Luigi Speranza -- Grice ed Asclepiade: gl’accademici
di Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo
italiano. Based in Rome, he was a member of the Accademia. He wrote a book on
the immortality of the soul based on his interpretation of certain
pronouncements of the oracle of Apollo at Delphi. Asclepiade. Refs.:
Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, “Grice ed Asclepiade,” The
Swimming-Pool Library, Villa Speranza, Liguria, Italia.
Luigi Speranza -- Grice ed Asclepiade: Roma antica --
filosofia italiana – Luigi Speranza. Filosofo
italiano. Friend of Lactanzio. Wrote a book on Providence. Asclepiade. Refs. Luigi
Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, “Grice ed Asclepiade,” The
Swimming-Pool Library, Villa Speranza, Liguria, Italia.
Luigi Speranza -- Grice ed Asclepiade: Roma antica --
filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo
italiano. He develops a new approach to medicine by introducing ideas on
atomism. Asclepiade.
Refs.: Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Gricde, “Grice ed
Asclepiade,” The Swimming-Pool Library, Villa Speranza, Liguria, Italia.
Luigi Speranza – GRICE ITALO!; ossia, Grice ed Ascoli
– la scuola di Gorizia – filosofia friulana -- filosofia italiana -- (Gorizia). Abstract. Grice: “We may think of
Pirotese as developing along stages: proto-Pirotese, deuteron-Pirotese,
trito-Pirotese, Tetarto-Pirotese, Pempto-Pirotese, Hecto-Pirotese,
Hebdomo-Pirotese, Ogdo-Pirotese, Enato-Pirotese, Decato-Pirotese,
Endecato-Pirotese, Dodecato-Pirotese. Filosofo friulano. Filosofo italiano.
Gorizia, Friuli-Venezia Giulia. Considerato il padre della dialettologia e
dell’ideolettologia (H. P. Grice) in Italia, è uomo e studioso di indiscusso
spessore e importanza. A lui si devono alcune delle più importanti intuizioni e
riflessioni in campo filosofico-linguistico. Fonda e dirige l’Archivio
Glottologico Italiano, tra le più importanti riviste di filosofia linguistica
d'Europa. Il primo volume comprende i “saggi ladini,” a cui è conferito il
premio della Fondazione Bopp e il premio della Société pour l'étude des langues
romanes di Montpellier. Vi pubblica il celeberrimo saggio, “L'Italia
dialettale,” la prima classificazione dello spazio linguistico italiano basato
su criteri interni alle varietà linguistiche. È fin da subito attratto da
questioni linguistiche-filosofiche, probabilmente grazie all’amicizia con lo studioso
Filosseno, figlio di Luzzato. La sua città natale gode ai tempi di una
strategica posizione che permette l'approccio a diverse parlate, italiano,
tedesco, sloveno, ma anche FRIULANO e veneto. Dopo aver passato i primi anni
della maturità a dedicarsi allo studio glottologico e alla riflessione, pubblica
il primo fascicolo degli Studi Orientali e linguistici, dimostrando una
predisposizione allo studio dei fenomeni del mutamento linguistico e una verace
curiosità per le teorie della indoeuropeistica. Per approfondimenti vedasi
VILLAR, Gli indoeuropei e le origini dell'Europa. Lingua e storia, cur. Siviero,
Bologna, Mulino. Conosce, per sua stessa ammissione, le teorie di Bopp, padre
della linguisticacomparata e figura a cui si deve la scoperta delle
corrispondenze morfologiche tra lingue
imparentate. I contributi fondamentali della linguistica comparativa,
soprattutto nel campo dell'indo-europeistica, sono quelli di Jones, che
individua, seppur in nuce, una serie di corrispondenze lessicali tra la lingua latina
(“ego”) e la greca (“ego”); Schlegel,che in Über die Sprache und Weisheit der
Indier ragiona su di una prima classificazione delle lingue su base morfologica
-- per cui distingue tra lingue flessive, agglutinanti, ecc. -- e, sulla scia
di quanto affermato prima da Jones, riconferma l'esistenza di una parentela
linguistica tra latino (ego) e greco (ego); Bopp, che nel suo saggio più
importante, Über das Conjugationssystem der Sanskritsprache in Vergleichung mit
jenem der lateinischen (ego) und griechischen (ego) Sprache, individua per
primo dei tratti morfologici, e non solo lessicali, in comune tra le due lingue.
È infatti errato confermare l' ipotesi di discendenza genealogica tra lingue
tramite la presa in analisi del solo lessico simile. Esso infatti, nella scala
della vulnerabilità al cambiamento dei diversi domini linguistici, rappresenta
il primo che ad esso è suscettibile, per via della facilità con cui avvengono
fenomeni di prestito o calco). A Rusk si deve poi l'ulteriore merito di aver individuato
tra le lingue citate una serie di corrispondenze a livello fonetico. Ascoli,
che da subito dimostrò interesse per la linguistica, si avvicinerà ben presto anche a questo mondo. A quei tempi in Germania la filologia
germanica stava compiendo grandi passi in ambito linguistico (si ricordino la
scoperta delle leggi di Grimm e di Verner che regolano il mutamento fonetico
nel passaggio dall'indoeuropeo alle lingue europee, in particolare germaniche)
e proprio, tra gli altri, i suoi lavori sulle lingue semitiche, sul sanscrito,
sull'iranico, e l'aver introdotto in Italia il metodo storico-comparativo
valsero ad Ascoli la nomina di membro della Società Orientale di Lipsia, oggi Società
Orientalistica Tedesca. A. Muore a
Milano. Il progetto pasitelegrafico e i
suoi antecedenti. L'interesse d’A. per il sistema pasi-grafico e il sistema pasi-lalico
comincia quando da alla luce un saggio - che non si premura mai di intitolare-,
pubblicandolo in appendice al Mosaico filologico. Il Mosaico filologico
costituisce una parte dell'opera complessiva Memorie filologiche. Il carattere
delle proposte differisce significativamente nelle parti. Nella prima parte, A.
enuclea alcuni principi e regole di formazione, derivazione e flessione. Nella
seconda parte, con atteggiamento più cauto, annota riflessioni e spunti sulla
costruzione di UNA LINGUA UNIVERSALE, fermandosi sul lessico, sulla morfologia e
anche sull'alfabeto, e motivando le ragioni che lo inducono a compiere questo
tentativo. BONOMI, Idee per un progetto di lingua universale in un inedito d’A.,
Milano, Accademia Scientifico-Letteraria. Studi in onore di Vitale, cur. Barbarisi,
Decleva, Morgana, Milano, Monduzzi. L’intuizione
di comporre una lingua internazionale deriva da molteplici fattori, che
possiamo però considerare tra loro collegati. Da un lato, la sua educazione classica
può aver generato in A. l'utopica idea dell'unità linguistica e, quindi, dei
popoli. Importante poi è sicuramente la convinzione sull'origine mono-genetica
delle lingue. Infine, gioca un ruolo fondamentale il tempo speso per la ricerca
nel campo della linguistica comparativa e dei tratti comuni alle lingue, come
la conoscenza delle teorie dell'indo-europeistica. I sostenitori della teoria
monogenetica credono possibile ricondurre a un unico uomo (o popolo) la
discendenza di tutti gli altri. Come conseguenza di questo fatto, alcuni
linguisti sostengono che in origine sulla terra fosse parlata e intesa una sola
e unica lingua. Almeno fino all'avvento della linguistica scientifica, e
soprattutto per influsso della tradizione religiosa, che vuole la nascita delle
diverse lingue storico-naturali come castigo a seguito dell'erezione della
mitica torre di Babele, nome che qualche studioso accosta a balal, 'confondere'
-- GRANDI, Fondamenti di tipologia linguistica, Roma, Carocci («Bussole»)] -, si crede che la lingua
primordiale è l'ebraico e che da questo sono discese tutte le altre. Così ad
esempio crede anche Isidoro, quando nelle sue Etymologiae scrive: ex linguis
gentes, non ex gentibus linguae exortae sunt. VINEIS, MAIERIÙ, La linguistica
medievale, Storia della linguistica, cur. Lepschy, Bologna, Mulino]. Al di là
delle influenze religiose, la teoria del mono-genismo linguistico trova
sostenitori anche dopo l'avvento della linguistica comparativa (forte delle
prime considerazioni attorno ai tratti comuni a più lingue e alla successiva
ricerca in ambito di tipologia linguistica - il cui merito va a Humboldt, padre
della disciplina e figura a cui A. fa spesso riferimento) e conta tra le sue
file numerosi sostenitori anche al giorno d'oggi. S’evince nel saggio la
primogenita volontà di utilizzare come sistema di comunicazione internazionale
i numeri da 1 a 17, associando a ciascuno una consonante secondo una scala
crescente di difficoltà – al l numero 1 la consonante più semplice - e non
specifica cosa con questa affermazione intenda (H. P. Grice crede ‘d,’ da
‘dada,’ Speranza ‘b’ da ‘baba’ – mio babbino caro – Strawson ‘m’, da ‘mama’ -- per
arrivare fino al 17, stante per la consonante più complicata. La lingua così pensata d’A. - che ignora
completamente i suoni vocalici ed è priva di segni diacritici o di
punteggiatura - si configura più come un sistema crittografico per sola
scrittura in cui a ogni numero è possibile ricondurre un solo suono, che come
una vera e propria lingua – il deutero-Esperanto. Già nel secondo suo saggio però A. abbandona
l'idea di comporre la sua pasi-grafia con i soli numeri arabi, giacché l'uso di
numeri superiori al 9 (composti quindi da doppia cifra) causa grossi fra-intendimenti,
forse risolvibili solamente tramite l'introduzione di spazi o segni di
punteggiatura preposti, a segnarne i confini, opzione che comunque non viene
contemplata. Se, ad esempio, si segue una serie di corrispondenze per cui, come
in latino, 1=”b”, 2=”c”, 3=”d”, [...] 11=r, 12=s, 13=t in mancanza di spazi tra
un numero e l'altro come si puo asserire che “12” = “bc” – la prima e la
seconda -- e non “s” – la XII? Così A. propone un sistema alterno di scrittura
che prevede l'uso di solo IX consonanti, e precisamente solo di quelle che
mancano del tratto +sonoro - cioè le sorde. Per realizzare l'equivalente
consonante *sonora*, A. propone di utilizzare il grafo della consonante sorda
con sovrapposto un piccolo punto (es. plp] e ?[b]). Cf. H. P. Grice, “Phoneme
and distincive features”. Per quanto riguarda il lessico, A. vi riserva la
parte più consistente d’entrambe le due parti del suo saggio. Nella prima, A. propone un
sistema di glossopoiesi che define come “graduale,” in cui i nomi primitivi -- di
cui disfortunatamente non fornisce una definizione, ma si limita piuttosto a
dare una sommaria lista -- posseggono obbligatoriamente la vocale «a» e ai
quali, mediante l'aggiunta di altri prefissi vocalici, è possibile MODIFICARE
IL SIGNIFICATO secondo una scala privativa. Un'E (seconda vocale) pre-posta al
nome primitivo ne scema d'un grado la forza. Un O (la quarta vocale) pre-posto
al nome primitivo ne scema di DUE gradi la forza. Un I (la terza vocale) preposto
al nome primitivo ci dà il senso OPPOSTO, es. A = “il divino”; E-A, “angelo” –
animato incorporale --, oa, “anima” (=animale, uomo, ma essere vivente in gnere
--, ia “demonio” – il non-divino – cf. Satana, l’angelo caduto. BONOMI. Non
sfugge poi che la lingua del Deutero-Esperanto d’A. Puo rimandare per alcuni
versi alla pan-glottia fantasiosa di Comenio che, oltre a sfruttare il
procedimento fono-simbolico, prevede una serie di morfi che ha il ruolo di MODULARE
GRADUALMENTE il significato – in sensu latu, il SENSO -- delle parole così
ottenute. Una ulteriore “A-“ vale allora, come in greco, "privazione"
– cf. Grice, “Negation and privation” --,
', una E "eliminazione", una U "accrescimento" ', ecc. Quindi, se “lus” significa
"luce", “a-lus” significa "buio" -- cf. VELIA, a-peiron.’ E “u-lus” significa
"luce splendente" [SIMONE]. CHIUSAROLI, «La Pasi-tele-grafia d’Ascoli
(cf. Grice, tele-mentationalism) nella riflessione linguistica europea, tra
paradigma universalista e scritture veloci, La cultura linguistica italiana,
Roma, Bulzoni. Nella seconda parter,
A. propone invece di proseguire mediante un lavoro di tipo comparativo tra le
varie lingue al fine di individuare le radici comuni mono-sillabiche, a cui
successivamente è possibile modificare il significato in un derivato. Per A.,
fondamentale importanza nella creazione del lessico deve poi ricoprire la
componente onomatopeica, di modo che i suoni che compongono le nuove parole
siano quanto più possibile motivati (“ouch” – theory, groan – Grice), icon. A. crede
che è onomatopeicamente motivato un nesso bi-tri-sillabici, da cui l'idea di
adottare lo stesso principio anche nella sua pasigrafia. In questo è evidente
anche l'influenza di Humboldt, al quale A. riporta la teorizzazione di una
lingua madre (lingua matrix) che, costruita nella ricerca d’elementi comuni
alle lingue "figlie" attraverso l'apporto fondamentale dell'elemento
significativo ARBITRARIO (‘ad placitum’) e di quello onomatopeico (motivato e
dunque non arbitrario), consenta la comunicazione universale, come nell’antico
ario, “il riferimento privilegiao della mia ricerca.” Quando tratta della
componente morfologica della sua lingua, propone, come tanti filosofi fanno
prima e di lui – dall’Accademia e poi --, una semplificazione delle
coniugazioni e delle declinazioni. Questa sostanzialmente è la prima - semplice
- proposta (o, se vogliamo, le prime due) che A. fa di lingua, ma non è
l'ultima e nemmeno la più importante. Infatti, a seguito della notizia della
stampa di un'opera analoga a Vienna, A. si decide di stendere per iscritto, e
nel più breve tempo possibile («pure m'impegno di cominciare in pubblici fogli,
entro dieci giorni al più tardi»), la sua personale, rivista e definitiva
proposta di lingua del Deutero-Esperanto. Così come promete, pubblica dunque il
suo progetto integrale di pasigrafia - che nomina Pasitelegrafia - il cui scopo
dichiarato è quello di facilitare la comunicazione tramite telegrafo tra
differenti parlanti. Dimostra di conoscere i progetti e gl’intenti di Gesner,
Bacon, Becker, Kircher, Wilkins, Descartes, Comenio, Leibniz, Dalgarno e altri,
così come prima di lui confessano i nostri SOAVE (si veda) e MATRAJA (si veda).
A. accenna allo stesso SOAVE (si veda), ma ne critica i risultati asserendo che
proponendo SOAVE (si veda) stesso una scrittura universale cade nel sistema
figurativo che trascina al labirinto minoico, ed ammisera lo scopo della lingua
universale del Deutero-Esperanto, supponendola particolarmente un veicolo
letterario, e perciò ostinatamente INUTILE quando si ha il latino di Cicerone e
d’Orazio. Come sottolinea Chiusaroli nel
suo saggio su A.l'Autore recupera dunque nomi e temi della teoresi
universalista, di cui ri-propone (per superarli, d in parte riproducendoli) la
tassonomia combinatoria per l'edificazione di una ‘biblioteca universalis’ dei
saperi (Gesner), l'analisi misterica e simbolica delle scritture figurate e
crittografiche (Kircher), la propedeutica operazione dell'astrazione delle
forme rispetto alle lingue storiche (Bacone), la dominanza attribuita al
significato nell'elaborazione del sistema dei primitivi (Comenio), la correlata
dimensione logica annessa al presupposto della grammatica generale (Cartesio),
il metodo della riduzione alle unità lucreziane minime concettuali (Wilkins) e
l'idea della scrittura come strumento di comunicazione globale e l'autonomia
del significante pasigrafico (Bacone, Wilkins e Maimieux), l'assunzione del
modello matematico per la rappresentazione meta-linguistica del reale
(Leibniz), la semplificazione morfologica come indice della perfezione
strutturale (Faiguet, GIGLI (si veda)), la redazione del vocabolario di base
e/o universale poli-glotta con corrispondenze
numeriche (Hourwitz). La lingua d’Ascoli è allora volta alla
comunicazione di tipo tecnico-scientifico, tra nazioni che vogliano lo scambio
facile e veloce di informazione, e non alla stesura di opere letterarie. A. cita
il lavoro di GIGLI (si veda), la cui lingua la forma egli pure da mutilazioni
galliche. Di nuovo, il filosofo goriziano non riserva parole gentili per il
collega italiano. La sua idea di lingua Deutero-Eperanto è diversa e scavalca
gl’impedimenti grafici legati ai singoli alfabeti, scegliendo di esprimersi per
cifre, ciascuna delle quali passibile di trasmutazione in simbolo telegrafico
e, quindi, in idea o concetto, comunicabile in tutta l’Italia – “da Gorizia
alla Catania, o almeno al di la del stretto di Messina. Il telegrafo è infatti
secondo A. lo strumento che rende la ricerca e l'adozione della lingua
internazionale o universale del Deutero-Esperanto possibile al suo tempo. La
scelta ricade allora su un sistema crittografico, di cui fornisce la chiave, a
cui ad ogni idea fondamentale corrisponde un gruppo di cifre e simboli che sono
successivamente trasponibili in codice utilizzabile tramite telegrafo. La
lingua pasitelegrafica deve essere astratta da ogni lingua – il gallico incluso
-- e da ogni grammatica. L’unica cosa che chi ad essa si approccia deve
conoscere è l'alfabeto LATINO, il sistema numerico romano – I, V, X, L, C, M --,
e la propria lingua madre: il toscano,
non il friulano! Segni pasitelegrafici I
segni utilizzati sono gli stessi che già venivano usati normalmente durante le
comunicazioni tramite telegrafo, ovvero la linea, -, e il punto, ., del codice di
Morse. La virgola è indicata «..- - » e
il punto fermo «— —». Le otto
categorie A. divide poi le aree
semantiche in OTTO macro-categorie - che molto si avvicinano alla struttura
ontologica delle lingue filosofiche a priori - che nomina: Indizi di persona;
relazione e moto del discorso; congiunture di moto, tempo e luogo; II. Religione, universo, la terra; III: Uomo fisico e morale e gli altri
animali; IV: Commercio, nazioni, paesi,
città; V: diplomazia, cancelleria,
guerra, giurisdizione; VI: scienze,
arti, mestieri, loro prodotti e strumenti; VII: tempo, luogo e qualità; e finalmente, VIII: nomi proprie (“Ascoli,”
“Grice,” “Speranza”) -- distingue ciascuna categoria numerandola con i numeri romai
da I a VIII. e i cui simboli telegrafici
sono: 2. .. 3. ...
4. -. 5. .- 6. -
7. -.- 8. E per completezza
informa che il numero IX sarebbe rappresentato dalla sequenza « ..-» e lo
zero «—.». Ad ogni idea rappresentata
sottopone tutte quelle che vi soggiacciono, numerando anche queste, ma pur
sempre senza rigore sistematico, ovvero non a mo' di vocabolario o
grammatica. Accanto ad ogni idea vi sono
poi due numeri sovrapposti l'uno all'altro e separati da una linea trasversale,
il primo dei quali indica a quale categoria appartiene l'idea che accompagna, e
il secondo al numero che nella numerazione progressiva della categoria, spetta
a tale idea. A seguire A. fornisce le tabelle, dette numeratori
pasitelegrafici, delle OTTO categorie, di cui si fornisce un esempio. Nell'immagine
sottostante si riporta a titolo di esempio la tabella immaginata d’A. per la
categoria III. ¾ “uomo,” creatura
umana) ⅜ uomo (“vir”) ⅜ trisavolo ¾ bisavo %. antenato ⅗ avo ⅗ “padre” ⅜ “figlio” ⅜ zio ¾o fratello ¾1 cugino, Categoria III: L'
uomo fisico e morale e gl’altri animali.
⅜1 coraggio ⅜a salvezza ⅔a baldanza
⅜4 timidezza ⅜5 “speranza” ⅜& rassegnazione ⅜7 fedeltà
⅜s pazienza ¾9 giustizia ¾o onestà
¾1 pietà (compassione)Se si volesse esprimere il concetto di 'uomo'
inteso come essere umano di genere maschile (nella tabella al secondo posto)
basterebbe tradurre i numeri, detti cifra pasitelegrafica, in simboli
telegrafici (sapendo che la linea trasversale è indicata con « ... ») di modo
che esca la trascrizione « ....-.-...».
Ciascuna lingua naturale, come il friulano, la sua ‘lingua matrix,’ dove a tal
scopo avere il proprio numeratore pasi-telegrafico in cui ogni idea è ben
definita – chiara e distinta – cf. Grice, “Descartes on clear and distinct
perception” -- o da un vocabolo solo o, nel caso in cui sia necessario, da una
ristretta peri-frasi (“bachelor,” unmarried male – Grice/Strawson, In defense
of a dogma; in questo modo il lavoro di traduzione deve essere fatto una volta
solamente (così nel numeratore francese 3/2 sarebbe “homme” e in quello tedesco
Mann, ma la trascrizione pasitelegrafica è sempre la stessa e corrisponderebbe
tanto a quella italiana quanto a quella friulana, latina, siciliana,
ecc.). Ciascun paese o popolo (Grice on
C. A. B. Peacocke – ‘population utterance meaning”) dove poi procedere alla
compilazione di vocabolari nei quali, oltre al significato o SENSO delle
parole, è indicato anche il segno telegrafico. E così ogni popolo – e idioletto
per gl’individui -- per comprendere i messaggi che arrivano dagli altri paesi
non avrebbe che da usare un vocabolario pasitelegrafia-lingua nazionale e, per
inviare i messaggi, lingua nazionale-pasitelegrafia. Il risparmio nell'uso di questo sistema
sarebbe, a detta dell'autore, doppio, giacché per comporre i simboli
pasitelegrafici sono sufficienti un numero minore di caratteri/segni rispetto
al codice Morse (come ad esempio nel caso di 'splendore', nel numeratore
italiano indicato da 2/29 e in pasigrafia «.........-“. Ma nel codice Morse
« ......・・・_・
--..») e quindi per riprodurlo si
impiega sia meno tempo che meno spazio. Ogni cifra pasitelegrafica può inoltre
prevedere ulteriori modificazioni indicate da PIU simboli: - un punto sovrapposto, che nel telegrafo si
indica con una linea che la precede con breve spazio, denota un ENTE che COMPIE
l'azione o uno STATO in cui questo continua l'azione indicata dalla cifra – cf.
H. P. Grice on von Wright, “Action and Events”. Ad esempio 4/1 significa
'commercio' (cf. amazione, o amore) ma
se sottoposto ad un punto ⅛ significa “commerciante”
“amante,” non “amato” (tel.«--.--»). Un accento circonflesso sovrapposto
esprime la natura non-maschile dell'ente o dell'idea rappresentata dalla cifra
(es. 3/7 significa 'padre', ma sottoposto ad un circonflesso % ‘l’altro
genitore,’ i. e., 'madre'). Di nuovo quindi, come visto in altri sistemi di filosofi
precedenti, è sufficiente avere l'idea SOLO MASCHILE – “such artless sexism!” –
H. P. Grice -- di ciò che si vuole esprimere e aggiungere ad essa un simbolo,
un qualcosa che ne indichi l'essere femminile. Nel telegrafo il femminile è
indicato con una linea che segue la cifra pasitelegrafica («....-.-.-.--»). Una
parentesi tonda che precede esprime pluralità: ad esempio significa
'commercianti'. Nel telegrafo è indicato da doppio tratto a seguito
della cifra (tel. «—-. .-. .—»); un tratto sovrapposto alla cifra indica che
l'azione è conclusa o che il soggetto subisce
l'azione e nel telegrafo lo si indica con doppio tratto che precede la
cifra (es. significa 'la donna amata',
tel. «— ....--»);un apostrofo anteposto alla cifra (telegraficamente «.—. »)
indica che la condizione o l'azione è espressa al tempo presente. Ad esempio la
cifra ½*/ significa tu adesso sei commerciante' o più semplicemente 'tu
commerci' (tel. «.-...-.-.-.--.--..»);
una barra verticale anteposta alla cifra (telegraficamente « .—. »)
indica che la condizione o l'azione è espressa al tempo PASSATO – Grice,
“Socrates whatted – drank hemlock”. Ad esempio la cifra ½8 1%8 significa, per
dare l’esempio di Colorni-Leibniz, 'Paride
FU amante o più semplicemente 'PARIDE amò Elena’ – Nel caso di Patroclo ed
Achille, si presuppone che Achille è AMATO da ma non AMANTE di Patroclo (cf.
Eurialo ama Niso. Due barre verticali anteposte alla cifra (telegraficamente
«—. ») indicano che la condizione o l'azione è espressa al tempo FUTURO
CONTINGENTE (“Avra una battaglia navale”.. Ad esempio la cifra ½8. !|⅜8
significa 'Patroclo sarà amante d’Achille’ o ‘Eurialo SARÀ amant di Niso', 'Egli
amera'; tre barre verticali
anteposte alla cifra (telegraficamente « ...-») esprimono imposizione, o modo
imperativo dell'azione (“!Enjoy” – Holdcroft on Vendler – H. P. Grice, “Modes”,
“Aspects of reason”. Ad esempio ⅓ Il significa 'sii commerciante'. Una t
rovesciata anteposta alla cifra (telegraficamente « -... ») esprime desiderio,
supposizione o credenza (come il modo condizionale italiano, o l’ottativo
latino – H. P. Grice, “I wish we had it!” --. Ad esempio ¼ 1⅓ significa
'commerceresti' o 'SE fossi commerciante!'. Un grande cerchio anteposto alla
cifra (di cui non viene data difortunatamente la trascrizione telegrafica)
indica che due o più azioni si svolgono CONTEMPORANEAMENTE (“Patroclo took off his
leff and right shoe” (H. P. Grice on J. O. Urmson – “Philosophical Analysis
between the two wars”. Ad esempio % 0% 1%% significa Patroclo, mentre era
soldato, amò Achille'; una f rovesciata anteposta alla cifra (di
cui nuovamente non si conosce difortunatamente la trascrizione telegrafica)
esprime l'ente descritto dalla cifra AL MODO INDEFINITO o infinito. Ad esempio
J/18 significa 'amare'. Una c rovesciata anteposta alla cifra (telegraficamente
« ..-. ») indica che quella è una caratteristica dell'ente rappresentato dalla
cifra (ovvero un aggettivo), “amoroso”. Ad esempio • % significa 'europeo', o
goriziano, laddove senza la c indicherebbe solamente Europa, o Gorizia. Questo
carattere può essere anche duplicato e donare il significato o SENSO di
'maggioranza' (telegraficamente « ..... »). Triplicato e donare il significato
di 'assoluto' (telegraficamente « ......
»), come nell’ablativo latino. Ad esempio
8¾ ¾ significa 'DIVINISSIMO uomo'
– ma MORTALE. Una linea che segue la cifra ne indica la natura di AVVERBIO
(telegraficamente «.-.»). Ad esempio ⅝o
1⅝ ¾- significa 'Luigi agì DIVINAMENTE'.
Le parentesi quadre che precedono e seguono la cifra indicano un ente che crea
o produce l'idea da questa espressa (telegraficamente «.-.. » che precede la
cifra). Ad esempio coraggioso
l'esercito'. ⅝ [∞ ⅜1]% significa il vittorioso condottiero che rende.
Ordine e distanza tra le cifre . L'ordine delle cifre può variare, ma rimane
comunque simile a quello del latino e l’italiano, se non del friulano. Per non
confondere agente (Patroclo, Eurialo) e paziente (Niso, Achile), questi sono
quanto più separati e in questa sequenza. La distanza tra cifre deve essere
simile a quella che normalmente si lascia tra le parole. Ma le cifre che
concorrono insieme a definire una sola idea devono essere più vicine tra loro
delle altre. Nomi propri. A. associa ad ogni lettera dell'alfabeto latino un
numero e ne specifica, per quasi tutti, il suono. Per scrivere un nome proprio
non compreso nella categoria VIII, come può essere un cognome (“Grice,”
literalmente “pig”), basta scrivere in fila i numeri associati a ciascuna
lettera. I numeri pasi-telegrafici che devono servire per lettere sono
preceduti e seguiti dai segni «—.-». 1
[a] [b][ [d] ABCDEFGGH1 [e]/[&], non specificato 23456789 [f] [d3] (gl [h] 10 [1] 11 non specificato 12 [k] 13 14 (m] 15[n] 16 [o]/[o], non
specificato 17 [p] 18 [kw]
19 [r] 20 [s]/[z], non specificato
21 5 22 [t] 23 (u] 24
[v] 25 W non
specificato 26 Y non
specificato 27 non specificato 28
Z [dz]/[ts], non specificato numeri
I numeri si indicano con numeri romani preceduti e seguiti da due v
(telegraficamente «-.—»). In questo modo
v 99% v I numeri ordinali come
primo (universita: Bologna), secondo – seconda universita: Oxford, terzo –
terza universita: Parigi o Sorboan -- si ottengono aggiungendo alla cifra tre
tratti posposti, e così anche telegraficamente (ad esempio 20 ——— significa
'ventesimo', telegraficamente «
.... -»): Napoli, la ventesima
uiversita. I numeri che esprimono ripetizione (una volta, once, due volte, twice,
tre volte, thrice) si ottengono aggiungendo alla cifra tre tratti e un punto
posposti, e così anche telegraficamente (ad esempio 3-- significa 'tre volte', o ‘thrice’,
telegraficamente «... —.») Sistemi crittografici di questo tipo hanno grande
fortuna. Ma ovviamente in ragione dello scopo contrario a quello qui perseguito
d’A., il rendere illeggibile un testo non possedendone la chiave di lettura.
Più sistemi di questo tipo sono ad esempio creati dal padre gesuita, e allievo
di Kircher stesso, Francesco Lana conte de’ TERZI (si veda) nella suo saggio “Prodromo,
overo saggio di alcune inventioni nuove premesso all'Arte Maestra pubblicato
a Brescia nel 1670.10 Vedasi FRANCESCO LANA CONTE DE' TERZI,
Prodromo, overo saggio di alcune inventioni nuove premesso all'Arte
Maestra, opera che prepara il P.
Francesco Lana bresciano della Compagnia di Giesu per mostrare li piu reconditi
principij della Naturale Filosofia, riconosciuti con accurata Teorica nelle piu
segnalate inventioni, ed isperienze fin'hora ritrovate da gli scrittori di
questa materia et altre nuove dell'autore medesimo, Brescia, presso Rizzardi.
Lana nacque a Brescia e vi muore.
Studia filosofia presso l'ordine dei gesuiti a Roma, dove conosce anche Kircher
che lo introduce alla fisica e al poker.
È insegnante di matematica e filosofia.
A., così come è già stato fatto da altri dotti, come per esempio da
Kircher nella sua Polygraphia nova et universalis, reinventa allora un codice
linguistico nato per CELARE informazioni – cf. J. L. Austin, D-DAY -- di modo
che diventi anzi il sistema prediletto per lo scambio di informazione
internazionale. Nome compiuto: Ascoli. Keywords: Poto-Esperanto, Deutero-Esperanto,
Trito-Esperanto, Tetarto-Esperanto, Pempto-Esperanto, Hecto-Esperanto,
Hebdomo-Esperanto, Ogdo-Esperanto Enato-Esperanto, Decato-Esperanto, Endecato-Esperanto,
Dodecato-Esperanto. Refs.: Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, “Grice
ed Ascoli,” The Swimming-Pool Library, Villa Speranza, Liguria, Italia.
Luigi Speranza – GRICE ITALO!; ossia, Grice ed
Assarotti: la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale – la
scuola di Genova – filosofia genovese – filosofia ligure -- filosofia italiana
– Luigi Speranza, pel Gruupo di Gioco di H. P. Grice, The Swimming-Pool Libray (Genova). Filosofo genovese. Filosofo ligure. Filosofo
italiano. Genova, Liguria. Dizionario biografico degl’italiani. Nato da
Giuseppe. Entra nell'ordine delle scuole pie. Fatta la professione solenne,
insegna nella casa dell'Ordine a Voghera. Inizia gli studi filosofici ad
Albenga, e li continua a Genova sotto la direzione d’AGENO (si veda) e GIACOMONE
(si veda). Insegna grammatica superiore nella casa professa di Genova, fino a
quando divenne insegnante di fisica ad Albenga. Insegna logica a Savona, e
logica e fisica a Genova. Insegna teologia a Savona e a Genova.
All'insegnamento di filosofia e di teologia d’A. si formarono esponenti del
movimento giansenista quali Degola, Buccelli, Capurro, Carosio, e Casella.
A., però, finisce per abbandonare l'insegnamento di quelle discipline per
dedicarsi quasi totalmente all'opera di ri-educazione dei sordomuti, “il suo
maggior titolo di rilievo filosofico,” nelle parole di H. P. Grice. In Francia,
Epée è il primo a richiamare l'attenzione sulla gravità del problema della ri-educazione
dei sordomuti e pone a base del suo metodo di insegnamento la mimica griceiana.
Interessato a questi esperimenti, che sono continuati da Sicard, A. inizia la
ri-educazione di alcuni ragazzi. Incoraggiato dal successo ottenuto, volle
allargare il numero dei suoi allievi, ciò che gli è possibile fare quando
ottenne da BUONAPARTE (si veda) un finanziamento, la garanzia di alcune borse
di studio per sordomuti indigenti, oltre che l'autorizzazione a installarsi in
un locale appartenente a corporazioni religiose soppresse. A. pone la sede del
suo istituto dei sordo-muti in un convento delle monache brigidine. Finito il
dominio di BUONAPARTE (si veda), l'istituto attravese un periodo di crisi, fino
a che non prende a cuore le sue sorti, dopo l'annessione della Liguria al regno
della Sardegna, il re Vittorio Emanuele, per l'aiuto del quale esso conosce un
notevole ampliamento. Ben presto la sua fama si estende all'Italia e anche
all'estero. Numerosi illustri personaggi, da Mayer a Cuvier e Staël, lo
visitano. Esso è preso a modello da molti altri analoghi istituti fondati a
Torino, Milano, Livorno, Roma, Napoli, ecc. Lo stesso Aporti, che lo visita, ne
utilizza le esperienze per i suoi asili infantili. All'abdicazione del re
Vittorio Emanuele, l'istituzione è presa sotto la protezione del nuovo re Carlo
Felice. Il metodo d’A., MIMICO (alla Grice) ed essenzialmente pratico ed
empirico, utilizza l'alfabeto dattilogico, la scrittura e I GESTIi, e si
propone d'insegnare ai sordo-muti, oltre che a leggere e a scrivere, cognizioni
diverse riguardanti le varie lingue e i vari campi dello scibile, la filosofia
inclusa. Il limite di questo metodo è forse quello di dare soverchia importanza
al numero delle cognizioni da impartire, col rischio di fornire un'eccessiva e
inutile erudizione agli allievi. (Grice: “Do they NEED to *know* Heidegger?”). A.
concive il progetto, che non puo però seguire, d’estendere l'istruzione a tutti
i sordomuti dello stato sardo. Esegue la sua missione di educatore
nonostante le numerose difficoltà economiche e l'ostilità dei gesuiti e del
clero retrivo, con una fede porto-realistica. Allievo di Molinelli., legato
all'ala più religiosa e mistica del giansenismo ligure, quella di Vignoli, di
Degola, al quale è molto vicino, non prende parte alla lotta politica in cui
altri suoi amici giansenisti s'impegnano. Neppure partecipa molto alle dispute
teologiche. In questo campo pubblica, in collaborazione con Molinelli, De homine ante et post lapsum et
de Ecclesia militante in terris. Propositiones theologicae publice propugnandae,
Genova, mentre non ottenneno l'imprimatur ecclesiastico alcune sue tesi
intitolate De fructibus divinae Incarnationis,accusate di giansenismo,
baianismo e quesnellismo. Gl’è ancora negato, a Genova e a Torino, il permesso
di stampare cinquantadue profezie della Bibbia sulla conversione degl’ebrei.
Tutta la fede e le energie d’A. si riversarono così nella ri-educazione dei
sordo-muti, attività in cui è co-adiuvato dagl’amici Degola, che dell'Istituto è
il cappellano, Scalzi, Carrega, Boselli, che gli succede alla direzione dell'istituto.
Ai sordo-muti A. dedica pure numerosissimi saggi, fra cui si ricordano, “Esercizi
di pietà ad uso de’sordo-muti istruiti e di chiunque altro desideri praticarli,
Genova, e, Ristretto delle dottrine cristiane ad uso de’sordo-muti istruiti nel
R. Istituto di Genova, Genova, e Punti di religione ad uso de’sordo-muti
istruiti nel R. Istituto di Genova, Genova. A. è anche chiamato a insegnare all'Istituto
nazionale di Genova (nel periodo di BUONAPARTE denominato Accademia imperiale),
istituto di studi superiori soppresso dalla restaurazione. Muore a Genova.
Refs.: Storia della Università di Genova, di Isnardi, continuata da Celesia,
Genova; Mayer, Frammenti di un viaggio Pedagogico, Firenze; Monaci, Storia del
R. istituto nazionale dei sordo-muti in Genova, Genova (con bibl.); Donaver,
A., Rass. naz.; Codignola, Pedagogisti ed educatori, Milano; Picanyol, Il primo
apostolo dei sordo-muti in Italia: A., Rass. di storia e bibl. scolopica;
Codignola, Carteggi di giansenisti liguri, Firenze, con il carteggio d’A.); Illuministi,
giansenisti e giacobini nell'Italia, Firenze. Ottavio Assarotti. Assarotti.
Keywords: love. Refs.: Luigi Speranza, “Grice ed Assarotti,” pel Gruppo di
Gioco di H. P. Grice, The Swimming-Pool Library. Assarotti.
Luigi Speranza -- Grice ed Assiopisto: la setta di
Locri –- Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Locri). Grice:
“At Oxford we discuss extensively that little riposte by Humpty Dumpty: “Your
name, ‘Alice,’ doesn’t mean anything?” It’s different with Assiopisto! Filosofo
italiano. Epicarmo. GIAMBLICO SUMMA
PITAGORICA A cura di Francesco Romano Testo greco a fronte (ϑ) ΒΟΜΡΙ͂ΑΝΙ IL
PENSIERO OCCIDENTALE Giamblico di Calcide (250-320 ca d.C.) realizzò un
grandioso progetto filosofico-scientifico, precisamente quello di rivisitare e
rifondare la dottrina neoplatonica di Plotino e di Porfirio nel crogiolo della
tradizione pitagorico-neopitagorica. Pitagorismo e platonismo costituivano in
tale progetto due facce della stessa medaglia, il cui valore avrebbe dovuto
riscattare la filosofia classica, compresa quella di tradizione non platonica,
da ogni apparente differenziazione e disarmonia conseguente alla campagna
denigratoria condotta contro Platone e l'Accademia, soprattutto da Aristotele e
dai Peripatetici. L'idea-cardine di una convergenza (se non coincidenza) tra
queste due dottrine rimarrà, dopo di lui, fattore determinante e qualificante
di tutte le costruzioni neoplatoniche dalla tarda antichità al Rinascimento e
oltre. La Summa pitagorica, i cui trattati vengono qui presentati integralmente,
rappresenta un colossale sforzo di sistemazione delle principali dottrine
filosofiche sviluppatesi nell'arco dei secoli IV a.C-TIT d.C. La filosofia di
Giamblico è l'esempio più significativo di quell'operazione che caratterizzò il
pensiero tardoantico e che consiste nel ridurre a unità le diverse branche
dell'indagine filosofica per via di una loro gerarchizzazione fondata sulla
reale e ordinata disposizione verticale culminante nella teologia, intesa
quest'ultima come scienza delle scienze. La matematica, almeno nel suo
significato pitagorico, possiede, dal punto di vista della metodologia delle
scienze, la medesima funzione che ha l'anima dal punto di vista
onto-cosmologico ed etico. La Summa pitagorica costituisce lo specchio di
quella realtà unitaria che le varie scienze hanno il compito di predisporre
quale oggetto conoscitivo e contemplativo della scienza teologica. E se è vero
che neoplatonismo significa in ultima analisi teologia quale unica e vera
filosofia, allora il discorso filosofico altro non può essere che discorso
sacro insieme matematico e teologico. E se è vero, inoltre, che l'ordine
teologico precede sia l'ordine naturale che l'ordine morale, allora l'ordine
matematico è non solo ordine divino, ma anche fondamento di qualunque ordine di
realtà. Ecco il senso ultimo del pensiero di Giamblico. Francesco Romano è
stato fino al 2004 professore
ordinario
di Storia della filosofia antica e medievale presso l’Università di Catania e
dirige la Collana SYMBOLON che pubblica gran parte dei lavori della Scuola
catanese. Si è occupato negli ultimi decenni di storia del pensiero
tardoantico, e particolarmente di neoplatonismo. È autore di numerose
pubblicazioni (edizioni, traduzioni, monografie storico-critiche, ecc.), alcune
delle quali sono: Studi e ricerche sul neoplatonismo (1983); Porfirio e la
fisica aristotelica (1985); Proclo. Lezioni sul “Cratilo” di Platone (1989);
Giamblico. Il Numero e il Divino (1995); Il Neoplatonismo (1998); Domnino di
Larissa. La svolta impossibile della filosofia matematica neoplatonica. Il
Manuale di introduzione all'aritmetica (2000); L’Uno come fondamento. La crisi
dell'ontologia classica (2004). In copertina: bassorilievo di età ellenistica
raffigurante Pitagora con un allievo, Alessandria d'Egitto, Musco greco-romano.
Caver design: Polystudio. BOMPIANI TL PENSIERO OCCIDENTALE Direttore GIOVANNI
REALE Direttore editoriale Bompiani Elisabetta Sgarbi Direttore letterario
Mario Andrcose Editor Bompiani Eugenio Lio Collaboratori Alberto Bellanti
Vincenzo Cicero Diego Fusaro Giuseppe Girgenti Roberto Radice Glauco Tiengo
GIAMBLICO SUMMA PITAGORICA VITA DI PITAGORA ESORTAZIONE ALLA FILOSOFIA SCIENZA
MATEMATICA COMUNE INTRODUZIONE ALL’ARITMETICA DI NICOMACO TEOLOGIA
DELL’ARITMETICA Testo greco a fronte Introduzione, traduzione, note e apparati
di Francesco Romano . BOMPIANI IL PENSIERO OCCIDENTALE ISBN 978-88-452-5592-2 ©
2006/2012 Bompiani/RCS Libri S.p.A. Via Angelo Rizzoli 8 - 20132 Milano TI
edizione Il Pensiero Occidentale ottobre 2012 τὸν δὲ ξύμπαντα ταῦτα οὕτως
εἰληφότα, τοῦτον λέγω τὸν ἀληθέστατα σοφώτατον᾽ τὴν γὰρ πάντων καλλίστην καὶ
θειοτάτην φύσιν, ὅσην ἀνθρώποις θεὸς ἔδωκε κατιδεῖν, οὔποτε ἄνευ τῶν νῦν δὴ
εἰρημέ- νῶν μὴ κατιδὼν ἐπεύξηταί τις ῥαστώνῃ παραλαβεῖν. Chi abbia acquisito in
tal modo tutte queste matematiche, costui, io dico, è l’uomo più sapiente nel
più vero senso della parola, perché senza i suddetti metodi di studio delle
matematiche, chi non la conosce non potrà mai vantarsi di apprendere facilmente
la più bella e più divina natura che dio abbia concesso agli uomini di
conoscere. Giamblico, De com. math. sc. 21,13-18 PREFAZIONE ALL'EDIZIONE
INTEGRALE Dicevo nella Prefazione al volume I/ Numero e il Divino che Giamblico
rappresenta un momento di alta condensazione (se non addirittura di
precipitazione) filosofica nel campo delle tradizioni che in lui confluiscono,
e cioè la platonica, la neoplatonica e la neopitagorica (e in qualche modo
anche la peripatetica, si potrebbe aggiungere adesso). Le difficoltà che
comportano lo studio del suo pensiero e, a maggior ragione, l'edizione e la
traduzione dei suoi testi, dunque, sono molteplici anche in relazione alle
disparate questioni affrontate dal nostro Autore. In relazione, poi, ai due
nuovi testi che in questa edizione integrale vengono aggiunti (i Libri I e II
della Summa pitagorica, rispettivamente Vita di Pitagora ed Esortazione alla
filosofia), le difficoltà sono ancora più pesanti a causa di alcune
caratteristiche, filologiche, ma non solo, a cui si farà cenno più avanti nelle
relative Introduzioni. La presente edizione integrale della Summa Pitagorica
contiene quindi cinque scritti, e cioè i tre presentati nella precedente
edizione del 1995, e precisamente i Libri III (La scienza matematica comune) e
IV (L'Introduzione all’aritmetica di Nicomaco), nonché La teologia del-
l'aritmetica, la cui autenticità resta tuttora problematica, come si mostrerà
più avanti nell’Introduzione, e in aggiunta, come si è detto, i Libri I e II
della stessa Surzzz4 giamblichea. In tal modo viene a rea- lizzarsi lo scopo
che il collega Giovanni Reale ed io abbiamo inteso raggiungere con questa
edizione integrale, quello cioè di potere leggere e fruire in modo
editorialmente unitario, ovvero in un unico volume, tutti gli scritti
fondamentali del grande filosofo neoplatonico, se si prescinde dal De
wzysterzis che merita un discorso a parte. Ringrazio anzitutto il collega
Giovanni Reale che con la sua ami-
chevole
ma decisa insistenza mi ha alla fine convinto della bontà dell’iniziativa,
inducendomi a tornare a occuparmi di quei testi di Giamblico che avevo
trascurato perché non di natura esclusivamente matematica (i testi pubblicati
nella precedente edizione erano, infatti, 8 PREFAZIONE tutti e tre di contenuto
matematico, donde il vecchio titolo «Il Numero e il Divino»). Ringrazio poi il
collega Roberto Radice, che mi ha assistito nella preparazione informatica del
volume, impegnandosi con generosa intelligenza, grazie anche alle sue
indiscusse doti di studioso del pen- siero antico e alla sua grande e
competente esperienza editoriale. Ringrazio infine due delle mie allieve, che
mi hanno prestato il loro intelligente ausilio, e precisamente Eva Di Stefano e
Giovanna R. Giardina, che hanno letto e controllato con puntigliosa attenzione
l’intero volume nella sua stesura definitiva, fornendomi talora utili
suggerimenti critici. Fiducioso che quest’ultima mia fatica intorno a un Autore
che mi ha sempre appassionato assieme agli altri filosofi neoplatonici, possa
rendere più stimolante la lettura e lo studio dell’intera sua opera
fondamentale, spero anche che i lettori, soprattutto quelli competenti più di
me in questo campo, vorranno perdonarmi le lacune e gli eventua- li
fraintendimenti, di cui fin d'ora mi assumo interamente la responsabilità.
Catania, Università, febbraio 2005. INTRODUZIONE ALLA LETTURA DELLA «SUMMA
PITAGORICA» DI GIAMBLICO 1. Vita. Fonte principale della vita di Giamblico è
Eunapio.! Giamblico nacque a Calcide in Celesiria (parte dell'antica Siria
posta geografica- mente tra il Libano e l’Antilibano), città situata a Est di
Antiochia. La sua famiglia era nobile e ricca, probabilmente risalente al regno
arabo degli Iturei, oggetto di vicende politiche al tempo di Pompeo e di
Antonio, che donò una parte di esso a Cleopatra (sembra che lo stes- so nome
lamblichus sia di origine araba). L'anno della sua nascita e quello della sua
morte sono assolutamente incerti. La Suda dice solo γεγονὼς κατὰ τοὺς χρόνους
Kovotavtivov tod βασιλέως, notizia che dev'essere intesa quasi certamente nel
senso che Giamblico visse (o floruit) sotto Costantino il Grande, e quindi
prima del 337 d.C., anno di morte dell’imperatore. Ma quanti anni prima della
morte di Costantino (tenuto conto che, secondo Eunapio, egli era già morto
quando il suo discepolo Sopatro di Apamea giunse alla corte imperia- le, dove
sarebbe stato fatto giustiziare dallo stesso Costantino) cade la morte di
Giamblico? La risposta a tale domanda dipende dalle noti- zie relative
soprattutto ai maestri di Giamblico, che sarebbero stati prima Anatolio e poi
lo stesso Porfirio, maestro di Anatolio.? Se si col- loca il floruit di
Giamblico nell’età di Costantino, come vuole la Suda, e si calcola l’acmzé
all’età di 40 anni (tosto meno che non pit), consi- derato che egli sarebbe
morto prima di Costantino (poniamo, una decina di anni prima) all’età di 60-70
anni, allora la sua data di nasci- ta cadrà intorno al 265-270. Una tale data,
però, deve essere arretrata un poco perché possa concordare col fatto che
avrebbe avuto come maestri Anatolio e Porfirio (quest’ultimo morto intorno al
305). 1 Eunapio, Vitae sophistarum, ed. G. Giangrande, Roma 1956. 2 Per
l'identificazione di questo Anatolio con l’autore del Περὶ δεκάδος Perciò si è
pensato giustamente di anticipare la data di nascita intor- no al 250; o
addirittura al 240.4 Per quest’ultima data propende anche J. Dillon, e
l'ipotesi sembra altamente probabile se si identifi- ca il padre di Aristone,
discepolo di Plotino,$ con il nostro Giamblico. In questo caso, infatti,
Giamblico doveva essere già avanzato negli anni se aveva un figlio che
frequentava la scuola di Plotino a Roma (prima del 270). Sulla base di questa
identificazione, anche Saffrey concorda con la datazione più alta.” Non meglio
informati siamo sui suoi studi e sui suoi maestri. Ho già accennato ai maestri
di Giamblico, Anatolio e Porfirio: ora, senza contare le indicazioni della
Suda, la quale mostra chiaramente di con- siderarli veri e propri maestri,8 i
rapporti tra Giamblico e questi due presunti maestri sono presentati da Eunapio
per mezzo di due parti- cipi che lasciano molte perplessità sul tipo di
rapporto che Giamblico avrebbe intrattenuto con l’uno e con l’altro. Le parole
di Eunapio sono infatti queste: ᾿Ανατολίῳ [...] συγγενόμενος [...] εἶτα μετ᾽
᾿Ανατόλιον Πορφυρίῳ προσθεὶς ἑαυτόν. Quindi Giamblico, dopo «essere stato
insieme con» Anatolio, si sarebbe «associato» a Porfirio: potrebbe essersi
trattato di rapporto di amicizia scientificamente (o spiritualmente)
interessata, tanto più che la differenza di età, ad esem- pio con Porfirio, era
di una decina di anni al massimo. Comunque si consideri e valuti la relazione
di Giamblico prima con Anatolio e poi con Porfirio, sta di fatto che con il primo
Giamblico avrebbe trovato una sintonia maggiore che con il secondo. Quanto tale
differenza di e dei frammenti conservati nei Θεολογούμενα τῆς ἀριθμητικῆς
attribuiti a Giamblico e qui tradotti, cf. R. Goulet, Aratolius 157,
«Dictionnaire des Philosophes Antiques», I (1989), 179-183. 3
J. Bidez, Le philosophe Jamblique et son école, «Revue des Études Grecques», 27
(1919), 29-40. 4 AI. Cameron, The Date of Iamblichus” Birth,
«Hermes», 96 (1968), 374- 376. 3 J. Dillon, Sam:blichus of Chalcis, «ΑΝ»
II 36,2 (1987), 865 5. 6 C£. Porfirio, Vita Plot. 9,4. ? Su questo e sui
rapporti personali e dottrinali tra Giamblico e Porfirio, cf. H.D. Saffrey,
Pourquoi Porphyre a-t-il édité Plotin?, in Porphyre. La
Vie de Plotin II, par L. Brisson et Alii, Paris 1992, 40 ss. [31-57]. 8 C£. Suda
s.v. Iamblichos: μαθητὴς Πορφυρίου; s.v. Porphyrios: διδάσκα- λος Ἰαμβλίχου.
intesa spirituale e dottrinale dipendesse dal fatto che Anatolio aveva interessi,
da un lato matematico-pitagorici e, dall'altro lato, spiccata- mente
teologico-teurgici, non è facile determinare. Si aggiunga che se questo
Anatolio è identico all’Anatolio che divenne vescovo cristia- no,!0 non c’è da
meravigliarsi per niente, ché anzi tale identificazione si accorda almeno con
alcuni fattori che contribuirono alla formazio- ne fondamentalmente religiosa
di Giamblico. Si sarebbe trattato forse di un'anticipazione, con inversione di
ruoli, di quello che nei primi decenni del VI secolo avrebbe sperimentato con
profitto la Scuola di Alessandria con Ammonio, peraltro anche lui eminente
«aristotelico» come Anatolio. Potrebbe comunque essere stato l’Anatolio maestro
o amico di Giamblico persona distinta dall’Anatolio vescovo cristiano: non è da
trascurare, comunque, l’avvertimento di Dillon, che cioè Anatolii non sunt
multiplicandi sine necessitate.®i L'incontro con Porfirio, posteriore a quello
con Anatolio, secondo la tradizione, è molto più difficile da collocarsi e
determinarsi. Sembra certo che Giamblico “si sia associato” a Porfirio dopo il
rien- tro di quest’ultimo dalla Sicilia a Roma, cioè subito dopo la morte di
Plotino.!? Che Giamblico abbia avuto rapporti personali con Porfirio 9.
Anatolio è, assieme a Nicomaco di Gerasa, fonte primaria dei Theologoumena
arithmeticae rimastici sotto il nome di Giamblico e che, se non sono autentici,
raccolgono certamente una tradizione comune ai tre autori (intendo dire
Nicomaco, Anatolio e Giamblico), mentre Porfirio è e resta un avversario di
Giamblico, un “maestro” con cui egli ha polemizzato su punti essenziali della
dottrina neoplatonica. 10 A Laodicea, forse dopo che a Cesarea, dove sarebbe
stato ordinato, per succedergli, dal vescovo Teotecno. "ΜΙ sono permesso
di latinizzare l’espressione inglese di Dillon «we should not multiply Anatolti
unnecessarily» (cf. «ANRW» II 36,2 (1987) 867). Si cf. tuttavia R. Goulet,
Aratolius 157, cit., 179 ss. 12 È probabile che Giamblico avesse conosciuto sia
Plotino che Porfirio a Roma, dal momento che qui avrebbe soggiornato per un
certo tempo suo figlio Aristone: ma si tratta di mera congettura. Sul rientro
di Porfirio a Roma dopo la morte di Plotino non si possono avere dubbi dal
momento che è lui stesso che ci dice di essere tornato a Roma dopo la morte di
Plotino e di avervi incontrato Eustochio, il quale gli avrebbe raccontato gli
ultimi gior- ni di vita del comune maestro (cf. Vita Plot. 2,12). Dei dubbi
sono legittimi, invece, su quando Porfirio abbia fatto ritorno dalla Sicilia a
Roma e se qui lo attesta egli stesso in un passo presente in Stobeo,!3 dove
dice di avere ascoltato le lezioni di molti Platonici quali Porfirio e molti
altri. La sua relazione con il nuovo maestro non dev'essere durata a lungo, a
giudicare anche dalle successive polemiche tra i due.!4 Sembra certo anche che,
allontanatosi da Porfirio, Giamblico abbia fatto ritorno in Siria, stabilendosi
ad Apamea, o forse a Dafne, un sobborgo di Antiochia. Per le notizie su
quest'ultima parte della sua vita dipendia- mo quasi esclusivamente da
Eunapio,!5 e naturalmente dalle sue ela- borazioni agiografiche delle
testimonianze attinte dai discepoli di Giamblico. È incerto, in ogni caso, se
Giamblico insegnò anche ad Apamea, e in ogni caso prima che a Dafne. La scuola
siriaca di Giamblico fu frequentata da numerosi discepoli, stando alla testimo-
nianza di Eunapio. Tra quei discepoli c'erano uomini illustri, come ad esempio
quel Sopatro che, come si è detto, finî giustiziato.!6 Ma il suo magistero non
si limitò ai discepoli interni alla scuola, ma si estese ad un certo numero di
persone che ne ammiravano la dottrina e la sag- gezza e di cui ci è rimasta
ampia testimonianza nei resti del suo epi- stolario conservatoci in parte da
Stobeo.!7 abbia dato nuovo impulso alla scuola, come io credo altamente
probabile (cf. F. Romano, Porfirio di Tiro. Filosofia e cultura nel II secolo
d.C., Catania 1979, 60 ss. passim). Contra Saffrey, op. cit., passim. Ma cf.
anche L. Brisson, Prosopographie, in Porphyre. La Vie de Plotin I, cit., 107:
«Porphyre revint à Rome (2,12). Il y devint chef
d’école. Parmi ses disciples, il faut ranger Jamblique et Theodore d’Asiné»).
13 Stobeo, Anth. I 49,37 = 375,24 W-H: ὡς È ἐγώ τινων ἀκήκοα Πλατωνικῶν, οἷον Πορφυρίου καὶ ἄλλων πολλῶν. Resta comunque l’incer-
tezza sul vero significato di ἀκήκοα. 14 C'è da dire, tuttavia, che Giamblico
dedicò a Porfirio il suo Περὶ τοῦ Γνῶθι σαυτόν, il che comporta una certa
frequentazione, oltre che stima e familiarità. 15 Un'altra fonte è Giovanni Malalas,
dal quale apprendiamo che in Siria egli apri (o riaprî) una scuola. La notizia
di Malalas si riferisce a Dafne e al tempo dell’augustus Galerio (293-310). 16
Altri discepoli di Giamblico furono Edesio, Eustazio, Eufrasio, Eusebio di
Mindo, Crisanzio, Ierio, Massimo di Efeso, Prisco, Teodoro di Asine, Dessippo e
qualche altro. Legati alla sua scuola sono da considerarsi anche l’imperatore
Giuliano, Sallustio neoplatonico e lo stesso Eunapio, nonché due retori,
Libanio e Imerio. 17 Vi figurano nomi di discepoli noti, come Sopatro e
Dessippo, ma anche 2. Opere. Ciò che resta delle opere di Giamblico è solo una
piccola parte della loro vasta estensione e varietà tematica. Attraverso gli
scritti per- venutici per intero e i frammenti e le testimonianze di quelli
andati perduti, tuttavia, è possibile farsi un’idea sufficientemente adeguata
della portata e dell'importanza dell’attività produttiva di Giamblico.
Notevolmente difficile è tuttavia stabilire l'ordine cronologico dei diversi
commentari, epistole e trattati, ad eccezione forse, tra questi ultimi, di quelli
the rientrano nella serie che è tramandata sotto la denominazione di Zuvayoyn
τῶν Πυθαγορείων δογμάτων.18 «Une certaine classification — scrive il Larsen —
nous semble toutefois pos- sible».!? Ma si tratta di una classificazione, come
spiega subito dopo lo stesso autore, la quale non vuole essere sisternatica,
bensi fondata semplicemente «sur la fagon dont ils nous ont été transmis»,20
cioè sul fatto che alcuni scritti ci sono giunti per intero, altri in frammenti
e altri ancora solo nel titolo. Senza tenere conto, quindi, dell’ordine
cronologico, cercherò di indicare qui quali siano le opere più impor- tanti di
Giamblico, cominciando dalla succitata Συναγωγή, che certa- mente rappresenta
lo sforzo più notevole e sistematico, anche da un punto di vista teorico, del
pensiero e dell’insegnamento di Giam- blico.2! Summa pitagorica (opera
conservatasi in parte). Preferisco dare questa traduzione di uno dei titoli
tramandatici relativamente all’in-
sieme
dei nove o, forse,22 dieci trattati di Giamblico costituenti un cor- di
illustri sconosciuti, come Macedonio, Poimenio, Asfalio, Arete, Olimpio,
Discolio, Agrippa. 18 Come vedremo fra poco, anche questo titolo è dubbio. 19
B. Dalsgaard Larsen, Jambligue de Chalcis exégète et philosophe, Aarhus 1972,
43. Un’ Appendice a questo volume contiene i testi frammen- tari dei Commentari
a Platone e ad Aristotele. 20 Ibidem. 21 L'ordine della nostra esposizione
corrisponde più o meno a quello di Larsen e di Dillon («ANRW» già cit.). 22 Il
decimo libro o trattato, probabilmente consacrato all'astronomia pitagorica,
non ci è attestato con certezza, ma la sua esistenza può essere pus unitario
solo in parte conservatosi, anziché quello translitterato di Larsen Synagoge
Pythagorica, o quello di Dillon Pythagorean Sequence, o quello semplificato e
prudente, data l’incertezza della tra- dizione manoscritta, di O'Meara Ομ
Pythagoreanism. Un'altra tra- duzione di Συναγωγή è quella che troviamo
indicata — ma non adot- tata, come si è detto — quale corrispondente letterale
in inglese anco- ra in O’Meara: Collection (of Pythagorean Doctrines) (dal
latino Collectio). A parte la scelta di O’Meara, che si spiega, forse, con la
comprensibile prudenza di non impegnarsi in una traduzione che in ogni caso si
presta a possibili obiezioni e fraintendimenti, la scelta di tradurre Συναγωγή
con Surzzza, che è si un latinismo, ma che tuttavia è parola comunemente
adoperata anche nella lingua italiana colta,24 mi è apparsa come l’unica
possibile alternativa a quella di Sitesî, che ho subito scartata per evidenti
ragioni di inadeguatezza semantica. Il Corpus Pythagoricum giamblicheo di cui
parliamo, infatti, non rap- presenta affatto una “sintesi” o “raccolta” di
dottrine, ma un “insie- me sistematico”, e scolasticamente costruito, di
trattazioni tale da costituire una presentazione completa e organica di tutti
gli elementi dottrinali di quel “Pitagorismo (neo)platonico” che era nella
mente e nell’intenzione pianificata di Giamblico, come ha abbondantemente
dimostrato O'Meara.? Se poi si volesse giudicare la mia scelta come desunta dal
piano dell’opera. Per un dettagliato e aggiornato esame di que- st'ultimo,
rinvio a D.J. O'Meara, Pythagoras Revived. Mathematics and Philosophy in Late
Antiquity, Oxford 1989, 30 ss. C£. anche la recensione a questo volume
pubblicata da H.J. Blumenthal in «Liverpool Classical Monthly», 16,1 (1991),
10-14, dove si trovano alcune interessanti osservazio- ni soprattutto in merito
al rapporto tra l’incertezza di Giamblico a proposi- to dell'origine degli enti
matematici (dagli intelligibili o direttamente dall’Uno) e l’influenza di
Aristotele. 23 Il termine Συναγωγή è adoperato due volte da Siriano, Ix Meta.
140,15 e 149,30 (al plurale, con riferimento ad altri scritti di Nicomaco dallo
stesso titolo, a 103,7). Altri due titoli ci attesta la tradizione e sono: Περὶ
τῆς Πυθαγορείου αἱρέσεως (cf. ancora Siriano, In Hermog. I 22,4 s.) e
Πυθαγόρεια ὑπομνήματα (cf. Fabricius, Bibl. Gr. TV 288). 24 Avrei potuto
adoperare l'italiano comune Sorzzz4, ma avrei corso il rischio di equivoci,
tenuto conto anche del fatto che la voce sorzzza appar- tiene al linguaggio
matematico entro il quale si muove quasi per intero il con- tenuto di queste
opere di Giamblico. 25 Cf. DJ. O'Meara, Pythagoras Revived, cit., 87 («Despite
the quantity un atto di dipendenza dal concetto scolastico medievale di
Surziza, non si andrebbe molto lontano dalle mie intenzioni, a condizione che
si desse a tale concetto quel significato tecnico-letterario,26 che lo rende
collegabile alla “scolastica” neoplatonica che di quella medie- vale è
certamente l'antica progenitrice. Il testo della Surziza pitagorica ci è giunto
attraverso un solo MS, il Laurentianus 86,3 {= ΕἸ del sec. XIV, da cui
dipendono tutti i MSS esistenti. In esso si trova il pinax con i titoli dei
primi (che potrebbe- ro essere tutti) nove libri o trattati, e cioè: I. La vita
di Pitagora [Περὶ τοῦ Πυθαγορικοῦ Biov],7 II. Esortazione alla filosofia
[Προτρεπτι- κὸς ἐπὶ φιλοσοφίαν], INI. La scienza matematica comune [Περὶ τῆς
κοινῆς μαθηματικῆς ἐπιστήμης ],28 IV. L'Introduzione
all'aritmetica di Nicomaco [Περὶ mg Νιχομάκου
ἀριθμητικῆς
eiooyoyNic],2? V. La and variety of materials used in Or Pythagoreanism --
Platonic, Pythagorean, Aristotelian texts — a unity of conception and of
purpose has been found to organize the whole. The work is a protreptic to
“Pythagorean philosophy”, leading the reader from more familiar, “common”
truths up towards the higher “mysteries” of Pythagoreanism»), passi. 26 Tutti sanno che
l’appellativo di Surzzz4a, adoperato nel XII secolo, in unione a Sententiarum,
per indicare una raccolta o un compendio di queste ultime (ad es. la Surzzza
sententiarum attribuita a Ugo di San Vittore), passò nel secolo successivo a
significare non più una raccolta o stesura compendio- sa, bensi la sistemazione
organica delle trattazioni dei problemi, magari suscitati dalla lettura delle
Sertezzize, ma ormai assurte a dignità filosofica e teologica autonoma (fu
netta la distinzione tra sententiarius e summista): questo passaggio si era già
verificato con la Summa philosophiae attribuita a Roberto Grossatesta, ma venne
a piena maturazione con le due Surzzzae di Tommaso d’Aquino. Ebbene, io ritengo
che, almeno nell’intenzione, l’opera di Giamblico e quella di Tommaso non siano
affatto differenti. 2? Che non significa Vita di Pitagora, ma La vita condotta
secondo i prin- cipi pitagorici. 28 Indicata da alcuni come La scienza
matematica “generale”, titolo che a me sembra fuorviante nella misura in cui
non dà l’idea che si tratti di una scienza (o, meglio, di un insieme di
principi scientifici) che è comune a tutte le scienze matematiche; quindi non una
matematica generale accanto alle matematiche speciali, ma l’insieme dei
principi matematici che accomunano tutte le scienze matematiche, ovvero che
rendono tutte le matematiche una scienza unitaria. 29 Anche in questo caso
sarebbe fuorviante intitolare, come fanno alcuni, scienza aritmetica applicata
alla fisica [Περὶ τῆς ἐν φυσικοῖς ἀριθμη- τικῆς eno miungl,39 VI. La scienza
aritmetica applicata all'etica [Περὶ τῆς ἐν ἠθικοῖς ἀριθμητικῆς ἐπιστήμης
],"}: VII. La scienza aritmetica applicata alla teologia [Περὶ τῆς ἐν
θεολογικοῖς᾽2 ἀριθμητικῆς ἐπιστήμης],᾽» VIII. La geometria pitagorica [Περὶ
γεωμετρίας τῆς παρὰ Πυθαγορείοις], IX. La musica pitagorica [Περὶ μουσικῆς τῆς
παρὰ Πυθαγορείοις]. A questo punto si dovrebbe aggiungere il tito- lo del libro
X. L'astroromia” pitagorica [Περὶ σφαιρικῆς τῆς παρὰ Πυθαγορείοις]. Di questi
dieci libri noi possediamo solo i primi quattro, di cui il primo e il secondo
costituiscono una specie di avvia- mento e incitamento morale (e filosofico
generale) ad abbracciare la dottrina pitagorica, il terzo una specie di
introduzione generale alla matematica pitagorica, il quarto la prima
introduzione specifica alla prima scienza matematica, cioè all’aritmetica. I
libri quinto, sesto e settimo si muovevano intorno alle applicazioni dell’aritmetica
in set- tori scientifici diversi, ma non separati dalla matematica, e
trattavano precisamente degli aspetti fisico, etico e teologico
dell’aritmetica. Gli ultimi tre libri, infine, completavano la Sura pitagorica
con le altre tre introduzioni specifiche alle scienze matematiche che
nell'ordine seguivano l’aritmetica, e cioè alla geometria, alla musica e
all’astrono- mia. Il piano dell’opera, dunque, si presenta come una grande
enci- clopedia sistematica del pitagorismo, e cioè come una trattazione questo
quarto libro come Commentario all'Introduzione all'aritmetica di Nicomaco,
giacché si tratta in effetti di una esposizione ampliata e approfon- dita
dell'opera di Nicomaco di Gerasa, che peraltro possediamo e quindi possiamo
confrontare. Lo stesso Giamblico sembra talora indicare questo suo libro come
un vero e proprio trattato autonomo di Introduzione all'arit metica. 30 Si
potrebbe intendere anche come La scienza aritmetica considerata come fisica,
ovverosia La scienza aritmetica studiata secondo i principi della fisica, o
ancora La scienza aritmetica che si può trovare nella fisica. 31 Valga la
medesima considerazione fatta sul titolo del Libro V. 32 θεολογικοῖς è
congettura di Nauck sulla base di Giamblico Ix Nicom. 125,21: il MS fiorentino
ha θεοῖς. La correzione di Nauck non sembra indi- spensabile a Larsen, op. cit.
46, nota 69. 3} Valga la medesima considerazione fatta sul titolo del Libro V.
34 Ovvero La sferica. completa e organica della filosofia neoplatonica, che
coincide, nella mente di Giamblico, con l'autentica filosofia pitagorica.
Nessuna delle altre opere di questo maestro neoplatonico poteva essere estra-
nea a tale piano dottrinale, e tutte rientravano nell’ambito di esso, anche se
erano tecnicamente (scolasticamente) destinate a scopi diversi, come ad esempio
è il caso dei commentari a Platone e ad Aristotele. Gli scritti esterni alla
Sumzzza pitagorica si possono classificare in tre gruppi distinti: da un lato i
Trattati filosofici e teologici,35 dall’al- tro lato i Comzmzentari, e infine
le Epistole. I primi sono, in ordine di importanza (e di nostra conoscenza) e
al di fuori di ogni collocazione cronologica, i seguenti. Sui simboli [Περὶ
συμβόλων] (opera perduta: si trova un cenno in Girolamo, Contra Rufinur INI
39,507 A). Ritengo che si debba colle- gare, se non fare coincidere, questo
scritto con quello che Giamblico stesso promette in Protr. 112,2, dove, a
proposito del quinto “simbo- lo” pitagorico che prescrive di astenersi dal
mangiare il melanuro, perché è sacro agli dèi sotterranei, dice che ne parlerà
più diffusa- mente nel libro Sus simzboli.37 La teologia dell’aritmetica [Τὰ
θεολογούμενα τῆς ἀριθμητικῆς] (opera conservatasi in almeno nove MSS
classificabili in due famiglie e di valore molto disuguale). Quest'opera è stata
attribuita a Giamblico per via del fatto che potrebbe avere avuto lo stesso
conte- nuto del Libro VII che nel πίναξ della Zuvayoyù τῶν Πυθαγορείων δογμάτων
ha come titolo Περὶ τῆς ἐν θεολογικοῖς ἀριθμητικῆς ἐπιστήμης. Lo studioso che
ha prodotto il maggiore sforzo per dimo- 35 Si tenga conto del fatto che
filosofia e teologia costituiscono, per Giamblico e per tutti i neoplatonici a
lui posteriori, un’unica dottrina, essen- do la teologia nient'altro che il
coronamento della filosofia, 0, se si vuole, la vera e più alta filosofia. 3%
Giamblico, Protr. 107,3 Μελανούρου ἀπέχου’ χθονίων γάρ ἐστι θεῶν. Melanuro è il
nome del pesce che oggi si chiama “occhiata” [οὐίφία melanu- ra), che ha una
macchia nera sulla coda: melanuro, infatti, significa: dalla coda nera. 37 Il
termine simbolo equivale qui a precetto. [I strarne l'autenticità è stato H.
Oppermann; il quale attraverso un'accurata analisi degli estratti di Nicomaco e
di Anatolio contenuti in questo scritto, è giunto alla conclusione che il testo
che ci è perve- nuto deriverebbe da una vasta raccolta in cui erano stati messi
insie- me, tra gli altri, testi di Nicomaco e di Anatolio, e che tale raccolta
di testi coinciderebbe con il Libro VII della Summa pitagorica di Giamblico, da
cui avrebbe attinto l'anonimo excerptor. Nonostante la difesa di Oppermann, i
Theologoumena arithmeticae sono oggi consi- derati non autentici, e quindi
opera di Anonimo (indicati comune- mente come Ps.-Iamblichus o [Tamblichus]),
tesi che appare oggi confermata dalla ricerca di O’Meara sugli estratti di
Michele Psello dai Libri V-VII della Sura pitagorica39 I misteri degli Egizi
[Περὶ μυστερίων τῶν αἰγυπτίων]40 (opera conservatasi): si tratta della risposta
che Giamblico, sotto lo pseudo- nimo di un prete egiziano di nome Abammore,
indirizza a Porfirio quale autore della Epistola ad Anebone che affronta il
problema del significato e del valore filosofico dei riti misterici. Il titolo
completo, quindi, sarebbe stato questo: Risposta del maestro Abammone alla
Epistola ad Anebone di Porfirio e soluzioni delle questioni in essa con- tenute
[᾿Αβάμωνος διδασκάλου πρὸς τὴν Πορφυρίου πρὸς ᾿Ανεβὼ ἐπιστολὴν ἀπόκρισις καὶ
τῶν ἐν αὐτῇ ἀπορημάτων λύσεις]. La paternità giamblichea di quest'opera è stata
da alcuni, in epoche diverse, contestata con argomenti che alla fine sono
risultati ineffica- ci, se è vero che oggi la quasi totalità degli studiosi
ritiene che essa sia opera autentica e che anzi rappresenti il fulcro stesso di
una ricostru- zione del pensiero di Giamblico.4! Ciò sia detto con buona pace
di ΔΑ. Sodano -- autore in questa stessa Collana di una traduzione ita- 38 Cf.
«Gnomon», 5 (1929), 545-558 = rec. all'edizione De Falco del 1922. C£. anche V.
De Falco, Su/ testo dei Theologoumena arithmeticae in un codice parigino,
«Riv.Filol.Istr.Cl.», NS 64 (1936), 374-376, in riferimento a Oppermann, op.
cit., 545-548. 39 Cf. D.J. O'Meara, Pythagoras Revived, cit., 15 nota 24; 76
ss. 40 Un altro titolo tràdito è Περὶ τῆς αἰγυπτίων θεολογίας. 4U A parte
l’attestazione inequivocabile di Proclo conservata in uno sco- lio che oggi
viene premesso all’edizione del De reystertis (cf. ed. des Places, Paris 1966),
si cf. 5. Fronte, Sull’autenticità del “De Mysteriis” di Giamblico, «Siculorum
Gymnasium», 7 (1954), 234-255; B. Dalsgaard Larsen, liana ampiamente commentata
dell’opera --, il quale sostiene che «Giamblico non avrebbe mai scritto un
trattato qual è il De mysteriis, un manifesto dell’irrazionalismo cosi
scopertamente audace: era ancora troppo filosofo per farlo, nonostante Eunapio
cerchi di accre- ditare sul suo conto favole e prodigi. Di esso dovette essere
autore un’intellighenzia disperata che cercava con ogni mezzo, non escluso il
compromesso, di salvare le ultime istanze del paganesimo, un’'équipe di
difensori degli antichi ideali ellenici,42 che s’avviava tuttavia alla
superstizione e alla mistica teurgica».4? Se dovessimo accettare questo punto
di vista che vede nel De weysteriis un “manifesto dell’irraziona- lismo”,44
dovremmo ritenere come «non-filosofici» la maggior parte degli scritti dei
tardi neoplatonici, quali ad esempio Siriano, Proclo e Jamblique, cit., 47 ss.;
J. Dillon, Iamzblichus, «ANRW», cit., 876; e, da ultimo, D.J. O'Meara,
Pytbagoras Revived, cit., 101 ss. 42 Ma questo si potrebbe dire di tutti i
neoplatonici presi in blocco. 43 A.R. Sodano, Introduzione a Giamblico, I
misteri egiziani. Abammone, Lettera a Porfirio, Milano 1984, 35. 44 Valutazione
che Sodano riprende dal Dodds (The Greeks and the Irrational, Berkeley/Los
Angeles 1951). Ma occorre aggiungere che il Dodds nella Introduction alla sua
edizione degli Elements of Theology di Proclo, Oxford 1933 [19632] XIX, aveva
qualificato lo stesso De mysteriis come un «semi-philosophical treatise».
Sembra, purtroppo, che sia dura a morire la tendenza storiografica (alla quale
appartengono Dodds e Sodano) a mante- nere ad ogni costo la filosofia greca (ma
non solo la filosofia) scevra da ogni presunta “contaminazione” del cosiddetto
“irrazionalismo” orientale, men- tre dovrebbe essere assolutamente fuori
discussione il fatto che la civiltà greca, e soprattutto la filosofia greca,
contenevano in sé connaturati quei germi di “misticismo” che vediamo esplodere
(ma sono presenti in tutte le epoche) nell'età tardoantica in generale e nel
pensiero neoplatonico in parti- colare. In effetti il neoplatonismo non ritiene
per nulla “irrazionali” le pro- iezioni della mente (il neoplatonico direbbe
della ψυχή) ἐπέκεινα τοῦ λόγου (dove λόγος è proprietà comune sia alla διάνοια
che al νοῦς platonicamen- te intesi) nel processo di ricerca e di attingimento
del Principio assoluto. Insomma il teofogico non è negazione del razionale, ma
solo un suo supera- mento necessario alla sua stessa fondazione. Il ricorso
all’oriente, osserva acutamente Cambiano (Introduzione a E.R. Dodds,
Parapsicologia nel mondo antico, Bari/Roma 1991, XXIII), è servito da
espediente «per isolare la Grecia come regno della perfetta razionalità»:
pretensione quanto mai, que- sta si, irrazionale e antistorica! Damascio. Io resto, comunque, nella
convinzione che Giamblico, se visto con gli occhi dei platonici del IV-VI
secolo (intendo dire dell’età post-porfiriana) è “filosofo” anche come autore
del De wmeysterits, e che forse anche Porfirio è da collocarsi sullo stesso
piano di Giamblico, se ha ragione O'Meara quando dice che il concetto di
“filosofia greca”, presente nel De rzysteriis e in qualche misura anche nel De
anima di Giamblico, quale versione relativamente moderna degli insegnamenti
degli antichi Egiziani e Caldei, sembra essere stata al centro di molti scritti
di Porfirio.45 Sull’anima [Περὶ ψυχῆς] (opera perduta: frammenti in Stobeo e
altri [cf. Edizioni e Traduzioni, infra]): si tratta di un vero e proprio
trattato sull’anima che ha con il De anima di Aristotele solo relazioni
estrinseche di ordine tecnico-linguistico (tutt'altro, quindi, che un
Commentario al De anima di Aristotele, di cui peraltro sembrerebbe ragionevole,
allo stato della ricerca, escludere con Blumenthal l’esi- stenza).46 ΑἹ di là
delle apparenti convergenze con la psicologia aristo- telica su tematiche
specifiche e mai strutturali, quest'opera contiene una presentazione — sotto
forma di una discussione dell'itinerario del- l’anima (meglio, delle anime)
dalla caduta originaria al ritorno escato- logico attraverso tutte le vicende
dell’incorporazione — di quello stes- so Pitagorismo-Platonismo che costituisce
il fondo comune della Summa pitagorica e del De meystertis. Ciò che distingue
il De anima dalle altre opere di Giamblico è semmai un certo spessore dossogra-
fico che ne scandisce l'andatura argomentativa e teorica. Basti pensa- re, ad
esempio, alla nozione di “facoltà” (δύναμις) psichica che si svi- luppa, in
gran parte dei frammenti, secondo una concezione che si lascia alle spalle la
stessa nozione aristotelica da cui storicamente nasce, e che è caratterizzata
da una visione gerarchizzante e altamen- te mediativa che è tipica del pensiero
neoplatonico. Chi, come la Taormina,#? ha studiato a fondo tale teoria, sulla
base di un attento esame lessicografico confrontato in tutti gli scritti giamblichei,
ci tra- 45 Cf. DJ. O'Meara, Pythagoras Revived, cit., 101 5. 46 Cf. H.J.
Blumenthal, Did Iamblichus write a Commentary on the De
anima?,
«Hermes», 102 (1974), 540-556. 47 D.P. Taormina, I/ lessico delle potenze
dell'anima in Giamblico, Firenze 1990. INTRODUZIONE 21 smette la convinzione
che il De anizza si trova in un rapporto assolu- tamente organico con tutte le
altre opere di Giamblico, e soprattutto con il De mystertîs, all’interno di una
comune visione metafisica squi- sitamente neoplatonica che nulla ha a che
vedere con i referenti sto- rici estranei alla tradizione platonica, siano essi
aristotelici o stoici o di altra origine.48 Potrebbe coincidere con una parte
di quest'opera lo scritto riferi- to da Damascio con il titolo Περὶ ψυχῆς
μεταναστάσεως [Sulla migrazione dell'anima]. La perfettissima teologia caldaica
[Χαλδαϊκὴ τελειοτάτη θεολο- yia] (opera perduta: solo riferimenti e rari
frammenti): era una vastis- sima opera in non meno di 28 libri. Probabilmente
si trattava di un Commentario agli Oracoli caldaici, sull'esempio, forse, di
quello ana- logo di Porfirio e della Philosophia ex Oraculis dello stesso
Porfirio. Nella mente di Giamblico gli Oracoli caldaici dovevano occupare un
posto dello stesso valore e significato dei Misteri degli Egizi. Naturalmente
Giamblico, come tutti i neoplatonici, riteneva che i contenuti di verità
filosofico-teologica di queste tradizioni religiose coincidessero con quelli
della tradizione orfica, da un lato, e pitagori- co-platonica, dall’altro lato.
Un'idea, questa, che verrà a piena matu- razione con Siriano e Proclo. Ha
ragione, dunque, O°Meara quando afferma che «in conclusion, it is safe to say
that for the Iamblichus of On Mysteries, a Platonic, Egyptian, or Chaldaean
Theology could very suitable be read as a sequel to Ox Pytbagoreanism».49 Sugli
dèi [Περὶ θεῶν] (opera perduta: una testimonianza in Damascio a proposito della
distinzione, che egli attribuisce a Giamblico, tra εἶναι e ὑπάρχειν)."0 Un
Περὶ θεῶν è citato due volte 48 Ibidem, 36, dove si sostiene che secondo
Giamblico le δυνάμεις del- l’anima sono in stretta correlazione con la
struttura cosmologica di cui essa fa parte. Si cf. anche C. Steel, The Changing
Self. A study on the Soul in Later Neoplatonism: Iamblichus, Damascius and
Priscianus, Brussel 1978, dove è analizzata accuratamente, e con originalità di
interpretazione, la dottrina giamblichea delle alterazioni essenziali
dell'anima a causa del suo rapporto con il corpo. 4
D.J. O'Meara, Pythagoras Revived, cit., 95. 50 Cf. Damascio, De princ. II 71,25 s.
Westerink-Combès. 22 INTRODUZIONE nel De wmeystertis, ma che Giamblico intenda
riferirsi a un suo scritto non appare del tutto chiaro, e anzi alcuni lo
escludono. La questione è complicata dal fatto che un’altra opera sul “divino”
sotto lo stesso titolo, ma al singolare, Περὶ θεοῦ, è citata nel Protrepticus,!
dove sembra più sicuro che Giamblico alluda a un suo proprio scritto, che
tuttavia non si conosce da altra fonte. Potrebbero i due titoli indicare la
medesima opera.5? Sulle statue <degli dèi> [Περὶ ἀγαλμάτων] (opera
perduta: rias- sunta da Fozio, cod. 215), il quale la introduce dicendo che
Filopono aveva scritto una confutazione di quest'opera di Giamblico). Anche
Porfirio ha scritto un’opera dallo stesso titolo (edita da Bidez),53 ma
certamente di intonazione filosofica diversa se non opposta, si che appare
lecito pensare ad una risposta, anche in questo caso, come nel caso del De
mystertis, di Giamblico a Porfirio a proposito del valore e del significato
della rappresentazione immaginifica del divino. Del resto lo stesso argomento è
trattato in De wmysteriis III 28-29, 167,9- 173,8 Parthey. Commentari ad
Aristotele: opere perdute. I pochi frammenti con- servatisi riguardano le
Categorie e gli Analitici primi. Commentario alle Categorie. Grazie
all’abbondante uso che ne ha fatto Simplicio, noi possiamo oggi farci un’idea
sufficientemente chia- ra della valutazione che Giamblico dava dell’opera
aristotelica. La sua esegesi è un sapiente miscuglio di testi aristotelici,
porfiriani e di quel Pseudo-Archita che Giamblico considerava l’autentico
antico Pitagorico: su tale base Giamblico giudicava Aristotele fortemente
debitore non solo del platonismo, ma anche e soprattutto del pitago- rismo. E
se questo può apparire una scorretta e antistorica interpre- tazione della
logica di Aristotele, è tuttavia prova di quell’interesse ad armonizzare
Aristotele con Platone e Pitagora che da Giamblico in avanti sarà la via
maestra per recuperare al platonismo, nella misura 51 Cf. Giamblico, Protr
120,17. 52 Sul rapporto tra questa o queste opere e la Summa pitagorica, cf. O’Meara,
op. cit., 92 ss. A 33 1 Bidez, Vie de Porpbyre, Gand/Leipzig 1913; rist. Hildesheim
1980, 17-23*. INTRODUZIONE 23 del possibile, una parte della tradizione
peripatetica quale segno della sua origine platonica. È probabile che i pochi
frammenti che si riferiscono a Giamblico nella tradizione dei Commentari al De
interpretatione (Ammonio e Stefano, soprattutto) non provengano da un
commentario di Giamblico a quest'opera aristotelica, bensî dal suo Commentario
agli Analitici primi. Commentario agli Analitici primi. I pochi frammenti
rimasti servo- no appena a darci un'idea della divergenza di Giamblico da
Alessandro di Afrodisia su un paio di questioni relative alla dialettica e alla
struttura del sillogismo. Ancora una volta si trova testimoniato l'interesse
del filosofo neoplatonico a tirare Aristotele dalla parte di Platone contro la
tradizione peripatetica basata su un’esegesi rispet-
tosamente
conservativa del testo aristotelico. E poco probabile che Giamblico abbia
composto un Cormrzentario al De caelo, ma sembra da Simplicio che si sia
occupato anche di que- st'opera, dal momento che — se dobbiamo credere a
Simplicio -- Siriano si sarebbe appoggiato, nella sua confutazione della
interpreta- zione che Alessandro aveva dato dello σκοπός di questo trattato
ari- stotelico, all'opinione di Giamblico. Ancora più scarsa è la probabilità
che Giamblico abbia scritto un Commentario alla Fisica di Aristotele: non
sembra che i frammenti incertae sedis che si possono attribuire a Giamblico
nell'omonimo Commentario di Simplicio provengano da Giamblico.54 Commentari a
Platone: opere perdute. Un buon numero di fram- menti e testimonianze in
parecchi autori posteriori ci attestano che Giamblico ha scritto un Commentario
al Timeo, un Commentario al Parmenide e un Commentario al Fedro. Esistono anche
numerosi rife- rimenti a punti dottrinali relativi all’A/cibiade I, al Fedone,
al Filebo55 54 Si cf. Dalsgaard Larsen, op. cit. 54 s. 55 Tra i frammenti
relativi a questo dialogo il Larsen inserisce un passo (il fr. 194) ricavato da
Damascio, ma che si trova anche citato due volte da Proclo, Theol. Plat. 3,11 =
44,5; 3,13 = 48,25 Saffrey-Westerink. Dillon lo riferisce nel Cow. al fr. 7
relativo a In Phil. (pp. 262 s.). La difficoltà di col- locazione che pone tale
frammento sta nel fatto che la prima citazione di Proclo sembra accompagnata da
un riferimento preciso a un’opera di 24 INTRODUZIONE e al Sofista. Ma quello
che ci permette di valutare l’esegesi giambli- chea sui dialoghi platonici
contenuti in tali resti dei suoi commentari è il fatto che noi conosciamo il
criterio da lui suggerito e applicato allo studio ordinato dei dialoghi secondo
un preciso ordine di lettura. Tale criterio o Carone di lettura è fondato su
una rigorosa classificazione degli stessi dialoghi a seconda del loro ruolo
nella formazione del filo- sofo neoplatonico. Tutto ciò ci è stato tramandato
da uno scritto ano- nimo del VI secolo (circa duecento anni dopo la morte di
Giamblico) conosciuto come Prolegomena philosophiae Platonicae.56 La lettura di
Platone deve cominciare con l’A/cibiade I continuare con i due dia- loghi
etici, Gorgia e Fedone, i due dialoghi logici, Cratilo e Teeteto, i due
dialoghi fisici, Sofista e Politico, i due dialoghi teologici, Fedro e
Simposio, e concludersi, passando attraverso un dialogo cerniera, il Filebo,
con i due dialoghi più importanti — perché contenenti la dot- trina platonica
al suo grado sommo --, uno fisico, il Tirzeo, e l’altro teologico, il
Parmeride. Questo schema si fisserà nella prassi didatti- ca delle varie Scuole
neoplatoniche dei secoli IV-VI, come è possibi- le verificare soprattutto in
Siriano e in Proclo. Ep:stole (opere perdute; estratti in Stobeo): si tratta di
una ventina di lettere che trovano il loro titolo nella classificazione che ce
ne dà Stobeo [il numero tra parentesi indica la successione degli estratti
dalla medesima lettera]: A Poimenio (sul demiurgo e la sua provvidenza) A
Macedonio (1) e A Sopatro (1) (sul destino)
A
Dessippo e Giamblico dal titolo Πλατωνικὴ θεολογία. Il Saffrey nella Note
compl. ad loc., mettendo a confronto Proclo, Theo! Plat. 3,11, con Proclo, Ix
Parra. VI 1067,33 s., avanza un ragionevole dubbio sull’esistenza di una tale
opera di Giamblico, dubbio che viene da lui stesso trasformato in negazione
certa in un contributo più recente: La Théologie Platonicienne de Proclus et
l’histoire du néoplatonisme (IVe-Ve siècles), in Proclus et son influence, ed. G.
