ εἶναι ἅπερ ἂν καὶ τὸ σῶμα φῇ. ἐκ γὰρ τοῦ ὁμοδοξεῖν     τῷ σώματι καὶ τοῖς αὐτοῖς χαίρειν ἀναγκάζεται, οἶμαι, ὁμότροπός     τε καὶ ὁμότροφος γίγνεσθαι καὶ οἵα μηδέποτε εἰς Ἅιδου καθαρῶς     ἀφικέσθαι, ἀλλ᾽ ἀεὶ ἀναπλέα τοῦ σώματος ἐξιέναι, ὥστε ταχὺ πάλιν     [20] πίπτειν εἰς ἄλλο σῶμα καὶ ὥσπερ σπειρομένη [μὴ] ἐμφύεσθαι,     καὶ ἐκ τούτων ἄμοιρος εἶναι τῆς τοῦ θείου τε καὶ καθαροῦ καὶ     μονοειδοῦς συνουσίας. τούτων τοίνυν ἕνεκα οἱ δικαίως φιλομαθεῖς     κύσμιοί εἰσι καὶ ἀνδρεῖοι, οὐχ ὧν οἱ πολλοὶ ἕνεκά φασιν. ἀλλ᾽     οὕτω λογίσαιτ᾽ ἂν ψυχὴ ἀνδρὸς φιλοσόφου, καὶ οὐκ ἂν οἰηθείη τὴν     μὲν φιλοσοφίαν χρῆναι ἑαυτὴν λύειν λυούσης δὲ ἐκείνης αὑτὴν     παραδιδόναι ταῖς ἡδοναῖς [70] καὶ λύπαις ἑαυτὴν πάλιν αὖ ἐγκατα-     δεῖν καὶ ἀνήνυτον ἔργον πράττειν, Πενελόπης τινὰ ἐναντίως ἱστὸν     μεταχειριζομένης: ἀλλὰ γαλήνην τούτων παρασκευάζουσα,     ἑπομένη τῷ λογισμῷ καὶ ἀεὶ ἐν τούτῳ οὖσα, τὸ ἀληθὲς καὶ τὸ θεῖον     καὶ τὸ ἀδόξαστον θεωμένη καὶ ὑπ᾽ ἐκείνου τρεφομένη, ζῆν τε     οἴεται οὕτω δεῖν ἕως ἂν ζῇ, καὶ ἐπειδὰν τελευτήσῃ εἰς τὸ ξυγγενὲς     καὶ εἰς τὸ τοιοῦτον ἀφικομένη ἀπηλλάχθαι τῶν ἀνθρωπίνων κακῶν.     ἐκ δὴ τῆς τοιαύτης ἐφόδου φαίνεται ἡμῖν [10] φιλοσοφία ἀπαλλαγὴν     τῶν ἀνθρωπίνων δεσμῶν παρέχειν καὶ λύσιν τῆς γενέσεως καὶ     περιαγωγὴν ἐπὶ τὸ ὃν καὶ γνῶσιν τῆς ὄντως ἀληθείας καὶ κάθαρσιν     ταῖς ψυχαῖς. εἰ δὲ ἐν τούτῳ μάλιστά ἐστιν ἡ ὄντως εὐδαιμονία,     σπουδαστέον περὶ αὐτήν, εἴπερ ὄντως βουλόμεθα μακάριοι εἶναι.     ᾿Αλλὰ μὴν καὶ τόδε διανοηθῆναι ἄξιον, ὅτι εἴπερ ἡ ψυχὴ ἀθάνατος,     ἐπιμελείας δὴ δεῖται οὐχ ὑπὲρ τοῦ χρόνου μόνου τούτου ἐν ᾧ     καλοῦμεν τὸ ζῆν, ἀλλ᾽ ὑπὲρ τοῦ παντός, καὶ ὁ κίνδυνος νῦν δὴ καὶ               ESORTAZIONE ALLA FILOSOFIA 389               che l'anima di ogni uomo è costretta a provare intensamente piacere     o dolore e nello stesso tempo ritenere che ciò che subisce sia soprat-     tutto questo, cioè che ciò che subisce sia la cosa più evidente e più     vera, ma le cose non stanno proprio cosî: questo accade soprattutto     per quelle cose che sono visibili. Dunque [98dP] è proprio nel subi-     re questo che l’anima viene incatenata dal corpo, giacché qualsiasi     piacere o dolore possiede come un chiodo che la inchioda al corpo e     ve la lascia attaccata, e la rende corporea, dandole l’idea che sono vere     <solo> le cose che il corpo dirà essere tali. Per questo suo adeguarsi     alle opinioni del corpo e per il fatto che provi gli stessi suoi godimen-     ti, infatti, credo che l’anima sia costretta a provare gli stessi impulsi e     a nutrirsi degli stessi nutrimenti del corpo e a non giungere mai     all’Ade purificata, ma a uscire dal corpo sempre contaminata, in     modo da ripiombare subito dopo in un altro corpo e a germogliarvi     come se vi fosse stata seminata, e perciò a non essere partecipe della     compagnia di ciò che è divino e puro e uniforme. È per questo, dun-     que, che coloro che amano giustamente il sapere sono onesti e corag-     giosi, non già per quello che dicono i più. Sarebbe questo il calcolo di     un’anima di filosofo, e non crederebbe che la filosofia debba liberar-     la e, una volta liberata, far si che l’anima si abbandoni ai piaceri {70]     e ai dolori, si lasci di nuovo incatenare e si metta a compiere il lavoro     di Penelope che tesse a ritroso la sua tela; al contrario, dopo avere     portato la calma in tutto questo, proseguendo nel suo calcolo e rima-     nendo sempre in esso, contemplando il divino e ciò che non è ogget-     to di opinioni e lasciandosi nutrire da esso, ritiene di dover vivere in     tale stato finché vive, e dopo la morte, giunta a ciò che le è congene-     re e della sua stessa natura, liberarsi dai mali degli uomini. Da un tale     percorso ci appare evidente, appunto, che la filosofia procura alle     anime una liberazione dai mali degli uomini e uno scioglimento dalla     generazione e una conversione al <vero> essere e alla conoscenza     della reale verità e alla purificazione. Se consiste in questo soprattut-     to la reale felicità, bisogna occuparsi della filosofia, se è vero che noi     vogliamo realmente essere beati.          [99dP] Ma in verità è opportuno ragionare anche su questo, cioè     sul fatto che, se è vero che l’anima è immortale, allora dobbiamo     prenderci cura di essa non solo durante questo tempo che noi chia-     miamo vita, bensi per tutto il tempo, e ci sembra allora un grave               390 GIAMBLICO               δόξειεν [20] ἂν δεινὸς εἶναι, εἴ τις αὐτῆς ἀμελήσει. εἰ μὲν γὰρ ἦν     ὁ θάνατος τοῦ παντὸς ἀπαλλαγή, ἕρμαιον ἂν ἦν τοῖς κακοῖς ἀποθα-     νοῦσι τοῦ τε σώματος ἅμα ἀπηλλάχθαι καὶ τῆς αὑτῶν κακίας μετὰ     τῆς ψυχῆς" νῦν δὲ ἐπειδὴ ἀθάνατος φαίνεται οὖσα, οὐδεμία ἂν εἴη     αὐτῇ ἄλλη ἀποφυγὴ κακῶν οὐδὲ σωτηρία πλὴν τοῦ ὡς βελτίστην τε     καὶ φρονιμωτάτην γενέσθαι. οὐδὲν γὰρ ἄλλο ἔχουσα εἰς Ἅιδου ἡ     ψυχὴ ἔρχεται πλὴν τῆς παιδείας τε καὶ τροφῆς, ἃ δὴ καὶ λέγεται μέ-     γιστα ὠφελεῖν ἢ βλάπτειν τὸν τελευτήσαντα εὐθὺς ἐν ἀρχῇ [71] τῆς     ἐκεῖσε πορείας. ἡ μὲν γὰρ ἀμείνων ψυχὴ μετὰ θεῶν οἰκεῖ καὶ περι-     πορεύεται κατ᾽ οὐρανὸν βελτίονός τε λήξεως τυγχάνει, ἡ δὲ ἀδίκων     ἔργων ἁψαμένη καὶ ἀνοσιουργίας πλησθεῖσα καὶ ἀσεβείας εἰς τὰ     ὑπὸ γῆν δικαιωτήρια ἐλθοῦσα δίκης τῆς προσηκούσης μεταλαγχά-     νει. ὧν δὴ ἕνεκα χρὴ πᾶν ποιεῖν, ὥστε ἀρετῆς καὶ φρονήσεως ἐν τῷ     βίῳ μετασχεῖν᾽ καλὸν γὰρ τὸ ἀθλον καὶ ἡ ἐλπὶς μεγάλη. καὶ τούτων     δὴ ἕνεκα θαρρεῖν χρὴ περὶ τῇ ἑαυτοῦ ψυχῇ ἄνδρα, ὅστις ἐν τῷ βίῳ     τὰς μὲν [10] ἄλλας ἡδονὰς τὰς περὶ τὸ σῶμα καὶ τοὺς κόσμους εἴασε     χαίρειν, ὡς ἀλλοτρίους τε ὄντας καὶ πλέον θάτερον ἡγησάμενος     ἀπεργάζεσθαι, τὰς δὲ περὶ τὸ μανθάνειν ἐσπούδασέ τε καὶ     κοσμήσας τὴν ψυχὴν οὐκ ἀλλοτρίῳ ἀλλὰ τῷ ἑαυτῆς κόσμῳ, σωφρο-     σύνῃ τε καὶ δικαιοσύνῃ καὶ ἀνδρείᾳ καὶ ἐλευθερίᾳ καὶ ἀληθείᾳ,     οὕτω περιμένει τὴν εἰς Ἅιδου πορείαν, ὡς πορευσόμενος ὅταν ἡ     εἱμαρμένη καλῇ. τούτων δὴ οὖν οὕτως ἐχόντων οὐ χρημάτων δεῖ ἐπι-     μελεῖσθαι ὅπως ἔσται ὡς πλεῖστα, οὐδὲ δόξης καὶ τιμῆς, ἀλλὰ φρον-     ήσεως καὶ ἀληθείας [20] καὶ τῆς ψυχῆς, ὅπως ὡς βελτίστη ἔσται. οὐ     γὰρ δεῖ τὰ πλείστου ἄξια περὶ ἐλαχίστου ποιεῖσθαι, τὰ δὲ φαυλότε-     ρα περὶ πλείονος. οὔτε σωμάτων οὖν ἐπιμελεῖσθαι οὔτε χρημάτων     δεῖ πρότερον, οὐδὲ οὕτως σφόδρα ὡς τῆς ψυχῆς, ὅπως ὡς ἀρίστη     ἔσται οὐ γὰρ ἐκ χρημάτων ἀρετὴ γίγνεται, ἀλλ᾽ ἐξ ἀρετῆς χρήματα     καὶ τἄλλα ἀγαθὰ τοῖς ἀνθρώποις πάντα καὶ ἰδίᾳ καὶ [72] δημοσίᾳ.     ἕν τι οὖν τοῦτο διανοεῖσθαι δεῖ ἀληθές, ὅτι οὐκ ἔσται ἀνδρὶ ἀγαθῷ     κακὸν οὐδὲν οὔτε ζῶντι οὔτε τελευτήσαντι, οὐδὲ ἀμελεῖται ὑπὸ     θεῶν τὰ τούτου πράγματα, ὥστε εἰς ἑαυτὸν διανηρτῆσθαι πάντα τὰ     ἀγαθὰ τὰ εἰς εὐδαιμονίαν φέροντα, καὶ ὁ τούτου ἐγγύτατα παρε-               ESORTAZIONE ALLA FILOSOFIA 391               rischio non prendersi cura di essa. Se infatti la morte fosse una libe-     razione da ogni cosa, sarebbe una felice scoperta per i malvagi che     muoiono liberarsi a un tempo del corpo e, con l’anima, delle loro pro-     prie malvagità; ora, però, dal momento che l’anima ci appare essere     immortale, non ci sarà per essa alcuna fuga dai mali né alcuna salvez-     za tranne che il divenire la migliore e più prudente possibile.     Nient'altro infatti l'anima porta con sé nell’Ade tranne la sua cultura     e la sua educazione, cose che — come si racconta -- sono del massimo     vantaggio o nocumento per chi muore fin dall’inizio [71] del suo     viaggio laggiù, perché l’anima migliore coabita con gli dèi e ruota con     l'universo e ottiene la sorte migliore, mentre quella che opera ingiu-     stizie ed è ricolma di nefandezza ed empietà, giunta ai tribunali sot-     terranei, riceve la condanna che merita. È per questo che bisogna fare     ogni cosa in modo da partecipare in questa vita della virtù e della pru-     denza, perché il premio è bello e grande è la speranza. E per tutto ciò     bisogna affidarsi, per la propria anima, a chi durante la sua vita ha     dato addio agli altri piaceri, cioè ai piaceri del corpo e ai suoi orpelli,     in quanto ritiene che siano realtà estranee e che operano in senso più     contrario che favorevole all'anima, e si è preoccupato di apprendere     per dare alla sua anima un ornamento non eterogeneo a quello che     essa ha per se stessa, [100dP] e cioè a prudenza e giustizia e coraggio     e libertà e verità, e aspetta il viaggio all’Ade in modo da compierlo     quando il destino lo chiami. Stando cosi le cose, dunque, non bisogna     curarsi delle ricchezze perché si accumulino al massimo, né della fama     e degli onori, bensî <solo> della prudenza e della verità e dell'anima,     affinché questa sia la migliore possibile. Non bisogna infatti attribui-     re pochissimo valore a ciò che vale moltissimo, né un valore maggio-     re a ciò che vale di meno. Non bisogna dunque curarsi né dei corpi     né delle ricchezze, né in maniera più forte che dell'anima, affinché     questa sia la più virtuosa possibile; dalle ricchezze infatti non nasce     virtà, al contrario dalla virtà nascono ricchezze e tutti gli altri beni per     gli uomini, siano essi privati o [72] pubblici. Bisogna dunque pensa-     re che c’è una sola verità, cioè che per l’uomo virtuoso, sia in vita che     dopo la morte, non ci sarà alcun male, e neppure i suoi affari sono tra-     scurati dagli dèi, sicché da lui stesso dipendono tutti i beni che lo con-     ducono alla felicità, e colui che vi si avvicina di più vivrà nel modo più     beato possibile. Tali dovranno essere anche i percorsi che partendo da     questi ragionamenti portano ad esortare alla filosofia.               392 GIAMBLICO               σκενασμένος οὗτος ἂν μάλιστα μακαριώτατος διαζήσειεν. τοιαῦται     ἔστωσαν καὶ αἱ ἀπὸ τούτων ἐπὶ τὴν εἰς φιλοσοφίαν προτροπὴν     ἔφοδοι.         XIV. Δεῖ δὲ καὶ ἀπὸ τοῦ βίου τῶν κορυ[1θ]φαίων ἐν φιλοσοφίᾳ     ἀνδρῶν ἑπομένως ταῖς Πυθαγόρου ὑποθήκαις ποιήσασθαι τὴν προ-     τροπήν. οἱ γὰρ τοιοῦτοί που ἐκ νέων πρῶτον μὲν εἰς ἀγορὰν οὐκ     ἴσασι τὴν ὁδόν, οὐδὲ ὅπου δικαστήριον ἢ βουλευτήριον ἦ τι κοινὸν     ἄλλο τῆς πόλεως συνέδριον, νόμους δὲ καὶ ψηφίσματα λεγόμενα ἢ     γεγραμμένα οὔτε ὁρῶσιν οὔτε ἀκούουσι’ σπουδαὶ δὲ ἑταιρειῶν ἐπ᾽     ἀρχὰς καὶ σύνοδοι καὶ δεῖπνα καὶ σὺν αὐλητρίσι κῶμοι, οὐδὲ ὄναρ     πράττειν προσίσταται αὐτοῖς. εὖ δὲ ἢ κακῶς τις γέγονεν ἐν πόλει,     ἢ τί τῳ κακόν ἐστιν ἐκ προ[20]γόνων γεγονὸς ἢ πρὸς ἀνδρῶν ἢ     γυναικῶν, μᾶλλον αὐτὸν λέληθεν ἢ οἱ τῆς θαλάττης λεγόμενοι χόες.     καὶ ταῦτα πάντα οὐδ᾽ ὅτι οὐκ οἶδεν, οἶδεν" οὐδὲ γὰρ αὐτῶν ἀπέχε-     ται τοῦ εὐδοκιμεῖν χάριν, ἀλλὰ τῷ ὄντι τὸ σῶμα μόνον ἐν τῇ πόλει     κεῖται αὐτοῦ καὶ ἐπιδημεῖ, ἡ δὲ διάνοια, ταῦτα πάντα ἡγησαμένη     σμικρὰ [73] καὶ οὐδέν, ἀτιμάσασα πανταχῇ πέτεται κατὰ Πίνδαρον     τά τε γᾶς ὑπένερθε καὶ τὰ ἐπίπεδα γεωμετροῦσα, οὐρανοῦ τε ὕπερ     ἀστρονομοῦσα καὶ πᾶσαν πάντῃ φύσιν ἐρευνωμένη τῶν ὄντων     ἑκάστου ὅλου, εἰς τῶν ἐγγὺς οὐδὲν ἑαυτὴν συγκαθιεῖσα. ὥσπερ δὴ     καὶ Θαλῆν ἀστρονομοῦντα καὶ ἀναβλέποντα πεσόντα εἰς φρέαρ     Θρᾷττά τις ἐμμελὴς καὶ χαρίεσσα θεραπαινὶς ἀποσκῶψαι λέγεται,     ὡς τὰ μὲν ἐν οὐρανῷ προθυμοῖτο εἰδέναι, τὰ δὲ ὄπισθεν αὐτοῦ καὶ     παρὰ πόδας λαν[]0]θάνοι αὐτόν. ταὐτὸν δὲ ἀρκεῖ σκῶμμα ἐπὶ πά-     ντας ὅσοι ἐν φιλοσοφίᾳ διάγουσι. τῷ γὰρ ὄντι τὸν τοιοῦτον ὁ μὲν     πλησίον καὶ ὁ γείτων λέληθεν, οὐ μόνον ὅ τι πράττει, ἀλλ᾽ ὀλίγου     καὶ «εἰ» ἄνθρωπός ἐστιν ἤ τι ἄλλο θρέμμα’ τί δή ποτ᾽ ἐστὶν     ἄνθρωπος καὶ τί τῇ τοιαύτῃ φύσει προσήκει διαφέρον τῶν ἄλλων ἢ     ποιεῖν ἢ πάσχειν, ζητεῖ τε καὶ πράγματ᾽ ἔχει διερευνώμενος. τοι-     γάρτοι ἰδίᾳ τε συγγιγνόμενος ὁ τοιοῦτος ἑκάστῳ καὶ δημοσίᾳ, ὅταν     ἐν δικαστηρίῳ ἤ που ἄλλοθι ἀναγκασθῇ περὶ τῶν παρὰ πόδας καὶ τῶν     ἐν ὀφθαλ[20]μοῖς διαλέγεσθαι, γέλωτα παρέχει οὐ μόνον Θράτταις               ESORTAZIONE ALLA FILOSOFIA 393               14. Bisogna poi fare esortazione anche partendo dalla vita degli     uomini che in filosofia sono i corifei, e seguire appunto le regole dei     Pitagorici, perché questi fin da giovani, in qualche modo, non cono-     scono anzitutto qual è la strada che porta in piazza, né dove sia il tri-     bunale o l'assemblea o altro pubblico consesso della città, né prendo-     no visione né ascoltano leggi e decreti, verbali o scritti; e dispute     [101dP] tra le eterie per la conquista di cariche pubbliche e riunioni     e simposi e feste con la partecipazione di suonatrici di flauto, essi nep-     pure in sogno si apprestano a frequentare. Chi in città abbia una     nascita nobile o ignobile, o quali tare ereditarie esso abbia ricevuto     dai suoi genitori, padre o madre, il Pitagorico lo ignora più di quan-     to non ignori i cosiddetti congi del mare. E tutte queste cose egli non     sa neppure che non le sa, perché se ne tiene in disparte, e non certo     per vantarsene, ma perché nella città egli sta soltanto in virti del suo     corpo e del suo diritto di residenza, mentre la sua ragione, che ritiene     tutte queste cose di poco [73] o nessun valore, le disprezza e se ne     vola via da ogni parte, come dice Pindaro, per calcolare geometrica-     mente le superfici sotterranee, e astronomitamente quelle sopra il     cielo e scoprire da ogni parte l’intera natura di ciascun ente dell’uni-     verso, senza <mai> abbassarsi verso nessuno degli enti che le sono     vicini. Cosi come si racconta di Talete che avrebbe esercitato l’astro-     nomia e guardando verso l’alto fosse caduto in un pozzo, e una ser-     vetta trace, intelligente e graziosa, si sia fatta beffa di lui, perché desi-     derava conoscere le cose del cielo, ma ignorava quello che stava die-     tro di lui e vicino ai suoi piedi, allo stesso modo sarebbe giusto farsi     beffa di tutti coloro che trascorrono la propria vita a filosofare, per-     ché costoro realmente ignorano chi è loro prossimo e confinante, e     non solo quel che fa, ma neppure, quasi quasi, se è un uomo o un     vivente di altra razza; in verità cosa mai sia un uomo e che cosa per     questa sua natura gli competa di diverso da tutti gli altri o che cosa     faccia o subisca, sono queste le cose che egli indaga e cerca di scopri-     re. E proprio per questo un tale uomo (cioè il vero filosofo), chiun-     que frequenti sia in privato che in pubblico, quando in un tribunale     o da qualche altra parte sia costretto [102dP] a dialogare su ciò che     ha vicino ai piedi e negli occhi, egli si presta ad essere deriso non solo     dalle <servette> traci, ma anche da tutta l’altra gente, perché a causa     della sua inesperienza cade in pozzi e in difficoltà di ogni genere, e la               394 GIAMBLICO               ἀλλὰ καὶ τῷ ἄλλῳ ὄχλῳ, εἰς φρέατά τε καὶ πᾶσαν ἀπορίαν ἐμπίπτων     ὑπὸ ἀπειρίας, καὶ ἡ ἀσχημοσύνη δεινή, δόξαν ἀβελτηρίας παρεχο-     μένη. ἔν τε γὰρ ταῖς λοιδορίαις ἴδιον ἔχει οὐδὲν οὐδένα λοιδορεῖν     αὐτὸς οὐκ εἰδὼς κακὸν οὐδὲν οὐδενὸς ἐκ τοῦ μὴ μεμελετηκέναι"     ἀπορῶν οὖν γελοῖος daivetar: ἔν τε τοῖς ἐπαίνοις καὶ ταῖς τῶν     ἄλλων μεγαλαυχίαις οὐ προσποιήτως, [74] ἀλλὰ τῷ ὄντι γελῶν     ἔνδηλος γιγνόμενος ληρώδης δοκεῖ εἶναι. τύραννόν τε γὰρ ἢ βασι-     λέα ἐγκωμιαζόμενον ἕνα τῶν νομέων οἷον συβώτην ἢ ποιμένα ἤ τινα     βουκόλον ἡγεῖται ἀκούειν εὐδαιμονιζόμενον πολὺ βδάλλοντα     γάλα, δυσκολώτερον δὲ ἐκείνων ζῷον καὶ ἐπιβουλότερον ποιμαί-     νεῖν τε καὶ βδάλλειν νομίζει αὐτούς, ἀγροῖκον δὲ καὶ ἀπαίδευτον     ὑπὸ ἀσχολίας οὐδὲν ἧττον τῶν νομέων τὸν τοιοῦτον ἀναγκαῖον γί-     γνεσθαι, σηκὸν ἐν ὄρει τὸ τεῖχος περιβεβλημένον. γῆς δὲ ὅταν μυρί-     α [10] πλέθρα ἢ ἔτι πλείω ἀκούσῃ ὥς τις ἄρα κεκτημένος θαυμαστὰ     πλήθει κέκτηται, πάνσμικρα δοκεῖ ἀκούειν, εἰς ἅπασαν εἰωθὼς τὴν     γῆν βλέπειν. τὰ δὲ δὴ γένη ὑμνούντων, ὡς γενναῖός τις ἑπτὰ πάππους     πλουσίους ἔχων ἀποφῆναι, παντάπασιν ἀμβλὺ καὶ ἐπὶ σμικρὸν     ὁρώντων ἡγεῖται τὸν ἔπαινον, ὑπὸ ἀπαιδευσίας οὐ δυναμένων εἰς τὸ     πᾶν ἀεὶ βλέπειν οὐδὲ λογίζεσθαι ὅτι πάππων καὶ προγόνων μυριά-     δες ἑκάστῳ γεγόνασιν ἀναρίθμητοι, ἐν αἷς πλούσιοι καὶ πτωχοὶ καὶ     βασιλεῖς καὶ δοῦλοι βάρβαροί τε καὶ Ἕλληνες πολλάκις μυρίοι     [20] γεγόνασιν ὁτῳοῦν, ἀλλ᾽ ἐπὶ πέντε καὶ εἴκοσι καταλόγῳ προ-     γόνων σεμνυνομένων καὶ ἀναφερόντων εἰς Ἡρακλέα τὸν     ᾿Αμφιτρύωνος «ἄτοπα αὐτῷ παταφαίνεται τῆς σμικρολογίας, ὅτι δὲ ὁ     ἀπ᾽ ᾿Αμφιτρύωνος εἰς τὸ ἄνω «πεντεκαιεικοστὸς;» τοιοῦτος ἦν οἵα     συνέβαινεν αὐτῷ τύχη, καὶ ὁ πεντηκοστὸς ἀπ᾽ αὐτοῦ, γελᾷ οὐ δυνα-     μένων λογίζεσθαί τε καὶ χαυνότητα ἀνοήτου ψυχῆς ἀπαλλάττειν.     ἐν ἅπασι δὴ τούτοις ὁ τοιοῦτος ὑπὸ τῶν πολλῶν καταγελᾶται, τὰ μὲν     ὑπερηφάνως ἔχων, [75] ὡς δοκεῖ, τὰ δ᾽ ἐν ποσὶν ἀγνοῶν τε καὶ ἐν               ESORTAZIONE ALLA FILOSOFIA 395               figuraccia che fa è terribile, perché gli procura la fama di stolto, giac-     ché in fatto di biasimi egli non ne trova nessuno appropriato a nessu-     no, perché non conosce alcun male di nessuno per non essersene     occupato; e perciò quando è in difficoltà appare ridicolo; anche in     fatto di lodi e di millanterie da parte di altri egli, mettendosi a ridere     apertamente non per finta, [74] ma realmente, fa la figura di uno     sciocco. Se viene lodato un tiranno o un re, egli crede di sentire loda-     re, per l'abbondante latte che munge, un qualche pastore, un porca-     ro, ad esempio, o un capraro o un bovaro, e ritiene che il tiranno e il     re pascolino e mungano un animale (cioè l’uomo) più intrattabile e     insidioso di quelli, e che un tale animale (cioè l’uomo) possa divenire     necessariamente, per mancanza di tempo libero, rozzo e incolto non     meno dei pastori, in una stalla di montagna circondata da un muro.     Quando poi sente parlare di qualcuno che, possedendo diecimila     plettri di terra, o ancora di più, sia per questo uno che ne possiede     una quantità straordinaria, al filosofo sembra di ascoltare una quanti-     tà assolutamente irrisoria, abituato com'è a volgere lo sguardo alla     terra intera. Se poi si celebrano le stirpi e sente parlare della nobiltà     di una stirpe perché presenta sette generazioni di ricchi antenati, allo-     ra egli ritiene questa lode come fatta da uomini che hanno la vista     assolutamente debole e corta, perché non sono in grado a causa della     loro incultura di guardare sempre all’universo né di calcolare che per     ciascuno di noi esistono innumerevoli miriadi di antenati e progenito-     ri, tra cui ci sono ricchi e poveri e regnanti e schiavi e barbari e greci,     per qualsiasi dei quali esistono, a loro volta, parecchie decine di     migliaia di generazioni, anzi se si celebrano progenitori calcolandoli     fino a venticinque generazioni facendoli risalire ad Eracle figlio di     Anfitrione, al filosofo appare una lode stranamente meschina, perché     il fatto di essere, verso l’alto, [103dP] il venticinquesimo da     Anfitrione dipende dalla fortuna, cosi come l’essere, <verso il basso>,     il cinquantesimo da lui, e si mette a ridere perché quelli non sono     capaci di fare questo calcolo e di liberarsi della vanità di un'anima     incapace di pensare.8} In tutti questi casi, appunto, un uomo del gene-     re viene deriso dai più, da un lato come uno che si comporta in modo     orgoglioso, [75] come sembra, dall’altro lato come uno che ignora     quel che ha sotto i piedi e prova difficoltà in ogni cosa. Quando inve-     ce egli trascina qualcuno verso l’alto, e qualcuno vuole risolvere col               396 GIAMBLICO               ἑκάστοις ἀπορῶν. ὅταν δέ γέ τινα αὐτὸς ἑλκύσῃ ἄνω, καὶ ἐθελήσῃ     τις αὐτῷ ἐκβῆναι ἐκ τοῦ Τί ἐγὼ σὲ ἀδικῶ ἢ σὺ ἐμέ; εἰς σκέψιν αὖ     τῆς δικαιοσύνης τε καὶ ἀδικίας, τί τε ἑκάτερον αὐτοῖν καὶ τί τῶν     πάντων ἢ ἀλλήλων διαφέρετον; ἢ ἐκ τοῦ Εἰ βασιλεὺς εὐδαίμων κεκ-     τημένος πολὺ χρυσίον, [ἢ] βασιλείας πέρι καὶ ἀνθρωπίνης ὅλως εὐ-     δαιμονίας καὶ ἀθλιότητος ἐπίσκεψιν, ποίω τέ τινε ἐστὸν καὶ τίνα     τρόπον ἀνθρώπου [10] φύσει προσήκει τὸ μὲν κτήσασθαι αὐτοῖν, τὸ     δὲ ἀποφυγεῖν, - περὶ πάντων τούτων ὅταν αὖ δέῃ λόγον διδόναι τὸν     σμικρὸν ἐκεῖνον τὴν ψυχὴν καὶ δριμὺν καὶ δικανικόν, πάλιν αὖ τὰ     ἀντίστροφα ἀποδίδωσιν. ἰλιγγιῶν τε ἀπὸ ὑψηλοῦ κρεμασθεὶς καὶ     βλέπων μετέωρος ἄνωθεν ὑπὸ ἀηθείας ἀδημονῶν τε καὶ ἀπορῶν καὶ     βαρβαρίζων γέλωτα Θράτταις μὲν οὐ παρέχει οὐδ᾽ ἄλλῳ ἀπαιδεύτῳ     οὐδενί (οὐδὲ γὰρ αἰσθάνονται), τοῖς δὲ ἐναντίως ἢ ὡς ἀνδραπόδοις     τραφεῖσι πᾶσιν. οὗτος δὴ ἑκατέρου τρόπος τῆς ζωῆς᾽ ὁ μὲν τῷ ὄντι     ἐν [20] ἐλευθερίᾳ τε καὶ σχολῇ τεθραμμένου, ὃν δὴ «δεῖ» φιλόσοφον     καλεῖν, «ᾧ» ἀνεμέσητον εὐήθει δοκεῖν καὶ οὐδενὶ εἶναι, ὅταν εἰς     δουλικὰ ἐμπέσῃ διακονήματα, οἷον στρωματόδεσμον μὴ ἐπισταμέ-     νου συςκευάσασθαι μηδὲ ὄψον ἡδῦναι ἢ θῶπας λόγους" ὁ δ᾽ αὖ τὰ     μὲν τοιαῦτα πάντα δυναμένου τορῶς θατέρου καὶ ὀξέως διακῦνεῖν,     ἀναβάλλεσθαι «δὲ» οὐκ ἐπισταμένου ἐπὶ [76] δεξιὰ ἐλευθέρως οὐδὲ     ἁρμονίαν λόγων λαβόντος ὀρθῶς ὑμνῆσαι θεῶν τε καὶ ἀνδρῶν εὐ-     δαιμόνων βίον ἀληθῆ. οἶμαι δὴ οὖν, εἰ πείθοιντο οἱ ἄνθρωποι τού-     τοις, πλείονα ἂν εἰρήνην καὶ κακὰ ἐλάττω κατ᾽ αὐτοὺς ἔσεσθαι. τὰ     μὲν οὖν κακὰ οὔτ᾽ ἀπολέσθαι δυνατόν (ὑπεναντίον γάρ τι τῷ ἀγαθῷ     ἀεὶ εἶναι ἀνάγκη), οὔτ᾽ ἐν θεοῖς αὐτὰ ἱδρύσθαι, τὴν δὲ θνητὴν φύ-     σιν καὶ τόνδε τὸν τόπον περιπολεῖ ἐξ ἀνάγκης. διὸ καὶ πειρᾶσθαι     χρὴ ἐνθένδε ἐκεῖσε φεύγειν ὅ τι τάχιστα. φυγὴ [10] δὲ ὁμοίωσις θεῷ     κατὰ τὸ δυνατόν᾽ ὁμοίωσις δὲ δίκαιον καὶ ὅσιον μετὰ φρονήσεως     γενέσθαι. ἀλλὰ γὰρ οὐ πάνυ ῥάδιον πεῖσαι, ὡς ἄρα οὐχ ὧν ἕνεκα οἱ               ESORTAZIONE ALLA FILOSOFIA 397               suo aiuto problemi come questo: “che ingiustizia io ho fatto a te o tu     ame”, allo scopo di indagare sulla giustizia e sull’ingiustizia, e su che     cosa appartiene a ciascuno di tali concetti o a tutti e due, o in che cosa     differiscono tra loro; o come quest'altro: “se il re è felice perché pos-     siede molto oro”, allo scopo di indagare sulla <condizione> regale e     in generale sulla felicità e sulla sventura degli uomini, e sulle loro     rispettive qualità e in che modo conviene all’uomo acquistare l’una e     fuggire l’altra; quando dunque su tutti questi problemi si ha bisogno     di rendere ragione, per quel tale che è meschino nell’anima <anche     se> scaltro e leguleio, arriva il momento di ripagare il corrispettivo     <della sua derisione>. E colto da vertigini, perché è sospeso a quel-     l'altezza e guarda dall’alto del cielo senza essere abituato, e agitato e     in difficoltà e balbettante, fa ridere non già le servette traci o altri che     siano incolti (perché questi non ne avrebbero neppure la percezione),     ma tutti quelli che hanno ricevuto un’educazione opposta a quella     degli schiavi. È questo il modo di vivere dell’uno e dell'altro: quello     di chi è stato allevato realmente da uomo libero e negli studi liberali,     quello appunto che si deve chiamare filosofo, a cui, per la sua schiet-     tezza, non farebbe caso di apparire un ingenuo o un buono a nulla,     allorché dovesse cadere in servigi da schiavo, e non sapesse, ad esem-     pio, preparare l’occorrente per dormire in una sacca da viaggio, né     condire una pietanza o esprimere parole di adulazione; l’altro di chi     invece è in grado di gestire tutti questi servigi in maniera perspicua e     risoluta, [104dP] anche se non sa tirarsi su il mantello [76] sulla spal-     la destra alla maniera di un uomo libero né cogliere l'armonia delle     parole per celebrare correttamente la vera vita degli dèi e degli uomi-     ni felici. Io credo dunque che, se gli uomini si lasciano persuadere da     questi ragionamenti, troveranno in loro una pace maggiore e un     minor numero di mali. Non è possibile dunque che i mali si dissolva-     no (perché necessariamente c’è sempre qualcosa di contrario al bene),     né che dimorino presso gli dèi, mentre è necessario che essi girino     intorno alla natura mortale e al luogo di quaggiù. Perciò occorre     anche cercare di fuggire al più presto da qui verso lassù. E la fuga non     è altro che un’assimilazione a dio, per quanto sia possibile; e <questa>     assimilazione non è altro che un divenire giusti e santi con prudenza.     Ma allora non è affatto facile incutere la persuasione che non è dun-     que a causa delle ragioni di cui parlano i più che bisogna fuggire la               398 GIAMBLICO               πολλοί φασι δεῖν πονηρίαν μὲν φεύγειν ἀρετὴν δὲ διώκειν, τούτων     χάριν τὸ μὲν ἐπιτηδευτέον τὸ δ᾽ οὔ, ἵνα δὴ μὴ κακὸς καὶ ἵνα ἀγαθὸς     δοκῇ εἶναι. ταῦτα μὲν γάρ ἐστιν ὁ λεγόμενος γραῶν ὕθλος, ὡς ἐμοὶ     φαίνεται" τὸ δὲ ἀληθὲς ὧδε λέγομεν. θεὸς οὐδαμῇ οὐδαμῶς ἀδικος,     ἀλλ᾽ ὡς οἷόν τε δικαιότατος, καὶ οὐκ ἔστιν αὐτῷ ὁμοιότερον οὐδὲν     ἢ ὃς ἂν ἡμῶν αὖ γένηται ὅ τι [20] δικαιότατος. περὶ τοῦτο καὶ ἡ ὡς     ἀληθῶς δεινότης ἀνδρὸς καὶ ἡ οὐδένειά τε καὶ ἀνανδρία. ἡ μὲν γὰρ     τούτου γνῶσις σοφία καὶ ἀρετὴ ἀληθινή, ἡ δὲ ἄγνοια ἀμαθία καὶ     κακία ἐναργής᾽ αἱ δὲ ἄλλαι δεινότητές τε δοκοῦσαι καὶ σοφίαι ἐν     μὲν πολιτικαῖς δυναστείαις γιγνόμεναι φορτικαί, ἐν δὲ τέχναις βά-     ναῦσοι. τῷ οὖν ἀδικοῦντι καὶ ἀνόσια λέγοντι ἢ πράττοντι μακρῷ     ἄριστ᾽ ἔχει τι τὸ μὴ συγχωρεῖν δεινῷ ὑπὸ πανουργίας εἶναι" ἀγάλ-     λονται γὰρ τῷ ὀνείδει καὶ οἴονται ἀκούειν ὅτι οὐ λῆροί εἰσι, γῆς     ἄλλως ἄχθη, ἀλλὰ ἄνδρες οἵους δεῖ ἐν [77] πόλει τοὺς σωθησομέ-     νους. λεκτέον οὖν τὸ ἀληθές, ὅτι τοσούτῳ μᾶλλόν εἰσιν οἷοι οὐκ     οἴονται, ὅτι οὐχὶ οἴονται ἀγνοοῦσι γὰρ ζημίαν ἀδικίας, ὃ δεῖ     ἥκιστα ἀγνοεῖν. οὐ γάρ ἐστιν ἣν δοκοῦσι, πληγαί τε καὶ θάνατοι, ὧν     ἐνίοτε πάσχουσιν οὐδὲν ἀδικοῦντες, ἀλλὰ ἣν ἀδύνατον ἐκφυγεῖν.     παραδειγμάτων γὰρ ἐν τῷ ὄντι ἑστώτων, τοῦ μὲν θείου εὐδαιμονε-     στάτου, τοῦ δὲ «ἀθέου» ἀθλιωτάτου, οὐχ ὁρῶντες ὅτι οὕτως ἔχει,     ὑπὸ ἠλιθιότητός τε καὶ τῆς ἐσχάτης ἀνοίας λανθάνουσι [10] τῷ μὲν     ὁμοιούμενοι διὰ τὰς ἀδίκους πράξεις, τῷ δὲ ἀνομοιούμενοι. οὗ δὴ     τίνουσι δίκην ζῶντες τὸν εἰκότα βίον ᾧ ὡμοιοῦντο. ἐὰν δὲ εἴπωμεν     ὅτι, ἐὰν μὴ ἀπαλλαγῶσι τῆς δεινότητος, καὶ τελευτήσαντας αὐτοὺς     ἐκεῖνος μὲν ὁ τῶν κακῶν καθαρὸς τόπος οὐ δέξεται, ἐνθάδε δὲ τὴν     αὑτοῖς ὁμοιότητα τῆς διαγωγῆς ἀεὶ ἕξουσι, κακοὶ κακοῖς ξυνόντες,     ταῦτα δὴ καὶ παντάπασιν ὡς δεινοὶ καὶ πανοῦργοι ἀνοήτων τινῶν               ESORTAZIONE ALLA FILOSOFIA 399               malvagità e perseguire la virti, ragioni per le quali bisogna esercitare     l’una e non l’altra, e cioè per dare l'impressione di non essere malva-     gi e di essere buoni, perché questi ragionamenti a me sembrano chiac-     chiera da vecchiette, come si dice; la verità è invece questa che noi     diciamo: dio non è per nessun verso e in nessun modo ingiusto, al     contrario è giusto al massimo livello, e non c’è niente di più simile a     lui se non chi di noi sia a sua volta divenuto il più giusto possibile. È     su questo che si valuta la vera abilità di un uomo o la sua nullità e     viltà. Conoscere ciò, infatti, è sapienza e vera virtù, mentre ignorarlo     è stoltezza e malvagità evidente: le altre abilità appaiono come sapien-     ze volgari, se esercitate nell’ambito dei poteri politici, da lavoro     manuale, se esercitate nelle arti. A chi dunque commette ingiustizie o     dice e fa cose empie è meglio non concedere che sia abile per la sua     astuzia, perché tali uomini menano vanto di un <tale> biasimo e cre-     dono di sentirsi dire che non sono sciocchi, “inutili pesi sulla terra”,     ma uomini tali da essere preservati in una città. [77] [105dP]     Occorre dunque dire la verità, e cioè che essi sono tanto più quello     che non credono di essere, quanto meno credono di esserlo, giacché     ignorano la pena che comporta un’ingiustizia, cosa che deve essere la     meno ignorata. Questa pena infatti non è quella che essi credono, cioè     percosse e morti, nessuna delle quali essi talora subiscono pur aven-     do commesso ingiustizia, bensi quella che è impossibile evitare.     Ebbene, se sono questi realmente i due modelli, da un lato quello di     chi è divino e felicissimo, dall’altro lato quello di chi è ateo e infelicis-     simo, coloro che non vedono che le cose stanno cosî, non si accorgo-     no che in conseguenza della loro stoltezza ed estrema dissennatezza,     a causa delle loro ingiuste azioni, somigliano al secondo e non somi-     gliano a primo di tali modelli. Ed è proprio di ciò che essi espiano la     pena vivendo, ovviamente, la vita del modello a cui somigliano. E     qualora noi dicessimo loro che, se non si liberano della loro abilità,     anche da morti non li accoglierà quel luogo che è puro di ogni male,     e anche quaggiù avranno sempre uno stile di vita che somiglia a se     stessi, vivranno cioè da malvagi in compagnia di malvagi, allora essi     ascolterebbero queste nostre parole come gente assolutamente abile e     astuta ascolterebbe le parole di qualche demente, ed è in verità qual-     cosa di abbastanza esagerato ciò che essi pensano. Una cosa tuttavia     capita loro: quando in privato si vedono costretti a rendere conto e               400 GIAMBLICO               ἀκούσονται, καὶ μάλα δὴ ὑπέρογκον φρονοῦντες. ἕν μέντοι τι αὖ-     τοῖς συμβέβηκεν, ὅταν ἰδίᾳ λόγον δέῃ δοῦναί [20] τε καὶ δέξασθαι     περὶ ὧν ψέγουσι, καὶ ἐθελήσωσιν ἀνδρικῶς πολὺν χρόνον     ὑπομεῖναι καὶ μὴ ἀνάνδρως φεύγειν, τότε ἀτόπως τελευτῶντες οὐκ     ἀρέσκουσιν αὐτοὶ αὑτοῖς περὶ ὧν λέγουσι, καὶ ἡ ῥητορικὴ ἐκείνη     πως ἀπομαραίνεται, ὥστε παίδων δοκεῖν μηδὲν διαφέρειν. εἰ δὴ     ταῦτα οὕτως ἔχει, καὶ ὁ βίος θειότερός τε εἶναι καὶ εὐδαιμονέστε-     ρος φαίνεται τῶν ἐν φιλοσοφίᾳ διαγόντων, οὐδὲν ἄλλο χρὴ πράττειν     ἢ φιλοσοφίας ἀντιλαμβάνεσθαι γενναίως.          XV. [78] Μετὰ ταῦτα δὴ ἀπεικάσαι δεῖ τοιούτῳ πάθει τὴν     ἡμετέραν φύσιν παιδείας τε πέρι καὶ ἀπαιδευσίας. ἰδὲ γὰρ     ἀνθρώπους οἷον ἐν καταγείῳ οἰκήσει σπηλαιώδει, ἀναπεπταμένην     πρὸς τὸ φῶς τὴν εἴσοδον ἐχούσῃ μακρὰν παρὰ πᾶν τὸ σπήλαιον, ἐν     ταύτῃ ἐκ παίδων ὄντας ἐν δεσμοῖς καὶ τὰ σκέλη καὶ τοὺς αὐχένας,     ὥστε μένειν τε αὐτοὺς εἴς τε τὸ πρόσθεν μόνον ὁρᾶν, κύκλῳ δὲ τὰς     κεφαλὰς ὑπὸ τοῦ δεσμοῦ ἀδυνάτους περιάγειν, φῶς δὲ αὐτοῖς πυρὸς     ἄνωθεν καὶ πόρρωθεν καόμενον [10] ὄπισθεν αὐτῶν, μεταξὺ δὲ τοῦ     πυρὸς καὶ τῶν δεσμωτῶν ἐπάνω ὁδόν, παρ᾽ ἣν εἶναι τειχίον φκοδομ-     nuévov, ὥσπερ τοῖς θαυματοποιοῖς πρὸ τῶν ἀνθρώπων πρόκειται τὰ     παραφράγματα, ὑπὲρ ὧν τὰ θαύματα δεικνύουσιν. ἔτι τοίνυν ὅρα     παρὰ τοῦτο τὸ τειχίον φέροντας ἀνθρώπους σκεύη τε παντοδαπὰ     ὑπερέχοντα τοῦ τειχίου καὶ ἀνδριάντας καὶ ἄλλα ζῷα λίθινά τε καὶ     ξύλινα καὶ παντοῖα εἰργασμένα, οἷον εἰκός, τοὺς μὲν φθεγγομέ-     νους, τοὺς δὲ σιγῶντας τῶν παραφερόντων. τὴν δὴ ἄτοπον εἰκόνα     ταύτην καὶ τοὺς δεσμώτας τοὺς [20] ἀτόπους θὲς εἶναι ὁμοίους ἡμῖν.     τοὺς γὰρ τοιούτους πρῶτον μὲν ἑαυτῶν͵ τε καὶ ἀλλήλων οἴει ἄν τι     ἑωρακέναι ἄλλο πλὴν τὰς σκιὰς τὰς ὑπὸ τοῦ πυρὸς εἰς τὸ κατ᾽ ἀντι-     κρὺ αὐτῶν τοῦ σπηλαίου προσπιπτούσας; οὐδὲν ἄλλο. πῶς γάρ, εἰ     ἀκινήτους γε τὰς κεφαλὰς ἔχειν ἠναγκασμένοι εἶεν διὰ βίου; τί δὲ     τῶν παραφερομένων; οὐ ταὐτὸν τοῦτο; τί μήν; εἰ οὖν διαλέγεσθαι     οἷοί τ᾽ εἶεν πρὸς ἀλλήλους, οὐ ταῦτα ἡγῇ [79] ἂν τὰ ὄντα αὐτοὺς     ὀνομάζειν, ἅπερ ὁρῷεν; ἀνάγκη. τί δ᾽... εἰ καὶ ἠχὼ τὸ δεσμωτήριον     ἐκ τοῦ κατ᾽ ἀντικρὺ ἔχοι, ὁπότε τις τῶν παριόντων φθέγξαιτο, οἴει               ESORTAZIONE ALLA FILOSOFIA 401               accogliere ciò che essi biasimano <degli altri>, e intendono resistere     coraggiosamente per molto tempo e non scappare vigliaccamente,     allora stranamente finiscono per non ritenersi più soddisfatti con se     stessi delle ragioni di cui parlano, e la loro famosa retorica in qualche     modo appassisce, al punto da fare la figura di non essere altro che dei     bambini. Se le cose stanno proprio cosiî, e più divina e più felice appa-     re la vita di coloro che la vivono nella filosofia, non bisogna fare altro     che impegnarsi a filosofare nel modo pit nobile.          [78] 15. Dopo di che bisogna assimilare la [106dP] nostra natu-     ra relativa alla cultura e all’incultura a una condizione come questa.     Immagina di vedere degli uomini in una specie di dimora sotterranea     a forma di caverna, e che abbia dalla parte della luce un'entrata gran-     de quanto l’intera caverna, e tali uomini siano dentro la caverna fin da     bambini e siano incatenati gambe e collo in modo da non potersi     muovere e da potere guardare soltanto in avanti, e non siano in grado,     a causa delle catene, di ruotare il capo, e abbiano un fuoco che li illu-     mini dall'alto e bruci lontano dietro di loro, e tra questo fuoco e gli     incatenati corra una strada sopraelevata, sulla quale sia stato costrui-     to un muretto a mo’ di quei parapetti che i giocolieri pongono davan-     ti agli spettatori per potere mostrare, standovi sopra, le meraviglie dei     loro spettacoli. Immagina inoltre di vedere lungo questo muretto     degli uomini che portano sia attrezzi di ogni sorta che sovrastano il     muretto, sia statue e figure di altri animali fatti di marmo e di legno e     di ogni specie di sostanza, e tali portatori, com’è naturale, alcuni par-     lano e altri stanno zitti. E una ben strana immagine questa e strani     anche gli uomini incatenati, posto che siano simili a noi. Infatti, tu     credi anzitutto che tali uomini possano aver visto di se stessi e tra di     loro altra cosa che le ombre proiettate dal fuoco sulla parete della     caverna che hanno di fronte? Nient'altro. Ebbene, come possono far     questo se sono costretti ad avere la testa immobilizzata per tutta la     vita? E che accade alle cose che vengono trasportate? Non accade     questa stessa cosa? Quale cosa? Ebbene, se potessero dialogare tra     loro, non pensi tu che [79] chiamerebbero queste ombre che vedono     enti reali? Necessariamente. E che cosa accadrebbe ancora? Se la pri-     gione avesse pure un’eco proveniente dalla parte dirimpetto, ogni     volta che qualcuno di quelli che passano pronunziasse qualche paro-     la, credi tu che quegli altri penserebbero altro se non che a parlare sia               402 GIAMBLICO               ἂν ἄλλο τι αὐτοὺς ἡγεῖσθαι τὸ φθεγγόμενον ἢ τὴν Tapiro doav σκιάν;     οὐδὲν ἄλλο. παντάπασι δὴ οὖν οἱ τοιοῦτοι οὐκ ἂν ἄλλο τι νομίζοιεν     τὸ ἀληθὲς ἢ τὰς τῶν σκευαστῶν σκιάς. πολλὴ ἀνάγκη. σκόπει οὖν     αὐτῶν λύσιν τε καὶ ἴασιν τῶν τε δεσμῶν καὶ τῆς ἀφροσύνης, οἵα τις     ἂν εἴη, εἰ φύσει τοιάδε ξυμβαίνοι αὐτοῖς" ὁπότε [10] τις λυθείη καὶ     ἀναγκάζοιτο ἐξαίφνης ἀνίστασθαί τε καὶ περιάγειν τὸν αὐχένα καὶ     βαδίζειν καὶ πρὸς τὸ φῶς ἀναβλέπειν, πάντα δὲ ταῦτα ποιῶν ἀλγοῖ     τε καὶ διὰ τὰς μαρμαρυγὰς ἀδυνατοῖ καθορᾶν ἐκεῖνα ὧν τότε τὰς     σκιὰς ἑώρα, τί ἂν οἴει αὐτὸν εἰπεῖν, εἴ τις αὐτῷ λέγοι ὅτι τότε μὲν     ἑώρα φλυαρίας, νῦν δὲ μᾶλλόν τι ἐγγυτέρω τοῦ ὄντος καὶ πρὸς     μᾶλλον ὄντα τετραμμένος ὀρθότερον βλέποι, καὶ δὴ καὶ ἕκαστον     τῶν παριόντων δεικνὺς αὐτῷ ἀναγκάζοι ἐρωτῶν ἀποκρίνασθαι ὅ τι     ἐστίν; οὐκ οἵει αὐτὸν ἀπορεῖν τε ἂν καὶ [20] ἡγεῖσθαι τὰ τότε     ὁρώμενα ἀληθέστερα ἢ τὰ νῦν δεικνύμενα; πάντως δήπου. οὐκοῦν     κἂν εἰ πρὸς αὐτὸ τὸ φῶς ἀναγκάζοι αὐτὸν βλέπειν, ἀλγεῖν τε ἂν τὰ     ὄμματα καὶ φεύγειν ἀποστρεφόμενον πρὸς ἐκεῖνα ἃ δύναται καθο-     ρᾶν, καὶ νομίζειν ταῦτα τῷ ὄντι σαφέστερα τῶν δεικνυμένων; εἰ δὲ     ἐντεῦθεν ἕλκοι τις αὐτὸν βίᾳ διὰ τραχείας τῆς ἀναβάσεως καὶ ἀνά-     ντους, καὶ μὴ ἀνείη πρὶν ἐξελκύσειεν εἰς τὸ τοῦ ἡλίου φῶς,     ὀδυνᾶσθαί τε ἂν καὶ ἀγανακτεῖν ἑλκόμενον; καὶ [80] ἐπειδὴ πρὸς τὸ     φῶς ἔλθοι, αὐγῆς ἂν ἔχοντα τὰ ὄμματα μεστὰ ὁρᾶν οὐδ᾽ dv ἕν δύνα-     σθαι τῶν «νῦν» λεγομένων ἀληθῶν, ὥστε ἐξαίφνης αὐτοῖς προσβάλ-     λοντας; συνηθείας δή, οἶμαι, δέοιτ᾽ ἄν, εἰ μέλλοι τὰ ἄνω ὄψεσθαι:     καὶ πρῶτον μὲν τὰς σκιὰς ἂν ῥᾷστα καθορῴη, καὶ μετὰ τοῦτο ἐν τοῖς     ὕδασι τά τε τῶν ἀνθρώπων καὶ τὰ τῶν ἄλλων εἴδωλα, ὕστερον δὲ ab-     τά’ ἐκ δὲ τούτων τὰ ἐν τῷ οὐρανῷ καὶ αὐτὸν τὸν οὐρανὸν νύκτωρ ἂν     ῥᾷον θεάσαιτο, προσβλέπων τὸ [10] τῶν ἄστρων τε καὶ σελήνης φῶς,     ἢ μεθ᾽ ἡμέραν τὸν ἥλιόν τε καὶ τὸ τοῦ ἡλίου. τελευταῖον δή, οἶμαι,     τὸν ἥλιον οὐκ ἐν ὕδασιν οὐδ᾽ ἐν ἀλλοτρίᾳ ἕδρᾳ φαντάσματα αὐτοῦ,               FSORTAZIONE ALLA FILOSOFIA 403               l'ombra che passa? Non penserebbero nient'altro. Dunque tali pri-     gionieri non crederebbero affatto che esista altra vera realtà [107dP]     se non le ombre delle cose artificiali. Assolutamente necessario che     crederebbero questo. Rifletti dunque su quella che sarebbe la loro     situazione se fossero sciolti dalle catene e guariti della demenza, pensa     se naturalmente non capiterebbero gli eventi seguenti: ogni volta che     qualcuno fosse sciolto e costretto improvvisamente ad alzarsi e girare     il collo e camminare e guardare verso la luce, e che facendo tutti que-     sti movimenti provasse dolore e non fosse in grado di vedere, perché     abbagliato dalla luce, le cose di cui poco prima vedeva le ombre, che     cosa pensi tu che risponderebbe, se qualcuno gli dicesse che prima     vedeva solo delle cose vane, mentre ora vede qualcosa di più vicino     alla realtà ed essendo rivolto verso cose pit reali vede più corretta-     mente, e gli mostrasse ciascuna delle cose che passano e gli chiedesse     di rispondere alla domanda “che cos’è?”. Non credi che quello si tro-     verebbe in difficoltà a rispondere e crederebbe che le cose viste prima     erano più vere di quelle che adesso gli vengono mostrate? Senza alcun     dubbio. E se poi lo costringesse a guardare verso la luce, non prove-     rebbe male agli occhi e si volterebbe per fuggire verso ciò che può     guardare [cioè le ombre], e non crederebbe che queste cose sono     realmente più chiare di quelle che gli vengono mostrate? Ma se qual-     cuno lo tirasse a forza dall’interno di quel luogo su per la salita aspra     e scoscesa, e non lo mollasse prima di averlo trascinato fuori alla luce     del sole, non se ne dorrebbe e non si irriterebbe di essere trascinato,     e [80] dopo essere giunto alla luce del sole, non avrebbe gli occhi pie-     namente abbagliati e non potrebbe quindi vedere nessuna di quelle     cose che adesso sono dette essere vere, in modo da andarci a sbattere     improvvisamente contro?* Avrebbe bisogno, io credo, di assuefarsi,     se vorrà vedere le cose che stanno in alto. E anzitutto vedrà più facil-     mente le ombre, e dopo le immagini riflesse nell'acqua sia degli uomi-     ni [108dP] che delle altre cose, infine le cose in se stesse; dopo di che     potrà contemplare più facilmente di notte i riflessi di ciò che sta in     cielo e dello stesso cielo, guardando verso la luce degli astri e della     luna, che non di giorno il sole e la sua luce. Infine potrà, io credo,     osservare e contemplare il sole cosî com'è, non <quindi> nei suoi     riflessi nell'acqua né in altra sede, bensi nel suo proprio sito in sé e     per sé. Dopo di che potrebbe ormai essere in grado di ragionare sul               404 GIAMBLICO               ἀλλ᾽ αὐτὸν καθ᾽ αὑτὸν ἐν τῇ αὑτοῦ χώρᾳ δύναιτ᾽ ἂν κατιδεῖν καὶ     θεάσασθαι οἷός τέ ἐστι. καὶ μετὰ ταῦτ᾽ ἂν ἤδη συλλογίζοιτο περὶ     αὐτοῦ, ὅτι οὗτος ὁ τάς τε ὥρας παρέχων καὶ ἐνιαυτοὺς καὶ πάντα     ἐπιτροπεύων τὰ ἐν τῷ ὁρωμένῳ τόπῳ, καὶ ἐκείνων ὧν σφεῖς ἑώρων     τρόπον τινὰ πάντων αἴτιος. δῆλον γὰρ ὅτι ἐπὶ ταῦτα ἂν μετ᾽ ἐκεῖνα     ἔλθοι. τί οὖν; ἀνα[20]μιμνῃσκόμενον αὐτὸν τῆς πρώτης οἰκήσεως     καὶ τῆς ἐκεῖ σοφίας καὶ τῶν τότε ξυνδεσμωτῶν οὐκ ἂν οἴει αὑτὸν     μὲν εὐδαιμονίζειν τῆς μεταβολῆς, τοὺς δὲ ἐλεεῖν; καὶ μάλα. τιμαὶ     δὲ καὶ ἔπαινοι εἴ τινες ἦσαν αὐτοῖς τότε παρ᾽ ἀλλήλων καὶ γέρα τῷ     ὀξύτατα καθορῶντι τὰ παριόντα, καὶ μνημονεύοντι μάλιστα ὅσα τε     πρότερα αὐτῶν καὶ ὕστερα εἴωθε καὶ ἅμα πορεύεσθαι, καὶ ἐκ     τούτων δὴ δυνατώτατα ἀπομαντευομένῳ τὸ μέλλον ἥξειν, δοκεῖς ἂν     αὐτὸν ἐπιθυμητικῶς αὐτῶν ἔχειν καὶ [81] ζηλοῦν τοὺς παρ᾽ ἐκεί-     VOLG τιμωμένους TE καὶ ἐνδυναστεύοντας, ἢ τὸ τοῦ Ὁμήρου ἂν     πεπονθέναι καὶ σφόδρα βούλεσθαι ἐπάρουρον ἐόντα θητευέμεν     ἄλλῳ ἀνδρὶ παρ᾽ ἀκλήρῳ καὶ ὁτιοῦν ἂν πεπονθέναι μᾶλλον ἢ ἐκεῖνά     τε δοξάζειν καὶ ἐκείνως ζῆν; οὕτως ἔγωγε οἶμαι, πᾶν μᾶλλον πεπον-     θέναι ἂν δέξασθαι ἢ ζῆν ἐκείνως. καὶ τόδε δὴ ἐννόησον: εἰ πάλιν ὁ     τοιοῦτος καταβὰς εἰς τὸν αὐτὸν θᾶκον καθίζοιτο, dp’ οὐ σκότους     ἀνάπλεως σχοίη τοὺς ὀφθαλμούς, ἐξαίφνης ἥκων ἐκ τοῦ ἡλίου; [10]     μάλα γε. τὰς δὲ δὴ σκιὰς ἐκείνας πάλιν εἰ δέοι αὐτὸν γνωματεύον-     τα διαμιλλᾶσθαι τοῖς ἀεὶ δεσμώταις ἐκείνοις, ἐν ᾧ ἀμβλυωπεῖ, πρὶν     καταστῆναι τὰ ὄμματα, οὗτος δὲ ὁ χρόνος μὴ πάνυ ὀλίγος εἴη τῆς     συνηθείας, ἄρα οὐ γέλωτ᾽ ἂν παρέχοι, καὶ λέγοιτο ἂν περὶ αὐτοῦ,     ὡς ἀναβὰς ἄνω διεφθαρμένος ἥκει τὰ ὄμματα, καὶ ὅτι οὐκ ἄξιον     οὐδὲ πειρᾶσθαι ἀνιέναι, καὶ τὸν ἐπιχειροῦντα λύειν τε καὶ ἀνά-     γειν, εἴ πως ἐν ταῖς χερσὶ δύναιντο λαβεῖν καὶ ἀποκτείνειν, ἀποκ-     τιννύναι ἄν; σφόδρα γε. ταύτην τοίνυν τὴν εἰκόνα προσαπτέον [20]     ἅπασαν ὡς ἀληθῶς τοῖς λεγομένοις, τὴν μὲν δι᾽ ὄψεως φαινομένην               ESORTAZIONE ALLA FILOSOFIA 405               sole, pensando che è quello che procura sia le stagioni che <il trascor-     rere> degli anni e che sovrintende a tutte le cose che si trovano nel     luogo visibile, e che di tutte quelle cose che essi86 vedevano è in qual-     che modo causa. Ebbene, dopo tali conclusioni, è chiaro che arrive-     rebbe a queste altre. A quali conclusioni? Ricordandosi della sua pri-     mitiva dimora e della “sapienza” di laggi8” e dei suoi compagni di     catene di un tempo, non credi che, mentre sarebbe felice della sua     mutata condizione, proverebbe invece compassione per gli altri?     Certamente. E gli onori e le lodi, se ne avessero tributati allora tra di     loro, e il premio a chi avesse osservato con maggiore acutezza le     ombre che passavano dinnanzi a loro, e a chi avesse ricordato nel     modo migliore quelle di esse che di solito marciavano in testa o in     coda o insieme, e perciò fosse stato il più capace di indovinare la     situazione successiva, credi tu che egli potrebbe <ancora> desiderare     tali situazioni e [81] provare gelosia per quelli tra di essi che avesse-     ro onori e potere, o non proverebbero piuttosto il sentimento che     Omero <attribuisce ad Achille che dialoga con Odisseo>:83 preferirei     ardentemente di essere un contadino al servizio di un padrone disere-     dato e sopportare qualsiasi cosa piuttosto che avere quelle opinioni e     vivere in quella condizione? Credo che la penserebbe cosi, cioè sop-     portare tutto piuttosto che avere quelle opinioni e vivere in quella     condizione. E pensa anche questo: se quel tale tornasse a scendere     nella caverna e a sedersi sulla stessa sedia, [109dP] non si troverebbe     con gli occhi pieni di tenebra, dal momento che si distacca improvvi-     samente dalla luce del sole? Certamente. E se avesse bisogno, per     riconoscere nuovamente quelle ombre, di gareggiare con coloro che     sono rimasti sempre incatenati, mentre si trova ancora con la vista     indebolita, prima cioè che i suoi occhi si siano ristabiliti, e se questo     lasso di tempo per la sua assuefazione non fosse affatto breve, non si     esporrebbe forse alla derisione, e non farebbe dire di sé che, per esse-     re salito di sopra si è rovinato gli occhi, e che <quindi> non sarebbe     il caso neppure di tentare la risalita, e se qualcuno tentasse di scio-     glierli e portarli si, lo ucciderebbero, sempreché potessero averlo tra     le mani per ucciderlo?8? Sicuramente. E questa dunque l’immagine     che bisogna interamente applicare, in quanto rispondente al vero, a     quanto si è detto, assimilando la sede che è visibile ai nostri occhi     alla dimora di quella prigione, e la luce del fuoco che lî si trova alla               406 GIAMBLICO               ἕδραν τῇ τοῦ δεσμωτηρίου οἰκήσει ἀφομοιοῦντα, τὸ δὲ τοῦ πυρὸς ἐν     αὐτῇ φῶς τῇ τοῦ ἡλίου δυνάμει τὴν δὲ ἄνω ἀνάβασιν καὶ θέαν τῶν     ἄνω τὴν εἰς τὸν νοητὸν τόπον τῆς ψυχῆς ἄνοδον τιθεὶς οὐχ     ἁμαρτήσει τῆς ἀληθείας. αὕτη δέ που οὕτω φαίνεται ἐν τῷ γνωστῷ     τελευταία ἡ τοῦ ἀγαθοῦ ἰδέα καὶ μόγις ὁρᾶσθαι, ὀφθεῖσα δὲ συλλο-     γιστέα εἶναι ὡς ἄρα πᾶσι πάντων αὕτη ὀρθῶν τε καὶ καλῶν αἰτία,     ἔν τε ὁρατῷ [82] φῶς καὶ τὸν τούτου κύριον τεκοῦσα, ἔν τε νοητῷ     αὐτὴ κυρία ἀλήθειαν καὶ νοῦν παρεχομένη, καὶ ὅτι δεῖ ταύτην     ἰδεῖν τὸν μέλλοντα ἐμφρόνως πράξειν ἢ ἰδίᾳ ἢ δημοσίᾳ. εἰ δὴ τοῦτο     ἔργον ἐστὶ τῆς παιδείας, καὶ τοσοῦτον πρόκειται τὸ διάφορον αὐτῆς     πρὸς τὴν ἀπαιδευσίαν, τί ἂν ἄλλο ἁρμόζοι ἢ παιδείας ἀντιλαμβάνε-     σθαι καὶ φιλοσοφίας, τῶν δὲ νῦν δοκούντων εἶναι περισπουδάστων     τοῖς πολλοῖς ἀφίεσθαι ὡς οὐδεμίαν ἐχόντων εἰς εὐδαιμονίαν ῥοπὴν     ἀξιόλογον;         XVI. [10] Ἔτι τοίνυν, εἰ ταῦτα ἀληθῆ, δεῖ νοῆσαι περὶ αὐτῶν     τοιόνδε τι, τὴν παιδείαν οὐχ οἷόν τινες ἐπαγγελλόμενοί φασιν     εἶναι, τοιαύτην καὶ εἶναι. φασὶ δέ που οὐκ ἐνούσης ἐν τῇ ψυχῇ     ἐπιστήμης ἐντιθέναι, οἷον τυφλοῖς ὀφθαλμοῖς ὄψιν ἐντιθέντες. ὁ δέ     γε νῦν λόγος σημαίνει ταύτην τὴν ἐνοῦσαν ἑκάστῳ δύναμιν ἐν τῇ     ψυχῇ καὶ τὸ ὄργανον ᾧ καταμανθάνει ἕκαστος, οἷον εἰ ὄμμα μὴ     δυνατὸν ἦν ἄλλως ἢ ξὺν ὅλῳ τῷ σώματι στρέφειν πρὸς τὸ φανὸν ἐκ     τοῦ σκοτώδους, οὕτως ξὺν ὅλῃ τῇ ψυχῇ ἐκ τοῦ γιγνομένου περιακ-     τέον [20] εἶναι, ἕως ἂν εἰς τὸ ὃν καὶ τοῦ ὄντος τὸ φανότατον δυνατὴ     γένηται ἀνασχέσθαι θεωμένη. τοῦτο δ᾽ εἶναί φαμεν τἀγαθόν. τούτου     τοίνυν αὐτοῦ τέχνη ἂν εἴη, τῆς περιαγωγῆς, τίνα τρόπον ὡς ῥᾷστά τε     καὶ ἀνυσιμώτατα μεταστραφήσεται, οὐ τοῦ ἐμποιῆσαι αὐτῷ «τὸ»     ὁρᾶν, ἀλλ᾽ ὡς ἔχοντι μὲν αὐτό, οὐκ ὀρθῶς δὲ τετραμμένῳ οὐδὲ βλέ-     ποντι οἷ ἔδει, τοῦτο δεῖ μηχανήσασθαι. αἱ μὲν τοίνυν ἄλλαι ἀρεταὶ               ESORTAZIONE ALLA FILOSOFIA 407               potenza del <nostro> sole; d’altra parte, se tu ponessi la risalita fuori     della caverna e la contemplazione delle cose che vi si possono vedere     come se fosse l'ascesa dell'anima al luogo intelligibile, non saresti lon-     tano dalla verità. Quella che appare per ultima, come io penso, nel     processo della conoscenza, è appunto l’Idea del Bene ed essa si vede     appena, ma quando la si è vista si deve concludere razionalmente che     essa è causa di ogni cosa retta e bella per chiunque, e nel mondo visi-     bile è lei che partorisce la luce [82] e il signore della luce, e nel     mondo intelligibile è lei che fornisce da padrona verità e intelletto, e     perciò ha bisogno di vedere questa Idea chi vorrà agire con prudenza     sia in privato che in pubblico. Se è appunto questa l’opera dell’edu-     cazione, ed è tanta la differenza tra educazione e mancanza di educa-     zione, allora che cos'altro converrà se non impegnarsi nell’educazio-     ne e nella filosofia, e allontanarsi da tutto ciò che ai più sembra desi-     derabile [110dP] come da qualcosa che non ha alcun peso degno di     considerazione ai fini della felicità?          16. Ancora, se queste cose sono vere, bisogna fare su di esse la     seguente riflessione: l'educazione non è quella che alcuni di coloro     che ne fanno professione dicono che sia. Essi presumono di introdur-     re in qualche modo la scienza nell'anima che ne è priva, come se     introducessero la vista in occhi ciechi. Ora, il discorso che abbiamo     fatto sta a significare che una tale facoltà esiste nell'anima di ciascuno     di noi, dove esiste anche lo strumento con cui ciascuno di noi eserci-     ta il suo apprendimento; allo stesso modo, siccome non è possibile     volgere l’occhio dalla tenebra alla luce se non insieme a tutto il corpo,     non è possibile neppure fare girare se non con l’intera anima quella     facoltà e il suo strumento a partire dal mondo del divenire finché     l'anima non sia in grado di sostenere la contemplazione del <vero>     essere e del suo aspetto più luminoso, che noi diciamo essere il Bene.     In verità la tecnica di tutto ciò, cioè di tale rivolgimento, consisterà in     una conversione che è in qualche modo la più facile ed efficace, per-     ché tenta non di immettere nell’occhio <dell’anima> la capacità di     vedere, ma di far sf che esso, che possiede già quella capacità, senza     però averla rivolta nel senso giusto per potere vedere ciò che deve     vedere, possa realizzare il suo fine. In verità tutte le altre cosiddette     virti dell'anima [83] rischiano di essere troppo vicine a quelle del     corpo, perché, assenti all’inizio, esse vengono introdotte in seguito               408 GIAMBLICO               καλούμεναι ψυχῆς κινδυ [83] νεύουσιν ἐγγύς τι εἶναι τῶν τοῦ     σώματος (τῷ ὄντι γὰρ οὐκ ἐνοῦσαι πρότερον ὕστερον ἐμποιεῖσθαι     ἔθεσι καὶ ἀσκήσεσιν), ἡ δὲ τοῦ φρονῆσαι παντὸς μᾶλλον θειοτέρου     τινὸς τυγχάνει, ὡς ἔοικεν, οὖσα, ὃ τὴν μὲν δύναμιν οὐδέποτε ἀπόλ-     λυσιν, ὑπὸ δὲ τῆς περιαγωγῆς χρήσιμόν τε καὶ ὠφέλιμον καὶ     ἄχρηστον αὖ καὶ βλαβερὸν γίγνεται. ἢ οὔπω ἐννενόηκας τῶν λεγο-     μένων μὲν πονηρῶν, σοφῶν δέ, ὡς δριμὺ μὲν βλέπει τὸ ψυχάριον καὶ     ὀξέως διορᾷ ταῦτα ἐφ᾽ ἃ τέτραπται, ὡς οὐ [10] φαύλην ἔχον τὴν     ὄψιν, κακίᾳ δὲ ἠναγκασμένον ὑπηρετεῖν, ὥστε ὅσῳ ἂν ὀξύτερον     βλέπῃ, τοσούτῳ πλείω κακὰ ἐργαζόμενον; τοῦτο μέντοι τὸ τῆς     τοιαύτης φύσεως εἰ ἐκ παιδὸς εὐθὺς κοπτόμενον περιεκόπη τὰς τῆς     γενέσεως ξυγγενεῖς ὥσπερ μολυβδίδας, αἱ δὴ ἐδωδαῖς τε καὶ     τοιούτων ἡδοναῖς τε καὶ λιχνείαις προσφυεῖς γιγνόμεναι περὶ τὰ     κάτω στρέφουσι τὴν τῆς ψυχῆς ὄψιν, ὧν εἰ ἀπαλλαγὲν περιεστρέφε-     to εἰς τὰ ἀληθῆ, καὶ ἐκεῖνα ἂν τὸ αὐτὸ τοῦτο τῶν αὐτῶν ἀνθρώπων     ὀξύτατα ἑώρα, ὥσ»περ καὶ ἐφ᾽ ἃ νῦν τέτραπται.          [20] Νῦν δὴ οὖν, ὁπότε ἐνταῦθα γεγόναμεν, καὶ τὸ τῆς φιλοσοφίας     ἔργον ὁποῖόν ἐστι φαίνεται, καὶ ὥς ἐστι τίμιον αὐτόθεν ἐστὶ κατά-     δηλον. τὸ γὰρ περιαιρεῖν τὴν γένεσιν ἀπὸ τῆς ψυχῆς καὶ ἐκκαθαί-     ρειν τὴν λογίζεσθαι δυναμένην αὐτῆς ἐνέργειαν μάλιστα αὐτῇ προ-     σήκει. οὗτος οὖν ἄριστος τρόπος τοῦ βίου, τὴν δικαιοσύνην καὶ τὴν     ἄλλην ἀρετὴν ἀσκοῦντας καὶ ζῆν καὶ τεθνάναι. τούτῳ οὖν ἑπώμεθα,     εἰ βουλοίμεθα ὄντως εὐδαιμονήσειν.          XVII. [84] Εἰ δὲ δεῖ καὶ ἀπὸ τῶν παλαιῶν λόγων καὶ τῶν μύθων     τῶν ἱερῶν τῶν τε ἄλλων καὶ τῶν Πυθαγορείων ὑπομνῆσαι τοὺς     ἀκούοντας ἐπὶ τὴν αὐτὴν παράκλησιν, ἀρχώμεθα καὶ τούτου     ἐντεῦθεν. ὀρθῶς λέγονται οἱ μηδενὸς δεόμενοι εὐδαίμονες εἶναι,     καὶ ὡς τῶν ἀπεράντους ἐχόντων τὰς ἐπιθυμίας δεινὸς ὁ βίος. οὐ γάρ     τι θαυμάζοιμ᾽ ἄν, εἰ Εὐριπίδης ἀληθῆ ἐν τοῖσδε λέγει, λέγων τίς δ᾽     οἶδεν, εἰ τὸ ζῆν μέν ἐστι κατθανεῖν, τὸ κατθανεῖν δὲ ζῆν; καὶ [10]     ἡμεῖς τῷ ὄντι ἴσως τέθναμεν᾽ ἤδη γάρ του ἔγωγε καὶ ἤκουσα τῶν               ESORTAZIONE ALLA FILOSOFIA 409               per mezzo dell’abitudine e dell’esercizio; la viti del pensare con pru-     denza, invece, appartiene più di ogni altra a qualcosa di più divino,     che, come sembra, non perde mai il suo potere, quando quella virtù è     presente, e che, in dipendenza da quel rivolgimento, diviene utile e     vantaggioso o, al contrario, inutile e dannoso. Non hai tu forse osser-     vato come l’animella dei cosiddetti malvagi-sapienti abbia lo sguardo     penetrante e sappia distinguere acutamente quelle cose su cui essa si     indirizza, in quanto non ha la vista debole, ma [111dP] è costretta ad     essere schiava della loro malvagità, a tal punto che quanto pit essa     guardi in modo acuto, tanto più compie cose malvage? E tuttavia, se     questa loro animella naturale, colpita subito fin dall'infanzia, venisse     recisa nelle sue parti connaturali alla generazione come se fossero     delle sue escrescenze, in quelle appunto che, nate come escrescenze     naturali ad opera di ghiottonerie e di piaceri del genere, fanno volge-     re la sua vista verso le cose di quaggiù, se fosse <dunque> liberata di     queste escrescenze questa stessa animella di questi stessi uomini si     convertirebbe alle cose vere, e per ciò stesso sarebbe capace di veder-     le, cosîf come vede anche le cose verso cui ora si indirizza.          Ora dunque, dopo essere giunti a questo punto, l’opera della filo-     sofia appare cosî com’è realmente, e risulta anche evidente nello stes-     so tempo quanto quest'opera sia preziosa, giacché spetta soprattutto     a questa eliminare dall'anima tutt'intorno <gli effetti> della genera-     zione e purificare la sua potenziale attività di ragionamento. È questo     dunque il modo migliore di vivere, vivere e morire esercitando la giu-     stizia e il resto delle virti. Seguiamo dunque questa regola, se voglia-     mo essere realmente felici.          [84] 17. Se poi bisogna, partendo dai discorsi degli antichi e dai     miti sacri e dagli altri miti, <soprattutto> da quelli pitagorici, celebra-     re coloro che prestano ascolto a questa stessa raccomandazione,     cominciano anche da quest'altro punto. Si dice giustamente che colo-     ro che non hanno bisogno di nulla sono felici, mentre la vita di colo-     ro che hanno infiniti appetiti è terribile. Non dovremmo quindi mera-     vigliarci quando Euripide, dicendo la verità, si esprime con queste     parole: “Chissà se il vivere sia un morire e [112dP] il morire un vive-     re?” Forse anche noi siamo realmente morti, perché io ho già ascolta-     to anche da gente sapiente che noi siamo morti nella vita presente e     che il corpo è la nostra tomba, e che la parte dell’anima che è sede               410 GIAMBLICO               σοφῶν, ὡς νῦν ἡμεῖς τέθναμεν, καὶ τὸ μὲν σῶμά ἐστιν ἡμῖν σῆμα, τῆς     δὲ ψυχῆς τοῦτο, ἐν ᾧ ἐπιθυμίαι εἰσί, τυγχάνει ὃν οἷον ἀναπείθε-     σθαι καὶ μεταπίπτειν ἄνω κάτω, καὶ τοῦτο ἄρα τις μυθολογῶν     κομψὸς ἀνήρ, ἴσως Σικελικός τις ἢ Ἰταλικός τις, παράγων τῷ ὀνόμα-     τι διὰ τὸ πιθανόν τε καὶ πιστικὸν ὠνόμασε πίθον, τοὺς δὲ ἀνοήτους     ἀμυήτους᾽ τῶν δὲ ἀνοήτων τοῦτο τῆς ψυχῆς, οὗ αἱ ἐπιθυμίαι εἰσί, τὸ     ἀκόλαστον αὐτοῦ καὶ οὐ στεγανόν, ὡς τετρημένος εἴη [20] πίθος διὰ     τὴν ἀπληστίαν ἀπεικάσας. τοὐναντίον δὴ οὗτος τοῖς πολλοῖς     ἀνθρώποις ἐνδείκνυται, ὡς τῶν ἐν Ἅιδου, τὸ ἀειδὲς δὴ λέγων, οὗτοι     ἀθλιώτατοί εἰσιν οἱ ἀμύητοι, καὶ φοροῖεν εἰς τὸν τετρημένον πίθον     ὕδωρ ἑτέρῳ τοιούτῳ τετρημένῳ κοσκίνῳ. τὸ δὲ κόσκινον ἄρα λέγει,     ὡς ἔφη ὁ πρὸς ἐμὲ λέγων, τὴν ψυχὴν εἶναι" τὴν δὲ ψυχὴν κοσκίνῳ     ἀπείκασε τὴν τῶν ἀνοήτων ὡς τετρημένην, ἅτε οὐ δυναμένην στέ-     γειν δι᾽ ἀπι[85]στίαν τε καὶ λήθην. ταῦτα ἐπιεικῶς μέν ἐστιν ὑπό τι     ἄτοπα, δηλοῖ μὴν ὃ ἐγὼ βούλομαι ἐνδείξασθαι, ὡς χρὴ μεταθέσθαι     ἀπὸ τοῦ ἀπλήστως καὶ ἀκολάστως ἔχοντος βίου ἐπὶ τὸν κοσμίως καὶ     τοῖς ἀεὶ παροῦσιν ἱκανῶς καὶ ἐξαρκούντως ἔχοντα βίον, καὶ πεῖθε-     σθαι εὐδαιμονεστέρους εἶναι τοὺς κοσμίους τῶν ἀκολάστων. φέρε     δὴ οὖν καὶ ἄλλην εἰκόνα εἴπω ἐκ τοῦ αὐτοῦ γυμνασίου τὴν νῦν.     σκόπει γὰρ εἰ τοιόνδε δοκεῖ περὶ τοῦ βίου ἑκατέρου, τοῦ τε σώφρο-     νος καὶ τοῦ ἀκολάστου, οἷον εἰ [10] δυοῖν ἀνδροῖν ἑκατέρῳ πίθοι     πολλοὶ εἶεν, καὶ τῷ μὲν ἑτέρῳ ὑγιεῖς καὶ πλήρεις, ὁ μὲν οἴνου ὁ δὲ     μέλιτος ὁ δὲ γάλακτος καὶ ἄλλοι πολλοὶ πολλῶν, νάματα δὲ σπάνια     καὶ χαλεπὰ ἑκάστου τούτων εἴη καὶ μετὰ πολλῶν πόνων καὶ     χαλεπῶν ἐκποριζόμενα: ὁ μὲν οὖν ἕτερος πληρωσάμενος μήτε ἐπο-     χετεύοι μηδέ τι φροντίζοι, ἀλλ᾽ ἕνεκα τούτων ἡσυχίαν ἔχοι᾽ τῷ δ᾽ ἑτέρῳ τὰ μὲν νάματα, ὥσπερ καὶ ἐκείνῳ, δυνατὰ μὲν πορίζεσθαι εἴη, χαλεπὰ δέ, τὰ δὲ ἀγγεῖα τετρημένα καὶ σαθρά, ἀναγκάζοιτο δὲ ἀεὶ καὶ νύκτα καὶ ἡμέραν πιμ[Ζθ]πλάναι αὐτά, ἢ τὰς ἐσχάτας λυποῖτο λύπας ἄρα τοιούτου ὄντος τοῦ βίου, οὐκ ἔσται εὐδαιμονέ- στερος ὁ τοῦ κοσμίου ἢ τοῦ ἀκολάστου; ὁ μὲν γὰρ τῷ ὡς πλεῖστον ESORTAZIONE ALLA FILOSOFIA 411 degli appetiti è tale da lasciarsi sedurre <dal corpo>, e mutare su e gi, ed è questo, dunque, che un uomo esperto di mitologia, forse un  siciliano o un italico, giocando sul nome, chiamò “orcio” quella parte  dell'anima che si lascia “persuadere” ed è fedele, e “iniziati” coloro  che sono “insensati”;9 e negli insensati, questa parte dell'anima dove  risiedono gli appetiti, per la sua dissolutezza e mancanza di impene-  trabilità, disse che era come un “orcio bucato”, assimilandola a que-  sto per la sua insaziabilità. Costui, contrariamente a quanto fa la mag-  gior parte degli uomini, mostra che tra quelli che stanno nell’Ade - lo  chiama cosî appunto perché “invisibile” —-9 proprio questi sono i più  infelici, gli iniziati, <condannati> a portare l’acqua nell’orcio bucato  a mezzo di un crivello anch’esso bucato. Ebbene, con “crivello” —  come diceva costui che parlava con me — egli intendeva l’anima; e  assimilava l’anima a un crivello perché l’anima degli insensati è come  bucata, in quanto incapace di trattenere alcunché a causa della sua  [85] incredulità e dimenticanza. Questi giochi di parole, che appaio-  no alquanto strani, fanno vedere ciò che io intendo mostrare, che cioè  occorre convertirsi dalla vita condotta in maniera insaziabile e disso-  luta ad una vita condotta in maniera onesta e sempre soddisfatta delle  cose presenti in quanto sufficienti, e persuadersi del fatto che sono  più felici gli uomini onesti che non quelli dissoluti. Suvvia dunque,  lascia ch’io ti parli di un’altra immagine [113dP] desunta dalla stessa  scuola di prima. Ebbene, guarda se non ti sembra che sia questa la  vita dell'uno e dell’altro, del temperante e del dissoluto, come quella  di due uomini che abbiano ciascuno molti orci, e quelli dell’uno siano  sani e pieni, uno di vino, un altro di miele, un altro di latte e molti altri  di molti altri liquidi, e i liquidi di ciascuno di tali orci fossero rari e di  difficile reperibilità o reperibili con molta fatica e difficoltà; una volta  dunque che avesse riempito i suoi orci, costui non verserebbe più  altro liquido né se ne preoccuperebbe, e perciò se ne starebbe tran-  quillo; mentre l’altro, che ha si la possibilità di procacciarsi gli stessi  liquidi del primo, anche se con difficoltà, abbia i recipienti bucati e  guasti, e sia costretto <quindi> a riempirli in continuazione, notte e  giorno, a meno di essere afflitto da dolori estremi; dunque, essendo  tale la vita dell’uno e dell’altro, non sarà più felice quella dell’uomo  onesto che non quella dell’uomo dissoluto? Quest'ultimo infatti ottie- ne la felicità con il versare nella maggiore quantità possibile <i suoi 412 GIAMBLICO ἐπιρρεῖν ἔχει τὸ εὔδαιμον, ἐν ᾧ πολὺ ἀνάγκη καὶ τὸ ἀπιὸν εἶναι  καὶ μεγάλα ἄττα τὰ τρήματα εἶναι ταῖς ἐκροαῖς, ὅπερ οὐδὲν ἄλλο  ἐστὶν ἢ χαραδριοῦ τινα βίον διαζῆν᾽ ὁ δὲ πεπληρωμένος εἰσάπαξ  τῶν οἰκείων ἀγαθῶν αὐτάρκης ἀεὶ διαμένει πάντα τὸν χρόνον. τοιαύτη τίς ἐστι καὶ ἡ ἀρχαιοπρεπὴς παράκλησις ἐπὶ τὴν τῆς ἀρετῆς ἐπιτήδευσιν. XVIII. [86] Ταύτῃ δ᾽ ἐστὶ συγγενὴς καὶ ἄλλη ἔφοδος ἡ κατ᾽ ἀνα-  λογίαν ἀπὸ τῶν ἐν τῷ σώματι φαινομένων ἐναργῶν ἐπὶ τὰ τῆς ψυχῆς  μεταβαίνουσα κακά τε καὶ ἀγαθά, καὶ τῶν μὲν κακῶν χωρίζουσα  καὶ πρὸς τὰ αἰσχρὰ ἀλλοτριοῦσα τὴν προαίρεσιν ἡμῶν, τῶν δὲ  ἀγαθῶν ἀντιλαμβάνεσθαι παντὶ σθένει παρακελευομένη, καὶ πρὸς  τὰ καλὰ οἰκειοῦσα ἡμῶν τὴν διάνοιαν ἐξ ἅπαντος τρόπου. οἷον εἰ  τὰ πάθη τοῦ σώματος φευκτὰ καὶ τὰ νοσήματα, πολὺ δήπου πρότερον  τὰ [10] τῆς ψυχῆς, καὶ εἰ ἡ νόσος τοῦ σώματος οὐ βιωτὸν ἡμῖν τὸν  βίοτον ἀπεργάζεται, πολὺ δήπου πρότερον ἡ ἀδικία νόσος οὖσα τῆς  ψυχῆς ἀφόρητόν ἐστι τῷ ἔχοντι, καὶ εἰ τὸ σῶμα ἀσυμμέτρως διακεί-  μενον ἀπόλλυσιν ἡμῶν τὴν τελειότητα τῆς ψυχῆς, ὅταν ἐκεῖνο, ᾧ  ζῶμεν, πλημμελῶς ἔχῃ καὶ στασιάζῃ πρὸς ἑαυτό, οὐκ ἔνεστιν ὀρθῶς  διαβιῶναι. μετίωμεν δὴ καὶ ἐπὶ θάτερα κατὰ τὸν αὐτὸν τρόπον.  ὥσπερ γὰρ τάξεως καὶ κόσμου τὰ ἡμέτερα σώματα τυχόντα χρηστὰ  ἂν εἴη, ἀταξίας δὲ μοχθηρά, οὕτως καὶ ἡ ψυχὴ ἀταξίας [20] μὲν  τυχοῦσα ἔσται πονηρά, χρηστὴ δὲ ἡ τάξεώς τινος καὶ κόσμου ἐπιλα-  βοῦσα. ἐπὶ μὲν οὖν τῷ σώματι ὄνομά ἐστι τῷ ἐκ τῆς τάξεώς τε καὶ  τοῦ κόσμου γιγνομένῳ ὑγεία, ἰσχύς; ἐπὶ δὲ αὖ τῷ ἐν τῇ ψυχῇ ἐγγι-  γνομένῳ ἐκ τῆς τάξεως καὶ τοῦ κόσμου νόμιμόν τε καὶ νόμος ὄνομα  κεῖται. ὥσπερ γὰρ ἐπὶ ταῖς τοῦ σώματος τάξεσι τὸ ὑγιεινὸν ἀποδί-  δομεν, ἐξ οὗ ἐν αὐτῷ ὑγίεια γίγνεται καὶ ἄλλη ἀρετὴ τοῦ σώματος,  οὕτως ἐπὶ ταῖς τῆς [87] ψυχῆς κοσμήσεσιν ὁ νόμος λέγεται, ὅθεν  καὶ νόμιμοι γίγνονται καὶ κόσμιοι᾽ ταῦτα δ᾽ ἐστὶ δικαιοσύνη τε καὶ  σωφροσύνη. οὐκοῦν ἐκεῖνοι οἷς τι μέλει τῆς ἑαυτῶν ψυχῆς πρὸς ταῦτα βλέποντες καὶ τοὺς λόγους προσοίσουσι ταῖς ψυχαῖς, odg ἂν λέγωσι, καὶ τὰς πράξεις ἁπάσας, καὶ δῶρον ἐάν τι διδῶσι, δώσου- ESORTAZIONE ALLA FILOSOFIA 413 liquidi>, in una situazione in cui se ne ha molto bisogno per la perdi-  ta <abbondante> causata dai grossi buchi da cui i liquidi defluiscono,  cosa che altro non è che trascorrere una vita da piviere;9 chi invece si riempie una volta per tutte dei suoi propri beni rimane sempre auto- sufficiente per tutta la sua vita. É di questo tenore anche la raccoman- dazione, veneranda per la sua antichità, di esercitare la virtù.  [86] 18. Congenere a questo è anche l’altro percorso che per ana-  logia, partendo dai fenomeni che sono evidenti nel corpo, passa ai  mali e ai beni dell'anima, e, facendole mettere da parte i mali, rende  la nostra scelta estranea alle brutture, e ci raccomanda di impegnarci  con tutte le forze nei beni, e rende la nostra ragione capace di appro-  priarsi in tutti i modi del bello. Se ad esempio sono da fuggire le pas-  sioni e le malattie del corpo, a maggior ragione sono da fuggire quel-  le dell'anima, e se la malattia [114dP] del corpo ci fa sentire la vita  come invivibile, a maggior ragione l’ingiustizia, che è una malattia del-  l’anima, è intollerabile per chi ne è affetto, e se il corpo, trovandosi in  stato di disordine, rovina la perfezione della nostra anima, allorché il  principio che ci fa vivere si trova in difetto e si ribella a se stesso, allo-  ra diventa impossibile condurre una vita corretta. Ma passiamo a con-  siderare anche l’altro aspetto del nostro percorso, perché cosî come i  nostri corpi quando sono ordinati e armoniosi ci sono di giovamento,  mentre quando sono disordinati divengono penosi, allo stesso modo  anche l’anima quando è disordinata sarà cattiva, e ci sarà invece di  giovamento quando è in qualche modo ordinata e armoniosa.  Ebbene, nel corpo il nome che si dà all’ordine e all’armonia è quello  di salute, forza; nell'anima invece il nome che si dà all’ordine e all’ar-  monia è quello di legalità e legge, perché cosî come noi attribuiamo  alla condizione ordinata del corpo la sanità, dalla quale discende la  salute che è in esso e ogni altra virtù corporea, allo stesso modo chia-  miamo [87] la condizione armoniosa dell'anima la legge, dalla quale  dipende l'essere rispettosi delle leggi e onesti; ed è ciò che costituisce  la giustizia e la temperanza. Quelli dunque che hanno cura della loro  propria anima osservando tali regole, rivolgeranno alle anime sia i  discorsi che essi potranno fare, sia tutte le azioni che compiranno, e se faranno qualche dono «αἱ loro concittadini>, o sottrarranno loro qualcosa, doneranno o sottrarranno con la mente rivolta sempre a questo scopo, affinché cioè nasca nelle loro anime la giustizia, e si dis- 414 GIAMBLICO σι, καὶ ἐάν τι ἀφαιρῶνται, ἀφαιρήσονται, πρὸς τοῦτο ἀεὶ τὸν νοῦν  ἔχοντες, ὅπως ἂν αὐτῶν δικαιοσύνη μὲν ἐν ταῖς ψυχαῖς γίγνηται,  ἀδικία δὲ ἀπαλλάττηται, καὶ σωφροσύνη μὲν [10] ἐγγίγνηται, ἀκο-  λασία δὲ ἀπαλλάττηται, καὶ ἡ ἄλλη ἀρετὴ ἐγγίγνηται, κακία δὲ  ἀπίῃ. τί γὰρ ὄφελος σώματί γε κάμνοντι καὶ μοχθηρῶς διακειμένῳ  ἢ σιτία πολλὰ διδόναι καὶ τὰ ἥδιστα ἢ ποτὰ ἢ ἄλλο ὁτιοῦν, ὃ μὴ  ὀνήσει αὐτὸν ἔσθ᾽ ὅ τι πλέον ἢ τοὐναντίον, κατά γε τὸν δίκαιον λό-  γον, καὶ ἔλαττον; ἔστι ταῦτα. οὐ γὰρ οἶμαι λυσιτελεῖν μετὰ μοχ-  θηρίας σώματος ζῆν ἀνθρώπῳ’ ἀνάγκη γὰρ οὕτως καὶ ζῆν μοχθηρῶς.  οὐκοῦν καὶ τὰς ἐπιθυμίας ἀποπιμπλάναι, οἷον πεινῶντα φαγεῖν  ὅσον βούλεται ἢ διψῶντα πιεῖν, ὑγιαίνοντα [20] μὲν ἐῶσιν οἱ ἰατροὶ  ὡς τὰ πολλά, κάμνοντα δὲ ὡς ἔπος εἰπεῖν οὐδέποτε ἐῶσιν ἐμπίπλα-  σθαι ὧν ἐπιθυμεῖ. ἀλλὰ μὴν καὶ περὶ ψυχὴν ὁ αὐτὸς τρόπος: ἕως μὲν  dv πονηρὰ fl, ἀνόητός τε οὖσα καὶ ἀκόλαστος καὶ ἄδικος καὶ ἀνό-  σιος, εἴργειν αὐτὴν δεῖ τῶν ἐπιθυμιῶν καὶ μὴ ἐπιτρέπειν, ἀλλ᾽ αὐτὰ  ποιεῖν ἃ ἂν ποιῶν βελτίων ἔσται. οὐ γάρ που αὐτῇ ἄμεινον τῇ ψυχῇ.  οὐκοῦν τὸ εἴργειν ἐστὶν ἀφ᾽ ὧν ἐπιθυμεῖ κολάζειν. τὸ κολάζεσθαι  ἄρα τῇ ψυχῇ ἄμεινόν ἐστιν ἢ ἀκολασία, ὥσπερ οἱ πολλοὶ οἵονται,  καὶ τὸ κόσμιον εἶναι καὶ [88] τεταγμένον προέχει τοῦ ἀκοσμήτου  τε καὶ ἀτάκτου, ὥστ᾽ ἐξ ἅπαντος τρόπου τὴν δικαιοσύνην καὶ σωφροσύνην ἀσκητέον πρὸ τῶν ἐναντίων ἕξεων. καὶ τοῦτο μὲν ἡμῖν οὕτως ἐχέτω. XIX. δύναιτο δ᾽ ἀν τις καὶ κατ᾽ ἰδίαν ἀπὸ τῶν ἐν τῇ ψυχῇ ἀγαθῶν  ἐπεξελθεῖν τῷ προκειμένῳ, δεικνύων αὐτῶν τὸ τέλεον καὶ κύριον  εὐδαιμονίας. ὅσῳ γὰρ ἡ ψυχὴ τοῦ σώματος προέχει, τοσούτῳ  μᾶλλον καὶ τἀγαθὰ αὐτῆς ὑπερέχει καὶ τὰ μὲν τοῦ σώματος ἔσται  [10] εὐκαταφρόνητα, τὰ δὲ τῆς ψυχῆς τίμια καὶ σεμνά, καὶ τὸ ἀγα-  θὸν οὖν οὐ τὸ αὐτό ἐστιν ὅπερ τὸ ἡδύ, καὶ τοῦ ἀγαθοῦ ἕνεκα πρακ-  τέον τὸ ἡδύ, οὐ τὸ ἀγαθὸν ἕνεκα τοῦ ἡδέος. ἡδὺ δέ ἐστι τοῦτο, οὗ  παραγενομένου ἡδόμεθα, ἀγαθὸν δέ, οὗ παρόντος ἀγαθοί ἐσμεν. ἀλλὰ μὴν ἀγαθοί γέ ἐσμεν καὶ ἡμεῖς καὶ τὰ ἄλλα πάντα, ὅσα ἀγαθά ἐστιν, ἀρετῆς τινος παραγενομένης. ἀλλὰ μὲν δὴ ἥ γε ἀρετὴ ESORTAZIONE ALLA FILOSOFIA 415 solva l'ingiustizia, e nasca la temperanza, e si dissolva l’intemperanza,  nasca ogni altra virtà, [115dP] e sparisca ogni malvagità. In che cosa,  infatti, può essere realmente utile a un corpo sfinito e in cattivo stato  il dargli molti alimenti e tra i più squisiti, o molte bevande o qualun-  que altra cosa, che non potrà più recargli giovamento, o ancor meno,  secondo un giusto calcolo, gli recherà nocumento? È proprio cosi.  Non credo infatti che sia un vantaggio per l’uomo vivere con un  corpo in cattivo stato, perché necessariamente anche il vivere sarà in  cattivo stato. Dunque anche il soddisfare i propri appetiti, ad esem-  pio mangiare quanto si voglia quando si ha fame, o bere quando si ha  sete, i medici lo permettono per lo più a chi sta bene in salute, men-  tre ad uno che è malato non permettono mai, per cosi dire, di rimpin-  zarsi a suo piacimento. Ma in verità questo vale anche per l’anima: fin-  ché essa è cattiva, in quanto è insensata e dissoluta e ingiusta ed  empia, bisogna impedirle di soddisfare i suoi appetiti e non permet-  terle di fare se non le cose che la rendano migliore, perché cosî9 sarà  in qualche modo meglio per la stessa anima. Dunque l’impedirle di  soddisfare i suoi appetiti è come punire <la sua malvagità>. L'essere  punita è dunque per l’anima meglio che non la sua intemperanza, <al  contrario> di quel che pensano i più, e l’essere onesti e [88] ordinati  prevale sull’essere disonesti e disordinati, sicché bisogna in tutti i  modi esercitare la giustizia e la temperanza anziché le qualità contra-  rie. E su questo noi ci fermiamo.   19. Si potrebbe anche con un discorso fatto in privato, partendo  dai beni dell'anima, giungere al risultato qui proposto, mostrando  come la realizzazione di tali beni sia decisiva per la felicità. Quanto  infatti l’anima prevale sul corpo, tanto a maggior ragione i suoi beni  superano <quelli del corpo>; e i beni del corpo saranno da disprezza-  re, mentre quelli dell'anima saranno preziosi e sacri. E dunque il bene  [116dP] non è la stessa cosa che il piacere, ed è il piacere che si deve  perseguire in vista del bene, non il bene in vista del piacere. Piacere è  ciò che, quando sopraggiunge, ci fa godere, bene invece è ciò che,  quando è presente, ci rende buoni. Ma in verità noi e tutto il resto  siamo buoni quando sopraggiunge una certa virtii. Ma la νἱττύ di ogni  cosa, di un attrezzo o di un corpo o di un’anima o di ogni altro esse-  re vivente, non arriva al suo livello migliore cosî a caso, ma con ordi-  ne e correttezza e con quella tecnica che a ciascuna di tali cose è stata    416 GIAMBLICO    ἑκάστου, καὶ σκεύους καὶ σώματος καὶ ψυχῆς αὖ καὶ ζῴου παντός,  οὐ τῷ εἰκῇ καὶ κάλλιστα παραγίγνεται, ἀλλὰ τάξει καὶ ὀρθότητι  καὶ τέχνῃ, [20] ἥτις ἑκάστῳ ἀποδέδοται αὐτῶν. τάξει ἄρα τεταγμέ-  νον τι καὶ κεκοσμημένον ἐστὶν ἡ ἀρετὴ ἑκάστου, ὡς φαίη ἄν τις  σωφρόνως λογιζόμενος *** ἐν ἑκάστῳ [γὰρ] ὁ ἑκάστου οἰκεῖος ἀγα-  θὸν παρέχει ἕκαστον τῶν ὄντων. ὅθεν δὴ καὶ ψυχὴ κόσμον ἔχουσα  τὸν αὑτῆς ἀμείνων τῆς ἀκοσμήτου. ἀλλὰ μὴν ἥ γε κόσμον ἔχουσα  κοσμία, ἣ δέ Ye κοσμία σώφρων’ ἡ ἄρα σώφρων ψυχὴ ἀγαθή. [89]  λέγω δὴ οὖν ὅτι, εἰ ἡ σώφρων ἀγαθή ἐστιν, ἡ τοὐναντίον τῇ σώφρονι  πεπονθυῖα κακή ἐστιν ἦν δὲ αὕτη ἡ ἄφρων τε καὶ ἀκόλαστος. πολλὴ  ἀνάγκη. καὶ μὴν ὅ γε σώφρων τὰ προσήκοντα πράττοι ἂν καὶ περὶ  θεοὺς καὶ ἀνθρώπους οὐ γὰρ ἂν σωφρονοῖ τὰ μὴ προσήκοντα  πράττων. καὶ μὴν περὶ μὲν ἀνθρώπους τὰ προσήκοντα πράττων δίκα-  La ἂν πράττοι, περὶ δὲ θεοὺς dora: τὸν δὲ τὰ δίκαια καὶ ὅσια πράτ-  τοντα ἀνάγκη δίκαιον καὶ ὅσιον εἶναι. καὶ μὲν δὴ καὶ av[10]Speiòv  γε ἀνάγκη" οὐ γὰρ δὴ σώφρονος ἀνδρός ἐστιν οὔτε διώκειν οὔτε  φεύγειν ἃ μὴ προσήκει, ἀλλὰ δεῖ καὶ πράγματα καὶ ἀνθρώπους καὶ  ἡδονὰς καὶ λύπας φεύγειν καὶ διώκειν, καὶ ὑπομένοντα καρτερεῖν  ὅπου δεῖ. ὥστε πολλὴ ἀνάγκη τὸν σώφρονα, ὥσπερ διήλθομεν, δίκα-  Lov ὄντα καὶ ἀνδρεῖον καὶ ὅσιον ἀγαθὸν ἄνδρα εἶναι τελέως, τὸν δὲ  ἀγαθὸν εὖ τε καὶ καλῶς πράττειν ἃ ἂν πράττῃ, τὸν δὲ εὖ πράττοντα  μακάριόν τε καὶ εὐδαίμονα εἶναι, τὸν δὲ πονηρὸν καὶ κακῶς πράτ-  τοντα ἄθλιον’ οὗτος δ᾽ ἂν εἴη ὁ ἐναντίως ἔχων [20] τῷ σώφρονι, ὁ  ἀκόλαστος. εἰ δή ἐστι ταῦτα ἀληθῆ, τὸν βουλόμενον, ὡς ἔοικεν, εὐ-  δαίμονα εἶναι σωφροσύνην μὲν διωκτέον καὶ ἀσκητέον, ἀκολασίαν  δὲ φευκτέον ὡς ἔχει ποδῶν ἕκαστος ἡμῶν, καὶ παρασκευαστέον  μάλιστα μὲν μηδὲν δεῖσθαι τοῦ κολάζεσθαι, ἐὰν δὲ δεηθῇ αὐτὸς ἢ  ἄλλος τις τῶν οἰκείων, ἢ ἰδιώτης ἢ πόλις, ἐπιθετέον δίκην καὶ κολα-  στέον, εἰ μέλλει εὐδαίμων εἶναι. οὗτος ἔμοιγε δοκεῖ ὁ σκοπὸς  εἶναι πρὸς ὃν βλέποντα δεῖ ζῆν, καὶ πάντα εἰς τοῦτο τὰ αὑτοῦ συν-  τείνοντα καὶ τὰ τῆς πόλεως, ὅπως δικαιο[9θ]σύνη παρέσται καὶ  σωφροσύνη τῷ μακαρίῳ μέλλοντι ἔσεσθαι, οὕτω πράττειν, οὐκ ἐπι-  θυμίας ἐῶντα ἀκολάστους εἶναι καὶ ταῦτα ἐπιχειροῦντα πληροῦν,    ESORTAZIONE ALLA FILOSOFIA 417    assegnata. In funzione di tale ordine la virtii di ciascuno, dunque, è  qualcosa di ordinato e armonico, come direbbe chi ragiona con tem-  peranza [lacuna] l'armonia propria di ciascun ente rende buono cia-  scun ente. Di qui anche l'anima che possiede la propria armonia è  migliore di quella che è priva di armonia. Ma un’anima che possiede  armonia è appunto armonica, e un'anima armonica è temperante.  Dunque è buona l’anima temperante. [89] Intendo dunque dire che,  se è buona l’anima temperante, quella che si trova in uno stato con-  trario a quello dell'anima temperante è malvagia: e questa sarebbe  l’anima intemperante e dissoluta. É cosî di necessità. E in verità chi è  temperante compirà azioni convenienti sia verso gli dèi che verso gli  uomini, perché chi non vive con temperanza non potrà compiere  azioni convenienti. E certamente, compiendo azioni convenienti  verso gli uomini, compirà <verso questi> azioni giuste, e verso gli dèi  azioni sante; ma chi compie azioni giuste e sante è necessariamente  giusto e santo. E sarà necessariamente anche coraggioso, perché non  è da uomo temperante né perseguire né fuggire ciò che non conviene,  ma fuggire o perseguire ciò che si deve, si tratti di cose o uomini o pia-  ceri o dolori, e continuando a perseverare dove occorra. Di conse-  guenza, [117dP] è assolutamente necessario che l’uomo temperante  che, come abbiamo concluso, è giusto e coraggioso e santo, sia buono  in maniera perfetta, e che, essendo buono, tutto ciò che fa lo faccia in  maniera buona e bella, e che, agendo bene, sia beato e felice, mentre  il malvagio e chi compie cattive azioni, sia infelice: e quest’ultimo è  colui che si trova in uno stato contrario a quello del temperante, cioè  il dissoluto. Ora, se tutto questo è vero, chi vuole essere felice, come  sembra, deve da un lato perseguire ed esercitare la temperanza, e dal-  l’altro lato fuggire a gambe levate l’intemperanza, e prepararsi a non  avere bisogno di essere punito, e qualora ce ne fosse bisogno, per lui  o per altro tra i suoi parenti, o per un privato cittadino o per una città,  deve infliggere la <dovuta> pena o punizione, se vuole essere felice.  Questo sembra che sia lo scopo in vista del quale bisogna che egli  viva, facendo anche tendere a tale scopo tutti i suoi affari e quelli della  città, [90] affinché colui che dovrà essere beato abbia giustizia e tem-  peranza, e deve agire in modo da non permettere che i suoi appetiti  siano dissoluti e non cercare di soddisfarli, cosa che è un male inesau-  ribile, vivendo una vita da brigante. Infatti l’uomo che conduce una    418 GIAMBLICO    ἀνήνυτον κακόν, λῃστοῦ βίον ζῶντα. οὔτε γὰρ dv ἄλλῳ ἀνθρώπῳ  προσφιλὴς εἴη ὁ τοιοῦτος οὔτε θεῷ" κοινωνεῖν γὰρ ἀδύνατος" ὅτῳ  γὰρ μὴ ἔνι κοινωνία, φιλία οὐκ ἂν εἴη. φασὶ δὲ οἱ σοφοὶ καὶ οὐρα-  νὸν καὶ γῆν καὶ θεοὺς καὶ ἀνθρώπους τὴν κοινωνίαν συνέχειν καὶ  φιλίαν καὶ κοσμιότητα καὶ σωφροσύνην καὶ δικαι[]Ο]ότητα, καὶ τὸ  ὅλον τοῦτο διὰ ταῦτα κόσμον καλοῦσιν, οὐκ ἀκοσμίαν οὐδὲ ἀκολα-  σίαν. τὸν δὲ μὴ προσέχοντα τούτοις λέληθεν ὅτι ἡ ἰσότης ἡ γεώμε-  τρικὴ καὶ ἐν θεοῖς καὶ ἐν ἀνθρώποις μέγα δύναται᾽ δι᾽ ἃ πλεονεξί-  αν οἴονται δεῖν ἀσκεῖν" γεωμετρίας γὰρ ἀμελοῦσι. τὸ μὲν οὖν ὅλον  τῆς εὐδαίμονος ζωῆς πέρι οὕτως ἔχει. καὶ ἕπεται δὲ αὐτὴν τὸ καλῶς  αἱρεῖσθαι μᾶλλον τελευτᾶν, οἷς ἐστιν ἐξουσία ζῆν μὴ καλῶς, πρὶν  παϊδάς τε καὶ τοὺς ἔπειτα εἰς ὀνείδη καταστῆσαι, καὶ πρὶν τοὺς  πατέρας τε καὶ πᾶν τὸ πρόσθεν γένος αἰσχῦναι [20] τῷ γὰρ τοὺς  αὑτοῦ αἰσχύναντι ἀβίωτόν ἐστι, καὶ τῷ τοιούτῳ οὔτε τις ἀνθρώπων  οὔτε θεῶν φίλος ὑπάρχει οὔτ᾽ ἐπὶ γῆς οὔτε ὑπὸ γῆν τελευτήσαντι.  χρὴ οὖν πάντα ἄνδρα, ἐάν τι καὶ ἄλλο ἀσκῇ, μετ᾽ ἀρετῆς ἀσκεῖν, εἰ-  δότα ὅτι τούτου λειπόμενα ἅπαντα καὶ κτήματα καὶ ἐπιτηδεύματα  αἰσχρὰ καὶ κακά. οὔτε γὰρ πλοῦτος κάλλος φέρει τῷ κεκτημένῳ  μετὰ ἀνανδρίας [91] (ἀλλῳ γὰρ ὁ τοιοῦτος πλουτεῖ καὶ οὐχὶ ἑαυτῷ),  οὔτε σώματος κάλλος καὶ ἰσχὺς δειλῷ καὶ κακῷ ξυνοικοῦντα πρέ-  ποντα φαίνεται ἀλλ᾽ ἀπρεπῆ, καὶ ἐπιφανέστερον ποιεῖ τὸν ἔχοντα  καὶ ἐκφαίνει τὴν δειλίαν πᾶσά τε ἐπιστήμη χωριζομένη δικαιο-  σύνης καὶ τῆς ἄλλης ἀρετῆς πανουργία, οὐ σοφία φαίνεται. ὧν  ἕνεκα πρῶτον καὶ ὕστατον καὶ διὰ παντὸς πᾶσαν πάντως προθυμίαν  πειρᾶσθαι δεῖ ἔχειν, ὅπως μάλιστα μὲν ὑπερβαλεῖταί τις τοὺς πρό-  σθεν προγόνους εὐκλείᾳ: [10] εἰ δὲ μή, ὅπως εἰς ἴσον αὐτοῖς  καταστήσῃ τὴν αὑτοῦ καλοκἀγαθίαν" ἡ μὲν γὰρ ἐν τούτοις νίκη  τιμὴν φέρει, ἡ δὲ ἧττα, ἐὰν ἡττᾶταί τις, αἰσχύνην. μάλιστα δ᾽ ἂν  νικήσειέ τις ἐν τούτοις, εἰ παρασκευάσαιτο τῇ τῶν προγόνων δόξῃ  μὴ καταχρήσασθαι μηδὲ ἀναλῶσαι αὐτὴν μάτην, καλῶς εἰδὼς ὅτι  ἀνδρὶ οἰομένῳ τι εἶναι οὐκ ἔστιν αἴσχιον ἢ παρέχειν ἑαυτὸν τιμ-  ώμενον μὴ δι᾽ ἑαυτόν, ἀλλὰ διὰ δόξαν προγόνων. εἶναι μὲν γὰρ    ESORTAZIONE ALLA FILOSOFIA 419    tale vita non potrà essere gradito né ad altro uomo né a dio, perché è  incapace di entrare in comunione con essi; chiunque, infatti, sia privo  di comunione, non può avere neppure amicizia. D'altra parte i  sapienti dicono che cielo e terra e dèi e uomini contengono comunan-  za e amicizia e onestà e temperanza e giustizia, ed è per questa ragio-  ne che chiamano questo universo “cosmo” [cioè “armonia”], non già  “disarmonia” né “intemperanza”. Chi non si attiene a queste verità  dimentica che l'uguaglianza geometrica ha un grande potere sia tra gli  dèi che tra gli uomini; per questo si crede che bisogna esercitare l’ar-  roganza, perché cioè si trascura la geometria. [118dP] Sulla vita feli-  ce nel suo insieme, le cose stanno cosî. Ne consegue che preferiscono  piuttosto di morire bene, coloro che hanno la <sola> possibilità di  vivere non bene, prima di esporre al biasimo figli e discendenti, e  prima di disonorare i padri e tutta la stirpe degli antenati; chi infatti  disonora i propri parenti vive una vita invivibile, e in tale condizione  non ha alcun amico né tra gli uomini né tra gi dèi, né sulla terra né  sottoterra dopo la morte. È necessario dunque che ogni uomo, quan-  do esercita una qualsiasi azione, lo faccia esercitando anche la virtù,  consapevole che senza di questa, ogni ricchezza e occupazione è brut-  ta e cattiva. Infatti, né la ricchezza conferisce bellezza a chi l’ha acqui-  sita con viltà [91] (perché costui diventa ricco per altri, non per se  stesso), né la bellezza e la robustezza del corpo, come sembra, coabi-  tano con chi è vile e malvagio in modo conveniente, ma in modo scon-  veniente, e mettono pit in vista chi le possiede in quanto ne mostra-  no la viltà; e ogni scienza che sia separata dalla giustizia e da ogni altra  virtù, si presenta come astuzia, non come sapienza. Perciò prima e  dopo e durante la vita, bisogna cercare di desiderare ad ogni costo di  far sî che si vada, per quanto possibile, al di là dei nostri antenati in  fatto di reputazione; o quanto meno, che li si eguagli nel costituire la  nostra rettitudine, perché la nostra vittoria, su questo terreno, se  minore è onorevole, se maggiore è vergognosa.” Si vincerà il più pos-  sibile, su questo terreno, se ci si disporrà a non fare cattivo uso della  gloria degli antenati e a non dissiparla inutilmente, sapendo bene che  per chi crede di essere qualcuno non c’è maggiore vergogna se farsi  [119dP] stimare non per se stesso, ma per la gloria degli antenati,  giacché il fatto che noi siamo figli dei nostri padri è un tesoro bello e  magnifico;98 ma servirsi di questo tesoro e di ricchezze e di onori, e    420 GIAMBLICO    τιμὰς γονέων ἐκγόνοις καλὸς θησαυρὸς καὶ μεγαλοπρεπής" χρῆσθαι  δὲ καὶ χρημάτων καὶ τιμῶν θησαυρῷ, [20] καὶ μὴ τοῖς ἐκγόνοις  παραδιδόναι, αἰσχρὸν καὶ ἄνανδρον, ἀπορίᾳ ἰδίων αὑτοῦ κτημάτων  τε καὶ εὐδοξιῶν. ἀφ᾽ ἑαυτῶν γὰρ ἄρχεσθαι dei πάντων τῶν ἀγαθῶν  καὶ τῶν εἰς εὔκλειαν καὶ εὐδαιμονίαν φερόντων. πάλαι γὰρ δὴ τὸ  Μηδὲν ἄγαν λεγόμενον καλῶς δοκεῖ λέγεσθαι: τῷ γὰρ ὄντι εὖ λέγε-  ται. ὅτῳ γὰρ ἀνδρὶ εἰς ἑαυτὸν ἀνήρτηται πάντα τὰ πρὸς εὐδαιμονί-  αν [92] φέροντα ἢ ἐγγὺς τούτου, καὶ μὴ ἐν ἄλλοις ἀνθρώποις αἰ-  ὡρεῖται, ἐξ ὧν ἢ εὖ ἢ κακῶς πραξάντων πλανᾶσθαι ἠνάγκασται καὶ  τὰ ἐκείνου, τούτῳ ἄριστα παρεσκεύασται ζῆν, οὗτός ἐστιν ὁ  σώφρων καὶ οὗτος ὁ ἀνδρεῖος καὶ φρόνιμος, οὗτος γιγνομένων  χρημάτων καὶ παίδων καὶ διαφθειρομένων μάλιστα πείσεται τῇ  παροιμίᾳ" οὔτε γὰρ χαίρων οὔτε λυπούμενος ἄγαν φανήσεται διὰ τὸ  αὑτῷ πεποιθέναι. τοιούτους δὲ ἡμεῖς ἀξιοῦμεν καὶ τοὺς ἀγαθοὺς  εἶναι, οὔτε ἀγανακτοῦντας οὔτε [10] φοβουμένους ἄγαν, εἰ δεῖ  τελευτᾶν ἐν τῷ παρόντι ἢ ἄλλο τι πάσχειν τῶν ἀνθρωπίνων. διατε-  ταμένως γὰρ δὴ δεῖ ταύτην ἔχειν τὴν δόξαν, ὡς ὁ μὲν ἀγαθὸς ἀνὴρ  σώφρων ὧν καὶ δίκαιος εὐδαίμων ἐστὶ καὶ μακάριος, ἐάν τε μέγας  καὶ ἰσχυρός, ἐάν τε μικρὸς καὶ ἀσθενής, καὶ ἐὰν πλουτῇ καὶ μή. ἐὰν  δ᾽ ἄρα πλουτῇ Κινύρα τε καὶ Μίδα μᾶλλον, fi δὲ ἄδικος, ἄθλιός τέ  ἐστι καὶ ἀνιαρῶς ζῇ᾽ καὶ οὔτ᾽ dv μνησαίμην, φησὶν ὁ ποιητής, εἴπερ  ὀρθῶς λέγει, οὔτ᾽ ἐν λόγῳ ἄνδρα τιθοίμην, ὃς μὴ πάντα τὰ  λεγό[20]μενα καλὰ μετὰ δικαιοσύνης πράττοι καὶ κτῷτο, καὶ δηίων  τοιοῦτος ὧν ὀρέγοιτο ἐγγύθεν ἱστάμενος, ἄδικος δὲ ὧν μήτε τολμῷ  ὁρῶν φόνον αἱματόεντα μήτε νικῷ θέων Θρηίκιον Βορέην, μηδὲ  ἄλλο αὐτῷ μηδὲν τῶν λεγομένων ἀγαθῶν γίγνοιτό ποτε. τὰ γὰρ ὑπὸ  τῶν πολλῶν λεγόμενα ἀγαθὰ οὐκ ὀρθῶς λέγεται. λέγεται γὰρ ὡς  «ἄριστον μὲν ὑγιαίνειν, δεύτερον δὲ κάλλος, τρίτον δὲ πλοῦτος.»  μυρία δὲ ἄλλα [93] ἀγαθὰ λέγεται᾽ καὶ γὰρ ὀξὺ ὁρᾶν καὶ ἀκούειν  καὶ πάντα ὅσα ἔχεται τῶν αἰσθήσεων εὐαισθήτως ἔχειν, ἔτι δὲ καὶ  τὸ ποιεῖν τυραννοῦντα 6 τι δᾶν ἐπιθυμῇ, καὶ τὸ δὴ τέλος ἁπάσης  μακαριότητος εἶναι τὸ πάντα ταῦτα κεκτημένον ἀθάνατον εἶναι  γενόμενον ὅ τι τάχιστα. ὁ δὲ ἐμὸς λόγος ταδὶ λέγει, ὡς ταῦτά ἐστι  ξύμπαντα δικαίοις μὲν καὶ ὁσίοις ἀνδράσιν ἀριστα κτήματα, ἀδί-    ESORTAZIONE ALLA FILOSOFIA 421    non trasmetterlo ai figli, per mancanza di beni e glorie personali, è  cosa turpe e vile, perché bisogna partire da tutti quei beni che acqui-  stiamo da noi stessi e che sono quelli che conducono alla reputazione  e alla felicità. L'antico detto “nulla di troppo” sembra proprio detto  giustamente; ed è realmente ben detto, perché colui che lega a se stes-  so tutto ciò che conduce alla felicità [92] o a qualcosa di vicino ad  essa, e non lo fa dipendere dagli altri uomini, i cui errori, dovuti ad  azioni buone o cattive, rendono necessarianiente errate anche le azio-  ni di quello, ebbene costui si prepara a vivere nel modo migliore, ed  è questo l’uomo temperante e coraggioso e prudente, questo appun-  to che, quando acquisirà o perderà ricchezza e figli, obbedirà il più  possibile al proverbio, giacché non apparirà né contento né addolora-  to per il fatto che si sia affidato <solo> a se stesso. Tali noi stimiamo  che siano i buoni, coloro cioè che non provano né eccessiva irritazio-  ne né eccessivo timore, nel caso che debbano morire in questo  momento o subire qualche altro evento umano. Bisogna infatti atte-  nersi costantemente a questa opinione, che cioè l’uomo buono, essen-  do prudente e giusto, è felice e beato, sia esso grande e forte ὁ picco-  lo e debole, sia ricco o no. Se è più ricco di Cinira e Mida, ma ingiu-  sto, è infelice e conduce una vita di stenti; ed “io non ne farò menzio-  ne”, come dice il poeta,99 [120dP] se è vero che dice bene, “né potrei  parlare di un uomo” che non facesse o acquistasse con giustizia tutto  ciò che di bello si è detto, e che, essendo tale, volesse attaccare da vici-  no i suoi nemici, e che, essendo ingiusto, non osasse volgere lo sguar-  do al massacro sanguinoso né vincesse nella corsa il trace Boreo, né  avesse mai nessun altro dei beni di cui si è detto, dal momento che  quelli che i più chiamano beni non lo sono in senso corretto. Si dice  infatti che “la cosa migliore è la salute, al secondo posto c’è la bellez-  za e al terzo la ricchezza”. E si parla di moltissimi altri [93] beni, giac-  ché sono ritenuti tali, ad esempio, avere la vista e l’udito acuti e tutte  le altre facoltà sensitive in buone condizioni, e ancora il potere fare da  tiranno tutto ciò che si desidera, e il colmo di ogni beatitudine, una  volta che si possieda tutto ciò, si dice che sia il divenire immortali al  più presto possibile. Ma il nostro discorso in questo momento dice  che tutti questi beni sono gli acquisti migliori per uomini giusti e  santi, mentre per uomini ingiusti sono i peggiori, a cominciare dalla  salute. In verità anche il vedere e l’udire e il percepire e la vita nel suo    422 GIAMBLICO    κοῖς δὲ κάκιστα ξύμπαντα, ἀρξάμενα ἀπὸ τῆς ὑγείας. καὶ δὴ καὶ τὸ  ὁρᾶν καὶ τὸ ἀκούειν καὶ [10] αἰσθάνεσθαι καὶ τὸ παράπαν ζῆν μέ-  γιστον μὲν κακὸν τὸν ξύμπαντα χρόνον ἀθάνατον ὄντα καὶ κεκτημέ-  νον πάντα τὰ λεγόμενα ἀγαθὰ πλὴν δικαιοσύνης καὶ ἀρετῆς  ἁπάσης, ἔλαττον δέ, ἂν ὡς ὀλίγιστον ὁ τοιοῦτος χρόνον ἐπιζῴη.  λέγω γὰρ δὴ σαφῶς τὰ μὲν κακὰ λεγόμενα ἀγαθὰ τοῖς ἀδίκοις εἶναι,  τοῖς δὲ δικαίοις κακά, τὰ δὲ ἀγαθὰ τοῖς μὲν ἀγαθοῖς ὄντως ἀγαθά,  τοῖς δὲ κακοῖς κακά. καὶ ὁ μὲν ἀδίκως ζῶν καὶ ὑβριστικῶς ἐξ  ἀνάγκης αἰσχρῶς ζῇ, εἰ δὲ αἰσχρῶς, καὶ κακῶς" ὥστε καὶ ἀηδῶς ζῇ  καὶ οὐ ξυμφερόντως ἑαυτῷ τὸν γὰρ αὐτὸν ἥδιστόν [20] te καὶ  ἄριστον ὑπὸ θεῶν βίον λέγεσθαι φάσκοντες ἀληθέστατα ἐροῦμεν.  εἰ τοίνυν καὶ τὰ ἀγαθὰ τῷ κατ᾽ ἀρετὴν βίῳ μάλιστα συνήρτηται, καὶ  τότε ἐστὶν ἀγαθὰ ὄντως, καὶ τὸ χαίρειν τῷ φιλοσοφεῖν μόνῳ συνέ-  πεται, πάντων ἕνεκα χρὴ τοῦτον τὸν βίον προαιρεῖσθαι τοὺς βουλο-  μένους ὄντως εὐδαιμονεῖν.   ΧΧ. Οἶμαι τοίνυν οὐκ ἀνάρμοστον εἶναι ἐνταῦθα καὶ τὴν διὰ  τῶν ὑποθηκῶν προτροπὴν ἤδη πῶς συνεγγίζουσαν εἰς τὴν ὑφήγησιν  τὸ πῶς δεῖ βιοῦν, καὶ ua[94[A10ta ἐμφαίνουσαν τοῦτο, ὡς οὐκ ἀπέ-  σπασται τὰ τοῦ λόγου τοῦ κατὰ φιλοσοφίαν μέρη, συνεχῆ δ᾽ ἐστὶ πά-  ντα πρὸς ἄλληλα, κατὰ δὴ ταύτην οὖν τὴν μέθοδον ἀπὸ τῶν τιμιω-  τάτων ἀρχώμεθα" πρῶτον, ὡς δεῖ θεοσέβειαν ἀσκεῖν. αὕτη δὲ οὐκ  ἄν παραγένοιτο, εἰ μή τις ἀφομοιώσειε τῷ θεραπευομένῳ τὸ θερα-  πεῦον, τὴν δὲ ὁμοιότητα ταύτην οὐκ ἄλλη τις ἢ φιλοσοφία παρέχει.  ἀλλὰ μὴν καὶ ἀψεύδειαν δεῖ περὶ πολλοῦ ποιεῖσθαι" τὸ γὰρ  ἀληθεύειν καὶ πρὸς θεοὺς κατὰ τὴν θείαν ἀλή[10]θειὰν καὶ πρὸς  ἀνθρώπους κατὰ τὴν ἀνθρωπίνην ἡγεῖται ἡμῖν πάντων τῶν θείων καὶ  ἀνθρωπίνων ἀγαθῶν. τοιαύτης δὲ οὔσης τῆς ἀληθείας, μόνως διὰ  φιλοσοφίας αὕτη παραγίγνεται᾽ μόνοι γὰρ φιλοθεάμονές εἰσι τῆς  ἀληθείας οἱ φιλόσοφοι. ἔτι τοίνυν τῶν νόμων τὴν δύναμιν ἑκάστου  ἐπίστασθαι προσήκει, καὶ ὡς χρηστέον αὐτοῖς ἐστι’ ταῦτα δὲ οὐκ  ἔνεστι μαθεῖν μὴ τὴν ἀρετὴν εἰδότας, πρὸς ἣν καὶ τὴν δύναμιν καὶ  τὴν χρῆσιν τῶν νόμων ἀναφέρομεν- ἡ δὲ τῆς ἀρετῆς ἐπιτήδευσις διὰ  φιλοσοφίας παραγίγνεται ὥστε καὶ [20] πρὸς ταύτην ἡγεμών ἐστι  φιλοσοφία. ἔτι τοίνυν εἰδέναι δεῖ πῶς πρὸς ἀνθρώπους ὁμιλητέον,    3) ἀρχώμεθα è mia congettura: ἀρχόμεθα Pistelli. ΓΕ, 6,14 supra.    ESORTAZIONE ALLA FILOSOFIA 423    complesso sono il peggiore dei mali, quando si è per tutto il tempo  immortali e si possiedono tutti i cosiddetti beni, ad eccezione della  giustizia e di ogni virtà, mentre è un male minore, qualora costui [sc.  chi possiede quei presunti beni] sopravviva per il più breve tempo  possibile. Intendo dire, infatti, con chiarezza che i cosiddetti mali  sono per gli uomini ingiusti dei beni, e sono mali <solo> per i giusti,  e che i beni sono realmente beni per i buoni, e realmente mali per i  malvagi. E colui che vive in maniera ingiusta e tracotante, di necessi-  tà vive in maniera turpe, e se vive in maniera turpe, vive anche in  maniera malvagia; sicché vive anche in maniera spiacevole e non con-  veniente a se stesso, [121dP] perché se diciamo che la vita più piace-  vole e migliore è quella che cosi è detta dagli dèi, diremo la cosa più  vera. Se dunque anche i beni dipendono dalla vita virtuosa, e che solo  in quel caso sono realmente beni, e se il godimento segue soltanto al  filosofare, allora in vista di ciò bisogna preferire questo tipo di vita  [sc. quella filosofica] se si vuole essere realmente felici.   20. Credo quindi che non sia a questo punto inadeguata anche  l'esortazione fatta per mezzo di precetti e che ormai in qualche modo  si avvicina alla descrizione di come bisogna vivere, [94] e che mostri  soprattutto questo, cioè che le parti del discorso filosofico non sono  avulse, ma tutte in continuità tra loro. Secondo tale metodo, dunque,  partiamo anzitutto da ciò che ha più valore, dal fatto cioè che bisogna  esercitare la pietà. Questa non verrà, se non si assimila il culto al suo  oggetto, e questa assimilazione non è fornita da altro se non dalla filo-  sofia. Ma in verità bisogna anche dare molto peso alla sincerità, per-  ché l'essere veritieri verso gli dèi secondo la verità divina e verso gli  uomini secondo la verità umana, ecco ciò che ci guida verso tutti i  beni divini e umani. Poiché la verità è di questa natura, soltanto con  la filosofia essa può essere raggiunta, giacché solo i filosofi amano  contemplare la verità. Ancora, conviene sapere qual è il potere di cia-  scuna legge, e come occorra servirsene; e questo non è possibile  apprenderlo senza sapere quale sia la virtà alla quale dobbiamo rife-  rire sia il potere sia l’uso delle leggi; d’altra parte la pratica della virtù  si ottiene attraverso la filosofia; sicché anche nei confronti della virtù  ci fa da guida la filosofia. Inoltre bisogna sapere come mettersi in rela-  zione con gli uomini, e questo [122dP] non si può giudicare senza  esaminare quale sia la giustificazione di ciò che conviene fare a pro-    424 GIAMBLICO    τοῦτο δὲ οὐκ div τις διαγνοίη μὴ τὸν τοῦ προσήκοντος ἀπολογισμὸν  ἐπὶ πασῶν τῶν πράξεων ἐπεσκεμμένος, τὴν ἀξίαν τε καὶ ἀπαξίαν  εἰδὼς ἑκάστου τῶν ἀνθρώπων, καὶ δυνάμενος διακρίνειν τὰ ἤθη καὶ  τὰς φύσεις ἑκάστων καὶ τὰς τῆς ψυχῆς δυνάμεις καὶ τοὺς κατὰ πά-  ντα ταῦτα συναρμόζοντας λόγους. ἀλλὰ μὴν τούτων γε οὐδὲν χωρὶς  φιλοσοφίας παραγίγνεται καὶ τούτων οὖν ἕνεκα χρήσιμος ἂν εἴη.  εἰ δὲ καὶ τοὺς θηριώδεις ἀν[9δ]θρώπους καταγωνίζεσθαι ὁ τῆς  ἀνδρείας παραγγέλλει νόμος καὶ τὰ βλαβερώτατα τῶν θηρίων χει-  ροῦσθαι, χωρεῖν τε ἐπὶ τοὺς κινδύνους δεῖ προθύμως καὶ ἐθίζεσθαι  αὐτοὺς ὑπομένειν, ἴδωμεν καὶ πρὸς ταῦτα τίς ἡμᾶς ἐπιστήμη ἢ δύνα-  μις παρασκενάζει ἐπιτηδείους. οὐδεμία ἂν ἄλλη, ὡς ἐγῴμαι, ἢ μόνη  φιλοσοφία. αὕτη γὰρ διαμελετᾷ καρτερεῖν καὶ τοῦ θανάτου κατα-  φρονεῖν ἐγκράτειάν τε ἐπιτηδεύει δι᾽ ὅλου τοῦ βίου, καὶ πρὸς μὲν  τοὺς πόνους ἐναθλεῖ γενναίως, τῶν δὲ ἡδονῶν [10] ὑπερορᾷ παντά-  πασι. μόνης ἄρα ταύτης ἀντιλαμβάνεσθαι χρὴ τοὺς βουλομένους  τῶν θείων καὶ ἀνθρωπίνων ἀγαθῶν πάντων μεταλαγχάνειν. ὡς γὰρ  ἁπλῶς εἰπεῖν, ὅ τι ἄν τις ἐθέλῃ ἐξεργάσασθαι εἰς τέλος τὸ βέλτι-  στον, ἐάν τε σοφίαν ἐάν τε ἀνδρείαν ἐάν τε εὐγλωσσίαν ἐάν τε  ἀρετὴν ἢ τὴν σύμπασαν ἢ μέρος τι αὐτῆς, ἐκ τῶνδε οἷόν τε εἶναι  κατεργάσασθαι. φῦναι μὲν πρῶτον δεῖν, καὶ τοῦτο μὲν τῇ τύχῃ ἀπο-  δεδόσθαι, τὰ δὲ ἐπ᾽ αὐτῷ ἤδη τῷ ἀνθρώπῳ τάδε εἶναι, ἐπιθυμητὴν  γενέσθαι τῶν καλῶν καὶ ἀγαθῶν φιλόπονόν τε καὶ πρωιαίτατα [20]  μανθάνοντα καὶ πολὺν χρόνον αὐτοῖς συνδιατελοῦντα. εἰ δέ τι ἀπέ-  σται τούτων καὶ ἕν, οὐχ οἷόν τέ ἐστιν οὐδὲ ἐς τέλος τὸ ἄκρον ἐξερ-  γάσασθαι, ἔχοντος δὲ ἅπαντα ταῦτα, ἀνυπέρβλητον γίγνεται τοῦτο,  ὅ τι ἂν ἀσκῇ τις τῶν ἀνθρώπων. εἰ δὴ καὶ ἐπὶ τῶν ἄλλων ἐπιστημῶν  ὀρθὸν τοῦτο, πόσῳ δὴ πλέον ἐπὶ τῆς ἡγεμονικωτάτης πασῶν τῶν  τεχνῶν, φιλοσοφίας; πόνους τε δεῖ πάντας ὑφίστασθαι γενναίως καὶ  χρόνον πολὺν καταναλίσκειν εἰς τὴν μάθησιν προθυμίαν τε εἰσφέ-  ρε[ϑ6]σθαι μεγίστην. πρὸς δὴ τούτοις, ἐξ οὗ ἄν τις βούληται δόξαν  παρὰ τοῖς ἀνθρώποις λαβεῖν καὶ τοιοῦτος φαίνεσθαι οἷος ἂν fi, αὐὖ-  τίκα δεῖ νέον τε ἄρξασθαι καὶ ἐπιχρῆσθαι αὐτῷ ὁμαλῶς ἀεὶ καὶ μὴ  ἄλλοτε ἄλλως. συγχρονισθὲν μὲν γὰρ ἕκαστον τούτων καὶ αὐτίκα  τε ἀρξάμενον καὶ συναυξηθὲν εἰς τέλος λαμβάνει βέβαιον τὴν δό-    ESORTAZIONE ALLA FILOSOFIA 425    posito di ogni azione, conoscendo bene la dignità o la mancanza di  dignità di ciascun uomo, ed essendo cosî capaci di distinguere i carat-  teri e le nature di ciascuno e le facoltà dell’anima e i discorsi adatti  secondo ogni circostanza. Ma in verità nessuna di queste cose arriva  senza filosofia; e dunque questa sarà utile in vista di tali fini. [95] Se  poi la legge del coraggio prescrive di combattere gli uomini affini alle  bestie e di soggiogare le bestie più nocive, e se bisogna andare incon-  tro ai pericoli con ardimento e abituarsi a resistere ad essi, allora dob-  biamo vedere quale scienza e quale facoltà ci prepara ad essere idonei  anche a tali eventualità. Nessun'altra, io credo, se non la sola filoso-  fia, perché questa ci esercita a perseverare e a disprezzare la morte e  ci fa praticare la continenza per tutta la vita, e ci fa affrontare nobil-  mente le fatiche e ci fa sottovalutare completamente i piaceri. Solo in  essa dunque è necessario che ci impegniamo se vogliamo partecipare  di tutti i beni divini e umani.!% Infatti, per dirla in breve, se si vuole  portare a compimento qualcosa nel migliore dei modi, si tratti di  sapienza o di coraggio o di scioltezza di linguaggio o di virti, nel suo  complesso o in una sua parte, il modo migliore di operare è quello di  partire dalle seguenti basi. Anzitutto bisogna avere disposizione natu-  rale, e questo è un dono della fortuna, poi chi è già un uomo deve  avere i seguenti requisiti: essere desideroso delle cose belle e buone e  amante della fatica e precocissimo nell’imparare e nel sostenere a  lungo lo studio. Se poi manca uno solo di tali requisiti, non c’è la  minima possibilità di portare a compimento nulla nel modo più alto,  mentre chi li ha tutti questi requisiti, [123dP] qualunque sia il com-  pito che un uomo svolga, ottiene un risultato insuperabile. Se quindi  ciò è corretto a proposito di tutte le altre scienze, quanto più lo sarà  a proposito di quella che è la più preminente fra tutte le tecniche, la  filosofia? Bisogna sottomettersi nobilmente a tutte le fatiche e spen-  dere molto tempo nell’apprendimento e [96] impegnarvisi al massi-  mo. Oltre a ciò, dal momento che si voglia acquistare fama preso gli  uomini e si voglia apparire tal quale si è, bisogna subito fin da giova-  ni cominciare e continuare assiduamente ad apprendere sempre con  ritmo uniforme e senza fasi alterne. Protratta a lungo, infatti, e inizia-  ta subito e accresciuta fino in fondo, ciascuna attività di apprendi-  mento consegue in maniera stabile fama e gloria, per le seguenti ragio-  ni; si acquista già fiducia senza riserve e si evita l'invidia degli uomi-    426 GIAMBLICO    Eav καὶ τὸ κλέος διὰ τάδε, ὅτι πιστεύεταί τε ἤδη ἀνενδοιάστως, καὶ  ὁ φθόνος τῶν ἀνθρώπων οὐ προσγίγνεται, δι᾽ ὃν τὰ μὲν οὐκ αὔξου-  σιν οὐδ᾽ εὐλόγως [10] μηνύουσι, τὰ δὲ καταψεύδονται μεμφόμενοι  παρὰ τὸ δίκαιον. οὐ γὰρ ἡδὺ τοῖς ἀνθρώποις ἄλλον τινὰ τιμᾶν (αὐ-  τοὶ γὰρ στερίσκεσθαί τινος ἡγοῦνται), χειρωθέντες δὲ ὑπὸ τῆς  ἀνάγκης αὐτῆς καὶ κατὰ σμικρὸν ἐκ πολλοῦ ἐπαχθέντες ἐπαινέται  καὶ ἄκοντες ὅμως γίγνονται" ἅμα δὲ καὶ οὐκ ἀμφιβάλλουσιν, εἴτε  ἄρα τοιοῦτος ἄνθρωπός ἐστιν οἷος φαίνεται, ἢ ἐνεδρεύει καὶ θηρεύ-  εται τὴν δόξαν ἐπὶ ἀπάτῃ, καὶ ἃ ποιεῖ, ταῦτα καλλωπίζεται  ὑπαγόμενος τοὺς ἀνθρώπους: ἐν ἐκείνῳ δὲ τῷ τρόπῳ, ᾧ ἐγὼ  προεῖπον, ἀσκηθεῖσα ἡ [20] ἀρετὴ πίστιν ἐμποιεῖ περὶ ἑαυτῆς καὶ  εὔκλειαν. ἑαλωκότες γὰρ ἤδη κατὰ τὸ ἰσχυρὸν οἱ ἄνθρωποι οὔτε τῷ  φθόνῳ ἔτι δύνανται χρῆσθαι οὔτε ἀπατᾶσθαι ἔτι οἴονται. ἔτι δὲ καὶ  ὁ χρόνος συνὼν μὲν ἑκάστῳ ἔργῳ καὶ πράγματι πολὺς καὶ διὰ  μακροῦ κρατύνει τὸ ἀσκούμενον, ὁ δὲ ὀλίγος χρόνος οὐ δύναται  τοῦτο ἀπεργάζεσθαι. καὶ τέχνην μὲν ἄν τις τὴν κατὰ λόγους πυθό-  μενος καὶ μαθὼν où χείρων τοῦ διδάσκοντος ἂν γένοιτο ἐν ὀλίγῳ  χρόνῳ, ἀρετὴ δὲ ἥτις ἐξ ἔργων πολλῶν συνίσταται, ταύτην δὲ οὐχ  οἷόν τε ὀψὲ ἀρξαμένῳ οὔτε [97] ὀλιγοχρονίως ἐπὶ τέλος ἀγαγεῖν,  ἀλλὰ συντραφῆναί τε αὐτῇ δεῖ καὶ συναυξηθῆναι τῶν μὲν εἰργόμε-  νον κακῶν καὶ λόγων καὶ ἠθῶν, τὰ δ᾽ ἐπιτηδεύοντα καὶ κατεργαζό-  μενον σὺν πολλῷ χρόνῳ καὶ ἐπιμελείᾳ. ἅμα δέ τις καὶ τῇ ἐξ ὀλίγου  χρόνου εὐδοξίᾳ προσγίγνεται βλάβη τοιάδε τοὺς γὰρ ἐξαπιναίως  καὶ ἐξ ὀλίγου χρόνου ἢ πλουσίους ἢ σοφοὺς ἢ ἀγαθοὺς ἢ ἀνδρείους  γενομένους οὐκ ἀποδέχονται ἡδέως οἱ ἄνθρωποι. εἰ δὴ ταῦτα ἀληθῆ  λέγομεν, καὶ οὐχ οἷόν τε ἄλλως τὴν [10] ὁμοιότητα τῶν ἠθῶν καὶ τὸ  βέβαιον καὶ τὸ ἀμετάπτωτον παραγίγνεσθαι ἢ διὰ μόνης φιλοσοφί-  ας, καὶ τοῦτο σαφὲς γέγονεν ἐκ τούτων, ὡς, εἰ βουλοίμεθα τελείως  ἀγαθοὶ γενέσθαι εὐκλείας τε καὶ εὐδαιμονίας ὄντως μεταλαβεῖν,  οὐκ ἄλλο τι πρακτέον ἡμῖν ἢ φιλοσοφητέον.   Ἔτι τοίνυν καὶ ἥδε ἡ παραίνεσις ἐπὶ τὸ αὐτὸ τέλος φέρει, ὡς, ὅταν  τις ὀρεχθείς τινος τοῦτο κατεργασάμενος ἔχῃ αὐτὸ εἰς τέλος, ἐάν  τε εὐγλωσσίαν ἐάν τε σοφίαν. ἐάν τε ἰσχύν, τοὐτῷ εἰς ἀγαθὰ καὶ  νόμιμα καταχρῆσθαι δεῖ᾽ εἰ δὲ εἰς ἀδικά τε καὶ ἄνομα [20] χρήσε-    34 ἐάν τε σοφίαν: omise des Places, pur traducendolo.    ESORTAZIONE ALLA FILOSOFIA 427    ni, a causa della quale alcune attività non vengono lodate né dichiara-  te ragionevoli, e altre vengono ritenute fasulle da chi le biasima ingiu-  stamente. Agli uomini, infatti, non piace apprezzare altri (perché essi  credono che ciò andrebbe a proprio discapito), e d'altra parte, quan-  do sono vinti dalla stessa necessità <dell’evidenza> e piegati a poco a  poco dalla lungaggine del loro atteggiamento, allora essi si mettono a  lodare sia pure malvolentieri; al tempo stesso essi non dubitano più se  quel tal uomo sia tale quale appare, o se tenda qualche tranello per  cercare la fama con l’inganno e quindi abbellisca ciò che fa per ade-  scare gli uomini; praticata in quel modo che ho detto, la virtù incute  fiducia e reputazione, perché conquistati già dalla forza <dell’eviden-  za>, gli uomini non riescono più a usare <l’arma> dell’invidia <anche  perché, forse,> non credono più di essere ingannati. Inoltre, anche il  tempo, quando accompagna molto a lungo qualsiasi operazione o  fatto, rafforza ciò che si sta praticando, cosa che non può fare il  tempo breve. E mentre chi cerca di imparare la tecnica dei discorsi,  può diventare [124dP] in breve tempo non inferiore al suo maestro,  la virtà invece, che si costituisce attraverso molteplici operazioni, può  condurla a compimento chi non ne inizi l’esercizio troppo tardi e non  vi impieghi [97] poco tempo, anzi bisogna svilupparsi e crescere  assieme ad essa, e astenersi da discorsi e costumi cattivi, e praticarne  ed esercitarne altri <che siano buoni> con l’impiego di molto tempo  e di molta cura. Nello stesso tempo anche la gloria acquisita in poco  tempo subisce un certo danno, e cioè il fatto che coloro che improv-  visamente e in poco tempo diventano ricchi o sapienti o buoni o  coraggiosi, non sono graditi agli uomini. Se quindi queste cose che  diciamo sono vere, e non è possibile pervenire all’assimilazione dei  costumi e ad una condizione di stabilità e immutabilità se non attra-  verso la sola filosofia, anche da ciò appare certo che, se vogliamo  diventare perfettamente buoni e partecipare realmente della reputa-  zione e della felicità, non dobbiamo fare altro che filosofare.   Ancora, ecco qui un monito che porta allo steso risultato: quando  dopo avere desiderato una delle cose <di cui si è parlato>,!0! scioltez-  za di linguaggio o sapienza o robustezza, la si persegue e alla fine si  riesce a ottenerla, bisogna servirsene a scopi buoni e legittimi; se inve-  ce ci si servirà a scopi ingiusti e illeciti del bene di cui si dispone, allo-  ra questo diviene il peggiore fra tutti i mali ed è meglio perderlo piut-    428 GIAMBLICO    ταί τις τῷ ὑπάρχοντι ἀγαθῷ, πάντων κάκιστον εἶναι τὸ τοιοῦτον καὶ  ἀπεῖναι κρεῖσσον αὐτὸ ἢ rapeîvar καὶ ὥσπερ ἀγαθὸς τελέως ὁ  τούτων τι ἔχων γίγνεται εἰς τὰ ἀγαθὰ αὐτοῖς καταχρώμενος, οὕτω  πάλιν πάγκακος τελέως ὁ εἰς τὰ πονηρὰ χρώμενος. τόν τε αὖ ἀρετῆς  ὀρεγόμενον τῆς συμπάσης σκεπτέον εἶναι, ἐκ τίνος ἂν λόγου ἢ  ἔργου ἄριστος εἴη᾽ τοιοῦτος δ᾽ ἂν εἴη ὁ πλείστοις ὠφέλιμος div. εἰ  μέν τις χρήματα διδοὺς εὐεργετήσει τοὺς πλησίον, ἀναγκασθήσεται  κακὸς εἶναι πάλιν αὖ συλλέγων τὰ χρήματα [98] ἔπειτα οὐκ ἂν  οὕτω ἄφθονα συναγάγοι ὥστε μὴ ἐπιλείπειν διδόντα καὶ δωρούμε-  vov: εἶτα αὕτη αὖθις δευτέρα κακία προσγίγνεται μετὰ τὴν  συναγωγὴν τῶν χρημάτων, ἐὰν ἐκ πλουσίου πένης γένηται καὶ ἐκ  κεκτημένου μηδὲν ἔχων. πῶς ἂν οὖν δή τις μὴ χρήματα νέμων ἀλλὰ  ἄλλῳ δή τινι τρόπῳ εὐποιπτικὸς ἂν εἴη ἀνθρώπων, καὶ ταῦτα μὴ σὺν  κακίᾳ ἀλλὰ σὺν ἀρετῇ; καὶ προσέτι δωρούμενος πῶς ἂν ἔχοι τὴν δό-  σιν ἀνέκλειπτον; ὧδε οὖν ἔσται τοῦτο, εἰ τοῖς νόμοις τε [10] καὶ τῷ  δικαίῳ ἐπικουροίπ᾽ τοῦτο γὰρ τάς τε πόλεις καὶ τοὺς ἀνθρώπους τὸ  συνοικίζον καὶ τὸ συνέχον εἶναι. πάλιν οὖν καὶ ἐκ τούτου τὰ αὐτὰ  συμβαίνει᾽ εἰ γὰρ τὴν ὀρθὴν χρῆσιν πάντων τῶν ἐν τῷ βίῳ πραγ-  μάτων καὶ τὴν τοῦ νοῦ διανομὴν ἣν καλοῦμεν νόμον φιλοσοφία  παραδίδωσι γνησίως, οὐδὲν ἄλλο δεῖ πράττειν ἢ φιλοσοφεῖν  ἀληθινῶς τοὺς βουλομένους τῆς τελειοτάτης ζωῆς μεταλαμβάνειν.  καὶ μὴν ἐγκρατέστατόν γε δεῖ εἶναι πάντα ἄνδρα διαφερόντως:  τοιοῦτος δ᾽ ἂν μάλιστα, εἴ τις τῶν χρημάτων κρείσσων [20] εἴη, πρὸς  ἃ πάντες διαφθείρονται, καὶ τῆς ψυχῆς ἀφειδὴς ἐπὶ τοῖς δικαίοις  ἐσπουδακὼς καὶ τὴν ἀρετὴν μεταδιώκων᾽ πρὸς ταῦτα γὰρ δύο οἱ  πλεῖστοι ἀκρατεῖς εἰσι. διὰ τοιοῦτον δέ τι ταῦτα πάσχουσιν. φιλο-  ψυχοῦσι μέν, ὅτι τοῦτο ἢ ζωή ἐστιν ἢ ψυχή᾽ ταύτης οὖν φείδονται  καὶ ποθοῦσιν αὐτὴν διὰ φιλίαν τῆς ζωῆς καὶ συνήθειαν fi συντρέ-  φονται᾽ φιλοχρηματοῦσι δὲ τῶνδς εἵνεκα, ἅπερ φοβεῖ αὐτούς. τί δ᾽    ESORTAZIONE ALLA FILOSOFIA 429    tosto che averlo; e cosi come diviene perfettamente buono chi posse-  dendo qualcuno di tali beni se ne serve a scopi buoni, allo stesso  modo diviene per converso perfettamente malvagio chi se ne serve a  scopi malvagi. Allora chi desidera la virti nel suo complesso, deve  indagare quale sia il discorso o l'operazione partendo dalla quale egli  possa diventare un uomo ottimo; e tale egli diventerà se sarà utile ai  più. Se poi per fare del bene al prossimo dovrà elargire del denaro,  [125dP] allora egli sarà costretto a ridiventare malvagio per accumu-  lare ricchezze; [98] in seguito non riuscirà ad accumularne abbastan-  za da smettere di continuare ad elargire denaro o fare doni; e subito  dopo giungerà questa ulteriore disgrazia, il fatto cioè che da ricco  diverrà povero e da possidente nullatenente. In che modo dunque,  senza distribuire del denaro, ma in qualche altro modo, si potrà esse-  re benefattori degli uomini, e ciò senza malvagità, ma con virtà? E  ancora, in che modo, pur continuando a donare, potrà non esaurirsi  la sua capacità di donare? Ebbene, ciò accadrà in questo modo, se  cioè andrà in soccorso delle leggi e della giustizia, giacché è questo il  fattore di coabitazione e coesione delle città e degli uomini. Ancora  una volta, dunque, anche per questa strada giungiamo al medesimo  risultato: se infatti l’uso corretto di tutte le vicende della vita e quel-  l’intelligente distribuzione delle risorse che noi chiamiamo legge, è la  filosofia che ce li insegna in maniera egregia, allora non bisogna fare  altro se non filosofare genuinamente, se si vuole partecipare della vita  più perfetta.   E in verità ogni uomo dev'essere particolarmente continente al  massimo livello; tale è soprattutto, se è superiore alla ricchezza [sc.  incorruttibile], che è ciò per cui tutti gli uomini si lasciano corrompe-  re, e se non risparmia la sua vita nel trattare seriamente diritti e dove-  ri di ciascuno!?2 e nel perseguire la virti, perché è appunto nei riguar-  di di queste due qualità che i pit si rivelano incontinenti. Ed essi  acquistano queste qualità a causa di una ragione come questa: da un  lato amano la loro anima, perché l’anima è il principio che li fa vive-  re; e quindi la trattano con riguardo e la coccolano per amore della  vita e perché sono abituati a crescere insieme con essa; dall'altro lato  però amano la ricchezza in vista delle cose che essi temono. Quali  [99] cose? Le [126dP] malattie, la vecchiaia, i guai improvvisi, inten-  do dire quelli che non sono conseguenza delle leggi (perché da questi    430 GIAMBLICO    [99] ἐστὶ ταῦτα; αἱ νόσοι, τὸ γῆρας, αἱ ἐξαπιναῖοι ζημίαι, οὐ τὰς ἐκ  τῶν νόμων λέγω ζημίας (ταύτας μὲν γὰρ καὶ εὐλαβηθῆναι ἔστι καὶ  φυλάξασθαι), ἀλλὰ τὰς τοιαύτας, πυρκαϊάς, θανάτους οἰκετῶν,  τετραπόδων, ἄλλας αὖ συμφοράς, αἱ περίκεινται αἱ μὲν τοῖς σώμα-  σιν, αἱ δὲ ταῖς ψυχαῖς, αἱ δὲ τοῖς χρήμασι. τούτων δὴ οὖν ἕνεκα  πάντων, ὅπως ἐς ταῦτα ἔχωσι χρῆσθαι τοῖς χρήμασι, πᾶς ἀνὴρ τοῦ  πλούτου ὀρέγεται. καὶ ἄλλ᾽ ἄττα δέ ἐστιν ἅπερ οὐχ ἧσσον ἢ τὰ προ-  eipnuéva [10] ἐξορμᾷ τοὺς ἀνθρώπους ἐπὶ τὸν χρηματισμόν, αἱ πρὸς  ἀλλήλους φιλοτιμίαι καὶ οἱ ζῆλοι καὶ αἱ δυναστεῖαι, δι᾽ ἃς τὰ  χρήματα περὶ πολλοῦ ποιοῦνται, ὅτι συμβάλλεται εἰς τὰ τοιαῦτα.  ὅστις δέ ἐστιν ἀνὴρ ἀληθῶς ἀγαθός, οὗτος οὐκ ἀλλοτρίῳ κόσμῳ  περικειμένῳ τὴν δόξαν θηρᾶται, ἀλλὰ τῇ αὑτοῦ ἀρετῇ. διόπερ ἐπεὶ  φιλοσοφία εἰς ἑαυτὸν ἀνηρτῆσθαι ποιεῖ τῷ ἀγαθῷ πάντα, παθῶν δὲ  καὶ τῆς ἔξω χρείας ἀφίστησιν, εἴη ἂν χρησιμωτάτη πασῶν πρὸς τὸν  εὐδαίμονα βίον. καὶ περὶ φιλοψυχίας δὲ ὧδε ἄν τις πεισθείη, ὅτι,  εἰ μὲν [20] ὑπῆρχε τῷ ἀνθρώπῳ εἰ μὴ ὑπ᾽ ἄλλου ἀποθάνοι ἀγήρῳ τε  εἶναι καὶ ἀθανάτῳ τὸν λοιπὸν χρόνον, συγγνώμη ἂν πολλὴ τῷ φει-  δομένῳ τῆς ψυχῆς; ἐπεὶ δὲ ὑπάρχει τῷ βίῳ μηκυνομένῳ τό τε γῆρας  κάκιον ὃν ἀνθρώποις καὶ μὴ ἀθάνατον εἶναι, καὶ ἡ ἀμαθία ἤδη ἐστὶ  μεγάλη καὶ συνήθεια πονηρῶν λόγων τε καὶ ἐπιθυμημάτων, ταύτην  περιποιεῖν ἐπὶ δυσκλείᾳ, ἀλλὰ μὴ ἀθάνατον ἀντ᾽ αὐτῆς λείπεσθαι,  ἀντὶ θνητῆς οὔσης εὐλογίαν ἀέναον καὶ ἀεὶ ζῶσαν. εἰ τοίνυν μόνη  φιλοσοφία [100] μελέτην ἐμποιεῖ θανάτου καὶ καταφρόνησιν, ἐπὶ δὲ  τὴν ἀθάνατον καὶ ἀεὶ οὖσαν ζωὴν ἐπανάγει καὶ τοὺς ἀεὶ ὄντας λό-  γους ἀναδιδάσκει καὶ τούτους ζηλοῦν ἐθίζει, πασῶν ἂν εἴη καὶ διὰ  τοῦτο ὠφελιμωτάτη.   Ἔτι τοίνυν οὐκ ἐπὶ πλεονεξίαν ὁρμᾶν δεῖ, οὐδὲ τὸ κράτος τὸ ἐπὶ τῇ  πλεονεξίᾳ ἡγεῖσθαι ἀρετὴν εἶναι, τὸ δὲ τῶν νόμων ὑπακούειν δει-  λίαν" πονηροτάτη γὰρ αὕτη ἡ διάνοιά ἐστι, καὶ ἐξ αὐτῆς πάντα τά-  ναντία τοῖς ἀγαθοῖς γίνεται, κακία τε καὶ βλάβη. εἰ γὰρ [10]  ἔφυσαν μὲν οἱ ἄνθρωποι ἀδύνατοι καθ᾽ ἕνα ζῆν, συνῆλθον δὲ πρὸς    ΕΘΟΚΤΑΖΙΟΝΕ ALLA FILOSOFIA 431    che conseguono alle leggi ci si può difendere e preservare), ma altri  quali, ad esempio, incendi, morti di parenti o di quadrupedi [sc. di  animali domestici], e di altre sciagure ancora, tra cui alcune incidono  sul corpo, altre sull’anima, altre infine sugli averi. In vista di tutte que-  ste sciagure, per potere fronteggiarle servendosi della propria ricchez-  za, ogni uomo aspira a diventare ricco. Ma ci sono altri motivi, non  meno forti di questi di cui parliamo, che spingono gli uomini ad accu-  mulare ricchezza, cioè le rivalità tra di loro e le emulazioni e <soprat-  tutto l’amore per> il potere, in forza del quale essi danno molto peso  alla ricchezza, in quanto <credono> che questa giovi molto in quelle  circostanze. Ma chiunque sia uomo veramente buono non va a caccia  della fama circondato di un ornamento a lui estraneo, ma per mezzo  della sua propria virtà. Perciò, dal momento che è la filosofia che nel-  l’uomo buono fa dipendere ogni cosa da lui, ed è essa che lo allonta-  na dalle passioni e dal bisogno esteriore, sarà essa l’attività più utile  per la vita felice. E a proposito dell'amore per la vita, in questo caso  ci si dovrà convincere che, se all'uomo fosse dato, sempreché qualcu-  n’altro non lo uccida, di non invecchiare ed essere immortale per sem-  pre, sarebbe assolutamente scusato chi volesse risparmiarla; ma poi-  ché con il protrarsi della vita è dato di invecchiare, che è cosa piutto-  sto penosa per gli uomini, e di non essere immortali, allora è senz’al-  tro una grande ignoranza dovuta alla familiarità con discorsi e deside-  ri malvagi, il volerla conservare a costo di ignominia, anziché lasciare  al suo posto qualcosa di immorale, lasciare cioè al posto della vita che  è mortale un elogio imperituro e sempre vivo. [100] Se dunque è la  sola filosofia che ispira [127dP] la meditazione sulla morte e il <con-  seguente> disprezzo di essa, e d’altra parte la filosofia conduce ad una  vita immortale ed eterna e insegna discorsi eterni e abitua ad esserne  gelosi, allora essa sarà per tutto questo anche l’attività più vantaggio-  sa fra tutte.   Ancora, quindi, non bisogna spingersi all’arroganza, né credere  che il dominio fondato sull’arroganza sia una virtà, mentre l’obbe-  dienza alle leggi sia una viltà, perché una tale idea è assolutamente  malvagia, e da essa deriva agli uomini tutto il contrario, cioè vizio e  danno. Se infatti gli uomini sono per natura incapaci di vivere isolata-  mente, e cedendo alla necessità si radunarono tra loro, e fu trovato  cosî ogni tipo di vita possibile per loro con i relativi strumenti tecni-    432 GIAMBLICO    ἀλλήλους τῇ ἀνάγκῃ εἴκοντες, πᾶσα δὲ ἡ ζωὴ αὐτοῖς εὕρηται καὶ τὰ  τεχνήματα πρὸς αὐτήν, σὺν ἀλλήλοις δὲ εἶναι αὐτοὺς καὶ ἀνομίᾳ  διαιτᾶσθαι οὐχ οἷόν τε (μείζω γὰρ αὐτοῖς ζημίαν οὕτω γίγνεσθαι  ἐκείνης τῆς κατὰ ἕνα διαίτης), διὰ ταύτας τοίνυν τὰς ἀνάγκας τόν  τε νόμον καὶ τὸ δίκαιον ἐμβασιλεύειν τοῖς ἀνθρώποις καὶ οὐδαμῇ  μεταστῆναι ἂν avra: φύσει γὰρ ἰσχυρὰ ἐνδεδέσθαι ταῦτα. εἰ μὲν δὴ  γένοιτό τις ἐξ ἀρχῆς φύσιν τοιάνδε ἔχων, ἄτρωτος τὸν χρῶτα [20]  ἄνοσός τε καὶ ἀπαθὴς καὶ ὑπερφυὴς καὶ ἀδαμάντινος τό τε σῶμα  καὶ τὴν ψυχήν, τῷ τοιούτῳ ἴσως ἄν τις ἀρκεῖν ἐνόμισε τὸ ἐπὶ τῇ  πλεονεξίᾳ κράτος (τὸν γὰρ τοιοῦτον τῷ νόμῳ μὴ ὑποδύνοντα δύνα-  σθαι ἀθῷον εἶναι), οὐ μὴν ὀρθῶς οὗτος οἴεται εἰ γὰρ καὶ τοιοῦτός  τις εἴη, ὡς οὐκ ἂν γένοιτο, τοῖς μὲν νόμοις συμμαχῶν καὶ τῷ δικαίῳ  καὶ ταῦτα κρατύνων καὶ τῇ ἰσχύι χρώμενος ἐπὶ ταῦτά τε καὶ τὰ τού-  τοις ἐπικουροῦντα, οὕτω μὲν ἂν σῴζοιτο ὁ τοιοῦτος, ἄλλως δὲ οὐκ  ἂν διαμένοι᾽ δοκεῖν γὰρ ἂν τοὺς ἅπαντας ἀν[101]θρώπους τῷ  τοιούτῳ φύντι πολεμίους κατασταθέντας διὰ τὴν ἑαυτῶν εὐνομίαν,  καὶ τὸ πλῆθος ἢ τέχνῃ ἢ δυνάμει ὑπερβαλέσθαι ἂν καὶ περιγενέ-  σθαι τοῦ τοιούτου ἀνδρός. οὕτω φαίνεται καὶ αὐτὸ τὸ κράτος, ὅπερ  δὴ κράτος ἐστί, διά τε τοῦ νόμου καὶ διὰ τὴν δίκην σῳζόμενον.  χωρὶς δὲ τούτων αὐτὸ δι᾽ αὑτὸ αἱρετόν ἐστι τὸ δίκαιον, καὶ φύσει  πρὸς αὐτὸ πεφύκαμεν. κἂν μηδὲν οὖν τῶν ἔξωθεν περιγίγνηται κἄν  ἐλαττώματά τινα συμβαίνῃ ἀνθρώπινα, δικαιοπραγεῖν [10] ἄξιον,  ὡς τούτου ὄντος πᾶσι τιμιωτάτου.   Μαθεῖν δὲ ἄξιον καὶ ταῦτα περὶ τῆς εὐνομίας τε καὶ ἀνομίας, ὅσον  διαφέρετον ἀλλήλοιν, καὶ ὅτι μὲν εὐνομία ἄριστον εἴη καὶ κοινῇ  καὶ ἰδίᾳ, ἡ ἀνομία δὲ κάκιστον᾽ αἱ γὰρ παραχρῆμα βλάβαι γίγνον-  ται ἐκ τῆς ἀνομίας. ἀρξώμεθα δὲ τὰ τῆς εὐνομίας δηλοῦν, ἅπερ γί-  γνεται πρότερα.   Πίστις μὲν πρώτη ἐγγίγνεται ἐκ τῆς εὐνομίας μεγάλα ὠφελοῦσα  τοὺς ἀνθρώπους τοὺς σύμπαντας, καὶ τῶν μεγάλων ἀγαθῶν τοῦτό    ESORTAZIONE ALLA FILOSOFIA 433    ci, e d'altra parte non è possibile che essi stiano insieme tra loro e con-  vivano anche in assenza di leggi (perché questo sarebbe per loro una  pena maggiore che non il convivere isolatamente), in forza, quindi, di  queste necessità devono regnare tra gli uomini la legge e la giustizia  ed essi non possono mai rimuoverle, giacché esse sono per loro dei  forti legami naturali. Se poi qualcuno dovesse essere fin dalla nascita  in possesso di una natura tale da essere fisiologicamente invulnerabi-  le ed esente da malattie e da afflizioni e <insomma> di natura straor-  dinaria e resistente come l’acciaio sia nel corpo che nell'anima, si  potrebbe forse credere che a costui possa bastare il suo dominio fon-  dato sull’arroganza (perché avendo tale natura, anche se non ubbidi-  sce alla legge, può restare impunito), ma certo non potrebbe essere  ritenuto tale correttamente, perché, anche ad avere tale natura, cosa  impossibile che accada, potrebbe salvarsi solo a condizione che si  alleasse con le leggi e la giustizia e le rafforzasse ed esercitasse la forza  in favore di esse e di ciò che le preserva, altrimenti non sopravvivreb-  be, perché entrerebbero in ballo tutti quanti gli uomini [101] che  [128dP] si costituirebbero come nemici di un uomo di tale natura in  virti del loro proprio senso della legalità, e la massa prevarrebbe o  con espedienti o con la potenza e avrebbe la meglio contro un uomo  del genere. Allo stesso modo sembra che anche il dominio, che è  appunto un “diritto di comandare”, è salvo <solo> in virtà della legge  e della giustizia.!9 A parte ciò, la giustizia è desiderabile in sé e per  sé, e noi siamo disposti per natura in favore di essa. E dunque, anche  se non conseguiamo nessuno dei beni esteriori o ci capita di avere  qualche umana imperfezione, è opportuno agire secondo giustizia,  come se ciò fosse per tutti noi la cosa più preziosa.   E opportuno poi apprendere anche le seguenti cose intorno a  legalità e illegalità, cioè quanto queste siano diverse l’una dall’altra, e  il fatto che mentre la legalità è quanto di meglio può esserci sia per la  vita pubblica che per quella privata, l'illegalità invece è quanto di peg-  gio può esserci <per esse>, giacché i danni per loro nascono diretta-  mente dall’illegalità. Cominceremo <dunque> a mostrare quali siano  i vantaggi della legalità.   Il primo vantaggio è la grande fiducia che nasce dalla legalità,  fiducia che è utile a tutti quanti gli uomini ed è uno dei loro grandi  beni, perché da essa nasce la ricchezza comune, e cosi anche quando    434 GIAMBLICO    Éot' κοινὰ γὰρ tà χρή[20]ματα γίγνεται ἐξ αὐτῆς, καὶ οὕτω μὲν ἐὰν  καὶ ὀλίγα ἦ ἐξαρκεῖ ὅμως κυκλούμενα, ἄνευ δὲ. ταύτης οὐδ᾽ ἂν  πολλὰ ἦ ἐξαρκεῖ.   Καὶ αἱ τύχαι δὲ αἱ εἰς τὰ χρήματα καὶ τὸν βίον, αἵ τε ἀγαθαὶ καὶ  μή, ἐκ τῆς εὐνομίας τοῖς ἀνθρώποις προσφορώτατα κυβερνῶνται:  τούς τε γὰρ εὐτυχοῦντας ἀσφαλεῖ αὐτῇ χρῆσθαι καὶ ἀνεπιβου-  λεύτῳ, τούς τε αὖ δυστυχοῦντας ἐπικουρεῖσθαι ἐκ τῶν εὐτυχούντων  διὰ τὴν ἐπιμιξίαν τε καὶ πίστιν, ἅπερ ἐκ τῆς εὐνομίας γίγνεται.  [102] Τόν τε αὖ χρόνον τοῖς ἀνθρώποις διὰ τὴν εὐνομίαν εἰς μὲν τὰ  πράγματα ἀργὸν γίγνεσθαι, εἰς δὲ τὰ ἔργα τῆς ζωῆς ἐργάσιμον.  Φροντίδος δὲ τῆς μὲν ἀηδεστάτης ἀπηλλάχθαι τοὺς ἀνθρώπους ἐν τῇ  εὐνομίᾳ, τῇ δὲ ἡδίστῃ συνεῖναι᾽ πραγμάτων μὲν γὰρ φροντίδα ἀηδε-  στάτην εἶναι, ἔργων δὲ ἡδίστην.   Εἴς τε αὖ τὸν ὕπνον ἰοῦσιν, ὅπερ ἀνάπαυμα κακῶν ἐστιν ἀνθρώποις,  ἀφόβους μὲν καὶ ἄλυπα μερι[10]μνῶντας ἔρχεσθαι εἰς αὐτόν, γιγνο-  μένους δὲ ἐπ᾽ αὐτοῦ ἕτερα τοιαῦτα πάσχειν, καὶ μὴ ἐμφόβους ἐξά-  πινα καθίστασθαι, οὐδ᾽ ἐκ μεταλλαγῆς ἡδίστης τοῦ γνωστὴν τὴν  ἡμέραν εἶναι προσδέχεσθαι, ἀλλὰ ἡδέως φροντίδας μὲν ἀλύπους  περὶ τὰ ἔργα τῆς ζωῆς ποιουμένους, τοὺς πόνους δὲ τῇ ἀντιλήψει  ἀγαθῶν ἐλπίσιν εὐπίστοις καὶ εὐπροσδοκήτοις ἀνακουφίζοντας, ὧν  πάντων τὴν εὐνομίαν αἰτίαν εἶναι.   Καὶ τὸ κακὰ μέγιστα τοῖς ἀνθρώποις πορίζον, πόλεμον ἐπιφερόμε-  νον εἰς καταστροφὴν καὶ δούλωσιν, καὶ [20] τοῦτο ἀνομοῦσι μὲν  μᾶλλον ἐπέρχεσθαι, εὐνομουμένοις δ᾽ ἧσσον.   Καὶ ἄλλα δὲ πολλά ἐστιν ἐν τῇ εὐνομίᾳ ἀγαθά, ἅπερ ἐπικουρήματα  τῇ ζωῇ καὶ παραψυχὴ τῶν χαλεπῶν ἐξ αὐτῆς γίγνεται᾽ τὰ δ᾽ ἐκ τῆς  ἀνομίας κακὰ ἀποβαίνοντα τάδε ἐστίν.   Ἄσχολοι μὲν πρῶτον οἱ ἄνθρωποι πρὸς τὰ ἔργα γίγνονται καὶ ἐπι-  μελοῦνται τοῦ ἀηδεστάτου, πραγμάτων [103] ἀλλ᾽ οὐκ ἔργων, τά τε  χρήματα δι᾽ ἀπιστίαν καὶ ἀμιξίαν ἀποθησαυρίζουσιν ἀλλ᾽ οὐ κοι-  νοῦνται, καὶ οὕτως σπάνια γίγνεται, ἐὰν καὶ πολλὰ fi.   Αἵ τε τύχαι ai φλαῦραι καὶ αἱ ἀγαθαὶ εἰς τἀναντία ὑπηρετοῦσιν᾽ ἥ    ESORTAZIONE ALLA FILOSOFIA 435    ce ne sia poca essa è tuttavia sufficiente se fatta circolare, mentre  senza fiducia la ricchezza, anche se abbondante, non è sufficiente.   Anche le fortune relative alla ricchezza e alla vita, siano esse  buone o no, sono governate dalla legalità nel modo più conveniente  per gli uomini, perché coloro che hanno buona fortuna se ne posso-  no servire perché la legalità è sicura e non insidiosa, e coloro che  hanno cattiva fortuna ricevono soccorso da coloro che hanno buona  fortuna in virtù delle relazioni che hanno con loro e della loro affida-  bilità, requisiti che nascono <come si è detto> dalla legalità   [102] Anche il tempo, poi, grazie alla legalità diviene per gli  uomini inattivo per gli affari, e attivo per le opere della vita.10   Nella legalità poi gli uomini possono liberarsi dei pensieri più  sgradevoli, [129dP] e convivere con quelle più piacevoli, perché gli  affari sono fonte di sgradevolissime occupazioni, mentre le opere  della vita sono fonte di piacevolissimi pensieri.   Anche quando poi si affidano al sonno, che è per gli uomini come  una pausa dai loro mali, essi lo fanno senza provare timore né ansie  dolorose, e ridestandosi provano altre cose del genere, e non si leva-  no improvvisamente pieni di timore e non attendono che da un tanto  piacevole mutamento nasca nuovo giorno, anzi si prendono piacevo-  le e non dolorosa cura delle opere della loro vita, e sentono le fatiche  più leggere sperando fiduciosamente e aspettando di ricevere in cam-  bio dei beni, tutte cose di cui è causa la legalità.   Anche ciò che procura agli uomini i mali più grandi, cioè la guer-  ra che porta al rovesciamento <dello stato> e alla schiavitii, anche  questa colpisce più quelli che vivono nell’illegalità, e meno quelli che  vivono nella legalità.   E molti altri sono i beni della legalità, che vengono da questa  generati come ausili per la vita e sollievo dalle difficoltà; mentre i mali  che discendono dalla illegalità sono i seguenti.   Gli uomini anzitutto non hanno <mai> tempo libero per le loro  opere e si curano <solo> di ciò che è pit sgradevole, cioè di affari  [103] ma non di opere, e la ricchezza la accumulano per diffidenza e  mancanza di relazioni sociali, senza metterla in comune, e cosi diven-  ta rara, anche se ce n’è molta.   E le fortune, cattive o buone che siano, stanno al servizio del loro  contrario, sia perché nell’illegalità o la buona fortuna non è sicura, ma    436 GIAMBLICO    τε γὰρ εὐτυχία οὐκ ἀσφαλής ἐστιν ἐν τῇ ἀνομίᾳ ἀλλ᾽ ἐπιβουλεύε-  ται, ἥ τε δυστυχία οὐκ ἀπωθεῖται ἀλλὰ κρατύνεται διὰ τὴν ἀπιστί-  αν καὶ ἀμιξίαν.   Ὅ τε πόλεμος ἔξωθεν μᾶλλον ἐπάγεται καὶ ἡ οἰκεία στάσις ἀπὸ τῆς  αὐτῆς αἰτίας, καὶ ἐὰν μὴ πρόσθεν [10] γίγνηται, τότε συμβαίνει" ἔν  τε πράγμασι συμβαίνει καθεστάναι ἀεὶ διὰ ἐπιβουλὰς τὰς ἐξ  ἀλλήλων, δι᾽ ἅσπερ εὐλαβουμένους τε διατελεῖν καὶ ἀντεπιβουλεύ-  οντας ἀλλήλοις.   Καὶ οὔτε ἐγρηγορόσιν ἡδείας τὰς φροντίδας εἶναι οὔτε ἐς τὸν ὕπνον  ἀπερχομένοις ἡδεῖαν τὴν ὑποδοχὴν ἀλλὰ ἐνδείματον, τήν τε ἀνέ-  γερσιν ἔμφοβον καὶ πτοοῦσαν τὸν ἄνθρωπον ἐπὶ μνήμας κακῶν ἐξα-  πιναίους ἄγειν’ ἅπερ ἐκ τῆς ἀνομίας ταῦτά τε καὶ τὰ ἄλλα κακὰ τὰ  προειρημένα ἅπαντα ἀποβαίνει.   [20] Γίνεται δὲ καὶ ἡ τυραννίς, κακὸν τοσοῦτόν τε καὶ τοιοῦτον,  οὐκ ἐξ ἄλλου τινὸς ἢ ἀνομίας. οἴονται δέ τινες τῶν ἀνθρώπων, ὅσοι  μὴ ὀρθῶς συμβάλλονται, τύραννον ἐξ ἄλλου τινὸς καθίστασθαι καὶ  τοὺς ἀνθρώπους στερίσκεσθαι τῆς ἐλευθερίας οὐκ αὐτοὺς αἰτίους  ὄντας, ἀλλὰ βιασθέντας ὑπὸ τοῦ κατασταθέντος τυράννου, οὐκ  ὀρθῶς ταῦτα λογιζόμενοι ὅστις γὰρ ἡγεῖται βασιλέα ἢ τύραννον"  ἐξ ἄλλου τινὸς γίγνεσθαι ἢ ἐξ ἀνομίας τε καὶ πλεονεξίας, μωρός  ἐστιν. ἐπειδὰν γὰρ ἅπαντες ἐπὶ κακίαν τράπωνται, τότε τοῦτο γί-  yvetar: [104] οὐ γὰρ οἷόν τε ἀνθρώπους ἄνευ νόμων καὶ δίκης ζῆν.  ὅταν οὖν ταῦτα τὰ δύο ἐκ τοῦ πλήθους ἐκλίπῃ, ὅ τε νόμος καὶ ἡ  δίκη, τότε ἤδη εἰς ἕνα ἀποχωρεῖν τὴν ἐπιτροπίαν τούτων καὶ  φυλακήν. πῶς γὰρ ἂν ἄλλως εἰς ἕνα μοναρχία repiotain, εἰ μὴ τοῦ  νόμου ἐξωσθέντος τοῦ τῷ πλήθει συμφέροντος; δεῖ γὰρ τὸν ἄνδρα  τοῦτον, ὃς τὴν δίκην καταλύει καὶ τὸν νόμον τὸν πᾶσι κοινὸν καὶ  συμφέροντα ἀφαιρήσεται, ἀδαμάντινον γενέσθαι, εἰ μέλλει συλ-  ήσειν ταῦτα παρὰ τοῦ πλήθους τῶν [10] ἀνθρώπων εἷς ὧν παρὰ  πολλῶν σάρκινος δὲ καὶ ὅμοιος τοῖς λοιποῖς γενόμενος ταῦτα μὲν  οὐκ ἂν δυνηθείη ποιῆσαι, τἀναντία δὲ ἐκλελοιπότα καθιστὰς  μοναρχήσειεν dv’ διὸ καὶ γιγνόμενον τοῦτο ἐνίους τῶν ἀνθρώπων  λανθάνει. εἰ τοίνυν τοσούτων μὲν αἰτία κακῶν ἐστιν ἀνομία,    35 τύραννον: τύραννου erron. des Places.    ESORTAZIONE ALLA FILOSOFIA 437    insidiosa, sia perché la cattiva fortuna non può essere rimossa, ché  anzi è rafforzata dalla inaffidabilità e dalla mancanza di relazioni  sociali.   [130dP] Anche la guerra esterna e la sedizione interna dipendo-  no dalla stessa causa, e se non si sono prodotte prima, accadono pro-  prio nel momento della illegalità; e accade che ci si trovi sempre impe-  gnati negli affari a causa di reciproche insidie, per le quali si è in con-  tinuo sospetto e pronti a controinsidiarsi reciprocamente.   Né si hanno gradevoli pensieri quando ci si sveglia né quando si  va a dormire si ha un rilassamento piacevole, anzi pieno di angoscia,  e il risveglio è per l’uomo pieno di timori e sconvolgente; e porta a  repentini ricordi di sventure; sono questi gli effetti della illegalità e  accadono anche tutti gli altri mali di cui si è detto.   Ma anche la tirannide, un male tanto grande e di cosî grave natu-  ra, non deriva da altro se non dalla illegalità. Alcuni uomini, che  fanno congetture scorrette, credono che il tiranno si imponga per tut-  t’altra causa, e che se gli uomini perdono la libertà, non sono loro la  causa, perché essi subiscono violenza dal tiranno costituito, ma un  tale ragionamento non è corretto, perché chiunque pensi che un re o  un tiranno derivi da altra causa che non siano l’illegalità e l’arrogan-  za, è un folle, giacché quando tutti quanti siano divenuti malvagi, solo  allora ciò accade, [104] perché non è possibile che gli uornini vivano  senza leggi e senza giustizia. Quando dunque vengono a mancare alla  collettività queste due condizioni, cioè la legge e la giustizia, solo allo-  ra si affida ad un solo uomola tutela e la salvaguardia di queste. Come  potrebbe, infatti, ridursi altrimenti nelle mani di un solo uomo la  sovranità, se non perché la legge, che spetta <di diritto> alla colletti-  vità, viene cacciata fuori di essa? Ebbene, occorre che quest'uomo [sc.  il tiranno], che sovvertirà la giustizia e cancellerà la legge che è comu-  ne e conveniente a tutti, sia forte come l’acciaio, se intende spogliare  di tali privilegi la stragrande maggioranza degli uomini, egli che è uno  solo contro molti; [131dP] ma poiché egli è un uomo in carne ed  ossa, simile quindi al resto degli uomini, non potrà fare tutto questo,  ma solo dopo avere eliminato tutto ciò che gli si oppone potrà inse-  diarsi come monarca assoluto; è questa la ragione per cui questo feno-  meno rimane occulto ad alcuni uomini. Se dunque causa di tante scia-  gure è l’illegalità, mentre la legalità è un bene cosî grande, non è pos-    438 GIAMBLICO    τοσοῦτον δὲ ἀγαθὸν ebvopia, οὐκ ἄλλως ἔνεστι τυχεῖν εὐδαιμονίας  εἰ μή τις νόμον ἡγεμόνα προστήσαιτο τοῦ οἰκείου βίου. οὗτος δ᾽  ἐστὶ λόγος ὀρθός, προστάττων μὲν ἃ δεῖ ποιεῖν ἀπαγορεύων δὲ ἃ μὴ  χρῆ, ἔν τε τῷ παντὶ κόσμῳ καὶ ἐν πόλεσι καὶ ἐν ἰδίοις [20] οἴκοις  καὶ αὐτῷ τινι ἑκάστῳ πρὸς ἑαυτόν. εἰ τοίνυν τὸν τοιοῦτον λόγον  περὶ ἀγαθῶν καὶ κακῶν ὄντα καὶ καλῶν καὶ αἰσχρῶν οὐχ οἷόν τε  ἄλλως μαθεῖν καὶ γνόντα τελεώσασθαι, εἰ μή τις τελέως φιλοσο-  φήσειε, τούτων ἕνεκα φιλοσοφίαν ἀσκητέον πάντων μάλιστα τῶν  ἀνθρωπίνων ἐπιτηδευμάτων.   XXI. Τελευταῖον δὴ τρόπον εἰς προτροπὴν τίθεμεν τὸν ἀπὸ τῶν  συμβόλων, τὸν μὲν ἴδιον ὄντα τῆς αἱρέ[05]σεὼς καὶ ἀπόρρητον  πρὸς τὰς ἄλλας ἀγωγάς, τὸν δὲ δημώδη καὶ κοινὸν πρὸς ἐκείνας, τρί-  τον δὲ παρ᾽ ἀμφότερα μέσον ἀμφοῖν οὔτε παντάπασι δημώδη οὔτε  μὴν ἄντικρυς Πυθαγορικόν, ἀλλ᾽ οὐδὲ ἀπηλλαγμένον ὁλοσχερῶς  ἑκατέρου. τῶν γὰρ λεγομένων Πυθαγορικῶν συμβόλων ὅσα dv  ἀξιομνημόνευτα ἡμῖν φαίνηται καὶ τὸ προτρεπτικὸν εἶδος παρα-  δεικνύῃ ἐκθέμενοι, διεγνώκαμεν ἐξήγησιν ποιήσασθαι τὴν πρέπου-  σαν αὐτῶν εἰς παράκλησιν, ἐκ τοῦ τοιούτου νομίζοντες πλήρη καὶ  [10] ἐντελεστέραν προτροπὴν εἰς φιλοσοφίαν ἐνήσειν τοῖς ἐντευξο-  μένοις μᾶλλον ἢ εἰ διὰ πλειόνων στίχων ποιοίμεθα τὴν προτροπήν.  καθὸ μὲν οὖν ἐξωτερικάς τινας ἐπιλύσεις καὶ κοινὰς πάσης φιλοσο-  φίας ἐντάξομεν αὐτῷ, κατὰ τοῦτο ἡγητέον αὐτὸ κεχωρίσθαι  Πυθαγορικοῦ βουλήματος, καθὸ δὲ καὶ τὰς τῶν ἀνδρῶν τούτων  κυριωτάτας περὶ ἑκάστου δόξας ἐγκαταμίξομεν, κατὰ τοῦτο πάλιν  οἰκεῖον μὲν Πυθαγορικῶν, ἀλλότριον δὲ τῶν ἄλλων φιλοσόφων  καλῶς ἔχει τίθεσθαι αὐτό. λεληθότως δέ, ὡς εἰκός, ἀποπαιδαγω-  γήσει μὲν τοῦτο [20] ἡμᾶς ἀπὸ τῶν ἐξωτερικῶν ἐννοιῶν, προσάξει  δὲ καὶ οἰκειώσει μάλιστα ταῖς προκειμέναις καὶ κατὰ τήνδε τὴν  αἵρεσιν τεχνολογουμέναις παρακλήσεσιν, οἷά τις γέφυρα ἢ κλῖμαξ  κάτωθεν ἄνω καὶ εἰς ὕψος ἐκ βάθους ἀνιμῶσα πολλοῦ καὶ ἀνάγου-  σα τὴν ἑκάστου τῶν γνησίως προσεξόντων διάνοιαν εἰς γὰρ τὸ  τοιοῦτο καὶ ἐμηχανήθη κατὰ μίμησιν καὶ ἀπόμαξιν τῶν προλξχ-  θέντων. οἱ γὰρ παλαιότατοι καὶ αὐτῷ συγχρονήσαντες καὶ [106]    ESORTAZIONE ALLA FILOSOFIA 439    sibile altrimenti essere felici se non venga prima imposta la legge  come guida della propria vita. E questa legge non è altro che un cor-  retto ragionamento, che prescrive le cose che bisogna fare e interdice  quelle che bisogna non fare, e fa questo nell’intero universo e nelle  città e nelle case private e in ciascuno di noi preso singolarmente. Se  dunque un tale ragionamento concerne beni e mali e bello e brutto,  non è possibile apprenderlo e conoscerlo in modo completo altrimen-  ti se non filosofando alla perfezione, e <quindi> è in vista di ciò che  bisogna esercitare la filosofia al di sopra di ogni umana occupazione.   21. Infine noi trattiamo l’esortazione in questi altri <tre> modi:  quello per simboli, che appartiene propriamente [105] alla scuola  <pitagorica> ed è nascosto a tutte le altre scuole, quello volgare e  comune a tutte le scuole, come terza infine quello mediano tra le due,  che non è né assolutamente volgare né direttamente pitagorico, ma  neppure avulso completamente dall'uno e dall’altro. Infatti, dopo  avere esposto, tra i cosiddetti simboli pitagorici, quelli che ci appari-  ranno come degni di menzione e che rappresentano la forma protret-  tica <vera e propria>, abbiamo deciso di farne un’esposizione che sia  appropriata per una raccomandazione, credendo che in tal modo pos-  siamo infondere in coloro che si imbattono in questo scritto un’esor-  tazione piena e piuttosto perfetta alla filosofia più che se facessimo  un’esortazione con molte più linee. [132dP] Noi vi introdurremo  dunque delle soluzioni essoteriche e comuni ad ogni filosofia, nella  misura in cui si riterrà che esse siano lontane dalla volontà dei  Pitagorici, e d’altra parte vi mescoleremo le più importanti opinioni  di questi filosofi su ciascun tema, nella misura in cui sarà bene consi-  derarle a loro volta come propriamente pitagoriche, ed estranee quin-  di agli altri filosofi. Senza volerlo poi, come sembra, tutto ciò che è  pitagorico ci allontanerà dalle nozioni essoteriche, e ci avvicinerà e  farà si che noi ci impadroniamo il più possibile delle esortazioni pro-  poste e sistematizzate secondo la dottrina pitagorica, come se fossero  un ponte o una scala che porta dal basso verso l’alto e tira su da una  grande profondità verso la sommità e innalza la mente di ciascuno di  coloro che vi si applichino in maniera sincera, perché ad un risultato  del genere ci si è attrezzati ricavando immagini e impronte dalle cose  di cui si è detto. I filosofi più antichi, infatti, sia i contemporanei di  Pitagora che [106] i suoi discepoli, non si rendevano comprensibili e    440 GIAMBLICO    μαθητεύσαντες τῷ Πυθαγόρᾳ οὐ τῇ κοινῇ καὶ δημώδει καὶ τοῖς  ἄλλοις ἅπασιν εἰωθυίᾳ λέξει τε καὶ ἑρμηνείᾳ ἐποιοῦντο συνετὰ  καὶ εὐνόητα τοῖς ἁπλῶς ἀκούουσιν ἐξ ἐπιδρομῆς τε ἐντυγχάνουσιν,  εὐπαρακολούθητα πειρώμενοι τίθεσθαι τὰ φραζόμενα dr’ αὐτῶν,  ἀλλὰ κατὰ τὴν νενομοθετημένην αὐτοῖς ὑπὸ Πυθαγόρου ἐχεμυθίαν  μυστηρίων καὶ πρὸς τοὺς ἀτελεστέρους τρόπων ἀπορρήτων ἥπτοντο  καὶ διὰ συμβόλων ἐπέσκεπον τὰς πρὸς ἀλλήλους διαλέξεις ἢ συγ-  γραφάς. καὶ εἰ μή τις αὐτὰ [10] τὰ σύμβολα ἐκλέξας διαπτύξειε καὶ  ἀμώκῳ ἐξηγήσει περιλάβοι, γελοῖα ἂν καὶ γραώδη δόξειε τοῖς  ἐντυγχάνουσι τὰ λεγόμενα λήρου μεστὰ καὶ ἀδολεσχίας. iv’ οὖν  «τὰ» ῥήματ᾽ ἐκφανῆ καὶ τὸ εἰς προτροπὴν αὐτῶν ὄφελος κατάδηλον  γένηται, κατὰ τὸ ἐξωτερικόν τε ἅμα καὶ κατὰ τὸ ἀκροατικὸν ἀποδώ-  σομεν ἑκάστου συμβόλου τὰς ἐπιλύσεις, μηδὲ τὰ παρ᾽ αὐτοῖς ἀπό-  ρρητα καὶ ἐχεμυθούμενα πρὸς τοὺς ἀνεισάκτους παραλιπόντες ἀνε-  ξέταστα. ἔστω δὲ τὰ φρασθησόμενα σύμβολα ταῦτα"  α΄. Εἰς ἱερὸν ἀπιὼν προσκυνῆσαι μηδὲν ἄλλο μεταξὺ [20] βιωτι-  κὸν μήτε λέγε μήτε πράττε.  β΄. Ὁδοῦ πάρεργον οὔτε εἰσιτέον εἰς ἱερὸν οὔτε προσκυνητέον  τοπαράπαν, οὐδ᾽ εἰ πρὸς ταῖς θύραις αὐταῖς παριὼν γένοιο.  γ΄. ᾿Ανυπόδητος θῦε καὶ προσκύνει.  [107] δ΄. Τὰς λεωφόρους ὁδοὺς ἐκκλίνων διὰ τῶν ἀτραπῶν βάδιζε.  ἐ ΄. Μελανούρου ἀπέχον" χθονίων γάρ ἐστι θεῶν.  . Γλώσσης πρὸ τῶν ἄλλων κράτει θεοῖς ἑπόμενος.  . ᾿Ανέμων πνεόντων τὴν ἠχὼ προσκύνει.  . Πῦρ μαχαίρῃ μὴ σκάλευνε.  . Ὀξίδα ἀπὸ σεαυτοῦ ἀπόστρεφε πᾶσαν.  ι΄. ᾿Ανδρὶ ἐπανατιθεμένῳ μὲν φορτίον συνέπαιρε, μὴ συγκαθά-  ρει δὲ ἀποτιθεμένῳ.  [10] ια΄. Εἰς μὲν ὑπόδησιν τὸν δεξιὸν πόδα προπάρεχε, εἰς δὲ  ποδόνιπτρον τὸν εὐώνυμον.  ιβ΄. Περὶ Πυθαγορείων ἄνευ φωτὸς μὴ λάλει.  ιγ΄. Ζυγὸν μὴ ὑπέρβαινε.  ιδ΄. ᾿Αποδημῶν τῆς οἰκίας μὴ ἐπιστρέφου Ἐρινύες γὰρ μετέρχον-    m    ΦΞ στη    N    ESORTAZIONE ALLA FILOSOFIA 441    bene intelligibili di primo acchito ai semplici uditori che incontrava-  no adoperando un linguaggio e una spiegazione comuni e volgari e  accessibili a tutti gli altri, cercando di rendere le cose che dicevano  facili ad essere seguite da quelli, ma adottavano, in ottemperanza  della regola del silenzio nei misteri, imposta loro come legge da  Pitagora, modi di esprimersi in forma segreta anche nei confronti dei  non iniziati e coprivano con i simboli le reciproche discussioni o i loro  scritti. E se qualcuno, dopo avere trascelto questi stessi simboli, non  li spiegherà e comprenderà per mezzo di una seria interpretazione,  allora le cose che essi dicono sembreranno a chiunque risibili e da  vecchia donnetta, infarcite di futilità e di chiacchiera. [133dP]  Affinché dunque siano rivelati i loro detti e sia evidente l’utilità di  questi ai fini dell’esortazione, noi scioglieremo ciascun simbolo secon-  do il suo significato insieme essoterico e acroamatico, senza lasciare  prive di esame le loro dottrine segrete e soggette al silenzio nei con-  fronti di coloro che non erano introdotti a tali dottrine. Ecco i simbo-  li che saranno chiariti nel loro significato.    1. Quando ti rechi in un tempio per adorare, non dire né fare nel  frattempo nulla di mondano.195   2. Quando si cammina occasionalmente, non bisogna affatto né  entrare in un tempio né adorare, neppure se ci si trovi a passare pro-  prio nelle vicinanze delle porte «ἀεὶ templi>.1%   3. Sacrifica e adora a piedi nudi.  [107] 4. Evita le strade maestre e cammina per i sentieri.   5. Astieniti dal melanuro, perché è sacro agli dèi sotterranei.10?   6. Frena la tua lingua davanti agli altri, se vuoi obbedire agli dèi.   7. Quando i venti soffiano, adora il loro suono.   8. Non attizzare il fuoco con un coltello.   9. Allontana da te ogni ampolla d’aceto.   10. Se un uomo sta caricando un fardello, aiutalo a sollevarlo, ma  non a deporlo quando deve scaricarlo.   11. Per calzarti, porta avanti il piede destro, per lavarti i piedi,  invece, porta avanti il sinistro.   12. Non parlare delle dottrine pitagoriche quando sei al buio.   13. Non sorpassare una bilancia.108  [134dP] 14. Quando lasci la tua casa per un viaggio, non tornare più,  perché le Erinni potrebbero vendicarsi.    442 GIAMBLICO    ται.   ιε΄. Πρὸς ἥλιον τετραμμένος μὴ οὔρει.   ις΄. Δαδίῳ θᾶκον μὴ ἀπόμασσε.   ιζ΄. ᾿Αλεκτρυόνα τρέφε μὲν μὴ θῦε δέ" μήνῃ γὰρ καὶ ἡλίῳ καθιέ-   ρῶται.   [20] ιη΄. Ἐπὶ χοίνικι μὴ καθέζου.   ιθ΄. Γαμψώνυχον μηδὲν παράτρεφε.   κ΄, Ἐν ὁδῷ μὴ σχίζε.   κα΄. Χελιδόνα οἰκίᾳ μὴ δέχου.   κβ΄. Δακτύλιον μὴ φόρει.   κγ΄. Θεοῦ τύπον μὴ ἐπίγλυφε δακτυλίῳ.   κδ΄. Παρὰ λύχνον μὴ ἐσοπτρίζου.   κε΄. Περὶ θεῶν μηθὲν θαυμαστὸν ἀπίστει, μηδὲ περὶ θείων δογ-   μάτων.   κς΄. ᾿Ασχέτῳ γέλωτι μὴ ἔχεσθαι.  [108] κζ΄. Παρὰ θυσίᾳ μὴ ὀνυχίζου.   κη΄. Δεξιὰν μὴ παντὶ ῥᾳδίως ἔμβαλλε.   κθ΄. Στρωμάτων ἀναστὰς συνέλισσε αὐτὰ καὶ τὸν τύπον συνστό-   pvve.   λ΄. Καρδίαν μὴ τρῶγε.   λα΄. Ἐγκέφαλον μὴ ἔσθιε.   λβ΄. ᾿Αποκαρμάτων σῶν καὶ ἀπονυχισμάτων κατάπτυε.   λγ΄. Ἐρυθῖνον μὴ προσλαμβάνου.   λδ΄. Χύτρας ἴχνος ἀπὸ σποδοῦ ἀφάνιζε.   [10] λε΄. Χρυσὸν ἐχούσῃ μὴ πλησίαζε ἐπὶ τεκνοποιίᾳ.   λς΄. Προτίμα τὸ σχῆμα καὶ βῆμα τοῦ σχῆμα καὶ τριώβολον.   λζ΄. Κυάμων ἀπέχου.   λη΄. Μολόχην ἐπιφύτευε μέν, μὴ ἔσθιε δέ.   λθ΄. Ἐμψύχων ἀπέχου.  Ταῦτα δὴ πάντα κοινῶς μὲν προτρεπτικά ἐστι πρὸς πᾶσαν ἀρετήν,  κατ᾽ ἰδίαν δὲ ἕκαστα πρὸς ἑκάστην ἀρετήν᾽ πρὸς μέρη τε φιλοσοφί-  ας καὶ μαθήσεως ἄλλα ἄλλως προσοικειοῖ, οἷον εὐθὺς τὰ πρῶτα εἰς  [20] εὐσέβειαν καὶ τὴν θείαν ἐπιστήμην ἐστὶ παρακλητικά.  α΄ Τὸ γὰρ εἰς ἱερὸν ἀπιόντα προσκυνῆσαι μηδὲν ἄλλο μεταξὺ βιωτι-  κὸν μήτε λέγειν μήτε πράττειν τηρεῖ τὸ θεῖον ἧπέρ ἐστι καθ᾽ αὑτὸ    ESORTAZIONE ALLA FILOSOFIA 443    15. Non urinare quando sei rivolto verso il sole.   16. Non strofinare una fiaccola su una sedia.   17. Alleva un gallo senza sacrificarlo, perché è sacro alla luna e al  sole.   18. Non sederti su una chenice.199   19. Non allevare nessun rapace.   20. Quando sei in cammino non tagliare <alberi>.   21. Non accogliere in casa una rondine.   22. Non portare anello.   23. Non scolpire alcuna effigie di divinità su un anello.   24. Non specchiarti vicino a una lucerna.   25. A proposito di dèi e di dogmi divini non mettere in dubbio  niente di meraviglioso.   26. Non mettersi a ridere in modo irresistibile.   [108] 27. Non tagliarti le unghie durante un sacrificio.   28. Non porgere facilmente a chiunque la mano destra.   29. Quando ti sei alzato dal letto, arrotola le coperte spianando al  contempo l’impronta <del tuo corpo>.   30. Non masticare del cuore.   31. Non mangiare cervello. 110   32. Sputa sopra i tuoi capelli rasati e le tue unghie tagliate.!!!   33. Non assumere <come cibo>!!? il pesce fragolino.!13   34. Cancella dalla cenere <ogni> traccia della pentola.   35. Non fare l’amore con una donna piena d’oro!!4 per generare  dei figli.   [135dP] 36. Stima di più “figura e gradino” anziché “figura e triobo-  lo”.115   37. Astieniti dal mangiare fave.   38. Coltiva pure della malva, ma non mangiarne.   39. Astieniti dal mangiare animali.   In verità tutti questi simboli sono nel loro insieme delle esortazio-  ni ad ogni virtù, ma presi singolarmente sono ciascuna un’esortazio-  ne a una singola virtù; essi sono appropriati a questa o a quella parte  della filosofia e dell’istruzione, ad esempio i primi simboli sono subi-  to raccomandazioni alla pietà e alla scienza divina.   1. Infatti il simbolo “Quando ti rechi in un tempio per adorare,  non dire né fare nel frattempo nulla di mondano” preserva il divino  cosî com'è in se stesso, cioè puro e incontaminato, e abitua a collega-    444 GIAMBLICO    ἀμιγὲς ἄχραντον, τῷ τε καθαρῷ τὸ καθαρὸν ἐθίζει συνάπτειν Kai  ποιεῖ μηδὲν ἐφέλκεσθαι ἀπὸ τῶν ἀνθρωπίνων εἰς [109] τὴν θείαν  θρησκείαν. πάντα γὰρ ἀλλότριά ἐστι καὶ ἐναντίως πρὸς αὐτὴν ἔχει.  τὸ δ᾽ αὐτὸ καὶ πρὸς ἐπιστήμην μεγάλα συμβάλλεται᾽ οὐδὲν γὰρ δεῖ  πρὸς τὴν θείαν ἐπιστήμην προσφέρειν τοιοῦτον, οἷόν ἐστιν  ἀνθρώπινον διανόημα ἢ βιωτικῆς φροντίδος ἐχόμενον. οὐδὲν οὖν  ἄλλο παρακελεύεται ἐν τούτοις ἢ τοὺς λόγους τοὺς ἱεροὺς καὶ τὰς  θείας πράξεις μὴ συμμιγνύναι τοῖς ἀνθρωπίνοις ἀστάτοις ἤθεσι.   β΄ Τούτῳ δὲ συνῳδόν ἐστι καὶ τὸ ἑξῆς τὸ ὁδοῦ [10] πάρεργον οὐκ εἰ-  σιτέον εἰς ἱερὸν οὐδὲ προσκυνητέον τοπαράπαν, οὐδ᾽ εἰ πρὸς ταῖς  θύραις αὐταῖς παριὼν γένοιο. εἰ γὰρ ὁμοίῳ τὸ ὅμοιον φίλον τέ ἐστι  καὶ προσήγορον, δῆλον ὅτι καὶ ἀρχηγικωτάτην οὐσίαν ἐχόντων τῶν  θεῶν ἐν τοῖς ὅλοις, προηγουμένην αὐτῶν δεῖ ποιεῖσθαι τὴν θερα-  πείαν᾽ εἰ δ᾽ ἄλλου τις ἕνεκα αὐτὴν ποιοῖτο, δεύτερον οὕτω θήσεται  τὸ πάντων προηγούμενον καὶ ἀναστρέψει τὴν ὅλην τάξιν τῆς ὅλης  θεραπείας τε καὶ γνώσεως. ἔτι γὰρ τὰ τίμια ἀγαθὰ οὐ δεῖ τῶν  ἀνθρωπίνων ypnoi[20]uav ἐν ὑστέρᾳ μοίρᾳ τίθεσθαι, οὐδὲ ἐν  τέλους μὲν τάξει τὰ ἡμέτερα, ἐν προσθήκης δὲ μέρει τὰ κρείττονα  οὔτε ἔργα οὔτε διανοήματα.   γ΄ Ἡ δ᾽ ἐπὶ τὸ αὐτὸ προτροπὴ καὶ ἀπὸ τοῦ ἑξῆς γένοιτο ἄν᾽ τὸ γὰρ  ἀνυπόδητος θῦε καὶ προσκύνει ἕν μὲν σημαίνει τὸ δεῖν κοσμίως  καὶ μετρίως καὶ μὴ ὑπερέχοντας τῆς ἐν τῇ γῇ τάξεως τοὺς θεοὺς  θεραπεύειν καὶ τὴν ὑπὲρ αὐτῶν γνῶσιν ποιεῖσθαι, ἕτερον δὲ τὸ δεῖν  δεσμῶν χωρὶς καὶ εὔλυτον ὄντα τὴν θεραπείαν καὶ γνῶσιν τῶν θεῶν  ποιεῖσθαι. ταῦτα [30] δὲ οὐκ ἐπὶ τοῦ σώματος μόνου παραγγέλλει  τὸ σύμ[110]βολον διαπράττεσθαι, ἀλλὰ καὶ ἐπὶ τῶν τῆς ψυχῆς ἐνερ-  γειῶν, ὡς μήτε ὑπὸ παθῶν αὐτὰς κατέχεσθαι μήτε ὑπὸ τῆς τοῦ σώμα-  τος ἀσθενείας μήτε ὑπὸ τῆς περιπεφυκυίας ἔξωθεν ἡμῖν γενέσεως,  εὔλυτα δὲ πάντα ἔχειν καὶ ἕτοιμα πρὸς τὴν μετουσίαν τῶν θεῶν.  κε΄ Καὶ ἄλλο δέ τι τούτοις ὅμοιον εἰς τὴν αὐτήν τε ἀρετὴν προτρέ-  πον ἐστὶ τὸ τοιοῦτον σύμβολον᾽ περὶ θεῶν μηδὲν θαυμαστὸν ἀπί-  στει, μηδὲ περὶ θείων δογμάτων. ἱκανῶς γὰρ τὸ δόγμα τοῦτο    ESORTAZIONE ALLA FILOSOFIA 445    re il puro con il puro e non permette agli uomini di portarsi dietro  nulla <di umano> quando rendono il loro culto [109] al divino, per-  ché qualunque cosa <che appartenga loro> sarebbe estranea a quel  culto. Questo stesso simbolo giova molto anche alla scienza, perché  non bisogna trasferire nella scienza del divino nulla che sia un umano  pensiero o una <semplice> preoccupazione mondana. Nient'altro  dunque viene raccomandato nelle parole di questo simbolo se non  che discorsi sacri e azioni divine non siano mescolati con l’instabile  indole degli uomini.   2. A questo segue l’altro simbolo “Quando si cammina occasio-  nalmente, non bisogna affatto né entrare in un tempio né adorare,  neppure se ci si trovi a passare proprio nelle vicinanze delle porte  <dei templi>”. Se infatti il simile è amico intimo del simile, è chiaro  che, avendo gli dèi un'essenza assolutamente primordiale nell’univer-  so, {136dP] bisogna rendere loro un culto che sia superiore ad ogni  altro; e se qualcuno venera gli dèi in vista di altro, allora cosî facendo  considererà ciò che è superiore a tutto come secondario e sovvertirà  l'intero ordine dell’intero culto e dell'intera conoscenza. Ancora una  volta, infatti, non bisogna collocare i beni preziosi al secondo posto  rispetto ai vantaggi degli uomini, né attribuire a ciò che è nostro,  opere o pensieri che siano, un ruolo di fine, e a ciò che è superiore  uno di accessorio.   3. Anche il simbolo successivo sarebbe un’esortazione dello stes-  so tenore, perché “Sacrifica e adora a piedi nudi” significa in primo  luogo che bisogna rendere culto agli dèi in maniera onesta e misura-  ta e senza andare al di là dell'ordine terrestre, e in secondo luogo che  bisogna rendere loro un culto e averne una conoscenza ben sciolti e  liberi da <ogni> legame. Tutto ciò il simbolo non lo prescrive [110]  soltanto a proposito del corpo, ma anche a proposito delle attività  dell'anima, in modo che esse non vengano trattenute né dalle passio-  ni né dalla debolezza del corpo né dalla generazione che si attacca a  noi dall’esterno,!!6 ma siano completamente ben sciolte e pronte per  partecipare degli dèi.   25. Anche un altro simbolo simile a questi esorta alla stessa virti,  ed è questo: “A proposito di dèi e di dogmi divini non mettere in dub-  bio niente di meraviglioso”. Infatti questo dogma!!? è abbastanza reli-  gioso!!8 e rivelativo della trascendenza degli dèi, in quanto ci fa da via-    446 GIAMBLICO    σεβα[10]στικὸν ὑπάρχει καὶ ἐμφαντικὸν τῆς τῶν θεῶν ὑπεροχῆς,  ἐφοδιάζον ἡμᾶς καὶ ὑπομιμνῇσκον ὅτι οὐκ ἀπὸ τῆς ἡμῶν αὐτῶν συγ-  κρίσεως χρὴ τεκμαίρεσθαι καὶ τὴν θείαν δύναμιν, ἀλλ᾽ ἡμῖν μὲν ἅτε  σωματικοῖς ὑπάρχουσι γενπτοῖς τε καὶ φθαρτοῖς καὶ προσκαίροις,  ὑποκειμένοις τε νόσων ποικιλίᾳ καὶ ὄγκου μικρότητι καὶ τῆς ἐπὶ τὸ  μέσον φορᾶς τῇ βαρήσει καὶ ὑπνωδίᾳ καὶ ἐνδείᾳ καὶ πλεονασμῷ  ἀβουλίᾳ τε καὶ ἀσθενείᾳ καὶ ψυχῆς παραποδισμῷ καὶ τοῖς ἄλλοις,  εἰκὸς ἀμήχανά τινα καὶ ἀδύνατα ὑπάρχειν. καίτοι πολλὰ οὕτω παρὰ  [20] τῆς φύσεως ἔχομεν ἐξαίρετα, ἀλλ᾽ ὅμως πάντῃ τῶν θεῶν ἀπολει-  πόμεθα, καὶ οὔτε δύναμιν τὴν αὐτὴν οὔτε ἀρετὴν ἴσην πρὸς αὐτοὺς  ἔχομεν. γνῶσιν οὖν θεῶν διαφερόντως τοῦτο εἰσηγεῖται, ὡς πάντα  δυναμένων αὐτῶν. διὰ τοῦτο δὴ οὖν περὶ θεῶν μηδὲν ἀπιστεῖν  παραγγέλλει. πρόσκειται δὲ μηδὲ περὶ θείων δογμάτων, τῶν τῇ  Πυθαγορικῇ φιλοσοφίᾳ δοκούντων᾽ ταῦτα γὰρ ὑπὸ μαθημάτων καὶ  ἐπιστήμονος θεωρίας ἠσφαλισμένα ἀληθῆ καὶ ἀδιάψευστα μόνα  ὑπάρχει, [111] ἀποδείξει παντοίᾳ καὶ συναναγκασμῷ ὠχυρωμένα.  τὰ δὲ αὐτὰ ταῦτα δύναται καὶ πρὸς τὴν ἐπιστήμην τὴν περὶ θεῶν  προτρέπειν’ παραγγέλλει γὰρ ἐπιστήμην τοιαύτην κτήσασθαι, δι᾽ ἧς  οὐδενὶ ἀπιστήσομεν τῶν λεγομένων περὶ θεῶν καὶ περὶ θείων δογ-  μάτων. δύναται παραινεῖν τὰ αὐτὰ καὶ τὸ διὰ μαθημάτων χωρεῖν:  ὀμματουργὰ γὰρ ταῦτα μόνα καὶ φωτοποιὰ περὶ τῶν ὄντων ἁπάντων  τῷ μέλλοντι σκέψεσθαι καὶ κατόψεσθαι αὐτά. ἐκ γὰρ τοῦ  μαθημάτων μετασχεῖν ἕν πρὸ rav[10}tov συνίσταται, τὸ μὴ ἀπι-  στεῖν μήτε περὶ φύσεως θεῶν μήτε περὶ οὐσίας μήτε περὶ δυνάμεως,  μηδὲ μὴν περὶ τῶν Πυθαγορικῶν δογμάτων τερατολογεῖσθαι  δοκούντων τοῖς ἀνεισάκτοις καὶ μαθημάτων ἀμυήτοις᾽ ὥστε τὸ «μὴ  ἀπίστει» ἴσον ἐστὶ τῷ μετέρχου καὶ κτῶ ἐκεῖνα δι᾽ ἃ οὐκ ἀπι-  στήσεις, τουτέστι μαθήματα καὶ ἐπιστημονικὰς ἀποδείξεις.   δ΄ Οἶμαι δ᾽ ὅτι καὶ τὸ ἐπὶ τούτοις εἰς τὸ αὐτὸ συντείνει" τὰς λεωφό-  ρους ὁδοὺς ἐκκλίνων διὰ τῶν ἀτραπῶν βάδιζε. καὶ γὰρ τοῦτο τὴν  μὲν δημώδη [20] καὶ ἀνθρωπίνην ζωὴν ἀφιέναι παραγγέλλει, τὴν δὲ    ESORTAZIONE ALLA FILOSOFIA 447    tico e ci ricorda che anche nel caso del potere degli dèi non dobbia-  mo trarre prova partendo dalla stessa costituzione di noi uomini, a cui  anzi, in quanto corporei e generati e corruttibili e [137dP] precari, e  soggetti a malattie per variegata e piccola massa corporea e per gravi-  tà del nostro movimento verso il centro <del mondo> e per sonnolen-  za e deficienza ed eccessiva svogliatezza e debolezza e per impaccio  psichico e per altri difetti, è giusto che appartenga una certa inettitu-  dine o incapacità <di operare come gli dèi>. Ebbene, quantunque noi  abbiamo ricevuto dalla natura molte doti eccezionali, nondimeno  siamo assolutamente lontani dall’essere dèi, e <quindi> non possedia-  mo né il loro stesso potere né delle qualità uguali alle loro. È questo  dunque che ci induce ad avere una conoscenza degli dèi come se fos-  sero onnipotenti. É per questo, dunque, che <il simbolo> prescrive  “di non mettere niente in dubbio a proposito di dèi”. E aggiunge  “neppure a proposito di dogmi divini”, cioè delle dottrine filosofiche  di Pitagora, perché queste derivano dalle matematiche e dalla con-  templazione scientifica che sono le sole a garantire verità e infallibili-  tà, [111] in forza della loro multiforme dimostrabilità e cogenza. E  queste stesse parole del simbolo possono esortare anche alla scienza  intorno agli dèi [sc. alla teologia], perché prescrivono di acquisire una  tale scienza, in virtà della quale noi non mettiamo in dubbio niente  delle cose che si dicono intorno agli dèi e ai dogmi divini. lo stesso  simbolo è in grado di incoraggiarci a percorrere la via delle matema-  tiche,1!9 perché sono solo queste le scienze che rendono visibili e  luminosi tutti gli enti a chi voglia indagarli e contemplarli. Dal parte-  cipare alle matematiche infatti si produce anzitutto un effetto, cioè  che non si mette in dubbio né la natura degli dèi né la loro essenza né  il loro potere, né le <stesse> dottrine di Pitagora che sembrano  discorsi miracolosi a coloro che non siano stati introdotti e iniziati alle  matematiche; sicché le parole del simbolo “non mettere in dubbio”  equivalgono alle seguenti: “persegui e acquisisci quelle cose in virtù  delle quali non avrai da dubitare”, cioè matematiche e dimostrazioni  scientifiche.   4. Io credo che anche il simbolo successivo tende allo stesso  scopo: “Evita le strade maestre e cammina per i sentieri”. [138dP] E  infatti questo simbolo prescrive di allontanarsi dalla vita popolare e  <genericamente> umana, e ritiene opportuno che si segua quella    448 GIAMBLICO    χωριστὴν καὶ θείαν μεταδιώκειν ἀξιοῖ, καὶ τὰ μὲν δοξάσματα tà  κοινά φησι δεῖν ὑπερορᾶν, τὰ δὲ ἴδια καὶ ἀπόρρητα περὶ πολλοῦ  ποιεῖσθαι, καὶ τὴν μὲν πρὸς ἀνθρώπους φέρουσαν τέρψιν ἀτιμά-  ζειν, τὴν δὲ τῆς θείας βουλήσεως ἐχομένην εὐπραγίαν περὶ πολλοῦ  ποιεῖσθαι, καὶ τὰ μὲν ἀνθρώπινα ἔθη ἐᾶν ὡς δημώδη, τὰς δὲ τῶν  θεῶν θρησκείας ὡς ὑπερεχούσας τὴν δημώδη ζωὴν ἀνταλλάττεσθαι.  Συγγενὲς δ᾽ ἐστὶ τούτῳ καὶ τὸ ἐφεξῆς: μελαν[]] 2]ούρου ἀπέχου:  χθονίων γάρ ἐστι θεῶν. τὰ μὲν οὖν ἄλλα περὶ αὐτοῦ ἐν τῷ Περὶ συμ-  βόλων ἐροῦμεν, ὅσα δὲ εἰς προτροπὴν ἁρμόζει, παραγγέλλει τῆς  οὐρανίας πορείας ἀντέχεσθαι καὶ τοῖς νοεροῖς θεοῖς συνάπτεσθαι,  τῆς τε ἐνύλου φύσεως χωρίζεσθαι καὶ περιάγεσθαι πρὸς τὴν ἄυλον  καὶ καθαρὰν ζωήν, θεῶν τε θεραπείᾳ χρῆσθαι τῇ ἀρίστῃ καὶ μάλι-  στα τοῖς πρωτίστοις θεοῖς προσηκούσῃ.   Ταῦτα μὲν οὖν εἰς θεῶν γνῶσιν καὶ θρησκείαν [10] ποιεῖται τὴν  παράκλησιν, εἰς δὲ σοφίαν τὰ τοιαῦτα.   ς΄ Γλώσσης πρὸ τῶν ἄλλων κράτει θεοῖς ἑπόμενος. πρῶτον γάρ ἐστι  σοφίας ἔργον τὸ τὸν λόγον ἐπιστρέφειν εἰς ἑαυτὸν καὶ ἐθίζειν μὴ  ἔξω προϊέναι, τελεοῦσθαί τε καθ᾽ ἑαυτὸν καὶ ἐν τῇ πρὸς ἑαυτὸν  ἐπιστροφῇ καὶ μετὰ τοῦτο ἐν τῷ τοῖς θεοῖς ἕπεσθαι οὐδὲν γὰρ ἄλλο  οὕτω τελειοῖ τὸν νοῦν ἢ ὅταν ἐπιστρεφόμενος εἰς ἑαυτὸν τοῖς θεοῖς  συνακολουθῇ.   ζ΄ Τὸ δὲ ἀνέμων πνεόντων τὴν ἠχὼ προσκύνει καὶ αὐτὸ τῆς θείας  σοφίας ἐστὶ γνώρισμα" [20] αἰνίττεται γὰρ ὡς δεῖ τῶν θείων οὐσιῶν  καὶ δυνάμεων τὴν ὁμοιότητα ἀγαπᾶν, καὶ ὅταν ἐνεργῶσι, τὸν σύμ-  φῶνον πρὸς τὰς ἐνεργείας αὐτῶν λόγον μετὰ μεγάλης σπουδῆς τιμᾶν  τε καὶ σέβειν.   η΄ Τὸ δὲ μαχαίρῃ πῦρ μὴ σκάλευε φρονήσεώς ἐστι παρακλητικόν᾽  ἐγείρει γὰρ ἡμῖν τὴν ἔννοιαν τὴν προσήκουσαν περὶ τοῦ μὴ δεῖν  πυρὸς πλήρει καὶ θυμοῦ ἀνθρώπῳ μήτε ἀντιτιθέναι λόγον τεθηγμέ-  vov μήτε ἐρίζειν. πολλάκις γὰρ κινήσεις τῷ λόγῳ τὸν ἀμαθῆ καὶ  ταράξεις καὶ πείσῃ δεινὰ καὶ ἀηδῆ. μάρτυς τοῖς [113] λεχθεῖσιν  Ἡράκλειτος: θυμῷ γάρ φησι μάχεσθαι χαλεπόν. ὅ τι γὰρ ἂν χρηίζῃ    ESORTAZIONE ALLA FILOSOFIA 449    separata <dal popolo> e divina, e dice che bisogna non tener conto  delle opinioni della gente comune, e stimare molto quelle private e  segrete, e disdegnare la gioia che porta verso gli uomini, e stimare  molto invece la buona condotta che dipende dalla volontà degli dèi,  e scambiare i costumi umani in quanto volgari con la venerazione  degli dèi in quanto va al di là della vita volgare.   [112] 5. Affine a questo è il simbolo successivo: “Astieniti dal  melanuro, perché è sacro agli dèi sotterranei”. In merito a questo sim-  bolo noi faremo nel libro Sui simboli delle altre considerazioni, ma  per quanto riguarda l’esortazione, questo simbolo prescrive di atte-  nersi al cammino celeste e collegarsi agli dèi intellettivi, e separarsi  dalla natura materiale e ricondursi a una vita pura e immateriale, e  praticare verso gli dèi il culto migliore e che conviene di più agli dèi  assolutamente primi.   Sono questi, dunque, i simboli che raccomandano la conoscenza  e la venerazione degli dèi, i seguenti invece raccomandano la sapien-  za.   6. “Frena la tua lingua davanti agli altri, se vuoi obbedire agli dèi”.  La prima opera della sapienza è quella di volgere il <proprio> discor-  so verso se stesso e abituarsi a non farlo uscire fuori di sé, e di realiz-  zarsi in se stesso sia nella conversione a se stesso sia, dopo di questa,  nell’obbedienza agli dèi, perché nient'altro motivo perfeziona cosi il  nostro intelletto se non il fatto che esso segua gli dèi convertendosi a  se stesso.   7.”Quando i venti soffiano, adora il loro suono”: anche questo  simbolo è un riconoscimento della sapienza divina, perché allude al  fatto che bisogna amare ciò che somiglia alle essenze e ai poteri divi-  ni, e, quando questi operano, onorare e venerare con grande cura  <ogni> discorso che sia consono alle loro attività.   8. Il simbolo che dice: “Non attizzare il fuoco con un coltello”,  raccomanda la prudenza [139dP], perché risveglia in noi la conve-  niente idea che non bisogna fare resistenza con parole taglienti né liti-  gare con chi è pieno di fuoco e di impeto. Spesso, infatti, con la paro-  la tu potrai mettere in agitazione e sconvolgere chi è rozzo e potrai  subire <di conseguenza> cose terribili e spiacevoli. Ne è testimone  [113] Eraclito con queste parole: «Contro l’impeto — egli dice — è dif-  ficile combattere, perché ciò che brama di avere, lo compra a costo    450 GIAMBLICO    γίγνεσθαι, ψυχῆς ὠνέεται. καὶ τοῦτο ἀληθῶς εἶπε: πολλοὶ γὰρ χαρι-  ζόμενοι θυμῷ ἀντηλλάξαντο τὴν ἑαυτῶν ψυχὴν καὶ θάνατον φίλτε-  ρον ἐποιήσαντο. ἐκ δὲ τοῦ γλώσσης κρατεῖν καὶ εἶναι ἠρεμαῖον ἐκ  μὲν νείκους γίγνεται φιλία σβεννυμένου πυρὸς θυμικοῦ, καὶ αὐτὸς  οὐκ ἄφρων εἶναι δόξεις.   θ΄ Τούτῳ δὲ συμμαρτυρεῖ καὶ τὸ ἑξῆς τὴν ὀξίδα ἀποστρέφειν ἀπὸ  σαυτοῦ: πρὸς ὃν γὰρ ἂν τύχῃ [10] ἐπεστραμμένη, ἐπίληπτος Ἔ ἔσται.  καὶ τοῦτο φρονήσει χρῆσθαι παρακελεύεται καὶ μὴ θυμῷ. τὸ μὲν  γὰρ ὀξὺ τῆς ψυχῆς, ὅπερ θυμὸν καλοῦμεν, λογισμοῦ καὶ φρονήσεως  ἐστέρπται (ζεῖ γὰρ ὁ θυμὸς ὥσπερ λέβης πυρὶ θαλπόμενος), οὐθὲν  εἰς τὸ πρόσθεν γιγνόμενον μερίζων γνώμη. χρὴ οὖν ἐν νηνεμίᾳ  καθιστάναι τὴν ψυχὴν ἀποστρέφοντα [τὴν ψυχὴν] τοῦ θυμοῦ, ἐπι-  λαμβανόμενον ἑαυτοῦ πολλάκις: ὥσπερ «γὰρ» ἠχοῦντα χαλκὸν ἁφῇ,  καὶ τὸ πάθος οὖν τοῦτο τῷ λογισμῷ πιέζειν χρή.   ι Τὸ δὲ φορτίον συνανατιθέναι, συγκαθαι[20]ρεῖν δὲ un, εἰς  ἀνδρείαν προτρέπει. πᾶς μὲν γὰρ ἀνατιθέμενος φορτίον πόνου καὶ  ἐνεργείας σημαίνεται πρᾶξιν, ὁ δὲ καθαιρούμενος ἀναπαύσεως καὶ  ἀνέσεως, ὥστε καὶ τὸ σύμβολον τοιόνδε ἔχει ἐπιλογισμόν᾽ μὴ γί-  yvov μήτε αὑτῷ μήτε ἄλλῳ ῥαθυμίας καὶ μαλθακῆς διαίτης αἴτιος.  πόνῳ γὰρ πᾶν χρῆμα ἁλώσιμον. Ἡράκλειον δὲ οἱ Πυθαγόρειοι  ἐφήμιζον τόδε τὸ σύμβολον [114] εἶναι αὐτοῖς, ἐπισφραγιζόμενοι  ἀπὸ τῶν ἐκείνου ἔργων. ὅτε γὰρ ὡμίλει κατ᾽ ἀνθρώπους, πολλάκις  ἐκ πυρὸς καὶ πάντων τῶν δεινοτάτων ἀπενόστει ὄκνον παραιτούμε-  νος᾿ ἐκ γὰρ τοῦ πράττειν καὶ ἐργάζεσθαι τὸ κατορθοῦν παραγίγνε-  ται, ἀλλ᾽ οὐκ ἐκ τοῦ ἀποκνεῖν.   ια΄ Τὸ δὲ εἰς μὲν ὑπόδησιν τὸν δεξιὸν πόδα πάρεχε, εἰς δὲ ποδόνιπ-  τρον τὸν εὐώνυμον εἰς τὴν πρακτικὴν φρόνησιν παρακαλεῖ, τὰς μὲν  σπουδαίας πράξεις ὡς δεξιὰς περιτίθεσθαι παραγγέλλον [τὸ [10]  σύμβολον], τὰς δὲ φαύλας ὡς ἀριστερὰς ἀποτίθεσθαι παντάπασι καὶ  ἀπορρύπτεσθαι.   ιβ΄ Μάλιστα δὲ τὸ περὶ Πυθαγορείων ἄνευ φωτὸς μὴ λάλει παρα-  κλητικόν ἐστιν εἰς τὸν κατὰ φρόνησιν νοῦν. οὗτος γὰρ τῷ φωτὶ ἔοικε  τῆς ψυχῆς καὶ ἀόριστον οὖσαν αὐτὴν ὁρίζει, περιάγει τε ὥσπερ ἐκ    36 ἐπίληπτος: ἐπίλητος erron. des Places.    ESORTAZIONE ALLA FILOSOFIA 451    dell’anima».120 E quello che dice è verità, perché molti, quando si  abbandonano all’impeto, sono disposti a pagare con la propria anima  e reputano piuttosto gradita la morte. Col frenare la lingua, invece, e  col mantenersi calmi, si fa si che dalla contesa nasca l'amicizia, una  volta che si sia spento il fuoco dell’impeto, e tu stesso non apparirai un  insensato.   9. Questa stessa testimonianza la dà il simbolo successivo:  “Allontana da te l’ampolla d’aceto”: se essa, infatti, sarà rivolta verso  qualcuno, costui sarà colpevole. Anche questo simbolo raccomanda  di usare prudenza e non adirarsi. L’acidità dell’anima, infatti, che noi  chiamiamo impeto, è priva di razionalità e di prudenza (l’impeto,  infatti, ribolle come un caldaio scaldato al fuoco), e non sente affatto  ragione nei confronti di ciò che le sta dinanzi.!?2! Occorre dunque  mettere l’anima in tranquillità distogliendola dall’impeto, spesso con  un’autoripremsione; perché cosî come toccando un oggetto di bron-  zo lo si fa smettere di risuonare, allo stesso modo anche la passione  occorre comprimerla con il ragionamento.   10. Il simbolo che dice: “[Se un uomo sta caricando un fardello,]  aiuta a sollevare il fardello, ma non a deporlo [quando deve scaricar-  lo]” esorta al coraggio, perché chiunque stia caricando un fardello  mostra di compiere un'azione faticosa e forzosa, mentre chiunque lo  stia scaricando mostra di compiere un’azione riposante e rilassante,  sicché anche un simbolo siffatto comporta la seguente computazio-  ne:122 “Non renderti responsabile né per te stesso né per altri di indo-  lenza o vita comoda”, perché [140dP] tutto ciò che ha valore si acqui-  sta con fatica. E i Pitagorici dicevano che questo era per loro [114] il  simbolo di Eracle, perché ricavavano dalle fatiche di questo il loro  sigillo.123 Quando infatti Eracle frequentava il mondo degli uomini,  spesso tornava a casa dopo avere affrontato il fuoco e ogni terribile  pericolo per rifiuto dell’ignavia. Dall’agire e dall’operare, infatti, pro-  viene il successo, non già dall’indietreggiare <davanti al pericolo>.   11. Il simbolo che dice: “Per calzarti, porta avanti il piede destro,  per lavarti i piedi, invece, porta avanti il sinistro” invita alla prudenza  pratica, prescrivendo di cingere come destre le azioni sagge, e di  smettere del tutto e ripulirsi come sinistre di quelle malvage.   12. Il simbolo che dice “Non parlare delle dottrine pitagoriche  quando sei al buio” è un invito all’intelletto secondo prudenza, per-  ché l'intelletto somiglia alla luce dell'anima, luce che dà limite all’ani-    452 GIAMBLICO    σκότου εἰς φῶς. περὶ πάντων μὲν οὖν τῶν ἐν τῇ ζωῇ καλῶν ἡγεμόνα  νοῦν προΐστασθαι προσήκει, μάλιστα δὲ7 περὶ τῶν Πυθαγορείων  δογμάτων: ταῦτα γὰρ ἄνευ φωτὸς οὐχ οἷόν τέ ἐστι γνῶναι.   ιγ΄ [20] Τὸ δὲ ζυγὸν μὴ ὑπερβαίνειν δικαιοπραγεῖν παρακελεύεται  καὶ προτιμᾶν ἰσότητα καὶ μετριότητα θαυμαστῶς καὶ τὴν tedero-  τάτην ἀρετὴν γιγνώσκειν δικαιοσύνην, ἧς συμπληρωτικαὶ αἱ λοιπαὶ  καὶ ἧς ἄνευ τῶν ἄλλων οὐδὲν ὄφελος" καὶ οὐ παρέργως αὐτὴν εἰδέ-  ναι χρή, ἀλλὰ διὰ θεωρημάτων καὶ ἐπιστημονικῆς ἀποδείξεως.  τοῦτο δὲ οὐδεμιᾶς ἀλλης ἔργον ἐστὶ τέχνης εἰδέναι καὶ ἐπιστήμης  πλὴν μόνης φιλοσοφίας τῆς κατὰ Πυθαγόραν, ἥτις ἐξαιρέτως τῶν  ἄλλων τὰ μαθήματα προτιμᾷ.   ιδ΄ Εἰς ταὐτὸ δὲ φέρει καὶ τὸ ἀποδημῶν τῆς οἰκίας [115] μὴ ἐπιστρέ-  φου Ἐρινύες γὰρ μετέρχονται. καὶ γὰρ τοῦτο εἰς φιλοσοφίαν προ-  τρέπει καὶ τὴν κατὰ νοῦν αὐτοπραγίαν. δηλοῖ τε καὶ προλέγει τὸ  σύμβολον ἐναργῶς ὅτι φιλοσοφεῖν ἐπιβαλλόμενος χώριζε σαυτὸν  πάντων σωματικῶν καὶ αἰσθητῶν, καὶ ὄντως θανάτου μελέτην ποιοῦ  ἐπὶ τὰ νοητὰ καὶ ἀυλα καὶ ἀεὶ κατὰ ταὐτὰ καὶ ὡσαύτως ἔχοντα ἀμε-  ταστρεπτὶ χωρῶν διὰ τῶν προσηκόντων μαθημάτων. ἀποδημία μὲν  γὰρ μετάστασις τόπου, θάνατος δὲ ὁ τῆς ψυχῆς χωρισμὸς ἀπὸ [10]  τοῦ σώματος, οὗτος δὲ τὸ φιλοσοφεῖν ὡς ἀληθῶς καὶ ἄνευ ai-  σθητηρίων καὶ σωματικῶν ἐνεργειῶν καθαρῷ τῷ νῷ χρῆσθαι εἰς  κατάληψιν τῆς ἐν τοῖς οὖσιν ἀληθείας, ἥπερ ἐπέγνωσται σοφία  οὖσα. φιλοσοφεῖν δὴ ἐπιβαλλόμενος μὴ ἐπιστρέφου μηδὲ καθέλκου  πρὸς τὰ πρότερα καὶ ἐν συντροφίᾳ σοι διατελέσαντα σωματικά"  μετάνοια γὰρ ἐκ τούτου πολλή σοι παρέψεται ἐμποδιζομένῳ εἰς τὰς  ὑγιεῖς καταλήψεις ὑπὸ τῆς περὶ τὰ σωματικὰ ἀχλύος. τὴν δὲ μετά-  νοιαν Ἐρινὺν μετωνόμασε.   ιε΄ Τὸ δὲ πρὸς ἥλιον τετραμμένος μὴ οὔρει [20] ἐκεῖνο προτρέπει"    37 δὲ des Places, ma anche Pistelli dubitando: μὲν οὖν codd.    ESORTAZIONE ALLA FILOSOFIA 453    ma che sia illimitata, come se la volgesse dall’oscurità alla luce. A pro-  posito di tutto ciò che la vita ha di bello, dunque, conviene prestabi-  lire l'intelletto come nostra guida, ma soprattutto a proposito delle  dottrine pitagoriche, perché queste senza luce non si possono cono-  sciute.   13. Il simbolo che dice “Non sorpassare una bilancia” raccoman-  da di agire con giustizia e di stimare prevalentemente e in modo stra-  ordinario l'uguaglianza e la giusta misura e di riconoscere la giustizia  come la virtù più perfetta, della quale le altre virti non sono che com-  plementi e senza la quale le altre virti non hanno niente di utile; e  bisogna averne una conoscenza non superficiale, ma ottenuta per via  di teoremi e di dimostrazione scientifica. E tutto questo è opera di  nessun'altra tecnica e scienza se non della sola filosofia pitagorica, la  quale apprezza in maniera speciale le matematiche prima di ogni altra  scienza.   [115] 14. Allo stesso scopo mira anche il simbolo che dice  “Quando lasci la tua casa per un viaggio, non tornare più, perché le  Erinni potrebbero vendicarsi”. E infatti questo simbolo esorta alla  filosofia e all'autonomia intellettuale. [141dP] Questo simbolo  mostra e proclama che se vuoi applicarti al filosofare <devi> separa-  re te stesso da tutto ciò che è corporeo e sensibile, e meditare real-  mente sulla morte procedendo senza voltarti indietro, attraverso le  appropriate scienze matematiche, verso tutto ciò che è intelligibile e  immateriale e che è sempre identico a se stesso e allo stesso modo.  Infatti, mentre il lasciare la casa per un viaggio è un cambiamento di  luogo, la morte invece è la separazione dell’anima dal corpo, e questa  separazione è a sua volta il filosofare veramente e senza servirsi dei  sensi e delle attività corporee, cioè con il puro intelletto, per afferra-  re la verità degli enti, la quale, come si è riconosciuto, non è altro che  sapienza. In verità se tu vuoi applicarti al filosofare non devi voltarti  indietro né abbassarti verso le cose corporee che in precedenza cre-  scevano e trascorrevano la vita assieme a te; da tutto questo, infatti,  conseguirà per te un grande pentimento quando le tenebre che avvol-  gono il corporeo ti impediranno di avere limpide percezioni della  realtà. Ed è a questo pentimento che il simbolo ha dato il nome di  Erinne.   15. Il simbolo che dice “Non urinare quando sei rivolto verso il    454 GIAMBLICO    μηδὲν Codec ἐπιβάλλου ποιεῖν, φιλοσόφει δὲ τὸν οὐρανὸν ὁρῶν  καὶ τὸν ἥλιον, φῶς τέ σοι τῆς ἀληθείας ἡγείσθω, καὶ μηδέποτε μέμ-  vnoo ταπεινόφρων εἶναι ἐν φιλοσοφίᾳ, ἐπὶ θεοὺς δὲ καὶ σοφίαν διὰ  τῆς τῶν οὐρανίων ἐπισκέψεως ἀνέρχου, καὶ φιλοσοφίᾳ ἐπιβαλλόμε-  νος καὶ τῷ ἐν αὐτῇ φωτὶ τῆς ἀληθείας καθαίρων σεαυτὸν καὶ τρα-  πεὶς ἐπὶ τὴν τοιαύτην ἐπιτήδευσιν θεολογίαν τε καὶ φυσιολογίαν  καὶ σφαιρικῶν ἐπίγνωσιν αἰτιολογίαν τε τὴν ὑπὲρ πάντα ταῦτα  μηκέτι ζῳῶδές τι ποίει μηδὲ βοσκηματῶδες.   ις΄ [116] Τὸ δὲ αὐτὸ παραγγέλλει καὶ «τὸ» δαδίῳ θᾶκον μὴ ἀπόμασ-  σε. οὐ γὰρ μόνον ἐπεὶ καθαρτικὸν τὸ δᾳδίον τῷ ταχίστου καὶ πλεί-  στου μεθεκτικὸν εἶναι πυρός, ὥσπερ τὸ λεγόμενον θεῖον, παραινεῖ  μὴ μιαίνειν αὐτὸ φύσει μιασμῶν ἀποσοβητικὸν ὑπάρχον, μηδ᾽ ἀντι-  μάχεσθαι τῇ φυσικῇ ἐπιτηδειότητι αὐτοῦ μολύνοντα τὸ μολυσμῶν  κωλυτικόν, ἀλλὰ μᾶλλον μὴ μίσγειν μηδὲ κατακιρνᾶν τὰ σοφίας  ἴδια τοῖς τῆς ζῳωδίας: δᾳδίον μὲν γὰρ διὰ τὴν εὐφέγγειαν φιλοσο-  dia παρα[10]βέβληται, θᾶκος δὲ διὰ τὴν χαμαιπέτειαν ζῳωδίᾳ.   ιζ΄ Τὸ δὲ ἀλεκτρυόνα τρέφε μέν, μὴ θῦε dé: μήνῃ γὰρ καὶ ἡλίῳ  καθιέρωται συμβουλεύει ἡμῖν ὑποτρέφειν καὶ σωματοποιεῖν καὶ μὴ  παρορᾶν ἀπολλύμενα καὶ διαφθειρόμενα τὰ τῆς τοῦ κόσμου  ἐνώσεως καὶ ἀλληλουχίας συμπαθείας τε καὶ συμπνοίας μεγάλα  τεκμήρια. ὥστε προτρέπει τῆς τοῦ παντὸς θεωρίας καὶ φιλοσοφίας  ἀντιλαμβάνεσθαι. ἐπεὶ γὰρ ἀπόκρυφος φύσει ἡ περὶ τοῦ παντὸς  ἀλήθεια, καὶ δυσθήρατος ἱκανῶς" ζητητέα δὲ ὅμως ἀνθρώπῳ καὶ  ἐξιχνευτέα μάλιστα [20] διὰ φιλοσοφίας. διὰ γὰρ ἄλλου τινὸς ἐπι-  τηδεύματος οὕτως ἀδύνατον αὕτη δὲ μικρά τινα ἐναύσματα παρὰ  τῆς φύσεως λαμβάνουσα καὶ ὡσανεὶ ἐφοδιαζομένη ζωπυρεῖ τε αὐτὰ  καὶ μεγεθύνει καὶ ἐνεργέστερα διὰ τῶν παρ᾽ αὐτῆς μαθημάτων  ἀπεργάζεται. φιλοσοφητέον «ἄρα» ἂν εἴη.   τη΄ Τὸ δὲ ἐπὶ χοίνικι μὴ καθέζου Πυθαγορικώτερον ἐκδέξαιτ᾽ ἄν τις  ἐκ τῶν αὐτῶν τοῖς ἄνωθεν ὁρμώ[117]μενος. ἐπεὶ γὰρ σωματότητι καὶ  ζῳωδίᾳ καὶ οὐ χοίνικι μετρητή ἐστιν ἡ τροφή, μὴ ἠρέμει μηδ᾽ ἀμύ-    ESORTAZIONE ALLA FILOSOFIA 455    sole” fa la medesima esortazione: Non metterti a compiere niente di  animalesco, ma filosofa guardando il cielo e il sole, e abbi come guida  la luce della verità, e ricordati di non avere mai, in filosofia, pensieri  di basso profilo, ma innalzati verso gli dèi e la sapienza per mezzo del-  l'osservazione dei fenomeni celesti, e applicandoti alla filosofia e puri-  ficandoti con la stessa luce della verità e volgendoti a tale occupazio-  ne, cioè alla teologia e all'indagine sulla natura e alla conoscenza  <delle leggi> dell’astronomia e alla ricerca delle cause che trascendo-  no tutte queste cose, tu non compirai mai niente di animalesco né di  bestiale.   [116] 16. La stessa cosa prescrive anche il simbolo che dice “Non  strofinare una fiaccola su una sedia”. Non è infatti soltanto perché la  fiaccola è purificatrice [142dP] in quanto partecipa velocemente e al  massimo livello del fuoco, come di ciò che è detto divino, che il sim-  bolo incoraggia a non insozzare quella stessa cosa che per natura è  capace di eliminare le sozzure, e a non combattere la sua idoneità  naturale insudiciando ciò che capace di impedire il sudiciume, ma  incoraggia piuttosto a non mescolare né contaminare ciò che è pro-  prio della sapienza con ciò che è proprio dell’animalità; il simbolo  infatti ha messo a confronto la fiaccola con la filosofia in virtà del suo  splendore, e la sedia con l’animalità in virti del fatto che è poggiata  al suolo.   17. Il simbolo che dice “Alleva un gallo senza sacrificarlo, perché  è sacro alla luna e al sole” ci consiglia di nutrire e rinforzare e non tra-  scurare ciò che dissolve e corrompe i grandi indizi dell'unione e coe-  sione e simpatia e cospirazione del cosmo. Sicché ci esorta a impe-  gnarci nella contemplazione dell’universo e nella filosofia, perché la  verità sull’universo, essendo per natura nascosta, è anche abbastanza  difficile ad essere raggiunta; e tuttavia dev'essere dall'uomo indagata  e rintracciata il più possibile per mezzo della filosofia, perché è  impossibile ottenere questo per mezzo di altra occupazione; ma la  filosofia, assumendo dalla natura delle piccole scintille e facendone  come un viatico, le accende e le ingrandisce e le rende più attive per  mezzo delle sue <conoscenze> matematiche. Bisognerà dunque filo-  sofare.   18. Il simbolo che dice “Non sederti su una chenice” lo si potreb-  be accogliere in un senso più pitagorico partendo dalle stesse consi-  derazioni che abbiamo fatto sopra. [117] Poiché infatti il nutrimento    456 GIAMBLICO    ntos φιλοσοφίας διατέλει, ἀλλ᾽ εἰς ταύτην σαυτὸν δοὺς ἐκείνου  μᾶλλον προνοοῦ τοῦ ἐν σοὶ θεοειδεστέρου, ὅ ἐστι ψυχή, καὶ πολὺ  πρότερον τοῦ ἐν ταύτῃ νοῦ, ὧν τροφὴ οὐ χοίνικι ἀλλὰ θεωρίᾳ καὶ  μαθήσει μετρεῖται.   ιθ΄ Τὸ δὲ γαμψώνυχον μηδὲν παράτρεφε Πυθαγορικώτερον συμβου-  λεύξι᾽ κοινωνικὸς ἴσθι, μεταδοτικός, καὶ τοὺς ἄλλους τοιούτους  εἶναι παρασκεύαζε, [10] διδόναι τι καὶ δέχεσθαι ἀκακοήθως καὶ  ἀφθόνως ἐθίζων, ἀλλὰ μὴ πάντα μὲν λαμβάνειν ἀπλήστως, διδόναι  δὲ μηδέν. ἡ γὰρ τῶν γαμψωνύχων φυσικὴ διοργάνωσις λαβεῖν μὲν  τάχιστα καὶ ῥᾳδίως δεδημιούργηται, ἀφεῖναι δὲ ἢ μεταδοῦναι οὐκέ-  τι διὰ τὴν ἔνστασιν ἀγκύλων ὄντων τῶν ὀνύχων, ὃν τρόπον καὶ αἱ  κρεάγραι πεφύκασιν ἐπισπᾶσθαι μὲν τάχιστα, ἀφιέναι δὲ  δυσχερῶς, εἰ μή τις ἄρα ὑπερεπικλίνῃ αὐτὰς ἀναστρέφων. προσαρ-  τηθεισῶν δὴ ἡμῖν ὑπὸ τῆς φύσεως τῶν χειρῶν, ἵνα δι᾽ αὐτῶν διδῶμέν  τε καὶ δεχώμεθα κατὰ τὸν [20] κοινωνικὸν λόγον, καὶ τῶν δακτύλων  ἁπλῶν πως καὶ οὐκ ἀγκύλων αὐταῖς προσπεφυκότων, OÙ μιμητέον ἐν  τοῖς τοιούτοις τὰ γαμψώνυχα ἑτέρῳ τρόπῳ δημιουργηθέντα ὑπὸ τοῦ  πλάσαντος, ἀλλὰ μᾶλλον κοινωνητέον ἀλλήλοις καὶ μεταληπτέον,  προτρεπομένους εἰς τὸ τοιοῦτον ὑπ᾽ αὐτῶν τῶν τὰ ὀνόματα τιθε-  μένων, οἱ τὴν δεξιὰν τῶν χειρῶν ἐντιμοτέραν ὠνόμασαν οὐ μόνον  ἀπὸ τοῦ δέχεσθαι, ἀλλὰ καὶ ἀπὸ τοῦ δεκτὴν ὑπάρχειν ἐν τῷ μεταδι-  δόναι. δικαιοπραγητέον ἄρα, διὰ δὲ τοῦτο [118] φιλοσοφητέον’  ἀμοιβὴ γάρ τις καὶ ἀνταπόδοσις ἡ δικαιοσύνη, τὸ πλεονάζον καὶ  ἐλλιπὲς ἀνταποδιδοῦσα δι᾽ ἀντισώσεως.   κ΄ Τὸ δὲ ἐν ὁδῷ μὴ σχίζε δηλοῖ ὅτι ἕν μὲν τὸ ἀληθές, πολυσχιδὲς δὲ  τὸ ψεῦδος: δῆλον δὲ ἐκ τοῦ τὸ μέν τι ἕκαστον μοναχῶς λέγεσθαι  εἴπερ ὑγιῶς λέγοιτο, τὸ δέ τι οὐχὶ ἕκαστον ἀπείροις τρόποις. ὁδὸς  δὴ ἣ φιλοσοφία δοκεῖ εἶναι. λέγει οὖν ὅτι αἱροῦ φιλοσοφίαν  ἐκείνην καὶ τὴν ἐπὶ σοφίαν ὁδόν, ἐν ἧ οὐ [10] σχίσεις οὐδὲ ἀντιλε-    ESORTAZIONE ALLA FILOSOFIA 457    si misura con la corporeità e animalità e non con una chenice, esso  non rimane stabile né perdura senza essere iniziato alla filosofia, ma  prevedendo, nel consacrarti a questa, [143dP] a quel che c’è in te di  più divino, che è <appunto> l’anima, e molto prima ancora all’intel-  letto che è nell'anima, avendo ambedue un nutrimento che non si  misura con una chenice ma con la contemplazione e con l’apprendi-  mento.   19. Il simbolo che dice “Non allevare nessun rapace” dà in un  modo più pitagorico il seguente consiglio: sii socievole, liberale, e pre-  para ad essere tali <anche> gli altri, abituandoli a donare e ricevere  senza frode né invidia, anzi a non afferrare ogni cosa in maniera insa-  ziabile, senza donare nulla. La struttura naturale dei rapaci, infatti, è  stata creata per afferrare con la massima velocità e facilità, senza più  mollare né condividere nulla delle cose che tengono con le loro  unghie che sono ricurve proprio per trattenere, alla stregua degli  uncini che sono fatti per tirare <la carne dalla pentola> con la massi-  ma velocità, senza mollarla facilmente, a meno che qualcuno non vi si  curvi sopra per rivoltarli. In verità, poiché dalla natura ci sono state  attaccate le mani, affinché con esse potessimo dare e ricevere a secon-  da del nostro rapporto sociale, e le dita sono state fatte per natura in  qualche modo semplici e non ricurve, allora occorre che noi imitiamo  in ciò i rapaci che sono stati dal creatore plasmati in altro modo, ma  piuttosto socializziamo e partecipiamo reciprocamente, essendo noi  esortati a una cosa del genere dagli stessi impositori dei nomi, i quali  hanno chiamato la mano destra con tale nome pit pregevole non sem-  plicemente perché riceve, ma anche perché viene ricevuta nell’atto di  dare in cambio. Bisogna dunque agire secondo giustizia, e per far  questo [118] bisogna filosofare, perché la giustizia è un atto di rico-  noscenza e un dare in cambio, in quanto fa corrispondere per egua-  gliamento l’eccesso e il difetto.   20. Il simbolo che dice “Quando sei in cammino non tagliare  <alberi>” fa vedere che una sola è la verità, e che la falsità è frantu-  mata; ed è chiaro perciò che, mentre la prima consiste nel dire ogni  cosa in maniera univoca, qualora ci si esprima con chiarezza, l’altra  invece [144dP] nel dire ogni cosa non già in maniera univoca, <ma>  in modi infiniti. In verità il cammino <di cui parla il simbolo> sembra  essere la filosofia. Esso dunque intende dire questo: scegli questa filo-    458 GIAMBLICO    γόμενα δογματίσεις, ἀλλὰ ἑστῶτα καὶ τὰ αὐτὰ ἑαυτοῖς ἀποδείξει  ἐπιστημονικῇ βεβαιωθέντα διὰ μαθημάτων καὶ θεωρίας, ὅ ἐστι  Πυθαγορικῶς φιλοσόφει. δύναται δὲ καί, - ἐπειδὴ ἡ διὰ τῶν σωμα-  τικῶν καὶ αἰσθητῶν χωροῦσα φιλοσοφία, ἧἣ οἱ νεώτεροι κατακόρως  χρῶνται καὶ τὸν θεὸν καὶ τὰς ποιότητας καὶ τὴν ψυχὴν καὶ τὰς ἀρε-  τὰς καὶ ἁπλῶς πάντα τὰ ἐν τοῖς οὖσιν αἴτια κυριώτατα νομίζοντες  σῶμα εἶναι, εὐολίσθητός ἐστι καὶ εὐανάτρεπτος, ὡς δηλοῦσιν αἱ  τῶν δοκούντων τι λέγειν περὶ αὐτῆς ποι[20]κιλώταται ἐπιχειρ-  noe: ἡ δὲ «διὰ» τῶν ἀσωμάτων καὶ νοητῶν ἀύλων τε καὶ ἀιδίων τὴν  προχώρησιν ποιουμένη, τῶν τε ἀεὶ κατὰ τὰ αὐτὰ καὶ ὡσαύτως  ἐχόντων καὶ οὐδέποτε ὅσον ἐπ᾽ αὐτοῖς φθορὰν ἢ μεταβολὴν ἐπιδε-  χομένων, ὁμοία τοῖς ὑποκειμένοις ἀδιάπτωτός ἐστι καὶ εὐσταθής,  ἑδραίας καὶ ἀκλινοῦς ἀποδείξεως δημιουργός, - συμβουλεύει τοί-  νυν ἡμῖν τὸ παράγγελμα, ἐπειδὰν φιλοσοφῶμεν καὶ τὴν δηλουμένην  ὁδὸν ἀνύωμεν, φεύγειν μὲν τὴν τῶν σωματικῶν καὶ πολυσχιδῶν ἐπι-  βολὴν καὶ ἀποδοχήν, προσοικειοῦσθαι δὲ τῇ τῶν [119] ἀσωμάτων  οὐσίᾳ τῇ οὐκ ἔστιν ὅτε οὐχὶ ἑαυτοῖς ὁμοίων διατελούντων διὰ τὴν  ἐνυπάρχουσαν αὐτοῖς φύσει ἀλήθειαν καὶ ἀδιαπτωσίαν.   κα΄ Τὸ δὲ χελιδόνα οἰκίᾳ μὴ δέχου συμβουλεύει: ῥάθυμον καὶ μὴ  διηνεκῶς φιλοπονοῦντα μηδὲ ἐπίμονον αἱρετιστὴν καὶ γνώριμον εἰς  τὰ σὰ δόγματα μὴ ἐπιδέχου, δεόμενα συνεχοῦς καὶ εὐτονωτάτης  προσοχῆς καὶ φερεπονίας διὰ τὴν τῶν ἐν αὐτοῖς ποικίλων  μαθημάτων ἐξαλλαγὴν καὶ περιπλέκειαν. εἰκόνι δὲ ῥᾳθυ[!0]μίας  καὶ ἐγκοπῆς χρόνων χελιδόνι κέχρηται, ὅτι μέρος τι τοῦ ἐνιαυτοῦ  αὕτη ἐπιφοιτᾷ ἡμῖν καὶ ὡσανεὶ ἐπιξενοῦται πρὸς βραχὺν καιρόν, τὸ  δὲ πλεῖον ἀφίσταται καὶ ἀφανὴς ἡμῖν ὑπάρχει.   κβ΄ Τὸ δὲ δακτύλιον μὴ φόρει ἀκολούθως τῷ Πυθαγορικῷ ἀρέσκον-  τι ἕλκομεν εἰς τὴν παράκλησιν οὕτως: ἐπεὶ δεσμοῦ τρόπῳ περίκει-    ESORTAZIONE ALLA FILOSOFIA 459    sofia anche <perché è> il cammino verso la sapienza, nella quale tu  non acquisirai dottrine spezzettate né contraddittorie, ma stabili e  consolidate nel loro essere sempre identiche a se stesse per mezzo di  una dimostrazione scientifica attraverso le matematiche e la contem-  plazione, il che significa: filosofa alla maniera pitagorica. Ma poiché  la filosofia che attraversa ciò che è corporeo e sensibile, la filosofia  cioè praticata abbondantemente dai filosofi più recenti i quali credo-  no che dio e le qualità e l’anima e le virtù e, per dirla in breve, tutte  le più importanti cause degli enti non siano altro che corpo, poiché  questa filosofia, dico, è scivolosa e controvertibile, come mostrano le  variegatissime argomentazioni di coloro che credono di dire qualcosa  <di serio> intorno ad essa; mentre la filosofia che procede attraverso  ciò che è incorporeo e intelligibile e immateriale ed eterno, e che è  sempre identico a se stesso e allo stesso modo e che in quanto tale non  ammette mai né corruzione né mutamento, essendo simile a ciò che è  suo oggetto, è infallibile e stabile, e costruttrice di dimostrazioni soli-  de e indeclinabili, allora l'ordine di questo simbolo si può ridurre al  seguente consiglio: dopo che noi abbiamo filosofato e compiuto il  cammino indicato, dobbiamo rifuggire dal concepire e accettare ciò  che è corporeo e frantumato, e impadronirci dell'essenza degli [119]  incorporei che appartiene alle cose che perdurano sempre simili a se  stesse per via della verità e della infallibilità che esse possiedono per  natura.   21. Il simbolo che dice “Non accogliere in casa una rondine” dà  il seguente consiglio: non accettare quale seguace o discepolo del tuo  insegnamento dottrinale chi è indolente e non è capace di resistere a  lungo alla fatica e non è perseverante, perché il tuo insegnamento  esige un’attenzione continua e intensissima e una capacità di soppor-  tare la fatica a causa del mutamento e complessità delle sue varie  discipline. [145dP] Il simbolo della rondine è servito quale immagi-  ne di indolenza e incapacità di perseverare,124 perché essa vive assie-  me a noi per una parte dell’anno ed è in qualche modo nostra ospite  per una breve occasione, mentre per molto tempo se ne sta lontana e  ci rimane invisibile.   22. Il simbolo che dice “Non portare anello” noi lo riduciamo,  seguendo la dottrina pitagorica, alla seguente raccomandazione: poi-  ché l'anello cinge quelli che lo portano alla stregua di una catena,    460 GIAMBLICO    ται τοῖς φοροῦσιν ὁ δακτύλιος, ἴδιον ἔχων τὸ μὴ ἄγχειν μηδὲ κακου-  χεῖν ἀλλά πὼς ἁρμόζειν καὶ προσφυῶς ἔχειν, δεσμὸς δὲ τοιοῦτός τις  καὶ τὸ σῶμα τῇ ψυχῇ ὑπάρχει, τὸ οὖν [20] δακτύλιον μὴ φόρει φιλο-  σόφει φησὶν ὡς ἀληθῶς καὶ χώριζε τοῦ περικειμένου δεσμοῦ τὴν  ψυχήν μελέτη γὰρ θανάτου καὶ χωρισμὸς ψυχῆς ἀπὸ σώματος ἡ  φιλοσοφία. τὴν ἄρα Πυθαγορικὴν μέτιθι σπουδῇ μεγάλῃ, τὴν ἀφι-  στᾶσαν ἑαυτὴν διὰ τοῦ νοῦ ἀπὸ σωματικῶν πάντων καὶ περὶ τὰ  νοητὰ καὶ ἄυλα διὰ τῶν θεωρητικῶν μαθημάτων καταγιγνομένην᾽  ἀλλὰ καὶ ἀπόλυε σαυτοῦ τὰ ἁμαρτήματα καὶ ἀνθολκὰ καὶ κωλυ-  σιεργὰ τοῦ φιλοσοφεῖν σαρκὸς ἀσχολήματα τροφάς τε ὑπερ-  βαλλούσας καὶ πληθώρας ἀκαίρους, δεσμοῦ τρόπον τὸ [120] σῶμα  καταλαμβανούσας νοσοκομίας τε καὶ ἀσχολίας ἀδιαλείπτους ἐμπο-  ιούσας.   κγ΄ Τὸ δὲ θεοῦ τύπον μὴ ἐπίγλυφε δακτυλίῳ κατὰ τὴν προλεχθεῖσαν  ἔννοιαν προτροπῇ χρῆται τοιᾷδε᾽ φιλοσόφει καὶ ἀσωμάτους πρὸ  παντὸς ἡγοῦ θεοὺς ὑπάρχειν᾽ τὸ γὰρ κυριώτατον ῥίζωμα τῶν  Πυθαγορικῶν δογμάτων τοῦτ᾽ ἐστίν, ἐξ οὗ τὰ πάντα σχεδὸν ἤρτηται  καὶ ὑφ᾽ οὗ μέχρι τέλους κρατύνεται᾽ μὴ νόμιζε δὲ μορφαῖς αὐτοὺς  κεχρῆσθαι ὅσαι εἰσὶ σωματικαί, [10] μηδὲ προσδεδέσθαι  ὑποστάσει ὑλικῇ καὶ οἷον δεσμῷ ὑλικῷ σώματι, ὥσπερ τὰ ἄλλα ζῷα.  αἱ δὲ ἐπὶ δακτυλίοις γλυφαὶ τόν τε δεσμὸν δι᾽ αὐτοῦ τοῦ δακτυλίου  ἐμφαίνουσι καὶ τὴν σωματότητα τό τε αἰσθητὸν εἶδος καὶ ὡσανεί  τινος τῶν ἐπὶ μέρους ζῴων διὰ τῆς γλυπτῆς προσόψεως, ἧς χωριστέ-  ον μάλιστα τὸ τῶν θεῶν γένος ὡς ἀίδιόν τε καὶ νοητὸν καὶ κατὰ τὰ  αὐτὰ καὶ ὡσαύτως ἀεὶ ἔχον, ὡς ἐν τῷ Περὶ θεοῦ ἰδίως καὶ πληρέ-  στατα τεχνολογεῖται.   κδ΄ Τὸ δὲ παρὰ λύχνον μὴ ἐσοπτρίζου Πυθαγορι[20]κώτερον συμ-  βουλεύει τὸ φιλοσόφει μὴ προστρέχων μὴ ταῖς κατ᾽ αἴσθησιν φαντα-  σίαις, αἵτινες φῶς μέν τι περὶ τὰς καταλήψεις ποιοῦσι, λυχνοειδὲς  μέντοι καὶ οὐχὶ φυσικὸν οὐδὲ ἀληθές, ἀλλὰ μᾶλλον ταῖς κατὰ τὸ  νοητικὸν ἐπιστημονικαῖς, ἀφ᾽ ὧν λαμπροτάτη τις εὐαυγία καὶ  ἀδιάπταιστος περὶ τὸ τῆς ψυχῆς ὄμμα συνίσταται ***38 ἐξ ἁπάντων    ESORTAZIONE ALLA FILOSOFIA 461    avendo la proprietà <tuttavia> di non soffocare né tormentare, ma di  adattarsi in qualche modo e aderire naturalmente <a noi>, e una cate-  na del genere è per l’anima anche il corpo, allora “non portare anel-  lo” vuol dire: sii veramente filosofo e separati dalla catena che cinge  la tua anima, perché la filosofia è meditazione sulla morte e separazio-  ne dell'anima dal corpo. Coltiva dunque con grande serietà la filoso-  fia pitagorica, che si distacca per mezzo dell'intelletto da ogni cosa  corporea e si occupa di ciò che è intelligibile e immateriale per mezzo  delle discipline contemplative; ma liberati anche degli errori e degli  ostacoli e di quanto impedisce di filosofare, cioè affari carnali ed  eccessivi nutrimenti e inopportuni riempimenti, che alla stregua di  una catena [120] afferrano il corpo e gli impongono cure di malattie  e continue perdite di tempo libero.125   23. Il simbolo che dice “Non scolpire alcuna effigie di divinità su  un anello”, seguendo l’idea già espressa sopra, si serve della seguente  esortazione: filosofa e anzitutto sii del parere che gli dèi sono incor-  porei, perché le dottrine pitagoriche hanno questo come loro radice  più importante, dalla quale dipendono e sono dominate fino in fondo  quasi tutte le loro idee; e non credere che gli dèi abbiano <mai> uti-  lizzato forme che siano corporee, né che abbiano bisogno di una real-  tà materiale o di un corpo come loro legame materiale, come [146dP]  accade agli altri esseri viventi. Ma le effigi scolpite sugli anelli mostra-  no sia questo tipo di legame per la stessa forma che ha l’anello,126 sia  la corporeità e la specie sensibile e, per via di ciò che vi si può vede-  re scolpito, in qualche modo di un animale particolare, da cui occor-  re tenere il più possibile separato il genere degli dèi in quanto eterno  e intelligibile e sempre identico a se stesso e allo stesso modo, come  viene approfonditamente e particolarmente e pienamente spiegato  nello scritto Su di0.127   24. Il simbolo che dice “Non specchiarti vicino a una lucerna” dà  in maniera più pitagorica il seguente consiglio: filosofa senza accostar-  ti alle rappresentazioni sensibili, le quali gettano una certa luce sulle  nostre percezioni, luce che tuttavia è affine alle tenebre e nient’affat-  to naturale né verace, ma piuttosto accostandoti alle rappresentazio-  ni scientifiche dell’intelletto, dalle quali viene costituito nell’occhio  dell'anima un certo splendore luminosissimo e ininterrotto [lacu-  na]!28 <come è possibile ricavare> da ogni intellezione e intelligibile    462 GIAMBLICO    τῶν νοημάτων «καὶ νοητῶν» καὶ τῆς περὶ ταῦτα θεωρίας, ἀλλ᾽ οὐκ  ἐκ τῶν σωματικῶν καὶ αἰσθητῶν ἐν συνεχεῖ γὰρ ταῦτα ῥύσει καὶ  μεταβολῇ πολλάκις [121] ἐδηλώθη κατ᾽ οὐδένα τρόπον μόνιμα καὶ  τὰ αὐτὰ ἑαυτοῖς ὑπάρχοντα, ἵνα καὶ βεβαίαν ἐπιστημονικήν τε  ὑπομείνῃ κατάληψιν καὶ ἐπίγνωσιν ὡς ἐκεῖνα.   κε΄ Τὸ δὲ περὶ θεῶν μηδὲν θαυμαστὸν ἀπίστει μηδὲ περὶ θείων δογ-  μάτων προτρέπει μετιέναι καὶ κτᾶσθαι ἐκεῖνα τὰ μαθήματα, δι᾽ ἃ  οὐκ ἀπιστήσεις οὐκέτι περὶ θεῶν καὶ περὶ θείων δογμάτων ἔχων τὰ  μαθήματα καὶ τὰς ἐπιστημονικὰς ἀποδείξεις.   κς΄ Τὸ δὲ ἀσχέτῳ γέλωτι μὴ ἔχεσθαι δηλοῖ κρα[]0]τεῖν τῶν παθῶν  διὰ λόγου φιλοσόφου ἐπέχειν τε τὸ εὐμετάβλητον καὶ οὐ μόνιμον  τῶν ἀνθρωπίνων παθῶν’ ὑπομίμνῃσκε δὲ σαυτὸν τοῦ ὀρθοῦ λόγου,  μήτε ἄρα εὐτυχίαις ἐπιχαυνοῦ μήτε συμφοραῖς συνταπεινοῦ ἐν οὐ-  θετέρῳ μεταβολῆς ἔννοιαν ὑπολογιζόμενος. τὸν δὲ γέλωτα ὑπὲρ  πάντων τῶν παθῶν ὠνόμασεν, ὅτι μόνος μάλιστα ἐκφανῶς μηνύεται,  ὥσπερ τι ἐπάνθημα ὑπάρχων καὶ ἐπίφλεγμα μέχρι προσώπου τῆς  διαθέσεως. ἴσως δὲ [παραγγέλλει], ἐπειδὴ ἀνθρώπου ἴδιον παρὰ τὰ  ἄλλα ζῷα οὗτος (ὁρίζονται γοῦν τινες ζῷον αὐτὸ γελα[20]στικὸν  εἶναι), δηλοῦται ὑπὸ τοῦ παραγγέλματος τὸ μὴ ἐπιμόνως καὶ ἀμε-  ταβλήτως τῇ ἀνθρωπότητι ἔμμενε, ἀλλὰ μίμησιν θεοῦ κατὰ τὸ δυνα-  τὸν τῶν φιλοσοφῶν καὶ τοῦ ἰδιώματος τούτου τῶν ἀνθρώπων  ὑπεκχωρῶν προκρίνων τε τὸ λογικὸν τοῦ γελαστικοῦ εἰς διάκρισιν  καὶ διαφορὰν πρὸς τὰ λοιπὰ ζῷα.   κζ΄ Τὸ δὲ παρὰ θυσίᾳ μὴ ὀνυχίζου περὶ φιλίας ἐστὶ προτρεπτικόν᾽  τῶν γὰρ οἰκείων καὶ προσηκόντων [122] ἡμῖν ἐξ αἵματος οἱ μὲν  ἔγγιστα γένους εἰσὶν ἀδελφοὶ καὶ τέκνα καὶ γονεῖς, ἐοικότες τοῖς  μέρεσιν ἡμῶν ἅπερ ἀφαιρεθέντα ἄλγημα οὐ τὸ τυχὸν παρέχει καὶ  κολούρωσιν, οἷον δάκτυλοι χεῖρες ὦτα ῥὶν καὶ τὰ ὅμοια᾽ οἱ δ᾽ ἐξ  ἀποστήματος πολλοῦ προσῳκειωμένοι, οἷον ἀνεψιάδαι ἢ πατρα-  δέλφων γαμβροντιδεῖς ἢ τοιοῦτοί τινες, ἐοίκασιν ἑκάστου ἡμῶν    38 Ia lacuna stabilita da Pistelli è stata eliminata da des Places.  39 καὶ νοητῶν aggiunse des Places seguendo i codd.: omise Pistelli.    ESORTAZIONE ALLA FILOSOFIA 463    e dalla loro contemplazione, ma non dalle cose corporee e sensibili,  giacché queste ultime, essendo in continuo scorrimento e mutamen-  to, spesso [121] non si rivelano in aleun modo come univoche e sem-  pre identiche a se stesse, perché possano sostenere una percezione e  una conoscenza stabili e scientifiche come possono fare quelle.   25. Il simbolo che dice “A proposito di dèi e di dogmi divini non  mettere in dubbio niente di meraviglioso” esorta a perseguire e acqui-  sire quelle discipline, con le quali tu non potrai più avere dubbi sugli  dèi e sul divino, in quanto possiedi già le matematiche e le dimostra-  zioni scientifiche.   