Boss & G. Seel, Ziirich 1987, 39-41 [29-441, in cui egli è tornato
opportunamente e con forti argomenti sullo stesso problema. 56 Edizioni di C.F
Hermann, Platonis opera VII, Lipsiae 1875, 52-78, e di L.G. Westerink,
Anonymous Prolegomena to Platonic Philosophy, Amsterdam 1962. INTRODUZIONE 25 A
Sopatro (2) (sulla dialettica) A Macedonio (2) (su ciò che è in nostro potere,
cioè sul libero arbitrio) A Eustazio e A Sopatro (3) (sull'educazione) A
Macedonio (3) (sulla concordia) A Sopatro (4) (sull’ingratitudine) A Sopatro
(5) e A Sopatro (6) (sulla virtù) Ad Asfalto (sulla prudenza) Ad Arete (1) e Ad
Arete (?) (2) (sulla temperanza) Ad Olimpio (sul coraggio) Ad Anatolio (sulla
giustizia) A Sopatro (7) (sulla verità) A Sopatro (8) (sul pudore) A Sopatro
(9) (sull’onestà) A Discolio e Ad Agrippa (sul governo) ? (sul matrimonio) A
Sopatro (10) (sulla felicità). 7 Il prevalente interesse etico delle Epistole,
accompagnato da un certo interesse anche pedagogico e politico, testimonia del
prestigio che Giamblico godeva presso i suoi discepoli e i suoi amici, oltre
che del ruolo di “padre spirituale” che il maestro neoplatonico in genera- le
esercitava in funzione e nel quadro del suo insegnamento. 3. La Vita di
Pitagora. È il libro che apre la Surmzzza pitagorica in quanto costituisce la
pre- messa generale di tutto il discorso contenuto nei libri successivi.” 57 A
me sembra indiscutibile il fatto che la Vita di Pitagora costituisca
effettivamente una sorta di Introduzione alla Summa pitagorica e faccia, quin-
di, parte integrante di quest’ultima anche dal punto di vista del progetto
generale che Giamblico aveva in mente quando si accingeva a scrivere, nel loro
ordine naturale, i vari trattati della suo “sistema di filosofia pitagorico-
(neo)platonica”. Era indiscutibile, infatti, per Giamblico l’idea che Pitagora
26 INTRODUZIONE
Cosi
come appare dal sormzzario, che certamente risale allo stesso Giamblico e che
si trova all’inizio del testo, lo scritto consta di 36 sezioni, suddivisi in
267 capitoli, che sono denominati κεφάλαια, ter- mine che non significa
precisamente “capitoli”, ma — come giusta- mente traducono e spiegano Saffrey e
Westerink nella loro edizione del primo libro della Theologia Platonica di
Proclo —,78 “argomenti principali” («principaux sujets»), quindi “contenuto”
articolato e suddiviso, appunto “sommario” (non “indice”, ovviamente) nel senso
moderno del termine. Ciascuna delle 36 sezioni del sorzzzario com- prende un
numero vario di capitoli (0, se si preferisce, paragrafi) a seconda della
lunghezza e complessità degli argomenti segnalati, per rappresentasse il punto
di partenza di ogni discorso filosofico in chiave (neo)platonica, essendo
Pitagora, non soltanto fonte primaria del (neo)pla- tonismo in quanto maestro
del maestro Platone, ma anche fondatore di quel pitagorismo con cui -- in
ultima analisi -- si identificava (almeno nella valuta- zione di Giamblico)
l’intera tradizione platonica. È questa la ragione di fondo per la quale -- a
mio avviso — è impossibile o, quanto meno, irragione- vole ammettere — al di là
di ogni possibile accostamento per analogia — che l'intenzione di Giamblico
nello scrivere (meglio, nel comporre sulla base delle fonti più disparate) la
Vita di Pitagora fosse quella di contrapporre una sorta di “vangelo pagano” ai
vari vangeli cristiani attraverso la descrizione di un modello di vita
altrettanto divino quanto quello di Cristo, ma al tempo stesso accettabile da
parte dei pagani (e non soltanto dei filosofi) al contra- rio di quest’ultimo.
Tentativi di interpretare la Vita di Pitagora di Giamblico in questo senso si
sono riaffermati in occasione della ripresentazione dell’edi- zione di Michael
von Albrecht, Jam:blich, Pythagoras: Legende - Lebre - Lebensgestaltung,
Darmstadt 2002 (la prima edizione risale al 1963), in cui si trovano dei
contributi esplicitamente miranti allo scopo suddetto, e precisa- mente quello
di David 5. du Toit, He:lsbringer im Vergleich: soteriologische Aspekte im
Lukasevangelium und Jamblichs Vita Pythagorica, pp. 275-294, quello di J.
Dillon, Die Vita Pythagorica - ein “Evangelium”, pp. 295-301, e quello di Martin
George, Tugenden im Vergleich. Ibre soteriologische Funktion in Jamblichs Vita
Pythagorica und Athanasius Vita Antontii, pp. 303- 322, senza contare 58 C£. Proclus,
Théologie platonicienne, Livre I, texte établi et traduit par H.D. Saffrey et
L.G. Westerink, Paris 1968, p. 1 e p. 129, nota 2: «un xegd- λαῖον —
si legge in questa nota — est un sommaire des matières principales contenues
dans un chapitre. C'est une courte phrase exprimant aussi fidèle- ment que
possible le contenu du texte, les thèses établies, les principes mis en jeu,
les sources utilisées, la méthode suivie». INTRODUZIONE 27 cui ci
sono delle sezioni che comprendono solo due capitoli, ad esem- pio le sezioni
1, 4, 7, 12, ecc., ma ce ne sono alcune che ne compren- dono parecchi,
addirittura fino a ventisette capitoli, come ad esempio la sezione 31. In
quest’ultimo caso la materia di cui si tratta è abba- stanza densa e
articolata, come si può arguire dal titolo stesso del κεφάλαιον: «Sulla
temperanza: come Pitagora la praticò e la insegnò agli uomini con parole e
opere e con ogni mezzo, e quante e quali spe- cie di temperanza egli stabili
tra gli uomini». La successione degli argomenti del Sommario, considerata da un
punto di vista teorico, si presta ad alcune considerazioni critiche. Dopo la
prima sezione (capp. 1-2), che costituisce una specie di “proemio” in cui
Giamblico parla della filosofia pitagorica in generale e delle difficoltà che
com- porta la sua esposizione, segue una seconda sezione (capp. 3-12), in cui
egli tratta della famiglia e della patria di Pitagora, dei suoi primi studi e
dei suoi primi viaggi. Le sezione 3-4 (capp. 13-19) espone soprattutto il
soggiorno di Pitagora in Egitto, dove viene iniziato ai sacri misteri degli
Egizi, e il suo ritorno a Samo. La sezione 5 (capp. 20-27) comincia a trattare
dei metodi di insegnamento di Pitagora: Pitagora, scrive Giamblico, «intraprese
il suo insegnamento che era di tipo simbolico e assolutamente simile a quegli
insegnamenti egiziani in cui egli era stato educato». La sezione 6 (capp.
28-32) è dedicata all’espatrio di Pitagora da Samo, dove egli - pensava — non
avrebbe potuto continuare a dedicarsi alla filosofia, e alla sua partenza per
l’Italia: «salpò verso l'Italia — scrive Giamblico --, ritenendo che sua patria
sarebbe stata quella regione che avesse il maggior numero di uomini ben
disposti ad apprendere». Egli si stabili a Crotone, dove «raccolse ben seicento
uomini, che non solo furono da lui spinti a stu- diare la filosofia che egli
insegnava, ma divennero, secondo i suoi pre- cetti, per cosi dire dei
“cenobiti”». E furono questi i veri filosofi pita- gorici, cioè i veri
discepoli di Pitagora, perché tutti gli altri erano dei semplici uditori,
indicati appunto con il nome di “acusmatici”. I membri della comunità sorta a
Crotone «ricevettero da Pitagora leggi e comandamenti da valere come “regole
divine” [νόμους te παρ᾽ αὖ- τοῦ δεξάμενοι καὶ προστάγματα ὡσανεὶ θείας
ὑποθήκας)». Le sezioni 7-11 (capp. 33-57) trattano dei rapporti che Pitagora
tenne con le città siciliane e soprattutto con i Crotoniati. Grazie al suo
inte- ressamento, «quelle città — scrive Giamblico — furono dotate di buone 28
INTRODUZIONE legislazioni, per cui rimasero a lungo oggetto di invidia da parte
dei loro vicini». Spesso Pitagora indirizzava ai cittadini di tali città delle
allocuzioni, anche sotto forma di consigli, che si possono compendia- re, dice
Giamblico, nella seguente sentenza (ἀπόφθεγμα): «Bisogna allontanare con ogni
mezzo e sradicare col ferro e col fuoco e con vari espedienti, dal corpo la malattia,
dall'anima l’ignoranza, dal ventre la ghiottoneria, dalla città la ribellione,
dalla casa il dissenso, e al tempo stesso la sproporzione in ogni cosa». Le
sezioni 12-16 (capp. 58-70) sono consacrate ai principi fondamentali
dell’insegnamento filosofico di Pitagora, soprattutto al principio secondo cui
la vera sapienza, con cui si identifica la filosofia, è quella che si acquista
attraverso lo stu- dio delle matematiche: «Orbene -- scrive Giamblico —, bella
è la con- templazione dell’intero universo e degli astri che in esso si
muovono, qualora si riconosca il loro ordine, ma questo è tale per
partecipazio- ne del Primo e dell’Intelligibile. Ma il Primo era quello <di
cui parla- va Pitagora>, cioè la natura dei numeri e dei rapporti, natura che
si estende per tutto l'universo, e numeri e rapporti secondo cui tutto è stato
coordinato in maniera armonica e organizzato in maniera con- veniente». Grande
peso Pitagora dava all'educazione musicale, che egli fissò come prima forma di
educazione, ma ancora più peso egli dava, ovviamente, all'educazione
dell'anima: «Pitagora — scrive Giamblico — curava divinamente e purificava
l’anima e riaccendeva la scintilla del divino che è in essa e manteneva sano e
riconduceva verso l’Intelligibile l'occhio divino <dell’anima>, che,
secondo Platone, è giusto salvare più che migliaia e migliaia di occhi
carnali». Le sezioni 17-25 (capp. 71-114) racchiudono nel loro complesso tutti
gli elemen- ti essenziali del metodo di insegnamento e della dottrina di
Pitagora: 1) rigoroso esame del carattere a cui egli sottoponeva chi voleva
entra- re nella scuola, esame condotto mediante severissime prove che l’aspi-
rante pitagorico doveva sostenere positivamente per tre anni di segui- to; 2)
cinque anni di pratica del silenzio, durante i quali i beni dei neo- fiti
venivano messi in comune; 3) dopo i cinque anni di silenzio, se avevano
superato tutte le prove, gli aspiranti venivano ammessi alla scuola con il
titolo di “esoterici” e potevano vedere e ascoltare Pitagora all’interno della
“tenda” (ἐντὸς σινδόνος);59 4) coloro che 59 Sono questi i cosiddetti uditori
interni, come spiega Giamblico più avanti, da distinguersi dai cosiddetti
uditori esterni. C£. Vita Pyth. cap. 89. INTRODUZIONE 29 non superavano le
prove, e quindi venivano respinti, «ricevevano il doppio dei loro beni, e per
essi veniva innalzata una tomba, come fos- sero morti»; 5) le matematiche erano
il fulcro dell’insegnamento e della dottrina di Pitagora: «grande e
assolutamente necessaria, scrive Giamblico, era — a parere di Pitagora — la
cura che occorre avere delle matematiche prima che della filosofia»; 6) sulla
base del merito che i discepoli si guadagnavano nel frequentare le lezioni di
Pitagora, que- sti li distingueva in due gruppi, «chiamando alcuni
“Pitagorici”, altri “Pitagoristi” (τοὺς μὲν Πυθαγορείους καλέσας, τοὺς δὲ
Πυθαγοριστάς)». Ma si faceva anche un’altra distinzione, basata su una doppia
specie di filosofia pitagorica (δύο ἦν εἴδη τῆς φιλοσοφι- ‘ag), per cui quelli
che praticarono questa filosofia «si divisero in due generi — scrive Giamblico
—: da un lato gli “acusmatici”, dall’altro lato i “matematici”. Tra questi, i
matematici erano concordemente consi- derati dagli altri come “pitagorici”,
mentre gli altri non considerava- no tali gli “acusmatici”, e concordavano sul
fatto che la dottrina di questi ultimi non era quella di Pitagora, bensi di
Ippaso»;f0 7) a parte i metodi delle scienze matematiche, l'insegnamento di
Pitagora era basato su due metodi pratici: quello delle proibizioni e quello
dei sim- boli: quest’ultimo era certamente il metodo preferito da Pitagora; 8)
esistono infine alcune norme alimentari che Pitagora prescriveva nella
convinzione che «anche l'alimentazione, quando è buona e ordinata, dà un grande
contributo alla migliore educazione»: la prima di tali prescrizioni era
certamente quella di non cibarsi della carne degli ani- mali. La sezione 26
(capp. 115-121) espone le varie vicende che por- tarono Pitagora alla scoperta
dei rapporti armonici e in generale della musica. La sezione 27 (capp. 122-133)
si occupa dell’insegnamento giuridico-politico di Pitagora e dei Pitagorici,
nonché naturalmente della loro attività legislativa. Le sezioni 28-34 (capp.
134-247) servo-
no
a Giamblico per affrontare il «discorso sulle opere virtuose di Pitagora, non
prendendole cosi in generale, bensi dividendole virti per virti». E cosi si
parla di ciò che egli insegnò e praticò a proposi- 60 E interessante notare che
«la filosofia degli acusmatici è composta di “detti” privi di dimostrazione e
di argomentazione (ἀναπόδεικτα καὶ ἄνευ λόγου)». Gli ἀκούσματα, donde traggono
il loro nome i cosiddetti “acusma- tici”, erano dei semplici precetti orali,
delle istruzioni, alla stessa maniera dei cosiddetti σύμβολα, altro termine che
esprime lo stesso concetto pitagorico. 30 INTRODUZIONE to della santità
(ὁσιότης), della sapienza (σοφία), della giustizia (δικα- rocvvn), della
temperanza (σωφροσύνη), del coraggio (ἀνδρεία), del- l'amicizia (φιλία), e così
via. La sezione 35 (capp. 248-264) racconta le vicende del conflitto che a
Crotone gli “uomini di Cilone” scatena- rono contro Pitagora e i suoi discepoli
e che condusse alla fine di quella scuola, non certo della dottrina che
Pitagora vi aveva insegna- to. Pitagora dovette rifugiarsi a Metaponto, dove
poi mori. L'ultima sezione, la 36 (capp. 265-267), parla infine dei successori
di Pitagora, indicati nome per nome e città per città, almeno — scrive
Giamblico — dei Pitagorici che ci sono noti, perché «molti, naturalmente, sono
rimasti sconosciuti e anonimi». Sono in tutto 218 uomini e 17 donne.6! 4.
Esortazione alla filosofia. È il secondo libro della Sumzzz4 pitagorica e
costituisce — a differen- za della Vita Pyth. — la prima trattazione dottrinale
avente per argo- mento la validità assoluta della filosofia di Pitagora quale
strumento di acquisizione di quella sapienza (σοφία) nella quale è necessario,
secondo Giamblico, vivere se si vuole essere felici. La filosofia di cui tratta
il Protrepticus si identifica, infatti, con la filosofia pitagorica: non c'è
altra filosofia che abbia valore laddove si prescinda da questa. Non si tratta,
dunque, di una comune e generica esortazione a filoso- fare -- come poteva
essere, ad esempio, il Protrepticus di Aristotele (che del resto costituisce
una delle fonti primarie di questo libro di Giamblico) -,62 bensi di
un’esortazione ad abbracciare e praticare 6! Per uno sguardo sintetico, ma
efficace, del problema delle fonti della Vita di Pitagora di Giamblico, rinvio
il lettore alla Introduction. Annexe 1 della traduzione di Brisson&Segonds.
Sono interessanti anche alcuni para- grafi dell’Introduzione alla traduzione di
M. Giangiulio e il paragrafo III. The Biographical Traditon dell’Introduction
alla traduzione di Dillon/Hershbell. 62 Di questa discriminante tra il
Protrepticus giamblicheo e la sua parzia- le fonte aristotelica non hanno
tenuto conto in genere gli studiosi che negli ultimi centocinquant’anni si sono
arrovellati sul problema della ricostruzio- ne del Protrepticus aristotelico
sulla base della sua fonte principale, appunto Giamblico. E quel che più
sorprende è il fatto che da parte dei maggiori esponenti di tale schiera di
aristotelisti, ad eccezione del solo Rabinowitz, mi riferisco soprattutto al Diiring,
Giamblico quale fonte di Aristotele è stato fino in fondo uno stile di vita
filosofico che peraltro coincide con quello esposto e commentato nel primo
libro. Le prime battute del Protr., in effetti, sono una chiara testimonianza
di quest'idea di Giamblico, il quale scrive di volere trattare anzitutto [è il
titolo del primo κεφάλαιον] di «Quale sia l’inizio della introduzione
all’educazione e alla filosofia secondo <l’insegnamento di> Pitagora [ἢ
ἀρχὴ κατὰ Πυθαγόραν τῆς εἰς παιδείαν καὶ φιλοσοφίαν εἰσαγωγῆς], e come tale
introduzione sia la più comune e quella che si estende a tutti i beni relativi
alla filosofia, e quale sia il suo ordine e il fatto che si divida in tre
parti, e come proceda sempre verso ciò che è più puro». Interessanti ambedue le
espressioni: a) “inizio dell’introduzio- ne” e Ὁ) “all'educazione e alla
filosofia”, dove si può notare una certa ridondanza e insistenza quale sintomi
dell’assoluto valore di ciò di cui si vuole trattare. Il Protr. contiene 21
capitoli di varia lunghezza e complessità a seconda della materia trattata, che
va dalle semplici opinioni comuni messe a confronto con quelle, molto più
importanti, dei Pitagorici fino alla catalogazione e interpretazione dei
cosiddetti “simboli pita- gorici” in cu si racchiude essenzialmente tutta la
sapienza di Pitagora. Il cap. 1 — come si è già detto — affronta in generale il
senso e il valo- re di ogni esortazione alla filosofia pitagorica: occorre
partire dal generale per procedere verso il bene più perfetto e il fine ultimo
di ogni sapere: «cosi come l’anima procede a piccoli passi dalle cose minori a
quelle maggiori — scrive Giamblico —, e attraversando tutte le cose belle
scopre alla fine i beni più perfetti, allo stesso modo occorre anche che
l'esortazione proceda partendo dalle cose genera- li». Ma le cose minori e
prime per noi sono appunto le “sentenze note ai più [γνωρίμους τοῖς πολλοῖς
γνώμας" che altro non sono se non “imitazioni rispetto alle chiare
indicazioni della realtà [ἀπεικαζομέ- νας πρὸς tà ἐναργῆ δείγματα τῶν ὄντων]".
È questo l'argomento del cap. 2, che si conclude con queste parole: «Chi
presenterà tali tipi di giudicato quasi del tutto privo di originalità
filosofica, nient'altro che un mero astuto compilatore. Per una esposizione
aggiornata della storiografia su tale argomento, rinvio a E. Berti,
Introduzione alla sua nuova traduzione, con testo a fronte, di Aristotele,
Protreptico, Torino 2000. Da segnalare anche l’interessante articolo pubblicato
nel 1978 da S. Griffo negli «Annali della SNS di Pisa» (cf. Bibliografia). 32
INTRODUZIONE sentenze/immagini [γνωμικὰ ὁμοιώματα] derivanti da cose evidenti,
farà un’esortazione generale alla filosofia». Il cap. 3 parla delle esor-
tazioni sotto forma di sentenze che invitano e raccomandano la filo- sofia
contemplativa. Tali sentenze che sono diverse da quelle imaginifiche di cui si
parla nel cap. 2, Giamblico le trae tutte dal Carmen aureum attribuito dalla
tradizione a Pitagora. La prima è questa: «Fatica su queste cose, praticale,
occorre che tu le ami: esse ti porran- no sulle tracce della divina virtù ». E
l’interpretazione che ne dà Giamblico è la seguente: «Attraverso queste parole
Pitagora esorta a tutto ciò che di bello c'è nelle scienze e nelle occupazioni
matemati- che, ritenendo che non ci si debba risparmiare le fatiche, né
trascura- re alcuna pratica di studio, stimolando all’amore e all'impegno per
le cose belle, e riducendo tutto questo alla pratica della virtà, e non sem-
plicemente di una qualsiasi virtà, ma di quella che ci allontana dalla natura
umana, e ci conduce alla divina essenza e alla conoscenza e all'acquisizione
della divina virtù». I capp. 4-5 insistono ancora sulle esortazioni alla
filosofia contemplativa, aggiungendo le ragioni per cui tali esortazioni
pitagoriche sono diverse da quelle di tutti gli altri filo- sofi, in quanto i
Pitagorici -- scrive Giamblico -- davano il loro incita- mento alla filosofia
«rafforzandolo ingegnosamente e rendendolo cre- dibile con dimostrazioni
assolutamente scientifiche e che non com- portavano alcuna inconsequenzialità».
Questa volta il discorso di Giamblico prende avvio dall'opera di Archita® dal
titolo Sulla sapien- za [Περὶ σοφίας], esattamente dalla seguente esortazione
che apre lo scritto: «La sapienza differisce fra tutte le cose umane tanto
quanto differisce la vista fra <tutti> i sensi corporei, [49] e
l’intelletto differi-
sce
dall'anima quanto il sole da <tutti gli altri> astri ». Il cap. 6 affron-
ta il tema delle esortazioni alla vita civile e pratica e il cap. 7 quello
dell’esortazione alla prudenza [φρόνησις]. Il cap. 8 affronta il tema
dell’esortazione alla filosofia partendo dalle nozioni comuni, conclu- dendo
che tali nozioni «esortano al dovere di filosofare teoreticamen- te e di vivere
il più possibile la vita secondo scienza e intelligenza». Il cap. 9 spiega come
sia possibile conseguire lo stesso risultato parten- do dalla “intenzione della
natura [ἀπὸ τοῦ τῆς φύσεως BovAmpatog]”: 6 Ovviamente Pseudo-Archita. Cf. H.
Thesleff, The Pythag. Texts, Àbo 1965. 43. tutto il ragionamento si basa sulla
teoria aristotelica della relazione tra natura e tecnica viste come cause
produttrici. Ovviamente anche in questo caso si torna a trattare della prudenza
quale facoltà o virti che il saggio pitagorico deve scegliere non per trarne
vantaggi, ma per se stessa. Ma l’attività contemplativa reca ugualmente dei
vantaggi alla nostra vita. È questo il tema del cap. 10: «Ma che la prudenza
con- templativa ci fornisca anche delle grandissime utilità per la vita umana,
lo si potrà scoprire facilmente partendo dalle tecniche». I capp. 11-16
trattano della felicità che consegue al vivere secondo pru- denza e che è causa
per noi dei piaceri più puri: il filosofare pitagori- camente fa sî che noi
riceviamo continuamente diletto e godimento dal contemplare: εὐφραινόμενοι καὶ
χαίροντες συνεχῶς ἀπὸ τοῦ θεωρεῖν. Gli uomini comuni non possono comprendere la
situazione del filosofo che abbandona i piaceri materiali per non essere
turbati nella ricerca dei principi divini su cui costruire la propria sapienza
e prudenza. «Se dunque l’anima -- scrive Giamblico — non riesce a rag- giungere
la verità quando cerca di esaminare qualcosa in compagnia del corpo (perché è
chiaro che in questo caso viene da quello ingan- nata), allora è in qualche
modo nella sua capacità di ragionare, se ne ha possibilità da qualche altra
parte, che essa può acquisire in modo chiaro qualcosa della realtà. Ma essa,
come io credo, ragiona nel migliore dei modi, quando nessuna sensazione la
turba, né l'udito né la vista né alcun dolore né alcun piacere, ma essa si
trova in sé e per sé al massimo livello lasciando che goda <soltanto> il
corpo, e per quanto le sia possibile, non avendo né comunione né contatto con
esso, desideri il <vero> essere». Ecco il fine ultimo dell’esortazione
alla filosofia: isolarsi dal corpo e trovare nella sola anima la via verso la
verità e la felicità. «Dunque anche quaggit l’anima del filosofo disprezza al
massimo il corpo e rifugge da esso, e cerca di starsene in sé e per sé».
Occorre dunque esortare a filosofare e ad acquistare la vera educazione, dal
momento che «l’educazione non è quella che alcuni di coloro che ne fanno
professione dicono che sia. Essi presu- mono di introdurre in qualche modo la
scienza nell'anima che ne è priva, come se introducessero la vista in occhi
ciechi». La παιδεία pitagorica, invece, «consisterà in una conversione che è in
qualche modo la più facile ed efficace, perché tenta non di immettere nell’oc-
chio <dell’anima> la capacità di vedere, ma di far sî che esso, che pos-
siede già quella capacità, senza però averla rivolta nel senso giusto per
potere vedere ciò che deve vedere, possa realizzare il suo fine». Il cap. 17
affronta il tema dell’esortazione alla vita temperante, moderata e ordinata
«partendo dai discorsi degli antichi e dai miti sacri e dagli altri miti,
<soprattutto> da quelli pitagorici». Il cap. 18 giunge allo stesso
risultato attraverso un percorso analogico [κατ᾿ ἀναλογίαν], perché, «partendo
dai fenomeni che si manifestano nel corpo, passa ai mali e ai beni dell’anima».
Il cap. 19 percorre la medesima strada in senso inverso, perché parte dai beni
dell'anima e mostra quanto essi siano superiori a quelli del corpo. Il cap. 20
tratta dell’esortazio- ne alla filosofia partendo dalle sue divisioni che non
sono tra loro avulse, ma tutte in continuità. Occorre convincersi che nessuna
azio- ne può essere compiuta nel migliore dei modi senza la filosofia e che tra
le virtà la continenza [ἐγκράτεια] è fondamentale non solo per il filosofo, ma
anche per ogni uomo: «in verità ogni uomo dev'essere particolarmente continente
al massimo livello; tale è soprattutto, se è superiore alla ricchezza [sc.
incorruttibile], che è ciò per cui tutti gli uomini si lasciano corrompere, e
se non risparmia la sua vita nel trat- tare seriamente diritti e doveri di
ciascuno e nel perseguire la virtù, perché è appunto nei riguardi di queste due
qualità che i più si rive- lano incontinenti». Il cap. 21, l’ultimo, dopo avere
distinto tre modi di esortazione alla filosofia: «quello per simboli, che
appartiene pro- priamente alla scuola <pitagorica> ed è nascosto a tutte
le altre scuo- le, quello volgare e comune a tutte le scuole, come terzo infine
quel- lo mediano tra le due, che non è né assolutamente volgare né diretta-
mente pitagorico, ma neppure avulso completamente dall’uno e dal- l’altro»,
viene fornito un catalogo completo dei vari “simboli” pitago- rici seguito da
una dettagliata interpretazione simbolo per simbolo. I simboli sono in tutto 39
e nascono dal fatto che i Pitagorici «adotta- vano, in ottemperanza della
regola del silenzio nei misteri, imposta loro come legge da Pitagora, modi di
esprimersi in forma segreta anche nei confronti dei non iniziati e coprivano
con i simboli le reci- proche discussioni o i loro scritti». «In verità —
scrive Giamblico, a conclusione della catalogazione, prima di darne i
significati — tutti questi simboli sono nel loro insieme delle esortazioni ad
ogni virti, ma presi singolarmente sono ciascuna un’esortazione a una singola
virtù; essi sono appropriati a questa o a quella parte della filosofia e
dell’istruzione, ad esempio i primi simboli sono subito raccomanda-
zioni
alla pietà e alla scienza divina». Cosi si chiude il terzo libro della Summa
pitagorica, che — come si può vedere — presenta un carattere sia letterario che
filosofico molto divergente da quello degli altri sin- goli libri. E tuttavia
ritengo che lo σκοπός del Protr. sia perfettamen- te in linea con il piano
generale del progetto giamblicheo della Zuvayoy e quindi anche con lo σκοπός
dell'intera opera, che qui viene presentata, con traduzione italiana e testo a
fronte, nel medesi- mo ordine in cui è stata scritta e tramandata. 5. La
Scienza matematica comune. Le quattro scienze matematiche: aritmetica,
geometria, musica (o armonica) e astronomia (o sferica), si distinguono da
tutte le altre scienze perché hanno come oggetto di studio una realtà distinta
da quella delle altre scienze, e cioè perché la realtà matematica ha una natura
inconfondibile. La realtà matematica non è né di natura intel- ligibile né di
natura sensibile, bensi di natura intermedia tra le due.65 Una prima
conseguenza di ciò è che gli enti matematici, secondo una tale visione
scientifica, non sono concetti astratti dai sensibili, ma enti 6 Per quanto
concerne il problema delle fonti, che nel caso del Protr. costituisce un annoso
rompicapo, rinvio il lettore ad alcuni paragrafi della Notice della traduzione
di des Places. Molto utile è tuttavia la discussione che si trova
nell'Introduzione di E. Berti, Aristotele. Protreptico, cit., dove sono
efficacemente sottoposte ad analisi critica le varie tesi sul Protrepticus di
Giamblico quale fonte più o meno fedele del perduto scritto omonimo di
Aristotele. Non si può non riconoscere che il Protr. è una compilazione di
testi attinti da vari scrittori e amalgamati insieme dallo stile di Giamblico e
dal suo modo di pensare neoplatonico. Mi sento di
condividere il seguente giudizio del During (Aristotle's Protrepticus, Gòteborg
1961, p. 26); «His work is a compilation and apart from transitional phrases
and certain rather small additions, all material is borrowed from other
writers. But
it is not a bad compilation». 65 L'identificazione della realtà matematica come
intermedia tra realtà intelligibile e realtà sensibile è di evidente origine
platonica (Repubblica), ma presuppone l’interpretazione
gerarchico-processionale che Plotino aveva dato della struttura dell’ontologia
platonico-aristotelica. Cf. le opportune
osservazioni
di O'Meara, Pytb. Rev., cit., 44 5. autonomi derivanti dagli intelligibili di
cui rappresentano quasi le immagini,66 cosi come i riflessi delle cose nelle
acque e negli specchi, dice Giamblico, sono immagini dei sensibili: come dire
che la realtà matematica è la stessa realtà intelligibile vista come pura
quantità ed estensione, proprietà, quest’ultima, che ne consente l’applicazione
alla
realtà sensibile, essendo ambedue divisibili e quantificabili. Una seconda
conseguenza è che i principi della matematica appaiono distinti da quelli delle
altre scienze, e nella fattispecie dai principi della dialettica, i quali
concernono gli intelligibili, e dai principi della fisica, i quali concernono i
sensibili. Ci potrà essere, dice Giamblico, una denominazione comune dello
stesso principio nei tre domini distinti, ad esempio la quantità, ma si
tratterà solo di omonimia, giac- ché la quantità come categoria della
dialettica e la quantità come pro- prietà dei corpi non coincidono con la
quantità matematica. Lo stes- so discorso vale anche per i due principi comuni
alla dialettica e alla matematica, limite e illimitato, i quali saranno
intelligibili e immate- riali nella dialettica, mentre parteciperanno della
composizione e della divisibilità come cause della quantità numerica e della
grandez- za. Le quattro scienze matematiche hanno poi una loro interna dipen-
denza gerarchica: l’aritmetica è la scienza matematica che nasce per prima e
trascende quindi le altre tre, perché può stare senza di quel- le, mentre
quelle la presuppongono. L'aritmetica infatti studia il numero in se stesso, la
geometria invece, studiando le figure, non può fare a meno dei numeri. La
geometria dal canto suo studia le figure in se stesse, mentre l’astronomia,
studiando i movimenti regolari delle 66 Da tale rapporto tra gli enti
matematici e gli intelligibili deriva, per ana- logia, il rapporto tra
conoscenza matematica e conoscenza dialettica, ambe- due qualificate come
ἀνάμνησις. È questo un concetto che si fa strada fino a Proclo, il quale ne dà
una esplicita teorizzazione nel suo In Euclidem 46,15 ss., nei seguenti
termini: «La conoscenza matematica [ἡ μάθησις] è remini- scenza dei principi
razionali eterni che risiedono nella nostra anima, ed è questa la ragione per
cui è detta espressamente “matematica” la conoscenza che ci fa pervenire alle
reminiscenze di quegli eterni principi [ἡ πρὸς τὰς ἀναμνήσεις ἡμῖν τὰς ἐκείνων
συντελοῦσα γνῶσις]». Sul valore teoretico di questo passo procliano, cf. W.
Beierwaltes, Denken des Einen. Studien zur neuplatonischen
Philosophie und ibrer Wirkungsgeschichte, Frankfurt a. M. 1985, 268 ss. (= tr. it., Milano
1991, 235 ss.). figure celesti o astrali, non può fare a meno delle figure. La
musica da parte sua, studiando i rapporti armonici dei numeri e le loro
articola- zioni ordinate secondo eccesso e difetto, non può fare a meno del-
l’aritmetica, cioè dei numeri in sé. Ma c’è anche un ordine gerarchico duplice,
se consideriamo l'affinità tra aritmetica e geometria, da un lato, e astronomia
e musica, dall'altro lato, giacché le prime due si occupano rispettivamente del
quanto e del quanto grande (cioè del quanto assoluto e del quanto relativo) in
riposo, mentre le altre due si occupano degli stessi aspetti del quanto, ma in
movimento. Sotto que- sto profilo appare evidente che la matematica in alcune
sue scienze specifiche ha a che fare, oltre che con lo spazio, anche con il tempo.
Da tutte queste considerazioni, e da tante altre dello stesso gene- re, nasce
l’idea di una scienza matematica comune, che — lo ripetiamo - non costituisce
una quinta (o prima, in ordine di valore) scienza matematica, bensi un insieme
di proposizioni o teoremi che sono comuni a tutte e quattro le scienze
matematiche. La conoscenza di questi teoremi comuni è prioritaria rispetto alla
conoscenza dei singo- li oggetti delle singole matematiche, e in quanto
prioritaria è anche più perfetta, nel senso che ci dà una visione complessiva
del tutto ed «è capace di coordinare a partire dall’unità e in vista dell'unità
tutti i teoremi matematici».67 Uno dei problemi più spinosi della matematica
comune è quello relativo ai criteri di applicazione delle scienze matematiche
alla realtà sensibile. Esistono vari modi o criteri di utilizzazione delle
matemati- che nel campo della conoscenza della realtà naturale ed è ancora una
volta la matematica comune che fissa tali criteri, affinché ciascuna scienza
matematica specifica possa fondare in linea di principio la sua operatività in
tale direzione. Nel capitolo 32 Giamblico dà una certa lista di tali criteri,
che stanno alla base del ragionamento matematico in generale: astrazione
[ἀφαίρεσις], quando le forme materiali sono viste senza la materia; adattamento
[ἐφαρμογή], quando i calcoli matematici sono applicati ai sensibili;
perfezionamento [τελείωσις], quando il ragionamento matematico supplisce alle
deficienze dei sen- sibili, nel senso che la matematica fornisce dell’oggetto
sensibile, a 67 Giamblico, De comm. math. sc. 20,2 ss. τελειοτέρα τε τῶν καθ᾽
ἕκαστα, σύνοψίν TE κοινὴν ποιουμένη πάντων, ἀφ' ἑνός τε καὶ εἰς ἕν τὰ θεωρήματα
πάντα τὰ μαθηματικὰ συντάττουσα. differenza della sensazione, una visione
compiuta e perfetta; assirzila- zione [ἀπεικασία], quando si considera
l’uguaglianza o la proporzio- ne nel sensibile come immagine del modello
formale negli enti mate- matici; partecipazione [μετοχῇ], quando si vede in che
senso i rappor- ti in altro, propri dei sensibili, partecipino dei rapporti in
sé, propri degli enti matematici; rispecchiamento [ἔμφασις], quando si vede nei
sensibili un vago riflesso delle forme matematiche; divisione [διαίρε- σις],
quando si vede nei sensibili il dividersi e il moltiplicarsi delle forme
matematiche; comparazione [παραβολή], quando si mettono a confronto i sensibili
con gli enti matematici; causazione [αἰτία], quan- do, posti gli enti
matematici come principi causali, se ne vedono gli effetti nei sensibili. E
facile notare come tale elencazione dei modi di procedere della tecnica
raziocinativa delle matematiche, anche se non si presenta come una
classificazione completa e rigorosa, nasca dallo sforzo di adattare e
interpretare il pitagorismo in chiave platonica, giacché per un platonico, che
vede nelle forme matematiche solo un riflesso delle forme intelligibili,
l'applicazione delle prime al mondo del divenire non può attuarsi se non in
funzione e in dipendenza delle seconde. Di qui emerge l’altro serio problema
del rapporto tra mate- matica e dialettica. Nel capitolo 33 Giamblico, dopo
avere ribadito il carattere inter- medio ma autonomo della realtà matematica,
dice che questa costitui- sce il genere comune della matematica, che è appunto
oggetto della matematica comune, «genere — egli aggiunge — che contiene in sé
tutte le diverse specie, quante e quali che siano». Le quattro scienze
matematiche, dunque, nascono per divisione dell’unico genere comu- ne nelle sue
diverse specie. Ma come avviene una tale divisione e defi- nizione specifica
del genere matematico? Noi sappiamo, e Giamblico lo sa bene, che la divisione è
una parte della dialettica, cioè un’opera- zione logica: questo significa,
allora, che la matematica assume dalla dialettica il suo metodo divisorio?
Ebbene, Giamblico aveva dimo- strato, affrontando nel precedente capitolo 29
questo problema, che i metodi della divisione, della definizione e del
ragionamento sillogi- stico di cui si serve la matematica (meglio, di cui si
servono le mate- matiche dopo che quelli sono stati fissati dalla teoria
comune) non derivano dalla dialettica, per il semplice fatto che la matematica
non conosce la realtà in sé e per sé, cioè la realtà intelligibile, come fa la
dialettica, bensi la realtà intermedia che le è propria, e quindi scopre e perfeziona
e pratica i suoi metodi da se stessa, senza bisogno dell’au- silio di
alcun’altra scienza.s8 Tutto ciò dimostra che la razionalità matematica si
distingue nettamente dalla razionalità logico-dialettica: in questo il
platonico Giamblico si sente, ed è effettivamente, indi- pendente da
Aristotele, come lo è — si è visto - anche sul terreno della dottrina
dell'anima. Ecco allora i capisaldi della teoria matematica comune, di cui non
possono fare a meno le quattro scienze matematiche particolari, e a cui occorre
anche attribuire la funzione di collegamento tra la mate- matica e la
filosofia, in se stessa e nelle sue parti. É questa teoria comune delle
matematiche che ci permette di distinguerle secondo la divisione del genere
comune matematico, ma anche di sistemarle uni- tariamente riconducendo
costantemente le loro diverse specie di enti matematici (numeri, figure,
rapporti proporzionali, ecc.) all’unità da cui nascono. 6. L'Introduzione
all’aritmetica di Nicomaco. Il IV Libro della Summa pitagorica è consacrato
alla prima scienza matematica, che è l’aritmetica. Non è esatto considerare
quest'opera come un vero e proprio commentario allo scritto di Nicomaco di
Gerasa
dalla stesso titolo, anche se Giamblico scrive questa sua Introduzione
all'aritmetica con un preciso ed esplicito riferimento all'opera di Nicomaco. È
infatti lui stesso che stabilisce all’inizio il cri- terio della sua
trattazione, fare cioè una esposizione completa del- l’aritmetica pitagorica
utilizzando l’opera di Nicomaco che ne è l’espressione più autentica e più
pura. Riprodurre dunque l'Introduzione all’aritmetica di Nicomaco senza nulla
togliere né aggiungere, significa per Giamblico esporre tutta l'essenza
dell’arit- metica pitagorica secondo la migliore tradizione.s? Naturalmente, 68
Cf. Giamblico, De comm. math. sc. 90,2 ss. ἀφ᾽ ἑαυτῆς οὖν εὑρίσκει te αὐτὰ καὶ
τελειοῖ καὶ ἐξεργάζεται, τά te οἰκεῖα αὑτῇ καλῶς οἷδε δοκιμά- ζειν, καὶ οὐ δεῖται
ἄλλης ἐπιστήμης πρὸς τὴν οἰκείαν θεωρίαν. 6° L'idea che Nicomaco avesse scritto
un trattato sull’aritmetica più com- pleto e sistematico rispetto
all’Introduzione che noi possediamo, è da consi- derarsi falsa, perché nata da
una erronea interpretazione di Giamblico, In precisa Giamblico, fare una
completa esposizione dell’aritmetica di Nicomaco non significa trascriverla
cosî com'è [μεταγράφειν!, giac- ché anche questo, come il presentarla in forma
incompleta, sarebbe un’operazione inutile [περιττὸν γὰρ καὶ τοῦτο]. L'opera di
Nicomaco, il quale è «grandissimo aritmetico» [ἀριθμητικώτατος], dotato di
sinteticità e precisione e completezza e ordine, costituisce allora la
falsariga su cui Giamblico costruisce la sua propria Introduzione
all'aritmetica.?0 Se Nicomaco è il modello di Giamblico da un punto di vista
stret- tamente aritmetico, diversa appare invece la prospettiva filosofica
entro cui il Neoplatonico inquadra e sistema il discorso sull’aritmeti- ca
pitagorica: non potrebbe essere altrimenti, se è vero che il pitago- rismo di
Giamblico è o vuole essere il suo platonismo. Di qui alcune caratteristiche di
questo IV Libro della Surzzza pitagorica che lo diffe- renziano dall'opera di
Nicomaco.?! Anzitutto gli excursus storici molto più estesi in Giamblico che in
Nicomaco, con aggiunte signifi- cative anche di ordine matematico, quale, ad
esempio, la “fiorita di Timarida”. In secondo luogo i continui riferimenti agli
altri Libri della Sumzza che denotano un evidente proposito di collegare
l’arit- metica, cioè la trattazione tecnica del numero in sé, non soltanto con
le altre scienze matematiche, cosa che era stata già prefigurata nel Libro III,
ma anche e soprattutto con le parti della filosofia in cui, secondo il piano
disegnato nella “matematica comune”, è possibile applicare e rendere proficua
la verità matematica. Il numero fisico, etico, teologico, ecc., appaiono qua e
là nell’introduzione all’aritmeti- ca per anticipare gli sviluppi della
dottrina pitagorica nei libri succes- sivi. Sotto questo profilo anche la
terminologia matematica di Nicom.4,14, dove lo scritto di Nicomaco è
denominato, in senso molto gene- rale, “Tecnica [o Arte] aritmetica”. Cf. su
questo le giuste osservazioni di L. Obertello, Severino Boezio, Genova 1974, I
454, nota 10. 70 Su alcuni punti Giamblico, naturalmente, fa qualche aggiunta o
accen- tuazione rispetto a Nicomaco, come ad esempio a proposito delle
critiche, talora pesanti, contro Euclide; ma ciò non modifica per nulla il
criterio di fondo dell’opera. 71 Le medesime caratteristiche rendono
quest'opera di Giamblico assolu- tamente diversa dai Comzientari a Nicomaco sia
di Asclepio di Tralle che di Giovanni Filopono. Su questo confronto si veda L.
Tarin, Introduction all'edizione di Asclepius of Tralles on Nicomachus,
Philadelphia 1969, 15 5. Giamblico si presenta più ricca ed evoluta di quella
di Nicomaco: concetti, e relativi termini, come quelli di “rapporto” [λόγος],
“rela- zione” [σχέσις], “proporzione” [μεσότης, ἀναλογία], trovano in Giamblico
una latitudine semantica e applicativa, che, se non da un punto di vista
strettamente matematico, certamente da quello filoso- fico generale appare
molto più articolata ed efficace che non in Nicomaco. Per tutte queste ragioni,
occorre valutare il criterio di fedele “riproduzione” del testo di Nicomaco che
Giamblico si propo- ne di rispettare soltanto come una presa di posizione
metodologica generale, o, se si vuole, come una professione di fedeltà alla
tradizio- ne pitagorica the vedeva in Nicomaco il proprio legittimo rappresen-
tante, più che come un metodo di lavoro esegetico circoscritto all’og- getto
suo proprio, nella fattispecie alla riproposizione dell’opera di Nicomaco. Non
sarebbe stato questo uno σκοπός adeguato e giustifi- cato per un elemento cosi
essenziale del progetto della Sura pitago- rica. 7. La teologia
dell’aritmetica. Si è accennato sopra alla questione dell’autenticità
giamblichea diquest'opera: voglio adesso approfondire un po’ l'argomento, anche
allo scopo di rendere conto del perché io abbia voluto includere la traduzione
dei Theologoumena arithbmeticae pseudo-giamblichei tra gli scritti matematici
di Giamblico. Dico anzitutto che questa scelta non vuole essere affatto una
impli- cita contestazione della tesi corrente della non autenticità di tale
scrit- to. Del resto, come si è detto sopra, alcuni, come ad esempio O’Meara,
ne indicano l’autore come Aronizo, altri invece come Pseudo-Giamblico o
[Iamblichus], e tra questi lo stesso editore moderno del testo, Vittorio De
Falco, ma non manca chi, come Dillon, sostiene ancora che l’opera, pur essendo
una specie di cento- ne di estratti da Nicomaco e da Anatolio, può essere di
fatto conside- rata come un compendio del Libro VII della Sura pitagorica.??2 721,
Dillon, Jamblichus, «ANRW», cit., 876: «We also have a curious compilation
called “The Theology of Arithmetic”, which as it has come down to us is
largerly a cento of passages from a lost work of Nicomachus’ of the same title
and of that of Anatolius, Iamblichus' teacher, “On the Il fondamento oggettivo
dell’autenticità di questo scritto si trove- rebbe in un esplicito riferimento
dello stesso Giamblico nella sua Introduzione all’aritmetica di Nicomaco, alla
p. 125,15 dell'edizione Pistelli. In questo luogo Giamblico congeda il suo
discepolo (o letto- re) con queste parole: «E qui abbia termine per noi,
temporaneamen- te, questa Introduzione <all’aritmetica> condotta secondo
l’insegna- mento di Nicomaco Pitagorico; in seguito ti presenteremo, dio per-
mettendo, questa stessa Introduzione all'aritmetica in forma più com- pleta,
facendo anche in modo che tu possa ormai acquisire con essa un habitus di
intelligenza critica; e studieremo insieme quante altre proprietà fioriscano
nei numeri da 1 a 10 trattandole secondo l'ordine naturale? e l'ordine morale74
e secondo l'ordine teologico? che prece- de questi due, affinché partendo da
queste proprietà aritmetiche ti venga poi più agevole e assolutamente facile
l'insegnamento delle tre successive Introduzioni, intendo dire
dell’Introduzione alla Musica,76 dell’Introduzione alla Geometria e
dell’Introduzione alla Sferica».?8 Appare chiaro, a parte l'inversione di posto
tra Musica e Geometria (cosa che non inficia il significato generale del piano
di trattazione),?9 come la Teologia dell’aritmetica (Libro VII) concluda la trattazione
del numero in sé (Libro IV) e nelle sue applicazioni — alla realtà natu- Decade
and the Numbers within It”, which survives. This may in fact
be, in summary or infinished form, the work which Iamblichus intended to be
seventh in his Pythagorean sequence, as he tells us at In Nicom. p. 125, 15 ff.
Pistelli». 7
Corrispondente al Libro V. La scienza aritmetica applicata alla fisica, che
segue nell'ordine l'Introduzione all'aritmetica di Nicomaco. 74 Corrispondente
al Libro VI. La scienza aritmetica applicata all'etica. 75 Corrispondente,
appunto, al Libro VII. La scienza aritmetica applicata
alla
teologia. 76 Corrispondente al Libro IX. La musica pitagorica. 71]
Corrispondente al Libro VIII. La geometria pitagorica. 78 Corrispondente al
Libro X. L'astronorzia pitagorica. 79 L'anticipazione della musica sulla
geometria può essere spiegata con il fatto che la musica ha come oggetto il
numero (0 quanto) relativo ed è quin- di in diretto rapporto con l’aritmetica
che ha come oggetto il numero in sé, mentre la geometria che ha come oggetto la
figura (o quanto grande) in sé è in diretto rapporto con l'astronomia che ha
come oggetto la figura in movi- mento. Cf. su questa teoria Giamblico, De com.
math. sc. 30,7 ss. rale (Libro V) e alla realtà morale (Libro VI) —, prima che
il discorso si volga a introdurre la geometria (Libro VIII), la musica (Libro
IX) e l'astronomia (Libro X). Questo è l'ordinamento che Giamblico ha imposto
al piano della sua Summa pitagorica: in armonia con esso sembra che si
collochino i Theologoumena aritbmeticae, o meglio la loro fonte perduta,
sempreché si dia per vero che Giamblico abbia condotto a termine il suo
progetto. Restano tuttavia alcuni quesiti fondamentali: 1) perché e secondo
quale criterio Giamblico avrebbe utilizzato scritti analoghi di Nicomaco e di
Anatolio per comporre la parte della sua opera sul pitagorismo relativa alla
teologia del nume- ro; 2) se e come il contenuto dei Theologoumena arithmeticae
si accor- di con la dottrina del numero the possiamo ricavare dai Libri III-IV
conservatisi, e ora anche dagli estratti di Psello dai Libri V-VII. Un
ulteriore quesito relativamente al problema se e quando e chi abbia compilato
il testo giunto fino a noi, non mi sembra né determinante né importante. Al
primo quesito si potrebbe rispondere anzitutto che Giamblico aveva già
utilizzato un’opera dallo stesso contenuto e dallo stesso tito- lo, quale
l’Introduzione all'aritmetica di Nicomaco, per scrivere la sua introduzione
all’aritmetica che faceva pane, come Libro IV, del pro- getto della Surziza
pitagorica. In questo Libro IV egli parla esplicita- mente di un’Irtroduzione
ben quattro volte, aggiungendo aritmetica solo una volta, a p. 39,8-9, dove non
sembra che si alluda a Nicomaco, giacché si dice che il rapporto che sta alla
base della generazione di numeri solidi di tipo plintide è tra le fiorite che
sono insegnate nella Introduzione aritmetica, e in Nicomaco non trovo alcuna
traccia di tali fiorite, mentre della fiorita di Timarida Giamblico tratta
nello stesso Libro IV. Bisogna aggiungere che in seguito, alla p. 118,17, si
torna a parlare di fiorite dei numeri da 1 a 10, e qui l’accenno sembra
riferito al Libro VII. Negli altri luoghi Giamblico accenna all’Introduzione
con chiaro riferimento alla sua Introduzione all’aritmetica, cioè al Libro
IV.8° Se dunque non c’è da meravigliarsi che Giamblico abbia potuto utilizzare
Nicomaco per la stesura del suo Libro IV, identifi- cando sostanzialmente la
sua Introduzione con quella di Nicomaco, è possibile supporre che abbia potuto
fare lo stesso per la stesura del 80 Questi altri due luoghi sono Giamblico, In
Nicom. 104,15 s. e 106,19. Libro VII,
anche se qui aveva a disposizione un certo numero di modelli, oltre a quello di
Nicomaco, dato che di Theologoumena ari- thmeticae, cioè di speculazioni
teologiche sui numeri, la tradizione pitagorizzante ne conosce parecchi. Lo
stesso autore dei nostri Theologoumena ne cita alcuni, ad esempio Lino,8!
Megillo,82 Proro,8} per non parlare di Speusippo Accademico, di cui si riporta
un lungo
estratto
del suo libro Sui numeri pitagorici, che come fonte dei Theo- logoumena occupa,
quindi, un degno posto nella tradizione pitagorica. Se ne potrebbero aggiungere
degli altri, spulciando i testi neopitagori- ci (di età, quindi, molto più
vicina a Giamblico) raccolti dal Thesleff, ad esempio Opsimo, citato da
Atenagora,® il Pseudo-Pitagorico Discorso sacro [o Discorso sugli dèi] citato
dallo stesso Giamblico nella sua Vita di Pitagora e da numerosi altri scrittori
tardoantichi.85 l’Anonimo inno al numero, citato da Proclo nel suo Commentario
al Timeo,8 il cosiddetto Anonimo di Fozio (cod. 249) autore di una Vita di
Pitagora, in cui sono citati numerosi testi pitagorici anche di teolo- gia
aritmetica.8? Ma perché Giamblico avrebbe utilizzato tutte queste opere della
tradizione pitagorica, prendendo soprattutto a modelli Nicomaco e Anatolio?
Senza dubbio Nicomaco, a parte la fama di cui già godeva come eminente
matematico, oltre che come esponente illu- stre del pitagorismo, doveva
rappresentare un sicuro fondamento scientifico su cui costruire una teologia
dell’aritmetica. In ogni epoca, ma soprattutto nella tarda antichità, scienza
matematica e teologia erano andati di conserva sulla strada della ricerca
comune e parallela della verità e della saggezza (cioè del massimo livello
della virtii): anco- ra prima di Nicomaco e di Anatolio, un altro matematico
rappresen- tante della tradizione pitagorico-platonica, Teone di Smirne,88
aveva 81 Cf. (Giamblico], Theo/. arithm. 67,4. 82 Ibid., 34,21 s. 83 Ibid.,
57,15. 84 Cf. H. Thesleff, The Pythagorean Texts, cit., 140-141, da
identificarsi con l’Opsimo di Giamblico, Vite Pytb. 145,20. 85
Cf. H. Thesleff, The Pythagorean Texts, cit., 164-168. 86 Ibid., 173. 87 Ibid.,
237 ss. 88 C£. Teone
di Smirne, Expositio rerum matbematicarum ad legendum Platonem utilium, ed. E.
Hiller, Lipsiae 1878. INTRODUZIONE 45 dimostrato l’efficacia e la proficuità
della collaborazione tra matema- tica e filosofia, soprattutto quando
quest’ultima sia la filosofia platoni- ca. E Giamblico aveva assorbito molto di
Teone anche attraverso Nicomaco, che fu certamente influenzato da quello anche
se lo igno- ra. Ma se Nicomaco poté costituire la base matematica di Giamblico,
il maggiore apporto dal punto di vista della teologia dell’aritmetica gli venne
dal suo maestro Anatolio, autore — come tanti altri tra cui lo Pseudo-Archita8?
e lo stesso Teone — di un trattato Sulla decade,® da cui, a giudicare
dall’abbondanza degli estratti nei Theol/ogoumena conservatisi (un numero molto
maggiore di quelli di Nicomaco), Giamblico ha certamente tratto materiali e
idee perfettamente conso- ni con la parte teologica della sua Summa pitagorica.
Le giuste consi- derazioni che fa O’Meara a proposito del divario fra la
teologia arit- metica di Nicomaco (contenuta sia nella sua Introduzione
all’aritmeti- ca che nei Theologoumena pseudo-giamblichei) e il contenuto degli
estratti pselliani dal Libro VII della Summza pitagorica?! potrebbero essere
lette anche in ordine alla vicinanza, almeno sotto il profilo strettamente
teologico, di Giamblico più ad Anatolio che a Nico- maco. Non dobbiamo dimenticare
che Anatolio fu in qualche modo mediatore tra Porfirio e Giamblico.
Quest'ultima considerazione ci aiuta a rispondere al secondo que- sito.
Lasciando da parte il problema del rapporto storico e testuale tra il Giamblico
del Libro VII (o degli ipotetici Theologoumena arithme- ticae) e il
Pseudo-Giamblico dei Theologoumena arithmeticae, è certo che la dottrina
contenuta in questi due testi, che condividono la medesima condizione di essere
un insieme di “estratti” da Giamblico o da fonti primarie della sua teologia
del numero, si inquadra essen- 89 Testim. in Teone di Smirne, Expos., cit. 106
Hiller = Thesleff, Pytb. Texts, cit., 21. 9%
Anatolio, De decade, ed. J.L. Heiberg, Annales internationales d’histoi- re, Ve
section, Paris 1901, rist. Nendeln (Liechtenstein) 1972,
27-41. 9 C£. D.J. O’ Meara, Pythagoras Revived, cit., 103 ss.: «In general —
scri- ve l'A. -- Iamblichus’ view of the system of philosophy and of the
structure of reality is much more complicated, reflecting in fact the thought,
not of a = century Platonist, but of Porphyry's most important and original
pupil».
46 INTRODUZIONE zialmente e organicamente nella cornice più vasta non solo
della Summa pitagorica nel suo complesso, ma anche dei maggiori trattati ad
essa esterni, quali ad esempio il De mystertis e il De anima (per non contare i
commentari a Platone e ad Aristotele e la grande opera per- duta sugli Oracoli
caldaici). Sulle relazioni tra la Sura pitagorica e le altre opere di
Giamblico, conservate o perdute, rinvio a O’'Meara che ne fa un attento seppur
rapido esame.?? Qui m'importa solo di fornire al lettore qualche elemento di
valutazione sulla relazione tra Theologoumena, da un lato, e De meysteriis e De
anima, dall’altro lato. In generale si può dire che lo stesso fine ultimo del
progetto della Summa pitagorica, tendente a dimostrare la perfetta coincidenza
tra pensiero pitagorico e pensiero platonico, poteva trovare la sua piena
attuazione solo in un discorso che consentisse di svelare l’intima con-
nessione tra “il numero e il divino” (per usare l’espressione che ci è servita
per intitolare la prima edizione di questo volume), e quindi, in definitiva,
nel discorso proprio dei Theol/ogoumena aritbmeticae. Ciò significa
semplicemente che la matematica — soprattutto l’aritmetica che ne è la prima
radice come scienza comune — non conduce alla conoscenza di quella realtà
intermedia tra intelligibile e sensibile che è il suo oggetto proprio se non
per consentire alla nostra mente di cogliere quella superiore realtà
intelligibile che sta all’origine di tutto e che è oggetto proprio della
teologia. Ma esistono elementi testuali
concretamente
convergenti tra il testo dei Theologoumena e l’estratto di Psello relativo al
Libro VII, quali ad esempio i seguenti due brani: Theol. aritbm. 3,21 ss.: «I
Pitagorici, dunque, lo chiamano [sc. 1°1] non solo dio, ma anche intelligenza,
e maschio-femmina: intelligenza, perché il potere assolutamente egemonico di
dio, che si trova sia nella sua capacità di creare il mondo che in generale in
ogni sua attività creativa e in ogni suo potere razionale, anche se non si
manifesta nella materia individuale, è intelligenza nell’agire, perché è
identità e immutabilità nel conoscere, allo stesso modo dell’1 che, sebbene
dif- ferenziato nelle varie specie di enti, contiene in sé tutte le cose allo
stato mentale, come se fosse un principio razionale capace di creare come dio,
e che non muta rispetto al principio razionale che è in sé, né permette ad
altro di mutare, ma che rimane immutabile come lo è 92 Ibid. 91 ss.
INTRODUZIONE 47 veramente anche la Moira Atropo»; Sull’aritmetica etica e
teologica li. 70 ss. = O’Meara, Pyth. Rev., cit., pp. 226 s.:? «C'è dunque,
propria- mente parlando, un prizzo Uro, che potremmo chiamare Dio, che è
<insieme> 1 e 3 (il 3, infatti, sviluppa l’inizio, il mezzo e la fine che
si trovano nell’1); e ci sono anche la natura ixtelligibile e luminosissima
della monade, e il suo potere soprace/este che è principio causativo
dell'ordine dell’universo [ἀρχηγὸν διακοσμήσεως], e l'aspetto indivi sibile
nelle divisioni del terrestre, colmato nelle sue deficienze, che permettono di
elevarsi alla Causa suprerza».? Ma è significativa anche la conclusione
dell'estratto pselliano, dove si legge: «c’è infatti un Uno divino e una Monade
divina e un Pari e un Dispari trascendenti e oggetti di pensiero secondo
rappresentazioni mentali superiori [a quella della matematica] [κατὰ κρείττους
ἐννοίας νοούμενα]. E io so - dice Giamblico — che si prova difficoltà ad
accettare tutto questo, a causa della nostra negligenza nei confronti degli
enti superiori: noi infatti non accettiamo facilmente la contemplazione di ciò
che non rientra nelle nostre abitudini o non ci è familiare» (li. 86-90). Con
queste parole possiamo mettere a confronto il passo dell’Introduzione
all'aritmetica di Nicomaco 10,12 ss., dove si parla della definizione
pitagorica di “numero”: «Pitagora invece lo definî come “estensione
e
attuazione dei principi seminali immanenti nell’unità”, o, con altra
espressione, “il principio numerico che sussiste, prima di tutti i nume- ri,
nell'intelletto divino e ad opera del quale e dal quale vengono ordi- nate e
mantengono il loro ordine indissolubile le cose numerate”».95 Per quanto
concerne in particolare il De m2ysteriîs, non è difficile trovare agganci
dottrinali, e in qualche caso anche testuali, con il con- cetto di “numero
divino” contenuto nel Libro VII e nei Theo/ogow- 9 Presento qui una mia
traduzione del passo, che differisce in qualche punto da quella inglese dello
stesso O’'Meara. % Ritengo che I’ ὑπερβαίνει della li. 73 abbia valore
transitivo e sia pre- dicato comune a tutti e tre i soggetti: τὸ νοητόν ... τὸ
ὑπερουράνιον ἀρχηγόν ... τὸ ἀδιαίρετον. Ma cf. la diversa traduzione inglese di
O’ Meara. 35 Pistelli rinvia per queste linee a Nicornaco, Arithw. intr. 13,7
ss., dove però il confronto funziona per Talete e parzialmente per Eudosso, ma
non per i Pitagorici, al punto che è lecito congetturare che la fonte di
Giamblico sia diversa, forse il Discorso sacro attribuito a Pitagora o lo
stesso Περὶ θεοῦ [θεῶν] di Giamblico. 48 INTRODUZIONE mena. Un confronto di tal
genere è stato fatto, molto sinteticamente, da O’Meara alle pagine 81 ss. del
più volte citato Pythagoras Revived, e vale qui la pena di parlarne. A
proposito dell'estratto di Psello dal Libro VII, di cui si è parlato sopra e
che comincia alla linea 52 (anche se noi ne abbiamo riferito le linee 70 ss.),
O’Meara ritiene che qual- cosa di simile si trova nel De reysterits, di cui
egli riferisce i seguenti passaggi:% De wmzyst. I 19, 59,15 ss. Parthey: «A
proposito degli dèi, il loro ordine risiede nell’unità di tutti [ἐν τῇ ἑνώσει
πάντων], e le loro classi primarie e secondarie e i molteplici enti che nascono
intorno a tali classi, tutti, presi nel loro insieme, sussistono nell’Uno [ἐν
ἑνὶ tà ὅλα συνυφέστηκε!], e il Tutto in essi è l’Uno, e l’inizio e il mezzo e
la fine sussistono insieme in virtà dello stesso Uno; ne consegue che a
proposito degli dèi non è necessario cercare donde derivi per tutti loro l’Uno
[πόθεν τὸ ἕν ἅπασιν ἐφήκει)»; 261,9 ss.: «Prima dei veri enti e dei principi
universali c'è un unico dio, assolutamente primo anche rispetto al primo dio e
re, giacché esso resta immobile nella solitudine dell’unità sua propria [ἐν
povom τῆς ἑαυτοῦ ἑνότητος]. Nulla, infatti, si può associare ad esso, né
l’intelligibile né altro. [...] Da questo Uno si irradiò il dio autosufficiente
[...]: questo infatti è principio e dio degli dèi, monade derivante dall’Uno,
anteriore all’es- sere e principio dell’essere [προούσιος καὶ ἀρχὴ τῆς
ovoiagl». Risulta evidente dalla lettura di brani di questo genere, che si
potreb- bero moltiplicare all’infinito, il senso spiccatamente “pitagorizzante”
della teologia giamblichea anche nella sua forma di ispirazione miste- rica o
egizio-caldaica.9? Un discorso analogo vale per il De amizza negli estratti
stobaici, dalla cui lettura è possibile arguire che quest'opera di Giamblico
con- teneva in una qualche misura la medesima concezione del rapporto % Li
riporto, con qualche ampliamento, nella traduzione di Sodano, apportando qua e
là qualche modifica suggeritami anche dalla traduzione inglese di O'Meara. 97
Non si deve dimenticare che i neoplatonici trovavano tra i misteri egizi e
quelli caldaici una certa affinità, che si rifletteva soprattutto in un comune
linguaggio. Termini come statua divina [ἄγαλμα], segreto [ἀπόρρητος], inef-
fabile [appntog], immacolato [ἄχραντος], preghiera [εὐχή], feurgia [θεουρ-
via], sacrificio [θυσία], veicolo dell'anima [ὄχημα], padre [πατήρ], fonte
[πηγή], sirzbolo [σύμβολον], luce [φῶς] e, naturalmente, tutti i loro paroni-
mi, sono comuni alla terminologia misterica, egizia e caldaica. INTRODUZIONE 49
tra filosofia e teologia presente nel De wzysteriis e, di riflesso, anche nei
Theologoumena, oltre, naturalmente, a quella nozione di ψυχή che fin dalle sue
origini il platonismo ha condiviso con il pitagorismo: relazione estrinseca e
temporanea tra anima e corpo, mito della cadu- ta e suo significato filosofico,
metempsicosi, giudizio espiazione puri- ficazione ricompensa, affinità col
divino, medianità simile a quella degli enti matematici, ecc. Per quanto
concerne il contenuto e la struttura del trattato, Giamblico, come si sa, segue
il modello esposi- tivo e argomentativo di Aristotele e si serve di abbondante
materiale dossografico, seguendo anche in ciò il suo modello; e tuttavia egli
si tiene a debita distanza dal suo modello sia nel controllarne i possibili
risvolti dottrinali, sia nel trasporre e talora nel trasfigurare i contenu- ti
del suo materiale dossografico, ivi compreso quello aristotelico, in una
dimensione e qualificazione — anche terminologica — che lascia trasparire
chiaramente e inequivocabilmente tutta la natura “neopla- tonica” della sua
“scienza dell'anima”. Se si dà uno sguardo allo sche- ma secondo cui il
Festugière ha ordinato il materiale frammentario al fine della sua traduzione e
del suo commento,98 si nota subito come, nonostante il metodo classificatorio e
definitorio di evidente marchio peripatetico — visibile soprattutto nella prima
sezione dell’opera che riguarda la natura e le potenze dell’anima --,
l'andamento del trattato di Giamblico poco ha a che vedere con quello del
trattato di Aristotele, senza contare le “puntate” fortemente critiche che
spesso sono rivolte alla dottrina di quest’ultimo, anche se spesso in una forma
allusiva e velata che ricorda da vicino quella del De mystertis.99 8.
Pitagorismo e Neoplatonismo. Vorrei chiudere queste brevi (necessariamente
brevi) considera- zioni introduttive sulla vita e le opere di Giamblico dando
uno sguar- do retrospettivo, in rapporto a quanto si è detto fin qui, alla
nozione giamblichea di “relazione intrinseca tra pitagorismo e platonismo”, nozione
che — vale la pena di richiamare in questa sede -- proprio con 38 C£. A.J.
Festugière, La Révélation d'Hermès Trismégiste III, Paris 1953, 177-248 =
Appendice I: Jamblique, Tratté de l'àme. 39 Per questo aspetto del De anima, cf.
B. Dalsgaard Larsen, Jambligue de Chalcis, cit., 205 ss, 50 INTRODUZIONE
Giamblico ha acquistato rilevanza storico-teoretica e a partire da lui si è
estesa a tutto il neoplatonismo posteriore (e non soltanto tardo- antico).
Certamente prima di Giamblico è possibile reperire momen- ti ed elementi idonei
a testimoniare che quell'idea non era venuta mai meno fin dall'antica
Accademia: già con Speusippo era cominciata a farsi strada l’idea platonica di
una intrinseca correlazione tra aritmo- logia e ontologia, nel senso che la realtà
degli enti matematici, che Platone considerava intermedia tra intelligibile e
sensibile (natural- mente interpretando a modo suo il pitagorismo, il quale
aveva invece sostenuto che il numero, e non l’idea, è l'essenza stessa del
reale),100 veniva da Speusippo applicata e sfruttata in chiave metafisica,
soprat- tutto a proposito della natura dell'anima. C'è da stare attenti, in
ogni
modo,
trattando di Speusippo, a non cadere in quell’errore in cui pur- troppo sono
caduti illustri studiosi di platonismo e di neoplatonismo, primo fra tutti il
Merlan, nell’errore cioè di attribuire a Speusippo idee, non soltanto
pitagoriche, ma di un pitagorismo già fortemente neoplatonizzato. E ciò è
accaduto per colpa di una testimonianza con- tenuta nella traduzione latina di
Guglielmo di Moerbeke della parte perduta del Comrzentario al Parmenide di
Proclo.101 Ma se da una parte è vero, come dicevo, che quell’idea del rapporto
intrinseco tra pitagorismo e platonismo si fa strada fin dall'antica Accademia,
è anche vero, dall’altra parte, che fino alle soglie dell’età plotiniana
(intendo dire fino all’età del cosiddetto medioplatonismo)!02 tutta la tradizione
pitagorico-platonica non riusci a fare sufficiente chiarezza su un punto che
solo con i neoplatonici assume evidente configura- 100 Per comprendere appieno
questa divaricazione tra pitagorismo e l’in- terpretazione che Platone ne diede
è necessario, tra l'altro, affrontare il pro- blema della trasposizione
sernantico-concettuale di εἶδος in ἰδέα. 101 Per una discussione critica su
quest’argomento, rinvio a L. Taràn, Speusippus of Athens, Leiden 1981, 350
ss.'= comm. al fr. 48. Cf. anche M. Isnardi Parente, Speusippo. Frammenti,
Napoli 1980, 267 ss., anch'essa criti- ca di quella interpretazione
neoplatonizzante di Speusippo. 102 Si deve fare eccezione per Numenio, ma la
dottrina di quest’ultimo, si sa, è già “pre-neoplatonica”; e tuttavia la sua
idea di una coincidenza tra pita-
gorismo
e autentico platonismo, più che una sua convinzione storico-teore- tica, sembra
essere uno strumento polemico da lui usato in funzione antiac- cademica, Su
Numenio e il suo progetto restaurativo dell’autentico platoni- smo cf. O’
Meara, op. cit., 10 ss. INTRODUZIONE 51 zione, sul fatto cioè che la realtà
degli enti matematici, pur nella sua indipendenza ontologica quale realtà
mediana (cosa che del resto risa- le al più antico platonismo), “discende”
dalla realtà intelligibile, né potrebbe valere come “forma” o “essenza” della
realtà naturale se non possedesse e non conservasse tale legame metafisico con
l’intelli- gibile in sé. Da questo sviluppo in senso neoplatonico del
pitagorismo ebbe origine appunto quell’idea di “relazione intrinseca tra platoni-
smo e pitagorismo” di cui qui parliamo: di essa Plotino diede la prima
impostazione problematico-teoretica,!9 Porfirio ne sperimentò una certa
idoneità applicativa,!% ma solo Giamblico la ridusse entro i suoi naturali e
incontrovertibili confini teorici e storici. Questo spiega anche il fatto che
solo con Giamblico sarebbe stato possibile, perché pensabile, quel progetto
generale di una trattazione sistematica del pitagorismo che valesse anche come
trattazione sistematica del plato- nismo, almeno nella sua nuova accezione,
cioè come neoplatonismo. Ed è significativo il fatto che, se ha ragione — come
io credo che abbia - O'Meara nel ritenere che il progetto di una Sura
pitagorica Giamblico lo concepisce dopo che ha abbandonato Porfirio,!05 la
ragione di una concreta possibilità di pitagorizzare la filosofia
(neo)platonica era legata all'abbandono, appunto, di quella idea di una
costruzione del nuovo platonismo sulla base di uno studio prepa- ratorio
condotto sulla filosofia di Aristotele che Porfirio aveva drasti- camente
ripreso - andando, in questo caso, in direzione opposta a quella del suo
maestro Plotino — dalla corrente filo-peripatetica del medioplatonismo. Non è
tanto Aristotele — che pure è un momento importante nella formazione
scientifica del filosofo neoplatonico — quanto Pitagora che fornisce la chiave
di volta per la costruzione di un platonismo autentico e tecnicamente perfetto
e capace di contene- re tutte le sue originarie componenti storiche e teoriche
(in una paro- la il platonismo di Platone): solo Giamblico avrebbe potuto
realizza- re senza esitazioni, sul terreno dei rapporti tra Pitagora e Platone,
103 C£. Plotino, πη. VI 6 [34] Sui numeri [Περὶ ἀριθμῶν]. Cf. Plotin. Traité
sur les nombres (Ennéade VI 6 [34]), par J. Bertier et Alii, Paris 1980, e la
rec. a questo volume di W, Beierwaltes, «Arch.Gesch.Philos.» 67 (1985). 104 Ad
esempio nel suo Commentario sull'Armonica di Tolemeo, ed. 1. Diiring, Géòteborg
1932. 15 C£. D.J. O’ Meara, Pythagoras Revived, cit., 30 e 91 ss. 52
INTRODUZIONE quell’idea che Porfirio aveva tentato di difendere, sul terreno
dei rap- porti tra Platone e Aristotele, quando scriveva il libro Sulla
unitarietà della scuola [o dottrina] di Platone e di Aristotele [Περὶ τοῦ μίαν
εἶναι τὴν Πλάτωνος καὶ ᾿Αριστοτέλους αἵρεσιν] .106 Il progetto di Giamblico
resterà isolato nella ulteriore storia dei rapporti tra pitagorismo e
platonismo, ma non si può trascurare il fatto che l’idea-cardine di una
convergenza (se non coincidenza) tra le due dottrine rimarrà fattore
determinante e qualificante di tutte le costruzioni neoplatoniche della tarda
antichità: la presenza operante del pitagorismo (sotto forma di mzatematismo)
in filosofi quali Siriano, Proclo, Domnino, Simplicio e altri, ne è
inoppugnabile riprova. In conclusione la filosofia di Giamblico rappresenta non
soltanto la più evidente testimonianza del complesso, ma lineare e ininterrot-
to rapporto tra pitagorismo e platonismo fino alla teorizzazione di una loro
coincidenza sul piano dottrinale e teoretico, ma anche l'esempio più
significativo di quell’operazione ancora più complessa che caratterizza il
pensiero tardoantico e che consiste nel ridurre ad unità le diverse branche
dell'indagine filosofica per via di una loro gerarchizzazione fondata sulla
reale e ordinata disposizione verticale culminante nella teologia, intesa
quest’ultima come scienza delle scien- ze. L'intera ricerca scientifica può
attraversare i diversi livelli di tale ordine gerarchico solo perché di fatto
la realtà è una sola, quella divi- na, pur nella diversità delle sue
manifestazioni: in questo processo di unificazione delle scienze, la scienza
matematica esercita la sua piena e ineliminabile funzione mediatrice. Si
potrebbe dire che la matema- tica, almeno nel suo significato pitagorico,
possiede, dal punto di vista della metodologia delle scienze, la medesima
funzione che ha l’anima dal punto di vista onto-cosmologico ed etico. Il
Nuzzero e il Divino sono dunque le due facce di quella medesima realtà che le
varie scien- ze hanno il compito di predisporre come oggetto conoscitivo e con-
templativo della scienza teologica. E se è vero che neoplatonismo 106 Che si
trattasse di un semplice tentativo, forse velatamente polemico verso Plotino, è
dimostrato dal fatto che Porfirio scrive (quasi certamente dopo di quello,
essendo dedicato a Crisaorio) un altro libro per dimostrare La distanza tra
Platone e Aristotele [Περὶ διαστάσεως Πλάτωνος καὶ ᾿Αρι- στοτέλους]. Per tutti
e due questi scritti porfiriani, cf. F Romano, Porfirio di Tiro, cit., 143.
INTRODUZIONE 53 significa in ultima analisi teologia quale unica e vera
filosofia, allora il discorso filosofico altro non può essere che discorso
sacro [ἱερὸς λόγος], che è il discorso pitagorico insieme materzatico e
teologico. E se è vero, com'è vero, che l’ordine teologico precede sia l'ordine
natu- rale che l'ordine morale,!07 allora l'ordine matematico è non solo l’or-
dine divino, ma anche il fondamento di qualunque ordine di realtà. 107 C£.
Giamblico, In Nicom. 125. NOTIZIA CRONOLOGIA DELLA VITA E DEGLI SCRITTI DI
GIAMBLICO 240/250 Nascita di Giamblico a Calcide in Celesiria, 263 Ingresso di
Porfirio nella Scuola di Plotino a Roma. 269 ca. Anatolio vescovo a Laodicea
(forse dopo che a Cesarea insie- me con Teotecno) e terminus ante quem
dell’incontro di Giamblico con Anatolio. 270 Morte di Plotino, probabile
rientro dalla Sicilia a Roma di Porfirio e terminus post quem dell’incontro di
Giamblico con Porfirio. 290 ca. Ritorno di Giamblico in Siria e stesura del De
reysterzis, quale risposta all’Epistola ad Anebone di Porfirio, nonché delle
altre opere di Giamblico, compresi i Commentari a Platone e ad Aristotele. 305
ca. Morte di Porfirio. 306/337 Impero di Costantino il Grande. 222 Terminus
post quem della stesura delle Epistole di Giamblico. 226,7 Sopatro, discepolo di Giamblico, alla corte
imperiale di Co- stantinopoli e termzinus ante quem della morte di Giamblico.
BIBLIOGRAFIA I. EDIZIONI E TRADUZIONI DEGLI SCRITTI DI GIAMBLICO Per comodità
del lettore presento qui un elenco sistematico e comple- to di tutte le
edizioni e le traduzioni degli scritti principali di Giamblico. VITA DI PITAGORA
Edizioni: lamblichi De vita Pythagorae et Protrepticae orationes, ed. J.
Arcerius Theodoretus (Franekerae 1598). Iamblichi De vita Pythagorica liber,
ed. L. Kusterus (Amstelodami 1707). lamblichi De vita Pythagorica liber graece
et latine, ed. T. Kiessling (Lipsiae 1815-1816). Iamblichi Vita Pythagorae, ed.
A. Westermann, in Diogenis Laertii De clarorum philosophorum vitis, dogmatibus
et apophtegmatibus libri decem, rec. C.G. Cobet (Parisiis 1850; iterum 1862). Iamblichi
De vita Pythagorica liber, rec. A. Nauck (Petropoli [Pietro- burgo] 1884; rist.
anast. Amsterdam 1965). Iamblichi De vita Pythagorica liber, ed. L. Deubner
(Lipsiae 1937 [cf. anche Berzerkungen zum Text der Vita Pythagorae des
Iamblichus,
«SB.Ak.Berlin»
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[voll. I-VI, 1884-1912]): 48,8 = pp. 317,20- 318,15; 49,32-43 = pp.
362,23-385,10; 49,65-67 = pp. 454,10-
458,21
(13 estratti in tutto). Forse anche in Simplicio [= Prisciano?], In De an. (=
GAG XI, Berolini 1882) 1,10-20; 5,38- 6,17; 49,31-35; 89,22-90,27; 174,38-41;
187,36-188,7; 214,18-26; 217,23-28; 237,37-238,29; 240,33-241,26; 309,35-310,2;
313,1-30 Hayduck; in Prisciano, Metaphr. in Theophr. (= GAG Suppl. 12, Berolini
1866) 7,11-20; 9,12-16; 23,13-23; 24,1-10; 32,13-19; 32,33-33,1 Bywater;
[Filopono] = Stefano, In De an. (= GAG XV, Berolini 1897) 533,21-35 Hayduck. Traduzioni:
franc. in A.J. Festugière, La Révélation d'Hermès Trismégiste III, Paris 1953)
177-248 = Appendice I: Jamblique, Traité de l'àme. ingl. di J.F Finamore &
J.M. Dillon (Leiden/Boston 2002). I COMMENTARI A PLATONE Edizioni: B. Dalsgaard
Larsen, Jambligue de Chalcis exégète et philosophe. Appendice: Testimonia et
Fragmenta exegetica (Aarhus 1972) 81- 130. J.M. Dillon, Iamblichi Chalcidensis.
In Platonis dialogos Commentariorum Fragmenta (Leiden 1973). Traduzione: ingl.
in ed. Dillon, cit. I COMMENTARI AD ARISTOTELE Edizione: B. Dalsgaard Larsen,
Jamblique de Chalcis exégète et philosophe. Ap- 62 BIBLIOGRAFIA pendice:
Testimonia et Fragmenta exegetica (Aarhus 1972), 9-77. LE EPISTOLE Edizione:
estratti in Stobaeus, Antbologiur, ed. C. Wachsmuth & O. Hense, voll. I-V
(Berolini 1884 ss. [voll. I-VI, 1884-1912]) passim (cf. elenco in B. Dalsgaard
Larsen, Jamzbligue de Chalcis (Aarhus [1972], 50-51). II.
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1816; rist. York Beach, Maine 1972). G.H.F. Nesselmann, Versuch einer
kritischen Geschichte der Algebra nach den Quellen (Berlin 1842). Iohannes
Philoponus, In Nicomachi Introductionem arithmeticam, Part. I-II, ed. R. Hoche
(Wesel 1864 et Berolini 1867) (cf. Proclus-Philoponus, In Nicom. L. II, ed. A.
Delatte, Anecdota Atbeniensia Il (1939), 129-187; Proclus-Philopon, Le Commentaire au second
livre de l’Arithrnétique de Nicomaque de Proclus-Philopon, par Vassilios C. Papanicolopoulos
(Lille, Thèse 3e cycle, 1986) [tiene conto sia dell'edizione Hoche che di
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Geraseni Pythagorei Introductionis aritbmeticae Libri duo, R. Hoche (Lipsiae
1866). Boéthius, De institutione musica, in Boèthit De institutione arithmeti-
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Friedlein (Lipsiae 1867; rist. anast. Frankfurt a. M. 1966), 175-371. Proclus,
In primum Euclidis elementorurn libri commentarii, ed. G.
Friedlein (Leipzig 1873). Theon Smyrn., Expositio rerum matbematicarum ad
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Pythagoras in der Spitantike: Studien zu De vita Pythagorica des lamblichos von
Chalkis (Miinchen 2002). G.R. Giardina, I Fondamenti della Fisica.
Analisi critica di Aristot., Pbys. I (Catania 2002) = Symbolon 23. M. Barbanti
& F Romano, cur., Il Parmenide di Platone e la sua Tradizione (Catania
2002) = Symbolon 24. G.R. Giardina, Erone di Alessandria. Le radici
filosofico-matematiche della tecnologia applicata (Catania 2003) = Symbolon 26.
J. Dillon, L.P. Gerson, Neoplatonic Philosophy. Introductory
Readings (Indianapolis 2003). F. Romano, L'Uno come fondamento. La
crisi dell'ontologia classica (Catania 2004) = Symbolon 27. NOTA EDITORIALE Per
la presente traduzione ho seguito le seguenti edizioni: De vita Pythagorica,
ed. L. Deubner (Teubner, Leipzig 1937; rist. anast. con Add. et Corr. a cura di
U. Klein, 1975). Protrepticus, ed. H. Pistelli (Teubner, Leipzig 1888; rist.
anast. Stuttgart 1967). De communi mathematica scientia, ed. N. Festa (Teubner,
Leipzig 1891; rist. anast. con Addenda et Corrigenda a cura di U. Klein, 1975).
In Nicomachi Aritbmeticam introductionem, ed. H. Pistelli (Teubner, Leipzig 1894;
rist. anast. con Add. et Corr. a cura di U. Klein, 1975). Theologoumena
arithmeticae, ed. V. De Falco (Teubner, Leipzig 1922; rist. anast. con Add. et
Corr. a cura di U. Klein, 1975). Ho utilizzato tali edizioni, dopo avere rifuso
nei testi sia gli Addenda et Corrigenda delle edizioni originarie che gli
Addenda et Corrigenda predisposti da Klein. Sui testi cosî ottenuti ho operato
alcuni interventi, ora secondo congetture degli stessi editori o di altri da
loro riferiti in apparato critico, ora secondo congetture e correzio- ni
personali, dando di volta in volta notizia al lettore negli apparati delle Note
al testo e Note alla traduzione, queste ultime situate in coda. Gli Scholia
infine, là dove esistono, sono stati riportati in parte e solo tradotti negli
apparati delle note. In tutto questo lavoro mi è stata utile l'edizione
informatica del Thesaurus Linguae Graecae cura- ta dalla University of
California (Irvine, USA) sotto la direzione di Th.E. Brunner. Il testo greco
qui riprodotto, comunque, non ha nulla a che vedere con quello del TLG di
Irvine, sia per le abbondanti inte-grazioni e correzioni apportate, sia per la
differente formattazione editoriale. Gli apparati delle note alle traduzioni
sono, ovviamente, quasi tutti relativi a chiarimenti e complementi
interpretativi — spesso come semplici “esplicitazioni” o scilicet —, anche se
talvolta servono a ren- dere conto dei criteri di traduzione/interpretazione
adottati per par- ticolari passaggi di difficile lettura per noi moderni. Il
testo greco è stato riprodotto con l’indicazione, all’interno dello stesso
testo, del numero delle pagine (in neretto) e delle linee (a deci- 72 NOTA
EDITORIALE ne) della rispettiva edizione, mentre nel testo tradotto è stato
indica- to, sempre all’interno del testo, soltanto il numero delle pagine,
senza indicazione delle linee. Quest'ultima limitazione è giustificata dalla
presenza del testo greco a fronte nonché dal fatto che qualsiasi riman- do sia
nelle Note al testo che nelle Note alla traduzione si riferisce alle pagine e
alle linee del testo greco. Avrei preferito collocare anche le Note alla
traduzione a pie’ di pagina, affinché fossero di maggiore comodità per la
lettura, ma la notevole quantità e la sproporzione tra i due tipi di apparato
di Note al testo e Note alla traduzione rendevano tecnicamente impossibile il
testo a fronte, criterio a cui non si è voluto rinunciare. GIAMBLICO VITA DI
PITAGORA περὶ τοῦ Πυθαγορικοῦ βίου [1] Κεφάλαια τοῦ πρώτου λόγου περὶ τοῦ
Πυθαγορικοῦ βίου 1. Προοίμιον περὶ τῆς Πυθαγόρου φιλοσοφίας, ἐν ᾧ θεῶν παρά-
κλησις προηγεῖται καὶ τὸ χρήσιμον καὶ δύσκολον τῆς πραγματείας συνεμφαίνεται.
2. Περὶ Πυθαγόρου καὶ τοῦ γένους αὐτοῦ καὶ τῆς πατρίδος καὶ τῆς ἀνατροφῆς καὶ
παιδείας καὶ τῶν ἀποδημιῶν καὶ τῆς εἰς οἶκον ἐπα- νόδου καὶ τῆς ἐντεῦθεν εἰς
Ἰταλίαν ἐξόδου καὶ ὅλως περὶ παντὸς τοῦ κατ᾽ αὐτὸν βίου. 3, Τίς ὁ εἰς τὴν
Φοινίκην αὐτοῦ ἔκπλους, καὶ τίς ἡ ἐκεῖ διατριβή, καὶ τίς ἡ ἐντεῦθεν εἰς τὴν
Αἴγυπτον ἀποδημία καὶ πῶς γενομένη. 4. Τίς ἡ ἐν Αἰγύπτῳ αὐτοῦ διατριβή, καὶ πῶς
ἐντεῦθεν ἀπεδήμησεν εἰς Βαβυλῶνα, καὶ πῶς ἐκεῖ τοῖς μάγοις συνεγένετο, «καὶ»
πῶς ἐπανῆλθεν αὖθις εἰς τὴν Σάμον. 5. Τίς ἡ ἐν τῇ Σάμῳ αὐτοῦ κατὰ τὴν ἐπιδημίαν
ἐγένετο διατριβή, καὶ πῶς τὸν ὁμώνυμον αὐτῷ θαυμαστῇ τέχνῃ ἐπαίδευσεν,
ἀποδημίαι τε αὐτοῦ εἰς τοὺς Ἕλληνας καὶ τρόποι ἀσκήσεως ἐν τῇ Σάμῳ. 6. Αἰτίαι
δι᾽ ἃς ἀπεδήμησεν εἰς τὴν Ἰταλίαν καὶ περὶ τῆς ἀποδημί- ας αὐτοῦ ταύτης,
καθολικός τε διορισμὸς περὶ Πυθαγόρου ὁποῖός τις ἦν καὶ περὶ τῆς κατ᾽ αὐτὸν
φιλοσοφίας. 7. Κοινοί τινες ὡσπερεὶ τύποι τῶν ἐν Ἰταλίᾳ αὐτοῦ πράξεων καὶ τῶν εἰς
ἀνθρώπους ἐμφερομένων εἰς τὸ κοινὸν λόγων ὁποῖοί τινες ἦσαν. 8. Πότε καὶ πῶς
εἰς Κρότωνα ἐπεδήμησε, τίνα τε ἔπραξεν ἐν τῇ πρώτῃ ἐπιφοιτήσει, καὶ τίνας
λόγους εἶπεν εἰς τοὺς νεανίσκους. [2] 9. Τίνας λόγους διελέχθη ἐν τοῖς χιλίοις
τοῖς προεστηκόσι τῆς ὅλης πολιτείας περὶ τῶν ἀρίστων λόγων τε καὶ
ἐπιτηδευμάτων. 10. Τίνα τοῖς παισὶ Κροτωνιατῶν συνεβούλευσεν ἐν τῷ Πυθαΐῳ κατὰ
τὴν πρώτην ἐπιδημίαν. 11. Τίνα ταῖς Κροτωνιατῶν γυναιξὶν ἐν τῷ Ἡραίῳ διελέχθη
κατὰ τὴν πρώτην ἐπιδημίαν. 12. Τίς ἡ περὶ φιλοσοφίας αὐτοῦ διάλεξις, καὶ ὅτι
πρῶτος ἑαυτὸν φιλόσοφον ἐπωνόμασε καὶ διὰ τίνα αἰτίαν. VITA DI PITAGORA 75
Sommario del primo libro <della Summa pitagorica> sulla Vita di Pitagora.