26. Il simbolo che dice “Non mettersi a ridere in modo irresistibi-  le” mostra che è possibile non farsi dominare dalle passioni per mezzo  del discorso filosofico ed evitare l'aspetto di facile mutevolezza e  instabilità delle passioni umane; ti richiama poi alla mente [147dP] il  discorso corretto, che ti consente di non inorgoglirti per il facile suc-  cesso né di deprimerti per gli insuccessi, rimanendo nell’idea che nel-  l’un caso e nell’altro non cambia nulla. Il simbolo ha usato il nome  “riso” per indicare tutte le passioni, nel senso che soltanto il riso si  rivela in modo evidentissimo come una certa efflorescenza e arrossa-  mento della pelle persino nella configurazione del viso. Poiché è  peculiare dell’uomo tra tutti gli animali (alcuni infatti definiscono  l’uomo “animale che ride”), allora questo simbolo probabilmente è  indicato dal seguente ordine: non restare permanentemente e immu-  tabilmente nella tua umanità, ma acquisisci col filosofare la sembian-  za di un dio, per quanto ti sia possibile, sia sottraendoti a questa pecu-  liarità degli uomini sia anteponendo la tua proprietà di essere razio-  nale a quella di essere capace di ridere, allo scopo di distinguerti e dif-  ferenziarti dagli altri animali.   27.11 simbolo che dice “Non tagliarti le unghie durante un sacri-  ficio” è un’esortazione che concerne l'amicizia: tra coloro, infatti, che  ci sono parenti o familiari [122] per sangue, alcuni sono i pit vicini  per nascita e sono fratelli e figli e genitori, che sono come parti di noi  stessi, parti la cui perdita ci procura un dolore e una mutilazione non  comuni, come ad esempio la perdita delle dita, delle mani, delle orec-  chie, del naso di cose del genere; altri invece sono parenti molto alla  lontana, come ad esempio secondi cugini o zii paterni o parenti affi-  ni,!29 o simili, e questi sono come parti del corpo di ciascuno di noi    464 GIAMBLICO    τοῖς μέρεσιν dv τεμνομένων ἄλγησις οὐδεμία παραγίνεται, οἷον  θριξὶ καὶ ὄνυξι καὶ τοῖς ὁμοίοις. βουλόμενος οὖν ἐκείνους τοὺς  συγ[10]γενεῖς δηλῶσαι τοὺς παρὰ τὸν ἄλλον χρόνον ἠμελημένους  διὰ τὴν ἀπόστασιν, τοῖς ὄνυξιν ἐχρήσατο καὶ εἶπε μὴ ἀποτίθεσο  παντάπασι τούτους, ἀλλ᾽ ἔν γε θυσίαις, εἰ καὶ τῷ ἄλλῳ χρόνῳ παρ-  ημελήθησαν, πρόσαγε αὐτοὺς σαυτῷ καὶ ἀνανέου τὴν οἰκειότητα.  κη΄ Τὸ δὲ δεξιὰν μὴ παντὶ ῥᾳδίως ἔμβαλλε μὴ ὄρεγε ῥᾳδίως φησὶ  δεξιάν, τουτέστι μὴ ἀνάσπα μηδὲ ἀνιμᾶν ἐπιχείρει δεξιὰν ὀρέγων  τοῖς ἀνεπιτηδείοις καὶ ἀνοργιάστοις, ἔτι δὲ διὰ παιδευμάτων τε καὶ  διδαγμάτων, ἃ πολλῷ χρόνῳ δοκιμασθεῖσιν ἀξίοις εἶναι τοῦ [20]  μεταλαβεῖν ἐγκρατείας τε καὶ πενταετοῦς σιωπῆς καὶ τῆς ἄλλης  βασάνου μόγις δίδοται.   κθ΄ Τὸ δὲ στρωμάτων ἐξαναστὰς συνέλισσε αὐτὰ καὶ τὸν τύπον συν-  στόρννυε τοῦτο παραγγέλλει, ὅτι φιλοσοφεῖν ἐπιβαλλόμενος νοητοῖς  λοιπὸν καὶ ἀσωμάτοις προσοικείου σεαυτόν. ἐκ τοῦ οὖν τῆς ἀμαθί-  ας ὕπνου καὶ νυκτοειδοῦς σκότους ἐξανιστάμενος μηδὲν συνεπισπῶ  σεαυτῷ σωματικὸν εἰς τὸ τῆς φιλο[] 23]σοφίας ἡμεροειδές, ἀλλὰ πά-  ντὰ τὰ τοῦ ὕπνου ἐκείνου ἴχνη τῆς μνήμης τῆς σεαυτοῦ ἐκκάθαιρε  καὶ ἐξαφάνιζε.   X Τὸ δὲ καρδίαν μὴ τρῶγε σημαίνει τὸ μὴ δεῖν τὴν ἕνωσιν τοῦ  παντὸς καὶ τὴν σύμπνοιαν διασπᾶν, καὶ ἔτι μᾶλλον τὸ μὴ ἴσθι βά-  σκανος, ἀλλὰ φιλάνθρωπος καὶ κοινωνικός. ἐκ δὲ τούτου φιλοσο-  φεῖν παραινεῖ. μόνη γὰρ αὕτη ἐπιστημῶν καὶ τεχνῶν οὔτε  ἐπιλυπεῖται ἀγαθοῖς ἀλλοτρίοις οὔτε ἐπιχαίρει κακοῖς τοῖς πέλας,  ἅτε φύσει συγγενεῖς καὶ οἰκείους ὁμοιοπαθεῖς τε καὶ [10] κοινῇ  ὑποκειμένους τύχῃ ἀπροόρατόν τε τὸ μέλλον ἔχοντας τοὺς  ἀνθρώπους πάντας ὁμαλῶς ἀποφαίνουσα᾽ διόπερ συμπαθεῖς τε καὶ  φιλαλλήλους παραγγέλλει εἶναι, κοινωνικόν τε ὡς ἀληθῶς καὶ  λογικὸν ζῷον.   λα΄ Τούτῳ δὲ ἔοικε καὶ τὸ ἐγκέφαλον μὴ ἔσθιε" καὶ γὰρ αὐτὸς οὗτος  ἡγεμονικόν ἐστι τοῦ φρονεῖν ὄργανον. αἰνίττεται οὖν ὡς οὐ δεῖ  καλῶς βεβουλευμένα πράγματα καὶ δόγματα διασιλλαίνειν μηδὲ    ESORTAZIONE ALLA FILOSOFIA 465    che si possono amputare senza provocare alcun dolore, ad esempio i  capelli e le unghie e simili. Volendo dunque indicare questi nostri  congiunti, che si possono trascurare per il resto del tempo, data la  loro distanza, il simbolo si è servito delle unghie, dicendo: non allon-  tanarti da costoro, ma durante i sacrifici, almeno, anche se li hai tra-  scurati per il resto del tempo, avvicinati a loro e rinverdisci la tua  parentela.   [148dP] 28. Il simbolo che dice “Non porgere facilmente a  chiunque la mano destra” significa: non porgere facilmente la mano  destra, cioè non tirare fuori, non cercare di far risalire in loro, porgen-  do la mano destra, gli inetti e i non iniziati, e per giunta attraverso  l'educazione e l'insegnamento, che sono dati a stento a coloro che  appaiono per molto tempo degni di condividere l’esercizio della con-  tinenza e del silenzio quinquennale e di altre prove.   29. Il simbolo che dice “Quando ti sei alzato dal letto, arrotola le  coperte spianando al contempo l'impronta <del tuo corpo>” dà il  seguente ordine: se vuoi applicarti alla filosofia, familiarizzati per il  resto del tempo con gli intelligibili e gli incorporei. Ne consegue, dun-  que, che quando ti sei levato dal sonno dell’ignoranza e dalle tenebre  notturne, non devi trascinare con te nulla di corporeo verso ciò che  [123] nella filosofia è affine alla luce diurna, ma devi purificare e fare  sparire dalla tua memoria ogni traccia di quel sonno.   30. Il simbolo che dice “Non masticare del cuore” significa che  non si deve straziare l’unità e la cospirazione del cosmo, e ancor più  questo: non essere malevolo, ma filantropo e socievole. E perciò que-  sto simbolo incoraggia a filosofare, perché soltanto la filosofia, tra le  scienze e le tecniche, né si rattrista per i beni altrui né si rallegra per i  mali dei vicini, in quanto per natura essa fa vedere che tutti gli uomi-  ni sono ugualmente parenti e familiari che hanno le stesse passioni e  sono soggetti ad una comune fortuna e non possiedono il dono della  previsione del futuro; è per questo che il simbolo prescrive di avere  simpatia reciproca, e di condurre una vita veramente socievole e  razionale.   31. A questo somiglia anche il simbolo che dice “Non mangiare  cervello”, anche perché lo stesso cervello è il principale strumento del  pensiero.!30 Il simbolo allude quindi al fatto che non bisogna giusta-  mente né beffeggiare né sbranare!3! cose e dottrine già deliberate, e    466 GIAMBLICO    διαδάκνειν, καλῶς δ᾽ dv εἴη βεβουλευμένα tà διὰ φρενῶν καὶ τοῦ  κατ᾽ αὐτὸ τὸ νοεῖν ἡγεμονικοῦ συνεσκεμμένα, [20] ἴσον τῷ ἐπι-  στημονικά. οὐ γὰρ διὰ τῶν τοῦ ἀλόγου τῆς ψυχῆς εἴδους ὀργάνων,  καρδίας καὶ ἤπατος, ἀλλὰ διὰ τοῦ καθαροῦ τοῦ λογιστικοῦ τὰ  τοιαῦτα ἐθεωρήθη: διόπερ ἀβουλία τὸ ἀντικόπτειν αὐτοῖς. σέβε-  σθαι δὲ μᾶλλον κελεύει τὸ σύμβολον τὴν τῶν φρενῶν πηγὴν καὶ τὸ  τῷ νοεῖν προσεχέστατον ὄργανον, δι᾽ οὗ θεωρίαν τε καὶ ἐπιστήμην  καὶ τὸ σύνολον σοφίαν κτώμεθα καὶ ὡς ἀληθῶς φιλοσοφοῦμεν, καὶ  μὴ συγχεῖν μηδὲ ἀφανίζειν τὰ δι᾽ αὐτοῦ ἴχνη.   λβ΄ [124] Τὸ δὲ ἀποκαρμάτων σῶν καὶ ἀπονυχισμάτων κατάπτυε λέ-  γει τοῦτο: εὐκαταφρόνητα τὰ σύμφυτα μέν σοι, ἀψυχότερα δέ πως,  ὥσπερ τιμιώτερα τὰ ψυχικώτερα᾽ οὕτως δὴ καὶ ἐπειδὰν φιλοσοφεῖν  ἐπιβάλῃ, προτίμα μὲν τὰ διὰ ψυχῆς καὶ νοῦ ἄνευ αἰσθητηρίων ἀπο-  δεικνύμενα διὰ θεωρηματικῆς ἐπιστήμης, καταφρόνει δὲ καὶ  κατάπτυε τῶν ἄνευ νοητικοῦ φωτὸς δοξαζομένων διὰ τῶν συμφύτων  ψιλῶς αἰσθητηρίων, ἃ μηκέτι εὐτονεῖ τῇ τοῦ νοῦ ἀιδιότητι παρο-  μαρτεῖν.   λγ΄ [10] Τὸ δὲ ἐρυθῖνον μὴ προσλαμβάνου φαίνεται πρὸς τὴν τοῦ  ὀνόματος ἐτυμολογίαν ψιλὴν συμβεβλῆσθαι. ἀπηρυθριακότα γὰρ  καὶ ἀναίσχυντον μὴ ἐπιδέχου ἄνθρωπον, ἢ ἐκ τοῦ ἐναντίου  καταπλῆγα καὶ ἐν παντὶ καθ᾽ ὑπερβολὴν ἐρυθριῶντα καὶ ταπεινού-  μενον ὑπό τε νοῦ καὶ ἀσθενοῦς διανοίας. διὰ δὲ τούτου νοεῖται τὸ  μὴ αὐτὸς τοιοῦτος ἴσθι.   λδ΄ Τὸ δὲ χύτρας ἴχνος ἀπὸ σποδοῦ ἀφάνιζε σημαίνει συγχύσεως  καὶ παχυτῆτος, ὅπερ ἐστὶ σωματικῶν καὶ αἰσθητῶν ἀποδείξεων,  ἐκλανθάνεσθαι φιλοσο[20]φεῖν ἐπιβαλλόμενον, νοηταῖς δὲ χρῆσθαι  μᾶλλον ἀποδείξεσιν. ἡ δὲ σποδὸς ἀντὶ τῆς κόνεως τῆς ἐπὶ τοῖς ἄβαξι  παρελήφθη, ἐφ᾽ ἧς αἱ ἀποδείξεις συμπεραίνονται.    ESORTAZIONE ALLA FILOSOFIA 467    saranno giustamente [149dP] deliberate le cose che sono connesse  per mezzo della mente e della facoltà egemonica conforme allo stesso  pensare, che è la stessa cosa che dire connesse scientificamente. Non  per mezzo degli strumenti della forma irrazionale dell'anima, infatti,  cioè fegato e cuore, ma per mezzo della sua forma pura e razionale  cose di questo genere possono essere contemplate; perciò è segno di  svogliatezza il resistere ad esse. Il simbolo poi consente di venerare  piuttosto la fonte della mente e lo strumento più aderente al pensare,  per mezzo del quale noi acquistiamo contemplazione e scienza e  insomma sapienza e filosofiamo come veramente si deve, senza scom-  pigliare né fare sparire le tracce che esso ci fa scoprire.   [124] 32. Il simbolo che dice “Sputa sopra i tuoi capelli rasati e le  tue unghie tagliate” vuol significare questo: devi disprezzare le cose  che crescono assieme a te, e che in qualche modo sono piuttosto prive  di anima, cosi come più apprezzabili sono le cose piuttosto animate;  in tal modo, anche dopo che ti sarai impegnato a filosofare, stima  soprattutto ciò che viene dimostrato per mezzo dell’anima e dell’in-  telletto, senza il concorso dei sensi, ma <solo> per mezzo della scien-  za teoretica, e disprezza e sputa sopra ciò che viene opinato senza la  luce dell’intelletto, ma per mezzo dei puri sensi che crescono assieme  a te, e che non valgono più per accompagnare l’eternità dell’intellet-  to.   33. Il simbolo che dice “Non assumere <come cibo> il pesce fra-  golino” mostra avere avuto un significato simbolico <solo> in rappor-  to all’etimologia del nome, perché tu non devi accogliere chi non  arrossisce [sc. l’impudente] e non prova pudore, o che, al contrario, è  timido e arrossisce eccessivamente in ogni occasione e si rattrista a  causa della sua debolezza e di intelletto e di ragione. Perciò il simbo-  lo intende dire questo: non essere tu stesso come sono costoro.   34. Il simbolo che dice “Cancella dalla cenere <ogni> traccia della  pentola” significa questo: chi si impegna a filosofare deve dimentica-  re la confusione e la grossolanità proprie delle dimostrazioni basate  sui corpi e sui sensi, e utilizzare piuttosto le dimostrazioni basate sul-  l'intelletto. [150dP] La cenere, d’altra parte, è assunta dal simbolo al  posto della polvere che si sparge sulle tavolette, su cui si concludono  le dimostrazioni <matematiche>.   35. Il simbolo che dice “Non fare l’amore con una donna piena    468 GIAMBLICO    λε΄ Χρυσὸν δὲ ἐχούσῃ μὴ πλησίαζε ἐπὶ τεκνοποιίᾳ, οὐ γυναικὶ λέ-  γει, ἀλλ᾽ αἱρέσει καὶ φιλοσοφίᾳ, ἧπέρ ἐστι πολὺ τὸ σωματικὸν καὶ  κατάφορον εἰς βαρύτητα. πάντων γὰρ τῶν ἐπὶ γῆς βαρύτατον χρυσὸς  καὶ τῆς ἐπὶ τὸ μέσον φορᾶς διωκτικόν, ὅπερ βάρους σωματικοῦ  ἴδιον. τὸ δὲ πλησιάζειν οὐ μόνον συγγίνεσθαι, ἀλλὰ καὶ συνεγγί-  ζειν ἐστὶ καὶ πλησίον καθίστασθαι.   λς΄ [125] Τὸ δὲ προτίμα τὸ σχῆμα καὶ βῆμα τοῦ σχῆμα καὶ τριώβο-  λον παραγγέλλει τοῦτο: φιλοσόφει καὶ μαθήματα μέτιθι μὴ  παρέργως, καὶ δι᾽ αὐτῶν ὥσπερ διαβάθρας ἐπὶ τὸ προκείμενον  χώρει κατάπτυε δὲ τῶν προτιμωμένων καὶ πρεσβευομένων τοῖς  πολλοῖς, καὶ προτίμα τὴν Ἰταλικὴν φιλοσοφίαν τὴν τὰ ἀσώματα καθ᾽  αὑτὰ θεωροῦσαν τῆς Ἰωνικῆς τῆς τὰ σώματα προηγουμένως ἐπισκο-  πουμένης.   λζ΄ Τὸ δὲ κυάμων ἀπέχου συμβουλεύει φυλάττεσθαι [10] πᾶν ὅσον  ἐστὶ φθαρτικὸν τῆς πρὸς θεοὺς ὁμιλίας καὶ τῆς θείας μαντικῆς.   λη΄ Τὸ δὲ μολόχην petaguteve μέν, μὴ ἔσθιε δέ, αἰνίττεται μὲν ὅτι  συντρέπεται τῷ ἡλίῳ τὰ τοιαῦτα φυτὰ καὶ παρατηρεῖν ἀξιοῖ τοῦτο,  πρόσκειται δὲ τὸ μεταφύτενε, τουτέστιν ἐπιστὰς τῇ αὐτοῦ φύσει καὶ  τῇ πρὸς τὸν ἥλιον διατάσει καὶ συμπαθείᾳ μὴ ἀρκοῦ μηδὲ ἐπίμενε  μόνῳ τούτῳ, ἀλλὰ τὴν διάνοιαν μεταβίβαζε καὶ ὡσανεὶ μεταφύτευε  καὶ ἐπὶ τὰ ὁμογενῆ φυτὰ καὶ λάχανα καὶ ἐπὶ τὰ μὴ ὁμογενῆ [δὲ] ζῷα  ἤδη [20] καὶ λίθους καὶ ποταμοὺς καὶ πάσας ἁπλῶς φύσεις; πολύ-  χουν γὰρ εὑρήσεις καὶ πολύτροπον θαυμασίως δὲ δαψιλὲς τὸ τῆς  τοῦ κόσμου ἑνώσεως καὶ συμπνοίας σημαντικόν, ὥσπερ ἀπὸ ῥίζης  καὶ ἀφετῆρος τῆς μολόχης ὡρμημένος. οὐ μόνον οὖν μὴ ἔσθιε μηδὲ  ἀφάνιζε τὰς τοιαύτας παρατηρήσεις, ἀλλὰ καὶ αὖξε καὶ πληθοποί-  ει δίκην μεταφυτεύοντος.   λθ΄ Τὸ δὲ ἐμψύχων ἀπέχου. ἐπὶ δικαιοσύνην προτρέπει καὶ πᾶσαν  τὴν τοῦ συγγενοῦς τιμὴν καὶ τὴν τῆς ὁμοίας ζωῆς ἀποδοχὴν καὶ πρὸς  ἕτερα τοιαῦτα πλείονα.    ESORTAZIONE ALLA FILOSOFIA 469    d’oro per generare dei figli” non intende parlare di una donna, ma di  una scuola o di una filosofia, che senta molto il peso del corporeo e  di ciò che porta verso il basso. Fra tutti i corpi che si trovano sulla  terra, infatti, l’oro è il più pesante e gli si può quindi addebitare di  muoversi <più di ogni altro corpo> verso il centro <della terra>, ten-  denza propria di <ogni> corpo pesante. Il “fare l’amore”, poi, non  vuol dire soltanto accoppiarsi, ma anche accostarsi o stabilirsi nelle  vicinanze.   [125] 36. Il simbolo che dice “Stima di più “figura e gradino”  anziché “figura e triobolo”” dà il seguente ordine: filosofa e coltiva le  matematiche non in modo superficiale, e procedi per mezzo di esse  come di una scala verso ciò che ti sei proposto; sputa poi su ciò che  la maggior parte degli uomini stimano di più e ritengono più dignito-  so, e stima anzitutto la filosofia italica [sc. la filosofia pitagorica] che  contempla gli incorporei, laddove la filosofia ionica esamina princi-  palmente i corpi.   37. il simbolo che dice “Astieniti dal mangiare fave” consiglia di  evitare ogni cosa che sia capace di distruggere il nostro rapporto con  gli dèi e la mantica divina.   38. Il simbolo che dice “Trapianta!?? pure della malva, ma non  mangiarne” allude al fatto che le piante dello stesso genere della  malva si volgono verso il sole e ritiene <quindi> che sia opportuno  fare lo stesso, ma il simbolo aggiunge: trapianta, cioè: cerca di cono-  scere la natura di questa pianta e la sua tensione e simpatia per il sole  e non contentarti né fermarti solo a questo, ma trasferisci la tua ragio-  ne, come se dovessi trapiantarla, verso le piante e gli erbaggi dello  stesso genere ma anche agli animali, che certo non sono di quel gene-  re, e alle pietre e ai fiumi e in breve ad ogni specie naturale; troverai  infatti una varietà e molteplicità di specie straordinariamente fecon-  de, <che costituiscono> l'aspetto corporeo dell’unione e della simpa-  tia del cosmo, se sarai partito dalla radice della malva [151dP] come  tuo punto di lancio. Non solo dunque non devi mangiare <la malva>  per non fare sparire la possibilità di tali investigazioni, ma devi anche,  a guisa di chi opera trapianti, far si che essa cresca e si moltiplichi.   39. Il simbolo che dice “Astieniti dal mangiare animali” esorta alla  giustizia e ad ogni stima di ciò che è affine a noi e ad astenersi <quin-  di> da ciò che ha una vita simile alla nostra e a molte altre cose del  genere.    470 GIAMBLICO    [126] Διὰ πάντων δὴ οὖν τούτων φανερὸς γέγονε καὶ ὁ διὰ τῶν συμ-  βόλων προτρεπτικὸς τύπος ἔχων πολὺ τὸ ἀρχαιότροπον καὶ  Πυθαγορικόν. ἀλλ᾽ ἐπεὶ διὰ πάντων διεξεληλύθαμεν τῶν tporper-  τικῶν τρόπων, ἐνταῦθα καταπαύομεν τοὺς εἰς παράκλησιν τείνον-  τας λόγους.    ESORTAZIONE ALLA FILOSOFIA 471    [126] Per tutte queste considerazioni, dunque, diviene chiaro  anche il carattere specifico dell’esortazione per simboli, la quale ha  molto del carattere dell’esortazione pit antica e <soprattutto> pitago-  rica. Ma dopo avere discusso di tutti i modi protrettici, chiudiamo a  questo punto la nostra trattazione dei discorsi che mirano alla racco-  mandazione.    NOTE ALL’ «ESORTAZIONE ALLA FILOSOFIA»    ! Lett.: Capitoli [κεφάλαια]. In effetti non si tratta di semplici titoletti  delle varie divisioni del testo, bensi di veri e propri punti programmatici del  discorso che sarà sviluppato. Essi corrispondono, quindi, a quello che noi  chiamiamo il sommario di un’opera.   2 Il Protrettico costituisce, infatti, il secondo scritto della Surmzza pitagori-  ca: il primo è la Vita di Pitagora.   3 L'integrazione sembrerà opportuna, se si confronta l’inizio dello svolgi-  mento di questo primo punto del sommario, a p. 40,6 des Places [d'ora in  avanti pagine e linee saranno indicate secondo questa edizione, di cui si man-  tiene anche la numerazione dei capitoli]: ἀρχόμεϑα dè τὸ λοιπὸν αὐτοῦ τῆς  αἱρέσεως ἀπὸ τῆς κοινῆς εἰς πᾶσαν παιδείαν κτλ.   4 Lett.: «secondo ogni scuola filosofica [κατὰ πᾶσαν αἵρεσιν]. Cf. p. 41,5  s. dP infra.   5 Come dire che Giamblico considera il suo programma di esortazione  alla filosofia pitagorica come dettato da suggerimenti basati su raccomanda-  zioni evidenti e oggettive.   6 Cioè nel Libro I della Summa pitagorica, che è consacrato alla Vita di  Pitagora.   ? Il passaggio dalle dottrine essoteriche a quelle esoteriche dev'essere  ovviamente condotto con un'operazione delicata e graduale, cosî come meri-  ta la trattazione della scienza segreta pitagorica.   8 Cf. p. 36,7 dP supra: γνωμικὰ ὁμοιώματα προτρεπτικά, e p. 42,3 5. dP:  γνώμας, ἀπεικαζομένας πρὸς τὰ ἐναργῆ δείγματα τῶν ὄντων.   ° Cf. Pyth. Carr. aur 45 5. Diehl/Young.   10 σύστασιν: questo termine non appare di chiara interpretazione. Des  Places lo traduce τοῦ, ed anche Schònberger lo intende cosi (Vereinung).  Una tale traduzione/interpretazione non ha senso, a mio avviso, tanto che gli  stessi traduttori qualche linea dopo, quando Giamblico cerca di spiegare  quel che vuole dire Pitagora in quei versi, intendono il medesimo termine  come constitution (des Places) e Ordnung (Schònberger).   !l I significati dei due verbi διέρχεται e κρατεῖται appaiono evidenti  nella spiegazione che subito dopo ne dà Giamblico. Cf. p. 44,23 ss. dP.   12 La natura segue sempre le stesse leggi.   13 C£. p. 44,10 dP supra: φύσιν ... ὁμοίην.   !4 Come dire che il potere scegliere o il bene o il male è per l’uomo un  privilegio naturale.   15 Cf. Carm. aur. 57 s. (= H. Thesleff, The Pythagorean Texts of the  Hellenistic Period, Àbo 1965, p. 162): οἱ δὲ κύλινδροι ἄλλοτ᾽ ἐπ᾽ ἄλλα  φέρονται ἀπείρονα πήματ᾽ ἔχοντες.   16 Cioè alla vita che ci accompagna per natura: la contesa, cioè, non è  detta innata cosf come tutte le nostre proprietà connaturali.   17 C£. Carm. aur. 61 ss., dove si trova λύσειας al posto di παύσειας.   18 Ritengo che il καὶ συγκληρωθέντος sia una specificazione a chiarimen-  to del precedente τοῦ δοθέντος.   19 Cf, Iambl. Vita Pyth. 38,17, dove alla domanda “qual è la cosa più  potente?” Pitagora risponde “l'intelligenza [γνώμη].   20 Cf. Carm. aur. 69 ss. La difficoltà di interpretare questa sentenza sta nel  preciso significato da attribuire ai due termini ἀθάνατος e ἄμβροτος; il primo  è chiaro per contrapposizione al successivo θνητός; il secondo non può non  essere un omonimo di θεός, nel suo significato di “non uomo mortale [ἀ-  βροτός]".   21 Lett. “la lungi-saettante [ἐκαβολεστάτα]᾽".   22 Occorre prendere qui l’espressione λόγω καὶ διανοίας come un’endia-  di in contrapposizione a νόος.   23 Una nota apposta da A. Segonds alla traduzione di des Places (p. 49)  corregge molto opportunamente il senso che des Places attribuisce  all'espressione greca ζωπυρῆται μετ᾽ αἰσθάσιος che viene tradotta “s’en-  flamme avec le sens”. “Devient pourvu de sens actifs”, scrive giustamente  Segonds.   24 A questo punto, some si piò vedere dal testo a fronte, Pistelli ha can-  cellato le parole “e suggellato” [καὶ ἐπεσημήνατο], mentre des Places da un  lato reintegra nella sua edizione queste stesse parole e dall'altro lato non le  traduce.   25 ὀπτιζομένοις — quest’ultimo termine è un hapax legomenon (cf. i voca-  bolari Stephanus e LS]J).   26 Cf. Ps.-Archytas, De sapientia, fr. 2 = H. Thesleff, The Pyth. Texts of  the Hellen. Period, Àbo 1965, p. 44.   2? Ritengo che sia da eliminare 1’ ὧν che segue σοφίας seguendo Stob. Cf.  app. ad loc.   28 τὰν τῶν ἐόντων φρόνασιν: è chiaro che in questo caso φρόνασις non  può significare “prudenza” in quanto virtù teoretica, ma “natura razionale”  dell’universo.   29 Appare chiaro dal contesto che qui la natura propria [τῇ ἰδίᾳ φύσει],  per contrapposizione con quella comune (ossia universale) [τὴν κοινήν], sia  appunto la natura umana. Intendere quindi l’espressione τῇ ἰδίᾳ φύσει come  natura individuale per contrapposizione a natura comune, come fa des    474 GIAMBLICO    Places [«Archytas a mélangé la nature commune et l’individuelle». Cf. anche  Schònberger: «Er hat der eigenen Natur die allgemeine beigemischt»], mi  sembra erroneo o quantomeno fuorviante, perché si potrebbe intendere:  natura umana comune dell’uomo e natura propria dell'individuo umano (e  questo non avrebbe senso).   30 L'espressione ἐν τῷ λόγῳ τᾶς τῶ ὅλω φύσιος ricalca le parole di Archita  riferite poco prima con la differenza che al posto di ἐν τῷ λόγῳ li si trova,  molto più coerentemente, un τὸν λόγον. La traduzione apparentemente cor-  retta dovrebbe essere, dunque: la ragione dell’uomo è capace di contempla-  re “nella ragione [o all'interno della ragione] della natura universale”, come  dire che il soggetto contemplante [la ragione umana] contempla internamen-  te al suo oggetto [la ragione universale]. Ma è chiaro il senso del contesto: la  ragione dell’uomo è capace di contemplare la ragione dell’universo, pur  essendo la prima interna all’altra.   31 μεριστῆς: questo termine non può avere in tale contesto il significato  di “diviso” o “divisibile”, come intendono des Places (nature divisée) e  Schénberger (Te:lnatur), bensi quello di individuale (che è come dire indivi-  sibile) per contrapposizione con la natura universale. Naturalmente la natu-  ra individuale della ragione altro non può significare che la ragione dell’in-  dividuo umano, che si accorda con la ragione del tutto.   32 τὸ ἀγαθόν è integrazione dello scoliaste. Cf. ed. des Places, p. 152,7 [=  ed. Pistelli, p. 127].   33 Qui il testo appare poco chiaro, tanto che alcuni (Vitelli e Pistelli)  hanno corretto l’ αὐτάς dei MSS nel riflessivo αὑτάς; non è chiaro infatti se  Archita intenda dire che la sapienza deve scoprire i principi della realtà  prima di quelli suoi propri, oppure prima dei principi in se stessi. Come dire  che la sapienza è investigazione dei principi concretamente immanenti negli  enti piuttosto che dei principi in quanto tali. A me non sembra plausibile  quest’ultima interpretazione, perché presuppone un discorso di tipo aristo-  telico poco adattabile alla mentalità arcaica. A meno che non lo si voglia  attribuire a un intervento dello stesso Giamblico. Ritengo pertanto plausibi-  le la correzione Vitelli/Pistelli.   34 κατὰ ἁπλουστάτας ἐπιβολάς: quest’ultimo termine (cosî come il verbo  corrispondente della linea seguente ἐπιβάλλει) è di chiara origine neoplato-  nica ed è, dunque, da attribuirsi a un intervento di Giamblico.   35 In tale contesto l’espressione τούς te καθόλου λόγους sembra avere un  significato matematico (perciò ho aggiunto questo aggettivo al sostantivo  “rapporto”), come è del tutto plausibile in un discorso pitagorico.   36 Il termine ἀνυπόθετον non è certamente pitagorico, ma platonico. Si  tratta comunque di un hapax legomenon per Giamblico: esso infatti ricorre  un’altra sola volta, ma al plurale, in De com. math. sc. 39,24 Festa, a indi-  care i principi primi che solo il dialettico è in grado di conoscere, in un con-  testo di esplicito riferimento alla linea quadripartita della Repubblica plato-  nica.   37 Questo passaggio è attinto letteralmente da Plat. Ed. 281b8 ss.   38 Qui il testo non è abbastanza perspicuo. Esso infatti dice letteralmen-  te: «chi possiede i beni suddetti senza intelletto agirà di più, mentre chi ha il  contrario, i mali, agirà di meno». Ora, espresso cosî, il pensiero di Giamblico  non significa niente: prima infatti si era detto che chi agisce meno sbaglia di  meno e chi sbaglia di meno agisce male di meno; è chiaro dunque che chi  agisce di più sbaglia di più e chi sbaglia di più agisce male di più. Adesso, se  si sostituisce all'espressione “agire più o meno” l’espressione “possedere i  beni senza intelletto o con intelletto”, si otterrà il seguente risultato: chi pos-  siede i beni senza intelletto agisce male di più, mentre chi possiede i beni con  intelletto agisce male di meno. Ha ragione quindi Pistelli, contrariamente a  quanto pensa des Places, nel cancellare il tà κακά della li. 17 [= p. 57,17 des  Places], e intendere il τὰ ἐναντία della stessa linea come riferito all’ ἄνευ νοῦ  precedente.   3° In quanto ignorante, ovverosia senza intelletto.   Ὁ Si tratta, come si può vedere, di tre aspetti della nostra individualità: 1.  la nostra individualità come tale (la nostra identità personale, diremmo in  termini moderni), 2. le nostre proprietà intrinseche, che fanno tutt'uno con  il nostro io, 3. le cose che possediamo e quindi ci appartengono, ma non  sono estrinseche rispetto al nostro io.   4! L’anima, dunque, costituisce la nostra “identità individuale”.   ‘2 Il corpo, dunque, è proprietà intrinseca a ciascuno di noi. Esso non ha  con noi la medesima relazione che possono avere le cose che possediamo.   451 beni materiali dunque sono da considerarsi strumenti utili solo alla  vita corporea.   * Fermo restando il fatto che l’anima umana è immortale, il dedicarsi a  pratiche terrene e orientate verso il mortale rende l’anima il più possibile  vicina alla mortalità. Come dire che esiste un aspetto per cosi dire “morta-  le” e “terrestre” nell’anima che si esercita prevalentemente in “movimenti”  legati alle cose terrestri, cioè, nella fattispecie, a desideri e contese, o ambi-  zioni,   45 τῷ δ᾽ ἐν ἡμῖν θείῳ ξυγγενεῖς εἰσι κινήσεις ai τοῦ παντὸς διανοήσεις  καὶ περιφοραί. Non traduco a ragion veduta questo testo come fanno i più,  intendendo cioè l’espressione: αἱ τοῦ παντὸς διανοήσεις come: «i pensieri  dell'universo». Anche la fonte che è Plat. Tizz. 90c8 la trovo tradotta e inte-  sa alla stessa maniera. Io credo che Platone, e quindi Giamblico che qui lo  utilizza, non pensino di attribuire all'universo delle διανοήσεις, cioè degli  atti propri della διάνοια, che è facoltà certamente estranea sia all'universo    476 GIAMBLICO    sia all’Intelletto che lo governa (ammesso che questo sia diverso dal demiur-  go). E per convincersene basterebbe tornare alla pagina immediatamente  precedente, a 89al, dove si può trovare il medesimo contenuto concettuale  espresso in maniera più conforme allo spirito platonico: τῶν δ᾽ αὖ κινήσεων  ἡ ἐν ἑαυτῷ ὑφ᾽ αὑτοῦ ἀρίστη κίνησις — μάλιστα γὰρ τῇ διανοητικῇ καὶ τῇ  τοῦ παντὸς κινήσει συγγενής -- «Dei movimenti quello che è in sé e per sé  è il migliore, perché è congenere al massimo livello al <movimento> della  ragione discorsiva e al movimento dell’universo». Come si può osservare,  qui il movimento del discorso razionale viene assimilato. ma non confuso  (per via della particella copulativa xai) con il movimento <circolare> del-  l'universo.   4 Sc. a causa della nostra nascita. Non c’entra quindi il divenire, come  intende des Places («les circuits relatifs au devenir»), giacché anche i “cir-  cuits” dell’universo riguardano in qualche nodo il divenire.   47 In questo caso si tratta di osservazioni astronomiche e ciò che viene  osservato altro non è che l’insieme delle rivoluzioni celesti.   48 Che è identica nell’universo e nell'uomo.   49 Questa variazione della precedente espressione παντοδαπὸν θηρίον sta  a significare insieme le due anime irrazionali, ἐπιθυμία e θυμός.   5° Sc. l’anima razionale, come si diceva sopra.   3! Sc. quegli onori che sono in grado di spezzare l’equilibrio già raggiun-  to.   9° Cf. p. 58,5-6 dP supra.    53 Non traduco le parole εἰκὼς πρὸς ταύτας che seguono la lacuna, per-  ché devono far parte di essa e quindi restano senza senso qualora non si  colmi la lacuna medesima. Ritengo anche che il successivo discorso tra  parentesi tonde può benissimo legarsi al resto, in quanto si riferisce all’intel-  letto.   5 Ma anche agli uomini che partecipano della sapienza divina.   5° Si riferisce ovviamente alle facoltà istintive che nei bruti sono molto  più potenti che nell'uomo.   5 Pena la mancanza di vera umanità: se mancasse il bene della sapienza  contemplativa, mancherebbe la stessa essenza della vita felice per l’uomo.   5” Cioè rappresenti l’essenza dell'idea di bene per l’uomo. Il termine  ἔννοια qui indica appunto la nozione essenziale di una cosa.   5? Quasi certamente si fa riferimento alla sentenza di cui si è comnciato a  discutere alla p. 14 Pistelli (= p. 47 des Places), a proposito delle parole trat-  te sich aur. 61 ss.; “Ma tu abbi coraggio, perché divino è il genere dei  mortali”.    9° Soltanto con la scienza, dunque, è possibile fissare i modi pit conve-    ESORTAZIONE ALLA FILOSOFIA 477    nienti di usare il corpo e tutto ciò che lo riguarda, in vista della nostra felici-  tà.   50 Si tratta ovviamente della filosofia come scienza che conosce il sommo  Bene. Tale aspetto della filosofia potrebbe coincidere con la teologia, alme-  no nella concezione pitagorico-neoplatonica di Giamblico.   8! Sembra che si alluda alle scienze naturali in senso lato, in quanto  distinte dalle scienze etico-politiche.   62 γνωριμότερα tà πρότερα τῶν ὑστέρων: il termine γνώριμος non ha in  questo contesto il normale significato di “noto o riconoscibile”, un significa-  to cioè di ordine empirico o euristico, bensi quello di “primario nell'ordine  della conoscenza” ovvero di “ciò che si deve conoscere per primo”. I princi-  pi infatti, anche se spesso sono conosciuti per ultimi, sono primi per il loro  valore epistemologico. Del resto l’esempio seguente relativo alla causa rispet-  to all'effetto va in tale direzione ermeneutica.   9) Cioè gli effetti.   5 τῶν ἄκρων ha il testo, ma sia Kiessling che Pistelli congetturano, l'uno  ἀρχῶν l’altro πρώτων (cf. ed. Pistelli, app. cr. ad loc.)   65 Ancora una volta Giamblico distingue ciò che è primario per natura da  ciò che può essere conosciuto in via secondaria: i principi sono primi per  natura, anche se possono diventare noti dopo i loro derivati.   66 Non è facile tradurre l’espressione τὸν σπουδαιότατον ... καὶ τὸν τὴν  φύσιν κράτιστον. Letteralmente potrebbe significare “colui che è il più sag-  gio e colui che è il migliore per natura”: il verbo ἀρχεῖν avrebbe in tal modo  due soggetti coordinati. Ma tutto ciò non ha senso, perché dal punto di vista  concettuale il migliore per natura è appunto il più saggio, colui che possie-  de, cioè, la natura migliore, cioè il massimo livello di razionalità. Ma per non  ritenere coordinati, e quindi separati, e pertinenti al medesimo soggetto i  due attributi σπουδαιότατον e κράτιστον, occorre dare al καί valore di con-  giunzione disgiuntiva (ovviamente non esclusiva [24] ma alternativo-espli-  cativa [ve/]), come del resto richiede l’analisi concettuale dell'espressione.  Ed ecco perché io ho tradotto il καί con “e cioè”.  57 Qui viene indicata la prudenza come una facoltà dell'anima. In effetti  si tratta piuttosto di una virtà che deriva dalla facoltà del ben ragionare [τὸ  φρονεῖν]: insomma si indica la causa per l’effetto.  68 Occorre evitare di cadere a questo punto in un grave fraintendimento.  Giamblico sta dicendo che fra due cose è migliore e più desiderabile quella  a causa della quale l’altra è desiderabile. Allora tra la salute, ad esempio, e  un medicamento la salute è migliore e più desiderabile, perché è ciò a causa  di cui è desiderabile il medicamento. Il medicamento è dunque desiderabile  perché produce la salute, ma è quest’ultima la migliore e più desiderabile  delle due cose: io desidero il medicamento perché, producendo la salute, è  desiderabile a causa del fatto che produce la salute. Appare dunque inappro-  priato il γάρ, qualora si dia ad esso valore causale: la salute è desiderabile di  più del medicamento, perché il medicamento è desiderabile in virtù o a  causa della desiderabilità della salute e non perché produce la salute, come  sembrerebbe qualora si desse valore causativo alla proposizione ταῦτα γὰρ  ποιητικὰ λέγεται τοῦτων. Insomma un conto è dire che il medicamento pro-  duce la salute ed è perciò desiderabile cosî come la salute, altro conto è dire  che il medicamento è meno desiderabile della salute in quanto è desiderabi-  le non per se stesso, ma per la salute che esso produce. In definitiva, ciò che  è prodotto (la salute) è migliore di ciò che lo produce (il medicamento). Ecco  perché io ho tradotto con integrazione l’espressione suddetta. La cosa  migliore, comunque, sarebbe quella di espungere tale espressione. Si tratta  infatti di una ovvia considerazione, tanto ovvia da potere essere ritenuta una  semplice glossa.   99 ὡς ἕξιν πρὸς ἕξιν κρίνεσθαι: in tale contesto ritengo si debba intende-  re la voce ἕξις non già come habitus o status, bensi come facoltà o attitudine,  perché di ciò si sta parlando.   70 Cioè della scienza o della felicità.   ?! Il testo ha φρονήσει ὅμοιον, cioè “simile alla prudenza”, ma dal con-  testo si evince che si tratta del φρονεῖν, cioè del pensare.   72 σαφεστάτη: quella, cioè, che consente di percepire in maniera più evi-  dente gli oggetti.   75 Cioè solo per se stessa.   74 Sia per natura sia per tecnica.   7 Ovvero che la prudenza è il fine ultimo della nostra esistenza di uomi-  ni.   76 Le parole iniziali di questo periodo sono ritenute una glossa da des  Places (che segue de Strycker) e sono quindi espunte.   77 In sostanza, solo perché si è già passati dalla potenza all’atto si può dire  che chi è in potenza può passare all’atto. Si tratta della nota teoria aristoteli-  ca del primato dell'atto sulla potenza (cf. Aristot. Mera. IX 8).   78 Cioè a coloro che pensano e contemplano secondo la scienza più esat-  ta.   79 Nel senso che il vivente “è” tale in quanto “vive”.   80 Cioè Dio ovvero il Primo Principio.   8! Cioè assieme ai morti ovvero con altre anime libere dal corpo.   82 Di tradizione orfica.   83 In questo passaggio c’è un poco di confusione, proveniente da alcune  integrazioni nella fonte che è il Teeteto platonico (cf. des Places in apparato  ad loc.). Tra le integrazioni fatte da Arcerius, si trova il numerale πεντεκα-  ιεικοστός, che gioca in modo strano con il successivo numerale (questo non  integrato) πεντηκοστός. Il difficile calcolo per cui il filosofo si mette a ride-  re dipende da questi due numerali, perché la cosa strana appare che a con-  tare la generazione verso l'alto si ottiene il numero 25, mentre a contarla  verso il basso si ottiene il numero 50, cioè il doppio. Il che fa pensare che il  calcolo è sbagliato perché si sommano le generazioni ascendenti e quelle  discendenti. Cosa che sembra strana se consideriamo l’inizio del discorso,  dove si dice: «se si celebrano progenitori calcolandoli fino a venticinque  generazioni facendoli risalire ad Eracle figlio di Anfitrione». In effetti  Anfitrione è il punto di arrivo nel calcolo delle 25 generazioni, di cui quel-  la di Eracle sarebbe la più alta. Ma perché le generazioni diventino 50  occorre raddoppiare tale numero, sempre tenendo come punto di riferi-  mento Anfitrione. Dunque l’errore di calcolo che fa sorridere il filosofo  (ricordiamo che si tratta di un filosofo che, in quanto Pitagorico, è anche un  matematico) deve consistere nel fatto che si sommano il numero a salire e  quello a scendere. Il che è veramente “ridicolo”. Un riferimento per questo  tipo di calcolo, in quel caso non scorretto, lo possiamo trovare in Iambl. Ix  Nicom. 89,4, dove si parla, a proposito del rapporto tra 10 e 100 [cioè di  102], ma estensibile a qualsiasi numero quadrato, del cosiddetto metodo del  “diaulo”, che consiste nella «somma dei [primi dieci] numeri secondo pro-  gressione dall’inizio [cioè dall’ 1] come da barriera di partenza e regressio-  ne verso la meta [cioè ancora l’ 1] come da punto di svolta [cioè dal 10]»:  cost: 1+2+3+4+5+6+7+8+9+10+9+8+7+6+5+4+3+2  +1 = 100. Si tratta in questo caso di somma cumulativa, mentre nel caso  delle generazioni la somma non è tale, ma un semplice contare.   # Accolgo perché più sensato il singolare προσβάλλοντα di O e di Aron.,  preferita peraltro da Kiessling, al posto del plurale προσβάλλοντας di F.   85 Cioè fuori della caverna.   56 σφεῖς sono evidentemente il prigioniero liberato e il suo liberatore.   87 C'è evidentemente dell’ironia nel chiamare sapienza l'ignoranza che  regnava nella caverna! Ecco perché ho scritto sapienza tra apici.   # Hom. Od. 11,489 s. Ecco le precise parole che Achille rivolge ad  Odisseo: «Non lodarmi la morte, splendido Odisseo. Vorrei essere bifolco,  servire un padrone, un diseredato, che non avesse ricchezza, piuttosto che  dominare su tutte l’ombre consunte» (tr. it. di Rosa Calzecchi Onesti, Torino  1963). Non capisco perché νεκύεσσι, che significa “cadaveri”, venga tradot-  to “ombre”. In effetti, sembra ci sia una corrispondenza perfetta con σκιάς  (le ombre della caverna) reiteratamente espressa nel testo di Giamblico: che  ci sia un'influenza di quest’ultimo?   8? Non mi sembra necessario estrapolare ᾿᾿ ἀποκτείνειν che sta prima di  ἀποκτιννύναι, come fa des Places al seguito di Drachmann. Cf. des Places  in appar. ad loc.   30 Cioè il posto dove noi ci troviamo sulla terra e quindi sotto il sole e non    480 GIAMBLICO    nella buia caverna.   91 Cioè la luce del sole e il sole stesso. Si noti l’uso del verbo τίκτειν, che  significa in questo caso “partorire” ovvero “dare alla luce”. Si dovrebbe per-  ciò tradurre meglio cosî: «è lei che dà alla luce la luce e il signore della luce».   "2 Gioco di parole: πίθον da πιθανόν.   ® Anche qui un gioco di parole: ἀμυήτους da ἀνοήτους.   % Anche qui un gioco di parole: Ἅιδης da ἀϊδές.   ὅ5 Si tratta di un uccello migratore che preferisce le zone umide lungo le  coste del mare o le rive dei fiumi. Come dire che quel tale che ha bisogno di  versare continuamente dei liquidi nei suoi recipienti deve trovarsi in condi-  zione di reperire quei liquidi, cosi come fa il piviere portandosi a ridosso del  mare o dei fiumi.   56 Preferisco l’oitw del testo platonico all’où del testo des Places (ma  anche Pistelli). Del resto anche Kiessling fa la medesima scelta, come posso  evincere dall’appar. di quest’ultimo, che des Places non riferisce.   57 La posizione più equilibrata e conveniente sembrerebbe, dunque,  essere quella di eguagliare in rettitudine i nostri antenati, perché, se essi ci  superano, noi siamo onorati di lasciarci superare (ma restiamo sconfitti),  mentre se noi li superiamo, ce ne dobbiamo vergognare. La cosa migliore è  quindi di non superarli né lasciarsi superare, cioè di stare con loro alla pari.  La cosa appare più chiara se letta nella fonte, cioè nel testo platonico del  Menesseno, che suona cost: «se noi vi superiamo in virtù [dicono gli antena-  ti ai loro discendenti], allora la vittoria ci farà vergognare, la sconfitta inve-  ce, nel caso che siamo noi ad essere superati, ci renderà felici» (Plat. Mux.  24705 ss.).   98 Accetto, alla li. 119,2, la lezione di F: ἡμᾶς al posto di τιμάς, e ἐγγό-  νοῦς al posto di ἐκγόνοις. C£. appar. ad loc. sia in Pistelli che in des Places.   99 Tirteo, 9,1 ss. Diehl.   100 Da questo punto in avanti si estende fino p. 131,4 des Places (= p.  104,14 Pistelli) il cosiddetto Aroninzo di Giamblico.   !0" Cf. supra p. 122, 21 des Places.    ‘02 Traduco cosî il plurale τοῖς δικαίοις, dal momento che in preceden-  za si parlava appunto di leggi e di giustizia distributiva.   [05 La ripetizione di κράτος indica che nel secondo caso si tratti di qual-  cosa di diverso dal puro κράτος (dominio) e nella fattispecie di qualcosa che  richiama alla mente la funzione della legge e della giustizia, che sono quelle  che lo salvano, cioè la funzione del comandare di diritto e non di fatto ovve-  ro la funzione di chi ha sovranità legittima.   1% La distinzione tra affari e opere della vita riguarda la diversa, talora  opposta, natura che hanno da un lato gli impegni di partecipazione alla vita  pubblica, e dall’altro gli impegni privati e personali.    ESORTAZIONE ALLA FILOSOFIA 481    105 Brotixév: letteralmente “attinente alla vita comune”.    106 Come dire che non bisogna visitare il tempio e pregare cosî per caso,  ma predisponendosi adeguatamente.   107 Cioè degli inferi.   108 Cioè non trasgredire le leggi.   109 Misura di capacità per aridi, corrispondente a 1,09 litri.   !!0 Cf. Iambl. Vita Pytb. 109. Sulla differenza di significato di τρώγω ed  ἐσθίω, cf. li nota 57.   !!! Cioè sui residui della rasatura dei capelli e e sui residui del taglio delle  unghie.   ΠΣ Nel testo si legge solo μὴ προσλαμβάνου, che tradotto alla lettera  significa: non afferrare, non catturare, ecc. Ma io ritengo che qui il senso del  verbo abbia un significato più ampio, giacché prendere o catturare un pesce  ha un senso solo se lo si vuole mangiare.   "5 Cf. Iambl. Vita Pytb. 109.   "14 Ricca? Potrebbe significare, invece, “ingioiellata” “piena di ornamen-  ti d’oro”.   !15 C£, Iambl, Vita Pyth. 22. In questo passo si afferma che Pitagora cercò  di introdurre un giovane volenteroso nello studio dell’aritmetica e della geo-  metria, facendo su un abaco le dimostrazioni su ogni argomento di aritme-  tica, e dandogli un triobolo, a mo’ di salario e compenso per la fatica, per  ogni figura, cioè per ogni diagramma, che gli insegnava. Si parla di figura e  non di gradino (Bfiua)”, come qui nel Protr., ma il triobolo come compen-  so lascia intendere che il discorso è lo stesso. Importante la precisazione che  la figura di cui si parla non è quella geometrica pura e semplice, bensi la  figura aritmetica, cioè il diagramma in cui vengono esposti dei numeri in  forma di figura geometrica. Come si vedrà in seguito, la spiegazione che  Giamblico dà di questo simbolo contiene il significato che qui ha il termine  βῆμα, e cioè quello di scala (διαβάθρα), che è fatta appunto di gradini per  salire verso l’alto. Si noti che βῆμα [βᾶμα] e βάθρον hanno la stessa radice  dal verbo βαίνω.   Π6 Cf. Plat. Resp. X 611c8 ss., dove si parla delle incrostazioni che subi-  sce dall’esterno la primitiva natura di Glauco marino, conchiglie, alghe, pie-  tre e altro, al punto da esserne sfigurato e irriconoscibile, cosî come accade  all'anima quando è condizionata da mille mali.   !!? Preferisco non tradurre δόγμα con “dottrina”, come si fa comune-  mente, dal momento che in questo caso il termine corrisponde appunto alla  verità teologica, secondo cui gli dèi non hanno limiti nella loro capacità di  produrre effetti sorprendenti al di là di ogni legge di natura. È evidente che  una tale verità non ha nulla a che fare con la normale conoscenza scientifica,  ma solo con la fede negli dèi e soprattutto, come viene spiegato subito dopo,    482 GIAMBLICO    nella loro trascendenza.  !!8 Meglio “produttivo di religiosità”.  119 Cioè a procedere con metodo scientifico matematico.  120 Eraclito fr. 85 DK.    ‘2! Qui il testo appare corrotto ed è, comunque, poco comprensibile.  Pistelli mette, infatti, una crux prima di γνώμη [γνώμην des Places, ma γνώμῃ  codd.]. Tutto sta nel significato da attribuire a μερίζων γνώμην [γνώμη], che  in ogni caso bisogna collegare con οὐθέν. Il verbo μερίζειν (dividere, spar-  tire, ecc.) in questo caso potrebbe, unito appunto a γνώμη (non importa se  all’acc. o al dat.), avere il senso di “dividere ragione”, “[con]dividere ragio-  ne”, “partecipare di ragione”, ecc., e quindi “comportarsi razionalmente”  verso [εἰς] chi o ciò che sta dinanzi.   122 Cioè la seguente riflessione calcolata e conclusiva.   '23 Non è molto chiaro il senso di quest’ultima espressione, che viene tra-  dotta da des Places “en faisant des ses travaux le sceau de leurs désirs”, dove  non si capisce da che cosa egli desuma i “desideri”. Potrebbe significare  molto semplicemente che i Pitagorici ritenevano Eracle il simbolo degli  uomini che acquistano meriti con le proprie fatiche e cosî suggellavano  (autenticavano con un suggello divino) le difficoltà nel divulgare le loro dot-  trine.   124 ἐγκοπῆς χρόνων: letteralmente “ interruzione del tempo” , e quindi   “assenza di perseveranza nelle occupazioni” o, come forse giustamente tra-  duce Schénberger, “perdita di tempo” [Zestverlust].   ἰῇ ἀσχολίας: preferisco dare a questo termine non il significato ordina-  rio di “faccenda, occupazione”, bensi quello specificamente tecnico di  “assenza di tempo libero”, cioè di tempo per lo studio, trattandosi in questo  caso appunto di impedimenti alla pratica della filosofia.   126 Cioè per il fatto stesso che l’anello ha un aspetto che cinge e quindi  incatena il dito.   121 Deve trattarsi sicuramente dello scritto Sugli dèi citato da Giamblico  in De mysteriis VIII 8 (= p. 271,13 des Places). L'axpiéotepov che si legge  lî corrisponderebbe 4}} ἰδίως καὶ πληρέστατα che si legge qui.   128 Stranamente des Places elimina nel testo la lacuna stabilita da Pistelli,  ma la mantiene nella traduzione.   129 Cioè affini per rapporti di matrimonio.   130 καὶ γὰρ αὐτὸς οὗτος ἡγεμονικόν ἐστι τοῦ φρονεῖν ὄργανον: appare  un po’ strana questa espressione, tanto che des Places la traduce cosf: «car  c’est l’organe qui commande la pensée». Ridicola interpretazione: lo stru-  mento del pensiero che comanda il pensiero di cui è strumento!  Indubbiamente qui l'aggettivo ἡγεμονικός deve assumere un significato più    ESORTAZIONE ALLA FILOSOFIA 483    sfumato, a meno che non si debba correggere ἡγεμονικός in ἡγεμονικοῦ  rendendolo attributo di φρονεῖν, interpretando quindi la frase cosi: «lo stes-  so cervello è strumento del pensare che è atto a comandare [in quanto atti-  vità dell’intelletto]». Peraltro qualche linea dopo lo stesso aggettivo viene  attribuito al νοεῖν, che corrisponde al φρονεῖν,   3! Il verbo διαδάκνειν riveste qui un significato equivalente a quello del  verbo τρώγειν, impiegato poco prima nel simbolo 30 a proposito del cuore.   32 Qui troviamo il verbo μεταφύτευε, mentre sopra è usato il verbo ἐπι-  φύτευε.    GIAMBLICO    LA SCIENZA MATEMATICA COMUNE    TERZO LIBRO  <DELLA «SUMMA PITAGORICA»>    IAMBAIXOY ΧΑΛΚΊΔΕΩΣ  THX KOIAHX XYPIAX  ΠΕΡῚ THX KOINHX MAOHMATIKHE ΕΠΙΣΤΗΜΗΣ  ΛΟΓΟΣ Γ΄    [3] KEDAAAIA TOY TPITOY ΛΟΓΟΥ͂    α΄ Τίς ἡ πρόθεσις τοῦ παρόντος βιβλίου ἡ ὅλη, καὶ τίνες οἱ ὑπ᾽ αὐτὴν  μερικοὶ σκοποὶ καὶ ποσαχῶς καὶ εἰς τίνα διαιρούμενοι, πόθεν τε  ἔχοντες τὰς πρώτας αἰτίας τῆς οἰκείας ἐπισκέψεως καὶ ἀπὸ ποίας  οὐσίας.    β΄ Τίς ἡ κοινὴ θεωρία περὶ τῶν μαθημάτων ὅλων καὶ περὶ τῆς  μαθηματικῆς ἐπιστήμης, ὁπόθεν τε αὐτὴν καὶ ἀπὸ τίνων τὸν ὅρον  αὐτῆς ληπτέον, πόσην τε ἔχει [10] τὴν διάστασιν καὶ ἐπὶ πόσα γένη  κοινὰ διήκουσαν.    y Τίνες ἀρχαὶ τῶν ὅλων μαθημάτων καὶ τίνι διαφέρουσι τῶν ἄλλων  ἀρχῶν, ὅσαι ἑτέρων οὐσιῶν εἰσιν ἀρχαί, πῶς τε κοινὴν τὴν αἰτίαν  παρέχονται αἱ τοιαῦται εἰς ὅλα τὰ μαθήματα.    [4] δ΄ Τίνες αἱ ἴδιαι ἀρχαὶ ἑκάστου τῶν μαθημάτων καὶ τίνα ἔχου-  σαι τὴν καθ᾽ αὑτὰς ἰδιότητα καὶ τὴν πρὸς ἀλλήλας διαφορὰν καὶ τὴν  πρὸς πάσας τὰς ἄλλας ἀρχὰς πάντων τῶν ὄντων.    ε΄ Τίνα κοινῶς ὑπόκειται πᾶσι τοῖς μαθήμασι, περὶ ἃ ποιοῦνται τὴν  πραγματείαν οἱ φιλομαθεῖς, καὶ πῶς ἔνεστι περὶ αὐτὰ καθόλου τὴν  θεωρίαν ποιεῖσθαι.    ς΄ Τίς ἀρίστη χρῆσις τῆς περὶ τὰ μαθήματα σπουδῆς, καὶ πρὸς ti  τέλος ἀναφέρειν δεῖ τὴν ἀρίστην περὶ αὐτὰ πραγματείαν.    ζ΄ Τί ἑκάστῃ μαθηματικῇ ἐπιστήμῃ ὑπόκειται οἰκεῖον ἐπιστητόν,  καὶ πῶς ἔνεστιν ἐκ διαιρέσεως τὴν κοινὴν αὐτῶν διάκρισιν ποιήσα-  σθαι, ὡς εἰδέναι τὸ ἐν [10] τοῖς μαθήμασιν ἕν καὶ πλῆθος ποῖόν τί  ἐστι καὶ πῶς αὐτὸ δεῖ ὁρίζειν.    [3] Sommario del terzo libro <della Summa pitagorica>.    1. Quale sia l'intenzione generale del presente libro, e quali gli  argomenti particolari che vi sono contenuti e in quanti e quali modi  questi siano distribuiti, e da dove ricavino le ragioni primarie della  loro propria indagine e muovendo da quale realtà.    2. Quale sia la teoria comune! a tutte le matematiche e alla mate-  matica come scienza, e da dove bisogna attingerla e quali siano i suoi  confini, e quanto sia grande la sua dimensione e su quanti generi  comuni essa si estenda.    3. Quali siano i principi di tutte le matematiche e in che cosa dif-  feriscano dagli altri principi, da quelli cioè che sono i principi delle  altre realtà,? e in che modo tali principi forniscano a tutte quante le  matematiche la loro comune origine.    4. Quali siano i principi propri di ciascuna matematica e quale pecu-  liarità essi abbiano in se stessi e quale differenza tra di essi e rispetto  a tutti gli altri principi di tutti gli enti.    [4] 5. Quali siano gli elementi comuni che soggiacciono a tutte le  matematiche, elementi di cui trattano gli amanti del sapere} e in che  modo sia possibile costruire una teoria generale di questi stessi ele-  menti comuni.    6. Quale sia l’uso migliore dello studio delle matematiche, e a  quale fine ultimo si debba ricondurre la migliore trattazione di esse.    7. Quale sia l'oggetto specifico di ciascuna scienza matematica, e  come sia possibile, partendo dalla classificazione dello scibile, deter-  minare la comune distinzione delle matematiche, in modo che si  conosca in che cosa consista la loro unità e la loro molteplicità.5 e  come si debbano determinare questi due aspetti.6    488 GIAMBLICO    η΄ Ti κοινὸν κριτήριον τῶν μαθημάτων πάντων, καὶ πῶς ἀπὸ τῆς  τομῆς εὑρίσκεται τῆς γραμμῆς, ἣν οἱ Πυθαγόρειοι παραδιδόασι.    θ΄ Περὶ τῶν ὡρισμένην ἀπονεμόντων οὐσίαν τοῖς μαθήμασιν, ὧν  πρώτη δόξα παράκειται τῶν εἰς ψυχὴν ἀναγόντων αὐτήν, αἰτίαι τε  πλείονες τῆς τοιαύτης ὑποθέσεως λέγονται καὶ πρὸς τὴν ὅλην  θεωρίαν περὶ αὐτῶν ἀφορμαί.    [20] ι΄ Πῶς ἐκ πάντων τῶν μαθημάτων συνέστηκεν ἡ τῆς ψυχῆς οὐ-  σία, καὶ κατὰ τίνα διορισμὸν ἀφορισθείη ἂν αὐτῶν ἡ σύγκρασις ἐν  αὐτῇ, καὶ εἰ πᾶσαν περιέχει τῶν μαθημάτων τὴν ὑπόστασιν ἐν  ἑαυτῇ ἢ καὶ ἀλλη τις ἀρχὴ αὐτῶν θεωρεῖται.    1a’ Τί τὸ ἔργον τῆς μαθηματικῆς θεωρίας καὶ πῶς παραγίγνεται, καὶ  ὅτι συμφώνως τούτοις μαθηματικὴ ἐπονομάζεται.    [5] ιβ΄ Τίνες αἱ δυνάμεις τῆς μαθηματικῆς ἐπιστήμης, καὶ τίνας  ἔχουσι τάξεις ἐν αὑταῖς καὶ κατὰ πόσας διαφορὰς διαιροῦνται καὶ  ποσαχῶς νοοῦνται.    ιγ΄ Τίνα στοιχεῖα καὶ γένη τῆς μαθηματικῆς ἐστιν ἐπιστήμης, καὶ  πῶς μὲν στοιχεῖα πῶς δὲ γένη τὰ αὐτὰ ὑπάρχει, τίνι τε διέστηκε  ταῦτα τῶν ἐν ταῖς ἄλλαις ἐπιστήμαις καὶ οὐσίαις ταῖς τε νοηταῖς  καὶ ὅσαι εἰσὶν ἐν γενέσει.    ιδ΄ Περὶ ὁμοιότητος καὶ ἀνομοιότητος τῆς [10] μαθηματικῆς, τίνες  τέ εἰσι καὶ ἐπὶ πόσον διατείνουσι καὶ πῶς ὑπάρχουσιν ἐπὶ τῆς  μαθηματικῆς οὐσίας, κατὰ τί τε διενηνόχασι τῶν ὁμωνύμων γενῶν,  ὅσα ἐπὶ τῶν νοητῶν λέγεται καὶ ἐπὶ τῶν αἰσθητῶν.    ιε΄ Πῶς διήκει ἡ ὅλη μαθηματικὴ ἐπιστήμη, αὐτή τε καὶ τὰ γένη  αὐτῆς καὶ τὰ στοιχεῖα καὶ ἀρχαί, εἰς ὅλην φιλοσοφίαν καὶ τὰ τῆς    LA SCIENZA MATEMATICA COMUNE 489    8. Quale sia il criterio di verità comune a tutte le matematiche?, e  come lo si possa scoprire partendo dalla linea sezionata, che ci tra-  mandano i Pitagorici.8    9. Di coloro che attribuiscono alle matematiche un'essenza deter-  minata: per prima viene presentata l’opinione di coloro che la fanno  risalire all'anima, e sono esposte le ragioni di una tale ipotesi che, a  loro dire, sono molteplici, e i punti di partenza che conducono alla  teoria generale sulle matematiche.    10. In che modo l’essenza dell'anima sia costituita da tutte le  matematiche, e secondo quale determinazione si potrebbe definire la  loro combinazione nell’anima, e se questa contenga in sé l’intera real-  tà di tutte le matematiche, o se si debba considerare anche un altro  principio di esse.    11. Quale sia l'operatività della teoria matematica e in che modo  si svolga, e perché, in accordo con tutto ciò, questa teoria sia denomi-  nata “matematica”.    [5] 12. Quali siano le potenze della scienza matematica, e quali  siano i loro ruoli, e secondo quante differenze esse si distinguano e in  quanti modi si possano concepire.    13. Quali siano gli elementi e i generi della scienza matematica, e  in che modo elementi e generi esistano sempre allo stesso modo, e in  che cosa essi si distinguano da quelli delle altre scienze e delle altre  realtà, sia del mondo intelligibile che di quello sensibile.9    14. Sulla somiglianza e la dissomiglianza proprie della matemati-  ca, e quali esse siano e fino a qual punto si estendano e in che modo  esistano nell’ambito della realtà matematica, e in che cosa esse diffe-  riscano dai generi omonimi,!° che si dicono relativamente agli intelli-  gibili e ai sensibili.    15. In che modo l’intera scienza matematica, cioè la matematica in  quanto tale e i suoi generi ed elementi e principi, si estenda alla filo-    490 GIAMBLICO    φιλοσοφίας μέρη, πῶς τε πρὸς αὐτὰ ἐπικοινωνεῖ Kai κατὰ τίνα συν-  τέλειαν.    ις΄ Πόσα ταῖς τέχναις συμβάλλεται ἀγαθά, ταῖς τε ὅλαις καθολικῶς  καὶ ταῖς κατὰ γένη διωρισμέναις, ὥσπερ ταῖς θεωρητικαῖς καὶ ποιη-  τικαῖς καὶ πρακτικαῖς, ἐν κεφαλαίῳ τε περὶ αὐτῶν διδασκαλία.    ιζ΄ Τίς ἡ τάξις τῆς ἐν τῇ μαθηματικῇ ἀγωγῆς, καὶ εἰ κατὰ φύσιν ἔχει  τάξιν καὶ πρὸς μάθησιν, καὶ εἰ συμφωνεῖ ἑκατέρα τάξις πρὸς  ἑκατέραν καὶ αἱ δύο πρὸς ἀλλήλας.    [6] ιη΄ Τίνες οἱ ἴδιοι τρόποι τῆς Πυθαγορικῆς παραδόσεως τῶν  μαθημάτων καὶ πῶς αὐτοῖς ἐχρῶντο καὶ πρὸς τίνας, καὶ ὅτι τὸ οἰ-  κεῖον προσέφερον ἀεὶ τοῖς τε πράγμασι καὶ τοῖς μανθάνουσι.    10° Διαίρεσις κατὰ τοὺς Πυθαγορείους τῆς ὅλης μαθηματικῆς  ἐπιστήμης εἰς γένη τε καὶ εἴδη τὰ κυριώτατα, κοινὴν περὶ αὐτῶν  ποιουμένη τὴν θεωρίαν.    κ΄ Τίς ἡ ὁριστικὴ τῆς μαθηματικῆς μέθοδος καὶ πῶς γιγνομένη, τί τε  ὄφελος εἰς ἐπιστήμην [10] συμβάλλεται, καὶ ὅτι τέλος ἔχει ἡ  μαθηματική, καὶ ποῖόν τι αὐτῆς ἐστι τέλος.    κα΄ Τίνες ἀρχηγέται τῆς κατὰ Πυθαγόραν μαθηματικῆς προηγήσαν-  το καὶ τίνα ἐξαίρετα κατ᾽ αὐτόν ἐστι τῆς τοιαύτης ἐπιστήμης, πῶς τε  δεῖ ἑπομένως αὐτῷ τὰς περὶ τῶν μαθημάτων διατάξεις ποιεῖσθαι,  κοινὴ διάληψις.    κβ΄ Τίς ἡ ἰδιάζουσα κατὰ Πυθαγόραν ἦν μελέτη τῆς μαθηματικῆς  ἐπιστήμης, καὶ πρὸς πόσα ἀπέβλεπε χρήσιμα τῇ ψυχῇ καὶ τοῖς  ἀνθρώποις, πῶς τε αὐτὴν [20] μετεχειρίζοντο παρ᾽ ὅλην τὴν οἰκείαν  ἑαυτῶν ζωήν.    LA SCIENZA MATEMATICA COMUNE 491    sofia nel suo complesso e alle sue parti, e che cosa abbia in comune  con queste parti della filosofia e quale sia il suo contributo.    16. Quanti beni l'insegnamento delle matematiche, anche se fatto  per sommi capi, arrechi alle arti, sia nel loro complesso generale, sia  nella loro distinzione per generi, come ad esempio in teoretiche, pro-  duttive e pratiche.!!    17. Quale sia il ruolo dell'istruzione matematica, e se essa ne pos-  sieda uno per natura!? e uno per l’apprendimento, e se ciascuno di  questi si accordi con l’altro e tutti e due tra di loro.    [6] 18. Quali fossero i metodi particolari dell’insegnamento pita-  gorico delle matematiche, e in che modo i Pitagorici si servissero di  essi e in rapporto a chi, e perché il loro proprio metodo fosse sempre  conveniente sia alle cose che essi insegnavano sia a coloro che le impa-  ravano.    19. Divisione, secondo i Pitagorici, dell'intera scienza matematica  nei suoi generi e nelle sue specie più importanti, divisione che produ-  ce la teoria comune delle matematiche.    20. Quale sia il metodo definitorio delle matematiche e in che  modo esso nasca, e quale vantaggio arrechi alla scienza, e perché la  matematica abbia un fine ultimo e di che natura sia questo suo fine  ultimo.    21. Chi siano i primi fondatori della matematica di Pitagora, e  quali siano le prerogative di tale scienza secondo lui, e in che modo  sul suo esempio bisogna ordinare le matematiche, e cioè quale sia la  loro comune classificazione.    22. Quale fosse secondo Pitagora lo studio specifico della scienza  matematica, e a quanti vantaggi per l’anima e per gli uomini esso  mirava, e come i Pitagorici lo esercitassero durante tutta la loro pro-  pria vita.    492 GIAMBLICO    xy Ὅτι οὐκ εἰκῇ oi Πυθαγόρειοι τὰ μαθήματα ἐπὶ πλεῖον  προῆγον, ἀλλὰ]! πρὸς τὸν βίον τῆς ἀναγκαίας χρήσεως, τίνες τε αἱ  τούτου αἰτίαι διὰ πλειόνων ὑπόμνησις.    κδ΄ Τίς ἦν ἡ συνήθεια ἐν τοῖς μαθήμασι τῆς [7] διατριβῆς τῶν  Πυθαγορείων, καὶ τίς ἡ ἐν ταῖς ἐπιστήμαις γυμνασία αὐτῶν καὶ  ἐξεργασία.    κε΄ Τίνες ἦσαν οἱ μαθηματικοὶ τῶν Πυθαγορείων καὶ κατὰ τί διέφε-  ρον τῶν ἀκουσματικῶν, τί τε ἦν αὐτῶν τὸ ἔργον καὶ ποῖόν τι τὸ  εἶδος τῶν λόγων καὶ τῶν ἀποδείξεων.    κς΄ ᾿Αντιλήψεις τῶν μαθημάτων ὡς οὐδενὸς ἀξίων ὄντων, καὶ ἀντι-  λογίαι πρὸς αὐτὰς ἀντιδιατάξεις τε διὰ πλειόνων.    [10] κζ΄ Τί ἀπαιτεῖν δεῖ παρὰ τοῦ μαθηματικοῦ τὸν ὄντως πεπαιδευ-  μένον, καὶ πῶς δεῖ κρίνεσθαι αὐτοῦ τὴν θεωρίαν, καὶ ἐκ τίνων ὅρων  τὴν ὀρθότητα περιλαμβάνεσθαι.    κη΄ Πότε μαθηματικῆς ἐστὶν ἢ ἄλλης ἐπιστήμης τὸ πρόβλημα ἢ ὁ  τρόπος τῶν ἀποδείξεων, διάκρισις ἐπιστημονική.    κθ΄ Περὶ τῶν μαθηματικῶν συλλογισμῶν καὶ τῶν μαθηματικῶν διαι-  ρέσεών τε καὶ ὁρισμῶν πῶς χρῆται αὐτοῖς ἡ μαθηματικὴ ἐπιστήμη,  πότερον κατὰ τὸν [20] οἰκεῖον τρόπον ἢ παρὰ διαλεκτικῆς λαμβά-  νουσα τὰς ἀρχάς.    λ΄ Ὅτι φιλοσοφίᾳ πάσῃ καὶ τοῖς μέρεσιν αὑτῆς ὅλοις μεγάλα συμ-  βάλλεται ἡ μαθηματικὴ ὑπουργοῦσα πρὸς πάντα αὐτῇ, καὶ μάλιστα  ἡ κατὰ τοὺς Πυθαγορείους, ἥτις πολὺ διαφέρει τῆς ἄλλης μαθηπ30,5  ματικῆς.    λα΄ Ὅτι τοῖς αὐτοῖς μαθήμασιν ἐπὶ πολλὰ πράγματα διάφορα    ἐχρῶντο οἱ Πυθαγόρειοι, καὶ [8] πλείονα μαθήματα τοῦ αὐτοῦ  πράγματος ἐποιοῦντο δηλωτικά, καὶ διὰ τίνας αἰτίας,    ! ho eliminato io per una congettura di Festa (cf. appar. ad loc.).    LA SCIENZA MATEMATICA COMUNE 493    23. Perché i Pitagorici non a caso promuovessero le matematiche  ancor pit delle cose necessarie alla vita, e quali fossero le ragioni di  ciò, e cioè soprattutto la reminiscenza.!    24. Quale fosse il costume dei Pitagorici [7] nel trattare le mate-  matiche, e come esercitassero le scienze matematiche in maniera pro-  duttiva.    25. Chi tra i Pitagorici fossero i Matematici e in che cosa differis-  sero dagli Acusmatici, e quale fosse la loro attività e di che tipo i loro  ragionamenti e le loro dimostrazioni.    26. Obiezioni contro le matematiche come cose degne di nessuna  considerazione, e confutazioni e dettagliate controargomentazioni a  tali obiezioni.    27. Quale reale preparazione culturale si debba esigere dal mate-  matico, e come si debba giudicare la sua dottrina teorica, e entro quali  confini si debba circoscrivere la sua correttezza.    28. Quando il problema o il modo di procedere nella dimostrazio-  ne appartengano alla matematica o ad altra scienza, cioè la differen-  ziazione tra le varie scienze.    29. Sui sillogismi matematici e le divisioni e le definizioni matema-  tiche: in che modo la scienza matematica se ne serva, e se lo faccia  secondo un modo suo proprio, oppure attingendo i suoi principi  dalla dialettica.    30. Perché la matematica dà un grande contributo alla filosofia  nella sua interezza e a tutte le sue parti, operando al suo servizio sotto  ogni riguardo, e soprattutto la matematica pitagorica, la quale differi-  sce molto dalla matematica non pitagorica.    31. Perché i Pitagorici si servissero di una medesima matematica  a proposito di molte cose diverse, e costruissero più [8] matematiche  per mostrare la medesima cosa, e per quali ragioni.    494 GIAMBLICO    λβ΄ Πῶς ἐνίοτε καὶ περὶ αἰσθητῶν μαθηματικῶς ἐπιχειροῦμεν καὶ  ποσαχῶς τοῦτο γίγνεται, καὶ πῶς ἐν τοῖς μαθήμασι πολλὰ εἰς ἄλλα  ἀνάγεται καὶ διὰ τίνας αἰτίας.    λγ΄ Τί τὸ κοινὸν ἐν ὅλῃ τῇ μαθηματικῇ ἐπιστήμῃ καὶ τὸ ἴδιον αὐτῆς  ἐστι κατὰ τὰς ἐν πολλοῖς εἴδεσι θεωρουμένας διαφοράς, ὅπως τε δεῖ  τέμνειν [10] αὐτὸ κατὰ τὴν διαιρετικὴν ἐπιστήμην ἀφ᾽ ἑνὸς ἐπὶ 33,5  δύο, εἶτα ἐπὶ πλείονα εἴδη.    λδ΄ Πόθεν ὠνόμασται ἡ τῶν μαθημάτων ἐπιστήμη καὶ τίς αὐτῆς ὁ  χαρακτήρ, τίσι τε δεῖ προσέχειν ἐν τῷ τὸ εἰδος τῶν μαθημάτων ἐπι-  κρίνειν.    λε΄ ᾿Ανακεφαλαίωσις τοῦ κοινοῦ λόγου περὶ πάντων τῶν μαθημάτων,  τῆς τε τάξεως τῶν κεφαλαίων παράδειξις, καὶ ὑπόμνησις ἅμα καὶ  περὶ τοῦ ὀρθῶς διῃρῆσθαι τὴν ὅλην αὐτῶν σύνοψιν.    [9] IAMBAIXOY ΧΑΛΚΊΔΕΩΣ  THX KOIAHX ΣΥΡΙΑΣ    ΠΕΡῚ ΤΗΣ ΚΟΙΝΗΣ MAOHMATIKHX ΕΠΙΣΤΗΜΗΣ  ΛΟΓΟΣ Γ΄    1. Ἢ μὲν πρόθεσις τῆς παρούσης ἐπισκέψεως τὴν κοινὴν βούλε-  ται τῶν μαθημάτων θεωρίαν παραδεῖξαι, τίς ἐστιν ἡ ὅλη καὶ τίνα  ἔχει μίαν αἰτίαν καὶ οὐσίαν πρεσβυτάτην προηγουμένην, μετὰ μίαν  δὲ δύο εἴ πως εἰσὶν ἀρχαὶ ταύτης ἐπισκεψόμεθα, καὶ μετὰ ταύτην  τὴν διχοτομίαν εἴ τις ἐστὶν ἀριθμὸς ὡρισμένος τῶν ἐν [10] αὐτοῖς  γενῶν πειρασόμεθα ἀπολογίζεσθαι μετ᾽ ἐπιστημονικῆς τινος διαι-  ρέσεως: καὶ τότε δὴ τὰ κοινὰ εἴδη τῶν μαθημάτων πάντων ἐπισκε-  ψόμεθα κατὰ κοινήν tiva ἐπιβολήν, μηδέπω τῶν καθ᾽ ἕκαστον  θεωρημάτων ἐφαπτόμενοι. καθ᾽ ἕκαστον δὲ τῶν εἰρημένων παραδεί-  ἕομεν τὴν οὐσίαν περὶ ἣν ἕκαστον γένος καὶ εἶδος τῶν μαθηματικῶν    LA SCIENZA MATEMATICA COMUNE 495    32. In che modo qualche volta noi indaghiamo con metodo mate-  matico anche sui sensibili, e in quanti modi lo facciamo, e in che  modo nelle matematiche molte cose sono ricondotte ad altre e per  quali ragioni.    33. Quale sia la parte comune dell’intera scienza matematica e  quale quella particolare secondo le differenze osservate nelle sue mol-  teplici specie, e in che modo bisogna dividere quest’ultima secondo la  scienza dieretica,!4 dividendo cioè l’unico genere comune prima in  due, e poi in molte specie.    34. Donde riceva la sua denominazione la “scienza delle matema-  tiche”, e quale sia la sua natura, e a quali criteri bisogna attenersi nel  giudicare la specificità delle matematiche.    35. Ricapitolazione del discorso comune su tutte le matemati-  che, e presentazione dell’ordine dei capitoli, e al contempo richiamo  della corretta divisione del joro quadro complessivo.    Giamblico di Calcide in Celesiria    La Scienza Matematica Comune  Terzo libro <della Sura pitagorica>.    [9] 1. L'intenzione della presente ricerca è di volere presentare la  teoria comune delle matematiche: noi indagheremo quale essa sia nel  suo complesso e quale unica origine e quale essenza prioritaria, per-  ché la più anziana <fra quelle delle singole scienze matematiche>,  essa abbia, e se, dopo quest’unica origine, siano in qualche modo due  i principi di tale teoria, e dopo questa dicotomia tenteremo di rende-  re conto con una divisione scientifica se nelle matematiche ci sia un  numero determinato di generi;!5 e a quel punto esamineremo le forme  comuni di tutte le matematiche secondo una loro comune rappresen-  tazione, senza toccare ancora i singoli teoremi. Presenteremo di cia-  scuna di tali forme comuni l’essenza a cui inerisce ciascun genere o    496 GIAMBLICO    ἐνυπάρχει, τίς TÉ ἐστιν ἡ τούτων συντέλεια πρὸς τὸ πᾶν καὶ ἡ πρὸς  ἄλληλα σύνταξις οὐ παρήσομεν εἰπεῖν, τίς τε αὐτοῖς καὶ πόθεν ἡ  συγγένεια ἐφήκει, καὶ ἀπὸ τίνων συνδεῖται ἀρχῶν, εἰς [20] τίνας τε  ἀνάγεται τὰς πρεσβυτέρας ἑαυτῆς αἰτίας, καὶ πῶς ἄν τις αὐτῶν ἐπι-  τυχεῖν δυνηθείη, τί τε χρήσιμός ἐστιν ἡ πραγματεία καὶ πρὸς πόσα  ἀγαθὰ ὁδηγεῖ, καὶ ὅτι καθ᾽ αὑτήν τέ ἐστιν αἱρετὴ καὶ διὰ τὰς [10]  παραγινομένας dr’ αὐτῆς ἐπιστήμας, καὶ ὅτι πρὸς πᾶσαν φιλοσοφί-  αν περιάγει τὴν διάνοιαν καὶ πρὸς πᾶσαν τὴν περὶ τῶν ὄντων καὶ  νοητῶν ἐπιστήμην. τὰ μὲν οὖν προκείμενα ἡμῖν ἐστι τοσαῦτα ἐν  τούτῳ τῷ βιβλίῳ διελθεῖν, ἀρξώμεθα δὲ ἀπὸ τοῦ πρώτου ἄνωθεν  ἀναλαβόντες.   Κοινῇ δὴ περὶ πάντων τῶν μαθημάτων ἀξιώματα ἡμῖν προκείσθωΣ  ταῦτα' ὡς ἔστιν ἀσώματα καὶ καθ᾽ ἑαυτὰ ὑφεστηκότα, τῶν τε ἀμε-  ρίστων οὐσιῶν καὶ τῶν [10] περὶ τὰ σώματα μεριστῶν μέσα, εἰδῶν  τε καὶ λόγων, τὴν μεταξὺ τοῦ τε ἀμεροῦς καὶ τοῦ μεριστοῦ τάξιν  εἰληχότα, καὶ τῶν μὲν ὄντα καθαρώτερα τῶν δὲ ποικιλώτερα, συν-  θέσει μὲν καὶ διαιρέσει χρώμενα, ἀγενήτως δὲ καὶ ἀιδίως τὸ συν-  τιθέμενον καὶ διαιρούμενον ἐπισκοπούμενα, τῶν μὲν νοητῶν οὐ-  σιῶν καταδεέστερα ὄντα, τῶν δὲ ἐν τῇ φύσει πρότερα, κάλλει τε  καὶ τάξει καὶ ἀκριβείᾳ προέχοντα τῶν ὁρατῶν, ἀπολειπόμενα δὲ  τῶν νοητῶν, συμμετρίᾳ τε ὡσαύτως καὶ ὁμολογίᾳ μέσῃ χρώμενα, δύ-  ναμίν τε ἔχοντα διαπορθμεύειν καὶ [20] διαβιβάζειν ἐπὶ τὰ ἀμέρι-  στα εἴδη, ἅτε συγγενῆ πρὸς αὐτὰ ὑπάρχοντα, καὶ τῶν μὲν σωμάτων  ἀπάγοντα τοὺς συνήθεις πρὸς αὐτὰ γιγνομένους, περιάγοντα δὲ ἐπὶ  τὰς θείας οὐσίας ὥσπερ διά τινος κλίμακος ἀναγούσης ἐπὶ τὸ ὕψος.  δεῖ δὴ θεωρεῖν οὐκ ἀφ᾽ ἑνὸς μόνου [11] γένους τῶν ὄντων καθήκου-  σαν εἰς ταῦτα δευτέραν τῆς ἀσωμάτου! οὐσίας δόσιν, ἀλλ᾽ ἀπὸ  πάντων ὅσα ποτέ ἐστιν ἐν τῷ ὄντως ὄντι καὶ τῷ νῷ γένη᾽ κάτεισι γὰρ  ἀπὸ πάντων τούτων εἰς τὰς μεταξὺ φύσεις τῶν μαθημάτων ἡ μεσότης  τῶν τε αἰτίων καὶ τῶν ἀποτελουμένων ὑπ᾽ αὐτῶν, συνάπτει TE τὰ  γιγνόμενα πρὸς τὰ ὄντα καὶ κοινωνίαν αὐτῶν πρὸς ἄλληλα ἀπεργά-  ζεται. τοσαύτης δὴ οὖν οὔσης «τῆς. τῶν μαθημάτων θεωρίας καὶ  οὕτως ἐπὶ πάντα διατεινούσης, ἣ μαθηματικὴ [10] ἐπιστήμη γνῶσίς    2 προκείσθω ho scritto io seguendo la /ectio di un apogr. del cod. F (cf.  appar. ad loc.): προσκείσθω.   } ἀσωμάτου congetturò Vitelli: «τῶν» ἀσωμάτων congetturò Pistelli (cf.  ed. Festa in Add. et Corr): ἀσωμάτων Festa.    LA SCIENZA MATEMATICA COMUNE 497    specie delle matematiche. E non tralasceremo di dire quale sia il con-  tributo di queste forme rispetto all'intero, e quale la loro reciproca  sistemazione, e quale sia e da dove derivi il loro apparentamento, e da  quali principi esse siano tenute insieme, e a quali loro superiori cause  esse si riferiscano, e come si possano raggiungere tali cause, e di quale  utilità sia la loro trattazione e a quanti beni questa conduca, e perché  tale teoria comune sia desiderabile sia per se stessa che attraverso  [10] le scienze che da essa provengono, e perché conduca la ragione  verso l’intera filosofia e verso l’intera scienza degli enti anche intelli-  gibili. Tali sono dunque gli obiettivi che vogliamo conseguire in que-  sto libro, ma cominceremo dal primo, cioè dall’alto.   In generale, a proposito di tutte le matematiche, dobbiamo pre-  mettere i seguenti assiomi: gli enti matematici sono incorporei e in sé  sussistenti, e intermedi tra le essenze indivisibili e quelle divisibili nei  corpi, nonché tra le idee e i concetti, e hanno avuto in sorte un posto  intermedio, tra ciò che è privo di parti e ciò che è diviso in parti, e  delle essenze divisibili sono più puri, mentre di quelle indivisibili  sono più variegati, e le matematiche da un lato si servono della com-  posizione e della divisione, dall'altro lato esaminano sotto un aspetto  non empirico ed eterno ciò che è composto e diviso, e da un lato sono  inferiori alle essenze intelligibili, dall'altro lato superiori agli enti  naturali, e superano le cose visibili per bellezza e ordine e precisione,  pur essendo inferiori agli intelligibili, e si servono allo stesso modo  della simmetria e della funzione di raccordo proprie delle cose inter-  medie, e hanno il potere di fare passare e condurre alle forme indivi-  sibili,16 in quanto sono ad esse congeneri, e da un lato allontanano dai  corpi coloro che con questi sono entrati in dimestichezza, e dall’altro  lato conducono alle essenze divine come per mezzo di una scala che  porti al punto più alto possibile.!? Bisogna poi tenere conto che [11]  agli enti matematici spetta una seconda attribuzione di essenza incor-  porea!8 derivante non da un solo genere di enti, ma da quanti generi  esistano mai nel vero essere!? e nell’intelletto:20 infatti la posizione  intermedia tra le cause e i loro effetti discende alle nature delle mate-  matiche da tutti questi generi, ed esse congiungono i fenomeni con gli  enti e operano la loro reciproca comunanza. Essendo, dunque, di tale  portata la teoria delle matematiche e cosî estesa su ogni cosa, la scien-  za matematica è conoscenza intermedia, in quanto è più composita di    498 GIAMBLICO    ἐστι μέση, πλεονάζουσα τοῦ νοῦ τῇ συνθέσει, διανοητική τις οὖσα,  πολλὰ ἐν ταὐτῷ συλλαμβάνουσα, διεξόδοις τισὶ χρωμένη μᾶλλον  καὶ ἀνελίξεσιν, εἴδεσί τε καὶ λόγοις μέσοις καὶ οὐ πάντῃ πεπερα-  σμένοις, ἀλλὰ περὶ τὸ ἄπειρον ἀφορίζουσι τὸ πέρας, σαφήνειάν τε  ἐν τοῖς μὴ πάνυ γνωρίμοις παρεχομένοις.    2. Τοιαύτης δὴ οὖν οὔσης τῆς ἐπιστήμης, ληπτέον αὐτὴν σωμάτων  ἀφισταμένους καὶ γενέσεως, φαντασιῶν τε καὶ αἰσθήσεων καθα-  ρεύοντας, συνεθιζομένους τε τοῖς καθ᾽ αὑτὰ ἀσωμάτοις καὶ τῇ  μελέτῃ τῶν λόγων [20] συνεχεῖ χρωμένους. τὸν δὲ ὅρον αὐτοῖς ἐπι-  τιθέναι ἄξιον ἀπὸ τῆς τῶν ὄντων ἐπιστήμης καὶ τῆς καθαρᾶς νοή-  σεῶς τῶν τε καθαρῶν λόγων καὶ τῶν ἀύλων εἰδῶν καὶ τῆς πεπερα-  σμένης τῶν νοητῶν ἀληθείας: ἀπὸ γὰρ τούτων ἄν τις τὸ τέλειον καὶ  εἰλικρινὲς προσλάβοι τῆς ἐν αὐτοῖς εἰδήσεως. διατείνει δὲ ἐπὶ πά-  ντα ὅσα μέσα ἐστὶ γένη τε καὶ εἴδη τῶν ὄντων, ὅσα τε ἐν ἀριθμοῖς  ὠρισμένοις περιείληπται, καὶ ὅσα πρόεισιν ὡρισμένως κατά τινας  εἰδητικὰς διαφοράς. καὶ τὰ μὲν ἐπὶ τὸ πρόσω προχωρεῖ εἰς ὕψος τε  ἄνεισι, τὰ δὲ τοῖς [12] ὑποδεεστέροις καὶ κατωτέρω πελάζει, τὰ δ᾽  ἐν μέσῳ τούτων ὄντα συνάπτει τὰ ἄκρα. γένη δὲ αὐτῶν καὶ εἴδη  κατὰ πάντα ταῦτα διοριστέον, καὶ ἔτι τὰ μὲν ὡς καθ᾽ αὑτά, τὰ δὲ ὡς  πρὸς ἕτερα διαιρετέον' καὶ κατὰ τὰς τοῦ ποσοῦ δὲ διαφορὰς  ὑποληπτέον αὐτῶν τὴν διάκρισιν, καὶ κατὰ τὰς τῶν λόγων τῶν μέσων  καὶ εἰδῶν διαιρέσεις καὶ τὰ μὲν πρότερα αὐτῶν, τὰ δὲ ὕστερα  ὑποθετέον, ὅπως ἂν αἱ φύσεις ἔχωσι τὸ πρὸς ἀλλήλας τεταγμένον.  δύναται δέ τις καὶ κατὰ τὰς δυνάμεις τῆς [10] ψυχῆς τὰς γνωριστι-  κάς, ὅσαι μέσαι εἰσὶ καὶ διανοητικαί, συλλογίζεσθαι αὐτῶν τὴν  ἑτερότητα, ὥσπερ καὶ ᾿Αρχύτας φαίνεται ποιῶν ἐν τῇ τῆς γνωρι-  στικῆς γραμμῆς τομῇ. τοιαύτη τις ἔστω ὡς ἐν τύποις ὑπογράψαι i  πρώτη περίληψις τῆς κοινῆς περὶ μαθημάτων θεωρίας, τὰ δὲ  ἐντεῦθεν ἄνωθεν ἀναλαβόντες πειραθῶμεν καθ᾽ ἕκαστον ἐπελθεῖν  τὰ ἤδη προειρημένα προβλήματα.    3. Κοινῶς δὴ περὶ πάντων τῶν μαθημάτων ἀφορισώμεθα τίνες τῆς  μαθηματικῆς οὐσίας εἰσὶν ἀρχαί᾽ [20] ἐπειδὴ γὰρ πᾶσα ἐπιστήμη  παραγίνεται διὰ τῶν οἰκείων ἀρχῶν, καὶ τῆς μαθηματικῆς οὐσίας    LA SCIENZA MATEMATICA COMUNE 499    quella dell’intelletto, essendo una conoscenza dianoetica, e riunisce  molte cose in una medesima cosa, e si serve, più che l'intelletto, di  procedimenti discorsivi ed esplicativi, e di forme e concetti intermedi  e assolutamente non limitati, bensi capaci di determinare il limite nel-  l’illimitato, e fornire chiarezza in cose che si presentano nient’affatto  di comune dominio.    2. Essendo, dunque, tale la scienza <matematica>, bisogna assu-  merla tenendosi lontani dai corpi e dal divenire, purificati da imma-  ginazioni e da sensazioni, e familiarizzati con gli incorporei in sé e che  fanno uso continuo dello studio dei concetti. E’ opportuno poi che gli  enti matematici siano distinti rispetto alla scienza degli enti?! e alla  pura intellezione?2 e ai puri concetti e alle forme immateriali e alla  verità ben definita degli intelligibili, perché da tutto ciò si potrà  acquisire il perfetto e genuino sapere che essi contengono. Essi si  estendono a tutti quanti i generi e le specie degli enti intermedi, sia a  quelli che sono compresi in numeri determinati, sia a quelli che pro-  cedono in modo determinato secondo certe differenze specifiche. E  alcuni avanzano oltre e si innalzano al punto supremo, altri [12] si  avvicinano alle cose inferiori e più basse, altri, infine, stando nel  mezzo, congiungono gli estremi. Bisogna poi determinare sulla base  di tutto ciò i loro generi e le loro specie, e ancora distinguere ciò che  è in sé da ciò che è per altro; e bisogna intendere questa loro distin-  zione secondo le differenze del quanto e secondo le divisioni dei rap-  porti e delle specie intermedi; e bisogna stabilire i loro termini prima-  ri e secondari, affinché le nature siano fra loro ordinate. È possibile  calcolare la loro diversità anche sulla base delle potenze conoscitive  dell'anima, che sono intermedie e dianoetiche, come anche Archita  sembra fare nella divisione della linea sezionata della conoscenza.?  Tale dev'essere, per fare una sommaria descrizione, la prima com-  prensione della teoria comune delle matematiche, e riprendendo il  discorso di qui, cioè dall'alto, noi cercheremo di affrontare, su cia-  scun punto, i problemi di cui abbiamo già parlato.24    3. In generale, a proposito di tutte le matematiche, noi definire-  mo quali siano i principi della realtà matematica: poiché, infatti, ogni  scienza si riconosce attraverso i suoi propri principi, anche della real-    500 GIAMBLICO    ἀρίστη dv γένοιτο ἡ ἐντεῦθεν ὁρμωμένη εἴδησις. ὅτι μὲν οὖν τὸ  πεπερασμένον καὶ ἄπειρον ἀρχαί εἰσι πάντων τῶν μαθημάτων καὶ  πάσης μαθηματικῆς οὐσίας, παντὶ δῆλον, ὡς δοκεῖ τοῖς  Πυθαγορείοις: ἀλλὰ τούτων ἑκάτερον οὐχ ἕνα λόγον οὐδ᾽ ἐπὶ πάσης  οὐσίας τὸν αὐτόν, ἀλλ᾽ ἐπὶ μὲν [13] τῶν νοητῶν εἰδῶν καὶ τῶν ἀύλων  λόγων ἄλλαι εἰσὶν αἱ τοιαῦται ἀρχαί, νοηταί te πάντῃ καὶ ἄυλοι  καὶ καθ᾽ ἑαυτὰς οὖσαι ἀμέριστοι, ἐπὶ δὲ τῶν μαθημάτων πλήθους  καὶ μεγέθους, διαιρέσεώς τε καὶ διαστάσεως ἔσονται αἰτίαι,  μεριστῆς τε φύσεως μεθέξουσι καὶ οἰκεῖα γένη λήψονται τὰ προ-  σήκοντα τοῖς ὅλοις μαθήμασι, συνθέσεώς τε μεταλήψονται καὶ κρι-  θήσονται διανοήσει ἑτέρᾳ οὔσῃ παρὰ τὴν κρίνουσαν δύναμιν τὰς  ἁπλᾶς καὶ ἀμερίστους καὶ νοερὰς οὐσίας. κίνησιν δὲ ταῖς [10]  ἀρχαῖς ταύταις τῶν μαθημάτων ἔνιοι μὲν ἴσως δώσουσιν, ὅσοι ἐν τῇ  ψυχῇ καὶ ταῖς τῆς ψυχῆς ζωαῖς καὶ δυνάμεσι τὰς ἀρχὰς ταύτας  ὑποτίθενται, βέλτιον δὲ τὴν μὲν ψυχὴν ἐν ἑτέρῳ γένει τῆς οὐσίας  τιθέναι, τὰς δὲ μαθηματικὰς ἀρχὰς καὶ τὴν μαθηματικὴν οὐσίαν  ἀκινήτους ὑπολαμβάνειν᾽ ἕστηκέ τε γὰρ αὐτῶν ἀεὶ τὰ εἴδη καὶ  ὡσαύτως αὐτὰ θεωροῦμεν καὶ κατὰ τὰ αὐτά. μέσαι δή τινες οὖν εἰ-  σιν αὗται αἱ ἀρχαὶ τοῦ τε ἀπείρου καὶ τοῦ πέρατος, κρατούσης ἀεὶ  τῆς τοῦ πέρατος ἰδέας τοῦ ἀπείρον καὶ περιοριζούσης αὐτὴν ἐν  ἑαυτῇ: [20] διὸ καὶ πρόεισι μὲν ἐπὶ τὸ ἄπειρον ἀεί, ὁρίζεται δὲ ὑπὸ  τοῦ περαίνοντος. τῶν μὲν οὖν ἐν τῷ νῷ ὑπαρχόντων διαφέρουσιν  αἵδε αἱ ἀρχαὶ τῷ διαιρέσεως καὶ πλήθους καὶ μεγέθους καὶ συνθέ-  σεως ἐνδιδόναι τὴν αἰτίαν ἀφ᾽ ἑαυτῶν, τῶν δὲ τῆς φύσεως καὶ τῶν  τῆς ψυχῆς λόγων χωρίζονται τῷ τε ἀκίνητοι εἶναι καὶ διότι τῶν  μεταξὺ τεταγμένων μέσων ἀσωμάτων καθ᾽ ἑαυτὰς ὑπάρχουσι κεχ-  ὡρισμέναι τῆς ὕλης, αἱ δὲ καὶ τῆς ὕλης ἐφάπτονται. [14] ὅτι μὲν οὖν  διαφέρουσι τῶν ἄλλων αἰτίων, ἐκ τούτων ἄν τις πεισθείη. τὴν δὲ  κοινότητα αὐτῶν τὴν ἐπὶ πάντα διατείνουσαν ἀπό τε τῆς μεσότητος  τῆς ἁπλῶς οὕτω νοουμένης ὑποληπτέον, καὶ ἀπὸ τῆς ὑποδεεστέρας  φύσεως τῶν ἀμερίστων καὶ νοητῶν εἰδῶν, πρεσβυτέρας δὲ τῶν περὶ    LA SCIENZA MATEMATICA COMUNE 501    tà matematica la migliore conoscenza sarà quella che prende spunto  di qui, cioè dai suoi principi. E, dunque, assolutamente evidente che,  come pensano i Pitagorici, i principi di tutte le matematiche e di ogni  realtà matematica siano il “limitato”26 e l’ “illimitato”: ma ambedue  questi principi non hanno un'unica definizione né sono la stessa cosa  in ogni realtà, bensi [13] tali principi sono diversi a seconda che si  riferiscano alle forme intelligibili e ai rapporti immateriali, dove  saranno assolutamente intelligibili e immateriali e in se stessi indivisi-  bili, oppure alle matematiche, dove saranno cause di quantità nume-  rica e di grandezza, e di divisione e di estensione, e parteciperanno  della natura divisibile e assumeranno come loro propri generi?” quel-  li che convengono alle matematiche nel loro complesso, e partecipe-  ranno della composizione e saranno giudicati in virtà di un atto di  conoscenza razionale che è diverso dalla facoltà che giudica le realtà  semplici e indivisibili e intellettive. Taluni,28 forse, attribuiranno  movimento a questi principi delle matematiche, e sono coloro che  suppongono che tali principi siano nell’anima e nei suoi aspetti vitali  e nelle sue facoltà, ma è meglio collocare l’anima in un diverso gene-  re di realtà, e concepire i principi della matematica e la realtà mate-  matica come privi di movimento: e infatti le loro forme sono eterne e  noi le vediamo sempre allo stesso modo e per se stesse. Esistono certo  alcuni di questi principi che sono intermedi tra l’illimitato e il limite,  anche se l’idea dell’illimitato prevale sempre su quella del limite per-  ché la contiene in sé; ed è per questo che essa da un lato procede sem-  pre all’infinito, e dall’altro lato è determinata da ciò che la limita. Da  un lato dunque questi principi differiscono dalle cose che esistono  nell’intelletto per il fatto che forniscono da se stessi la causa della divi-  sione e della quantità numerica e della grandezza e della composizio-  ne, dall'altro lato sono separati dalla natura e dai principi razionali  dell'anima sia perché sono privi di movimento, sia perché, tra gli  incorporei che occupano un posto mediano, ci sono quelli che esisto-  no per se stessi separati dalla materia, mentre ce ne sono di quelli che  sono a contatto con la materia. Da tutto ciò si può desumere la con-  vinzione [14] che sono cause diverse dalle altre, Il fatto poi che la loro  comunanza si estenda su tutto, si può desumere, sia perché il loro  stato di enti intermedi è pensato in modo puro e semplice, sia perché  la loro natura è da un lato inferiore a quella delle forme indivisibili e    502 GIAMBLICO    τὰ σώματα μεριστῶν. καὶ εἰ λόγους δέ τις λαμβάνοι, καὶ ταύτην τὴν  κοινότητα αὐτῶν ἐν τοῖς λόγοις θεωρητέον. καὶ τὴν ἀοριστίαν δὲ  ὡσαύτως κοινῶς ἐπὶ πάντα διατείνουσαν ὑποθετέον. Ei τέ τινες  ὑποδοχαὶ νοοῦνται τῶν [10] μαθηματικῶν εἰδῶν, κοινὰς ταύτας ἀπο-  λιπεῖν ἄξιον πάσης τῆς ἐν τοῖς μαθήμασι θεωρουμένης πολυειδοῦς  συστάσεως: οὕτω γὰρ ἄν τις τὴν κοινότητα αὐτῶν κατανοήσειε, δύ-  σληπτον μὲν οὖσαν νοῆσαι ὥστε αὐτὴν ἑνὶ λογισμῷ περιλαβεῖν, διὰ  τὸ ἐν πολλοῖς καὶ διαφέρουσιν ἐνυπάρχειν, μόλις δ᾽ ἂν οὕτως ἐπι-  νοηθῆναι δυναμένην. τοσαῦτα μὲν οὖν καὶ περὶ τῶν κοινῶν ἡμῖν  διωρίσθω.    4. Εἰ δὲ δεῖ καὶ τὰς ἰδίας ἀρχὰς καθ᾽ ἕκαστον τῶν μαθημάτων  ἀφορίσασθαι, τίνες τέ εἰσι καὶ ὁποῖαι [20] καὶ τίνα ἔχουσαι τὴν  καθ᾽ αὑτὰς ἰδιότητα καὶ τὴν πρὸς ἀλλήλας διαφορὰν καὶ τὴν πρὸς  ἁπάσας τὰς ἄλλας ἀρχὰς πάντων τῶν ὄντων, καιρός ἐστιν ἤδη καὶ  περὶ τούτων διελθεῖν. πάντων δὲ ἄριστον, ἐπεὶ τάξις τίς ἐστιν ἐν  αὐτοῖς, καὶ τὰ μὲν ὡς πρότερα προηγεῖται οὐ τῇ τάξει μόνον ἀλλὰ  καὶ τῇ φύσει (συναναιρεῖ μὲν γὰρ οὐ συναναιρεῖται δέ, καὶ συνε-  πιφέρει μὲν οὐ συνεπιφέρεται δέ), [15] τὰ δὲ ἐν ἀμφοτέροις τούτοις  ἀπολείπεται πρεσβείᾳ καὶ ἁπλότητι, τούτων δὴ ἕνεκα καὶ ἡμῖν προ-  σήκει τῇ κατὰ φύσιν αὐτῶν τάξει συνακολουθῆσαι, καὶ πρῶτον μὲν  εἰπεῖν περὶ τῶν πρώτων, ἔπειθ᾽ οὕτω περὶ τῶν ἄλλων.   Τῶν δὴ ἀριθμῶν «καὶ πάντων»" τῶν μαθηματικῶν δύο τὰς πρωτίστας  καὶ ἀνωτάτω ὑποθετέον ἀρχάς, τὸ ἕν (ὅπερ δὴ οὐδὲ ὄν πω δεῖ  καλεῖν, διὰ τὸ ἁπλοῦν εἶναι καὶ διὰ τὸ ἀρχὴν μὲν ὑπάρχειν τῶν  ὄντων, τὴν δὲ ἀρχὴν μηδέπω [10] εἶναι τοιαύτην οἷα ἐκεῖνα ὧν ἐστιν  ἀρχή), καὶ ἄλλην πάλιν ἀρχὴν τὴν τοῦ πλήθους, ἣν καὶ διαίρεσιν  οἷόν τ᾽ εἶναι καθ᾽ αὑτὸ παρέχεσθαι, καὶ διὰ τοῦτο ὑγρᾷ τινι παντά-  πασι καὶ εὐπλαδεῖ ὕλῃ, προσηκόντως εἰς δύναμιν παραδεικνύντες,  ἀποφαίνοιμεν ἂν ὁμοίαν εἶναι" ἐξ ὧν ἀποτελεῖσθαι, τοῦ τε ἑνὸς καὶ  τῆς τοῦ πλήθους ἀρχῆς, τὸ πρῶτον γένος, ἀριθμῶν ἐξ ἀμφοτέρων  τούτων μετά τινος πιθανῆς ἀνάγκης συντιθεμένων. καὶ χρὴ καθ᾽    4 καὶ sospettò Vitelli: κατὰ.  5 l'integrazione è di Festa (cf. Ind. verb. p. 112 τιν. ἀριθμός).    LA SCIENZA MATEMATICA COMUNE 503    intelligibili, e dall’altro lato superiore a quella delle forme divisibili  nei corpi. E se si prendono in esame i rapporti, anche in essi si può  osservare questa loro comunanza. E bisogna ritenere la loro indeter-  minatezza allo stesso modo estesa comunemente su tutto. E se alcuni  principi sono concepiti come ricettivi delle forme matematiche, è  opportuno abbandonare l’idea che queste siano quelle comuni a tutto  il multiforme sistema delle matematiche: chi, infatti, penserà in que-  sto modo la loro comunanza, da un lato difficilmente la penserà in  modo da comprenderla con un unico ragionamento,!? per il fatto che  esiste in cose molteplici e diverse, dall’altro lato difficilmente potreb-  be cosî essere rappresentata alla mente. Sono tante, dunque, le distin-  zioni che dobbiamo fare a proposito degli aspetti comuni delle mate-  matiche.    4. Se bisogna poi definire anche i principi propri di ciascuna  scienza, e quali essi siano e di che natura, e quale proprietà essi pos-  siedano per se stessi e quale differenza ci sia tra loro e in rapporto a  tutti i principi di tutti gli enti,?0 è il momento ormai di passare a trat-  tare anche questo argomento. Ma la cosa migliore da fare è che, dal  momento che c’è un ordine gerarchico tra questi principi, e alcuni, in  quanto primi, precedono?! non soltanto per il posto che occupano,  ma anche per la loro natura (infatti escludono, ma non sono esclusi, e  d’altra parte implicano, ma non sono implicati) 2 [15] altri sono infe-  riori per dignità e semplicità sotto ambedue tali aspetti, cioè il posto  e la natura, allora per tutto questo ci conviene seguire il loro ordine  secondo natura, e parlare prima di quelli primari, e poi degli altri.   Orbene, bisogna partire dal presupposto che i principi assoluta-  mente primi e sommi dei numeri e di tutti gli enti matematici sono  due: uno di essi è l'uno (di cui non si può dire in nessun modo che è  ente, per il fatto che esso è semplice e perché è principio degli enti, e  il principio non è mai della stessa natura delle cose di cui è principio);  l’altro è a sua volta il molteplice, il quale è capace, per quel che è in  se stesso, di fornire la divisione, e perciò, se ce lo rappresentiamo in  modo conveniente, per quanto possiamo, potremo assimilarlo a una  materia assolutamente umida e duttile.33 Da questi due principi, cioè  l’uno e il molteplice, si produce il primo genere [sc. il numero], essen-  do i numeri composizione di questi due principi, accompagnata da    304 GIAMBLICO    ἕκαστον ἐπεξιόντα τῶν ἀριθμῶν διαίρεσιν μὲν ἅπασαν λέγειν  ἅπαντι ἀριθμῷ καὶ μέγεθος ὡς [20] καθόλου εἰρῆσθαι ταύτην τὴν  φύσιν παρέχεσθαι, τὸ δὲ ποιὸν εἶναι ἕκαστον αὐτῶν, ἔτι δὲ  ὡρισμένον καὶ ἕν, τὴν ἀδιάφορον καὶ ἄτμητον ἀρχὴν ἐπισφραγιζο-  μένην ἀποτυποῦν. κακὸν δὲ ἢ αἰσχρὸν τὸ τοιοῦτον οὐ προσῆκον  ἴσως ἐστὶ τιθέναι, ᾧ συμβαίνει μεγέθους τε καὶ διαιρέσεως, ἔτι δὲ  αὔξης, καθ᾽ ἑαυτὸ αἰτίῳ εἶναι᾽ οὔτε γὰρ ἐν τοῖς ἄλλοις τὸ τοιοῦτο  γένος εἰς κακὴν μοῖραν εἰώθαμεν τιθέναι, ἔστιν ὅτε δὲ τοῦ μεγαλο-  πρεποῦς καὶ ἐλευθερίου μετὰ ποιότητος συμπλεκόμενόν τινος τὸ  μέγα αἴτιον λέγοιμεν ἂν ἴσως ἀληθεύοντες" [16] ὥστε πολλοῦ δέον  ἂν εἴη κακὸν προσαγορεύεσθαι αὐτό. εἰ γὰρ δὴ καὶ τὴν τοῦ ἑνός τις  φύσιν ἐπαινῶν τυγχάνοι δι᾽ αὐτάρκειάν τε καὶ τὸ καλῶν τινων ἐν  τοῖς ἀριθμοῖς αἴτιον εἶναι, πῶς οὐκ ἄλογον ἂν εἴη λέγειν τὸ κακὸν  ἢ τὸ αἰσχρὸν δεκτικὸν κατὰ φύσιν τοῦ τοιούτου πράγματος εἶναι;  οὐ γὰρ ἂν ἔτι πάντῃ συμβαίνοι ψεκτὸν εἶναι τὸ κακὸν καὶ τὸ αἰ-  σχρύν, εἴπερ τὸ δεκτικόν τινος ἐπαινετοῦ καὶ αὐτὸ δεῖ ἐπαινετὸν  προσαγορεύειν. αὕτη μὲν οὖν οὕτως ἡμῖν νοείσθω [10] ἀρχή. τὸ δὲ  ἕν οὔτε καλὸν οὔτε ἀγαθὸν ἀξιον καλεῖν, διὰ τὸ καὶ τοῦ καλοῦ καὶ  τοῦ ἀγαθοῦ ὑπεράνω εἶναι προϊούσης γὰρ πορρωτέρω ἀπὸ τῶν ἐν  ἀρχῇ τῆς φύσεως πρῶτον μὲν τὸ καλὸν ἐφάνη, δεύτερον δὲ καὶ  μακροτέραν ἀπόστασιν ἐχόντων τῶν στοιχείων τἀγαθόν. ἡ τοίνυν  πρώτη ὑποδοχή τε καὶ μέγεθος, ἢ ὅ τι δήποτε δεῖ προσαγορεύειν  αὐτήν, τὸ τῶν ἀριθμῶν εἶδος ἀπετύπωσε, πλήθει μὲν ἀόριστον εἰ-  κότως, εἴδει δέ πὼς ὡρισμένον ἐκ τῆς τοῦ ἑνὸς παραλαβοῦσα μοί-  ρας. εἰ μὲν οὖν μίαν ἄπειρον ἅπασιν ὑποθήσει τις ὕλην τε [20] καὶ  ὑποδοχήν, ἄλογον ὡς τὸ εἰκὸς συμβήσεται τό, τῆς «τοῦ»ὁ ἑνὸς ἰδέας  ἐγγιγνομένης ἐν αὐτῇ, εἴπερ ὁμοία διὰ παντός, μὴ οὐ τὰ αὐτὰ καὶ  γένη πάλιν ἀποτελεῖσθαι. ὥστε πάντα ἀριθμοὺς τὰ γένη παντελῶς  συμβήσεται εἶναι διαφορὰν γὰρ οὐχ ἕξομεν ἁρμόττουσαν προσά-  ψαι, διὰ τί δήποτε ἐνθάδε μὲν ἀριθμῶν ἐγεννήθη φύσις, μετὰ δὲ  τοῦτο γραμμῶν καὶ ἐπιπέδων καὶ σχημάτων, καὶ οὐκ ἀεὶ τὸ αὐτὸ    6 l'integrazione è di Festa (cf. appar. ad loc.): è confermata da Happ (cf.    ed. Klein Add. p. XVIII).    LA SCIENZA MATEMATICA COMUNE 505    una certa convincente necessità. E per ogni numero che si incontra è  necessario dire da un lato tutta la sua divisione e grandezza numeri-  ca, che è come dire che è questa quantità che produce la sua natura,‘  e dall’altro lato che ciascun numero ha una sua qualità, e che è, inol-  tre, un numero unico nella sua determinatezza, e occorre imprimergli  come un suggello il suo principio indifferenziato e indiviso.35 E non è  certo conveniente porre tale principio della molteplicità come male o  bruttezza, per il fatto che ha la proprietà di essere per se stesso causa  di grandezza e divisione, oltre che di aumento: neppure nel caso di  altre cose, infatti, siamo soliti porre tale genere» dalla parte del male,  mentre saremmo forse dalla parte del vero se dicessimo che il grande,  in combinazione con una qualche qualità, è causa della magnanimità  e della liberalità; [16] di conseguenza ci corre molto dal chiamare  male tale principio del numero. Se infatti noi elogiamo la natura del-  l’uno,33 perché è autosufficiente ed è causa di alcune bellezze nei  numeri, come potrebbe non essere irragionevole dire che il male o la  bruttezza siano ricettivi per natura di un tale principio? Non può  essere infatti per nulla biasimevole il male o la bruttezza, se è vero che  ciò che accoglie qualcosa di lodevole dev'essere chiamato anch'esso  lodevole. In questo modo dunque noi dobbiamo concepire questo  principio del molteplice dei numeri. D'altra parte l’uno non può esse-  re chiamato né bello né buono,39 perché è al di sopra sia del bello che  del bene. Infatti è solo quando la natura si è allontanata notevolmen-  te dai principi che appaiono prima il bello, e poi, a maggiore distan-  za dagli elementi,90 anche il bene. In verità, il primo ricettacolo‘! e  grandezza, o comunque si debba mai denominarlo4 una volta che  abbia ricevuto la sua forma dalla porzione dell'uno, la riproduce  come forma dei numeri, la quale da un lato è naturalmente indetermi-  nata nella quantità, e dall’altro lato è in qualche modo di specie deter-  minata.44 Se dunque si partirà dal presupposto che esista un’unica  infinita materia e ricettacolo per ogni cosa, allora sarà naturalmente  irrazionale che, una volta che in quella materia e ricettacolo soprag-  giunga la forma dell’uno, non si producano a loro volta gli stessi gene-  ri, se è vero che quella forma è per ogni cosa sempre la stessa.46 La  conseguenza sarà che tutti i generi sono assolutamente numeri: infat-  ti non potremmo aggiungere alcuna differenza appropriata, perché  dopo che sia nata la natura dei numeri, nasca anche quella delle linee    506 GIAMBLICO    γένος, ἀπό γε τῶν ὁμοίων καὶ κατὰ τὸν αὐτὸν τρόπον ἀλλήλοις συμ-  πλεκομένων [17] στοιχείων. εἰ δέ τις μίαν μὲν ὑποθήσεται τὴν  ἅπαντος πλήθους τε καὶ μεγέθους αἰτίαν πρώτην, διαφορὰς δὲ  πολλὰς ἐν αὑτῇ παρεχομένην, δι᾽ ὅπερ ἄλλα καὶ ἄλλα γένη κατὰ  πᾶσαν τὴν φύσιν ἀποτίκτειν πεφυκέναι, καίπερ τοῦ ἑνὸς ὁμοίου ἐγ-  γιγνομένου διὰ παντός, οὐδὲ μὴν οὐδὲ τούτου διὰ τὴν παχύτητα τῆς  ὕλης ἀκριβῆ τὴν ἑαυτοῦ φύσιν ἐμφαίνοντος ἀεί, καθάπερ ἔν τισιν  εἰκαίοις ξύλοις σχῆμα, ταῦτα μὲν οὖν οὐκ ἀλόγως ἂν ἴσως συμβαί-  νοι αὐτῷ, τὸ δὲ πρῶτον στοιχεῖον εἰς [10] τοσαύτας διαφορὰς διαι-  ρέσεις ἔχειν δυσχεραίνοι ἄν τις προσηκόντως ἴσως, ἄλλως τε καὶ εἰ  παντάπασιν εἴη διήκων κατὰ ταῦτα τὰ παραδείγματα" τὸ γὰρ  ἁπλούστατον πανταχοῦ στοιχεῖον εἶναι. λοιπὸν οὖν τινα ἑτέραν  μεγέθους αἰτίαν ὑποθεμένους, ὡς ἐν ἀριθμοῖς μονάδα κατὰ τὸ ἕν,  οὕτως στιγμὴν ἐν γραμμαῖς τιθέναι, θέσιν δὲ καὶ διάστασιν τόπων  περί τε γραμμὰς καὶ χωρία καὶ στερεὰ πρῶτον, κατὰ τὰ αὐτὰ δὲ καὶ  τόπον ἐνταῦθα φανῆναι παρὰ [τὸ]" τὴν τῆς ὑποδοχῆς διαφορὰν ἴδιόν  τι παραδιδόναι τῷ ἀπ᾽ αὐτῆς γένει. [20] ἔτι δὲ καὶ τὸ συνεχὲς καὶ  τὸ συμμεμολυσμένον μᾶλλον τῶν ἀριθμῶν καὶ παχύτερον ἐκ ταύτης  ἄντις αἰτιώμενος καὶ λέγων, ἴσως οὐ διαμαρτάνοι. καὶ μέχρι μὲν δὴ  τούτων γένος ἂν εἴη ἀποτετελεσμένον δεύτερον᾽ εἰς ταὐτὸ Yap τί-  θημι γραμμάς τε καὶ στερεὰ καὶ πλάτη χωρίων. πρώτη μὲν οὖν ἡ τῶν  ἀριθμῶν ἐστιν ὕλη, δευτέρα δὲ ἡ τῶν γραμμῶν τε καὶ τῶν ἐπιπέδων  καὶ στερεῶν σχημάτων. καὶ τῶν ἄλλων δὲ ὡσαύτως μαθημάτων, ὅσα  ἂν καὶ ὁποῖα ἂν εὕρῃ. ὁ λόγος, τὰς οἰκείας ὑποδοχὰς προὐποθετέον.  [18] Καὶ τοῦτο μὲν οὖν οὕτως ἡμῖν ἐχέτω. τὰ δὲ στοιχεῖα, ἐξ ὧν οἱ  ἀριθμοί, οὐδέπω ὑπάρχει οὔτε καλὰ οὔτε ἀγαθά: ἐκ δὲ τῆς συνθέ-  σεῶς τοῦ ἑνὸς καὶ τῆς τοῦ πλήθους αἰτίας ὕλης ὑφίσταται μὲν ὁ  ἀριθμός, πρώτοις δὲ ἐν τούτοις τὸ ὃν φαίνεται καὶ κάλλος, ἐφεξῆς  ἐκ τῶν στοιχείων τῶν γραμμῶν τῆς γεωμετρικῆς οὐσίας φανείσης, ἐν  ἧ ὡσαύτως τὸ ὃν καὶ τὸ καλόν, ἐν οἷς [οὔτε] οὐδὲν οὔτε αἰσχρόν    7 eliminò Happ (cf. ed. Klein Add. p. XVIII).    LA SCIENZA MATEMATICA COMUNE 507    e delle superfici e delle figure solide, e sempre di genere diverso, se è  vero che sono composte dagli stessi elementi combinati tra loro alla  stessa maniera. [17] Se d’altra parte si muoverà dal presupposto che  esista un'unica causa prima di ogni quantità numerica e di ogni gran-  dezza, e che essa presenti in sé molte differenze, per cui sia capace per  sua propria natura di produrre questo o quel genere nell’intero  mondo naturale, sebbene l’uno rimanga ovunque uguale a se stesso, e  non manifesti sempre chiaramente la sua propria natura per via della  densità‘? della materia, come una figura che per caso compaia in alcu-  ni tronchi d’albero, allora non è forse assurdo pensare che tutto ciò  accada all'uno quale principio, mentre si rigetterà forse a ragione  l’idea che il primo elemento*8 si suddivida in tante differenze, soprat-  tutto se, come mostrano questi esempi, si estende ad ogni cosa: ele-  mento,‘° infatti, è sempre la cosa più semplice. Avendo supposto,  dunque, che esiste per la grandezza una causa diversa <da quella del  numero>, resta da porre il punto per le linee, cosî come si è posta  l’unità secondo l’uno per i numeri, e anzitutto indicare posizione ed  estensione spaziale relativamente a linee, superfici e solidi,5° e a que-  sto punto, sulla base di tali elementi, anche lo spazio perché la diffe-  renza del ricettacolo attribuisce qualche cosa di proprio al genere che  da esso deriva. Inoltre, chi dicesse che la continuità <delle grandezze  geometriche>! e il fatto che sono più contaminate e dense dei nume-  ri è da attribuirsi a questo loro ricettacolo materiale, forse non sba-  glierebbe. E fin qui si sarebbe prodotto il genere secondario: in que-  sto stesso genere io infatti pongo sia le linee che i solidi e le superfici.  Prima, dunque, sta la materia dei numeri, in secondo luogo quella  delle linee e delle superfici e dei solidi. Anche per le altre scienze  matematiche,’ per quanto il nostro discorso ne possa scoprire e di  qualunque natura, si devono presupporre ugualmente ricettacoli appropriati. [18] Che questo punto resti, dunque, cosi stabilito per noi. Quanto agli elementi? che costituiscono i numeri, essi non sono affat- to né belli né buoni; ma dalla composizione dell’uno con la materia, che è causa della molteplicità, nasce il numero, ed è nei numeri che appaiono per la prima volta l’essere e la bellezza; poi dagli elementi delle linee viene fuori la realtà geometrica, e in questa appaiono ugualmente l'essere e la bellezza, perché negli enti geometrici non c’è 508 GIAMBLICO ἐστιν οὔτε κακόν. ἐπ᾽’ ἐσχάτῳ δὲ ἐν τοῖς τετάρτοις καὶ πέμπτοις [10] τοῖς συντιθεμένοις ἀπὸ τῶν στοιχείων τῶν τελευταίων κακίαν γενέ- σθαι οὐ προηγουμένως, ἐκ δὲ τοῦ ἐκπίπτειν καὶ μὴ κατακρατεῖν  τινα τοῦ κατὰ φύσιν. Ἐκ δὴ τούτων φανερόν ἐστι καὶ τίνα ἔχουσι τὴν διαφορὰν αἱ μαθηματικαὶ ἀρχαὶ πρὸς τὰς ἄλλας: τῶν μὲν γὰρ τελευταίων προέ- χοῦυσι, διότι σωματικῶν πως ἐκείνων οὐσῶν αὗταί εἰσιν ἀσώματοι, τῶν δὲ κατὰ τὴν ζωὴν θεωρουμένων, διότι κατὰ κίνησιν ἐκείνων χαρακτηριζομένων αὗταί εἰσιν ἀκίνητοι, τῶν δὲ νοητῶν, διότι ἀμε- ρίστων ἐκείνων προὐπαρχουσῶν αὗται [20] συνθέσεως καὶ διαιρέ- CES ἀρχὴν παρέχονται. οὕτως ἡμῖν ὁ κοινὸς λόγος περὶ τῶν μαθηματικῶν ἀρχῶν καὶ ὁ ἴδιος περὶ ἑκάστων ἐχέτω διορισμόν’ πῇ τε διαφέρει τῶν ἄλλων ἀρχῶν, οὑτωσὶ διακεκρίσθω. 5. Τά γε μὴν ὑποκείμενα τῇ μαθηματικῇ θεωρίᾳ, τὰ κοινῇ ἐπὶ πᾶσαν διατείνοντα τὴν ἐπιστήμην ταύτην, ἐκεῖνά ἐστιν ὅσα κοινά ἐστι θεωρήματα, δυνάμενα μὲν ἐπὶ ἀριθμῶν, δυνάμενα δὲ καὶ ἐπὶ  μεγεθῶν [19] ἐφαρμόζειν, ἔτι δὲ καὶ ἁρμονιῶν καὶ ἀστρονομίας καὶ πάντων τῶν ἄλλων. ἔστι δὲ τοιαῦτα «τὰ» τῶν ἀναλογιῶν καὶ τὰ περὶ τὰς κοινῶς συνθέσεις καὶ διαιρέσεις, καὶ ὅσα περὶ τὸ ἴσον καὶ ἄνισον θεωρεῖται τὸ ὁπωσοῦν ἔχον ἢ τὸ ὁποιονοῦν, καὶ ὅσα τὸ πολ- λαπλάσιον ἢ τὸ μεριστὸν ἐπισκοπεῖται, ἢ τὸ ὑπερέχον καὶ ἐλλεῖπον, ἢ τὸ διωρισμένον καὶ ἀδιόριστον κατὰ κοινὴν ἐπιβολήν,  ἢ τὸ καθ᾽ αὑτὸ καὶ τὸ πρός τι, ἢ τὸ ποσὸν ἁπλῶς, μηδὲν προσλαμβά-  νον τὸ τοιόνδε εἶδος τοῦ ποσοῦ [10] ποσὸν τὴν τάξιν καὶ τὸ καλὸν  τὸ ἐν τοῖς μαθηματικοῖς εἴδεσιν 7 ἐστιν ἐπιστημονικὰ θεωρεῖ,  μηδὲν προσδιορίζον τὸ τοιόνδε κάλλος (ἤδη γὰρ τὸ τοιοῦτον τῶν ἐν  μέρει ἐπιστημῶν ἐφάπτεται)" καὶ ὅσον δὲ αὖ τὸ ἀραρὸς καὶ βέβαιον  τῆς ἐπιστήμης τῆς μαθηματικῆς σκοπεῖ, μήτε μεταβαλλόμενον ἄλλοτε ἄλλως, μήτε ἐξιστάμενον τῆς οἰκείας οὐσίας, μήτε νῦν μὲν οὕτως αὖθις δὲ ἑτέρως νοούμενον, καὶ τοῦτο τὰ κοινὰ ὑποκείμενα LA SCIENZA MATEMATICA COMUNE 509 nulla né di brutto né di cattivo; alla fine, cioè nelle quarte e quinte  composizioni degli ultimi elementi, si genera il male non in modo essenziale,55 ma per il fatto che certe cose decadono dall’essere secon- do natura e non lo dominano più. Da tutto ciò si evince, dunque, chiaramente che i principi mate- matici differiscono in qualche modo dagli altri principi:5 sono infatti  superiori, da un lato agli ultimi enti, perché, mentre questi sono cor-  porei, quelli sono incorporei, e dall’altro lato agli aspetti vitali, per-  ché, mentre questi sono caratterizzati dal movimento, quelli invece  sono privi di movimento, e ancora superano gli intelligibili, perché,  mentre questi preesistono come enti indivisibili, quelli invece forni-  scono il principio della composizione e della divisione. Questo è il  discorso comune che dobbiamo fare intorno ai principi matematici, e  quello particolare su ciascuno di essi dev'essere tenuto distinto; e su come tali principi differiscano da tutti gli altri, ecco le seguenti distin- zioni che dobbiamo fare. 5. I soggetti propri della teoria matematica, quelli che in generale si estendono a tutta intera questa scienza, sono quei teoremi che sono comuni, perché possono adattarsi ai numeri,” ma anche alle grandez-  ze8 [19] e ancora all’armonica e all’astronomia e a tutte le altre mate-  matiche. Ma sono di questa natura i teoremi delle proporzioni e quel-  li relativi alle composizioni e alle divisioni di ordine comune;9 e la  teoria matematica contempla ciò che si può considerare in rapporto  all’uguale e al disuguale, comunque e qualunque esso sia, e ciò che  può essere giudicato come moltiplicabile o divisibile, o per eccesso o  per difetto, o come determinato o indeterminato secondo una rappre-  sentazione generale, o in se stesso o in rapporto a qualcosa, o come  quantità pura e semplice, cioè che non assuma alcuna forma determi-  nata della quantità, o come quantità per altro, o come ordine e bellez-  za proprie delle forme matematiche, nel senso cioè di oggetti di pura  scienza,6° cioè che non determinino alcuna bellezza concreta (se fosse  tale, infatti, spetterebbe già alle scienze particolari);61 essa prende in  esame anche ciò che nella scienza matematica è stabile e fisso, e che  non muta ora in un modo ora in un altro, né esce fuori dalla sua pro- pria essenza, né è pensato ora in un modo e subito dopo in un altro: ecco ciò che abbracciano con il loro ragionamento i soggetti comuni 510 GIAMBLICO τῇ μαθηματικῇ ἐπιστήμῃ τῷ λογισμῷ περιλαμβάνει. οὐ μέντοι δεῖ ταῦτα ὑπολαβεῖν ὡς [20] ἐπιγιγνόμενα τὰ κοινά, ἀλλ᾽ ὡς  προὔπάρχοντα τῶν καθ᾽ ἕκαστα" οὐδ᾽ ὡς ἐν τοῖς κατὰ μέρος καὶ μετ᾽  αὐτῶν ἔχοντα τὴν οὐσίαν, ἀλλ᾽ ὡς πρεσβυτέραν αὐτῶν καὶ ἀρχικω-  τέραν προειληφότα, οὐ μὴν διήκουσαν δι᾽ αὐτῶν, ἀλλὰ προτετογ-  μένην πρὸ τῶν ἰδίων [20] ἑκάστης ἐπιστήμης μαθημάτων. διόπερ δὴ  καὶ ἡ γνῶσις αὐτῶν κοινή ἐστι καὶ προηγουμένη, τελειοτέρα τε τῶν  καθ᾽ ἕκαστα, σὐνοψίν τε κοινὴν ποιουμένη πάντων, ἀφ᾽ ἑνός τε καὶ  εἰς ἕν τὰ θεωρήματα πάντα τὰ μαθηματικὰ συντάττουσα, τήν τε συγ-  γένειαν καὶ τὴν ὁμοιότητα αὐτῶν πρὸς ἄλληλα ἐπιβλέπουσα, καὶ τὸ  ἀνόμοιον ἐν αὐτοῖς καὶ ἕτερον παραθεωροῦσα, γένη τε ὅσα αὐτῶν  ἐστι πρῶτα καὶ εἴδη συνάγουσα εἰς ταὐτὸ καὶ διακρίνουσα, κοινά  τε ὁμολογήματα καὶ ὑποθέσεις πρώτας [10] καὶ ὁρισμοὺς καὶ θέ-  σεις καὶ διαιρέσεις καὶ συναγωγὰς συνθέσεις τε καὶ μερισμοὺς  καὶ ὑπερβολὰς καὶ ἐλλείψεις καὶ παραβολὰς καθ᾽ ὁποιαοῦν γένη  τῶν μαθηματικῶς ὄντων θεωροῦσα, ὡς ἁπλῶς εἰπεῖν, καὶ οὐ διωρι-  σμένως καθ᾽ ἕκαστον, τό τε δυνατὸν τὸ ἐν τούτοις καὶ τὸ ἀδύνατον,  καὶ τὸ ἀναγκαῖον καὶ τὸ οὐκ ἀναγκαῖον, τό τε ἀληθὲς καὶ ψεῦδος  διακρίνουσα, τάς τε ἐν αὐτοῖς διαφοράς, ὅσαι τέ εἰσι καὶ ὁποῖαι, διερευνωμένη δι᾽ ἀκριβείας. Τοσαῦτα ἡμῖν καὶ περὶ τῶν κοινῶς ὑποκειμένων [20] τῇ μαθηματικῇ ἐπιστήμῃ καὶ περὶ τοῦ κοινοῦ τρόπου τῆς κατ᾽ αὐτὴν θεωρίας διωρίσθω ἐν τῷ παρόντι. 6. Νοητέον δέ ἐστι περὶ πάντα τὰ τοιαῦτα μαθήματα τόδε, ὡς ἐὰν  μέν τις τούτων ἕκαστα ὀρθῶς λαμβάνῃ, μέγα ὄφελος γίνεται τῷ  παραλαμβάνοντι κατὰ τρόπον, εἰ δὲ μή, θεὸν ἄμεινον ἀεὶ καλεῖν. ὁ  δὲ τρόπος ὅδε“ ἀνάγκη γὰρ τό γε τοσοῦτον φράζειν. [21] πᾶν διά-  γραμμα ἀριθμοῦ τε σύστημα καὶ ἁρμονίας σύστασιν ἅπασαν τῆς τε  τῶν ἄστρων περιφορᾶς τὴν ἀναλογίαν οὖσαν μίαν ἁπάντων ἀνα-  φανῆναι δεῖ τῷ κατὰ τρόπον μανθάνοντι. φανήσεται δέ, ἐὰν ὃ λέγο-  μεν ὀρθῶς τις ἐμβλέπων μανθάνῃ᾽ δεσμὸς γὰρ πεφυκὼς πάντων τούτων εἷς ἀναφανήσεται διανοουμένοις. εἰ δ᾽ ἄλλως πως μεταχει- LA SCIENZA MATEMATICA COMUNE 511 della scienza matematica. Non bisogna tuttavia intendere questi sog-  getti della matematica come se fossero delle cose comuni che si  aggiungono,62 bensîf come preesistenti alle cose singole; e neppure  come ciò che ha la sua propria essenza nelle cose particolari e in ciò che le accompagna, bensi come ciò che ha ricevuto in anticipo un’es- senza più nobile e più principiale e che non si estende certo ad esse, ma che è stata preordinata agli oggetti particolari di ciascuna scienza. [20] Perciò la conoscenza comune di questi principi è anche priori-  taria, ed è più perfetta della conoscenza delle singole cose, e produce  una comune visione complessiva di tutto, che è capace di coordinare  a partire dall’unità e in vista dell’unità tutti i teoremi matematici, e di  guardare alla parentela e somiglianza che essi hanno tra loro, e di  osservare allo stesso tempo la loro dissomiglianza e diversità, e di rac-  cogliere e dividere in rapporto al medesimo termine i loro primi gene-  ri e le loro prime specie, e di osservarne accordi comuni e presuppo-  sti primari e definizioni e posizioni e divisioni e implicazioni e com-  posizioni e partizioni ed eccessi e difetti e comparazioni in funzione  di qualsiasi genere di ente matematico, per dirla in termini semplici,  e di valutare, non in maniera singolarmente determinata, ciò che in  essi è possibile e ciò che è impossibile, il vero e il falso, e di esplorare con esattezza quante e quali siano le loro differenze. Questo è quanto dobbiamo definire per il momento a proposito sia dei soggetti comuni della scienza matematica che del carattere comune della relativa teoria. 6. Occorre pensare, a proposito di tutte queste matematiche,#  che allorché ciascuna di esse venga assunta correttamente, chi le  apprende come si deve ne riceve una grande utilità, se no, è sempre  meglio invocare dio. E il modo di apprendere le matematiche è il  seguente (perché bisogna dire almeno ciò che è importante). Occorre  mostrare a chi deve imparare come si deve che ogni [21] diagramma  e sistema numerico e tutta la combinazione armonica e la proporzio-  nalità del movimento circolare degli astri rivelano, a chi impara con  metodo, che c’è un unico accordo in tutto. E tale unità apparirà, lo  ripetiamo, se si apprende con osservazioni corrette ciò che noi dicia-  mo, perché a chi ci ragioni sopra tutti questi aspetti del mondo rive- leranno un unico legame naturale. Se invece a tale studio ci si applica 512 GIAMBLICO ριεῖταί τις, τύχην dei καλεῖν, ὥσπερ καὶ λέγομεν’ où γὰρ ἄνευ γε  τούτων μήποτέ τις ἐν πόλεσιν εὐδαίμων γένηται φύσις, ἀλλ᾽ οὗτος ὁ  τρόπος, [10] αὕτη τροφή, ταῦτα μαθήματα, εἴτε χαλεπὰ εἴτε ῥάδια,  ταύτῃ πορευτέον. ἀμελῆσαι δὲ οὐ θεμιτόν ἐστι θεῶν, καταφανοῦς γενομένης τῆς πάντων αὐτῶν κατὰ τρόπον λεγομένης φήμης εὐτυ- χοῦς. τὸν δὲ ξύμπαντα ταῦτα οὕτως εἰληφότα, τοῦτον λέγω τὸν ἀληθέστατα σοφώτατον τὴν γὰρ πάντων καλλίστην καὶ θειοτάτην φύσιν, ὅσην ἀνθρώποις θεὸς ἔδωκε κατιδεῖν, οὔποτε ἄνευ τῶν νῦν δὴ εἰρημένων μὴ κατιδὼν ἐπεύξηταί τις ῥαστώνῃ παραλαβεῖν. πρὸς τούτοις τε τὸ καθ᾽ ἕν τε καὶ κατ᾽ εἴδη προσακτέον ἐν ἑκάσταις ταῖς τῶν [20] μαθημάτων εἰδήσεσιν, ἕως ἂν ἐξεύρωμεν τὸν ὅλον κόσμον, ὃν ἔταξε λόγος ὁ πάντων θειότατος ὁρατόν᾽ ὃν ὁ εὐδαίμων πρῶτον μὲν ἐθαύμασεν, ἔπειτα δὲ ἔρωτα ἔσχε τοῦ καταμαθεῖν ὁπόσα θνητῇ φύσει δυνατά, ἡγούμενος ἄριστα οὕτως εὐτυχέστατά «τε» [22] διά- ἕειν τὸν βίον, τελευτήσας τε εἰς τόπους ἥξειν προσήκοντας ἀρετῇ,  καὶ μεμυημένος ἀληθῶς τε καὶ ὄντως, μεταλαβὼν φρονήσεως εἷς ὧν  μιᾶς, τὸν ἐπίλοιπον χρόνον θεωρὸς τῶν καλλίστων γενόμενος, ὅσα  κατ᾽ ὄψιν, διατελεῖν. δεῖ δὲ καὶ τὰ χύδην μαθήματα ἐν τῇ παιδείᾳ  γενόμενα συνάγειν εἰς σύνοψιν οἰκειότητός τε ἀλλήλων τῶν  μαθημάτων καὶ τῆς τοῦ ὄντος φύσεως" μόνη γὰρ ἡ τοιαύτη μάθησις  βέβαιος ἐν οἷς ἂν γένηται. δεῖ δὲ καὶ ὀμμάτων καὶ τῆς ἄλλης [10]  αἰσθήσεως δυνατοὺς γίγνεσθαι μεθιεμένους ἐπ᾽ αὐτὸ τὸ ὃν μετ᾽  ἀληθείας ἱέναι. δεῖ δὲ καὶ μονίμους εἶναι ἐν τοῖς μαθήμασι καὶ  ὀξεῖς καὶ τὰ ἄλλα ἔχοντας ὅσα τῇ φύσει τῇ ἀρίστῃ προσήκει" ὡς,  ἐὰν μὲν ἀρτιμελεῖς τε καὶ ἀρτίφρονας ἐπὶ τοσαύτην μάθησιν καὶ  τοσαύτην ἄσκησιν κομίσαντες παιδεύωμεν, ἥ τε δίκη ἡμῖν οὐ μέ-  μψεται αὐτή, τήν τε πόλιν καὶ πολιτείαν σώσομεν, ἀλλοίους δὲ  ἄγοντες ἐπὶ ταῦτα, τἀναντία πάντα πράξομεν καὶ φιλομαθείας ἔτι  πλείω γέλωτα καταντλήσομεν. εἰ δὲ δεῖ τὸ ἀληθὲς εἰπεῖν ὅλον ὡς  ἔχει, ἐν [20] τούτοις τοῖς μαθήμασιν ἑκάστου ὄργανόν τι ψυχῆς ἐκ-  καθαίρεταί τε καὶ ἀναζωπυρεῖται ἀπολλύμενον καὶ τυφλούμενον ὑπὸ τῶν ἄλλων ἐπιτηδευμάτων, κρεῖττον ὃν σωθῆναι μυρίων ὀμ- μάτων᾽ μόνῳ γὰρ αὐτῷ ἀλήθεια ὁρᾶται. οἷς μὲν οὖν ταῦτα ξυνδοκεῖ, LA SCIENZA MATEMATICA COMUNE 513 in un modo non metodico, allora, bisogna invocare la fortuna, come noi pure siamo soliti dire. Senza questi studi, infatti, non nasce mai  nelle città natura felice, ma questo è il metodo, questa l'educazione  matematica, queste le matematiche, difficili o facili che siano, in que-  sto modo bisogna procedere. D'altra parte non è lecito trascurare gli  dèi, giacché la felice rivelazione di tutti loro si è manifestata con chia-  re espressioni. Chi abbia acquisito in tal modo tutte queste matema-  tiche, costui, io dico, è l’uomo più sapiente nel più vero senso della  parola, perché senza i suddetti metodi di studio delle matematiche,  chi non la conosce non potrà mai vantarsi di apprendere facilmente la  più bella e più divina natura che dio abbia concesso agli uomini di  conoscere. Inoltre bisogna introdurre in ciascuna specie di matemati-  ca il criterio dell’uno e delle forme, finché non scopriamo l’intero uni-  verso, che il più divino fra tutti i calcoli ha ordinato come mondo  visibile: felice chi prima lo ammira e poi desidera esplorarlo per quan-  to possa una natura mortale, pensando che cosî vivrà nel modo  migliore e più felice, [22] e finendo per giungere ai luoghi conformi  a virtù, e da vero ed effettivo iniziato, partecipando da solo dell’uni-  ca saggezza, e divenendo per il resto della sua vita contemplatore  delle cose più belle a vedersi. E bisogna anche raccogliere le matema-  tiche che nell’insegnamento sono disordinate in una visione che ne  comprenda le proprietà reciproche insieme con la natura dell’essere:  sarà tale infatti l’unico tipo di apprendimento sicuro nelle matemati-  che. E bisogna anche essere capaci, mettendo da parte gli occhi e gli  altri sensi, di puntare veramente all’essere in sé. E bisogna anche rin-  saldarsi nelle matematiche ed essere acuti e possedere tutte le altre  prerogative che convengono al migliore carattere: in modo che, se noi  educhiamo portando ad apprendere ed esercitare discipline cosi  importanti uomini robusti di corpo e di mente, anche la stessa giu-  stizia non ci biasimerà, e salveremo la città e la sua costituzione, men-  tre istruendo in tali discipline uomini di differente natura, otterremo  un effetto contrario e anzi copriremo di ridicolo l’amore per la scien-  za. Se poi dobbiamo dire interamente come veramente stanno le  cose, in queste matematiche viene purificato e temprato a fuoco un  certo strumento dell'anima di ciascuno che è corrotto e accecato dalle altre occupazioni, la conservazione del quale strumento è meglio che avere mille occhi, perché la verità è vista solo per suo mezzo. Coloro 514 GIAMBLICO [23] ἀμηχάνως ὡς εὖ δοκεῖ λέγεσθαι tà rapévra: ὅσοι δὲ τούτου μηδαμῇ ἠσθημένοι, εἰκότως ἡγήσονται ἡμᾶς λέγειν οὐδέν᾽ ἄλλην  γὰρ ἀπ᾽ αὐτῶν οὐχ ὁρῶσιν ἀξίαν λόγου ὠφέλειαν. τὸ δ᾽, ὡς ἔοικεν,  οὐκ ὀστράκου ἂν εἴη περιστροφή, ἀλλὰ ψυχῆς περιαγωγή, ἐκ νυκ-  τερινῆς τινος ἡμέρας εἰς ἀληθινὴν τοῦ ὄντος οὖσαν ἐπάνοδον, ἣν δὴ  φιλομάθειαν ἀληθινὴν φήσομεν εἶναι. οὐκοῦν δεῖ σκοπεῖσθαι τί  τῶν μαθημάτων ἔχει τοιαύτην δύναμιν, καὶ τί μάθημα ψυχῆς ὁλκόν  ἐστιν ἀπὸ τοῦ [10] γιγνομένου ἐπὶ τὸ ὄν. λέγω τοίνυν ὡς τὰ μὲν ἐν  ταῖς αἰσθήσεσιν οὐ παρακαλοῦντα τὴν νόησιν εἰς ἐπίσκεψιν, ὡς  ἱκανῶς ὑπὸ τῆς αἰσθήσεως κρινόμενα, τὰ δὲ παντάπασι διακελευό-  μενα ἐκείνην ἐπισκέψασθαι, ὡς τῆς αἰσθήσεως οὐδὲν ὑγιὲς  ποιούσης: καὶ τὰ μὲν οὐ παρακαλοῦντα, ὅσα μὴ ἐκβαίνει εἰς ἐναν-  τίαν αἴσθησιν ἅμα, τὰ δ᾽ ἐκβαίνοντα ὡς παρακαλοῦντα τίθημι, ἐπει-  δὰν ἡ αἴσθησις μηδὲν μᾶλλον τοῦτο ἢ τὸ ἐναντίον δηλοῖ, εἴτε ἐγγύ-  θεν προσπίπτουσα εἴτε πόρρωθεν. ὧδε δὲ ἃ λέγω σαφέστερον εἰσό-  μεθα. οὗτοι, φαμέν, [20] τρεῖς ἂν εἶεν δάκτυλοι, ὅ τε σμικρότατος  καὶ ὁ δεύτερος καὶ ὁ μέσος᾽ ὡς ἐγγύθεν τοίνυν ὁρωμένους λέγοντός  μοῦ διανοοῦ. ἀλλά μοι περὶ αὐτῶν τόδε σκόπει᾽ δάκτυλος μέν που  αὐτῶν φαίνεται ὁμοίως ἕκαστος, καὶ ταύτῃ γε οὐδὲν διαφέρει, ἐάν  τε ἐν μέσῳ ὁρᾶται ἐάν τ᾽ ἐπ᾽ ἐσχάτῳ, ἐάν τε λευκὸς ἐάν τε [24]  μέλας, ἐάν τε παχὺς ἐάν τε λεπτός, καὶ πᾶν ὅ τι τοιοῦτον᾽ ἐν πᾶσι  γὰρ τούτοις οὐκ ἀναγκάζεται τῶν πολλῶν N ψυχὴ τὴν νόησιν ἐπερέ-  σθαι, τί ποτ᾽ ἐστὶ δάκτυλος" οὐδαμοῦ γὰρ ἡ ὄψις αὐτὴ ἅμα ἐσήμαι-  ve τὸν δάκτυλον τοὐναντίον ἢ δάκτυλον εἶναι. οὐκοῦν εἰκότως τό  γε τοιοῦτον νοήσεως οὐκ ἂν παρακλητικὸν εἴη. τί δὲ δή; τὸ μέγεθος  αὐτῶν καὶ τὴν μικρότητα ἡ ὄψις dpa ἱκανῶς ὁρᾷ, καὶ οὐδὲν αὐτῇ  διαφέρει ἐν μέσῳ αὐτῶν τινα κεῖσθαι ἢ ἐπ᾽ ἐσχάτῳ; καὶ [10]  ὡσαύτως πάχος καὶ λεπτότητα καὶ σκληρότητα ἡ ἁφή; καὶ αἱ ἄλλαι  αἰσθήσεις ἄρα οὐκ ἐνδεῶς τὰ τοιαῦτα δηλώσουσιν; ἢ ὧδε ποιεῖ  ἑκάστη αὐτῶν" πρῶτον ἡ ἐπὶ τῷ σκληρῷ τεταγμένη αἴσθησις ἠνάγ-  κασται καὶ ἐπὶ τῷ μαλακῷ τετάχθαι, καὶ παραγγέλλει τῇ ψυχῇ ὡς  ταὐτὸν σκληρόν τε καὶ μαλακὸν αἰσθανομένη; οὐκοῦν ἀναγκαῖον    LA SCIENZA MATEMATICA COMUNE 515    dunque che sono d’accordo su tutto questo, [23] non possono ritene-  re che il presente discorso non serva a niente; coloro invece che non  percepiscono affatto tutto questo, probabilmente penseranno che noi  parliamo invano: non vedono infatti provenire da ciò alcun vantaggio  degno di considerazione. Ma qui non si tratta, evidentemente, di  rovesciare la conchiglia,68 ma di convertire l’anima da un giorno tene-  broso a un giorno vero, si tratta cioè della sua ascesa all'essere, che  chiameremo appunto amore verace della scienza. Occorre dunque  esaminare quale tra le matematiche possiede questo potere, e quale  matematica spinge l’anima dal mondo del divenire verso quello del-  l’essere.69 Io dico dunque che alcuni enti sensibili non spingono l’in-  telligenza alla ricerca, in quanto è sufficiente che siano giudicati dalla  sensibilità, altri invece la stimolano in tutti i modi alla ricerca, in  quanto la sensibilità non produce nulla di sano; e i sensibili che non  stimolano l’intellezione sono quelli che non producono contempora-  neamente una sensazione contraria, i sensibili che la stimolano sono  invece quelli che lo fanno, quando cioè la sensazione, che si avvicini  o che si allontani, mostra indifferentemente una cosa e il suo contra-  rio. Ma comprenderemo in modo più chiaro ciò ch’io dico con que-  sto esempio. Ecco, queste, diciamo, sono tre dita, pollice, indice,  medio: pensa dunque che ne parli come se li vedessi da vicino.  Orbene, fammi questa osservazione in proposito: ciascuno di essi  appare alla stessa maniera un dito, e cosi non c’è nessuna differenza  che lo si veda al centro o all'estremità, che sia bianco o nero, [24]  grosso o sottile, e cosi via. In tutti questi casi, infatti, l'anima dei più  non è costretta a domandarsi, in rapporto alla sua intellezione, che  cos'è mai un dito, perché la visione in quanto tale non gli ha mai signi-  ficato contemporaneamente che un dito è il contrario di un dito. È  ragionevole dunque pensare che questo non stimolerà l’intellezione.  Ma che forse la vista vede abbastanza la grandezza e la piccolezza  delle dita, o per essa non fa differenza che un dito stia al centro o  all'estremità? E allo stesso modo il tatto sente abbastanza grossezza e  sottigliezza e durezza? E gli altri sensi non sono forse insufficienti a  indicare tali aspetti? O forse che ciascuno dei sensi non opera nel  modo seguente: anzitutto il senso ordinato a sentire il duro è costret-  to a sentire anche il molle, e comunica all'anima di percepire come  una medesima cosa il duro e il molle? È necessario dunque che in    516 GIAMBLICO    ἐν τοῖς τοιούτοις αὖ τὴν ψυχὴν ἀπορεῖν, ti ποτε σημαίνει αὐτὴ ἡ  αἴσθησις τὸ σκληρόν, εἴπερ τὸ αὐτὸ καὶ μαλακὸν λέγει, καὶ ἡ τοῦ  κούφου καὶ ἡ τοῦ βαρέος, τί τὸ κοῦφον καὶ βαρύ, εἰ τό τε βαρὺ [20]  κοῦφον καὶ τὸ κοῦφον βαρὺ σημαίνει" αὗται γὰρ ἄτοποι τῇ ψυχῇ αἱ  ἑρμηνεῖαι καὶ ἐπισκέψεως δεόμεναι. εἰκότως οὖν ἐν τοῖς τοιούτοις  πρῶτον μὲν πειρᾶται λογισμόν τε καὶ νόησιν ψυχὴ παρακαλοῦσα  ἐπισκοπεῖν, εἴτε ἕν εἴη εἴτε δύο ἐστὶν ἕκαστα τῶν εἰσαγγελλο-  μένων. οὐκοῦν ἐὰν δύο φαίνηται, ἕτερόν τε καὶ ἕν ἑκάτερον φαίνε-  tar: εἰ ἄρα ἕν ἑκάτερον, ἀμφότερα δὲ δύο, τά γε δύο κεχωρισμένα  νοήσει" οὐ γὰρ ἂν [25] χωριστά γε δύο ἐνόει, ἀλλ᾽ ἕν. μέγα μὴν καὶ  ἡ ὄψις καὶ σμικρὸν ἑώρα, ὥς φαμεν, ἀλλ᾽ οὐ κεχωρισμένον, ἀλλὰ  συγκεχυμένον TI διὰ δὲ τὴν τούτου σαφήνειαν μέγα αὖ καὶ σμικρὸν  ἡ νόησις ἠναγκάσθη ἰδεῖν, οὐ συγκεχυμένα ἀλλὰ διωρισμένα, toù  ναντίον ἢ κείνη. οὐκοῦν ἐντεῦθέν ποθεν πρῶτον ἐπέρχεται ἐρέσθαι  ἡμῖν' τί οὖν ποτ᾽ ἔσται τὸ μέγα αὖ καὶ τὸ σμικρόν; καὶ οὕτω δὴ τὸ  μὲν νοητόν, τὸ δ᾽ ὁρατὸν ἐκαλέσαμεν. ταῦτα τοίνυν καὶ ἄρτι ἐπε-  χείρουν λέγειν, [10] ὡς τὰ μὲν παρακλητικὰ τῆς διανοίας ἐστί, τὰ δ᾽  οὔ, ἃ μὲν εἰς τὴν αἴσθησιν ἅμα τοῖς ἐναντίοις ἑαυτοῖς ἐμπίπτει,  παρακλητικὰ ὁριζόμενος, ὅσα δὲ μή, οὐκ ἐγερτικὰ τῆς νοήσεως. τί  οὖν; ἀριθμός τε καὶ τὸ ἕν καὶ τὰ ἄλλα μαθήματα ποτέρων δοκεῖ  εἶναι, ἐκ τῶν προειρημένων ἀναλογίζεσθαι ῥάδιον. εἰ μὲν γὰρ  ἱκανῶς αὐτὸ ὁρᾶται ἢ ἄλλῃ τινὶ αἰσθήσει λαμβάνεται τὸ ἕν ἢ ἄλλο  τι τῶν μαθημάτων, οὐκ ἂν ὁλκὸν εἴη ἐπὶ τὴν οὐσίαν, ὥσπερ ἐπὶ τοῦ  δακτύλου ἐλέγομεν᾽ εἰ δ᾽ dei τι αὐτῷ ἅμα ὁρᾶται ἐναντίωμα, ὥστε  μηδὲν μᾶλλον [20] Èv ἢ καὶ τοὐναντίον φαίνεσθαι, τοῦ ἐπικρι-  νοῦντος δὴ δέοι ἂν ἤδη, καὶ ἀναγκάζοιτ᾽ ἂν ἐν αὐτῷ ψυχὴ ἀπορεῖν  καὶ ζητεῖν κινοῦσα ἐν ἑαυτῇ τὴν ἔννοιαν, καὶ ἀνερωτᾶν τί ποτ᾽  ἐστὶν αὐτὸ τὸ ἕν, καὶ οὕτω τῶν ἀγωγῶν ἂν εἴη καὶ μεταστρεπτικῶν  ἐπὶ τὴν τοῦ ὄντος θέαν ἡ περὶ τὸ ἕν μάθησις. ἀλλὰ μέντοι τοῦτό γε    LA SCIENZA MATEMATICA COMUNE 517    questi casi l’anima, al contrario di prima, si ponga il problema di che  cosa mai il senso in quanto tale indichi come duro, se è vero che essa  dice che è lo stesso che il molle, e che anche a proposito del pesante  e del leggero, si domandi che cosa mai il senso indichi leggero o  pesante, se essa indica come leggero il pesante ‘e viceversa. Queste  interpretazioni da parte dei sensi, infatti, per l’anima sono assurde e  hanno bisogno di essere attentamente esaminate. A ragione dunque  in questi casi l’anima anzitutto tenta la via del ragionamento e dell’in-  tellezione, spinta com'è a indagare se ciascuna delle cose che i sensi le  comunicano sia una o due. Se dunque risulta essere due, ciascuna  delle due risulterà essere l’una e l’altra insieme; se invece ciascuna  delle due risulterà essere una, e ambedue sono due, allora l’anima le  penserà come due separate, perché [25] se non fossero separate, non  le penserebbe come due, ma come una sola. Ora, anche la vista, dicia-  mo, vedeva grande e piccolo, ma non come qualche cosa di separato,  bensi di confuso, e per chiarire ciò l’intellezione è costretta di nuovo  a vedere grande e piccolo non come confusi, ma distinti, contraria-  mente a quanto accade alla vista. Dunque noi dobbiamo anzitutto  partire nella nostra ricerca da questa domanda: che cosa sarà mai il  grande e che cosa il piccolo? E cosi noi abbiamo chiamato per nome  da un lato l’intelligibile e dall’altro lato il visibile. Queste cose anche  poco fa io cercavo di dire, cioè che alcuni sensibili stimolano la ragio-  ne, altri no, e definivo stimolanti dell’intellezione quelli che cadono  sotto i sensi con aspetti contemporaneamente contrari tra loro, non  stimolanti quelli che non producono tale contrarietà. Ebbene, da ciò  che si è detto è facile desumere per analogia a quale delle due specie  di sensazioni somiglino, a mio avviso, il numero e l’unità e le altre  realtà matematiche. Se infatti l’unità o un’altra realtà matematica sono  chiaramente assunte in se stesse dalla vista o da un altro senso, allora  non possono essere stimolo all'essere, come dicevamo a proposito del  dito; se invece vi si può vedere sempre e contemporaneamente come  una contrarietà, in modo che nulla appaia indifferentemente come  l’uno e l’altro contrario, allora si sentirà già il bisogno di qualcuno che  giudichi, e l’anima sarà costretta in questo caso a porsi il problema e  a cercare la soluzione muovendo la sua interna riflessione, e a doman-  darsi quale mai sia l'unità in sé, e cosî tra le cose che conducono e  convertono l’anima alla contemplazione dell’essere ci sarà l’apprendi-    518 GIAMBLICO    ἔχει οὐχ ἥκιστα ἡ περὶ αὐτὸ ὄψις" ἅμα γὰρ ταὐτὸν ὡς ἕν τε ὁρῶμεν  καὶ ὡς ἄπειρα τὸ πλῆθος. οὐκοῦν, εἴπερ τὸ ἕν, καὶ ξύμπας ἀριθμὸς  ταὐτὸν πέπονθε τούτῳ. ἀλλὰ [26] μὴν λογιστική τε καὶ ἀριθμητικὴ  περὶ ἀριθμὸν πᾶσα ταῦτα δὲ φαίνεται ἀγωγὰ πρὸς ἀλήθειαν.  ὑπερφυῶς ἄρα ὧν ζητοῦμεν, ὡς ἔοικε, μαθημάτων εἴη ἂν τοῦτο. καὶ  τἄλλα δὲ ὡσαύτως χρήσιμα ἂν εἴη πρὸς ἐπιστήμην διὰ τὸ τῆς οὐσί-  ας ἅπτεσθαι γενέσεως δὲ ἀπολύεσθαι, καὶ τὴν μὲν νόησιν παρακα-  λεῖν τῶν δὲ αἰσθήσεων ἀφιστάναι, καὶ ἐπὶ θέαν τῆς τῶν ὄντων φύ-  σεως παρακαλεῖν, αὐτῆς δὲ τῆς ψυχῆς ῥᾳστώνην παρασκευάζειν τῆς  μεταστροφῆς ἀπὸ γενέσεως ἐπ᾽ ἀλήθειάν τε καὶ οὐσίαν. [10] δεῖ δὲ  καὶ τοῦ γνωρίζειν ἕνεκα ἐπιτηδεύειν τὰ μαθήματα" οὕτω γὰρ σφό-  Spa ἄνω ποι ἀνάγεται ἡ ψυχή, καὶ περὶ αὐτῶν τῶν ὄντων ἀναγκάζει  διαλέγεσθαι, οὐδαμῇ ἀποδεχομένους, ἐάν τις αὐτοῖς ὁρατὰ ἢ ἁπτὰ  σώματα προτεινόμενος διαλέγηται᾽ περὶ γὰρ τούτων λέγουσιν ὧν  διανοηθῆναι μόνον ἐγχωρεῖ, ἄλλως δὲ οὐδαμῶς μεταχειρίσασθαι  δυνατόν. ἀναγκαῖα οὖν κινδυνεύει εἶναι τὰ μαθήματα, ἐπειδὴ dai-  νεται προςαναγκάζειν αὐτῇ τῇ νοήσει χρῆσθαι τὴν ψυχὴν ἐπ᾽ αὐτὴν  τὴν ἀλήθειαν. καὶ μὴν καὶ ὀξυτέρους ποιεῖ [20] αὐτοὺς ἑαυτῶν γί-  γνεσθαι, καὶ ἔτι πολὺν πόνον παρέχει μανθάνοντί τε καὶ  μελετῶντι.   Σκοπεῖσθαι δὲ δεῖ καὶ εἴ τι πρὸς ἐκεῖνο τείνει, πρὸς τὸ ποιεῖν  κατιδεῖν ῥᾷον τὴν τοῦ ἀγαθοῦ ἰδέαν. τείνει δέ, φαμέν, πάντα av-  τόσ᾽, ὅσα ἀναγκάζει ψυχὴν εἰς ἐκεῖνον τὸν τόπον μεταστρέφεσθαι,  ἐν ᾧ ἐστι τὸ εὐδαιμονέστατον τοῦ ὄντος, ὃ δεῖ αὐτὴν παντὶ τρόπῳ  6.160 ἰδεῖν. οὐκοῦν εἰ μὲν οὐσίαν ἀναγκάζει θεάσασθαι, προ-  omker εἰ δὲ γένεσιν, οὐ προσήκει. καὶ τὰ μὲν [27] γνώσεως ἕνεκα  ἐπιτηδευόμενα, ὡς μαθήματα ὄντα τιμητέον, ὅσα τοῦ ἀεὶ ὄντος  γνώσεως, ἀλλ᾽ οὐ τοῦ ποτὲ γιγνομένου καὶ ἀπολλυμένου ἀντιλαμβά-  νεται. ὁλκὰ ἄρα ψυχῆς πρὸς ἀλήθειαν εἴη ἂν ταῦτα, καὶ ἀπεργαστι-  κὰ φιλοσόφου διανοίας πρὸς τὸ ἄνω σχεῖν ἃ νῦν κάτω οὐ δέον  ἔχομεν: μόνοις γὰρ αὐτοῖς ἀλήθεια ὁρᾶται. δεῖ τοίνυν συνεχῶς καὶ    LA SCIENZA MATEMATICA COMUNE 519    mento dell'unità. Ma la vista dell'unità possiede in sommo grado pro-  prio questa caratteristica, perché noi vediamo la stessa cosa come  unità e nello stesso tempo come infinita molteplicità. Se questo vale  per l’unità, dunque, anche il numero nel suo complesso avrà la stessa  proprietà. Ma [26] in realtà logistica e aritmetica concernono intera-  mente il numero e appaiono dunque capaci di guidare alla verità.  Ebbene, tutto questo, come sembra, appartiene straordinariamente  alle matematiche che cercavamo. Ci saranno ugualmente anche altri  aspetti delle matematiche utili per la scienza, dovute al fatto che esse  sono legate all'essere e separate dal divenire, e stimolano l’intelligen-  za ad allontanarsi dai sensi, e la spingono alla contemplazione della  natura degli enti, e facilitano la capacità dell'anima stessa a convertir-  si dal divenire alla verità e all'essere. E bisogna anche coltivare le  matematiche a scopo di conoscenza. In tal modo infatti l’anima è sol-  levata energicamente in alto, e costringe a ragionare sugli enti in se  stessi, e a respingere sempre chi ragioni proponendo come numeri  corpi visibili e tangibili. Si dice infatti che gli enti matematici sono  cose su cui è permesso soltanto ragionare, e che non è affatto possibi-  le trattare in altro modo. Sembra dunque che le matematiche siano  necessarie, poiché è evidente che l’anima è costretta a servirsi dell’in-  telligenza in sé per raggiungere la verità in sé; e in realtà le matemati-  che ci rendono più acuti di quanto non lo siamo naturalmente, e inol-  tre procurano molta fatica a chi le debba imparare e praticare.  Occorre esaminare anche se lo scopo a cui tende lo studio delle  matematiche è quello di fare scorgere più facilmente l’idea del bene.  Al bene, possiamo dire, tende tutto ciò che costringe l’anima a con-  vertirsi a quel luogo in cui si trova l’aspetto pit felice dell’essere, che  l'anima deve in ogni modo contemplare. Se dunque l’anima è costret-  ta a contemplare l’essere, allora questo studio le compete; se invece è  costretta a contemplare il divenire, non le compete. [27] E bisogna  onorare le cose che sono coltivate a scopo di conoscenza, come sono  le matematiche, che afferrano ciò che sempre è, e non ciò che ad un  certo momento nasce e si dissolve. Saranno le matematiche, dunque,  a stimolare l’anima verso la verità, e a produrre quei ragionamenti  filosofici che servano a mantenere in alto le cose che ora noi teniamo  in basso come non dovremmo: soltanto con le matematiche, infatti, si  può contemplare la verità. Occorre ovviamente che esse siano ricer-    520 GIAMBLICO    ἐντόνως ζητεῖσθαι αὐτά, iva ἐκφανῆ γένηται ὅπῃ ἔχει. πρὸς γὰρ  τοῖς ἄλλοις καὶ τὸ ἐπίχαρι διαφερόντως ἔχει, καὶ ἄνω [10] ποιεῖ τὴν  ψυχὴν βλέπειν. τοιαῦτα δέ ἐστι μαθήματα ἐκεῖνα ὅσα ἂν περὶ τὸ ὃν  ἡ καὶ τὸ ἀόρατον, καὶ ὅσα λόγῳ καὶ διανοίᾳ ληπτά, ὄψει δὲ οὔ. καὶ  παραδείγμασι μὲν χρηστέον τοῖς φαινομένοις" οὐ μέντοι ἐπισκο-  πεῖν αὐτὰ χρὴ σπουδῇ ὡς τὴν ἀλήθειαν ἐν αὐτοῖς ληψόμενον ἴσων ἢ  διπλασίων ἢ ἄλλης τινὸς ξυμμετρίας. καὶ γὰρ ἄτοπον, εἰ νομίζοι τίς  γίγνεσθαί τε ταῦτα ἀεὶ ὡσαύτως, καὶ οὐδαμῇ οὐδὲν παραλλάττειν  σώματα ἔχοντα καὶ ὁρώμενα, καὶ ζητεῖν παντὶ τρόπῳ τὴν ἀλήθειαν  αὐτῶν λαβεῖν. παρὰ πάντα δὲ ἐκεῖνο [20] δεῖ φυλάττειν, μήποτέ τι  αὐτῶν ἀτελὲς ἐπιχειρῶσιν ἡμῖν μανθάνειν odg παιδεύσομεν, καὶ  οὐκ ἐξῆκον ἐκεῖσε ἀεί, οἷ πάντα δεῖ ἀφήκειν᾽ χρήσιμα γὰρ οὕτως  ἔσται πρὸς τὴν τοῦ καλοῦ καὶ ἀγαθοῦ ζήτησιν, ἄλλως δὲ μεταδιω-  κόμενα ἄχρηστα. οἶμαι δέ γε, καὶ ἡ τούτων πάντων τῶν μαθημάτων  μέθοδος, ἐὰν μὲν ἐπὶ τὴν ἀλλήλων κοινωνίαν ἀφίκηται καὶ ξυγγένε-  Lav, καὶ συλλογισθῇ ταῦτα ἧ ἐστιν ἀλλήλοις οἰκεῖα, φέρειν αὐτῶν  εἰς ἃ βουλόμεθα τὴν πραγματείαν καὶ οὐκ [28] ἀνόνητα πονεῖσθαι"  εἰ δὲ μή, ἀνόνητα. ἡ γὰρ λύσις ἀπὸ τῶν δεσμῶν καὶ μεταστροφὴ ἀπὸ  τῶν σκιῶν ἐπὶ τὰ εἴδωλα καὶ τὸ φῶς, καὶ ἐκ τοῦ καταγείου καὶ al-  σθητοῦ εἰς τὸν ἥλιον ἐπάνοδος καὶ τἀγαθόν, καὶ ἐκεῖ πρὸς μὲν τὰ  ζῷά τε καὶ τὰ φυτὰ καὶ τὸ τοῦ ἡλίου φῶς ἔτι ἀδυναμία βλέπειν, του-  τέστι πρὸς τὰ καθαρὰ εἴδη καὶ γένη, πρὸς δὲ τὰ ἐν ὕδασι φαντάσμα-  τα θεῖα καὶ σκιὰς τῶν ὄντων, ἀλλ᾽ οὐκ εἰδώλων σκιὰς δι᾽ ἑτέρου  τοιούτου φωτὸς ὡς πρὸς ἥλιον κρίνειν ἀποσκιαζομένας, [10] πᾶσα  αὕτη ἡ πραγματεία τῶν τεχνῶν, ἃς διήλθομεν, ταύτην ἔχει τὴν δύνα-  μιν καὶ ἐπαναγωγὴν τοῦ βελτίστου ἐν ψυχῇ πρὸς τὴν τοῦ ἀρίστου ἐν  τοῖς οὖσι θέαν, ὥσπερ τό-τε» τοῦ σαφεστάτου ἐν σώματι πρὸς τὴν  τοῦ φανοτάτου ἐν τῷ σωματοειδεῖ τε καὶ ἀοράτῳ τόπῳ. τοιαύτη τίς  ἐστιν ἡ ἀρίστη χρῆσις τῶν μαθημάτων, καὶ τὸ κυριώτατον αὐτῶν  τέλος τοιόνδε ὑπάρχει.    7. Ἐπεὶ δὲ δεῖ καὶ καθ᾽ ἑκάστην μαθηματικὴν ἐπιστήμην διορί-  σαι τὸ ὑποκείμενον ἑκάστῃ οἰκεῖον ἐπιστητόν, φέρε ἐκ διαιρέσεως  ἀρχόμενοι διακρίνωμεν τὰ [20] εἴδη τῶν μαθημάτων περὶ ἃ πραγμα-    LA SCIENZA MATEMATICA COMUNE 521    cate continuamente e intensamente, affinché appaiano come vera-  mente sono. Peraltro, infatti, esse hanno anche un'eccellente gradevo-  lezza, e fanno volgere l’anima verso l’alto. Tali saranno quelle mate-  matiche che trattano l'essere e l’invisibile, e che sono afferrabili con il  calcolo e il ragionamento, non già con la vista. E bisogna servirsi dei  fenomeni?0 come di esempi; non è dunque necessario esaminare i  fenomeni con cura per cogliere in essi i veri rapporti di uguaglianza o  di doppio o di altro tipo. E sarebbe strano se qualcuno credesse che  questi fenomeni siano sempre alla stessa maniera, e che non ci sia  alcuna differenza tra i corpi come sono e come si vedono, e cercasse  di comprenderne in ogni modo la loro verità. E occorre in ogni caso  che noi ci atteniamo a questo principio, fare sî cioè che coloro che  educhiamo nelle matematiche non imparino mai alcuna di esse in  modo incompleto o che non pervenga là dove tutte devono mettere  capo. Studiate cosî, infatti, saranno utili alla ricerca del bello e del  bene, altrimenti saranno inutili?! E io credo che, anche il metodo di  tutte queste matematiche, se perviene alla loro reciproca comunanza  e parentela, e dimostra tali proprietà in cui essi sono in rapporto di  reciprocità, conduce la loro trattazione verso i risultati che vogliamo  e non avremo faticato inutilmente. [28] Se no, si tratta di cose vera-  mente inutili, perché la liberazione dai vincoli e la conversione dalle  ombre alle immagini e alla luce, e l'ascesa dal sotterraneo e dal sensi-  bile verso il sole e il bene, e lassi l'incapacità ancora di guardare gli  animali e le piante e la luce del sole, cioè alle pure specie e ai puri  generi, mentre è possibile guardare le loro divine immagini riflesse  nell’acqua e le ombre dei veri enti, ma non le ombre delle immagini  proiettate da una luce di natura diversa a giudicarla in confronto al  sole, tutta questa trattazione delle tecniche, che abbiamo esposte,  possiede questa capacità di elevare la parte più nobile dell’anima alla  contemplazione della parte migliore degli enti, cosî come nel caso  della vista la parte più chiara del corpo si elevava alla parte più lumi-  nosa del corporeo e al luogo invisibile. È di tale natura l’uso migliore  delle matematiche, e tale è la loro finalità più importante.??    7. Poiché bisogna anche definire nelle singole scienze matemati-  che lo scibile proprio di ciascuna, allora cominciamo dalla divisione e  distinguiamo le varie specie di matematica secondo le cose di cui trat-    522 GIAMBLICO    τεύονται. οὕτω γὰρ ἂν ῥᾷστα μάθοιμεν τὸ ἕν καὶ τὸ πλῆθος τῆς  μαθηματικῆς ἐπιστήμης, ποταπόν ἐστι καὶ κατὰ ποίας διαφορὰς κρί-  νεται. ἀρξώμεθα δὲ ἐντεῦθεν.   ‘H τοῦ συνεχοῦς καὶ ἡ τοῦ διῃρημένου φύσις [29] πᾶσα τοῖς οὖσιν,  ὅπερ ἐστὶ τῇ τοῦ παντὸς κόσμου συστάσει, διττῶς συνεπινοεῖται᾽  τοῦ μὲν διῃρημένου κατὰ παράθεσίν τε καὶ σωρείαν, τοῦ δὲ συνε-  χοῦς κατὰ ἕνωσίν τε καὶ ἀλληλουχίαν. κυρίως δὲ τὸ μὲν συνεχὲς  καὶ ἡνωμένον καλοῖτ᾽ ἂν μέγεθος, τὸ δὲ παρακείμενον καὶ διῃρημέ-  νον πλῆθος. «καὶ» κατὰ μὲν τὴν τοῦ μεγέθους οὐσίαν εἷς τε ὁ κόσμος  ἐπινοοῖτ᾽ ἂν καὶ λέγοιτο στερεὸς καὶ σφαιρικός τε καὶ συμπεφυκὼς  ἑαυτῷ διατεταμένος τε καὶ ἀλληλουχούμενος, κατὰ δὲ [10] τὴν τοῦ  πλήθους πάλιν ἰδέαν καὶ ἔννοιαν ἥ τε σύνταξις καὶ διακόσμησις  καὶ ἁρμονία τοῦ παντὸς ἐπινοοῖτ᾽ ἂν ἐκ τοσῶνδε φέρε εἰπεῖν στοι-  χείων καὶ σφαιρῶν καὶ ἀστέρων γενῶν τε καὶ ζῴων καὶ φυτῶν ἐναν-  τιοτήτων τε καὶ ὁμοιοτήτων τὴν σύστασιν ἔχουσα. ἀλλὰ τοῦ μὲν  ἡνωμένου ἐπ᾽ ἄπειρον μὲν ἐκ παντός ἐστιν ἡ τομή, ἡ δ᾽ αὔξησις ἐπὶ  ὡρισμένον τοῦ δὲ πλήθους κατὰ ἀντιπεπόνθησιν ἐπ᾽ ἄπειρον μὲν fl  αὔξησις, ἔμπαλιν δὲ ἡ τομὴ ἐπὶ ὡρισμένον, φύσει δὴ καὶ ἐπινοίᾳ ἀμ-  φοτέρων ἀπείρων ὄντων, καὶ διὰ [20] τοῦτο ἐπιστήμαις ἀπεριο-  piotav: «ἀρχὰν γὰρ οὐδὲ τὸ γνωσούμενον ἐσσεῖται πάντων ἀπείρων  ἐόντων» κατὰ τὸν Φιλόλαον. ἀναγκαίου δὲ ὄντος ἐπιστήμης φύσιν  ἐνορᾶσθαι τοῖς οὖσιν οὕτως ὑπὸ θείας ἠκριβωμένοις [30] προνοίας,  ἀποτεμόμεναι ἑκατέρου καὶ περατώσασαΐ τινες ἐπιστῆμαι τὸ  περιληφθὲν αὐταῖς, ἀπὸ μὲν τοῦ πλήθους ποσὸν ἐκάλεσαν, ὅπερ ἤδη  γνώριμον, ἀπὸ δὲ τοῦ μεγέθους κατὰ τὰ αὐτὰ πηλίκον. καὶ τὰ ἀμφό-  tepa αὐτῶν γένη ἐπιστήμαις ὑπήγαγον ταῖς ἑαυτῶν εἰδήσεσιν"  ἀριθμητικῇ μὲν τὸ ποσόν, γεωμετρίᾳ δὲ τὸ πηλίκον. ἀλλ᾽ ἐπεὶ μὴ  μονοειδῆ ταῦτα ἦν, ἔτι δὲ μερικωτέραν ὑποδιαίρεσιν ἑκάτερον  αὐτῶν ἐπεδέχετο (τοῦ μὲν γὰρ ποσοῦ τὸ μὲν ἦν καθ᾽ ἑαυτὸ τῆς πρὸς  [10] ἄλλο πως ἀπηλλαγμένον σχέσεως, οἷον φέρ᾽ εἰπεῖν ἄρτιον  περιττὸν τέλειον ἐλλιπὲς καὶ τὰ ὅμοια, τὸ δὲ πρὸς ἕτερόν πὼς ἔχον,    LA SCIENZA MATEMATICA COMUNE 523    tano. Cosî infatti potremo imparare molto facilmente l’unità e la mol-  teplicità della scienza matematica, quale sia mai la sua origine e secon-  do quali differenze si distingua. Cominciamo da qui.   La natura del continuo e del discreto, [29] nella totalità degli  enti, cioè nella struttura dell’intero universo, è concepita in due  modi: come natura del discreto, per giustapposizione e per accumu-  lazione; come natura del continuo, per unione e per coesione. In ter-  mini appropriati, ciò che è continuo e unificato si può chiamare  “grandezza”, ciò che è giustapposto e discreto, invece, “quantità  numerica”. E mentre secondo l’essenza della grandezza, il mondo  sarà concepito unico e sarà detto solido e sferico ed esteso e coeso in  modo connaturale con se stesso; secondo l’idea e la nozione di quan-  tità numerica, invece, sarà concepito come la struttura o l’ordinamen-  to o l'armonia del tutto, composta, diciamo, di tanti elementi e tanti  generi di sfere celesti e di astri e di animali e di piante e di contrarie-  tà e di somiglianze. Ma ciò che è unificato può essere del tutto diviso  all'infinito, mentre può essere aumentato in modo finito; la quantità  numerica, invece, secondo un rapporto inverso, può essere aumenta-  ta all’infinito, mentre può essere divisa in modo finito, pur essendo,  in verità, ambedue infiniti per natura e per rappresentazione menta-  le, e perciò scientificamente indeterminabili: «Non ci potrà essere,  infatti, cominciamento per il nostro conoscere, se tutto è infinito»,  dice Filolao.74 Ma poiché la scienza deve necessariamente per sua  natura osservare gli enti cosi come sono stati accuratamente ordinati  dalla divina [30] Provvidenza, alcune scienze, dopo essersi ritagliato  e delimitato quello che di questi due aspetti della realtà matematica?  esse potevano comprendere, hanno assegnato all’uno?6 il nome di  “quanto”, ricavandolo dalla molteplicità quantitativa,7” cosa di per sé  ovvia,?8 e all’altro?? il nome di “quanto grande”, ricavandolo, con lo  stesso criterio,80 dalla grandezza.8! E hanno sussunto ambedue i loro  generi come oggetto di scienze la cui forma di sapere si identifica con  loro stesse: il “quanto” come oggetto dell’aritmetica, il “quanto gran-  de” come oggetto della geometria. Ma poiché questi due generi non  erano di un’unica specie, e ciascuno di essi ha subito una suddivisio-  ne ancora più particolare (infatti del quanto c’era da un lato il quan-  to che è in sé, privo di qualsiasi relazione ad altro,82 come ad esempio  pari e dispari, perfetto e deficiente, e simili, e dall’altro lato il quan-    524 GIAMBLICO    ὃ δὴ πρός τι ποσὸν ἰδίως λέγεται, οἷον ἴσον ἄνισον πολυπλάσιον  ἐπιμόριον ἐπιμερὲς καὶ τὰ παραπλήσια᾽ καὶ πάλιν τοῦ πηλίκου τὸ  μὲν ὑπάρχει τε καὶ ἐπινοεῖται μένον, τὸ δὲ κινούμενον καὶ φερόμε-  νον), διὰ τοῦτ᾽ εἰκότως ταῖς προςαχθείσαις δυσὶν ἐπιστήμαις  ἕτεραί τινες δύο συμμετέσχον καὶ συνεφήψαντο τῆς καθ᾽ ἑκάτερον  ἐπιστητὸν θεωρίας. τῇ μὲν γὰρ ἀριθμητικῇ, ἰδίως λαχούσῃ τὴν [20]  περὶ τοῦ καθ᾽ ἑαυτὸ ποσοῦ σκέψιν, συμμετέσχεν ἣ μουσικὴ τῆς  περὶ τὸ πρός τι ποσὸν τεχνολογίας (οὐδὲν γὰρ ἄλλο τὸ ἁρμονικὸν  αὐτῆς καὶ τὸ περὶ συμφωνιῶν ἐπαγγέλλεται, ὅτι μὴ σχέσεις καὶ λό-  γους διαρθροῦν τῶν φθόγγων πρὸς ἀλλήλους καὶ ποσότητα  ὑπεροχῶν τε καὶ ἐλλείψεων), τῇ δὲ γεωμετρίᾳ περὶ τὴν τοῦ μένον-  τος καὶ ἑστῶτος πηλίκου ἐξέτασιν [31] καταγινομένῃ συλλήπτρια  ὑπῆρξεν ἡ σφαιρικὴ κινουμένου πηλίκου ἐπιγνώμων καταστᾶσα,  τοῦ τελειοτάτου δηλονότι καὶ τεταγμένην καὶ ὁμαλὴν κίνησιν ἐπι-  δεδεγμένου. διόπερ περὶ ἀδελφὰ τὰ ὑποκείμενα καὶ αὐτὰς γενομέ-  νας, εὔλογον ἀδελφὰς καὶ τὰς ἐπιστήμας ταύτας νομίζειν, ἵνα μὴ  ἀπαιδευτῇ τὸ ᾿Αρχύτειον᾽ «ταῦτα γὰρ τὰ μαθήματα δοκοῦντι εἶμεν  ἀδελφά», ἀλλήλων τε ἐχόμενα τρόπον ἁλύσεως κρίκων ἡγεῖσθαι,  καὶ ἐφ᾽ ἕνα σύνδεσμον καταλήγοντα,8 ὥς φησιν ὁ θειότατος [10]  Πλάτων, καὶ μίαν ἀναφαίνεσθαι προσήκειν τούτων τῶν μαθημάτων  τὴν συγγένειαν τῷ κατὰ τρόπον μανθάνοντι, τὸν δὲ σύμπαντα ταῦτα  οὕτως εἰληφότα, ὡς αὐτὸς ὑποτίθεται, τοῦτον δὴ καλεῖ τὸν ἀληθέ-  στατα σοφώτατον καὶ διισχυρίζεται παίζων, μεταδιωκτά τε καὶ ἐκ  παντὸς αἱρετὰ ταῦτα τὰ μαθήματα, εἴτε χαλεπὰ cite ῥάδια εἴη,  παρεγγυᾷ τοῖς φιλοσοφεῖν προθυμουμένοις: καὶ μάλα εὐλόγως,  εἴπερ συνεχοῦς καὶ διῃρημένου καταλήψεις διὰ τούτων μόνων γί-  νονται, ἐκ δὲ συνεχοῦς καὶ διῃρημένου ὅ τε κόσμος καὶ τὰ ἐν αὐτῷ  [32] πάντα. τούτων δὴ ἀκριβὴς κατάληψις σοφία, σοφίας δὲ ἔφεσις  φιλοσοφία, φιλοσοφία δὲ ἐκ πασῶν μονωτάτη τεχνῶν τε καὶ  ἐπιστημῶν τὸ οἰκεῖον «καὶ» κατὰ φύσιν ἀνθρώπῳ τέλος περιποιεῖ  καὶ ἐπὶ τὴν εὐδαιμονίαν ἄγει τὴν παρὰ τὰ ἄλλα ζῷα τούτῳ μόνῳ  προζςήκουσαν καὶ κατὰ φύσιν σπουδαζομένην ὡς σκοπιμώτατον  αὐτῷ τέλος.    8 καταλήγοντα congetturò Festa in appar. ad ἰος.: καταλήγουσα.    LA SCIENZA MATEMATICA COMUNE 525    to che è in una qualche relazione ad altro, e che si chiama propria-  mente “quanto in rapporto a qualcosa”,84 come ad esempio uguale e  disuguale, multiplo, epimorio,85 epimere,8 e affini; anche del quanto  grande, a sua volta, esiste e si concepisce il quanto grande statico, e  dall'altro lato il quanto grande mosso o in movimento), e perciò a  ragione alle due scienze suddette8? se ne aggiunsero altre due88 desti-  nate a concorrere alla teoria secondo l’uno o l’altro di questi due  oggetti della scienza matematica.8? Con l’aritmetica, infatti, a cui è  toccata in sorte propriamente la ricerca del quanto in sé, si mise a col-  laborare la musica per la trattazione tecnica del quanto relativo (nien-  t'altro infatti insegnano l’armonica e la sinfonica musicali, se non ad  articolare relazioni e rapporti dei suoni tra loro e in ordine alla quan-  tità di eccessi e difetti), con la geometria, invece, che si occupa della  ricerca sul quanto grande statico e fisso, [31] si mise a collaborare la  sferica che giudica del quanto grande in movimento, di quello più  perfetto, naturalmente, e che ammette un movimento ordinato e uni-  forme. Perciò queste scienze che si occupano di soggetti fratelli, è  ragionevole considerarle scienze sorelle, affinché non si ritenga insen-  sato il detto di Archita: «sembra che queste scienze siano sorelle»?! e  pensarle come degli anelli che formino tra loro come una catena che  le leghi in un vincolo unico, come dice il divinissimo Platone, il  quale afferma anche che la parentela che unifica queste scienze si rive-  la convenientemente a chi le apprenda secondo il giusto metodo, e  che colui che ha acquisito l’insieme di tutte queste scienze, cosî come  egli pensa si debba fare, Platone lo chiama sapientissimo nel senso più  vero del termine e lo afferma scherzando, e raccomanda a chi deside-  ri filosofare di ricercare e desiderare sempre queste matematiche,  siano esse difficili o facili; e Platone dice cose molto ragionevoli, se è  vero che da un lato il continuo e il discreto si conoscono solo attra-  verso queste scienze, e dall’altro lato il cosmo e tutto quanto è in  esso sono composti dal continuo e dal discreto. [32] Sapienza è  appunto conoscenza esatta del quanto, e la filosofia è desiderio di  sapienza, e la filosofia è assolutamente l’unica, fra tutte le arti e le  scienze, che fa raggiungere all’uomo il suo proprio fine naturale e lo  conduce alla felicità che solo a lui, fra tutti gli esseri viventi, si addice  e che solo da lui per natura è desiderata come il suo fine supremo.    526 GIAMBLICO    8. Δεῖ δὴ τὸ μετὰ τοῦτο καὶ περὶ τοῦ κριτηρίου πάντων τῶν  μαθημάτων εἰπεῖν, ποῖόν γέ τί ἐστι καὶ [10] τίνας ἔχει τὰς ἐν αὑτῷ  διαφορὰς τῶν ἐνεργειῶν. ἄνωθεν οὖν ἀναλαβόντες ἀπὸ διαιρέσεως  ποιησώμεθα τὴν ὅλην περὶ αὐτοῦ διδασκαλίαν.   Τὰ δὴ νοητὰ πάντα εἰς δύο διήρηται, εἰς τε τὰ ἰδίως νοητὰ καλούμε-  va καὶ ἐπιστητά, καὶ εἰς τὰ διανοητά᾽ καὶ πρῶτα μέν ἐστι τὰ νοητά,  δεύτερα δὲ καὶ ὑποδεέστερα τὰ διανοητά. πάλιν δὲ ἀπὸ τούτων  ἑτέρα οὐσία ἐστὶν ἡ τῶν αἰσθητῶν, τούτων δὲ τὰ μὲν ἰδίως ἐστὶν ai-  σθητά, ἃ καὶ δοξαστά, τὰ δὲ εἰκαστά. δοξαστὰ μὲν καὶ ἰδίως ai-  σθητὰ τὰ κατὰ μέρος σώματα, οἷον [20] λίθοι ξύλα τὰ τέτταρα στοι-  χεῖα, ταῦτα δέ ἐστιν ἐν αἰσθητοῖς πρῶτα μεθ᾽ ἃ ἀσθενῆ ἄλλα καὶ  οὐχ ὅμοια, ἐπηκολουθηκότα δὲ τοῖς πρώτοις ἐστίν. ἔστι δὲ ταῦτα αἱ  σκιαί᾽ καὶ γὰρ αἱ σκιαὶ παρακολουθήματα τῶν σωμάτων, καὶ εἰ μὴ  ἔχοιεν ἄλλο τι ὑποβεβλημένον σῶμα, οὐκ ἂν φανεῖεν. εἴδωλα οὖν  αἱ σκιαὶ καὶ τὰ [33] ἐν ὕδασι καὶ κατόπτροις, ἐν ἄλλοις καὶ οὐ καθ᾽  αὑτὰ ὄντα, οὐδὲ ἄλλων δίχα φαινόμενα, ἀλλὰ εἰς ἄλλα σώματα  πεπτωκότα, ὧν ὑποσπασθέντων οὐ φαίνεται. διὸ αἰσθητὰ μέν ἐστι  τῷ γένει, ὅτι ὑπὸ αἴσθησιν πίπτει, εἰκαστὰ δὲ μᾶλλον καὶ πιστευτὰ  ἢ ὑποστατά, κατὰ πίστιν λεγόμενα τὴν ἐπὶ τῶν μὴ ἀποδεικτικῶν,  ἄλλως δὲ εἰς παραδοχὴν παραλαμβανομένων ἀπὸ τῆς τῶν προφε-  ρόντων πίστεως. καὶ γὰρ τὰ τῶν σκιῶν οὐκ ἀφ᾽ αὑτῶν ἔχει τὸ ἀντιλ-  ηπτικόν, ἀπὸ δὲ τῶν σωμάτων εἰς [10] ἃ πέπτωκε καὶ ἐν οἷς ἀναπα-  υόμενα φαίνεται. ἔχει οὖν τὸ ἀβέβαιον ἡ τοιαύτη πίστις καὶ γὰρ  ταῦτα εἰ ἀποσταίη τοῦ κατόπτρου ἢ ὕδατος ἢ ἐδάφους, οὐδὲν ἂν εἴη  τὸ σύνολον. ὥστε καὶ τῶν σωμάτων δοξαστῶν ὄντων καὶ τὸ εἶναι ἐν  τῷ δοκεῖν κεκτημένων, αἱ σκιαὶ ἔτι μᾶλλον ὑποβεβήκασι τῷ μὴ  ἔχειν ἐξ ἑαυτῶν τὸ στερέμνιον, ἀλλ᾽ ἐπερείδεσθαι ἐπ᾽ ἄλλου. τού-  τοις δὴ ἔοικε καὶ τὰ διανοητά, λόγον ἔχοντα πρὸς τὰ ἐπιστητὰ καὶ  νοητά, ὃν τὰ εἰκαστὰ πρὸς τὰ αἰσθητά τε καὶ δοξαστά. τάς τε γὰρ  ἰδέας οἱονεὶ κατ᾽ ἐπαφὴν ἔχει [20] ὁ νοῦς τὰ ὄντως ὄντα οὔσας, τὰ  δὲ διανοητά, ἅπερ ἐστὶ τὰ γεωμετρικά, ὑπὸ τῆς διανοίας βλέπεται,  οὐκέτι τῆς διανοίας αὐτοῖς κατ᾽ εὐθὺ καὶ οἷον κατ᾽ ἐπιβολὴν πελα-  ζούσης, ἀλλὰ διὰ λόγου μᾶλλον τῆς ἐπ᾽ αὐτὰ γιγνομένης πελάσεως,    LA SCIENZA MATEMATICA COMUNE 527    8. Bisogna parlare, dopo di ciò, anche del criterio di verità di tutte  le matematiche, di che natura sia e quali differenti modi di operare  esso abbia in sé. Cominciando, dunque, dall’alto, cioè con il metodo  della divisione, facciamone una completa esposizione didattica.   Orbene, tutti gli intelligibili si dividono in due classi: gli intelligi-  bili o scibili* propriamente detti, e i raziocinabili; gli intelligibili sono  primi, i raziocinabili secondi e inferiori. C'è a sua volta un’altra clas-  se di enti, quella dei sensibili, e di questi alcuni sono sensibili in senso  proprio, che sono anche opinabili,9” altri immaginabili.98 Opinabili e  sensibili in senso proprio sono i corpi particolari, come ad esempio  pietre, legni, i quattro elementi, ma questi ultimi sono i primi tra i sen-  sibili; dopo questa classe di sensibili ci sono altri sensibili deboli e dis-  simili da quelli, ed essi vengono dietro ai primi. Ma questi secondi  sensibili sono le ombre dei sensibili: le ombre infatti seguono i corpi,  e se non avessero un qualche corpo sottostante, non apparirebbero  neppure. Immagini sono, senza dubbio, le ombre e [33] i riflessi che  si vedono nelle acque e negli specchi, in quanto esistono in altro e non  in se stessi, e non sono neppure fenomeni di sdoppiamento di altri  corpi, bensi semplici epifenomeni?? di altri corpi, venuti meno i quali  quelli non appaiono più. Perciò sono sensibili quanto al genere, poi-  ché cadono sotto i sensi, ma sono più oggetto di immaginazione e di  credenza che non enti in sé sussistenti, cose cioè dette per nostra cre-  denza su cose che non indicano nulla, in altri termini per acquisizio-  ne di cose assunte dal fatto che noi crediamo in ciò che le produce. E  infatti le ombre non ricevono la loro percettibilità da se stessi, ma dai  corpi di cui sono ombre e in cui appaiono riposare. Tale credenza,  dunque, è priva di fondamento; e infatti questa specie di sensibili,  quando viene a mancare lo specchio o l’acqua o ciò su cui poggiare,  viene a mancare di colpo. Di conseguenza le ombre sono soggette a  non avere solidità per se stesse, ma ad appoggiarsi ad altro ancor più  dei corpi che pure sono opinabili e fondano il loro essere nell’appari-  re. In realtà alle ombre!% somigliano anche i raziocinabili, che stanno  agli scibili e intelligibili come gli immaginabili stanno ai sensibili e  opinabili. E infatti le idee, che sono i veri enti, l’intelletto le possiede  come per contatto, mentre i raziocinabili, che sono gli enti geometri-  ci, la ragione li vede quando non si è ancora accostata ad essi diretta-  mente, né li vede come per intuizione, ma attraverso il calcolo più che    528 GIAMBLICO    καὶ οἷον ἀπὸ τῶν ἰδεῶν κατιόντων ὡς ἐπὶ εἰκάσματα [tà] ἐκείνων  καὶ εἴδωλα νοητά᾽ [34] τά τε εἰκαστὰ καὶ ἐν ταῖς σκιαῖς ὑποβέβηκε  παρὰ τὰ αἰσθητά, τῷ ἐκεῖνα μὲν καθ᾽ αὑτὰ ὑποπίπτειν τῇ αἰσθήσει  κατ᾽ εὐθυωρίαν, τὰ δὲ ἐν ἄλλῳ καὶ ἐπ᾽ ἄλλῳ καὶ δι᾽ ἄλλο  θεωρεῖσθαι. οὐ γὰρ δὴ καθ᾽ ἑαυτὴν ἡ σκιά, ἀλλ᾽ ἢ ἐν τῷ ἐδάφει  αἰσθητῷ ὄντι καθ᾽ ἑαυτὸ ἢ ἐν τῷ κατόπτρῳ ἢ ἐν τοῖς ὕδασιν, ἅπερ ἦν  καθ᾽ ἑαυτὰ αἰσθητά. οὕτως οὖν καὶ τὰ μαθηματικά, ὥσπερ ἐν ταῖς  ἰδέαις ἔοικε φαντάζεσθαι, καὶ ἐπ᾽ ἐκείναις ἔχειν τὸ ἐπέρεισμα- οὐ  γὰρ δεῖ ἀπὸ τῶν αἰσθητῶν [10] κατὰ ἀφαίρεσιν ἐπινοεῖσθαι αὐτά,  ἀλλ᾽ ὑποβάντα ἀπὸ τῶν ἰδεῶν τὸ εἰδωλικὸν ἔχειν ἀπ᾽ ἐκείνων, τῷ  προσειληφέναι καὶ μέγεθος καὶ ἐν διαστάσει φαντάζεσθαι. ὅπερ  γὰρ ἐν τοῖς τῶν αἰσθητῶν εἰδώλοις τὸ ἀμενηνὸν καὶ καθ᾽ ἑαυτὸ ἀνε-  πέρειστον, τοῦτο ἐν τοῖς νοητοῖς τὸ ἔνογκον καὶ διαστατόν᾽ ἀλλ᾽  ἐπεὶ καὶ τοῦτο σπεύδει πρὸς τὸ ἄογκον καὶ ἀμερές, ἐπαναπαύεσθαι  ἔοικεν ἐν τῇ τῶν ἰδεῶν ἀμερείᾳ, ὡς αἱ σκιαὶ ἐν τῇ τῶν αἰσθητῶν  ἀντιτυπίᾳ. ὥσπερ τοίνυν τὰ διανοητὰ τῶν νοητῶν κεχώρισται, οὕτω  καὶ ἡ διάνοια τῆς νοήσεως. [20] διόπερ καὶ Βροτῖνος ἐν τῷ Περὶ νοῦ  καὶ διανοίας χωρίζων αὐτὰ ἀπ᾽ ἀλλήλων τάδε λέγει «ἁ δὲ διάνοια  τῷ vò μεῖζόν ἐστι, καὶ τὸ διανοατὸν τῶ νοατῶ᾽ ὁ μὲν γὰρ νόος ἐστὶ  τό τε ἁπλόον καὶ τὸ ἀσύνθετον καὶ τὸ πρᾶτον νοέον καὶ τὸ νοεόμε-  νον (τοιοῦτον δ᾽ ἐστὶ τὸ εἶδος" καὶ γὰρ ἀμερὲς καὶ ἀσύνθετον καὶ  πρᾶτόν ἐστι [35] τῶν ἄλλων), ἁ δὲ διάνοια τό τε πολλαπλόον καὶ  μεριστὸν καὶ τὸ δεύτερον νοέον (ἐπιστάμαν γὰρ καὶ λόγον τὸν προ-  σείληφε), παραπλησίως δὲ καὶ τὰ διανοατά, ταῦτα δ᾽ ἐντὶ τὰ ἐπιστα-  τὰ καὶ τὰ ἀποδεικτὰ καὶ τὰ καθόλω τὰ ὑπὸ τῶ νόω διὰ τῶ λόγω κατα-  λαμβανόμενα.» ἐν δὴ τούτοις μεῖζον μὲν λέγει τὴν διάνοιαν καὶ τὸ  διανοητόν, οὐ τῇ δυνάμει ἀλλὰ τῷ πλήθει (ἐναντίως δ᾽ ἔχει ταῦτα  πρὸς ἀλληλα), ἀφορίζεται δὲ αὐτὰ ἀπὸ τοῦ νοῦ καὶ τῶν νοητῶν οὐ  τούτοις μόνον, ἀλλὰ [10] καὶ τῷ τὰ μὲν ἁπλᾶ εἶναι καὶ ἀσύνθετα τὰ  δὲ πολυειδῆ καὶ σύνθετα, καὶ διότι τὰ μὲν πρώτως νοεῖ καὶ νοεῖται    LA SCIENZA MATEMATICA COMUNE 529    per vicinanza ad essi, li vede cioè come intelligibili che da idee scado-  no a loro rappresentazioni e immagini; [34] anche gli immaginabili  tra i sensibili scadono a livello di ombre, per il fatto che mentre i sen-  sibili cadono per se stessi sotto i sensi per visione diretta, le ombre  invece sono viste in altro, su altro e per mezzo di altro. L'ombra infat-  ti non esiste in se stessa, ma o in ciò su cui poggia e che è sensibile per  se stesso, o nello specchio o nelle acque, che sono sensibili per se stes-  si. In tal modo dunque anche gli enti matematici sembra che siano  come immagini delle idee, e che abbiano in queste il loro fondamen-  to: non bisogna infatti rappresentarseli come prodotti per astrazione  dai sensibili, al contrario essi, discendendo dalle idee, ricevono da  queste il loro carattere di immagini, per il fatto che hanno acquisito e  grandezza e dimensione. Infatti l’indebolimento che si ha nelle imma-  gini dei sensibili e il fatto di non avere sostegno in sé corrisponde  negli intelligibili all’acquistare massa e dimensione; ma poiché anche  questo avere massa e dimensione inclina verso ciò che è privo di  massa e di parti, allora l’ente matematico sembra che risieda nella pri-  vazione di parti propria delle idee, cosî come le ombre sembra che  risiedano nella impenetrabilità dei sensibili. In realtà, come i razioci-  nabili sono separati dagli intelligibili, cosî anche la ragione è separata  dall’intellezione. Perciò anche Brotino nel suo libro Sull’intelletto e la  ragione,!0 separando tra loro queste due facoltà, cosî dice: «la ragio-  ne è più dell’intelletto, e il raziocinabile è più dell’intelligibile: l’intel-  letto infatti è il semplice e non composto e primo soggetto e oggetto  di intelligenza (ma tale è l’idea: essa è infatti priva di parti e non com-  posta e prima [35] di tutto il resto), la ragione invece è il molteplice  e divisibile e soggetto di intelligenza di ordine secondario (essa infat-  ti ha acquisito!02 scienza e ragionamento), e un discorso simile vale  per i raziocinabili, che sono gli oggetti della scienza e ciò che questa  può dimostrare e che sono gli universali che, al livello inferiore a quel-  lo dell’intelletto, si afferrano per mezzo del ragionamento». In questo  passo Brotino dice che la ragione e il raziocinabile sono “più” dell’in-  telletto, non nel senso della potenza, bensi in quello della molteplici-  tà (questi due aspetti stanno tra loro in rapporto di contrarietà),!% ed  egli li distingue dall’intelletto e dagli intelligibili non solo per questo,  ma anche per il fatto che gli uni sono semplici e non composti e gli  altri multiformi e composti, e perciò i primi pensano e sono pensati a 530 GIAMBLICO tà δὲ δευτέρως καὶ παρ᾽ ἐκείνων λαμβάνοντα τὴν τούτων ἐνέργειαν, καὶ τὰ μὲν ἐν εἴδεσιν ἐνέστηκε τὰ δὲ ἐν λόγοις πολλαπλῆν ποιεῖται τὴν ἐνέργειαν, καὶ τὰ μέν ἐστιν ἀμέριστα τὰ δὲ μεριστά, καὶ τὰ μὲν κρείττον᾽ ἀποδεικτικοῦ συλλογισμοῦ τὰ δὲ συλλογίζεταί τι περὶ τῶν ὄντων, καὶ τὰ μὲν αὐτά ἐστι τὰ ὄντα τὰ δὲ ἐν τοῖς καθόλου περιείληφε καὶ συνεμφαίνει τὰ καθ᾽ ἕκαστον, καὶ τὰ μὲν ἀύλοις καὶ [20] καθαραῖς ἐνεργείαις χρῆται τὰ δὲ συμμεμιγμένην ἔχει τὴν νόησιν" τῷ γὰρ νῷ διὰ τοῦ λόγου καταλαμβάνει τὰ οἰκεῖα γνωστά, ἢ τῷ νῷ μετὰ τοῦ λόγου. συμβαίνει δὴ οὖν ἐκ τούτων τά τε κρινόμενα πράγματα καὶ τὰ κριτήρια αὐτῶν διεστηκέναι ἀπ᾽ ἀλλήλων, ὡς τὰ μὲν διανοητὰ τῶν νοητῶν διαφέρειν, τὴν δὲ διάνοιαν τοῦ νοῦ. Ἔτι δὲ σαφέστερον ᾿Αρχύτας ἐν τῷ Περὶ νοῦ [36] καὶ αἰσθήσεως διακρίνει τὰ κριτήρια τῶν ὄντων, καὶ τὸ τῶν μαθηματικῶν οἰκειότα- τον κριτήριον παρίστησι διὰ τούτων «ἐν ἁμῖν» γὰρ «αὐτοῖς», φησί, «κατὰ ψυχὰν γνώσιές εἰσι τέσσαρες, νόος ἐπιστάμα δόξα αἴσθησις, ὧν αἱ μὲν δύο τοῦ λόγου ἀρχαί ἐντι, οἷον νόος αἴσθασις, τὰ δὲ δύο τέλη, οἷον ἐπιστάμα καὶ δόξα: τὸ δ᾽ ὅμοιον ἀεὶ τοῦ ὁμοίου γνωστι- κόν. φανερὸν ὧν ὅτι ὁ μὲν νόος ἐν ἁμῖν τῶν νοατῶν γνωστικόν, ἁ δὲ ἐπιστήμη τῶν ἐπιστατῶν, ἁ δὲ δόξα τῶν [10] δοξαστῶν, ἁ δὲ αἴσθασις τῶν αἰσθατῶν᾽ διόπερ ὧν δεῖ μεταβαίνεν ἀπὸ μὲν τῶν ai- σθατῶν ἐπὶ τὰ δοξαστὰ τὰν διάνοιαν, ἀπὸ δὲ τῶν δοξαστῶν ἐπὶ τὰ ἐπιστατά, καὶ ἀπὸ τούτων ἐπὶ τὰ νοατά᾽ ταῦτα δὲ σύμφωνα ποιητά, θεωρούμενα δι᾽ αὐτῶν ἀλάθεα. διωρισμένων δὲ τούτων τὰ μετὰ ταῦτα δεῖ νοῆσαι. καθάπερ γὰρ γραμμὰν δίχα τετμαμένην καὶ ἴσα πάλιν ἑκατέρων τμήματα τετμαμένα ἀνὰ τὸν αὐτὸν λόγον, [καὶ] οὕτω διῃρήσθω καὶ τὸ νοατὸν ποττὸ ὁρατόν, καὶ πάλιν ἑκάτερον οὕτως διωρίσθω, καὶ διαφέρεν σαφηνείᾳ τε [20] καὶ ἀσαφείᾳ ποτ᾽ ἄλλαλα!ο τὸν αὐτὸν δὴ τρόπον τῷ μὲν δὴ αἰσθατῶ τὸ μὲν ἅτερον τμῆμά ἐστι τά τε εἴδωλα τὰ ἐν τοῖς ὕδασι καὶ ἐν τοῖς κατόπτροις, τὸ δ᾽ ἕτερον μέρος, ὧν ταῦτα εἰκόνες, φυτὰ καὶ ζῷα’ τῶ δὲ νοατῶ [37] τὸ μὲν ἀνάλογον ἔχον ὡς αἱ εἰκόνες τὰ περὶ τὰ μαθήματα γένη vii: οἱ γὰρ περὶ τὰν γαμετρίαν ὑποθέμενοι τό τε περισσὸν καὶ τὸ ἄρτιον 9 eliminò Kroll (cf. ed. Klein Add. p. XVIII). 10 ποτ’ ἄλλαλα Mullach: rottàA Aa Festa. LA SCIENZA MATEMATICA COMUNE 531 livello primario; gli altri a livello secondario, in quanto attingono dai primi la loro capacità di farlo, e gli uni stanno tra le idee, gli altri svol- gono una molteplice attività nei ragionamenti, e inoltre gli uni sono indivisibili, gli altri divisibili, e gli uni stanno al di sopra del sillogismo dimostrativo, gli altri sillogizzano sugli enti, e gli uni sono enti in se stessi, gli altri comprendono e al tempo stesso mostrano i particolari dentro gli universali, e gli uni si servono di atti immateriali e puri, gli altri possiedono un’intellezione mista: essi, infatti, afferrano i loro oggetti di conoscenza per mezzo dell’intelletto attraverso il ragiona- mento, oppure per mezzo dell'intelletto accompagnato dal ragiona- mento. Da tutto ciò consegue, dunque, che sia le cose giudicate che i criteri secondo cui si giudicano sono diversi tra loro, cosi come i raziocinabili differiscono dagli intelligibili, e la ragione dall’intelletto. Ancora più chiaramente Archita nel suo libro Sull’intelletto [36] e la sensazione distingue i criteri di conoscenza degli enti e presenta quello proprio delle matematiche con queste parole:!% «In noi stessi, egli dice, in rapporto alla nostra anima, ci sono quattro tipi di cono- scenza: intelletto, scienza, opinione e sensazione; due di essi, intellet- to e sensazione, stanno all’inizio del ragionamento, gli altri due, scien- za e opinione, al termine del ragionamento; il simile conosce sempre il simile. È chiaro dunque che il nostro intelletto è facoltà conoscitiva degli intelligibili, la scienza lo è degli scibili, l'opinione degli opinabi- li, il senso dei sensibili. È per questo, dunque. che la ragione deve pas- sare dai sensibili agli opinabili, dagli opinabili agli scibili, e da questi ultimi agli intelligibili: una volta che queste cose sono accordate fra loro, con esse è possibile contemplare la verità. Fatte tali distinzioni, bisogna pensare le cose che vengono dopo. Come infatti si può divi- dere una linea in due parti ed ugualmente ciascuna di esse ancora in due secondo lo stesso rapporto, cosî si divida anche l’intelligibile rispetto al visibile, e a sua volta si divida ciascuno di questi sî che dif- feriscano tra loro in chiarezza e oscurità; allo stesso modo, del sensi- bile una sezione è costituita dalle immagini riflesse nelle acque e negli specchi, l’altra invece è costituita dalle cose di cui queste sono imma- gini, e cioè piante e animali; dell’intelligibile invece la sezione che cor- risponde alle immagini [37] è costituita dai generi maternatici: i geo- metri, infatti, una volta stabiliti come presupposti il dispari e il pari e le figure e le tre specie di angoli, partono da questi elementi per trat- 532 GIAMBLICO καὶ σχάματα καὶ γωνιᾶν τρισσὰ εἴδεα, ἐκ τούτων πραγματεύονται τὰ λοιπά, τὰ δὲ πράγματα ἐῶντι ὡς εἰδότες, λόγον τε οὐκ ἔχοντι διδόμεν οὔτ᾽ αὐτεαύτοις οὔτ᾽ ἄλλοις" ἀλλὰ τοῖς μὲν αἰσθατοῖς, ὡς εἰκός, χρῶνται, ζατοῦντι δὲ οὐ ταῦτα, οὐδὲ τούτων ἕνεκα ποιεῦνται τὼς λόγως, ἀλλὰ τᾶς διαμέτρω χάριν καὶ αὐτῶ τετραγώνω. τὸ δ᾽ [10] ἅτερον τμᾶμά ἐντι TO νοατῶ, περὶ ὃ διαλεκτικὰ κατασχόληται: αὐτὰ γὰρ τῷ ὄντι τὰς ὑποθέσιας [ἀλλ᾽ «οὐχ»!!! ὑποθέσιας, ἀλλ᾽ ἀρχάς τε καὶ ἐπιβάσιας ποιεῖταις, ἵνα» μέχρι τῶ ἀνυποθέτω ἐπὶ παντὸς ἀρχὰν ἔλθῃ, καὶ πάλιν ἐχομένα καταβᾷ ἐπὶ τὰν τελευτὰν οὐ- δενὶ προσχρωμένα αἰσθατῷ, ἀλλ᾽ εἰδέεσσιν αὐτοῖς δι᾽ αὑτῶν. ἐπὶ δὲ τέτταρσι τούτοις τμάμασι καλῶς ἔχει διανέμεν καὶ τὰ πάθεα τᾶς ψυχᾶς: καὶ καλέσαι νόασιν μὲν ἐπὶ τῷ ἀκροτάτῳ, διάνοιαν δὲ ἐπὶ τῷ δευτέρῳ, ἐπὶ δὲ τῷ τρίτῳ πίστιν, εἰκασίαν δὲ ἐπὶ τῷ τετάρτῳ.» [20] Οἶμαι τοίνυν καὶ διὰ τούτων κατάδηλον [38] γεγονέ ναι, ὡς τέσσαρες μέν εἰσι διαφοραὶ τῶν ὄντων, τέτταρες δὲ τῆς κρίσεως ἀρχαΐ, καὶ ὡς ὁ λόγος μέσην ἔχων ἐφάπτεται τῶν δύο ἄκρων, νοητῶν τε καὶ αἰσθητῶν, ἐν τέλους τάξει πρὸς τὸν νοῦν καὶ τὴν αἴσθησιν καθιστάμενος ὡς ἀρχὰς οὔσας ἑαυτοῦ καὶ ὑπ᾽ αὐτῶν ἀποτελούμε- νος. ἔστι δὲ καὶ τοῦτο ἀξίωμα κοινὸν περὶ πάσης γνωριστικῆς δυνά- μεως, ὡς τῷ ὁμοίῳ τὰ ὅμοια γιγνώσκεται. ἔνεστιν οὖν καὶ ἀπ᾽ ἀμφο- τέρων ἀμφότερα καὶ ἀπὸ τῶν ἑτέρων τὰ ἕτερα τούτων [10] καταμαν- θάνειν, τάς τε ἴσας διαιρέσεις κοινῶς τε καὶ ἰδίως οἷόν τε ἐπ᾿ αὐτῶν ποιεῖσθαι, τάξιν τε μεταβάσεως ἀπὸ τῶν ἑτέρων ἐπὶ τὰ ἕτερα, του- τέστιν ἀπὸ τῶν καταδεεστέρων ἐπὶ τὰ ἀνωτέρω’ καὶ ἀναγωγὴν πάντων καὶ σύνταξιν ἐπὶ τὸν νοῦν ὅπως δεῖ ποιεῖσθαι διώρικε. τὸ δὴ μετὰ τοῦτο τὴν γραμμὴν κατατέμνει, μίαν μὲν οὖσαν, ἵνα ὡς ἕν τὸ γνωριστικὸν ὑπολάβωμεν, δίχα δὲ ταύτην διαιρεῖ κατὰ τὰς πρώτας διαφορὰς τῶν ὄντων καὶ τὰς ἐπ᾽ αὐτοῖς διχῇ διῃρημένας κρίσεις. ἴσας δὲ αὐτὰς τίθεται κατὰ τὴν τῶν λόγων μετουσίαν [20] καὶ τῶν εἰδῶν καὶ διὰ τὴν ὁμοιότητα τῶν μετεχόντων πρὸς τὰ μετεχόμενα, καὶ διότι ἡ ἀναλογία ἡ αὐτή πώς ἐστιν ἐπ᾽ ἀμφοτέρων. πάλιν δ᾽ ἑκάτερον τῶν τμημάτων ἀνὰ τὸν αὐτὸν λόγον διαιρεῖ, ἐπειδὴ δι᾽ ὅλου ἡ γνωστικὴ δύναμις ὁμοειδής ἐστι πρὸς ἑαυτήν, τάς τε διαφο- ρὰς αὐτῆς ποιεῖται σαφηνείᾳ τε καὶ ἀσαφείᾳ καὶ τῷ τελέως ὡρίσθαι 11: ho aggiunto io seguendo Platone, Resp. 6, 5118: «οὐχ ἀρχάς», ἀλλ᾽ ὁρμάς τε καὶ avrebbe preferito Festa, seguendo sempre Platone, Resp. 6, 5110. ma non mi sembra necessario. LA SCIENZA MATEMATICA COMUNE 533 tare il resto, e trascurano, come se le conoscessero, le cose reali, e non hanno da rendere ragione di ciò né a se stessi né ad altri; dei sensibi- li, invece, si servono, si, ma senza indagarli, e costruiscono i loro ragionamenti non già in funzione di questi, bensi del diametro e del suo quadrato. Un'altra sezione è infine quella dell’intelligibile, su cui si esercita la dialettica. Questa infatti pone delle ipotesi nel senso vero del termine, cioè non come presupposti, ma come punti di partenza e di appoggio per arrivare a quell’incondizionato che è il principio di tutto, e una volta raggiuntolo rifare il percorso in giù sino alla fine senza utilizzare nessun sensibile, ma solo forme pure dei sensibili. In queste quattro sezioni bisogna ben distribuire anche le affezioni!05 dell'anima, e chiamare intellezione quella che sta al punto più alto,ragione quella che viene subito dopo, credenza la terza e immagina- zione la quarta».106 Ebbene, io ritengo che anche da ciò risulti evidente [38]! che quattro sono le differenze tra gli enti, e quattro i principi per giudi- carli, e che il ragionamento, stando nel mezzo, tocca i due estremi, cioè gli intelligibili e i sensibili, giacché si colloca in posizione termi- nale rispetto all’intelletto e alla sensazione che sono come suoi princi- pi e di cui esso è realizzazione finale. Esiste anche il seguente assioma generale relativamente ad ogni facoltà conoscitiva, cioè che i simili si conoscono col simile. E possibile dunque anche apprendere ambe- due, intelligibili e sensibili, da ambedue e i diversi dai diversi, e fare uguali differenze sia in senso generale che in senso particolare come se fossero in essi, e ordinare il passaggio dai diversi ai diversi, cioè dagli inferiori ai superiori; e Archita stabilisce come si deve compie- re, a proposito dell’intelletto, l'elevazione e la combinazione di ogni cosa. Dopo di che egli taglia la linea, che rimane pur sempre una sola, affinché si possa comprendere che il nostro potere conoscitivo è uni- tario, e la divide in due secondo le differenze primarie degli enti e secondo le divisioni che in essi sono duplici. E stabilisce le stesse uguali differenze secondo la partecipazione dei rapporti e delle forme e attraverso la somiglianza dei partecipanti ai partecipati, e perciò c’è in qualche modo la stessa proporzione in ambedue. E di nuovo divi- de ciascuna delle due sezioni della linea con lo stesso analogo criterio, poiché la potenza conoscitiva presa nella sua interezza è omogenea a se stessa, e ne ricava le differenze secondo chiarezza e oscurità,!08 e ne 534 GIAMBLICO ἢ τῷ ἐνδεῶς, πρὸς ἄλληλά te αὐτῶν τὴν διάκρισιν ἐπιδείκνυσι, κατὰ τί παραλλάττει καὶ ὑποδεέστερά ἐστι τὰ δεύτερα τῶν προ- τέρων. πρῶτον δὲ διαιρεῖ τὸ αἰσθητὸν ὡς γνωριμώτερον, καὶ [39] λαμβάνει αὐτοῦ τὴν κατ᾽ εἰκόνα ἀπὸ τῶν αἰσθητῶν φαινομένην ὑπόστασιν, τὰ εἴδωλα τὰ ἐν τοῖς ὕδασι καὶ ἐν τοῖς κατόπτροις, ὡς μίαν τινὰ φύσιν ἀποτεμών. τὸ δ᾽ ἕτερον μέρος ἀφορίζει τὸ ἀληθινόν, ὧν ταῦτά εἰσιν εἰκόνες, οἷον φυτὰ καὶ ζῷα. ἀπὸ γὰρ τούτων εἰκασί- a γίγνεται τῶν εἰδώλων κατὰ ἀνάκλασιν εἰς ταῦτα τῆς αἰσθήσεως [κατὰ δεύτερον τρόπον] ἐπιστρεφομένης, καὶ οὕτως αὐτὰ γιγνωσκούσης δευτέρως ὥσπερ καὶ ὑφίσταται κατὰ δεύτερον τρό- πον, τοῖς δὲ [10] αἰσθητοῖς αὐτόθεν ἐπιβαλλούσης ὥσπερ καὶ ὑφίσταται πρώτως καὶ ἐν αὑτοῖς ἔχει τὴν ἔνυλον ὑπόστασιν. ἀπὸ δὴ τῆς τούτων ἀναλογίας καὶ τὸ ἕτερον τμῆμα δυνατόν ἐστι καταμα- θεῖν. ταῖς μὲν γὰρ εἰκόσι τὰ περὶ τὰ μαθήματα γένη ἐστὶν ἀνάλο- γον, καὶ αἱ γνώσεις αὐτῶν ταῖς εἰκασίαις τῶν εἰδώλων ἔχουσί τινα ὁμοιότητα᾽ ἀπό τε γὰρ τῶν νοήσεων λαμβάνουσι τὴν ἐνέργειαν καὶ ἀπὸ τῶν νοητῶν ἐπὶ τὰ μαθηματικὰ ὡς εἰκόνας μεταβαίνουσιν, ὑποθέσεσί τε χρῶνται καὶ τὴν αἰτίαν οὐκ ἐπίστανται. καὶ τοῦτό ἐστι τὸ κριτήριον [20] τῶν μαθηματικῶν, ἑτέρου τε πράγματος ὑπάρχον προγνωστικόν, ἀλλ᾽ οὐχὶ τοῦ νοητοῦ, καὶ ἑτέρᾳ γνώσει ἀντιλαμβανόμενον τοῦ διανοητοῦ, ἀλλ᾽ οὐχὶ τῇ νοήσει" αὕτη γὰρ τοῦ διαλεκτικοῦ ἐστι κριτήριον, καὶ δι᾽ αὐτῆς τὰ ὄντα καὶ τὰ εἴδη καὶ τὰ ἀνυπόθετα πάντα θεωρεῖ καὶ λόγον ἔχει περὶ πάντων δοῦναι, αἰσθητῷ τε οὐδενὶ προσχρῆται, ἀλλὰ τοῖς νοητοῖς εἴδεσι. τεττάρων δὴ οὐσῶν τῶν κρινουσῶν δυνάμεων τάξις τις [40] αὐτῶν θεωρεῖται καὶ ἐνέργειαι διῃρημέναι τυγχάνουσιν, ἐπὶ μὲν τῷ ἀκροτάτῳ νόησις, ἐπὶ δὲ τῷ δευτέρῳ διάνοια, ἐπὶ δὲ τῷ τρίτῳ πίστις, εἰκασία δὲ ἐπὶ τῷ τετάρτῳ. Ἐκ δὴ τούτων ἐκ διαιρέσεως πέφηνεν ἱκανῶς ὅ τι ποτ᾽ ἐστὶ τὸ τῶν μαθημάτων κριτήριον. 9. Εἰ δὲ δεῖ καὶ ὡρισμένως τὸ λοιπὸν περιλαβεῖν τὸ εἶδος τῆς μαθηματικῆς τί τέ ἐστι καὶ πῶς ὑφέστηκεν, ἴδωμεν πρώτην δόξαν τῶν εἰς ψυχὴν [10] αὐτὴν ἀναφερόντων“ εἰς γὰρ τοῦτο ὡρισμένως δυνηθείη dv τις ἐπερεῖσαι τὴν διάνοιαν. LA SCIENZA MATEMATICA COMUNE 535 determina compiutezza o deficienza, e mostra la loro reciproca distin- zione, in base a che cosa, cioè, i secondi mutino e siano inferiori ai primi. Prima divide la sezione del sensibile in quanto è più noto, e [39] ne considera la realtà come apparente, cioè come se si trattasse di quelle immagini che i sensibili producono quando si riflettono nelle acque e negli specchi, come se tagliasse da esse la loro unica natura. Definisce poi l’altra parte dei sensibili, cioè quella vera, cioè le cose di cui le prime sono immagini, ad esempio piante e animali. Da questi infatti si formano delle immagini simili per un riflettersi della sensazione che ritorna su di essi, e che li conosce in modo secon- dario cosî come è secondaria anche la loro sussistenza, mentre ai sen- sibili si riferisce in modo diretto cosi come i sensibili hanno sussisten- za primaria e una realtà materiale in se stessi. Per corrispondenza con queste è possibile apprendere anche l’altra sezione della linea. I gene- ri delle matematiche, infatti, corrispondono alle immagini, e le loro conoscenze hanno una certa somiglianza con le rappresentazioni delle immagini: le matematiche infatti cominciano ad agire partendo dalle intellezioni e passano dagli intelligibili agli enti matematici come immagini di quelli, e si servono di ipotesi senza conoscerne la prove- nienza. Questo è il criterio di verità delle matematiche, criterio che è capacità conoscitiva che precede quella dell’altra realtà,!°° ma non certo quella dell’intelligibile, e che afferra il raziocinabile per cono- scenza affatto diversa dall’intellezione: quest’ultima, infatti, costitui- sce il criterio proprio del dialettico,!!0 il quale contempla per mezzo di essa i veri enti e le idee e tutti i principi anipotetici e deve rendere ragione di tutto, e non si serve di nessun sensibile, bensi delle forme intelligibili.!!! Essendo queste quattro le facoltà del giudizio, si può vedere in esse un certo ordine [40] e si possono distinguere i metodi di attuazione, e cioè l’intellezione al punto più alto, la ragione al secondo posto, la credenza al terzo e l'immaginazione al quarto. Dalla divisione di queste quattro facoltà appare abbastanza chia- ro quale sia mai il criterio di verità delle matematiche. 9. Se poi bisogna anche comprendere in maniera determinata la specificità della matematica, quale sia e in che cosa consista, allora si sappia che una prima opinione è quella di coloro che la riconducono all’anima: si faccia quindi mente locale sulle seguenti specifiche con- siderazioni.1!? 536 GIAMBLICO Ἕν μὲν οὖν γένος τῶν ἐν τοῖς μαθήμασιν [τῶν] ὄντων οὐκ ἄν τις αὐτὴν εὐλόγως θείη κατὰ τὴν τοιαύτην ἐπιβολὴν τῆς θεωρίας: μεριστὴ γὰρ ἂν οὕτω γένοιτο ἡ περὶ τῆς μαθηματικῆς οὐσίας γνῶσις. διόπερ οὔτε ἰδέαν τοῦ πάντῃ διαστατοῦ οὔτε ἀριθμὸν αὐτοκίνητον οὔτε ἁρμονίαν ἐν λόγοις ὑφεστῶσαν οὔτε ἄλλο οὐδὲν τοιοῦτο κατ᾽ ἰδίαν ἀφοριστέον περὶ αὐτῆς, κοινῇ δὲ συμπλέκειν πάντα ἄξιον, ὡς τῆς ψυχῆς καὶ [20] ἰδέας οὔσης ἀριθμίου καὶ κατ᾽ ἀριθμοὺς  ἁρμονίαν περιέχοντας ὑφεστώσης, πάσας τε συμμετρίας κοινῶς,  ὅσαι ποτέ εἰσιν ὑπὸ τὴν μαθηματικήν, ὑπὸ ταύτην ὑποτακτέον, τάς  τε ἀναλογίας ὅλας ὑπ᾽ αὐτὴν θετέον. διὰ δὴ τοῦτο γεωμετρικῇ τε  ὁμοῦ καὶ ἀριθμητικῇ καὶ ἁρμονικῇ ἀναλογίᾳ συνυπάρχει, ὅθεν δὴ  καὶ λόγοις [41] τοῖς κατ᾽ ἀναλογίαν ἡ αὐτή ἐστι, ταῖς τε ἀρχαῖς τῶν  ὄντων ἔχει τινὰ συγγένειαν καὶ πάντων ἐφάπτεται τῶν ὄντων καὶ  πρὸς πάντα ὁμοιοῦσθαι δύναται.   Αἰτίαι μὲν οὖν εἰσι τοιαῦται τῆς τοιαύτης ὑπολήψεως. πρὸς δὲ τὴν  θεωρίαν ἀφορμαὶ dv γένοιντο τὴν μαθηματικὴν ὁμοῦ καὶ τὴν περὶ  τῆς ψυχῆς, εἰ κατίδοιμεν ὡς τὸ πεπερασμένον πᾶν καὶ ὡρισμένον  ἀπὸ τῶν ἀριθμῶν εἰς αὐτὴν ἐφήκει, ὁ δ᾽ ἑνιαῖος λόγος ἀπὸ τῆς τοῦ  ἑνὸς φύσεως, ἡ δὲ εἰς μέγεθος [10] καὶ αὔξησιν προϊοῦσα δύναμις  καὶ ἔχουσα περιουσίαν, ὥστε 9,30 πᾶσι διδόναι αὐτὴν τοῖς μετρί-  οις, ἀπὸ τῆς γεωμετρικῆς οὐσίας πάρεστιν" ἡ δὲ δύναμις τῆς ἐναρ-  μονίου κινήσεως τάξις τε καὶ λόγων!2 συμμετρία ἥ τε ἐν ἀριθμοῖς  συμφώνοις ἢ συμφωνίαν περιέχουσιν εὐμετρία ἀπὸ τῆς κατ᾽ οὐσίαν  ἁρμονίας παραγίγνεται. διόπερ καὶ ἁρμονιῶν κατακούει ἡ ψυχὴ  καὶ χαίρει τοῖς ἡρμοσμένοις, ὡς οὖσα καὶ αὐτὴ ἁρμονία, ἔκ τε  ἀριθμῶν καὶ ἄλλων τοιούτων μαθηματικῶν μέτρων τὴν οὐσίαν ἔχει,  ἅπερ συγγένειαν παρεδέξατο πρός τε τὰ νοητὰ [20] εἴδη καὶ πρὸς  τὰς αἰσθητὰς οὐσίας καὶ tà ἔνυλα εἴδη' πρὸς γὰρ πάντα ταῦτα ἢ  παροῦσα δόξα δίδωσι θεωρίας ἀφορμήν, ὡς ἱκανῆς οὔσης τῆς οὕτως  ὑποτιθεμένης μαθηματικῆς δόξης πάντα τὰ τοιαῦτα νοήματα παρέ-  χειν. ἵνα δὲ συνέλωμεν τὴν ὅλην δόξαν, ἐν λόγοις κοινοῖς πάντων  τῶν μαθημάτων τὴν ψυχὴν νοοῦμεν οὖσαν, ἔχουσαν μὲν τὸ κριτικὸν  αὐτῶν, ἔχουσαν δὲ καὶ τὸ γεννητικόν τε καὶ ποιητικὸν αὐτῶν τῶν  ἀσωμάτων μέτρων, οἷς καὶ τὴν γενεσιουργίαν δύναταί τις [42] προ-  12 καὶ λόγων ho preferito la lectio di Sophon. (cf. appar. ad loc.): καὶ  ἁλόγων Festa.  LA SCIENZA MATEMATICA COMUNE 537  Ebbene, secondo un tale disegno teorico, non sarebbe ragionevo-  le porre l’anima come un unico genere degli enti matematici: cosi  facendo, infatti, la conoscenza della realtà matematica sarebbe sepa-  rata <da quella dell'anima>. Perciò non bisogna dare dell'anima una  definizione di volta in volta particolare, né come “forma dell’assolu-  tamente esteso” né come “numero semovente” né come “armonia esi-  stente nei calcoli” né come alcun’altra cosa del genere, ma è giusto  considerare tutte queste cose come un complesso generale, come se  l’anima fosse forma del numerabile e fosse costituita di numeri conte-  nenti armonia, e bisogna sussumere sotto di essa in generale tutte le  misure armoniche che una volta erano sussunte sotto la matematica,  e fare altrettanto con tutte quante le proporzioni. Perciò l’anima coe-  siste con la geometria e l’aritmetica e l’armonica, donde consegue  anche [41] che l’anima esiste in virtà dei calcoli proporzionali, e ha  una certa parentela con i principi ontologici ed è congiunta con tutti  gli enti e può assimilarsi a ogni cosa.  Sono tali, dunque, le ragioni di una siffatta congettura. Saremo  spinti verso una teoria a un tempo matematica e psicologica, se tenia-  mo conto che ogni delimitazione e determinazione giunge all’anima  dai numeri, e che d’altra parte il principio razionale unitario deriva  dalla natura dell’uno,!!3 e che la capacità che ha l’anima di procedere  alla grandezza!!4 e all'’aumento!!5 e di possedere una ricchezza tale da  poterla offrire a tutte le misure,!!6 le proviene dalla realtà geometrica;  d’altra parte la capacità del movimento armonico e l’ordine e la sim-  metria dei rapporti matematici e la giusta misura dei numeri musica-  li o che contengono accordo musicale, le provengono dall’armonia  per essenza.!17 Ed è per questo che l’anima sente anche le armonie e  gode delle cose armoniose, in quanto è anch'essa armonia, e riceve il  suo essere dai numeri e da altre misure matematiche del genere, che  ammettono affinità sia con le forme intelligibili che con le realtà sen-  sibili e le forme materiali: a tutto ciò, infatti, spinge l’opinabile teoria  di cui parliamo, sî che, una volta posta con sufficiente chiarezza in tali  termini una tale opinione della matematica, affiorano tutti i pensieri  di tal fatta. Per dirla in modo sintetico, secondo tale opinione si pensa  che l’anima risieda nei calcoli comuni a tutte le matematiche, e che  possieda il potere di discriminarle, e la capacità di generare e creare  le stesse misure incorporee, alle quali facoltà [42] si può aggiungere  538 GIAMBLICO  σαρμόζειν τῶν ἐνύλων εἰδῶν τήν te δι᾽ εἰκόνων ἀπεργασίαν, ἐκ τῶν  ἀφανῶν εἰς τὸ φανερὸν προϊοῦσαν, συνάπτουσάν τε τὰ ἔξω τοῖς  εἴσω. κατὰ γὰρ πάντα ταῦτα, ὡς συλλήβδην εἰπεῖν, ὁ τῆς ψυχῆς  λόγος περιέχει ἀφ᾽ ἑαυτοῦ τὴν ὅλην τῶν μαθημάτων συμπλήρωσιν.  10. Πότερον δὲ μῖγμα ἐκ πάντων ἐστὶ τῶν ἐν τοῖς μαθήμασιν  ὄντων, ἢ πάντα ὑφίστησιν αὐτὴ καθ᾽ ἕνα λόγον προηγούμενον, χρὴ  διασκέψασθαι. εἰ μὲν [10] οὖν σύμμιξίς ἐστιν ἀφ᾽ ὅλων, προὐπάρχει  αὐτῆς τὰ συμπληρωτικὰ ἀφ᾽ ὧν συνιόντων συγκίρναται, καὶ οὐκέτ᾽  ἂν εἴη αὐτὴ ἀρχὴ τῆς μαθηματικῆς οὐσίας, ἀλλ᾽ ἀπὸ τῶν σποράδην  ὑφεστηκότων μαθημάτων συνιόντων εἰς ταὐτὸ ἀπογεννωμένης πρὸς  τοῖς ἄλλοις ἀτόποις καὶ σύνθεσίν τινα συνάγει μετὰ τῆς ψυχῆς καὶ  ὑστερογενῆ ὡς ἐκ προτέρων τινῶν ἐπισυνισταμένην ὑπόστασιν᾽ εἰ  μέντοι αὕτη πρώτως ἀρχηγός ἐστι τῆς μαθηματικῆς οὐσίας καὶ  παράγει ταύτην ἐξ ἑαυτῆς, πρεσβυτέρα τε αὐτῆς ἔσται, καὶ ὡς ἐν  αἰτίας [20] λόγῳ προηγεῖται καὶ ὡς ἑτέρα ὑπερέχει. ἔστι δὲ καὶ  τοῦτο ὑπεναντίον πρὸς τὴν παροῦσαν δόξαν. τιμιωτέρα γὰρ ἂν οὕτω  γένοιτο ἡ ψυχὴ τῶν ἐν τοῖς μαθήμασιν ὄντων. βέλτιον οὖν λέγειν ὡς  οὔτε προηγεῖται οὔτ᾽ ἐπακολουθεῖ τοῖς μαθηματικῶς οὖσι, συντρέ-  χει δὲ ἅμα πρὸς αὐτὰ καὶ συνυφέστηκεν ἀσύνθετον καὶ ἀμέριστον  ἔχουσα τὴν ἐν ὅλοις καὶ ἀφ᾽ ὅλων σύμμιξιν, μονοειδῶς τε αὐτοῖς  παροῦσα καὶ ἑνιαίως αὐτῶν ὅλων [43] μετέχουσα, δύναμίν τε  περιεκτικὴν τῶν ὅλων ἐν ἑαυτῇ συλλαβοῦσα καὶ ἑαυτὴν δοῦσα εἰς  ὅλα τὰ μαθήματα ὡσαύτως. εἰ δὲ τοῦτο οὕτως ἔχει, καὶ πάντα  περιείληφεν ἐν ἑαυτῇ τελέως καὶ ἀνενδεῶς, οὐδέν τε ἐκτὸς ἑαυτῆς  ἀφίησιν (αὐτή τε γάρ ἐστι τελεία καὶ οὐχ οἷόν τε τῆς οἰκείας ἀρχῆς  ἀπολείπεσθαί τι τῶν ὄντων), μία τε οὕτως ἔσται ἡ οὐσία τῆς αὐτῆς  ἀρχῆς δι᾽ ὅλων διηκούσης. διαφοραί γε μὴν οὐδὲν ἧττον ἔσονται  κατὰ τὰς διαφόρους δυνάμεις καὶ ζωὰς καὶ ἐνεργείας τῆς [10]  ψυχῆς καὶ τὸ τῶν οὐσιῶν αὐτῆς πλῆθος, ὅπερ ἐν ἑνὶ περιέχεται.  τοιοῦτον ἄν τις καὶ τὸν περὶ τούτων διορισμὸν εὐλόγως ὑπόθοιτο.  Περὶ μὲν οὖν οὐσίας τῆς μαθηματικῆς θεωρίας τοσαῦτα ἡμῖν  εἰρήσθω.  LA SCIENZA MATEMATICA COMUNE 539  anche quella di generare le forme materiali e quella di operare trami-  te le loro immagini, procedendo dall’invisibile al visibile, e collegan-  do l’esterno all’interno. Sulla base di tutto ciò, infatti, per dirla in  breve, il principio razionale dell'anima abbraccia da sé l’intero siste-  ma delle matematiche.  10. Bisogna poi esaminare se l’anima sia una mescolanza di tutti  gli enti matematici, o se essa li faccia sussistere tutti secondo un unico  principio razionale che li precede. Ebbene, se l’anima è mescolanza di  tutti gli enti matematici, allora questi dalla cui concorrenza si forma  quella mescolanza preesistono all'anima, e questa non sarebbe più  principio della realtà matematica, ma al contrario risulterebbe pro-  dotta dalle matematiche che dalla loro dispersione concorrono a for-  mare una medesima cosa, a parte le altre assurdità, cioè che le mate-  matiche formerebbero con l’anima una certa composizione e una sus-  sistenza di ordine secondario in quanto nascente da agglomerazione  di elementi che la precedono.!!8 Se veramente questa mescolanza è il  principio fondante dell’essenza della matematica e produce quest’ul-  tima da se stessa, allora sarà superiore all'essenza della matematica e  la precederà in quanto ne è causa e la oltrepasserà come qualcosa di  diverso. Ma si oppone alla presente opinione anche il seguente ragio-  namento: concepita cosi,!!9 l’anima avrebbe più valore degli enti  matematici. Dunque è meglio dire che essa né li precede né li segue,  bensi coincide con essi per costituire qualcosa di non composto e non  divisibile, mescolandosi con essi in tutto e per tutto, ed essendo pre-  sente in essi in maniera uniforme e partecipando di tutti questi enti in  maniera unitaria, [43] e assumendo in se stessa la potenza che li con-  tiene tutti e offrendosi a tutte le matematiche allo stesso modo. Se le  cose stanno cosî, e l’anima li contiene in sé tutte perfettamente e pie-  namente, e non ne lascia nessuna fuori di sé (essa infatti è perfetta ed  è impossibile che alcunché si allontani dal suo proprio principio),  allora essa sarà l’unica realtà di quello stesso principio che si estende  su tutto. Ci saranno nondimeno differenze secondo le differenti  potenze e i modi di vita e le attività dell’anima e il numero delle essen-  ze che è contenuto nell’unità. Una tale differenziazione dell’anima  potrebbe essere ragionevolmente ipotizzata.  Sono tante, dunque, le cose che dobbiamo dire a proposito del-  l'essenza di questa teoria matematica.  540 GIAMBLICO  11. Ἔργον dè τῆς ἐπιστήμης ταύτης ἐστὶν οὐχ ὡρισμένον, οὐδὲ  κατὰ τὰ αὐτὰ καὶ ὡσαύτως ἔχον, ὥσπερ τὸ τοῦ νοῦ, οὐδὲ παρ᾽  ἑαυτοῦ πάντως τὸ γιγνώσκειν ἔχον, ὥσπερ τῷ νῷ τὸ τοιοῦτον σύμφυ-  τόν ἐστιν’ ἔξωθεν δὲ διεγείρεται πρὸς τὰς εἰδήσεις, καὶ [20] δεχό-  μενον παρ᾽ ἄλλων τὴν ἀρχὴν τῆς ἀναμνήσεως, οὕτως αὐτὴν ἀφ᾽  ἑαυτοῦ προβάλλει: σταθερόν τε οὐκ ἔστι κατὰ μίαν ἐνέργειαν,  ὥσπερ τὸ τοῦ νοῦ, ἀλλ᾽ ἐν κινήσει μᾶλλον πρόεισιν ἀφ᾽ ἑαυτοῦ καὶ  εἰς ἑαυτό. ἀλλ᾽ οὐδὲ πλῆρές ἐστιν ἑαυτοῦ, ὥσπερ τὸ νοερόν, ἐν δὲ  τῷ ζητεῖν καὶ εὑρίσκειν ἀεὶ ἀπό τινος κενώσεως τοῦ γιγνώσκειν εἰς  πλήρωσιν αὑτοῦ προέρχεται. πέρατός τε καὶ ἀπειρίας ὁμοίως ἐν  μέσῳ διείληπται᾽ ὅθεν [44] ἀπὸ τοῦ ἀπείρου ἐπὶ τὸ ὁρίζεσθαι ἀεὶ  προχωρεῖ, καὶ ἐπὶ τὸ μεταλαμβάνειν τῶν μαθηματικῶν εἰδῶν μεθί-  σταται. διὰ δὴ πάντα ταῦτα καὶ παραγίγνεται ἡ ἐπιστήμη αὕτη  μαθήσεως πρώτης προηγησαμένης, ἧς τὴν ἀρχὴν ὁ διδάσκων παρέ-  χει, εἶτα εὑρέσεως ἐπακολουθούσης, ἥτις συνήρτηται ταῖς κατα-  βαλλομέναις ἀπὸ τοῦ διδάσκοντος ἀρχαῖς κατὰ γὰρ ταῦτας ἀνα-  μιμνήσκεται ἡ ψυχὴ τῶν ἀληθῶν ἐν μαθηματικῇ εἰδῶν καὶ προβάλ-  λει τοὺς οἰκείους αὐτῶν λόγους. ἐνίοτέ γε μὴν [10] καὶ κοινὴ ἐξ ἀμ-  φοτέρων γίγνεται ἡ ἐνέργεια, διόπερ ὁ ᾿Αρχύτας ἐν τῷ Περὶ  μαθηματικῶν λέγει᾽ «δεῖ γὰρ μαθόντα παρ᾽ ἄλλω ἢ αὐτὸν ἐξευρό-  ντα, ὧν ἀνεπιστάμων ἦσθα, ἐπιστάμονα γενέσθαι. τὸ μὲν ὧν μαθέν,  παρ᾽ ἄλλω καὶ ἀλλοτρίᾳ, τὸ δὲ ἐξευρέν, δι᾽ αὕταυτον καὶ ἴδιον,  ἐξευρεῖν δὲ μὴ ζατοῦντα, drropov καὶ σπάνιον, ζατοῦντα δὲ εὔπορον  καὶ ῥάδιον, μὴ ἐπιστάμενον δὲ ζητεῖν ἀδύνατον.» ἐν γὰρ τούτοις  τὴν μάθησιν πρώτην ἔθηκεν ὡς ἀρχὴν τῆς τοιαύτης ἐπιστήμης, καὶ τὸ  ἴδιον αὐτῆς παρέδειξεν, ὡς παρ᾽ ἄλλου ἐνδιδομένης. [20] δεύτερον  ἐπήγαγε τὸ «αὐτὸν ἐξευρόντα»" εἰ γὰρ καὶ τῇ δυνάμει τοῦτο προη-  γεῖται, ἀλλὰ κατά γε τὴν ἀνθρωπίνην τάξιν ὡς πρὸς ἡμᾶς ἐστι δευ-  τέρα’ εἰς γένεσιν γὰρ πεσόντας ἀνάγκη ὑπ᾽ ἄλλων ὑπομιμνήσκε-  σθαι πρότερον. ἔστι μὲν οὖν καὶ ὡς δύο τούτους τρόπους  ὑπολαμβάνειν τοῦ παραδέχεσθαι ἐπιστήμην, [45] ἔστι δὲ καὶ ὡς ἕνα  αὐτοὺς τῷ λογισμῷ περιλαμβάνειν: ἐπειδὰν γὰρ ὡς παρ᾽ ἄλλου καὶ    LA SCIENZA MATEMATICA COMUNE 541    11. La scienza matematica non ha un modo di operare che si può  determinare come quello dell’intelletto,120 né si comporta secondo gli  stessi principi e allo stesso modo, né possiede una forma di conosce-  re che deriva totalmente da sé, come quello che è connaturale all’in-  telletto: essa è stimolata nelle sue conoscenze dal mondo esterno,!2! e  può cosî proiettare da sé la sua reminiscenza in quanto la riceve da  altro; e non ha stabilità grazie ad un'unica attività, come l’intelletto,  ma piuttosto procede secondo un movimento che parte da sé e va  verso di sé. Ma l’operare della matematica non è neppure pieno di sé,  come quello dell’intelletto, ma perviene alla pienezza di sé in un con-  tinuo cercare e scoprire a partire da uno stato di vuoto conoscitivo. Si  può fissare la matematica esattamente a metà tra il limite e l’illimita-  to: per cui [44] procede sempre dall’indefinito alla definizione, e  passa cosî ad afferrare le forme matematiche. Per tutte queste ragioni  la scienza matematica interviene dopo che si è realizzato quell’ap-  prendimento primario, a cui dà avvio l'insegnante <elementare>, e  che è seguito poi dall’apprendimento di elementi che si scoprono in  collegamento con le nozioni fondamentali impartite dall’insegnante:  l’anima, infatti, sulla base di tali nozioni ha reminiscenza delle veraci  idee della matematica e propone i ragionamenti che appartengono  propriamente a tali idee. Talvolta però da ambedue, limite e illimita-  to, nasce un’attività comune, ed è per questo che Archita nel suo libro  Sulle matematiche dice: «Bisogna che tu abbia imparato da altri o sco-  perto da te stesso le cose di cui eri ignorante. Ciò che tu apprendi,  dunque, lo ricevi da altri e in modo non autonomo, ciò che invece  scopri, lo hai in modo autonomo e personale, ma scoprire senza cer-  care è cosa assurda o rara, mentre scoprire cercando è cosa accessibi-  le e facile, d’altra parte è impossibile cercare senza sapere cosa cerca-  re».122 Dicendo questo, infatti, Archita ha indicato il primo apprendi-  mento come principio della scienza matematica, e ha mostrato che è  sua peculiarità il riceverlo da altri. In seconda linea egli ha aggiunto  «lo scoprire da sé»: infatti, anche se quest’ultima possibilità precede  l’altra per valore intrinseco, è tuttavia seconda nell’ordine umano, in  quanto è in rapporto a noi, perché è necessario che chi cade nella  generazione abbia prima reminiscenza ad opera di altri. È possibile,  dunque, da un lato supporre due modi di acquisire scienza, [45] dal-  l’altro lato ridurre per via di ragionamento questi due modi ad uno    542 GIAMBLICO    ἀλλότρια μεταλάβωμεν tà μαθήματα, τότε αὐτὰ ὡς ἴδια αὐτοὶ ἀφ᾽  ἑαυτῶν προχειρίζομεν. τοῦτο δὲ ῥᾷάδιον καταμαθεῖν ἀπὸ τῶν  εὑρέσεων᾽ ὡς γὰρ ἔχοντες αὐτὰ ἐν ἑαυτοῖς, οὕτως εὑρίσκομεν καὶ  ἐπιγιγνώσκομεν αὐτὰ εὑρεθέντα. καὶ ἀπὸ τῶν ζητήσεων δὲ τὸ αὐτὸ  καταφαίνεται. εἰ γὰρ μὴ ἐπιστάμενον ζητεῖν ἀδύνατον, ἦν χρόνος  ὅτε ἠπιστάμεθα ταῦτα, καὶ οὐχ ὁ παρὼν οὗτος (νῦν γὰρ αὐτὰ [10]  ἀγνοοῦμεν) πρότερον ἄρα αὐτὰ ἠπιστάμεθα. καὶ διὰ τοῦτο  ζητοῦντι εὔπορα καὶ ῥάδια τὰ μαθήματα πρὸς εὕρεσιν, μὴ ζητοῦντι  δὲ ἄπορα καὶ σπάνια, διότι ἔνεστί πως ἐν ταῖς ψυχαῖς καὶ ἦν ποτε  πρότερον περὶ αὐτὰς ἐν τῇ κατ᾽ ἐνέργειαν ἐπιστήμῃ. ὁδὸς ἄρα ἀπὸ  ζητήσεως εἰς εὕρεσιν, καὶ ἀπὸ μαθήσεως εἰς ζήτησιν καὶ εὕρεσιν,  ἡ διὰ τῶν μαθημάτων ἐστὶ πραγματεία. ὅθεν δὴ καὶ τὸ ὄνομα τοῦτο  ἔσχε τὸ μαθηματικὴ καλεῖσθαι. ἀφ᾽ οὗ γὰρ πρώτου τὴν ἀρχὴν παρα-  δέχεται ἡ ἐπιστήμη καὶ οὗ χωρὶς οὐχ οἷόν τε αὐτὴν [20] ἐγγενέ-  σθαι, λέγω δὲ τοῦ μανθάνειν, ἀπὸ τούτου τὸ ὄνομα εἴληφεν.   Ἔστω δὴ οὖν ἡμῖν καὶ ταῦτα περὶ αὐτῆς οὑτωσὶ διηυκρινημένα.    12. Δυνάμεις δὲ αὐτῆς διαριθμήσαιτο μὲν ἄν τις καὶ ἄλλας πλεί-  ονας, ἐν δὲ ταῖς πρώταις θεωρείσθωσαν αἱ ἀπὸ τοῦ πλήθους  συναγωγοὶ πρὸς τὸ ταὐτὸν καὶ ἡνωμένον αἴτιον, καὶ ὅσαι ἀπὸ τοῦ  ἑνὸς [46] διαιρετικαί εἰσιν εἰς πλῆθος. ἐπεὶ γὰρ ἐκ πέρατος καὶ  ἀπειρίας συνεστήκασι καὶ ἑνὸς καὶ πλήθους, μέσαι τέ εἰσι τοῦ  μεριστοῦ καὶ ἀμερίστου, καὶ κατὰ τὸν αὐτὸν λόγον τῆς οὐσίας  μετειλήφασι καὶ συναγωγῆς καὶ διαιρέσεως, ἀναπλώσεώς τε καὶ  συνειλήσεως, ἐπιστροφῆς τε ἐπὶ τὸ ὡρισμένον καὶ ἀπ᾽ αὐτοῦ ἀπο-  στάσεως. ἔστι μὲν οὖν καὶ ἐν τῇ διαλεκτικῇ, τῇ περὶ τὸ ὃν προηγου-  μένως πραγματευομένῃ, ἡ τοιαύτη τῆς θεωρίας ἐνέργεια, οὐ μὴν  ἀλλ᾽ ἔχει γέ τι διάφορον αὕτη πρὸς [10] ἐκείνην οὐ σμικρόν᾽ ἡ μὲν  γὰρ τὸ ἁπλῶς ὃν θεωρεῖ καὶ τοῦτο συνάγει ἢ διαιρεῖ, ἡ δὲ τὸ  μαθηματικὸν ἐπισκοπεῖται καὶ περὶ αὐτὸ ποιεῖται τοῦ λόγου τὰς  διττὰς ταύτας ἐνεργείας. εἰσὶ δὲ καὶ ἄλλαι δυνάμεις αἱ τὸ κοινὸν    LA SCIENZA MATEMATICA COMUNE 543    solo: infatti, prima riceviamo le matematiche da altri e in modo non  autonomo, dopo noi le coltiviamo autonomamente. Ed è questo il  modo di impararle facilmente partendo dalle nostre scoperte.  Siccome infatti noi le possediamo in noi stessi, allora le scopriamo e  dopo averle scoperte le riconosciamo. Questo appare ugualmente  chiaro se consideriamo l'apprendimento delle matematiche per via di  ricerca. Se infatti è impossibile cercare ciò che non si sa, ci dev'essere  stato un tempo in cui noi conoscevamo queste matematiche,!23 e que-  sto tempo non può essere certo questo nostro presente (perché noi al  presente non le conosciamo): dunque le abbiamo conosciute prima.  Ed è per questo che a chi le cerca le matematiche sono accessibili e  facili da scoprirsi, mentre a chi non le cerca sono inaccessibili o rara-  mente accessibili, perché cioè esistono in qualche modo nelle anime  ed erano per loro un tempo, prima della nostra nascita, scienza in  atto. Dunque studiare le matematiche è passare dalla ricerca alla sco-  perta, e dall’apprendimento alla ricerca e alla scoperta. Di qui appun-  to prende questo nome di “matematica”.124 Da questo primo appren-  dimento, infatti, ha inizio la scienza, che senza di esso non può gene-  rarsi, intendo dire dal fatto del suo apprenderla, che è ciò da cui ha  preso il nome.   Sono queste, dunque, le accurate distinzioni che dobbiamo fare a  proposito della matematica.    12. Si potrebbero enumerare anche molte altre potenze della  matematica, e tra le prime si considerino quelle che conducono una  molteplicità ad un'unica e medesima causa, e quelle che [46] divido-  no un’unità in una molteplicità. Poiché infatti sono costituite di limi-  te e illimitato e di unità e molteplicità,125 e sono intermedi tra il divi-  sibile e l’indivisibile, queste potenze della matematica partecipano  secondo lo stesso rapporto dell'essenza e dell’unione e della divisio-  ne, e del dispiegamento e dell’addensamento, e della conversione al  determinato e dell’allontanamento da esso. Ebbene, c’è anche nella  dialettica, che si occupa essenzialmente dell’essere,126 una tale attività  teorica, e nondimeno c’è una notevole differenza tra l’una e l’altra: la  dialettica, infatti, considera l'essere nella sua purezza e lo unisce o lo  divide, mentre la matematica esamina l’essere nel suo aspetto mate-  matico e compie su di esso questa duplice azione di calcolo.!?7 Ci  ἐπὶ πολλοῖς ἐπιβλέπουσαι, ὅσαι ἐν τοῖς διαφέρουσι μαθήμασι kor-  νά τινα εἴδη καὶ κοινοὺς λόγους θεωροῦσι καὶ κοινὰ μέτρα οἷς ἀφο-  ρίζεται τὰ διαφέροντα, οἷον αἱ τῆς ἰσότητος καὶ ἀνισότητος θεωρί-  αι καὶ αἱ τοῦ συμμέτρου καὶ ἀσυμμέτρου: αὗται γὰρ αἱ δυνάμεις τὰ  κοινῶς ἐπὶ πλειόνων ὑφεστηκότα [20] θεωροῦσιν. ἀντιτίθενται δὲ  ταύταις αἱ τὸ ἴδιον ἑκάστου τῆς οὐσίας θεωροῦσαι, οἷον τῶν  ἀριθμῶν καθόσον εἰσὶν ἀριθμοί, καὶ τῶν μεγεθῶν καθόσον  ὑφέστηκε [τὰ] μεγέθη, καὶ ἐπὶ τῶν ἄλλων κατὰ τὸν αὐτὸν τρόπον. ἐν  δὴ ταῖς τοιαύταις εἰσὶ καὶ αἱ τὴν ἀναλογίαν τὴν πανταχοῦ  ὑφισταμένην νοοῦσαι, ἄνωθεν μὲν ἀπὸ τῶν πρωτίστων ἀρχόμεναι,  τελευτῶσαι δὲ ἐπὶ τὰ ἔσχατα, προϊοῦσαι δὲ διὰ τῶν μέσων,  τηροῦσαι δὲ πανταχοῦ τοὺς αὐτοὺς λόγους καὶ ἑτέρους ἐν τοῖς δια-  φέρουσι καὶ δι᾽ ὅλων αὐτοὺς ἐναπεργαζόμεναι φανερούς. οὐ [47]  μὴν ἀλλὰ καὶ τὰς θεωρούσας τὸ καλὸν καὶ τὸ μέτρον τῶν μαθημα-  τικῶν οὐσιῶν τό τε ἡρμοσμένον καὶ τὸ σύμμετρον αὐτῶν ἐν λόγῳ  τινὶ θετέον᾽ ἔχουσι γὰρ κατὰ τὴν οἰκείαν αὐτῶν φύσιν εὐταξίαν καὶ  τελειότητα καὶ πάντα ὅσα προσήκει ἀγαθὰ τοῖς μαθηματικοῖς  εἴδεσι. τοῖς μὲν οὖν πολλοῖς αὗταί τε ἀκίνητοι δοκοῦσιν εἶναι καὶ  περὶ ἀκίνητα τὰ γνωστὰ ἐνεργεῖν, οὐ μὴν ὀρθῶς γε ἀρέσκει τοῦτο᾿  ἔστι γάρ τινα μαθήματα, ἃ τὸν τῆς κινήσεως ἀριθμὸν καὶ τὰ μέτρα  αὐτά τε [10] καθ᾽ αὑτὰ καὶ πρὸς ἄλληλα πῶς ἔχει τάξεως καὶ συμ-  μετρίας ἐπισκοπεῖ, τάς τε ἀσωμάτους τῆς ψυχῆς περιόδους, αἷς καὶ  τοῦ οὐρανοῦ περιφοραὶ συνυπάρχουσι, πῶς ἔχουσι συμμετρίας καὶ  κατὰ τίνας ἀριθμούς, καὶ διὰ τί συναρμόζουσι, καὶ πάντα τὰ  τοιαῦτα ἐπισκοπεῖται: ἐν οἷς δὴ καὶ ἀστρονομία καὶ ἁρμονικὴ  περιέχονται. ἵνα τοίνυν διατείνωσιν αἱ μαθηματικαὶ δυνάμεις καὶ  ἐπὶ τὰς τῶν κινήσεων θεωρητικάς, θετέον καὶ ταύτας ὡς περιεχομέ-  νας ὑπ᾽ αὐτῆς. ταύταις δὲ ἀντιδιαιρεῖν χρὴ τὰς σταθερὰς καὶ τῶν  ἀκινήτων εἰδῶν [20] καὶ λόγων θεωρητικάς, καὶ τὴν τούτων πρὸς  ἄλληλα τάξιν δυναμένων συλλογίζεσθαι, ἐν αἷς αἱ πολλαὶ τῆς  μαθηματικῆς εἰσι σύμφυτοι δυνάμεις. τάξεις δὲ αὐτῶν κατὰ τὴν οὐ-  σίαν τῶν γνωστῶν ὧν εἰσι θεωρητικαὶ δεῖ ἀφορίζεσθαι, εἰ τὰ μὲν  προηγεῖται τὰ δὲ ὑποτάττεται. καὶ κατὰ τὴν τοῦ καλοῦ προτίμησιν,  sono anche altre potenze della matematica capaci di vedere ciò che di  comune esista in una molteplicità, e sono quelle che nelle diverse  matematiche enucleano forme comuni e rapporti comuni e misure  comuni con cui si determinano le differenze, come ad esempio le  nozioni di uguaglianza e disuguaglianza e quelle di simmetria e asim-  metria: queste potenze infatti vedono quel che c’è di comune tra più  cose. Contrapposte a queste sono le potenze che considerano il carat-  tere proprio di ciascuna realtà, come ad esempio la proprietà dei  numeri in quanto numeri, e delle grandezze in quanto grandezze, e di  altre cose secondo lo stesso criterio. Tra tali potenze ci sono anche  quelle che concepiscono la proporzione che esiste in ogni cosa,!28 a  partire dall’alto, cioè dagli enti assolutamente primi, per finire agli  enti ultimi, procedendo attraverso gli enti intermedi, e mantenendo  sempre gli identici rapporti o rapporti differenti nelle differenze e  mettendoli in evidenza in ogni cosa. [47] Nondimeno bisogna tenere  in qualche conto anche quelle potenze che considerano la bellezza e  la misura delle realtà matematiche e la loro armonia e simmetria: le  realtà matematiche infatti possiedono per loro propria natura ordine  e perfezione e tutti quei beni che convengono alle forme matemati-  che. Ebbene, molti pensano che queste potenze matematiche siano  immobili e producano conoscenze su cose immobili, e questa non è  certo un’opinione corretta. Ci sono infatti delle matematiche, che  prendono in esame il numero del movimento e le sue misure, sia in sé  e per sé che nell’ordine e nella simmetria in cui stanno tra loro, ed esa-  minano anche in quale ordine stanno i cicli immateriali dell'anima,  con i quali coesistono anche le rivoluzioni celesti, e in quale propor-  zione e secondo quali numeri, e perché si accordino, ed esaminano  tutte le cose di questo genere. Tra queste matematiche sono compre-  se l'astronomia e l’armonica. Naturalmente, affinché le potenze mate-  matiche si estendano al punto da comprendere anche quelle che teo-  rizzino i movimenti, bisogna stabilire che la matematica comprenda  anche queste potenze. Ma è necessario contrapporre a queste le  potenze stabili o che studiano forme e rapporti immobili,129 e stabili-  re razionalmente l’ordine reciproco di queste potenze, tra cui molte  sono connaturali alla matematica. Bisogna poi determinare le loro  funzioni secondo la realtà dei conoscibili che esse teorizzano, e vede-  re se alcune siano fondamentali e altre subordinate e, tenendo conto   εἰ tà μὲν τὸ πρεσβύτατον καὶ ἄκρον καλὸν θεωρεῖ τὰ δὲ τὸ  ὑποδεέστερον καὶ ἀτελές. τὰς δὲ διαφορὰς ἐν αὐταῖς ληπτέον ἀπὸ  τοῦ τρόπου τῶν ἐνεργειῶν καὶ τοῦ [48] ἐξηλλαγμένου τῆς γνώσεως  καὶ ἀπὸ τῶν συνεζευγμένων αὐταῖς διαφόρων ὄντων, πρὸς ἃ συμπλέ-  κουσι τὰς μαθήσεις. τὸ δὲ ποσαχῶς αὐτῶν ἐπισκεπτέον ἀπὸ τῶν  ἐξηλλαγμένων γνωστῶν τῆς μαθήσεως, ἀπὸ γὰρ τούτων φαίνονται  πολλαχῶς αὐταί τε ὑφεστῶσαι αἱ δυνάμεις καὶ πολυτρόπως ποιού-  μεναι τὰς ἐνεργείας.   Οὕτως ἄν τις ὡς ἐν ὑπογραφῇ ταῦτα ἐν ἀρχῇ διαστείλαιτο. χρὴ δ᾽,  ὅπερ ἐστὶ προσῆκον, περιμένειν τὸν πάντα περὶ αὐτῶν λόγον᾽ οὕτω  γὰρ ἂν μάλιστα [20] τελεία ἡ περὶ αὐτῶν διδαχὴ παραδοθείη.    13. Ἐπεὶ δὲ πᾶσα θεωρία καὶ πᾶσα ἐπιστήμη ἐκ τῶν πρώτων  στοιχείων παραλαμβάνει τὸ ἀμετάπτωτον, ὅταν ἡ ταῦτα ὡρισμένα  καὶ μήποτε ἄλλως ἔχοντα, ἀπό τε τῆς διεξόδου τῆς διὰ τῶν στοι-  χείων τὴν τελειοτάτην ποιεῖται κατάληψιν, ἔτι τε ἀπὸ τῶν οἰκείων  γενῶν ἑκάστη τὸν πρόσφορον ἑαυτῇ τῶν λόγων καὶ τῶν ἀποδείξεων  εὑρίσκει τρόπον, ἀναγκαῖον καὶ ἐπὶ τῆς μαθηματικῆς στοιχεῖά τε  αὐτῆς προδιελέσθαι τὰ κοινότατα εἰς πᾶσαν τὴν τῶν μαθημάτων σύ-  ντασιν, [20] καὶ γενῶν θήραν ποιήσασθαι τῶν οἰκειοτάτων καὶ  μάλιστα ἐπὶ πάντα κοινῶς διατεινόντων. ἐπειδὰν δὲ ταῦτα κατίδω-  μεν, σκεψώμεθα πάλιν εἰ ἕτερα μὲν ἔσται τὰ στοιχεῖα ἕτερα δὲ τὰ  γένη, ἢ τὰ αὐτὰ πῶς μὲν γένη θεωρεῖται πῶς δὲ στοιχεῖα, καὶ τίνι δὴ  διέστηκε τὰ ἐν τῇ μαθηματικῇ τοιαῦτα τῶν ἐν ταῖς ἄλλαις ἐπι-  στήμαις καὶ οὐσίαις γενῶν καὶ στοιχείων, ὅσα τέ ἐστι νοητὰ καὶ  ὅσα φέρεται ἐν τῇ γενέσει.   Ὅτι μὲν οὖν ὡρισμένα καὶ ἑστηκότα ἀεὶ τὰ τῆς [49] μαθηματικῆς  ἐστι στοιχεῖα καὶ γένη, οἵ τε ἄριστοι τῶν ἐν φιλοσοφίᾳ συνομολο-  γοῦσι, καὶ αὐταὶ αἱ ἀποδείξεις αἱ μαθηματικαὶ συμμαρτυροῦσι  σαφῶς, ἀεὶ κατὰ τὰ αὐτὰ καὶ ὡσαύτως ἔχουσαι. ὅτι δὲ καὶ ταῖς  πρώταις ἀρχαῖς τῆς μαθηματικῆς οὐσίας συμφωνεῖ καὶ ὁ περὶ  τούτων λόγος, ῥάδιον καταμαθεῖν: καὶ γὰρ ἐπὶ τούτων τὸ Èv καὶ τὸ  πλῆθος, πέρας τε καὶ ἄπειρον, ταὐτόν τε καὶ ἕτερον, στοιχεῖα καὶ  γένη τῆς ἐπιστήμης ἐστὶ καὶ τῶν ὑπ᾽ αὐτῆς γιγνωσκομένων πραγ-  μάτων. [10] ὅταν μὲν οὖν ταῦτα ὡς αἴτια θεωρῶμεν καὶ ποιητικὰ τῆς  della loro bellezza, se alcune matematiche teorizzano la bellezza più  nobile e che sta al livello pit alto, altre quella inferiore e imperfetta.  Bisogna afferrare le differenze tra queste potenze partendo dal modo  del loro operare e dal mutamento [48] del loro conoscere e dal loro  accoppiarsi con enti differenti, a cui collegano i loro modi di appren-  dimento. Occorre poi esaminare quanti sono i loro modi di appren-  dimento partendo dal mutare dei loro conoscibili: da questi modi del  loro apprendimento, infatti, si rivela la molteplicità sia del modo di  essere che del modo di operare di queste potenze.   Sono queste le regole matematiche che inizialmente è possibile  disporre come in un disegno generale. Ma è necessario e doveroso  attendere di sentire l’intero discorso su di esse, perché cosî la relativa  dottrina potrà essere impartita nella sua massima perfezione.    13. Poiché ogni teoria o scienza riceve immutabilità dai suoi primi  elementi, quando questi siano determinati e non mutino mai, e perfe-  ziona al massimo la sua capacità di conoscenza quando si sviluppa per  mezzo dei suoi elementi, e ancora, poiché ciascuna scienza trova nei  suoi propri generi il metodo di ragionare e dimostrare che le convie-  ne, è necessario allora che anche a proposito della matematica siano  preselezionati gli elementi più comuni all’intera struttura delle mate-  matiche, e si vada alla caccia dei generi più appropriati e che si esten-  dono comunemente su ogni cosa. Dopo avere osservato questo, noi  esamineremo ancora se vi siano altri elementi e altri generi, o in che  modo si possano individuare da un lato gli elementi e dall’altro i gene-  ri, e rispetto a quale genere o elemento delle altre scienze o realtà,  siano essi intelligibili o relativi al mondo del divenire, differiscano  questi della matematica.   Orbene, sul fatto che gli elementi e i generi della matematica siano  determinati ed eterni, [49] sono d’accordo i migliori filosofi, e lo testi-  moniano con chiarezza le stesse dimostrazioni matematiche, che sono  fatte sempre secondo gli stessi criteri e alla stessa maniera. È facile  capire che anche il ragionamento di queste dimostrazioni si accordi  con i primi principi della realtà matematica; e infatti tra questi ci sono  l'uno e il molteplice, il limite e l’illimitato, l’identico e il diverso, che  sono elementi e generi della scienza matematica e delle cose che essa  conosce. Quando dunque noi consideriamo queste cosel30 come  ὅλης μαθηματικῆς οὐσίας καὶ τῆς περὶ αὐτὴν θεωρίας, ἀρχαὶ νοεί-  σθωσαν αἱ νῦν εἰρημέναι αἰτίαι᾽ ὅταν δὲ ὡς ἐνυπάρχοντα ταῦτα καὶ  συμπληροῦντα τὴν οὐσίαν καὶ τὸν τῆς ἐπιστήμης λόγον νοῆται, ὡς  στοιχεῖα ταῦτα νοείσθω" ἐπειδὰν δὲ ὡς κοινὰ κατὰ πάντων τῶν  μαθημάτων κατίδωμεν αὐτά, τῆς οὐσίας τὸν σύνδεσμον παρέχοντα  τῶν ἐν μέρει καὶ οὐδὲν ἧττον αὐτὰ καθ᾽ αὑτὰ ὑφεστηκότα, τότε δὴ  καθορῶμεν αὐτὰ ὡς γένη. τὰ αὐτὰ ἄρα πὼς μέν ἐστιν ἀρχηγὰ τῆς  μαθηματικῆς θεωρίας καὶ τῶν ὑπ᾽ αὐτῆς γιγνωσκομένων ὡς ὄντων,  πὼς δὲ στοιχεῖα νοεῖται, ἄλλως δὲ [20] πάλιν ὡς γένη᾽ οὐχ ὅτι κατ᾽  ἐπίνοιαν τῷ λόγῳ μόνῳ διαφέρει, οὐδ᾽ ὅτι συμμεταβάλλεται καὶ  ἕτερα ἐξ ἑτέρων γίγνεται κατὰ τὰς διαφόρους σχέσεις, ἀλλ᾽ ὅτι τὰ  αὐτὰ προόδους ποιεῖται καὶ διαφορὰς ἐν ἑαυτοῖς πλείονας. καὶ δὴ  καὶ κατὰ τὴν τῆς αἰτίας διαφορὰν ἔχει τὸ ἀδιάφορον᾽ οὐ γὰρ ταὐτόν  ἐστι καθ᾽ αὑτὸ εἶναί τι τῶν ἀσωμάτων καὶ συμπληρωτικὸν ἄλλων  ὑπάρχειν, ἀλλ᾽ οὐδὲ τὸ ποιητικόν τινων καὶ τὸ ὁπωσοῦν εἰς [50] οὐ-  σίαν συντελοῦν τῆς αὐτῆς τάξεως τετύχηκεν. οὐδ᾽ ἔστιν ὅπως ποτὲ  τὸ συνταττόμενον μεθ᾽ ἑτέρων τὴν καθ᾽ αὑτὸ οὐσίαν κατατάττει εἰς  τὴν σύνταξιν, ἀλλ᾽ ἐκείνην μὲν ἀφίησι χωρίς, τὴν ἄλλην δὲ συνυφαί-  νει εἰς τὴν συμπλήρωσιν ἐκείνων τῶν οὐσιῶν, αἷς συντελεῖ εἰς τὸ  εἶναι. κατὰ δὴ τὸν αὐτὸν λόγον οὐδὲ ἡ παρέχουσα τὸ εἶναι αἰτία  συνυπάρχει τοῖς ὑφ᾽ ἑαυτῆς ἀποτελουμένοις, ἀλλ᾽ ἔστιν αὐτῶν πρε-  σβυτέρα κατ᾽ αὐτὸν τὸν τῆς οὐσίας λόγον, χωριστήν τε ἔχει ἐν [10]  ἑαυτῇ τὴν ὑπόστασιν, δι᾽ ἣν καὶ τοῖς σπαραττομένοις ὑφ᾽ ἑαυτῆς  δίδωσιν ἑτέραν ὑπόστασιν μεθ᾽ ἑαυτήν. οὕτω δὴ οὖν ἡμῖν τὸ ἄπει-  ρον καὶ τὸ πέρας εὐλόγως καὶ ἐν ἀρχαῖς καὶ στοιχείοις καὶ γένεσιν  ἀφωρίσθη. διαφέρει δὲ ταῦτα τῶν μὲν νοητῶν ἀρχῶν καὶ στοιχείων  καὶ γενῶν, διότι ἀπολείπεται αὐτῶν τελειότητι καὶ καθαρότητι καὶ  ἁπλότητί τε καὶ τῇ ἐπὶ πλεῖστον διατεινούσῃ περιοχῇ, τῷ τε  ὡρίσθαι καὶ ἔτι τῷ κάλλει καὶ τοῖς ἀγαθοῖς ἅπασι: τῶν δὲ ἐν γενέ-  σει προέχει τάξει, συμμετρίᾳ, τῇ ἀκινήτῳ καὶ σταθερᾷ φύσει, εἰδῶν  cause e fattori dell’intera realtà matematica e della relativa teoria,  dobbiamo concepire come principi le cause di cui ora si parla; quan-  do invece le si concepisce come immanenti e costituenti nel loro insie-  me la realtà e il discorso della scienza matematica, allora dobbiamo  concepirle come elementi. Una volta che abbiamo visto l’uno e il mol-  teplice come comuni a tutte le matematiche, in quanto forniscono il  legame che tiene insieme la realtà degli enti particolari e nondimeno  sono sussistenti in sé e per sé, allora li vediamo in realtà come generi.  Le medesime cose, dunque, da un punto di vista sono principi fon-  danti della teoria matematica e delle cose che essa conosce come enti  concreti, e sono concepite in un certo senso come elementi, e da un  altro punto di vista sono considerate come generi; non diciamo che  differiscono solo concettualmente, né che mutano insieme e si gene-  rano come diversi da diversi a seconda dei diversi rapporti, ma che le  stesse cose producono in se stesse molte procedure e differenze. E in  verità anche secondo la differenza della causa esse sono indifferenti,  perché non è la stessa cosa per un ente incorporeo essere per se stes-  so 0 esistere come ciò che porta a compimento altri enti, ma neppure  è mai accaduto che ciò che è produttore di qualche cosa sia anche un  elemento qualsiasi [50] che contribuisca all'essere dello stesso suo  ordine. Non è neppure possibile che ciò che è coordinato con altri sia  capace di assegnare l’essere che gli appartiene in proprio all’insieme  ordinato di cui fa parte, al contrario da un lato esso è separato da que-  sto, dall’altro lato mette insieme il suo proprio essere per costituire il  complesso di quelle realtà, al cui essere dà il suo contributo. In base  a questo discorso, appunto, neppure la causa che fornisce l’essere  coesiste con le cose che produce da sé, ma è superiore a queste secon-  do il concetto stesso di essere, ed ha una sussistenza separata in se  stessa, per mezzo della quale essa dà alle cose che sono come strappa-  te da sé una diversa sussistenza. È cosî, dunque, che dobbiamo deter-  minare ragionevolmente l’illimitato e il limite, sia nei principi che  negli elementi e nei generi della matematica. Questi, d’altra parte, dif-  feriscono dai principi o elementi o generi di ordine intelligibile, per-  ché ne sono inferiori quanto a perfezione e purezza e semplicità e  capacità di massima estensione,!3! e per essere inoltre limitati nella  bellezza e in tutti i beni;132 precedono invece gli enti del mondo del  divenire quanto a ordine, simmetria, natura immobile e fissa, parteci-  καθαρᾷ [20] μετουσίᾳ, τῇ ἀσωμάτῳ καὶ ἀύλῳ φύσει, καὶ συλλήβδην  φάναι, πᾶσι τοῖς βελτίοσιν. ἐκ δὴ τούτων οὖν συνάγεται μέσα αὐτὰ  ἀμφοτέρων εἶναι τούτων, ἔχειν τε μεταξὺ τάξιν δυναμένην ἀμφοτέ-  ροις ἐπικοινωνεῖν καὶ πρὸς ἀμφότερα δὴ αὐτὰ διαπορθμεύειν ἐπ᾽  ἴσης.   Τοιαῦτα ἄν τις καὶ περὶ τούτων διαγιγνώσκων, οὐκ ἂν διαμαρτάνοι  τοῦ προσήκοντος.    14. Περὶ δὲ ὁμοιότητος καὶ ἀνομοιότητος, ὡς μὲν πολλή τίς ἐστιν  ἐν τοῖς μαθήμασι καὶ ἐπὶ τῆς [51] μαθηματικῆς οὐσίας, μεγάλην τε  ἔχει τὴν δύναμιν ἐνταῦθα, πάντες ἂν συνομολογήσειαν᾽ οὐδὲ γὰρ  οἷόν τέ τι θεώρημα γνῶναι μαθηματικῶς, εἰ μή τις αὐτὸ κατασκευά-  CELEV ὁρισάμενός τι σχῆμα αὐτῷ ὅμοιον καὶ δι᾽ ἑτέρας εἰκόνος  ποιησάμενος τὸν περὶ αὐτοῦ λόγον καὶ ἀφ᾽ ἑτέρου ἕτερον κατασκε-  ᾽πυηάσας καθ᾽ ἕνα λόγον τὸν τῆς ὁμοιότητος. ἀλλ᾽ ἐκεῖνο ἄξιον θεωρί-  ας, τίνες εἰσὶν αὗται αἱ κοινότητες αἱ τοῦ ὁμοίου καὶ ἀνομοίου, ἐπὶ  πόσον τε διατείνουσιν ἐν τοῖς μαθήμασι, καὶ πῶς [10] ὑπάρχουσιν  ἐν αὐτοῖς, κατὰ τί τε διεστήκασι τῶν ἐν τοῖς νοητοῖς ἢ αἰσθητοῖς  ὁμωνύμων λεγομένων ὁμοίων τε καὶ ἀνομοίων. δεῖ δὴ νοῆσαι τοῦτο,  ὡς οὐ κατὰ ποιότητα τὸ ὅμοιον καὶ ἀνόμοιον λέγεται ἐπὶ τῆς  μαθηματικῆς οὐσίας, οὔτε κατὰ σχῆμα τοιοῦτον οἷον ἐπί τισιν ὡς  ἕτερον περὶ ἑτέροις ἐπιγίνεται" τὰ μὲν γὰρ τοιαῦτα ποιὰ ἐν τοῖς  συνθέτοις καὶ περὶ σύνθεσιν φιλεῖ συμβαίνειν, ἐφ᾽ ὧν ἕτερον μέν  ἐστι τὸ ὑποκείμενον, ἕτερον δὲ τὸ ἐν ὑποκειμένῳ συμβεβηκός,  χαρακτῆρά τε καὶ εἰδοποιίαν περὶ τὴν ὑποκειμένην [20] φύσιν ἐνα-  repyatbuevov: ὃ δὲ νῦν ζητοῦμεν ὅμοιόν τε καὶ ἀνόμοιον, πρεσβύ-  τερόν ἐστι πάσης συνθέσεως. ἀλλ᾽ οὐδὲ κατὰ σχέσιν θεωρεῖται  τοιαύτην, οἵα ἐν τῷ πῶς ἔχειν ὑφέστηκε. τῶν γὰρ καθ᾽ αὑτὰ  ὑπαρχόντων οὐ δεῖ ἐξ ἄλλων ἠρτημένας νοεῖν τὰς ὑποστάσεις. ἔστω  δὴ οὖν κατ᾽ οὐσίαν προηγούμενον τὸ νυνὶ λεγόμενον ὅμοιόν τε καὶ  ἀνόμοιον, οὐσίαν δὲ οὐ πᾶσαν, ἀλλὰ τὴν μαθηματικήν. εἴδη τινὰ  οὖν ταῦτα τῆς οὐσίας ἔσται τῆς μαθηματικῆς. οὐ γὰρ δεῖ τὸ ποιὸν  καὶ ποσὸν ἀντιδιαιροῦντας τῇ οὐσίᾳ ἄλλην μὲν ἐπιστήμην [52] ἐπὶ  pazione pura delle idee, natura incorporea e immateriale, e per dirla  in breve, per tutti gli aspetti migliori. Da tutto ciò si desume, ovvia-  mente, che essi sono intermedi tra ambedue queste specie di principi  o elementi o generi,!3 e che hanno un ruolo intermedio capace ugual-  mente di avere comunanza con ambedue e trasmettere messaggi ad  ambedue.   Chi riconosca tali proprietà delle matematiche, non può sbagliare  su ciò che ad esse conviene.    14. A proposito di somiglianza e dissomiglianza, che ce ne siano  molte nelle matematiche e nella [51] realtà di natura matematica, e  che vi esercitino un grande potere, sono tutti d'accordo: non è possi-  bile infatti avere conoscenza matematica di un teorema, se non lo si  costruisce determinando una figura che gli somigli e facendo il relati-  vo ragionamento attraverso una immagine che ne sia diversa e dimo-  strando che l’una cosa deriva dall’altra secondo un unico rapporto di  somiglianza. Ma è opportuno anche questo, vedere cioè quali siano  queste comunanze tra il simile e il dissimile, e quanto questi si esten-  dano nelle matematiche, e come appartengano ad esse, e in che cosa  differiscano dagli aspetti degli intelligibili e dei sensibili che per omo-  nimia si dicono simili e dissimili.!4 Bisogna pensare che ovviamente,  a proposito della realtà matematica, il simile e il dissimile non si dico-  no secondo la qualità, né secondo la figura, come ad esempio in alcu-  ne cose in cui si aggiunge diverso a diverso. Tali qualità infatti predi-  ligono i composti e riguardano la composizione, cose cioè in cui una  cosa è il soggetto, cosa diversa l’accidente che è nel soggetto e che  produce carattere e qualità specifica nella natura del soggetto.135 Le  cose che ora noi cerchiamo, invece, sono il simile e il dissimile che  sono superiori ad ogni composizione. Ma non sono visti neppure  secondo la relazione, del genere di quella che c'è nella domanda “in  che rapporto sta”: delle cose che esistono per se stesse, infatti, non si  deve pensare che le loro sussistenze dipendano l’una dall’altra. Il  simile e il dissimile di cui ora parliamo, dunque, devono essere visti  come superiori nell’ordine della realtà, non di ogni realtà, bensi di  quella matematica. Alcune forme, dunque, saranno queste della real-  tà matematica. Non bisogna, infatti, contrapporre il quale e il quanto  all'essere, mettendo sullo stesso piano da un lato una scienza [52]    552 GIAMBLICO    τῇ οὐσίᾳ θεωρητικὴν συντάττειν, ἄλλην δὲ ἐπὶ τῷ ποσῷ, Kai ταύτην  ἀφορίζεσθαι εἶναι τὴν μαθηματικήν᾽ ἀλλ᾽ ὥσπερ ἔχει φύσεως, οὕτω  καὶ τὴν οἰκείαν οὐσίαν τὴν μαθηματικὴν ἐπισκοπεῖν, καὶ τὰ εἴδη  ταῦτα ὅσα τέ ἐστι καὶ ὁποῖα καὶ [ὃ]}3 δὴ καὶ τὸ ποσὸν συνεξετά-  ζειν,14 οὔτε τὸ ἐν τοῖς σώμασιν, οὔτε τὸ νοητὸν παράδειγμα, ἀλλ᾽  ὅσον ἐστὶ μαθηματικόν' ὡσαύτως δὴ οὖν καὶ τὸ ὅμοιον καὶ τὸ ἀνό-  μοιον, εἴτε ὡς κοινὰ γένη περὶ τὴν οὐσίαν ἢ εἴδη, εἴτε ὡς κοινὰς  δυνάμεις γεννητικὰς εἰδῶν τῶν ἐν [10] τοῖς καθ᾽ ἕκαστα μαθη-  μάτων, πέφυκε συνθεωρεῖν κατ᾽ αὐτὸν τὸν τοῦ εἶναι λόγον. διατεί-  νει δὲ ἐπὶ μὲν τῆς ὅλης οὐσίας μαθηματικῆς εἰς τὸ ὅλον αὐτῆς ὄν,  ἐπὶ δὲ τῶν κατὰ μέρος μαθημάτων εἰς τὰς μεριστὰς αὐτῶν ὑπο-  στάσεις, καὶ οὕτως καθ᾽ ὅσον ἄν τις θεωρῇ πλείονας ἢ ἐλάττονας ἢ  μείζονας ἢ καταδεεστέρας τούτων περιγραφάς, πάσαις συμπαρεκ-  τείνει τὸ ὅμοιον καὶ ἀνόμοιον ἢ ἐπὶ πλεῖον ἢ ἔλαττον διήκοντα.  οὐδὲ γὰρ ὅλως πλῆθος ἢ διαίρεσιν ἢ ἕνωσιν ἢ ταυτότητα καὶ  ἑτερότητα δυνατὸν ἐν τοῖς ὄντως μαθηματικοῖς ὑποστῆναι, [20] μὴ  προηγησαμένης τῆς κατ᾽ οὐσίαν ὁμοιότητός τε καὶ ἀνομοιότητος.  μηκέτι οὖν θαυμάζωμεν εἰ καὶ ἐφ᾽ ἕν γένος καὶ ἐπὶ πλείονα καὶ ἐπ᾽  ἐλάττονα καὶ ἐπὶ πάντα διατείνουσιν, ἀλλὰ πολὺ μᾶλλον ἐκεῖνο  χρὴ θεωρεῖν, ὡς κατὰ τὴν οἰκειότητα ἑκάστων συγγενῶς αὐτοῖς ἐνυ-  πάρχουσι. καὶ δεῖ θεωρεῖν καὶ τοῦτο, λέγω δὴ τοῦ ὁμοίου καὶ ἀνο-  μοίου τὸ ἕν καὶ τὰ πολλὰ καὶ τὰ μεταξὺ τούτων, τάξιν τε αὐτῶν ἐπι-  βλέπειν ἥτις ἐστὶν ἡ προσήκουσα, καὶ διανομὴν ἐφ᾽ ἑκάστοις τοῖς  [53] μαθήμασιν ὡς πέφυκεν ἕκαστα αὐτῶν μεταλαμβάνειν. εἰ δὴ  ταῦτα οὕτως ἔχει, καὶ ἐπιστήμη μαθηματικὴ πασῶν ἂν εἴη κυριο-  τάτη, ἥτις τὸ αὐτὸ τῆς ὁμοιότητος αἴτιον καὶ τῆς ἀνομοιότητος ἐπὶ  προτέρων καὶ ὑστέρων ὡσαύτως ἀνευρίσκει, ἐπὶ δὲ τῶν ὁμοταγῶν  ποιεῖται αὐτῶν τὴν δέουσαν διάκρισιν. καὶ δὴ καὶ παρὰ δόξαν τῶν  πολλῶν κατὰ τὸν τῶν ἀσωμάτων τρόπον ἐν μὲν τοῖς διαφέρουσι τὸ  ὅμοιον, ἐν δὲ τοῖς ἀδιαφόροις τὸ ἀνόμοιον θεωρεῖ. καὶ ὁμοίως τά-  ναντία ἐν ἀλλήλοις [10] συνεξετάζει, ὥσπερ ἐν τῷ ὁμοίῳ τὸ ἀνόμο-  τιον ἐπιθεωροῦσα. πῶς οὖν ἐγγίνεται αὐτῶν ἑκάτερον, ἄριστα ἂν  κατανοήσαιμεν, εἰ φυλάττοιμεν καὶ ἐνταῦθα τὸ ἰδίωμα τῆς οὐσίας    13 ho eliminato io per congettura di Festa (cf. appar ad loc.).  14 συνεξετάζειν è la lectio del codice ς [Cizersis] che io ho preferito (cf.  Festa, appar ad loc.): συνεξετάζει Festa.    LA SCIENZA MATEMATICA COMUNE 553    teoretica dell'essere, e dall'altro lato un’altra scienza teoretica della  quantità, e stabilendo che quest’ultima è la matematica; al contrario,  bisogna considerare la realtà propria della matematica cosi come essa  è per natura, ed esaminare quali siano tali forme matematiche e quan-  te siano e di che natura; e bisogna cercare al contempo anche il quan-  to, non quello corporeo, né quello che è modello intelligibile, bensi il  quanto della matematica; allo stesso modo, dunque, anche il simile e  il dissimile,136 siano essi presi come generi comuni o come specie del-  l'essere, o come potenze comuni!7 produttrici delle forme matemati-  che proprie delle singole scienze matematiche, noi li dobbiamo natu-  ralmente considerare insieme secondo un medesimo rapporto ontolo-  gico.138 Essi, nella realtà matematica generale, si estendono all’essere  in generale, nelle matematiche particolari, invece, si estendono alle  singole loro sussistenze, e cosî, per quanto si possa vedere la moltepli-  cità dei loro confini, minori o maggiori o inferiori, il simile e il dissi-  mile coprono ugualmente tutte le matematiche secondo una maggio-  re o minore estensione. Non è affatto possibile, infatti, che negli enti  realmente matematici sussista alcuna quantità numerica o divisione o  unificazione o identità o alterità, senza che prima ci sia nella realtà  somiglianza e dissomiglianza. Non dobbiamo meravigliarci più, dun-  que, se questi aspetti si estendano anche al genere “uno” e “più” e  “meno” e “tutto”, al contrario è molto pit necessario vedere che essi  esistono nelle cose secondo la natura propria di ciascuna di esse. E si  deve considerare anche questo, intendo dire l’unità e la molteplicità e  ciò che sta in mezzo come proprietà del simile e del dissimile, e guar-  dare al posto che ad essi compete, e comprendere la loro distribuzio-  ne in ciascuna delle matematiche [53] secondo la natura di ciascu-  na.!39 Se le cose stanno proprio cosi, allora la scienza matematica sarà  anche la più importante fra tutte le scienze, essendo quella che scopre  la causa stessa della somiglianza e della dissomiglianza tanto nelle  cose primarie che nelle secondarie, e che fa la dovuta distinzione fra  cose dello stesso ordine. E in realtà la matematica, nell’opinione  comune, considera, cosi come fa degli incorporei, anche la somiglian-  za nelle cose differenti e la dissomiglianza nelle cose identiche. E  come nel simile vede il dissimile, allo stesso modo ricerca gli opposti  l'uno nell'altro. La cosa migliore, dunque, sarebbe quella di capire  come il simile e il dissimile nascano l’uno nell’altro, se manterremo    554 GIAMBLICO    περὶ ἧς ποιούμεθα τὸν λόγον. μήτε γὰρ οὕτως αὐτὰ νοῶμεν ἐγγίγνε-  σθαι ὡς τὰ εἴδη τὰ ἔνυλα περὶ τὴν ὕλην ἐμφαντάζεται (συμφυῆ γάρ  ἐστι καὶ ἀμετάστατα τῆς μαθηματικῆς οὐσίας, ἐν ἧ ἔχει τὸ εἶναι),  μήτε οὕτως ὥσπερ τὰ ἔμφυτα ἐν τοῖς σώμασιν, οἷον ἡ θερμότης é ἐν τῷ  πυρί᾽ καὶ γὰρ ταῦτα εἰ καὶ ὅ τι μάλιστα συνυφέστηκε τοῖς ἔχουσιν  αὑτά, ἀλλ᾽ [20] ὅμως θεωρεῖταί τις συνθέτου διαφορότης, καθόσον  μετέχεται ὡς ἑτέρα, τὰ δὲ μετέχει ὡς ἄλλα. ἐπὶ δέ γε τῶν κατ᾽ οὐ-  σίαν προὔπαρχόντων ἐν τοῖς μαθηματικοῖς οὖσιν ἁπλῆ τις οὐσία  θεωρεῖται δι᾽ ὅλης é ἑαυτῆς ἀσύνθετος οὖσα’ ὅσῳ γὰρ μᾶλλον ἀσώμα-  τός ἐστι καὶ χωριστὴ τῶν συνθέτων καὶ διαστατῶν ὄγκων, τοσούτῳ  μᾶλλον ἁπλούστερον καὶ καθ᾽ ἑαυτὸ ὑφεστηκὸς ἔχει καθαρώτερον  τό τε ὅμοιον καὶ ἀνόμοιον ἀμιγές. ὡσαύτως καὶ τὸ κοινὸν ἐν αὐτοῖς  εἰλικρινὲς καὶ ἀδιάφθορον. ὁπότε δὴ οὖν ταῦτα συνομολογοῦμεν,  δεῖ κἀκεῖνο [54] καταμαθεῖν, ὡς ἣ μαθηματικὴ ὁμοιότης καὶ ἀνομο-  ιότης ἑτέρα τῆς ἐπὶ τῶν νοητῶν καὶ τῆς ἐπὶ τῶν αἰσθητῶν  ὑπολαμβάνεσθαι ὀφείλει ὁμοιότητός τε καὶ ἀνομοιότητος. διακρι-  θήσεται δὲ ἀπ᾽ αὐτῶν καθ᾽ ἕνα μὲν τρόπον, καθ᾽ ὃν τὰς τρεῖς οὐσί-  ας διεστειλάμεθα (δῆλον γὰρ ὅτι «τριχῇ» τούτων διαφερουσῶν καὶ  τὰ ἐν αὐταῖς εἴδη τριχῇ διοίσει), καθ᾽ ἕτερον «δέ», διότι τῇ μεσότητι  αὐτῶν διορίζεται, ἐκείνων ἄκρων ὄντων καὶ τὴν ἀρχὴν καὶ τὸ τέλος  ἀφοριζόντων τῶν περὶ τὴν οἰκείαν [10] οὐσίαν εἰδῶν" καὶ ἄλλως δὲ  τὰ μὲν ἀρχηγικὰ νοείσθω, τὰ δ᾽ ὡς ἐν ἀποτελέσματος τάξει γιγνόμε-  να, τὰ δὲ μεταξὺ φυόμενα τῶν τε προηγουμένων αἰτίων καὶ τῶν ὡς  ἐσχάτων ἀποτελουμένων. ταῦτα δὴ προειληφότες, ῥᾳδίως ἂν δυν-  θείημεν ἀπὸ τούτων καὶ τὰ ἐν ἑκάστῳ τῶν μαθημάτων ἴδια αὐτῶν  ὅμοια καὶ ἀνόμοια ἐν τάξει θεωρεῖν, ὁπόταν τὸν ἴδιον περὶ αὐτῶν  λόγον ποιώμεθα’ νῦν δὲ τὰ κοινὰ ἡμῖν περὶ αὐτῶν ἄχρι τούτων  εἰρήσθω.   ᾿Απὸ δὴ τοιούτων καὶ τοσούτων γενῶν ἡ μαθηματικὴ [20] ἐπιστήμη  συνισταμένη ἀρχῶν τε καὶ στοιχείων, καὶ τοιαύτη οὖσα οἵαν αὐτὴν  προειρήκαμεν, οὐκ ἐπὶ βραχὺ διατείνει οὐδὲ ἐπὶ ὀλίγα ἄττα τῶν ἐν    LA SCIENZA MATEMATICA COMUNE 555    anche in questo la peculiarità della realtà matematica di cui parliamo.  Non dobbiamo infatti pensare né che essi nascano cosî come le forme  immateriali che si riflettono nella materia (essi infatti sono della stes-  sa natura immutabile della realtà matematica, in cui hanno il loro  essere), né che siano come le proprietà naturali dei corpi, come ad  esempio il calore nel fuoco: e infatti queste proprietà, seppure siano  qualcosa che ha la massima coesistenza con le cose che le contengo-  no, nondimeno sono considerate come differenza di un composto,!40  in quanto una cosa è ciò che è partecipato,!4! altra cosa ciò che parte-  cipa.!42 Nelle cose, invece, che preesistono realmente negli enti mate-  matici, si può vedere una realtà semplice per se stessa assolutamente  non composta: quanto pit, infatti, essa è incorporea e separabile dalle  masse composite ed estese, tanto più sussiste in se stessa in modo più  semplice, ed è simile e dissimile e non mescolata in modo più puro.  Anche l’aspetto della comunanza è in essi! ugualmente puro e incor-  ruttibile. Una volta, dunque, che siamo d’accordo su questo, bisogna  [54] apprendere anche quest'altro, cioè che la somiglianza e la disso-  miglianza nella matematica non possono non essere assunte come  diverse da quelle che appartengono agli intelligibili e ai sensibili. E  saranno da queste distinte in un modo, che è quello in cui noi distin-  guiamo i tre modi di essere (è chiaro infatti che, essendoci tre diverse  realtà, ci saranno anche tre diverse loro specificità), e in un altro  modo, cioè nel senso che essi sono determinati dal fatto che hanno  una collocazione intermedia tra quelli, che sono i loro estremi e che  determinano il principio e la fine delle forme che hanno una sostanza  vera e propria.!4 In altri termini, bisogna pensare che da un lato ci  sono le cose originarie, dall'altro le cose che hanno il ruolo di loro  prodotti, e infine le cose che per natura stanno in mezzo tra le cause  superiori e i loro ultimi effetti. Fatte queste premesse, potremo facil-  mente partire da esse per considerare nell’ordine anche le somiglian-  ze e le dissomiglianze che sono proprie di ciascuna matematica, sem-  pre che facciamo un discorso che sia loro appropriato. Ed ora dob-  biamo parlare degli aspetti comuni che a proposito di tali scienze  risultano a questo punto.   Di quali e quanti generi e principi ed elementi sia costituita la  scienza matematica, e di che natura essa sia, lo abbiamo detto in pre-  cedenza:!4 essa non ha poca estensione e non dà il suo contributo in    556 GIAMBLICO    τῷ βίῳ πραγμάτων, ἀλλ᾽ ἐπὶ τὰ μέγιστα καὶ κάλλιστα τῶν te θείων  καὶ ἀνθρωπίνων ἀγαθῶν συμβάλλεται.    15. Πρῶτον οὖν πειραθῶμεν εἰπεῖν ὅτι περὶ ὅλην φιλοσοφίαν  διήκει καὶ περὶ πᾶσαν αὐτῆς θεωρίαν τῶν τε ὄντων καὶ γιγνομένων,  αὐτή τε ἡ ὅλη καὶ τὰ γένη [55] αὐτῆς καὶ τὰ στοιχεῖα καὶ αἱ ἀρχαί,  ὅσα τ᾽ ἐστὶ γένη μαθηματικῆς ἢ εἴδη, διαπεφοίτηκεν εἰς ὅλην φιλο-  σοφίαν. ὅθεν δὴ καὶ πανταχοῦ χρῶνται οἱ ἄνδρες τοῖς μαθήμασιν,  ὅταν τινὰ φιλόσοφον θεωρίαν ποιῶνται. ἀσώματα γὰρ ὄντα καὶ  μέσα, καὶ πᾶσιν ἐναρμόζεσθαι δυνάμενα τοῖς οὖσι καὶ  ἀφομοιοῦσθαι, πρὸς πάσας τὰς ἐν φιλοσοφίᾳ ἐπιστήμας ἡμῖν μεγά-  λα συναίρεται. τῇ τε γὰρ θεολογίᾳ παρασκευὴν προευτρεπίζει καὶ  ἐπιτηδειότητα, ὁμοιότητά τε πρὸς αὐτὴν [10] παρέχει καὶ ἀναγωγὴν  καὶ ἀποκάθαρσιν, τὰ μὲν νοερὰ ὄργανα ἀπολύουσαν τῶν δεσμῶν  καὶ ἀποκαθαίρουσαν συνάπτουσάν τε πρὸς τὸ ὄν, τῷ δὲ κάλλει καὶ  τῇ εὐταξίᾳ τῶν θεωρουμένων ἐν τοῖς μαθήμασιν πλησιάζουσάν πως  τοῖς νοητοῖς, διὰ δὲ τῆς τῶν ἀμεταπτώτων καὶ ἀκινήτων θεωρίας  πρὸς τὰ ἑστῶτα κατὰ τὰ αὐτὰ καὶ ὡσαύτως νοητὰ καὶ ὡρισμένα ἀφο-  μοιουμένην, ἐθίζουσαν δὲ τὴν διάνοιαν ἠρέμα πρὸς τὸ φανὸν τοῦ  ὄντος ἐπιβάλλειν, τῶν τε σωμάτων ἀπάγουσαν, καὶ πίστιν περὶ τῆς  τῶν ἀσωμάτων οὐσίας ἐντιθεῖσαν, [20] βεβαιότητά τε ἐπιστημο-  νικὴν καὶ ἀκρίβειαν παρέχουσαν. πάντα γὰρ τὰ τοιαῦτα φέρει  μεγάλην ἀφορμὴν εἰς τὴν τῶν ὄντων καὶ νοητῶν κατανόησιν. ἀλλὰ  μὴν τῷ γε φυσικῷ συνεργεῖ οὐ μετρίως, συμμετρίαν τῶν ἐν τῇ φύσει  παραδεικνύουσα, εὐταξίαν τε εἰς ὑπερβολὴν καὶ ἀναλογίαν τὴν διὰ  πάντων τῶν ἐν τῇ φύσει διήκουσαν, κάλλος τε ἐπισκοπουμένη καὶ  εἴδη φυσικὰ καὶ τοὺς [56] περὶ αὐτῶν λόγους, στοιχεῖά τε καὶ  ἁπλούστατα καὶ τὰ σχήματα αὐτῶν, καὶ τὰ κυριώτατα γένη καὶ  εἴδη’ πᾶσι γὰρ τούτοις οἱ γνησίως ἀπὸ τῶν πρώτων ἀρχῶν φυσιολο-  γοῦντες χρῶνται. τῷ γε μὴν πολιτικῷ συμβάλλεται κινήσεως τεταγ-  μένης τῶν πράξεων ἐξηγουμένη, κίνησίν τε τῶν θεωρημάτων τῶν  ἑστηκότων παρέχουσα, ἰσότητά τε πᾶσιν ἐντιθεῖσα καὶ ὁμολογίαν  τὴν προσήκουσαν. τῷ δὲ ἠθικῷ συναίρεται λόγους ἀρετῶν περιέ-  χουσα καὶ παραδείγματα μαθηματικὰ εἴδη [10] ἐκφαίνουσα, οἷον    LA SCIENZA MATEMATICA COMUNE 557    merito a poche cose quali quelle relative alla vita, ma a beni più gran-  di e più belli, sia divini che umani.    15. Anzitutto dunque proviamo a dire che la matematica si esten-  de all'intera filosofia e a ogni sua teoria, relativa sia all'essere che al  divenire, e permea l’intera filosofia sia nella sua interezza che [55] nei  suoi generi ed elementi e principi, per quanti generi e specie matema-  tiche ci siano. Di qui deriva certamente anche il fatto che gli uomini  si servano delle scienze matematiche, tutte le volte che costruiscono  qualche teoria filosofica.!46 Le cose, infatti, che sono incorporee e  intermedie, e capaci di adattarsi e assimilarsi a tutto, ci sono di gran-  de aiuto in tutte le scienze filosofiche. E infatti la matematica predi-  spone e rende idonei ad apprendere la teologia,!7 e procura la capa-  cità di assimilarsi ad essa e ad innalzarsi e a farsi purificare da essa, e  da un lato libera da ogni legame le nostre facoltà intellettive e le puri-  fica e le collega all’essere, e dall’altro lato per mezzo della bellezza e  del giusto ordinamento proprio delle teorie matematiche avvicina in  qualche modo agli intelligibili, e attraverso la contemplazione di ciò  che è immutabile e immobile!4 rende simili alle cose intelligibili e  determinate che sono stabili in se stesse e sempre uguali, e abitua  piano piano ad applicare la ragione alla luce dell’essere, e allontana  dai corpi, e induce a credere alla realtà degli incorporei, e fornisce  sicurezza e precisione di ordine scientifico. Tutte queste cose infatti  stimolano grandemente a riflettere sul vero essere e sull’intelligibile.  Ma certamente la matematica è di enorme aiuto al filosofo della natu-  ra, perché gli fa vedere la simmetria delle cose naturali, e la loro  buona disposizione al trascendente e la proporzionalità che è diffusa  in tutti gli enti naturali, e facendogli osservare nella loro bellezza sia  le forme naturali [56] che i loro rapporti matematici, e gli elementi e  le cose più semplici e le loro figure, e i generi e le specie fondamenta-  li: di tutte queste cose infatti si servono coloro che compiono autenti-  che ricerche fisiche partendo dai primi principi.:4? La matematica  giova anche al politico, perché essa è capace di guidare il movimento  ordinato delle azioni umane, e fornisce tale movimento con teoremi  incrollabili, e imprime in ogni cosa uguaglianza e conveniente accor-  do. Dà sostegno poi al filosofo morale, perché contiene i rapporti tra  le virti e mostra come esempi matematici le specie di virtii, quali ad    558 GIAMBLICO    φιλίας ἢ εὐδαιμονίας ἢ ἄλλου τινὸς τῶν μεγίστων ἀγαθῶν. προτί-  θησι δὲ καὶ πάντων τῶν ἐν τῷ βίῳ παραδείγματα μαθηματικά, οἷον  εὐγονίας ἀγονίας, εὐφορίας ἀφορίας, καὶ πάντων τοιούτων. ὅθεν δὴ  καὶ πανταχοῦ δεῖ χρῆσθαι τοῖς μαθήμασιν, ὥσπερ ἐν παραδείγμασι  τούτοις τὴν φιλοσοφίαν ὑπογράφοντας. τὰ αὐτὰ μὲν οὖν οὐ λαμβάνο-  μεν πανταχοῦ παραδείγματα, τὰ δ᾽ οἰκεῖα ἐφ᾽ ἑκάστων κατὰ τὰ ἴδια  γένη τῆς ἐπιστήμης παρατιθέμεθα. διήκει μὲν οὖν καὶ ἡ ὅλη τῆς  μαθηματικῆς οὐσία αὐτή τε καὶ τὰ ἐν [20] αὐτῇ γένη καὶ στοιχεῖα  καὶ ὅσαι εἰσὶν ἀρχαὶ περὶ πᾶσαν φιλοσοφίαν. ἔνεστι γὰρ κοινῶς ἐφ᾽  ὅλην διατείνειν αὐτὴν τοὺς μαθηματικοὺς λόγους, ἔνεστι δὲ καὶ  περὶ τὰ μέρη τῆς φιλοσοφίας διατείνειν αὐτά, ὅπως ἂν ἡ τοῦ λόγου  χρεία ἀπαιτῇ. ἐπικοινωνεῖ δὲ πρὸς αὐτά, καθ᾽ ὅσον ἔχει τινὰ πρὸς  αὐτὰ ὁμοιότητα, καὶ συντέλειαν πρὸς αὐτὰ παρέχεται τὴν διαβιβά-  ζουσαν πρὸς αὐτὰ καὶ ὁδηγοῦσαν. καὶ πρὸς μὲν τὰ ἑστηκότα καὶ  ὡρισμένα εἴδη, καὶ οὐ ποτὲ μὲν ὄντα ποτὲ δὲ μὴ ὄντα, dei τε  ὡσαύτως ἔχοντα, ἀναφέρειν καὶ συνάγειν [57] πέφυκεν, ὡς ἂν ἀπο-  λειπομένη αὐτῶν τελειότητι καὶ καθαρότητι καὶ τῇ τῆς ἀσωματίας,  ἵν᾽ οὕτως εἴπωμεν, λεπτότητι, ὁμοιῶταί τε πρὸς αὐτὰ ὡς πρὸς  ὑπερέχοντα. τῶν δὲ ἐν γενέσει ἐνύλων εἰδῶν χωριστὰ τῶν σωμάτων  παραδείγματα προτείνει ἐν εἴδεσι μαθηματικοῖς" καὶ οὕτως συνερ-  γεῖ πρὸς ἀμφότερα.   Πρὸς μὲν οὖν φιλοσοφίαν ὅλην καὶ τὰ μόρια αὐτῆς τοιαύτην συντέ-  λειαν παρασκευάζει.    16. Πρὸς δὲ δὴ τὰς τέχνας πάσας ὡς ἁπλῶς [10] εἰπεῖν ἐπιστημο-  νικὴν ἐντίθησι διάγνωσιν, ἀρχάς τε αὐτῶν παραδεικνύουσα καὶ  τέλη καὶ διορισμούς, μέτρα τε καὶ ἐπικρίσεις αὐτῶν ἀναδιδάσκου-  σα, τό τε ὀρθὸν καὶ διημαρτημένον αὐτῶν διαστέλλουσα, καὶ  τούτων ἑκατέρου στοιχεῖα τὰ προσήκοντα ἀφορίζουσα, τέλος τε  αὐτῶν γιγνώσκουσα καὶ τὴν ἀκρίβειαν ἐνδιδοῦσα τήν τε εὕρεσιν  αὐτῶν ποιουμένη. ἐπειδὴ γὰρ χωρὶς τήν τε οὐσίαν τῆς ὕλης θεωρεῖ  αὕτη ἡ ἐπιστήμη, λόγοις τε χρῆται χωριστοῖς καὶ οὐκ ἐπιταραττομέ-    LA SCIENZA MATEMATICA COMUNE 559    esempio dell’amicizia o della felicità o di qualche altro dei beni più  grandi. Propone anche esempi matematici di tutto ciò che riguarda la  vita, ad esempio della fecondità o sterilità, della fertilità o non fertili-  tà, e ogni cosa di questo genere. Di qui, naturalmente, la necessità di  servirsi sempre delle matematiche come di scienze che traducono la  filosofia in esempi di questo genere. Dunque, se da un lato non sem-  pre assumiamo le cose matematiche come esempi, dall’altro lato pre-  sentiamo le proprietà di ciascuna cosa secondo i generi propri di que-  sta scienza. Dunque l’intera realtà della matematica, e cioè essa e tutti  i suoi generi ed elementi e principi, si possono applicare a ogni tipo  di filosofia. E infatti è possibile in generale estendere i concetti mate-  matici all'intera filosofia, ed è possibile applicarli anche alle parti  della filosofia, a seconda che lo esiga la necessità del discorso. La  matematica ha qualcosa in comune con le parti della filosofia, in  quanto ha una certa somiglianza con esse, e contribuisce a condurci  ad esse o a mostrarcene la strada. Il suo compito naturale è quello di  fare risalire e condurre alle forme costanti e determinate, non a quel-  le che ora lo sono ora non lo sono, cioè alle forme che sono sempre  allo stesso modo, [57] sî che, pur essendo inferiore ad esse in perfe-  zione e in purezza e in “sottigliezza dell’immaterialità”, per cosî dire,  possa tuttavia assimilarci ad esse come ad enti trascendenti; d’altra  parte essa esemplifica in forme matematiche separate dai corpi le  forme materiali del mondo del divenire; e cosî serve per entrambi gli  aspetti. 150   La matematica dunque presta una collaborazione di tale natura  alla filosofia nel suo insieme e alle parti di essa.    16. La matematica, per dirla in breve, introduce in tutte le arti una  capacità di discernimento di ordine scientifico,15! perché mostra dove  esse comincino e dove finiscano e quali siano le loro articolazioni  interne,!52 e insegna più approfonditamente le loro misure e valuta-  zioni, e discrimina ciò che in esse è giusto o errato, e definisce gli ele-  menti propri di ciascuna di esse, e fa conoscere il loro fine ultimo, e  conferisce loro precisione, e procura loro capacità euristica.153 Poiché  infatti questa scienza!5 considera la realtà separatamente dalla mate-  ria, e si serve di ragionamenti separati e non inquinati dalle cose mate-  riali, essa in virtà di ciò possiede a ragione più responsabilità e più    560 GIAMBLICO    νοις ἀπὸ τῶν ἐνύλων, εἰκότως διὰ ταῦτα αἰτιωτέρα ἐστὶ καὶ [20]  ἡγεμονικωτέρα τῶν τῆς ὕλης ἐφαπτομένων τεχνῶν εἴς τε εὕρεσιν  αὐτῶν καὶ ἐπίκρισιν καὶ διάγνωσιν. τὰς μὲν οὖν θεωρητικὰς τέχνας  διακαθαίρει καὶ τελειοῖ, ταῖς δὲ ποιητικαῖς ἐν παραδείγματος τά-  ἕξει πρόσκειται, τὰς δὲ πρακτικὰς ἀνεγείρει καὶ κινεῖ τοῖς  ἑστηκόσιν ἑαυτῆς εἴδεσιν, ἐφ᾽ ὅλων δὲ κοινῶς τοὺς λόγους τοὺς  χωριστοὺς συναρμόζει ἐνύλοις εἴδεσιν. ὥσπερ ἀρχιτεκτονικὴ δὲ  οὖσα πασῶν, οὕτως αὐτῶν προηγεῖται, [58] χρηστική τε αὐταῖς  ὑπάρχει, καὶ τιμίους αὐτὰς ἀπεργάζεται καὶ ὠφελίμους τῷ μαθημα-  τικῷ λόγῳ βεβαιωθείσας, ἀποδείξει τε μαθημοτικῇ κρατύνει αὐτῶν  τοὺς λόγους καὶ ποιεῖ ἀψευδεῖς.   Πέφηνεν οὖν ἡ μαθηματικὴ διήκουσα θεωρία καὶ περὶ πᾶσαν τεχ-  νικὴν ἐργασίαν καὶ γνῶσιν.    17. Καὶ μὴν ὅτι γε τάξις ἐστὶν ἐν αὐτῇ διττή, ἡ μὲν κατὰ φύσιν  αὐτῇ συνυπάρχουσα, ἡ δὲ ὡς πρὸς τὴν μάθησιν, ῥάδιον ἐντεῦθεν  καταμαθεῖν. εἰ γὰρ [10] πᾶσι τοῖς ἄλλοις τὸ τεταγμένον ἀπὸ τῆς  μαθηματικῆς ἐπιστήμης παραγίγνεται καὶ τὸ ἐξ ἀνάγκης ἀκολου-  θεῖν τόδε τῷδε, πολὺ δήπου πρότερον αὐτὴ ἡ μαθηματικὴ θεωρία τά-  Guy περιέχει ἐν ἑαυτῇ, καὶ τὴν ἀγωγὴν τὴν πρὸς τὸ τέλειον τεταγ-  μένως ποιεῖται. ἢ μὲν οὖν κατὰ φύσιν τῶν μαθημάτων τάξις προτάτ-  τει τὰ ἁπλούστερα ὡς πρότερα, οἷον ἀριθμητικὴν γεωμετρίας, ἐνίο-  τε δὲ καὶ πρὸς διδασκαλίαν τὰ αὐτὰ προηγεῖται, ὅταν ἀπὸ τῶν στοι-  χείων γίγνηται τῶν συνθέτων ἡ μάθησις" οὐ μὴν ἀλλ᾽ ἐνίοτε καὶ ὡς  πρὸς ἡμᾶς τὰ σύνθετα τῶν [20] ἁπλουστέρων È ἔσται εἰς μάθησιν πρό-  τερα, ὅταν ἦ γνωριμώτερα, οἷον ὁ σύμπας οὐρανὸς καὶ ἡ περὶ αὐτὸν  κίνησις τῆς ἁπλῶς σφαίρας καὶ τῆς αὐτὸ τοῦτο κινουμένης σφαίρας  ἐστὶ δήπου γνωριμωτέρα. εἰ δή τις διὰ τῶν φανερῶν τὰ ἀφανῆ  ἐνδεικνύοιτο, οὐκ ἔσται ὁ τοιοῦτος τρόπος ἀπόβλητος τῆς ἐφόδου.  οὕτω δὲ τούτων διχῇ διηρημένων, χρηστέον μὲν ἀμφοτέροις τοῖς  τρόποις, τοῖς μὲν ὡς ἐπιστημονικωτέροις τοῖς δὲ [59] ὡς γνωριμωτέ-  ροις. καὶ δὴ ὅταν μὲν ἀναγκαῖον fi τῷ ἑτέρῳ μόνῳ χρῆσθαι τρόπῳ,    LA SCIENZA MATEMATICA COMUNE 561    capacità di guida rispetto alle arti che sono in contatto con la materia,  sia in ordine alla capacità di scoperta che di giudizio e di valutazione.  Da un lato, dunque, essa emenda e perfeziona le arti teoretiche, dal-  l’altro lato assume la funzione di modello per le arti poietiche, e fa  emergere quelle pratiche stimolandole per mezzo delle sue proprie  forme stabili, e in tutte quante in generale adatta alle forme materiali  i suoi propri principi razionali, che sono separati dalla materia.  Siccome è capace di costruirle tutte quante, perciò essa le precede  [58] e le utilizza, e le valorizza e ne consolida l’utilità per il discorso  matematico, e ne rafforza con la dimostrazione matematica i ragiona-  menti, rendendole infallibili.   La matematica si presenta, dunque, come una teoria che si esten-  de su ogni attività produttiva e conoscitiva.    17. E che la matematica abbia un ruolo duplice, lo si può facil-  mente attingere dal fatto che da un lato coesiste per natura con se  stessa, e dall’altro lato esiste come materia di apprendimento. Se  infatti è dalla scienza matematica che deriva per tutte le altre scienze  il posto che occupano e la loro capacità di trarre qua e là le loro neces-  sarie conclusioni, allora la teoria matematica contiene in se stessa,  naturalmente molto prima delle altre, il suo proprio ordine, e produ-  ce ordine nell’educazione alla perfezione. Ebbene, l’ordine naturale  delle matematiche presenta come prime quelle più semplici, ad esem-  pio l’aritmetica prima della geometria, e qualche volta le medesime  scienze matematiche precedono nell’ordine dell’insegnamento, se  l'apprendimento di ciò che è composto deriva da quello degli elemen-  ti: e nondimeno qualche altra volta ciò che è per noi composto sarà,  in ordine all’apprendimento, prima di ciò che è più semplice, quando  sia a noi più noto, ad esempio il cielo nel suo insieme e il suo relativo  movimento sono certamente pit noti della sfera in quanto tale o della  sfera automoventesi.!55 Naturalmente se si indica l’invisibile per  mezzo del visibile, un tale modo di procedere non sarà da respingere.  Fatta cosî questa duplice distinzione, bisogna servirsi di ambedue  questi tipi di metodologie, delle prime in quanto pit scientifiche,  delle altre [59] in quanto a noi più familiari. E se è necessario servir-  si di uno solo di tali metodi, allora bisogna giudicare in anticipo quale  dei due sia più appropriato e pit conveniente per lo scibile proposto;    562 GIAMBLICO    προκρίνειν δεῖ τὸν οἰκειότερον αὐτῶν καὶ μᾶλλον συμβαλλόμενον  πρὸς τὸ προκείμενον ἐπιστητόν᾽ ὅταν δὲ ἐξῇ ἀμφοτέροις χρῆσθαι,  δι᾽ ἀμφοτέρων ὁδηγεῖν χρὴ εἰς τὴν ἐπιστήμην. ὅθεν δὴ ἐν πολλαῖς  μαθηματικαῖς θεωρίαις τὰ αὐτὰ προβλήματα δι᾽ ἀναλύσεώς τε καὶ  συνθέσεως ἀποδείκνυται. ἐφ᾽ ὧν οὖν συμφωνοῦσιν οἱ δύο τρόποι  τῆς ἐπιστήμης, ἐπὶ τούτων χρηστέον ἀμφοτέροις. δεῖ δὲ καὶ τῆς [10]  ἕξεως ἑκάστου στοχάζεσθαι, οἷον εἰ εὐφυὴς ὀξὺς ὦν τις δύναται ἀφ᾽  ἑνὸς ἐπὶ πολλὰ ῥᾳδίως μετιέναι καὶ ἀθρόως ἅμα πολλὰ παραδέχε-  σθαι τὰ συγγένειαν ἔχοντά τινα πρὸς ἄλληλα. κἀκεῖνο δὲ δεῖ σκο-  πεῖν, τὸ τέλος τῆς ἀναφορᾶς τί ποτ᾽ ἐστὶ τῆς ἐν μαθηματικῇ δια-  τριβῆς, πότερον αὐτὸ τοῦτο τὸ μαθεῖν τὰ τῆς ἐπιστήμης θεωρήματα,  ἢ εἰς φιλοσοφίαν τις αὐτὰ ἀνάγει καὶ προτίθεται ὁδηγεῖσθαι δι᾽  αὐτῶν ἐπὶ τὴν τοῦ νοητοῦ θέαν: τῷ γὰρ τοιούτῳ ἄλλη ἂν εἴη ἡ τάξις,  ἐνίοτε τὴν κατὰ φύσιν ἀκολουθίαν τῶν μαθημάτων [20] ὑπερβαί-  νουσα. πάλιν τοίνυν ἕκαστον τῶν ἐν μαθηματικῇ θεωρημάτων τὰ μὲν  αὐτόθεν φαινόμενα καὶ ἀτελέστερα ὑποδείκνυσιν ὡς πρότερα, οἷον  ὅτι τὸ ὀρθογώνιον τρίγωνον ἴσον ἔχει δυναμένην τὴν ὑποτείνουσαν  ταῖς περιεχούσαις, τὰ μέντοι τελειότερα καὶ περιττῆς δεόμενα ἀπο-  δείξεως ὕστερα παραδίδοται, ὅσα περὶ τοῦ ὀρθογωνίου τριγώνου  εἴς τε τὴν [60] τῶν ἄστρων φορὰν καὶ τὴν εἰς τὸν ζωδιακὸν συντέλε-  Lav καὶ τὴν ἡλίου καὶ σελήνης φορὰν συντείνει. καὶ τὰ περὶ  ἁρμονίας δὲ ὡσαύτως, τὰ μὲν περὶ τῆς ἁπλῆς πρότερα διδάσκεται,  τὰ δὲ περὶ τῆς τοῦ κόσμου ὕστερα.   Ταῦτα δὴ οὖν τούτου ἕνεκα προειρήκαμεν, ἵνα μεθόδῳ τινὶ χρώμε-  νοι ἐν τῇ τάξει τῆς μαθηματικῆς πραγματείας δυεῖν στοχαζώμεθα,  τῆς τε φύσεως τῶν πραγμάτων καὶ τῆς δυνάμεως τῶν μανθανόντων,  [10] ἑκατέρῳ τε χρώμεθα ἁρμοττόντως, καὶ ὅταν συμφωνῇ ταῦτα  πρὸς ἄλληλα, ἀμφοτέροις ἐπ᾽ ἴσης.    18. Καὶ μὴν οἵ γε ἴδιοι τρόποι τῆς Πυθαγορείου παραδόσεως τῶν  μαθημάτων θαυμαστὴν εἶχον ἀκρίβειαν καὶ πολὺ παρήλλαττον τὴν    LA SCIENZA MATEMATICA COMUNE 563    se invece è possibile servirsi di ambedue, allora è necessario mostrare  che si può arrivare alla scienza con ambedue. Ne consegue ovviamen-  te che in molte teorie matematiche i medesimi problemi possono esse-  re risolti per via sia di analisi che di sintesi. In quei casi dunque in cui  questi due metodi scientifici possono andare d’accordo, occorre ser-  virsi di ambedue. Ma bisogna anche tenere conto del carattere di cia-  scuno di noi, ad esempio se per acutezza innata uno è capace di pas-  sare facilmente da una cosa a molte cose e recepire tutte insieme  molte cose che abbiano tra loro una qualche affinità. E bisogna osser-  vare anche questo, cioè quale mai sia il punto finale di riferimento  nello studio della matematica, se essa faccia tutt'uno con l’apprende-  re i teoremi di tale scienza o se si debbano ridurre questi teoremi a  filosofia e se ci si debba proporre di arrivare per mezzo di essi alla  contemplazione dell’intelligibile: in questo caso, infatti, l’ordine  sarebbe diverso, in quanto talvolta esso andrebbe al di là della natu-  rale consequenzialità delle matematiche. Ancora una volta, dunque,  ciascun teorema della matematica mostra prima le cose che sono  autoevidenti e meno perfette, ad esempio il fatto che il triangolo ret-  tangolo abbia il quadrato dell’ipotenusa uguale alla somma dei qua-  drati dei cateti, e dopo insegna le cose che sono più perfette e biso-  gnose di una particolare dimostrazione, ad esempio il teorema relati-  vo al triangolo rettangolo fa prestare attenzione [60] al movimento  degli astri e al loro concorso nello zodiaco e al movimento del sole e  della luna. E lo stesso discorso vale per i teoremi dell’armonica, che  prima insegnano l’armonica pura e semplice, poi quella relativa  all'universo.   Queste cose, dunque, le abbiamo dette prima affinché, servendo-  ci di un certo metodo, avessimo di mira due cose nell’ordine della  trattazione matematica, e cioè la natura dei contenuti e la capacità di  apprendimento dei discenti, e ci servissimo in modo conveniente del-  l’una e dell’altra cosa, e quando queste sono tra loro concordi, li usas-  simo ambedue allo stesso titolo.    18. In realtà anche i metodi propri dell’insegnamento pitagorico  delle matematiche avevano una meravigliosa precisione e imprimeva-  no un grande mutamento alla tecnica di insegnamento di chi si occu-  pa di matematica. Noi tracceremo, dunque, le linee generali della tec-    564 GIAMBLICO    τεχνικὴν τῶν ἐν τοῖς μαθήμασι διατριβόντων διδασκαλίαν.  ὑπογράψωμεν οὖν ἐν τύποις αὐτήν, ὡς ἂν μάλιστα δυνατὸν ἧ κοινῷ  λόγῳ περὶ αὐτῆς εἰπεῖν.   Ἕν μὲν δὴ οὖν τοῦτο διομολογείσθω, ὡς ἄνωθεν ἀπὸ τῶν πρώτων  ἀρχῶν ὁρμώμενοι τὴν πρώτην [20] ἐποιοῦντο τῶν μαθηματικῶν  θεωρημάτων σύστασιν, ὡς ἂν ἀπ᾽ αὐτῆς τῆς πρώτης οὐσίας αὐτῶν  ποιούμενοι τῆς διανοίας τὰς ἐπιχειρήσεις, καὶ ἐπ᾽ αὐτὴν ἀνάγοντες  τελευταίαν τὴν ὅλην μαθηματικὴν ἐπιβολήν. ἔτι τοίνυν τῷδε  ἑπόμενον, ἐπετήδευον τὸ καταδεικνύναι πρώτας τὰς εὑρέσεις τῶν  θεωρημάτων, μηδενὶ δὲ ὡς ἤδη ὑπάρχοντι χρῆσθαι, ἀλλ᾽ ἐπὶ πάντων  θεωρεῖν πῶς ἂν εἰς ὑπόστασιν ἔλθοι τὸ δεικνύμενον ἐν τοῖς  μαθήμασιν. ἦν δὲ καὶ ἄλλος τρόπος παρ᾽ αὐτοῖς ὁ διὰ [61] συμβόλων  μαθηματικός, οἷον τῆς δικαιοσύνης ἡ πεντάς, διότι πάντα τὰ εἴδη  τῶν δικαίων συμβολικῶς σημαίνει. χρήσιμον δὲ τὸ εἶδος ἦν αὐτοῖς  εἰς πᾶσαν φιλοσοφίαν, ἐπειδὴ συμβολικῶς τε τὰ πολλὰ ἐδίδασκον,  καὶ ἡγοῦντο τὸν τρόπον τοῦτον τοῖς θεοῖς εἶναι οἰκεῖον καὶ τῇ φύ-  σει πρόσφορον. ἀλλὰ μὴν ὅτι γε καὶ τὰς ἀρχὰς τὰς πρώτας καὶ τὰς  εὑρέσεις παρεδίδοσαν τῶν μαθημάτων, δῆλον μέν ἐστι καὶ ἀπὸ τῶν  ἄλλων μαθηματικῶν ἐπιστημῶν, φανερὸν δὲ καὶ ἐκ [10] τῶν ἀριθμ-  ητικῶν μεθόδων. ἕκαστον γὰρ γένος καὶ εἶδος ἀριθμῶν πῶς ἀπογεν-  νᾶται πρώτως καὶ πῶς ὑφ᾽ ἡμῶν εὑρίσκεται ἀναδιδάσκουσιν, ὡς μὴ  οὔσης ἐπιστημονικῆς τῆς περὶ αὐτὰ θεωρίας, εἰ μή τις αὐτὰ ἄνωθεν  ὁρμώμενος καταλαμβάνοι. ἔτι τοίνυν τοῖς ὄντως οὔσι καὶ τοῖς θεί-  οις πᾶσι καὶ ταῖς τῆς ψυχῆς ἕξεσι καὶ δυνάμεσι, τοῖς τε ἐν τῷ  οὐρανῷ φαινομένοις καὶ ταῖς περιόδοις τῶν ἄστρων, καὶ τοῖς ἐν τῇ  γενέσει πᾶσι στοιχείοις τε σωμάτων καὶ τοῖς ἀπὸ τούτων συγκρινο-  μένοις, τῇ τε ὕλῃ καὶ τοῖς ἀπ᾽ αὐτῆς [20] γεννωμένοις προσῳκείουν  ἀεὶ τὰ θεωρήματα τὰ μαθηματικά, πάντα τε ἁπλῶς καὶ ἀφ᾽ ἑκάστου  λαμβάνοντες τὰ οἰκεῖα μιμήματα πρὸς ἕκαστον τῶν ὄντων. τὰς δὲ  ἀναφορὰς ἐποιοῦντο τῶν μαθημάτων ἐπὶ τὰ ὄντα ἢ κατὰ κοινωνίαν  τῶν αὐτῶν λόγων, ἢ κατὰ ἔμφασίν τινα ἀμυδράν, ἢ κατὰ ὁμοιότητα  ἐγγὺς πλησιάζουσαν ἢ πόρρωθεν ἀφεστηκυῖαν, ἢ κατὰ εἰδώλων τινὰ  ἀπεικασίαν, ἢ κατ᾽ αἰτίαν προηγουμένην ὡς ἐν παραδείγματι, ἢ  κατ᾽ ἄλλον τρόπον. καὶ ἄλλως δὲ πολυειδῶς συνεζεύγνυον!"5 τοῖς    15 συνεζεύγννυον ho scritto io per coerenza con alcuni verbi precedenti  di tempo imperfetto: συζευγνύουσι.    LA SCIENZA MATEMATICA COMUNE 565    nica dei Pitagorici, perché se ne possa soprattutto fare un discorso  comune.   Ebbene, bisogna essere d’accordo su questo solo punto, cioè che  i Pitagorici costruivano il primo sistema dei teoremi matematici, pren-  dendo le mosse dall’alto, cioè dai primi principi, perché potessero  fare le loro argomentazioni razionali a partire dalla stessa realtà pri-  maria di quei teoremi, e ricondurre alla fine ad essa l’intera concezio-  ne della matematica.156 Naturalmente dopo di ciò si preoccupavano  di fare vedere come si trovano i primi teoremi, senza servirsi di alcun  teorema già esistente, ma osservando come in tutti i casi!” ciò che si  dimostra nelle matematiche si verifichi nella realtà. Un altro loro  metodo matematico era [61] quello che procedeva per simboli, ad  esempio mostrare che il numero 5 è simbolo della giustizia, perché  significa simbolicamente tutte le forme possibili di ciò che è giusto. E  la forma!58 era secondo i Pitagorici utile a tutta la filosofia, giacché la  maggior parte del loro insegnamento era fatto per simboli, ed essi cre-  devano che fosse questo il metodo proprio degli dèi e quello adatto  alla natura.159 Ma certamente, che insegnassero sia i primi principi  che il modo di scoprire i primi teoremi matematici, risulta evidente  anche dalle altre scienze matematiche <dei Pitagorici>, e appare  anche dai metodi della loro aritmetica. Essi infatti insegnano appro-  fonditamente come nasca ogni genere e ogni specie di numero e come  noi possiamo scoprirlo, come se non potesse esserci alcuna teoria  scientifica dei numeri senza che li si afferri muovendo dall’alto.  Inoltre i Pitagorici univano sempre e strettamente i teoremi matema-  tici agli enti reali e a tutti gli enti divini e ai caratteri e alle potenze del-  l’anima, e ai fenomeni celesti e ai movimenti ciclici degli astri, e a tutti  gli enti del mondo del divenire, e agli elementi dei corpi e alle loro  combinazioni, e alla materia e ai suoi derivati, applicando a ciascun  ente tutte le immagini appropriate, sia in generale che ricavandole da  ciascuna matematica.!60 E riferivano le matematiche agli enti o per  comunanza dei loro rapporti, o per una qualche sia pur debole appa-  renza, o per somiglianza di accostamento o di allontanamento, o per  una certa assimilazione di immagini, o secondo la causa che precede  <l’effetto> come un suo modello, o in altro modo. E in altri termini  accoppiavano le matematiche alle cose in molte altre forme, in modo  che [62] le cose potessero assimilarsi alle matematiche e le matemati-  πράγμασι τὰ μαθήματα, ὡς καὶ [62] τῶν πραγμάτων ὁμοιοῦσθαι τοὶς  μαθήμασι δυναμένων καὶ τῶν μαθημάτων τοῖς πράγμασι φύσιν  ἐχόντων ἀπεικάζεσθαι καὶ ἀμφοτέρων πρὸς ἄλληλα ἀνθομοιου-  μένων. τῇ μὲν οὖν ποικιλίᾳ τοῦ λόγου καὶ τῇ τῶν μεθόδων εὐπορίᾳ  οὐ πάνυ τι ἔχαιρον, ὡς λογικωτέρᾳ οὔσῃ καὶ τῆς τῶν πραγμάτων  ἀληθείας ἀφεστώσῃ, προηγουμένως δὲ ἠσπάζοντο τὴν αὐτῶν τῶν  προβλημάτων γνῶσιν, ὡς ἂν συμβαλλομένην εἰς τὴν τῶν ὄντων  ἐπιστήμην τε καὶ εὕρεσιν. καὶ μᾶλλον τῇ τῆς [10] ἀληθείας εὑρέσει  ἰσχυρίζοντο καὶ τῇ πρὸς τὰ πράγματα ἐπιβολῇ, ἀλλ᾽ οὐχὶ τῇ δριμύ-  τητι καὶ ὀξύτητι τῶν περὶ τὰ προβλήματα συλλογισμῶν. ὅθεν οὐδὲ  τῇ εὐπορίᾳ μέγα ἐφρόνουν τῶν μαθηματικῶν ἐπιχειρημάτων, τὸ δὲ  εἰς τὴν τῶν πραγμάτων εὕρεσιν συμβαλλόμενον προτιμῶντες ἐφαί-  νοντο.   Τρόποι μὲν οὖν οὗτοι καὶ τοιοῦτοί τινες ἦσαν παρ᾽ αὐτοῖς τῆς  μαθηματικῆς παραδόσεως. ἐχρῶντο δὲ αὐτοῖς ἐπιστημονικῶς καὶ  μετὰ τῆς θεωρητικῆς φιλοσοφίας τῶν ὄντων καὶ τοῦ καλοῦ στοχαζό-  μενοι, [20] τό τε πεπερασμένον ἀεὶ καὶ τὸ ἐν βραχυτάτοις συναγό-  μενον πρεσβεύειν οἰόμενοι δεῖν καὶ τιμᾶν, εἴ τι δὲ χρήσιμον ἀπ᾽  αὐτῶν ἐκλεγόμενοι πρός τε ἑαυτοὺς καὶ τοὺς συνόντας καὶ πρὸς  ὅλην τὴν τῶν ὄντων ἐπιστήμην. ἔτι τοίνυν ἐστοχάζοντο ἐν τῷ παρα-  διδόναι, κατ᾽ ἄλλον μὲν τρόπον, τῶν πραγμάτων, ὡς εἶχε ταῦτα τά-  ἕεως καὶ τῆς πρὸς ἄλληλα συνεχείας (κατὰ γὰρ τὴν τοιαύτην ἀκο-  λουθίαν τὸ πρῶτον καὶ δεύτερον θεώρημα ἐν αὐτοῖς ἀφώριζον), καθ᾽  ἕτερον δὲ τρόπον ἀπέβλεπον καὶ πρὸς τοὺς μανθάνοντας, καὶ  τούτων ἐστοχάζοντο, [63] πῶς μὲν ἔχουσι δυνάμεως πῶς δὲ καὶ  ὠφεληθήσονται ἀπ᾽ αὐτῶν, καὶ τίνα μὲν ἀρχομένοις τίνα δὲ προκόπ-  τουσι παραδοτέον, καὶ τίνα μὲν ἐσωτερικὰ τίνα δὲ ἐξωτερικὰ  μαθήματα, καὶ ποῖα μὲν ῥητὰ ποῖα δὲ ἄρρητα, καὶ τίσι μὲν μετ᾽  ἐπιστήμης τῶν πραγμάτων παραδιδόμενα τίσι δὲ αὐτὸ τοῦτο μόνον  μαθηματικῶς. ἡ γὰρ διὰ πάντων τούτων ἀκρίβεια οὐκ ἀργῶς παρ᾽  αὐτοῖς ἐπετηδεύετο, ἀλλ᾽ ἕνεκα τοῦ τὴν μαθηματικὴν πραγματείαν  ἑνὸς ἔχεσθαι, τοῦ καλοῦ καὶ ἀγαθοῦ, καὶ [10] πρὸς ἕν συντετάχθαι,  τὴν τοῦ ὄντος ἐπιστήμην καὶ τὴν πρὸς τἀγαθὸν ὁμοίωσιν. καίτοι  οὕτως οὐ μόνον γνῶσις ψιλὴ τῶν μαθημάτων παρεδίδοτο, ἀλλὰ καὶ  che potessero per natura imitare le cose e le une e le altre si accordas-  sero tra di loro. I Pitagorici, dunque, non provavano affatto compia-  cenza per la varietà del ragionamento e la ricchezza dei metodi, come  fosse qualcosa di più razionale e distaccato dalla verità delle cose, ma  amavano specialmente la conoscenza stessa dei problemi, per il con-  tributo che può dare alla scienza e alla scoperta degli enti.!61 E si fon-  davano più sulla scoperta della verità e sulla capacità di applicarsi alle  cose, che non sulla profondità e acutezza dei sillogismi problemati-  «1.162 Perciò essi non si inorgoglivano affatto della ricchezza delle  argomentazioni matematiche, e mostravano predilezione per ciò che  contribuiva alla scoperta delle cose.   Erano questi, dunque, e di tal natura alcuni metodi d’insegna-  mento della matematica presso i Pitagorici. Essi facevano un uso  scientifico di tali metodi con l’occhio rivolto anche alla filosofia teo-  retica dell'essere e della bellezza, nella convinzione che bisognasse  tenere sempre in gran conto e stima la determinatezza e la concentra-  zione nella massima brevità, e se c’era da ricavare da quei metodi  qualcosa di utile e per se stessi e per i discepoli e per l’intera scienza  dell’essere. Ancora, nell’insegnamento, per un verso avevano di mira  i contenuti, il loro ordine e la sequenza dell’uno rispetto all’altro  (secondo questa loro consequenzialità, infatti, essi determinavano se  un teorema doveva stare prima o dopo), per un altro verso puntava-  no lo sguardo anche sui discenti, e avevano di mira [63] quale fosse  la loro capacità di imparare e quale aiuto avrebbero ricavato dalle  cose che imparavano, e quali di queste dovevano essere insegnate o  principianti e quali ai discepoli già progrediti nello studio, e quali  matematiche fossero da considerarsi esoteriche e quali essoteriche, e  di che natura fossero quelle che si potevano dire e quelle che si dove-  vano tacere, e a chi dovessero essere insegnate assieme alla scienza  delle cose, e a chi invece da sole in modo semplicemente matematico.  La precisione in tutto ciò, infatti, non era per loro un'occupazione  vana, ma era finalizzata a fare una trattazione matematica dell’Uno,  del Bello e del Bene, e a coordinare con l’Uno la scienza dell’essere e  l'assimilazione al Bene. Facendo cosi, in verità, non solo veniva  impartita la pura conoscenza delle matematiche, ma veniva anche  regolato il modo di vivere ad esse appropriato, e veniva debitamente  istituita l'ascesa verso le cose di più alta dignità per mezzo delle mate-    568 GIAMBLICO    ζωὴ προςήκουσα αὐτοῖς συνετάττετο, καὶ ἄνοδος ἐπὶ τὰ τιμιώτατα  δι᾽ αὐτῶν καθίστατο δεόντως. διόπερ δὴ τὴν Πυθαγορικὴν ἐν τοῖς  μαθήμασι διατριβήν, ὡς ἐξαίρετον οὖσαν καὶ προκεκριμένην  πασῶν τῶν μαθηματικῶν τεχνῶν, οὕτως ἐπιτηδεύειν ἄξιον.    19. Ἐπεὶ δὲ δεῖ μὴ τὸ ὅλον αὐτῆς ἀγαθὸν μόνως ἐπισκοπεῖν,  ἀλλὰ καὶ τὰ γένη καὶ εἴδη πόσα ποτέ ἐστιν [20] αὐτῆς καὶ ὁποῖα δεῖ  ἑλέσθαι, κοινὴν ποιησώμεθα περὶ αὐτῶν τὴν διδασκαλίαν δυνα-  μένην ἐφ᾽ ὅλα τε καὶ ἐφ᾽ ἕκαστον τῶν μαθημάτων ὡσαύτως διατείνε-  σθαι.   Μαθηματικοῦ δὴ παντὸς καὶ τοῦ ἰδίου καθ᾽ ἕκαστον, ὁποῖόν ποτ᾽ ἂν  ἦ, θεώρημα πρῶτόν ἐστι τὸ θεολογικόν, τῇ τῶν θεῶν οὐσίᾳ καὶ  δυνάμει, τάξει τε καὶ ἐνεργείαις συναρμοζόμενον κατά τινα πρό-  σφορον ἀπεικασίαν, ὃ δὴ καὶ μάλιστα σπουδῆς ἀξιοῦται παρὰ τοῖς  ἀνδράσιν, οἷον ἐπὶ ἀριθμῶν ποῖοί τινες ἀριθμοὶ ποίοις θεοῖς συγγε-  νεῖς εἰσι καὶ ὁμοφνεῖς, καὶ ἐπὶ τῶν ἄλλων δὲ μαθημάτων τὸ αὐτὸ  νοεῖν σύνηθες αὐτοῖς ἐστι. μετὰ δὴ τοῦτο περὶ τὸ νοερὸν ὄντως ὃν  [64] ἐνεργεῖν ἐπιχειρεῖ τὰ μαθήματα παρ᾽ αὐτοῖς, κύκλον τε νοερὸν  καὶ ἀριθμὸν εἰδητικόν, καὶ ἄλλα πολλὰ τοιαῦτα μαθήματα  συμφώνως τῇ καθαρωτάτῃ οὐσίᾳ θεωροῦνται. ἔπειτα περὶ τὴν αὐτο-  κίνητον οὐσίαν καὶ τοὺς ἀιδίους λόγους συγκεφαλαιοῦσι τὴν τῶν  μαθημάτων πραγματείαν, τὸν αὐτὸν αὐτοκίνητον ἀριθμὸν ἀφοριζό-  μενοι καὶ μέτρα τινὰ τῶν λόγων κατά τινας συμμετρίας μαθηματι-  κὰς ἀνευρίσκοντες. πολλὴ δὲ καὶ περὶ τὸν οὐρανὸν καὶ πάσας τὰς  ἐν οὐρανῷ περιφοράς, τάς [10] τε ἀπλανεῖς καὶ τὰς τῶν πλανωμένων,  θεωρεῖται μαθηματικὴ ἐπιστήμη, οὐ μόνον τὰς ποικίλας κινήσεις  τῶν σφαιρῶν, ἀλλὰ καὶ τὰς μονοειδεῖς αὐτῶν συνεξετάζουσα. ἤδη  δὲ καὶ τοὺς ἐνύλους λόγους καὶ τὰ ἔνυλα εἴδη, πῶς τε ὑφέστηκε καὶ  πῶς ἐξ ἀρχῆς παρήχθη, διαπραγματεύεται" τοιοῦτον γάρ ἐστι τῆς  μαθηματικῆς τὸ χωρίζον ταῖς ἐπινοίαις τὴν μορφὴν καὶ τὰ σχήματα  ἀπὸ τῶν σωμάτων. καὶ ἄλλως δὲ φυσιολογεῖν ἐπιχειρεῖ τὰ ἐν γενέ-  σει, τὰ στοιχεῖα τὰ ἁπλᾶ καὶ τοὺς περὶ τοῖς σώμασι λόγους  θεωροῦσα.   [20] Τούτοις οὖν πᾶσι τοῖς μορίοις τῆς μεθόδου καθ᾽ ἕκαστα καὶ ἐπὶ    LA SCIENZA MATEMATICA COMUNE 569    matiche. Perciò appunto è opportuno esercitare secondo tali metodi  lo studio pitagorico delle scienze matematiche, una volta che esso è  stato tra tutte le tecniche matematiche scelto e preferito.    19. Poiché si deve non soltanto esaminare per intero il bene che è  la matematica, ma anche acquisire quanti e quali siano i suoi generi e  le sue specie, allora insegneremo la loro dottrina comune che può  estendersi ugualmente a tutto l'insieme delle matematiche e a ciascu-  na di esse.   Ebbene, la prima cosa da contemplare di ogni ente matematico e  della sua singola proprietà, qualunque essa sia, è l'aspetto teologico,  cioè il suo adattarsi all'essenza e alla potenza degli dèi, e al loro ordi-  ne e alle loro azioni in virtà di un adeguato processo di assimilazione,  cosa che è certamente degna della massima attenzione presso i  Pitagorici, ad esempio è consueto per loro, a proposito dei numeri,!63  trovare quali di essi siano affini e connaturali agli dèi e a quali dèi, e  pensare la stessa cosa a proposito delle altre matematiche.!4 Dopo di  che essi cercano [64] di costruire le matematiche che concernono  l'essere realmente intellettivo,16 cioè il circolo intellettivo!6 e il  numero ideale,16? e molte altre matematiche del genere sono conside-  rate in armonia con l’essere assolutamente puro. In seguito i  Pitagorici riassumono la trattazione delle matematiche intorno all’es-  sere che si muove da sé e agli eterni rapporti,168 definendo il numero  in sé automoventesi e riscoprendo alcune misure dei suoi rapporti  secondo certe proporzionalità matematiche. Molta parte della scien-  za matematica riguarda sia il cielo che tutti i suoi movimenti di rivo-  luzione, quelli delle stelle fisse e quelli dei pianeti, ricercando non  solo i movimenti differenziati delle sfere, ma anche i loro movimenti  uniformi. A questo punto si passa a trattare anche i rapporti delle  cose materiali e le loro forme, e come esistano in atto e come siano  stati prodotti all’origine: tale infatti è il potere della matematica di  separare mentalmente dai corpi la loro forma e le loro figure. In altri  termini la matematica cerca di indagare la natura delle cose relative al  divenire, considerando gli elementi semplici e i rapporti relativi ai  corpi.   L'educazione pitagorica, dunque, utilizza tutte queste parti del  metodo per le singole matematiche e per tutte quante le matematiche,    570 GIAMBLICO    πάντα τὰ μαθήματα χρῆται ἡ Πυθαγόρειος ἀγωγή, τάξιν τε δι᾽ αὐτῶν  καὶ ἀποκάθαρσιν ποιεῖται. ὥσπερ γὰρ ἐν τοῖς μαθηματικοῖς  γιγνώσκεται τὰ δεύτερα ἀπὸ τῶν προτέρων, οὕτως ἐπὶ τῶν τῆς ψυχῆς  δυνάμεων πρὸς τὰς τελειοτέρας ζωὰς καὶ ἐνεργείας γίγνεται δι᾽  αὐτῶν ἄνοδος. ἀλλὰ μὴν οὐδὲ ἀμελοῦσί τινος οὐδὲ παραλείπουσί τι  τῶν μέσων ὅσα συμπληροῖ τὴν τοιαύτην ἐπιστήμην, ἀλλ᾽ οὐδὲ τὰ  ἄκρα ἀφιᾶσιν ἀδιερεύνητα. διεξέρχονται δὲ δι᾽ ὅλων [65] ἀνεν-  δεῶς, καὶ οὕτω τὴν διαίρεσιν, ἣν ἡ διαιρετικὴ ἐπιστήμη κατέδειξεν,  ἐπὶ τῶν κυριωτάτων καὶ πρωτίστων γενῶν ἡ ἐπιστήμη αὕτη παρα-  δίδωσιν. ἀπὸ δὲ ταύτης ἔνεστι καὶ τὰς μεριστὰς τομὰς ἀνευρίσκειν  τῶν μαθημάτων, ὧν καὶ προϊόντες μνημονεύσομεν ἐν τῷ ἰδίῳ περὶ  αὐτῶν!6 λόγῳ.    20. Ταύτῃ τοίνυν τῇ δυνάμει τῆς μαθηματικῆς ἐστιν ἄλλη ἀντί-  στροφος, ἡ ὁριστική᾽ χρῆται γὰρ καὶ ὁρισμοῖς ἡ μαθηματική, καὶ  τούτους δι᾽ ἀκριβείας [10] ποιεῖται. τρόπος δὲ τῆς ὅλης τῶν ὁρισμῶν  συστάσεώς ἐστιν οὗτος. ἐπειδὰν ἡ διαιρετικὴ τῆς μαθηματικῆς  διέλῃ κατὰ γένη καὶ εἴδη τὰ ἐν τοῖς μαθήμασι, τότε τὰς διαφορὰς  τὰς ἐκ τῆς διαιρέσεως εἰς ταὐτὸ συνάγει ἡ ὁριστική, λόγον τε ἕνα  κοινὸν ἐκ πάντων συναθροίζει. ποιεῖ δὲ τὸ αὐτὸ καὶ ἀπὸ τῆς ἀναλύ-  σεῶως᾿ ἐπειδὰν γὰρ ἡ ἀνάλυσις ἐπὶ τὰ ἁπλούστερα καὶ κοινότερα  ἀναγάγῃ τὴν νόησιν, καὶ τὰ γένη καὶ τὰς διαφορὰς διακρίνῃ ἧ πεφύ-  Kkagiv ἕκαστα, τότε ἡ συναγωγὸς σύνθεσις συνάγουσα εἰς ταὐτὸ τὰ  διαφέροντα καὶ τὰ [20] ἁπλᾶ ἀφορίζεται ἕκαστον τῶν ἐν τοῖς  μαθήμασι. καὶ οὕτως ἡ μαθηματικὴ ἐπιστήμη οἰκεῖον ἔχει ἀφ᾽  ἑαυτῆς τὸν ὁριστικὸν λόγον καὶ δύναται αὐτὸν ἐξευρίσκειν  θεωρητικῶς. ἐπειδὴ τοίνυν ἡ μὲν διαίρεσις τὸ ἕν πολλὰ ποιεῖ ἡ δὲ  ὁριστικὴ τὰ πολλὰ ἕν, κατ᾽ ἀμφότερα ἀναγκαῖον τὴν μαθηματικὴν τὸ  ἕν θεωρεῖν, ἀφ᾽ οὗ ὁρμᾶται καὶ πρὸς ὃ ἀνάγεται. τοῦτο δὴ οὖν ἔσται  τὸ τέλος, ὅπερ ἄν τις καὶ εἶδος εἴποι, ἐπὶ πᾶσι τοῖς πολλοῖς  θεωρήμασιν ἕν᾽ τὸ δὲ αὐτὸ καὶ καλόν ἐστι καὶ ἀγαθόν, πρὸς ὃ τὰ  διῃρημένα σπεύδει συνάπτεσθαι. [66] διὰ δὴ τοῦτο καὶ ἐν τοῖς    16 αὐτῶν sospettò Fetsa giustamente: αὐτῆς.    LA SCIENZA MATEMATICA COMUNE 571    e con esse crea ordine e purificazione. Come infatti tra gli enti mate-  matici la conoscenza di quelli secondari si desume da quella degli enti  primari, cosî per mezzo delle matematiche si ha un’elevazione dalle  facoltà dell’anima!69 verso modi di vivere e di agire sempre più perfet-  ti. Ma i Pitagorici naturalmente non trascurano né mettono da parte  alcuna di quelle cose intermedie che completano tale scienza, ma nep-  pure le cose estreme lasciano inesplorate. Essi percorrono interamen-  te ogni cosa, [65] e cosi questa scienza,!70 a proposito dei generi asso-  lutamente principali e primi, insegna quella divisione, che ci è mostra-  ta dalla scienza dieretica. Ma partendo da questa divisione è possibi-  le scoprire anche le singole sezioni delle matematiche, di cui faremo  menzione quando, procedendo nel discorso, ne parleremo in modo  specifico.    20. A questa potenza della matematica!7! fa da controparte un’al-  tra potenza, l’oristica: la matematica infatti si serve anche di definizio-  ni, che essa fa con esattezza. E il modo di combinare tutto l’insieme  delle definizioni è il seguente. Dopo che la dieretica matematica ha  distinto il contenuto delle matematiche in generi e specie, allora l’ori-  stica raccoglie in un unico punto le differenze nascenti dalla divisio-  ne, e le stringe tutte insieme in un’unica comune definizione. E la  stessa cosa fa anche partendo dall’analisi: infatti, dopo che l’analisi ha  fatto risalire la nostra intellezione ai principi più semplici e più comu-  ni, e diviso i generi e le differenze cosî come ciascuno è per natura,  allora la sintesi, che ha potenza unitiva, raccogliendo in un unico  punto le cose differenti e quelle semplici, dà una definizione di cia-  scuno degli enti matematici. E in tal modo la scienza matematica pos-  siede un suo proprio e autonomo principio definitorio ed è in grado  di scoprirlo teoreticamente.!72 Ma poiché la divisione rende l’uno  molteplice mentre l’oristica rende il molteplice uno, è necessario che  la matematica consideri l’uno da ambedue i versanti della ricerca, cioè  sia dal punto di partenza che dal punto di arrivo. Sarà dunque questo  il fine ultimo della matematica, fine che si può chiamare anche la sua  forma, che è l'uno nella molteplicità dei suoi teoremi. Ma lo stesso  discorso vale per il Bello e il Bene, a cui la matematica si studia di col-  legare le cose che sono divise. [66] Ed è per questo che nelle mate-  matiche, noi che pratichiamo il metodo matematico secondo le dot-    572 GIAMBLICO    μαθήμασι τὸ ἄπειρον καὶ καθ᾽ ἕκαστον ἀφίεμεν dei, ἐπὶ δὲ τὸ  κοινὸν καὶ τὸ ὡρισμένον σπεύδομεν ἀνιέναι, ὅσοι κατὰ τὰ ἀρέ-  σκοντα τοῖς Πυθαγορείοις μαθηματικὴν ἀσκοῦμεν, ἕως ἂν ἐπὶ τὸ ἕν  τὸ πάντων ὁμοῦ τῶν μαθημάτων ἀναγάγωμεν τὴν ὅλην θεωρίαν τῆς  μαθηματικῆς πραγματείας. καὶ τοῦτό ἐστι τὸ τέλος, πρὸς ὃ δεῖ  σπεύδειν τοὺς ὄντως φιλοθεάμονας τῶν ὅλων μαθηματικῶν εἰδῶν.    21. Ἐπεὶ δὲ τῆς Πυθαγορείου μὲν μαθηματικῆς [10] προηγου-  μένως ἀντιποιούμεθα, ταύτην δὲ οὐκ ἔνεστι τελέως τῷ λόγῳ παρα-  θέσθαι, εἰ μή τις αὐτῆς τὰς πρώτας ἀρχὰς κατίδοι, ἀναγκαῖον διὰ  τοῦτο καὶ τοὺς ἀρχηγοὺς γενομένους Πυθαγόρᾳ τῆς τοιαύτης θεωρί-  ας συμπεριλαβεῖν εἰς τὴν περὶ τῶν παρόντων ἐξέτασιν οὕτω γὰρ ἂν  τελειοτάτη γένοιτο ἢ περὶ αὐτῶν ἐπίσκεψις, ἄνωθεν ἀπὸ τῶν  πρώτων αἰτίων βεβαιωθεῖσα. φασὶ τοίνυν ὡς Θαλῆς πρῶτος ἐξευρὼν  οὐκ ὀλίγα τῶν ἐν γεωμετρίᾳ παρέδωκε Πυθαγόρᾳ ὥστε καὶ ὅσα  παρειλήφαμεν μαθηματικὰ σκέμματα Θαλοῦ, δικαίως [20] ἂν αὐτὰ  προσοικειώσαιμεν τῇ Πυθαγορείῳ μαθηματικῇ. μετὰ δὴ Θαλῆν  Αἰγυπτίοις συνεγένετο ἐν πολλῷ χρόνῳ, παρ᾽ αὐτῶν τε οὐκ ὀλίγα  εἰς μαθηματικὴν ἐπιστήμην εὕρατο ἀγαθά: διόπερ οὐκ ἂν ἄπο τρό-  που ποιοῖμεν πολλὰ καὶ τῶν παρ᾽ Αἰγυπτίοις συμπαραλαμβάνοντες.  ἐπεὶ δὲ καὶ ᾿Ασσυρίοις ὕστερον συνεγένετο τοῖς τε παρ᾽ αὐτοῖς  λεγομένοις Χαλδαίοις (οὕτω γὰρ οἱ μαθηματικοὶ παρ᾽ αὐτοῖς λέγον-  ται), ἀνάγκη καὶ παρὰ τούτων [67] ἡμᾶς πολλὰ λαμβάνειν εἰς τὴν  μαθηματικὴν μέθοδον.    22. Οὐ μὴν ἐξαρκεῖ γε τοῦτο. ἀλλ᾽ ἐπεὶ παραλαβὼν παρὰ βαρ-  βάρων τὰ μαθήματα Πυθαγόρας ἀφ᾽ ἑαυτοῦ πολλὰ προσέθηκε, δεῖ  καὶ τὰς τοιαύτας ἀρχὰς συνεισενεγκεῖν, τήν τε ἰδιότητα αὐτοῦ τῆς  μαθηματικῆς προσθεῖναι. πολλὰ γὰρ φιλοσόφως ἐθεώρησε τῶν  μαθημάτων, φκειώσατό τε αὐτὰ ταῖς οἰκείαις [10] ἐπιβολαῖς, καίτοι  παρ᾽ ἄλλων παραδοθέντα, τάξιν τε αὐτοῖς ἐφήρμοσε τὴν πρέπουσαν  καὶ ζητήσεις περὶ αὐτῶν ἐποιήσατο τὰς προσηκούσας, ὁμολογίαν τε  δι᾽ ὅλων παρέχεται τὴν αὐτὴν ἀεί, ὡς μηδαμοῦ παραβαίνειν τὸ ἀκό-  λουθον. ταύταις οὖν ταῖς ἀρχαῖς ἐμμένοντας δεῖ τὴν Πυθαγορικὴν  μαθηματικὴν ἀνιχνεύειν. ἐξαίρετα δὲ αὐτῆς ὡσπερεὶ στοιχεῖα    LA SCIENZA MATEMATICA COMUNE 573    trine pitagoriche, trascuriamo sempre ciò che è indeterminato e par-  ticolare, e ci preoccupiamo di risalire a ciò che è generale e determi.  nato, fino a ricondurre l’intera teoria della trattazione matematica  all'unità di tutte quante le matematiche. Ed è questo il fine ultimo, a  cui devono sforzarsi di giungere coloro che amano realmente contem-  plare le varie specie di matematica nel loro complesso.    21. Poiché pretendiamo di occuparci principalmente della mate-  matica pitagorica,!7? e poiché non è possibile presentarla con un  discorso compiuto senza considerare le sue prime origini, è necessa-  rio allora conoscere per la presente ricerca anche coloro che hanno  iniziato Pitagora a tale teoria: cosi infatti il nostro esame di questa  materia potrà assumere la sua massima compiutezza, in quanto sarà  stato consolidato partendo dall’alto, cioè dalle sue prime cause. Si  dice, dunque, che fu Talete a scoprire per primo e ad insegnare a  Pitagora molta parte della geometria;!74 sicché anche le ricerche mate-  matiche che abbiamo apprese da Talete, dovremmo giustamente asse-  gnarle alla matematica pitagorica. Dopo Talete, Pitagora frequentò  per molto tempo gli Egizi, dai quali sono state fatte molte buone sco-  perte per la scienza matematica; non sarebbe perciò sconveniente  comprendere nella matematica pitagorica molte scoperte degli Egizi.  E poiché Pitagora frequentò in seguito anche gli Assiri e tra questi i  cosiddetti Caldei (questo è infatti presso di loro il norme dei matema-  tici), sarebbe necessario [67] attingere per il metodo matematico  molte cose anche da questi.    22. Questo non è certo sufficiente. Ebbene, poiché Pitagora,  acquisendo le matematiche dei barbari aggiunse molto di suo, biso-  gna allora mettere insieme tali inizi,!75 e aggiungere ciò che della  matematica gli appartiene in proprio. Molte cose delle matematiche,  infatti, egli le vede da un punto di vista filosofico, e le adatta alle sue  proprie intuizioni, anche se insegnate da altri, e assegna loro il posto  che meritano e le sottopone ad appropriate ricerche, e le presenta  sempre nel medesimo accordo, in modo da non venire mai meno alla  loro consequenzialità. Pur restando dunque ancorati a tali inizi, biso-  gna rintracciare la matematica propriamente pitagorica. E dobbiamo  assumere come elementi comuni quelli peculiari di quest’ultima,!76 in    574 GIAMBLICO    κοινὰ λάβωμεν, ὡς μὲν αὐτόθεν ἀκοῦσαι τὴν συμβολικὴν καὶ ἀπε-  ξενωμένην χρῆσιν τῶν μαθηματικῶν λέξεων" τῶν γὰρ ὄντων στοχα-  ζόμενος καὶ τῶν ἀληθῶν, οὕτω καὶ τὰ κατὰ φύσιν ὀνόματα ἐτίθει  τοῖς μαθήμασιν. ἀρχὴν δὲ διδασκαλίας [20] ἀπ᾿ αὐτῶν ἐποιεῖτο  δυναμένην ὁδηγεῖν τοὺς ἀκούοντας, εἴ τις δι᾿ ἐμπειρίας ἱκανῆς  ἱκανῶς ἀκούοι τῶν ὀνομάτων. καὶ μὴν ἀποδείξεών γε καθαρότητι  λεπτότητί τε καὶ ἀκριβείᾳ παραλλάττει πᾶσαν τὴν τῶν ἄλλων  ὁμοειδῆ θεωρίαν, ἐναργείᾳ τε πολλῇ χρῆται καὶ ἀπὸ τῶν γνωρίμων  ὁρμᾶται" κάλλιστον δὲ ἐν αὐτῇ τυγχάνει τὸ ὃν τὸ ὑψηλόνουν καὶ  ἐπὶ τὰ πρῶτα αἴτια ἀναγόμενον, τῶν τε πραγμάτων ἕνεκα ποιούμε-  νον τὰς μαθήσεις καὶ καθαρῶς ἀντιλαμβανόμενον [68] τῶν ὄντων,  ἐνιαχοῦ δὲ καὶ συνάπτον τὰ μαθηματικὰ θεωρήματα τοῖς θεολογι-  κοῖς. τοσαῦτα γὰρ ἄν τις ἐν τῷ παρόντι ὡς κοινὰ ἐξαίρετα τῆς  τοιαύτης ἐπιστήμης προστήσαιτο ἂν στοιχεῖα.   Πῶς δὲ δεῖ μεταδιώκειν αὐτῆς τὴν θήραν, ἄξιον τόδε σύμπαν εἰπεῖν  ἑπομένως τοῖς ὑπ᾽ αὐτῶν τῶν ἀνδρῶν παραδοθεῖσιν. ἀλλ᾽ ἐπεὶ τὰ  πλεῖστα ἐνεργὰ ἦν παρ᾽ αὐτοῖς, ἐν μνήμαις τε ἀγράφοις διεσῴζετο,  αἵ νῦν οὐκέτι διαμένουσι, περὶ ὧν οὐδὲν τεκμήρασθαι [10] ῥάδιον  οὐδὲ ἀνευρεῖν ἢ ἀπὸ γραμμάτων ἢ παρ᾽ ἄλλου ἀκούοντα, δεῖ τοιόν-  δε τι ποιεῖν' ἀπὸ σμικρῶν αἰθυγμάτων ὁρμωμένους σωματοποιεῖν  ἀεὶ τὰ τοιαῦτα καὶ συναύξειν, εἰς ἀρχάς τε αὐτὰ ἀνάγειν τὰς προ-  σηκούσας καὶ τὰ παραλειπόμενα ἀναπληροῦν, στοχάζεσθαί τε κατὰ  τὸ δυνατὸν τῆς ἐκείνων γνώμης, τίνα ἂν εἶπον, εἰ ἐνεχώρει τινὰ  αὐτῶν διδάσκειν. ἤδη δὲ καὶ ἀπὸ τῆς ἀκολουθίας τῶν ἀναμ-  φισβητήτως ἡμῖν παραδοθέντων δυνάμεθα τὰ ἑξῆς ἀνευρίσκειν  μαθήματα προσηκόντως. οἱ γὰρ τοιοῦτοι τρόποι τῆς διερευνήσεως ἢ  [20] τυχεῖν ἡμᾶς ποιήσουσι τῆς ὄντως μαθηματικῆς Πυθαγορείου  ἐπιστήμης, ἢ ἐγγυτάτω προσελθεῖν πρὸς αὐτήν, καθ᾽ ὅσον οἷόν τ’  ἐστὶ μάλιστα. συνομολογεῖν δὲ ταύτῃ νενόμικα τὴν ἐπιτήδευσιν  αὐτῆς, τὴν κατὰ τὸν οἰκεῖον ἀρχηγέτην διαμελετωμένην᾽ πάντῃ γὰρ  ἦν ἰδιάζουσα καὶ παρὰ τὰς ἄλλας ἀσκήσεις ἐξαίρετος, πρὸς τὴν  ψυχὴν ἀποβλέπουσα καὶ τὴν κάθαρσιν τοῦ τῆς ψυχῆς ὄμματος,  εὕρεσίν τε τῶν πρώτων εἰδῶν καὶ αἰτίων τῆς μαθηματικῆς οὐσίας    LA SCIENZA MATEMATICA COMUNE 575    modo da interpretare da quest’angolo visuale l’uso simbolico ed  extramatematico!77 delle sue espressioni matematiche. Avendo di  mira infatti le cose reali e vere, Pitagora imponeva cosî anche alle  matematiche i nomi secondo natura. E partendo dai nomi rendeva fin  dall'inizio il suo insegnamento capace di guidare i suoi discepoli, se si  dava ai nomi con sufficiente perizia un’adeguata interpretazione. La  teoria di Pitagora naturalmente differisce da ogni altra teoria dello  stesso genere per purezza e sottigliezza e precisione delle dimostrazio-  ni, e si serve di molta evidenza e prende da ciò che è noto: e la cosa  più bella che si incontra nella matematica pitagorica è che essa pensa  l'essere nel senso più elevato e risale alle prime cause, e procura  apprendimento in vista delle cose reali e percepisce gli enti in modo  puro, [68] e collega talvolta i teoremi della matematica con quelli  della teologia. Sono tanti infatti gli elementi peculiari comuni di tale  matematica che si devono proporre.   In che modo si debba andare alla ricerca di questa matematica, è  opportuno dirlo in questo modo complessivo secondo le dottrine tra-  smesseci dagli stessi Pitagorici. Ma poiché la maggior parte di esse  erano per loro evidenti, e sono state conservate in memorie non scrit-  te, che ora non esistono più, e intorno a cui non è affatto facile dare  testimonianze né scoprire da scritti o da altro chi le abbia ascoltate,  allora bisogna fare in questo modo: partendo da piccole scintille dare  sempre a queste corposità e accrescerle, e ricondurle alle dovute ori-  gini e colmare le lacune, e cercare di intuire per quanto possibile la  dottrina di quei filosofi, quale fosse quella dottrina direi, nel caso  fosse stato permesso a qualcuno di loro di insegnarla. Ormai, dalla  sequenza delle sicure testimonianze tramandateci siamo in grado di  scoprire adeguatamente le matematiche nella loro successione. Questi  nostri metodi di investigazione, infatti, o ci faranno raggiungere la  vera scienza matematica pitagorica, o ci porteranno molto vicino ad  essa, quanto più sia possibile. E io credo che su questo siamo d’accor-  do, cioè che la pratica di essa sia quella condotta secondo il suo pro-  prio fondatore: essa infatti era di particolare natura sotto ogni aspet-  to ed era di eccezionale valore tra tutte le pratiche scientifiche, in  quanto aveva lo sguardo rivolto all'anima e alla purificazione dell’oc-  chio dell’anima,178 e faceva scoprire le forme primarie e le cause della  realtà matematica, e si adattava alla natura degli enti in se stessi, [69]    576 GIAMBLICO    ποιουμένη, καὶ πρὸς τὴν φύσιν αὐτῶν τῶν ὄντων [69] συναρμόζου-  σα, προσοικειοῦσα δὲ τοῖς νοητοῖς εἴδεσι, καὶ τὸ συγγενὲς αὐτῶν  πρὸς τὸ ἀγαθὸν καὶ τὸ πρὸς ἄλληλα τῶν μαθημάτων οἰκεῖον ἀναδι-  δάσκουσα.   Τοιαύτη τοίνυν οὖσα ἡ μαθηματικὴ ἄσκησις συντόνως καὶ σφοδρῶς  καὶ ἀδιαλείπτως ἀνεζήτει τὰ ὑφ᾽ ἑαυτὴν θεωρήματα. συνεβάλλετο  δὲ τῇ μὲν ψυχῇ πρὸς γνώσεως καθαρότητα καὶ λεπτότητα τῶν δια-  νοήσεων, ἀκρίβειάν τε τοῦ λόγου καὶ συναφὴν πρὸς τὰς καθ᾽ ἑαυτὴν  ἀσωμάτους οὐσίας, πρὸς συμμετρίαν τε καὶ [10] εὐαρμοστίαν καὶ  περιαγωγὴν ἐπὶ τὸ ὄν᾽ τῷ δὲ ἀνθρώπῳ τάξιν εἰς τὸν βίον παρέχει  ἠρεμίαν τε τῶν παθῶν καὶ κάλλος ἐν τοῖς ἤθεσιν εὑρέσεις τε τῶν  ἄλλων τῶν εἰς τὸν ἀνθρώπινον βίον λυσιτελούντων. μετεχειρίζοντο  δὲ αὐτὴν παρ᾽ ὅλην τὴν οἰκείαν ζωήν, ταῖς τε πράξεσι συνυφαίνον-  τες τὸ ἀπ᾽ αὐτῆς ὄφελος καὶ τοῖς τῆς ψυχῆς τρόποις, ταῖς τε τῶν  πόλεων κατασκευαῖς καὶ ταῖς τῶν οἴκων διοικήσεσι, τεχνικαῖς τε  ἐργασίαις καὶ πολεμικαῖς ἢ εἰρηνικαῖς παρασκευαῖς, καὶ ὅλως  περὶ πάντα τὰ μέρη τοῦ βίου τὴν μαθηματικὴν [20] προσέφερον, οἱ-  κείως μὲν τοῖς πράγμασι, λυσιτελούντως δὲ τοῖς χρωμένοις, ἐμ-  μελῶς δὲ πρὸς ἀμφότερα ταῦτα, καὶ περὶ τἄλλα πάντα συμμέτρως.  δεῖ τοίνυν κατὰ ταῦτα τὰ ἴχνη συνεπομένους οὐχ ἁπλῶς ἀσκεῖν  μαθηματικήν: ἡ γὰρ νῦν ἐπιπολάζουσα αἰσθήσει καὶ φαντασίᾳ  χρῆται μᾶλλον, ἀλλοτρία τέ ἐστιν ἀληθείας, γενέσει τε μᾶλλον  προσφιλὴς παραπέφυκεν. εἰ δὴ βουλοίμεθα Πυθαγορικῶς μαθημα-  τικὴν ἀσκεῖν, τὴν ἔνθεον αὐτῆς ὁδὸν καὶ ἀναγωγὸν καὶ καθαρτικὴν  καὶ τελεσιουργὸν μεταδιώκειν σπουδῇ προσήκει.    23. [70] Ὅτι τοίνυν οὐδὲ εἰκῇ Πυθαγόρας τὴν περὶ τὰ μαθήματα  φιλοσοφίαν εἰς σχῆμα παιδείας ἐλευθερίου μετέστησε, καὶ τῷ τε  πλήθει τῶν δεικνυμένων πολὺ προῆγεν αὐτὰ καὶ τῇ τῶν ἀποδείξεων  ἀκριβείᾳ, τῆς τε ἀναγκαίας χρήσεως πρὸς τὸν βίον περιττότερον  αὐτὰ ἤσκησεν, ἐντεῦθεν ῥάδιον καταμαθεῖν. εἰ γάρ τι σπέρμα καὶ  ἀρχὴν τοιαύτης γνώσεως ἐκομισάμεθα, ἀφ᾽ ἧς τὸ τῆς ἐπιστήμης  γένος ὀνομαστὶ παρειληφότες πρότερον ἀκριβῶς ἐθεωρήσαμεν οἷόν  τι [10] τὴν φύσιν ἐστίν, οὐκ ἀλλαχόθεν ἡμῖν γέγονεν ἢ ἀπὸ τούτων.    LA SCIENZA MATEMATICA COMUNE 577    unendolo intimamente alle forme intelligibili, e faceva comprendere a  fondo l'affinità di queste ultime al bene e il reciproco apparentamen-  to tra le matematiche.   Essendo dunque di tal natura, l’esercizio della matematica condu-  ceva la ricerca sui teoremi che cadevano sotto il suo dominio in modo  serio e appassionato e ininterrotto. E aiutava l'anima a rendere più  puro il suo conoscere e ad affinare i suoi ragionamenti, e a precisare  il suo discorso e a collegarsi in se stessa con le essenze incorporee e  con la loro giusta misura e armonia e a ruotare intorno all'essere: e per  quanto riguarda l’uomo essa forniva ordine alla sua vita e riposo dalle  passioni e bellezza nei costumi e gli faceva scoprire tutte le altre cose  che sono di giovamento alla vita umana. I Pitagorici coltivavano la  matematica per l’intero arco della loro vita, intrecciando l’utilità deri-  vante da quella con le attività pratiche e con i modi di essere dell’ani-  ma, e con le costituzioni delle città e le amministrazioni familiari, e  con il lavoro artigianale e con la preparazione della guerra o della  pace, e insomma in tutti gli aspetti della vita essi applicavano la mate-  matica, in modo proprio alla realtà delle cose, in modo vantaggioso  per quelli che la usano, in modo conveniente ad ambedue, e in pro-  porzione in tutto il resto. Bisogna quindi, seguendo le loro tracce,  esercitare non la matematica pura e semplice:1?9 la matematica dei  nostri tempi, infatti, che opera superficialmente, si serve piuttosto dei  sensi e dell’immaginazione, e resta estranea alla verità, e ama per sua  natura piuttosto il mondo della generazione. Se vogliamo veramente  esercitare la matematica pitagorica, conviene seguire con cura la sua  via divinamente ispirata e anagogica e purificatrice e perfettrice.    [70] 23. Che Pitagora abbia trasformato la filosofia delle matema-  tiche non a caso in una forma di educazione liberale, e che abbia fatto  progredire molto le matematiche sia con una quantità di suggerimen-  ti che con l'esattezza delle dimostrazioni, e che le abbia coltivate  ancora più delle cose necessarie alla vita, è facile apprenderlo dal  seguente discorso. Se infatti accogliamo un seme o un principio di  tale conoscenza, dalla quale, dopo avere conosciuto prima il genere  della scienza solo per nome, apprendiamo con esattezza quale essa sia  nella sua natura, allora non da altro essa ci è giunta se non da questo.  Ebbene, anche il potere della scienza <matematica> risulta evidente    578 GIAMBLICO    ἀλλὰ καὶ ἡ δύναμις τῆς ἐπιστήμης φανερὰ κατέστη διὰ τῶν οἰκείων  λόγων ἐν ταῖς περὶ ταῦτα ἀποδείξεσιν. ἔτι δὲ πολλοῖς πιστεύοντας  ἡμᾶς εἰκῇ τῶν φαινομένων ἐπηνώρθωκεν ἡ περὶ ταῦτα σύνεσις,  φανερὸν καθιστᾶσα περὶ αὐτῶν τἀληθὲς ὅπως ποτὲ ἔχει. μάλιστα δὲ  θέας ἐλευθερίου τε καὶ φιλοσόφοις ἁρμοττούσης πρῶτον ἐν τῇ  τούτων κοινωνίᾳ μεταλαμβάνομεν: οἰκεῖον γάρ ἐστιν ἑκάστῳ τὸ τὴν  φύσιν ὅμοιον, τοῦ δὲ ἐλευθέρου τὸ κύριον τέλος τῆς κατὰ τὸν οἱ-  κεῖον [20] βίον ἐνεργείας πρὸς αὑτὸν τὴν ἀναφορὰν ἔχει καὶ πρὸς  οὐδὲν ἕτερον τῶν ἐκτός «τοῦτο δὲ ταῖς»!7 λεχθείσαις ἐπιστήμαις  θεωρητικαῖς οὔσαις ὑπάρχει τε καὶ πρώταις ὑπάρχει διὰ τὸ τὴν μά-  θησιν αὐτῶν πρώτην ἔχειν τάξιν κατὰ τὸν τῆς ἡλικίας χρόνον, οὐδὲν  προσδεομένην τοιαύτης ἐπαγωγῆς, ἣ διὰ συνηθείας ἐκ τῶν καθ᾽  ἕκαστα γίνεσθαι πέφυκεν. ὅ τε φιλόσοφος ἔοικεν (εἰ δεῖ καθάπερ  τὰς ἄλλας οἰκείας ὀρέξεις, ὅσαι τῇ φιλοστοργίᾳ τῇ [71] πρός τι  γένος εἰσὶν ὠνομασμέναι, καὶ τοὐτῳ προσάψαι τοὔνομα οἰκείως  ἀπὸ τοῦ πάθους) ἐπιστήμης τινὸς ἔχειν ἔφεσιν δι᾽ αὑτὴν τιμίας, ἀλλ᾽  οὐ διά τι τῶν ἀποβαινόντων ἀπ᾽ αὐτῆς ἕτερον. οὐ γὰρ ἂν δόξειαν αὐ-  τοῖς τὴν πρέπουσαν ἀπονέμειν τάξιν ἔνιοι τῶν προάγειν μὲν αὐτὰ  βουλομένων, φασκόντων δὲ τὴν μάθησιν αὐτῶν δεῖν ἡμᾶς ποιεῖσθαι  διὰ τὸ χρησίμην εἶναι τὴν ἐν τούτοις γυμνασίαν πρὸς ἑτέρας θεωρί-  ας. ὧν γὰρ χάριν τοῦτο παρακελεύονται δρᾶν, τῇ τούτων [10] φύσει  τἀληθοῦς ἧττόν ἐστιν οἰκεῖα, καὶ τοῖς εἰωθόσιν ὑπὲρ αὐτῶν λέγε-  σθαι λόγοις, οὐδὲ παράμιλλα κατὰ τὴν τῶν ἀποδείξεων ἀκρίβειαν.  ἱκανὸν δὲ τούτου σημεῖον᾽ τὰς μὲν γὰρ διαμενούσας τε καὶ πιστε-  πηυη7ομένας ὁρῶμεν διὰ τέλους ὁμοίως ὑπὸ τῶν μεταχειριζομένων αὖ-  τάς, τῶν δὲ παντελῶς ὀλίγας ἄν τινας εὕροιμεν τοιαύτας. πρὸς  πολλὰς μὲν οὖν καὶ τῶν πρὸς τὸν βίον ἀναγκαίων καὶ τῶν ἐκ  περιουσίας ἤδη καὶ καθ᾽ αὑτὰ τιμίων ἡ περὶ τὰ μαθήματα φιλοσοῤφί-  α βεβοήθηκεν ἡμῖν. καὶ γὰρ τῶν δημιουργικῶν τεχνῶν οὐκ ὀλίγαις  εὕροιμεν [20] ἂν ἐπικουρίαν ἀπ᾽ αὐτῶν γεγενημένην. καὶ τὴν περὶ  φύσεως φιλοσοφίαν, κἂν εἴ τις ἑτέρα ταύτης ἔχῃ τάξιν ἐντιμοτέραν,    17 lacuna colmata da Festugière (cf. ed. Klein Add. p. XVIII).    LA SCIENZA MATEMATICA COMUNE 579    attraverso i suoi propri principi razionali che troviamo nelle relative  dimostrazioni. Inoltre, la conoscenza matematica serve a correggerci  nel caso che noi avessimo molta fiducia nei fenomeni, dal momento  che tale conoscenza verte chiaramente sul loro aspetto di verità, nel  modo in cui essi la possiedono. E soprattutto noi partecipiamo della  contemplazione liberale e adatta ai filosofi che si trova anzitutto nella  comunanza delle matematiche. È proprio di ciascuno di noi, infatti,  ciò che ci è simile per natura, e il fine principale dell’uomo libero con-  siste nel volgere la propria condotta di vita verso se stesso e verso  nient'altro che si riferisca al mondo esterno, e ciò appartiene alle sud-  dette scienze perché sono teoretiche e appartiene loro in quanto  conoscenze “primarie” nel senso che il loro apprendimento occupa il  “primo” posto in ordine all’età,!8° e non ha bisogno affatto di quel  processo induttivo che per natura deriva dalle singole cose per via di  consuetudine;!8! e il filosofo (se bisogna dare anche a lui un nome che  derivi dalla sua propria affezione,!82 cosî come si fa per gli altri suoi  desideri, che ricevono il nome dall'amore appassionato per un qual-  che genere di cose), [71] sembra che abbia desiderio di una certa  scienza per il valore intrinseco di essa, e non per qualcosa di diverso  da ciò che da essa discende. Sembrerebbe che non attribuiscano alle  matematiche il posto che spetta loro alcuni di coloro che vogliono si  promuovere le matematiche, ma dicendo che noi dobbiamo appren-  derle perché l’esercitarsi in esse è utile per altre attività teoriche.  Costoro, infatti, raccomandano di compiere questo esercizio matema-  tico in vista di quelle altre attività, che sono meno appropriate alla  verità per loro natura, e per i ragionamenti che di solito si fanno su di  esse, e che non reggono al confronto con le matematiche in fatto di  esattezza dimostrativa. Di ciò basta un indizio: noi infatti le scienze  che resistono a lungo e che sono affidabili le vediamo del tutto allo  stesso modo di coloro che le praticano, e potremmo trovarne assolu-  tamente poche di tale natura. Per molte di esse, dunque, sia tra quel-  le che sono necessarie alla vita sia tra quelle che derivano da ricchez-  za e sono valide già per se stesse, ci è venuta in aiuto la filosofia delle  matematiche. E infatti tra le tecniche artigianali ne potremo trovare  molte a cui le matematiche prestano assistenza; anche la filosofia della  natura, seppure ne esista qualche altra che abbia un ruolo più digni-  toso di questa, noi potremmo vedere che si serve molto, nelle sue pro-    580 GIAMBLICO    πολλοῖς ἂν χρωμένην ἴδοιμεν ἐν ταῖς οἰκείαις ἀποδείξεσιν, ἃ διὰ  τῶν λεχθέντων τεθεωρήκαμεν. ἔτι δὲ τοῦ τεταγμένου τε καὶ τάξεως  οἰκείους ἡμᾶς καθιστᾶσα, καὶ πρὸς ἀρετὴν καὶ τὸ καλὸν ἅπαν  ποιοῖτ᾽ ἄν τινα προτροπήν. οὐ μόνον δὲ διὰ τὴν τοιαύτην βοήθειαν  ἀγαπήσειεν ἄν τις αὐτῶν τὴν [72] δύναμιν, ἀλλὰ μᾶλλον ἔτι δι᾽  αὐτὰς καὶ διὰ τὴν οἰκείαν φύσιν. συγχωρεῖται μὲν γὰρ ὡς εἰσί τινες  τῶν ἐπιστημῶν δι᾽ αὑτὰς αἱρεταί, καὶ οὐ μόνον διὰ τὰ συμβαίνοντα  ἀπ᾽ αὐτῶν: μόναις δὴ μάλιστα τοιαύταις εἶναι ταῖς θεωρητικαῖς  ἐνδέχεται, διὰ τὸ μηδὲν αὐτῶν εἶναι τέλος ἕτερον παρὰ τὴν θεωρί-  αν. ἔστι δὲ ταὐτά, οἷς ἑτέραν ἀνθ᾽ ἑτέρας ἐπιστήμην αἱρετωτέραν  εἶναι τίθεμεν, καὶ οἷς αὐτὴν ἑκάστην αἱρετήν. αἱρούμεθα δὲ  ἑτέραν πρὸ ἑτέρας ἢ διὰ τὴν αὐτῆς ἀκρίβειαν ἢ [10] διὰ τὸ βελ-  τιόνων καὶ τιμιωτέρων εἶναι θεωρητικήν᾽ ὧν τὸ μὲν ἅπαντες συγχ-  ὠρήσειαν «ἄν» ἡμῖν διαφόρως ὑπάρχειν ταῖς μαθηματικαῖς τῶν  ἐπιστημῶν, τὸ δ᾽ ὅσοι ταῖς μὲν ἀρχαῖς ταῖς πρώταις τὴν εἰρημένην  προεδρίαν ἀπονέμουσιν, ἀριθμοῖς δὲ καὶ γραμμαῖς καὶ τοῖς τούτων  πάθεσιν οἰκείαν ὑπολαμβάνουσιν εἶναι τὴν τῆς ἀρχῆς φύσιν διὰ τὴν  ἁπλότητα τῆς οὐσίας. ἔτι τὰ περὶ τὸν οὐρανὸν θεωρήματα τιμιω-  τάτην ἔχοντα καὶ θειοτάτην τάξιν τῶν ἡμῖν αἰσθητῶν διὰ τῆς ἀστρο-  λογικῆς ἐπιστήμης γνωρίζεσθαι πέφυκεν, ἣ μία τῶν [20] μαθημα-  τικῶν οὖσα τυγχάνει ἄτοπον δ᾽ ἂν δόξειεν εἶναι καὶ οὐδαμῶς  ὁμολογούμενον τό, φάσκοντας οἰκεῖον εἶναι τῆς ἀληθείας τὸν φιλό-  σοῴφον, ζητεῖν τιν᾽ αὐτὸν οἴεσθαι δεῖν καρπὸν ἕτερον ἀπὸ τῶν  τοιούτων θεωρημάτων, ἃ τῆς ἀκροτάτης ἀληθείας κεκοινώνηκε: καὶ  φιλοθεάμονα ὄντα τὰς τοιαύτας τῶν ἐπιστημῶν ἀξιοῦν δι᾽ ἕτερον  λαμβάνειν, aî περὶ τὰ κοινότατά τε τῆς φύσεώς εἰσι καὶ τῶν ἡμῖν  αἰσθητῶν τὰ θειότατα, πλείστων τε καὶ θαυμασιωτάτων θεαμάτων  οὖσαι [73] πλήρεις ἀκρίβειαν οὐ πλαστὴν ἐκ λόγων κενῶν ἔχουσιν,  ἀλλ᾽ οἰκείαν καὶ βέβαιον ἐκ τῆς ὑποκειμένης αὐταῖς φύσεως. ὅλως  δ᾽ ὅσα ζητήσειεν ἄν τις δεῖν ὑπάρχειν ταῖς δι᾽ αὑτὰς αἱρεταῖς τῶν  ἐπιστημῶν, ἁπάντων τούτων εὑρήσομεν κοινωνούσας τὰς μαθηματι-    LA SCIENZA MATEMATICA COMUNE 581    prie dimostrazioni, delle matematiche, come abbiamo visto nelle con-  siderazioni precedenti. Inoltre, la filosofia delle matematiche, collo-  candoci nell'ordine e al posto che ci compete, potrà darci un impul-  so anche alla virtù e ad ogni bellezza. Non solo perché ci dà questo  aiuto si ama il potere delle matematiche, [72] ma ancora più le si  amano per se stesse e per la loro natura. Ad alcune scienze, infatti, è  concesso di essere desiderabili per se stesse e non solo per quello che  ne può derivare: a queste sole scienze soprattutto è concesso di esse-  re teoretiche, per il fatto che non c’è in esse altro fine se non la pura  conoscenza. Sono questi gli aspetti per cui noi stabiliamo che una  scienza sia desiderabile più di un’altra, e quelli per cui ciascuna scien-  za sia desiderabile per se stessa. Noi desideriamo una scienza invece  che un’altra o per la sua esattezza o perché ci fa conoscere cose  migliori e di più alto valore: quanto alla prima di queste ragioni, tutti  ci concederebbero che le matematiche hanno una posizione eccellen-  te tra le scienze, quanto all’altra ragione, invece, ci sono quelli che  attribuiscono la preminenza di cui si parla ai principi primi, ma  sostengono che i numeri e le linee e le proprietà del genere possiedo-  no una propria natura di principio per la semplicità del loro essere.  Inoltre, i teoremi relativi ai corpi celesti, che hanno un posto di altis-  simo valore e sono i più divini tra gli enti che noi possiamo percepi-  re, sono per natura conoscibili attraverso la scienza astrologica,183 che  risulta essere una delle scienze matematiche: si dovrà ritenere assurdo  e assolutamente inaccettabile che, dopo avere detto che è proprio del  filosofo conoscere la verità, si debba poi credere che il filosofo sia uno  che cerchi di ricavare un frutto diverso dalla verità proprio da quei  teoremi astrologici, che partecipano della pit alta verità; e, dopo  avere detto che il filosofo ama contemplare la verità, si creda che egli  afferri per altra via tali scienze, che per natura riguardano le cose più  comuni e più divine tra quelle che noi possiamo percepire, e che,  essendo piene di moltissime e assolutamente meravigliose visioni,  [73] possiedono una precisione non fatta di vuoti ragionamenti, ma  ricavata propriamente e solidamente dalla natura di ciò che è il loro  oggetto di studio. Insomma, di tutte le proprietà che si esigerà debba-  no appartenere alle scienze che sono desiderabili per se stesse,!* pro-  prio di tutte queste noi scopriremo che partecipano le scienze mate-  matiche. Ciascuna matematica, infatti, si occupa di una certa natura,    582 GIAMBLICO    κάς. περὶ φύσιν γὰρ ἑκάστη τινά ἐστιν αὐτῶν, καὶ ταύτην ἀίδιον καὶ  θεάματα ἔχουσαν ἐν αὑτῇ πολλὰ καὶ θαυμαστά, κατὰ τὴν τάξιν τῶν  οἰκείων παθῶν καὶ κατὰ τὴν ἀπόστασιν τῆς ἐκ τῶν αἰσθητῶν  ὑπολήψεως. ἔτι δὲ [10] τὰς τῶν ἀποδείξεων ἀρχὰς γνωρίμους λαμ-  βάνουσαι καὶ δι᾽ αὑτῶν πιστάς, οὕτω ποιοῦνται τοὺς ὑπὲρ τούτων  συλλογισμοὺς διὰ τούτων, ὥστ᾽ εἶναι παράδειγμα τοῖς βουλομένοις  ἀκριβῶς τι συναγαγεῖν τὰς ἐν τούτοις ἀποδείξεις" διόπερ ἁρμόττειν  ἂν δόξειε τοῖς οἰομένοις τὴν μὲν ἐν τῷ φιλοσοφεῖν διαγωγὴν καθ᾽  αὑτὴν αἱρετὴν εἶναι, τὴν δὲ περὶ τὰ μαθήματα θεωρίαν οἰκείαν καὶ  συγγενῆ φιλοσοφίᾳ. εἰκότως ἄρα διὰ ταῦτα πάντα ἐτίμων τὴν περὶ  τὰ μαθήματα σπουδὴν οἱ Πυθαγόρειοι, καὶ πρὸς τὴν τοῦ κόσμου  θεωρίαν [20] αὐτὴν ποικίλως συνέταττον᾽ οἷον τὸν μὲν ἀριθμὸν ἀπὸ  τῶν περιφορῶν καὶ τῆς διαφορᾶς τούτων τῷ λογισμῷ παραλαμβάνον-  τες,!8 τὰ δὲ δυνατὰ καὶ ἀδύνατα τῇ τοῦ κόσμου συστάσει ἀπὸ τῶν ἐν  τοῖς μαθήμασι δυνατῶν καὶ ἀδυνάτων θεωροῦντες, τὰς δὲ οὐρανίους  περιφορὰς κατὰ τοὺς συμμέτρους ἀριθμοὺς μετ᾽ αἰτίας νοοῦντες,  μέτρα τε τοῦ οὐρανοῦ κατά τινας μαθηματικοὺς λόγους ἀφορίζον-  τες, καὶ ὅλως τὴν φυσιολογίαν τὴν προγνωστικὴν ἀπὸ τῶν  μαθημάτων συστησάμενοι, καὶ πρὸς τὰ ἄλλα τὰ περὶ τοῦ κόσμου  θεωρήματα [74] ὥσπερ ἀρχὰς τὰ μαθήματα προστησάμενοι. ἀφ᾽ ὧν  δὴ καὶ εἰς τὰ περὶ φύσεως πολλὰς ἀποδείξεις ἐπορίσαντο, καὶ εἰς τὸ  καλὸν κἀγαθὸν τὴν ἀρετὴν προτρέπουσι, καὶ [εἰς] τὸ μέγιστον θεο-  λογικῶς ἀστρονομοῦσι διὰ τὰ μαθήματα. ὥστε διὰ πάντα ταῦτα θαυ-  μαστὴν εἰκότως σπουδὴν περὶ αὐτὰ ἐποιοῦντο.    24. Τὸ δὴ μετὰ τοῦτο καὶ τὴν συνήθειαν ἄξιον εἰπεῖν τῆς ἐν τοῖς  μαθήμασι διατριβῆς τῶν Πυθαγορείων. ἐκεῖνοι τοίνυν ἀπὸ τῶν  αἰσθητῶν [10] ἀπέστησαν τοὺς περὶ τῶν μαθημάτων λόγους, εἴς τε  πίστιν ἀσωμάτου οὐσίας περιῆγον δι᾽ αὐτῶν τὴν διάνοιαν, διαπορ-  θμεύουσί τε αὐτοῖς ἐχρῶντο ἐπὶ τὰ νοητά, καὶ ἐν τοῖς μάλιστα  ἐσκόπουν τί πρὸς τὰ καθαρὰ εἴδη καὶ τοὺς ἑνιαίους λόγους ἐστὶν  ἐν αὐτοῖς ἀπεικασμένον. τοῖς μὲν οὖν θεωρήμασι τοῦτον προσεφέ-    18 παραλαμβάνοντες sospettò Festa giustamente: περιλαμβάνοντες.    LA SCIENZA MATEMATICA COMUNE 583    che ha in sé eternamente molte e meravigliose cose degne di contem-  plazione, a seconda del posto che occupano le sue proprietà e della  distanza da ciò che si può sussumere dai sensibili. Inoltre, poiché tali  scienze hanno familiarità con i principi delle dimostrazioni, principi  che hanno in se stessi la loro affidabilità,185 allora esse, per mezzo di  questi principi, costruiscono dei sillogismi che trascendono gli stessi  risultati del loro ragionamento, in modo che diventino un esempio  per chi voglia fare una raccolta precisa di quelle dimostrazioni: perciò  risulterebbe che esse siano adatte a coloro che ritengono che il proce-  dimento filosofico sia desiderabile per se stesso, e che la teoria delle  matematiche sia propria e della stessa natura della filosofia. A ragio-  ne dunque i Pitagorici, per tutti questi aspetti, tenevano in grande  stima lo studio delle matematiche, e lo coordinavano in vari modi con  la contemplazione del cosmo: ricavando, ad esempio, il numero per  via di calcolo dalle rivoluzioni celesti e dalla loro diversità, o conside-  rando le possibilità e le impossibilità nella costituzione del cosmo a  partire dalle possibilità e dalle impossibilità nelle matematiche, o pen-  sando in modo causale le rivoluzioni celesti in funzione dei numeri ad  essi commisurati,!86 o determinando le misure del cielo secondo alcu-  ni calcoli matematici, o, per farla breve, costruendo la scienza delle  previsioni naturali partendo dalle matematiche, e collegando queste  ultime come loro punti di partenza a tutte le altre conoscenze teori-  che del cosmo. [74] Partendo dalle matematiche i Pitagorici passano  anche a molte dimostrazioni di ordine fisico, e spingono la virtù verso  il Bello e il Bene, e con esse costruiscono in chiave teologica la parte  più importante dell’astronomia. Sicché, per tutte queste ragioni, è  ragionevole pensare che i Pitagorici compissero meravigliosi studi  sulle matematiche.    24, Dopo di ciò vale la pena di parlare anche delle consuetudini  che i Pitagorici seguivano nel praticare le matematiche. Anzitutto essi  separavano dai sensibili i ragionamenti matematici, e per mezzo di  questi inducevano la mente a credere nella realtà immateriale, e se ne  servivano per passare agli intelligibili, e in quei ragionamenti osserva-  vano soprattutto che cosa li renda in se stessi simili alle forme pure e  ai principi unitari. Da un lato dunque i Pitagorici si applicavano nella  costruzione dei teoremi con questo intendimento, dall’altro lato, una    584 GIAMBLICO    povto τὸν τρόπον, ἅπαξ δὲ ἀποστήσαντες αὐτῶν τὴν ἐπιστήμην τῆς  κοινῆς καὶ δεδημοσιευμένης γνώσεως, καὶ τὴν μετάδοσιν ἐποιοῦντο  αὐτῶν κατὰ τὰ αὐτὰ ἐν ἀπορρήτοις" ὀλίγοις τε πάνυ τῆς γνώσεως  [20] αὐτῶν ἐκοινώνουν, καὶ εἴ πού τι ἔκφορον γένοιτο εἰς τοὺς πολ-  λούς, ἀφωσιοῦντο τοῦτο ὡς ἀσέβημα᾽ διόπερ ἀπωθοῦντο καὶ τοὺς  ἔξω τῆς συνηθείας, ὡς ἀναξίους ὄντας αὐτῶν μεταλαμβάνειν.  ὑπέλαβε γὰρ Πυθαγόρας οὐ πᾶσι δεῖν κοινωνεῖν τῆς ἐν τοῖς  μαθήμασι φιλοσοφίας, ἀλλ᾽ αὐτοῖς μόνοις, οἷσπερ ἄν τις τοῦ παντὸς  βίου κοινωνήσειε. καὶ πρὸς ταύτην τὴν ὁμιλίαν οὐκ εἰκῇ προσίετο  οὐδὲ τοὺς τυχόντας, ἀλλὰ πεῖράν τε [75] λαμβάνων ἐν πολλῷ χρόνῳ  καὶ τοὺς ἀναξίους ἀπωθούμενος. καὶ τοῖς μὲν ἔξω τῆς συνηθείας  οὐκ ἐποιήσατο κοινὴν τὴν δι᾽ αὑτοῦ γενομένην ἐπίδοσιν ἀπορ-  ρήτους ποιησάμενος πρὸς τοὺς ἄλλους τοὺς περὶ αὐτῶν λόγους, ἐν  δὲ τοῖς ὀνομασθεῖσι Πυθαγορείοις διὰ τὴν πρὸς ἑαυτὸν ἑταιρίαν  πολλὴν ἐπίδοσιν παρέσχε τῇ τε περὶ τὰ μαθήματα φιλοσοφίᾳ καὶ τῇ  περὶ γεωμετρίαν θεωρίᾳ, καὶ σχεδὸν ἁπάντων τῶν ὕστερον ἐπὶ πλέ-  ον προελθόντων εὕροι τις ἂν τὰς ἀρχὰς ἡμῖν παρ᾽ ἐκείνου [10]  γεγενημένας. ἠγάπα δ᾽ ἐν αὐτοῖς οὐχ ὥσπερ ἔνιοι τῶν ὕστερον τὴν  δύναμιν, ἀφ᾽ ἧς οἷοί τ᾽ ἔσονται τὸ προβληθὲν εὑρίσκειν, ἀλλ᾽ αὐτὰ  τὰ θεωρήματα. καὶ τούτων οὐχ ὅσα χαλεπώτατα ἦν εὑρεῖν, καθάπερ  [ἦν] οἱ πλεῖστοι τῶν ὕστερον, ἀλλ᾽ ἐν οἷς ἦν μάλιστα αὐτῶν κατα-  νοῆσαι τάξιν ἤ τι σύμπτωμα φυσικόν. ἔπαθον δὲ τοῦτο διὰ τὸ τῆς  ὅλης φύσεως οἴεσθαι τὰς ἀρχὰς ὑπάρχειν ἐν τούτοις καὶ μάλιστα  εὐθεωρήτους εἶναι τίνες τέ εἰσι καὶ πόσαι, διὰ τὸ περὶ μένουσάν τε  φύσιν εἶναι καὶ κινήσεως ἀπηλλαγμένην, ἔτι δὲ [20] ἁπλῆν" διόπερ  οὔτε τῶν προβληματικῶν ἥψαντο, πλὴν ὅσα ἦν στοιχειώδη, καθάπερ  n παραβολὴ καὶ ὁ τετραγωνισμός, οὔτ᾽ ἐν τοῖς θεωρήμασιν ἐπραγμα-  τεύοντο πάντα ἐπεξιέναι βουλόμενοι καὶ μηδὲν τῶν ἐνδεχομένων  παραλιπεῖν, ἀλλ᾽ αὐτὰς μόνον τὰς ἀρχὰς ἰδεῖν ἐν ἑκάστοις ἐζήτουν.    LA SCIENZA MATEMATICA COMUNE 585    volta che avevano impedito che la relativa scienza divenisse di comu-  ne e pubblico dominio, insegnavano segretamente quei teoremi per  quello che erano: ed erano molto pochi coloro a cui comunicavano  quella conoscenza, e se per avventura qualcosa veniva divulgato, face-  vano di ciò espiazione come di un sacrilegio; respingevano perciò  anche coloro che erano estranei alle loro consuetudini, come se fosse-  ro indegni di avere rapporto con loro. Pitagora infatti credeva che  non con tutti bisogna avere in comune la filosofia delle matematiche,  ma solo con quelli con cui si ha in comune tutta la vita. E alle riunio-  ni dei Pitagorici egli non ammetteva né a caso né chiunque, [75]  bensi dopo lunghe sperimentazioni e dopo avere respinto chi non ne  fosse degno. E mentre a quelli che erano estranei alla sua scuola non  comunicò i suoi propri contributi scientifici imponendo anche agli  altri il segreto sui ragionamenti matematici, fu invece molto generoso  di contributi, per quanto concerne sia la filosofia delle matematiche  che la teoria della geometria, verso coloro che venivano chiamati  Pitagorici per la familiarità che avevano con lui, e forse di tutti i pro-  gressi che si sono compiuti per molto tempo dopo si scoprirà che i  principi ci sono venuti da lui. Ma in costoro Pitagora non amava,  come alcuni di coloro che sono venuti dopo, la loro potenzialità per  la quale essi sarebbero stati in grado di scoprire la soluzione dei pro-  blemi che si ponevano, bensi i loro teoremi in quanto tali;!87 e tra que-  sti non quelli che erano di pit difficile soluzione, come faranno la  maggior parte di coloro che sono venuti dopo, bensi quei teoremi in  cui era possibile soprattutto comprendere il loro ruolo o qualche loro  proprietà che si rifletteva nell'ordine naturale. E io sono stato colpito  dal fatto che Pitagora credesse che nei teoremi matematici ci siano i  principi dell'intera natura e soprattutto che sia facile teorizzare quali  e quanti essi siano, per il fatto che concernono la natura nella sua sta-  bilità e immobilità, oltre che semplicità; è per questo che i Pitagorici  non hanno toccato le questioni problematiche, ad eccezione di quel-  le elementari, come la parabola e la quadratura <del cerchio>, e dei  teoremi non si occupavano con l’intenzione di esaminare dettagliata-  mente tutti gli aspetti senza trascurare nessuna possibilità, ma cerca-  vano di vedere in ciascuno di essi solo i principi in quanto tali. E in  queste scienze matematiche si esercitavano e affinavano l’elaborazio-  ne di calcolo in rapporto alla capacità teoretica della particolare scien-    586 GIAMBLICO    γυμνασίαν δὲ ἐν ταῖς ἐπιστήμαις ταύταις καὶ ἐξεργασίαν λογικὴν  ἐποιοῦντο ἀκριβῆ θεωρητικὴν εἰς ἐπιστήμην οἰκείαν, τάξιν τε ἐν  ταῖς ἐπιστήμαις προσέθηκαν τὴν προσήκουσαν, ὀλίγα τε [76] κατ᾽  ἀρχὰς παραλαβόντες ἐξειργάσαντο ταῦτα, καὶ μάλιστα τὰ τιμιώτα-  τὰ καὶ σεμνότατα τῶν θεωρημάτων ἐτελεώσαντο, ἄλλως τε ἀσκούμε-  va τὰ θεωρήματα ἐπ᾽ ἄλλα περιήγαγον, τάξιν τ᾽ ἐν αὐτοῖς ἐποιοῦντο  τοιαύτην ὡς τὰ μὲν ἁπλούστερα «πρότερα» παραδιδόναι τὰ δὲ συν-  θέσεως ἐφαπτόμενα δεύτερα, καὶ τῇ φύσει τῶν ὄντων ἑπομένως  συνέταττον τὰ θεωρήματα καὶ τῇ ἡμετέρᾳ δυνάμει προσφόρως καὶ  τῇ ἀξίᾳ τῶν παραλαμβανόντων αὐτὰ οἰκείως τῇ τε πρὸς ἀρετὴν  ἀγωγῇ [10] καὶ τῇ ὅλῃ παιδείᾳ ὁμολογουμένως καὶ τῇ καθάρσει τῆς  ψυχῆς προσηκόντως.   Τοιαῦτα ἄν τις καὶ περὶ τούτου γνωρίσματα τοῦ Πυθαγορικοῦ τύ-  που ποιήσαιτο, περὶ ὧν πλείονα ἐροῦμεν ἐν τοῖς κατ᾽ ἰδίαν περὶ  ἑκάστου τῶν μαθημάτων λεχθησομένοις.    25. Δύο δ᾽ ἐστὶ τῆς Ἰταλικῆς φιλοσοφίας εἴδη, καλουμένης δὲ  Πυθαγορικῆς. δύο γὰρ ἦν γένη καὶ τῶν μεταχειριζομένων αὐτήν, οἱ  μὲν ἀκουσματικοί, οἱ δὲ μαθηματικοί. τούτων δὲ οἱ μὲν ἀκουσματι-  κοὶ [20] ὡμολογοῦντο Πυθαγόρειοι εἶναι ὑπὸ τῶν ἑτέρων, τοὺς δὲ  μαθηματικοὺς οὗτοι οὐχ ὡμολόγουν, οὔτε τὴν πραγματείαν αὐτῶν  εἶναι Πυθαγόρου, ἀλλὰ Ἱππάσου. τὸν δ᾽ Ἵππασον οἱ μὲν Κροτω-  νιάτην φασίν, οἱ δὲ Μεταποντῖνον. οἱ δὲ περὶ τὰ μαθήματα τῶν  Πυθαγορείων [77] τούτους τε ὁμολογοῦσιν εἶναι Πυθαγορείους,  καὶ αὐτοί φασιν ἔτι μᾶλλον, καὶ ἃ λέγουσιν αὐτοὶ ἀληθῆ εἶναι. τὴν  δὲ αἰτίαν τῆς ἀνομοιότητος τοιαύτην γενέσθαι φασίν. ἀφικέσθαι  τὸν Πυθαγόραν ἐξ Ἰωνίας καὶ Σάμου κατὰ τὴν Πολυκράτους τυραν-  νίδα καὶ ἀκμαζούσης Ἰταλίας, καὶ γενέσθαι συνήθεις αὐτῷ τοὺς  πρώτους ἐν ταῖς πόλεσι. τούτων δὲ τοῖς μὲν πρεσβυτέροις καὶ ἀσχό-  λοις διὰ τὸ ἐν πολιτικοῖς «πράγμασι κατέχεσθαι, ὡς χαλεπὸν ὃν  διὰ τῶν μαθημάτων καὶ [10] ἀποδείξεων ἐντυγχάνειν, ψιλῶς δια-  λεχθῆναι, ἡγούμενον οὐδὲν ἧττον ὠφελεῖσθαι ἂν καὶ ἄνευ τῆς αἰτί-  ας εἰδότας τί δεῖ πράττειν, ὥσπερ καὶ οἱ ἰατρευόμενοι οὐ προσα-    LA SCIENZA MATEMATICA COMUNE 587    za di cui si occupavano, e hanno assegnato ad essa il posto che le com-  peteva di diritto tra le scienze, [76] e assumendo pochi teoremi come  punti di partenza li hanno elaborati, e hanno portato a soluzione  soprattutto i teoremi più prestigiosi e venerandi, e inoltre traduceva-  no l’uno nell’altro i teoremi su cui si esercitavano, e imponevano ad  essi un ordine tale che si potessero insegnare prima quelli più sempli-  ci e poi quelli che avevano una struttura composita, e coordinavano i  teoremi secondo la natura degli enti reali e in rapporto alla nostra  capacità di apprenderli e in corrispondenza della condizione propria  di coloro che ne erano destinatari e in concordanza con l’educazione  morale e con l’intera istruzione e in maniera appropriata alla purifica-  zione dell'anima.   Sono tali i segni che contraddistinguono questo modello pitagori-  co di scienza matematica, e intorno a cui noi diremo di più quando  parleremo di ciascuna matematica in particolare.    25. Sono due le forme della filosofia italica, che è chiamata pita-  gorica. Due infatti erano anche i gruppi di quelli che la praticavano,  l'uno degli Acusmatici e l’altro dei Matematici. Di questi,!88 i  Matematici riconoscevano come Pitagorici gli Acusmatici, mentre  questi non riconoscevano come Pitagorici i Matematici, né pensava-  no che il loro modo di trattare la matematica fosse quello di Pitagora,  bensi di Ippaso. Alcuni dicono che Ippaso fosse nativo di Crotone,  altri di Metaponto. I Pitagorici Matematici [77] riconoscono sî che gli  Acusmatici sono Pitagorici, ma dicono di se stessi che lo sono ancor  più, e quel che dicono è la verità. E dicono che la causa di tale diffe-  renziazione è la seguente. Pitagora giunse dalla Ionia, e precisamente  da Samo, quando questa città era sotto la tirannide di Policrate, men-  tre l’Italia era al suo massimo splendore, e gli esponenti principali  delle città entrarono in rapporto di amicizia con lui. E con quelli di  loro che erano più anziani e non avevano tempo libero perché occu-  pati negli affari politici, sî che, era difficile per loro occuparsi di dimo-  strazioni matematiche, Pitagora si intratteneva in conversazioni non  impegnative,!8? pensando che non si ha minore vantaggio anche  quando si deve fare qualche cosa senza conoscerne le ragioni, come  accade a coloro che sono sottoposti a cure mediche, i quali pur non  comprendendo perché devono seguire le singole istruzioni del medi-    588 GIAMBLICO    κούοντες διὰ τί αὐτοῖς ἕκαστα πρακτέον οὐδὲν ἧττον τυγχάνουσι  τῆς ὑγείας. ὅσοις δὲ νεωτέροις ἐνετύγχανε καὶ δυναμένοις πονεῖν  καὶ μανθάνειν, τοῖς τοιούτοις διὰ ἀποδείξεως καὶ τῶν μαθημάτων  ἐνετύγχανεν. αὐτοὶ μὲν οὖν εἶναι ἀπὸ τούτων, ἐκείνους δὲ ἀπὸ τῶν  ἑτέρων. περὶ δ᾽ Ἱππάσου λέγουσιν, ὡς ἦν μὲν τῶν Πυθαγορείων, διὰ  δὲ τὸ ἐξενεγκεῖν καὶ [20] γράψασθαι πρῶτος σφαῖραν τὴν ἐκ τῶν  δώδεκα πενταγώνων!9 ἀπόλοιτο κατὰ θάλατταν ὡς ἀσεβήσας, δόξαν  δὲ λάβοι ὡς «εὑρών, εἶναι δὲ πάντα ἐκείνου τοῦ ἀνδρός" προσαγο-  ρεύουσι γὰρ οὕτω τὸν Πυθαγόραν καὶ οὐ καλοῦσιν ὀνόματι. ἐπέδω-  κε δὲ τὰ μαθήματα, ἐπεὶ ἐξηνέχθησαν δισσοὶ προάγοντε μάλιστα,  Θεόδωρός τε [78] ὁ Κυρηναῖος καὶ Ἱπποκράτης ὁ Χῖος. λέγουσι δὲ  οἱ Πυθαγόρειοι ἐξενηνέχθαι γεωμετρίαν οὕτως. ἀποβαλεῖν τινα  τὴν οὐσίαν τῶν Πυθαγορείων, ὡς δὲ τοῦτ᾽ ἠτύχησε, δοθῆναι αὐτῷ  χρηματίσασθαι ἀπὸ γεωμετρίας. ἐκαλεῖτο δὴ ἡ γεωμετρία πρὸς  Πυθαγόρου ἱστορία. περὶ μὲν οὖν τῆς διαφορᾶς ἑκατέρας τῆς πραγ-  ματείας καὶ περὶ τῶν μαθημάτων σχεδὸν ταῦτά τε καὶ τοιαῦτά ἐστι  τὰ συμβεβηκότα. οἱ δὲ Πυθαγόρειοι διατρίψαντες È ἐν τοῖς μαθήμα-  σι καὶ τό τε ἀκριβὲς τῶν λόγων [10] ἀγαπήσαντες, ὅτι μόνα εἶχεν  ἀποδείξεις ὧν μετεχειρίζοντο ἄνθρωποι, καὶ ὁμολογούμενα  ὁρῶντες ἐπ᾽ ἴσον τὰ περὶ τὴν ἁρμονίαν [ὅτι] δι᾽ ἀριθμῶν καὶ τὰ  περὶ τὴν ὄψιν μαθήματα διὰ «διανγραμμάτων, ὅλως αἴτια τῶν ὄντων  ταῦτα φήθησαν εἶναι καὶ τὰς τούτων ἀρχάς: ὥστε τῷ βουλομένῳ  θεωρεῖν τὰ ὄντα πῶς ἔχει, εἰς ταῦτα βλεπτέον εἶναι, τοὺς ἀριθμοὺς  καὶ τὰ γεωμετρούμενα εἴδη τῶν ὄντων καὶ λόγους, διὰ τὸ δηλοῦσθαι  πάντα διὰ τούτων. ὡς οὖν οὔτ᾽ ἐγκαιροτέρων ἂν οὔτε τιμιωτέρων  ἀνάψαντες ἑκάστων τὰς δυνάμεις ἢ εἰς τὰ [20] πάντων αἴτια καὶ  πρῶτα σχεδὸν ὁμοτρόπως καὶ τὰ ἄλλα τούτοις διώριζον. αἱ μὲν οὖν  ἀγωγαὶ εἰς τοὺς ἀριθμοὺς καὶ τὰ μαθήματα τῶν πραγμάτων διὰ  ταῦτά τε καὶ τοῦτον τὸν τύπον ἐδόκουν ἔχειν αὐτοῖς. τοιαύτη τις ἦν  παρ᾽ αὐτοῖς καὶ ἡ μέθοδος τῶν ἀποδείξεων, ἐκ τοιούτων τε ἀρχῶν  ὁρμωμένη καὶ οὕτως ἔχουσα τὸ πιστὸν καὶ βέβαιον ἐν τοῖς λόγοις.    19 πενταγώνων Burkert (cf. ed. Klein Add. p. XIX) e Giamblico, Vita  Pytb. 52,4 Deubner: ἑξαγώνων.   20 ἐπ’ ἴσον congetturò Vitelli: ritenne si dovesse eliminare Burkert (cf.  ed. Klein Add. p. XIX): ἔνισον Festa.    LA SCIENZA MATEMATICA COMUNE 589    co, nondimeno guariscono. Con quelli che erano più giovani, invece,  e in grado di sopportare le fatiche dello studio, Pitagora passava alle  dimostrazioni e discuteva delle matematiche. I Matematici, dunque,  dicevano che essi discendevano da questo secondo gruppo, e che gli  altri, cioè gli Acusmatici, discendevano dal primo. Di Ippaso si dice  che era un Pitagorico, e che sarebbe perito in mare come empio per  avere divulgato la sfera che egli per primo aveva costruito con dodici  figure pentagonali,!90 e cosî ebbe fama di averla scoperta lui la sfera,  mentre era tutto merito di “quell’uomo”: indicavano infatti con que-  st'espressione Pitagora, senza chiamarlo per nome.!9% E alla divulga-  zione della geometria aggiunse quella delle matematiche, dopo che le  avevano divulgate soprattutto due suoi predecessori, Teodoro [78] di  Cirene e Ippocrate di Chio. Ma i Pitagorici dicono che la geometria  sia nata cosi. Uno dei Pitagorici perse tutti i suoi averi e, una volta  accaduto questo, gli fu data la possibilità di rifarsi economicamente  sfruttando la geometria. E perciò da Pitagora era chiamata “ricer-  ca”.!92 Sono queste pressappoco, e di tale tenore, le vicende relative  alla differenziazione tra i due modi di trattare le matematiche.19 I  Pitagorici, dal momento che si occupavano delle matematiche e ama-  vano l'esattezza dei ragionamenti matematici, perché solo questi pos-  siedono capacità apodittiche nelle faccende umane, e vedevano che  erano in perfetto accordo tra loro le armonie ottenute con il calcolo  numerico e la loro trasposizione visiva nei diagrammi matematici,  ritennero che queste fossero in generale le cause degli enti e i loro  principi; sicché chi vuole vedere come stanno realmente le cose, è a  queste cose che deve guardare, cioè ai numeri e alle forme degli enti  ridotte a figure geometriche e ai calcoli relativi, perché per mezzo di  essi tutto appare chiaro. I Pitagorici, dunque, dopo avere collegato le  potenze delle singole cose alle cause e ai principi di ogni cosa, quasi  fossero meno opportune e meno pregevoli di questi, quasi allo stesso  modo definivano per mezzo di questi principi anche tutto il resto.  Dunque l'educazione ai numeri e alle matematiche delle cose!% attra-  versava, secondo loro, queste fasi e questo modello pedagogico. Tale  era anche il loro metodo delle dimostrazioni, che prendeva le mosse  da tali principi e cosî godeva di affidabilità e stabilità nei ragionamen-  tl.    590 GIAMBLICO    26. [79] Γεγόνασι δέ τινες, οἱ μὲν παλαιοὶ οἱ δὲ νέοι, οἵτινες τὴν  ἐναντίαν δόξαν περὶ τῶν μαθημάτων ἐξενηνόχασι, ψέγοντες αὐτὰ  ὡς παντελῶς ἄχρηστα καὶ πρὸς τὸν ἀνθρώπινον βίον οὐδὲν συμβαλ-  λόμενα. ἔνιοι δὲ οὕτως ἐπιχειροῦσιν" εἰ ἀχρεῖον αὐτῶν τὸ τέλος, δι᾽  ὅπερ αὐτὰ μανθάνειν φασὶ δεῖν οἱ φιλόσοφοι, πολὺ πρότερον  ἀνάγκη μάταιον εἶναι τὴν περὶ ταῦτα σπουδήν. περὶ δὲ τοῦ τέλους  σχεδὸν ὁμολογοῦσι πάντες οἱ δοκοῦντες περὶ αὐτὴν μάλιστα [10]  ἠκριβωκέναι. φασὶ γὰρ οἱ μὲν εἶναι τὴν τῶν ἀδίκων καὶ δικαίων καὶ  κακῶν καὶ ἀγαθῶν ἐπιστήμην, ὁμοίαν οὖσαν γεωμετρίᾳ καὶ ταῖς  ἄλλαις ταῖς τοιαύταις, οἱ δὲ τὴν περὶ φύσεώς τε καὶ τῆς τοιαύτης  ἀληθείας φρόνησιν, οἵαν οἵ τε περὶ ᾿Αναξαγόραν καὶ Παρμενίδην  εἰσηγήσαντο. δεῖ δὴ μὴ λεληθέναι τὸν μέλλοντα περὶ τούτων ἐξετά-  ζειν, ὅτι πάντα τὰ ἀγαθὰ καὶ τὰ πρὸς τὸν βίον ὠφέλιμα τοῖς  ἀνθρώποις ἐν τῷ χρῆσθαι καὶ πράττειν ἐστίν, ἀλλ᾽ οὐκ ἐν τῷ γιν-  ὦσκειν μόνον᾽ οὔτε γὰρ ὑγιαίνομεν τῷ γνωρίζειν τὰ ποιητικὰ τῆς  [20] ὑγιείας, ἀλλὰ τῷ προσφέρεσθαι τοῖς σώμασιν: οὔτε πλου-  τοῦμεν τῷ γιγνώσκειν πλοῦτον, ἀλλὰ τῷ κεκτῆσθαι πολλὴν οὐσίαν"  οὐδὲ τὸ πάντων μέγιστον εὖ ζῶμεν τῷ γιγνώσκειν ἄττα τῶν ὄντων,  ἀλλὰ τῷ πράττειν ed τὸ γὰρ εὐδαιμονεῖν ἀληθῶς τοῦτ᾽ ἐστίν. ὥστε  προσήκει καὶ τὴν φιλοσοφίαν, εἴπερ ἐστὶν ὠφέλιμος, ἤτοι πρᾶξιν  εἶναι τῶν ἀγαθῶν ἢ χρήσιμον εἰς τὰς [80] τοιαύτας πράξεις. ὅτι μὲν  οὖν οὐκ ἔστιν οὔθ᾽ αὕτη πραγμάτων ἐργασία τις οὔτ᾽ ἄλλη τῶν προ-  εἰρημένων ἐπιστημῶν οὐδεμία, φανερόν ἐστι πᾶσιν᾽ ὅτι δ᾽ οὐδ᾽ ἐστὶ  χρήσιμος εἰς τὰς πράξεις, ἐκεῖθεν div τις καταμάθοι. μέγιστον γὰρ  ἔχομεν παράδειγμα τὰς ὁμοίας ἐπιστήμας αὐτῇ καὶ τὰς  ὑποκειμένας δόξας ὧν γάρ εἰσιν οἱ γεωμέτραι δι᾽ ἀποδείξεως  θεωρητικοί, τούτων οὐδενὸς ὁρῶμεν αὐτοὺς ὄντας πρακτικούς, ἀλλὰ  καὶ διελεῖν χωρίον καὶ τὰ ἄλλα πάντα πάθη τῶν τε [10] μεγεθῶν καὶ  τῶν τόπων οἱ μὲν γεωδαῖται δύνανται δι᾽ ἐμπειρίαν, οἱ δὲ περὶ τὰ  μαθήματα καὶ τοὺς τούτων λόγους ἴσασι μὲν ὡς δεῖ πράττειν, οὐ δύ-  νανται δὲ πράττειν. ὁμοίως δ᾽ ἔχει καὶ περὶ μουσικὴν καὶ τὰς ἄλλας    LA SCIENZA MATEMATICA COMUNE 591    [79] 26. Ci sono stati alcuni,19 sia tra gli antichi che tra i moder-  ni, i quali hanno espresso un’opinione contraria a proposito delle  matematiche, rimproverando loro di essere assolutamente inutili e di  nessun aiuto per la vita dell’uomo.!% E alcuni fanno questo ragiona-  mento: se il fine ultimo, per cui dicono i filosofi, devono essere appre-  se le matematiche è inutile, necessariamente sarà inutile a maggior  ragione il loro studio. Sul fine concordano più o meno tutti coloro che  credono di avere ottenuto la massima precisione nel trattare appunto  di matematica. Alcuni infatti, dicono che il fine ultimo della matema-  tica è la scienza dell’ingiusto e del giusto, del male e del bene, scien-  za che è simile alla geometria e alle altre scienze del genere, altri inve-  ce che è la comprensione della natura e della verità naturale, com'è ad  esempio quella che introdussero Anassagora e Parmenide. In verità  chi si accinge a compiere ricerche matematiche deve tenere presente  che tutti i beni e le cose utili alla vita degli uomini si trovano nell’usa-  re e nell’agire praticamente, non nel solo conoscere: infatti non ci fa  guarire il semplice conoscere le cose che procurano la salute, bensi  l’applicarle ai corpi; né ci fa arricchire il semplice sapere che cos'è la  ricchezza, bensi l’avere guadagnato molto; e neppure ci fa vivere nel  miglior modo possibile il semplice conoscere certe cose, bensi l’agire  bene, perché questo è veramente essere felici. Ne consegue che anche  la filosofia, se è veramente utile, convenga che sia un agire bene o un  favorire [80] le azioni buone. Ebbene, è chiaro per tutti che né essa  né alcuna delle suddette scienze sia un'operazione che produca cose  concrete; e che la filosofia non sia neppure un favorire le azioni, lo si  può arguire nel modo seguente. Il massimo esempio che possiamo  trovare, infatti, è quello delle scienze che le somigliano e delle opinio-  ni su cui esse si fondano. Orbene, delle cose che i geometri teorizza-  no nelle loro dimostrazioni, su nessuna vediamo che essi esercitano  un’azione pratica, al contrario sono i geodeti!? quelli capaci empiri-  camente di dividere l’area e tutti gli altri accidenti delle grandezze e  dei luoghi, mentre coloro che si occupano delle matematiche e dei  loro principi sanno si come si deve agire praticamente, ma non sono  in grado di farlo. Lo stesso discorso vale per la musica e per le altre  scienze, nelle quali si è fatta netta distinzione tra la conoscenza e  l’esperienza. Alcuni infatti hanno preso l'abitudine di esaminare gli  accordi musicali e materie del genere definendone alla maniera dei    592 GIAMBLICO    ἐπιστήμας, ὅσαις διήρηται τό τε τῆς γνώσεως καὶ τὸ τῆς ἐμπειρίας  χωρίς. οἱ μὲν γὰρ τὰς ἀποδείξεις καὶ τοὺς συλλογισμοὺς διωρισμέ-  νοι περὶ συμφωνίας καὶ τῶν ἄλλων τῶν τοιούτων, ὥσπερ οἱ κατὰ  φιλοσοφίαν, σκοπεῖν εἰώθασιν, οὐδενὸς δὲ κοινωνοῦσι τῶν ἔργων,  ἀλλὰ κἂν τυγχάνωσιν αὐτῶν δυνάμενοί τι [20] χειρουργεῖν, ὅταν  μάθωσι τὰς ἀποδείξεις, ὥσπερ ἐπίτηδες, εὐθὺς αὐτὰ χεῖρον  ποιοῦσιν: οἱ δὲ τοὺς μὲν λόγους ἀγνοοῦντες, γεγυμνασμένοι δὲ καὶ  δοξάζοντες ὀρθῶς ὅλῳ καὶ παντὶ διαφέρουσι πρὸς τὰς χρείας.  ὡσαύτως δὲ καὶ περὶ τῶν κατὰ τὴν ἀστρολογίαν, οἷον ἡλίου καὶ  σελήνης πέρι καὶ τῶν ἄλλων ἄστρων, οἱ μὲν τὰς αἰτίας καὶ τοὺς λό-  γους μεμελετηκότες οὐδὲν τῶν χρησίμων τοῖς ἀνθρώποις ἴσασιν, οἱ  δὲ τὰς ὑπὸ τούτων ναυτικὰς καλουμένας ἐπιστήμας ἔχοντες  χειμῶνας καὶ πνεύματα καὶ πολλὰ τῶν γινομένων δύνανται [81]  προλέγειν ἡμῖν. ὥστε πρὸς τὰς πράξεις ἀχρεῖοι παντελῶς ἔσονται  αἱ τοιαῦται ἐπιστῆμαι᾽ εἰ δὲ τῶν πράξεων τῶν ὀρθῶν ἀπολείπονται,  τῶν μεγίστων ἀγαθῶν ἀπολείπεται ἡ φιλομάθεια.   Πρὸς δὴ ταῦτα ἀντιλέγοντες, εἶναί τέ φαμεν ἐπιστήμας τῶν  μαθημάτων καὶ ταύτας δυνατὰς εἰς τὸ μεταλαβεῖν. ἀεὶ γὰρ γνώριμ-  drepa ἀμφότερα, τὰ πρότερα τῶν ὑστέρων καὶ τὰ βελτίω τὴν φύσιν  τῶν χειρόνων. τῶν γὰρ ὡρισμένων καὶ τεταγμένων [10] ἐπιστήμη  μᾶλλόν ἐστιν ἢ τῶν ἐναντίων, ἔτι δὲ τῶν αἰτίων ἢ τῶν ἀποβαινόντων.  ἔστι δὲ ὡρισμένα καὶ τεταγμένα τὰ ἐν τοῖς ἀκινήτοις μαθηματικοῖς  εἴδεσιν. αἴτιά τε μᾶλλον τὰ πρότερα τῶν ὑστέρων᾽ ἐκείνων γὰρ  ἀναιρουμένων ἀναιρεῖται τὰ τὴν οὐσίαν ἐξ ἐκείνων ἔχοντα, μήκη  μὲν ἀριθμῶν, ἐπίπεδα δὲ μηκῶν, στερεὰ δὲ ἐπιπέδων. ὥστε εἴπερ  πάντων ἐστὶν ἁπλούστερα τὰ ἐν τοῖς μαθήμασιν, ἔσται καὶ ἀρχικώ-  tepa πάντων. ὥστε περὶ τὰ ἀμείνονα καὶ ἀρχηγικώτερα ἔσονται  πολὺ μᾶλλον ἐπιστῆμαι, καὶ δυναταὶ κτήσασθαι ὑπάρχουσι [20]  πολὺ γὰρ πρότερον ἀναγκαῖον τῶν αἰτίων καὶ τῶν στοιχείων εἶναι  φρόνησιν ἢ τῶν ὑστέρων. οὐ γὰρ ταῦτα τῶν ἄκρων οὐδ᾽ ἐκ τούτων τὰ  πρῶτα πέφυκεν, ἀλλ᾽ ἐξ ἐκείνων καὶ δι᾽ ἐκείνων καὶ τάλλα γίγνε-  ται καὶ συνίσταται φανερῶς. ὅτι δὲ καὶ μέγιστόν ἐστι τῶν ἀγαθῶν    LA SCIENZA MATEMATICA COMUNE 593    filosofi le dimostrazioni e i rapporti, senza avere niente a che fare con  le relative operazioni, ma anche se capita loro di essere capaci di com-  piere al meglio qualche operazione manuale, quando hanno imparato  le dimostrazioni, immediatamente dopo le compiono peggio; altri  invece che si sono abituati a operare ignorando i rapporti, una volta  che siano esercitati e abbiano opinioni corrette, acquistano un’assolu-  ta superiorità d’uso. Lo stesso discorso vale anche per l’astrologia: ad  esempio, a proposito del sole e della luna e delle altre stelle, alcuni  astrologi,!98 dopo avere riflettuto sulle cause e sui rapporti, non sanno  nulla dei vantaggi che gli astri arrecano agli uomini; altri invece, che  possiedono le cosiddette scienze nautiche che dipendono dagli astri,  sono in grado di preannunziarci le tempeste e i venti e molti di tali  fenomeni. [81] Ne consegue che le pure conoscenze scientifiche  saranno assolutamente inutili rispetto alle attività pratiche; ma se  sono inferiori rispetto alle corrette attività pratiche, allora l’amore del  sapere è inferiore rispetto ai beni più grandi.   Ebbene, noi controbattiamo questo ragionamento e diciamo che  esistono scienze delle matematiche e che tali scienze sono disponibili  alla partecipazione.!99 Sempre, infatti, le cose primarie e migliori per  natura sono entrambe più note, le primarie rispetto alle secondarie e  le migliori per natura rispetto alle peggiori per natura. La scienza  delle cose determinate e ordinate, infatti, vale più della scienza dei  loro contrari, e ancora la scienza delle cause vale più di quella degli  effetti. E le cose che si trovano nelle forme immobili200 delle matema-  tiche sono determinate e ordinate. E le cose primarie sono cause più  delle secondarie, perché, tolte le prime, sono tolte anche le seconde  che ricevono l’essere dalle prime, ad esempio le lunghezze dai nume-  ri, le superfici dalle lunghezze, i solidi dalle superfici. Ne consegue  che, se è vero che gli enti matematici sono più semplici di tutti gli  altri, saranno anche più principiali di tutti gli altri. Sicché delle cose  superiori e più originarie ci saranno a maggiore ragione scienze, e  scienze che sono capaci di acquisirle: infatti la conoscenza delle cause  e degli elementi viene necessariamente molto prima di quella delle  cose ultime. Queste infatti non sono tra le cose che stanno in alto, né  le cose primarie derivano per natura da quelle che sono ultime, bensi  dalle cause prime, dalle quali manifestamente nasce ed è composto  tutto il resto. Donde risulta evidente che la conoscenza scientifica    594 GIAMBLICO    καὶ πάντων ὠφελιμώτατον τῶν ἄλλων, ἐπίστασθαι τὰ μαθήματα, ἐκ  τῶνδε δῆλον. [82] λόγος γὰρ καὶ φρόνησις ἡγεῖται τῶν ἀγαθῶν'  κανών τε καὶ ὅρος ἀκριβέστατος τῶν ἀγαθῶν οὐδεὶς ἄλλος ἐστὶ  πλὴν ὁ φρόνιμος: ὅσα γὰρ ἂν οὗτος ἕλοιτο, ταῦτ᾽ ἐστὶν ἀγαθά, κακὰ  δὲ τἀναντία τούτοις. ἐπεὶ δὲ πάντες αἱροῦνται μάλιστα «τὰ» κατὰ  τὰς οἰκείας ἕξεις (τὸ μὲν γὰρ δικαίως ζῆν ὁ δίκαιος, τὸ δὲ κατὰ τὴν  ἀνδρείαν ὁ τὴν ἀνδρείαν ἔχων, ὁ δὲ σώφρων τὸ σωφρονεῖν), ὁμοίως  δῆλον ὅτι καὶ τὸ φρονεῖν ὁ φρόνιμος αἱρήσεται πάντων μάλιστα"  τοῦτο γὰρ ἔργον ταύτης τῆς δυνάμεως. [10] ὥστε φανερὸν ὅτι κατὰ  τὴν κυριωτάτην κρίσιν κράτιστόν ἐστι τῶν ἀγαθῶν ἡ φρόνησις. καὶ  οὐ δεῖ πάντως! χρείας ἕνεκα αὐτὴν μεταδιώκειν" καὶ γὰρ αὕτη δι᾽  αὑτήν ἐστιν αἱρετή.   Καὶ περὶ μὲν ὠφελείας καὶ μεγέθους τοῦ πράγματος ἱκανῶς ἀποδε-  δεῖχθαι νομίζω, διότι δὲ πολλῷ ῥᾷάστη τῶν ἄλλων ἀγαθῶν ἡ κτῆσις  αὑτῆς, ἐκ τῶνδε πέπεισμαι. τὸ γὰρ μήτε μισθοῦ παρὰ τῶν ἀνθρώπων  γινομένου τοῖς φιλοσόφοις, δι᾽ ὃν συντόνως οὕτως ἂν διαπονήσειαν,  πολὺ τε προεμένους «εἰς τὰς ἄλλας [20] τέχνας ὅμως ἐξ ὀλίγου χρό-  νου θέοντας παρεληλυθέναι ταῖς ἀκριβείαις, σημεῖόν μοι δοκεῖ τῆς  περὶ τὴν φιλοσοφίαν εἶναι ῥᾳστώνης. ἔτι δὲ τὸ πάντας φιλοχωρεῖν  ἐπ᾽ αὐτῇ καὶ βούλεσθαι σχολάζειν ἀφεμένους τῶν ἄλλων ἁπάντων,  οὐ μικρὸν τεκμήριον ὅτι μεθ᾽ ἡδονῆς ἡ προσεδρεία γίγνεται" πονεῖν  γὰρ οὐδεὶς ἐθέλει πολὺν χρόνον. πρὸς δὲ τούτοις ἡ χρῆσις πλεῖστον  διαφέρει πάντων: οὐδὲν γὰρ δέονται πρὸς τὴν ἐργασίαν ὀργάνων  οὐδὲ τόπων, ἀλλ᾽ ὅπῃ τις ἂν θῇ τῆς οἰκουμένης τὴν [83] διάνοιαν,  ὁμοίως πανταχόθεν ὥσπερ παρούσης ἅπτεται τῆς ἀληθείας. ἀλλὰ  ταῦτα μὲν ἴσως ἀποχρώντως εἴρηται πρὸς τὸν ἐνεστῶτα καιρόν᾽ καὶ  γὰρ ὅτι δυνατὸν καὶ διότι μέγιστον τῶν ἀγαθῶν καὶ κτήσασθαι  ῥάδιον ἡ φρόνησις, ἀποδέδεικται.   Νεώτατον οὖν ὁμολογουμένως ἐστὶ τῶν ἐπιτηδευμάτων ἡ περὶ τὴν  ἀλήθειαν ἀκριβολογία. μετὰ γὰρ τὴν φθορὰν καὶ τὸν κατακλυσμὸν  τὰ περὶ τὴν τροφὴν καὶ τὸ ζῆν πρῶτον ἠναγκάζοντο φιλοσοφεῖν, [10]    21 πάντως Diiring (cf. ed. Klein Add. p. XIX): πάντας Festa.    LA SCIENZA MATEMATICA COMUNE 595    delle matematiche è anche il bene più grande e più vantaggioso fra  tutti, perché la ragione [82] e l’intelligenza sono i primi beni; e non  c'è nessun altro canone o limite dei beni più sicuro di chi è intelligen-  te: sono beni, infatti, le cose che egli predilige, mali le cose contrarie.  Ma poiché tutti desiderano le cose soprattutto secondo le loro pro-  prie nature (chi è giusto, infatti, desidera il vivere secondo giustizia, e  chi è coraggioso il vivere con coraggio, e chi è saggio l'agire con sag-  gezza), allo stesso modo è chiaro che anche chi è intelligente deside-  rerà soprattutto il capire ogni cosa, perché questo è l'aspetto operati-  vo dell'essere intelligente. Sicché è chiaro che in virtà della sua capa-  cità di giudicare al più alto livello, il bene più eccellente è l’intelligen-  za. E non bisogna affatto cercarla per la sua utilità, ma perché è desi-  derabile per se stessa.   E sull’utilità e l’importanza della filosofia credo sia stata data suf-  ficiente dimostrazione, ma per quale ragione l’acquisto della filosofia  sia di gran lunga il più facile fra gli altri beni, io me ne sono persuaso  in questo modo. Che i filosofi, infatti, non abbiano ricevuto dagli  uomini alcun compenso, per cui valesse la pena di faticare cosi inten-  samente, e che per quanto abbiano progredito nelle altre discipline,  tuttavia anche quando esercitano la filosofia da poco tempo abbiano  sorpassato gli altri in fatto di precisione, a me sembra un segno della  facilità di essere filosofi. E ancora, il fatto che tutti vivano volentieri  nella filosofia e vogliano coltivarla anche a costo di abbandonare tutte  le altre discipline, è indizio non trascurabile che tale condizione è  accompagnata da piacere: nessuno infatti ama soffrire per lungo  tempo. Si aggiunga il fatto che l’uso di essa è assolutamente diverso  da quello di tutte le altre discipline. Per lavorare filosoficamente,  infatti, non c’è affatto bisogno né di strumenti né di luoghi adatti, al  contrario in qualunque parte del mondo ci si metta a ragionare, [83]  si è ugualmente a contatto con la verità come se questa si presentasse  da ogni parte. Ma quello che si è detto fin qui è forse sufficiente per  il momento: e infatti si è dimostrato che è possibile e perché è possi-  bile che l’intelligenza sia il più grande dei beni e possa essere acqui-  stata con facilità.   Orbene, c’è accordo sul fatto che la più recente occupazione del-  l’uomo sia lo studio dell’esattezza a proposito della verità. Dopo la  distruzione e il diluvio, infatti, gli uomini erano costretti a procacciar-    596 GIAMBLICO    εὐπορώτεροι δὲ γενόμενοι τὰς πρὸς ἡδονὴν ἐξειργάσαντο 26,120  τέχνας, οἷον μουσικὴν καὶ τὰς τοιαύτας, πλεονάσαντες δὲ τῶν  ἀναγκαίων οὕτως ἐπεχείρησαν φιλοσοφεῖν. τοσοῦτον δὲ νῦν προελ-  ηλύθασιν ἐκ μικρῶν ἀφορμῶν ἐν ἐλαχίστῳ χρόνῳ ζητοῦντες οἵ τε  περὶ τὴν γεωμετρίαν καὶ τοὺς λόγους καὶ τὰς ἄλλας παιδείας, ὅσον  οὐδὲν ἕτερον γένος ἐν οὐδεμιᾷ τῶν τεχνῶν. καίτοι τὰς μὲν ἄλλας  πάντες συνεξορμῶσι τιμῶντες κοινῇ καὶ τοὺς μισθοὺς τοῖς ἔχουσι  διδόντες, τοὺς δὲ ταῦτα πραγματευομένους οὐ μόνον οὐ προτρέπο-  μεν ἀλλὰ καὶ [20] διακωλύομεν πολλάκις, ἀλλ᾽ ὅμως ἐπιδίδωσι  πλεῖστον, διότι τῇ φύσει ἐστὶ πρεσβύτατα᾽ τὸ γὰρ τῇ γενέσει ὕστε-  ρον, οὐσίᾳ καὶ τελειότητι προηγεῖται.   Καὶ ἡ τῶν μαθημάτων οὖν ἐπιστήμη κρατεῖ πρὸς ἅπαντα ταῦτα τῶν  ἄλλων ἐπιστημῶν ἐκ περιττοῦ, κάλλει καὶ ἀκριβείᾳ τῶν πάντων ἐπι-  τηδευμάτων προέχουσα᾽ [84] ἔχει δὲ καὶ τὸ κατὰ λόγον οὕτως.  πρῶτα μὲν γὰρ τὰ τῇ γενέσει ὁμοφυῆ περισπούδαστά ἐστι τοῖς  ἀνθρώποις ὥστε κτᾶσθαι κατὰ δύναμιν, ἐπὶ δὲ τούτοις τὰ ἀπολύον-  ta ἡμᾶς τῆς σωματοειδοῦς φύσεως πολὺ τῶν προτέρων ἐστὶ τιμιώτε-  ρα’ τὰ μὲν γὰρ ὡς ἀναγκαῖα προῦὔπόκειται, τὰ δὲ ὡς δι᾽ αὑτὰ αἱρετὰ  καὶ σεμνὰ πρεσβείων καὶ τιμῆς ἠξίωται. συμβάλλεται μὲν οὖν καὶ  πρὸς τὴν ὅλην ἀνθρωπίνην ζωὴν οὐκ ὀλίγας χρείας ἡμῖν τὰ μαθήμα-  τα, ὡς πρόδηλον τοῖς ἐπὶ τοῦ βίου [10] τὰ ἀπὸ τῶν μαθηματικῶν  τεχνῶν ἔργα ἐπισκοπουμένοις᾽ οὐ μὴν ἀλλὰ ταῦτα μέν ἐστι ἐλάττο-  νος σπουδῆς ἄξια, τὰ δὲ μέγιστα ἡ κάθαρσίς ἐστι τῆς ἀθανάτου  ψυχῆς, καὶ ἡ τοῦ νοῦ περιαγωγὴ πρὸς τὸ νοητόν, καὶ ἡ μετουσία τῆς  τοῦ ὄντος ἐνεργείας. ταῦτα δ᾽ ἡμῖν παρασκευάζουσα ἣ μαθηματικὴ  ἐπιστήμη τὰ πάντα ἀγαθὰ παρέχει, ὥστε πρὸς τὸ τέλος τῆς εὐδαιμο-  viag οὐκ cid’ εἴ τις ἄλλη μέθοδος οὕτω συναίρεται. διὰ δὴ τούτων  οὐ μόνον ψευδεῖς οἱ᾽ ἐναντίοι λόγοι πεφήνασιν, ἀλλὰ καὶ τὰ  μαθήματα χρησιμώτατα ὄντα ἡμῖν [20] ἀποδέδεικται.    27. Ἐπεὶ δὲ τοῦ πεπαιδευμένου ἔργον ἐστὶ τὸ δύνασθαι κρῖναι    LA SCIENZA MATEMATICA COMUNE 597    si anzitutto gli alimenti e i mezzi per vivere, e quando ebbero raggiun-  to uno stato di maggiore agiatezza si misero a coltivare le arti volut-  tuarie, come ad esempio la musica e le arti del genere, e cosî, una volta  che ebbero soddisfatto pienamente i loro bisogni,20! si diedero alla  filosofia. E ora, coloro che fanno ricerche di geometria e di calcolo e  di altre discipline,202 hanno progredito tanto in pochissimo tempo e  con pochissime spinte quanto nessun altro genere di ricercatori in  nessun'altra arte. E tuttavia, sebbene tutti incoraggino le altre arti  onorandole pubblicamente e concedendo ricompense a coloro che le  possiedono, quelli invece che praticano le matematiche noi non solo  non li esortiamo, ma anzi spesso li ostacoliamo, ma nondimeno que-  ste discipline progrediscono moltissimo, perché sono le pit antiche  per natura: ciò che è posteriore per nascita,203 infatti, è anteriore per  essenza e perfezione.   Ebbene, anche la scienza delle matematiche, supera abbondante-  mente in tutto ciò le altre scienze, in quanto precede tutte le altre  occupazioni per bellezza e precisione: [84] e c’è una ragione perché  le cose stiano cosî. Sono prime infatti le scienze che, in quanto conna-  turali per nascita, gli uomini desiderano acquistare per quanto sia loro  possibile, ad esse si aggiungono quelle che sono prime perché ci libe-  rano dalla natura corporea e che sono molto più preziose delle prece-  denti: alcune infatti fanno da presupposto necessario a quelle, altre  sono degne di essere onorate e stimate in quanto di per sé desidera-  bili e nobili.20 Le matematiche, dunque, ci sono di grande utilità per  quanto riguarda la vita umana nel suo complesso, come risulta chiaro  a chi osservi le influenze che le tecniche matematiche hanno sulla  nostra vita; e queste influenze non sono meno degne di attenzione, e  quelle di maggiore importanza sono la catarsi dell'anima immortale, e  la conversione dell'intelletto verso l’intelligibile, e la partecipazione  all'attività dell’essere.205 Procurandoci queste condizioni, la scienza  matematica ci fornisce tutti i beni, tanto che io non so se si possa tro-  vare un altro metodo che ci aiuti come questo della matematica a rag-  giungere la felicità. Perciò non solo appaiono falsi i ragionamenti con-  trari, ma si dimostra anche che le matematiche sono per noi le scien-  ze più utili.    27. Poiché è compito dell’uomo colto essere capace di giudicare    598 GIAMBLICO    εὐστόχως τί καλῶς ἢ μὴ καλῶς ἀποδίδωσιν ὁ λέγων, τοιοῦτον δή  τινα τὸν ὅλως πεπαιδευμένον οἰόμεθα εἶναι, καὶ τὸ πεπαιδεῦσθαι  τὸ δύνασθαι ποιεῖν τὸ εἰρημένον. δῆλον δὴ τοῦθ᾽ ὅτι καὶ περὶ τὰ  μαθήματα τὸν ὀρθῶς πεπαιδευμένον [85] ἀπαιτεῖν δεῖ παρὰ τοῦ  μαθηματικοῦ τὴν ὀρθότητα καὶ τὸ οἰκεῖον ἔργον, εἰ καλῶς ἢ μὴ  καλῶς ποιεῖται τὴν περὶ αὐτῶν θεωρίαν. ὥσπερ γὰρ τὸν ἁπλῶς  πεπαιδευμένον περὶ πάντων ὡς εἰπεῖν κριτικὸν νομίζομεν εἶναι ἕνα  τὸν ἀριθμὸν ὄντα, οὕτως καὶ περί τινος ἐπιστήμης ἀφωρισμένης εἴη  ἄν τις ἕτερος τὸν αὐτὸν τρόπον τῷ εἰρημένῳ διακείμενος περὶ  μόριον. ὥστε δῆλον ὅτι καὶ τῆς περὶ τὰ μαθήματα θεωρίας dei τινας  ὑπάρχειν ὅρους τοιούτους, πρὸς οὺς ἀναφέρων ἀποδέξεται ὁ [10]  πεπαιδευμένος τὸν τρόπον τῶν δεικνυμένων, χωρὶς τοῦ πῶς ἔχειν  τἀληθές, εἴτε οὕτως εἴτε ἄλλως. λέγω δὲ οἷον πότερον δεῖ λαμβά-  νοντας ἕν ἕκαστον θεώρημα τῶν μαθηματικῶν περὶ τούτου διορίζειν  καθ᾽ αὑτό, οἷον περὶ τῶνδε τῶν τριγώνων, ἢ τὰ κοινὰ θεωρήματα καὶ  τὰ πᾶσιν ὑπάρχοντα δεῖ σκοπεῖν κατά τι κοινὸν ὑποθεμένους.  πολλὰ γὰρ ὑπάρχει τὰ αὐτὰ πολλοῖς γένεσιν ἑτέροις οὖσιν  ἀλλήλων, οἷον εἴ τις καθόσον ἐστὶ τρίγωνα ποιοῖτο τὴν ἀπόδειξιν,  ἢ καθόσον ἐστὶν εὐθύγραμμα κοινῶς. εἰ γάρ τινα τὰ αὐτὰ [20]  ὑπάρχοι τοῖς εἴδει διαφέρουσιν, οὐδ᾽ ἡ ἀπόδειξις αὐτῶν οὐδεμίαν  ὀφείλει ἔχειν διαφοράν. ἕτερα δὲ ἴσως ἐστίν, οἷς συμβαίνει τὴν μὲν  κατηγορίαν ἔχειν τὴν αὐτήν, διαφέρειν δὲ τῇ κατ᾽ εἶδος διαφορᾷ᾽  οἷον τὸ ὅμοιον ἐπὶ μὲν τριγώνων ἐστὶν ἄλλο, ἐπ᾽ ἀριθμῶν δὲ ἕτερον.  καὶ δεῖ καθ᾽ ἑκάτερον ἰδίας ποιεῖσθαι ἀποδείξεις. ἐπισκεπτέον  οὖν, πότε κοινῶς κατὰ γένος καὶ πότε ἰδίως καθ᾽ ἕκαστον θεωρητέ-  ov' [86] τὸ γὰρ διωρίσθαι περὶ τού τῶν μέγα μέρος εἰς παιδείαν  μαθηματικὴν συμβάλλεται. ἔτι κατὰ τὴν ὑποκειμένην οὐσίαν δεῖ  τοὺς λόγους ἀπαιτεῖν τὸν μαθηματικόν, καὶ τὸν τρόπον τῶν ἀποδεί-  ξεων οἰκεῖον ποιεῖσθαι. ὥσπερ οὖν τοῦ ῥητορικοῦ πιθανολογοῦντος  ἀνεχόμεθα, οὕτω τὸν μαθηματικὸν ἀποδείξεις δεῖ ἀπαιτεῖν ἀναγ-  καίας. οὐ πανταχοῦ δὲ τὰς αὐτὰς ἀνάγκας δεῖ ζητεῖν οὐδ᾽ ὁμοίως  τὴν αὐτὴν ἀκρίβειαν ἐν ἅπασιν, ἀλλ᾽ ὥσπερ τὰ κατὰ τὰς τέχνας ταῖς    LA SCIENZA MATEMATICA COMUNE 599    in modo competente2% se uno che parli di qualcosa esprima cose cor-  rette o no, noi riteniamo che sia tale uno che abbia una cultura com-  pleta, e che essere colto significhi appunto essere in grado di mettere  in pratica quello che si è detto. È chiaro allora che anche a proposito  delle matematiche chi è veramente colto deve esigere [85] dal mate-  matico correttezza ed è suo compito vedere se egli costruisca in  maniera giusta o no la sua teoria matematica. Infatti, come noi ritenia-  mo che chi è assolutamente istruito è, per cosi dire, capace di emette-  re giudizi su tutto in quanto è giudice numericamente unico,207 cosî  anche se qualcun altro è istruito in una qualche scienza determinata,  si troverà nella stessa condizione di quello ma solo per una parte.208  Sicché è chiaro che anche della teoria matematica devono esistere  delle definizioni tali che possa richiamarsi ad esse chi è istruito alla  maniera suindicata, a prescindere se la verità di quelle definizioni si  concreti in questo o in quell’altro modo.?0° Intendo dire, a prescinde-  re, ad esempio, se coloro che assumono un singolo teorema matema-  tico debbano definirlo per se stesso, ad esempio questi determinati  triangoli, oppure debbano esaminare tutti i teoremi validi per tutti i  casi,210 supponendo che quel particolare caso valga come caso gene-  rale. Esistono, infatti, molte cose identiche in molti generi diversi tra  loro, come ad esempio se si indicasse in generale in che cosa consista-  no i triangoli, o la linea retta.2!! Se infatti ci fossero delle cose identi-  che in cose di specie diversa, neppure la loro dimostrazione potrebbe  avere alcuna differenza. Parimenti sono cose differenti quelle cui  capita di avere la stessa denominazione, e differire per diversa specie:  una ad esempio è la somiglianza nei triangoli, un’altra quella nei  numeri. E occorre fare dimostrazioni appropriate a ciascuna delle due  specie. Occorre dunque osservare che talora l’esame dev'essere fatto  in modo comune secondo il genere, e tal altra in modo particolare  secondo la particolarità di ciascuna cosa: l’avere fatto queste determi-  nazioni, infatti, contribuisce [86] largamente all'istruzione matemati-  ca. Inoltre, bisogna esigere dal matematico ragionamenti appropriati  alla realtà di cui tratta,212 e cioè che il metodo sia quello proprio delle  dimostrazioni. Come dunque noi tolleriamo che un retore dica solo  cose credibili, cosi dal matematico bisogna pretendere dimostrazioni  necessarie. E non bisogna cercare in ogni caso lo stesso tipo di neces-  sità, né parimenti la stessa esattezza in tutto, al contrario, come nelle    600 GIAMBLICO    ὑποκειμέναις ὕλαις διαιροῦμεν, οὐχ ὁμοίως [10] ἐν χρυσῷ καὶ κατ-  τιτέρῳ καὶ χαλκῷ ζητοῦντες τὸ ἀκριβές, οὐδὲ ἐν φελλῷ καὶ πύξῳ  καὶ λωτῷ, τὸν αὐτὸν τρόπον καὶ ἐν ταῖς θεωρητικαῖς. εὐθὺς γὰρ  ποιήσει τὰ ὑποκείμενα διαφοράς, ὅταν «τὰ μὲν» ἁπλούστερα ἢ τὰ δὲ  ἐν συνθέσει μᾶλλον, καὶ τὰ μὲν ὅλως ἀκίνητα τὰ δὲ κινούμενα, οἷον  τὰ ἐν ἀριθμοῖς καὶ ἐν ἁρμονίᾳ ἢ τὰ ἐν γεωμετρίᾳ καὶ ἀστρονομίᾳ,  καὶ τῶν μὲν ὁ νοῦς ἡ ἀρχὴ τῶν δὲ ἡ διάνοια, ἐνίων δὲ καὶ ἀπὸ τῆς  αἰσθήσεως μικραί τινες ἂν ὦσιν ἀφορμαί, καθάπερ τῶν οὐρανίων.  οὐ γὰρ οἷόν τε τὰς αὐτὰς [20] οὐδὲ τὰς ὁμοίας αἰτίας περὶ τῶν  τοιούτων φέρειν, ἀλλ᾽ ὅσον αἱ ἀρχαὶ διαφέρουσι, τοσοῦτον καὶ τὰς  ἀποδείξεις διαφέρειν: ἐν ἑκάσταις γὰρ συγγενὴς ὁ τρόπος. ἔτι δ᾽ ἐν  μείζονι διαστάσει τούτων, ὅτι ἐπιζητοῦσιν οἱ μὲν ἔχοντες οἱ δὲ οὐκ  ἔχοντες ἀρχάς; ὥστε οὐδ᾽ ἐνταῦθα ὁμοίας αἰτίας οὐδ᾽ ὁμοίους τοὺς  λόγους ἀποδεικτέον. ἀνάγκη δὲ πρὸς ταῦτα γνωρίζειν τί ταὐτὸ [87]  καὶ ἕτερον ἔχουσι καὶ τί κατ᾽ ἀναλογίαν ταὐτόν, καὶ αἱ ποῖαι πλε-  ιόνων δέονται καὶ κατὰ ποίας πλείω τὰ ἀπορούμενα᾽ σχεδὸν γὰρ  τούτοις καὶ τοῖς τοιούτοις αἱ παραλλαγαὶ τῶν περὶ ἕκαστον ἀποδεί-  ἕξεων καὶ λόγων εἰσίν. οὐ μόνον δὲ πρὸς τὸ κρίνειν, ἀλλὰ καὶ πρὸς  τὸ ζητεῖν ὡς δεῖ, συμβάλοιτ᾽ dv ἣ τοιαύτη θεωρία᾽ διορισμὸν γὰρ  ἔχουσα τῆς καθ᾽ ἕκαστον αἰτίας, οἰκείους ποιήσει λόγους, ὅπερ οὐ  ῥάδιον μὴ συνεθισθέντα δρᾶν. ἡ γὰρ φύσις αὐτὴ καθ᾽ ἑαυτὴν ἐπὶ  [10] μὲν τὰς ἀρχὰς ὑφηγήσασθαι δύναται, κρῖναι δὲ ἕκαστα μὴ προ-  σλαβοῦσα σύνεσιν ἑτέραν οὐκ αὐτάρκης. ἔτι διακριτέον εἰ πλείους  αἰτίαι εἰσὶ περὶ ὧν δεῖ τὸν μαθηματικὸν λέγειν, ποία τε τούτων  πρώτη καὶ δευτέρα πέφυκεν. ἐξεταστικὸς γὰρ καὶ τῶν ἀποδιδο-  μένων αἰτίων ὁ πεπαιδευμένος μαθηματικῶς, καὶ τῆς τάξεως αὐτῶν  θεωρητικός.   Οὐ δεῖ δὲ λανθάνειν κἀκεῖνο, ὅτι πολλοὶ τῶν νεωτέρων  Πυθαγορικῶν μόνα τὰ κατὰ τὰ αὐτὰ καὶ ὡσαύτως ἔχοντα τὰ  ὑποκείμενα τοῖς μαθήμασιν [20] ὑπελάμβανον, καὶ μόνας ταύτας  ἀρχὰς ὑπετίθεντο᾽ καὶ τὰς ἐπιστήμας οὖν κατὰ τὸν αὐτὸν τρόπον    LA SCIENZA MATEMATICA COMUNE 601    arti discriminiamo gli oggetti a seconda delle materie di cui sono fatti,  cercando la precisione non alla stessa maniera nell’oro o nello stagno  o nel bronzo, e neppure nel sughero o nel bosso e nel loto, cosi dob-  biamo comportarci anche nelle questioni teoretiche. Infatti il mate-  matico farà subito differenza tra i soggetti del suo studio, nel caso che  alcuni siano più semplici e altri più compositi, e alcuni assolutamente  immobili e altri in movimento, come ad esempio gli oggetti dell’arit-  metica e quelli dell’armonica,21) o quelli della geometria e quelli del-  l’astronomia,2!4 e quelli che hanno come principio l’intelletto e quelli  che hanno come principio la ragione,215 e alcuni di quelli di cui pic-  coli spunti arrivano anche dai sensi, come i fenomeni celesti. Non è  possibile infatti addurre a proposito di tali soggetti le stesse cause né  cause simili, bensi quanto differiscono i principi, tanto differiscono  anche le dimostrazioni: in ciascuna dimostrazione infatti il modo di  procedere è connaturale al relativo soggetto. E inoltre la differenza sta  anche nella maggiore estensione di queste dimostrazioni, perché alcu-  ne ricercano possedendo i principi, altre n0,2!6 sicché qui non si devo-  no indicare come simili né le cause né i ragionamenti. È necessario  conoscere per tutti questi soggetti di ricerca quale identità [87] e  quale diversità e quale identità per analogia abbiano, e quali dimo-  strazioni abbiano un solo oggetto in questione,21 e quali ne abbiano  più d’uno: sono più o meno queste e di questa natura, infatti, i muta-  menti tra le singole dimostrazioni e i singoli ragionamenti. Non solo  per giudicare, ma anche per ricercare come si deve, sarà di grande  giovamento una tale teoria: una volta definita la singola questione,  infatti, farà calcoli ad essa appropriati, operazione non facile per chi  non è abituato a farli. La nostra natura, infatti, è per se stessa capace  di condurci ai principi, e di farci distinguere ciascuna cosa senza che  acquisisca conoscenza dall'esterno, come se non fosse autosufficiente.  Inoltre bisogna discernere se le cause di cui deve parlare il matemati-  co siano molteplici, e quale di esse sia per sua natura primaria o  secondaria. Chi ha infatti una istruzione matematica è capace di inda-  gare anche le questioni date, e di teorizzare la loro gerarchia.   Deve essere chiaro anche questo, cioè che molti dei Pitagorici a  noi più vicini pensavano che soltanto le cose identiche e immutabili  sono i soggetti di cui si occupa la matematica, e ritenevano che solo  queste cose sono principi; e definivano quindi le relative scienze e le    602 GIAMBLICO    περὶ τῶν τοιούτων ἀφωρίζοντο καὶ τὰς ἀποδείξεις, ἐπεὶ δὲ ἡμεῖς ἕν  τε τοῖς προάγουσι νυνὶ λόγοις καὶ ἐν τοῖς ὕστερον ῥηθησομένοις  ἀποδείξομεν, ὅτι πολλαὶ οὐσίαι καὶ ἕτεραι ἀκίνητοι καὶ κατὰ τὰ  αὐτὰ ἔχουσαι, οὐ μόναι αἱ τῶν μαθημάτων, καὶ ὅτι πρεσβύτεραι καὶ  τιμιώτεραι αὐτῶν εἰσιν ἐκεῖναι, ἀποδείξομεν δὲ καὶ ὅτι οὐ μόνον  ἀρχαί εἰσιν αὗται αἱ μαθηματικαί, ἀλλὰ καὶ ἄλλαι, καὶ αἵ γε πρε-  σβύτεραι καὶ δυνατώτεραι αὐτῶν εἰσιν ἐκεῖναι, καὶ [88] ὅτι οὐ  πάντων τῶν ὄντων εἰσὶν ἀρχαὶ αἱ μαθηματικαὶ ἀλλὰ τινῶν᾽ διὰ δὴ  ταῦτα διορισμὸν ἀπαιτεῖ νυνὶ ἡ μαθηματικὴ ἀπόδειξις, τῶν ποίων  τινῶν κατὰ τὰ αὐτὰ καὶ ὡσαύτως ἐχόντων ἐστὶν ἀποδεικτική, καὶ ἐκ  ποίων τινῶν ἀρχῶν συλλογίζεται, καὶ περὶ ποίων τινῶν προ-  βλημάτων ποιεῖται τὰς ἀποδείξεις. ἣ γὰρ περὶ τούτων ἐπικρίνουσα  παιδεία τήν τε ὀρθότητα καὶ τὸ τέλος ἀφορίζεται τῆς μαθηματικῆς,  mv τε ἐπίκρισιν αὐτῆς ποιεῖται δεόντως, καὶ τὸν τρόπον πῶς δεῖ  [10] ποιεῖσθαι τὰς ζητήσεις καλῶς περιλαμβάνει. ὥστε καὶ περὶ  τούτων ἡμῖν ταυτὶ διωρίσθω.    28. ᾿Επεὶ δὲ πολλάκις οὐκ ἔστι φανερὸν εἴτε μαθηματική ἐστιν  εἴτε κατ᾽ ἄλλην ἐπιστήμην ἣ προκειμένη ζήτησις, ὅ τε τρόπος τῶν  ἀποδείξεων ἀμφισβητεῖται ποῖός ἐστι μαθηματικός, δεῖ  διευκρινῆσαι καὶ περὶ τούτων τὰ ποῖα προβλήματα καὶ τὰ πῶς ἀπο-  δεικνύμενα μαθηματικὴν ἐμφαίνει μέθοδον. καθόλου μὲν οὖν δεῖ  προειδέναι ὡς παράκεινται τῇ μαθηματικῇ θεωρίᾳ ἥ τε θεολογικὴ  ἐπιστήμη καὶ ἡ φυσική, ὥστε [20] καὶ αἱ ἀποδείξεις καὶ τὰ προ-  βλήματα ἐπικοινωνεῖ τούτων τῶν ἐπιστημῶν πρὸς ἀλλήλας. ἔχει μὲν  οὖν καὶ τἀληθὲς οὕτως ἡ τῆς γνώσεως συγγένεια περὶ τὰς διαφόρους  γνωριστικὰς δυνάμεις συνάπτουσά τινα μίαν οἰκειότητα, ἔχει δὲ  καὶ τὰ πράγματα σὐνεγγύς πως ὄντα τὴν συνέχειαν τὴν κοινὴν τῶν  ἐπιστημῶν πρὸς ἀλλήλας. οὐ μὴν ἀλλὰ οἵ γε Πυθαγόρειοι ἔτι  μᾶλλον τὴν κοινωνίαν ταύτην συνάπτουσιν ἀδιαίρετον, πολλὰ μὲν  περὶ τῶν νοητῶν εἰδῶν διὰ τῶν μαθημάτων παραδιδόντες, πολλὰ δὲ  περὶ τῆς φύσεως, πολλὰ δὲ [30] καὶ περὶ τῶν ἠθῶν μαθηματικῶς ἀνα-  διδάσκοντες. δεῖ δ᾽ ὅμως διακρίνειν τὰ τρία γένη τῶν λόγων τούτων  καὶ [89] τὸ μαθηματικὸν διορίζειν κατ᾽ ἰδίαν, ὥστε πρὸς μηδὲν    LA SCIENZA MATEMATICA COMUNE 603    loro dimostrazioni con lo stesso criterio. Poiché nei discorsi che fare-  mo ora in via preliminare e in quelli che faremo dopo, noi dimostre-  remo che ci sono molte e diverse essenze immobili e identiche a se  stesse, non soltanto quelle matematiche, e che sono pit nobili e più  potenti di quelle matematiche, e dimostreremo anche che i principi  non sono soltanto questi matematici, ma che ce ne sono anche altri, e  che questi sono certamente più nobili e più potenti di quelli matema-  tici, e [88] che non di tutti gli enti sono principi quelli matematici, ma  solo di alcuni, per tutto ciò la dimostrazione matematica richiede ora  appunto che si definisca quali siano le cose identiche e immutabili che  essa dimostra, e a partire da quali principi essa costruisca i suoi ragio-  namenti, e di quali problemi essa dia soluzioni dimostrative. Il pro-  cesso di formazione che fa giudicare queste cose, infatti, determina sia  la correttezza che il fine ultimo della matematica, e fa giudicare come  si deve, e fa comprendere bene il metodo secondo cui si devono con-  durre le ricerche. Ecco ciò che dobbiamo stabilire su questo argo-  mento.    28. Poiché spesso non è chiaro se la ricerca in atto sia di natura  matematica o di altra natura scientifica, e il punto in discussione è di  che natura sia il modo di procedere proprio delle dimostrazioni mate-  matiche, occorre allora esaminare attentamente anche a proposito di  queste ultime di che natura siano i loro problemi e come i risultati  delle dimostrazioni facciano vedere che il metodo sia quello matema-  tico. Orbene, in generale bisogna sapere anzitutto che sono vicine alla  teoria matematica sia la scienza teologica che quella fisica, sicché  anche le dimostrazioni e i problemi di tali scienze hanno tra loro qual-  che cosa in comune. La verità dunque è questa: da una lato l’affinità  della conoscenza nelle diverse potenze conoscitive le unisce in un  unico rapporto di parentela, e dall’altro lato anche gli oggetti di cono-  scenza, che sono in qualche modo vicini, stanno in quella continuità  che accomuna le scienze tra loro. Nondimeno i Pitagorici rendono  ancora più indivisibile questa comunanza, perché attraverso le mate-  matiche danno molti insegnamenti sulle forme intelligibili e sulla  natura, e con il metodo matematico fanno comprendere meglio anche  molte questioni di etica. Bisogna tuttavia tenere distinti questi tre  generi di concetti218 e [89] determinare a parte quello matematico, in    604 GIAMBLICO    αὐτῶν συγκεχύσθαι. ἔστωσαν μὲν οὖν ἀκίνητοι καθ᾽ ἑαυτοὺς καὶ  ἀνέλεγκτοι οἱ μαθηματικοὶ λόγοι τοῖς καθ᾽ αὑτὰ εἴδεσι καὶ γένεσι  μαθηματικοῖς συνηρμοσμένοι, οὐ κατὰ ἀφαίρεσιν ἀπὸ τῶν  αἰσθητῶν ταῦτα περιλαμβάνοντες, ἀλλ᾽ ὡρισμένως αὐτοῖς ἐπιβάλ-  λοντες, ἅτε δὴ καθ᾽ ἑαυτὰ ὑφεστηκόσιν, οὔτε κινήσεως ἐφαπτομέ-  νοις, οὔτε τῶν νοητῶν καὶ ἀμερίστων εἰδῶν ἢ τῶν νοήσεων εἰς tav-  τότητα συνιοῦσι, κατὰ δὲ τὰ [10] νοητὰ διεξιοῦσι καὶ τὰς διανοή-  σεις τὰς περὶ αὐτὰ συνισταμένας μέσον τέ τινα τρόπον τοῦτον μετα-  χειριζομένοις γνώσεως. ἡ γὰρ τοιαύτη μέθοδος τῶν λόγων καὶ τῶν  ἀποδείξεων μαθηματική τέ ἐστι καὶ πολὺ κεχωρισμένη τῶν παρὰ  τοῖς ἄλλοις ἐπιστήμοσι λόγων.    29. Ἕπεται δὲ τοῖς τοιούτοις προβλήμασι κἀκεῖνο συνεπισκέ-  ψασθαι, πῶς χρῆται διαιρέσει καὶ ὁρισμῷ καὶ συλλογισμοῖς ἡ  μαθηματικὴ ἐπιστήμη, εἴπερ δεχομένη παρὰ διαλεκτικῆς τὴν μά-  θησιν αὐτῶν, ἢ καὶ [20] αὐτὴ ἀφ᾽ ἑαυτῆς ἐνεργοῦσα περὶ ταῦτα. εἰ  μὲν δὴ παραλαμβάνει ταῦτα ἀπὸ τῆς περὶ τὸν λόγον θεωρίας,  πολλῶν ἔσται ἐπιδεὴς καὶ τῆς οἰκείας γνώσεως τὰς ἀρχὰς ἑτέρωθεν  μεταλαμβάνει: εἰ δὲ τὸ τοιοῦτον ἄλλῃ τινὶ μᾶλλον ἢ τῇ μαθηματικῇ  ἀκριβείᾳ προσήκει, δεῖ νοεῖν τὰ τρία ταῦτα, οἷον διαίρεσιν,  ὁρισμόν, συλλογισμόν, ἄλλα μὲν ὄντα ἐν διαλεκτικῆ, ἄλλα δὲ ἐν τῇ  μαθηματικῇ, κατὰ τὸ οἰκεῖον δὲ γένος ἑκατέρων διωρισμένα ἐφ᾽  ἑκατέρων. τὰ μὲν οὖν τῆς διαλεκτικῆς μείζονά τέ ἐστι θεωρήματα  καὶ οὐ πρόκειται νυνὶ [90] διεξιέναι, τὰ δὲ τῆς μαθηματικῆς οἰκεῖα  αὐτῇ μόνῃ διαφέρει τῇ μαθηματικῇ. ἀφ᾽ ἑαυτῆς οὖν εὑρίσκει τε  αὐτὰ καὶ τελειοῖ καὶ ἐξεργάζεται, τά τε οἰκεῖα αὑτῇ καλῶς οἷδε  δοκιμάζειν, καὶ οὐ δεῖται ἄλλης ἐπιστήμης πρὸς τὴν οἰκείαν  θεωρίαν. οὐ γὰρ τὸ ἁπλῶς καθάπερ ἡ διαλεκτική, ἀλλὰ τὰ ὑφ᾽  ἑαυτὴν διαγινώσκει, οἰκείως τε αὐτὰ θεωρεῖ καθόσον αὑτῇ  ὑπόκειται, καὶ περὶ αὐτῶν ποιεῖται τοὺς ἀκριβεῖς διορισμούς, κρι-  τήριά τε οἷς δεῖ δοκιμάζεσθαι αὐτὰ ἔχει παρ᾽ αὑτῇ, καὶ [10] τρό-  πους τῶν ἀποδείξεων πλείονας ποιεῖται, καὶ τούτων διαιρεῖ τούς τε  βελτίονας καὶ ἀληθινούς, ὅσοι τέ εἰσιν ἀμφίβολοι καὶ δεόμενοι  πλείονος ἐπιστάσεως. ἤδη δὲ καὶ διττὴν ποιεῖται πραγματείαν τὴν  μὲν πρὸς εὕρεσιν συντείνουσαν, τὴν δὲ πρὸς κρίσιν. κριτικὴ δέ ἐστι    22 οἰκείαν ho corretto io: οἰκεῖαν Festa.    LA SCIENZA MATEMATICA COMUNE 605    modo che quest’ultimo non si confonda con nessuno di quelli. I con-  cetti matematici, dunque, che sono immobili in se stessi e inconfuta-  bili, devono essere accordati alle specie e ai generi matematici presi  per se stessi, e non bisogna afferrarli per astrazione dai sensibili, bensî  pensare in modo determinato ad essi come a cose che sussistono in se  stesse, e non sono affette da movimento, né si identificano con le  forme intelligibili e indivisibili o con gli atti intellettivi, ma che in fun-  zione degli intelligibili si sviluppano anche attraverso i ragionamenti  che si fanno intorno a questi, e che esercitano in qualche modo que-  sto tipo medio di conoscenza. Tale metodo concettuale e dimostrati-  vo, infatti, è quello matematico ed è notevolmente separato dai ragio-  namenti degli altri uomini di scienza.    29. A tali problemi si accompagna contestualmente anche l'esame  di come la scienza matematica si serva della divisione e della defini-  zione e dei ragionamenti sillogistici, se è vero che apprende dalla dia-  lettica questi metodi, o in questo campo operi anche da sola. Certo se  li assume dalla teoria della logica, essa manca di molte cose e mutua  dall'esterno i principi della sua propria capacità conoscitiva; se inve-  ce tutto questo appartiene a qualche altra disciplina più che alla mate-  matica, allora bisogna pensare che questi tre metodi, cioè la divisione,  la definizione e il ragionamento sillogistico, sono una cosa nella dia-  lettica, altra cosa nella matematica, in quanto nell’un caso e nell’altro  sono determinati secondo il proprio genere. Ebbene, i teoremi della  dialettica sono superiori e in questa sede non è il caso [90] di espor-  li, mentre quelli della matematica in quanto suoi propri interessano  solo la matematica. Questa dunque li scopre e li perfeziona e li prati-  ca da se stessa, e ciò che le appartiene in proprio è ben capace di spe-  rimentarlo, e non ha bisogno di altra scienza per costruire la sua pro-  pria teoria. Essa non conosce ciò che è in sé e per sé come fa la dia-  lettica, bensi le realtà che cadono sotto il suo proprio dominio, e le  considera come cosa propria in quanto suoi propri soggetti, e di que-  sti dà le esatte definizioni, e possiede in se stessa i criteri con cui biso-  gna esaminarli, e si crea parecchi metodi di dimostrazione, e tra que-  sti distingue quelli che sono migliori e veritieri, e quelli che sono  ambigui e hanno quindi bisogno di maggiore attenzione. E ne fa subi-  to una duplice applicazione: l’una tendente alla scoperta, l’altra al giu-    606 GIAMBLICO    καὶ εὑρετικὴ κατὰ τὸν ἴδιον τῆς οἰκείας τέχνης λόγον, οὐ κατὰ τὸν  ἁπλῶς θεωρητικὸν νοῦν. δύναται οὖν διακρίνειν κατὰ τοῦτον πῶς  μὲν δεῖ διαιρεῖν τὰ ἐν μαθηματικῇ εἴδη, τίνες δέ εἰσιν αἱ  διαιροῦσαι αὐτὰ οἰκείως διαφοραί, τίνες δέ εἰσιν οἱ ὅροι οἱ ἐν τῇ  [20] μαθηματικῇ, καὶ πῶς δεῖ συνάγειν αὐτοὺς ἀπὸ τῶν μαθημα-  τικῶν διαιρέσεων, πῶς δὲ γίγνεται μαθηματικὸς συλλογισμός, καὶ  κατὰ πόσους διορισμοὺς τὸ ἀκριβὲς λαμβάνει, καὶ πότε δυνατός  ἐστι καὶ πότε ἀδύνατος, καὶ ποσαχῶς ἔχει τὸ ἀναγκαῖον. ἡ γὰρ ἐν  τούτοις πᾶσιν οἰκεία αὐτῆς εὕρεσις καὶ χρῆσις καὶ κρίσις οὐδε-  μιᾶς ἐπεισάκτου δεῖται παρασκευῆς, ὡς ἔνιοι νομίζουσιν.    30. Ὅτι δὲ καὶ πρὸς πᾶσαν φιλοσοφίαν καὶ τὰ ὅλα μέρη αὐτῆς  πολλὰς καὶ μεγάλας χρείας ἡ [91] μαθηματικὴ συμβάλλεται,  ὑπουργοῦσα τῇ θέᾳ τῶν ὄντων καὶ κατ᾽ ἴχνος αὐτῇ συνεπομένη,  ῥάδιον ἐν30,5 τεῦθεν καταμαθεῖν. οὐκ ἔστιν ἡ τῶν Πυθαγορείων  μαθηματικὴ τοιαύτη, ὁποίαν οἱ πολλοὶ ἐπιτηδεύουσιν. ἐκείνη μέν  γε τεχνικὴ τὸ πλέον ἐστὶ καὶ σκοπὸν οὐκ ἔχουσα ἕνα οὐδὲ τοῦ  καλοῦ καὶ ἀγαθοῦ στοχαζομένη, ἡ δὲ τῶν Πυθαγορείων θεωρητική  τέ ἐστι διαφερόντως, καὶ πρὸς τέλος ἕν ἀναφέρει τὰ ἑαυτῆς  θεωρήματα, τῷ καλῷ τε καὶ ἀγαθῷ προσοικειοῖ πάντας τοὺς [10] oi-  κείους λόγους, καὶ πρὸς τὸ ὃν αὐτοῖς ἀναγωγοῖς χρῆται. ἀπὸ δὴ τῆς  τοιαύτης ἀφορμῆς ὁρμωμένη διαστέλλει παρ᾽ ἑαυτῇ καλῶς, τίνες  μὲν θεωρίαι τῶν παρ᾽ ἑαυτὴν πρὸς θεολογίαν εἰσὶν ἁρμόζουσαι, τά-  ξεώς τε καὶ μέτρων θείων δυνάμεναι μετέχειν, καὶ ταύτας ἀπονέμει  τῷ τοιούτῳ μέρει τῆς φιλοσοφίας, τίνες δὲ τῇ τοῦ ὄντος θήρᾳ προ-  σήκουσι πρός τε οἰκείωσιν καὶ συμμετρίαν καὶ περιαγωγήν, καὶ δὴ  καὶ τῷ τοιούτῳ μέρει ἀποδίδωσι τὰ τοιαῦτα θεωρήματα. οὐ διαλαν-  θάνει δὲ αὐτὴν οὐδ᾽ εἴ τινες πρὸς τὴν τοῦ λόγου [20] ἀκρίβειαν ἐπι-  στημονικῶς συναίρονται, εἴς τε τὸ συλλογίζεσθαι καὶ ἀποδεικνύ-  ναι καὶ ὁρίζεσθαι καλῶς ὁδηγοῦσαι, τά τε ψευδῆ διελέγχουσαι καὶ  τὰ ἀληθῆ ἀπὸ τῶν ψευδῶν διακρίνουσαι. οὐ μὴν ἀγνοεῖ οὐδὲ τῆς  περὶ φύσιν ἱστορίας τὴν ἐπιβάλλουσαν ἁρμονίαν, πῶς τε συνίσταται  καὶ πῶς ἐστι χρήσιμος πῶς τε τὰ ἐλλείποντα τῇ φύσει ἀναπληροῖ,  καὶ πῶς τὴν ἐπίκρισιν αὐτῶν ποιεῖται. ἔτι τοίνυν πρὸς πολιτείας    LA SCIENZA MATEMATICA COMUNE 607    dizio. Essa è capace sia di giudizio che di scoperta secondo il criterio  particolare della sua propria tecnica, e non secondo l’intelligenza teo-  retica pura e semplice. La matematica è dunque capace di giudicare,  sulla base di questo criterio, quale divisione si debba fare tra le specie  della matematica, e sulla base di quali differenze esse siano propria-  mente divise, e quali siano le definizioni della matematica, e come  bisogna raggrupparle partendo dalle divisioni matematiche, e come  nasca il sillogismo matematico, e quante siano esattamente le sue  determinazioni,2!9 e quando esso sia possibile e quando impossibile, e  quanti siano i modi della sua necessarietà.220 In tutto ciò la capacità di  scoperta propria della matematica e il suo impiego e la sua capacità di  giudizio non hanno bisogno di alcuna preparazione che sia introdot-  ta dall'esterno, come alcuni credono.    30. Che la matematica arrechi numerose e grandi utilità anche alla  filosofia nel suo complesso e a tutte le sue parti, [91] in quanto ne  favorisce la contemplazione degli enti seguendone le orme, è facile  capirlo da questo. La matematica dei Pitagorici non è la matematica  che si pratica comunemente. Quest'ultima infatti è piuttosto tecnica e  non ha uno scopo unitario, né tende al Bello e al Bene, mentre quel-  la dei Pitagorici è squisitamente teoretica,22! e riconduce ad un unico  fine ultimo i suoi propri teoremi, e fa in modo che tutti i suoi ragio-  namenti si uniscano strettamente al Bello e al Bene, e si serve di ragio-  namenti che sono capaci di elevare all’Essere. Spinta da un tale impul-  so, essa si scinde opportunamente in se stessa: alcune sue teorie??? si  adattano alla teologia, e possono partecipare dell’ordine e delle misu-  re degli dèi, e sono queste che essa assegna a tale parte della filoso-  fia,22> altre invece appartengono alla ricerca dell'essere per appro-  priarsene, commisurarsi con esso e convertirsi ad esso, ed è appunto  a questa parte della filosofia224 che la matematica assegna questo  secondo gruppo di teoremi. Alla matematica non sfugge neppure se  alcune sue teorie aiutino scientificamente a dare precisione al discor-  so, insegnando a sillogizzare e a dimostrare e a definire correttamen-  te, e confutando le falsità e discriminando il vero dal falso. Essa non  ignora neppure la giusta armonia dell’indagine fisica, e come essa si  costituisca e quale sia la sua utilità e come riempia i vuoti della natu-  ra, e come ne faccia la verifica. Discende, inoltre, alla vita politica e    608 GIAMBLICO    κάτεισι καὶ ἠθῶν κατασκευὴν βίου te ὀρθότητα καὶ οἴκου καὶ  πόλεων τοὺς οἰκείους ὅρους τῶν μαθημάτων [92] ἀνευρίσκει, καὶ  χρῆται αὐτοῖς δεόντως ἕνεκα τοῦ βελτίστου καὶ πρὸς ἐπανόρθωσιν  καὶ παιδείαν τὴν ἀρίστην, εὐμετρίαν τε τὴν ἐπιβάλλουσαν, καὶ  φυλακὴν μὲν τῶν αἰσχρῶν, τῶν δὲ καλῶν κτῆσιν, κοινῶς τε οὑτωσὶ  κατὰ πάντα τὰ μαθήματα καὶ καθ᾽ ἕκαστον αὐτῶν οἰκείως συναι-  ρουμένη. καὶ μὴν πρός γε τὰ κατὰ φύσιν ἀγαθὰ καὶ πρὸς τὰ τῶν  τεχνῶν πλεονεκτήματα τὰ μὲν εὑροῦσα, τὰ δὲ ὡς πάρεργα καταδεί-  ξασα ἐν προσθήκης τε μέρει συγκατασκευάσασα, ἔργα te [10] ἀφ᾽  ἑαυτῆς παρασχομένη καὶ μόρια ἐνίοις ἐνδοῦσα, ἐτελεώσατο τὴν  ἀνθρωπίνην ζωήν, ὥστ᾽ εἶναι αὐτάρκη ἑαυτῇ καὶ μηδενὸς ἐπιδεῖν  ὧν βίος δεῖται. ὥστ᾽ εἰκότως ἂν τὴν ὑπὸ τῶν Πυθαγορείων ἐπιτηδε-  vopévnv μαθηματικὴν συναρμόζοιμεν ἂν φιλοσοφίᾳ, ὡς οἰκείαν καὶ  πρόσφορον αὐτῇ ὑπάρχουσαν.    31. Τοιαύτην δὲ αὐτὴν ὑπάρχουσαν κατὰ πολλὰς ὁδοὺς  εὑρίσκομεν χρωμένην τῇ περὶ τὰ πράγματα ἐπιστήμῃ. καὶ γὰρ τοῖς  αὐτοῖς μαθήμασι πολλάκις ἐπὶ πολλὰ πράγματα χρῆται, ἤτοι φυσι-  κὰ ἢ [20] θεολογικά, ἢ ἐπὶ τὴν γένεσιν ἢ ἐπὶ τὰ στοιχεῖα ἢ ὅσα  γενεσιουργίας ἔχεται ἢ ἐπὶ τὰ σύνθετα ἢ ἐπὶ τὰ ἁπλᾶ, οἷον τοῖς  ἀριθμοῖς πρὸς πάντα ταῦτα χρῆται καὶ ταῖς ἁρμονίαις καὶ τοῖς  σχήμασι καὶ τοῖς ἄλλοις τοῖς τοιούτοις" ἐνίοτε δὲ πλείονα ἅμα τοῦ  αὐτοῦ δηλωτικὰ συμπαραλαμβάνει, οἷον τῆς ψυχῆς ἀριθμούς,  ἁρμονίας, σχήματα, ἄλλ᾽ ἄττα μαθηματικά. αἵτιον δὲ τοῦ μὲν προτέ-  ρου τὸ πολυειδεῖς εἶναι τὰς φύσεις ἑκάστου τῶν μαθημάτων καὶ  ἑκάστης μαθηματικῆς [93] οὐσίας (διὰ γὰρ τοῦτο τοῖς αὐτοῖς ἐπὶ  πολλὰ χρώμεθα, οἷον τοῖς ἀριθμοῖς ἐπὶ τὰ θεολογικὰ καὶ τὰ φυσι-  κά), τοῦ δὲ δευτέρου αἴτιόν ἐστι τὸ συγκεκρᾶσθαί τινα τῶν ὄντων  ἀπὸ πολλῶν οὐσιῶν καὶ τὸ μέσα εἶναι πλειόνων ἄκρων. διὰ γὰρ  τοῦτο ἡ ψυχὴ καὶ αἱ μέσαι φύσεις πᾶσαι πλείοσι μαθήμασιν ἀναδι-  δάσκονται, ὡς πρὸς πλείονας μαθηματικὰς οὐσίας ἐφαρμόζειν  δυνάμεναι καὶ ἀπὸ πλειόνων παραλαμβάνουσαι τὴν βεβαίωσιν τοῦ  εἶναι. ταῦτα μὲν οὖν τοιοῦτόν τινα ἂν ἔχοι [10] λόγον.    LA SCIENZA MATEMATICA COMUNE 609    riscopre l'ordinamento dei costumi e la correttezza del modo di vita  e le definizioni matematiche che sono proprie della vita privata e di  quella pubblica, [92] e si serve di queste definizioni come conviene  per portare quelle vite al loro stato migliore e per correggerle e per  procurare loro un’ottima educazione, e la dovuta moderazione e la  salvaguardia dalla turpitudine e l’acquisto della rettitudine, e in gene-  rale essa è di aiuto, cosi facendo, con l’insieme delle matematiche e  ciascuna di esse in particolare. E passando poi ai beni naturali e ai  vantaggi delle arti, scoprendone alcuni, e introducendone altri come  accessori e aiutando a ottenerli come un sovrappiù,?25 e prestando le  sue opere da sola o trasferendo parte di sé in alcune altre,226 essa porta  a compimento la vita umana, in modo che sia autonoma in se stessa e  non manchi di nessuna delle cose di cui ha bisogno. Sicché noi  potremmo a buon diritto adattare alla filosofia la matematica pratica-  ta dai Pitagorici, in quanto è ad essa appropriata e conveniente.    31. Noi troviamo che la matematica pitagorica è di tale natura che  è capace di utilizzare secondo molte procedure la scienza delle  cose.22? E infatti essa si serve spesso delle medesime matematiche a  proposito di molte questioni, o fisiche o teologiche, che riguardano o  il divenire o gli elementi, o la generazione o le sostanze composte o  quelle semplici, si serve per trattare tutto questo ad esempio dei  numeri e degli accordi musicali e delle figure e di altre cose del gene-  re; talvolta invece prende insieme e nello stesso tempo molti elemen-  ti per fare vedere la medesima cosa, come ad esempio numeri, accor-  di musicali, figure e altri elementi matematici per indicare l’anima. La  ragione del primo fatto?28 è che sono multiformi le nature di ciascuna  matematica e di ciascuna essenza matematica [93] (è per questo infat-  ti che noi ci serviamo delle matematiche in molti campi, ci serviamo  ad esempio dei numeri nelle questioni teologiche o in quelle fisiche  <come si è detto>),229 la ragione del secondo fatto230 invece è che  alcuni enti sono composti dalla mescolanza di molte sostanze e gli enti  intermedi231 dalla mescolanza di molte sostanze estreme. È per que-  sto infatti che l’anima e tutte le nature intermedie possono essere spie-  gate meglio quando si utilizzano più scienze matematiche, in quanto  sono capaci di adattarsi a più essenze matematiche, e perché da più  matematiche ricevono la stabilità del loro essere. Di questo tenore  sarà dunque il discorso da fare su questo argomento.?32    610 GIAMBLICO    32. Ἔθος δ᾽ ἐστὶ τῇ μαθηματικῇ θεωρίᾳ καὶ περὶ αἰσθητῶν ἐνίο-  τε μαθηματικῶς ἐπιχειρεῖν, οἷον περὶ τῶν τεττάρων στοιχείων γεω-  μετρικῶς ἢ ἀριθμητικῶς ἢ ἁρμονικῶς, καὶ περὶ τῶν ἄλλων ὡσαύτως.  ἐπεὶ γὰρ προτέρα ἐστὶ τῇ φύσει ἡ μαθηματικὴ θεωρία καὶ ἀπὸ προ-  τέρων τῶν κατὰ φύσιν ὄντων ὁρμᾶται, διὰ τοῦτο καὶ τοὺς συλλογι-  σμοὺς ποιεῖται ὡς ἐκ προτέρων αἰτίων ἀποδεικτικούς. πλειοναχῶς  δὲ τοῦτο ποιεῖ᾽ ἢ κατὰ ἀφαίρεσιν, ὅταν τὰ ἔνυλα εἴδη ἀφελοῦσα  [20] ἀπὸ τῆς ὕλης ἐπισκοπῇ μαθηματικῶς" ἢ κατὰ ἐφαρμογήν, ὅταν  τοὺς λόγους τοὺς μαθηματικοὺς ἐπάγῃ τοῖς φυσικοῖς καὶ συνάπτῃ" ἢ  κατὰ τελείωσιν, ὅταν ἀτελῆ ὄντα τὰ εἴδη τὰ σωματοειδῆ  προστιθεῖσα τὸ ἐλλεῖπον ἀναπληρώσῃ᾽ 7) κατὰ ἀπεικασίαν, ὅταν τὰ  ἴσα καὶ σύμμετρα τὰ ἐν τῇ γενέσει κατὰ τί μάλιστα ἀφωμοίωται  τοῖς μαθηματικοῖς εἴδεσιν ἐπιβλέπῃ ἢ κατὰ μετοχήν, ὅταν τῶν  καθαρῶν λόγων οἱ ἐν ἄλλοις ὄντες λόγοι κατὰ τί μετέχουσιν ἐπι-  σκοπῶμεν ἢ κατὰ [94] ἔμφασιν, ἡνίκα ἂν ἀμυδρὸν ἴχνος τοῦ  μαθηματικοῦ ἐμφανταζόμενον περὶ τὰ αἰσθητὰ θεωρῶμεν᾽ ἢ κατὰ  διαίρεσιν, ὅταν τὸ ἕν καὶ ἀμέριστον μαθηματικὸν εἶδος μεριζόμε-  νον περὶ τὰ καθ᾽ ἕκαστον καὶ πληθυνόμενον κατανοήσωμεν᾽ ἢ κατὰ  παραβολήν, ὅταν παρ᾽ ἄλληλα συνεπισκοπῶμεν τὰ καθαρὰ τῶν  μαθημάτων εἴδη καὶ τὰ ἐν τοῖς αἰσθητοῖς" ἢ κατὰ τὴν αἰτίαν τὴν ἀπὸ  τῶν προτέρων, ὅταν αἴτια προστησάμενοι τὰ μαθηματικὰ συνεπι-  σκοπῶμεν πῶς ἀπ᾽ αὐτῶν γίνεται τὰ ἐν τοῖς [10] αἰσθητοῖς. οὕτω γὰρ  οἶμαι περὶ πάντων τῶν ἐν τῇ φύσει καὶ τῶν ἐν τῇ γενέσει μαθημα-  τικῶς ἐπιχειροῦμεν. ἀφ᾽ ἧς δὴ αἰτίας πολλὰ τῶν ἐν τοῖς μαθήμασιν  οὐ μένει ἐπὶ τῶν μαθημάτων, ἀλλὰ ἕλκεται ἐπὶ τὰ καταδεέστερα  αὐτῶν, ἤτοι διὰ τὴν τῶν χρωμένων προαίρεσιν, ἢ καὶ διὰ τὴν τῶν  πραγμάτων τῶν αἰσθητῶν πρὸς αὐτὰ συγγένειαν. ἐνίοτε δὲ καὶ ἐπὶ  τὰ μείζονα ἀνάγεται ἡ ἀπὸ τῶν μαθημάτων ἀφορμή, καὶ ἐπὶ πάντα τὰ  ἄλλα πράγματα, ἐπειδὴ εὐφυής ἐστιν ἡ ἀσώματος οὐσία προσοικε-  ιοῦσθαι ταῖς καθαραῖς [20] οὐσίαις τῶν ὄντων, καὶ διότι τὰ  μαθήματα πᾶσιν ἀφομοιοῦσθαι πέφυκεν. τοσαῦτα δὴ καὶ περὶ  τούτων.    33. Ἐπεὶ δὲ τὸ κοινὸν τῆς ὅλης μαθηματικῆς ἐπιστήμης γένος  κυριώτατόν ἐστιν εἰς ἐπιστήμην τῆς παρούσης θεωρίας, δεῖ μάλιστα    LA SCIENZA MATEMATICA COMUNE 611    32. La teoria matematica suole qualche volta argomentare mate-  maticamente anche sui sensibili, ad esempio sui quattro elementi o in  senso geometrico o aritmetico o armonico, e cosi anche su altre cose.  Poiché infatti la teoria matematica è di natura primaria e prende le  mosse da enti primari per natura, per questo essa costruisce anche i  suoi ragionamenti sillogistici come capaci di dimostrazione a partire  da cause primarie. E tale compito essa lo svolge in tanti modi: o per  astrazione, quando esamina matematicamente le forme materiali  dopo averle separate dalla materia; o per adattamento, quando appli-  ca e collega i calcoli matematici con gli enti naturali; o per perfezio-  namento, quando completa le forme materiali che sono imperfette  aggiungendo ciò che manca; o per assimilazione, quando vede in che  cosa ciò che nel divenire è uguale e commisurato somigli in sommo  grado alle forme matematiche; o per partecipazione, quando osservia-  mo in che cosa i rapporti che sono in altro partecipino dei rapporti  puri; o per rispecchiamento, [94] quando vediamo riflessa nei sen-  sibili una vaga impronta di ciò che è matematico; o per divisione,  quando pensiamo divisa e moltiplicata nelle singole cose la loro forma  matematica che è una e indivisibile; o per comparazione, quando met-  tiamo a confronto tra loro le pure forme degli enti matematici e quel-  le degli enti sensibili; o per causazione da ciò che sta prima, quando,  presupposti gli enti matematici come principi causali, noi osserviamo  come da essi si producano effetti negli enti sensibili. Sono questi dun-  que, io credo, i metodi secondo cui noi argomentiamo matematica-  mente intorno a tutti i fenomeni naturali. È questa in verità la ragio-  ne per cui molti aspetti delle matematiche non restano all’interno di  queste, ma scivolano verso ciò che è ad esse inferiore, o per la libera  scelta di coloro che se ne servono, o anche per l’affinità delle cose sen-  sibili con quelle matematiche. Talvolta poi dalle matematiche si è  spinti anche alle cose superiori, e a tutte le altre, poiché la realtà  incorporea234 ha naturale disposizione a unirsi intimamente con le  pure essenze degli enti, ed è per questo che le matematiche sono  capaci per natura di rappresentarsi ogni cosa. Ecco ciò che si doveva  dire su questo argomento,235    33. Poiché il genere comune dell'intera scienza matematica è  quello che le è più proprio in relazione alla conoscenza scientifica    612 GIAMBLICO    τοῦτο κατιδεῖν, κατὰ τί ἔχει τὸ κοινὸν ἡ πᾶσα μαθηματική. ἐὰν γὰρ  τοῦ τὸ ἕν αὐτῆς κατίδωμεν γένος καὶ τὴν κοινὴν οὐσίαν γνῶμεν  αὐτῆς, τελεωτάτην ἕξομεν περὶ αὐτῆς εἴδησιν. ἤδη μὲν οὖν καὶ ἐν  ἀρχῇ περὶ τούτου [95] προδιεσκεψάμεθα, πλὴν δεῖ γε καὶ κορυφὴν  ἐπιτιθέναι ἐπὶ τῷ τέλει τὴν αὐτὴν τῇ προκαταβληθείσῃ ἀρχῇ. καὶ  νῦν οὖν πάλιν ἐπαναλάβωμεν τὸν περὶ τοῦ ἑνὸς γένους τῆς μαθημα-  τικῆς θεωρίας λόγον.   Φημὶ δὴ οὖν ὡς τὸ μέσον ἁπλῶς οὑτωσὶ τῶν τε νοητῶν καὶ αἰσθητῶν  εἰδῶν κοινόν ἐστι γένος ταύτης τῆς ἐπιστήμης, τὸ περιέχον ἐν  ἑαυτῷ πάντα ὁπόσα ἐστὶ καὶ ὁποῖα διάφορα εἴδη, μετέχον μὲν τῶν  τοῦ ὄντος γενῶν πρώτως, συνειληφὸς δὲ ἐν ἑαυτῷ τὰ τῶν αἰσθητῶν  [10] γένη, καθαρότητι δὲ καὶ ἀκριβείᾳ καὶ λεπτότητι καὶ ἀσωματί-  ᾳ παντελῶς αὐτῶν προέχον, δυνάμεις δὲ περιέχον ἐν ἑαυτῷ παντοί-  ας, τὰς μὲν ἐπὶ τὰ ὄντα ἀναγούσας τὰς δὲ ἐπὶ τὴν γένεσιν ἐπιρρε-  πούσας, καὶ γνώσεις ὡσαύτως. τοῦτο δὲ τοιοῦτον ἕν τιθέμενοι τὰς  διαφορὰς αὐτοῦ νοήσωμεν κατὰ τὰς διχοτομίας τῆς μέσης ταύτης φύ-  σεως, ὧν τὴν μὲν ἐχομένην τοῦ ὄντος ἀφορισώμεθα, τὴν δὲ τῶν  αἰσθητῶν ἀντιλαμβανομένην καὶ πρὸ αὐτῶν ἑστηκυῖαν᾽ πάλιν δὲ  καθ᾽ ἑκάτερον τούτων τῶν εἰδῶν ἄλλους καὶ ἄλλους ὅρους [20] λαμ-  βάνοντες, τὸ μέσον διαφόρως τῶν μαθημάτων ληψόμεθα ἢ κατὰ τὸ  ποσὸν ἢ κατ᾽ ἄλλο τι γένος τούτου διακρίνοντες. καὶ ἡ ἀπόστασις  δὲ ἀπὸ τοῦ ὄντος ἢ πορρωτέρω οὖσα ἢ ἐγγὺς παρέξει τὸ διάφορον  τοῖς μαθήμασιν. ἔτι δὲ ἡ προήγησις τῶν ἐν τῇ συστάσει τοῦ παντός,  πρώτη οὖσα ἢ δευτέρα, καὶ αὐτὴ ἐμποιεῖ τινας διαφορὰς τῶν  μαθημάτων. τὴν δὲ τάξιν αὐτῶν ἢ κατὰ τὸ ἐφεξῆς ἢ κατὰ τὸ συνεχὲς  ἢ κατὰ τὸ ἐχόμενον ἢ κατ᾽ ἄλλην συνέχειαν ἀνευρίσκειν ὀφείλο-  μεν. [96] ταύτῃ δὲ τῇ ἀφ᾽ ἑνὸς προϊούσῃ καὶ πληθυομένῃ συστάσει  καὶ τῇ ἐφ᾽ ἕν ἀναγομένῃ συντάξει διακρίνομεν, διακρίνοντές τε  ὡσαύτως συνάπτομεν. καὶ οὕτως ἡμῖν ἡ κοινὴ τῶν μαθημάτων οὐσί-    LA SCIENZA MATEMATICA COMUNE 613    della presente teoria, bisogna soprattutto considerare questo, cioè in  che senso l’intera matematica abbia un genere comune. Se infatti  prendiamo in considerazione questo suo unico genere e conosciamo  la comune realtà, che ad essa appartiene, allora avremo della matema-  tica una conoscenza assolutamente perfetta. Ebbene, già all’inizio del  nostro discorso abbiamo fatto un primo esame di questo genere  comune della matematica, [95] solo che bisogna certo aggiungere alla  fine anche la parte culminante di quel discorso presentato all’inizio. È  tempo dunque di riprendere il discorso intorno all’unico genere della  teoria matematica.   Dico dunque che ciò che si trova semplicemente in una posizione  intermedia tra le forme intelligibili e quelle sensibili costituisce il  genere comune di questa scienza, genere che contiene in sé tutte le  diverse specie, quante e quali che siano, e che da un lato partecipa dei  generi primari dell’essere,236 ma dall'altro lato abbraccia in se stesso i  generi dei sensibili pur superandoli per purezza e precisione e sotti-  gliezza e incorporeità, e contiene in sé ogni specie di potenza, sia  quelle che elevano verso i veri enti, sia quelle che fanno piombare nel  divenire, e parimenti ogni specie di conoscenza. Posta cosi l’unità di  questo genere comune della matematica, noi concepiremo le sue dif-  ferenze dividendo in due parti questa sua natura intermedia: da un  lato determineremo quella che possiede il vero essere, dall’altro lato  quella che percepisce i sensibili e fa le loro veci; assumendo a loro  volta questa o quella definizione secondo ciascuna di queste due  forme del genere comune della matematica, noi comprenderemo in  modo differenziato la collocazione intermedia delle matematiche giu-  dicandola o secondo il quanto o secondo qualche altro suo genere. E  la maggiore o minore distanza dal vero essere fornirà alle matemati-  che la loro differenziazione. Inoltre, la precedenza tra le cose che  compongono l’universo, che può essere primaria o secondaria,??  anch'essa crea delle differenze nelle matematiche. Dobbiamo poi sco-  prire la gerarchia delle matematiche secondo l’ordine di successione  o la continuità o la contiguità o altra forma di sequenza. [96] Noi  distinguiamo le matematiche in funzione di questa loro combinazio-  ne che procede e si moltiplica a partire dall’unità, e della loro sistema-  zione che riconduce all’unità, e cosî nel distinguerle noi parimenti le  uniamo. E cosi potremo comprendere e insieme differenziare razio-    614 GIAMBLICO    a κοινῶς τε περιληφθήσεται τῷ λογισμῷ καὶ διαιρεθήσεται καὶ ἀπὸ  τῶν πολλῶν πάλιν ἀναχθήσεται ἐπὶ τὸ ἕν γένος τῆς μαθηματικῆς οὐ-  σίας: ὃ δὴ καὶ τέλος ἐστὶ τῆς διαιρετικῆς καὶ ὁριστικῆς μαθημα-  τικῆς ἐπιστήμης.    34. ᾿Ωνόμασται δὲ ἡ τῶν μαθημάτων [10] È ἐπιστήμη, È ἐπειδὴ ἀπὸ  τῆς περὶ τῶν νοητῶν νοήσεως κάτεισί τις εἰς αὐτὴν μάθησις, καὶ  ἔστι πρὸς αὐτὴν οἰκεία αὕτη ἡ θεωρία, περὶ ἃ δὲ νόησίς ἐστι καὶ  ἐπιστήμη, περὶ ταῦτα καὶ μάθησις παραγίγνεται, καὶ ταῦτα ἂν εἴη  μόνα τῶν ἄλλων μαθητά, διὸ καὶ μαθήματα προσηγόρευται. ἐδόκει  δὲ τοῖς Πυθαγορείοις ὥσπερ οἰκεῖά τινα ὄργανα πεπορίσθαι ταυτὶ  τὰ μαθήματα πρὸς τὸ ἀναπτύξαι τὴν τῶν ὄντων φύσιν, καὶ πᾶσαν  ἀφελεῖν τὴν ἀχλὺν τὴν ἐπισκοτοῦσαν τοῖς πράγμασιν, ὥστε εἰλι-  κρινῶς τὴν ἀλήθειαν αὐτὴν [20] θεᾶσθαι: ἔτι δὲ καὶ τῆς περὶ τὰ ἤθη  ὁμολογίας συνεξευπορήσειν τὴν αἰτίαν τὴν τοιαύτην μάθησιν, ἀγα-  θοῦ τε καὶ κακοῦ τὴν φύσιν συναποκαλύψειν φιλοσοφίᾳ προσαρ-  ὠγὸν γιγνομένην, τῆς τε περὶ τὸν κόσμον τάξεως καὶ τῆς περὶ τὸν  οὐρανὸν ἐγκυκλίου φορᾶς τὴν συμμετρίαν δι᾽ αὐτῆς θεωρεῖσθαι.  διόπερ ἐνόμιζον χωρὶς αὐτῆς μὴ οἷόν τε εἶναι φιλοσοφῆσαι. ἔτι τοί-  νυν πολλά, ὥσπερ διὰ κατόπτρων φανότητι διαφερόντων, θηρᾷ  εἴδωλα τῶν τῆς φύσεως ἔργων, ὅπερ μαθηματικὸν [97] μέρος τῆς  φιλοσοφίας ὠνόμαζον, καὶ τοὺς ἐμπείρους τῶν τοιῶνδε λόγων  μαθηματικοὺς ἀπέφαινον. ἐνόμιζον δὲ καὶ κάλλιστα παραδείγματα  εἶναι τὰ ἐν τοῖς μαθήμασι τῶν τῇδε, διότι πρὸς νόησιν ἐστάθμηται  ταῦτα μόνιμά τε ὄντα καὶ ἀκίνητα καὶ κατὰ τὰ αὐτὰ ἀεὶ ὡσαύτως  ἔχοντα, πρὸς ἅπερ ἀποβλέπων τις καὶ μιμούμενος ἀπεργάζοιτο ἂν  ἕκαστα τά τε σταθηρὰ καὶ βέβαια ἔργα. ἔχει δὲ ὁ μαθηματικὸς  λόγος καὶ τὸ καθαρὸν καὶ ἐπιστημονικὸν καὶ ἀνέλεγκτον. πρότερός  τε εἶναι [10] δοκεῖ τοῖς παλαιοῖς ὁ μαθηματικὸς τοῦ φυσικοῦ καὶ  ἀρχηγικώτερος᾽ ἐκ γὰρ τούτου ἐκκρέμασθαι͵ ὑπελάμβανε τὴν τῶν  ἄλλων εἰλικρινῆ νόησιν. χαρακτὴρ μὲν οὖν οὗτός ἐστι τοῦ μαθημα-  τικοῦ λόγου. προσέχειν δὲ δεῖ ἐν τῷ τὸ εἶδος αὐτοῦ ἐπικρίνειν τῇ  ἀκριβείᾳ καὶ τῇ ἀνελέγκτῳ γνώσει καὶ τῇ ὀρθότητι τῶν λόγων καὶ    LA SCIENZA MATEMATICA COMUNE 615    nalmente l’essenza comune delle matematiche e partendo dalla loro  molteplicità potremo risalire al genere unitario della realtà matemati-  ca. È questo certamente anche il fine ultimo della scienza matematica  che è capace di dividere e definire.    34. Si è data la denominazione di “scienza delle matematiche”,  perché dall’intellezione, che riguarda gli intelligibili, discende un certo  “apprendimento” ad essa relativo, ed è appunto appropriata a tale  “intellezione” questa teoria,2)8 ma delle cose di cui c’è intellezione c’è  anche “scienza”, e di quelle di cui c’è scienza c'è anche “apprendimen-  to”, e queste fra tutte saranno le sole “apprendibili” <in senso pro-  prio>, e perciò sono dette anche “matematiche” 259 I Pitagorici pensa-  vano che queste matematiche dovevano essere acquisite come stru-  menti atti e spiegare la natura degli enti, e a dissipare tutta l'oscurità  che ottenebra le cose, si da potere contemplare con chiarezza la verità  in sé; pensavano inoltre che tale apprendimento?40 avrebbe fornito al  contempo la causa dell'accordo nel comportamento morale, e avrebbe  insieme rivelato anche la natura del bene e del male, la quale spinge  alla filosofia, e che con la matematica si sarebbe potuto contemplare la  corrispondenza tra l'ordine dell’universo e il movimento circolare del  cielo. Perciò i Pitagorici credevano che non ci fosse altro modo di filo-  sofare oltre a quello matematico. Inoltre, la matematica va in cerca di  molti simulacri delle operazioni naturali, come attraverso specchi a  luminosità differenziata,24! compito che i Pitagorici [97] chiamavano  la “parte matematica della filosofia”, e mostravano che i matematici  sono esperti in questo tipo di ragionamenti. E credevano anche che le  cose matematiche sono i migliori modelli delle cose di quaggiù, perché  con riferimento all’intellezione242 hanno stimato questi modelli come  stabili e immobili e sempre identici a se stessi, guardando ai quali si  potrebbero compiere per imitazione particolari operazioni e stabili e  sicure. Il ragionamento matematico possiede anche purezza e scienti-  ficità e inconfutabilità. E gli antichi credevano che il matematico pre-  cedesse e avesse un ruolo più originario di quello del filosofo della  natura: dal matematico infatti, essi pensavano, dipende la purezza del  pensiero degli altri <studiosi>. È questo, dunque, il carattere proprio  del discorso matematico. E nel valutare la sua forma, bisogna tenere  conto della precisione e dell’inconfutabilità conoscitiva e della corret-    616 GIAMBLICO    τῇ συμφωνίᾳ πρὸς tà ὄντα: μετὰ γὰρ τούτων τὸ εἶδος αὐτοῦ ἄριστα  διαφαίνεται. ἔστω δὴ καὶ ταῦτα τὰ ἡμῖν προσκείμενα μετὰ τῶν  ἔμπροσθεν περὶ τούτων διωρισμένων.    35. [20] Ἐπειδὴ τοίνυν ἀπετελέσαμεν τὴν κοινὴν περὶ τῶν  μαθημάτων θεωρίαν, καιρός ἐστιν ἤδη συναγαγεῖν ὑπὸ μίαν σύνο-  yiv τὰ ὅλα περὶ αὐτῶν κεφάλαια. πρῶτα μὲν οὖν τὰ τῶν σκοπῶν καὶ  τὰ περὶ τῆς ὅλης ἐπιστήμης τῆς μαθηματικῆς, εἶτα περὶ ἀρχῶν τῶν τε  κοινῶν καὶ τῶν ἰδίων, ἐπὶ τούτοις περὶ τῶν ὑποκειμένων τοῖς  μαθήμασιν ἐποιησάμεθα λόγον, εἶτα περὶ [98] τῆς ἀρίστης αὐτῶν  χρήσεως καὶ τῶν ἐν αὐτοῖς ἐπιστητῶν καὶ περί τε τῶν καθ᾽ αὑτὰ κρι-  τηρίων καὶ περὶ τῆς ὡρισμένης αὐτῶν οὐσίας ποσαχῶς αὕτη  θεωρεῖται, τί τε τὸ ἔργον τῆς μαθηματικῆς θεωρίας καὶ τίνες αἱ  δυνάμεις αὐτῆς καὶ τίνα τὰ στοιχεῖα, τά τε κοινὰ καὶ τὰ ἴδια, καὶ  πῶς ταῦτα πάντα ἐπικοινωνεῖ πρὸς φιλοσοφίαν, καὶ πόσα ταῖς τέχ-  ναις συμβάλλεται, καὶ τίνα τάξιν ἔχει τῆς εἰς παιδείαν ἀγωγῆς,  τίνες τε οἱ ἴδιοι τρόποι τῆς Πυθογορικῆς παραδόσεως τῶν μαθη-  μάτων, [10] καὶ τίς ἡ διαίρεσις κατὰ τοὺς Πυθαγορείους τῆς ὅλης  μαθηματικῆς ἐπιστήμης, καὶ τίς ἡ ὁριστικὴ μαθηματική, καὶ τίνα  ἐξαίρετα κατὰ Πυθαγόραν τῆς θεωρίας ταύτης, τίς τε ἡ ἰδιάζουσα  αὐτῆς κατ᾽ αὐτὸν μελέτη, καὶ ὅτι οὐκ εἰκῇ αὐτὰ οἱ Πυθαγόρειοι  προήγαγον ἐπὶ πλεῖστον, τίς τε ἦν ἡ συνήθεια αὐτῶν τῆς ἐν τοῖς  μαθήμασι διατριβῆς καὶ τίνες ἦσαν οἱ μαθηματικοὶ παρ᾽ αὐτοῖς,  ἀντιλήψεις τε τῶν μαθημάτων καὶ ἀντιλογίαι πρὸς αὐτὰς καὶ ἀντι-  διατάξεις, καὶ τί δεῖ ἀπαιτεῖν παρὰ τοῦ μαθηματικοῦ τὸν ὄντως  πεπαιδευμένον, [20] διάκρισίς τε τῶν ἐν αὐτῇ προβλημάτων καὶ τοῦ  τρόπου τῶν ἀποδείξεων, περὶ συλλογισμῶν τε καὶ διαιρέσεων καὶ  ὁρισμῶν μαθηματικῶν, τίς τε ἡ κοινωνία φιλοσοφίᾳ πρὸς τὴν  Πυθαγόρειον ἣν ἐν τοῖς μαθήμασιν ἐχρῶντο οἱ Πυθαγόρειοι, τί τε  τὸ κοινὸν καὶ ἴδιον τῆς μαθηματικῆς ἐπιστήμης καὶ πόσας ἔχει  διαιρέσεις καὶ πῶς τεταγμένας, ἐπὶ τέλει τε περὶ τοῦ ὀνόματος  εἴρηται τῆς μαθηματικῆς καὶ τῶν τούτῳ συνεπομένων. [99] τοσαῦτα  περὶ τοῦ κοινοῦ λόγου τῶν μαθημάτων καὶ τῶν μαθηματικῶν  ἐπιστημῶν κεφάλαια ἐπεσκεψάμεθα, καὶ οἶμαι αὐτὰ συμμέτρως  ἔχειν᾽ εἰ δέ πού τινα παραλέλειπται, ῥᾳδίαν ἀπὸ τῶν εἰρημένων καὶ  ταῦτα λήψεται τὴν διάγνωσιν.    LA SCIENZA MATEMATICA COMUNE 617    tezza dei ragionamenti e dell'accordo con gli enti, perché con questi  accorgimenti la forma del discorso matematico si rivela nel modo  migliore. Sono queste appunto le cose che dobbiamo aggiungere a  quelle stabilite in precedenza su questo argomento.    35. Poiché dunque abbiamo portato a termine il discorso sulla  teoria comune delle matematiche, è giunto il momento ormai di dare  uno sguardo complessivo a tutti i capitoli in cui se ne è discusso.  Primi dunque sono i capitoli degli scopi e quelli relativi all'intera  scienza matematica, poi quelli dei principi e dei generi comuni e par-  ticolari, e dopo di questi abbiamo parlato dei soggetti delle matema-  tiche, e poi [98] del migliore uso di esse e delle scienze che esse con-  tengono e dei criteri in se stessi e in che modo si deve considerare l’es-  senza determinata di essi, e qual è l'operazione propria della teoria  matematica e quali le sue potenze e i suoi elementi, sia generali che  particolari, e come tutti questi comunicano con la filosofia, e quanti  giovano alle tecniche, e qual è l'ordine dell'educazione culturale <dei  Pitagorici>, e quali sono i modi particolari dell’insegnamento pitago-  rico delle matematiche, e qual è la divisione che i Pitagorici fanno del-  l’intera scienza matematica, e qual è la matematica definitoria, e quali  parti di questa teoria preferiva Pitagora, e quale cura particolare biso-  gna averne secondo lui, e perché i Pitagorici le promuovevano a  ragion veduta il più possibile, e qual era la loro consuetudine nel trat-  tare le matematiche e chi erano tra loro i Matematici, e quali erano le  obiezioni alle matematiche e le contraddizioni che si muovevano con-  tro di esse e i confronti su di esse, e quale effettiva istruzione si deve  esigere dal matematico, e la divisione dei problemi della matematica  e del metodo delle dimostrazioni, sia a proposito dei ragionamenti sil-  logistici che delle divisioni e delle definizioni matematiche, e che cosa  la matematica ha in comune con la filosofia pitagorica di cui i  Pitagorici si servivano nelle matematiche, e qual è l’aspetto generale e  quello particolare della scienza matematica e quante divisioni essi  hanno e di quale ordine, e infine si è detto del nome della matemati-  ca e dei suoi derivati. Sono tanti [99] i capitoli che abbiamo esamina-  to a proposito del concetto generale degli oggetti e delle scienze mate-  matiche, e io credo che essi siano tra loro commisurati; se poi da qual-  che parte è stata trascurata qualche cosa, la si potrà facilmente rico-  noscere da quanto abbiamo detto.    NOTE ALLA  «SCIENZA MATEMATICA COMUNE»    1A p. 3,7: [ἢ κοινὴ θεωρία] Syrian. Ir Mesa. 101,26 ss. Kroll [=  Aristotele, Meta. M 1078 B 1], trattando la nozione di teoria matematica  comune con riferimento esplicito ai Pitagorici, attinge a Nicomaco e a  Giamblico, di cui parafrasa appunto questo passaggio del De com. math.  sc., conservando l’espressione chiave «κοινὴ θεωρία»: τίς μὲν αὐτῆς [sc.  μαθηματικῆς] ἡ κοινὴ θεωρία καὶ ἐπὶ πόσα διατείνουσα γένη (29 s.). Verso  la fine del commento al lemma, Siriano cita infatti Nicomaco e Giamblico in  un contesto the sembra dare all’esposizione e ai chiarimenti di Giamblico un  peso addirittura maggiore della stessa teoria di Nicomaco. Egli dice infatti  che, se qualcuno ha desiderio di apprendere in maniera più sviluppata ed  esplicita questa teoria comune della matematica, potrà soddisfare tale suo  desiderio leggendo le «Summe Pitagoriche» di Nicomaco [Νικομάχου  συναγωγαῖς τῶν Πυθαγορείων δογμάτων] e i trattati del divino Giamblico  su di esse [ταῖς τοῦ θείου Ἰαμβλίχου περὶ αὐτῶν τούτων πραγματείαις],  alludendo naturalmente sia al De comm. math. sc. che all’In Nicom. E di  Giamblico dice che fa un’esposizione di Nicomaco in forma storica e veridi-  ca insieme — cioè rispettando la verità storica e teorica —, e che attribuisce  all'insieme della dottrina un'organizzazione fatta di discorsi preliminari e di  dimostrazioni e di intuizioni piuttosto intelligenti [νοερωτέραις ἐπιβολοῖς],  atte cioè a rendere più comprensibili le tesi pitagoriche di Nicomaco.   2 Sc. delle realtà non matematiche.   3 $c. i Pitagorici; cf. Siriano, In Meta. 101,36.   