1. Proemio sulla filosofia di Pitagora, nel quale, dopo una prelimi- nare
invocazione degli dèi, si mostrano insieme l’utilità e la difficoltà della
trattazione. 2. Su Pitagora e la sua famiglia e la sua patria e la sua crescita
e la sua educazione e i suoi viaggi e il suo ritorno a casa e la sua partenza
per l’Italia e, insomma, sull’intera sua vita. 3. Quale fu il suo viaggio per
mare verso la Fenicia, e quale il suo soggiorno laggit, e il suo viaggio verso
l'Egitto e in che modo questo avvenne. 4. Quale fu il suo soggiorno in Egitto,
e in che modo di li parti verso Babilonia, e in che modo incontrò laggiù i
Magi, e in che modo rientrò a Samo. 5. Che cosa fece durante il suo soggiorno a
Sarno, e in che modo educò con arte meravigliosa il suo omonimo, e i suoi
viaggi verso la Grecia e i modi della sua attività ascetica a Samo. 6.I motivi
della sua partenza per l’Italia e sul suo viaggio in Italia, e la
determinazione generale di chi fu Pitagora e quale fu la sua filo- sofia. 7.
Quali furono i modi in cui si svolse la sua attività in Italia e di che genere
furono i discorsi che rivolse pubblicamente agli uomini. 8. Quando e come parti
verso Crotone, e che cosa fece durante il suo primo soggiorno in quella città,
e quali discorsi indirizzò ai giova- ni. 9. Quali discorsi pronunciò
nell'assemblea dei Mille che governa- va l’intero stato, a proposito del
miglior genere di discorsi e di occu- pazioni. 10. Quali consigli diede, nel
tempio di Apollo Pizio, ai fanciulli di Crotone durante il suo primo soggiorno.
11. Che cosa disse, nel tempio di Era, alle donne di Crotone durante il suo
primo soggiorno. 12. Quale fu il suo ragionamento intorno alla filosofia, e il
fatto che egli per primo si chiamò filosofo e per quale ragione. 76 GIAMBLICO
13. Ὅτι καὶ εἰς τὰ θηρία darei vovoav καὶ τὰ ἄλογα ζῷα τὴν διὰ λόγου
παιδευτικὴν δύναμιν εἶχε Πυθαγόρας, καὶ τούτων τεκμήρια πλείονα. 14. Ὅτι ἀρχὴν
ἐποιεῖτο τῆς παιδεύσεως τὴν ἀνάμνησιν τῶν προ- τέρων βίων, odg αἱ ψυχαὶ
πρότερον διεβίωσαν πρὶν εἰς τὰ σώματα ἀφικέσθαι, ἐν οἷς τότε ἐνοικοῦσαι
ἐτύγχανον. 15. Τίς ἡ δι᾽ αἰσθήσεως πρώτη εἰς παιδείαν ἀγωγὴ παρ᾽ αὐτῷ, καὶ πῶς
ἐπηνωρθοῦτο τὰς ψυχὰς τῶν προσομιλούντων διὰ μουσικῆς, καὶ πῶς ταύτην αὐτὸς τὴν
ἐπανόρθωσιν τελείαν εἶχε. 16. Τίς ἡ καθαρτικὴ παρ᾽ αὐτῷ ἄσκησις, ἣν καὶ αὐτὸς
συνησκεῖτο, τίς τε ἡ τελεωτέρα αὐτοῦ τῆς φιλίας ἐπιτήδευσις ἦν, καὶ αὐτὴ προ-
παρασκευάζουσα εἰς φιλοσοφίαν ἐπιτηδείους. 17. Πῶς τὴν δοκιμασίαν ἐποιεῖτο τῶν
πρώτως προσιόντων ἑταίρων ὁ Πυθαγόρας, καὶ τίνας ἐποιεῖτο πείρας αὐτῶν τοῦ
τρόπου πρὸ τῆς εἰς φιλοσοφίαν εἰσαγωγῆς. 18. Εἰς πόσα γένη καὶ πῶς διεῖλε τοὺς
ὁμιλητὰς ἑαυτοῦ ὁ Πυθαγόρας, καὶ διὰ τίνας αἰτίας οὕτως αὐτοὺς διέκρινεν. 19.
Ὅτι πολλὰς ὁδοὺς Πυθαγόρας ἀνεῦρε τῆς ὠφελίμου παιδεύσεως τῶν ἀνθρώπων, ἐν ᾧ
λέγεται καὶ ἡ ᾿Αβάριδος πρὸς αὐτὸν αὐτοῦ συνουσία, πῶς τε αὐτὸν ἤγαγεν εἰς τὴν
ἀκροτάτην σοφίαν καθ᾽ ἑτέρας ὁδοὺς παιδείας. 20. Τίνα τὰ ἴδια ἀσκήματα τῆς
Πυθαγορικῆς φιλοσοφίας, [3] καὶ πῶς αὐτὰ παρεδίδου Πυθαγόρας, καὶ πῶς ἐγύμναζε
τοὺς ἀεὶ μετωλαμβά- νοντας τῆς φιλοσοφίας. 21. Περὶ ἐπιτηδευμάτων οἷα
κατεστήσατο Πυθαγόρας καὶ δι᾽ ὅλης ἡμέρας παρέδωκε τοῖς ἑταίροις ἐπιμελῶς
πράττειν, καὶ παραγγέ- λματά τινα τοῖς ἐπιτηδεύμασιν ὁμολογούμενα. 22. Τίς ὁ
τρόπος τῆς παιδείας ὁ διὰ τῶν Πυθαγορικῶν ἀποφάσεων καὶ τῶν εἰς τὸν βίον καὶ
τὰς ἀνθρωπίνας ὑπολήψεις διατεινουσῶν. 23. Τίς ἡ διὰ συμβόλων προτροπὴ εἰς
φιλοσοφίαν καὶ ἀπόρρητος δογμάτων ἔμφασις καὶ ἀποκεκρυμμένη <, ἣ» μόνοις
τοῖς εἰδόσι παι- δείαν παρεδόθη ὑπὸ Πυθαγόρου κατὰ τὴν Αἰγυπτίων καὶ τῶν ἀρχα-
ιοτάτων παρ᾽ Ἕλλησι θεολόγων συνήθειαν. VITA DI PITAGORA 77 13. Pitagora
esercitò attraverso il discorso la sua capacità educati- va estendendola anche alle
belve e agli animali privi di ragione, e di ciò esistono molteplici prove. 14.
Pitagora faceva cominciare l'educazione dalla reminiscenza delle vite
anteriori, che le anime hanno vissuto in precedenza, prima cioè della loro
discesa nei corpi nei quali adesso si trovano ad abitare. 15. Qual era,
nell’insegnamento di Pitagora, la prima introduzio- ne all'educazione, cioè
quella che si compie per mezzo dei sensi, e in che modo egli correggeva,
attraverso la musica, le anime di coloro che lo frequentavano, e in che modo
egli stesso raggiunse alla perfezione tale correzione. 16. Qual era, nel suo
insegnamento, l’ascesi purificatoria, che egli stesso praticava, e qual era la
sua pratica dell’amicizia che in lui era più perfetta che in altri, e come tale
pratica fosse preparatoria dell’at- titudine alla filosofia. 17. In che modo
Pitagora sottoponeva ad esame i compagni che lo avvicinavano per la prima
volta, e a quali prove sperimentali sotto- poneva il loro stile di vita prima
di introdurli alla filosofia. 18. In quanti generi e in.che modo Pitagora
suddivideva i suoi discepoli, e per quali ragioni faceva tale suddivisione. 19.
Pitagora scopri molte vie per educare proficuamente gli uomi- ni; dove si parla
anche di Abari e delle lezioni che Pitagora gli impar- ti, e del modo in cui lo
condusse alla suprema sapienza con metodi educativi diversi <da quelli che
era solito seguire>. 20. Quali erano le pratiche proprie della filosofia
pitagorica e in che modo Pitagora le insegnava, e in che modo egli facesse esercitare
coloro che via via praticavano la sua filosofia. 21. Sulle occupazioni fissate
da Pitagora e su che cosa egli ha inse- gnato ai suoi compagni di fare in modo
accurato nell'arco dell’intera giornata, e quali erano i suoi precetti in
conformità a quelle occupa- zioni. 22. Qual è il tipo di educazione per mezzo
dei divieti pitagorici relativamente sia alla condotta di vita sia alle
supposizioni umane. 23. Qual è l'esortazione alla filosofia per mezzo dei
simboli e qual è il senso, segreto e nascosto, delle dottrine trasmesse da
Pitagora solo a coloro che egli aveva educati secondo il costume degli Egizi e
dei più antichi teologi tra i Greci. 78 GIAMBLICO 24. Τίνων ἀπείχετο βρωμάτων
καθόλου Πυθαγόρας καὶ τίνων τοῖς ἑταίροις ἀπέχεσθαι παρήγγελλε, καὶ πῶς ἄλλους
καὶ ἄλλους νό- μους ἐνομοθέτησε περὶ τούτου κατὰ τοὺς οἰκείους βίους ἑκάστοις
καὶ διὰ τίνας αἰτίας. 25. Πῶς καὶ διὰ μουσικῆς καὶ μελῶν ἐπαίδευε τοὺς
ἀνθρώπους κατὰ καιρούς τε ὡρισμένους καὶ ὅτε μάλιστα παρηνώχλει αὐτοῖς τὰ πάθη,
τίνας τε καθάρσεις νόσων ψυχῆς τε καὶ σώματος δι᾽ αὐτῆς ἐποιεῖτο, καὶ πῶς αὐτὰς
ἐπετήδευε. 26. Πῶς τὴν εὕρεσιν ἐποιήσατο Πυθαγόρας καὶ ἀπὸ ποίας μεθόδου
ἁρμονίας τε καὶ τῶν ἁρμονικῶν λόγων, καὶ πῶς παρέδωκε τοῖς ἐπηκόοις πᾶσαν τὴν
περὶ τούτων ἐπιστήμην. 27. Ὅσα πολιτικὰ καὶ κοινωφελῆ ἀγαθὰ παρέδωκε τοῖς
ἀνθρώποις δι᾽ ἔργων καὶ λόγων καὶ διὰ τῆς τῶν πολιτειῶν καταστάσεως καὶ τῆς τῶν
νόμων θέσεως δι᾽ ἄλλων τε πολλῶν «καὶ» καλῶν ἐπιτηδευμάτων αὐτός τε καὶ οἱ
ἑταῖροι αὐτοῦ. 28. Ὅσα θεῖα καὶ θαυμαστὰ ἔργα διεπράξατο, καὶ ὅσα ἀνήκει εἰς εὐσέβειαν
καὶ διὰ τῆς τῶν θεῶν εὐμενείας τὴν μεγίστην παρέχεται εἰς ἀνθρώπους εὐεργεσίαν,
ἃ καὶ κατεπέμφθη εἰς τὸ θνητὸν γένος διὰ Πυθαγόρου. [4] 29. Περὶ τῆς Πυθαγόρου
σοφίας τίς τε ἦν καὶ καθ᾽ ὅσα γένη καὶ εἴδη διήρητο, ὅπως τε ἀπὸ τῶν πρώτων
μέχρι τῶν τελευταίων γνωριστικῶν δυνάμεων τὴν ὀρθότητα καὶ ἀκρίβειαν κατώρθωσε
καὶ τοῖς ἀνθρώποις παρέδωκε.30. Περὶ δικαιοσύνης ὅσα τοῖς ἀνθρώποις εἰς αὐτὴν
συνεβάλλετο Πυθαγόρας, καὶ ὡς ἄνωθεν ἀπὸ τῶν ἄκρων αὐτῆς γενῶν μέχρι τῶν
τελευταίων εἰδῶν ἐπετήδευσεν αὐτὴν καὶ παρέδωκε τοῖς πᾶσι. 31, Περὶ σωφροσύνης
ὅπως αὐτὴν ἐπετήδευσε Πυθαγόρας καὶ παρέδωκεν εἰς ἀνθρώπους διὰ λόγων τε καὶ
ἔργων καὶ πάσης κτί- σεῶς, πόσα τε αὐτῆς εἴδη καὶ τίνα κατεστήσατο ἐν τοῖς
ἀνθρώποις. 32. Περὶ ἀνδρείας ὅσα καὶ οἷα παραγγέλματα Πυθαγόρας παρέδω- κεν εἰς
ἀνθρώπους, ἀσκήματά τε ὅσα καὶ ἔργα γενναῖα τὰ μὲν αὐτὸς διεπράξατο, τὰ δὲ καὶ
τοὺς χρωμένους αὐτῷ ἐποίησε διαπράξασθαι. 33. Περὶ φιλίας οἵα τε ἦν καὶ ὅση
παρὰ Πυθαγόρᾳ αὐτῷ, καὶ ὅπως εἰς πάντας αὐτὴν διέτεινε, πόσα τε αὐτῆς εἴδη
κατεστήσατο, καὶ τίνα ἔργα σύμφωνα τοῖς ἐπιτηδεύμασιν οἱ Πυθαγόρειοι διεπράξαν-
το. VITA DI PITAGORA 7924. Da quali cibi Pitagora si asteneva del tutto, da
quali egli pre- scriveva ai suoi compagni di astenersi, e in che modo egli
stabili, a questo proposito, regole diverse a seconda del tipo di vita proprio
di ciascuno, e per quali ragioni. 25. In che modo egli educava gli uomini per
mezzo della musica e del canto e secondo momenti opportuni, soprattutto quando
erano turbati dalle passioni, e in che modo egli purificava l’anima e il corpo
delle loro <rispettive> malattie, e in che modo egli praticava tali puri-
ficazioni. 26. In che modo e sulla base di quale metodo egli fece la sua sco-
perta e dell'armonia e dei rapporti armonici, e in che modo egli inse- gnò ai
suoi uditori tutta questa scienza [sc. l’armonica]. 27.1 beni relativi alle
città e alla pubblica utilità, che Pitagora stes- so e i suoi compagni
insegnarono agli uomini con fatti e con parole, sia stabilendo le costituzioni
<di alcune città> sia dettando delle leggi, e per mezzo di molte altre
belle occupazioni. 28. Le opere divine e portentose che egli compî, e quelle
che siriferiscono alla pietà e che procurano agli uomini, grazie alla benevo-
lenza degli dèi, il maggiore beneficio, opere che grazie a Pitagora sono state
introdotte anche nel genere umano. 29. Sulla sapienza di Pitagora e di che tipo
era e in quanti generi e specie essa si divideva, e il fatto che egli, a
partire dalle prime facol- tà conoscitive fino alle ultime, riusciva ad essere
corretto e preciso, cose che egli ha insegnato agli uomini. 30. Sulla
giustizia: il contributo offerto da Pitagora agli uomini per conseguirla, e
come egli la praticò a partire dall’alto, cioè dai generi superiori fino alle
ultime specie, e come la insegnò a tutti. 31. Sulla temperanza: come Pitagora
la praticò e la insegnò agli uomini con parole e opere e con ogni mezzo, e
quante e quali specie di temperanza egli stabili tra gli uomini. 32. Sul
coraggio: quanti e quali precetti Pitagora insegnò agli uomini, e quante
pratiche e operazioni nobili egli stesso compî, e quali egli fece compiere a
coloro che avevano a che fare con lui. 33. Sull’amicizia: quale e di che
livello era nello stesso Pitagora, e come egli la estendeva a tutti, e quante
specie di amicizia ha stabilito, e quali opere i Pitagorici compivano in
accordo con le loro occupa- zioni. 80 GIAMBLICO 34. Σποράδην τινὲς ἀφηγήσεις
περὶ ὧν εἶπε καὶ ἔπραξε Πυθαγόρας αὐτὸς ἢ οἱ διαδεξάμενοι αὐτοῦ τὴν φιλοσοφίαν,
ὅσαι οὐκ εἴρηνται εἰς τὴν τεταγμένην κατὰ τὰς ἀρετὰς περὶ αὐτοῦ διήγησιν. 35.
Τίς ἡ ἐπανάστασις κατὰ τῶν Πυθαγορείων ἐγένετο καὶ ποῦ ὄντος Πυθαγόρου, καὶ διὰ
τίνας αἰτίας ἐπέθεντο αὐτοῖς οἱ τυραννι- κοὶ καὶ ἀλιτήριοι ἄνδρες. 36. Περὶ τῆς
διαδοχῆς τῆς Πυθαγόρου καὶ τῆς τελευτῆς, καὶ τῶν ἀνδρῶν τὰ ὀνόματα καὶ τῶν
γυναικῶν τῶν παραλαβόντων παρ᾽ αὐτοῦ τὴν φιλοσοφίαν. [5] IAMBAIXOY ΧΑΛΚΙΔΕΩΣ
ΤΗΣ ΚΟΙΛΗΣ ΣΥΡΙΑΣ ΠΕΡΙ TOY ΠΥΘΑΓΟΡΕΙΟΥ͂ BIOY 1 (1) Ἐπὶ πάσης μὲν φιλοσοφίας
ὁρμῇ θεὸν δήπου παρακαλεῖν ἔθος ἅπασι τοῖς γε σώφροσιν, ἐπὶ δὲ τῇ τοῦ θείου
Πυθαγόρου δικαίως ἐπωνύμῳ νομιζομένῃ πολὺ δήπου μᾶλλον ἁρμόττει τοῦτο ποιεῖν᾽
ἐκ θεῶν γὰρ αὐτῆς παραδοθείσης τὸ κατ᾽ ἀρχὰς οὐκ ἔνεστιν ἄλλως ἢ διὰ τῶν θεῶν
ἀντιλαμβάνεσθαι. πρὸς γὰρ τούτῳ καὶ τὸ κάλλος αὐτῆς καὶ τὸ μέγεθος ὑπεραίρει
τὴν ἀνθρωπίνην δύναμιν ὥστε ἐξαίφνης αὐτὴν κατιδεῖν, ἀλλὰ μόνως ἄν τίς του τῶν
θεῶν εὐ- μενοῦς ἐξηγουμένου κατὰ βραχὺ προσιὼν ἠρέμα ἂν αὐτῆς παρασπά- σασθαί
τι δυνηθείη. διὰ πάντα δὴ οὖν ταῦτα παρα(δ)καλέσαντες τοὺς θεοὺς ἡγεμόνας καὶ
ἐπιτρέψαντες αὐτοῖς ἑαυτοὺς καὶ τὸν λό- γον ἑπώμεθα ἧ ἂν ἄγωσιν, οὐδὲν
ὑπολογιζόμενοι τὸ πολὺν ἤδη χρό- νον ἠμελῆσθαι τὴν αἵρεσιν ταύτην καὶ τὸ
μαθήμασιν ἀπεξενωμέ- νοις καί τισιν ἀπορρήτοις συμβόλοις ἐπικεκρύφθαι ψευδέσι
τε καὶ νόθοις πολλοῖς συγγράμμασιν ἐπισκιάζεσθαι ἄλλαις τε πολλαῖς τοιαύταις
δυσκολίαις παραποδίζεσθαι. ἐξαρκεῖ γὰρ ἡμῖν ἡ [6] τῶν θεῶν βούλησις, μεθ᾽ ἧς
καὶ τὰ τούτων ἔτι ἀπορώτερα δυνατὸν ὑπομένειν. μετὰ δὲ θεοὺς ἡγεμόνα ἑαυτῶν
προστησόμεθα τὸν ἀρχηγὸν καὶ πατέρα τῆς θείας φιλοσοφίας, μικρόν γε ἄνωθεν προ-
λαβόντες περὶ τοῦ γένους αὐτοῦ καὶ τῆς πατρίδος. VITA DI PITAGORA 81 34.
Racconti sparsi sulle cose dette o fatte dallo stesso Pitagora o da coloro che
ne hanno ereditato la filosofia, e che non sono state incluse nella descrizione
della figura di Pitagora ordinata secondo le <diverse> virtù. 35. Quale
fu la sollevazione contro i Pitagorici e dov'era in quel tempo Pitagora, e per
quali motivi gli uomini tirannici e scellerati si scagliarono contro di loro.
36. Sulla successione a Pitagora e sulla sua fine: i nomi degli uomi- ni e
delle donne che da lui ereditarono la filosofia. Giamblico di Calcide in
Celesiria Vita di Pitagora 1 (1) All’avvio di ogni filosofare è costume, io
credo — almeno tra i saggi --, invocare un dio, ma nel caso della filosofia,
che è chiamata giustamente con lo stesso nome del divino Pitagora, a maggior
ragio- ne, io credo, è opportuno farlo, perché, essendo stata questa filosofia
insegnata all'origine dagli dèi, non è possibile coglierla altrimenti che con
il loro tramite. Un’altra ragione è che sia la bellezza che la gran- dezza di
essa superano troppo la capacità umana perché la si possa afferrare d’un sol
colpo, ma soltanto chi procede a piccoli passi, sotto la guida di un dio
benevolo, può lentamente coglierne qualche bricio- la. (2) Per tutte queste
ragioni, dunque, dopo avere invocato gli dèi come nostre guide e avere affidato
loro noi stessi e il nostro discorso, seguiamoli ovunque ci guidino, non dando
alcuna importanza al fatto che questa scuola già da molto tempo sia rimasta
negletta od occulta- ta da strane discipline e da certi simboli segreti, e al
fatto che sia stata oscurata da molti scritti falsi e apocrifi, e sia stata,
infine, resa di dif- ficile accesso da molte altre difficoltà di tal genere.
Per noi è sufficien- te, infatti, la volontà degli dèi, con la quale è possibile
sopportare cose ancora più difficili di queste. Ma dopo gli dèi, noi porremo
come nostra guida il fondatore e padre della divina filosofia, risalendo
ovviamente un po’ più a monte per parlare della sua famiglia e della sua
patria. 82 GIAMBLICO 2(3) Λέγεται δὴ οὖν ᾿Αγκαῖον τὸν κατοικήσαντα Σάμην τὴν ἐν
τῇ Κεφαληνίᾳ γεγενῆσθαι μὲν ἀπὸ Διός, εἴτε δι᾽ ἀρετὴν εἴτε διὰ ψυχῆς τι μέγεθος
ταύτην τὴν φήμην αὐτοῦ ἀπενεγκαμένου, φρονή- σει δὲ καὶ δόξῃ τῶν ἄλλων
Κεφαλήνων διαφέρειν. τούτῳ δὲ γενέ- σθαι χρησμὸν παρὰ τῆς Πυθίας συναγαγεῖν
ἀποικίαν ἐκ τῆς Κεφαληνίας καὶ ἐκ τῆς ᾿Αρκαδίας καὶ ἐκ τῆς Θετταλίας, καὶ προ-
σλαβεῖν ἐποίκους παρά τε τῶν ᾿Αθηναίων καὶ παρὰ τῶν Ἐπιδαυρίων καὶ παρὰ τῶν
Χαλκιδέων, καὶ τούτων ἁπάντων ἡγούμενον οἰκίσαι νῆσον τὴν δι᾽ ἀρετὴν τοῦ
ἐδάφους καὶ τῆς γῆς Μελάμφυλλον καλουμένην, προσαγορεῦσαί τε τὴν πόλιν Σάμον
ἀντὶ (4) τῆς Σάμης τῆς ἐν Κεφαληνίᾳ. τὸν μὲν οὖν χρησμὸν συνέβη γενέσθαι
τοιοῦτον’ ᾿Αγκαῖ᾽, εἰναλίαν νῆσον Σάμον ἀντὶ Σάμης σε οἰκίζειν κέλομαι’ Φυλλὶς
δ᾽ ὀνομάζεται αὕτη. τοῦ δὲ τὰς ἀποικίας ἐκ τῶν τόπων τῶν προειρημένων συνελθεῖν
σημεῖόν ἐστιν οὐ μόνον αἱ τῶν θεῶν τιμαὶ καὶ θυσίαι, διότι μετηγμέναι
τυγχάνουσιν ἐκ τῶν τόπων ὅθεν τὰ πλήθη τῶν ἀνδρῶν συνῆλθεν, ἀλλὰ καὶ «τὰ» τῶν
συγ- γενειῶν καὶ τῶν μετ᾽ ἀλλήλων συνόδων, ἃς ποιούμενοι οἱ Σάμιοι τυγχάνουσι.
φασὶ τοίνυν Μνήμαρχον καὶ Πυθαΐῖδα [7] τοὺς Πυθαγόραν γεννήσαντας ἐκ ταύτης
εἶναι τῆς οἰκίας καὶ τῆς συγγε- νείας τῆς ἀπ᾽ ᾿Αγκαίου γεγενημένης τοῦ τὴν (5)
ἀποικίαν στείλαν- τος. ταύτης δὲ τῆς εὐγενείας λεγομένης παρὰ τοῖς πολίταις ποιητής
τις τῶν παρὰ τοῖς Σαμίοις γεγενημένων ᾿Απόλλωνος αὐτὸν εἶναί φησι λέγων οὕτως:
Πυθαγόραν θ᾽, ὃν τίκτε Διὶ φίλῳ ᾿Απόλλωνι Πυθαΐς, ἣ κάλλος πλεῖστον ἔχεν
Σαμίων. ὁπόθεν δὲ ὁ λόγος οὗτος ἐπεκράτησεν, ἄξιον διελθεῖν. Μνημάρχῳ τούτῳ τῷ
Σαμίῳ κατ᾽ ἐμ- πορίαν ἐν Δελφοῖς γενομένῳ μετὰ τῆς γυναικὸς ἀδήλως ἔτι κυούσης
προεῖπεν ἡ Πυθία χρωμένῳ περὶ τοῦ εἰς Συρίαν πλοῦ, τὸν μὲν θυμη- ρέστατον
ἔσεσθαι καὶ ἐπικερδῆ, τὴν δὲ γυναῖκα κύειν τε ἤδη καὶ τέξεσθαι παῖδα τῶν πώποτε
κάλλει καὶ σοφίᾳ διοίσοντα καὶ τῷ ἀνθρωπίνῳ γένει μέγιστον ὄφελος εἰς (6)
σύμπαντα τὸν βίον ἐσόμε- νον. ὁ δὲ Μνήμαρχος συλλογισάμενος ὅτι οὐκ ἂν μὴ
πυθομένῳ αὐτῷ ἔχρησέ τι περὶ τέκνου ὁ θεός, εἰ μὴ ἐξαίρετον προτέρημα ἔμελλε
VITA DI PITAGORA 83 2 (3) Ebbene, si dice che Anceo, abitante di Same nell’isola
di Cefalonia, discendesse da Zeus (aveva meritato questa fama per il suo valore
o per una certa grandezza della sua anima) e si distinguesse tra gli altri
abitanti di Cefalonia per saggezza e reputazione. Egli ebbe dalla Pizia un
oracolo che gli imponeva di radunare una colonia a par-
tire
da abitanti di Cefalonia, dell'Arcadia e della Tessaglia, ai quali avrebbe
aggiunto abitanti provenienti da Atene, da Epidauro e da Calcide, e di guidare
tutti costoro a colonizzare un’isola che per la fer- tilità del suo suolo,
<dovuta anche> alla sua posizione geografica, era chiamata Melanfillo, e
di dare alla città il nome di Samo, in corrispon- denza con quello di Same di
Cefalonia. (4) L'oracolo, dunque, risultò essere di questo tenore: «Io ti esor-
to, 0 Anceo, a colonizzare un’isola in mezzo al mare: Samo in luogo di Same; ma
Fillide è il suo nome». Che i coloni provenissero dai luo- ghi predetti sono
indizi, non solo il fatto che onoravano e sacrificava- no a divinità che
risultano trasferiti dai luoghi donde si raccolse la maggior parte di quegli
uomini, ma anche le parentele reciproche e le alleanze che i Samii fecero con
essi. Ebbene, si dice che Mnemarco e Pitaide, genitori di Pitagora,
provenissero dallo stesso casato e paren- tela discendenti da Anceo, che
impiantò la colonia. (5) Ma, pur essendo questa la nobile discendenza che si
racconta tra i suoi concittadini, uno dei poeti di Samo dice che Pitagora era
figlio di Apollo, con queste parole: «E Pitagora, che ad Apollo, amico di Zeus,
diede come figlio Pitaide, la più bella tra le donne di Samo». Donde questo
racconto abbia ricavato la sua prevalenza sugli altri, è opportuno che venga
spiegato. A questo Mnemarco di Samo, che si trovava per motivi di commercio a
Delfi assieme alla moglie, la cui gravidanza non era ancora evidente, la Pizia,
che egli interrogò a pro- posito di un viaggio in Siria, predisse che il
viaggio sarebbe stato molto favorevole e lucroso e che sua moglie era già
incinta e avrebbe partorito un bambino, che avrebbe superato in bellezza e
sapienza chiunque fosse mai esistito, e sarebbe stato della massima utilità
alla vita complessiva del genere umano. (6) Ora, Mnemarco, ragionando sul fatto
che il dio non avrebbe emesso, senza essere stato prima interrogato, l'oracolo
su suo figlio, se per quest’ultimo non stesse per realizzarsi un privilegio
eccezionale 84 GIAMBLICO περὶ αὐτὸν καὶ θεοδώρητον ὡς ἀληθῶς ἔσεσθαι, τότε μὲν
εὐθὺς ἀντὶ Παρθενίδος τὴν γυναῖκα Πυθαΐδα μετωνόμασεν ἀπὸ (7) τοῦ γόνου καὶ τῆς
προφήτιδος, ἐν δὲ Σιδόνι τῆς Φοινίκης ἀποτεκούσης αὐτῆς τὸν γενόμενον υἱὸν
Πυθαγόραν προσηγόρευσεν, ὅτι ἄρα ὑπὸ τοῦ Πυθίου προηγορεύθη αὐτῷ. παραιτητέοι
γὰρ ἐνταῦθα Ἐπιμενίδης καὶ Εὔδοξος καὶ Ξενοκράτης, ὑπονοοῦντες τῇ Παρθενίδι
τότε μιγῆναι τὸν ᾿Απόλλωνα καὶ κύουσαν αὐτὴν ἐκ μὴ οὕτως ἐχούσης καταστῆσαί τε
καὶ προαγγεῖλαι διὰ τῆς προφήτιδος. τοῦτο μὲν οὖν οὐδα(δ)μῶς δεῖ προσίεσθαι. τὸ
μέντοι τὴν Πυθαγόρου ψυχὴν ἀπὸ τῆς ᾿Απόλλωνος ἡγεμονίας, εἴτε συνοπαδὸν οὖσαν
εἴτε καὶ [8] ἄλλως οἰκειότερον ἔτι πρὸς τὸν θεὸν τοῦτον συντεταγμένην, κατα-
πεπέμφθαι εἰς ἀνθρώπους οὐδεὶς ἂν ἀμφισβητήσειε τεκμαιρόμενος αὐτῇ τε τῇ
γενέσει ταύτῃ καὶ τῇ σοφίᾳ τῆς ψυχῆς αὐτοῦ τῇ παντο- δαπῇ. καὶ περὶ μὲν τῆς
γενέσεως τοσαῦτα. (9) ἐπεὶ δὲ ἀνεκομίσθη εἰς τὴν Σάμον ἀπὸ τῆς Συρίας ὁ
Μνήμαρχος μετὰ παμπόλλου κέρδους καὶ βαθείας περιουσίας, ἱερὸν ἐδείματο τῷ ᾿Απόλλωνι,
Πυθίου ἐπιγράψας, τόν τε παῖδα ποι- κίλοις παιδεύμασι καὶ ἀξιολογωτάτοις
ἐνέτρεφε, νῦν μὲν Κρεοφύλῳ, νῦν δὲ Φερεκύδῃ τῷ Συρίῳ, νῦν δὲ σχεδὸν ἅπασι τοῖς
τῶν ἱερῶν προϊσταμένοις παραβάλλων αὐτὸν καὶ ἐγχειρίζων, ὡς ἂν καὶ τὰ θεῖα κατὰ
δύναμιν αὐτάρκως ἐκδιδαχθείη. ὃ δὲ ἀνετρέφετο εὐμορφότατός τε τῶν πώποτε
ἱστορηθέντων καὶ θεοπρεπέστατος εὐ- τυχηθείς, (10) ἀποθανόντος τε τοῦ πατρὸς
σεμνότατος σωφρονέστα- τός τε ηὐξάνετο, κομιδῇ τε νέος ἔτι ὑπάρχων ἐντροπῆς
πάσης καὶ αἰδοῦς ἠξιοῦτο ἤδη καὶ ὑπὸ τῶν πρεσβυτάτων, ὀφθείς τε καὶ φθεγ-
Ἐάμενος ἐπέστρεφε πάντας, καὶ ᾧτινι οὖν προσβλέψας θαυμαστὸς ἐφαίνετο, ὥστε ὑπὸ
τῶν πολλῶν εἰκότως βεβαιοῦσθαι τὸ θεοῦ παῖδα αὐτὸν εἶναι. ὃ δὲ ἐπιρρωννύμενος
καὶ ὑπὸ τῶν τοιούτων δοξῶν καὶ ὑπὸ τῆς ἐκ βρέφους παιδείας καὶ ὑπὸ τῆς φυσικῆς
θεοειδείας ἔτι μᾶλλον ἑαυτὸν κατέτεινεν ἄξιον τῶν παρόντων προτερημάτων ἀπο-
φαίνων, καὶ διεκόσμει θρησκείαις τε καὶ μαθήμασι καὶ διαίταις ἐξαιρέτοις,
εὐσταθείᾳ τε ψυχῆς καὶ καταστολῇ σώματος, ὧν τε ἐλά- VITA DI PITAGORA 85 quale
autentico dono degli dèi, cambiò subito il nome della moglie da Partenide in
Pitaide, in ragione del figlio <che stava per partorire> e <del
nome> della profetessa. (7) E quando a Sidone, in Fenicia, sua moglie
partorî il bambino, chiamò il figlio Pitagora, in ragione del fatto che gli era
stato prean- nunciato dal Pizio. Su questo punto, infatti, occorre non dare
retta a Epimenide, a Eudosso e a Senocrate, i quali suppongono che Apollo si
sarebbe in quel tempo congiunto con Partenide e questa sarebbe rimasta incinta,
mentre prima non lo era, e avrebbe fatto annunciare tutto questo dalla sua
sacerdotessa. Cosa che non si deve assoluta- mente ammettere. (8) In verità,
che l’anima di Pitagora sia stata inviata agli uomini dal dominio di Apollo,
sia che essa si trovasse al seguito di questo dio,! sia che fosse stata
altrimenti collocata in una posizione ancora più vicina a quel dio, nessuno
potrebbe contestarlo, avendo prova e di una siffatta sua nascita e della
multiforme sapienza della sua anima. Tanto basti per quel che concerne la sua
origine. (9) Ritornato dalla Siria a Samo, dopo avere fatto moltissimi gua-
dagni e avere accumulato grandi ricchezze, Mnemarco fece costruire un tempio
che intitolò ad Apollo Pizio, e fece educare il figlio in varie e
importantissime discipline, affidandolo ora a Creofilo, ora a Ferecide di Siro,
ora a quasi tutti coloro che eccellevano in materia di religione, e lo mise
nelle mani di questi perché gli fossero insegnate in maniera soddisfacente,
secondo le sue capacità, le cose divine. Egli cresceva ed era, per fortuna, il
più bello tra quanti mai fossero stori- camente vissuti, e il più paragonabile
a un dio. (10) Dopo la morte del padre egli diventò ancor più venerando e
prudente, e pur essendo ancora assolutamente giovane, era già consi- derato
degno di ogni stima e rispetto da parte dei più anziani, e tutti quelli che lo
guardavano o lo sentivano parlare erano attratti verso di lui, e insomma su
chiunque gettasse il suo sguardo, egli appariva meraviglioso, al punto che
molti erano sicuri, e giustamente, che egli fosse figlio di un dio. Egli, dal
canto suo, rafforzato anche da tali opi- nioni e dall’educazione ricevuta fin
da bambino nonché dal suo aspet- to deiforme, ancor più si sforzava di apparire
degno dei suoi attuali privilegi, e si fregiava di pratiche religiose e
discipline matematiche e di eccellente regime di vita e di un buon equilibrio
della sua anima e 86 GIAMBLICO λει ἢ ἔπραττεν εὐδίᾳ καὶ ἀμιμήτῳ τινὶ γαλήνῃ,
μήτε ὀργῇ ποτε μήτε γέλωτι μήτε ζήλῳ μήτε φιλονεικίᾳ μήτε ἄλλῃ ταραχῇ ἢ προπετείᾳ
ἁλισκόμενος, (11) ὡς δὲ δαίμων τις ἀγαθὸς ἐπιδημῶν τῇ Σάμῳ. διό- περ ἔτι [9]
ἐφήβου αὐτοῦ ὄντος πολλὴ δόξα εἴς τε Μίλητον πρὸς Θαλῆν καὶ εἰς Πριήνην πρὸς
Βίαντα διεκομίσθη τοὺς σοφοὺς καὶ «εἰς τὰς ἀστυγείτονας πόλεις ἐξεφοίτησε, καὶ
τὸν ἐν Σάμῳ κομήτην ἤδη ἐν παροιμίᾳ πολλοὶ πολλαχοῦ τὸν νεανίαν ἐπευφημοῦντες
ἐξε- θείαζον καὶ διεθρύλλουν. ὑποφυομένης δὲ ἄρτι τῆς Πολυκράτους τυραννίδος
περὶ ὀκτωκαιδέκατον μάλιστα ἔτος γεγονὼς προορώμε- νός τε οἷ χωρήσει καὶ ὡς
ἐμπόδιος ἔσται τῇ αὐτοῦ προθέσει καὶ τῇ ἀντὶ πάντων αὐτῷ σπουδαζομένῃ
φιλομαθείᾳ, νύκτωρ λαθὼν πάντας μετὰ τοῦ Ἑρμοδάμαντος μὲν τὸ ὄνομα, Κρεοφυλείου
δὲ ἐπικαλου- μένου, ὃς ἐλέγετο Κρεοφύλου ἀπόγονος εἶναι, Ὁμήρου ξένου τοῦ
ποιητοῦ <, οὗ δὴ δοκεῖ» γενέσθαι φίλος καὶ διδάσκαλος τῶν ἁπάντων, μετὰ
τούτου πρὸς τὸν Φερεκύδην διεπόρθμευε καὶ πρὸς ᾿Αναξίμανδρον τὸν dvoi(12)xòv
καὶ πρὸς Θαλῆν εἰς Μίλητον, καὶ παραγενόμενος πρὸς ἕκαστον αὐτῶν ἀνὰ μέρος
οὕτως ὡμίλησεν, ὥστε πάντας αὐτὸν ἀγαπᾶν καὶ τὴν φύσιν αὐτοῦ θαυμάζειν καὶ
ποιεῖσθαι τῶν λόγων κοινωνόν. καὶ δὴ καὶ ὁ Θαλῆς ἄσμενος αὐτὸν προσήκατο, καὶ
θαυμάσας τὴν πρὸς τοὺς ἄλλους νέους παραλλαγήν. ὅτι μείζων τε καὶ ὑπερβεβηκυῖα
ἦν τὴν προφοιτήσασαν ἤδη δόξαν, μεταδούς τε ὅσων ἠδύνατο μαθημάτων, τὸ γῆράς τε
τὸ ἑαυτοῦ αἰτια- σάμενος καὶ τὴν ἑαυτοῦ [10] ἀσθένειαν προετρέψατο εἰς Αἴγυπτον
διαπλεῦσαι καὶ τοῖς ἐν Μέμφει καὶ Διοσ«πόλει» μάλιστα συμβα- λεῖν ἱερεῦσι: παρὰ
γὰρ ἐκείνων καὶ ἑαυτὸν ἐφωδιάσθαι ταῦτα, δι᾽ ἃ σοφὸς παρὰ τοῖς πολλοῖς
νομίζεται. οὐ μὴν τοσούτων γε προτερ- ημάτων οὔτε φυσικῶς οὔτε ὑπ᾽ ἀσκήσεως
ἐπιτετευχέναι ἑαυτὸν ἔλεγεν, ὅσων τὸν Πυθαγόραν καθορᾶν. ὥστε ἐκ παντὸς
εὐηγγελίζε- το, εἰ τοῖς δηλουμένοις ἱερεῦσι συγγένοιτο, θειότατον αὐτὸν καὶ
σοφώτατον ὑπὲρ ἅπαντας ἔσεσθαι ἀνθρώπους. 3 (13) ᾿Ωφεληθεὶς οὖν παρὰ Θάλεω τά
τε ἄλλα καὶ χρόνου μάλιστα φείδεσθαι, καὶ χάριν τούτου οἰνοποσίᾳ τε καὶ
κρεωφαγίᾳ καὶ ἔτι VITA DI PITAGORA 87 di un controllo del suo corpo, e di una
calma e di una serenità inimi- tabili, e non si lasciava mai trascinare né
dall’ira, né dal riso, né dalla gelosia, né dalla rivalità, né da nessun altro
turbamento o sconsidera- tezza, quasi che un demone buono avesse preso dimora a
Samo. (11) Perciò, pur essendo ancora un efebo, la sua grande fama giunse a
Mileto e a Priene, <rispettivamente> ai sapienti Talete e Biante, e si propagò
nelle città vicine, e molta gente che, in molti luo- ghi, chiamava il giovane,
in maniera divenuta ormai proverbiale, “il chiomato di Samo”, lo divinizzava e
ne diffondeva la fama. Appena cominciò a crescere la tirannide di Policrate,
Pitagora, che poteva avere al massimo diciotto anni, prevedendo dove essa
sarebbe arriva- ta e quale ostacolo avrebbe costituito per i suoi propri
progetti e per la propria sete di conoscenza, a cui egli teneva sopra ogni
cosa, notte- tempo e all’insaputa di tutti, in compagnia di Ermodamante (era
que- sto il suo nome, ma veniva soprannominato Creofileo, perché si dice- va
che fosse discendente di Creofilo, l’ospite del poeta Omero, di cui sembra
fosse divenuto amico e maestro in tutto), andò a visitare, insieme con lui, Ferecide
e Anassimandro, il filosofo della natura, e Talete, a Mileto. (12) Incontrando
ciascuno di essi, uno alla volta, li frequentò cosi bene che tutti lo amarono e
furono sorpresi delle sue doti naturali e lo resero partecipe dei loro
insegnamenti. E in particolare fu Talete che lo accolse con gioia e, sorpreso
del fatto di trovarlo tanto diffe- rente rispetto a tutti gli altri giovani,
perché tale differenza era supe- riore e al di là della fama che lo aveva
preceduto, gli insegnò tutte le discipline matematiche che poteva, e a motivo
della sua propria vec- chiezza e debolezza, lo esortò a recarsi via mare in
Egitto e a metter- si soprattutto in contatto con i sacerdoti di Menfi e di
Diospoli, per- ché da quelli, egli diceva, anche lui aveva attinto quelle cose
per le quali si era guadagnato presso la gente il nome di sapiente. Nondimeno,
diceva Talete, egli stesso non possedeva, né per natura né per esercizio, tante
doti privilegiate quante ne vedeva in Pitagora: sicché da tutto questo egli
poteva preconizzare che, se si fosse unito a quei sacerdoti, Pitagora sarebbe
diventato il più divino e il più sapien- te tra tutti gli uomini. 3 (13) Da
Talete, tra l’altro, fu aiutato a economizzare al massimo il suo tempo, e
avendo rinunciato, grazie a ciò [sc. al suo risparmio di 88 GIAMBLICO πρότερον
πολυφαγίᾳ ἀποταξάμενος, τῇ δὲ τῶν λεπτῶν καὶ evava- δότων ἐδωδῇ συμμετρηθείς,
κἀκ τούτου ὀλιγοῦὔπνίαν καὶ ἐπεγρίαν καὶ ψυχῆς καθαρότητα κτησάμενος ὑγείαν τε
ἀκριβεστάτην καὶ ἀπαρέγκλιτον τοῦ σώματος, ἐξέπλευσεν εἰς τὴν Σιδόνα, φύσει τε
αὑτοῦ πατρίδα πεπυσμένος εἶναι καὶ καλῶς οἰόμενος ἐκεῖθεν αὑτῷ (14) ῥᾷονα τὴν
εἰς Αἴγυπτον ἔσεσθαι διάβασιν. ἐνταῦθα δὴ συμ- βαλὼν τοῖς τε Μώχου τοῦ
φυσιολόγου προφήτου ἀπογόνοις καὶ τοῖς ἄλλοις Φοινικικοῖς ἱεροφάνταις, καὶ
πάσας [11] τελεσθεὶς θείας τελετὰς ἔν τε Βύβλῳ καὶ Τύρῳ καὶ κατὰ πολλὰ τῆς
Συρίας μέρη ἐξαιρέτως ἱερουργουμένας, καὶ οὐχὶ δεισιδαιμονίας ἕνεκα τὸ τοιοῦτον
ὑπομείνας, ὡς ἄν τις ἁπλῶς ὑπολάβοι, πολὺ δὲ μᾶλλον ἔρωτι καὶ ὀρέξει θεωρίας
καὶ εὐλαβείᾳ τοῦ μή τι αὐτὸν τῶν ἀξιο- μαθήτων διαλάθῃ ἐν θεῶν ἀπορρήτοις ἢ
τελεταῖς φυλαττόμενον, προσμαθών τε ὅτι ἄποικα τρόπον τινὰ καὶ ἀπόγονα τῶν ἐν
Αἰγύπτῳ ἱερῶν τὰ αὐτόθι ὑπάρχει, ἐκ τούτου τε ἐλπίσας καλλιόνων καὶ θειοτέρων
καὶ ἀκραιφνῶν μεθέξειν μυημάτων ἐν τῇ Αἰγύπτῳ, ἀγα- σθεὶς κατὰ τὰς Θάλξω τοῦ
διδασκάλου ὑποθήκας διεπορθμεύθη ἀμελλητὶ ὑπό τινων Αἰγυπτίων πορθμέων
καιριώτατα προσορμι- σάντων τοῖς ὑπὸ Κάρμηλον τὸ Φοινικικὸν ὄρος αἰγιαλοῖς,
ἔνθα ἐμό- vate τὰ πολλὰ ὁ Πυθαγόρας κατὰ τὸ ἱερόν᾽ οἵπερ ἄσμενοι ἐδέξαν- το
αὐτόν, τήν τε ὥραν αὐτοῦ κερδῆσαι καί, εἰ ἀποδοῖντο, τὴν πολυ(] 5)τιμίαν
προϊδόμενοι. ἔπειτα μέντοι κατὰ τὸν πλοῦν ἐγ- κρατῶς αὐτοῦ τε καὶ σεμνῶς
ἀκολούθως τε τῇ συντρόφῳ ἐπιτηδεύ-
σει
διάγοντος ἄμεινον περὶ αὐτοῦ διατεθέντες καὶ μεῖζόν τι ἢ κατὰ τὴν ἀνθρωπίνην
φύσιν ἐνιδόντες τῇ τοῦ παιδὸς εὐκοσμίᾳ, ἀναμ- νησθέντες τε ὡς προσορμίσασιν
εὐθὺς αὐτοῖς ὦφθη κατιὼν ἀπ’ ἄκρου τοῦ Καρμήλου λόφου (ἱερώτατον δὲ τῶν ἄλλων
ὀρῶν ἠπίσταν- το αὐτὸ καὶ πολλοῖς ἄβατον), σχολαίως τε καὶ ἀνεπιστρεπτὶ βαίνων,
οὔτε κρημνώδους τινὸς οὔτε δυσβάτου πέτρας ἐνισταμένης, καὶ ἐπι- στὰς τῷ σκάφει
μόνον τε ἐπιφθεγξάμενος «εἰς Αἴγυπτον ὁ ἀπό- VITA DI PITAGORA 89 tempo], a bere
vino e a mangiare carne e, ancora prima, a fare pasti abbondanti, limitandosi,
al contrario, a nutrirsi di cibi leggeri e ben digeribili, e ottenendo, grazie
a tale regime, di potere dormire poco, e di avere un'anima vigile e pura e una
salute del corpo perfetta e costante, si recò via mare a Sidone, sia perché
aveva appreso che quel- la città era la sua patria naturale, sia perché
credeva, giustamente, che da lî gli sarebbe stato più facile passare in Egitto.
(14) Avendo incontrato a Sidone i discendenti di Moco, il profeta e filosofo
della natura, e gli altri ierofanti fenici, ed essendosi fatto ini- ziare ai
misteri divini che esercitavano prevalentemente i sacerdoti di Biblo e di Tiro
e di molte parti della Siria, Pitagora si sottopose a tutto ciò non già per
superstizione, come si potrebbe supporre per superfi- cialità, ma piuttosto per
amore e desiderio di contemplazione e per timore che non restasse nascosto
qualcosa di ciò che era degno di essere appreso, in quanto custodito nei
segreti degli dèi o nelle inizia- zioni, e poiché egli aveva appreso in
precedenza che le cose sacre che esistevano in quei luoghi [sc. in Siria] erano
in qualche modo di fon- dazione e filiazione egiziana, e sperando per questo di
partecipare in Egitto alle migliori e più divine e più genuine iniziazioni,
allora, pieno di ammirazione <per tali cose>, seguendo i suggerimenti del
maestro Talete, si fece trasportare senza indugio <verso l’Egitto> da
alcuni marinai egiziani, che erano, molto opportunamente, approdati sulla costa
sotto il monte Carmelo, in Fenicia, dove Pitagora soggiornava spesso in
solitudine nel tempio. Quelli lo accolsero con gioia, perché prevedevano di
potere trarre profitto dalla sua giovane età, e di pote- re guadagnare molto da
un'eventuale sua vendita. (15) In seguito, tuttavia, poiché durante la
navigazione Pitagora si comportava in modo controllato e dignitoso, e cioè
secondo la sua innata attitudine, essi divennero meglio disposti nei suoi
confronti e intravidero nella compostezza del giovane qualcosa di superiore
alla natura umana, e si ricordarono che quando lo videro, appena sbarca- ti,
scendere dall’alto del monte Carmelo (essi sapevano che questo era il più santo
fra tutti i monti e il più inaccessibile alla maggior parte degli uomini) egli
procedeva lentamente e senza voltarsi, e senza che alcun dirupo o roccia
difficilmente sormontabile gli ostacolasse il passo, e, avvicinatosi alla nave,
chiese semplicemente: “Si va in Egitto?” e che una volta che avevano risposto
di sî, egli salî a bordo e 90 GIAMBLICO πλους;» κατανευσάντων αὐτῶν ἐνέβη Kai
σιωπῇ ἐκάθισεν ἔνθα μάλιστα οὐκ ἔμελλεν αὐτοῖς ἐμπόδιος ἔσεσθαι [12] (16)
νανυτιλλο- μένοις, παρ᾽ ὅλον «τε» τὸν πλοῦν ἐφ᾽ ἑνός τε καὶ τοῦ αὐτοῦ σχήμα-
τος διέμεινε δύο νύκτας καὶ τρεῖς ἡμέρας μήτε τροφῆς μήτε ποτοῦ μετασχὼν μήτε
ὕπνου, ὅτι εἰ μὴ λαθὼν ἅπαντας ὡς εἶχεν ἐν τῇ ἑδραίᾳ καὶ ἀσαλεύτῳ ἐπιμονῇ
κατέδαρθε βραχύ, καὶ ταῦτα διηνε- κοῦς καὶ σεσυρμένου παρὰ προσδοκίαν
εὐθυτενοῦς τε συμβάντος αὐτοῖς τοῦ πλοῦ ὡς ἄν τινος παρουσίᾳ θεοῦ“ πάντα
συντιθέντες τὰ τοιάδε καὶ ἐπισυλλογιζόμενοι δαίμονα ϑεῖον ὡς ἀληθῶς ἐπεί-
σθησαν σὺν αὐτοῖς ἀπὸ Συρίας εἰς Αἴγυπτον μετιέναι, καὶ τόν τε πρόσλοιπον
εὐφημότατα πλοῦν διεξήνυσαν καὶ σεμνοτέροις ἤπερ εἰώθεσαν ὀνόμασί τε καὶ
πράγμασιν ἐχρήσαντο πρός τε ἀλλήλους καὶ πρὸς αὐτὸν μέχρι τῆς εὐτυχεστάτης
συμβάσης αὐτοῖς καὶ ἀκυ- μάντου παρ᾽ ὅλον (17) εἰς τὴν Αἰγυπτίαν ἠόνα τοῦ
σκάφους προ- σοχῆς. ἔνθα δὴ ἐκβαίνοντα ὑπερείσαντες σεβαστικῶς ἅπαντες καὶ
διαδεξάμενοι ἐκάθισαν ἐπὶ καθαρωτάτης ἄμμου, καὶ αὐτοσχέδιόν τινα βωμὸν πρὸ
αὐτοῦ πλάσαντες ἐπινήσαντές τε ὅσων εἶχον ἀκρο- δρύων οἷον ἀπαρχάς τινας
κατατιθέμενοι τοῦ φόρτου μεθώρμισαν τὸ σκάφος, ὅπουπερ καὶ προέκειτο αὐτοῖς ὁ
πλοῦς. ὃ δὲ διὰ τὴν τοσήνδε ἀσιτίαν ἀτονώτερον τὸ σῶμα ἔχων οὔτε πρὸς τὸν
ἀποβιβα- σμὸν καὶ τὴν τῶν ναυτῶν ὑπέρεισιν καὶ χειραγωγίαν ἠναντιώθη τότε οὔτε
ἀπαλλαγέντων ἀπέσχετο ἐπὶ πολὺ τῶν παρακειμένων ἀκροδρύων, ἀλλὰ ἐφαψάμενος
χρησίμως αὐτῶν καὶ ὑποθρέψας τὴν δύναμιν εἰς τὰς ἐγγὺς διέσωσε συνοικίας, τὸ
αὐτὸ ἦθος ἐν παντὶ ἀτάραχον καὶ ἐπιεικὲς διαφυλάττων. 4 (18) Ἐκεϊῖθέν τε εἰς
πάντα ἐφοίτησεν ἱερὰ μετὰ πλείστης σπουδῆς καὶ ἀκριβοῦς ἐξετάσεως, θαυμαζόμενός
τε καὶ [13] στεργόμενος ὑπὸ τῶν συγγινομένων ἱερέων καὶ προφητῶν καὶ
ἐκδιδασκόμενος ἐπιμελέστατα περὶ ἑκάστου, οὐ παραλείπων οὔτε ἄκουσμα τῶν καθ᾽
ἑαυτὸν ἐπαινουμένων οὔτε ἄνδρα τῶν ἐπὶ συνέσει γνωριζομένων VITA DI PITAGORA 91
in silenzio sedette nel punto della nave dove non sarebbe stato affat- to di
impaccio durante la navigazione. (16) Per tutta la durata della navigazione
egli rimase in una sola e medesima posizione per due notti e tre giorni, senza
prendere né cibo né bevanda né sonno, a meno che, all’insaputa di tutti, non si
mettes- se a sonnecchiare per breve tempo, seduto e immobile nella medesi- ma
posizione in cui si trovava, e questo mentre la loro traversata, ina-
spettatamente, filava senza interruzioni, facile e diritta, come se fosse
presente un dio: sommando tutti questi avvenimenti, i marinai, ragio- nandoci
sopra, si convinsero che realmente un demone divino viag- giasse con loro dalla
Siria verso l'Egitto, e cosi essi compirono il resto della traversata in
assoluto silenzio e adoperarono, sia tra loro che nei confronti di Pitagora,
parole e gesti più solenni del solito, fino a quan- do non approdarono,
felicissimamente e in perfetta calma, sulla costa d'Egitto. (17) Li, una volta
sbarcato, tutti i marinai, sollevandolo con reli- giosa attenzione e
passandoselo l’uno con l’altro, fecero sedere Pitagora nel punto dove la sabbia
era più pulita, e dopo avere costrui- to davanti a lui un altare improvvisato,
mettendovi sopra quanti più frutti potevano, come se dovessero offrire delle
primizie al loro cari- co [sc. a colui che avevano trasportato come un dio),
risalirono sulla nave per concludere la loro navigazione là dove avevano
previsto. Dal canto suo Pitagora, che aveva il corpo piuttosto indebolito dalla
lunga mancanza di nutrimento, né si era opposto prima a sbarcare e ad esse- re
sollevato e passato da una mano all'altra, né si astenne a lungo, dopo la
partenza di quelli, dalla frutta da cui era circondato, anzi ne mangiò a
sufficienza e, dopo avere ripreso le sue forze, si diresse verso le abitazioni
che stavano li vicino, conservando sempre lo stesso carat- tere imperturbabile
e onesto. 4 (18) Da li egli parti per visitare tutti i templi con la massima
attenzione e con accurato spirito di osservazione, e suscitando ammi- razione e
affetto nei sacerdoti e nei profeti che andava incontrando, e facendosi
istruire con la massima sollecitudine su ogni cosa, non tra- scurando né alcuno
degli insegnamenti di coloro che al suo tempo godevano di rinomanza, né alcuno
degli uomini che erano noti per la loro perspicacia, né alcuna iniziazione,
ovunque fosse celebrata, né 92 GIAMBLICO οὔτε τελετὴν τῶν ὅπου δήποτε τιμωμένων
οὔτε τόπον ἀθεώρητον, εἰς ὃν ἀφικόμενος φήθη τι περιττότερον εὑρήσειν. ὅθεν
πρὸς ἅπαντας τοὺς ἱερέας ἀπεδήμησεν, ὠφελούμενος παρ᾽ ἑκά(θ)στῳ ὅσα ἦν σοφὸς
ἕκαστος. δύο δὴ καὶ εἵκοσιν ἔτη κατὰ τὴν Αἴγυπτον ἐν τοῖς ἀδύτοις διετέλεσεν
ἀστρονομῶν τε καὶ γεωμετρῶν καὶ μυούμενος, οὐκ ἐξ ἐπιδρομῆς οὐδ᾽ ὡς ἔτυχε,
πάσας θεῶν τελετάς, ἕως ὑπὸ τῶν σὺν Καμβύσῃ αἰχμαλωτισθεὶς εἰς Βαβυλῶνα ἀνήχθη:
κἀκεῖ τοῖς μά- γοις ἀσμένοις ἄσμενος συνδιατρίψας καὶ ἐκπαιδευθεὶς τὰ παρ᾽ aù-
τοῖς σεμνὰ καὶ θεῶν θρησκείαν ἐντελεστάτην ἐκμαθών, ἀριθμῶν τε καὶ μουσικῆς καὶ
τῶν ἄλλων μαθημάτων ἐπ᾽ ἄκρον ἐλθὼν παρ᾽ aù- τοῖς, ἀλλα τε δώδεκα προσδιατρίψας
ἔτη, εἰς Σάμον ὑπέστρεψε περὶ ἕκτον που καὶ πεντηκοστὸν ἔτος ἤδη γεγονώς. 5
(20) ᾿Αναγνωρισθεὶς δὲ ὑπό τινων πρεσβυτέρων καὶ οὐκ ἔλαττον ἢ πρόσθεν
θαυμασθείς (καλλίων τε γὰρ καὶ σοφώτερος καὶ θεοπρε- πέστερος αὐτοῖς ἐφάνη),
παρακαλούσης αὐτὸν δημοσίᾳ τῆς πατρί- δος ὠφελεῖν ἅπαντας καὶ μεταδιδόναι τῶν
ἐνθυμίων, οὐκ ἀντι- τείνων τὸν τῆς διδασκαλίας τρόπον συμβολικὸν ποιεῖν
ἐπεχείρει καὶ πάντῃ ὅμοιον τοῖς ἐν [14] Αἰγύπτῳ διδάγμασι, καθ᾽ ἃ ἐπαι- δεύθη,
εἰ καὶ μὴ σφόδρα προδίεντο τὸν τοιοῦτον τρόπον οἱ Σάμιοι μηδὲ ἁρμονίως (21) καὶ
ὡς ἐχρῆν προσεφύησαν αὐτῷ. μηδενὸς οὖν αὐτῷ προστρέχοντος μηδὲ γνησίως
ὀρεγομένου τῶν μαθημάτων, ἃ τοῖς Ἕλλησιν ἐνοικίζειν παντὶ τρόπῳ ἐπειρᾶτο, μὴ
περιφρονῶν μηδὲ ὀλιγωρῶν τῆς Σάμου διὰ τὸ πατρίδα εἶναι, γεῦσαί τε πάντως
βουλόμενος τῆς τῶν μαθημάτων καλλονῆς τοὺς πατριώτας, εἰ καὶ μὴ ἑκόντας, ἀλλ᾽
οὖν ἐπινοίᾳ καὶ μεθόδῳ, παρατηρήσας εὐφυῶς τινα καὶ εὐκινήτως ἐν τῷ γυμνασίῳ
σφαιρίζοντα τῶν φιλογυμναστούντων μὲν καὶ σωμασκούντων, πενήτων δ᾽ ἄλλως καὶ
ἀπορωτέρων, λογισά- μενος ὅτι εὐπειθῆ ἕξει, εἰ τὰ ἐπιτήδεια ἔκπλεά τις αὐτῷ
ἀμεριμ- νοῦντι παρέχοι, προσκαλεσάμενος μετὰ τὸ λουτρὸν τὸν νεανίαν VITA DI
PITAGORA 93 alcun luogo che egli non conoscesse, dove, una volta pervenuto,
cre- deva di potere scoprire qualcosa di straordinario. Perciò egli si recò
presso tutti i sacerdoti, per trarre profitto da tutto ciò che costituiva la
sapienza di ciascuno di essi. (19) Trascorse cosi ventidue anni nei santuari
egiziani, studiando astronomia e matematica, e facendosi iniziare, non
superficialmente né come capitava, a tutti i misteri divini, fino al momento in
cui, fatto prigioniero dai soldati di Cambise, fu condotto a Babilonia. E lî,
dopo avere frequentato, con gioia ricambiata, i Magi, e dopo essere stato da
loro istruito nelle sacre dottrine, e dopo avere appreso il perfettissimo culto
degli dèi, giunse presso di loro al più alto livello della conoscen- za
dell’aritmetica e della musica e delle altre scienze matematiche; ma dopo avere
li soggiornato per dodici anni, ritornò a Samo all’età di circa cinquantasei
anni. 5 (20) Riconosciuto da alcuni anziani e ammirato non meno di prima
(infatti si rivelò ai loro occhi ancora più bello e più sapiente e più simile a
un dio), poiché la sua patria lo supplicava ufficialmente di rendersi utile per
tutta quanta la comunità, facendola partecipare alle sue idee, Pitagora, senza
opporre resistenza, intraprese il suo inse- gnamento che era di tipo simbolico
e assolutamente simile a quegli insegnamenti egiziani in cui egli era stato educato,
anche se i Samii non erano entusiasti di quel tipo di insegnamento e
<quindi> non vi aderirono cosi com’era conveniente e necessario, (21)
Ebbene, anche se nessuno lo frequentava né desiderava autenticamente quelle
discipline matematiche che egli si sforzava in tutti i modi di fare attecchire
tra i Greci, Pitagora non disprezzò né tenne in scarsa considerazione Samo per
il fatto che era la sua patria, e perché voleva assolutamente che i suoi
concittadini gustassero la bellezza di quelle stesse discipline, se non
volontariamente, almeno per mezzo di un ingegnoso stratagemma. E cosî, avendo
osservato, tra coloro che frequentavano il ginnasio e si esercitavano in
esercizi fisi- ci, pur essendo peraltro poveri e bisognosi, un giovane che
giocava a palla con innata grazia nei movimenti, pensò che lo avrebbe potuto
avere come docile scolaro, se qualcuno gli avesse fornito pieni mezzi di
sussistenza in modo da farlo uscire dai suoi stenti. E cosî, avendo fatto
chiamare il giovane, dopo il bagno, gli promise che gli avrebbe 94 GIAMBLICO
ἐπηγγείλατο αὐτάρκη αὐτῷ ἐφόδια εἰς τὴν τῆς σωμασκίας ὑποτροφὴν καὶ ἐπιμέλειαν
διηνεκῶς παρέξειν, εἰ διαδέξαιτο αὐτοῦ κατὰ βραχὺ τε καὶ ἀπόνως ἐνδελεχῶς τε,
ὥστε μὴ ἀθρόως φορτισθῆναι, μαθήματά τινα, ἃ παρὰ βαρβάρων μὲν ἐξέμαθεν αὐτὸς
γέος ὦν, ἀπολείπει δ᾽ αὐτὸν ταῦτα ἤδη διὰ τὸ γῆρας καὶ τὴν τούτου ἀμνημοσύνην.
(22) ὑποσχομένου δὲ τοῦ νεανίου καὶ τῇ τῶν ἐπι- τηδείων ἐλπίδι ὑπομείναντος τὴν
δι᾽ ἀριθμῶν μάθησιν καὶ γεωμε- τρίας ἐνάγειν αὐτῷ ἐπειρᾶτο, ἐπ᾽ ἄβακος τὰς
ἑκάστου ἀποδείξεις ποιούμενος, καὶ διδάσκων παντὸς σχήματος, ὅ ἐστι
διαγράμματος, μισθὸν καὶ ἀντίπονον παρεῖχε τῷ νεανίᾳ τριώβολον. καὶ τοῦτο μέ-
χρι πολλοῦ χρόνου διετέλεσε ποιῶν, φιλοτιμότατα μὲν καὶ σπού- δαίως τάξει τε
βελτίστῃ ἐμβιβάζων εἰς τὴν θεωρίαν, καθ᾽ ἑκάστου δὲ σχήματος παρά(23)ληψιν
τριώβολον ἐπιδιδούς. ἐπεὶ δὲ ὁ veavi- ας ὁδῷ τινι ἐμμελεῖ ἀγόμενος τῆς
ἐκπρεπείας ἤδη ἀντελαμβάνετο καὶ [15] τῆς ἡδονῆς καὶ ἀκολουθίας τῆς ἐν τοῖς
μαθήμασι, συνιδὼν τὸ γινόμενον ὁ σοφὸς καὶ ὅτι οὐκ ἂν ἑκὼν ἔτι ἀποσταίη οὐδὲ
ἀπό- σχοιτο τῆς μαθήσεως, οὐδ᾽ εἰ πάντα πάθοι, πενίαν (24) ὑπετιμήσατο καὶ
ἀπορίαν τῶν τριωβόλων. ἐκείνου δὲ εἰπόντος «ἀλλὰ καὶ χωρὶς τούτων οἷός τέ εἰμι
μανθάνειν καὶ διαδέχεσθαί σου τὰ μαθήματα», ἐπήνεγκεν «ἀλλ᾽ οὐδ᾽ αὐτὸς τὰ πρὸς
τροφὴν ἐπιτήδεια ἔχω ἔτι οὐδ᾽ εἰς ἐμαυτόν: δέον οὖν σχολάζειν εἰς πορισμὸν τῶν
καθ᾽ ἡμέραν ἀναγκαίων καὶ τῆς ἐφημέρου τροφῆς οὐ καλῶς ἔχει ἄβακι καὶ ἀνο-
νήτοις ματαιοπονήμασιν ἑαυτὸν ἀντιπερισπᾶν». ὥστε τὸν νεανίαν δυσαποσπάστως τοῦ
συνείρειν τὴν θεωρίαν ἔχοντα «καὶ ταῦτ᾽» εἰ- πεῖν «ἐγώ σοι λοιπὸν ποριῶ καὶ
ἀντιπελαργήσω τρόπον τινά“ κατὰ γὰρ ἕκαστον σχῆμα τριώβολον (25) καὐτός σοι
ἀντιπαρέξω». καὶ τὸ ἀπὸ τοῦδε οὕτως ἑάλω ὑπὸ τῶν μαθημάτων, ὥστε μόνος Σαμίων
συναπῆρε Πυθαγόρᾳ, ὁμώνυμος μὲν dv αὐτῷ, Ἐρατοκλέους δὲ υἱός. τούτου δὴ καὶ τὰ
ἀλειπτικὰ συγγράμματα φέρεται καὶ ἡ ἀντὶ VITA DI PITAGORA 95 procurato i mezzi
sufficienti per nutrirsi e continuare ad esercitarsi fisicamente, a condizione
che si lasciasse istruire un po’ alla volta e senza fatica, ma con assiduità,
sf da non appesantirsi tutto d’un colpo, in alcune discipline matematiche che
egli stesso, da giovane, aveva appreso dai barbari, e che adesso andava
perdendo a causa della vec- chiaia e della conseguente mancanza di memoria.
(22) Dopo che il giovane promise di sobbarcarsi <a ciò che gli veniva
chiesto>, anche nella speranza di ottenere i mezzi di sussisten- za
<promessi>, Pitagora cercò di introdurlo nello studio dell’aritme- tica e
della geometria, facendo su un abaco le dimostrazioni su ogni argomento di
aritmetica, e dandogli un triobolo, a mo’ di salario e compenso per la fatica,
per ogni figura, cioè per ogni diagramma,? che gli insegnava. E continuò a fare
ciò per lungo tempo, con molta gene- rosità e impegno, e introducendolo secondo
l'ordine più appropriato alla scienza matematica, dandogli un triobolo per ogni
figura numeri- ca} che apprendeva. (23) E dopo che il giovane, condotto su una
strada ben ordinata, aveva già percepito l'eccellenza e la piacevolezza e la
consequenziali- tà delle matematiche, il sapiente, vedendo ciò che accadeva, e
che il giovane non si sarebbe più, di sua volontà, allontanato né avrebbe
rinunciato ad apprendere, a costo di ogni patimento, invocò la sua povertà e
mancanza di trioboli. (24) Ma quello disse: “Ma anche senza trioboli sono capace
di apprendere e di ricevere da te l’insegnamento delle matematiche”. E Pitagora
di rimando: “Ma io, neppure per me, ho più di che vivere: occorre dunque che io
mi dia da fare per procurarmi il necessario quotidiano e il nutrimento di ogni
giorno, e non è
giusto
distrarsi con l’abaco e con fatiche vane
e senza profitto”. A questo punto il giova-
ne, a cui veniva duro separarsi da quello studio, disse: “Sarò io stesso a procurarti d’ora in poi queste cose e a
comportarmi in qualche modo come la
cicogna con i suoi genitori, perché sarò io a compen- sarti con un triobolo per ogni figura”. (25) E da quel momento fu cosî preso dalle
matematiche che assieme a Pitagora
abbandonò, unico tra i Samii, la sua patria; egli portava lo stesso suo nome, ma era figlio di
Eratocle. Di lui ci sono pervenuti gli
scritti Sugli istruttori di ginnastica nonché la Prescrizione sull’alimentazione, indirizzata agli atleti
di allora, intesa a far sostitui- 96
GIAMBLICO ἰσχάδων τοῖς τότε ἀθληταῖς
κρεώδους τροφῆς διάταξις, οὐ καλῶς εἰς
Πυθαγόραν τὸν Μνημάρχου τούτων ἀναφερομένων. λέγεται δὲ περὶ τὸν αὐτὸν χρόνον θαυμασθῆναι
αὐτὸν περὶ τὴν Δῆλον, προσελθόντα αὐτὸν
πρὸς τὸν ἀναίμακτον λεγόμενον καὶ τοῦ
Γενέτορος ᾿Απόλλωνος βωμὸν καὶ τοῦτον θεραπεύσαντα. ὅθεν εἰς ἅπαντα τὰ μαντεῖα παρέβαλε. καὶ ἐν Κρήτῃ δὲ
καὶ ἐν Σπάρτῃ τῶν νόμων ἕνεκα διέτριψε.
καὶ τούτων ἁπάντων ἀκροατής τε καὶ
μαθητὴς γενόμενος, εἰς οἶκον ἐπανελθὼν ὥρμησεν ἐπὶ τὴν τῶν παραλελειμμέ[16](Δ)νων ζήτησιν. καὶ πρῶτον
μὲν διατριβὴν ἐν τῇ πόλεικατεσκεύασε τὸ
Πυθαγόρου καλούμενον ἔτι καὶ νῦν
ἡμικύκλιον, ἐν ᾧ νῦν Σάμιοι περὶ τῶν κοινῶν βουλεύονται, νομίζον- τες δεῖν περὶ τῶν καλῶν καὶ τῶν δικαίων καὶ
τῶν συμφερόντων ἐν τούτῳ τῷ τόπῳ
ποιεῖσθαι τὴν ζήτησιν, ὃν κατεσκεύασεν ὁ πάντων
τούτων ποιησάμενος τὴν ἐπι(27)μέλειαν. ἔξω τε τῆς πόλεως οἰκεῖον τῆς αὑτοῦ φιλοσοφίας ἄντρον ποιησάμενος, ἐν
τούτῳ τὰ πολλὰ τῆς νυκτὸς καὶ τῆς ἡμέρας
διέτριβε καὶ τὴν ζήτησιν ἐποιεῖτο τῶν ἐν τοῖς
μαθήμασι χρησίμων, τὸν αὐτὸν τρόπον Μίνῳ τῷ τοῦ Διὸς υἱῷ δια- νοηθείς. καὶ τοσοῦτον διήνεγκε τῶν ὕστερον
τοῖς ἐκείνου μαθήμα- σι χρησαμένων, ὥστε
ἐκεῖνοι μὲν ἐπὶ σμικροῖς θεωρήμασι μέγιστον
ἐφρόνησαν, Πυθαγόρας δὲ συνετέλεσε τὴν περὶ τῶν οὐρανίων ἐπιστήμην καὶ ταῖς ἀποδείξεσιν αὐτὴν ὅλαις
ταῖς ἀριθμητικαῖς καὶ ταὶς γεωμετρικαῖς
διέλαβεν. 6 (28) Οὐ μὴν ἀλλὰ καὶ διὰ τῶν
ὕστερον ὑπ᾽ αὐτοῦ πραχθέντων ἔτι μᾶλλον
αὐτὸν θαυμαστέον. ἤδη γὰρ μεγάλην ἐπίδοσιν τῆς φιλοσοφί- ας. ἐχούσης καὶ τῆς Ἑλλάδος ἁπάσης θαυμάζειν
αὐτὸν προαιρου- μένης καὶ τῶν ἀρίστων
καὶ τῶν φιλοσοφωτάτων εἰς τὴν Σάμον δι᾽
ἐκεῖνον παραγεγονότων καὶ βουλομένων κοινωνεῖν τῆς παρ᾽ ἐκεί- νου παιδείας, ὑπὸ τῶν αὑτοῦ πολιτῶν εἰς τὰς
πρεσβείας πάσας ἑλκόμενος καὶ μετέχειν
ἀναγκαζόμενος τῶν αὐτῶν λειτουργιῶν, καὶ
συνιδὼν ὅτι τοῖς τῆς πατρίδὸς νόμοις πειθόμενον χαλεπὸν αὖ- τοῦ μένοντα φιλοσοφεῖν, καὶ διότι πάντες οἱ
πρότερον [17] φιλοσο- φήσαντες ἐπὶ ξένης
τὸν βίον διετέλεσαν, ταῦτα πάντα παρ᾽ αὑτῷ
διανοηθεὶς καὶ φεύγων τὰς πολιτικὰς ἀσχολίας, ὡς δ᾽ ἔνιοι λέγου- σι, τὴν περὶ παιδείαν ὀλιγωρίαν τῶν τότε τὴν
Σάμον οἰκούντων VITA DI PITAGORA 97 re quella a base di fichi con quella a base
di carne, entrambi questi scritti
attribuiti erroneamente a Pitagora figlio di Mnemarco. Si racconta che, in quella stessa epoca,
Pitagora avesse suscitato ammirazione a
Delo, dove aveva visitato e venerato l’altare di Apollo Genitore detto anche “incruento”.1 Da li egli
passò a visitare tutti quanti i luoghi
dell'oracolo <di Apollo>. E soggiornò a Creta e a Sparta con l’intenzione di conoscerne le
leggi. E dopo averle ascolta- te e
imparate, tornato a casa, si dedicò alle ricerche che aveva trala- sciate.
(26) E innanzitutto fece costruire nella città una scuola che porta ancora il nome di “emiciclo di Pitagora”, nel
quale adesso i Samii prendono le loro
deliberazioni sugli affari pubblici, credendo che occorra compiere la ricerca del bene e del
giusto e del conveniente proprio in
questo luogo che fece costruire colui che aveva meditato su tutte queste cose. (27) Fuori città, poi, egli si impadroni di
una grotta per esercitar- vi la sua
propria filosofia; in questa grotta trascorreva la maggior parte della notte e del giorno e compiva le
sue ricerche sull’utilità delle
matematiche, seguendo in ciò la medesima intenzione di Minosse, figlio di Zeus. E superò a tal punto
coloro che dopo di lui utilizzarono i
suoi insegnamenti matematici che, mentre quelli si van- tavano esageratamente delle loro piccole
scoperte matematiche, Pitagora invece
perfezionò la scienza dei corpi celesti e la strutturò di tutte le <necessarie> dimostrazioni
aritmetiche e geometriche. 6 (28)
Nondimeno Pitagora è ancor più ammirevole per le cose che fece in seguito. La sua filosofia,
infatti, aveva grande diffusione e
l’intera Grecia lo ammirava, e per lui venivano a Samo gli uomini migliori e i più grandi filosofi, desiderando
partecipare alla sua edu- cazione, e i
suoi stessi concittadini lo spingevano a entrare in tutte le loro ambascerie e lo costringevano a
partecipare alle stesse spese pub-
bliche,” ma Pitagora comprendeva bene che, obbedendo alle leggi patrie, gli era difficile dedicarsi alla
filosofia restando in patria, e poi- ché
tutti coloro che avevano filosofato prima di lui erano andati a vivere all’estero, riflettendo dentro di sé
su tutto ciò e cercando di rifuggire
dalle pubbliche occupazioni e, come raccontano alcuni, cer- cando di evitare lo scarso amore per
l’educazione che avevano quelli 98
GIAMBLICO παραιτούμενος, ἀπῆρεν εἰς τὴν
Ἰταλίαν, πατρίδα ἡγησάμενος τὴν πλειόνων
εὖ ἐχόντων πρὸς (29) τὸ μανθάνειν οἰστικῶς ἔχουσαν χώραν. καὶ ἐν πρώτῃ Κρότωνι ἐπισημοτάτῃ πόλει
προτρεψάμενος πολλοὺς ἔσχε ζηλωτάς, ὥστε
[ἱστορεῖται ἑξακοσίους αὐτὸν ἀνθρώπους
ἐσχηκέναι, οὐ μόνον ὑπ᾽ αὐτοῦ κεκινημένους εἰς τὴν φιλοσοφίαν, ἧς μετεδίδου, ἀλλὰ καὶ τὸ
λεγόμενον κοινοβίους, (30) καθὼς προσέταξε,
γενομένους. καὶ οὗτοι μὲν ἦσαν οἱ
φιλοσοφοῦντες, οἱ δὲ πολλοὶ ἀκροαταί, οὺς ἀκουσματικοὺς καλοῦσιν]! ἐν μιᾷ μόνον ἀκροάσει, ὥς φασιν,
ἣν πρωτίστην καὶ πά- νδημον μόνος ἐπιβὰς
τῆς Ἰταλίας ὁ ἄνθρωπος ἐποιήσατο, πλέονες ἢ
δισχίλιοι τοῖς λόγοις ἐνεσχέθησαν, αἱρεθέντες αὐτοὶ κατὰ κράτος οὕτως, ὥστε οὐκέτι οἴκαδε ἀπέστησαν, ἀλλὰ
ὁμοῦ παισὶ καὶ γυναι- ξὶν ὁμακοεῖόν τι
παμμέγεθες ἱδρυσάμενοι καὶ πολίσαντες αὐτοὶ
τὴν πρὸς πάντων ἐπικληθεῖσαν Μεγάλην Ἑλλάδα, νόμους τε παρ᾽ αὐτοῦ δεξάμενοι καὶ προστάγματα ὡσανεὶ θείας
ὑποθήκας, ὧν ἐκτὸς οὐδὲν ἔπραττον,
παρέμειναν ὁμονοοῦντες ὅλῳ τῷ τῶν
ὁμιλητῶν ἀθροίσματι, εὐφημούμενοι καὶ παρὰ τῶν πέριξ μακαριζό- μενοι, τάς τε οὐσίας κοινὰς ἔθεντο, ὡς
προελέχθη, [18] καὶ μετὰ τῶν θεῶν τὸν
Πυθαγόραν λοιπὸν κατηρίθμουν ὡς ἀγαθόν τινα δαί- μονα καὶ φιλανθρωπότατον, οἱ μὲν τὸν Πύθιον,
οἱ δὲ τὸν ἐξ Ὑπερ- βορέων ᾿Απόλλωνα, οἱ
δὲ τὸν Παιᾶνα, οἱ δὲ τῶν τὴν σελήνην κατοι-
κούντων δαιμόνων ἕνα, ἄλλοι δὲ ἄλλον τῶν Ὀλυμπίων θεῶν φημί- ζοντες εἰς ὠφέλειαν καὶ ἐπανόρθωσιν τοῦ θνητοῦ
βίου [λέγοντες] ἐν ἀνθρωπίνῃ μορφῇ
φανῆναι τοῖς τότε, ἵνα τὸ τῆς εὐδαιμονίας τε
καὶ φιλοσοφίας σωτήριον ἔναυσμα χαρίσηται τῇ θνητῇ φύσει, οὗ μεῖζον ἀγαθὸν οὔτε ἦλθεν οὔτε ἥξει ποτὲ
δωρηθὲν ἐκ θεῶν [διὰ τούτου τοῦ
Πυθαγόρου]. διόπερ ἔτι καὶ νῦν ἡ παροιμία τὸν ἐκ Σάμου κομήτην ἐπὶ τῷ σεμνοτάτῳ (31)
διακηρύττει. ἱστορεῖ δὲ καὶ ᾿Αριστοτέλης
ἐν τοῖς περὶ τῆς Πυθαγορικῆς φιλοσοφίας διαίρεσίν τινα τοιάνδε ὑπὸ τῶν ἀνδρῶν ἐν τοῖς πάνυ
ἀπορρήτοις διαφυλάττε- σθαι’ τοῦ λογικοῦ
ζῴου τὸ μέν ἐστι θεός, τὸ δὲ ἄνθρωπος, τὸ δὲ οἷον Πυθαγόρας. καὶ πάνυ εὐλόγως τοιοῦτον αὐτὸν
ὑπελάμβανον, δι᾽ ὃν περὶ θεῶν μὲν καὶ
ἡρώων καὶ δαιμόνων καὶ κόσμου, σφαιρῶν τε καὶ
1 Ho tradotto l’intero passaggio interpolato aderendo alla proposta
di Theiler che non ritiene si debba
espungere (cf. Add. p. XXXI). VITA DI
PITAGORA 99 che allora abitavano Samo,
salpò verso l’Italia, ritenendo che sua
patria sarebbe stata quella regione che avesse il maggior numero di uomini ben disposti ad apprendere. (29) E anzitutto Pitagora, nella celeberrima
città di Crotone, indusse molti a
divenire suoi seguaci — si racconta che egli in quella città raccolse ben seicento uomini, che non
solo furono da lui spinti a studiare la
filosofia che egli insegnava, ma divennero, secondo i suoi precetti, per cosi dire dei “cenobiti”:8 (30) ed erano questi i <veri> filosofi,
mentre la maggior parte erano
<semplici> uditori, che sono chiamati “acusmatici” — al punto che, in una sola lezione, la prima in
assoluto da lui tenuta in pubbli- co,
appena sbarcò da solo in Italia, come si racconta, più di due mila persone furono affascinate dai suoi discorsi,
e con tanta forza da sce- gliere di non
fare più ritorno a casa loro, ché anzi, assieme a figli e mogli, stabilirono un immenso “co-uditorio”?
e cosi fondarono quel- la che tutti
chiamano la Magna Grecia; essi ricevettero da Pitagora leggi e comandamenti da valere come “regole
divine”, che essi non trasgredivano per
nulla nelle loro azioni, rimanendo in piena concor- dia con l’intera comunità dei discepoli,
onorati e considerati beati dagli
abitanti del luogo, e misero in comune le loro sostanze, come si è detto prima, e annoveravano inoltre
Pitagora tra gli dèi come un demone
buono e filantropo al più alto livello, e lo ritenevano, alcuni Apollo Pizio, altri Apollo Iperboreo, altri
Apollo Peana, altri uno dei demoni che
abitano la luna, altri lo celebravano come questo o quel dio dell'Olimpo apparso, in forma umana, agli
uomini del tempo per recare utilità e
correzione alla vita dei mortali, allo scopo di donare alla natura mortale la scintilla salvatrice
della felicità e della filosofia, di cui
non ci è mai pervenuto, né si avrà mai bene più grande come dono degli dèi. Di qui il proverbio che
ancora oggi si dice a proposi- to di ciò
che è molto venerando: “il Samio dalla folta chioma”. (31) Anche Aristotele, nel suo scritto Su//z
filosofia pitagorica, rac- conta che i
Pitagorici custodivano tra le cose assolutamente segrete la seguente suddivisione: «del vivente razionale
ci sono tre specie: una è dio, un’altra
è l’uomo e una terza è quella a cui appartiene, ad esem- pio, Pitagora».!° E avevano assolutamente
ragione di assumere in tale suddivisione
Pitagora, perché ad opera sua ci è pervenuta e si è stabi- lita in Grecia, intorno agli dèi e agli eroi
e ai demoni e all’universo, al 100
GIAMBLICO ἀστέρων κινήσεως παντοίας,
ἐπιπροσθήσεών τε καὶ ὑπολείψεων καὶ
ἀνωμαλιῶν, ἐκκεν[19]τροτήτων τε καὶ ἐπικύκλων, καὶ τῶν ἐν κόσμῳ πάντων, οὐρανοῦ καὶ γῆς καὶ τῶν μεταξὺ
φύσεων ἐκδήλων τε καὶ ἀποκρύφων, ὀρθή
τις καὶ ἐοικυῖα τοῖς οὖσι παρεισῆλθεν
ἔννοια, μηδενὶ τῶν φαινομένων ἢ δι᾽ ἐπινοίας λαμβανομένων μηδαμῶς ἀντιπκαίουσα, μαθήματα δὲ καὶ θεωρία
καὶ τὰ ἐπιστημονι- κὰ πάντα, ὅσαπερ
ὀμματοποιὰ τῆς ψυχῆς ὡς ἀληθῶς καὶ καθαρτικὰ
τῆς ὑπὸ τῶν ἄλλων ἐπιτηδευμάτων τοῦ νοῦ τυφλώσεως, πρὸς τὸ κατι- δεῖν δυνηθῆναι τὰς ὄντως τῶν ὅλων ἀρχὰς καὶ
αἰτίας ἐνῳκίσθη τοῖς (32) Ἕλλησι.
πολιτεία δὲ ἡ βελτίστη καὶ ὁμοδημία καὶ «κοινὰ τὰ φίλων» καὶ θρησκεία θεῶν καὶ ὁσιότης πρὸς
κατοιχομένους, νομο- θεσία τε καὶ
παιδεία καὶ ἐχεμυθία καὶ φειδὼ τῶν ἄλλων ζῴων καὶ ἐγκράτεια καὶ σωφροσύνη καὶ ἀγχίνοια καὶ
θειότης καὶ τὰ ἄλλα ἀγαθά, ὡς ἑνὶ
ὀνόματι περιλαβεῖν, ταῦτα πάντα τοῖς φιλομαθοῦσιν ἀξιέραστα καὶ περισπούδαστα δι᾽ αὐτὸν ἐφάνη.