4La contemporanea presenza di unità e molteplicità delle matematiche  giustifica questo apparente paradosso della loro «comune distinzione».   5 Unità e molteplicità sono, del resto, i principi primi di ogni scienza  matematica.   6 Sc. stabilire una dassificazione che le contenga tutte insieme pur nella  loro reciproca distinzione, e quindi conoscere in che cosa tutte le matem-  atiche siano un’unica scienza e al contempo una molteplicità di scienze. Si  tenga presente che lo scopo del libro è quello di dimostrare che, nonostante  esistano più scienze matematiche (aritmetica, geometria, ecc.), è possibile  costruire una teoria matematica generale e comune a tutte le scienze matem-  atiche.   ? κριτήριον è l'insieme delle regole o procedure che rendono possibile  una certa attività conoscitiva, nella fattispecie la conoscenza scientifica delle  matematiche. Per una dettagliata conoscenza della nozione e del termine  κριτήριον, e sui suoi vari approcci semantici e storico-filosofici, rinvio al vol.    LA SCIENZA MATEMATICA COMUNE 619    The Criterion of Truth. Essays written in honour of C. Kerferd, ed. by P.  Huby & G. Neal, University Press, Liverpool 1989, che contiene una serie  di interessantissimi contributi che coprono l’intera storia del pensiero antico  e tardoantico, da Parmenide a Proclo, tra i quali interessano particolarmente  il lettore di Giamblico (che peraltro è assente in questi contributi), gli ultimi  tre, rispettivamente di A.A. Long su Tolemeo, di R.W. Sharples su Ales-  sandro di Afrodisia e di H.J. Blumenthal su Plotino e Proclo, oltre al testo di  Tolemeo, Περὶ κριτηρίου καὶ ἡγεμονικοῦ.   8C£, Siriano, In Meta. 102,3-4 Kroll, dove l’opinione è attribuita specifi-  camente ad Archita, che comunque non trovo tra i frammenti editi. Si cf.  anche p. 36 infra. Deve trattarsi di un testo tardo (neopitagorico) probabil-  mente echeggiante la teoria della linea della conoscenza della Repubblica pla-  tonica, dove, come si sa, la matematica coincide con il terzo segmento, la  διάνοια.   9 ὅσαι εἰσὶν ἐν γενέσει significa letteralmente «il mondo del divenire»,  ma io traduco «il mondo sensibile» per analogia con l’ ὅσα [...] ἐπὶ τῶν  αἰσθητῶν di p. 5,13, infra.   10 Sc, dalla somiglianza e dalla dissomiglianza.   1! Cf, Aristotele, Meta. E 1.   12 $c. per se stessa.   13 Sc. la conoscenza in senso platonico, o meglio la funzione di seme e sti-  molo e occasione che la matematica svolge in ordine a qualsiasi conoscenza  scientifica, come accade appunto nel processo della reminiscenza.   1 Che è una delle quattro sezioni della dialettica: dieretica, oristica,  apodittica e analitica. Una teoria completa di ciò si avrà con Prodo (cf. ad es.  In Crat. 3 = p. 2 Pasquali; cf. anche Platone, Crat. 424 B 7; Sopb. 229 Ὁ 6 et  al. loc.). C£. p. 65, infra.   15 C£. Platone, Phil. 16 C 5 ss.: dagli dèi, attraverso un certo Prometeo ci  è stata rivelata una verità che è brillante come un fuoco e ci è stata trasmes-  sa dagli antichi, i quali ci superavano per intelligenza perché vivevano più  vicino agli dèi, e cioè che ogni cosa ha connaturati in sé l’uno e i molti, il limi-  te e l’illimitato, e dunque noi dobbiamo porre sempre e cercare in qualunque  caso un’unica idea [μίαν ἰδέαν], e poi una seconda, se c’è, e una terza, e così  via, per vedere come quell’unica idea iniziale contenesse già una molteplic-  ità indefinita [καὶ πολλὰ καὶ ἄπειρά ἐστι] e cercare di determinare tale  molteplicità [καὶ ὀπόσα] in rapporto a quell’unità. Indubbiamente qui gli  «antichi più vicini agli dèi» di cui parla Platone, sono i Pitagorici e la dottri-  na dell’uno e dei molti è la loro dottrina, che sarà appunto ripresa da  Nicomaco e da Giamblico.   16 Sc. agli intelligibili. i   17 Sulla natura «mediana» delle realtà matematiche tutti i Platonici con-  cordano con il comune maestro Platone, a qualunque scuola o tendenza  teorica essi appartengano: essi infatti considerano gli oggetti delle matem-    620 GIAMBLICO    atiche, da un lato incorporei e più semplici degli enti naturali, dall'altro lato  inferiori, meno puri e più complessi degli intelligibili. La tripartizione onto-  logica del reale in νοητά, μαθηματικά, αἰσθητά si accorda poi con la triplice  capacità conoscitiva dell'anima che per attingere questi tre livelli di realtà si  serve rispettivamente del νοῦς, della διάνοια e dell’aicno1c. Chi teorizza in  modo assolutamente chiaro e inequivocabile una tale teoria è Proclo, il quale  all’inizio del suo Commentario al I libro degli Elementi di Euclide dice the le  ὑποστάσεις [cosi egli chiama le diverse specie di realtà] matematiche occu-  pano il posto intermedio [τὴν μέσην χώραν] tra quelle incorporee e sempli-  ci e indivisibili, da un lato, e quelle corporee e composite e divisibili, dall’al-  tro lato, e che in funzione di questo Platone distinse tre specie di conoscen-  ze fondate su tre distinte facoltà conoscitive, intelletto, ragione e opinione,  appunto. Ma quello che avvicina Proclo a Nicomaco e a Giamblico è il fatto  che, secondo lui, le realtà matematiche e in generale razionali, pur essendo  inferiori a quelle intelligibili per semplicità, tuttavia riflettono gli intelligibii  in maniera più netta e penetrante the non i sensibili [tpaveotépag μὲν ἐμ-  φάσεις ἔχοντα τῶν αἰσθητῶν τῆς νοητῆς οὐσίας]. Eppure, conclude Proclo,  gli enti matematici sono immagini degli intelligibili, come del resto lo sono  anche i sensibili, ma rappresentano l’anticamera delle forme primarie, cioè  degli intelligibili [ἐν προθύροις μὲν τεταγμένα τῶν πρώτων εἰδῶν]. È  quest’ultima considerazione che contrassegna particolarmente la posizione  pitagorizzante di alcuni tra i Platonici della tarda antichità.   18 Sc. l'essenza logico-razionale, che è appunto seconda rispetto a quella  ontologica di essenza incorporea mediana tra l’intelligibile e il sensibile.   19 Sc. nell'essere in sé. È probabile che qui Giamblico alluda alle cate-  gorie platoniche del Sofista, come pensa lo Scoliasta (cf. nota seg.), categorie  che, a differenza di quelle aristoteliche (peraltro non escluse), concernono  appunto la realtà intelligibile.   20 Schol. «i cinque generi dell’essere: 1) sostanza, 2) identità, 3) alterità,  4) movimento, 5) stasi». Occorre aggiungere i dieci generi dell'intelletto,  ovvero le dieci categorie aristoteliche.   21 Sc. dall’ontologia.   22 Sc. dalla noetica.   23 Cf. p. 36,16 ss., infra.   24 Cf. p. 10,5, supra.   25 Conformemente a tutta la tradizione platonico-neoplatonica di ispi-  razione pitagorica, qui Giamblico determina le differenze di principio tra la  conoscenza di ordine matematico e quella di ordine intellettivo, tra la  conoscenza dianoetica e quella noetica, per usare la terminologia più  comune a tale tradizione. Ma ciò che appare più interessante da un punto di  vista teoretico è il fatto che una tale distinzione viene fondata sulla coppia  dei principi più metafisica che il platonismo conosca, e cioè sulla coppia  Limite/Illimitato. Si tratta ovviamente di fare emergere la differenza    LA SCIENZA MATEMATICA COMUNE 621    metodologica implicita nell'uso di tale strumento nelle due aree scientifiche,  rispettivamente metafisica in generale e matematica in particolare. Chi, dopo  Giamblico, ha più coerentemente e chiaramente teorizzato lo statuto «inter-  medio» della realtà matematica è stato Proclo, il quale all’inizio del primo  Prologo al suo Commentario sul Libro I degli Elementi di Euclide [In Ἐπεί,  5,11 ss. Friedlein] traccia i capisaldi della dottrina dei principi della matem-  atica a partire appunto dalla μεσότης τῶν μαθηματικῶν γενῶν τε καὶ εἰδῶν.  Per scoprire i principi dell'intera matematica, egli scrive, occorre risalire ai  due principi che si estendono all’intera realtà e che generano da sé ogni cosa:  il Limite e l’Illimitato [τὸ πέρας καὶ τὸ ἄπειρον]. Nella processione ordina-  ta di tutte le cose da questi due principi è possibile scoprire le cose che sono  primarie, quelle mediane e quelle ultime, e precisamente τὰ νοητά, tà μαθη-  ματικά, τὰ ἔσχατα καὶ ἐν ὕλῃ φερόμενα. Ciascuno di questi tre generi di  enti partecipa in modo diverso dei suddetti due principi universali: gli enti  matematici, in ispecie, partecipano dell’Illimitato nel senso che il numero, a  partire dall’ 1, è capace di crescere indefinitamente [ἄπαυστον ἔχει τὴν  αὔξησιν], del Limite nel senso che qualunque numero si prenda è finito  ovvero sempre determinato nella sua quantità [ἀεὶ ὁ ληφθεὶς πεπέρασται].  Lo stesso discorso vale per gli enti geometrici, cioè per le grandezze matem-  atiche, che godono di una divisibilità all'infinito, pur essendo ciascuna per se  stessa una certa grandezza finita e delimitata.   26 Certamente qui, trattandosi di principi, il termine πεπερασμένον vale  come sinonimo di πέρας,   27 Schol. «l’illimitato e il limite».   28 Schol. «gli Aristotelici chiamano l’intelletto «intellezione»».   29 Schol. «credo che intenda parlare della materia intelligibile».   30 Schol. «sono cinque in tutto le specie matematiche».   31 I principi dell’aritmetica precedono i principi delle altre scienze  matematiche per la loro natura che li rende condizionanti e non con-  dizionati. Cf. Nicomaco, Arithm. intr. 9,8. 16 ss.: l’aritmetica ha il ruolo di  madre di tutte altre scienze matematiche [πρὸς τὰς ἄλλας μητρὸς λόγον  ἔχουσαν], e togliendo se stessa toglie le altre, mentre tolte queste essa non è  tolta [συναναιρεῖ μὲν ἑαυτῇ τὰ λοιπά, οὐ συναναιρεῖται δὲ ἐκείνοις];  [Giamblico], ΤΡοοί. arithm. 21,14 5. συναναιρεῖ γὰρ τὰς ἄλλας ἑαυτῇ καὶ  συνεπιφέρεται δὲ ἐκείνας, οὐκ ἔμπαλιν δέ.   52 Sc. quando essi sono esclusi, sono esclusi anche gli altri, mentre quan-  do sono esclusi gli altri, essi non sono esclusi insieme con essi, e d'altra parte  quando sono posti gli altri, sono implicati insieme con questi, mentre quan-  do sono esclusi gli altri, essi non sono esclusi. Cf. Giamblico, In Nicorr. 10,2  ss. e [Giamblico], Theo! arithm. 21,14 5.   33 εὐπλαδής: πλαδαρά Schol.   34 Sc. il suo essere il numero che è.   35 Sc. l'uno, il primo dei due principi. Scho/. «a questo punto l’autore    622 GIAMBLICO    introduce la materia intelligibile, come facevano anche i Pitagorici prima di  lui, ma Proclo non è d’accordo con loro».   36 Sc. la divisibilità o moltiplicabilità.   37 Schol. «spesso noi poniamo questa grandezza come causa della mag-  nanimità e della liberalità, presa però insieme a una certa qualità. Ne con-  segue che non bisogna considerare un male la quantità come tale. Male e  bruttezza è tutto ciò che ha una molteplice varietà di piedi [ad es. il polipo],  ma non per il fatto che una certa quantità è anche molteplice, questa per ciò  stesso è anche male. E ciò è prova che liberalità e qualità simili sono belle».   38 Sc. dell'altro dei due principi.   39 Schol. «l’uno è al di là dell'essere e del male [sic! il testo ha “bello”, cf.  anche Schol. ad 18,1] e del bene».   40 Sc. dai principi.   41 Schol. «che l’autore chiamava, sopra [15,13], “umida”».   42 Sc. il principio della molteplicità.   4 L'uno in quanto principio formale del numero partecipa alla costi-  tuzione di ciascun numero, il quale è dunque una porzione dell’uno, che è  tutto il numero.   44 Sc. costituisce un determinato numero.   45 Sc. non soltanto numeri.   46 Ma è unica e identica, nella fattispecie, anche la materia.   47 Schol. «ora chiama “densa” la materia che prima chiamava “umida”».   48 Sc. il principio materiale.   49 Sc. principio.   50 Schol. «lo stare, l'estensione, il luogo, sono proprietà delle grandezze».   51 Schol. «la continuità: la sozzura e la sporcizia dei numeri derivano  dalla materia umida delle grandezze».   52 Sc. quello delle grandezze geometriche: il primario è quello dei nu-  meri.   53 Sc. oltre all’aritmetica e alla geometria.   54 Schol. «intende dire le materie, perché Ia materia dei numeri e l'uno  stanno al di là del bello e del bene».   55 Sc. come conseguenza diretta della combinazione degli elementi; p.  18,11 οὐ προηγουμένως: su questo avverbio sono state fatte molte e appro-  fondite considerazioni filologiche e filosofiche. Cf. Ph. Merlan, From  Platonism to Neoplatonism, The Hague 1960, 2. ed. (1. ed. 1954) 122; M.  Isnardi Parente, Speusippo in Sesto Empirico, Adv. math. VII 145-146, «La  Parola del Passato» 24 (1969), 203-214; A. Grilli, Sesto Empirico, Adv. math.  VII 142-146, ibid. 25 (1970), 407-416; Id. Ancora su προηγουμένως in  Speusippo, ibid, 26 (1971), 120-128 = replica a Grilli; Id. Proodos in  Speusippos, «Athenaeum» 53 NS (1975), 99; 109 nota 54 [88-110]; L. Taràn,  Speusippus of Athens, Leiden 1981, 102; 433 nota 256. L'orientamento gen-  erale è quello di attribuire a questo avverbio un significato specificamente    LA SCIENZA MATEMATICA COMUNE 623    filosofico o, meglio, metafisico, più che quello comune di «precedente-  mente»: la sua forma negativa, quindi, significherebbe in tale contesto [ma  anche in contesti aristotelici ed epicurei, oltre, naturalmente, che speusippei]  «non essenzialmente» o «in modo non primario», cioè legato alla natura dei  principi, o ancora «non come risultato diretto», che è l’interpretazione più  sfumata, e perciò più accettabile, a mio avviso, di Tarn. In verità a me non  sembra che si sia costretti a porre οὐ προηγουμένως in contrapposizione al  successivo ἐκ δὲ ... (ci saremmo aspettati un μὲν prima, o un ἀλλὰ dopo προ-  nyovuévoc), dal momento che può benissimo stare in rapporto sintattico e  logico con il precedente ἐπ' ἐσχάτῳ, sicché il senso potrebbe essere questo:  «alla fine, non prima, cioè nelle quarte e quinte combinazioni degli ultimi  elementi, si genera il male, e questo deriva dal fatto che qualcosa non vive  più secondo natura e non domina pit l’essere per natura». Ma, non avendo  approfondito la questione in sede storico-filosofica più generale, preferisco  adeguarmi alla communis opinio.   56 Schol. «ma non pure quello che in Platone [Resp. VII 534 E] viene  chiamato “coronamento”».   57 Sc. all'aritmetica.   58 Sc. alla geometria.   59 Schol. «ad esempio il doppio o la metà o l’epitrite e assiomi del  genere».   60 Sc. privi di caratteri concreti e particolari.   61 Schol. «ad esempio aritmetica, armonica, geometria, e altre».   62 Sc. come delle acquisizioni empiriche.   6 Sc. che non fa parte delle essenze delle cose particolari e delle singole  scienze che le studiano.   6 A p. 20,23 ss.: troviamo una parafrasi di Platone, Epin. 991 Ὁ 6 ss., che  Giamblico riprende certamente da Nicomaco, Arithwm. intr. 7,9 ss. Da notare  che Giamblico, come del resto già Nicomaco, adatta in qualche modo il dis-  corso di Platone che qui ha come oggetto Îe scienze in generale allo studio  delle matematiche in particolare, anche se il termine adoperato nei due casi  è lo stesso: tà μαθήματα ha in Platone un significato più generico che in  Nicomaco e in Giamblico, dove indica specificamente le scienze matem-  atiche di cui si cerca di fissare la teoria comune. Da notare, tuttavia, lo scam-  bio del termine ἀναλογία usato da Nicomaco [7,11] e quindi da Giamblico  [21,2] al posto del platonico ὁμολογία [991 E 4]: ovviamente il primo è ter-  mine pit tecnicamente matematico. Non si può essere, però, del tutto sicuri  che sia una scelta consapevole di Nicomaco trasmessa a Giamblico, perché  ὁμολογία si trova in parecchi codici di Nicomaco (cf. ed. Hoche appar. ad  loc.). Se si pensa, tuttavia, che Nicomaco possa averla desunta da Teone di  Smirne [quasi certamente di epoca anteriore a quella di Nicomaco, ignorato  da Teone, anche se l’argumentur e silentio non si può considerare mai deci-  sivo], che riporta anch'egli il testo dell’Epirorzide nella sua Expos. rerum    624 GIAMBLICO    math. ad leg. Plat. utilium 84,7 ss., allora sarebbe forse più logico correggere  il testo platonico, dal momento che è arduo immaginare che Teone abbia  potuto sostituire il termine per ragioni scientifiche come è possibile immag-  inare per Nicomaco. Teone, infatti, prima di dare il passo, spiega quale sia, a  suo giudizio, l’intenzione di Platone, dicendo: ἔοικε δὲ ὁ Πλάτων μίαν  οἴεσθαι συνοχὴν εἶναι μαθημάτων τὴν ἐκ τῆς ἀναλογίας, e quindi riferisce  il testo dell’Epir. usando appunto lo stesso termine.   6 $c quello dell’Intelletto demiurgico.   66 Sc. gente già perfettamente educata in tutto il resto.   67 C£. Platone, Resp. VII, 536 B 1-6, dove alla li. 5 si legge φιλοσοφίας in  luogo di φιλομαθείας. È evidente la ragione della sostituzione del termine,  dato che Giamblico intende adattare al suo proprio discorso sulle matem-  atiche le parole di Platone.   68 Cf. Platone, Resp. VII 521 C 5. Noto giuoco infantile consistente nel  gettare in aria un coccio dipinto da un lato di bianco e dall'altro lato di nero.  A seconda del colore che risultava visibile un gruppo di fanciulli fuggiva e  l’altro inseguiva. Cf. Sartori, nota alla traduzione ad /oc., in Platone, Opere,  Laterza, Roma-Bari 1966 e succ. rist.).   69 Da qui a p. 28,14, quasi σά litteram Platone, Resp. VII 521 C 6-532 D  1.   70 Schol. «dei fenomeni sensibili».   71 Schol. «alle necessità della vita materiale: infatti alle necessità della vita  non è utile la figura pagata un triobolo, dice il precetto». Cf. Giamblico,  Protr. 125, 1 ss. Pistelli: «Il simbolo che dice: Stima di più “figura e gradino”  anziché “figura e triobolo” dà il seguente ordine: filosofa e coltiva le matem-  atiche non in modo superficiale, e procedi per mezzo di esse come di una  scala verso ciò che ti sei proposto».   72 Schol. «al punto da essere come un coronamento»,   73 Cf. p. 28,24-32,7 = Giambilco, In Nicom. 7,3-9,23.   74 VS 44 B 3 Diels-Kranz. Cf. nota a Giamblico, In Nicorz. 7,24 5.   75 Sc. della quantità numerica e della grandezza.   76 Sc. alla quantità numerica.   77 Sc. dalla molteplicità numerabile.   78 Nel senso che «quanto» indica appunto la molteplicità di cui si com-  pone.   79 Sc. alla grandezza.   80 Nel senso, cioè, che anche qui il nome indica la natura della cosa.   81 Sc. dall’estensione in grandezza.   82 Sc. quanto assoluto.   83 Perfetto è un numero che è uguale alla somma dei suoi divisori: ad es.  6=3+2+1; deficiente un numero che è maggiore della somma dei suoi divi-  sori: ad es. 8>(4+2+1). Cf. Giamblico, De comm. math. sc. 8,12.   84 Sc. quanto relativo.    LA SCIENZA MATEMATICA COMUNE 625    85 Numero che contiene un numero intero + una frazione avente come  numeratore l’unità: 1+(1/n), dove n è un numero intero: ad es. 9=6+1/2(6);  8=6+1/3(6).   86 Numero che contiene un numero intero + una frazione avente come  numeratore un numero superiore all’unità: 1+(m/(m+n)): ad es.  10=6+2/3(6); 14=8+3/4(8), ecc.   87 Sc: aritmetica e geometria.   88 Sc. musica e astronomia.   89 Sc. il quanto in movimento (i numeri armonici della musica) e il quan-  to grande in movimento (le figure mobili dell'astronomia).   90 In tal modo Giambilco spiega come siano nate le quattro scienze del  quadrivio, aritmetica, musica, geometria e astronomia, e come si colleghino  tra di loro a coppie, a seconda che il medesimo oggetto (il «quanto» o il  «quanto grande») sia visto in sé o in rapporto ad altro, in riposo o in movi-  mento.   7 VS 47 B 1, p. 432,7 s. Diels-Kranz.   2 Cf. Platone, Epin. 991 E 3-992 B 3.   9 Cf. Giamblico, Ir Nicom. 9,14 ss. Qui Giamblico interpreta Platone  (che in realtà è Filippo di Opunte) in un senso eccessivamente pitagoriz-  zante, anche se a ben considerare la teoria platonica della Repubblica, soprat-  tutto quella contenuta nella similitudine della «linea sezionata», la matemat-  ica (le quattro scienze matematiche di cui si parla qui) effettivamente copre  l'intera conoscenza del mondo al di sotto delle idee, cioè del mondo dia-  noetico. Che il mondo sia composto solo di «continuo e discreto», del resto,  corrisponde alla fisica di Platone contenuta nel Tirzeo.   % La matematica va al di là dell’attività teoretica, perché abbraccia anche  l’attività pratica: la sua funzione filosofica e antropologica è tipica della men-  talità pitagorica.   9 La διαίρεσις è il momento primario di ogni analisi, perché conduce  alla necessaria determinazione e denominazione degli oggetti della ricerca.  Cf. 6,5 ss. supra e, in generale, Platone, Soph. 229 D 6, passim.   % Sc. oggetti di scienza.   51 Sc. oggetti di opinione.   98 Sc. oggetti di immaginazione.   99 Sc. accadimenti, proprietà apparenti.   100 Sc. agli immaginabili.   101 A p. 34,20-35,26 [διόπερ καὶ Βροτῖνος-τὴν δὲ διάνοιαν τοῦ νοῦ] cf.  Siriano, In Meta. 165,24-166,14 [= Aristotele, Meta. N 1087 A 29-B 4], dove  viene confutato il sillogismo aristotelico secondo cui i contrari non possono  essere principi, perché, essendo in un soggetto o sostanza, presuppongono  quest’ultima e i principi non possono essere posteriori alla sostanza. Siriano  cita a sostegno della sua tesi Filolao, Archeneto [Archita?], Brotino e lo stes-  so Platone [Resp., Phil., Parm.: nessuno di costoro, quando parla dei prin-    626 GIAMBLICO    cipi contrari, li intende come soggetti o sostanze [ἀρχαί ... οὐσίαι], bensi  come principi trascendenti l’essere [ἀρχαὶ ὑπερούσιοι]. Brotino in ispecie  afferma, scrive Siriano, che il principio supera in potenza e dignità sia l’intel-  letto che l’essere [νοῦ παντὸς καὶ οὐσίας δυνάμει καὶ πρεσβείᾳ ὑπερέχει  166,5-6].   102 Sc. conosce per via mediata.   105 Sc. sono inversamente proporzionali tra loro. Scho/. «negli enti, infat-  ti, la potenza si contrappone alla quantità».   104 Mullach, FPG, I 566 s., e H. Thesleff, The Pythagorean Texts of the  Hellenistic Period, Àbo 1965, 38 s.; cf. Platone, Resp. VI 509 D 7 ss., e rela-  tivi Schol., in VI 350 5. Hermann.   105 Sc. le facoltà conoscitive.   106 Schol. «il logos ha la funzione di «termine» rispetto all’intelletto e alla  sensazione, e di «inizio» rispetto alla ragione e all’opinione: viceversa, la sen-  sazione e l’intelletto fanno da inizio del /ogos, mentre l'opinione e la ragione  fanno da termine».   107 Pagina 38,1-6 = Sophon. De ax. paraphr. 130,29-32 Hayduck.   108 Schol. «l'intelletto è più chiaro della sensazione e dell’opinione e della  ragione. E parimenti la ragione è più chiara dell'opinione e della sen-  sazione».   109 Sc. il sensibile reale.   110 Schol. «si deve intendere qui per dialettica non quella dei Peripatetici,  cioè la dialettica che si studia di ridurre a contraddizione l’oggetto del  ragionamento, bensi quella dei Platonici, o meglio dei Pitagorici: Platone  infatti l’ha appresa dai Pitagorici. E questa la conoscenza degli enti in quan-  to enti, cioè la conoscenza “anipotetica”».   111 Pagina 39,26-40,4 = Sophon. De an. paraphr. 130,33-35 Hayduck.   112 Pagina 40,12-43,11 = Sophon. De an. paraphr. 131,11-132,24  Hayduck.   13 È l’uno, cioè, che consente all’anima di avere una facoltà razionale  unitaria e unificante.   114 Sc. di passare dalla quantità aritmetica alla quantità geometrica.   115 Sc. al metodo dell’accrescimento delle figure. Si noti che αὔξησις può  significare anche «moltiplicazione», se visto in ambito aritmetico.   116 Le misure di grandezza o geometriche sono, secondo questa visione, contenute tutte nella grandezza infinita che qui viene raffigurata come «ric- chezza». 117 Sc. dall’armonia in sé, o dall’armonia matematica, che è principio di ogni armonia fuori dell’essenza matematica pura. 118 Cf. Aristotele, Meta. N 4, 1091 A 23-33, 119 Sc. come causa delle matematiche.   120 Pagina 43,15 ss.: la determinazione del modo di operare della scien-  za matematica, basata sulla διάνοια, che qui Giamblico teorizza più sul ver-    LA SCIENZA MATEMATICA COMUNE 627    sante della sua differenziazione rispetto al modo di conoscere proprio del-  l'intelletto -- la sua differenziazione rispetto al modo di conoscere proprio  della sensibilità emerge soltanto nell’accenno al fatto che la conoscenza  matematica, a differenza di quest’ultima, riceve solo lo stimolo dal mondo  esterno senza rimanervi impigliata —, si trova più dettagliatamente esposta, in  rapporto a tutte e due le forme estreme di conoscenza tra cui si colloca quel-  la matematica, in Proclo, In Εμεῖ. 18,10-19,5 Friedlein. Molto chiara ed effi-  cace risulta la differenzazione fra i tre modi di operare rispettivamente del-  l'intelletto, del senso e della ragione matematica, nella proposizione finale di  tale testo procliano: «La matematica inoltre non è fissata, come l’intelletto,  al disopra di ogni indagine [οὔτε ... ἁπάσης ζητήσεως ὑπερίδρυται] in quan-  to piena di se stessa, né è costituita, come la sensazione, di ciò che è altro da  sé [οὔτε ἀφ᾽ ἑτέρων τελειοῦται], ma procede attraverso l’indagine verso la  scoperta e passa dall’imperfezione alla perfezione [ἀπὸ τοῦ ἀτελοῦς εἰς  τελειότητα ἐπάνεισι]».   121 $chol. «dai sensibili».   122 Cf, Platone, A/c. I 106 D.   123 Schol. «nota: se è vera [sc. la premessa]». Si vede da questo indizio,  ma anche da altri, che lo Scoliasta non è un Platonico.   124 Sc. da μάθησις = apprendimento.   125 Schol. «intende dire: analitica e dieretica».   126 Schol. «è la dialettica rispettata da Platone».   127 Schol. «analisi e divisione, che, egli dice, sono proprie della matemat-  ica comune».   128 Schol. «sono quelle che insegna il grande Euclide nel Libro V «ἀεὶ  suoi Elementi>».   129 Schol «intende dire: geometria stereometria aritmetica».   130 Sc. l’uno e il molteplice, ecc.   131 Sc. per la superiore capacità che hanno gli intelligibili di raggiungere  la massima estensione possibile.   132 Sc. perché gli enti matematici hanno una bellezza e una bontà minori  di quelle che possiedono gli intelligibili.   133 Sc. tra gli intelligibili e i sensibili.   134 Schol. «nota: si parla di somiglianza a proposito degli enti matemati-  ci per omonimia con quella relativa agli intelligibili e ai sensibili».   135 Schol. «la somiglianza nei composti è concepita secondo la qualità e  secondo l’accidente, mentre nelle matematiche somiglianza o dissomiglianza  sono “sostanza”».   136 Schol. «si parla del simile e del dissimile come se fossero tra le cate-  gorie. Il simile e il dissimile: secondo la qualità, ad es. bianco simile o dissim-  ile a bianco, caldo a caldo; secondo la figura aggiunta, ad es. triangolo mate- riale simile o dissimile a triangolo materiale; secondo lo stare in una certa relazione, ad es. Bisanzio ha una posizione simile a quella di Sinope, oppure 628 GIAMBLICO a nord o a sud, per cui si dice anche che sono sulla medesima latitudine [cf.  Strabone, 2, 1,16 = I 97,12 ss. Meineke = τ. I 2, p. 23,5 ss. Aujac: μόλις γὰρ  ἂν ταυτοκλινεῖς εἶεν τοῖς κατ' ᾿Αμισὸν καὶ Σινώπεν καὶ Βυζάντιον kai  Μασσαλίαν, οἱ τοῦ Βορυσθένους καὶ τῶν Κελτῶν ὡμολόγηνται νοτιώτεροι  σταδίοις τρισχιλίοις καὶ ἑπτακοσίοις -- difficilmente potrebbero [sc. i paesi  suddetti] essere della stessa latitudine di Amiso, Sinope, Bisanzio, Marsiglia,  che sono situati, per accordo generale, a 3.700 stadi più a sud di Boristene e  della Celtica]; secondo la sostanza matematica, ad es. tracciare un solido par-  allelepipedo simile a un dato solido parallelepipedo. <Tutto questo signifi-  ca> che ciò che si dice somiglianza e dissomiglianza a proposito delle matem-  atiche è sostanza o forma della sostanza matematica, perché la somiglianza  nelle matematiche non può essere per accidente; infatti gli enti immateriali non possono ammettere l’errore e la sozzura proprie degli accidenti. Di qui la loro grande capacità di inversione». 137 Sc. intelligibili. 138 Sc. secondo il discorso che si è fatto sui tre livelli dell’essere: intelligi-  bile, sensibile [o reale] e matematico. Scho/. «non si deve ritenere, egli dice,  che la matematica sia la scienza del quanto considerato come accidente cat-  egoriale: il quanto di tale genere, infatti, si trova nei composti ed è di secon-  da generazione [sc. concetto ricavato dall'esperienza] e accessorio e acci-  dente, mentre la matematica è sostanza autocostituentesi e precede la  molteplicità [dell'esperienza] e si trova nel mondo intelligibile».   139 Scbol. «a proposito della somiglianza e della dissomiglianza nelle  matematiche, bisogna considerare l’unità in senso generico e la molteplicità  in senso specifico e ciò che sta in mezzo come subordinato all'una e all’altra,  e adattare cosi a ciascuna realtà matematica la propria somiglianza e dis-  somiglianza».   140 Sc. come differenze specifiche o proprietà, non come sostanze.   141 ὅς, il composto in sé.   142 Sc. la proprietà di esso come differenza specifica.   143 Sc. nel simile e nel dissimile matematici.   144 Sc. gli intelligibili e i sensibili.   145 Cf. cap. 13, supra.   146 Schol. «questo è ciò che insegna il saggio Tolemeo nell’Introduzione  all'Almagesto». Cf. Pol. Almag. I, Introd. = J.L. Heiberg, C/ Ptol. Opera quae  exstant omnia, vol. I, Lipsiae 1898.   1497 Pagina 55,8-20: questo passo è caratterizzato da una serie di  attribuzioni qualitative e metodologiche alla matematica, le quali possono  essere distribuite in due ordini, uno di carattere positivo e l’altro negativo.  La matematica, infatti, negativamente: 1) purifica, 2) scioglie da ogni legame  le facoltà intellettive, 3) allontana dal corporeo; positivamente: 4) pre-  dispone ad apprendere la scienza delle cose divine, 5) assimila e innalza ad esse, 6) collega le facoltà intellettive all’essere, 7) avvicina agli intelligibili con LA SCIENZA MATEMATICA COMUNE 629 la visione della bellezza e l'armonia dei ragionamenti matematici, 8) rende  simili agli intelligibili e alla loro stabilità, 9) abitua a sostenere la luce del-  l'essere, e, infine, 10) dà sicurezza e precisione di ordine scientifico. Questa  stessa lunga serie di prerogative delle scienze matematiche era stata espressa  in poche parole, in forza della sua abituale concisione, da Plotino, En. I 3  [20] 3,5-7: «Bisogna fare studiare al filosofo [meglio, a chi è incline per natu-  ra alla filosofia] le matematiche, perché lo si abitui a cogliere con la ragione  l'incorporeo e ad averne fiducia [mpòg συνεθισμὸν κατανοήσεως καὶ  πίστεως ἀσωμάτου] -- ed egli, infatti, accoglierà facilmente tali scienze in quanto amante del sapere [φιλομαθὴς ὧν] —». 148 Sc. degli enti matematici. 149 Schol. «Aristotele, Tolemeo e Platone». 150 Sc. per quello matematico e per quello fisico. 151 Pag. 57,9-58,6: a questo paragrafo XVI corrisponde sostanzialmente  Proclo, Ix Eucl. 24,21 ss., dove, con esplicito riferimento a Platone, Phil. 55  E, vengono esposti i vantaggi che la scienza matematica procura a tutte le  scienze e a tutte le arti, qualunque sia la loro natura o destinazione. Come al  solito, ovviamente, il discorso di Proclo si caratterizza per la sua maggiore  precisione e definizione terminologica, anche se nella sostanza a me sembra  più ricco di contenuti quello di Giamblico.   152 διορισμούς è da intendersi in relazione ad ἀρχάς e τέλη.   153 Sc. attitudine alle scoperte e alle invenzioni: le arti sono per natura  «attività creative».   154 $c. la matematica.   155 Schol. «sulla quale dà insegnamenti Autolico». Cf. Autolycos de  Pitane, La sphère en mouvement, ἔα. par G. Aujac, Paris 1979.   156 Sc. il modo di rappresentarsi complessivamente la scienza matemati-  ca,   157 Schol. «a proposito di tutti gli enti, con l’aiuto di esempi».   158 Sc. il simbolo.   159 Si noti il senso «teologico» di quest'idea di adattamento del metodo  divino (nella fattispecie quello simbolico-matematico) alla realtà naturale.   160 Il testo non è chiaro, ma il significato ultimo è questo: i Pitagorici  adattavano tutti i loro teoremi a ciascuna specie di realtà servendosi di quelle  immagini o di quei simboli che giudicavano di volta in volta appropriati.   161 Sc, amavano la matematica come scienza applicata.   162 Sc, sui ragionamenti e sui calcoli ipotetici e privi di referenti reali.   163 Sc. dell’aritmetica.   164 Sc. della geometria, della musica, dell'astronomia, ecc..   165 $c. i concetti puri, tra cui si trova, ovviamente, anche il numero  matematico.   16 Non è molto chiaro qui l’uso del termine «circolo» al posto di  «numero»: forse per mettere in evidenza, ancora una volta, che il discorso    630 GIAMBLICO    che vale per l’aritmetica vale anche per le altre matematiche, geometria com-  presa (in questo contesto si ripetono più volte, accanto ad espressioni che  contengono ἀριθμός, espressioni che contengono ἄλλα μαθήματα).   16? Sc. il numero intelligibile.   168 Sc. alle leggi dell'astronomia.   169 Sc. dall'ordinario esercizio delle potenze dell'anima.   170 Sc. la matematica insegnata secondo il metodo pitagorico.   171 Sc. la dieretica.   172 Sc. a priori, cioè contemplando se stessa.   173 C£, cap. 18, supra.   174 C£. Giamblico, Vita Pytb. 9,15 ss. Deubner.   175 Sc. ciò che Pitagora ha inizialmente acquisito dai suoi maestri.   176 Dobbiamo acquisire gli elementi peculiari della matematica pitagori-  ca come elementi della matematica comune che andiamo esponendo.   17? Sc. estraneo [ἀπεξενωμένην] al significato primario che hanno per la  scienza matematica, Ma cf. Giamblico, V. Pytb. 5,17.   178 Sc. l'intelletto.   17? Ma quella propria dei Pitagorici. Scho/. «quella di Euclide,  Archimede, Tolemeo e simili».   180 Le matematiche sono le prime materie dell’educazione primaria o  elementare.   181 L'“induzione”, infatti, è frutto di ripetuto apprendimento di tante  singole acquisizioni conoscitive, è cioè un procedimento empirico abitudi-  nario e non teoretico-contemplativo. Cf. Aristotele, Top. A 12, 105 A 13 ss.  ἐπαγωγὴ δὲ ἡ ἀπὸ τῶν καθ᾽ ἕκαστα ἐπὶ τὸ καθόλου ἔφοδος: οἷον εἰ ἔστι  κυβερνήτης ὁ ἐπιστάμενος κράτιστος, καὶ ἡνίοχος, καὶ ὅλως ἐστὶν ὁ ἐπισ-  τάμενος περὶ ἕκαστον ἄριστος. Per il rapporto tra ἐπαγωγή e συνήθεια cf.  ibid. A 14,105 B 27.   182 Sc. dalla sua affezione in quanto filosofo, cioè dal suo amore per la  sapienza.   183 Qui, come più avanti a p. 80,24, ritengo sia opportuno conservare il  termine «astrologia», anche se potrebbe sembrare più congruo l’uso del ter-  mine «astronomia», dal momento che Giamblico adopera quest’ultimo tre  volte (a 19,1; 47,15 e 86,16), ma sempre per indicare direttamente una delle  quattro scienze matematiche. Appare dunque plausibile che in quei due casi  si intenda distinguere l'astronomia come scienza matematica pura dalla sua  applicazione scientifica.   184 Sc. non per i vantaggi che possono arrecare al di là dei loro naturali  risultati: cf. p. 71,17, supra.   185 Non dipendono, cioè, dalla nostra capacità raziocinativa, anzi al con-  trario la fondano.   186 Sc. mettendo in relazione di causa ed effetto i movimenti dei cieli con  i rapporti matematici ad essi corrispondenti.    LA SCIENZA MATEMATICA COMUNE 631    187 Non già la loro capacità di risolvere i problemi, bensi il loro metodo  e la loro capacità di impostarli correttamente.   188 Pagina 76,19 ss.: c'è una discrepanza evidente, nell’indicazione delle  rispettive posizioni degli Acusmatici e dei Matematici, fra questo testo e  quello di Giamblico, Vita. Pyth. 46,26 ss. Deubner: qui i matematici sono  scambiati con gli Acusmatici. E dico questo a ragion veduta, perché in effet-  ti il testo del De comm. math. sc. presenta la versione corretta del passo e le  ragioni sono spiegate dallo stesso Giamblico nella continuazione del discor-  so. In effetti sono gli Acusmatici a non riconoscere i Matematici come  Pitagorici, mentre questi ultimi riconoscono i primi come Pitagorici, cioè  come discepoli di Pitagora (e come potevano non riconoscerlo!), anche se si  considerano loro i veri Pitagorici, cioè coloro che avevano appreso meglio la  lezione del comune antico maestro. Per la questione filologica della confu-  sione tra le due tradizioni testuali, cf. L. Deubner, Bemerkungen zum Text  der Vita Pythagorae des Iamblichus, «SB.Ak.Wiss.Berlin» 19 (1935), 620.   189 Sc. senza difficoltà di ordine scientifico e di ricerca matematica.   190 «Pentagonali» è congettura di Burkert (dr. ed. Klein Add. p. XIX),  ma si trova anche in Giamblico, Vita Pyth. 52,4 Deubner), e sembra molto  più plausibile, perché il solido regolare che ha dodici facce e tutte pentago-  nali è il dodecaedro, che peraltro rappresenta, nella tradizione pitagorico-  platonica, la figura della quale si servi il Derniurgo per ornare il cosmo dopo  averlo costruito con le rimanenti figure solide regolari: cf. Platone, Tim. 55  C.   191 Cf. Giamblico, Vita Pyth. 137,20 ss. Deubner, dove, come esempio di  tale discrezione nel non chiamare Pitagora per nome, è riferito Hom. Od.  14,145 5. a proposito di Eumeo che ha pudore di nominare [ὀνομάζειν aidé-  ὁμαι] Ulisse in sua assenza.   192 Pagina 78,1-5: discorso non chiaro. Non sembra ci sia rapporto tra  l’aneddoto e il nome dato alla geometria da Pitagora. A meno che non si  debba intendere ἱστορία come «ricerca di denaro». D'altra parte il δὴ della  li.5 sembra avere un significato conclusivo.   19 Sc. quello degli Acusmatici e l’altro dei Matematici.   194 Sc. alle matematiche applicate.   195 Pag. 79,1-83,22: cf. Aristotele, Protr. B 52 Diiring, parzialmente. Cf.  anche Proclo, In Eucl 25,15-29,13, che si riferisce quasi certamente al  Protrettico di Aristotele, come suggerisce il πείθειν di 26,13 [cf. Proclus, A  Commentary on the First Book of Euclid's Elements, by G.R. Morrow,  Princeton 1970, 22 nota 49]. Ma è utile vedere anche Aristotele, Meta. A 981  B 13 ss., a proposito della purezza e del disinteresse delle scienze matem-  atiche, le quali non mirano né al piacere né ai bisogni della vita [μὴ πρὸς  ἡδονὴν μηδὲ πρὸς τἀναγκαῖα].   196 Schol. «Epicuro diceva: «Bisogna fuggire a vele spiegate le matem-  atiche»». Per le varie parafrasi di questo frammento epicureo, cf. edizioni    632 GIAMBLICO    Arrighetti, Torino 19702, e Isnardi Parente, Torino 1974.   19? Sc. gli agrimensori: l'antica geodesia si identificava con l’agrimensura,  cioè con l’attività «pratica» e tecnica intesa a suddividere geometricamente  il territorio.   198 C£. supra p. 72,18 e relativa nota. Che anche qui Giamblico distingua  in qualche modo astrologia da astronomia, è provato dal fatto che si parla di  riflessione non solo sui rapporti, ma anche sulle cause.   199 Sc. sono aperte alla comunicazione con le altre scienze: cf. p. 88,25 s.,  ma anche Protr. 38,2 s.   200 Sc. immutabili.   201 Sembra che in questo caso le «necessità della vita» comprendano  anche i bisogni relativi al piacere, come dire che ci sono nella natura umana  bisogni primari e bisogni secondari, mentre la filosofia è un bisogno che sta  a sé.   202 Ivi compresa naturalmente la filosofia: si ricordi che questa è stata  assimilata alle scienze matematiche non foss'altro che come scienza teoreti-  ca.   203 Come è il caso delle matematiche e della filosofia, che storicamente  sono nate per ultime.   204 Si tratta di prerogative tutte quante attribuibili alle scienze matem-  atiche sia nel loro aspetto teorico o puro che in quello applicato o relativo  alle cose.   205 Sc. la capacità che hanno le matematiche di farci scoprire la natura  delle cose: cf. p. 78,22, supra, tà μαθήματα τῶν πραγμάτων. .   206 Schol. «nel senso aristotelico». Cf. Aristotele, PA 1,1, 639 A 4-6:  πεπαιδευμένου γάρ ἐστι κατὰ τρόπον τὸ δύνασθαι κρῖναι εὐστόχως τί  καλῶς ἢ μὴ καλῶς ἀποδίδωσιν ὁ λέγων.   207 Cf. Aristotele, EN A 1094 B.   208 Avrà cioè la stessa capacità di giudizio, ma solo per la parte dello sci-  bile che possiede. Cf. Aristotele, EN A 1095 A 1 s.   209 Sc. secondo l’una o l’altra scienza matematica.   210 Ad es. per tutti i tipi di triangolo.   211 La definizione di triangolo o di retta, infatti, contiene differenti  specie di triangoli o di rette.   212 ὅς, alla matematica.   213 L'aritmetica è scienza dei numeri immobili, l’armonica (o musica) dei  numeri in movimento.   214 La geometria è scienza delle figure immobili, l'astronomia delle figu-  re in movimento.   215 Gli oggetti dell'intelletto sono immobili (intelligibili), quelli della  ragione in movimento (intellettuali): l'intelletto, infatti, è attività intuitiva, la  ragione è attività discorsiva.   216 Le dimostrazioni che partono dai principi sono più estese di quelle    LA SCIENZA MATEMATICA COMUNE 633    che li presuppongono come già dimostrati.   217 ὅς. muovano da un unico quesito problematico.   218 Sc. teologico, fisico ed etico.   219 Sc. le sue figure, valide e non.   220 Sc. della sua cogenza apodittica.   221 ὅς, contemplativa.   222 Sc. alcune sue indagini teoretiche o contemplative.   22) Sc. alla teologia.   224 Sc. all’ontologia.   225 Sc. come beni non necessari alla vita, ma voluttuari, si direbbe oggi.   226 Sc. consentendo applicazioni dei suoi propri metodi in altre scienze o  arti.   227 Sc. la conoscenza scientifica dei vari ordini della realtà, cioè almeno  dei due ordini principali, gli intelligibili e i sensibili. Cf. p. 63,5, supra, pet  ἐπιστήμης τῶν πραγμάτων, ma anche 78,22 tà μαθήματα τῶν πραγμάτων.   228 Sc. del fatto di servirsi di aspetti diversi delle cose.   229 C£. pp. 74,2; 88,19; 91,24 e 92,19 s., supra.   230 Sc. del fatto che la matematica prende insieme molti elementi per  indicare la medesima cosa.   231 Sc. quelli di cui si occupa prevalentemente la matematica.   232 Sc. sulle ragioni per le quali i Pitagorici spiegavano più cose con la  medesima matematica, o la medesima cosa con più matematiche.   233 Rapporti puri sono le pure relazioni matematiche (di quantità o arit-  metici: ad es. doppio triplo emiolio epitrite, ecc., e di qualità o geometrici:  ad es. di somiglianza e di dissomiglianza).   234 Sc. l'oggetto della matematica.   235 Sc. sui modi di indagare matematicamente anche su cose non matem-  atiche.   236 Sc. degli intelligibili.   257 Non è chiaro: forse si intende dire che la priorità di una cosa sull’al-  tra può dipendere o dalla loro stessa essenza, e in questo caso sarebbe pri-  maria, o dalle loro proprietà o attributi o funzioni, nel qual caso sarebbe sec-  ondaria.   238 Sc. la matematica.   239 Il ragionamento sembra piuttosto contorto, ma il significato ultimo è  chiaro: il nome μαθήματα [matematiche] deriva da μαθητά [apprendibili] e  questo da μάθησις [apprendimento], che discende gnoseologicamente dalla  νόησις, cioè dalla conoscenza intuitiva degli intelligibili: quindi la matemat-  ica è scienza dell'aspetto apprendibile degli intelligibili, come dire che è  scienza degli intelligibili nel loro aspetto dianoetico (solo la conoscenza dia-  noetica è apprendimento vero e proprio, mentre quella noetica è semplice  intellezione o intuizione intellettiva): cf. Platone, Resp. VI 511 B ss.    634 GIAMBLICO    240 Sc. l'apprendimento delle matematiche.   241 Cf. p. 32,25 s., supra εἴδωλα οὖν αἱ σκιαὶ καὶ τὰ ἐν ὕδασι καὶ  κατόπτροις. L'immagine riflessa nell'acqua o nello specchio, considerata  quale strumento di conoscenza indiretta, è già presente in Platone, Phaed. 99  D-E. Cf. anche Sopb. 239 D; Resp. VI 510 A; VII 516 A; 5326.    242 Sc. paragonandoli agli intelligibili.    GIAMBLICO    INTRODUZIONE ALL'ARITMETICA  DI NICOMACO    ΠΕΡῚ THX NIKOMAXOY  APIOMHTIKHX ΕἸΙΣΑΓΩΓΗΣ    [3] IAMBAIXOY ΧΑΛΚΙΔΕΩΣ ΤΗΣ KOIAHZ EYPIAZ  ΠΕΡῚ ΤΗΣ NIKOMAXOY APIOMHTIKHX ΕἸΣΑΓΩΓΗΣ    ᾿Αρχόμενοι τοῦ ἰδίου λόγου περὶ τῶν ἐν μέρεσι διωρισμένων  μαθημάτων ἀπὸ τῆς ἀριθμητικῆς ἀρχόμεθα᾽ αὕτη γὰρ φύσει πρεσβυ-  τέραν ἔχει τὴν θεωρίαν τῷ περὶ ἁπλούστερα πραγματεύεσθαι καὶ  ἀρχηγικώτερα, διόπερ καὶ ὁ περὶ αὐτῆς λόγος προηγεῖται τῶν [10]  ἄλλων μαθημάτων. ἔστι δὴ καὶ οὗτος οὐχ ἁπλοῦς, ἀλλὰ πολυειδής:  ὅσα γάρ ἐστι γένη τῶν ὄντων, περὶ πάντα συνδιαιρεῖται καὶ τὰς  αὐτὰς δέχεται διαιρέσεις. ἀλλὰ πρό γε τῶν ἐν ἄλλοις θεωρουμένων  αὐτὸν καθ᾽ αὑτὸν τὸν ἀριθμὸν θεωρεῖν χρή, ἀφ᾽ οὗ δυνησόμεθα καὶ  τὸν ἐν τῇ φύσει ἢ τοῖς ἤθεσιν ἢ τοῖς εἴδεσιν ἢ ὅλως πᾶσι τοῖς οὖσιν  ἐπισκοπεῖν. διὰ δὴ τοῦτο παραλαμβάνειν δεῖ τὴν μαθηματικὴν  ἐπιστήμην τῶν ἀριθμῶν. καὶ γὰρ ὡς ἐν ὑποθέσει δεῖ προκεῖσθαι  ταύτην προὐποκειμένης γὰρ αὐτῆς, καὶ τὰς ἄλλας [20] παραγίγνε-  σθαι ἐπιστήμας δυνατόν, ἄνευ δὲ ταύτης οὐδὲ ἐκεῖναι παραγίγνον-  ται. καὶ πρὸς μάθησιν δὲ ἐντεῦθεν [4] ἄρχεσθαι Sei: προδιωρι-  σμένων γὰρ τῶν ἐν τοῖς μαθήμασιν ἀναγκαίων θεωρημάτων, δι᾽  αὐτῶν ὁδηγούμεθα πρὸς τὰς τελειοτέρας τῶν ἀριθμῶν θεωρίας;  δῆλον γὰρ ὅτι συμφωνοῦσι πρὸς ταύτην ἐκεῖναι. τὴν δ᾽ ἐπίνοιαν  αὐτῆς, οὐχ ὡς ἐν ψιλοῖς ἐννοήμασιν, οὐδ᾽ ὡς ὑστέραν ἐπὶ τοῖς ai-  σθητοῖς ἐπιγιγνομένην, οὐδ᾽ ὡς φαντάσματά τινὰ ἀπὸ τῶν αἰσθητῶν  ἀποσυλῶσαν καὶ χωρίζουσαν, ἀλλ᾽ ὡς κοινὰ νοήματα δυναμένην  πᾶσιν ἐφαρμόζειν τοῖς ὁπωσοῦν ὑφεστηκόσιν ἀριθμοῖς, οὕτως [10]  αὐτὴν προΐστασθαι ἀξιον. περὶ δὴ τῆς τοιαύτης μαθηματικῆς ἀριθμ-  ητικῆς πρόκειται ἡμῖν νυνὶ λέγειν.   Εὑρίσκομεν δὴ πάντα κατὰ γνώμην τοῦ Πυθαγόρου! τὸν  Νικόμαχον περὶ αὐτῆς ἀποδεδωκότα ἐν τῇ ᾿Αριθμητικῇ τέχνῃ. ὅ τε  γὰρ ἀνὴρ μέγας ἐστὶν ἐν τοῖς μαθήμασι καὶ καθηγεμόνας ἔσχε περὶ  αὐτῶν τοὺς ἐμπειροτάτους ἐν τοῖς μαθήμασι, καὶ ἄνευ τούτων τάξιν    1 τοῦ Πυθαγόρου congetturò Tennulius: τῷ Πυθαγόρᾳ.    Giamblico di Calcide in Celesiria    L'Introduzione all’Aritmetica di Nicomaco    [3] Avendo stabilito di fare un discorso specifico su ciascuna delle  parti distinte della matematica, cominciamo dall’aritmetica: questa  infatti contiene per natura una teoria prioritaria, perché si occupa di  cose più semplici e più originarie, e perciò il discorso su di essa pre-  cede quello che si può fare sulle altre matematiche. In verità il discor-  so sull’aritmetica non è semplice,! bensi multiforme: si suddivide  infatti in tante parti quanti sono tutti i generi degli enti e subisce quin-  di le medesime divisioni di questi. Ma prima di vederlo in altro, è  necessario considerare il numero in sé e per sé, partendo dal quale  potremo anche esaminare il numero nella natura o nei costumi o nelle  varie specie di enti, insomma in tutto ciò che esiste. È appunto per  questo che bisogna acquisire <anzitutto> la matematica come scienza  dei numeri.? E infatti occorre che questa scienza sia fatta precedere  come presupposto teorico: dopo che si è presupposta la scienza dei  numeri, infatti, è possibile che sopraggiungano anche le altre scienze;  senza di quella, invece, queste non si danno. Anche in relazione al  processo dell’apprendimento? bisogna partire dall’aritmetica: [4]  infatti, una volta predefiniti i teoremi matematici necessari, con essi  troviamo la strada per arrivare a teorie numeriche più perfette: è chia-  ro infatti che queste teorie sono in armonia con l’aritmetica. Quanto  all'idea, poi, che dobbiamo averne, questa teoria del numero in sé è  giusto raffigurarsela non come qualche cosa che risieda nei puri con-  cetti, né che si aggiunga in un secondo momento alle cose che perce-  piamo, né come il risultato di un processo di espoliazione e separazio-  ne di alcune immagini dai sensibili, bensi come capacità di adattare  intuizioni comuni dell’intelletto' a qualsiasi numero realmente esi-  stente. Si tratta per noi ora di parlare appunto di tale aritmetica  matematica.   Scopriamo in effetti che Nicomaco nella sua Tecnica aritmetica ha  insegnato tutto su questa teoria secondo il pensiero di Pitagora.  Nicomaco infatti è grande nelle matematiche e ha avuto come maestri  i più esperti matematici, e inoltre insegna la scienza matematica con    638 GIAMBLICO    θαυμαστὴν καὶ θεωρίαν μετ᾽ ἀποδείξεώς τε θαυμαστῆς τῶν ἐπι-  στημονικῶν ἀρχῶν ἐπιστήμην ἀκριβῶς παραδίδωσι, λόγον τε περὶ  αὐτῶν οἶδε ποιεῖσθαι, [20] καὶ ἀκραιφνῆ καὶ γνήσια τὰ θεωρήματα  παραδίδωσι, μηδὲν ἐπιθολούμενα ὑπ᾽ ἀλλοτρίων δοξασμάτων. ἔτι τε  ποικίλος ἐστὶ καὶ πολύχους τεταγμένος τε καὶ διηρθρωμένος ἐν τῇ  τῶν ἀριθμῶν εἰδήσει, τό τε καθολικὸν τῆς γνώσεως καὶ τὸ  εὑρετικὸν πάρεστιν αὐτῷ πάμπολυ“ τὴν γὰρ πρώτην σύστασιν καὶ  τὴν πρώτην γένεσιν τῶν ἀριθμῶν θηρεύει. ἔχει δὲ καὶ τὸ ἀπαρά-  λείπτον᾽ κοινῶς γὰρ ἐπὶ πάντα ἦλθε τὰ γένη καὶ τὰ εἴδη τῶν  ἀριθμῶν, ἐν πεπερασμένοις τε [5] ἄπειρα περιέλαβε καὶ ἐν τεταγ-  μένοις τὰ ἄτακτα, πρόεισί τε διὰ γενῶν καὶ εἰδῶν τεταγμένως οὐχ  ὑπερβαίνων τὸ ἐφεξῆς, τά τε ἐν πολλοῖς φερόμενα θεωρήμασιν  ἀτελῶς ἐν ἑνὶ περιλαμβάνει τελείως.2 ἔχει δὲ ἐνταῦθα καὶ ὃ ἐν τοῖς  ἄλλοις βιβλίοις ἥκιστα ἄν τις ἴδοι ἐν αὐτῷ ὑπάρχον τὸ σύντομον  καὶ ἀκριβές, καὶ μετὰ τούτων τὸ πλῆρες καὶ τέλειον, ἀγκύλον τε  καὶ συνεστραμμένον καὶ πολύνουν καὶ γόνιμον, ὡς μὲν ἐγὼ νομίζω,  διότι αὐτὰ τὰ Πυθαγόρεια μαθήματα [10] περὶ ἀριθμοῦ καθαρὰ τί-  θησιν, ἐξέστω δὲ καὶ τῷ βουλομένῳ περὶ τούτου εἰκάζειν ὅπως βού-  λεται. ἀλλ᾽ ὅπερ ἐκ πάντων τούτων δεῖ συλλογίσασθαι, ἐκεῖνό  ἐστιν. εἰ γὰρ διὰ πάντα ταῦτα προκρίνομεν τὸν ἄνδρα τοῦτον ὡς  ἀριθμητικώτατον, εἰκότως δὴ διὰ τοῦτο καὶ τίθεμεν ὅλην αὐτοῦ τὴν  ἀριθμητικὴν τέχνην, οὐχ ἡγούμενοι δεῖν οὔτε ἀτελῶς αὐτὴν ἐκφέ-  ρειν ἀκρωτηριάσαντας αὐτῆς τὰ προηγούμενα, οὔτε μεταγράφειν'  περιττὸν γὰρ καὶ τοῦτο᾽ οὔτε σφετερίζεσθαι τὰ γεγραμμένα"  ἀγνωμοσύνης γὰρ ἐσχάτης ἔργον [20] ἀφαιρεῖσθαι τῆς ἐπιβαλ-  λούσης δόξης τὸν συγγεγραφότα. ἀλλ᾽ [20] οὐδὲ διὰ τοῦτο δεῖ ἀλλο-  τρίους τῶν Πυθαγορικῶν διατριβῶν λόγους ποιεῖσθαι᾽ οὐδὲ γὰρ  καινὰ λέγειν ἡμῖν πρόκειται, ἀλλὰ τὰ δοκοῦντα τοῖς παλαιοῖς  ἀνδράσιν, ὅθεν οὐδὲν οὔτε ἀφελόντες οὔτε προσθέντες αὐτὴν τὴν  Νικομάχειον τέχνην ἤδη παρατιθέμεθα ἐν τοῖς λόγοις. Ἵνα δὲ μὴ  ἀτελὴς γένηται μηδὲ κατὰ τοῦτο ἡ παροῦσα πραγματεία, φιλοσοφί-  αν Πυθαγόρας ὠνόμασε πρῶτος καὶ ὄρεξιν αὐτὴν εἶπεν εἶναι καὶ  οἱονεὶ φιλίαν [6] σοφίας, σοφίαν δὲ ἐπιστήμην τῆς ἐν τοῖς οὖσιν  ἀληθείας. ὄντα δὲ ἤδει καὶ ἔλεγε τὰ ἄυλα καὶ ἀίδια καὶ μόνα δρα-    2 τελείως congetturò Pistelli (cf. Add. et Corr. p. VI): τελείῳ. La conget-  tura di Pistelli è giustificata dalla corrispondenza per opposizione con !’  ἀτελῶς che precede. Il senso dell'espressione, comunque, non cambia.    INTRODUZIONE ALL'ARITMETICA DI NICOMA- 639    precisione, secondo un ordine e una teoria meravigliosi” e accompa-  gnati da una sorprendente capacità dimostrativa dei principi scienti-  fici,8 e sa ragionare su di essi, e ne insegna i teoremi in modo puro e  genuino, senza offuscarli per niente con opinioni estranee.? Egli è  inoltre, nella sua conoscenza dei numeri, vario e fecondo, ordinato e  articolato, e tiene moltissimo in conto gli aspetti universale ed euristi-  co della conoscenza:!° egli infatti ricerca il primo costituirsi e generar-  si dei numeri. Nicomaco è anzi capace di non omettere nulla, perché  in generale arriva a trattare tutti i generi e le specie dei numeri, e nelle  grandezze finite fa rientrare quelle infinite, [5] e in quelle ordinate le  disordinate, e procede con ordine per generi e specie, senza mai sal-  tare alcun passaggio,!! e stringe in unità perfetta gli elementi sparsi, in  modo incompleto, in molti teoremi. E qui, nel libro di Nicomaco, si  trova quello che, come io credo, non si potrebbe minimamente vede-  re negli altri libri <sull’argomento>, e cioè sinteticità e precisione,  oltre che completezza e perfezione, concatenazione e connessione, e  ricchezza di idee e fecondità, giacché Nicomaco presenta l’aritmetica  pitagorica nella sua autentica purezza. Su quest’ultimo punto sia con-  sentito a ciascuno di avere l’opinione che vuole, ma ciò che si è detto  si deve ragionevolmente dedurre da tutti questi meriti di Nicomaco.  Se dunque riteniamo in linea di principio, in base a tutto ciò, che  Nicomaco sia un grandissimo aritmetico, è giusto che noi presentia-  mo per intero la sua tecnica aritmetica, perché riteniamo che non la si  debba esporre in modo incompleto, mutilandola delle sue premesse,  e neppure che la si debba trascrivere cosi com’è: anche questa infatti  sarebbe un'operazione inutile; né che ci si debba appropriare degli  scritti altrui, perché è opera di estrema malafede defraudare chi abbia  scritto qualcosa, della fama che gli spetta. Ma non bisogna, perciò,  neppure fare discorsi estranei alle dottrine pitagoriche: non si tratta  infatti per noi di esporre delle opinioni nuove, bensi quelle degli anti-  chi Pitagorici, e quindi esponiamo senz'altro l’aritmetica di Nicomaco  per quello che è, senza nulla togliere o aggiungere.   Affinché la presente trattazione non sia incompleta neppure in  questo, diciamo che fu Pitagora!? il primo che usò il nome “filosofia”  e disse che questa è desiderio e una specie di amore [6] della sapien-  za, e che la sapienza è scienza della verità degli enti.!3 E con la parola  “enti” egli intendeva dire le cose immateriali ed eterne che costitui-    640 GIAMBLICO    στικά, ὅπερ ἐστὶ τὰ ἀσώματα, ὁμωνύμως δὲ λοιπὸν ὄντα, κατὰ  μετοχὴν αὐτῶν οὕτως καλούμενα, σωματικὰ εἴδη καὶ ὑλικά, γεν-  vota τε καὶ φθαρτὰ καὶ ὄντως οὐδέποτε ὄντα. τὴν δὲ σοφίαν  ἐπιστήμην εἶναι τῶν κυρίως ὄντων, ἀλλ᾽ οὐχὶ τῶν ὁμωνύμως, ἐπει-  δήπερ οὐδὲ ἐπιστητὰ ὑπάρχει τὰ σωματικὰ οὐδὲ ἐπιδέχεται γνῶσιν  βεβαίαν, ἄπειρά τε ὄντα καὶ ἐπιστήμῃ [10] ἀπερίληπτα καὶ οἱονεὶ  μὴ ὄντα κατὰ ἀντιδιαστολὴν τῶν καθόλου καὶ οὐδὲ ὅρῳ ὑποπεσεῖν  εὐπεριγράφως δυνάμενα. τῶν δὲ φύσει μὴ ἐπιστητῶν οὐδὲ ἐπιστήμην  οἷόν τε ἐπινοῆσαι" οὐκ ἄρα ὄρεξιν τῆς μὴ ὑφεστώσης ἐπιστήμης  εἰκὸς εἶναι, ἀλλὰ μᾶλλον τῆς περὶ τὰ κυρίως ὄντα καὶ ἀεὶ κατὰ τὰ  αὐτὰ καὶ ὡσαύτως ἔχοντα καὶ τῇ προσηγορίᾳ ἀεὶ συνυπάρχοντα.  καὶ γὰρ δὴ τῇ τούτων καταλήψει συμβέβηκε καὶ τὴν τῶν ὁμωνύμως  ὄντων παρομαρτεῖν, οὐδ᾽ ἐπιτηδευθεῖσάν ποτε, οἷα δὴ τῇ «τοῦ»  καθόλου ἐπιστήμῃ «ἡ» τοῦ κατὰ [20] μέρος" «τοιγὰρ περὶ τῶν καθό-  λου» φησὶν ᾿Αρχύτας «καλῶς διαγνόντες ἔμελλον καὶ περὶ τῶν κατὰ  μέρος οἷα ἐντὶ καλῶς ὀψεῖσθαι.» διόπερ οὐδὲ μονογενῆ οὐδὲ ἁπλᾶ  ὑπάρχει τὰ ὄντα, ποικίλα δὲ ἤδη καὶ πολυειδῆ θεωρεῖται, τά τε  νοητὰ καὶ τὰ ἀσώματα, «ὧν τὰ» ὄντα ἡ κλῆσις, καὶ τὰ σωματικὰ καὶ  ὑπ᾽ [7] αἴσθησιν πεπτωκότα, ἃ δὴ κατὰ μετοχὴν κοινωνεῖ τοῦ ὄντως  γενέσθαι. ἀκόλουθον ἂν εἴη περὶ πάντων ἁπλῶς τῶν ὄντων τεχνολο-  γεῖν οὑτωσί πως. ἡ τοῦ συνεχοῦς καὶ ἡ τοῦ διῃρημένου φύσις πᾶσα  τοῖς οὖσιν, ὅπερ ἐστὶ τῇ τοῦ παντὸς κόσμου συστάσει, διττῶς συνε-  πινοεῖται᾽ τοῦ μὲν διῃρημένου κατὰ παράθεσίν τε καὶ σωρείαν, τοῦ  δὲ συνεχοῦς κατὰ ἕνωσίν τε καὶ ἀλληλουχίαν. κυρίως δὲ τὸ μὲν  συνεχὲς καὶ ἡνωμένον καλοῖτ᾽ ἂν μέγεθος, τὸ δὲ παρακείμενον καὶ  [10] διηρημένον πλῆθος. καὶ κατὰ μὲν τὴν τοῦ μεγέθους οὐσίαν, εἷς  τε ὁ κόσμος ἐπινοοῖτ᾽ ἂν καὶ λέγοιτο στερεὸς καὶ σφαιρικός τε καὶ  συμπεφυκὼς ἑαυτῷ διατεταμένος τε καὶ ἀλληλουχούμενος, κατὰ δὲ  τὴν τοῦ πλήθους πάλιν ἰδέαν καὶ ἔννοιαν ἥ τε σύνταξις καὶ διακό-  σμησις καὶ ἁρμονία τοῦ παντὸς ἐπινοοῖτ᾽ ἂν ἐκ τοσῶνδε φέρ᾽ εἰπεῖν  στοιχείων καὶ σφαιρῶν καὶ ἀστέρων γενῶν τε καὶ ζῴων καὶ φυτῶν    INTRODUZIONE ALL'ARITMETICA DI NICOMACO 641    scono anche la sola parte attiva dell’essere, cioè gli incorporei, e del  resto le forme corporee e materiali, e generate e corruttibili, e che non  sono mai realmente, sono chiamate enti per omonimia, in quanto par-  tecipano dei veri enti. E la sapienza, egli diceva, è scienza degli enti  veri e propri, non degli enti per omonimia, giacché le cose corporee  non sono oggetto di scienza, né ammettono conoscenza sicura, ed  essendo di numero indefinito non sono scientificamente afferrabili e  in un certo senso non sono affatto, se confrontati con gli enti univer-  sali, e non possono neppure essere definite in modo ben circoscrit-  το... E delle cose che non sono per natura oggetti di scienza, non è  possibile neppure pensare che ci sia scienza: dunque la filosofia non  può essere naturalmente desiderio di una scienza che non può esiste-  re, ma piuttosto di quella che è la scienza degli enti propriamente  detti e che sono sempre identici e allo stesso modo e coerenti sempre  con la loro denominazione di enti. E infatti alla conoscenza di tali  enti! accade, anche senza volerlo di proposito, che si accompagni  anche la conoscenza degli enti per omonimia, in quanto nella scienza  dell’universale è inclusa la scienza del particolare: «Se si conosceran-  no bene le cose universali -- dice Archita — si potranno vedere bene  per quello che sono anche le cose particolari». Perciò gli enti non  sono né di una sola specie né semplici, ma devono essere considerati  a questo punto come vari e multiformi: ci sono quelli intelligibili e  incorporei, ai quali spetta l’effettiva denominazione di “enti”, e quel-  li corporei [7] e soggetti a sensazione, che in realtà hanno qualcosa in  comune con il vero essere solo per partecipazione. Sarà logico quindi  trattare sistematicamente di tutti gli enti in assoluto, pressappoco  cosî. La natura del continuo e del discreto, nella totalità degli enti,16  cioè nella struttura dell’intero universo, è concepita in due modi:  come natura del discreto, per giustapposizione e per accumulazione;  come natura del continuo, per unione e per coesione. In termini  appropriati, ciò che è continuo e unificato si può chiamare “grandez-  za”,!? ciò che è giustapposto e discreto, invece, “quantità numeri-  ca”.18 E mentre secondo l’essenza della grandezza, il mondo sarà con-  cepito unico e sarà detto solido e sferico ed esteso e coeso in modo  connaturale con se stesso, secondo l’idea e la nozione di quantità  numerica,!9 invece, sarà concepito come la struttura o l'ordinamento  o l'armonia del tutto, composta, diciamo, di tanti elementi e tanti    642 ' GIAMBLICO    ἐναντιοτήτων TE καὶ ὁμοιοτήτων τὴν σύστασιν ἔχουσα. ἀλλὰ τοῦ  μὲν ἠνωμένου ἐπ᾽ ἄπειρον μὲν ἐκ παντός ἐστιν ἡ τομή, ἡ [20] δ᾽  αὔξησις ἐπὶ ὡρισμένον᾽ τοῦ δὲ πλήθους κατὰ ἀντιπεπόνθησιν ἐπ’  ἄπειρον μὲν ἡ αὔξησις, ἔμπαλιν δὲ ἡ τομὴ ἐπὶ ὡρισμένον, φύσει δὴ  κατ᾽ ἐπίνοιαν ἀμφοτέρων ἀπείρων ὄντων, καὶ διὰ τοῦτο ἐπιστήμαις  ἀπεριορίστων: «ἀρχὰν» γὰρ «οὐδὲ τὸ γνωσούμενον ἐσσεῖται  πάντων ἀπείρων ἐόντων» κατὰ τὸν Φιλόλαον. ἀναγκαίου δὲ ὄντος  ἐπιστήμης φύσιν ἐνορᾶσθαι τοῖς οὖσιν [8] οὕτως ὑπὸ θείας ἠκριβω-  μένοις προνοίας, ἀποτεμόμεναι ἑκατέρου καὶ περατώσασαί τινες  ἐπιστῆμαι τὸ περιληφθὲν αὐταῖς, ἀπὸ μὲν τοῦ πλήθους ποσὸν ἐκά-  λεσαν, ὅπερ ἤδη γνώριμον, ἀπὸ δὲ τοῦ μεγέθους κατὰ τὰ αὐτὰ πηλί-  Kov' καὶ τὰ ἀμφότερα αὐτῶν γένη ἐπιστήμαις ὑπήγαγον ταῖς ἑαυτῶν  εἰδήσεσιν, ἀριθμητικῇ μὲν τὸ ποσόν, γεωμετρίᾳ δὲ τὸ πηλίκον. ἀλλ᾽  ἐπεὶ μὴ μονοειδῆ ταῦτα ἦν, ἔτι δὲ μερικωτέραν ὑποδιαίρεσιν  ἑκάτερον αὐτῶν ἐπεδέχετο 3 τοῦ μὲν γὰρ [10] ποσοῦ τὸ μὲν ἦν καθ᾽  ἑαυτὸ τῆς πρὸς ἄλλο πως ἀπηλλαγμένον σχέσεως, οἷον φέρ᾽ εἰπεῖν  ἄρτιον περιττόν, τέλειον ἐλλιπὲς καὶ τὰ ὅμοια, τὸ δὲ πρὸς ἕτερόν  πως ἔχον (ὃ δὴ πρός τι ποσὸν ἰδίως λέγεται), οἷον ἴσον ἄνισον,  πολυπλάσιον ἐπιμόριον ἐπιμερὲς καὶ τὰ παραπλήσια᾽ καὶ πάλιν  τοῦ πηλίκου τὸ μὲν ὑπάρχει τε καὶ ἐπινοεῖται μένον, τὸ δὲ κινού-  μενον καὶ φερόμενον. διὰ τοῦτ᾽ εἰκότως ταῖς προσαχθείσαις δυσὶν  ἐπιστήμαις ἕτεραί τινες δύο συνεπέσχον καὶ συνεφήψαντο τῆς καθ᾽  ἑκάτερον ἐπιστητὸν θεωρίας. τῇ μὲν γὰρ [20] ἀριθμητικῇ, ἰδίως  λαχούσῃ τὴν περὶ τοῦ καθ᾽ ἑαυτὸ ποσοῦ σκέψιν, συμμετέσχεν ἡ  μουσικὴ τῆς περὶ τὸ πρός τι ποσὸν τεχνολογίας (οὐδὲν γὰρ ἄλλο τὸ  ἁρμονικὸν αὐτῆς καὶ τὸ περὶ συμφωνιῶν ἐπαγγέλλεται, ὅτι μὴ σχέ-  σεις καὶ λόγους διαρθροῦν τῶν φθόγγων πρὸς ἀλλήλους καὶ ποσό-  τητα ὑπεροχῶν τε καὶ ἐλλείψεων), τῇ δὲ γεωμετρίᾳ περὶ τὴν τοῦ μέ-  νοντος καὶ ἑστῶτος πηλίκου ἐξέτασιν καταγιγνομένῃ συλλήπτρια    35 ἐπεδέχετο congetturò Pistelli secondo De comm. math. sc. 30,8: ἐπε-  δέχοντο.    INTRODUZIONE ALL'ARITMETICA DI NICOMACO 643    generi di sfere celesti e di astri e di animali e di piante e di contrarie-  tà e di somiglianze. Ma ciò che è unificato?0 può essere del tutto divi-  so all'infinito, mentre può essere aumentato in modo finito;2! la quan-  tità numerica, invece, secondo un rapporto inverso, può essere  aumentata all'infinito, mentre può essere divisa in modo finito,22 pur  essendo, in verità, ambedue infiniti per natura e per rappresentazio-  ne mentale, e perciò scientificamente indeterminabili: secondo  Filolao, infatti, «Non ci potrà essere cominciamento per il nostro  conoscere, se tutto è infinito».23 Ma poiché la scienza deve necessaria-  mente per sua natura osservare gli enti cosi come sono stati [8] accu-  ratamente ordinati dalla Provvidenza divina, alcune scienze, dopo  essersi ritagliato e delimitato quello che di questi due aspetti della  realtà matematica24 esse potevano comprendere, hanno assegnato  all'uno il nome di “quanto”, ricavandolo dalla molteplicità quanti-  tativa,26 cosa di per sé ovvia,?? e all’altro?8 il nome di “quanto grande”,  ricavandolo, con lo stesso criterio,° dalla grandezza,)° e hanno sus-  sunto ambedue i loro generi come oggetto di scienze la cui forma di  sapere si identifica con loro stesse: il “quanto” come oggetto dell’arit-  metica, il “quanto grande” come oggetto della geometria. Ma poiché  questi due generi non erano di un’unica specie, esse ammettevano per  ciascun genere una suddivisione ancora più particolare: infatti del  quanto c’è da un lato il quanto che è in sé, privo di qualsiasi relazio-  ne ad altro}! come ad esempio pari e dispari, perfetto e deficiente,3?  e simili,33 e dall’altro lato il quanto che è in una qualche relazione ad  altro (ciò che si chiama propriamente il “quanto in rapporto a qual-  cosa”),34 come ad esempio uguale e disuguale, multiplo, epimorio,35  epimere,36 e affini; anche del quanto grande, a sua volta, esiste e si  concepisce da un lato il quanto grande statico, e dall'altro lato il quan-  to grande mosso o in movimento; perciò, a ragione, alle due scienze  suddette?7 se ne aggiunsero altre due?8 destinate a concorrere alla teo-  ria secondo l’uno o l’altro di questi due oggetti della scienza matema-  tica.3? Con l’aritmetica, infatti, a cui è toccata in sorte propriamente la  ricerca del quanto in sé, si mise a collaborare la musica per la tratta-  zione tecnica del quanto relativo (nient’altro infatti insegnano l’armo-  nica e la sinfonica musicali, se non ad articolare relazioni e rapporti  dei suoni tra loro e in ordine alla quantità di eccessi e difetti), con la  geometria, invece, che si occupa della ricerca sul quanto grande stati-    644 GIAMBLICO    ὑπῆρξεν ἡ σφαιρικὴ κινουμένου πηλίκου ἐπιγνώμων καταστᾶσα,  τοῦ τελειοτάτου δηλονότι καὶ τεταγμένην καὶ ὁμαλὴν [9] κίνησιν  ἐπιδεδεγμένου. διότι περὶ ἀδελφὰ τὰ ὑποκείμενα καταγενομένας,  εὔλογον ἀδελφὰς καὶ τὰς ἐπιστήμας ταύτας νομίζειν, ἵνα μὴ ἀπαι-  δευτῇ τὸ ᾿Αρχύτειον «ταῦτα γὰρ τὰ μαθήματα δοκοῦντι εἶμεν ἀδελ-  φά», ἀλλήλων τε ἐχόμενα τρόπον ἁλύσεως κρίκων ἡγεῖσθαι, καὶ εἰς  ἕνα σύνδεσμον καταλήγοντα,, ὥς φησιν ὁ θειότατος Πλάτων, καὶ  μίαν ἀναφαίνεσθαι προσήκειν τούτων τῶν μαθημάτων τὴν συγγένε-  Lav τῷ κατὰ τρόπον μανθάνοντι, τὸν δὲ σύμπαντα ταῦτα [10] οὕτως  εἰληφότα, ὡς αὐτὸς ὑποτίθεται, τοῦτον δὴ καλεῖ τὸν ἀληθέστατα  σοφώτατον καὶ διισχυρίζεται παίζων, μεταδιωκτά τε καὶ ἐκ παντὸς  αἱρετὰ ταῦτα τὰ μαθήματα, εἴτε χαλεπὰ εἴτε ῥδια εἴη, παρεγγυᾷ  τοῖς φιλοσοφεῖν προθύμου μένοις: καὶ μάλα εὐλόγως, εἴπερ συνε-  χοῦς καὶ διῃρημένου καταλήψεις διὰ τούτων μόνων γίνονται, ἐκ δὲ  συνεχοῦς καὶ διῃρημένου ὅ τε κόσμος καὶ τὰ ἐν αὐτῷ πάντα. τοῦ δὴ  ποσοῦ ἀκριβὴς κατάληψις σοφία, σοφίας δὲ ἔφεσις ἡ φιλοσοφία,  φιλοσοφία δὲ ἐκ πασῶν μονωτάτη τεχνῶν τε καὶ ἐπιστημῶν [20] τὸ  οἰκεῖον καὶ κατὰ φύσιν ἀνθρώπῳ τέλος περιποιεῖ καὶ ἐπὶ τὴν εὐ-  δαιμονίαν ἀγει τὴν παρὰ τὰ ἄλλα ζῷα τούτῳ μόνῳ προσήκουσαν καὶ  κατὰ φύσιν σπουδαζομένην, ὡς σκοπιμώτατον αὐτῷ τέλος. τῶν δέ γε  τεςσάρων τούτων ἐπιστημῶν προηγεῖσθαι φαίνεται ἡ [10] ἀριθμ-  ητικὴ διὰ τὸ προτέρα καὶ ἀρχεγονωτέρα εὑρίσκεσθαι. συναναιρεῖ  τε γὰρ ἑαυτῇ τὰς λοιπάς, καὶ πάλιν ἐκείναις συνεπιφέρεται᾽ τὰ δὲ  συναναιροῦντα μὲν μὴ συναναιρούμενα δέ, ἢ ἄλλως συνεπιφερόμε-  va μὲν μὴ συνεπιφέροντα δέ, πρότερά πως καὶ πρεσβύτερα δείκνυν-  ται. διόπερ εὐλογωτάτη ἂν εἴη καὶ καθήκουσα ἡ περὶ πρωτίστης τῆς  ἀριθμητικῆς τεχνολογίας σκέψις.   Τὸ δὲ ποσόν, ὅπερ ἐστὶ τὸν ἀριθμόν, Θαλῆς μὲν μονάδων σύ-  στημα ὡρίσατο (κατὰ τὸ Αἰγυπτιακὸν [10] ἀρέσκον, ὅπου περ καὶ  ἐφιλομάθησε)" τὸ δὲ ἀριθμητὸν ἕν ἰδίως" 5 οὐχ ὑποπεσεῖται οὖν οὔτε  «ἡ» μονὰς οὔτε τὸ ἕν τοῖς ὅροις. Πυθαγόρας δὲ ἔκτασιν καὶ ἐνέργε-  tav τῶν ἐν μονάδι σπερματικῶν λόγων, ἢ ἑτέρως τὸ πρὸ πάντων    4 καταλήγοντα sospettò Festa giustamente: καταλέγουσαν: καταλήγου-  σαν De comm. matb. sc. 31,9.   5 τὸ dè ἀριθμητὸν ἕν ἰδίως congetturò Vitelli: τὸ δὲ ἀριθμητικὸν ἕν  ἰδίων. Dopo ἰδίως ho aggiunto io il punto in alto. Pistelli congetturò, tutta-  via, una lacuna dopo ἰδίων (cf. appar. ad loc.).    INTRODUZIONE ALL’ARITMETICA DI NICOMACO 645    co e fisso, si mise a collaborare la sferica che giudica del quanto gran-  de in movimento, di quello più perfetto, naturalmente, e che ammet-  te un movimento ordinato e uniforme.*° Perciò [9] queste scienze che  si occupano di soggetti fratelli, è ragionevole considerarle scienze  sorelle, affinché non si ritenga insensato il detto di Archita: «sembra  che queste scienze siano sorelle»,4! e pensarle come degli anelli che  formino tra loro come una catena che le leghi in un unico vincolo,  come dice il divinissimo Platone,42 il quale afferma anche che la  parentela che unifica queste scienze si rivela convenientemente a chi  le apprenda secondo il giusto metodo, e che colui che ha acquisito  l'insieme di tutte queste scienze, cosî come egli pensa si debba fare,  Platone lo chiama sapientissimo nel senso più vero del termine e lo  afferma scherzando, e raccomanda a chi desideri filosofare di ricerca-  re e desiderare sempre queste matematiche, siano esse difficili o faci-  li: e Platone dice cose molto ragionevoli, se è vero che da un lato il  continuo e il discreto si conoscono solo attraverso queste scienze,4 e  dall’altro lato il cosmo e tutto quanto è in esso sono composti dal con-  tinuo e dal discreto. Sapienza è appunto conoscenza esatta del quan-  to, e la filosofia è desiderio di sapienza, e la filosofia è assolutamente  l’unica, fra tutte le arti e le scienze, che fa raggiungere all’uomo il suo  proprio fine naturale e lo conduce alla felicità che solo a lui, fra tutti  gli esseri viventi, si addice e che solo da lui per natura è desiderata  come suo fine supremo.# Fra queste quattro scienze, [10] l’aritmeti-  ca si rivela come quella che precede le altre, perché si scopre che è  anteriore e più originaria.+5 Escludendo se stessa, infatti, essa esclude  al tempo stesso le altre, e viceversa quando sono poste le altre è posta  anch'essa; ma le cose che escludono le altre senza essere escluse da  quelle, e d’altra parte sono implicate dalle altre senza implicarle, si  rivelano in qualche modo anteriori e superiori. Perciò la cosa più logi-  ca e doverosa è quella di esaminare con assoluta precedenza la tec-  nica sistematica dell’aritmetica.   Talete defini il quanto, cioè il numero, «sistema di unità» (secon-  do la dottrina degli Egizi, presso i quali egli anche studiò), mentre  defini il numerabile «uno» in senso proprio; non cadranno dunque    .entro confini né l’unità né l’uno.47 Pitagora invece lo defini come    «estensione e attuazione dei principi seminali immanenti nell’unità»,  0, con altra espressione, «il principio numerico che sussiste, prima di    646 GIAMBLICO    ὑποστὰν ἐν θείῳ vò ἀφ᾽ οὗ καὶ ἐξ οὗ πάντα συντέτακται καὶ μένει  τάξιν ἄλυτον διηριθμημένα. ἕτεροι δὲ τῶν ἀπ᾿ αὐτοῦ προποδισμὸν  ἀπὸ μονάδος μεγέθει αὐτῆς. Εὔδοξος δὲ ὁ Πυθαγόρειος «ἀριθμός  ἐστιν» εἶπε «πλῆθος ὡρισμένον» διαστείλας εἶδος καὶ γένος, ὡς ἐν  τοῖς ἀνωτέροις τὸ ποσὸν [20] διεκρίθη. οἱ δὲ περὶ Ἵππασον ἀκου-  σματικοὶ ἀριθμὸν εἶπον παράδειγμα πρῶτον κοσμοποιίας, καὶ  πάλιν κριτικὸν κοσμουργοῦ θεοῦ ὄργανον. Φιλόλαος δέ φησιν ἀριθ-  μὸν εἶναι τῆς τῶν κοσμικῶν αἰωνίας διαμονῆς τὴν κ ρατιστεύουσαν  καὶ αὐτογενὴ συνοχήν.   [11] Μονὰς δέ ἐστι ποσοῦ τὸ ἐλάχιστον ἢ ποσοῦ τὸ πρῶτον καὶ  κοινὸν μέρος ἢ ἀρχὴ ποσοῦ: ὡς δὲ Θυμαρίδας περαίνουσα ποσότης,  ἐπεὶ ἑκάστου καὶ ἀρχὴ καὶ τέλος πέρας καλεῖται, ἔστι δὲ ὧν καὶ τὸ  μέσον, ὥσπερ ἀμέλει κύκλου καὶ σφαίρας. οἱ δὲ νεώτεροι καθ᾽ ἣν  ἕκαστον τῶν ὄντων ἕν λέγεται᾽ ἔλειπε δὲ τῷ ὅρῳ τούτῳ τὸ κἂν  συστηματικὸν 7). συγκεχυμένως δὲ οἱ Χρυσίππειοι λέγοντες «μονάς  ἐστι πλῆθος ἕν»: μόνη γὰρ αὕτη ἀντιδιέσταλται τῷ πλήθει. τινὲς  [10] δὲ τῶν Πυθαγορείων «μονάς ἐστιν» εἶπον «ἀριθμοῦ καὶ μορίων  μεθόριον»᾽ ἀπ᾽ αὐτῆς γάρ, ὡς ἀπὸ σπέρματος καὶ ἀιδίου ῥίζης, ἐφ᾽  ἑκάτερον ἀντιπεπονθότως αὔξονται οἱ λόγοι, τῶν μὲν ἐπ᾽ ἄπειρον  τεμνομένων μειούμενοι μεγαλωνυμώτερον ἀεί, τῶν δὲ ἐπ᾽ ἄπειρον  αὐξομένων ἔμπαλιν μεγεθυνόμενοι. τινὲς δὲ ὠρίσαντο μονάδα  εἰδῶν εἶδος, ὡς δυνάμει πάντας περιέχουσαν τοὺς ἐν ἀριθμῷ λό-  γους. καὶ γὰρ πολύγωνος ἐν ἐπιπέδῳ ἀπὸ τριγώνου μέχρι ἀπείρου,  καὶ στερεὰ πᾶσιν εἴδεσιν ἐπιφαινομένη, καὶ σφαιρικὴ καὶ κωνική,  ἀποκαταστατικήδ [20] τε καὶ πλευρικὴ καὶ διαμετρικὴ καὶ τὸ και-  νότατον ἑτερομήκης, ὅταν ἐφ᾽ ἑαυτὴν γενομένη μείζονος ἔννοιαν  δυνάμει παράσχῃ, καὶ ἀναλογικὴ καὶ σχετικὴ κατὰ τὰς δέκα σχέ-  σεις, καὶ ποικίλως ἄλλως, ὁσαχῶς ὑποδειχθήσεται. μονὰς δὲ ἀπὸ    6 ἀποκαταστατική ho corretto io seguendo Tennulius (cf. anche ed.  Klein Add. p. XVIII): ἀποκαταστική Pistelli.    INTRODUZIONE ALL'ARITMETICA DI NICOMACO 647    tutti i numeri, nell’intelletto divino e ad opera del quale e dal quale  vengono ordinate e mantengono il loro ordine indissolubile le cose  numerate».48 Altri matematici dopo Pitagora hanno definito il nume-  ro «progressione dei numeri a partire dall'uno e regressione fino  all'uno». «Il numero è quantità determinata», dice il pitagorico  Eudosso, dopo averne distinto specie e genere, in modo che tra i prin-  cipi superiori? si potesse riconoscere il quanto. Gli Acusmatici segua-  ci di Ippaso, dal canto loro, dicono che il numero è «modello prima-  rio della creazione del mondo», e ancora «strumento con cui dio crea-  tore del mondo, discerne le cose».5° Filolao, dal canto suo, dice che  «il numero è il connettivo più potente e autogenerantesi che rende  eternamente stabili le cose del mondo».5!   [11] L’'1èla più piccola parte del quanto, ovvero la primaria e  comune parte del quanto, ovvero il principio del quanto: secondo la  definizione di Timarida è «quantità limitante»,52 poiché di ciascuna  cosa e l’inizio e la fine sono chiamati “limite”, ma ci sono cose in cui  anche la parte centrale è chiamata limite, come ad esempio nel cer-  chio e nella sfera. I matematici più recenti,5? invece, dicono che «unità  è ciò secondo cui ciascun ente è detto uno»: mancava, però, a questa  definizione «sebbene sia un insieme di parti».54 Una definizione piut-  tosto confusa danno i seguaci di Crisippo quando dicono che «l’ 1 è  unità/molteplicità»:5 tra unità e molteplicità, infatti, c'è solo contrap-  posizione. Alcuni Pitagorici la definiscono dicendo: «l’unità è frontie-  ra tra numero e parti»: da essa infatti, come da seme o eterna radice,  si vanno moltiplicando, in relazione inversa l'uno rispetto all’altro, i  rapporti numerici, da un lato quelli che in una divisione all’infinito  diminuiscono in rapporto a un denominatore sempre maggiore,56 e  dall’altro lato quelli che al contrario, aumentano in una crescita all’in-  finito.57 Altri invece definiscono l’unità «forma delle forme»,8 in  quanto contiene in potenza tutti i rapporti numerici. Essa infatti  acquista la forma di poligono piano a partire dal triangolo all’infinito,  e diviene solida in tutte le forme, perché è sferica?? e conica, e apoca-  tastatica <o ricorrente>, e laterale e diagonale e, nella sua denomina-  zione più recente, eteromeche, quando dà l’idea di essere in se stessa  potenzialmente più di se stessa,60 e proporzionale o relazionale secon-  do le dieci relazioni,6! e in vari altri modi, tanti quanti sono quelli in  cui potrà essere mostrata. L'unità invece è chiamata cosî perché in    648 GIAMBLICO    τοῦ τῷ αὐτῆς te λόγῳ δι᾽ ὅλου ἐπιμένειν. καὶ τάλλα δὲ ὅσα ἂν ὑπ’  αὐτῆς οὕτω λογωθῇ.   [12] Πάλιν δὲ ἐξ ἄλλης ἀρχῆς τοῦ ποσοῦ κατὰ πρώτην «τομὴν» τὸ  μέν ἐστιν ἄρτιον, τὸ δὲ περισσόν. ἄρτιον μὲν τὸ μερῶν ἴσων ἀφ᾽  ἑαυτοῦ παρεκτικόν, μεγίστων τε καὶ ἐλαχίστων μεγίστων μὲν  πηλικότητι καὶ τῇ πρὸς τὸ ὅλον σχέσει, ὅτι εἰς ἡμίση, ἐλαχίστων δὲ  ποσότπτι, ὅτι εἰς δύο (τῶν γὰρ δύο ἐλάττονα φύσει οὐκ ἔστιν, εἴπερ  οὐδὲ τῆς δυάδος ἀριθμὸς ἐνδοτέρω πρώτη γὰρ αὕτη μονάδων σύ-  στημα, ὅσπερ γενικοῦ ὅρος ἀριθμοῦ)" περισσὸν δὲ τὸ πάντως, ὅταν  εἰς τὰ [10] ἐλάχιστα διαιρῆται, ἄνισα τὰ μέρη ἀλλήλοις παρέχον.  οὐ γὰρ διχῇ εἰς ἴσα μεριστόν“ ἀναιρετικὸν γὰρ ἔσται τοῦτο τῆς φύ-  σει ἀτόμου μονάδος εἰς τὴν σύμπασαν τεχνολογίαν καὶ φυσιολογί-  ας τοιαύτας χρησιμευούσης. ἐπεὶ δὲ ὁ μὲν ἄρτιος διαιρούμενος  ὁπωσοῦν ἢ ἴσα ἢ καὶ ἄνισα, εἰς ὁμογενῆ πάντως λύεται ἢ γὰρ ἄρτια  ἢ περιττὰ ἀμφότερα᾽ ὁ δὲ περισσός, εἰς ἄλλα ἀμφότερα τὰ τοῦ ἀριθ-  μοῦ μήκη. ἑτερομήκη μὲν ἐκ τοῦ κατασυμβεβηκότος κατὰ τὸ σημαι-  νόμενον τὸν ἄρτιον ἐπωνόμαζον οἱ ἀπὸ τοῦ διδασκαλείου, ὡς τὸ  ἕτερον [20] μόνον τῶν τοῦ ἀριθμοῦ μηκῶν ἐν τοῖς μερισμοῖς ἔχοντα"  ἀντιδιεσταλμένως δὲ τούτῳ ἀμφιμήκη τὸν περισσὸν τὸν ἀμφότερα  ὁμοῦ παρεχόμενον ταῦτα. καὶ δι᾽ ἀλλήλων δ᾽ ἂν γνωρισθείησαν ἐν  τῇ φυσικῇ τοῦ ἀριθμοῦ ἐκθέσει, ἄρτιος μὲν ὁ μονάδι ἐφ᾽ ἑκάτερον  διαφέρων περισσοῦ, περισσὸς δὲ ὁ τῷ αὐτῷ ἀρτίου. εἰδοποιεῖται δὲ  καθ᾽ ἑκάτερον γένος ἰδίως τε καὶ [13] συμβεβηκότως᾽ ἄρτιος μὲν  δυάδι ἰδίως, συμβεβηκότως δὲ καὶ μονάδι: ἐπέρχεται γὰρ αὐτὸν  μονὰς μὲν αἰεὶ δυαδικῶς, εἴτε ἀμιγῶς εἴτε καὶ συνδιαφόρως εἴτε  καὶ ἄκρατος εἴτε καὶ σὺν ᾧτινιοῦν ὁμογενεῖ᾽ περισσὸς δὲ ἐκ τοῦ  ἐναντίου, ἰδίως μὲν ὑπὸ μονάδος μετρεῖται ὅταν περισσακῶς, συμ-  βεβηκότως δὲ ὑπὸ δυάδος, οὐ μὴν καθ᾽ ἑαυτήν, ἀλλὰ σὺν τῇ μονάδι.  ἐξαίρετον μέντοι μονὰς μὲν παρὰ πάντας ἔχει περισσούς, ὡς ἂν εἰ-  δοποιὸς αὐτῶν, τὸ μηδ᾽ εἰς ἄνισα μερίζεσθαι’ δυὰς δὲ [10] παρ᾽  ἀρτίους, τὸ μόνον εἰς ἴσα. διὸ τὴν μὲν «μονάδα» Ἄτροπόν τε καὶ  ᾿Απόλλωνα καὶ ἕτερα τοιαῦτα, τὴν δὲ δυάδα Ἶσίν τε καὶ Ἄρτεμιν    INTRODUZIONE ALL'ARITMETICA DI NICOMACO 649    rapporto con se stessa permane sempre uguale.62 E la stessa cosa vale  per gli altri numeri che siano calcolati con il suo rapporto.8   [12] Riprendendo ancora una volta il discorso dall’inizio, il quan-  to si divide anzitutto nel pari e nel dispari. Pari è quello che si dà da  sé una divisione in parti uguali, siano esse le più grandi o le più pic-  cole: le più grandi nel senso del quanto grande e rispetto all’intero,#4  perché è diviso a metà, le più piccole nel senso della quantità,6 per-  ché si divide sempre fino ad arrivare a 2 (non è possibile infatti che si  arrivi per natura a meno di 2, dal momento che non si può affatto tro-  vare un numero pari inferiore al 2: è questo numero infatti la prima  combinazione di unità, che è la definizione generica di numero);  dispari, invece, è quello dalla cui divisione si ottengono parti assolu-  tamente disuguali tra loro, fino alle più piccole. Non è infatti divisibi-  le a metà in parti uguali, perché questo annullerebbe la natura indivi-  sibile dell’unità che serve all’intero sistema delle arti e alle indagini  matematiche sulla natura. Il pari invece, poiché può essere diviso  comunque in parti uguali o disuguali, si risolve sempre in parti omo-  genee, perché ambedue o pari o dispari,” mentre il dispari si risolve  in due parti di diversa lunghezza numerica. “Eteromeche” era il  nome che gli Scolastici? davano al numero pari,7° per un accidente  del suo significato, in quanto nelle parti in cui si divide differisce di  una sola lunghezza;”! viceversa chiamavano “anfimeche” il numero  dispari, perché dà parti di ambedue le lunghezze.?? E si potrà ricono-  scerli nella loro reciproca diversità attraverso l’esposizione dei nume-  ri naturali: pari è il numero che differisce dal dispari di un 1 in più o  in meno, lo stesso criterio vale per il dispari nei confronti del pari. Per  ambedue i generi si dà una forma propria e una forma accidentale:  (13] la forma propria del pari si ha con il 2, quella accidentale con |’  1: 1° 1 infatti attraversa il pari a coppie di due 1, sia che restino sepa-  rati o che si fondano, sia restando 1 puro o insieme a qualsiasi nume-  ro dello stesso genere; al contrario la forma propria del dispari è misu-  rata dall’ 1 preso un numero dispari di volte, quella accidentale inve-  ce è misurata dal 2, non dal 2 in sé, ma dal 2 insieme con l’ 1.1.1 ha  questo di singolare, che fra tutti i dispari, di cui sarebbe come il prin-  cipio formale, è quello che non si può dividere neppure in parti disu-  guali,73 il 2 invece ha di singolare che fra tutti i pari?4 è quello che si  può dividere soltanto in parti uguali.?5 Perciò i Pitagorici chiamavano    650 GIAMBLICO    κατὰ ἀνάλογον οἱ Πυθαγορικοὶ ἐπωνόμαζον. ἐκ δὲ τοῦ ἄτομος φύ-  σει ἡ μονὰς εἶναι, πέρας ἐφ᾽ ἑκάτερον καὶ ὁρισμὸς ἡ αὐτὴ φανήσε-  ται" πηλίκῳ μέν, ἵνα ἀπ’ αὐτῆς ὡς ὅλου ἡ ET ἄπειρον τομὴ ἄρχηται,   ποσῷ δέ, ἵνα κατὰ ταὐτὰ ἡ ἐπ᾽ ἄπειρον αὔξησις ἀντιπαρεκτείνηται  ὡς μονάδος: καὶ ὡς ὅλου μὲν ἥμισυ εἶτα τρίτον εἶτα τέταρτον εἶτα  πέμπτον καὶ ἑξῆς μείζονα αἰεὶ καὶ [20] μᾶλλον μέρη ἐναντίως τῇ  τῶν ὀνομάτων αὐξήσει προχωρούσῃ, γίνεται" ὡς δὲ ἀπὸ μονάδος  δυὰς εἶτα τριὰς εἶτα τετρὰς καὶ ἐφεξῆς μέχρι παντὸς προκόπτῃ κατὰ  τὰ ὀνόματα ἡ αὔξησις, καὶ ἀντιπαρωνυμίας γένεσις ποικίλης παρὰ  τοῦτο ὑποφύηται, τῆς μονάδος [14] ὑφισταμένης ἀμφοτέροις, ἄρθρου  τρόπον, πηλίκῳ τε καὶ ποσῷ, καὶ ὡσανεὶ διάφραγμα καὶ μεθόριον  ποιούσης ἑαυτὴν τῆς ἀντιπαρωνυμίας τούτων. ἐὰν γὰρ προχειρι-  σώμεθα τὴν μονάδα, καὶ ὡς ἀπὸ γωνίας αὐτῆς λάβδωμά τι καταγρά-  yopev, καὶ τὴν μὲν τῶν πλευρῶν αὐτοῦ τοῖς συνεχέσι μονάδι ἀριθ-  μοῖς ἐφεξῆς συμπληρώσωμεν μέχρι βουλόμεθα, οἷον β΄ γ΄ δ΄ ε΄ ς΄ ζ  καὶ ἐφοσονοῦν, τὴν δὲ ἀπὸ τοῦ μεγίστου τῶν μερῶν ἀρξάμενοι, ὅπερ  ἐστὶν ἡμίσους τοῦ προσεχεστάτου τῷ ὅλῳ κατὰ μέγεθος, [10] συνε-  χέσι καὶ αὐτοῖς ἐφεξῆς Yo δῷ co co ζῳ καὶ ἐφοσονοῦν, τὴν  εἰρημένην ἀντιπεπόνθησιν ὀψόμεθα καὶ φυσικὴν συνάρτησιν καὶ  εὔτακτον σχέσιν, οἷον τοιαύτην. ἐπεὶ εἰς δύο τὸ ὅλον ἐμερίσθη,  ἥμισυ παρωνομάσθη καὶ συνεζύγη οὕτως τὸ ἥμισυ τῷ δύο᾽ πάλιν ὅτι  εἰς τρία τρίτον, καὶ εἰς τέσσαρα τέταρτον, καὶ ἐφεξῆς μέχρις  ἑκατοστοῦ καὶ χιλιοστοῦ καὶ μυριοστοῦ, καὶ ἐντεῦθεν ἡ τῆς ἐπ᾽  ἄπειρον τομῆς ἀνάγκη διὰ τὴν παρέκτασιν τοῦ ὁμολογουμένως ἐπ᾿  ἄπειρον αὐξητοῦ παρεισβιάζεται. καὶ ἔτι ὡς δὶς ἕν δύο, οὕτως  ἡμισάκις ἕν ἥμισυ“ [20] καὶ ὡς δὶς δύο τέσσαρα, οὕτως ἡμισάκις  ἥμισυ τέταρτον: καὶ ὡς δὶς δύο δὶς ὀκτώ, οὕτως ἡμισάκις ἥμισυ  ἡμισάκις ὄγδοον καὶ ὡς δὶς τρία ἕξ, οὕτως ἡμισάκις τρίτον ἕκτον.  καὶ καθάπαξ δὲ ὅ τι ἂν ἀφ᾽ ἑκατέρου λάβωμεν, ἐν αὐτῷ ἐκείνῳ ὁ  λόγος μένει, καὶ ἐφ᾽ ἑκάστου τῶν ἀριθμῶν ὅσα ἂν ἁπλῶς συμβαίνῃ,  ταῦτα ἐκ παντὸς καὶ ἐπὶ τῶν ἀντιστρόφων μερῶν εὑρεθήσεται ἀνα-  λογίᾳ. προληπτέον δέ, ὡς χρήσιμον εἰς [15] τὰ ἑξῆς ἐσόμενον,  τοῦτο᾽ ὅτι παρωνυμούντων ἁπάντων μερῶν ἅπασιν ἀριθμοῖς, μόνον  τὸ ἥμισυ τῷ δύο πράγματι μέν, οὐκέτι δὲ καὶ ὀνόματι παρωνυμεῖ"  ἐπέλιπε γὰρ ἐν τῇ λέξει τοῦτο, ὥσπερ καὶ ἄλλα πολλά. γένεσις δὲ  περισσοῦ καὶ ἀπὸ μονάδος, καὶ κατὰ σύνθεσιν ἀδιάζευκτον οὐχὶ    7 καὶ ὡς δὶς δύο δὶς ὀκτώ, οὕτως ἡμισάκις ἥμισυ ἡμισάκις ὄγδοον ho  mutato io l'ordine: καὶ ὡς δὶς δύο δίς, οὕτως ἡμισάκις ἥμισυ ἡμισάκις, ὀκτώ  τε καὶ ὄγδοον Pistelli.    INTRODUZIONE ALL’ARITMETICA DI NICOMACO 651    l'1 Atropo”6 e Apollo e in altri simili modi, e chiamavano analoga-  mente il 2 Iside?” e Artemide. Poiché l’ 1 è per natura indivisibile, esso  apparirà limite e determinazione in ambedue le forme della quanti-  tà:78 nel quanto grande, perché dall’ 1 come intero abbia inizio la divi-  sione all’infinito, nel quanto, perché dall’ 1 come tale si distenda con  lo stesso criterio l'aumento all'infinito; dall’ 1 come intero nascono la  metà c poi il terzo e il quarto e il quinto e cosi di seguito parti sempre  più grandi e in maggior numero ma in progressione inversa all’au-  mento dei loro nomi;?? dall’ 1 come tale nascono il 2 e poi il 3 e il 4 e  cosi di seguito finché l’aumento di tutta la serie non proceda secondo  i nomi dei singoli numeri, e oltre a questo non abbia origine la varie-  tà degli antiparonimi, costituendo l’ 1 [14] come una specie di giun-  tura per ambedue, cioè per il quanto grande e il quanto, o come un  diaframma o una frontiera, in quanto si fa antiparonimia di essi.80 Se  infatti prendiamo l’ 1, e tracciamo due linee a forma di un lambda che  abbia il numero 1 come suo angolo, e riempiamo a nostro piacere una  linea di questo lambda con i numeri successivi all’ 1, ad esempio 2, 3,  4,5, 6,7, ecc., e l’altra linea con le parti dell’ 1 a partire da quella più  grande, cioè 1/2 che segue in grandezza l’intero, e le parti seguenti,  cioè 1/3, 1/4, 1/5, 1/6, 1/7, ecc., allora vedremo la suddetta correla-  zione e una tale naturale articolazione e relazione bene ordinata.  Dopo che l’intero viene diviso in due, prende il nome di 1/2 e cosî 1/2  è accoppiato a 2; se di nuovo l’intero è diviso in 3, prende il nome di  1/3, e se è diviso in 4, prende il nome di 1/4, e cosi di seguito fino a  1/100 e a 1/1000 e a 1/10.000, e nasce di qui la necessità di dividere  all'infinito il continuo per via del corrispondente aumento all’infinito  del discreto. E inoltre, come 1x2 fa 2, cosî 1:2 fa 1/2; e come 2x2 fa  4, cosî 1/2:2 fa 1/4; e come 2x2x2 fa 8, cosi (1/2:2):2 fa 1/8; e come  3x2 fa 6, cosi 1/3:2 fa 1/6. E da qualunque delle due operazioni noi  partiamo, il rapporto rimane assolutamente lo stesso, e nei singoli  numeri, tutto ciò che proviene dal tutto si troverà in proporzione  anche in tutte le parti corrispondenti. Ma occorre anticipare una cosa  che sarà utile [15] in seguito, e cioè che di tutte le parti che sono  paronime di tutti i numeri interi, soltanto 1/2 è paronimo di 2 di fatto,  ma non di nome, perché questo manca nell’espressione verbale, come  mancano molte altre cose. Il dispari nasce anch'esso dall’ 1, e si ottie-  ne per somma non disgiuntiva,8! e non per accumulazione,82 ma per    652 GIAMBLICO    τὴν σωρηδὸν ἀλλὰ τὴν κατὰ συνδυασμόν, ἥν τινες συζυγικὴν  καλοῦσιν, οἷον ἕν πρῶτον, εἶτα α΄ β΄, εἶτα πάλιν β΄ γ΄ καὶ γ΄ δ΄ πάλιν,  ἐφεξῆς ὁμοίως: ἀρτίου δέ, κατ᾽ ἐμπλοκήν, ὡς α΄ γ΄, β΄ δ΄, [10] γ΄ ε΄, δ΄  ς΄ καὶ ἐφοσονοῦν, ἵνα ὡς εἰδοποιὸς ἀρτίου καὶ στοιχεῖον ἡ δυάς,  ἀλλ᾽ οὐχ ὡς ἐνεργείᾳ ἄρτιος, παραλείπηται" ἢ ἑτέρως, ἑκάστου τῶν  ἀπὸ μονάδος ἀριθμῶν διπλασιαζομένου, ὡς δὶς ἕν καὶ δὶς δύο καὶ  ἐφεξῆς δὶς τρία, δὶς τέσσαρα, δι᾽ οὗ τρανοῦται μᾶλλον ἡ  προταχθεῖσα εἰδοποίησις ὑπὸ δυάδος τοῦ ἀρτίου. καὶ ἐξ ἀλλήλων δ᾽  ἂν γένοιτο οὕτως πρὸς ἔμφασιν τῆς τοῦ ἀριθμοῦ ἰδιότητος᾽ τῶν γὰρ  ἑκατέρωθεν ἑκάτερος ἑτερογενῶν ἅμα ἥμισυς. καὶ τὸ θαυμασιώτα-  τον, καὶ μονάδος ἴδιον καὶ συμβιβαστικὸν τοῦ μήπω ἀριθμὸν [20]  αὐτὴν εἶναι, ὅτι ἑτέρωθεν μόνον ἀλλ᾽ οὐχὶ ἀμφοτέρωθεν περιεχο-  μένη, μόνης τῆς δυάδος ἡμίσειά ἐστιν, ἀρκουμένη τῷ ἑνὶ γείτονι.  οὕτως δυνάμει πάντα ἐν αὐτῇ θεωρεῖται κοινῶς τά τε ἀρτίου καὶ  περισσοῦ εἴδη ὡς πηγῇ τινι καὶ ἀμφοτέρων ἀδιακρίτῳ ῥίζῃ καὶ  ἀναγκαίως ἀδιαιρέτῳ παρὰ τὰ ἄλλα πάντα. καὶ γὰρ τῶν βιαζομένων  μονάδα διαιρεῖν καὶ παρατιθέντων αὐτῇ ἐκ θατέρου τὸ ἥμισυ ὡς ἕν  ποσὸν καὶ ὁμογενὲς συνεχές, κωλυτικὸν γίνεται τὸ συζυγούντων  ταῖς παρωνυμίαις τῶν ὑπὲρ αὐτὴν ἀριθμῶν ἁπάντων τοῖς καθ᾽ [16]  ἕκαστον ἀντιθέτοις μέρεσιν, αὐτὴν μόνῳ τῷ ὅλῳ ἀντιδιαστέλλε-  σθαι, καὶ τὸ σύγχυσιν ἔσεσθαι πάντως τῶν δύο γενικῶν τοῦ ἀριθμοῦ  εἰδῶν εἰ καὶ τὸ περισσὸν φαίημεν τέμνεσθαι, καὶ πάλιν τὸ οἷόν 1°  εἶναι παριστάνειν ἀναγκαῖονβ μᾶλλον αὐτῇ ἡμίσους τὸ οὐδὲν ἐπὶ τὸ  ἔλαττον παρατιθέναι, ὅπερ πολλαχοῦ ἀκόντων ἡμῶν φαίνεται ἐγ-  κρῖνον ἑαυτὸ τῇ τῆς θεωρίας φύσει καὶ ἐνθάδε μὲν [ἐν] τῷ τῶν  ἑκατέρωθεν ἅμα ἡμίσειαν εἶναι τὴν μονάδα καὶ δυάδος καὶ τοῦ οὐ-  δέν, καθὰ καὶ οἱ [10] λοιποὶ ἀριθμοὶ τῶν ἑκατέρωθεν ἕκαστος ἅμα  ἥμισυς ἐφαίνετο: κἀκεῖ δὲ πολὺ μᾶλλον καὶ ἐναργέστερον ὅταν τοῦ  θ΄ τετραγώνου «περισσοῦ»9 πρωτίστου μετὰ tod!° δυνάμει ὄντος  περισσοῦ, ἐν τῇ μεσότητι, τουτέστι τῷ πέντε, ἀναφαίνηται ὁ τῆς  δικαιοσύνης λόγος κατ᾽ ἀριθμητικὴν ἀναλογίαν συζύγως ἀμειβόμε-  νος καὶ ὡς ἀφορίζονται οἱ Πυθαγορικοὶ δικαιοσύνην λέγοντες δύ-    8 παριστάνειν ἀναγκαῖον eliminò Pistelli (cf. appar. ad ἰος.), ma a me  sembra che il discorso funzioni meglio con quelle parole, cosi come — del  resto — lo stesso Pistelli sembra volere dire quando, in Add. et Corr. p. VI,  riferisce l’interpretazione di Heiberg, il quale ritiene che non si debba fare  alcun cambiamento al testo (nulla mutatione opus est).   ? l'integrazione è di Pistelli in Add. et Corr. p. VI).   10 μετὰ τοῦ Tennulius: μετὰ τῶν.    INTRODUZIONE ALL’ARITMETICA DI NICOMACO 653    accoppiamento di due numeri,8* e che alcuni chiamano “congiunti-  va”:84 ad esempio, prima solo 1, poi in coppia 1 e 2, e ancora 2 e 3, e  3 e 4, e cosi di seguito; il pari invece nasce per implicazione,85 come 1  e3,2e4,3e5,4e6, ecc., in modo tale che il 2 sia assunto come fat-  tore formale ed elemento del pari, ma non come pari in atto;86 o in  altro modo, quando ciascun numero a partire dall’ 1 venga raddop-  piato, come 1x2, 2x2, e cosi di seguito 3x2, 4x2, ecc., per cui risulta  più evidente che la suddetta formazione del pari nasce dal 2. Ε cosi  dispari e pari nasceranno l’uno dall’altro,87 perché si manifesti la pro-  prietà del numero: infatti ogni numero è al tempo stesso la metà della  somma dei due numeri che stanno ai suoi lati e che sono di genere  diverso.88 E la cosa più sorprendente, e che è propria dell’ 1 e che  porta alla convinzione che esso non è affatto un numero, è il fatto che  l' 1, poiché è contenuto solo da una parte e non da ambedue le parti,  è la metà solo del 2,89 come se si contentasse di un unico confinante.  Cosi nell’ 1 si possono vedere accomunate tutte le forme potenziali e  del pari e del dispari, come in una fonte o radice indistinta di ambe-  due e necessariamente inseparabile da tutti gli altri tipi di numero. E  infatti, quando il dispari o il pari ci costringono a dividere l’ 1 o ad  aggiungere ad esso la metà di un altro numero come un certo quanto  discreto o un continuo omogeneo, siamo impediti dal fatto che, men-  tre tutti i numeri superiori a 1 risultano dalla combinazione delle sin-  gole parti [o frazioni] opposte aventi la stessa denominazione,% [16]  l’ 1 invece si contrappone soltanto all’intero; un altro impedimento è  il fatto che ci sarebbe assoluta confusione tra le due specie generali  del numero, ammesso che noi dicessimo che il dispari sia divisibile, e  ancora il fatto che, ad esempio, si potrebbe presentare la necessità di  indicare piuttosto la metà dell’ 1 aggiungendo lo 0 dalla parte pit pic-  cola, la qual cosa spesso, senza che lo vogliamo, sembra si ammetta  da sé in virti della natura della teoria e in questo caso in virtù del fatto  che anche l’ 1 debba essere al tempo stesso la metà del 2 e dello 0, alla  pari degli altri numeri, ciascuno dei quali, come si è visto, è al tempo  stesso la metà dei due numeri con cui confina da un lato e dall’altro;  e ciò appare molto più evidente quando, sommato il 9, che è il primo  quadrato dispari, con il dispari in potenza,? nella metà della somma,  e cioè nel 5,9 appare il principio della giustizia che regola il dare e  l'avere secondo proporzione aritmetica, stando alla definizione che ne    654 GIAMBLICO    ναμῖν ἀποδόσεως τοῦ ἴσου καὶ προσήκοντος ἐμπεριεχομένην ἀριθ-  μοῦ τετραγώνου περισσοῦ μεσότητι. ἐκτεθέντων γὰρ στιχηδὸν τῶν  ἀπὸ μονάδος μέχρις ἐννεάδος [20] ἀριθμῶν, ὁ πέντε μέσος τοὺς μὲν  ἐντὸς ἑαυτοῦ ἔλαττον ἢ προσῆκον ἔχοντας διορίσει, τοὺς δ᾽ ὑπὲρ  αὐτὸν πλεονεκτοῦντας καὶ κατὰ πρόβασίν Ye: τοὺς γὰρ μᾶλλον τῇ  ἐννεάδι ἐγγίζοντας ἀεί, τοὺς δὲ τῇ μονάδι ἀεὶ ἔλαττον προσήκει τε  ἑκάστῳ κατά γε τὸν τῆς ἰσότητος λόγον τὸ τοῦ πεντεκαιτεσσαρά-  κοντα τῶν ὅλων συστήματος ἔννατον, ὅπερ αὐτόθεν τῇ μεσότητι τοῦ  πλέον [17] καὶ ἔλαττον μόνῃ ἐμφαίνεται, ἐπεὶ καὶ ἡ δικαιοσύνη καὶ  ἄλλαι ἀρεταὶ μεσότητες τούτων, ἀλλ᾽ οὐχ ἕτερόν τι εὑρίσκονται  οὖσαι. διὰ τοῦτο ὅσῳ παρὰ τὸ καθῆκον ὑπερέχει ὁ θ΄ καὶ πλεονεκ-  tei, τοσούτῳ λείπεται ὁ πρῶτος" ὅσῳ δὲ ὁ η΄, «τοσούτῳ» ὁ δεύτερος:  καὶ ὅσῳ ὁ ζ΄, τοσούτῳ ὁ Y καὶ ὅσῳ ὁ ς΄, τοσούτῳ ὁ δ΄" τῇ γὰρ ἐπὶ τὸ  μέσον βραχὺ ἐγγύτητι ὥσπερ ἐπὶ ἀορτὴν ζυγικοῦ πήχεος ἀπίσωσις  ὑποφύεται, ὡς κἀκεῖ ὀρθότητος γωνιῶν, τῶν τε πρὸς τὸν πῆχυν τῶν  πλαστίγγων καὶ [10] τῶν τοῦ πήχεος πρὸς αὐτὸν τὸν ἀορτήν. ὁ δὲ  μέσος ὁ ε΄ τοσούτῳ λείπεται ὅσῳ πλεονάζει: οὐδενὶ ἄρα. καὶ μία  μὲν ἔμφασις ἥδε τοῦ οὐδὲν ὅτι χρήσιμον ἐν τῇ θεωρίᾳ, καὶ ἄλλη δὲ  εὐθὺς ἀναφαίνεται. οὐ γὰρ μόνον συνάδει τὸ καὶ τῷ σχήματι τοῦ  χαρακτῆρος εἶναι τὸ ε΄ τὸ ἥμισυ τοῦ θ΄, ἀλλὰ καὶ ἔτι διὰ τὴν συγγέ-  νειαν ὁμοκατάληκτα φύσει εἶναι τὰ συζύγως ἑκατέρωθεν αὐτοῦ"  ἐνάκι γὰρ θ΄ τῷ ἅπαξ α΄, ὀκτάκι δὲ ὀκτὼ τῷ δὶς δύο, ἑπτάκι δὲ ἑπτὰ  τῷ τρὶς γ΄, ἑξάκι δὲ ἕξ τῷ τετράκι δ΄, μόνον δὲ αὐτὸ ἑαυτῷ τὸ πεντά-  κις [20] πέντε. ἔτι τὸ μὲν ἐνάκι ε΄ τῷ ἅπαξ ε΄, τὸ δὲ ἐνάκι ς΄ τῷ ἅπαξ  δ΄͵, τὸ δὲ ἐνάκι ζ΄ τῷ ἅπαξ γ΄, τὸ δὲ ἐνάκι ὀκτὼ τῷ ἅπαξ δύο. καὶ πάλιν  τὸ ὀκτάκις ζ΄ τῷ δὶς γ΄ καὶ τὸ ὀκτάκις ς΄ τῷ δὶς δΊ! «καὶ τὸ ὀκτάκις  ε΄ τῷ δὶς ε΄» καὶ τὸ ἑπτάκις ς΄ τῷ τρὶς δ΄ «καὶ τὸ ἑπτάκις ε΄ τῷ τρὶς ε΄».  καὶ ἄλλως τὸ μὲν ἑξάκι ε΄ τῷ τετράκι ε΄, εἰ καὶ μὴ τῷ ὀνόματι ἀλλά  γε τῇ δυνάμει, ὥσπερ καὶ [18] ἀπεδείξαμεν τὸ ἥμισυ τῷ δύο ἀντι-  παρωνυμεῖν δυνάμει, ἀλλ᾽ οὐκ ὀνόματι. εἰ δὴ παρὰ τῶν πλεονεκ-  τούντων τοῖς πλεονεκτουμένοις, ὥσπερ κριταὶ δίκαιοι καὶ τοῦ ἴσου  καὶ ἐπιβάλλοντος ἀποδοτικοί, λαμβάνοντες ἀποδιδοῖμεν, οὐκ εἰκῇ  παρὰ τοῦ τυχόντος λαβόντες τῷ τυχόντι ἀποδώσομεν, ἀλλὰ κατὰ τὴν  αὐτὴν ἀναλογίαν, γνώμονι χρώμενοι καὶ οἷον κανόνι τῷ μήτε πλεο-    !l δὶς δ΄ correttamente Pistelli: τρὶς δ΄ erroneamente nel TLG della  California Univ. di Irvine.    INTRODUZIONE ALL'ARITMETICA DI NICOMACO 655    danno i Pitagorici, i quali dicono che giustizia è potere di assegnare in  parti uguali ciò che spetta, potere che è contenuto al centro del  numero quadrato dispari. Dei numeri,* infatti, che si estendono in  fila dall’ 1 al 9, il 5, che sta al centro, divide quelli che stanno prima  in quanto hanno meno di quanto dovrebbero avere per uguagliarlo,  da quelli che lo superano nella progressione: questi infatti crescono  man mano che si avvicinano al 9, quelli invece diminuiscono man  mano che si avvicinano all’ 1; e spetta a ciascuno di questi numeri, in  funzione del rapporto di uguaglianza, la nona parte della somma tota-  le che è 45, cosa che si rivela da sé per il solo fatto che il 5 è a metà  tra il più e il meno, [17] poiché anche la giustizia e le altre virtù sono  medietà tra il più e il meno,” anzi si scopre che altro non sono. Perciò  di quanto il 9 supera e ha più del giusto, di tanto ne è inferiore l’ 1;  di quanto l’ 8, di tanto il 2; di quanto il 7, di tanto il 3; di quanto il 6,  di tanto il 4: infatti man mano che ci si avvicina al centro come al  punto di equilibrio del braccio di una bilancia, si fa strada l’uguaglia-  mento dei numeri rispetto al 5, come nel caso della bilancia si vanno  eguagliando gli angoli retti, sia quelli dei piatti rispetto al braccio che  quelli del braccio rispetto al punto stesso di equilibrio. Il numero 5,  che sta al centro, di tanto difetta di quanto supera, dunque di 0. Ed è  un primo modo in cui lo 0 appare utile alla teoria, ma lo o riappare  subito un’altra volta. Infatti con la centralità del 5 concorda non solo  il fatto che anche nella figura il segno 5 [e] è la metà del segno 9 [0],  ma persino il fatto che le combinazioni dei numeri che sono alla stes-  sa distanza dal 5, dall'una e dall’altra parte, hanno per natura  un’uguale terminazione: infatti 9x9 termina come 1x1; 8x8 come 2x2;  7x7 come 3x3; 6x6 come 4x4; mentre solo 5x5 termina per se stesso.  E ancora, 5x9 termina come 5x1; 6x9 come 4x1; 7x9 come 3x1; 8x9  come 2x1. E ancora, 7x8 termina come 3x2; 6x8 come 4x2;100 5x8  come 5x2; 6x7 come 4x3; 5x7 come 5x3. E in altro modo, 5x6 termi-  na come 5x4, sebbene siano antiparonimi non nel nome ma nella  potenza,!9! cosî come [18] abbiamo mostrato che anche 1/2 è antipa-  ronimo di 2 in potenza, ma non nel nome.!92 Se poi volessimo toglie-  re a chi ha di più rispetto a 5, e attribuire a chi ne ha di meno, come  fanno i giudici giusti quando attribuiscono secondo uguaglianza e  secondo il dovuto, allora noi non toglieremmo e attribuiremmo a caso  a seconda che capiti questo o quel numero, ma secondo la medesima    656 GIAMBLICO    νεκτήσαντι μήτε πλεονεκτηθέντι, τουτέστι τῇ meviddi: οὗτος γὰρ  μόνος δικαίως τὸ ἑαυτοῦ πλῆρες ἔχει. [10] ἀπὸ τοῦ οὖν ἐννέα τὸν  ἀπ᾽’ αὐτοῦ πέμπτον λαβόντες τῷ α΄ δώσομεν, καὶ ἰσωθήσονται ὁ  πλεῖστον ἀδικήσας καὶ ὁ πλεῖστον ἀδικηθείς᾽ πέμπτον δὲ ἀπὸ τοῦ θ΄  τὰ τέσσαρα. ἔστι γὰρ η΄ ζ΄ ς΄ ε΄ δ΄. πάλιν ἀπὸ τοῦ η΄ προσθήσομεν τῷ  δύο ἀφελόντες γ΄ ἀπὸ τοῦ η΄ πέμπτον γὰρ τὰ γ΄. καὶ ἀπὸ τοῦ ζ΄ ἀφε-  λόντες τὸν ἀπ᾽ αὐτοῦ πέμπτον τὰ β΄, προσθήσομεν τῷ τρία, καὶ  ἰσωθήσονται. καὶ πάλιν ἀπὸ τοῦ ς΄ ἀφελόντες τὸν ἀπ᾿ αὐτοῦ πέμπτον  τὸ ἕν, προσθήσομεν τῷ δ΄, καὶ ἔσονται ἴσοι. ἀπὸ δὲ τοῦ πέντε ἀφε-  λόντες οὐδέν (τὸ ἀπ᾽ [20] αὐτοῦ πέμπτον γὰρ [a] τὸ οὐδέν), προ-  σθήσομεν αὐτῷ, καὶ ἔσται ἑαυτῷ ἴσος. οὕτως τὸ νοούμενον ἔλαττον,  μονάδος ἀδιαιρέτου οὔσης, τὸ οὐδέν, πανταχοῦ σῴζει πρὸς τὴν  μονάδα τὴν ἀναλογίαν, μᾶλλον ἢ ὅπερ ἐκεῖνοι ἐνόμιζον ἥμισυ, καὶ  γέγονεν ἡ μονὰς καὶ αὐτὴ τῶν παρ᾽ ἑκάτερα συντεθέντων ἡμίσεια"  τοῦ γὰρ δύο καὶ τοῦ οὐδὲν ἥμισυ τὸ ἕν. αὐτὸ μέντοι τὸ τοῦ οὐδὲν  [19] ὄνομα ἐμφαντικώτατα ἡμῖν σημαίνει φύσει ἐλάχιστον εἶναι  καὶ ἄτομον τὴν μονάδα: τὸ γὰρ οὐδὲν ἐν διαιρέσει στερίσκει πάσης  οὐσίας, ὅπερ οὐκ ἂν ἐνοεῖτο εἰ τὸ ἥμισυ ὑπῆρχεν ἢ τρίτον ἢ τὰ  ὅμοια αὐτῆς μέρη. τί γὰρ δεῖ προσεπιπλέκειν ὅτι ἡ μονὰς πολυπλα-  σιάσασα ἀριθμὸν ὁντινοῦν αὐτοῦ ἐκείνου οὐκ ἐκβαίνει, ὁπότε καὶ  αὐτὴ τοῦτο ποιήσασα ἑαυτῇ οὐκ ἐξίσταται, ὡς ἂν μεθόριον τοῦ τε  ἁπλῶς ἀριθμοῦ καὶ τοῦ οὐδὲν πεφυκυῖα; ὁ μὲν γὰρ εἴτε ἑαυτὸν εἴτε  ἄλλον λάβοι [10] ἐν οὐδετέρῳ τὸν λόγον ἵστησιν, ἀλλὰ πάντως τρί-  τον τινὰ ἀπογεννᾷ τὸ δὲ οὐδὲν εἴτε ἑαυτὸ εἴτε ἄλλο δόξειε πολυ-  πλασιάζειν αὐτὸ οὐδέποτε ἐκβήσεται᾽ οὐδενάκι γὰρ οὐδέν, καὶ οὐ-  δενάκι θ΄, οὐδέν᾽ ἴσον γὰρ τῷ οὐδαμῶς θ΄" καὶ ἐπὶ τῶν ἄλλων ὁμοίως.  ἡ δὲ μονάς, ὡς ἀμφοῖν μέση, ἐὰν μὲν ἄλλον λάβῃ, ἐν ἐκείνῳ τὸν λό-  γον, ἐὰν δὲ ἑαυτήν, ἐν ἑαυτῇ ἀπολείπει. καὶ ἔτι προσθετέον μετὰ  τῶν προσεμφανισθέντων ὅτι ἀντιπεριίσταται προκοπὴ ὑποβάσει καὶ  ὑπόβασις προκοπῇ. ἅπαξ γοῦν ἐννέα, ἐννέα: καὶ ὁ λόγος ἔμεινεν ἐν  ταῖς [20] ἀκροτάταις. καὶ δὶς θ΄, ιη΄ καὶ μετέβη ὁ λόγος εἰς τὰς δευ-  τέρας ἀκρότητας, καὶ τοῦτο ἐφεξῆς. ἑτέρου γὰρ καιροῦ διερευνᾶν    INTRODUZIONE ALL’ARITMETICA DI NICOMACO 657    proporzione, cioè, usando il numero 5 come gnomone e norma che  non ha né più né meno di quello che deve avere, perché è il solo  numero che secondo giustizia possiede pienezza di sé. Togliendo  quindi da 9 il numero che è 5 posti prima, e cioè 4, lo attribuiremo a  1, e cosi saranno resi uguali il numero 9 che ha commesso la massima  ingiustizia e il numero 1 che ha subito la massima ingiustizia:! 1]  quinto numero a partire da 9 è 4, perché la sequenza è 8, 7, 6, 5, 4. E  ancora, il quinto numero a partire da 8 è 3. E allora prenderemo il  quinto numero inferiore a 7, e cioè 2, e gli attribuiremo 3, e cost avre-  mo di nuovo uguaglianza. E ancora, prenderemo da 6 il quinto nume-  ro che è 1, e lo attribuiremo a 4, e saranno uguali. Infine sottrarremo  da 5 il numero 0 (infatti il quinto numero prima di 5 è 0), e lo attri-  buiremo a 5, e cosî questo sarà uguale a se stesso. In tal modo ciò che  si può concepire minore di 1, essendo questo indivisibile, cioè lo 0,  conserva sempre la sua proporzione con l’ 1, più di ciò che pensava-  no i Pitagorici, cioè 1/2, e I 1 diviene anch'esso! la metà della  somma dei due numeri che stanno da una parte e dall’altra, cioè 2 e  0: infatti (2+0)/2=1. Lo stesso nome “zero”,10 tuttavia, [19] significa  per noi in maniera assolutamente chiara che la cosa più piccola e indi-  visibile per natura è l’ 1. Lo 0, infatti, quando divide un numero lo  priva di ogni realtà,!° cosa che non penseremmo se si ottenesse la  metà o il terzo o parti simili. Che cosa infatti deve moltiplicare |’ 1  perché moltiplicando un qualsiasi numero, non dia più di quello stes-  so numero, e moltiplicando se stesso non dia pit di se stesso, come se  fosse per natura una frontiera tra il numero naturale e lo 0? Un nume-  ro naturale,107 infatti, sia che assuma <come moltiplicatore> se stesso  o un altro numero, in nessuno dei due casi resta quello che ἐ,108 ma  genera assolutamente un terzo numero; lo 0 invece, sia che appaia  moltiplicare se stesso o un altro numero, mai uscirà fuori di se stes-  s0;10° 0x0, infatti, o 0x9, è sempre uguale a 0, mai a 9; e cosî in tutti  gli altri casi. L’ 1 invece, che è intermedio tra i due, se assume <come  moltiplicatore> un altro numero, ha in quello la sua ragion d'essere,  se invece assume se stesso, resta in se stesso. E oltre alle cose già  mostrate, c'è da aggiungere che si scambiano vicendevolmente di  posto la progressione con la regressione e la regressione con la pro-  gressione. Infatti 9x1=9: e il rapporto rimane entro le estremità.110 E  9x2=18: e qui il rapporto passa alle seconde estremità,!1!! e cosî via. In    658 GIAMBLICO    ἐπὶ πλέον πῶς καὶ τετραγωνισθέντος ἀπὸ τῆς στιχηδὸν ἐκθέσεως  τοῦ ἀριθμοῦ οὐκ ἐλάττονα πιθανὰ ἐπισυμβαίνει φύσει καὶ οὐ νόμῳ,  ὥς φησί που Φιλόλαος᾽ τοῦ μὲν πέντε ὁμοίως καὶ ἐνταῦθα μεσό-  τητος εὑρισκομένου κατὰ τοὺς τρεῖς ἄλλοτε ἄλλως στίχους, μόνον  δὲ τῶν ἐφεπομένων αὐτοῦ κατά τε [20] μῆκος καὶ πλάτος καὶ ἔτι  διαγωνίως ἀπειληφότων τὸ ἐπιβάλλον τῶν δὲ μὴ οὕτως ἐχόντων  πλεονεκτούντων τε καὶ πλεονεκτουμένων᾽ καὶ οὐχ ὡς ἔτυχεν, ἀλλ᾽  ὡς κατά τινα ἀνάλογον ἀντιπεπόνθησιν. ἀλλὰ νῦν γε ἀναπέμψαντες  τὸν περὶ τούτων πλήρη λόγον εἰς τὸν περὶ δικαιοσύνης ἴδιον,  χωρῶμεν ἐπὶ τὰ ἑξῆς.   Τοῦ γὰρ ἀρτίου καθ᾽ ὑποδιαίρεσιν τὸ μέν ἐστιν ἀρτιάκις  ἄρτιον, τὸ δ᾽ ἀντίζυγον τούτῳ ἀρτιοπέρισσον, ὡσανεὶ ἀκρότητες᾽  μέσον δ᾽ αὐτῶν καὶ οἷον [10] κοινὸν ἀμφοτέρων περισσάρτιον. ὅπερ  ἀγνοοῦντες οἱ περὶ Εὐκλείδην συγκεχυμένως τὸν αὐτὸν οἴονται  περισσάρτιόν τε καὶ ἀρτιοπέρισσον εἶναι, οὐδὲν ἀκριβὲς ἐν τῷ  τόπῳ γλαφυρωτάτῳ περ ὄντι θεωρήσαντες, ὡς ἑξῆς δειχθήσεται.  ἀρτιάκις ἄρτιος μὲν οὖν ἐστιν ἀριθμὸς ὁ τὰ ἑαυτοῦ ἡμίση καὶ τὰ  τῶν ἡμίσεων ἡμίση καὶ ἔτι τῶν ὑπ᾽ ἐκεῖνα μέχρι μονάδος ἀεὶ ἄρτια  ἔχων, È καὶ διὰ τοῦτο συμβέβηκε μόνῳ ὑπ᾽ ἀρτίου μετρεῖσθαι μό-  νον ἀρτιάκις. εἰ δέ τις πρὸς τούτῳ ἔτι καὶ περισσάκις μετρεῖται ὑπὸ  ἀρτίου, [20] ἐκφεύξεται τὸ λεγόμενον καὶ ἔσται θατέρου τῶν ἄλλων  εἰδῶν. ὥστε καὶ ἐνθάδε ἡμαρτημένως πάλιν Εὐκλείδης ἀφορίζεται  λέγων «ἀρτιάκις ἄρτιος ἀριθμός ἐστιν ὁ ὑπ᾽ ἀρτίου ἀριθμοῦ  μετρούμενος ἀρτιάκις,» ἰδοὺ γὰρ ὁ κδ΄ ὑπὸ τοῦ ς΄ ἀρτίου τετράκι  μετρεῖται καὶ ὑπὸ τοῦ δ΄ ἑξάκις, καὶ ἕτεροι ἄλλοι ὁμοίως, καὶ οὐκ  εἰσὶν ἀρτιάκις ἄρτιοι [21] οὐδὲ κατ᾽ αὐτόν, παρακολούθημα δ᾽ αὖ-  τοῦ τὸ τὴν εἰς δύο λύσιν αὐτόν τε ἴσχειν καὶ τὰ μέρη καὶ τῶν μερῶν  τὰ μέρη, καὶ τοῦτο μέχρι τῆς φύσει ἀτόμου μονάδος. ἔοικε δὲ διὰ τὸ  μὴ μόνον ὑπ᾽ ἀρτίου ἀρτιάκις μετρεῖσθαι τετευχέναι τοῦ ὀνόματος,  ἀλλὰ καὶ ὅτι πᾶν ὃ ἂν ἐν αὐτῷ μέρος ληφθῇ ἀρτιακῶς ὀνομάζεται.  καὶ πάλιν ἡ ἑκάστῳ μέρει ἐμπεριεχομένη δύναμις, τουτέστιν αἱ  μονάδες, ἄρτιοι καὶ αὐταὶ ὁμοειδῶς εἰσι. γένεσις δ᾽ αὐτοῦ ἀπὸ  μονάδος ἀνάλογον [10] διπλάσιος λόγος ἐπ᾽ ἄπειρον. ἀλλ᾽ ἐὰν κατὰ  περισσὴν ἔκθεσιν οἱ ἀρτιάκις ἄρτιοι ἀπὸ ῥίζης προχειρισθῶσιν εἰς  μίαν μεσότητα, ἀντιπαρωνυμήσουσιν αἱ ἀκρότητες ἐν αὐτοῖς καὶ αἱ    INTRODUZIONE ALL’ARITMETICA DI NICOMACO 659    un altro momento si dovrà indagare più a fondo come anche del qua-  drato di un numero a partire da una esposizione per linee fatta «per  natura e non per artificio», come dice da qualche parte Filolao, si  ottengano risultati non meno convincenti; si scoprirà che 5 è allo stes-  so modo anche qui medietà secondo le tre linee da un lato e dall’al-  tro, e cioè che solo i numeri immediatamente successivi in lunghezza,  larghezza e diagonale, hanno il giusto rapporto;!!2 [20] sono in diver-  sa situazione invece i numeri superiori e inferiori a 5, ma non presi a  caso, bensi secondo una certa corrispondenza proporzionale.!!3 Ma  ora, omettendo di trattare pienamente di questi aspetti numerici che  riguardano propriamente la giustizia, passiamo al tema successivo.  Ebbene, dalla suddivisione del pari si ottengono il parimente-pari  e come suo opposto il pari-dispari; in mezzo a questi, come comune  ad ambedue, si trova il dispari-pari. Ignorando tutto questo, Euclide  riteneva, confondendoli, che il dispari-pari e il pari-dispari fossero la  stessa cosa, non teorizzando niente di preciso in questo luogo che  pure è di assoluta eleganza, come si mostrerà qui di seguito. Orbene,  parimente-pari è il numero che ha sempre pari le metà di sé e le metà  delle metà e le metà delle metà che vengono ancora dopo, fino all’uni-  tà, e perciò questo è il solo numero che ha la proprietà di essere misu-  rato dal pari solo in modo pari.!!4Se invece ne esiste oltre a questo un  altro che sia misurato dal pari anche in modo dispari,!!5 allora si sfug-  girà alla condizione di cui si è detto,116 e quest'altro pari sarà di spe-  cie diversa. Sicché anche a questo proposito Euclide sbaglia ancora  una volta, quando dà la seguente definizione: «Parimente pari è il  numero che è misurato dal pari in modo pari». Ecco infatti che 24, ad  esempio, è misurato 4 volte dal 6, che è numero pari, e 6 volte dal 4,  e cosi anche diversi altri numeri, ma non sono affatto parimente-pari  [21] secondo la definizione, in base alla quale dovrebbero essere divi-  sibili a metà sia il numero che le sue parti e le parti delle parti, e cosî  fino all’unità che è per natura indivisibile. Sembra che il nome “pari-  mente-pari” sia dato a questo numero non solo perché è misurato dal  pari in modo pari, ma anche perché qualunque parte si prenda in esso  può essere chiamata pari. E a sua volta la potenza!!? contenuta in cia-  scuna sua parte, cioè le sue unità,!18 sono anch'esse pari e della mede-  sima specie.!!9 La genesi di questa specie di numero dall’unità è in  proporzione un rapporto di duplicazione all’infinito. Ma se i numeri    660 GIAMBLICO    μετ᾽ ἐκείνας καὶ αἱ συνεχῶς μέχρι τῶν παραμέσων, ὥστε καὶ τὸ ὑφ᾽  ἑκάστης συζυγίας ἴσον ἀποτελεῖσθαι τῷ ἀπὸ τῆς μεσότητος, ἐπεὶ  καὶ μόνη ἡ αὐτὴ παρωνύμως ἀνθυπήκουεν αὐτῇ. ἐὰν δὲ κατὰ ἀρτί-  αν, ὁ λόγος εἰς δύο μεσότητας ἀντιπαρωνυμούσας ἀλλήλαις διχα-  σθήσεται, ὥστε καὶ τὸ ὑπ᾽ αὐτῶν ἴσον ἀποτελεῖσθαι τῷ ὑπὸ τῶν παρ᾽  ἑκάτερα εὐτάκτως ἀεὶ μέχρι τῶν [20] ἄκρων. διαφορὰν δὲ πάντως  ἕξουσιν ἐν τῇ τῆς γενέσεως προκοπῇ οἱ μείζονες ἀεὶ πρὸς τοὺς  ἐλάττονας αὐτοὺς τοὺς ἐλάττονας, ἵν᾽ ἐκ τούτου καὶ αἱ διαφοραὶ  καὶ αἱ τῶν διαφορῶν πάλιν διαφοραὶ καὶ τούτων μέχρι ἐπιδέχεται  τὸν αὐτὸν λόγον ἔχουσαι τριγώνου τρόπον σχηματίζωνται. κατὰ σύ-  νθεσιν δ᾽ αὐτῶν τὴν σωρηδὸν περισσογονία πάντως γίνεται χρησι-  μεύουσα ἡμῖν μετὰ βραχὺ εἰς τὴν τῶν τελείων γένεσιν. αἰεὶ γὰρ  παρ᾽ [22] αὐτῇ ὁ μέλλων παρὰ μονάδα προεμφαίνεται, πάντες δὲ οἱ  μέλλοντες ἄρτιοι γενικῶς" τοιούτων γὰρ ἡ ἔκθεσις. παρὰ δὲ μονά-  δα πᾶς ἄρτιος ἀναγκαίως περιςσός. καὶ ἐπὶ πασῶν δὲ τῶν ἀνάλογον  ἐκθέσεων βεβαιοῦται τὸ ἀδιαίρετον φύσει τὴν μονάδα μένειν᾽ ἀντι-  παρωνυμοῦσαν γὰρ ἑκάστοτε τῷ μεγίστῳ τὴν τοῦ ὅλου προσηγορίαν  μόνη ὑφαίνει.   ᾿Αρτιοπέρισσος δέ ἐστιν ὁ καὶ αὐτὸς μὲν εἰς δύο ἴσα κατὰ τὸ  κοινὸν διαιρούμενος, οὐ μέντοι γε τὰ μέρη [10] ἔτι διαιρετὰ ἔχων,  ἀλλ᾽ εὐθὺς ἑκάτερον περισσόν’ ἔνθεν καὶ ὠνομάσθη, ὅτι ἄρτιος ὧν  τὰ μέγιστα μέρη εὐθὺς περισσὰ ἔχει, ἢ μᾶλλον ὅτι τοῖς τῶν ἐν αὐτῷ  μερῶν ὀνόμασιν αἱ αὐτῶν δυνάμεις ἀντιπαίουσιν, ἄρτιαι μὲν οὖσαι  περισσωνυμούντων ἐκείνων, περισσαὶ δὲ ἀρτιωνυμούντων. καὶ οὐ  κατὰ τοῦτο μόνον ἀντικεῖσθαι τῷ πρώτῳ εἴδει τοῦ ἀρτίου ἐλέχθη,  ἀλλὰ καὶ ὅτι τούτου μὲν τὸ μεῖζον ἄκρον μόνον ἅπαξ διαιρετὸν ἀό-  ριστον ὃν καὶ ἄλλοτε ἄλλο, ἐκείνου δὲ τὸ ἔλαττον μόνον ἀδιαίρε-  τὸν ὡρισμένον ὑπάρχον καὶ ταὐτὸν ἀεί. γεννᾶται [20] δὲ δυάδος  τοὺς τάξει περισσοὺς μηκυνούσης, ἵν᾽ ἐπειδὴ δυάδι οἱ γνώμονες  ἀλλήλων διαφέρουσι δυὰς δὲ καὶ ἡ μηκύνουσα, τῶν ἀποτελουμένων  ἡ παραλλαγὴ συνεχῶν τετρὰς ἦ᾽ δὶς γὰρ δύο τοῦτο. κἂν μὲν ἀπὸ τοῦ    INTRODUZIONE ΑΙ ΑΚΙΤΜΕΤΙΟΑ DI NICOMACO 661    parimente-pari sono presi secondo un'esposizione dispari dalla radi-  ce fino all’unico termine medio, gli estremi di essi, e quelli che vengo-  no dopo in sequenza fino a quelli prossimi al medio, saranno antipa-  ronimi,!20 sicché anche il prodotto di ciascuna coppia sarà uguale al  prodotto del medio con se stesso, poiché solo questo è in corrispon-  denza di paronimia con se stesso. Se invece l’esposizione è pari, allo-  ra il rapporto si raddoppierà in due termini medi tra loro antiparoni-  mi, in modo tale che il prodotto di queste ultime sarà uguale al pro-  dotto delle coppie di numeri che si trovano ai lati di ambedue i medi  sempre nell'ordine fino agli estremi.!2! E in tutta la progressione che  li genera, i maggiori avranno sempre rispetto ai minori una differen-  za avente il valore degli stessi minori,!22 in modo che da ciò le diffe-  renze e di nuovo le differenze delle differenze e le differenze che  hanno lo stesso rapporto, finché questo sia ammesso, prendano la  forma di un triangolo. Secondo la loro somma cumulativa, invece, si  ha la formazione di numeri assolutamente dispari,!23 che ci servirà fra  poco per indagare la genesi dei numeri perfetti. In questa genesi,  infatti, [22] il numero che viene dopo apparirà sempre per differen-  za di 1, e tutti saranno di genere pari, perché l'esposizione è di nume-  ri pari. E d’altra parte in virtù dell’ 1 ogni numero pari diviene neces-  sariamente dispari. E in tutte le esposizioni proporzionali si può  accertare che l’indivisibile per natura resta l’ 1: questo infatti è il solo  numero che costruisce la denominazione di tutti i numeri di volta in  volta in corrispondenza a quello più grande.124    Il pari-dispari si divide anch'esso comunemente in due parti ugua-  li, ma non ha le parti ancora divisibili, bensî l'una e l’altra subito  dispari; e di qui riceve appunto il suo nome, perché pur essendo pari  ha subito le parti più grandi dispari, o piuttosto perché ai nomi delle  sue parti!25 si contrappongono quelli delle potenze di queste,!26 che  sono pari quando le parti sono dispari, e dispari quando le parti sono  pari.127 E non gli è toccato in sorte di essere l’opposto della prima  forma di pari solo in questo, ma anche perché, mentre di questo, cioè  del pari-dispari, l'estremo maggiore è divisibile una sola volta essen-  do indefinito dall’una e dall’altra parte, di quello invece solo l’estre-  mo minore è indivisibile essendo determinato e sempre lo stesso. Esso  si genera quando il 2 fa crescere in lunghezza i dispari nell’ordine, in    662 GIAMBLICO    δυνάμει περισσοῦ ἀρχώμεθα, ὁ δυνάμει ἀρτιοπέρισσος  ἀποτελεῖται ὁ δύο, ἐὰν δὲ ἀπὸ τοῦ ἐνεργείᾳ τοῦ τρία, ὁ ἐνεργείᾳ «ὁ»  ς΄. ἔσονται δὴ ἐν τῇ φυσικῇ τοῦ ἀριθμοῦ ἐκθέσει οἱ τοιοῦτοι δυάδι  μὲν εἰδοποιούμενοι, τρεῖς δὲ [23] παραλείποντες, τετράδι δὲ διαφέ-  ροντες, πέμπτοι δ᾽ ἀπ᾽ ἀλλήλων. ὅτι δ᾽ ἐφάνη τὸ συνεχές, ὅπερ ἐστὶ  πηλίκον, ἀντιπάσχον τῷ διῃρημένῳ, τουτέστι ποσῷ, κέχρηται δὲ ἤδη  τὸ πρότερον εἶδος τῇ τοῦ πηλίκου ἀναλογίᾳ δὲ χρήσεται καὶ τοῦτο  τῇ τοῦ ποσοῦ ὡς ἂν κατὰ τὸ ἀντικείμενον ἐκείνῳ, καὶ κατ᾽ ἀριθμ-  ητικὴν μεσότητα αἱ ἀκρότητες συντεθειμέναι ἴσαι ταῖς μεσότησιν  ἔσονται ἐν ἀρτίᾳ ἐκθέσει᾽ ἐν δὲ περισσῇ, τῇ μεσότητι σὺν αὐτῇ,  τουτέστι διπλαῖ αὐτῆς, ὥσπερ καὶ τὸ ἀπὸ τοῖς [10] ὑπὸ γεωμετρικῶς  ἐν ἀρτιάκις ἀρτίῳ συμβάντος τὸ τοὺς ἄκρους καὶ τοὺς ὑπ᾽ ἐκείνους  μέχρι μέσου ἀλλήλους πολυπλασιάζοντας ἴσους γίνεσθαι τῷ ἀπὸ  τοῦ μέσου πολυπλασιασθέντι, ἢ δυσὶ μέσοις καὶ αὐτοῖς μηκυνομέ-  νοις, καθὰ καὶ οἱ ἑκατέρωθεν αὐτῶν ἄκροι, ἐν ἀρτίᾳ δηλονότι ἐκ-  θέσει. ἴδιον δὲ τοῦ εἴδους τούτου ὑπεναντίον τῷ τοῦ προτέρου τὸ  μόνον ἢ ὑπὸ ἀρτίου περισσῶς ἢ ὑπὸ περισσοῦ ἀρτίως κατὰ ἀνα-  στροφὴν μετρεῖσθαι. Ἐπειδὴ δὲ ἐνταῦθα προδηλότερον ἁμάρτημα  παρὰ τῷ Εὐκλείδῃ ἐστὶ τὸ μὴ διακρίνειν ἀρτιοπέρισσον [20] περισ-  σαρτίου μηδὲ τὸν ἕτερον μὲν αὐτῶν ἀντικεῖσθαι ἀρτιάκις ἀρτίῳ τὸν  δὲ λοιπὸν ἀμφοτέρων μῖγμα νομίζειν, ἔτι σαφέστερον περὶ τοῦ τρί-  του λέγωμεν, αὐτὸ τὸ Εὐκλείδου ῥητὸν προεκθέμενοι περὶ αὐτῶν.  λέγει γὰρ οὕτως" «ἀρτιοπέρισσος ἀριθμός ἐστιν ὁ ὑπ᾽ [24] ἀρτίου  ἀριθμοῦ μετρούμενος περισσάκις.» ὁ δὲ αὐτὸς καὶ περισσάρτιός  ἐστι καὶ γὰρ ὑπὸ περισσοῦ ἀριθμοῦ μετρεῖται ἀρτιάκις, οἷον λό-  yov χάριν ὁ ς΄" ἐὰν μὲν γὰρ δὶς τρία λέγωμεν, ἀρτιοπέρισσος, ἐὰν δὲ  τρὶς δύο, περισσάρτιος᾽ πάνυ εὐήθως. ἀλλὰ καὶ ἐν τῷ τρίτῳ τῶν  ἀριθμητικῶν τοὺς τρεῖς εἰς ἕνα συγχέει, δουλεύων δηλονότι τῇ τοῦ  ὀνόματος ἐμφάσει φησὶ Yap: «ἐὰν ἄρτιος ἀριθμὸς τὸ ἥμισυ ἔχῃ  περισσόν, ἀρτιάκις τέ ἐστι περισσὸς καὶ περισσάκις [10] ἄρτιος»,  τὸ αὐτὸ δηλονότι τοῖς ἔμπροσθεν λέγων. εἶτ᾽ ἐπιφέρει᾽ «ἐὰν ἄρτιος    INTRODUZIONE ALL’ARITMETICA DI NICOMACO 663    modo che, mentre i gnomoni!?8 che differiscono tra loro di 2 cresco-  no anche di 2,129 la differenza dei risultati in successione sia di 4, per-  ché 2x2=4.130 Se partiamo dal dispari in potenza,!?! si ottiene il pari-  dispari in potenza che è 2, se invece partiamo dal <primo> dispari in  atto, cioè da 3, allora si ottiene il <primo> pari-dispari in atto che è 6.  Nell’esposizione naturale del numero, saranno questi, appunto, i  numeri che ricevono forma dal 2,152 [23] lasciano da parte il 3, hanno  differenza di 4, e stanno al quinto posto l’uno dall’altro. Poiché il con-  tinuo, cioè il quanto grande, sembra essere di natura opposta al  discreto, cioè al quanto, la prima forma di numero pari, cioè il pari-  mente-pari, si è già servita della proporzione del quanto grande,!33  mentre questa forma, cioè quella del pari-dispari, si servirà della pro-  porzione del quanto,!34 come opposta a quella, e secondo la medietà  aritmetica la somma degli estremi sarà uguale alla somma dei medi, in  esposizione pari; in esposizione dispari, invece, la somma degli estre-  mi sarà uguale alla medietà più se stessa, cioè al doppio della medie-  tà, cosi come nella proporzione geometrica del parimente-pari il pro-  dotto degli estremi e dei numeri che sono inferiori ad essi fino al  medio è uguale al medio moltiplicato per se stesso, oppure al prodot-  to dei due medi, come anche i loro estremi da una parte e dall’altra,  naturalmente nell’esposizione pari. La sola proprietà di questa secon-  da forma opposta a quella della prima è che può essere misurata  inversamente o dal pari in modo dispari o dal dispari in modo pari.  Poiché su questo punto è più visibile l'errore di Euclide, e cioè il  fatto che egli non distingua il pari-dispari dal dispari-pari, né oppon-  ga il primo di questi, cioè il pari-dispari, al parimente-pari, e ritenga  il secondo, cioè il dispari-pari, una mescolanza degli altri due, parlia-  mo allora in modo ancora più chiaro del terzo, cioè del pari-dispari,  premettendo le stesse parole che Euclide scrive in proposito. Questi  dice infatti cosî: «Pari-dispari è quel numero che è misurato [24] da  un numero pari un numero di volte dispari».!35 Ma allora esso è  anche dispari-pari: infatti è misurato anche da un numero dispari un  numero pari di volte, come ad esempio il 6: se infatti diciamo 3x2,  questo è un pari-dispari, se invece diciamo 2x3, è un dispari-pari, che  è un’autentica sciocchezza! Ma anche nel terzo libro dell’Aritmzetica,  Euclide confonde in uno i tre tipi di numero, schiavo evidentemente  dell'apparenza del nome. Dice infatti: «Se un numero pari ha la metà    664 GIAMBLICO    μήτε τὸ ἥμισυ ἔχῃ περισσὸν μήτε τῶν ἀπὸ μονάδος ἦ διπλασιαζο-  μένων, ἀρτιάκις τέ ἐστιν ἄρτιος καὶ ἀρτιάκις περισσὸς ὁ αὐτὸς καὶ  περισσάκις ἄρτιος.» καὶ ὁ μὲν Εὐκλείδης οὕτως: ἡμῖν δὲ μᾶλλον  λεγέσθω τὸ τρίτον εἶδος ὃ κοινῶς ἐξ ἀμφοῖν πλάσσεταί τε καὶ εἰδο-  ποιεῖται καὶ συμβεβηκότα ἴσχει. ἔστιν οὖν καὶ τῷ ὅρῳ κρᾶμα  αὐτῶν᾽ ὑπό τε γὰρ ἀρτίου ἀρτιάκις μετρεῖται καὶ ὁ αὐτὸς ὑπὸ ἀρτί-  ov περισσάκις, οὐδετέρῳ δὲ τῶν [20] προτέρων τοῦθ᾽ ἅμα συμβέ-  βηκεν, ἀλλὰ θάτερον μόνον θατέρῳ. καὶ μὴν τὸ πλεονάκις μὲν τοῦ  ἅπαξ διαιρεῖσθαι παρὰ τοῦ ἀρτιάκις ἀρτίου ἔχει, τὸ δὲ μὴ μέχρι  μονάδος δύεσθαι παρὰ τοῦ ἀρτιοπερίσσου: καὶ τῷ μὲν ἀντιπαίε-  σθαι τὰ τῶν μερῶν ὀνόματα ὑπὸ τῶν δυνάμεων κοινωνεῖ τῷ δευτέρῳ,  τῷ δὲ ἅμα καὶ ὁμωνυμεῖν οὐκ ἀπήλλακται τοῦ προτέρου, ἀπό τε τοῦ  μείζονος ἄκρου ὅτι πλεονάκις ἢ ἅπαξ διχοτομεῖται προστρέχει [25]  τῷ μέχρι μονάδος αὐτῷ. ἀφιστάμενος τοῦ ἅπαξ μόνον διχαζομένου᾽  πρὸς δὲ τῷ ἐλάττονι καὶ ἄλλα διαλυτὰ ἔχων ἀφίσταται μὲν τούτου  τέως, προσεχὴς δὲ τῷ ἐναντίῳ γίνεται. καὶ ἡ γένεσις δ᾽ αὐτοῦ ἐξ ἀμ-  φοῖν μικτή. τοὺς μὲν γὰρ τοῦ ἀρτιοπερίσσου γνώμονας ἐκθέσθαι δεῖ  πάντας ἑξῆς ἀπὸ τριάδος, τοὺς δὲ ἀρτιάκις ἀρτίους αὐτοὺς ἐπὶ  ἑαυτῶν [καὶ] γνώμονας ἀπὸ τετράδος τάξει, καὶ ὁποτερωθενοῦν,  ἀδιάφορον γάρ, τῷ πρώτῳ τὴν προτέραν ἔκθεσιν καθ᾽ ἕκαστον ἐξ  ἀρχῆς [10] μηκυντέον μέχρι τις θέλει, εἶτα τῷ δευτέρῳ πάλιν τοὺς  αὐτοὺς καὶ μετὰ ταῦτα τῷ τρίτῳ, εἶτα πάλιν τῷ τετάρτῳ, καὶ ἐπ’  ἄπειρον. ἐὰν μὲν γὰρ τοῖς τοῦ ἅπαξ διαιρετοῦ γνώμοσιν οἱ τοῦ  ἑτέρου πολυπλασιασθῶσι, γενήσονται πρῶτον μὲν ὀγδοάδι  ἀλλήλων διαφέροντες, διπλάσιοι ἀρτιοπερίσσων,!2 ἐπὶ πλάτος!  περισσάρτιοι εὔτακτοι «ἀπ᾽»:4 εὐτάκτων. εἶτ᾽ ἀπ᾿ ἄλλης ἀρχῆς οἱ  αὐτῶν τούτων διπλάσιοι τῶν ἐξ ἀρχῆς τετραπλάσιοι, τετραπλασίᾳ  πρὸς ἐκείνους χρώμενοι διαφορᾷ, πρὸς δὲ τοὺς πρὸ αὐτῶν ἀναγ-  καΐως διπλασίᾳ, καὶ τοῦτο δι᾽ ὅλου [20] ἀναλόγως καὶ τοῦ μήκους    12 ἀρτιοιπερίσσων ho corretto io secondo una congettura di Pistelli (cf.  appar. ad loc.): ἄρτιοι περισσῶν.   13 ἐπὶ πλάτος congetturò giustamente Pistelli in Add. et Corr. p. VII: ἐπί-  πλαστος. ὶ   14 congetturò si dovesse aggiungere Pistelli confrontando p. 45,19 infra.    INTRODUZIONE ALL'ARITMETICA DI NICOMACO 665    dispari, sarà sia parimente-dispari che disparimente-pari», che è evi-  dentemente lo stesso discorso di prima. Poi aggiunge: «Se un nume-  ro pari né ha la metà dispari né è tra quelli che sono raddoppiati dal-  l’unità, allora esso è parimente-pari e parimente-dispari, che è lo stes-  so che il disparimente-pari».!36 Questo è quello che dice Euclide. Ma  noi dobbiamo dire piuttosto che la terza specie del numero pari!?7 è  modellato e formato in comune dagli altri due, di cui quindi possie-  de le proprietà. Esso è dunque, anche nella definizione, un misto  degli altri due: infatti lo stesso numero è misurato dal pari un nume-  ro di volte pari e dispari, e queste due proprietà non appartengono a  nessuno dei due numeri precedenti contemporaneamente, bensi sol-  tanto l’una o l’altra all’uno o all’altro. La proprietà di potere essere  diviso più di una volta gli proviene dal parimente-pari, mentre quel-  la di non potere essere diviso a metà fino all’ 1 gli proviene dal pari-  dispari; e d’altra parte, la proprietà di avere nomi delle parti in con-  trasto con le potenze lo accomuna al secondo,!38 mentre la proprietà  di avere contemporaneamente parti e potenze!3 dello stesso nome  non lo allontana dal primo0,!49 e poiché si può dividere più di una sola  volta a partire dal suo estremo maggiore,!4! allora da un lato si avvi-  cina a quello [25] che si può dividere fino all’ 1,142 ma dall’altro lato  si allontana da quello che si può dividere a metà una sola volta;!43 ma  poiché fino al suo estremo minore! esso si può dividere in più di  una sola parte, allora, in questo si allontana da quest’ultimo,145 men-  tre si avvicina al suo contrario.!46 Esso dunque si genera per mesco-  lanza di ambedue. Infatti si espongano su una linea tutti i gnomoni  del pari-dispari in successione a partire dal 3, e quelli del parimente-  pari in sé e per sé ordinatamente a partire dal 4, e partendo da una  qualsiasi delle due linee, perché è indifferente, col primo numero si  crei la prima esposizione dei singoli numeri dal principio finché si  vuole,!47 poi si crei una seconda esposizione col secondo numero, e  quindi col terzo, e poi ancora col quarto e cosî all'infinito. Se infatti  si moltiplicano i gnomoni del parimente-pari per i gnomoni del divi-  sibile una sola volta,148 nasceranno nella prima colonna!‘ dei nume-  ri che differiscono tra loro di 8 unità, che sono doppi di pari-dispa-  ri,50 e cioè dispari-pari bene ordinati in larghezza!51 secondo l’ordi-  ne di quelli. Poi nasceranno su una seconda colonna i doppi di que-  sti stessi, e quindi i quadrupli di quelli iniziali, in quanto hanno una    666 GIAMBLICO    ὑποφαινομένου. ἐὰν δὲ ἔμπαλιν τοῖς τοῦ ἀρτιάκις ἀρτίου οἱ τοῦ  ἀρτιοπερίσσου, τὰ μὲν αὐτὰ συμβήσεται, μεταστήσεται δὲ εἰς  ἄλληλα τὸ μῆκος καὶ τὸ πλάτος, ὡς ἐν ἀμοιβῇ. ἵνα μέντοι προδηλό-  τερον ἠγνοηκὼς ὁ Εὐκλείδης ταῦτα φανῇ, [26 Ἱπαρατηρητέον καὶ  κατὰ τὰς ἐπὶ πλέον ἐκθέσεις ἔν τε μήκει καὶ πλάτει τὰ ἀμφοτέροις  ἐκείνοις συμβεβηκότα ἅμα τούτῳ ὑπάρχοντα μόνῳ ὡς ἂν μίγματι  αὐτῶν: τῇ γὰρ γεωμετρικῇ ἀναλογίᾳ χρήσεται ὡς ὁ ἀρτιάκις ἄρτιος  τὸ ὑπὸ ποιῶν τῶν ἄκρων ἴσον τῷ ἀπὸ τοῦ μέσου ἢ ὑπὸ τῶν μέσων  παρὰ τὴν τῆς ἐκθέσεως ποσότητα, τῇ δὲ ἀριθμητικῇ ἴσα συναμφότε-  ρα τὰ περιέχοντα τὸ μέσον ἢ τὰ μέσα ἀποτελῶν, ἢ δὶς τῷ ἑνὶ ἢ ἅπαξ  τοῖς δυσίν. οὕτως ἐν ἅπασι κοινῶς ἀμφοῖν καὶ ὡσανεὶ ἔκγονος [10]  οὗτος δείκνυται, ἀντικειμένων ἀλλήλοις τῶν προελθόντων τοῦ  ἀρτίου εἰδῶν, οὐ πάντῃ διαφέρων ἑκατέρου οὔτε πάντῃ ὁ αὐτὸς ὦν.  εὐθυντέον δὴ τοὺς Εὐκλείδου ὅρους καὶ λεκτέον ὅτι ὁ μόνον ὑπ᾽  ἀρτίου περισσάκις ἀρτιοπέρισσος, ὁ δ᾽ οὐδέποτε μόνον θάτερον  ἀλλ᾽ ἀμφότερα ἐξ ἀνάγκης ἀεὶ ἔχων ὅπερ οὐδέτερος ἐκείνων «πε-  ρισσάρτιος, ἀρμφοτέρου δὲ ἅμα κρᾶμα εὐλόγως ἀμφοτέρων τῇ τοῦ  λοιποῦ μετοχῇ τοῦ ἑτέρου ἀφιστάμενος.   Τοῦ δὲ περισσοῦ ἀριθμοῦ πάλιν καθ᾽ ὑποδιαίρεσιν τὸ μέν ἐστι  πρῶτον καὶ ἀσύνθετον τὸ δὲ δεύτερον [20] καὶ σύνθετον, καὶ ἄλλως  τὸ μὲν καθ᾽ αὑτὸ πρῶτον, ὃ δὴ καὶ εὐθὺς πρὸς ἄλλο πρῶτον καὶ ἀσύ-  νθετόν ἐστι, τὸ δὲ καθ᾽ αὑτὸ δεύτερον, ὃ οὐκ ἀνάγκη καὶ πρὸς ἄλλο  εἶναι δεύτερον, ἀλλ᾽ αὐτοῦ τούτου τὸ μὲν πρὸς ἄλλο πρῶτον. τὸ δὲ  καὶ καθ᾽ a vid! ἔσται δεύτερον καὶ σύνθετον. πρῶτος μὲν οὖν καὶ  ἀσύνθετος ἀριθμός ἐστι περισσὸς ὃς ὑπὸ μόνης μονάδος [27]  πληρούντως μετρεῖται, οὐκέτι δὲ καὶ ὑπ᾽ ἄλλου τινὸς μέρους, καὶ  ἐπὶ μίαν δὲ διάστασιν προβήσεται ὁ τοιοῦτος. διὰ τοῦτο δὲ αὐτὸν  καὶ εὐθυμετρικόν τινες καλοῦσι, Θυμαρίδας δὲ καὶ εὐθυγραμμι-  κόν᾽ ἀπλατὴς γὰρ ἐν τῇ ἐκθέσει ἐφ᾽ ἕν μόνον διιστάμενος. ἴδιον δ᾽  αὐτοῦ τὸ μὴ ἔχειν μέρος ὅτι μὴ μόνον τὸ παρώνυμον αὐτῷ, οὗ μέγε-  θος ἐξ ἀνάγκης μονάς. πρῶτος δὲ καλεῖται οὐ μόνον ὅτι μέτρον αὖ-  τοῦ μονὰς μόνη ἄλλος δὲ οὐδεὶς ἀριθμός (πρωτίστη δὲ καὶ στοιχεῖον    15 καθ᾽ αὑτὸ ho congetturato io confrontando Nicom. Aritbw. intr. 26,  7-8 Hoche: πρὸς ἄλλο Pistelli. C£. p. 28,105. infra. Per una esposizione chia-  ra di questa variante della seconda specie di dispari, cf. Philop., In Nicom. 1  96 = G.R. Giardina, Giovanni Filopono, etc. 1999, pp. 142 e 323-5.    INTRODUZIONE ALL’ARITMETICA DI NICOMACO 667    differenza quadrupla rispetto a questi ultimi, e necessariamente una  differenza duplice rispetto ai precedenti, e questo accade in propor-  zione per tutta la lunghezza che si è creata.!52 Se poi si invertono di  posizione i gnomoni del pari-dispari con quelli del parimente-pari,  allora accadranno le stesse cose, ma la lunghezza e la larghezza si  scambieranno di posto tra loro. Perché appaia più chiaro che Euclide  ignora tali cose, [26] bisogna indagare anche secondo ulteriori espo-  sizioni quali proprietà acquistino ambedue quelle serie di numeri  disposti insieme in lunghezza e in larghezza per il solo fatto di mesco-  larsi: se infatti il parimente-pari sarà esposto in proporzione geome-  trica, il prodotto degli estremi sarà uguale al prodotto del medio con  se stesso 0 dei medi tra loro, per tutta la quantità dell’estensione; se  invece sarà esposto in proporzione aritmetica, la somma degli estre-  mi che contengono un medio sarà uguale al doppio del medio, o alla  somma dei medi, cioè o al doppio del medio o ai due medi presi una  volta. Cosî quando le due forme opposte del pari! procedono di  conserva, quella del dispari-pari appare come figlia di tutte e due, in  quanto l’una non è del tutto diversa dall’altra, né del tutto uguale.  Bisogna correggere allora le definizioni di Euclide e dire che il pari-  dispari è solo quello misurato dal pari in modo dispari, e che il dispa-  ri-pari non ha mai solo l’uno o l’altro, ma necessariamente ambedue,  in quanto non è l’uno o l’altro dei due, ma essendo di diritto mesco-  lanza dell’uno e dell’altro, si separa dall’uno in virtù della partecipa-  zione all’altro.   Il numero dispari, a sua volta, si suddivide in queste specie: il  dispari che è primo e non-composto, il dispari che è secondo e com-  posto, o, detto in altri termini, il dispari primo per sé, ma anche  immediatamente primo e non-composto per altro, e il dispari secon-  do per sé, ma che non necessariamente è anche secondo per altro, ma  di quest’ultimo ci sarà il dispari primo per altro, ma anche secondo e  composto per altro. Primo e non-composto è dunque il numero  dispari che è misurato [27] pienamente dalla sola unità, e non pure  da qualche altra parte, e come tale procederà a una sola dimensione.  Perciò alcuni lo chiamano anche “lineare”,154 ma Timarida lo chiama  “rettilineo”: privo di larghezza, infatti, esso si estende solo in una sola  dimensione. Sua caratteristica è di non avere parte che non sia solo  sua paronima, la cui grandezza sarà necessariamente l’unità. Viene    668 GIAMBLICO    ἀριθμοῦ ἡ [10] μονάς), ἀλλὰ καὶ ὅτι οὐδεὶς πρὸ αὐτοῦ δύναται ἀριθ-  μὸς θεωρηθῆναι, μονάδων γε ὧν σύστημα, οὗ αὐτὸς ἔσται πολυπλά-  σιος, ἀλλὰ πρῶτον δῆλον ὅτι ἑαυτὸν παρέξει εἰς τὸ ἄλλους τινὰς  αὐτοῦ πολυπλασίους γενέσθαι ἀσύνθετος δὲ ὅτι οὐκ ἂν λυθείη εἰς  ἀριθμοὺς ἀλλήλοις ἴσους, ἐξ οὗ δῆλον ὅτι οὐδὲ συνετέθη ἐκ  τοιούτων.   Δεύτερος δὲ καὶ σύνθετος ὁ τἀναντία τῷ λεχθέντι ἔχων μέρος τε  παρὲξ τοῦ παρωνύμου ἢ ἕν ἢ πλέονα, μέτρον τε παρὰ τὴν μονάδα τὸν  αὐτὸν τρόπον ἢ ἕν ἢ πλέονα. ὁ δὲ τοιοῦτος πρὸς τῷ γραμμικῶς [20]  εὐθυμετρεῖσθαι ἔτι καὶ ἐπιπεδωθήσεται ἤτοι γε τετραγωνικῶς ἐὰν  ἕν ἔχῃ μέρος παρὲξ τοῦ παρωνύμου, ἢ παραλληλογράμμως ἐὰν ἐκ  παντὸς δύο ἀνθυπακούοντα ἀλλήλοις ἔχῃ μέρη παρὰ τὴν τῶν  πλευρῶν διαφοράν, πλείονα δ᾽ ἂν ἐπ᾽ ἀμφοτέρων εὑρεθείη πολυπλα-  σίου, περισσάκις γενομένης τῆς ἐκθέσεως ἕως τῶν ἐξ ἀρχῆς. [28]  καλεῖται δὲ δεύτερος μὲν ὅτι καὶ δευτέρῳ τινὶ μέτρῳ ἢ καὶ πλείο-  σι παρὰ τὴν μονάδα χρᾶται, καὶ ἐν πολυπλασίοις οὐδέποτε πρῶτος  ἀλλὰ μετὰ πρῶτον ἢ πρώτους ἀνάλογον τάσσεται σύνθετος δὲ ὅτι  καὶ εἰς ἀριθμοὺς ἴσους οἷός τέ ἐστι λύεσθαι, ἐξ οὗ φανερὸν ὅτι καὶ  συνετέθη ἐκ τοιούτων.   "An ἄλλης δὲ ἀρχῆς τοῦ δευτέρου εἴδους τὸ μὲν καὶ καθ᾽ ἑαυτὸ  καὶ πρὸς ἄλλο δεύτερον καὶ σύνθετόν ἐστι ὡς θ΄ πρὸς τε΄ ἢ κα΄, τὸ  δὲ καθ᾽ ἑαυτὸ [10] μὲν δεύτερον πρὸς δὲ ἄλλο πρῶτον ὡς τὰ θ΄ πρὸς  τὰ κε΄ ἢ λε΄. ἑτέροις μὲν γὰρ καθ᾽ ἑαυτοὺς οὗτοι μέτροις ἄνευ τῆς  μονάδος χρῶνται, πρὸς δὲ ἀλλήλους μόνῃ ταύτῃ. παραιτητέοι δὲ οἱ  λέγοντες ἀνάπαλιν εἶναί τινα καθ᾽ ἑαυτὸν πρῶτον καὶ ἀσύνθετον  πρὸς δὲ ἄλλον δεύτερον καὶ σύνθετον ἐξαπατῶνται γὰρ τὸ μέτρον  αὐτὸ τῷ μετρουμένῳ συγκρίνοντες, καὶ οὐχ ὁρῶσιν ὅτι κοινὸν δεῖ  μέτρον ἄλλο παρὰ τὴν μονάδα καὶ παρ᾽ ἀμφοτέρους ἔχειν. εἴ τινι  συμβήσεται πρὸς ἄλλον, οὗτος καὶ καθ᾽ ἑαυτὸν ὧν δεύτερος ἔσται  καὶ πρὸς ἄλλον [20] δεύτερος. δυνατὸν δὲ ἐκ τῶν ἐναντίων καθ᾽  ἑαυτὸν ἔχοντα δευτέρως πρὸς ἄλλον μὴ ἔχειν. ἐὰν δὲ δύο τυχόντες  περισσοὶ προβληθῶσιν εἰς διάγνωσιν τοῦ πότερον πρῶτοι πρὸς  ἀλλήλους ἢ δεύτεροί εἰσι, καὶ εἰ δεύτεροι τί κοινὸν αὐτῶν μέτρον,  ἀνθυφελοῦμεν ἀεὶ τὸν ἐλάττονα ἀπὸ τοῦ μείζονος ὁσάκις δυνατὸν  καὶ τὸ λεῖπον ἀπὸ τοῦ ἐξ ἀρχῆς ἐλάσσονος καὶ ὁμοίως ἀεί, μέχρις    INTRODUZIONE ALL’ARITMETICA DI NICOMACO 669    chiamato “primo” non solo perché la sua sola misura è l’ 1 e nessun  altro numero (l’ 1 è numero assolutamente primo ed è elemento del  numero), ma anche perché non si può pensare prima di esso alcun  altro numero di cui esso sia multiplo, essendo ogni numero composi-  zione di unità, ma è chiaro che è chiamato “primo” perché genera da  sé altri numeri che sono suoi multipli; viene chiamato “non-compo-  sto” perché non si può sciogliere in numeri uguali tra loro, donde è  chiaro che non è affatto composto di tali numeri.   “Secondo e composto” è il numero che, contrariamente a quello  di cui si è detto, ha una o più parti oltre alla sua paronima, e allo stes-  so modo di quello ha una o più misure oltre all’unità. Tale tipo di  dispari è misurabile in linea retta, ma è anche riducibile a superficie,  o a un quadrato, nel caso che abbia una sola parte oltre alla paroni-  ma, o a un parallelogramma nel caso che abbia due parti del tutto  corrispondenti tra loro, a parte la differenza dei lati. Si possono tro-  vare più multipli da ambedue i lati, quando si fa un'esposizione  dispari fino ai numeri iniziali. [28] Viene chiamato “secondo” per-  ché si serve di una seconda misura o più misure, oltre all’unità, e non  è mai primo tra i multipli, ma è ordinato in proporzione dopo il  primo o i primi multipli; è chiamato “composto” perché è capace di  sciogliersi in numeri uguali, donde è chiaro che è anche composto di  tali numeri.   Da un altro punto di partenza, la seconda specie di dispari! si  divide nel dispari che è secondo e composto per sé e per altro, come  9 rispetto a 15 o 21,15 e nel dispari che è secondo per sé ma primo  per altro, come 9 rispetto a 25 ο 35.157 Questi dispari, infatti, si servo-  no rispetto a sé di misure diverse, tolta l’unità, mentre l’uno rispetto  all’altro si servono solo dell’unità.!58 Non bisogna dare ascolto a colo-  ro che dicono il contrario, cioè che ci sia un numero primo e sempli-  ce per sé, e secondo e composto per altro: essi infatti si ingannano  perché confrontano la stessa misura con ciò che da essa è misurato, e  non vedono che oltre all'unità devono avere un’altra misura che sia  comune per entrambi i numeri. Se a un dispari capiterà di essere  secondo per altro, esso lo sarà e per sé e per altro. È possibile al con-  trario che quelli che sono secondi per sé non lo siano anche per altro.  Se due numeri dispari saranno sottoposti ad esame per sapere se sono  tra di loro primi o secondi, e, nel caso che risultino secondi, quale    670 GIAMBLICO    ἂν ἤτοι εἰς μονάδα ἡ κατάληξις γένηται ἢ [29] εἴς τινα ἄλλον ἀριθ-  μόν, ἀφ᾽ οὗ οὐκέτ᾽ ἀφαιρεῖν οἷόν τε, καὶ οὗτος κοινὸν ἂν εἴη μέτρον  τῶν ἐξ ἀρχῆς, οἵπερ δεύτεροι πρὸς ἀλλήλους λεχθήσονται, ὡς ιε΄  καὶ λε΄" κοινὸν γὰρ αὐτῶν μέτρον ἡ πεντάς. ἡ δὲ μονὰς πρώτους αὐ-  τοὺς πρὸς ἀλλήλους καὶ ἀσυνθέτους ἀποφαίνει, ὅταν εἰς αὐτὴν ἡ  κατάληξις γίνηται᾽ τοιούτων γὰρ κοινὸν μέτρον αὕτη μόνη.   Ἵνα δὲ τάξει πάντας ἡμεῖς τοὺς δευτέρους καὶ συνθέτους καθ᾽  ἑαυτούς τε καὶ πρὸς ἀλλήλους εἰδῶμεν [10] γεννᾶν, καὶ μέτρα  αὐτῶν καὶ τὰ ἀντιπαρονομαζόμενα μέρη ὅσα ἂν ἦ, ἔφοδον τοιαύτην  τιν᾽ ἰστέον, ἥτις ὡσανεὶ κόσκινον τοὺς μὲν τοιούτους ἐντὸς τοῦ λό-  γου καθέξει, τοὺς δὲ λοιποὺς, δηλονότι πρώτους καὶ ἀσυνθέτους,  ὥσπερ ἐκβόλους ἀποχωρίσει. στοιχηδὸν εὐτάκτους τοὺς ἀπὸ τριά-  δος περισσοὺς ἐφεξῆς ὡς ὅτι μάλιστα ἐπὶ μήκιστον ἐκθοῦ, καὶ τῷ  πρώτῳ πειρώμενος μετρεῖν πληρούντως τῶν ἐφεξῆς δυνήσῃ τοὺς δύο  μέσους παραλιπόντας ἐπ᾽ ἄπειρον, τῷ δὲ δευτέρῳ τοὺς τέσσαρας μέ-  σοῦυς διαλείποντας, τῷ δὲ τρίτῳ τοὺς [20] ἕξ καὶ τετάρτῳ τοὺς ὀκτὼ  καὶ ἁπλῶς ἑκάστῳ τοὺς διπλασίους τῆς ἑαυτοῦ τάξεως διαλείπον-  τας. ἐκ δὴ τούτου φανερὸν ὅτι ἕκαστος κατὰ τὸ ἑαυτοῦ ὄνομα τοὺς  παρωνύμως ἀφεστῶτας μετρήσει, ὡς ὁ γ΄ δύο ὑπερβὰς τρίτους ἀεί,  καὶ τοῦτο ἀκολούθως. ἀλλ᾽ ὁ μὲν πρῶτος κατὰ τὸ ἑαυτοῦ μέγεθος  τρὶς τὸν μετ᾽ αὐτὸν πρώτως μετρούμενον μετρήσει, τὸν δὲ μετ᾽  ἐκεῖνον πεντάκις κατὰ τὸ τοῦ ἑξῆς μέγεθος, τὸν δὲ ἐκείνῳ ἐφεξῆς  κατὰ τὸ τοῦ τρίτου, καὶ τοῦτο δι᾿ ὅλου παραπλησίως; [30] ὁ δὲ δεύ-  τερος μεταλαβὼν τὸ τοιοῦτον τὸν μὲν ἀπ᾽ αὐτοῦ πέμπτον τῷ τοῦ  ἔμπροσθεν μεγέθει, τὸν δὲ ἀπ᾿ αὐτοῦ ἐκείνου πάλιν πέμπτον τῷ  ἑαυτοῦ, τὸν δὲ ἐφεξῆς πάλιν πέμπτον τῷ τοῦ μετ᾽ αὐτὸν καὶ τοῦτο  μέχρι παντός, τὸ δ᾽ ὅμοιον καὶ ἐπὶ τῶν λοιπῶν. καὶ ἡ τοῦ δυνάμει δὲ  περισσοῦ ἔννοια, τουτέστι μονάδος, κἀνταῦθα παραφανήσεται,  ὁπόταν ἕκαστος τῶν ἐκκειμένων παραλαβὼν τὸ μετρεῖν καὶ ἑαυτὸν  πολυπλασιάζων τετράγωνον ποιῇ, ὡς ἀπὸ τοῦ τρὶς τρία ὁ θ΄. ἐν δὲ  [10] τοῖς τοιούτοις ἡ ταυτότης, ἥπερ ἐστὶ παρὰ τὴν μονάδα ὡς ἅπαξ  θ΄, ἡ δ᾽ ἑτερότης ἐπὶ παρὰ τὴν δυάδα ἐστὶν εὐλόγως καὶ οἱ ἀπὸ δια-    INTRODUZIONE ALL’ARITMETICA DI NICOMACO 671    misura comune essi abbiano, allora sottrarremo sempre il minore dal  maggiore quante volte sarà possibile, e sottrarremo il resto finale dal  minore iniziale e sempre allo stesso modo,!9 fino a che non si otten-  ga o il numero 1 o [29] un altro.numero, da cui non sia più possibile  fare la sottrazione, e questo numero sarà la misura comune dei nume-  ri iniziali, i quali saranno detti secondi tra loro, come 15 e 35; loro  comune misura è infatti 5.160 1 1 invece, quando il calcolo si conclu-  de con essa, mostra che i numeri sono tra loro primi e non-composîti:  di tali numeri infatti l’ 1 è l’unica misura comune.   Affinché noi vediamo generarsi nell’ordine tutti i numeri che siano  secondi e composti per sé e tra loro, e quante siano le loro misure e le  parti antiparonime, dobbiamo conoscere un procedimento tale che  come un crivello trattenga questi numeri che si trovino entro questo  rapporto e scarti tutti gli altri, cioè i numeri primi e non-composti.  Esponi in fila i numeri dispari a cominciare dal 3, scrivendoli in ordi-  ne di successione nella massima lunghezza possibile, e cercherai di  misurare pienamente quelli che in successione all’infinito lasciano due  posti tra loro cominciando dal primo, quattro posti cominciando dal  secondo, sei posti dal terzo, otto posti dal quarto, e, per dirla in breve,  quelli che lasciano tra loro il doppio dei posti rispetto a quello che  occupa ciascun numero di partenza. Da questo risulta chiaro che cia-  scun numero misurerà secondo il suo proprio nome i numeri che  paronimamente se ne distanziano,!9! come ad esempio il 3 che ne salta  due misurerà sempre i terzi, e cosî di seguito. Ma il primo numero [3]  misurerà quello che è misurato per primo! tre volte secondo la sua  propria grandezza [3], il successivo [15] lo misurerà cinque volte  secondo la grandezza del secondo [5], il successivo ancora [21] lo  misurerà <sette volte> secondo la grandezza del terzo [7], e cosi tutti  gli altri allo stesso modo; [30] il secondo numero, riprendendo lo stes-  so criterio,!6 misurerà il quinto dopo di lui [15] secondo la grandez-  za che lo precede [3], e ancora il quinto successivo [25] secondo la sua  propria grandezza [5], e ancora il quinto successivo [35] secondo la  grandezza successiva [7], e questo fino alla fine, per tutti gli altri  numeri allo stesso modo. Anche la nozione del numero dispari in  potenza, cioè dell’ 1, a questo punto si rivelerà quando ciascun nume-  ro esposto che riceve la misura, moltiplicandosi per se stesso diverrà  un quadrato, come il 9 che nasce da 3x3. In tali numeri c’è da un lato    672 GIAMBLICO    φόρων ἀριθμῶν ἀλλήλους πολυπλασιασάντων γενόμενοι διαφόρους  καὶ τὰς πλευρὰς ἕξουσιν ἀντιφωνούσας κατὰ τὰ τῶν γνωμόνων  μεγέθη, καὶ ὁ τοιοῦτος προμήκης κεκλήσεται. τοῦ σαφοῦς δὲ ἕνεκα  τὸ μὲν ποσάκις μετρεῖν αὐτοὺς!ό κατὰ τὴν τῶν ἀπὸ τριάδος ἐπ᾽ ἄπει-  ρον περισσῶν ἔκθεσιν φανήσεται, τὸ δὲ πόσους διαλείποντας κατὰ  τὴν τῶν ἀπὸ δυάδος ἀρτίων (σύμβολον καὶ τοῦτο τῆς τῶν δύο εἰδῶν  τοῦ [20] ἀριθμοῦ ἀιδιότητός τε καὶ φιλαλληλίας, εἰ καὶ ἐναντία  δοκεῖ καθάπερ δεξιὰ ἀριστερῷ καὶ ὁμοίως συλληπτικὰ ἀλλήλοις) ἢ  νὴ Δία κατὰ τὴν «τῆς χώρας ἑκάστου διπλασίασιν, καθ᾽ ἣν ὁ μετρῶν  τέτακται. οἱ μὲν οὖν ὑπὸ τῶν μετρήσεων τούτων σημανθέντες δεύτε-  por δηλονότι καὶ σύνθετοι, κοινὸν δ᾽ αὐτῶν μέτρον τὸ ἐπελθὸν αὖ-  τοῖς" οἱ δὲ παραλειπόμενοι ὥσπερ τὰ διὰ κοσκίνου ἔκβολα πρῶτοι  καὶ ἀσύνθετοι. κἀνταῦθα δὲ ὁ Εὐκλείδης προδηλότατον ἁμάρτημα  πάσχει τὴν δυάδα [31] τῶν πρώτων καὶ ἀσυνθέτων οἰόμενος εἶναι,  ἐπεὶ μονάδι μόνῃ μέτρῳ χρῆται. ἐκλελησμένος ὅτι ἡ μὲν τοῦ ἀρτίου  εἴδους ἐστίν, ὅτι μέντοι περισσοειδὴς ἑνοῖ δυνάμει!7 τοὺς λόγους  τῶν ὁμογενῶν ἀρτιάκις ἀρτίων καὶ ἀρτιοπερίσσων τρόπῳ σπερμα-  τικῷ, καθάπερ ἡ μονὰς ἁπάντων ἁπλῶς᾽ οἱ δὲ πρῶτοι καὶ ἀσύνθετοι  καθ᾽ ὑποδιαίρεσιν τοῦ περισσοῦ εἴδους μόνου ὥφθησαν, ἀλλ᾽ οὐ  καὶ τοῦ ἀρτίου. ἔτερον γοῦν ἄρτιον οὐκ ἂν δύναιτο προχειρίσαι  οὐδὲ ἐπιταθεὶς «διὰ τὸ οὕτω»!}8 φύσει τοῦ [10] τοιούτου ἀπηλλάχθαι  θάτερον τοῦ ἀριθμοῦ εἶδος, ὥςπερ καὶ τὸ λοιπὸν τῶν αὐτοῦ  ὑποδιαιρέσεων ἀρτιάκις ἀρτίου τε καὶ ἀρτιοπερίσσου καὶ περισ-  σαρτίου. ἀλλὰ καὶ αὐτὴ ἡ δυὰς ὡς ἂν στοιχειώδης οὖσα καὶ σπερ-  ματικὴ οὐ μετέχει τρανῶς τῶν ὑποδιαιρέσεων τούτων καίτοι τούτου  τοῦ γένους ἄρχουσα αὐτοῖς, καθάπερ ἀμέλει καὶ ἐπὶ ἄλλων αἱ  ἀρχαὶ πολλῶν οὐ μετέχουσιν ὧν ἐξ ἀνάγκης τοῖς συγκρίμασι μέτε-  στιν, ὥσπερ σημείῳ τὰ γραμμῇ συμβεβηκότα οὐκ ἐνθεωρεῖται καὶ  τὰ διαστήματι φθόγγῳ καὶ τὰ ἀναλογίᾳ λόγῳ καὶ τὰ [20] σωματικὰ  ὕλῃ καὶ εἴδει καὶ τὰ πολλῶν ἑτέρων συστημάτων φαρμάκων τε καὶ  μιγμάτων ἑκάστων προέχει «τῶν» στοιχείων.   Πάλιν δὲ ἐξ ὑπαρχῆς τοῦ ἀρτίου ἀριθμοῦ καθ᾽ ἑαυτὸν καὶ παν-  τάπασιν ἀπηλλαγμένου τῆς πρὸς τὸν περισσὸν κἀνταῦθα ἐπιπλοκῆς    16 αὐτοὺς Tennulius: αὐτοῖς.   17 ὅτι μέντοι περισσοειδὴς ἑνοῖ δυνάμει congetturò Heiberg (cf. Add.  et Corr. p. VII): ὅτι μέντοι περισσοειδὴς ἵνα δυνάμει Pistelli.   18 l'integrazione è di Heiberg (cf. Add. et Corr. p. VII.    INTRODUZIONE ALL’ARITMETICA DI NICOMACO 673    l'identità in virtà dell’ 1, come 9x1, e dall’altro lato l’alterità in virtà  naturalmente del 2,164 e i numeri che nascono da numeri diversi che si  moltiplicano tra loro avranno diversi anche i lati che avranno nomi  opposti secondo le grandezze dei gnomoni, e tale numero verrà chia-  mato “promeche”. Per dirla in modo chiaro, la quantità di volte che  essi misurano apparirà secondo l’esposizione dei numeri dispari dal 3  all'infinito, mentre la quantità dei posti che saltano apparirà secondo  l'esposizione dei numeri pari a partire dal 2 (segno anche questo del-  l'eternità e dell'amore reciproco delle due specie di numero, che sep-  pure contrari si rivelano come destra e sinistra e parimenti compren-  sibili l'uno con l’altro), o in verità secondo la duplicazione del campo  in base al quale il numero misurante è ordinato. Dunque i numeri che  sono segnati in corrispondenza di queste misure sono evidentemente  secondi e composti, e la loro misura comune è quella che si è già  mostrata; i rimanenti numeri,!6 in quanto costituiscono lo scarto del  crivello, sono invece primi e non-composti. E qui Euclide commette  un errore evidentissimo quando ritiene che il 2 è [31] uno dei nume-  ri primi e non-composti, perché ha come misura soltanto l’unità,  dimenticando che il 2 è di specie pari, e che tuttavia, essendo affine al  dispari, unisce in potenza i principi dei numeri omogenei parimente-  pari e pari-dispari e ne è come il fattore generativo, cosî come l’ 1 lo è  di tutti i numeri in assoluto; i numeri primi e non-composti, invece,  sono apparsi secondo la suddivisione della sola specie dispari, e non  pure di quella pari. Nessuno dei due tipi di numero pari,!66 dunque,  potrà dare un numero che non venga accresciuto cosî da cambiare per  natura da un tipo di numero pari all’altro, come non potrà dare nep-  pure il resto delle sue suddivisioni, parimente-pari e pari-dispari e  dispari-pari. Ma anche il 2 come tale, come numero cioè in qualche  modo elementare e di natura seminale, non partecipa certamente di  tali suddivisioni, sebbene sia all’origine di quelle di specie pari,!6?  come accade ad esempio anche in altri casi, quando i principi non par-  tecipano di molte cose con le cui composizioni essi hanno necessaria-  mente a che vedere, come ad esempio non si vedono nel punto le pro-  prietà della linea o nel semplice suono quelle dell’intervallo musicale  o nel semplice rapporto quelle della proporzione o nella materia e  nella forma quelle degli enti corporei, e anche le proprietà di molte  altre composizioni di misture farmaceutiche superano i loro singoli  elementi.    674 GIAMBLICO    τὸ μέν ἐστιν ὑπερτελὲς τὸ δὲ ἐλλιπὲς ἐναντία ἀλλήλοις, κοινὸν δ᾽  [32] αὐτῶν καὶ οἱονεὶ μεσότης τὸ λεγόμενον τέλειον διαφέρον κατά  τι ἀμφοῖν καὶ πάλιν ἀμφοῖν κατά τι μετέχον. ὑπερτελὲς μὲν οὖν  ἐστιν ὅταν ἄρτιος ἀριθμὸς πάντα τὰ αὑτοῦ μέρη συντεθέντα πλείο-  νὰ ἀποδίδωσιν αὐτοῦ καὶ ὑπερπαίοντα τῇ ποσότητι᾽ διὰ τοῦτο γὰρ  καὶ οὕτως ὠνόμασται, ὡς πλημμελής τις ὧν καὶ πλεομελὴς καὶ πλεο-  νέκτης, τεταγμένος ἐν τῷ οἷον ἀδικεῖν καὶ πλέον τι τοῦ ἐπιβάλλον-  τος αὐτῷ ἔχειν, ὡς εἴ τινι πλέονες δάκτυλοι ἐν μιᾷ χειρὶ ἢ ἐν [10]  ποδὶ εἶεν. ἐλλιπὲς δὲ ὅταν ὁμοίως ἄρτιος ἀριθμὸς τοῖς ἑαυτοῦ πᾶσι  μέρεσι συντεθεῖσι συγκρινόμενος μείζων φαίνηται, τὰ δὲ μέρη  ἐλάττονα ἑαυτοῦ ποιῇ, διὸ καὶ οὕτως ὠνόμασται, ἐστερημένος  μερῶν τῶν εἰς συμπλήρωσιν αὐτοῦ προσηκόντων ὡσανεὶ πλεονεκ-  τούμενός τις ἐν τῷ ἀδικεῖσθαι καὶ μὴ ἀπειληφέναι τὰ ἴδια, ὡς εἴ τις  ἄγλωσσος εἴη ἢ μονόχειρ. ὑπόδειγμα τοῦ μὲν προτέρου ὅ τε ιβ΄ καὶ  οἱ τούτου ἐπ᾽ ἄπειρον πολυπλάσιοι καὶ ὁ im καὶ ὁ κ΄ καὶ ἄλλοι πολ-  λοὶ τοιοῦτοι, τοῦ δὲ δευτέρου ὅ τε η΄ καὶ ὁ ι΄ καὶ ὁ ιδ΄ καὶ οἱ ὅμοιοι.   [20] Τέλειον δέ ἐστιν ὃ τούτων μέσον θεωρεῖται καὶ οὔτε πλέο-  va ὡς τὸ ὑπερτελὲς οὔτε ἐλάσσονα ὡς τὸ ἐλλιπὲς τὰ μέρη ἑαυτοῦ  συντεθέντα ἔχει, ἀλλὰ τὰ ἀνὰ μέσον τοῦ τε μείζονος καὶ τοῦ ἐλάσ-  σονος, ὅπερ ἐστὶν ἴσα, ὡς ἂν δικαιότητί τινι καὶ τῶν ἰδίων καὶ προ-  σηκόντων ἀπολήψει. συνάδει δὲ τὰ τοιαῦτα [33] παραδείγματα τῷ  τὰς ἀρετὰς ὀρθῶς νομίζεσθαι μετριότητάς τινας καὶ μεσότητας  ὑπερβολῆς καὶ ἐλλείψεως, ἀλλ᾽ οὐκ ἀκρότητας, ὥς τινες ὑπέλαβον  εἶναι, καὶ ἀντικεῖσθαι μὲν κακὸν κακῷ, συναμφότερα δ᾽ ἑνὶ ἀγαθῷ,  ἀγαθὸν δὲ ἀγαθῷ μηκέτι, ἀλλὰ δυσὶν ἅμα κακοῖς, ὥσπερ δειλίαν  θρασύτητι ὧν κοινὸν ἀνανδρία συναμφότερα δὲ ἀνδρείᾳ, καὶ  πανουργίαν ἠλιθιότητι ὧν κοινὸν ἀφροσύνη συναμφότερα δὲ φρον-  ήσει, καὶ ἀσωτίαν φιλαργυρίᾳ ὧν κοινὸν ἀνελευθερία συναμφότε-  ρα [10] δὲ ἐλευθεριότητι, καὶ κατάπληξιν ἀναισχυντίᾳ ὧν κοινὸν    INTRODUZIONE ALL’ARITMETICA DI NICOMACO 675    Ma infine, ancora, del pari in sé e mancante del tutto dell’affinità  al dispari, c'è da un lato il ridondante e dall’altro lato il deficiente,  proprietà che sono contrarie tra loro, ma c’è anche quello comune  [32] a questi due e quasi la loro medietà ed è 9 cosiddetto perfetto  che differisce in qualche cosa da ambedue e di contro partecipa per  qualche cosa di ambedue. Orbene, è ridondante il numero pari che  ha la somma delle sue parti maggiore di se stesso o che lo supera in  quantità; è per questo infatti che è stato chiamato con questo nome,  come se fosse uno “sregolato” o uno “che ha delle membra in pit” o  un “accaparratore”, ordinato in modo da commettere ingiustizia o  possedere più di quello che gli spetta, come se qualcuno avesse più di  cinque dita in una sola mano o in un solo piede. Deficiente è invece,  secondo lo stesso criterio, il numero pari che risulta maggiore rispet-  to alla somma di tutte le sue parti, ovvero che ha la somma delle parti  minore di se stesso, ed è per questo che riceve il suo nome, in quan-  to cioè è mancante delle parti che dovrebbe avere per essere comple-  to, come uno che è defraudato subendo ingiustizia e non ricevendo  quello che gli è proprio, come se uno fosse privo della lingua o aves-  se una sola mano. Esempi del primo sono 12 e i multipli di esso all’in-  finito, e ancora 18, 20 e molti altri come questi; esempi del secondo  sono invece 8, 10, 14 e simili.   Numero perfetto è considerato quello che è intermedio fra i due e  che non ha quindi la somma delle sue parti né maggiore di sé come  quella del ridondante, né minore come quella del deficiente, ma a  metà tra il maggiore e il minore, cioè uguale, come se ricevesse per un  atto di giustizia ciò che gli è proprio e gli spetta. Tali esempi si accor-  dano [33] col fatto che le virti sono correttamente ritenute giuste  misure e medietà tra eccesso e difetto, e non estremità, come pensa-  vano alcuni, e che il male è opposto al male, e ambedue si oppongo-  no ad un unico bene, e mai un bene si oppone a un bene, ma a due  mali contemporaneamente, come la timidezza si oppone alla temeri-  tà, con cui ha in comune la viltà, e ambedue si oppongono al corag-  gio, o come la scaltrezza si oppone alla stupidità, con cui ha in comu-  ne la stoltezza, e ambedue si oppongono alla prudenza, e come la pro-  digalità si oppone all’avarizia, con cui ha in comune la illiberalità, e  ambedue si oppongono alla liberalità, o come la pudicizia si oppone  alla sfrontatezza, con cui ha in comune l’impudenza, e ambedue si    676 GIAMBLICO    ἀναίδεια συναμφότερα δὲ αἰδοῖ, καὶ ἐπὶ τῶν λοιπῶν ἀρετῶν τε καὶ  ἀστείων ἕξεων τὸ ἀνάλογον τηροῦσιν ἡμῖν ἀναφανήσεται, καθάπερ  καὶ ἐπὶ τῆς τοῦ ἀνίσου σχέσεως δειχθήσεται μειζονότης ἐλαττονό-  τητι ὧν κοινὸν ἀνισότης «συναμφότερα δὲ» τῇ ἰσότητι. τοῦ δὴ οὖν  τελείου διὰ τὸ τοιοῦτον ἡ σπανιότης, ὥσπερ ἀγαθοῦ τινος καὶ οὐχὶ  πολύχου ὄντος κακοῦ, ἕνα μὲν ἐν μονάσιν ἡμῖν μόνον, τουτέστιν  ἐντὸς δεκάδος, ἕνα δὲ μόνον ἐν δεκάσι, τουτέστι πρὸ τοῦ εἰς  «ἑκατοντάδα ἐλθεῖν, ἕνα δὲ μόνον ἐν»!}9 ἑκατοντάσιν, [20] καὶ ἕνα  μόνον ἐν χιλιάσι παρέξει φυσικῷ νόμῳ. καὶ εἰ τύχοι ἐν πρώτῳ  βαθμῷ μυριάδων ὁμοίως μόνον ἕνα, καὶ ἐν δευτέρῳ πάλιν ἕνα, καὶ  τὸ τοιοῦτον ἐπ᾿ ἄπειρον. ὑπόδειγμα δὲ τούτου ὁ ς΄ καὶ ὁ κη΄ «καὶ ὁ»  πυηας΄ καὶ ὁ ηρκη καὶ οἱ ὅμοιοι παρὰ μέρος εἰς ἐἑξάδα καὶ ὀγδοάδα  καταλήγοντες. γενέσεως δὲ ἔφοδος καὶ αὕτη συστατικὴ τῆς φιλαλ-  ληλίας τῶν τοῦ ἀριθμοῦ εἰδῶν καὶ μετὰ συμπνοίας ἀιδιότητος. τοὺς  γὰρ ἀπὸ [34] μονάδος ἀνάλογον διπλασίους, ὅπερ ἐστὶν ἀρτιάκις  ἀρτίους, ἐπισωρεύειν δεῖ καθ᾽ ἕνα ἕκαστον ἀεὶ καὶ κατὰ ἑκάστου  ἀριθμοῦ σωρείαν ἐπισκοπεῖν. εἰ πρῶτος καὶ ἀσύνθετος ἐκ τῆς ἐπι-  σωρείας γένοιτο, πολυπλασιάσωμεν τὸν γενόμενον τῷ ἐν τῇ συνθέ-  σει ὑστάτῳ ληφθέντι᾽ ὁ γὰρ ἀποτελεσθεὶς τέλειος ἐκ παντὸς ἔσται᾽  εἰ δὲ δεύτερος καὶ σύνθετος, παραλείπωμεν αὐτόν, ἄλλον δὲ τὸν  ἑξῆς ἀνάλογον ἐπισωρεύσωμεν, εἰ πρῶτος καὶ ἀσύνθετος ὁ γενόμε-  νος ἐὰν γὰρ τῷ [10] προσεπισωρευθέντι πολυπλασιαστέον αὐτόν,  καὶ οὕτως ὁ τῇ τάξει συνεχὴς τέλειος ἀναφανήσεται. καὶ οὕτως μέ-  χρι παντός. διὰ μὲν οὖν τῆς τῶν ἀρτιάκις ἀρτίων συνθέσεως ἡ τοῦ  ἀρτίου φύσις, διὰ δὲ τῆς ἐξ αὐτῶν περισσογονίας, μάλιστα δὲ τῶν  πρώτων καὶ ἀσυνθέτων ἀποτελέσεως, ἡ τοῦ περισσοῦ παρεμφαίνε-  ται. οὐ χρὴ δὲ ξενίζεσθαι εἰ τῷ αὐτῷ ἀριθμῷ ποικίλα τινὰ ἐπικα-  τηγορεῖται, οἷον φέρ᾽ εἰπεῖν αὐτῷ τούτῳ τῷ ς΄ τὸ «πρῶτον» τέλειον  εἶναι καὶ τὸ πρῶτον ἀρτιοπέρισσον καὶ πάλιν πρῶτον ἑτερομήκη  καὶ πρὸς τῶν Πυθαγορικῶν [20] ἔτι γάμον καλεῖσθαι, ὅτι κατ᾽ αὐτὸ  πρώτιστον σύνοδος ἄρσενος καὶ θήλεος ἐκ κατακράσεως γίνεται᾽  καὶ γὰρ ἐκ τοῦ αὐτοῦ ὑγίειαν τὸν αὐτὸν καλοῦσι καὶ ἔτι κάλλος  διὰ τὴν ἐν αὐτῷ τῶν μερῶν ὁλοκληρίαν καὶ συμμετρίαν. παρακηκο-    19 lacuna colmata da Vitelli (cf. appar. ad loc.).    INTRODUZIONE ALL'ARITMETICA DI NICOMACO 677    oppongono alla verecondia, e anche nelle rimanenti virtii e qualità  civili, se conserveremo la proporzione, noi vedremo come, nella rela-  zione di disuguaglianza, la maggioranza si rivelerà opposta alla mino-  ranza, con cui ha in comune la disuguaglianza, e ambedue si oppor-  ranno all’uguaglianza. È per questo, dunque, che la scarsa frequenza  del numero perfetto, come di un bene e non di un male, che è molto  diffuso, ci fornirà per legge naturale un solo numero perfetto tra le  unità,!8 cioè al disotto del numero 10, uno solo tra Ie decine, cioè  prima di arrivare al 100, uno solo tra le centinaia, e uno solo tra le  migliaia. E se nel primo livello delle decine di migliaia se ne incontra  uno solo, anche nel secondo livello!69 se ne incontra ancora uno solo,  e cosî all’infinito. Esempi di numero perfetto sono 6, 28, 496, 8128, e  simili, terminanti alternativamente per 6 e per 8. Il processo di gene-  razione dei numeri perfetti è anch’esso costitutivo di questo amore  reciproco delle forme del numero assieme al loro eterno accordo.  [34] Bisogna, infatti, accumulare ad uno ad uno i numeri doppi che  nascono proporzionalmente a partire da 1, cioè i numeri parimente-  pari, ed esaminare l'accumulo di ciascun numero.!70 Se dall’accumu-  lo!7! viene fuori un numero primo e non-composto, allora moltipli-  cheremo questo numero per l’ultimo numero della somma: il numero  che si otterrà dalla moltiplicazione sarà assolutamente perfetto; se  invece viene fuori un numero secondo e composto, allora lo trascure-  remo, e accumuleremo proporzionalmente quello che segue, per  vedere se viene fuori un numero primo e non-composto, nel qual caso  bisognerà moltiplicarlo per il numero accumulato,!?2 e cosî apparirà il  numero perfetto che segue nell’ordine. E si procederà allo stesso  modo per tutti i numeri. Attraverso la somma dei numeri parimente-  pari, dunque, si mette in evidenza la natura del pari; attraverso la  generazione dei numeri dispari proveniente dai numeri pari, ma  soprattutto attraversò la produzione dei numeri primi e non-compo-  sti, si manifesta invece la natura del dispari. Non bisogna stupirsi se  allo stesso numero vengono attribuite denominazioni diverse, come  ad esempio di questo stesso numero 6 si dice che è il primo numero  perfetto e anche il primo pari-dispari e ancora il primo numero etero-  meche e ancora “connubio”, come è chiamato dai Pitagorici, perché  è in virti di questo numero che nasce per moltiplicazione la prima  congiunzione di maschio e femmina;!?? e infatti i Pitagorici chiamano    678 GIAMBLICO    ‘agi δὲ οἱ καὶ φιλίαν τὸν αὐτὸν νομίζοντες αὐτοὺς λέγειν διὰ τὴν  τῶν διαφερόντων σύνοδον ἐν αὐτῷ καὶ φίλωσιν' ἄλλους γάρ [35]  τινας ἄντικρυς φίλους ἀριθμοὺς καλοῦσιν ἐν τῷ προσοικειοῦν τάς  τε ἀρετὰς καὶ τὰς ἀστείας ἕξεις τοῖς ἀριθμοῖς, οἷον τὸν σπδ΄ καὶ τὸν  σκ΄ γεννητικὰ γὰρ ἀλλήλων τὰ ἑκατέρου αὐτῶν μέρη κατὰ τὸν τῆς  φιλίας λόγον, ὡς Πυθαγόρας ἀπεφήνατο᾽ ἐρομένου γάρ τινος «τί  ἐστι φίλος» εἶπεν. «ἕτερος ἐγώ», - ὅπερ ἐπὶ τούτων τῶν ἀριθμῶν  δείκνυται. ἀλλ᾽ ἐπεὶ κατ᾽ οἰκεῖον τόπον διελοῦμεν τὰ ὑπὸ τῶν  Πυθαγορείων εἰς τὴν τοιαύτην θεωρίαν πάνυ ἀνθηροτάτην καὶ γλα-  φυρὰν [10] οὖσαν ἀναφερόμενα, χωρητέον ἐπὶ τὰ ἑξῆς.   ᾿Ακόλουθον γὰρ τούτοις διαλαβεῖν περὶ τοῦ μηκέτι καθ᾽ αὑτὸ  ἀλλ᾽ ἤδη πρός τι ποσοῦ, οὐκ ἐπειδὴ πᾶσα ἡ περὶ τοῦ καθ᾽ αὑτὸ τεχ-  νολογία πέρας ἔχει (πῶς γὰρ ὅπου μήτε περὶ ἐπιπέδων παμποικίλων  ὄντων μήτε περὶ στερεῶν διειλάμεθα;), ἀλλ᾽ ὅτι μάλιστα εἰς τὴν  ἐκείνων παρακολούθησιν συνεργοῦσιν οὗτοι. καὶ γὰρ οὐδὲ τὸν  περὶ τούτων συνεχῶς ἔχοντες ἀπαρτιοῦμεν λόγον, ἀλλὰ στοχαζόμε-  vot τῆς τοῦ εἰσαγομένου διὰ τὴν τάξιν εὐμαρείας τὸ πλέον αὐτοὺς  μετ᾽ ἐκείνους [20] ποιησόμεθα, ὑπερθέντες ἃ παρὰ μέρος τὴν περὶ  ἀναλογιῶν ἐξήγησιν. ὅπερ οὖν πρὸ βραχέος συντείνειν ἐφαίνετο  πρὸς τὸν περὶ ἀρετῶν λόγον ἐν τῷ τῶν τελείων καὶ ἐναντίων διο-  ρισμῷ, τοῦτ᾽ εὐθὺς ἐν ἀρχῇ τοῦ πρός τι ποσοῦ πάλιν ἡμῖν συνεμφαί-  νεται. τῶν γὰρ πρὸς ἄλλο πῶς θεωρουμένων ἀριθμῶν αἱ γενικώταται  δύο σχέσεις εἰσὶν ἰσότης τε καὶ ἀνισότης, καὶ ἡ μὲν ἰσότης ὥσπερ  μετριότης τις καὶ μεσότης [36] ἄσχετός ἐστιν οὔτ᾽ ἄνεσιν οὔτ᾽ ἐπί-  τασιν ἐπιδεχομένη, ἡ δὲ ἀνισότης κατὰ πρώτην τομὴν εἰς δύο σχίζε-  ται εἴς τε τὸ μεῖζον καὶ τὸ ἔλαττον, ὥσπερ κἀπὶ τῶν ἀρετῶν τὸ ἀντί-  θετον εἰς ὑπερβολὴν καὶ ἔλλειψιν ἀντιδιεστέλλοντο ἡ κακία. ἀντί-  κειται δὲ τὸ μεῖζον τῷ ἔλαττον καὶ συναμφότερα ἅμα τῷ ἴσῳ, οὔτε  δὲ ἴσον ἄν τι εἴη ἄνευ τοῦ τινί, οὔτε μεῖζον ἢ ἔλαττον ἄνευ τινός,  διόπερ εἰκότως πρός τι. ἀλλὰ τῷ μὲν ἴσον ἀνθυπακούει τὸ αὐτὸ  ὄνομα ὡς ἂν μεσότητι, ὅπερ καὶ [10] ἐπ᾽ ἄλλων τινῶν τοῦ πρός τι    INTRODUZIONE ALL’ARITMETICA DI NICOMACO 679    per lo stesso motivo questo numero “salute”! e inoltre, “bellezza”  per la integrità e congruenza delle sue parti. E interpretano male colo-  ro che ritengono che i Pitagorici chiamano questo numero “amicizia”  in virti del fatto che in esso ci sarebbe congiunzione e amorevolezza  tra cose differenti; sono assolutamente altri infatti [35] i numeri che  essi chiamano “amici” quando accordano le virtù e le qualità civili  con i numeri, come ad esempio i numeri 284 e 220: le parti di ciascu-  no di questi due numeri, infatti, sono capaci di generarsi a vicenda  secondo un rapporto di amicizia,!7 come mise in evidenza Pitagora:  se qualcuno, infatti, pone la domanda: “che cosa è un amico”,  Pitagora risponde: “un altro me stesso”,176 cosa che appare in questi  numeri. Ma poiché noi spiegheremo nel luogo opportuno!77 le cose  che i Pitagorici riferiscono a tale teoria che è assolutamente splendi-  da ed elegante, bisogna passare al tema successivo.   Ebbene, quel che consegue a questo di cui si è parlato, è la tratta-  zione del quanto, non del quanto in sé, ma del quanto in rapporto ad  altro, non perché la trattazione approfondita del quanto in sé si sia del  tutto esaurita (come mai, infatti, non ci siamo occupati né della varie-  tà dei numeri piani né dei numeri solidi?), ma perché questi ultimi178  servono soprattutto a farci trarre le conseguenze di quelli.!79 E infat-  ti, continuando il discorso su questi numeri, non lo porteremo a ter-  mine, ma proporremo questi dopo quelli con ordine nell’intenzione  di rendere più facile la comprensione del discorso che abbiamo intro-  dotto prima, rinviando la spiegazione particolareggiata delle propor-  zioni. Ciò che poco fa, dunque, sembrava riguardare il discorso sulle  virtà nella distinzione tra perfetti e contrari, subito ci appare nuova-  mente nel principio del quanto in rapporto a qualcosa. Dei numeri  che sono considerati in qualche modo in rapporto ad altro, infatti, esi-  stono due generalissime relazioni: l'uguaglianza e la disuguaglianza, e  mentre l'uguaglianza è come una giusta misura e medietà [36] priva  di relazione e che non ammette né diminuzione né aggiunta, la disu-  guaglianza i invece, in virtù di una sua prima bipartizione, si distingue  in maggiore e minore, come anche a proposito delle virtù il loro  opposto, cioè il vizio, si distingue in eccesso e difetto. Il maggiore si  oppone al minore e ambedue si oppongono all’uguale, né una cosa  può essere uguale senza essere uguale a qualcosa, né può essere mag-  giore o minore senza esserlo di qualcosa, perciò si dice a ragione che    680 GIAMBLICO    ὑποδειγμάτων δείκνυται ἐπί τε τοῦ ἀδελφὸς καὶ συστρατιώτης καὶ  γείτων καὶ ἧλιξ καὶ ἄλλων ὁμοίων᾽ τῷ δὲ ἀνίσῳ κατὰ μὲν τὸ γενικὸν  παραπλήσιόν τι συμβέβηκε κατὰ δὲ τὰ εἴδη οὐκέτι, ἀλλ᾽  ἑτερώνυμος ἡ ἀνταπόκρισις γίνεται, καθάπερ ἐπ᾽ ἄλλων, οἷον  πατὴρ καὶ διδάσκαλος καὶ ἐρώμενος καὶ τῶν ὁμοίων. ἴσον μὲν οὖν  ἐστι ποσὸν ὃ ἀντεξεταζόμενον τῷ συζύγῳ οὔτε πλέον οὔτε ἔλαττόν  τι ἔχει, ἄνισον δὲ ὃ καὶ αὐτὸ ἀντεξεταζόμενον τῷ συζύγῳ ἢ μεῖζόν  ἐστι ἢ ἔλαττον: ἐν γὰρ τῇ συζυγίᾳ [20] τὸ μέτρον πλέον τι μετὰ τὴν  [μίαν]20 μέτρησιν ἐν τῷ μετρουμένῳ καταλείψει. καὶ μεῖζον μέν  ἐστιν ὃ πέφυκε μετρούμενον ὑπὸ θατέρου μετὰ μίαν προσβολὴν  ἀκαταμέτρητον αὑτοῦ τι ἀπολιπεῖν ὁποσονοῦν, ἔλαττον δὲ «ὃ»  μετρητικὸν ὃν τοῦ συζύγου, μιᾷ προσβολῇ περι [37] σχεῖν ὅλον οὐ  δύναται. καθ᾽ ὑποδιαίρεσιν δὲ τὰ δύο ταῦτα τοῦ ἀνίσου εἴδη ἀνὰ  πέντε σχέσεις ἀποτελεῖ, συναμφότερα δὲ ὁμοῦ δέκα τοῦ τε γὰρ  μείζονος τὸ μέν ἐστι πολλαπλάσιον τὸ δὲ ἐπιμόριον τὸ δὲ ἐπιμερές,  δύο δὲ τὰ λοιπά, μιγέντος τοῦ πολλαπλασίου πρὸς ἑκάτερον τῶν  λοιπῶν, πολλαπλασιεπιμόριον καὶ πολλαπλασιεπιμερές" τοῦ δὲ  ἐλάττονος κατὰ ἀντιπεπόνθησιν μετὰ τῆς ὑπό προθέσεως τὸ μέν  ἐστιν ὑποπολλαπλάσιον τὸ δὲ ὑποεπιμόριον τὸ δὲ [10] ὑποεπιμερές,  δύο δὲ τὰ λοιπά, καθὰ καὶ ἐπὶ τοῦ προτέρου εἴδους μικτὰ ἔκ τε τοῦ  πολλαπλασίου καὶ ἑκατέρου τῶν λοιπῶν, ὑποπολλαπλασιεπιμόριόν  τε καὶ ὑποπολλαπλασιεκπιμερές. ἐφοδιάζει δὲ ἡμᾶς ἡ πρόθεσις ἐν  τοῖς ὀνόμασι προλόγους μὲν ὡς ἂν φύσει καὶ τιμιότητι πρώτους,  καθάπερ δειχθήσεται, τοὺς προτέρους εἰδέναι, ὑπολόγους δὲ καὶ τὰ  ἐναντία ἔχοντας τοὺς δευτέρους τοὺς δυομένους. εἰ δέ τις λέγοι τὴν  ἰσότητα σχέσιν μὴ εἶναι διὰ τὸ τοὺς κατ᾽ αὐτὴν ὅρους ἀδιαστάτους  καὶ ἀδιαφόρους ὑπάρχειν, ὑπομνηστέον ὅτι σχέσις [20] ἕτερόν τι  διαστήματός ἐστιν᾽ ἰδοὺ γὰρ ἐν τῷ τυχόντι ἀνισότητος ὑποδείγματι  δυεῖν ὅρων διάστημα μὲν ταὐτὸ κἂν ἀναστρέφωνται, ἀναστρεφο-  μένων δ᾽ ὅμως λόγος πάντως ἕτερος, τουτέστι σχέσις, ὥστ᾽ οὐδὲν  κωλύει τοὺς ἐν ἰσότητι ὅρους διαφορὰν μὲν μὴ ἔχειν ἀδιαστάτους  ὄντας, σχέσιν δὲ πάντως, ἢ οὐκ ἔσται τῶν πρός τι τὸ ἴσον, ὅπερ ἀμ-  ἤήχανον.    20 ho eliminato μίαν anziché τὴν, come preferirebbe Pistelli (cf. Add. et  Corr. p. VII), perché mi sembra più chiaro e più corretto dire “dopo /4 misu-  razione” che non “dopo un'unica misurazione”.    INTRODUZIONE ALL’ARITMETICA DI NICOMACO 681    sono in rapporto a qualcosa. Ma, mentre all’uguale, in quanto medie-  tà, corrisponde lo stesso nome di ciò a cui è uguale, cosa che appare  anche in tutti gli altri esempi di relazione e nella relazione di fratello  o di commilitone o di vicino di casa o di coetaneo e di altre relazioni  simili; al disuguale, invece, accade qualcosa di simile secondo il gene-  re, non però secondo le specie, ma la corrispondenza dei relativi è  diversa nei nomi, come se la relazione fosse tra cose diverse, ad esem-  pio padre o maestro o amato e simili. L’uguale è dunque un quanto  che, confrontato con il termine accoppiato, non ha nulla che sia mag-  giore o minore, mentre il disuguale è un quanto che, confrontato  anch'esso con il termine accoppiato, è maggiore o minore: nella cop-  pia infatti, dopo la misurazione rimane nel misurato qualche misura  in più. E il maggiore è quello che è misurato naturalmente dall’altro e  dopo una sola applicazione lascia una certa sua quantità non misura-  ta, mentre il minore è quello che se fa da misura dell’altro con cui è  accoppiato, non può contenerlo interamente con una sola applicazio-  ne. [37] Per suddivisione queste due specie del disuguale producono  ciascuna cinque relazioni, e quindi dieci relazioni tutte e due: suddi-  visioni del maggiore, infatti, sono il multiplo, l’epimorio, l’epimere, e  altri due, quando il multiplo si mescola con ciascuno degli altri due,  e cioè il multiplo-epimorio e il multiplo-epimere; suddivisioni del  minore, invece, per rapporto inverso accompagnato dal prefisso  “sotto”, sono il sotto-multiplo, il sotto-epimorio, il sotto-epimere, e  altri due, secondo le mescolanze della prima forma derivanti dal mul-  tiplo e da ciascuno degli altri due,180 e cioè il sotto-multiplo epimorio  e il sotto-multiplo-epimere. In questi nomi il prefisso ci fornisce la  possibilità di vedere i primi come “prologhi”!8! come se fossero pri-  mari per natura e dignità, come sarà mostrato, e i secondi, che hanno  carattere opposto, come “ipologhi”182 e cioè immersi nei primi.18 Se  qualcuno poi dicesse che l'uguaglianza non è relazione perché in essa  i termini non hanno tra loro distanza e differenza, si deve ricordare  che una cosa è la relazione e altra cosa la distanza: ecco infatti, in un  qualunque esempio di disuguaglianza la distanza fra i due termini è la  stessa, sebbene essi si convertano, e tuttavia il rapporto fra i termini  che si convertono è assolutamente diverso, ed è questa la relazione,  sicché niente impedisce che i termini dell’uguaglianza non abbiano  differenza in quanto non c’è distanza tra loro, e abbiano assolutamen-    682 GIAMBLICO    Πολλαπλάσιον μὲν οὖν ἐστι τοῦ μείζονος τὸ πρῶτον εἶδος, ὅταν  δυεῖν ὅρων ὁ ἕτερος τὸν ἕτερον πλεο [38] νάκις ἢ ἅπαξ καταμετρῇ  πληρούντως. ἄρξεται δὲ ἀπὸ τοῦ δίς, ἵνα παρὰ τοῦτο ὀνομάζωνται ὁ  μὲν μετρούμενος διπλάσιος ὁ δὲ μετρῶν ὑποδιπλάσιός τε καὶ  ἥμισυς συνωνύμως, ὥσπερ ἀμέλει καὶ αὐτὸ τὸ ὑπόλοιπον γένος  ὑποπολλαπλάσιόν τε λέγεται συνωνύμως καὶ ψιλῶς μέρος; ἐὰν δὲ  τρίς, ὁ μὲν μείζων τριπλάσιος ὁ δὲ ἐλάττων ὑποτριπλάσιός τε καὶ  τρίτον καὶ τἄλλα κατὰ τὸ ἑξῆς εἴδη. ὑπόδειγμα δὲ πάντων εὐτάκτων  πολυπλασίων σαφὲς ἕξομεν ἐὰν ἐκθέμενοι τὸν [10] ἀπὸ μονάδος  συνεχῆ ἀριθμὸν ἤτοι πρὸς αὐτὴν τὴν μονάδα συγκρίνωμεν τοὺς μετ᾽  αὐτὴν καθ᾽ ἕκαστον ἑξῆς, ἢ πρὸς τὴν μετ᾽ αὐτὴν δυάδα τοὺς μετ᾽  ἐκείνην παρ᾽ ἕνα καθ᾽ ἕκαστον ὁμοίως ἑξῆς, πρὸς τριάδα τοὺς παρὰ  δύο, ἢ πρὸς τετράδα τοὺς παρὰ τρεῖς καὶ ἐπ᾽ ἄπειρον, συμπροκοπ-  τόντων τῇ τοῦ ἀριθμοῦ ἐφοσονοῦν ἐκθέσει. ἐὰν δὲ κατὰ παραλ-  λήλους στίχους καταγράψωμεν ἅπαντα τὰ τοῦ πολυπλασίου εἴδη  ἀπὸ μονάδος ἀρχόμενα, προσεκθέμενοι τὸν ἐφεξῆς ἀριθμὸν καὶ  πρὸς αὐτὸν γεννήσαντες ἐπὶ βάθος τὴν πολλαπλασιότητα, [20] ἐνο-  ψόμεθα πολλά τε ἄλλα τερπνὰ ἐπακολουθήματα καὶ γλαφυρίαν ποι-  κίλην καὶ εὔτακτον δὲ γένεσιν ἀντιπαρωνυμίας ἐπιμορίων παν-  τοίων πρὸς πολλαπλασίους παντοίους καθ᾽ ὁμογένειαν καὶ ἔτι ἐπι-  μερῶν καὶ εἴ τις ἐπισκέπτοιτο καὶ μικτῶν, καὶ ὅλοι ὅλων στίχοι μιᾷ  καὶ ἀπαραλλάκτῳ σχέσει εὐτάκτως προκοπτούσῃ ὁμολόγως φαν-  ήσονται ἐν τε πλάτει καὶ βάθει. ἔτι μὴν καὶ ἐπιμορίων πυθμένες  μὲν ἑνὶ στίχῳ ἐπὶ βάθος εὑρεθήσονται, δεύτεροι δὲ ἀπὸ πυθμένος  ἐν τῷ ἑξῆς, [39] τρίτοι δὲ καὶ τέταρτοι κατὰ τὴν πρὸς τούτους ἀντα-  κολουθίαν διαφορὰς ἔχοντες τοὺς ἀπὸ μονάδος ἑξῆς ἀριθμούς. ἐὰν  δὲ καὶ τὰς μὲν ἐπὶ πλάτος μονάδας ἀφέλωμεν, ὡς ἂν μηδὲν ποικίλον  ἐχούσας, τὸν δὲ συνεχῆ ἀριθμὸν ἀντ᾽ αὐτῶν προτάξωμεν ἀπὸ! τῆς  αὐτῆς μονάδος, γλαφυρίαν τινὰ ἐνοψόμεθα καὶ σπερματικῶς  ὑποφαινόμενον τὸν λόγον τῆς τῶν μαντικῶν πλινθιδίων ἐφόδου, ὃς  ἐν τοῖς ἐπανθήμασι τῆς ἀριθμητικῆς εἰσαγωγῆς παραδίδοται. καὶ εἰ  μέχρι δεκάδος εἴη ἡ [10] ἔκθεσις τῶν πολλαπλασίων, ἐπί τε μῆκος  καὶ πλάτος γενήσονται μονάδες ἐγγώνιοι αἱ μὲν ἄκραι ἅπαξ ἡ δὲ  μέση δίς, ὅπως καὶ ἐνταῦθα ἀποσῴζηται τὸ τῆς ἀναλογίας ἴδιον'  ἴσον γὰρ ἔσται τὸ ὑπὸ τῶν ἄκρων τῷ ἀπὸ τοῦ μέσου, καὶ σημείου  μὲν λόγον ἕξει ἡ ἑτέρα τῶν ἄκρων μονὰς ἡ δὲ ἑτέρα τετραγώνου ἡ    21 ἀπὸ congetturò Heiberg giustamente: ὑπὸ.    INTRODUZIONE ALL'ARITMETICA DI NICOMACO 683    te relazione, pena la negazione che esista l'uguaglianza tra relativi,  cosa impossibile. Orbene, il multiplo è la prima specie del maggio-  re,! e si ha quando tra due termini l’uno misura [38] pienamente  l'altro più di una volta. Si comincerà da due volte, perché secondo  questa misura il quanto misurato sia indicato coi nome “doppio”, e il  quanto misurante con i sinonimi “sotto-doppio” e “metà”, come del  resto anche lo stesso rimanente genere!85 viene detto per sinonimia  “sotto-multiplo” e semplicemente “parte”; se invece l’uno misura tre  volte l’altro, allora il maggiore è detto “triplo” e il minore “sotto-tri-  plo” e “terzo”,!86 e cosî le altre specie in progressione. Un esempio  chiaro di tutti i multipli bene ordinati noi lo avremo se, dopo avere  esposto il numero in successione partendo da 1, o confrontiamo con  lo stesso 1 ciascuno dei numeri successivi ad uno ad uno, o col 2 pari-  menti ciascuno dei successivi ma saltandone uno per volta, o col 3 i  successivi saltandone due, o col 4 i successivi saltandone tre, e cosi  all'infinito, procedendo nell’esposizione di quanti più numeri possi-  bile. Se poi tracceremo su linee parallele tutte le specie del multiplo a  partire da 1, esponendo il numero ad esso successivo!87 e generando  in rapporto ad esso, in profondità!88 la serie dei multipli,!8? vi vedre-  mo un'elegante varietà di molte gradevoli sequenze e il prodursi di  ogni specie di epimori e di epimeri antiparonimi per omogeneità ad  ogni specie di multipli, e se si guarderà bene anche di misti, e tutte le  linee di tutti i misti appariranno in larghezza e profondità in un’uni-  ca e immutata relazione in progressione convenientemente bene ordi-  nata e uniforme. E inoltre si troveranno sulla prima linea in profondi-  tà!% le basi degli epimori,!9! nella linea successiva!9? i secondi epimo-  ri a partire dalla base,! [39] e in corrispondenza con questi, i terzi!  e i quarti,!9 e tutti hanno come differenza i numeri successivi a parti-  re da 1.196 Se poi sottraiamo le unità nel senso della larghezza,!9? e la  differenza sarà assolutamente la stessa, e sostituiamo al posto delle  differenze!98 il numero in successione a partire da 1, vedremo appari-  re qualcosa di elegante e cioè il rapporto generativo dei numeri “plin-  tidi”199 che sono di natura divinatoria, rapporto che è tra le “fiorite”  insegnate dalla Introduzione aritmetica.2% E se l'esposizione dei mul-  tipli si porterà fino al 10, si genereranno sia in lunghezza che in lar-  ghezza delle unità angolari,20! e cioè due numeri estremi una volta cia-  scuno?22 e un numero medio due volte,20 in modo che anche in que-    684 GIAMBLICO    δὲ μέση πλευρᾶς. καὶ ὁστισοῦν τῶν ἐν τῷ διαγράμματι ληφθείη,  ἥμισυς ἔσται δύο τῶν ἑκατέρωθεν αὐτοῦ ἐπί τε μῆκος καὶ πλάτος.  διαγωνίως δὲ εἰ λαμβάνοιντο, πῇ μὲν ἔσται μονάδι ἐλάττων ἥμισυς  ὁ μέσος, πῇ δὲ [20] μονάδι μείζων. ἀλλὰ καὶ ἀπὸ τῆς ἐν ἀρχῇ γωνί-  ας, τουτέστι τῆς μονάδος, εἰς τὴν ἐν τέλει ἡ διαγώνιος ἔσται μόνων  τετραγώνων, ἑκάστου παρασπιζομένου ὑπὸ δύο ἑτερομηκῶν κατά τε  μῆκος καὶ πλάτος, ὡς κἀνταῦθα σῴζεσθαι τὸ καθολικὸν ἐκεῖνο τὸ  ἐκ δύο συνεχῶν ἑτερομηκῶν καὶ δὶς τοῦ μέσου αὐτῶν ἀνάλογον  τετραγώνου γεννᾶσθαι πάντως τετράγωνον, καὶ ἀνάπαλιν ἐκ δύο  τετραγώνων καὶ δὶς τοῦ μέσου αὐτῶν ἀνάλογον ἑτερομήκους ὁμοίως  τετράγωνον, καὶ τῇδε μὲν περις [40] σούς, τῇδε δὲ ἀρτίους. ἀλλὰ τὸ  μὲν ἀρτίους φύεσθαι καὶ νῦν συμβαίνει διὰ τὸ τοὺς παρασπιζομέ-  vous τετραγώνους εἶναι μόνους παρ᾽ ἕνα, φύσει περισσοὺς ὄντας  καὶ ἀρτίους, καὶ τοὺς δορυφοροῦντας ἑτερομήκεις ἀεὶ ἀρτίους,  εἴτε δὲ ἄρτιος εἴη ὁ μέσος εἴτε περισσός, δὶς λαμβανόμενος ἄρτιον  ποιεῖ" τὸ δὲ περιςσοὺς γίνεσθαι οὐκέτι, ἐπεὶ οὐ παρασπίζονται  ἑτερομήκεις ὑπὸ τετραγώνων ἅπαξ γὰρ λαμβανομένων τῶν ἄκρων,  ἐν οἷς πάντως ἐστὶ περισσός, διέμεινεν ἡ [10] περισσότης. καὶ ἐφ᾽  ἑκάστου δὲ τετραγώνου ἐφ᾽ ἑκάτερα γαμμοειδῶς πάλιν εὔτακτοι αἱ  σχέσεις θεωροῦνται ἀπ᾽ ἀρχῆς, τουτέστιν ἀπὸ διπλασίου. εἰ δὲ καὶ  τοὺς ἑτερομήκεις γαμμοειδῶς παρασπίζοιμεν τοῖς τετραγώνοις  ἅπαξ τοὺς ἄκρους συντιθέντες καὶ δὶς τὸν μέσον, ποιήσομεν οὕς  ἐλέγομεν ἐνταῦθα παραλείπεσθαι τετραγώνους περισσούς. διαφο-  ρὰν δὲ ἕξουσι πρὸς ἀλλήλους οἱ διαγώνιοι ἀριθμοὶ τῇδε μὲν ἀπὸ  τριάδος περισσοὺς ἀπ᾽ ἀρχῆς εἰς τέλος, τῇδε δὲ ἀπὸ δυάδος ἀρτίους  ἀπὸ μέσων ἐπὶ πέρατα, συζυγούντων κατ᾽ [20] ἰσότητα τῶν  ἑκατέρωθεν εὐτάκτων.   Ἐπιμόριος δὲ γίνεται λόγος, ὅταν τῶν συγκρινομένων ὅρων ὁ  μείζων ἔχῃ τὸν λοιπὸν καὶ ἔτι ἕν αὐτοῦ μόριον γενικῶς᾽ εἰδικῶς δὲ  ἐὰν μὲν ἥμισυ ἦ τὸ μόριον ἡμιόλιος ἐὰν δὲ τρίτον ἐπίτριτος ἐὰν δὲ  τέταρτον ἐπιτέταρτος καὶ ἑξῆς ἀκολούθως ἀεί, προλόγων μὲν γιγνο-    INTRODUZIONE ALL'ARITMETICA DI NICOMACO 685    sto caso si conservi la proprietà della proporzione:?% infatti il prodot-  to degli estremi sarà uguale al prodotto del medio per se stesso, e un  estremo fungerà da punto,20 l’altro estremo da quadrato2% e il medio  da lato.20? E qualunque numero si prenda nel diagramma, esso sarà la  metà della somma dei due numeri ad esso contigui sia in lunghezza  che in larghezza.208 Se poi i numeri si prendono in diagonale, il medio  sarà la metà della somma degli estremi qui meno 1, lî più 1.209 Ma  anche la diagonale che parte dal primo angolo, cioè da 1, e arriva  all'ultimo angolo,?!0 sarà composta solo di numeri quadrati, ciascuno  protetto ai lati, in lunghezza e in larghezza, da due numeri eterome-  chi, in modo che anche in questo caso si conservi quella regola gene-  rale, secondo la quale dalla somma tra due numeri eteromechi da una  parte e dall’altra di un quadrato e il doppio di tale quadrato che sta  in mezzo ad essi si genera proporzionalmente un numero assoluta-  mente quadrato,21! e inversamente dalla somma di due quadrati con-  tigui, che sono uno pari e l’altro dispari, e il doppio del numero  medio tra loro che è proporzionalmente eteromeche2!2 si genera pari-  menti un numero quadrato. [40] Ma anche ora l’emergere di numeri  pari213 accade perché i quadrati contigui si alternano per natura solo  in pari e dispari, mentre i numeri eteromechi che fungono da guardie  del corpo sono sempre pari, e il medio, che sia pari o dispari, essen-  do preso due volte; dà un pari; non accade mai, invece, l'emergere di  numeri dispari, poiché gli eteromechi non hanno come contigui  numeri quadrati:?!4 presi infatti una sola volta gli estremi,215 la cui  somma è assolutamente dispari,216 rimane la disparità.2!7 E nei singo-  li quadrati, a partire dall’inizio, cioè dal doppio, è possibile osservare  relazioni a loro volta bene ordinate fra due quadrati sotto forma di  (218 Se invece componiammo in forma di G gli eteromechi con i qua-  drati contigui, e sommiamo una volta gli estremi e due volte il medio,  costruiremo quei quadrati che, come dicevamo, in questo caso resta-  no dispari. I numeri diagonali, invece, avranno tra loro come differen-  za in una diagonale i numeri dispari a partire da 3 dall'inizio alla  fine,219 e nell’altra diagonale220 i numeri pari a partire da 2, a cominia-  re dai medi [ambedue 30] per finire agli estremi [ambedue 10], che  sono tutti ugualmente appaiati nell'ordine da una parte e dall’altra.221   Si ha un rapporto “epimorio” in generale, quando dei due termi-  ni confrontati il maggiore contiene l’altro <per intero> più una sola    686 GIAMBLICO    μένων τῶν μειζόνων ὅρων πρὸς τοὺς ἐλάττονας, ἀνάπαλιν δ᾽  ὑπολόγων τῶν ἐλαττόνων πρὸς τοὺς μείζονας, [41] τὴν ὀνομασίαν  ἰσχόντων καὶ τούτων ἀεὶ μετὰ τῆς ὑπό προθέσεως. ὑπόδειγμα δ᾽  αὐτῶν ἡμιολίου μὲν ἐὰν ἐκτεθέντος τοῦ συνεχοῦς ἀριθμοῦ ἐκλέξω-  μεν τοὺς ἀπὸ δυάδος ἀρτίους καὶ συγκρίνωμεν τῷ μὲν πρώτῳ τὸν  παρ᾽ οὐδὲν τῷ δὲ ἑξῆς τὸν παρ᾽ ἕνα τῷ δὲ τρίτῳ τὸν παρὰ δύο καὶ «τῷ»  τετάρτῳ τὸν παρὰ τρεῖς καὶ ἐφεξῆς ἀκολούθως: ἐπιτρίτου δὲ ὅταν  τοὺς ἀπὸ τριάδος τριάδι διαφέροντας ἐκλέξαντες συγκρίνωμεν aù-  τοῖς τῷ μὲν πρώτῳ τὸν παρ᾽ οὐδὲν τῷ δὲ δευτέρῳ τὸν παρ᾽ ἕνα [10]  τῷ δὲ τρίτῳ τὸν παρὰ δύο τῷ δὲ τετάρτῳ τὸν παρὰ τρεῖς καὶ ἑξῆς  ἀκολούθας τοῖς προτέροις. ἐπιτετάρτου δ᾽ ἕξομεν ὑπόδειγμα, ἐὰν  τοὺς ἀπὸ τετράδος τετράδι διαφέροντας ἐκλέξαντες πάλιν συγκρί-  vopev αὐτοῖς τῷ μὲν πρώτῳ τὸν παρ᾽ οὐδὲν τῷ δὲ δευτέρῳ τὸν παρ᾽  ἕνα καὶ τῷ τρίτῳ τὸν παρὰ δύο καὶ ἀεὶ ὁμοίως τοῖς προειρημένοις.  καὶ ἐπὶ τῶν λοιπῶν δὲ τοῦ ἐπιμορίου εἰδῶν τὸ ἀνάλογον ποιήσομεν,  κατ᾽ αὐτὸ τὸ τοῦ μορίου ὄνομα λαμβάνοντες ἀριθμοὺς τοὺς πρώτους  δυναμένους ἀφ᾽ ἑαυτῶν παρασχεῖν τὸ μόριον, καθ᾽ ὃ ἐπιμόριοι [20]  αὐτῶν ἔσονται οἱ συγκρινόμενοι, οἵπερ καὶ μονάδι αὐτῶν διοίσου-  σι καὶ πυθμένες τῶν λόγων γενήσονται. ἡ δὲ τοῦ μορίου κλῆσις  κατὰ τὸν ἐλάττονα λόγον ἀεὶ θεωρουμένη, μονάδι μεγαλωνυμωτέρα  ἔσται κατὰ τὸν μείζονα. οὐκ ἔσται δὲ κατὰ τοὺς μείζονας ὅρους ἡ  τοῦ μορίου ἐξέτασις, διότι οὐθεὶς τῶν πυθμενικῶν φανήσεται ἔχων  ἐκεῖνο τὸ μόριον, καθ᾽ ὃ ἐπιμόριος ἕκαστος αὐτῶν ἐστι τοῦ συγκρι-  νομένου ἐλάττονος, κατὰ δὲ τοὺς πυθμένας αὔξονται οἱ λόγοι.  Ἐπιμερὴς δέ ἐστι σχέσις, ὅταν ὁ μείζων ὅρος ἔχῃ [42] τὸν ἐλάτ-  τονα καὶ ἔτι μέρη τινὰ αὐτοῦ πλείονα ἑνὸς δηλονότι. ἀλλ᾽ ἐὰν δύο  ταῦτα, ἐπιδιμερὴς λέγεται καὶ ὁ ἐλάττων ὑποδιμερής, ἐὰν δὲ τρία  ἐπιτριμερὴς καὶ ὑποτριμερής, ἐὰν δὲ τέσσαρα ἐπιτετραμερὴς καὶ  ὑποτετραμερὴς καὶ ἑξῆς ἀκολούθως. ὑπόδειγμα δ᾽ ἕξομεν ἐπιδι-  μερῶν μὲν ἐὰν ἐκθέμενοι τοὺς ἀπὸ τριάδος συνεχεῖς ἀριθμοὺς  συγκρίνωμεν ἑκάστῳ τὸν παρ᾽ ἕνα αὐτῶν, ἐπιτριμερῶν δὲ ἐὰν τοὺς    22 συνεχεῖς ἀριθμοὺς congetturò Pistelli correttamente: περισσοὺς.    INTRODUZIONE ALL'ARITMETICA DI NICOMACO 687    parte di esso;222 nella fattispecie, se la parte è 1/2, il rapporto è detto  “emiolio”,22) se è 1/3, “epitrite”,224 se è 1/4, “epiquarto”,225 e cosi  sempre in progressione, e sono detti “prologhi” i termini maggiori  rispetto ai minori, e inversamente “ipologhi” i termini minori rispet-  to αἱ maggiori [41] e i minori sempre con il prefisso “sotto”.226 Un  esempio, fra questi, di emiolio si ha quando, esposto il numero suc-  cessivo, sceglieremo i numeri pari a partire dal 2 e confronteremo con  il primo quello che non salta di nessun posto,?27 con il secondo quel-  lo che salta di un posto,?28 con il terzo quello che salta di due posti,?229  con il quarto quello che salta di tre posti,230 e cosi di seguito; esempio  di epitrite si ha quando, dopo avere scelto i numeri che differiscono  tra loro di tre unità a partire dal 3, confrontiamo con il primo di essi  quello che non salta di nessun posto,23! con il secondo quello che salta  di un posto,22 con il terzo quello che salta di due posti,233 con il quar-  to quello che salta di tre posti,234 e cosi di seguito come prima. Un  esempio di epiquarto lo avremo se, dopo avere scelto i numeri che  differiscono di quattro unità a partire dal 4, confrontiamo di nuovo  con il primo di essi quello che non salta di nessun posto, con il  secondo quello che salta di un posto,236 con il terzo quello che salta di  due posti,237 e sempre cosî come si è detto prima. Anche per le rima-  nenti specie di epimorio,238 opereremo in proporzione, prendendo  secondo lo stesso nome della parte239 i primi numeri che possono for-  nire da sé la parte,?4° per cui saranno epimori i numeri che confron-  tati differiranno dai primi di un’unità?4! e costituiranno le basi dei  rapporti.24 La denominazione della parte, che sarà sempre vista in  rapporto al minore, sarà più grande di un’unità in rapporto al mag-  giore.24 Ma non si farà secondo i termini maggiori la ricerca della  parte, perché nessuno dei numeri-base <degli epimori> risulterà con-  tenere quella parte,24 secondo la quale ciascuno di essi è epimorio del  minore con cui è confrontato, mentre i rapporti aumenteranno secon-  do le basi.24   Si ha un rapporto “epimere”, quando il termine maggiore contie-  ne [42] il minore più alcune parti di esso, cioè più di una sola parte.24  Se le parti in più sono due, esso viene detto “epidimere” e il termine  minore “ipodimere”, se sono tre, il maggiore “epitrimere” e il mino-  re “ipotrimere”, se sono quattro, il maggiore “epitetramere” e il  minore “ipotetramere”, e cosî via. Un esempio di epidimere lo avre-    688 GIAMBLICO    ἀπὸ τετράδος ἐκθέμενοι συνεχεῖς ἀριθμοὺς συγκρίνωμεν αὐτοῖς  τοὺς παρὰ δύο. [10] ἐπεὶ δὲ οὐκ εἰλικρινεῖς ἀλλὰ πεφυρμέναι  ἑτέραις σχέσεσιν αἱ τοιαῦται πλάσεις, χρησόμεθα ταῖς κατὰ πολ-  λαπλασίων λόγον προκοπαῖς, ὥσπερ ἐπὶ τῶν μορίων πυθμένας λαμ-  βάνοντες τοὺς παρέξοντας ἀφ᾽ ἑαυτῶν τὰ μέρη, καθὰ ὁ ἐπιμερὴς κέ-  xAntat, οἷον ἐπιδιμερῶν τὸν πέντε πρὸς τρία, εἶτα διπλασίους καὶ  τριπλασίους τούτων καὶ ἐπ᾽ ἄπειρον, ἐπιτριμερῶν δὲ ἑπτὰ πρὸς τέσ-  σαρα, εἶτα διπλασίους καὶ τριπλασίους αὐτῶν καὶ ἑξῆς ἀκολούθως,  ἐπιτετραμερῶν δὲ ἐννέα πρὸς πέντε, καὶ ἀνάλογον μέχρι παντός, ἵν’  ἡ μὲν τῶν ἐλαττόνων [20] ὅρων προκοπὴ ἐν τοῖς πυθμέσι κατὰ τοὺς  ἀπὸ τριάδος ἐφεξῆς ἀριθμοὺς γίνηται, ἡ δὲ τῶν μειζόνων κατὰ τοὺς  ἀπὸ πεντάδος περισσούς. καθόλου δὲ πυθμένας ἕξομεν παντὸς λό-  yov, ἐν μὲν πολλαπλασίοις, ἐφ᾽ ὧν ἡ μονὰς ἐλάττων ὅρος ἐστὶ τῶν  συγκρινομένων, ἐξαίρετον δ᾽ ἐπὶ διπλασίου τὸ τὴν αὐτὴν καὶ διαφο-  ρὰν εἶναι᾽ ἐν δὲ ἐπιμορίοις κατὰ μὲν τὸ ἡμιόλιον ἡ δυὰς ἔσται ὁ  ἐλάττων ὅρος, διαφορὰν δὲ ἕξουσιν οἱ ὅροι [43] πάλιν μονάδα. κατὰ  δὲ τὸ ἐπίτριτον καὶ ἐπιτέταρτον καὶ τοὺς ἑξῆς ἐπιμορίους λόγους  ἔσται ὁ ἐλάττων ὅρος ὁ τὴν ὀνομασίαν παρέχων ἀφ᾽ ἑαυτοῦ τῷ  μορίῳ, καθ᾽ ὃ ἐπιμόριος λόγος ἐστί, διαφορὰ δὲ ἔσται ἐν πᾶσιν ἡ  αὐτὴ μονάς. ἀλλὰ καὶ ἐν ἐπιμορίῳ πυθμέσιν ἡ αὐτὴ μονὰς καίτοι τό-  πον οὐκ ἔχουσα ἢ τοῖς ὅροις ἐμφαντάζεσθαι, ὡς ἐπὶ τῶν τοῦ πολλα-  πλασίου εἰδῶν, ἢ διαφορὰ εἶναι αὐτῶν, ὡς ἐπὶ τῶν τοῦ ἐπιμορίου,  διὰ τὸ πλείοσιν ἑνὸς μέρεσιν ὑπερέχειν τὸν μείζονα ὅρον τοῦ [10]  ἐλάττονος, τρόπον ἕτερον ἐνοφθήσεται τοῖς ὅροις" τὰ γὰρ ἀπολειπό-  μενα ἐν τῷ μείζονι ἀκαταμέτρητα μόρια συγκρινόμενα τῷ ἐλάττονι  διαφορὰν ἕξει πάντως μονάδα.   Λοιπόν ἐστιν εἰπεῖν περὶ τῶν μικτῶν σχέσεων ἔκ τε πολλαπλα-  σίου καὶ τῶν λοιπῶν δύο ἐπιμορίου «καὶ ἐπιμεροῦς; καὶ τῶν  ὑπολόγων τούτων, ἵνα κατὰ τὴν τῆς δεκάδος τελειότητα καὶ αἱ τῆς  ἀνισότητος σχέσεις φυσικῶς τὴν γένεσιν ἴσχωσι, πέντε μὲν τῶν  προλόγων ὄντων, πέντε δὲ τῶν τούτοις συζύγων ὑπολόγων᾽ προλόγων  μὲν κατά τε τὸ πολλαπλάσιον καὶ ἐπιμόριον [20] καὶ ἐπιμερὲς καὶ  πολλαπλασιεπιμόριον καὶ πολλαπλασιεπιμερές, ὑπολόγων δὲ τῶν  ἴσων μετὰ τῆς ὑπό προθέσεως ὀνομαζομένων. ἡ γὰρ τῆς ἰσότητος  σχέσις ἅτε διαφορὰν οὐκ ἔχουσα ἢ ἀλλ᾽ ὡσανεὶ ταυτότης οὖσα καὶ    INTRODUZIONE ALL’ARITMETICA DI NICOMACO 689    mo se, esposti in successione i numeri a partire dal 3, confrontiamo  con ciascuno di essi il numero che salta di un posto;?47 un esempio di  epitrimere se, esposti in successione i numeri a partire dal 4, confron-  tiamo con ciascuno di essi il numero che salta di due posti.248 Ma poi-  ché tali formazioni numeriche non sono semplici, bensi miste ad altre  relazioni, ci serviremo delle progressioni secondo il rapporto dei mul-  tipli, prendendo come basi nelle parti i numeri che forniscono da sé  le parti, ed è per questo che tale rapporto si chiama epimere: ad esem-  pio, negli epidimeri 5 in rapporto a 3,249 e poi i doppi e i tripli di que-  sti, e cosi all'infinito,25° negli epitrimeri 7 in rapporto a 4,51 e poi i  doppi e i tripli di questi,252 negli epitetrameri 9 in rapporto a 5,25 e  proporzionalmente in tutta la serie, in modo che la progressione dei  termini minori si faccia, nelle basi, secondo i numeri in successione a  partire dal 3, e nei termini maggiori secondo i numeri dispari in suc-  cessione a partire dal 5. In generale avremo basi di ogni rapporto nei  multipli, in cui l’unità è il minore tra i termini messi a confronto, e  peculiarità del doppio sarà il fatto che la stessa unità si fa anche diffe-  renza; negli epimori, che nascono secondo il rapporto emiolio, inve-  ce, il termine minore sarà il 2, e i termini avranno di nuovo come dif-  ferenza [43] l’unità. Secondo il rapporto epitrite ed epiquarto e i rap-  porti epimori successivi, il termine minore sarà quello che fornisce da  sé la denominazione alla parte, per la quale c'è appunto l’epimorio, e  in tutti ci sarà la medesima differenza, cioè l’unità. Ma anche nelle  basi del rapporto epimere, poiché la stessa unità non ha in verità  luogo di apparire o nei termini, come accade a proposito delle specie  di multipli, o di essere la loro differenza, come accade a proposito  degli epimori, poiché il termine maggiore supera di più di una parte  il minore, allora l’unità apparirà nei termini in altra maniera: infatti le  parti che nel termine maggiore restano non misurate, se le mettiamo  a confronto con il termine minore, avranno come differenza assoluta-  mente l’unità.   Resta da parlare delle relazioni miste derivanti dal multiplo e dai  rimanenti due tipi di rapporti, l’epimorio e l’epimere, e dai loro ipo-  loghi, affinché anche le relazioni della disuguaglianza abbiano la loro  origine naturale secondo la perfezione della decade, e sono cinque dei  prologhi e cinque degli ipologhi ad essi accoppiati; quelle dei prolo-  ghi sono secondo il multiplo, l’epimorio e l’epimere, e il multiplo-epi-  morio e il multiplo-epimere, quelle degli ipologhi hanno uguale deno-    690 GIAMBLICO    ἑνότης, εἴγε τὸ ἴσον ἕν πρὸς ἕν ἐστιν, ἑτέρας φύσεως ἔσται καὶ τῆς  ἐναντίας γε τῇ ἀνισότητι, καὶ διὰ τοῦτο οὐ συγκαταριθμηθήσεται  τοῖς εἴδεσι τῆς ἀνισότητος. καὶ μὴν καὶ ἀρχῆς λόγον ἕξει ἡ ἰσότης  πρὸς τὴν [44] ἀνισότητα, καθάπερ καὶ ἐν γραμμικοῖς ἡ ὀρθὴ γωνία  πρὸς ἀμβλεῖαν καὶ ὀξεῖαν, καὶ ἐν μουσικοῖς διαστήμασιν ἡ μέση  πρὸς τοὺς ἐπιτεινομένους φθόγγους καὶ ἀνιεμένους. καὶ γὰρ ταῦτα  ἀπό τινος ὡρισμένου καὶ πεπερασμένου λαβόντα κατὰ τὸν τῆς ἰσό-  τητος λόγον, ἀπὸ τούτου τὴν παρατροπὴν ἐπί τε τὸ μεῖζον καὶ τὸ  ἔλαττον23 ἴσχοντα κατὰ τὴν ἀνισότητα ἐπ᾽ ἄπειρον πρόεισιν. ἵν᾽ οὖν  δεδειγμένον ἢ τὸ τὰς τῆς ἀνισότητος σχέσεις ἐκ τῆς ἰσότητος  φυσικῇ ἀνάγκῃ γίνεσθαι καὶ [10] οὐχ ἡμῶν θεμένων, καὶ πρῶτόν γε  τὴν πολλαπλασιότητα ἀπὸ διπλασίου ἀρξαμένην, ἀφ᾽ ἧς πάλιν τὴν  ἐπιμοριότητα ἀπὸ ἡμιολίου τὴν ἀρχὴν ἴσχουσαν, καὶ ἀπὸ ταύτης τὴν  ἐπιμερότητα κατὰ τὴν ἀνάλογον τάξιν καὶ ἑξῆς ἀπὸ τούτων τὰς μικ-  τάς, ἐκθετέον τρεῖς ὅρους, καὶ πρῶτόν γε ἐν μονάσιν εἶτα «ἐν» δυά-  σι καὶ πάλιν ἐν τριάσι καὶ ἑξῆς ἀκολούθως, καὶ παρ᾽ ἑκάστην ἔκθε-  σιν ἄλλους τρεῖς ὅρους πλαστέον διὰ τριῶν προςταγμάτων ἀεὶ τῶν  αὐτῶν, καὶ παρὰ τοὺς πλασθέντας ἑκατέρους τρεῖς καὶ ἐκ τούτων  ἄλλους καὶ ἀεὶ ἑξῆς [20] ἀκολούθως, ἐφ᾽ ἑκάστης δὲ πλάσεως πει-  ρατέον κατὰ φύσιν τε καὶ ἀναστρόφως τοὺς ὅρους ἐκτίθεσθαι, καὶ  δευτέραν ἔκθεσιν τοῖς αὐτοῖς προστάγμασι χρωμένους πλάσσειν  τοὺς ἀπ᾽ αὐτῶν. ἔσται δὲ τὰ προστάγματα τάδε: ποιήσας πρῶτον  ὅρον πρώτῳ τῶν ἐκκειμένων ἴσον, δεύτερον δὲ πρώτῳ ἅμα καὶ δευ-  τέρῳ, τὸν δὲ τρίτον πρώτῳ δυσὶ δευτέροις ἅμα καὶ τρίτῳ. ἐκ πάν [45]  τῶν οὖν ἐν ἰσότητι ὅρων τριῶν προεκτεθέντων, εἴτ᾽ ἐν μονάσιν εἴτ᾽  ἐν δυάσιν ἢ καὶ τριάσι καὶ ἐφεξῆς, διὰ τῶν προειρημένων προστογ-  μάτων γενικῶς μὲν πολλαπλάσιοι γενήσονται, εἰδικῶς δὲ πολλα-  πλασίων οἱ διπλάσιοι, πρῶτοι μὲν ἐκ μονάδων, οἱ δὲ συνεχεῖς ἐκ  δυάδων καὶ οἱ μετ᾽ αὐτοὺς ἐκ τριάδων καὶ ἑξῆς ἀκολούθως. ἐκ δὲ  τῶν πλασθέντων διπλασίων τριπλάσιοι, πρῶτοι πάλιν ἐκ πρώτων καὶ  συνεχεῖς ἐκ συνεχῶν, ἐκ δὲ τριπλασίων τετραπλάσιοι ἀποσῴζοντες  τὴν αὐτῶν [10] εὐταξίαν, καὶ ἐκ τετραπλασίων πενταπλάσιοι καὶ  ἀεὶ οἱ ἑπόμενοι λόγοι ἐκ τῶν ἡγουμένων. εἰ δὲ πλάσσοντες οὐ τῇ  τοιᾷδε κατὰ φύσιν τῶν ὅρων ἐκθέσει χρησαίμεθα, ἀλλὰ ἀναστρέ-    23 ἔλαττον congetturò Vitelli: ἴσον.    