εἰκότως δὴ οὖν διὰ πάντα ταῦτα, ὃ δὴ νῦν ἔλεγον, οὕτως ὑπερφυῶς ἐθαύμαζον τὸν
Πυθαγόραν. 7 (33) Δεῖ τοίνυν μετὰ τοῦτο εἰπεῖν, πῶς ἐπεδήμησε καὶ τίσι πρώτοις, τίνας τε λόγους ἐποιήσατο καὶ περὶ
τίνων καὶ πρὸς τίνας" οὕτω γὰρ ἂν
γένοιτο εὔληπτα ἡμῖν τὰ τῆς διατριβῆς αὐτοῦ τίνα ἦν καὶ ὁποῖα ἐν τῷ τότε βίῳ. λέγεται τοίνυν ὡς
ἐπιδημήσας Ἰταλίᾳ καὶ Σικελίᾳ, ἃς
κατέλαβε πόλεις δεδουλωμένας ὑπ᾽ ἀλλήλων, τὰς μὲν πολλῶν ἐτῶν, τὰς δὲ νεωστί, ταύτας φρονήματος
ἐλευθερίου ὑποπλήσας διὰ τῶν ἐφ᾽ ἑκάστης
ἀκουστῶν αὐτοῦ ἀνερρύσατο καὶ ἐλευθέρας
ἐποίησε, Κρότωνα καὶ Σύβαριν καὶ Κατάνην καὶ [20] Ῥήγιον καὶ Ἱμέραν καὶ ᾿Ακράγαντα καὶ
Ταυρομένιον καὶ ἄλλας τινάς, αἷς καὶ
νόμους ἔθετο διὰ Χαρώνδα τε τοῦ Καταναίου καὶ
Ζαλεύκου τοῦ Λοκροῦ, δι᾽ ὧν εὐνομώταται καὶ ἀξιοζήλωτοι ταῖς περιοίκοις μέχρι πολλοῦ διετέλεσαν. (34)
ἀνεῖλε δὲ ἄρδην στάσιν καὶ διχοφωνίαν
καὶ ἁπλῶς ἑτεροφροσύνην οὐ μόνον ἀπὸ τῶν
γνωρίμων καὶ τῶν ἀπογόνων δὲ αὐτῶν μέχρι πολλῶν, ὡς ἱστορεῖται, γενεῶν, ἀλλὰ καὶ καθόλου ἀπὸ τῶν ἐν Ἰταλίᾳ
καὶ Σικελίᾳ πόλεων πασῶν κατά τε ἑαυτὰς καὶ πρὸς ἀλλήλας. πυκνὸν γὰρ ἦν αὐτῷ
πρὸς VITA DI PITAGORA 101 movimento di ogni specie di sfere e astri
(oscuramenti [sc. eclissi], ritardi e
anomalie), di eccentrici e di epicicli, e di tutto ciò che è nel- l'universo, cielo e terra e tutte le nature
che stanno in mezzo, siano esse visibili
o nascoste, una nozione corretta e corrispondente alla realtà, e che non è affatto in contrasto con
nulla che appaia ai sensi o al pensiero,
e ci sono pervenute le matematiche e la scienza specula- tiva e tutto ciò che c’è di scientifico, cose
tutte che danno all’anima gli occhi per
vedere la verità e purificarsi della cecità dell'intelletto deri- vante dalle altre occupazioni, affinché essa
possa scorgere effettiva- mente i principi e le cause dell'universo. (32) Inoltre
la migliore costituzione statuale e la concordia tra i cittadini e il precetto “tra gli amici tutto
è comune” e il culto degli dèi e la
pietà verso i defunti, la legislazione e l'educazione e la riservatez- za e il rispetto per le altre specie viventi
e la continenza e la temperan- za ela
perspicacia e la religiosità e tutti gli altri beni <dell’anima>,
per usare un unico termine, tutte cose
che ad opera di Pitagora si sono
rivelate desiderabili e degne di studio per gli amanti del sapere. A ragione dunque, per tutti questi motivi, di
cui ora parlavo, si ammira- va in maniera cosi straordinaria Pitagora. 7 (33)
Occorre dunque dire, dopo di ciò, come Pitagora soggior- nò fuori della sua patria e dove anzitutto si
recò e quali discorsi tenne e su che
cosa e a chi, giacché in tal modo ci sarà ben comprensibile quale e di che natura fu il suo insegnamento
nella vita di allora. Si rac- conta
dunque che, mentre soggiornava in Italia e in Sicilia, le città che egli trovò asservite l’una all’altra, alcune
da molti anni e altre di recen- te,
Pitagora le affrancò e le rese libere instillando in esse uno spirito di libertà attraverso i suoi uditori che si
trovavano in ciascuna di quel- le città,
e. precisamente Crotone e Sibari e Catania e Reggio e Imera e Agrigento e Taormina e alcune altre, alle
quali diede anche leggi attra- verso
Caronda di Catania e Zaleuco di Locri, dai quali quelle città furono dotate di buone legislazioni, per cui
rimasero a lungo oggetto di invidia da parte dei loro vicini. (34) Pitagora
cancellò del tutto <ogni spirito> di ribellione e di discordia, non soltanto tra i parenti e i
loro discendenti per molte generazioni, come si racconta, ma anche in generale
in tutte le città d’Italia e di Sicilia, sia al loro interno sia tra di loro.
Spesso infatti 102 GIAMBLICO ἅπαντας πανταχῇ πολλοὺς καὶ ὀλίγους «τὸ τοιοῦτον»
ἀπόφθεγμα, χρησμῷ θεοῦ συμβουλευτικῷ
ὅμοιον, ἐπιτομή τις ὡσπερεὶ καὶ ἀνα-
κεφαλαίωσίς τις τῶν αὐτῷ δοκούντων [τὸ τοιοῦτον ἀπόφθεγμα)]: «φυγαδευτέον πάσῃ μηχανῇ καὶ περικοπτέον πυρὶ
καὶ σιδήρῳ καὶ μηχαναῖς παντοίαις ἀπὸ
μὲν σώματος νόσον, ἀπὸ δὲ ψυχῆς ἀμαθίαν,
κοιλίας δὲ πολυτέλειαν, πόλεως δὲ στάσιν, οἴκου δὲ διχοφροσύνην, ὁμοῦ δὲ πάντων ἀμετρίαν», δι᾽ ὧν
φιλοστοργότατα ἀνεμίμνη(35)- σκεν
ἕκαστον τῶν ἀρίστων δογμάτων. ὁ μὲν οὖν κοινὸς τύπος αὐτοῦ τῆς ζωῆς ἔν τε τοῖς λόγοις καὶ ταῖς πράξεσι
τοιοῦτος ἦν ἐν τῷ τότε χρόνῳ. 8 Εἰ δὲ δεῖ καὶ τὰ καθ᾽ ἕκαστον ἀπομνημονεῦσαι ὧν
ἔπραξε καὶ εἶπε, ῥητέον ὡς παρεγένετο
μὲν εἰς Ἰταλίαν κατὰ τὴν ὀλυμπιάδα τὴν
δευτέραν ἐπὶ ταῖς ἑξήκοντα, καθ᾽ ἣν Ἐρυξίας ὁ Χαλκιδεὺς στά- διον ἐνίκησεν, εὐθὺς δὲ περί[21]βλεπτος καὶ
περίστατος ἐγένετο, καθάπερ καὶ
πρότερον, ὅτε εἰς Δῆλον κατέπλευσεν. ἐκεῖ τε γὰρ πρὸς μόνον τὸν βωμὸν τὸν τοῦ Γενέτορος
᾿Απόλλωνος προσευξάμε- νος, ὃς μόνος
ἀναίμακτός ἐστιν, ἐθαυμάσθη παρὰ τοῖς ἐν τῇ νήσῳ, (36) καὶ κατ᾽ ἐκεῖνον τὸν καιρὸν πορευόμενος
ἐκ Συβάριδος εἰς Κρότωνα παρὰ τὸν
αἰγιαλὸν δικτυουλκοῖς ἐπέστη, ἔτι τῆς σαγήνης
κατὰ βυθοῦ ἐμφόρτου ἐπισυρομένης, ὅσον τε πλῆθος ἐπισπῶνται εἶπεν, ἰχθύων ὁρίσας ἀριθμόν. καὶ τῶν ἀνδρῶν
ὑπομεινάντων ὅ τι ἂν κελεύσῃ πράξειν, εἰ
τοῦθ᾽ οὕτως ἀποβαίη, ζῶντας ἀφεῖναι πάλιν
κελεῦσαι τοὺς ἰχθῦς, πρότερόν γε ἀκριβῶς διαριθμήσαντας. καὶ τὸ θαυμασιώτερον, οὐδεὶς ἐν τοσούτῳ τῆς
ἀριθμήσεως τῷ χρόνῳ τῶν ἰχθύων ἐκτὸς
ὕδατος μεινάντων ἀπέπνευσεν, ἐφεστῶτός γε αὐτοῦ. δοὺς δὲ καὶ τὴν τῶν ἰχθύων τιμὴν τοῖς
ἁλιεῦσιν ἀπήει εἰς Κρότωνα. οἵ δὲ τὸ
πεπραγμένον διήγγειλαν καὶ τοὔνομα μαθόντες παρὰ τῶν παίδων εἰς ἅπαντας ἐξήνεγκαν. οἱ δὲ
ἀκούσαντες ἐπεθύμουν ἰδεῖν τὸν ξένον,
ὅπερ ἐν ἑτοίμῳ κατέστη; τήν τε γὰρ ὄψιν ἦν οἷον ἐξε- πλάγη τις ἂν ἰδὼν καὶ
καθυπενόει εἶναι τοιοῦτον οἷος ὡς ἀληθῶς ἦν. (37) καὶ μετ᾽ ὀλίγας ἡμέρας
εἰσῆλθεν εἰς τὸ γυμνάσιον. περιχυ- VITA DI PITAGORA 103 Pitagora indirizzava a tutti, molti o pochi
che fossero, come fosse un consiglio
espresso da oracolo divino, ma che compendiava e riassu- meva le sue opinioni, questa sentenza:
“Bisogna allontanare con ogni mezzo e
sradicare col ferro e col fuoco e con vari espedienti, dal corpo la malattia, dall'anima l’ignoranza, dal
ventre la ghiottoneria, dalla città la
ribellione, dalla casa il dissenso, e al tempo stesso la spropor- zione in ogni
cosa, e con questo Pitagora richiamava alla mente di cia- scuno, molto
affettuosamente, le migliori sue dottrine. (35) Era tale, dunque, in quel
tempo, lo stile generale della sua vita, presente sia nei suoi discorsi che
nelle sue azioni. 8 Se occorre anche ricordare singolarmente le cose che faceva
e diceva, si deve dire che Pitagora
giunse in Italia durante la LXII
Olimpiade, quando fu vincitore nella gara dello stadio Erissia di Calcide; subito divenne oggetto di
ammirazione e di riguardo, come lo era
stato anche in precedenza, quando si era recato a Delo: e infat- ti laggiù, avendo pregato solo sull'altare di
Apollo Genitore, altare che è l’unico “incruento”, suscitò ammirazione presso
gli abitanti del- l'isola. (36) In quell’occasione, dopo avere camminato lungo
la spiaggia da Sibari a Crotone,
incontrò dei pescatori che stavano ancora tiran- do dal fondo del mare la rete piena di pesci,
e disse loro quanto sareb- be stato il
loro pescato, determinando <esattamente> il numero dei pesci. E poiché i pescatori si dichiaravano
disposti ad agire secondo il suo invito,
nel caso che si fosse verificato quel che diceva, allora Pitagora li invitò a rilasciare i pesci
ancora vivi, dopo averne control- lato
con precisione il numero. E, cosa più sorprendente, per tutto il tempo della conta dei pesci, nessuno di
questi mori di asfissia, pur essendo
rimasti fuori dell’acqua, almeno finché Pitagora rimase li. Dopo avere, quindi, dato ai pescatori il
valore dei pesci,!! si rimise in viaggio
verso Crotone. I pescatori, dal canto loro, raccontarono quel che Pitagora aveva fatto e, avendo appreso il
suo nome dai garzoni, lo diffusero
dappertutto. Coloro, poi, che sentivano raccontare que- sta storia, avevano desiderio di vedere lo
straniero, cosa che era faci- le realizzare, perché il suo aspetto era tale che
a vederlo si veniva col- piti e si poteva intuire qual era realmente la natura
di quell’uomo. (37) E pochi giorni dopo Pitagora si recò al ginnasio, dove —
come 104 GIAMBLICO θέντων δὲ τῶν νεανίσκων παραδέδοται λόγους τινὰς
διαλεχθῆναι πρὸς αὐτούς, ἐξ ὧν εἰς τὴν
σπουδὴν παρεκάλει τὴν περὶ τοὺς πρε-
σβυτέρους, ἀποφαίνων ἔν τε τῷ κόσμῳ καὶ τῷ βίῳ καὶ ταῖς πόλεσι καὶ τῇ φύσει μᾶλλον τιμώμενον τὸ προηγούμενον
ἢ τὸ τῷ χρόνῳ ἑπόμενον, [22] οἷον τὴν
ἀνατολὴν τῆς δύσεως, τὴν ἕω τῆς ἑσπέρας,
τὴν ἀρχὴν τῆς τελευτῆς, τὴν γένεσιν τῆς φθορᾶς, παραπλησίως δὲ καὶ τοὺς αὐτόχθονας τῶν ἐπηλύδων, ὁμοίως δὲ
αὖ τῶν ἐν ταῖς ἀποι- κίαις τοὺς ἡγεμόνας
καὶ τοὺς οἰκιστὰς τῶν πόλεων, καὶ καθόλου
τοὺς μὲν θεοὺς τῶν δαιμόνων, ἐκείνους δὲ τῶν ἡμιθέων, τοὺς ἥρωας δὲ τῶν ἀνθρώπων, ἐκ τούτων δὲ τοὺς αἰτίους
τῆς γενέσεως τῶν νεω- τέρων. (38)
ἐπαγωγῆς δὲ ἕνεκα ταῦτα ἔλεγε πρὸς τὸ περὶ πλείονος ποιεῖσθαι τοὺς γονεῖς ἑαυτῶν, οἷς ἔφη
τηλικαύτην ὀφείλειν αὐτοὺς χάριν, ἡλίκην
ἂν ὁ τετελευτηκὼς ἀποδοίη τῷ δυνηθέντι πάλιν αὐτὸν εἰς τὸ φῶς ἀγαγεῖν. ἔπειτα δίκαιον μὲν εἶναι
τοὺς πρώτους καὶ τοὺς τὰ μέγιστα εὐηργετηκότας
ὑπὲρ ἅπαντας ἀγαπᾶν καὶ μηδέποτε
λυπεῖν" μόνους δὲ τοὺς γονεῖς προτερεῖν τῆς γενέσεως ταῖς
εὐεργε- σίαις, καὶ πάντων τῶν
κατορθουμένων ὑπὸ τῶν ἐγγόνων αἰτίους
εἶναι τοὺς προγόνους, οὺς οὐδενὸς ἔλαττον ἑαυτοὺς εὐεργετεῖν ἀποδεικνύντας εἰς θεοὺς οὐχ οἷόν τέ ἐστιν
ἐξαμαρτάνειν. καὶ γὰρ τοὺς θεοὺς εἰκός
ἐστι συγγνώμην ἂν ἔχειν τοῖς μηδενὸς ἧττον
τιμῶσι τοὺς πατέρας᾽ καὶ (39) γὰρ τὸ θεῖον παρ᾽ αὐτῶν μεμαθήκα- μεν τιμᾶν. ὅθεν καὶ τὸν Ὅμηρον τῇ αὐτῇ
προσηγορίᾳ τὸν βασιλέα τῶν θεῶν αὔξειν,
ὀνομάζοντα πατέρα τῶν θεῶν καὶ τῶν θνητῶν, πολ-
λοὺς δὲ καὶ τῶν ἄλλων μυθοποιῶν παραδεδωκέναι τοὺς βασιλεύον- τας τῶν θεῶν τὴν μεριζομένην φιλοστοργίαν
παρὰ τῶν τέκνων πρὸς τὴν ὑπάρχουσαν
συζυγίαν τῶν γονέων καθ᾽ αὑτοὺς περιποιήσασθαι
πεφιλοτετιμημένους, [23] καὶ διὰ ταύτην τὴν αἰτίαν ἅμα τὴν τοῦ πατρὸς καὶ τῆς μητρὸς ὑπόθεσιν λαβόντας, τὸν
μὲν τὴν ᾿Αθηνᾶν, τὴν δὲ τὸν Ἥφαιστον
ἐναντίαν γεννῆσαι φύσιν ἔχοντας τῆς ἰδίας ἕνεκα
τοῦ καὶ τῆς πλεῖον ἀφεστώσης φιλίας μετασχεῖν. (40) ἁπάντων δὲ τῶν παρόντων τὴν τῶν ἀθανάτων κρίσιν
ἰσχυροτάτην εἶναι συγχ- ὠὡρησάντων, ἀποδεῖξαι τοῖς Κροτωνιάταις διὰ τὸ τὸν
Ἡρακλέα τοῖς VITA DI PITAGORA 105 è stato tramandato --αἱ giovani che gli si
erano radunati intorno egli tenne dei discorsi con i quali li incitava a
prendere in seria considera- zione gli
anziani, mostrando come nel mondo e nella vita e nelle città e <in generale> nella natura ciò che
precede è più stimato di ciò che segue
nel tempo, ad esempio il sorgere rispetto al tramontare del sole, l'aurora rispetto alla sera, l’inizio
rispetto alla fine, la generazione
rispetto alla corruzione, pressappoco come gli autoctoni rispetto
agli stranieri, e come i capi e i
fondatori delle città rispetto a coloro che ci
vivono, e in generale gli dèi rispetto ai demoni, e questi rispetto
ai semidei, e gli eroi rispetto agli
uomini, e perciò anche coloro che sono causa di procreazione [sc. i padri]
rispetto ai più giovani [sc. ai figli]. (38) Egli diceva queste cose per
indurre <i suoi uditori> a stima-
re i propri genitori più che se stessi; egli diceva loro che
dovevano avere verso i propri genitori
la stessa gratitudine che dovrebbe avere
chi sta per morire ad uno che potrebbe riportarlo in vita. E poi
dice- va che è giusto, più di tutti,
amare e mai recare dolore a coloro che
per primi e al più alto livello ci hanno fatto del bene: solo i genitori <infatti> ci sono benefici prima che
nasciamo, e di tutto ciò che di buono
riescono a fare i discendenti sono causa i progenitori: non commettiamo alcun peccato verso gli dèi se
dimostriamo che i proge- nitori sono,
pit di ogni altro, i nostri benefattori. E infatti è verisimi- le che gli dèi perdoneranno coloro che
stimano pit di ogni altra cosa i propri genitori; e infatti noi impariamo a
stimare il divino proprio da loro. (39) Perciò — diceva Pitagora — anche Omero
onora il re degli dèi chiamandolo con
questo appellativo: padre degli dèi e degli uomini, e d'altra parte molti altri creatori di miti
hanno trasmesso il mito secondo cui gli
dèi sovrani, <Zeus e Fra>, facendo a gara per procu- rarsi, ciascuno per se stesso, l'affetto che
i figli <generalmente> rivol- gono
alla coppia dei genitori, quando entrambi sono in vita, e assu- mendo, per questa ragione, il ruolo di padre
e di madre insieme, gene- rarono, l’uno
(Zeus) Atena, l’altra (Era) Efesto, ciascuno avente natu- ra contraria a quella
del genitore,!? affiché potessero cosi partecipare dell'amore che era il più
distante da loro. (40) E poiché tutti i presenti convenivano che il giudizio
degli immortali è quello più autorevole,
Pitagora dimostrò ai Crotoniati che, per il fatto che Ercole è il dio proprio
dei coloni, allora occorre- 106 GIAMBLICO κατῳκισμένοις οἰκεῖον ὑπάρχειν, διότι
δεῖ τὸ προσταττόμενον ἑκουσίως τοῖς γονεῦσιν
ὑπακούειν, παρειληφότας αὐτὸν τὸν θεὸν
ἑτέρῳ πρεσβυτέρῳ πειθόμενον διαθλῆσαι τοὺς πόνους καὶ τῷ πατρὶ θεῖναι τῶν κατειργασμένων ἐπινίκιον τὸν ἀγῶνα
τὸν Ὀλύμπιον. ἀπεφαίνετο δὲ καὶ ταῖς
πρὸς ἀλλήλους ὁμιλίαις οὕτως ἂν χρωμέ-
νους ἐπιτυγχάνειν, ὡς μέλλουσι τοῖς μὲν φίλοις μηδέποτε ἐχθροὶ καταστῆναι, τοῖς δὲ ἐχθροῖς ὡς τάχιστα φίλοι
γίνεσθαι, καὶ μελε- τᾶν ἐν μὲν τῇ πρὸς
τοὺς πρεσβυτέρους εὐκοσμίᾳ τὴν πρὸς τοὺς πατε-
᾽ρας εὔνοιαν, ἐν δὲ τῇ πρὸς ἄλλους φιλανθρωπίᾳ τὴν πρὸς (41) τοὺς ἀδελφοὺς κοινωνίαν. ἐφεξῆς δὲ ἔλεγε περὶ
σωφροσύνης, φάσκων τὴν τῶν νεανίσκων
ἡλικίαν πεῖραν τῆς φύσεως λαμβάνειν, καθ᾽ ὃν
καιρὸν ἀκμαζούσας ἔχουσι τὰς ἐπιθυμίας. εἶτα προετρέπετο θεωρεῖν [ἀξιον], ὅτι μόνης τῶν ἀρετῶν ταύτης
καὶ παιδὶ καὶ παρ- θένῳ καὶ γυναικὶ καὶ
τῇ τῶν πρεσβυτέρων τάξει ἀντιποιεῖσθαι προ-
σήκει, καὶ μάλιστα τοῖς νεωτέροις. ἔτι δὲ μόνην αὐτὴν ἀποφαίνειν περιειληφέναι καὶ τὰ τοῦ σώματος ἀγαθὰ καὶ τὰ
τῆς ψυχῆς, δια- τηροῦσαν τὴν ὑγείαν καὶ
τὴν τῶν βελτίστων ἐπι(42)τηδευμάτων ἐπι-
θυμίαν. φανερὸν δὲ εἶναι καὶ διὰ τῆς ἀντικειμένης ἀντιθέσεως"
τῶν γὰρ βαρβάρων καὶ τῶν Ἑλλήνων [24]
περὶ τὴν Τροίαν ἀντιταξα- μένων
ἑκατέρους δι᾽ ἑνὸς ἀκρασίαν ταῖς δεινοτάταις περιπεσεῖν συμφοραῖς, τοὺς μὲν ἐν τῷ πολέμῳ, τοὺς δὲ
κατὰ τὸν ἀνάπλουν, καὶ μόνης «ταύτης»
τῆς ἀδικίας τὸν θεὸν δεκετῆ καὶ χιλιετῆ τάξαι τὴν τιμωρίαν, χρησμῳδήσαντα τήν τε τῆς Τροίας
ἅλωσιν καὶ τὴν τῶν παρθένων ἀποστολὴν
παρὰ τῶν Λοκρῶν εἰς τὸ τῆς ᾿Αθηνᾶς τῆς
Ἰλιάδος ἱερόν. παρεκάλει δὲ τοὺς νεανίσκους καὶ πρὸς τὴν παιδεί- αν, ἐνθυμεῖσθαι κελεύων ὡς ἄτοπον ἂν εἴη
πάντων μὲν σπουδαιότα- τον κρίνειν τὴν
διάνοιαν καὶ ταύτῃ βουλεύεσθαι περὶ τῶν ἄλλων,
εἰς δὲ τὴν ἄσκησιν τὴν ταύτης μηδένα χρόνον μηδὲ πόνον ἀνηλωκέ- ναι, καὶ ταῦτα τῆς μὲν τῶν σωμάτων ἐπιμελείας
τοῖς φαύλοις τῶν φίλων ὁμοιουμένης καὶ
ταχέως ἀπολειπούσης, τῆς δὲ παιδείας
καθάπερ οἱ καλοὶ κἀγαθοὶ τῶν ἀνδρῶν μέχρι θανάτου παραμε- νούσῃης, ἐνίοις δὲ καὶ μετὰ τὴν τελευ(43)τὴν
ἀθάνατον δόξαν περι- ποιούσης. καὶ
τοιαῦθ᾽ ἕτερα, τὰ μὲν ἐξ ἱστοριῶν, τὰ δὲ καὶ ἀπὸ δογ- μάτων, κατεσκεύασε, τὴν παιδείαν ἐπιδεικνύων
κοινὴν οὖσαν εὖ- VITA DI PITAGORA
107 va che essi ascoltassero volentieri
ciò che comandano i genitori, giac- ché
sapevano che quel dio, per obbedire a un altro dio più anziano, aveva esercitato le sue fatiche e aveva
istituito in onore del padre, come canto
di vittoria per le sue imprese, i giochi di Olimpia. Pitagora mostrava loro, inoltre, che nelle loro
relazioni reciproche essi avreb- bero
dovuto comportarsi in modo tale da non presentarsi ai loro amici mai come nemici, da un lato, e,
dall’altro lato, da divenire il più
rapidamente possibile amici dei loro nemici, e avrebbero dovuto curare, nell'armonia con i più anziani, la
benevolenza che si deve ai padri, e
nell'amore verso gli altri uomini, la comunione che ci lega ai fratelli.
(41) Poi parlava della temperanza, dicendo che la giovane età mette alla prova la natura umana, nel senso
che, in quell’età, gli appe- titi
raggiungono il loro apice. Poi invitava a considerare che la tempe- ranza è l’unica virtù che conviene che sia
praticata a un tempo e dal ragazzo e
dalla fanciulla e dalla donna e dalla classe dei più anziani, e soprattutto dai più giovani. E ancora diceva
che tale virtù è l’unica che appare
comprendere sia i beni del corpo che quelli dell’anima, poiché mantiene la salute e il desiderio
delle migliori occupazioni. (42) Tutto
ciò risulta chiaro anche se partiamo dall’opposta dispo- sizione:! infatti tra i barbari e i greci che
si sono scontrati a Troia, da ambedue le
parti si è caduti nelle più terribili catastrofi a causa della incontinenza di uno solo di loro, gli uni
durante la guerra, gli altri durante la
via del ritorno, e per questa sola ingiustizia il dio ha fissa- to una pena di dieci e di mille anni,
preconizzando sia la caduta di Troia sia
l'invio delle vergini a Locri al tempio di Atena di Ilio. E Pitagora incitava i giovani anche
all’educazione, invitandoli a riflette-
re su come fosse assurdo, da un lato giudicare la mente come la cosa più saggia fra tutte e deliberare per mezzo
di essa su tutto il resto, e dall’altro
lato non dedicare all'esercizio di essa nessun tempo e nessu- no sforzo. E diceva anche che la cura dei
corpi presto viene meno, come i cattivi
amici, mentre l'educazione perdura fino alla morte, come gli uomini giusti e buoni, e ad alcuni
procura anche dopo la morte gloria
immortale. (43) E imbasti altri discorsi
di questo genere, ricavandoli alcuni da
eventi storici, altri da dottrine filosofiche, per mostrare che
l’educa- zione è l'insieme di quelle
buone doti naturali che hanno in comune
108 GIAMBLICO quiav τῶν ἐν ἑκάστῳ
τῷ γένει πεπρωτευκότων᾽ τὰ γὰρ ἐκείνων
εὑρήματα ταῦτα τοῖς ἄλλοις γεγονέναι παιδείαν. οὕτω δ᾽ ἐστὶ τῇ φύ- σει σπουδαῖον τοῦτο, ὥστε τῶν μὲν ἄλλων τῶν
ἐπαινουμένων τὰ μὲν οὐχ οἷόν τε εἶναι
παρ᾽ ἑτέρου μεταλαβεῖν, οἷον τὴν ῥώμην, τὸ
κάλλος, τὴν ὑγείαν, τὴν ἀνδρείαν, τὰ δὲ τὸν προέμενον οὐκ ἔχειν αὐτόν, οἷον τὸν πλοῦτον, τὰς ἀρχάς, ἕτερα
πολλὰ τῶν παραλειπο- μένων, τὴν δὲ
δυνατὸν εἶναι καὶ παρ᾽ ἑτέρου μεταλαβεῖν καὶ τὸν (44) δόντα μηδὲν ἧττον αὐτὸν ἔχειν.
παραπλησίως δὲ τὰ μὲν οὐκ ἐπὶ τοῖς
ἀνθρώποις εἶναι κτήσασθαι, παιδευθῆναι δὲ ἐνδέχεσθαι κατὰ τὴν ἰδίαν προαίρεσιν, εἶθ᾽ οὕτως
προσ[25]ιόντα φανῆναι πρὸς τὰς τῆς
πατρίδος πράξεις, οὐκ ἐξ ἀναιδείας, ἀλλ᾽ ἐκ παιδείας. σχεδὸν γὰρ ταῖς ἀγωγαῖς διαφέρειν τοὺς μὲν ἀνθρώπους
τῶν θηρίων, τοὺς de Ἕλληνας τῶν
βαρβάρων, τοὺς δὲ ἐλευθέρους τῶν οἰκετῶν, τοὺς δὲ φιλοσόφους τῶν τυχόντων, ὅλως δὲ τηλικαύτην
ἔχοντας ὑπεροχήν, ὥστε τοὺς μὲν θᾶττον
τρέχοντας τῶν ἄλλων ἐκ μιᾶς πόλεως τῆς ἐκείνων ἑπτὰ κατὰ τὴν Ὀλυμπίαν
εὑρεθῆναι, τοὺς δὲ τῇ σοφίᾳ προ- ἔχοντας ἐξ ἁπάσης τῆς οἰκουμένης ἑπτὰ
συναριθμηθῆναι. ἐν δὲ τοῖς ἑξῆς χρόνοις, ἐν οἷς ἦν αὐτός, ἕνα φιλοσοφίᾳ
προέχειν τῶν πάντων" καὶ γὰρ τοῦτο
τὸ ὄνομα ἀντὶ τοῦ σοφοῦ ἑαυτὸν ἐπωνόμασε. ταῦτα
μὲν ἐν τῷ γυμνασίῳ τοῖς νέοις διελέχθη.
9 (45) ᾿Απαγγελθέντων δ᾽ οὖν ὑπὸ τῶν νεανίσκων πρὸς τοὺς πατέ- ρας τῶν εἰρημένων ἐκάλεσαν οἱ χίλιοι τὸν
Πυθαγόραν εἰς τὸ συνέ- δριον, καὶ
προεπαινέσαντες ἐπὶ τοῖς πρὸς τοὺς υἱοὺς ῥηθεῖσιν ἐκέ- λευσαν, εἴ τι συμφέρον ἔχει λέγειν τοῖς
Κροτωνιάταις, ἀποφήνα- σθαι τοῦτο πρὸς
τοὺς τῆς πολιτείας προκαθημένους. ὃ δὲ πρῶτον μὲν αὐτοῖς συνεβούλευεν ἱδρύσασθαι Μουσῶν ἱερόν,
ἵνα τηρῶσι τὴν ὑπάρχουσαν ὁμόνοιαν'
ταύτας γὰρ τὰς θεὰς καὶ τὴν προσηγορίαν
τὴν αὐτὴν ἁπάσας ἔχειν καὶ μετ᾽ ἀλλήλων παραδεδόσθαι καὶ ταῖς κοιναῖς τιμαῖς μάλιστα χαίρειν, καὶ τὸ
σύνολον ἕνα καὶ τὸν αὐτὸν ἀεὶ χορὸν
εἶναι τῶν Μουσῶν, ἔτι δὲ συμφωνίαν, ἁρμονίαν, ῥυθμόν, ἅπαντα περιειληφέναι τὰ παρασκευάζοντα τὴν
ὁμόνοιαν. ἐπεδείκ- VITA DI PITAGORA
109 coloro che primeggiano in ciascun
campo di studio, perché sono le loro
scoperte che diventano educazione per gli altri. E questo aspetto dell'educazione è, per natura, talmente serio
che, mentre le altre cose degne di
apprezzamento, di cui alcune, ad esempio la forza, la bellez- za, la salute, il coraggio, non possono
essere acquisite da altri, mentre altre,
ad esempio la ricchezza, le cariche pubbliche e molte altre cose che qui possiamo trascurare, una volta trasferite
ad altri non si possie- dono più,
l'educazione invece può essere acquisita da altri e nondime- no chi la dà continua a possederla. (44) Allo stesso modo, mentre alcune cose gli
uomini non posso- no acquistarle, invece
possono ricevere l’educazione per propria deci-
sione, e in seguito, chi si dedica agli affari della patria, dà
l’impressio- ne di farlo non già per
impudenza, bensi per effetto della sua educa-
zione. Sembra, infatti, che gli uomini differiscano dai bruti appunto in virtù dell'educazione, ed anche i Greci
dai barbari, e gli uomini liberi dagli
schiavi, e i filosofi dagli uomini comuni, e in generale è tale questa superiorità <dei filosofi> che a
Olimpia si sono trovati sette atleti che
correvano più degli altri e provenivano da una sola città, quella di quei filosofi,!4 e si poterono
contare, in tutto il mondo abi- tato,
solo sette uomini che eccellevano per sapienza. Nel tempo suc- cessivo a quello in cui visse Pitagora, uno
solo prevalse su tutti in filo- sofia,!5
e infatti fu questo il nome che egli si impose al posto di quel- lo di sapiente.!6 9 (45) Furono questi i discorsi che Pitagora
tenne ai giovani nel ginnasio. Avendo i giovani riferito ai loro padri i
discorsi di Pitagora, i Mille lo
convocarono al sinedrio, e dopo averlo elogiato per le parole che aveva dette ai loro figli lo invitarono, se
egli avesse da dire qualcosa di utile ai
Crotoniati, a rivelarla ai capi della città. Come prima cosa Pitagora consigliò loro di costruire un
tempio delle Muse, affinché mantenessero
la concordia che regnava nella città: queste dee, infatti, sono accomunate tutte nello stesso nome e per
tradizione sono consi- derate l’una in
relazione con l’altra e godono sommamente degli onori che vengono loro tributati in comune,
<insomma> il coro delle Muse è un
insieme unico e sempre lo stesso, ed esse, inoltre, abbracciano insieme accordo, armonia, ritmo e tutto ciò
che procura concordia. 110
GIAMBLICO vve δὲ αὐτῶν τὴν δύναμιν οὐ
περὶ τὰ κάλλιστα θεωρήματα μόνον
ἀνήκειν, ἀλλὰ (46) καὶ περὶ τὴν συμφωνίαν καὶ ἁρμονίαν τῶν ὄντων. ἔπειτα ὑπολαμβάνειν αὐτοὺς ἔφη δεῖν
κοινῇ παρακαταθήκην ἔχειν [26] τὴν
πατρίδα παρὰ τοῦ πλήθους τῶν πολιτῶν. δεῖν οὖν
ταύτην διοικεῖν οὕτως, ὡς μέλλουσι τὴν πίστιν παραδόσιμον τοῖς ἐξ αὑτῶν ποιεῖν. ἔσεσθαι δὲ τοῦτο βεβαίως, ἐὰν
ἅπασιν ἴσοι τοῖς πολί- ταις ὦσι καὶ
μηδενὶ μᾶλλον ἢ τῷ δικαίῳ προσέχωσι. τοὺς γὰρ
ἀνθρώπους εἰδότας, ὅτι τόπος ἅπας προσδεῖται δικαιοσύνης, μυθο- ποιεῖν τὴν αὐτὴν τάξιν ἔχειν παρά τε τῷ Διὶ
τὴν Θέμιν καὶ παρὰ τῷ Πλούτωνι τὴν Δίκην
καὶ κατὰ τὰς πόλεις τὸν νόμον. ἵν᾽ ὁ μὴ δικαίως
ἐφ᾽ ἃ τέτακται ποιῶν ἅμα φαίνηται πάντα τὸν (47) κόσμον συνα- δικῶν. προσήκειν δὲ τοῖς συνεδρίοις μηδενὶ
καταχρήσασθαι τῶν θεῶν εἰς ὅρκον, ἀλλὰ
τοιούτους προχειρίζεσθαι λόγους, ὥστε καὶ
χωρὶς ὅρκων εἶναι πιστούς, καὶ τὴν ἰδίαν οἰκίαν οὕτως οἰκονομεῖν, ὥστε τὴν ἀναφορὰν ἐξεῖναι τῆς προαιρέσεως εἰς
ἐκείνην ἀνενεγ- κεῖν. πρός τε τοὺς ἐξ
αὑτῶν γενομένους διακεῖσθαι γνησίως, ὡς καὶ
τῶν ἄλλων ζῴων μόνους ταύτης τῆς ἐννοίας αἴσθησιν εἰληφότας. καὶ πρὸς τὴν γυναῖκα τὴν τοῦ βίου μετέχουσαν
ὁμιλοῦντας ὡς τῶν μὲν πρὸς τοὺς ἄλλους
συνθηκῶν τιθεμένων ἐν γραμματειδίοις καὶ
στήλαις, τῶν δὲ πρὸς τὰς γυναῖκας ἐν τοῖς τέκνοις. καὶ πειρᾶσθαι παρὰ τοῖς ἐξ αὑτῶν ἀγαπᾶσθαι μὴ διὰ τὴν
φύσιν, ἧς οὐκ αἴτιοι γεγό- νασιν, ἀλλὰ
διὰ τὴν προαίρεσιν. ταύτην γὰρ εἶναι τὴν εὐεργεσίαν ἑκούσιον. (48) σπουδάζειν δὲ καὶ τοῦτο, ὅπως
αὐτοί τε μόνας ἐκεί- νας εἰδήσωσιν, αἵ
τε γυναῖκες μὴ νοθεύωσι τὸ γένος ὀλιγωρίᾳ [27]
καὶ κακίᾳ τῶν συνοικούντων. ἔτι δὲ τὴν γυναῖκα νομίζειν ἀπὸ τῆς ἑστίας εἰληφότα μετὰ σπονδῶν καθάπερ ἱκέτιν
ἐναντίον τῶν θεῶν εἰσῆχθαι πρὸς αὑτόν.
καὶ τῇ τάξει καὶ τῇ σωφροσύνῃ παράδειγμα
γενέσθαι τοῖς τε κατὰ τὴν οἰκίαν, ἣν οἰκεῖ, καὶ τοῖς κατὰ τὴν
πόλιν, 2 μόνους-εἰληφότας; ripristinò
Klein in Add. p. XXXI, cosî come si legge
nel MS archetipo, Laurentianus 86,3: μόνης-εἰληφότων aveva corretto Deubner, Bezzerk. 667 (cf. appar. ad
loc.). VITA DI PITAGORA 111 Pitagora mostrava come la loro potenza si
riferisca non soltanto alle più belle
dottrine, ma anche all’accordo e all’armonia degli enti. (46) In seguito egli diceva che dovevano
considerare la patria come un deposito
in comune affidato loro dalla moltitudine dei citta- dini. Dovevano, quindi, amministrarla come se
fossero sul punto di trasmettere ai loro
discendenti la fiducia che era stata loro affidata. Il che sarebbe accaduto con certezza, se essi
fossero stati uguali a tutti gli altri cittadini e non si applicassero a
nient'altro più che a ciò che è giusto. Gli uomini, infatti, consapevoli che
ogni luogo ha bisogno di giustizia, hanno creato il mito secondo cui il posto
che Temi occupa presso Zeus, e Dike
presso Plutone è lo stesso che la legge occupa
nelle città, affinché colui che compie ingiustizie in ciò di cui è
respon- sabile appaia nello stesso tempo
come uno che compie ingiustizia in
relazione all'intero universo.
(47) Pitagora diceva poi che conviene che nessun membro del sinedrio abusi del nome degli dèi quando fa
un giuramento, anzi fac- cia uso di
discorsi tali che siano persuasivi anche senza giuramenti, e sappia amministrare la propria casa in modo
che ciò possa costituire un punto di
riferimento per la sua decisione nell’amministrare la città. E nei confronti dei loro figli, Pitagora
diceva che essi dovevano com- portarsi
con generosità, anche perché tra gli altri animali solo gli uomini sono sensibili a questa idea;!7 lo
stesso comportamento devo- no avere
anche verso la moglie che condivide la loro stessa vita, con- siderando che, mentre nei confronti degli
altri i patti sono fissati in tavolette
e steli, con le mogli invece il patto sta nei figli. E diceva che dovevano cercare di farsi amare dai figli non
per un legame di natu- ra, di cui quelli
non sono stati responsabili, bensî per loro decisione, perché questa, essendo un atto della volontà,
costituisce un’azione buona. (48) Ma dovevano curare anche questo - diceva
Pitagora —, e cioè sia che essi stessi
avessero rapporti sessuali solo con le loro mogli, sia che queste non imbastardissero la loro
discendenza <accoppiandosi con
altri> a causa dell’indifferenza o della malvagità dei loro mariti; e ancora dovevano considerare la propria moglie
come una supplice,18 perché era stata
tolta dal suo focolare con <le dovute> libagioni!? e introdotta nella loro casa al cospetto degli
dèi. E dovevano essere di esempio per
ordine e temperanza sia a coloro che stavano nella casa 112 GIAMBLICO
καὶ προνοεῖν τοῦ μηδένα μηδ᾽ ὁτιοῦν ἐξαμαρτάνειν, ὅπως μὴ φοβού- μενοι τὴν ἐκ τῶν νόμων ζημίαν ἀδικοῦντες
λανθάνωσιν, ἀλλ᾽ αἰσχυ- νόμενοι τὴν τοῦ
τρόπου καλοκαγαθίαν εἰς τὴν δικαιο(4θ)σύνην
ὁρμῶσι. διεκελεύετο δὲ κατὰ τὰς πράξεις ἀποδοκιμάζειν τὴν ἀργί- αν’ εἶναι γὰρ οὐχ ἕτερόν τι ἀγαθὸν ἢ τὸν ἐν
ἑκάστῃ τῇ πράξει και- ρόν. ὡρίζετο δὲ
μέγιστον εἶναι τῶν ἀδικημάτων παῖδας καὶ γονεῖς
ἀπ᾽ ἀλλήλων διασπᾶν. νομίζειν δὲ κράτιστον μὲν εἶναι τὸν καθ᾽ αὑτὸν δυνάμενον προϊδεῖν τὸ συμφέρον,
δεύτερον δὲ τὸν ἐκ τῶν τοῖς ἄλλοις
συμβεβηκότων κατανοοῦντα τὸ λυσιτελοῦν, χείριστον δὲ τὸν ἀναμένοντα διὰ τοῦ κακῶς παθεῖν αἰσθέσθαι
τὸ βέλτιον. ἔφη δὲ καὶ τοὺς
φιλοτιμεῖσθαι βουλομένους οὐκ ἂν διαμαρτάνειν μιμουμέ- νους τοὺς ἐν τοῖς δρόμοις στεφανουμένους: καὶ
γὰρ ἐκείνους οὐ τοὺς ἀνταγωνιστὰς κακῶς
ποιεῖν, ἀλλ᾽ αὐτοὺς τῆς νίκης ἐπιθυμεῖν
τυχεῖν. καὶ τοῖς πολιτευομένοις ἁρμόττειν οὐ τοῖς ἀντιλέγουσι δυσαρεστεῖν, ἀλλὰ τοὺς ἀκούοντας ὠφελεῖν.
παρεκάλει δὲ τῆς ἀληθινῆς ἀντεχόμενον
εὐδοξίας ἕκαστον εἶναι τοιοῦτον οἷος ἂν
βούλοιτο φαίνεσθαι τοῖς ἄλλοις: οὐ γὰρ οὕτως ὑπάρχειν τὴν συμ- βουλὴν ἱερὸν ὡς τὸν ἔπαινον, ἐπειδὴ τῆς μὲν ἡ
χρεία πρὸς μόνους ἐστὶ τοὺς ἀνθρώπους,
τοῦ δὲ πολὺ μᾶλλον (50) πρὸς τοὺς θεούς. εἶθ᾽
οὕτως ἐπὶ πᾶσιν εἶπεν ὅτι τὴν πόλιν αὐτῶν ὠκίσθαι συμβέβηκεν, ὡς λέγουσιν, Ἡρακλέους, [28] ὅτε τὰς βοῦς διὰ
τῆς Ἰταλίας ἤλαυνεν, ὑπὸ Λακινίου μὲν
ἀδικηθέντος, Κρότωνα δὲ βοηθοῦντα τῆς νυκτὸς
παρὰ τὴν ἄγνοιαν ὡς ὄντα τῶν πολεμίων διαφθείραντος, καὶ μετὰ ταῦτα ἐπαγγειλαμένου περὶ τὸ μνῆμα συνώνυμον
ἐκείνῳ κατοικι- σθήσεσθαι πόλιν, ἄν περ
αὐτὸς μετάσχῃ τῆς ἀθανασίας, ὥστε τὴν
χάριν τῆς ἀποδοθείσης εὐεργεσίας προσήκειν αὐτοὺς ἔφη δικαίως οἰκονομεῖν. οἱ δὲ ἀκούσαντες τό τε Μουσεῖον
ἱδρύσαντο καὶ τὰς παλλακίδας, ἃς ἔχειν
ἐπιχώριον ἦν αὐτοῖς, ἀφῆκαν καὶ διαλεχθῆ-
ναι χωρὶς αὐτὸν ἐν μὲν τῷ Πυθαίῳ πρὸς τοὺς παῖδας, ἐν δὲ τῷ τῆς Ἥρας ἱερῷ πρὸς τὰς γυναῖκας ἠξίωσαν. VITA DI PITAGORA 113 che abitano, sia ai loro concittadini, e
prevenire che nessuno commet- tesse un
qualsiasi tipo di errore, affinché non si restasse nascosti, nel commettere ingiustizie, per paura delle
leggi, ma si fosse indotti alla
giustizia per il rispetto della propria rettitudine di vita. (49) E a proposito delle azioni, Pitagora li
invitava a bandire la pigrizia, perché
in ogni azione non c’è altro bene che il cogliere il momento opportuno. E definiva come la più
grande ingiustizia quel- la di separare
tra loro figli e genitori. E riteneva che l’uomo migliore è colui che è in grado di vedere da sé il
proprio utile, e poneva al secondo posto
colui che è capace di arguire ciò che è vantaggioso per sé partendo da ciò che capita agli altri, e
considerava il peggiore di tutti colui
che aspetta di subire il male per percepire ciò che è il meglio per sé. E diceva che anche coloro che
sono desiderosi di onori non potrebbero
sbagliarsi se imitassero quelli che vengono incorona- ti vincitori nelle corse: e infatti costoro
desiderano ottenere per sé la vittoria,
senza però recare danno ai loro avversari. Anche a coloro che si occupano di affari pubblici si addice non
già di scontentare i loro contendenti,
ma di favorire i loro sostenitori. Incitava chiunque aspi- rasse alla vera fama ad essere realmente cosî
come voleva apparire agli altri, perché
il consiglio non è cosî sacro come l’elogio, dal momento che l’uso del primo riguarda solo gli uomini,
mentre quello del secon- do riguarda
molto più gli dèi. (50) Poi, per fare un
discorso generale, Pitagora diceva che era
capitato loro di abitare la città fondata, come si racconta, da
Eracle quando conduceva le vacche
attraverso l’Italia: offeso da Lacinio, egli
uccise Crotone che di notte era venuto ad aiutarlo, credendo per ignoranza che fosse uno dei suoi nemici, dopo
di che annunziò che avrebbe costruito
intorno alla tomba di Crotone una città che avreb- be portato il suo nome, nel caso che egli
stesso fosse divenuto immor- tale,
sicché i Crotoniati — diceva Pitagora — avrebbero dovuto ammi- nistrare con giustizia in segno di riconoscenza
per il beneficio ricevu- to. E quelli,
dopo averlo ascoltato, fecero costruire un tempio alle Muse e rilasciarono le concubine, che era
loro costume avere con sé, e pretesero
che Pitagora rimanesse a discutere separatamente con i loro figli, nel tempio di Apollo Pizio, e con
le loro mogli, nel tempio di Era. 114 GIAMBLICO
10 (51) Τὸν δὲ πεισθέντα λέγουσιν εἰσηγήσασθαι τοῖς παισὶ τοιάδε ὥστε μήτε ἄρχειν λοιδορίαν μηδὲ
ἀμύνεσθαι τοὺς λοιδορου- μένους, καὶ
περὶ τὴν παιδείαν τὴν ἐπώνυμον τῆς ἐκείνων ἡλικίας κελεῦσαι σπουδάζειν. ἔτι δὲ ὑποθέσθαι τῷ μὲν
ἐπιεικεῖ παιδὶ ῥάδιον πεφυκέναι πάντα
τὸν βίον τηρῆσαι τὴν καλοκαγαθίαν, τῷ δὲ
μὴ εὖ πεφυκότι κατὰ τοῦτον τὸν καιρὸν χαλεπὸν καθεστάναι, μᾶλλον δὲ ἀδύνατον, ἐκ φαύλης ἀφορμῆς ἐπὶ τὸ
τέλος εὖ δραμεῖν. πρὸς δὲ τούτοις
θεοφιλεστάτους αὐτοὺς ὄντας ἀποφῆναι, καὶ διὰ
τοῦτο φῆσαι κατὰ τοὺς αὐχμοὺς ὑπὸ τῶν πόλεων ἀποστέλλεσθαι παρὰ τῶν θεῶν ὕδωρ αἰτησομένους, ὡς μάλιστα
ἐκείνοις ὑπακούσαντος τοῦ δαιμονίου καὶ
μόνοις διὰ τέλους ἁγνεύου(52)σιν ἐξουσίας
ὑπαρχούσης ἐν τοῖς ἱεροῖς διατρίβειν. διὰ ταύτην δὲ τὴν αἰτίαν καὶ τοὺς φιλανθρωποτάτους τῶν θεῶν,
τὸν ᾿Απόλλωνα καὶ τὸν Ἕρωτα, πάντας
ζωγραφεῖν καὶ ποιεῖν τὴν τῶν παίδων ἔχοντας
ἡλικίαν. συγκεχωρῆσθαι δὲ καὶ τῶν στεφανιτῶν ἀγώνων «τινὰς» τεθῆναι διὰ παῖδας, τὸν μὲν Πυθικὸν
κρατηθέντος τοῦ Πύθωνος ὑπὸ παι[29]δός,
ἐπὶ παιδὶ δὲ τὸν ἐν Νεμέᾳ καὶ τὸν ἐν Ἰσθμῷ, τελευ- τήσαντος ᾿Αρχεμόρου καὶ Μελικέρτου. χωρὶς δὲ
τῶν εἰρημένων ἐν τῷ κατοικισθῆναι τὴν
πόλιν τῶν Κροτωνιατῶν ἐπαγγείλασθαι τὸν
᾿Απόλλωνα τῷ ἡγεμόνι τοῦ οἰκισμοῦ (53) δώσειν γενεάν, ἐὰν ἀγάγῃ τὴν εἰς Ἰταλίαν ἀποικίαν. ἐξ ὧν ὑπολαβόντας
δεῖν τῆς μὲν γενέσεως αὐτῶν πρόνοιαν
πεποιῆσθαι τὸν ᾿Απόλλωνα, τῆς δ᾽ ἡλικίας ἅπαντας τοὺς θεούς, ἀξίους εἶναι τῆς ἐκείνων φιλίας
καὶ μελετᾶν ἀκούειν, ἵνα δύνωνται
λέγειν, ἔτι δέ, ἣν μέλλουσιν εἰς τὸ γῆρας βαδίζειν, ταύτην εὐθὺς ἐξορμῶντας τοῖς ἐληλυθόσιν
ἐπακολουθεῖν καὶ τοῖς πρεσβυτέροις μηδὲν
ἀντιλέγειν" οὕτω γὰρ εἰκότως ὕστερον ἀξιώ-
dev μηδὲ αὐτοῖς τοὺς νεωτέρους ἀντιδικεῖν. διὰ δὲ τὰς παραινέ- σεῖς ὁμολογεῖται παρασκευάσαι μηδένα τὴν
ἐκείνου προσηγορίαν ὀνομάζειν, ἀλλὰ
πάντας θεῖον αὐτὸν καλεῖν. VITA DI
PITAGORA 115 10 (51) E Pitagora, come si
racconta, accettò e introdusse il suo
discorso ai figli dicendo che non dovevano né offendere per primi
né rispondere a quelli che offendono, e
li invitava a prendersi cura della loro
propria educazione che <peraltro> prende nome da quello della loro età.20 E ancora stabiliva il principio
che chi è onesto fin da fan- ciullo
trova facile e naturale mantenere la propria rettitudine per tutta la vita, mentre chi in questa fase della vita
non è per natura disposto alla bontà,
trova difficile, o addirittura impossibile, correre verso una buona fine partendo da un cattivo inizio. E
mostrava inoltre che i fan- ciulli sono
molto amati dagli dèi, e perciò — diceva — nei casi di sicci- tà essi vengono inviati dalle loro città a
implorare dagli dèi la pioggia, come se
la divinità desse ascolto soprattutto a loro, e solo a loro, per- ché sono perfettamente puri ed è consentito
loro di soggiornare nei templi. (52) Per questa ragione — diceva Pitagora —
anche gli dèi più amanti degli uomini,
Apollo ed Eros, sono tutti dipinti e scolpiti come fossero nell'età della fanciullezza. E ancora
si è d'accordo che alcune gare in cui si
incoronano i vincitori sono state istituite per via di fan- ciulli, ad esempio la gara Pitica perché
Pitone fu ucciso da un fanciul- lo, e le
gare Nemee e Istmiche per la morte di un fanciullo, rispettiva- mente Archemoro e Melicerto. Ma a parte
questo, al momento della fondazione
della città di Crotone, Apollo promise al capo dei coloniz- zatori che gli avrebbe concesso di avere
discendenza, se avesse con- dotto la
colonia in Italia. (53) Da questi eventi
i Crotoniati avrebbero dovuto comprendere
- diceva Pitagora — che era stato Apollo a provvedere alla loro
nasci- ta, mentre tutti gli altri dèi
avevano provveduto a farli diventare fan-
ciulli,21 e che quindi dovevano essere degni di quelle divinità ed eser- citarsi all'ascolto, per potere essere capaci
di parlare, e inoltre che avrebbero
dovuto lanciarsi subito sulla strada che li avrebbe condot- ti alla vecchiaia seguendo coloro che
l’avevano già scelta senza con- traddire
per nulla gli anziani, perché solo cosî in seguito <quando fos- sero diventati anziani> avrebbero potuto a
ragione pretendere a loro volta di non
essere contestati dai giovani. E attraverso tali moniti — si racconta concordemente -- Pitagora fece sî
che nessuno lo denominas- se con il suo
vero nome, ma che tutti lo chiamassero “divino”. 116 GIAMBLICO
11 (54) Ταῖς δὲ γυναιξὶν ὑπὲρ μὲν τῶν θυσιῶν ἀποφήνασθαι λέ- γεται πρῶτον μέν, καθάπερ ἑτέρου μέλλοντος
ὑπὲρ αὐτῶν ποιεῖσθαι τὰς εὐχὰς βούλοιντ᾽
ἂν ἐκεῖνον εἶναι καλὸν κἀγαθόν, ὡς τῶν
θεῶν τούτοις προσεχόντων, οὕτως αὐτὰς περὶ πλείστου ποιεῖσθαι τὴν ἐπιείκειαν, ἵν᾽ ἑτοίμους ἔχωσι
τοὺς ταῖς εὐχαῖς ὑπακουσομένους: ἔπειτα
τοῖς θεοῖς προσφέρειν ἃ μέλλουσι, ταῖς
χερσὶν αὐτὰς ποιεῖν καὶ χωρὶς οἰκετῶν πρὸς τοὺς βωμοὺς προσενεγ- κεῖν, οἷον πόπανα καὶ ψαιστὰ καὶ κηρία καὶ
λιβανωτόν, φόνῳ δὲ καὶ θανάτῳ τὸ
δαιμόνιον μὴ τιμᾶν, μηδ᾽ ὡς οὐδέποτε πάλιν προσιού- σας ἑνὶ καιρῷ πολλὰ δαπανᾶν. περὶ δὲ τῆς πρὸς
τοὺς ἄνδρας [30] ὁμιλίας κελεῦσαι
κατανοεῖν, ὅτι συμβαίνει καὶ τοὺς πατέρας ἐπὶ
τῆς θηλείας φύσεως παρακεχωρηκέναι μᾶλλον ἀγαπᾶσθαι τοὺς γεγαμηκότας ἢ τοὺς τεκνώσαντας αὐτάς. διὸ
καλῶς ἔχειν ἢ μηδὲ ἐναντιοῦσθαι πρὸς
τοὺς ἄνδρας, ἢ τότε (55) νομίζειν νικᾶν, ὅταν
ἐκείνων ἡττηθῶσι. ἔτι δὲ τὸ περιβόητον γενόμενον ἀποφθέγξασθαι κατὰ τὴν σύνοδον, ὡς ἀπὸ μὲν τοῦ συνοικοῦντος
ἀνδρὸς ὅσιόν ἐστιν αὐθημερὸν προσιέναι
τοῖς ἱεροῖς, ἀπὸ δὲ τοῦ μὴ προσήκοντος οὐδέ-
ποτε. παραγγεῖλαι δὲ καὶ κατὰ πάντα τὸν βίον αὐτάς τε εὐφημεῖν καὶ τοὺς ἄλλους ὁρᾶν ὁπόσα ὑπὲρ αὐτῶν
εὐφημήσουσι, καὶ τὴν δό- ξαν τὴν
διαδεδομένην μὴ καταλύσωσι μηδὲ τοὺς μυθογράφους ἐξε- λέγξωσιν, οἱ θεωροῦντες τὴν τῶν γυναικῶν
δικαιοσύνην ἐκ τοῦ προΐεσθαι μὲν
ἀμάρτυρον τὸν ἱματισμὸν καὶ τὸν κόσμον, ὅταν τινὶ ἄλλῳ δέῃ χρῆσαι, μὴ γίγνεσθαι δὲ ἐκ τῆς
πίστεως δίκας μηδ᾽ ἀντι- λογίας,
ἐμυθοποίησαν τρεῖς γυναῖκας ἑνὶ κοινῷ πάσας ὀφθαλμῷ χρωμένας διὰ τὴν εὐχερῆ κοινωνίαν. ὅπερ ἐπὶ
τοὺς ἄρρενας μετα- τεθέν, ὡς ὁ προλαβὼν
ἀπέδωκεν εὐκόλως, ἑτοίμως καὶ τῶν ἑαυτοῦ
μεταδιδούς, οὐδένα ἂν προσδέξασθαι (56) λεγόμενον, ὡς μὴ οἰκεῖον αὐτῶν τῇ φύσει. ἔτι δὲ τὸν σοφώτατον
τῶν ἁπάντων λεγόμε- νον καὶ συντάξαντα
τὴν φωνὴν τῶν ἀνθρώπων καὶ τὸ σύνολον
εὑρετὴν καταστάντα τῶν ὀνομάτων, εἴτε θεὸν εἴτε δαίμονα εἴτε VITA DI PITAGORA 117 11 (54) Alle mogli dei Crotoniati si dice che
Pitagora cominciò col manifestare le sue
idee sui sacrifici, dicendo che, come esse avrebbe- ro voluto che fosse giusto e buono chiunque
avesse pregato per loro, ritenendo che
gli dèi esaudiscono chi è giusto e buono, cosî esse avrebbero dovuto tenere nella massima
considerazione la loro onestà, affinché
gli dèi fossero disposti ad esaudire le loro preghiere; le cose, poi, che avrebbero offerto agli dèi, le
dovevano preparare con le loro stesse
mani e presentarle agli altari senza l'ausilio dei servi, ad esem- pio focacce e paste e miele e incenso, e non
dovevano onorare la divi- nità con
sacrifici cruenti,22 né fare una spesa eccessiva per una sola volta come se non dovessero più riaccostarsi
agli altari. A proposito di come
dovessero trattare i loro mariti, Pitagora le invitava a pensa- re che anche i loro padri avevano permesso
loro, considerando la loro natura di
donne, di amare quelli che avevano sposato più di quelli che le avevano generate. Perciò era giusto che
esse non si contrappones- sero ai loro
mariti, anzi pensassero di avere vinto solo quando avesse- ro perso con loro. (55) Inoltre Pitagora pronunziò in questa
riunione delle donne la sua sentenza,
divenuta poi famosa: è sacro per una donna che ha fatto l'amore con suo marito andare lo stesso
giorno nei templi, ma mai se lo ha fatto
con un estraneo. Egli prescriveva loro anche di parlare sempre bene «αἱ tutti> e di far si che
anche gli altri parlassero bene di
quantole riguardava, e di non perdere la reputazione che si era dif- fusa nei loro riguardi e di non confutare
quei mitografi che, conside- rando il
senso di giustizia delle donne derivante dal fatto che, anche in assenza di testimoni, prestano i propri
vestiti e ornamenti ad altri che ne
abbiano bisogno, e senza che da questa loro fiducia derivi alcun processo né alcuna contestazione, hanno
creato il mito delle tre donne che, in
virtù della loro facile disposizione alla comunione dei beni, si servivano tutte di un unico occhio
in comune: cosa che, se venisse
trasposta a proposito degli uomini,23 nel senso che chi è il primo ad avere l'occhio lo renda volentieri e
faccia partecipare pron- tamente altri a
ciò che è suo, nessuno degli uomini accetterebbe, per- ché non appartiene alla loro natura. (56) Inoltre Pitagora diceva che colui che è
chiamato il più sapien- te fra tutti gli
enti ed è colui che ha ordinato il linguaggio degli uomi- ni ed ha insomma inventato i nomi, sia egli
un dio o un demone o un 118
GIAMBLICO θεῖόν τινα ἄνθρωπον, συνιδόντα
διότι τῆς εὐσεβείας οἰκειότατόν ἐστι τὸ
γένος τῶν γυναικῶν ἑκάστην τὴν ἡλικίαν αὐτῶν συν[31]ώνυ- μον ποιήσασθαι θεῷ, καὶ καλέσαι τὴν μὲν
ἄγαμον κόρην, τὴν δὲ πρὸς ἄνδρα
δεδομένην νύμφην, τὴν δὲ τέκνα γεννησαμένην μητέρα, τὴν δὲ παῖδας ἐκ παίδων ἐπιδοῦσαν κατὰ τὴν
Δωρικὴν διάλεκτον μαῖαν: È σύμφωνον
εἶναι τὸ καὶ τοὺς χρησμοὺς ἐν Δωδώνῃ καὶ
Δελφοῖς δηλοῦσθαι διὰ γυναικός. διὰ δὲ τῶν εἰς τὴν εὐσέβειαν ἐπαίνων πρὸς τὴν εὐτέλειαν τὴν κατὰ τὸν
ἱματισμὸν τηλικαύτην παραδέδοται
κατασκευάσαι τὴν μεταβολήν, ὥστε τὰ πολυτελῆ τῶν ἱματίων μηδεμίαν ἐνδύεσθαι τολμᾶν, ἀλλὰ
θεῖναι πάσας (57) εἰς τὸ τῆς Ἥρας ἱερὸν
πολλὰς μυριάδας ἱματίων. λέγεται δὲ καὶ τοιοῦτόν τι διελθεῖν, ὅτι περὶ τὴν χώραν τῶν
Κροτωνιατῶν ἀνδρὸς μὲν ἀρετὴ πρὸς
γυναῖκα διαβεβόηται, Ὀδυσσέως οὐ δεξαμένου παρὰ τῆς Καλυψοῦς ἀθανασίαν ἐπὶ τῷ τὴν Πηνελόπην
καταλιπεῖν, ὑπολείποιτο δὲ ταῖς γυναιξὶν
εἰς τοὺς ἄνδρας ἀποδείξασθαι τὴν
καλοκαγαθίαν, ὅπως εἰς ἴσον καταστήσωσι τὴν εὐλογίαν. ἁπλῶς δὲ μνημονεύεται διὰ τὰς εἰρημένας ἐντεύξεις περὶ
Πυθαγόραν οὐ μετρίαν τιμὴν καὶ σπουδὴν
καὶ κατὰ τὴν πόλιν τῶν Κροτωνιατῶν
γενέσθαι καὶ διὰ τὴν πόλιν περὶ τὴν Ἰταλίαν. 12 (58) Λέγεται δὲ Πυθαγόρας πρῶτος φιλόσοφον
ἑαυτὸν προσα- γορεῦσαι, οὐ καινοῦ μόνον
ὀνόματος ὑπάρξας, ἀλλὰ καὶ πρᾶγμα οἰ-
κεῖον προεκδιδάσκων χρησίμως. ἐοικέναι γὰρ ἔφη τὴν εἰς τὸν βίον τῶν ἀνθρώπων πάροδον τῷ ἐπὶ τὰς πανηγύρεις
ἀπαντῶντι ὁμίλῳ. ὡς γὰρ ἐκεῖσε
παντοδαποὶ φοιτῶντες ἄνθρωποι ἄλλος κατ᾽ ἄλλου χρεί- αν ἀφικνεῖται (ὃ μὲν χρηματισμοῦ τε καὶ
κέρδους χάριν ἀπεμπολῆσαι τὸν φόρτον
ἐπειγόμενος, ὃ δὲ δόξης ἕνεκα ἐπιδειξόμε-
νος [32] ἥκει τὴν ῥώμην τοῦ σώματος: ἔστι δὲ καὶ τρίτον εἶδος καὶ τό γε ἐλευθεριώτατον, συναλιζόμενον τόπων
θέας ἕνεκα καὶ VITA DI PITAGORA 119 uomo divino, perché sapeva la ragione per cui
il genere femminile è il più appropriato
alla pietà, ha dato a ciascuna età delle donne il nome di una dea, chiamando Kore la donna non
sposata, Ninfa quella che si è unita a
un uomo, Madre quella che ha partorito dei figli, e infine Maia, in dialetto dorico, quella che ha
generato dei figli a partire dai propri
figli [sc. la nonna], con il che si armonizza bene il fatto che anche i responsi degli oracoli di Dodona e di
Delfi sono manifestati attraverso una
donna. Grazie a queste lodi della pietà femminile si racconta che Pitagora ha impresso alla loro
semplicità nel vestire un mutamento tale
che nessuna di loro osò più indossare i suoi abiti lus- suosi, che anzi tutte offrirono al tempio di
Era le molte migliaia di abiti che
possedevano. (57) Si dice anche che
Pitagora abbia raccontato la seguente sto-
ria: la virtà di un uomo verso la moglie si è manifestata nella
regione di Crotone, quando Odisseo non
accettò l’immortalità che Calipso gli
offriva in cambio dell’abbandono di Penelope, e <cosi> non
restava alle mogli che di dimostrare la
propria rettitudine verso i loro mariti,
affinché si dicesse allo stesso modo bene anche di loro. Per dirla in breve, a causa di questi colloqui si creò
intorno a Pitagora una enor- me stima e attenzione sia nella città di Crotone
sia, a causa di questa città, nel resto dell’Italia. 12 (58) Si dice che
Pitagora fu il primo a chiamarsi “filosofo”, non soltanto inaugurando un nuovo nome, ma anche
insegnandone anti- cipatamente e
utilmente il relativo significato. Infatti — egli diceva — gli uomini accedono alla vita come fa la
folla alle feste nazionali, per- ché
cosi come gli uomini di ogni genere che frequentano quelle feste arrivano chi per un’esigenza chi per un’altra
(uno sollecitato a vende- re la propria
merce a scopo di commercio e di guadagno, un altro arriva per fare bella mostra della propria
forza fisica a scopo di gloria, e c'è
anche un terzo genere di uomini, che è certamente il pit libera- le,24 che si raduna per ammirate i luoghi e
le bellezze delle opere d’ar- te e la
virtuosità degli atti e dei discorsi, cose che vengono esibite di solito nelle feste nazionali), allo stesso
modo, appunto, anche nella vita una
variopinta umanità si raduna nello stesso luogo per svolgere le proprie
occupazioni: alcuni infatti sono presi dal desiderio di ric- chezza e di lusso,
altri invece sono dominati dalla bramosia dell’auto- 120 GIAMBLICO
δημιουργημάτων καλῶν καὶ ἀρετῆς ἔργων καὶ. λόγων, dv ai ἐπιδεί- ξεις εἰώθεσαν ἐν ταῖς πανηγύρεσι γίνεσθαι),
οὕτως δὴ κἀν τῷ βίῳ παντοδαποὺς
ἀνθρώπους ταῖς σπουδαῖς εἰς ταὐτὸ ἀθροίζεσθαι: τοὺς μὲν γὰρ χρημάτων καὶ τρυφῆς αἱρεῖ πόθος, τοὺς
δὲ ἀρχῆς καὶ ἡγεμονίας ἵμερος
φιλονεικίαι te δοξομανεῖς κατέχουσιν. εἰλικρι-
νέστατον δὲ εἶναι τοῦτον ἀνθρώπου τρόπον, τὸν ἀποδεξάμενον τὴν τῶν καλλίστων (59) θεωρίαν, ὃν καὶ
προσονομάζειν φιλόσοφον. καλὴν μὲν οὖν
εἶναι τὴν τοῦ σύμπαντος οὐρανοῦ θέαν καὶ τῶν ἐν
αὐτῷ φορουμένων ἀστέρων εἴ τις καθορῴη τὴν τάξιν κατὰ μετουσί- αν μέντοι τοῦ πρώτου καὶ τοῦ νοητοῦ εἶναι
αὐτὸ τοιοῦτον. τὸ δὲ πρῶτον ἦν ἐκεῖνο, ἡ
τῶν ἀριθμῶν τε καὶ λόγων φύσις διὰ πάντων
διαθέουσα, καθ᾽ οὕς τὰ πάντα ταῦτα συντέτακταί τε ἐμμελῶς καὶ κεκόσμηται πρεπόντως, καὶ σοφία μὲν ἡ τῷ ὄντι
ἐπιστήμη τις ἡ περὶ τὰ καλὰ τὰ πρῶτα καὶ
θεῖα καὶ ἀκήρατα καὶ ἀεὶ κατὰ τὰ αὐτὰ καὶ
ὡσαύτως ἔχοντα ἀσχολουμένη, ὧν μετοχῇ καὶ τὰ ἄλλα ἂν εἴποι τις καλά᾽ φιλοσοφία δὲ ἡ ζήλωσις τῆς τοιαύτης
θεωρίας. καλὴ μὲν οὖν καὶ αὕτη παιδείας ἦν ἐπιμέλεια ἡ συντείνουσα αὐτῷ πρὸς
τὴν τῶν ἀνθρώπων ἐπανόρθωσιν. 13 (60) Εἰ δὲ καὶ πιστευτέον τοσούτοις ἱστορήσασι
περὶ αὐτοῦ παλαιοῖς τε ἅμα οὖσι καὶ ἀξιολόγοις, μέχρι τῶν ἀλόγων ζῴων ἀνα- λυτικόν τι καὶ νουθετητικὸν ἐκέκτητο
Πυθαγόρας ἐν τῷ λόγῳ, διὰ τούτου
συμβιβάζων, ὡς διδασκαλίᾳ πάντα [33] περιγίνεται τοῖς νοῦν ἔχουσιν, ὅπου καὶ τοῖς ἀνημέροις τε καὶ
ἀμοιρεῖν λόγου νομι- ζομένοις. τὴν μὲν
γὰρ Δαυνίαν ἄρκτον, χαλεπώτατα λυμαινομένην
τοὺς ἐνοίκους, κατασχών, ὥς φασι, καὶ ἐπαφησάμενος χρόνον συχ- νόν, ψωμίσας τε μάζῃ καὶ ἀκροδρύοις, ὁρκώσας
μηκέτι ἐμψύχου καθάπτεσθαι ἀπέλυσεν: ἣ
δὲ εὐθὺς εἰς τὰ ὄρη καὶ τοὺς δρυμοὺς
ἀπαλλαγεῖσα οὐκέτ᾽ ἔκτοτε ὥφθη τὸ παράπαν ἐπιοῦσα οὐδὲ ἀλόγῳ (61) ζῴῳ. βοῦν δὲ ἐν Τάραντι ἰδὼν ἐν παμμιγεῖ
νομῇ καὶ κυάμων χλωρῶν παραπτόμενον, τῷ
βουκόλῳ παραστὰς συνεβούλευσεν εἰ- πεῖν
τῷ βοῖ τῶν κυάμων ἀπέχεσθαι. προσπαίξαντος δὲ αὐτῷ τοῦ βουκόλου περὶ τοῦ εἰπεῖν
καὶ οὐ φήσαντος εἰδέναι βοϊστὶ εἰπεῖν, εἰ δὲ αὐτὸς οἶδε, καὶ περισσῶς
συμβουλεύειν, δέον τῷ βοὶ παραι- VITA DI PITAGORA 121 rità e del comando,
nonché da folli rivalità. Ma il modo più puro di essere uomo è quello che
ammette la contemplazione delle cose più
belle, ed è questo l’uomo che Pitagora denomina “filosofo”. (59) Orbene, bella è la contemplazione
dell’intero universo e degli astri che in esso si muovono, qualora si riconosca
il loro ordine, ma questo è tale per
partecipazione al Primo e all’Intelligibile. Ma il Primo era quello <di cui parlava
Pitagora>, cioè la natura dei nume-
ri e dei rapporti, natura che si estende per tutto l’universo, e
numeri e rapporti secondo cui tutto è
stato coordinato in maniera armonica e
organizzato in maniera conveniente, e la sapienza era una vera e propria scienza che si occupava delle prime
cose belle e divine e pure e che sono
sempre le stesse e allo stesso modo, per partecipazione alle quali tutto il resto può essere detto bello:
la filosofia è amore di tale contemplazione. Bello era dunque anche questo
curarsi dell’educa- zione per mezzo della quale Pitagora mirava a raddrizzare
la natura umana.?5 13 (60) Se bisogna prestare fede a tutti quelli che hanno
scritto storie su di lui, autori antichi
e nello stesso tempo degni di stima,
Pitagora possedeva un certo potere di educare e consigliare col suo discorso persino gli animali irrazionali,
mostrando, con ciò, che l’in- segnamento
può tutto quando si applichi a coloro che sono forniti di intelletto, se è vero che questo vale anche
per quegli enti che sono sel- vaggi e
ritenuti privi di ragione. Si racconta infatti che Pitagora riusci a catturare l’orsa della Daunia, che recava
gravissimi danneggiamenti alle
popolazioni del luogo: <dopo la cattura> egli si mise a carezzarla per lungo tempo, e a nutrirla con focacce e
frutta, e la lasciò andare dopo averle
fatto giurare che non avrebbe mai pit assalito esseri ani- mati; e l’orsa, una volta liberata, se ne
andò immediatamente verso le montagne e le foreste e da allora non la si vide
mai più assalire nep- pure un animale irrazionale. (61) Avendo visto, poi, in
un pascolo pieno di tanta verdura, a Taranto, un bue che mangiava delle fave
verdi, Pitagora si avvicinò al bifolco e
gli consigliò di dire al bue di astenersi dal mangiare fave. E dopo che il bifolco si mise a schernirlo a
proposito della parola “dire”, dicendo che non conosceva la lingua dei buoi, e
se per caso Pitagora la conoscesse, gli avrebbe dato un consiglio superfluo,
aven- 122 GIAMBLICO νεῖν, προσελθὼν αὐτὸς καὶ εἰς τὸ οὖς πολλὴν ὥραν
προσψιθυρίσας τῷ ταύρῳ, οὐ μόνον τότε
αὐτὸν ἀμελλητὶ ἑκόντα ἀπέστησε τοῦ
κυαμῶνος, ἀλλὰ καὶ εἰσαῦθις λέγουσι μηκέτι γεγεῦσθαι κυάμων τὸ παράπαν τὸν βοῦν ἐκεῖνον, μακροχρονιώτατον δὲ
ἐν τῇ Τάραντι κατὰ τὸ τῆς Ἥρας ἱερὸν
γηρῶντα διαμεμενηκέναι, τὸν ἱερὸν ἀνα-
καλούμενον Πυθαγόρου βοῦν ὑπὸ πάντων, ἀνθρωπίναις τροφαῖς σιτούμενον, ἃς οἱ ἀπαντῶν(62)τες αὐτῷ
προσώρεγον. ἀετόν τε ὑπεριπτάμενον
Ὀλυμπίασι προσομιλοῦντος αὐτοῦ τοῖς γνωρίμοις
ἀπὸ τύχης περὶ τε οἰωνῶν καὶ συμβόλων καὶ διοσημειῶν, ὅτι παρὰ θεῶν εἰσὶν [34] ἀγγελίαι τινὲς καὶ ἀετοὶ τοῖς
ὡς ἀληθῶς θεοφιλέσι τῶν ἀνθρώπων,
καταγαγεῖν λέγεται καὶ καταψήσαντα πάλιν
ἀφεῖναι. διὰ τούτων δὴ καὶ τῶν παραπλησίων τούτοις δέδεικται τὴν Ὀρφέως
ἔχων ἐν τοῖς θηρίοις ἡγεμονίαν καὶ κηλῶν αὐτὰ καὶ κατέχων τῇ ἀπὸ τοῦ στόματος
τῆς φωνῆς προϊούσῃ δυνάμει. 14 (63) ᾿Αλλὰ μὴν τῆς γε τῶν ἀνθρώπων ἐπιμελείας
ἀρχὴν ἐποιεῖτο τὴν ἀρίστην, ἥνπερ ἔδει
προειληφέναι τοὺς μέλλοντας καὶ περὶ τῶν
ἄλλων τὰ ἀληθῆ μαθήσεσθαι. ἐναργέστατα γὰρ καὶ σαφῶς ἀνεμίμνησκε τῶν ἐντυγχανόντων πολλοὺς τοῦ
προτέρου βίου, ὃν αὐτῶν ἣ ψυχὴ πρὸ τοῦ
τῷδε τῷ σώματι ἐνδεθῆναι πάλαι ποτὲ ἐβίω-
σε, καὶ ἑαυτὸν δὲ ἀναμφιλέκτοις τεκμηρίοις ἀπέφαινεν Εὔφορβον γεγονέναι Πάνθου υἱόν, τὸν Πατρόκλου
καταγωνιστήν, καὶ τῶν Ὁμηρικῶν στίχων
μάλιστα ἐκείνους ἐξύμνει καὶ μετὰ λύρας ἐμμε-
λέστατα ἀνέμελπε καὶ πυκνῶς ἀνεφώνει, τοὺς ἐπιταφίους ἑαυτοῦ, αἵματί οἱ δεύοντο κόμαι Χαρίτεσσιν ὁμοῖαι
πλοχμοί θ᾽, οἱ χρυσῷ τε καὶ ἀργύρῳ εὖ
ἤσκηντο. [35] οἷον δὲ τρέφει ἔρνος ἀνὴρ ἐριθηλὲς ἐλαίης χώρῳ ἐν οἰοπόλῳ, ὅθ᾽ ἅλις ἀναβέβρυχεν
ὕδωρ, καλὸν τηλε- θάον, τὸ δέ τε πνοιαὶ
δονέουσι παντοίων ἀνέμων, καί τε βρύει
ἄνθεϊ λευκῷ, ἐλθὼν δ᾽ ἐξαπίνης ἄνεμος σὺν λαίλαπι πολλῇ βόθρου τ᾽
ἐξέστρεψε καὶ ἐξετάνυσσ᾽ ἐπὶ γαίης τοῖον Πάνθου υἱὸν ἐυμε- λίην Εὔφορβον
᾽Ατρείδης Μενέλαος, ἐπεὶ κτάνε, τεύχε᾽ ἐσύλα. τὰ VITA DI PITAGORA 123 do dovuto
ammonire egli stesso il bue. Allora Pitagora si avvicinò al toro e si mise a sussurrargli all'orecchio
per molte ore, e cosi non solo lo tenne
per tutto quel tempo lontano spontaneamente?? dalle fave, ma si dice che quello anche in seguito,
per tutta la vita, non gustò più delle
fave, e poiché era vissuto lunghissimo tempo a
Taranto, presso il tempio di Era, vi diventò vecchio, ed era chiamato da
tutti “il bue sacro di Pitagora”, e si nutriva degli stessi alimenti degii
uomini, alimenti che gli offrivano tutti quelli che venivano a vederlo. (62)
Una volta che Pitagora si trovava per caso ai giochi Olimpici a conversare con i suoi intimi discepoli
intorno ai presagi e ai simbo- li e ai segni
celesti — questi, egli diceva, sono dei messaggi inviati anch'essi dagli dèi agli uomini che sono a
loro più cari —, si racconta che
un'aquila volò sopra di lui ed egli la tirò giù e, dopo averla acca- rezzata, la rilasciò. Per queste ragioni,
appunto, e per altre del gene- re,
Pitagora si è rivelato come uno che possedeva, sulle belve, il mede- simo
potere di Orfeo, incantandole e soggiogandole con la potenza della voce che
usciva dalla sua bocca. 14 (63) Ma il migliore inizio Pitagora lo dava alla
cura degli uomi- ni, e cioè quell’inizio
che dovrebbero assumere in partenza coloro che
si accingono a imparare la verità anche intorno a tutto il resto. Egli infatti induceva la maggior parte di coloro
che incontrava alla remini- scenza della
vita precedente che la loro anima aveva un giorno vissu- ta, prima di legarsi al corpo, e mostrava con
prove inoppugnabili che egli stesso era
stato Euforbo, figlio di Pantoo e vincitore di Patroclo, e tra i versi di Omero egli cantava
armoniosamente, accompagnando- si con la
lira, e spesso declamava, soprattutto quelli che poteva ritene- re il suo proprio epitaffio:28 «si
inzupparono di sangue le sue chiome, che
erano simili a quelle delle Grazie, e i suoi riccioli, che erano ador- nati d’oro e d’argento, e come un uomo nutre
un lussureggiante vir- gulto di ulivo su
un terreno deserto, dove è sgorgata abbondantemen- te dell’acqua, bello, rigoglioso, e dove lo
agitano soffi di ogni specie di vento, e
fiorisce di bianchi fiori, ma un vento che arriva improvvi- so con forte
tempesta lo strappa dal suo concavo sito e lo stende per terra; cosî il figlio
di Pantoo, Euforbo dalla bella lancia, fu spogliato dell’armi e quindi ucciso
dall’Atride Menelao».?9 Ciò che si racconta, 124 GIAMBLICO γὰρ ἱστορούμενα περὶ
τῆς ἐν Μυκήναις «ἀνακειμένης, σὺν
Τρωϊκοῖς λαφύροις τῇ ᾿Αργείᾳ Ἥρᾳ Εὐφόρβου τοῦ Φρυγὸς τούτου ἀσπίδος παρίεμεν ὡς πάνυ δημώδη. πλὴν ὅ γε
διὰ πάντων τούτων βουλόμεθα δεικνύναι,
ἐκεῖνό ἐστιν, ὅτι αὐτός τε ἐγίγνωσκε τοὺς προτέρους ἑαυτοῦ βίους καὶ τῆς τῶν ἄλλων
ἐπιμελείας ἐντεῦθἤρχετο, ὑπομιμνήσκων αὐτοὺς ἧς εἶχον πρότερον ζωῆς. 15 (64)
Ἡγούμενος δὲ πρώτην εἶναι τοῖς ἀνθρώποις τὴν δι᾽ ai- σθήσεως προσφερομένην
ἐπιμέλειαν, εἴ τις καλὰ μὲν ὁρῴη καὶ
σχήματα καὶ εἴδη, καλῶν δὲ ἀκούοι ῥυθμῶν καὶ μελῶν, τὴν διὰ μου- σικῆς παίδευσιν πρώτην κατεστήσατο διά τε
μελῶν τινῶν καὶ ῥυθμῶν, ἀφ᾽ ὧν τρόπων τε
καὶ παθῶν ἀνθρωπίνων ἰάσεις ἐγίγνοντο
ἁρμονίαι τε τῶν τῆς ψυχῆς δυνάμεων, ὥσπερ εἶχον ἐξ ἀρχῆς, συν- ἤγοντο, σωματικῶν TE καὶ ψυχικῶν νοσημάτων
καταστολαὶ καὶ ἀφυ- γιασμοὶ ὑπ᾽ αὐτοῦ
ἐπενοοῦντο. καὶ νὴ Δία τὸ ὑπὲρ πάντα ταῦτα λό-
you ἄξιον, ὅτι τοῖς μὲν γνωρίμοις τὰς λεγομένας ἐξαρτύσεις τε καὶ ἐπαφὰς συνέταττε καὶ συνηρμόζετο, δαιμονίως
μηχανώμενος κερά- σματά τινων μελῶν
διατονικῶν τε καὶ χρωματικῶν καὶ ἐναρμονίων,
δι᾿ ὧν ῥᾳδίως εἰς τὰ ἐναντία [36] περιέτρεπε καὶ περιῆγε τὰ τῆς ψυχῆς πάθη νέον ἐν αὐτοῖς ἀλόγως συνιστάμενα
καὶ ὑποφυόμενα, λύπας καὶ ὀργὰς καὶ
ἐλέους καὶ ζήλους ἀτόπους καὶ φόβους, ἐπιθυ-
μίας τε παντοίας καὶ θυμοὺς καὶ ὀρέξεις καὶ χαυνώσεις καὶ ὑπτιότητας καὶ σφοδρότητας, ἐπανορθούμενος
πρὸς ἀρετὴν τούτων ἕκαστον διὰ τῶν
προσηκόντων μελῶν ὡς διά τινων σωτη(δδ)ρίων
συγκεκραμένων φαρμάκων. ἐπί τε ὕπνον ἑσπέρας τρεπομένων τῶν ὁμιλητῶν, ἀπήλλαττε μὲν αὐτοὺς τῶν ἡμερινῶν
ταραχῶν καὶ ἐνηχημάτων διεκάθαιρέ τε
συγκεκλυδασμένον τὸ νοητικόν, ἡσύχους τε
καὶ εὐονείρους, ἔτι δὲ μαντικοὺς τοὺς ὕπνους αὐτοῖς ἀπειργάζετο᾽ ἀπό τε τῆς εὐνῆς πάλιν
ἀνισταμένων, τοῦ νυκτερινοῦ κάρου καὶ
τῆς ἐκλύσεως καὶ τῆς νωχελίας αὐτοὺς ἀπήλλασσε διά τινων ἰδιοτρόπων ἀσμάτων καὶ μελισμάτων, ψιλῇ
τῇ κράσει, διὰ χύρας ἢ καὶ φωνῆς,
συντελουμένων. ἑαυτῷ δὲ οὐκέθ᾽ ὁμοίως, δι᾽
VITA DI PITAGORA 125 infatti,
sullo scudo del frigio Euforbo, consacrato a Micene a Era Argiva assieme alle spoglie troiane, noi qui
tralasciamo di dire perché è noto a
tutti. La sola cosa che vogliamo mostrare con tutti questi discorsi è la seguente: Pitagora conosceva le
sue vite precedenti e cosî,
nell’iniziare a prendersi cura degli altri, egli cominciava da qui,
facen- do loro ricordare la vita che
avevano vissuto in precedenza. 15 (64)
Ritenendo che gli uomini si prendono cura anzitutto di ciò che si presenta attraverso la sensazione, se,
ad esempio, si vedono belle figure e
belle forme, o si ascoltano bei ritmi e belle melodie —, Pitagora fissò come prima educazione quella
musicale e cioè quella che egli otteneva
attraverso certe melodie e certi ritmi, a partire dai quali egli curava i modi di vita e i
sentimenti degli uomini, e rigenera- va
le armonie che l’anima possedeva all'origine tra le sue facoltà,5° e si inventava modi per reprimere e guarire
malattie del corpo e del- l’anima. E,
per Zeus, ecco ciò che, al di là di tutte queste cose, è degno di menzione, il fatto, cioè, che Pitagora
combinava e armonizzava, in favore dei
suoi intimi discepoli, <delle musiche> che venivano chia- mate “arrangiamenti” e “compressioni”, dal
momento che egli conge- gnava in maniera
demonica mescolanze di certe melodie diatoniche, cromatiche ed enarmoniche, con le quali
facilmente convertiva e ridu- ceva ai
loro contrari le passioni dell'anima, quando queste insorgeva- no e crescevano in maniera insolita e
irrazionale, nonché dolori e ire e
compassioni e gelosie assurde e paure, e appetiti di ogni sorta ed eccitazioni e desideri ed esaltazioni e
depressioni e veemenze, giacché egli era
capace di correggere ciascuno di questi stati d’animo trasfor- mandoli in virti per mezzo di melodie
appropriate come fossero dei farmaci
salutari e bene amalgamati. (65) Quando,
la sera, i suoi discepoli erano pronti per andare a dormire, Pitagora li liberava dai loro
turbamenti e dai frastuoni della
giornata, e purificava la loro mente confusa, e procurava loro un sonno tranquillo e pieno di sogni belli e,
talora, anche profetici; e quando,
<la mattina dopo>, si alzavano dal letto, li liberava dal tor- pore notturno e dalla fiacchezza e
dall’ignavia <che ne seguivano>
per mezzo di particolari canti e melodie costruite, con semplice modulazione, per mezzo della lira o anche
della <sola> voce. A se stesso,
invece, Pitagora non applicava o somministrava mai un simile 126 GIAMBLICO
ὀργάνων ἢ καὶ ἀρτηρίας, τὸ τοιοῦτον ὁ ἀνὴρ συνέταττε καὶ ἐπόρι- ζεν, ἀλλὰ ἀρρήτῳ τινὶ καὶ δυσεπινοήτῳ
θειότητι χρώμενος ἐνητένι- ζε τὰς ἀκοὰς
καὶ τὸν νοῦν ἐνήρειδε ταῖς μεταρσίαις τοῦ κόσμου συμφωνίαις, ἐνακούων, ὡς ἐνέφαινε, μόνος αὐτὸς
καὶ συνιεὶς τῆς καθολικῆς τῶν σφαιρῶν
καὶ τῶν κατ᾽ αὐτὰς κινουμένων ἀστέρων
ἁρμονίας τε καὶ συνῳδίας, πληρέστερόν τι τῶν θνητῶν καὶ κατακο- ρέστερον μέλος φθεγγομένης διὰ τὴν ἐξ
ἀνομοίων μὲν καὶ ποικίλως διαφερόντων
ῥοιζημάτων ταχῶν τε καὶ μεγεθῶν καὶ ἐποχήσεων, ἐν λόγῳ δέ τινι πρὸς ἄλληλα μουσικωτάτῳ [37]
διατεταγμένων, κί- νησιν καὶ περιπόλησιν
εὐμελεστάτην ἅμα (66) καὶ ποικίλως περι-
καλλεστάτην ἀποτελουμένην. ἀφ᾽ ἧς ἀρδόμενος ὥσπερ καὶ τὸν τοῦ νοῦ λόγον εὐτακτούμενος καὶ ὡς εἰπεῖν σωμασκούμενος
εἰκόνας τινὰς τούτων ἐπενόει παρέχειν
τοῖς ὁμιληταῖς ὡς δυνατὸν μάλιστα, διά
τε ὀργάνων καὶ διὰ ψιλῆς τῆς ἀρτηρίας ἐκμιμούμενος. ἑαυτῷ μὲν γὰρ μόνῳ τῶν ἐπὶ γῆς ἁπάντων συνετὰ καὶ
ἐπήκοα τὰ κοσμικὰ φθέγματα ἐνόμιζε, καὶ
ἀπ᾽ αὐτῆς τῆς φυσικῆς πηγῆς τε καὶ ῥίζης
ἄξιον ἑαυτὸν ἡγεῖτο διδάσκεσθαί τι καὶ ἐκμανθάνειν καὶ ἐξομο- ιοῦσθαι κατ᾽ ἔφεσιν καὶ ἀπομίμησιν τοῖς
οὐρανίοις, ὡς ἂν οὕτως ἐπιτυχῶς πρὸς τοῦ
φύσαντος αὐτὸν δαιμονίου μόνον διωργανωμέ-
νον. ἀγαπητὸν δὲ τοῖς ἄλλοις ἀνθρώποις ὑπελάμβανεν εἰς αὐτὸν ἀφορῶσι καὶ τὰ παρ᾽ αὐτοῦ χαριστήρια δι᾽
εἰκόνων τε καὶ ὑποδειγμάτων ὠφελεῖσθαι
καὶ διορθοῦσθαι, μὴ δυναμένοις τῶν
πρώτων καὶ εἰλικρινῶν ἀρχετύπων ὡς ἀληθῶς ἀντι(67)λαμβάνε- σθαι’ καθάπερ ἀμέλει καὶ τοῖς οὐχ οἵοις τε
ἀτενὲς ἐνορᾶν τῷ ἡλίῳ διὰ τὴν τῶν
ἀκτίνων ὑπερφέγγειαν ἐν βαθείᾳ συστάσει ὕδατος ἢ καὶ διὰ τετηκυίας πίσσης ἢ κατόπτρου τινὸς
μελαναυγοῦς δεικνύ- εἰν ἐπινοοῦμεν τὰς
ἐκλείψεις, φειδόμενοι τῆς τῶν ὄψεων ἀσθενεί-
ας αὐτῶν καὶ ἀντίρροπόν τινα κατάληψιν αὐτοῖς τὸ τοιοῦτον ἀγαπῶσιν εἰ καὶ ἀνειμενωτέραν μηχανώμενοι.