INTRODUZIONE ALL’ARITMETICA DI NICOMACO 691    minazione con l’aggiunta del prefisso “sotto”. La relazione di ugua-  glianza, infatti, poiché non ha differenza <al suo interno>, ovvero esi-  ste come identità e unità, se è vero che l’uguale è in rapporto uno a  uno, sarà di natura diversa e contraria alla disuguaglianza, e perciò  non può essere calcolata in <diverse> specie cosi come la disugua-  glianza. E l'uguaglianza avrà altresi funzione di principio rispetto alla  [44] disuguaglianza, cosi come accade anche in geometria dove l’an-  golo retto è principio dell’angolo ottuso e dell'angolo acuto, e negli  intervalli musicali dove la corda mediana è principio dei suoni acuti e  gravi. E infatti queste cose procedono all’infinito attingendo da qual-  cosa di determinato e delimitato in rapporto di uguaglianza, e allon-  tanandosi da questo rapporto secondo la maggiore o minore disugua-  glianza. Affinché dunque sia mostrato come le relazioni di disugua-  glianza nascano dall’uguaglianza per necessità naturale e non perché  lo stabiliamo noi,254 e anzitutto come dal doppio abbia inizio la serie  dei multipli, da cui trae origine ancora la serie degli epimori a partire  dall'emiolio, e come da quest’ultima serie nasca in proporzione quel-  la degli epimeri e poi da queste quella delle relazioni miste, occorre  esporre tre termini, prima tre 1,29 poi tre 2,25 poi tre 3,257 e cosi di  seguito, e per ciascuna esposizione formare altri tre termini sempre  per mezzo di tre loro regole, e per ciascuna formazione altri tre termi-  ni e dopo questi altri tre e cosi sempre in successione. In ciascuna for-  mazione dobbiamo cercare di esporre i termini secondo natura e in  rapporto inverso, e di formare una seconda esposizione dei termini  che vengono dopo di quelli, servendoci delle stesse regole. E le rego-  le saranno le seguenti: porre un primo termine che sia uguale al primo  dei termini posti, poi un secondo termine uguale alla somma del  primo e del secondo, poi un terzo termine uguale allo somma del  primo, di due volte il secondo e del terzo. Ebbene, da [45] tutti e tre  i termini esposti in precedenza in uguaglianza, sia dai tre 1, che dai tre  2 e dai tre 3, e cosi via, attraverso le regole di cui abbiamo parlato si  produrranno i multipli in generale, e specificamente tra i multipli i  doppi: i primi dalla serie di 1, i successivi dalla serie di 2, e quelli dopo  di essi dalla serie di 3, e cosî di seguito. Dai doppi che si saranno for-  mati nasceranno i tripli, i primi a loro volta dai primi e i successivi dai  successivi, e dai tripli i quadrupli che conservano lo stesso ordine, dai  quadrupli i quintupli e sempre i rapporti eponimi dai rapporti prece-    692 GIAMBLICO    ψαιμεν τοὺς πρώτους ἀπὸ τῶν ἰσοτήτων πλασθέντας ὕρους, ὥστε τὸν  τρίτον ὅρον ἐν τῇ τοῦ πρώτου χώρᾳ τάξαι τὸν δὲ πρῶτον ἐν τῇ τοῦ  τρίτου, τὸν δὲ μέσον ὁμοίως μέσον τηρήσαιμεν, ἔπειτα διὰ τῶν  αὐτῶν προσταγμάτων ἑτέρους πλάσσοιμεν, φύσονται γενικῶς μὲν  ἐπιμόριοι ἀπὸ πολλαπλασίων, εἰδικῶς δὲ ἡμιόλιοι μὲν ἀπὸ διπλα-  σίων εὕτακτοι ἀπ᾿ εὐτάκτων, [20] ἐπίτριτοι δὲ ἀπὸ τριπλασίων  ἀποσῴζοντες τὴν αὐτὴν τάξιν, καὶ ὁμοίως ἐπιτέταρτοι ἀπὸ τετρα-  πλασίων καὶ ἐπίπεμπτοι ἀπὸ πενταπλασίων καὶ ἑξῆς κατά τινα συγ-  γένειαν φυσικὴν συμπαρεκτεινομένων τοῖς εἴδεσι τοῦ πολλαπλασί-  οὐ τῶν παρωνυμούντων καθ᾽ ἕκαστον εἶδος ἐπιμορίων. ἐκ δὲ αὐτῶν  τούτων πάλιν ἀναστραφέντων τῶν ὅρων τοὺς ἐπιμερεῖς λόγους  πάντως γεννήσομεν πρώτους πάλιν ἐκ πρώτων καὶ δευτέρους ἐκ δευ-  τέρων καὶ τρίτους ἐκ τρίτων καὶ ἑξῆς ἀκολούθως, καὶ τούτων [46]  διευτακτουμένων καταλλήλως τῇ ἐξ ἀρχῆς παρωνυμήσει.  ὑποδείγματος δὲ ἕνεκα ἔστωσαν μονάδες τρεῖς κατ᾽ ἴσον λόγον προ-  εκκείμεναι. εἰ δὴ ποιήσαιμεν κατὰ τὰ εἰρημένα προστάγματα  πρῶτον ὄρον πρώτῳ ἴσον ἔσται μονάς, εἰ δὲ δεύτερον πρώτῳ καὶ  δευτέρῳ ἔσται δυάς, εἰ δὲ τρίτον πρώτῳ δυσὶ δευτέροις τρίτῳ ἔσται  τετράς, καὶ γενήσονται οἱ πλασθέντες ἐν διπλασίῳ λόγῳ α΄ β΄ δ΄. ἐκ  δὲ αὐτῶν κατὰ τὰ αὐτὰ προστάγματα ἕξομεν τοὺς ἐν τριπλασίῳ α΄ Y  θ΄, καὶ ἀπὸ τούτων [10] τοὺς ἐπὶ τούτοις ἐν τετραπλασίῳ α΄ δ΄ ις΄,  καὶ ἐφεξῆς ἀκολούθως. εἰ δὲ δυάδας ἐν ἰσότητι προεκθοίμεθα,  ἔσονται οἱ ἑξῆς ὅροι ἐν διπλασίῳ ὁμοίως ὄντες λόγῳ οἱ β΄ δ΄ η΄ καὶ  ἀπὸ τούτων πάλιν οἱ ἑξῆς τριπλάσιοι β΄ ς΄ ιη΄, ἀφ᾽ ὧν οἱ ἑξῆς τετρα-  πλάσιοι β΄ π΄ λβ΄, καὶ ἀθρόοι ἀκόλουθοι. εἰ δὲ ἀναστρέψαιμεν τοὺς  πρώτους ἐν διπλασίῳ λόγῳ τοὺς α΄ β΄ δ΄ διὰ τῶν αὐτῶν προσταγμάτων  ποιήσομεν τοὺς πρώτους ἐν ἡμιολίῳ ἀναλογίᾳ ὄντας τοὺς δ΄ ς΄ θ΄,  ἀπὸ δὲ τούτων πάλιν ἀναστραφέντων τοὺς ἐν ἐπιδιμερεῖ ὁμοίως  ἀναλογίᾳ [20] ὄντας τοὺς θ΄ ιε΄ κε΄. ἐκ τούτου συμ«βαίνει ἐμνφανῆ2ἠ  γίνεσθαι τὴν συγγένειαν τῶν σχέσεων. εἰ γὰρ ὁ διπλάσιος λόγος  ἀπὸ ἰσότητος ἐγεννήθη, ἐμάθομεν δὲ παρωνομασμένον τὸ ἥμισυ τῷ  δύο, εἰκότως ἑξῆς ὡς οἰκεῖος ὁ ἡμιόλιος λόγος ἐπλάσθη ἐν ἐπιμορί-  οἷς, ἀπὸ δὲ τούτου πάλιν ὡς ἐν ἐπιμερέσι κατὰ τὴν οἰκειότητα τῆς  δυάδος ὁ ἐπιδιμερής. εἰ δὲ οἱ πρῶτοι ἐν τριπλασίῳ λόγῳ, ἐκφύσον-  ται ἀπ᾽ αὐτῶν ἐπίτριτοι καὶ ἀπὸ τούτων ἐπιτριμερεῖς, εἰ δὲ τετρα-    24 l'integrazione è di Vitelli (cf. Add. et Corr. p. VII).    INTRODUZIONE ALL’ARITMETICA DI NICOMACO 693    denti. Se nel formare queste serie di numeri non ci serviremo di sif-  fatta esposizione naturale dei termini, ma invertiremo i primi termini  formati dalle uguaglianze, in modo da collocare il terzo termine al  posto del primo e il primo al posto del terzo, e manterremo il medio  come medio, e poi formeremo altri termini in base alle stesse regole,  allora nasceranno dai multipli gli epimori in generale, e nella fattispe-  cie dai doppi gli emioli ordinati secondo l’ordine di quelli, dai tripli  gli epitriti che conservano lo stesso ordine, e ugualmente dai quadru-  pli gli epiquarti e dai quintupli gli epiquinti, e mi successione, secon-  do una naturale affinità, gli epimori saranno coestesi con le singole  specie del multiplo di cui sono paronimi. Da questi stessi termini a  loro volta invertiti faremo nascere tutti i rapporti epimeri, i primi dai  primi e di nuovo i secondi dai secondi e i terzi dai terzi e cosî di segui-  to, e questi [46] si ordineranno tra loro in virtà della paronimia ini-  ziale. Siano posti, ad esempio, tre 1 secondo un rapporto di ugua-  glianza. Se faremo, sulla base delle suddette regole, un primo termine  uguale al primo che abbiamo posto, si avrà 1, se faremo un secondo  termine uguale alla somma del primo e del secondo, si avrà 2, se fare-  mo un terzo termine uguale alla somma del primo, di due volte il  secondo e del terzo, si avrà 4, e i termini cosî formatisi saranno in rap-  porto doppio: 1, 2, 4. Secondo le stesse regole, da questi otterremo i  termini di rapporto triplo: 1, 3, 9, e da questi i termini di rapporto  quadruplo: 1, 4, 16, e cosi di seguito. Se invece premettiamo un’ugua-  glianza fatta con il numero 2, allora si otterranno i termini successivi  di rapporto parimenti doppio, e cioè 2, 4, 8, e da questi a loro volta i  termini di rapporto triplo: 2, 6, 18, a cui seguiranno i termini di rap-  porto quadruplo: 2, 8, 32, e tutti i termini seguenti nel loro insieme.  Se poi invertiremo i primi termini di rapporto doppio, cioè 1, 2, 4,258  formeremo, secondo le stesse regole, i primi termini di rapporto  emiolio, che saranno proporzionalmente 4, 6, 9, e da questi a loro  volta invertiti259 formeremo i termini di rapporto epidimere, che  ugualmente saranno proporzionalmente 9, 15, 25. Da ciò appare con  chiarezza che tra queste relazioni c’è affinità. Se infatti il rapporto  doppio è generato dall’uguaglianza, apprendiamo la metà come paro-  nima di 2, e similmente come negli epimori si formi propriamente il  rapporto emiolio, e come da questo a sua volta si formi negli epimeri  il rapporto epidimere secondo la proprietà del 2. Se i primi termini    694 GIAMBLICO    πλάσιοι ἐπιτέταρτοί τε καὶ ἐπιτετραμερεῖς καὶ dei oi ἑξῆς,  ἀποσῴζοντες τὴν [47] οἰκειότητα τῆς παρωνυμήσεως καὶ πυθμένες  μὲν ἀπὸ πυθμένων δεύτεροι δὲ ἀπὸ δευτέρων καὶ τρίτοι ἀπὸ τρίτων  καὶ ἀεὶ ὁμοίως. πυθμένας δὲ ἐπιμορίων ἐν τρισὶν ὅροις μὴ τοὺς αὖ-  τοὺς οἰώμεθα γενήσεσθαι, οἵπερ ἐν δυσὶ φαίνονται: οὐ γὰρ δυνατὸν  ἐν δυσὶν ὄντος λόγου τινὸς καὶ τρίτον ὅρον προσπορισθῆναι τὸν  αὐτὸν λόγον πρὸς τὸν μέσον ἀποσῴζοντα, διότι μὴ τοῦ αὐτοῦ μορί-  ov παρεκτικός ἐστιν ὁ μείζων, καθ᾽ ὃ ἐπιμόριός ἐστι τοῦ πρώτου,  ἵνα καὶ ὁ τρίτος κατ᾽ αὐτὸν ἐκείνῳ τὸν [10] λόγον ἀποσῴζῃ᾽ πᾶς γὰρ  ἐπιμορίου λόγου πυθμὴν ὁ τοὺς ὅρους ἔχων μονάδι διαφέροντας οὐχ  ὁμοίους αὐτοὺς ἕξει διαιρετούς, ἀλλ᾽ εἰ μὲν ὁ ἐλάττων διχῇ διαι-  ροῖτο, ὁ μείζων τριχῇ, εἰ δὲ ὁ ἐλάττων τριχῇ, ὁ μείζων τετραχῇ, καὶ  ἀεὶ μονάδι μεγαλωνυμωτέραν ὁ μείζων τοῦ ἐλάττονος τὴν διαίρεσιν  ἐπιδέξεται, ὥστε τοῦ μορίου ἐν λόγῳ ᾧτινιοῦν κατὰ τὸν ἐλάττονα  ἐξεταζομένου, ὃς ὑπόλογός ἐστι πρὸς τὸν μείζονα, οὐκ ἔσται τις  τρίτος πρόλογος κατ᾽ ἐκεῖνο τὸ μόριον ὑπόλογον ἔχων τὸν μείζονα,  ἀλλ᾽ οὖν ἐπεὶ μή εἰσιν οἱ [20] αὐτοὶ τοῖς ἐν δυσὶν οἱ ἐν τρισίν,  ἑτέρως ἐμφαντασθήσονται οἱ πυθμένες τοῖς ἀνάλογον. διαφοραὶ  γὰρ αὐτῶν γενήσονται, οἷον φέρ᾽ εἰπεῖν ἐπεὶ ἀνάλογον ἐν ἡμιολίῳ  λόγῳ εἰσὶν οἱ δ΄ ς΄ θ΄, ἔσονται αὐτῶν διαφοραὶ οἱ τὸν αὐτὸν λόγον  περιέχοντες πυθμένες ὁ γ΄ καὶ ὁ β΄, καὶ πάλιν ἐν ἐπιτρίτῳ οἱ θ΄ τβ΄  ις΄, ἔσονται διαφοραὶ τούτων οἱ πυθμενικοὶ ὁ δ΄ πρὸς τὸν γ΄, καὶ ἀεὶ  ὁμοίως τὸ αὐτὸ συμβήσεται ἐν ἅπασι τοῖς εἴδεσι τῶν ἐπιμορίων᾽  καθόλου γὰρ πυθμένες ἔσονται ἐν τρισίν, ὧν διαφοραὶ οἱ ἐν δυσίν.  ἐν δὲ τοῖς [48] πολλαπλασίοις οἱ ἀνάλογον ἀπ᾽ ἀρχῆς ἐκκείμενοι  τοὺς ἐλάττονας ὅρους ἀεὶ πυθμένας ἕξουσι καθ᾽ ἕκαστον λόγον. αἰ-  τία δὲ τούτου ἡ μονὰς ὑπόλογον ἑαυτὴν πρὸς πάντας λόγους τοῦ  πολλαπλασίου παρέχουσα. οὐδὲν δὲ ἧττον καὶ αἱ ἐν τοῖς ἀνάλογον  διαφοραὶ τὸν αὐτὸν λόγον περιέξουσιν, εἰ καὶ μὴ πυθμένες εἰσὶ τῶν  λόγων, ὡς ἐπὶ τῶν ἐπιμορίων συνέβαινε. μόνοι δὲ οἱ ἐν διπλασίῳ  ἀνάλογον ἀπ᾽ ἀρχῆς ἐξαίρετον ἕξουσι τὸ καὶ διαφορὰς ἔχειν τοὺς  ἐλάττονας ὅρους, οἵπερ εἰσὶ [10] πυθμενικοί. ἐν δὲ τοῖς τῶν ἐπι-  μερῶν εἴδεσιν οἱ τοὺς πυθμένας τῶν λόγων περιέχοντες ὅροι οὔτ᾽ ἐν    INTRODUZIONE ALL’ARITMETICA DI NICOMACO 695    sono in rapporto triplo, verranno fuori da essi termini epitriti e da  questi termini epitrimeri, se invece sono quadrupli verranno fuori  epiquarti ed epitetrameri e cosi sempre gli altri seguenti, e tutti con-  servano [47] la proprietà della paronimia, e le basi nasceranno dalle  basi, i secondi dai secondi, i terzi dai terzi, e sempre allo stesso modo.  Non crediamo invece che fra tre termini ci siano le stesse basi di epi-  mori che appaiono tra due termini, perché, dato un rapporto epimo-  rio tra due termini, non è possibile ottenere un terzo termine che  mantenga lo stesso rapporto con il medio, per il fatto che il maggiore  non può fornire la stessa parte, per la quale il secondo è epimorio del  primo, affinché anche il terzo mantenga lo stesso rapporto di quel-  lo.260 Ogni base del rapporto epimorio, infatti, è quella che, avendo i  termini che differiscono di un’unità, non potrà avere questi termini  divisibili allo stesso modo, al contrario, se il minore è divisibile per 2,  il maggiore sarà divisibile per 3, se il minore è divisibile per 3, il mag-  giore sarà divisibile per 4, e il maggiore ammetterà sempre una divi-  sione secondo un denominatore più grande di un’unità rispetto al  minore, di modo che, considerata la parte in un qualunque rapporto  con il minore, che è ipologo rispetto al maggiore, non ci sarà secondo  la stessa parte un terzo numero prologo che abbia quel maggiore  come ipologo. Al contrario, dunque, poiché fra due termini non ci  sono gli stessi rapporti che fra tre termini, le basi appariranno in  modo diverso da quello proporzionale; ci saranno infatti differenze  tra di essi, come ad esempio, dati i numeri 4, 6, 9, che costituiscono  una proporzione di rapporto emiolio, saranno loro differenze le basi  che contengono lo stesso rapporto, cioè 3 e 2, e a sua volta nell’epitri-  te, in cui i numeri in rapporto sono 9, 12, 16, le loro differenze saran-  no le basi, cioè 4 in rapporto a 3, e cosi sempre accadrà la stessa cosa  in tutte le specie di epimorio: in generale infatti saranno basi nei tre  termini quelli le cui differenze sono basi nei due termini. Nei multi-  pli, invece, [48] i numeri esposti proporzionalmente all’inizio avran-  no sempre come basi i termini minori secondo ciascun rapporto.  Causa di ciò è l’unità che è per se stessa termine ipologo rispetto a  tutti i rapporti del multiplo. Nondimeno anche le differenze che sono  in essi proporzionali avranno lo stesso rapporto, sebbene non siano  basi dei rapporti, come accade a proposito degli epimori. Soltanto i  multipli che sono all’inizio proporzionalmente in rapporto doppio,    696 GIAMBLICO    ταῖς διαφοραῖς φανήσονται ὡς ἐπὶ τῶν ἐπιμορίων, οὔτε ἐν τοῖς ἐλάτ-  τοσιν ὅροις ὡς ἐπὶ τῶν πολλαπλασίων, ἀλλὰ κατά τινα ἄλλην εὔτακ-  τον ἀναλογίαν. οἱ μὲν γὰρ ἐν λόγῳ ἐπιδιμερεῖ ἀνάλογον ὄντες ἐν  ἡμίσει τῶν διαφορῶν τοὺς πυθμενικοὺς περιέξουσι, πάλιν  κἀνταῦθα τῆς οἰκειότητος τοῦ ἡμίσους πρὸς τὴν δυάδα, καθ᾽ ἣν ἐπι-  διμερὴς ὁ λόγος ἐστί, ἐμφαινομένης᾽ οἱ δ᾽ ἐν ἐπιτριμερεῖ ἐν τρίτῳ  τῶν διαφορῶν οἱ δὲ ἐν ἐπιτετραμερεῖ [20] ἐν τετάρτῳ καὶ οἱ ἐν ἐπι-  πενταμερεῖ ἐν πέμπτῳ, καὶ ἀεὶ ἑξῆς τὸ ὅμοιον ἔσται, ἀποσῳζομένης  τῆς συμφυῖας τοῦ μορίου πρὸς τὸν λόγον. καὶ γὰρ καθ᾽ αὑτοὺς οἱ λό-  γοι ἐν τοῖς μέρεσι τὴν ὀνομασίαν ἴσχουσιν ἐξεταζόμενοι πρὸς τὰ  μόρια, καθά ἐστιν ἡ ὑπεροχὴ τοῦ μείζονος ὅρου πρὸς τὸν ἐλάττονα  μονάδι μειωνυμώτερον᾽ ἐπιδιμερὴς μὲν γὰρ ἔσται ὁ πρῶτος λόγος  τρίτων, ἐπιτριμερὴς δὲ ὁ δεύτερος τετάρτων καὶ ἐπιτετραμερὴς ὁ  τρίτος πέμπτων καὶ ἑξῆς ὁμοίως.   [49] Αἱ δὲ μικταὶ σχέσεις ἔκ τε πολλαπλασίου καὶ ἑκατέρου  τῶν λοιπῶν ἐπιμορίου καὶ ἐπιμεροῦς γεννῶνται καὶ αὗται ἐκ τῶν  πρὸ ἑαυτῶν, ἡ μὲν ἐν πολλαπλασιεπιμορίῳ λόγῳ ἐκ τῆς ἐν ἐπιμορίῳ,  ἀφ᾽ ἧς καὶ «ἦ» ἐν ἐπιμερεῖ ἐγεννᾶτο, οἷον εἰδικῶς ἡ διπλασιεφήμι-  συς ἀπὸ τῆς ἐν ἡμιολίοις φύεται, οὐκέτι ἀναστρόφως τῶν ὅρων κει-  μένων, ἀλλὰ κατὰ φύσιν χρωμένων ἡμῶν τοῖς αὐτοῖς τρισὶ προστάγ-  μασιν’ οὔσης γὰρ ἀναλογίας ἐν ἡμιολίῳ τῆς δ΄ ς΄ θ΄, ἧς αἱ διαφοραὶ  οἱ [10] πυθμενικοὶ ὅροι, πλασθήσεται ἡ διπλασιεφήμισυς «ἐν» ὅροις  τοῖς δ΄ τ΄ κε΄. ἐκ δὲ τῆς ἐν ἐπιτρίτῳ λόγῳ τῆς θ΄ ιβ΄ ις΄, ἧς πάλιν αἱ  διαφοραί εἰσιν οἱ πυθμενικοὶ ὅροι, ὁμοίως ἀπὸ τοῦ ἐλάττονος ὅρον  ἀρχομένων ἡμῶν ἡ διπλασιεπίτριτος ἐν ὅροις τοῖς θ΄ κα΄ μθ΄. ἐκ δὲ  τῆς ἐν ἐπιτετάρτῳ τῆς 15° κ΄ κε΄, ἧς αἱ διαφοραὶ πάλιν οἱ πυθμενικοί,  ἡ διπλασιεπιτέταρτος γεννᾶται ἐν ὅροις τοῖς 15° λς΄ πα΄, καὶ ἑξῆς  ὁμοίως, ἀποσῳζομένης κἀνταῦθα τῆς οἰκειότητος τοῦ μετὰ τὴν πολ-  λαπλασιότητα ἐπιτροέχοντος μορίου πρὸς τὴν ὀνομασίαν τοῦ [20]  ἐπιμορίου λόγου, ἀφ᾽ οὗπερ ἡ γένεσίς ἐστι τῇ μικτῇ σχέσει. ἐπεὶ  γὰρ ἡμιόλιος ἡ γεννῶσα σχέσις διπλασιεφήμισυς ἡ γεννωμένη, ἐπεὶ    INTRODUZIONE ALL'ARITMETICA DI NICOMACO 697    faranno eccezione per il fatto che hanno come differenze i termini  minori, che sono basali. Nelle specie degli epimeri, invece, i termini  che contengono le basi dei rapporti26! non appariranno né nelle dif-  ferenze, come accade negli epimori,262 né nei termini minori, come  accade nei multipli,26 ma in un’altra proporzione bene ordinata. I  termini, infatti, che sono proporzionalmente in rapporto epidimere,  conterranno le basi nella metà delle differenze,26 e anche qui si mani-  festa di nuovo la parentela tra la metà e il 2, secondo cui il rapporto è  epidimere; i termini in rapporto epitrimere, invece, avranno le basi  nella terza parte delle differenze, quelli in rapporto epitetramere nella  quarta parte delle differenze, e quelli in rapporto epipentamere nella  quinta parte delle differenze, e sarà sempre alla stessa maniera nei  successivi, affinché si conservi la corrispondenza naturale tra la parte  e il rapporto. E infatti i rapporti per se stessi prendono denominazio-  ne nelle parti265 messe in relazione con i rapporti delle parti,266 nel  senso che l'eccesso del termine maggiore rispetto al minore?6? prende  denominazione per differenza di un’unità:268 epidimere infatti sarà il  primo rapporto delle terze parti,26? epitrimere il secondo rapporto  delle quarte270 ed epitetramere il terzo rapporto delle quinte,?7! e cosî  di seguito.   [49] Le relazioni miste, formate dal multiplo e da ciascuno dei  rimanenti due rapporti, cioè dall’'epimorio e dall’epimere, nascono  anch'esse dalle relazioni che le precedono: dalla relazione di rappor-  to epimorio nasce quella di rapporto multiplo-epimorio, dalla quale è  generata anche quella di rapporto epimere, come ad esempio nella  fattispecie la relazione di rapporto doppio-emiolio nasce da quella di  rapporto emiolio, in quanto i termini non sono più invertiti, ma noi ci  serviamo naturalmente delle stesse tre regole; posta la proporzione di  rapporto emiolio'4, 6, 9, le cui differenze sono le basi, si formerà la  relazione doppio-emiolia nei termini 4, 10, 25. Dalla proporzione di  rapporto epitrite 9, 12, 16, le cui differenze a loro volta sono i termi-  ni basali, si formerà similmente, a partire dal termine minore, la rela-  zione doppio-epitrite nei termini 9, 21, 49. Dalla proporzione di rap-  porto epiquarto 16, 20, 25, le cui differenze sono ancora una volta i  termini basali, si formerà la relazione doppio-epiquarto nei termini  16, 36, 81, e cosi di seguito, e si manterrà anche in questo caso la pro-  prietà del rapporto che, dopo la moltiplicazione, si ha tra la parte    698 GIAMBLICO    δὲ ἐπίτριτος διπλασιεπίτριτος, καὶ «ἐπεὶ» ἐπιτέταρτος διπλασιεπι-  τέταρτος, καὶ ἑξῆς δὲ ἀκολούθως. πάλιν δὲ καὶ τούτων οἱ πυθμένες  διευτακτη[5θ]θήσονται οὐκέτ᾽ αὐτόθεν ἐμφαινόμενοι ταῖς διαφο-  ραῖς τῶν πλασσομένων, ὡς ἐπὶ τῶν ἁπλῶν σχέσεων ἐγίνετο, ἀλλὰ  διὰ τὸ μικτὰς εἶναι τὰς σχέσεις καὶ τοὺς λόγους ηὐξῆσθαι ἐν μορί-  οἷς τῶν διαφορῶν ὄντες φανήσονται. διπλασιεφημίσους μὲν γὰρ λό-  γου ὁ πυθμὴν ἐν τρίτῳ μέρει τῶν διαφορῶν, διπλασιεπιτρίτου δὲ ἐν  τετάρτῳ καὶ διπλασιεπιτετάρτου δ᾽ ἐν πέμπτῳ, καὶ ἑξῆς ἀκολούθως  μονάδι μεγαλωνυμώτερον ἀεὶ ἔσται τὸ μόριον ἀντεξεταζόμενον  πρὸς τὸ ὄνομα τοῦ ἐπιτρέχοντος [10] μορίου ἐν τοῖς εἴδεσι τοῦ πολ-  λαπλασιεπιμορίου. παρατηρητέον δὲ ἐφ᾽ ἑκάστης πλάσεως τῶν τε  ἐπιμερῶν σχέσεων καὶ τῶν πολλαπλασιεπιμορίων πῶς καὶ ἀντιπε-  πόνθησίς τις γλαφυρὰ ὑποφύεται. αἱ μὲν γὰρ ἐπιμερεῖς ἅπαξ πλῆρες  τὸ μέτρον προσέβαλλον καὶ πλείονα τὰ ἀκαταμέτρητα ἀπέλειπον  μόρια ἀρχόμενα ἀπὸ δύο: ἐπιδιμερὴς γὰρ ἡ πρώτη, εἶτ᾽ ἐπιτριμερὴς  καὶ ἐπιτετραμερὴς καὶ ἑξῆς ἀκολούθως: αἱ δὲ πολλαπλασιεπιμό-  ριοι ἀντιπεπονθότως δὶς μὲν τὸ μέτρον προςβάλλουσι πληρούντως,  ἕν δὲ μέρος ἀεὶ ἀπολείπουσιν [20] ἀκαταμέτρητον ἀρχόμενον καὶ  αὐτὸ ἀπὸ τοῦ συζυγοῦντος τῷ δύο ἀριθμῷ μορίου, καὶ ἑξῆς προκόπ-  τον ἀκολούθως. ἐπὶ δὲ πασῶν τῶν πλασσομένων σχέσεων καὶ ἀφ᾽ ὧν  αἱ πλάσεις οἱ ἄκροι τετράγωνοι γίνονται. ἡ δὲ λοιπὴ μικτὴ σχέσις  ἡ πολλαπλασιεπιμερὴς γεννᾶται ἐκ τῆς ἐπιμεροῦς, καὶ ἐκ μὲν τῆς  ἐπιδιμεροῦς «ἢ» δὶς ἐπιτρίτου, εἰδικῶς τῆς θ΄ [καὶ ]25 τε΄ κε΄, ἀρχο-  μένων ἡμῶν ἀπὸ τοῦ ἐλάττονος ὅρου, γεννᾶται ἡ [51] διπλασιεπιδι-  μερὴς τρίτων ἐν ὅροις τοῖς θ΄ κδ΄ ξδ΄, ἐκ δὲ τῆς ἐπιτριμεροῦς ἢ τρὶς  ἐπιτετάρτου τῆς ις΄ κη΄ μθ΄ ἡ διπλασιεπιτριμερὴς τετάρτων ἐν ὅροις  τοῖς 15° μδ΄ pra”, πάλιν δὲ ἐκ τῆς ἐπιτετραμεροῦς ἢ τετράκις ἐπιπέμ-  πτοῦυ τῆς κε΄ με΄ πα΄ γεννᾶται ἡ διπλασιεπιτετραμερὴς πέμπτων ἐν  ὅροις τοῖς κε΄ ο΄ ρας΄, καὶ κατὰ τὸ ἑξῆς ἐπ᾽ ἄπειρον εὑρήσομεν ἀνα-  λόγως καὶ ἀκολούθως προϊοῦσαν τὴν πλάσιν τῶν πολλαπλασιεπι-  μερῶν σχέσεων ταῖς ἐπιμερέσιν. ἐκ μὲν γὰρ ἐπιδιμεροῦς [10]  τρίτων ἐγένετο ἡ διπλασιεπιδιμερὴς τρίτων, ἐκ δὲ τῆς ἐπιτριμεροῦς  τετάρτων ἡ διπλασιεπιτριμερὴς τετάρτων, ἐκ δὲ τῆς ἐπιτετραμεροῦς    25 καὶ congetturò si dovesse eliminare Pistelli.    INTRODUZIONE ALL’ARITMETICA DI NICOMACO 699    eccedente il multiplo e la denominazione dell’epimorio, rapporto da  cui ha origine la relazione mista. Se infatti la relazione generante è di  rapporto emiolio, quella generata è doppio-emiolia; se la generante è  di rapporto epitrite, la generata è doppio-epitrite; se la generante è di  rapporto epiquarto, la generata è doppio-epiquarto, e cosî di seguito.  Anche le basi di queste relazioni, a loro volta, [50] si manterranno  nello stesso ordine, non più in quanto appaiono da sé nelle differen-  ze dei termini ordinati, come avveniva nelle relazioni semplici, ma  perché, essendo miste le relazioni e aumentati i rapporti, le basi appa-  riranno nelle parti delle differenze. Del rapporto doppio-emiolio,  infatti, la base è nella terza parte delle differenze, del rapporto dop-  pio-epitrite invece è nella quarta parte, e del rapporto doppio-epi-  quarto nella quinta parte, e in successione sarà sempre minore di  un’unità la parte esaminata in corrispondenza con il nome della par-  ticella nelle forme del multiplo-epimorio. Bisogna osservare come  emerga un'elegante correlazione inversa da ciascuna formazione sia  delle relazioni di rapporto epimere che di quelle di rapporto multi-  plo-epimorio. Le relazioni epimeri, infatti, producevano una piena  misura una sola volta e lasciavano prive di misura più parti a comin-  ciare dal 2: infatti prima c’è la relazione epidimere, poi quella epitri-  mere, poi quella epitetramere, e cosî di seguito; le relazioni multiplo-  epimorio, al contrario, producono due o pit volte la piena misura, e  lasciano sempre priva di misura una parte,a cominciare anche qui  dalla parte accoppiata al numero 2, e cosî di seguito in progressione.  In tutte le relazioni che vengono formate e da cui nascono le forma-  zioni, i termini estremi sono numeri quadrati. La rimanente relazione  mista, cioè quella multiplo-epimere, si genera dalla relazione epime-  re, e dall’epidimere,??2 o epiditrite,27) nella fattispecie, cominciando  dal termine minore,?74 da 9, 15, 25,275 si genera [51] il doppio-epidi-  mere?76 delle terze parti tra i termini 9, 24, 64;277 dall’epitrimere,?78 o  epitriquarto,?7?? nella fattispecie, da 16, 28, 49,280 si ha il doppio-epi-  trimere28! delle quarte parti nei termini 16, 44, 121,282 e ancora, dal-  l'epitetramere, 0 epitetraquinto,28 nella fattispecie, da 25, 45, 81, si  genera il doppio-epitetramere,2* delle quinte parti nei termini 25, 70,  196,285 e cosi di seguito all'infinito troveremo che la formazione delle  relazioni di rapporto multiplo-epimere progredisce proporzional-  mente e conseguentemente alle relazioni di rapporto epimere. Dalla    700 GIAMBLICO    πέμπτων ἡ διπλασιεπιτετραμερὴς πέμπτων. πάλιν SÈ καὶ αὐτῶν  τούτων οἱ πυθμένες κατά τινα λόγον φανήσονται διευτακτούμενοι᾽  τῆς μὲν γὰρ διπλασιεπιδιμεροῦς τρίτων ἐν πέμπτῳ μέρει τῶν δια-  φορῶν ἐνοφθήσονται οἱ πυθμένες, τῆς διπλασιεπιτριμεροῦς τετάρ-  τῶν ἐν ἑβδόμῳ, τῆς δὲ διπλασιεπιτετραμεροῦς πέμπτων ἐν ἐννάτῳ,  καὶ ἀεὶ κατὰ δυάδος προσθήκην τὴν κλῆσιν ἕξει τὸ μόριον, οἷον ὁ  ια΄ [20] καὶ ιγ΄ καὶ ιε΄, καὶ ἀεὶ ὁμοίως.   Ἐπιδειχθείσης ἡμῖν τῆς τῶν σχέσεων πλάσεως ἀπλῶν καὶ  μικτῶν ἀπὸ ἰσότητος τὴν ἀρχὴν ἐσχηκυίας, καθολικόν τι θεώρημα  προσληπτέον χρήσιμον ἡμῖν ἐσόμενον εἰς τοὺς λόγους τῆς  ἁρμονικῆς θεωρίας [52] τοιοῦτον. ἕκαστον τῶν ἀπὸ μονάδος πολλα-  πλασίων ἢ οὑτινοσοῦν ἀριθμοῦ πρώτου καὶ ἀσυνθέτου τοσούτων  ἐπιμορίων ἡγήσεται λόγων ἀντιπαρωνύμων ὁπόστος ἂν αὐτὸς ὧν  τυγχάνῃ ἀπὸ μονάδος ἢ τοῦ πρώτου καὶ ἀσυνθέτου. τῷ μὲν γὰρ καθ᾽  ἕκαστον πρώτῳ πολλαπλασίῳ εἰς βάθος παρώνυμος εἷς ἐπιμόριος  παραγραφήσεται, δευτέρῳ δὲ καθ᾽ ἕκαστον δύο, τρίτῳ δὲ τρεῖς,  τετάρτῳ τέσσαρες, καὶ ἑξῆς ἀκολούθως, ὥστε σύριγγι ὁμοίου τοῦ  διαγράμματος γενομένου πολλὴν [10] γλαφυρίαν ἐμφαίνεσθαι κατά  τε τὸ μῆκος καὶ τὸ βάθος καὶ τὴν ὑποτείνουσαν. ἐκ μὲν γὰρ διπλα-  σίων τριπλάσιοί τε καὶ ἡμιόλιοι φύσονται, ἐκ δὲ τριπλασίων τετρα-  πλάσιοί τε καὶ ἐπίτριτοι, ἐκ δὲ τετραπλασίων πενταπλάσιοί τε καὶ  ἐπιτέταρτοι, καὶ ἐφοσονοῦν ἀεὶ τῆς αὐτῆς ἀκολουθίας ἀποσῳζο-  μένης. ὁ δὲ συνεχὴς ἀεὶ πολλαπλάσιος ὑποφύσεται διὰ τῆς  ὑποτεινούσης κωλυτὴρ γινόμενος τῶν περαιτέρω τῆς εἰρημένης τά-  ἕεως ἐπιμορίων ἐστερημένος τοιούτου [ἐπι]μορίου καθ᾽ ὃ λέγεται ὁ  ἐπιμόριος, ὡς ὁ τρία ἡμίσους καὶ ὁ [20] τέσσαρα τρίτου καὶ ὁ πέντε  τετάρτου καὶ ἀεὶ ὁμοίως. καθ᾽ ἑκάστην δὲ σύριγγα ὁ κατὰ τὴν ὀρθὴν  γωνίαν τεταγμένος ἀριθμὸς πρὸς τοὺς ἑκατέρωθεν συγγενεῖς κατά  τε τὸ πλάτος καὶ τὸ βάθος λόγον τινὰ ἀποσώσει οὐκ ἄτακτον, οἷον  ἐν μὲν τῇ τῶν διπλασίων ἐκθέσει διπλάσιός τε καὶ ὑφημιόλιος γινό-  μενος, ἐν δὲ τῇ τῶν τριπλασίων τριπλάσιός τε καὶ ὑπεπίτριτος, καὶ  ἐπὶ τῶν λοιπῶν ἀναλόγως.   Προληπτέον δὲ καὶ ἄλλο τι θεώρημα χρησιμώτατον ἡμῖν ἐσόμε-  νον εἰς τὴν μουσικὴν εἰσαγωγὴν τοιοῦτον. [53] δύο ἀριθμῶν ἀνίσων  ἐὰν ἡ πρὸς ἀλλήλους διαφορὰ κατά τινας ἄλλους ἀριθμοὺς παρὰ  μονάδα ἴσους ἀλλήλοις μετρῇ, τὸν μὲν μείζονα κατὰ τὸν μείζονα    INTRODUZIONE ALL’ARITMETICA DI NICOMACO 701    relazione epidimere di terzi, infatti, era nata quella doppio-epidimere  di terzi, da quella epitrimere di quarti quella doppio-epitrimere di  quarti, da quella epitetramere di quinti quella doppio-epitetramere di  quinti. E ancora, di queste stesse relazioni le basi appariranno ordina-  te secondo un certo rapporto: della relazione doppio-epidimere di  terzi le basi saranno viste nella quinta parte delle differenze, della  relazione doppio-epitrimere di quarti nella settima parte delle diffe-  renze, della relazione doppio-epitetramere di quinti nella nona parte  delle differenze, essendo sempre la parte denominata per aggiunta di  2, come ad esempio 11? e 13: e 154, e sempre cosî.   Una volta che abbiamo indicato la formazione delle relazioni sem-  plici e di quelle miste, formazione che ha origine dall’uguaglianza,  occorre aggiungere un teorema generale che ci sarà utile per i rappor-  ti della teoria armonica, [52] e che si può formulare cosi: ciascuno dei  multipli a partire dall’unità o da qualsiasi numero primo e non-com-  posto precederà tanti rapporti epimori antiparonimi quanti corri-  spondono allo stesso numero che esso è a partire dall’unità o dal  numero primo e non-composto. Accanto ad ogni primo multiplo,  infatti, sarà segnato in colonna discendente un proprio epimorio  paronimo, accanto ad ogni secondo multiplo due epimori, accanto ad  ogni terzo tre, accanto ad ogni quarto quattro, e cosi di seguito, in  modo tale che appaia a mo’ di “siringa” la figura molto elegante di un  diagramma sia in lunghezza?86 che in altezza28” e in ipotenusa.?88 Dai  doppi, infatti verranno fuori tripli ed emioli, dai tripli quadrupli ed  epitriti, dai quadrupli quintupli ed epiquarti, e qualunque sia il nume-  ro di tali accoppiamenti si conserverà sempre la medesima sequenza.  Il multiplo nascerà continuamente nel senso dell’ipotenusa, in quan-  to esso impedisce il formarsi di ulteriori epimori del suddetto ordine  essendo privo di quella parte per cui è detto epimorio, come il 3 della  metà e il 4 di un terzo e il 5 di un quarto, e cosî di seguito. Per ciascu-  na “siringa” il numero posto all'angolo retto conserverà, rispetto ai  numeri affini di ambo i lati sia in larghezza che in altezza, un rappor-  to non bene ordinato: ad esempio, nell'esposizione dei doppi, il dop-  pio è anche sotto-emiolio, nell’esposizione dei tripli, il triplo è anche  sotto-epitrite, e proporzionalmente negli altri.   Bisogna anticipare anche un altro teorema che ci sarà molto utile  ai fini dell’Introduzione alla musica, ed è il seguente: [53] se la diffe-    702 GIAMBLICO    τὸν δὲ ἐλάττονα κατὰ τὸν ἐλάττονα, ἤτοι πληρούντως αὐτοὺς  μετρήσει ἢ ὑπερβαλλόντως ἢ ἐλλιπῶς. ἀλλ᾽ ἐπεὶ τὸ μὲν πλῆρες ἑνὶ  τρόπῳ πλῆρές ἐστιν, ὡς τὸ τέλειον καὶ τὸ ἴσον κατὰ τὴν τῶν ἀρετῶν  φύσιν, τὸ δὲ ἐλλιπὲς καὶ τὸ ὑπερβάλλον ἄπειρά τε καὶ ἀόριστα,  καθὰ καὶ αἱ κακίαι, διὰ τὴν τῆς ἀνισότητος φύσιν, κατὰ [10] μὲν τὴν  πλήρη μέτρησιν ἕνα καὶ τὸν αὐτὸν οἱ μετρηθέντες λόγον ἕξουσι  πρὸς ἐκείνους, καθ᾽ οὗς ἐμέτρησεν αὐτοὺς ἡ διαφορά, καὶ ἔσται ὁ  τούτων μείζων πρὸς τὸν ἐλάττονα, ὡς ὁ ἐκείνων μονάδι μείζων πρὸς  τὸν μονάδι ἐλάττονα κατὰ δὲ τὰς λοιπὰς δύο μετρήσεις ἢ μείζονα  ἢ ἐλάττονα, καὶ οὐκέτι τὸν αὐτόν. ἀλλ᾽ εἰ μὲν ἐλλιπὴς ἡ ἡ μέτρησις,  ὥστε μετὰ τὴν τοῦ μέτρου προσβολὴν τοσαυτάκις καὶ οἱ πρὸ αὐτῶν  ἀκαταμέτρητόν τι ἀπολειφθῆναι ἐν ἀμφοτέροις τοῖς μετρηθεῖσιν,  ἴσον δὲ τοῦτο, ἐν μείζονι πάντες οἱ ὅλοι λόγῳ γενήσονται [20] ἤπερ  τὰ ὑπὸ τοῦ μέτρου καταληφθέντα πληρούντως αὐτῶν μέρη πρὸς  ἄλληλα ἐξεταζόμενα, καὶ καθόλου οἱ ἐνδοτέρω καὶ εἰς τὸ ἔλαττον  κατὰ ἴσην διαφορὰν ὑποβιβαζόμενοι ἀριθμοὶ μείζονας ἀεὶ καὶ  μᾶλλον λόγους ἕξουσιν τῶν ὑπὲρ αὐτοὺς μειζόνων, ὡς ἐπὶ τῶν  ἀριθμητικῶν μεσοτήτων πασῶν ἔστιν ἰδεῖν τοὺς ἐλάττονας ὅρους  αἰεὶ ἐν μείζοσιν ὄντας λόγοις, τοὺς δὲ μείζονας ἐν ἐλάττοσιν. ἐὰν  δέ γε ὑπερβάλλουσα ἦ ἡ μέτρησις, [54] ὥστε, καταμετρηθέντων ὑπὸ  τῆς κοινῆς αὐτῶν διαφορᾶς τῶν ὅλων, κατὰ τὴν αὐτῶν ποσότητα  ὑπερπαίειν ἴσῃ τινὶ ποσότητι τὸ μέτρον, ἐν ἐλάσσονι οἱ ὅλοι λόγῳ  πρὸς ἀλλήλους ἔσονται ἤπερ οἱ τὴν ἴσην ὑπερέκπτωσιν τοῦ μέτρου  ἐν ἀμφοῖν ὁρίζοντες. ἔστω δὲ τῶν λεχθέντων τριῶν τρόπων  ὑποδείγματα τρεῖς τινες αἵδε συζυγίαι τῆς μὲν πλήρους μετρήσεως  ἡ ν΄ καὶ νε΄, τῆς δ᾽ ἐλλειπούσης ἡ μη΄ καὶ νγ΄, τῆς δὲ ὑπερβαλλούσης  ἡ νγ΄ καὶ [ἡ] νη΄, κοινὴ δὲ διαφορὰ ἐν [10] πάσαις ἡ πεντάς. καθ᾽  ἑκατέρων οὖν τῶν ἐν ἑκάστῃ συζυγίᾳ ὅρων μετροῦσα ἡ πεντὰς τοὺς  μὲν μείζονας ἑνδεκάκις μετρήσει τοὺς δὲ ἐλάττονας δεκάκις. ἀλλ᾽  ἐν μὲν τῇ πρώτῃ ἴσους τοὺς λόγους ἕξουσιν οἵ τε ὅλοι καὶ οἱ καθ᾽  οὗς ἐμετρήθησαν, εἴ γε οὗτοι μὲν ἐν τῷ αὐτῷ ἐπιδεκάτῳ λόγῳ ἔσον-  ται. ἐἐν δὲ τῇ δευτέρᾳ μείζονα οἱ ὅλοι τῶν καθ᾽ οὺς ἐμετρήθησαν᾽  οἱ μὲν γὰρ ἐν τῷ ἐπιδεκάτῳ λόγῳ ἔσονται,» οἱ δ᾽ ὅλοι οὐκέτι μὲν ἐν  τῷ αὐτῷ, ἀλλ᾽ ἐν μείζονι ἢ ἐπιδεκάτῳ“ ὁ γὰρ νγ΄ ἔχει τὸν μη΄ καὶ    INTRODUZIONE ALL’ARITMETICA DI NICOMACO 703    renza tra due numeri tra loro disuguali di misura secondo altri nume-  ri, tranne l’ 1, uguali tra loro, il maggiore rispetto al maggiore e il  minore rispetto al minore, tale differenza o li misurerà pienamente28?  o per eccesso?9 o per difetto.2?! Ma poiché la misura piena lo è in un  unico modo, come il perfetto e l’uguale secondo la natura delle virtù,  mentre le misure per difetto e per eccesso lo sono in un modo infini-  to e indeterminato, come lo sono anche i vizi, per la natura della disu-  guaglianza, allora, secondo la misura piena i numeri misurati avranno  un unico e medesimo rapporto rispetto a quelli, secondo cui la diffe-  renza li ha misurati, e tra questi il maggiore sarà in rapporto al mino-  re come tra quelli il maggiore di un'unità sarà in rapporto al minore  di un’unità, mentre secondo le altre due misure si avrà un rapporto o  maggiore o minore, mai lo stesso. Ma se la misura è per difetto, tale  che dopo l'applicazione del misurante29? tante volte quanto sui primi,  resti in ambedue i numeri misurati qualche cosa di non misurato?” e  questo resto sia uguale,29 allora tutti gli interi staranno in un rappor-  to maggiore che le loro parti contenute sotto la misura piena, una  volta che siano confrontate tra loro, e in generale i numeri interni e  abbassati al minore secondo la stessa differenza avranno rapporti  maggiori e sempre più consistenti che non quelli che sono maggiori di  essi, come è possibile vedere, a proposito di tutte le medietà aritmeti-  che, dove i termini minori sono sempre in rapporti maggiori, mentre  i maggiori sono sempre in rapporti minori; se invece la misura è per  eccesso, [54] tale che la misura degli interi, che sono misurati dalla  loro comune differenza, ecceda, secondo la loro quantità, di una  quantità uguale, allora gli interi staranno tra loro in un rapporto  minore che non quelli che in ambedue determinano un uguale ecces-  so di misura.2% Facciamo tre esempi particolari di accoppiamento  relativi ai tre modi di cui abbiamo parlato. Secondo misura piena  sono ad esempio 50 e 55, secondo misura per difetto 48 e 53, secon-  do misura per eccesso 53 e 58: la differenza comune in tutte e tre que-  ste le coppie di numeri è 5. Ebbene, quando questo numero fa da  misura in ambedue i termini di ciascuna coppia, misurerà?29% 11 volte  i maggiori e 10 volte i minori. Ma nella prima coppia sia gli interi [50  e 55] che i numeri secondo cui sono misurati [10 e 11] avranno ugua-  li rapporti, se è vero che in ambedue i casi si trova lo stesso rapporto  epidecimo.?9 Nella seconda coppia, invece, gli interi avranno un rap-    704 GIAMBLICO    μεῖζον ἢ τὸ [20] δέκατον αὐτοῦ. ἐν δὲ τῇ τρίτῃ ἐλάττονα οἱ ὅλοι τῶν  καθ᾽ oc ἐμετρήθησαν᾽ οἱ μὲν γὰρ ἐν τῷ αὐτῷ ἐπιδεκάτῳ ἔσονται  λόγῳ, οἱ δὲ ὅλοι «ἐν» ἐλάττονι ἢ ἐπιδεκάτῳ: ὁ γὰρ νη΄ τοῦ νγ΄  ἐλάσσων ἐστὶν ἢ ἐπιδέκατος, εἴ γε ἔχει ὁ μείζων τὸν ἐλάσσονα καὶ  ἔλαττον ἢ τὸ δέκατον αὐτοῦ. ἐὰν δὲ ὅροις ἀνίσοις ἴσοι ἀριθμοὶ προ-  στεθῶσιν, ἡ μὲν αὐτὴ ἔσται διαφορὰ τῶν τε [55] ἐξ ἀρχῆς καὶ τῶν  μετὰ τῆς προσθέσεως, λόγον δὲ ἐλάττονα ἕξουσιν οἱ ὕστερον, του-  τέστιν οἱ σὺν τῇ προσθέσει. κἂν ἀπὸ ἀνίσων δὲ ὅρων ἴση ἀφαίρεσις  γένηται, οἱ ἐξ αὐτῶν λειπόμενοι ἀριθμοὶ τὴν αὐτὴν μὲν ἕξουσι δια-  φορὰν τοῖς ἐξ ἀρχῆς, ἐν μείζονι δὲ λόγῳ γενήσονται.   Ἕτι κἀκεῖνο προληπτέον χρήσιμον ἡμῖν εἰς τὰ αὐτὰ ἐσόμενον:  ὅτι ἐὰν διάστημα ὁτιοῦν δὶς συντεθῇ, τουτέστιν ὁστισοῦν λόγος  διαφορηθῇ, διαμένοντος δηλονότι κοινοῦ τοῦ μέσου ὅρου, οἱ ἄκροι  [10] πάντως ἐν μείζονι λόγῳ ἔσονται ἤπερ οἱ ἁπλοῦν τὸ διάστημα  περιέχοντες. ἀλλ᾽ ἐὰν μὲν τὸ διαφορούμενον διάστημα ἐν πολλα-  πλασίονι λόγῳ Ti, καὶ οἱ ἐμπεριέχοντες ἄκροι ἐν πολλαπλασίονι  ἔσονται᾽ ἐὰν δὲ ἐν ἐπιμορίῳ, οὔτ᾽ ἐν ἐπιμορίῳ ἔσονται οἱ περιέχον-  τες οὔτ᾽ ἐν πολλαπλασίῳ, ἀλλ᾽ ἐν ἄλλῃ τινὶ σχέσει μικτῇ. ἔστιν οὖν  καὶ ἀναστρέψαντα εἰπεῖν ὅτι ἐὰν σύνθετον διάστημα τοὺς ἄκρους  ἔχῃ ἐν πολλαπλασίῳ λόγῳ ὄντας πρὸς ἀλλήλους, πάντως καὶ τὸ δια-  φορηθὲν διάστημα ἐν πολλαπλασίονι λόγῳ ἔσται" ἐὰν δὲ μήτε [20]  πολλαπλάσιος ἦ ὁ λόγος τῶν ἄκρων μήτε ἐπιμόριος, μικτὸς δέ τις, τὸ  διαφορηθὲν διάστημα πολλαπλάσιον μὲν οὐκ ἔσται, ἐπιμόριον δὲ ἢ  ἑτερογενές. ἀφ᾽ οὗ βεβαιωθήσεται ἐν τοῖς ἁρμονικοῖς λόγοις τίνα  μὲν σύμφωνα διαστήματα συμφώνοις συντιθέμενα μείζους συμφωνί-  ας ἀποτελέσει, τίνα δὲ οὐχί, καὶ ἐν τίνι λόγῳ εἰσὶν αἱ ἀποτελούμε-  ναι σύνθετοι, καὶ ἐν τίνι «αἱ» ἐξ ἀρχῆς.   Ἔτι κἀκεῖνο προληπτέον, ὅτι ἀριθμὸς ἀριθμὸν ἕτε [56] ρον πολ-  λαπλασιάσας τὸν ἀπογεννώμενον ἔχοντα παρέξει ἑκατέρου τῶν  γεννησάντων τὰ ἰδιώματα. καὶ ἐὰν δύο ἀριθμοὶ ἐν λόγῳ τινὶ ὄντες  ἑτέρους δύο μηκύνωσιν ἐν ἄλλῳ λόγῳ ὄντας, ὁ μείζων τὸν μείζονα    INTRODUZIONE ALL’ARITMETICA DI NICOMACO 705    porto maggiore rispetto ai numeri secondo cui sono misurati:29 que-  sti infatti saranno di rapporto epidecimo, mentre gli interi non saran-  no più nello stesso rapporto, ma in uno maggiore di quello epideci-  mo: 53 infatti contiene 48 e più di 1/10 di esso.299 Nella terza coppia,  infine, gli interi avranno un rapporto minore che i numeri secondo  cui sono misurati:30 questi infatti saranno dello stesso rapporto epi-  decimo, gli interi invece di un rapporto minore dell’epidecimo: 58  infatti è minore che l’epidecimo di 53, se è vero che il maggiore con-  tiene il minore e meno di 1/10 di esso.30! Se poi si aggiungono nume-  ri uguali a termini disuguali, allora la differenza [55] tra i numeri ini-  ziali e quelli ottenuti dopo l'aggiunta sarà la stessa, mentre il rappor-  to tra i numeri ottenuti dopo l'aggiunta sarà minore.302 E se si sottrar-  ranno numeri uguali da termini disuguali, i numeri che si otterranno  dopo la sottrazione avranno un’uguale differenza rispetto ai numeri  iniziali, ma saranno in un rapporto maggiore.?9   Dobbiamo inoltre anticipare anche quell’altro teorema che ci sarà  utile per quello stesso argomento,)% ed è il seguente: se un qualunque  intervallo viene sommato due volte, se cioè viene mutato un qualsiasi  rapporto, restando naturalmente in comune il termine medio, i termi-  ni estremi saranno assolutamente in rapporto maggiore rispetto a  quelli che contengono l'intervallo semplice. Ma se l’intervallo che  muta è di rapporto multiplo, anche gli estremi che lo contengono  saranno di rapporto multiplo, se invece sono di rapporto epimorio, i  termini che lo contengono non saranno né di rapporto epimorio né di  rapporto multiplo; ma di altra relazione mista. È possibile dunque  dire, invertendo i termini del discorso, che se l’intervallo sommato ha  gli estremi di rapporto multiplo tra loro, assolutamente anche l’inter-  vallo sottratto sarà di rapporto multiplo; se invece il rapporto degli  estremi non è né multiplo né epimorio, ma un rapporto misto, l’inter-  vallo sottratto non sarà multiplo, ma epimorio o di diversa natura. Di  qui si potrà stabilire il teorema secondo cui nei rapporti armonici  alcuni intervalli di accordo sommati ad altri accordi produrranno  accordi maggiori, altri no, e in un rapporto ci sono gli accordi prodot-  ti, in un altro quelli precedenti.   Dobbiamo inoltre anticipare anche quest'altro teorema, e cioè che  un numero [56] che moltiplica un altro numero farà nascere un  numero che ha le proprietà di ciascuno dei due numeri che lo hanno    706 GIAMBLICO    καὶ ὁ ἐλάττων τὸν ἐλάττονα, ἀνάγκη τοὺς ἐξ αὐτῶν γεννωμένους  ἀποσῶσαι ἑκάτερον τὸν λόγον’ καὶ ἐὰν μὲν πυθμενικοὶ ὦσιν οἱ γεν-  νήτορες, πυθμενικὴ καὶ ἡ λῆξις τῶν λεγομένων ἐν τοῖς ἀπογεννωμέ-  νοις συμβήσεται, εἰ δὲ μὴ πυθμένες εἶεν, τὴν αὐτὴν ἀποσώσουσιν  [10] ἀναλογίαν τῆς τάξεως.   Ὁμοίως κἀκεῖνο προληπτέον᾽ πάντες οἱ ὅροι κατ᾽ ἀρτίαν ἔκθε-  σιν ἐκκείμενοι «καὶ»26 κατ᾽ ἴσην ὑπεροχήν, εἴτε τῆς ἀρτίας φύσεως  εἶεν εἴτε τῆς περισσῆς εἴτε καὶ ἑκατέρας, τοσουτοπλάσιον τὸ ἐκ  τῆς ἐπισυνθέσεως πάντων τῶν ἐκκειμένων ὅρων ἀποτελοῦσι τοῦ ἐκ  μόνων τῶν ἄκρων, ὅσονπερ τοῦ πλήθους τῶν ὅρων ἥμισυ ὑπάρχει,  ἀφ᾽ οὗ παρωνυμήσει ἡ πολλαπλασιότης.   ᾿Ακόλουθον τούτοις τὸν περὶ ἀναλογιῶν ὄντα τόπον, ὅτι σύ-  στημα λόγων ἐστὶν ἡ ἀναλογία, τὸ παρὸν [20] ὑπερθέμενοι, πρότε-  ρον τὸν περὶ ἐπιπέδων καὶ στερεῶν ἐπελευσόμεθα, ἴδιον ὄντα τοῦ  καθ᾽ αὑτὸ ποσοῦ καὶ διὰ τὸ χρήσιμον τῆς διδασκαλίας ὑπέρθεσιν  λαβόντα.   Ἐπειδὰν τοίνυν ἀριθμὸς ἀπὸ μονάδος ὁστισοῦν ἤτοι καθ᾽ αὑτὸν  ἢ καὶ ἐπισυντιθέμενος τοῖς πρὸ αὐτοῦ εἰς μονάδας ἀναλύηται καὶ  κατὰ γραμμὴν ἐπεκτείνηται, εὐθυγραμμικὸς κεκλήσεται, διότι  ἀπλατῶς ἐπὶ μόνον τὸ μῆκος πρόεισιν ἱστέον γὰρ ὡς τὸ παλαιὸν  [57] φυσικώτερον οἱ πρόσθεν ἐσημαίνοντο τὰς τοῦ ἀριθμοῦ ποσό-  τητας ἀναλύοντες εἰς μονάδας, ἀλλ᾽ οὐχ ὥσπερ οἱ νῦν συμβολικῶς.  ἰδίως δὲ εὐθυγραμμικοὶ καλοῦνται οἱ διάγραμμα ἐπίπεδον μὴ  ποιοῦντες, ὡς ὁ ε΄ καὶ ὁ ζ΄ καὶ οἱ ὅμοιοι εὐθυμετρικοὶ δὲ  καλοῦνται διὰ τὸ κατ᾽ εὐθεῖαν μετρεῖσθαι ὑπὸ μονάδος. καὶ ἐπειδὴ  ἀρχή ἐστι καὶ στοιχεῖον μήκους ἡ στιγμή, ἧσπερ ῥύσιν φασὶν εἶναι  οἱ γεωμέτραι τὴν γραμμήν, ἕξει καὶ ἡ μονὰς καθ᾽ ὁμοιότητα στιγμῆς  καὶ σημείου [10] λόγον, ὡς ἂν ἀρχὴ οὖσα ποσοῦ, καὶ δὴ καὶ ἀφ᾽  ἑαυτῆς ὡσανεὶ ῥυεῖσα καὶ κατὰ τὸ ἑαυτῆς μέγεθος ἐφ᾽ ἕν διαστᾶσα,  εἰς μῆκος προελεύσεται. οὕτως καὶ συμβεβηκότα τινὰ ἕξει κοινὰ  πρὸς τὸ σημεῖον τό τε ἀρχὴ εἶναι ποσοῦ, ὡς ἐκεῖνο πηλίκου, καὶ τὸ  ἀμερὴς εἶναι, ὡς ἐκεῖνο, καὶ τὸ δύνασθαι μηδὲν πλέον ἑαυτῆς,  καθὰ κἀκεῖνο ὡς γὰρ ἅπαξ ἕν οὐδὲν πλέον τοῦ ἕν, οὕτως ἐπ᾽  ἄλληλα σημεῖα γινόμενα οὐδὲν πλέον σημείου ποιεῖ: οὐδὲ γάρ    26 ho aggiunto io secondo una congettura di Pistelli.    INTRODUZIONE ALL’ARITMETICA DI NICOMACO 707    generato. E se due numeri che sono in un certo rapporto moltiplica-  no due altri numeri che sono in un rapporto diverso, e il maggiore  moltiplicherà il maggiore e il minore il minore, necessariamente i  numeri generati da essi conserveranno l’uno e l’altro rapporto;39 se  poi i numeri generanti sono basali, anche il risultato dei suddetti  numeri nei loro prodotti sarà basale,3% se invece non sono basi, con-  serveranno la stessa proporzione del loro ordine.307   Bisogna parimenti anticipare anche quest'altro teorema, e cioè che  tutti i termini che siano esposti secondo un’estensione pari e un ecces-  so uguale.308 siano essi di natura pari o dispari o di entrambe, produ-  cono, fatta la somma di tutti i termini esposti, un numero che è mul-  tiplo di quello che nasce dalla somma dei soli estremi per la metà del  numero dei termini, dalla quale verrà la denominazione del multiplo  stesso.309   A questo punto converrebbe fare posto al discorso sulle propor-  zioni, perché la proporzione è un sistema di rapporti, ma noi per il  momento lo metteremo da parte e passeremo prima a trattare dei  numeri piani e dei numeri solidi, che è il discorso proprio del quanto  in sé ed è più utile alla dottrina.   Ebbene, poiché qualsiasi numero, in quanto nasce dall’unità, o  come numero in se stesso o come composto dalla somma di quelli che  lo precedono, si risolve in unità e si estende in linea retta, sarà chia-  mato perciò rettilineo, perché procede non in larghezza ma solo in  lunghezza; bisogna sapere infatti che [57] anticamente i nostri ante-  nati designavano, in maniera più naturale, le quantità del numero  risolvendole in unità, non per mezzo di simboli, come si fa adesso.  Nella fattispecie sono detti rettilinei i numeri che non producono  figura piana, come il 5 e il 7 e simili; e sono detti lineari perché sono  misurati in linea retta a partire dall'unità. E poiché principio ed ele-  mento della lunghezza è il punto geometrico,3!9 il cui scorrimento i  geometri dicono che è la linea, l’unità avrà anche la funzione di punto  a somiglianza del punto geometrico, in quanto sarebbe principio del  quanto, € appunto scorrendo da sé e distendendosi secondo la sua  propria grandezza con un solo intervallo, essa arriva a formare la lun-  ghezza. Cosî l’unità avrà anche delle proprietà comuni con il punto,  sia perché è principio del quanto, come il punto lo è del quanto gran-  de, sia perché è priva di parti, come il punto, sia infine perché non ha    708 GIAMBLICO    ἐστιν ἡ γραμμὴ πλειόνων σύνθεσις σημείων, ἀλλ᾽ ἤτοι ψαυστῶν  ἀδιαστασία ἔσται ἢ διαστάντων [20] ἀψαυστία, ὥστ᾽ οὐκέτι μέρος  γραμμῆς τὸ σημεῖον᾽ οὐ γὰρ μόνον σημεῖόν ἐστιν οὗ μέρος οὐδέν,  ἀλλὰ καὶ «ὃ» οὐδ᾽ ἄλλου τινός ἐστι μέρος. κοινὸν δὲ ἔχει πρὸς τὸ  σημεῖον ἡ μονὰς καὶ τὸ στερεῶν πυραμίδων ἀπειρογόνων ταῖς βάσε-  σιν ἐπὶ κορυφῇ θεωρουμένη ὡς ἐκεῖνο πανσχήμων νοεῖσθαι. ἴδια δὲ  ἤδη ἔχει, καθὰ διαφέρει σημείου, ὡσανεὶ ὁρογενὴς οὖσα, τό τε  κατὰ σύνθεσιν ἑαυτῆς εἰς μῆκος διίστασθαι καὶ ἔτι τὸ μέρος εἶναι  τούτου. εἰ δὲ τῆς ἐφ᾽ ἕν διαστάσεως παυσαίμεθα καταγράφοντες τὰς  μονάδας καὶ ἐπεκβάλ [58] λοντες τὸ μῆκος, ἐπὶ δὲ τὸ πλάτος ἐπέ-  λθοιμεν κατ᾽ ἐπίπεδον σχηματίζοντες αὐτάς, ὁ τοιοῦτος ἀριθμὸς  ἐπίπεδος κεκλήσεται διχῇ γὰρ ἤδη διαστατὸς καὶ ποικίλλεται  εἴδεσι καταγραφόμενος, ἀρχόμενος περὶ τριγώνου, περὶ ὧν ἐν κεφα-  λαίῳ οὕτως ἐφοδευτέον καὶ ποριστέον αὐτῶν εὕτακτον γένεσιν.  Ἐκκειμένου γὰρ τοῦ ἐφεξῆς ἀπὸ μονάδος ἀριθμοῦ, ἐὰν μὲν  μηδὲν διαλιπόντες σωρηδὸν συντιθῶμεν αἰεὶ τοὺς ἐφεξῆς καθ᾽ ἕνα,  οἷον ἕνα πρῶτον, εἶτ᾽ ἐπὶ τούτῳ [10] δύο, εἶτα ἐπὶ τοῖς δυσὶ τρία καὶ  πρὸς τούτοις τέσσαρα καὶ μέχρις οὗ βουλόμεθα, τρίγωνοι ἐφεξῆς  ἀπὸ μονάδος ἀποτελεσθήσονται οἱ α΄ γ΄ ς΄ ι΄ τε΄ κα΄ κη΄ λς΄ καὶ  ἐφεξῆς, ὧν ἕκαστος σχηματισθήσεται ἀναλυθεὶς εἰς μονάδας τριγώ-  νοῦ τρόπον, καὶ αὐτὴ δὲ καθ᾽ ἑαυτὴν ἡ μονὰς ὡς δυνάμει οὖσα  τριγωνική. τὰς δὲ πλευρὰς ἕκαστος τῶν μετὰ μονάδα τοσούτων ἕξει  μονάδων, ὅσωνπερ καὶ ὁ γνώμων ἐστίν, ἢ νὴ Δία ὅσωνπερ μονάδων  ὁ ὕστατος παραληφθεὶς ἐν τῇ ἐπισυνθέσει γνώμων ἐστίν, ὅπερ ἴδιον  μόνων τριγώνων ἐστίν. εἴρηται δὲ γνώμων ὁ [20] αὐξητικὸς ἑκάστου  εἴδους τῶν πολυγώνων κατὰ πρόςθεσιν τὸ αὐτὸ εἶδος διαφυλάττων,  ὡς φέρε εἰπεῖν τῷ τρία τριγώνῳ ὄντι περιτεθεῖσα ἡ τριὰς τὸ αὐτὸ  εἶδος ἔχοντα τὸν ς΄ ἀπετέλεσε. μετῆκται δὲ ἀπὸ τῶν ἐν γεωμετρίᾳ  τὸ ὄνομα' λέγεται γὰρ ἡ ὑπεροχὴ ἣ περιέχει τετράγωνον τετραγώ-  νου γνώμων. πάντως δὲ ἡ σχημάτισις κατ᾽ ἰσόπλευρον ἔσται τρίγω-  vov' ὥστε τρίγωνος ἂν εἴη ἀριθμὸς ὁ «ἐκ» τῶν ἀπὸ μονάδος κατὰ [59]  μονάδος διαφορὰν συντιθεμένων σωρηδὸν ἀπογεννώμενος. ἐν δὲ τῇ    INTRODUZIONE ALL’ARITMETICA DI NICOMACO 109    nessuna potenza che sia più di se stessa, cosi come il punto; come  infatti 1x1 non fa niente più che 1, cosî un punto moltiplicato per se  stesso non fa niente più che un punto; la linea infatti non è affatto la  somma di più punti, al contrario essa sarà o una serie di punti che si  toccano senza intervallo, o una serie di punti intervallati che non si  toccano, in modo che il punto non sia più parte della linea; non solo  infatti il punto è ciò di cui non esiste parte, ma anche ciò che non è  affatto parte di un’altra cosa. L'unità, poi, ha in comune col punto  anche il fatto che la si può vedere al vertice di figure solide piramida-  li, strutturate in un numero infinito di basi, cosî come possiamo con-  cepire il punto al vertice di ogni figura piana.3!! Una proprietà per cui  la linea differisce dal punto è che si estende in lunghezza come se si  generasse da un termine per somma di se stessa, e che di questa lun-  ghezza è anche la parte. Se poi in un punto dell’estensione smettiamo  di proseguire a tracciare le unità [58] secondo la lunghezza, e arrivia-  mo alla larghezza configurando le unità in una figura piana, allora tale  numero sarà chiamato numero piano; quando infatti il numero ha già  due dimensioni, esso può essere anche configurato in vario modo, a  partire dai triangoli, sui quali occorre fare una sommaria indagine,  procurando di conoscerne l’origine in modo bene ordinato.   Esposto infatti il numero successivo a partire dall’unità, se som-  miamo i numeri ad uno ad uno sempre in successione, se ad esempio  prendiamo prima l’ 1, poi a questo sommiamo il 2, poi al 2 il 3 e a que-  sti il 4 e cosi finché si vuole, subito dopo l’unità risulteranno i nume-  ri triangolari 1, 3, 6, 10, 15, 21, 28, 36 e cosî via,}!? ciascuno dei quali,  ridotto a unità, assumerà la forma di un triangolo, e anche l’unità in  sé e per sé è come un numero triangolare in potenza. Ciascuno dei  numeri successivi all'unità avrà per lati tante unità, quante sono quel-  le che formano il gnomone, ovvero, quante sono le unità che si otten-  gono per somma nell’ultimo gnomone, proprietà che è solo dei nume-  ri triangolari. Si dice gnomone il numero che fa aumentare per addi-  zione ciascuna forma dei numeri poligonali conservandone la stessa  forma, come dire che, se al numero 3 che è triangolare si mette intor-  no un altro 3, si otterrà 6 che ha la stessa forma triangolare.313 Il nome  è stato ricavato dai gnomoni geometrici: si chiama infatti gnomone  del quadrato l'eccesso che contiene il quadrato. E la configurazione  sarà sempre secondo un triangolo equilatero, in modo che sia nume-    710 GIAMBLICO    ἐπιπεδώσει ἄρξεται ὁ τέταρτος ἐναπολαμβάνειν τὸν πρῶτον, ὁ δὲ  πέμπτος τὸν δεύτερον καὶ ἀκολούθως οἱ ἄλλοι, μέχρις οὗ πάλιν ὁ  ἕβδομος τὸν πρῶτον περιέχοντα περισχῇ διὰ τὸ εἶναι καὶ αὐτὸς τέ-  ταρτος ἀπὸ τοῦ τετάρτου, καὶ οἱ ἑξῆς δὲ ἀναλόγως τὸ αὐτὸ ποιήσου-  σι.   Πάλιν δὲ ἐξ ἄλλης ἀρχῆς ἐὰν ἐκ τοῦ ἐφεξῆς ἀριθμοῦ ἀπὸ μονά-  δος ἀρχόμενοι συντιθῶμεν σωρηδὸν [10] μηκέτι τοὺς ἐφεξῆς ἀλλὰ  τοὺς παρ᾽ ἕνα, τουτέστι τοὺς περισσούς, οἷον α΄, εἶτα α΄ γ΄, εἶτα α Y  ε΄, καὶ πάλιν α΄ γ΄ ε΄ ζ΄ καὶ ἐφεξῆς ἀκολούθως, τετράγωνοι φύσονται  καὶ ἐπιπεδωθήσονται τετραγωνικῶς ἀναλυθέντες εἰς μονάδας. οἱ δὲ  γνώμονες γωνίαν ποιοῦντες ἀεὶ περιτεθήσονται καὶ οὐκέτι κατὰ  μίαν πλευρὰν αὐξηθήσονται οἱ τετράγωνοι, ὥσπερ ἐπὶ τῶν πρὸ  αὐτῶν ἐγένετο. ἄρξεται δὲ πάλιν κἀνταῦθα ὁ τρίτος ἐμπεριέχειν  τὸν πρῶτον καὶ ὁ τέταρτος τὸν δεύτερον καὶ ὁ πέμπτος τὸν τρίτον  ἀλλὰ καὶ τὸν πρῶτον, ἕκτος [20] δὲ τέταρτον καὶ δεύτερον, καὶ  καθόλου οἱ ἀρτιοταγεῖς ἀρτίους καὶ οἱ περισσοταγεῖς περισσούς.  ἔστιν οὖν τετραγωνικὸς ἀριθμὸς ὁ ἐκ τῶν ἀπὸ μονάδος δυάδι διαφε-  ρόντων συντιθεμένων ἀποτελούμενος, ὡς α΄ δ΄ θ΄ ις΄ κε΄ λς΄ καὶ ὁ  ἐφεξῆς ἕκαστος πάλιν ἔχων τοσούτων μονάδων τὴν πλευράν, ὅσου-  σπερ καὶ τοὺς ἐν τῇ συνθέσει παραληφθέντας γνώμονας. ἐπεὶ δὲ τὸ  τετράγωνον σχῆμα ἐν γραμμικοῖς διαγωνίου ἀχθείσης εἰς δύο  τρίγωνα λύεται, δῆλον δ᾽ ὅτι καὶ συνίσταται [60] ἐκ τούτων, εὕροι-  μεν ἂν καὶ ἐν ἀριθμητικοῖς ἐκ πάντων δύο τριγώνων ἀριθμῶν  συνεχῶν τετράγωνον συνιστάμενον. γεννῶνται δ᾽ οἱ τετράγωνοι καὶ  ἑκάστου τῶν ἀπὸ μονάδος ἀριθμῶν ἑαυτὸν πολλαπλασιάσαντος: ἡ  μὲν γὰρ μονὰς ἑαυτὴν μονάσασα τετραγωνικὴ γίνεται, ἡ δὲ δυὰς  ἑαυτὴν δυάσασα τετράγωνον τὸν δ΄ ποιεῖ καὶ ἡ τριὰς ἑαυτὴν τριά-  σασα τὸν θ΄ καὶ ἑξῆς ἀκολούθως.   Ἐὰν δὲ πάλιν ἐκ τοῦ ἐφεξῆς ἀριθμοῦ τοὺς δύο διαλείποντας τῇ  μονάδι σωρηδὸν ἐπισυνθῶμεν, [10] πεντάγωνοι φύσονται οἱ α΄ ε΄ ιβ΄  κβ΄ λε΄ καὶ ἐφεξῆς, καὶ αὐτοὶ ἀναλυόμενοι εἰς μονάδας καὶ πεν-  ταγωνικῶς σχηματιζόμενοι κατὰ τὰς τρεῖς πλευρὰς περιτιθεμένων  τῶν γνωμόνων. πάλιν δὲ τοσούτων μονάδων ἔσται ἡ πλευρὰ ἑκάστου,  ὅσοιπερ καὶ γνώμονες εἰς τὴν γένεσιν αὐτοῦ συνετέθησαν. ἔσται  οὖν πενταγωνικὸς ἀριθμὸς ὁ ἐκ τῶν ἀπὸ μονάδος τριάδι διαφε-    INTRODUZIONE ALL'ARITMETICA DI NICOMACO 711    ro triangolare quello che è generato [59] dalla somma cumulativa dei  numeri a partire da 1 per differenza di 1.314 Nella formazione delle  figure piane comincerà il quarto triangolo a contenere il primo, il  quinto a contenere il secondo, e cosi gli altri in successione, fino al  settimo che contiene il primo contenente,3!5 perché è anch’esso quar-  to a cominciare dal quarto, e in proporzione i triangoli successivi  faranno lo stesso.   Ancora, partendo da un altro punto di partenza, se sommiamo  cumulativamente in successione a partire da 1 i numeri non in succes-  sione, ma saltandone uno per volta, se sommiamo cioè i numeri dispa-  ri, come ad esempio prima 1, poi 1, 3, poi 1, 3, 5, e ancora 1, 3,5, 7,  e cosi di seguito, nasceranno dei numeri quadrati che, se risolti in  unità, assumeranno figura piana quadrata. I gnomoni, che formano  un angolo, saranno posti sempre tutt'intorno, e i numeri quadrati non  saranno aumentati più per un solo lato, come accadeva con in nume-  ri precedenti.3!6 Qui poi comincerà di nuovo il terzo a contenere il  primo, e il quarto a contenere il secondo, e il quinto il terzo, ma anche  il primo, e il sesto il quarto e il secondo, e in generale i numeri pari  ordinati in modo pari e i numeri dispari ordinati in modo dispari.  Numero quadrato, dunque, è quello che risulta dalla somma dei  numeri che a partire da 1 differiscono di 2, come ad esempio 1, 4, 9,  16, 25, 36,31? e ancora ciascuno dei numeri successivi che hanno il lato  composto di tante unità quanti sono i gnomoni assunti nella somma.  Ma poiché in geometria la figura quadrata si può risolvere, tirata la  diagonale, in due triangoli, ed è quindi chiaramente composta [60]  da questi triangoli, anche in aritmetica troveremo che un numero  quadrato è costituito sempre da due numeri triangolari contigui.  Numeri quadrati si generano anche quando ciascun numero a partire  dall’unità si moltiplica per se stesso: l’ 1 infatti quando si moltiplica  per 1 vale come un quadrato,318 il 2 quando si moltiplica per 2 fa il  quadrato 4, il 3 quando si moltiplica per 3 fa il quadrato 9, e cos di  seguito.   Se di nuovo sommiamo cumulativamente all’unità i numeri a que-  sta successivi lasciando due posti tra loro, allora si genereranno i  numeri pentagonali, e cioè 1, 5, 12, 22, 35, e cosi via,3!9 che possono  risolversi in unità e assumere figura pentagonale, se si applicano i gno-  moni intorno a tre lati. Ciascun lato avrà, a sua volta, tante unità    712 GIAMBLICO    ρόντων συντιθεμένων ἀποτελούμενος, ἑξαγωνικὸς δὲ ὁ ἐκ τῶν ἀπὸ  μονάδος τετράδι διαφερόντων, καὶ ἑπταγωνικὸς ὁ «ἐκ» τῶν πεντάδι  καὶ ἑξῆς ἀκολούθως, [καὶ] [20] κατὰ δυάδος ὑπεροχὴν τῶν  πολυγώνων πρὸς τὰς διαφορὰς τῶν γνωμόνων τὴν ὀνομασίαν  ἰσχόντων. εἰ δέ τις ἐκθοῖτο στιχηδὸν ἐφεξῆς τοὺς πολυγώνους ἀπὸ  τριγώνου προτάξας αὐτῶν καὶ τὸν συνεχῆ ἀριθμόν, φανήσονται ἐν  τῷ διαγράμματι τρίγωνοι μὲν δύο παρὰ δύο ἄρτιοι καὶ περισσοὶ  ὄντες, τετράγωνοι δὲ εἷς παρ᾽ ἕνα, πεντάγωνοι δὲ ὁμοίως τοῖς τριγώ-  νοις δύο παρὰ δύο, καὶ ὅλως οἱ ὁμοταγεῖς αὐτῶν, τουτέστιν «οἱ  περισσοταγεῖς δύο παρὰ δύο, εἷς δὲ παρ᾽ ἕνα οἱ»2 [61] ἀρτιοταγεῖς.  καὶ γὰρ γνωμόνων ἔτυχον ἅπαντες οἱ πολύγωνοι κατά τινα φυσικὴν  εὐταξίαν, τρίγωνος μὲν ἑνὸς παρ᾽ ἕνα περισσοῦ καὶ ἀρτίου,  τετράγωνος δὲ περισσῶν μόνων, πεντάγωνος δὲ ἑνὸς πάλιν παρ᾽ ἕνα  καὶ ἐξάγωνος περισσῶν μόνων, καὶ τοῦτο δι᾽ ὅλου ἀκολούθως.  Ἐπεὶ δὲ ἡ μονὰς πάσης γενέσεως τῶν πολυγώνων ἀφηγεῖται καὶ  διὰ τοῦτο πανσχήμων ἐστίν, ἐοικέναι λέγεται τοῦτο κύκλῳ καὶ  σφαίρᾳ, διότι τε ὑπὸ μιᾶς γραμμῆς ὁ κύκλος περιέχεται καὶ ἑνὸς  ἐπιπέδου ἡ [10] σφαῖρα καὶ διότι ὅ τε κύκλος χωρητικός ἐστι καὶ  περικλειστικὸς παντὸς πολυγώνου ἐπιπέδου σχήματος καὶ ἡ σφαῖρα  στερεοῦ. φανήσεται δὲ καὶ ἑξῆς καὶ τῶν στερεῶν σχημάτων τῆς  γενέσεως ἀφηγουμένη ἡ μονὰς καὶ δυνάμει ἐπιδεχομένη τοὺς  πάντων λόγους, πρὸς τούτοις τε ὅτι ἀφ᾽ ἑαυτῆς καὶ περὶ ἑαυτὴν  ὡσανεὶ κινηθεῖσα εἰς ἑαυτὴν ἀποκαθίσταται, καθὰ καὶ ὁ κύκλος  ἀπό τινος περὶ τι ἐξ ἴσου διαστήματος εἰς ταὐτὸν ἀποκαθίσταται. εἰ  δὲ ὁ κυκλικὸς λόγος τῇ μονάδι ἐμφαίνεται ἄρχονται δὲ ἐπὶ τριάδος  αἱ σχηματίσεις [20] τῶν πολυγώνων, τὴν δυάδα εὐλόγως οἱ ἀπὸ  Πυθαγόρου ἀόριστον ἔφασαν εἶναι, διότι καθ᾽ αὑτὴν οὐδ᾽ ὁτιοῦν  περιορίζεται σχῆμα’ πρῶτον γὰρ εὐθύγραμμον καὶ στοιχεῖον ἐπίπε-  δον τὸ τρίγωνον, διότι ἐν τρισὶν ὅροις τὸ διχῇ διαστατόν. καὶ ἐπειδὴ  ἐν γραμμικοῖς εἰδοποιεῖται τὰ πολύγωνα ὑπὸ τριγώνου, εἴ γε τὴν  σύστασιν ἀπ᾽ αὐτοῦ καὶ εἰς αὐτὸ τὴν ἀνάλυσιν ἴσχει, [καὶ] διὰ  τοῦτο καὶ ἐν ἀριθμητικοῖς εἰδοποιηθήσονται οἱ [62] πολυγώνιοι  ὑπὸ τῶν τριγώνων κατά τινα φυσικὴν εὐταξίαν. ἔσται γὰρ ὁ δυνάμει  τρίγωνος ἡ μονὰς διαφορὰ τῶν ἐνεργείᾳ. πρώτων πολυγώνων ἐπὶ    27 lacuna colmata da Pistelli in appar.    INTRODUZIONE ALL’ARITMETICA DI NICOMACO 713    quanti gnomoni si sommano nel suo generarsi. Numero pentagonale  sarà, dunque, quello che risulta dalla somma dei numeri che a partire  da 1 differiscono di 3, mentre numero esagonale sarà quello che risul-  ta dalla somma dei numeri a partire da 1 di differenza 4, e numero  ettagonale quello composto dalla somma dei numeri di differenza 5,  e cosi di seguito, assumendo tali numeri poligonali la loro denomina-  zione secondo un eccesso di 2 rispetto alle differenze dei gnomoni. Se  si esporranno in serie successive i numeri poligonali a partire da quel-  lo triangolare e si ordineranno i loro numeri contigui, spunteranno  nel diagramma alternativamente, i triangolari due pari e due dispari,  i quadrati uno pari e uno dispari, i pentagonali due pari e due dispa-  ri, come i triangolari, e in generale quelli dello stesso loro ordine, cioè  a due a due quelli di posto dispari,)20 ad uno ad uno quelli di posto  pari.?21 [61] E infatti tutti i numeri poligonali hanno i loro gnomoni  secondo un ordine naturale, il triangolare alternativamente uno dispa-  ri e uno pari,}22 il quadrato solo dispari,32} il pentagonale ancora alter-  nativamente uno dispari e uno pari,124 l’esagonale solo dispari,}?? e  cosî per tutti i seguenti.   Poiché l’unità precede ogni generazione dei numeri poligonali ed  è perciò onniconfigurabile,326 si dice che in ciò essa somiglia a un cir-  colo o a una sfera, sia perché il circolo è contenuto da un’unica linea  e la sfera da un’unica superficie, sia perché il circolo è capace di con-  tenere e di chiudere ogni figura piana poligonale e la sfera ogni figu-  ra solida. Apparirà anche da quel che segue che l’unità precede la  generazione di ogni figura solida e ammette in potenza i rapporti di  tutte le figure, e inoltre ritorna a se stessa come se si muovesse da se  stessa e intorno a se stessa, allo stesso modo che anche il circolo ritor-  na a se stesso, partendo da un punto e muovendosi intorno a un altro  punto mantenendo la stessa distanza. Se nell’ 1 si manifesta il rappor-  to del circolo e nel 3 hanno inizio le configurazioni dei numeri poli-  gonali, hanno detto bene i Pitagorici che il 2 è indefinito,?27 perché  con esso non è possibile circoscrivere una qualsiasi figura: la prima  figura piana rettilinea ed elementare è infatti il triangolo, perché ciò  che ha due dimensioni è costituito da 3 termini. E poiché in geome-  tria i poligoni sono formati dal triangolo, se è vero che dal triangolo  deriva la loro costituzione e nel triangolo si risolvono, allora anche in  aritmetica [62] i numeri poligonali saranno formati da numeri trian-    714 GIAMBLICO    βάθος θεωρουμένων τῶν γ΄ δ΄ ε΄ ς΄ ζ΄ η΄ θ΄ ι΄ καὶ ἐφεξῆς, ὁ δὲ Evepyei-  ᾳ πρῶτος τρίγωνος ὁ τρία, τῇ δὲ τάξει δεύτερος, τῶν δευτέρων  πολυγώνων ἔσται διαφορὰ τῶν ς΄ θ΄ ιβ΄ ιε΄ n κα΄ κδ΄ κζ΄, ὁ δὲ τρίτος  ὁ ς΄ τῶν τριγώνων περίεισιν ι΄ 15° κβ΄ κη΄ λδ΄ μ΄ μς΄ νβ΄, καὶ πάλιν ὁ  τέταρτος τῶν τετάρτων καὶ ὁ πέμπτος τῶν [10] πέμπτων καὶ ἐφοσο-  νοῦν. καὶ ἐν τῇ σχηματογραφίᾳ δὲ τῶν πολυγώνων δύο μὲν ἐπὶ  πάντων αἱ αὐταὶ μενοῦσι πλευραὶ μηκυνόμεναι καθ᾽ ἕκαστον, αἱ δὲ  παρὰ ταύτας ἐναποληφθήσονται τῇ τῶν γνωμόνων περιθέσει αἰεὶ  ἀλλασσόμεναι, μία μὲν ἐν τριγώνῳ δύο δὲ ἐν τετραγώνῳ καὶ τρεῖς  ἐν πενταγώνῳ καὶ ὁμοίως ἐπ᾽ ἄπειρον, κατὰ δυάδος κἀνταῦθα δια-  φορὰν τῆς κλήσεως τῶν πολυγώνων πρὸς τὴν ποσότητα τῶν ἀλλασσο-  μένων γινομένης. ἐντεῦθεν καὶ ἡ ἔφοδος τοῦ Θυμαριδείου ἐπαν-  θήματος ἐλήφθη. ὡρισμένων γὰρ ἢ [20] ἀορίστων μερισαμένων  ὡρισμένον τι καὶ ἑνὸς οὑτινοσοῦν τοῖς λοιποῖς καθ᾽ ἕκαστον συν-  τεθέντος, τὸ ἐκ πάντων ἀθροισθὲν πλῆθος ἐπὶ μὲν τριῶν μετὰ τὴν ἐξ  ἀρχῆς ὁρισθεῖσαν ποσότητα ὅλον τῷ συγκριθέντι προσνέμει τ᾽ ἀφ᾽  0023 τὸ λεῖπον καθ᾽ ἕκαστον τῶν λοιπῶν ἀφαιρεθήσεται.29 ἐπὶ δὲ  τεσσάρων τὸ ἥμισυ καὶ ἐπὶ πέντε τὸ τρίτον καὶ ἐπὶ ἕξ τὸ τέταρτον  καὶ ἀεὶ ἀκολούθως, δυάδος κἀνταῦθα διαφορᾶς ἐπιφαινομένης [63]  πρός τε τὴν ποσότητα τῶν μεριζομένων καὶ πρὸς τὴν τοῦ μορίου  κλῆσιν. παρατηρητέον πῶς κἀνταῦθα ἡ μονὰς χώραν ἔσχε τῷ ὅλῳ  συζυγῆσαι΄ ἐν μὲν γὰρ τῷ τῶν πολυγωνιῶν θεωρήματι τῷ κατὰ τὴν  σχηματογραφίαν ἐλέγομεν μίαν εἶναι τὴν ἀλλασσομένην πλευρὰν  τῶν τριγώνων, δύο δὲ τῶν τετραγώνων καὶ τρεῖς πενταγώνων καὶ  ἑξῆς ἀκολούθως. ἐνταῦθα δὲ «ἐν» τῷ ἐπανθήματι εἰ μὲν τρεῖς εἶεν  οἱ μεριζόμενοι, μετὰ τὴν ἀφαίρεσιν τοῦ ὁρισθέντος ὁρισμοῦ ὅλον τὸ  λειφθὲν [10] προσνεμοῦμεν τῷ συγκριθέντι πρὸς τοὺς λοιπούς, ὡς  ἀναλόγως ἔχειν ἐνταῦθα τὸ ὅλον πρὸς τὴν ἐν τοῖς τριγώνοις ἀλλασ-  σομένην μίαν πλευράν. καὶ ἐπεὶ ἐκεῖ δύο ἔσονται ἐπὶ τετραγώνων  αἱ ἀλλασσόμεναι πλευραί, ἐνταῦθα, εἰ τέσσαρες εἶεν οἱ μεριζόμε-  vot, τὸ ἥμισυ προσνεμοῦμεν, εἶτα τρίτον εἰ ἐκεῖ τρεῖς, καὶ ἀεὶ ἀνα-    28 ἀφ᾽ οὗ si riferisce ἃ πλῆθος li. 22, non a συγκριθέντι li. 23.   29 62,22-25 πληθος-ἀφαιρεθήσεται: πλῆθος μετὰ τὴν ἐξ ἀρχῆς  ὁρισθεῖσαν ποσότητα «ἀφαιρεθεῖσαν;», ἐπὶ μὲν τριῶν ὅλον τῷ καθ᾽ ἕκαστον  τῶν λοιπῶν συγκριθέντι προσνέμεται volle si leggesse Nesselmann (cf.  Pistelli «ppar. ad loc.). In effetti le modifiche e l'ordine di lettura proposti da  Nesselmann, anche se non necessari, rendono un po’ più chiara l’esposizio-  ne della “fiorita di Timarida”. Ne ho tenuto conto nella mia traduzione.    INTRODUZIONE ALL'ARITMETICA DI NICOMACO 715    golari secondo un ordine naturale. L’ 1 infatti, che è il numero trian-  golare in potenza, sarà la differenza dei primi numeri poligonali in  atto, che visti in altezza sono: 3, 4, 5, 6, 7, 8,9, 10, ecc.; il 3, cheè il  primo triangolare in atto, ma secondo nell’ordine,328 sarà la differen-  za dei secondi numeri poligonali, che sono: 6, 9, 12, 15, 18, 21, 24, 27;  il terzo triangolare, cioè il 6, sarà la differenza dei terzi numeri poli-  gonali, che sono: 10, 16, 22, 28, 34, 40, 46, 52; e a sua volta il quarto  poligonale lo sarà dei quarti, e il quinto dei quinti, e cosî per qualsia-  si numero poligonale. E nel disegno delle figure dei numeri poligona-  li, due lati resteranno in ciascuna sempre identici a se stessi nella loro  estensione, mentre i lati che sono intorno quei due saranno compresi  nell’ambito dei gnomoni e muteranno sempre, uno nel triangolo, due  nel quadrato, tre nel pentagono, e cosi all'infinito, essendo in questo  caso la denominazione dei numeri poligonali di differenza 2?29 rispet-  to alla quantità dei lati che mutano.?30 Di qui è stato attinto anche il  procedimento della “fiorita di Timarida”. Date infatti delle quantità  determinate} o indeterminate3*2 che dividano una quantità determi-  nata,33} e sommata una qualsiasi di esse?3 a ciascuna delle rimanen-  ti) la somma complessiva di tutte queste somme,336 sottratta da essa  la quantità determinata all’inizio)? viene attribuita alla quantità che  è stata scelta e combinata con ciascuna delle rimanenti,338 per intero  se il numero complessivo di tutte le quantità, tolta la prima, è di tre,359  per metà se è di quattro,349 per un terzo se è di cinque,}4! per un quar-  to se è di sei,342 e cosî sempre di seguito, e si vedrà che anche qui il  numero 2 [63] rappresenta la differenza <costante> tra il numero  delle quantità ripartite343 e il nome della parte.344 E bisogna osservare  come anche qui trovi posto l’ 1, quando la combinazione è intera:34  nel teorema dei numeri poligonali, a proposito della descrizione delle  loro figure geometriche, infatti, noi dicevamo che nei numeri triango-  lari il lato che muta è uno solo, nei quadrati sono due, nei pentagona-  li tre, e cosî di seguito. Qui, nel metodo della fiorita di Timarida, se i  divisori,34 tolto il primo, sono 3, noi assegneremo per intero quello  che resta alla quantità combinata con le altre,347 in modo, che ci sia  analogia tra l’intero di qui e l’unico lato che lî è quello che muta nei  triangolari. E poiché lf saranno due i lati che mutano nei quadrati,  qui, se i divisori348 sono quattro,34? noi assegneremo la metà, e poi un  terz0,350 se lî i lati che mutano sono tre, e cosi facendo sempre in pro-    716 GIAMBLICO    λόγως ποιοῦντες οὐ διαπεσούμεθα. ὅτι δὲ οὐ παρέλκει τὸ ἐπάνθημα  τοῦτο, ἀλλὰ καὶ πρὸς θεώρημα ἀριθμητικὸν ἔχει τὴν ἀναφορὰν καὶ  ἐφόδου γλαφυρωτάτης πρὸς ἀνεύρεσιν αἴτιον ἡμῖν γίνεται, οὕτως ἂν  θεωρήσαιμεν. [20] προστετάχθω γὰρ ἡμῖν λόγου χάριν ἀριθμοὺς ἐκ-  θέσθαι τέσσαρας, ὧν ὁ πρῶτος μετὰ τοῦ δευτέρου διπλάσιος ἔσται  τρίτου ἅμα καὶ τετάρτου, καὶ πάλιν ὁ πρῶτος μετὰ τοῦ τρίτου τρι-  πλάσιος δευτέρου ἅμα καὶ τετάρτου, ὁμοίως τε ὁ αὐτὸς πρῶτος μετὰ  τοῦ τετάρτου τετραπλάσιος τῶν δύο μέσων δευτέρου ἅμα καὶ τρί-  του, σύμπαντες δὲ. ἅμα πενταπλάσιοι τῶν αὐτῶν δύο μέσων, ὡς ἂν  καὶ τάξει φυσικῇ τῶν πολλαπλασίων ἀπὸ διπλασίου εἰς πενταπλά-  σιον ἡ προχώρησις [64] εἴη. ἐφοδευτέον δὴ οὕτως. ἐπεὶ ἡμίσους  χρεία διὰ τὸν διπλάσιον, λαμβάνω τὸν δύο ἀριθμόν᾽ πρώτιστος γὰρ  ἡμίσους παρεκτικὸς καὶ πρῶτος διπλάσιος. ἐπεὶ δὲ καὶ τρίτου διὰ  τὸν τριπλάσιον λόγον, τρὶς ποιῶ τὰ δύο. ὁ δὴ γενόμενος ς΄ δι᾽ ἀμφο-  τέρους τοὺς γεννήτορας πρῶτος ἔσται καὶ ἡμίσους καὶ τρίτου ἐπι-  δεκτικός. πάλιν δὲ ἐπεὶ τετάρτου μέρους δεῖ διὰ τὸν τετραπλάσιον  λόγον, τετράκι τὰ ς΄ ποιῶ, καὶ ἐπεὶ πενταπλασίου χρεία, τὰ κδ΄ πεν-  τάκις, ἅπερ γίνεται ρκ΄, [10] καὶ ἔχω τοῦτον τὸν ἀριθμὸν κοινὸν  ὄντα συγκεφαλαίωμα τῶν τεσσάρων ὅρων, ὃ δὴ καὶ θετέον εἶναι  μεριστὸν εἰς τοὺς ἀναφανησομένους τέσσαρας ἀριθμούς, οἷς ἐμφα-  νίσονται οἱ προειρημένοι λόγοι. διανεμητέον τὸν ρκ΄ τρόπῳ τούτῳ.  ἐπεὶ οἱ πρῶτοι δύο ἀριθμοὶ τῶν λοιπῶν δύο διπλάσιοι ἔσονται, ἐστὶ  δὲ διπλασίων πυθμὴν ὡς δύο πρὸς ἕν, ἅ ἐστιν ὁμοῦ τρία, δὶς ποιῶ τὸν  ρκ΄, καὶ τὸν σμ΄ μερίζω παρὰ τὸν γ΄. γίνεται δὴ μέρος ἕν τὰ π΄. φημὶ  δὴ τοσούτων εἶναι μονάδων τοὺς δύο πρώτους ἀριθμούς, οἵπερ [20]  διπλάσιοι ἔσονται τῶν λοιπῶν δύο, ὄντων δηλονότι καὶ αὐτῶν ἐν  τεσσαράκοντα μονάσι. πάλιν ἐπεὶ ὁ πρῶτος καὶ ὁ τρίτος τριπλάσιοι  ἔσονται τῶν λοιπῶν δευτέρου καὶ τετάρτου, ὡς τρία πρὸς ἕν, ἅ ἐστιν  ὁμοῦ δ΄, ποιῶ τρὶς τὸν αὐτὸν ρκ΄ καὶ γίνεται τξ΄, ἃ μερίζω παρὰ τον  δ΄, ἵν᾽ ἡ τὸ μέρος 4ᾳ΄. φημὶ δὴ τοσούτων εἶναι μονάδων τὸν πρῶτον ἅμα  καὶ τὸν τρίτον, τοὺς τριπλασίους τῶν λοιπῶν δευτέρου καὶ τετά-  ρτου, ὄντων δηλονότι ἐν μονάσι λ΄. πάλιν ἐπεὶ ὁ πρῶτος σὺν τῷ  τετάρτῳ τετραπλάσιός ἐστι τῶν δύο [65] μέσων δευτέρου καὶ τρί-  του, ὡς τέσσαρα πρὸς ἕν, ἅ ἐστιν ὁμοῦ πέντε, τετράκις ποιῶ τὰ ρκ΄,    INTRODUZIONE ALL’ARITMETICA DI NICOMACO 717    porzione non sbaglieremo. In tal modo noi potremo vedere che que-  sto metodo della fiorita non cade a sproposito, ché anzi ci riporta a  un teorema aritmetico ed è per noi motivo di scoperta di un metodo  tra i più eleganti. Ci sia ordinato, infatti, di estendere, per esempio,  quattro numeri, tali che la somma del primo e del secondo sia il dop-  pio della somma del terzo e del quarto, e ancora la somma del primo  e del terzo sia il triplo della somma del secondo e del quarto, e pari-  menti la somma del primo e del quarto sia il quadruplo della somma  del secondo e del terzo che sono medi, e la somma di tutti e quattro  sia il quintuplo della somma di questi stessi due medi, in modo che ci  sia progressione di multipli ordinata naturalmente dal doppio al quin-  tuplo. [64] Occorre procedere in questo modo. Poiché c’è bisogno  della metà per fare il doppio, prendo il numero 2, perché è il numero  assolutamente primo che può dare la metà ed è anche il primo nume-  ro doppio. E poiché c’è bisogno anche della terza parte per fare il rap-  porto triplo, allora moltiplico 2x3 ottenendo il 6 che, in virtà dei due  fattori da cui nasce,35! sarà il primo numero che ammetta 1/2 e 1/3. E  ancora, poiché c'è bisogno della quarta parte per fare il rapporto qua-  druplo, allora moltiplico 6x4 ottenendo 24, e poiché c’è bisogno della  quinta parte, moltiplicherò 24x5 ottenendo 120, e ottengo cosi il  numero che è la somma comune dei quattro termini?52 e che appunto  bisogna porre come il numero che può essere ripartito nei quattro  numeri che si riveleranno quelli in cui si manifestano i rapporti sud-  detti.333 Bisogna distribuire 120 nel seguente modo. Poiché i primi  due numeri saranno il doppio degli altri due, e la base dei doppi k il  rapporto 2 a 1, che insieme fanno 3, allora io moltiplico 120x2 otte-  nendo 240, e divido 240 per 3. Nasce quindi come parte il numero 80.  Dico dunque che i primi due numeri hanno tante unità quant'è il  doppio degli altri due, i quali quindi avranno evidentemente 40 unità.  Poiché inoltre il primo e il terzo numero saranno il triplo dei rimanen-  ti secondo e quarto, e la base dei tripli è il rapporto 3 a 1, che insie-  me fanno 4, moltiplico allora lo stesso 120x3 e ottengo 360, che divi-  do per 4 in modo da ottenere come parte 90. Dico dunque che il  primo e il terzo insieme hanno tante unità quante ne ha il triplo dei  rimanenti secondo e quarto, i quali hanno evidentemente 30 unità.  Poiché inoltre il primo e il quarto insieme sono il quadruplo dei due  [65] numeri intermedi secondo e terzo, e la base dei quadrupli è il    718 GIAMBLICO    γίνεται vt, μερίζω παρὰ τὸν ε΄ καὶ ἔχω μέρος ἕν τὰ ας΄. τοσούτων  οὖν φημι μονάδων εἶναι τὸν πρῶτον σὺν τῷ τετάρτῳ, οἵπερ τετραπλά-  σιοί εἰσι τῶν δύο μέσων ἐν μονάσιν ὄντων κδ΄. κατὰ συνδυασμὸν οὖν  εὑρημένων τῶν ἀριθμῶν, οὐδέπω δὲ καθ᾽ ἑαυτοὺς διακεκριμένων,  ἔφοδον ἡμῖν τῆς διακρίσεως παρέχει ἡ τοῦ Θυμαρίδου ἐπανθήματος  γνῶσις. συγκεφαλαιωθέντων [10] γὰρ ὁμοῦ τῶν κατὰ τὰς συζυγίας  ἀριθμῶν, λέγω δὲ τοῦ π΄ καὶ q' καὶ ς΄, τὸ σύμπαν ἔσται σξς΄. ἀφαιρῶ  δὴ τὸν ἐξ ἀρχῆς μερισθέντα εἰς τοὺς τέςσαρας ὅρους τὸν px, καὶ  λείπεταί μοι ρμς΄, ὧν ἐπεὶ τέσσαρές εἰσιν οἱ μερισάμενοι τὸ ἥμισυ  «προσνέμω τῷ πρώτῳ τῶν κατὰ τὰς συζυγίας ἀριθμῶν᾽ καὶ γὰρ πρὸς  τοὺς λοιποὺς τρεῖς τὴν σύγκρισιν»}"9 ἕξει ὃ κατὰ τὴν πρώτην συζυγί-  αν ἴδιον ὁ π΄. ἔστι δὲ ἥμισυ ὁ ογ΄, καὶ τὰ λοιπὰ ἀπὸ τῶν π΄ τὰ ζ΄ ἔσται  τοῦ δευτέρου ὅρου. ἐπειδὴ ἡ δευτέρα συζυγία περιέχει ἀριθμὸν τὸν  4, πάλιν ἀφαιρῶ ἀπὸ τῶν q' τὸν ογ΄, καὶ λείπεται ιζ΄, ἅ φημι εἶναι τοῦ  τρίτου ὅρου. ἐπεὶ δὲ καὶ [20] ἡ τρίτη συζυγία ης΄ ἐστὶ μονάδων,  πάλιν ἀφαιρῶ τὰ ογ΄, καὶ τὰ λοιπὰ κγ΄ προσνέμω τῷ τετάρτῳ ὅρῳ. καὶ  οὕτως γίνεταί μοι ὁ πρῶτος ὅρος τῶν ογ΄, ὡσανεὶ γνώμων τῆς τῶν  συζυγιῶν εὑρέσεως, ὥστε καθ᾽ ἕκαστον ἰδίᾳ διακεκριμένους τοὺς  τέσσαρας εὑρεθῆναι ἐφεξῆς ὄντας ογ΄ ζ΄ ιζ΄ κγ΄ οἵπερ εἰσὶν ὁμοῦ px  περιέχοντες τοὺς εἰρημένους λόγους τόν τε διπλάσιον «καὶ τριπλά-  σιον καὶ τετραπλάσιον"3"] καὶ πενταπλάσιον. πρώτιστοι μὲν οὖν  οὗτοι καὶ πυθμενικοὶ ἀριθμοὶ ἐν τελείαις μονάσιν τοὺς εἰρημένους  λόγους [66] ἐπιδέχονται. εἰ δὲ καὶ μερίζειν θέλοιμεν τὴν μονάδα  καὶ τοὺς κατ᾽ αὐτὴν εἰδοποιηθέντας ἀριθμοὺς περιςσοὺς εἰς δύο ἴσα,  φανήσονται καὶ οἱ τῶν προκειμένων ἀριθμῶν ἡμίσεις τοὺς αὐτοὺς  περιέχοντες λόγους ὅ τε λς΄ (( καὶ ὁ Y (΄ καὶ ὁ n (( καὶ τα΄ (7, ὧν  [xai]}? τὰ συγκεφαλαιώματα ζ΄, ἅτινα ἡμίση ἔσται δηλονότι τοῦ προ-  τέρου συγκεφαλαιώματος τοῦ ρκ΄. εἰ δὲ καὶ πολλαπλασίους τῶν ἐξ  ἀρχῆς ποιῶμεν καθ᾽ ὁποιονοῦν πολλαπλασίου εἶδος, ἢ ἐπιμορίους, ἢ  ἐπιμερεῖς, οἱ [10] γενόμενοι πάντως τοὺς αὐτοὺς λόγους περιέξου-  σιν. ἵνα δὲ τεσσάρων ἄλλων ἀριθμῶν ἐκτεθέντων κατὰ τὴν αὐτὴν τά-  ἔιν τοῖς προτέροις ὁμοταγεῖς κατὰ συνδυασμὸν τὸν προειρημένον  τῶν ὁμοιοτάτων, ἀντὶ μὲν πολλαπλασίων γενικῶς «ὑποπολλαπλάσιοι  γίνωνται», εἰδικῶς δὲ ἀντὶ μὲν διπλασίων ἡμιόλιοι, ἀντὶ δὲ τριπλα-  σίων ἐπίτριτοι, ἀντὶ δὲ τετραπλασίων ἐπιτέταρτοι, λαμβάνω κατὰ    30 necessaria integrazione di Vitelli (cf. Add. et Corr. p. VII) come dimo-  stra il ποῦ intellego di Pistelli riferito in appar al successivo ὃ κατὰ — ὁ π΄.   31 sospettò giustamente si dovesse aggiungere Pistelli.   32 ho eliminato io.    INTRODUZIONE ALL’ARITMETICA DI NICOMACO 719    rapporto 4 a 1, che insieme fanno 5, allora moltiplico 120x4 e otten-  go 480, che divido per 5 e ottengo come parte 96. Dico dunque che il  primo numero insieme col quarto hanno tante unità quante ne ha il  quadruplo dei due medi, che hanno quindi 24 unità. Poiché dunque  i suddetti numeri sono ciascuno la somma di due numeri e non sono  affatto distinti in se stessi3% il procedimento della loro distinzione ci  viene fornito dalla conoscenza della fiorita di Timarida. Ebbene, i  numeri sommati insieme per coppie, intendo dire 80 e 90 e 96, faran-  no in totale 266. Sottraggo allora il numero diviso all'inizio nei quat-  tro termini, e cioè 120, e mi resta 146, di cui, essendo quattro i nume-  ri divisori, la metà?” l'assegno al primo numero della prima coppia; e  infatti esso in combinazione con gli altri tre farà nella prima coppia?5  proprio 80. La metà dunque è 73,357 e il resto di 80, cioè 7, sarà la  quantità del secondo termine. Poiché la seconda coppia contiene il  numero 90, di nuovo sottraggo da 90 il 73, e mi resta 17, che io dico  essere proprio la quantità del terzo termine. E poiché la terza coppia  è formata da 96 unità, di nuovo sottraggo 73, e il resto, cioè 23, lo  assegno al quarto termine.?58 E cosî mi viene fuori il primo termine 73  quale gnomone per scoprire le coppie, in modo da trovare i quattro  numeri distinti per singola quantità, che sono nell’ordine 73, 7, 17,  23, la cui somma è 120, numero che contiene i rapporti suddetti, cioè  il doppio, 9 triplo, il quadruplo e il quintuplo. Sono questi i numeri  assolutamente primi e basali che in unità perfette ammettono i rap-  porti suddetti. [66] Se vogliamo anche dividere in due parti uguali  l’unità e i numeri dispari da questa formati,}59 appariranno anche i  numeri che sono la metà dei precedenti e contengono gli stessi rap-  porti, e cioè 36 e 1/2, 3 e 1/2, 8 e 1/2, 11 e 1/2, la cui somma è 60, che  sarà chiaramente la metà della prima somma 120. Se poi facciamo  anche i multipli dei numeri iniziali secondo una forma qualsiasi di  multiplo, o gli epimori o gli epimeri, i numeri che risultano conterran-  no assolutamente gli stessi rapporti. Affinché poi, esposti altri quattro  numeri secondo lo stesso ordine dei precedenti, nascano numeri  accoppiati a due a due in modo assolutamente simile ai precedenti, in  generale sotto-multipli invece che multipli, nella fattispecie emioli  invece che doppi, epitriti invece che tripli, epiquarti invece che qua-  drupli, allora io procedo allo stesso modo di prima e, poiché occorre  il rapporto emiolio, prendo invece del doppio il primo numero che sia    720 GIAMBLICO    τὴν αὐτὴν ἔφοδον, ἐπεὶ ἡμιολίου λόγου χρεία, ἀντὶ διπλασίου τὸν  πρῶτον δυνάμενον ἥμισυ παρασχεῖν, τουτέστι τὸν δύο, ὅσπερ ἦν  καὶ πρῶτος διπλάσιος ἐπὶ τῶν [20] προτέρων ἀριθμῶν, καὶ πεντάκις  αὐτὸν ποιῶ, διότι σύστημά ἐστι τὰ ε΄ τῶν τὸν ἡμιόλιον λόγον περιε-  χόντων τοῦ γ΄ καὶ β΄, ψίνεται 1.33 καὶ ἐπεὶ ἀντὶ τριπλασίου ἐπιτρί-  του λόγου χρεία, πυθμὴν δὲ ἐπιτρίτων ὁ δ΄ πρὸς γ΄ ἐστίν, ὁμοῦ ζ΄,  ποιῶ ταῦτα δεκάκις, γίνεται ο΄. πάλιν ἐπεὶ χρεία ἐπιτετάρτου ἀντὶ  τετραπλασίου, ἔστι δὲ πυθμὴν ἐπιτετάρτων ε΄ πρὸς δ΄, ἅ ἐστι ὁμοῦ  θ΄, ἐνάκις ποιῶ τὸν ο΄, γίνεται χλ΄. οὗτος οὖν ἔσται ὁ συνέχων τοὺς  περιεκτικοὺς τῶν εἰρημένων λόγων [67] ἀριθμούς. καὶ ἐπεὶ  ἡμιολίου λόγου χρεία, διότι τοὺς πρώτους δύο ἀριθμοὺς τῶν  ὑστέρων δύο ἡμιολίους εἶναι δεήσει, ἔστι δὲ πρόλογος ἐν τοῖς  ἡμιόλιον λόγον περιέχουσι πυθμέσιν ὁ γ΄, τρὶς ποιῶ τὸν χλ΄ καὶ cyi-  νεται» αὐᾳ΄, ἃ μερίζω παρὰ τὸν ε΄, ὅ ἐστι σύστημα τῶν πυθμενικῶν  ἡμιόλιον, καὶ ἴσχω πέμπτον μέρος τὸν «τοη΄» ἀριθμόν, «ὅν» φημι  εἶναι πρώτην συζυγίαν τῶν ἀναφανησομένων πρώτου καὶ δευτέρου  ἀριθμοῦ, οἱ ἔσονται ἐν τῇ ἐκθέσει ἡμιόλιοι τῶν ὑστέρων δύο. [10]  πάλιν ὅτι ἐπιτρίτου λόγου χρεία, διότι τὸν πρῶτον καὶ τὸν τρίτον  ἀριθμὸν συνάμφω ἐπιτρίτους χρὴ εἶναι δευτέρου καὶ τετάρτου, ἔστι  δὲ πρόλογος ἐν ἐπιτρίτῳ πυθμέσιν ὁ δ΄, τετράκις ποιῷ τὸν XA, γίνε-  ται βφκ΄, ἃ μερίζω παρὰ τὸ συναμφότερον τῶν τὸν ἐπίτριτον λόγον  περιεχόντων πυθμένων, τουτέστι τὸν ζ΄, καὶ ἴσχω μέρος ζον τὸν TE  ἀριθμόν, ὃς γίνεταί μοι δευτέρας συζυγίας τῶν ἀναφανησομένων  πρώτου καὶ τρίτου ἀριθμοῦ, οἱ συνάμφω ἐπίτριτοι ἔσονται δευτέρου  καὶ τετάρτου. ὁμοίως διότι ἐπιτετάρτου λόγου χρεία, ἵνα [20]  πρῶτος καὶ τέταρτος συνάμφω τῶν δύο μέσων ἐπιτέταρτοι ὦσιν, ἔστι  δὲ πρόλογος ἐν ἐπιτετάρτῳ πυθμέσι «ὁ ε΄», ποιῶ πεντάκις τὸν XX, γί-  νεται γρν΄, ἃ μερίζω παρὰ τὸ συναμφότερον τῶν τὸν ἐπιτέταρτον λό-  γον περιεχόντων πυθμένων, τουτέστιν θ΄, καὶ ἴσχω μέρος θὸον τν΄, ἃ  δὴ λέγω τρίτην εἶναι συζυγίαν πρώτου καὶ τετάρτου ἀριθμοῦ, οἱ  συνάμφω ἐπιτέταρτοι [68] γενήσονται δευτέρου ἅμα καὶ τρίτου. ἵνα  δὲ καὶ διακρίνω εἰς τοὺς ζητουμένους τέσσαρας ἀριθμοὺς τὰς τρεῖς  συζυγίας, χρήσομαι τῇ αὐτῇ ἐφόδῳ τοῦ Θυμαριδείου ἐπανθήματος,  συγκεφαλαιῶ γὰρ πάλιν τοὺς τῶν συζυγιῶν ἀριθμοὺς τόν τε τοη΄ καὶ  τὸν τξ΄ καὶ τὸν tv, ἵν᾽ ἦ μοι τὸ ἀθροισθὲν πλῆθος απη΄, καὶ πάλιν    33 l'integrazione è mia.  34 πρόλογος ho scritto io confrontando li. 12 e 21 infra: ὁ πρῶτος λόγος  Tennulius e Pistelli.    INTRODUZIONE ALL’ARITMETICA DI NICOMACO 721    capace di fornire la metà, e cioè 2, che nei numeri precedenti era il  primo doppio, e moltiplico 2x5, perché 5 è la somma di 3+2 che sono  i numeri che contengono il rapporto emiolio, e ottengo 10. E poiché  occorre il rapporto epitrite invece che il triplo, e la base degli epitriti  è il rapporto 4 a 3, la cui somma è 7, allora moltiplico 7x10 e ottengo  70. Poiché inoltre occorre il rapporto epiquarto invece che il quadru-  plo, e la base degli epiquarti è il rapporto 5 a 4, la cui somma è 9, allo-  ra moltiplico 70x9 e ottengo 630. Sarà questo numero, dunque, quel-  lo che contiene i numeri che ammettono i suddetti rapporti.390 [67] E  poiché c’è bisogno di un rapporto emiolio, perché occorrerà che i  primi due numeri siano due emioli degli ultimi numeri, ma prologo  base tra i numeri che contengono un rapporto emiolio è 3, allora mol-  tiplico 630x3 e ottengo 1890, che divido per 5, che è la somma dei  numeri basali che contengono il rapporto emiolio,?8! e ottengo la  quinta parte che è il numero 378, che io dico essere la somma della  prima coppia dei numeri che si presenteranno come primo e secon-  do, i quali saranno nell’esposizione emioli degli altri due.362 Poiché  inoltre occorre un rapporto epitrite, dal momento che il primo e il  terzo numero devono essere ambedue epitriti del secondo e del quar-  to, ma prologo base tra i numeri che contengono un rapporto epitri-  te è 4, allora moltiplico 630x4 e ottengo 2520, che divido per la  somma delle basi che contengono il rapporto epitrite,363 cioè 7, e  ottengo la settima parte che è il numero 360, che mi risulta essere la  somma della seconda coppia di numeri che si presenteranno come  primo e terzo, che presi insieme saranno epitriti del secondo e del  quarto. Allo stesso modo, poiché c'è bisogno del rapporto epiquarto,  perché il primo e il quarto numero siano ambedue epiquarti dei due  intermedi, ma prologo base tra i numeri che contengono un rapporto  epiquarto è 5, allora moltiplico 630x5 e ottengo 3150, che divido per  la somma delle basi che contengono il rapporto epiquarto,3% cioè 9,  e ottengo cosi la nona parte, cioè 350, che io dico essere la somma  della terza coppia di numeri, cioè primo e quarto, che presi insieme  saranno epiquarti [68] del secondo e del terzo. Per potere anche  distinguere le tre coppie nei quattro numeri oggetto della mia ricerca,  mi servirò del medesimo procedimento della fiorita di Timarida.  Sommerò infatti, ancora una volta, i numeri delle coppie, cioè 378,  360 e 350, sicché mi verrà fuori la somma complessiva di 1088, e    722 GIAMBLICO    ἀφαιρῶ τὸ ἐξ ἀρχῆς συγκεφαλαίωμα χλ΄. καὶ ἐπειδὴ τέσσαρές εἰσιν  οἱ ζητούμενοι ὅροι, τὸ ἥμισυ τοῦ λειπομένου ἀριθμοῦ τοῦ υνη΄ τὰ  σκθ΄ προσνέμω τῷ πρώτῳ ὅρῳ [10] τῶν ζητουμένων, ὃς πρὸς τοὺς λοι-  ποὺς τρεῖς τὴν σύγκρισιν ἕξει. ἀπὸ δὲ τοη΄, ὅσπερ ἦν τῆς πρώτης  συζυγίας ἀριθμός, ἂν ἀφέλω τὰ σκθ΄, λείπεταί μοι ρμθ΄. τοῦτον οὖν  φημι τὸν δεύτερον ἐν τῇ ἐκθέσει ἀριθμὸν εἶναι. πάλιν ἐπεὶ ἡ δευτέ-  ρα συζυγία ἀριθμός ἐ ἐστιν ὁ τῶν TE, ἀφαιρῶ τὸν αὐτὸν σκθ΄ καὶ λεί-  πεταί μοι pia”, ὅν φημι εἶναι τρίτον ὅρον ἐν τῇ ἐκθέσει. ὁμοίως. ἐπεὶ  τρίτης συζυγίας ἐστὶ τὰ TV, «ἂν» ἀφέλω σκθ΄, λείπω ρκα΄ καὶ ἴσχω  τὸν τέταρτον. ὁμοῦ οὖν τῶν τεσσάρων ὅρων τάξει τούτων σκθ΄ ρμθ΄  ρλα΄ ρκα΄ ὁ μὲν πρῶτος [20] καὶ δεύτερος συνάμφω ἔσονται τρίτου  τε καὶ τετάρτου ἡμιόλιοι, πρῶτος δὲ ἅμα καὶ τρίτος δευτέρου καὶ  τετάρτου ἐπίτριτοι, πρῶτος δὲ πάλιν καὶ τέταρτος συνάμφω δευτέ-  ρου τε καὶ τρίτου ἐπιτέταρτοι, ὅπερ ἔδει δεῖξαι. καὶ ταῦτα μὲν  ἔξωθεν ἡμῖν εἰς ἔνδειξιν τῆς τῶν ἀριθμητικῶν ἐπανθημάτων γλαφυ-  ρίας οὐκ ἀσκόπως παρηδολεσχείσθω.   Ἐπανιτέον δὲ ἐπὶ τὴν τῶν πολυγώνων θεωρίαν καὶ [69] προσεκ-  τέον πῶς καὶ καθ᾽ ὅλων αὐτῶν τὸ διάγραμμα συμβαίνοι τοὺς συνε-  χεῖς ἀπὸ μονάδος ἀριθμούς, εἰ προεκτεθείησαν κατὰ πρῶτον στί-  χον, γνώμονας εἶναι τοῦ συνεχοῦς αὐτοῖς τριγωνικοῦ στίχου, τοῦ δὲ  τετραγωνικοῦ3 τοὺς παρ᾽ ἕνα καὶ τοῦ πενταγωνικοῦϑ6 τοὺς παρὰ  δύο καὶ «τοῦ ἑξαγωνικοῦ τοὺς»37 παρὰ τρεῖς καὶ ἑξῆς ἀκολούθως.  καὶ οἱ μὲν τοῦ ἑπταγώνου πάντες γνώμονες ὁμοκατάληκτοι ἔσονται  τοῖς πρώτοις δυσὶ τῷ τε α΄ καὶ τῷ ς΄, οἱ δὲ τῶν ἄλλων κατ᾽ ἄλλας καὶ  ἄλλας θεωρίας, ὥσπερ ἐν τῇ [10] τοῦ ἑξαγώνου ἐκθέσει πάντες οἱ  τέλειοι εὑρεθήσονται. καὶ ἴδιόν τι τοῖς ἑξαγώνοις συμβεβηκὸς  ἔσται τὸ καὶ τριγώνοις εἶναι πᾶσιν, οὐκέτι μὴν τοῖς τριγώνοις πᾶσι  τὸ καὶ ἑξαγώνοις εἶναι συμβήσεται, ἀλλ᾽ ἢ μόνοις τοῖς παρ᾽ ἕνα,  τουτέστι τοῖς ἡμίσεσι τοῖς α΄ ς΄ ιε΄ κη΄ με΄, ἵνα καὶ ἐνταῦθα τὸ ἥμισυ  τῷ δύο οἰκείως συζυγῇ. ἐπεὶ γὰρ διπλάσιος ὁ ἑξάγωνος κατὰ τὰς  γωνίας τε καὶ πλευρὰς τοῦ τριγώνου, διὰ τοῦτο τοὺς ἡμίσεις παρέ-  ξει ἀφ᾽ ἑαυτοῦ ὁ τριγωνικὸς στίχος ἑξαγώνους, οἱ δ᾽ ἐν τῇ ἐκθέσει    35 τετραγωνικοῦ ho mutato io seguendo Tennulius: παρ᾽ ἕνα Pistelli.   36 πενταγωνικοῦ ho mutato io seguendo Tennulius: παρὰ δύο Pistelli.   37 τοῦ ἐξαγωνικοῦ τοὺς ho integrato io: τοῦ παρὰ τρεῖς τοὺς integrò  Pistelli.   38 κατὰ τὰς γωνίας τε καὶ πλευρὰς congetturò Heiberg e accolse Pistelli  solo in Add. et Corr. p. VII: καταστὰς γωνίας te καὶ πλευρᾶς.    INTRODUZIONE ALL'ARITMETICA DI NICOMACO 723    ancora una volta sottraggo la somma iniziale, cioè 630. E poiché sono  quattro i termini che cerco, prendo la metà del resto 458, e cioè 229365  e l'assegno al primo dei termini che cerco e che sarà combinato con  gli altri tre. Da 378, che sarebbe il numero della prima coppia, devo  sottrarre 229,)66 e mi resta 149.397 Questo dunque, io dico, è il secon-  do numero dell’esposizione. Ancora, poiché il numero della seconda  coppia è 360, sottraggo lo stesso numero 229 e mi resta il numero 131,  che io dico essere il terzo termine dell’esposizione. Allo stesso modo,  poiché il numero della terza coppia è 350, devo sottrarre 229, e mi  resta 121, e ho cosi il quarto termine. Poiché dunque i quattro termi-  ni sono, nell’ordine, i seguenti: 229, 149, 131, 121, il primo e il secon-  do presi insieme saranno emioli del terzo e del quarto, mentre il  primo e il terzo insieme saranno epitriti del secondo e del quarto, e a  loro volta il primo e il quarto saranno epiquarti del secondo e del  terzo, che è ciò che si doveva dimostrare.368 E tutto questo discorso  non dev'essere considerato estraneo al nostro scopo, bensi detto al  fine di mostrare l’eleganza delle fiorite aritmetiche.   Ma occorre tornare alla teoria dei numeri poligonali [69] e osser-  vare come anche nel diagramma di tutti i numeri possa accadere che  i numeri in successione a partire da 1, se esposti in una prima linea,  siano gnomoni della linea ad essi successiva fatta di numeri triangola-  ri,)69 se esposti saltandone uno per volta, siano gnomoni della linea  dei quadrati,370 se esposti saltandone due per volta, siano gnomoni  della linea dei pentagoni,}7! se esposti saltandone tre per volta, siano  gnomoni della linea degli esagoni,}72 e cosî via in successione. E tutti  i gnomoni del numero ettagonale avranno terminazione uguale a  quella dei primi due, cioè 1 e 6,27) mentre i gnomoni degli altri nume-  ri poligonali avranno terminazione secondo diverse visioni,?74 cosi  come si scoprirà che nell'esposizione del numero esagonale ci sono  tutti numeri perfetti. E peculiarità dei numeri esagonali sarà l'essere  anche tutti numeri triangolari, mentre peculiarità dei numeri triango-  lari non sarà più l'essere anche tutti numeri esagonali, bensi solo uno  sf e uno no, cioè una metà di essi, ad esempio 1, 6, 15, 28, 4575 in  modo che anche in questo caso la metà si combini propriamente col  2.376 Poiché infatti il numero esagonale è doppio di quello triangola-  re per angoli e lati, è per questo che la linea dei numeri triangolari  presenterà da sé la metà dei numeri esagonali, che nell'esposizione dei    724 GIAMBLICO    τῶν ἑξαγώνων τέλειοι ἅμα καὶ [20] tpiyovoi εἰσιν. ἐν δὲ τῇ τοῦ πεν-  ταγώνου, ἔνθα δύο ἄρτιοι ἀνὰ μέσον τῶν δύο συζυγιῶν περισσῶν, ὁ  μὲν ἕτερος ἀναγκαίως τῶν ἀρτίων ἀρτιοπέρισσός ἐστιν, ὁ δὲ λοιπὸς  περισσάρτιος. καὶ πολλὰ ἄλλα παρακολουθήματα γλαφυρὰ εὕροι  τις ἂν συντείνων ἑαυτὸν συμβεβηκότα τῷ τῶν πολυγώνων διαγράμ-  ματι, οἷον ὅτι ἐπὶ βάθος οἱ πρῶτοι μετὰ τὰς μονάδας ὁ ἐφεξῆς ἀριθ-  μός ἐστιν, οἱ δὲ δεύτεροι κοινῇ μὲν διαφορᾷ [70] χρώμενοι τριάδι,  τάξει δὲ οἱ ἐπιμόριοι ἀφ᾽ ἡμιολίου ἀρχόμενοι, οἱ δὲ τρίτοι ἐπιμε-  ρεῖς κοινῇ μὲν ἐξάδα διαφορὰν ἔχοντες ὀνομαζόμενοι δὲ τάξει τινὶ  ἄλλῃ πρὸς ἀλλήλους; ἐπιτριμερεῖς μὲν γάρ, ἀλλὰ πέμπτα τὰ μέρη  ἐπὶ τοῦ πρώτου, ἐπὶ δὲ τοῦ ἑξῆς ὄγδοα, εἶτα ἐνδέκατα, εἶτα τεσσα-  ρεσκαιδέκατα, ἑξῆς ἀκολούθως, ὀνομαζομένων τῶν μορίων ἀεὶ  κατὰ τὸ τοῦ ὑπολόγου ἥμισυ καὶ τῇ συζυγίᾳ τῆς ἐπιμερότητος. ἐμ-  φανέστερον δὲ εὑρίσκεται ὁ ἐν τῷ διαγράμματι ἕκαστος μὲν [10]  τετράγωνος σύστημα ὧν τοῦ ὑπὲρ αὐτὸν τριγώνου καὶ τοῦ πρὸ ἐκεί-  νοῦ ὁμοειδοῦς, ἅπας δὲ πεντάγωνος τοῦ κατ᾽ αὐτὸν ἐπὶ βάθος τριγώ-  νου καὶ δὶς τοῦ πρὸ ἐκείνου, καὶ πᾶς ἑξάγωνος τοῦ κατ᾽ αὐτὸν ἐπὶ  βάθος τριγώνου καὶ τρὶς τοῦ πρὸ ἐκείνου, καὶ ἑπτάγωνος ὁμοίως τοῦ  κατ᾽ αὐτὸν καὶ τετράκι τοῦ πρὸ ἐκείνου, καὶ ἀεὶ τὸ αὐτὸ συμβήσε-  ται κατὰ πρόσθεσιν μονάδος τῆς ποσότητος παρανυξομένης. πάλιν ὁ  δεύτερος τετράγωνος ὁ θ΄ σύστημά ἐστι τοῦ ὑπὲρ αὐτὸν τριγώνου  τοῦ ἕξ καὶ τοῦ πρὸ ἐκείνου γ΄, ὡς εἴρηται. ὁ δ᾽ ὑπὸ [20] τοῦτον πεν-  τάγωνος ιβ΄ σύστημά ἐστι τοῦ ὑπὲρ αὐτὸν τετραγώνου τοῦ θ΄ καὶ τοῦ  πρὸ ἐκείνου τετραγώνου τοῦ δ΄, παρὰ τὸν α΄ διαγώνιον κείμενον  αὐτῷ πρῶτον τρίγωνον.39 ὁ δ᾽ ὑπὸ τοῦτον ἑξάγωνος ὁ ιε΄ σύστημά  ἐστι τοῦ ὑπὲρ αὐτὸν πενταγώνου τοῦ ιβ΄ καὶ τοῦ πρὸ ἐκείνου ε΄,  παρὰ δὶς τὸν αὐτὸν τρίγωνον τὸ πρῶτον α΄. ὁ δ᾽ ὑπ᾽ αὐτὸν ἑπτάγωνος  ὁ in ἐκ τοῦ ὑπὲρ αὐτὸν ἑξαγώνου τοῦ ιε΄ καὶ τοῦ πρὸ ἐκείνου τοῦ  ς΄, παρὰ τρὶς τὸν αὐτὸν τρίγωνον τὸ α΄. οἱ γὰρ ἐνεργείᾳ [71] πρῶτοι  πολύγωνοι οἱ μετὰ τὰς δυνάμει μονάδας τεταγμένοι παρ᾽ οὐδὲν  ἦσαν, ἀλλά πως ἕκαστος ἐκ τοῦ ὑπὲρ αὐτὸν καὶ τοῦ πρὸ ἐκείνου.    39 70,22 5. παρὰ τὸν α΄ διαγώνιον κείμενον αὐτῷ πρῶτον τρίγωνον ho  congetturato io: παρὰ τὸν ε΄, διαγωνίου κειμένου αὐτῷ ἑνὸς τριγώνου  Pistelli, che però sospettò giustamente che fosse corrotto τὸν ε΄ e che ci si  aspetterebbe τὸν πρῶτον τρίγωνον τὸ α΄ (cf. appar. ad loc.): παρὰ τὸν ἐπὶ  διαγωνίου κείμενον αὐτῷ πρῶτον τρίγωνον Heiberg. Se si volesse preferire  la lectio tràdita, mutando soltanto la ε΄ in α΄, il senso non cambierebbe: «sot-  tratto 1, essendo questo l’unico triangolare posto diagonalmente ad esso».    INTRODUZIONE ALL'ARITMETICA DI NICOMACO 725 numeri esagonali sono insieme perfetti e triangolari. Nell’esposizione del numero pentagonale invece, ci sono due numeri pari al centro di due coppie di numeri dispari,377 e necessariamente l’uno dei pari è pari-dispari, l’altro dispari-pari.?78 E chi si predisponga con la dovuta tensione potrà scoprire molte altre eleganti sequenze quali proprietà del diagramma dei numeri poligonali, come ad esempio il fatto che,  visti in altezza, i primi dopo le unità??? differiscono di 1,380 i secondi  hanno come differenza comune [70] 3,)8! essendo nell’ordine gli epi-  mori a partire dall’emiolio,582 i terzi sono epimeri e hanno come dif-  ferenza comune 6 e prendono denominazione tra loro da un ordine  diverso; sono infatti epitrimeri, ma prendono, nella prima coppia  quinte parti,385 nella seconda ottave parti,?84 nella terza undicesime  parti,38 nella quarta quattordicesime parti,?86 e cosi di seguito; essen-  do il nome delle parti sempre in funzione della metà dell’ipologo?87  per combinazione di epimeri.388 In modo più evidente si scoprirà nel  diagramma che ogni quadrato è uguale alla somma del triangolare che  gli sta sopra e di quello che precede quest’ultimo nella stessa spe-  cie,389 e che ogni pentagonale è uguale alla somma del triangolare che  gli sta sopra nella stessa colonna e due volte il triangolare preceden-  16,30 e che ogni esagonale è uguale alla somma del triangolare che gli  sta sopra in colonna e tre volte il triangolare precedente,39! e che ogni  ettagonale parimenti è uguale alla somma del triangolare che gli sta  sopra in colonna e quattro volte quello che lo precede,}92 e accadrà  sempre la stessa cosa crescendo la quantità? per aggiunta di un’uni-  tà.:9% Ancora, il secondo quadrato, cioè 9, è somma del triangolare  che gli sta sopra, cioè 6, e di quello precedente, cioè 3, come si è  detto. Il pentagonale che gli sta sotto, cioè 12, è somma del quadrato  che sta sopra, cioè 9, e del quadrato precedente, cioè 4, sottratto il  primo triangolare posto diagonalmente ad esso, cioè 1. L'esagonale  sotto il 12, cioè 15, è somma del pentagonale che gli sta sopra, cioè  12, e di quello precedente, cioè 5, sottratto due volte lo stesso primo  triangolare, cioè 1. L'ettagonale che sta ancora sotto, cioè 18, è somma  dell’esagonale che gli sta sopra, cioè 15, e di quello precedente, cioè  6, sottratto tre volte lo stesso primo triangolare, cioè 1. I primi nume-  ri poligonali in atto, infatti, [71] ordinati dopo le unità, che sono  poligonali in potenza, nascevano senza alcuna sottrazione, bensi, in qualche modo, ciascuno dalla somma di quello che gli sta sopra e di 726 GIAMBLICO πάλιν δὲ ἐξ ἄλλης ἀρχῆς ὁ 15° τετράγωνος κατὰ τὸν τέταρτον ἐπὶ  πλάτος στίχον τεταγμένος σύστημά ἐστι τοῦ ὑπὲρ αὐτὸν τριγώνου  τοῦ ι΄ καὶ τοῦ πρὸ ἐκείνου ς΄ ὁμοίως παρ᾽ οὐδέν. ὁ δ᾽ ὑπ᾽ αὐτὸν πεν-  τάγωνος ὁ κβ΄ σύστημα τοῦ ὑπὲρ αὐτὸν τετραγώνου τοῦ ις΄ καὶ τοῦ  πρὸ ἐκείνου τοῦ θ΄, παρὰ τὸν ἐνεργείᾳ πρῶτον τρίγωνον [10] τὸν γ΄,  διαγώνιον ὄντα πρὸς αὐτόν. ὁ δ᾽ ὑπ᾽ αὐτὸν ἑξάγωνος ὁ κη΄ συνέ-  στηκεν ἔκ τε τοῦ ὑπὲρ αὐτὸν κβ΄ πενταγώνου καὶ τοῦ πρὸ ἐκείνου  ιβ΄, παρὰ δὶς τὸν αὐτὸν τρίγωνον τὸν γ΄. ὁ δ᾽ ὑπ᾽ αὐτὸν ἑπτάγωνος ὁ  λδ΄ σύστημά ἐστι τοῦ ὑπὲρ αὐτὸν ἑξαγώνου τοῦ κη΄ καὶ τοῦ πρὸ  ἐκείνου ιε΄, παρὰ τρὶς [καὶ] τὸν αὐτὸν τρίγωνον τὸν γ΄. καὶ ἑξῆς  ὁμοίως τὸ αὐτὸ συμβήσεται συμπροκοπτόντων τοῖς ἑξῆς ἐπὶ τὸ πλά-  τος λαμβανομένοις πολυγώνοις καὶ τῶν γνωμονικῶν τριγώνων. ὁ μὲν  γὰρ ἐφεξῆς εἰς τὸ πλάτος στίχος τῶν πολυγώνων, [20] οὗ ἄρχει ὁ  ιε΄ τρίγωνος, διεκταθήσεται ὁμοίως τοῖς προειρημένοις κατὰ τὸν 1°  τρίγωνον. ὁ δὲ μετ᾽ αὐτόν, οὗ ἀρχὴ κα΄, κατὰ τὸν ιε΄. καὶ ἀεὶ ὁμοίως  διεκταθήσεται ἡ προκοπὴ τῶν πολυγώνων καὶ τῶν εἰδοποιούντων  αὐτοὺς τριγώνων, ὥστε καθολικὸν ἐπ᾽ αὐτῶν εἶναι θεώρημα τοῦτο:  ἕκαστος γὰρ πολύγωνος σύστημά ἐστι τοῦ ὑπὲρ αὐτὸν μονάδι  μικρωνυμωτέρου καὶ τριγώνου τοῦ ἑνὶ βαθμῷ ὑποβεβιβασμένου. καὶ τὰ μὲν [72] τοῖς ἐπιπέδοις ἀριθμοῖς συμβαίνοντα ὡς ἐν ἐπι- δρομῇ ἐπὶ τοσοῦτον ἡμῖν δεδείχθω. Ἐπεὶ δὲ καὶ περὶ ἑτερομηκῶν λέγειν καιρός, διότι τῆς τῶν ἐπι-  πέδων ἰδιότητός εἰσι καὶ αὐτοί, ἄξιον θαυμάσαι τῶν περὶ  Πυθαγόραν τὴν περὶ τὰ μαθήματα σπουδήν τε καὶ ἀκρίβειαν᾽ κατι-  δόντες γὰρ οἱ σοφώτατοι πάντας τοὺς ἐν ἀριθμῷ λόγους ποικιλωτά-  τους ὄντας καὶ ἀπείρους τὸ πλῆθος ἀπὸ μονάδος ἅπαντας, ὥσπερ  ἀπὸ κοινῆς τινος ῥίζης, φυομένους καὶ εἰς τὸ [10] ἐνεργείᾳ ἀπὸ  δυνάμεως μεθισταμένους ἀρτίους τε καὶ περισσοὺς καὶ καθ᾽  ἑκάτερον τοὺς εἰδικοὺς αὐτῶν τελείους τε καὶ τοὺς ἐναντίους, ἔτι  μὴν καὶ τὰς δέκα σχέσεις ἀπ᾽ αὐτῆς πλασσομένας, πολυγώνους τε  καὶ ἐπιπέδους ἀπὸ τριγώνου μέχρις ἀπείρου, ἔτι μὴν καὶ στερεούς, ὡς ἑξῆς δειχθήσεται, κατὰ πᾶν εἶδος στερεοῦ, σφαιρικοὺς λέγω καὶ κυβικοὺς καὶ πυραμιδικούς, πλευρικούς τε καὶ διαμετρικούς, καὶ 40 πλάτος corresse Heiberg: ἔπος. INTRODUZIONE ALL'ARITMETICA DI NICOMACO 727 quello precedente.3% Ancora, da un altro punto di partenza, il nume-  ro quadrato 16, che è ordinato al quarto posto in larghezza, è allo stes-  so modo397 somma del triangolare che sta sopra di esso, cioè 10, e di  quello precedente, cioè 6, senza alcuna sottrazione. Il pentagonale  che sta sotto di esso, cioè 22, è somma del quadrato che gli sta sopra,  cioè 16, e di quello precedente, cioè 9, sottratto il primo triangolare  in atto, cioè 3, che è diagonale ad esso. L'esagonale che sta sotto, cioè  28, è somma del pentagonale che sta sopra, cioè 22, e di quello pre-  cedente, cioè 12, sottratto due volte lo stesso primo triangolare in  atto, cioè 3.39 L'ettagonale che sta sotto, cioè 34, è somma dell’esago-  nale che gli sta sopra, cioè 28, e di quello precedente, cioè 15, sottrat-  to tre volte lo stesso triangolare, cioè 3. E accadrà lo stesso in succes-  sione anche ai triangolari gnomonici?* che progrediscono insieme  con i poligonali presi in successione secondo la larghezza.°0 Infatti la  successione in larghezza“! dei poligonali che hanno come inizio il  triangolare 15,492 si estenderà sempre nella misura dei triangolari pre-  cedenti, in questo caso secondo il triangolare 10;4% la colonna succes-  siva, invece, che comincia con 21, si estenderà secondo il triangolare  15.4 E cosî la progressione dei numeri poligonali si estenderà sempre  allo stesso modo di quella dei triangolari che li formano,9 sicché il  teorema generale su di essi è il seguente: ogni numero poligonale è la  somma del poligonale che ha denominazione più piccola di un'unità  e che gli sta sopra40 e del triangolare di un grado più basso.40 [72] E  a questo punto, come passo successivo a quanto abbiamo detto, dob- biamo mostrare le proprietà dei numeri piani. Poiché è il momento di parlare anche dei numeri eteromechi, giac-  ché hanno anch'essi la proprietà di numeri piani, è giusto ammirare la  cura e la precisione dei Pitagorici nelle matematiche: hanno visto,  infatti, quei sapientissimi, tutti i rapporti numerici che sono assoluta-  mente vari e di numero infinito e tutti generati dall'unità come da una  comune radice, e che, una volta passati dalla potenza all’atto, sono  pari e dispari, e in ambedue i casi specificamente perfetti o contrari ai  perfetti, e hanno visto inoltre le dieci relazioni formate dall’unità, i  numeri poligonali e piani che vanno dal triangolare all’infinito, e  ancora i numeri solidi, come si mostrerà in seguito, secondo ogni forma di figura solida, intendo dire sferici e cubici e piramidali, late- rali e diametrali, e insomma tutte quante le proprietà dei numeri che 728 GIAMBLICO ἁπλῶς ἅπαντα ὅσα συμβέβηκε τοῖς ἀριθμοῖς προσεμφαινόμενα τῇ  μονάδι «δι᾽» ἐκείνην τε καὶ ἀπ᾽ ἐκείνης διατρανούμενα «ἕνα» δὲ [20]  μόνον λόγον τὸν ἑτερομηκικὸν ἐν ἁπάσῃ τῇ θεωρίᾳ τῇ ἀριθμητικῇ  κατὰ μηδὲν αὐτῇ κοινωνοῦντα μήτε ἐν τῷ μεταλαμβάνειν μήτε ἐν τῷ  μεταδιδόναι, ἀλλ᾽ ὥσπερ ἀντίξουν αὐτῇ καὶ ἑτερογενῆ ἐπίτηδες ὑπ’  αὐτῆς τῆς φύσεως ἀναδειχθέντα πως. κατὰ τὴν τῶν ἀρχῶν τούτων  ἐναντιότητα τῶν ὄντων ἁπάντων συνισταμένων, ὡς ἑξῆς ἐπιδειχ-  θήσεται, ἡ τῆς ἁρμονίας οὐσία χώραν [73] ἀναγκαίως ἔχει, εἴ γε  «συναρμογά τίς ἐστι καὶ ἕνωσις τῶν διχοφωνεόντων καὶ τᾷ φύσει  πολεμίων ἁρμονία» κατὰ τοὺς Πυθαγορείους, καὶ ἄλλως ἐὰν Td”!  καθόλου κἀνταῦθα διαφυλάττηται τὸ «μηδὲν εἶναι ἐν τοῖς οὖσιν οὗ  τὸ ἐναντίον οὐκ ἔστιν». εὐθὺς οὖν καὶ ἐξ αὐτοῦ τοῦ ὀνόματος τῆς  ἑτερότητος τὴν ἐναντιότητα συνιδεῖν ἔστι᾽ ταὐτὸν γὰρ «ἕτερα Kai»  ἐναντία, ἡ δὲ ταυτότης καὶ ἑνότης περὶ τὴν τῆς μονάδος φύσιν φαν-  τάζεται, ὅπως καὶ μονάδα ἔφαμεν αὐτὴν κεκλῆσθαι διὰ τὸ μονὴν καὶ  [10] στάσιν ἔχειν αὐτῆς τὸν λόγον, εἴτε καθ᾽ ἑαυτὴν ἐξετάζοιτο, εἴτε  καὶ σὺν ἄλλῳ ᾧτινιοῦν᾽ εἴτε «γὰρ» ἀριθμῷ εἴτε ὄγκῳ εἴτε μεγέθει  πλησιάζοι καὶ ἀνακίρναιτο, στάσιν αὐτῷ καὶ ταυτότητα παρέχει"  ἅπαξ γὰρ τὰ ἑκατὸν ρ΄, καὶ ἅπαξ τὸ τρίγωνον τρίγωνον, καὶ ἅπαξ ὁ  ἄνθρωπος ἄνθρωπος, καὶ ἐπὶ πάντων ὁμοίως. καὶ μὴν καὶ ὅτι τῶν  περισσῶν εἰδοποιὸς ἐφάνη οὖσα ἡ μονὰς ἰδίως, γνώμονες δὲ τετρα-  γώνων ἐφάνησαν ὄντες οἱ περισσοί, ταυτότητα δὲ καὶ ἰσότητα ἐνεί-  δομεν τοῖς τετραγώνοις ὑπάρχουσαν, εὐλόγως ἂν ἡ ταυτότης ἀπὸ  μονάδος καὶ [20] διὰ μονάδα τοῖς ἄλλοις" συμβαίνειν λέγοιτο. εἰ δὲ  ἡ ταυτότης κατὰ μονάδα, ἡ ἑτερότης κατὰ τὴν ἐναντίαν δύναμιν συμ-  βήσεται τοῖς οὖσιν πάλιν γὰρ αὕτη φανήσεται ἰδίως τοὺς Étepo-  μήκεις εἰδοποιοῦσα καὶ μηδὲν τῆς μονάδος εἰς τὴν πλάσιν αὐτῶν  δεομένη, ἀλλ᾽ εὐθὺς ἑτερότητα καὶ παρατροπὴν τῆς διὰ μονάδα ταυ-  τότητος κατὰ τὰς πλευρὰς ἀπογεννῶσα. παρὰ [74] μονάδα γὰρ ἴσας  τὰς πλευρὰς παντὸς ἑτερομήκους ἀποφαίνει, διότι καὶ αὕτη παρὰ  μονάδα ἴση ἐστὶ τῇ μονάδι, καὶ πρώτη ἀνισότητος αἰτία γενήσεται  καὶ μείζονος καὶ ἐλάττονος ἐμφαντική. καὶ ἡ συνήθεια τὸ ἕτερον  ἐπὶ δυοῖν λέγει ὅθεν καὶ οἱ γεννῶντες τὸν ἑτερομήκη δύο τέ εἰσιν ἀριθμοὶ καὶ μονάδι ἀλλήλων διαφέροντες. ἐκ ταὐτοῦ, ὃ δὴ καὶ ἴσον καὶ ὅμοιον, ἐξ ἑτέρου, ὃ δὴ καὶ ἄνισον καὶ ἀνόμοιόν ἐστιν, ὡσανεὶ 41 τὸ Tennulius: tà Pistelli. 42 l’integrazione è di Vitelli. 4 l'integrazione è di Vitelli.  44 ἄλλοις congetturò Vitelli: ἀλόγοις Pistelli: λόγοις Tennulius.  INTRODUZIONE ALL'ARITMETICA DI NICOMACO 729  appaiono nell’unità e che per mezzo di essa e a partire da essa si  dispiegano in un unico rapporto eteromeche nell’intera teoria aritme-  tica, pur essendo proprietà che non hanno niente in comune con  l’unità né nel prendere né nel dare, ma che sono quasi opposte ed ete-  rogenee ad essa, accettate quasi intenzionalmente dalla sua stessa  natura. In virtà della contrarietà di questi principi, che sono, come si  mostrerà in seguito, tutti costanti, trova posto necessariamente l’es-  senza dell'armonia, [73] se è vero che «un’armonia è accordo e unio-  ne di cose dissonanti*0 e nemiche per natura», come dicono i  Pitagorici, e, in altri termini, se si deve mantenere anche in questo  caso la regola generale che dice: «non c’è niente che non abbia il suo  contrario». Ebbene, anche dallo stesso nome “diversità” è possibile  conoscere direttamente la “contrarietà”: sono la stessa cosa, infatti,  diversi e contrari, mentre identità e unità si manifestano nella natura  del numero 1, come pure dicevamo che questo è chiamato unità  ἱμονάς] perché stabilità [uovn] e immobilità hanno il principio del-  l'unità, sia questa considerata in se stessa o insieme ad una qualsiasi  altra cosa, perché accostata o mescolata che sia o al numero? o al  volume?410 o alla grandezza,#!! fornisce loro immobilità e identità; una  volta 100, infatti, fa 100,412 e una volta triangolo fa triangolo,4!3 e una  volta uomo fa uomo,4!4 e questo vale per tutte le cose. E in verità, poi-  ché si è dimostrato che l’unità dà propriamente forma ai dispari, e i  dispari sono gnomoni di quadrati, e noi vediamo che nei quadrati c'è  identità e uguaglianza, sarà ragionevole allora dire che l’identità deri-  va dall'unità ed è proprietà delle altre cose in virtà dell’unità. E se  l'identità è proprietà degli enti in virti dell’unità, la diversità lo è in  virti della potenza contraria:4! il 2, infatti, apparirà a sua volta come  il numero che dà propriamente forma ai numeri eteromechi e che per  fare questo non ha bisogno dell’ 1, ma produce direttamente diversi-  tà e deviazione nei lati per mezzo dell’ 1.416 [74] È in virti dell’unità,  infatti, che il 2 mostra uguali i lati di ogni numero eteromeche, per-  chè è per l’ 1 che esso è uguale a 1, sarà cioè anch'esso la prima causa  della disuguaglianza che esprime il più e il meno. E normalmente si  dice che la diversità è fra due cose; donde anche i numeri che genera-  no l’eteromeche sono due e differiscono tra loro di un’unità. Secondo  l'opinione dei Pitagorici, dall’identico, che è uguale e simile, e dal  diverso, che è disuguale o dissimile, nascono, come da due elementi  730 GIAMBLICO  ἐκ δύο στοιχείων πάντα διαφερόντων, γίνεσθαι [10] ἔδοξε τοῖς ἀπὸ  Πυθαγόρου πρώτιστα μὲν τὰ ἐν ἀριθμοῖς συμπτώματα διὰ τὴν τῆς  δυάδος πρὸς μονάδα ἐναντιότητα, κατὰ δὲ τὴν τούτων ἤδη μετουσί-  αν καὶ ἀφομοίωσιν καὶ τὰ ἐν κόσμῳ πάντα: τὰ μὲν γὰρ ἄλλα πάντα  τὸν ἀριθμὸν φαίνεται μιμούμενα, ὁ δὲ ἀριθμὸς «παρέχει»"5 παρ᾽   ἑαυτοῦ ἀρχὰς μονάδα καὶ δυάδα. ὡς οὖν ἀπὸ πάντων τῶν τέσσαρας  πλευράς τε καὶ γωνίας ἐχόντων σχημάτων συστείλαντες τὸ ὄνομα  τετράγωνον ἐκαλέσαμεν τὸν πάσας πλευράς τε καὶ γωνίας ἴσας  ἔχοντα, οὕτως καὶ ἑτερομήκη καλέσομεν ἀπὸ πάντων τῶν τῆς [20]  ἑτερότητος εἰδῶν κατὰ τὰς πλευρὰς τὸν ἐγγυτάτω τῆς ἑτερότητος  τὴν παρατροπὴν ἐμφήναντα, τουτέστι τὸν παρὰ μονάδα τὸ ἕτερον ἐν  τοῖς μήκεσιν ἐσχηκότα, ἀντιδιεσταλμένως λεγόμενον τῷ αὐτομ-  mixer. ὅπερ πάλιν οὐ συνιδὼν ὁ Εὐκλείδης συνέχεε κἀπὶ τούτῳ τὴν  τῆς θεωρίας ἐξαλλαγὴν καὶ ποικιλίαν, οἰηθεὶς ἑτερομήκη εἶναι τὸν  ἁπλῶς ὑπὸ διαφόρων δύο ἀριθμῶν πολλαπλασιασθέντων γινόμενον  καὶ μὴ διακρινόμενος αὐτοῦ «τὸν» προμήκη, ὅπερ εἰ συγχωρήσειέ  τις αὐτῷ, συμβήσεται τὰ ἐναντία ἀσυνύπαρκτα φύσει ὄντα ἅμα καὶ  [75] περὶ τὸ αὐτὸ εὑρίσκεσθαι" τὸν αὐτὸν γὰρ ἀριθμὸν τετράγωνον  ἀλλὰ καὶ ἑτερομήκη ἀποφαίνει ὁ ἐκείνου λόγος, οἷον τὸν λς΄ καὶ  τὸν 15° καὶ ἑτέρους πολλούς, È ὅπερ ἴσον ἂν εἴη τῷ τὸν περισσὸν ἀριθ-  μὸν ταὐτὸν εἶναι τῷ ἀρτίῳ. εἰ δέ γε ἐκεῖνοι ἀπ᾿ αὐτῆς τῆς φύσεως  καὶ οὐχ ἡμῶν θεμένων εἰς παρ᾽ ἕνα διευτακτοῦνται καὶ οὐκ ἄν ποτε  συγχυθεῖεν, οὕτως τετράγωνοι καὶ ἑτερομήκεις φυσικώτατοι καὶ  αὐτοὶ εὐταξίᾳ χρήσονται ὡς ἂν ἀπ᾽ ἐκείνων τὴν πλάσιν ἔχοντες καὶ  διακόσμησιν, ἡγουμένης [10] καὶ ἀρχούσης τῶν μὲν περισσῶν μονά-  δος, δυάδος δὲ τῶν ἀρτίων" ἐκ μὲν γὰρ τῶν α΄ γ΄ ε΄ ζ΄ θ΄ τα΄ ιγ΄ ιε΄ ιζ΄  ιθ΄ καὶ ἐφοσονοῦν συντιθεμένων, γίνονται τετράγωνοι οἱ α΄ δ΄ θ΄ 15°  κε΄ λς΄ μθ΄ ES πα΄ ρ΄ ἐκ δὲ τῶν β΄ δ΄ ς΄ η΄ ι΄ ιβ΄ ιδ΄ 15° ιη΄ κ΄ ἑτερομήκεις  οἱ β΄ ς΄ ιβ΄ κ΄ λ΄ μβ΄ νς΄ οβ΄ ζ΄ pr. καὶ οἱ μὲν ἰσάκις ἴσοι πλευρὰς  ἕξουσι τοὺς ἀπὸ μονάδος ἐφεξῆς ἀριθμούς, οἱ δὲ ἀνισάκις ἄνισοι  ἔγγιστα, τουτέστι παρὰ μονάδα τοὺς ἀπὸ μονάδος ἐφεξῆς σύνδυο,  κατὰ τὸν συνημμένον τρόπον ἐκλεγομένους, | ἵνα καὶ [20] αἱ πλευ-  ραὶ μονάδι ἀλλήλων διαφέρωσιν. ἐν μὲν οὖν τῇ τῶν τετραγώνων  γενέσει ἡ μονὰς τὴν αἰτίαν ἀποφέρεται τῆς συστάσεως; ἔν τε γὰρ τῇ  τῶν γνωμόνων περιθέσει αὕτη ἐστὶν ἡ προὐφισταμένη, ἄνευ δὲ  45 l’integrazione è mia, ma deriva da una congettura di Heiberg, il quale  tuttavia ha proposto παρέχει al posto di rap’. Quest'ultimo, a mio avviso, è  invece necessario prima di ἑαυτοῦ, come giustamente scrive Pistelli.  INTRODUZIONE ALL’ARITMETICA DI NICOMACO 731  del tutto differenti, prima le proprietà dei numeri in virti della con-  trarietà tra il 2 e l’ 1, e poi anche tutte le cose del mondo in virti della  loro partecipazione e assimilazione a quelle:4!7 tutte le altre cose infat-  ti sembrano imitare il numero, mentre il numero trae da sé i suoi pro-  pri principi cioè l’unità e la diade. Come, dunque, partendo da tutte  le figure che hanno quattro lati e quattro angoli, noi chiamiamo, per  abbreviazione, col nome di quadrato quella figura che ha uguali tutti  i lati e tutti gli angoli, cosî, partendo da tutte le specie di diversità nei  lati, chiameremo “eteromeche” quel numero che mostra la variazione  di diversità più piccola, cioè quello che ha nelle sue lunghezze la  diversità di un'unità, chiamandolo cosi‘!8 per opposizione ad “auto-  meche”. Ignorando la qual cosa, Euclide faceva ancora una volta con-  fusione, anche in questo caso*!° per il mutamento e la varietà di quel  che andava considerando, ritenendo eteromeche il numero che nasce  dalla semplice moltiplicazione di due numeri diversi senza distingue-  re da questo il numero “promeche”, per cui, se si dovesse dargli retta,  accadrebbe di trovare insieme e nello stesso numero proprietà contra-  rie incapaci per natura di coesistere: [75] egli infatti afferma che lo  stesso numero è quadrato ed eteromeche, come ad esempio 36, 16 e  molti altri, che è come dire che il numero dispari è uguale al numero  pari. Ma se quei numeri vengono bene ordinati dalla stessa natura  e non li poniamo noi alternativamente uno dispari e uno pari, in  modo da non confonderli mai,42! allora i quadrati e gli eteromechi,  che sono le specie di numeri più conformi a natura, assumeranno  anch'essi un ordine come se fossero formati e ordinati da quelli,122  essendo capofila‘2> dei dispari l’ 1, dei pari il 2: infatti da 1, 3, 5,7,9,  11, 13, 15, 17, 19, e da qualunque altra composizione di numeri  dispari, nascono i quadrati 1, 4, 9, 16, 25, 36, 49, 64, 81, 100;424 da 2,  4, 6, 8, 10, 12, 14, 16, 18, 20, nascono invece gli eteromechi 2, 6, 12,  20, 30, 42, 56, 72, 90, 110. E i numeri uguali un numero uguale di  volte425 avranno come lati i numeri in successione a partire da 1, men-  tre i numeri disuguali un numero disuguale di volte426 avranno come  lati i mumeri più vicini, cioè i numeri che a due a due differiscono di  1 a partire dall’unità, selezionati cioè in maniera tale che anche i lati  differiscano tra loro di 1. Nella generazione dei numeri quadrati, dun-  que, l’unità fornisce la causa della composizione: e infatti, nell’appli-  cazione dei gnomoni, l’unità è quella che ha sussistenza primaria, e  732 GIAMBLICO  αὐτῆς καθ᾽ αὑτοὺς τῶν περισσῶν ἡ ἐπισύνθεσις οὐκ dv γεννήσειε  τετραγώνους, ἔν τε τῇ κατὰ τὸν λεγόμενον δίαυλον ἐπισωρείᾳ τῶν  ἐφεξῆς ἀριθμῶν παρέχει ἑαυτὴν ἡ μονὰς ὕσπληγά τε καὶ νύσσαν  καθ᾽ ἑκάστην [76] ἐπισύνθεσιν᾽ ἀπ᾽ αὐτῆς τε γὰρ ἡ τῆς προβάσεως  ἀρχὴ γίνεται κατὰ τὴν γένεσιν ἑκάστου τετραγώνου, ὡς ἀπὸ  ὕσπληγος μέχρι ὡσανεὶ καμπτῆρος τῆς τοῦ ἀποτελεσθησομένου  πλευρᾶς, καὶ πάλιν ἐπ᾽ αὐτὴν ἡ ἐπάνοδος ὡς ἐπί τινα νύσσαν, κατὰ  διαφόρησιν πάντων τῶν ἀριθμῶν καὶ αὐτῆς, πλὴν τοῦ καμπτῆρος,  ὅπερ καὶ πλευρὰ ἔσται τοῦ κατ᾽ αὐτὸν τετραγώνου. οὕτως γὰρ καὶ  συμβήσεται ἕκαστον τῶν ἀριθμῶν μέχρις ἑαυτοῦ τὴν ἀπὸ μονάδος  πρόβασιν ἀναδεχόμενον καὶ ἀπ᾽ [10] αὐτοῦ τὴν ἀνάκρουσιν τῆς  παλινδρομίας ὡς ἐπὶ μονάδα ποιούμενον πλευρὰν τετραγωνικὴν  ὑπάρχειν, τὸν μὲν δύο πλευρὰν τοῦ τέτταρα τετραγώνου: α΄ γὰρ καὶ  δύο καὶ ἐξ ὑποστροφῆς πάλιν ὁ α΄, ὁ δ΄ γίνεται τετράγωνος. τὸν δὲ Y  τοῦ θ΄: α΄ γὰρ καὶ δύο καὶ τρία καὶ ἐξ ὑποστροφῆς β΄ καὶ α΄, ὁ θ΄  τετράγωνος. τὸν δὲ [τέταρτον] 46 δ΄ τοῦ 19° α΄ γὰρ καὶ β΄ γ΄ δ΄ «καὶ ἐξ  ὑποστροφῆς γ΄ β΄ α΄, ὁ 15° τετράγωνορ. καὶ μέχρι ὅσου τις θέλει διε-  λεγχέτω, εὕροι ἂν πάντας μὲν τοὺς ἐντὸς τοῦ ὑστάτου ἀριθμοῦ, ὅς  ἐστι πλευρὰ τοῦ [20] τετραγώνου, διαφορουμένους ἐν τῇ συνθέσει  κατά τε τὴν ἀπὸ μονάδος πρόοδον καὶ τὴν εἰς αὐτὴν ἐπάνοδον: μό-  νον δὲ τὸν πλευρικὸν ἀδιαφόρητον, καὶ ἀρχῆς τε ἅμα καὶ τέλους  καὶ πρὸς τούτοις μεσότητος λόγον ἔχοντα, ἀρχῆς μὲν διότι ἀπ᾽ αὖ-  τοῦ ἡ ἐπάνοδος εἰς μονάδα, τέλους δὲ διότι ἐπ᾿ αὐτὸν N πρόοδος ἀπὸ  μονάδος, μεσότητος δὲ διότι ὁρίζει τήν τε πρόοδον καὶ ἐπάνοδον,  ὡσανεὶ καμπτὴρ ὑπάρχων, καὶ μέντοι διὰ τοῦτο δύναμίς ἐστιν αὖ-  τοῦ τὸ πᾶν συγκεφαλαίωμα [77] τῶν ἐπισυντιθεμένων ἀριθμῶν κατά  τε πρόοδον καὶ ἐπάνοδον, ἐπειδὴ ὥσπερ ἐν ἀκροπόλει μόνος τεταγ-  μένος δορυφορεῖται ὡς ὑπὸ δυνάμεως τῶν λοιπῶν ἀριθμῶν κατὰ πρό-  βασιν. ἐν δὲ τῇ τῶν ἑτερομηκῶν συστάσει εἴτε γνωμονικῶς δέοι  περιτιθέναι τινὶ τὴν ἐπισωρείαν τῶν ἀρτίων, ἡ δυὰς μόνη φανήσεται  ἀναδεχομένη καὶ ὑπομένουσα τὴν περίθεσιν, ἄνευ δὲ αὐτῆς οὐ φύ-  σονται ἑτερομήκεις᾽ εἴτε κατὰ τὸν αὐτὸν δίαυλον οἱ ἐφεξῆς ἀριθ-  μοὶ συνσωρεύοιντο, ἡ μὲν [10] μονὰς ὡς ἂν ἀρχὴ οὖσα πάντων κατὰ  τὸν Φιλόλαον («οὐ γὰρ ἕν» φησιν «ἀρχὰ πάντων») καὶ τοῖς  ἑτερομήκεσιν εἰς γένεσιν ὕσπληγα ὁμοίως ἑαυτὴν παρέξει, οὐκέτι  δὲ καὶ νύσσα ἔσται τῆς καθ᾽ ὑποστροφὴν παλινδρομίας καὶ ἐπανό-  4 ho eliminato io.  47 μέντοι Vitelli: μή τι Pistelli, che avrebbe preferito eliminare.  INTRODUZIONE ALL’ARITMETICA DI NICOMACO 733  senza l’unità la somma degli stessi numeri dispari non genererebbe i  numeri quadrati,‘ e nell’accumulazione dei numeri in successione  secondo il cosiddetto “diaulo”428 l’unità si presenta come barriera di  partenza e meta finale in ciascuna [76] somma:29 dall’unità, infatti,  come da barriera di partenza, ha inizio la progressione secondo cui si  genera ciascun numero quadrato, per arrivare, come a punto di svol-  ta, al lato del numero che si produrrà, e ancora all'unità si ritorna  come a meta finale, per dissipazione di tutti i numeri e della stessa  unità, ad eccezione del punto di svolta, che sarà anche il lato del qua-  drato costruito secondo quel numero. In tal modo infatti ciascun  numero che progredisca fino a se stesso a partire dall’unità e regredi-  sca tornando da se stesso fino all'unità, costituirà il lato di un quadra-  to: cosî 2 è lato del quadrato 4: infatti la somma di 1 e 2 e ancora 1,  per regressione, fa il quadrato 4;430 3 è lato del quadrato 9: infatti la  somma di 1 e 2 e 3 e ancora 2 e 1, per regressione, fa il quadrato 9.431  4 è lato del quadrato 16: infatti la somma di 1 e 2 e 3 e 4 e ancora 3 e  2 e I, per regressione, fa il quadrato 16.422 Si discuta finché si voglia e  si scopriranno tutti i numeri dentro l’ultimo numero, che è il lato del  quadrato, numeri che differiscono nella somma a seconda che si pro-  gredisca dall’unità o si regredisca all’unità; soltanto il numero latera-  le sarà indifferente e dotato di un rapporto insieme di inizio e di fine  oltre che di medietà: di inizio perché la regressione all’unità parte da  esso, di fine perché la progressione dall’unità procede verso di esso,  di medietà perché esso delimita, come punto di svolta, sia la progres-  sione che la regressione, e appunto perciò potenza di esso43 è la  somma totale [77] dei numeri che si cumulano secondo la progressio-  ne e la regressione, poiché, come se fosse il solo numero ordinato al  comando della città, esso procede come scortato dalla potenza degli  altri numeri. Nella composizione degli eteromechi invece, nel caso si  debba fare gnomonicamente l'accumulo dei numeri pari, solo il  numero 2 apparirà come quello che ammette e sopporta tale opera-  zione, senza il 2 infatti non nasceranno gli eteromechi;44 nel caso che  i numeri in successione si accumulino secondo il suddetto criterio del  diaulo, allora sarà l’ 1 che come principio di tutti, come dice Filolao  («non è l’Uno, infatti, egli dice, principio di tutto?»)45 si presterà  anche per gli eteromechi come barriera di partenza della loro genera-  zione, anche se non sarà più meta finale nel processo di ritorno o  734 GIAMBLICO  δου, ἀλλὰ τὸ τοιοῦτον ἡ δυὰς ἀντ᾽ αὐτῆς ὑποστήσεται᾽ ταύτης γὰρ  αὐτῆς ἔσται ἡ ἐπάνοδος. ἔοικε δὲ ἡ μὲν ἀπὸ μονάδος πρόοδος μέχρι  τῶν πλευρικῶν δύο ἀριθμῶν, οἵπερ καμπτήρων λόγον ἕξουσιν ἐπὶ  τῶν ἑτερομηκῶν, γενέσει προϊούσῃ ἀπὸ τῆς κοινῆς πάντων ἀρχῆς  ὡσανεὶ ἐπ᾽ ἀκμὴν αὐτοὺς [20] τοὺς καμπτῆρας, ἡ δὲ ἀπὸ τούτων ἐπά-  νοδος ὥσπερ τις ἀνάλυσις οὖσα καὶ παρακμὴ φθορᾷ, διόπερ  εὐλόγως εἰς μὲν σύστασιν καὶ αὐτῶν τῶν ἑτερομηκῶν ὡς ἂν εἴδους  λόγον ἔχουσα ἡ μονὰς ἑαυτὴν ἐπιδώσει, εἰς δὲ ἀνάλυσιν καὶ  ὡσανεὶ φθορὰν οὐκέτι, ἀλλὰ εἰς δυάδα ὕλης λόγον ἔχουσαν κατα-  στρέψει, ὥσπερ ὁρῶμεν καὶ ἐπὶ τῶν φυσικῶν τὰ ἐν γενέσει πάντα τὸ  μὲν γίνεσθαι καὶ τόδε τι εἶναι καὶ ἕν εἶναι ἕκαστον ἔχοντα παρὰ  τὸ [78] εἶδος, τὸ δὲ φθείρεσθαι καὶ μὴ εἶναι ἀλλὰ ἀοριστεῖν παρὰ  τὴν ὕλην: εἴδους γὰρ καὶ μορφῆς στερόμενον τὸ τόδε τι ὕλη ἂν εἴη  ἀόριστος καὶ ἄποσος καὶ ἄποιος, διὰ τὴν τῆς δυάδος ἀοριστίαν καὶ  ἀνισότητα. διὰ τοῦτο ἰδίως τῶν ἑτερομηκῶν εἰδοποιὸς ἡ δυὰς ἐφάνη  οὖσα καὶ τῆς ἰδίας δυνάμεως αὐτοῖς κατὰ τὰς πλευρὰς μεταδι-  δοῦσα, τουτέστι τῆς ἀνισότητος: δύο γὰρ τὸ ἄνισον, ὑπεροχὴ καὶ  ἔλλειψις ἡ δὲ μονὰς τῶν τετραγώνων, διόπερ καὶ ἰσάκις ἴσοι᾽ ἀρχὴ  γὰρ τῶν ἴσων [10] τὸ ἔν καὶ ἡ μονάς, εἶ γε τὸ ἴσον ἕν πρὸς ἕν ἐστι,  καὶ τὰ ἴσα καθ᾽ ἕνα λόγον ἐστὶν ἴσα. δῆλον οὖν ὅτι ἀναλόγως ἐξ  εἴδους καὶ ὕλης τὰ ἐν κόσμῳ πάντα συνέστη καὶ γίνεται, ὡς ἐκ  μονάδος καὶ δυάδος τὰ ἐν ἀριθμῷ συμπτώματα πάντα. πρώτως μὲν  γὰρ εἰδοποιὸς ἑκατέρα ἡ ἀρχὴ τῶν δύο μηκῶν τοῦ ἀριθμοῦ, ἀρτίου  λέγω καὶ περισσοῦ, δευτέρως δὲ ἡ μὲν τετραγώνων ἡ δὲ  ἑτερομηκῶν, καὶ οὐκ ἐπαλλάττουσιν αἱ δυνάμεις αὐτῶν, ἀλλ᾽ ἐναν-  τιώταται οὖσαι κατὰ τὸν ἴδιον λόγον ἑκατέρα διατίθησι τὰ μετί-  σχοντα αὐτῶν. [20] ὡς γὰρ τὸ θερμὸν θερμαίνειν πέφυκε τὰ πλησιά-  ζοντα καὶ τὸ ψυχρὸν ψύχειν καὶ τὸ ὑγρὸν ὑγραίνειν, οὕτως καὶ αἱ  τῶν ὄντων ἀρχαὶ ἄμικτοι τῶν ἄλλων δυνάμεων οὖσαι πάντα τὰ μετα-  λαμβάνοντα αὐτῶν κατὰ τὰς οἰκείας δυνάμεις ῥυθμίζουσι. πέφυκε  INTRODUZIONE ALL’ARITMETICA DI NICOMACO 735  regressione, perché questo compito spetterà, invece che all’ 1, al 2:  infatti la regressione arriverà al 2. La progressione dall’ 1 fino ai due  numeri laterali, che avranno il ruolo di punti di svolta dei numeri ete-  romechi, si presenta in virti della loro generazione che procede da un  inizio comune a tutti e due45 quasi che al culmine fossero essi stessi i  punti di svolta,47 mentre la regressione a partire da questi si presen-  ta in virtà della loro risoluzione che è anche uno svanire per dissolu-  zione, per cui a ragione l’ 1 si offrirà alla composizione degli eterome-  chi come a costituirne il principio formale, mentre non si offrirà alla  risoluzione48 come loro dissoluzione, ma si convertirà in 2 che ne  costituirà il principio materiale,49 cosi come vediamo anche a propo-  sito della realtà fisica, dove tutto ciò che diviene, da una parte è un  nascere e un essere questa cosa qui e un avere una propria singolari-  tà [78] in virtà della forma, e dall’altra parte un morire e un non esse-  re, anzi un essere indeterminato in virtù della materia, perché questo  essere qual cosa privo di specie e di forma sarà appunto la materia che  è priva di determinazione e di quantità e di qualità, a causa dell’inde-  terminatezza e disuguaglianza del numero 2. Perciò il 2 è apparso  propriamente come il numero che dà forma agli eteromechi essendo  anche quello che fornisce ad essi la sua propria potenza, cioè la disu-  guaglianza, in rapporto ai lati: sono due infatti le specie di disugua-  glianza, eccesso e difetto;440 l’ 1 invece appartiene ai quadrati, che  sono perciò uguali un numero di volte uguale: l’ 1 o l’unità infatti è  principio delle cose uguali, se è vero che l’uguale è “uno a uno”, e le  cose uguali sono uguali secondo un solo rapporto. È chiaro dunque  che tutte le cose del mondo sono costituite e nascono da forma e  materia, cosî come tutte le proprietà dei numeri sono composte e  nascono da 1 e 2. Questi due numeri, infatti, costituiscono in primo  luogo il principio che dà forma alle due lunghezze del numero, inten-  do dire il pari e il dispari; in secondo luogo l’uno è principio dei qua-  drati e l’altro degli eteromechi, e le loro potenze non si scambiano le  rispettive funzioni, ma, essendo assolutamente contrarie tra loro, cia-  scuna delle due dispone le cose che di esse partecipano secondo il  proprio rapporto: come infatti il caldo per sua natura riscalda le cose  che gli si avvicinano e il freddo le raffredda e l’umido le inumidisce,  cosi anche i principi degli enti, non avendo le potenze mescolate tra  loro, regolano tutto ciò che di essi partecipa ciascuno secondo la pro-  736 GIAMBLICO  δὲ τὸ μὲν ἕν καὶ ἡ μονὰς ὁρίζειν καὶ περαίνειν kai μορφοῦν καὶ ἰσά-  ζειν καὶ σῴζειν καὶ ὅλως ἑνοποιεῖν, ἡ δὲ δυὰς μερίζειν καὶ διχάζειν  καὶ φθείρειν καὶ ὅλως ἀορισταίνειν, διόπερ ἐν τῇ εἰρημένῃ γενέσει  τῶν ἑτερομηκῶν εἰς τὴν αὐτῆς «τῆς» 48 δυάδος σύστασιν ἡ μονὰς οὐκ  [79] ἐτι ἑαυτὴν παρέξει, ἀλλ᾽ αὐτὴ καθ᾽ αὑτὴν ἡ δυὰς ὡς ἂν ἀρχὴ  οὖσα καὶ αὐτὴ εὐθὺς ἑτερομηκῶν ἐστι πυθμήν. διότι δὲ ἐξ ἀρχῆς  οὐκ ἂν εἴη, φησὶν ὁ Πλάτων, οὐκ ἂν ἔτι ἀρχὴ εἴη. εὑρίσκεται δὲ  ἀναλόγως καὶ ἐν ταῖς κοσμικαῖς ἀρχαῖς ὁ δημιουργὸς θεὸς μὴ ὧν τῆς  ὕλης γεννητικός, ἀλλὰ καὶ αὐτὴν ἀίδιον παραλαβών, εἴδεσι καὶ λό-  γοις τοῖς κατ᾽ ἀριθμὸν διαπλάττων καὶ κοσμοποιῶν. εἰς δέ γε τὰς τῶν  λοιπῶν ἑτερομηκῶν συστάσεις κατὰ μόνην τὴν πρόοδον, ὡς [10]  ἔφαμεν, ἐπιδώσει αὑτὴν ἡ μονάς, οὐκέτι δὲ καὶ εἰς τὴν ἐπάνοδον,  οἷον οὕτως ἐκ τοῦ ἕν καὶ δύο καὶ τρία ὁ ς΄ γίνεται ἑτερομήκης  συνεχὴς ὧν τῇ δυάδι καὶ πλευρὰς ἔχων δυάδα καὶ τριάδα, αἵπερ  καμπτήρων ἀμφότεραι λόγον ἔχουσιν.9 ἐν μὲν γὰρ τοῖς τετραγώνοις  διὰ τὴν ταυτότητα καὶ ἰσότητα τῶν πλευρῶν ἕνα καμπτῆρα εἶναι  συνέβαινεν, ὃς δὴ πλευρικὸς ἦν καθ᾽ ἕκαστον τετράγωνον ἀριθμός:  ἐνταῦθα δὲ ἐπὶ τῶν ἑτερομηκῶν, ὅτι διαφόρους καὶ ἀνίσους εἶναι  δεῖ τὰς πλευράς, δύο καμπτήρων ἐδέησε, κατ᾽ ἐπάνοδον [20] δ᾽ ἐπι-  συνθεῖναι κωλυόμεθα ἀριθμὸν ὑπὸ τοῦ ς΄, ἐπείπερ ὑπόκειται i  μονὰς ἀνεπίδεκτος οὖσα τῆς ἐπανόδου καὶ ἀναλύσεως. ἡ δὲ δυὰς  οὐδὲν ἔλαττον τῆς τριάδος καμπτὴρ ὑπάρχει, ἀλλ᾽ ἰσοκρατῶς ἀμφό-  τεροι πλευρικοί εἰσιν ἀριθμοὶ τοῦ ς΄ ἑτερομήκους ἐκ τοῦ δὶς τρία  «Tp ἐκ τοῦ τρὶς β΄ ποιοῦντες αὐτόν. ἅπαξ δὲ χρὴ κατὰ μόνην τὴν πρό-  οδον ἐκ πάντων ἑτερομηκῶν τοὺς καμπτῆρας λαμβάνεσθαι, ὡς καὶ  ἐπὶ τῶν τετρα [80] γώνων ἐποιοῦμεν. πάλιν ἐκ τῶν α΄ β΄ γ΄ δ΄ καὶ ἐξ  ὑποστροφῆς μόνου τοῦ β΄ ὁ ιβ΄ τρίτος ἑτερομήκης γίνεται, οὗ πλευραὶ  δύο καμπτῆρες ὅ τε γ΄ καὶ ὁ δ΄, ιβ΄ τετράκι γ΄ ἀποτελεῖται. καὶ μὴν ἐκ  τοῦ α΄ β΄ γ΄ δ΄ ε΄ καὶ ἐξ ὑποστροφῆς γ΄ β΄ ὁ ἑξῆς εὔτακτος κ΄ γίνεται,  πλευρὰς ἔχων καὶ αὐτὸς τοὺς δύο καμπτῆρας οὅ τε δ΄ καὶ ὁ ε΄»5 καὶ  ἐκ τοῦ τετράκι πέντε ἢ πεντάκι τέσσαρα γεννώμενος, καὶ τοῦτο μέ-  χρι παντὸς συμβήσεται κατὰ τὴν αὐτὴν ἔφοδον. ἔσται οὖν καὶ τοῖς  ἑτερομήκεσι ποικίλη ἡ [10] γένεσις, καθὰ καὶ τοῖς τετραγώνοις, καὶ  κατὰ σύνθεσιν καὶ κατ᾽ ἔγκρασιν καὶ κατὰ τὸν εἰρημένον δίαυλον.  48 l'integrazione è di Heiberg (cf. Add. et Corr. p. VIII).  49 αἵπερ καμπτήρων ἀμφότεραι λόγον ἔχουσιν congetturò Heiberg (cf.  Add. et Corr. p. VIII): καίπερ καμπτήρων ἀμφότεραι λόγον ἔχουσαι.  50 l'integrazione è mia.  INTRODUZIONE ALL’ARITMETICA DI NICOMACO 737  pria potenza. L' 1 o l’unità ha per natura il potere di determinare e  delimitare e dare forma e rendere uguale e conservare e in generale di  dare forma unitaria, mentre il 2 ha per natura il potere di dividere e  sdoppiare e corrompere e in generale di rendere indeterminato, per  cui nella generazione degli eteromechi di cui si è parlato l’ 1 non si  offrirà mai alla composizione del 2 come tale, [79] ché anzi, in quan-  to è anch’esso principio, il 2 è per se stesso radice diretta degli etero-  mechi. Ma poiché non era al principio,#4! dice Platone, non sarà più  principio. Ma si scoprirà per analogia che anche tra i principi del  mondo il dio demiurgo non genera, ma assume la materia che è  anch’essa eterna, per plasmarla e trasformarla in mondo per mezzo  delle forme e dei rapporti numerici. E l’ 1 si offrirà alla composizione  dei rimanenti eteromechi solo per la progressione, come dicevamo, e  non anche per la regressione: cosi ad esempio dalla somma di 1+2+3  nasce il 6 che è il numero eteromeche che viene subito dopo il 2443 ed  ha come lati 2 e 3, che fungono ambedue da punti di svolta. Nei  numeri quadrati, infatti, accadeva che il punto di svolta, per l’identi-  tà o uguaglianza dei lati, era uno solo,444 appunto il numero laterale  di ciascun quadrato; qui invece, nei numeri eteromechi, poiché i lati  devono essere diversi e disuguali, occorrono due punti di svolta, e  secondo la regressione faremo in modo che non si aggiunga alcun  numero sotto il 6, giacché sotto sta l’ 1 che non ammette regressione  o risoluzione; il 2 invece non è meno del 3 punto di svolta, anzi hanno  ambedue uguale potenza di numeri laterali del 6, che è eteromeche in  quanto nasce da 3x2 o da 2x3, che dànno lo stesso prodotto. Occorre  però che tutti gli eteromechi assumano una sola volta nella sola pro-  gressione i numeri di svolta, come facciamo anche a proposito dei  quadrati. [80] Ancora, dalla somma di 1+2+3+4 e per regressione  solo di 2 nasce il 12 che è il terzo eteromeche e ha come lati i due  punti di svolta 3 e 4: 12 infatti è prodotto di 3x4. E poi dalla somma  di 1+2+3+4+5 e per regressione di 3 e 2 nasce in buon ordine il 20  che è il successivo eteromeche e ha anch’esso come lati due punti di  svolta, 4 e 5, essendo il prodotto di 5x4 o di 4x5, e questo accadrà in  tutti secondo lo stesso procedimento. I numeri eteromechi, cosf come  i quadrati, avranno dunque varia origine sia per somma che per  mescolanza o secondo il metodo del diaulo di cui si è parlato. Per  mescolanza, come i quadrati nascevano dai seguenti prodotti: 1x1,  738 GIAMBLICO  κατὰ μὲν ἔγκρασιν, ὡς ἐγίνοντο ἐκεῖνοι ἐκ τοῦ ἅπαξ, α΄ καὶ δὶς β΄  καὶ τρὶς γ΄ καὶ τετράκι δ΄ καὶ ἐφοσον οὖν, οὕτως οἱ ἑτερομήκεις γεν-  ήσονται ἐκ τοῦ ἅπαξ β΄ καὶ δὶς γ΄ καὶ τρὶς δ΄ καὶ τετράκι ε΄ καὶ  ἐφεξῆς, κατὰ συνδυασμὸν ἐγκιρναμένων δύο ἀριθμῶν μονάδι  ἀλλήλων διαφερόντων. κατὰ δὲ σύνθεσιν, ὡς ἐκεῖνοι ἦσαν πρῶτον  εἷς περισσὸς εἶτα δύο εἶτα τρεῖς εἶτα τέσσαρες καὶ ἀεὶ ὁμοίως,  «οὕτως καὶ οἱ ἑτερομήκεις ἔσονται πρῶτον εἷς ἄρτιος εἶτα δύο εἶτα  τρεῖς εἶτα τέσσαρες καὶ ἀεὶ ὁμοίωςφ.5] οὐκέτι κατὰ συνδυασμὸν [20]  ἀλλὰ κατὰ πρόσθεσιν τὴν ἐπὶ τοῖς ἐξ ἀρχῆς. περὶ δὲ τῆς κατὰ τὸν  λεγόμενον δίαυλον αὐτῶν γενέσεως μικρῷ πρόσθεν εἴρηται. λέγεται  δὲ κατ᾽ ἔγκρασιν ἡ εἰρημένη πλάσις ἑκατέρου εἴδους, ὅτι ὁ γενόμε-  νος τοὺς γνώμονας εἰλικρινεῖς ἀποδοῦναι οὐκέτι ἔχει διὰ τὴν σύμ-  φθαρσιν, ἀλλ᾽ ἐν ταῖς διακρίσεσι συμφαίνονται ἀλλήλοις, οἷον φέρ᾽  εἰπεῖν ὁ ς΄ ἐκ τοῦ δὶς τρεῖς [81] ὧν οὐ λύεται εἰς τὸν δύο καὶ τρία,  ἀλλ᾽ ἡ σύμφθαρσις πλέον τι τῆς ποσότητος τῶν γνωμόνων ἀπετέλεσε.  τοσαυτάκις γάρ ἐστι θάτερος τῶν γνωμόνων ἐν τῷ γεννωμένῳ,  ὅσοσπερ ὁ σύζυγος αὐτοῦ ἐστι, καὶ διὰ τοῦτο συνεμφαίνεσθαι  ἀλλήλοις εἴρηνται, καθὰ καὶ ἐπὶ τῶν ἐγκιρναμένων ὑγρῶν συμβαί-  νει χυλῶν τε καὶ χυτῶν καὶ τηκτῶν καὶ τῶν ὁμοίων οὐ γὰρ ἔστιν εἰς  τὰ ἐξ ἀρχῆς τὴν διάκρισιν γενέσθαι διὰ τὸ συνεφθάρθαι καὶ συνεμ-  φαίνεσθαι τὰς ποιότητας. κατὰ δὲ [10] παράθεσιν καὶ σύνθεσιν  εἴρηται ἡ ἑτέρα πλάσις, ὅτι δυνατὸν λύεσθαι τοὺς ἀποτελουμένους  εἰς τοὺς ἐξ ὧν συνετέθησαν, οἷον τὸν ς΄ ἐκ τοῦ β΄ καὶ δ΄ συγκείμε-  νον δυνατὸν διελεῖν εἰς τοὺς αὐτούς, ὥστε καὶ πᾶν πλῆθος κατὰ  σωρείαν ἢ κατὰ συναγελασμὸν συγκείμενον εἰς ἑνιαῖα διακρίνε-  ται.52 μόνη δὲ ἀπὸ πάντων ἀριθμῶν ἡ δυάς, ὡς ἔμπροσθεν ἐμάθομεν,  τὸ κατ᾽ ἔγκρασιν τῷ κατὰ σύνθεσιν ἴσον ἀποτελεῖ, τῶν μετ᾽ αὐτὴν  ἀριθμῶν πλέον τὸ κατὰ σύγκρασιν τοῦ κατὰ σύνθεσιν ποιούντων,  τῆς δὲ πρὸ αὐτῆς μονάδος [20] ἀνάπαλιν ἔλαττον διόπερ αὐτὴν ἴσην  καὶ δικαίαν οἱ ἀπὸ Πυθαγόρου ἐκ τοῦ συμβαίνοντος ἐκάλουν, καὶ  ἐκ τοῦ τοιοῦδε τὸ σπερματικὸν αὐτῆς καὶ ἀρχοειδὲς γνωρίζεται" ὡς  γὰρ ἡ μονὰς «ἀρχοειδῶς»53 καὶ σπερματικῶς ἀδιακρίτους τοὺς ἐν  ἀριθμῷ λόγους περιέχει, οὕτω καὶ ἡ δυὰς συγκεχυμένον καὶ ἀδιά-  φορον μόνον περιέξει τὸ τῆς ἐγκράσεως καὶ τὸ τῆς παραθέσεως ἰδίω-  μα, ὅπερ οὐδὲ [82] τῇ μονάδι ὑπάρξει, ἀλλ᾽ ἔσται δυάδος ἴδιον. καὶ  ἐν τοῖς φυσικοῖς δ᾽ ἂν εὕροιμεν τὰ σπέρματα πάντα τοὺς λόγους τῶν  5! lacuna colmata da Pistelli.  52 διακρίνεται congetturò Vitelli: διακρῖναι.  5 lacuna colmata da Pistelli.  INTRODUZIONE ALL’ARITMETICA DI NICOMACO 739  2x2, 3x3 e 4x4, ecc., cosi gli eteromechi nasceranno dai seguenti pro-  dotti: 2x1, 3x2, 4x3 e 5x4, ecc., secondo un accoppiamento di due  numeri distanti tra loro di un'unità. Per somma, come i quadrati  erano prima un dispari poi due poi tre poi quattro, ecc.,44 cosî anche  gli eteromechi saranno prima un pari poi due poi tre poi quattro,  ecc.,447 e non già per accoppiamento, ma per aggiunta al numeri ini-  ziali.448 Sulla loro genesi secondo il cosiddetto diaulo, si è detto poco  fa. Si dice “per mescolanza” la formazione di ambedue le specie, per-  ché il risultato44° non si produce per fusione dei semplici gnomoni,50  i quali invece appaiono tra loro ben distinti, come ad esempio 6, che  è prodotto di 3x2, [81] non si scioglie in 2 e 3; al contrario la fusio-  ne produce più della quantità dei gnomoni. Infatti nel prodotto il  secondo gnomone è tante volte quante volte è il suo compagno di  coppia,451 e perciò si dice che i gnomoni si presentano insieme e in  rapporto reciproco, come accade anche nella mescolanza delle cose  umide, succhi o liquidi o infusi, e simili: non è possibile infatti torna-  re a distinguere gli elementi iniziali perché le qualità insieme si fon-  dono e insieme appaiono. Si è detto “per giustapposizione o somma”  l’altro tipo di formazione, perché è possibile che i numeri risultanti  si sciolgano in quelli da cui sono composti, come ad esempio il 6, che  nasce dalla somma di 2 e 4, può dividersi in questi stessi numeri, cosi  come anche ogni quantità numerica composta per accumulazione o  aggregazione si può dividere nei suoi singoli componenti. Solo il 2 fra  tutti i numeri, come si è appreso in precedenza, ha un risultato per  mescolanza uguale a quello per somma, mentre i numeri posterio-  ri a 2 danno un prodotto maggiore della somma, e viceversa il  numero 1 che precede il 2 dà un prodotto minore della somma;  perciò i Pitagorici chiamavano il 2, in ragione di questa sua proprie-  tà, “uguale”45 e “giusto”, e da questo fatto si riconosce la sua natu-  ra di seme o principio: come infatti l’ 1 contiene allo stato principia-  le e seminale i rapporti numerici, cosî anche il 2 conterrà esso solo  allo stato confuso e indistinto le proprietà della mescolanza e della  giustapposizione, cosa che [82] non accadrà all’ 1, ma sarà proprie-  tà del 2. Anche nelle cose naturali possiamo scoprire tutti i semi che  contengono allo stato confuso e indiscriminato i rapporti di ciò che  quelle sono in grado di produrre, in quanto sono in potenza ciò che  740 GIAMBLICO  ἀποτελεσθησομένων ἐξ αὐτῶν ἀδιακρίτους καὶ συγκεχυμένους  ἔχοντα, ὡς ἂν δυνάμει ὄντα ἐκεῖνα ἃ ἐξ αὐτῶν γενήσεται. πάλιν οὖν  ἐξ ἄλλης ἀρχῆς ἐπεὶ οἱ μὲν τετράγωνοι δυνάμεις εἰσὶν ἰδίῳ τινῶν  μήκει αὐξηθέντων ἀριθμῶν, ἑτερομήκεις δὲ οὐκ ἰδίῳ ἀλλ᾽ ἑτέρῳ,  οὐκ ἀπεικότως ἑτερομήκεις ἐκλήθησαν, οὗ κατὰ ἀντιδιαστολὴν  τοὺς τετραγώνους οὐκ ἦν ἀπρεπὲς [10] ἰδιομήκεις καλεῖν. οἱ δὲ  παλαιοὶ ταὐτούς τε καὶ ὁμοίους αὐτοὺς ἐκάλουν διὰ τὴν περὶ τὰς  πλευράς τε καὶ γωνίας ὁμοιότητα καὶ ἰσότητα, ἀνομοίους δὲ ἐκ τοῦ  ἐναντίου καὶ θατέρονς τοὺς ἑτερομήκεις. ἐν δὲ τῇ ἐκθέσει  ἑκατέρου εἴδους οἱ μὲν ἕνα παρ᾽ ἕνα περισσοὶ καὶ ἄρτιοι γενήσον-  ται, ὅτι οἱ τοιοῦτοι αὐτοὺς αὐξάνουσιν᾽ οἱ δ᾽ ἑτερομήκεις πάντες  ἄρτιοι, ὅτι περισσὸς ἄρτιον ἢ ἄρτιος περισσὸν μηκύνει, πᾶς δὲ  περισσὸς κατ᾽ ἄρτιον αὐξηθεὶς ἄρτιον γεννᾷ. καὶ ἐπεὶ ἐνταῦθα λό-  yov ἐσμέν, ἰστέον ὅτι χρήσιμον ἡμῖν τοῦτο [20] ἔσται τὸ παράδειγ-  μα εἰς τὸν ἐν τῇ Πλάτωνος πολιτείᾳ γαμικὸν ἀριθμόν, ἔνθα φησὶν ἐκ  δύο ἀγαθῶν ἀγαθογονίαν πάντως ἔσεσθαι καὶ ἐκ δύο τῶν ἐναντίων  τὸ ἐναντίον, ἐκ δὲ μικτῶν πάντως κακογονίαν οὐδέποτε δὲ ἀγαθογο-  νίαν. καὶ γὰρ ἐκ μὲν τῆς τῶν περισσῶν καθ᾽ ἑαυτοὺς συνόδου καὶ  ἐπισυνθέσεως ἡγουμένης μονάδος ἐγίνοντο τετράγωνοι τῆς τἀγαθοῦ  φύσεως ὄντες ἀπὸ τοιούτων αἰτία δὲ τούτου ἥ [83] τε ἰσότης καὶ πρὸ  ταύτης τὸ ἕν᾽ ἐκ δὲ τῆς τῶν ἀρτίων ἡγουμένης δυάδος ἑτερομήκεις  τῆς ἐναντίας φύσεως ὄντες, διότιπερ καὶ οἱ γεννήτορες᾽ πάλιν δὲ αἰ-  τία τούτου ἥ τε ἀνισότης καὶ πρὸ ταύτης ἡ ἀόριστος δυάς. καὶ εἰ  κρᾶσις δὲ γένοιτο καὶ ὡς ἂν εἶποι τις γάμος ἀρτίου καὶ περισσοῦ, οἱ  γεννώμενοι ἀνόμοιοι" καὶ τῆς θατέρου φύσεως εἴτε μονάδι διαφέ-  porev οἱ γεννήτορες εἴτε καὶ μείζονί τινι ἀριθμῷ ἢ γὰρ ἑτερομή-  κεις ἢ προμήκεις οἱ ἀποτελούμενοι. καὶ πάλιν ἐκ [10] μὲν τετραγώ-  νων ἀλλήλοις μιγέντων οἱ γινόμενοι τετράγωνοι, ἐκ δὲ ἑτερομηκῶν  ὅμοιοι, ἐκ δὲ μικτῶν οὐδέποτε μὲν τετράγωνοι πάντως δὲ ἑτερο-  γενεῖς, καὶ τοῦτό φησιν ὁ θειότατος Πλάτων παριδόντας τοὺς τῆς  πολιτείας αὐτοῦ ἄρχοντας καὶ ἀρχούσας, διὰ τὸ μὴ τεθράφθαι ἐν  τοῖς μαθήμασιν ἢ εἰ καὶ τραφεῖεν παρενθυμηθέντας, τοὺς γάμους  φύρδην ἀναμίξειν, ἀφ᾽ ὧν φαῦλοι γενόμενοι οἱ ἔγγονοι ἀρχὴ στά-  σεῶς καὶ διαφορᾶς τῇ συμπάσῃ πολιτείᾳ γενήσονται. ἵνα δὲ καὶ  54 ἀνόμοιοι mutò Vitelli: ὄγκοι.  55 θατέρου sospettò Pistelli: καθ᾽ ἑκατέρου.  INTRODUZIONE ALL’ARITMETICA DI NICOMACO 741  da esse sarà generato. Partendo di nuovo da un altro punto, dunque,  poiché i quadrati sono potenze di numeri aumentati per la propria  lunghezza, mentre gli eteromechi sono potenze di numeri aumentati  per una lunghezza non propria ma diversa, e perciò hanno ricevuto  non a torto tale nome, allora per contrapposizione non sarebbe scon-  veniente chiamare i quadrati “idiomechi”. Gli antichi li chiamavano  “identici” e “simili”,456 per il fatto che hanno lati e angoli simili e  identici, e al contrario chiamavano gli eteromechi “dissimili” e “diver-  si”. Nell’esposizione dell'una e dell’altra forma di numero, i quadrati  saranno alternativamente dispari e pari, perché sono prodotti di  numeri dispari e di numeri pari,497 gli eteromechi invece saranno tutti  pari, perché il dispari moltiplica il pari e il pari il dispari,498 e ogni  dispari moltiplicato da un pari produce un pari.459 E poiché siamo  giunti a parlare di ciò, bisogna sapere che questo esempio ci è utile a  proposito del “numero nuziale” di cui parla Platone nella  Repubblica,46 là dove dice che due genitori buoni generano figli asso-  lutamente buoni, e due genitori cattivi figli assolutamente cattivi, e  due genitori assolutamente misti figli cattivi e mai buoni. E infatti da  numeri dispari uniti o sommati tra loro a partire da 1 nascono qua-  drati, che appartengono alla natura del bene perché generati da tali  numeri: causa di ciò sono [83] l’uguaglianza e l’uno che la precede;  dalla somma dei numeri pari a partire da 2 nascono, invece, eterome-  chi, che sono di natura contraria al bene, cosi come i numeri che li  generano; causa di ciò sono, a loro volta, la disuguaglianza e la diade  indeterminata che la guida. E se poi si fa una moltiplicazione o, come  si potrebbe dire, un matrimonio tra un pari e un dispari, nascono dis-  simili e della natura del diverso, sia che i generanti differiscano di  un'unità o di un numero maggiore: i risultati infatti saranno o etero-  mechi41 o promechi.462 E ancora, se si moltiplicano tra loro* dei  quadrati, i risultati sono quadrati, e se si moltiplicano eteromechi i  risultati sono della stessa specie,464 mentre se si moltiplicano dei  misti non nascono mai quadrati ma numeri eterogenei, e se i gover-  nanti, uomini e donne, della sua repubblica, dice il divinissimo  Platone, non prestano attenzione a tutto ciò, perché non sono stati  istruiti nelle matematiche o, anche se istruiti, le disprezzano, mesco-  leranno alla rinfusa i matrimoni, da cui poi nasceranno cattivi figli che  saranno principio di discordia e di divisione per l’intera repubblica.    742 GIAMBLICO    μάθωμεν τὴν ἑκατέρου εἴδους τετραγώνων καὶ [20] ἑτερομηκῶν,  ἐναντιωτάτης περ ὄντων φύσεως, ἐναρμόνιον καὶ συμφυεστάτην σύ-  ζευξιν, ἐκθετέον στιχηδὸν καὶ παραλλήλως ἑκατέρους ἀπὸ τῆς οἰ-  κείας ἀρχῆς, τετραγώνους μὲν ἀπὸ μονάδος ἀπὸ δὲ δυάδος  ἑτερομήκεις, οὕτως" α΄ δ΄ θ΄ 19° κε΄ λς΄ μθ΄ ξδ΄ πα΄ ρ΄ β΄ ς΄ ιβ΄ κ΄ λ΄ μβ΄  ve’ οβ΄ q' ρι΄ καὶ προσεκτέον πῶς ὁ πρῶτος τῶν θατέρων πρὸς «τὸν»  [84] πρῶτον τῶν ταὐτῶν περιέχει τὸν πυθμενικὸν λόγον τοῦ πρώτου  τῶν πολλαπλασίων, ὁ δὲ δεύτερος πρὸς «τὸν» δεύτερον ἀπὸ πυθμέ-  νος τοῦ πρώτου τῶν ἐπιμορίων, ὁ δὲ τρίτος πρὸς [γ] τὸν τρίτον ἀπὸ  πυθμένος τοῦ δευτέρου τῶν ἐπιμορίων, καὶ ὁ τέταρτος πρὸς τὸν τέ-  ταρτον ἀπὸ πυθμένος τοῦ τρίτου τῶν ἐπιμορίων, καὶ τοῦτο ἐφ᾽ ὅσον  τις θέλει ἐξετάζων εὑρήσει εὐτάκτως προχωροῦν. διαφορὰ δ᾽ ἔσται  αὐτοῖς πᾶσι πρὸς πάντας καθ᾽ ἑκάστην συζυγίαν ἐξεταζομένοις ὁ  [10] ἑξῆς ἀπὸ μονάδος ἀριθμός. καθ᾽ ἑαυτοὺς δὲ ἐξεταζομένων τῶν  στίχων, ἐπὶ μὲν τῶν ὁμοίων οἱ ἀπὸ τριάδος περισσοὶ ἔσονται διαφο-  ραί, ἐπὶ δὲ τῶν ἀνομοίων οἱ ἀπὸ τετράδος ἄρτιοι. καὶ πάλιν ἑκάστη  διαφορὰ τῶν ἀνομοίων σύνδυο λαμβανομένων πρὸς τὴν ὁμοιότητα  τῶν ὁμοίων λόγον ἕξει ἐπιμόριον, πάντως δὲ οἱ λόγοι περισσώνυμοι  γενήσονται᾽ ἐπίτριτος γὰρ καὶ ἐπίπεμπτος καὶ ἐφέβδομος καὶ ἐπέ-  ννατος καὶ ἑξῆς ἀκολούθως. πάλιν ἐκ πρώτου ὁμοίου καὶ δὶς τοῦ ὑπ᾽  αὐτὸν ἀνομοίου «καὶ δευτέρου ὁμοίου» ὁ ἀποτελεσθεὶς ὅμοιός [20]  ἐστι, καὶ ἐκ τρίτου ὁμοίου καὶ δὶς τοῦ ὑπ᾽ αὐτὸν ἀνομοίου καὶ τετά-  ρτου ὁμοίου ὁ γενόμενος ὅμοιος, καὶ ἀεὶ οὕτως ποιοῦντες, ὥστε  ἄρχειν τῆς προτέρας γενέσεως τὸ τέλος τῆς ὑστέρας, ὁμοίους πά-  viag γεννήσομεν. εἰ δὲ ἀνάπαλιν ἀρξαίμεθα ἀπὸ τῶν ἀνομοίων  ἄκρους αὐτοὺς τάσσοντες, μέσους δὲ τοὺς ὁμοίους καθ᾽ ἑκάστην  σύζευξιν, ἀνόμοιοι πάντες γενήσονται καὶ τῆς θατέρου φύσεως. εἰ  δὲ μὴ τοὺς ἰσοταγεῖςδό μεσεμβολοίημεν ὁμοίους, ἀλλὰ τοὺς ἐφεξῆς  [85] ἀεὶ καθ᾽ ἑκάστην γένεσιν, ἄκρους τηροῦντες τοὺς αὐτοὺς ἀνο-  μοίους, οἱ παραληφθέντες ἔσονται ὅμοιοι ὅ τε 19° καὶ ὁ λς΄ καὶ ὁ ξδ΄  καὶ οἱ ἀνάλογον. καὶ οὗτοι μὲν ἄρτιοι πάντες, ὅτι οἱ μεσεμβολού-    56 sc. τοῖς ἀνομοίοις.    INTRODUZIONE ALL’ARITMETICA DI NICOMACO 743    Ma affinché noi impariamo anche quale sia l'accoppiamento armoni-  co e più connaturale dell’una e dell'altra specie di numeri, cioè dei  quadrati e degli eteromechi, che sono di natura assolutamente oppo-  sta, bisogna esporre in file parallele ciascuno di essi a partire dal  rispettivo inizio, i quadrati cioè a cominciare da 1 e gli eteromechi a  cominciare da 2, in questo modo:  1 4 9 16 25 36 49 64 81 100  2 6 12 20 30 42 56 72 90 110   e osservare con attenzione come il primo numero della seconda fila  [84] rispetto al primo della prima fila contenga il rapporto basale466  del primo multiplo,49? il secondo rispetto al secondo il rapporto deri-  vante dalla base del primo epimorio,4 il terzo rispetto al terzo quel-  lo derivante dalla base del secondo epimorio,46 il quarto rispetto al  quarto quello derivante dalla base del terzo epimorio,470 e si troverà  che il medesimo rapporto <epimorio> , per quanto si vorrà cercare,  segue una progressione bene ordinata.!”! Se poi si esaminano tutti  questi numeri secondo ciascuna coppia, la loro differenza rappresen-  ta la serie successiva dei numeri a partire da 1.472 Se le due file sono  esaminate ciascuna singolarmente, le differenze tra numeri simili4?3  rappresentano la serie dei numeri dispari a partire da 3,474 mentre tra  numeri dissimili47> le differenze rappresentano la serie dei numeri  pari a partire da 4.476 E ancora, ciascuna differenza tra numeri dissi-  mili, presi a coppie, rispetto alla differenza corrispondente tra nume-  ri simili conterrà un rapporto epimorio, e ogni volta i rapporti saran-  no di denominazione dispari,477 perché saranno epitriti, epiquinti,  episettimi, epinoni, ecc.478 Ancora, se sommiamo il primo simile, due  volte il dissimile sotto di esso e il secondo simile, il risultato è simi-  le,479 e simile è anche quello che risulta dalla somma del terzo simile,  di due volte il dissimile sotto di esso e del quarto simile,48° e facendo  sempre cosi, in modo cioè che la somma successiva cominci con la  fine della precedente, avremo tutti risultati simili.48!1 Se viceversa  cominceremo dai dissimili, ponendo come estremi essi stessi e come  medi i simili per ciascuna coppia, i risultati saranno tutti dissimili o  della natura del diverso.482 Se invece non intercaleremo i simili dello  stesso ordine dei dissimili, ma sempre i successivi [85] per ciascuna  generazione, facendo sî che estremi siano gli stessi dissimili, allora si  otterranno i simili 16, 36, 64, e cosî via in proporzione.4 E questi    744 GIAMBLICO    μενοι ὅμοιοι κἂν περισσοὶ ὦσι dic λαμβανόμενοι μετὰ ἀρτίων τῶν  ἀνομοίων ἄκρων ἀρτίους ποιοῦσι᾽ δὶς γὰρ πᾶς περισσὸς ἄρτιος γίνε-  ται᾿ οἱ δὲ πρότεροι πάντες περισσοί, διότι ὁ ἕτερος τῶν ὁμοίων  ἄκρος πάντως ἦν περισσός, καὶ διὰ τὸ ἅπαξ λαμβάνεσθαι τὴν περισ-  σότητα ἐφύλαττον. [10] ἡ δὲ τῶν κατὰ τοὺς αὐτοὺς «τρόπους»57 τῶν  γνωμόνων σύζενξις εὐτάκτους τινὰς λόγους ἀποφαίνει᾽ ἐκ μὲν γὰρ  τοῦ [ἅπαξ]58 πρώτου ὁμοίου καὶ [δὶς]59 πρώτου ἀνομοίου καὶ [ἅπαξ]69  δευτέρου ὁμοίου ὁ ὑποδιπλάσιος λόγος φύσεται, ἐκ δὲ τοῦ δευτέρου  ὁμοίου καὶ [δὶς]61 τοῦ ὑπ᾽ αὐτὸν ἀνομοίου καὶ τοῦ ἑξῆς ὁμοίου ὁ  ἡμιόλιος,52 καὶ κατὰ τὴν τρίτην σύζευξιν ὁ ἐπίτριτος καὶ κατὰ τὴν  τετάρτην ὁ ἐπιτέταρτος καὶ ἑξῆς ἀκολούθως. καὶ ἐν τῇ τῶν παραλε-  λειμμένων ὁμοίων γενέσει ἡ σύζευξις τῶν γενομένων οὐκέτι μὲν ἐν  τῷ αὐτῷ λόγῳ τοὺς τρεῖς [20] ὅρους καθ᾽ ἑκάστην συζυγίαν ἀποφαί-  νει, ἀλλ᾽ ἐν διαφόροις, οὐ μὴν ἀνοικείοις γε, ἀλλὰ πάλιν τινὰ  φυσικὴν εὐταξίαν καὶ συγγένειαν διπλασίου λόγου πρὸς ἡμιόλιον  καὶ ἡμιολίου πρὸς ἐπίτριτον καὶ ἐπιτρίτου πρὸς ἐπιτέταρτον. ἐν μὲν  γὰρ τοῖς β΄ δ΄ ς΄ ὅροις διπλάσιος καὶ ἡμιόλιος λόγος ἐστίν, ἐν δὲ τοῖς  ς΄ θ΄ ιβ΄ ἡμιόλιος καὶ ἐπίτριτος, ἐν δὲ τοῖς ιβ΄ 19° κ΄ ἐπίτριτος καὶ ἐπι-  τέταρτος καὶ ἑξῆς ἀναλόγως, μονάδι μεγαλωνυμωτέρως τοῦ δευτέ-  ρου λόγου πρὸς τὸν σύζυγον [86] λεγομένου. πάλιν ἕκαστος ὅμοιος  μεθ᾽ ἑκάστου ὁμοταγοῦς ἀνομοίου τρίγωνον ποιεῖ᾽ οἱ δὲ γενόμενοι  τρίγωνοι ἄρχοντος τοῦ τρία αἰεὶ παρ᾽ ἕν γενήσονται οὗτοι γ΄ ι΄ κα΄  λς΄ νε΄ οη΄ ρε΄ καὶ ἀνάλογον, παραλείποντες ἐκ τῆς εὐτάκτου τῶν  τριγώνων πλάσεως τόν τε ς΄ καὶ τὸν LE' καὶ τὸν κη΄ καὶ τὸν με΄ καὶ  τὸν ἕς΄ καὶ τὸν αα΄ καὶ τοὺς τούτοις ἀνάλογον. εἰ δὲ μὴ τῇ κατὰ παρά-  λληλον μόνῃ συνθέσει χρησαίμεθα ἀλλὰ καὶ τῇ κατ᾽ ἐμπλοκὴν σῃυμ-  πλέκοντες duas πρῶτον ἀνόμοιον [10] δευτέρῳ ὁμοίῳ καὶ δεύτερον  ἀνόμοιον τρίτῳ ὁμοίῳ καὶ τρίτον τετάρτῳ καὶ τέταρτον πέμπτῳ καὶ  ἀεὶ ἀκολούθως, πάντες ἑξῆς σὺν τοῖς προτέροις ἀπὸ τριάδος οἱ  τρίγωνοι φύσονται οὗτοι γ΄ ς΄ 1 ιε΄ κα΄ κη΄ λς΄ με΄ νε΄ ἔς΄ οη΄ αα΄ pe  καὶ οἱ ἑξῆς ἐπ᾽ ἄπειρον. πάλιν δὲ καὶ αὐτῶν καθ᾽ αὑτοὺς τῶν ἀνο-    57 l'integrazione è di Heiberg.   58 ho eliminato io.   59 eliminò Tennulius.   60 ho eliminato io.   61 eliminò Tennulius.   62 ἡμιόλιος Tennulius correttamente: ὑφημιόλιος.   6 ἅμα corresse Heiberg (cf. Add. et Corr. p. VIII): ἄν.    INTRODUZIONE ALL’ARITMETICA DI NICOMACO 745    saranno tutti pari, perché i simili intercalati, in quanto presi due  volte,48 anche se dispari, sommati ai dissimili estremi che sono  pari,49 fanno numeri pari: infatti ogni dispari moltiplicato per 2 è un  numero pari; tutti i dispari del primo caso, invece, poiché il secondo  estremo dei simili era assolutamente dispari, mantenevano la proprie-  tà di numeri dispari anche perché erano presi una sola volta. La com-  binazione di questi numeri486 considerati in sé come gnomoni*87  mostra alcuni rapporti bene ordinati: infatti tra il primo simile, il  primo dissimile e il secondo simile nascerà il rapporto doppio,488  mentre tra il secondo simile, il dissimile sotto di esso e il simile suc-  cessivo nascerà il rapporto emiolio,489 e nella terza combinazione  l’epitrite,19° e nella quarta l’epiquarto,49! e cosi di seguito. E nella  genesi dei simili intercalati,492 la combinazione dei numeri generati  non mostra più i tre termini di ciascuna combinazione secondo lo  stesso rapporto, ma in rapporti differenti, non certo disappropriati,  ma secondo un certo ordine ancora una volta naturale e congenere, e  cioè di rapporto da doppio ad emiolio, e di rapporto da emiolio ad  epitrite, e di rapporto da epitrite ad epiquarto <ecc.>: tra i termini 2,  4, 6, infatti, il rapporto è doppio ed emiolio,9 mentre tra i numeri 6,  9, 12, è emiolio ed epitrite,4% e tra i numeri 12, 16, 20, è epitrite ed  epiquarto4 e cosi via in proporzione, giacché il secondo rapporto è  più grande di un'unità rispetto a quello con cui lo diciamo accoppia-  to. [86] Ancora, ciascun simile!% sommato a ciascun dissimile49 che  occupi lo stesso posto, fa un numero triangolare; i numeri triangolari  che si ottengono a cominciare dal 3, saltando l’ 1, saranno i seguenti:  3, 10, 21, 36, 55, 78, 105, e gli altri in proporzione, e questi lasciano  fuori dalla formazione bene ordinata dei numeri triangolari questi  altri: 6, 15, 28, 45, 66, 91, e quelli che sono in proporzione a questi.  Se utilizziamo i numeri non solo secondo la somma sulla stessa colon-  na,498 ma anche secondo la somma su linee intrecciate, intrecciando  appunto contemporaneamente il primo dissimile con il secondo simi-  le, e il secondo dissimile con il terzo simile e il terzo col quarto e il  quarto col quinto e cosî di seguito,49? tutti i numeri triangolari che  nasceranno in successione, compresi i primi a partire dal 3, saranno i  seguenti: 3, 6, 10, 15, 21, 28, 36, 45, 59, 66, 78, 91, 105, e cosî all’in-  finito. Ma anche le metà di ciascun dissimile preso per se stesso pro-  durranno i numeri triangolari bene ordinati a partire da 1.500 Ciascuna    746 GIAMBLICO    μοίων τὰ ἡμίση τοὺς ἀπὸ μονάδος εὐτάκτους τριγώνους ποιήσει.  ἑκάστη δὲ διαφορὰ ἀνομοίων καθ᾽ ἕκαστον πρὸς ὁμοίους λόγον ἕξει  πρὸς οὖς ὧν ἐστι | διαφορὰ οὐκ ἄτακτον" οὗ μὲν γὰρ ἡμίσεια. ἔσται οὗ  δὲ τρίτον, καὶ οὗ μὲν τρίτον [20] οὗ δὲ τέταρτον, καὶ οὗ μὲν τέταρ-  τον où δὲ πέμπτον, καὶ ἀεὶ ἀκολούθως, ἀρχὴν δὲ παρέξει τῆς  τοιαύτης εὐταξίας ἡ ἡ δευτέρα συζυγία τοῦ δ΄ πρὸς ς΄ τῇ γὰρ πρώτῃ  συζυγίᾳ τῇ α΄ πρὸς δύο οὐχ ὑπάρξει τὸ τοσοῦτον διὰ τὸ ἀμερὲς εἶναι  τὸ ἕν καὶ τὴν μονάδα εἴδους καὶ ταυτότητος λόγον ἔχουσαν. πρώτη  δὲ δυὰς ἐπιδεκτικὴ ἔσται μερισμοῦ καὶ διακρίσεως, τῆς θατέρου φύ-  σεως οὖσα καὶ τὸν τῆς ὕλης λόγον ἀναδεδεγμένη, καὶ ἐπεὶ συζυγὴς  οὖσα τῇ μονάδι δι᾽ ἐκείνην ἐκωλύθη τῆς εἰρημένης εὐταξίας τῶν  μορίων ἄρξαι, αὐτὴ [87] διαφορὰ οὖσα τῆς δευτέρας συζυγίας  εὑρίσκεται, τοῦ μὲν τέσσαρα ἡμίσεια οὖσα, τοῦ δὲ ς΄, γον. ἀλλὰ καὶ  πρὸς τὸν δ΄ συγκρινομένη οὐδὲν ἧττον «Tv» διαφορὰν πρὸς αὐτὸν  φυλάττει. καὶ ἐπειδὴ τῇ κατὰ τὰς διαφορὰς ποσότητι ἀδιαφοροῦσιν  οἱ τρεῖς ὅροι οἱ β΄ δ΄ ς΄, [καὶ ]65 ποιότητι τῇ κατὰ τοὺς λόγους διαφέ-  povor: διπλάσιος μὲν γὰρ ὁ δ΄ τοῦ β΄, ἡμιόλιος δὲ ὁ ς΄ τοῦ δ΄. ὁ δὲ  αὐτὸς ς΄ πρὸς τὸν ἑξῆς ὁμοίως συγκρινόμενος τὸν θ΄, ποιότητι μὲν οὐ  διοίσει τὸν γὰρ αὐτὸν ἡμιόλιον λόγον [10] φυλάξει, ὑπόλογον È ἑαυ-  τὸν παρέχων, ὥσπερ καὶ πρὸς τὸν δ΄ τοῦ αὐτοῦ λόγου πρόλογος ἦν᾽ τῇ  δὲ κατὰ τὴν διαφορὰν ποσότητι διοίσει, εἴ γε πρὸς μὲν τὸν δ΄ δυάς  ἐστιν ἡ διαφορά, πρὸς δὲ τὸν θ΄ τριάς. πάλιν ὁ θ΄ πρὸς τὸν ς΄ ἀλλὰ καὶ  πρὸς τὸν ιβ΄ συγκρινόμενος ποιότητι μὲν τῶν λόγων διοίσει, εἴ γε  τοῦ μὲν ἡμιόλιος τοῦ δὲ ὑπεπίτριτός ἐστι, ποσότητι δὲ τῇ κατὰ τὰς  διαφορὰς οὐ διοίσει᾽ τριὰς γὰρ αὐτῷ διαφορὰ πρὸς ἑκάτερον. καὶ  καθόλου ἔνθα μὲν τῇ κατὰ τὰς διαφορὰς ποσότητι διαφέρουσι τρεῖς  ὅροι οὕτως [20] λαμβανόμενοι ὡς εἴρηται, ποιότητι κατὰ τοὺς λό-  γους ἀδιάφοροι ἔσονται᾽ εἰ δὲ διαφέροιεν ποιότητι, ποσότπτι ἀδια-  φορήσουσι. καὶ ἐξ ἀλλήλων δ᾽ ἂν γνωρισθείησαν ὅμοιοί τε καὶ ἀνό-  μοιοι΄ ὁ γὰρ πρῶτος ἀνόμοιος ἐκ δὶς πρώτου ἐστὶν ὁμοίου, καὶ ὁ δεύ-  τερος ὅμοιος ἐκ δὶς πρώτου ἐστὶν ἀνομοίου, ὁ δὲ δεύτερος ἀνόμοιος  ἐξ ἑνὸς «καὶ» ἡμίσους δευτέρου ὁμοίου. πάλιν ὁ τρίτος ἀνόμοιος ἐξ  ἑνὸς καὶ τρίτου ἐστὶ τρίτου ὁμοίου, ὥσπερ καὶ τέταρτος ὅμοιος ἐξ  ἑνὸς καὶ τρίτου [88] ἐστὶ τρίτου ἀνομοίου. ὁ δὲ τέταρτος ἀνόμοιος  ἐξ ἑνὸς καὶ τετάρτου ἐστὶ τετάρτου ὁμοίου, καθὰ καὶ ὁ πέμπτος  ὅμοιος ἐξ ἑνὸς καὶ τετάρτου ἔσται τετάρτου ἀνομοίου, ὁ δὲ πέμπτος    64 l’integrazione è di Heiberg.  6 eliminò Heiberg.    INTRODUZIONE ALL’ARITMETICA DI NICOMACO 747    differenza tra un dissimile e un simile, sarà in rapporto non ordinato  rispetto ai numeri di cui è differenza: sarà dell’uno 1/2, dell’altro 1/3,  e dell'uno 1/3 e dell’altro 1/4, e dell’uno 1/4 e dell’altro 1/5, e cosi  sempre in successione, e sarà la seconda coppia, cioè 4 e 6, a dare ini-  zio a questa formazione bene ordinata: per la prima coppia, infatti,  cioè 1 e 2, non esisterà un tale rapporto per il fatto che l’ 1 è privo di  parti e l’unità ha il ruolo di forma e identità. Il primo numero ad  ammettere partizione o divisione sarà il 2, perché ha la natura del  diverso e assume il ruolo di materia, e poiché è in coppia con l° 1, il  2 è da quest’ultimo impedito a dare inizio alla suddetta formazione  bene ordinata delle parti, e si rivela [87] differenza della seconda  coppia [4 e 6], perché del 4 è 1/2 e del 6 1/3. Ma anche confrontato  col 4, il 2 mantiene nondimeno la sua differenza rispetto ad esso.50!  E poiché i tre termini, 2, 4, 6, non differiscono tra loro per quantità  di differenza [2], differiscono invece nella qualità dei rapporti: men-  tre infatti 4 è doppio di 2, 6 invece è emiolio di 4. Lo stesso 6 inve-  ce, se confrontato parimenti con il simile successivo, cioè col 9, non  differirà da esso per qualità, perché manterrà il medesimo rapporto  emiolio, perché sarà suo ipologo, come era prologo nello stesso rap-  porto rispetto al 4, mentre differirà per quantità di differenza, se è  vero che la differenza rispetto a 4 è di 2, mentre rispetto a 9 è di 3. Il  9 a sua volta, confrontato col 6, ma anche col 12, differirà per quali-  tà di rapporti, se è vero che è emiolio del primo e sotto-epitrite del  secondo, ma non per quantità di differenza, perché la differenza è  con ambedue di 3. E in generale qui i tre termini, se presi cosî come  si è detto, differiscono per quantità di differenza ma non saranno dif-  ferenti per qualità di rapporti; se invece differiscono per qualità, non  differiranno per quantità. Si potranno anche riconoscere, l’uno  rispetto all’altro, sia i simili che i dissimili: il primo dissimile, infatti,  è due volte il primo simile,502 e il secondo simile due volte il primo  dissimile, mentre il secondo dissimile è 1+1/2 il secondo simile.50%  Il terzo dissimile, a sua volta, è 1+1/3 il terzo simile,5% come anche il  quarto simile è 1+1/3 [88] il terzo dissimile.5% Il quarto dissimile è  1+1/4 il quarto simile,50 cosi come il quinto simile sarà 1+1/4 il  quarto dissimile,508 cosî come il quinto dissimile sarà 1+115 il suo  accoppiato,909 e 9 sesto 1+1/6,510 e accadrà sempre cosi in successio-    748 GIAMBLICO    ἀνόμοιος ἐξ ἑνὸς καὶ πέμπτου ἔσται τοῦ συζύγου, καὶ ὁ ἕκτος ἐξ  ἑνὸς καὶ ἕκτου, καὶ ἀεὶ ἀκολούθως τὸ αὐτὸ συμβήσεται, τοῦ μορί-  ov ὀνομαζομένου κατὰ τὴν ποσότητα τῆς χώρας ἑκάστου τῶν ἀνο-  μοίων πρὸς τὸν ὁμοιοταγῆ ὅμοιον συγκρινομένου, οὗ καὶ τὸ μόριον  ἔσται πρώτως, δευτέρως δὲ καὶ τοῦ [10] ἀνομοίου πρὸς τὸν ἑξῆς  ὅμοιον συγκρινομένου. καὶ ἄλλα πολλὰ εὕροι τις ἂν γλαφυρὰ καθ᾽  ἑαυτὸν ἐνατενίζων τῷ διαγράμματι καὶ ἀεὶ διεξετάζων τὴν ἐναρμό-  νιον σχέσιν τῶν ἐναντίων τῶν δύο δυνάμεων ταυτότητος καὶ  ἑτερότητος ἐμφαινομένων τῇ τῶν τετραγώνων καὶ ἑτερομηκῶν ἐκθέ-  σει. ἱκανὸν δὲ ἐγκώμιον ἔσται τῆς δεκάδος ἡ κατὰ τὸν εἰρημένον  δίαυλον τῶν τετραγώνων γένεσις, ὅταν ἐν μὲν τῷ πρώτῳ βαθμῷ τῶν  ἀριθμῶν, ὧν ὁρίζει αὐτὴ ἡ δεκάς, ἀπὸ μονάδος ἡ πρόοδος μέχρις  αὐτῆς γένηται καὶ πάλιν ἀπ᾿ αὐτῆς [20] ὡς ἀπὸ ἀριθμοῦ τινος διορί-  ζοντος μονάδας ἀπὸ δεκάδων ἡ ἐπάνοδος ὡς ἐπὶ μονάδα’ ἔσται γὰρ  ἐκ τῆς «δεκάδος ὡς ἀπὸ συνθέσεως τετράγωνος ὁ ρ΄ ἀριθμός, καὶ  αὐτὸς ὧν ἄρθρον διοριστικὸν δεκάδων καὶ ἑκατοντάδων, καὶ μονὰς  τριωδουμένη καλούμενος πρὸς τῶν Πυθαγορείων, ὥσπερ καὶ ἡ  δεκὰς δευτερωδουμένη μονὰς καὶ χιλιὰς τετρωδουμένη μονάς,  πλευρὰ δὲ [89] ἔσται τοῦ ρ΄ τετραγώνου αὐτὴ ἡ δεκάς, καὶ δύναμις  αὐτῆς τὸ συγκεφαλαίωμα τῆς ἐπὶ ταύτῃ ἐπισωρείας τῶν ἐντὸς αὐτῆς  ἀριθμῶν δὶς λαμβανομένων᾽ οὕτω γὰρ καὶ διαύλῳ ἀπεικάσθαι  εἴρηται ὅ τε κατὰ πρόοδον ὡς ἀπὸ ὕσπληγος τῆς ἀρχῆς καὶ ὁ κατ᾽  ἐπάνοδον ὡς ἀπὸ καμπτῆρος τοῦ τέλους τρόπος τῆς ἐπισυνθέσεως  τῶν ἀριθμῶν. εἰ δὲ τῇ δεκάδι μηκέτι μὲν καμπτῆρι, ὕσπληγι δὲ  χρησαίμεθα καὶ ἀρχῇ τῆς προόδου μέχρις ἑκατοντάδος, ἀφ᾽ ἧς πάλιν  ἡ ἐπάνοδος ἐπὶ τὴν δεκάδα [10] ἔσται, ἐκ τῆς ἐπισυνθέσεως γενήσε-  ται ὁ πρῶτος ἀριθμὸς ἡ τετρωδουμένη μονάς, ἀρθρον καὶ αὐτὸς ὧν  διοριστικὸν ἑκατοντάδων τε καὶ μυριάδων. οὐκέτι δὲ καὶ πλευρὰ  ἔσται τετραγωνικὴ τοῦ χίλια ἀριθμοῦ ἡ ἑκατοντάς" οὐδὲ γὰρ τετρά-  γωνός ἐστιν ὁ χίλια, ἀλλὰ κύβος, ἀπὸ πλευρᾶς δεκάδος. ἵνα δ᾽ ἐπι-  πεδωθῇ προμηκικῶς, πλευρὰ αὐτοῦ ἔσται ἣ ἑκατοντὰς σὺν τῇ αὐτῇ  δεκάδι,66 ὡς δῆλον εἶναι ὅτι δεήσεται ἡ ἑκατοντὰς τῆς δεκάδος εἰς  τὸ πλευρικὴν γενέσθαι. πάλιν εἰ τῇ ἑκατοντάδι ἀρχῇ χρησαίμεθα  καὶ ἀντὶ ὕσπληγος, [20] προσέλθοιμεν δὲ ἐπισυντιθέντες τὰς μετ᾽  αὐτὴν ἑκατοντάδας μέχρι χιλιάδος, καὶ ἀπὸ ταύτης ὡς ἀπὸ καμ-  πτῆρος ὁμοίως ἐπὶ τὴν ἑκατοντάδα ἐπανέλθοιμεν ὡς ἐπὶ νύςσαν,  ἔσται ἀριθμὸς ὁ τῶν μυρίων ἡ πεντωδουμένη μονάς, πλευρὰν ἔχων    66 τῇ αὐτῇ δεκάδι corresse Heiberg (cf. Add. et Corr. p. VII): τῇ καὶ  δεκάδι.    INTRODUZIONE ALL'ARITMETICA DI NICOMACO 749    ne, se la parte ha lo stesso nome della quantità del posto5!! che occu-  pa ciascun dissimile confrontato col simile occupante 9 medesimo  posto, parte che si aggiunge in questo primo caso?!? al simile, mentre  in un secondo caso?!) si aggiunge al dissimile confrontato col simile  occupante il posto successivo. E potrà scoprire molte altre cose ele-  ganti chi concentrerà la sua attenzione sul diagramma e cercherà di  esaminare sempre la relazione armonica tra le due potenze contrarie,  cioè tra l’identità e l’alterità, che si rivelano nell’esposizione dei qua-  drati e degli eteromechi. Per tessere l'elogio del numero 10 sarà suffi-  ciente vedere come si generino i quadrati secondo il metodo del diau-  lo di cui si è parlato, quando nel primo grado dei numeri,714 che ha  come confine lo stesso 10, si progredisce da 1 fino a 10 e di nuovo da  10 si regredisce fino a 1: dal 10 infatti sarà composto il quadrato 100,  che è la cerniera divisoria tra le decine e le centinaia,7!5 ed è chiama-  to dai Pitagorici “unità di terza serie”, come il 10 è chiamato “unità  di seconda serie”516 e il 1.000 “unità di quarta serie”. Lato [89] del  quadrato 100 sarà lo stesso 10, e sua potenza la somma, cumulata con  esso, dei numeri che si trovano sotto di esso!” presi due volte:58 così  infatti si dice che somiglia a un diaulo anche il modo della somma dei  numeri secondo progressione dall’inizio?!? come da barriera di par-  tenza e regressione verso la meta?20 come da punto di svolta.52! Se poi  del 10 ci serviremo non più come punto di svolta, ma come barriera  di partenza ovvero come inizio della progressione fino a 100, da cui  di nuovo?22 si regredirà fino a 10, allora dalla somma nascerà il primo  numero che è detto unità di quarta serie,52? che è anch'esso cerniera  che divide le centinaia dalle migliaia. Ma 100 non sarà più lato qua-  drato del numero 1.000, perché 1.000 non è un quadrato, bensi un  cubo di lato 10. Per renderlo numero piano secondo il rapporto di un  promeche,524 il suo lato dovrà essere 100 in unione con lo stesso 10,  in modo che sia chiaro che 100 avrà bisogno di 10 per essere numero  laterale. Se di nuovo ci serviremo del 100 come inizio o barriera di  partenza, e procederemo sommando cumulativamente le centinaia  successive a 100 fino a 1.000, e da quest’ultimo come da punto di  svolta regrediremo parimenti fino a 100 come meta, allora si otterrà il  numero di 10.000, che è l’unità quinquenaria, che in quanto quadra-  to ha come lato 100 e in quanto promeche ha come lati 1.000 e 10. In    750 GIAMBLICO    ὡς μὲν τετράγωνος τὴν ἑκατοντάδα ὡς δὲ προμήκης τὴν χιλιάδα  μετὰ τῆς αὐτῆς δεκάδος. οὕτως ἡ δεκὰς εἰς μὲν τὸ αὐτὴν πλευρικὴνδ  γενέσθαι κατὰ τὸν διαυλικὸν τρόπον οὐδενὸς τῶν «τῶν»68 ἄλλων  γενέσεων ἄρθρων τοῦ ἀριθμοῦ δεήσεται, ἑκατοντάδος λέγω καὶ  χιλιάδος: αὗται δὲ ἵνα αὐταῖς [90] τὸ τοιοῦτο συμβῇ πάντως δεήσον-  ται τῆς δεκάδος, ὅθεν αὐτῇ ἐγκώμιον τοῦτο προσενείμαμεν. λοιπὸν  δὲ εἰπεῖν καὶ ὅσα ἄλλα συμπτώματα δύναται ἐπινοεῖσθαι ὑπὸ τῶν  κατὰ τὸ φιλοθέωρον συντεινόντων ἑαυτοὺς ἐπὶ τὴν ἀνεύρεσιν τῶν  συμβεβηκότων τοῖς ἀριθμοῖς, οἷον ὅτι πᾶς τετράγωνος ἤτοι αὐτόθεν  τρίτον ἔχει, ἢ εἰ μὴ ἔχει πάντως γε τέταρτον, ἢ εἰ μηδὲ τοῦτο μονά-  δος ἀφαιρεθείσης ἐκ μὲν τρίτον ἔχοντος τέταρτον ἔχοντα ἀποτελέ-  σεις, ἐκ δὲ τέταρτον ἔχοντος τρίτον ἔχοντα, εἰ [10] δὲ μηδ᾽ ἕτερον,  ἀμφότερα' εἰ δὲ ἔχει ἀμφότερα, ἔστιν ὅτε ἡ ἀφαίρεσις τῆς μονάδος  ἀμφοτέρων στερίσκει. καὶ ἅπας ἀριθμὸς τὸν δυάδι διαφέροντα ἐφ᾽  ἑκάτερα ὁποτερονοῦν ὁμογενῆ πολλαπλασιάσας καὶ προσλαβὼν  μονάδα τετράγωνον ποιεῖ. περισσοὶ μὲν ἀρτίους ποιοῦσιν, ἄρτιοι  δὲ περισσούς. καὶ ἅπας ἀριθμὸς τὸν ἑαυτοῦ πολλαπλάσιον μηκύνας  τοσουτοπλάσιον τοῦ ἐξ αὐτοῦ τετραγώνου ποιήσει, κἂν ἐπιμόριον  κἂν ἐπιμερῆ κἂν μικτὸν λαμβάνῃς. ὁμοίως καὶ πᾶς τρίγωνος ὀκτάκι  γενόμενος καὶ προσλαβὼν μονάδα τετράγωνον ποιεῖ, [20] καὶ ἐκ  δύο τετραγώνων ἐπ᾽ ἀλλήλους γενομένων ὁ γενόμενος τετράγωνος,  καὶ ἐκ τῶν ἀπὸ μονάδος ἀνάλογον ἐὰν ὁ τῇ μονάδι ἑξῆς τετράγωνος  fl καὶ οἱ λοιποὶ τετράγωνοι ἔσονται, καὶ τριῶν τινων ἀνάλογον ὄν-  τῶν ἐὰν ὁ πρῶτος τετράγωνος ἦ καὶ ὁ τρίτος ἔσται τετράγωνος, καὶ  μετροῦντος τετράγωνον τετραγώνου καὶ πλευρὰ πλευρὰν μετρήσει,  καὶ πᾶς ἐκ δύο πλευρῶν συνεχῶν τετραγώνων μηκυνθεὶς ἀνάλογον  αὐτῶν μέσος [91] ἔσται, καὶ πολλὰ ἄλλα τοιαῦτα δι᾽ ἑαυτῶν τε προ-  θυμηθέντες εὑρήσομεν καὶ ὑπ᾽ ἄλλων ἐκπεπονημένα ἱστορῆσαι  δυνησόμεθα. τὰ νῦν δὲ μετιτέον ἐπὶ τὸν πλευρικόν τε καὶ διαμετρι-  κὸν λόγον ἱκανωτάτης ἐξετάσεως ἐν γεωμετρίᾳ τετυχηκότα, διότι  δοκεῖ κατ᾽ αὐτόν πὼς ῥυθμίζεσθαι καὶ εἰδοποιεῖσθαι τὰ σχήματα.  ὡς οὖν καὶ ἐπ’ αὐτῶν τῶν σχημάτων ἐποιοῦμεν μετάγοντες αὐτῶν  τοὺς λόγους καθ᾽ ὁμοιότητα “Kai ἐπὶ τοὺς ἀριθμούς ῥητὰ γὰρ    67 αὐτὴν πλευρικὴν congetturò Vitelli (cf. Add. et Corr. p. VIII): αὐτὴ  τὴν πλευρικὴν.  68 l’integrazione è di Heiberg.    INTRODUZIONE ALL'ARITMETICA DI NICOMACO 751    tal modo il numero 10, per divenire esso stesso numero laterale secon-  do il procedimento del diaulo, non avrà bisogno di nessun’altra gene-  razione di cerniere numeriche, intendo dire né del 100 né del 1.000;  questi ultimi invece, [90] per avere la stessa proprietà’? avranno  assolutamente bisogno del 10, e perciò noi tributiamo questo elogio  al numero 10. Resta da dire anche quante altre proprietà possano  essere immaginate da coloro che per amore di contemplazione si  industriano a scoprire tutte le proprietà dei numeri, come ad esempio  che ogni numero quadrato o ha da se stesso una terza parte o, in man-  canza di questa, ha certamente una quarta parte,?26 o, se non ha nep-  pure questa, allora, sottratta un’unità, tu potrai ridurlo da numero  avente una terza parte a numero avente una quarta parte, e da nume-  ro avente una quarta parte a numero avente una terza parte:5?” se non  ha nessuna delle due parti, le può avere ambedue,528 se invece ha  ambedue le parti, allora la sottrazione di un’unità lo priverà di ambe-  due.529 Si scoprirà anche che ogni numero che moltiplichi il numero  omogeneo?30 di differenza 2 da un lato e dall’altro, e aggiunga al pro-  dotto un’unità, produce un quadrato: i dispari producono quadra-  ti pari, i pari quadrati dispari. E ogni numero che moltiplichi il suo  proprio multiplo produrrà un numero che è tante volte quante è il suo  proprio quadrato, sia che tu prenda un numero epimorio o epimere o  misto.532 Parimenti, anche ogni numero triangolare moltiplicato per 8  con l’aggiunta di un’unità fa un numero quadrato, e da due quadra-  ti moltiplicati tra loro si ottiene un quadrato, e tra numeri proporzio-  nali a partire da 1, se quello successivo a 1 è quadrato, anche i rima-  nenti saranno quadrati, e fra tre numeri proporzionali, se il primo è  un quadrato, anche il terzo sarà un quadrato, e se un quadrato misu-  ra un quadrato, anche il lato misurerà il lato, e ogni numero che sia  prodotto di due quadrati di lati contigui farà da medio nella propor-  zione con questi, [91] e molte altre proprietà del genere potremo,  volendo, scoprire da noi stessi, o esporre quelle elaborate da altri. A  questo punto bisogna passare ad esaminare il rapporto laterale e dia-  metrale che è oggetto di attentissimo studio in geometria, perché sem-  bra che secondo tale rapporto debbano essere in qualche modo rego-  late e formate le figure geometriche. Come dunque facevamo a pro-  posito delle stesse figure geometriche trasferendo i loro rapporti  secondo somiglianza anche nei numeri, perché anche le figure si pos-    752 GIAMBLICO    κἀκεῖνα γίνεται τοῖς ἀριθμοῖς: οὕτως [10] χρὴ καὶ περὶ πλευρᾶς  καὶ διαμέτρου διαλεγομένους καὶ ἀκολουθοῦντας τῇ τοῦ ἀριθμοῦ  φύσει ἀποσῴζειν ὡς ἐνδέχεται τὴν ὁμοιότητα. οὐ γὰρ ὥσπερ ἐν  πηλίκοις πλευρᾶς λογωθείσης ἡ διάμετρος ἄλογος ἢ ἀνάπαλιν δια-  μέτρου λογωθείσης <p πλευρὰ ἄλογος, οὕτω καὶ ἐν ποσοῖς, ἀλλ᾽  ἔσται ῥητὴ πλευρὰ διαμέτρῳ, ἵνα πάντῃ ῥητὸς ἧ ὁ ἀριθμὸς καὶ τοῦτ᾽  ἐξαίρετον ἔχῃ, ὡς ἂν ἀρχικώτατος ὧν καὶ τοῖς ἄλλοις ἅπασιν αἴτιος  γενόμενος ῥητότητος. κοινὸν μὲν γὰρ ἀριθμοῖς καὶ μεγέθεσιν ὡς ἂν  ἀσωμάτοις οὖσι τὸ ἀκίνητα εἶναι, [20] ἴδιον δὲ ἀριθμοῦ τὸ μηδὲ  ἀσυμμετρίαν ἔχειν, τῶν μεγεθῶν ἐχόντων. δεῖ δὴ πάλιν ἀπὸ μονάδος  τὴν γένεσιν τοῦ πλευρικοῦ καὶ διαμετρικοῦ λόγου μεθοδεῦσαι,  ἐπειδὴ πάντων τῶν ἐν ἀριθμοῖς λόγων ἔφαμεν αὐτὴν ἀφηγεῖσθαι.  ὀνομάσαι γὰρ δεῖ δύο μονάδας τὴν μὲν πλευρὰν τὴν δὲ διάμετρον,  καὶ χρήσασθαι καθολικαῖς τισι προσθέσεσι καὶ ἀεὶ ταῖς αὐταῖς, τῇ  μὲν [92] πλευρᾷ διάμετρον προστιθέντας τῇ δὲ διαμέτρῳ δύο πλευ-  ράς, ἐπειδὴ ὅσον ἡ πλευρὰ «δὶς» δύναται ἐν γραμμικοῖς, ἡ διάμετρος  ἅπαξ. γίνεται οὖν ἡ διάμετρος μονάδι μείζων τῆς πλευρᾶς. ἡ δ᾽ ἐξ  ἀρχῆς ἄνευ τῆς προσθήκης τὸ ἀπὸ τῆς μοναδικῆς διαμέτρου δυνάμει  τετράγωνον μονάδι ἔλαττον ἢ διπλάσιον τοῦ ἀπὸ τῆς μοναδικῆς  πλευρᾶς δυνόμει τετραγώνον᾽ ἐν ἰσότητι γὰρ οὖσαι αἱ μονάδες τὴν  ἑτέραν τῆς λοιπῆς μονάδι ἐλάττονα ποιοῦσιν ἢ διπλασίαν. τῆς δὲ  [10] προσθήκης γενομένης ὡς εἵρπται, ἔσται τὸ ἀπὸ τῆς διαμέτρου  τετράγωνον τοῦ ἀπὸ τῆς πλευρᾶς μονάδι μεῖζον ἢ διπλάσιον᾽ θ΄ γὰρ  καὶ δ΄. πάλιν ἐὰν προσθῶμεν τῇ μὲν πλευρᾷ διάμετρον τῇ δὲ δια-  μέτρῳ δύο πλευράς, ἔσται ζ΄ καὶ ε΄, καὶ γίνεται τὸ ἀπὸ τῆς διαμέ-  τρου μονάδι ἔλαττον ἢ διπλάσιον τοῦ ἀπὸ τῆς πλευρᾶς; ἔστι γὰρ μθ΄  πρὸς κε΄. πάλιν εἰ ἡ αὐτὴ προσθήκη γίγνοιτο, ἔσται τὸ ἀπὸ τῆς δια-  μέτρου μονάδι μεῖζον ἢ διπλάσιον τοῦ ἀπὸ τῆς πλευρᾶς᾽ ἔστι γὰρ  σπθ΄ πρὸς ρμδ΄. καὶ δὴ ὁμοίως κατὰ τὸν αὐτὸν λόγον τῆς [20]  προσθήκης γιγνομένης ποτὲ μὲν μονάδι μεῖζον ἢ διπλάσιον ἔσται τὸ  ἀπό τοῦ ἀπό, ποτὲ δὲ μονάδι ἔλαττον, καὶ οὕτως ῥηταὶ γίνονται πρὸς  ἀλλήλας πλευραί τε καὶ διάμετροι. ἀλλ᾽ οὖν ἐπειδὴ ἐναλλὰξ ποτὲ  μὲν δυνάμει «μονάδι» μείζους εἰσὶν ἢ διάμετροι διπλάσιαι    69 l'integrazione è mia: congetturò si dovesse solo mutare δυνάμει in  μονάδι Pistelli (cf. Ad4. et Corr. p. VIII).    INTRODUZIONE ALL’ARITMETICA DI NICOMACO 753    sono ridurre, per mezzo dei numeri, a quantità razionali, così è  necessario che quando discorriamo di lati e di diametro e seguiamo la  natura del numero, noi facciamo sî che essi ammettano la somiglian-  za. Non vale infatti nelle quantità numeriche quello che vale nelle  quantità geometriche, dove il diametro ha un rapporto irrazionale  con il lato, o inversamente, il lato con il diametro:535 qui al contrario  il lato536 è una quantità razionale rispetto al diametro,” sicché il  numero è sempre una quantità razionale e ha come sua prerogativa il  fatto che, siccome è assolutamente principiale,538 è anche causa della  razionalità di tutto il resto. La proprietà di essere immobili, infatti, è  comune ai numeri e alle grandezze, in quanto sono incorporei, men-  tre è proprietà del numero il non avere affatto quella incommensura-  bilità che hanno invece le grandezze. Occorre poi investigare accura-  tamente la genesi del rapporto laterale e diametrale partendo dall’uni-  tà, giacché questa, abbiamo detto, è il punto di partenza di tutti i rap-  porti numerici. Bisogna infatti prendere due unità e denominarle una  “lato” e l’altra “diametro” 539 e servirsi di due somme universali e  sempre identiche, [92] sommando cioè al lato un diametro e al dia-  metro due lati,540 poiché in geometria il lato preso due volte vale  quanto il diametro preso una sola volta. Il diametro dunque è mag-  giore di un'unità rispetto al lato. Il diametro iniziale, invece, senza  aggiunta [1], è il quadrato potenziale del diametro 1 che è minore di  un'unità del doppio del quadrato potenziale del lato 1:54 le unità  infatti,542 essendo interne all’uguaglianza,4 fanno sî che l’una sia  minore di un’unità rispetto al doppio dell’altra. Dopo che si è fatta la  somma alla maniera suddetta, invece, il quadrato del diametro sarà  maggiore di un’unità del doppio del quadrato del lato: i due quadra-  ti sono infatti 9 e 4.54 Se sommiamo un’altra volta al lato un diame-  tro e al diametro due lati,545 si avrà 7 e 5,54 allora il quadrato del dia-  metro sarà minore di un’unità del doppio del quadrato del lato: è  infatti 49 rispetto a 25.547 Se facciamo un’altra volta la stessa  somma,54 il quadrato del diametro sarà maggiore di un’unità del dop-  pio del quadrato del lato: è infatti 289 rispetto a 144.549 E sempre alla  stesso modo, se la somma è fatta secondo lo stesso rapporto, il qua-  drato del diametro ora è maggiore di un’unità del doppio del quadra-  to del lato, ora è minore, e cosî i lati e i diametri hanno tra loro un  rapporto di quantità razionale.55° Ma poiché alternativamente nelle    754 GIAMBLICO    πλευρῶν, ποτὲ δὲ μονάδι ἐλάττους ἢ διπλάσιαι, ἔσονται κατ᾽ ἐπίνο-  tav πᾶσαι ὁμοῦ αἱ διάμετροι πασῶν ὁμοῦ τῶν πλευρῶν δυνάμει  διπλάσιαι᾽ ἀπίσωσις γὰρ γίνεται τοῦ μείζονος τῷ ἐλάττονι ἀναμι-  γέντος, διότι [93] στάσις τοῦ ὑπερέχοντος πρὸς ὑπερεχόμενον n  ἰσότης ἐστὶ, διόπερ κἀνταῦθα τὸ μονάδι μεῖζον ἢ διπλάσιον προ-  στεθὲν τῷ μονάδι ἐλάττονι ἢ διπλασίῳ ἀπισώσει τὸ πᾶν, ὥστε ἀεὶ  τὴν διάμετρον δυνάμει διπλασίαν εἶναι τῆς πλευρᾶς, καθάπερ καὶ  ἐπὶ τῶν γραμμικῶν δείκνυται. καὶ τοσαῦτα μὲν ἡμῖν περὶ τῶν τοῖς  ἐπιπέδοις ἀριθμοῖς συμβεβηκότων εἰρήσθω.   Στερεὸς δέ ἐστιν ἀριθμὸς ὁ τρίτον διάστημα παρὰ τὰ ἐν ἐπιπέ-  δοις δύο προσειληφώς, δηλονότι τετάρτου [10] ὅρου προσγενομέ-  νου ἐν γὰρ τέσσαρσιν ὅροις τὸ τριχῇ διαστατόν, ἵνα μετὰ λαβό-  ντοςὉ καὶ ληφθέντος καὶ τρίτου καθ᾽ ὃν λαμβάνεται τέταρτος αὐτὸς  î. τῶν δὴ στερεῶν ἀριθμῶν εἰσιν οἱ μὲν ἰσογώνιοί τε καὶ ἰσοεπίπε-  Sol καὶ ἰσοδιάστατοι, καθ᾽ ὁμοιότητα καὶ αὐτοὶ λαμβανόμενοι τῶν  ἐν γραμμικοῖς: καλοῦνται δ᾽ οὗτοι κύβοι καὶ τετράεδροι πυραμίδες,  ὧν πάντῃ μεταλαμβάνεται ἡ βάσις οἱ δὲ παραμηκεπίπεδοι7! καὶ  ἰσογώνιοι, ἀνισοδιάστατοι δέ, ὧν εἴδη πλινθίδες τε καὶ δοκίδες, οἱ  δὲ ἀνισεπίπεδοι καὶ ἀνισογώνιοι καὶ ἀνισοδιάστατοι, [20] καλού-  μενοι σφηκίσκοι ἢ ὥς τινες βωμίσκοι ἢ σφηνίσκοι, ἑκάστου ὀνόμα-  τος καθ᾽ ὁμοιότητα τεθέντος, οἱ δὲ μικτοὶ πάσας μὲν γωνίας παρὰ  μίαν ἴσας ἔχοντες πάντα δὲ ἐπίπεδα πάλιν παρ᾽ ἕν ἴσα πυραμίδες,  αἱ ἀπὸ «τῆς τετραγώνῳ βάσει χρωμένης ἀρχόμεναι μέχρις ἀπείρου,  ὧν οὐκέτι μετάληψις ἔσται κατὰ τὴν βάσιν, ὡς ἐπὶ τῆς τριγώνῳ βά-  σει χρωμένης συνέβαινεν. ἀναλογεῖ δὲ ἐν ἐπιπέδοις τὸ μὲν ἐν  τετραπλεύροις κυρίως [94] λεγόμενον τετράγωνον κύβῳ, τὸ δὲ  παραλληλόγραμμον πλινθίδι ἢ δοκίδι, ἤν τινες στηλίδα καλοῦσι, τὸ  δὲ τραπέζιον σφηνίσκῳ. δεῖγμα δὲ τοῦ μὲν πάντῃ ἰσάκις ἴσως διι-  σταμένου κύβου ὅ τε η΄ καὶ ὁ κζ΄ καὶ ὁ ξδ΄ καὶ ρκε΄ καὶ σις΄, ἔκ τε  τοῦ δὶς δύο δὶς καὶ ἐκ τοῦ τρὶς τρία τρὶς καὶ τετράκι τέσσαρα τετρά-  κις καὶ πεντάκι πέντε πεντάκις καὶ ἑξάκις ἕξ ἑξάκις γινόμενοι. ὧν  πάντων κύβων καλουμένων ὅσοι ἂν ἐπὶ τὸ αὐτὸ πάσῃ προβάσει κα-  ταλήγωσιν ἔτι μᾶλλον καὶ σφαιρικοὶ [10] λεγέσθωσαν, ἑνὶ πλείονι  διαστήματι αὐξηθέντες ἀπὸ κυκλικῶν καὶ αὐτῶν ὁμοκαταλήκτων    70 ἵνα μετὰ λαβόντος congetturò Heiberg: iv’ ἐκ λαβόντος congetturò  Vitelli: ἵνα καὶ λαβόντος Pistelli.   71 παραμηκεπίπεδοι Becker (cf. ed. Klein Add. p. XVII): παραλληλε-  πίπεδοι.    INTRODUZIONE ALL'ARITMETICA DI NICOMACO 755    loro potenze i diametri sono ora maggiori ora minori di un’unità  rispetto ai lati, allora tutti i diametri presi insieme potranno essere  pensati come potenzialmente doppi di tutti i lati presi insieme: infat-  ti il maggiore e il minore si eguaglieranno per mescolanza, dal  momento che [93] è uguaglianza la stabilità tra ciò che abbonda e ciò  che manca: perciò anche in questo caso la somma tra il maggiore di  un'unità del doppio e il minore di un’unità del doppio renderà ugua-  le il tutto, in modo che sempre il diametro è in potenza il doppio del  lato, come si dimostra anche in geometria. E sono queste le cose che  dobbiamo dire a proposito delle proprietà dei numeri piani.   Solido è il numero che assume una terza dimensione oltre alle due  che sono proprie dei numeri piani, perché si aggiunge evidentemente  un quarto termine: infatti è fra quattro termini che ci sono tre inter-  valli, dimodoché quel termine sarà quarto insieme ai termine assu-  mente, a quello assunto e a quello secondo cui è assunto.55! Alcuni dei  numeri solidi hanno angoli, piani e dimensioni uguali, e sono presi a  somiglianza delle figure geometriche: tali numeri si chiamano cubi e  piramidi tetraedre, la cui base è assolutamente intercambiabile; altri  invece hanno piani paramechi e angoli uguali e dimensioni disuguali,  e loro specie sono plintidi?9? e docidi;75 altri ancora hanno piani e  angoli e dimensioni disuguali, e sono detti sfecischi9% o, come dicono  alcuni, bomischi55 o sfenischi,556 tutti nomi assunti per similitudine;  altri infine sono misti, perché hanno tutti gli angoli uguali tranne uno,  e tutti i piani a loro volta uguali tranne uno,597 sono cioè piramidi che  iniziano da quella di base quadrata all’infinito, e la cui base non sarà  più intercambiabile,598 come accadeva nelle piramidi di base triango-  lare.559 Tra le figure piane, il quadrato, che propriamente parlando è  tra i quadrilateri, corrisponde [94] al cubo, mentre il parallelogram-  ma corrisponde al plintide e al docide, che alcuni chiamano stelide,560  e il trapezio allo sfenisco. Esempi di numero cubo, il quale ha dimen-  sioni assolutamente uguali moltiplicate un uguale numero di volte,561  sono i numeri 8 e 27 e 64 e 125 e 216, che nascono rispettivamente da  2x2x2, e da 3x3x3, e da 4x4x4, e da 5x5x5, e da 6x6x6. Di tutti que-  sti numeri che abbiamo chiamato cubi, quelli che alla fine della pro-  gressione terminano con lo stesso numero,562 devono assumere in  aggiunta anche il nome di sferici, in quanto possiedono un’ulteriore  dimensione rispetto ai numeri circolari,’ che sono anch'essi di ugua-    756 GIAMBLICO    ὄντων, ὡς ὁ pre’ ἀπὸ πλευρᾶς πεντάδος ὧν καὶ ὁ σις΄ ἀπὸ πλευρᾶς  ἑξάδος. κἂν ἐπὶ πλέον δὲ αὐξάνωνται οὗτοι, οὐδὲν ἧττον ἑκάτεροι  ἐπὶ τὴν ἑαυτῶν πλευρὰν καταλήξουσιν. ἡ δὲ μονὰς ὥσπερ τὰ ἐν ἐπι-  πέδοις πάντα περιεῖχε χωρὶς τοῦ ἑτερομηκικοῦ λόγου, οὕτως καὶ τὰ  ἐν στερεοῖς πυραμιδική τε γὰρ ἔσται ἐπὶ κορυφῆς θεωρουμένη  παντὸς εἴδους πυραμίδος, δυνάμει στερεοῦ σημείου λόγον ἔχουσα  καθ᾽ ἕκαστον παντὸς γὰρ στερεοῦ [20] ἀριθμοῦ αἱ γωνίαι μονάδες  σημειώδεις ἔσονται τῶν «ἐν» ἐπιπέδοις δυνάμει μείζονες, διότι στε-  ρεαί: ἁπλοῦν μὲν γὰρ τὸ σημεῖόν ἐστι πέρας ὃν τοῦ ἐφ᾽ ἕν διαστατοῦ  μεγέθους, διπλοῦν δὲ δυνάμει ἐν ἐπιπέδοις διὰ τὴν σύννευσιν τῶν  δύο γραμμῶν ἐφ᾽ ἕν σημεῖον, ἐν δὲ στερεοῖς δυνάμει ἀόριστον ἀρχό-  μενον ἀπὸ τριπλοῦ, διότι πρώτη σύννευσις τριῶν πλευρῶν στερεὰν  γωνίαν τὴν πυραμιδικὴν ἀποτελεῖ. καὶ μὴν σφαιρικὴ ἔσται ἡ [95]  μονάς, ὥσπερ ἦν καὶ κυκλική, τρὶς κατὰ τὸ ἑαυτῆς μέγεθος  διαστᾶσα. τῶν δὲ πάντῃ ἀνισοδιαστάτων ἀριθμῶν ὑπόδειγμα κοινὸν  ἔστω ὁ ξ΄“ καὶ γὰρ ἐκ τοῦ τρὶς τέσσαρα πεντάκις ἐστὶ καὶ ἀνάπαλιν  ἐκ τοῦ πεντάκι τέσσαρα τρὶς καὶ ἐκ τοῦ τετράκι πέντε τρὶς καὶ ἐκ  τοῦ τετράκι τρία πεντάκις. παραμηκεπιπέδων72 δέ, πλινθίδων μὲν  ἰσάκις ἴσων ἐλαττονάκις οὐσῶν ὁ τη΄ ἐκ τοῦ τρὶς τρία δὶς ὧν καὶ ὁ  μη΄ ἐκ τοῦ τετράκι τέσσαρες τρίς, δοκίδων δέ, ἅς τινες στηλίδας,  ἰσάκις ἴσας [10] μειζονάκις οὔσας ὁ AG ἐκ τοῦ τρὶς τρία τετράκις ὧν  καὶ ὁ με΄ ἐκ τοῦ τρὶς τρία πεντάκι“ ἔνεστι γὰρ καὶ ἐπὶ τούτων καὶ  ἐπὶ τῶν πλινθιδίων μὴ μόνον παρακειμένας, τουτέστι παρὰ μονάδα,  μειώσεις τε καὶ αὐξήσεις ποιεῖσθαι, ἀλλὰ καὶ διεστώσας, ἵνα  μᾶλλον αἱ ὁμοιότητες «τῆς: σχηματίσεως"3 ἐμφαίνωνται. πυραμίδων  δὲ λόγος ῥάων «ἄἂν»79 γένοιτο καὶ εὐεφόδευτος εἰ τὴν τῶν πολυγώνων  ἔκθεσιν ἀπὸ τριγώνων κατὰ παραλλήλους στίχους ὡς μικρῷ πρόσθεν  διαγράψαιμεν, εἶτ᾽ ἐφαρμόζοιμεν σωρηδὸν τοὺς ὁμογενεῖς ἀλλήλοις  εὐτάκτως [20] μέχρις ὁποσονοῦν, ἵνα κορυφὴ μὲν πάντως μονὰς ἦ  καθ᾽ ἑκάστην ἐπισωρείαν, ὁμοιοσχήμων δὲ δυνάμει πάσῃ «ἡ» βάσις  γίνηται. διὰ μὲν οὖν τῶν [τριῶν] γ΄ ς΄ ι΄ τε΄ κα΄ καὶ ἐφεξῆς τριγώνων  ἔσονται πυραμίδες αἱ τρίγωνον βάσιν ἔχουσαι αὗται δ΄ ι΄ κ΄ λε΄ vo,  διὰ δὲ τῶν τετραγώνων τῶν δ΄ θ΄ ις΄ κε΄ λς΄ αἱ τετραγώνῳ βάσει    72 παραμηκεπιπέδων cf. 93,17 supra: παραλληλεπιπέδων.   73 ai ὁμοιότητες «τῆς» σχηματίσεως congetturò Heiberg: ἡ ὁμοιότης  σχηματίσεως.   74 l'integrazione è di Heiberg.    INTRODUZIONE ALL’ARITMETICA DI NICOMACO 757    le terminazione, come 125 che nasce dal lato 5 e 216 che nasce dal  lato 6.564 Tali numeri, per quante volte siano moltiplicati, nondimeno  termineranno sempre con il loro stesso lato. L'unità invece, come con-  tiene tutti i rapporti dei numeri piani tranne quello eteromeche, cosi  contiene anche tutti i rapporti dei numeri solidi: essa sarà infatti pira-  midale se considerata all’apice di ogni specie di piramide, perché in  ciascuna ha il ruolo di “punto solido” in potenza: gli angoli di ogni  numero solido, infatti, saranno unità puntiformi di potenza maggiore  rispetto a quelle dei numeri piani, perché appunto unità solide; il  punto infatti è di potenza semplice se è limite di una grandezza a una  sola dimensione, di potenza doppia se è nei numeri piani, a causa  della convergenza in un solo punto di due linee, di potenza infinita a  partire dal triplo se è nei numeri solidi, perché la prima? convergen-  za in un solo punto di tre lati produce un angolo solido, cioè l’ango-  lo piramidale. In verità l’unità sarà anche sferica, [95] cosi come era  anche circolare, in quanto ha una dimensione tre volte la sua grandez-  za. Dei numeri che hanno dimensioni del tutto disuguali esempio per  tutti sia il 60: e infatti questo numero risulta da 4x3x5 0, invertendo i  fattori, da 4x5x3 o da 5x4x3 o da 3x4x5. Tra i numeri paramechepi-  pedi,56 dei plintidi, che sono prodotti di due numeri uguali e uno  minore, esempio sia il numero 18, che risulta da 3x3x2, o il 48, che  risulta da 4x4x3; dei docidi, invece, che alcuni chiamano stelidi e che  sono prodotti di due numeri uguali e uno maggiore, esempio sia il 36,  che risulta da 3x3x4, o il 45, che risulta da 3x3x5; in questi numeri,567  infatti, e anche nei plintidi, è possibile che si formino diminuzioni e  aumenti non solo contigui, differenti cioè di un’unità, ma anche inter-  vallati, in modo che appaiano di più le somiglianze della loro configu-  razione. Il rapporto delle piramidi, dal canto suo, sarà più facile e ci  farà da buona guida nell’esposizione dei numeri poligonali a partire  da quello triangolare per linee parallele, come abbiamo descritto  poco fa: adatteremo quindi cumulativamente tra loro i numeri dello  stesso genere568 in modo bene ordinato fin dove vorremo, in modo  che come apice ci sia sempre l’unità per ciascun accumulo, e la base  abbia una figura simile in ogni potenza.570 Ebbene, per mezzo dei  numeri triangolari 3, 6, 10, 15, 21, ecc., si formeranno le seguenti  piramidi di base triangolare 4, 10, 20, 35, 56,571 per mezzo dei quadra-  ti 4, 9, 16, 25, 36, le piramidi di base quadrata 5, 14, 30, 55, 91;572 per    758 GIAMBLICO    χρώμεναι ε΄ ιδ΄ λ΄ νε΄ ga’, διὰ δὲ τῶν πενταγώνων τῶν ε΄ ιβ΄ κβ΄ λε΄ να΄  αἱ βάσει πενταγώνῳ χρώμεναι αἱ ς΄ im μ΄ οε΄ ρκς΄. τὸ δ᾽ αὐτὸ καὶ  [96] ἐπὶ τῶν ἑξῆς πολυγώνων ποιήσομεν ὡς γὰρ γνώμονας εἴχομεν  τῶν πολυγώνων τοὺς ἐφεξῆς ἀπὸ μονάδος ἀριθμούς, οὕτως καὶ πυρα-  μίδων «τοὺς ἐφεξῆς πολυγώνους καθ᾽ ἕκαστον. ἀνάλογος δ᾽ ἔσται  καὶ ἡ ποσότης τῶν ἐπιπέδων πρὸς τὰς πλευρὰς τὰς τῶν γνωμόνων,  καὶ ὡς ἐκείνων περισσοταγεῖς μὲν δύο παρὰ δύο ἦσαν ἄρτιοι καὶ  περισσοί, ἀρτιοταγεῖς δὲ εἷς παρ᾽ ἕνα, οὕτως κἀπὶ τούτων περισσο-  ταγεῖς μία παρὰ τρεῖς ἀρτίας περισσὴ καὶ εἰς πεντάδα γε λήγουσα  πλὴν τῇ [10] δυνάμει: καὶ γὰρ ἐν πέμπταις ἀπ᾽ ἀλλήλων εἰσὶ χώραις᾽  ἀρτιοταγεῖς δὲ δύο παρὰ δύο, συμπιπτουσῶν ἀναγκαίως ταῖς ἐν  περισσοταγέσι περισσαῖς τῶν καὶ ἐντεῦθεν ὁμοιοκαταλήκτων. σύ-  στημα δέ ἐστιν ἑκάστη τῆς ὑπὲρ αὐτὴν ἑτεροειδοῦς καὶ τῆς τῶν εἰς  ἐπίπεδον ἕνα βαθμὸν ὑποβεβηκυίας, ὡς καὶ ἐπὶ τῶν πολυγώνων  συνέβαινεν: οἷον «ἣ» ε΄ τῆς δ΄ καὶ α΄, ἡ ς΄ τῆς ε΄ καὶ α΄, ἡ ζ΄ τῆς ς΄ καὶ  α΄, καὶ πάλιν ἡ ιδ΄ τῆς τ΄ καὶ δ΄, ἡ δὲ τη΄ τῆς τδ΄ καὶ δ΄, ἡ δὲ κβ΄ τῆς in  καὶ δ΄, καὶ ἐφεξῆς ἀκολούθως κατὰ τὸ βάθος καὶ τὸ πλάτος [20]  ἑκάστης τῶν πολυγώνων διαγραφῆς ἐφαρμόζοντες ἀνάλογα  εὑρήσομεν, ὅτι ἑκάστη πυραμὶς σύστημά ἐστι τῆς ὑπὲρ αὐτὴν καὶ  τῆς ὑπ᾽ ἐκείνην πρῶτον γὰρ οὐδὲν εἶτα παράπαξ εἰς ἐπίπεδον εἶτα  παρὰ δὶς εἶτα παρὰ τρὶς καὶ ἐφεξῆς. καὶ τὰ ἄλλα κατὰ ταὐτὰ ἀνα-  λόγως συμπτώματα καὶ περὶ ταύτας εὑρήσομεν. καὶ ἐν μὲν πλάτει  διοίσουσιν ἀλλήλων ἰδίαις βάσεσιν, ἐν δὲ βάθει μετὰ τὸν ἰσότητι  στίχον εὐθυγραμμικῶς ἐκκείμενον τετρὰς ἔσται ἡ διαφορὰ στοι-  χεῖον οὖσα πυραμίδων ἐνεργείᾳ, εἶτα δεκὰς ἡ δευτέρα πυραμίς,  εἶτα εἰκοσὰς [97] ἡ τρίτη πυραμὶς καὶ ἑξῆς ἀκολούθως. ἐὰν δέ τις  πυραμὶς μὴ ἐπὶ μονάδα κορυφῶται, ἀλλ᾽ ἐπὶ τὸν παρ᾽ αὐτῇ γνώμονα,  κόλουρος καλεῖται ἐὰν δὲ μηδὲ ἐπ᾽ ἐκεῖνον, ἀλλ᾽ ἐπὶ τὸν ἑξῆς,  δικόλουρος, καὶ ὁμοίως τρικόλουρος καὶ τετρακόλουρος καὶ ἀεὶ  ἀκολούθως ὀνομασθήσεται κατὰ τὴν ποσότητα τῶν ἀφαιρουμένων  γνωμόνων. ἰδιώματα δὲ καὶ κύβων πολλὰ εὑρήσομεν ὥσπερ καὶ τῶν    INTRODUZIONE ALL’ARITMETICA DI NICOMACO 759    mezzo dei numeri pentagonali 5, 12, 22, 35, 51, le piramidi di base  pentagonale 6, 18, 40, 75, 126.57 [96] La stessa cosa faremo anche  per i successivi numeri poligonali: come infatti avevamo quali gnomo-  ni dei numeri poligonali i numeri in successione a partire da 1, cosî  avremo anche quali gnomoni delle piramidi i singoli numeri poligo-  nali in successione.574 E la quantità dei piani sarà proporzionale ai lati  dei gnomoni, e come i numeri piani, quando erano collocati in posti  dispari,97 erano alternativamente due pari e due dispari, mentre  quando erano collocati in posti pari,7 erano alternativamente uno  pari e uno dispari,577 cosî anche i numeri piramidali, quando sono col-  locati in posti dispari,78 sono alternativamente tre pari e uno dispari  terminante per 5, a parte la potenza,’79 perché sono tra loro nelle  quinte posizioni;?80 quando sono invece collocati in posti pari, sono  alternativamente due pari e due dispari, e quelli che cadono necessa-  riamente nel medesimo posto dei dispari tra quelli collocati in modo  dispari,58! hanno per ciò stesso anche la medesima terminazione [5].  Ciascun numero piramidale è la somma di quello di diversa specie che  gli sta sopra e quello che è inferiore di un grado tra quelli che sono al  piano,582 come accade anche a proposito dei numeri poligonali: ad  esempio <tra i poligonali> 5 è somma di 4 e 1,6 di5e 1,7 di6el,e  a loro volta <tra i piramidali> 14 è somma di 10 e 4, 18 di 14 e 4, 22  di 18 e 4, e cosi in successione li troveremo disposti in proporzione,  se li avremo adattati secondo la profondità e la larghezza di ciascun  diagramma?83 dei poligonali, perché ogni numero piramidale è la  somma del poligonale che sta sopra e di quelli che precedono; prima  c'è lo 0,584 poi due poligonali,58 poi tre,586 e cosî via. Scopriremo  anche delle altre proprietà proporzionali secondo gli stessi criteri  intorno agli stessi numeri piramidali. E mentre in larghezza differiran-  no tra loro per le proprie basi, in profondità, invece, dopo la prima  colonna che contiene numeri uguali <unità>, secondo l’esposizione  ordinata in linea orizzontale, la differenza sarà 4, che è elemento delle  piramidi in atto,587 poi 10,588 che è la seconda piramide, poi 20, [97]  che è la terza piramide, e cosi di seguito. Se una piramide non ha  come apice 1, ma il gnomone successivo a 1,589 viene detta tronca; se  non ha come vertice il secondo gnomone, ma quello successivo, sarà  chiamata bitronca, e allo stesso modo tritronca e tetratronca, e sem-  pre cosî in successione secondo il numero di gnomoni rimasti fuori.    760 GIAMBLICO    τετραγώνων᾽ καὶ γὰρ ἑκάστου ἀριθμοῦ τῶν ἀπὸ μονάδος ἑαυτὸν  πολλαπλασιάσαντος καὶ [10] τὸν ἐξ αὐτοῦ γίνονται εὔτακτοι κύβοι.  καὶ εἰ τάξει οἱ ἀπὸ τετράδος τετράγωνοι τάξει τοὺς ἀπὸ δυάδος  ἐφεξῆς ἀριθμοὺς ἕκαστος75 ἕκαστον μηκύνῃ ἢ ὑπὸ ἑκάστου μηκύ-  νοιῖτο, ὁμοίως γενήσονται εὔτακτοι κύβοι. ἔτι οἱ περισσοὶ ἐπειδὴ  ἐπί t176 ὁμοποιοί εἰσι καὶ τῆς αὐτοῦ φύσεως, ὡς ἐδείχθη, εἰ συντι-  θοῖντο κατ᾽ ἐκλογὰς ἀεὶ προσθέσει ἑνός, φύσονται κύβοι᾽ οἷον α΄  πρῶτον ὁ δυνάμει κύβος ἀσύνθετος, εἶτα δύο περισσοὶ Y ε΄ ὁ n  κύβος δεύτερος, εἶτα τρεῖς περισσοὶ ζ΄ θ΄ ια΄ <ò κζ΄» τρίτος κύβος,  εἶτα τέσσαρες ιγ΄ τε΄ ιζ΄ τθ΄ ὁ ξδ΄ [20] τέταρτος κύβος, καὶ ἐπὶ τῶν  ἐφεξῆς ὁμοίως. πάλιν ἐν τῇ τῶν ἀναλόγων ἐκθέσει οἱ μὲν τρίτοι  τετράγωνοί εἰσιν, οἱ δὲ τέταρτοι κύβοι, οἱ δὲ ζοι κύβοι ἅμα καὶ  τετράγωνοι. πᾶς δὲ κύβος τῇ ἑαυτοῦ πλευρᾷ αὐξηθεὶς τετράγωνον  ποιεῖ, ὃς ἔσται τοσουτοπλάσιος τοῦ κύβου ὁσαπλάσιος ἔσται καὶ ὁ  ἀπὸ τῆς κυβικῆς πλευρᾶς τετράγωνος αὐτῆς τῆς πλευρᾶς, ὁ δὲ  τετράγωνος [98] πλευρὰ καὶ αὐτὸς ἔσται τετραγωνικὴ τοῦ γενομέ-  νου ἔκ τε τοῦ κύβου καὶ τῆς αὐτοῦ πλευρᾶς. πάλιν ὡς ἐκ δύο  τετραγώνων μηκυνάντων ἀλλήλους τετράγωνος ἐγένετο, οὕτως ἐκ  δύο κύβων κύβος, ἐκ δὲ κύβου ἑαυτὸν λαβόντος κύβος ἅμα καὶ  τετράγωνος. καὶ ἐν τοῖς ἀνάλογον ἐὰν ὁ μὲν μετὰ μονάδα κύβος ἦ,  καὶ οἱ λοιποὶ κύβοι ἔσονται: καὶ τεσσάρων ἀνάλογον ὄντων, ἐὰν ὁ  πρῶτος κύβος ἦ, καὶ ὁ τέταρτος ἔσται κύβος, ἢ καὶ μετροῦντος κύ-  βου κύβον, καὶ πλευρὰ πλευρὰν μετρήσει. καὶ σχεδὸν τὰ [10] συμ-  βεβηκότα πάντα τετραγώνοις ἀναλόγως ἐνοραθήσεται καὶ τοῖς κύ-  βοις. ἐπιτρέψαντες οὖν τοῖς δι᾽ αὑτῶν φιλοκαλήσουσι τὴν τῶν  τοιούτων συμπτωμάτων ἀνεύρεσιν, ἐπὶ τὸν περὶ ἀναλογιῶν μετα-  βησόμεθα τόπον.   Ἡ τοίνυν ἀναλογία λόγων ἐστὶ πλειόνων ὁμοιότης καὶ ταυτότης.  