τοῦτο φαίνεται καὶ ᾿Εμπεδοκλῆς περὶ
αὐτοῦ αἰνίττεσθαι καὶ τῆς ἐξαιρέτου καὶ θεοδ-
ὡρήτου περὶ αὐτὸν ὑπὲρ τοὺς ἄλλους διοργανώσεως ἐν οἷς φησί"
ἦν δέ τις ἐν κείνοισιν ἀνὴρ περιώσια
εἰδώς, ὃς δὴ μήκιστον πραπίδων VITA DI
PITAGORA 127 metodo, fatto di strumenti
o anche della <sola> voce,3! ma servendo-
si di un certo suo potere divino, ineffabile e difficile a
comprendersi, tendeva le orecchie e
concentrava l’intelletto sulle sublimi armonie
dell'universo, giacché egli era l’unico, a quanto sembra, che
sapeva ascoltare e comprendere l’armonia
e la consonanza delle sfere celesti e
degli astri che si muovono in esse, armonia che esprime una melo- dia più piena e più pura di quella prodotta
dai mortali, perché pro- dotta
attraverso il loro movimento di rivoluzione composto di disu- guali e variamente differenziate sonorità e
velocità e grandezze e intervalli,
ordinate tra loro in un unico rapporto assolutamente musi- cale, movimento di rivoluzione che è
melodiosissimo e al contempo bellissimo
nella sua varietà. (66) Ristorato da
questa musica celeste, messo in ordine il princi- pio razionale del suo intelletto, come se
compisse, per cosi dire, un esercizio fisico,
Pitagora escogitava il modo di offrire ai suoi discepo- li, quanto meglio gli era possibile, delle
immagini di quelle armonie
<celesti>, imitandole sia con strumenti sia con la semplice voce.
Egli riteneva che solo a lui, tra tutti
i terrestri, era dato di comprendere e
ascoltare i suoni dell’universo, e credeva che lui solo era degno di ricevere qualche insegnamento e apprendere da
questa fonte e radice naturale, e di
potersi assimilare, per desiderio e per imitazione, ai corpi celesti, in quanto lui solo era stato
felicemente strutturato in tal senso da
parte di quel principio divino che lo aveva generato. D'altra parte egli supponeva che gli altri uomini,
volgendosi a lui e ai benefi- ci che da
lui potevano ricevere, dovevano essere contenti di poter trarre vantaggi e raddrizzamenti per mezzo di
immagini ed esempi, non essendo essi
stessi in grado di percepire i primi e puri archetipi cosî come sono realmente. (67) Allo stesso modo noi abbiamo escogitato
di mostrare, a colo- ro che non sono in
grado di guardare direttamente il sole per via della eccessiva luminosità dei suoi raggi, le
eclissi in una raccolta d’acqua profonda
o attraverso della pece liquefatta o in qualche specchio annerito, per rispetto della debolezza della
loro capacità visiva e apparecchiando,
in favore di coloro che amano questi fenomeni, una percezione equivalente <a quella
reale>, anche se più sfumata. A que-
sto sembra alludere anche Empedocle, quando parla di Pitagora e della sua eccezionale, rispetto a quella
degli altri uomini, complessio- ne
organica ricevuta per dono divino, dicendo: «C'era tra di loro un 128 GIAMBLICO
ἐκτήσατο πλοῦτον, [38] παντοίων τε μάλιστα σοφῶν ἐπιήρανος ἔργων ὁππότε γὰρ πάσῃσιν ὀρέξαιτο πραπίδεσσι,
ῥεῖά γε τῶν ὄντων πάντων λεύσσεσκεν
ἕκαστα καί τε δέκ᾽ ἀνθρώπων καί τ’
εἴκοσιν αἰώνεσσι. τὸ γὰρ «περιώσια» καὶ «τῶν ὄντων πάντων λεύσ- σεσκεν ἕκαστα» καὶ «πραπίδων πλοῦτον» καὶ τὰ
ἐοικότα ἐμφαντι- κὰ μάλιστα τῆς
ἐξαιρέτου καὶ ἀκριβεστέρας παρὰ τοὺς ἄλλους
διοργανώσεως ἦν ἔν τε τῷ ὁρᾶν καὶ τῷ ἀκούειν καὶ τῷ νοεῖν. 16 (68) Αὕτη μὲν οὖν ἡ διὰ μουσικῆς
ἐπετηδεύετο αὐτῷ κατάρτυ- σις τῶν ψυχῶν᾽
ἄλλη δὲ κάθαρσις τῆς διανοίας ἅμα καὶ τῆς ὅλης
ψυχῆς διὰ παντοδαπῶν ἐπιτηδευμάτων οὕτως ἠσκεῖτο παρ᾽ αὐτῷ. τὸ γεννικὸν τῶν περὶ τὰ μαθήματα καὶ
ἐπιτηδεύματα πόνων ᾧετο δεῖν ὑπάρχειν καὶ
τὰς τῆς ἐμφύτου πᾶσιν ἀκρασίας τε καὶ πλεονεξίας βασάνους τε ποικιλωτάτας τε κολάσεις καὶ
ἀνακοπάς, πυρὶ καὶ σιδήρῳ κατ᾽ αὐτῆς
συντελουμένας, διαθεσμοθετῆσαι τοῖς χρωμέ-
νοις, ἃς οὔτε καρτερεῖν οὔτε ὑπομένειν δύναταί τις κακὸς ὦν. πρὸς δὲ τούτοις ἐμψύχων ἀποχὴν πάντων καὶ ἔτι
βρωμάτων τινῶν. ταῖς ἐπεγρίαις τοῦ
λογισμοῦ καὶ εἰλικρινείαις ἐμποδιζόντων κατέδει- ξεν [ἐν] τοῖς ἑταίροις, ἐχεμυθίαν τε καὶ
παντελῆ σιωπήν, πρὸς τὸ γλώσσης κρατεῖν
συνασκοῦ[39]σαν ἐπὶ ἔτη πολλά, σύντονόν τε καὶ
ἀδιάπνευστον περὶ τὰ δυσληπτότατα τῶν θεωρημάτων ἐξέτασίν τε καὶ ἀνάληψιν. (69) διὰ ταὐτὰ δὲ καὶ ἀνοινίαν
καὶ ὀλιγοσιτίαν καὶ bAryovaviav, δόξης
δὲ καὶ πλούτου καὶ τῶν ὁμοίων ἀνεπιτήδευτον
«περι-» φρόνησίν τε καὶ κατεξανάστασιν, καὶ αἰδῶ μὲν ἀνυπόκριτον πρὸς τοὺς προήκοντας, πρὸς δὲ τοὺς ὁμήλικας
ἄπλαστον ὁμοιότητα καὶ φιλοφροσύνην,
συνεπίτασίν τε καὶ παρόρμησιν πρὸς τοὺς νεω-
τέρους φθόνου χωρίς, φιλίας δὲ πάντων πρὸς ἅπαντας, εἴτε θεῶν πρὸς ἀνθρώπους δι᾽ εὐσεβείας καὶ
ἐπιστημονικῆς θεραπείας, εἴτε δογμάτων
πρὸς ἀλληλα καὶ καθόλου ψυχῆς πρὸς σῶμα λογικοῦ τε πρὸς τὰ τοῦ ἀλόγου διὰ φιλοσοφίας καὶ τῆς
κατὰ ταύτην θεωρίας, VITA DI PITAGORA
129 uomo di straordinario sapere, che
aveva dunque acquistato un’im- mensa ricchezza
d’ingegno, e padroneggiava al più alto livello ogni genere di sapiente attività: quando infatti
dispiegava tutto il suo inge- gno, era
capace di scorgere, senza difficoltà, ciascuna delle cose esi- stenti in dieci, in venti epoche umane». In
effetti, espressioni quali
“straordinario” e “era capace di scorgere, senza difficoltà, ciascuna delle cose esistenti” e “ricchezza di
ingegno” e simili, mostrano soprattutto
l'eccezionale e più precisa, rispetto a quella degli altri uomini, complessione organica di cui godeva
Pitagora sia nel vedere che nell’udire e
nell’intendere. 16 (68) Era questa,
dunque, la preparazione delle anime attraver-
so la musica di cui si occupava Pitagora; altra era invece la
purifica- zione della mente e insieme
dell’anima intera per mezzo di occupazio-
ni di vario genere che egli esercitava nel modo seguente. Egli
ritene- va che dovesse essere vigoroso
il modo di affrontare le fatiche dell’ap-
prendimento delle matematiche e di <simili> occupazioni, e che
biso- gnasse imporre, a coloro che ne
fruiscono, contro l’incontinenza e
l'arroganza che sono innate in tutti, prove rigorose e castighi e
osta- coli, da realizzare contro quei
vizi col ferro e col fuoco, prove che non
può sopportare e a cui non può resistere chi sia vizioso. Inoltre
egli impose ai suoi compagni di
astenersi da ogni sorta di essere animato
e ancora da alcuni alimenti che sono di impedimento a una ragione vigile e pura, e di sapere tacere e praticare
un perfetto silenzio, che addestra a
dominare la lingua per molti anni, e di sapere indagare e riprendere intensamente e incessantemente le
dottrine di più difficile
comprensione; (69) e perciò egli
imponeva anche di astenersi dal vino e di man-
giare e dormire poco, e di disprezzare e resistere senza
affettazione alla gloria e alla
ricchezza e a cose simili, e di rispettare sinceramente gli anziani, e di essere francamente solidali
e amichevoli verso i coeta- nei, e
premurosi e stimolanti, senza invidia, verso i più giovani, <in breve auspicava> amicizia di tutti verso
tutti, sia degli dèi verso gli uomini,
per mezzo della pietà e di un culto fondato sulla scienza, sia delle dottrine tra loro, e in generale dell’anima
verso il corpo e della sua parte
razionale verso le <varie> forme di quella irrazionale, per mezzo della filosofia e della contemplazione
che si ha in funzione di 130
GIAMBLICO εἴτε ἀνθρώπων πρὸς ἀλλήλους,
πολιτῶν μὲν διὰ νομιμότητος ὑγιοῦς,
ἑτεροφύλων δὲ διὰ φυσιολογίας ὀρθῆς, ἀνδρὸς δὲ πρὸς γυναῖκα ἢ ἀδελφοὺς καὶ οἰκείους διὰ κοινωνίας
ἀδιαστρόφου, εἴτε συλλήβδην πάντων πρὸς
ἅπαντας καὶ προσέτι τῶν ἀλόγων ζῴων τινὰ διὰ δικα- ιοσύνης καὶ φυσικῆς ἐπιπλοκῆς καὶ κοινότητος,
εἴτε καὶ σώματος καθ᾽ ἑαυτὸ θνητοῦ τῶν
ἐγκεκρυμμένων αὐτῷ ἐναντίων δυνάμεων
εἰρήνευσιν καὶ συμβιβασμὸν δι᾽ ὑγείας καὶ τῆς εἰς ταύτην διαίτης καὶ σωφροσύνης κατὰ μίμησιν τῆς ἐν τοῖς
κοσμικοῖς στοι(7θ)χείοις εὐετηρίας.
πάντων τούτων [ἕν] ἑνὸς καὶ τοῦ αὐτοῦ κατὰ σύλληψιν καὶ συγκεφαλαίωσιν ὀνόματος «ὄντος», τοῦ τῆς
φιλίας, εὑρετὴς καὶ νομοθέτης ὁμολογουμένως
Πυθαγόρας, καὶ διόλου τῆς ἐπιτηδειο-
τάτης πρὸς θεοὺς ὁμιλίας [40] ὕπαρ τε καὶ κατὰ τοὺς ὕπνους αἰτιώ- τατος τοῖς περὶ αὐτόν, ὅπερ οὔτε ὑπὸ ὀργῆς
τεθολωμένῃ περιγίνεται ποτε ψυχῇ, οὔτε
ὑπὸ λύπης οὔτε ὑπὸ ἡδονῆς οὔτε τινὸς ἄλλης ai-
σχρᾶς ἐπιθυμίας παρηλλαγμένῃ, μὰ Δία, οὐδὲ τῆς τούτων ἁπασῶν ἀνοσιωτάτης τε καὶ χαλεπωτάτης ἀμαθίας. ἀπὸ
δὴ τούτων ἁπάντων δαιμονίως ἰᾶτο καὶ
ἀπεκάθαιρε τὴν ψυχὴν καὶ ἀνεζωπύρει τὸ θεῖον
ἐν αὐτῇ καὶ ἀπέσῳζε καὶ περιῆγεν ἐπὶ τὸ νοητὸν τὸ θεῖον ὄμμα, κρεῖττον ὃν σωθῆναι κατὰ τὸν Πλάτωνα μυρίων
σαρκίνων ὀμμάτων. μόνῳ γὰρ αὐτῷ
διαβλέψαντι καὶ οἷς προσῆκε βοηθήμασι τονωθέντι
καὶ διαρθρωθέντι ἡ περὶ τῶν ὄντων ἁπάντων ἀλήθεια διορᾶται. πρὸς δὴ τοῦτο ἀναφέρων ἐποιεῖτο τὴν τῆς διανοίας
κάθαρσιν, καὶ ἦν αὐτῷ τῆς παιδεύσεως ὁ
τύπος τοιοῦτος καὶ πρὸς ταῦτα ἀποβλέπων.
17 (71) Παρεσκευασμένῳ δὲ αὐτῷ οὕτως εἰς τὴν παιδείαν τῶν ὁμιλητῶν, προσιόντων τῶν νεωτέρων καὶ
βουλομένων συνδιατρίβειν οὐκ εὐθὺς
συνεχώρει, μέχρις ἂν αὐτῶν τὴν δοκιμασίαν καὶ τὴν κρί- σιν ποιήσηται, πρῶτον μὲν πυνθανόμενος πῶς
τοῖς γονεῦσι καὶ τοῖς οἰκείοις τοῖς
λοιποῖς πάρεισιν ὡμιληκότες, ἔπειτα θεωρῶν αὐτῶν τούς τε γέλωτας τοὺς ἀκαίρους καὶ τὴν σιωπὴν
καὶ τὴν λαλιὰν παρὰ τὸ δέον, ἔτι δὲ τὰς
ἐπιθυμίας τίνες εἰσὶ καὶ τοὺς γνωρίμους οἷς
VITA DI PITAGORA 131 essa, sia
degli uomini tra loro, tra cittadini per mezzo di una sana osservanza della legge, e tra diversi gruppi
etnici per mezzo di una corretta
conoscenza della natura <umana>, e tra il marito e la moglie, o i fratelli o i parenti, per mezzo di una
stabile comunione: sia, in breve, di
tutti verso tutti e ancora verso alcuni animali irrazionali per un senso di giustizia e di naturale vicinanza
e comunanza)? sia, infi- ne, l'amicizia
nel corpo, che è di per sé mortale, al livello di pacifica- zione e conciliazione tra facoltà contrarie
che si nascondono in esso, per mezzo
della salute e del relativo regime di vita, e della temperan- za, ad imitazione della prosperità che vige
tra gli elementi dell’univer- 50. (70) Poiché di tutti questi casi esiste un
unico e medesimo nome che li sintetizza,
cioè “amicizia”, si ritiene concordemente che sia stato Pitagora a scoprirlo e imporlo come
legge: e in generale che sia lui il
responsabile in assoluto della più conveniente relazione con gli dei da parte dei suoi discepoli, in stato sia
di veglia che di sogno, cosa che non
capita né quando l’anima è turbata dall’ira, né quando è svia- ta dal dolore o dal piacere o da qualche
altro turpe appetito, per Zeus, né
dall’ignoranza, che è il più empio e più grave di tutti questi difet- ti. Partendo da tutto ciò, appunto, Pitagora
curava divinamente e purificava l'anima
e riaccendeva la scintilla del divino che è in essa e manteneva sano e riconduceva verso
l’Intelligibile l'occhio divino
<dell’anima>, che, secondo Platone, è giusto salvare più di
migliaia e migliaia di occhi carnali.
Solo con esso, infatti, qualora sia rivolto
<lassii> e sia rafforzato dai dovuti ausili e sia bene
organizzato, si può discernere la verità
intorno a tutti gli enti, Era appunto in riferimen- to a questo fine che Pitagora purificava la
mente, ed era di questa natura la sua
educazione, ed era a questo che egli mirava.
17 (71) Essendo preparato in tal modo all'educazione dei suoi discepoli, una volta che i giovani arrivavano
da lui e volevano fre- quentare la sua
scuola, a Pitagora non sembrava conveniente accetta- re subito, senza prima sottoporli ad esame e
a giudizio di merito: anzi- tutto egli
cercava di rendersi conto di che tipo di rapporti essi intrat- tenevano con i loro genitori e con gli altri
parenti, poi vedeva chi tra loro rideva
senza motivo o taceva o parlava più del necessario, e anco- ra quali erano i loro appetiti e chi erano i
loro familiari e quale rap- 132
GIAMBLICO ἐχρῶντο καὶ τὴν πρὸς τούτους
ὁμιλίαν καὶ πρὸς τίνι μάλιστα τὴν ἡμέραν
σχολάζουσι καὶ τὴν χαρὰν καὶ τὴν λύπην ἐπὶ τίσι τυγχά- νουσι ποιούμενοι. προσεθεώρει δὲ καὶ τὸ εἶδος
καὶ τὴν πορείαν καὶ τὴν ὅλην τοῦ σώματος
κίνησιν, τοῖς τε τῆς φύσεως γνωρίσμασι
φυσιογνωμονῶν αὐτοὺς σημεῖα τὰ φανερὰ ἐποιεῖτο τῶν ἀφανῶν [41] (72) ἠθῶν ἐν τῇ ψυχῇ. καὶ ὅντινα δοκιμάσειεν
οὕτως, ἐφίει τριῶν ἐτῶν ὑπερορᾶσθαι,
δοκιμάζων πῶς ἔχει βεβαιότητος καὶ ἀληθινῆς
φιλομαθείας, καὶ εἰ πρὸς δόξαν ἱκανῶς παρεσκεύασται ὥστε κατα- φρονεῖν τιμῆς. μετὰ δὲ τοῦτο τοῖς προσιοῦσι
προσέταττε σιωπὴν πενταετῆ, ἀποπειρώμενος
πῶς ἐγκρατείας ἔχουσιν, ὡς χαλεπώτερον
τῶν ἄλλων ἐγκρατευμάτων τοῦτο, τὸ γλώσσης κρατεῖν, καθὰ καὶ ὑπὸ τῶν τὰ μυστήρια νομοθετησάντων ἐμφαίνεται
ἡμῖν. ἐν δὴ τῷ χρόνῳ τούτῳ τὰ μὲν
ἑκάστου ὑπάρχοντα, τουτέστιν αἱ οὐσίαι, ἐκοινοῦντο, διδόμενα τοῖς ἀποδεδειγμένοις εἰς τοῦτο
γνωρίμοις, οἵπερ ἐκαλοῦντο πολιτικοί,
καὶ οἰκονομικοί τινες καὶ νομοθετικοὶ ὄντες.
αὐτοὶ δὲ εἰ μὲν ἄξιοι ἐφαίνοντο τοῦ μετασχεῖν δογμάτων, ἔκ τε βίου καὶ τῆς ἄλλης ἐπιεικείας κριθέντες, μετὰ
τὴν πενταετῆ σιωπὴν ἐσωτερικοὶ λοιπὸν
ἐγίνοντο καὶ ἐντὸς σινδόνος ἐπήκουον τοῦ
Πυθαγόρου μετὰ τοῦ καὶ βλέπειν αὐτόν᾽ πρὸ τούτου δὲ ἐκτὸς αὐτῆς καὶ μηδέποτε αὐτῷ ἐνορῶντες μετεῖχον τῶν
λόγων διὰ ψιλῆς ἀκοῆς, ἐν πολλῷ χρόνῳ
διδόντες (73) βάσανον τῶν οἰκείων ἠθῶν. εἰ δ᾽ ἀπο- δοκιμασθείησαν, τὴν μὲν οὐσίαν ἐλάμβανον
διπλῆν, μνῆμα δὲ aù- τοῖς ὡς νεκροῖς
ἐχώννυτο ὑπὸ τῶν ὁμακόων (οὕτω γὰρ ἐκαλοῦντο
πάντες οἱ περὶ τὸν ἄνδρα), συντυγχάνοντες δὲ αὐτοῖς οὕτως συνε- τύγχανον ὡς ἄλλοις τισίν, ἐκείνους δὲ ἔφασαν
τεθνά[42]ναι, οὺς αὐτοὶ ἀνεπλάσσοντο,
καλοὺς κἀγαθοὺς προσδοκῶντες ἔσεσθαι ἐκ
τῶν μαθημάτων’ ἀδιοργανώτους τε καὶ ὡς εἰπεῖν ἀτελεῖς τε καὶ VITA DI PITAGORA 133 porto intrattenevano con loro, e a che cosa
dedicavano la maggior parte della
giornata, e per quali cose essi provavano gioia o dolore. Considerava, inoltre, l'aspetto e il modo di
camminare e il movimen- to del corpo nel
suo complesso, e facendo loro un esame fisiognomi- co attraverso gli indizi della loro natura,
considerava i risultati come segni
evidenti dei caratteri non apparenti della loro anima. (72) E chiunque avesse sottoposto a tale
esame, lasciava che per tre anni fosse
osservato dall'esterno, per esaminare con quale stabili tà e autentico desiderio di apprendere si
comportasse, e se fosse pre- parato a
tal punto contro la gloria da disprezzare gli onori. Dopo que- sto periodo di tre anni imponeva a coloro che
lo frequentavano un silenzio di cinque
anni, per sperimentare fino a qual punto essi erano in grado di contenersi, giacché fra tutti i
tipi di continenza il più dif- ficile è
dominare la lingua, secondo quel che ci manifestano anche coloro che hanno istituito i misteri. Durante
questo periodo di cinque anni, ciò che
apparteneva a ciascuno, cioè i loro beni, venivano messi in comune, consegnati a quegli intimi
discepoli di Pitagora che erano stati da
lui designati per questo compito, e che venivano chiamati “politici”, alcuni dei quali erano
amministratori e legislatori <della
comunità>. Se poi costoro apparivano degni di partecipare alle dot- trine, e per questo erano giudicati per il
loro stile di vita e altre forme di
onesto comportamento, diventavano, dopo i cinque anni di silen- zio, per il resto del tempo “esoterici” e
potevano ascoltare Pitagora all’interno
della tenda, oltre che vederlo di persona, mentre in prece- denza partecipavano, fuori della tenda, ai
suoi discorsi con il sempli- ce ascolto
senza mai vederlo, dovendo per molto tempo dare prova del loro carattere. (73) Se poi a questa prova venivano respinti,
allora ricevevano il doppio dei loro
beni, e per essi veniva innalzata una tomba, come fos- sero morti, da parte dei loro co-uditori
(cosi infatti venivano chiama- ti tutti
coloro che stavano intorno a Pitagora), e quando questi ultimi li incontravano era come se incontrassero
degli altri, perché essi dice- vano che
erano morti coloro che essi avevano cercato di “modella- re”,33 dal momento che si aspettavano che
sarebbero divenuti, con i loro
insegnamenti matematici, belli e buoni; essi credevano che quel- li che erano rimasti sordi a quegli
insegnamenti erano “disorganizza- ti” e,
per cosî dire, imperfetti e in qualche modo sterili. 134 GIAMBLICO
στειρώδεις ᾧοντο τοὺς δυσμαθε(74)στέρους. εἰ γοῦν, μετὰ τὸ ἐκ μορφῆς τε καὶ βαδίσματος καὶ τῆς ἄλλης
κινήσεώς τε καὶ καταστά- σεως ὑπ᾽ αὐτῶν
φυσιογνωμονηθῆναι καὶ ἐλπίδα ἀγαθὴν περὶ αὑτοῦ
παρασχεῖν, μετὰ τὴν πενταετῆ σιωπὴν καὶ [τὴν] μετὰ τοὺς ἐκ τῶν τοσῶνδε μαθημάτων ὀργιασμοὺς καὶ μυήσεις
ψυχῆς τε ἀπορρύψεις καὶ καθαρμοὺς
τοσούτους τε καὶ τηλικούτους καὶ ἐκ ποικίλων
οὕτως θεωρημάτων προοδεύσαντας, δι᾽ οὺς ἀγχίνοιαί τε καὶ ψυχῆς εὐάγειαι πᾶσιν ἐκ παντὸς ἐνεφύοντο,
δυσκίνητος ἔτι τις καὶ δυσπα-
ρακολούθητος ηὑρίσκετο, στήλην δή τινὰ τῷ τοιούτῳ καὶ μνημεῖον ἐν τῇ διατριβῇ χώσαντες (καθὰ καὶ Περίλλῳ τῷ
Θουρίῳ λέγεται καὶ Κύλωνι τῷ Συβαριτῶν
ἐξάρχῳ, ἀπογνωσθεῖσιν ὑπ᾽ αὐτῶν) ἐξήλαυ-
νον ἂν τοῦ ὁμακοείου, φορτίσαντες χρυσοῦ τε καὶ ἀργύρου πλῆθος (κοινὰ γὰρ αὐτοῖς καὶ ταῦτα ἀπέκειτο, ὑπό
τινων εἰς τοῦτο ἐπι- τηδείων κοινῇ
διοικονομούμενα, odg προσηγόρευον οἰκονομικοὺς
ἀπὸ τοῦ τέλους) καὶ εἴ ποτε συντύχοιεν ἄλλως αὐτῷ, πάντα ὁντινοῦν μᾶλλον ἢ ἐκεῖνον ἡγοῦντο εἶναι, τὸν
κατ᾽ αὐτοὺς τεθνηκό- τα. (75) διόπερ καὶ Λῦσις Ἱππάρχῳ τινὶ
ἐπιπλήττων, μεταδιδόντι τῶν λόγων τοῖς
ἀνεισάκτοις καὶ ἄνευ μαθημάτων καὶ θεω[43]ρίας ἐπι- φυομένοις, φησί «φαντὶ δέ σε καὶ δαμοσίᾳ
φιλοσοφὲν τοῖς ἐντυγχά- νουσι, τόπερ
ἀπαξίωσε Πυθαγόρας, ὡς ἔμαθες μέν, Ἵππαρχε, μετὰ σπουδᾶς, οὐκ ἐφύλαξας δέ, γευσάμενος, ὦ
γενναῖε, Σικελικᾶς πολυ- τελείας, ἄς οὐκ
ἐχρῆν τοι γενέσθαι δεύτερον. εἰ μὲν ὧν μεταβάλο- Lo, χαρησοῦμαι’ εἰ δὲ μή γε, τέθνακας.
διαμεμνᾶσθαι γάρ, φησίν, ὅσιον εἴη κα
τῶν τήνου θείων τε καὶ ἀνθρωπείων παραγγελμάτων, μηδὲ κοινὰ ποιεῖσθαι τὰ σοφίας ἀγαθὰ τοῖς οὐδ᾽
ὄναρ τὰν ψυχὰν κεκαθαρμένοις. οὐ γὰρ
θέμις ὀρέγεν τοῖς ἀπαντῶσι τὰ μετὰ
τοσούτων ἀγώνων σπουδᾷ ποριχθέντα, οὐδὲ μὰν βεβάλοις τὰ ταῖν Ἐλευσινίαιν θεαῖν μυστήρια διαγέεσθαι' κατ᾽
ἰσότατα δὲ ἄδικοι καὶ ἀσεβέες οἱ (76)
ταῦτα πράξαντες. διαλογίζεσθαι δὲ καλόν,
ὅσον χρόνου μᾶκος ἐκμεμετρήκαμεν ἀπορρυπτόμενοι «σπίλως τὼς ἐν τοῖς [44] στάθεσσιν ἁμῶν ἐγκεκολαμμένως,
ἕως ποκὰ διελθόντων VITA DI PITAGORA
135 (74) Se dunque, dopo essere stato da
loro esaminato fisiognomi- camente a
partire dal suo aspetto fisico e del suo incedere e di altre forme di movimento e di atteggiamento, e dopo
avere fornito buona aspettativa di sé,
dopo un silenzio di cinque anni e dopo essere stato addestrato a tanti insegnamenti, come a dei
misteri, e dopo tali e tante iniziazioni
e purificazioni e purgazioni dell'anima procedenti da tanto varie dottrine, con le quali nascono in
tutti, da sempre, acutezza e vivacità
dell'anima, qualcuno veniva ancora trovato lento nel progre- dire e nel seguire l'insegnamento, allora a
costui innalzavano nella scuola una
stele alla memoria (come fu fatto, si dice, per Perillo di Turi e per Cilone, il governatore di Sibari,
una volta che furono da loro respinti) e
lo cacciavano dal co-uditorio, dopo averlo caricato di molto oro e argento (questi beni, infatti,
erano accantonati e lasciati in comune,
ed erano amministrati in comune da alcuni addetti a que- sta funzione, i quali ricevevano per questo
scopo il nome di “ammini- stratori”); e
se qualche volta capitava loro, per altre ragioni, di incon- trarlo, essi ritenevano che fosse un altro
qualsiasi piuttosto che quel- lo che per
loro era morto. (75) Perciò anche
Liside, nel censurare un certo Ipparco che
aveva comunicato dei discorsi di Pitagora a gente non introdotta
alla scuola e cresciuta senza formazione
matematica e speculativa, dice: «Si
racconta che tu, o Ipparco, insegni filosofia a chiunque incontri, anche pubblicamente, cosa che Pitagora ha
proibito severamente, come tu ben sai,
ma tu non mantieni tale divieto perché hai gustato in Sicilia, mio caro, quel lussuoso stile di
vita, rispetto a cui quella rego- la non
doveva essere per te secondaria.34 Se tu dovessi cambiare atteg- giamento, io me ne rallegrerò, diversamente
tu <per me> sei morto. Infatti —
egli dice — pietà vorrebbe che ci si ricordasse dei precetti sia divini che umani di Pitagora, e non si
condividessero i beni della sua sapienza
con coloro che nemmeno in sogno si sono purificati nell’ani- ma, perché non è lecito offrire a chiunque
capiti ciò che si è acquisi- to seriamente
con cosî grandi battaglie, né esporre ai non iniziati i misteri delle due dee di Eleusi; coloro che
hanno questo sono tanto ingiusti quanto
empi. (76) E bene calcolare quanto tempo
abbiamo misurato quando ci purificavamo
delle sozzure incise nei nostri cuori, fino a quando, con il passare degli anni, noi siamo divenuti
capaci di accogliere i discor- 136
GIAMBLICO ἐτέων ἐγενόμεθα δεκτικοὶ τῶν
Mvov λόγων. καθάπερ γὰρ oi βαφεῖς
προεκκαθάραντες ἔστυψαν τὰ βάψιμα τῶν ἱματίων, ὅπως ἀνέκπλυ- τον τὰν βαφὰν ἀναπίωντι καὶ μηδέποτε
γενησουμέναν ἐξίταλον, τὸν αὐτὸν τρόπον
καὶ ὁ δαιμόνιος ἀνὴρ προπαρεσκεύαζε τὰς ψυχὰς τῶν φιλοσοφίας ἐρασθέντων, ὅπως μὴ διαψευσθῇ περί
τινα τῶν ἐλπι- σθέντων ἐσεῖσθαι καλῶν τε
κἀγαθῶν. οὐ γὰρ κιβδήλως ἐνεπορεύε- το
λόγως οὐδὲ πάγας, ταῖς τοὶ πολλοὶ τῶν σοφιστᾶν τὼς νέως ἐμπλέ- κοντι, ποτ᾽ οὐδὲν κράγυον σχολάζοντες, ἀλλὰ
θείων καὶ ἀνθρωπίνων πραγμάτων ἧς
ἐπιστάμων. τοὶ δὲ πρόσχημα ποιησάμε- νοι
τὰν τήνω διδασκαλίαν πολλὰ καὶ δεινὰ δρῶντι, σαγηνεύοντες où κατὰ κόσμον οὐδ᾽ ὡς (77) ἔτυχε τὼς νέως.
τοιγαροῦν χαλεπώς τε καὶ προαλεῖς
ἀπεργάζονται τὼς ἀκουστάς. ἐγκίρναντι γὰρ ἤθεσι
τεταραγμένοις τε καὶ θολεροῖς θεωρήματα καὶ λόγως θείως, καθά- περ εἴ τις εἰς φρέαρ βαθὺ βορβόρω πλῆρες
ἐγχέοι καθαρὸν καὶ διει- δὲς ὕδωρ᾽ τόν
τε γὰρ βόρβορον ἀνετάραξε καὶ τὸ ὕδωρ ἐπαφάνιξεν. ὁ αὐτὸς δὴ τρόπος τῶν οὕτω δὴ διδασκόντων τε
καὶ διδασκομένων" πυκιναὶ γὰρ καὶ
λάσιαι λόχμαι περὶ τὰς φρένας καὶ τὰν καρδίαν
πεφύκαντι τῶν μὴ καθαρῶς τοῖς μαθήμασιν ὀργιασθέντων, πᾶν τὸ ἅμερον καὶ πρᾶον καὶ λογιστικὸν τᾶς ψυχᾶς
ἐπισκιάζουσαι καὶ κωλύουσαι προφανῶς
αὐξηθῆμεν καὶ προκύψαι τὸ νοατικόν. [45]
ὀνομάξαιμι δέ κα πρῶτον ἐπελθὼν αὐτῶν τὰς ματέρας, ἀκρασίαν τε (78) καὶ πλεονεξίαν ἄμφω δὲ πολύγονοι
πεφύκαντι. τᾶς μέν νυν ἀκρασίας
ἐκβεβλαστάκαντι ἄθεσμοι γάμοι καὶ φθοραὶ καὶ μέθαι καὶ παρὰ φύσιν ἁδοναὶ καὶ σφοδραί τινες
ἐπιθυμίαι, μέχρι βαράθρων καὶ κρημνῶν
διώκουσαι᾽ ἤδη γάρ τινας ἀνάγκαξαν ἐπιθυ-
μίαι μήτε ματέρων μήτε θυγατέρων ἀποσχέσθαι, καὶ δὴ παρεωσά- μεναι πόλιν καὶ νόμον καθάπερ τύραννος,
ἐκπεριαγαγοῦσαι τὼς ἀγκῶνας ὥσπερ
αἰχμάλωτον ἐπὶ τὸν ἔσχατον ὄλεθρον μετὰ βίας
ἄγουσαι κατέστασαν. τᾶς δὲ πλεονεξίας ἐκπέφυκαν ἁρπαγαί, λαᾳστεῖαι, πατροκτονίαι, ἱεροσυλίαι,
φαρμακεῖαι, καὶ ὅσα τούτων ἀδελφά. δεῖ
ὦν πρᾶτον μὲν τὰς ὕλας, αἷς ἐνδιαιτῆται ταῦτα τὰ πάθη, πυρὶ καὶ σιδήρῳ καὶ πάσαις μαθημάτων μηχαναῖς
ἐκκαθαίροντας καὶ ῥυομένως τὸν λογισμὸν
ἐλεύθερον τῶν τοσούτων κακῶν, τὸ VITA DI
PITAGORA 137 si di Pitagora. Cosî come,
infatti, i tintori, dopo averli puliti, prepara- no con sostanze caustiche i vestiti che
devono tingere, affinché assor- bano la
tintura in modo che resti indelebile e mai possa scolorirsi, allo stesso modo anche il divino Pitagora
preparava le anime di coloro che si
erano innamorati della <sua> filosofia, affinché non avesse a sba- gliarsi sul conto di qualcuno di coloro che
egli sperava sarebbero diventati onesti
e virtuosi. Pitagora infatti non faceva commercio di discorsi illusori né si serviva di quegli
inganni, con cui la maggior parte dei
sofisti, che non dedicano mai il loro tempo a qualcosa di buono, adescano i giovani, ma aveva
conoscenza scientifica di realtà divine
e umane. I sofisti invece, prendendo a pretesto l'insegnamento di Pitagora, compiono molti e terribili
misfatti, poiché irretiscono i giovani
senza ritegno e non certo a caso.) (77)
Essi perciò rendono i loro uditori riottosi e temerari, perché mescolano dottrine e discorsi divini con
caratteri disordinati e torbi- di, come
se uno versasse in un profondo pozzo pieno di fango dell’ac- qua pura e limpida, perché in questo caso si
rimescolerebbe il fango e si farebbe
sparire l’acqua pura. È questo, appunto, il metodo di coloro che insegnano e imparano alla maniera
dei sofisti, perché densi cespugli
crescono nella mente e nel cuore di coloro che sono iniziati alle discipline matematiche in modo impuro,
in quanto gettano ombra su ciò che le
anime hanno di educato e mite e razionale, e
impediscono che si sviluppi ed emerga chiaramente ciò che esse hanno di intellettivo. Ma io vorrei, anzitutto,
chiamare per nome, a proposito di tali
storture, le loro madri, e cioè l’incontinenza e l’arro- ganza. Questi due vizi sono prolifici per
natura. (78) L'incontinenza, da un lato,
ha fatto nascere matrimoni illeciti e
corruzioni e ubriachezze e piaceri contro natura e alcuni appetiti
vio- lenti che spingono fino al baratro
e al precipizio <morali>, perché gli
appetiti hanno già costretto alcuni a non astenersi dal violentare
e madri e figlie, e poiché tali desideri
disprezzano la città e la legge cosi
come fa il tiranno, essi si instaurano legando i gomiti come quando
si fa con un prigioniero di guerra, e
spingendo con violenza alla più completa
rovina. L'arroganza, dall’altro lato, ha fatto nascere ruberie, brigantaggi, parricidi, sacrilegi,
avvelenamenti, e quanti altri mali sono
fratelli di questi. Occorre, dunque, anzitutto che noi, dopo avere purificato col ferro e col fuoco e con tutti
i mezzi che può fornirci la 138
GIAMBLICO τανικάδε ἐμφυτεύεν τι χρήσιμον
αὐτῷ καὶ παραδιδόμεν.» (79) τοσαύτην
ἐπιμέλειαν καὶ οὕτως ἀναγκαιοτάτην ᾧετο δεῖν
μαθημάτων πρὸ φιλοσοφίας ποιεῖσθαι Πυθαγόρας, τιμήν τε ἐξαίρε- τον ἐτίθετο καὶ ἐξέτασιν ἀκριβεστάτην περὶ
τὴν διδασκαλίαν καὶ μετάδοσιν τῶν αὐτῷ
δεδογμένων, βασανί[46]ζων τε καὶ διακρίνων
τὰς τῶν ἐντυγχανόντων ἐννοίας διδάγμασί τε ποικίλοις καὶ θεωρί- ας ἐπιστημονικῆς μυρίοις εἴδεσι. 18 (80) Μετὰ δὴ τοῦτο λέγωμεν ὅπως τοὺς
ἐγκριθέντας ὑφ᾽ ἑαυτοῦ διήρηκε χωρὶς
κατὰ τὴν ἀξίαν ἑκάστους. οὔτε γὰρ τῶν αὐτῶν μετέ- χειν ἐπ᾽ ἴσης πάντας ἦν ἄξιον, μὴ τῆς ὁμοίας
ὄντας φύσεως, οὔτε ἄξιον ἦν τοὺς μὲν
πάντων τῶν τιμιωτάτων ἀκροαμάτων μετέχειν,
τοὺς δὲ μηδενὸς [ἢ] μηδόλως μετέχειν καὶ γὰρ τοῦτο ἦν ἀκοιν- ὦνητον καὶ ἄνισον. τῷ μέντοι μεταδοῦναι τῶν
ἐπιβαλλόντων λόγων ἑκάστοις τὴν
προσήκουσαν μοῖραν τήν τε ὠφέλειαν ἀπένεμεν
ἅπασι κατὰ τὸ δυνατὸν καὶ τὸν τῆς δικαιοσύνης λόγον ἐφύλαττεν, ὅτι μάλιστα τὴν ἀξίαν ἑκάστοις ἀποδιδοὺς
ἀκρόασιν. κατὰ δὴ τοῦτον τὸν λόγον τοὺς
μὲν Πυθαγορείους καλέσας, τοὺς δὲ
Πυθαγοριστάς, ὥσπερ ᾿Αττικούς τινας ὀνομάζομεν, ἑτέρους δὲ ᾿Αττικιστάς, διελὼν οὕτως πρεπόντως τὰ
ὀνόματα τοὺς μὲν γνησίους εἶναι
ἐνεστήσατο, τοὺς δὲ ζηλωτὰς τούτων δηλοῦσθαι ἐνομοθέτησε. (81) τῶν μὲν οὖν Πυθαγορείων κοινὴν εἶναι τὴν
οὐσίαν διέταξε καὶ τὴν συμβίωσιν ἅμα διὰ
παντὸς τοῦ χρόνου διατελεῖν, τοὺς δὲ
ἑτέρους ἰδίας μὲν κτήσεις ἔχειν ἐκέλευσε, συνιόντας δὲ εἰς ταὐτὸ συσχολάζειν ἀλλήλοις. καὶ οὕτω τὴν διαδοχὴν ταύτην ἀπὸ Πυθαγόρου
κατ᾽ ἀμφοτέρους τοὺς τρόπους συστῆναι.
κατ᾽ ἄλλον δὲ αὖ τρόπον δύο ἦν εἴδη τῆς
φιλοσοφίας δύο γὰρ ἦν γένη καὶ τῶν μεταχειριζομένων αὐτήν, οἱ μὲν ἀκουσματικοί, οἱ δὲ μαθηματικοί. τουτωνὶ
δὲ οἱ μὲν μαθηματι- VITA DI PITAGORA
139 scienza matematica, le foreste in
cui dimorano queste passioni, e resa
libera la ragione da cosi grandi vizi, piantiamo, a quel punto, in
essa qualcosa di utile e gliela
insegniamo». (79) Tanto grande e
assolutamente necessaria era — a parere di
Pitagora — la cura che occorre avere delle matematiche prima che della filosofia; ed egli stimava
straordinariamente e ricercava in
maniera assolutamente precisa l’insegnamento e la trasmissione
delle sue dottrine, sottoponendo ad
esame e giudicando le menti di coloro
che incontrava per mezzo di vari espedienti didattici e forme di
spe- culazione scientifica. 18 (80) Dopo di che diciamo come Pitagora
distribuisse in grup- pi, a seconda
della dignità di ciascuno, coloro che da lui venivano ammessi alla scuola. Non era, infatti,
opportuno che tutti partecipas- sero
ugualmente ai medesimi insegnamenti, non possedendo essi la medesima natura, né era opportuno che alcuni
partecipassero alle lezioni di più alto
valore, e altri non potessero partecipare affatto ad alcuna lezione, perché questo sarebbe stato
un fatto contrario al senso della
comunità e dell’eguaglianza. In effetti, col comunicare a ciascu- no la parte che gli era più conveniente dei
discorsi che egli destinava loro, e col
distribuire a tutti ciò che era loro utile secondo le loro capacità e secondo un giusto rapporto, si
conservava la migliore con- dizione
perché Pitagora desse lezioni a ciascuno secondo il merito. Secondo questo rapporto, egli denominò,
appunto, alcuni “Pitagorici”, altri
“Pitagoristi”, cosi come noi chiamiamo “Attici”
alcuni, “Atticisti” altri, distinguendo cosî, in modo conveniente, secondo i loro nomi, da un lato quelli che
stabiliva essere i suoi genui- ni
discepoli, dall’altro lato quelli che riteneva potessero manifestarsi come loro seguaci. (81) Egli dispose, dunque, che i Pitagorici
avessero in comune i beni e conducessero
per tutto il tempo una vita in comune, mentre
invitò gli altri [sc. i Pitagoristi] a mantenere il possesso delle loro
pro- prietà private, ma convivendo
riuniti nel medesimo luogo per studia-
re in comunione tra di loro. E cosi la successione a Pitagora si
costi- tuî, fin dalla sua epoca, in
ambedue questi modi di essere discepoli.
Ma anche da un altro punto di vista ci furono due specie di
filosofia pitagorica, perché anche
quelli che la praticarono si divisero in due
140 GIAMBLICO κοὶ ὡμολογοῦντο
[47] Πυθαγόρειοι εἶναι ὑπὸ τῶν ἑτέρων, τοὺς δὲ
ἀκουσματικοὺς οὗτοι οὐχ ὡμολόγουν, οὔτε τὴν πραγματείαν αὐτῶν εἶναι Πυθαγόρου, ἀλλ᾽ Ἱππάσου: τὸν δὲ Ἵππασον
οἱ μὲν Kpo(82)ta- νιάτην φασίν, οἱ δὲ
Μεταποντῖνον. ἔστι δὲ ἡ μὲν τῶν ἀκουσματικῶν
φιλοσοφία ἀκούσματα ἀναπόδεικτα καὶ ἄνευ λόγου, ὅτι οὕτως πρακτέον, καὶ τἄλλα, ὅσα παρ᾽ ἐκείνου ἐρρέθη,
ταῦτα πειρῶνται διαφυλάττειν ὡς θεῖα
δόγματα, αὐτοὶ δὲ παρ᾽ αὑτῶν οὔτε λέγειν
προσποιοῦνται οὔτε λεκτέον εἶναι, ἀλλὰ καὶ αὑτῶν ὑπολαμ- βάνουσι τούτους ἔχειν βέλτιστα πρὸς φρόνησιν,
οἵτινες πλεῖστα ἀκούσματα ἔσχον. πάντα
δὲ τὰ οὕτως «καλούμενα» ἀκούσματα
διήρηται εἰς τρία εἴδη τὰ μὲν γὰρ αὐτῶν τί ἐστι σημαίνει, τὰ δὲ τί μάλιστα, τὰ δὲ τί δεῖ πράττειν ἢ μὴ πράττειν.
τὰ μὲν οὖν τί ἐστι τοιαῦτα, οἷον τί
ἐστιν αἱ μακάρων νῆσοι; ἥλιος καὶ σελήνη. τί ἐστι τὸ ἐν Δελφοῖς μαντεῖον; τετρακτύς᾽ ὅπερ ἐστὶν
i ἁρμονία, ἐν ἧ αἱ Σειρῆνες. τὰ δὲ τί
μάλιστα, οἷον τί τὸ δικαιότατον; θύειν. τί τὸ
σοφώτατον; ἀριθμός: δεύτερον δὲ τὸ τοῖς πράγμασι τὰ ὀνόματα τιθέ- μενον. τί σοφώτατον τῶν παρ᾽ ἡμῖν; ἰατρική.
τί κάλλιστον; ἁρμονία. τί κράτιστον;
γνώμη. τί ἄριστον; εὐδαιμονία. τί δὲ ἀληθέστατον λέ- γεται; ὅτι πονπροὶ οἱ ἄνθρωποι. διὸ καὶ
ποιητὴν [48] Ἱπποδάμαντά φασιν ἐπαινέσαι
αὐτὸν τὸν Σαλαμίνιον, ὃς ἐποίησεν: ὦ θεοί, πόθεν ἐστέ, πόθεν τοιοίδ᾽ ἐγένεσθε; ἄνθρωποι, πόθεν
ἐστέ, πόθεν κακοὶ ὧδ᾽ ἐγένεσθε; (83)
ταῦτα καὶ τοιαῦτά ἐστι τὰ τούτου τοῦ γένους
ἀκούσματα’ ἕκαστον γὰρ τῶν τοιούτων μάλιστά τί ἐστιν. ἔστι δ᾽ αὕτη ἡ αὐτὴ τῇ τῶν ἑπτὰ σοφιστῶν λεγομένῃ
σοφίᾳ. καὶ γὰρ ἐκεῖνοι ἐζήτουν, οὐ τί
ἐστι τἀγαθόν, ἀλλὰ τί μάλιστα᾽ οὐδὲ τί τὸ χαλεπόν, ἀλλὰ τί τὸ χαλεπώτατον (ὅτι τὸ αὑτὸν γνῶναί
ἐστιν)" οὐδὲ τί τὸ ῥάδιον, ἀλλὰ τί
τὸ ῥᾷστον (ὅτι τὸ ἔθει χρῆσθαι). τῇ τοιαύτῃ γὰρ
σοφίᾳ μετηκολουθηκέναι ἔοικε τὰ τοιαῦτα ἀκούσματα: πρότεροι VITA DI PITAGORA 141 generi: da un lato gli “acusmatici”,
dall'altro lato i “matematici”. Tra
questi, i matematici erano concordemente considerati dagli altri
come Pitagorici, mentre gli altri non
consideravano tali gli acusmatici, e
concordavano sul fatto che la dottrina di questi ultimi non era
quella di Pitagora, bensi di Ippaso; e
Ippaso era di Crotone secondo alcuni, di
Metaponto secondo altri. (82) La filosofia
degli acusmatici è composta di “detti”36 privi di dimostrazione e di argomentazione, ad esempio
“è cosi che bisogna agire”, e tutte le
altre affermazioni di Pitagora, essi cercano di custo- dirle come dottrine divine,}? ed essi non
presumono di parlare in prima persona né
di dire ciò che si deve dire, anzi suppongono che quelli di loro che posseggono la maggior
parte di tali detti, hanno la migliore
disposizione alla saggezza.?8 E tutti questi “detti” — cosiddet- ti — si dividono in tre specie: alcuni di
essi, infatti, sono del tipo “che cosa
significa”, altri del tipo “che cos'è al massimo livello”, altri anco- ra, infine, del tipo “che cosa bisogna fare o
non fare”, Ebbene, i detti che esprimono
“che cosa è” sono, ad esempio, questi: “che cosa sono le isole dei beati?”, “sole e luna”; “che
cos'è l'oracolo di Delfi?”, la
“Tetraktus”, che è l’armonia, nella quale si trovano le Sirene. I
detti che esprimono “che cosa è al
massimo livello” sono, ad esempio, que-
sti: “qual è la cosa più giusta?”, “sacrificare”; “qual è la cosa
più sapiente?”, “il numero: e in seconda
posizione viene ciò che ha impo- sto i
nomi alle cose”. “Qual è la cosa più sapiente in noi?”, “la medi- cina”. “Qual è la cosa più bella?”,
“l'armonia”. “Qual è la cosa più
potente?”, “l'intelligenza”. “Qual è la cosa migliore?”, “la
felicità”. “Che cosa si dice che sia la
cosa più vera?”, “Che gli uomini sono mal-
vagi”. Perciò si racconta che Pitagora ha celebrato il poeta Ippodamante di Salamina, il quale ha scritto
i seguenti versi: «O dèi, donde venite,
donde siete nati dèi? O uomini, donde venite, donde siete nati cosi malvagi?». (83) Sono questi e di tale natura i “detti”
di questo genere: ciascu- no di essi,
infatti, significa qualcosa al massimo livello. Ma questa sapienza è identica alla cosiddetta “sapienza
dei sette sapienti”, per- ché anche quei
sapienti ricercavano, non già “che cos'è il bene”, ma “che cosa è al massimo livello”: non già “che
cos'è il difficile”, ma “che cos'è il
difficilissimo” (cioè il “conoscere se stesso”); non già “ che cos'è il facile”, ma “che cos'è il
facilissimo” (cioè “adeguarsi alla 142
GIAMBLICO γὰρ οὗτοι Πυθαγόρου ἐγένοντο.
τὰ δὲ τί πρακτέον ἢ οὐ πρακτέον τῶν
ἀκουσμάτων τοιαῦτά ἐστιν, οἷον ὅτι δεῖ τεκνοποιεῖσθαι (δεῖ γὰρ ἀντικαταλιπεῖν τοὺς θεραπεύοντας τὸν
θεόν), ἢ ὅτι δεῖ τὸν δεξιὸν ὑποδεῖσθαι
πρότερον, ἢ ὅτι οὐ δεῖ τὰς λεωφόρους βαδίζειν
ὁδοὺς οὐδὲ εἰς περιρραντήριον ἐμβάπτειν οὐδὲ ἐν βαλανείῳ λούε- σθαι’ ἄδηλον γὰρ ἐν πᾶσι (84) τούτοις εἰ
καθαρεύουσιν οἱ κοιν- ὠνοῦντες. καὶ ἄλλα
τάδε' φορτίον μὴ συγκαθαιρεῖν (οὐ γὰρ δεῖ
αἴτιον γίνεσθαι τοῦ μὴ πονεῖν), συνανατιθέναι δέ. χρυσὸν ἐχούσῃ μὴ πλησιάζειν ἐπὶ τεκνοποιίᾳ. μὴ λέγειν ἄνευ
φωτός. σπένδειν [49] τοῖς θεοῖς κατὰ τὸ
οὖς τῆς κύλικος οἰωνοῦ ἕνεκεν, καὶ ὅπως μὴ ἀπὸ
τοῦ αὐτοῦ πίνηται. ἐν δακτυλίῳ μὴ φέρειν σημεῖον θεοῦ εἰκόνα, ὅπως μὴ μιαίνηται' ἄγαλμα γάρ, ὅπερ δεῖ
φυτεῦσαι ἐν τῷ οἴκῳ. γυναῖκα οὐ δεῖ
διώκειν τὴν αὑτοῦ, ἱκέτις γάρ᾽ διὸ καὶ ἀφ᾽ ἑστίας ἀγόμεθα, καὶ ἡ λῆψις διὰ δεξιᾶς. μηδὲ
ἀλεκτρυόνα λευκὸν «θύειν»" ἱκέτης
γάρ, (85) ἱερὸς τοῦ Μηνός, διὸ καὶ σημαίνουσιν ὥραν. καὶ συμβουλεύειν μηδὲν παρὰ τὸ βέλτιστον τῷ
συμβουλευομένῳ᾽ ἱερὸν γὰρ συμβουλή.
ἀγαθὸν οἱ πόνοι, αἱ δὲ ἡδοναὶ ἐκ παντὸς τρόπου
κακόν' ἐπὶ κολάσει γὰρ ἐλθόντας δεῖ κολασθῆναι. θύειν χρὴ ἀνυ- πόδητον καὶ πρὸς τὰ ἱερὰ προσιέναι. εἰς ἱερὸν
οὐ δεῖ ἐκτρέπεσθαι" où γὰρ πάρεργον
δεῖ ποιεῖσθαι τὸν θεόν. ὑπομένοντα καὶ ἔχοντα
τραύματα ἐν τῷ ἔμπροσθεν τελευτῆσαι ἀγαθόν, ἐναντίως δὲ ἐναντί- ον. εἰς μόνα τῶν ζῴων οὐκ εἰσέρχεται ἀνθρώπου
ψυχή, οἷς θέμις ἐστὶ τυθῆναι᾽ διὰ τοῦτο
τῶν θυσίμων χρὴ ἐσθίειν μόνον, οἷς ἂν τὸ
ἐσθίειν καθήκῃ, ἄλλου δὲ μηδενὸς ζῴου. τὰ μὲν οὖν τοιαῦτα τῶν ἀκουσμάτων ἐστί, τὰ δὲ πλεῖστον ἔχοντα μῆ[50]κὸς
περί τε θυσίας καθ᾽ ἑκάστους τοὺς
καιροὺς πῶς χρὴ ποιεῖσθαι τάς τε ἄλλας «θεῶν
τιμὰς» καὶ περὶ μετοικήσεως τῆς ἐντεῦθεν καὶ περὶ τὰς ταφάς, πῶς δεῖ καταθάπτεσθαι. (86) ἐπ᾽ ἐνίων μὲν οὖν
ἐπιλέγεται τί δεῖ, οἷον VITA DI PITAGORA
143 consuetudine”). Tale sapienza,
infatti, sembra abbiano seguito i
“detti” degli acusmatici, dal momento che i sette Sapienti
precedono Pitagora. I detti del tipo
“che cosa bisogna fare o non fare” sono di
questa natura, ad esempio “bisogna fare figli” (perché bisogna
lascia- re chi ci sostituisca nel
venerare gli dèi); oppure “bisogna calzare
prima il piede destro”, oppure “non bisogna percorrere le grandi strade, né intingere la mano nell’acqua
lustrale, né lavarsi in un bagno
pubblico”, perché non è chiaro, in ogni caso, se quelli che lo
frequen- tano sono puliti. (84) E altri detti come questi: “non aiutare
a scaricare” (perché non c’è ragione di
fare scansare la fatica a qualcuno), mentre si deve aiutare a caricare. “Non accoppiarsi per fare
figli con una donna che sia carica
d’oro”.3? “Non parlare al buio”. “Libare agli dèi dal lato dell’ansa della coppa, per buon augurio e per
non bere dallo stesso lato”. “Non
portare sull’anello l’immagine di un dio come sigillo”, per non contaminarlo (l’immagine sacra,
infatti, si deve installare in casa).
“Non scacciare la propria moglie”, perché è una supplice,40 ed è per questo che noi la sposiamo,
strappandola al suo focolare, pren-
dendola con la mano destra. “Non sacrificare un gallo di colore
bian- co”, perché è un supplice, sacro
al dio Men, ed è per questo che <tali
galli> segnano l’ora. (85) E
ancora “non dare, a chi lo chiede, se non il consiglio migliore”, perché il consiglio è cosa sacra.
“Sono un bene le sofferen- ze, mentre i
piaceri sono un male sotto ogni aspetto”, perché, essen- do venuti al mondo per punizione, dobbiamo
essere puniti. “Bisogna sacrificare, ed
entrare nei templi, a piedi nudi”. “Per entrare in un tempio non bisogna deviare <dal proprio
cammino>“, perché il dio non deve
essere considerato qualcosa di secondario. “E un bene morire da fermi sullo stesso posto e recando
ferite sul petto; recarle sul dorso è un
male” .4! “Solo con gli animali in cui non entra l’anima umana è lecito sacrificare; perciò bisogna
mangiare soltanto animali sacrificabili,
e nessun ‘altro animale”. Sono tali, dunque, alcuni tra i detti <degli acusmatici>, ma ce ne sono
altri che hanno un'ampiezza maggiore e
riguardano sia il modo in cui bisogna compiere i sacrifici, secondo le singole occasioni, sia il modo in
cui devono essere celebra- te le altre
onoranze divine e per quanto concerne la dipartita <da que- sto mondo> e per quanto concerne le
sepolture. 144 GIAMBLICO ὅτι δεῖ τεκνοποιεῖσθαι ἕνεκα τοῦ καταλιπεῖν
ἕτερον ἀνθ᾽ ἑαυτοῦ θεῶν θεραπευτήν, τοῖς
δὲ οὐδεὶς λόγος πρόσεστι. καὶ ἔνια μὲν τῶν
ἐπιλεγομένων δόξει προσπεφυκέναι ἀπ᾽ ἀρχῆς, ἔνια δὲ πόρρω’ οἷον περὶ τοῦ τὸν ἄρτον μὴ καταγνύναι, ὅτι πρὸς
τὴν ἐν ἅδου κρίσιν οὐ συμφέρει. αἱ δὲ
προστιθέμεναι εἰκοτολογίαι περὶ τῶν τοιούτων οὐκ εἰσὶ Πυθαγορικαΐ, ἀλλ᾽ ἐνίων ἔξωθεν
ἐπισοφιζομένων καὶ πειρ- ouévov
προσάπτειν εἰκότα λόγον, οἷον καὶ περὶ τοῦ νῦν λεχθέντος, διὰ τί οὐ δεῖ καταγνύναι τὸν ἄρτον: οἱ μὲν
γάρ φασιν ὅτι οὐ δεῖ τὸν συνάγοντα
διαλύειν (τὸ δὲ ἀρχαῖον βαρβαρικῶς πάντες ἐπὶ ἕνα ἄρτον συνήεσαν οἱ φίλοι), οἱ δ᾽ ὅτι οὐ δεῖ
οἰωνὸν ποιεῖσθαι τοιοῦτον ἀρχόμενον
καταγνύντα καὶ συντρίβοντα. ἅπαντα
μέντοι, ὅσα περὶ τοῦ πράττειν ἢ μὴ πράττειν διορίζου- σιν, ἐστόχασται πρὸς τὸ θεῖον, καὶ ἀρχὴ αὕτη
ἐστί, καὶ ὁ βίος ἅπας συντέτακται πρὸς
τὸ ἀκολουθεῖν τῷ θεῷ, (87) καὶ ὁ λόγος αὐτὸς
ταύτης ἐστὶ τῆς φιλοσοφίας. γελοῖον γὰρ ποιοῦσιν ἄνθρωποι ἄλλο- θέν ποθεν ζητοῦντες τὸ εὖ ἢ παρὰ τῶν θεῶν,
καὶ ὅμοιον ὥσπερ ἂν εἴ τις ἐν
βασιλευομένῃ χώρᾳ τῶν πολιτῶν τινὰ ὕπαρχον θεραπεύοι, ἀμελή[51]σὰς αὐτοῦ τοῦ πάντων ἄρχοντος"
τοιοῦτον γὰρ οἴονται ποιεῖν καὶ τοὺς
ἀνθρώπους. ἐπεὶ γὰρ ἔστι τε θεὸς καὶ οὗτος πάντων κύριος, δεῖν ὁμολογεῖται παρὰ τοῦ κυρίου τὸ
ἀγαθὸν αἰτεῖν᾽ πάντες γάρ, odg μὲν ἂν
φιλῶσι καὶ οἷς ἂν χαίρωσι, τούτοις διδόασι τἀγα- θά, πρὸς οὗς δὲ ἐναντίως ἔχουσι, τὰ
ἐναντία. τούτων μὲν αὕτη καὶ τοιαύτη
σοφία. ἦν δέ τις Ἱππομέδων [Δργεῖος]
᾿Ασινεὺς Πυθαγόρειος τῶν ἀκουσματικῶν, ὃς ἔλεγεν ὅτι πάντων τούτων ἐκεῖνος λόγους καὶ ἀποδείξεις
εἶπεν, ἀλλὰ διὰ τὸ παραδεδόσθαι διὰ
πολλῶν καὶ ἀεὶ ἀργοτέρων τὸν μὲν λόγον
περιῃρῆσθαι, λελεῖφθαι δὲ αὐτὰ τὰ προβλήματα. οἱ δὲ περὶ τὰ μαθήματα τῶν Πυθαγορείων τούτους τε
ὁμολογοῦσιν εἶναι Πυθαγορείους, καὶ
αὐτοί φασιν ἔτι μᾶλλον, καὶ ἃ λέγουσιν αὐτοί,
VITA DI PITAGORA 145 (86) Ebbene,
in alcuni detti si aggiunge il “perché si deve”, ad esempio: “bisogna fare figli per lasciare
qualcun altro che ci sostitui- sca nel
venerare gli dèi”, in altri invece non si aggiunge alcuna ragio- ne. E alcune delle aggiunte appariranno
essere state fatte fin dall’ini- zio,
altre successivamente; un esempio di queste ultime è il detto “non spezzare il pane”, perché questo non aiuta il
giudizio nell’Ade. Altre giustificazioni
a proposito di tali detti non sono di origine pitagori- ca,42 ma sono state fatte da alcuni estranei
alla scuola che, sofistican- doci sopra,
hanno cercato di adattarvi una plausibile giustificazione, ad esempio anche a proposito di quel che si è
appena detto, del per- ché, cioè, “non
bisogna spezzare il pane”; alcuni infatti dicono che la ragione è che non bisogna sciogliere <il
pane> che unisce (anticamen- te
tutti, alla maniera dei barbari, si riunivano amichevolmente intor- no a un solo pane), altri invece dicono che
la ragione è che non biso- gna
cominciare a dare un <cattivo> augurio come quello di “spezza- re e sbriciolare”. Tutti questi detti che danno una qualche
determinazione sul fare o non fare
puntano, comunque, al divino, ed è questo il loro princi- pio: l’intera vita dev'essere coordinata nel
senso di seguire dio, ed è lo stesso
principio*? di tale filosofia. (87)
Cadono nel ridicolo, infatti, gli uomini quando cercano di ricavare il loro benessere da altrove
piuttosto che dagli dèi, e si com-
portano come se uno, trovandosi in un territorio governato da un
re, venerasse qualcuno dei suoi
concittadini, senza preoccuparsi di chi ha
per se stesso autorità su tutti, perché gli uomini — pensano i
Pitagorici - fanno qualcosa del genere.
Poiché infatti esiste un dio che è signo-
re di tutto, ne segue che occorre chiedere a lui il bene, perché
tutti sono benèfici con coloro che essi
amano e di cui si compiacciono, mentre
si comportano in modo contrario con coloro verso cui hanno sentimenti contrari. E questa e di tale natura la sapienza di
costoro [sc. degli acusma- tici]. C'era
un tale Ippomedonte, un Pitagorico acusmatico, argivo di Asine, il quale diceva che Pitagora aveva
parlato dei principi raziona- li di
tutti questi detti <attribuiti agli acusmatici>, dandone anche una dimostrazione, ma che, a causa del fatto che
quelli che li avevano tra- smessi erano
stati numerosi e sempre più negligenti, se ne era perdu- ta la spiegazione razionale ed erano rimaste
solo le proposizioni ini- 146
GIAMBLICO ἀληθῆ εἶναι. τὴν δὲ αἰτίαν τῆς
ἀνομοιότητος τοιαύτην γενέσθαι φασίν.
(88) ἀφικέσθαι τὸν Πυθαγόραν ἐξ Ἰωνίας καὶ Σάμου κατὰ τὴν Πολυκράτους τυραννίδα, ἀκμαζούσης
Ἰταλίας, καὶ γενέσθαι συνήθεις αὐτῷ τοὺς
πρώτους ἐν ταῖς πόλεσι. τούτων δὲ τοῖς μὲν πρε-
σβυτέροις καὶ ἀσχόλοις διὰ τὸ ἐν πολιτικοῖς πράγμασι κατέχεσθαι, ὡς χαλεπὸν ὃν διὰ τῶν μαθημάτων καὶ
ἀποδείξεων ἐντυγχάνειν, ψιλῶς
διαλεχθῆναι, ἡγούμενον οὐδὲν ἧττον ὠφελεῖσθαι καὶ ἄνευ τῆς αἰτίας εἰδότας τί δεῖ πράττειν, ὥσπερ καὶ
οἱ ἰατρευόμενοι, οὐ προσακούοντες διὰ τί
αὐτοῖς ἕκαστα πρακτέον, οὐδὲν ἧττον τυγχά-
νουσι τῆς ὑγείας" ὅσοις δὲ νεωτέροις ἐνετύγχανε καὶ δυναμένοις πονεῖν καὶ μανθάνειν, τοῖς τοιούτοις δι᾽
ἀποδείξεως [52] καὶ τῶν μαθημάτων
ἐνετύγχανεν. αὐτοὶ μὲν οὖν εἶναι ἀπὸ τούτων, ἐκείνους δὲ ἀπὸ τῶν ἑτέρων. περὶ δ᾽ Ἱππάσου λέγουσιν.
ὡς ἦν μὲν τῶν Πυθαγορείων, διὰ δὲ τὸ
ἐξενεγκεῖν καὶ γράψασθαι πρῶτος"
σφαῖραν τὴν ἐκ τῶν δώδεκα πενταγώνων ἀπώλετο κατὰ θάλατταν ὡς ἀσεβήσας, δόξαν δὲ λάβοι ὡς εὑρών, εἶναι δὲ
πάντα ἐκείνου τοῦ ἀνδρός: προσαγορεύουσι
γὰρ οὕτω τὸν Πυθαγόραν καὶ οὐ
καλοῦ(β89)σιν ὀνόματι. λέγουσι δὲ οἱ Πυθαγόρειοι ἐξενηνέχθαι γεωμετρίαν οὕτως. ἀποβαλεῖν τινα τὴν οὐσίαν
τῶν Πυθαγορείων. ὡς δὲ τοῦτο ἠτύχησε,
δοθῆναι αὐτῷ χρηματίσασθαι ἀπὸ γεωμετρίας.
ἐκαλεῖτο δὲ ἡ γεωμετρία πρὸς Πυθαγόρου ἱστορία. περὶ μὲν οὖν τῆς διαφορᾶς ἑκατέρας τῆς πραγματείας καὶ
ἑκατέρων τῶν ἀνδρῶν τῶν ἀκροωμένων
Πυθαγόρου ταῦτα παρειλήφαμεν. τοὺς γὰρ εἴσω σινδό- νος καὶ ἔξω ἀκροωμένους τοῦ Πυθαγόρου καὶ
τοὺς μετὰ τοῦ ὁρᾶν ἀκούοντας ἢ ἄνευ τοῦ
ὁρᾶν καὶ τοὺς εἴσω καὶ ἔξω διωρισμένους
οὐκ ἄλλους ἢ τοὺς εἰρημένους ὑπολαμβάνειν προσήκει, καὶ τοὺς πολιτικοὺς δὲ καὶ οἰκονομικοὺς καὶ
νομοθετικοὺς ἐν τοῖς αὐτοῖς ὑποτίθεσθαι
χρή. 19 (90) Καθόλου δὲ εἰδέναι ἄξιον,
ὡς πολλὰς ὁδοὺς Πυθαγόρας 3 μάλιστα
Deubner/Klein: λέγουσιν Iambl. De comm. math. sc. 77,19 Festa/Klein.
4 πρώτως Deubner/Klein: πρῶτος Iambl. De comm. matb. sc. 77,21 Festa/Klein.
VITA DI PITAGORA 147 ziali. Ma i
Pitagorici Matematici4 riconoscono sî che gli Acusmatici sono Pitagorici, ma dicono di se stessi che
lo sono ancora di più, e che le cose che
dicono sono vere. E dicono che la causa di tale differen- ziazione è la seguente. (88) Pitagora giunse dalla Ionia, e
precisamente da Samo, quando questa
città era sotto la tirannia di Policrate, mentre l’Italia era al suo massimo splendore, e gli esponenti principali
delle città entrarono in rapporto di
amicizia con lui. E con quelli di loro che erano più anzia- ni e non avevano tempo libero perché occupati
negli affari pubblici, si che era
difficile per loro occuparsi di dimostrazioni matematiche, Pitagora si intratteneva in conversazioni non
impegnative, pensando che non ne
avrebbero avuto minore vantaggio se avessero saputo che cosa fare anche senza conoscerne la ragione,
come accade anche a coloro che sono
sottoposti a cure mediche, i quali, pur non compren- dendo perché devono seguire le singole
istruzioni del medico, nondi- meno
guariscono. Con quelli che erano più giovani, invece, e in grado di sopportare le fatiche dell’apprendimento,
Pitagora si intratteneva a discutere di
dimostrazioni matematiche. I Matematici dunque diceva- no che essi discendevano da questi ultimi
discepoli, mentre gli altri [sc. gli
Acusmatici] discendevano dai primi. Di Ippaso si dice che era un Pitagorico, e che sarebbe perito in mare
come empio per avere divulgato la sfera
che egli per primo aveva costruita geometricamen- te a partire da dodici figure pentagonali,45
e cosi ebbe fama di averla scoperta lui
la sfera, mentre era tutto merito di “quell'uomo” (deno- minavano, infatti, cosi Pitagora, anziché
chiamarlo per nome). (89) I Pitagorici
dicono che la geometria fu divulgata nel modo
seguente: un Pitagorico perse le sue sostanze, e una volta accaduto questo, gli fu data la possibilità di
guadagnare denaro sfruttando la
geometria. La geometria era chiamata da Pitagora “indagine”. Sono queste, dunque, le notizie che abbiamo
raccolto intorno alla differen- za tra i
due tipi di dottrina e i due tipi di uomini che hanno ascoltato le lezioni di Pitagora, perché come uditori
di Pitagora dentro la tenda o fuori
della tenda,46 distinti cioè tra quelli che ascoltandolo lo vede- vano o non lo vedevano, ovvero come uditori
interni o esterni, non si devono
intendere altri se non quelli già menzionati, mentre ad essi bisogna aggiungere, come sottogruppi,” i
politici, ossia gli ammini- stratori e i
legislatori. 148 GIAMBLICO παιδείας ἀνεῦρε καὶ κατὰ τὴν οἰκείαν φύσιν
ἑκάστου καὶ δύναμιν παρεδίδου τῆς σοφίας
τὴν ἐπιβάλλουσαν μοῖραν. τεκμήριον δὲ μέ-
γιστον᾽ ὅτε γὰρ Ἄβαρις ὁ Σκύθης ἐξ Ὑπερβορέων, ἄπειρος τῆς Ἑλληνικῆς παιδείας ὧν καὶ ἀμύητος [53] καὶ τῇ
ἡλικίᾳ προβεβηκώς, ἦλθε, τότε οὐ διὰ
ποικίλων αὐτὸν εἰσήγαγε θεωρημάτων, ἀλλ᾽ ἀντὶ
τῆς πενταετοῦς σιωπῆς καὶ τῆς ἐν τῷ τοσούτῳ χρόνῳ ἀκροάσεως καὶ τῶν ἄλλων βασάνων ἀθρόως αὐτὸν ἐπιτήδειον
ἀπειργάσατο πρὸς τὴν ἀκρόασιν τῶν αὐτῷ
δογματιζομένων, καὶ τὸ περὶ φύσεως σύγγραμ-
μα καὶ ἄλλο τὸ περὶ θεῶν ὡς ἐν βραχυ(θ])τάτοις αὐτὸν ἀνεδίδαξεν. ἦλθε μὲν γὰρ Ἅβαρις ἀπὸ Ὑπερβορέων, ἱερεὺς
τοῦ ἐκεῖ ᾿Απόλλωνος, πρεσβύτης καθ᾽
ἡλικίαν καὶ τὰ ἱερατικὰ σοφώτατος, ἀπὸ
τῆς Ἑλλάδος ὑποστρέφων εἰς τὰ ἴδια, ἵνα τὸν ἀγερθέντα χρυσὸν τῷ θεῷ ἀποθῆται εἰς τὸ ἐν Ὑπερβορέοις ἱερόν.
γενόμενος δὲ ἐν παρόδῳ κατὰ τὴν Ἰταλίαν
καὶ τὸν Πυθαγόραν ἰδὼν καὶ μάλιστα εἰ-
κάσας τῷ θεῷ, οὗπερ ἦν ἱερεύς, καὶ πιστεύσας μὴ ἄλλον εἶναι, μηδὲ ἄνθρωπον ὅμοιον ἐκείνῳ, ἀλλ᾽ αὐτὸν ὄντως τὸν
᾿Απόλλωνα, ἔκ τε ὧν ἑώρα περὶ αὐτὸν
σεμνωμάτων καὶ ἐξ ὧν προεγίνωσκεν ὁ ἱερεὺς
γνωρισμάτων, Πυθαγόρᾳ ἀπέδωκεν ὀιστόν, ὃν ἔχων ἀπὸ τοῦ ἱεροῦ ἐξῆλθε, χρήσιμον αὐτῷ ἐσόμενον πρὸς τὰ
συμπίπτοντα δυσμήχανα κατὰ τὴν τοσαύτην
ἄλην. ἐποχούμενος γὰρ αὐτῷ καὶ τὰ ἄβατα διέ-
βαινεν, οἷον ποταμοὺς καὶ λίμνας καὶ τέλματα καὶ ὄρη καὶ τὰ τοιαῦτα, καὶ προσλαλῶν, ὡς λόγος, καθαρμούς
τε ἐπετέλει καὶ λοι- μοὺς ἀπεδίωκε καὶ ἀνέμους
ἀπὸ τῶν εἰς τοῦτο ἀξιουσῶν πόλεων βοηθὸν
αὐτὸν γενέσθαι. (92) Λακεδαίμονα γοῦν παρειλήφαμεν μετὰ τὸν ὑπ᾽ ἐκείνου γενόμενον αὐτῇ καθαρμὸν
μηκέτι λοιμῶξαι, πολλάκις πρό[54]τερον
τούτῳ τῷ παθήματι περιπεσοῦσαν διὰ τὴν
δυστραπελίαν τοῦ τόπου, καθ᾽ ὃν ᾧκισται, τῶν Ταὐγέτων ὀρῶν πνῖγος ἀξιόλογον αὐτῇ παρεχόντων διὰ τὸ
ὑπερκεῖσθαι, καὶ Κρήτης Κνωσσόν. καὶ
ἄλλα τοιαῦτα τεκμήρια ἱστορεῖται τῆς τοῦ ᾿Αβάριδος δυνάμεως. δεξάμενος δὲ Πυθαγόρας τὸν ὀιστὸν
καὶ μὴ ξενισθεὶς πρὸς τοῦτο, μηδὲ τὴν
αἰτίαν ἐπερωτήσας δι᾽ ἣν ἐπέδωκεν, ἀλλ᾽ ὡς è
ὄντως ὁ θεὸς αὐτὸς ὦν, ἰδίᾳ καὶ αὐτὸς ἀποσπάσας τὸν “Αβαριν τόν VITA DI PITAGORA 14919 (90) In generale è
opportuno sapere che Pitagora inventò molti metodi educativi e che trasmetteva
a ciascuno la parte di sapienza che gli spettava secondo la sua propria natura
e le sue capacità. La miglio- re prova di ciò è la seguente: quando Abari, lo
Scita, giunse dagli Iperborei, ed era
inesperto dell'educazione greca e non iniziato e in età avanzata, allora Pitagora, anziché
imporgli il quinquennio di silen- zio
e l'ascolto delle sue lezioni e altre fatiche per tutto quel tempo, lo ritenne capace di seguire l'insegnamento
delle sue dottrine, e gli fece
apprendere in maniera approfondita, anche se con lezioni
brevissime, il suo scritto Sulla
natura e un altro scritto Sugli dèi.
(91) Abari infatti giunse dagli Iperborei, dove era sacerdote di Apollo, quando era già di età avanzata e
sapientissimo in campo reli- gioso,
di ritorno dalla Grecia verso il suo paese, per depositare nel tempio degli Iperborei l'oro che aveva
raccolto per il suo dio. Egli allora,
passando per l’Italia e vedendo Pitagora e credendo che somi- gliasse moltissimo al dio di cui egli era
sacerdote, e convinto che non era
altro che lo stesso dio, e quindi neppure un uomo simile a quello, ma realmente il dio Apollo, e partendo da
certi indizi che vedeva in lui e che
erano quei venerabilissimi segni che egli, in quanto sacerdo- te, riconosceva, consegnò a Pitagora una
freccia che egli aveva preso dal
tempio quando era partito, perché gli sarebbe potuta servire in occasione di situazioni difficili che
avrebbe potuto incontrare duran- te
un cosî lungo pellegrinaggio. Cavalcando, infatti, quella freccia aveva potuto attraversare luoghi inaccessibili,
ad esempio fiumi e sta- gni e paludi
e montagne e altri luoghi del genere, e, come si racconta, volgendo la parola a quella freccia
compiva atti purificatori e storna-
va pestilenze e venti dalle città che gli chiedevano aiuto. (92) Abbiamo infatti appreso che Sparta,
dopo essere stata puri- ficata da
Abari, non ha più subito pestilenze, mentre prima incappa- va spesso in tale sciagura per la
insalubrità del luogo su cui è stata
costruita, perché è sovrastata dalle montagne del Taigeto che le
inflig- gono una notevole calura
soffocante; lo stesso trattamento Abari
riservò a Cnosso di Creta. E si raccontano altre simili prove del pote- re di Abari. Pitagora, dal canto suo, dopo
avere ricevuto la freccia, senza
meravigliarsi del fatto e senza domandare la ragione per cui Abari gliela aveva consegnata, anzi
comportandosi come se fosse 150
GIAMBLICO τε μηρὸν τὸν ἑαυτοῦ
ἐπέδειξε χρύσεον, γνώρισμα παρέχων τοῦ μὴ
διεψεῦσθαι, καὶ τὰ καθ᾽ ἕκαστα τῶν ἐν τῷ ἱερῷ κειμένων ἐξαριθμη- σάμενος αὐτῷ καὶ πίστιν ἱκανὴν παρασχών,
ὡς οὐκ εἴη κακῶς εἰκά- σας, προσθείς
τε ὅτι ἐπὶ θεραπείᾳ καὶ εὐεργεσίᾳ τῶν ἀνθρώπων ἥκοι, καὶ διὰ τοῦτο ἀνθρωπόμορφος, ἵνα μὴ
ξενιζόμενοι πρὸς τὸ ὑπερέχον
ταράσσωνται καὶ τὴν παρ᾽ αὐτῷ μάθησιν ἀποφεύγωσιν᾽ ἐκέλευσέ τε μένειν αὐτοῦ καὶ συνδιορθοῦν
τοὺς ἐντυγχάνοντας, τὸν δὲ χρυσόν, ὃν
συνήγειρε, κοινῶσαι τοῖς ἐπιτηδείοις, ὅσοιπερ ἐτύγχανον οὕτως ὑπὸ τοῦ λόγου ἠγμένοι,
ὥστε βεβαιοῦν τὸ δόγμα τὸ λέγον
«κοινὰ τὰ φίλων» δι᾽ (93) ἔργου. οὕτω δὴ καταμείναντι αὐτῷ, ὃ νῦν δὴ ἐλέγομεν, φυσιολογίαν τε καὶ
θεολογίαν ἐπιτετμημένην παρέδωκε, καὶ
ἀντὶ τῆς διὰ τῶν θυσιῶν ἱεροσκοπίας τὴν διὰ τῶν ἀριθμῶν πρόγνωσιν παρέδωκεν, ἡγούμενος
ταύτην καθαρωτέραν εἶναι καὶ
θειοτέραν καὶ τοῖς οὐρανίοις τῶν θεῶν ἀριθμοῖς οἰκειο- τέραν, ἄλλα τε τὰ ἁρμόζοντα τῷ ᾿Αβάριδι
παρέδωκεν ἐπιτηδεύματα. ἀλλ᾽ οὗ δὴ
ἕνεκα ὁ παρὼν λόγος, ἐπ᾿ ἐκεῖνο πάλιν ἐπανέλθωμεν, ὡς ἄρα ἄλλους ἄλλως, ὡς ἔχει ἕκαστος φύσεως
καὶ δυνάμεως, ἐπανορ- θοῦν ἐπειρᾶτο.
πάντα μὲν [55] οὖν τὰ τοιαῦτα οὔτε παρεδόθη εἰς τοὺς ἀνθρώπους, οὔτε (94) τὰ μνημονευόμενα
ῥάδιον διελθεῖν: ὀλί- ya δὲ καὶ τὰ
γνωριμώτατα διέλθωμεν δείγματα τῆς Πυθαγορικῆς ἀγωγῆς καὶ ὑπομνήματα τῶν ὑπαρχόντων τοῖς
ἀνδράσιν ἐκείνοις ἐπιτηδευμάτων. 20 Πρῶτον μὲν οὖν ἐν τῷ λαμβάνειν τὴν
διάπειραν ἐσκόπει εἰ δύνανται
ἐχεμυθεῖν" (τούτῳ γὰρ δὴ καὶ ἐχρῆτο τῷ ὀνόματι) καὶ καθεώρα εἰ μανθάνοντες ὅσα ἂν ἀκούσωσιν
οἷοί τέ εἰσι σιωπᾶν καὶ διαφυλάττειν,
ἔπειτα εἴ εἰσιν αἰδήμονες ἐποιεῖτό τε πλείονα σπουδὴν τοῦ σιωπᾶν ἤπερ τοῦ λαλεῖν.
ἐσκόπει δὲ καὶ τὰ ἄλλα πά- ντα, μὴ
ἄρα πρὸς πάθος ἢ ἐπιθυμίαν ἀκρατήτως ἐπτόηνται, οὐ παρέργως τὰ τοιαῦτα ἀεὶ ἐπιβλέπων, οἷον
πῶς πρὸς ὀργὴν ἔχουσιν ἢ πῶς πρὸς
ἐπιθυμίαν, ἢ εἰ φιλόνικοί εἰσιν ἢ φιλότιμοι, ἢ πῶς πρὸς 5 Questo verbo, che qui viene attribuito
direttamente a Pitagora, corti-
sponde al sostantivo σιωπή molte volte adoperato da Giamblico. VITA DI PITAGORA 151 veramente il dio [sc. Apollo], tirato in
disparte Abari, gli fece vedere la
sua coscia d’oro, dandogli cosi la prova che non si era ingannato, gli enumerò ad una ad una le cose che
erano depositate nel tempio, dando
cosi una sufficiente prova di fiducia che non avesse congettu- rato male su di lui, e aggiunse che egli,
Pitagora, era venuto fra gli uomini
per curarli e beneficarli, e che per questo aveva assunto forma umana, cioè perché essi, stupendosi per la
sua superiorità, non ne fos- sero
turbati al punto di allontanarsi dal suo insegnamento; e invitò Abari a rimanere con lui per correggere
insieme coloro che avessero
incontrato, e a mettere l’oro che aveva raccolto in comune con
quelli che ne erano degni, con quelli
cioè che fossero guidati dalla ragione
al punto di stabilire con i fatti quale loro dottrina quella che
dice “tutto è comune tra amici”. (93) Cosî dunque ad Abari, che aveva
accettato di rimanere, Pitagora
insegnò in maniera sintetica ciò che abbiamo appena detto, cioè la scienza della natura e del divino,
e gli insegnò, al posto del-
l’aruspicina attraverso i sacrifici, la precognizione attraverso i
nume- ri, pensando che quest'arte
fosse più pura e più divina e più appro-
priata ai numeri celesti degli dèi; e insegnò ad Abari altre pratiche
che gli erano convenienti. Ma
torniamo a quello che è lo scopo del pre-
sente discorso, cioè al fatto che Pitagora cercava di correggere chi
in un modo e chi in un altro, a
seconda della natura e delle capacità di
ciascuno. Ebbene, non tutto ciò che riguarda queste sue attività è stato tramandato agli uomini, né è facile
esporre ciò di cui è rimasta
memoria. (94) Esponiamo dunque
poche notizie schematiche, quelle più
note, a proposito dell’educazione pitagorica, nonché alcune memorie sulle occupazioni proprie di quegli
uomini. 20 Anzitutto, dunque,
nell’intraprendere l’esame <di quelli che
incontrava>, Pitagora osservava se essi avevano la capacità di
“prati- care il silenzio” (era
questo, infatti, il termine di cui si serviva) e vede- va se apprendevano quanto ascoltavano e se
erano capaci di conser- varne
memoria, senza divulgarlo,#8 e poi se erano verecondi; e faceva molta più attenzione al tacere che non al
parlare. E osservava anche tutte il
resto, e cioè se si eccitavano esageratamente per passione o appetito, guardando sempre, in maniera non
superficiale, ad aspetti 152
GIAMBLICO φιλονεικίαν ἔχουσιν ἢ πῶς
πρὸς φιλίαν. εἰ δὲ πάντα ἀκριβῶς αὐτῷ
ἐπιβλέποντι ἐξηρτυμένοι ἐφαίνοντο τοῖς ἀγαθοῖς ἤθεσι, τότε περὶ εὐμαθείας καὶ μνήμης ἐσκόπει᾽ πρῶτον μὲν
εἰ δύνανται ταχέως καὶ σαφῶς
παρακολουθεῖν τοῖς λεγομένοις, ἔπειτα εἰ παρέπεταί τις αὐ- τοῖς ἀγάπησις (95) καὶ σωφροσύνη πρὸς τὰ
διδασκόμενα. ἐπεσκόπει γὰρ πῶς ἔχουσι
φύσεως πρὸς ἡμέρωσιν, ἐκάλει δὲ τοῦτο κατάρτυ- σιν. πολέμιον δὲ ἡγεῖτο τὴν ἀγριότητα πρὸς
τοιαύτην διαγωγήν" ἀκολουθεῖν
γὰρ ἀγριότητι ἀναίδειαν, ἀναισχυντίαν, ἀκολασίαν, ἀκαιρίαν, δυσμάθειαν, ἀναρχίαν, ἀτιμίαν
καὶ τὰ ἀκόλουθα, πραό- mi δὲ καὶ
ἡμερότητι τὰ ἐναντία. ἐν μὲν οὖν τῇ διαπείρᾳ τοιαῦτα ἐπεσκόπει καὶ πρὸς ταῦτα ἤσκει τοὺς
μανθάνοντας, τούς τε ἁρμόζοντας τοῖς
ἀγαθοῖς τῆς παρ᾽ ἑαυτῷ σοφίας ἐνέκρινε καὶ οὕτως ἐπὶ τὰς ἐπιστήμας [56] ἀνάγειν ἐπειρᾶτο.
εἰ δὲ ἀνάρμοστον κατίδοι τινά, ὥσπερ
ἀλλόφυλόν τινα καὶ ὀθνεῖον ἀπήλαυνε.
21 Περὶ δὲ τῶν ἐπιτηδευμάτων, ἃ παρέδωκε δι᾽ ὅλης ἡμέρας τοῖς ἑταίροις, μετὰ τοῦτο φράσω“ κατὰ γὰρ τὴν
ὑφήγησιν (96) αὐτοῦ ὧδε ἔπρασσον οἱ
ὑπ᾽ αὐτοῦ ὁδηγούμενοι. τοὺς μὲν ἑωθινοὺς περιπάτους ἐποιοῦντο οἱ ἄνδρες οὗτοι κατὰ μόνας τε
καὶ εἰς τοιούτους τόπους, ἐν οἷς
συνέβαινεν ἠρεμίαν τε καὶ ἡσυχίαν εἶναι σύμμετρον, ὅπου τε ἱερὰ καὶ ἄλση καὶ ἄλλη τις θυμηδία.
ᾧοντο γὰρ δεῖν μὴ πρότε- ρόν τινι
συντυγχάνειν, πρὶν ἢ τὴν ἰδίαν ψυχὴν καταστήσουσι καὶ συναρμόσονται τὴν διάνοιαν᾽ ἁρμόδιον δὲ
εἶναι τῇ καταστάσει τῆς διανοίας τὴν
τοιαύτην ἡσυχίαν. τὸ γὰρ εὐθὺς ἀναστάντας εἰς τοὺς ὄχλους ὠθεῖσθαι θορυβῶδες ὑπειλήφεισαν.
διὸ δὴ πάντες οἱ Πυθαγόρειοι τοὺς
ἱεροπρεπεστάτους τόπους ἀεὶ ἐξελέγοντο. μετὰ
δὲ τὸν ἑωθινὸν περίπατον τότε πρὸς ἀλλήλους ἐνετύγχανον, μάλι- VITA DI PITAGORA 153 di tal genere, ad esempio come si
comportavano di fronte all'ira o
all’appetito, o se erano litigiosi o ambiziosi, o come si comportavano di fronte alla rivalità o all'amicizia. E
se, dopo avere osservato accura-
tamente tutte queste cose, gli apparivano muniti di buoni costumi, allora passava all'esame della loro buona
disposizione all’apprendi- mento e
alla memoria: anzitutto vedeva se erano capaci di seguire quello che veniva loro detto in maniera
rapida e chiara, poi se erano
accompagnati da affezione e da temperanza di fronte a ciò che veni- va loro insegnato. (95) Osservava infatti qual era il loro atteggiamento
naturale di fronte a un'azione di
ammansimento, e chiamava questo “preparazio-
ne”. E riteneva la selvatichezza fattore ostile al tipo di
trattamento educativo che egli si
proponeva, perché alla selvatichezza si accompa- gnano inverecondia, impudenza,
intemperanza, inopportunità, diffi-
coltà nell'apprendere, anarchia, disprezzo, e tutto ciò che ne conse- gue, mentre a mitezza e a mansuetudine si
accompagnano atteggia- menti contrari
a quelli. Nel mettere alla prova i discepoli, dunque, Pitagora cercava di capire tali qualità e
mirando a queste esercitava i suoi
discenti, e giudicava quelli che erano adatti ai beni della sua sapienza e cosi cercava di istruirli nelle
scienze; se poi scorgeva qual- cuno
che era inadatto, lo mandava via come fosse uno appartenente ad altra tribù o uno straniero. 21 Dopo di che io parlerò delle
occupazioni che Pitagora ha inse-
gnato a svolgere ai suoi compagni durante l’intera giornata:
agivano cosi, infatti, secondo le sue
istruzioni, coloro che erano da lui guida-
ti. (96) Di buon mattino questi
uomini facevano delle passeggiate
solitarie e si recavano in quei luoghi dove potevano trovare in
misura adeguata quiete e
tranquillità, e dove c'erano templi, boschi sacri e qualche altro godimento dell’anima. Essi
credevano infatti che non dovessero
incontrare nessuno prima di avere dato stabilità alla pro- pria anima e ordine alla propria mente;
ritenevano che questo tipo di
tranquillità sia adatto a rendere stabile la mente, perché
considerava- no fattore di tumulto
interiore il cacciarsi nella folla appena alzati. Ed è per questo, appunto, che tutti i
Pitagorici preferivano sempre i luo-
ghi più sacri. Dopo la passeggiata mattutina era l’ora di incontrarsi
tra 154 GIAMBLICO στα μὲν ἐν ἱεροῖς, ei δὲ μή ye, ἐν ὁμοίοις
τόποις. ἐχρῶντο δὲ τῷ καιρῷ τούτῳ
πρός τε διδασκαλίας καὶ μαθήσεις καὶ πρὸς (97) τὴν τῶν ἠθῶν ἐπανόρθωσιν. μετὰ δὲ τὴν τοιαύτην
διατριβὴν ἐπὶ τὴν τῶν σωμάτων
ἐτρέποντο θεραπείαν. ἐχρῶντο δὲ ἀλείμμασί τε καὶ δρό- μοις οἱ πλεῖστοι, ἐλάττονες καὶ πάλαις ἔν
τε κήποις καὶ ἐν ἄλσε- σιν, οἱ δὲ καὶ
ἁλτηροβολίᾳ ἢ χειρονομίᾳ, πρὸς τὰς τῶν σωμάτων ἰσχῦς τὰ εὔθετα ἐπιτηδεύοντες ἐκλέγεσθαι
γυμνάσια. ἀρίστῳ δὲ ἐχρῶντο ἄρτῳ καὶ
μέλιτι ἢ κηρίῳ, οἴνου δὲ μεθ᾽ ἡμέραν οὐ
᾽μετεῖχον. τὸν δὲ μετὰ τὸ ἄριστον χρόνον περὶ τὰς πολιτικὰς οἰκονο- μίας κατεγίνοντο, περί τε τὰς ἐξωτικὰς καὶ
τὰς ξενικάς, διὰ τὴν τῶν νόμων
πρόσταξιν: πάντα γὰρ ἐν ταῖς [57] μετ᾽ ἄριστον ὥραις ἐβού- λοντο διοικεῖν. δείλης δὲ γινομένης εἰς
τοὺς περιπάτους πάλιν ὁρμᾶν, οὐχ
ὁμοίως κατ᾽ ἰδίαν, ὥσπερ ἐν τῷ ἑωθινῷ περιπάτῳ, ἀλλὰ σύνδυο καὶ σύντρεις ποιεῖσθαι τὸν
περίπατον, ἀναμιμνησκομένους τὰ
μαθήματα (98) καὶ ἐγγυμναζομένους τοῖς καλοῖς ἐπιτηδεύμασι. μετὰ δὲ τὸν περίπατον λουτρῷ χρῆσθαι,
λουσαμένους τε ἐπὶ τὰ συσ- σίτια
ἀπαντᾶν᾽ ταῦτα δ᾽ εἶναι μὴ πλεῖον ἢ δέκα ἀνθρώπους συνευω- χεῖσθαι. ἀθροισθέντων δὲ τῶν συσσιτούντων
γίνεσθαι σπονδάς τε καὶ θυσίας
θυημάτων τε καὶ λιβανωτοῦ. ἔπειτα ἐπὶ τὸ δεῖπνον χωρεῖν, ὡς πρὸ ἡλίου δύσεως
ἀποδεδειπνηκέναι. χρῆσθαι δὲ καὶ οἴνῳ
καὶ μάζῃ καὶ ἄρτῳ καὶ ὄψῳ καὶ λαχάνοις ἑφθοῖς τε καὶ ὠμοῖς. παρατίθεσθαι δὲ κρέα ζῴων θυσίμων
[ἱερείων], τῶν δὲ θαλασσίων ὄψων
σπανίως [χρῆσθαι]᾿ εἶναι γάρ τινα αὐτῶν δι᾽ αἰτίας τινὰς (99) οὐ χρήσιμα πρὸς τὸ χρῆσθαι. μετὰ δὲ τόδε
τὸ δεῖπνον ἐγίνοντο σπονδαί, ἔπειτα
ἀνάγνωσις ἐγίνετο. ἔθος δ᾽ ἦν τὸν μὲν νεώτατον ἀναγινώσκειν, τὸν δὲ πρεσβύτατον ἐπιστατεῖν
ὃ δεῖ ἀναγινώσκειν καὶ ὡς δεῖ. ἐπεὶ
δὲ μέλλοιεν ἀπιέναι, σπονδὴν αὐτοῖς ἐνέχει ὁ οἰ- νοχόος, σπεισάντων δὲ ὁ πρεσβύτατος
παρήγγελλε τάδε ἥμερον φυτὸν καὶ
ἔγκαρπον μήτε βλάπτειν μήτε φθείρειν, ὡσαύτως δὲ καὶ ζῷον, ὃ μὴ πέφυκε βλαβερὸν τῷ ἀνθρωπίνῳ
γένει, μήτε (100) βλάπ- τειν μήτε
φθείρειν. ἔτι πρὸς τούτοις περί τε τοῦ θείου [58] καὶ περὶ τοῦ δαιμονίου καὶ περὶ τοῦ ἡρωικοῦ γένους
εὔφημόν τε καὶ ἀγαθὴν VITA DI
PITAGORA 155 loro, soprattutto nei
templi, e se no, in luoghi simili. E sfruttavano questa opportunità sia per insegnare che
per apprendere e per correg- gere i
loro caratteri. (97) Dopo questo tipo
di attività si dedicavano alla cura dei loro
corpi. La maggior parte di loro si esercitavano nella corsa dopo
esser- si unti, e alcuni, di numero
minore, si esercitavano, in vecchi giardini
e boschi sacri, chi nella lotta, chi nel lancio del peso, chi nel
pugilato, preoccupandosi di scegliere
gli esercizi ginnici adatti alla resistenza
dei loro corpi. A pranzo usavano pane e miele o addirittura un
favo, e durante la giornata non
bevevano vino. Dopo pranzo si occupava-
no della pubblica amministrazione, concernente sia gli esterni alla comunità? che gli stranieri, perché cosi
prescrivevano le loro leggi;?° erano
tutti affari, infatti, che essi intendevano sbrigare nel pomerig- gio. Verso sera poi essi tornavano a fare
delle passeggiate, non solita- rie
come la mattina, ma passeggiavano in due o in tre insieme, per richiamare alla memoria le cose che avevano
apprese ed esercitarsi in occupazioni
di livello superiore. (98) Dopo
questa passeggiata prendevano un bagno, e dopo il bagno si recavano alle mense comuni; in
queste potevano mangiare non più di
dieci uomini insieme. Appena riuniti i commensali faceva- no libagioni e sacrifici con erbe aromatiche
e incenso. Poi andavano a consumate
il pranzo, che doveva terminare prima che il sole tra- montasse. Bevevano vino e mangiavano
focacce, pane e companatico, e
verdure sia cotte che crude. Avevano a disposizione della carne di animali sacrificabili, ma raramente dei
pesci di mare, perché alcuni di
questi, per certe ragioni, non erano idonei ad essere consumati. (99) Dopo che avevano cosî consumato il
pranzo, facevano <ancora>
libagioni, poi si davano alla lettura. Era costume che la let- tura fosse fatta dal più giovane, mentre
il più anziano imponeva che cosa e in
che modo bisognava leggere. Quando stavano per lasciare la mensa, il coppiere versava loro ancora del
vino per una libagione, e il più
anziano dava loro mentre libavano i seguenti precetti: non dan- neggiare né distruggere una pianta
coltivata e fruttifera, e allo stesso
modo non ferire né uccidere un animale che per natura non sia noci- vo per il genere umano. (100) Inoltre: per la stirpe degli dèi e
dei demoni e degli eroi abbi pensieri
devoti e benevoli, allo stesso modo comportati con i genitori 156 GIAMBLICO ἔχειν διάνοιαν, ὡσαύτως δὲ καὶ περὶ γονέων
te καὶ εὐεργετῶν δια- νοεῖσθαι, νόμῳ
τε βοηθεῖν καὶ ἀνομίᾳ πολεμεῖν. τούτων δὲ
ῥηθέντων ἀπιέναι ἕκαστον εἰς οἶκον. ἐσθῆτι δὲ χρῆσθαι λευκῇ καὶ καθαρᾷ, ὡσαύτως δὲ καὶ στρώμασι λευκοῖς τε
καὶ καθαροῖς. εἶναι δὲ τὰ στρώματα
ἱμάτια λινᾶ" κῳδίοις γὰρ οὐ χρῆσθαι. περὶ δὲ θήραν οὐ δοκιμάζειν καταγίνεσθαι, οὐδὲ χρῆσθαι
τοιούτῳ γυμνασίῳ. τὰ μὲν οὖν ἐφ᾽
ἡμέρᾳ ἑκάστῃ τῷ πλήθει τῶν ἀνδρῶν παραδιδόμενα εἴς τε τροφὴν καὶ τὴν τοῦ βίου ἀναγωγὴν
τοιαῦτα ἦν. 22 (101) Παραδίδοται δὲ καὶ ἄλλος τρόπος
παιδεύσεως διὰ τῶν Πυθαγορικῶν
ἀποφάσεων καὶ τῶν εἰς τὸν βίον καὶ τὰς ἀνθρωπίνας ὑπολήψεις διατεινουσῶν, ἀφ᾽ ὧν ὀλίγας ἐκ
πολλῶν παραθήσομαι. παρήγγελλον γὰρ
ἐκ φιλίας ἀληθινῆς ἐξαιρεῖν ἀγῶνά τε καὶ φιλο- νεικίαν, μάλιστα μὲν ἐκ πάσης, εἰ δυνατόν,
εἰ δὲ μή, ἔκ γε τῆς πατρικῆς καὶ
καθόλου ἐκ τῆς πρὸς τοὺς πρεσβυτέρους: ὡσαύτως δὲ καὶ ἐκ τῆς πρὸς τοὺς εὐεργέτας. τὸ γὰρ
διαγωνίζεσθαι ἢ διαφιλο- νεικεῖν πρὸς
τοὺς τοιούτους ἐμπεσούσης ὀργῆς ἢ ἄλλου τινὸς τοιού- του πάθους οὐ σωτήριον τῆς ὑπαρχούσης
φιλίας. ἔφασαν δὲ δεῖν ὡς ἐλαχίστας
ἀμυχάς τε καὶ ἑλκώσεις ἐν ταῖς φιλίαις ἐγγίνεσθαι" τοῦτο δὲ γίνεσθαι, ἂν ἐπίστωνται εἴκειν
καὶ κρατεῖν ὀργῆς ἀμφότε- ροι μέν,
μᾶλλον μέντοι ὁ νεώτερός τε καὶ τῶν εἰρημένων τάξεων ἔχων ἡνδήποτε. [59] τὰς ἐπανορθώσεις τε
καὶ νουθετήσεις, ἃς δὴ πεδαρτάσεις
ἐκάλουν ἐκεῖνοι, μετὰ πολλῆς εὐφημίας τε καὶ εὐλα- βείας ᾧοντο δεῖν γίνεσθαι παρὰ τῶν
πρεσβυτέρων τοῖς νεωτέροις, καὶ πολὺ
ἐμφαίνεσθαι ἐν τοῖς νουθετοῦσι τὸ κηδεμονικόν τε καὶ οἰκεῖον: οὕτω γὰρ εὐσχήμονά τε γίνεσθαι
(102) καὶ ὠφέλιμον τὴν νουθέτησιν. ἐκ
φιλίας μηδέποτε ἐξαιρεῖν πίστιν μήτε παίζοντας μήτε σπουδάζοντας: οὐ γὰρ ἔτι ῥάδιον εἶναι
διυγιᾶναι τὴν ὑπάρχουσαν φιλίαν, ὅταν
ἅπαξ παρεμπέσῃ τὸ ψεῦδος εἰς τὰ τῶν
φασκόντων φίλων εἶναι ἤθη. φιλίαν μὴ ἀπογινώσκειν ἀτυχίας ἕνεκα ἢ ἄλλης τινὸς ἀδυναμίας τῶν εἰς τὸν βίον
ἐμπιπτουσῶν, ἀλλὰ μόνην εἶναι δόκιμον
ἀπόγνωσιν φίλου τε καὶ φιλίας τὴν γινομένην διὰ κακίαν μεγάλην τε καὶ ἀνεπανόρθωτον.
τοιοῦτος μὲν οὖν ὁ τύπος ἦν τῆς διὰ
τῶν ἀποφάσεων παρ᾽ αὐτοῖς γινομένης ἐπανορθώσεως, εἴς τε πάσας τὰς ἀρετὰς καὶ ὅλον τὸν βίον
διατείνων. 23 (103) ᾿Αναγκαιότατος δὲ
παρ᾽ αὐτῷ τρόπος διδασκαλίας VITA DI
PITAGORA 157 e i benefattori, e aiuta
la legge e combatti l’illegalità. Dette queste cose, ciascuno di loro se ne tornava a
casa. Vestivano un abito bianco e
immacolato, come pure erano bianche e immacolate le coperte dei loro giacigli. E vestiti e coperte era
tessuti di lino, perché non usava- no
tessuti di lana. Quanto alla caccia, essi non l’approvavano, e non la praticavano neppure come esercizio
fisico. Tali erano, dunque, le cose
che venivano insegnate quotidianamente alla moltitudine di que- gli uomini per il loro nutrimento e la
condotta della loro vita. 22 (101) Si
tramanda anche un altro metodo di educazione
mediante le “proibizioni”5! pitagoriche concernenti e la condotta
di vita e le supposizioni degli
uomini: di esse presenterò qui alcuni esem- pi tra i tanti. Esse infatti prescrivevano
di eliminare competizione e rivalità
dalla vera amicizia e, possibilmente, da qualsiasi amicizia in assoluto, o quanto meno da quella verso i
genitori e in generale verso i più
anziani, come pure verso i benefattori. Il competere e il rivaleg- giare con persone di questo genere,
infatti, quando subentra l’ira o
un’altra passione del genere, fa perdere l’eventuale amicizia. I Pitagorici dicevano che nelle amicizie
occorre che ci sia il meno pos-
sibile di lacerazioni o ulcerazioni; e questo avviene, se ambedue
le parti sanno cedere e dominare
l’ira, ma soprattutto la parte più giova-
ne e quella che si trovi comunque nelle posizioni di cui si è detto.52
Le correzioni e le ammonizioni, che i
Pitagorici chiamavano “riaccorda-
ture”,9 credevano che dovessero essere date dai più anziani ai più giovani con parole molto dolci e con
circospezione, e che nelle ammo-
nizioni dovesse apparire molta sollecitudine e familiarità, perché in
tal modo l’ammonizione risultava
<al contempo> decorosa e proficua.
(102) Dall’amicizia non si deve mai eliminare la fiducia né per scherzo né seriamente, perché non è facile
mantenere ancora salda un’eventuale
amicizia, una volta che sia subentrata la menzogna nei comportamenti di coloro che pretendono di
essere amici. Non si deve
misconoscere un’amicizia per un infortunio o altra difficoltà che
può capitare nella vita, al contrario
può essere giustificato motivo di
rinunzia a un amico e a un’amicizia unicamente la malvagità grande
e incorreggibile. Tale era, dunque,
il tipo di correzione che i Pitagorici
facevano attraverso proibizioni, le quali concernevano tutte le virti
e in generale la condotta di
vita. 158 GIAMBLICO ὑπῆρχε καὶ ὁ διὰ τῶν συμβόλων. ὁ γὰρ
χαρακτὴρ οὗτος Kai παρ᾽ Ἕλλησι μὲν
σχεδὸν ἅπασιν ἅτε παλαιότροπος ὧν ἐσπουδάζετο, ἐξαιρέτως δὲ παρ᾽ Αἰγυπτίοις ποικιλώτατα
ἐπρεσβεύετο. κατὰ τὰ αὐτὰ δὲ καὶ παρὰ
Πυθαγόρᾳ μεγάλης σπουδῆς ἐτύγχανεν, εἴ τις
διαρθρώσειε σαφῶς τὰς τῶν Πυθαγορικῶν συμβόλων ἐμφάσεις καὶ ἀπορρήτους ἐννοίας, ὅσης ὀρθότητος καὶ
ἀληθείας μετέχουσιν ἀπο- καλυφθεῖσαι
καὶ τοῦ αἰνιγματώδους ἐλευθερωθεῖσαι τύπου, προ- σοικειωθεῖσαι δὲ κατὰ ἁπλῆν καὶ ἀποίκιλον
παράδοσιν ταῖς τῶν φιλοσόφων τούτων
μεγαλοφυΐαις καὶ ὑπὲρ ἀνθρωπίνην {60] (104)
ἐπίνοιαν θεωθεῖσι. καὶ γὰρ οἱ ἐκ τοῦ διδασκαλείου τούτου, μάλι- στα δὲ οἱ παλαιότατοι καὶ αὐτῷ
συγχρονίσαντες καὶ μαθητεύσαν- τες τῷ
Πυθαγόρᾳ πρεσβύτῃ νέοι, Φιλόλαός τε καὶ Εὕὔρυτος καὶ Χαρώνδας καὶ Ζάλευκος καὶ Βρύσων, ᾿Αρχύτας
τε ὁ πρεσβύτερος καὶ ᾿Αρισταῖος καὶ
Λῦσις καὶ Ἐμπεδοκλῆς καὶ Ζάμολξις καὶ
Ἐπιμενίδης καὶ Μίλων, Λεύκιππός τε καὶ ᾿Αλκμαίων καὶ Ἵππασος καὶ Θυμαρίδας καὶ οἱ κατ᾽ αὐτοὺς ἅπαντες,
πλῆθος ἐλλογίμων καὶ ὑπερφυῶν ἀνδρῶν,
τάς τε διαλέξεις καὶ τὰς πρὸς ἀλλήλους ὁμιλίας καὶ τοὺς ὑπομνηματισμούς τε καὶ
ὑποσημειώσεις καὶ αὐτὰ ἤδη τὰ
συγγράμματα καὶ ἐκδόσεις πάσας, ὧν τὰ πλείονα μέχρι καὶ τῶν ἡμετέρων χρόνων διασῴζεται, οὐ τῇ κοινῇ
καὶ δημώδει καὶ δὴ καὶ τοῖς ἄλλοις
ἅπασιν εἰωθυίᾳ λέξει συνετὰ ἐποιοῦντο ἐξ ἐπιδρομῆς τοῖς ἀκούουσι, πειρώμενοι εὐπαρακολούθητα
τὰ φραζόμενα ὑπ᾽ αὐτῶν τίθεσθαι, ἀλλὰ
κατὰ τὴν νενομοθετημένην αὐτοῖς ὑπὸ
Πυθαγόρου ἐχεμυθίαν θείων μυστηρίων καὶ πρὸς τοὺς ἀτελέστους ἀπορρήτων τρόπων ἥπτοντο καὶ διὰ συμβόλων
ἐπέσκεπον τὰς πρὸς (105) ἀλλήλους
διαλέξεις ἢ συγγραφάς. καὶ εἰ μή τις αὐτὰ τὰ σύμ- βολα ἐκλέξας διαπτύξειε καὶ ἀμώκῳ ἐξηγήσει
«περιλάβοι», γελοῖα ἂν καὶ γραώδη δόξειε τοῖς ἐντυγχάνουσι τὰ
λεγόμενα, λήρου μεστὰ καὶ ἀδολεσχίας.
ἐπειδὰν μέντοι κατὰ τὸν τῶν συμβόλων τούτων
τρόπον διαπτυχθῇ καὶ [61] φανὰ καὶ εὐαγῆ ἀντὶ σκοτεινῶν τοῖς πολ- λοῖς γένηται, θεοπροπίοις καὶ χρησμοῖς
τισι τοῦ Πυθίου ἀναλογεῖ καὶ
θαυμαστὴν ἐκφαίνει διάνοιαν, δαιμονίαν τε ἐπίπνοιαν ἐμποιεῖ VITA DI PITAGORA 159 23 (103) Per Pitagora esisteva un metodo
di insegnamento assolu- tamente
necessario, ed era quello che si faceva attraverso i “simboli”. L’uso dei simboli, infatti, era tenuto in
grande considerazione presso quasi
tutti i Greci, perché esso è il più antico, ma era particolarmen- te tenuto in conto, in svariatissime
forme, presso gli Egizi. Allo stesso
modo anche per Pitagora tale metodo era da tenersi in grande consi- derazione, a condizione che si vedano in
maniera chiara le articolazio- ni
delle forme e dei contenuti concettuali nascosti nei simboli pitago- rici, e si veda a quanta correttezza e
verità essi partecipino, una volta
svelate e liberate dal loro carattere enigmatico, e appropriate,
secon- do un insegnamento semplice e
lineare, alla genialità di questi filoso-
fi, che sono stati <meritamente> deificati oltre ogni umana
immagina- zione. (104) E infatti quelli di loro che
provengono dall’insegnamento diretto
di Pitagora, soprattutto i più antichi e coetanei a lui e che da giovani hanno ascoltato le lezioni di
Pitagora già vecchio, Filolao ed
Eurito, Caronda e Zaleuco e Brisone, e ancora Archita il vecchio e Aristeo e Liside ed Empedocle e Zamolxi ed
Epimenide e Milone, Leucippo e
Alcmeone, Ippaso e Timarida, e tutti quelli del loro tempo, una moltitudine di uomini illustri
e superdotati. Le loro discussioni e
le reciproche conversazioni e le memorie e annotazioni e gli stessi loro scritti già composti e
tutte le loro pubblicazioni, di cui
la maggior parte si è conservata fino ai nostri tempi, essi non li
rende- vano comprensibili di primo
acchito a coloro che li ascoltavano per
mezzo di un linguaggio comune e popolare e accessibile a tutti gli altri, cercando di rendere le cose che
dicevano facili ad essere seguite da
quelli, ma adottavano, in ottemperanza alla regola del silenzio nei divini misteri, imposta loro come legge da
Pitagora, modi di esprimer- si in
forma segreta anche nei confronti dei non iniziati e coprivano con i simboli le reciproche discussioni o
i loro scritti. (105) E se qualcuno,
dopo avere trascelto questi stessi simboli,
non li spiegherà e comprenderà per mezzo di una seria
interpretazio- ne, allora le cose che
essi dicono sembreranno a chiunque risibili e da vecchia donnetta, infarcite di futilità e
di chiacchiera. Ciononostante,
qualora venga spiegato il modo di esprimersi con tali simboli e questi divengano per la maggior parte degli
uomini chiari e luminosi, invece che
oscuri, allora essi appaiono analoghi ad alcuni vaticini e oracoli di 160 GIAMBLICO τοῖς νενοηκόσι τῶν φιλολόγων. οὐ χεῖρον δὲ
ὀλίγων μνημονεῦσαι ἕνεκα τοῦ
σαφέστερον γενέσθαι τὸν τύπον τῆς διδασκαλίας. «ὁδοῦ πάρεργον οὔτε εἰσιτέον εἰς ἱερὸν οὔτε
προσκυνητέον τὸ παράπαν, οὐδ᾽ εἰ πρὸς
ταῖς θύραις αὐταῖς παριὼν γένοιο. ἀνυπόδητος θύε καὶ προσκύνει. τὰς λεωφόρους ὁδοὺς ἐκκλίνων
διὰ τῶν ἀτραπῶν βάδιζε. περὶ
Πυθαγορείων ἄνευ φωτὸς μὴ λάλει.» τοιοῦτος, ὡς ἐν τύποις εἰ- πεῖν, ὁ τρόπος ἦν αὐτοῦ τῆς διὰ συμβόλων
διδασκαλίας. 24 (106) Ἐπεὶ δὲ καὶ ἡ
τροφὴ μεγάλα συμβάλλεται πρὸς τὴν
ἀρίστην παιδείαν, ὅταν καλῶς καὶ τεταγμένως γίγνηται, σκεψώμε- θα τίνα καὶ περὶ ταύτην ἐνομοθέτησε. τῶν
δὴ βρωμάτων καθόλου τὰ τοιαῦτα
ἀπεδοκίμαζεν, ὅσα πνευματώδη καὶ ταραχῆς αἴτια, τὰ δ᾽ ἐναντία ἐδοκίμαζέ τε καὶ χρῆσθαι ἐκέλευεν,
ὅσα τὴν τοῦ σώματος ἕξιν καθίστησί τε
καὶ συστέλλει: ὅθεν ἐνόμιζεν εἶναι καὶ τὴν κέγ-
χρον ἐπιτηδείαν εἰς τροφήν. καθόλου δὲ ἀπεδοκίμαζε καὶ τὰ τοῖς θεοῖς ἀλλότρια ὡς ἀπάγοντα ἡμᾶς τῆς πρὸς
τοὺς θεοὺς οἰκειώσεως. κατ᾽ ἄλλον δὲ
αὖ τρόπον καὶ τῶν νομιζομένων εἶναι ἱερῶν σφόδρα ἀπέχεσθαι παρήγγελλεν ὡς τιμῆς ἀξίων
ὄντων, ἀλλ᾽ οὐχὶ τῆς κοινῆς καὶ
ἀνθρωπίνης χρήσεως, καὶ ὅσα δὲ εἰς μαντικὴν ἐνεπόδιζεν ἢ πρὸς καθαρότητα τῆς ψυχῆς καὶ dyvelav ἢ
πρὸς σωφροσύνης καὶ [62] (107) ἀρετῆς
ἕξιν, παρήνει φυλάττεσθαι. καὶ τὰ πρὸς εὐάγειαν δὲ ἐναντίως ἔχοντα καὶ ἐπιθολοῦντα τῆς
ψυχῆς τάς τε ἄλλας καθα- ρότητας καὶ
τὰ ἐν τοῖς ὕπνοις φαντάσματα παρῃτεῖτο. κοινῶς μὲν οὖν ταῦτα ἐνομοθέτησε περὶ τροφῆς, ἰδίᾳ δὲ
τοῖς θεωρητικωτάτοις τῶν φιλοσόφων
καὶ ὅτι μάλιστα ἀκροτάτοις καθάπαξ περιήρει τὰ περιττὰ καὶ ἄδικα τῶν ἐδεσμάτων, μήτε
ἔμψυχον μηδὲν μηδέποτε ἐσθίειν
εἰσηγούμενος μήτε οἶνον ὅλως πίνειν μήτε θύειν ζῷα θεοῖς μήτε καταβλάπτειν μηδ᾽ ὁτιοῦν αὐτά,
διασῴζειν (108) δὲ καὶ τὴν πρὸς αὐτὰ
δικαιοσύνην ἐπιμελέστατα. καὶ αὐτὸς οὕτως ἔζησεν, ἀπεχόμενος τῆς ἀπὸ τῶν ζῴων τροφῆς καὶ
τοὺς ἀναιμάκτους βωμοὺς VITA DI
PITAGORA 161 Apollo Pizio e rivelano
una mente sorprendente, e producono una
divina ispirazione in coloro che abbiano compreso il significato
intel- lettivo del loro linguaggio.
Non è male ricordare alcuni di tali simbo-
li allo scopo di rendere più chiaro questo tipo di insegnamento. “Quando si cammina occasionalmente, non
bisogna affatto né entra- re in un
tempio né adorare, neppure se ci si trovi a passare proprio nelle vicinanze delle porte «ἀεὶ
templi>”.54 “Togliti i calzari quando
offri un sacrificio o ti prosterni”. “Percorri i sentieri, evitando le
gran- di strade”. “Non parlare di
cose pitagoriche al buio”. Tale era, per
parlare approssimativamente, il suo modo di insegnare per simboli. 24 (106) Poiché anche l’alimentazione,
quando è buona e ordina- ta, dà un
grande contributo alla migliore educazione, esamineremo alcune delle norme che Pitagora ha fissato
in proposito. Degli alimen- ti egli
disapprovava in generale tutti quelli che producono flatulenza e causano turbamento <corporeo>,
mentre approvava e invitava a
consumare gli alimenti che hanno proprietà contrarie, che cioè
stabi- lizzano la costituzione
corporea e sono astringenti;5 perciò egli cre- deva che anche il miglio fosse adatto
all’alimentazione <umana>. In
generale disapprovava anche gli alimenti che sono estranei agli dèi perché ci allontanano dalla familiarità
con loro. Ma per altro verso
prescriveva di astenersi assolutamente da quegli alimenti che erano considerati sacri, perché degni di essere
onorati, ma non usati comu- nemente
dagli uomini, ed esortava ad evitare quegli alimenti che erano di impedimento alla divinazione o
alla purezza e castità del- l'anima o
a un carattere temperato e virtuoso.
(107) Faceva scartare anche gli alimenti che erano contrari alla vivacità dell'anima e che ne offuscavano
le altre forme di purezza e le
apparizioni in sogno. Pitagora, dunque, dettò queste norme di
carat- tere generale a proposito
dell’alimentazione, e in particolare tolse una volta per tutte ai filosofi che avevano
raggiunto i massimi livelli della speculazione i cibi più sofisticati e
ingiustificati, raccornandando loro
di non mangiare mai esseri viventi né bere vino né sacrificare animali agli dèi né recar danno ad alcuno di essi,
e di mantenere anche la più accurata
giustizia nei loro confronti. (108)
Anche Pitagora viveva in questo modo, astenendosi dall’ali- mentarsi con carne di animali e
prosternandosi davanti agli altari
162 GIAMBLICO προσκυνῶν, καὶ
ὅπως μηδὲ ἄλλοι ἀναιρήσωσι tà ὁμοφυῆ πρὸς ἡμᾶς ζῷα προθυμούμενος, τά τε ἄγρια ζῷα
σωφρονίζων μᾶλλον καὶ παι- δεύων διὰ
λόγων καὶ ἔργων, ἀλλ᾽ οὐχὶ διὰ κολάσεως καταβλάπτων. ἤδη δὲ καὶ τῶν πολιτικῶν τοῖς νομοθέταις
προσέταξεν ἀπέχεσθαι τῶν ἐμψύχων: ἅτε
γὰρ βουλομένους ἄκρως δικαιοπραγεῖν ἔδει
δήπου μηδὲν ἀδικεῖν τῶν συγγενῶν ζῴων. ἐπεὶ πῶς ἂν ἔπεισαν δί- rata πράττειν τοὺς ἄλλους αὐτοὶ
ἁλισκόμενοι ἐν πλεονεξίᾳ; συγ- γενικὴ
δ᾽ ἡ τῶν ζῴων μετοχή, ἅπερ διὰ τὴν τῆς ζωῆς καὶ τῶν στοι- χείων τῶν αὐτῶν κοινωνίαν καὶ τῆς ἀπὸ
τούτων συνισταμένης συγ- κράσεως
(109) ὡσανεὶ ἀδελφότητι πρὸς ἡμᾶς συνέζευκται. τοῖς μέ- ντοι ἄλλοις ἐπέτρεπέ τινων ζῴων ἅπτεσθαι,
ὅσοις ὁ βίος μὴ πάνυ ἦν
ἐκκεκαθαρμένος καὶ ἱερὸς καὶ φιλόσοφος" καὶ τοὐ[63]τοις χρόνον τινὰ ὥριζε τῆς ἀποχῆς ὡρισμένον.
ἐνομοθέτησε δὲ τοῖς αὐτοῖς καρ- δίαν
μὴ τρώγειν, ἐγκέφαλον μὴ ἐσθίειν, καὶ τούτων εἴργεσθαι πάν- τας τοὺς Πυθαγορικούς᾽ ἡγεμονίαι γάρ εἰσι
καὶ ὡσανεὶ ἐπιβάθραι καὶ ἕδραι τινὲς
τοῦ φρονεῖν καὶ τοῦ ζῆν. ἀφωσιοῦτο δὲ αὐτὰ διὰ τὴν τοῦ θείου λόγου φύσιν. οὕτως καὶ μαλάχης
εἴργεσθαι ἐκέλενεν, ὅτι πρώτη ἄγγελος
καὶ σημάντρια συμπαθείας οὐρανίων πρὸς ἐπίγεια. καὶ μελανούρου δὲ ἀπέχεσθαι παρήγγελλε“
χθονίων γάρ ἐστι θεῶν. καὶ ἐρυθρῖνον
μὴ προσλαμβάνειν δι᾽ ἕτερα τοιαῦτα αἴτια. καὶ «κυάμων ἀπέχου» διὰ πολλὰς ἱεράς τε καὶ
φυσικὰς καὶ εἰς τὴν ψυχὴν ἀνηκούσας
αἰτίας. καὶ ἄλλα τοιαῦτα διεθεσμοθέτησε τού-
τοις ὅμοια, καὶ διὰ τῆς τροφῆς ἀρχόμενος εἰς ἀρετὴν ὁδηγεῖν τοὺς ἀνθρώπους. 25 (110) Ὑπελάμβανε δὲ καὶ τὴν μουσικὴν
μεγάλα συμβάλλεσθαι πρὸς ὑγείαν, ἄν
τις αὐτῇ χρῆται κατὰ τοὺς προσήκοντας τρόπους. εἰώθει γὰρ οὐ παρέργως τῇ τοιαύτῃ χρῆσθαι
καθάρσει" τοῦτο γὰρ δὴ καὶ
προσηγόρενε τὴν διὰ τῆς μουσικῆς ἰατρείαν. ἥπτετο δὲ περὶ τὴν ἐαρινὴν ὥραν τῆς [64] τοιαύτης
μελῳδίας" ἐκάθιζε γὰρ ἐν μέσῳ
VITA DI PITAGORA 163
incruenti, e desiderando che anche gli altri cercassero di non
elimina- re ciò che è di natura
simile a noi [sc. gli animali], e rendendo <in qualche modo> saggi ed educando gli
animali selvatici con le parole e con
le opere, ma senza far loro del male con punizioni. Anche tra i politici, inoltre, impose a coloro che
dettavano le leggi di astenersi dal
mangiare carne di animali, poiché era necessario che quelli che
inten- devano fare giustizia al più
alto livello mai fossero ingiusti con gli ani- mali che sono nostri simili. Giacché, in
che modo avrebbero potuto convincere
gli altri ad agire secondo giustizia se essi stessi fossero stati colti in flagrante delitto di arroganza? Ο
ὃ appunto affinità di natura tra noi
e gli animali, giacché questi, dal momento che hanno in comu- ne con noi la vita e gli stessi elementi e
la mescolanza che di questi si
compone, sono legati a noi uomini come fossero nostri fratelli. (109) Pitagora tuttavia permetteva a
coloro che, diversamente dai
discepoli veri e propri, conducevano una vita non del tutto
purificata e santa e filosofica, di
alimentarsi con la carne di certi animali; e per loro determinava un periodo di tempo ben
preciso in cui dovessero praticare
l’astinenza. A questi stessi imponeva la regola di non “masti- care”56 cuore e non mangiare cervello, e a
tutti i Pitagorici era vietato di
mangiare questi organi, perché sono strumenti di guida e come delle scale di accesso e delle sedi del
pensare e del vivere. Questi orga- ni
erano ritenuti sacri in viti della natura del “logos” divino. In tal modo Pitagora prescriveva anche di evitare
di mangiare malva, per- ché è primo
messaggero e indizio della simpatia dei corpi celesti verso ciò che si trova sulla terra. E
prescriveva di astenersi anche dal man-
giare il pesce melanuro, perché è sacro agli dèi degli inferi. E di
aste- nersi anche dall’assumere come
cibo il pesce fragolino, per altre
ragioni del genere. E anche il precetto “astieniti dalle fave” aveva molte ragioni di ordine religioso e fisico
e psicologico. Egli impose anche
altre norme simili a queste, perché cominciava dall’alimenta- zione per guidare gli uomini alla
virtù. 25 (110) Riteneva anche che la
musica contribuisce grandemente alla
salute, qualora la si usi nei modi convenienti. Egli infatti aveva l'abitudine di servirsi in maniera non
superficiale della funzione puri-
ficatrice della musica. Era questo, infatti, il metodo che Pitagora denominava appunto “terapia mediante la
musica”, E nella stagione 164
GIAMBLICO τινὰ λύρας ἐφαπτόμενον, καὶ
κύκλῳ ἐκαθέζοντο οἱ μελῳδεῖν δυνα-
τοί, καὶ οὕτως ἐκείνου κρούοντος συνῇδον παιῶνάς τινας, δι᾽ ὧν EÙ- φραίνεσθαι καὶ ἐμμελεῖς καὶ ἔνρυθμοι
γίνεσθαι ἐδόκουν. χρῆσθαι δ᾽ αὐτοὺς
καὶ κατὰ τὸν ἄλλον χρόνον τῇ μουσικῇ (111) ἐν ἰατρείας τάξει, καὶ εἶναί τινα μέλη πρὸς τὰ ψυχῆς
πεποιημένα πάθη, πρός τε ἀθυμίας καὶ
δηγμούς, ἃ δὴ βοηθητικώτατα ἐπινενόητο, καὶ πάλιν αὖ ἕτερα πρός τε τὰς ὀργὰς καὶ πρὸς τοὺς
θυμοὺς καὶ πρὸς πᾶσαν παραλλαγὴν τῆς
τοιαύτης ψυχῆς, εἶναι δὲ καὶ πρὸς τὰς ἐπιθυμίας ἄλλο γένος μελοποιίας ἐξευρημένον. χρῆσθαι
δὲ καὶ ὀρῤχήσεσιν. ὀργάνῳ δὲ χρῆσθαι
λύρᾳ᾽ τοὺς γὰρ αὐλοὺς ὑπελάμβανεν ὑβριστικόν
τε καὶ πανηγυρικὸν καὶ οὐδαμῶς ἐλευθέριον τὸν ἦχον ἔχειν. χρῆσθαι δὲ καὶ Ὁμήρου καὶ Ἡσιόδου λέξεσιν
ἐξειλεγμέναις πρὸς ἐπανόρθωσιν ψυχῆς.
(112) λέγεται δὲ καὶ ἐπὶ τῶν ἔργων Πυθαγόρας
μὲν σπονδειακῷ ποτὲ μέλει διὰ τοῦ αὐλητοῦ κατασβέσαι τοῦ Tavpopevitov μειρακίου μεθύοντος τὴν
λύσσαν, νύκτωρ ἐπικωμά- ζοντος
ἐρωμένῃ παρὰ ἀντεραστοῦ πυλῶνι, ἐμπιπράναι μέλλοντος" ἐξήπτετο γὰρ καὶ ἀνεζωπυρεῖτο ὑπὸ τοῦ
Φρυγίου αὐλήματος. ὃ δὴ κατέπαυσε
τάχιστα ὁ Πυθαγόρας. ἐτύγχανε δὲ αὐτὸς ἀστρονομού- μενος ἀωρί᾽ καὶ τὴν εἰς τὸν σπονδειακὸν
μετα[6δ]βολὴν ὑπέθετο τῷ αὐλητῇ, δι᾽
ἧς ἀμελλητὶ κατασταλὲν κοσμίως οἴκαδε ἀπηλλάγη τὸ μειράκιον, πρὸ βραχέος μηδ᾽ ἐφ᾽ ὅσον οὖν
ἀνασχόμενον μηδ᾽ ἁπλῶς ὑπομεῖναν
νουθεσίας ἐπιβολὴν παρ᾽ αὐτοῦ, πρὸς δὲ καὶ ἐμπλήκτως ἀποσκορακίσαν (113) τὴν τοῦ Πυθαγόρου
συντυχίαν. Ἐμπεδοκλῆς δὲ σπασαμένου
τὸ ξίφος ἤδη νεανίου τινὸς ἐπὶ τὸν αὐτοῦ ξενοδόχον Ἄγχιτον, ἐπεὶ δικάσας δημοσίᾳ τὸν τοῦ
νεανίου πατέρα ἐθανάτωσε, καὶ
ἀίξαντος, ὡς εἶχε συγχύσεως καὶ θυμοῦ, ξιφήρους παῖσαι τὸν VITA DI PITAGORA 165 primaverile egli si dava a questo tipo di
canto: faceva sedere, infatti, al
centro qualcuno che suonasse la lira, e tutt'intorno sedevano quel- li che erano capaci di cantare, e cosî,
mentre il suonatore di lira muo- veva
il suo plettro, gli altri cantavano in coro dei peani, dai quali essi credevano di essere allietati e riempiti
interiormente di armonia e di ritmo.
Anche per il resto dell’anno essi si servivano della musica come strumento terapeutico, (111) ed esistevano alcune melodie che
erano composte per com- battere le
passioni dell’anima, nonché i suoi stati di scoraggiamento e di rimorso, e queste melodie erano le
invenzioni di maggiore aiuto, e
ancora altre melodie composte per i momenti di ira e di impetuosità e per ogni altra distorsione dell'anima in
preda a tali sentimenti, ed esisteva
anche un altro genere di melodia che era stato trovato per gli appetiti. Facevano uso anche di danze.
Come strumento musicale usavano la
lira, perché ritenevano che i flauti avessero un suono vio- lento e da festa popolare e niente affatto
adatto a uomini liberi. Si ser-
vivano anche, per la correzione dell'anima, di passi scelti dalle poesie di Omero e di Esiodo. (112) A proposito delle opere di Pitagora,
si racconta anche che egli una volta,
mediante un canto di intonazione spondaica, con l’aiu- to di un flautista, ha spento il furore di
un giovanotto di Taormina ubriaco,
che nottetempo, impazzito d’amore per la sua innamorata, davanti alla porta di casa di un suo
rivale in amore, stava per dare fuoco
alla casa, perché era stato infiammato ed eccitato da una melo- dia frigia. Pitagora mise fine
rapidissimamente a quell'episodio. Egli
era capitato li in un’ota insolita della notte per praticare
astronomia; e allora impose
all’auleta di passare a un canto di intonazione spon- daica, che ebbe l’effetto immediato di
placare il giovanotto, che disci-
plinatamente se ne tornò a casa sua, mentre poco prima non soppot- tava né poco né punto di sottostare al
tentativo di ammonizione di Pitagora,
ché anzi aveva follemente mandato al diavolo l’intervento di Pitagora. (113) Ma già Empedocle, ospite di Anchito,
nel momento in cui un giovane aveva
tirato fuori la spada contro di quello, perché aveva emesso pubblica condanna a morte contro il
padre dello stesso giova- ne, e si
era precipitato con la spada in mano, come preso da confusio- ne e impeto, per colpire il giudice di suo
padre, come se Anchito fosse 166
GIAMBLICO τοῦ πατρὸς καταδικαστήν,
ὡσανεὶ φονέα, Ἄγχιτον, μεθαρμοσόμενος
ὡς εἶχε τὴν λύραν καὶ πεπαντικόν τι μέλος καὶ κατασταλτικὸν μεταχειρισάμενος εὐθὺς ἀνεκρούσατο τὸ
νηπενθὲς ἄχολόν τε, κακῶν ἐπίληθον
ἁπάντων κατὰ τὸν ποιητήν, καὶ τόν τε ἑαυτοῦ ἕενο- δόχον Ἄγχιτον (114) θανάτου ἐρρύσατο καὶ
τὸν νεανίαν ἀνδροφονί- ας. ἱστορεῖται
δ᾽ οὗτος τῶν Ἐμπεδοκλέους γνωρίμων ὁ δοκιμώτατος ἔκτοτε γενέσθαι. ἔτι τοίνυν σύμπαν τὸ
Πυθαγορικὸν διδασκαλεῖον τὴν
λεγομένην ἐξάρτυσιν καὶ συναρμογὰν καὶ ἐπαφὰν ἐποιεῖτο, μέλεσί τισιν ἐπιτηδείοις εἰς τὰ ἐναντία
πάθη περιάγον χρησίμως τὰς τῆς ψυχῆς
διαθέσεις. ἐπί τε γὰρ εὐνὰς τρεπόμενοι τῶν μεθ᾽ ἡμέραν ταραχῶν καὶ περιηχημάτων
ἐξεκάθαιρον τὰς διανοίας φδαῖς τισι
καὶ μελῶν ἰδιώμασι καὶ ἡσύχους παρεσκεύαζον ἑαυτοῖς ἐκ τούτου καὶ ὀλιγονείρους τε καὶ
εὐονείρους τοὺς ὕπνους, ἐξανι-
στάμενοί τε ἐκ τῆς κοίτης νωχελίας πάλιν καὶ κάρους δι᾽ ἀλλο- τρόπων [66] ἀπήλλασσον ἀσμάτων, ἔστι δὲ
καὶ ὅτε ἄνευ λέξεως μελισμάτων.
«ἔστι» τε ὅπου καὶ πάθη καὶ νοσήματά τινα ἀφυγίαζον, ὥς φασιν, ἐπάδοντες ὡς ἀληθῶς, καὶ εἰκὸς
ἐντεῦθέν ποθεν τοὔνομα τοῦτο εἰς
μέσον παρεληλυθέναι, τὸ τῆς ἐπῳδῆς. οὕτω μὲν οὖν πολυωφελεστάτην κατεστήσατο Πυθαγόρας τὴν
διὰ τῆς μουσικῆς τῶν ἀνθρωπίνων (115)
ἠθῶν τε καὶ βίων ἐπανόρθωσιν. ἐπεὶ δὲ
ἐνταῦθα γεγόναμεν ἀφηγούμενοι τὴν Πυθαγόρου παιδευτικὴν σοφί- αν, οὐ χεῖρον καὶ τὸ τούτῳ παρακείμενον
ἐφεξῆς εἰπεῖν, ὅπως ἐξεῦρε τὴν
ἁρμονικὴν ἐπιστήμην καὶ τοὺς ἁρμονικοὺς λόγους. ἀρξώμεθα δὲ μικρὸν ἄνωθεν. 26 Ἐν φροντίδι ποτὲ καὶ διαλογισμῷ
συντεταμένῳ ὑπάρχων, εἰ ἄρα δύναιτο
τῇ ἀκοῇ βοήθειάν τινα ὀργανικὴν ἐπινοῆσαι, παγίαν καὶ ἀπαραλόγιστον, οἵαν ἡ μὲν ὄψις διὰ τοῦ
διαβήτου καὶ διὰ τοῦ κανόνος ἢ νὴ Δία
διὰ διόπτρας ἔσχεν, ἡ δ᾽ ἁφὴ διὰ τοῦ ζυγοῦ ἢ διὰ τῆς τῶν μέτρων ἐπινοίας, παρά τι
χαλκοτυπεῖον περιπατῶν ἔκ τινος
δαιμονίου συντυχίας ἐπήκουσε ῥαιστήρων σίδηρον ἐπ᾽ ἄκμονι ῥαιόντων καὶ τοὺς ἤχους παραμὶξ πρὸς
ἀλλήλους «συμφωνοτάτους» ἀποδιδόντων,
πλὴν μιᾶς συζυγίας. ἐπεγίνωσκε δ᾽ ἐν αὐτοῖς τήν τε διὰ πασῶν τήν τε διὰ πέντε καὶ τὴν διὰ
τεσσάρων συνῳδίαν, τὴν δὲ μεταξύτητα
τῆς τε διὰ τεσσάρων καὶ τῆς διὰ πέντε ἀσύμφωνον μὲν VITA DI PITAGORA 167 un assassino, Empedocle, dicevo, adattando
la lira che teneva in mano e
intonando una melodia idonea ad addolcire e rasserenare l’animo, si mise a cantare subito il verso
seguente: «[un farmaco] che dissipa il
dolore e l’ira, e fa dimenticare tutte le pene»57 come canta il Poeta,
e liberò il suo ospite Anchito dalla
morte e il giovane da un omicidio.
(114) Si racconta che Anchito divenne da allora il più illustre tra i discepoli intimi di Empedocle. Inoltre
la scuola pitagorica nel suo
complesso operava la cosiddetta “preparazione” e “armonizzazione” ed “emendazione” per mezzo di certe
melodie capaci di invertire util-
mente le disposizioni dell’anima in direzione delle passioni
contrarie. E infatti, al momento di
andare a dormire, i Pitagorici purificavano le loro menti dai turbamenti e dalle
risonanze della giornata per mezzo di
alcuni canti e di particolari melodie e in tal modo procuravano a se stessi un sonno tranquillo e accompagnato
da pochi e buoni sogni, e alzandosi
dal letto essi di nuovo si liberavano dal torpore del letto per mezzo di canti di altro tenore, e talvolta
anche per mezzo di melodie senza parole.
E talora guarivano anche da alcune passioni e malattie, come si racconta, facendo dei veri e
propri incantesimi, e probabil- mente
è da qui che è entrato nell’uso comune il termine “incantesi- mo”. Cosi dunque Pitagora fissò il metodo
più proficuo per correg- gere i
caratteri e gli stili di vita degli uomini per mezzo della musica. (115) Poiché fin qui abbiamo esposto la
sapienza educativa di Pitagora, non è
male parlare qui di seguito anche di ciò che riguarda da vicino questo argomento, cioè in che
modo egli scopri la scienza
dell'armonia e i rapporti armonici. Ma ricominciamo da un po’ più
in alto. 26 Trovandosi una volta a riflettere e
ragionare intensamente se era
possibile escogitare quale strumento avrebbe potuto dare all’udi- to un aiuto solido e non ingannevole, come
ad esempio quello che la vista ha
trovato per mezzo del compasso e del regolo o, per Zeus, per mezzo della diottra, o che il tatto ha
trovato per mezzo della bilancia o
dell’invenzione delle misure, passeggiando nei pressi di una fucina per una certa casualità divina, udi dei
martelli che battevano del ferro su
un’incudine e che producevano dei suoni che, mescolati insieme, erano in perfetto accordo tra loro, ad
eccezione di una sola coppia di
suoni. Pitagora riconobbe in quei suoni gli accordi di ottava, di quin- 168 GIAMBLICO ἑώρα αὐτὴν καθ᾽ ἑαυτήν, συμπληρωτικὴν δὲ
ἄλλως τῆς ἐν αὐτοῖς μειζονότητος.
(116) ἄσμενος δὴ ὡς κατὰ θεὸν ἀνυομένης αὐτῷ τῆς προθέσεως εἰσέδραμεν εἰς τὸ χαλκεῖον, καὶ
ποικίλαις πείραις παρὰ [67] τῶν ἐν
τοῖς ῥαιστῆρσιν ὄγκων εὑρὼν τὴν διαφορὰν τοῦ
ἤχου, ἀλλ᾽ οὐ παρὰ τὴν τῶν ῥαιόντων βίαν οὐδὲ παρὰ τὰ σχήματα τῶν σφυρῶν οὐδὲ παρὰ τὴν τοῦ ἐλαυνομένου
σιδήρου μετάθεσιν, σηκώματα ἀκριβῶς
ἐκλαβὼν καὶ ῥοπὰς ἰσαιτάτας τῶν ῥαιστήρων
πρὸς ἑαυτὸν ἀπηλλάγη, καὶ ἀπό τινος ἑνὸς πασσάλου διὰ γωνίας ἐμ- πεπηγότος τοῖς τοίχοις, ἵνα μὴ κἀκ τούτου
διαφορά τις ὑποφαίνηται ἢ ὅλως
ὑπονοῆται πασσάλων ἰδιαζόντων παραλλαγή, ἀπαρτίσας τέσσαρας χορδὰς ὁμοῦλους καὶ ἰσοκώλους,
ἰσοπαχεῖς τε καὶ ἰσο- στρόφους,
ἑκάστην ἀφ᾽ ἑκάστης ἐξήρτησεν, ὁλκὴν προσδήσας ἐκ τοῦ κάτωθεν μέρους, τὰ δὲ μήκη τῶν χορδῶν
(117) μηχανησάμενος ἐκ παντὸς
ἰσαίτατα. εἶτα κρούων ἀνὰ δύο ἅμα χορδὰς ἐπαλλὰξ συμ- φωνίας εὕρισκε τὰς προλεχθείσας, ἄλλην ἐν
ἄλλῃ συζυγίᾳ. τὴν μὲν γὰρ ὑπὸ τοῦ
μεγίστου ἐξαρτήματος τεινομένην πρὸς τὴν ὑπὸ τοῦ μικροτάτου διὰ πασῶν φθεγγομένην
κατελάμβανεν: ἦν δὲ ἣ μὲν δώδεκα
τινῶν ὁλκῶν, ἣ δὲ ἕξ. ἐν διπλασίῳ δὴ λόγῳ ἀπέφαινε τὴν διὰ πασῶν, ὅπερ καὶ αὐτὰ τὰ βάρη ὑπέφαινε. τὴν
δ᾽ αὖ μεγίστην πρὸς τὴν παρὰ τὴν
μικροτάτην, οὖσαν ὀκτὼ ὁλκῶν, διὰ πέντε συμ-
φωνοῦσαν, ἔνθεν ταύτην ἀπέφαινεν ἐν ἡμιολίῳ λόγῳ, ἐν ᾧπερ καὶ αἱ ὁλκαὶ ὑπῆρχον πρὸς ἀλλήλας" πρὸς δὲ
τὴν μεθ᾽ ἑαυτὴν μὲν τῷ βάρει, τῶν δὲ
λοιπῶν μείζονα, ἐννέα σταθμῶν ὑπάρχουσαν, τὴν διὰ τεσ- σάρων, ἀναλόγως τοῖς βρίθεσι. καὶ ταύτην
δὴ ἐπίτριτον ἄντικρυς κατελαμβάνετο,
ἡμιολίαν τὴν αὐτὴν φύσει (118) ὑπάρχουσαν τῆς μικροτάτης (τὰ γὰρ ἐννέα πρὸς τὰ ἕξ οὕτως
ἔχει)" ὅνπερ τρόπον ἡ VITA DI
PITAGORA 169 ta e di quarta, e si
accorse che il rapporto intermedio tra l'accordo di quarta e quello di quinta, pur essendo
dissonante preso in sé e per sé, era
capace di colmare tuttavia la differenza di grandezza intercorren- te tra quei due accordi.58 (116) Contento che in virtù di un dio egli
era venuto a capo di un suo progetto
<di ricerca>, entrò nella fucina, e avendo visto dopo vari tentativi che la differenza di suono stava
nella <differente> massa dei
martelli, e non era dovuta alla forza di quelli che battevano <il
ferro>, né alle forme delle loro
estremità, e neppure alla deformazione del
ferro battuto, dopo avere desunto con precisione il valore dei pesi
dei martelli e avere notato che
questi avevano bilanciamenti assolutamen-
te uguali tra loro,59 se ne tornò a casa, e dopo avere conficcato
all’an- golo tra due pareti un unico
chiodo, affinché non si manifestasse alcu-
na differenza tra questo chiodo <e un eventuale altro chiodo>,
ovve- rosia, in breve, affinché non
si potesse sospettare un mutamento di
effetti dovuto a chiodi di diversa natura, dopo avere appeso al
chiodo quattro corde fatte della
stessa materia e di uguale lunghezza, e di
uguale grossezza e torsione, sospese alle corde dei pesi attaccandoli ciascuno all’estremità inferiore di
ciascuna corda, e facendo in modo che
le lunghezze delle corde fossero assolutamente uguali fra loro. (117) Quindi, facendo vibrare insieme le
corde alternativamente a due a due,
trovò gli accordi di cui si è detto, a seconda della coppia di corde che faceva vibrare. Infatti comprese
che la corda tesa dalla sospensione
del peso più grande risuonava con la corda tesa dal peso più piccolo secondo un accordo di ottava:
erano infatti l’una tesa da dodici
unità di peso, l’altra da sei unità. Cosî Pitagora mostrava che l'accordo di ottava è appunto di rapporto
doppio, il rapporto che mostravano
gli stessi pesi. La corda che sopportava il peso più gran- de risuonava con la corda che sopportava
il peso vicino a quello pit piccolo,
cioè otto unità, secondo un accordo di quinta, donde Pitagora mostrava che l’accordo di quinta
è di rapporto emiolio, il rapporto in
cui anche i pesi si trovavano tra loro; la stessa corda tesa col peso maggiore risuonava con la corda
che era tesa col peso di nove unità
secondo un accordo di quarta, analogamente ai pesi. E Pitagora comprendeva appunto che questo accordo è
ovviamente di rapporto epitrite,
mentre era di rapporto emiolio, naturalmente, l'accordo tra questa stessa corda di nove unità e la
corda più piccola 170 GIAMBLICO παρὰ τὴν μικρὰν ἡ oxto [68] πρὸς μὲν τὴν
tà ἕξ ἔχουσαν ἐν ἐπιτρίτῳ λόγῳ ἦν,
πρὸς δὲ τὴν τὰ δώδεκα ἐν ἡμιολίῳ. τὸ ἄρα μεταξὺ τῆς διὰ πέντε καὶ τῆς διὰ τεσσάρων, ᾧ ὑπερέχει ἡ
διὰ πέντε τῆς διὰ τεσ- σάρων,
ἐβεβαιοῦτο ἐν ἐπογδόῳ λόγῳ ὑπάρχειν, ἐν ᾧπερ τὰ ἐννέα πρὸς τὰ ὀκτώ, ἑκατέρως τε ἡ διὰ πασῶν
σύστημα ἠλέγχετο, ἤτοι τῆς διὰ πέντε
καὶ διὰ τεσσάρων ἐν συναφῇ, ὡς ὁ διπλάσιος λόγος ἡμιολίου τε καὶ ἐπιτρίτου, οἷον δώδεκα,
ὀκτώ, ἕξ, ἢ ἀναστρόφως τῆς διὰ
τεσσάρων καὶ τῆς διὰ πέντε, ὡς τὸ διπλάσιον ἐπιτρίτου τε καὶ ἡμιολίου, οἷον δώδεκα, ἐννέα, ἕξ, ἐν τάξει
τοιαύτῃ διὰ πασῶν. τυλ- duo δὲ καὶ
τὴν χεῖρα καὶ τὴν ἀκοὴν πρὸς τὰ ἐξαρτήματα καὶ βεβαιώσας πρὸς αὐτὰ τὸν τῶν σχέσεων λόγον,
μετέθηκεν εὐμηχάνως τὴν μὲν τῶν
χορδῶν κοινὴν ἀπόδεσιν, τὴν «ἐκ» τοῦ διαγωνίου πασ- σάλου, εἰς τὸν τοῦ ὀργάνον βατῆρα, ὃν
χορδότονον ὠνόμαζε, τὴν δὲ ποσὴν
ἐπίτασιν ἀναλόγως τοῖς βάρεσιν εἰς τὴν τῶν κολλάβων ἄνωθεν σύμμετρον (119) περιστροφήν.
ἐπιβάθρᾳ τε ταύτῃ χρώμενος καὶ οἷον
ἀνεξαπατήτῳ γνώμονι εἰς ποικίλα ὄργανα τὴν πεῖραν λοιπὸν ἐξέτεινε, λεκίδων τε κροῦσιν καὶ
αὐλοὺς καὶ σύριγγας καὶ μονόχορδα καὶ
τρίγωνα καὶ τὰ παραπλήσια, καὶ σύμφωνον
εὕρισκεν ἐν ἅπασι καὶ ἀπαράλλακτον τὴν δι᾽ ἀριθμοῦ κατάληψιν. ὀνομάσας δὲ ὑπάτην μὲν τὸν τοῦ ἕξ ἀριθμοῦ
κοινωνοῦντα φθόγγον, μέσην δὲ τὸν τοῦ
ὀκτώ, ἐπίτριτον αὐτοῦ τυγχάνοντα, παραμέσην δὲ τὸν τοῦ ἐννέα, [69] τόνῳ τοῦ μέσου
ὀξύτερον καὶ δὴ καὶ ἐπόγδοον, νήτην
δὲ τὸν τοῦ δώδεκα, καὶ τὰς μεταξύτητας κατὰ τὸ διατονικὸν γένος συναναπληρώσας φθόγγοις ἀναλόγοις,
οὕτως τὴν ὀκτάχορδον ἀριθμοῖς
συμφώνοις ὑπέταξε, διπλασίῳ, ἡμιο(! 2θ)λίῳ, ἐπιτρίτῳ, καὶ VITA DI PITAGORA 171 (118) (stanno infatti in rapporto nove a
sei); lo stesso tipo di accordo, epitrite,
era quello tra la corda di otto unità di peso, che è vicina alla più piccola, e quella di sei
unità, mentre era di rapporto emiolio
l’accordo tra la stessa corda di otto unità con quella di dodi- ci unità. Dunque l’intervallo tra
l'accordo di quinta e quello di quar-
ta, cioè l'intervallo di cui l’accordo di quinta eccede quello di
quarta, veniva precisato come un
rapporto epiottavo, cioè un rapporto di
nove a otto, e quindi si dava prova che l’accordo di ottava è una
com- binazione duplice, da un lato
sta nella connessione tra l'accordo di
quinta e quello di quarta, come doppio rapporto costituito da un emiolio ed un epitrite,0 quale ad esempio
quello tra 12 : 8 : 6, oppu- re
inversamente dalla connessione tra l'accordo di quarta e quello di quinta, come doppio rapporto costituito da
un epitrite ed un emio- lio,6! quale
ad esempio quello tra 12 : 9 : 6, in un ordine tale da costi- tuire un accordo di ottava. Dopo essersi
incallito sia le mani che l’udi- to
ad appendere i pesi e a calcolarli con esattezza secondo il rappor- to delle loro relazioni, Pitagora tramutò
molto ingegnosamente il sistema
generale di sospensione delle corde, quella relativa al chiodo posto all'angolo delle pareti, al giogo
dello strumento [sc. della lira],
giogo che egli chiamò “cordotono”, nonché la quantità di tensione delle corde, in rapporto ai pesi, alla
corrispondente torsione dei bischeri
posti nella parte superiore dello strumento.
(119) Ora, servendosi di questo tipo di scala [sc. di giogo della lira] come di un regolo infallibile,
estese in seguito questa sua espe-
rienza a varie specie di strumenti musicali, cimbali,2 flauti, zampo- gne, monocordi, trigoni,$ e altri
strumenti del genere, e scopri che in
tutti questi strumenti si poteva percepire una consonanza numerica- mente invariabile. Avendo chiamato “ipate”
[sc. più bassa] la nota associata al
numero 6, “mese” [sc. mediana] quella associata al nume- ro 8, che è in rapporto epitrite con
quella, “paramese” [sc. vicina alla
mese] la nota associata al numero 9, che è di un tono più acuta
della mese ed è appunto di rapporto
epiottavo,65 “nete” infine chiamò la
nota associata al numero 12, e dopo avere riempito gli intervalli
con note rapportate a quelle
principali secondo un genere [sc. una scala]
diatonico, ordinò cosi l’ottacordo sotto i numeri dei vari accordi,
cioè doppio [sc. 2/1], emiolio [sc.
3/2], epitrite [sc. 4/3] ed epiottavo [sc.
9/8), che è anche la differenza tra gli ultimi due. 172 GIAMBLICO τῇ τούτων διαφορᾷ, ἐπογδόῳ. τὴν δὲ
πρόβασιν ἀνάγκῃ τινὶ φυσικῇ ἀπὸ τοῦ
βαρυτάτου ἐπὶ τὸ ὀξύτατον κατὰ τοῦτο τὸ διατονικὸν γένος οὕτως εὕρισκε. τὸ γὰρ χρωματικὸν καὶ
ἐναρμόνιον γένος αὖθίς ποτε ἐκ τούτου
αὐτοῦ διετράνωσεν, ὡς ἐνέσται ποτὲ δεῖξαι, ὅταν περὶ μουσικῆς λέγωμεν. ἀλλὰ τό γε
διατονικὸν γένος τοῦτο τοὺς βαθμοὺς
καὶ τὰς προόδους τοιαύτας τινὰς φυσικὰς ἔχειν φαίνεται, ἡμιτόνιον, εἶτα τόνος, «εἶτα τόνος, καὶ
τοῦτ᾽ ἔστι διὰ τεσσάρων, σύ- στημα
δύο τόνων καὶ τοῦ λεγομένου ἡμιτονίου. εἶτα προσληφθέντος ἄλλου τόνου, τουτέστι τοῦ μεσεμβοληθέντος,
ἡ διὰ πέντε γίνεται, σύστημα τριῶν
τόνων καὶ ἡμιτονίου ὑπάρχουσα. εἶθ᾽ ἑξῆς τούτῳ ἡμιτόνιον καὶ τόνος καὶ τόνος, ἄλλο διὰ
τεσσάρων, τουτέστιν ἄλλο ἐπίτριτον.
ὥστε ἐν μὲν τῇ ἀρχαιοτέρᾳ τῇ ἑπταχόρδῳ πάντας ἐκ τοῦ βαρυτάτου τοὺς ἀπ᾽ ἀλλήλων τετάρτους τὴν
διὰ τεσσάρων ἀλλήλοις δι᾿ ὅλου
συμφωνεῖν, τοῦ ἡμιτονίου κατὰ μετάβασιν τήν τε πρώτην καὶ τὴν μέσην καὶ τὴν τρίτην χώραν μεταλαμβάνοντος
κατὰ τὸ τετράχορδον (121) ἐν δὲ τῇ
Πυθαγορικῇ τῇ ὀκταχόρδῳ, ἤτοι κατὰ
συναφὴν συστήματι ὑπαρχούσῃ τετραχόρδου τε καὶ πενταχόρδου, ἢ κατὰ διάζευξιν δυεῖν τετραχόρδων τόνῳ
χωριζομένων ἀπ᾽ ἀλλήλων, ἀπὸ τῆς
βαρυτάτης ἡ προχώρησις ὑπάρξει, ὥστε τοὺς ἀπ᾽ ἀλλήλων πέμπτους πάντας φθόγγους τὴν διὰ πέντε
συμφωνεῖν ἀλλήλοις, τοῦ ἡμιτονίου
προβάδην [70] εἰς τέσσαρας χώρας μεταβαίνοντος, πρώτην, δευτέραν, τρίτην, τετάρτην. οὕτω
μὲν οὖν τὴν μουσικὴν εὑρεῖν λέγεται,
καὶ συστησάμενος αὐτὴν παρέδωκε τοῖς ὑπηκόοις ἐπὶ πάντα τὰ κάλλιστα. 27 (122) Ἐπαινεῖται δὲ πολλὰ καὶ τῶν κατὰ
τὰς πολιτείας πραχ- θέντων ὑπὸ τῶν
ἐκείνῳ πλησιασάντων. φασὶ γάρ, ἐμπεσούσης μέν ποτε παρὰ τοῖς Κροτωνιάταις ὁρμῆς
πολυτελεῖς ποιεῖσθαι τὰς ἐκφο- ρὰς
καὶ ταφάς, εἰπεῖν τινα πρὸς τὸν δῆμον ἐξ αὐτῶν, ὅτι Πυθαγόρου διεξιόντος ἀκούσειεν ὑπὲρ τῶν θεῶν, ὡς οἱ
μὲν Ὀλύμπιοι ταῖς τῶν θυόντων
διαθέσεσιν, οὐ τῷ τῶν θυομένων πλήθει προσέχουσιν, οἱ δὲ χθόνιοι τοὐναντίον, ὡς ἂν ἐλαττόνων
κληρονομοῦντες, τοῖς κομ- μοῖς καὶ
θρήνοις, ἔτι δὲ ταῖς συνεχέσι χοαῖς καὶ τοῖς ἐπιφορήμασι VITA DI PITAGORA 173 (120) E scopri in tal modo che, per una
certa necessità naturale, la
progressione dalla nota più grave a quella più acuta avviene secon- do questo genere diatonico. Egli infatti
espose, allora, il genere cro- matico
e quello enarmonico di seguito a partire da questo diatonico, come ci sarà possibile mostrare allorché
parleremo della musica. Ma in verità
questo genere diatonico indica che per natura i suoi gradi e le sue progressioni stanno in questo: un
semitono, poi un tono, poi ancora un
tono, e questo è l'accordo di quarta, cioè una combinazio- ne di due toni e di un cosiddetto
semitono. Aggiunto, poi, un altro
tono, cioè quello <che si chiama> “intercalato”, nasce l'accordo
di quinta, che è combinazione di tre
toni e di un semitono. Poi, di segui-
to a quest’ultimo accordo, un semitono e un tono e ancora un tono fanno nascere un altro accordo di quarta,
cioè un altro rapporto epi- trite.
Sicché, mentre nell’eptacordo più antico accadeva che tutte le note che stanno al quarto posto tra loro a
partire da quella più grave
producevano nel loro insieme un accordo di quarta, essendo il semi- tono collocato in progressione al primo
posto, al posto mediano e al terzo
posto, cosî come nel tetracordo, (121) invece nell’ottacordo pitagorico, sia in quello composto per
connessione di un tetracordo e un
pentacordo, sia in quello composto per disgiunzione da due tetra- cordi separati tra loro da un semitono,
l'avanzamento avrà inizio a partire
dalla corda più grave in modo che tutte le note che si trovano al quinto posto tra loro si accordano
insieme secondo un accordo di quinta,
essendo il semitono collocato in progressione in quattro posti, cioè al primo, al secondo, al terzo e al
quarto posto. Cosî dunque -- si
racconta — Pitagora scopri la musica, e dopo averla ridotta a sistema la insegnò ai suoi uditori per tutti i
loro migliori fini. 27 (122) Sono
elogiate molte azioni, anche quelle concernenti le città, compiute dai suoi discepoli. Si
racconta infatti che una volta,
quando i Crotoniati furono presi dall’impulso di celebrare
sfarzosa- mente funerali e sepolture,
uno dei discepoli di Pitagora disse al
popolo che aveva ascoltato Pitagora spiegare, a proposito degli
dèi, che gli dèi che abitano l'Olimpo
gradiscono le disposizioni d'animo di
coloro che sacrificano, senza badare alla quantità degli oggetti del sacrificio, mentre quelli che stanno negli
inferi fanno il contrario, per- ché,
poiché avrebbero ricevuto in sorte domini meno importanti, gra- 174 GIAMBLICO καὶ τοῖς μετὰ μεγάλης δαπάνης
évayi(123)opoîc χαίρουσι. ὅθεν διὰ
τὴν προαίρεσιν τῆς «τοιαύτης; ὑποδοχῆς Πλούτωνα καλεῖσθαι τὸν Ἅιδην, καὶ τοὺς μὲν ἀφελῶς αὐτὸν τιμῶντας
ἐᾶν κατὰ τὸν ἄνω κό- σμον χρονίους,
ἀπὸ δὲ τῶν ἐκκεχυμένως πρὸς τὰ πένθη διακειμένων ἀεί τινα κατάγειν ἕνεκα τοῦ τυγχάνειν τῶν
τιμῶν τῶν ἐπὶ τοῖς μνήμασι γινομένων.
ἐκ δὲ τῆς συμβουλίας ταύτης ὑπόληψιν
ἐμποιῆσαι τοῖς ἀκούουσιν, ὅτι μετριάζοντες μὲν ἐν τοῖς ἀτυχήμασι τὴν ἰδίαν σωτηρίαν διατηροῦσιν,
ὑπερβάλλοντες δὲ τοῖς ἀναλώμα- σιν
ἅπαντες πρὸ μοίρας καταστρέψουσιν. (124) ἕτερον δὲ διαιτητὴν γενόμενόν τινος ἀμαρτύρου πράγματος, χωρὶς
μεθ᾽ ἑκατέρου τῶν ἀντιδίκων ὁδῷ
προάγοντα, κατὰ μνῆμά τι στάντα φῆσαι τὸν ἐν τούτῳ κείμενον ἐπιεικῆ καθ᾽ ὑπερβολὴν γενέσθαι.
τῶν δὲ ἀντιδίκων τοῦ μὲν πολλὰ κἀγαθὰ
κατευξαμένου τῷ τετελευτηκότι, τοῦ δὲ εἰπό-
ντος᾽ [71] «μή τι οὖν αὐτῷ πλεῖόν ἐστι;» καταδοξάσαι, καὶ παρεσχῆσθαί τινα ῥοπὴν εἰς τὴν πίστιν τὸν
ἐγκωμιάσαντα τὴν καλο- καγαθίαν.
ἄλλον δὲ δίαιταν εἰληφότα μεγάλην, ἑκάτερον πείσαντα τῶν ἐπιτρεψάντων, τὸν μὲν ἀποτῖσαι τέσσαρα
τάλαντα, τὸν δὲ λαβεῖν δύο,
καταγνῶναι τρία, καὶ δόξαι δεδωκέναι τάλαντον ἑκατέρῳ. θεμένων δέ τινῶν ἐπὶ κακουργίᾳ
πρὸς γύναιον τῶν ἀγο- ραίων ἱμάτιον
καὶ διειπομένων μὴ διδόναι θατέρῳ μέχρις ἂν ἀμφό- τεροι παρῶσι, μετὰ δὲ ταῦτα
παραλογισαμένων, καὶ σύνεγγυς τοῦ
κοινῇ θεμένου λαβόντος θατέρου καὶ φήσαντος συγκεχωρηκέναι τὸν ἕτερον, εἶτα συκοφαντοῦντος ἑτέρου τοῦ
μὴ προσελθόντος καὶ τὴν ἐξ ἀρχῆς
ὁμολογίαν τοῖς ἄρχουσιν ἐμφανίζοντος, ἐκδεξάμενον τῶν Πυθαγορείων τινὰ φῆσαι τὰ συγκείμενα
τὴν ἄνθρωπον ποιή- σειν, ἂν ἀμφότεροι
παρῶσιν. (125) ἄλλων δέ τινων ἐν ἰσχυρᾷ μὲν
VITA DI PITAGORA 175 discono
lamentazioni e canti funebri, e ancora continue libagioni e banchetti funebri e offerte molto costose. (123) È questa la ragione per cui, a causa
della sua particolare pre- ferenza
nell’accettare offerte, l’Ade viene chiamato “Plutone” [sc. il ricco], e coloro che lo onorano in maniera
non sfarzosa egli li lascia vivere a
lungo nel mondo superiore [sc. sulla terra], mentre tra colo- ro che sono disposti a spendere senza
riserva per i loro funerali, egli
sempre fa discendere di sotto [sc. fa morire] qualcuno perché possa fruire delle onoranze che si fanno sui
sepolcri. Con questo discorso fatto a
mo’ di consiglio quel Pitagorico aveva voluto rendere edotti i suoi uditori che con la moderazione nelle
sventure si sarebbero assi- curata la
propria salvezza, mentre tutti quelli che eccedevano nelle spese avrebbero posto fine alla loro vita
prima del tempo predestina- to. (124) Un altro Pitagorico — si racconta —,
nominato arbitro di una lite che non
aveva testimoni, si recò in una strada con ciascuno dei due litiganti separatamente e, fermatosi
dinanzi a un sepolcro, disse che in
quel posto era sepolto un tale che era vissuto molto, ma molto onestamente. E poiché uno dei due
litiganti augurava molti beni al
morto, mentre l’altro diceva: “ma che cosa ci ha guadagnato?”,
allora quel Pitagorico si fece una
brutta idea di quest’ultimo e fu incline a
dare credito all’altro che aveva elogiato la rettitudine del morto.
Un altro Pitagorico, scelto come
arbitro in una lite molto importante,
dopo avere convinto ambedue i contendenti, l’uno a pagare quattro talenti, l’altro a prenderne solo due,
emise una sentenza a pagare tre
talenti, dando cosi l'impressione di avere regalato un talento a ciascu- no dei due. Una volta due uomini, con
intenzione fraudolenta, lascia- rono
in deposito ad una donna del mercato un mantello con la con- dizione che non lo riconsegnasse a nessuno
dei due prima che fosse- ro stati
ambedue presenti, dopo di che i due concepirono un ingan- no, e qualche tempo dopo uno dei due venne
a riprendersi ciò che era stato posto
in comune, dicendo che l’altro era d’accordo; in seguito quello che non era venuto sporse denuncia
contro la donna e produs- se davanti
ai magistrati l'accordo iniziale; allora un Pitagorico, che aveva ricevuto <l’incarico di
arbitro>, disse che la donna avrebbe
rispettato con l’uomo quanto concordato nel caso si fossero
presenta- ti entrambi. 176 GIAMBLICO φιλίᾳ πρὸς ἀλλήλους εἶναι δοκούντων, εἰς
σιωπωμένην δὲ ὑποψίαν διά τινα τῶν
κολακευόντων τὸν ἕτερον ἐμπεπτωκότων, ὃς εἴρηκε πρὸς αὐτὸν ὡς τῆς γυναικὸς ὑπὸ θατέρου
διεφθαρμένης, ἀπὸ τύχης εἰσελθόντα
τὸν Πυθαγόρειον εἰς χαλκεῖον, ἐπεὶ δείξας ἠκον- nuévnv μάχαιραν ὁ νομίζων ἀδικεῖσθαι τῷ
τεχνίτῃ προσέκοπτεν ὡς οὐχ ἱκανῶς
ἠκονηκότι, καθυπονοήσαντα ποιεῖσθαι τὴν παρα- σκευὴν αὐτὸν ἐπὶ τὸν διαβεβλημένον, «αὕτη
σοι» φῆσαι «τῶν ἄλλων ἐστὶν ἁπάντων
ὀξυτέρα, πλὴν διαβολῆς». καὶ τοῦτ᾽ εἴπαντα ποιῆσαι τὸν ἄνθρωπον ἐπιστῆσαι τὴν διάνοιαν καὶ μὴ
προπετῶς εἰς τὸν φίλον, (126) ὃς
ἔνδον ἦν προκεκλημένος, ἐξαμαρτεῖν. ἕτερον δέ, ξέ- νου τινὸς ἐκβεβληκότος ἐν ᾿Ασκληπιείῳ
ζώνην χρυσίον ἔχουσαν καὶ τῶν μὲν
νόμων τὸ πεσὸν ἐπὶ τὴν γῆν κωλυόντων ἀναιρεῖσθαι, τοῦ δὲ ξένου σχετλιάζοντος, κελεῦσαι τὸ
μὲν [72] χρυσίον ἐξελεῖν, ὃ μὴ
πέπτωκεν ἐπὶ τὴν γῆν, τὴν δὲ ζώνην ἐᾶν’ εἶναι γὰρ ταύτην ἐπὶ τῆς γῆς. καὶ τὸ μεταφερόμενον δὲ ὑπὸ τῶν
ἀγνοούντων εἰς τόπους ἑτέρους ἐν
Κρότωνι γενέσθαι λέγουσιν, ὅτι θέας οὔσης καὶ γεράνων ὑπὲρ τοῦ θεάτρου φερομένων,
εἰπόντος τινὸς τῶν καταπε- πλευκότων
πρὸς τὸν πλησίον καθήμενον᾽ «ὁρᾷς τοὺς μάρτυρας;» ἐπακούσας τις τῶν Πυθαγορείων ἤγαγεν
αὐτοὺς ἐπὶ τὸ τῶν χιλίων ἀρχεῖον,
ὑπολαβών, ὅπερ ἐλέγχοντες τοὺς παῖδας ἐξεῦρον, καταπε- ποντικέναι τινὰς τὰς ὑπὲρ τῆς νεὼς
πετομένας γεράνους μαρτυρο- μένους.
καὶ πρὸς ἀλλήλους δέ τινες, ὡς ἔοικε, διενεχθέντες, νεωστὶ πρὸς Πυθαγόραν παραβαλόντες, ὡς ὁ νεώτερος
προσελθὼν διελύε- το, φάσκων οὐ δεῖν
ἐφ᾽ ἕτερον ποιεῖσθαι τὴν ἀναφοράν, ἀλλ᾽ ἐν
αὑτοῖς ἐπιλαθέσθαι τῆς ὀργῆς, τὰ μὲν ἄλλα αὑτῷ φῆσαι τὸν ἀκούον- τα διαφερόντως ἀρέσκειν, αἰσχύνεσθαι δὲ
ἐπὶ τῷ πρεσβύτερος ὧν μὴ πρότερος
[ὧν] αὐτὸς προξελθεῖν. (127) *** καὶ
ταῦτα πρὸς ἐκεῖνον εἰπεῖν καὶ τὰ περὶ Φιντίαν καὶ Δάμωνα, περί τε Πλάτωνος καὶ ᾿Αρχύτου, καὶ
τὰ περὶ Κλεινίαν καὶ Πρῶρον. χωρὶς
τοίνυν τούτων Εὐβούλου τοῦ Μεσηνίου πλέοντος εἰς οἶκον καὶ ληφθέντος ὑπὸ Τυρρηνῶν καὶ
καταχθέντος εἰς VITA DI PITAGORA
177 (125) Essendo due altri uomini,
che apparivano essere in solida
amicizia tra loro, caduti in tacito sospetto perché un adulatore
aveva detto ad uno dei due che sua
moglie era stata sedotta dall'altro amico,
un Pitagorico, che per caso era giunto in una fucina si accorse che quello che si riteneva offeso stava
mostrando al fabbro una spada che gli
aveva affilata si, ma non abbastanza, supponendo che l’uomo si preparava <ad usare quella spada>
contro l’amico calunniato <dal-
l’adulatore>, disse: “è più aguzza di ogni altra cosa, tranne che
della calunnia”. E cosî dicendo
indusse quell’uomo ad essere più ragione-
vole e non si precipitasse a commettere l'errore «αἱ uccidere>
l’ami- co, che <nel frattempo>
era stato da lui invitato a recarsi a casa sua. (126) E ancora, avendo uno straniero
lasciato cadere a terra, nel tempio
di Asclepio, una cintura piena d’oro, e dato che le leggi impe- divano di raccattare le cose cadute a
terra <nei templi>,66 e quello
straniero si lamentava di tale divieto, un Pitagorico lo invitò a
raccat- tare l’oro perché non era
caduto a terra, e se mai abbandonare la cin-
tura perché questa sf era per terra. Si racconta anche un episodio
che ebbe luogo a Crotone, ma che da alcuni
viene spostato, per ignoran- za, in
altri luoghi: durante uno spettacolo si videro delle gru che sor- volavano il teatro, e allora qualcuno tra
quelli che erano tornati da un
viaggio per mare disse al suo vicino: “vedi i testimoni?”. Allora
un Pitagorico, che aveva inteso
quelle parole, li condusse davanti all’as-
semblea dei Mille, perché sospettava ciò che poi scoprirono quelli
che avrebbero sottoposto a
contraddittorio i loro schiavi, e cioè che ave- vano gettato in mare della gente mentre le
gru, volteggiando sopra la nave,
facevano da testimoni. E ancora, alcuni uomini che, a quanto pare, solo di recente si erano accostati a
Pitagora, entrarono in dispu- ta tra
loro, perché il piti giovane, che si era avvicinato all’altro per rap- pacificarsi, diceva che non bisognasse
fare ricorso ad altri come arbi- tro,
ma erano in grado di dimenticare da soli la loro collera, mentre l’altro che l’ascoltava diceva che era
particolarmente contento di tutto il
resto che quello gli aveva detto, ma che si vergognava del fatto che, essendo più anziano, non era stato lui a
prendere l’iniziativa per primo. (127) [/acuna]® e gli raccontò anche queste
cose sia su Finzia e Damone che su
Platone e Archita, e su Clinia e Proro. Ma a parte queste storie, c'è anche quella che concerne
Eubulo di Messene, che 178
GIAMBLICO Τυρρηνίαν, Ναυσίθοος ὁ
Tuppnvéc, Πυθαγόρειος ὦν, ἐπιγνοὺς
αὐτὸν ὅτι τῶν Πυθαγόρου μαθητῶν ἐστιν, ἀφελόμενος τοὺς λῃστὰς μετ᾽ ἀσφαλείας [73] (128) πολλῆς εἰς τὴν
Μεσήνην αὐτὸν κατέ- στησε.