τί δέ ποτ᾽ ἐστὶ λόγος ὁ κατ᾽ ἀναλογίαν, ἐπεὶ πολλαχῶς ὁ λόγος, ἐν  τοῖς πρόσθεν διεσαφήσαμεν ὅτι δυεῖν ὅρων ὁμογενῶν ἡ πρὸς  ἀλλήλους ἐστὶ σχέσις. ὁμογενῶν δὲ πρόσκειται, διότι τὰ ὑπὸ ταὐτὸ  γένος συγκρίνειν προσῆκεν, οἷον μνᾶν πρὸς τάλαντον, ὧν [20]    75 ἕκαστος Tennulius: ἑκάστους.  76 ἐπί τι congetturò Heiberg: ἔτι.    INTRODUZIONE ALL’ARITMETICA DI NICOMACO 761    Troveremo anche molte proprietà nei cubi allo stesso modo che nei  quadrati: e infatti da ciascun numero, a partire dall’unità, moltiplica-  to per se stesso e ancora per il risultato di questa prima moltiplicazio-  ne, nascono in buon ordine i numeri cubi. E se i quadrati ordinati in  successione a partire da 4 moltiplicano o sono moltiplicati ciascuno  dai singoli numeri ordinati in successione a partire da 2, nasceranno  dei cubi parimenti bene ordinati. Ancora, poiché i numeri dispari  hanno la medesima capacità formatrice e la natura dell’identico, come  si è dimostrato,59 se sono sommati per gruppi di quantità sempre  aumentata di uno,59 diventeranno cubi; ad esempio prima si prende  l’ 1 che è il cubo in potenza non-composto, poi si sommano due  dispari, 3 e 5, e si ottiene 8 che è il secondo cubo, poi tre dispari, 7, 9  e ll, e si ottiene 27 che è il terzo cubo, poi quattro dispari, 13, 15, 17  e 19, e si ottiene 64 che è il quarto cubo, e cosi di seguito. Ancora, se  esponiamo proporzionalmente i quadrati,592 quelli della terza colon-  na sono quadrati, quelli della quarta colonne sono cubi, quelli della  settima colonna sono insieme cubi e quadrati. Ogni numero cubo,  poi, se è moltiplicato per il suo stesso lato, produrrà un quadrato che  sarà tante volte multiplo del cubo quante volte il quadrato del lato del  cubo è multiplo dello stesso lato, e questo quadrato sarà [98] lo  stesso lato quadrato del quadrato nascente dal cubo e dal suo lato.59  Ancora, come da due quadrati che si moltiplicano a vicenda nasce un  quadrato, cosi da due cubi un cubo, e da un cubo moltiplicato se stes-  so nasce un cubo che è insieme anche un quadrato. E tra numeri  proporzionali, se quello che viene dopo l’ 1 è un cubo, anche i rima-  nenti saranno dei cubi; e fra quattro numeri proporzionali, se il primo  è un cubo, anche il quarto sarà un cubo; o se un cubo misurerà un  cubo, anche il lato dell’uno misurerà il lato dell’altro. E quasi tutte le  proprietà dei quadrati si vedrà che sono in proporzione come le pro-  prietà dei cubi. Orbene, lasciamo che scopra tali proprietà chi ama  fare da sé i suoi calcoli, e passiamo a trattare delle proporzioni.   La proporzione è somiglianza o identità di più rapporti. Che cosa  sia mai il rapporto di proporzione, dal momento che “rapporto” si  dice in tanti modi, lo abbiamo chiarito in precedenza, quando si è  detto che è relazione reciproca fra due termini omogenei. Si aggiun-  ge alla parola termini l’attributo “omogenei”, perché si devono con-  frontare cose che cadono sotto lo stesso genere, ad esempio mina con    762 GIAMBLICO    κοινὸν γένος τὸ βάρος, καὶ γραμμὴν πρὸς ἐπιφάνειαν ἢ στερεόν'  κοινὸν γὰρ αὐτῶν τὸ μέγεθος. ἔστι δέ τινα καὶ κατὰ δύναμιν καὶ  κατὰ ὄγκον καὶ ἄλλα τινὰ γένη συγκρινόμενα. τὰ δὲ ἀνομογενῆ πῶς  ἔχει πρὸς ἄλληλα οὐ δυνατὸν εἰδέναι, οἷον πῆχυς πρὸς κοτύλην,  πρὸς χοίνικα τὸ λευκόν. ἕν δὲ γένος ἐστὶ καὶ τὸ ποσὸν καὶ ποσοῦ ὁ  ἀριθμός, ὥστε γενήσεται καὶ τῶν ἐν ἀριθμῷ λόγων ἡ σύγκρισις,  ἔσται αὐτῶν λόγος τις [99] καὶ σχέσις ποιά. κἂν μὲν ἐν ἰσότητι  ὦσιν οἱ ὅροι, ἴσου πρὸς ἴσον ἔσται 677 λόγος ἀδιάφορος γὰρ ἡ  ἰσότης: ἐν δὲ ἀνισότητι κατὰ διαφοράν. καὶ διάστημα μὲν οὐ ταὐτὸ  ἔσται καὶ ὁ λόγος διττὸς καὶ διότι7δ καὶ τὸ ἄνισον δύο καὶ οὐχ ἕν  καὶ διάστημα μὲν ταὐτὸν ἔσται, λόγος δὲ ἕτερος" τοῦ γὰρ δύο πρὸς  ἕν καὶ τοῦ ἑνὸς πρὸς δύο διάστημα μὲν ταὐτόν, λόγος δὲ διπλάσιός  τε καὶ ἥμισυς, ὥστε ἕτερον λόγον εἶναι διαστήματος: καὶ γὰρ ἐπὶ  πλείοσιν ὅροις, λόγου πολλάκις τοῦ αὐτοῦ [10] ὄντος, διάστημα  ἕτερόν ἐστιν, ὡς ἐπὶ τῶν δ΄ ς΄ θ΄. ὅτι δὲ ὁ τῆς ἀνισότητος λόγος ἐν  δέκα γένεσίν ἐστι, καὶ πέντε μὲν προλόγοις κατὰ τὸ μεῖζον,  ὑπολόγοις δὲ τοῖς ἴσοις κατὰ τὸ ἔλαττον, καὶ ὅτι ἀπὸ ἰσότητος πά-  ντες τὴν γένεσιν ἔχουσιν, ἐμάθομεν ἔμπροσθεν ἐν τῷ περὶ τῶν σχέ-  σεῶν τόπῳ. ἔστι δέ τις καὶ ἀριθμοῦ πρὸς ἀριθμὸν λόγος αὐτῷ λεγό-  μενος, διὰ τὸ μηδενὶ ὑποπίπτειν τῶν δέκα γενῶν, ὡς ἐπιδειχθήσεται  ἐν τοῖς ἁρμονικοῖς, ὁ τοῦ λείμματος λόγος ἐν ὅροις ἐν τοῖς σνς΄ πρὸς  σμγ΄. τῶν οὖν ἐν ἀριθμοῖς λόγων τοιούτων [20] τινῶν ὄντων ἡ ἀναλο-  γία σύλληψις ἔσται πλειόνων ἐν ὁμοιότητι λόγων ἐν ἐλαχίστοις  τρισὶν ὅροις: λέγεται γὰρ λόγος συνῆφθαι, ὅταν κοινὸς ὅρος ἦ  μέσος πρὸς ἑκάτερον τῶν ἄκρων λόγον ἔχων᾽ ὁ γὰρ κοινὸς ὅρος τοῦ  λόγου συνάπτει. διεζεῦχθαι δὲ λέγεται λόγος λόγου, ὅταν μὴ ἔχωσι  κοινὸν ὅρον. τοῦτο δὲ ἐν τέτταρσιν ὅροις γίνεται, διὸ καὶ δοκεῖ τὸ  ἀνάλογον τῆς ἀναλο [100] γίας διαφέρειν" τὸ μὲν γὰρ ἀνάλογον καὶ  ἐν διεζευγμένοις ὅροις γίνεται, ἡ δὲ ἀναλογία κυρίως ἐπὶ τῶν  κοινὸν ἐχόντων ὅρον τάττεται. τῆς δὴ ἀναλογίας ἐν τρισὶν ὅροις    7] ἔσται ὁ Tennulius: ἐστὶ.  78 διότι congetturò Heiberg: ὅτι.    INTRODUZIONE ALL’ARITMETICA DI NICOMACO 763    talento,59 che hanno come genere comune il peso, o linea con super-  ficie o con volume, perché tutti e tre hanno come genere comune la  grandezza.59 Ci sono poi alcune cose che si possono confrontare per  potenza o per volume o per altri generi <comuni>. Non è possibile  invece conoscere in che rapporto stiano tra loro cose che non siano  omogenee, ad esempio cubito’% con cotila,799 o bianchezza con che-  nice.600 Un genere è anche il quanto o il numero del quanto, sicché  sarà possibile anche confrontare i rapporti numerici, e ci sarà dunque  un rapporto tra rapporti numerici e sarà [99] una relazione di un  certo tipo. E quand’anche i termini siano in uguaglianza, ci sarà sem-  pre un rapporto, cioè quello di uguale a uguale; l'uguaglianza infatti  è priva di differenza; se invece i termini sono in disuguaglianza, il rap-  porto sarà per differenza. E l’intervallo non sarà identico e il rappor-  to sarà doppio, e poiché anche la disuguaglianza è due e non uno,602  anche l'intervallo potrà essere identico, ma il rapporto sarà diverso: e  infatti l'intervallo di 2a 1 e di 1 a 2 è lo stesso,60* mentre il rapporto  è “doppio” e “metà”, sicché il rapporto è cosa diversa dall’intervallo:  e infatti tra più termini, pur essendoci spesso lo stesso rapporto, l’in-  tervalio può essere diverso, come tra 4, 6, 9.6% Ma che il rapporto di  disuguaglianza sia diviso in 10 generi, 5 prologhi secondo il maggio-  re, e 5 ipologhi secondo il minore, e che tutti questi rapporti abbiano  origine dall’uguaglianza, lo abbiamo imparato in precedenza là  dove abbiamo parlato delle relazioni. Ma c’è anche un rapporto di  numero a numero che si deve considerare per se stesso, perché non  cade sotto nessuno dei dieci generi, come sarà dimostrato nell’armo-  nica, cioè il rapporto del “limma” che si trova fra i termini 256 e  243 60 Essendo dunque di tale natura alcuni rapporti tra i numeri, la  proporzione sarà comprensione di più rapporti di somiglianza alme-  no fra tre termini:6 si dice infatti che intercorre un rapporto,608  quando c’è un termine medio comune che è in rapporto con ambe-  due gli estremi: il termine comune del rapporto, infatti, è quello che  li collega. Si dice invece che un rapporto si disgiunge da un rapporto,  quando i due rapporti non hanno un termine comune. Questo acca-  de fra quattro termini, per cui sembra anche che l’essere proporzio-  nato [100] differisca dalla proporzione: infatti anche termini disgiun-  ti possono essere proporzionati, mentre la proporzione in senso pro-  prio si stabilisce fra termini che abbiano un termine in comune. Nella    764 GIAMBLICO    γινομένης δεῖ ἔχειν τὸν πρῶτον ὅρον πρὸς τὸν δεύτερον λόγον ὃν ὁ  δεύτερος ἔχει πρὸς τὸν τρίτον, ἢ ἀνάπαλιν, διὸ καὶ οὕτως ὠνομά-  σθαι’ ἀνὰ γὰρ τὸν αὐτὸν λόγον ἔκκεινται οἱ ὅροι. ἔσονται δὲ καὶ  διαφοραὶ αὐτῶν ἐν τῷ αὐτῷ λόγῳ᾽ εἰ δὲ λόγος ἐστὶ καὶ ἐν ἰσότητι,  δῆλον ὅτι καὶ ἀναλογία. καὶ [10] ταύτης στοιχειωδεστάτη ἡ ἐν μο-  νάσιν, ἵνα καὶ ἀναλογικὴ «ip μονὰς ὑπάρχῃ, εἶτα ἡ ἐν δυάσι καὶ  τρίτη ἡ ἐν τριάσι καὶ ἑξῆς ἀκολούθως, ἀφ᾽ ὧν κατὰ τὰ εἰρημένα  ἔμπροσθεν τρία προστάγματα εὔτακτοι φύονται αἱ ἐν ἀνισότητι  ἀναλογίαι.   Προληπτέον δὲ ὅτι κυρίως ἀναλογίαν ἐκάλουν οἱ παλαιοὶ τὴν  γεωμετρικήν, κοινότερον δὲ ἤδη καὶ τὰς λοιπάς, πάσας μὴν γενικῶς  μεσότητας. ὅτι δὲ εὐλόγως συνεστάλη τὸ ὄνομα ἐπὶ τῆς γεωμε-  τρικῆς, ἐν τῷ περὶ αὐτῆς ῥηθήσεται λόγῳ. μόναι δὲ τὸ παλαιὸν τρεῖς  [20] ἦσαν μεσότητες ἐπὶ Πυθαγόρου καὶ τῶν κατ᾽ αὐτὸν μαθημα-  τικῶν, ἀριθμητική τε καὶ ἡ γεωμετρικὴ καὶ ἡ ποτὲ μὲν ὑπεναντία  λεγομένη τῇ τάξει τρίτη, ὑπὸ δὲ τῶν περὶ ᾿Αρχύταν αὖθις καὶ  Ἵππασον ἁρμονικὴ μετακληθεῖσα, ὅτι τοὺς κατὰ τὸ ἡρμοσμένον καὶ  ἐμμελὲς ἐφαίνετο λόγους περιέχουσα. ὑπεναντία δὲ πρότερον ἐκα-  λεῖτο, διότι ὑπεναντίον τι ἔπασχε τῇ ἀριθμητικῇ, [101] ὡς δειχ-  θήσεται. ἀλλαγέντος δὲ τοῦ ὀνόματος οἱ μετὰ ταῦτα περὶ Εὔδοξον  μαθηματικοὶ ἄλλας τρεῖς TPOGAVEVPOVTEG μεσότητας τὴν τετάρτην  ἰδίως ὑπεναντίαν ἐκάλεσαν, διὰ τὸ καὶ αὐτὴν ὑπεναντίον τι πά-  σχειν τῇ ἁρμονικῇ, ὡς δειχθήσεται. τὰς δὲ λοιπὰς δύο ἁπλῶς κατὰ  τὴν τάξιν προσηγόρευσαν πέμπτην τε καὶ ἕκτην. οἱ μὲν «oùv?  παλαιοὶ καὶ οἱ μετ᾽ ἐκείνους τοσαύτας ᾧοντο δυνατὸν εἶναι  συστῆσαι μεσότητας, τουτέστιν ἕξ οἱ δὲ νεώτεροι τέσσαρας ἄλλας  τινὰς προσανεῦρον, ἐκ τῶν [10] ὅρων καὶ τῶν διαστημάτων προστεχ-  νησάμενοι τὴν γένεσιν αὐτῶν.   Ἡ μὲν οὖν πρώτη ἀριθμητικὴ μεσότης ἐστίν, ὅταν τῶν ὅρων ὁ    79 l'integrazione è di Heiberg.    INTRODUZIONE ALL’ARITMETICA DI NICOMACO 765    proporzione fra tre termini occorre che il primo termine abbia col  secondo lo stesso rapporto che il secondo ha col terzo, e viceversa, ed  è per questo che ha il nome “proporzione” [ἀναλογία], perché i ter-  mini sono esposti “secondo” [dvd] lo stesso “rapporto” [λόγον].  Anzi, anche le differenze tra i termini saranno nello stesso rapporto;  e se il rapporto è di uguaglianza, è chiaro che ci sarà anche propor-  zione di uguaglianza.60? E la proporzione più elementare di questo  tipo è quella delle differenze di 1,610 in modo che anche l’unità sia  proporzionale, poi viene quella delle differenze di 2 e poi quella delle  differenze di 3, e cosi di seguito: da queste proporzioni di uguaglian-  za nascono ordinatamente, secondo le tre regole di cui si è parlato  prima,6!! le proporzioni di disuguaglianza.   Bisogna però partire dalla premessa che gli antichi chiamavano  “proporzione” in senso proprio quella geometrica, ma più comune-  mente ormai anche le altre sono dette proporzioni, anche se effettiva-  mente in senso generico sono dette tutte “medietà”. Perché il nome  “proporzione” sia nato giustamente riservato a quella geometrica, lo  diremo quando parleremo di quest’ultima.6!2 Anticamente Pitagora e  i suoi discepoli Matematici6!> stabilirono che solo tre sono le medie-  tà, e cioè la medietà aritmetica, quella geometrica e quella che allora  veniva chiamata “subcontraria” e che stava al terzo posto; in seguito  Archita e Ippaso hanno mutato questo nome in quello di “armonica”,  perché appariva come quella che contiene i rapporti musicali e melo-  dici. Prima, invece, veniva chiamata subcontraria, perché è di natura  in qualche modo contraria alla proporzione aritmetica, [101] come  sarà dimostrato. Dopo questo mutamento di nome,6!4 i matematici  posteriori che furono seguaci di Eudosso, avendo scoperto altre tre  medietà, hanno chiamato la quarta subcontraria in senso proprio,  perché anch’essa è di natura in qualche modo contraria, ma contraria  all'armonica, come sarà dimostrato; le rimanenti due medietà sono  state chiamate semplicemente quinta e sesta medietà sulla base del  posto che occupavano. Gli antichi, dunque, e coloro che vennero  dopo, credevano che sono tante le medietà che si possono costruire,  cioè sei; i matematici più recenti, invece, hanno scoperto altre quattro  medietà, e ne hanno studiato accuratamente la genesi secondo i ter-  mini e gli intervalli.   Orbene, la prima medietà, quella aritmetica, si ha quando il termi-    766 GIAMBLICO    μέσος ἔχῃ «ἶσον» διάστημα πρὸς τοὺς ἑκατέρωθεν ἄκρους kai  ὑπερέχῃ καὶ ὑπερέχηται ἴσῳ ἀριθμῷ, λόγους δὲ ἔχῃ διαφόρους πρὸς  τοὺς ἄκρους, καὶ μείζονα μὲν τὸν πρὸς τὸν ἐλάττονα ὅρον, ἐλάττο-  va δὲ τὸν «πρὸς τὸν»80 μείζονα, συνεχεῖς δὲ τούτους ἑτερογενῶς,  ὑπόδειγμα δ᾽ αὐτῆς ἐκτεθέντος ἀπὸ μονάδος τοῦ ἐφεξῆς ἀριθμοῦ καὶ  ὡντινωνοῦν τριῶν ὅρων λαμβανομένων εἴτε [20] συνεχῶν εἴτε τῶν  παρ᾽ ἕνα εἴτε τῶν παρὰ δύο ἢ τρεῖς ἢ τέσσαρας ἢ ὅσους τις ἂν θέλῃ,  ὁ μέσος καθ᾽ ἑκάστην ἐκλογὴν ἴσῳ ἀριθμῷ ὑπερέχει τὸν ἐλάττονα  καὶ ὑπερέχεται ὑπὸ τοῦ μείζονος, οἷον α΄ β΄ γ΄ καὶ α΄ Y ε΄ καὶ β΄ δ΄  ς΄, γεννᾶται δὲ ἐξ ἰσότητος οὕτως" πρῶτον ἴσον πρώτῳ, δεύτερον  πρώτῳ καὶ δευτέρῳ, τρίτον [102] πρώτῳ καὶ δευτέρῳ καὶ pito:  πάλιν πρῶτον ἐκ πρώτου καὶ δευτέρου, δεύτερον ἐκ πρώτου καὶ δύο  δευτέρων, τρίτον ἐκ πρώτου δύο δευτέρων «καὶ» τρίτου. ἀλλ᾽ ἐκ μὲν  τῆς ἐπὶ μονάσι διὰ τῆς προτέρας ἐφόδου ἡ παρ᾽ οὐδὲν τοὺς ὅρους  ἔχουσα γεννᾶται, ἐκ δὲ τῆς ἐν δυάσιν ἡ παρ᾽ ἕν, ἐκ δὲ τῆς ἐν τριά-  σιν ἡ παρὰ δύο καὶ ἐν τετράσιν ἡ παρὰ τρεῖς καὶ ἐφεξῆς ἀναλόγως.  κἂν μὲν διπλάσιος ὁ πρότερος ἡ λόγος, ἡμιόλιος πάντως ὁ δεύτερος,  τριπλάσιος δὲ ὁ τῶν ἄκρων. ἂν δὲ [10] τριπλάσιος, ἐπιδιμερὴς  τρίτων, πενταπλάσιος δὲ ὁ τῶν ἄκρων. κἂν τετραπλάσιος, ἐπιτρι-  μερὴς τετάρτων, ἑπταπλάσιος δὲ ὁ τῶν ἄκρων καὶ ἑξῆς ἀναλόγως.  ἴδιον δὲ τῆς μεσότητος ταύτης τὸ ὑποδιπλάσιον εἶναι τὸν μέσον  ὅρον τῶν δύο ἄκρων. καὶ πάλιν, ὡς ἕκαστος ὅρος ἔχει πρὸς ἑαυτόν,  οὕτως καὶ ἡ ὑπεροχὴ πρὸς τὴν ὑπεροχήν, τοῦτο δέ ἐστι τὸ ἐν ἴσῃ  ὑπεροχῇ τοὺς ὅρους εἶναι. αἱ δὲ ἀπὸ μονάδος κατὰ τρεῖς ὅρους λαμ-  βανόμεναι συζυγίαι ποιήσουσι πολυγώνων τοὺς δευτέρους ἐνεργεί-  a, τριάδι πάντας ἀλλήλων ὑπερέχοντας: ἐκ μὲν [20] γὰρ τῆς α΄ BY  ὁ δεύτερος ἐνεργείᾳ τρίγωνος γίνεται ὁ ς΄, ἐκ δὲ τῆς β΄ γ΄ 32! ὁ δεύ-  τερος ἐνεργείᾳ τετράγωνος ὁ θ΄, ἐκ δὲ τῆς γ΄ δ΄ ε΄ ὁ δεύτερος ἐνερ-  γείᾳ πεντάγωνος ὁ ιβ΄ καὶ ἑξῆς ἀκολούθως ἐὰν δὲ οἱ ὅροι παρ᾽ ἕνα    80 δὲ τὸν «πρὸς τὸν» Heiberg: δὲ «πρὸς» τὸν Pistelli.   81 β΄ γ΄ δ΄ ho corretto io: α΄ γ΄ Ε΄ erroneamente Pistelli e Tennulius. C'è  evidente confusione con il passaggio corrispondente degli esempi di secon-  do tipa, cioè di combinazioni col salto di un termine. Cf. li. 25 s. infra.    INTRODUZIONE ALL’ARITMETICA DI NICOMACO 167    ne medio, rispetto agli estremi da ambedue le parti, ha uguale inter-  vallo, cioè supera ed è superato di un uguale numero, e ha rapporti  differenti rispetto agli estremi, e cioè un rapporto maggiore col termi-  ne minore, e un rapporto minore col termine maggiore,6!5 e tali rap-  porti sono continui in modo eterogeneo.616 Un esempio di questa  medietà si ha quando, fatta l'esposizione del numero in successione a  partire da 1 e presi tre termini qualsiasi o contigui o saltandone uno  per volta o due per volta o tre 0 quattro o quanti si voglia, il termine  medio in ciascuna medietà scelta supera di un uguale numero il ter-  mine minore ed è superato di un uguale numero dal maggiore, come  ad esempio 1, 2, 3, o 1, 3,5, 0 2, 4, 6. Nascono poi dall’uguaglianza6!7  in questo modo: il primo è uguale al primo, il secondo alla somma del  primo e del secondo, il terzo [102] alla somma del primo, del secon-  do e del terz0;5!8 ancora, il primo nasce dalla somma del primo e del  secondo, il secondo dalla somma del primo e di due volte il secondo,  il terzo dalla somma del primo, di due volte il secondo e del terz0.619  Ma dall’uguaglianza fatta di 1620 nasce, secondo il primo procedimen-  to, la medietà che ha i termini in successione senza alcun salto,62!  mentre dall’uguaglianza fatta di 2 nasce la medietà che ha i termini in  successione col salto di uno,622 e dall’uguaglianza fatta di 3 nasce la  medietà che ha i termini in successione col salto di due,%2? e dall’ugua-  glianza fatta di 4 nasce la medietà che ha i termini in successione col  salto di 3,624 e cosî via in proporzione. E se il primo rapporto è dop-  pio, il secondo è assolutamente emiolio, e quello degli estremi tri-  plo.625 Se invece il primo rapporto è triplo, quello dei terzi è epidime-  re, e quello degli estremi quintuplo.626 Se poi il primo rapporto è qua-  druplo, quello dei quarti è epitrimere, e quello degli estremi etta-  plo,627 e cosi via in proporzione. E proprio di tale medietà il fatto che  il termine medio tra i due estremi è sotto-doppio. E ancora, come  ogni termine sta a se stesso, cosi l'eccedenza sta all’eccedenza, e cioè  i termini sono di uguale eccedenza.628 E le combinazioni?29 a partire  dall’unità, che siano fatte di tre termini <contigui>, produrranno i  secondi poligonali in atto, e saranno tutti tra loro eccedenti di 3: dalla  medietà 1, 2, 3, infatti, deriva il secondo triangolare in atto che è 6,  dalla medietà 2, 3, 4 deriva il secondo quadrato in atto che è 9, dalla  medietà 3, 4, 5, deriva il secondo pentagonale in atto che è 12, e cosi  via in successione. Se poi i termini sono scelti a partire dall’unità ma    768 GIAMBLICO    ἐκλεγῶσιν ἀπὸ μονάδος, οὐκέτι ἄρξει τῶν πολυγώνων ὁ Tpiyovoc,  μεταστήσεται δὲ ἡ ἀφήγησις εἰς τετράγωνον: πρῶτος γὰρ ἔσται ὁ θ΄  ὁ ἐκ τῆς α΄ Y ε΄ συζυγίας, οἱ δὲ ἑξῆς γινόμενοι λόγον τινὰ οὐκ ἄτακ-  τον ἕξουσιν. ἐὰν δὲ παρὰ δύο παράλειψιν ἡ [103] ἐκλογὴ γίνηται,  ἵν᾽ ἦ α΄ δ΄ ζ΄, ἄρξει πεντάγωνος ὁ ιβ΄. ἐὰν δὲ κατὰ τριῶν παράλειψιν,  ἔσται ἐκ τῶν α΄ ε΄ θ΄ ἑξάγωνος ὁ ιε΄, καὶ οὕτως μέχρι παντὸς ἀκο-  λούθως τῇ αὐτῶν τῶν πολυγώνων γενέσει. διότι μὲν γὰρ οἱ τρίγωνοι  ἐγίνοντο ἐκ τῶν παρ᾽ οὐδέν, ἄρξει ἐν τῇ πρώτῃ συστάσει τῶν  πολυγώνων τρίγωνος ὁ ς΄, διότι δὲ ἐκ τῶν παρ᾽ ἕνα ἐγίνοντο οἱ  τετράγωνοι, ἀφηγεῖται ἐν τῇ δευτέρᾳ συστάσει ὁ θ΄ τετράγωνος, καὶ  ἔτι ἐκ τῶν παρὰ δύο οἱ πεντάγωνοι, καὶ τοῦτο δι᾽ ὅλου [10] ἔσται  ἀκολούθως. ἐπεὶ δὲ ἑξάδος ἀποτελεστική ἐστιν ἡ πρώτη παρ᾽ οὐδὲν  ἀπὸ μονάδος συζυγία, ἡ πρώτη α΄ β΄ γ΄ εἰδοποιήσει τὰς ἑξῆς αὐτῇ,  μηδενὸς ὅρου κοινοῦ λαμβανομένου μηδὲ μὴν παρελλειπομένου,  ἀλλὰ μετὰ τὴν α΄ BY λαμβανομένης τῆς δ΄ ε΄ ς΄, εἶτα ζ΄ η΄ θ΄ καὶ ἑξῆς  ἀκολούθως: πᾶσαι γὰρ αὗται ἑξάδες γενήσονται μεταλαμβανούσης  τὸν μονάδος τόπον ἀεὶ τῆς δεκάδος, τουτέστιν εἰς μονάδα ἀναγο-  μένης: οὕτως γὰρ αὐτὴν καὶ δευτερωδουμέναν μονάδα καλεῖσθαι  ἐλέγομεν πρὸς τῶν Πυθαγορείων, καὶ τριωδουμέναν [20] τὴν  ἑκατοντάδα, καὶ τετρωδουμέναν τὴν χιλιάδα. ἡ μὲν γὰρ δ΄ ε΄ ς΄ ποιεῖ  ἀριθμὸν τὸν ιε΄ ἀναγομένης δὲ τῆς δεκάδος εἰς μονάδα, ὁ πέντε  προσλαβὼν αὐτὴν ἑξὰς γίνεται. πάλιν ἡ ζ΄ η΄ θ΄ συνθεῖσα ποιεῖ τὸν  κδ΄ ἀριθμόν, οὗ τὰ κ΄ εἰς δύο μονάδας ἀναγαγὼν προστίθημι τῷ δ΄,  καὶ ἔχω πάλιν ἐἑξάδα. πάλιν τ΄ τα΄ ιβ΄ συνθεὶς ποιῶ λγ΄, ὧν τὰ λ΄ τριάς  ἐστιν, ἣν προσθεὶς τοῖς τρισὶν ἔχω ὁμοίως ἑξάδα, καὶ τοῦτο [104]  ὁμοίως ἔσται δι᾽ ὅλου. καὶ ἡ μὲν πρώτη ἑξὰς οὐκ ἔχει μετάθεσιν  δεκάδος εἰς μονάδα, ὡς ἂν εἰδοποιὸς καὶ στοιχεῖον τῶν μετ᾽ αὐτὴν  ὑπάρχουσα: ἡ δὲ δευτέρα μιᾶς μονάδος μετάθεσιν ἕξει, ἡ δὲ τρίτη  δυεῖν καὶ ἡ τετάρτη τριῶν καὶ ἡ πέμπτη τεσσάρων καὶ ἑξῆς ἀκο-  λούθως. ὅσαι δ᾽ ἂν ὦσιν αἱ μετατιθέμεναι δεκάδες, τοσαῦται καὶ αἱ  ἐννεάδες ἀφαιρεθήσονται ἐκ τοῦ ὅλου συστήματος, ἵνα τὸ λεῖπον  ὁμοίως ἑξὰς ἦ᾽ τοῦ γὰρ ιε΄ μιᾶς δεκάδος ἔχοντος μετάθεσιν, ἐὰν  ἀφέλω [10] μίαν ἐννεάδα, λειφθήσεται ἑξάς. τοῦ δὲ κδ΄ δύο ἔχοντος    INTRODUZIONE ALL’ARITMETICA DI NICOMACO 769    saltandone uno, allora i poligonali non cominceranno più con un  triangolare, perché al suo posto ci sarà un quadrato: il primo poligo-  nale infatti sarà il quadrato 9, che deriva dalla combinazione®0 di 1,  3,5, e quelli che verranno dopo avranno un rapporto non disordina-  to. Se poi la scelta viene fatta saltando due termini, [103] in modo che  si abbia <all’inizio> 1, 4, 7, il primo poligonale sarà il pentagonale 12.  Se invece la scelta è fatta saltando tre termini, il primo poligonale che  si formerà da 1, 5, 9, sarà l’esagonale 15, e cosi via in successione per  tutta la generazione dei numeri poligonali. Poiché infatti dai numeri  presi in successione senza alcun salto nascevano i triangolari, nella  prima combinazione si comincerà col triangolare 6, e poiché dai  numeri presi in successione saltandone uno nascevano i quadrati,  nella seconda combinazione si comincerà col quadrato 9, e ancora  dalla scelta col salto di due nasceranno i pentagonali, e cosî accadrà  per tutta la sequenza. E poiché la prima combinazione a partire da 1  senza alcun salto produce il triangolare 6, questa prima combinazio-  ne, che è 1, 2, 3, darà forma ai triangolari successivi a 6, se non si  prenderà nessun termine comune! né se ne ometterà alcuno, ma si  prenderà, dopo la prima medietà 1, 2, 3, la successiva 4, 5, 6, e poi la  successiva 7, 8, 9, e cosi via: tutti questi poligonali infatti danno come  somma 6, se si cambia la decina in unità, cioè se si riduce il 10 a 1;622  cosi infatti dicevano che i Pitagorici chiamano il 10 anche unità di  seconda serie, e il 100 unità di terza serie, e il 1000 unità di quarta  serie. La somma di 4, 5, 6, infatti, fa 15, ma se riduco 10 a 1 e aggiun-  go 5, ottengo 6. Ancora, la somma di 7, 8, 9 fa 24, ma se riduco 20 a  2 e sommo 4, ottengo ancora una volta 6. Ancora, se sommo 10, 11,  12, ottengo 33, ma se riduco 30 a 3 e sommo 3, ottengo parimenti 6,  e questo [104] accadrà ugualmente in tutti i casi. E mentre il primo 6  non ha riduzione di decina a unità, in quanto è elemento formativo  dei 6 successivi, la seconda combinazione, invece, avrà riduzione di  un'unità, e la terza di due, e la quarta di tre, e la quinta di quattro, e  cosi di seguito. E quanti saranno i 10 da ridurre a 1, tanti potranno  essere i 9 da sottrarre alla somma complessiva, in modo che ciò che  resta sia ugualmente 6: infatti, se a 15, che ha un 10 da ridurre a 1, sot-  traggo 9, mi resta 6. Se a 24, che ha due 10 da ridurre a 2, sottraggo  due 9, mi resta ancora 6, e questo accadrà in tutti i casi. E si potreb-  be scoprire un numero maggiore di tali conseguenze eleganti della    770 GIAMBLICO    δεκάδας τὰς μεταποιουμένας ἐὰν ἀφέλω δύο ἐννεάδας, λειφθήσεται  πάλιν ἑξάς, καὶ τοῦτο δι᾽ ὅλου συμβήσεται. καὶ πλέονα δ᾽ ἄν τις  εὕροι παρακολουθοῦντα γλαφυρὰ τῇ ἀριθμητικῇ μεσότητι, ἅπερ  ἑκόντες τὰ νῦν παραλείπομεν στοχαζόμενοι τῆς κατὰ τὴν εἰζςαγωγὴν  συμμετρίας. ταύτην δ᾽ εἶπεν ὁ Πλάτων μεσότητα «ἴσῳ μὲν κατ᾽ ἀριθ-  μὸν ὑπερεχομένην, ἴσῳ δὲ ὑπερέχουσαν».   Ἡ δὲ δευτέρα μεσότης ἡ γεωμετρικὴ κυρίως [20] ἀναλογία κέ-  κληται, διότι λόγον τὸν αὐτὸν οἱ ὅροι περιέχουσιν, ἀνὰ τὸν αὐτὸν  λόγον διεστῶτες: ὃν γὰρ λόγον ἔχουσιν οἱ ὅροι πρὸς ἀλλήλους ἢ ἀπ᾿  ἐλάττονος ἐπὶ μείζονα διὰ τοῦ κοινοῦ ἢ ἀνάπαλιν, τοῦτον ἔχει καὶ  διαφορὰ πρὸς διαφοράν: αἴτιον δέ τι κατ᾽ ἴσην διαφορὰν οὐ δια-  στήσονται οἱ ὅροι ὡς ἐπὶ τῆς προτέρας. δυνατόν τε καὶ ἐν τέτταρσιν  ὅροις τὸ ἀνάλογον γενέσθαι διεζευγμένων τῶν λόγων. καὶ ἵνα τὸ  [105] Πλατωνικὸν ἐνθάδε προσαρμόσωμεν τῇ ἀναλογίᾳ λεκτέον"  «ὁπόταν γὰρ ἀριθμῶν τριῶν εἴτε ὄγκων εἴτε δυνάμεών τι κοινωνῇ τὸ  μέσον, ὅ τι περ τὸ πρῶτον πρὸς αὐτό, τοῦτο αὐτὸ πρὸς τὸ ἔσχατον,  καὶ πάλιν αὖθις, ὅ τι τὸ ἔσχατον πρὸς τὸ μέσον, τὸ μέσον πρὸς τὸ  πρῶτον, τότε τὸ μέσον μὲν πρῶτον καὶ ἔσχατον γινόμενον, τὸ δὲ  ἔσχατον καὶ τὸ πρῶτον αὖ μέσα ἀμφότερα, ταῦθ᾽ οὕτως ἐξ ἀνάγκης  τὰ αὐτὰ εἶναι καὶ [10] ξυμβήσεται.» καὶ πρὸ Πλάτωνος δὲ τὰ αὐτὰ  διειλήφεσαν Πυθαγορικοὶ περὶ αὐτῆς. Τίμαιός τ᾽ οὖν ὁ Λοκρὸς ἐν τῷ  Περὶ φύσεως κόσμω καὶ ψυχᾶς (ἀφ᾽ οὗπερ ἐφοδιασθέντα Πλάτωνα  τὸν διὰ τοῦτο φερώνυμον Τίμαιον συντάξαι λέγουσιν, ὧν ἐστιν καὶ  ὁ τοὺς σίλλους ποιήσας Τίμων λέγων οὕτως: «πολλῶν δ᾽ ἀργυρίων  ὀλίγην ἠλλάξατο βίβλον ἔνθεν ἀφορμηθεὶς τιμαιογραφεῖν ἐπεχεί-  ρει») οὕτω πώς ENEL «τριῶν γὰρ ὡντινωνοῦν ὅρων, ὅταν καὶ τὰ δια-  στάματα καττὸνϑ2 αὐτὸν ἐστάθη λόγον ποτ᾽ ἄλλαλα,33 τότε [20] δὴ τὸ  μέσονϑἪ ῥυσμῷ δίκας ὁρήμεθα ποττὸ πρᾶτον, ὅ τι περ τὸ τρίτον ποτ᾽  αὐτὸ κἀνάπαλινβϑ5 καὶ παραλλάξ.» ἔστι δὲ ἡ γεωμετρικὴ ἀναλογία  τοῦ συνεχοῦς ποσοῦ, τουτέστι τοῦ πηλίκου, κατὰ λόγους [106] ἴσους  καὶ ὁμοίους διεστῶσα᾽ ἡ δὲ ἀριθμητικὴ τοῦ διῃρημένου ποσοῦ οὐκέ-  τι μὲν λόγοις, ἀριθμοῖς δὲ ἴσοις κατὰ τὰς ὑπεροχὰς διεστῶσα. καὶ ἐν  μὲν ταύτῃ λόγοι ἕτεροι, διαστήματα δὲ ταὐτά" ἐν δὲ τῇ γεωμετρικῇ    82 καττὸν Marg ap. H. Thesleff, The Pythagorean texts of the Hellenistic  period (Abo 1965) 207,23: κατὰ τὸν Pistelli.   83 ποτ᾽ ἄλλαλα :bid. 208,1: ποτ᾽ ἄλλα Pistelli.   84 μέσον :bid.: μέσσον Pistelli.   85 κἀνάπαλιν sospettò Pistelli in Add er Corr p. VIII: κἄνπαλιν  Thesleff, op. cit. 208,2 (con un 7 in appar. ad loc.): κἂν πάλιν.    INTRODUZIONE ALL’ARITMETICA DI NICOMACO 771    medietà aritmetica, ma ora le vogliamo accantonare per non dilungar-  ci troppo in questa nostra Introduzione. Platone dice che la medietà  aritmetica è quella in cui il medio «è superato <da un estremo> e  supera <l’altro estremo> di un uguale numero».634   La seconda medietà, quella geometrica, è chiamata proporzione  in senso proprio, perché i suoi termini contengono lo stesso rappor-  to, e sono intervallati secondo lo stesso rapporto: infatti il rapporto  che i termini hanno tra loro, o dal minore al maggiore attraverso il  termine comune, o viceversa, è lo stesso che c’è tra differenza e dif-  ferenza; e la ragione è che i termini non saranno intervallati secondo  un'uguale differenza come nella prima medietà. Ed è possibile anche  che ci sia proporzione fra quattro termini, quando i rapporti sono  disgiunti. [105] E per adattare alla proporzione la regola di Platone,  bisogna riferire le sue parole: «Quando infatti fra tre numeri o masse  o potenze85 c'è un medio comune, tale che il medio stia all’ultimo  come il primo sta al medio, e d'altra parte ancora il medio stia al  primo come l’ultimo sta al medio, allora il medio divenendo primo e  ultimo e il primo e l’ultimo divenendo a loro volta ambedue medi,  cosi necessariamente accadrà che tutte queste cose6% saranno le stes-  se».637 Ma questa stessa definizione della proporzione, ancora prima  di Platone, l'avevano compresa i Pitagorici. E in effetti Timeo di  Locri638 nel suo libro Sulla natura del mondo e dell'anima (sulla cui  falsariga Platone compose il suo scritto che si intitola appunto Tizzeo,  dicono alcuni, e uno di questi è Timone <di Fliunte>, autore dei Si//,  il quale dice: «[Platone] acquistò a carissimo prezzo un libriccino, e  di li attingendo, si mise a scrivere il suo Tizeo»)69 dice in qualche  modo la stessa cosa: «Quando fra tre termini qualsiasi, infatti, gli  intervalli stanno nello stesso rapporto tra loro, allora vediamo che,  secondo giusta misura, il medio sta al primo come il terzo sta al  medio, anche se si invertono o si scambiano di posto».640 E quella  geometrica è proporzione del quanto continuo, cioè del quanto gran-  de, in quanto ha intervalli secondo rapporti [106] uguali o della stes-  sa natura;64! quella aritmetica, invece, è proporzione del quanto  discreto, in quanto ha intervalli non secondo uguali rapporti, ma  secondo uguali eccedenze numeriche. E mentre nella proporzione  aritmetica i rapporti sono diversi, gli intervalli uguali, nella propor-    772 GIAMBLICO    ἀνάπαλιν λόγοι μὲν οἱ αὐτοί, διαφοραὶ δὲ ἕτεραι. γεννᾶται δὲ καὶ  αὕτη ἀπὸ ἰσότητος τοῖς ἐπὶ τῶν σχέσεων τρισὶ τοῖς αὐτῶν προστάγ-  μασι πάντως γὰρ ἐκεῖ τρεῖς ὅροι κατὰ ταύτην ἀναλογοῦσι τὴν  μεσότητα ἔχοντες οὕτως ὡς ὁ μείζων πρὸς τὸν μέσον ὅ τε μέσος  πρὸς [10] τὸν ἐλάττονα, καὶ ἡ τοῦ μείζονος παρὰ τὸν μέσον ὑπεροχὴ  πρὸς τὴν τοῦ μέσου παρὰ τὸν ἐλάττονα. ἴδιον δ᾽ αὐτῆς τὸ ὑπὸ τῶν  ἄκρων τῷ ἀπὸ τοῦ μέσου ἴσον ἀποτελεῖν, ἐὰν τρεῖς ἢ καθόλου  περισσοὶ ὧσιν οἱ dpor' εἰ δὲ τέσσαρες ἢ ὅλως ἄρτιοι, τὸ ὑπὸ τῶν  ἄκρων ἴσον τῷ ὑπὸ τῶν μέσων ποιήσει. καὶ ἐπὶ μὲν ταύτης κατ᾽  ἔγκρασιν οἱ ὅροι ἀλλήλους μηκύνουσιν, ἐπὶ δὲ τῆς ἀριθμητικῆς  κατὰ σύνθεσιν, ὅτι τοιοῦτον τὸ διῃρημένον ποσὸν καὶ τὸ πλῆθος,  περὶ ὃ πάλιν ἰδίως ἡ ἀριθμητικὴ καταγίνεται, ὡς ἐν ἀρχῇ τῆς εἰ-  σαγωγῆς [20] ἡμῖν εἴρηται. ἐν μὲν οὖν πολλαπλασίοις ἀνάλογον ἐκ-  θέσεσι παντοίαις πάμπολλα αὐτῆς εὑρήσομεν ὑποδείγματα, ἐν δὲ  ἐπιμορίοις καὶ ἐπιμερέσιν ἀεὶ καὶ μᾶλλον σπανιώτερα κατὰ τὴν  τοῦ μερικοῦ ὀνόματος πρόοδον. τὸ δὲ αἴτιον προφανές, ὅτι πολυπλα-  σιάζεσθαι μὲν πᾶς ἀριθμὸς δυνατός, μέρη δὲ πάντα δέξασθαι οὐ  πᾶς, ἀλλ᾽ ἡμίση οἱ παρ᾽ ἕνα, τρίτα δὲ οἱ παρὰ [τὰ] δύο, τέταρτα δὲ  οἱ παρὰ τρεῖς, πέμπτα δὲ οἱ παρὰ τέσσαρας καὶ ἑξῆς dei καὶ μᾶλλον  ἀραιότεροι οἱ μεγαλωνυμώτερα μέρη ἔχοντες. εἰ δὲ λόγοι ἀεὶ καὶ  [107] μᾶλλον ὀλιγώτεροι ἔσονται διὰ τὴν σπανιότητα τῶν ἐπιδεξο-  μένων τὸ μόριον ἀριθμῶν καθ᾽ ὃ ἐπιμόριον ἐπιμερεῖς γενήσονται,  πολὺ μᾶλλον σπανιώτεραι αἱ ἀναλογίαι γενήσονται διὰ τὴν τοῦ τρί-  του πρόσθεσιν ὅρου: οὐ γὰρ ὁ πρὸς τῷ ὅρῳ τῷ μέσῳ φέρ᾽ εἰπεῖν καὶ  ἥμισύ τινος ἔχων, καὶ αὐτὸς πάντως ἥμισυ ἔχει, οὐδὲ ὁ σὺν τρίτῳ  μέρει περιέχων τινά, καὶ αὐτὸς τρίτον ἔχει, καὶ ἐπὶ τῶν ἑξῆς μερῶν  παραπλησίως. ἀλλ᾽ ἵνα ἀναλογία γίνηται, ἀνάγκη τοὺς περιεκτι-  κοὺς ὅρους τῶν λόγων [10] πυθμένας ἀλλήλους πολυπλασιάσαι,  οἵπερ καὶ ἐμφαντασθήσονται ταῖς διαφοραῖς τῆς ἀναλογίας. ἵνα δὲ  κοινόν τι ὑπόδειγμα λάβωμεν πυθμενικῶν ἀναλογιῶν κατὰ πάντα τὰ  εἴδη τοῦ ἐπιμορίου ἀρξαμένου ἀπὸ ἡμιολίου καὶ πρὸς τούτοις πολ-  λαπλασίων τοῦ πρώτου, τουτέστι διπλασίου, ἐκθετέον κἀνταῦθα  στιχηδὸν ταὐτούς τε καὶ ἑτέρους ἑκατέρους ἀπὸ τῆς οἰκείας ἀρχῆς,    INTRODUZIONE ALL'ARITMETICA DI NICOMACO 773    zione geometrica, viceversa, i rapporti sono uguali, le differenze62  diverse. Anche la proporzione geometrica è generata dall’uguaglian-  za secondo le tre stesse regole delle relazioni: in essa infatti i tre ter-  mini sono assolutamente proporzionali secondo questa medietà, e  cioè che il medio sta al minore come il maggiore sta al medio, e l’ec-  cedenza del maggiore sul medio sta all’eccedenza del medio sul  minore. Ed è proprietà della proporzione geometrica il fatto che il  prodotto degli estremi è uguale al prodotto del medio <per se stes-  so>, se i termini sono tre o in generale di quantità dispari; se sono  quattro o in generale di quantità pari, allora il prodotto degli estremi  sarà uguale al prodotto dei due medi. E in questa proporzione i ter-  mini si allungano tra loro per mescolanza,# mentre nella medietà  aritmetica si allungano per somma, perché tale è la quantità discreta  o quantità numerica intorno a cui, a differenza della geometria, si  muove propriamente l’aritmetica, come abbiamo detto all’inizio di  questa Introduzione. Nei multipli, dunque, in proporzione alle varie  specie di esposizione, troveremo molti esempi di proporzione geo-  metrica, mentre negli epimori e negli epimeri gli esempi si faranno  sempre più rari in funzione del nome della parte. E la ragione sta  evidentemente nel fatto che ogni numero può essere moltiplicato, ma  non tutti i numeri ammettono tutte le parti, ma i numeri in succes-  sione che saltano un posto ammettono le metà,#6 i numeri che salta-  no due posti i terzi,#7 quelli che ne saltano tre i quarti,648 quelli che  ne saltano quattro i quinti, e cosî in successione saranno sempre  più rari i numeri che hanno parti di denominazione sempre maggio-  re,650 E se i rapporti saranno sempre [107] più scarsi per il rarefarsi  dei numeri che ammettono la parte in virtà della quale nasceranno  epimori o epimeri, molto più rare saranno le proporzioni a causa del-  l'aggiungersi di un terzo termine: infatti non sempre il termine che  contiene un certo termine medio più la sua metà,65! poniamo, possie-  de esso stesso la metà,652 né il termine che contiene un certo termine  medio più la sua terza parte9 possiede sempre esso stesso la terza  parte, e cosî più o meno accadrà per le parti successive. Ma perché  nasca una proporzione, è necessario che i termini che contengono i  rapporti moltiplichino ciascuno le proprie basi, che appariranno  anche nelle differenze della proporzione. Per fare un esempio comu-  ne di proporzioni basali secondo tutte le specie dell’epimorio, a    774 GIAMBLICO    καὶ συναρμοστέον κατ᾽ ἐμπλοκὴν αὐτούς, ὥσθ᾽ ἑκάστην συζυγίαν  τριῶν ὅρων εἶναι, καὶ κατὰ συνέχειάν γε ἀεὶ τῆς προτέρας συζυγί-  ας τοῦ ὑστάτου [20] ἄρχοντος τῆς μετ᾽ αὐτήν κατὰ γὰρ τὴν ἀδιά-  ζευκτον ἐκλογὴν ἕκαστοι τρεῖς ὅροι ἀπὸ μονάδος παραδείξουσι τὸ  ζητούμενον.   Ἡ δὲ τρίτη μεσότης ἡ καλουμένη ἁρμονική ἐστιν, ὅταν τριῶν  ὅρων ἀνίσων ὡς ἔχει ὁ μείζων ὅρος πρὸς τὸν ἐλάχιστον, οὕτως ἢ  ὑπεροχὴ μειζόνων ὅρων πρὸς ὑπεροχὴν ἐλαττόνων, τουτέστιν ἡ τοῦ  μείζονος παρὰ τὸν μέσον ὑπεροχὴ πρὸς τὴν τοῦ μέσου παρὰ τὸν  ἐλάττονα. ἑτέρα δέ ἐστιν αὕτη παρὰ τὰς πρὸ αὐτῆς, [108] ὅτι ὁ  μέσος ὅρος οὔτε ἀριθμῷ τῶν ἄκρων ἴσῳ ὑπερέχει καὶ ὑπερέχεται,  οὔτ᾽ ἐν λόγῳ ἐστὶν ὁμοίως πρὸς αὐτούς. πυθμένες δὲ αὐτῆς β΄ γ΄ ς΄ ἢ  γ΄ δ΄ ς΄: κατὰ γὰρ τούτων πολλαπλασιασμὸν ἢ ἐπιμοριασμόν, ἐάν γε  ἐπιδέχωνται, ἄλλαι πολλαὶ φύσονται. καλοῦσι δέ τινες τὴν μεσό-  mmta ταύτην ἑστηκυῖαν, ὅτι ἐν μόνοις τοῖς εἰρημένοις πυθμενικοῖς  ὅροις ὥσπερ ἑστῶσι καὶ πρωτοτύποις φαίνεται᾽ ἐπὶ γὰρ τῆς ἀριθμ-  πητικῆς καὶ γεωμετρικῆς ἀπείρους συζυγίας ἔνεστι συντάττεσθαι.  ἀλλ᾽ οὖν ἐν ἀμφοτέραις ταῖς πυθμενικαῖς οἵ τε ἄκροι ἐν διπλασίῳ  καὶ τριπλασίῳ λόγῳ εἰσὶ πρὸς ἀλλήλους καὶ αἱ τῶν μειζόνων πρὸς  τοὺς μέσους διαφοραὶ πρὸς τὰς τῶν μέσων πρὸς τοὺς ἐλάττονας.  ἁρμονικὴ δὲ κέκληται ἡ μεσότης ὅτι σπερματικῶς τοὺς ἐν ἁρμονίᾳ  λόγους ἔστιν ἐνιδεῖν αὐτῇ, οἷον ἐν τῇ y δ΄ ς΄ τὸ διὰ τεσσάρων λεγό-  μενον σύμφωνον, ὅπερ ἐλάχιστόν ἐστι τῶν ἄλλων συμφώνων δια-  στημάτων, ἐν ἐπιτρίτῳ λόγῳ θεωρούμενον ἐν ὅροις ἐστὶ τοῖς ἐλάτ-  τοσι, τουτέστι τῷ δ΄ πρὸς γ΄ τὸ δὲ διὰ πέντε, ὅπερ ἑξῆς μετὰ τὸ διὰ  [20] τεσσάρων ἐστὶν ἐν ἡμιολίῳ λόγῳ ὃν ἐν τοῖς μείζοσιν ὅροις,  τουτέστι τῷ ς΄ πρὸς δ΄" τὸ δὲ διὰ πασῶν σύστημα ὃν ἀμφοτέρων τῶν  προειρημένων καὶ ἐν διπλασίονι λόγῳ θεωρούμενον ἐν τοῖς ἄκροις,  τουτέστι τῷ ς΄ πρὸς γ΄. καὶ ἔτι ἡ τοῦ ς΄ διαφορὰ παρὰ τὸν δ΄ πρὸς τὴν  τοῦ δ΄ παρὰ τὸν γ΄ ὁμοίως ἐν διπλασίῳ λόγῳ ἐστί, κατὰ τὴν διὰ  πασῶν συμφωνίαν. καὶ μὴν καὶ ἡ δύναμις τῶν ἄκρων ἐπ᾽ ἀλλήλους    INTRODUZIONE ALL’ARITMETICA DI NICOMACO 775    cominciare dall’emiolio, e inoltre del primo multiplo, cioè del dop-  pio, occorre anche in questo caso esporre in fila gli identici95 e j  diversi, ambedue a partire dal proprio inizio,659 e combinandoli  insieme adattarli m modo che ogni combinazione abbia tre termini,  e sempre in continuazione l’ultimo termine della combinazione pre-  cedente da il primo termine della combinazione seguente:05” infatti  ciascuna tema di termini, presi a partire da 1 secondo una scelta non  disgiunta,658 fornirà quello che cerchiamo.$59   La terza medietà è la cosiddetta proporzione armonica, e si ha  quando fra tre termini disuguali, come il termine maggiore sta al ter-  mine minore cosi l'eccedenza fra i termini più grandi, cioè l’ecceden-  za del maggiore sul medio, sta all’eccedenza fra i termini più piccoli,  cioè all’eccedenza del medio sul minore. Questa terza medietà diffe-  risce dalle due precedenti, [108] perché il termine medio né supera  né è superato dai termini estremi secondo lo stesso numero,60 né si  trova con essi nel medesimo rapporto. Basi della medietà armonica  sono 2, 3, 6, oppure 3, 4, 6; molte altre medietà, infatti, si genereran-  no secondo i multipli o gli epimori di tali basi, naturalmente qualora  li ammettano. Alcuni chiamano questa, medietà “costante”, perché si  manifesta soltanto nei suddetti termini basali come fossero i suoi sta-  bili prototipi: infatti nelle medietà aritmetica e geometrica è possibile  che si formino infinite combinazioni. Al contrario, in ambedue le  medietà basali <della proporzione armonica> c’è rapporto doppio e  triplo sia tra gli estremi62 che tra le differenze dei maggiori rispetto ai  medi e le differenze dei medi rispetto ai minori.66? Ma questa medie-  tà è detta armonica, perché in essa è possibile vedere in germe i rap-  porti musicali: in 3, 4, 6, ad esempio, si può vedere il cosiddetto  accordo di quarta, che è il più piccolo tra tutti gli intervalli armonici,  ed è visibile nel rapporto epitrite dei termini minori, cioè nel rappor-  to 4 a 3; l'accordo di quinta, che segue a quello di quarta, ed è nel rap-  porto emiolio proprio dei termini maggiori, cioè nel rapporto 6 a 4; e  infine l'accordo di ottava, che è la combinazione di ambedue gli  accordi precedenti,64 ed è visibile nel rapporto doppio degli estremi,  cioè nel rapporto 6 a 3. Inoltre, anche la differenza tra 6 e 4 e quella  tra 4 e 3 sono parimenti in rapporto doppio, come l'accordo di otta-  va. In verità, anche il rapporto tra la potenza degli estremi tra loro,665  [109] cioè 18, e la potenza del medio per se stesso,&#6 cioè 16, essen-    776 GIAMBLICO    ye [109] νομένων tà ιη΄ πρὸς τὴν τοῦ μέσου ἐφ᾽ ἑαυτὸν γενομένου  τὴν 15° ἐν ἐπογδόῳ λόγῳ οὖσαν περιέχει τὸ τονιαῖον διάστημα ἐν  γὰρ τοῖς πρωτοτύποις ὅροις τοῖς γ΄ δ΄ ς΄ οὐκ ἐνῆν τὸν λόγον τοῦ δια-  στήματος τούτου φανῆναι, διότι οὐδεὶς αὐτῶν ὀγδόον μέρους ἐστὶ  παρεκτικός, καθ᾽ ὃ ἄλλος τις αὐτοῦ ἔσται ἐπόγδοος. πάλιν ἡ δύνα-  μις τοῦ μεγίστου ἐστὶ τριπλασία, ὁ δὲ τριπλάσιος λόγος περιέχει  τὴν διὰ πασῶν ἅμα καὶ διὰ πέντε συμφωνίαν, ἡ δὲ δύναμις καθ᾽  αὑτὸν τοῦ [10] μεγίστου πρὸς τὴν δύναμιν τοῦ ἐλαχίστου λόγον ἕξει  τετραπλάσιον, ὃς περιέχει τὴν δὶς διὰ πασῶν συμφωνίαν. πάλιν δὲ  ἐξ ἄλλης ἀρχῆς δύναμις τοῦ μὲν ἐλαχίστου πρὸς τὸν μέσον ιβ΄, τοῦ  δ᾽ αὐτοῦ πρὸς τὸν μέγιστον 1°, τοῦ δὲ μέσου πρὸς τὸν μέγιστον κδ΄.  ἰδία δὲ τοῦ μὲν γ΄ καθ᾽ ἑαυτὸν θ΄, τοῦ δὲ δ΄ ις΄, τοῦ δὲ ς΄ λς΄. καὶ  ἔστιν ἐν μὲν ἐπιτρίτῳ λόγῳ τῷ τὸ διὰ τῶν τεσσάρων περιέχοντι τά  TE κδ΄ τῶν in καὶ τὰ 1β΄ τῶν θ΄" ἐν δὲ ἡμιολίῳ τῷ διὰ πέντε τά τε in  τῶν ιβ΄ καὶ τὰ κδ΄ τῶν 15° καὶ τὰ λς΄ τῶν κδ΄, [20] ἐν δὲ τριπλασίῳ  λόγῳ, ἵνα τὸ διὰ πασῶν καὶ διὰ πέντε συστῇ, ὁ λς΄ πρὸς τὸν ιβ΄, ἐν  δὲ τετραπλασίῳ, ἵνα τὸ δὶς διὰ πασῶν φανῇ, ὁ λς΄ πρὸς θ΄, ἐν δὲ  ἐπογδόῳ πρὸς τὴν τοῦ τονιαίου διαστήματος ἔμφασιν τὰ ιη΄ τοῦ ις΄,  ὡς προερρήθη. καὶ ἡ ἑτέρα δὲ πυθμενικὴ μεσότης ἡ β΄ γ΄ ς΄ αὐτόθεν  μὲν ἔχει τὸν τριπλάσιον λόγον ἔν τε τοῖς ἄκροις πρὸς ἀλλήλους καὶ  τὰς διαφορὰς πάλιν πρὸς ἀλλήλας, ἐν ᾧ λόγῳ ἐστὶν ἡ [110] διὰ  πασῶν καὶ διὰ πέντε μικτὴ συμφωνία, ὅπερ οὐχ ὑπῆρχε τῇ προτέρᾳ  μεσότητι γ΄ δ΄ «΄. εἰ δὲ καὶ πολλαπλασιάσαιμεν τούς τε ὅρους καθ᾽  ἑαυτοὺς καὶ ἐπ᾽ ἀλλήλους καὶ «τὰς»δ6 διαφορὰς καθ᾽ ἑαυτὰς καὶ ἐπὶ  τοὺς ὄρους καὶ ἔτι ἐπ᾽ ἀλλήλας, φύσονται ἡμῖν πλείους συμφωνιῶν  λόγοι, ὡς ἔνεστί τινα δι᾽ ἑαυτοῦ φιλοκαλήσαντα κατανοῆσαι. προ-  σαρμοσθείη δ᾽ ἂν κἀπὶ ταύτης τῆς μεσότητος οἰκείως τὸ  Πλατωνικόν᾽ ἁρμονικὴ γάρ ἐστιν ἡ μεσότης ἡ «ταὐτῷ μέρει τῶν  ἄκρων [10] αὐτῶν ὑπερέχουσά τε καὶ ὑπερεχομένη», ὅπερ ἄλλῃ οὐ  συμβέβηκεν. ἐπί τε γὰρ τῆς β΄ γ΄ ς΄ [τῷ αὐτῷ μέρει} ὁ μέσος ὅρος τῷ  αὐτῷ μέρει τῶν ἄκρων, τουτέστιν ἡμίσει, ὑπερέχει τε καὶ  ὑπερέχεται᾽ ὑπερέχει μὲν τοῦ ἐλάττονος, ὑπερέχεται δὲ ὑπὸ τοῦ  μείζονος: ἐπί τε τῆς γ΄ δ΄ ς΄ πάλιν ὁ μέσος ὅρος τῷ αὐτῷ μέρει τρίτῳ,  τῶν ἄκρων ὑπερέχει μὲν τοῦ γ΄, ὑπερέχεται δὲ ὑπὸ τοῦ ς΄ μονάδι  γὰρ καὶ δυάδι, ὑπεναντία δὲ τῇ ἀριθμητικῇ μεσότητι αὕτη ἐνομίσθη  ὑπὸ τῶν περὶ Πυθαγόραν, διότι ἐκείνη τὸν μέσον [20] ὑπερεχό-    86 l'integrazione è di Vitelli.    INTRODUZIONE ALL’ARITMETICA DI NICOMACO 777    do di rapporto ερίἰοἴζανο,667 contiene l’intervallo di un tono:$8 nei ter-  mini originari, infatti, non potrebbe manifestarsi il rapporto di tale  intervallo, perché nessuno di essi ammette l’ottava parte, sf che l’uno  possa essere 1/8 dell’altro. Ancora, la potenza del termine maggiore è  tripla,669 e il rapporto triplo contiene insieme gli accordi di ottava e di  quinta,670 mentre la potenza del maggiore per se stesso?! avrà il rap-  porto quadruplo della potenza del minore per se stesso67? che contie-  ne due volte l’accordo di ottava.6?3 Ancora, da un altro punto di par-  tenza, la potenza del termine minore per il medio è 12, del minore per  il maggiore è 18, del medio per il maggiore è 24; d’altra parte le  potenze proprie di ciascuno dei tre termini6?4 sono rispettivamente 9,  16, 36. E qui ci sono il rapporto epitrite, che contiene l’accordo di  quarta, di 24 a 18, e di 12 a 9; il rapporto emiolio, che contiene l’ac-  cordo di quinta, di 18 a 12, di 24 a 16, e di 36 a 24;6% il rapporto tri-  plo, perché si combinino gli accordi di ottava e di quinta, di 36 a 12;  il rapporto quadruplo, perché appaia il doppio dell'accordo di otta-  va, di 36 a 9; e infine il rapporto epiottavo, perché appaia l'intervallo  di un tono, di 18 a 16,577 come si è detto in precedenza. L'altra medie-  tà basale, cioè 2, 3, 6, possiede direttamente, contrariamente a quan-  to accadeva nella prima medietà 3, 4, 6, il rapporto triplo nel confron-  to sia tra i termini estremi che tra le differenze,678 rapporto che è quel-  lo in cui si trova [110] l’accordo misto di ottava e di quinta.979 Se poi  moltiplichiamo i termini con se stessi e tra loro, e le differenze con se  stesse e con i termini e ancora tra loro, vedremo nascere molti rappor-  ti di accordo armonico, come potrà osservare chi ama fare da sé i suoi  calcoli. Si potrebbe concordare, a proposito di questa medietà, con  l’efficace definizione che ne dà Platone: la medietà armonica, infatti,  è «quella in cui <il termine medio> supera ed è superato dai termini  estremi di uguale parte»,680 cosa che non accadeva ad altra medietà:  infatti nella medietà 2, 3, 6, il termine medio supera ed è superato  dagli estremi di uguale loro parte, cioè supera il minore ed è supera-  to dal maggiore rispettivamente di 1/2;681 e nella medietà 3, 4, 6, a sua  volta, il termine medio supera ed è superato dai termini estremi di  uguale parte, cioè di 1/3: supera di 1/3 il 3682 ed è superato di 1/3 dal  6,683 cioè rispettivamente di 1 e di 2. I Pitagorici hanno creduto che  questa medietà fosse subcontraria alla medietà aritmetica, perché in  quest’ultima il medio è superato e supera di una uguale parte di se    778 GIAMBLICO    μενόν te καὶ ὑπερέχοντα εἶχεν ἰδίῳ αὑτοῦ μέρει οὐκέτι τῶν ἄκρων  καὶ τῷ αὐτῷ“ ἴσῳ γὰρ ὑπερέχει καὶ ὑπερέχεται ἀριθμῷ ἢ μονάδι,  ἐπὶ δὲ τῆς ἁρμονικῆς οὐκ ἴσῳ. ἐπεὶ δὲ βούλονταί τινες ὑπεναντίαν  ἀμφοτέραις ἀριθμητικῇ τε καὶ γεωμετρικῇ ταύτην ἐκδέχεσθαι,  ἔφαμεν δὲ ἡμεῖς τῇ ἀριθμητικῇ μόνῃ ὑπεναντίον τι πάσχειν, συλ-  λήψεται ἡμῖν κἀκεῖνο᾽ ἐφέξει γὰρ τὸ μικτόν τι παθοῦσαν φαίνεσθαι  τὴν γεωμετρικὴν καὶ μεσότητος λόγον ἔχειν πρός τε ἀριθμητικὴν  καὶ [111] ἁρμονικὴν ὡς ἀεὶ ἀκρότητα. τὰ γὰρ ἑκατέρας ἰδιώματα ἐφ᾽  ἑαυτῆς ἀναμίξει. ἦν μὲν γὰρ τῆς ἁρμονικῆς ἴδιον τὸ τὸν μέσον ὅρον  ὑπερέχειν τε καὶ ὑπερέχεσθαι μέρει αὐτῶν τῶν ἄκρων ποιότητι τῷ  αὐτῷ, εἰ καὶ μὴ ποσότητι, οὐδέποτε δὲ τοῦ μέσου᾽ τῆς δὲ ἀριθμ-  ητικῆς ἀνάπαλιν οὐκέτι τῶν ἄκρων, ἀλλὰ τοῦ μέσου καὶ ποσότητι  τῷ αὐτῷ. ἐπὶ δὲ τῆς γεωμετρικῆς ὁ μέσος ὅρος è ὑπερέχει καὶ  ὑπερέχεται μέρει, ἐκεῖνο οὔτε μόνων τῶν ἄκρων ἐστὶν οὔτε μόνου  τοῦ μέσου, ἀλλὰ καὶ μέσου [10] καὶ ἄκρων τοῦ μὲν γὰρ ἑτέρου τῶν  ἄκρων ὑπερέξει αὑτοῦ μέρει, ὑπερσχεθήσεται δὲ ὑπὸ θατέρου τοῦ  ἐκείνου μέρει᾽ τὸ δὲ αὐτὸ ἔσται ποιότητι, εἰ καὶ μὴ ποσότητι τὸ  μέρος, ὡς ἐπὶ τῆς ἁρμονικῆς. πολλάκις δὲ καὶ πλείοσι μέρεσιν  ὑπερέξει τε καὶ ὑπερσχεθήσεται, ἐπὶ ποιότητι πάλιν τοῖς αὐτοῖς,  ὥστε καὶ κοινόν τι ἕξει πρὸς τὴν ἁρμονικὴν τὸ μόνον ποιότητι ταὐ-  τὸν εἶναι τὸ μέρος, μηκέτι δὲ ποσότητι, καὶ κατὰ τοῦτο οὐκ ἔσται  αὐτῇ ὑπεναντία ἡ ἁρμονική. πάλιν ἐν μὲν τῇ ἀριθμητικῇ κατὰ μὲν  τοὺς μείζονας ὅρους οἱ [20] ἐλάττονες λόγοι ἐφαίνοντο, κατὰ δὲ  τοὺς ἐλάττονας οἱ μείζονες ἐν δὲ τῇ ἁρμονικῇ ὑπεναντίως μείζονες  μὲν ἐν τοῖς μείζοσιν, ἐλάττονες δὲ ἐν τοῖς ἐλάττοσιν, ἐν δὲ τῇ γεω-  μετρικῇ ὡσανεὶ μέσῃ αὐτῶν οὔσῃ οὔτε ἐλάττονες οὔτε μείζονες,  ἀλλ᾽ ἴσοι. διὰ δὴ ταῦτα εὐλόγως ἂν μόνῃ τῇ ἀριθμητικῇ ὑπεναντία ἡ  ἁρμονικὴ λέγοιτο, οὐκέτι δὲ καὶ τῇ γεωμετρικῇ. ἴδιον δὲ ἔχει ἡ  ἁρμονικὴ τὸ ὑπὸ μέσου καὶ συνάμφω τῶν ἄκρων εἶναι διπλάσιον  τοῦ ὑπὸ μόνων τῶν ἄκρων γινομένου. [112] γεννᾶται δὲ προστάγμα-  σι τούτοις πάλιν ἀπὸ ἰσότητος πρῶτον ἐκ μονάδων «εἶτα δυάδων»  εἶτα τριάδων καὶ ἐφεξῆς" πρῶτον ἐκ πρώτου καὶ δευτέρου, δεύτερον  δὲ ἐκ πρώτου δύο δευτέρων, τρίτον δὲ ἐκ πρώτου δὶς δευτέρου τρὶς  τρίτου, ἵνα γένηται ἡ τὰ ἄκρα καὶ τὰς διαφορὰς ἐν τριπλασίῳ λόγῳ    INTRODUZIONE ALL’ARITMETICA DI NICOMACO 779    stesso e non degli estremi: supera, infatti, ed è superato di un nume-  ro o unità uguale, mentre nella medietà armonica questo numero non  è uguale. Ma poiché alcuni pretendono che questa denominazione di  “subcontraria” spetti alla medietà armonica rispetto ad ambedue le  medietà, l’aritmetica e la geometrica, e invece noi dicevamo che è sub-  contraria solo alla medietà aritmetica, allora ci sarà utile considerare  anche questo, cioè che si opporrà a quell’opinione6* il fatto che la  medietà geometrica sembra avere una certa proprietà mista e una  posizione intermedia rispetto alla medietà aritmetica e a quella armo-  nica, [111] che saranno sempre suoi estremi: essa infatti mescolerà in  se stessa le proprietà dell’una e dell’altra. Era infatti proprietà della  medietà armonica che il termine medio superasse e fosse superato di  uguale parte degli stessi estremi secondo la qualità, anche se non  secondo la quantità, e mai di parte del medio; proprietà della medie-  tà aritmetica, al contrario, era che il medio superasse e fosse superato  di uguale parte non già degli estremi, ma del medio e secondo la  quantità. Ora, nella medietà geometrica il termine medio supera ed è  superato di una parte che non è né dei soli estremi né del solo medio,  ma insieme del medio e degli estremi: infatti il medio supererà un  estremo di una parte di quest’ultimo, mentre sarà superato dall’altro  estremo di uguale parte <qualitativa> di quello;685 e questa parte sarà  uguale secondo la qualità, anche se non nella quantità, come accade  nella medietà armonica. Spesso supererà e sarà superato di più parti,  e ancora una volta uguali per qualità, sicché la medietà geometrica  avrà in comune con la medietà armonica il fatto che la parte è uguale  solo nella qualità, e non pure nella quantità, e perciò l’armonica non  potrà essere subcontraria rispetto alla geometrica. Nella medietà arit-  metica, a sua volta, i rapporti minori si rivelavano tra i termini mag-  giori, e i rapporti maggiori fra i termini minori;686 nella medietà armo-  nica, al contrario, i rapporti maggiori si rivelavano tra i termini mag-  giori, e i rapporti minori tra i termini minori;68? nella medietà geome-  trica, che è intermedia tra le due, invece, i rapporti non si rivelano né  minori né maggiori, bensi uguali. Perciò a ragione si potrà dire che la  medietà armonica è subcontraria alla sola medietà aritmetica, e non  pure alla medietà geometrica. L'armonica ha come proprietà che il  prodotto del medio per la somma di ambedue gli estremi equivale al  doppio del prodotto dei due soli estremi.688 [112] Secondo queste    780 GIAMBLICO    ἔχουσα. εἰ δὲ ἧ ἐν διπλασίῳ, πρῶτον ἐκ πρώτου Kai δὶς δευτέρου,  δεύτερον δ᾽ ἐκ δὶς πρώτου καὶ δὶς δευτέρου, τρίτον δὲ ἐξ ἅπαξ  πρώτου δὶς δευτέρου τρὶς τρίτου. ἀπὸ μὲν γὰρ [10] ἰσότητος ἐν μονά-  σιν ἔσονται κατὰ τὰ εἰρημένα προστάγματα αἱ πυθμενικαὶ δύο  μεσότητες ἡ β΄ γ΄ ς΄ καὶ ἡ γ΄ δ΄ ς΄" ἀπὸ δὲ τῆς ἐν δυάσιν «αἱ διπλάσιαι  καὶ ἀπὸ τῆς ἐν τριάσιν» αἱ τριπλάσιαι καὶ ἐφεξῆς. ἀπὸ πασῶν δὲ τῶν  γινομένων πλάσεων τὰ ἰδιώματα τῆς ἁρμονικῆς παρακολουθήσει.   Καθάπερ δὲ ἐπὶ τοῦ κανόνος τῶν ἐξάψεων μενουσῶν ὁ  ὑπαγωγεὺς μεθιστάμενος ποικίλας συμφωνίας ἀποτελεῖ, τὸν αὐτὸν  τρόπον δυνατόν ἐστι, δύο ὅρων δοθέντων εἴτε ἀρτίων εἴτε καὶ  περισσῶν καὶ τῶν [20] αὐτῶν διαμενόντων, ἄλλην καὶ ἄλλην μεσό-  mmta νῦν μὲν ἀριθμητικὴν ἀποτελεῖν νῦν δὲ γεωμετρικὴν νῦν δὲ τὴν  τῇ ἀριθμητικῇ ὑπεναντίαν, τουτέστιν ἁρμονικήν᾽ ἰδοὺ γὰρ ἐν μὲν  ἀρτίοις ὅροις τῷ τε μ΄ καὶ τῷ ι΄ ὁ μὲν κε΄ ὅρος μεσότης γενόμενος  ἀριθμητικὴν ἀποτελεῖ, fi καὶ τὰ ἰδιώματα πάντα παρακολουθήσει, ὁ  δὲ κ΄ γεωμετρικὴν σὺν τοῖς ἰδιώμασιν αὐτῆς, ὁ δὲ 19° ἁρμονικὴν  μετὰ τῶν προσηκόντων [113] συμπτωμάτων. ἐν δὲ περισσοῖς ὅροις τῷ  τε με΄ καὶ τῷ ε΄ ὁ αὐτὸς κε΄ μεσεμβοληθεὶς ὁμοίως ποιήσει τὴν  ἀριθμητικήν᾽ αἴτιον δ᾽ ὅτι οἷον προσέλαβεν ὁ μείζων πρὸς «τὸν μέ-  σον», τοσούτων ἀφῃρέθη ὁ ἐλάττων, ὥστε κατ᾽ ἴσην πάλιν ὑπεροχὴν  τὸν μέσον ὑπερέχειν τε καὶ ὑπερέχεσθαι: τοῦτο γὰρ ἦν ἀριθμητικῆς  ἴδιον. ὁ δὲ ιε΄ μεσεμβοληθεὶς γεωμετρικὴν ποιήσει, ὁ δὲ θ΄ τὴν  ἁρμονικήν. ἐλάττονας δὲ ἀριθμοὺς τῶν ἐκκειμένων ἄκρων κατά τε  τὸ περισσὸν εἶδος καὶ τὸ ἄρτιον [10] περιεκτικοὺς τῶν τριῶν  μεσοτήτων οὐκ ἄν τις εὕροι, ἀλλ᾽ οὗτοι ἂν εἶεν οἱ πυθμενικοὶ καὶ  ἐλάχιστοι.   Καὶ αἵδε μὲν αἱ τρεῖς μεσότητες πρὸς τῶν παλαιῶν μόναι λόγου  ἠξιοῦντο, διαφοραῖς χρώμεναι πρὸς ἀλλήλας καὶ ἰδιότησι καθ᾽  αὑτὰς ταῖς εἰρημέναις, ἐφηρμόζοντο δὲ ὑπ᾽ αὐτῶν καὶ τῇ κοσμικῇ    INTRODUZIONE ALL'ARITMETICA DI NICOMACO 781    regole questa medietà è generata a sua volta dall’uguaglianza, prima  di 1, poi di 2, poi di 3, e cosî di seguito; il primo termine nasce dalla  somma del primo e del secondo, il secondo termine dalla somma del  primo e di due secondi, a terzo termine dalla somma del primo, di  due volte il secondo e di tre volte il terzo, affinché si generi la medie-  tà che abbia gli estremi e le differenze in rapporto triplo.689 Se è in  rapporto doppio,69 allora il primo termine nasce dalla somma del  primo e di due volte il secondo, il secondo termine dalla somma di  due volte il primo e di due volte il secondo, il terzo termine dalla  somma di una volta il primo, di due volte il secondo e di tre volte il  terzo.691 Dall’uguaglianza di 1, infatti, si otterranno, secondo le sud-  dette regole, le due medietà basali, cioè 2, 3, 6, e 3, 4, 6; dall’ugua-  glianza di 2 le medietà doppie e dall’uguaglianza di 3 le medietà tri-  ple, e cosi di seguito. Da tutte queste formazioni seguiranno le pro-  prietà della medietà armonica.   Come nello strumento canonico <musicale>, fermi restando i lega-  menti <della corda>, il ponticello, cambiando posizione, produce vari  accordi armonici, allo stesso modo, dati due termini, o pari o anche  dispari, che restino sempre uguali, è possibile produrre di volta in  volta ora una medietà aritmetica, ora una geometrica, ora quella sub-  contraria alla medietà aritmetica, cioè l’armonica; ecco infatti, dati  due termini pari, 40 e 10, se si dà come termine medio 25, si produ-  ce una medietà aritmetica, a cui seguiranno tutte le sue proprietà; se  si dà come termine medio 20, si produce una medietà geometrica con  le sue proprietà; se si dà infine come termine medio 16, si produce  una medietà armonica con tutte le proprietà che le si addicono. [113]  Dati invece due termini dispari, 45 e 5, se si dà come termine medio  quello stesso 25, si produrrà ugualmente una medietà aritmetica; la  ragione è che il maggiore aumenta sul medio tanto quanto ne dimi-  nuisce il minore,692 di modo che il medio supera ed è superato di  un’uguale eccedenza rispetto agli estremi: tale era infatti la proprietà  della medietà aritmetica. Se invece si pone come medio 15, si produ-  ce una medietà geometrica, se 9 una medietà armonica. Non si  potrebbero trovare, posti quei due estremi numeri minori, di specie  dispari o pari, che ammettano le tre medietà, ma saranno questi  appunto i termini basali, cioè più piccoli.   Ed erano solo queste tre le medietà di cui si doveva discutere,    782 GIAMBLICO    συστάσει καὶ ἁρμονίᾳ, ὡς ἐν ἄλλοις δείξομεν. ai δὲ ἐπὶ ταύταις  τρεῖς ὑπ᾽ ᾿Αρχύτουϑ7 καὶ Ἱππάσου παραδοχῆς καὶ αὐταὶ ἠξιώθησαν,  ὧν ἡ πρώτη, τετάρτη δὲ συναριθμουμένωνβϑβ τῶν ἐξ ἀρχῆς τριῶν,  ἰδίως ὑπεναντία [20] ὡς ἔφαμεν κέκληται, διὰ τὸ ὑπεναντίον τι πά-  σχεῖν τῇ ἁρμονικῇ διὰ τοὺς ἐνοφθέντας αὐτῇ τῶν συμφωνιῶν λόγους.  ἔστι δ᾽ οὖν ἡ τετάρτη μεσότης τοιαύτη’ τριῶν ὅρων ὡς ἔχει ὁ μείζων  πρὸς τὸν ἐλάττονα, οὕτως ἕξει ἡ τῶν ἐλαττόνων ὅρων διαφορὰ πρὸς  τὴν τῶν μειζόνων. ὑπεναντία δὲ τῇ ἁρμονικῇ εἴρηται, διότι ἐν  ἐκείνῃ ἡ τῶν μειζόνων ὅρων διαφορὰ πρόλογος ἦν, ἐπὶ δὲ ταύτης ἡ  τῶν ἐλαττόνων. τοὺς δὲ ἄκρους τοὺς [114] αὐτοὺς διατηροῦσιν ἀμ-  φότεραι κατά τε τὰς πυθμενικὰς καὶ τὰς τούτων πολλαπλασίους.  ὑποδείγματα δὲ ταύτης ἔσται β΄ ε΄ ς΄, γ΄ ε΄ ς΄, ἴδιον δὲ τὸ πολλαπλά-  σιον ἀποτελεῖν τὸ ὑπὸ τῶν μειζόνων ὅρων τοῦ ὑπὸ τῶν ἐλαττόνων.  οὔτε δὲ τῷ αὐτῷ μέρει τῶν ἄκρων αὐτῶν ὁ μέσος ὅρος ὑπερέξει τε  καὶ ὑπερσχεθήσεται ὡς ἐπὶ τῆς ἁρμονικῆς, οὔτε τῷ ἑαυτοῦ μέρει ὡς  ἐπὶ τῆς ἀριθμητικῆς, οὔτε ἅμα τῷ τε ἑαυτοῦ καὶ τοῦ ἑτέρου τῶν  ἄκρων ὡς ἐπὶ τῆς γεωμετρικῆς, ἀλλ᾽ [10] ἔσται τις ἰδιότης κατὰ τὴν  ὑπεροχὴν ἑαυτῆς. γεννᾶται δὲ καὶ αὕτη ἐξ ἰσότητος, πρώτως τῆς ἐν  μονάσιν εἶτ᾽ ἐν δυάσι καὶ τριάσιν καὶ ἑξῆς ἀκολούθως: πρῶτον ἐκ  πρώτου καὶ δευτέρου, δεύτερον δὲ «ἐκ» πρώτου δύο δευτέρων δύο  τρίτων, τρίτον δὲ ἐξ ἅπαξ πρώτου δὶς δευτέρου τρὶς τρίτου, καὶ φύ-  σεται ἡ ἐν τριπλασίῳ λόγῳ τοὺς ἄκρους ἔχουσα. ἵνα δὲ ἡ ἐν διπλα-  σίῳ ἔχουσα γένηται, ποιητέον πρῶτον ἐκ πρώτου δύο δευτέρων,  δεύτερον δὲ ἐκ πρώτου δύο δευτέρων δύο τρίτων, τρίτον δὲ ἐξ ἅπαξ  πρώτου δὶς δευτέρου τρὶς [20] τρίτου. αἱ μὲν οὖν εἰρημέναι πρωτό-  τυποι φύσονται ἐκ τῆς ἀπὸ μονάδων ἰσότητος, αἱ δὲ τούτων διπλά-  σιαι ἐκ τῆς ἀπὸ δυάδων καὶ τριπλάσιαι ἐκ τῆς ἀπὸ τριάδων καὶ ἑξῆς  ἀκολούθως. ἡ δὲ πέμπτη ὑπεναντίον μέν τι καὶ αὕτη πάσχει τῇ γεω-  μετρικῇ, ἁπλῶς δὲ πέμπτη εἴρηται διὰ τὸ προειλῆφθαι τῷ ὀνόματι  τὴν πρὸ αὐτῆς. ἔστι δ᾽ οὖν τριῶν ὅρων ὡς ὁ μέσος πρὸς τὸν ἐλάχι-  στον, οὕτως ἡ αὐτῶν τούτων διαφορὰ πρὸς τὴν τῶν μειζόνων, οἷον β΄  δ΄ ε΄. ὑπηναντίωται δὲ τῇ γεωμετρικῇ, διότι ἐπὶ μὲν ἐκείνης ἦν ἡ τῶν    87 ὑπ’ ᾿Αρχύτου corresse Pistelli in Add. et Corr. p. VIII: ἀπ᾽ ᾿Αρχύτου.  88 συναριθμουμένων congetturò Heiberg giustamente (cf. Add. et Corr.  p. VIII): συναριθμουμένη.    INTRODUZIONE ALL’ARITMETICA DI NICOMACO 783    secondo l’opinione degli antichi, perché hanno tra loro le differenze  e le proprietà di cui si è detto, e gli antichi le adattavano sia alla strut-  tura che all’armonia del mondo, come mostreremo altrove. Oltre a  queste ci sono altre tre medietà secondo l’insegnamento di Archita e  di Ippaso: la prima di esse, che rappresenta quindi la quarta se con-  tiamo le tre iniziali, è detta “subcontraria” in senso proprio, come  dicevamo, perché possiede una certa sua proprietà subcontraria alla  medietà armonica per i rapporti di accordi armonici che in essa si  possono vedere. La quarta medietà è dunque la seguente: dati tre ter-  mini, come il maggiore sta al minore, cosi la differenza tra i minori  starà alla differenza tra i maggiori.69 Si dice che è subcontraria alla  medietà armonica, perché nell’armonica era prologo la differenza tra  i termini maggiori, mentre in questa lo è la differenza tra i termini  minori.69 [114] Ambedue queste medietà mantengono gli stessi  estremi sia quando sono basali che quando sono loro multipli.695  Esempi di questa quarta medietà saranno: 2, 5, 6, e 3, 5, 6, ed è loro  proprietà che il prodotto dei termini maggiori sia multiplo del pro-  dotto dei termini minori. Ma il termine medio né supererà e sarà  superato di uguale parte degli stessi estremi, come nella medietà  armonica,6% né di uguale parte di se stesso, come nella medietà arit-  metica,697 né insieme di uguale parte di se stesso e dell'altro estremo,  come nella medietà geometrica,’ bensi sarà una certa propriejà per  eccedenza di se stessa.69° Anche questa medietà nasce dall’uguaglian-  za, anzitutto da quella di 1, poi da quella di 2, e di 3, e cosi via: il  primo termine nasce dalla somma del primo e del secondo, il secon-  do termine dalla somma del primo, di due secondi e di due terzi, il  terzo termine dalla somma di una volta il primo, di due volte il secon-  do e di tre volte il terzo, e nascerà come una medietà che ha gli estre-  mi in rapporto triplo. Perché si generi la medietà che abbia gli estre-  mi in rapporto doppio, bisogna fare nascere il primo termine dalla  somma del primo e di due secondi, il secondo termine dalla somma  del primo, di due secondi e di due terzi, il terzo termine dalla somma  di una volta il primo, di due volte il secondo e di tre volte il terzo.  Nasceranno dunque dall’uguaglianza di 1 le cosiddette medietà pro-  totipe:70 di esse, quelle doppie nasceranno dalla medietà di 2, quelle  triple da quella di 3, e cosî di seguito. La quinta medietà ha anch’es-  sa una certa proprietà subcontraria, ma rispetto alla medietà geome-    784 GIAMBLICO    [115] μειζόνων ὅρων διαφορὰ πολλαπλασία τῆς τῶν ἐλαςσόνων, ἐπὶ  δὲ ταύτης ἀνάπαλιν ἡ τῶν ἐλασσόνων τῆς τῶν μειζόνων, ἐν μέντοι τῷ  αὐτῷ λόγῳ ἐν ᾧ καὶ οἱ λεχθέντες ὅροι. ἴδιον δ᾽ ἔχει τὸ διπλάσιον  ἀποτελεῖν τὸ ἀπὸ τοῦ μέσου τοῦ ὑπ᾽ ἐλαχίστου καὶ μέσου, καὶ ἔτι  τὸ ὑπὸ τῶν μειζόνων ὅρων τοῦ ὑπὸ τῶν ἄκρων. καὶ ταύτης δὲ αἱ πολ-  λαπλάσιαι τὰ αὐτὰ ἕξουσι παρακολουθήματα. γεννᾶται δὲ ἐκ τριῶν  ἴσων ὅρων, πρῶτος ὅρος ἐκ πρώτου καὶ δευτέρου, μέσος ἐκ δύο [10]  πρώτων δύο δευτέρων, μείζων ἐκ τοῦ πρώτου δύο δευτέρων δύο  τρίτων. ἡ δὲ ἕκτη, ὅταν ὡς ὁ μέγιστος τῶν τριῶν ὅρων πρὸς τὸν μέ-  σον ἔχῃ, οὕτως καὶ ἡ τῶν ἐλαττόνων ὑπεροχὴ πρὸς τὴν τῶν μειζόνων.  διὰ ταὐτὰ δέ, δι᾽ ἅπερ καὶ ἣ πρὸ αὐτῆς, τῇ γεωμετρικῇ ἠναντίωται,  οἷον α΄ δ΄ ς΄. κἀνταῦθα δὲ πρόλογός ἐστιν ἡ τῶν ἐλαττόνων ὅρων δια-  φορά, τῆς γεωμετρικῆς πρόλογον ἐχούσης τὴν τῶν μειζόνων ὅρων  πρὸς ἀλλήλους, καὶ συνάμφω τῶν διαφορῶν πρὸς ἀλλήλας ἡμιόλιοί  εἰσι. «καὶ»89 τοιοῦτοι γενήσονται καὶ οἱ τὸ ἴδιον [20] «ταύτης; τῆς  μεσότητος ἀποδιδόντες λόγοι. τὸ γὰρ ἀπὸ τοῦ μεγίστου ς΄ ἡμιόλιόν  ἐστι τοῦ ὑπὸ τῶν μειζόνων ὅρων, καὶ αὐτὸ τοῦτο «τοῦ» ἀπὸ τοῦ μέ-  σου, καὶ αὕτη δ᾽ ἂν γεννηθείη ἐκ τριῶν ἐν ἰσότητι ὅρων οὕτως;  πρῶτος πρώτῳ ἴσος, δεύτερος δυσὶ πρώτοις δυσὶ δευτέροις, τρίτος  ἐξ ἅπαξ πρώτου δὶς δευτέρου τρὶς τρίτου. ἡ μὲν οὖν πρωτότυπος ἀπὸ  μονάδων ἐστίν, αἱ δὲ ταύτης πολλαπλάσιαι ἀπὸ δυάδων καὶ τριάδων  καὶ τῶν ἑξῆς ἰσοτήτων.   [116] Εἴρηται καὶ περὶ τῶν ἑξῆς ταῖς πρώταις τριῶν μεσοτήτων,  αἷς καὶ οἱ ἀπὸ Πλάτωνος μέχρις Ἐρατοσθένους ἐχρήσαντο, ἄρξαν-  τος ὡς ἔφαμεν τῆς εὑρέσεως αὐτῶν ᾿Αρχύτα καὶ Ἱππάσου τῶν  μαθηματικῶν. τὰς δ᾽ ὑπὸ τῶν μετὰ ταῦτα νεωτέρων περί τε  Μνωνίδην καὶ Εὐφράνορα τοὺς Πυθαγορικοὺς προσφιλοτεχνηθεί-  σὰς τέσσαρας οὔτε παραλείπειν ἄξιον: ἀφιλόκαλον γὰρ τὸ  τοιοῦτον᾽ οὔτε μὴν ἐπεκτείνειν τὸν περὶ αὐτῶν λόγον, διὰ τὸ μηδὲν  οὕτω σεμνὸν αὐτὰς ἔχειν μηδὲ ποικίλον, [10] ὡς τὰς πρὸ αὐτῶν. διό-  περ ἐν ἐπιδρομῇ ῥητέον περὶ αὐτῶν στοχαζομένους ἅμα καὶ τῆς τοῦ    89 l'integrazione è di Heiberg.    INTRODUZIONE ALL’ARITMETICA DI NICOMACO 785    trica,701 ed è detta quinta semplicemente perché quella che la prece-  de è la quarta. Posti tre termini, dunque, come il medio sta al più pic-  colo, cosi la differenza tra questi due sta alla differenza tra i maggio-  ri, come ad esempio 2, 4, 5.702 È subcontraria alla medietà geometri-  ca, perché mentre nella medietà geometrica [115] la differenza dei  termini maggiori era multipla della differenza dei minori, in questa  quinta medietà al contrario la differenza dei minori è multipla della  differenza dei maggiori, e tuttavia nello stesso rapporto in cui stanno  i detti termini. Sua proprietà è che il prodotto del medio per se stes-  so è doppio del prodotto del più piccolo per il medio, e inoltre che il  prodotto dei termini maggiori è doppio del prodotto dei termini  estremi. Ma anche i suoi multipli daranno gli stessi risultati. Ed è  generata anch’essa da tre termini uguali:?% il primo termine dalla  somma del primo e del secondo, il medio dalla somma di due primi e  di due secondi, il maggiore dalla somma del primo, di due secondi e  di due terzi. La sesta medietà si ha quando, posti tre termini, come il  più grande sta al medio cosi l'eccedenza tra i minori sta all’eccedenza  tra i maggiori. Perciò la sesta medietà è subcontraria alla medietà geo-  metrica, per le stesse ragioni della precedente, come ad esempio 1, 4,  6. Anche in questo caso è prologo, nella sesta medietà la differenza tra  i termini minori, nella medietà geometrica al contrario la differenza  tra i maggiori, e ambedue le differenze sono emiolie tra loro.?% Ed  emioli saranno anche i rapporti che producono la proprietà di questa  medietà. Il prodotto del termine più grande per se stesso, infatti, [cioè  36=6x6], è emiolio del prodotto dei due termini maggiori [cioè 36 è  emiolio di 24=4x6], e questo stesso [cioè 24] è emiolio del prodotto  del medio per se stesso [cioè 24 è emiolio di 16=4x4], e questa medie-  tà potrà nascere dall’uguaglianza di tre termini nel seguente modo: il  primo termine è uguale al primo, il secondo alla somma di due primi  e di due secondi, il terzo alla somma di una volta il primo, di due volte  il secondo e di tre volte il terzo. La forma prototipa di questa medie-  tà, dunque, parte dall’uguaglianza di 1, e i suoi multipli dall’ugua-  glianza di 2 e di 3, e cosi di seguito.   [116] Abbiamo parlato cosî anche delle tre medietà successive alle  prime tre,75 di cui si sono serviti gli studiosi da Platone ad  Eratostene, dopo che, come abbiamo detto,7% i matematici Archita e  Ippaso le avevano scoperte. Ma è opportuno non trascurare le quat-    786 GIAMBLICO    βιβλίου συμμετρίας. ὠνομάσαμεν δ᾽ αὐτὰς ἁπλῶς οὕτως" ἑβδόμην  καὶ ὀγδόην καὶ ἐνάτην καὶ δεκάτην. καὶ ἔστιν ἡ μὲν ἑβδόμη, ὅταν  ὡς ὁ μέγιστος πρὸς τὸν ἐλάχιστον ἔχῃ, οὕτως ἡ αὐτῶν διαφορὰ πρὸς  τὴν τῶν ἐλαττόνων, οἷον ς΄ η΄ θ΄. γένεσις δὲ αὐτῆς ἐκ τῆς τετάρτης  «τῆρ Y ε΄ ς΄ τὰ γὰρ ἐκείνης ἄκρα συνθεὶς ταύτης μέγιστον τάσσω,  ἐκ δὲ ἐλαχίστου καὶ μέσου τὸν ταύτης ποιῶ μέσον, τὸν δ᾽ ἐκείνης  μέγιστον ταύτης [20] ἐλάχιστον. παρακολουθεῖ δὲ ταύτῃ τὸ ἔχειν  τὸν αὐτὸν λόγον τὸ ὑπὸ τῶν μειζόνων ὅρων πρόμηκες πρὸς τὰ ὑπὸ  τῶν ἐλαττόνων, ὅνπερ καὶ ὁ μέγιστος ὅρος πρὸς τὸν ἐλάχιστον ἔχει,  καὶ ἡ τῶν ἄκρων διαφορὰ πρὸς τὴν τῶν ἐλαττόνων. ἡ δὲ ὀγδόη  θεωρεῖται, ὅταν ὡς ὁ μέγιστος πρὸς τὸν ἐλάχιστον ἔχῃ, οὕτως καὶ ἡ  αὐτῶν τούτων ὑπεροχὴ πρὸς τὴν τοῦ μεγίστου παρὰ [117] τὸν μέσον,  ἀντιστρόφως τῇ πρὸ αὐτῆς, οἷον ς΄ ζ΄ θ΄. γένεσις δὲ καὶ ταύτης ἐκ τῆς  πέμπτης τῆς β΄ δ΄ ε΄. συνθεὶς γὰρ τοὺς μεγίστους αὐτῆς ὅρους ποιῶ  τὸν ταύτης μέγιστον, τοὺς δ᾽ ἄκρους τὸν ταύτης μέσον τάσσω, τοὺς  δὲ ἐλάττονας πάλιν συνθεὶς ἐκείνης ἔχω τὸν ταύτης ἐλάττονα.  παρακολουθεῖ δὲ αὐτῇ τό, ὡς ὁ μέγιστος πρὸς τὸν ἐλάχιστον ἔχει,  οὕτως καὶ τὸ ὑπὸ τῶν μειζόνων ὅρων ἔχειν πρὸς τὸ ὑπὸ τῶν ἐλατ-  τόνων. ἡ δὲ ἐννάτη, ὅταν ὡς ὁ μέσος ὅρος πρὸς τὸν [10] ἐλάχιστον  ἔχῃ, οὕτως ἡ διαφορὰ τῶν ἄκρων πρὸς τὴν τῶν ἐλαττόνων, οἷον δ΄ ς΄  ζ΄. ἴδιον δὲ ἔχει τὸ ἐν τῷ αὐτῷ λόγῳ εἶναι τὸ ὑπὸ τῶν μειζόνων πρὸς  τὸ ὑπὸ τῶν ἄκρων, ἐν ᾧπερ καὶ μέσος πρὸς ἐλάχιστον, καὶ διαφορὰ  δὲ ἄκρων πρὸς διαφορὰν ἐλαττόνων. γεννήσομεν δὲ καὶ ταύτην ἐκ  τῆς ἕκτης «τῆς» α΄ δ΄ ς΄- συνθεὶς γὰρ αὐτῆς τὰ ἄκρα ποιῶ τὸν ταύτης  μέγιστον, μέσον δὲ τάσσω τὸν ἐκείνης μέγιστον, ἐλάχιστον δὲ τὸν  μέσον. ἔσονται δὴ τάξει ταῖς ἀπὸ τῆς ἑβδόμης τρισὶ μεσότησιν αἱ  γενέσεις ἀπὸ τῶν πρὸ αὐτῶν τριῶν [20] τετάρτης τε καὶ πέμπτης καὶ  ἕκτης. ἡ δ᾽ ἐπὶ πάσαις δεκάτη ἐστίν, ὅταν ὡς ὁ μέσος ἔχῃ πρὸς τὸν  ἐλάςσονα, οὕτως καὶ ἡ «διαφορὰ τῶν ἄκρων πρὸς τὴν διαφορὰν» τοῦ  μεγίστου παρὰ τὸν μέσον, οἷον γ΄ ε΄ η΄. ἴδιον δὲ ταύτης τὸ ἐν ἐπιμε-    INTRODUZIONE ALL’ARITMETICA DI NICOMACO 787    tro medietà che si sono aggiunte a queste prime sei ad opera degli  studi approfonditi dei Pitagorici più recenti, Mionide ed Eufranore:  non sarebbe elegante una tale omissione, ma non è il caso neppure di  dilungarci su di esse, perché non hanno affatto la medesima dignità e  varietà delle precedenti. Perciò bisogna che ce la sbrighiamo rapida-  mente a proposito di queste ultime quattro medietà, allo scopo anche  di contenere le proporzioni di questo nostro libro. Abbiamo chiama-  to queste medietà semplicemente cosi: settima, ottava, nona e decima.  La settima medietà si ha quando, <posti tre termini>, come il più  grande sta al più piccolo, cosi la differenza tra il più grande e il più  piccolo sta alla differenza tra i due minori, ad esempio 6, 8, 9. Questa  settima medietà ha origine dalla quarta medietà, cioè 3, 5, 6: somman-  do infatti gli estremi della quarta ottengo il termine più grande della  settima, sommando a più piccolo e il medio nella quarta ottengo il  medio della settima, mentre il più grande della quarta è uguale al più  piccolo della settima. Ne consegue che in questa settima medietà il  prodotto dei termini maggiori e il prodotto dei minori stanno nello  stesso rapporto, che è promeche, in cui stanno il termine più grande  e il più piccolo, e la differenza degli estremi e la differenza dei mino-  ri.?07 L'ottava medietà si può vedere quando, <posti tre termini>,  come il più grande sta al più piccolo, cosi l'eccedenza tra il più gran-  de e il più piccolo sta all’eccedenza tra il più grande e il medio, [117]  cioè in modo inverso rispetto alla settima medietà, come ad esempio  6, 7,9. Questa ottava medietà ha origine dalla quinta, cioè da 2, 4, 5:  sommando infatti i termini più grandi della quinta medietà ottengo il  termine più grande dell’ottava, sommando gli estremi ottengo il  medio, sommando i minori ottengo a sua volta il minore. Ne conse-  gue che in questa ottava medietà, come il termine più grande sta al  più piccolo, cosî il prodotto dei termini maggiori sta al prodotto dei  minori. La nona medietà si ha quando, <posti tre termini>, come il  termine medio sta al più piccolo, cosî la differenza tra gli estremi sta  alla differenza tra i minori, ad esempio 4, 6, 7. Questa medietà ha  come proprietà che il rapporto tra il prodotto dei maggiori e il pro-  dotto degli estremi è lo stesso che tra il medio e il più piccolo, e tra la  differenza tra gli estremi e la differenza tra i minori. E faremo nasce-  re questa medietà dalla sesta, 1, 4, 6: sommando infatti gli estremi  della sesta medietà ottengo il termine più grande della nona, e ordino    788 GIAMBLICO    pei λόγῳ θεωρεῖσθαι καὶ πυθμένειν γε, ἀλλ᾽ οὐκ ἐν πολλαπλασίῳ ἢ  ἐπιμορίῳ. καὶ παρακολουθεῖ αὐτῇ τὸ ὑπὸ τῶν ἐλαττόνων [118] πρόμ-  ηκες ἴσον τῷ ὑπὸ τῶν λεχθεισῶν διαφορῶν ἀποτελεῖν: αἴτιον δ᾽ ὅτι  οἱ αὐτοί εἰσιν ἀριθμοί. γεννᾶται δὲ καὶ αὕτη ἐκ τῆς ἁρμονικῆς τῆς  β΄ γ΄ ς΄, ἥτις πρὸ τῶν εἰρημένων ἐστὶ τριῶν μέσων, ἵνα συνεχεῖς ἀπὸ  συνεχῶν καὶ εἰ μὴ εὐτάκτων τὴν γένεσιν σχῶσι. συνθεὶς γοῦν"  τοὺς ἄκρους ἐκείνης ποιῶ τὸν ταύτης μέγιστον, ἐκ δὲ τῶν ἐλασ-  σόνων τὸν μέσον ταύτης τάσσω, τὸν δὲ μέσον ἐφ᾽ ἑαυτοῦ ἐλάχιστον  ταύτης φυλάσσω. δέκα δὴ τῶν πασῶν ἡμῖν ἀναφανεισῶν μεσοτήτων,  οὐ [10] τὸ τυχὸν ἐγκώμιον ἔσται τῆς δεκάδος καὶ τοῦτο πρὸς τὸ  μηδένα τέλειον λόγον ἐκφυγεῖν αὐτήν, ἀλλ᾽ ὡσανεὶ δεχάδα τινὰ  οὖσαν τοὺς τῶν ὄντων ἁπάντων λόγους εἰς ἑαυτὴν ἀναδέχεσθαι, καὶ  διὰ τοῦτο πᾶν καὶ ὅλον καὶ οὐρανὸν πρὸς τῶν παλαιῶν ἐπωνομά-  σθαι, ὡς ἐν τῷ περὶ αὐτῆς λόγῳ πειρασόμεθα δεῖξαι, ὅταν καὶ τῶν  ἄλλων ἀπὸ μονάδος μέχρις αὐτῆς ἀριθμῶν ἑκάστου ἐπανθήματα  εὐθὺς ἑξῆς μετὰ τήνδε τὴν εἰσαγωγὴν δεικνύωμεν.   Τὰ νῦν δὲ περὶ τῆς τελειοτάτης ἀναλογίας ῥητέον [20] ἐν τέσ-  σαρσιν ὅροις ὑπαρχούσης καὶ ἰδίως μουσικῆς ἐπικληθείσης διὰ τὸ  τοὺς μουσικοὺς λόγους τῶν καθ᾽ ἁρμονίαν συμφωνιῶν τρανότατα ἐν  αὐτῇ περιέχεσθαι. εὕρημα δ᾽ αὐτήν φασιν εἶναι Βαβυλωνίων καὶ  διὰ Πυθαγόρου πρῶτον εἰς Ἕλληνας ἐλθεῖν. εὑρίσκονται γοῦν πολ-  λοὶ τῶν Πυθαγορείων αὐτῇ κεχρημένοι, ὥςπερ ᾿Αρισταῖος ὁ  Κροτωνιάτης καὶ Τίμαιος ὁ Λοκρὸς [119] καὶ Φιλόλαος καὶ  ᾿Αρχύτας οἱ Ταραντῖνοι καὶ ἄλλοι πλείους, καὶ μετὰ ταῦτα Πλάτων  ἐν τῷ Τιμαίῳ λέγων οὕτως «μετὰ δὲ ταῦτα συνεπληροῦτο τά τε  διπλάσια καὶ τριπλάσια διαστήματα, μοίρας ἔτι ἐκεῖθεν ἀποτέμνων  καὶ τιθεὶς εἰς τὸ μεταξὺ τούτων, ὥστε ἐν ἑκάστῳ διαστήματι δύο  εἶναι μεσότητας, τὴν μὲν ταὐτῷ μέρει τῶν ἄκρων αὐτῶν ὑπερέ-    30 γοῦν congetturò Heiberg: δ᾽ οὖν Pistelli.    INTRODUZIONE ALL’ARITMETICA DI NICOMACO 789    il medio della nona come uguale al più grande della sesta, e il più pic-  colo della nona come uguale al medio della sesta. Le tre medietà nel-  l'ordine a partire dalla settima?08 si generano in tal modo dalle tre pre-  cedenti, cioè rispettivamente dalla quarta, dalla quinta e dalla sesta.  La decima e ultima medietà si ha quando, <posti tre termini>, come  il medio sta al minore, cosi anche la differenza tra gli estremi sta alla  differenza tra il più grande e il medio, come ad esempio 3, 5, 8.  Proprietà di quest’ultima medietà è che si può scorgere e stabilire  come base il rapporto epimere,7°° ma non multiplo o epimorio. Ne  consegue che in questa decima medietà il rapporto tra il prodotto dei  minori, [118] che è promeche, è uguale al prodotto delle dette diffe-  renze: la ragione è che i numeri sono gli stessi.?!0 E questa decima  medietà si genera dalla medietà armonica 2, 3, 6, la quale precede le  suddette tre medietà intermedie,7!! in modo che ci sia una genesi di  medietà continue da medietà continue,7!2 anche se non bene ordina-  te.73 Sommando dunque i termini estremi della medietà armonica  ottengo il più grande di questa decima medietà, sommando i minori  dell’armonica ottengo il medio della decima, mantengo infine il  medio come tale dell’armonica come il più piccolo della decima. Dal  momento che ci sono apparse tutte e dieci le medietà, faremo un elo-  gio speciale del numero 10, per il fatto che il 10 non sfugge a nessun  rapporto perfetto, ma accoglie in sé come fosse un “ricettacolo”7!4 i  rapporti propri di tutti gli enti, ed è per questo che è stato denomina-  to dagli antichi “Tutto” e “Universo” e “Cielo”,715 come cercheremo  di mostrare nel discorso che ad esso dedicheremo, quando mostrere-  mo, subito dopo questa Introduzione, anche le fiorite di ciascuno  degli altri numeri dall’ 1 al 10,716   Bisogna discutere ora della proporzione perfettissima che inter-  corre tra quattro termini, di quella cioè che viene propriamente chia-  mata “proporzione musicale” per il fatto che contiene in sé, in manie-  ra assolutamente nitida, i rapporti musicali degli accordi armonici. Si  dice che essa sia stata scoperta dai Babilonesi e che sia giunta in  Grecia per la prima volta attraverso Pitagora. Si scopre infatti che  l'hanno utilizzata molti Pitagorici, ad esempio Aristeo di Crotone?!? e  Timeo di Locri [119] e Filolao e Archita, ambedue di Taranto, e molti  altri, e dopo di questi anche Platone nel Tirze0,718 dove egli dice:  «Dopo di ciò [il Demiurgo] riempî gli intervalli doppi e tripli, taglian-    790 GIAMBLICO    yovodv te καὶ ὑπερεχομένην, τὴν δ᾽ ἴσῳ μὲν κατ᾽ ἀριθμὸν  ὑπερέχουσαν, ἴσῳ δὲ [10] ὑπερεχομένην᾽ ἡμιολίων δὲ καὶ ἐπιτρίτων  διαστάσεων διὰ πασῶν τῷ τοῦ ἐπογδόου λείμματι συνεπληροῦτο»:"  καὶ τὰ τούτοις ἐφεξῆς, ἅπερ δῆλα πάντα ἔσται μετὰ τὴν τῆς ἀναλο-  γίας ταύτης παράδοσιν. ἔστιν οὖν ἡ μουσικὴ καλουμένη ἀναλογία  ἐν ὅροις τέσσαρσι, δύο μὲν ἄκροις δύο δὲ μέσοις, ὥστ᾽ ἐμπεπλέχ-  θαι διαφόρους ὄντας τοὺς λόγους τῶν μέσων ὅρων πρὸς τοὺς ἄκρους  κατὰ τὰς ἐν ἁρμονίαις συμφωνίας διεστώσαις. ἐπεὶ γὰρ τὰ κατὰ  μουσικὴν ἐν ἁρμονίᾳ σύμφωνα γίνεται, φθόγγων δυεῖν ἢ καὶ πλε-  τόνων οὐχ ὁμοφώνων [20] ὑπὸ μίαν πλῆξιν κατακιρναμένωνϑ! καὶ τῇ  ἀκοῇ ἑνοειδῶς προσπιπτόντων, ἐλάχιστον δὲ καὶ πρῶτον τῇ ἀκοῇ  αἰσθητὸν σύμφωνον διάστημά ἐστι τὸ διὰ τεσσάρων: ἐν τοσαύτῃ γὰρ  αἱ περιέχουσαι αὐτὸ χορδαὶ ἀποστάσει εἰσὶν ἀπ᾽ ἀλλήλων. ἔστι δὲ  τοῦτο ἐν ἐπιτρίτῳ λόγῳ, μεθ᾽ ὃ μιᾶς χορδῆς προσληφθείσης τὸ μὲν  ὅλον διά [120] στημα παρὰ τὴν αὐτὴν αἰτίαν διὰ πέντε κέκληται, ἐν  λόγῳ δὲ καὶ αὕτη ἡμιολίῳ τυγχάνει. διαφορὰ δὲ τούτου πρὸς τὸν  ἕτερον τὸ περιεχόμενόν ἐστι διάστημα ὑπὸ τῆς προσληφθείσης  πέμπτης χορδῆς τονιαῖον ὑπάρχον καὶ ἐν ἐπογδόῳ λόγῳ τυγχάνον,  ὥστε τὸ μὲν διὰ πέντε τοῦ διὰ τεσσάρων τόνῳ ὑπερέξει, ὁ δὲ  ἡμιόλιος λόγος ἐπιτρίτου ἐπογδόῳ. καὶ ταῦτα μὲν ἀσύνθετα δια-  στήματα καὶ ἁπλῶς ἐν συμφώνοις κατείληπται, ἐξ ὧν συντιθεμένων  τὰ μείζονα κατακορεστέραν ἤδη τὴν [10] συμφωνίαν ἀποδίδωσι,  καὶ πρῶτόν γε τὸ διὰ πασῶν καλούμενον ὅπερ ἐξ ἀμφοτέρων  ἐκείνων σύνθετόν ἐστιν, ἐπικληθὲν καὶ αὐτὸ οὕτως, ὅτι πάσας ἐμ-  περιέχει τὰς τὰ ἁπλᾶ σύμφωνα ἀποτελούσας χορδάς, καὶ ἔστιν ἐν  λόγῳ διπλασίφ᾽ παντὸς γὰρ ἐπιτρίτου καὶ ἡμιολίου λόγου σύστημά  ἐστιν ὁ διπλάσιος. ἐξ αὐτοῦ δὲ πάλιν τοῦ διπλασίου καὶ ἑκατέρου  τῶν ἐξ ἀρχῆς «τὸ διὰ πασῶν ἅμα καὶ διὰ τεσσάρων καὶ τὸ διὰ πασῶν  ἅμα καὶ διὰ πέντε». τὸ δὲ διὰ πασῶν ἅμα καὶ διὰ τεσσάρων λεγόμε-  νον οἱ Πυθαγορικοὶ μὲν σύμφωνον οὐκ [20] ᾧοντο εἶναι, διαφεῦγον  πολλαπλάσιόν τε καὶ ἐπιμόριον λόγον καὶ ἔτι ἐπιμερῆ, εἰς δὲ  μικτὴν σχέσιν ἐκπῖπτόν ἐστι’ καὶ γὰρ ὡς η΄ πρὸς γ΄, διότι τὰ μὲν ς΄    951 κατακιρναμένων sospettò Pistelli giustamente: κατακιρναμένη.    INTRODUZIONE ALL'ARITMETICA DI NICOMACO 791    do ancora di là delle parti e ponendole in mezzo ad essi, in modo che  in ciascun intervallo ci fossero due medi,?!9 di cui l’uno superasse un  estremo e fosse superato dall’altro estremo di un’uguale parte di cia-  scuno di essi, e l’altro medio invece superasse e fosse superato di  un’uguale quantità numerica;720 ed essendo gli intervalli di rapporto  emiolio ed epitrite li completò con un limma??! di rapporto epiotta-  vo,722 in modo da formare un accordo completo»;?23 a queste seguo-  no tutte le indicazioni che appariranno chiare dopo che avremo spie-  gato questo tipo di proporzione. Esiste dunque una proporzione di  quattro termini che è chiamata musicale, formata da due estremi e  due medi, in modo che i differenti rapporti dei termini medi rispetto  agli estremi si intreccino secondo gli intervalli degli accordi armonici.  Giacché, secondo la teoria musicale, gli accordi armonici nascono  appunto quando due o anche più suoni non omofoni si fondono sotto  un'unica percussione <dell’aria> e giungono all'orecchio in modo  uniforme,724 e il più piccolo intervallo armonico, e il primo che il  nostro orecchio può percepire, è l'accordo di quarta: tanta infatti è la  distanza reciproca delle corde che lo contengono.7 Tale accordo è di  rapporto epitrite, dopo di che, aggiunta una corda di intervallo inte-  ro,726 [120] per la stessa ragione l’accordo è detto di quinta, e anche  questa corda è in rapporto con la prima, ma il rapporto è emiolio. La  differenza tra questo accordo e l’altro??? è l'intervallo contenuto dalla  quinta corda che si è aggiunta, e che è di rapporto epiottavo, sicché  l'accordo di quinta supererà l'accordo di quarta di un tono, e il rap-  porto emiolio supererà il rapporto epitrite di un rapporto epiotta-  vo.728 E questi intervalli, presi fuori della loro composizione, sono  anche intesi come semplici accordi armonici, mentre gli intervalli  maggiori che nascono dalla loro composizione dànno già l'accordo  armonico più pieno, che è anche il primo accordo armonico detto  “diapason”72? e composto di ambedue quegli accordi,7° e chiamato  con questo nome, perché abbraccia tutte le corde che producono gli  accordi armonici semplici, e che è di rapporto doppio: ogni rapporto  epitrite??! combinato con un rapporto emiolio”?? costituisce infatti un  rapporto doppio.?33 Dalla composizione tra questo rapporto doppio  e ciascuno dei due rapporti iniziali, nascono a loro volta, l'accordo di  ottava e insieme di quarta, e l'accordo di ottava e insieme di quinta. I  Pitagorici invece non credevano che il cosiddetto accordo di ottava e    792 GIAMBLICO    τοῦ γ΄ διπλάσια, τὰ δὲ η΄ τοῦ ς΄ ἐπίτριτα" εἰς δ᾽ οὖν τὸ παρὸν κατὰ  τοὺς νεωτέρους νομιζέσθω καὶ αὐτὸ [121] σύμφωνον, σαφηνείας  ἕνεκα τῶν ἑξῆς. μεθ᾽ ὃ πάλιν τὸ διὰ πασῶν ἅμα καὶ διὰ πέντε σύμ-  φωνόν ἐστιν ἐν τριπλασίῳ λόγῳ ὄν, διότι ἐκ διπλασίου καὶ ἡμιολίου  ὁ τριπλάσιος λόγος σύγκειται᾽ διπλάσια μὲν γὰρ τὰ ς΄ τῶν γ΄,  ἡμιόλια δὲ τὰ θ΄ τῶν ς΄, ἅπερ πρὸς y ἐν τριπλασίῳ λόγῳ ἐστίν. ἑαυτῷ  δὲ τὸ διπλάσιον συντεθὲν ποιεῖ τὸ δὶς διὰ πασῶν σύμφωνον διά-  στημα ἐν λόγῳ ὃν τετραπλασίῳφ᾽ δὶς γὰρ ὁ διπλάσιος λόγος τετρα-  πλάσιός ἐστι. τὰς δὲ ἐπὶ τούτῳϑ2 μείζονας [10] συμφωνίας συμβαί-  νει γίνεσθαι, προσπλεκομένων πάλιν τῇ δὶς διὰ πασῶν τῶν ἐξ ἀρχῆς  ἁπλῶν διαστημάτων, ἃ νῦν παρίεμεν ἑκόντες, ὡς εὐκαιρότερον ὃν  ἐν αὐτῇ τῇ Μουσικῇ εἰσαγωγῇ περὶ αὐτῶν τεχνολογεῖν, τὰς δὲ ἐπι-  τάσεις καὶ ἀνέσεις τῶν χορδῶν κατὰ τοὺς εἰρημένους λόγους γινο-  μένας πρῶτον Πυθαγόραν ἱστοροῦσι συμμετρήσασθαι᾽ παριόντα  γὰρ εἷς τι χαλκοτυπεῖον, καὶ ἐκ τῆς τῶν ῥαιστήρων καταφορᾶς cvu-  φώνου ἀπηχήσεως ἐπακούσαντα, συσταθμίσασθαι τὰ βάρη, καὶ  εὑρόντα «σύμμετρα αὐτὰ ὄντα»9 καὶ ἐν λόγοις τοῖς εἰρημένοις, [20]  μεγαλοφυῶς περινοῆσαι καὶ ποικίλαις ὕλαις ἐφαρμόσαι τοὺς αὖ-  τοὺς λόγους, νῦν μὲν μήκεσι χορδῶν ἢ ἰσοπαχῶν μέν, κατὰ δὲ τὴν  κολόβωσιν συμμετρηθεισῶν πρὸς ἀλλήλας, ἢ ἀνάπαλιν ἰσομηκῶν  μέν, ἀναλόγως δὲ παχυνθεισῶν, νῦν δὲ κατὰ μὲν τὰ προειρημένα  ἀδιαφόρων οὐσῶν κατὰ δὲ μόνην τὴν τάσιν διαφόρως [122] συμμε-  τρηθεισῶν, πολλάκι δὲ καὶ κατὰ δύο τῶν εἰρημένων καὶ τρεῖς δια-  φορὰς τὴν ἐξέτασιν ἀναλαμβανουσῶν. ἤδη δὲ κἀπὶ τῶν συρίγγων  καὶ αὐλῶν καὶ ὅλως τῶν ἐμπνευστῶν τὸ ἀνάλογον ἐφαρμόζειν αὐτῷ  ῥᾶστον fiv: κἀκεῖ γὰρ ἀκολούθως τοῖς ἐντατοῖς τά τε μήκη καὶ αἱ  κοιλώσεις κατὰ τοὺς εἰρημένους λόγους συμμετρούμεναι τὰς συμ-  φωνίας ἀπετέλουν, τῆς μὲν εὐρύτητος καὶ μακρότητος τῶν αὐλῶν  ἀναλογούσης πάχει καὶ μήκει καὶ ἀνέσει χορδῆς, στενότητος δὲ  καὶ [10] βραχύτητος λεπτότητί τε καὶ ἐπιτάσει καὶ βραχύτητι. τὰς  δ᾽ αἰτίας, δι᾽ ἃς τοῦτο συνέβαινε, κατ᾽ οἰκεῖον τόπον ἐν αὐτῇ τῇ    92 ἐπὶ τούτῳ congetturò Heiberg giustamente (cf. Ad4. et Corr. p. VIII):  ε΄ τούτῳ.    9 lacuna colmata da Vitelli.    INTRODUZIONE ALL’ARITMETICA DI NICOMACO 793    insieme di quarta fosse un accordo armonico, perché esso non  ammette alcun rapporto, né multiplo né epimorio né epimere, ma  scade in una relazione mista: e infatti è come un rapporto 8 a 3, per-  ché 6 è doppio di 3, e 8 è epitrite di 6; ebbene ai giorni nostri bisogna  credere, d'accordo con i matematici più recenti, che anche questo è  un accordo armonico, [121] per quello che sarà chiarito in seguito.  Dopo di che si dirà di nuovo che l’accordo di ottava e insieme di  quinta costituisce un accordo armonico di rapporto triplo, perché il  rapporto triplo è somma di rapporto doppio e di rapporto emiolio: 6  infatti è doppio di 3, ma 9 è emiolio di 6 e triplo di 3.734 Ma il doppio  sommato a se stesso fa l’intervallo due volte l’accordo di ottava, cioè  di rapporto quadruplo, perché il rapporto doppio?35 preso due volte  è rapporto ‘quadruplo. Ed è appunto in questo rapporto quadruplo  che hanno origine gli accordi armonici maggiori, se si applicano di  nuovo all'accordo di doppia ottava gli intervalli semplici iniziali, che  ora noi volentieri lasciamo da parte, in quanto è più opportuno  approfondirli nella stessa Introduzione alla musica.?36 Si racconta che  per primo Pitagora commisurò le tensioni e gli allentamenti delle  corde secondo i suddetti rapporti: essendosi recato, infatti, nell’offi-  cina di un fabbro, e avendo ascoltato la risonanza armonica prodotta  dalla caduta dei martelli, misurò i pesi relativi dei martelli, e trovan-  do che, essendo commisurati, <rientravano> anche nei rapporti  armonici di cui si è detto, pensò, da quel grand’uomo che era, di  applicare gli stessi rapporti a diversi materiali, a corde ora di uguale  spessore, ma tagliate secondo lunghezze di misura proporzionata, o al  contrario di uguale lunghezza, ma di spessore proporzionato, ora  senza le differenze di prima, ma commisurate secondo una diversa  tensione, [122] ma spesso anche prendendole in esame secondo le  differenze di due o tre dei suddetti criteri. Ed era ormai facile per lui  applicare la proporzionalità anche alle zampogne e ai flauti e a tutti  gli strumenti a fiato: anche in quei casi, infatti, sia-le lunghezze che le  cavità, commisurate secondo i suddetti rapporti sull'esempio degli  strumenti a corda, producevano gli accordi armonici, se c’era propor-  zionalità tra la larghezza e la lunghezza dei flauti e lo spessore e la lun-  ghezza e l’allentamento della corda, e tra il restringimento e l’accor-  ciamento dei flauti e l’assottigliamento e la tensione e l’accorciamen-  to della corda. Le ragioni per cui accadeva tutto ciò, le chiariremo a    794 GIAMBLICO    Μουσικῇ εἰσαγωγῇ cagnvioduev. τὰ νῦν δὲ ὡς ἐν ἐπιδρομῇ  θεωρητέον ἐπ᾽ ἀριθμῶν τοὺς εἰρημένους λόγους. ἵνα τοίνυν ἐπίτρι-  τον ἀποστήσῃ τις λόγον, ἀριθμοῦ δεῖ τρίτον ἔχοντος ὁ γὰρ τούτου  ἐπίτριτος πάντως ἥμισυ ἕξει, ὅπως καὶ ὁ τούτου ἡμιόλιος πρὸς τὸν  ἐξ ἀρχῆς διπλάσιον, ὡς ἔχει ἐπὶ τῶν ς΄ η΄ 18. ἢ πάλιν ἵνα ἡμιόλιον  λόγον ποιήσω, ἀριθμοῦ δεῖ ἥμισυ ἔχοντος, ἵν᾽ ὁ ἡμιόλιος αὐτοῦ τει-  νόμενος [20] τρίτον ἀναγκαίως ἔχων ὑπεπίτριτον λόγον πρὸς ἄλλον  τινὰ ὅρον παράσχῃ, ὃς τοῦ ἐξ ἀρχῆς ἔσται πάλιν πολλαπλάσιος, ὡς  ἔχει ἐπὶ τῶν ς΄ θ΄ ιβ΄. εἰ δὴ τηρήσαιμεν τοὺς ἄκρους ὅρους ἑστῶτας,  ἐπειδὴ καὶ οἱ αὐτοί εἰσιν ἐν ἀμφοτέραις ταῖς μεσότησι, τὸν ς΄ λέγω  καὶ τὸν ιβ΄, τοὺς δὲ μέσους ἅμα τάξαιμεν μεταξὺ αὐτῶν, ἔσται ἡ  εἰρημένη διὰ τεσσάρων ὅρων μουσικὴ ἀναλογία ἡ ς΄ η΄ θ΄ ιβ΄. πρῶτον  δ᾽ ἑτάξαμεν αὐτῆς τὸν ς΄ ἀριθμόν, ἐπειδὴ τρίτου ἅμα καὶ ἡμίσους  [123] πρῶτος ἦν ἐπιδεκτικός, ἵνα ἀπ᾿ αὐτοῦ τοὺς εἰρημένους λόγους  ἀποστῆσαι δυνηθῶμεν, ἐπίτριτον μὲν τὸν η΄ πρὸς τὸν ἡμιόλιον τὸν  ιβ΄, ὃς διπλάσιος ἔσται τοῦ ἐξ ἀρχῆς ς΄, ἢ πάλιν ἡμιόλιον μὲν τὸν θ΄  πρὸς τὸν ἐπίτριτον τὸν ιβ΄, ὃς πάλιν ἔσται τοῦ ἐξ ἀρχῆς «ς΄» διπλά-  GLOG. καὶ αὕτη ἐστὶν ἡ προειρημένη ἐμπλοκὴ τῶν μέσων ὅρων πρὸς  τοὺς ἄκρους. ὅτι δ᾽ ἀναγκαῖον ἦν πρῶτον τάξαι τὸν ς΄ πρὸς τὴν τῶν  λόγων ἀπόστασιν, ἐντεῦθεν ἂν μάθοιμεν’ μονάδα μὲν γὰρ οὐχ οἷόν  τ᾽ [10] ἦν, ἐπειδὴ ἀμερὴς ὑπόκειται καὶ οὔτε ἥμισυ οὔτε τρίτον  ἔχει, ἀλλ᾽ οὐδὲ δυάδα, διότι ἥμισυ μὲν ἔχει τρίτον δ᾽ οὐκ ἔχει, οὐδὲ  μὴν τὴν τριάδα τρίτον μὲν ἔχουσαν ἥμισυ δ᾽ οὐκ ἔχουσαν, οὐδὲ  τετράδα διὰ τὰ αὐτὰ τῇ δυάδι (τρίτου γὰρ καὶ αὐτὴϑ4 ἐστέρηται), τὴν  δὲ πεντάδα διὰ τὰ αὐτὰ τῇ μονάδι οὔθ᾽ ἥμισυ οὔτε τρίτον ἔχουσαν.  πρῶτος δὴ καὶ ἐλάχιστος ἡμῖν ὁ ς΄ χρησιμεύσει πρὸς τὰς τῶν λόγων  ἀποστάσεις, ἀποτέλεσμα ὧν τῶν δύο πρώτων ἀριθμῶν καὶ ἡμίσους  καὶ τρίτου ἐπιδεκτικῶν, λέγω δὲ τοῦ β΄ καὶ γ΄. πρὸς [20] δὴ τὸν ς΄ ὁ  μὲν η΄ ἐπίτριτος ὧν περιέξει τὴν διὰ τεσσάρων συμφωνίαν. καὶ ἐπεὶ  πρὸς τὸν η΄ ἡμιόλιός ἐστιν ὁ ιβ΄ περιέχων τὴν διὰ πέντε, πρὸς τὸν ἐξ  ἀρχῆς ς΄ ὁ αὐτὸς ιβ΄ διπλάσιος ὧν «περιέξει τὴν διὰ πασῶν» συμ-  φωνίαν σύνθετον οὖσαν ἐκ τῆς διὰ τεσσάρων καὶ διὰ πέντε. καὶ  πάλιν τοῦ ς΄ ὁ θ΄ ἡμιόλιος ὧν περιέξει τὴν διὰ πέντε, πρὸς δὲ τὸν θ΄    94. αὐτὴ congetturò Vitelli: αὕτη Pistelli.    INTRODUZIONE ALL'ARITMETICA DI NICOMACO 795    suo luogo nella stessa Introduzione alla musica. Le cose che adesso  dobbiamo considerare rapidamente riguardano, invece, i suddetti  rapporti numerici. Perché dunque si costituisca un intervallo di rap-  porto epitrite, occorre che il numero ammetta una terza parte: l’epi-  trite infatti avrà sempre una metà, cosî come l’emiolio dell’epitrite è  sempre il doppio del numero iniziale, come accade tra i numeri 6, 8,  12. O ancora, perché io ottenga un rapporto emiolio, occorre che il  numero ammetta una metà, affinché il suo rapporto emiolio, esten-  dendosi, abbia necessariamente una terza parte e fornisca quindi un  rapporto sotto-epitrite rispetto a un altro termine, che sarà a sua volta  multiplo di quello iniziale, come accade tra i numeri 6, 9, 12. Se quin-  di manteniamo fissi i termini estremi, giacché sono uguali in ambedue  le medietà, intendo dire 6 e 12, e al tempo stesso poniamo tra di essi  i termini medi [8 e 9], si avrà la proporzione musicale di quattro ter-  mini di cui si è detto, cioè 6, 8, 9, 12. Come suo primo termine noi  poniamo il numero 6, giacché era il primo numero che ammetteva  insieme il terzo e la metà, [123] in modo che possiamo intervallare da  questo numero 6 i detti rapporti, cioè l’epitrite 8 rispetto all’emiolio  12, che sarà doppio del numero iniziale 6, o ancora l’emiolio 9, rispet-  to all’epitrite 12, che sarà di nuovo doppio del numero iniziale 6. Ed  è questa la combinazione dei termini medi con gli estremi, della quale  si diceva prima. Che per intervallare i rapporti fosse necessario ordi-  nare come primo termine il 6, potremmo apprenderlo dal seguente  ragionamento: non è possibile che il primo termine sia 1, perché sog-  giace a indivisibilità e non ha né metà né terza parte, ma neppure 2,  perché ha la metà ma non la terza parte, e neppure 3, perché ha la  terza parte ma non ha la metà, e neppure 4, per le stesse ragioni del 2  (è privo infatti anch’esso di terza parte), e neppure 5, per le stesse  ragioni dell’ 1, perché cioè non ha né metà né terza parte. Quindi il  primo e più piccolo numero che sarà utile per intervallare i rapporti  è 6, che è prodotto dei primi due numeri che ammettono rispettiva-  mente metà e terza parte, intendo dire 2 e 3. E in rapporto a 6, 8 che  è epitrite, fornirà l'accordo di quarta. E poiché in rapporto a 8, 12 è  emiolio, conterrà l’accordo di quinta, ma in rapporto al 6 iniziale, lo  stesso 12 che è doppio, conterrà l'accordo di ottava, che è composto  dagli accordi di quarta e di quinta.?3” E a sua volta in rapporto a 6, 9  che è emiolio, conterrà l'accordo di quinta, mentre in rapporto a 9, 12    796 GIAMBLICO    ὁ ιβ΄ τὴν διὰ τεσσάρων ἐπίτριτος ὧν αὐτοῦ, πρὸς δὲ τὸν ἐξ ἀρχῆς ς΄  πάλιν τὴν διὰ πασῶν. τὴν δὲ ὑπεροχὴν τοῦ διὰ πέντε πρὸς τὸ διὰ  τεσσάρων, τὸ τονιαῖον [124] διάστημα, περιέξουσιν οἱ μέσοι ὁ θ΄  πρὸς π΄ ἐν ἐπογδόῳ λόγῳ ὄντες, διότι ὁ ἡμιόλιος λόγος τοῦ ἐπιτρίτου  ἐπογδόῳ ὑπερέχει, ὡς εἴρηται. καὶ ἡ διαφορὰ δὲ μειζόνων ὅρων τοῦ  1β΄ καὶ θ΄ «πρὸς τὴν» τοῦ η΄ καὶ ς΄ τὸν ἡμιόλιον λόγον περιέξει, ὅς  ἐστι τῆς διὰ πέντε συμφωνίας καὶ κατ᾽ ἐμπλοκὴν ἡ διαφορὰ τοῦ ιβ΄  καὶ η΄ πρὸς διαφορὰν τοῦ θ΄ καὶ ς΄ τὸν ἐπίτριτον ἕξει λόγον τῆς διὰ  τεσσάρων συμφωνίας: τὸν δὲ διπλάσιον ἥ τε τοῦ η΄ καὶ ς΄ διαφορὰ  πρὸς τὴν τοῦ [10} η΄ καὶ θ΄ διαφοράν, καὶ ἡ τοῦ ιβ΄ καὶ η΄ διαφορὰ  πρὸς τὴν τοῦ η΄ καὶ ς΄ διαφοράν, καὶ ἔτι ἡ τοῦ ιβ΄ καὶ ς΄ διαφορὰ πρὸς  τὴν τοῦ θ΄ καὶ ς΄ διαφοράν. καθ᾽ ἑκάστην γὰρ συζυγίαν λόγος ἐστὶ  τῆς διὰ πασῶν συμφωνίας ὁ διπλάσιος. τὸν δὲ τριπλάσιον λόγον  περιέξει τῇ διὰ πασῶν καὶ διὰ πέντε συμφωνίᾳ ἡ διαφορὰ τοῦ τε θ΄  καὶ ς΄ πρὸς διαφορὰν τοῦ θ΄ καὶ η΄ ἢ καὶ «» διαφορὰ τοῦ ιβ΄ καὶ ς΄  πρὸς διαφορὰν τοῦ η΄ καὶ ς΄. τὸν δὲ τετραπλάσιον λόγον τῆς «δὶς διὰ  πασῶν συμφωνίας, ἡ τοῦ 18° καὶ η΄ [ἡ] διαφορὰ [20] πρὸς τὴν τοῦ θ΄  καὶ η΄ διαφοράν. καὶ πλείονας δ᾽ ἄν τις εὕροι λόγους τῶν συμφώνων  διαστημάτων πολλαπλασιάσας τοὺς ἐκκειμένους τέσσαρας ὅρους  ἐπί τε αὑτοὺς ἕκαστον καὶ ἐπ᾽ ἀλλήλους, καὶ ἔτι ἐπὶ τὰς αὐτῶν δια-  φοράς, καὶ αὐτὰς τὰς διαφορὰς καθ᾽ ἑαυτάς τε καὶ ἐπ᾽ ἀλλήλας, ὡς  ἔνεστι κατὰ τὸ φιλόκαλον δι᾽ αὑτοῦ ἕκαστον πειραθέντα  κατανοῆσαι. ἔστιν οὖν πάλιν μουσικὴ μεσότης, ὅταν ἐν τέτταρσιν  ὅροις ἦ ὡς [125] ὁ μέγιστος πρὸς τὸν παρ᾽ αὐτόν, οὕτως ὁ τῶν μέσων  ἐλάττων πρὸς τὸν ἐλάχιστον. ὡς δ᾽ ὁ μέγιστος πρὸς τὸν τῶν μέσων  ἐλάττονα, οὕτως ὁ τῶν μέσων μείζων πρὸς τὸν ἐλάχιστον. παρακο-  λουθεῖ δὲ αὐτῇ τὸ ὑπὸ τῶν ἄκρων πρόμηκες ἴσον ἀποτελεῖν τῷ ὑπὸ  τῶν μέσων γινομένῳ ἑτερομήκει. περιέχει δὲ καὶ τὰς πρωτίστας  τρεῖς μεσότητας μόνη, ἀριθμητικὴν μὲν ἐν ὅροις τοῖς 1β΄ θ΄ ς΄" ἴσως  γὰρ ὁ μέσος «ὑπερέχει τε καὶ» ὑπερέχεται. ἁρμονικὴν δὲ ἐν ὅροις  τοῖς 18° η΄ ς΄ [10] τῷ γὰρ αὐτῷ μέρει τῶν ἄκρων αὐτῶν ὁ μέσος  ὑπερέχει τε καὶ ὑπερέχεται. τὴν δὲ γεωμετρικὴν ἐν διαζεύξει᾽ ἔστι  γὰρ ὡς ιβ΄ πρὸς π΄, θ΄ πρὸς ς΄, ὥστε τὴν ταυτότητα τῶν λόγων διὰ τῶν  δ΄ ὅρων ἀποδοθῆναι.    INTRODUZIONE ALL'ARITMETICA DI NICOMACO 797    che è epitrite, conterrà l'accordo di quarta, e in rapporto al 6 iniziale  <essendo doppio> conterrà di nuovo l’accordo di ottava.  L’eccedenza, poi, dell'accordo di quinta sull’accordo di quarta, cioè  l'intervallo di un tono, [124] sarà contenuta dai termini medi 9 in  rapporto a 8, che sono in rapporto epiottavo, ed è per questo che,  come si è detto, il rapporto emiolio eccede quello epitrite di un epiot-  tavo. Ma anche la differenza tra i termini maggiori, cioè 12 e 9, sarà  in rapporto emiolio rispetto alla differenza tra 8 e 6,738 rapporto che  è proprio dell’accordo di quinta; e per converso la differenza tra 12 e  8 conterrà il rapporto epitrite rispetto alla differenza tra 9 e 6, rappor-  to che è proprio dell'accordo di quarta; saranno poi in rapporto dop-  pio la differenza tra 8 e 6 rispetto alla differenza tra 8 e 9, e la diffe-  renza tra 12 e 8 rispetto alla differenza tra 8 e 6, e inoltre la differen-  za tra 12 e 6 rispetto alla differenza tra 9 e 6. Il rapporto doppio di  ciascuna combinazione, infatti, è proprio dell’accordo di ottava. Il  rapporto triplo sarà invece contenuto, per l'accordo di ottava e di  quinta, dalla differenza tra 9 e 6 rispetto alla differenza tra 9 e 8,0  anche dalla differenza tra 12 e 6 rispetto alla differenza tra 8 e 6. Il  rapporto quadruplo sarà invece contenuto, per l'accordo di doppia  ottava, dalla differenza tra 12 e 8 rispetto alla differenza tra 9 e 8. E si  potrebbero scoprire molti altri rapporti di intervalli armonici molti-  plicando i quattro termini esposti, ciascuno per se stesso e tra di loro,  e ancora moltiplicando le loro differenze, ciascuna per se stessa e tra  di loro, come potrà osservare chi ama fare da sé i suoi calcoli.?39 Esiste  dunque anche una medietà musicale,74° quando fra quattro termini,  [125] come il termine più grande sta a quello che lo segue,74! cosi il  minore dei medi sta al termine pit piccolo; e come il termine più  grande sta al minore dei medi, cosî il maggiore dei medi sia al termi-  ne più piccolo.?42 Ne consegue che in questa medietà il prodotto degli  estremi, che è un numero promeche, è uguale al prodotto dei medi,  che è un numero eteromeche. Essa è la sola che contiene tutte e tre le  medietà assolutamente prime, e precisamente la medietà aritmetica  nei termini 12, 9, 6: il medio infatti supera ed è superato di pari quan-  tità numerica; la medietà armonica nei termini 12, 8, 6: il medio infat-  ti supera ed è superato della stessa parte degli estremi; la medietà geo-  metrica in disgiunzione:?4 infatti come 12 sia a 8, cosi 9 sta a 6, sic-  ché nei quattro termini si dà identità di rapporti.    798 GIAMBLICO    Καὶ τοῦτο μὲν ἡμῖν πέρας τῆς Εἰσαγωγῆς ἔστω τὸ παρὸς τῆς κατὰ  τὸν Πυθαγόρειον Νικόμαχον, αὖθις δὲ θεοῦ διδόντος ἐντελέστερόν  σοι καὶ αὐτὴν ταύτην τὴν ᾿Αριθμητικὴν εἰσαγωγὴν ὡς ἂν ἤδη ἕξιν  παρακολουθητικὴν διὰ ταύτης ἐσχηκότι ποιήσαντες παρέξομεν'  καὶ ὅσα δὲ ἄλλα ἐπανθεῖ τοῖς ἀπὸ μονάδος μέχρι [20] δεκάδος ἀριθ-  μοῖς κατὰ τὸν φυσικὸν λόγον καὶ τὸν ἠθικὸν καὶ ἔτι πρὸ τούτων τὸν  θεολογικὸν κατατάξαντες συμφιλολογήσομεν, ἵνα ἀπ᾽ αὐτῶν εὐμα-  ρεστέρα σοι λοιπὸν καὶ ῥάστη τῶν ἑξῆς τριῶν εἰσαγωγῶν, μουσικῆς  λέγω καὶ γεωμετρικῆς καὶ σφαιρικῆς, ἡ παράδοσις γίνηται.    INTRODUZIONE ΑΙ ΑΚΙΤΜΕΤΙΟΑ DI NICOMACO 799    E qui abbia termine per noi, temporaneamente, questa  Introduzione <all'aritmetica> condotta secondo l'insegnamento di  Nicomaco Pitagorico; in seguito ti presenteremo, dio permettendo,  questa stessa Introduzione <all’aritmetica> in forma più completa,  facendo anche in modo che tu possa ormai acquisire con essa un habt-  tus di intelligenza critica; e studieremo insieme quante altre proprie-  tà fioriscano nei numeri da 1 a 10 trattandole secondo l’ordine natu-  rale e l'ordine morale, e ancora secondo l’ordine teologico che prece-  de quei due, affinché partendo da queste proprietà aritmetiche ti  venga poi più agevole e assolutamente facile l'insegnamento delle tre  successive Introduzioni, intendo dire dell’Introduzione alla musica,  dell’Introduzione alla geometria e dell’Introduzione alla sferica.    NOTE ALLA INTRODUZIONE  ALL'’ARITMETICA DI NICOMACO    1 Sc. come il suo contenuto.   2 Sc. come “aritmetica”.   3 Sc. delle scienze matematiche in generale.   4 Sc. forme numeriche universali.   5 κοινὰ νοήματα: appare evidente la distanza semantica tra questo νοή-  ματα e l' ἐννοήμασιν che precede e che viene escluso assieme ai φαντάσμα-  τα. È pure evidente il senso di “pura intuizione” intellettiva che Giamblico  attribuisce a queste nozioni comuni di cui si compone l’aritmetica primaria,  dal momento che, come dice altrove, il procedimento conoscitivo della mate-  matica è basato sulla facoltà raziocinativa [διάνοια] di cui appunto queste  nozioni altro non sono che i fondamenti e i presupposti (cf. Giamblico, De  comm. math. sc. 11,9-11 ἡ μαθηματικὴ ἐπιστήμη γνῶσίς ἐστι μέση, πλεονά-  ζουσα τοῦ νοῦ τῇ συνθέσει, διανοητική τις οὖσα).   6 ἀκριβῶς: cioè con la massima esattezza nel definire e nello spiegare i  concetti.   ? Organizzando, cioè, i concetti e le parti della sua esposizione senza salti  né inversioni.   8 Non può trattarsi qui della dimostrazione nel suo significato tecnico,  cioè come procedimento logico-razionale, insomma nel senso aristotelico (cf.  Aristotele, An. Post. 85 B 23 5. ἡ ἀπόδειξις μέν ἐστι συλλογισμὸς δεικτικὸς  αἰτίας καὶ τοῦ διὰ τί), ma della determinazione dei principi generali di ogni  dimostrazione matematica: un conto è definire i principi di una scienza, altro  conto è dimostrarne vere le proposizioni. Lo stesso Aristotele, Ar. Post. 90  A 35 ss., distingue nettamente la conoscenza per definizione dalla conoscen-  za per dimostrazione: «Ci si porrà il problema se è la stessa cosa e sotto lo  stesso riguardo conoscere per definizione [ὁρισμῷ εἰδέναι] e conoscere per  dimostrazione [ἀποδείξει], o se ciò sia impossibile [...Jinfatti si potrà anche  conoscere qualcosa per definizione, senza averne dimostrazione; nulla però  impedisce di averle insieme» (90 B 1 ss.).   ? In effetti nessuna opinione è ammessa nella matematica, perché è l’opi-  nione in quanto tale che è estranea ad essa. Si ricordi che in Platone, Resp.  VI, 509 D 7 ss., opinione e ragione matematica rappresentano due segmenti  ben distinti della linea del conoscere, e le forme matematiche in sé sono cose  che non si possono vedere se non con la ragione [οὐκ ἂν ἄλλως ἴδοι τις ἢ τῇ  διανοίᾳ 511 A 1].    INTRODUZIONE ALL'ARITMETICA DI NICOMACO 801    10 Sc. della conoscenza matematica, che sta alla base della conoscenza  degli enti reali.   11 Questo concetto della distribuzione dell'oggetto matematico in generi  e specie, soprattutto ai fini dell’insegnamento, è basilare nella mentalità pita-  gorica, e giamblichea in ispecie, tanto che viene ribadito [o anticipato] in De  comm. matb. sc.: «Essi infatti insegnano approfonditamente [ἀναδιδάσκου-  σιν] come nasca ogni genere e ogni specie di numero e come noi possiamo  scoprirlo». Si noti che il verbo ἀναδιδάσκω è usato nel De cormzzz. math. sc.  frequentemente e sempre con tale significato forte. Per converso, di questo  verbo non c’è alcuna occorrenza nell'Ix Nicom. (ma del resto non occorre  neppure nel testo di Nicomaco).   12 Pag. 5,27-7,2 = Giamblico, Vita Pyth. 89,23-90,20 Deubner.   13 La nozione di saggezza come “scienza della verità degli enti” si ritro-  va in Giamblico Protr. 14, 115,9 ss.: θάνατος δὲ ὁ τῆς ψυχῆς χωρισμὸς ἀπὸ  τοῦ σώματος, οὗτος δὲ τὸ φιλοσοφεῖν ὡς ἀληθῶς καὶ ἄνευ αἰσθητηρίων καὶ  σωματικῶν ἐνεργειῶν καθαρῷ τῷ νῷ χρῆσθαι εἰς κατάληψιν τῆς ἐν τοῖς  οὖσιν ἀληθείας, ἤπερ ἐπέγνωσται σοφία οὖσα. Ciò che Giamblico riferisce  nel cap. 4 dello stesso scritto come pensiero contenuto nel Περὶ σοφίας di  Archita -- che dalla critica è ritenuta opera non di Archita, ma di un  Anonimo del III sec. a.C. (cf. H. Thesleff, Ax Introduction to the  Pytbagorean Writings of the Hellenistic Period, Àbo 1961, 115 --, presenta  notevoli differenze concettuali fondate tutte sul fatto che li σοφία si esten-  de a tutti gli enti, in quanto «la sapienza pensa come presenti le cose che in  se stesse sono le più lontane, e contiene in sé le forme di tutti gli enti »  (Giamblico, Protr. 4, 17,23 ss.).   14 Qui il discorso appare chiaramente ispirato dalla concezione platoni-  ca, che in ogni caso sta alla base di quella pitagorica in tutta l’opera. Del  resto in questo punto non si sta parlando della matematica, bensi della filo-  sofia come tale, cioè come desiderio o amore di saggezza.   15 Sc. non per omonimia.   16 Pag. 7,3-9,23 = Giamblico, De comm. matb. sc. 28,24-32,7.   17 μέγεθος è termine che in questo contesto indica la quantità geometri-  ca, che noi per comodità, allo scopo di distinguerla nettamente dalla quan-  tità numerica, chiameremo semplicemente “grandezza”: essa significa  insomma la quantità di una figura geometrica, ovvero la quantità del conti-  nuo.   18 πλῆθος è termine the in questo contesto indica la quantità aritmetica,  che noi per comodità, allo scopo di distinguerla nettamente dalla grandez-  za geometrica o quantità continua, chiameremo “quantità numerica”: essa  significa insomma la quantità aritmetica ovvero il numero in quanto quan-  tità discreta. È chiaro che questo secondo tipo di quantità può esprimere la  quantità del primo tipo, ma, come si vedrà meglio in seguito, il numero    802 GIAMBLICO    come tale (la quantità numerica) è primario rispetto alla grandezza (quanti-  tà geometrica).   19 È interessante osservare che Giamblico non adopera lo stesso termine  per confrontare i due punti di vista da cui può essere considerato il mondo:  egli infatti usa il termine οὐσία per indicare quello della grandezza [κατὰ  μὲν τὴν τοῦ μεγέθους οὐσίαν], e ἰδέα per indicare quello del numero [κατὰ  δὲ τηὲν τοῦ πλήθους πάλιν ἰδέαν καὶ ἔννοιαν]: la ragione più plausibile  sembra essere il fatto che la grandezza (o quantità geometrica) appare agli  occhi di un Pitagorico molto più vicina agli enti corporei che non la quanti-  tà numerica. Si veda per questo, Giamblico, De comm. math. sc. 16-17, dove  si parla della differenza tra la causa del numero e quella della grandezza: qui  il termine μέγεθος è unito al termine ὑποδοχή (a sua volta assimilato a ὕλη)  per indicare la prima causa dell’aspetto molteplice del numero, cioè della sua  determinatezza concreta, rispetto alla quale il numero come tale rappresen-  ta come la forma o εἶδος.   20 Sc. della grandezza, o quantità continua.   21 Una figura geometrica, infatti, può essere divisa all'infinito, ma non  può essere ingrandita all'infinito, pena la perdita della sua forma.   22Un numero, infatti, può essere aumentato all’infinito, ma non può esse-  re diviso all’infinito, pena la perdita della sua quantità discreta: si ricordi che  secondo questa teoria pitagorica i numeri sono concepiti come numeri natu-  rali, e quindi come quantità determinate, cioè divisibili in altre quantità  determinate.   23 Questo fr. di Filolao (= VS 44 B 3 Diels-Kranz) non ha avuto traduzio-  ni concordi: la difficoltà maggiore sta nell’ ἀρχάν iniziale. Cf. W. Burkert,  Lore and Science in Ancient Pythagoreanism, Cambridge, Mass. 1972, 260.   24 Sc. grandezza e quantità numerica.   25 Sc. alla quantità numerica.   26 Sc. dalla molteplicità numerabile.   27 Nel senso che “quanto” indica appunto la molteplicità di cui si com-  pone.   28 Sc. alla grandezza.   29 Nel senso, cioè, che anche qui il nome indica la natura della cosa.   30 Sc. dall’estensione in grandezza.   31 Sc. il quanto assoluto.   32 Perfetto è un numero che è uguale alla somma dei suoi divisori: ad es.  6=3+2+1; deficiente un numero che è maggiore della somma dei suoi diviso-  ri: ad es. 8>(4+2+1). Cf. Giamblico, In Nicom. 32,2 ss.   53 Infatti, non si può dire “pari rispetto a qualcosa”, o “perfetto rispetto  a qualcosa”.   34 Sc. il auanto relativo.    INTRODUZIONE ALL’ARITMETICA DI NICOMACO 803    35 Numero che contiene un numero intero + una frazione avente come  numeratore l’unità: 1+(1/n), dove n è un numero intero: ad es. 9=6+1/2(6);  8=6+1/3(6).   36 Numero che contiene un numero intero + una frazione avente come  numeratore un numero superiore all’unità: 1+(m/m+n): ad es. 10=6+2/3(6);  14=8+3/4(8), ecc.   37 Sc. aritmetica e geometria.   38 Sc. musica e astronomia.   39 Sc. il quanto in movimento (oggetto della musica) e il quanto grande in  movimento (oggetto dell'astronomia).   40 In tal modo Giamblico spiega come siano nate le quattro scienze del  quadrivio, aritmetica, musica, geometria e astronomia, e come si colleghino  tra di loro a coppie, a seconda che il medesimo oggetto (il “quanto” o il  “quanto grande”) sia visto in sé o in rapporto ad altro, in riposo o in movi-  mento.   41 VS 47 Β 1, p. 432,7 5. Diels-Kranz.   42 C£. Platone, Epin. 991 E 3-992 B 3.   43 C£. Giamblico, De comm. math. sc. 31,17 ss. Qui Giamblico interpreta  Platone (che in realtà è Filippo di Opunte) in un senso eccessivamente pita-  gorizzante, anche se a ben considerare la teoria platonica della Repubblica,  soprattutto quella contenuta nella similitudine della “linea segmentata”, la  matematica (le quattro scienze matematiche di cui si parla qui) copre effetti-  vamente l’intera conoscenza del mondo al di sotto delle idee, cioè il mondo  dianoetico. Che il mondo sia composto solo di “continuo e discreto”, del  resto, corrisponde alla fisica di Platone contenuta nel Tizzeo.   44 La matematica va al di là dell'attività teoretica, perché abbraccia anche  l’attività pratica: la sua funzione filosofica e antropologica è tipica della men-  talità pitagorica.   4 Anteriore, nel senso che l’aritmetica è presupposta dalle altre scienze  matematiche: essa, cioè, costituisce il fondamento su cui si costruiscono le  altre; più originaria, ovvero pit legata all'origine stessa della matematica nel  suo complesso, nel senso che si basa su principi e concetti primordiali rispet-  to a quelli delle altre scienze matematiche, pur essendo queste ultime  anch'esse primarie rispetto alle scienze in generale. Sin dall’inizio del discor-  so Giamblico sostiene il “primato” dell’aritmetica sulle altre scienze, e spes-  so adopera termini che sono affini a questo adoperato qui, ἀρχέγονος, che  indica soprattutto la priorità di nascita. Ad es. a 3,8 troviamo ἀρχηγικός, che  indica priorità causale; e a 91,17 quest’ultimo significato appare ancora più  chiaramente espresso nel termine ἀρχικός [ὁ ἀριθμὸς ... ἀρχικώτατος], che  indica un rapporto semantico più direttamente legato al concetto di “princi-  pio causativo”. In tutti i casi, comunque, è affermato il carattere di “fonda-    804 GIAMBLICO    mentalità” dell’aritmetica rispetto a geometria, astronomia e musica, e, di  riflesso, rispetto a tutte le altre scienze non matematiche. Questa stessa prio-  rità viene attribuita alla matematica comune in De com. math. sc. 5,26 ss.:  gli aspetti comuni della matematica sono preesistenti alle singole cose e  hanno la prerogativa di un’essenza più nobile e fondamentale [οὐσίαν ...  πρεσβυτέραν ... καὶ ἀρχικωτέραν] di esse, e che non risiede nelle matema-  tiche proprie di ciascuna scienza, ma è ad esse preordinata [npotetayuévnv].   46 εὔλογος nelle sue varie forme aggettivali e avverbiali, anche — come in  questo caso — al grado superlativo, è termine adoperato spesso da Giamblico  (qui, nell’Ix Nicom:. una decina di volte, e altrettanto nel complesso degli altri  due scritti) a indicare non solo la “ragionevolezza” del discorso in generale,  ma soprattutto la “consequenzialità logica” di una presa di posizione nel  discorso.   4? La congettura di Vitelli non appare del tutto convincente. Il senso,  comunque, dovrebbe essere il seguente: se la quantità in generale è “combi-  nazione di unità”, e d’altra parte la quantità in senso aritmetico è detta pro-  priamente “uno”, che è l’elemento semplice di qualunque combinazione  determinata di unità, che è appunto composta di tanti “uno”, allora è evi-  dente che qualsiasi quantità, vuoi in senso generale, ovvero come quantità di  cose reali, vuoi in senso aritmetico, ovvero come numero numerabile nella  mente, non potrà essere limitata entro confini determinati, ma si estenderà  all’infinito. In altri termini, il numero ha una sua “definizione” nell’unità, ma  una sua “illimitatezza” nella possibile combinazione delle unità, come dire  che il numero è al tempo stesso uno e molteplicità infinita (che è poi, in ulti-  ma istanza, la tesi dei Pitagorici e di Giamblico).   48 Anche i numeri possiedono i loro λόγοι oreppatixoi [influenza stoi-  ca sulla “lettura” neoplatonica del Pitagorismo, ripetuta più volte nel corso  di quest'opera], i quali si trovano, ovviamente, nell’Uno, che è, a sua volta,  la radice del numero in dio. E questa radice ha in dio una sua “sussistenza”  [τὸ ὑποστάν], a differenza dei numeri che ne derivano e che servono a  “numerare” le cose, che sono per se stesse numerabili. Sembra che qui l’in-  terpretazione giamblichea di Pitagora collimi in qualche modo con l’altra  appena data di Talete: anche lî, infatti, il numero e il numerabile risiedono  nell’unità che si combina illimitatamente con se stessa (ogni numero è “com-  binazione di unità”).   49 Il principio del numero è di ordine superiore al sensibile, essendo la  realtà matematica intermedia tra l’intelligibile e il sensibile.   50 Strumento di cui si serve dio per discriminare o differenziare le cose  del mondo all’atto della sua creazione. L'espressione κριτικὸν ὄργανον, alcu-  ni la intendono in senso “intellettivo” («strumento di giudizio» traduce, ad  es., M. Timpanaro Cardini [Pitagorici. Testimonianze e Frammenti, Firenze  1958,1991; «instrument de décision» intende J.-P. Dumont, Les    INTRODUZIONE ALL’ARITMETICA DI NICOMACO 805    Présocratigues, Paris 1988, 79]. Ritengo, invece, che l’aggettivo significhi qui  “discriminativo o sceverativo” di una cosa dall’altra, a seconda della quanti-  tà numerica a cui si può ricondurre l'essenza di ciascuna nel calcolo divino  del disegno creativo. Un significato analogo — mutatis mutandis — ha pure  l’espressione «strumento sceverativo», riferita in questo caso al nome, in  Proclo, In Crat 48=16,24 Pasquali (cf. Ε Romano, Proclo. Lezioni sul Cratilo  di Platone, Firenze 1989 = Symbolon 7, pp. 16 e 140). In altri termini qui  κριτικός potrebbe essere sinonimo di διακριτικός. Ammesso che l'atto crea-  tivo di dio sia alla base o all’origine un atto di intelligenza, essendo dio nella  tradizione platonico-neoplatonica identificato con l’Intelletto (vodg), non si  capirebbe come possa accordarsi con tale attività noetico-demiurgica l’atti-  vità del giudicare 0, peggio, del decidere.   31 συνοχή ha qui un significato più forte che non quello di “legame” o  “vincolo”, come vogliono Kranz, Timpanaro Cardini e Dumont: esso indica  la capacità di contenere o tenere insieme stabilmente, e quindi la connessio-  ne di tutto ciò che esiste nel mondo. Cf. [Giamblico], Theo/. arithm. 23,16  ss., dove lo stesso concetto è teorizzato a proposito della forma solida del  numero 4, cioè la piramide, che costituisce la radice prima da cui nascono i  quattro elementi cosmologici, fuoco aria acqua terra, e quindi il mondo in se  stesso: κἀκεῖθεν [sc. dalla piramide o 4 solido] [...] τέσσαρες ἀρχαὶ τοῦ κό-  σμου, εἴτε ὡς ἀϊδίου συνοχῆς εἴτε ὡς κτλ.   52 Sc. che rappresenta il “limite” minimo, ovverosia la prima quantità  numerica, della serie dei numeri.   5 C£. Euclide Elem. 7, def. 1.   54 È chiaro che qui si intende dire che qualsiasi cosa, in quanto è nume-  rabile, non si identifica con l’unità, ma è un insieme di unità (vale sempre la  definizione di Talete secondo cui il numero è μονάδων σύστημα [cf. p. 10,9,  supra)). L'unità di ciascuna cosa, dunque, è un’unità composita, cioè una  quantità costituita di tante unità. Si noti come Giambilco non perda occasio-  ne per criticare Euclide (cf. pp. 20; 23-26; 30; 74, infra).   55 Sc. una molteplicità che costituisce un'unità. Questo frammento manca  nelle raccolte di von Arnim, dove si trova invece una testimonianza analoga  di Siriano, #1 Meta. 140,10 = SVF II 490 v, Arn. = M. Isnardi Parente, Stoici  antichi, Torino 1989, II 857.   56 Sono le parti o frazioni dell’unità, che crescono infinitamente per il cre-  scere del denominatore, che indica appunto la parte (fermo restando il  numeratore che è sempre l’unità).   57 Sono i numeri interi che crescono anch'essi infinitamente con il som-  marsi delle unità (cioè con il crescere del numeratore, fermo restando il  denominatore che è sempre l’unità).   58 Cf. [Giamblico], Theol. arithm. 2,22.    806 GIAMBLICO    59 Quando il prodotto di un numero moltiplicato per se stesso qualunque  numero di volte termina sempre per lo stesso numero: è il caso del 5 e del 6  (5x5=25 x5=125 x5=625, ecc.; 6x6=36 x6=216 x6=1296, ecc.).   60 Sc. di avere un lato maggiore dell'unità, cioè di se stessa: il numero ete-  romeche, infatti, è quello che si può ridurre a una figura piana rettangolare  con la differenza di 1 tra lato maggiore e lato minore: cf. Nicomaco, Arithwz.  intr. 108,8 ss. Hoche.   61 Cf. Nicomaco, Arithm. intr. 64,21 Hoche.   62 I° 1, infatti, moltiplicato per se stesso dà sempre 1. Cf. [Giamblico],  Theol. aritbm. 1,5.   6 Qualsiasi numero moltiplicato per 1 dà sempre se stesso. Ecco la com-  pleta classificazione delle specie numeriche che si trova in De comm. math.  sc.: Numero = Pari (ἄρτιος) e Dispari (περισσός) — Primo (πρῶτος καὶ ἀσύν-  θετος) e Secondo (δεύτερος καὶ σύνθετος) — Lineare (γραμμικός) Piano  (ἐπίπεδος) Solido (στερεός). Numero Piano = Poligonale (πολύγωνος):  Triangolare (τρίγωνος) Quadrato (τετράγωνος) Eteromeche (ἑτερομήκης =  con una dimensione più lunga di un’unità) Promeche [προμήκης = con una  dimensione più lunga di più di un'unità] Pentagonale (πεντάγωνος) ...  Numero Solido = Piramidale (πυραμίς) Cubico (κύβος) Parallelepipedo  (παραλληλεπίπεδος) Scaleno (oxaAnvéc) (o Sfenisco [σφηνίσκος = a forma  di cuneo], o Sfecisco [σφηκίσκος = variante della voce prec.], o Bomisco  [βωμίσκος = a forma di altare]) Sferico (σφαιρικός) (0 Ricorrente [ἀποκατα-  στατικός]) — Parallelepipedo = Plintide (πλινθίς = a forma di mattone)  Docide (Soxig = a forma di trave).   64 Sc. rispetto alla quantità totale o alla grandezza continua, e non alla  quantità aritmetica o discreta.   6 Sc. rispetto al quanto, o quantità discreta o aritmetica.   66 Cf. Nicomaco, Arithm. intr. 13,7 s. Hoche.   67 Il numero pari, infatti, può essere diviso comunque in parti uguali o  disuguali, pur restando sempre le parti dello stesso tipo, o pari o dispari.   68 Sc. pari e dispari insieme.   69 Sc. i Pitagorici secondo il loro linguaggio didattico: cf. Schol. ad loc.   70 Ogni numero eteromeche è un numero pari.   71 Sc. di un’unità: la differenza dei suoi lati, infatti, è solo 1: 2x3, 5x6,  21x20, ecc., cioè ogni numero moltiplicato per quello che gli è contiguo, o  immediatamente prima o immediatamente dopo. Cf. p. 74,19, infra.   72 Sc. l’una pari e l’altra dispari.   73 Sc. come qualsiasi numero dispari che si divide solo in parti disuguali.   74 Di cui sarebbe come il principio formale.   75 Cf, Nicomaco, Arithm. intr. p. 14,1 ss. Hoche.    INTRODUZIONE ALL'ARITMETICA DI NICOMACO 807    76 Cf. [Giamblico], Theol. arithra. 4,9.   77 C£. [Giamblico], Theo. arithm. 13,12.   78 Sc. il quanto e il quanto grande.   79 Più grande è il numero, minore è la parte: ad es. un 1/4 è più piccolo  di 1/3.   80 Cf. Nicomaco, Aritbwm. intr. 16 Hoche; ma anche [Giamblico], Theo!  arithm. 2,5 5.   81 Sc. in modo che la coppia seguente contenga come primo numero l’ul-  timo numero della coppia precedente.    82 ὅς, per somma ottenuta da tutti i numeri in successione cumulativa-  mente.    83 Sc. per somma di due numeri contigui.   84 Sc. “accoppiamento di due numeri”.   85 Sc. per numeri intercalati.   86 C£, [Giamblico], Theol. aritbm. 13,2.   8? Sia i dispari che i pari nascono dalla combinazione di numeri dispari e  pari insieme.   88 Sc. dispari, se quello è pari, e pari se quello è dispari: ad es. 8=(7+9)/2;  5=(4+6)/2; 21=(20+22)/2; 154=(153+155)/2.   89 Sc. di un solo numero, e non della coppia adiacente da ambedue i lati.   90 ὅς, 2=2(1/2), cioè due metà; 3=3(1/3), cioè tre terzi; 4=4(1/4), cioè  quattro quarti, ecc.    91 Sc. dalla parte opposta al 2, in modo che l’ 1 sia la metà di 0+2: infatti  1=(0+2)/2.   92 Sc. il numero 1.   9 Sc. 5=(9+1)/2.   9 C£. [Giamblico], Theo/. aritbm. 37,2.   55 Sc. del 9.   % Pag. 16,18-20,6 corrisponde sostanzialmente a [Giamblico], Theo.  arithm. 37,4-39,24.   9 Sc. tra eccesso e difetto, che sono i due vizi opposti in rapporto a cia-  scuna virtù.   8 Sc. del 5, e quindi 4.   99 Infatti appare come una @ divisa longitudinalmente a metà.   100 4x3 [τρὶς δ erroneamente nel TLG della California Univ. di Irvine.   101 Nel senso che, pur avendo diverse denominazioni, 30 è emiolio di 20  [20+1/2(20)=30] come lo è 6 di 4 [4+1/2(4)=6].   102 Cf. p. 15,3, supra.   103 Essendo il 5 la giustizia, il 9 possiede 4 più di 5, che è il massimo della    808 GIAMBLICO    differenza in più, mentre il numero 1 possiede 4 meno di 5, che è il massimo  della differenza in meno.   104 Sc. come ogni altro numero.   105 Sc. nulla: οὐδέν.   106 Nel senso che non produce alcun numero-parte, ma fa sfumare all’in-  finito lo stesso numero.   107 Ad eccezione, ovviamente, dell’ 1.   108 Come accade invece all’ 1.   109 Al contrario dell’ 1, che invece, quando moltiplica un altro numero,  assume quest’ultimo.   110 Sc. tra 0 ε9.   111Sc.le8.   112 Sc. di medietà aritmetica.   113 Ad es, 52=25 è medio proporzionale aritmetico fra 4x5=20 e 6x5=30;  ma anche fra 3x5=15 e 7x5=35; o fra 2x5=10 e 8x5=40, ecc. Nel primo caso  4 e 6 sono contigui a 5 in lunghezza e larghezza, negli altri casi sono o con-  tigui in diagonale (3 e 7) o distanti in posti proporzionali da un lato e dall’al-  tro in lunghezza e in larghezza, come mostra questa figura.    1 2 3 4 5 6 7  2 3 4 2 6 7 8  2 4 2 6 7 8 9  4 5 6 7 8 9 10    114 Sc. ottenendo numeri sempre pari fino all’unità, che non è né pari né  dispari.   115 Sc. sia in modo pari che in modo dispari.   116 Sc. che dev'essere misurato dal pari solo in modo pari.   117 Sc. il divisore, ovvero il numero intero che divide un altro numero  intero: cf. J. Bertier, Nicomaque de Gérase, Introduction Arithmétique, Paris  1978, 157 nota 6.   118 Sc. i singoli divisori o fattori del numero parimente-pari.   119 Sc. parimente-pari.   120 Sc. avranno un nome corrispondente come parte e come valore nume-  rico: ad es., data la serie dispari di numeri parimente-pari 1, 2, 4, 8, 16, 32,  64, dove c’è un unico medio che è 8, gli estremi 1 e 64 sono antiparonirni nel  senso the 64/1=64; gli altri estremi interni verso il medio, cioè 2 e 32, sono  antiparonimi nel senso che 64/2=32, cioè se le parti sono 2 il valore di esse è  l’altro estremo, 32; gli altri estremi interni, cioè 4 e 16, sono antiparonimi nel  senso che 64/4=16, cioè se le parti sono 4 il loro valore è 16; infine il medio    INTRODUZIONE ALL'ARITMETICA DI NICOMACO 809    8 è antiparonimo di se stesso nel senso che 64/8=8.   121 Ad es. 1, 2, 4, 8, 16, 32, hanno due medietà, 4 e 8, il cui prodotto è  appunto 32, che è uguale a 2x16 e a 1x32.   122 Sc. in ogni coppia successiva, il maggiore differisce dal minore di  quanto è il minore: ad es. 2-1=1; 4-2=2; 8-4=4, 16-8=8, ecc.   123 Infatti: 1+2=3+4=7+8=15+16=31+32=63, ecc.   124 Cf, Nicomaco, Arithm. intr. 17,4 ss. Hoche.   125 Sc. al numero pari o dispari delle parti in cui può dividersi.   126 Sc. dei divisori.   (27 Ad es.: 18, che è divisibile per 2 0 per 3 o per 6 o per 9, quando la  potenza è pari, cioè 2 o le parti stesse sono dispari (infatti 18/2=9; 18/6=3),  quando invece la potenza è dispari, allora le parti sono pari (infatti 18/3=6;  18/9=2); cf. Nicomaco, Arithm. intr. 20,2 ss. Hoche.   128 Sc. i numeri dispari che lo producono.   129 Sc. sono duplicati.   130 Ad es.: i gnomoni sono i dispari 3, 5, 7, 9, 11, ecc., che hanno una dif-  ferenza di 2; moltiplicata per 2 tale differenza, si ottengono i pari-dispari the  sono 6, 10, 14, 18, 22, ecc., che hanno una differenza di 4.   131 Sc. da 1.   132 Sc. hanno la differenza di 2 come gnomoni.   133 Sc. della proporzione geometrica.   134 Sc. della proporzione aritmetica.   135 Euclide, Elem. 7, def. 9, dove il testo è leggermente diverso: ἀρτιάκις  δὲ περισσός ἐστιν ὁ ὑπὸ ἀρτίου ἀριθμοῦ μετρούμενος κατὰ περισσὸν ἀριθ-  μόν.   136 Euclide, E/erz. 9, prop. 33 e 34. A un rapido confronto sembra che  Euclide dica cose un po’ diverse. Ecco il testo di Eucl. ἐὰν ἀριθμὸς τὸν  ἥμισυν ἔχῃ περισσόν, ἀρτιάκις περισσός ἐστι μόνον ... ἐὰν ἀριθμὸς μήτε  τῶν ἀπὸ δυάδος διπλασιαζομένων ᾧ μήτε τὸν ἥμισυν ἔχῃ περισσόν, ἀρτιά-  κις τε ἄρτιός ἐστι καὶ ἀρτιάκις περισσός -- se un numero ha la metà dispa-  ri, esso è soltanto parimente-dispari ... se un numero non è tra quelli che  nascono per duplicazione del 2, né ha ia metà dispari, esso è sia parimente-  pari che parimente-dispari. Si noti che l’espressione ἀρτιάκις περισσός non  si trova in Giamblico, né corrisponde alla sua nozione di pari-dispari [ἀρτιο-  πέρισσος] (cf. p. 24,1 ss., supra).   137 Sc. il dispari-pari.   138 Sc. Al pari-dispari.   139 Sono chiamate “parti” i risultati della divisione, potenze i divisori: in  termini moderni parti sono qui i “quozienti esatti” (sc. senza resto) di una  divisione, potenze i “divisori” che danno quozienti esatti. È logico che parti    810 GIAMBLICO    e potenze possano essere viste come “fattori” nella moltiplicazione che dà di  nuovo l’intero: quindi ja potenza, quando permette all'intero di passare alle  parti, è divisore, quando invece permette alle parti di ricomporre l’intero è  moltiplicatore. E siccome qualsiasi numero ha come divisore, oltre a se stes-  so, 11, questo è “potenza di tutto” (dove si saldano pitagorismo e neoplato-  nismo).   140 Sc. dal parimente-pari.   141 Sc. dall’intera quantità di esso.   142 Sc. al parimente-pari.   143 Sc. dal pari-dispari.   144 Sc. all'ultima parte che non può più essere divisa (infatti la divisione  pet 2 non arriva fino a 1).   145 Sc. dal pari-dispari, che è divisibile una sola volta, essendo la sua metà  un numero dispari.   146 Sc. al parimente-pari, che è divisibile più di una sola volta, anche se la  sua divisione arriva a 1, contrariamente a quanto accade nel dispari-pari.   147 Si deve cioè moltiplicare il primo numero per ciascun gnomone e  segnarlo in larghezza, cioè verticalmente: cf. Nicomaco, Arithw. intr. 23,14  ss. Hoche.   148 Sc. del pari-dispari.   149 Sc. sotto il 3 e il 4.   150 Infatti 12, ad esempio, che è il primo prodotto (3x4), è doppio di 6,  che è un pari-dispari.   151 $c. in linea verticale, ovvero in colonna.   152 ὅς, in orizzontale, sotto ciascun gnomone e numero parimente-pari.   153 Sc. il parimente-pari e il pari-dispari.   154 Sc. misurabile in linea retta.   155 Sc. il dispari secondo e composto.   156 Il 3 come parte che è nell’uno è anche negli altri: 9=3x3; 15=3x5;  21=3x7.   157 Il 3 che è parte del 9 non si trova nel 25 e nel 35; il 5 che è nel 25 non  si trova nel 9 e nel 35; il 7 che è nel 35 non si trova nel 9 e nel 25.   158 Sc. questa è comune misura di tutti e tre.   159 Sc. quante volte sarà possibile.   160 Sc. 35-15=20-15=5, che è la comune misura.   161 $c. che occupano in successione il posto paronimo del numero che li  misurerà: ad es. 3 misurerà quelli che vengono al terzo posto, cioè saltando-  ne due, ecc.   162 Sc. il numero che, scartati due posti, è al terzo posto, nella fattispecie    119.    INTRODUZIONE ALL’ARITMETICA DI NICOMACO 811    163 Pag. 30,1 μεταλαβὼν τὸ τοιοῦτον: interpreto questa espressione nel  senso che il dispari successivo a 3, cioè il 5 (ma il discorso vale per tutti gli  altri dispari), assume o partecipa del criterio con cui il primo dispari misura  i dispari nella successione relativa alla sua collocazione (il 3 i terzi, il 5 i quin-  ti, il 7 i settimi, ecc.), e che quindi diventa criterio comune consistente nel  ricominciare sempre a prendere come misura il primo dispari [3] e gli altri  in stretta successione. Infatti il 5 misura il quinto dispari dopo di lui (15) 3  volte, il secondo quinto dispari (25) 5 volte, ecc., cosf come il 7 misura il set-  timo dispari dopo di lui (21) sempre 3 volte, il secondo settimo dispari (35)  5 volte, ecc.   164 Sc. nel fatto che i posti saltati sono i pari in successione: 2,4, 6, 8, ecc.   165 Sc. i numeri che non risultano segnati in base al procedimento suddet-  to.   166 Sc. parimente-pari e pari-dispari, che sono le due forme principali del  pari.   167 Sc. parimente-pari e pari-dispari.   168 Sc. tra i numeri composti di una sola cifra.   169 Sc. delle centinaia di migliaia.   170 Sc. sommazrli in successione ad uno ad uno.   171 Sc. dalla somma cumulativa.   172 Sc. per l’ultimo numero risultante dalla somma.   173 Sc. il 6 è il primo prodotto del primo numero pari [simbolo della fem-  mina] col primo numero dispari [simbolo del maschio]. Cf. [Giamblico],  Theol. arithm. 48,15.   174 Cf. [Giamblico], Theo/ antbhm. 48,22.   175 Sc. 284 ha come divisori 1, 2, 4, 71, 142, la cui somma è 220; 220 dal  canto suo ha come divisori 1, 2, 4, 5, 10, 11, 20, 22, 44, 55, 110, la cui somma  è 284.   176 Sc. “un mio alter-ego”.   177 Dove? Sul rapporto in generale tra matematica ed etica delle virti, cf.  Giamblico, De comm. math. sc. 56 e 74.   178 Sc. i piani e i solidi.   179 Sc. dei numeri pari/dispari, perfetti, ecc.   180 Sc. il multiplo-epimorio e il multiplo-epimere.   181 Sc. la parte “preminente” del rapporto.   182 Sc. la parte “sottostante” del rapporto.   183 I sottomultipli sono come immersi nei multipli.   184 Sc. della prima forma di disuguaglianza.   185 Sc. tutti gli altri misuranti in rapporto superiore a 2.    IRA CA +-ennr manto cemrnenzia 1/2    812 GIAMBLICO    187 Sc. 2,3,4,5, ecc.   188 Sc. in verticale.   189 $c. i doppi, 2, 4, 6, ecc., i tripli 3, 6,9, 12, ecc., i quadrupli 4, 8, 12, 16,  ecc., e cosî via.   190 Sc. sulla prima linea dall'alto verso il basso.   191 Sc. i numeri più piccoli di ogni specie di rapporto epimorio, cioè i  primi epimori: l’emiolio 3 a 2, l’epitrite 4 a 3, l’epiquarto 5 a 4, ecc.   192 Sc. sulla seconda linea verso il basso.   193 Sc. il secondo emiolio 6 a 4, il secondo epitrite 8 a 6, il secondo epi-  quarto 10 a 8, ecc.   194 Sc. sulla terza linea il terzo emiolio 9 a 6, il terzo epitrite 12 a 9, il terzo  epiquarto 15 a 12, ecc.   195 Sc. sulla quarta linea il quarto emiolio 12 a 8, il quarto epitrite 16 a 12,  il quarto epiquarto 20 a 16, ecc..   1% Infatti la differenza tra i primi è 1, tra i secondi 2, tra i terzi 3, ecc.   197 Se cioè esponiamo la serie di tutti i numeri e facciamo la differenza tra  il seguente e il precedente.   198 Il testo ha ἀντ᾽ αὐτῶν, che se ha, come sembra, valore sostitutivo, non  può certo riferirsi alle unità, bensi alle differenze, meglio alla differenza,  essendo questa invariabile. Quindi occorrerà sostituire alle differenze i  numeri in successione a partire da 1, ottenendo cosî sotto il 2 un altro 2,  sotto il 3 un altro 3, e cosi via, in modo che si avranno tre numeri di cui due  uguali, in colonna, e uno inferiore ad essi di un’unità, tali da formare appun-  to dei numeri plintidi (cf. nota seguente).   199 Sc. i numeri solidi risultanti dal quadrato di un numero moltiplicato  per lo stesso numero diminuito di un’unità: ad es. 2x2x1=4; 3x3x2=18;  4x4x3=48, ecc. Con quell’operazione si avrà 1, 2, 2, 3,3, 4,4,5,5,6,6,7,7,  ecc., dove le serie dei tre numeri generativi dei plintidi sono 1x2x2; 2x3x3;  3x4x4; 4x5x3, ecc.   200 Non credo si alluda allo scritto di Nicomaco, dove non trovo esempi  di fiorite, semmai si rinvia qui a quell’Introduzione aritmetica più completa  che viene promessa alla fine di quest'opera assieme ad altre Introduzioni  matematiche. C£. p. 125, infra.   201 Sc. degli 1 di primo, secondo e terzo livello, vale a dire 1, 10 e 100,  disposti a khiaszz4 lungo le due massime diagonali, per cui appariranno 1 in  opposizione a 100 e 10 in opposizione a 10, secondo la configurazione  seguente:    1 2 3 4 5 6 7 8 9 10  2. 4 6 8 10 12 14 16 18 20    INTRODUZIONE ALL'ARITMETICA DI NICOMACO Si    3 6 9 12 15 18 21 24 26 30  4 8 12 16 20 24 28 32 36 40  5 10 15 20 25 30 35 40 45 50  6 12 18 24 30 36 42 48 54 60  7 14 21 28 35 42 49 56 63 70  8 16 24 32 40 48 56 64 72 80  9 18 27 36 45 54 63 72 81 90  10 20 30 40 50 60 70 80 90 100    202 ὅς, 1 « 10.   20 Sc. 10 e 10, che è detto medio perché è di seconda serie, mentre 1 e  100 sono rispettivamente di prima e di terza serie.   204 Sc. 1:10=10:100.   205 Sc. l 1 è l’inizio del quadrato.   206 Sc. il 100 chiuderà il quadrato.   207 Sc. il 10 sarà il lato del quadrato.   208 Sc. 1/2(a+c)=b: ad es. 1/2(2+6)=4; 1/2(3+9)=6; 1/2(4+12)=8, ecc.   209 Sc. 1/2(a+c)=b+1; ad es.: tra 12, 21 e 32, 21= Aa Ι; tra 54, 56  e 56, 56=1/2(54+56)+1; tra 35, 48 e 63, 48= 1/2(35+63)-1   210 Sc. a 100,   211 Sia, ad es., 16 il quadrato preso sulla diagonale: esso confina, sia in  lunghezza che in larghezza, con i due eteromechi 12 e 20; se sommiamo que-  sti due eteromechi e aggiungiamo il doppio del quadrato dato si otterrà un  quadrato: infatti 12+20+(16x2)=64=8x8; se prendiamo 49 che ha come ete-  romechi contigui 42 e 56, si ha: 42+56+(49x2)=196 =14x14.   212 Sc. formato dalle due radici dei quadrati, le quali differiscono tra loro  di un’unità e possono quindi formare un numero eteromeche: ad es., tra i  quadrati 9 e 16 l’eteromeche 12 è formato da 3x4 che sono le radici di 9 e  16. Anche qui, dunque, se sommiamo i due quadrati 9 e 16, e aggiungiamo  il doppio dell’eteromeche 12, otteniamo un altro quadrato:  9+16+(12x2)=49=7x7.   213 Sc. in alternanza con quelli dispari tra i contigui.   214 Ad es. 6 ha come contigui o 4 e 8, non ambedue quadrati, o 3 e 9, non  ambedue quadrati, o in diagonale 2 e 12 0 4 e 6, non a coppie quadrati.   215 Sc. i quadrati in diagonale e quindi non in lunghezza o larghezza.   216 Perché sono sempre pari e dispari, e la somma di un pari con un  dispari dà sempre dispari.   217 Perché il numero eteromeche è sempre pari, e quindi sommato al  dispari dà dispari.    814 GIAMBLICO    218 Sc. della lettera garza maiuscola. Tra due quadrati contigui, ad es. 9  e 16, è possibile trovare due forme di garza col vertice in alto a destra o in  basso a sinistra nello stesso numero, in questo caso 12; oppure tra i quadra-  ti 49 e 64, ci sono due garzzza col vertice in 56, ecc.   219 Sc. da 1 a 100: 4-1=3; 9-4=5; 16-9=7; 25-16=9; 36-25=11; 49-36=13;  64-49=15; 81-64=17; 100-81=19.   220 Sc. in quella che va da 10 a 10.   221 Sc. 30-28=2; 28-24=4; 24-18=6; 18-10=8, e cosi dall'altro lato della  diagonale.   222 Secondo la formula 1+1/n.   223 1+1/2=3/2.   224 1+1/3=4/3.   225 1+1/4=5/4.   226 Sc. sotto-epimorio = 1-1/n, sotto-emiolio = 1-1/3=2/3, sotto-epitrite =  1-1/3=3/4, ecc.   227 Sc. il 3: infatti 3=2+1/2(2).   228 Il 6 è al secondo posto dopo il 4: infatti 6=4+1/2(4).   229 Sc. il 9=6+1/2(6).   230 Sc, il 12=8+1/2(8).   231 Sc. il 4=3+1/3(3).   232 Sc. V 8=6+1/3 (6).   233 Sc. il 12=9+1/3 (9).   234 Sc. il 16=12+1/3(12).   235 Sc. il 5=4+1/4(4).   236 Sc. il 10=8+1/4(8).   231 Sc. il 15=12+1/4(12).   238 Sc. epiquinto, episesto, episettimo, ecc.   239 Ad es. quinto, sesto, settimo, ecc.   240 $c. i numeri che sono superiori a ciascuno di quelli esposti di una  parte, cioè di 1/5, di 1/6, 1/7, ecc.   241 Sc. di 1/5, 1/6, 1/7, ecc.   242 Il primo avrà come epimorio il primo numero successivo, il secondo  il secondo, il terzo il terzo, ecc.: ad es. 5, che è il primo delia serie, ha come  epiquinto 6, che è il primo numero successivo a 5; il 10, che è il secondo, ha  come epiquinto 12, che è il secondo successivo a 10; il 15, che è il terzo, ha  come epiquinto 18, che è il terzo successivo a 15, e cosî via.   243 Ad es., τγὰ 6 ε 1] suo epitrite 8, terzo è il nome della parte, ed è tale in  rapporto al numero minore, cioè 1/3(6), mentre in rapporto al maggiore,  cioè a 8, i terzi sono quattro, cioè 8 è 4/3(6).    INTRODUZIONE ALL’ARITMETICA DI NICOMACO 815    244 Ad es, nel rapporto 6 a 8, 1/3 di 8 non sarebbe un numero naturale,  mentre lo è di 6 (2).   245 Sc. le terze parti saranno di numero maggiore di un’unità rispetto al  nome della parte, in questo caso 4, solo nelle basi, cioè nei maggiori.   246 Al contrario dell’epimorio che ne contiene una sola.   247 Ad es. 3+2/3(3)=5, che salta il 3 di un posto; 5+2/5(5)=7, che salta il  5 di un posto, ecc.   248 Ad es. 4+3/4(4)=7, che salta il 4 di due posti; 5+3/5(5)=8, che salta il  5 di due posti, ecc.   249 Ad es. 5 epidimere di 3 ha quest’ultimo come rapporto nelle parti, in  quanto le due parti che ha in più sono appunto due terzi.   250 Sc. doppi: 10=6+2/3 (6), ecc.; tripli: 15=9+2/3(15), ecc.   251 Ad es. 7 epitrimere di 4 ha quest’ultimo come rapporto nelle parti, in  quanto le tre parti the ha in più sono appunto tre quarti.   252 Sc. doppi: 14=8+3/4(8), ecc.; tripli: 21=12+3/4(12), ecc.   253 9 epitetramere di 5 ha quest'ultimo come rapporto nelle parti, in  quanto le quattro parti in più sono appunto quattro quinti.   254 Cf. [Giamblico], Theo/. arithm. 2,2 s.   255 ὃς, 1, 1᾿, 1°;   256 ὃς, 2, 2᾽, 2".   257 ὃς, 3,3°,3”.   258 Sc. metteremo nell'ordine 4, 2, 1.   259 ὅς, 9, 6,4.   260 Ad es.: 3 è base del suo epimorio epitrite 4, ma questo non può forni-  ἐ un terzo di sé perché un numero successivo, ad es. 5 o 6, ecc., sia epitrite   14.   261 Sc. il numeratore e il denominatore della parte.   262 Ad es. 8 epitrite di 6 contiene nella differenza (1/3) le basi del suo rap-  porto epitrite, cioè 1, perché ha una sola parte come differenza, e 3 perché  la parte è 1/3,   263 Ad es. 6 triplo di 2 contiene in quest’ultimo, che è il termine minore,  il 3 che rappresenta il rapporto triplo (2x3).   264 Ad es. 10 epidimere di 6 contiene nella metà della differenza, cioè 2  [=1/2(10-6)], la base del rapporto che è appunto 2 (2/3).   265 Sc. nel numero delle parti in più.   266 Sc. la metà, il terzo, il quarto, ecc.   267 Sc. la differenza tra denominatore e numeratore.   268 Il numeratore è sempre inferiore di 1 rispetto al denominatore: 2/3,  3/4,4/5, 5/6, ecc.    816 GIAMBLICO    269 Sc. 2/3: ad es. 10 rispetto a 6.   270 Sc. 3/4: ad es. 14 rispetto a 8.   271 Sc. 4/5: ad es. 18 rispetto a 10.   272 ὃς. 1+2/3.   273 Sc. ἐπιδίτριτος, da non confondere con il doppio-epitrite (διπλασιε-  πίτριτος) che è 2+1/3.   274 Sc. da 9.   275 Sc. 9+2/3(9)=15 e 15+2/3(15)=25.   276 Sc. 2+2/3.   277 Sc. (2x9)+2/3(9)=24 e (2x24)+2/3(24)=64.   278 Sc. 1+3/4.   279 Sc. ἐπιτριτέταρτος, da non confondere con il triplo-epiquarto che è  3+1/4.   280 Sc. 16+3/4(16)=28 e 28+3/4(28)=49.   281 Sc. 2+3/4,   282 Sc. (2x16)+3/4(16)=44 e (2x44)+3/4(44)=121.   283 Sc. 1+4/5.   284 Sc. 2+4/5.   285 Sc. (2x25)+4/5(25)=70 e (2x70)+4/5(70)=196.   286 Sc. in orizzontale.   287 Sc. in verticale.   288 Sc. in diagonale.   289 Sc. senza residuo.   290 Sc. per residuo in più.   291 $c. per residuo in meno.   292 Sc. della differenza che li misura.   293 Sc. che non rientri pienamente nella misura.   294 Sia nel caso per eccesso che in quello per difetto.   295 Il ragionamento appare complicato, ma gli esempi che seguono lo ren-    dono chiaro e intuitivo, Si potrebbe utilmente leggere Boeth. De 245. I1 9,  237,28 ss. Friedlein, Lipsiae 1867, rist. anast. Frankfurt a. M. 1966.    2% Meglio, “dovrebbe misurare”, dal momento che, come si vedrà subi.  to, tali misure risultano solo nella prima coppia (50=5x10; 55=5x11).   297 Sc. 50+1/10(50)=55; 10+1/10(10)=11.   298 Meglio, “dovrebbero essere misurati”, dal momento che le vere misu-  re sono in questo caso 10,6 (=53/5) e 9,6 (=48/5).   299 Sc. 53>48+1/10(48)=52,8; ma anche le loro misure sono l’una più che  epidecima dell'altra: 10,6>9,6+1/10(9,6)=10,56.   300 Meglio, “dovrebbero essere misurati”, dal momento che le vere misu-    INTRODUZIONE ALL’ARITMETICA DI NICOMACO 817    re sono in questo caso 11,6 (=58/5) e 10,6 (=53/5).   301 Sc. 58<53+1/10(53=58,3; ma anche le loro misure sono l’una meno  che un epidecimo dell’altra: 11,6<10,6+1/10(10,6)=11,66.   302 Se aggiungiamo ad es. 2 unità a 12 e a 18, che hanno un rapporto  emiolio, otterremo 14 e 20, che hanno un rapporto minore di quello emio-  lio, perché 20<14+1/2(14)=21.   303 Secondo il medesimo esempio di prima, sottratte 2 unità da 12 e da  18, si avranno 10 e 16, che hanno uguale differenza, ma il rapporto è mag-  giore di quello emiolio, perché 10+1/2(10)=15<16.   304 Sc. l’introduzione alla musica.   305 Prendiamo ad es. 4 e 6 di rapporto emiolio (1+1/2) e li moltiplichia-  mo rispettivamente per 4 e 10 di rapporto doppio-emiolio (2+1/2), otterre-  mo 16 e 60 che sono di rapporto triplo-epitrite (3+3/4). In effetti quest’ulti-  mo rapporto corrisponde al prodotto dei due primi rapporti e quindi si con-  servano gli stessi rapporti. Infatti (1+1/2)x(2+1/2)=3+3/4  [=3/2x5/2=15/4=3+3/4].   306 Prendiamo ad es. due rapporti base, cioè 2 e 3 (base emiolia) e li mol-  tiplichiamo rispettivamente per 3 e 4 (base epitrite), otterremo 6 e 12, che  sono di rapporto doppio, che è base dei multipli.   307 Prendiamo l’esempio precedente, dove i generanti non erano basi, e  quindi non lo erano neppure i generati.   308 Sc. per un numero pari di termini e secondo lo stesso intervallo.   309 Ad es.: data l’esposizione pari per differenza di 2 dei seguenti 8 termi-  ni 3,5, 7,9, 11, 13, 15, 17, la somma totale di questi termini, che è 80, è il  multiplo della somma dei due estremi, cioè 20, per 4, che è la metà del nume-  ro dei termini, e da cui prende quindi denominazione lo stesso multiplo, cioè  quadruplo: infatti 80=20x4.   310 Sc. στιγμή, che io traduco punto geometrico per distinguerla da  σημεῖον, che è punto in senso generico.   311 Sc. come il punto è in ogni figura piana il vertice o punto di incontro  di due linee, cosî l’unità solida è in ogni piramide il vertice o punto di incon-  tro di tre o più facce.   312 1+2=3+3=6+4=10+5=15+6=21+7=28+8=36, ecc..   313 Sc. sono ambedue triangolari.   314 Sc. ponendo progressivamente come lato del triangolo il numero  immediatamente successivo e sommando cumulativamente tutti i punti o  numeri contenuti nel triangolo che si viene formando.   315 Sc. il quarto.   316 Sc. con i triangolari.   317 1+3=4+5=9+7=16+9=25+11=36, ecc.    818 GIAMBLICO    318 Anche se in potenza, essendo 4 il primo quadrato effettivo.   319 1+4=5+7=12+10=22+13=35+16=51, ecc.   320 Sc. ai posti I, III, V, ecc., come appunto sono rispettivamente colloca-  ti i triangolari, i pentagonali, gli ettagonali, ecc.   321 Sc. ai posti II, IV, VI, ecc., come appunto sono rispettivamente collo-  cati i quadrati, gli esagonali, gli ottagonali, ecc.   322 3=1+2; 6=1+2+3; 10=1+2+3+4, ecc.   323 4=1+3; 9=1+3+5; 16=1+3+5+7, ecc.   324 5=1+4; 12=1+4+7, ecc.   325 6=1+5; 15=1+5+49, ecc.   326 Sc. può assumere qualsiasi figura geometrica.   327 C£, [Giamblico], Theo/. aritbm. 12,10.   328 $c. rispetto all’ 1, anche se questo è triangolare in potenza.   329 $c. quanti sono i lati che non mutano.   330 Il nome del poligono sarà di numero uguale ai lati che mutano più  due: infatti dove mutano due lati, si ha il quadrato, cioè 2+2; dove mutano  tre lati si ha il pentagono, cioè 3+2, ecc.   331 Sc. “termini noti”.   332 Sc. “incognite”.   333 In termini moderni: dato un certo numero [n] di termini noti o di  incognite [x] che ripartiscano una quantità assegnata [5], cioè x+x,,+x,  +...+Xp.158   334 Sc. dei termini noti o delle incognite: ad es. x.   335 χεχ πᾶ); X+X7=47...X+Xn.12p.1-   336 Cioè 4.471... 8.1.   337 Sc. 5.   338 δὲ, x.   339 $c. se n=}.   340 Sc. se n=4.   341 Sc. se n=5.   342 Sc. se n=6.   343 Sc. n.   344 Il denominatore, o parte frazionaria da attribuire a x, è sempre n-2,  qualunque sia n. Infatti l’intero (denominatore 1) corrisponde a n=3 [3-  2=1], la metà (denominatore 2) a n=4 [4-2=2], il terzo (denominatore 3) a  n=5 [5-2=3], ecc. La formula generale è la seguente: x=[(a;+a,+...+a,.1)-  s]:(n-2), che si ottiene cosî: poniamo x+x}+x3+...+Xn.1=S, € sommiamo un  termine qualsiasi del primo membro, ad es. x, con ciascuno dei rimanenti:  x+x1=4; X+X7547...-X+X--124n.15 fatta la somma complessiva di queste somme    INTRODUZIONE ALL'ARITMETICA DI NICOMACO 819    (n-1)x+xj+X7+...+Xp.12@+42+..-4p.1, sapendo che xj+X...+%n.1=5-x, si ha (n-  1)x+5-x=aj+a,+...+4,.15 (n-2)x+s=a;+a+...+a,.;j (n-2)x=(aj+a,+...+4n.1)-5;  quindi x=(a,+a,+...+a,.1)-s:n-2.   345 Sc. quando n-2=1.   346 Sc. n, che indica il numero delle quantità note o incognite che divido-  no una quantità assegnata.   347 Sc. alla x.   348 Sc. n.   349 ὃς, quanti sono i lati del quadrato.   350 ὃς, i divisori sono cinque, quanti i lati del pentagono.   351 Sc. 2e 3.   352 Sc. dei quattro numeri in cui vogliamo distribuirlo secondo multipli  successivi.   353 Sc. doppio, triplo, quadruplo e quintuplo.   354 Sc. conosciamo la loro somma, ma non la rispettiva quantità.   355 Sc. 73.   356 Sc. in coppia con il secondo termine.   357 Sc. il primo termine.   358 Ecco il procedimento matematico secondo la formula di Timarida:  x+X1+X2+x3=120; x+x}=2/3(120)=80, perché dev'essere il doppio della  somma degli altri due termini che è 40; x+x,=3/4(120)=90, perché dev’esse-  re il triplo degli altri due; x+x3=4/5(120)=96, perché dev'essere il quadruplo  degli altri due; secondo la formula di Timarida, che, come abbiamo visto, è  x=[(a;+a,+...+a,.1)-s]:(n-2), si avrà allora x=[(80+90+96)-120):2=73; per  semplice sottrazione tra i due numeri di ciascuna coppia si avrà quindi  x;=80-73=7; x,=90-73=17; x3=96-73=23; quindi 120=73+7+17+23.   359 Sc. i dispari che nascono dall’aggiunta di un'unità ai pari.   360 Sc. emiolio, epitrite ed epiquarto.   36! Sc. del primo prologo e del primo ipologo che ammettano un rappor-  to emiolio, cioè 3 e 2.   362 Sc. del terzo e del quarto.   363 ὃς, 4 ς 3.   364 ὅς, 5 e 4.   365 1.088-630=458:2=229.   366 Sc. il primo termine.   367 Sc. il secondo termine.   368 Sc. quod erat demonstrandum.   369 1, 2,3,4,5,6,7,8,9 ... = gnomoni dei triangolari nascenti per somma  cumulativa: 3, 6, 10, 15...    820 GIAMBLICO    370 1, 3,5, 7,9... = gnomoni dei quadrati nascenti per somma cumulati-  va: 4,9, 16,25...   371 1, 4, 7, 10, 13 ... = gnomoni dei pentagonali nascenti sempre per  somma cumulativa: 5, 12, 22, 35...   372 1, 5, 9, 13, 17 ... = gnomoni degli esagonali nascenti sempre per  somma cumulativa: 6, 15, 28, 45 ...   373 $c. i primi due gnomoni degli stessi ettagonali.   374 Sc. con numeri sempre diversi.   375 Sc. i triangolari uno si e uno no.   376 Sc. col doppio.   377 Sc. sono pari e dispari a coppie alterne.   378 La prima coppia di pari pentagonali è 12 e 22, di cui il primo è dispa-  ri-pari (12:2=6:2=3), l’altro pari-dispari (22:2=11); la seconda coppia è 70 e  92, il primo pari-dispari (70:2=35), il secondo dispari-pari (92:2=46:2=23).   379 Sc. i numeri della seconda colonna, perché la prima colonna contiene  solo unità.   380 Infatti sono 3, 4, 5, 6, 7,8, 9, ecc.   381 Infatti sono 6, 9, 12, 15, 18, 21, ecc.   3829 è emiolio di 6, 12 è epitrite di 9, 15 è epiquarto di 12, ecc.   383 16=10+3/5.   384 22=16+3/8.   385 28=22+3/11.   386 34=28+3/14.   387 Sc. i quinti hanno il nome dalla metà di 10; gli ottavi dalla metà di 16;  gli undicesimi dalla metà di 22, ecc.   388 Sc. sono sempre l’uno epimere dell'altro, ma le parti prendono nome  dalla metà del minore che è appunto l’ipologo.   389 Sc. triangolare: ad es. il quadrato 16 è la somma di 10 che è il triango-  lare posto sopra in colonna e 6 che è il triangolare che precede 10.   39 Ad es. il pentagonale 22 è la somma di 10 che è il triangolare che lo  sovrasta in colonna e del doppio di 6 che precede 10.   391 Ades. l’esagonale 45 è la somma di 15 che è il triangolare che lo sovra-  sta e del triplo di 10 che precede 15.   392 Ad es. l’ettagonale 18 è la somma di 6 che è il triangolare che lo sovra-  sta e quattro volte 3 che precede 6.   393 Sc. il fattore moltiplicante.   394 Sc. il moltiplicatore prima è 2, poi 3, poi 4, e cosi di seguito.   35 Sc. sulla seconda colonna.   3% La seconda colonna dei poligonali contiene numeri che differiscono    INTRODUZIONE ALL’ARITMETICA DI NICOMACO 821    tra loro di 1, cioè del numero che costituisce la colonna dei poligonali in  potenza, che è la prima colonna.   397 Sc. come quello del terzo ordine in larghezza.   398 28=22+12-(3x2).   399 Sc. che danno inizio alla serie dei poligonali.   400 Sc. per colonne successive.   401 ὅς, la colonna.   402 Sc. il quadrato 25, il pentagonale 35, l’esagonale 45, ecc.   403 Sc. secondo il triangolare precedente al 15: infatti i poligonali che stan-  no sotto il triangolare 15 differiscono tutti della stessa misura, cioè del trian-  golare precedente che è 10: sono infatti 25, 35, 45, 55, ecc. Ma anche i poli-  gonali che stanno ad es. in colonna sotto il triangolare 6 differiscono tutti di  3 che è il triangolare precedente al 6: sono infatti 9, 12, 15, 18, 21, ecc.   404 Sc. precedente a 21.   405 Sc. ogni poligonale sarà somma del suo precedente pii il precedente  del triangolare della sua colonna.   406 Sc. che è immediatamente più piccolo: ad es. quadrato rispetto a pen-  tagonale, o ettagonale rispetto a esagonale, ecc.   407 Sc. della colonna precedente, cioè del triangolare immediatamente più  piccolo di quello della sua colonna.   408 Cf. Filolao, B 10 DK, dove il testo riferito è sia quello di Nicomaco,  Arithm. intr. 115,2 Hoche, sia quello di Teone di Smirne 12,10 Hiller, i quali  hanno Sita dpoveb[ov]viov. Trattandosi di «musica», come testimonia  Teone, è più probabile che i Pitagorici usassero il verbo φωνέομαι, come  giustamente attesta Giamblico. Del resto, in caso contrario, si tratterebbe di  «persone dissenzienti» (cosi Boezio, Aritbw. 126,117 Friedl.) e non di «ele-  menti discordanti», come correttamente traduce Giannantoni (cf. I  Presocratici, a cura di G. G., 1975, ad loc.): il che sembra ancora pit impro-  babile.   499 Sc. quantità numerica o aritmetica.   410 Sc. quantità geometrica solida.   411 $c. quantità geometrica piana.   412 Sc. nel caso del numero.   413 Sc. nel caso della grandezza piana.   414 Sc. nel caso del volume o massa.   415 Sc. della diade.   416 Sc. per passare dai due lati uguali ai due disuguali.   417 Sc. all'1eal2.    418 Sc. “eteromeche”.    419 € came in altri “δον εἴ n 272 ΜΔ haccima κα.    822 GIAMBLICO    420 ὅς, i dispari e i pari.   421 Se cioè ordineremo i soli dispari e i soli pari, senza mescolarli, come  se li estendessimo in successione semplice.   422 Sc. dai dispari e dai pari.   423 Lett. iniziatore e guida.   424 O altra serie di quadrati, per somma cumulativa.   425 Sc. i quadrati, che sono prodotti di un numero per se stesso: 2x2, 3x3,  4x4, ecc.   426 Sc. gli eteromechi, che sono prodotti di numeri diversi: 2x3, 3x4, 4x5,  5x6, 6x7, ecc.   427 Sc. i quadrati nascono con l'aggiunta successiva di un numero dispa-  ri.   428 Lett. “doppio stadio”: corsa in andata e ritorno con una barriera di  partenza, un punto di svolta e ritorno al punto di partenza quale meta fina-  le.   429 Cf. [Giamblico], Theol aritbm. 10,4.   430 1+2+1=4.   431 1+2+3+2+1=9.   432 1+2+3+4+3+2+1=16.   433 Sc. il suo quadrato: se prendiamo ad es. il quadrato 16, troviamo che  4, che è il numero laterale, è inizio della regressione verso l’ 1 [4>3>2>]],  fine della progressione dall’ 1 [1>2>3>4] e punto centrale o medietà tra pro-  gressione e regressione, perché è il numero in cui avviene la svolta dall’una  all’altra, e infine la somma totale di tutti i numeri che si incontrano nella pro-  gressione e nella regressione, cioè 1+2+3+4+3+2+1, è 16 che è potenza qua-  drata di 4.   434 Sc. si dovrà prendere le mosse dal 2 e non dall’ 1.   435 VS 44 B 8 Diels-Kranz; cf, anche VS 47 [Archita] A 20 Diels-Kranz =  Theon Smyrn. 20,19 Hiller, dove si dice che Filolao e Archita chiamavano  indifferentemente Monade l’Uno e Uno la Monade.   436 Sc. il numero 1 da cui ha inizio sia il lato minore che quello maggiore,   437 Sc. i due numeri rappresentano i limiti dei due lati.   438 Sc. alla regressione.   439 Cf. [Giamblico], Theol. arithm. 9,14.   440 Sc. [Giamblico], Theo/. arithm. 11,17.   441 Poiché prima del 2 c'è l’ 1.   442 Cf. Platone, Phaedr. 245 D 2 s., dove però si dice, con maggiore pre-  cisione, che «se un principio nasce da qualcosa, non è più principio — εἰ γὰρ  ἔκ του ἀρχὴ γίγνοιτο, οὐκ div ἔτι ἀρχὴ γίγνοιτο».   443 Anch'esso eteromeche: 1x2=2.    INTRODUZIONE ALL'ARITMETICA DI NICOMACO 823    444 Sc. lo stesso numero: ad es. 16 ha come punto di svolta solo 4, perché  4x4=16.   445 Sc. per moltiplicazione.   446 Sc. nascevano per somma di un dispari poi di due poi di tre sempre  dispari: ad es. 1+3=4+5=9+7=16+9=25, ecc., dove il progressivo risultato  delle somme dei dispari dà appunto i quadrati 4, 9, 16, 25, ecc.   447 Sc. nasceranno per somma di un primo pari poi di due, ecc.: ad es.  2+4=6+6=12+8=20+10=30, ecc., dove il progressivo risultato della somma  dei pari dà appunto gli eteromechi 6, 12, 20, 30, ecc.   448 Sc. per accumulazione.   449 Sc. il prodotto.   450 Sc. dei fattori.   451 Sc. il prodotto è la somma di uno dei due fattori tante volte quante  sono le unità dell'altro fattore: ad es., nel caso di 6,=3x2 0 2x3, 3 è preso due  volte, o 2 tre volte.   452 2x2=2+2=4. Cf. [Giamblico], Theo/. aritbm. 10,19.   453 3x3=9>3+3=6.   454 1x1=1<1+1=2.   455 Cf. [Giamblico], Theol. aritbm. 11,1.   456 C£. [Giamblico], Theol. arithtn. 77,19.   457 Il quadrato di un dispari è dispari, e viceversa il quadrato di un pari è  pari.   458 Ogni eteromeche nasce dal prodotto di due numeri uno dispari e l’al-  tro pari, che dànno lo stesso risultato moltiplicati vicendevolmente: ad es.  12=3x4=4x3.   459 Ogni pari moltiplicato da un dispari produce ugualmente un pari:  quindi quando si moltiplica un dispari per un pari o viceversa si ottiene sem-  pre un prodotto pari.   460 Cf, Platone, Resp. VIII 546 B ss.   461 Sc. nel primo caso.   462 Sc. nel secondo caso.   465 Sc. accoppiati, cioè l’uno accanto all’altro.   464 Sc. eteromechi: ad es. 2x6=12=3x4; 6x12=72=8x9;  30x42=1260=35x36, ecc.   465 Sc. un quadrato con un eteromeche, o viceversa.   466 Sc. relativo al primo della serie.   467 Sc. del doppio: 2=1x2.   468 Sc. emiolio: 6=4+1/2(4).   469 Sc. epitrite: 12=9+1/3(9).    824 GIAMBLICO    470 Sc. epiquarto: 20=16+1/4(16).   471 Sc. relativamente a numeri che occupano il medesimo posto nelle due  file dei quadrati e degli eteromechi.   472 Sc. 1 (=2-1), 2 (=6-4), 3 (=12-9), ecc.   473 Sc. quadrati.   474 3 (=4-1), 5 (=9-4), 7 (=16-9), ecc.   475 Sc. eteromechi.   476 4 (=6-2), 6 (=12-6), 8 (=20-12), ecc.   477 1+1/3, 1+1/5, 1+1/7, ecc.   478 4[=6-2] e 3 [=4-1]=epitrite [3+1/3(3)=4; 6[12-6] e 5[9-4]= epiquinto  [5+1/5(5)=6]; ecc.   479 Sc. quadrato: 1+(2x2=4)+4=9.   480 Sc. quadrato: 9+(12x2=24)+16=49.   481 Sc. quadrati.   482 Sc. eteromechi.   483 Ad es.: 2+(4x2=8)+6=16; 6+(9x2=18)+12=36; ecc.   484 Sc. moltiplicati per 2.   485 Sc. appunto perché eteromechi.   486 Sc. quadrati, o simili, ed eteromechi, o dissimili.   487 In effetti i veri gnomoni sono tutti i numeri dispari e tutti i numeri  pari, dalla cui somma cumulativa si formano rispettivamente i quadrati e gli  eteromechi.   488 Sc. 1, 2, 4: si parte dal quadrato si aggiunge l’eteromeche che sta sotto  e ancora il quadrato successivo. Poi si riprende da quest’ultimo e si procede  allo stesso modo: la seconda combinazione sarà, quindi: 4, 6, 9.   489 Sc. 4+1/2(4)=6+1/2(6)=9.   490 Sc. 9+1/3(9)=12+1/3(12)=16.   491 Sc. 16+1/4(16)=20+1/4(20)=25.   492 Sc. nel formare combinazioni fatte di un quadrato collocato tra i due  eteromechi contigui. Questa volta si deve partire, ovviamente, dall’eterome-  che a cui si aggiunge il quadrato che sta sopra in diagonale e quindi l’etero-  meche successivo: ad es. 2, 4, 6 (rapporti doppio ed emiolio); 6, 9, 12 (rap-  porti emiolio ed epitrite); 12, 16, 20 (rapporti epitrite ed epiquarto); ecc.   493 4=2x2; 6=4+1/2(4).   494 9=6+1/2(6); 12=9+1/3(9).   495 16=12+1/3(12); 20=16+1/4(16).   496 Sc. quadrato.   497 Sc. eteromeche.   498 Sc. secondo il medesimo posto occupato nelle due file.    INTRODUZIONE ALL’ARITMETICA DI NICOMACO 825    499 Sc. sommando ciascun eteromeche, oltre che con il quadrato che gli  sta sopra, anche con il quadrato seguente.   500 1 {=2:2), 3 (=6:2), 6 (=12:2), 10 (=20:2), ecc.   501 Perché è contemporaneamente doppio e potenza nel medesimo  tempo?   502 2=1x2.   50) 4=2x2.   504 6=4+1/2(4).   505 12=9+1/3(9).   506 16=12+1/3(12).   507 20=16+1/4(16).   508 25=20+1/4(20).   509 Sc. il quinto simile: 30=25+1/5(25).   510 42=36+1/6(36).   511 Sc. del numero ordinale: la frazione dev'essere omonima del numero  di posto del dissimile.   512 Sc. quando i due occupano il medesimo posto.   513 Sc. quando uno dei due occupa il posto successivo.   514 Sc. nelle unità.   515 Sc. le decine da 11 a 100 e le centinaia da 101 a 1000.   516 Cf. [Giamblico], Theo/ arithm. 27.   517 Sc. i numeri da 1 a9.   518 10+2(1+2+3+4+5+6+7+8+9)=100.   519 Sc. da 1.   520 Sc. 1.   521 Sc. 10: cioè 1+2+3+4+5+6+7+8+9+10+9+8+7+6+5+4+3+2+1=100.   522 Sc. come punto di svolta.   523 Sc. 1.000.   524 Sc. divisibile per due numeri la cui differenza è più di 1.   525 Sc. di essere numeri laterali.   526 Sc. è divisibile o per 3 o per 4.   527 Ad es. 25, che non è divisibile né per 3 né per 4, sottratto 1, e quindi  ridotto a 24, diviene divisibile per 3 (8) e per 4 (6).   528 Se si sottrae un’unità.   529 Ad es. 36, che è divisibile sia per 3 che per 4, sottratto 1, e quindi  ridotto a 35, non è divisibile né per 3 né per 4.   530 Sc. della stessa specie, pari o dispari.   531 Ad es. 5x3+1=16, 5x7+1=36, 8x6+1=49, 8x10+1=81, ecc..    826 GIAMBLICO    532 Sc. multiplo-epimorio o multiplo-epimere: ad es.: 7x21{triplo) = 147:3  = 49 = 7x7; 8x16(doppio) = 128:2 = 64 = 8x8, ecc.   533 Ad es.: 6x8+1 = 49 = 7x7; 10x8+1 = 81 = 9x9, ecc.   534 Il termine ῥητός, che comunemente ha il significato di “esprimibile  con parole”, in aritmetica significa la proprietà che si attribuisce a quelli che  i moderni chiamano “numeri razionali”, cioè quantità intere o frazionarie di  cui è sempre possibile la divisione (tranne che per lo zero).   535 Non esiste, ad esempio, un numero razionale che misuri il rapporto  tra lato e ipotenusa in un triangolo rettangolo, o tra circonferenza e diame-  tro in un circolo.   536 Sc. il numero laterale.   537 Sc. con il numero diametrale.   538 Sia come realtà aritmetica, presupposto necessario di qualunque altra  realtà matematica (geometrica, armonica, ecc.), sia anche come principio di  ogni realtà non matematica, a parte, ovviamente, quella intelligibile, da cui  anzi esso dipende.   539 Stabilire cioè il lato di misura 1 e il diametro della stessa misura 1.   540 Portando cioè il lato a 2 e il diametro a 3.   541 Sc. diam. 1=(1x1) = lato 2(1x1)-1.   542 Sc. quella del diametro e quella del lato.   543 Sc. essendo uguali a se stesse anche elevate alle loro potenze.   544 Infatti diametro (3x3=9) = 1+ lato 2(2x2=4)=8.   545 δ΄, cosi come è stato stabilito che si debba fare universalmente e in  modo sempre identico.   546 Sc. diam. 3+2(2)=7; lato 2+3=5.   547 49=2(25)-1.   548 Sc. diam. 7+2(5)=17; lato 5+7=12.   549 (17x17=289)=2(12x12)+1.   550 Sc. hanno tra loro un rapporto definibile con un numero razionale,  nella fattispecie 1.   551 Il passaggio non è chiaro, ma il senso potrebbe essere questo: la prima  dimensione è la linea, la seconda la superficie, la terza il volume o massa, ma  perché si formi la prima dimensione occorrono due punti, perché la dimen-  sione è un intervallo e questo richiede almeno due termini; perché poi si  formi la seconda dimensione basta aggiungere un terzo punto, cioè due  intervalli, e infine perché nasca la terza dimensione, la solidità, occorre  aggiungere un quarto punto, cioè tre intervalli. Quindi la prima dimensione  è quella che assume, perché è da essa che si parte nella formazione del soli-  do, la seconda dimensione è quella che viene assunta dalla prima perché si  possa procedere, la terza è quella in virtà della quale, infine, è possibile che    INTRODUZIONE ALL'ARITMETICA DI NICOMACO 827    venga assunta la solidità. Il quarto termine, dunque, occorre solo perché  siano possibili le tre dimensioni o intervalli, ma esso è già virtualmente pre-  sente fin dall’inizio, cioè fin dalla formazione del primo intervallo o dimen-  sione.   552 Sc. a forma di mattoni.   533 Sc. a forma di travi.   554 Sc. a forma di pali.   555 Sc. a forma di altari.   556 Sc. a forma di cunei.   557 Infatti le piramidi (da non confondere qui con i tetraedri) hanno disu-  guale l'angolo al vertice.   558 Sc. hanno una sola base possibile.   559 Sc. tetraedri.   560 Sc. a forma di colonna.   561 Sc. tutte le facce sono uguali e ognuna, essendo un quadrato, rappre-  senta un dato numero moltiplicato per se stesso.   562 Sc. con il lato, che è il numero iniziale.   563 Sc. ai quadrati dello stesso numero.   564 5x5=25 (circolare) x5=125 (sferico); 6x6=36 (circolare) x6=216 (sfe-  rico): tali numeri sono stati detti anche apocatastatici o ricorrenti: cf. p. 11,  supra.   565 Sc. quella del tetraedro, perché al vertice delle altre specie di pirami-  de convergono, in funzione della forma della base, più di tre lati.   566 Cf. p. 93,17, supra.   567 Sc. nei docidi.   568 Sc. triangolari per formare piramidi di base triangolare, quadrati per  formare piramidi di base quadrata, ecc.   569 Sc. fino al numero di lati, alla base, che preferiamo.   570 Sc. della stessa forma poligonale del numero piano di partenza.   371 1+3=4+6=10+10=20, ecc.   572 144=5+9=14+16=30+25=55, ecc.   573 1+5=6+12=18+22=40, ecc.   574 Sc. a partire da 1: si ricordi che 1 è numero poligonale in potenza.   575 Sc. triangolari, pentagonali, ettagonali, ecc.   576 Sc. quadrati, esagonali, ottagonali, ecc.   57? Cf. p. 60 fin., supra.   578 Sc. piramidi triangolari o pentagonali o ettagonali, ecc.   579 Sc. il primo numero.   580 Sc. tutti i dispari al quinto posto. partendo dalla notenza. finiscono    828 GIAMBLICO    per 3.   581 Sc. nella stessa colonna del dispari terminante per 5 che cade dopo i  tre pari della precedente serie.   582 Sc. sulla prima fila.   583 Sc. esposizione in fila orizzontale.   584 Il primo piramidale è 1, che quindi si somma allo 0.   585 Il secondo piramidale somma due poligonali.   586 Il terzo piramidale somma tre poligonali.   587 Sc. la prima piramide elementare, che è appunto la piramide formata  da quattro piani triangolari o tetraedro: la differenza tra le piramidi della  terza colonna sarà la prima piramide in atto 4.   588 Sc. la differenza tra le piramidi della quarta colonna sarà la seconda  piramide in atto 10.   589 Tutte le piramidi hanno come primo gnomone 1, ma diversi numeri  come gnomoni successivi: ad es. le triangolari hanno come gnomoni 1, 3, 6,  10, ecc.; le quadrate 1, 4, 9, 16, ecc., le pentagonali 1, 5, 12, 22, ecc.   590 C£. p. 13 in. e 73 in., supra: i dispari hanno la natura dell’identico per-  ché hanno come principio formale l’ 1. Il contrario vale per i pari, che hanno  come principio il 2.   591 Sc. prima un dispari, poi due dispari successivi, poi tre dispari succes-  sivi, poi quattro dispari successivi, ecc.   592 Sc. in file parallele tutti i quadrati dei numeri in successione.   59 Ad es.: 64, cubo di 4, moltiplicato per il suo stesso lato 4, fa 256, che  è un quadrato di lato 16, ed è quadruplo del cubo 64, come il quadrato del  lato del cubo 4, cioè 16, è quadruplo dello stesso lato 4; oppure 625, cubo di  1. lia 5, è quintuplo del cubo come il quadrato 25 è quintu-  plo di 5.   594 Nel primo esempio, 16 è lato del quadrato 256, che nasce dal cubo 64  moltiplicato il suo lato 4.   59 Ad es. il cubo di 9 è 729, che è anche il quadrato di 27.   5% Due unità di valore monetario: 1 talento = 60 mine.   597 Sc. il quanto grande o quantità continua, propria degli enti geometri-  ci.   598 Unità di misura lineare; 1 cubito = m. 0,443 = 2 palmi o spanne [om-  θαμαί] = 24 dita.   59 Unità di misura per liquidi e aridi: 1 cotila [ciotola] = 1/4 di litro ca.   600 Unità di misura per aridi: 1 chenice = 1,08 di litro = 1/48 di medim-  no = 4 cotile.   601 Sc. la quantità discreta, propria degli enti aritmetici o numeri.   602 Sc. la disuguaglianza presuppone due tipi di rapporto tra due termini    INTRODUZIONE ALL’ARITMETICA DI NICOMACO 829    diversi: a con b e b con a.   603 Sc. c'è una sola unità tra i due numeri nell’un caso e nell’altro, anche  se in aumento o in diminuzione.   604 Sc. il rapporto è identico, perché è emiolio [1+1/2], mentre l’interval-  lo è diverso, perché è 2 e 3.   605 Cf. p. 37, supra.   606 Viene chiamato /irzzza il rapporto di semitono o diesis, che tuttavia,  secondo i numeri proposti, è meno della metà di un tono (1/8). Infatti la dif-  ferenza di tono rispetto a 243 sarebbe 273,375 (243+1/8(243)); se dividiamo  a metà la differenza tra 273,375 e 243, otteniamo 15,1875, che è più della dif-  ferenza tra 256 e 243 (=13). Quindi si hanno due semitoni, uno minore, che  è il lirzza di cui parliamo, e l’altro maggiore, che viene chiamato 4potome  (nell'esempio numerico 17,375). Cf. Teone di Smirne, Expos. rerum mathem.  ad leg. Plat. util. 66-67 Hiller, e Boezio, De 245. II 28 = 260 Friedlein; II 30  = 263 5. Friedlein.   607 Cf. Teone di Smirne, Expos. rerum mathem. ad leg. Plat. util. 82 Hiller;  Nicomaco, Arithm. intr. 120 Hoche; et Aliî.   608 Sc. di questo tipo, cioè di proporzione.   609 Si tratta, come si sa, della proporzione aritmetica, che presuppone una  differenza uguale tra i termini del rapporto.   610 C£. p. 44-45, supra.   611 CÉ£. p. 44, supra.   612 C£. p. 104, supra.   613 Sc. non gli Acusmatici. Sulla distinzione tra Matematici e Acusmatici,  cf. Giamblico, De comm. math. sc. cap. 25.   614 Sc. da subcontraria in armonica.   615 Sc. la differenza tra il medio e gli estremi è uguale, ma il rapporto è  diverso, perché il medio è maggiore dell’estremo minore e minore dell’estre-  mo maggiore.   616 Sc. possono cambiare di quantità senza che cambi la continuità, cioè  la distanza dei termini tra loro.   617 Sc. da una serie di tre numeri uguali: cf. p. 44, supra.   618 1, 1+1, 1+1+1=1,2,3.   619 1+1, 1+(2x1), 1+(2x1)+1=2,3,4.   620 Sc. dalla serie di tre 1.   621 Da 1, 1, 1, nasce la medietà 1, 2, 3.   622 Da 2, 2, 2, nasce la medietà 2, 4, 6.   623 Da 3, 3, 3, nasce la medietà 3, 6,9.   624 Da 4, 4, 4, nasce la medietà 4, 8, 12.   625 Nel rannarta 2 4 4 43 dannia di 7 a 4 amialin A 4 a ἐσ di 9    830 GIAMBLICO    626 Nel rapporto 2, 6, 10, 6 è triplo di 2 e 10 epidimere di 6  [10=6+2/3(6)] e quintuplo di 2.   627 Nel rapporto 2, 8, 14, 8 è quadruplo di 2 e 14 epitrimere di 8  [14=8+3/4(8)] ed ettaplo di 2.   628 Cf, Nicomaco, Aritbm. intr. 125.   629 Sc. le somme.   630 Sc. dalla somma.   631 Sc. che sia già incluso nella precedente combinazione.   632 14243=6; 445+6=15=1+5=6;7+8+9=24=2+4=6,   633 C£, p. 88, supra.   634 Platone, Tim. 36 A.   635 Su questi tre termini si è molto discusso fra gli studiosi del Timzeo: io  credo che qui Platone non alluda alla differenza tra numeri lineari piani e  solidi (Fraccaroli), o alla differenza tra aritmetica, geometria e musica  (Giarratano), bensi alla differenza tra enti matematici, enti corporei e poten-  ze o funzioni irriducibili tou! court agli uni o agli altri.   636 Sc. le varie collocazioni e funzioni del medio e degli estremi: hanno  torto coloro che intendono il ταῦτα [πάντα in Platone] come riferito ai ter-  mini, perché non ha senso dire che questi sono “gli stessi” o “identici”, dal  momento che non della loro entità matematica o d’altro si tratta, bensi della  loro posizione o funzione nella proporzione geometrica. Molto più plausibi-  le la traduzione di Reale «accadrà che tutte le proporzioni siano le stesse»  (cf. Platone, Tutti gli Scritti, a cura di G. Reale, Milano 1991, ad loc.   637 Platone, Tir. 31 C 4 ss.   638 Sc. Pseudo-Timeo di Locri, un anonimo del II sec. a.C. autore di  un’epitome del Tizzeo platonico.   659 Timone fr. 54 Diels [= 828 Lloyd-Jones/Parsons]: καὶ σύ, Πλάτων᾽  καὶ γάρ σε μαθητείης πόθος ἔσχεν, πολλῶν δ᾽ ἀργυρίων ὀλίγην ἠλλάξαο  βίβλον, ἔνθεν ἀπαρχόμενος τιμαιογραφεῖν ἐδιδάχθης. Su questo testo  timonico e sulle altre testimonianze relative al presunto plagio di Platone,  cf. ora Timone di Fliunte, Sî//, a cura di M. Di Marco, Roma 1989, 235 ss.   640 H, Thesleff, The Pytbagoreans Texts of the Hellenistic Period, Àbo  1965, 207,23-208,2. Se infatti si inverte l’ordine in modo che l’ultimo estre-  mo diventi primo e viceversa il primo diventi ultimo, e il medio inverta le due  sue posizioni, o si scambiano di ruolo i medi con gli estremi in modo che i  medi diventino estremi e gli estremi medi, allora accade che fra tre termini,  ad es. 2, 4, 8, si equivalgano le seguenti proporzioni: 2:4=4:8; 8:4=4:2;  4:2=8:4; 4:8=2:4.   641 Sc. di ogni specie di multiplo o epimorio, ecc.   642 Sc. gli intervalli.    INTRODUZIONE ALL’ARITMETICA DI NICOMACO 831    643 Sc. per moltiplicazione.   644 Sc. in funzione del progredire delle frazioni.   645 Sc. non tutti possono essere divisi in parti che si esprimano in numeri  interi.   646 2,4, 6, 8, 10, 12, 14, 16, 18, 20, 22, 24...   647 3, 6,9, 12, 15, 18, 21, 24...   648 4, 8, 12, 16, 20, 24...   649 5, 10, 15, 20, 25...   650 Nell’es., entro i primi venticinque numeri, si passa da dodici a cinque.   61 Sc. è emiolio.   652 Sc. in modo che abbia un suo emiolio.   65) Sc. è epitrite.   654 Sc. i quadrati: cf. p. 82, supra.   655 Sc. gli eteromechi: cf. ibidem.   656 Sc. mettiamo in fila l’uno dopo l’altro nell’ordine quadrati ed eterome-  chi, che si intrecceranno alternandosi fra loro, cosi: 1, 2, 4, 6, 9, 12, 16, 20,  25, 30, 36, ecc.   657 1, 2,4; 4, 6,9; 9, 12, 16; 16, 20, 25; ecc.   658 Sc. in modo che l’ultimo della terna precedente sia il primo della terna  seguente, come si diceva.   659 Sc. le basi dei rapporti. Infatti la prima terna 1, 2, 4 contiene il rappor-  to del doppio, la terna 4, 6, 9 il rapporto base emiolio, la terna 9, 12, 16 il  rapporto base epitrite, ecc.   i 660 Cosi come accade nella proporzione aritmetica che ha uguali interval-  i.   661 Cosi come accade nella proporzione geometrica, che ha uguali rap-  porti.   662 6=3x2; 6=2x3.   663 6-3=3 e 3-2=1 (3 triplo di 1); 6-4=2 e 4-3=1 (2 doppio di 1).   664 Infatti la somma di un emiolio (accordo di quinta) e di un epitrite  (accordo di quarta) fa un doppio (accordo di ottava o diapason): [emio-  lio=1+1/2=3/2]+[epitrite=1/3(3/2)=3/6]=[doppio=2].   665 Sc. il prodotto degli estremi 3x6=18.   666 Sc. il prodotto del medio per se stesso 4x4=16.   667 Infatti 18=16+1/8(16).   668 Sc. 1+1/8, che, nella proporzione musicale, cioè armonica con quattro  termini, 6, 8, 9, 12 costituisce il rapporto 8 a 9, che sta tra il rapporto epitri-  te 6 a 8 dell'accordo di quarta e il rapporto emiolio 6 a 9 dell'accordo di  quinta: i due accordi, infatti differiscono di un tono.    832 GIAMBLICO    669 Sc. secondo la prima formazione 2, 3, 6.   670 Infatti contiene il rapporto emiolio (di quinta) di 2 a 3, e il rapporto  doppio (di ottava) di 3 a 6.   671 Sc. 6x6=36.   672 Infatti 6x6=36=4(3x3).   673 Sc. due volte il doppio.   674 Sc. ogni termine moltiplicato per se stesso.   675 24=18+1/3(18); 12=9+1/3(9).   676 18=12+1/2(12); 24=16+1/2(16); 36=24+1/2(24).   677 18=16+1/8(16).   678 Sc. tra medio e minore, da un lato, e maggiore e medio, dall’altro.   679 Sc. doppio come gli estremi 6 a 3, ed emiolio come 3 a 2: infatti 2  (accordo di ottava) + 1/2(2) (accordo di quinta) =   680 Platone, Tirz. 36 A: cf. p. 104, supra.   681 3=2+1/2(2)=6-1/2(6).   682 4=3+1/3(3).   683 4=6-1/3(6).   684 Sc. che la medietà armonica sia subcontraria all’aritmetica e alla geo-  metrica.   685 Sc. del medio; ad es. 4:6=6:9, dove il medio 6 supera l’estremo 4 di  metà di questo [2], ma è superato dall’estremo 9 della medesima parte, cioè  la metà, del medio stesso [3].   686 Ad es. 2, 3, 4, tra i minori 2 e 3 il rapporto è emiolio, cioè maggiore  di quello epitrite che c’è tra i maggiori 3 e 4.   687 Ad es, 3, 4, 6, hanno tra i minori 3 e 4 il rapporto epitrite che è mino-  re di quello dei maggiori 4 e 6, che è emiolio.   688 Infatti 2, 3, 6, hanno 3x(2+6)=24=2x(2x6); e 3, 4, 6, hanno  4x(3+6)=36=2x(3x6).  689 Sc. la prima delle due medietà: 2, 3, 6.  690 Sc. gli estremi sono l’uno doppio dell’altro, e doppia è pure la diffe-  renza tra i maggiori rispetto a quella tra i minori.  691 Sc. 3,4, 6.  692 ὅς, 5: infatti 40 aggiunge 5 e fa 45, e 10 perde sempre 5 e fa 5.  69 Ad es. 3, 5, 6, 6:3=(5-3):(6-5).  694 Nell’armonica infatti diciamo: come la differenza tra i minori sta alla  differenza tra i maggiori, ecc., mentre in questa subcontraria invertiamo le  differenze.  69 Sc. gli estremi dell’armonica sono 2 e 6, 0 3 e 6, cosî come quelli della  quarta medietà: armonica = 2, 3, 6, 0 3, 4, 6; subc. = 2,5, 6,03, 5, 6.  INTRODUZIONE ALL'ARITMETICA DI NICOMACO 833  696 Quando, cioè, il medio supera l'estremo minore della stessa parte di  cui è superato dall’estremo maggiore: ad es. 3, 4, 6, 4=3+1/3(3)=6-1/3(6).  697 Quando, cioè, il medio supera l’estremo minore della stessa quantità  numerica con cui lo supera il maggiore: ad es. 2, 4, 6, 4=2+2=6-2).   698 Quando, cioè, il medio supera l'estremo minore di una parte di sé che  è uguale alla parte dell'altro estremo con cui questo a sua volta lo supera.   699 Sc. secondo una differenza in più e in meno dello stesso medio, per-  ché questo ha con i due estremi differenze multiple (inverse a quelle che tro-  viamo nella medietà geometrica, di cui infatti è subcontraria): ad es. 3, 5, 6,  [6:3=(5-3):(6-5)].   700 Sc. 2,5,6e3,5,6.   701 Sc. non a quella armonica.   702 4:2=(4-2):(5-4).   703 ὃς, dall’uguaglianza.   704 4-1=6-4+1/2(6-4), ovvero 3=2+1/2(2).   705 Sc. quarta, quinta e sesta.   706 Cf. p. 113, supra.   707 Sc. 6, 8,9, (8x9):(6x8)=9:6=(9-6):(8-6), cioè 72:48=9:6=3:2, come dire  che c’è la stessa divisibilità rispettivamente per 3 e per 2. Si noti che il rap-  porto promeche nei prodotti 72 [24x3] e 48 [24x2] diviene alla fine etero-  meche 3x2.   708 $c. settima, ottava e nona.   709 Sc. precisamente epidimere 3 a 5 [3+2/3(3)=5], epimere trisepiquinto  5 a 8 [5+3/5(5)=81]: cf. pp. 42 e 70, supra.   710 Sc. 5x3=(8-3)x(8-5)=5x3.   711 Sc. le medietà quarta, quinta e sesta scoperte da Archita e da Ippaso:  cf. pp. 113 e 116, supra.   712 Sc. secondo una continuità di tre in tte: infatti questa decima si gene-  ra dalla quarta cosi come la settima, creando un ritmo di terze: la settima  infatti è al terzo posto dalla quarta come la decima lo è dalla settima.   713 Sc. anche se le terne non sono complete.   714 Cf, [Giamblico], Theo/. arithm. 80,8.   715 Cf. [Giamblico], Theo/. aritbm. 80,3.   716 Sembra una chiara allusione a [Giamblico], Theol. aritbm. C£. p.  125,14 ss., infra.   717 Cf. [Giamblico], Theo! arithm. 54,8.   718 Platone, Tir. 36 A-B.   719 Lett.: medietà — μεσότητας.   720 Sc. dello stesso numero: la formula generale è: 1, 1+1/3, 2: si tratta di    rina nennaszinna armanina Ta cri Lasi κα 3 1 £ 2-2 4 £    834 GIAMBLICO    tuiscono proporzioni armoniche di rapporto uguale, che è rispettivamente  1/3 e 1/2. L'altro medio invece costituisce una proporzione aritmetica di rap-  porto 1, 2, 3, in cui la differenza tra gli estremi e il medio è un numero sem-  pre uguale.   721 Il termine lizza è qui usato impropriamente al posto di intervallo:  infatti nel testo platonico troviamo διαστήματι (36 B 1) invece di λείμματι.  Il limama, infatti, non è l'intervallo epiottavo che corrisponde al tono, bensi  un altro tipo di rapporto che compete al semitono o diesis. Cf. nota 606,  supra.   722 In armonica è l’intervallo epiottavo (9 a 8 = un tono) che aggiunto  all'accordo di quarta forma l'accordo di quinta.   723 Sc. diapason, accordo di ottava, appunto. In quest’ultima parte il testo  platonico è alterato e abbreviato.   724 Sc. all'unisono.   725 Sc. l’intervallo tra suoni che sono in rapporto epitrite tra loro, come 4  a 3 [4=3+1/3(3)]. Dividendo infatti la corda in 7 parti, e fissando alla quar-  ta parte un ponticello, e facendo risuonare alternativamente le due parti, si  ottiene appunto l'accordo di quarta o diatessaron. Cf. Boezio, De mus. ed.  cit., IV 18, p. 348 s., ma anche p. 365, dove si legge chiaramente questa moti-  vazione: «Etenim diatessaron consonantia quattuor efficitur nervis, idcirco  etiam diatessaron nuncupatur».   726 Sc. di intervallo di un tono.   727 Sc. tra l'accordo di quinta e l'accordo di quarta.   728 Sc. di un tono: 6, 8, 9, 12 = epitrite 6 a 8, emiolio 8 a 12, epiottavo 8  a 9; l'accordo di quinta, emiolio, supera l’accordo di quarta, epitrite, di un  epiottavo, che è il tono: infatti la somma di 4/3 (accordo di quarta) e 1/8(4/3)  (accordo di tono) fa 3/2 (accordo di quinta). Se poi si aggiunge ancora 1/3  dell'accordo di quinta, cioè 1/3(3/2) (che è la differenza tra accordo di otta-  va e accordo di quinta) si ottiene il doppio (2) che è l’accordo completo o  diapason: infatti 3/2+1/3(3/2)=2.   729 Sc. completo (raddoppia infatti la quantità iniziale: 1+1), o di ottava.   730 Sc. di quarta e di quinta. Cf. note 664 e 727, supra.   731 Sc. di quarta.   732 Sc. di quinta.   733 Sc. di ottava: la combinazione dell'accordo di quarta, 8 epitrite di 6,  con l'accordo di quinta, 12 emiolio di 8, forma l'accordo di ottava o diapa-  son, 12 doppio di 6.   734 Sc. dal rapporto doppio 3 a 6 combinato con il rapporto emiolio 6 a 9  si ha il rapporto triplo 3 a 9.   735 Sc. di ottava.   736 Cf. p. 52,29, supra, e p. 122,12, infra.    835  INTRODUZIONE ALL'ARITMETICA DI NICOMACO    737 Cf. note 664 e 727, supra.   738 Che sono i termini minori: infatti 3=2+1/2(2).   739 C£. pp. 98,11 s. e 110,6 s., supra.   740 Finora, infatti, si era parlato della proporzionalità degli accordi armo-  nici.   741 Sc. il maggiore tra i medi.   742 Sc. tra 12, 9, 8, 6, 12:9=8:6, e 12:8=9:6.   743 Sc. nella medietà di quattro termini, cioè nella medietà con due termi-  ni medi.    GIAMBLICO    LA TEOLOGIA DELL'ARITMETICA  TA OEOAOFOYMENA  THX APIOMHTIKHX  [1] «περὶ μονάδος.»  Μονάς ἐστιν ἀρχὴ ἀριθμοῦ, θέσιν μὴ ἔχουσα: λέγεται δὲ μονὰς  παρὰ τὸ μένειν" καὶ γὰρ ἡ μονάς, ἐφ᾽ ὃν γίνεται ἀριθμόν, φυλάσσει  τὸ αὐτὸ εἶδος, οἷον ἅπαξ τρία τρία, ἅπαξ τέσσαρα τέσσαρα. ἰδοὺ  γὰρ ἐπὶ τούτοις προσελθοῦσα ἡ μονὰς τὸ αὐτὸ εἶδος ἐφύλαξε καὶ  οὐκ ἐποίησεν ἕτερον ἀριθμόν. πάντα γὰρ ἐκ τῆς πάντα δυνάμει  περιεχούσης μονάδος [10] διακεκόσμηται" αὕτη γὰρ καὶ εἰ μήπω  ἐνεργείᾳ ἀλλ᾽ οὖν σπερματικῶς πάντας τοὺς ἐν πᾶσιν ἀριθμοῖς καὶ  δὴ καὶ τοὺς ἐν δυάδι λόγους ἔχει, ἀρτία τε οὖσα καὶ περιττὴ καὶ  ἀρτιοπέριττος καὶ γραμμὴ καὶ ἐπίπεδος καὶ στερεὰ κυβική τε καὶ  σφαιρική. καὶ ἀπὸ τετραγώνου μέχρις ἀπειρογώνου ἐν πυραμίδων  εἴδεσι. τελεία τε καὶ ὑπερτελὴς καὶ ἐλλιπὴς καὶ ἀνάλογος καὶ  ἁρμονικὴ καὶ πρώτη καὶ ἀσύνθετος καὶ δευτέρα καὶ διαμετρική τε  καὶ πλευρική, καὶ ἐν ἰσότητι καὶ ἐν ἀνισότητι πάσης κατάρχουσα  σχέσεως, ὡς ἐν τῇ Εἰσαγωγῇ ἀποδέδεικται᾽ πρὸς δὲ τοῖς εἰρημένοις  σημεῖόν τε καὶ γωνία σὺν ἅπασι τῆς γωνίας εἴδεσιν, [20] ἀρχή τε  καὶ μέσον καὶ τέλος τῶν ὅλων φαίνεται᾽ «ἐκ γὰρ τοῦ ἄτομος φύσει N  μονὰς εἶναι, πέρας ἐφ᾽ ἑκάτερον καὶ ὁρισμὸς ἡ αὐτὴ φαίνετα»,! ἐπὶ  μὲν τὸ [2] μεῖον αὐτῆς, τὴν ἐπ᾽ ἄπειρον τοῦ συνεχοῦς ὁρίζουσα  τομήν, ἐπὶ δὲ τὸ μεῖζον, τὴν ὁμοίαν τοῖς διῃρημένοις ἐπαύξησιν,  οὐχ ἡμῶν τοῦτο θεμένων ἀλλὰ θείας φύσεως. ἀναλόγως γοῦν ἀνθυ-  πακούει καὶ ἀντιπεριίσταται ἑκάτερα ἐν αὐτῇ τὰ μέρη πρὸς τὰ ὅλα,  ὡς ἐν τῷ λαμβδοειδεῖ διαγράμματι ἐσαφηνίσθη κατὰ τὴν ἀρχὴν τῆς  ᾿Αριθμητικῆς᾽ διὸ καὶ ὡς τὰ μήκει διπλάσια δυνάμει «μὲν» τετρα-  πλάσια, στερεῷ δὲ ὀκταπλάσια, καὶ τὰ μήκει τριπλάσια δυνάμει  μὲν ἐννεαπλάσια, στερεῷ δὲ ἑπτακαιεικοσαπλάσια, ἐν τῇ τῶν  ἀριθμῶν πάντων εὐταξίᾳ, οὕτω [10] κἀν τῇ τῶν μερῶν τὰ μὲν μήκει  ἡμίση δυνάμει «ὲν» τεταρτημόρια, στερεῷ δὲ ὀγδοημόρια, τὰ δὲ  μήκει τρίτα δυνάμει μὲν ἔννατα, στερεῷ δὲ ἑπτακαιεικοσιμόρια.  καὶ πᾶν δὲ πλήθους σύστημα ἢ ὑποτομῆς μόριον κατὰ μονάδα εἰδο-  ποιεῖται’ μία γὰρ δεκὰς καὶ μία χιλιὰς καὶ ἔμπαλιν δέκατον ἕν καὶ  1 lacuna colmata da Ast.  Il numero1.  [1] L’1è principio del numero e non ha posizione:! è detto 1 per  la sua stabilità;? e infatti l’ 1 mantiene la stessa forma ad ogni numero  con cui si combina} come ad esempio 3x1=3, 4x1=4: ecco infatti che  l' 1, una volta che si è associato a questi numeri, ne ha mantenuto la  stessa forma e non ha prodotto un numero diverso. Tutte le cose infat-  ti sono state ordinate dall’ 1, perché le contiene tutte in potenza: esso  infatti, anche se mai in atto, almeno in germe possiede tutti i rappor-  ti di tutti i numeri, compresi quelli del 2, in quanto l’ 1 è pari e dispa-  ri, e pari-dispari, ed è linea e piano e solido, cioè cubico e sferico, e  piramidale secondo ogni specie di piramide da quella quadrangolare  fino a quella con un'infinità di angoli, ed è perfetto, e ridondante e  deficiente,4 e proporzionale e armonico, e primo, e non-composto, e  secondo, e diagonale e laterale, e dà origine ad ogni relazione di ugua-  glianza e di disuguaglianza, come è stato dimostrato nell’Ixtrodu-  zione; e inoltre si rivela come punto e angolo, con tutte le forme di  quest’ultimo, e inizio e mezzo e fine di ogni cosa: dal suo essere, infat-  ti, indivisibile per natura, l’ 1 rivela di essere limite e determinazione  da ambedue i lati, [2] nel senso della sua diminuzione, esso delimita  la divisione all’infinito del continuo,” mentre nel senso del suo  aumento, l’ 1 delimita l'accrescimento all’infinito del discreto,8 e non  perché lo stabiliamo noi, ma in virtà della sua natura divina. Nell’ 1,  dunque, le parti corrispondono e si contrappongono proporzional-  mente agli interi, come appare nel diagramma a forma di lambda  descritto all’inizio dell’Aritmzetica;!0 e perciò, come nell’ordinamento  di tutti i numeri <interi>, i doppi in lunghezza!! sono quattro volte al  quadrato e otto volte al cubo, e i tripli in lunghezza sono nove volte  al quadrato e ventisette volte al cubo, cosî anche, nell’ordinamento di  tutte le parti,12 le metà in lunghezza sono quarti al quadrato e ottavi  al cubo, e i terzi in lunghezza sono noni al quadrato e ventisettesimi  al cubo.! E ogni composizione di una quantità numerica od ogni  parte di una suddivisione è formata dall’ 1: infatti una è la decina e  uno il migliaio, e, in senso inverso, una è la decima parte e una la mil-  840 GIAMBLICO  χιλιοστὸν ἕν καὶ τὰ μόρια ἐπ᾽ ἄπειρον. καθ᾽ ἕκαστον δὲ τούτων  εἴδει μὲν ἡ αὐτὴ μονάς, μεγέθει δὲ ἄλλη καὶ ἄλλη, ἑαυτὴν πρὸς τού-  τοις γεννῶσα ἐξ ἑαυτῆς, καθὰ καὶ ὁ κοσμικὸς λόγος καὶ ἡ τῶν ὄντων  φύσις, καὶ πάντα διατηροῦσα καὶ μεταπίπτειν οὐκ ἐῶσα. ᾧ ἂν προ-  σγένηται, μόνη τῶν ἄλλων ὁμοίως ti? τοῦ [20] παντὸς σωτηρίῳ προ-  νοίᾳ ἐμφῆναί τε τὸν περὶ θεοῦ λόγον καὶ προσοικειωθῆναι αὐτῷ  μάλιστα πάντων ἐπιτηδειοτάτη, ὅσῳ προσεχεστάτη. καὶ εἶδος εἰδῶν  τυγχάνει, ὡς τέχνη τις τεχνικῷ καὶ νόησις νοητικῷ. μετρίως δὲ ἀπε-  δείχθη τοῦτο ἐν τῇ περὶ [3] ἑτερομήκων καὶ τετραγώνων ἐναντιώσει  τῇ φιλαλλήλῳ. καὶ ὅτι τὸν θεόν φησιν ὁ Νικόμαχος τῇ μονάδι ἐφαρ-  μόζειν, σπερματικῶς ὑπάρχοντα πάντα τὰ ἐν τῇ φύσει ὄντα ὡς αὐτὴν  ἐν ἀριθμῷ, ἐμπεριέχεταί τε δυνάμει τὰ δοκοῦντα ἐναντιώτατα κατ᾽  ἐνέργειαν εἶναι πᾶσιν ἁπλῶς ἐναντιότητος τρόποις, καθὼς αὐτὴ  ἀρρήτῳ τινὶ φύσει πανείδεος οὖσα ὥφθη παρ᾽ ὅλην τὴν ᾿Αριθμητικὴν  εἰσαγωγήν, ἀρχήν τε καὶ μέσον καὶ τέλος ἀνειληφυῖα τῶν ὅλων, ἐάν  τε κατ᾽ ἀλληλουχίαν ἐάν τε κατὰ παράθεσιν ἐπινοῶμεν αὐτὴν συνε-  στάναι, καθάπερ καὶ μονὰς ἀρχή τε [10] καὶ μέσον καὶ τέλος ποσοῦ  τε καὶ πηλίκου καὶ προσέτι πάσης ποιότητος. ὡς δὲ οὐκ ἄνευ αὐτῆς  σύστασις ἁπλῶς τινος, οὕτως οὐδὲ χωρὶς αὐτῆς γνώρισις  οὑτινοσοῦν, ὡς φωτὸς καθαροῦ κυριωτάτης πάντων ἁπλῶς οὔσης,  καὶ ἡλιοειδοῦς καὶ ἡγεμονικοῦ, ἵν᾽ ἐοΐκῃ καθ᾽ ἕκαστον τούτων τῷ  θεῷ, καὶ μάλιστα καθὸ φιλιωτικὴ καὶ συστατικὴ καὶ τῶν πολυμιγῶν  καὶ πάνυ διαφορωτάτων, ὡς ἐκεῖνος ἐξ οὕτως ἀντικειμένων  ἁρμόσας καὶ ἑνώσας τόδε τὸ TAV: ἑαυτήν γε μὴν γεννᾷ καὶ ἀφ᾽  ἑαυτῆς γεννᾶται ὡς αὐτοτελὴς καὶ ἄναρχος καὶ ἀτελεύτητος, καὶ  διαμονῆς αἰτία φαίνεται, καθὼς ὁ θεὸς ἐν τοῖς φυσικοῖς [20] ἐνερ-  γήμασι τοιοῦτος ἐπινοεῖται, διασωστικὸς καὶ τῶν φύσεων τηρητι-  κός. λέγουσιν οὖν ταύτην οὐ μόνον θεόν, ἀλλὰ καὶ νοῦν [4] καὶ  ἀρσενόθηλυν᾽ νοῦν μέν, ὅτι τὸ ἐν θεῷ ἡγεμονικώτατον καὶ ἐν  2 τῇ corresse De Falco secondo il cod. Par. gr. 2533 (cf. ed. Klein Add. p.  