Καρχηδονίων τε πλείους ἢ πεντακισχιλίους ἄνδρας, τοὺς παρ᾽ αὐτοῖς στρατευομένους, εἰς νῆσον
ἔρημον ἀποστέλλειν μελ- λόντων, ἰδὼν
ἐν τούτοις Μιλτιάδης ὁ Καρχηδόνιος Ποσιδῆν
᾿Αργεῖον, ἀμφότεροι τῶν Πυθαγορείων ὄντες, προσελθὼν αὐτῷ τὴν μὲν πρᾶξιν τὴν ἐσομένην οὐκ ἐδήλωσεν,
ἠξίου δ᾽ αὐτὸν εἰς τὴν ἰδί- αν
ἀποτρέχειν τὴν ταχίστην, καὶ παραπλεούσης νεὼς συνέστησεν αὐτὸν ἐφόδιον προσθεὶς καὶ τὸν ἄνδρα
διέσωσεν ἐκ τῶν κινδύνων, ὅλως δὲ
πάσας εἴ τις λέγοι τὰς γεγενημένας ὁμιλίας τοῖς Πυθαγορείοις πρὸς ἀλλήλους, ὑπεραίροι ἂν
τῷ μήκει τὸν ὄγκον καὶ τὸν καιρὸν τοῦ
συγγράμματος. (129) μέτειμι οὖν
μᾶλλον ἐπ᾽ ἐκεῖνα, ὡς ἦσαν ἔνιοι τῶν
Πυθαγορείων πολιτικοὶ καὶ ἀρχικοί. καὶ γὰρ νόμους ἐφύλαττον καὶ πόλεις Ἰταλικὰς διῴκησάν τινες, ἀποφαινόμενοι
μὲν καὶ συμβου- λεύοντες τὰ ἄριστα ὧν
ὑπελάμβανον, ἀπεχόμενοι δὲ δημοσίων προ-
σόδων. πολλῶν δὲ γιγνομένων κατ᾽ αὐτῶν διαβολῶν ὅμως ἐπεκράτει μέχρι τινὸς ἡ τῶν Πυθαγορείων καλοκαγαθία
καὶ ἡ τῶν πόλεων αὐτῶν βούλησις, ὥστε
ὑπ᾽ ἐκείνων οἰκονομεῖσθαι βούλεσθαι τὰ
περὶ τὰς πολιτείας. ἐν τούτῳ δὲ τῷ χρόνῳ δοκοῦσιν αἱ κάλλισται (130) τῶν πολιτειῶν ἐν Ἰταλίᾳ γενέσθαι καὶ
ἐν Σικελίᾳ. Χαρώνδας τε γὰρ ὁ
Καταναῖος, εἷς εἶναι δοκῶν τῶν ἀρίστων νομοθετῶν, Πυθαγόρειος ἦν, Ζάλευκός τε καὶ Τιμάρης οἱ
Λοκροί, ὀνομαστοὶ γεγενημένοι ἐπὶ
νομοθεσίᾳ, Πυθαγόρειοι ἦσαν, οἵ τε τὰς Ῥηγινι- κὰς πολιτείας συστήσαντες, τήν τε
γυμνασιαρχικὴν κληθεῖσαν καὶ τὴν ἐπὶ
Θεοκλέους ὀνομαζομένην, Πυθαγόρειοι λέγονται εἶναι, Φύτιός τε καὶ Θεοκλῆς [74] καὶ Ἑλικάων καὶ
᾿Αριστοκράτης᾽ διή- νεγκαν «δὲ»
ἐπιτηδεύμασί τε καὶ ἔθεσιν, οἷς καὶ αἱ ἐν ἐκείνοις τοῖς τόποις πόλεις κατ᾽ ἐκείνους τοὺς χρόνους
ἐχρήσαντο. ὅλως δὲ εὑρετὴν αὐτὸν
γενέσθαι φασὶ καὶ τῆς πολιτικῆς ὅλης
παιδείας, εἰπόντα μηδὲν εἰλικρινὲς εἶναι τῶν ὄντων πραγμάτων, ἀλλὰ μετέχειν καὶ γῆν πυρὸς καὶ πῦρ ὕδατος
καὶ πνεῦμα τούτων καὶ ταῦτα
πνεύματος, ἔτι καλὸν αἰσχροῦ καὶ δίκαιον ἀδίκου καὶ τάλλα VITA DI PITAGORA 179 navigando verso casa, fu preso dai Tirreni
e fatto sbarcare in Tirrenia, dove
Nausitoo il Tirreno, che era un Pitagorico, dopo averlo ricono- sciuto come uno degli allievi di Pitagora,
lo sottrasse ai pirati e con molta
cautela lo fece rientrare a Messene.
(128) Quando i Cartaginesi erano sul punto di spedire in un'isola deserta più di cinquantamila uomini, che
erano dei loro soldati, allo- ra
Milziade il Cartaginese, avendo visto che tra quelli c'era Posideo l’Argivo -- erano ambedue Pitagorici —,
gli si avvicinò e, senza rivelar- gli
ciò che stava per fare, gli disse che era opportuno che ritornasse al più presto a casa sua, e lo sistemò su una
nave che era di passaggio, dandogli
l'occorrente per il viaggio, e cosi salvò l’uomo dai pericoli. Insomma, se si dovessero raccontare tutte
le cure che i Pitagorici si sono
prese l'uno per l’altro, si andrebbe oltre la lunghezza e l’occasio- ne di questo scritto. (129) Ebbene, vado a parlare piuttosto di
queste altre cose, cioè del fatto che
alcuni Pitagorici furono uomini di stato e di governo. E infatti alcuni custodirono le leggi e
amministrarono delle città in Italia,
da un lato dichiarando e consigliando le cose che ritenevano migliori, dall’altro lato astenendosi dal
fruire di rendite pubbliche. E anche
se molte calunnie furono lanciate contro di loro, tuttavia pre- valsero per un certo tempo la rettitudine
dei Pitagorici e la volontà delle
città stesse, al punto che queste vollero che fossero loro ad amministrare tutto ciò che concerneva le
costituzioni. E in questo periodo di
tempo sembra che siano nate, in Italia e in Sicilia, le migliori costituzioni. (130) E infatti Caronda di Catania, che
sembra essere stato uno dei migliori
legislatori, era Pitagorico, ed erano Pitagorici Zaleuco e Timare ambedue di Locri, che furono famosi
per la loro attività legi- slativa, e
si dice che fossero Pitagorici anche i redattori delle costitu- zioni di Reggio, sia quella che fu
chiamata “ginnasiarchica” sia quella
che prese il nome da Teocle, e cioè Fizio e Teocle ed Elicaone e Aristocrate; costoro si distinsero per le
loro occupazioni e i loro costumi, di
cui fruirono anche le città che in quei tempi erano in quei luoghi.
In generale si dice che Pitagora sia stato l’inventore anche
dell’in- tera educazione politica, e
uno che diceva che nessuna delle cose esi-
stenti è genuina, ché, al contrario, la terra partecipa del fuoco e
il 180 GIAMBLICO κατὰ λόγον τούτοις (ἐκ δὲ ταύτης τῆς
ὑποθέσεως λαβεῖν τὸν λόγον τὴν εἰς
ἑκάτερον μέρος ὁρμήν: δύο δὲ εἶναι κινήσεις καὶ τοῦ σώμα- τος καὶ τῆς ψυχῆς, τὴν μὲν ἄλογον, τὴν δὲ
προαιϊιρετικήν), πολιτειῶν δὲ γραμμάς
τινας τοιάσδε τρεῖς συστησάμενον, τοῖς ἄκροις ἀλλήλων συμψαυούσας, μίαν ὀρθὴν γωνίαν
ποιούσας, τὴν μὲν ἐπί- Tpitov φύσιν
ἔχουσαν, τὴν δὲ πέντε τοιαῦτα δυναμένην, τὴν δὲ τούτων ἀμφοτέρων ἀνὰ μέσον. (131)
λογιζομένων δ᾽ ἡμῶν τάς τε τῶν
γραμμῶν πρὸς ἀλλήλας συμπτώσεις καὶ τὰς τῶν χωρίων τῶν ἀπὸ τούτων, βελτίστην ὑποτυποῦσθαι πολιτείας
εἰκόνα. σφετερίσασθαι δὲ τὴν δόξαν
Πλάτωνα, λέγοντα φανερῶς ἐν τῇ Πολιτείᾳ τὸν ἐπίτρι- τον ἐκεῖνον πυθμένα τὸν τῇ πεμπάδι
συζευγνύμενον καὶ τὰς δύο παρεχόμενον
ἁρμονίας. ἀσκῆσαι δέ φασιν αὐτὸν καὶ τὰς μετριοπα- θείας καὶ τὰς μεσότητας καὶ τὸ σύν τινι
προηγουμένῳ τῶν ἀγαθῶν ἕκαστον
εὐδαίμονα ποιεῖν τὸν βίον, καὶ συλλήβδην προσευρεῖν τὴν αἴρεσιν τῶν ἡμετέρων ἀγαθῶν καὶ
προσηκόντων ἔργων. (132) ἀπαλλάξαι δὲ
λέγεται τοὺς Κροτωνιάτας καὶ τῶν παλλα-
κίδων καὶ καθόλου τῆς πρὸς τὰς ἀνεγγύους γυναῖκας [75] ὁμιλίας. πρὸς Δεινὼ γὰρ τὴν Βροντίνου γυναῖκα, τῶν
Πυθαγορείων ἑνός, οὖσαν σοφήν τε καὶ
περιττὴν τὴν ψυχήν, ἧς ἐστὶ καὶ τὸ καλὸν καὶ
περίβλεπτον ῥῆμα, τὸ τὴν γυναῖκα δεῖν θύειν αὐθημερὸν ἀνιστα- μένην ἀπὸ τοῦ ἑαυτῆς ἀνδρός, ὅ τινες εἰς
Θεανὼ ἀναφέρουσι, πρὸς δὴ ταύτην
παρελθούσας τὰς τῶν Κροτωνιατῶν γυναῖκας παρακαλέ- σαι περὶ τοῦ συμπεῖσαι τὸν Πυθαγόραν
διαλεχθῆναι περὶ τῆς πρὸς αὐτὰς
σωφροσύνης τοῖς ἀνδράσιν αὐτῶν. ὃ δὴ καὶ συμβῆναι, καὶ τῆς γυναικὸς ἐπαγγειλαμένης καὶ τοῦ Πυθαγόρου
διαλεχθέντος καὶ τῶν Κροτωνιατῶν
πεισθέντων ἀναιρεθῆναι παντάπασι τὴν τότε ἐπι- πολάζουσαν ἀκο(]! 33)λασίαν. ἔτι φασὶ Πυθαγόραν,
ἀφικομένων εἰς τὴν πόλιν τῶν
Κροτωνιατῶν ἐκ τῆς Συβάριδος πρεσβευτῶν ἐπὶ τὴν ἐξαίτησιν τῶν φυγάδων, θεασάμενόν τινα τῶν
πρέσβεων αὐτόχειρα γεγενημένον τῶν
αὐτοῦ φίλων, μηδὲν ἀποκρίνασθαι αὐτῷ. ἐπερομέ- VITA DI PITAGORA 181 fuoco dell’acqua e l’aria di ambedue
quegli elementi e questi dell’aria, e
ancora il bello partecipa del brutto e il giusto dell’ingiusto e tutto il resto di ambedue in proporzione (da questa
ipotesi egli <arguiva> che la
ragione si muove nell’un senso e nell’altro}; diceva poi che ci sono due tipi di movimento, quello del
corpo e quello dell'anima, il primo
irrazionale, il secondo decisionale);68 si dice anche che Pitagora abbia fissato, per le costituzioni politiche,
tre linee tali da intersecar- si tra
loro, agli estremi, si da formare un solo angolo retto: la prima linea aveva un rapporto epitrite, la
seconda misurava cinque (che elevato
al quadrato equivaleva ai quadrati delle altre due),70 la terza, infine, era di misura intermedia tra le
prime due.?! (131) Se noi calcoliamo
sia le linee che si incontrano tra loro <agli angoli>, sia le superfici a cui danno
luogo <se elevate al quadrato>, si
vede disegnata la migliore immagine di costituzione politica. Si
dice che Platone abbia usurpato
questa opinione quando dice chiaramen-
te nella Repubblica che quella base epitrite, combinata con il cinque, forniva due armonie. E si dice anche che
Platone si sia esercitato nella
moderazione delle passioni e nella dottrina delle proporzioni e nel far si che ciascuno renda la propria vita
felice in concomitanza con un bene
essenziale, e, in breve, abbia scoperto il criterio di scelta dei nostri beni e delle nostre opere.
(132) Si dice poi che Pitagora abbia indotto i Crotoniati ad allon- tanarsi sia dalle loro concubine, sia, in
generale, da ogni rapporto
<illegittimo> con le donne. È infatti a Dinone, moglie di
Brontino, uno dei Pitagorici, e donna
sapiente e di anima eccezionale, che viene
riferito questo bello e celebre detto (che alcuni riferiscono invece
a Teano): “La donna deve sacrificare
lo stesso giorno in cui ha finito di
fare l’amore con suo marito”,72 a lei appunto si erano rivolte le
mogli di Crotone scongiurandola di
unirsi a loro per far sî che Pitagora
discutesse intorno alla temperanza?? che i loro mariti dovevano prati- care nei loro confronti. E in effetti
quello che chiedevano accadde: dopo
che Pitagora, su invito della donna [sc. Dinone], ebbe fatto il suo discorso, i Crotoniati si persuasero
di abbandonare del tutto, da quel
momento, l’intemperanza che in quel tempo era diffusa. (133) Ancora, si dice che Pitagora, quando
giunsero nella città di Crotone degli
ambasciatori da Sibari per chiedere la consegna dei profughi, vedendo che uno degli
ambasciatori era stato diretto assas-
182 GIAMBLICO νου δὲ τοῦ
ἀνθρώπου καὶ βουλομένου τῆς ὁμιλίας αὐτοῦ μετέχειν, εἰπεῖν ὡς οὐ θεμιστεύοι τοῖς «τοιούτοις»
ἀνθρώποις' ὅθεν δὴ καὶ παρά τισιν
᾿Απόλλωνα νομισθῆναι αὐτόν. ταῦτα δὴ πάντα καὶ ὅσα μικρὸν ἔμπροσθεν εἰρήκαμεν περὶ τῆς τῶν
τυράννων καταλύσεως καὶ τῆς τῶν
πόλεων ἐλευθερώσεως τῶν ἐν Ἰταλίᾳ τε καὶ Σικελίᾳ καὶ ἄλλων πλειόνων δείγματα ποιησώμεθα τῆς
εἰς τὰ πολιτικὰ ἀγα- θὰ ὠφελείας
αὐτοῦ, ἣν συνεβάλλετο τοῖς ἀνθρώποις.
28 (134) Τὸ δὴ μετὰ τοῦτο μηκέθ᾽ οὑτωσὶ κοινῶς, ἀλλὰ καὶ κατ᾽ ἰδίαν ἀποτεμόμενοι τὰ τῶν ἀρετῶν ἔργα
αὐτοῦ τῷ λόγῳ κοσμήσωμεν. ἀρξώμεθα δὲ
πρῶτον ἀπὸ θεῶν, ὥσπερ καὶ νομίζεται,
τήν τε ὁσιότητα αὐτοῦ πειραθῶμεν ἐπιδεῖξαι [76] καὶ τὰ ἀπ᾽ αὐτῆς θαυμαστὰ ἔργα ἐπιδείξωμεν ἑαυτοῖς καὶ τῷ
λόγῳ κοσμήσωμεν. ἕν μὲν οὖν δεῖγμα
αὐτῆς ἐκεῖνο ἔστω, οὗ καὶ πρότερον ἐμνημονεύσα- μεν, ὅτι δὴ ἐγίνωσκε τὴν ἑαυτοῦ ψυχήν, τίς
ἦν καὶ πόθεν εἰς τὸ σῶμα εἰσεληλύθει,
τούς τε προτέρους αὐτῆς βίους, καὶ τούτων πρό- δηλα τεκμήρια παρεῖχε. μετὰ τοῦτο τοίνυν
ἐκεῖνο. Νέσσον ποτὲ τὸν ποταμὸν σὺν
πολλοῖς τῶν ἑταίρων διαβαίνων προσεῖπε τῇ φωνῇ, καὶ ὁ ποταμὸς γεγωνόν τι καὶ τρανὸν ἀπεφθέγξατο
πάντων ἀκουόντων" «χαῖρε, Πυθαγόρα».
ἔτι μιᾷ καὶ τῇ αὐτῇ ἡμέρᾳ ἔν τε Μεταποντίῳ
τῆς Ἰταλίας καὶ ἐν Ταυρομενίῳ τῆς Σικελίας συγγεγονέναι καὶ διειλέχθαι κοινῇ τοῖς ἑκατέρωθι ἑταίροις
αὐτὸν διαβεβαιοῦνται σχεδὸν ἅπαντες,
σταδίων ἐν μεσαιχμίῳ παμπόλλων καὶ κατὰ γῆν
καὶ κατὰ θάλατταν ὑπαρχόντων, οὐδ᾽ ἡμέραις ἀνυσίμων πάνυ (135) πολλαῖς. τὸ μὲν γὰρ ὅτι τὸν μηρὸν χρύσεον
ἐπέδειξεν ᾿Αβάριδι τῷ Ὑπερβορέῳ,
εἰκάσαντι αὐτὸν ᾿Απόλλωνα εἶναι τὸν «ἐν» Ὑπερ- βορέοις, οὗπερ ἦν ἱερεὺς ὁ Αβαρις,
βεβαιοῦντα ὡς τοῦτο ἀληθὲς ὑπολαμβάνοι
καὶ οὐ διαψεύδοιτο, καὶ πάνυ τεθρύλληται. καὶ μυρι- ‘a ἕτερα τούτων θειότερα καὶ θαυμαστότερα
περὶ τἀνδρὸς ὁμαλῶς καὶ συμφώνως
ἱστορεῖται, προρρήσεις τε σεισμῶν ἀπαράβατοι καὶ λοιμῶν ἀποτροπαὶ σὺν τάχει καὶ ἀνέμων
βιαίων χαλαζῶν τε χύσεως παραυτίκα
κατευνήσεις καὶ κυμάτων ποταμίων τε καὶ θαλασσίων VITA DI PITAGORA 183 sino di uno dei suoi amici, si rifiutò di
dargli risposta. Ma poiché quel-
l’uomo insisteva nella sua richiesta e voleva ottenere udienza da Pitagora, questi disse che ad uomini di
quel genere “non avrebbe dato
responsi”; da qui alcuni ricavarono l’idea che egli fosse Apollo.
Tutto questo e tutto il resto che
abbiamo detto poco prima intorno alla cac-
ciata dei tiranni e alla liberazione di molte città sia in Italia che
in Sicilia e in molte altre regioni,
dobbiamo considerarli indizi dei bene-
fici con i quali egli contribuiva al benessere degli uomini nella
vita pubblica. 28 (134) Dopo di che noi dobbiamo cercare
di organizzare il nostro discorso
sulle opere virtuose di Pitagora, non prendendole cosi in generale, bensi dividendole virtù
per virtù. E dobbiamo cominciare
anzitutto dagli dèi, come si fa di solito, e dobbiamo cerca- re di mostrare la sua santità e spiegare a
noi stessi, anche organizzan- dole
nel discorso, come da questa provengono le sue opere prodigio- se. Ebbene, un segno della sua santità sia
quello di cui si è fatta men- zione
anche prima, e cioè il fatto che Pitagora conosceva la sua pro- pria anima, qual era la sua natura e da
dove era venuta nel suo corpo, e le
sue vite precedenti, e di tutto ciò egli presentava delle prove evi- denti. Dopo di questo c’è in verità un
altro indizio: una volta, mentre
attraversava il fiume Nesso assieme a molti suoi compagni, rivolse la parola al fiume e questo gli rispose con
voce alta e chiara, come tutti
poterono ascoltare: “Salve, o Pitagora”. Ancora, in una sola e mede- sima giornata egli si trovò
contemporaneamente a Metaponto in Italia
e a Taormina in Sicilia, e discusse in pubblico con i suoi compagni nell’un posto e nell’altro (quasi tutti
gli storici lo hanno confermato), pur
essendoci tra le due città una distanza di moltissimi stadi sia per terra che per mare, per coprire la quale
occorrono molti giorni. (135) Che
infatti Pitagora abbia mostrato la sua coscia d’oro ad Abari l’Iperboreo, al quale apparve come
l’Apollo degli Iperborei, dove Abari
era sacerdote, e che abbia fatto ciò per assicurare Abari che la sua impressione era la verità e non
una menzogna, è storia molto diffusa.
E se ne raccontano concordemente migliaia di altre di queste storie, e di più divine e
prodigiose, su Pitagora, e si racconta
anche che egli abbia predetto in modo infallibile terremoti e abbia scongiurato rapidamente pestilenze e
calmato venti impetuosi e 184
GIAMBLICO ἀπευδιασμοὶ πρὸς εὐμαρῆ τῶν
ἑταίρων διάβασιν. dv μεταλαβόντας
Ἐμπεδοκλέα τε τὸν ᾿Ακραγαντῖνον καὶ ᾿Επιμενίδην τὸν Κρῆτα καὶ Ἄβαριν τὸν Ὑπερβόρειον πολ[77](13δ)λαχῇ
καὶ αὐτοὺς τοιαῦτά τινα
ἐπιτετελεκέναι. δῆλα δ᾽ αὐτῶν τὰ ποιήματα ὑπάρχει, ἄλλως τε καὶ ἀλεξανέμας μὲν ὃν τὸ ἐπώνυμον
Ἐμπεδοκλέους, καθαρτὴς δὲ τὸ
Ἐπιμενίδου, αἰθροβάτης δὲ τὸ ᾿Αβάριδος, ὅτι ἄρα ὀιστῷ τοῦ ἐν Ὑπερβορέοις ᾿Απόλλωνος δωρηθέντι αὐτῷ
ἐποχούμενος ποταμούς te καὶ πελάγη
καὶ τὰ ἀβατα διέβαινεν, ἀεροβατῶν τρόπον τινά, ὅπερ ὑπενόησαν καὶ Πυθαγόραν τινὲς
πεπονθέναι τότε, ἡνίκα καὶ ἐν
Μεταποντίῳ καὶ ἐν Ταυρομενίῳ τοῖς ἑκατέρωθι ἑταίροις ὡμίλησε τῇ αὐτῇ ἡμέρᾳ. λέγεται δ᾽ ὅτι καὶ
σεισμὸν ἐσόμενον ἀπὸ φρέατος, οὗ
ἐγεύσατο, προηγόρευσε, καὶ περὶ νεὼς οὐριοδρο- μούσης, ὅτι καταπον(137)τισθήσεται. καὶ
ταῦτα μὲν ἔστω τεκμήρια τῆς εὐσεβείας
αὐτοῦ. βούλομαι δὲ ἄνωθεν τὰς ἀρχὰς ὑποδεῖξαι τῆς τῶν θεῶν θρησκείας, ἃς προεστήσατο
Πυθαγόρας τε καὶ οἱ ἀπ᾽ αὖ- τοῦ
ἄνδρες. ἅπαντα ὅσα περὶ τοῦ πράττειν
ἢ μὴ πράττειν διορίζουσιν ἐστό-
χασται τῆς πρὸς τὸ θεῖον ὁμολογίας, καὶ ἀρχὴ αὕτη ἐστὶ καὶ βίος ἅπας συντέτακται πρὸς τὸ ἀκολουθεῖν τῷ
θεῷ, καὶ ὁ λόγος οὗτος ταύτης ἐστὶ
τῆς φιλοσοφίας, ὅτι γελοῖον ποιοῦσιν ἄνθρωποι ἄλλο- θέν ποθεν ζητοῦντες τὸ εὖ ἢ παρὰ τῶν θεῶν,
καὶ ὅμοιον ὥσπερ ἂν εἴ τις ἐν
βασιλευομένῃ χώρᾳ τῶν πολιτῶν τινὰ ὕπαρχον θεραπεύσῃ, ἀμελήσας αὐτοῦ τοῦ πάντων ἄρχοντος καὶ
βασιλεύοντος" τοιοῦτον γὰρ
οἴονται ποιεῖν καὶ τοὺς ἀνθρώπους. ἐπεὶ γὰρ ἔστι τε θεὸς καὶ οὗτος πάντων κύριος, δεῖν δὲ
ὡμολόγη[78]ται παρὰ τοῦ κυρίου τάἀ-
γαθὸν αἰτεῖν, πάντες τε, οὺὗς μὲν ἂν φιλῶσι καὶ οἷς ἂν χαίρωσι,
τού- τοις διδόασι τἀγαθά, πρὸς δὲ οὺς
ἐναντίως ἔχουσι, τἀναντία, δῆλον ὅτι
ταῦτα (138) πρακτέον, οἷς τυγχάνει ὁ θεὸς χαίρων. ταῦτα δὲ οὐ ῥάδιον εἰδέναι, ἂν μή τις ἢ θεοῦ ἀκηκοότος
ἢ θεοῦ ἀκούσῃ ἢ διὰ τέχνης θείας
πορίζηται. διὸ καὶ περὶ τὴν μαντικὴν σπουδάζουσι᾽ μόνη γὰρ αὕτη ἑρμηνεία τῆς παρὰ τῶν θεῶν
διανοίας ἐστί. καὶ ὁμῶς VITA DI
PITAGORA 185 improvvise grandinate e
rasserenato ondate di fiumi e di mari per
consentire ai suoi compagni un attraversamento più agevole. Poiché godevano di tali poteri anche Empedocle di
Agrigento ed Epimenide di Creta e
Abari l’Iperboreo, si racconta che anch’essi hanno spesso compiuto prodigi del genere. (136) Ne sono evidenti testimonianze le
loro poesie, e lo sono del resto
anche il soprannome di Empedocle “colui che allontana i venti”, e quello di Epimenide “purificatore”, e di
Abari “colui che cammina nell'aria”,
perché appunto, trasportato da una freccia regalatagli da Apollo Iperboreo, era capace di
attraversare fiumi e mari e luoghi
inaccessibili, in un certo qual modo come se viaggiasse per aria,
cosa che avrebbe avuto il potere di
fare anche Pitagora — pensano alcuni --
allorché nello stesso giorno conversò con i suoi compagni in
ambedue le città, Metaponto e
Taormina. Si racconta anche che Pitagora abbia predetto, a partire da un pozzo da cui
aveva attinto dell’acqua, che si
sarebbe verificato un terremoto,74 e che, di una nave che correva col favore del vento, predisse che sarebbe
affondata. (137) E siano queste le prove della sua
pietà. Ma io voglio mostra- re,
partendo dall’alto, i principi che Pitagora e i suoi uomini si prefis- sero per la venerazione degli dèi.
Tutto ciò che i Pitagorici stabiliscono a proposito del fare o non fare mira all'accordo con il divino, ed è
questo il principio <delle loro
azioni> e anche l’intera loro vita è coordinata per seguire dio, ed
è questa la ragione di tale
filosofia, perché gli uomini fanno ridere
quando cercano la fonte del loro benessere in altro che presso gli
dèi, e si comportano come se uno,
trovandosi in un territorio governato
da un re, venerasse qualcuno dei suoi concittadini, senza
preoccupar- si di chi ha per se
stesso autorità e sovranità su tutti; perché gli uomi- ni — pensano i Pitagorici — fanno qualcosa
del genere. Poiché infatti esiste un
dio che è signore di tutto, e da questo segue che occorre chiedere a lui il bene, perché tutti sono
benèfici con coloro che essi amano e
di cui si compiacciono, mentre si comportano in modo con- trario con coloro verso cui hanno
sentimenti contrari, allora risulta
evidente che bisogna fare le cose di cui il dio si compiace. (138) Queste cose però non è facile
conoscerle, a meno che si ascolti uno
che abbia ascoltato dio o <direttamente> dio, o se ne abbia un’acquisizione attraverso un’arte
divina. Ed è per questo che i 186
GIAMBLICO δὲ τὴν αὐτῶν πραγματείαν
ἀξίαν «ἄν» τῳ δόξειεν εἶναι τῷ οἰομένῳ
θεοὺς εἶναι, τοῖς δ᾽ εὐήθειαν θάτερον τούτων καὶ ἀμφότερα. ἔστι δὲ καὶ τῶν ἀποταγμάτων τὰ πολλὰ ἐκ τελετῶν
εἰσενηνεγμένα, διὰ τὸ οἴεσθαί τι
εἶναι αὐτοὺς τὰ τοιαῦτα καὶ μὴ νομίζειν ἀλαζονείαν, ἀλλ᾽ ἀπό τινος θεοῦ ἔχειν τὴν ἀρχήν. καὶ
τοῦτό γε πάντες οἱ Πυθαγόρειοι ὁμῶς
ἔχουσι πιστευτικῶς, οἷον περὶ ᾿Αριστέου τοῦ
Προκοννησίου καὶ ᾿Αβάριδος τοῦ Ὑπερβορέου τὰ μυθολογούμενα καὶ ὅσα ἄλλα τοιαῦτα λέγεται. πᾶσι γὰρ
πιστεύουσι τοῖς τοιούτοις, πολλὰ δὲ
καὶ αὐτοὶ πειρῶνται, τῶν τοιούτων δέ, τῶν δοκούντων μυθικῶν, ἀπομνημονεύουσιν ὡς οὐδὲν
ἀπιστοῦντες ὅ τι ἂν εἰς τὸ (139)
θεῖον ἀνάγηται. ἔφη γοῦν Εὔρυτόν τις λέγειν ὅτι φαίη ποιμὴν ἀκοῦσαί τινος ἄδοντος, νέμων ἐπὶ τῷ τάφῳ
τοῦ Φιλολάου, καὶ τὸν οὐθὲν
ἀπιστῆσαι, ἀλλ᾽ ἐρέσθαι τίνα ἁρμονίαν. ἦσαν δὲ οὗτοι ἀμφό- τεροι Πυθαγόρειοι, καὶ μαθητὴς Εὔρυτος
Φιλολάου. φασὶ δὲ καὶ τῷ Πυθαγόρᾳ
τινά ποτε λέγειν ὅτι δοκοίη ποτὲ ἐν τῷ ὕπνῳ τῷ πατρὶ διαλέγεσθαι τεθνεῶτι καὶ ἐπερέσθαι: «τίνος
τοῦτο [τὸ] ση[79]μεῖον;» τὸν δ᾽
οὐθενὸς φάναι, ἀλλ᾽ ὡς διελέγετο αὐτῷ
ἀληθῶς: «ὥσπερ οὖν οὐδὲ τὸ ἐμοὶ νῦν σε διαλέγεσθαι σημαίνει οὐ- θέν, οὕτως οὐδὲ ἐκεῖνο». ὥστε πρὸς πάντα
τὰ τοιαῦτα οὐχὶ αὑτοὺς εὐήθεις
νομίζουσιν, ἀλλὰ τοὺς ἀπιστοῦντας" οὐ γὰρ εἶναι τὰ μὲν δυνατὰ τῷ θεῷ, τὰ δὲ ἀδύνατα, ὥσπερ
οἴεσθαι τοὺς σοφιζομένους, ἀλλὰ πάντα
δυνατά. καὶ ἡ ἀρχὴ ἡ αὐτή ἐστι τῶν ἐπῶν, ἃ ἐκεῖνοί φασι μὲν εἶναι Λίνου, ἔστι μέντοι ἴσως
ἐκείνων: ἔλπεσθαι χρὴ πάντ᾽, ἐπεὶ οὐκ
ἔστ᾽ οὐδὲν ἄελπτον" ῥάδια πάντα θεῷ τελέσαι, καὶ ἀνήνυτον οὐδέν. (140) τὴν δὲ πίστιν τῶν
παρ᾽ αὐτοῖς ὑπολήψεων ἡγοῦνται εἶναι
ταύτην, ὅτι ἦν ὁ πρῶτος εἰπὼν αὐτὰ οὐχ ὁ τυχών,
ἀλλ᾽ ὁ θεός. καὶ ἕν τοῦτο τῶν ἀκουσμάτων ἐστί᾽ «τίς εἶ, Πυθαγόρα;» VITA DI PITAGORA 187 Pitagorici si occupano scientificamente
anche della mantica, perché questa è
l’unica arte che sa interpretare autenticamente i pensieri?5 ispirati dagli dèi. E tuttavia la loro
dottrina della mantica apparirà degna
di considerazione a chi crede nell’esistenza degli dèi, mentre altri considereranno una scempiaggine una
delle due cose [sc. la man- tica ο la
credenza negli dèi] o ambedue. E anche la maggior parte delle loro interdizioni sono nate da
iniziazioni, per il fatto che essi cre-
devano che queste ultime sono qualcosa di concreto e non le ritene- vano delle imposture, ma cose che
provengono da qualche dio. E
nondimeno tutti i Pitagorici prestavano fede a racconti del genere
di quello relativo ad Aristeo di
Proconneso o di Abari l'Iperboreo e a
tutti i racconti del genere. Essi infatti credono a tutti i racconti di
que- sto genere, ed essi stessi di
molti cercano di farne esperienza, ma di
quei racconti che si presentano come dei miti, essi ne conservano memoria come se non dubitassero di niente
che sia qualcosa che si possa fare
risalire al divino.76 (139) Si
racconta per esempio che Eurito diceva che un pastore gli avrebbe detto di avere ascoltato, mentre
pascolava sulla tomba di Filolao, un
tale che cantava, e di non avere dubitato di nulla di ciò che cantava, ma gli avrebbe chiesto in quale
armonia cantasse. Erano ambedue
Pitagorici, ed Eurito era stato allievo di Filolao. Si racconta anche che una volta un tale avesse detto a
Pitagora che un giorno gli era
sembrato, in sogno, di avere parlato col padre che era già morto, e avesse chiesto a Pitagora: “che cosa
significa questo?”, e quello gli
avrebbe risposto che non significava nient'altro se non che avesse par- lato veramente a suo padre. “Cosi come,
dunque — diceva Pitagora --, non
significa niente se tu parli adesso con me, allo stesso modo anche quel sogno non significa niente”. Sicché i
Pitagorici, in casi del gene- re, non
credevano affatto di essere loro gli sciocchi, bensi coloro che non ci credevano, perché non esistono per
il dio cose possibili e cose
impossibili, ma ogni cosa è possibile. Ed è questo l’inizio dei versi
che i Pitagorici attribuiscono a
Lino, ma di cui sono forse loro i veri auto-
τί; “Bisogna sperare in tutto, poiché non c’è nulla di cui
disperare; tutto è facile a dio
realizzare, e non c’è nulla che egli non possa com- piere”.
(140) L’affidabilità delle loro supposizioni essi ritengono che
con- sista in questo, nel fatto cioè
che non è stato un uomo qualsiasi a dire
188 GIAMBLICO φασὶ γὰρ εἶναι
᾿Απόλλωνα Ὑπερβόρεον: τούτου δὲ τεκμήρια
ἔχεσθαι ὅτι ἐν τῷ ἀγῶνι ἐξανιστάμενος τὸν μηρὸν παρέφηνε χρυ- σοῦν καὶ ὅτι Ἅβαριν τὸν Ὑπερβόρεον εἱστία
καὶ τὴν ὀϊστὸν αὐτοῦ ἀφείλετο, ἣ
ἐκυβερνᾶτο. (141) λέγεται δὲ ὁ Ἄβαρις ἐλθεῖν ἐξ Ὑπερβορέων, ἀγείρων χρυσὸν εἰς τὸν νεὼν
καὶ προλέγων λοιμόν. κατέλυε δὲ ἐν
τοῖς ἱεροῖς, καὶ οὔτε πίνων οὔτε ἐσθίων ὥφθη ποτὲ οὐθέν. λέγεται δὲ καὶ ἐν Λακεδαιμονίοις
θῦσαι τὰ κωλυτήρια, καὶ διὰ τοῦτο
οὐδεπώποτε ὕστερον ἐν Λακεδαίμονι λοιμὸν γενέσθαι. τοῦτον οὖν τὸν Ἄβαριν παρελόμενος ἣν εἶχεν
ὀιστὸν χρυσῆν, ἧς ἄνευ οὐχ οἷός τ᾽ ἦν
τὰς ὁδοὺς ἐξευρί[80](142)σκειν, ὁμολογοῦντα
ἐποίησε. καὶ ἐν Μεταποντίῳ, εὐξαμένων τινῶν γενέσθαι αὐτοῖς τὰ ἐν τῷ προσπλέοντι πλοίῳ, «νεκρὸς τοίνυν ἂν
ὑμῖν» ἔφη, καὶ ἐφάνη νεκρὸν ἄγον τὸ
πλοῖον. καὶ ἐν Συβάρει τὸν ὄφιν τὸν ἀποκτείναντα τὸν δασὺν ἔλαβε καὶ ἀπεπέμψατο, ὁμοίως δὲ
καὶ τὸν ἐν Τυρρηνίᾳ τὸν μικρὸν ὄφιν,
ὃς ἀπέκτεινε δάκνων. ἐν Κρότωνι δὲ τὸν ἀετὸν τὸν λευκὸν κατέψησεν ὑπομείναντα, ὥς φασι.
βουλομένου δέ τινος ἀκούειν οὐκ ἔφη
πω λέξειν πρὶν ἢ σημεῖόν τι φανῇ, καὶ μετὰ ταῦτα ἐγένετο ἐν Καυλωνίᾳ ἡ λευκὴ ἄρκτος. καὶ
πρὸς τὸν μέλλοντα ἐξαγ- γέλλειν αὐτῷ
(143) τὸν τοῦ υἱοῦ θάνατον προεῖπεν αὐτός. καὶ Μυλλίαν τὸν Κροτωνιάτην ἀνέμνησεν, ὅτι ἦν
Μίδας ὁ Γορδίου, καὶ ᾧχετο ὁ Μυλλίας
εἰς τὴν ἤπειρον, ποιήσων ὅσα ἐπὶ τῷ τάφῳ ἐκέλευ- σε. λέγουσι δὲ καὶ ὅτι τὴν οἰκίαν αὐτοῦ ὁ
πριάμενος καὶ ἀνορύξας, ἃ μὲν εἶδεν
οὐδενὶ ἐτόλμησεν εἰπεῖν, ἀντὶ δὲ τῆς ἁμαρτίας ταύτης ἐν Κρότωνι ἱεροσυλῶν ἐλήφθη καὶ ἀπέθανε᾽
τὸ γὰρ γένειον ἀποπε- σὸν τοῦ
ἀγάλματος τὸ χρυσοῦν ἐφωράθη λαβών. ταῦτά τε οὖν λέγου- σι πρὸς πίστιν καὶ ἄλλα τοιαῦτα. ὡς δὲ
τούτων τε ὁμολογουμένων καὶ ἀδυνάτου
ὄντος περὶ ἄνθρωπον ἕνα ταῦτα συμβῆναι, ἤδη
οἴονται σαφὲς εἶναι ὅτι ὡς παρὰ κρείττονος ἀποδέχεσθαι χρὴ τὰ VITA DI PITAGORA 189 quelle cose per primo, bensi lo stesso
dio. Ed ecco uno di questi loro
detti: “Chi sei, o Pitagora?”. Ebbene, essi dicono che è Apollo Iperboreo; e di ciò danno come prova il
fatto che Pitagora, durante i giochi,
nell’alzarsi fece vedere la coscia d’oro, nonché il fatto che ospi- τὸ in casa sua Abari l’Iperboreo e gli
tolse la freccia che era la sua
guida.?? (141) Si racconta che
Abari fosse giunto dagli Iperborei, e andas-
se raccogliendo oro per il tempio e predicendo pestilenze. Egli
sog- giornò nei templi e non fu mai
visto bere o mangiare nulla. E si dice
che a Sparta egli fece dei sacrifici apotropaici,78 e perciò a Sparta
non si ebbero, da allora, mai più
pestilenze. Dopo avere dunque sottratto
ad Abari la freccia d’oro che possedeva, senza la quale non era pi
in grado di trovare i suoi percorsi,
Pitagora stabili con lui un accordo.?9
(142) E a Metaponto, quando alcuni pregavano che fosse per loro il carico di una nave che stava accostandosi
al porto, Pitagora disse: “potreste,
in verità, avere un morto”, e quella nave rivelò che portava <effettivamente> un motto. E a
Sibari Pitagora afferrò il serpente vil-
loso che era capace di uccidere <per stritolamento>,8° e lo cacciò
via, come aveva fatto anche a
Taormina con un piccolo serpente, che era
capace di uccidere col suo morso.
E a Crotone Pitagora — come si rac-
conta — accarezzò l'aquila bianca che se ne stava tranquilla. E
quan- do, a Caulonia,8! qualcuno
espresse il desiderio di ascoltarlo, Pitagora disse che non avrebbe parlato prima che si
fosse rivelato un qualche segnale, e
dopo ch’ebbe dette queste parole, arrivò l’orsa bianca. E ad uno che voleva annunziargli la morte del
figlio, Pitagora gliela comu- nicò
ancora prima che quello parlasse.
(143) E fece ricordare a Millia di Crotone che era stato Mida
figlio di Gordio, e Millia si recò
nel continente per compiere sulla tomba
<di Mida> tutto ciò che Pitagora gli aveva consigliato di fare. Si
rac- conta anche che colui che comprò
la casa di Pitagora e vi fece degli
scavi non ebbe il coraggio di dire a qualcuno ciò che vi aveva visto, e in conseguenza di quest’errore, a Crotone
fu imprigionato e condan- nato a
morte per avere commesso un furto sacrilego: egli infatti era stato sorpreso a rubare la barba d’oro che
era caduta da una statua sacra. Si
raccontano dunque tali prodigi e altri del genere, per rende- re credibile <la santità di
Pitagora>. E siccome su queste storie c’è
accordo, e <tuttavia> sembra impossibile che tutti questi
prodigi 190 GIAMBLICO παρ᾽ ἐκείνου λεχθέντα καὶ οὐχὶ ἀνθρώπου.
ἀλλὰ καὶ τὸ ἀπορούμε- νον τοῦτο
σημαίνειν: (144) ἔστι γὰρ παρ᾽ αὐτοῖς λεγόμενον ὅτι ἄνθρωπος δίπος ἐστὶ καὶ ὄρνις καὶ τρίτον
ἄλλο. τὸ ) γὰρ τρίτον Πυθαγόρας ἐστί.
τοιοῦτος μὲν οὖν διὰ τὴν εὐσέβε- tav
ἦν καὶ ἐπὶ τῆς ἀληθείας ἐνομίζετο εἶναι. [81] περὶ δὲ τοὺς ὅρκους εὐλαβῶς οὕτως διέκειντο πάντες οἱ
Πυθαγόρειοι, μεμνημέ- νοι τῆς
Πυθαγόρου ὑποθήκης τῆς ἀθανάτους μὲν πρῶτα θεούς, νόμῳ ὡς διάκειται, τίμα καὶ σέβου ὅρκον, ἔπειθ᾽
ἥρωας ἀγαυούς, ὥστε ὑπὸ νόμου τις
αὐτῶν ἀναγκαζόμενος ὀμόσαι, καίτοι εὐορκεῖν
μέλλων, ὅμως ὑπὲρ τοῦ διαφυλάξαι τὸ δόγμα ὑπέμεινεν ἀντὶ τοῦ ὀμόσαι τρία μᾶλλον τάλαντα καταθέσθαι,
ὅσουπερ τετίμητο τὸ τοιοῦτον τῷ
δικασαμένῳ. (145) ὅτι δ᾽ οὐδὲν ᾧοντο ἐκ ταὐτομάτου συμβαίνειν καὶ ἀπὸ τύχης, ἀλλὰ κατὰ θείαν
πρόνοιαν, μάλιστα τοῖς ἀγαθοῖς καὶ
εὐσεβέσι τῶν ἀνθρώπων, βεβαιοῖ τὰ ὑπὸ ᾿Ανδροκύδου ἐν τῷ περὶ Πυθαγορικῶν συμβόλων
ἱστορούμενα περὶ Θυμαρίδου τοῦ
Ταραντίνου, Πυθαγορικοῦ. ἀποπλέοντι γὰρ αὐτῷ καὶ χωριζο- μένῳ διά τινα περίστασιν περιέστησαν οἱ
ἑταῖροι ἀσπαζόμενοί τε καὶ
προπεμπτικῶς ἀποτασσόμενοι. καί τις ἤδη ἐπιβάντι τοῦ πλοίου εἶπεν: «ὅσα βούλει, παρὰ τῶν θεῶν, ὦ
Θυμαρίδα.» καὶ ὃς «εὐφημεῖν» ἔφη,
«ἀλλὰ βουλοίμην μᾶλλον, ὅσ᾽ ἄν por παρὰ τῶν
θεῶν γένηται». ἐπιστημονικὸν γὰρ τοῦτο ἡγεῖτο μᾶλλον καὶ εὔγνωμον, τὸ μὴ ἀντιτείνειν καὶ
προσαγανακτεῖν τῇ θείᾳ προνοίᾳ. πόθεν
δὴ οὖν τὴν τοσαύτην εὐσέβειαν παρέλαβον οὗτοι οἱ ἄνδρες, εἴ τις βούλοιτο μαθεῖν, ῥητέον ὡς τῆς
Πυθαγορικῆς κατ᾽ ἀριθμὸν θεολογίας
παράδειγμα ἐναργὲς ἔκειτο παρὰ Ὀρφεῖ. (146) οὐκέτι δὴ οὖν ἀμφίβολον γέγονε τὸ τὰς ἀφορμὰς παρὰ
[82] Ὀρφέως λαβόντα Πυθαγόραν
συντάξαι τὸν περὶ θεῶν λόγον, ὃν καὶ ἱερὸν διὰ τοῦτο ἐπέγραψεν, ὡς ἂν ἐκ τοῦ μυστικωτάτου
ἀπηνθισμένον παρὰ Ὀρφεῖ τόπου, εἴτε
ὄντως τοῦ ἀνδρός, ὡς οἱ πλεῖστοι λέγουσι, σύγγραμμά ἐστιν, εἴτε Τηλαύγους, ὡς ἔνιοι τοῦ
διδασκαλείου ἐλλόγιμοι καὶ ἀξιόπιστοι
διαβεβαιοῦνται ἐκ τῶν ὑπομνημάτων τῶν Δαμοῖ τῇ θυγα- VITA DI PITAGORA 19] siano potuti accadere per uno che era
soltanto uomo, allora si dà per certo
che bisogna accogliere le cose che si dice siano state compiute da Pitagora come compiute da un ente
superiore e non da un uomo. Ma anche
questo termine “uomo” è difficile dire che cosa significhi: (144) presso i Pitagorici, infatti, si
dice che: “bipede è l’uomo, ma anche
l'uccello e un’altra terza specie”.82 La terza specie, infatti, è Pitagora. Di tale specie era dunque per la
sua pietà ed era ritenuto esserlo
veramente. Verso i giuramenti, poi, tutti i Pitagorici erano disposti con tanta circospezione,
ricordandosi della regola di
Pitagora: “onora anzitutto gli dèi immortali, come dispone la legge, e rispetta il giuramento, e in secondo luogo
onora gli eroi gloriosi”, al punto
che uno di loro, obbligato dalla legge a prestare giuramento, sebbene fosse sul punto di giurare,
nondimeno per conservare la dot-
trina <pitagorica> preferi, piuttosto che giurare, sottoporsi al
versa- mento di tre talenti (era
questa l’ammenda <per mancato giuramen-
to> prevista per chi era coinvolto in una causa). (145) Che i Pitagorici ritenessero che
nulla accada per caso o per fortuna,
bensi secondo la divina provvidenza, soprattutto agli uomini buoni e pii, è cosa sicura da quello che
racconta Androcide nello scritto Sui
simboli pitagorici, a proposito di Timarida di Taranto, che era un Pitagorico. Mentre stava per
intraprendere una navigazione per
allontanarsi a causa di una circostanza avversa, i suoi compagni gli si strinsero intorno per salutarlo e
accomiatarsi da lui. E uno di loro
disse a Timarida, che era già salito sulla nave: “Ti giunga dagli dèi, o Timarida, tutto quello che tu vuoi”. E
quello di rimando: “Taci! Piuttosto
possa io, al contrario, volere tutto ciò che mi viene dagli dèi”. Egli infatti riteneva scientifico8? e
ragionevole piuttosto non resi- stere
alla divina provvidenza o disdegnarla. Ebbene, se si vuole apprendere da dove questi uomini abbiano
ricavato tanta pietà, biso- gna dire
che il modello della teologia aritmetica di Pitagora risiede chiaramente in Orfeo. (146) Non c'è più alcun dubbio, dunque,
che Pitagora, prenden- do spunto da
Orfeo, abbia composto il suo Discorso sugli dèi, che è stato perciò intitolato anche
<Discorso> sacro, come fosse uno scritto uscito quasi come un fiore dal luogo più
profondo dei Misteri Orfici, sia esso
realmente, come dicono la maggior parte delle fonti, di Pitagora oppure di Telauge, come
assicurano alcuni illustri e fedede-
192 GIAMBLICO τρί, ἀδελφῇ δὲ
Τηλαύγους, ἀπολειφθέντων ὑπ᾽ αὐτοῦ Πυθαγόρου, ἅπερ μετὰ θάνατον ἱστοροῦσι δοθῆναι Βιτάλῃ
τε τῇ Δαμοῦς θυγα- τρὶ καὶ Τηλαύγει
«ἐν» ἡλικίᾳ γενομένῳ, υἱῷ μὲν Πυθαγόρου, ἀνδρὶ δὲ τῆς Βιτάλης κομιδῇ γὰρ νέος ὑπὸ τὸν
Πυθαγόρου θάνατον ἀπο- λελειμμένος ἦν
παρὰ Θεανοῖ τῇ μητρί. δηλοῦται δὴ διὰ τοῦ ἱεροῦ λόγου τούτου [ἢ περὶ θεῶν λόγου,
ἐπιγράφεται γὰρ ἀμφότερον] καὶ τίς ἦν
ὁ παραδεδωκὼς Πυθαγόρᾳ τὸν περὶ θεῶν λόγον. λέγει γάρ᾽ ««λόγος: ὅδε περὶ θεῶν Πυθαγόρα τῶ
Μνημάρχω, τὸν ἐξέμαθον ὀργιασθεὶς ἐν
Λιβήθροις τοῖς Θρᾳκίοις, ᾿Αγλαοφάμω τελεστᾶ μετα- δόντος, ὡς ἄρα Ὀρφεὺς ὁ Καλλιόπας κατὰ τὸ
Πάγγαιον ὄρος ὑπὸ τὰς ματρὸς
πινυσθεὶς ἔφα, τὰν ἀριθμῷ οὐσίαν ἀίδιον ἔμμεν ἀρχὰν προμαθεστά[β3)ταν τῶ παντὸς ὠρανῶ καὶ γᾶς
καὶ τᾶς μεταξὺ φύ- σιος, ἔτι δὲ καὶ
θείων «ἀνθρώπων» καὶ θεῶν καὶ δαιμόνων
δια(147)μονᾶς ῥίζαν.» ἐκ δὴ τούτων φανερὸν γέγονεν ὅτι τὴν ἀριθμῷ ὡρισμένην οὐσίαν τῶν θεῶν παρὰ τῶν
Ὀρφικῶν παρέλαβεν. ἐποιεῖτο δὲ διὰ
τῶν αὐτῶν ἀριθμῶν καὶ θαυμαστὴν πρόγνωσιν καὶ θεραπείαν τῶν θεῶν κατὰ τοὺς ἀριθμοὺς ὅτι
μάλιστα συγγενε- στάτην. γνοίη δ᾽ ἄν
τις τοῦτο ἐντεῦθεν᾽ δεῖ γὰρ καὶ ἔργον τι παρα- σχέσθαι εἰς πίστιν τοῦ [δὲ] λεγομένου.
ἐπειδὴ “Αβαρις περὶ τὰ συνήθη ἑαυτῷ
ἱερουργήματα διετέλει dv καὶ τὴν σπουδαζομένην παντὶ βαρβάρων γένει πρόγνωσιν διὰ θυμάτων
ἐπορίζετο, μάλιστα τῶν ὀρνιθείων (τὰ
γὰρ τῶν τοιούτων σπλάγχνα ἀκριβῆ πρὸς διάσκε- yiv ἡγοῦνται), βουλόμενος ὁ Πυθαγόρας μὴ
ἀφαιρεῖν μὲν αὐτοῦ τὴν εἰς τἀληθὲς
σπουδήν, παρασχεῖν δὲ διά τινος ἀσφαλεστέρου καὶ χωρὶς αἵματος καὶ σφαγῆς, ἄλλως τε καὶ ὅτι
ἱερὸν ἡγεῖτο εἶναι τὸν ἀλεκτρυόνα
ἡλίῳ, τὸ λεγόμενον παναληθὲς ἀπετέλεσεν αὐτῷ, δι᾽ ἀριθμητικῆς (148) ἐπιστήμης συντεταγμένον.
ὑπῆρχε δ᾽ αὐτῷ ἀπὸ τῆς εὐσεβείας καὶ
ἡ περὶ θεῶν πίστις παρήγγελλε γὰρ ἀεὶ περὶ
θεῶν μηδὲν θαυμαστὸν ἀπιστεῖν μηδὲ περὶ θείων δογμάτων, ὡς πάν- ta τῶν θεῶν δυναμένων. καὶ θεῖα δὲ τὰ
δόγματα λέγειν (οἷς χρὴ VITA DI
PITAGORA 193 gni membri della Scuola,
i quali avrebbero desunta la notizia dalle
Memorie lasciate dallo stesso Pitagora alla figlia Damo, sorella di Telauge, Merzorie che — come si racconta —
Damo, dopo la morte di Pitagora,
consegnò a Bitale, sua figlia, e <indirettamente> a Telauge, figlio di Pitagora, perché, raggiunta
l’età, sarebbe divenuto marito di
Bitale; egli infatti, essendo ancora giovinetto alla morte di
Pitagora, era stato lasciato in
custodia alla madre Teano. Attraverso questo
Discorso sacro [o Discorso sugli dèi, perché possiede ambedue i
titoli] risulta chiaro chi abbia
insegnato a Pitagora ciò che si deve dire sugli dèi.84 Pitagora dice infatti: «Questo è il
Discorso sugli dèi di Pitagora,
figlio di Mnesarco, che io <Pitagora> ho appreso quando fui
iniziato ai misteri a Libetra in
Tracia, perché me lo ha comunicato il telesta Aglaofamo:85 questi mi comunicò infatti
che Orfeo, figlio di Calliope,
ispirato dalla madre sul monte Pangeo, diceva: “l’essenza eterna
del numero è il principio più
preveggente dell'universo mondo, e cielo e
terra e ciò che ha natura intermedia, oltre che radice del persistere degli uomini divini e degli dèi e dei
demoni”». (147) Da ciò risulta
evidente che Pitagora ha desunto dagli Orfici l’idea che l'essenza degli dèi è
determinata dal numero. Per mezzo di
questi numeri egli faceva meravigliose predizioni e secondo i
numeri praticava il culto degli dèi,
soprattutto perché la natura del numero e
quella degli dèi sono assolutamente dello stesso genere. Si
potrebbe conoscere tutto: ciò dal
seguente fatto (perché bisogna procurarsi dei fatti per potere credere alle parole).
Poiché Abari continuava ad occuparsi
dei sacri riti che gli erano consueti e si procurava per mezzo di vittime sacrificali quelle predizioni
che sono particolarmente care ad ogni
razza barbarica, soprattutto sacrificando uccelli (le viscere di questi, infatti, erano ritenute strumenti
precisi per un’indagine divi-
natoria), Pitagora dal canto suo, desiderando che non venisse meno
il suo studio <principale>
della verità,86 la procurò ad Abari per mezzo di qualcosa di più sicuro e senza sangue e
uccisioni, e con un diverso
procedimento, anche perché riteneva che il gallo è sacro al dio
Sole, e gli fece sperimentare quello
che si chiama la “onniverità”, che si
costruisce per mezzo della scienza aritmetica. (148) Dalla sua pietà proveniva anche la
fede che Pitagora nutri- va nei
confronti degli dèi: egli infatti prescriveva di non dubitare mai di alcunché di meraviglioso che concerna
gli dèi o le divine dottrine, 194
GIAMBLICO πιστεύειν) ἃ Πυθαγόρας
παρέδωκεν. οὕτως γοῦν ἐπίστευον Kai
παρειλήφεσαν περὶ ὧν δογματίζουσιν ὅτι οὐκ ἐψευδοδόξηται, ὥστε Εὔρυτος μὲν ὁ Κροτωνιάτης, Φιλολάου
ἀκουστής, ποιμένος τινὸς
"ἀπαγγείλαν[δ4]τος αὐτῷ ὅτι μεσημβρίας ἀκούσειε Φιλολάου φωνῆς ἐκ τοῦ τάφου, καὶ ταῦτα πρὸ πολλῶν ἐτῶν
τεθνηκότος, ὡσανεὶ ᾷδοντος, «καὶ
τίνα, πρὸς θεῶν,» εἶπεν «ἁρμονίαν;» Πυθαγόρας δ᾽ αὐτὸς ἐρωτηθεὶς ὑπό τινος τί σημαίνει τὸ
ἰδεῖν ἑαυτοῦ πατέρα πάλαι τεθνηκότα
καθ᾽ ὕπνους αὐτῷ προσδιαλεγόμενον, «οὐδέν»
ἔφη’ «οὐδὲ γὰρ ὅτι μοι ἄρτι
λαλεῖς σημαίνει τι.» (149) ἐσθῆτι δὲ
ἐχρῆτο λευκῇ καὶ καθαρᾷ, ὡσαύτως δὲ καὶ
στρώμασι λευκοῖς καὶ καθαροῖς. εἶναι δὲ τὰ τοιαῦτα λινᾶ κῳδίοις γὰρ οὐκ ἐχρῆτο. καὶ τοῖς ἀκροαταῖς δὲ
τοῦτο τὸ ἔθος παρέδωκεν. ἐχρῆτο δὲ
καὶ εὐφημίᾳ πρὸς τοὺς κρείττονας καὶ ἐν παντὶ καιρῷ μνήμην ἐποιεῖτο καὶ τιμὴν τῶν θεῶν, ὥστε
καὶ παρὰ τὸ δεῖπνον σπονδὰς ἐποιεῖτο
τοῖς θεοῖς καὶ παρήγγελλεν ἐφ᾽ ἡμέρᾳ ἑκάστῃ
ὑμνεῖν τοὺς κρείττονας. προσεῖχε δὲ καὶ φήμαις καὶ μαντείαις καὶ κλη(, 50)δόσιν, ὅλως πᾶσι τοῖς αὐτομάτοις.
ἐπέθυςε δὲ θεοῖς λίβα- νον, κέγχῤους,
πόπανα, κηρία, σμύρναν, τὰ ἄλλα θυμιάματα: ζῷα δὲ αὐτὸς οὐκ ἔθυεν οὐδὲ τῶν θεωρητικῶν
φιλοσόφων οὐδείς, τοῖς δὲ ἄλλοις τοῖς
ἀκουσματικοῖς ἢ τοῖς πολιτικοῖς προστέτακτο σπανίως ἔμψυχα θύειν, ἤπου ἀλεκτρυόνα ἢ ἄρνα ἢ
ἄλλο τι τῶν νεογνῶν, βοῦς δὲ μὴ
θύειν. κἀκεῖνο δὲ τῆς εἰς θεοὺς τιμῆς αὐτοῦ τεκμήριον, τὸ παρηγγέλθαι μηδέποτε ὀμνύναι θεῶν ὀνόμασι
καταχρωμένους. διό- περ καὶ Σύλλος,
εἷς τῶν ἐν Κρότωνι Πυθαγορείων, ὑπὲρ τοῦ μὴ ὀμό- σαι χρήματα ἀπέτισε, καίτοι εὐορκήσειν
μέλλων. ἀναφέρεταί γε μὴν εἰς τοὺς
Πυθαγορικοὺς καὶ τοιόσδε τις ὅρκος, αἰδῶ μὲν ποιου- μένων ὀνομάζειν Πυθαγόραν [85] (ὥσπερ καὶ
θεῶν ὀνόμασι χρῆσθαι πολλὴν φειδὼ
ἐποιοῦντο), διὰ δὲ τῆς εὑρέσεως τῆς τετρακ-
τύος δηλούντων τὸν ἄνδρα’ οὔ, μὰ τὸν ἁμετέρας σοφίας εὑρόντα τετρακτύν, παγὰν ἀενάου φύσεως ῥιζώματ᾽
ἔχουσαν. (151) ὅλως δέ VITA DI
PITAGORA 195 dal momento che gli dèi
sono onnipotenti. E “divine dottrine” (alle
quali bisogna credere) i Pitagorici chiamavano quelle che ha
insegna- to Pitagora. Ebbene, essi
credevano e avevano assunto dottrine sulle
quali avevano la convinzione che non potessero essere ritenute
false, a tal punto che Eurito di
Crotone, uditore di Filolao, quando un
pastore gli annunziò che, a mezzogiorno, aveva udito la voce di Filolao provenire dalla sua tomba, come se
cantasse, e questo accade- va quando
quello era già morto da molti anni, disse: “e, per gli dèi, in quale tonalità?”. Lo stesso Pitagora,
interrogato da un tale su che cosa
significasse il fatto di avere visto in sogno il proprio padre, morto da molto tempo, conversare con lui, disse:
“Niente, perché neppure significa
qualcosa il fatto che tu ora stai parlando con me”.87 (149) Pitagora vestiva un abito bianco e
immacolato, come pure erano bianche e
immacolate le coperte del suo giaciglio. E vestito e coperte erano tessuti di lino, perché non
usava tessuti di lana.88 Un costume questo che egli ha insegnato anche
ai suoi uditori. Usava anche
indirizzare parole augurali verso gli enti superiori e in ogni occasione rammemorava e onorava gli dèi,
al punto che anche duran- te il
pranzo faceva libagioni agli dèi e raccomandava che ogni giorno si innalzassero inni agli enti superiori.
Teneva in gran conto anche le
profezie e le divinazioni e i presagi, e insomma tutto ciò che era
dovu- to al caso.8? (150) E sacrificava agli dèi con incenso,
miglio, focacce, favi, mirra e altri
aromi; e non sacrificavano mai, né lui né altri dei filosofi speculativi, degli animali, mentre agli
altri suoi <discepoli>, acusma-
tici e politici?" veniva da lui ordinato di sacrificare ogni tanto
degli esseri viventi, o galli o
agnelli o altri animali appena nati, purché non fossero buoi. Anche questo è prova della
sua stima verso gli dèi, il fatto
cioè che Pitagora prescriveva di non fare mai giuramento serven- dosi di nomi di divinità. Ed è per questo
che Sillo, uno dei Pitagorici di
Crotone, pur di non prestare giuramento, preferi pagare un’am- menda in denaro, sebbene fosse sul punto
di giurare il vero. Viene riferito ai
Pitagorici anche un giuramento di questo genere, poiché provavano pudore a pronunciare il nome di
Pitagora (cosî come ave- vano anche
molta discrezione nell’usare nomi di divinità), mentre usavano chiaramente il nome di Pitagora
quando dovevano indicarlo come lo
scopritore della “Tetraktus”: “No, per colui che ha scoperto 196 GIAMBLICO φασι Πυθαγόραν ζηλωτὴν γενέσθαι τῆς Ὀρφέως
ἑρμηνείας τε καὶ διαθέσεως καὶ τιμᾶν
τοὺς θεοὺς Ὀρφεῖ παραπλησίως, ἱσταμένους
αὐτοὺς ἐν τοῖς ἀγάλμασι καὶ τῷ χαλκῷ, οὐ ταῖς ἡμετέραις συνε- ζευγμένους μορφαῖς, ἀλλὰ τοῖς ἱδρύμασι
τοῖς θείοις, πάντα περιέ- χοντας καὶ
πάντων προνοοῦντας καὶ τῷ παντὶ τὴν φύσιν καὶ τὴν μορφὴν ὁμοίαν ἔχοντας, ἀγγέλλειν δὲ αὐτῶν
τοὺς καθαρμοὺς καὶ τὰς λεγομένας
τελετάς, τὴν ἀκριβεστάτην εἴδησιν αὐτῶν ἔχοντα. ἔτι δέ φασι καὶ σύνθετον αὐτὸν ποιῆσαι τὴν
θείαν φιλοσοφίαν καὶ θεραπείαν, ἃ μὲν
μαθόντα παρὰ τῶν Ὀρφικῶν, ἃ δὲ παρὰ τῶν
Αἰγυπτίων ἱερέων, ἃ δὲ παρὰ Χαλδαίων καὶ μάγων, ἃ δὲ παρὰ τῆς τελετῆς τῆς ἐν Ἐλευσῖνι γινομένης, ἐν
Ἵμβρῳ τε καὶ Σαμοθράκῃ καὶ Λήμνῳ, καὶ
εἴ τι παρὰ τοῖς κοινοῖς,6 καὶ περὶ τοὺς Κελτοὺς δὲ καὶ (152) τὴν Ἰβηρίαν. ἐν δὲ τοῖς Λατίνοις
ἀναγινώσκεσθαι τοῦ Πυθαγόρου τὸν
ἱερὸν λόγον, οὐκ εἰς πάντας οὐδ᾽ ὑπὸ πάντων, ἀλλ᾽ ὑπὸ τῶν μετεχόντων ἑτοίμως πρὸς τὴν τῶν
ἀγαθῶν διδασκαλίαν καὶ μηδὲν αἰσχρὸν
ἐπιτηδευόντων. [86] λέγειν δὲ αὐτὸν τρὶς σπένδειν τοὺς ἀνθρώπους καὶ μαντεύεσθαι τὸν
᾿Απόλλωνα ἐκ τρίποδος διὰ τὸ κατὰ τὴν
τριάδα πρῶτον φῦναι τὸν ἀριθμόν. ᾿Αφροδίτῃ δέ τι θυσιά- ζειν ἕκτῃ διὰ τὸ πρῶτον τοῦτον τὸν ἀριθμὸν
πάσης μὲν ἀριθμοῦ φύ- σεως
κοινωνῆσαι, κατὰ πάντα δὲ τρόπον μεριζόμενον ὅμοιον λαμ- βάνειν τήν τε τῶν ἀφαιρουμένων καὶ τὴν τῶν
καταλειπομένων δύνα- μιν. Ἡρακλεῖ δὲ
δεῖν θυσιάζειν ὀγδόῃ τοῦ μηνὸς ἱσταμένου σκο- ποῦντας τὴν ἑπτά(153)μηνον αὐτοῦ γένεσιν.
λέγει δὲ καὶ εἰς ἱερὸν εἰσιέναι δεῖν
«λευκὸν καὶ» καθαρὸν ἱμάτιον ἔχοντα καὶ ἐν ᾧ μὴ ἐγ- κεκοίμηταί τις, τὸν μὲν ὕπνον τῆς ἀργίας
καὶ τὸ μέλαν καὶ τὸ ῥυπαρόν,7 τὴν δὲ
καθαρειότητα τῆς περὶ τοὺς λογισμοὺς ἰσότητος καὶ δικαιοσύνης μαρτυρίαν ἀποδιδούς.
παραγγέλλει δέ, ἐν ἱερῷ ἄν τι
ἀκούσιον αἷμα γένηται, ἢ χρυσῷ ἢ θαλάττῃ περιρραίνεσθαι, τῷ πρώτῳ γενομένῳ καὶ «τῷ» καλλίστῳ τῶν
ὄντων, σταθμωμένῳ τὴν τιμὴν τῶν
ἁπάντων. λέγει δὲ καὶ μὴ τίκτειν ἐν ἱερῷ᾽ οὐ γὰρ εἶναι 6 τοῖς κοινοῖς Deubner/Klein: Τουσκανοῖς
Rohde: Τουρρηνοῖς Nauck. Ma a me non
sembra necessario, anche perché cosi sarebbe assorbito l’arti- colo τοῖς che si trova sempre, almeno in
tale contesto, quando vengono indi-
cati gli abitanti di una regione.
? Accolgo la correzione di πυρρόν in ῥυπαρόν proposta da Wakefield, come fanno pure Brisson/Segonds. Altri
mantengono πυρρόν, ma non si vede
quale significato possa qui avere dire: nero e rosso. Sonno come nero e
spor- co corrisponde al contrario di
veglia come bianco e puro da poco prescritti. VITA DI PITAGORA 197 la Tetraktus della nostra sapienza, fonte
che contiene in sé le radici
dell’eterna natura”. (151) In
generale si dice che Pitagora fosse emulo di Orfeo nel modo di spiegare e presentare <le proprie
idee>,92 e che onorasse più o meno
alla stessa maniera di Orfeo le divinità cosî come erano raffi- gurate nelle statue <di marmo> o di
bronzo, non collegate alle nostre
figure umane, bensî alle costruzioni divine, giacché le divinità abbracciano tutto e provvedono a tutto e
hanno natura e forma simi- li a
quella dell’universo, e si dice anche che Pitagora abbia fatto cono- scere <realmente> i riti
purificatori degli Orfici ovvero i loro cosid- detti Misteri, perché egli ne aveva la
conoscenza più esatta. E ancora si
racconta che Pitagora abbia creato una sintesi tra filosofia divina e culto degli dèi, avendo imparato alcune
cose dagli Orfici, altre dai
sacerdoti degli Egizi, altre ancora dai Caldei e dai Magi, altre
infine dalle iniziazioni che si
facevano a Eleusi, a Imbro e a Samotrace e a
Lemno, anche se qualcosa l’aveva trovata presso <altre> comunità,
sia celtiche che iberiche. (152) Si racconta poi che presso i Latini
si leggeva di Pitagora il Discorso sacro,
non a tutti né da tutti, ma da parte di coloro che erano pronti a partecipare all’insegnamento
pitagorico relativo ai beni e non
praticavano alcunché di male. Pitagora diceva che gli uomini devono libare tre volte, e che Apollo rende i
suoi oracoli dal tripode perché il
numero che nasce per primo è il tre. E diceva che bisogna sacrifica- re ad Afrodite il sesto giorno, perché il
sei è il primo numero che par- tecipa
dell’intera natura del numero, in quanto, comunque diviso, risulta uguale alle sue potenze, sia di
quelle sottratte che di quelle resi-
due.9 E diceva che bisogna sacrificare a Eracle nell’ottavo giorno dal- l’inizio del mese, perché i Pitagorici osservavano
che la sua nascita era stata
settimina.% (153) Egli dice anche che
bisogna entrare in un tempio indossan-
do un vestito bianco e puro e nel quale non si sia dormito, essendo per lui, da un lato il sonno, il nero e lo
sporco prova di inattività, e
dall’altro lato la purezza prova di equità e giustizia nei
ragionamenti. Prescrive poi, nel caso
fosse stato versato involontariamente del san- gue in un tempio, che lo si purifichi o
con oro o con acqua di mare, essendo
<il mare> l’ente nato per primo e <l’oro> quello più nobile,? perché fissa il valore di ogni cosa.
Pitagora dice anche che non biso- 198
GIAMBLICO ὅσιον ἐν ἱερῷ καταδεῖσθαι
τὸ θεῖον τῆς ψυχῆς εἰς τὸ σῶμα. (154)
παραγγέλλει δὲ ἐν ἑορτῇ μήτε κείρεσθαι μήτε ὀνυχίζεσθαι, τὴν ἡμετέραν αὔξησιν τῶν ἀγαθῶν οὐχ ἡγούμενος
δεῖν τὴν τῶν θεῶν ἀπολείπειν ἀρχήν.
λέγει δὲ καὶ φθεῖρα ἐν ἱερῷ μὴ κτείνειν, οὐδε- νὸς τῶν περιττῶν καὶ φθαρτικῶν [87]
νομίζων δεῖν μεταλαμβάνειν τὸ
δαιμόνιον. κέδρῳ δὲ λέγει καὶ δάφνῃ καὶ κυπαρίττῳ καὶ δρυΐ καὶ μυρρίνῃ τοὺς θεοὺς τιμᾶν, καὶ μηδὲν
τούτοις ἀποκαθαίρεσθαι τοῦ σώματος
μηδὲ σχινίζειν τοὺς ὀδόντας, ταύτην πρώτην γονὴν τῆς ὑγρᾶς φύσεως καὶ τροφὴν τῆς πρώτης καὶ
κοινοτέρας ὕλης ὑπολαμβάνων. ἑφθὸν δὲ
παραγγέλλει μὴ ὀπτᾶν, τὴν πραότητα λέγων
μὴ προσδεῖσθαι τῆς ὀργῆς. κατακάειν δὲ οὐκ εἴα τὰ σώματα τῶν τελευτησάντων, μάγοις ἀκολούθως, μηδενὸς
τῶν θείων τὸ θνητὸν μεταλαμβάνειν
ἐθελήσας. (155) τοὺς δὲ τελευτήσαντας ἐν λευκαῖς ἐσθῆσι προπέμπειν ὅσιον ἐνόμιζε, τὴν ἁπλῆν
καὶ τὴν πρώτην αἰνιτ- τόμενος φύσιν κατὰ τὸν ἀριθμὸν καὶ τὴν ἀρχὴν τῶν πάντων.
εὐορ- κεῖν δὲ πάντων μάλιστα
παραγγέλλει, ἐπεὶ μακρὸν τοὐπίσω, θεοῖς
δ᾽ οὐδὲν μακρὸν εἶναι. πολλῷ δὲ μᾶλλον ἀδικεῖσθαι ὅσιον εἶναι λέ- γει ἢ κτείνειν ἄνθρωπον (ἐν ἅδου γὰρ
κεῖσθαι τὴν κρίσιν), ἐκλογι- ζόμενον
τὰς περὶ τὴν ψυχὴν καὶ τὴν οὐσίαν αὐτῆς τὴν πρώτην τῶν ὄντων φύσεις. κυπαρισσίνην δὲ μὴ δεῖν
κατασκευάζεσθαι σορὸν ὑπαγορεύει διὰ
τὸ κυπαρίσσινον γεγονέναι τὸ τοῦ Διὸς σκῆπτρον ἢ δι᾽ ἄλλον τινὰ μυστικὸν λόγον. σπένδειν δὲ
πρὸ τραπέζης παρακα- λεῖ Διὸς σωτῆρος
καὶ Ἡρακλέους καὶ Διοσκόρων, τῆς τροφῆς
ὑμνοῦντας τὸν ἀρχηγὸν καὶ τὸν ταύτης ἡγεμόνα Δία, καὶ τὸν Ἡρακλέα [καὶ] τὴν δύναμιν τῆς φύσεως, καὶ
τοὺς ALoc(156)x6povc τὴν συμφωνίαν
τῶν ἁπάντων. σπονδὴν δὲ μὴ καταμύοντα προσφέρε- σθαι δεῖν φησί: οὐδὲν γὰρ τῶν κα[88]λῶν
ἄξιον αἰσχύνης καὶ ai- δοῦς
διελάμβανεν. ὅταν δὲ βροντήσῃ, τῆς γῆς ἅψασθαι παρήγγελλε, μνημονεύοντας τῆς γενέσεως τῶν ὄντων.
εἰσιέναι δὲ εἰς τὰ ἱερὰ κατὰ τοὺς
δεξιοὺς τόπους παραγγέλλει, ἐξιέναι κατὰ τοὺς ἀριστε- ρούς, τὸ μὲν δεξιὸν ἀρχὴν τοῦ περιττοῦ
λεγομένου τῶν ἀριθμῶν καὶ θεῖον
τιθέμενος, τὸ δὲ ἀριστερὸν τοῦ ἀρτίου καὶ διαλυομένου σύμ- βολον τιθέμενος. τοιοῦτός τις ὁ τρόπος
λέγεται αὐτοῦ γεγονέναι τῆς VITA DI
PITAGORA 199 gna partorire in un
tempio, perché si commette empietà nell’impri- gionare, in un tempio, il divino
dell'anima nel corpo. (154) Egli
prescrive poi di non tagliarsi né le unghie né i capelli in tempo di festa, perché ritiene che non si
debba trascurare l’autorità degli dèi
per far crescere il nostro benessere. Dice poi che in un tem- pio non bisogna ammazzare nemmeno un
pidocchio, perché crede che non si
debba coinvolgere il divino in nessuna azione superflua o distruttiva. Dice poi che bisogna onorare
gli dèi con offerte di cedro, alloro,
cipresso, quercia e mirto, e che non bisogna con queste piante né purificarsi il corpo né pulirsi i
denti, perché ha l’idea che siano
nate per prime dalla natura umida e siano progenie della prima e
più comune materia.” Prescrive poi di
non arrostire un cibo già bollito,
perché dice <allegoricamente> che “la mitezza non ha bisogno
del- l’ira”.100 Non permetteva poi di
bruciare i corpi dei defunti, perché,
seguendo i Magi, voleva che ciò che è mortale non partecipi del
divi- no0,101 (155) Considerava un’azione pia
accompagnare i defunti vestiti di
bianco, alludendo cosi alla natura semplice e prima secondo il
nume- ro, ovvero il principio di ogni
cosa.!°2 Prescrive poi che soprattutto si
giuri secondo verità in ogni occasione, poiché il futuro è lungo, ma niente è lungo per gli dèi. Dice poi che è
cosa molto più pia subire ingiustizia
anziché uccidere un uomo (perché è nell’Ade che si emet- te il giudizio), tenendo conto che l’anima
e la sua essenza costituisco- no la
prima natura degli enti.!0% Pitagora dice ancora che non bisogna costruire bare di legno di cipresso, per
la ragione che di tale legno è lo
scettro di Zeus (o per qualche altra mistica ragione). Egli racco- manda di non sedersi a tavola prima di
avere offerto libagioni a Zeus
Salvatore e a Eracle e ai Dioscuri, celebrando Zeus come fondatore
e rettore del nutrimento, e Eracle
come il potere della natura, e i
Dioscuri come l'armonia del tutto.
(156) Dice anche che bisogna offrire libagioni senza chiudere gli occhi, perché di nessuna cosa bella — egli
spiegava — bisogna avere né vergogna
né pudore. Prescriveva poi che, quando tuona, bisogna toc- care la terra, ricordandosi della nascita
degli enti. Prescrive poi di entrare
nei templi dal lato destro e di uscire da quello sinistro, perché egli poneva la destra come principio dei
numeri detti “dispari”, che egli
considerava di natura divina, mentre poneva la sinistra come sim- 200 GIAMBLICO περὶ τὴν εὐσέβειαν ἐπιτηδεύσεως, καὶ τάλλα
δέ, ὅσα παραλείπομεν περὶ αὐτῆς, ἀπὸ
τῶν εἰρημένων ἔνεστι τεκμαίρεσθαι, ὥστε περὶ μὲν τούτου παύομαι λέγων. 29 (157) Περὶ δὲ τῆς σοφίας αὐτοῦ, ὡς μὲν
ἁπλῶς εἰπεῖν, μέγι- στον ἔστω
τεκμήριον τὰ γραφέντα ὑπὸ τῶν Πυθαγορείων
ὑπομνήματα, περὶ πάντων ἔχοντα τὴν ἀλήθειαν, καὶ στρογγύλα μὲν παρὰ τὰ ἄλλα πάντα, ἀρχαιοτρύπου δὲ καὶ
παλαιοῦ πίνου διαφε- ρόντως ὥσπερ
τινὸς ἀχειραπτήτου χνοῦ προσπνέοντα, pet
ἐπιστήμης δὲ δαιμονίας ἄκρως συλλελογισμένα, ταῖς δὲ ἐννοίαις πλήρη τε καὶ πυκνότατα, ποικίλα τε ἄλλως
καὶ πολύτροπα τοῖς εἴδεσι καὶ ταῖς
ὕλαις, ἀπέρισσα δὲ ἐξαιρέτως ἅμα καὶ ἀνελλιπῆ τῇ φράσει καὶ πραγμάτων ἐναργῶν καὶ
ἀναμφιλέκτων ὡς ὅτι μάλιστα μεστὰ
μετὰ ἀποδείξεως ἐπιστημονικῆς καὶ πλήρους, τὸ λεγόμενον, συλλογισμοῦ, εἴ τις αἷς προσῆκεν ὁδοῖς
κεχρημένος ἐπ᾽ αὐτὰ ἴοι, μὴ παρέργως
μηδὲ παρηκουσμένως ἀφοσιούμενος. ταῦτα τοίνυν ἄνωθεν τὴν περὶ τῶν νοητῶν καὶ τὴν περὶ
θεῶν (158) ἐπιστήμην παραδίδωσιν.
ἔπειτα τὰ φυσικὰ πάντα ἀναδιδάσκει, τήν τε ἠθικὴν φιλοσοφίαν καὶ τὴν λογικὴν ἐτελειώσατο,
μαθήματά τε παντοῖα παραδίδωσι καὶ
ἐπιστήμας τὰς ἀρίστας, ὅλως τε οὐδὲν ἔστιν εἰς γνῶσιν ἐληλυθὸς περὶ [89] ὁτουοῦν παρὰ
ἀνθρώποις, ὃ μὴ ἐν τοῖς συγγράμμασι
τούτοις διηκρίβωται. εἰ τοίνυν ὁμολογεῖται τὰ μὲν Πυθαγόρου εἶναι τῶν συγγραμμάτων τῶν νυνὶ
φερομένων, τὰ δὲ ἀπὸ τῆς ἀκροάσεως
αὐτοῦ συγγεγράφθαι, καὶ διὰ τοῦτο οὐδὲ ἑαυτῶν ἐπεφήμιζον αὐτά, ἀλλὰ εἰς Πυθαγόραν
ἀνέφερον αὐτὰ ὡς ἐκείνου ὄντα,
φανερὸν ἐκ πάντων τούτων ὅτι Πυθαγόρας πάσης σοφίας ἔμπειρος ἦν ἀποχρώντως. λέγουσι δὲ
γεωμετρίας αὐτὸν ἐπὶ πλεῖον
ἐπιμεληθῆναι" παρ᾽ Αἰγυπτίοις γὰρ πολλὰ προβλήματα γεωμετρίας ἐστίν, ἐπείπερ ἐκ παλαιῶν ἔτι καὶ ἀπὸ θεῶν
διὰ τὰς τοῦ Νείλου προσθέσεις τε καὶ
ἀφαιρέσεις ἀνάγκην ἔχουσι πᾶσαν ἐπιμετρεῖν
ἣν ἐνέμοντο γῆν Αἰγυπτίων οἱ λόγιοι, διὸ καὶ γεωμετρία ὠνόμα- σται. ἀλλ᾽ οὐδ᾽ ἡ τῶν οὐρανίων θεωρία παρέργως
αὐτοῖς κατε- ζήτηται, ἧς καὶ αὐτῆς
ἐμπείρως ὁ Πυθαγόρας εἶχε. πάντα δὴ τὰ περὶ
VITA DI PITAGORA 201 bolo del
“pari” e di ciò che si dissolve.1% Tale era — come si racconta - il suo modo di esercitare la pietà,
mentre tutto ciò che noi qui tra-
lasciamo in merito a questa sua pietà, è possibile provarlo con
quel che si è detto, sicché io smetto
di parlare di questo argomento. 29
(157) Sulla sapienza di Pitagora, per dirla in breve, dobbiano trovare la prova più grande nelle Mezorie
scritte dai Pitagorici, le quali
contengono la verità su tutto e sono ben forbite rispetto a tutte le altre testimonianze, e odorano in
maniera singolare di una patina
invecchiata e antiquata che è come una peluria mai sfiorata da
alcuna mano, e accompagnate da una
scienza divina sono argomentate sillo-
gisticamente al più alto livello, e piene e dense di idee, oltre che
varie- gate e diversificate nelle
forme e nei contenuti, ma particolarmente
prive di ridondanze e insieme di deficienze nelle espressioni e il
più possibile piene di fatti evidenti
e incontestabili, che siano accompa-
gnati da completa dimostrazione scientifica, come si è detto, da “sillogismi”,106 qualora le si approcci
usando metodi convenienti,
dedicandovisi in maniera non superficiale né disattenta. Tali
Merzorie in effetti insegnano, a
partire dall’alto,197 la scienza degli intelligibili e degli dèi,108 (158) Dopo di che queste Merzorie
approfondiscono l’insegna- mento di tutta
quanta la fisica, e perfezionano la filosofia morale e la logica, e insegnano le varie scienze
matematiche, ovvero le scienze
migliori, e insomma non c’è nulla di ciò che è stato dagli uomini
ridot- to a conoscenza in qualsiasi
campo, che in questi scritti non venga
spiegato alla perfezione. Se dunque si è d’accordo che alcuni di tali scritti a cui ora si fa riferimento siano
dello stesso Pitagora, e che gli
altri siano stati composti a partire dalle sue lezioni, e perciò gli
auto- ri non li attribuiscono a se
stessi, ma li fanno risalire a Pitagora come
suoi scritti autentici, risulta chiaro da tutto ciò che Pitagora fu
abba- stanza esperto di ogni genere
di sapienza. Si racconta però che egli
coltivò di più la geometria: infatti presso gli Egizi sono molti i
proble- mi di geometria, dal momento
che fin dai tempi antichi, ma anche ad
opera degli dèi per via dei flussi e riflussi del Nilo che aggiungono
o sottraggono territorio, i dotti
erano costretti a prendere le misure di
tutta la terra che gli Egizi abitavano, ed è per questo che tale
scienza è stata denominata
“geometria” [sc. misurazione della terra]. Ma
202 GIAMBLICO τὰς γραμμὰς
θεωρήματα ἐκεῖθεν ἐξηρτῆσθαι δοκεῖ" τὰ γὰρ περὶ λογισμοὺς καὶ ἀριθμοὺς ὑπὸ τῶν περὶ τὴν
Φοινίκην φασὶν εὑρεθῆναι. τὰ γὰρ
οὐράνια θεωρήματα κατὰ κοινόν τινες
Αἰγυπτίοις καὶ (159) Χαλδαίοις ἀναφέρουσι. ταῦτα δὴ πάντα φασὶ τὸν Πυθαγόραν παραλαβόντα καὶ συναυξήσαντα
τὰς ἐπιστήμας προαγαγεῖν τε καὶ ὁμοῦ
σαφῶς καὶ ἐμμελῶς τοῖς αὐτοῦ ἀκροωμέ-
νοις δεῖξαι. φιλοσοφίαν μὲν
οὖν πρῶτος αὐτὸς ὠνόμασε, καὶ ὄρεξιν αὐτὴν
εἶπεν εἶναι καὶ οἱονεὶ φιλίαν σοφίας, σοφίαν δὲ ἐπιστήμην τῆς ἐν τοῖς οὖσιν ἀληθείας. ὄντα δὲ der καὶ ἔλεγε
tà ἄυλα καὶ ἀίδια καὶ μόνα δραστικά,
ὅπερ ἐστὶ τὰ ἀσώματα, ὁμωνύμως δὲ λοιπὸν ὄντα κατὰ μετοχὴν αὐτῶν οὕτως καλούμενα
σωματικὰ εἴδη καὶ ὑλικά, γεννητά [90]
τε καὶ φθαρτὰ καὶ ὄντως οὐδέποτε ὄντα. τὴν δὲ σοφίαν ἐπιστήμην εἶναι τῶν κυρίως ὄντων, ἀλλ᾽
οὐχὶ τῶν ὁμωνύμως, ἐπει- δήπερ οὐδὲ
ἐπιστητὰ ὑπάρχει τὰ σωματικὰ οὐδὲ ἐπιδέχεται γνῶσιν βεβαίαν, ἀπειρά τε ὄντα καὶ ἐπιστήμῃ
ἀπερίληπτα καὶ οἱονεὶ μὴ ὄντα κατὰ
διαστολὴν τῶν καθόλου καὶ οὐδὲ ὅρῳ ὑποπεσεῖν εὐπερι- γράφως δυνάμενα. (160) τῶν δὲ φύσει μὴ
ἐπιστητῶν οὐδὲ ἐπιστήμην οἷόν τε
ἐπινοῆσαι᾽ οὐκ ἄρα ὄρεξιν τῆς μὴ ὑφεστώσης ἐπιστήμης εἰκὸς εἶναι, ἀλλὰ μᾶλλον τῆς περὶ τὰ
κυρίως ὄντα καὶ ἀεὶ κατὰ τὰ αὐτὰ καὶ
ὡσαύτως διαμένοντα καὶ τῇ «ὄντα» προσηγορίᾳ ἀεὶ συνυ- πάρχοντα. καὶ γὰρ τῇ τούτων καταλήψει
συμβέβηκε καὶ τὴν τῶν ὁμωνύμως ὄντων
παρομαρτεῖν, οὐδὲ ἐπιτηδευθεῖσάν ποτε, οἷα δὴ τῇ καθόλου ἐπιστήμῃ ἡ τοῦ κατὰ μέρος. «τοιγὰρ
περὶ τῶν καθόλου» φησὶν ᾿Αρχύτας
«καλῶς διαγνόντες ἔμελλον καὶ περὶ τῶν κατὰ
μέρος, οἷα ἐντί, καλῷς ὀψεῖσθαι.» διόπερ οὐ μόνα οὐδὲ μονογενῆ οὐδὲ ἁπλᾷ ὑπάρχει τὰ ὄντα, ποικίλα δὲ ἤδη
καὶ [τὰ] πολυειδῆ θεωρεῖται, τά τε
νοητὰ καὶ ἀσώματα, ὧν τὰ ὄντα ἡ κλῆσις, καὶ τὰ σωματικὰ καὶ ὑπ᾽ αἴσθησιν πεπτωκότα, ἃ δὴ
κατὰ μετοχὴν κοινωνεῖ τοῦ ὄντως
γενέσθαι. (161) περὶ δὲ τούτων ἁπάντων ἐπιστήμας VITA DI PITAGORA 203 anche la teoria dei corpi celesti, della
quale Pitagora era anche esper- to,
fu per i Pitagorici oggetto di ricerca tutt'altro che superficiale. Tutti i teoremi relativi alle linee
sembra, appunto, che provengano
dall'Egitto, perché ciò che concerne i calcoli e i numeri — come si
rac- conta -- è stato scoperto,
invece, dai Fenici. I teoremi celesti alcuni, tuttavia, li fanno risalire a Egizi e
Caldei insieme. (159) Avendo
acquisite e accresciute tutte queste scienze, Pitagora -- come si racconta — le fece progredire e
le mostrò ai suoi uditori in modo
sapiente e al contempo bene ordinato.