XXVI): τῷ.  LA TEOLOGIA DELL'ARITMETICA 841  lesima parte, e cosî le altre parti all’infinito. In ciascuna di queste  parti, l’ 1 è identico nella forma, diverso di volta in volta nella gran-  dezza, perché genera da sé se stesso, oltre che generare queste parti,  come se fosse il principio razionale del mondo e insieme la natura  degli enti, e perché mantiene in essere ogni cosa e non permette che  venga meno ciò con cui si congiunge, ed è, fra tutti i numeri, l’unico  che somigli alla provvidenza che conserva l’universo, ed anche il più  idoneo a mostrare dio come principio razionale, e soprattutto a unir-  si intimamente a lui, a cui è, quindi, il più vicino.14 Esso è di fatto  forma delle forme,!5 come creazione per il suo potere creativo e intel-  lezione per il suo potere intellettivo. Tutto ciò è stato mostrato a suf-  ficienza [3] nella contrarietà degli eteromechi e dei quadrati che si  attraggono fra loro.!6 Anche Nicomaco dice che dio si accorda con l’  1, perché dio è in germe tutte le cose naturali come l’ 1 è in germe  tutti i numeri, e nell’ 1 sono racchiuse in potenza le cose che poi,  quando sono in atto, sembrano essere le più contrarie, in breve che  appaiono in tutte le forme della contrarietà, appunto come l’ 1 è visto,  nel corso di tutta l’Introduzione all’aritmetica,!! come il numero che,  per una sua ineffabile natura, è capace di assumere ogni forma, e di  accogliere inizio, mezzo e fine di tutto, sia che lo pensiamo costituito  per coesione!8 sia per comparazione,!? cosî come l’ 1 è anche inizio,  mezzo e fine del quanto e del quanto grande e di ogni altra qualità  <matematica>. Come senza l’ 1 nessuna cosa può assolutamente  costituirsi, cosi senza di esso non ci può essere neppure un qualsiasi  atto conoscitivo, come fosse la pura luce, in una parola la cosa più  potente fra tutte, e della stessa natura del Sole e con potere egemoni-  co, tale da apparire in ciascuna di queste proprietà simile a dio, e  soprattutto perché l’ 1 ha il potere di conciliare e combinare insieme  sia le cose fatte di molteplice mescolanza sia le cose assolutamente dif-  ferenti tra loro, proprio come fa dio col suo potere di ricavare da ele-  menti altrettanto opposti l'armonia e l’unità di questo mondo; in real-  tà l’ 1 genera se stesso e da se stesso è generato, nel senso che è in sé  perfetto e senza né principio né fine, e si presenta come causa di sta-  bilità, cosi come si pensa che sia dio nel processo di attuazione degli  enti naturali, cioè conservatore e custode delle loro nature. I  Pitagorici, dunque, lo chiamano non solo dio, ma anche intelligenza,  [4] e maschio-femmina:2 intelligenza, perché il potere assolutamen-  842 GIAMBLICO  κοσμοποιΐᾳ καὶ ἐν πάσῃ ἁπλῶς τέχνῃ τε καὶ λόγῳ, εἰ καὶ μὴ ἐπιφαί-  νοῖτο τῇ καθ᾽ ἕκαστον ὕλῃ, δι᾽ ἐνεργείας νοῦς ἐστι, ταυτότης τις ὧν  καὶ ἀμετάτρεπτος δι᾽ ἐπιστήμης, ὡς αὐτὴ πάντα περιειληφυῖα ἐν  ἑαυτῇ κατ᾽ ἐπίνοιαν, εἰ καὶ κατ᾽ ἔκστασιν ἐν τοῖς τῶν ὄντων  εἴδεσιν, ὡς λόγος τις τεχνικὸς ἐοικὼς τῷ θεῷ, καὶ οὐ μεθισταμένη  τοῦ καθ᾽ ἑαυτὴν λόγου, οὐδὲ μεθίστασθαι ἄλλον τινὰ ἐῶσα, ἀλλὰ  ἄτρεπτος ὡς ἀληθῶς καὶ μοῖρα Ἄτροπος. διὰ τοῦτο γὰρ καλεῖται  δημιουργὸς [10] καὶ πλάστρια, προσόδοις καὶ ἀποχωρήσεσιν ἐπινο-  ovpévn τῶν μαθηματικῶν φύσεων, ἀφ᾽ ὧν σωματότητες καὶ ζωογονί-  αι καὶ συντάξεις κοσμικαί. διὸ καὶ Προμηθέα μυθεύουσιν αὐτήν,  δημιουργὸν ζωότητος, ἀπὸ τοῦ πρόσω μηδενὶ τρόπῳ θεῖν μηδ᾽ ἐκῴοι-  τᾶν τοῦ ἰδίου λόγου μονώτατα μηδὲ τὰ ἄλλα ἐᾶν, μεταδιδοῦσαν τῶν  ἰδιωμάτων ἑαυτῆς᾽ ὁπόσαις γὰρ ἂν αὐξηθῇ ἀποστάσεσιν ἢ ὁπόσας  ἂν αὐξήσῃ, θεῖν πρόσω κωλύει καὶ μεταπίπτειν τὸν ἐξ ἀρχῆς ἑαυτῆς  τε. κἀκείνων λόγον. ὡς δὲ σπέρμα συλλήβδην ἁπάντων ἄρσενά τε  καὶ θήλειαν τὴν αὐτὴν τίθενται, οὐ μόνον ἐπεὶ τὸ μὲν περισσὸν  ἄρσεν [5] δυσδιαίρετον ὄν, τὸ δὲ ἄρτιον θῆλυ εὔλυτον ὃν ᾧοντο,  ἀρτίαν δὲ καὶ περισσὴν μόνην αὐτήν, ἀλλὰ καὶ ὅτι πατὴρ καὶ μήτηρ,  ὕλης καὶ εἴδους λόγον ἔχουσα, ἐπενοεῖτο, τεχνίτου καὶ τεχνητοῦ᾽  καὶ δυάδος γὰρ παρεκτικὴ διφορηθεῖσα᾽ ῥᾷον γὰρ τεχνίτῃ ὕλην  ἑαυτῷ προσάγεσθαι ἢ τὸ ἔμπαλιν ὕλῃ τεχνίτην. τὸ δὲ σπέρμα καὶ  θήλεων καὶ ἀρσένων ὅσον ἐπ᾽ αὐτῷ παρεκτικὸν ἀποσπαρὲν ἀδιά-  κριτόν τε τὴν ἀμφοῖν φύσιν παρέχει κἀν τῇ μέχρι τινὸς κυήσει,"  βρεφοῦσθαι δὲ ἀρχόμενον ἢ φυτοῦσθαι διάλλαξιν λοιπὸν ἐπὶ θάτε-  ρον καὶ ἐνάλλαξιν ἐπιδέχεται, μετιὸν [10] ἀπὸ δυνάμεως εἰς ἐνέ-  ργειαν. εἰ δὲ δύναμις παντὸς ἀριθμοῦ ἐν μονάδι, νοητὸς ἂν κυρίως  ἀριθμὸς εἴη μονάς, οὔπω τι ἐνεργὸν ἀποφαίνουσα ἀλλὰ rave’ ὁμοῦ  5 τῇ καθ᾽ ἕκαστον ὕλῃ mutò De Falco secondo il cod. Par. gr. 2533 (cf.  ed. Klein Add. p. XXVII): τοῖς καθ᾽ ἕκαστον ὅλον.  4 κυήσει congetturò Waterfield, Erzend.: κινήσει.  LA TEOLOGIA DELL’ARITMETICA 843  te egemonico di dio, che si trova sia nella sua capacità di creare il  mondo che in generale in ogni sua attività creativa e in ogni suo pote-  re razionale, anche se non si manifesta nella materia individuale, è  intelligenza nell’agire, perché è identità e immutabilità nel conoscere,  allo stesso modo dell’ 1 che, sebbene differenziato nelle varie specie  di enti, contiene in sé tutte le cose allo stato mentale, come se fosse un  principio razionale capace di creare come dio, e che non muta rispet-  to al principio razionale che è in sé, né permette ad altro di mutare,  ma che rimane immutabile come lo è veramente anche la Moira  Atropo.2! È per questo, infatti, che l’ 1 viene chiamato “demiurgo” e  “plasmatore”, poiché con le sue progressioni e regressioni delinea?? le  nature matematiche, da cui derivano processi di corporeizzazione e di  generazione di esseri viventi e di strutturazione del mondo. Perciò i  Pitagorici ne parlano anche come di un Prometeo, cioè di un demiur-  go della natura vivente, giacché è assolutamente l’unico numero che  in nessun modo né fugge in avanti, né fuoriesce dal suo proprio  principio razionale, né permette che altre cose lo facciano, perché tra-  smette loro le sue stesse proprietà: per quanto possano aumentare i  distacchi dall’ 1 o questo possa generarne, esso non permette fughe in  avanti né mutamenti dell’iniziale principio razionale, suo proprio e di  quei distacchi. I Pitagorici poi, lo chiamano maschio e femmina in  quanto, per dirla in breve, è seme di tutte le cose, non solo perché cre-  devano che il dispari è maschile in quanto difficilmente divisibile24  [5] e il pari femminile in quanto facilmente divisibile, e che soltan-  to l’ 1 è pari e dispari, ma anche perché lo concepivano come padre e  madre, in quanto contiene il principio razionale sia della materia che  della forma, sia dell’artefice che dell’artefatto, perché l’ 1, riportato  due volte, fa sorgere il 2: è più facile infatti che l’artefice si procacci  la materia che non, viceversa, la materia si procacci l'artefice. Il seme,  che per sua propria natura è capace di produrre maschio e femmina,  una volta seminato produce una natura indifferenziata rispetto ad  ambedue i sessi, e fa questo fino a un certo punto della gravidanza;  quando invece comincia a farsi feto e a crescere, allora ammette alla  fine la distinzione e la differenziazione nell’un sesso o nell’altro, pas-  sando dalla potenza all’atto. Ma se il potere di ogni numero è nell’ 1,  allora questo sarà propriamente un numero intelligibile, in quanto  non manifesta ancora nessuna realtà effettiva, bensi tutte le realtà  844 GIAMBLICO  κατ᾽ ἐπίνοιαν. κατὰ δέ τι σημαινόμενον καὶ ὕλην αὐτὴν καλοῦσι  καὶ πανδοχέα γε, ὡς παρεκτικὴν οὖσαν καὶ δυάδος τῆς κυρίως ὕλης  καὶ πάντων χωρητικὴν λόγων, εἴ γε πᾶσι παρεκτικὴ καὶ μεταδοτικὴ  τυγχάνει. ὡσαύτως δὲ χάος αὐτήν φασι τὸ παρ᾽ Ἡσιόδῳ πρωτόγονον,  ἐξ οὗ τὰ λοιπὰ ὡς ἐκ μονάδος. ἡ αὐτὴ σύγχυσίς τε καὶ σύγκρασις  ἀλαμπία τε καὶ σκοτωδία στερήσει διαρθρώσεως καὶ διακρίσεως  τῶν ἑξῆς ἁπάντων ἐπινοεῖται. [20] Ὅτι ᾿Ανατόλιος γονὴν αὐτήν  φησι καλεῖσθαι καὶ ὕλην, ὡς ἄνευ αὐτῆς μὴ ὄντος μηδενὸς ἀριθμοῦ:  ὅτι τὸ τῆς μονάδος σημαντικὸν χάραγμα σύμβολόν ἐστι τῆς τῶν  ὅλων [6] ἀρχικωτάτης, καὶ τὴν πρὸς τὸν ἥλιον κοινωνίαν ἐμφαίνει  διὰ τῆς συγκεφαλαιώσεως τοῦ ὀνόματος αὐτῆς" συναριθμηθὲν γὰρ  τὸ μονὰς ὄνομα τξα΄ ἀποδίδωσιν, ἅπερ ζωδιακοῦ κύκλου μοῖραί εἰ-  σιν. ὅτι τὴν μονάδα ἐκάλουν οἱ Πυθαγόρειοι νοῦν, εἰκάζοντες τῷ  ἑνί" ἐν ἀρεταῖς γὰρ εἴκαζον αὐτὴν φρονήσει. τὸ γὰρ ὀρθὸν ἕν. ἐκά-  λουν δὲ αὐτὴν οὐσίαν, αἴτιον ἀληθείας, ἁπλοῦν, παράδειγμα, τάξιν,  συμφωνίαν, ἐν μείζονι καὶ ἐλάσσονι τὸ ἴσον, ἐν ἐπιτάσει καὶ ἀνέ-  σει τὸ μέσον, ἐν πλήθει τὸ μέτριον, ἐν χρόνῳ τὸν νῦν ἐνεστῶτα. [10]  ἔτι δὲ καὶ ναῦν, ἅρμα, φίλον, ζωήν, εὐδαιμονίαν. πρὸς τούτοις φασὶ  περὶ τὸ μέσον τῶν τεσσάρων στοιχείων κεῖσθαί τινα ἑναδικὸν διά-  mupov κύβον, οὗ τὴν μεσότητα τῆς θέσεως καὶ Ὅμηρον εἰδέναι λέ-  yovta: «τόσσον ἔνερθ᾽ Ἄϊδος, ὅσον οὐρανός ἐστ᾽ ἀπὸ γαίης». ἐοίκα-  σι δὲ κατά γε ταῦτα κατηκολουθηκέναι τοῖς Πυθαγορείοις οἵ τε  περὶ Ἐμπεδοκλέα καὶ Παρμενίδην καὶ σχεδὸν οἱ πλεῖστοι τῶν  πάλαι σοφῶν. φάμενοι τὴν μοναδικὴν φύσιν Ἑστίας τρόπον ἐν μέσῳ  ἱδρῦσθαι. καὶ διὰ τὸ ἰσόρροπον φυλάσσειν τὴν αὐτὴν ἕδραν, καὶ δὴ  Εὐριπίδης, ὡς ᾿Αναξαγόρου γενόμενος μαθητὴς οὕτω τῆς γῆς [20]  μέμνηται: «Ἑστίαν δέ σ᾽ οἱ σοφοὶ βροτῶν νομίζουσιν». ἔτι [7] φασὶν  οἱ Πυθαγόρειοι καὶ τὸ ὀρθογώνιον τρίγωνον ὑπὸ Πυθαγόρου τὴν  σύστασιν λαβεῖν διὰ μονάδος κατιδόντος τοὺς ἐν αὐτῷ ἀριθμούς.  LA TEOLOGIA DELL'ARITMETICA 845  insieme allo stato mentale. Secondo un certo significato i Pitagorici  chiamano l’ 1 anche “materia” e “colui che ospita ogni cosa”, in quan-  to è capace sia di produrre il 2, che è propriamente materia, che di  fare posto dentro di sé a tutti i principi razionali, se è vero che è libe-  rale e generoso con tutto. Lo chiamano parimenti Caos, che in Esiodo  è il Primogenito,26 dal quale, come dall’ 1, nascono tutte le altre cose.  È concepito anche come “confusione” e “mescolanza”, “oscurità” e  “tenebra”, perché privo dell’articolazione e della divisione proprie di  tutto ciò che viene dopo di lui.  Anatolio dice che l’ 1 è chiamato “nascita” e “materia”, in quan-  to senza di esso non c’è nessun numero; il segno scritto che indica l’  1 [a] è simbolo del suo essere assoluto principio di tutte le cose, [6]  e attraverso la somma cumulativa del suo proprio nome esso rivela la  sua comunanza con il Sole: la somma numerica delle lettere del nome  μονάς, infatti, dà 361,27 quanti sono i gradi del circolo dello Zodiaco.  I Pitagorici chiamavano l’ 1 “intelligenza”, perché pensavano che  questa è simile all’Uno: infatti tra le virtà essi assimilavano l’ 1 alla  prudenza, perché ciò che è corretto è uno. Lo chiamavano anche  “essere”, “causa di verità”, “semplicità”, “modello”, “ordine”, “con-  cordia”, “l’uguale che sta tra maggiore e minore”, “la medietà tra ten-  sione e allentamento”,28 “la misura nella molteplicità”, “l’istante nel  tempo”: lo chiamavano anche “nave”, “carro”, “amico”, “vita”, “feli-  cità”. Dicono inoltre che al centro dei quattro elementi c'è come un  cubo unitario?9 infuocato, la cui posizione centrale, essi dicono, cono-  sce anche Omero quando dice: «tanto al disotto dell’Ade, quanto il  cielo dista dalla Terra».3° Sembra che anche Empedocle e Parmenide  e quasi tutti gli antichi sapienti abbiano seguito in questo i Pitagorici.  Essi infatti dicono che la natura dell’ 1 è fissa al centro come Estia, e  mantiene sempre la medesima posizione per effetto di equilibrio; ma  anche Euripide, dopo essere divenuto discepolo di Anassagora, ha  menzionato la terra con queste parole: «I sapienti tra i mortali ti}!  considerano Estia».32 I Pitagorici [7] dicono, inoltre, che il triangolo  rettangolo fu costruito da Pitagora, quando questi osservò i numeri di  tale triangolo ad uno ad uno.33  846 GIAMBLICO  ὅτι τὴν ὕλην τῇ δυάδι προσαρμόττουσιν οἱ ITvAayopikoi:  ἑτερότητος γὰρ ἐκείνη μὲν ἐν φύσει, δυὰς δὲ ἐν ἀριθμῷ κατάρχει,  καὶ ὡς ἐκείνη ἀόριστος καθ᾽ αὑτὴν καὶ ἀσχημάτιστος, οὕτω μον-  OTT ἁπάντων ἀριθμῶν δυὰς σχήματος οὐκ ἔστιν ἐπιδεκτική᾽ μήτι  γὰρ καὶ διὰ τοῦτο δύναται ἀόριστος ἡ δυὰς κεκλῆσθαι ὑπὸ γὰρ  ἐλαχίστων καὶ πρώτων τριῶν γωνιῶν ἢ καὶ εὐθειῶν σχῆμα κατ᾽ ἐνέ-  ργειαν περιέχεται, [10] κατὰ δύναμιν δὲ ἡ μονάς. οὐκ ἀπιθάνως δὲ  καὶ Πρωτέα προσηγόρευον αὐτὴν τὸν ἐν Αἰγύπτῳ πάμμορφον ἥρωα  τὰ πάντων ἰδιώματα περιέχοντα, ὡς ἐκείνη τὸ ἑκάστου ἀριθμοῦ  συνέργημα.  περὶ δυάδος. ᾿Ανατολίου.  Ὅτι ἡ δυὰς συντεθεῖσα ἴσα δύναται τῷ ἀπ᾽ αὐτῆς γινομένῳ’ ἡ  γὰρ σύνθεσις ταύτης καὶ ὁ πολλαπλασιασμὸς τοῦτο αὐτὸ ποιεῖ  [ἤγουν τὸν δΊ, καίτοι ἐπὶ τῶν ἄλλων ὁ πολλαπλασιασμὸς τῆς συνθέ-  σεῶὼς μείζων. εἴκαζον δὲ αὐτὴν ἐν ἀρεταῖς ἀνδρείᾳ" προβέβηκε γὰρ  ἤδη ἐπὶ πρᾶξιν" διὸ καὶ τόλμαν [8] ἐκάλουν καὶ ὁρμήν. καὶ δόξαν δὲ  ὠνόμαζον, ὅτι τὸ ἀληθὲς καὶ τὸ ψεῦδος ἐν δόξῃ. ὠνόμαζον δὲ αὐτὴν  κίνησιν, γένεσιν, μεταβολήν, διαίρεσιν, μῆκος, αὔξησιν, σύνθεσιν,  κοινωνίαν, τὸ πρός τι, λόγον τὸν ἐν ἀναλογίᾳ" δύο γὰρ ἀριθμῶν σχέ-  σις πανσχήμον ἐστίν ἀπολείπεται δὴ μόνη σχήματος ἄμοιρος καὶ  ἐν τρισὶν ὅροις καὶ ἐν ἀναλογίᾳ ὁρισμοῦ τινος ἡ δυὰς ὑπάρχουσα  ἀντίξους τε καὶ ἐναντιωτάτη παρὰ πάντας τοὺς ἐν ἀριθμῷ ὅρους τῇ  μονάδι, ὡς ὕλη θεῷ καὶ σῶμα ἀσωμάτῳ, ἀρχή τε καὶ πυθμὴν ὡσανεὶ  τῆς τοῦ [10] ἀριθμοῦ ἑτεροειδείας κατ᾽ εἰκόνα ὕλης, ἀντιδιαστελ-  λομένη παραπλησίως τῇ τοῦ θεοῦ φύσει κατὰ τὸ αὐτὴν μὲν τῆς  μεταπτώσεως καὶ μεταβολῆς ἐμποιητικὴν τοῖς οὖσι νομίζεσθαι, τὸν  δὲ θεὸν ταυτότητος καὶ ἀμεταπτώτου διαμονῆς. ἕν μὲν οὖν ἕκαστόν  τι καὶ ὁ κόσμος κατὰ τὴν ἐν αὐτῷ φυσικὴν καὶ συστηματικὴν μονά-  δα, διαιρετὸν δὲ πάλιν ἕκαστον, καθ᾽ ὅσον ἀναγκαίως καὶ ὑλικῆς  δυάδος μετέσχε: διόπερ ἡ πρώτη σύνοδος αὐτῶν πρῶτον ὡρισμένον  5 ὅτι congetturò Oppermann (cf. ed. Klein Ad4. p. XXVII): ἔτι. Si trat-  terebbe, quindi, di un nuovo estratto.  LA TEOLOGIA DELL'’ARITMETICA 847  I Pitagorici fanno corrispondere al 2 la materia: questa infatti dà  origine alla diversità nella natura, il 2 alla diversità nel numero, e  come la materia è in se stessa indefinita e priva di figura, cosî il 2 è fra  tutti i numeri assolutamente l’unico che non ammetta figura; ma non  è meno valida, perché l’ 1 sia chiamato indefinito, anche la seguente  ragione, e cioè che la prima figura in atto non può essere racchiusa da  meno di tre angoli e tre linee rette, e d’altra parte la figura in potenza  è l' 1.34 E plausibile anche il nome “Proteo” con cui i Pitagorici chia-  mavano l’ 1, perché quello era in Egitto l’eroe capace di assumere  ogni forma e contenere quindi le proprietà di ogni cosa, cosi come l'  1 è fattore di ogni numero.)  Il numero 2, secondo Anatolio.  Il 2 sommato a se stesso è uguale al suo prodotto per se stesso:36  la sua somma, infatti, e la sua moltiplicazione danno lo stesso risulta-  to, mentre negli altri numeri la moltiplicazione è maggiore della  somma. Tra le virtà i Pitagorici assimilavano il 2 al “coraggio”: que-  sto, infatti, è già passato all’azione; perciò essi lo chiamavano anche  “audacia” [8] e “impulso”. Lo chiamavano anche “opinione”, perché  nell’opinione ci può essere il vero o il falso. Lo chiamavano anche  “movimento”, “generazione”, “mutamento”, “divisione”, “lunghez-  za”, “moltiplicazione”, “somma”, “comunanza”, “relazione”, “rap-  porto proporzionale”: la relazione di due numeri, infatti, può assume-  re qualsiasi figura; in verità il 2 è l’unico numero che resta privo di  una figura?” e di una determinazione, sia fra tre termini che nella pro-  porzione,?8 in quanto è opposto e, a confronto di tutti gli altri termi-  ni numerici, il più contrario al numero 1, come la materia rispetto a  dio e il corpo rispetto all’incorporeo, come fosse, a mo’ di materia,  principio e base della differenziazione dei numeri, un po’ come se  fosse l'esatto contrario della natura di dio, per il fatto che il 2 è rite-  nuto il principio che produce negli enti mutamento e trasformazione,  mentre dio è il principio che produce identità e immutabile perma-  nenza. Ciascun ente, dunque, cosî come il mondo, mentre è unitario  in virti dell’ 1 che ne costituisce la natura,}? è invece divisibile in  quanto partecipa necessariamente anche del 2 che ne costituisce la  materia: perciò la prima unione dei numeri 1 e 2 ha come risultato la  848 GIAMBLICO  πλῆθος ἀπετέλεσε, στοιχεῖον τῶν ὄντων, ὃ ἂν εἴη τρίγωνον μεγεθῶν  τε καὶ ἀριθμῶν σωματικῶν τε καὶ ἀσωμάτων. ὡς γὰρ ὁ ὀπὸς τὸ κεχυ-  μένον γάλα συστρέφει [20] κατὰ τὸ ποιητικόν te καὶ ἐργατικὸν  ἰδίωμα, οὕτως ἡ ἑνωτικὴ δύναμις τῆς μονάδος προσελθοῦσα τῇ δυά-  δι, εὐπορίας καὶ [9] χύσεως οὔσῃ πηγῇ, πέρας ἐνεποίησεν, εἶδος δέ,  ὅπερ ἐστὶν ἀριθμός, τῇ τριάδι" ἀρχὴ γὰρ κατ᾽ ἐνέργειαν ἀριθμοῦ  αὕτη, μονάδων συστήματιό ὁριζομένου. μονὰς δὲ τρόπον τινὰ Kai ἣ  δυὰς διὰ τὸ ἀρχοειδές. ὅτι δυὰς λέγεται παρὰ τὸ διιέναι καὶ διαπο-  ρεύεσθαι᾽ πρώτη γὰρ ἡ δυὰς διεχώρισεν αὑτὴν ἐκ τῆς μονάδος, ὅθεν  καὶ τόλμα καλεῖται᾽ τῆς γὰρ μονάδος ἕνωσιν δηλούσης, n δυὰς  ὑπεισελθοῦσα διαχωρισμὸν δηλοῖ. ὅτι καὶ τῆς πρός τί πως σχέσεως  αὐτὴ κατάρχει ἢ τῷ πρὸς τὴν μονάδα λόγῳ, ὅς ἐστι διπλάσιος, ἢ τῷ  πρὸς τὴν μετ᾽ αὐτήν, ὅς ἐστιν [10] ἡμιόλιος" ῥίζα δ᾽ οὗτοι τῶν ἐφ᾽  ἑκάτερα ἀπείρως προιόντων λόγων, ὥστε καὶ τῇ τῶν πολλαπλασίων  τε καὶ ἐπιμορίων ἡ αὐτή ἐστιν. ὅτι καὶ ἡ δυὰς στοιχεῖον τῆς τῶν  ὅλων συστάσεως, ἀντίξουν μονάδι καὶ διὰ τοῦτο ἁρμονίᾳ ὑποπεσὸν  πρὸς αὐτήν, ὡς ὕλη τις πρὸς εἶδος ὅθεν ἐπεὶ τοῦ μὲν εἶναι καὶ ἀεὶ  εἶναι τὸ εἶδος συλληπτικόν, τῶν δὲ ἐναντίων ἡ ὕλη, τῶν μὲν πάντη  ὁμοίων καὶ ταὐτῶν καὶ μονίμων, ὅ ἐστι τετραγώνων, ἡ μονὰς αἰτία,  οὗ μόνον, ἐπειδὴ ὡς γνώμονες7 αὐτῇ περιτιθέμενοι οἱ ἑξῆς ἀριθμοὶ  περιττοί, εἰδοποιήματα αὐτῆς ὄντες, τετραγώνους ἀπετέλουν τῇ  σωρηδὸν προβάσει ἀεὶ καὶ [20] μᾶλλον τοὺς ἐπ᾽ ἄπειρον καὶ ἑξῆς  προιόντας,Σ ἀλλ᾽ ὅτι καὶ ἑκάστη πλευρά, ὥσπερ καμπτὴρ ἀπὸ  ὕσπληγος μονάδος εἴς τε νύσσαν μονάδα, πάλιν εἶχε τῆς προόδου  καὶ ἐπανόδου τὴν σύνθεσιν ἀφ᾽ ἑαυτῆς αὐτὸν τὸν τετράγωνον᾽ τῶν  δὲ πάντη [10] ἀνομοίων, ὅ ἐστιν ἑτερομήκων, ἡ δυὰς πάλιν αἰτία, οὐ  μόνον ὅτι περιτιθεμένων αὐτῇ ὡς γνωμόνωνϑ τῶν κατ᾽ αὐτὴν εἰδῶν  6 συστήματι congetturò Ast correttamente (cf. 17,15 ἡ γα): συστήμασιν.  7 γνώμονες congetturò Becker (cf. ed. Klein Add. p. XXVII): γνώμονι.  8 dopo προιόντας ho aggiunto io la virgola.  9 γνωιόνων Becker: vvauovi.  LA TEOLOGIA DELL'ARITMETICA 849  prima quantità numerica determinata,‘ quale principio elementare  degli enti, che sarà il numero triangolare quale principio elementare  delle grandezze e dei numeri, insieme corporei e incorporei: infatti,  come il caglio raggruma il liquido latte in virtà della sua produttiva e  attiva proprietà, cosi la potenza unificatrice dell’ 1 accostandosi al 2,  che è fonte di flussione [9] e liquidità, produce il limite e la forma  numerica del 3: questo, infatti, è, inizio del numero in atto, che è  determinato per somma di unità. Unità in un certo senso è anche il 2,  perché ha natura di principio.  Il 2 è detto cosi [δυάς] per via del suo “andare attraverso” [διιέ-  var] e “passare attraverso” [S1aropeveoda1]:4! il 2 infatti è il primo  numero che si separa dall’ 1, per cui è chiamato anche “audacia”:  mentre l’ 1 infatti indica unione, il 2, invece, insinuandosi, indica  separazione.  Il 2 dà inizio, in qualche modo, anche alla relazione, o per il suo  rapporto con l’ 1, rapporto doppio, o per il suo rapporto con il nume-  ro seguente, cioè il 3, rapporto emiolio; ma questi due rapporti sono  la radice dei rapporti che da ambedue i lati? procedono all’infinito,  sicché anche il 24 è radice dei multipli e degli epimori.  ΠῚ 2 è anche elemento del costituirsi di tutte le cose, elemento  opposto all’ 1, e perciò soggetto ad accordarsi con questo, come una  materia rispetto alla sua forma;# di conseguenza, poiché la forma è  comprensiva sia dell'essere che dell’essere eterno, mentre la materia è  comprensiva dei loro contrari, allora dei numeri assolutamente simili  e identici e stabili, cioè dei quadrati, è causa l’ 1, non solo perché i  numeri dispari, che ricevono forma dall’ 1, disponendosi in successio-  ne intorno ad esso a guisa di gnomoni, producevano dei quadrati con  il loro progredire sempre per somma cumulativa, anzi i quadrati in  successione all'infinito, ma anche perché ciascun lato, che è come  un punto di svolta avente l’ 1 come barriera di partenza e come meta  finale, otteneva a sua volta da sé lo stesso quadrato come somma  della progressione e della regressione; dei numeri assolutamente  [10] dissimili, invece, cioè degli eteromechi, è causa a sua volta il 2,  non solo perché gli eteromechi sono prodotti per somma cumulativa  850 GIAMBLICO  εἰδοποιηθέντων ἀρτίων καὶ οὗτοι σωρηδὸν ἀποτελοῦνται, ἀλλὰ καὶ  ὅτι ἐν τῇ αὐτῇ τοῦ καμπτῆρός τε καὶ νύσσης καὶ ὕσπληγος εἰκόνι  τὴν μὲν γένναν ὁμοίως ἡ μονὰς παρέχειν φαίνεται, ὡς τοῦ ταὐτοῦ  καὶ ἁπλῶς διαμονῆς αἰτία, τὴν δὲ φθορὰν καὶ ἐπάνοδον παρηλλαγ-  μένως πρὸς τοὺς προτέρους ἣ δυὰς ἀναδέχεσθαι, ὡς ὑλική τις  ὑπόστασις καὶ φθορᾶς πάσης ἀναδεκτική. ὅτι νοουμένου πλήθους  κατὰ τριάδα τοῦ δ᾽ ἀντιθεμένου τῷ [10] πλήθει κατὰ τὴν μονάδα  μεταίχμιον ἡ δυὰς ἂν εἴη. διὰ τοῦτο καὶ τὰ ἀμφοτέρων ἰδιώματα ἅμα  ἔχει᾽ τοῦ μὲν γὰρ ἑνὸς ὡσανεὶ ἀρχῆς ἰδίωμα τὸ κατὰ σύνθεσιν  πλεῖόν τι ποιεῖν τοῦ κατ᾽ ἔγκρασιν' ἕν γοῦν καὶ ἕν πλέον τοῦ ἅπαξ  ἕν’ τοῦ δὲ πλήθους ὡσανεὶ ἀποτελέσματος πάλιν ἴδιον τὸ ἐναντίον"  ἐκ μὲν γὰρ κατακράσεως πλεῖον ποιεῖ, ἐκ δὲ παραθέσεως ἔλαττον"  οὐκέτι γὰρ ἀρχοειδὲς τοῦτο, ἀλλ᾽ ἐξ ἀλλήλων λοιπὸν ἡ γέννησις αὖ-  τοῖς καὶ κατὰ κρᾶσιν: τοιγαροῦν τρὶς τρία πλεῖον τῶν τρία καὶ τρία᾽  ἐναντιοπαθούντων δὲ ἀμφοῖν, ἡ δυὰς ὡσανεὶ μέση οὖσα καὶ τὰ ἀμ-  φοῖν ἅμα ἀναδέξεται ἰδιώματα, τὴν ἑκατέρων [20] μεσότητα λαμβά-  νουσα. μέσον γὰρ μείζονος καὶ ἐλάσσονος εἴπομεν εἶναι τὸ ἴσον:  τὸ ἴσον ἄρα ἐν μόνῃ ταύτῃ᾽ διὰ τοῦτο ἔσται τὸ ἐκ κατακράσεως τῷ  ἐκ παραθέσεως ἴσον" δύο γὰρ καὶ [11] δύο ἴσα τῷ δὶς δύο᾽ ἔνθεν  ἴσην αὐτὴν ἐπεκάλουν. ὅτι δὲ εἰδοποιὸς τοῦ τοιούτου καὶ τοῖς προ-  σήκουσιν αὐτῇ πᾶσι, δῆλον οὐ μόνον, ἐξ ὧν ἐνεργείᾳ ἰσότητος  πρώτη ἔμφασιν παρέσχεν ἐπιπέδως τε καὶ στερεῶς ἔν τε τῷ 30  μήκους τε καὶ πλάτους καὶ ἐν τῷ ὀκτὼ πρὸς τούτοις βάθους τε καὶ  ὕψους, ἐν αὐτῇ τῇ διαιρέσει εἰς δύο μονάδας οὔσῃ ἀλλήλαις ἴσας,  ἀλλὰ καὶ ἐν τῷ λεγομένῳ ἀπ᾽ αὐτῆς ἐξελίκτῳ, τουτέστι τῷ 15°, ὄντι  δὶς δύο δὶς καὶ τοῦτο δίς, τῆς ἀπ᾿ αὐτῆς λεγομένης χροιᾶς ἐπιπέδου  ὑπάρχοντος: τετράκις γὰρ τέσσαρα καὶ οὕτως!! μεσότης [10] τις  τρόπον τινὰ ὁρᾶται πλείονος καὶ ἐλάττονος κατὰ τὰ αὐτὰ τῇ δυάδι᾽  οἱ μὲν γὰρ πρὸ αὐτοῦ τετράγωνοι πλείονας ἔχουσι τὰς περιμέτρους  10 δ΄ corresse Waterfield, Εγρομά.: δύο.  11 οὗτος scrisse Waterfield, Erzend., secondo il cod. E: οὕτως.  LA TEOLOGIA DELL'ARITMETICA 851  dai numeri pari, che ricevono forma dal 2, disposti intorno a questo a  guisa di gnomoni, ma anche perché, secondo la stessa immagine del  punto di svolta e della meta finale e della barriera di partenza,48 men-  tre l’ 1, in quanto causa dell’identità e in generale della permanenza,  sembra fornire la genesi anche in questo caso, il 2 invece sembra  ammettere la dissoluzione e la regressione in modo diverso rispetto ai  percorsi precedenti,4° come se fosse una realtà materiale che ammet-  ta ogni specie di dissoluzione.  Il 2 sarebbe il punto di demarcazione tra la quantità numerica  pensata secondo il 3 e l’opposta quantità numerica pensata secondo l’  1. Esso possiede, quindi, contemporaneamente le proprietà di ambe-  due: proprietà dell’ 1 quale inizio dei numeri,5° infatti, è che la sua  somma dà più che la sua moltiplicazione: 1+1, infatti, è più che 1x1;7!  proprietà della quantità numerica quale risultato,52 invece, è il contra-  rio, perché 3 dà più per moltiplicazione, meno per giustapposizione  [o somma]: la quantità numerica?’ infatti non ha più natura di princi-  pio, ma tra la somma e la moltiplicazione c’è un resto: 3x3, appunto,  fa più di 3+3; e mentre l’ 1 e il 3 hanno opposte proprietà, il 2, stan-  do in mezzo, ammetterà insieme le proprietà dell’uno e dell’altro, in  quanto assume la medietà fra i due. Ebbene, noi diciamo che tra il  maggiore e il minore?4 sta l’uguale; l’uguale dunque sta solo nel 2; per-  ciò il numero che nasce dalla sua moltiplicazione sarà uguale a quel-  lo che nasce dalla sua giustapposizione [o somma]: infatti 2+2 [11] è  uguale a 2x2; di qui il nome di “uguale”55 che i Pitagorici davano al  2. Che il 2 dia forma di uguaglianza anche a tutti i numeri che gli sono  appropriati, risulta chiaro non solo dalla sua stessa divisibilità in due  unità uguali tra loro, oltre a essere il primo numero che realizzi  l'uguaglianza al livello dei numeri piani e di quelli solidi, e cioè nel 4  l’uguaglianza di lunghezza e larghezza e inoltre nell’ 8 l’uguaglianza di  profondità? e altezza, ma anche dal numero che nasce da esso ed è  detto “evoluto”? cioè nel 16, che è 2x2x2x2,58 perché è il numero  piano? nascente dalla cosiddetta “pellicola”60 del 2:61 infatti è 4x4; e  questo numero piano, cioè 16, è in qualche modo una medietà tra il  più e il meno, cosi come lo è il 2:62 i quadrati anteriori a 16,6 infatti,  hanno perimetri che misurano più delle loro superfici, mentre i qua-  drati ad esso posteriori hanno perimetri che misurano meno delle  852 GIAMBLICO  τῶν ἐμβαδῶν, οἱ δὲ μετ᾽ αὐτὸν ἀντικειμένως ἐλάττονας, οὗτος δὲ  μονώτατος ἴσας. διὰ τοῦτο φαίνεται καὶ Πλάτων ἐν τῷ Θεαιτήτῳ μέ-  χρι αὐτοῦ προελθὼν παύεσθαί πως ἐν τῇ ἑπτακαιδεκάποδι πρὸς  ἔμφασιν τοῦ κατὰ τὸν ἑπτακαίδεκα ἰδιώματος καὶ ἰσότητός τινος  μεθεκτοῦ. τί οὖν ὁρῶντες οἱ παλαιοὶ ἄνισον τὴν δυάδα ἐκάλουν καὶ  ἔλλειψιν καὶ πλεονασμόν; κατὰ τὴν τῆς ὕλης ἔννοιαν, εἰ δηλονότι  ἐν αὐτῇ πρώτη ἀπόστασίς τε καὶ πλευρᾶς ἔννοια ὦφθη, διαφορᾶς  [20] ἤδη καὶ ἀνισότητος ἀρχή᾽ καὶ ἄλλως δὲ ὅτι μέχρι μὲν αὐτῆς ἡ  ἀντεξέτασις πλείων τοῦ πρὸ αὐτῆς, μέχρι δὲ τετράδος [12] ἐλάττων  τῶν πρὸ αὐτῆς: ἀνὰ μέσον δὲ ἀμφοῖν τῆς τριάδος οὔσης, συμβήσεται  πάλιν ἑτέρῳ τρόπῳ ὁ τῆς ἰσότητος λόγος ἐν τριάδι πρὸς τοὺς πρὸ  αὐτῆς ὁ δύο μὲν γὰρ μείζων τοῦ προκειμένου, λέγω δὲ τοῦ ἕν, [καὶ]  κατὰ τὴν πυθμενικωτάτην γε τοῦ μείζονος σχέσιν, ὁ δ΄ δὲ ἐλάττων  τοῦ Y β΄ α΄ κατὰ τὴν πυθμενικωτάτην γε τοῦ ἐλάττονος σχέσιν, τρία  δὲ ἴσα τῷ δύο ἕν κατὰ τὴν ἄσχιστόν γε ἰσότητα, ὥστε ἐν μὲν αὐτῇ  ὡς πλευρᾷ τὸ πλεῖον, ἐν δὲ τῇ δυνάμει αὐτῆς ὡς ἐπιπέδῳ τὸ ἔλαττον  ἐφαρμόζεσθαι. ἔλλειψις δὲ καὶ πλεονασμὸς λέγεται καὶ ὕλη, [10]  ἣν καὶ ἀόριστον δυάδα ὁμωνύμως ταύτῃ καλοῦσι,:2 διὰ τὸ μορφῆς  καὶ εἴδους καὶ ὁρισμοῦ τινος ἐστερῆσθαι ὅσον ἐφ᾽ ἑαυτῇ, οἷόν τε δὲ  διορισθῆναί τε καὶ ὁρισθῆναι ὑπὸ λόγου καὶ τέχνης. ὅτι ἡ δυὰς φαί-  νεται ἀσχημάτιστος, εἴπερ ἀπὸ μὲν τριγώνου καὶ τριάδος τὰ ἐπ᾽  ἄπειρον πολύγωνα ἐνεργείᾳ προχωρεῖ, ἐκ δὲ μονάδος πάνθ᾽ ὁμοῦ  κατὰ δύναμιν ὑπάρχει, ὑπὸ δὲ δύο οὔτε εὐθειῶν ποτε οὔτε γωνιῶν  εὐθύγραμμον συνίσταται σχῆμα᾽ κατὰ μόνην ἄρα αὐτὴν τὸ ἀόριστον  καὶ ἀσχημάτιστον. ὅτι δὲ καὶ τὸ ἄπειρον φαίνεται, εἴγε καὶ τὸ  ἕτερον, τοῦτο δὲ ἀπὸ τοῦ παρ᾽ ἕν ἀρξάμενον εἰς ἄπειρον ἐκπίπτει.  δύναται δὲ καὶ [20] ἀπείρου παρεκτικὴ λέγεσθαι, ὅτι μήκους πρώτη  ἔμφασις ἐν δυάδι, ὡς ἀπὸ σημείου τῆς μονάδος, ἐπ᾽ ἄπειρον δὲ τοῦτο  12 dopo καλοῦσι ho aggiunto io la virgola.  LA TEOLOGIA DELL'ARITMETICA 853  superfici,6 e questo quadrato, cioè 16, è assolutamente l’unico che li  abbia di misura uguale. Sembra sia questa la ragione per cui anche  Platone nel Teeteto,67 dopo essere giunto al quadrato di 16 piedi, si  ferma «per una qualche ragione»68 al quadrato di 17 piedi in presen-  za della proprietà del quadrato di superficie 1769 e dell’uguaglianza di  un quadrato partecipato.?° Sulla base di quale osservazione, dunque,  gli antichi chiamavano il 2 “disuguaglianza” e “difetto” ed “ecces-  so”?71 Sulla base dell’idea di materia, se il 2 è chiaramente il primo  numero in cui si possono vedere separazione? e idea di lato,73 che  sono già principio di differenziazione e di disuguaglianza; ma un’altra  ragione è che il 2, a confronto con il numero che lo precede, è più,  mentre il 4, a confronto con i numeri che lo precedono, [12] è meno;  e trovandosi il 3 in mezzo ad ambedue,74 accadrà ancora una volta,  ma in modo diverso,75 che in esso, a confronto con i numeri che lo  precedono, si trovi il rapporto di uguaglianza:”6 infatti, mentre il 2 è  maggiore del numero che lo precede, intendo dire dell’ 1, secondo la  relazione assolutamente basale dell’essere maggiore, e il 4 è minore di  3+2+17? secondo la relazione basale dell’essere minore, il 3 invece è  uguale a 2+1 secondo l’uguaglianza che è naturalmente priva di rela-  zione, dî modo che il più si accorda col 2 in quanto lato,78 mentre il  meno si accorda col 2 in quanto superficie, cioè nella sua potenza.?9  Il 2, poi, è detto “difetto” ed “eccesso” e “materia”, che i Pitagorici  chiamano, per omonimia col 2, anche “diade indeterminata”,80 per-  ché il 2, quanto a se stesso, è privo di ogni figura e forma e determi-  nazione, ma è capace di essere definito e determinato dalla ragione e  dall’arte.  Il 2 appare privo di figura, se è vero che dal triangolo, e cioè dal  3, procede la serie infinita dei poligoni in atto, dall’ 1 procede tutto  l’insieme8! perché in esso è in potenza, mentre né con 2 rette né con  2 angoli è possibile comporre alcuna figura rettilinea;82 dunque l’in-  determinatezza e la mancanza di figura esistono solo nel 2.  Il 2 appare anche come l’infinità, se è vero che esso è anche la  diversità, e quest’ultima comincia appena fuori dall’unità e si estende  all’infinito. Si può dire anche che il 2 è il numero che produce l’infi-  nità, perché nel 2 è la prima manifestazione della lunghezza, come  854 GIAMBLICO  καὶ διαιρεῖται καὶ αὔξεται" καὶ μὴν καὶ ἡ τῆς ἀνισότητος φύσις ἐπ’  ἄπειρον προιέναι μέλλουσα ἀπ᾽ αὐτῆς ἄρχεται, [13] ἐναντιοζύγως  τῇ μονάδι’ μείζων γὰρ καὶ ἐλάττων ἡ πρώτη διαίρεσις αὐτῶν. οὐκ  ἀριθμὸς δὲ ἡ δυὰς οὐδὲ ἄρτιος ὅτι μὴ ἐνεργείᾳ᾽ ἀμέλει πᾶς ἄρτιος  καὶ εἰς ἴσα καὶ εἰς ἄνισα δύναται ὁ αὐτὸς μερίζεσθαι, μόνη δὲ ἡ  δυὰς εἰς ἄνισα οὐκ ἂν μερισθείη, καὶ εἰς ἴσα δὲ μερισθεῖσα ἄδηλον  ὁποτέρου γένους ἄντικρυς αὐτὰ ἕξει, ὡς ἀρχοειδής τις οὖσα. ὅτι ἡ  δυὰς καὶ Ἐρατώ, φασί, καλεῖται᾽ τὴν γὰρ τῆς μονάδος ὡς εἴδους  πρόσοδον δι᾽ ἔρωτα ἐπισπωμένη, τὰ λοιπὰ ἀποτελέσματα γεννᾷ,  ἀρξαμένη ἀπὸ τριάδος καὶ τετράδος. ὠνομάσθαι δὲ αὐτὴν οἴονται  παρ᾽ [10] αὐτὴν τὴν τόλμησιν, ὅτι ἄρα ὑπέμεινε τὸν χωρισμὸν  πρωτίστη, dn τε «καὶ» ὑπομονὴ kai τλημοσύνη᾽ ἀπὸ δὲ τῆς εἰς δύο  τομῆς δίκη τε, οἱονεὶ δίχη, καὶ Ἴσις, οὐ μόνον ὅτι ἴσον ἐν αὐτῇ τὸ  ἀπὸ κατακράσεως, ὡς ἔφαμεν, τῷ ἀπὸ συνθέσεως, ἀλλὰ καὶ ὅτι οὐδὲ  τὴν εἰς ἄνισα μονωτάτη διαίρεσιν ἐγχωρεῖ. καὶ φύσιν δὲ αὐτὴν  καλοῦσι: κίνησις γὰρ εἰς τὸ εἶναί ἐστιν αὕτη καὶ οἷον γένεσίς τις  ἀπὸ λόγου σπερματικοῦ «καὶ» ἔκτασις, τετευχυῖα παρὰ τὸ τοιοῦτον  τῆς ὀνομασίας, παρ᾽ ὅσον ἐστὶ κίνησίς τις ἀφ᾽ ἑτέρου εἰς ἕτερον  κατ᾽ εἰκόνα τῆς δυάδος. ὑπὸ μέντοι τῶν ἀριθμητῶν ἤδη καὶ δευ-  τέρων [20] παραλογιζόμενοί τινες ἐπινοεῖν διδάσκονται τὴν δυάδα  δύο τινῶν μονάδων σύστημα εἶναι, ὥστε καὶ λυομένην εἰς τὰς αὐτὰς  ἀνατρέχειν μονάδας: ἀλλ᾽ εἴτε σύστημα μονάδων ἡ δυάς, προγενέ-  στεραι [14] αἱ μονάδες, εἴτε ἥμισυ δυάδος ἡ μονάς, προὐπάρχειν  δεῖ τὴν δυάδα, εἴτε σώζοιντο αὐταῖς αἱ πρὸς ἀλλήλας σχέσεις,  συνυπάρχειν ἀναγκαῖον, καθὸ διπλάσιον ἡμίσους καὶ ἥμισυ διπλα-  σίου, καὶ οὔτε προτέρα οὔθ᾽ ὑστέρα διὰ τὸ συνεπιφέρειν τε καὶ  συνεπιφέρεσθαι καὶ συναναιρεῖν καὶ συναναιρεῖσθαι. ὅτι καὶ  LA TEOLOGIA DELL'ARITMETICA 855  derivata dall’ 1 quale punto, ma la lunghezza può essere divisa o mol-  tiplicata all’infinito; e in verità anche la natura della disuguaglianza,  dovendo procedere all’infinito, comincia dal 2, [13] in coppia con l’  1 come suo opposto: infatti la prima distinzione di maggiore e mino-  re si fa tra 1 e 2. Il 2 non è neppure numero pari perché non è un pari  in atto:8) non c’è dubbio infatti che ogni numero pari in quanto tale  può essere diviso sia in parti uguali che disuguali, e il 2 è l’unico  numero che non può essere diviso in parti disuguali, e che una volta  diviso in due parti uguali, non è assolutamente chiaro di quale delle  due specie di numero*' esso avrà tali PACS, 85 come se avesse una qual-  che natura di principio.  I Pitagorici, si dice, chiamano il 2 anche “Erato”: esso infatti, atti-  rando verso di sé l'assalto amoroso dell’ 1 quale forma,86 genera come  risultati <della loro unione> i rimanenti numeri, a partire dal 3 e dal  4. Essi credevano che il 2, oltre al nome stesso di “audacia”,87 debba  avere anche quelli di “sventura” [δυάς - δύη] e “sopportazione” e  “pazienza”, perché è assolutamente il primo numero che in effetti  sopporta la separazione; e per la sua dicotomia merita anche il nome  di “giustizia”, nel senso di “diviso in due” [δίκη - δίχα],38 e anche di  “Iside”, non solo perché in esso il prodotto è uguale alla somma,  come dicevamo,8° ma anche perché è assolutamente l’unico numero  che non consente affatto divisione in parti disuguali. Lo chiamano  anche “natura”: esso infatti è movimento verso l’essere, ed è come un  generarsi per estensione da un principio seminale: esso ha fatto nasce-  re questo nome “natura” per il fatto che un movimento da diverso a  diverso somiglia al 2.9° Alcuni tuttavia, facendo un falso ragionamen-  to con calcoli numerici ormai?! di secondaria importanza, insegnano a  immaginare il 2 come somma di due 1,92 in modo che si possa anche  tornare a scioglierlo nelle sue stesse due unità; ma o il 2 è composizio-  ne di due 1, e allora questi [14] sono nati prima di esso, oppure l’ 1  è la metà del 2, e in questo caso il 2 deve preesistere all’ 1,9 oppure  si dovranno salvaguardare relazioni di reciprocità tra i due numeri, e  allora necessariamente essi coesistono, come doppio della metà e  metà del doppio, e non saranno né anteriori né posteriori l’uno  rispetto all’altro, perché l’un l’altro si implicano e sono implicati, e  l’un l’altro si annullano e sono annullati.  856 GIAMBLICO  διομήτορα ταύτην ὠνόμαζον ὡς Διὸς μητέρα -- Aia δ᾽ ἔλεγον τὴν  μονάδα - καὶ Ῥέαν ἀπὸ τῆς ῥύσεως καὶ ἀπὸ τῆς τάσεως, ὅπερ  οἰκεῖον καὶ δυάδι καὶ φύσει τῇ πάντα γινομένῃ. καὶ τῇ σελήνῃ δέ  φασιν ἐφαρμόζειν τὸ δυὰς ὄνομα, [10] ὅτι τε καὶ πλείονας δύσεις ἐκ  πάντων τῶν πλανητῶν ἐπιδέχεται καὶ ὅτι ἐδυάσθη καὶ ἐδιχοτομήθη:  ἡμίτομος γὰρ καὶ διχότομος λέγεται.  περὶ τριάδος.  Ὅτι ἡ τριὰς ἐξαίρετόν τι παρὰ πάντας τοὺς ἀριθμοὺς κάλλος  εἴληχε καὶ εὐπρέπειαν, πρῶτον μὲν τὰς τῆς μονάδος δυνάμεις ἐνερ-  γοὺς πρωτίστη παρασχοῦσα, περισσότητα, τελειότητα, ἀναλογίαν,  ἕνωσιν, πέρας: περισσὸς μὲν γὰρ κατ᾽ ἐνέργειαν πρῶτος ὁ γ΄, ἀκο-  λούθως ταῖς ὀνομασίαις περίϊσος ὧν καὶ πλέον τι τοῦ ἴσου ἐν ἑτέρῳ  μέρει ἔχων, ἐξαίρετον δὲ τὸ ταῖς [20] δυσὶν ἀρχαῖς συνεχὴς καὶ σύ-  στημά γε ἀμφοῖν. ὑπάρχειν. τέλειός γε μὴν ἰδιαίτερον τῶν ἄλλων  ἐστίν, οἷς!3 οἱ ἀπὸ μονάδος ἐφεξῆς ἴσοι εὑρίσκονται μέχρι τετρά-  δος΄ λέγω δὲ οἷον μονάδος, [15] τριάδος, ἑξάδος, δεκάδος: ἡ μὲν γὰρ  μονὰς ὡς πυθμὴν μονάδι ἴση, ἡ δὲ τριὰς μονάδι καὶ δυάδι, «ἡ δὲ ἑξὰς  μονάδι δυάδι τριάδι», δεκὰς δὲ μονάδι δυάδι τριάδι τετράδι. πλέον  οὖν τι ἡ τριὰς ἔχειν φαίνεται τῷ συνεχὴς εἶναι τούτοις, οἷς καὶ ἴση  ὑπάρχει᾽ καὶ γὰρ ἐκ τοῦ τοιούτου μεσότητα καὶ ἀναλογίαν αὐτὴν  προσηγόρενον, οὐκ ἐπειδὴ πρωτίστη μὲν τῶν ἀριθμῶν μέσον εἴληχε,  μονωτάτη δὲ τὸ αὐτὸ ἴσον τοῖς ἄκροις, ἀλλ᾽ ὅτι κατ᾽ εἰκόνα τῆς  γενικῆς ἰσότητος, μέσης τοῦ μείζονος καὶ ἐλάττονος ἀνισότητος  εἰδῶν ὑπαρχούσης, καὶ αὐτὴ τοῦ πλείονος [10] καὶ ὀλιγωτέρου ἀνὰ  μέσον θεωρεῖται, σύμμετρον φύσιν ἔχουσα ὁ μὲν γὰρ πρὸ αὐτῆς ὁ  δύο πλείων [τοῦ a'] τοῦ ὑπόπροσθεν ὑπάρχει, καὶ ῥίζα γε τῆς πυθ-  μενικῆς τοῦ μείζονος σχέσεως διπλάσιος Yap: ὁ δὲ μετ᾽ αὐτὴν ὁ δ΄  ἐλάττων [τοῦ α΄ β΄ γ᾽ καὶ γὰρ ς1 τῶν ὑπόπροσθεν, καὶ πρώτιστον γε  τῆς πυθμενικῆς τοῦ ἐλάσσονος σχέσεως εἶδος" ὑφημιόλιος γάρ᾽  αὕτη δὲ μεταξὺ ἀμφοῖν ἴση [τῷ α΄ βΊ τοῖς ὑπόπροσθεν [ἤγουν ἐστὶ  13 οἷς mutò Waterfield, Ezzend.: ὅτι.  LA TEOLOGIA DELL'ARITMETICA 857  I Pitagorici chiamavano il 2 “Diometore”, cioè “Madre di Zeus”  -- Zeus era l’ 1, essi dicevano — e, anche “Rea”, per la flussione e la ten-  sione, che sono proprietà sia del 2 che della natura che diviene tutto.  E dicono anche che il nome “diade” [δυάς] conviene alla Luna, per-  ché questa è il pianeta che subisce più tramonti [δύσεις] di tutti, e  perché è dimezzata o divisa in due:9 è detta infatti divisa a metà o  divisa in due.”  Il numero 3.  Il 3 ha avuto in sorte, come una sua prerogativa rispetto a tutti gli  altri numeri, bellezza e fascino, anzitutto perché è assolutamente il  primo numero che presenta le potenze attive dell’ 1, e cioè proprietà  dispari, perfezione, proporzione, unitarietà, limite; infatti il 3 è il  primo numero dispari in atto, poiché è, secondo la sua stessa denomi-  nazione, “oltre l’uguale” [περισσός - περίϊσος], avendo cioè qualco-  sa di più dell’uguale nella sua parte aggiuntiva,?8 e ha la prerogativa di  essere il numero successivo ai due primi principi e anche uguale alla  loro somma. In realtà il 3 è perfetto in una maniera più particolare che  non quegli altri numeri, i quali si scoprono essere uguali alla somma  di numeri in successione da 1 a 4, parlo ovviamente dei numeri 1,  [15] 3, 6, 10: infatti 1 (base della serie)=1, 3=1+2, 6=1+2+3, 10 =  1+2+3+4. Ebbene, il 3 sembra avere qualcosa di più di questi altri  numeri, per il fatto che è immediatamente successivo ai numeri, alla  cui somma è anche uguale, ;9 e infatti per questa sua proprietà è deno-  minato “medietà” e “proporzionalità”, ”, non già perché è assolutamen-  te il primo numero a cui è toccato in sorte un termine medio,199 e d’al-  tra parte perché è assolutamente l’unico numero che ha lo stesso ter-  mine medio uguale agli estremi,!01 ma perché a immagine dell’ugua-  glianza in generale, che è intermedia tra maggiore e minore che sono  le due specie della disuguaglianza, è considerato anch'esso al centro  tra più e meno, perché ha natura commisurata: infatti 2 che è prima  di 3 è più di 1, che è prima di 2, ed è infatti “doppio”, che è in effet-  ti la radice della relazione basale di “maggiore”:102 4 invece, che è  dopo 3, è minore della somma dei numeri che lo precedono,1% ed è  assolutamente la prima specie di relazione basale di “minore”, perché  858 GIAMBLICO  Υ7] εἰδοποιὸς ἄρα μεσότητος τοῖς ἄλλοις. ἔνθεν τρεῖς μὲν δι᾽ αὐτὴν  αἱ ὀρθαὶ λεγόμεναι μεσότητες, ἀριθμητικὴ γεωμετρικὴ ἁρμονική,  τρεῖς δὲ αἱ ταύταις ὑπεναντίαι, τρεῖς δὲ οἱ καθ᾽ ἑκάστην [20] ὅροι,  τρία δὲ «τὰ» διαστήματα, τουτέστιν αἱ ἐν ἑκάστῳ ὅρῳ [16] διαφοραὶ  μικροῦ πρὸς μέσον καὶ μέσου πρὸς μέγα καὶ μικροῦ πρὸς μέγα, σχέ-  σεις τε ἰσάριθμοι αἱ κατὰ τὰ λεχθέντα ἐν προλόγων τάξει, ἄλλαι δὲ  τρεῖς ἀναστροφαὶ ἐξεταζόμεναι μεγάλου πρὸς μικρόν, μεγάλου  πρὸς μέσον, μέσου πρὸς μικρόν. ὅτι ἡ μὲν μονὰς τοῦ παντὸς ἀριθμοῦ  λόγον ἀδιατύπωτον ἔτι καὶ ἀδιάρθρωτον ὡς ἐν σπέρματι ἑαυτῇ  ἔχει, ἡ δυὰς δὲ βραχεῖά τις ἐπ᾽ ἀριθμὸν προχώρησις, οὐκ ἄντικρυς  δὲ τοιαύτη διὰ τὸ ἀρχοειδές, ἡ τριὰς δὲ τὴν τῆς μονάδος δύναμιν εἰς  ἐνέργειαν καὶ ἐπέκτασιν προχωρεῖν ποιεῖ. καὶ μονάδος μὲν τὸ [10]  τόδε, δυάδος δὲ τὸ ἑκάτερον, τριάδος δὲ τὸ ἕκαστον καὶ τὸ «tav»  διὸ καὶ εἰς πλήθους ἔμφασιν τῇ τριάδι χρώμεθα, «τρισμύριοι» λέ-  γόντες ἀντὶ τοῦ «πολλάκις πολλοί» καὶ «τρισόλβιοι»" διὸ καὶ τὰς  τῶν νεκρῶν ἀνακλήσεις τρὶς εἰθίσθημεν ποιεῖν. ἔτι δὲ καὶ πᾶσα οὐ-  σία διέξοδον ἔχουσα φυσικὴν ὅρους ἔχει τρεῖς, ἀρχὴν ἀκμὴν  τελευτήν, οἷον πέρατα καὶ μέσον, διαστήματα δὲ «δύο», [οἷον]! 4  αὔξησιν καὶ φθίσιν, ὥστε τὴν μὲν δυάδος φύσιν καὶ τὸ ἑκάτερον ἐμ-  φαίνεσθαι τῇ τριάδι διὰ τῶν περάτων. ὅτι ἡ τριὰς εὐβουλία καλεῖ-  ται καὶ φρόνησις, οἷον τῶν ἀνθρώπων τά τε παρόντα διορθούντων  [20] τά τε μέλλοντα προορωμένων καὶ ἐκ τῶν ἤδη γεγονότων λαμβα-  νόντων πεῖραν᾽ τῶν ἄρα τριῶν τοῦ χρόνου μερῶν ἐποπτική πως ἡ  φρόνησις, ὥστε καὶ ἡ γνῶσις κατὰ τὴν τριάδα. ὅτι [17] τὴν τριάδα  εὐσέβειαν καλοῦσι᾽ διὸ καὶ τριὰς ὠνομάσθη παρὰ τὸ τρεῖν, τὸ  δεδοικέναι καὶ εὐλαβεῖσθαι.  ᾿Ανατολίου.  ὅτι ὁ τρία πρῶτος περισσὸς καλεῖται ὑπ᾽ ἐνίων τέλειος, ὅτι  πρῶτος τὰ πάντα σημαίνει, ἀρχὴν καὶ μέσον καὶ τέλος. τὰ ἐξαίσια  14 eliminò De Falco in appar. ad loc., nonché ed. Klein Add. p. XXVII.  LA TEOLOGIA DELL'ARITMETICA 859  è sotto-emiolio di 6;10 il 3, invece, che sta al centro fra i due,!0 è  uguale alla somma dei numeri che lo precedono;19% esso costituisce  dunque la medietà degli altri due.197 In conseguenza della medietà del  numero 3 si hanno tre cosiddette “medietà rette”, cioè le medietà arit-  metica, geometrica e armonica, e tre medietà ad esse subalterne, e tre  termini in ciascuna di esse, e tre intervalli, cioè le differenze di ciascun  termine con gli altri, ovvero gli intervalli [16] da piccolo a medio, da  medio a grande, e da piccolo a grande, e altrettante relazioni, cioè tre,  secondo l’ordine dei precedenti intervalli,!°8 e altre tre relazioni esa-  minate in ordine inverso rispetto alle precedenti, cioè da grande a pic-  colo, da grande a medio, e da medio a piccolo.109  L’1hainsé come in germe il principio non ancora formato o ben  distinto di ogni numero, il 2 è un piccolo passo avanti verso il nume-  ro, ma non è completamente numero perché ha natura di principio, il  3 invece consente all’ 1 di passare e distendersi dalla potenza all’atto.  E all’ 1 appartiene il “questo qui”, al 2 “l’uno e l’altro”, al 3 il “cia-  scuno e ogni”: perciò noi ci serviamo del 3 anche per indicare la “mol-  titudine”, dicendo “trentamila” invece di “molti molte volte”110 e “tre  volte beati”;!!! ed è per questo che abbiamo anche il costume di fare  tre volte le invocazioni dei morti. E ancora, ogni sostanza che abbia  un naturale sviluppo possiede da un lato tre termini, inizio, acme e  fine,112 cioè <due> limiti e un punto mediano, dall’altro lato due  intervalli, crescita!!? e deperimento,!14 di modo che ogni cosa rivela  attraverso i limiti del 3 la natura del 2, cioè de’ “l’uno e l’altro”,115  Il 3 è chiamato “assennatezza” e “prudenza”, cioè quella virtù  degli uomini che agiscono con correttezza rispetto al presente e con  la previsione del futuro e secondo l’esperienza acquisita dal passato:  cosî la prudenza contempla in qualche modo le tre parti del tempo,  sicché anche la conoscenza si svolge in funzione del 3. [17] I  Pitagorici chiamano il 3 “pietà”; e perciò il nome 3 [τριάς] deriva da  “tremare” [tp£îv], cioè “temere” e <quindi> “essere cauti”.116  Secondo Anatolio.  Il 3 che è il primo numero dispari, è detto da alcuni “perfetto”,  860 GIAMBLICO  ἀπὸ ταύτης σεμνύνοντες καλοῦσι τρισολβίους, τρισμάκαρας. εὐχαὶ  καὶ σπονδαὶ τρὶς γίνονται. εἰκών ἐστιν ἐπιπέδου καὶ πρώτη  ὑπόστασις ἐν τριγώνοις" τρία γὰρ αὐτῶν γένη, ἰσόπλευρον ἰσοσκε-  λὲς σκαληνόν᾽ ἔτι γωνίαι εὐθύγραμμοι τρεῖς, [10] ὀξεῖα ἀμβλεῖα  ὀρθή. χρόνου μέρη τρία. εἴκαζον δὲ αὐτὴν ἐν ἀρεταῖς σωφροσύνῃ;  συμμετρία γὰρ αὕτη μεταξὺ ὑπεροχῆς καὶ ἐλλείψεως. ἔτι ἡ τριὰς ἐκ  μονάδος καὶ δυάδος καὶ ἑαυτῆς τὸν ἕξ ποιεῖ κατὰ σύνθεσιν, ὅς ἐστι  πρῶτος τέλειος ἀριθμός.  Νικομάχου Θεολογούμενα.  ὅτι ἀρχὴ κατ᾽ ἐνέργειαν ἀριθμοῦ ἡ τριὰς μονάδων συστήματι  ὁριζομένον᾽ μονὰς μὲν γὰρ τρόπον τινὰ ἡ δυὰς διὰ τὸ ἀρχοειδές,  σύστημα δὲ μονάδος καὶ δυάδος ἡ τριὰς πρώτη' ἀλλὰ καὶ τέλους καὶ  μέσου καὶ ἀρχῆς πρωτίστη ἐπιδεκτική, δι᾽ ὧν τελειότης περαίνεται  πᾶσα. εἶδος τῆς τῶν ὅλων τελεσιουργίας [18] καὶ ὡς ἀληθῶς ἀριθ-  μὸς ἡ τριάς, ἰσότητα καὶ στέρησίν τινα τοῦ πλείονος καὶ ἐλάττονος  τοῖς ὅλοις παρέσχεν, ὁρίσασα τὴν ὕλην καὶ μορφώσασα ποιοτήτων  πασῶν δυνάμεσιν. ἴδιον γοῦν καὶ ἐξαίρετον ἔχει παρὰ τοὺς ἄλλους  ἀριθμοὺς ὁ τρία τὸ τοῖς πρὸ αὐτοῦ ἴσος εἶναι. τρὶς δὲ καὶ σπένδου-  σι καὶ τρὶς ἐπιθύουσιν οἱ τελειωθῆναι τὰς ἑαυτῶν εὐχὰς αἰτοῦντες  παρὰ θεοῦ: τρισμακαρίους τε καὶ τρισευδαίμονας καὶ τρισολβίους  τρίς τε τὰ ἐναντία φαμέν, ὅσοις τελείως ἕκαστον τούτων ὡσανεὶ  πάρεστιν. ὅτι ὠνομάσθαι καὶ ταύτην τριάδα φασὶ παρὰ [10] τὸ  ἀτειρής τις εἶναι καὶ ἀκαταπόνητος᾽ οὕτω δὲ λέγεται διὰ τὸ μὴ δύ-  νασθαι αὐτὴν εἰς δύο ἴσα διαιρεῖσθαι. ὅτι πρῶτον πλῆθος ἡ τριάς’  ἑνικὰ γὰρ καὶ δυϊκὰ λέγομεν, εἶτ᾽ οὐκέτι τριαδικὰ ἀλλὰ πληθυντι-  LA TEOLOGIA DELL’ARITMETICA 861  perché è il primo numero che significa tutte le cose,!17 cioè inizio e  mezzo e fine. Per mettere in risalto aspetti straordinari, essi usano  nomi derivati dal 3: “tre volte fortunati”, “tre volte beati”. Preghiere  e libagioni si fanno tre volte. Il 3 è simbolo della superficie e prima  realtà dei triangoli: ci sono, infatti, tre generi di triangoli, equilatero  isoscele scaleno; e ancora, ci sono tre angoli rettilinei, acuto ottuso  retto. Tre sono le parti del tempo. I Pitagorici facevano corrisponde-  re il 3 alla virtà della “temperanza”, perché questa è “giusta misura”  tra eccesso e difetto. Inoltre, il 3 sommando se stesso a 1 e 2118 pro-  duce il 6, che è il primo numero perfetto.  La Teologia <dell’aritmetica> di Nicomaco.  Il 3 è inizio del numero in atto, che è determinato per composi-  zione di unità.!!9 Unità, infatti, è in qualche modo anche il 2, perché  ha natura di principio, mentre il 3 è il primo numero che è composi-  zione di 1 e 2; ma il 3 è anche assolutamente il primo numero che  ammette fine, mezzo e principio, che sono i limiti di ogni perfezione.  Forma del realizzarsi di tutti i numeri [18] e esso stesso vero nume-  ro, il 3 fornisce all’intera realtà uguaglianza e una certa mancanza di  più e meno, determinando la materia e dando forma alle potenze di  tutte le qualità.120 Il 3 in effetti ha di proprio e peculiare, a differenza  degli altri numeri, di essere uguale alla somma dei numeri che lo pre-  cedono.!21 E tre volte fanno libagione e tre volte compiono sacrificio  coloro che chiedono a dio di esaudire le loro preghiere; e “tre volte  beati” e “tre volte felici” e “tre volte fortunati” e “tre volte” il loro  contrario, noi diciamo quelle cose in cui, per cosî dire, è presente in  modo perfetto ciascuna di quelle condizioni.  1 Pitagorici dicono che il 3 è chiamato cosî perché somiglia a uno  che è “indomabile” [τριάς - ἀτειρής] o “instancabile”; e questo  appellativo di “indomabile” gli deriva dal fatto che non può essere  diviso in due parti uguali.  Il 3 è la prima vera pluralità: infatti noi chiamiamo le cose <secon-  do il numero> “singolari” o “duali”, ma non aggiungiamo “tripli-  ci” ,122 bensi, in modo appropriato, “plurali” .123  862 GIAMBLICO  κὰ ἰδίως. ὅτι καὶ ἐν τῇ τοῦ ἀριθμοῦ φύσει ἡ τριὰς διατείνει" περιτ-  τοῦ μὲν γὰρ εἴδη τρία, τὸ μὲν πρῶτον καὶ ἀσύνθετον, τὸ δὲ δεύτε-  ρον καὶ σύνθετον, τὸ δὲ μικτόν, τὸ πρὸς αὑτὸ μὲν δεύτερον, πρὸς  ἄλλο δὲ πρῶτον πάλιν δὲ τὸ μὲν ὑπερτελές, τὸ δὲ ἀτελές, τὸ δὲ  τέλειον' συλλήβδην δὲ τοῦ πρός τι ποσοῦ τὸ μὲν μεῖζον, τὸ δὲ ἔλατ-  τον, τὸ δὲ ἴσον. τῇ τε γεωμετρίᾳ προσφυέστατόν ἐστιν ἡ τριάς᾽ τὸ  [20] γὰρ ἐν ἐπιπέδοις στοιχειωδέστατόν ἐστι τρίγωνον καὶ τούτου  εἴδη τρία, ὀξυγώνιον ἀμβλυγώνιον σκαληνόν. τρεῖς τε τῆς σελήνης  οἱ σχηματισμοί, αὔξησις πανσέληνος καὶ μινύθησις᾽ [19] τρεῖς δὲ  καὶ οἱ τῆς ἀνωμαλίας τρόποι, προποδισμὸς ἀναποδισμὸς καὶ ὁ μετα-  ξὺ αὐτῶν στηριγμός. καὶ τρεῖς οἱ τὸ ζωδιακὸν πλάτος ὁρίζοντες κύ-  κλοι, θερινός τε καὶ χειμερινὸς καὶ ὁ ἀνὰ μέσον τούτων ὁ λεγόμε-  νος ἐκλειπτικός. καὶ τρία μὲν εἴδη ζώων, πεζὸν πτηνὸν ἔνυδρον.  τρεῖς δὲ καὶ αἱ Μοῖραι θεολογοῦνται, ὅτι καὶ ἡ σύμπασα διεξαγωγὴ  θείων τε καὶ θνητῶν ἔκ τε προέσεως καὶ ὑποδοχῆς καὶ τρίτον ἀντα-  ποδόσεως κρατύνεται, σπερμαινόντων μὲν τρόπον τινὰ τῶν αἰθε-  ρίων, ὑποδεχομένων δὲ ὡσανεὶ τῶν περιγείων, ἀνταποδόσεων [10]  δὲ διὰ τῶν ἀνὰ μέσον τελουμένων, ὥσπερ ἐγγόνου τινὸς μεταξὺ  ἄρρενος καὶ θήλεος. καὶ τὸ παρ᾽ Ὁμήρῳ δὲ ἁρμόσοι τις ἂν τούτοις  «τριχθὰ γὰρ πάντα δέδασται». ὅπου καὶ τὰς ἀρετὰς εὑρίσκομεν δύο  κακιῶν ἀλλήλαις τε καὶ ἀρετῇ ἀντικειμένων μέσας, καὶ συνάδει ὁ  λόγος, κατὰ μὲν μονάδα ὡρισμένον τι καὶ γνωστὸν καὶ φρόνιμον τὰς  ἀρετὰς εἶναι -- τὸ γὰρ μέσον ἕν -, κατὰ δὲ δυάδα ἀόριστον καὶ  ἄγνωστον καὶ ἄφρον τὰς κακίας. ὅτι αὐτὴν!5 καὶ φιλίαν καὶ εἰρήνην  καὶ προσέτι ἁρμονίαν τε καὶ ὁμόνοιαν προσαγορεύουσιν. ἐναντίων γὰρ καὶ οὐχ ὁμοίων συνακτικὰ καὶ ἑνωτικὰ ταῦτα᾽ διὸ [20] καὶ γά- μον ταύτην καλοῦσι. τρεῖς δὲ καὶ αἱ ἡλικίαι. [20] περὶ τετράδος. Ὅτι ἐν τῇ μέχρι τῆς τετράδος φυσικῇ ἐπανυξήσει πάντα συντε- λούμενα φαίνεται τὰ ἐν τῷ κόσμῳ, καθόλου καὶ κατὰ μέρος, καὶ τὰ ἐν ἀριθμῷ, ἐν πάσαις ἁπλῶς φύσεσιν᾽ ἐξαίρετον δὲ καὶ πρὸς τὴν  15 ὅτι αὐτὴν congetturò dubitativamente Oppermann: ἔτι γε μὴν. Si tratterebbe quindi di un nuovo estratto. LA TEOLOGIA DELL’ARITMETICA 863 Il 3 si riflette anche nella natura!24 del numero: ci sono infatti tre  specie di dispari, primo e non composto, secondo e composto, e  misto, che è secondo in rapporto a se stesso e primo in rapporto ad  altro; e ancora <tre specie di pari> ridondante, deficiente [ἀτελές —  ἐλλιπές] 125 e perfetto: del quanto relativo,12 invece, ci sono, per dirla  in breve, il maggiore, il minore e l’uguale. Il 3 è anche il numero più  connaturale alla geometria: tra le figure piane, infatti, la più elemen-  tare è il triangolo, e di questo ci sono tre specie, acutangolo ottusan-  golo scaleno. Anche della Luna ci sono tre configurazioni, luna cre-  scente, luna piena e luna calante; [19] sono tre anche i tipi di movi-  mento irregolare dei pianeti, progressione, regressione e, in posizione  intermedia, stazione. Tre sono anche i circoli che determinano la lati-  tudine dello zodiaco, estivo, invernale e, in posizione intermedia, la  cosiddetta eclittica. Tre sono anche le specie di animali, terrestre alata  acquatica. Tre sono anche le Moire in teologia, perché l’intera condot-  ta di vita e degli enti divini e dei mortali è regolata da emissione, rice-  zione e, in terzo luogo, rimunerazione: le cose celesti emettono in  qualche modo il seme, quelle terrestri lo ricevono, le rimunerazioni  infine sono pagate attraverso quelli che stanno al centro, come se fos-  sero la prole tra maschio e femmina.!27 Ciò potrebbe trovare confer-  ma anche nelle parole di Omero: «il tutto fu diviso in tre parti»,128 e  là dove troviamo anche che le virti sono intermedie tra due vizi che  sono in opposizione tra loro e rispetto alla virti, e lo conferma anche il discorso secondo cui le virtà sono ciò che è determinato e conosci- bile e saggio in virti dell’ 1 — infatti il medio è uno --,129 i vizi, invece, ciò che è indeterminato e inconoscibile e stolto in virtà del 2.130 I Pitagorici chiamano il 3 anche “amicizia”, “pace”, e inoltre “armonia” e “concordia”, perché tutte queste cose collegano e uni- scono i contrari e i dissimili; perciò lo chiamano anche “matrimonio”, Sono tre anche le età della vita.13 [20] Il numero 4. Tutte le cose del mondo, nel loro aspetto generale e in quello par- ticolare, cosi come tutta la realtà dei numeri, e insomma ogni cosa di 864 GIAMBLICO  ἐφάρμοσιν τοῦ ἀποτελέσματος μάλιστα συντεῖνον τὸ τὴν δεκάδα in  αὐτῆς ἅμα τοῖς ὑπόπροσθεν συγκορυφοῦσθαι γνώμονα καὶ συνοχὴν  ὑπάρχουσαν, ἀλλὰ καὶ τὸ τὴν σωμάτωσιν καὶ τὴν ἐπὶ τρία διάστα-  σιν μέχρις αὐτῆς πέρας ἴσχειν᾽ τὸ γὰρ ἐλάχιστον καὶ πρωτοφανέ-  στατον σῶμα [10] πυραμὶς ἐν τετράδι ὁρᾶται εἴτε γωνιῶν εἴτε ἐπι-  πέδων, ὥσπερ καὶ τὸ ἐξ ὕλης καὶ εἴδους αἰσθητόν, ὅ ἐστιν ἀποτέλε-  σμα τριχῆ διαστατόν, ἐν τέσσαρσιν ὅροις ἐστί. καὶ μὴν καὶ τῆς ἐν  τοῖς οὖσιν ἀληθείας τὴν κατάληψιν τήν τε βεβαίαν καὶ τὴν ἐπι-  στημονικὴν ἐπίγνωσιν ποιεῖσθαι διὰ τῶν τεσσάρων μαθημάτων  βέλτιον καὶ ἀπταιστότερον᾽ τῶν γὰρ ὄντων ἁπλῶς ἁπάντων ἐν μὲν  παραθέσει καὶ σωρείᾳ τῷ ποσῷ ὑπαγομένων, ἐν δὲ ἑνώσει καὶ  ἀλληλουχίᾳ τῷ πηλίκῳ, καὶ τῶν μὲν ἐν ποσότητι ἤτοι καθ᾽ ἑαυτὰ  νοουμένων ἢ [ἐν] πρός τι, τῶν δὲ ἐν πηλικότητι ἢ ἐν μονῇ ἢ ἐν κιν-  ήσει, τέτταρες ἀνάλογον [20] μαθηματικαὶ μέθοδοι καὶ ἐπιστῆμαι  τὴν κατάληψιν ἑκάστην ἑκάστῃ κατ᾽ οἰκειότητα ποιήσονται, ποσοῦ  μὲν κοινῇ ἀριθμητική, ἰδιαίτερον δὲ [περὶ] τοῦ καθ᾽ αὑτό, τοῦ δὲ  πρὸς ἕτερον ἤδη [kai]!6 μουσική, πηλίκου δὲ κοινῶς μὲν γεωμετρί-  a, ἰδιαίτερον δὲ [21] τοῦ ἑστῶτος, τοῦ δ᾽ ἐν κινήσει ἤδη καὶ ev-  τάκτῳ μεταβάσει σφαιρική. εἰ δὲ τῶν ὄντων εἶδος ὁ ἀριθμός, ἀριθ-  μοῦ δὲ [τὰ]!7 ῥιζώματα καὶ οἱονεὶ στοιχεῖα οἱ μέχρι τετράδος ὅροι,  εἴη ἂν ἐν τούτοις τὰ προλεχθέντα ἰδιώματα καὶ αἱ τῶν τεσσάρων  ἐπιστημῶν ἐμφάσεις, ἀριθμητικῆς μὲν ἐν μονάδι, μουσικῆς δὲ ἐν  δυάδι, γεωμετρίας δὲ ἐν τριάδι, σφαιρικῆς δὲ ἐν τετράδι, καθὼς ἐν  τῷ δηλουμένῳ Περὶ θεῶν συγγράμματι ὁ Πυθαγόρας οὕτω διορίζε-  ται’ «τέτταρες μὲν καὶ ταὶ σοφίας ἐπιβάθραι, ἀριθμητικὰ μωσικὰ  γεωμετρία [10] σφαιρικά, α΄ β΄ γ΄ δ΄ τεταγμέναι.» καὶ Κλεινίας δὲ ὁ  Ταραντῖνος: «ταῦτα γὰρ ἄρα μένοντα μέν», φησίν, «ἀριθμητικὰν  καὶ γεωμετρίαν ἐγέννασεν, ἐκκινηθέντα δὲ ἁρμονίαν καὶ ἀστρονο-  μίαν.» κατὰ μὲν οὖν τὴν μονάδα ἡ ἀριθμητικὴ εἰκότως θεωρεῖται  πρῶτον’ συναναιρεῖ γὰρ τὰς ἄλλας ἑαυτῇ καὶ συνεπιφέρεται δὲ ἐκείναις, οὐκ ἔμπαλιν δέ, ὥστε ἀρχεγονωτέρα καὶ μήτηρ αὐτῶν, καθὰ καὶ ἡ μονὰς πρὸς τοὺς μετ᾽ αὐτὴν ἀριθμοὺς ἔχουσα φαίνεται. 16 eliminò De Falco in appar. ad loc. (cf. anche ed. Klein Add. p. XXVII). 17 eliminò in un secondo momento De Falco secondo il cod. Par. gr. 2533 (cf. ed. Klein Add. p. XXVII).  LA TEOLOGIA DELL'ARITMETICA 865  qualsiasi natura, sembra che trovino il loro compimento nell’accresci-  mento naturale che giunge fino al 4; e ciò che è peculiare e che con-  tribuisce massimamente all’insieme armonico del risultato, è il fatto  che il numero 10, che è gnomone!?? e connessione,!33 risulta dalla  somma del 4 con i numeri che lo precedono, ma anche il fatto che il  4 costituisce il limite della corporeità e della tridimensionalità: infatti  nel 4, sia come angoli!» che come facce, si può osservare il solido più  piccolo e che appare per primo, cioè la piramide, cosi come il più pic-  colo corpo percepibile, che è costituito di materia e forma ed è risul-  tato tridimensionale, consiste di quattro termini. Inoltre è meglio e  più esente da errore acquisire conoscenza sicura e scientifica della  verità degli enti attraverso le quattro scienze matematiche: poiché  infatti tutte quante le cose sono senz'altro soggette al “quanto” per  giustapposizione o accumulazione, al “quanto grande” per unione o  coesione, e sono concepite rispetto al quanto o in se stesse o in rap-  porto a qualcosa, e rispetto al quanto grande o in quiete o in movi-  mento, allora per analogia saranno quattro i metodi e le scienze mate-  matiche che produrranno la conoscenza specifica in rapporto a cia-  scuna di queste <quattro> proprietà:135 l’aritmetica fornirà la cono-  scenza del quanto in generale, ma più specificamente del quanto in sé,  la musica quella del quanto già in rapporto ad altro, mentre la geome-  tria fornirà la conoscenza del quanto grande in generale, ma specifi-  camente [21] del quanto grande in quiete, la sferica quella del quan-  to grande già in movimento e in traslazione regolare. Ma se il nume-  ro è forma degli enti, e radici ed elementi, per cosi dire, del numero  sono i termini da 1 a 4136 allora in questi quattro termini si troveran-  no le suddette proprietà!57 e si manifesteranno le quattro scienze  <matematiche>, e precisamente nell’ 1 l’aritmetica, nel 2 la musica,  nel 3 la geometria, nel 4 la sferica, cosî come stabilisce Pitagora nel  trattato intitolato Sugli dèi quando dice: «Quattro sono gli accessi alla  sapienza, aritmetica, musica, geometria, sferica, nell'ordine 1, 2,3, 4».  Anche Clinia di Taranto dice: «Tali cose, dunque, quando sono in  quiete fanno nascere la matematica e la geometria, quando sono in  movimento l’armonica e l'astronomia». Nell’ 1, quindi, è giusto vede-  re anzitutto l’aritmetica: infatti, tolta l’aritmetica sono tolte le altre scienze matematiche e date le altre scienze è data insieme anche l’arit- metica, ma non viceversa, sicché l’aritmetica è più primigenia di quel- le a na èà madra ρα ansha Τ᾿ 1 cambkea sceccrla in anna hr i ironia 866 GIAMBLICO ἀλλὰ καὶ ἀριθμοῦ πᾶν εἶδος καὶ πᾶν ἰδίωμα καὶ παρακολούθημα ἐν  τῇ μονάδι πρώτιστα ὡς ἐν σπέρματι ὁρᾶται ἔστι γὰρ ποσόν τι ἡ [20]  μονὰς καὶ καθ᾽ ἑαυτό γε θεωρούμενον καὶ μονώτατον περαῖνον καὶ  ἀληθῶς ὁρίζον σὺν γὰρ ἑτέρῳ μόνον οὐκ ἄν ποτε εἴη τι. κατὰ δὲ τὴν  δυάδα ἑτερότητος γὰρ πρωτίστη ἔννοια ἐν δυάδι: [22] πρὸς ἕτερον  δέ πῶς ἡ μουσικὴ φαίνεται, σχέσις πως οὖσα καὶ ἁρμονία τῶν ἀνο-  μοίων πάντη καὶ ἐν ἑτερότητι᾽ κατὰ δὲ τὴν τριάδα γεωμετρική, οὐ  μόνον ὅτι περὶ τὸ τριχῆ διαστατὸν καὶ τὰ τούτου κατασχολεῖται  μέρη καὶ εἴδη, ἀλλ᾽ ὅτι καὶ ἴδιον τοῦ διδασκάλου τούτου, τὰς ἐπι-  φανείας, ἃς δὴ χροιὰς ἔφασκον, γεωμετρίαν περαινούσας ὀνομάζειν  ἀεί, ὡς δὴ τῆς γεωμετρίας περὶ τὸ ἐπίπεδον πρώτιστα διαγινομένης,  ἐπίπεδον δὲ τὸ στοιχειωδέστατον ἐν τριάδι ἤτοι γωνιῶν ἢ πλευρῶν,  ἀφ᾽ οὗ ὡς ἀπό τινος βάσεως ὡς ἐπὶ ἕν τι σημεῖον βάθους προσγενο-  μένου [10] πάλιν σωμάτων τὸ στοιχειωδέστατον πυραμὶς συνίσταται  ὑπὸ τεσσάρων τῶν ἐλαχίστων ἤτοι γωνιῶν ἢ ἐπιπέδων!8 καὶ αὐτὴ  περιεχομένη, τρισὶν ἴσοις διαστήμασι καθαρμοσθεῖσα, μεθ᾽ ἃ οὐ-  κέτι ἄλλο «τι» ἐν τῷ σώματι ὑπόκειται φύσει. καὶ ἡ σφαιρικὴ τῇ  τετράδι ἐφαρμόζεται: σωμάτων γὰρ πάντων τελειότατόν τε καὶ τῶν  ἄλλων μάλιστα περιεκτικώτατον φύσει καὶ μυρίοις ἑτέροις  ὑπερφέρον τί ἐστιν ἡ σφαῖρα, τεσσάρων περιοχή τις οὖσα, κέντρου  διαμέτρου περιφερείας ἐμβαδοῦ, ὅ ἐστιν ἀντιτυπίας. τοιαύτης δὲ  οὔσης ἐπώμνυον δι᾽ αὐτῆς τὸν Πυθαγόραν οἱ ἄνδρες, θαυμάζοντες  δηλονότι καὶ [20] ἀνευφημοῦντες ἐπὶ τῇ εὑρέσει, καθά που καὶ  Ἐμπεδοκλῆς «οὔ, μὰ τὸν ἁμετέρᾳ γενεᾷ παραδόντα τετρακτύν,  παγὰν ἀενάου φύσεως ῥιζώματ᾽ ἔχουσαν.» [23] ἀέναον γὰρ φύσιν  τὴν δεκάδα ἠνίττοντο τὴν οἱονεὶ ἀΐδιον καὶ αἰώνιον τῶν ὅλων φύσιν  καὶ εἰδῶν ὑπάρχουσαν, καθ᾽ ἣν συνεπληρώθη καὶ πέρας τὸ ἁρμόζον  καὶ περικαλλέστατον ἔσχε τὰ ἐν κόσμῳ. ῥιζώματα δ᾽ αὐτῆς τὰ μέχρι  τετράδος, α΄ β΄ γ΄ δ΄ πέρατα γὰρ ταῦτα καὶ οἱονεὶ ἀρχαί τινες τῶν  ἀριθμοῦ ἰδιωμάτων, μονὰς μὲν ταὐτοῦ καθ᾽ αὑτὸ νοουμένου, δυὰς δὲ θατέρου καὶ τοῦ ἤδη πρὸς ἄλλο, τριὰς δὲ ἑκάστου τε καὶ περισσοῦ τοῦ κατ᾽ ἐνέργειαν, τετρὰς δὲ τοῦ ἐνεργείᾳ ἀρτίου᾽ περισσοειδὴς 18 ἐπιπέδων MSS: γραμμῶν De Falco erroneamente secondo la correzio- ne di una seconda mano (cf. appar ad loc.). Legge ἐπιπέδων anche Waterfield: «it is encompassed by at leastfour angles or surfaces» (cf. Trad.  p. 57). LA TEOLOGIA DELL'ARITMETICA 867 ri che lo seguono. Ma nell’ 1 è possibile vedere anzitutto, come in germe, ogni specie di numero e ogni sua proprietà e tutto ciò che ne  consegue: l’ 1 è infatti un “quanto” che si può considerare in se stes-  so e nella sua capacità, che esso solo possiede, di fornire limite e reale  determinazione alle cose: insieme con un’altra, infatti, una cosa non  sarà mai una sola, ma due: nel 2 infatti sta l’idea assolutamente prima  della alterità; [22] in rapporto alla alterità!38 in qualche modo sembra  stare, invece, la musica, che è in qualche modo relazione e armonia tra  cose del tutto dissimili e diverse; nel 3 sta la geometria, non solo per-  ché si occupa della tridimensionalità e delle sue parti e specie, ma  anche perché è compito di chi insegna questa disciplina parlare sem-  pre di “superfici”, che costituiscono i confini della geometria,!39 e che  gli antichi chiamavano “pellicole”,14° in quanto appunto la geometria  si occupa in primo luogo della figura piana, e la figura piana più ele-  mentare risiede nel 3, o 3 angoli o 3 lati, e se, partendo da questa  come base si giunge in altezza a un unico punto, allora si costruisce a  sua volta il più elementare dei solidi cioè la piramide, che, pur essen-  do contenuta da almeno 4 angoli o facce,ì4! è composta di tre uguali  dimensioni, al disotto delle quali non è possibile che esista alcun  corpo naturale. E la sferica si accorda con il 4, perché di tutti i corpi  il più perfetto e soprattutto il più capace per natura di contenere gli  altri corpi, e che è loro superiore per un'infinità di altri aspetti, è la  sfera, che è una figura che comprende quattro elementi: centro, dia-  metro, circonferenza e area, cioè superficie. Poiché il 4 è di tale natu-  ra, gli uomini giuravano per Pitagora con questo numero, perché evi- dentemente lo ammiravano e lo acclamavano per averlo scoperto,!42 per cui anche Empedocle dice da qualche parte: «No, per colui che ha tramandato alla nostra generazione la  Tetratti, sorgente che contiene le radici dell’inesauribile natura».14  [23] Con l’espressione “inesauribile natura”, infatti, i Pitagorici allu-  devano alla “Decade” quale “natura eterna e perpetua” di tutte le  cose e di tutte le loro specie, in virtà della quale ciò che è nel mondo  si compie e ha il suo limite appropriato e più bello. Le “radici” della  Decade sono i numeri fino a 4, cioè 1, 2, 3, 4: questi infatti sono come  dei principi delle proprietà del numero: l’ 1 della sua identità pensa- ta per se stessa, il 2 della sua diversità e del suo essere già in rappor- to ad altro, il 3 della singolarità del numero e del dispari in atto, il 4 868 GIAMBLICO γὰρ πολλάκις ἡμῖν ὥφθη ἡ δυὰς διὰ τὸ [10] ἀρχοειδὲς οὔπω τῶν  ἀρτίου καθαρῶν ἰδιωμάτων ἐπιδεκτικὴ οὖσα οὐδὲ τῶν  ὑποδιαιρέσεων. ὅτι ἐν πρώτῃ τετράδι σωμάτωσις ἐλαχίστη καὶ  σπερματικωτάτη, εἴπερ καὶ στοιχειωδέστατον τῶν σωμάτων καὶ  μικρομερέστερόν ἐστι τὸ πῦρ, αὐτοῦ δὲ τούτου σχῆμα ὡς σώματος  πυραμὶς φερώνυμος διὰ τοῦτο ὑπὸ τεσσάρων τε βάσεων καὶ ὑπὸ τεσ-  σάρων γωνιῶν μόνη περικλειομένη goti: κἀκεῖθεν, rerodeinpev ἀν,  τέσσαρες ἀρχαὶ τοῦ κόσμου, εἴτε ὡς ἀϊδίου συνοχῆς εἴτε ὡς  γεννητῆς συστάσεως, «ὡς προελέχθη, ὑφ᾽ οὗ, ἐξ οὗ, δι᾽ ὅ, πρὸς è:  θεὸς ἄρα καὶ ὕλη καὶ εἶδος καὶ ἀποτέλεσμα. ὅτι γὰρ καὶ τὰ τέσσα-  pa [20] στοιχεῖα, πῦρ ἀὴρ ὕδωρ γῆ, καὶ αἱ τούτων δυνάμεις, θερμὸν  ψυχρὸν ὑγρὸν ξηρόν, κατὰ τὴν τετράδος φύσιν ἐν τοῖς οὖσι διατέ-  τακται, δῆλον. καὶ τὰ οὐράνια δὲ κατὰ ταύτην διακεκόσμηται᾽ τέ-  τρασι γὰρ κέντροις, τῷ ὑπὲρ κορυφήν, τῷ κατὰ [24] ἀνατολήν, τῷ  πρὸς ὀρθὰς ὑπὸ γῆν, τῷ πρὸς δύσιν" ἃ δὴ καὶ | ζωδιακὸς ἀπ᾽ ἀλ-  λήλων τέτταρα φαίνεται,.9 καὶ ἑτέρως τοῖς τέσσαρσι πέρασιν,  ἀρκτικῷ, ἀνταρκτικῷ, ἑῴῳ καὶ ἑσπερίῳ, εἴς τε τὸν τῆς σφαιρώσεως  αὐτῆς λόγον, κέντρῳ, ἄξονι, περιφερείᾳ, ἐμβαδῷ. ἀλλὰ καὶ τὰ λεγό-  μενα ἐννενηκονταμόρια τοῦ ζωδιακοῦ τμήματα, καθ᾽ ἃ διὰ τοῦ  ἐκλειπτικοῦ ψαύει τροπικῶν τεσσάρων, θερινοῦ, χειμερινοῦ,  ἰσημερινοῦ δὶς κεχιασμένως κατὰ διάμετρον, τοσαῦθ᾽ ὑπάρχει᾽ αἵ  τε ἐν ἀλλήλαις καὶ δι᾽ ἀλλήλων ἐξαιρέτως μόνῳ συμβεβηκυῖαι  οὐρανῷ κινήσεις [10] τέσσαρες αἱ γενικαί, πρόσω μὲν διὰ τοῦ καθ᾽  ἕκαστον κλίμα μεσουρανήματος, «ὀπίσω δὲ διὰ τοῦ μησουρανήμα-  τος ὑπὸ γῆν»,22 ἄνω δὲ διὰ τοῦ ἀναφερομένου ὑπὲρ τὸν ὁρίζοντα,  κάτω δὲ διὰ τοῦ δυομένου. τέσσαρες δὲ καὶ αἱ λεγόμεναι ὧραι τοῦ ἔτους, ἔαρ θέρος μετόπωρον χειμών. τέσσαρα δὲ καὶ τὰ τῆς καθο-λικῆς κινήσεως σχεδὸν μέτρα, ὧν τὸ μέγιστον καὶ διηνεκὲς αἰὼν 19 ἃ δὴ καὶ + ζωδιακὸς ἀπ᾽ ἀλλήλων τέτταρα φαίνεται: la crux indica che  questo passaggio è, secondo De Falco, corrotto e alquanto difficile, forse a  causa soprattutto dell’ ἀπ’ ἀλλήλων, tanto che Ast lo ha eliminato (cf. appar.  ad loc.). Ritengo comunque che sia assolutamente comprensibile. I quattro  centri dello Zodiaco (zenit [nord], levante, sud e ponente) appazono (è inte-  ressante questo φαίνεται) disposti in rapporto reciproco tra loro e sotto un altro aspetto corrispondono alle quattro zone della Terra, che sono appunto i suoi confini. 20 lacuna colmata parzialmente da Waterfield, Ezend., secondo una con- cettuira di De Falen LA TEOLOGIA DELL'ARITMETICA 869 del pari in atto — il 2 infatti noi lo abbiamo considerato spesso di natu- ra dispari, perché ha natura di principio in quanto non ammette anco- ra le pure proprietà del pari né ammette suddivisioni.!44 Il 4 è anche il primo numero in cui si trova la corporeità più pic- cola e più embrionale, se è vero che il corpo più elementare e compo-  sto delle particelle più piccole è il fuoco, e la figura solida di questo  stesso corpo è la piramide — che ripete appunto il suo nome da  “fuoco” —, che è l’unica ad essere chiusa da quattro basi e da quattro  angoli:!4 di qui, secondo la nostra persuasione, derivano i quattro  principi del cosmo, sia questo inteso come eterna connessione <di  elementi>!4 o come composizione generata, come si è detto prima,!47  e precisamente “ciò ad opera di cui”, “ciò da cui”, “ciò in virtù di  cui”, “ciò in vista di cui”, e dunque dio,!48 materia,!49 forma,!50 risul-  tato.151 Che, infatti, anche i quattro elementi, fuoco aria acqua terra,  e le quattro potenze!5? di questi elementi, caldo freddo umido secco,  siano stati ordinati negli enti in funzione della natura del 4, è cosa evi-  dente. Anche i corpi celesti sono stati ordinati in funzione del 4:  hanno infatti quattro centri, quello sopra lo zenit, [24] quello di  levante, quello a perpendicolo sotto la Terra, quello di ponente: in  realtà, questi appaiono anche come i quattro punti di reciproco rife-  rimento dello Zodiaco, e, sotto un altro aspetto, come i quattro suoi  confini: Nord Sud Est Ovest, e, nel caso che il 4 sia visto sotto il pro-  filo della sua sfericità, <come i quattro elementi di questa>: centro  asse circonferenza area. Ma sono altrettante, cioè quattro, anche le  cosiddette “sezioni di 90 gradi”153 dello Zodiaco, in cui i quattro tro-  pici toccano l’eclittica,94 e che formano una X incrociandosi due  volte diametralmente, cioè il solstizio d’estate, il solstizio d’inverno, e  i due equinozi; sono quattro anche le specie generali del movimento,  che nel loro reciproco rapporto sono proprietà speciali del cielo:  movimento in avanti attraverso il meridiano celeste in ciascuna latitu-  dine, indietro attraverso il meridiano celeste al di sotto della Terra  [Nadir], verso l’alto attraverso la parte che si leva al di sopra dell’oriz-  zonte, verso il basso attraverso la parte del tramonto. Quattro sono  anche le cosiddette stagioni dell’anno: primavera estate autunno inverno. Quattro anche, io credo, le misure del movimento in genera- le, di cui quella più grande e priva di scansione è chiamata “eternità”, 870 GIAMBLICO ἐκλήθη, τὸ δὲ καθ᾽ αὑτὸ καὶ κατ᾽ ἐπίνοιαν εὔληπτον χρόνος, τὸ δ᾽  ἔτι ὑποβεβηκὸς καὶ τρόπον τινὰ ἐν καταλήψει αἰσθητῇ ἡμῖν πεφυ-  κὸς καιρός, τὸ δὲ βραχυτάτης διαστάσεως καὶ παρεκτάσεως μετέ-  χον ὥρα: καὶ ἑτέρως ἔτος, μήν, νύξ, ἡμέρα. τούτοις δ΄ ἀνάλογα καὶ  κατὰ τὴν [20] κοσμικὴν συμπλήρωσιν, ἄγγελοι δαίμονες ζῶα φυτά, συμπληροῖ [25] τὸ πᾶν. τέσσαρσι δὲ τρόποις καὶ αὐτὰς τὰς κινήσεις διακρίνουσι, προποδισμῷ, ἀναποδισμῷ, στηριγμοῖς δυσί, προτέρῳ καὶ δευτέρῳ. καὶ ἐν τοῖς ζώοις δὲ αἰσθήσεις τέσσαρες ὡρισμέναι καταλαμβάνονται, τῆς ἁφῆς κοινῆς ὑποβεβλημένης ἁπασῶν καὶ διὰ  τοῦτο τόπον ἢ ὄργανον μόνης εὔτακτον οὐκ ἐχούσης. καὶ φυτῶν δὲ  τὰ μὲν δένδρα, τὰ δὲ θάμνοι, τὰ δὲ λάχανα, τὰ δὲ πόα. καὶ γένη δὲ  ἀρετῶν τέσσαρα, φρόνησις μὲν πρώτη τῆς ψυχῆς, κατ᾽ αὐτὴν δὲ  εὐαισθησία σώματος καὶ εὐτυχία ἐν τοῖς ἐκτός, δευτέρα σωφρο-  σύνη περὶ ψυχήν, [10] ὑγεία δὲ περὶ σῶμα, εὐδοξία δὲ ἐν τοῖς ἐκ-  τός, τρίτη δὲ κατὰ τὴν αὐτὴν τάξιν ἀνδρεία, ἰσχύς, δυναστεία, καὶ  τετάρτη δικαιοσύνη, κάλλος, φιλία. καὶ μὴν καὶ ὧραι, ὥσπερ ἔτους.  οὕτω δὴ καὶ ἀνθρώπου τέσσαρες, παῖς νεανίας ἀνὴρ γέρων. ἀλλὰ  καὶ τὰ ἐν ἀριθμῷ στοιχειωδέστατα ἰδιώματα τέσσαρα. ταὐτὸν ἐν  μονάδι, ἕτερον ἐν δυάδι, χροιὰ ἐν τριάδι, σῶμα ἐν τετράδι. ὅτι καὶ  ὁ ἄνθρωπος εἰς τέσσαρα διαιρεῖται. κεφαλὴν θώρακα πόδας καὶ  χεῖρας. καὶ τέσσαρες ἀρχαὶ τοῦ λογικοῦ ζώου, ὥσπερ καὶ Φιλόλαος  ἐν τῷ Περὶ φύσεως λέγει, ἐγκέφαλος καρδία ὀμφαλὸς αἰδοῖον" «ἐγ-  κέφαλος μὲν νόου, [20] καρδία δὲ ψυχᾶς καὶ αἰσθήσιος, ὀμφαλὸς δὲ  ῥιζώσιος καὶ ἀναφύσιος τοῦ πρώτου, αἰδοῖον δὲ σπέρματος [καὶ] καταβολᾶς τε καὶ γεννήσιος. ἐγκέφαλος δὲ «σαμαίνει» τὰν ἀνθρώπω ἀρχάν, καρδία δὲ τὰν [26] ζώου, ὀμφαλὸς δὲ τὰν φυτοῦ, αἰδοῖον δὲ τὰν ξυναπάντων' πάντα γὰρ ἀπὸ σπέρματος καὶ θάλλοντι καὶ βλα- LA TEOLOGIA DELL'ARITMETICA 871 quella che esiste in sé, e che è anche facilmente afferrabile con la  mente, “tempo”, quella poi che è per natura proprietà interna della  precedente,!55 e che possiamo in qualche modo afferrare con la per-  cezione sensibile, “tempo giusto”, quella infine che partecipa della  dimensione o espansione più breve “ora”; sotto un altro aspetto, il 4  appare sotto forma di “anno” “mese” “notte” “giorno”. Proporzio-  nalmente a questi aspetti del 4, e in funzione della sua piena attuazio-  ne, completano l’universo <quattro specie di enti>: “angeli” “demo-  ni” “animali” “piante”. [25] I Pitagorici distinguono anche quattro  specie di movimento <dei pianeti>: progressione, regressione e due  specie di stazione, primaria e secondaria.!5 Anche le facoltà sensitive  degli esseri viventi si possono ridurre a quattro,!57 perché il tatto è  fondamento comune di tutte e quattro quelle facoltà, ed è perciò  l’unica facoltà sensitiva a non avere né collocazione né organo che  propriamente le appartengano. Anche delle piante ci sono quattro  specie: alberi,!58 cespugli,!59 arbusti!60 ed erbe.!61 Ci sono anche quat-  tro generi di virtà: in primo luogo “prudenza” dell’anima, e, in corri-  spondenza ad essa, “sensibilità” del corpo e “buona fortuna” in rap-  porto al mondo esterno, in secondo luogo “temperanza” in rapporto  all'anima, “salute” in rapporto al corpo, e “reputazione” in rapporto  al mondo esterno, in terzo luogo, nello stesso ordine, “coraggio”,  “forza” e “potere”, in quarto luogo “giustizia”, “bellezza” e “amici-  zia”. In verità anche le stagioni dell’uomo, come quelle dell’anno,  sono quattro: fanciullezza giovinezza maturità vecchiaia. Ma anche nel numero le proprietà più elementari sono quattro: “identità” nell’ 1, “alterità” nel 2, “pellicola”162 nel 3, “corpo”!6 nel 4, Anche l’uomo si divide in quattro parti: testa, tronco, gambe, braccia. Sono quattro anche i principi del vivente razionale, come  dice anche Filolao nel libro Sulla natura: cervello, cuore, ombelico e  organo genitale: «Il cervello! è principio del pensiero, il cuore del-  l’anima e della sensibilità, l’ombelico dell'impianto e dello sviluppo  dell'embrione, l’organo genitale dell’inseminazione e della generazio-  ne. Il cervello, però, rappresenta il principio dell’uomo, il cuore [26]  dell'animale, l'ombelico della pianta, l'organo genitale di tutti e tre insieme: tutti i viventi, infatti, fioriscono e germogliano da un seme».165 872 GIAMBLICO στάνοντι.» ὅτι εἰ καὶ πλῆθος ἐν τριάδι πρῶτον ὥφθη, ἀλλ᾽ οὖν οὔτε σωρεία ἐπινοηθῆναι ἄνευ τετράδος δύναται, καθ᾽ ἣν καὶ ἡ πυραμὶς  φύσει ἐν ἀλληλουχουμένοις λαμβάνει τὸ δυσδιάλυτον σχῆμα  δυσδιαλύτον σώματος, πλήθους δὲ ἐπίτασις ὁ σωρός πως καὶ βιαιό-  τερος ἢ κατὰ τὴν τριάδα. ἀμέλει κατὰ τὸ Σόλωνος ἀπόφθεγμα τὸ  «τέλος ὁρᾶν μακροῦ βίου» δυνατὸν ἐκδέξασθαι παρὰ τῷ ποιητῇ  τοὺς μὲν ἔτι ζῶντας [10] τρὶς μόνον ἐπ᾽ εὐδαιμονίᾳ μακαριζομέ-  νους, ἀδήλου τοῦ τῆς μεταπτώσεως καὶ μεταβολῆς ἔτι ὑπάρχοντος,  τοὺς δὲ τεθνεῶτας βεβαίως ἔχοντας τὸ εὔδαιμον καὶ μεταβολῆς  ἐκτὸς τελειότερον τετράκις" λέγει γὰρ ἐπὶ μὲν τοῦ ζῶντος" «τρι-  σμάκαρ ᾿Ατρείδη» μόνον, ἐπὶ δὲ τῶν ἄριστα μετηλλαχότων «τρισμά-  καρες Δαναοὶ καὶ τετράκις, οἱ τότ᾽ ὄλοντο». τὸ γὰρ κατὰ φύσιν  πλῆθος καὶ σωρείαν παρασχεῖν δυνάμενον τοῦθ᾽ ὑπάρχει, εἴπερ  καὶ τελειότητος εἴδη τέσσαρα ἀνάλογα καὶ ὁμοταγῆ τοῖς τέτρασι  τελείοις ἀριθμοῖς, οἱ συνίστανται ἐντὸς δεκάδος ἴσοι κατὰ πρόβα-  σιν τοῖς ἀπὸ μονάδος συνεχέσι, μέχρις [20] ἂν εἰς τετράδα ἡ προ-  κοπὴ ἔλθῃ. πρῶτον μὲν γὰρ ἀσύνθετον «ὄν τι» 21 αὐτὴ ἡ μονὰς τελε-  τιότητος τρόπον τινὰ ἔχουσα ἐν τῷ πάντ᾽ [27] ἔχειν δυνάμει ἐν ἑαυτῇ  καὶ μηδενὸς προσδεῖσθαι, παρεκτικὴ δὲ ἄλλως καὶ εἰδοποιὸς  ὑπάρχει τοῖς ἄλλοις ἅπασι κατὰ πάσας διαφορῶν παραλλαγάς᾽ εἰ  γὰρ καὶ ἔστι τι τέλειον εἶδος τὸ τοῖς ἑαυτοῦ μέρεσιν ἴσον, μέρος δὲ  ἡ μονὰς οὐκ ἔχει, ὅλη δέ ἐστιν ἑαυτῇ ἴση, τελεία ἂν καὶ αὐτὴ εἴη.  δεύτερον δὲ μονάδι καὶ δυάδι ἴση καὶ συνεχής γε ἐξαιρέτως ἡ  τριάς, ἄλλως οὖσα καὶ αὐτὴ τελεία, ὅτι ἀρχὴν καὶ μέσον καὶ τέλος  μονωτάτη ἔχει. τρίτον δὲ τὸ ἕν καὶ δύο καὶ τρία οὐκέτι συνεχὴς ἡ ἑξὰς ἴση ὑπάρχει τρόπῳ τινὶ τελεία, τοῖς γὰρ ἑαυτῆς μέρεσιν ἴση πρώτη [10] ὑπάρχει, ἡμίσει τρίτῳ ἕκτῳ. τέταρτον δὲ τὸ α΄ β΄ γ΄ δ΄ ἡ 21 aggiunse Waterfield, Emzend. LA TEOLOGIA DELL'ARITMETICA 873 Anche se la quantità numerica ha la sua prima manifestazione nel  3,166 nondimeno l’accumulazione numerica! non può essere conce-  pita senza il 4, in virtà del quale anche la piramide, tra le cose natu-  rali che nascono per coesione, assume la figura di ciò che è difficile a  dissolversi propria di un corpo che è difficile a dissolversi,168 e l’accu-  mulazione numerica!%9 è in un certo senso un distendersi della quan-  tità numerica!?0 ed è più forte di ciò che nasce in virtà del 3.171  Ebbene, secondo la sentenza di Solone: «Una lunga vita bisogna  vederla quando finisce», è possibile apprendere dal Poeta!72 che colo-  ro che ancora sono in vita vengono stimati beati per la loro felicità!7  solo tre volte, non essendo ancora chiaro se la loro condizione subirà  cadute e mutamenti, mentre coloro che sono già morti hanno una feli-  cità sicura e più compiuta perché priva di mutamento, e quindi sono  felici “quattro volte”: il Poeta infatti dice di un vivente soltanto «o tre  volte beato Atride»,174 mentre di quelli che avevano avuto un’ottima  morte dice «o tre volte e quattro volte beati quei Danai che allora  perirono».!75 Tutto ciò è in grado di fornire la quantità numerica e  l’accumulazione naturali, se è vero che sono quattro anche le specie  di perfezione che corrispondono e si collocano nello stesso ordine dei  quattro numeri perfetti, la cui somma, procedendo senza interruzio-  ne da 1 a 4,176 è uguale a 10.177 In primo luogo, infatti, si ha 1᾿ 1 come  tale,178 che sebbene numero non composto, ha una qualche perfezio-  ne nel fatto che possiede [27] in sé potenzialmente ogni cosa e non  manca di nulla, ed è inoltre il numero che dà forma a tutti gli altri  numeri secondo tutte le loro differenti proprietà: infatti, anche se un  numero si dice di specie perfetta quando è uguale alla somma delle  sue parti,179 e 1 1 non partecipa certo di tale proprietà, anche l’ 1, tut-  tavia, sarà perfetto, poiché è come intero uguale a se stesso.180 In  secondo luogo, si ha il 3181 che ha la prerogativa di essere uguale alla  somma dei numeri immediatamente precedenti, cioè 1 e 2, ed è in un  senso diverso dall’ 1 anch'esso perfetto, perché è assolutamente l’uni-  co numero che abbia inizio, mezzo e fine.!82 In terzo luogo, si ha il  6,18 che essendo uguale alla somma di 1+2+3, anche se non è imme-  diatamente successivo a questi, è in un certo modo perfetto, perché è il primo numero che è uguale alla somma delle sue parti, che sono 1/2, 1/3 e 1/6 di esso. In quarto luogo, si ha il 10 che è la somma di 874 GIAMBLICO δεκάς, πολὺ μᾶλλον οὐ συνεχής, τὴν τελειότητα ἑτέρῳ τινὶ παρὰ τούτους τοὺς τρόπους κεκτημένη μέτρον γὰρ καὶ τέλειος ὅρος παντὸς αὕτη ἀριθμοῦ, καὶ οὐκέτι μετ᾽ αὐτὴν οὐδὲ εἷς φυσικός, ἀλλὰ  πάντες δευτερωδούμενοι καὶ ἐπ᾽ ἄπειρον παλινωδούμενοι κατὰ  μετοχὴν αὐτῆς. τετρακτὺς ἄρα τις καὶ ἡ τῶν ἐντὸς δεκάδος τελείων  αὕτη διαφορά. μή τι καὶ τούτου χάριν μέγισται μὲν καὶ ὡσανεὶ  τελειότεραι περίοδοι τριταῖϊαί τε καὶ τεταρταῖαι καὶ εὐσημόταται  τυγχάνουσι, μείζων δὲ καὶ βεβαιοτέρα καὶ διὰ τοῦτο καὶ δυσαπο-  νιπτοτέρα ἡ τεταρταία διὰ τὴν [20] τοῦ τέσσαρα ἀριθμοῦ  ἑδραιότητα πάντα πυραμι-δι»κῶς [28] καταλαμβανομένην εἰς eù-  σταθεῖς βάσεις. διὸ καὶ τὸν Ἡρακλέα τοιοῦτον ἀκλινῆ γεγονότα  τετράδι γεγεννῆσθαί φασι. τετράγωνοι δὲ καὶ οἷον οὐκ εὔσειστοι  ἐν τῷ καταφρονεῖν κατὰ τὰ αὐτὰ τῷ τοιούτῳ ἀναπλασσομένῳ Ἑρμῇ.  ἐπεὶ δὲ μονάδος ἀνὰ μέσον καὶ ἑβδομάδος κυβικῶν χωρίων κυβικὸς  ὁ δ΄, εἰκότως, κρισίμου μάλιστα τῆς ἑβδομάδος ἐν τοῖς ἀρρωστήμα-  σιν οὔσης, ἐπιδηλότερον οἱ ἰατροί, καθάπερ Ἱπποκράτης, τὴν  τετράδα λέγουσι κοινωνοῦσαν ὁλοσχερέστερόν πως τῇ ἑβδομάδι ἐν  τῇ διὰ πάντων ἐνεργείᾳ, εἴτε καὶ ἄλλως συναπτομένη τῇ ἑβδομάδι  [10] δεκάδα ἀποτελεῖ [τετάρτην]22 κυβικῆς τετάρτης χώρας παρεκ-  τικήν. ὅτι Αἰόλου φύσιν ἐπωνόμαζον τὴν τετράδα τὸ ποικίλον ἐμ-  φαίνοντες τῆς οἰκειότητος. καὶ ὅτι οὐκ ἄνευ ταύτης ἡ καθολικὴ δια-  κόσμησις, διὸ καὶ κλειδοῦχόν τινα τῆς φύσεως αὐτὴν πανταχοῦ  ἐπωνόμαζον. τὸν Αἴολον δέ φησιν ἡ ποίησις φορικοὺς ἐκπορίζειν  ἀνέμους, ὃς καὶ Ἱπποτάδης προσηγορεύθη ἀπὸ τῆς ταχυτῆτος τῶν  ἐπιτελούντων αὐτὸν ἄστρων καὶ διὰ τοῦ ἀδιαλείπτου δρόμον᾽ ἔστι  γὰρ Αἴολος ὁ ἐνιαυτὸς διὰ τὴν τῶν κατ᾽ αὐτὸν φυομένων ποικιλίαν.  πάλιν δὲ Ἡρακλέα παρὰ τὴν αὐτὴν τοῦ ἔτους ἔννοιαν τὴν τετράδα [20] καλοῦσι, χρονιότητος οὖσαν παρεκτικήν, εἴπερ «δ΄» αἰὼν χρό- νος καιρὸς ὥρα, ἔτι «ἔτος» μὴν [ὥρα] νὺξ «ἡμέρα, καὶ» [29] ὄρθρος 22 eliminò Waterfield, Erzend. LA TEOLOGIA DELL'ARITMETICA 875 1+2+3+4, ed è molto più del 6 non immediatamente successivo ai  suoi fattori, ma acquista perfezione in un modo diverso, per le  seguenti ragioni: è infatti misura e confine perfetto di ogni numero, e  nessun altro numero naturale esiste dopo di esso, ma tutti sono, per  partecipazione di esso, numeri di secondo livello!85 e di livello ulterio-  re all’infinito.!86 C'è dunque una Tetratti che è questa differenza tra i  numeri perfetti interni alla decade.!8” Per non dire anche che c’è  un’altra ragione, e cioè che, mentre i cicli febbrili!88 più importanti e,  per cosi dire, più perfetti e più riconoscibili sono quelli di 3 e 4 gior-  ni, quello di 4 è il maggiore e più stabile del due, e perciò il meno  superabile, in virtà del fatto che il numero 4 con la sua stabilità affer-  ra ogni cosa [28] come in una piramide dalle basi ben salde.!89 Εὶ per  questo che anche Eracle, dicono i Pitagorici, è diventato cosi fisica-  mente solido perché generato in funzione del 4.19 1 quadrati sono,  per cosi dire, non facilmente soggetti a scossoni, come se fossero in  atteggiamento di disprezzo,!9 alla stessa maniera di Ermes che è raf-  figurato appunto in forma quadrata.!92 E poiché il 4 come numero  cubico! occupa il posto centrale tra i sette posti cubici da 1 a 7,194 a  ragione i medici, come ad esempio Ippocrate, essendo 7 numero mas-  simamente “critico”19 nelle malattie, dicono in modo piuttosto chia-  ro che il 4, in qualunque tipo di realtà, gode in qualche modo pit che gli altri numeri di una completa comunanza col 7, e d’altra parte il 4 moltiplicato il 7 produce il 10,196 che fornisce il quarto numero cubi- co della serie.197 I Pitagorici chiamavano il 4 anche “natura di Eolo”, ad indicare la varietà del suo carattere [Αἴολος - αἰόλος = cangiante]. E poiché  senza il numero 4 non ci sarebbe l'ordinamento dell’universo, allora  lo chiamavano in ogni occasione anche “custode della natura”.  Omero!® dice che i venti “trasportatori” sono forniti da Eolo, che è  chiamato da lui anche Ippotade!9? per la celerità degli astri che lo pro-  ducono e per la sua incessante corsa: Eolo infatti rappresenta l’anno,  a causa della varietà delle cose che in esso crescono. E ancora chiama-  no il numero 4 Eracle, in relazione alla stessa idea di anno, giacché  esso fa vedere la durata del tempo, se è vero che sono 4 appunto gli  aspetti di tale durata: “eternità” “tempo” “tempo giusto” “ora”, e ancora: “anno” “mese” “notte” “giorno”, e ancora: [29] “mattino” “mezzasiarno” “sera” “notte” 876 GIAMBLICO μεσημβρία ἑσπέρα νύξ. ὅτι τετράδα κατ᾽ ἐναλλαγὴν τοῦ <A» πρὸς τὸ «<p> τετλάδα νομίζουσιν εἰρῆσθαι τὴν ὑπομείνασαν, καθάπερ ἡ  αὐτῆς πλευρὰ τὴν πρώτην ἀπὸ μονάδος ἀπόστασιν᾽ τὰς γὰρ πάσας  ἀποστάσεις ἤτοι τὰς τρεῖς ὑπέστη, ὧν περαιτέρω οὐκέτι εἰσίν.  ἐτίμων δὲ αὐτὴν οἱ Πυθαγόρειοι ὡς δεκάδος γεννητικήν. καλεῖται  δὲ αὐτή, ὥς φησιν ὁ ᾿Ανατόλιος, δικαιοσύνη, ἐπεὶ τὸ τετράγωνον τὸ  ἀπ᾽ αὐτῆς, τουτέστι τὸ ἐμβαδόν, τῇ περιμέτρῳ ἴσον τῶν μὲν γὰρ πρὸ  αὐτῆς ἡ περίμετρος τοῦ ἐμβαδοῦ τοῦ τετραγώνου μείζων, τῶν δὲ μετ᾽  αὐτὴν [10] ἡ περίμετρος τοῦ ἐμβαδοῦ ἐλάττων, ἐπ᾽ αὐτῆς δὲ ἴση.  πρώτη ἡ τετρὰς ἔδειξε τὴν τοῦ στερεοῦ φύσιν' σημεῖον γάρ. εἶτα γραμμή, εἶτα ἐπιφάνεια, εἶτα στερεόν, ὅ τι σῶμα. πρῶτος ἀρτιάκις ἄρτιος, πρῶτος ἐπίτριτος τῆς πρώτης ἁρμονίας τῆς διὰ τεσσάρων, ἴσα πάντα ἐπ᾽ αὐτοῦ, ἐμβαδὸν γωνίαι πλευραί. κλίματα τέσσαρα, σημεῖα τέσσαρα, ἀνατολικὸν δυτικὸν μεσουράνημα ὑπὸ γῆν καὶ  ὑπὲρ γῆν᾽ ἄνεμοι οἱ πρῶτοι δ΄. [30] ἄλλοι τὰ ὅλα διακοσμηθῆναί  φασιν ἐκ τεσσάρων, οὐσίας σχήματος εἴδους λόγου. οὐ μόνον δὲ τὸν  τοῦ σώματος ἐπέχει λόγον τετράς, ἀλλὰ καὶ τὸν τῆς ψυχῆς" ὡς γὰρ  τὸν ὅλον κόσμον φασὶ κατὰ ἁρμονίαν διοικεῖσθαι, οὕτω καὶ τὸ ζῶον  ψυχοῦσθαι. δοκεῖ δὲ καὶ τελεία ἁρμονία ἐν τρισὶ συμφωνίαις  ὑφεστάναι, τῇ διὰ τεσσάρων, ἥτις ἐν ἐπιτρίτῳ κεῖται λόγῳ, τῇ διὰ  πέντε ἐν ἡμιολίῳ, τῇ διὰ πασῶν ἐν διπλασίῳ. ὄντων δὲ ἀριθμῶν τεσ-  σάρων τῶν πρώτων α΄ β΄ γ΄ δ΄, ἐν τούτοις καὶ ἡ τῆς ψυχῆς ἰδέα περιέ-  χεται κατὰ τὸν ἐναρμόνιον λόγον: [10] ὁ μὲν γὰρ [τοῦ] δ΄ τοῦ β΄ καὶ  ὁ β΄ τοῦ α΄ διπλάσιος, ἐν È κεῖται ἡ διὰ πασῶν συμφωνία, ὁ δὲ Y τοῦ  β΄ ἡμιόλιος περιέχων αὐτὸν καὶ τὸ ἥμισυ, ἐν ᾧ ἡ διὰ πέντε συμφωνί-  a, ὁ δὲ δ΄ τοῦ γ΄ ἐπίτριτος, ἐν ᾧ ἡ διὰ τεσσάρων συμφωνία. εἰ δὲ ἐν  τῷ δ΄ ἀριθμῷ τὸ πᾶν κεῖται ἐκ ψυχῆς καὶ σώματος, ἀληθὲς ἄρα καί,  ὅτι αἱ συμφωνίαι πᾶσαι κατ᾽ αὐτὸν τελοῦνται.  LA TEOLOGIA DELL'ARITMETICA 877  I Pitagorici pensavano che “tetrade”, per il mutamento di λ in p,  viene chiamata “tetlade”, cioè “che resiste”,200 a indicare che il suo  lato20! resiste al primo distacco dall’ 1: il 4 infatti fa sussistere tutte le  dimensioni, che sono tre e non più di tre. Ma i Pitagorici onoravano  il 4 perché genera il 10. Il 4 è chiamato anche “giustizia”, perché,  come dice Anatolio, il suo quadrato, cioè l’area, è uguale al suo peri-  metro:202 i numeri prima del 4, infatti, hanno il perimetro maggiore  dell’area, cioè del quadrato,20 mentre quelli dopo il 4 hanno il peri-  metro minore dell’area, quelli del 4, invece, sono uguali. Il 4 è il  primo numero che fa vedere la natura del solido: infatti dopo il punto,  la linea e la superficie, viene il solido, cioè un corpo. 4 è anche il  primo numero parimente-pari,2% ed è il primo numero che contiene  un rapporto epitrite,206 che è proprio del primo accordo armonico,  cioè dell’accordo di quarta, e tutto in esso è uguale: area, angoli e lati.  Quattro sono le zone climatiche,207 quattro i punti cardinali: est ovest nadir zenith. Quattro anche i venti principali. [30] Alcuni Pitagorici = che l'universo è ordinato secondo 4 aspetti: “essenza” “figu- a” “specie” “principio razionale” .208 Il 4, poi, spiega non soltanto il o, ma anche l’anima: essi infatti dicono che l’essere vivente è ani-  mato cosî come è regolato l'universo mondo, cioè con armonia. Ma è  evidente che l’armonia perfetta consiste di tre accordi armonici: del-  l’accordo di quarta, che è di rapporto epitrite, dell'accordo di quinta,  che è di rapporto emiolio, e dell’accordo di ottava, che è di rapporto  doppio. Dati allora i primi quattro numeri 1, 2, 3, 4, in essi è già con-  tenuta la forma dell’anima secondo il rapporto armonico: 4 infatti è  doppio di 2 e 2 è doppio di 1, e nel rapporto doppio risiede l’accor-  do di ottava, mentre 3 è emiolio di 2 in quanto contiene 2+1/2(2), e  nel rapporto emiolio risiede l'accordo di quinta, 4 infine è epitrite di  3, e nel rapporto epitrite risiede l'accordo di quarta. E se è vero che  nel numero 4 risiede il tutto in quanto composto di anima e di corpo,  allora sarà vero anche che nel 4 si realizzano tutti gli accordi armoni-  ci.  878 GIAMBLICO  περὶ πεντάδος. ᾿Ανατολίου.  Ὅτι ἡ πεντὰς πρώτη περιέλαβε τὸ τοῦ παντὸς ἀριθμοῦ εἶδος,  ἤτοι τὸν β΄ τὸν πρῶτον ἄρτιον καὶ τὸν γ΄ τὸν πρῶτον περιττόν" διὸ  καὶ γάμος καλεῖται ὡς ἐξ ἄρρενος καὶ θήλεος. [31] κέντρον ἐστὶ τῆς  δεκάδος. τετραγωνιζομένη ἀεὶ περιέχει ἑαυτήν, πεντάκις γὰρ πέ-  ντε κε΄ μηκυνομένη δὲ αὕτη καὶ τὸν τετράγωνον ὅλον περιέχει καὶ  λήγει εἰς ἑαυτήν, πεντάκις γὰρ κε΄ ρκε΄. σχήματα στερεὰ ἰσόπλευ-  ρα καὶ ἰσογώνια πέντε, τετράεδρον, ὅ ἐστι πυραμίς, ὀκτάεδρον. εἰ-  κοσάεξδρον, κύβος, δωδεκάεδρον. τὸ μὲν πυρὸς σχῆμά φησιν ὁ  Πλάτων, τὸ δὲ ἀέρος, τὸ δὲ ὕδατος, τὸ δὲ γῆς, τὸ δὲ παντός. ἔτι23 οἱ  πλανώμενοι πέντε ἐκτὸς ἡλίου καὶ σελήνης. τὸ ἀπὸ τοῦ ε΄ πρῶτον  τετράγωνον ἴσον δυσὶ τετραγώνοις τῷ τε ἀπὸ τῶν τριῶν καὶ [10] τῷ  ἀπὸ τῶν δ΄. λέγεται τετράχορδος ἐκ πρώτου ἀρτίου εἶναι καὶ  πρώτου περισσοῦ, κατὰ τὸν ε΄ νοεῖται συμφωνία γεωμετρικύή. ἔτι, ἂν  καθ᾽ ὁποιανοῦν σύνθεσιν τὸν δέκα συνθῇς, μέσος εὑρεθήσεται ὁ ε΄  κατὰ τὴν ἀριθμητικὴν ἀναλογίαν, οἷον θ΄ καὶ α΄, η΄ καὶ β΄, ζ΄ καὶ γ΄,  ς΄ καὶ δ΄ ἐξ ἑκάστης γὰρ συνθέσεως ὁ ι΄ ἀποτελεῖται καὶ μέσος  εὑρίσκεται ὁ ε΄ κατὰ τὴν ἀριθμητικὴν ἀναλογίαν, ὡς δηλοῖ τὸ διά-  γραμμα. ὅτι ἡ πεντὰς πρώτη μεσότητος τῆς ἀρίστης καὶ φυσικωτάτης  ἐμφαντικὴ κατὰ διάζευξιν ἀμφοτέροις πέρασι τοῦ φυσικοῦ ἀριθ-  μοῦ, μονάδι μὲν ὡς ἀρχῇ, δεκάδι δὲ ὡς τέλει, συνεζευγμένη τῇ δυά-  δι, [32] ὕσπερ γὰρ ἕν πρὸς β΄, οὕτω ε΄ πρὸς 1, καὶ ἀνάπαλιν ὡς ι΄  πρὸς ε΄, οὕτω β΄ πρὸς α΄, παραλλάξ τε, ὡς ι΄ πρὸς β΄, ε΄ πρὸς α΄ καὶ ὡς  β΄ πρὸς ι΄, α΄ πρὸς e τό τε ὑπὸ τῶν ἄκρων ἴσον τῷ ὑπὸ τῶν μέσων  ἀκολούθως τῇ γεωμετρικῇ ἀναλογίᾳ" τὸ γὰρ δὶς ε΄ ἴσον τῷ ἅπαξ κι΄.  23 ἔτι sospettò De Falco in appar. ad loc. (cf. anche ed. Klein Add. p.  XXVII): ὅτι.  LA TEOLOGIA DELL'ARITMETICA 879  Il numero 5, secondo Anatolio.  Il 5 è il primo numero che comprende la specie209 di ogni nume-  ro, precisamente il 2 che è il primo numero pazri e il 3 che è il primo  numero dispari; ed è per questo che è chiamato “matrimonio”, per-  ché costituito di maschio e femmina. [31] Il 5 è il centro della deca-  de. Tutte le volte che viene elevato al quadrato, contiene sempre se  stesso: infatti 5x5 fa 25, e moltiplicato ancora per se stesso, contiene  l’intero suo quadrato e termina per se stesso: 25x5 infatti fa 125.210  Cinque sono le figure solide che hanno lati e angoli uguali <per cia-  scuna faccia>: “tetraedro”, cioè piramide, “ottaedro” “icosaedro”  “cubo” [o esaedro] “dodecaedro”: Platone2!! dice che sono queste  rispettivamente le figure del fuoco, dell’aria, dell’acqua, della terra e  dell’universo. Inoltre sono cinque anche i pianeti, se non contiamo il  Sole e la Luna. Il quadrato di 5 è il primo quadrato che è uguale a due  quadrati, rispettivamente di 3 e di 4.212 Si dice che un “tetracordo” è  formato dal primo pari e dal primo dispari,213 e in funzione del 5 è  concepibile un accordo [proporzione] geometrico.214 Inoltre, se arri-  vi fino a 10 con qualsiasi somma, si troverà che 5 è medio in propor-  zione aritmetica, ad esempio, 9+1, 8+2, 7+3, 6+4: da ciascuna di que-  ste somme, infatti, si ottiene 10, e si trova 5 come medio in propor-  zione aritmetica, come mostra il diagramma.  1 4 7  2 2 8  3 6 9  Il 5 è il primo numero che esprime la medietà migliore e più natu-  rale se è preso insieme col 2 in una proporzione disgiunta?!5 fatta con  i confini216 del numero naturale, cioè con l’ 1 quale inizio e col 10  quale fine: [32] infatti come 1 sta a 2, cosî 5 sta a 10, e inversamente,  come 10 sta a 5, cosî 2 sta a 1, e in alternanza, come 10 sta a 2, cosî 5  sta a 1, e come2 sta a 10, cosî 1 sta a 5; e il prodotto degli estremi sarà  uguale al prodotto dei medi secondo la proporzione geometrica:  infatti 5x2=10x1.2!7 Possiamo subito osservare anzitutto nel 5, con-  880 GIAMBLICO  [ὅτι δὲ ἄρχεται μὲν ἀπὸ μονάδος, τελειοῦται δὲ ὁ ἀριθμὸς εἰς δέκα,  λεχθήσεται προιοῦσιν.] ἀντιπεπονθότως ἄρα τὸν τοῦ ἡμίσους λόγον  ἐν πρωτίστῃ τῇ πεντάδι πρὸς τὸ μεῖζον ἄκρον ἔχομεν ἰδεῖν, καθά-  περ ἐν τῇ δυάδι πρὸς τὸ ἔλαττον᾽ διπλάσια μὲν γὰρ τοῦ α΄ τὰ β΄,  ἡμίσεα [10] δὲ τοῦ ι΄ τὰ ε΄. διόπερ μάλιστα συλληπτικὴ τῶν ἐν  κοσμικῇ φύσει φαινομένων. ὅτι ἄρα κατὰ μὲν τὴν δεκάδα ὁ πᾶς κό-  σμος ἠνύσθαι καὶ κατακεκλεῖσθαι ἐφάνη, πολλάκις ἡμῖν λόγος.  κατὰ δὲ τὴν μονάδα ἐρριζῶσθαι, καὶ κίνησιν μὲν κατὰ δυάδα  ἐσχηκέναι, φύσιν δὲ ζωότητος κατὰ πεντάδα, οὖσαν ἄλλως καὶ προ-  σεχεστάτως καὶ μόνον μέρος τῆς δεκάδος, εἴπερ αὐτῇ μὲν τὸ ἀντί-  ζυγον ἀναγκαίως ἀκολουθεῖ, τὸ δὲ ὁμώνυμον τῇ δυάδι. πέντε οὖν  καὶ τὰ καθόλου στοιχεῖα τοῦ παντός, γῆ ὕδωρ ἀὴρ πῦρ αἰθήρ. πέντε  δὲ καὶ τὰ τούτων σχήματα, τετράεδρον ἑξάεδρον ὀκτάεδρον δωδε-  κάεδρον εἰκοσάεδρον, ὧν ἡ συγκορύφωσις [20] πάλιν τῶν βάσεων  εἰς τὸν πεντάδος δεκαπλασιάζεται2 λόγον. πέντε δὲ καὶ οἱ παρά-  λληλοι κατὰ τὸν οὐρανὸν κύκλοι, ἰσημερινὸς καὶ οἱ παρ᾽ ἑκάτερα  τούτου τροπικοί, θερινὸς καὶ χειμερινός. [33] ἀλλήλοις μὲν ἴσοι,  δεύτεροι δὲ τῇ τοῦ μεγέθους συμμετρίᾳ, καὶ οἱ τούτων ἐφ᾽  ἑκατέρωθεν τὸ ἔξαρμα καὶ τὸ ἀντέξαρμα ὁρίζοντες, ἀρκτικός τε  καὶ ἀνταρκτικός, μικρότατοι μὲν τῷ μεγέθει, ἀλλήλοις μέντοι καὶ  αὐτοὶ ἴσοι. ὧν ἀναλόγως τῇ θέσει πέντε καὶ ἐπὶ γῆς ζῶναι  ἐπινοοῦνται, κεκαυμένη μὲν ἰσημερινῷ, εὔκρατοι δὲ δύο τροπικοῖς  δυσίν, ἴσαι δὲ αἱ «δύο» ἀοίκητοι ὑπὸ κρύους τῶν παρ᾽ ἑκάτερα πόλων. πέντε δὲ μόνοι ἐκτὸς ἡλίου καὶ σελήνης οἱ πλάνητες ἀστέ- ρες ὑπάρχουσι. καὶ σελήνης φάσεις ὡς ἐπίπαν τοσαῦται, διχότομοι δύο, [10] ἀμφίκυρτοι δύο, πλησίφως μία. τινὲς δὲ ἀκριβέστερον ἀντὶ τῶν δύο διχοτόμων μηνοειδεῖς δύο τάσσουσι τῷ ἀριθμῷ τῶν φάσεων  τὸ γὰρ διχότομον οὐχ ὡς ἀληθῶς συμβαίνειν τῇ σελήνῃ τότε, ὅτε  νομίζεται, ἀλλὰ μόνον φαίνεσθαι, κατὰ γραμμικὴν δὲ ἀπόδειξιν  πλεῖον δεῖ πάντως εἶναι τοῦ φαινομένου τὸ πεφωτισμένον, ἔλαττον  δὲ τὸ ἀφώτιστον, εἴπερ τῆς ἡλιακῆς σφαίρας μικροτέρα ἡ σελ-  ηνιακή, τῆς δὲ τοιαύτης πλέον ἀεὶ τοῦ ἡμίσους λάμπεται, ἵνα καὶ τὸ  ἀπορρέον αὐτῆς σκίασμα κωνοειδὲς ἀποτελῆται, τὸ δὲ ἐπὶ θάτερα  ἀντεκβαλλόμενον ἐπ᾽ εὐθὺ τῶν τοῦ κώνου εὐθειῶν καλαθοειδὲς  24 δεκαπλασιάζεται ho scritto io: διπλασιάζεται De Falco: [εἰς] τὸν  πεντάδος δεκαπλασιάζει λόγον congetturò Waterfield, Erzend. Tale corre-  zione appare necessaria, ma non sembra necessario, come pensa Waterfield,  cneneimara [τὸ ςῦ δ muitasa il πνεῖ da madin in attimi  LA TEOLOGIA DELL'ARITMETICA 881  frontato con l’estremo maggiore [10] il rapporto “metà”, cosî come  osserviamo nel 2, confrontato con l'estremo minore [1] il rapporto  “doppio”: infatti 2 è doppio di 1, mentre 5 è metà di 10. E per que-  sto che il 5 è <fra tutti i numeri> il più comprensivo dei fenomeni  della natura cosmica. Noi in verità affermiamo spesso2!8 che l’intero  universo appare compiuto e racchiuso nel 10, e radicato nell’ 1, e che  riceve movimento dal 2, e natura di essere vivente dal 5, perché que-  sto è diversamente che il 2, parte del 10 nella maniera più appropria-  ta e unica, se è vero che al 5 consegue necessariamente l'equivalenza,  mentre col 2 c’è solo omonimia.?!9 Cinque sono in verità anche gli ele-  menti universali del mondo: terra, acqua, aria, fuoco ed etere, Ε cin-  que sono anche le figure di tali elementi: tetraedro, esaedro, ottaedro,  dodecaedro e icosaedro, la cui somma complessiva delle basi?20 si  decuplica, a sua volta, in rapporto al 5. Cinque sono anche i circoli  paralleli del cielo: l’ “equatore celeste” e i “tropici” dall’una e dall’al-  tra parte di esso, cioè il “tropico del Cancro” e il “tropico del  Capricorno”, [33] che sono uguali tra loro, e secondi in rapporto alla  grandezza, e infine i circoli che delimitano da una lato e dall'altro dei  tropici la latitudine boreale e quella australe,?2! cioè I’ “artico” e l’  “antartico”, che sono i circoli più piccoli in grandezza e tuttavia  anch'essi uguali tra loro. In corrispondenza con la posizione di tali  circoli, anche sulla terra si rappresentano cinque zone: la “zona torri-  da” in corrispondenza dell'equatore, le due “zone temperate” in cor-  rispondenza dei due tropici, e altre due zone che sono disabitate per-  ché coperte dal ghiaccio dei due poli. Sono soltanto cinque i pianeti  oltre al Sole e alla Luna. Altrettante sono, generalmente parlando, le  fasi lunari: due di luna falcata, due di luna scema, una di luna piena.  Alcuni, più esattamente, al posto delle due fasi di luna falcata anno-  verano due fasi di mezza luna, perché la Luna non è falcata realmen-  te, quando crediamo che lo sia, bensi solo apparentemente, e si può  dimostrare geometricamente che la parte illuminata dev'essere asso-  lutamente maggiore di quanto non appaia, e minore la parte non illu-  minata, se è vero che la sfera lunare è più piccola della sfera solare, e  della sfera lunare più della metà è sempre illuminata, sicché l’ombra  che essa proietta finisce a forma di cono, e il prolungamento dalla  parte opposta delle linee del cono <fino al Sole> assume la figura di  un canestro; e la linea circolare che delimita la parte illuminata e quel-  882 GIAMBLICO  σχῆμα fi κοινὴν δὲ ἀμφοῖν [20] βάσιν ἡ τὸ πεφωτισμένον καὶ ἀφώ-  τιστον διορίζουσα κυκλικὴ γραμμὴ περιγράφει. πέντε δὲ καὶ τῶν τὰ  κοσμικὰ κέντρα ἀποτελουσῶν εὐθειῶν ψαύσεις᾽ δῆλον γάρ, ὅτι διά-  μετροί εἰσιν αὗται δύο, αἵπερ καὶ μέγισται, πρὸς ὀρθὰς ἀλλήλας  téuvovoar: [34] ἑαυτῶν οὖν καὶ τῆς οὐρανίας σφαίρας πενταχῆ  ψαύουσι, καὶ ἑαυτῶν μὲν κατὰ κοσμικὸν κέντρον, τῆς δὲ σφαίρας  κατὰ ταῦτα τὰ ὀνομασθέντα κέντρα. αἰσθητήρια τὰ τῶν τελειοτέρων  ἤδη ζώων τοσαῦτα, κατὰ συγγένειαν καὶ ὁμοίαν τάξιν καὶ ὑπόβασιν  τοῖς στοιχείοις. ἡ δὲ φύσις διὰ τοῦτο πενταχῆ τῶν ἡμετέρων μερῶν  ἕκαστα κατὰ τὰ ἄκρα διέκρινε, ποδῶν λέγω καὶ χειρῶν, εἰς δακτύ-  λους. πέντε δὲ καὶ σπλάγχνων εἴδη, νεφροὶ πνεύμων ἧπαρ σπλὴν  καρδία. πέντε δὲ καὶ τῶν κατ᾽ ἐπιφάνειαν ὁλοσχερῶς ὁρωμένων  μορίων εἴδη, κεφαλὴ χεῖρες θώραξ αἰδοῖα [10] πόδες. πέντε δὲ καὶ  ζώων γένη, ἐμπύρων ἐναερίων ἐγγείων ἐνύδρων ἀμφιβίων. ὅτι καὶ  ἀνεικίαν προσηγόρευον τὴν πεντάδα, οὐ μόνον ἐπειδὴ τὸ πέμπτον  καὶ κατ᾽ αὐτὸ τεταγμένον στοιχεῖον ὁ αἰθὴρ κατὰ ταὐτὰ καὶ  ὡσαύτως ἔχον διατελεῖ, νείκους καὶ μεταβολῆς ἐν τοῖς ὑπ᾽ αὐτὸν  ὑπαρχόντων ἀπὸ σελήνης μεχρὶ γῆς, ἀλλ᾽ ὅτι τὰ πρώτιστα διαφέρον-  τὰ καὶ οὐχ ὅμοια τοῦ ἀριθμοῦ δύο εἴδη, ἄρτιον καὶ περιττόν, αὐτὸς  ὡσανεὶ ἐφίλωσε καὶ συνήρτησε σύστημα τῆς αὐτῶν γενόμενος  συνόδου, καθάπερ καὶ ὁ αἰθὴρ ἑαυτοῦ τε φίλος διατελεῖ σχήματι  καὶ οὐσίᾳ καὶ τοῖς ὁμοίοις τοῖς τε ἄλλοις ἅπασι [20] τοῦ τοιούτου  παρεκτικὸς εὑρίσκεται, παντοίαν περὶ τὰς δύο ἀρχὰς ἐπιδεδειγμέ-  νοις ἐναντιότητα. διὰ τοῦτο καὶ Μέγιλλος ἐν τῷ Περὶ ἀριθμῶν  οὕτως αὐτὴν σεμνύνων φησίν᾽ [35] «a δὲ πεντὰς ἀλλοίωσις, φάος,  ἀνεικία: ἀλλοίωσις μέν, ὅτι τριχᾶ διαστὰν ἐς ταυτότητα τῆς σφαί-  ρας ἤμειψε, κυκλικῶς κινήσασα καὶ φάος ἐνεργασαμένη, διόπερ  καὶ φάος᾽ ἀνεικία δὲ παρὰ τὴν πάντων προδιεστώτων σύστασιν καὶ  ἕνωσιν καὶ διὰ τὴν τῶν δύο εἰδέων σύνοδον καὶ φίλωσιν.» ὅτι τῆς  LA TEOLOGIA DELL'ARITMETICA 883  la oscura descrive una base che è comune ad ambedue.?22 Cinque  sono anche i punti di contatto tra le linee rette che producono i “cen-  tri cosmici”: è chiaro infatti che queste linee sono due diametri, che  sono quindi anche le linee più grandi, e si intersecano tra loro ad  angolo retto; [34] esse dunque si intersecano tra loro e con la sfera  celeste cinque volte: tra loro al centro del cosmo, con la sfera in quei  punti che abbiamo chiamati “centri”.223 Cinque sono anche gli orga-  ni di senso degli esseri viventi che si sono sviluppati al più alto livel-  lo, <differenziati> per affinità di natura o per collocazione allo stesso  livello o per ordine discendente, rispetto agli elementi.224 È per que-  sto che la Natura ha diviso in cinque parti ciascuna delle nostre estre-  mità, intendo dire dei piedi e delle mani. Cinque sono anche le spe-  cie di visceri: “reni”, “polmoni”, “fegato”, “milza” e “cuore”. Cinque  sono anche le specie di parti interamente visibili in superficie: “testa”,  “braccia”, “tronco”, “organi genitali” e “gambe”. Cinque anche i  generi degli animali: “ignei”, “aerei”, “terrestri”, “acquatici” e “anfi-  bi”  I Pitagorici chiamavano il 5 anche “assenza di contesa”, non solo  perché il quinto elemento che ha un suo posto autonomo, cioè l’ete-  re, persiste nello stesso stato ed è sempre uguale a se stesso, mentre la  contesa e il mutamento sono proprietà delle cose che stanno al di  sotto dell’etere, dalla Luna fino alla Terra, ma anche perché le due  specie di numero assolutamente primarie e differenti e dissimili tra  loro, cioè il pari e il dispari, sono come conciliate e legate insieme dal  numero 5, perché questo è composto dalla loro unione,?25 allo stesso  modo che l'etere, in quanto amico di se stesso, persiste nella sua figu-  ra e nella sua essenza, e in altri simili stati, e si scopre anche che il 5  fornisce una tale proprietà?26 a tutte le altre cose che presentano tutta  la varietà delle proprietà contrarie insita nei due principi.22? Perciò  anche Megillo, nel suo libro Su nuzzeri celebra il 5 con queste paro-  le: [35] «Il 5 è “alterazione”, “luce”, “assenza di contesa”: “alterazio-  ne” perché cambia la tridimensionalità nell’identità?28 della sfera,229  muovendosi circolarmente e producendo luce, per cui è detto anche  “luce”; “assenza di contesa”, perché concilia e unisce tutte le cose  prima disunite, e perché è unione e amicizia delle due specie <di  numero>»,250  884 GIAMBLICO  δικαιοσύνης ἐμφαντικωτάτη ἡ πεντάς, δικαιοσύνη δὲ πασῶν τῶν  ἀρετῶν περιεκτική᾽ ἡ γὰρ τὸ προσῆκον ἀποδιδοῦσα ἑκάστῃ καὶ τὴν  ἐν τῇ ψυχῇ ἰσότητα κρατύνουσα αὕτη ἂν εἴη, ἰσότης δὲ ψυχῆς [10]  περὶ τὸ λογικὸν μόνον, ἀνισότης δὲ περὶ τὸ ἄλογον, ὑπεῖκον δὲ καὶ  πειθόμενον τῷ λόγῳ. ἀλλὰ τὸ μὲν ἴσον ἀποίκιλον (ἑνὶ γὰρ τρόπῳ  ἴσον), τὸ δὲ ἄνισον ποικιλώτατον (κατὰ πολλοὺς γὰρ τρόπους  ἄνισον), καὶ τά γε πρώτιστα αὐτοῦ εἴδη δύο ἐστί, μεῖζόν τε καὶ  ἔλαττον. καὶ τῆς ψυχῆς ἄρα τὸ μὲν ἴσον ἔσται, τὸ δὲ ἄνισον, ἴσον  μὲν τὸ θεῖον καὶ λογικόν, ἄνισον δὲ τὸ θνητόν τε καὶ ἄλογον, αὐτοῦ  δὲ τούτου μεῖζον μὲν τὸ θυμοειδές (ὑπέρζεσις γάρ ἐστι καὶ ὥσπερ  ἀποθέσεως τοῦ περιττεύοντος ἔφεσις), ἔλαττον δὲ τὸ ἐπιθυμητικόν  (ἐνδεὲς γὰρ τῇ τοῦ ἐλλείποντος ὀρέξει), ἀλλ᾽ ὑπὸ τοῦ λογικοῦ [20]  κρατηθέντα πάντα καὶ ἰσότπτος δι᾽ αὐτὸ μετασχόντα ἀρετὰς κτᾶται,  τὸ μὲν θυμοειδὲς ἀνδρείαν, τὸ δὲ ἐπιθυμητικὸν [36] σωφροσύνην. εἴ  τις τοίνυν ἀριθμὸς ἰσάκις ἴσος ἐστίν, οὗτος δικαιοσύνης εἰδοποιὸς  καὶ ἐπιδεκτικὸς ἂν εἴη. πᾶς δὲ τετράγωνος ἰσάκις ἴσος ὑπάρχει,  ἀλλ᾽ οὐ πᾶς μεσότητος δεκτικός, ἀλλὰ μόνος δηλονότι, ὃς ἂν περισ-  σὸς fi καθόλου γὰρ ἀρτίου ἀριθμοῦ μεσότης οὐ φαίνεται περισσῶν  δὲ προσεχέστατος καὶ οἰκειότατος ἂν εἴη ὁ πυθμήν, εἰ καὶ τῶν αὐ- τοῦ λόγων ἐπιδεκτικοὶ οἱ μετ᾽ αὐτόν. ἐπιστημονικαὶ δὲ καὶ φιλόσο- dor ἀποδείξεις ἀεὶ τοῖς πυθμέσιν ἐλαχίστοις ἔτι καὶ εὐςλογίστοις καὶ εὐ»πίστοις ἐπιχρῶνται καὶ ἐνορῶσιν αὐτοῖς ὡς ἐν παραδείγμα- σί τισι [10] τὰ ὁμοιότατα τῶν ὁμογενῶν, οἷον διπλασίων μὲν  ἀπείρων φύσει ὄντων ἐν δυάδι μᾶλλον πρὸς μονάδα, ἡμιολίων δὲ ἐν  τριάδι πρὸς δυάδα ὥστε ἡ τῆς δικαιοσύνης ἔννοια καὶ φύσις ἐν  ἰσάκις ἴσῳ δεικνυμένη ἀριθμῷ, τουτέστιν ἐν τετραγώνῳ, ἐν ἀρτίῳ  μὲν οὐκ ὀρθῶς δειχθείη «ἂν» μεσότητος ἀμοιροῦντι, ἀλλ᾽ ἐν  περισσῷ δηλονότι καὶ τῶν περισσῶν ἐν πυθμενικωτάτῳ καὶ οἱονεὶ  σπέρματι τῶν ἄλλων διὰ τὸ ἐπιστημονικόν" ἐν ἄρα πρωτίστῳ τῷ θ΄"  LA TEOLOGIA DELL'ARITMETICA 885  Il 5 è l’espressione più alta della giustizia,3! e la giustizia abbrac-  cia tutte le virtù: la giustizia, infatti, è capace di dare a ciascuna virtù  ciò che le è proprio e di consolidare <quindi> l'uguaglianza dell’ani-  ma, e l'uguaglianza dell’anima è solo nella parte è razionale, mentre la  disuguaglianza è in quella irrazionale, e quest'ultima deve piegarsi e  ubbidire alla ragione. Ma l’uguale non è di varia specie (perché c’è  solo un modo di essere uguale), mentre il disuguale è assolutamente  di varia specie (perché ci sono molti modi di essere disuguale), e le  specie assolutamente prime del disuguale sono due, maggiore e mino-  re; e dunque nell’anima ci saranno da un lato l’uguale, dall'altro lato  il disuguale: è uguale la parte divina e razionale, disuguale quella mor-  tale e irrazionale, e la specie maggiore della parte disuguale è l’anima  impetuosa (perché è un ribollimento e, per cosî dire, un desiderio di  lasciare da parte il sovrappit), la specie minore invece è l’anima appe-  titiva (perché è carente e perciò desiderosa di ciò che le manca),23? ma  tutte e due queste specie della parte irrazionale dell’anima, se sotto-  poste al dominio della parte razionale e partecipi per ciò stesso del-  l'uguaglianza, acquistano virtù, l’anima impetuosa la virtà del corag-  gio, l’anima appetitiva [36] quella della temperanza. Se poi un nume-  ro è uguale un uguale numero di volte,?3> esso formerà e ammetterà la  giustizia.234 Ogni quadrato è uguale un uguale numero di volte, ma  non ogni quadrato ammette medietà, ma ovviamente solo quello che  sia dispari: mai, infatti, un numero pari può rivelare una medietà; e tra  i quadrati dispari il più immediato e appropriato sarà quello basale,235  se anche i quadrati dispari che lo seguono ammettono i suoi stessi  rapporti. Le dimostrazioni scientifiche e filosofiche si servono sempre  delle basi più piccole, che sono anche quelle di facile e affidabile cal-  colo, e osservano in esse, come in dei paradigmi, le somiglianze che  hanno i numeri dello stesso genere: ad esempio preferiscono osserva-  re i doppi, che sono infiniti per natura, nel rapporto di 2 a 1, e gli  emioli nel rapporto di 3 a 2; ne consegue che l’idea e la natura di giu-  stizia che si presentano nel numero uguale un uguale numero di volte,  cioè nel numero quadrato, non si manifesteranno correttamente nel  quadrato pari che manca appunto di medietà, ma evidentemente in  quello dispari e tra i dispari in quello pit basale, come se fosse il seme  degli altri, essendo oggetto di conoscenza scientifica, e cioè nel qua-  886 GIAMBLICO  οὗτος γὰρ καὶ ἀπὸ πρώτου περισσοῦ ἀριθμοῦ τοῦ γ΄ πυθμὴν  τετράγωνος συνίσταται τρὶς γ΄ ὦν, πλευρικοῦ μεσότητα πρώτου  ἔχοντος, τετράγωνος καὶ αὐτὸς μεσότητα [20] πρῶτος ἔχων. τούτοις  ἄρα ἐπιχειρητέον ἁρμόζειν τὸν περὶ [37] δικαιοσύνης λόγον ἀκο-  λούθως τῷ Πυθαγορικῷ περὶ δικαιοσύνης ὅρῳ, ὅς got: «δύναμις  ἀποδόσεως τοῦ ἴσου «καὶ» τοῦ προσήκοντος, ἐμπεριεχομένη ἀριθ-  μοῦ τετραγώνου περισσοῦ μεσότητι. » πρῶτον δὴ ἐκθετέον στιχηδὸν  τοὺς μέχρι τούτου ἀριθμοὺς ἀπὸ μονάδος ἑξῆς, α΄ β΄ γ᾽ δ΄ ε΄ ς΄ ζ η θ΄,  εἶτα συγκεφαλαιωτέον τὴν πάντων ὁμοῦ ποσότητα, καὶ ἐπεὶ ἐννεάχ-  ρος ὁ στίχος, τὸ ἔννατον τοῦ συγκεφαλαιώματος ζητητέον, εἴ τι  φύσει πάρεστιν ἤδη τῶν ἐν τῷ στίχῳ ἀριθμῶν: εὑρήσομεν γὰρ αὐτῇ  τῇ μεσότητι τοῦτο προσὸν μόνῃ [10] πεντὰς γάρ ἐστιν ἄλλο μήτε  πλέον μήτε ἔλασσον ἐ ἔχουσά τι, καὶ τοῖς λοιποῖς περιποιητικὴ τοῦ  τοιούτου αὐτὴ φανήσεται, ὡς ἄν τις δικαιοσύνη οὖσα, κατ᾽ εἰκόνα  τοῦ ὀργάνου τοῦ ζυγικοῦ" εἰ γὰρ τὸν στίχον ὑποθοίμεθα τοιοῦτόν  τινα ὑπάρχειν ζυγικόν, τὴν δὲ μεσότητα τὸν ε΄ ἀριθμὸν τὸ τρῆμα  εἶναι τὸ τοῦ ἀορτοῦ, καταρρέποντα μὲν πάντα διὰ πλῆθος ἔ ἔσται τὰ  πρὸς τῇ ἐννεάδι ἀπὸ ἑξάδος μέρη, ἀναρρέποντα δὲ τὰ πρὸς τῇ μονά-  δι ἀπὸ τετράδος δι᾽ ὀλιγότητα, τριπλάσια δὲ τὰ πλεονεκτοῦντα τῶν  πλεονεκτουμένων σύνολα συνόλων, αὐτὴν δὲ τὴν ε΄, ὥσπερ τὸ τοῦ  πήχεος τρῆμα, μηδετέρου μετέχουσαν. [20] ἀλλ᾽ ἰσότητα μόνον καὶ  ταυτότητα. κατὰ βραχὺ δὲ τὰ γειτνιῶντα [38] αὐτῇ καὶ ἐγγυτέρω  γινόμενα ἔλαττον ἀεὶ καὶ ἔλαττον πλεονεκτοῦντά τε καὶ πλεονεκ-  τούμενα, ὥσπερ TÙ25 ἀπὸ τῶν ζυγικῶν πλαστίγγων κατὰ μικρὸν  ὑποβαίνοντα τοῦ πήχεος ὡς πρὸς τὴν ἀορτήν᾽ μήκιστον μὲν γὰρ ἀφέ-  στηκεν ἡ ἐννεὰς καὶ μονάς, διὸ καὶ πλείστῳ πλεονεκτεῖ μὲν ἐννε-  dc, πλεονεκτεῖται δὲ μονάς, τετράδι ὅλῃ βραχὺ δὲ τούτων ἐνδοτέρω  ὀγδοὰς καὶ δυάς, διὸ καὶ βραχὺ ἐλάττονι πλέον μὲν ὀγδοάς, ἔλατ-  τον δὲ δυὰς ἔχει τριάδα γάρ᾽ εἶθ᾽ ἑξῆς τούτοις ἑβδομάς τε καὶ  τριάς, διὰ τοῦτο τῇ ἑξῆς ποσότητι ἐλαττοῦται μὲν τριάς, πλεονάζει  δὲ ἑβδομάς᾽ [10] δυάδι γὰρ ἐνδοτέρω: ἐνδοτέρω δὲ τούτων καὶ προ-  σεχῶς τῇ πεντάδι, ὡσανεὶ τῇ ἀορτῇ, τετράς τε καὶ ἑξὰς τῷ ἐλαχίστῳ  25 tà ho mutato io secondo una congettura di De Falco in appar. ad loc.):  τὴν.  LA TEOLOGIA DELL’ARITMETICA 887  drato dispari assolutamente primo, cioè nel 9: questo infatti, essendo  3x3, è un quadrato base costituito dal primo numero dispari, cioè 3,  che è il primo numero laterale che ha medietà, ed anche 9 è il primo  quadrato che ha medietà. A tutto ciò, dunque, bisogna cercare di col-  legare [37] il discorso sulla giustizia, secondo la definizione che ne  danno i Pitagorici, che è questa: «Potenza di dare in parti uguali ciò  che spetta, perché contenuta nella medietà di un numero quadrato  dispari».236 Bisogna anzitutto?” esporre in fila la successione dei  numeri da 1 a 9: 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9; poi sommare insieme la quan-  tità di tutti questi numeri,238 e poiché la fila è costituita di 9 termini,  bisogna cercare la nona parte della somma totale [5], e vedere se è già  presente per sua natura nella fila di quei numeri; scopriremo infatti  che questa nona parte [5] è presente solo al centro della fila, perché  5 è il numero che ha lo stesso numero di termini da un lato e dall’al-  tro, e apparirà come il numero che procura agli altri della fila una pro-  prietà dello stesso genere, come se fosse una giustizia, simile cioè a  una bilancia: se infatti supponiamo che la fila sia come una bilancia,  il numero 5 che sta al centro, rappresenta il foro, cioè il punto di equi-  librio della bilancia, mentre tutte le parti23? da 6 a 9 faranno pendere,  per la loro maggiore quantità? il braccio della bilancia, e le parti da  4 a 1 lo faranno salire per la loro minore quantità, e la somma dei  numeri che superano il 5 sarà il triplo della somma dei numeri che  sono superati dal 5,24! e il 5 come tale, in quanto rappresenta il foro  del braccio della bilancia, non parteciperà di nessuna delle due parti,  ma sarà uguaglianza e identità.242 E in ragione della maggiore vicinan-  za al 5 [38] ci sarà una sempre minore differenza in più o in meno,243  come accade ai piatti della bilancia, dove la pendenza del braccio  diminuisce man mano che ci si avvicini al punto di equilibrio: i più  distanti in lunghezza <da 5», infatti, sono 9 e 1, e perciò il 9 è il nume-  ro che supera di più il 5 e l’ 1 è quello che è superato di più, nell’un  caso e nell’altro la differenza è 4; un po’ meno distanti andando verso  l'interno, sono 8 e 2, rispettivamente maggiore e minore di 5, e perciò  tra 8 e 2, da un lato, e 5, dall’altro, c'è una minore differenza, che è  infatti 3;244 subito dopo vengono 7 e 3, rispettivamente maggiore e  minore di 5, e perciò c’è anche una minore differenza, che è infatti 2;  pit all’interno e in prossimità del 5, che fa da punto di equilibrio,  sono 4 e 6, che hanno la più piccola differenza in più e in meno: non  888 GIAMBLICO  πλεονεκτοῦσα᾽ ἐλάττων γὰρ τούτου ἀριθμὸς οὐκέτι νοεῖται.  ἀναρτῳμένου δὲ τοῦ πήχεος, τὰ μὲν πλέον ἔχοντα πλεονεκτοῦσαν  καὶ τὴν πρὸς τὴν «πλάστιγγα»26 γωνίαν ἀπεργάζεται καὶ τὴν ἑαυτῶν  πρὸς τὴν ἀορτήν, τὰ δὲ ἔλαττον ὀλιγεκτοῦσαν καθ᾽ ἑκάτερον᾽ πλεο-  νεκτοῦσα δὲ γωνία ἡ ἀμβλεῖά ἐστι, τὸν ἰσότατον λόγον τῆς ὀρθῆς  ἐχούσης. ἐπεὶ δὲ ἐπίσης μὲν ἐν ἀδικίᾳ οἵ τε ἀδικούμενοι οἵ τε ἀδι-  κοῦντες ὡς ἐν ἀνισότητι ἐπίσης τό τε μεῖζον τό τε ἔλαττον, ἀδικώ-  τεροι «δὲ» ὅμως οἱ ἀδικοῦντες τῶν [20] ἀδικουμένων (οἱ μὲν γὰρ  κολάσεως, οἱ δὲ ἐπισώσεως καὶ βοηθείας δέονται), τὰ κατὰ  ἀμβλεῖαν ἄρα ἀφιστάμενα γωνίαν περί τε τῷ ζυγῷ καὶ ἐν τῷ ἀριθμ-  ητικῷ ὑποδείγματι πλέον ἀποστήσεται τοῦ μέσου, ὅπερ ἐστὶ τῆς  δικαιοσύνης, μᾶλλον ἀεὶ [39] καὶ μᾶλλον, τουτέστι τὰ πλεονεκ-  τοῦντα, προσδραμεῖται δὲ καὶ προσπελάσει ἔτι καὶ ἔτι ἀεὶ τὰ κατ᾽  ὀξεῖαν, καὶ οἱονεὶ ἀδικούμενα ἀεὶ ἐν τῷ πλεονεκτεῖσθαι τὰ μὲν  κάτω καὶ εἰς φθόρον καὶ εἰς κακίας βαπτισμὸν οἰχήσεται, τὰ δὲ ἄνω  καὶ ὡς εἰς θεὸν προσφεύγοντα ἀναρρέψει τιμωρίας καὶ ἀπισώσεως  δεόμενα. εἰ γοῦν δεήσει σὺν παντὶ τῷ πήχει καὶ τῷ ἀριθμητικῷ ἐκ-  θέματι τούτῳ ἰσότητα ἐγγενέσθαι, πάλιν τὸ τοιοῦτον κατὰ πεντάδος  μετοχὴν ὡσανεὶ δικαιοσύνης τινὸς οὔσης μηχανηθήσεται᾽ ἤτοι γὰρ  τὰ ἀπὸ τῶν πλεονεκτούντων τεταγμένα [10] πέμπτα ἀφαιρεθέντα  αὐτῶν εἰ προστεθείη τοῖς πλεονεκτουμένοις, τὸ ζητούμενον ἀπερ-  γάζεται: ἤτοι κατὰ διορισμὸν καὶ ἀντιπεπονθυῖαν διαστολὴν τὴν  πεντάδα ἀπὸ μὲν τοῦ μήκιστον ἀφεστῶτος πλεονέκτου τὸ τοῦ ἑτέρου μέρους ἐλάχιστον ἀπέχον πλεονεκτούμενον «ἀπολαβεῖν καὶ προ- σθεῖναι τῷ μήκιστον ἀπέχοντι», ὅ ἐστι τὸ ἕν, πρὸς ἀπίσωσιν ἀπολα- βεῖν τὰ δ΄ ἀπὸ «τοῦ» θ΄ καὶ προσθεῖναι τῷ ἑνί, ἀπὸ δὲ τοῦ η΄ τὰ γ΄, ἃ  προσθήκη τῷ β΄ ἔσται, ἀπὸ δὲ τοῦ ζ΄ τὰ β΄, ἃ τῷ γ΄ πρόσκειται, ἀπὸ δὲ  26 τὴν «πλάστιγγα» mutò Delatte confrontando Giamblico, In Nicom.  17,9 (cf. ed. Klein Add. et Corr. p. XXVII, ma anche De Falco, in Miscell.  Galbiati 2, Milano 1951, p. 168, nt, 1): αὐτὴν.  LA TEOLOGIA DELL'ARITMETICA 889  si può pensare infatti un numero minore di questo [1]. Appeso il  braccio della bilancia, la parte che contiene la somma maggiore?  forma due angoli, uno rispetto al piatto?4 e un altro rispetto al punto  di sospensione,” che sono maggiori degli angoli formati nei due  punti corrispondenti?48 dalla parte che contiene la somma minore; e  l'angolo maggiore? è un angolo ottuso, essendo l'angolo retto quel-  lo corrispondente al rapporto di assoluta uguaglianza <tra le due parti  della bilancia>. E poiché il rapporto che, nel campo dell’ingiustizia,  intercorre tra quelli che la subiscono e quelli che la commettono è  uguale al rapporto che, nel campo della disuguaglianza?5 intercorre  tra il maggiore e il minore,?°! ma nondimeno quelli che commettono  ingiustizia sono più ingiusti di quelli che la subiscono (gli uni, infatti,  meritano pena, gli altri invece riequilibramento e aiuto), ne consegue  che la parte che è più lontana in funzione dell’angolo ottuso, sia nel-  l'esempio della bilancia che in quello aritmetico, cioè la parte prepon-  derante, si allontanerà dal punto centrale,25? cioè dalla giustizia, in  misura sempre [39] crescente, mentre la parte che forma l’angolo  acuto correrà e si avvicinerà sempre più verso il punto centrale, e cos  accade anche di quelli che subiscono ingiustizia e sono sempre più  soverchiati, e mentre la parte che si trova in basso? andrà verso la  rovina e si immergerà nella malvagità, la parte invece che si trova in  alto si eleverà come se fuggisse verso dio perché bisognosa di soccor-  so e di ristabilimento dell’equilibrio. Se a questo punto, come è certo,  bisognerà ristabilire l'uguaglianza sull’intero braccio della bilancia e  nell’esposizione dei numeri, ancora una volta tale operazione dovrà  essere congegnata secondo la partecipazione al numero 5 come fosse  giustizia: infatti l'equilibrio che cerchiamo si ottiene se sommiamo ai  numeri della parte inferiore [1, 2, 3, 4] la differenza tra i numeri della  parte superiore e quelli della parte inferiore, presi ciascuno al quinto  posto;254 oppure, assumendo 5 come punto di demarcazione e di reci-  proca distanza,?95 se prendiamo il numero della parte inferiore che è  meno distante dal centro, lo sottraiamo da quello della parte superio-  re che è più distante e lo sommiamo a quello che è più distante dalla  parte opposta, che è 1: per ottenere l'equilibrio dunque si sottrae 4256  da 925] e lo si somma a 1,258 si sottrae poi 3 da 8 e lo si somma ἃ 2,259  quindi si sottrae 2 da 7 e lo si somma a 3,260 infine si sottrae 1 da 6 e  lo si somma a 4:28! si ottiene cosî l'equilibrio cercato, e tutti i numeri,  890 GIAMBLICO  τοῦ ς΄ τὸ α΄, ὅ ἐστι τῷ δ΄ προσθήκη εἰς ἀπίσωσιν, καὶ πάντα ἐπίσης  τά τε κολασθέντα ὡς πλεονεκτικὰ καὶ [20] τὰ ἐπανορθωθέντα ἀπι-  σώσει ὡς ἠδικημένα ὁμοιωθήσεται τῇ τῆς δικαιοσύνης μεσότητι᾽  ἀνὰ ε΄ γὰρ ἅπαντα ἔσται᾽ μόνη γὰρ αὕτη ἀναφαίρετός τε καὶ ἀπρό-  σθετος διαμένει, ὡς ἂν μήτε πλέον μήτε ἔλασσον, ἀλλὰ καὶ τὸ  προσῆκον καὶ ἐπιβάλλον φύσει μόνη ἔχουσα. καὶ τῷ σχήματι δὲ οἱ  τοὺς τῶν γραμμάτων χαρακτῆρας [40] πρῶτοι τυπώσαντες, ἐπεὶ τὸ θ΄  τοῦ ἐννέα σημαντικὸν ὑπάρχει, μεσότης δὲ αὐτοῦ ὡς τετραγώνου τὸ  ε΄, τὸ δὲ μέσον ἐν ἑκάστῳ σχεδὸν κατὰ τὸ ἥμισυ ὁρᾶται, ἥμισυ τοῦ  θ΄ γράμματος τυποῦσθαι τὸ ε΄ ἐπενόησαν, ὡς διχοτόμημα τοῦ θ΄,  [καθὰ καὶ τὸ τοῦ οἽ.27 τούτῳ δὴ τῷ τρόπῳ τῆς δικαιοσύνης τῷ ε΄  ἀριθμῷ δικαιότατα ἐνοφθείσης καὶ τῆς τοῦ στίχου ἀριθμητικῆς εἰ-  κόνος ζυγῷ τινι οὐκ ἀπιθάνως εἰκασθείσης, τὸ παράγγελμα τοῖς  γνωρίμοις ἐν συμβόλου σχήματι ὁ Πυθαγόρας ἐνεποιήσατο «ζυγὸν  μὴ ὑπέρβαινε», τουτέστι δικαιοσύνην. [10] τριῶν δὲ ὄντων τῶν ζωο-  ποιητικῶν κατὰ τοὺς φυσικοὺς μετὰ τὴν σωμάτωσιν, φυτικοῦ yuyi-  κοῦ λογικοῦ, καὶ τοῦ μὲν λογικοῦ κατὰ μὲν ἑβδομάδα τασσομένου,  τοῦ δὲ ψυχικοῦ καθ᾽ ἑξάδα, τὸ φυτικὸν ἀναγκαίως κατὰ τὴν πεντά-  δα πίπτει, ὥστε καὶ ἀκρότης τις ἡ ἐλαχίστη τῆς ζωότητος ἡ πεντάς:  γενέσεων μὲν γὰρ ῥίζα πασῶν ἡ μονάς, κίνησις δὲ ἐφ᾽ ἕν τι ἡ δυάς,  ἐπὶ δὲ δεύτερον ἡ τριάς, ἐπὶ δὲ τρίτον καὶ τελειότερον ἡ τετράς, ἐπὶ  δὲ τὴν πάντη πρόσθεσιν καὶ αὔξησιν ἡ πεντὰς κατὰ τὴν φυτικὴν τῆς  ψυχῆς ἕξιν, ἣ εὐθὺς καὶ τὸ αἰσθητικὸν γενικὸν παρέσπαρται. ὅτι  Νέμεσιν καλοῦσι τὴν πεντάδα- νέμει γοῦν [20] προσηκόντως τά τε  οὐράνια καὶ θεῖα καὶ φυσικὰ στοιχεῖα τοῖς πέντε, τὰ πέντε σχήμα-  τα ταῖς κύκλῳ [ταῖς] κινήσεσι ταῖς τε σεληνιακαῖς καὶ τῶν λοιπῶν  ἀστέρων, ἑσπερίᾳ ἀνατολῇ, ἑσπερίᾳ [41] δύσει, ἑῴᾳ ἀνατολῇ, ἑῴᾳ  δύσει καὶ τῇ ἄνευ τούτων ἁπλῇ περιπολήσει᾽ εἶτα τὰ κατ᾽ ἐπίκυ-  κλον στηριγμοῖς δυσὶν ἢ προποδισμῷ ἢ ἀναποδισμῷ, «τὰ δὲ urp?  ὁμαλότητι μιᾷ τῇ κατὰ φύσιν" τοῖς τε φυτοῖς πενταμερὲς αὐτῶν τὸ  27 sospettò giustamente si dovessero eliminare queste parole, come ini-  zio di una glossa, De Falco (cf. anche ed. Klein Add. p. XXVII).  28 l'integrazione è di Waterfield, Erzend.  LA TEOLOGIA DELL'ARITMETICA 891  sia quelli che vengono puniti perché soverchianti, sia quelli che ven-  gono reintegrati nel loro equilibrio perché hanno subito ingiustizia, si  accorderanno nella stessa misura alla medietà della giustizia: tutti  infatti faranno riferimento a 5, perché quest’ultimo è l’unico che resta  senza detrazione né aggiunzione, sicché non potrà essere né più né  meno di quello che è,262 bensi l’unico numero che per natura possie-  de ciò che gli conviene e gli appartiene. Anche in rapporto alla figu-  ra, coloro che per primi hanno impresso le lettere delle parole per  significare questi numeri, [40] poiché il 9 è espresso con la lettera  “0”, e il suo dimezzamento, come figura quadrata, è “e”, e la parte  mediana quasi sempre è vista come la metà, allora hanno pensato che  il segno “e” significasse la metà della lettera “0”, come se fosse metà  di 9.26 Poiché dunque la giustizia è stata vista in modo assolutamen-  te corretto nel numero 5 e l’immagine della fila di numeri <da 1 a 9>  assimilata in modo convincente a una bilancia, fu cosî che Pitagora  imparti ai suoi discepoli in forma simbolica il precetto: «Non fare tra-  boccare la bilancia»,264 cioè la giustizia. E poiché sono tre, secondo i  filosofi della natura, i fattori della vita, una volta che questa ha preso  corpo: vegetativo, psichico, razionale, e quello razionale è ordinato  secondo il 7, e quello psichico secondo il 6, allora necessariamente il  fattore vegetativo cade sotto il numero 5, sicché il 5 è anche l’estremi-  tà minima della natura vivente: l’ 1 infatti è radice di tutte le genera-  zioni, il 2 è movimento in una prima dimensione,26 il 3 in una secon-  da dimensione,266 il 4 in una terza e più completa dimensione,?87 il 5  nel senso di ogni aggiunta e aumento rispetto alla facoltà vegetativa  dell’anima,268 nella quale immediatamente si trova, anche se in germe,  la generica facoltà sensitiva.  I Pitagorici chiamano il 5 anche “Nemesi”; in effetti questa  “distribuisce” [νέμει] convenientemente, servendosi del numero 5,  gli elementi sia celesti che divini e naturali,269 le cinque figure dei  movimenti ciclici sia della Luna che delle altre stelle, cioè il sorgere  alla sera, il tramontare alla sera, [41] il sorgere all'alba, il tramontare  all’alba, e la rivoluzione degli astri pura e semplice, priva cioè di rife-  rimento al sorgere e al tramontare; distribuisce inoltre i corpi celesti  che sono sugli epicicli270 secondo due stazioni, o in progressione o in  regressione,?7! e quelli che non lo sono??? in un’unica forma di movi-  mento resalare:273 anche le niante hanno cinane narti nella lara ctrut.  892 GIAMBLICO  ὁλοσχερὲς σύγκριμα. ῥίζα γὰρ καὶ πρέμνος kai φλοιὸς καὶ φύλλον  καὶ καρπός: αἵ τε καταφοραὶ πέντε, ὑετοῦ χιόνος δρόσου χαλάζης  πάχνης: ἀναφοραί τε πέντε, ἀτμὸς καπνὸς νέφος ὁμίχλη καὶ ὁ λεγό-  μενος τυφὼν ἀνεμώδης, ὅν τινες στρόβιλον ὀνομάζουσι διὰ τοῦτο  καὶ πεμπάδα αὐτὴν ὠνομάσθαι, ὅτι κατ᾽ αὐτὴν αἱ φοραὶ αὗται [10]  ἀναπέμπονται. διὰ δὲ τὸ ἰσοῦν τὰ ἄνισα καὶ πρόνοιαν ὀνομάζουσι  καὶ δίκην οἷον δίχησιν καὶ Βουβάστειαν διὰ τὸ ἐν Βουβαστῷ τῆς  Αἰγύπτου τιμᾶσθαι, καὶ ᾿Αφροδίτην διὰ τὸ ἐπιπλέκεσθαι ἀλλήλοις  ἄρρενα καὶ θῆλυν ἀριθμόν. κατὰ τὸν αὐτὸν δὲ τρόπον καὶ γαμηλία  καὶ ἀνδρογυνία καὶ ἡμίθεος, οὐ μόνον ὅτι τοῦ δέκα θείου ὄντος  ἡμισύ ἐστιν, ἀλλὰ καὶ ὅτι ἐν τῷ ἰδίῳ διαγράμματι ἐν τῷ κατὰ μέσον  ἐνετέτακτο. καὶ δίδυμον, ὅτι τὴν δεκάδα διχάζει ἀδίχαστον ἑτέρως  οὖσαν, ἄμβροτον δὲ «καὶ» Παλλάδα κατ᾽ ἔμφασιν τῆς πέμπτης οὐσί-  ας καλοῦσι, καρδιᾶτιν δὲ κατ᾽ εἰκόνα τῆς [20] ἐν τοῖς ζώοις καρδί-  ας μέσης τεταγμένης.  [42] ἐκ τοῦ περὶ πεντάδος λόγου δευτέρου τῆς ᾿Αριθμητικῆς τοῦ  Γερασηνοῦ Νικομάχου.  οἱ ἄνθρωποι ὅταν μὲν ἀδικῶνται, θεοὺς εἶναι θέλουσιν, ὅταν δὲ  ἀδικῶσιν, οὐ θέλουσι᾽ διόπερ ἀδικοῦνται, ἵνα θεοὺς εἶναι  θέλωσιν: εἰ γὰρ μὴ θέλουσιν εἶναι θεούς, οὐ διαμενοῦσιν᾽ εἰ τοῦ  διαμένειν οὖν ἀνθρώπους αἴτιον τὸ θέλειν εἶναι θεούς, θέλουσι δέ,  ὅταν ἀδικῶνται, τὸ δὲ ἀδίκημά ἐστι μὲν κακόν, ἀλλ᾽ ἐπὶ συμφέρον  τι φύσεως, τὰ δ᾽ ἐπὶ συμφέρον τι φύσεως ἀγαθῶν ἔργα, φύσις δὲ ἀγαθή, ταὐτὸν καὶ πρόνοια. [10] τὰ κακὰ ἄρα τοῖς ἀνθρώποις κατὰ πρόνοιαν γίνεται. τὰς δ᾽ ἀφορμὰς εἰκὸς καὶ τούτου παρ᾽ Ὁμήρου εἰληφέναι εἰπόντος᾽ «καὶ τότε δὴ χρύσεια πατὴρ ἐτίταινε τάλαντα, ἐν δ᾽ ἐτίθει δύο κῆρε τανηλεγέος θανάτοιο, Τρώων θ᾽ ἱπποδάμων  καὶ ᾿Αχαιῶν χαλκοχιτώνων᾽ ἕλκε δὲ μέσσα λαβών. ῥέπε δ᾽ αἴσιμον  LA TEOLOGIA DELL’ARITMETICA 893  tura globale: radice fusto corteccia foglia frutto; e ci sono anche cin-  que forme di precipitazione: pioggia neve rugiada grandine brina; e  cinque forme di esalazione: vapore fumo foschia nebbia, e il cosiddet-  to tifone ventoso, che alcuni chiamano “ciclone”; e perciò il 5 viene  chiamato anche “pempade” [πεμπάς], perché precipitazioni ed esala-  zioni “sorgono in virtà del 5” [ἀναπέμπονται]. Il 5 è chiamato anche  provvidenza e giustizia [δίκη], nel senso di “divisione in due parti  uguali” [δίχησις],274 perché rende uguali i disuguali, e “Bubastiana”  perché è venerata nel tempio egizio di Bubasti, e Afrodite perché rap-  presenta il connubio tra numero maschio e numero femmina.” Per  lo stesso motivo è chiamato anche “matrimonio” e “androginia”, ed è  anche “semidio”, non solo perché è la metà del 10 che è numero divi-  no, ma anche perché si colloca nel mezzo?? del suo proprio diagram-  ma. È chiamato anche “gemello”, perché è in grado di dividere in due  parti uguali il 10 che non è divisibile altrimenti in parti uguali, e  “immortale” e “Pallade” perché appare come la quinta essenza,” e  “cardiati”278 perché somiglia al cuore che negli esseri viventi è posto  al centro.  [42] Dal secondo discorso sul numero 5 dell’Aritmetica di  Nicomaco di Gerasa.  Quando subiscono ingiustizia, gli uomini vogliono che esistano gli  dèi, quando invece commettono ingiustizia, non lo vogliono: perciò  devono subire ingiustizia per volere che esistano gli dèi; se infatti non  vogliono che esistano gli dèi non sopportano <di subire ingiustizia>;  se dunque causa del sopportare l’ingiustizia da parte degli uomini è il  loro volere che gli dèi esistano, e d'altra parte, vogliono che gli dèi esi-  stano quando subiscono ingiustizia, e se il commettere ingiustizia è sf  un male, ma che in qualche modo torna a vantaggio della natura, e  operare a vantaggio della natura è da buoni, e la natura è buona, ed è  la stessa cosa che la provvidenza, allora i mali accadono agli uomini  per provvidenza. A pensare questo, forse, ci spingono anche le paro-  le di Omero quando dice: «E allora il padre distese i due piatti della  bilancia d’oro, vi pose due Chere di dolorosa morte, di Troiani doma-  tori di cavalli e di Achei dalle bronzee tuniche; tira la bilancia pren-  dendola al centro; si inclinò il giorno fatale degli Achei. Le Chere  894 GIAMBLICO  ἦμαρ ᾿Αχαιῶν. αἱ μὲν ᾿Αχαιῶν κῆρες ἐπὶ χθονὶ πουλυβοτείρῃ  «ἐζέσθην, Τρώων δὲ πρὸς οὐρανὸν εὐρὺν ἄερθεν.»  περὶ ἑξάδος. ᾿Ανατολίου.  Ἡ ἑξὰς πρώτη τέλειος; τοῖς γὰρ αὑτῆς μέρεσιν ἀριθμεῖται, [20]  ἕκτον ἔχουσα, τρίτον καὶ ἥμισυ. τετραγωνιζόμενος περιέχει [43]  ἑαυτόν: ἑξάκις γὰρ ἕξ λς΄- κυβιζόμενος δὲ ἑαυτὸν τετράγωνον οὐ-  κέτι τηρεῖ᾽ ἑξάκις γὰρ AS σις΄- οὗτος δὲ τὸν μὲν ἕξ περιέχει, τὸν δὲ  is" οὐκ ἔχει. ἐξ ἀρτίου καὶ περισσοῦ τῶν πρώτων, ἄρρενος καὶ  θήλεος, δυνάμει καὶ πολλαπλασιασμῷ γίνεται" διὸ καὶ ἀρρενό-  θηλυς καλεῖται. καὶ γάμος καλεῖται κυρίως, ὅτι οὐ κατὰ παράθεσιν  ὡς ἡ πεντὰς γίνεται, ἀλλὰ πολλαπλασιασμῷ' ἔτι δὲ γάμος καλεῖται,  ὅτι αὐτὸς τοῖς ἑαυτοῦ μέρεσίν ἐστιν ἴσος, γάμου δὲ ἔργον τὸ ὅμοια  ποιεῖν τὰ ἔκγονα τοῖς γονεῦσι. κατὰ ἑξάδα πρῶτον συνέστη ἡ  ἁρμονικὴ [10] μεσότης, ληφθέντος πρὸς τὸν ς΄ ἐπιτρίτου μὲν λόγου  τοῦ n°, διπλασίου δὲ τοῦ ιβ΄. τῷ γὰρ αὐτῷ μέρει ἤγουν τῷ τρίτῳ  ὑπερέχει καὶ ὑπερέχεται ὁ n τῶν ἄκρων. καὶ ἀριθμητικὴ δὲ  μεσότης κατὰ τὸν ς΄, ληφθέντος πρὸς αὐτὸν ἡμιολίου μὲν λόγου τοῦ  θ΄, διπλασίου δὲ τοῦ 18 τῷ γὰρ αὐτῷ ἀριθμῷ τὰ θ΄ ὑπερέχει τοῦ  ἄκρου καὶ ὑπερέχεται τῷ γ΄. ἔτι δὲ καὶ τὰ μέρη αὐτοῦ ἀναλογίαν  τινὰ ἀριθμητικὴν ἔχει, οἷον α΄ β΄ γ΄. ἔτι γεωμετρικὴ μεσότης ὁ ς΄, Y  ς΄ 18°. ἔτι δὲ διαστάσεις [44] σωμάτων ἕξ. μετὰ δὲ τὴν πεντάδα τὸν  ς΄ εὐθὺς ἀριθμὸν ἐναργεστέροις ἐσέμνυνον ἐγκωμίοις, ἐπιλογιζό-  μενοι δείγμασιν οὐκ ἀμφιβόλοις, κατ᾿ αὐτὴν ἐμψυχῶσθαι καὶ  καθηρμόσθαι τὸν κόσμον, τυχεῖν τε ὁλότητος καὶ διαμονῆς ἐπιτε-  λοῦς2 τε ὑγείας καὶ τὰ ζῶα καὶ τὰ φυτὰ συνόδῳ τε καὶ ἐπιγονῇ καὶ  καλλονῆς καὶ ἀρετῆς καὶ τῶν τοιούτων. ἐπεχείρουν δὲ οὕτως ἐπά-  γοντες᾽ ἡ τῆς ἐξ ἀρχῆς ἀϊδίου ὕλης ἀκοσμία καὶ ὅσον ἐπ᾽ αὐτῇ ἀμορ-  φία στέρησίς τε πάντων ἁπλῶς τῶν τρανωτικῶν, κατά τε ποιὸν καὶ  ποσὸν καὶ τὰς λοιπὰς κατηγορίας, ἀπ᾽ ἀριθμοῦ ὡς [10] κυριωτάτου  καὶ τεχνικοῦ εἴδους ἐκρίθη καὶ διεκοσμήθη τρανότατά τε καὶ ἐμ-  29 ἐπιτελοῦς Ast: ἐπιμελοῦς; ἐπὶ μέρους preferisce Dodds (cf. ed. Klein  Add. p. XXVII).  LA TEOLOGIA DELL’ARITMETICA 895  degli Achei si abbassarono verso la feconda terra, mentre quelle dei  Troiani si levarono verso l’ampio cielo».279  Il numero 6, secondo Anatolio.  Il 6 è il primo numero perfetto: esso infatti si può calcolare con le  sue proprie parti, perché contiene 1/6, 1/3 e 1/2 di sé.280 Elevato al  quadrato [43] contiene se stesso:28! 6x6, infatti, fa 36; elevato al cubo,  invece, non conserva più se stesso come quadrato:282 36x6, infatti, fa  216, che contiene il 6, ma non il 36. Il 6 nasce per moltiplicazione  delle sue potenze,?8 cioè dal primo numero pari e dal primo numero  dispari, che sono come maschio e femmina: perciò è chiamato anche  maschio-femmina [ermafrodito]. E chiamato anche “matrimonio” in  senso proprio, perché non nasce per giustapposizione?84 come il 5,285  ma per moltiplicazione; inoltre è chiamato matrimonio, perché è  uguale alle sue proprie parti,286 ed è opera del matrimonio produrre i  figli simili ai genitori. La prima medietà armonica si costituisce in fun-  zione del 6, se si prende l’ 8 che sta col 6 in rapporto epitrite?28” e il 12  che è il doppio di 6:288 l’ 8 infatti supera ed è superato dagli estremi  [6 e 12] della stessa parte, precisamente di 1/3.28? Ma anche la medie-  tà aritmetica nasce in funzione del 6, se si prende il 9 che sta col 6 in  rapporto emiolio, e il 12 che è doppio di 6:2% il 9 infatti supera ed è  superato dai suoi estremi dello stesso numero, cioè di 3.291 Inoltre  anche le parti del 6,292 cioè 1, 2, 3, contengono una proporzione arit-  metica. Il 6, inoltre, costituisce la medietà geometrica 3, 6, 12. Sono  6, inoltre, le dimensioni [44] dei corpi.2» Dopo il 5, era il 6 che i  Pitagorici celebravano con elogi più evidenti, fondandosi su prove  inequivocabili, e cioè sul fatto che in virtà del numero 6 il mondo è  animato e armonizzato, e acquista totalità e stabilità e perfetta salute,  in rapporto sia agli animali che alle piante nel loro accoppiarsi e ripro-  dursi, e bellezza e virtù e cose del genere. Essi argomentavano con  questa sequela di ragionamenti: la mancanza di ordine e, per quanto  le competa, anche di forma da parte della materia eterna primordia-  le, nonché la sua privazione assoluta di tutti quei fattori che rendono  esplicite le proprietà delle cose, sia secondo la qualità che secondo la  quantità e tutte le altre categorie,?% furono differenziate e ordinate  dal numero, che è la forma assolutamente dominante e creativa, giac-  896 GIAMBLICO  μελοῦς ἐξαλλαγῆς καὶ ἀκολουθίας ἀκηράτου ἔτυχε μετασχοῦσα  κατ᾽ ἔφεσιν καὶ ἀπόμαξιν τῶν ἀριθμοῦ ἰδιωμάτων. ὁ δ᾽ ἀριθμὸς  αὐτὸς τὴν ἐπ᾽ ἄπειρον προχώρησιν εἰδοποιούμενος εὑρίσκεται δι᾽  ἑξάδος κατὰ τελείας συνθέσεις᾽ ἐπεὶ γὰρ τὸ μὲν πρῶτον τέλειον τὸ  ἀρχὴν καὶ μέσον καὶ τέλος ἔχον, τὸ δὲ δεύτερον τὸ τοῖς ἰδίοις μέρε-  σιν ἴσον ἀπλεονέκτητον καὶ ἀνελλιπὲς ἐν τῇ πρὸς αὐτὰ ἀντεξετά-  σει, εὑρίσκεται δὲ τὸ μὲν πρῶτον ἐν τριάδι ὡς ἐν ῥίζῃ, τὸ δὲ δεύτε-  ρον ἐν ἑξάδι πυθμενικῶς, ἀλλὰ καὶ κατὰ συμβεβηκὸς τὸ μὲν τῆς  τριάδος [20] ἐν τῇ ἑξάδι (πάλιν γὰρ β΄ καὶ β΄ καὶ β΄ ἀρχὴ καὶ μέσον  καὶ τέλος), τὸ δὲ τῆς ἑξάδος οὐκέτι ἐν τῇ τριάδι (ἐλλείπει γὰρ ἐν  αὐτῇ τὰ μέρη πρὸς τὸ ὅλον), συμβεβηκυίας δὲ εὑρίσκομεν κατὰ φύ-  σιν καὶ οὐ θεμένων ἡμῶν τὰς κατὰ τριάδα ποσότητας, ἐν ἀριθμῶν  συνθέσει ἑξαδικὴν εἰδοποίησιν ἐμποιούσας μέχρι ἀπείρου τῷ χύ-  ματι παντί, τὰς μὲν πρώτας αὐτῇ τῇ ἑξάδι α΄ β΄ γ΄, τὰς δὲ δευτέρας  πάλιν ἑξάδι, [45] μονάδος μιᾶς κατὰ δευτερωδίαν εἰς τὸν ἑξῆς  βαθμὸν μετιούσης, δ΄ ε΄ ς΄, τὰς δὲ μετὰ ταῦτα πάλιν ἑξάδι, δύο  μονάδων δευτερωδουμένων, ζ΄ η΄ θ΄, τριῶν δὲ καὶ τεττάρων καὶ  ἐφεξῆς τῶν μετὰ ταῦτα τριάδων συγκεφαλαιουμένων, τ΄ 10° ιβ΄ καὶ  ἐφ᾽ ὁσονοῦν, ὥστε ἑξάδι φαίνεσθαι κατὰ τριάδος ἐξάρτησιν διατυ-  πούμενον τὸν ἀριθμὸν σύμπαντα, διατυπωτικὸν φύσει καὶ αὐτὸν  ὄντα τῆς ἐν τῇ ὕλῃ ἀμορφίας, εἶδος οὖν εἴδους οὐκ ἂν διαμάρτοιμεν  αὐτὴν ἡγούμενοι. τρόπον δ᾽ ἕτερον εὐδιαρθρωτικὴβ0 καὶ συντακ-  τικὴ σώματος ψυχή, καθάπερ ψυχικὸν [10] εἶδος ἀμόρφου ὕλης, τῇ  δὲ ψυχῆ τὸ παράπαν οὐδεὶς ἐφαρμόζειν δύναται μᾶλλον ἑξάδος  ἀριθμός, οὐκ ἄλλος ἂν οὕτω διάρθρωσις τοῦ παντὸς λέγοιτο, ψυχο-  ποιὸς ἱσταμένως εὑρισκομένη καὶ τῆς ζωτικῆς ἕξεως ἐμποιητική,  παρὸ ἑξάς. ὅτι μὲν γὰρ ἁρμονικὴ πᾶσα ψυχή, ἁρμονίας δὲ τὰ στοι-  χειωδέστατα σύμφωνα διαστήματα ἐπίτριτος καὶ ἡμιόλιος, ὧν κατὰ  σύνθεσιν τὰ λοιπὰ συμπληροῦται, φανερόν' παρούσης μὲν γὰρ  αὐτῆς, εἰρηνεύει καὶ εὐτακτεῖ καὶ βέλτιστα ἐνήρμοσται τὰ ἐγκε-  30 ei διαρθρωτικὴ Dodds (cf. ed. Klein Add. p. XXVII): εὐδιαρθρωτικὴ. LA TEOLOGIA DELL’ARITMETICA 897 ché la materia partecipa della distinzione e del mutamento regolare e della concatenazione pura in virtà del suo desiderio e della sua capa- cità di riprodurre le proprietà del numero. Ma si scopre che il nume-  ro stesso forma la sua progressione all’infinito per mezzo del 6, secon-  do somme perfette: infatti, poiché il numero perfetto, nella sua forma  primaria, ha principio mezzo e fine, mentre nella sua forma seconda-  ria è uguale alle sue proprie parti senza eccedenza né deficienza in  rapporto ad esse, e si scopre che la forma primaria ha la sua radice nel  3,29 e quella secondaria ha come sua base il 6,296 ma mentre nel 6 si  trova, anche se accidentalmente, la perfezione propria del 329? (infat-  ti 2+2+2 sono ancora una volta principio mezzo e fine), nel 3 invece  non c’è più la perfezione propria del 62% (infatti il 3 ha le parti defi-  cienti rispetto al tutto),29° e noi scopriamo che i gruppi di numeri  presi anche a caso tre alla volta in tutta l'estensione infinita della  serie,30% danno per natura, e non perché lo vogliamo noi, come somma  aggregata 6,39! il primo gruppo, composto dai numeri 1, 2, 3, ha come  somma lo stesso 6,39 il secondo gruppo, composto dai numeri 4, 5, 6  dà come somma ancora 6,3% [45] e qui ricorrendo un 1 di secondo  livello,304 si passa alla somma di secondo grado, il terzo gruppo,  composto dai numeri 7, 8, 9, dà come somma ancora 6, e qui ricorro-  no 2 unità di secondo livello,3% e lo stesso accade con i seguenti grup-  pi di numeri, cioè il quarto gruppo e i successivi, cioè 10, 11, 12, e cosî  via, sicché il numero complessivo?0 si rivela formato dal 6 in dipen-  denza dal 3,39 e poiché infine è il numero che per natura dà forma  alla materia priva di forma, allora non sbagliamo a considerare il 6  come “forma di forma”.39 Secondo un altro ragionamento, se l’ani-  ma, quale forma psichica di materia amorfa, è capace di articolare e  organizzare il corpo, e se nessun numero in assoluto può adattarsi  all'anima più del 6, allora nessun altro numero può essere chiamato  “articolazione dell’universo”, giacché si scopre che questo numero è  capace di dare forma stabile all'anima e generare quindi in essa la sua  natura [ἕξις], donde il suo nome “esade” [ἑξάς], di principio di vita.  Che ogni anima, infatti, sia armonica e che gli intervalli più elementa-  ri dell'accordo armonico siano di rapporto epitrite ed emiolio, rap-  porti dalla cui combinazione si formano gli altri intervalli, è cosa evi-  dente; con la sua presenza, infatti, l’anima rappacifica e ordina e  accorda al meglio possibile i contrari che la natura ha scelto di inseri-  898 GIAMBLICO  κριμένα τῷ ζώῳ ἐναντία, ὑπείκοντα καὶ ἀντακολουθοῦντα καὶ διὰ  τοῦτο ὑγείαν ἐμποιοῦντα τῷ συγκρίματι, θερμὸν [20] ψυχρῷ, ὑγρὸν  ξηρῷ, βαρὺ κούφῳ, πυκνὸν ἀραιῷ, καὶ τὰ ἐοικότα, [46] ἃ χωρὶς  ἁρμονίας τινὸς οὐκ ἂν συναναστρέφοιτο᾽ συνυπάρχει γε μήν, ἐφ᾽  ὅσον ψυχὴ πάρεστι, συναγωγὸς αὐτοῖς, διεξελθούσης δ᾽ αὐτῆς, διά-  λυσις τῶν ἐν τῷ ζώῳ πάντων καὶ λειποταξία συμβαίνει, εἰ δέ γε τὰς  στοιχειόδεις τῆς ἁρμονίας λεχθεΐῖσας ἀρχὰς τό τε ἡμιόλιον καὶ ἐπί-  τριτον ἡμίσους τε ἔδει ἐξ ἀνάγκης (οὐ γὰρ ἄνευ τούτου ἡμιόλιον,  οὐδὲ μὴν αὐτοῦ τούτου τὸ διὰ ΕἼ) καὶ τρίτου δέ᾽ σὺν γὰρ τούτῳ  πάντως τὸ ἐπίτριτον, σὺν ᾧ εὐθὺς τὸ διὰ δ΄. πρῶτος δὲ ἄλλων ὁ ς΄  ἀριθμὸς ὑπὸ τὸ αὐτὸ καὶ ἥμισυ καὶ τρίτον ἔχει, πλευραῖς [10] δια-  φερούσαις χρησάμενος καὶ ἐναντίαις, τῇ μὲν διχαστῶν, τῇ δὲ τρι-  χαστῶν ῥίζῃ, δυάδι καὶ τριάδι, ἵν᾽, ὡς τῶν πάντη παρηλλαγμένων  σύνοδος ἐγένετο, οὕτω καὶ τὰ πάντη διαφέροντα συνάγειν καὶ  συνάδειν πεφύκῃ. ἐπεὶ δὲ ἀναγκαίως, καθὼς προείπομεν, πρὸς τού-  τοις καὶ στερεὸν ἔδει καὶ σφαιρικόν γε τὸ τῆς ψυχῆς μέγιστον  εἶδος, καὶ οὔτε ἀρσενικῶς μόνον στερεὸν οὔτε θηλυκῶς μόνον, ἀλλ᾽  ἀμφότερον (κοινὴ γὰρ ἐπίσης ἀμφοτέρου γένους ἡ ψύχωσις), ἀρτιο-  περίττου τε πρῶτος διὰ τοῦτο ὁ ς΄ λόγον ἔσχε φύσεως, καὶ τὸ κατ᾽  αὐτὸν σφαιρικόν, ἀλλ᾽ οὐ τὸ κατὰ πεντάδα, ψυχῇ πρεπωδέστερον  ἐνομίσθη, ἅτε [20] ἀρσενόθηλυ, τοῦ ε΄ θάτερον μόνον εἶδος  ἔχοντος. ἥ τε τοῦ κύβου πάλιν φύσις οὐ μονοειδής, ἀλλὰ τριγενής,  κατὰ τὸν ἕξ φαντάζεται: τὸ γὰρ ἀπὸ ἑξαπέδου πλευρᾶς τετράγωνον  συγκεφαλαίωμα ὑπάρχει τοῦ τε δυνάμει ἀρτίου καὶ περιττοῦ, κύ-  βου ἅμα καὶ τῶν κατ᾽ ἐνέργειαν ἑκατέρων, α΄ καὶ η΄ καὶ κζ΄ ὁ 19731  πρὸς ταύτῃ τῇ συνθέσει καὶ ἄλλην ἐμπεριέχων [47] ἁρμονίαν: τοῦ  γὰρ ς΄ καὶ η΄ καὶ θ΄ καὶ 19 καὶ τῆς κοινῆς ἀρχῆς, ὅ ἐστι μονάδος,  ἄθροισμα πάλιν ὑπάρχει, ἐν οἷς τὰ μουσικὰ διαστήματα μάλιστα  τεχνολογεῖται, ὡς οἰκειοτάτως καθολικὴ ἁρμονία, τὸ μὲν διὰ πασῶν  διπλάσιον ἐν τοῖς ἄκροις, τὸ δὲ διὰ ε΄ ἡμιόλιον ἐν ἀμφοτέροις τοῖς  31 ho mutato io la virgola in punto.  LA TEOLOGIA DELL’ARITMETICA 899  re nell’essere vivente, il caldo contrario del freddo, l’umido del secco,  il pesante del leggero, il denso del rado, e, simili, i quali cedendo l’uno  all’altro ed entrando in reciproca corrispondenza, procurano salute  alla complessione del vivente, [46] giacché essi senza un accordo  armonico non potrebbero convivere insieme; certamente tali contrari  coesistono finché è presente l’anima, in quanto questa si lega con essi,  ma quando l’anima si allontana, allora avvengono la dissoluzione e il  distacco di tutto ciò che costituisce il vivente, se appunto i suddetti  principi elementari dell'accordo armonico, cioè i rapporti emiolio ed  epitrite, hanno bisogno sia di 1/2 (senza la metà infatti non c’è rap-  porto emiolio, e neppure accordo di quinta) che di 1/3: infatti è con  1/3 che si dà assolutamente il rapporto epitrite, insieme al quale nasce  subito l'accordo di quarta; ma il 6 è il primo fra tutti i numeri che ha  in se stesso la metà e il terzo, poiché si serve di lati diversi e contrari,  cioè della radice di ciò che è divisibile per 2 e della radice di ciò che  è divisibile per 3, cioè 2 e 3, di modo che, come c’è la convergenza di  cose assolutamente divergenti?10 cosî ci sia anche l’unione e l’accordo  di cose assolutamente differenti per natura. E poiché necessariamen-  te, in base a quello che abbiamo detto prima, occorreva inoltre anche  una forma solida, e quella sferica è certamente la forma che meglio si  adatta all'anima, ma una forma che non fosse né solo maschile né solo  femminile, ma di ambedue i tipi (l'animazione infatti è comune ugual-  mente ad ambedue i generi), e il 6 è, da questo punto di vista, il primo  numero che possiede il principio della natura pari-dispari, allora  anche la sfericità relativa al 671! che è maschio-femmina, e non quel-  la relativa al 5,312 il quale ha solo l’una o l’altra forma,313 è considera-  ta più conveniente all'anima. Anche la natura del cubo, a sua volta, è  rappresentata dal 6, poiché non è uniforme,?!4 bensi triplice:315 infat-  ti il quadrato di lato 6316 è la somma del cubo del pari e dispari in  potenza [1], e del cubo di ciascuno dei primi pari e dispari in atto [2  e 31,317 cioè 36=1+8+27. Oltre a questa somma, contiene anche un  altro rapporto armonico:318 [47] infatti 36 è a sua volta la somma di  6+8+9+12, se si aggiunge 1 che è il loro comune inizio, numeri in cui  risiedono al più alto livello tecnico gli intervalli musicali, in quanto  costituiscono in senso assolutamente proprio l'armonia in generale,  cioè l'accordo di ottava che è il rapporto doppio tra i due estremi,  l’accordo di quinta che è il rapporto emiolio tra i medi e gli estremi in  900 GIAMBLICO  μέσοις παρὰ μέρος πρὸς ἄκρα, ἑτέρου πρὸς ἕτερον, τοῦ ιβ΄ παρὰ τὸν  μὴ συνεχῆ, ἤγουν τὸν η΄, τοῦ θ΄ οὐ πρὸς τὸν ὄγδοον, ἀλλὰ πρὸς τὸν  ς΄, τὸ δὲ διὰ δ΄ ἐπίτριτον ἐν τοῖς αὐτοῖς πρὸς τοὺς αὐτούς, ἀνάπαλιν  μέντοι πρὸς τοὺς συνεχεῖς, ἐξεταζομένοις, [10] ἀλλ᾽ οὐ πρὸς τοὺς  διεχεῖς, η΄ πρὸς ς΄ καὶ θ΄ πρὸς ιβ΄. ὅτι δὲ τούτων αἰτιωτάτη ἡ ἑξάς,  δῆλον' σκοπὸς γὰρ αὕτη πᾶσιν ὑπέστη τὸν ὑπάτης τόπον ἔχουσα,  καὶ ἀπ᾽ αὐτῆς αἱ σύμπασαι ἀποστάσεις ἐπενοήθησαν. εἰ δὲ καὶ  φυσικωτέρᾳ ἐφόδῳ. συντάττομεν τὴν τῆς ψυχῆς σύστασιν, πρὸς μὲν  τριχῇ 32 διαστατόν, ἕκαστον δὲ διάστημα πεπερασμένον ἑκατέρωθεν  ἡγούμενοι δεῖν εἶναι, δύο καθ᾽ ἕκαστον ἐπινοήσομεν πέρατα, τριῶν  δὲ ὄντων EÉ ἀποτελεσθήσονται, δι᾽ ἣν αἰτίαν καὶ αἱ λεγόμεναι  σωματικαὶ περιστάσεις τοσαῦται γίνονται καθ᾽ ἕκαστον διάστημα  δύο θεωρούμεναι, ὥστε καθ᾽ ἑξάδα καὶ οὗτος ὁ τῆς ψυχῆς [20] κυβι-  σμός. μή τι καὶ διὰ τοῦτο ἕξ τε αἱ ὀρθαὶ λεγόμεναι μεσότητες, ἃς  ἀναλογίας [τινὰς] τινὲς καλοῦσι, καὶ τοσαῦται αἱ ἁπλαῖ τοῦ ἀνίσου  σχέσεις. αἷς πάντ᾽ ἐφαρμόζεται τὰ συμμετρίαν καὶ ἀπίσωσιν ἐπιδε-  χόμενα ἔν τε τοῖς ἄλλοις καὶ ἐν αὐτῇ τῇ ψυχῇ ἄλογα μέρη. πρώτη  γὰρ ἡ ἑξὰς πυθμενικωτάτη περιέσχεν [48] ἀριθμητικὴν μεσότητα᾽ εἰ  γὰρ ἐκείνη μὲν ἐν ἐλαχίστῳ α΄ BY φαίνεται, τούτων δὲ ἦν σύστημα  ἡ ἑξάς, ἀναλογιῶν ἂν τὴν πρωτίστην δέχοιτο ἔμφασιν καὶ τὴν αὐτοῦ  τοῦ ἀριθμοῦ εἰδοποίησιν, εἵπερ τὸ ἴδιον τῆς αὐτοῦ μεσότητος εἰς  ταύτην συγκεφαλαιοῦται, ἀλλὰ καὶ σκαληνοῦ N πρωτίστη σωμάτω-  σις μέχρις αὐτῆς στερεοῦται, α΄ β΄ γ΄. ὅτι τὴν ἑξάδα ὁλομέλειαν προ-  onyopevov οἱ Πυθαγορικοὶ κατακολουθοῦντες Ὀρφεῖ, ἤτοι παρό-  σον ὅλη τοῖς μέρεσιν ἢ μέλεσιν ἴση ἐστὶ μόνη τῶν ἐντὸς δεκάδος, ἢ  ἐπειδὴ ὅλον καὶ τὸ πᾶν κατ᾽ [10] αὐτὴν διαμεμέρισται καὶ ἐμμελὲς  ὑπάρχει ἑπτὰ γὰρ κινημάτων ἀστερικῶν ὑπαρχόντων παρὲξ τοῦ τῶν  ἀπλανῶν ὀγδόου μέν, οὐχ ἁπλοῦ δέ, καὶ φθόγγους ἀποτελούντων  32 τριχῆ (sc. τριχῇ) congetturò Dodds correttamente (cf. ed. Klein Add.  p. XXVII): διχῆ.  LA TEOLOGIA DELL'’ARITMETICA 901  senso alterno l’uno rispetto all’altro, cioè 12 in rapporto al numero  che non gli è prossimo, cioè 8,319 e 9 in rapporto non a 8, ma a 6,320  l'accordo di quarta che è il rapporto epitrite tra i medi e gli estremi,  ma questa volta presi, a differenza di prima, in successione e non in  alternanza, cioè 8 in rapporto a 62! e 9 in rapporto a 12.522 E chiaro  che di tutto ciò è causa principale il numero 6: esso infatti costituisce  il punto finale di tutti questi rapporti, perché occupa il posto della  ipate,32 ed è a partire da esso che è possibile concepire tutti quanti gli  intervalli. Se poi coordiniamo la struttura dell’anima con un processo  di una sua maggiore relazione con la natura,}24 cioè in rapporto alla  sua tridimensionalità, ma considerando che ciascuna dimensione  deve essere determinata da una parte e dall’altra, concepiremo due  limiti per ciascuna di esse, e di tre che sono se ne produrranno sei,  ragione per la quale anche le cosiddette “direzioni” dei corpi sono  altrettante, tenuto conto che sono due per ciascuna dimensione, sic-  ché anche tale cubatura?25 dell’anima è regolata dal numero 6. E sono  6 anche le cosiddette medietà vere, che alcuni chiamano proporzio-  ni,326 e altrettante sono le relazioni semplici del disuguale,32? con le  quali si accordano tutte le parti irrazionali?28 che, sia nella stessa  anima che in altro, ammettano simmetria ed uguagliamento. Il 6 è  infatti il primo numero base in assoluto che contiene [48] una medie-  tà aritmetica:29 se infatti i numeri più piccoli in cui si manifesta la  medietà aritmetica sono 1, 2, 3, e d’altra parte la somma di tali nume-  ri è 6, allora questo numero ammetterà il manifestarsi della prima pro-  porzione in assoluto?30 e della prima formazione numerica in quanto  tale,331 se è vero che nel 6 si assomma la caratteristica propria della  medietà numerica, ma acquista solidità anche il processo di corpo-  reizzazione assolutamente primo del numero scaleno fino al 6, cioè 1,  2, 3.332  I Pitagorici sull'esempio di Orfeo denominavano il 6 “integrità  delle membra”, o in quanto è l’unico tra i numeri della decade in cui  l’intero è uguale alle sue parti? o membra, o perché l’intero univer-  so è stato diviso in parti ed è armonico in virtà del numero 6: essen-  do 7 infatti i movimenti astrali a parte l’ottavo proprio delle stelle  fisse, che non è un movimento semplice, e producendo quei movi-  menti un uguale numero di suoni per via del loro sibilare, è allora  902 GIAMBLICO  ἰσαρίθμους διὰ τῆς ῥοιζήσεως, ἀνάγκη τὰ διαστήματα αὐτῶν καὶ οἷον μεσότητας ἕξ ὑπάρχειν. ταύτην φίλωσιν οἰκείως κατονομάζου- σιν’ αὕτη γὰρ συμπλεκτικὴ ἄρρενος καὶ θήλεος κατ᾽ ἔγκρασιν, ἀλλ᾽ οὐχ ὡς ἡ πεντὰς κατὰ παράθεσιν. καὶ εἰρήνη δὲ καλεῖται εἰκότως καὶ πολὺ πρότερον ἀπὸ τῆς διατάξεως τῆσδε κόσμος καὶ γὰρ ὁ κό-  σμος, ὥσπερ καὶ ὁ ς΄, ἐξ ἐναντίων πολλάκις ὥφθη συνεστὼς καθ᾽  ἁρμονίαν, καὶ ἡ [20] συναρίθμησις τοῦ κόσμου ὀνόματος ἑξακόσιά  ἐστιν. ἐκάλουν δὲ αὐτὴν ὑγείαν καὶ ἄκμονα τὴν οἷον ἀκάματον, ὅτι  εὐλόγως τὰ τῶν κοσμικῶν στοιχείων ἀρχικώτατα τρίγωνα μετέχει  αὐτῆς, καθ᾽ ἕκαστον ἕξ ὑπάρχοντα, εἰ καθέτοις τρισὶ διανέμοιτο᾽  ἑξαχῶς γὰρ ἂν πάντως διανεμηθείη. διὰ τοῦτο τοσαῦται μὲν αἱ [49]  πυραμίδος πλευραί, τοσαῦτα δὲ καὶ τὰ τοῦ κύβου ἐπίπεδα,  τοσαῦται δὲ καὶ αἱ ὀκταέδρου γωνίαι καὶ δωδεκαέδρου βάσεις κύ-  βου τε καὶ ὀκταέδρου καὶ εἰκοσαέδρου πλευραΐ, καὶ οὐδὲν  ἀπήλλακται τοῦ ἕδραις ἢ γωνίαις ἢ πλευραῖς ἐφάπτεσθαι πάντως  τῆς ἑξάδος., καὶ ἕξ μὲν ὑπὲρ γῆν, ἕξ δὲ ὑπὸ γῆν ζώδια. ὅτι μέχρι πεν-  τάδος ἡ ἀπὸ μονάδος πρόβασις ἁπλῆ, ἀπὸ δ᾽ αὐτῆς παλινωδουμένη  [καὶ]33 ἐξ ἄλλης αὖθις ἀρχῆς" ἕν γὰρ καὶ πέντε ὁ τοῦ ἕξ συνεχής,  καὶ δύο καὶ πέντε ὁ μετ᾽ ἐκεῖνον, εἶτα τρία καὶ πέντε ἐφεξῆς, εἶτα  τέσσαρα καὶ πέντε. εἶθ᾽ ὁ [10] τελευταῖος δὶς πέντε, διὰ τὴν αὐτὴν  τοῦ πέντε πρὸς ἑαυτὴν ὑπάκουσιν. ἑκατηβελέτιν δὲ αὐτὴν καὶ τριο-  δῖτιν καὶ διχρονίαν πρὸς τούτοις ἐκάλουν᾽ ἑκατηβελέτιν μὲν ἀπὸ  τοῦ τὴν τριάδα, ἣν Ἑκάτην οὖσαν παρειλήφαμεν, βολήσασαν. καὶ  οἷον ἐπισυντεθεῖσαν ἀπογεννῆσαι αὐτήν᾽ τριοδῖτιν δὲ τάχα μὲν  παρὰ τὴν τῆς θεοῦ φύσιν, εἰκὸς δέ, ὅτι καὶ ἡ ἑξὰς τὰ τρία τῶν δια-  στάσεων κινήματα πρώτη ἔλαχε, διχόθεν πεπερασμένα ἀμφοτέραις  καθ᾽ ἕκαστον περιστάσεσι᾽ διχρονίαν δὲ παρὰ τὴν ἀπονέμησιν τοῦ  παντὸς χρόνου, ἣν ἑξὰς τῶν ὑπὲρ γῆν καὶ ὑπὸ γῆν ζωδίων διατελεῖ,  ἢ ὅτι τῇ τριάδι [20] προσῳκειώθη ὁ χρόνος τριμερὴς ὦν, διὰ δὲ «δύ-  o» τριῶν ἡ ἑξάς. παρὰ δὲ τὸ αὐτὸ καὶ ᾿Αμφιτρίτην ἐκάλουν αὐτήν,  33 eliminò De Falco secondo il cod. Par. gr 2533 (cf. Miscell. Galbiati,  cit., p. 168).  LA TEOLOGIA DELL'ARITMETICA 903  necessario che i loro intervalli o per cosi dire medietà siano 6. Il 6 è  chiamato propriamente “unione amorosa”, perché unisce insieme  maschio e femmina?34 per mescolanza, e non come il 5, per giustap-  posizione. A ragione è chiamato anche “pace” e, con un nome molto  più antico ricavato dall’ordine delle cose di quaggiù, “cosmo”: e infat-  ti il cosmo, come il 6, è visto spesso come composto di contrari in  armonia tra loro, e la somma dei numeri rappresentati dalle lettere del  nome κόσμος è 600.335 I Pitagorici chiamavano il 6 “salute”336 e  “incudine” come dire “resistenza” [ἄκμων - ἀκάματον], perché giu-  stamente i triangoli più principali che costituiscono gli elementi  cosmici partecipano del 6, in quanto ogni triangolo è 6, qualora venga  diviso con tre perpendicolari: risulterà diviso infatti in 6 parti in  tutto.337 È per questo che sono dello stesso ordine di grandezza?38  [49] i lati339 della piramide,340 e le facce del cubo}! e gli angoli del-  l’ottaedro?42 e le basi del dodecaedro?4 e i lati del cubo e dell’ottae-  dro344 e dell’icosaedro,345 e assolutamente nulla di ciò che attiene alla  facce o agli angoli o agli spigoli <di tali poliedri regolari> sfugge al  numero 6. 6 sono anche i segni dello zodiaco sopra la Terra e 6 quel-  li sotto la Terra.  La progressione da 1 a 5 è semplice,34 mentre dal 6 in poi la pro-  gressione si ripete ma a partire da un altro inizio: il 6 infatti che è suc-  cessivo al 5 è 1+5, e il 7 che è successivo al 6 è 2+5, el’ 83+5, eil9  4+5. Poi viene l’ultimo numero della decade [10] che è due volte 5,  per via della corrispondenza del 5 con se stesso. E inoltre i Pitagorici  chiamavano il 6 “lungi-saettante” e “triviale” e “tempo doppio”:  “lungi-saettante”, perché il 3, che come abbiamo appreso è Ecate, lo  genera scagliandolo, che è come dire sommandolo su se stesso; “tri-  viale”, forse per via della natura della dea,347 ma probabilmente anche  perché il 6 è il primo numero a cui spettano i tre movimenti delle  dimensioni, ciascuno dei quali ha un doppio limite348 in ambedue le  direzioni;399 “tempo doppio” [dicronia] per via della distribuzione di  tutto il tempo prodotta dal 6 nei segni zodiacali sopra e sotto la  Terra,35° oppure perché il tempo, essendo diviso in tre,}51 viene assi-  milato al numero 3, e il 6 nasce dal doppio di 3.352 Per lo stesso moti-  vo i Pitagorici chiamavano il 6 anche Anfitrite,353 in quanto presenta  da ambedue i suoi lati due 3 [᾿Αμφιτρίτη -- ἀμφὶς-τριάς]: infatti il 3  904 GIAMBLICO  ἀμφὶς ἑαυτῆς δύο παρέχουσαν τριάδας᾽ τὸ γὰρ ἀμφὶς κατὰ διχασμὸν  χωρίς ἐστι. τὸ δ᾽ ἀγχίδικος ὄνομα καθ᾽ ἁπλῆν ἔννοιαν [50] προ-  σήρμοζον αὐτῇ, ὅτι γείτων μάλιστα τῇ πεντάδι ἡ ἑξάς. Θάλεια δὲ ἡ  αὐτὴ διὰ τὴν τῶν ἑτέρων ἁρμονίαν, καὶ πανάκεια διὰ τὰ περὶ ὑγείας  προειρημένα εἰς αὐτήν, ἢ οἷον πανάρκεια, ἀρκετῶς κεχορηγημένη  τοῖς μέρεσιν εἰς τὴν ὁλότητα. ὅτι ἑπτὰ τῶν σφαιρῶν οὐσῶν κατὰ τὴν  ἑξάδα τὰ διαστήματά ἐστι μονάδι γὰρ ἀεὶ ἐλάττονα. καὶ τοῦ κύβου  δέ, ὅ ἐστι τῆς σωματότητος, ἕξ αἱ βάσεις τῶν τριῶν πέρατα οὖσαι  διαστημάτων. διὰ δὲ τὴν τοῦ κόσμου κατὰ τὴν ἑξάδα τελειότητα ἡ  τοῦ δημιουργήσαντος θεοῦ ἀρετὴ ἑξαδικὴ δικαίως [10] ἐνομίσθη:  μόνη γὰρ πασῶν ἀρετῶν θεία καὶ τελεία ὡς ἀληθῶς ἀκρότης καὶ  κατ᾽ οὐδὲν μεσότητος κοινωνοῦσα ἡ σοφία ὑπάρχει, ἕν ἁπλοῦν ἀντί-  θετον ἔχουσα μόνην τὴν αὑτῆς στέρησιν τὴν ἀμαθίαν, τῷ μήτε  ὑπερβάλλειν μήτε ἐλλείπειν οὐδὲ ἄλλης μέν τινος ἄπεστιν ἀρετῆς,  ἀλλὰ συνυπάρχει πάσαις ὡς θνηταῖς, ταύτῃ δὲ μόνῃ οὐ πλεονάζει  διὰ τὴν ἑξάδος μετοχὴν οὔτε πλέον οὔτε ἔλαττον πρὸς τὰ μέρη, ἰσό-  anta δὲ πάντως ἐχούσῃ κἀκ τούτου τελειότητα καὶ ὁλότητα, ἧ  κατείληπται ὁ σοφίᾳ θεοῦ καὶ προνοίᾳ μηχανηθεὶς κόσμος, αὐτός  τε καὶ ἐπὶ μέρους ἐν αὐτῷ φυτὰ καὶ ζῶα, ὡς κἀν τοῖς περὶ ἑβδομάδος  [20] φανήσεται. καὶ νῦν δέ, ἐφ᾽ ὅσον ἑξάδι προσῆκεν, οὕτως  ὁρατέον κατ᾽ ἐπιδρομὴν ἀπὸ μονάδος ἐν τῷ Πυθαγορικῷ ὀρθογωνίῳ  τριγώνῳ τὴν πρόοδον ποιουμένοις: μία μὲν ἡ αὐτόθεν ὀρθὴ ἐν αὐτῷ  γωνία, δύο δὲ ἄνισοι μὲν ἀλλήλαις, συναμφότεραι δὲ τῇ προλεχ-  θείσῃ ἴσαι, καθὰ καὶ τῷ ἀπὸ τῆς ἐκείνην ὑποτεινούσης τετραγώνῳ  ἀμφότερα τὰ ἐφ᾽ ἑκατέρας ἀναπλασσόμενα τῶν ἐκείνας  ὑποτεινουσῶν. τρεῖς μὲν αἱ κατὰ τὴν [51] ἐλάττονα τῶν περὶ τὴν  ὀρθήν, τέτταρες δὲ αἱ περὶ τὴν μείζονα, πέντε δὲ «αἱ» περὶ τὴν  ὑποτείνουσαν, ἕξ δὲ αἱ τοῦ ἐμβαδοῦ, τουτέστιν αἱ] τοῦ ἡμισεύ-  ματος τοῦ παραλληλογράμμου, ὅπερ ἡ τοῦ παραλληλογράμμου  περιώρισε διάμετρος. ἀπὸ γὰρ μονάδος συνεχὴς μέχρις ἑξάδος ἡ  LA TEOLOGIA DELL’ARITMETICA 905  dall’uno e dall’altro lato significa che il 6 è separato per sdoppiamen-  to.354 Il fatto che il 6 sia vicinissimo al 5 fa nascere immediatamente  l’idea che ad esso si adatti il nome di “confinante di giustizia” [ἀγχί-  δικος -- ἄγχι δίκης]. [50] Il 6 era chiamato anche Talia?55 perché  armonizza tra diversi, e anche “panacea”? perché quello che abbia-  mo detto sulla salute è in rapporto al 6, o nel senso di “panarchia”  [πανάκεια - πανάρκεια = piena sufficienza], in quanto il 6 è fornito  di parti sufficienti [ἀρκετῶς] a formare l’intero.357  Essendo 7 le sfere celesti, gli intervalli sono in ragione di 6, per-  ché sono sempre inferiori di un’unità.358 Anche del cubo, cioè della  corporeità, sono 6 le basi che costituiscono i confini delle sue tre  dimensioni. In virti della perfezione del cosmo dovuta al numero 6,  si è creduto giustamente che appartiene al 6 anche la virtà creativa di  dio, perché la sapienza è tra tutte le virtù l’unica divina e perfetta, in  quanto è quella più alta e non ha niente in comune con la medietà,159  avendo un unico e semplice opposto, l’ignoranza, che è la privazione  della sapienza, e quindi opposto né per eccesso né per difetto; né la  sapienza è assente da ogni altra virti, ma coesiste con tutte le virtù in  quanto mortali,350 ed è solo grazie ad essa che il cosmo non eccede,  perché quella partecipa del 6 che non è né in più né in meno in rap-  porto alle sue parti,36! in quanto possiede assoluta uguaglianza e per-  ciò perfezione e interezza, ed è da essa pervaso in quanto congegnato  in virtà della sapienza e della provvidenza di dio, sia il mondo come  tale che le sue parti, cioè piante e animali, come si vedrà anche a pro-  posito del numero 7. Ed ora, per quanto riguarda il numero 6, ecco  che cosa dobbiamo sommariamente osservare, per quanto concerne  la proprietà del 6, quando costruiamo a partire da 1 la progressione  del triangolo rettangolo pitagorico: naturalmente c’è in esso un ango-  lo retto, mentre due sono gli angoli disuguali tra loro e la cui somma  è uguale al primo angolo, cosi come è uguale al quadrato derivante  dal lato sotteso all'angolo retto la somma dei due quadrati derivanti  dai lati sottesi agli altri due angoli: 3 [51] è il numero del cateto più  piccolo dei due che formano l’angolo retto, 4 quello del cateto mag-  giore, 5 quello dell’ipotenusa, quindi 6 è il numero della superficie,  cioè della metà del parallelogramma, la quale è determinata dalla dia-  gonale del parallelogramma. Infatti dall’ 1 al 6 c'è una progressione  906 GIAMBLICO πρόοδος, ἀπὸ δὲ ἑξάδος ἐπὶ τῶν διπλασίων «καὶ τριπλασίων»3 ἡ μουσική, ἀπὸ δὲ τούτων ἡ εἰς πάντα τὰ ὅλα διατείνουσα καθάρμο- σις, ἐπὶ δὲ γονιμότητος ἑπταμήνων καὶ ἐννεαμήνων καὶ μᾶλλον ἐάν τε γὰρ (κατὰ τὰ ψυχικὰ δύο ἀποχετεύματα διπλάσια καὶ τριπλά- σια) ἡ πρόβασις ἀπὸ ἑξάδος [10] διὰ δωδεκάδος χωρῇ διπλασίως,  ἐάν τε δι᾽ ὀκτωκαιδεκάδος τριπλασίως, συμπεπλήρωται ἕκαστον  διάστημα, ὥστε δύο λαβεῖν μεσότητας, τὴν μὲν ταὐτῷ μέρει τῶν  ἄκρων αὐτῶν ὑπερέχουσάν τε καὶ ὑπερεχομένην, τὴν δὲ ἴσῳ μὲν  κατ᾽ ἀριθμὸν ὑπερέχουσαν, ἴσῳ δὲ ὑπερεχομένην, ἡμιολίων τε καὶ  ἐπιτρίτων διαστημάτων λόγους ἀναδέξασθαι, «καὶ» καθ᾽ ἑκάτερον  πάντως ἡ δηλουμένη φύσεται ζωογονία᾽ ἐν μὲν γὰρ τῷ διπλασίῳ τῷ  ς΄ καὶ τῷ ιβ΄ μεσασθέντων τοῦ η΄ καὶ θ΄, (καὶ τὰ λεχθέντα τρανῶς  ἀποτελεσάντων), τὸ ὁμοῦ πάντων σύστημα ὁ λε΄ ἑξάδι αὐξηθὲν  ἑπτάμηνον χρόνον ἀποτελεῖ τὸν τῶν σι΄ ἡμερῶν, ἐν δὲ τῷ ς΄ [20] καὶ  in τὰ θ΄ καὶ τὰ ιβ΄ μεσεμβοληθέντα καὶ τὴν αὐτὴν ἐναλλὰξ  ἁρμονικὴν σχέσιν ἀποδόντα, συγκεφαλαιωθέντα τὸν με΄ ἀποτελεῖ,  ὃς τῇ αὐτῇ ἑξάδι αὐξηθεὶς τὸν τῶν θ΄ μηνῶν ἀποδώσει ἀριθμόν,  ἡμερῶν ὄντα σο΄, ὥστε ἀμφοτέρους τοὺς ζωογονικοὺς τούτους χρό-  νους ἠρτῆσθαι τῆς ἑξάδος, ὡς ἂν ψυχοειδοῦς. ἡ γοῦν πρώτη παρὰ  Πλάτωνι ἐν τῇ ψυχογονίᾳ [52] μοῖρα ἑξὰς διὰ τοῦτο ὡς εὐλογιστό-  τερον τίθεται, διπλασία δὲ αὐτῆς ἡ δωδεκάς, τριπλασία δὲ ἡ ὀκτω-  καιδεκὰς μέχρι τῆς ρξβ΄ ἑπτακαιεικοσαπλασίας᾽ ἐν γὰρ ταύταις  ταῖς ποσότησιν ἡ τῶν δύο μεσοτήτων ἐνορᾶται φύσις πρώταις ἐλαχί-  σταις ἥ τε τοῦ ἀνὰ μέσον ἀμφοῖν ἐπογδόονυ διαστήματος. ἐπεὶ δὲ ὁ  ἀπὸ τοῦ ς΄ κύβος σις΄ γίνεται, ὁ ἐπὶ ἑπταμήνων γονίμων χρόνος,  συναριθμουμένων τοῖς ἑπτὰ τῶν ἕξ ἡμερῶν, ἐν αἷς ἀφροῦται καὶ  διαφύσεις σπέρματος λαμβάνει τὸ σπέρμα, ᾿Ανδροκύδης τε ὁ  Πυθαγορικὸς ὁ Περὶ τῶν συμβόλων γράψας καὶ Εὐβουλίδης [10] ὁ  Πυθαγορικὸς καὶ ᾿Αριστόξενος καὶ Ἱππόβοτος καὶ Νεάνθης οἱ τὰ  κατὰ τὸν ἄνδρα ἀναγράψαντες σις΄ ἔτεσι τὰς μετεμψυχώσεις τὰς  αὐτῷ συμβεβηκνυίας ἔφασαν γεγονέναι. μετὰ τοσαῦτα γοῦν ἔτη εἰς  παλιγγενεσίαν ἐλθεῖν Πυθαγόραν καὶ ἀναζῆσαι ὡσανεὶ μετὰ τὴν  πρώτην ἀνακύκλησιν καὶ ἐπάνοδον τοῦ ἀπὸ ἕξ ψυχογονικοῦ κύβου,  τοῦ δ᾽ αὐτοῦ καὶ ἀποκαταστατικοῦ διὰ τὸ σφαιρικόν, ὡς δὲ καὶ  34 l'integrazione è di Waterfield, Emend.  LA TEOLOGIA DELL’ARITMETICA 907  continua,362 mentre dal 6 nasce la musica per raddoppiamento e tri-  plicazione del 6,36 e da questi ultimi viene fuori l'adattamento armo-  nico che si estende su ogni cosa, e specialmente sul parto di sette o  nove mesi: sia infatti che si passi dal 6 al 12 per un processo di dupli-  cazione, sia che si passi al 18 per triplicazione (secondo le due cana-  lizzazioni, doppia e tripla, dell’anima),?4 ciascun intervallo365 è stato  riempito in modo da ottenere due medietà, una in cui il medio supe-  ra ed è superato di una identica frazione rispetto agli stessi estremi,36  e l’altra in cui il medio supera ed è superato di un identico numero  rispetto agli estremi, e che tali medietà armoniche368 ammettano  intervalli di rapporto emiolio ed epitrite, e la suindicata generazione  dei viventi avverrà assolutamente secondo l’uno o l’altro di questi rap-  porti: posti infatti tra 6 e il doppio 12 i medi 8 e 9, (e chiaramente sono questi i risultati dei suddetti rapporti), la somma di tutti i termi- ni presi insieme è 35 che moltiplicato per 6 fa il tempo dei sette mesi, cioè 210 giorni,369 e d’altra parte posti tra 6 e 18570 i medi 9 e 12 si ha in alternativa la relazione armonica, la somma dei cui termini è 45,  numero che moltiplicato per lo stesso 6 dà il numero dei nove mesi,  cioè 270 giorni,}7! sicché ambedue questi tempi zoogonici dipendono  dal 6, come se fossero di natura psichica. È per questo dunque che in  Platone??? la prima porzione nella creazione dell'anima <da parte del  demiurgo> è giustamente calcolata come 6 [52] e dopo <si trova> il  doppio di esso, cioè il 12, e dopo il triplo, cioè il 18 fino ad arrivare  al 162 che è 27 volte 6: in tali quantità infatti si può vedere la natura  delle due medietà?” in rapporto ai primi e più piccoli numeri, ma  anche la natura dell’intervallo epiottavo tra i due medi.374 Poiché il  cubo di 6 è 216, il tempo per il parto di sette mesi, sommati ai sette  mesi i 6 giorni durante i quali lo sperma diviene spumoso acquistan-  do le sue punte di attecchimento,}75 allora il Pitagorico Androcide,  autore di un libro Su? simboli, e il Pitagorico Eubulide e Aristosseno  e Ippoboto e Neante, i quali hanno registrato le vicende della vita di  Pitagora, dicono che le sue reincarnazioni avvenivano ogni 216 anni.  Dicono, infatti, che dopo questo numero di anni Pitagora giunse al  momento della sua rinascita e riprese a vivere al compiersi del primo  ciclo, per cosî dire, e cioè al compiersi del cubo del numero 6 che è  numero psicogonico, ma anche numero ricorrente per via della sua  sfericità, e che poi rinacque un’altra volta, secondo lo stesso princi-  908 GIAMBLICO  ἄλλοτε διὰ τούτων ἀνάζησιν ἔσχεν" ᾧ καὶ συμφωνεῖ τὸ Εὐφόρβου  τὴν ψυχὴν ἐσχηκέναι κατά γε τοὺς χρόνους᾽ ᾧ΄ γὰρ καὶ ιδ΄ ἔτη ἔγγι-  στα ἀπὸ τῶν Τρωικῶν ἱστορεῖται μέχρι Ξενοφάνους τοῦ φυσικοῦ  καὶ τῶν [20] ᾿Ανακρέοντός τε καὶ Πολυκράτους χρόνων καὶ τῆς ὑπὸ  Ἁρπάγου τοῦ Μήδου Ἰώνων πολιορκίας καὶ ἀναστάσεως, ἣν Φωκεῖς  φυγόντες Μασσαλίαν ᾧκησαν᾽ πᾶσι γὰρ τούτοις ὁμόχρονος ὁ [53]  Πυθαγόρας: ὑπὸ Καμβύσου γοῦν ἱστορεῖται Αἴγυπτον ἑλόντος  συνῃχμαλωτίσθαι ἐκεῖ συνδιατρίβων τοῖς ἱερεῦσι καὶ εἰς  Βαβυλῶνα μετελθὼν τὰς βαρβαρικὰς τελετὰς μυηθῆναι, ὅ τε  Καμβύσης τῇ Πολυκράτους μάλιστα τυραννίδι συνεχρόνει, ἣν  φεύγων εἰς Αἴγυπτον μετῆλθε Πυθαγόρας. δὶς οὖν ἀφαιρεθείσης τῆς  περιόδου, τουτέστι δὶς τῶν σις΄ ἐτῶν, λοιπὰ γίνεται τὰ τοῦ βίου αὐὖ-  τοῦ πβ΄. τῆς οὖν τοῦ ς΄ ἀριθμοῦ φύσεως διατεινούσης πως εἰς ψυχῆς  συγγένειαν καὶ εἰδοποίησιν, συλληπτικὰ ἂν καὶ τὰ ὑπὸ Πλάτωνος  λεγόμενα εἰς τοῦτον τὸν τρόπον [10] εὑρεθείη" τὸ γὰρ σύγκριμα, ἀφ᾽  οὗ ἡ τῆς ψυχογονίας διανομὴ καὶ τῶν μέχρις ἑπτακαιεικο-  σαπλασίων μοιρῶν ἀπόστασις, ἑξαδικὸν καὶ κατ᾽ αὐτὸν ὑπάρχει εἰς  οὐδὲν ἄλλο ἀπιδόντα ἢ εἰς αὐτὴν τὴν περὶ ἑξάδος ὑφ᾽ ἡμῶν  λεχθεῖσαν ἰδιότητα. ἐπεὶ γὰρ αὕτη οὐ μόνον ἀρτιοπερίσσου τῆς  μονάδος ἐναργές ἐστι πρὸ τῶν ἄλλων ὁμοίωμα, πρωτίστη ἐναντιωνυ-  μούμενα καὶ ἀντωνυμοῦντα ἔχουσα τὰ μόρια (τρίτον μὲν β΄, ἥμισυ  δὲ γ΄. ἕκτον α΄, ὅλον δὲ ς), ἀλλὰ καὶ τοῦ πρώτου κατ᾽ ἐνέργειαν  περισσοῦ καὶ τοῦ ὁμοίως ἀρτίου σύγκριμά ἐστιν ἅμα καὶ ἥμισυ διὰ  τοῦτο μόνη ἀπὸ πάντων τῶν ἐντὸς δεκάδος, ὥστε [20] ὑπάρχειν  τρανὲς τῆς ἀμερίστου οὐσίας καὶ τῆς μεριστῆς μίγμα, ἑτερομήκης  τε35 ἄντικρυς πρὸ τῶν ἄλλων, δυάδος τοῦτο οὐκ εὐλόγως ἔχειν νομι-  ζομένης, καὶ πρὸς τούτοις στερεὸς πρῶτος ἀριθμῶν πεφώραται, καὶ  εἰ σκαληνός, ἀλλ᾽ οὖν τριχῆ διαστατὸς διὰ τὰς μεσότητας ἡ «δὲ»3ό  ἐλαχίστη συμπασῶν κατ᾽ αὐτὴν τοῖς [54] τε ἰδίοις μέρεσι τελείως  ἐξεταζομένων, εἰκότως διὰ πάντα ταῦτα τὸ κέρασμα ὁ Πλάτων  συνεκεράσατο, πρῶτον μὲν τῆς τοῦ ἀμερίστου οὐσίας, δεύτερον δὲ  35 τε De Falco secondo il cod. Par. gr. 2533 (cf. Miscell. Galbiati, cit.,  168): δὲ.  36 l'integrazione è di Waterfield, Emzend.  LA TEOLOGIA DELL’ARITMETICA 909  pio;376 con questo si accorda cronologicamente anche il fatto che  Pitagora ha assunto l’anima di Euforbo; si racconta infatti che sono  passati circa 514 anni dalla fondazione di Troia fino al tempo del filo-  sofo della natura Senofane e di Anacreonte e di Policrate, e dell’asse-  dio e distruzione della Ionia da parte di Arpago di Media, sfuggendo  alla quale i Focesi fondarono Massalia [Marsiglia]: Pitagora infatti è  contemporaneo di tutti questi eventi; [53] si racconta infatti che fu  fatto prigioniero da Cambise dopo la sua conquista dell'Egitto, dove  frequentava i sacerdoti, e che passato in Babilonia fece esperienza del-  l'iniziazione ai misteri di quei barbari; ora, Cambise visse precisamen-  te al tempo della tirannide di Policrate, per sfuggire alla quale  Pitagora riparò in Egitto. Se dunque sottraiamo due volte il periodo  di 216 anni, rimangono 82 anni che sono appunto quelli della sua  vita.377 Poiché dunque la natura del numero 6 si estende in qualche  modo per affinità alla formazione dell'anima, si potrà trovare di aiuto  anche ciò che in questo senso dice Platone: la combinazione numeri-  ca, infatti, da cui è regolata la creazione dell’anima e da cui deriva la  separazione delle parti fino alla moltiplicazione per 27,378 è relativa al  numero 6 anche secondo Platone, il quale non guarda a nient'altro se  non alla stessa proprietà di cui abbiamo parlato a proposito del 6.  Poiché, infatti, il 6 è il primo fra tutti i numeri che non solo è chiara  immagine del numero pari-dispari, cioè dell’ 1, perché è il numero  assolutamente primo le cui parti si corrispondono con denominazio-  ne contraria (da un lato 1/3 è 2 e 1/2 è 3, e d’altro lato 1/6 è 1 e l’in-  tero [6/1] è 6),37? ma anche perché è combinazione380 del primo  dispari in atto [3] con il primo pari ugualmente in atto [2], ed è per-  ciò l’unico numero, fra tutti quelli della decade, che sta a metà,?8! sic-  ché è precisamente mescolanza di essenza indivisibile ed essenza divi-  sibile,382 e poiché è il primo fra tutti i numeri della decade che risulti  direttamente eteromeche, dal momento che non si può ragionevol-  mente considerare il 2 come fornito di tale proprietà,38 e poiché inol-  tre si è trovato che 6 è il primo numero solido, anche se scaleno,384 ma  nondimeno per le sue medietà}8 è il tridimensionale più piccolo tra  tutti quelli che seguono nella serie38 [54] e che si possono calcolare  in modo perfetto nelle loro proprie parti, per tutte queste ragioni  Platone ha giustamente formato quella mescolanza in cui il primo ter-  mine è l’essenza indivisibile, il secondo l’essenza divisibile, e il terzo  910 GIAMBLICO  τῆς μεριστῆς, τρίτον δὲ τοῦ ἐξ ἀμφοῖν, iva δύο ὄντα τριττὰ) καθ᾽  ἑκάτερον ὑπάρχῃ ἢ τρία κατὰ ἀντιδιαστολὴν διττά, ἴσον τῷ δὶς τρία  ἢ τρὶς δύο, περισσὸν καὶ ἄρτιον καὶ ἀρτιοπέρισσον [τετράγωνος,  ἑτερομήκης].38 ὅτι δὲ οὐδὲ ἐντὸς ἑξάδος δυνατὸν εὑρεῖν ἕτερον  ἀριθμὸν τῶν τῆς ψυχῆς ἁρμονίας λόγων πάντων ἐπιδεκτικόν, καὶ  ᾿Αρισταῖος ὁ Πυθαγορικὸς δείκνυσιν.  [10] περὶ ἑπτάδος. ᾿Ανατολίου.  Ὅτι ὁ ἑπτὰ ἀμήτωρ καὶ παρθένος. ἀπὸ μονάδος συντεθεὶς τὸν  κη΄ ποιεῖ τέλειον. ἡμέραι σελήνης κη΄ καθ᾽ ἑβδομάδας συμ-  πληρωθεῖσαι. ἀπὸ μονάδος ἑπτὰ ἀριθμοὶ ἐν διπλασίονι λόγῳ προ-  σαυξηθέντες ποιοῦσι τὸν πρῶτον τετράγωνον ὁμοῦ καὶ κύβον τὸν  ξδ΄, α΄ β΄ δ΄ η΄ 19° λβ΄ ξδ΄. ἐν τριπλασίονι δὲ λόγῳ προσαυξηθέντες  ἑπτὰ ἀριθμοὶ ποιοῦσι τὸν δεύτερον τετράγωνον [55] καὶ κύβον τὸν  ψκθ΄, α΄ Y θ΄ κζ΄ πα΄ σμγ΄ ψκθ΄. ἔτι ἑβδομὰς ἐκ τῶν τριῶν διαστά-  σεων, μήκους πλάτους βάθους, καὶ τῶν τεσσάρων περάτων, σημείου  γραμμῆς ἐπιφανείας πάχους, σῶμα δείκνυσιν. ὁ ζ΄ λέγεται τῆς  πρώτης συμφωνίας ἀριθμὸς εἶναι τῆς διὰ δ΄ δγ, ἀναλογίας τε γεωμε-  τρικῆς α΄ β΄ δ΄. καλεῖται καὶ τελεσφόρος᾽ γόνιμα γὰρ τὰ ἑπτάμηνα.  ἐν νόσοις κρίσιμος ἡ ἑβδομάς. τοῦ πρωτοτύπου ὀρθογωνίου τριγώ-  νου ὁ ζ΄ περιέχει τὰς περὶ τὴν ὀρθὴν γωνίαν πλευράς" τῶν γὰρ  πλευρῶν ἡ μὲν δ΄, ἡ δὲ γ΄. πλάνητες ζ΄. ἑπτὰ ὁρῶμεν, σῶμα διάστασιν  σχῆμα [10] μέγεθος χρῶμα κίνησιν στάσιν. κινήσεις ἑπτά, ἄνω κάτω  πρόσω ὀπίσω δεξιὰ ἀριστερὰ [μέσον] ἐν κύκλῳ. Πλάτων ἐξ ἑπτὰ  ἀριθμῶν συνέστησε τὴν ψυχήν. πάντα φιλέβδομα. φωνήεντα ἑπτά,  φωνῆς μεταβολαὶ ἑπτά. ἡλικίαι ζ΄, ὥς φησιν Ἱπποκράτης᾽ «ἑπτά εἰ-  σιν ὧραι, ἃς ἡλικίας καλέομεν, παιδίον παῖς μειράκιον νεανίσκος  ἀνὴρ πρεσβύτης γέρων’ καὶ [56] παιδίον μὲν ἄχρις ἑπτὰ ἐτέων  ὀδόντων ἐκβολῆς, παῖς δ᾽ ἄχρι «γονῆς ἐκφύσιος, ἐς τὰ δὶς ζ΄, μειρά-  κιον δ᾽ ἄχρι γενείου λαχνώσιος, ἐς τὰ τρὶς ζ΄, νεανίσκος δ᾽ ἔστ᾽ αὖ-  ξήσιος ὅλου τοῦ σώματος, ἐς τὰ τετράκις ζ΄, ἀνὴρ δὲ ἄχρις ἑνὸς  37 τριττὰ congetturò Waterfield, Erzend.: τρίτα.  38 eliminò Waterfield, Erzend. Ma cf. anche ed. Klein Add. p. XXVIII.  LA TEOLOGIA DELL'ARITMETICA 911  l'essenza che deriva da ambedue, in modo che da un lato 2 possa esse-  re triplicato, o dall'altro lato, inversamente, 3 possa essere duplicato,  essendo il 6 uguale a 3x2 o a 2x3, dispari e pari e pari-dispari. Che  nella decade non si possa trovare nessun altro numero che mostri tutti  i rapporti dell'armonia dell'anima, lo dichiara anche Aristeo  Pitagorico.?388  Il numero 7, secondo Anatolio.  Il numero 7 è senza madre ed è vergine. La somma cumulativa da  1a7è28, che è numero perfetto.389 I 28 giorni della Luna si compio-  no in ragione del 7.39 I primi 7 numeri a partire da 1 aumentati in  rapporto doppio arrivano a 64, che è il primo numero insieme qua-  drato e cubo, cioè 1, 2, 4, 8, 16, 32, 64;39! gli stessi 7 numeri aumen-  tati invece in rapporto triplo arrivano a 729, che è il secondo numero  insieme quadrato [55] e cubo, cioè 1, 3, 9, 27, 81, 243, 729.39 Inoltre  il 7, essendo formato dalle 3 dimensioni, lunghezza, larghezza e altez-  za, e dai 4 limiti <della figura geometrica>, punto, linea, superficie e  volume, è indice di corpo. Il 7 è detto essere il numero del primo  accordo musicale, cioè dell’accordo di quarta, cioè 4/3, e della prima  proporzione geometrica, cioè 1, 2, 4. É anche chiamato “colui che  conduce a termine” [τελεσφόρος], perché conduce a termine il parto  di sette mesi.39 Nelle malattie 7 è momento critico. Il 7 contiene i lati  adiacenti all’angolo retto del triangolo rettangolo prototipo,39% perché  quei lati misurano uno 4 e l’altro 3. 7 sono i pianeti. 7 sono gli aspet-  ti di ciò che vediamo: corpo, dimensione, figura, grandezza, colore,  movimento e stasi. 7 sono le specie di movimento: in alto, in basso, in  avanti, indietro, a destra, a sinistra e in circolo. Platone costruî l’ani-  ma con 7 numeri. Ogni cosa è amante del 7. 7 sono le vocali, 7 le  modulazioni della voce. 7 sono le età della vita come dice  Ippocrate:39 «Sette sono le stagioni <della vita>, che chiamiamo età:  bambino, fanciullo, adolescente, giovane, uomo [adulto], anziano,  vecchio; e [56] il bambino arriva fino alla dentizione, cioè all’età di 7  anni, il fanciullo fino al completo sviluppo degli organi genitali,3%  cioè verso i due volte 7 anni, l'adolescente fino alla nascita dei peli sul  mento,397 cioè verso i tre volte 7 anni, il giovane fino alla crescita com-  pleta del corpo,5* cioè verso i quattro volte 7 anni, l’uomo fino all’età  912 GIAMBLICO  δέοντος «ἐτέων πεντήκοντα; ἐς τὰ ἑπτάκις ζ΄, πρεσβύτης δ᾽ ἄχρις  ἐτέων ve”, ἐς τὰ ἑπτάκις η΄,3 τὸ δ᾽ ἐντεῦθεν γέρων.»  ἐκ τοῦ δευτέρου βιβλίου τῆς ᾿Αριθμητικῆς τοῦ Γερασηνοῦ  Νικομάχου.  [10] ᾿Αγελεία μὲν λέγεται ἀπὸ τοῦ συνειλῆσθαι καὶ συνῆχθαι  ἑνοειδῶς τὴν σύστασιν αὐτῆς, ἐπείπερ παντοίως ἄλυτος, πλὴν εἰς τὸ  ὁμώνυμον, ἢ ἀπὸ τοῦ πάντα ἀγηοχέναι δι᾽ αὐτῆς τὰ φυσικὰ ἀποτελέ-  σματα εἰς τελείωσιν, ἢ μᾶλλον, ὃ καὶ Πυθαγορικώτερον, ἐπειδὴ καὶ  Βαβυλωνίων οἱ δοκιμώτατοι καὶ Ὁστάνης καὶ Ζωροάστρης ἀγέλας  κυρίως καλοῦσι τὰς ἀστερικὰς [57] σφαίρας, ἤτοι παρ᾽ ὅσον  τελείως ἄγονται περὶ ἕν τι κέντρον μόναι παρὰ τὰ σωματικὰ  μεγέθη, ἢ ἀπὸ τοῦ σύνδεσμοί πως καὶ συναγωγαὶ χρηματίζειν δογ-  ματίζεσθαι παρ᾽ αὐτῶν τῶν φυσικῶν λογ«εί»ων, ἃς ἀγέλους κατὰ τὰ  αὐτὰ καλοῦσιν ἐν τοῖς ἱεροῖς λόγοις, κατὰ παρέμπτωσιν δὲ τοῦ γάμ-  μα ἐφθαρμένως ἀγγέλους" διὸ καὶ τοὺς καθ᾽ ἑκάστην τούτων τῶν  ἀγελῶν ἐξάρχοντας ἀστέρας °° δαίμονας ὁμοίως ἀγγέλους καὶ  ἀρχαγγέλους προσαγορεύεσθαι, οἵπερ εἰσὶν ἑπτὰ τὸν ἀριθμόν,  ὥστε ἀγγελία κατὰ τοῦτο ἐτυμώτατα ἡ ἑβδομάς, μήτι δὲ καὶ [10]  φυλακῖτις ἡ αὐτὴ ἐκ τοῦ αὐτοῦ" οὐ γὰρ μόνον παρὰ τὸν τῶν φυλάκων  ἀριθμὸν ἕπτ᾽ ἔσονται ἡγεμόνες, ἀλλὰ καὶ [ὅτι]: οἱ φυλάσσοντες τὸ  πᾶν καὶ ἐν συνοχῇ καὶ αἰωνίῳ μονῇ διακρατοῦντες τοσοῦτοί εἰσιν  ἀστέρες. ὅτι τὴν ἑπτάδα οἱ Πυθαγόρειοι οὐχ ὁμοίαν τοῖς ἄλλοις  φασὶν ἀριθμοῖς, ἀλλὰ σεβασμοῦ φασιν ἀξίαν᾽ ἀμέλει σεπτάδα προ-  σηγόρενυον αὐτήν, καθὰ καὶ Πρῶρος ὁ Πυθαγορικὸς ἐν τῷ Περὶ τῆς  ἑβδομάδος φησί διὸ καὶ ἐξεπίτηδες τὸν ἕξ διὰ τῆς ἐκφωνήσεως τοῦ  κάππα καὶ σίγμα (ταῦτα γὰρ ἐν τῷ ἕξι συνεξακούεσθαι) ἐκφέρουσιν,  ἵν᾽ ἐν τῇ συνεχεῖ καθ᾽ εἱρμὸν ἐπιφορᾷ τὸ σίγμα συνάπτηται τῷ ἑπτά.  [20] ὥστε λεληθότως ἐκφωνεῖσθαι σεπτά. τοῦ δὲ σεβάσμιον εἶναι  39 ἐς τὰ ἑπτάκις T: ci si aspetterebbe ἐς τὰ ὀκτάκις ζ΄, cioè otto volte 7,  come giustamente dice di preferire De Falco in appar. ad loc.  40 ἢ De Falco secondo il cod. Par. gr. 2533 (cf. Miscell. Galbiati, cit., p.  168): καὶ.  41 ho eliminato io.  LA TEOLOGIA DELL’ARITMETICA 913  di 49 anni, cioè verso i sette volte 7 anni, l’anziano fino all’età di 56  anni, cioè fino a sette volte 8 anni, il vecchio infine va da quest’età in  avanti».  Dal secondo libro dell’Aritmetica di Nicomaco di Gerasa  Il numero 7 è detto “foraggiere” [dyeA£ia]39? dal fatto che la sua  composizione è stata raccolta ed è contenuta in modo uniforme, giac-  ché è assolutamente indissolubile, tranne che nella sua parte omoni-  ma [1/7], oppure dal fatto che tutte le cose hanno portato a compi-  mento ogni loro prodotto naturale per mezzo del 7, o piuttosto —  ragione ben più pitagorica — perché anche i più illustri tra i  Babilonesi, sia Ostane che Zoroastro, chiamano le sfere celesti pro-  priamente “greggi”, [57] o perché sono le sole grandezze corporee  che si muovono perfettamente intorno a un unico centro, oppure per-  ché le loro congiunzioni, che studiate secondo argomenti fisici pren-  dono in un certo senso anche il nome di “raggruppamenti”, nei loro  discorsi sacri sono chiamate, per le stesse ragioni, “greggi”, e con l’in-  serzione di un γ, che trasforma la parola, “angeli” [ἄγελοι - ἄγγε-  λοι]; è per questo che anche gli astri o i demoni che governano cia-  scuna di queste greggi vengono denominati parimenti “angeli” e  “arcangeli”, ed essi sono 7 di numero, sicché il 7 è in questo senso  “annuncio” [ἀγγελία] nel senso più etimologico della parola, e per la  stessa ragione è chiamato anche “guardiano”: non solo, infatti, ci  saranno 7 guide oltre al numero delle guardie,4°% ma sono altrettanti  anche gli astri che fanno la guardia all’universo e lo mantengono nella  sua continua ed eterna stabilità.  I Pitagorici affermano che il 7 non è simile agli altri numeri, bensî  è degno di venerazione: difatti lo chiamavano “settade” [centdg],401  come dice anche Proro <di Cirene> Pitagorico nel suo libro Su/  numero 7; ed è per questo che essi pronunziano il 6 [ἕξ = heks] accen-  tuando a bella posta i suoni x e o (sono queste infatti le lettere che si  odono insieme nella pronunzia della lettera ἔ <di ἕξ»), in modo che,  nel pronunziare i numeri in successione senza distaccare le relative  voci, il 6 si unisca a ἑπτά, con la conseguenza che inavvertitamente  quest’ultimo verrà pronunziato certà.402 La ragione per cui il 7 è un  914 GIAMBLICO  τὸν ἕβδομον ἀριθμὸν αἰτία ne: ἡ τοῦ κοσμοποιοῦ θεοῦ [58] πρόνο-  Lo τὰ ὄντα πάντα ἀπειργάσατο γενέσεως μὲν ἀρχὴν καὶ ῥίζαν ἀπὸ  τοῦ πρωτογόνου ἑνὸς ποιησαμένη τοῦ παντὸς εἰς ἀπόμαξιν καὶ ἀφο-  μοίωσιν ἰόντος ἀνωτάτου καλοῦ, συμπληρώσεως δὲ τελείωσιν καὶ  κατάκλεισιν ἐν αὐτῇ τῇ δεκάδι, ὄργανον δέ τι καὶ ἄρθρον τὸ κυριώ-  τατον καὶ τῆς ἀπεργασίας τὸ κράτος ἀπειληφὸς τὴν ἑβδομάδα νομι-  στέον τῷ κοσμοποιῷ θεῷ ὑπάρξαι μεσότης γάρ τις φυσικὴ καὶ οὐχ  ἡμῶν θεμένων ἡ ἑβδομὰς μονάδος καὶ δεκάδος, αἱ δὲ ἴδιαι μεσό-  τῆτες κυριώτεραί πῶς τῶν ἄκρων ὑπάρχουσι᾽ πρὸς αὐτὰς32 γὰρ  ἑκατέρωθεν οἱ [10] λόγοι συννεύουσιν᾽ οὐ μόνον οὖν ὅτι, ἐπειδὴ  κατ᾽ ἀριθμητικὴν ἴσην σχέσιν μεσιτεύουσι μονάδος καὶ δεκάδος ὁ  δ΄ καὶ ζ΄, ἴσον τῇ τῶν ἄκρων συνθέσει τὸ ἀμφοτέρων αὐτῶν σύστημα  παρέχοντες, dom πλεονάζει τοῦ ἑνὸς ὁ δ΄ τοσούτῳ τοῦ δέκα ὁ ζ΄ λει-  πόμενος, καὶ ἐναλλάξ, ὅσῳ [ὁ] τοῦ ι΄ ὁ δ΄ λείπεται, τοσούτῳ τοῦ α΄ ὁ  ζ΄ πλεονάζων, ἀλλὰ καὶ ὅτι τὰ μὲν ἀπὸ μονάδος μέχρι τετράδος  δυνάμει δέκα ἐστίν, ἐνεργείᾳ δὲ αὐτὸ τοῦτο ἡ δεκάς, ὁ δὲ ζ΄ ἀριθμ-  ητικὴ μεσότης τετράδος καὶ δεκάδος, τρόπον τινὰ δύο δεκάδων, τῆς  μὲν δυνάμει, τῆς δὲ ἐνεργείᾳ, ὑποδιπλάσιος ὧν τῆς ἀμφοῖν συνθέ-  σεως. ἔτι δὲ καὶ [20] ἀκρόπολίς τις ὡσανεὶ καὶ δυσχείρωτον ἔρυμα  μονάδι ἀσχίστῳ κατὰ τοῦτο ἡ ἑβδομὰς ἐν τῇ δεκάδι φαίνεται μον-  ὡτάτη γὰρ οὔτε πλάτος ἐπιδέχεται εὐθυμετρικὴ οὖσα καὶ μόνου τοῦ  ὁμωνύμου ἐπιδεκτικὴ μέρους, οὔτε μὴν μιγνυμένη τινὶ τῶν ἐντὸς  δεκάδος τινὰ τῶν ἐν αὐτῇ γεννᾷ, οὔτε μιγέντων τινῶν τῶν μέχρι  δεκάδος γεννᾶται, λόγον δὲ ἴδιον ἔχουσα καὶ [59] ἀκοινώνητον  καιριώτατα τέτακται. διὸ πολλὰ συντυγχάνει ἐν τοῖς κοσμικοῖς  οὐρανίοις τε καὶ περιγείοις, ἀστράσι καὶ ζώοις καὶ φυτοῖς, κατ᾽  αὐτὴν ἀποτελεῖσθαι᾽ τοιγαροῦν τύχη τε ὡς πᾶσι παρεπομένη τοῖς  ἀποβαίνουσιν ὀνομάζεται καὶ καιρὸς ἐπὶ τούτῳ, διότι καιριωτάτης  τέτευχε χώρας καὶ φύσεως. μέγα δὲ τεκμήριον τοῦ λόγου καὶ τὸ ἐν  ταῖς σφαίραις, ὀγδόην μὲν [τὴν] ἄνωθεν, τρίτην δὲ κάτωθεν τὴν σελ-  ηνιακὴν ὑπάρχουσαν τὴν τῶν περὶ γῆν ἀποτελεσμάτων ἀποτέλεσιν  42 αὐτὰς Dodds (cf. ed. Klein Add. p. XXVIII): αὐτοῖς.  LA TEOLOGIA DELL’ARITMETICA 915  numero venerando, è la seguente: la provvidenza di dio, creatore del  mondo, [58] produsse tutti gli enti traendo il principio e la radice  della loro generazione dall’Uno primogenito, giacché l’universo pro-  cede a impronta e immagine della suprema bellezza, e poiché egli  poneva la perfezione e la conclusione del realizzarsi della sua opera  creativa nella stessa decade, dio creatore del mondo dovette necessa-  riamente considerare il 7 come un suo strumento e come il nesso più  dominante e la forza che assumeva il suo proprio potere creativo:  infatti per natura, e non perché lo poniamo noi, 7 è un medio tra 1 e  10,40 e i medi sono in qualche modo più importanti degli estremi: i  rapporti infatti inclinano da un lato e dall’altro verso i medi;1% non  solo dunque, dal momento che 4 e 7 sono medi tra 1 e 10 secondo  un’uguale relazione aritmetica, risultando la somma di ambedue que-  sti medi uguale alla somma degli estremi, di tanto 4 è superiore a 1 di  quanto 7 è inferiore a 10, e viceversa, di quanto 4 è inferiore a 10 di  tanto 7 è superiore a 1, ma anche i numeri che vanno da 1 alla tetra-  de sono potenzialmente 10, mentre la decade è questo stesso numero  in atto, e 7 è medietà aritmetica tra tetrade e decade — giacché in un  certo modo sono due le decadi, una in potenza, l’altra in atto —, in  quanto è sotto-doppio' della somma di ambedue.4% Ancora, il 7  appare anche nella decade, come un’acropoli, cioè come una fortezza  inespugnabile, per la sua indivisibile unità: il 7 infatti è assolutamen-  te l’unico numero che non ammette larghezza, giacché è numero  lineare ed ammette una sola parte, cioè la sua parte omonima,” né  genera alcun numero della decade per mescolanza‘ con altro nume-  ro della stessa decade, né è prodotto per mescolanza di alcun nume-  ro nella decade, ma, poiché possiede un rapporto che è suo proprio  [59] e non è condiviso da altri, esso si colloca nel posto più opportu-  no. Perciò accade che molte cose nei cieli cosmici e nelle zone intor-  no alla Terra, astri e animali e piante, siano portate a compimento  secondo il numero 7; ed è per questo che il 7 è chiamato anche “for-  tuna”, perché accompagna tutto ciò che accade, e anche “momento  opportuno”, perché ha assunto il posto e la natura più opportuni.  Una prova di grande importanza di questo ruolo del 7 è anche il fatto  che tra le sfere celesti quella della Luna, che occupa l’ottavo posto a  partire dall’alto, e il terzo a partire dal basso, porta a compimento e  dà efficacia alle influenze intorno alla Terra, perché la sfera lunare è  916 GIAMBLICO  καὶ ἐξουσίαν ἀποφέρεσθαι, μεσαίχμιον νοουμένην τῶν τε ἄνωθεν  καὶ τῶν [10] κάτωθεν καὶ αὐτὴ γὰρ ἑβδομάδι πρὸς ταῦτα ἐπι-  χρωμένη φαίνεται συλλαμβανούσης μέν πὼς ὡς ὑπασπιστοῦ τῆς  τετράδος - καὶ αὐτὴ γὰρ ἐν δεκάδι μεσότης don σὺν αὐτῇ τῇ  ἑβδομάδι, «ὥστε» ἀναγκαίως τελεσιουργία καὶ συμπλήρωσις τοῖς  οὖσιν ἀποτελεῖται δι᾽ ἀμφοτέρων τῶν ἀριθμῶν, ἐπειδὴ καὶ ὁ κη΄,  τέλειος τοῖς ἑαυτοῦ μέρεσιν ὦν, ἀμφοτέρων ἐγκραθέντων ἔργον  ἐστί (τετράκι γὰρ «ἑπτό») -- , συλλαμβανούσης δὲ πολύ τι πλέον τῆς  ἑβδομάδος" ἡ γὰρ ἀπὸ μονάδος μέχρι αὐτῆς σύνθεσις ἀποτελεῖ aù-  τόν. ἑπτάωροι οὖν αἱ τέσσαρες σεληνιακαὶ φάσεις [60] ὑπάρχουσαι  συμπλῃροῦσιν εὐλόγως τὸν τοῦ ἀστέρος τούτου μῆνα, ἡμερῶν ὄντα  ἔγγιστα κη΄. συλλογίσασθαι δὲ δεῖ καὶ τὰς ἑπτὰ σχηματικὰς μορφὰς  τῆς σελήνης τετράδι, μηνοειδῆ διχότομον ἀμφίκυρτον πανσέληνον,  πάλιν ἄλλην ἀμφίκυρτον, ἐκ θατέρου μέρους φωτιζομένης αὐτῆς,  καὶ πάλιν διχότομον κατὰ ταὐτὰ καὶ ἄλλην μηνοειδῆ. διατιθέμενον  δὲ καὶ τὸν ὠκεανὸν ὑπ᾽ αὐτῆς κατὰ τοὺς ἑβδομαδικοὺς ἀριθμοὺς  ὁρῶμεν. νουμηνίᾳ μὲν μέγιστος ἐν τῷ πλημμύρειν ὁρᾶται, δευτέρᾳ  δὲ βραχὺ ὑποβεβηκώς, τρίτῃ ἔτι ἐλάσσων, καὶ κατὰ [10] τὸ ἑξῆς ἡ  ἀνοίδησις τῆς πλημμυρίδος ἔτι μᾶλλον μειοῦται μέχρι τῆς ἑβδόμης,  ἥτις διχότομον τὴν σελήνην ἐπιδείκνυσι, τὸ δ᾽ αὖ ἀπὸ ταύτης ἐν τῇ  ὀγδόῃ ἴσως πάλιν γίνεται τῇ ἑβδόμῃ, τουτέστιν ἡ αὐτὴ δυνάμει, ἐν  δὲ τῇ θ΄, οἵαπερ ἐπὶ τῆς ς΄, δεκάτῃ δέ, οἵα ἐπὶ τῆς ε΄, καὶ τῇ ια΄, οἵα  ἐν τῇ δ΄, τῇ δὲ 18, οἵα ἐν τῇ γ΄, τῇ δὲ ιγ΄, οἵα ἐν τῇ β΄, τῇ δὲ ιδ΄, οἵα  ἐν τῇ α΄. εἶτα ἀπ᾽ ἄλλης ἀρχῆς ἡ τρίτη ἑβδομὰς τὰς αὐτὰς διαθέσεις  ποιεῖ τῇ ὑδατικῇ σφαίρᾳ, ἃς ἡ πρώτη, ἡ δὲ τετάρτη, ἃς ἡ δευτέρα. τί  γὰρ δεῖ νῦν ὀστρέων τε καὶ ἐγκεφάλων καὶ μυελῶν μινύθησιν καὶ  τῶν πλείστων ζώων τὴν [20] συμπάθειαν ἐπεξιέναι τὴν πρὸς τὸ  ἄστρον τοῦτο, ὁπότε ἐξ αὐτῶν [61] τῶν τοῖς ἀνθρώποις συμβαι-  νόντων αὐτάρκως δυνάμεθα πειραθῆναι περὶ τῶν λεγομένων;  πρῶτον μὲν αἱ καθάρσεις ταῖς γυναιξὶ διὰ τῶν προλεχθεισῶν  ἑβδομαδικῶν περιόδων γίνονται, παρ᾽ αὐτὸ τοῦτο πρός τινων ἔμμηνα  καὶ καταμήνια καλούμενα. εἶτα ἑπτάκις ὁ γόνος ὡς ἐπίπαν τῷ  ἄρρενι θόρνυται εἰς τὴν γυναικείαν μήτραν, ἑπτὰ δὲ ὥραις ταῖς  LA TEOLOGIA DELL'ARITMETICA 917  concepita come intermediaria tra quelle superiori e quelle inferio-  ri;410 risulta, infatti, che la Luna per fare questo utilizzi il 7 con la col-  laborazione del 4 che le farebbe in qualche modo da scudiero -- e  infatti il 4 si è visto che nella decade è termine medio insieme con lo  stesso 7, sicché necessariamente la realizzazione o il compimento  degli enti avviene attraverso ambedue questi numeri, giacché anche il  28, che è numero perfetto in rapporto alle sue proprie parti,4!1 è pro-  dotto della mescolanza di questi due numeri (7x4=28 infatti) —, ma il  7 contribuisce molto più del 4, perché la somma dei numeri da 1 a 7  fa appunto 28. Le 4 fasi lunari, dunque, poiché sono di 7 giorni cia-  scuna, {60] compiono naturalmente il mese di questo astro, che è  appunto di circa 28 giorni. Ma bisogna anche calcolare le 7 configu-  razioni della Luna in rapporto alle sue 4 fasi: luna falcata [primo  quarto], mezza luna, luna scema, luna piena, un’altra volta luna  scema, quando è illuminata dall’altra parte, e un’altra volta mezza  luna, per la stessa ragione, e un’altra volta luna falcata [ultimo quar-  to]. Ma vediamo che anche l'Oceano è disposto dalla Luna secondo i  numeri settenari: alla luna nuova [plenilunio] esso è osservato nella  sua marea più grande, nel secondo giorno diminuisce un poco, nel  terzo è ancora minore, e in seguito il gonfiamento della marea dimi-  nuisce sempre più fino al settimo giorno, che segna la mezza luna,  mentre da questo momento, nell’ottavo giorno è di nuovo come al set-  timo, cioè ha la stessa potenza che nel settimo giorno, e nel nono gior-  no è come al sesto, nel decimo come al quinto, nell’undicesimo come  al quarto, nel dodicesimo come al terzo, nel tredicesimo come al  secondo, nel quattordicesimo come al primo giorno. Poi ricomincian-  do il ciclo, la terza settimana riproduce nella sfera acquatica le stesse  condizioni della prima settimana, la quarta settimana quelle della  seconda. Che bisogno c’è ora di passare in rassegna la diminuzione  delle ostriche e dei ricci e dei mitili e della maggior parte degli anima-  li <acquatici> e il loro rapporto simpatetico con questo astro,413 quan-  do [61] noi possiamo provare ciò che si è detto partendo dalle stesse  cose che accadono agli uomini? Anzitutto i flussi purificatori avven-  gono nelle donne secondo i predetti cicli settenari, ed è per questo  che da alcuni sono chiamati “mestrui” o “mensuali”. C'è poi il seme  del maschio che in generale affluisce sette volte nell’utero femminile,  e in sette ore al massimo o accumula la sua parte feconda dando luogo  918 GIAMBLICO  πλείσταις ἤτοι προσπλάσσεται εἰς ζωογόνησιν τὸ νοστιμώτερον αὖ-  τοῦ ἢ ἀπολισθαίνει, καθάπερ ἀμέλει καὶ ἀντιστρόφως ἀπὸ τῆς  φυσικῆς τοῦ ἐμβρύου ὀμφαλοτομίας εἰς τὴν τῆς ἐξόδου ἐπίδειξιν  ἑπτὰ [10] ὡρῶν οὐκ ἐντὸς διάστημα avverta, ἐν αἷς συμμέτρως  ἱκανὸν ἀντέχειν τὸ κύημα, οὔτε τῇ ἀπὸ τοῦ ὀμφαλοῦ τροφῇ διακρα-  τεῖσθαι ἔχον ἔτι ὡς φυτὸν ἢ μέρος, οὔτε πω τῇ θύραθεν εἰσπνοῇ ὡς  ζῶον ἤδη ἀπροσάρτητον καὶ αὐτοτελές, ἡμέραις δὲ ἑπτὰ φύσει τινὶ  ὑμενώδει ὑδροδόχῳ ὁμοιοῦται, καθάπερ καὶ ὁ ἰατρὸς Ἱπποκράτης  συναινεῖ λέγων ἐν τῷ Περὶ παιδίου φύσεως᾽ «γυναικὸς οἰκείης ἡμῖν  μουσουργὸς ἀγαθὴ κάρτα καὶ πολύτιμος ἦν πρὸς ἄνδρας“ φοιτέου-  σα, οὐκ ἔθελε δὲ λαβεῖν ἐν γαστρί, ἵνα μὴ ἀτιμοτέρη τοῖς ἐρασταῖς  εἴη. ἠκηκόει δὲ ἡ μουσουργός, οἱάπερ αἱ γυναῖκες πρὸς [20]  ἀλλήλας λέγουσιν, ὅτι, ἐπειδὰν μέλλῃ ἡ γυνὴ συλλήψεσθαι ἐν  γαστρί, οὐκ ἐξέρχεται ἡ γονή, ἀλλ᾽ ἐμμένει: ταῦτα ἀκούσασα  συνῆκε, καί που ἤσθετο οὐκ [62] ἐξελθοῦσαν τὴν γονὴν ἅπασαν ἀφ᾽  ἑαυτῆς καὶ ἔφρασε τῇ δεσποίνῃ, καὶ ὁ λόγος ἦλθεν εἰς ἐμέ᾽ κἀγὼ  ἀκούσας ἑβδομαίαν οὖσαν ἐπέτρεψα πρὸς γῆν ὑψηλὰ πηδᾶν: ἑπτὰ  δέ οἱ πεπήδητο, καὶ ἐξῆλθεν αὐτῇ ἡ γονή, καὶ ψόφος ἐγένετο: οἷον  δὲ ἦν τὸ ἐκθορόν, ἐγὼ ἐρέω᾽ οἷον εἴ τις Mod τὸ ἔξωθεν λεπύριον  περιέλοι, ἐν δὲ τῷ ἐσωτάτῳ ὑμένι τὸ ὑγρὸν διαφαίνοιτο.» καὶ τάδε  μὲν Ἱπποκράτης᾽ Στράτων δὲ ὁ Περιπατητικὸς καὶ Διοκλῆς ὁ  Καρύστιος καὶ πολλοὶ ἕτεροι τῶν ἰατρῶν ἐν μὲν τῇ δευτέρᾳ [10]  ἑβδομάδι ῥανίδας αἵματος ἐπιφαίνεσθαι τῷ λεχθέντι ὑμένι φασὶν  ἐκ τῆς ἐξωτέρας ἐπιπολῆς, ἐν δὲ τῇ τρίτῃ διϊκνεῖσθαι αὐτὰς μέχρι  τῶν ὑγρῶν, ἐν δὲ τῇ δ΄ θρομβοῦσθαι τὸ ὑγρόν φασι καὶ μέσον ὡς  σαρκός τι καὶ αἵματος σύστρεμμα ἴσχειν, δηλονότι τελεσιουργίας  τυχὸν διὰ τὴν τοῦ κη΄ τελείαν φύσιν ἢ διὰ τὴν ἐν αὐτῷ τῶν δύο  περιττῶν κύβων περαινούσης οὐσίας ὑπαρχόντων σύνθεσιν, ἐν δὲ  τῇ ε΄ κατὰ τὴν λ΄ μάλιστα καὶ πέμπτην ἡμέραν διαπλάττεσθαι ἐν  μέσῳ αὐτοῦ μελίττης μὲν μεγέθει ἐοικὸς τὸ βρέφος, διατετρανωμέ-  νον δὲ ὅμως, ὥστε κεφαλὴν καὶ αὐχένα καὶ θώρακα καὶ κῶλα  43 ἀνύεται De Falco secondo il cod. Par. gr. 2533 (cf. Miscell. Galbiati,  cit., p. 168): ἀναλύεται.  44 ἄνδρας ho corretto io confrontando Hippocr., De serz., de nat. pueri,  de morbis I 385 Κύμη: ἄνδρα.  LA TEOLOGIA DELL'ARITMETICA 919  al concepimento o scivola via, cosî come per esempio, e in senso  inverso, dal momento del distacco naturale del cordone ombelicale  dell’embrione fino a quando appare la fuoruscita di quest’ultimo tra-  scorre un intervallo non inferiore a sette ore, durante le quali il feto  conserva, relativamente alle sue condizioni generali, una sufficiente  capacità di sopravvivenza, ma non si mantiene più con l’alimentazio-  ne per via ombelicale come fosse una pianta o una parte <della  madre>, ma neppure con la respirazione per via esterna come fosse  un vivente già indipendente e autosufficiente, e per sette giorni somi-  glia a qualcosa di natura membranosa e acquosa, e su questo è d’ac-  cordo anche il medico Ippocrate quando dice nel suo libro Sulla natu-  ra del bambino: «Una signora di mia conoscenza aveva una valente e  stimata cantante che intratteneva rapporti carnali con degli uomini,  ma non voleva rimanere incinta, per non perdere di valore presso i  suoi amanti.414 Ma questa cantante aveva inteso dire da delle donne  che parlavano tra di loro, che quando la donna sta per rimanere incin-  ta lo sperma non esce fuori, ma rimane dentro. Essa fece tesoro di ciò  che aveva udito, e una volta che si accorse [62] che non tutto lo sper-  ma era fuoruscito da sé ne parlò con la sua padrona, e il discorso arri-  vò a me. Saputa la cosa — era incinta da sette giorni —, le prescrissi di  fare alti balzi sul terreno. Al settimo balzo lo sperma le uscî fuori  accompagnato da un rumore. Ed ecco come si presentava la sostanza  balzata fuori: era come se si fosse sgusciato un uovo, e all’interno della  membrana trasparisse la parte umida».415 E queste sono le cose che  dice Ippocrate; Stratone Peripatetico e Diocle di Caristo e molti altri  medici, invece, dicono che nella seconda settimana compaiono sulla  predetta membrana delle chiazze di sangue a partire dalla superficie  esterna, nella terza settimana esse penetrano fino alle parti liquide,  nella quarta settimana il liquido si raggruma, essi dicono, e acquista  nella parte centrale come una concrezione di carne ἃ di sangue, evi-  dentemente perché il feto arriva a maturazione per la natura perfetta  del numero 28, o perché 28 contiene la somma dei <primi> due cubi  dispari4!6 che sono di essenza limitante;417 nella quinta settimana,  verso il 35° giorno al più tardi, si forma nella parte centrale di quella  concrezione il feto di grandezza simile a un’ape, e nondimeno ben  riconoscibile, cioè tale che si possa vedere in esso in modo piuttosto  compiuto testa e collo e torace e arti; e cosi formato, essi dicono, è  920 GIAMBLICO  ὁλοσχερέστερον [20] φαντάζεσθαι ἐν αὐτῷ᾽ καὶ τοῦτό φασι ζ΄ μησὶ  γόνιμον εἶναι, εἰ δ᾽ ἐννέα μέλλει γενήσεσθαι, τῇ ἕκτῃ πάσχει τοῦτο  ἑβδομάδι, ἂν [63] θῆλυ fi, ἂν δὲ ἄρσεν, τῇ ἑβδόμῃ. τῆς δὲ γονιμό-  τητος αἰτίαν μάλιστα τὴν ἑβδομάδα ὑπάρχειν, δηλοῖ τὸ καὶ τὰ  ἑπταμηνιαῖα δι᾽ αὐτὴν ζώσιμα οὐκ ἔλαττον τῶν ἐννεαμηνιαίων γί-  νεσθαι. διαφθείρεσθαι δὲ ὑπὸ τῆς φυσικῆς ἀνάγκης τὰ ἀμφοῖν μέσα  τεταγμένα ὀκταμηνιαῖα, ὃ διὰ τοιούτου τινὸς ἐπιλογισμοῦ συνεβί-  βαζον οἱ Πυθαγορικοί, δι᾽ ἀριθμητικῶν λόγων καὶ διαγραμμάτων  τὴν ἔφοδον ποιούμενοι᾽ τοὺς ἀπὸ τῶν δύο ἐλαχίστων ἀριθμῶν πυθ-  μένας κύβους τοῦ τε β΄ καὶ τοῦ γ΄ τὸν η΄ καὶ τὸν κζ΄ συντιθέντες  ποιοῦσι τὸν λε΄, ἐν ᾧ μάλιστα συμβέβηκε [10] τοὺς τῶν συμφωνιῶν  ὁρᾶσθαι λόγους, δι᾽ ὧν ἡ ἁρμονία τελειοῦται᾽ γένεσις μὲν γὰρ  πᾶσα ἐξ ἐναντίων, ὑγροῦ ξηροῦ, ψυχροῦ θερμοῦ, ἐναντία δὲ οὐχ  ὁμονοεῖ οὐδ᾽ εἰς συστασίν τινος συντρέχει δίχα ἁρμονίας:  ἁρμονιῶν δὲ ἀρίστη, πάντων ἐπιδεκτικὴ τῶν συμφώνων λόγων, ἡ  κατὰ τὸν λε΄ ἀριθμόν, ὃς οὐ μόνον εἰς στερέωσιν καὶ τελειότητα  τοῖς προλεχθεῖσι δυσὶ κύβοις τριχῆ διαστατοῖς ἰσάκις ἴσοις ἰσάκις  συμπληροῦται, ἀλλὰ καὶ τῶν πρώτων τριῶν τελείων τῶν τοῖς ἰδίοις  μέρεσιν ἴσων, δυνάμει μὲν τοῦ α΄, ἐνεργείᾳ δὲ τοῦ ς΄ καὶ τοῦ κη΄,  σύστημά ἐστι. πρὸς δὲ τούτοις καὶ τῶν τὴν ἁρμονικὴν ἐπιδειξα-  μένων [20] πυθμενικῶς θεωρίαν τῶν τῶν συμφωνιῶν σχέσεων  ἁπασῶν, τοῦ ς΄ καὶ η΄ καὶ θ΄ καὶ 18, συγκεφαλαίωμά ἐστι, τοῦτον δὲ  τὸν λε΄ ἐναρμόνιον ὄντα καὶ τελεστικώτατον ὑπὸ πλευρῶν δύο  περισσῶν περιεχόμενον παραλληλόγραμμον, τῆς ε΄ καὶ ζ΄, ψυχογο-  νικὸν γενέσθαι, εἰ τὴν τρίτην διάστασιν τῷ ς΄ μηκυνθεὶς αὐξηθείη  (ψυχῇ γὰρ οἰκειότατος ὁ ς7, προαπεδείχθη. ὅτι ποιότης [64] μὲν  καὶ χροιὰ καὶ φῶς μετὰ τὰ σωματικὰ μεγέθη τριχῆ διαστάντα ὥφθη  κατὰ τὴν πεντάδα, ψύχωσις δὲ καὶ ἕξις ζωτικὴ κατὰ τὴν ἑξάδα διὰ  τοῦτο ὠνομασμένην, τελείωσις δὲ καὶ διανόησις κατὰ τὴν  ἑβδομάδα. ὅπερ οὖν πεντάκις ἕξ ἑπτάκις «ἢ» ἑπτάκις ἕξ πεντάκις  ἀποτελεῖται, τοῦτο δηλονότι καὶ ἐκ τοῦ πεντάκις ἑπτὰ ἑξάκις ἀπο-  Bain dv: σύμπαντα δὲ σι΄, ἐν ὅσαις ἡμέραις οἱ ἑπταμήνιοι ζωογο-  νοῦνται παρὲξ τῶν ἕξ ἡμερῶν, δι᾽ ὅσων ἡ τοῦ ὑγροφόρου ὑμένος σύ-  στασις ἐδείχθη πρώτιστα φαίνεσθαι, σὺν δ᾽ ἐκείναις κύβος ἂν εἴη  [10] ἀποκαταστατικὸς καὶ σφαιρικός, ὃς ἀποτελειοῦται τοῖς οἰκεί-  LA TEOLOGIA DELL’ARITMETICA 921  vitale se nasce di sette mesi, se nascerà invece di nove mesi, questa for-  mazione l’assume nella sesta settimana, [63] se femmina, o nella set-  tima, se maschio. La vitalità del bambino, essi dicono, dipende  soprattutto dalla settimana: è chiaro anche che i bambini che nasco-  no di sette mesi sono meno capaci di vivere di quelli che nascono di  nove mesi, mentre il fatto che il parto di 8 mesi, che ha un posto inter-  medio tra i due,418 si conclude con la morte del bambino deriva da  necessità naturale, ed è un evento che i Pitagorici, procedendo con  calcoli aritmetici e con diagrammi, dimostravano per mezzo di un  ragionamento di questo tenore: sommando i cubi base a partire dai  due numeri più piccoli, 2 e 3, cioè i numeri 8419 e 27,420 si ottiene  35,421 numero nel quale soprattutto accade di vedere i rapporti degli  accordi musicali, con cui si costruisce l'armonia: ogni nascita, infatti,  deriva da contrari, ad esempio umido-secco, freddo-caldo, e i contra-  ri non si accordano né convergono nel costituire qualcosa se non sono  in armonia tra loro; d’altra parte la migliore armonia, che ammette  tutti i rapporti sinfonici, è quella che si ottiene secondo il numero 35,  il quale non solo trova la sua composizione solida e perfetta nei sud-  detti due cubi estesi in tre dimensioni un uguale numero di volte  uguali un uguale numero di volte,422 ma è anche combinazione dei tre  primi numeri perfetti, uguali nelle loro proprie parti, e cioè l’ 1 che è  perfetto in potenza, e il 6 e il 28 che sono perfetti in atto.42 Inoltre il  35 è la somma globale di tutte le relazioni degli accordi musicali che  mostrano la teoria armonica al livello basale, cioè 6, 8, 9, 12, e si è  dimostrato in precedenza”24 che questo numero 35,25 che è un paral-  lelogramma‘26 armonioso e sommamente iniziatico, circoscritto da  due lati dispari, 5 e 7,47 è numero psicogonico, se viene accresciuto e  allungato alla terza dimensione mediante il 6428 (il 6 infatti è il nume-  ro più appropriato all’anima).  Qualità [64] e pellicola e luce, che accompagnano le grandezze  corporee tridimensionali appaiono in virti del numero 5, l’animazio-  ne e la natura [ἕξις] vitale in virtà del numero 6, chiamato cosi [ἑξάς]  appunto per questa ragione,29 e la perfezione e il pensiero in virti del  numero 7. Ebbene, 6x5x7 o 6x7x5, dà evidentemente lo stesso risul-  tato di 7x5x6: in tutto fanno 210, tanti quanti sono i giorni in cui si  compiono i parti di sette mesi, senza contare i 6 giorni, durante i  922 GIAMBLICO  og μέρεσιν ἴσος, tod ἕξ ψυχικοῦ ἀριθμοῦ. καὶ Διοκλῆς δὲ  ἑξαπλασιασθέντων τῶν λε΄ γίνεσθαί φησι στερεὸν τὸν σι΄, ὅσαιπέρ  εἰσιν εἰς τοὺς ἑπτὰ μῆνας ἡμέραι τοὺς τριακονθημέρους.  Ἱπποκράτης dé: «τὰ ἐν ο΄ ἡμέραις κινούμενα, φησίν, ἐν τριπλασίῃσι  τελειοῦται» καὶ κατὰ τοῦτον γὰρ αἱ μὲν ο΄ τριπλασιασθεῖσαι τοῦ  σι΄ ποιητικαί εἰσιν, αἱ δὲ dl’ τοῦ σο΄, ἑπταμήνου καὶ ἐννεαμήνου.  ὅτι καὶ τὰ σπέρματα πάντα ὑπὲρ γῆν ἀναφαίνεται δι᾽ ἑβδόμης μάλι-  στα ἡμέρας ἐκφνόμενα, καὶ ἑπτάκαυλα ὡς ἐπίπαν τὰ πλεῖστα γίνε-  ται, τά τε βρέφη, ὥσπερ ἐσπάρη τε καὶ κατὰ [20] γαστρὸς ἑβδομάδι  διῳκήθη, οὕτω καὶ μετὰ τὴν γένεσιν ἑπτὰ μὲν ὥραις τὴν κρίσιν  ἴσχει τοῦ ζῆν ἢ μή ἐμπνέοντα γὰρ πάντα τῆς μήτρας ἐξέρχεται τὰ  τελεσφόρα καὶ οὐ νεκρὰ ἀποκυηθέντα, [65] πρὸς δὲ τὴν τοῦ ἀναπ-  νεομένου ἀέρος παραδοχήν, ὑφ᾽ οὗ τονοῦται τὸ τῆς ψυχῆς εἶδος,  κρισιμωτάτῃ βεβαιοῦται τῇ ζ΄ ὥρᾳ ἐπὶ θάτερον, ἢ ζωὴν ἢ θάνατον.  ἑπτὰ δὲ μησὶν ὀδοντοφυεῖ, δὶς δὲ ἑπτὰ ἀνακαθίζει καὶ ἕδρας ἀκλι-  νοῦς τυγχάνει, τρὶς δὲ ἑπτὰ διαρθροῦν ἄρχεται τὸ φθέγμα καὶ  λαλεῖν τὰς πρώτας ὁρμὰς ἐπιβάλλεται, τετράκις δὲ ἑπτὰ ἵσταται μὴ  σφαλλόμενα καὶ διαβαίνειν ἐπιχειρεῖ, πεντάκις δὲ ἑπτὰ παύεται  τῆς τοῦ γάλακτος τροφῆς φυσικῶς ἀποδιατιθέμενα. ἑπτὰ δὲ ἔτεσιν  ἀποβάλλει τοὺς φυσικοὺς ὀδόντας καὶ ἀναφύει τοὺς πρὸς τὴν [10]  σκληρὰν τροφὴν ἐπιτηδείους, δὶς δὲ ἑπτὰ ἡβάσκει καὶ ὥσπερ  διηρθρωμένως ἔτυχε τοῦ παντὸς προφορικοῦ λόγου ἐν τῇ προτέρᾳ  τῶν ἐτῶν ἑβδομάδι, τοσούτων φύσει ὑπαρχόντων καὶ τῶν εἰς τὸ  τοιοῦτον ἐπιτηδείων ἁπλῶν φθεγμάτων, οὕτως ἀρχεται ταῖς τοῦ  ἐνδιαθέτου ἐπιβάλλειν διαρθρώσεσιν, καθὸ λογικὸν ἤδη ὑπάρχει  ζῶον, ἑπτὰ κατὰ πολλοὺς τῶν φιλοσόφων ὑπαρχουσῶν τῶν τὸ λογι-  κὸν συνασκουσῶν αἰσθήσεων καὶ τότε μάλιστα συμπληρουμένων᾽  πρὸς γὰρ ταῖς τεθρυλλημέναις πέντε ἔτι καὶ τὴν φωνητικὴν καὶ  σπερματικὴν καταριθμοῦσιν ἔνιοι, αὕτη δὲ τότε συμπληροῦται αὐ-  τοῖς, ὅτε τὸ σπερματικὸν [66] φυσικῶς ἅπασι κινεῖται, ἄρρεσι μὲν  LA TEOLOGIA DELL'ARITMETICA 923  quali, come si è mostrato, appare anzitutto il costituirsi della membra-  na umida, ma insieme a questi 6 giorni il numero diventerà il cubo  ricorrente e sferico del numero psichico 6, cubo che risulta essere  uguale alle sue proprie parti.430 Anche Diocle dice che moltiplicando  per 6 il numero 335 si ha il numero solido?! 210, cioè tanti quanti sono  i giorni per arrivare ai 7 mesi di 30 giorni ciascuno. Ippocrate? da  parte sua dice: «Le cose che si muovono in 70 giorni, si compiono in  numero triplo»: e infatti, secondo questo criterio, il triplo di 70 fa  210, e il triplo di 90 fa 270, che sono rispettivamente i giorni dei parti  di 7 e 9 mesi.  Tutti i semi che germogliano sulla terra spuntano al più tardi il set-  timo giorno, e per la maggior parte hanno al massimo 7 steli, e i feti,  come sono generati e regolati nell’utero in funzione del numero 7,  cosî anche dopo la nascita raggiungono nelle 7 ore il momento criti-  co per sopravvivere o no: infatti tutti quelli che sono partoriti già  maturi e non morti, escono dall’utero respirando, [65] ma in rappor-  to all’aria ricevuta con la respirazione, e destinata a tonificare il prin-  cipio vitale che è l’anima, solo alla settima ora, che è la più critica,  essi si assicurano una delle due possibilità, o sopravvivere o morire. A  7 mesi i bambini fanno la dentizione, a due volte 7 mesi possono stare  seduti con la schiena dritta e senza vacillare, a tre volte 7 mesi comin-  ciano ad articolare la voce e fare i primi tentativi di parlare, a quattro  volte 7 mesi stanno ritti senza cadere e tentano di camminare, a cin-  que volte 7 mesi, svezzandosi naturalmente, cessano di nutrirsi di  latte. All’età di 7 anni perdono i denti naturali e vedono crescere quel-  li idonei all’alimentazione secca,433 e a due volte 7 anni entrano nella  pubertà e cosî come al compimento dei primi 7 anni erano capaci di  articolare ogni forma di discorso verbale, poiché sono appunto 7 per  natura anche le voci semplici idonee a questo scopo, allo stesso modo  ora cominciano ad articolare il discorso interiore, grazie al quale il  vivente è già razionale, poiché sono appunto 7, secondo molti filoso-  fi, i sensi che concorrono all'esercizio della facoltà razionale e che in  quest’età giungono al loro massimo compimento: oltre ai cinque  sensi ben noti, infatti, alcuni annoverano anche il senso della parola e  il senso procreativo, e quest’ultimo matura nei viventi appunto nel-  l’età in cui la facoltà di procreare [66] entra in funzione in tutti natu-  924 GIAMBLICO  διὰ γονῆς, θηλείαις δὲ δι᾽ ἐμμήνου καθάρσεως" διόπερ ζωογον-  ητικῆς ἐπιτηδειότητος τότε μόνον κατάρχονται, καὶ Βαβυλωνίοις  οὐδὲ θρησκεύονται οὐδὲ τῆς αὐτῶν ἱερατικῆς σοφίας μετέχουσιν,  ἀλλ᾽ ἀποκλείονται τῶν ἐνταῦθα μνημάτων ἐντὸς τούτου τοῦ χρόνου.  ἐπεὶ δὲ καὶ τίκτειν τῷ ἑξῆς ἔνεστι χρόνῳ καὶ ἀνθ᾽ αὑτῶν ἀμείβειν  εἰς τὴν κοσμικὴν συμπλήρωσιν ἄνθρωπον, εἰκότως γενεὰν τὴν συμ-  μετροτάτη5 οἱ ποιηταὶ τὴν τριακονταετῆ τίθενται, ἐν ἣ τέκνον  ἔστιν ἰδεῖν᾽ καὶ κατὰ τὴν ἐν τριάδι τελείωσιν διὰ τριῶν ἡ [10] δια-  δοχὴ συγκλείεται διὰ πατρός, υἱοῦ, ἐγγόνου. τῇ δὲ τρίτῃ ἑβδομάδι  συλλήβδην καὶ τὴν ἐπὶ μῆκος αὔξησιν ἀπολαμβάνει, τῇ δὲ τετάρτῃ  τὴν ἐπὶ πλάτος τελειοῦται, καὶ οὐδεμία ἄλλη αὐτοῖς ἀπολείπεται  σώματος ἐπίδοσις" τέλειος γὰρ ὁ κη΄. τῇ δὲ ε΄ κατὰ τὸν ἁρμονικὸν  ἀποδειχθέντα τὸν λε΄ καὶ ἡ κατὰ ἰσχὺν πᾶσα ἐπίδοσις ἀποστραγγί-  ζεται καὶ οὐκέτι οἷόν τε ἑαυτοῦ ἰσχυρότερον μετὰ ταῦτα τὰ ἔτη  γενέσθαι. διὰ τοῦτο οἱ ἀθληταὶ τοσούτων γενόμενοι οἱ μὲν ἤδη  νενικηκότες πλέον τι πρᾶξαι οὐ προσδοκῶσιν, οἱ δὲ μήπω καταλύ-  ουσι. καὶ αἱ τῶν βελτίστων πολιτειῶν νομοθεσίαι μέχρι μὲν ταύτης  στρατεύεσθαι [20] ἀναγκάζουσιν, εἰσὶ δὲ καὶ αἱ μέχρι τῆς μετ᾽  αὐτήν, τὸ δὲ μετὰ τοῦτο στρατηγεῖν μέν, οὐκέτι δὲ στρατεύεσθαι  συγχωροῦσιν. τὸ δὲ κεφάλαιον. ὅταν ὁ τῆς δεκάδος λόγος τῷ τῆς  ἑβδομάδος κερασθῇ καὶ δεκάκις ἑπτὰ γένηται, τότε πάντων ἔργων  ἀφετέον [67] τῷ ἀνθρώπῳ, καθοσιωτέον δὲ τῇ τῆς λεγομένης εὐδαι-  μονίας ἀπολαύσει. ὅτι εἰ46 τέσσαρα τὰ πάντα στοιχεῖα, τρεῖς δὲ  αὐτῶν ἀναγκαίως αἱ μεταξύτητες, ἑβδομὰς ἂν κἀνταῦθα ἐπικρατοίη  τῶν ὅλων: διὸ καὶ Λίνος ὁ θεολόγος ἐν τῷ Πρὸς Ὑμέναιον δευτέρῳ  θεολογικῷ φαίνεται λέγων «τέσσαρες ἀρχαὶ ἅπασι τρισσοῖς  δεσμοῖς κρατοῦνται.» πῦρ μὲν γὰρ καὶ γῆ συνηρμόσθησαν ἀλλήλοις  κατὰ τὴν γεωμετρικὴν ἀναλογίαν᾽ ὃ πρὸς ἀέρα γῆ, τοῦθ᾽ ὕδωρ πρὸς  πῦρ, καὶ ἀνάπαλιν ὃ πρὸς ἀέρα πῦρ, τοῦθ᾽ ὕδωρ πρὸς γῆν, καὶ τὸ  ἐναντίον᾽ τῶν δὲ [10] τοιούτων ἑνωτικαί πως αἱ ἁρμονίαι, μεταξὺ δὲ  ἀέρος καὶ πυρὸς πειθώ: κατ᾽ ἔφεσιν γὰρ καὶ ἀπόμαξιν ἀφομοιοῦται  45 συμμετροτάτην De Falco [cf. RFIC 14 NS (1936) 376]: συμμετρό-  ma.  4 gi De Falco [cf. RFIC 14 NS (1936) 376]: cf. ed. Klein Add. p.  XXVIII, dove erron. trovo scritto 76,2 invece che 67,2): εἰς.  LA TEOLOGIA DELL'ARITMETICA 925  ralmente, nei maschi per mezzo del seme fecondativo, nelle femmine  per mezzo della mestruazione; perciò solo allora ha inizio la loro atti-  tudine a generare esseri viventi, e presso i Babilonesi prima di questa  età non possono né esercitare le azioni di culto né partecipare della  loro sapienza sacerdotale, ma sono interdetti dalle iniziazioni che vi si  praticano. E poiché nell’età successiva ai quattordici anni è possibile  anche avere figli e sostituire a se stessi un altro uomo perché si com-  pia l’ordine cosmico, giustamente i poeti stabiliscono che la misura  più giusta di una generazione è quella di 30 anni, età in cui è possibi-  le vedere un figlio <del figlio>:4?5 anche in virti della perfezione del  numero 3 la successione generazionale si completa per mezzo di 3  uomini: padre, figlio e nipote. In generale nel terzo settennio l’uomo  compie la sua crescita in lunghezza,46 nel quarto in larghezza,” e  non gli resta da fare nessun'altra crescita:438 28,439 infatti, è numero  perfetto. Nel quinto settennio, in virtà del manifestarsi dell’armonico  numero 35,440 finisce anche ogni crescita di vigore fisico e negli anni  successivi, quindi, non è pit possibile divenire più forti di quanto si  è. E per questo che tra gli atleti che hanno questa età, alcuni che  abbiano già conseguito delle vittorie non si aspettano di fare qualche  cosa di più, anche se altri non smettono ancora. Anche le legislazioni  delle migliori città costringono al servizio militare entro questa età —  ma ce ne sono anche di quelle che lo prescrivono fino all’età succes-  siva —, e dopo i 35 anni accordano che si faccia il comandante milita-  re, ma non più il soldato. Quando, infine, il rapporto del 10 si mesco-  la con quello del 7 dando luogo a 10 volte 7,441 allora l’uomo dovrà  smettere ogni sua attività pratica, [67] e consacrarsi a ciò che si chia-  ma “felicità”.  Se gli elementi sono in tutto 4, e i loro intervalli sono necessaria-  mente 3, allora anche in questo caso sull’universo*? dominerà il 7:  perciò anche Lino il teologo [l’Orfico] nel suo secondo libro sulla  teologia intitolato A Irzeneo dice: «Quattro principi sono dominati da  tre vincoli in tutto». Fuoco e terra,44 infatti, sono connessi tra loro  secondo una proporzione geometrica: come la terra sta all’aria, cosi il  fuoco sta all’acqua, e inversamente come il fuoco sta all’aria, cosi l’ac-  qua sta alla terra, e viceversa; i rapporti armonici tra questi elementi  sono in qualche modo unitari, e tra aria e fuoco c'è obbedienza: le  926 GIAMBLICO  τὰ ἀπὸ ἀέρος μέχρι γῆς τοῖς οὐρανίοις καὶ dei κατὰ τὰ αὐτὰ  ὡσαύτως ἔχουσι, πειθόμενά πως καὶ ποδηγούμενα τῇ τοῦ ἀρχεγόνου  καὶ πάντα ἕλκοντος ἐφ᾽ ἑαυτὸ κάλλους φύσει. ὅτι πρὸς τοῖς ἄλλοις  τῇ ἑβδομάδι ὑπάρχει τὸ κρισιμωτάτην εἶναι αὐτήν, ὥσπερ ἐν τῇ  κυοφορήσει καὶ ἐν ταῖς τῆς ἀνατροφῆς ἡλικίαις, οὕτω δὲ καὶ ἐν ταῖς  νόσοις καὶ ταῖς ὑγείαις διὰ τὸ συγγενεστάτην αὐτὴν καὶ ὁμόφυτον  εἶναι τῇ τοῦ ἀνθρώπου κατασκευῇ σπλάγχνα τε γὰρ τὰ λεγόμενα  μέλανα ἑπτὰ κατ᾽ αὐτὴν ἐμπέφυκεν ἡμῖν, [20] γλῶττα, καρδία, ἧπαρ,  πνεύμων, σπλήν, νεφροὶ δύο, καὶ τὰ [68] καθολικὰ μέρη τοσαῦτα,  ἅπερ ἐστὶ κεφαλή, θώραξ, χεῖρες δύο, πόδες δύο καὶ αἰδοῖον" κατὰ  μέρος δὲ διατρήσεις ἐν μὲν τῷ προσώπῳ ζ΄, ὀφθαλμῶν β΄, ὠτῶν β΄,  ῥινῶν β΄, στόματος α΄, τά τε πνοὴν καὶ τροφὴν διαφέροντα ζ΄, φάρυγξ,  στόμαχος, γαστήρ, ἔντερον, μεσεντέριον, κύστις καὶ τὸ πρὸς τῇ  ἕδρᾳ, ὅ τινες ἀρχὸν καλοῦσιν. ὅτι μηδενὸς τρέφοντος ἐνεθέντος ζ΄  ἡμέρας οἷόν τε ζῆν. καὶ ἐν γεωμετρικαῖς σκέψεσιν ἑπτὰ εἴδη τῶν  παρ᾽ αὐτοῖς ἀρχῶν, σημεῖον γραμμὴ ἐπιφάνεια γωνία σχῆμα στε-  ρεὸν ἐπίπεδον, καὶ ἑπτὰ «τὰ» τῶν στοιχειωτῶν ἐξετάσεις [10] ἐπι-  δεχομένων πληροῦνται᾽ τριγώνου γὰρ γωνίαι τρεῖς καὶ πλευραὶ  ἴσαι καὶ αὐτὸ τὸ ἐμβαδὸν ἕν. πολὺ δὲ πλέον καὶ ὅτι τὰ σημειωτικὰ  δι᾿ ἑβδομάδος κρατύνεται ἢ ἐπὶ τὸ νοσερὸν ἢ ἐπὶ τὸ ὑγιεινὸν  pérovta' εἰς γὰρ τὴν ἑβδόμην ἡμέραν μόνην τῶν ἐντὸς αὐτῆς οἱ  πυρεκτικοὶ πάντες τύποι συναντῶσι᾽ διὸ καὶ κρίσεως ἐνταῦθα τυγ-  χάνουσιν. ὁ δὲ τῆς ἀποδείξεως τρόπος ἁπλοῦς εἰκὼς τῷ «τῶν» προ-  βραχέος ἀπὸ μονάδος παντοίων ἀναλόγων ἐκθέσεων ἰδιώματι, ἐν ᾧ  κύβων μὲν ἅμα καὶ τετραγώνων ἡ α΄ καὶ ζ΄ χώρα μόνη ἐπιδεκτικὴ  ἡμῖν ἐφάνη, τετραγώνων δὲ μόνων ε΄ καὶ γ΄, «κΑὐβων δὲ μόνων δ΄,»48 β΄  καὶ ς΄ οὐδετέρων, ὡς οὐδὲ τριταίου [20] οὐδὲ τεταρταίου ἐν τοῖς  πυρεκτικοῖς τύποις. ἰδοὺ γὰρ τοῦ μὲν λεγομένου τριταίου  τετραγώνῳ μάλιστα ὁμοιουμένου διὰ τὸ [69] «ἐξ». ἐπιπέδων  τριγώνων κατάρχειν, ὧν τὸ συμμετρότατον τετράγωνον ἰσότητα  ὀρθογωνίου καὶ πλευρῶν ἔχει, καὶ πρὸς αὐτὸ εὐθύνεται, ἀλλὰ παρὰ  47 ἐξετάσεις: meglio ἐκτάσεις (estensioni) che è congettura di Ast. Cf.  appar. ad loc.  48 sospettò si dovesse aggiungere Waterfield, Erzend.  49 aggiunse Waterfield, Erzend.  LA TEOLOGIA DELL'ARITMETICA 927  cose che vanno dall’aria fino alla terra, infatti, imitano i corpi celesti  per desiderio e impronta e restano sempre allo stesso modo e nello  stesso rapporto, obbedendo in qualche modo e lasciandosi guidare  dalla natura della bellezza primigenia che attrae a sé ogni cosa.  Fra le altre proprietà il numero 7 ha quella di essere il numero più  critico, nella gravidanza e nelle varie fasi dell’età evolutiva, cosi come  nelle malattie e nelle guarigioni, perché 7 è il numero pit congeniale  e connaturale alla costituzione dell’uomo: e infatti le nostre cosiddet-  te “viscere nere” sono per natura 7: lingua, cuore, fegato, polmone,  milza e due reni, [68] e altrettante sono le parti del corpo in genera-  le: testa, torace, due braccia, due gambe e l’organo sessuale; anche gli  orifizi della faccia, presi uno alla volta, sono 7: due per gli occhi, due  per gli orecchi, due per il naso e uno per la bocca, e 7 sono gli orga-  ni che portano la respirazione e l’alimentazione: gola, esofago, stoma-  co, intestino, mesenterio, vescica e ano, che alcuni chiamano “retto”.  È possibile vivere 7 giorni senza a ingerire alcun alimento. Anche  nelle relazioni geometriche sono in tutto 7 le specie dei loro principi:  punto, linea, superficie, angolo, figura, volume, piano, e 7 quelle dei  principi più elementari‘ che ammettano investigazioni:4 il triango-  lo infatti ha tre angoli, tre lati e un’area.446  Molto più sono dominati dal numero 7 i sintomi che inclinano o  alla malattia o alla salute: solo verso il settimo giorno, infatti, e non  prima si presentano tutti i tipi di febbre, e perciò essi acquistano a  quel punto carattere critico. Questo loro modo di manifestarsi si può  semplicemente e in breve dimostrare per somiglianza con la proprie-  tà delle varie esposizioni proporzionali a partire da 1, dove si vede che  solo il primo e il settimo posto contengono insieme cubi e quadrati, il  quinto e il terzo solo quadrati, il quarto solo cubi, il secondo e il sesto  né quadrati né cubi, proprio come tra le febbri tipiche tali posti non  contengono né la terzana né la quartana.47 Infatti, della suddetta feb-  bre terzana, che somiglia soprattutto a un quadrato -- [69] perché un  quadrato ha origine da triangoli piani, nella cui uguaglianza di angoli  retti e di lati risiede il quadrato assolutamente commisurato —,448 ed è  quindi regolata in rapporto al quadrato, ma si manifesta comunque  928 GIAMBLICO  μίαν πάντως ἐπισημαίνοντος, α΄ τε καὶ γ΄ καὶ ε΄ καὶ ζ΄ μετέχουσιν  ἀπ᾽ ἀλλήλων οὖσαι τρίται καθὰ καὶ τετραγωνισμοῦ ἐν πάσαις ταῖς  ἀνάλογον ἐκθέσεσιν ἰσοταγεῖς χώρας τεταρταίου δὲ καὶ τῷ κύβῳ  παραπεμφθέντος διὰ τὴν πανταχόθεν ἑδραιότητα κἀκ τῶν ἕξ βάσεων  τετραγώνων εὐσταθὲς α΄ καὶ δ΄ καὶ ζ΄ κοινωνοῦσι παρὰ γὰρ δύο  ἐπισημαίνει ὁ λόγος, ὥστε διὰ τετάρτης ἀπαντᾶν ἡμέρας, ὡς ἐν ταῖς  [10] αὐτῶν ἀνάλογον ἐκθέσεσιν εἰς τὰς τετάρτας πάντως οἱ κύβοι  ἀποτελοῦνται χώρας; τοῦ δὲ λεγομένου ἡμιτριταίου φύσιν μὲν ἰδί-  αν οὐκ ἔχοντος, παρὰ δὲ τὸν τριταῖον μορφουμένου, ἀπαντῶντος δὲ  αὐτοῦ ἐν δυσὶ νυχθημέροις, τουτέστιν ὥραις μη΄, ἀεὶ μέντοι τρεῖς  ὥρας ὁρίζοντος εἰς ὁποτερονοῦν, ἤτοι λῆψιν ἢ ἄνεσιν, τὸ δὲ λοιπὸν  ἕν δωδεκάωρον εἰς τοὐναντίον, παρὰ μέντοι τὸ θᾶττον ἢ βράδιον  αὐτὰ ταῦτα ἀποδιδόναι ἤτοι μεγάλου ἡμιτριταίου λεγομένου ἢ  μικροῦ ἢ μέσου πρὸς τὰς παρ᾽ ἑκάτερον παρολκὰς ἢ παρεκτάσεις,  μεθέξει μὲν ἡ τῆς δευτέρας ἡμέρας δευτέρα δωδεκάωρος ἐπισημαν-  θεῖσα τῆς δὲ [20] τετάρτης ἡ προτέρα δωδεκάωρος καὶ τῆς ἕκτης ἡ  ἀρχή, ὥστε πάλιν ἀπάντησιν εἰς τὴν τῆς ἑβδόμης ὑστέραν γενέσθαι  καὶ τρόπον τινὰ τὴν ἑβδόμην ἐοικυῖαν εἶναι τῇ πρωτίστῃ κατὰ πάν-  Ta’ πάντων γὰρ ἁπλῶς τῶν ἐντὸς διαστήματος τεταρταϊκοῦ τύπων  ἀμφότεραι μόναι μετέχουσαι, ἡ μὲν γεννητική, ὡς εἰπεῖν, [70]  αὐτῶν ἔσται, ἡ δὲ κριτικὴ καὶ οἷον δοκιμαστική, τῶν δ᾽ ἀνὰ μέσον  πασῶν οὐδεμία πάντων μετέχει πλὴν ἀφημερινοῦ, οὗπερ ἀναγκαίως  καὶ ζ΄ καὶ α΄ κοινὴ γὰρ αὕτη ἐπισημασία μόνη, ὥσπερ καὶ τῶν ἐκ-  κειμένων διαγραμμάτων. αὕτη ἡ πολλαπλασιότης κοινὸν πάντων  στίχων παρακολούθημα, ἀλλὰ διαφεύγει δευτέρα μὲν τριταῖον καὶ  τεταρταῖον, μετέχει δὲ ἀφημερινοῦ καὶ ἡμιτριταίου᾽ τρίτη δὲ δια-  φεύγει μὲν ἡμιτριταῖον καὶ τεταρταῖον, μετέχει δὲ ἀφημερινοῦ καὶ  τριταίον᾽ τετάρτη δὲ διαφεύγει μὲν τριταῖον, τῶν δὲ λοιπῶν μετέχει  τριῶν" πέμπτη δὲ [10] διαφεύγει μὲν τεταρταῖον, μετέχει δὲ καὶ τρι-  50 τύπων ho corretto io seguendo una giusta congettura di Ast (cf. appar.  ad loc.): τόπων De Falco. La correzione si rende necessaria per il fatto che  qui si sta trattando dei vari tipi di febbre e il termine τύπος è adoperato nel  contesto sia prima che dopo (cf. li. 68,14 supra οἱ πυρεκτικοὶ πάντες τύποι;  li. 70,13 5. τὰ τῶν ἄλλων τύπων [sc πυρεκτικῶν] συμφανέστερα ἢ  ἁπλούστερα infra).  LA TEOLOGIA DELL'ARITMETICA 929  con un solo giorno di intervallo, partecipano i numeri 1, 3, 5, 7,449 che  sono al terzo posto l’uno dall’altro, proprio come partecipano anche  del formarsi dei quadrati proporzionalmente in tutte e due le esposi-  zioni,45° occupando posti corrispondenti; della febbre quartana, che è  regolata dal cubo, perché questo é da ogni parte stabile e ben equili-  brato per le sue sei basi quadrate, partecipano i numeri 1, 4 e 7, per-  ché essa si manifesta con un rapporto di due giorni di intervallo, di  modo che ricorre al quarto giorno, proprio come i cubi risultano pro-  porzionalmente, nelle relative esposizioni, rigorosamente ai quarti  posti; della febbre cosiddetta semiterzana che non ha una sua propria  natura, perché riceve forma da quella terzana, e ricorre in due perio-  di di un giorno e una notte ciascuno, cioè in 48 ore, e tuttavia ha sem-  pre un limite di 3 ore nei due sensi, cioè per l’accesso o per il calo, e  di un altro periodo di 12 ore per invertire la tendenza,1?! e tuttavia,  potendo produrre gli stessi effetti o più rapidamente o più lentamen-  te, allora si ha la cosiddetta grande o piccola o media semiterzana in  rapporto ai ritardi o allungamenti in un senso o nell’altro, e faranno  parte del corso febbrile sia la febbre che si manifesta nelle 12 ore della  seconda parte del secondo giorno che quella delle prime 12 ore della  prima parte del quarto giorno e quella delle 12 ore dell’inizio del sesto  giorno, in modo che ci sia una nuova ricorrenza" verso la seconda  parte del settimo giorno e quest’ultimo sia in qualche modo simile in  tutti i tipi al primo giorno: infatti questi due giorni sono i soli che par-  tecipano semplicemente di tutti quanti i tipi che cadono entro un  intervallo quartano,4) essendo l’uno, cioè il primo, quello che, per  cosî dire, provocherà la febbre, [70] e l’altro, cioè il settimo, quello  che la farà entrare in crisi come se la mettesse alla prova, mentre nes-  suno dei giorni che stanno in mezzo partecipa di tutti i tipi, tranne che  della febbre quotidiana, di cui necessariamente partecipano anche il  settimo e il primo, perché questo tipo di febbre è il solo comune,  come accade anche nei diagrammi esposti.454 Questo rapporto multi-  plo455 accompagna comunemente tutte le linee,456 ma il secondo posto  sfugge alle febbri terzana e quartana, e invece partecipa delle febbri  quotidiana e semiterzana; il terzo posto sfugge alla semiterzana e alla  quartana, e partecipa delle febbri quotidiana e terzana; il quarto posto  sfugge alla terzana, e partecipa delle altre tre febbri; il quinto posto  sfugge alla quartana, ma partecipa della terzana e della quotidiana e  930 GIAMBLICO  ταίου καὶ ἀφημερινοῦ καὶ τῆς τοῦ λοιποῦ ἀνωμαλίας; ἕκτη δὲ μόνη  ἀφημερινοῦ μετέχει ἀντιπεπονθύότως τῇ τετάρτῃ ἕνα μόνον διαφευ-  γούσῃ᾽ ἑβδόμη δὲ πάντων μετέχει, ὡς ἡ πρώτη. κἀπειδὴ τὰ τῶν  ἄλλων τύπων συμφανέστερα ἢ ἁπλούστερα, τεταραγμένου δὲ τοῦ  ἡμιτριταίου, σαφέστερον οὕτω ὁρισθήσεται᾽ πρώτης ἀρχῆς σημασί-  ας ἐνδοτέρω οὐκ ἂν ἐπισημήνειε ε΄ ἑξαώρων, ὥστε κατὰ τὴν τῆς γ΄  ἑσπέραν τῆς πρότερον γενομένης κατὰ τὴν μεσημβρίαν τῆς δευτέ-  ρας ἡ ἐπὶ ταύτῃ ὅρον ἕξει, οὗ ἐνδοτέρω ἀμήχανον, πάλιν τὸ τῆς  τετάρτης μεσονύκτιον εἰς τὴν τῆς ἕκτης εὐθὺς [20] πρωΐαν, ὥστε τὴν  τῆς ἑβδόμης μεσημβρίαν ἀποκρίνεσθαι. ἀπὸ δὲ ταύτης τῆς διαιρέ-  σεως, ἥτις ἐστὶ τοῦ σμικροτάτου, καὶ τὰς ἀνωμαλίας λογιστέον. διὰ  τὸ οὖν τυχαίως καὶ ἐπίκαιρόν τινα τρόπον ἀπαντᾶν καὶ ἀποκρίνε-  σθαι ἕκαστα «κατὰ» τὴν τῆς ἑβδομάδος χώραν καιρὸν αὐτὴν καὶ  τύχην ἐπωνόμαζον, καὶ [71] ἡ συνήθεια καιρὸς καὶ τύχη εἰθίσθη  λέγειν. τί γὰρ δεῖ νῦν καὶ περὶ τῶν κλιμακτήρων λεπτολογεῖν  ἑβδομαδικῶν μάλιστα παρὰ τοῖς ἀποτελεσματολόγοις δογματιζο-  μένων; ὅτι ᾿Αθηνᾶν καὶ καιρὸν καὶ τύχην τὴν ἑπτάδα ἐπωνόμαζον᾽  ᾿Αθηνᾶν μέν, ὅτι παραπλησίως τῇ μυθευομένῃ παρθένος τις καὶ  ἀζυξ ὑπάρχει, οὔτε ἐκ μητρὸς γεννηθεῖσα, ὅ ἐστιν ἀρτίου ἀριθμοῦ,  οὔτε ἐκ πατρός, ὅ ἐστι περιττοῦ, πλὴν ἀπὸ κορυφῆς τοῦ πάντων  πατρός, ὅπερ ἂν εἴη ἀπὸ τῆς τοῦ ἀριθμοῦ κεφαλῆς μονάδος, καὶ  ἔστιν οἷον ᾿Αθηνᾶ ἀθήλυντός τις, θῆλυ δὲ ὁ εὐδιαίρετος [10] ἀριθ-  μός: καιρὸν δέ, ὅτι οὐ χρόνῳ μακρῷ τὰς ἐνεργείας ἀνυομένας ἐν  ταῖς κρίσεσιν ἔχει «εἰς ὑγείαν ἢ νόσον ἢ εἰς γένεσιν καὶ φθοράν"  τύχην δέ, ὅτι παραπλησίως τῇ μυθευομένῃ Τύχῃ τὰ θνητὰ διέπει.  ὅτι οὐ μόνον τῆς ἀνθρωπίνης φωνῆς ἀλλὰ καὶ ὀργανικῆς καὶ  κοσμικῆς καὶ ἁπλῶς ἐναρμονίου φωνῆς ζ΄ ὑπάρχει τὰ στοιχειώδη  LA TEOLOGIA DELL'ARITMETICA 931  della parte irregolare della rimanente febbre; il sesto posto è il solo  che partecipi della quotidiana, contrariamente al quarto posto, che  sfugge a una sola febbre; il settimo posto partecipa di tutte le febbri,  come il primo posto. E poiché tutte le febbri ad eccezione della semi-  terzana, che è irregolare, sono piuttosto riconoscibili e semplici, si  potranno definire più chiaramente nel modo seguente: poiché il  primo sintomo non si manifesterà prima di 5 periodi di 6 ore ciascu-  no,47 allora, nel caso che il sintomo precedente si manifesti a mezzo-  giorno del secondo giorno, il successivo non si manifesterà prima  della sera del terzo giorno,458 prima di questo termine è impossibile,  mentre il sintomo che si manifesterà la prima volta alla mezzanotte del  quarto giorno si ripeterà al primo mattino del sesto, in modo che si  determini poi il sintomo del mezzogiorno del settimo. A partire da  questa suddivisione, che è quella della febbre più piccola,159 si devo-  no calcolare anche le irregolarità. Comunque, poiché ogni cosa si  manifesta e si determina a caso e al momento giusto in virti del  campo d’azione del 7, questo numero veniva chiamato «αὶ  Pitagorici> “giusto momento” e “fortuna”, [71] ed è invalsa l’abitu-  dine di dire “giusto momento” e “fortuna”. Che bisogno c’è, dunque,  ora di sottilizzare anche a proposito dei momenti critici settenari, che  si trovano teorizzati soprattutto presso gli scrittori di astrologia?490  I Pitagorici chiamavano il 7 “Atena” e “momento giusto” e “ for-  tuna”: “Atena”, perché, proprio come la dea del mito, questo nume-  ro è vergine e senza vincoli matrimoniali, né è stato generato da  madre, che è come dire da numero pari, né da padre, che è come dire  da numero dispari, bensi dalla parte sommitale#6! del padre di tutti, 462  e perché come Atena è privo di femminilità, essendo femmina il  numero che è facilmente divisibile;46 “momento giusto”, perché il 7  contiene azioni di breve durata nei momenti critici di passaggio alla  salute o alla malattia, alla generazione o alla corruzione; “fortuna”,  infine, perché, proprio come la Tukhe del mito, il 7 governa le cose  mortali.  Non solo sono 7 i suoni elementari della voce umana,‘ ma anche  quelli della voce strumentale e cosmica, per dirla in breve dell’armo-  nica, non soltanto perché sono i soli e assolutamente primi suoni  932 GIAMBLICO  φθέγματα, οὐ μόνον παρὰ τὸ ὑπὸ τῶν ζ΄ ἀστέρων ἀφίεσθαι μόνα καὶ  πρώτιστα, ὡς ἐμάθομεν, ἀλλ᾽ ὅτι καὶ τὸ πρῶτον διάγραμμα παρὰ τοῖς  μουσικοῖς ἑπτάχορδον ὑπέπεσεν. ὅτι τριῶν ὄντων τῶν τῆς ψυχῆς  εἰδῶν ἢ μερῶν, φρονητικοῦ θυμικοῦ ἐπιθυμητικοῦ, τέσσαρες ἀρεταὶ  αἱ [20] τελειόταται γίνονται, καθάπερ τριῶν διαστημάτων τέσσαρες  ὅροι ἐπὶ σωματικῆς συναυξήσεως.  [72] περὶ ὀκτάδος.  Τὴν ὀκτάδα πρῶτον ἐνεργείᾳ κύβον καὶ μόνον ἐντὸς δεκάδος  ἀρτιάκις ἄρτιον ἔφαμεν, ἐπειδὴ ὁ δ΄ συνέχειν φαίνεται τὰς περισ-  σαρτίου καὶ ἀρτιάκις ἀρτίου διαγνώσεις ἐν τῷ δύο μόνον διχα-  σμοὺς ἐπιδέχεσθαι [εἰ] μέχρι μονάδος, τὸν μὲν αὑτοῦ, τὸν δὲ τῶν  μερῶν, παγκάλως τε καὶ παραλλήλως ἡρμοσμένος πάσας ἁρμόσεις,  τὴν μὲν ἐκ δύο μήτε γεννώντων μήτε γεννωμένων, οἵπερ μόνοι ἐν  δεκάδι ὥφθησαν (λέγω δὲ τὴν ἐκ τοῦ α΄ καὶ ζ7), τὴν δὲ ἐκ δύο πρώτων  ἀρτιοπερίσσων, τῆς μὲν δυνάμει, τῆς δὲ ἐνεργείᾳ, τὴν ἐκ τοῦ β΄ καὶ  ς΄, τὴν δὲ ἐκ δύο πρώτων περισσῶν, ἥπερ στοιχειώδης [10] εἰς γέ-  γνησιν κύβων σύνθεσις καὶ πρώτη συλλαβή, τὴν ἐκ τοῦ Y καὶ ε΄, τοῦ  μὲν πρὸ αὐτοῦ"! ἀσυνθέτως ἀποβάντος, τοῦ ἑνός, (τοῦ δὲ μετ᾽ αὐτὸν  ἐκ τριῶν τῶν μετὰ τούτους ἐσομένων, ζ΄ θ΄ 10°, τοῦ δ᾽ ἔτι pet  ἐκεῖνον ἐκ δ΄ συνεχῶν, ιγ΄ τε΄ ιζ΄ 10°), τετάρτην δὲ τὴν ἐκ διφορου-  μένου τοῦ δ΄, μόνου καὶ [73] γεννῶντος ἅμα καὶ γεννωμένου, ἵν᾽ ἐκ  τῶν ἀντιθέτων δύο πρωτίστων ἀγόνων καὶ γεννητῶν καὶ τοῦ ἀμφότε-  ρα ἔχοντος συντελῆ «ἦ τὰ η΄. καὶ ἄλλως ὁ δ΄ μεθόριον ἁρμονικῶν  σχέσεων ἡμῖν ἀνεφάνη, συμφώνων μὲν ἐντὸς ἑαυτοῦ, ἀσυμφώνων δέ,  ἀλλ᾽ ἐμμελῶν μεθ᾽ ἑαυτόν. ἔνθεν παναρμόνιος ἐπεκαλεῖτο ὑπὸ τῶν    51 72,9-13 τὴν δὲ ἐκ δύο πρώτων ἀρτιοπερίσσων, τῆς μὲν δυνάμει, τῆς  δὲ ἐνεργείᾳ, τὴν ἐκ τοῦ β΄ καὶ ς΄, τὴν δὲ ἐκ δύο πρώτων περισσῶν, ἥπερ  στοιχειώδης εἰς γέννησιν κύβων σύνθεσις καὶ πρώτη συλλαβή, τὴν ἐκ τοῦ  Y καὶ ε΄, τοῦ μὲν πρὸ αὐτου: ho accettato la congettura di Oppermann (cf.  Waterfield, Emend., Appendix): τὴν δὲ ἐκ δύο ἀρτιοπερίσσων ἐνεργείᾳ,  ἥπερ στοιχειώδης εἰς γέννησιν κύβων σύνθεσις καὶ πρώτη συλλαβή, τὴν  «δὲ» ἐκ τοῦ Y καὶ ε΄, τὴν μὲν δυνάμει, τὴν δὲ ἐνεργείᾳ τὴν ἐκ τοῦ β΄ καὶ ς΄,  τὴν δὲ ἐκ δύο πρώτων περισσῶν, τοῦ μὲν πρὸ αὐτοῦ De Falco.  LA TEOLOGIA DELL’ARITMETICA 933  emessi dai 7 astri, come abbiamo imparato, ma anche perché il primo  diagramma che si presenta presso i musici è l’ettacordo.  Poiché sono 3 le specie o, parti dell'anima, cioè la prudente, l’im-  petuosa e l’appetitiva, 4 sono le virti più perfette,465 cosî come nella  crescita del corpo sono 3 le dimensioni e 4 i termini.466  [72] I/ numero 8.  Dicevamo che il numero 8 è il primo cubo in atto ed è nella deca-  de quello che è il solo numero parimente-pari,497 giacché il 4 sembra  che abbia insieme le caratteristiche del dispari-pari e del parimente-  pari, perché ammette due sole divisioni per due fino ad arrivare a 1,  cioè quella di se stesso e quella delle sue parti,468 ed è numero che  mette d’accordo benissimo e parallelamente tutte le combinazioni:499  1) quella dei due soli numeri che nella decade sono non-generanti e  non-generati (intendo dire la combinazione di 1 e 7);470 2) quella dei  primi due numeri pari-dispari, uno in potenza e l’altro in atto, cioè 2  e 6; 3) quella dei primi due numeri dispari, cioè 3 e 5, e questa è com-  binazione e prima congiunzione elementare per la generazione dei  numeri cubi,47! perché il cubo che viene prima di questo, cioè l’ 1,472  risulta non da una combinazione,#?3 (e quello che viene dopo?4 è for-  mato dai tre dispari successivi, cioè 7, 9, 11475 e quello che viene  ancora dopo di quest’ultimo?7 è formato dai quattro dispari succes-  sivi, cioè 13, 15, 17, 19);177 4) la combinazione, infine, che risulta dal  4 preso due volte [4+4], essendo il 4 l’unico numero che è insieme  [73] generante e generato;478 ne consegue che l’ 8 risulta dalla concor-  renza dei due numeri assolutamente primi non-generati <e non-gene-  ranti>,479 che sono antitetici al 4,480 e dei numeri generanti <e non-  generati>,481 nonché dal numero che contiene entrambi i caratteri  generante e generato <cioè 4>.482 Da un altro punto di vista il 4 si è  rivelato come il limite delle relazioni armoniche, perché gli accordi  armonici cadono entro il 4,485 mentre dopo il 4 ci sono gli accordi non  armonici, ma melodici.‘ Deriva di qui il nome “panarmonico” che  alcuni davano al numero 8, perché esso ha una tale straordinaria  armonia, oppure perché è il numero che genera la più giusta delle  armonie, essendo uguale al primo fra tutti i numeri [2] moltiplicato  934 GIAMBLICO  ἀνδρῶν ἡ ὀγδοὰς διὰ τὴν ὑπερφυῆ καθάρμοσιν ταύτην ἢ ὅτι ἰσάκις  ἴση ἰσάκις πρὸ πάντων αὐτὴ καθαρμοσθεῖσα ηὐξήθη δικαιοτάτην  γένεσιν. ὅτε οὖν Καδμείαν καλοῦσιν αὐτήν, ὑπακουστέον, ὅτι παρ᾽  ὅσον Κάδμου γυναῖκα τὴν Ἁρμονίαν [10] πάντες ἱστοροῦσιν.  ἐναργῶς δὲ κἀν τοῖς οὐρανίοις εὕροι τις ἂν ἴχνη ὀγδοάδος᾽ ὀκτώ τε  γὰρ σφαῖραι ἀστέρων καὶ ὀκτὼ οἱ ἀστρονόμοις κατὰ λῆψιν ἀναγκα-  LOTATOL καὶ ἐπιστημονικώτατοι κύκλοι τέσσαρες μὲν μέγιστοι  ἀλλήλων ἐφαπτόμενοι, πῇ μὲν δίχα, πῇ δὲ ἄλλως, ἰσημερινὸς καὶ  ζωδιακὸς καὶ ὁρίζων καὶ ὁ διὰ τῶν πόλων, ὅν τινες μεσημβρινόν, οἱ  δὲ κόλουρόν φασι, τέσσαρες δὲ ἐλάττονες, οὐδαμῶς ἀλλήλων ἐφαπ-  τόμενοι, ἀρκτικὸς καὶ ἀνταρκτικὸς καὶ θερινὸς καὶ χειμερινός. καὶ  ἄλλα τοιαῦτα ἐν [δεῖ]52 τοῖς περιγείοις, εἴπερ τῶν πεποδισμένων  ζώων ὁ ὄρος ἐν αὐτῇ, μετ᾽ αὐτὴν δὲ ἡ ἀοριστία, σκορπίοι τε καὶ  καρκῖνοι καὶ τὰ [20] ὅμοια τῶν ῥητοὺς πόδας ἐχόντων, τὰ δὲ ἐφεξῆς  αὐτοῖς [74] πολυπόδων ψιλῶν ἐστιν ἤδη. καὶ τῶν τοῦ ἀνθρώπου  ὀδόντων ἡ τετραχῆ διανέμησις ὀγδοαδική πώς ἐστι, καὶ ἡ τῶν ἐκ  κεφαλῆς τεσσάρων κατατρήσεων διαφόρησις κατ᾽ αὐτὴν ὥρισται,  καὶ ἕτερα ἐοικότα περί τε θηλὰς ζώων καὶ χηλὰς κατ᾽ ἀνάλογον.  ὅθεν αὐτὴν μητέρα ἐπωνόμαζον, τάχα μὲν εἰς τὰ λεχθέντα ἀναφέ-  ροντες, (θῆλυς γὰρ ὁ ἄρτιος,) τάχα δέ, ἐπειδὴ μήτηρ μὲν θεῶν ἡ Ῥέα,  Ῥέας δὲ δυὰς μὲν ἀπεδείχθη σπερματικῶς, ὀγδοὰς δὲ κατ᾽ ἐπέκτα-  σιν. δοκεῖ δέ τισι καὶ αὐτὸ τὸ ὄνομα τοῦτο πεποιῆσθαι τὸ ὀγδοὰς  οἷον ἐκδυὰς ἡ ἐκ δυάδος [10] γεγονυῖα κυβισθείσης. Φιλόλαος δὲ  μετὰ τὸ μαθηματικὸν μέγεθος τριχῆ διαστὰν «ἐν» τετράδι, ποιότητα  καὶ χρῶσιν ἐπιδειξαμένης τῆς φύσεως ἐν πεντάδι, ψύχωσιν δὲ ἐν  ἑξάδι, νοῦν δὲ καὶ ὑγείαν καὶ τὸ ὑπ᾽ αὐτοῦ λεγόμενον φῶς ἐν  ἑβδομάδι, μετὰ ταῦτά φησιν ἔρωτα καὶ φιλίαν καὶ μῆτιν καὶ ἐπίνο-  rav ἐπ᾽ ὀγδοάδι συμβῆναι τοῖς οὖσιν. ὅτι ἀλιτόμηνος᾽ ἐπὶ μὲν τῆς  Ῥέας μυθολογοῦσιν, ὅτι τοὺς τικτομένους ἀπ᾽ αὐτῆς ἠφάνιζεν ὁ  Κρόνος, ὡς ἱστορεῖται, ἐπὶ δὲ τῆς ὀγδοάδος, ὅτι ἀτελεσιούργητοι αἱ  52 [δεῖ] mutò in δὴ in un secondo momento De Falco (cf. ed. Klein Add.  p. XXVIII).  LA TEOLOGIA DELL’ARITMETICA 935  un uguale numero di volte uguali un uguale numero di volte.486  Quando dunque i Pitagorici lo chiamano “Cadmea”487 è da sottinten-  dere che tutti i miti dicono che la moglie di Cadmo era Armonia.  Anche nelle cose celesti si possono trovare evidenti tracce del nume-  ro 8: e infatti 8 sono le sfere astrali e 8 i circoli assolutamente neces-  sari alla conoscenza scientifica degli astronomi: 4 quelli più grandi  che si intersecano, qui in due punti, lî in un numero di punti diverso,  e sono l’equatore, lo zodiaco, l'orizzonte e il circolo che passa per i  due poli, che alcuni chiamano meridiano e altri “coluro”, e 4 quelli  più piccoli che non si intersecano mai, e sono l’artico, l’antartico,  l’estivo488 e l’invernale.489 Altre tracce del genere si possono trovare  anche nelle cose terrestri, se è vero che negli animali forniti di piedi il  limite è 8, dopo di che il numero dei piedi diviene illimitato: ad esem-  pio scorpioni e granchi e simili sono tra quelli che hanno appunto 8  piedi, mentre gli animali successivi a questi [74] hanno già una vera  e propria moltitudine di piedi. Anche la quadruplice distribuzione  dei denti nell'uomo è regolata in qualche modo dal numero 8, e anche  i quattro orifizi della testa‘% se differenziati arrivano a 8,49! e analoga-  mente si possono trovare altre distinzioni del genere relativamente  alle mammelle e alle chele492 degli animali. Deriva di qui il nome  “madre” che i Pitagorici davano al numero 8, con riferimento forse a  quanto abbiamo già detto (cioè che il numero pari è femmina), ma  forse perché Rea è madre degli dèi, e il 2, come si è mostrato, è in  germe Rea,4% e l’ 8 è un’estensione del 2.49 E alcuni credono anche  che questo stesso nome “otto” [ὀγδοάς] sia stato coniato come fosse  “ἐκδυάς", cioè “generato dal 2”, se questo è elevato al cubo.  Filolao,49 dopo avere detto che la grandezza matematica tridimensio-  nale risiede nel 4, la qualità e il colore della natura fenomenica nel 5,  il principio della vita nel 6, l’intelligenza e la salute e ciò che egli chia-  ma luce nel 7, continua dicendo che gli enti acquistano le proprietà  dell’amore e dell'amicizia e della prudenza e dell’inventiva in virtà del  numero 8.  Il numero 8 è chiamato “mese sbagliato per il parto”:497 e mentre  a proposito di Rea,49 il mito dice che Crono, come si racconta, face-  va sparire i figli che essa generava, a proposito del numero 8, invece,  le doglie del parto di 8 mesi si dicono in un certo senso “del mese sba-  936 GIAMBLICO  κατὰ τὸν ὄγδοον μῆνα ὠδῖνες, ἠλιτόμηνοί πως διὰ τοῦτο λεγόμεναι.  ὅτι τοῦ τῶν Μουσῶν ἀριθμοῦ τὸ [20] Εὐτέρπη ὄνομα τῇ ὀγδοάδι ἐπι-  πρέπειν ἔλεγον, παρ᾽ ὅσον εὔτρεπτος μάλιστα τῶν ἐντὸς δεκάδος,  ἀρτιάκις ἄρτιος οὖσα καὶ μέχρι τῆς φύσει ἀτόμου μονάδος αὐτῆς.  [75] ᾿Ανατολίου.  ἡ ὀγδοὰς ἀσφάλεια καλεῖται καὶ ἕδρασμα, ἀγωγὸς οὖσα παρὰ τὸ  δύο ἄγειν σπέρμα αὐτῆς ὁ πρῶτος ἄρτιος. τετράδι πολλαπλασια-  σθεῖσα ποιεῖ τὸν λβ΄, ἐν È φασι χρόνῳ τὰ ἑπτάμηνα διατυποῦσθαι᾽  ἡ περιέχουσα τὰ πάντα σφαῖρα ὀγδόη, ὅθεν ἡ παροιμία «πάντα  ὀκτώ» φησι. «[σὺν] ὀκτὼ δὴ σφαίρῃσι κυλίνδετο [ὁ] κύκλῳ ἰόντα ...  ἐνάτην περὶ γαίην», Ἐρατοσθένης φησίν. ἀρχὴ τῶν μουσικῶν λόγων  ἐστὶν ὁ η΄ ἀριθμός, καὶ εἰσὶν οἱ ὅροι τοῦ κοσμικοῦ συστήματος [10]  οὕτως ὁ η΄ ἀριθμὸς ἐπόγδοον ἔχων τὸν θ΄ ἀριθμόν (ὑπερέχει δὲ  μονάδι ὁ θ΄ τοῦ n°), ὁ ιβ΄ ἡμιόλιος τοῦ η΄, ἐπίτριτος τοῦ θ΄, ὑπερέχει  τριάδι τοῦ θ΄" ὁ 19° ἐπίτριτος τοῦ ιβ΄, ὑπερέχει δ΄" ὁ ιη΄ ἡμιόλιος τοῦ  ιβ΄, ὑπερέχει ἑξάδι" ὁ κα΄ τοῦ θ΄ διπλασιεπίτριτος, ὑπερέχει ιβ΄. ὁ  κδ΄ ἐπίτριτος τοῦ ιη΄, ὑπερέχει ς΄" ὁ λβ΄ ἐπίτριτος τοῦ κδ΄, ὑπερέχει  η΄ ὁ λς΄ διπλάσιος τοῦ ιη΄, ἡμιόλιος τοῦ κδ΄, ὑπερέχει 18 καὶ ἔστιν  ὁ μὲν θ΄ ἐπόγδοος τοῦ η΄ Σελήνης, ὁ ιβ΄ ἡμιόλιος τοῦ η΄ Ἑρμοῦ, ὁ 15°  διπλάσιος τοῦ η΄ ᾿Αφροδίτης, ὁ ιη΄ διπλάσιος τοῦ θ΄ ἐν ἐπογδόῳ τοῦ  ις΄ Ἡλίου, ὁ κα΄ διπλασιεπίτριτος τοῦ θ΄ [20] Ἄρεος, ὁ κδ΄ διπλάσιος  τοῦ ιβ΄ ἐν ἡμιολίῳ τοῦ η΄ Διός, ὁ λβ΄ τετραπλάσιος τοῦ η΄ Κρόνου, ὁ  λς΄ τετραπλάσιος τοῦ θ΄ [76] ἀπλανῶν ἐν ἐπογδόῳ λόγῳ «τοῦ λβ΄ αἱ  δὲ ὑπεροχαί᾽ λς΄ ὑπερέχει δ΄, λβ΄ n, κδ΄ γ΄, «κα΄ Y>, in β΄, 15° δ΄, 1 Υ΄, θ΄ α΄, ἢ ὑπερέχει [δὲ] τοῦ η΄ ὁ θ΄ μονάδι, ὁ 18° τοῦ θ΄ τριάδι, ὁ ις΄ τοῦ ιβ΄ τετράδι, ὁ τη΄ τοῦ 15° δυάδι, καὶ οἱ λοιποὶ ὁμοίως. περὶ ἐννεάδος. Τὴν δὲ ἐννεάδα μέγιστον τῶν ἐντὸς δεκάδος ἀριθμῶν καὶ πέρας LA TEOLOGIA DELL'ARITMETICA 937  gliato”, perché non portano il parto a buon fine.499  A proposito del numero delle Muse,50 i Pitagorici dicevano che  il nome Euterpe [Εὐτέρπη] è appropriato all’ 8, perché è il numero  più “versatile” [εὔτρεπτος] tra quelli della decade, essendo numero  parimente-pari, cioè <divisibile per 2> fino all’unità stessa, che è indi-  visibile per natura.  [75] <I/ numero 8> secondo Anatolio.  Il numero 8 è chiamato “sicurezza” e “stabilità”, perché è guida  per via del fatto che il 2 è guida: il seme dell’ 8 <infatti> è il primo  numero pari.501 Moltiplicato per 4 fa 32, che è il tempo in cui, essi  dicono, si formano i feti dei parti di sette mesi;502 l’ 8 contiene tutte le  sfere celesti, donde il proverbio che dice “Tutto è 8”. “In 8 sfere <i  corpi celesti> orbitano ... intorno alla nona sfera, che è quella della  Terra», dice Eratostene. Il numero 8 è principio dei rapporti musica-  li e i termini del sistema cosmico sono i seguenti: il numero 8 in rap-  porto epiottavo col numero 95% (il 9 supera I’ 8 di un'unità), 12 è  l’emiolio di 855% e l’epitrite di 9505 (supera il 9 di 3 unità); 16 è l’epi-  trite di 12 (supera il 12 di 4 unità); 18 è l’emiolio di 12 (lo supera  di 6 unità);597 21 è il doppio epitrite di 9 (lo supera di 12 unità);508 24  è l’epitrite di 18 (lo supera di 6 unità);509 32 è l’epitrite di 24 (lo supe-  ra di 8 unità);?!0 36 è il doppio di 18 e l’emiolio di 24 (lo supera di 12  unità);51! il 9 epiottavo di 8 appartiene alla Luna, il 12 emiolio di 8 a  Ermes, il 16 doppio di 8 ad Afrodite, il 18 doppio di 9 ed epiottavo  di 16 al Sole, il 21 doppio epitrite di 9 ad Ares, il 24 doppio di 12, che  è a sua volta emiolio di 8, a Zeus, il 32 quadruplo di 8 a Crono, il 36  quadruplo di 9 ed [76] epiottavo di 32, alle stelle fisse; le eccedenze  sono le seguenti: 36 supera di 4, 32 di 8, 24 di 3, 21 di 3, 18 di 2, 16  di 4, 12 di 3, 9 di 1, oppure 9 supera 8 di 1, 12 supera 9 di 3, 16 supe-  ra 12 di 4, 18 supera 16 di 2, e cosî via per gli altri.  Il numero 9.  Il numero 9 è il più grande tra i numeri inferiori a 10 ed è limite  insuperabile: delimita in ogni caso la formazione <dei rapporti musi-  938 GIAMBLICO  ἀνυπέρβλητον. ὁρίζει γοῦν τὴν εἰδοποίησιν οὕτως" οὐ γὰρ μόνον  ἐπὶ τοῦ ἐπ᾽ ἐννάτου τόνου μηκέτι εἶναι συμβέβηκε λόγον περαι-  τέρω μουσικὸν ἐπιμορίως, ἀλλὰ καὶ διὰ τὸ [10] φυσικῶς ἀναστρέ-  φειν τὴν σύνθεσιν ἐκ φυσικοῦ τέλους εἰς τὴν ἀρχὴν καὶ ἀπὸ συναμ-  φοτέρων εἰς τὸ μέσον, καθὰ ποικιλώτερον ἀπεδείξαμεν ἐν τῷ κατὰ  τὴν πεντάδα δικαιοσύνης διαγράμματι.53 κατὰ γοῦν τὸ ὄνομα τὴν  συμπάθειαν καὶ ἀντιζυγίαν ἔοικεν αἰνίττεσθαι, εἴπερ ἐννεὰς μὲν  κέκληται οἱονεὶ ἑνὰς ἡ πάντα ἐντὸς αὐτῆς κατὰ παρωνυμίαν τοῦ ἕν᾽  ὅτι δὲ οὐδὲν ὑπὲρ τὴν ἐννεάδα ὁ ἀριθμὸς ἐπιδέχεται, ἀλλ᾽ ἀνακυ-  κλεῖ πάντα ἐντὸς ἑαυτῆς, δῆλον ἐκ τῶν λεγομένων παλινωδιῶν. μέ-  χρι μὲν γὰρ αὐτῆς φυσικὴ πρόβασις, μετὰ δ᾽ αὐτὴν παλιμπετής᾽ τὰ  γὰρ ι΄ μονὰς γίνεται κατὰ ἑνὸς ἀφαίρεσιν στοιχειώδους ποσοῦ, [20]  τουτέστι κατὰ ἐννεάδος μιᾶς, τὰ δὲ τα΄ καὶ κ΄ πάλιν δυάς, ἤτοι μιᾶς  ἢ δυοῖν ἀφαιρεθεισῶν, ιβ΄ δὲ καὶ λ΄ τριάς, [77] καὶ πάλιν τὸ ρ΄ μονάς,  ια΄ ἐννεάδων ἀφαιρεθεισῶν, καὶ τὸ αὐτὸ μέχρι καὶ ἀπείρου, ὥστε  μηδεμιᾷ μηχανῇ δυνατὸν εἶναι ἀριθμὸν ἄλλον ὑπὲρ τὰ ἐννέα στοι-  χειώδη συστῆναι. καὶ διὰ τοῦτο Ὠκεανόν τε προσηγόρευον αὐτὴν  καὶ ὁρίζοντα, ὅτι ἀμφοτέρας ταύτας περιείληφεν οἰκήσεις καὶ  ἐντὸς ἑαυτῆς ἔχει, κατ᾽ ἄλλο δὲ σημαινόμενον Προμηθέα ἀπὸ τοῦ  μηκέτι ἐᾶν τινα πρόσω αὑτῆς χωρεῖν ἀριθμόν, καὶ εὐλόγως Ye: τρὶς  γὰρ τέλειος ὑπάρχουσα οὐδ᾽ ἐπίδοσιν αὐξήσεως ἀπέλιπεν, ἀλλὰ  καὶ δύο κύβων ἅμα σύνθεσις, τοῦ α΄ καὶ τοῦ η΄, καὶ τετράγωνος [10]  οὖσα τὴν πλευρὰν τρίγωνον ἔχει μόνη τῶν μέχρις αὐτῆς. διὰ γοῦν τὸ  μὴ ἀφιέναι σκορπίζεσθαι ὑπὲρ αὐτὴν τὴν τοῦ ἀριθμοῦ σύμπνοιαν,  συνάγειν δὲ εἰς τὸ αὐτὸ καὶ συναυλίζειν, ὁμόνοιά τε καλεῖται καὶ  πέρασις, καὶ ἅλιος ἀπὸ τοῦ ἁλίζειν. ἐκαλεῖτο δὲ καὶ ἀνεικία διὰ  τὴν ἀνταπόδοσίν τε καὶ ἀμοιβὴν τῶν ἀπ᾿ αὐτῆς μέχρι μονάδος, ὡς  εἴρηται ἐν τῷ περὶ δικαιοσύνης διαγράμματι- ὁμοίωσις δὲ τάχα μὲν  παρὰ τὸ πρῶτος περισσὸς τετράγωνος ὑπάρχειν (ὁμοιωτικὸν γὰρ δι᾽  53 διαγράμματι Dodds seguendo Ast (cf. ed. Klein Add. p. XXVIII):  ἐπιγράμματι.  LA TEOLOGIA DELL'ARITMETICA 939  cali> nel modo seguente: non solo, infatti, accade che giunti al nono  tono?!2 non ci sia più un ulteriore rapporto musicale epimorio,713 ma  anche che la somma ritorni naturalmente dalla fine naturale all’inizio  e da ambedue questi estremi al punto centrale, cosî come abbiamo  mostrato in maniera più dettagliata nel diagramma della giustizia rela-  tivamente al numero 5.514 Comunque, stando al nome, sembra che il  9 nasconda i concetti di simpatia ed equivalenza, se è vero che è stato  chiamato “nove” [ἐννεάς] nel senso di “unità” [ἑνάς], nel senso cioè  che tutto è dentro il 9 in virtà del fatto che il suo nome è paronimo di  “uno” [ἕν]515 e risulta chiaro dalle cose che abbiamo detto più volte  che il numero in generale non ammette niente oltre il 9, ma che, al  contrario, il 9 fa ruotare tutto al suo proprio interno: infatti la pro-  gressione naturale dei numeri arriva fino a 9, dopo il 9 si torna indie-  tro, perché 10 diventa 1 per sottrazione di una quantità elementare,  cioè di 9,516 mentre 11 e 20 a loro volta diventano 2, sottraendo 9 una  volta o due volte,517 e 12 e 30 diventano 3 secondo lo stesso criterio,718  [77] e a sua volta 100 diventa 1, sottraendo 11 volte 9,519 e cosi all’in-  finito, sicché con nessun marchingegno è possibile costituire altro  numero oltre i 9 numeri elementari. Ed è per questo che i Pitagorici  lo chiamavano anche “Oceano” e “orizzonte”, perché comprende  queste due regioni <terrestri> e le ha dentro di sé; secondo un altro  significato, invece, lo chiamavano “Prometeo”, perché al di là di se  stesso non lascia più posto ad alcun numero,920 e avevano certamente  ragione: essendo infatti tre volte perfetto?2! non manca di ulteriore  moltiplicazione,522 ma al tempo stesso è somma di due cubi,523 1 e 8,  e poiché è un quadrato [9=32] è anche l’unico numero tra quelli che  arrivano fino a lui che ha come lato un numero triangolare [3].  Comunque, poiché il 9 non permette che i numeri, procedendo al di  là di esso, disperdano la loro compattezza, ma li raccoglie nello stes-  so punto e li fa convivere, allora è chiamato anche “concordia” e  “limitazione”, e per il fatto che li raduna [ἁλίζειν] è chiamato anche  “Sole” [ἅλιος]. Era chiamato anche “assenza di contesa”, per via  della corrispondenza e dell’alternanza tra i numeri che da esso arriva-  no all'unità, come si è detto a proposito del diagramma della giusti-  zia:52 è detto anche “assimilazione”, forse perché 9 è il primo dispa-  ri quadrato (è per questa proprietà assimilativa, infatti, che la specie  dispari è detta in generale “assimilativa” 526 laddove il pari è detto dis-  940 GIAMBLICO  ὅλου παρ᾽ αὐτῆς λέγεται τὸ περισσὸν εἶδος, dvéuorovi! δὲ τὸ  ἄρτιον, καὶ πάλιν ὁμοιωτικὸνδ μὲν τὸ τετράγωνον, ἀνόμοιον δὲ [20]  τὸ ἑτερόμηκες), τάχα δὲ κἀπειδὴ μάλιστα τῇ πλευρᾷ ὡμοιώθη ὡς  γὰρ ἐκείνη τρίτην χώραν ἐν τῇ φυσικῇ εἴληχεν, οὕτω καὶ ἡ ἐννεὰς  τρίτη ἐν τῇ κατ᾽ αὐτὴν ἀναλόγῳ προβάσει. καὶ Ἥφαιστον δὲ αὐτὴν  ἐπωνόμαζον, ὅτι μέχρις αὐτῆς ὥσπερ [78] κατὰ χώνευσιν καὶ ἀνα-  φορὰν ἡ ἄνοδος, καὶ Ἥραν παρὰ τὸ κατ᾽ αὐτὴν τετάχθαι τὴν τοῦ ἀέ-  ρος σφαῖραν ἐπὶ ταῖς ὀκτὼ ἐννάτην οὖσαν, καὶ Διὸς ἀδελφὴν καὶ σύ-  νευνον διὰ τὴν πρὸς μονάδα συζυγίαν, ἑκάεργον ἀπὸ τοῦ εἴργειν  τὴν ἑκὰς πρόβασιν τοῦ ἀριθμοῦ, νυσσηίταν ἀπὸ τοῦ ἐπὶ νύσσαν καὶ  ὡσανεὶ τέρμα τι τῆς προόδου τετάχθαι. Κουρήτιδα δὲ ἰδίως καὶ  Ὀρφεὺς καὶ Πυθαγόρας αὐτὴν τὴν ἐννεάδα ἐκάλουν, ὡς Κουρήτων  ἱερὰν ὑπάρχουσαν τριῶν τριμερῆ, ἢ κόρην γε, ἅπερ ἀμφότερα τριά-  δι ἐφηρμόσθη, τρὶς τοῦτο ἔχουσαν, καὶ Ὑπερίονα [10] διὰ τὸ ὑπὲρ  πάντας τοὺς ἄλλους εἰς μέγεθος ἐληλυθέναι, καὶ Τερψιχόρην ἀπὸ  τοῦ τρέπειν καὶ ὡς χορὸν ἀνακυκλεῖν τὴν τῶν λόγων παλιμπέτειαν καὶ σύννευσιν ὡς εἰς μέσον καὶ τὴν ἀρχὴν ἀπὸ τέλους τινός. ἐννεὰς ἀπὸ περισσοῦ πρῶτος τετράγωνος. καλεῖται δὲ καὶ αὐτὴ τελεσφόρος, τελειοῖ δὲ τὰ ἐννεάμηνα ἔτι τέλειος, ὅτι ἐκ τελείου  τοῦ γ΄ γίνεται. αἱ σφαῖραι περὶ ἐννάτην «τὴν» γῆν στρέφονται. λέγε-  ται δὲ καὶ τοὺς τῶν [79] συμφωνιῶν λόγους ἔχειν «ὁ» θ΄, δ΄ γ΄ β΄, ἐπί-  τριτον τὸν δ΄ πρὸς [τὸ] γ΄, ἡμιόλιον τὸν γ΄ πρὸς β΄, διπλάσιον τὸν δ΄ πρὸς β΄. πρῶτός ἐστιν ἐπόγδοος. περὶ δεκάδος. Πολλάκις ἔφθημεν εἰπόντες τὸν τεχνικὸν νοῦν πρὸς τὰς ἀριθμοῦ ἐμφερείας καὶ ἀφομοιώσεις ὡς πρὸς παράδειγμά τι παντελὲς ἀπερ- 54. ἀνόμοιον: ἀνομοιωτικὸν avrei preferito, confrontando In Nicom. 74,14 ss. 55 ὁμοιωτικὸν: ὅμοιον avrei preferito confrontando sempre In Nicom. 82,11. LA TEOLOGIA DELL'ARITMETICA 941 simile,527 e a sua volta il quadrato è detto assimilativo,528 laddove l’ete- romeche è detto dissimile), e forse anche perché il quadrato 9 è di  natura assolutamente simile al suo lato [3]: come infatti il 3 occupa il  terzo posto nella progressione naturale dei numeri, cosî anche il 9  occupa il terzo posto nella corrispondente progressione per tripli.529  Lo chiamavano anche “Efesto”, perché la salita fino al 9 avviene [78]  come per fusione ed evaporazione di metalli,53° e anche “Era”, perché  in funzione del 9 è ordinata la sfera celeste dell’aria [Ἥρα - ἀήρ] che  è nona dopo le altre otto, e “sorella e consorte di Zeus”,531 perché fa  coppia con l’ 1,532 e anche “lungi-vietante” [gkdepyoc],533 perché  vieta alla progressione numerica di andare lontano,534 ma anche “nus-  sita”, perché è stato posto a meta finale [νύσσα] e, per cosi dire, a tra-  guardo della progressione dei numeri. Anche Orfeo e Pitagora chia-  mavano il 9 propriamente “dominio dei Cureti”, perché composto di  3 ordini di 3 [3x3] come la sacra «<trireme> dei Cureti, o anche  “Core” [fanciulla], che sono denominazioni che si accordano ambe-  due col 3, giacché il 9 contiene il 3 tre volte, e anche “Iperione”  [Sole], perché è andato al di là ['Yrepiov - ὑπερ-ἰών = che va al di  là] di tutti gli altri numeri quanto a grandezza, e anche “Tersicore”,  perché dirige [τρέπειν] e fa girare [ἀνακυκλεῖν] come un coro la  ricorrenza e la convergenza dei rapporti numerici, come se da un certo punto finale si muovessero verso il centro e quindi verso l’ini- z10,535 I{ 9 è il primo quadrato di un numero dispari.53 È chiamato anche “telesforo”, perché porta a compimento i parti di nove mesi. Ε chiamato inoltre “perfetto”, perché nasce dal 3 che è  numero perfetto. Le sfere celesti girano intorno alla nona sfera che è  la Terra.537 Si dice anche che il 9 possiede [79] i rapporti degli accor- di musicali, cioè 9, 4, 3, 2, essendo 4 epitrite di 3, 3 emiolio di 2, 4 doppio di 2. Il 9 è il primo numero di rapporto epiottavo.538 Il numero 10. Abbiamo detto più volte, prima d’ora, che l’Intelletto creatore operò la costruzione e la composizione del cosmo e di tutte le cose  942 GIAMBLICO γάσασθαι τὴν τοῦ κόσμου καὶ τῶν ἐν κόσμῳ πάντων κατασκευήν TE καὶ σύστασιν: ἐπεὶ δὲ ἀόριστον τὸ ὅλον πλῆθος ἦν καὶ ἀδιεξίτητος ἡ τοῦ ἀριθμοῦ πᾶσα ὑπόστασις, [10] οὐκ ἦν εὔλογον οὐδ᾽ ἄλλως ἐπι-  στημονικὸν ἀπεριλήπτῳ χρῆσθαι παραδείγματι, ἔδει δὲ συμμετρί-  ας, ἵνα τῶν προκειμένων αὐτῷ ὅρων καὶ μέτρων ὁ τεχνίτης θεὸς ἐν  τῇ δημιουργίᾳ περιγένηται καὶ περικρατήσῃ, καὶ μήτε ἐπ᾽ ἔλαττον  μήτε ἐπὶ πλέον τοῦ προσήκοντος ἤτοι ἐνδεῶς συστείλῃ ἢ πλημμελῶς  ὑπερεκπέσῃ; φυσικὴ δέ τις συσταθμία καὶ μετριότης καὶ ὅλωσις ἐν  τῇδε μάλιστα ὑπῆρχε. πάντα μὲν σπερματικῶς ἐντὸς αὑτῆς περιειλ-  ηφυῖα, στερεὰ καὶ ἐπίπεδα, ἄρτιά τε καὶ περισσὰ καὶ ἀρτιοπέρισ-  σα καὶ τέλεια πᾶσι τρόποις, πρῶτά τε καὶ ἀσύνθετα, ἰσότητά τε καὶ  ἀνισότητα, τὰς δὲ δέκα σχέσεις, διαμετρικά τε καὶ [20] σφαιρικὰ  καὶ κυκλικά, μηδεμίαν δὲ ἰδιάζουσαν ἢ φυσικὴν ἄλλως παραλλαγὴν  καθ᾽ ἑαυτὴν ἔχουσα, ὅτι μὴ κατ᾽ ἐπιδρομὴν καὶ ἀνακύκλησιν τὴν  εἰς ἑαυτήν, εἰκότως μέτρῳ τῶν ὅλων αὐτῇ καὶ ὥσπερ γνώμονι καὶ  εὐθυντηρίῳ ἐχρήσατο πρὸς τὴν πρόθεσιν ἁρμοζόμενος: διόπερ τοῖς  κατ᾽ αὐτὴν λόγοις συμφώνως ἔχοντα τὰ ἀπ᾽ οὐρανοῦ μέχρι γῆς  ὁλοσχερέστερόν τε καὶ [80] κατὰ μέρος εὑρίσκεται [καὶ] διακεκο-  σμημένα κατ᾽ αὐτήν. διόπερ καὶ ἐπωνόμαζον αὐτὴν θεολογοῦντες οἱ  Πυθαγορικοὶ ποτὲ μὲν κόσμον, ποτὲ δὲ οὐρανόν, ποτὲ δὲ πᾶν, ποτὲ  δὲ εἱμαρμένην καὶ αἰῶνα κράτος τε καὶ πίστιν καὶ ᾿Ανάγκην  Ἄτλαντά τε καὶ ἀκάμαντα καὶ θεὸν ψιλῶς καὶ Φάνητα καὶ ἥλιον,  ἀπὸ μὲν τοῦ κατ᾽ αὐτὴν διατετάχθαι τὰ ὅλα καθόλου τε καὶ κατὰ  μέρος κόσμον, ἀπὸ δὲ τοῦ ὅρον τὸν τελειότατον ἀριθμοῦ εἶναι, παρ᾽  ὃ δεκὰς οἱονεὶ δεχάς, καθάπερ ὁ οὐρανὸς τῶν πάντων δοχεῖον,  οὐρανὸν καὶ Μουσῶν γε [10] Οὐρανίαν. πᾶν δέ, ὅτι ἀριθμὸς φυσι-  κὸς πλείων οὐδείς ἐστιν, ἀλλ᾽ εἰ καί τις ἐπινοεῖται, κατὰ παλινωδί-  ἂν ἐπ᾽ αὐτόν πως ἀνακυκλεῖται᾽ ἑκατοντὰς γὰρ δέκα δεκάδες καὶ  χιλιὰς δέκα ἑκατοντάδες καὶ μυριὰς δέκα χιλιάδες καὶ ἄλλων  ἕκαστος οὕτως ἢ εἰς αὐτὴν ἢ εἴς τινα τῶν ἐντὸς αὐτῆς ἀναποδι-  σθήσεται παλινωδούμενος᾽ πάντων οὖν εἰς αὐτὴν ἡ ἀνάλυσις καὶ ἡ ἀναστροφὴ παντοία᾽ ἢ πᾶν ἡ δεκὰς καλεῖται ἀπὸ τοῦ μυθευομένου Πανός: δεκάδι γὰρ καὶ οὗτος τιμᾶται καὶ ταῖς τῶν μηνῶν δεκαταί- LA TEOLOGIA DELL'ARITMETICA 943 che in esso si trovano facendo riferimento alle affinità e agli adatta-  menti numerici come a un modello assolutamente perfetto; ma poiché  l’intera molteplicità era illimitata e tutta la realtà numerica intermina-  bile, non era ragionevole, né peraltro scientifico, che l’Intelletto crea-  tore si servisse di un modello incomprensibile,539 ma c’era bisogno di  commensurabilità, affinché dio creatore vincesse e dominasse nella  sua azione demiurgica i limiti e le misure che gli si presentavano, e  non procedesse in meno o in più rispetto alla misura conveniente,  riducendo per difetto o superando per errore la misura: equilibrio  naturale e giusta misura e interezza risiedevano soprattutto nel nume-  ro 10. E poiché dentro il 10 è contenuta in germe ogni cosa:540 nume-  ri solidi e piani, pari e dispari e pari-dispari e numeri perfetti di ogni  tipo, numeri primi e non composti, uguaglianza e disuguaglianza,  nonché le dieci relazioni, numeri diametrali e sferici e circolari, giac-  ché il 10 non subisce per se stesso alcun mutamento particolare o  comunque naturale, tranne che per riconvertirsi rapidamente a se  stesso,54! allora giustamente Dio si è servito di questo numero come  misura universale e gnomone e regolo, adattandolo al suo disegno  creativo; perciò si scopre, per mezzo dei rapporti numerici relativi al  10, che ogni cosa, dal cielo alla terra, in generale e in particolare, è  stata ordinata [80] secondo il numero 10. Ed è per questo che i  Pitagorici, quando discutevano in termini teologici, chiamavano il 10,  ora “Cosmo”, ora “Cielo”, ora “Tutto”,54 ora “Destino” ed  “Eternità”, “Forza” e “Fiducia” e “Necessità”, “Atlante” e  “Acamante”, e semplicemente “Dio” e “Fanes” e “Sole”: “Cosmo”,  perché secondo il 10 è stato ordinato l’intero universo, in generale e  in particolare; “Cielo”, e tra le Muse, in verità, “Urania”, perché il 10  è il più perfetto limite del numero, nel senso che il suo nome “dieci”  [δεκάς] suona come “ricettacolo” [$£ydc],54 appunto come il ciclo  che è “recipiente” di ogni cosa; “Tutto”, perché non c’è nessun nume-  ro naturale maggiore di 10, ma se anche se ne immagina qualcuno,  questo per regressione, in un certo senso, si converte in 10:54 il 100  infatti è 10x10 e il 1000 10x100545 e il 10.000 10x1000,54 e cosî qua-  lunque altro numero per regressione ritornerà o al 10 o ad uno dei  numeri inferiori a 10:59 è varia, dunque, la risoluzione o conversione di tutti i numeri al 10; un’altra ragione per cui il 10 è chiamato “Tutto” deriva da ciò che il mito racconta di Pan: anche questa divi- 944 GIAMBLICO ag παρὰ τῶν ἀγροίκων τιμᾶται καὶ ὑπὸ δέκα, καὶ ἐπίπαν ὑπὸ ποι-  μένων, αἰπόλων, βουκόλων, [20] ἱπποφορβῶν, πολεμικῶν, κυνηγῶν,  ἁλιέων, κηπωρῶν, ὑλοτόμων, τῶν [81] θεμελίους τινὰς καταβαλλο-  μένων. καὶ τῷ ἀνθρωπίνῳ δὲ γένει δέκα ζώων ἰδέας συνωκηκέναι λέγεται, κύνα, ὄρνιν, βοῦν, ἵππον, ὄνον, ὀρέα, χῆνα [ἢ νῆτταν], αἶγα, πρόβατον, γαλῆν. εἱμαρμένην δὲ πάλιν ἔλεγον, παρ᾽ ὅσον οὐ- δεμία ἰδιότης οὔτε ἐν ἀριθμοῖς οὔτε ἐν τοῖς οὖσι κατ᾽ ἀριθμοῦ σύ- στασίν ἐστιν, ἣ οὐκ ἐν δεκάδι καὶ τοῖς ἐντὸς αὐτῆς σπερματικῶς καταβέβληται, κατὰ εἱρμὸν δὲ λοιπὸν καὶ κατ᾽ ἀκολουθίαν διατεί- νει καὶ ἐπὶ τὰ μετ᾽ αὐτήν, εἱμαρμένη δὲ ὡς εἰρομένη τις καὶ εὐτακ- τουμένη ἀπόβασις: αἰῶνα δέ, ὅτι περιεκτικὸς τῶν ὅλων οὗτος [10] τελειότατος ὧν καὶ ἀίδιος, τελεστικὸς τῶν ἁπάντων, ὡς ἡ δεκάς, ἐλέχθη: κράτος δέ, ὅτι κρατύνεσθαί τε τὰ κοσμικὰ δι᾽ αὐτοῦ συμ- βέβηκε, καὶ τῶν ἄλλων κρατεῖν ἀριθμῶν ὁ δέκα φαίνεται πάντων τε λόγων ἕρκος τι καὶ περίκλεισις καὶ δοχεῖον διόπερ καὶ κλειδοῦχος ἐκαλεῖτο πρὸς τῷ καὶ τοῦ μέχρι τετράδος εἶναι συστήματος. πίστις γε μὴν καλεῖται, ὅτι κατὰ τὸν Φιλόλαον δεκάδι καὶ τοῖς αὐτῆς μορίοις περὶ τῶν ὄντων οὐ παρέργως καταλαμβανομένωνδ6 πίστιν βεβαίαν ἔχομεν. διόπερ καὶ Μνήμη λέγοιτ᾽ ἂν ἐκ τῶν αὐτῶν, ἀφ᾽ ὧν καὶ μονὰς Μνημοσύνη ὠνομάσθη. εἰ δὲ καὶ τὴν ᾿Ανάγκην οἱ [20] θεολόγοι τῇ τοῦ παντὸς οὐρανοῦ ἐξωτάτῃ ἄντυγι ἐπηχοῦσι διη- νεκῶς ἐλαύνουσαν καὶ κατεπείγουσαν ἀδαμαντίνῳ καὶ ἀτρύτῳ μά- στιγι τὴν σύμπασαν περιδίνησιν, εἴη ἂν καὶ οὕτως ἡ [82] δεκὰς ᾿Ανάγκη, πάντα περιορίζουσα καὶ ἀλλήλοις καταμιγνύουσα καὶ πάλιν διιστάνουσα καὶ κίνησιν καὶ ἀλληλουχίαν ἐμποιοῦσα τοῖς οὖσιν. αἱ κατ᾽ αὐτὴν σφαῖραι τοῦ παντὸς αἱ δέκα. Ἄτλας δέ, παρ᾽ ὅσον ὁ μὲν Τιτὰν μυθεύεται φέρειν ἐπὶ τοῖς ὦμοις τὸν οὐρανόν᾽ φησὶ γάρ᾽ «ἔχει δέ τε κίονας αὐτὸς μακράς, αἱ γαῖάν τε καὶ οὐρα- νὸν ἀμφὶς ἔχουσιν»᾽ ἡ δὲ δεκὰς τὸν τῶν σφαιρῶν συγκρατεῖ λόγον οἷον πασῶν τις διάμετρος οὖσα καὶ περιάγουσα ταύτας καὶ περι- 56 καταλαμβανομένων Burkert (cf. ed. Klein Add. p. XXVIII): καταλαμ- βανομένοις. LA TEOLOGIA DELL'ARITMETICA 945 nità infatti è venerata per mezzo della decade, ed è venerata anche sotto forma di 10 per mezzo del decimo giorno di ogni mese da parte dei contadini, e in generale da pecorai, caprai, bovari, allevatori di cavalli, soldati, cacciatori, pescatori, giardinieri, spaccalegna, [81] e da quelli che gettano le fondamenta delle case.548 Dicono anche che 10 sono le specie di animali che convivono con il genere umano: cane, uccello, bue, cavallo, asino, mulo, oca, capra, pecora e furetto.549 Ancora, lo chiamavano “Destino”, perché non esiste, né nei numeri né negli enti visti nella loro composizione numerica, alcuna proprietà che non sia stata posta in germe nel 10 o nei numeri entro il 10, e che non si estenda, in successione nella rimanente serie, anche ai numeri posteriori a 10, e il “destino” [εἱμαρμένη] è appunto una sequenza “concatenata” [eipouévn] e “bene ordinata”; “Eternità”, perché l'eternità, che contiene l'universo, essendo perfettissima e perpetua, è capace, si dice, di portare a termine ogni cosa, allo stesso modo del 10; “Forza”, perché il 10 ha la proprietà di rendere forti le cose del mondo, e perché si rivela come il numero che domina su tutti i nume- ri, ed è una difesa e un recinto e un recipiente di tutti i loro rapporti; perciò lo chiamavano anche “clavigero”55 perché racchiude in sé i numeri fino a 4.551 È chiamato “Fiducia”, perché, stando a quel che dice Filolao, noi in verità facciamo sicuro affidamento sul 10 e sulle sue parti, se queste vengono comprese, in rapporto agli enti, in modo non superficiale. Perciò il 10 potrebbe essere detto anche “Memoria” per le stesse ragioni per le quali l’ 1 è stato denominato “Mnemosune”. Se poi i teologi [Orfici?] concordano anche nel dire che è il 10 a produrre ininterrottamente mediante la circonferenza più esterna di tutto il cielo e a sollecitare con la sua adamantina e instan- cabile sferza il movimento vorticoso dell'universo, allora per la stessa ragione esso sarà anche [82] “Necessità”, dal momento che circoscri- ve tutte le cose?92 e le mescola tra loro e di nuovo le separa e imprime agli enti movimento e coesione, È in virtà del numero 10 che sono dieci le sfere dell'universo. Lo chiamavano “Atlante”, perché il mito racconta che questo Titano porta il cielo sulle sue spalle: dice infatti <Omero>: «regge le grandi colonne, che Terra e Cielo sostengono da  una parte e dall’altra»;55 è il 10 che governa il rapporto delle sfere celesti, come fosse un diametro che le attraversa tutte e le fa ruotare e le racchiude in modo da contenerle il meglio possibile. 946 GIAMBLICO κλείουσα [10] συνεκτικώτατα. ὅτι καὶ Σπεύσιππος ὁ Πωτώνης μὲν υἱὸς τῆς τοῦ Πλάτωνος ἀδελφῆς, διάδοχος δὲ ᾿Ακαδημίας πρὸ Ξενοκράτου, ἐκ τῶν ἐξαιρέτως σπουδασθεισῶν ἀεὶ Πυθαγορικῶν ἀκροάσεων, μάλιστα δὲ τῶν Φιλολάου συγγραμμάτων, βιβλίδιόν τι συντάξας γλαφυρὸν ἐπέγραψε μὲν αὐτὸ Περὶ Πυθαγορικῶν ἀριθμῶν, ἀπ᾽ ἀρχῆς δὲ μέχρι ἡμίσους περὶ τῶν ἐν αὐτοῖς γραμμικῶν ἐμμελέ- στατα διεξελθὼν πολυγωνίων τε καὶ παντοίων τῶν ἐν ἀριθμοῖς ἐπι- πέδων ἅμα καὶ στερεῶν περί τε τῶν πέντε σχημάτων, ἃ τοῖς κοσμι- κοῖς ἀποδίδοται στοιχείοις, ἰδιότητός57 αὐτῶν καὶ πρὸς ἄλληλα κοι- νότητος, ἀναλογίαςϑ8 τε [20] καὶ ἀντακολουθίας, μετὰ ταῦτα λοιπὸν θάτερον τὸ τοῦ βιβλίου [83] ἥμισυ περὶ δεκάδος ἄντικρυς ποιεῖται φυσικωτάτην αὐτὴν ἀποφαίνων καὶ τελεστικωτάτην τῶν ὄντων, οἷον εἶδός τι τοὶς κοσμικοῖς ἀποτελέσμασι τεχνικὸν ἐφ᾽ ἑαυτῆς (ἀλλ᾽ οὐχ ἡμῶν νομισάντων ἢ ὡς ἔτυχε) θεμέλιον ὑπάρχουσαν καὶ παρά- δεῖγμα παντελέστατον τῷ τοῦ παντὸς ποιητῇ θεῷ προεκκειμένην. λέ- yer δὲ τὸν τρόπον τοῦτον περὶ αὐτῆς" «ἔστι δὲ τὰ δέκα τέλειος «ἀριθ- μόρ, καὶ ὀρθῶς τε καὶ κατὰ φύσιν εἰς τοῦτον καταντῶμεν παντοίως ἀριθμοῦντες Ἕλληνές τε καὶ πάντες ἄνθρωποι οὐδὲν αὐτοὶ ἐπι- τηδεύοντες᾽ πολλὰ γὰρ ἴδια ἔχει, ἃ [10] προσήκει τὸν οὕτω τέλειον ἔχειν, πολλὰ δὲ ἴδια μὲν οὐκ ἔστιν αὐτοῦ, δεῖ δὲ ἔχειν αὐτὰ τέλε- τον. πρῶτον μὲν οὖν ἄρτιον δεῖ εἶναι, ὅπως ἴσοι ἐνῶσιν οἱ περισσοὶ καὶ ἄρτιοι καὶ μὴ ἑτερομερῶς: ἐπεὶ γὰρ πρότερος ἀεί ἐστιν ὁ περισ- σὸς τοῦ ἀρτίου, εἰ μὴ ἀρτιος εἴη ὁ συμπεραίνων, πλεονεκτήσει ὁ ἕτερος" εἶτα δὲ ἴσους ἔχειν χρὴ τοὺς πρώτους καὶ ἀσυνθέτους καὶ τοὺς δευτέρους καὶ συνθέτους᾽ ὁ δὲ δέκα ἔχει ἴσους, καὶ οὐδεὶς ἂν ἄλλος ἐλάσσων τῶν δέκα τοῦτο ἔπαθεν ἀριθμός, πλείων δὲ τάχα (καὶ γὰρ ὁ ιβ΄ καὶ ἄλλοι τινές), ἀλλὰ πυθμὴν αὐτῶν ὁ δέκα᾽ καὶ πρῶτος τοῦτο ἔχων καὶ ἐλάχιστος τῶν [20] ἐχόντων τέλος τι ἔχει, καὶ ἴδιόν πως αὐτοῦ τοῦτο γέγονε τὸ ἐν [84] πρώτῳ αὐτῷ ἴσους ἀσυνθέτους τε καὶ συνθέτους ὦφθαι, ἔχων τε τοῦτο ἔχει πάλιν σους καὶ τοὺς πολλαπλασίους καὶ τοὺς ὑποπολλαπλασίους, ὧν εἰσι πολλαπλάσιοι᾽ ἔχει μὲν γὰρ ὑποπολλαπλασίους τοὺς μέχρι πέντε, τοὺς δὲ ἀπὸ τῶν 57 ἰδιότητος ho scritto io seguendo Taran (cf. Speus., Text. p. 140, Comm. p. 267): ἰδιότητός «τε» De Falco seguendo Diels. 58 ἀναλογίας ho scritto io accogliendo la lezione del cod. M e seguendo Tarn (cf. Speus., Text p. 140, Comm. p. 263 55.): περὶ» ἀναλογίας Tannery e De Falco. 59 ἐφ᾽ διαινντῃς mutò Tarin sepnenda Cherniss: stà’ ἑωυτῆς LA TEOLOGIA DELL'ARITMETICA 947 Speusippo, figlio di Potona, sorella di Platone, e diadoco dell’Accademia prima di Senocrate, compose un elegante opuscolo tratto dalle Lezioni Pitagoriche,554 che sono state sempre particolar- mente studiate, e soprattutto dagli scritti di Filolao, e lo intitolò Sus numeri pitagorici: nella prima metà di questo scritto fa un’accuratissi- ma esposizione dei numeri lineari, dei numeri poligonali e di ogni specie dei numeri piani e insieme dei numeri solidi e delle cinque figure <solide regolari>, che sono assegnate agli elementi cosmici, della specificità e reciproca comunanza di tali numeri, della loro rela- zione e corrispondenza,’ dopo di che, nella rimanente metà del libro, [83] affronta direttamente il tema del numero 10, dichiarando che esso è il più legato alla natura?5 e quello che più d’ogni altro con- duce a compimento gli enti, come fosse una forma delle cose che si realizzano nel mondo, e che crea per sua propria natura (e non certo per quel che ne possiamo pensare noi, o per caso), e il fondamento e il modello perfettissimo che dio aveva dinnanzi quando creò il mondo. Ma ecco come Speusippo parla della decade: «Il 10 è nume-  ro perfetto, ed è insieme corretto e secondo natura che noi Greci e  tutti gli uomini, senza che ce ne accorgiamo, nel contare arriviamo  fino a 10:597 questo numero infatti ha molte peculiarità, che conviene  abbiano un numero cosî perfetto, e molte ne ha che non gli apparten-  gono, ma che un numero perfetto deve possedere. Ebbene, un nume-  ro perfetto deve anzitutto essere numero pari, tale che contenga  dispari e pari in uguale quantità e non sbilanciati da un lato: poiché,  infatti, c'è sempre un dispari prima di un pari, se quello che chiude  non sarà pari, l’altro558 lo soverchierà;959 poi è necessario che abbia in  uguale quantità i numeri primi e non composti, e i numeri secondi e  composti:560 ma il 10 li ha in uguale quantità, e nessun altro numero  minore di 10 presenta tale proprietà, qualche numero superiore a 10  forse si (è il caso infatti del 12 e di altri numeri), ma il 10 è il numero  base»61 di tale categoria di numeri; ed essendo anche il primo nume-  ro che ha questa proprietà ed il più piccolo tra quelli che l'hanno, fa  da termine; anche questo è in qualche modo una sua prerogativa,  cioè il fatto che è [84] il primo numero in cui si possono vedere in uguale quantità numeri non-composti e numeri composti; e ha anco- ra quest'altra proprietà, di avere cioè in uguale i multipli e i sotto- multipli, di cui i primi sono multipli: infatti ha come sotto-multipli i 948 GIAMBLICO ἐξ μέχρι τῶν δέκα [oi] πολλαπλασίους αὐτῶν᾽ ἐπεὶ δὲ τὰ ἑπτὰ οὐ-  δενός, ἐξαιρετέον,60 καὶ τὰ τέσσαρα ὡς πολλαπλάσια τοῦ δύο, ὥστε  ἴσους εἶναι πάλιν [δεῖ]. ἔτι πάντες οἱ λόγοι ἐν τῷ ι΄, ὅ τε τοῦ ἴσου  καὶ τοῦ μείζονος καὶ τοῦ ἐλάττονος καὶ τοῦ ἐπιμορίου καὶ τῶν  λοιπῶν εἰδῶν ἐν αὐτῷ, καὶ οἱ γραμμικοὶ «καὶ» οἱ [10] ἐπίπεδοι καὶ  οἱ στερεοί᾽ τὸ μὲν γὰρ ἕν στιγμή, τὰ δὲ δύο γραμμή, τὰ δὲ τρία  τρίγωνον, τὰ δὲ τέσσαρα πυραμίς: ταῦτα δὲ πάντα ἐστὶ πρῶτα καὶ  ἀρχαὶ τῶν καθ᾽ ἕκαστον ὁμογενῶν. καὶ ἀναλογιῶν δὲ πρώτη αὕτη  ἐστὶν ἡ ἐν αὐτοῖς ὀφθεῖσα ἡ τὸ ἴσον μὲν ὑπερέχουσα, τέλος δὲ  ἔχουσα ἐν τοῖς δέκα. ἔν τε ἐπιπέδοις καὶ στερεοῖς πρῶτά ἐστι  ταῦτα᾽ στιγμὴ γραμμὴ τρίγωνον πυραμίς; ἔχει δὲ ταῦτα τὸν τῶν δέκα  ἀριθμὸν καὶ τέλος ἴσχει᾽ τετρὰς μὲν γὰρ ἐν πυραμίδος γωνίαις ἢ βά-  σεσιν, ἑξὰς δὲ ἐν πλευραῖς, ὥστε δέκα᾽ τετρὰς δὲ πάλιν ἐν στιγμῆς  καὶ γραμμῆς διαστήμασι καὶ πέρασιν, ἑξὰς δὲ ἐν τριγώνου [20]  πλευραῖς καὶ γωνίαις, ὥστε πάλιν δέκα. καὶ μὴν καὶ ἐν τοῖς [85]  σχήμασι κατ᾽ ἀριθμὸν σκεπτομένῳ «ταὐτὸ» συμβαίνει πρῶτον γάρ  ἐστι τρίγωνον τὸ ἰσόπλευρον, ὃ ἔχει μίαν πως γραμμὴν καὶ γωνίαν"  λέγω δὲ μίαν, διότι ἴσας ἔχει᾽ ἄσχιστον γὰρ ἀεὶ καὶ ἑνοειδὲς τὸ  ἴσον δεύτερον δὲ τὸ ἡμιτετράγωνον᾽ μίαν γὰρ ἔχον παραλλαγὴν  γραμμῶν καὶ γωνιῶν ἐν δυάδι ὁρᾶται᾽ τρίτον δὲ τὸ τοῦ ἰσοπλεύρου  ἥμισυ τὸ καὶ ἡμιτρίγωνον᾽ πάντως γὰρ ἄνισον καθ᾽ ἕκαστον, τὸ δὲ  πάντη αὐτοῦ τρία ἐστί. καὶ ἐπὶ τῶν στερεῶν εὑρίσκοις ἂν ἄχρι τῶν  τεττάρων προϊὼνό! τὸ τοιοῦτο, ὥστε δεκάδος καὶ οὕτως ψαύει γίνε-  ται γάρ πος ἡ [10] μὲν πρώτη πυραμὶς μίαν πῶς γραμμήν τε καὶ ἐπι-  φάνειαν ἐν ἰσότητι ἔχουσα, ἐπὶ τοῦ ἰσοπλεύρου ἱσταμένη: ἡ δὲ δευ-  τέρα δύο, ἐπὶ τετραγώνου ἐγηγερμένη, μίαν παραλλαγὴν ἔχουσα  παρὰ τῆς ἐπὶ τῆς βάσεως γωνίας, ὑπὸ τριῶν ἐπιπέδων περιεχομένη,  τὴν κατὰ κορυφὴν ὑπὸ τεττάρων συγκλειομένη, ὥστε ἐκ τούτου δυά-  δι ἐοικέναι. ἡ δὲ τρίτη τριάδι, ἐπὶ ἡμιτετραγώνου βεβηκυῖα καὶ σὺν  τῇ ὀφθείσῃ μιᾷ ὡς ἐν ἐπιπέδῳ τῇ ἡμιτετραγώνῳ ἔτι καὶ ἄλλην ἔχουσα διαφορὰν τὴν τῆς κορυφαίας γωνίας, ὥστε τριάδι ἂν ὁμοιοῖτο, πρὸς ὀρθὰς τὴν γωνίαν ἔχουσα τῇ τῆς βάσεως μέσῃ πλευ- 60 la virgola dopo ἐξαιρετέον eliminò Dodds (cf. ed. Klein Add. p.  XXVIII), ma non in modo conveniente, giacché ἐξαιρετέον si riferisce a tà  ἑπτὰ di li. 5, prima che a tà τέσσαρα di li. 6.  61 προϊὼν quasi tutti i MSS Ast Tarin: προϊὸν Lang Diels De Falco.  LA TEOLOGIA DELL'ARITMETICA 949  numeri fino a 5, e come multipli di questi i numeri da 6 a 10; e poi-  ché 7 non è multiplo di nessuno dei numeri fino a 5, non bisogna con-  tarlo,56° ma non si deve contare neppure 4 che è multiplo di 2,54 di  modo che ancora una volta sono in uguale quantità i multipli e i sotto-  multipli. Inoltre, tutti i rapporti numerici sono interni al 10: uguale,  maggiore, minore, epimorio e tutte le altre sue specie di rapporto,  come ci sono anche i numeri lineari, i numeri piani e i numeri solidi:  infatti l 1 è punto, il 2 linea, il 3 triangolo, il 4 piramide: tutti questi  sono principi e punti di partenza di singole figure ad essi omogenee.  Ma in questi primi quattro numeri, la cui somma fa appunto 10, si  può vedere anche la prima delle proporzioni, cioè quella che ammet-  te <tra i termini> un’uguale differenza.59 Sia nei numeri piani che nei  numeri solidi i principi sono questi: punto, linea, triangolo e pirami-  de: questi contengono il 10 come loro somma e quindi hanno perfe-  zione: infatti nella piramide c'è il 4 degli angoli e delle basi,797 e il 6  dei lati 568 e quindi in tutto 10; e ancora, nel triangolo c’è il 4 degli  intervalli e dei limiti di punto e linea,599 e il 6 dei lati e degli angoli, e  quindi in tutto 10. E inoltre anche [85] nelle figure?70 accade la stes-  sa cosa,?7! se le esaminiamo in funzione del numero: infatti il primo  triangolo è quello equilatero, che ha in un certo senso un solo lato e  un solo angolo: dico uno solo perché li ha uguali, e l’uguale è sempre  indiviso e uniforme;572 il secondo triangolo è il semiquadrato,573 ed ha  un solo mutamento di lati e di angoli, e lo si può vedere come 2;57 il  terzo è la metà del triangolo equilatero ed è il semitriangolo, che è del  tutto disuguale sotto ciascun aspetto,7 e il numero che gli spetta è in  ogni caso il 3. E quanto alle figure solide, se tu procedi allo stesso  modo, troverai numeri fino a 4, con il risultato che anche cosî9?6 toc-  cherai il 10: infatti la piramide che viene per prima?” ha in un certo  senso un’unica linea e un’unica superficie, perché le ha tutte uguali,578  essendo costruita su un triangolo equilatero;57? la seconda pirami-  de,580 è come se ne avesse 2,581 perché, essendo costruita su un qua-  drato, ha una sola differenza perché all’angolo di base?82 è circoscrit-  ta da tre facce,58 mentre all’angolo al vertice è chiusa da quattro  facce, sicché somiglia per questo a un 2;585 la terza piramide che è  stabilita su un semiquadrato,586 è vista come 3, perché oltre all’unica differenza che abbiamo già osservata nel semiquadrato come figura piana,587 ne ha un’altra che è quella dell’angolo al vertice, angolo che 950 GIAMBLICO pa’ τετράδι δὲ ἡ [20] τετάρτη κατὰ ταὐτά, ἐπὶ ἡμιτριγώνῳ βάσει  συνισταμένη, ὥστε τέλος ἐν τοῖς δέκα λαμβάνειν τὰ λεχθέντα. τὰ  αὐτὰ δὲ καὶ ἐν τῇ γενέσει" πρώτη μὲν γὰρ ἀρχὴ εἰς μέγεθος στιγμή, δευτέρα γραμμή, τρίτη ἐπιφάνεια, τέταρτον στερεόν.» [86] ᾿Ανατολίου. ἡ δεκὰς γεννᾶται δυνάμει ἐξ ἀρτίου καὶ περιττοῦ" πεντάκις γὰρ  δύο δέκα. κύκλος ἐστὶ παντὸς ἀριθμοῦ καὶ πέρας: περὶ αὐτὸν γὰρ  εἰλούμενοι καὶ ἀνακάμπτοντες ὥσπερ καμπτῆρα δολιχεύουσιν. ἔτι  ὅρος ἐστὶ τῆς ἀπειρίας τῶν ἀριθμῶν. καλεῖται δὲ κράτος καὶ παντέ-  λεια, ἐπεὶ πάντα περαίνει τὸν ἀριθμὸν περιέχουσα πᾶσαν φύσιν  ἐντὸς ἑαυτῆς, ἀρτίου τε καὶ περισσοῦ, κινουμένου τε καὶ ἀκινήτου,  ἀγαθοῦ τε καὶ κακοῦ. ἔτι γέγονεν ἐκ τῶν πρώτων ἀριθμῶν τῆς  τετρακτύος [10] συντεθέντων, α΄ β΄ γ΄ δ΄, καὶ ὁ κ΄ ἐκ δὶς ἑκάστου  αὐτῶν. ἔτι ἡ δεκὰς ἀριθμὸν γεννᾷ τὸν ε΄ καὶ ν΄ θαυμαστὰ περιέχον-  τα κάλλη πρῶτον μὲν γὰρ συνέστηκεν ἐκ τοῦ διπλασίου καὶ τοῦ  τριπλασίου τῶν κατὰ τὸ ἑξῆς συντεθειμένων, διπλασίων μὲν α΄ β΄ δ΄  η΄ (ταῦτα δέ ἐστι Le), τριπλασίων δὲ α΄ γ΄ θ΄ κζ΄ (ἅπερ ἐστὶ μγ 962  ταῦτα δὲ συντιθέμενα ποιεῖ τὸν νε΄ ὧν καὶ Πλάτων μέμνηται τῆς  ψυχογονίας ἀρχόμενος οὕτως «μίαν ἀφεῖλεν ἀπὸ παντὸς μοῖραν»  καὶ τὰ ἑξῆς. δεύτερον ὁ μὲν νε΄ ἀριθμὸς δεκάδος ἐστὶ σύνθεσις, ὁ  δὲ τπε΄ τῆς δυνάμει δεκάδος" ἐὰν γὰρ ἐκ τῶν ἀπὸ μονάδος μέχρι [20]  δεκάδος πολλαπλασιάσῃς, συνθήσεις τὸν προειρημένον ἀριθμὸν  τὸν tre‘, τὰ δὲ τπε΄ τοῦ νε΄ τὸ ἑπταπλάσιον. ἔτι ἐὰν ψηφίσῃς τὸ ἕν ἐν  γράμμασιν, εὑρήσεις κατὰ σύνθεσιν τὸν νε΄. ἔτι δὲ ἡ γονιμωτάτη  ἑξὰς ἐφ᾽ ἑαυτὴν πολλαπλασιασθεῖσα [87] δυνάμει ἐπιγεννᾷ τὸν λε΄"  ἔστι δὲ ἑπτὰ τούτου μέρη γεννώμενα οὕτως, δὶς ιη΄, τρὶς ιτβ΄, τετρά- κις θ΄, ἑξάκις ς΄, ἐννεάκις δ΄, δωδεκάκις γ΄, ὀκτωκαιδεκάκις β΄" γί- νονταιόϑ μέρη μὲν «ἑπτά», ἀριθμὸς δὲ ὁ νε΄. ἔτι τρίγωνοι πέντε κατὰ 62 εἰσὶ μ΄ ora De Falco (cf. ed. Klein Add. p. XXVIII): ἐστὶ μ΄. 63 γίνονται ora De Falco (cf. ed. Klein Add. p. XXVIII): γίνεται. LA TEOLOGIA DELL'ARITMETICA 951  converge sulle perpendicolari al centro del lato di base, sicché potrà  essere assimilata ai 3;588 la quarta piramide, che è costruita su base  semitriangolare,58? per le medesime ragioni5” può essere assimilata al  4;591 il risultato è che alla fine queste figure di cui abbiamo parlato  danno come somma 10.592 Le stesse considerazioni valgono anche dal  punto di vista della genesi delle figure:5% infatti, in ordine di grandez- za, il primo principio è il punto, il secondo la linea, il terzo la super- ficie, il quarto il volume». [86] <I/ numero 10> secondo Anatolio. Il 10 è potenzialmente generato da un pari e da un dispari: infat-  ti 10=2x5. Il 10 è moto circolare e limite di ogni numero, perché tutti  i numeri corrono ruotando e girando intorno ad esso come a un  punto di svolta. Ancora, il 10 è limite dell’infinità dei numeri. É  chiamato “Forza” e “Onniperfezione”,59 giacché fa da confine a ogni  numero contenendo dentro di sé ogni natura, del pari e del dispari, di  ciò che si muove e di ciò che sta immobile, del bene e del male.  Ancora, il 10 ha origine dalla somma dei primi quattro numeri, cioè  dalla Tetratti [1, 2, 3, 4], e il 20 nasce dalla somma di ciascuno di essi  moltiplicato per 2.596 Ancora, il 10 genera il numero 55,59 numero  che contiene meravigliose bellezze: in primo luogo, infatti, è compo-  sto dai <primi quattro> doppi e tripli rispettivamente sommati in suc-  cessione, cioè dai doppi 1, 2, 4, 8 (la cui somma fa 15) e dai tripli 1,  3,9, 27 (la cui somma fa 40): sommati tutti insieme fanno appunto 55,  numero che anche Platone menziona all’inizio del discorso sulla crea-  zione dell’Anima?9 con queste parole: «tolse [sc. il demiurgo] dal  tutto una parte», ecc. In secondo luogo il numero 55 è uguale alla  somma dei numeri della decade,59 e il numero 385 è uguale alla  somma dei quadrati degli stessi numeri della decade:600 se infatti mol-  tiplichi per se stessi i numeri da 1 a 10 e li sommi insieme, ottieni il  predetto numero 385, e d’altra parte 385 è ettaplo di 55.601 Ancora, se  calcoli in lettere,602 scopri che la somma fa 55.6 Ancora, il 6, che è il  numero più fecondo,6 moltiplicato per se stesso [87] genera il 36, e  questo ha 7 parti60 che si generano cost: 36 diviso per 2 fa 18, diviso  per 3 fa 12, diviso per 4 fa 9, diviso per 6 fa 6, diviso per 9 fa 4, divi- so per 12 fa 3, diviso per 18 fa 2; e questi sette fattori, se sommati allo 952 GIAMBLICO τὸ ἑξῆς γεννῶσι τὸν νε΄, γ΄ ς΄ ι΄ τε΄ κα΄ (γίνονται ve’): πάλιν τετράγω-  νοι πέντε κατὰ τὸ ἑξῆς, α΄ δ΄ θ΄ 15° κε΄ (γίνονται ve’), ἐκ δὲ τριγώνου  καὶ τετραγώνου ἡ τοῦ ὅλου γένεσις κατὰ Πλάτωνα: ἐκ μὲν «γὰρ»  ἰσοπλεύρων τριγώνων τρία σχήματα συνίστανται,6' πυραμὶς ὀκτάε-  δρον εἰκοσάεδρον, ἡ μὲν πυρὸς σχῆμα, [10] τὸ δὲ ἀέρος, τὸ δὲ  ὕδατος, ἐκ δὲ τετραγώνων ὁ κύβος, τοῦτο δὲ σχῆμα γῆς ἐστιν.  64 συνίστανται ora De Falco (cf. ed. Klein Add. p. XXVIII): συνίστα-  tar.  LA TEOLOGIA DELL'ARITMETICA 953  stesso numero, danno 55.606 Ancora, i <primi> 5 numeri triangolari in  successione60? generano il numero 55, cioè 3+6+10+15+21=55; anco-  ra, i <primi> cinque quadrati in successione fanno 55, cioè  1+4+9+16+25=55, e secondo Platone608 l’universo è generato da  triangolo e quadrato: infatti, di triangoli equilateri sono composte tre  figure <solide>: piramide {tetraedro], ottaedro e icosaedro, che sono  rispettivamente: la piramide figura del fuoco, l’ottaedro dell’aria,  l’icosaedro dell’acqua; di quadrati invece è composto il <solo> cubo, che è figura della terra. NOTE ALLA «TEOLOGIA DELL'ARITMETICA» 1 Sc. a differenza del punto che è I’ 1 avente posizione, cioè collocato  nello spazio.  2 Cf, Giamblico, Ix Nicom. 11,24 s.  } Sc. che moltiplica.  4 Perfetto è un numero che è perfettamente uguale alla somma dei suoi  divisori: ad es. 6=3+2+1; ridondante è un numero che è minore della somma  dei suoi divisori: ad es. 12<(6+4+3+2+1); deficiente è un numero che è mag-  giore della somma dei suoi divisori: ad es. 8>(4+2+1).  5 Cf. Giamblico, In Nicom. 11; cf. anche Nicomaco, Aritbm. intr. 65,17  ss. Hoche.  6 Sc. nella divisione all’infinito e nella moltiplicazione all'infinito.  7 Sc. per quante siano le parti in cui si divida una grandezza continua, la  parte costituisce sempre un'unità: divisa per 2 produce 1/2, per 3 1/3, per 4  1/4, ecc.: il numeratore è sempre 1, qualunque sia il denominatore.  8 Sc. per quante volte si moltiplichi una grandezza discreta, il numero  che si ottiene è una somma di unità: 1x2=1+I; 1x3=1+1+1, ecc., ovverosia l’  1 è sempre la differenza tra un accrescimento e l’altro: cf. Giamblico, Ir  Nicom. 13,13 ss.  ? Cf. Giamblico, Ix Nicom. 44,10.  10 Cf. Giamblico, In Nicom. 13 s.  11 Sc. nell’ordine lineare.  12 Sc. delle frazioni.  13 Sc. se x=2y, allora x2=4y? e x3=8y?; se x=3y, allora x2=9y? e x3=27y?; se  x=1/2y, allora x2=1/4y? e x3=1/8y3; se x=1/3y, allora x2=1/9y2 e x3=1/27y?.  14 Cf., mutatis mutandis, Plotino, Enn. 6,2 [43] 11,29 ss.: «Τὰ μὲν δὴ φύ- σει οὕτω: τὰ δὲ ἐν ταῖς τέχναις αὐτὴ ἑκάστη ἕκαστον πρὸς τοῦτο καθόσον δύναται καὶ ὡς δύναται ἐκεῖνα οὕτως ἄγει. Τὸ δὲ ὃν μάλιστα πάντων τού- του [sc. dell’Uno] τυγχάνει: ἐγγὺς γάρ -- Per le cose naturali certamente è  cosi; per le cose artificiali, invece, ogni arte le porta allo stesso modo all’uni-  tà per quanto e come le sia possibile. Ma è l’Essere che soprattutto attinge  l’Uno al più alto livello, perché gli è vicino».  15 C£. Giamblico, In Nicom. 11,16.  16 Cf, Giamblico, In Nicom. 76,1 ss., dove si dimostra che quadrati ed  eteromechi, seppure contrari, nascono in funzione dell’unità.  LA TEOLOGIA DELL'ARITMETICA 955  17 Sc. dello stesso Nicomaco.  18 Sc. come grandezza continua o quantità geometrica.  19 Sc. come grandezza discreta o quantità aritmetica.  20 Sc. ermafrodito, androgino.  21 Cf. Giamblico, In Nicom. 13,11.  22 Crea, cioè, le strutture formali delle nature degli enti secondo la loro  valenza matematica.  23 Sc. da προ-μη-θεῖν = non fuggire in avanti.  24 Sc. divisibile ma solo in parti disuguali.  25 Sc. divisibile in parti uguali e disuguali.  26 Sc. di Crono.  27 Sc. μ΄ τον τα τσ΄ = 40+70+50+1+200 = 361. Questo metodo di ridu- zione delle lettere di una parola a numeri la cui somma rappresenti l'essenza e il carattere del referente oggettivo della stessa parola, è passato nella tradi- zione giudaica con la denominazione di gerzatria [gimatrîze], che altro non  è se non un calco linguistico ebraico del greco γεωμετρία, e di li nell’esege-  si biblica cristiana. Cf. W. Haubrichs, Ordo als Form, Tibingen 1969; H.  Meyer, Die Zablenallegorese im Mittelalter Munchen 1975; e, soprattutto per  le fonti, H. Meyer-R. Suntrup, Lexicon der  mittelalterlichen  Zablenbedeutungen, Minchen 1987.  28 Sc. nelle corde dello strumento musicale.  29 Sc. che ha tutti i lati delle basi che misurano 1, o forse che è della stes-  sa natura dell’Uno.  30 Omero, I/. 8,16.  31 Sc. considerano te, cioè l’ 1.  32 Euripide, fr. 938 Nauck?.  33 Forse nel senso di cui si parla a p. 50,21 s., ‘fra, 0 forse nel senso dei  numeri triangolari che si costruiscono per somma cumulativa a partire da 1,  che è il triangolare in potenza. La costruzione avveniva praticamente col  metodo dello gnomone e quindi collocando i numeri «ad uno ad uno». Cf,  Giamblico, Ix Nicom. 58,7 ss.  34 Sc. il 2 non può essere figura né in atto né in potenza.  35 Sc. qualunque numero ha come fattore 1.  36 2+2=4=2x2.  37 Il primo numero che ha figura, infatti, è il 3.  38 Sc. nella medietà fra quattro termini, che è la vera proporzione, ovve- ro la proporzione disgiunta, cioè con due medi diversi. C£. p. 84,13 s., infra, dove si parla della prima (o basale} proporzione aritmetica disgiunta tra 1, 2,  3,4.  39 Sc. la forma.  956 GIAMBLICO  40 Sc. che può assumere una determinata configurazione.  41 Si noti che ambedue questi verbi sono composti da διά.  42 Sc. dal lato dei multipli e dal lato delle parti.  43 Sc. come i rapporti che nascono da esso.  44 Cf. Giamblico, In Nicom. 77,23.  4 Sc. di ogni quadrato.  46 Sc. del diaulo: cf. Giamblico, Ix Nicom. 75 fin., pass.  47 Ades.: sia 3 il lato del quadrato 9: questo si ottiene sommando a par- tire da 1 (barriera di partenza) i numeri che arrivano a 3 (punto di svolta) e che tornano a 1 (meta finale); infatti 1+2+3+2+1=9.  48 Cf. Giamblico, In Nicom. 75,26.  49 Sc. con la regressione che arriva al 2 e non all’ 1: cf, Giamblico, In  Nicom. 77.  50 Sc. della quantità pensata secondo l’ 1.  51 Qualsiasi numero moltiplicato per 1 rimane se stesso.  52 Sc. del 3, che risulta dalla somma di 1+2. (3x3=9)>(3+1=4).  53 Sc. pensata come somma di 1+2=3.  54 Sc. tra 3 e 1, in mezzo ai quali sta il 2.  55 Cf. Giamblico, In Nicom. 81,20.  56 Sc. di larghezza del numero piano.  5? Sc. dal cubo che moltiplica il suo stesso lato, e che è un quadrato: cf.  Giamblico, In Nicom. 97.  58 Sc. 16=23x2.  59 Nella fattispecie un quadrato.  60 Sc. dalla superficie o area: cf. p. 22, infra.  61 Sc. il quadrato 16, il cui lato 4 è a sua volta un quadrato, 2x2.  62 I] 2, infatti, è il primo numero che è medio tra due numeri: 1, 2, 3.  63 δὲ. 4 e 9, se non contiamo il quadrato in potenza 1.  64 Infatti il quadrato 4 ha perimetro 8 che è maggiore di 4; il quadrato 9  ha perimetro 12 che è maggiore di 9,  65 Sc. 25, 36,49, 81, ecc.  6 Infatti il quadrato 25 ha perimetro 20 che è minore di 25; il quadrato  36 ha perimetro 24 che è minore di 36; il quadrato 49 ha perimetro 28 che è  minore si 49; il quadrato 81 ha perimetro 36 che è minore di 81, ecc.  67 Platone, Theaet. 147 D.  6 πως; cf. Platone, Theaet. 147 Ὁ 6: ἐν δὲ ταύτῃ πῶς ἐνέσχετο.  6 Proprietà che è diversa da quella del quadrato 16,  70 Sc. del quadrato 16, a cui compete l'uguaglianza tra perimetro e super-  ficie [4+4+4+4=16=42), e che si trova al centro — e quindi partecipato come  LA TEOLOGIA DELL'ARITMETICA 957  quadrato di riferimento — delle due serie di quadrati con caratteri opposti, cioè tra quelli che lo precedono, i quali hanno il perimetro superiore alla superficie, e quelli che lo seguono, i quali hanno il perimetro inferiore alla superficie. Non si può accettare la congettura di Waterfield, Ezerd., secon- do la quale, dal momento the l'uguaglianza di cui si parla appartiene al qua-  drato 16, si dovrebbe correggere l’ ἑπτακαίδεκα [17] della li. 15-16 in  ἑκκαίδεκα [16]. Waterfield commette due errori: uno perché attribuisce  μεθεκτοῦ a ἰσότητος [«shared equality»] accordando un maschile (o neutro) con un femminile [probabilmente per confusione tra μεθεκτός,ή,όν e ἀμέ- θεκτος,ον), e un altro perché non tiene in conto che nel testo platonico è  detto in modo inequivocabile che Teodoro si fermò quando giunse alla  “potenza" di 17 piedi (προαιρούμενος μέχρι τῆς ἑπτακαιδεκάποδος᾽ ἐν δὲ  ταύτῃ πως ἐνέσχετο). La correzione più logica,. semmai, sarebbe quella di  mutare ἰσότητος in μεσότητος (per analogia con la μεσότης della li. 9), nel  senso che il quadrato 16 sarebbe “punto di riferimento" e quindi “parteci-  pato" dagli altri quadrati precedenti e seguenti.  71 Cf. Giamblico, Ir Nicom. 78,8.  72 Sc. il primo distacco dall’ 1.  73 Sc. di numero lineare, nel senso che con il 2 è possibile tracciare la  distanza geometrica tra due punti.  74 Sc. tra 2 e 4.  75 Rispetto a prima: cf. p. 10 a proposito della medietà e dell’uguaglian-  za del 2 come punto di demarcazione tra quantità relativa a 1 e quantità rela-  tiva a 3.  76 3=1+2.  7? Sc. dei numeri che lo precedono.  78 Sc. numero lineare.  79 4=2x2.  80 Cf. Giamblico, Ix Nicom. 61,21.  81 Sc. ogni cosa, non solo ogni figura poligonale.  82 Meglio, piana. In effetti, dire figura rettilinea non ha senso se non come una serie di linee rette che non costituiscono una vera e propria figura geometrica, se non a condizione che racchiudano uno spazio congiungendo- si tutte fra loro. In questo senso la più semplice delle figure rettilinee (o piane) è quella costituita da tre linee e tre angoli.  83 C£. Giamblico, In Nicom. 15,11.  84 Sc. pari o dispari.  85 Infatti l’ 1 è insieme pari e dispari e quindi non appartiene chiaramen-  te all’una o all'altra specie di numero.  86 Sc. attraendo come femmina l’assalto del maschio: questi è forma,  come quella è materia.  958 GIAMBLICO  87 C£. p. 7 fin., supra.  88 Sc. δίχα ο διχῇ.  89 Cf. p. 10 fin., supra.  90 Infatti il 2 nasce dall’ 1 per un movimento di differenziazione.  91 Sc. dopo quello che abbiamo detto.  92 Sc. non come un principio numerico di importanza quasi uguale a  quella dell’ 1, ma come una semplice ripetizione del numero 1.  93 Sc. i due 1 esisterebbero già prima della nascita del 2, il che è assurdo.  94 Sc. 2 esisterebbe prima di 1, il che è assurdo.  95 Sc. 2 doppio di 1 che è la sua metà, e 1 metà di 2 che è il suo doppio.  96 ἐδυάσθη καὶ ἐδιχοτομήθη potrebbero qui non avere un significato  sinonimico e significare invece «è raddoppiata ed è dimezzata" (δυάζειν ha come significato primario quello di “raddoppiare" o “moltiplicare per due", come ad es. nello stesso Giamblico, fx Nicom. 60,6, dove peraltro occorro- no con analogo significato μονάζειν e τριάζειν, nel senso che da metà divie-  ne intera, raddoppiandosi, e da intera metà, dividendosi in due: cf. p. 14,3-  4, supra «(1 e il 2 sono] doppio della metà e metà del doppio».  Naturalmente il dimezzamento raddoppia nel senso che produce due parti  (2), mentre il raddoppio unifica nel senso che produce l’intero (1).  91 Sc. mezza luna: διχότομος è il termine tecnico che indica questa fase  lunare: cf. p. 33,9, infra, dove però si precisa che secondo alcuni διχότομος  può essere chiamata anche la fase di “luna falcata" (μηνοειδής), cioè del  primo e dell’ultimo quarto, quando la luna sarebbe falcata solo in apparen-  za.  98 Sc. nell’ 1 che si aggiunge al 2 per formare il 3 (cf. p. 5 in., infra: il 2  ha anch'esso la proprietà dell'uguaglianza (cf. p. 11,2, supra).  99 6 e 10, infatti, non sono somme di numeri immediatamente preceden-  ti.  100 Sc. perché da 1 a 3 c’è solo il 2 come medio, o forse perché è il primo  numero che permette la prima proporzione aritmetica, dove appunto il  medio è equidistante dagli estremi.  101 Sc. è somma di 1+1+1, dove il medio è uguale agli estremi.  102 Sc. una delle due relazioni di disuguaglianza: l’altra è quella di mino-  re.  10) 1+2+3=6.  104 6=4+1/2(4), oppure 4=2/3(6).  105 Sc. fra 2 ε 4.  106 3=1+2.  107 Sc. la relazione di uguaglianza che sta tra le due specie di disugua-  glianza, cioè maggiore e minore.  LA TEOLOGIA DELL’ARITMETICA 959  108 Sc. da p. ἃ m., dam.ag., dap.ag.  109 Sc. da g. a p, da g.am, dam.a p.  110 Cf. Eraclito, A 1 D-K6, I 143 = Diog. 9, 16: εἷς ἐμοὶ ἄνθρωπος τρι-  σμύριοι, οἱ δ᾽ ἀνάριθμοι οὐδείς, dove c'è un'evidente equivalenza tra tpi-  σμύριοι e ἀνάριθμοι.  111 Invece di “beatissimi".  112 $c. nascita, acme dello sviluppo, morte.  113 Sc. dalla nascita fino al massimo sviluppo.  114 Sc. dal massimo sviluppo fino alla morte.  115 Sc. dei due confini, nascita e morte.  116 Tutte proprietà della pietà.  117 Cf. p. 16, 11, supra.  118 Sc. dai suoi precedenti.  119 Si ricordi che il 2 non è somma di due unità, secondo questa dottri-  na, ma distensione dell’ 1.  120 In breve, fornendo materia e forma a tutte le cose secondo le loro  qualità (cioè in quanto strutture numeriche di un determinato tipo).  121 Ad es. il 4 non è somma dei numeri che lo precedono (1+2+3=6); il  5 non è somma dei numeri che lo precedono (1+2+3+4=10); il 6, nonostan-  te sia somma dei primi tre numeri (1+2+3=6), non è somma dei numeri che  lo precedono (1+2+3+4+5=15), ecc.  122 Meglio, “triali".  123 Evidentemente qui l’A. si riferisce al “numero" grammaticale.  124 Sc. il fatto che ci sono tre specie di numero sotto vari aspetti: tre spe-  cie di pari, tre specie di dispari, tre specie di rapporto (uguale, maggiore e  minore), ecc.  125 Cf. Nicomaco, Arttbm. intr. 38,5 Hoche, appar. ad loc.  126 Cf. Giamblico, In Nicom. 8,13.  127 Il maschio emette il seme, la femmina lo riceve, il figlio rappresenta  il frutto o la rimunerazione.  128 Omero, I/. 15,189.  129 C£. pp. 17; 19, pass., infra. La virtù è l’unico “medio" tra due vizi: cf.  Aristotele, EN 2, 6, 1106 B 14 ss.: «La virtù è più precisa e migliore di ogni  arte, cosî come lo è la natura, giacché essa punterebbe a ciò che sta nel  mezzo. Intendo dire la virtù etica [ché la virtù dianoetica è un’altra cosa],  perché essa riguarda le passioni e le azioni, nelle quali ci sono eccesso e difet-  to e medietà tra i due».  130 I vizi sono, infatti, i due opposti tra cui sta la virtù: cf. nota 129, supra.  131 Sc. fanciullezza, maturità, vecchiaia.  132 C£. p. 79,4 fin., infra.  960 GIAMBLICO  133 Sc. somma dei primi quattro numeri: 1+2+3+4=10.  134 Sc. vertici, che sono angoli solidi; cf. p. 85, infra.  135 Sc. il quanto in sé, il quanto relativo, il quanto grande in quiete, il  quanto in movimento.  136 Sc. 1,2,3,4.  137 Sc. le due specie del quanto e le due specie del quanto grande.  138 Sc. al 2.  139 Sc. gli elementi da cui comincia il discorso del geometra.  140 Cf. Aristotele, Mesa. N 1091 A 16: «Non è il caso di dubitare se i Pitagorici abbiano o non abbiano parlato di generazione. Essi dicono aper- tamente che, quando l’uno si è costituito, con superfici, o con pellicole, o con seme, o con altre cose che non sanno nominare, subito tutte le parti più vicine dell’illimitato si sono fatte tirare e racchiudere dal limite» [tr. Viano]. ypord = surface, sec. Ross; piano, sec. Russo; colore, sec. Reale e Giannantoni. Io accolgo la traduzione di Viano: risulta chiaro, infatti, che i Pitagorici intendevano dire che la superficie è come una specie di “epidermide", soprattutto in riferimento ai corpi solidi. 141 Sc. 4 vertici e 4 facce. 142 Sc. per avere scoperto le proprietà della Tetrade. 143 Cf. Giamblico, Vita Pytb., 153,17; 162,18 Deubner. 144 C£. p. 13, supra. 145 Sc. vertici.  146 Sc. come non generato, ma costituito fin dall’eternità cosi com'è ora. 147 Forse p. 30,8, supra, o forse p. 20, supra, all’inizio della sez. sul nume- ro 4, dove si avvia il discorso con l’idea che tutte le cose del mondo, in gene- rale o in particolare, derivano dal 4. 148 Sc. causa efficiente (ciò ad opera di cui). 149 Sc. causa materiale (ciò da cui). 150 Sc. causa formale (ciò in virtù di cui).  151 ὅς, causa finale (ciò in vista di cui).  152 ὅς, le proprietà essenziali.  15) Lett. novantesimi: l’espressione è impropria, volendo significare “composti di 90 gradi", perché sono 4 sui 360 gradi del circolo zodiacale. 154 Si tratta dei quattro punti del circolo zodiacale, che giace sul piano dell’eclittica, nei quali s'incontrano con quest’ultima il circolo equinoziale e quello solstiziale, perpendicolari tra loro. 155 Sc. del tempo.  156 Cf. p. 19, supra.  157 Sc. vista, udito, gusto e odorato.  LA TEOLOGIA DELL’ARITMETICA 961158 Sc. un solo tronco e molti rami, ad es. ulivo. 159 Sc. niente tronco, ma molti rami, ad es. rovo spinoso. 160 Sc. molti tronchi e molti rami, es. leguminosa e ortaggio.  161 Sc. niente tronco né rami, ma molte foglie.  162 Sc. superficie.  163 Sc. solidità.  164 Alcuni codici hanno («testa [κεφαλά]»: cf. VS 44 B 13 = I 413 Diels- Kranz6, e relativa nota (cf. anche ed. Klein Add. p. XXVII). Io preferisco mantenere «cervello [ἐγκέφαλος]», anche per coerenza con la ripetizione della stessa voce a p. 25,22 De Falco = I 413,8 Diels-Kranz$, dove non mi spiego perché non venga mutato come alla precedente li, 5.  165 Cf, VS 44 B 13 D-K.  166 C£. pp. 8 e 18, supra.  167 Sc. la progressione dei numeri per somma cumulativa.  168 Sc. del fuoco.  169 Sc. il 4.  170 Sc. del 3.  171 È infatti un’accumulazione solida.  172 Sc. Omero.  173 C£. Aristotele, Rber. 2, 1387 B 305. καὶ οἱ τιμώμενοι ἐπί τινι δια- φερόντως, καὶ μάλιστα ἐπὶ σοφίᾳ ἢ εὐδαιμονίᾳ — «[sono invidiosi) anche coloro che sono onorati per qualche merito particolare, soprattutto per  sapienza o felicità». 174 C£. Omero, I/. 3,182, fort. varia lectio. 175 Omero, Od. 5,306. 176 1+2=3 +3=6 +4=10. 177 Sulle proprietà del 10, cf. ultimo cap., infra. 178 Sc. come punto di partenza della somma cumulativa. 179 Sc. dei suoi fattori. 180 Se è vero che per definizione, a prescindere dalle parti o fattori, un numero è perfetto se non è né più né meno di se stesso.  181 ]+2=3.  182 Sc. un unico mezzo tra l’inizio e la fine.  18) 1+2+3=6.  184 Sc. nel senso proprio.  185 Cf. Giamblico, Ir Nicom. 88,24 5.  186 Sc. di secondo livello sono i numeri da 11 a 100; di terzo livello i  numeri da 101 a 1000, ecc. Cf. ultimo cap., infra.  187 Sc. le 4 diverse specie di perfezione dei numeri 1, 3, 6, 10.  962 GIAMBLICO  188 Cf. p. 69, infra, e Galeno, De differentiis febrium libri ii,7, 299,3 ss.  189 Sc. nel tetraedro, che ha 4 facce ciascuna delle quali può fare ugual-  mente da base.  190 ὃς, concepito il quarto giorno: Eracle nacque dall’unione furtiva di  Zeus con Alcmena, moglie di Anfitrione, e secondo una leggenda Zeus, che  ingannò la fedele Alcmena presentandosi a lei sotto le false sembianze del  marito, fece durare la sua notte di nozze tre intere giornate, ordinando al Sole di non levarsi che allo scadere del terzo giorno, sicché Eracle fu conce- pito il quarto giorno. Cf. P. Grimal, Dizionario di mitologia greca e romana (tr. it. della 6. ediz. Brescia 1987) s.v. A/cmena, 191 Sc. come chi guarda dall'alto in basso, o con altezzosità, o tiene in poco conto gli altri (il verbo κατα-φρονέω ha questo significato etimologico): le statue squadrate di Ermes agli incroci delle strade, infatti, lo raffigurava- no nell’atteggiamento di chi guarda in basso. 192 Sc. nelle erme dei crocicchi. 193 Sc. il cubo che occupa il quarto posto nella serie dei tripli: 1, 3, 9, 27, 81, 243, 729, 2187, 6561, 19683 ... C£. p.55, infra. 194 Sc. è il cubo intermedio tra il cubo del primo posto, 1, e il cubo del settimo posto, 729. 195 Sc. decisivo per il decorso della malattia. 196 4,7 e 10 qui si devono intendere come i cubi del quarto, del settimo e del decimo posto. 197 Il quarto cubo, 27, moltiplicato per il settimo cubo, 729, dà il decimo cubo, 19683, la cui somma numerica, 1+9+6+8+3, fa 27, cioè appunto il quarto cubo. 198 Lett. la poesia. Cf. Omero, Od. 10,2 ss. 199 Sc. figlio del Cavaliere. 200 Dal pf. ep. tétAnka di τλάω = resisto. 201 Sc. la sua radice quadrata 2. 202 4x4=4+4+4+4=16. 203 3+3+3+3=12>3x3=9. 204 5+5+5+5=20<5x5=25. 205 Cf. Giamblico, In Nicom. 20. 206 Sc. 4=3+1/3(3); 2, infatti contiene un rapporto doppio, 2=1x2, e 3 un rapporto emiolio, 3=2+1/2(2): cf. Giamblico, In Nicom. 108 e 119. 207 Levante ponente settentrione mezzogiorno: cf. Erone Aless., Geom. 2,1: KAipata μὲν οὖν ἐστι «δ΄» ἀνατολή, δύσις, ἄρκτος, μεσημβρία. 208 Se bisogna intendere questo discorso nel senso del Tirzeo platonico, a cui del resto sembra riferirsi il διακοσμηθῆναι, allora questi quattro aspet- ti si riferiscono alle differenze tra le quattro radici cosmologiche secondo la LA TEOLOGIA DELL'ARITMETICA 963 loro forma stereometrica: esse infatti differiscono per essenza, cioè per figu- ra geometrica, essendo i quattro elementi riferiti a solidi geometrici regolari differenti, per specie, essendo di natura specifica diversa, e per principio razionale, nel senso che rappresentano altrettanti principi di cui si serve il demiurgo nel suo disegno cosmogonico. 209 $c. parità o disparità. 210 Sc. un numero che contiene lo stesso quadrato iniziale, 25, e che ter- mina per 5. 211 Platone, ΤΡ. 55 Ὁ 6 ss. 212 52=32442, 213 Sc. dal 5, che è la somma di quei numeri, che sono 2 e 3. Secondo Waterfield, The Theology of Arithmetic. On the Mystical, Mathematical and Cosmological Symbolism of the First Ten Numbers. Attributed to Iamblichus (Grand Rapids, MI 1988) [d'ora in poi cit. Waterfield, Trad.], p. 65 nota 3, si tratterebbe di un tetracordo congiunto, formato da una sequen- za di quattro note secondo due combinazioni rispettivamente di 2 e di 3 note, in cui l’ultima della prima combinazione è la prima della seconda com- binazione. Secondo me si tratta, invece, del rapporto di quarta proprio di tutte e tre le specie di tetracordo, diatonico cromatico enarmonico. C£. Boezio, Inst. mus. 4,7 = 322,22 ss. Friedlein, Leipzig 1867, rist. Frankfurt a. M. 1966: «Tetrachordum enim omne diatessaron resonat consonantiam. Igitur nete hyperboleon et nete diezeugmenon in tribus generibus, id est vel in diatono vel in chromate vel in enarmonio, diatessaron continet sympho- niam». A chiarimento di tale rapporto tra l'accordo di quarta del tetracordo e il numero 5, cf. Porfirio, x Harm. Ptol. 1,6 = Archita B 17 Diels-Kranz: se togliamo un’unità a 4 e a 3, che sono in rapporto di quarta, cioè epitrite, otte- niamo 3 e 2 la cui somma è 5. 214 Waterfield, Trad., p. 65 nota 4, congettura che si tratti della prima proporzione geometrica 1, 2, 4, la somma dei cui estremi fa 5. Ma a me sem- bra più plausibile pensare alla più piccola “quinta" medietà (2, 4, 5), che cade appunto sotto il 5 e che è giudicata subcontraria alla medietà “geome- trica": cf. Giamblico, In Nicom. 114 fin. 215 Sc. che ha quattro termini, cioè due estremi e due medi. 216 Sc. gli estremi. 217 Sc. nella prima combinazione proporzionale degli esempi. 218 C£. ad es. pp. 40 e 74, infra. 219 Infatti la prima divisione del 10 è 5 [10/2=5], che dà luogo a due parti perfettamente controbilanciate ed equivalenti; la seconda divisione, invece, è 2 [10/5=2], che dà più parti che concordano con il 5 solo per il fatto che sono “quinte" parti (5 e 1/5 sono omonimi ma non equivalenti). 220 Sc. 50, quant'è il numero delle facce dei cinque solidi regolari: 964 GIAMBLICO 4+6+8+12+20=50. 221 Sc. l'altezza sul meridiano del polo Nord e del polo Sud. 222 Sc. al cono d'ombra e al canestro a forma di tronco di cono: ze Sole Luna 223 C£. p. 24, supra. 224 Sc. alle componenti strutturali del corpo vivente. 225 5=2+3. 226 Sc. la conciliazione dei contrari. 227 Sc. del pari e del dispari. 228 Sc. uniformità, perché tutti i punti sono equidistanti dal centro. 229 Il 5 è numero sferico, cosî come il 6, perché il quadrato, il cubo, ecc., finiscono sempre per 5, o per 6: cf. p. 30, supra, e p. 46, infra. 230 Cf. H. Thesleff, The Pytbagorean Texts of the Hellenistic Period, Àbo 1965, 115. 231 Più che il 4: cf. p. 29, supra. 232 Sc. il disuguale ha due parti, una maggiore e una minore: la maggio- re non ha bisogno della minore e la lascia da parte come un superfluo, la minore invece desidera acquisire la parte che le manca. 233 Sc. un quadrato. 234 C£. Nicomaco, Arithm. intr. 113,24 s. Hoche: [oi τετράγωνοι] ém- δεκτικοὶ πάντως TAUTOTNTOG καὶ ἰσότητος. 235 ὃς, il primo della serie, cioè 9, 236 Cf. Giamblico, Ix Nicor:. 16,16 ss. 237 37,4-39,24 corrisponde sostanzialmente a Giamblico, In Nicom. 16,18-20,6. 238 Sc. fare la somma che risulta essere 45. 239 Sc. i termini numerici. 240 Sc. per somma. 241 (6+7+8+9)>(4+3+2+1). 242 Sc. punto di divisione in parti uguali del braccio della bilancia imma- ginaria. 243 Infatti il superare o l'essere superato dal 5 sarà sempre minore man mano che ci si accosti allo stesso 5: ad es. la differenza tra 4 e 5 è minore della differenza tra 3 e 5, perché 4 è meno distante da 5 che non il 3; la differen- za tra 7 e 5 è minore della differenza tra 8 e 5, perché il 7 è meno distante LA TEOLOGIA DELL’ARITMETICA 965 dal 5 che non l’ 8. 244 Anziché 4, come la prima. 245 Sc. i numeri da 6 a 9. 246 $c. l'angolo formato dal braccio con la perpendicolare del piatto più pesante. 247 Sc. l’angolo formato dal braccio con la perpendicolare sul foro della bilancia. 248 Sc. all'incontro del braccio con la perpendicolare del piatto meno pesante e con la perpendicolare sul foro della bilancia. 249 Sc. i due angoli formati dalla parte maggiore. 250 Ad es. nel caso della disuguaglianza dei piatti della bilancia. 251 Sc. quelli che subiscono ingiustizia sono di numero maggiore di quel- li che la commettono. 252 Meglio. dalla perpendicolare sul foro della bilancia. 253 Sc. coloro che commettono ingiustizia. 254 Sc. 5, cioè 6-1, 7-2, 8-3, 9-4, che sono coppie di numeri al quinto posto tra loro. Infatti (1+2+3+4)+(5+5+5+5) = 30 = 6+7+8+9. 255 Sc. considerando la maggiore e al tempo stesso la minore distanza tra i numeri che stanno da una parte e dall’altra del 5. 256 Sc. il numero della parte inferiore più vicino a 5. 257 Sc. dal numero della parte superiore pit lontano da 5. 258 ὅς, il numero della parte opposta, inferiore, più lontano da 5: 9- 4+1=6. 259 8-3+2=7. 260 7-2+3=8. 261 6-1+4=9. 262 Sc. non ha numero corrispondente da cui essere sottratto o a cui debba essere aggiunto. 263 Sc. non come la metà numerica, ché 5 non è metà di 9, ma di 10, bensî come il centro della serie dei numeri da 1 a 9. 264 Cf. Giamblico, Protr. 107,13 Pistelli = VS 58 C 6 = I 466,25 DielsKranz®. 265 Sc. quella lineare. 266 Sc. quella piana. 267 Sc. quella solida. 268 Sc. vita vegetativa. 269 Sc. terra, acqua, aria, fuoco ed etere. 270 Sc. tutti i pianeti ad eccezione del Sole e della Luna. 271 $c. progressione, stazione primaria, regressione, stazione secondaria: 966 GIAMBLICO cf. pp. 19 e 25, supra, sui movimenti irregolari dei pianeti. 272 Sc. Sole e Luna. 273 Sc. il movimento del Sole e della Luna. 274 Sc. δίχασις, 275 Sc. dispari 3 + pari 2. 276 Sc. semi-277 Non è chiara la relazione tra il nome Pallade e la quinta essenza. Waterfield, Trad. p. 74, annota brevemente: «Pallas is Athena; fifth essence, or quintessence, is aether»: ma, se si voleva mettere in rapporto il nome Atena col nome etere, non si vede perché si sia usato il nome Pallade. A meno che non si voglia intendere il paragone in funzione dell’assonanza tra Παλλάδα e Πεντάδα. 278 Lett. essenza 0 funzione del cuore. 279 Omero, I/. 8,69-74. Non appare evidente la relazione tra questa cita- zione omerica e il precedente ragionamento di Nicomaco, mentre sembra altamente probabile che questo brano (p. 42,10-17) sia uno scolio da inseri- re a p. 39,6, dove appunto si conclude la similitudine della bilancia/giustizia, che, inclinandosi, trascina verso il basso («verso la rovina» corrispondente qui a «si inclinò il giorno fatale degli Achei») gli ingiusti, e verso l’alto («si eleverà come se fuggisse verso dio» che qui corrisponde a «si levarono verso l'ampio cielo») coloro che subiscono l’ingiustizia. Pertanto ritengo che que- sto brano dovrebbe essere espunto dal testo come scolio. 280 Sc. è la somma dei suoi fattori, che sono 1[1/6]+2[1/3]+3[1/2]=6. 281 Sc. comprende lo stesso 6. 282 Sc. non comprende il suo proprio quadrato, cioè 36. 283 Qui potenze sono i fattori o divisori dello stesso numero. 284 Sc. per addizione. 285 Sc. come somma dei primi numeri pari e dispari: 2+3=5. 286 Sc. alla somma dei suoi fattori, 1+2+3, in quanto è numero perfetto. Qui parti indica appunto i fattori: cf. Euclide, E/ew. 7, def. 23: Τέλειος ἀριθμός ἐστιν ὁ τοῖς ἑαυτοῦ μέρεσιν ἴσος div. 287 6+2[=1/3(6)]=8. 288 6+6=12. 289 6+1/3(6)=8; 12-1/3(12)=8, 290 6+1/2(6)=9; 6+6=12. 291 6+3=9; 12-3=9. 292 Sc. i suoi fattori. 29 Sc. le direzioni doppie delle tre dimensioni dei solidi: avanti/indietro, destra/sinistra, sopra/sotto. 2% ὃς, le dieci categorie aristoteliche. LA TEOLOGIA DELL’ARITMETICA 967 295 Il 3 è il primo dei numeri perfetti. È detto qui primario perché rap- presenta la triade “principio, mezzo e fine”. In effetti il 3 ha un solo diviso- re, 1, che è al contempo principio, mezzo e fine [3=1+1+1]. 2% Il 6 è il primo dei numeri perfetti secondari. Sono detti qui seconda- ri i perfetti che hanno sî principio, mezzo e fine, come il 3, ma in questo caso i divisori sono numeri diversi. In effetti il 6 ha tre divisori, 1, 2, 3, e quindi, come il 3, ha principio, mezzo e fine. Esso è la base dei perfetti di questo tipo, perché è il primo dei numeri perfetti al di là del 3. 2% Sc. quella primaria. 298 Sc. quella secondaria. 299 In realtà il 3 ha una sola parte, l’ 1, la quale naturalmente è meno di 300 Sc. raggruppandoli in successione all'infinito tre per volta. 301 Infatti la somma è 6 anche se fatta per aggregazioni successive, cioè per somma delle cifre costituenti una data somma. 302 1+2+3=6. 303 4+5+6=15=1+5=6. 304 Sc. la decina. 305 $c. si sommano ancora i due numeri ottenuti dalla prima somma, di cui il primo indica la decina. 306 Sc. due decine, ovvero una ventina. 307 Sc. il numero che si ottiene alla fine dopo tutte le somme. 308 Sc. si parte da tre numeri e si ottiene come numero finale 6. 309 Sc. come forma del numero, che è a sua volta forma del mondo. 310 Sc. il pari e il dispari. 311 6x6x6=216. 312 5x5x5=125. 313 Cf. p. 43, supra: il 5 non è propriamente maschio-femmina, perché nasce dal primo pari e dal primo dispari non per moltiplicazione, ma per somma. 314 Sc. a una sola dimensione, lineare. 315 Sc. a tre dimensioni, solido. 316 6x6=36. 317 1[=13]+8[=271+27[=33]=36. 318 Sc. una proporzione armonica. 319 12=8+1/2(8). 320 9=6+1/2(6): occorre, cioè, mettere in rapporto il primo estremo con il secondo medio, e il secondo estremo con il primo medio. 321 8=6+1/3(6). 968 GIAMBLICO 322 12=9+1/3(9). 323 Sc. l’ultima corda del tetracordo, la quale ha il tono più basso. 324 Considerando, cioè, in maniera più netta la sua struttura di forma del corpo, sia del mondo che degli esseri viventi. 325 Sc. consolidamento corporeo. 326 Sc. le proporzioni 1) aritmetica, 2) geometrica, 3) armonica, 4) sub- contraria all'armonica, 5) subcontraria alla geometrica, 6) subcontraria anch'essa alla geometrica: cf. Giamblico, Ir Nicom. 100 ss.; Th. Heath, A History of Greek Mathematics, Oxford 1965 [1921], I 87. 327 $c. i rapporti 1) multiplo, 2) epimorio, 3) epimere, 4) sotto-multiplo, 5) sotto-epimorio, 6) sotto-epimere: cf. Giamblico, In Nicom. 37; Heath, op. cit. I 1015. 328 C£. p. 35,10, supra. 329 Sc. 1, 2,3. 330 Sc. la proporzione basale del primo tipo di proporzione che è quella aritmetica. 331 Sc. la prima sequenza di numeri che sta alla base dell’intera succes- sione numerica: l’ 1 è principio di tutti i numeri, il 2 principio dei numeri pari, il 3 principio dei numeri dispari. 332 Sc. il formarsi del primo numero solido che abbia tre dimensioni disuguali. 333 Sc. fattori o divisori. 334 Sc. i primi due numeri pari e dispari. Cf. Giamblico, In Nicom. 37,21. 335 Sc. 20+70+200+40+70+200 = 600. 336 Cf. Giamblico, In Nicom. 34,22. 337 Per il rapporto tra il 6 e il triangolo, cf. anche p. 84 fir., infra, dove 6 è il numero che rappresenta la somma dei lati e degli angoli di ogni triango- lo. Si aggiunga che il 6 è il primo numero triangolare e perfetto nello stesso tempo. Cf. Platone, Tix. 54 D-E, dove dall'unione di 6 triangoli rettangoli scaleni uguali, con uno dei cateti metà dell’ipotenusa, si forma un triangolo equilatero. 338 Sc. 6 0 suo multiplo. 339 Sc. gli spigoli. 340 Sc. del tetraedro. 341 Sc. 6 nell’un caso e nell'altro. 342 Sc. 24, quadruplo di 6. 343 Sc. 12, doppio di 6. 344 Sc. 12 anche questi. 345 Sc. 30, quintuplo di 6. 346 Sc. si fa per aggiunta di un'unità: 2=1+1; 3=2+1; 4=3+1;5=4+1. LA TEOLOGIA DELL'ARITMETICA 969 347 Sc. Ecate, divinità dei trivi. 348 Sc. il punto di intersezione da cui si dipartono le direzioni del movi- mento. 349 Sc. le tre doppie direzioni rispettivamente di lunghezza, larghezza e profondità: avanti e indietro, a destra e a sinistra, in alto e in basso. 350 Sc. prodotta dal fatto che i segni dello zodiaco si distribuiscono 6 sopra la Terra e 6 sotto la Terra, per cui l’intero zodiaco rappresenta tutto il tempo. 351 Sc. passato presente futuro. 352 Sc. doppio tempo. 353 La Nereide moglie di Poseidone. 354 Sc. in due parti uguali. 355 Un'altra Nereide: Θάλεια = fiorente. 356 Sc. insieme di tutti i rimedi: πανάκεια = ogni rimedio. 357 Il 6 è un numero perfetto. 358 Sc. gli intervalli tra un dato numero di termini sono sempre di quel dato numero inferiore di un'unità. 359 Non è, come la virtù nel senso aristotelico, medietà fra i due opposti vizi. 360 (ἢ, p. 35,16, supra. 361 Sc. le altre virtù che non sono divine. 362 Sc. nessuna proporzione ma solo progressione. 363 Sc. per due delle proporzioni: prop. armon.: 6, 8, 9, 12; prop. geom.: 6,9, 12, 18. 364 6+6=12+6=18. 365 6 a 12,6 a 18. 366 Sc. medietà armonica: 6+1/3(6)=8, 12-1/3(12)=8; 6+1/2(6)=9, 18- 1/2(18)=9. 367 Sc. medietà aritmetica: 6, 9, 12; 6, 12, 18. 368 Sc. quella del doppio: 6, 8, 12, e quella del triplo: 6, 12, 18. 369 35x6=210=30x7=210. 370 Sc. il triplo. 371 45x6=270=30x9=270. 372 Platone, Tim. 35 B ss., dove però si parte da 1 e non da 6. 373 Sc. le medietà fra i numeri 6 e 12, e cioè la medietà armonica 6, 8, 12, e la medietà aritmetica 6, 9, 12. 374 8+1/8(8)=9. 375 Sc. le διαφύσεις σπέρματος che sono appunto le parti dello sperma attraverso cui attecchisce. 970 GIAMBLICO 376 Sc. dopo altri 216 anni, al compiersi di nuovo del cubo del numero 6. 377 514-432[=216x2]=82. 378 Cf. Platone, Tim. 35 B ss. 379 In tutte queste frazioni il numeratore e il denominatore si scambiano di posto. 380 Sc. prodotto. 381 Sc. metà pari e metà dispari, ovvero che ha i suoi fattori o divisori, a parte 1 e 6, che si generano l’un l’altro: 6/2=3, cioè dispari, e 6/3=2, cioè pari. 382 Come dice Platone nel Tirzeo 35 A ss. 383 Il 2, pur essendo uguale a 1x2 e quindi formalmente eteromeche, è da considerarsi come il numero base dei pari dalla cui somma cumulativa nascono gli eteromechi: cf. p. 10, supra [2+4=6 (eteromeche 2x3); 2+4+6=12 (eteromeche 3x4); 2+4+6+8=20 (eteromeche 4x5); ecc.]. 384 Scalena è una figura piana con tre lati disuguali (triangolo scaleno) o una figura solida con angoli piani e dimensioni disuguali (ad es. cuneo o numero sfenisco). 385 Secondo Platone, il processo aritmetico e fisico di solidificazione o corporeizzazione ha bisogno di due termini medi: cf. Platone, Tim. 32 B.386 6=1x2x3. 387 Sc. che sono numeri perfetti. 388 C£. Giamblico, In Nicom. 118,26. 389 1+2+3+4+5+6+7=28. 390 Sc. di settimana in settimana. 391 64=82=4), 392 729=272=93. 39 Filone, De opif. mu. 107,10 ss. ἐκ τριάδος δὲ καὶ τετράδος ἑβδομάς. Ἔστι δὲ οὐ τελεσφόρος μόνον, ἀλλὰ καὶ ὡς ἔπος εἰπεῖν ἁρμονικωτάτη καὶ τρόπον τινὰ πηγὴ τοῦ καλλίστου διαγράμματος, ὃ πάσας μὲν τὰς ἁρμονίας, τὴν διὰ τεττάρων, τὴν διὰ πέντε, τὴν διὰ πασῶν, πάσας δὲ τὰς ἀναλογίας, τὴν ἀριθμπητικήν, τὴν γεωμετρικήν, ἔτι δὲ τὴν ἁρμονικὴν περιέχει. 394 Sc. quello che ha i lati misurabili con tre numeri consecutivi: 3, 4, 5. Infatti solo con questi tre numeri interi consecutivi è possibile costruire un triangolo rettangolo i cui lati siano costituiti da numeri interi (si tratta del triangolo rettangolo costruito da Pitagora per dimostrare il suo teorema): 32+42=52. C£. p. 50,21-22 supra. 35 De hebdom. 5. 396 Sc. alla pubertà. Ὁ 397 Sc. allo spuntare della barba. 398 Sc. al completamento dell’età dello sviluppo. LA TEOLOGIA DELL’ARITMETICA 971 399 Il termine ἀγελεία riferito alla dea Atena viene comunemente tradot- to “predatrice”. La mia traduzione “foraggiere” (peraltro al maschile perché in italiano si dice al maschile “il 7” quello che in greco si dice al femminile ἡ ἑπτάς) corrisponde a un significato più appropriato in questo contesto, dove la denominazione ἀγελεία viene interpretata nel senso di “addetto all’alle- vamento delle greggi” ovverosia “mandriano” o, meglio, “foraggiere” delle greggi. Ne è testimonianza l’esempio tratto dalla tradizione babilonese (che viene ritenuta “più pitagorica”) che chiamalle sfere celesti “greggi” (ἀγέλας). Del resto il significato “the forager” accanto a quello “driver of spoil” si trova in LSJ. 400 Sc. 7 capi per 100 guardie ciascuno: cf. Omero, I/ 9,85 5. ἕπτ᾽ ἔσαν ἡγεμόνες φυλάκων, ἑκατὸν δὲ ἑκάστῳ κοῦροι. 401 Da σεπτός = venerando. 402 Sc. pronunziando ἕξ e ἑπτά senza soluzione di continuità nella voce, il o della È di ἕξ si salda alla e di ἑπτά, formando la voce certa. 49 Sc. è uno dei due medi nella proporzione aritmetica disgiunta 1, 4, 7, 10. 404 Sc. la medesima differenza the accomuna gli estremi è rivolta verso il corrispondente estremo: nella fattispecie il rapporto 3 che costituisce la dif- ferenza comune va da dall’estremo 1 al medio 4, e dall'altro estremo 10 all’al- tro medio 7. 405 Sc. sotto-multiplo in rapporto di 2, cioè l’inverso del doppio, cioè la metà. 40 Sc. della tetrade, o decade in potenza, e della decade, cioè 7=1/2(4+10). 407 Sc. 1/7, avendo il 7 come unico divisore se stesso, a parte l’ 1. 408 Sc. per moltiplicazione. 40 In ordine ascendente: Mercurio, Venere, Sole, Marte, Giove, Saturno, Stelle fisse. 410 In ordine discendente: Terra, Antiterra. Si noti che secondo i Pitagorici le sfere celesti sono in tutto 10. 411 I fattori di 28 sono 1, 2, 4, 7, 14, la cui somma dà appunto 28. 412 Sc. biconvessa. 413 Sc. la Luna, 414 Perché in quella condizione sarebbe stata considerata non più appe- tibile sessualmente. 415 Cf. Ippocrate, De sem., de nat. pueri, de morbis. I 385 5. Kiihn. 416 13+33=28. 417 I cubi in generale sono detti “limitanti”, perché “determinano” la solidità o tridimensionalità delle cose. 972 GIAMBLICO 418 $c. i sette mesi e i nove mesi. 419 2=8. 420 33=27, 421 8+27=35. 422 C£. Nicomaco, Arithm. intr. 29,1 = medietà armonica perfetta. 42) 1+6+28=35, 424 Cf. p. 51. supra. 425 Sc. la somma di tali numeri in proporzione armonica. 426 Sc. un numero rettangolo, nella fattispecie un promeche. 427 5x7=35. 428 5x7x6=210, che è il numero del parto di sette mesi: 210:30=7. 429 Sc. perché fornisce la ἕξις vitale. 430 210+6=216=6}. 431 Siccome 210 non è un numero cubo, bisogna intendere qui στερεόν nel senso di «triplice», cioè tridimensionale, come del resto appare dal segui- to del discorso. 432 Epidem. ΠῚ 453 Kihn. 433 Sc. non liquida come il latte. 434 Sc. all’età di due volte 7 anni. 435 Mi sembra necessario intendere il τέκνον della li. 8 come figlio del figlio, cioè nipote, cosi come si può arguire dalla successiva spiegazione. Forse il ragionamento è questo: a 14 anni è possibile mettersi a generare un figlio, ma deve trascorrere quasi un anno prima di vederlo nascere, e siamo a 15 anni; il figlio può cominciare a generare dopo 14 anni, cioè quando il padre ha 29 anni, ma può vedere nascere suo figlio un anno dopo, cioè quan- do il nonno ha 30 anni. 436 Sc. raggiunge la sua massima altezza. 437 Sc. raggiunge la sua massima robustezza. 438 Sc. raggiunge il massimo della sua tridimensionalità che è la sua soli- dità corporea. 439 Sc. i 28 anni. 440 Sc. del numero che chiude il quinto settennio. 441 Sc. quando si raggiunge l’età di 70 anni. 442 Sc. su tutte le cose che sono costituite dai quattro elementi. 443 Sc. i principi estremi. i 444 Sc. che riguardano la figura geometrica più elementare, cioè il trian- golo. 445 Forse estensioni, se accettiamo la congettura di Ast ἐκτάσεις: cf. testo greco appar. ad loc. 446 Sc. che sono le sue estensioni, a partire dal punto, dalla linea, ecc. 447 Cf. p. 54 fin., supra, dove si parla dei primi sette numeri a) doppi e b) tripli: a) 1 (quadrato e cubo), 2 (né q. né c.), 4 (solo q.), 8 (solo c.), 16 (solo q.), 32 (né q. né c.), 64 (q. e c.); b) 1 (q. e c.), 3 (né q. né c.) 9 (solo q.), 27 (solo c.), 81 (solo q.), 243 (né q. né c.), 729 (ᾳ. e c.). 448 Sc. dati due triangoli rettangoli uguali tra loro, se li uniamo per l’ipo- tenusa nasce un quadrato ad essi perfettamente commisurato, avente cioè le loro stesse misure, cioè i lati uguali ai cateti e l’area uguale alla somma delle aree dei due triangoli rettangoli. 449 Sono i posti che contengono quadrati, cioè i numeri, doppi o tripli, 1,4, 9, 16, 64, 81, 729. 450 Sc. dei doppi e dei tripli. 451 Sc. per passare dalle une alle altre 48 ore. 452 Sc. un nuovo accesso di febbre. 453 Sc. l'intervallo di tre giorni della febbre quartana. 454 Sc. nelle due esposizioni numeriche, dove appunto il primo e il secon- do posto contengono numeri che sono sia quadrati che cubi. 455 Sc. di quadrati e di cubi. 456 Sc. le corrispondenze tra le esposizioni numeriche e l'andamento delle febbri. 457 Sc. 30 ore, cioè un giorno e un quarto. 458 ὃς, verso le 6 p. m. 459 Sc. la semiterzana, a parte la quotidiana, di cui qui si parla poco. 460 Lett. gli scrittori che si occupano di predizione delle influenze astra- li, cioè di scienza apotelesmatica. 461 Sc. dalla testa, 462 Sc. del numero 1, che è come Zeus, dalla cui testa è nata Atena. 46 Cosa che non è il 7. 464 Sc. le 7 vocali dell’alfabeto (greco, naturalmente). 465 Sc. prudenza, temperanza, coraggio, giustizia: cf. p. 25, supra. 466 Si ricordi che il solido base è il tetraedro, che ha 3 dimensioni e quat- tro basi. 467 Sc. divisibile sempre per 2 fino ad arrivare a 1. 468 4/2=2/2=1. La ragione per cui il 4 sarebbe parimente-pari e al tempo stesso dispari-pari sta nel fatto che esso è divisibile per 2 fino ad arrivare a 1, come il parimente-pari, ma le sue parti non sono ancora divisibili per 2 fino ad arrivare a 1, come il dispari-pari, anche se non ha le parti subito dispari, come il pari-dispari. Esso dunque ha le caratteristiche insieme del parimen- te-pari e del dispari-pari. In effetti il primo vero e proprio dispari-pari non è il 4, bensî il 12. 469 Sc. tutte le possibili combinazioni di numeri da cui può nascere per addizione. 470 Infatti 1 e 7 non trovano nella decade alcun moltiplicatore, a parte l’ 1, che produca se stessi o altro numero. 471 La somma 3+5, infatti, è il cubo 8, che è il primo cubo in atto. 472 che è cubo in potenza. 473 Sc. non è composto da numeri diversi. 474 27=33, 475 27=7+9+11, 476 64=4}. 477 64=13+15+17+19, 478 4x2=8 e 2x2=4. 479 Sc. 167. 480 Che, come si vedrà subito, è generato e generante. 481 Sc. 2, 3,5, 6, quest'ultimo in verità, con i caratteri invertiti, non gene- rante e generato. 482 4x2=8 e 2x2=4. Naturalmente, i numeri della decade da prendere in considerazione non possono andare oltre il 7, devono cioè rientrare entro l’ 8. Tutto il passo appare mancante di qualche inciso, ma il senso generale è ben comprensibile. 483 C£. p. 30, supra. 484 Gli accordi melodici sarebbero il semitono (maggiore o limma e minore o apotome) 16/15 o 256/243, il tono maggiore 9/8, il tono minore 10/9, il terzo maggiore 5/4 e il terzo minore 6/5. Cf. Giamblico, In Nicom. 99,19, e nota alla trad. 606. 485 Sc. un'assoluta compatibilità con tutti gli accordi musicali, armonici e melodici. 486 Cf. p. 63, supra, dove l’ 8 è il primo cubo in atto che insieme al secon- do cubo in atto, 27, forma il numero 35 che è il numero che racchiude l’ar- monia più perfetta. 487 Sc. Rupe di Tebe. 488 Sc. Tropico del Cancro = solstizio d’estate. 489 Sc. Tropico del Capricorno = solstizio d’inverno. 490 Sc. occhi, naso, orecchi e bocca. 491 Sc. due occhi, due narici, due orecchi e due orifizi nella bocca, cioè esofago e trachea. 492 Sc. unghia biforcute. 49 C£. p. 5 pass., supra. 494 Sc. flusso: cf. p. 14, supra. 495 Sc. il suo cubo. 49% CE, VS 44 A 12 Diels-Kranz. 497 I parti vitali, infatti, sono quelli di 1 e 9 mesi, quello di 8 mesi è per necessità di natura abortivo: cf. p. 63, supra. 498 Sc. del rapporto che i Pitagorici stabilivano tra Rea e il numero 8: cf. p. 74, supra. 49 Perché fanno nascere il bambino morto. 500 Pià precisamente, a proposito della relazione tra il numero e il nome delle Muse. 501 Il 2 è il numero guida, cioè base, dei pari, e l’ 8 è il 2 nella sua stabi- lità, cioè come cubo: 8=2). 502 Cf. p. 62, supra: il 32° giorno cade al centro della quinta settimana che è quella in cui si forma il feto. 503 9=8+1/8(8). 504 12=8+1/2(8). 505 12=9+1/3(9), 506 16=12+1/3(12). 507 18=12+1/2(12). 508 21=2x9+1/3(9), 509 24=18+1/3(18). 510 32=24+1/3(24). 311 36=24+1/2(24). 512 Sc. al tono che è espresso da 9 quale epiottavo di 8. 513 I rapporti della perfetta armonia musicale sono: di quarta o epitrite (4/3), di quinta o emiolio (3/2), di tono o epiottavo (9/8), di ottava o doppio (2/1): cf. pp. 30; 47; 63, supra. 514 Sul rapporto tra 5 e 9 relativamente alla giustizia, cf. p. 40, supra. 315 Sc. ἐννεάς — ἑνάς — ἕν. 516 10-9=1. 517 11-9=2; 20-(2x9)2. 318 12-9=3; 30-(3x9)=3. 319 100-(11x9)=1. 520 Infatti il 9 è l’ultimo numero della decade, considerato che il successivo 10 altro non è se non un 1 di secondo livello. Anche l’ 1 è detto Prometeo (cf. p. 4, supra), ma in un senso diverso, nel senso cioè che l’ 1 non permette né a se stesso né ad altro di valicare il proprio principio, cioè la pro- pria identità o unità. 521 Sc. tre volte il numero 3, che è numero perfetto: 9=3x3. 522 Sc. permette ogni ulteriore aumento, e quindi ogni numero. 523 Sc. dei primi due cubi, ovvero dei cubi dei primi due numeri: 9=13+2), 524 Sc. come radice quadrata. 525 Sc. il 5: οὗ, pp. 34-35, supra. Infatti i numeri che vanno da 9 a 1, que- st'ultimo escluso perché né pari né dispari, sono alternativamente quattro pari, 2, 4, 6, 8, e quattro dispari, 3, 5, 7, 9; non solo, ma danno anche lo stes- so risultato, 10, se sommati a coppie di pari e dispari corrispondenti, 1+9, 2:8, 3+7, 4+6, 5:5. 526 Sc. che produce i quadrati che sono detti “simili”: infatti i quadrati nascono per somma cumulativa dai dispari (1+3=22, 1+3+5=32, ecc.): cf. Giamblico, In Nicom. 59. 527 Pag. 77,18 ἀνομοιωτικόν, cioè “dissimilativo”, avrei preferito, invece di ἀνόμοιον, cioè “dissimile”, confrontando Giamblico, In Nicom. 75,14 ss., in quanto produce gli eteromechi che sono detti “dissimili”: infatti gli etero- mechi nascono per somma cumulativa dai pari {2+4=6[2x3], 2+4+6=12[3x4), ecc.). i 528 Pag. 77,19 ὅμοιον, cioè “simile”, avrei preferito, invece di ὁμοιωτικόν, cioè “assimilativo”, confrontando ancora una volta Giamblico, In Nicom. 82,11. 529 1,2,3,4...1,3,9,27.. 530 Sc. come se al 9 si risalisse per somma e scomparsa — ma non annul- lamento -- di unità. 531 Sc. ancora Era. 532 Sc. col numero che rappresenta Zeus. 533 Epiteto di Apollo. Sono possibili due etimologie di ἑκάεργος; a) ἑκάςτεἴργων = “che vieta di andare lontano” (e non, come erroneamente interpreta Waterfield, Trad., p. 107 nota 17, “che impedisce volontariamen- te” [«from esrgein (prevent) and hekas (voluntary)»], dove si fa un'evidente confusione tra ἑκάς e ἑκών; è vero che alcuni hanno tentato una tale etimo- logia, data la somiglianza tra i due termini, ma in ogni caso ἑκάς e ἑκών restano “alternativi” tra loro); b) ἑκάς ἔργον vel ἐργαζόμενος = “lungi-ope- rante”. L'etimologia che io accolgo è la a). 534 Sc. oltre il 9, cosî come si è detto poco fa, a p. 77, a proposito dell’eti- mologia del nome “Prometeo”. 535 Sull’equilibrio tra i numeri da 1 a 9, anche in rapporto alla bilancia della giustizia, cf. pp. 39-40, supra. 536 Cf. p. 77, supra: è una ripetizione. 557 C£. p. 78, supra: è una ripetizione. 538 Sc. del tono: 9/8. Ripetizione anche qui di cose già dette: cf. p. 76, supra. 539 Sc. inafferrabile in quanto infinito.  540 Sc. ogni rapporto numerico relativamente a ogni ente. 541 Cf. p. 80, infra. 542 Cf. Giamblico, In Nicom. 118,13 s. 543 Cf. Giamblico, Ir Nicom. 118,12. Il termine è stato coniato dai Pitagorici dalla radice di δέχομαι. 544 Cf. p. 79, supra. 545 Sc. 10x10x10. 546 Sc. 10x10x10x10. 547 Sc. a un numero entro la decade per somma delle cifre: ad es. 1378=1+3+7+8=19=1+9=10; 257=2+5+7=14=1+4=5, 548 Sc. dai muratori. 549 Questo animale (varietà domestica della donnola) era molto apprez- zato nell’antichità sia come divoratore di topi che come animale da diverti- mento. Era sacro a Ecate e aveva un ruolo anche nella mantica. Nella tarda antichità soppiantò il gatto come animale domestico. Il nome γαλῆ ha infat- ti, presso alcuni scrittori, il significato di “gatta”. 550 Sc. colui che tiene le chiavi per custodire qualcuno o qualcosa. 551 Sc. è uguale alla somma cumulativa dei primi quattro numeri. 552 Perché è la circonferenza massima dell’universo. 553 Omero, Od. 1,53 s. 554 Che ci si intenda riferire qui a scritti pitagorici o pseudo-pitagorici anteriori a Filolao, e non alla sola tradizione orale del Pitagorismo, come pensano alcuni, risulta evidente dal fatto che Speusippo ha potuto ricavarne materia per il suo scritto. Sull’uso anacronistico di ἀκρόασις, cf. L. Tarn, Speus. 261 s. 555 Il significato di quest’ultimo termine appare molto pit chiaro, se si respinge, come io ho fatto, l’integrazione di «περί» prima di ἀναλογίας fatta da Tannery e De Falco. Cf. L. Tarin, Speusippus, Leiden 1981, 267 ss. Per quanto concerne tutto l’inciso ἀναλογίας te καὶ ἀντακολουθίας, è evidente che qui non ha nulla a che vedere con la teoria delle proporzioni (del resto assente da tutto il contesto), ma si riferisce, assieme all’inciso precedente ἰδιότητος αὐτῶν καὶ πρὸς ἄλληλα κοινότητος, alle proprietà singolari e comuni dei numeri e alla loro relazione e corrispondenza con le figure. Insomma Speusippo distingue le tre specie di numero, lineare piano solido, e ne presenta le caratteristiche individuali, ma anche le interrelazioni. 556 Mi convince la traduzione che Tarin fa di ἀποφαίνων con «dichiaran- do», meno invece la sua traduzione di φυσικωτάτην con «che ha esistenza separata [o oggettival», perché il termine potrebbe avere relazione con il fatto che la decade ha costituito il modello divino nella creazione del mondo naturale. 557 Su questa idea della universalità del sistema decimale, cf. L. Taràn, Speusippus, cit. 273 ss., e le sue ragionevoli osservazioni che fanno rifiutare l'opinione di W. Burkert, Lore and Science in Ancient Antiquity, Cambridge, Mass. 1972, 72 nota 122, secondo cui Speusippo sarebbe fonte comune di questa e di altre precedenti testimonianze su tale dottrina. 558 Sc. il dispari. 559 Se in una serie finita di numeri, come è la decade, l’alternarsi di dispa- ri e pari, a partire dal dispari, non si chiudesse con un numero pari, il dispa- ri (se si considera dispari anche l’ 1) predominerebbe sul pari: nella fattispe- cie si avrebbero cinque dispari e quattro pari. Il pari 10, dunque, deve chiu- dere la serie, perché ci sia perfezione e uguaglianza delle due specie di nume- ro. 560 Sono primi e non-composti: 1, 2, 3, 5, 7; sono invece secondi e com- posti: 4, 6, 8, 9, 10. Speusippo, dunque, come del resto Aristotele ed Euclide, considerava numero primo anche il 2: cf., per tutta la questione, Th. Heath, Gr. Matb. I 70 ss.; L. Tarn, Speus. 277 ss. 561 Sc. il primo della serie. 562 È infatti 10 il numero oltre il quale non si può scendere per trovarne un altro con la stessa proprietà, con la proprietà cioè di contenere la stessa quantità di numeri primi e secondi. 563 Perché non ha come sotto-multiplo nessuno dei numeri fino a 5. 564 Perché, pur facendo parte del gruppo dei sotto-multipli [di 8], è un multiplo [di 2]. Ci sarebbe da precisare che si tratta di due eccezioni contra- rie: infatti 7 non è né multiplo né sotto-multiplo, 4 invece è insieme sotto- multiplo [di 8] e multiplo [di 2]. 565 È la proporzione aritmetica disgiunta 1, 2, 3, 4, in cui la somma dei termini è 10. 566 Sc. dei vertici. 567 Sc. delle facce che sono basi intercambiabili. 568 Sc. degli spigoli. 569 Non è chiaro. L'ipotesi che fa Waterfield, Trad., p. 113 nota 21, è que- sta: dato un triangolo ABC, la linea BC ha 2 limiti (uno in B e l’altro in C), ma ciascuno di questi limiti ha un rapporto con il terzo punto A, quindi ancora 2: allora 2+2=4. Un ragionamento simile, anche se più aderente alla interpretazione che io ne proporrò subito, trovo in Taràn, Speus. 284. Quello che convince poco in questo tipo di spiegazione è il fatto che per ottenere 4 occorre sommare due punti e due intervalli, quando si sa che sia gli uni che gli altri sono tre. A mio avviso occorre insistere meglio sul carattere “costrut- tivistico” messo in luce giustamente da Tarn, e ragionare cosf: per costruire. un triangolo bisogna anzitutto porre un primo limite (A) e tracciare un primo intervallo (AB) fissando un secondo limite (B), quindi tracciare un altro intervallo (BC) fissando un terzo limite (C), e infine tracciare un altro intervallo fissando un quarto limite, che pur non essendo distinto rispetto a tutti e tre i primi limiti, perché coincide con il primo (A), risulta necessario per chiudere la figura triangolare. Nella costruzione di un triangolo, quindi, anche se i punti sono 3, il loro rapporto con gli intervalli o linee conduce al 4, perché il primo di essi dev’essere preso necessariamente due volte, come punto di partenza e come punto di arrivo o di chiusura. Come dire che affin- ché ci siano i 3 intervalli o linee, occorrono 4 termini o limiti, che sono quel- li che contano di più nel nostro caso, dal momento che qui si tratta di met- tere insieme in relazione numeri e figure. 570 Sc. nelle figure geometriche elementari (che tuttavia presuppongono come loro elementi il punto e la linea): piana (triangolo) e solida (tetraedro). 571 Sc. si arriva al numero 10. 572 Sc. lo si può vedere come 1. 573 Sc. il triangolo che nasce dalla divisione di un quadrato lungo la dia- gonale: è il triangolo isoscele. 574 Sc. ha 2 lati uguali. 275 Sc. sia nei lati che negli angoli. 576 Sc. sommando cumulativamente i quattro numeri relativi alle figure: 11 del punto, il 2 della linea, il 3 del triangolo, il 4 della piramide. 577 Sc. la piramide di base triangolare equilatera o tetraedro. 578 Come il triangolo equilatero. 579 Anche quest’ultimo, infatti, è stato visto come 1. 580 Sc. la piramide di base quadrata. 581 Sc. linee e superfici. 582 Sc. ai vertici alla base. 583 Sc. dalla faccia di base e da due facce triangolari. 584 Sc. da tutte e quattro le facce triangolari: anche in questo, cioè nel fatto che ha una sola faccia quadrata, si vede l’unica differenza che ha que- sto tipo di piramide. 585 Come il triangolo isoscele. 586 Si tratta di una piramide triangolare con alla base un triangolo isosce- le. 587 Sc. nel triangolo semiquadrato o isoscele, che ha due angoli e due lati uguali e un angolo (quello retto) e un lato disuguali. 588 Perché ha due differenze come il triangolo scaleno, nascente come la metà di un triangolo equilatero. 589 Si tratta dunque di una piramide triangolare avente come base un triangolo rettangolo scaleno metà di un triangolo equilatero, e le rimanenti tre facce a forma, una di triangolo equilatero, una di triangolo isoscele, e una di triangolo scaleno (rettangolo): la si ottiene secando un tetraedro con un piano bisettore di uno dei suoi sei angoli diedri (sc. angoli agli spigoli). 590 Sc. calcolando, come nella terza piramide, i lati e gli angoli alla base e al vertice. 591 Infatti ha tre differenze, due delle quali che concernono i lati e gli angoli alla base che sono tutti e tre disuguali, appartenendo a un triangolo scaleno (rettangolo), e una terza che concerne l’angolo al vertice, circoscritto da tre facce triangolari tutte disuguali (un triangolo equilatero, uno isoscele e uno scaleno). 592 Se infatti sommiamo i numeri a cui abbiamo per somiglianza fatto corrispondere le quattro specie di piramidi, otteniamo 10. 59 Sc. quando vogliamo esaminare come nascano l’una dall’altra le figure geometriche, dal punto alla linea (figura lineare), dalla linea al piano (figura piana), dal piano al solido (figura solida). 594 In un campo di corsa. 595 παντέλεια = compimento di ogni cosa. 5% (1x2)+(2x2)+(3x2)+(4x2)=20. 597 1+2+3+4+5+6+7+8+9+10=55. 598 Cf. Platone, Tir. 35 B. 599 Come si è appena detto. 600 1+4+9+16+25+36+49+64+81+100=385. 601 385=55x7. 602 Se sommi, cioè, come numeri le lettere dell’ 1, e‘+v’ [ἕν], ottieni 55 e quindi 10 [=5+5]. Si ricordi che 10 è 1 di secondo livello. D'altro canto lo 0 non è cifra, per i Greci. 603 5(£°)+50(v)=55. 604 Sul rapporto tra il 6 e la vita e l’anima, cf. pp. 44 ss., supra. 605 Sc. fattori o divisori. 606 Infatti 2+3+4+6+9+12+18=54, ma, se si aggiunge il fattore dello stesso numero 36, cioè 1 [36:36=1], si ottiene 55. 607 Sc. sommati cumulativamente. 608 Cf. Platone, Τρ. 53 C ss. Assiopisto. Refs.: Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, “Grice ed Assiopisto,” The Swimming-Pool Library, Villa Speranza, Liguria, Italia.

 

Luigi Speranza – GRICE ITALO!; ossia, Grice ed Assunto: all’isola – FILOSOFO SICILIANO, NON ITALIANO -- la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale dei nazareni – la scuola di Caltaissetta – filosofia siciliana -- filosofia italiana – Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The Swimming-Pool Library  (Caltanissetta). Filosofo siciliano. Filosofo italiano. Caltanissetta, Sicilia. Grice: “I like Assunto; of course in Italy they take aesthetics seriously; my wife would say that they ONLY take aesthetics seriously! And I would correct her, ‘You mean that they take only aesthetics seriously,’ and she would re-correct me, ‘Whatever, dear.’” – “Anyhow, Assunto is best known in Italy as a historian, but he fails to see that when at Clifton we speak of the classics we mean the timeless – my timeless meaning was meant as a Cliftonianism! So Assunto is lacking background when he equates classicism, or worse, neo-classicism of the Canova type popular in London, as dealing with ‘l’antichita’ – that would have offend Canova: his statues were meant to represent Platonic timeless ideas or ideals!” Grice: “Gilbert and Leighton are very explicit about this in ‘The Artist’s Model’!” “Then Assunto thinks he can play with a fictiotious dichotomy between ‘l’antico’ and ‘il non-antico.’” Grice: “I treasure Millais’s slogan that at the Royal Academy, he had to do only TWO things: draw naked men ‘from nature’ – or draw naked men ‘dall’antico’!” – Grice: “As Millais suddently realised: ‘We found out that there were no English types that would represent the ‘antico’, or timeless ideal, so we had to deal with Italian models!” -- L'uomo che contempla il giardino vivendo il giardino [...] solleva se stesso al di sopra della propria caducità di mero vivente.»  -- Ontologia e teleologia del giardino). Ha compiuto i suoi studi secondari presso il Liceo Classico di Caltanissetta nella sua città natale. Laureato in Giurisprudenza è stato avviato alla filosofia da Pantaleo Carabellese professore di filosofia teoretica presso l'Roma.  È stato docente di Estetica a Urbino dal 1956 e titolare dal 1981 della cattedra di Storia della filosofia italiana presso la Facoltà di Magistero a Roma.  «Il suo insegnamento è anticonformista, fortemente intriso di contraddittorio. Ma forse proprio per questo motivo, quando arriva il Sessantotto, il filosofo sceglie la via della controrivolta: quella che passa attraverso l'élite. Rifiuta di adeguarsi al voto politico, si oppone ai collettivi e agli insegnamenti assembleari. I suoi allievi non si oppongono al suo rifiuto, anzi con questo comportamento Assunto riesce ad attirarsi la stima di molti esponenti del Movimento studentesco. Talmente rivoluzionario da divenire reazionario, Rosario Assunto dagli anni Settanta in poi avrà un atteggiamento sempre più schivo...»  Un isolamento, il suo, iniziato col Sessantotto, ma poi sempre più accentuato; infine, si chiuse nei suoi studi e nelle sue speculazioni dopo la morte della moglie, la storica dell'arte Wanda Gaeta, molto amata («Sono la fotocopia di lei, che è stata uccisa dal mio stesso male»).  A Roma fu molto amico di Giulio Carlo Argan pur contrastando le sue idee politiche.  Pensiero Rosario Assunto, interessato ai temi estetici della filosofia da un punto di vista storico e teoretico li ha trattati non solo come tipici della filosofia dell'arte e del bello ma considerandoli coincidenti con la filosofia stessa giudicata come pura estetica. Egli si rifà a Baumgarten, Cartesio, Leibniz, Kant esaminati soprattutto per la loro concezione dell'uomo e del suo rapporto con la natura. Una visione tradizionalista della filosofia, proprio nel momento in cui l'estetica si rivolgeva alla semiotica, che isolò Assunto soprattutto in Italia, mentre in Germania veniva tradotto e apprezzato.  Assunto ha rappresentato una delle voci più significative all'interno del dibattito filosofico estetico del Novecento. Vivamente interessato all'estetica dei giardini anticipa largamente nelle sue opere alcuni rilevanti concetti per la riflessione più recente, come per esempio quello di "estetica del paesaggio", che hanno ispirato i temi ambientalisti sulla tutela e conservazione del paesaggio, naturale o elaborato dall'uomo, che egli definisce «Spazio limitato, ma aperto; presenza, e non rappresentazione, dell'infinito nel finito».  Altre opere: "Civiltà fascista"; “Il teatro nell'estetica di Platone, in "Rivista italiana del teatro"; Curatela di Heinrich von Kleist, Michele Kohlhaas, Torino, Einaudi); “Essere e valore nella filosofia di C. A. Sacheli, in "Rivista di storia della filosofia"; “L'educazione estetica, Milano, Viola); “Educazione pubblica e privata, Milano, Viola); “La pedagogia greca, Milano, Viola); “Forma e destino, Milano, Edizioni di comunità); “L'integrazione estetica. Studi e ricerche, Milano, Edizioni di comunità); “Teoremi e problemi di estetica contemporanea. Con una premessa kantiana, Milano, Feltrinelli); “La critica d'arte nel pensiero medioevale, Milano, Il saggiatore); “Estetica dell'identità. Lettura della Filosofia dell'arte di Schelling, Urbino, STEU); “Giudizio estetico, critica e censura. Meditazioni e indagini, Firenze, La nuova Italia); “Stagioni e ragioni nell'estetica del Settecento, Milano, Mursia); “L'automobile di Mallarmé e altri ragionamenti intorno alla vocazione odierna delle arti, Roma, Ateneo); “L'estetica di Immanuel Kant, una antologia dagli scritti a cura di, Torino, Loescher); “Hegel nostro contemporaneo” (Roma, Unione italiana per il progresso della cultura); “Il paesaggio e l'estetica I, Natura e storia, Napoli, Giannini); Arte, critica e filosofia, Napoli, Giannini); “L'antichità come futuro. Studio sull'estetica del neoclassicismo europeo, Milano, Mursia); “Ipotesi e postille sull'estetica medioevale. Con alcuni rilievi su Alighieri teorizzatore della poesia, Milano, Marzorati); “Libertà e fondazione estetica. Quattro studi filosofici, Roma, Bulzoni); “Intervengono i personaggi (col permesso degli autori), Napoli, Società editrice napoletana); “Specchio vivente del mondo. Artisti in Roma” (Roma, De Luca); “Hohenegger. Esploratore del possibile” (Roma, De Luca); “Infinita contemplazione. Gusto e filosofia dell'Europa barocca, Napoli, Società editrice napoletana); “Filosofia del giardino e filosofia nel giardino. Saggi di teoria e storia dell'estetica, Roma, Bulzoni); “La città di Anfione e la città di Prometeo. Idea e poetiche della città, Milano, Jaca); “La parola anteriore come parola ulteriore, Bologna, il Mulino); “1. Il parterre e i ghiacciai. Tre saggi di estetica sul paesaggio del Settecento, Palermo, Novecento); “Verità e bellezza nelle estetiche e nelle poetiche dell'Italia neoclassica e primoromantica, Roma, Quasar); “Ontologia e teleologia del giardino, Milano, Guerini); “Leopardi e la nuova Atlantide, Napoli, Istituto Suor Orsola Benincasa-Edizioni scientifiche italiane); La natura, le arti, la storia. Esercizi di estetica, Milano, Guerini studio); “Giardini e rimpatrio. Un itinerario ricco di fascino attraverso le ville di Roma, in compagnia di Winckelmann, di Stendhal, dei Nazareni, di D'Annunzio, Roma, Newton Compton); “La bellezza come assoluto, l'assoluto come bellezza. Tre conversazioni a due o più voci, Palermo, Novecento); Il sentimento e il tempo, antologia Giuseppe Brescia, Andria, Grafiche Guglielmi. A. Ontologia e teleologia del giardino, Guerini; Enciclopedia multimediale delle scienze filosofiche, su emsf.rai. Nicita, Assunto scandaloso esteta, La Repubblica Cutinelli-Rendina, Emanuele, Il Sessantotto di Rosario Assunto, Ventunesimo secolo: rivista di studi sulle transizioni: 22, 2,, Soveria Mannelli: Rubbettino,.  Op. cit. ibidem  Assunto scrisse contro il progetto politico della realizzazione del ponte di Messina  Debenedetti, A., filosofo delle forme, Corriere della Sera, Raffestin, Dalla nostalgia del territorio al desiderio di paesaggio. Elementi per una teoria del paesaggio, Alinea, Migliore, Il giardino: mito estetico d’A., Società Dante Alighieri. Calvano, Viaggio nel pittoresco: il giardino inglese tra arte e natura, Donzelli; Cassatella, Enrica Dall'Ara e Maristella Storti, L'opportunità dell'innovazione, Firenze; Caotorta, All'ombra delle farfalle. Il giardino e le sue storie, Edizioni Mondadori,, Luciani, Luoghi, forma e vita di giardini e di paesaggi: Premio internazionale Carlo Scarpa per il giardino, Fondazione Benetton Studi Ricerche Pier Fausto Bagatti Valsecchi e Andreas Kipar, Il giardino paesaggistico tra Settecento e Ottocento in Italia e in Germania: Villa Vigoni e l'opera di Giuseppe Balzaretto, Guerini, Rendina, Il Sessantotto di A. (con un carteggio inedito), in «Ventunesimo secolo», A. Opere di Rosario Assunto,. Rosario Assunto, su Goodreads. Filosofia Filosofo Professore Caltanissetta Roma. Nome compiuto: Rosario Assunto. Assunto. Keywords: i nazareni, massimo, sala dante, koch, civilta, civilta fascista, theorie des schoenen; D’Annunzio, i Nazareni, I nazareni, pittori germani a Roma, Casino del marchese Carlo Massimo, Aligheri, Tasso, Ariosto. D’Annunzio, la preservazione dei Giardini antichi, villa, giardino di villa, giardino di palazzo, estetica del giardino, il giardino e il uomo, giardineria, filosofia del giardino, il giardino di Epicuro a Roma. Horto di Epicuro – il giardino d’Epicuro (non di Epicuro). Hortus, orto romano, i Scipione e la filosofia a Roma dopo Carneade – filosofia al giardino – filosofia nell’orto – orto italiano, giardino italiano, orto romano, simmetria, “teatro, cinematografo, radio” “sono tre simboli ideali” – “Civilta” – “estetica del teatro in Platone” assunto annunzio  i nazareni a roma il giardino d’epicuro “teatro, cinematografo, radio” teatro nell’estetica platonica schelling il bello intro alla fondazione della metafisica dei costumi natura ed arte — roma città — giovanni gentile. Refs.: Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, “Grice ed Assunto,” The Swimming-Pool Library, Villa Speranza, Liguria, Italia.

 

Luigi Speranza -- Grice ed Astea: la diaspora di Crotone -- Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Taranto). Abstract. Grice: “Giamblico di Calcide took the trouble to name all Italian philosophers who followed Pythagoras (himself not an Italian). Strawson tried to do that for me – but he stopped at Snowdon!” -- Filosofo italiano. Pytthagorean according to Giamblico di Calcide (“Vita di Pitagora”). Astea. Refs.: Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, “Grice ed Astea,” The Swimming-Pool Library, Villa Speranza, Liguria, Italia.

 

Luigi Speranza -- Grice ed Astilo: la diaspora di Crotone -- Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Metaponto). Grice: “Counting by the number of Oxonian philosophers that have made use of my idea of a ‘conversational implicature’ – mostly my juniors, like R. M. Hare, and D. F. Pears – I would think that I myself count as many ‘Griceian’ discples as did Pythagoras, who lived in what Strawson once called ‘the middle of nowhere,’ viz. Crotona!” -- Filosofo italiano. Pythagorean according to Giamblico di Calcide (“Vita di Pitagora”). Astilo. Refs.: Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, “Grice ed Astilo,” The Swimming-Pool Library, Villa Speranza, Liguria, Italia.

 

Luigi Speranza -- Grice ed Astone: la setta di Crotone -- Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Crotone). Grice: “There is a view, indeed circulated by Diogene Laerzio, that some of Pythagoras’s philosophical discoveries – notably that a2 = b2 = c2 – were due to one of his tutees – for Pythagoras claimed no tutor --, by the name of A.!” Filosofo italiano. A Pythagorean. According to Diogene Laerzio, there is a view that A. is  the true author of some works attributed to Pythagoras. Astone. Refs.: Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, “Grice ed Astone,” The Swimming-Pool Library, Villa Speranza, Liguria, Italia.

 

Luigi Speranza – GRICE ITALO!; ossia, Grice ed Astorini: la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale – la scuola d’Albido – filosofia cosentina – filosofia calabrese -- filosofia italiana – Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The Swimming-Pool Library  (Albidona). Filosofo calabrese. Filosofo italiano. Albidona, Cosenza, Calabria. Grice: “I like Astorini, but more so does Sir Peter, vide his section on ‘Space’ in “Individuals: an essay in descriptive metaphysics”: ‘Surely we wouldn’t have space as we know it if it were not for Astorini.” La vivacità del suo ingegno, e il desiderio di apprendere cose nuove, lo induce a spogliarsi de' pregiudizi del secolo, e a studiare attentamente i filosofi, conosciuta la forza delle loro ragioni, ardì dichiararsi nemico del peripato del LIZIO; al che avendo congiunto lo studio delle lingue ebraica e siriaca, ei cadde presso alcuni in sospetto di novatore, e per poco non si attribuì ad arte magica ciò che era frutto del raro suo ingegno e del suo instancabile studio.” Alcuni considerano i paesi di Cirò o di Cerenzia la sua patria. Si ritieneno deboli gl’argomenti esposti da un ingegnoso filosofo di Cirò il quale volle onorare la sua patria della sua nascita. Molti filosofi presero a difendere l'autorità del romano pontefice e a sostenere la chiesa romana contro i nimici della medesima. Uno solo, A., ne accennera per amore di brevità, con tanto maggior vigore si accinse a difenderla, quanto più avea per sua sventura potuto comprendere la debolezza dell'armi con cui essa era oppugnata. Vari luoghi della Calabria Citeriore han preteso all'onore di aver dato i natali a questo insigne filosofo, ma noi crediamo rimuovere ogni dubbio intorno al luogo di lui natìo, seguendo in questo punto l'opinione di Zavarrone, il quale afferma esser egli nato nella città di Cirò, detta anticamente Cremissa, luogo non ignobile del paese de' Bruzi, dove questa famiglia vive ancor oggi onorevolmente. «Molti scrittori di materie ecclesiastiche rilussero in questo secolo, e fra i più celebri si annoverano: primo, A.. Studia con il padre Diego, medico in loco, la grammatica, la retorica e la lingua greca. Si trasfere a Cosenza per completare gli studi e poi a Napoli per apprendere gli studi di FILOSOFIA, e di teologia a Roma, dove è insignito dalla corte papale del compito di scrivere alcuni annali. In questo periodo pubblica “De vitali aeconomia foetus in utero”. Pubblica alcuni saggi di matematica e geometria, come gli “Elementa Euclidis ad usum nova methodo et compendiare olim demonstrate” e un “Decamerone pitagorico”. Dopo alcuni anni lascia l'Italia per raggiungere la Svizzera e la Germania, ma in quei territori, come la città di Groninga, riscontra una notevole influenza religiosa protestante e poiché il conversar co' i filosofi protestanti gli fece conoscere chiaramente che fuor dalla chiesa di Roma non v'e unità di fede, decide di tornare in patria -- Terranova, feudo del paese di Tarsia. Gimma, Elogi accademici della società degli spensierati di Rossano, Troise. Si tratta di Zavarrone (Montalto Uffugo, Roma), religioso dell'ordine dei Minimi e teologo al servizio di illustri politici, come Augusto III re di Polonia e pontefici. È lettore del collegio urbano Propaganda Fide e consultore del tribunale dell'inquisizione. Tiraboschi, Storia della letteratura italiana,  Notizie e opere d’A., Firenze: Molini, Landi, Pietro Napoli-Signorelli, Vicende della coltura nelle II sicilie o sia storia ragionata, Morelli di Gregorio, Panvini (Martuscelli), Biografia degl’uomini illustri del regno di Napoli, ornata de loro rispettivi ritratti, Gervasi. Falcone, Biblioteca storica topografica delle Calabrie. A., Dizionario degl’italiani, Istituto dell'Enciclopedia.  Opere di A., su open MLOL, Horizons Unlimited srl.  Filosofi italiani Matematici italiani Professore Albidona Terranova da Sibari Carmelitani. Altre saggi: "De Vitali Oeconomia foetus in utero" (Groninch); "Elementa Euclidis ad usum novæ Academiæ Nobilium Senensum, nova methodo et compendiariè demonstrata", Sienna e Napoli, Mosca); "Prodromus apologeticus"; "De potestate sanctæ sedis apostolicæ"; "De vera ecclesia Jesu Christi, contrà Lutheranos et Calvinianos libri III”, Napoli, Bono; “Apollonij Pergæi Conica integritati suæ ordini atque nitoripri stino restituta,” Napoli; "De recto regimine catholicæ hierarchiæ; “Ars magna pythagorica"; "PHILOSOPHIA SYMBOLICA”; "Archimedes restitutus"; "Decameron Pitagorico"; "Il consenso, e dissenso delle III Gramatiche Ebraica, Arabica, e Siriaca e'l modo facilissimo per apprenderle ciascheduno da se stesso in breve tempo"; "Commentaria ad Scientiam GALILEI (si vedda) de Triplici Motu". La movimentata vicenda biografica di A. aonda le radici in una formazione cosmopolita e interdisciplinare, iniziata in Calabria sotto la guida del padre e proseguita accanto allo zio Tommaso Cornelio, esponente del fronte de inovatores nella Napoli. È per lui naturale ripudiare la filosofia scolastica e aderire alle teorie dei moderni, da GALILEI (si veda) a Cartesio, Hobbes e Gassendi, teorie che diuse a Cosenza e tra i filosofi nobili in varie località del vice-regno e che gli recarono grande notorietà. Al termine di un lungo viaggio in Svizzera, Germania e i paesi bassi durante il quale si fa apprezzare per le non comuni capacità didattiche, vive alcuni anni tra Firenze e Siena dove frequenta i principali esponenti della cultura umanistica e scientifica toscana, da Magliabechi a Redi e Viviani. Ritornato nel vice-regno per dedicarsi alla pubblicazione di numerosi saggi, si pone sotto la protezione del principe di Tarsia, ed anche d’Orsini, avvezzi amendue a favoreggiar letterati. Per l’ampiezza dei temi arontati, sua “PHILOSOPHIA SYMBOLICA” puo giovarsi del ricco patrimonio librario custodito nella biblioteca di Spinelli. “PHILOSOPHIA SYMBOLICA” è divisa in dialoghi nei quali sono illustrati tutti i sistemi filosofici, colle dimostrazioni e osservazioni fatte in varie sette, ed erudizioni prese da' FILOSOFI ROMANI. Sebbene varii luoghi della Calabria si contendano la patria d’A., pure l’opinione più comune de’ suoi biografie che egli è nato a Cirò ed è nel battesimo nomato Tommaso Antonio. È gli padre Diego, professore di medicina reputatissimo in Albidona, ove da questi il figliuolo apprese la grammatica, la lingua greca e la rettorica. Studia quindi in Napoli e Roma la FILOSOFIA aristotelica del LIZIO, in che acquista tale riputazione, che gli venne permesso di scrivere a fronte delle sue conclusioni il motto: de/‘elndet ipse solus. Morto il genitore ripatrio per assestare i suoi domestici affari, e iotè frai libri e fra le conversazioni dei suoi concittadini, dopo non lievi meditazioni, darsi tutto alle dottrine filosofiche del TELESIO (si veda), ed alla libera maniera di ragionare. Era cosi istrutto nella lingua latina che ne compose una GRAMMATICA FILOSOFICA. E si dice, secondo l’andazzo de’tempi, e è accusato lotto per magia; ma ei pote discolparsi dalla bassa calunnia, e percorrere per ben tre volte l’ltalia, ovunque acquistandosi e fama ed amicizia. Nominato a reggente di filosofia a Cosenza, è da qui il propagatore della filosofia per le calabrie; come lo fu altresi della città di Penne per gli Abruzzi. Invitato in Roma, vero o supposto che vi sfinfermasse, egli invece dimora per qualche tempo in Albano. Ritenuto a Bari da alcuni nobili filosofi, che lo vollero a maestro, ha a cominciare in quella Chiesa di S. Nicolo il suo annuale di prediche. Ma le convinzioni libere che egli spacciava, gli mossero fiera persecuzione. Sicclie passa in Zurigo, ed indi in Basilea, ove non dimore che un solo aniie. Pescia recessi nel Palatinato, donde si trasferì nell’Assia, dove è costituito maggiore -- ossia vice-prefetto -- dell'universita di Marburgo con la facoltà d’ insegnar FILOSOFIA. In stabile sempre si conduce dappoi in Groninga e da quella Repubblica ha l'incarico di insegnar filosofia e quivi a spese del Senato e dottorato, nel quale anno pubblico il suo saggio, "De vitali oeeonomia foetus in utero", in cui sostenne la opinione, non per ance in quell’era divulgate, della generazione dell'uomo. Scorgendo intanto, che iteo legi della Chiesa riformata. fra le mille contese religiose si laceravano, penso ritornarsene fra’cattolici in ltalia; e d’Amburgo chiese il condono d’ogni apostasia; il che ottenuto dal S. Uffizio, recatosi presso il Vescovo di lilunster fece solenne abiura, e si porta in Roma, onorevolmente accolto, ed inviato in Pisa come predicatore generale. Dopo un anno da Pisa si traduce in Firenze, ove si acquista il favore del Granduca, e si concilia l’amistà fraternevele di Redi,  Viviani,  Marchetti e d’altri molti filosofi. In Siena, dove recessi come professore di filosofia, coopera efficacemente alla istituzione dei Fisio-Eritici, e ne e eletto Principe e Censore perpetuo. Qui pubblica nel medesimo anno “Eiementft Euclidis nova methodo demostraiei”. Ritornato in Roma è inviato a Cosenza col grado di maestro in filosofia, e di prefetto degli studii. Ma riaccesigliodii sempre a cagien de’ suoi meriti, si ritira in Cervinara nel Principato Ulteriore; e da la spesso recandosi in Napoli ha a cenciliarsi la stima di Spinelli principe di Tarsia, il quale per Paifetto che porta ad A. e per rimuoverlo dalla tristezza in che è caduto per la morte di Francesco Mainerio A., lo indusse a recarsi in Terranova, deputandolo custode della sua scelta biblioteca. È questa l'ultima residenza. Sono del pari suoi saggi stampat: Apollonii Pergei conica integritati suae ac nitori restituta" (Nap.); "De potestate S. Sedis apostolicae, Siena; "De‘nera Ecclesia Christi disciplina, libri III Nap.). Fra i molti altri saggi che lascia si commendano: PHILOSOPHIA SYMBOLICA IVXTA PROPRIA PRINCIPIA IN DIALOGHI; Ars magna Pythagorica, una specie di enciclopedia scientifico-universale; Decamerone Pitagorico, in verso,  diviso in X giornate, e contenente tutta la filosofia naturale pitagorica in forma di satire in verso sciolto bernesco; Commentario, ad scientiam GALILEI (si veda) de tripliei motu"; "Archimedes restitutus"; "De reato reyimine Catholicaelticr archiae; "De vita Christi"; Apologia pro fitte catltolica, che divisa di dedicare a Filippo di Spagna. Parlano con somma lode di questo dotto filosofo Cimma, Zavarroni, Amato, Aceti, Mazzucchelli, (lriglia,  liraboschi, Alllitto, Relli, i dizionarii storici, e per tacer‘ di tanti altri,. il Cantù. A. Nacque --  è incerto se a Cirò, feudo degli Spinelli principi di Tarsia che lo protessero nelle ultime fortunose vicende della sua vita (Zavarroni), o ad Umbriatico oppure ad Albidona (Gimma), dove il padre Diego esercita la professione di medico e dove sicuramente egli trascorse gli anni dell'adolescenza. Entra fra i carmelitani dell'antica osservanza, mutando il nome di Tommaso Antonio in quello di Elia. Completa gli studi di FILOSOFIA  aristotelica a Napoli nel convento dei Carmine Maggiore dove appartenne agl’INCAUTI e a Roma quelli di teologia. La morte del padre lo richiama in Calabria, nell'ambiente familiare.  Stando ai suoi biografi, in questi anni  si colloca la sua prima crisi spirituale che investe il campo delle dottrine filosofiche acquisite: un radicale atteggiamento anti-peripatetico lo  induce a formarsi un sistema eclettico platonico-pitagorico e meccanicistico-materialistico, quest'ultimo ispirato dalla lettura delle opere di GALILEI (si veda), Gassendi, Cartesio, Mersenne, Hobbes. Più prechaniente possiamo dire, sulla base degl’elementi desumibili da taluni suoi saggi, che egli riprese il pensiero dei suoi conterranei, del famoso "notomista" SEVERINO, erede delle speculazioni campanelliane e delle teorie fisiognomiche di Porta; di Musitano, che aveva accolto le posizioni dei moderni come elaborate dagl’investiganti di Napoli; e soprattutto di Comelio, del quale A. ama più tardi dichiararsi nipote (cfr. Giornale de, Letterati).  La crisi non gli impede tuttavia di raggiungere il sacerdozio e di divenire reggente degli studi e lettore di filosofia e teologia nel convento dei suo ordine a Cosenza. Ma i confratelli della congregazìone della provincia di Calabria gli si ribellarono apertamente chiedendo al generale la sua sostituzione. Rivalità locali, come il contrasto tra A. e il provinciale Puglisi, adombrano l'inquietudine intellettuale del religioso e le resistenze di metodi tradizionali di studio. Sospeso dall'insegnamento, penitenziato nel carcere della curia arcivescovile di Cosenza, A. è infine inviato a Roma per un giudìzio definitivo da parte deì superiori dell'ordine. Dopo un breve ciclo di predicazìone si ritira ad Albano, non si sa se per punizione inflittagli o per motivi di salute. Ha comunque ìnizio adesso il momento più ambiguo e per taluni aspetti più oscuro della sua vita. Passa a Bari, dove stringe amicizia con Tremigliozzi, seguace del gassendista Bartoli e di Cornelio e uno dei Coraggiosi, bandìtrice delle nuove dottrine anti-galeniche nel settore delle scienze mediche. Partecipa alle polemiche di Tremigliozzi in difesa di Musitano e compose un epitafio alla materia prima per quella nuova staffetta del Parnaso circa gl’affari della medicina dirizzata agl’illustrissimi spensierati di Rossano, Francoforte, che ad opera di Tremigliozzi costituì una convinta difesa del metodo sperimentale degl’investiganti contro la metodologia cartesiana. A Bari conosce Gimna, che è il suo più diffuso biografo, al quale mostra vari suoi manoscritti, tra essi un'ars magna trigonometrica. Predica a S. Nicola e vive nel convento carmelitano barese dal quale poco tempo prima e fuggito, apostata in Svizzera, il priore Rocco. Se dietro esempio di Rocco o pella sua crisi, è certo comunque che di lì a poco A., rotto ogni indugio, depone l'abito religioso e ripara anch'egli oltr'Alpe. Da Zurigo raggiunge Basilea, dove presenzia a esperimenti. di medicina di Harder (Apiarium observationibus medicis refertum, Basileae) e dove rimane circa un anno seguendo anche i corsi di Wettstein -- non si sa se il padre o il figlio succedutogli sulla cattedra. Sosta nel Palatinato presso il principe elettore Carlo fino alla morte di lui, per trasferirsì poi, nel suo peregrinare da università ad università, a quella di Marburgo dove divìene viceprefetto con facoltà di insegnare filosofia -- stando al Gimma, ma la notizia non trova conferma nel Catalogus professorum Academiae Marburgensis, a cura di F. Gundlach, Marburg. A Marburgo prosegue con fervore gl’intrapresi studi di medicina ascoltando le lezioni di Waldschmiedt. Dopo un soggiorno a Brema, è a Groninga: insegna nel collegio dei nobili cadetti francesi e compone “De vitali œconomia fœtus in utero” (Groningae), che pare sottendere nello studio del problema della fecondazione, oggetto allora di discussione tra gl’ovisti e gl’animalculisti, le preoccupazioni speculative del filosofo, volte sulla scia di SEVERINO e più di BARTOLI alla ricerca del PRINCIPIO VITALE (zoologico) e formativo dell'embrione. Durante il soggiorno in Olanda si ha notizia vaga di una sua partecipazione alle polemiche religiose nell'ambito del calvinismo. La difesa che A. assume del cattolicesimo pre-annunzia un suo più meditato ritorno alla fede cattolica. Attaccato pubblicamente dai ministri calvinisti, si rifugia ad Amburgo. Qui una sua lettera al s. uffizio, con la richiesta di poter ritornare in Italia, gli procura una benigna risposta da parte di Brancati di Lauria e un salvacondotto. Assolto dal vescovo di Münster, è a Roma.  Riammesso nell'ordine, predica a Pìsa e Firenze. Conosce allora Marchetti, cui l’unie l'interesse per la filosofia corpuscolare e che lo presenta a Magliabechi, Redi -- cui lo lega la comune curiosità per il problema della generazione -- e Viviani. Là questo,  il periodo culturamente più felice d’A. Per interessamento del principe Gastone de’ Medici, ottiene la cattedra nella Accademia Nuova dei nobili senesi. Per l'insegnamento prepara un'edizione degl’Elementa Euclidis ad usum Novae Academiae Nobilium Senensium nova methodo et succincta demonstrata, Senis, dedicata al principe protettore. Ma la prefazione è indirizzata a Redi, e in essa A. chiarisce il proprio metodo. Etiam proportiones ipsas, quarum nimis longa est series, redigerem. ad acquationes, more Analystarum -- ed esalta la matematica in funzione dello sviluppo delle scienze naturali, concludendo con un elogio della scuola scientifica toscana, da BUONAIUTI (si veda) GALILEI a Redi a ROBERTI Torricelli a Viviani a Marchetti a Bellini a Malpighi. Redi lo ringrazia (v. lettera, edita in Gimma), promettendo di intervenire nuovamente presso il Granduca: il che dove procurare ad A. la cattedra straordinaria di FILOSOFIA NATURALE – cf. Waynflete Meta-Physical Philosophy -- nell'università di Siena, che resse.  Intanto, A., con Gabrielli e Grifoni, è tra i fondatori dei FISIO-CRITICI e ne diviene principe (v. lettera di Redi a Gabrielli, in Redi, Opere). Dalle lettere che A. indirizza in questo tomo di tempo a Maghabechi desumiamo molte preziose notizie circa i rapporti tra cultura filosofica e scientifica e tradizione sperimentale, rinnovando A. quell'incontro che per la generazione precedente e stato compiuto a Pisa dalla scuola iatro-meccanica di Borelli. Il rapporto ideale tra “le due culture” – al dire di Snow -- è anzi tanto stretto che A. teme per quella toscana, le ri-percussioni della lotta scoppiata a Napoli contro la filosofia moderna esperimentale -- processo degli ateisti. In Napoli vi sono di gran rumori. Mi scrivono che sia stata origine la dottrina del zio CORNELIO e che già la modernità va sossopra. Mi dispiace per diversi capi, benché io non dubiti esservi framischiate delle calunnie degl’emoli aristotelici del LIZIO e galienisti, e molto più mi dispiace per essersi già qui in Siena eretti i FISICO-MEDICI tutti esperimentali e per esserne io stato eletto principe. L'abbiamo celebrata due volte con l'intervento di tutta la più dotta nobiltà, ma adesso ci siamo raffredati non sapendo dove vadano a terminare le faccende -- a Magliabechi, Siena. Sotto la guida d’A. I FISIO-CRITICI possono tuttavia continuare con tranquillità le riunioni colla metodo de' Progimnasmi -- i Progymnasmata Physica -- di CORNELIO -- a Magliabechi, Siena. A. spera contemporaneamente di raggiungere una sistemazione migliore. Ambì al titolo di maestro e sollecita, tramite Magliabechi, un intervento di Malpighi, per il momento senza successo. Compone, mettendo a frutto la sua diretta esperienza del mondo protestante, un Prodromus apologeticus de Potestate sanctae Sedis Apostolicae, Senis, dedicato a Francesco de' Medici, Roccaberti, Bibliotheca maxima pontificia, Romae), introduzione a una progettata serie di dissertazioni controversistiche che però non si distacca dalla consueta letteratura dei tempo. Dedica tuttavia il meglio della propria attività ancora al settore teorico, apprestando, tra l'altro, l'edizione delle Coniche di Apollonio, con la quale per suggerimento di Redi e Viviani intese completare e sistemare l'edizione già apprestata da Borelli con l'aiuto di Echellense (Firenze), e stendendo uno scritto di meccanica, Commentaria ad scientiam Galilaei de triplici motu. Ma A. lascia quasi improvvisamente Siena per le non buone condizioni economiche, dati gli scarsi proventi che gli venivano dall'insegnamento, e per le sue precarie condizioni di salute. È a Roma, poi a Cosenza, quale prefetto degli studi e successivamente commissario generale nel suo convento di un tempo. Si riaccendono le persecuzioni a suo danno, le vicende sono ancora più oscure, ma gli procurano la protezione del principe di Tarsia, presso il quale, a Terranova, dimora, e quella d’Orsini, di Benevento. Chiede il trasferimento dalla provincia di Calabria a quella di terra di Lavoro nel convento di Cervinara e, in un secondo momento, in quello di Mongrassano. E però di nuovo prefetto degli studi a Cosenza, priore del convento di Scala e come tale partecipa al capitolo provinciale. Eletto priore di Mongrassano, non partecipa al capitolo per le peggiorate condizioni di salute e rinunzia anche alla carica.  Cura nel frattempo a Napoli la stampa dei De vera Ecclesia Iesu Christi contra Lutheranos et Calvinianos libri III,  degli Apollonii Pergaei Conica e la ristampa degli Elementa Euclidis, Neapoli.  Il nucleo ispiratore dei De vera Ecclesia libri III, abbozzati in parte a Siena e dedicati al principe di Tarsia, ha un reale interesse. A., come accenna in una lettera a Magliabechi, appare preoccupato di confutare la tesi protestante circa i fondamenti aristotelici della dottrina cattolica e sostenere invece l’identificazione della linea culturale incentrata sull'umanesimo e sul neoplatonismo con il cattolicesimo (Badaloni). Sulla linea umanistica viene rivendicata anche la continuità del movimento scientifico. Ma tali motivi accennati nella prefazione sono sommersi nell'opera, da un denso argomentare tradizionale in cui tuttavia è messa a frutto d’A. la conoscenza della dialettica e della filosofia simbolica. Nel chiuso ambiente conventuale, dopo l'esperienza in terra tedesca e in Toscana -- durante la quale però sembra che A. e spinto più dall'esigenza di contatti e di fresche osmosi scientifiche che non da un meditato approfondimento culturale --, accanto a un crescente disagio che lo rende insofferente della disciplina dell'ordine e lo induce a frequenti viaggi a Napoli per sorvegliare la stampa delle sue opere, riaffiorano in A. le preoccupazioni proprie di una formazione e di una tradizione meno aperta e duttile: il pesante enciclopedismo e il gusto mnemotecnico prendono il sopravvento sull'inteligenza sperimentale della natura, e A. si dedica a studi linguistici, condotti con criteri analogico-combinatori, Il consenso e dissenso della grammatica filosofica latina e la grammatica filosofica del volgare italiano e ad elaborare o completare questa “Philosophia symbolica,” sorta di enciclopedia pitagorica di cui fa parte opere che dai biografici sono indicate con titoli particolari: un'Ars magna pythagorica, un Decamerone pitagorico, esposizione IN RIME BERNESCHE della filosofia naturale, una LOGICA PYTHAGORICA seu de natura et essentia rerum -- lo stesso che l'Ars magna.  Degli inediti è conosciuta soltanto l'Ars magna in duas divisa; Dissertationes Altera De origine rerum altera De ortu et progressu Scientiarum della Biblioteca Alessandrina di Roma. La copia e effettuata da Zavarroni per la Raccolta d'opuscoli scientifici e filologici diretta da Calogerà -- cfr. acclusa allo stesso ms. una lettera di Zavarroni a Calogerà. Probabilmente il carattere in apparenza bizzarro del saggio dove dissuadere gli editori dal darlo alle stampe. Esso, almeno nella copia di Zavarroni, pare l'introduzione a una serie di Dissertationes e non va tout court identificato con l'Ars magna di cui fa menzione Gimma. Se il De origine rerum, cioè la prima parte del manoscritto, può in qualche modo connettersi ai studi d’A., a escludere che il De ortu et progressu Scientiarum sia un saggio esperimentale contribuiscono il cenno all'edizione dei Progymnasmata del Comelio, il ricordo di Redi e di Viviani, la notizia degli studi compiuti d’A. sulla scienza galileiana del triplice moto, la notevole conoscenza che A. dimostra degli studi di anatomia, elementi tutti che presuppongono appunto la sua esperienza culturale in Germania e in Toscana.  La prima parte dell'opera che vuole essere una guida ad metam naturalis sapientiae, contiene una critica agli schemi mnemotecnici di Lullo e  Kircher e si svolge nell'elencazione di triadi platonico-pitagoriche, alla cui base v'è il presupposto gnoseologico della possibilità di conseguire verità assolute attraverso l'ordine naturale delle idee, poiché nella natura creata v'è una triplex virtus: intellectiva, volitiva et effectrix, ad essa corrisponde una triplex operatio -- interectio, volitio et impetus, ecc. Tale schema conduce ovviamente alla critica decisa della definitio logica aristotelico-scolastica che non attingerebbe alla quidditas rei come la definitio metaphysica, vagheggiata dall'autore. La Parte II è in sostanza una ripartizione delle scienze ancora su base platonico-pitagorica. Da "Sophia" è esclusa la logica, di cui sì ribadisce il carattere meramente discorsivo. Ma a "Sophia" appartengono la metafisica, notevoli i cenni platonizzanti circa il rapporto microcosmo-macrocosmo; la fisica, per la quale A. si dilunga nella critica all'aristotelismo e al cartesianesimo e nell'esaltazione della filosofia atomistico-gassendiana e dello sperimentalismo galileiano, pur richiamandosi insieme nettamente alla tradizione filosofica da Telesio a Cornelio; la politica, per la quale egli esalta l'insegnamento di Platone; l'etica, per cui continuo è il richiamo alla filosofia politica di Hobbes, ecc.  A questo impasto di vecchio e di nuovo, che contrappunta un momento della cultura italiana e riflette il travaglio di una filosofia A. si dedica alla meditazione filosofica e la occupazione di biblìotecario presso il principe Spinelli, a Terranova di Sibari, dove muore. Fonti e Bibl.: Firenze, Bibl. Naz. Centrale, Magl., A. lettere ad Ant. Magliabechi; Giornale de' Letterati e primo di Modena, Giornale, Redi, Opere, Milano; Gimma, Elogi accademici della società degli Spensierati di Rossano, Napoli; Zavarroni, Bibliotheca calabra, Napoli; Mazzuchelli, Filosofi d'Italia, Brescia, riprende dal Gimma;  Di Cagno-Politi, E. A. filosofo e matematico, Appunti, Roma;  Maugain, Etude sur l'évolution intellectuelle de l'Italie environ, Paris; Grammatico, A., O. Carm., insignis disceptator, in Analecta Ord. Carm., Badaloni, Introduzione a Vico, Milano. Nome compiuto: Elia Astorino. Elia Astorini. Tommaso Antonio Astorini. Astorini. Keywords: dialettica, filosofia simbolica, metodo discorsivo, grammatica filosofica, triade, triplex virtus: intellectiva, volitiva et effectrix, ad essa corrisponde una triplex operatio -- interectio, volitio et impetus. Refs.: Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, “Grice ed Astorini,” The Swimming-Pool Library, Villa Speranza, Liguria, Italia.

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