Pitagora, dunque, fu il primo a usare il nome “filosofia”, e a dire che essa è “desiderio di sapienza”, come
dire “amore di sapienza”, e che
“sapienza” è “scienza della verità degli enti”. Ma con il termine “enti” egli intendeva dire gli enti
immateriali ed eterni e i soli ad esse-
re “efficaci” [sc. “attivi”], cioè gli incorporei, e che gli altri enti
— le cosiddette forme corporee e
materiali, generate e corruttibili e che
non sono mai veramente enti — sono chiamati cosi per omonimia in virti del fatto che partecipano dei primi.
Ma la sapienza è scienza degli enti
in senso proprio, non già di quelli detti per omonimia, poi- ché gli enti corporei né sono oggetto di
scienza, né ammettono cono- scenza
esatta, essendo enti infiniti e scientificamente inafferrabili, come se fossero “non enti” per distacco
dagli universali e incapaci anche di
sottostare in modo ben circoscritto ad una definizione. (160) Degli enti che per loro natura non
sono oggetto di scienza non è
possibile neppure concepire, per cosî dire, scienza; è verisimile, dunque, che non esista desiderio di una
scienza che come tale non esi- ste,
ma piuttosto di quella che concerne gli enti in senso proprio, che sono sempre identici e permangono allo
stesso modo e coesistono sempre con
la loro denominazione di “enti”. E infatti la conoscenza di questi enti ha come sua proprietà
quella di essere sempre seguita dalla
conoscenza degli enti per omonimia, anche se quest’ultima non sia stata mai esercitata, come dire che
alla scienza dell’universale segue
quella del particolare. «Orbene - dice Archita — coloro che hanno conosciuto bene gli universali
stanno per vedere bene, cosî come
sono, anche i particolari». Perciò gli enti non sono unici né di un solo genere né semplici, ma si
osservano già come vari e multifor-
mi, come enti intelligibili e incorporei, a cui appartiene la
denomina- zione di “enti”, e come
enti corporei e soggetti a sensazione, i quali 204 GIAMBLICO παρέδωκε τὰς οἰκειοτάτας καὶ οὐδὲν
παρέλιπεν ἀδιερεύνητον. καὶ τὰς
κοινὰς δὲ ἐπιστήμας, ὥσπερ τὴν ἀποδεικτικὴν καὶ τὴν ὁριστικὴν καὶ τὴν διαιρετικήν, παρέδωκε τοῖς
ἀνθρώποις, ὡς ἔστιν ἀπὸ τῶν
Πυθαγορικῶν ὑπομνημάτων εἰδέναι. εἰώθει δὲ [91] καὶ διὰ κομιδῇ βραχυτάτων φωνῶν μυρίαν καὶ πολυσχιδῆ
ἔμφασιν συμβολικῷ τρόπῳ τοῖς
γνωρίμοις ἀποφοιβάζειν, ὥσπερ διὰ χειροχρήστων τινῶν λόγων ἢ μικρῶν τοῖς ὄγκοις σπερμάτων ὁ
Πύθιός τε καὶ αὐτὴ ἡ φύσις πλήθη ἀνήννυτα
καὶ δυσεπινόητα ἐννοιῶν καὶ ἀποτελεσμάτων
ὑποφαίνουσι. (162) τοιοῦτον δή ἐστι τὸ ἀρχὴ δέ τοι ἥμισυ παντός, ἀπόφθεγμα Πυθαγόρου αὐτοῦ. οὐ μόνον δὲ ἐν
τῷ παρόντι ἡμιστιχίῳ, ἀλλὰ καὶ ἐν
ἑτέροις παραπλησίοις ὁ θειότατος Πυθαγόρας τὰ τῆς ἀληθείας ἐνέκρυπτε ζώπυρα τοῖς δυναμένοις
ἐναύσασθαι, βραχυ- λογίᾳ τινὶ
ἐναποθησαυρίζων ἀπερίβλεπτον καὶ παμπληθῆ θεωρίας ἔκτασιν, οἷόνπερ καὶ ἐν τῷ ἀριθμῷ δέ τε
πάντ᾽ ἐπέοικεν, ὃ δὴ πυκ- νότατα πρὸς
ἅπαντας ἀπεφθέγγετο, ἢ πάλιν ἐν τῷ «φιλότης ἰσότης» [φιλότης], ἢ ἐν τῷ «κόσμος» ὀνόματι, ἢ νὴ
Δία ἐν τῷ «φιλοσοφία», ἢ καὶ ἐν τῷ
«ἐστώ», ἢ καὶ ἐν τῷ **,8 ἢ [τὸ διαβοώμενον] ἐν τῷ «τετρακτύς». ταῦτα πάντα καὶ ἕτερα πλείω
τοιαῦτα Πυθαγόρας πλάσματα καὶ
ποιήματα εἰς ὠφέλειαν καὶ ἐπανόρθωσιν τῶν συνδια- γόντων ἐπενοεῖτο, καὶ οὕτως σεβαστὰ ἦν καὶ
ἐξεθειάζετο ὑπὸ τῶν συνιέντων, ὥστε
εἰς ὅρκου σχήματα περιίστατο τοῖς ὁμακόοις᾽ [92] οὔ, μὰ τὸν ἁμετέρᾳ γενεᾷ παραδόντα
τετρακτύν, παγὰν ἀενάου φύ- σεως
ῥιζώματ᾽ ἔχουσαν. τοῦτο μὲν οὕτω θαυμαστὸν ἦν τὸ εἶδος av- τοῦ τῆς σοφίας. (163) τῶν δ᾽ ἐπιστημῶν οὐχ ἥκιστά φασι
τοὺς Πυθαγορείους τιμᾶν μουσικήν τε
καὶ ἰατρικὴν καὶ μαντικήν. σιωπηλοὺς δὲ εἶναι καὶ ἀκουστικοὺς καὶ ἐπαινεῖσθαι παρ᾽
αὐτοῖς τὸν δυνάμενον ἀκοῦσαι. τῆς δὲ
ἰατρικῆς μάλιστα μὲν ἀποδέχεσθαι τὸ διαιτητικὸν εἶδος καὶ εἶναι ἀκριβεστάτους ἐν τούτῳ,
καὶ πειρᾶσθαι πρῶτον μὲν
καταμανθάνειν σημεῖα συμμετρίας ποτῶν τε καὶ σίτων καὶ ἀνα- παύσεως, ἔπειτα περὶ αὐτῆς τῆς κατασκευῆς
τῶν προσφερομένων σχεδὸν πρώτους ἐπιχειρῆσαί τε πραγματεύεσθαι
καὶ διορίζειν. ἅψασθαι δὲ [χρὴ] καὶ
καταπλασμάτων ἐπὶ πλείω τοὺς Πυθογο-
8 ἢ καὶ ἐν τῷ cum lacuna Deubner/Klein post Rohde. 9 πόνων codd., ma la correzione di
Deubner/Klein in ποτῶν è accettabi-
le per analogia con l’intero passaggio ripetuto al $ 244. VITA DI PITAGORA 205 sono comuni <solo> per
partecipazione di ciò che realmente è.
(161) Su tutte quante queste cose Pitagora ha insegnato le scien- ze più appropriate e non ha lasciato nulla
di inesplorato. E ha inse- gnato agli
uomini le scienze comuni, quali l’apodittica e la oristica e la dieretica,!9? come si può apprendere
dalle Merzorie Pitagoriche. Pitagora
era solito anche ispirare simbolicamente ai suoi intimi disce- poli, per mezzo di parole le pit brevi in
assoluto, numerosissime e molteplici
riflessioni, cosîf come fanno Apollo Pizio e la stessa natura nel fare apparire una quantità
inesauribile e inimmaginabile di idee,
l'uno, per mezzo di certi discorsi di uso comune, o di prodotti
<natu- rali>, l’altra, per
mezzo di semi di piccola grossezza.
(162) E di questa natura la sentenza dello stesso Pitagora che
dice: “l’inizio e la metà di ogni
cosa”. Ma non soltanto nel presente emisti-
chio, ma anche in altri più o meno dello stesso tenore il divinissimo Pitagora nascondeva le scintille della
verità per coloro che erano in grado
di trasformarle in fiamme, racchiudendo cosî come un tesoro, in un parlare conciso, un’estensione
discorsiva sconfinata e piena di
dottrina, quale ad esempio questa sentenza: “ogni cosa si adatta al numero”,!1° che Pitagora adoperava
spessissimo davanti a tutti <i suoi
uditori>, o ancora quest'altra: “amicizia è uguaglianza”, o queste
altre costituite di un solo nome:
“cosmo”, oppure, per Zeus, “filosofia”,
oppure “essere”, oppure “**”, oppure “Tetraktus”. Tutte queste espressioni, e ancora altre dello stesso
genere, plasmate e create da
Pitagora, egli le concepiva per aiutare e correggere coloro che
viveva- no con lui, e cosî erano
venerate e ricercate da coloro che le compren- devano, al punto che divennero forme di
giuramento per i co-uditori: “No, per
colui che ha insegnato alla nostra generazione la “Tetraktus”, fonte che contiene le radici
dell'eterna natura”. Cosi
meravigliosa era questa sua forma di sapienza. (163) Tra le scienze, i Pitagorici — come
si racconta — stimano al più alto
grado la musica e la medicina e la mantica. Essi sanno man- tenere il silenzio e sono pronti
all'ascolto, e celebrano chi tra loro è
capace di ascoltare. Della medicina essi accolgono con favore, soprat- tutto, la branca relativa alla dieta e
sono molto precisi in questo set-
tore, e cercano anzitutto di apprendere ciò che indica la proporzione tra bevande, alimenti e riposo; e poi essi
sono stati forse i primi a ricercare
e praticare e stabilire le regole della stessa preparazione 206 GIAMBLICO ρείους τῶν ἔμπροσθεν, tà δὲ περὶ τὰς
φαρμακείας ἧττον δοκιμάζειν, αὐτῶν δὲ
τούτων τοῖς πρὸς τὰς ἑλκώσεις μάλιστα χρῆσθαι, «τὰ δὲ» περὶ τὰς τομάς τε καὶ (164) καύσεις ἥκιστα
πάντων ἀποδέχεσθαι. χρῆσθαι δὲ καὶ
ταῖς ἐπῳδαῖς πρὸς ἔνια τῶν ἀρρωστημάτων.
ὑπελάμβανον δὲ καὶ τὴν μουσικὴν μεγάλα συμβάλλεσθαι πρὸς ὑγείαν, ἄν τις αὐτῇ χρῆται κατὰ τοὺς
προσήκοντας τρόπους. ἐχρῶντο δὲ καὶ
Ὁμήρου καὶ Ἡσιόδου λέξεσι διειλεγμέναις πρὸς ἐπανόρθωσιν ψυχῆς. dovro δὲ δεῖν
κατέχειν καὶ διασῴζειν ἐν τῇ μνήμῃ πάντα τὰ διδα- σκόμενά τε καὶ φραζόμενα, καὶ
μέχρι τούτου συσκευάζεσθαι τάς τε μαθήσεις καὶ τὰς ἀκροάσεις, μέχρι [93] ὅτου
δύναται παραδέχε- σθαι τὸ μανθάνον καὶ διαμνημονεῦον, ὅτι ἐκεῖνό ἐστιν ᾧ δεῖ
γιγνώσκειν καὶ ἐν ᾧ γνώμην φυλάσσειν. ἐτίμων γοῦν σφόδρα τὴν μνήμην καὶ πολλὴν
αὐτῆς ἐποιοῦντο γυμνασίαν τε καὶ ἐπιμέλειαν, ἔν τε τῷ μανθάνειν οὐ πρότερον
ἀφιέντες τὸ διδασκόμενον, ἕως περιλάβοιεν βεβαίως τὰ ἐπὶ τῆς πρώτης μαθήσεως,
καὶ καθ᾽ ἡμέραν λεγομένων ἀνάμνησιν «ποιούμενοι» τόνδε τὸν ([65) τρόπον.
Πυθαγόρειος ἀνὴρ οὐ πρότερον ἐκ τῆς κοίτης ἀνίστατο ἢ τὰ χθὲς γενόμενα πρότερον
ἀναμνησθείη. ἐποιεῖτο δὲ τὴν ἀνάμνησιν τόνδε τὸν τρόπον. ἐπειρᾶτο ἀναλαμβάνειν
τῇ διανοίᾳ, τί πρῶτον εἶπεν ἢ ἤκουσεν ἢ προσέταξε τοῖς ἔνδον ἀναστὰς καὶ τί
δεύτερον καὶ τί τρίτον, καὶ περὶ τῶν ἐσομένων ὁ αὐτὸς λόγος᾽ καὶ πάλιν αὖ ἐξιὼν
τίνι πρώτῳ ἐνέτυχε καὶ τίνι δευτέρῳ, καὶ λόγοι τίνες ἐλέχθησαν πρῶτοι καὶ
δεύτεροι καὶ τρίτοι, καὶ περὶ τῶν ἄλλων δὲ ὁ αὐτὸς λόγος. πάντα γὰρ ἐπειρᾶτο
ἀναλαμβάνειν τῇ διανοίᾳ τὰ συμβάντα ἐν ὅλῃ τῇ ἡμέρᾳ, οὕτω τῇ τάξει προθυμούμενος
ἀναμιμνήσκεσθαι, ὥς ποτε συνέβη γενέσθαι ἕκαστον αὐτῶν. εἰ δὲ πλείω σχολὴν ἄγοι
ἐν τῷ διεγείρεσθαι, καὶ τὰ τρίτην ἡμέραν συμβάντα τὸν αὐτὸν (166) τρόπον
ἐπειρᾶτο ἀναλαμβάνειν. καὶ ἐπὶ πλέον ἐπειρῶντο τὴν μνήμην γυμνάζειν᾽ οὐδὲν γὰρ
μεῖζον πρὸς ἐπιστήμην καὶ ἐμπειρίαν καὶ φρόνησιν τοῦ δύνασθαι μνημονεύειν. ἀπὸ
δὴ τούτων τῶν ἐπιτηδευμάτων συνέβη τὴν Ἰταλίαν πᾶσαν φιλοσόφων ἀνδρῶν
ἐμπλησθῆναι καί, πρότερον ἀγνοουμένης αὐτῆς, ὕστερον διὰ Πυθαγόραν Μεγάλην
Ἑλλάδα κληθῆναι, καὶ πλεί- VITA DI PITAGORA 207 degli alimenti. I Pitagorici
poi si occupano, più che i loro predecesso- ri, dei cataplasmi, mentre
approvano di meno i farmaci, e tra questi si servono soprattutto di quelli che
curano le ulcerazioni, mentre non accettano per nulla ciò che riguarda le
incisioni e le cauterizzazioni. (164) Si servono, per certe infermità, anche
degli incantesimi. Essi ritenevano anche che la musica contribuisca grandemente
alla salute, qualora la si usi nei modi convenienti. Si servivano anche, per la
cor- rezione dell’anima, di passi scelti dalle poesie di Omero e di Esiodo.
Credevano anche che si dovesse ritenere e conservare nella memoria tutto ciò
che viene insegnato e detto, e organizzare insieme sia le cose imparate che
quelle ascoltate fino a quando può accoglier- le la facoltà di apprendere e
memorizzare, poiché è proprio questa la facoltà con cui si deve conoscere e in
cui si deve custodire ciò che si ha in mente. Stimavano dunque molto la memoria
e la esercitavano molto e ne avevano molta cura, e nell'apprendere non abbandonava-
no ciò che veniva insegnato prima di avere consolidato ciò che con- cerne la
dottrina dei principi, e ciò che veniva detto giorno per gior- no lo
richiamavano alla memoria nel modo seguente. (165) Il filosofo pitagorico non
si alzava dal letto prima di avere richiamato alla memoria ciò che era accaduto
il giorno precedente. E questa azione di rammemorazione la compiva nel modo
seguente. Cercava di richiamare alla mente qual era stata la prima cosa che
aveva detto o ascoltato o ordinato ai domestici appena alzato, e poi la seconda
e poi la terza, e cosi anche per le successive; e ancora cerca- va di
ricordarsi chi aveva incontrato, uscendo di casa, per primo e per secondo e per
terzo, e quali parole aveva detto per prime e per secon- de e per terze, e cosi
anche per le altre <in successione>. Egli cerca- va, infatti, di
richiamare alla mente tutto ciò che era accaduto nell’in- tera giornata,
desiderando ricordare ciascuna cosa nello stesso ordine in cui era capitata. Se
poi al momento di svegliarsi aveva più tempo libero, allora cercava di
ricordarsi allo stesso modo anche quello che era accaduto fino a due giorni
prima. (166) E cercavano di esercitare il più possibile la memoria, perché non
c'è cosa migliore per la scienza e per l’esperienza e per la saggez- za che
avere capacità mnemoniche. Per tutte queste pratiche dei Pitagorici accadde che
l’intera Italia si riempi di filosofi, e mentre prima non era tenuta in conto,
dopo, 208 GIAMBLICO στους παρ᾽ αὐτοῖς ἄνδρας φιλοσό[ϑά)φους καὶ ποιητὰς καὶ
νομοθέ- τας γενέσθαι. τάς τε γὰρ τέχνας τὰς ῥητορικὰς καὶ τοὺς λόγους τοὺς
ἐπιδεικτικοὺς καὶ τοὺς νόμους τοὺς γεγραμμένους παρ᾽ ἐκείνων εἰς τὴν Ἑλλάδα
συνέβη κομισθῆναι, καὶ περὶ τῶν φυσικῶν ὅσοι τινὰ μνείαν πεποίηνται, πρῶτον
Ἐμπεδοκλέα καὶ Παρμενίδην τὸν Ἐλεάτην προφερόμενοι τυγχάνουσιν, οἵ τε
γνωμολογῆσαί τι τῶν κατὰ τὸν βίον βουλόμενοι τὰς Ἐπιχάρμου διανοίας
προφέρονται, καὶ σχεδὸν πάντες αὐτὰς οἱ φιλόσοφοι κατέχουσι. περὶ μὲν οὖν τῆς
σοφίας αὐτοῦ καὶ πῶς ἅπαντας ἀνθρώπους ἐπὶ πλεῖστον εἰς αὐτὴν προεβίβασεν, ἐφ᾽
ὅσον ἕκαστος οἷός τε ἦν μετέχειν αὐτῆς, καὶ ὡς παρέδωκεν αὐτὴν τελέως, διὰ
τούτων ἡμῖν εἰρήσθω. 30 (167) Περὶ δὲ δικαιοσύνης, ὅπως αὐτὴν ἐπετήδευσε καὶ
παρέδωκε τοῖς ἀνθρώποις, ἄριστα ἂν καταμάθοιμεν, εἰ ἀπὸ τῆς πρώτης ἀρχῆς
κατανοήσαιμεν αὐτὴν καὶ ἀφ᾽ ὧν πρώτων αἰτίων φύε- ται, τήν τε τῆς ἀδικίας
πρώτην αἰτίαν katido ev: καὶ μετὰ τοῦτο ἂν εὕροιμέν τε, ὡς τὴν μὲν ἐφυλάξατο,
τὴν δ᾽ ὅπως καλῶς ἐγγένηται παρεσκεύασεν. ἀρχὴ τοίνυν ἐστὶ δικαιοσύνης μὲν τὸ
κοινὸν καὶ ἴσον καὶ τὸ ἐγγυτάτω ἑνὸς σώματος καὶ μιᾶς ψυχῆς ὁμοπαθεῖν πά- ντας,
καὶ ἐπὶ τὸ αὐτὸ τὸ ἐμὸν φθέγγεσθαι καὶ τὸ ἀλλότριον, ὥσπερ δὴ καὶ Πλάτων μαθὼν
παρὰ τῶν Πυθαγορείων συμμαρτυρεῖ. (168) τοῦτο τοίνυν ἄριστα ἀνδρῶν
κατεσκεύασεν, ἐν τοῖς ἤθεσι τὸ ἴδιον πᾶν ἐξορίσας, τὸ δὲ κοινὸν αὐξήσας μέχρι
τῶν ἐσχάτων κτημάτων καὶ στάσεως αἰτίων ὄντων καὶ ταραχῆς᾽ κοινὰ γὰρ πᾶσι πάντα
καὶ ταὐτὰ ἦν, ἴδιον δὲ οὐδεὶς οὐδὲν ἐκέκτητο. καὶ εἰ μὲν ἠρέσκετό «τις τῇ
κοινωνίᾳ, ἐχρῆτο τοῖς κοινοῖς κατὰ τὸ δικαιότατον, εἰ δὲ μή, ἀπολαβὼν ἂν [95]
τὴν ἑαυτοῦ οὐσίαν καὶ πλείονα ἧς εἰσενηνόχει εἰς τὸ κοινὸν ἀπηλλάττετο. οὕτως
ἐξ ἀρχῆς τῆς πρώτης τὴν δικαιο- σύνην ἄριστα κατεστήσατο. μετὰ ταῦτα τοίνυν ἡ
μὲν οἰκείωσις ἡ πρὸς τοὺς ἀνθρώπους εἰσάγει δικαιοσύνην, ἡ δὲ ἀλλοτρίωσις καὶ
καταφρόνησις τοῦ κοινοῦ γένους ἀδικίαν ἐμποιεῖ. ταύτην τοίνυν πόρρωθεν τὴν
οἰκείωσιν ἐνθεῖναι βουλόμενος τοῖς ἀνθρώποις καὶ VITA DI PITAGORA 209 grazie a
Pitagora, essa fu chiamata Magna Grecia, e vi nacquero mol- tissimi filosofi e
poeti e legislatori. E infatti accadde che sia le tecni- che retoriche che i discorsi
epidittici!!! e le leggi scritte siano stati introdotti in Grecia da loro, e a
proposito dei filosofi della natura, tutti quelli che hanno fatto una qualche
menzione hanno citato anzi- tutto Empedocle e Parmenide di Elea, mentre quelli
vogliono trovar- si d'accordo in qualche cosa che riguardi la condotta di vita
citano i Pensieri di Epicarmo, che trovano posto presso quasi tutti i filosofi.
Sulla sapienza di Pitagora, dunque, e su come egli abbia fatto progre- dire al
massimo tutti quanti gli uomini verso la sapienza, per quanto ciascuno fosse in
grado di parteciparne, e su come egli la abbia inse- gnata alla perfezione, sia
dunque sufficiente quel che abbiamo detto. 30 (167) A proposito della
giustizia, come Pitagora l’abbia prati- cata e insegnata agli uomini, potremmo
apprenderlo nel modo miglio- re se noi la concepiamo a partire dal suo primo
principio e dalle prime cause che la fanno nascere, e se scorgiamo anche la
prima causa dell’ingiustizia; dopo di che troveremo anche come egli evitasse que- st’ultima e facesse in modo che l’altra
attecchisse bene. Orbene, prin- cipio
della giustizia è la comunione <dei beni> e l’uguaglianza e la condizione per cui tutti abbiano il medesimo
modo di sentire come fossero stretti in
un solo corpo e in una sola anima e possano chiama- re la medesima cosa il “mio” e il “tuo”, cosî
come Platone attesta di avere imparato
dai Pitagorici. (168) Ecco dunque ciò
che Pitagora costrui meglio di chiunque
altro, bandendo dai costumi ogni aspetto di individualismo e
facendo crescere la comunione dei beni
fino a comprendere quelli di minor
valore, essendo anche questi cause di ribellione e di tumulto; infatti tutti i beni erano comuni e identici per
tutti, e nessuno possedeva nulla come
proprietà individuale. E se qualcuno veniva accolto nella comunità, poteva servirsi dei beni comuni
nella maniera più giusta, se invece non
veniva accolto, poteva riprendersi i propri beni, e forse qualcosa di più di ciò che aveva messo in
comune, e andarsene via. È cosi che Pitagora,
fin dal primo momento, stabili la giustizia nel modo migliore. Dopo la comunione dei beni, in
verità, è il “senso di appar-
tenenza”!12 all'umanità che conduce alla giustizia, mentre il “senso
di estraneità” e il disprezzo per il
genere umano!! creano ingiustizia. 210
GIAMBLICO πρὸς τὰ ὁμογενῆ ζῷα αὐτοὺς συνέστησε,
παραγγέλλων οἰκεῖα vopi- Ce αὐτοὺς ταῦτα
καὶ φίλα, ὡς μήτε ἀδικεῖν μηδὲν αὐτῶν μήτε
φονεύειν (169) μήτε ἐσθίειν. ὁ τοίνυν καὶ τοῖς ζῴοις, διότι ἀπὸ τῶν αὐτῶν στοιχείων ἡμῖν ὑφέστηκε καὶ τῆς
κοινοτέρας ζωῆς ἡμῖν συμ- μετέχει,
οἰκειώσας τοὺς ἀνθρώπους πόσῳ μᾶλλον τοῖς τῆς
ὁμοειδοῦς ψυχῆς κεκοινωνηκόσι καὶ τῆς λογικῆς τὴν οἰκείωσιν ἐνεστήσατο. ἐκ δὲ ταύτης δῆλον ὅτι καὶ τὴν
δικαιοσύνην εἰσῆγεν ἀπ᾽ ἀρχῆς τῆς
κυριωτάτης παραγομένην. ἐπεὶ δὲ πολλοὺς ἐνίοτε καὶ σπάνις χρημάτων συναναγκάζει παρὰ τὸ δίκαιόν
τι ποιεῖν, καὶ τού- του καλῶς προενόπσε,
διὰ τῆς οἰκονομίας τὰ ἐλευθέρια δαπανήμα-
τα καὶ τὰ δίκαια ἱκανῶς ἑαυτῷ παρασκευάζων. καὶ γὰρ ἄλλως ἀρχή ἐστιν ἡ περὶ τὸν οἶκον δικαία διάθεσις τῆς
ὅλης ἐν ταῖς πόλεσιν εὐ- ταξίας᾽ ἀπὸ γὰρ
τῶν οἴκων αἱ πόλεις (170) συνίστανται. φασὶ τοίνυν αὐτὸν τὸν Πυθαγόραν κληρονομήσαντα τὸν
᾿Αλκαίου βίον, τοῦ μετὰ τὴν εἰς
Λακεδαίμονα πρεσβείαν τὸν βίον καταλύσαντος, οὐδὲν ἧττον θαυμασθῆναι κατὰ τὴν οἰκονομίαν ἢ τὴν
φιλοσοφίαν, γήμαν- τα δὲ τὴν γεννηθεῖσαν
αὐτῷ θυγατέρα, μετὰ ταῦτα δὲ Μένωνι τῷ
Κροτωνιάτῃ συνοικήσασαν, ἀγαγεῖν οὕτως, ὥστε παρθένον μὲν οὖσαν ἡγεῖσθαι τῶν χορῶν, γυναῖκα δὲ
yevo[96]uévnv πρώτην προ- σιέναι τοῖς
βωμοῖς τοὺς δὲ Μεταποντίνους, διὰ μνήμης ἔχοντας ἔτι τὸν Πυθαγόραν καὶ μετὰ τοὺς αὐτοῦ χρόνους,
τὴν μὲν οἰκίαν αὐτοῦ Δήμητρος ἱερὸν
(171) τελέσαι, τὸν δὲ στενωπὸν Μουσεῖον. ἐπεὶ δὲ καὶ ὕβρις καὶ τρυφὴ πολλάκις καὶ νόμων
ὑπεροψία ἐπαίρουσιν εἰς ἀδικίαν, διὰ
ταῦτα ὁσημέραι παρήγγελλε νόμῳ βοηθεῖν καὶ ἀνομίᾳ πολεμεῖν. διὰ ταῦτα δὲ καὶ τὴν τοιαύτην
διαίρεσιν ἐποιεῖτο, ὅτι τὸ πρῶτον τῶν
κακῶν παραρρεῖν εἴωθεν εἴς τε τὰς οἰκίας καὶ τὰς πόλεις ἡ καλουμένη τρυφή, δεύτερον ὕβρις,
τρίτον ὄλεθρος" ὅθεν «παρήγγελλεν»
ἐκ παντὸς εἴργειν τε καὶ ἀπωθεῖσθαι τὴν τρυφὴν καὶ VITA DI PITAGORA 211 Volendo dunque instillare negli uomini questo
senso di appartenenza muovendo da lontano,!!4
Pitagora stabili anche un’affinità di natura
tra gli uomini e gli animali, prescrivendo che gli uomini
considerasse- ro gli animali loro propri
parenti e amici, in modo da non commette-
re ingiustizia contro nessuno di essi né ucciderlo né mangiarlo. (169) Colui, dunque, che ha assimilato gli
uomini agli animali per il fatto che
questi sono composti degli stessi nostri elementi e parteci- pano della vita che hanno piuttosto in comune
con noi, a maggior ragione ha inculcato
il senso di appartenenza in coloro che erano
accomunati da un’anima della stessa natura, di natura cioè
razionale. Muovendo da tale senso di
appartenenza è chiaro che Pitagora intro-
dusse negli uomini anche la giustizia che cosî veniva prodotta a
parti- re da un principio assolutamente
appropriato. Ma poiché talvolta la
mancanza di beni costringe molti uomini a commettere qualche azio- ne contro la giustizia, allora Pitagora
provvide giustamente anche a questo,
predisponendo per sé in modo sufficiente, per mezzo di una <saggia> amministrazione, i mezzi
economici necessari per essere un uomo
libero e giusto. E d’altronde principio di buona amministrazio- ne dei propri beni è la giusta disposizione
dell’intero buon ordina- mento delle
città, perché le città si costituiscono a partire dalle singo- le abitazioni. (170) Si racconta dunque che lo stesso
Pitagora, dopo avere ere- ditato gli
averi di Alceo, che era morto dopo un’ambasceria a Sparta, fu ammirato per la sua capacità di
amministrare i propri beni non meno che
per la sua filosofia, e una volta sposato educò la figlia che le era nata — e che in seguito andò sposa a
Menone di Crotone - in maniera tale che
da ragazza conduceva i cori, e da sposata era la prima a frequentare gli altari; e i Metapontini,
che si ricordavano ancora di Pitagora
anche dopo il tempo della sua vita, fecero della sua abitazio- ne un tempio di Demetra, e del vicolo dove
abitava un luogo sacro alle Muse. (171) E poiché spesso la tracotanza e il
lusso e la noncuranza delle leggi spingono
all’ingiustizia, per queste ragioni Pitagora prescriveva di aiutare giorno per giorno la legalità e
combattere l’illegalità. Ed è per questo
che egli faceva la seguente divisione: il primo dei mali che abitualmente si insinuano nelle case e nelle
città è quello che si chia- ma “lusso”,
il secondo male è la tracotanza, il terzo è la rovina;1!5 di 212 GIAMBLICO
συνεθίζεσθαι ἀπὸ γενετῆς codpovi te καὶ ἀνδρικῷ βίῳ, δυσφημίας δὲ πάσης καθαρεύειν τῆς τε σχετλιαστικῆς καὶ
τῆς μαχίμου καὶ τῆς (172) λοιδορητικῆς
καὶ τῆς φορτικῆς καὶ γελωτοποιοῦ. πρὸς τούτοις
ἄλλο εἶδος δικαιοσύνης κάλλιστον κατεστήσατο, τὸ νομοθετικόν, ὃ προστάττει μὲν ἃ δεῖ ποιεῖν, ἀπαγορεύει δὲ ἃ
μὴ χρὴ πράττειν, κρεῖττον δέ ἐστι καὶ
τοῦ δικαστικοῦ᾽ τὸ μὲν γὰρ τῷ ἰατρικῷ προσέ-
οἶκε καὶ νοσήσαντας θεραπεύει, τὸ δὲ τὴν ἀρχὴν οὐδὲ νοσεῖν «ἐᾷ», ἀλλὰ πόρρωθεν ἐπιμελεῖται τῆς ἐν τῇ ψυχῇ
ὑγείας. τούτου δὲ οὕτως ἔχοντος
νομοθέται πάντων ἄριστοι γεγόνασιν οἱ Πυθαγόρᾳ προσελ- θόντες, πρῶτον μὲν Χαρώνδας ὁ Καταναῖος,
ἔπειτα Ζάλευκος καὶ Τιμάρατος οἱ Λοκροῖς
γράψαντες τοὺς νόμους, πρὸς δὲ τούτοις
Θεοκλῆς!9 καὶ Ἑλικάων καὶ ᾿Αριστο[97]κράτης καὶ Φύτιος, οἱ Ῥηγίνων γενόμενοι νομοθέται. καὶ πάντες οὗτοι
παρὰ τοῖς αὑτῶν πολίταις ἰσοθέων τιμῶν
(173) ἔτυχον. οὐ γὰρ καθάπερ Ἡράκλειτος
γράψειν Ἐφεσίοις ἔφη τοὺς νόμους, ἀπάγξασθαι τοὺς πολίτας ἡβηδὸν κελεύσας, ἀλλὰ μετὰ πολλῆς ἐννοίας καὶ
πολιτικῆς ἐπιστήμης νομοθετεῖν
ἐπεχείρησαν. καὶ τί δεῖ τούτους θαυμάζειν,
τοὺς ἀγωγῆς καὶ τροφῆς ἐλευθέρας μετασχόντας; Ζάμολξις γὰρ Θρᾷξ ὧν καὶ Πυθαγόρου δοῦλος γενόμενος καὶ
τῶν λόγων τῶν Πυθαγόρου διακούσας,
ἀφεθεὶς ἐλεύθερος καὶ παραγενόμενος πρὸς
τοὺς Γέτας, τούς τε νόμους αὐτοῖς ἔθηκε, καθάπερ καὶ ἐν ἀρχῇ δεδηλώκαμεν, καὶ πρὸς τὴν ἀνδρείαν τοὺς
πολίτας παρεκάλεσε, τὴν ψυχὴν ἀθάνατον
εἶναι πείσας. ἔτι καὶ νῦν οἱ Γαλάται πάντες καὶ οἱ Τράλλεις καὶ οἱ πολλοὶ τῶν βαρβάρων τοὺς
αὑτῶν υἱοὺς πείθουσιν, ὡς οὐκ ἔστι φθαρῆναι
τὴν ψυχήν, ἀλλὰ διαμένειν, τῶν ἀποθανόντων,
καὶ ὅτι τὸν θάνατον οὐ φοβητέον, ἀλλὰ πρὸς τοὺς κινδύνους εὐρώστως ἑκτέον. καὶ ταῦτα παιδεύσας τοὺς
Γέτας καὶ γράψας αὐὖὐ- τοῖς τοὺς νόμους
μέγιστος τῶν (174) θεῶν ἐστι παρ᾽ αὐτοῖς. ἔτι τοί- νυν ἀνυσιμώτατον πρὸς τὴν τῆς δικαιοσύνης
κατάστασιν ὑπελάμβανεν εἶναι τὴν τῶν
θεῶν ἀρχήν, ἄνωθέν τε ἀπ᾽ ἐκείνης
πολιτείαν καὶ νόμους, δικαιοσύνην τε καὶ τὰ δίκαια διέθηκεν. οὐ χεῖρον δὲ καὶ τὰ καθ᾽ ἕκαστον ὅπως διώρισε
προσθεῖναι. τὸ διανο- εἶσθαι περὶ τοῦ θείου,
ὡς ἔστι τε καὶ πρὸς τὸ ἀνθρώπινον γένος [98]
οὕτως ἔχει ὡς ἐπιβλέπειν καὶ μὴ ὀλιγωρεῖν αὐτοῦ, χρήσιμον εἶναι 10 Θεοκλῆς ho corretto io per collazione
con il $ 130 (ν p. 73,28 Deubner/Klein,
ma anche trad. Brisson/Segonds, Note ad loc.): Θεαίτητος Deubner/Klein. VITA DI PITAGORA 213 qui il fatto che Pitagora prescriveva
assolutamente di evitare e tenere
lontano il lusso e di assuefarsi fin dalla nascita a uno stile di vita
tem- perante e virile, e di tenersi puri
da ogni maldicenza, sia essa dovuta a
indignazione o ad ostilità, a biasimo, a volgarità, a irrisione. (172) Oltre a queste forme di giustizia
Pitagora ne stabili benissi- mo
un’altra, cioè la giustizia legislativa, che comanda ciò che si deve fare e proibisce le azioni che non bisogna
compiere, e che è superio- re anche al
potere giudiziario, perché mentre quest’ultimo somiglia alla medicina che cura gli ammalati, quella
invece all’inizio non per- mette neppure
che ci si ammali, ma alla distanza si preoccupa della salute dell'anima. Stando cosi le cose,
quelli che erano più vicini a Pitagora
divennero, fra tutti, i migliori legislatori, anzitutto Caronda di Catania, poi Zaleuco e Timarato, i quali
scrissero le leggi per i Locresi, e
inoltre Teocle ed Elicaone e Aristocrate e Fizio, che furono legislatori di Reggio. E tutti costoro hanno
goduto presso i loro con- cittadini di
onori simili a quelli che si tributano agli dèi. (173) Essi infatti, a differenza di
Eraclito, il quale disse che avreb- be
scritto le leggi per gli Efesini, dopo avere invitato i cittadini ad impiccarsi una volta raggiunta l'età adulta,
cercarono di legiferare con molta
riflessione e scienza politica. E perché meravigliarsi di costoro, sapendo che avevano partecipato a
un'educazione e a un nutrimento
liberali?116 Zamolxi il Trace, infatti, che era schiavo di Pitagora e ascoltò i suoi discorsi, divenuto libero e
recatosi presso i Geti, stabili le loro
leggi, come abbiamo mostrato anche all’inizio, e incitò quei cit- tadini ad essere coraggiosi, convincendoli
che l’anima è immortale.117 E ancora
oggi tutti i Galati e i Tralli e molti tra i barbari persuadono i propri figli che non è possibile che
l’anima di coloro che muoiono perisca,
ma che al contrario sopravviva, e che non bisogna avere paura della morte, ma bisogna essere forti di
fronte ai pericoli. E avendo insegnato
tutto questo ai Geti e avere scritto per loro le leggi, essi lo considerano il più grande fra gli
dèi. (174) Pitagora, inoltre,
considerava l’autorità degli dèi lo stru-
mento più efficace per stabilire la giustizia, e muovendo da quella autorità dispose la costituzione e le leggi,
la giustizia e il giusto. Non è male
aggiungere anche in che modo egli determinò tutto questo in dettaglio. Che si dovesse pensare, a
proposito del divino, che esso esi- sta
ed abbia relazione con il genere umano al punto da non perderlo 214 GIAMBLICO ὑπελάμβανον οἱ Πυθαγόρειοι rap’ ἐκείνου
μαθόντες. δεῖσθαι γὰρ ἡμᾶς ἐπιστατείας
τοιαύτης, ἧ κατὰ μηδὲν ἀνταίρειν ἀξιώσομεν:
τοιαύτην δ᾽ εἶναι τὴν ὑπὸ τοῦ θείου γινομένην, εἴπερ ἐστὶ τὸ θεῖον τοιοῦτον «οἷον» ἄξιον εἶναι τῆς τοῦ σύμπαντος
ἀρχῆς. ὑβριστικὸν γὰρ δὴ φύσει τὸ ζῷον
ἔφασαν εἶναι, ὀρθῶς λέγοντες, καὶ ποικίλον
κατά τε τὰς ὁρμὰς καὶ κατὰ τὰς ἐπιθυμίας καὶ κατὰ τὰ λοιπὰ τῶν παθῶν’ δεῖσθαι οὖν τοιαύτης ὑπεροχῆς τε καὶ
ἐπανα(] 75)τάσεως, ἀφ᾽ ἧς ἐστι
σωφρονισμός τις καὶ τάξις. ᾧοντο δὴ δεῖν ἕκαστον αὑτῷ συνειδότα τὴν τῆς φύσεως ποικιλίαν μηδέποτε
λήθην ἔχειν τῆς πρὸς τὸ θεῖον ὁσιότητός
τε καὶ θεραπείας, ἀλλ᾽ ἀεὶ τίθεσθαι πρὸ τῆς δια- νοίας ὡς ἐπιβλέποντός τε καὶ παραφυλάττοντος
τὴν ἀνθρωπίνην ἀγωγήν. μετὰ δὲ τὸ θεῖόν
τε καὶ τὸ δαιμόνιον πλεῖστον ποιεῖσθαι
λόγον γονέων τε καὶ νόμου, καὶ τούτων ὑπήκοον αὑτὸν κατασκευά- ἵειν, μὴ πλαστῶς, ἀλλὰ πεπεισμένως. καθόλου
δὲ ᾧοντο δεῖν ὑπολαμβάνειν μηδὲν εἶναι
μεῖζον κακὸν ἀναρχίας" οὐ γὰρ πεφυκέ-
ναι τὸν ἄνθρωπον διασῴζεσθαι (176) μηδενὸς ἐπιστατοῦντος. τὸ μέ- νειν ἐν τοῖς πατρίοις ἔθεσί τε καὶ νομίμοις
ἐδοκίμαζον οἱ ἄνδρες ἐκεῖνοι, κἂν ἦ
μακρῷ χείρω ἑτέρων: τὸ γὰρ ῥᾳδίως ἀποπηδᾶν ἀπὸ
τῶν ὑπαρχόντων νόμων καὶ οἰκείους εἶναι καινοτομίας οὐδαμῶς εἶναι σύμφορον οὐδὲ σωτήριον. πολλὰ μὲν οὖν
καὶ ἄλλα τῆς πρὸς θεοὺς ὁσίας ἐχόμενα
ἔργα διεπράξατο, σύμφωνον ἑαυτοῦ τὸν βίον
τοῖς λόγοις ἐπιδεικνύων οὐ χεῖρον δ᾽ ἑνὸς μνημονεῦσαι, δυναμέ- νου καὶ τὰ ἄλλα σαφῶς ἐμφαίνειν. [99] (177)
ἐρῶ δὲ τὰ πρὸς τὴν πρε- σβείαν τὴν ἐκ
Συβάριδος εἰς Κρότωνα παραγενομένην ἐπὶ τὴν ἐξαί- τησιν τῶν φυγάδων ὑπὸ Πυθαγόρου ῥηθέντα καὶ
πραχθέντα. ἐκεῖνος γάρ, ἀνῃρημένων τινῶν
τῶν μετ᾽ αὐτοῦ συνδιατριψάντων ὑπὸ τῶν
ἡκόντων πρεσβευτῶν, ὧν ὃ μὲν τῶν αὐτοχείρων, ὃ δ᾽ υἱὸς τετελευ- τηκότος ὑπ᾽ ἀρρωστίας τῶν τῆς στάσεως
μετεσχηκότων, ἔτι μὲν τῶν ἐν τῇ πόλει
διαπορούντων, ὅπως χρήσονται τοῖς πράγμασιν, εἶπε πρὸς τοὺς ἑταίρους ὡς οὐκ ἂν βούλοιτο μεγάλα
πρὸς αὐτὸν διαφωνῆσαι τοὺς Κροτωνιάτας
καΐ, δοκιμάζοντος αὐτοῦ μηδ᾽ ἱερεῖα τοῖς
βωμοῖς προσάγειν, ἐκείνους καὶ τοὺς ἱκέτας ἀπὸ τῶν βωμῶν VITA DI PITAGORA 215 di vista e da non trascurarlo, i Pitagorici
ritenevano, per averlo appre- so da
Pitagora, che tutto questo fosse utile, perché noi abbiamo biso- gno di una tale sovrintendenza, alla quale
sarà opportuno da parte nostra non
opporsi in nessun modo: tale infatti è l’autorità che pro- viene dal divino, se è vero che il divino è
di tale natura da essere degno di
reggere l’universo intero. I Pitagorici dicevano, infatti, e ave- vano ragione di dirlo, che l’essere vivente è
per natura tracotante e variegato sia
nei suoi impulsi che nei suoi appetiti e in tutto il resto delle sue passioni; di conseguenza ha bisogno
della supremazia e della minaccia
<del divino>, che hanno come effetti una certa temperanza e un certo ordine. (175) I Pitagorici credevano appunto che
ciascuno di noi, nella consapevolezza
della propria variegata natura, non deve mai dimenti- care la pietà e il culto verso il divino, ma
avere sempre presente alla mente che il
divino guarda e tiene d’occhio la condotta degli uomini. Dopo il divino e il demonico i Pitagorici
credevano che si dovesse tenere nel
massimo conto genitori e legge, e che ci si dovesse predi- sporre ad ascoltarli senza infingimenti, ma
in modo convinto. In gene- rale
credevano si dovesse ritenere che non c’è male più grande del- l'anarchia, perché l’uomo per sua natura non
può salvarsi quando nessuno lo
assiste. (176) Quegli uomini erano
dell’idea che si dovesse rimanere all’in-
terno dei costumi e delle leggi dei padri, anche quando fossero di gran lunga peggiori degli altri, perché il
facile abbandono delle leggi esistenti
per fare proprie delle innovazioni non è affatto conveniente né salvifico. Orbene, Pitagora compi molte
altre opere attinenti alla sua pietà
verso gli dèi, mostrando cost uno stile di vita consonante con i suoi discorsi; non è male ricordare una sua
opera che sia in grado di mettere
chiaramente in evidenza anche le altre.
(177) Dirò che cosa Pitagora disse e fece in occasione dell’amba- sceria che giunse da Sibari a Crotone per
chiedere la consegna dei profughi.!!8
Poiché, infatti, alcuni tra coloro che avevano frequentato la scuola di Pitagora erano stati uccisi
dagli uomini giunti con l’amba- sceria —
tra i quali c’era uno degli assassini e un altro che era figlio di uno di coloro che avevano partecipato alla
ribellione ed era morto per malattia — e
i cittadini di Crotone si domandavano ancora in che modo si dovessero comportare, allora Pitagora
disse ai suoi compagni 216
GIAMBLICO ἀποσπᾶν. προσελθόντων δ᾽
αὐτῷ τῶν Συβαριτῶν καὶ μεμφομένων, τῷ
μὲν αὐτόχειρι λόγον ἀποδιδόντι τῶν ἐπιτιμωμένων οὐ θεμιστεύειν ἔφησεν. ὅθεν ἠτιῶντο αὐτὸν ᾿Απόλλωνα φάσκειν
εἶναι παρὰ τὸ καὶ πρότερον ἐπί τινος
ζητήσεως ἐρωτηθέντα «διὰ τί ταῦτ᾽ ἐστίν;»
ἀντερωτῆσαι τὸν πυνθανόμενον, εἰ καὶ τὸν ᾿Απόλλωνα λέγοντα τοὺς (178) χρησμοὺς ἀξιώσειεν ἂν τὴν αἰτίαν
ἀποδοῦναι. πρὸς δὲ τὸν ἕτερον, ὡς ᾧετο,
καταγελῶντα τῶν διατριβῶν, ἐν αἷς ἀπεφαίνετο
Πυθαγόρας ἐπάνοδον εἶναι ταῖς ψυχαῖς, καὶ φάσκοντα πρὸς τὸν πατέρα δώσειν ἐπιστολήν, ἐπειδὰν εἰς ἅδου
μέλλῃ καταβαΐνειν, καὶ κελεύοντα λαβεῖν
ἑτέραν, ὅταν ἐπανίῃ παρὰ τοῦ πατρός, οὐκ
ἔφη μέλλειν εἰς τὸν τῶν ἀσεβῶν τόπον παραβάλλειν, ὅπου σαφῶς οἶδε τοὺς σφαγεῖς κολαζομένους. λοιδορηθέντων
δ᾽ αὐτῷ τῶν πρε- σβευτῶν, κἀκείνου
προάγοντος ἐπὶ τὴν θάλατταν καὶ περιρραναμέ-
νου πολλῶν ἀκολουθούντων, εἶπέ τις τῶν συμβουλευόντων τοῖς Κροτωνιάταις, ἐπειδὴ τὰ ἄλλα τῶν ἡκόντων
κατέδραμεν, ὅτι καὶ Πυθαγόρᾳ προσκόπτειν
ἀπενοήθησαν, ὑπὲρ οὗ, [100] πάλιν ἐξ
ἀρχῆς, ὥσπερ οἱ μῦθοι παραδεδώκασιν, ἁπάντων ἐμψύχων τὴν αὐτὴν φωνὴν τοῖς ἀνθρώποις ἀφιέντων, μηδὲ
(179) τῶν ἄλλων ζῴων μηδὲν ἂν τολμῆσαι
βλασφημεῖν. καὶ ἄλλην δὲ μέθοδον ἀνεῦρε τοῦ
ἀναστέλλειν τοὺς ἀνθρώπους ἀπὸ τῆς ἀδικίας, διὰ τῆς κρίσεως τῶν ψυχῶν, εἰδὼς μὲν ἀληθῶς ταύτην λεγομένην,
εἰδὼς δὲ καὶ χρησίμην οὖσαν εἰς τὸν
φόβον τῆς ἀδικίας. πολλῷ δὴ μᾶλλον ἀδικεῖσθαι δεῖν παρήγγελλεν ἢ κτείνειν ἄνθρωπον (ἐν ἅδου γὰρ
κεῖσθαι τὴν κρί- σιν), ἐκλογιζόμενος τὴν
ψυχὴν καὶ τὴν οὐσίαν αὐτῆς καὶ τὴν
πρώτην τῶν ὄντων φύσιν. βουλόμενος δὲ τὴν ἐν τοῖς ἀνίσοις καὶ ἀσυμμέτροις καὶ ἀπείροις πεπερασμένην καὶ
ἴσην καὶ σύμμετρον δικαιοσύνην
παραδεῖξαι, ὅπως δεῖ αὐτὴν ἀσκεῖν ὑφηγήσασθαι, τὴν δικαιοσύνην ἔφη προσεοικέναι τῷ σχήματι
ἐκείνῳ, ὅπερ μόνον τῶν ἐν γεωμετρίᾳ
διαγραμμάτων ἀπείρους μὲν ἔχει τὰς τῶν σχημάτων
συστάσεις, ἀνομοίως δὲ ἀλλήλοις διακειμένων ἴσας ἔχει τὰς τῆς VITA DI PITAGORA 217 che non avrebbe voluto che i Crotoniati
fossero con lui in grande disaccordo e
che, dal momento che non approvava che agli altari si conducessero delle vittime sacrificali,
neppure approvava che gli ambasciatori
strappassero dagli altari i supplici [sc. i profughi]. E poi- ché i Sibariti gli si avvicinarono per fare
le loro rimostranze, all’assas- sino che
era il portavoce di quelle lamentele Pitagora disse che non avrebbe dato alcun responso oracolare; di qui
l’accusa che quelli gli fecero di
pretendere di essere Apollo, anche perché in precedenza ad uno che gli poneva la domanda: “perché stanno
cosi le cose?”, Pitagora aveva ribattuto
all’interrogante domandandogli se gli sem-
brasse opportuno chiedere ad Apollo la ragione degli oracoli che
dà. (178) Ed a un altro che lo
scherniva — come egli credeva — per le
lezioni in cui Pitagora mostrava la risalita delle anime, e
pretendeva che Pitagora, non appena
fosse disceso nell’Ade, consegnasse una let-
tera a suo padre e lo invitava a riportare sù la risposta, quando
fosse risalito dal luogo dov'era suo
padre, Pitagora disse: “io non approde-
τὸ al luogo degli empi, dove so per certo che vengono puniti gli
assas- sini”. E mentre gli ambasciatori
lo insultavano e Pitagora, seguito da
molti, avanzava verso il mare per purificarsi, uno dei consiglieri
dei Crotoniati, dopo avere inveito
contro il comportamento degli amba-
sciatori, disse che erano stati, tra l’altro, cosî insensati da
insultare Pitagora, su cui nessun altro
animale -- ammesso che tutti gli esseri
viventi, come i miti hanno insegnato, si mettessero di nuovo a
parlare la stessa lingua degli uomini,
cosî come accadeva all’origine — osereb-
be pronunciare nemmeno una parola irriverente. (179) Pitagora scopri anche un altro metodo
per allontanare gli uomini
dall’ingiustizia, quello del mito secondo cui le anime sono sot- toposte a giudizio, sapendo, da un lato, che
esso racconta la verità e, dall’altro
lato, che è anche utile a incutere la paura dell’ingiustizia. Prescriveva dunque che si dovesse molto più
subire un’ingiustizia piuttosto che
uccidere un uomo (perché nell’Ade si sarà giudicati), tenendo conto dell’anima e della sua essenza
e della prima natura degli enti. A
proposito della giustizia, che è uguale nelle cose disugua- li, proporzionale in quelle prive di
proporzione e limitata in quelle illi-
mitate, volendo Pitagora mostrare quale descrizione si debba dare
del suo esercizio, disse che la si può
paragonare a quella figura geometri- ca
che, unica tra le descrizioni della geometria, ha infinite le compo- 218 GIAMBLICO (180) δυνάμεως ἀποδείξεις. ἐπεὶ δὲ καὶ ἐν
τῇ πρὸς ἕτερον χρείᾳ ἔστι τις
δικαιοσύνη, καὶ ταύτης τοιοῦτόν τινα τρόπον λέγεται ὑπὸ τῶν Πυθαγορείων παραδίδοσθαι. εἶναι γὰρ κατὰ
τὰς ὁμιλίας τὸν μὲν εὔκαιρον, τὸν δὲ ἄκαιρον,
διαιρεῖσθαι δὲ ἡλικίας τε διαφορᾷ καὶ
ἀξιώματος καὶ οἰκειότητος τῆς συγγενικῆς καὶ εὐεργεσίας, καὶ εἴ τι ἄλλο τοιοῦτον ἐν ταῖς πρὸς ἀλλήλους
διαφοραῖς ὃν ὑπάρχει. ἔστι γάρ τι
ὁμιλίας εἶδος, ὃ φαίνεται νεωτέρῳ μὲν πρὸς νεώτερον οὐκ ἄκαιρον εἶναι, πρὸς δὲ τὸν πρεσβύτερον
dkarpov: οὔτε γὰρ ὀργῆς οὔτε ἀπειλῆς
εἶδος πᾶν «ἄκαιρον» οὔτε θρασύτητος, ἀλλὰ
πᾶσαν τὴν τοιαύτην ἀκαιρίαν εὐλαβητέον [101] εἶναι τῷ νεωτέρῳ πρὸς τὸν πρεσβύτερον. παραπλήσιον δέ (181)
τινα εἶναι καὶ τὸν περὶ τοῦ ἀξιώματος
λόγον᾽ πρὸς γὰρ ἄνδρα ἐπὶ καλοκαγαθίας
ἥκοντα ἀληθινὸν ἀξίωμα οὔτ᾽ εὔσχημον οὔτ᾽ εὔκαιρον εἶναι προ- σφέρειν οὔτε παρρησίαν πάλιν οὔτε τὰ λοιπὰ
τῶν ἀρτίως εἰρημένων. παραπλήσια δὲ
τούτοις καὶ περὶ τῆς πρὸς τοὺς γονεῖς
ὁμιλίας ἐλέγετο, ὡσαύτως δὲ καὶ περὶ τῆς πρὸς τοὺς εὐεργέτας. εἶναι δὲ ποικίλην τινὰ καὶ πολυειδῆ τὴν τοῦ
καιροῦ χρείαν’ καὶ γὰρ τῶν ὀργιζομένων
τε καὶ θυμουμένων τοὺς μὲν εὐκαίρως τοῦτο
ποιεῖν, τοὺς δὲ ἀκαίρως, καὶ πάλιν αὖ τῶν ὀρεγομένων τε καὶ ἐπι- θυμούντων καὶ ὁρμώντων ἐφ᾽ ὁτιδήποτε τοῖς μὲν
ἀκολουθεῖν και- ρόν, τοῖς δ᾽ ἀκαιρίαν.
τὸν αὐτὸν δ᾽ εἶναι λόγον καὶ περὶ τῶν ἄλλων
παθῶν τε καὶ πράξεων (182) καὶ διαθέσεων καὶ ὁμιλιῶν καὶ ἐντεύ- ἕξεων. εἶναι δὲ τὸν καιρὸν μέχρι μέν τινος
διδακτόν τε καὶ ἀπαρά- λογον καὶ
τεχνολογίαν ἐπιδεχόμενον, καθόλου δὲ καὶ ἁπλῶς οὐδὲν αὐτῷ τούτων ὑπάρχειν. ἀκόλουθα δὲ εἶναι καὶ
σχεδὸν τοιαῦτα οἷα συμπαρέπεσθαι τῇ τοῦ
καιροῦ φύσει τήν τε ὀνομαζομένην ὥραν καὶ
τὸ πρέπον καὶ τὸ ἁρμόττον, καὶ εἴ τι ἄλλο τυγχάνει τούτοις ὁμοιογενὲς ὄν. ἀρχὴν δὲ ἀπεφαίνοντο ἐν παντὶ
ἕν τι τῶν τιμιωτάτων εἶναι ὁμοίως ἐν
ἐπιστήμῃ τε καὶ ἐμπειρίᾳ καὶ ἐν γενέσει, καὶ πάλιν αὖ ἐν οἰκίᾳ τε καὶ πόλει καὶ στρατοπέδῳ καὶ
πᾶσι τοῖς τοιούτοις συστήμασι,
δυσθεώρητον δ᾽ εἶναι καὶ δυσσύνοπτον τὴν τῆς ἀρχῆς φύσιν ἐν πᾶσι τοῖς εἰρημένοις. ἔν τε γὰρ ταῖς
ἐπιστήμαις οὐ τῆς VITA DI PITAGORA
219 sizioni delle figure, mentre ha
uguali le dimostrazioni del quadrato dei
lati anche se disposti in modo dissimile tra loro.119 (180) E poiché anche nel rapporto con
l’altro esiste una certa giu- stizia, i
Pitagorici insegnavano — come si racconta -- anche un certo modo di esercitare tale giustizia che è il
seguente: nelle relazioni con gli altri
c'è il momento dell'opportunità e quello della inopportunità, e la distinzione dipende dalla differenza di
età o dignità o parentela o beneficenza,
e se esiste nelle reciproche differenze <tra gli uomini> qualche altro fattore del genere. C’è infatti
una forma di relazione che si rivela non
inopportuna da parte di un giovane verso un altro giova- ne, mentre si rivela inopportuna verso
l'anziano, perché non è inop- portuna
qualsiasi forma di ira o di minaccia o di sfrontatezza, al con- trario bisogna evitare ciascuno di tali
atteggiamenti come inopportu- no per il
giovane nei confronti dell'anziano. Più o meno lo stesso è il discorso che riguarda la dignità. (181) Nei confronti di un uomo, infatti, che
abbia raggiunto per la sua rettitudine
un’autentica dignità non è decoroso né opportuno comportarsi o esprimersi con assoluta
libertà, e neppure in nessuno degli
altri modi di cui si è appena detto. Più o meno lo stesso discor- so faceva Pitagora a proposito del rapporto
con i genitori, cosî come anche con i
benefattori. Quanto all’opportunità del rapporto, essa è varia e multiforme, perché tra coloro che si
adirano o si infuriano, alcuni lo fanno
opportunamente, altri inopportunamente, e ancora tra coloro che aspirano a qualcosa e lo fanno
per appetito o per impulso, in alcuni
casi seguono il momento opportuno, in altri quel- lo inopportuno. Lo stesso discorso vale a
proposito delle altre passio- ni e
azioni e disposizioni e relazioni e incontri.
(182) Ma il momento opportuno è insegnabile perché non privo di razionalità ed ammette uno studio
approfondito, ma fino a un certo punto,
perché in generale e preso per se stesso non ha nulla a che vedere con tutto ciò. Alla natura del momento
opportuno si accom- pagnano e fanno da
scorta elementi che hanno pressappoco questi
nomi: “stagione” o “momento conveniente” o “momento adatto”, o altro, se ce n'è, che sia dello stesso genere
di questi. I Pitagorici mostravano che
principio è sempre, sia nella scienza e nell’esperienza che nella generazione, e ancora nella casa e
nella città e nell’esercito e in tutti i
sistemi del genere, un qualcosa di assolutamente prezioso, 220 GIAMBLICO τυχούσης εἶναι διανοίας τὸ καταμαθεῖν τε
καὶ κρῖναι καλῶς βλέ- ψαντας εἰς τὰ μέρη
τῆς πραγματείας, [102] (183) ποῖον τούτων ἀρχή.
μεγάλην δ᾽ εἶναι διαφορὰν καὶ σχεδὸν περὶ ὅλου τε καὶ παντὸς τὸν κίνδυνον γίνεσθαι μὴ ληφθείσης ὀρθῶς τῆς
ἀρχῆς οὐδὲν γάρ, ὡς ἁπλῶς εἰπεῖν, ἔτι
τῶν μετὰ ταῦτα ὑγιὲς γίνεσθαι ἀγνοηθείσης τῆς
ἀληθινῆς ἀρχῆς. τὸν αὐτὸν δ᾽ εἶναι λόγον καὶ περὶ τῆς ἑτέρας ἀρχῆς οὔτε γὰρ οἰκίαν οὔτε πόλιν εὖ ποτε ἂν
οἰκηθῆναι μὴ ὑπάρξαντος ἀληθινοῦ
ἄρχοντος καὶ κυριεύοντος τῆς ἀρχῆς τε καὶ
ἐπιστασίας ἑκουσίως. ἀμφοτέρων γὰρ δεῖ βουλομένων τὴν ἐπιστα- τείαν γίνεσθαι, ὁμοίως τοῦ τε ἄρχοντος καὶ
τῶν ἀρχομένων, ὥσπερ καὶ τὰς μαθήσεις
τὰς ὀρθῶς γινομένας ἑκουσίως δεῖν ἔφασαν γίνε-
σθαι, ἀμφοτέρων βουλομένων, τοῦ τε διδάσκοντος καὶ τοῦ μανθά- νοντος᾽ ἀντιτείνοντος γὰρ ὁποτέρου δήποτε τῶν
εἰρημένων οὐκ ἂν ἐπιτελεσθῆναι κατὰ
τρόπον τὸ προκείμενον ἔργον. οὕτω μὲν οὖν τὸ
πείθεσθαι τοῖς ἄρχουσι καλὸν εἶναι ἐδοκίμαζε καὶ τὸ τοῖς διδα- σκάλοις ὑπακούειν. τεκμήριον δὲ δι᾽ ἔργων
(184) μέγιστον παρεί- χετο τοιοῦτον.
πρὸς Φερεκύδην τὸν Σύριον, διδάσκαλον αὐτοῦ
γενόμενον, ἀπὸ τῆς Ἰταλίας εἰς Δῆλον ἐκομίσθη, νοσοκομήσων τε αὐτὸν περιπετῆ γενόμενον τῷ ἱστορουμένῳ τῆς
φθειριάσεως πάθει καὶ κηδεύσων αὐτόν:
παρέμεινέ τε ἄχρι τῆς τελευτῆς αὐτῷ καὶ τὴν
ὁσίαν ἀπεπλήρωσε περὶ τὸν αὑτοῦ καθηγεμόνα. οὕτω περὶ πολλοῦ τὴν περὶ τὸν διδάσκαλον ἐποιεῖτο σπουδήν. (185) πρός γε μὴν συνταγὰς καὶ τὸ ἀψευδεῖν
ἐν αὐταῖς οὕτως εὖ παρεσκεύαζε τοὺς
ὁμιλητὰς Πυθαγόρας, ὥστε φασί ποτε Λῦσιν προ-
σκυνήσαντα ἐν Ἥρας ἱερῷ καὶ ἐξιόντα συντυχεῖν [103] Εὐρυφάμῳ Συρακουσίῳ τῶν ἑταίρων τινὶ περὶ τὰ προπύλαια
τῆς θεοῦ εἰσιόντι. προστάξαντος δὲ τοῦ
Εὐρυφάμου προσμεῖναι αὐτόν, μέχρις ἂν καὶ
αὐτὸς προσκυνήσας ἐξέλθῃ, ἑδρασθῆναι ἐπί τινι λιθίνῳ θώκῳ VITA DI PITAGORA 221 ma la natura del principio in tutte le cose
di cui si è detto è difficile a vedersi
e comprendersi. Nelle scienze, infatti, non è proprio di una mente qualsiasi, una volta che si è guardato
bene alle varie sezioni della dottrina,
l’apprendere e il giudicare qual è quella di esse che ha funzione di principio. (183) Ma fa una grande differenza e nasce il
rischio quasi sull’in- tera dottrina e
su ciascuna sua sezione, qualora non se ne apprenda correttamente il principio, perché, per dirla
in breve, non c’è più nulla di valido in
quel che segue, quando se ne ignori il vero princi- pio. Lo stesso discorso vale anche per quanto
concerne il principio di una cosa
diversa dalla scienza: infatti né una casa né una città <ad esempio> potranno essere bene amministrate
se non c’è un vero capo o padrone, il
cui comando o padronanza non abbia il consenso <degli altri>. Occorre infatti che la funzione
del sovrintendere sia voluta da ambedue
le parti, cioè tanto da chi comanda quanto da chi è coman- dato, cosi come, dicono i Pitagorici, occorre
che gli apprendimenti per essere
corretti siano voluti da ambedue le parti, sia dall’insegnan- te che dal discente, perché se l’una o
l’altra delle suddette parti doves- se
mai fare resistenza, l’opera che ci si propone non si realizzerebbe nel modo dovuto. Cosî, dunque, Pitagora
riteneva giusto obbedire ai magistrati e
ascoltare gli insegnanti. Ed egli ne diede con i fatti la prova migliore, cioè questa. (184) Si imbarcò dall’Italia verso Delo per
recarsi da Ferecide di Siro, che era
stato suo maestro, per curarlo della malattia in cui era incappato, malattia che viene chiamata
“ftiriasi”, e <infine> rendergli
gli onori funebri; e <infatti> rimase con lui fino alla sua morte
e compî quest’atto di pietà per il suo
maestro. Di cosi grande valore egli
riteneva il fatto di prendersi cura del proprio maestro. (185) Per quanto riguarda i patti e il
dovere di non smentigli, Pitagora predisponeva
i suoi discepoli a tal punto che si racconta che una volta Liside, dopo essere stato in
adorazione nel tempio di Era, uscendo si
imbatté in Eurifamo di Siracusa, uno dei suoi compagni, che stava entrando nel vestibolo di quel
tempio. Eurifamo fece sî che Liside si
impegnasse ad aspettarlo fino a quando non fosse uscito, dopo avere fatto anche lui la sua adorazione,
e quello si sedette su un banco di
pietra che trovò collocato in quel posto. Cosî Eurifamo compi la sua adorazione e subito si immerse
in uno dei suoi pensieri 222 GIAMBLICO ἱδρυμένῳ αὐτόθι. ὡς δὲ προσκυνήσας ὁ
Εὐρύφαμος καὶ ἔν τινι δια- νοήματι καὶ
βαθυτέρᾳ καθ᾽ ἑαυτὸν ἐννοίᾳ γενόμενος δι᾽ ἑτέρου πυλῶνος ἐκλαθόμενος ἀπηλλάγη, τό τε τῆς
ἡμέρας λοιπὸν καὶ τὴν ἐπιοῦσαν νύκτα καὶ
τὸ πλέον μέρος ἔτι τῆς ἄλλης ἡμέρας ὡς εἶχεν
ἀτρέμας προσέμενεν ὁ Λῦσις. καὶ τάχα ἂν ἐπὶ πλείονα χρόνον αὖ- τοῦ ἦν, εἰ μή περ ἐν τῷ ὁμακοείῳ τῆς ἑξῆς
ἡμέρας γενόμενος ὁ Εὐρύφαμος καὶ ἀκούσας
ἐπιζητουμένου πρὸς τῶν ἑταίρων τοῦ
Λύσιδος ἀνεμνήσθη. καὶ ἐλθὼν αὐτὸν ἔτι προσμένοντα κατὰ τὴν συνθήκην ἀπήγαγε, τὴν αἰτίαν εἰπὼν τῆς λήθης
καὶ προσεπιθεὶς ὅτι «ταύτην δέ μοι θεῶν
τις ἐνῆκε, δοκίμιον ἐσομένην τῆς σῆς περὶ συν-
θήκας εὐσταθείας». (186) καὶ τὸ
ἐμψύχων δὲ ἀπέχεσθαι ἐνομοθέτησε διά τε ἄλλα
πολλὰ καὶ ὡς εἰρηνοποιὸν τὸ ἐπιτήδευμα. ἐθιζόμενοι γὰρ μυσάττε- σθαι φόνον ζῴων ὡς ἄνομον καὶ παρὰ φύσιν,
πολὺ μᾶλλον ἀθεμιτώ- τερον τὸ ἄνθρωπον
ἡγούμενοι κτείνειν οὐκέτ᾽ ἐπολέμουν. φόνων δὲ
χορηγέτης καὶ νομοθέτης ὁ πόλεμος᾽ τούτοις γὰρ καὶ σωματο- ποιεῖται. καὶ τὸ «ζυγὸν» δὲ «μὴ ὑπερβαίνειν»
δικαιοσύνης ἐστὶ παρακέλευσμα, πάντα τὰ
δίκαια παραγγέλλον ἀσκεῖν, ὡς ἐν τοῖς
περὶ συμβόλων δειχθήσεται. πέφηνεν ἄρα διὰ πάντων τούτων μεγάλην σπουδὴν περὶ τὴν τῆς δικαιοσύνης
ἄσκησιν καὶ παράδοσιν [104] εἰς
ἀνθρώπους πεποιημένος Πυθαγόρας ὡς ἐν τοῖς ἔργοις καὶ ἐν τοῖς λόγοις. 31 (187) Ἕπεται δὲ τῷ περὶ τούτων λόγῳ ὁ
περὶ σωφροσύνης, ὥς τε αὐτὴν ἐπετήδευσε
καὶ παρέδωκε τοῖς χρωμένοις. εἴρηται μὲν οὖν
ἤδη τὰ κοινὰ παραγγέλματα περὶ αὐτῆς, ἐν οἷς πυρὶ καὶ σιδήρῳ τὰ ἀσύμμετρα πάντα ἀποκόπτειν διώρισται. τοῦ δὲ
αὐτοῦ εἴδους ἐστὶν ἀποχὴ ἐμψύχων ἁπάντων
καὶ προσέτι βρωμάτων τινῶν ἀκολάστων,
καὶ τὸ παρατίθεσθαι μὲν ἐν ταῖς ἑστιάσεσι τὰ ἡδέα καὶ πολυτελῆ ἐδέσματα, ἀποπέμπεσθαι δὲ αὐτὰ τοῖς οἰκέταις,
ἕνεκα τοῦ κολάσαι μόνον τὰς ἐπιθυμίας
παρατιθέμενα, καὶ τὸ χρυσὸν ἐλευθέραν μηδε-
μίαν φορεῖν, μόνας δὲ τὰς ἑταίρας. καὶ αἱ ἐπεγρίαι δὲ αἱ τοῦ λογι- σμοῦ καὶ αἱ εἰλικρίνειαι τῶν ἐμποί(!
88)διζόντων τοῦ αὐτοῦ εἰσιν VITA DI
PITAGORA 223 e precisamente in quello
che era per lui più profondo degli altri, e
quindi usci da un’altra porta del tempio dimentico <dell’accordo preso con Liside>, il quale rimase
immobile come si trovava per il resto
della giornata e della notte sopraggiunta e per molta parte anco- ra della giornata seguente. E forse sarebbe
rimasto lî ancora più a lungo, se
Eurifamo, che si era recato nel co-uditorio il giorno seguen- te, non si fosse ricordato della cosa dopo
avere sentito dire che i suoi compagni
cercavano appunto Liside. E cosî andò a cercarlo mentre quello era ancora li ad aspettarlo secondo
l’impegno preso, e lo con- dusse via,
dicendogli per quale motivo se ne era dimenticato e aggiun- gendo queste parole: “Questa dimenticanza me
l’ha inviata un dio, perché si mettesse
alla prova la tua fermezza nel rispettare i patti”. (186) Pitagora stabili come norma anche
l’astinenza dal mangiare esseri viventi
e lo fece per la ragione, tra molte altre, che si tratta di una pratica pacificatrice. Infatti coloro che
si fossero abituati a prova- re ribrezzo
per l’uccisione degli animali come fatto illecito e contro natura, ritenendo che era molto più ingiusto
uccidere l’uomo, non avrebbero più fatto
la guerra. La guerra appunto procura e stabilisce come legge le uccisioni, perché sono queste
che la irrobustiscono. Anche il precetto
“non sorpassare una bilancia” è un’incitazione alla giustizia perché invita a esercitare tutto
ciò che è giusto, come si mostrerà nel
nostro scritto Sui sirzboli.12° Con tutti questi precetti Pitagora ha rivelato la grande cura che metteva
nell’esercitare la giu- stizia e
nell’insegnarla agli uomini sia con le sue opere che con i suoi discorsi.
31 (187) A questo discorso sulla giustizia segue quello sulla
temperan- za, su come Pitagora l'abbia
praticata e insegnata a coloro che fruiva-
no delle sue lezioni.121 Ebbene, si è già detto dei suoi precetti
genera- li sulla temperanza, nei quali
vengono determinate tutte le spropor-
zioni che bisogna tagliare col fuoco e col ferro.!22 Di questa stessa
spe- cie sono l'astinenza dal mangiare
qualunque essere vivente oltre che
alcuni cibi che favoriscono l’intemperanza, e il farsi servire nei
ban- chetti pietanze dolci e molto
costose, ma poi rimandarle indietro ai
servi, anche solo allo scopo che le pietanze rifiutate mitighino
gli appetiti, e che nessuna donna libera
rechi indosso dell'oro, cosa che è
permessa soltanto alle cortigiane. Della stessa specie sono anche i 224 GIAMBLICO εἴδους. ἔτι δὲ ἐχεμυθία te καὶ παντελὴς
σιωπή, πρὸς τὸ γλώσσης κρατεῖν
συνασκοῦσα, ἥ τε σύντονος καὶ ἀδιάπνευστος περὶ τὰ δυσληπτότατα τῶν θεωρημάτων ἀνάληψίς τε καὶ
ἐξέτασις, διὰ τὰ αὐτὰ δὲ καὶ ἀνοινία καὶ
ὀλιγοσιτία καὶ ὀλιγοὐπνία, δόξης τε καὶ
πλούτου καὶ τῶν ὁμοίων ἀνεπιτήδευτος κατεξανάστασις, καὶ αἰδὼς μὲν ἀνυπόκριτος πρὸς τοὺς προήκοντας, πρὸς δὲ
τοὺς ὁμήλικας ἄπλαστος ὁμοιότης καὶ
φιλοφροσύνη, συνεπίτασις δὲ καὶ παρό-
ρμῆσις πρὸς τοὺς νεωτέρους φθόνου χωρίς, καὶ πάντα ὅσα τοιαῦτα, εἰς τὴν αὐτὴν (189) ἀρετὴν ταχθήσεται. καὶ ἐξ
ὧν δ᾽ Ἱππόβοτος καὶ Νεάνθης περὶ Μυλλίου
καὶ Τιμύχας τῶν Πυθαγορείων ἱστοροῦσι,
μαθεῖν ἔνεστι τὴν ἐκείνων τῶν ἀνδρῶν σωφροσύνην καὶ ὅπως αὐτὴν Πυθαγόρας παρέδωκε. τὸν γὰρ Διονύσιον τὸν
[105] τύραννόν φασιν, ὡς πάντα ποιῶν
οὐδενὸς αὐτῶν ἐπετύγχανε τῆς φιλίας, φυλαττο-
μένων καὶ περιισταμένων τὸ μοναρχικὸν αὐτοῦ καὶ παράνομον, λό- χον τινὰ τριάκοντα ἀνδρῶν, ἡγουμένου
Εὐρυμένους Συρακουσίου, Δίωνος ἀδελφοῦ,
ἐπιπέμψαι τοῖς ἀνδράσι, λοχήσοντα τὴν μετάβα-
σιν αὐτῶν, τὴν ἀπὸ Τάραντος εἰς Μεταπόντιον εἰωθυῖαν κατὰ καιρὸν γίνεσθαι᾽ ἡρμόζοντο γὰρ πρὸς τὰς τῶν
ὡρῶν μεταβολὰς καὶ τόπους εἰς τὰ τοιάδε
ἐπελέγοντο ἐπιτηδείους. (190) ἐν δὴ Φάναις,
χωρίῳ τῆς Τάραντος φαραγγώδει, καθ᾽ ὃ συνέβαινεν αὐτοῖς ἀναγ- καίως τὴν ὁδοιπορίαν γενήσεσθαι, ἐλόχα
κατακρύψας τὸ πλῆθος ὁ Εὐρυμένης. ἐπειδὴ
δὲ οὐδὲν προϊδόμενοι ἀφίκοντο οἱ ἄνδρες περὶ
μέσον ἡμέρας εἰς τὸν τόπον, λῃστρικῶς αὐτοῖς ἐπαλαλάξαντες ἐπέ- θεντο οἱ στρατιῶται. οἱ δὲ ἐκταραχθέντες μετ᾽
εὐλαβείας ἅμα τε τὸ αἰφνίδιον καὶ αὐτὸ
τὸ πλῆθος (ἦσαν γὰρ αὐτοὶ σύμπαντες δέκα που
τὸν ἀριθμόν), καὶ ὅτι ἄνοπλοι πρὸς ποικίλως ὡπλισμένους διαγωνι- σάμενοι ἔμελλον ἁλίσκεσθαι, δρόμῳ καὶ φυγῇ
διασῴζειν αὑτοὺς διέγνωσαν, οὐδὲ τοῦτο
ἀλλότριον ἀρετῆς τιθέμενοι: τὴν γὰρ ἀνδρείαν
ἤδεισαν φευκτέων τε καὶ ὑπομενετέων ἐπιστήμην, ὡς ἂν ὁ ὀρθὸς (191) ὑπαγορεύῃ λόγος. καὶ ἐπετύγχανον
δὲ ἤδη τούτου (βαρούμενοι γὰρ τοῖς
ὅπλοις ἀπελείποντο οἱ σὺν Εὐρυμένει τοῦ
VITA DI PITAGORA 225 precetti
sul mantenere sempre sveglia la mente e liberarla da ciò che lo impedisce. (188) Ancora, il sapere tacere e il fare
assoluto silenzio, che insie- me
esercitano a dominare la lingua, nonché il sapere acquisire e ricer- care intensamente e ininterrottamente le
dottrine intorno agli argo- menti di più
difficile comprensione, e per le stesse ragioni anche l’astenersi dal vino e il mangiare e dormire
poco, e il resistere senza affettazione
alla gloria e alla ricchezza e a cose simili, e il rispettare sinceramente gli anziani, ed essere
francamente solidali e amichevoli verso
i coetanei, e premurosi e stimolanti, senza invidia, verso i più giovani, e tutte quante le virtà di tal
genere saranno classificate sotto la
medesima virtà, <la temperanza>.
(189) E da ciò che raccontano Ippoboto e Neante a proposito dei Pitagorici Millia e Timica, è possibile
apprendere la temperanza di quegli
uomini e il modo in cui Pitagora gliela insegnò. Infatti si rac- conta che il tiranno Dionigi, poiché per
quanti sforzi facesse non otte- neva
l’amicizia di nessuno dei Pitagorici, dal momento che questi si guardavano ed evitavano il suo atteggiamento
di governante assoluti- sta e contrario
alla legge, inviò una schiera di trenta soldati, al coman- do di Eurimene di Siracusa, fratello di
Dione, per tendere loro un’im- boscata
in occasione della loro abituale migrazione da Taranto a Metaponto, perché essi si adattavano al
passaggio delle stagioni sce- gliendo i
luoghi a queste più adatti. (190)
Eurimene tese l’imboscata nascondendo la sua truppa a Fane, zona periferica di Taranto piena di burroni,
attraverso la quale i Pitagorici
dovevano necessariamente passare sulla via del ritorno. E appena i Pitagorici giunsero, verso
mezzogiorno, sul luogo senza pre- vedere
nulla, i soldati li assaltarono levando grida di guerra alla maniera dei pirati. E quelli, sconvolti dalla
paura sia per la sorpresa che per il
numero degli assalitori (erano in tutto una decina), anche perché, dovendo combattere privi di armi
contro gente variamente armata,
sarebbero stati <certamente> catturati, decisero di salvarsi dandosi di corsa alla fuga, ritenendo che
questo atteggiamento non fosse per nulla
estraneo alla virtù, perché sapevano che il coraggio è scienza di ciò che si deve o fuggire o
subire, secondo quanto suggeri- rebbe la
retta ragione. (191) Ed erano già
riusciti a fuggire (perché i soldati di Eurimene, 226 GIAMBLICO διωγμοῦ), εἰ μή περ φεύγοντες ἐνέτυχον
πεδίῳ τινὶ κυάμοις ἐσπαρ- μένῳ καὶ
τεθηλότι ἱκανῶς. καὶ μὴ βουλόμενοι δόγμα παραβαίνειν τὸ κελεῦον κυάμων μὴ θιγγάνειν ἔστησαν καὶ
ὑπ᾽ ἀνάγκης λίθοις καὶ ξύλοις καὶ τοῖς
προστυχοῦσιν ἕκαστος μέχρι τοσούτου ἠμύνον-
το τοὺς διώκοντας, μέχρι τινὰς μὲν αὐτῶν ἀνῃρηκέναι, πολλοὺς δὲ τετραυματικέναι. πάντας μὴν ὑπὸ τῶν δορυφόρων
ἀναιρεθῆναι καὶ μηδένα [106] τὸ παράπαν
ζωγρηθῆναι, ἀλλὰ πρὸ τούτων θάνατον
ἀσμενί(192)σαι κατὰ τὰς τῆς αἱρέσεως ἐντολάς. ἐν συγχύσει δὴ πολλῇ τόν τε Εὐρυμένην καὶ τοὺς σὺν αὐτῷ καὶ
οὐ τῇ τυχούσῃ γενέ- σθαι, εἰ μηδὲ ἕνα
ζῶντα ἀγάγοιεν τῷ πέμψαντι Διονυσίῳ, εἰς αὐτὸ
μόνον τοῦτο προτρεψαμένῳ αὐτούς. γῆν οὖν ἐπαμήσαντες τοῖς πεσοῦσι καὶ ἡρῷον πολυάνδριον ἐπιχώσαντες
αὐτόθι ὑπέστρεφον. εἶτα αὐτοῖς ἀπήντησε
Μυλλίας Κροτωνιάτης καὶ Τιμύχα
Λακεδαιμονία, γυνὴ αὐτοῦ, ἀπολελειμμένοι τοῦ πλήθους, ὅτι ἔγκυος οὖσα ἡ Τιμύχα τὸν δέκατον ἤδη μῆνα
εἶχε καὶ σχολαίως διὰ τοῦτο ἐβάδιζε.
τούτους δὴ ζωγρήσαντες ἄσμενοι πρὸς τὸν τύραννον ἤγαγον, μετὰ πάσης κομιδῆς καὶ ἐπιμελείας
διασώσαντες. (193) ὃ δὲ περὶ τῶν
γεγονότων διαπυθόμενος καὶ σφόδρα ἀθυμήσας ἐνέφαι- vev. «ἀλλ᾽ ὑμεῖς γε» εἶπεν «ὑπὲρ πάντων τῆς
ἀξίας τεύξεσθε παρ᾽ ἐμοῦ τιμῆς, εἴ μοι
συμβασιλεῦσαι θελήσετε». τοῦ δὲ Μυλλίου καὶ
τῆς Τιμύχας πρὸς πάντα ἃ ἐπηγγέλλετο ἀνανευόντων, «ἀλλὰ ἕν γέ μεν ἔφη «διδάξαντες μετὰ τῆς ἐπιβαλλούσης
προπομπῆς διασῴζεσθε». πυθομένου δὲ τοῦ
Μυλλίου καὶ τί ποτ᾽ ἐστίν, ὃ μαθεῖν
προθυμεῖται, «ἐκεῖνο» εἶπεν ὁ Διονύσιος; «τίς ἡ αἰτία, δι᾽ ἣν οἱ ἑταῖροί σου ἀποθανεῖν μᾶλλον εἵλαντο ἢ
κυάμους πατῆσαι;» καὶ ὁ Μυλλίας εὐθὺς
«ἀλλ᾽ ἐκεῖνοι μὲν» εἶπεν «ὑπέμειναν, ἵνα μὴ
κυάμους πατήσωσιν, ἀποθανεῖν, ἐγὼ δὲ αἱροῦμαι, ἵνα τούτου σοι τὴν αἰτίαν μὴ ἐξείπω, κυάμους (194) μᾶλλον
πατῆσαι». καταπλαγέ- ντος δὲ τοῦ
Διονυσίου καὶ μεταστῆσαι κελεύσαντος αὐτὸν σὺν βίᾳ, βασάνους δὲ ἐπι[]1θ07]φέρειν τῇ Τιμύχᾳ
προστάττοντος (ἐνόμιζε γὰρ ἅτε γυναῖκά
τε οὖσαν καὶ ἔπογκον ἐρήμην τε τοῦ ἀνδρὸς ῥᾳδίως τοῦτο ἐκλαλήσειν φόβῳ τῶν βασάνων), ἣ γενναία
συμβρύξασα ἐπὶ τῆς γλώσσης τοὺς ὀδόντας
καὶ ἀποκόψασα αὐτὴν προσέπτυσε τῷ
τυράννῳ, ἐμφαίνουσα ὅτι, εἰ καὶ ὑπὸ τῶν βασάνων τὸ θῆλυ αὐτῆς VITA DI PITAGORA 227 appesantiti dalle armi, smettevano di
inseguirli), se fuggendo non fos- sero
incappati in un campo seminato a fave e già in avanzata fioritu- ra. E non volendo trasgredire il principio
dottrinale secondo cui si deve evitare
di toccare le fave, si fermarono e ciascuno di loro fu costretto a respingere gli inseguitori con
pietre e bastoni e con tutto ciò che gli
capitava tra le mani, finché alcuni rimasero uccisi e molti feriti. Ma tutti i Pitagorici, a loro volta,
furono uccisi dai lancieri e neppure uno
fu catturato vivo, anzi davanti a tutto questo essi prefe- rirono la morte secondo i comandamenti della
scuola. (192) Ora, Eurimene e i suoi
compagni erano in grande confusio- ne e
a ragione, se non potevano condurre alcun Pitagorico vivo pres- so Dionigi che li aveva inviati esortandoli a
compiere solo questo. Dopo avere,
dunque, ammassata della terra sui corpi dei caduti e costruita sul posto una sepoltura comune, se
ne tornarono indietro. In seguito
incontrarono Millia di Crotone e Timica di Sparta, sua moglie, che avevano perso i contatti col
gruppo dei Pitagorici, perché Timica,
che era incinta e ormai al decimo mese di gravidanza,!2? per questa ragione camminava lentamente. E
contenti di catturare vivi
<almeno> questi, li condussero dal tiranno, dopo averli catturati
con ogni cura e attenzione. (193) Ma quello [sc. Dionigi], informato su
ciò che era accaduto, sembrava assai
scoraggiato. “Ma voi — disse [sc. rivolto a Millia e Timica] -- più di tutti gli altri otterrete
da me gli onori che meritate, se vorrete
regnare assieme a me”. Ma poiché Millia e Timica rifiuta- vano tutte queste promesse, “ma insegnatemi —
disse — almeno una cosa, e sarete posti
in salvo con una scorta conveniente”. E poiché
Millia gli chiedeva che cosa volesse sapere, “questo — disse Dionigi —: qual è il motivo per cui i tuoi compagni
hanno preferito morire piut- tosto che
calpestare le fave?”. E Millia subito rispose: “ma mentre quelli -- disse - hanno sopportato di morire
pur di non calpestare le fave, io invece
preferisco piuttosto calpestare le fave pur di non rive- lartene la ragione”. (194) Dionigi rimase colpito <dalla risposta
di Millia> e invitò <i suoi> a
bandirlo con la forza, e comandò di sottoporre a tortura Timica (credeva infatti che, essendo donna e
incinta e senza il marito, avrebbe
parlato facilmente per paura della tortura), <ma> la donna con la sua forza d’animo serrò la lingua tra
i denti fino a tagliarla e la 228
GIAMBLICO νικηθὲν συναναγκασθείη τῶν
ἐχεμυθουμένων τι ἀνακαλύψαι, τὸ μὴν
ὑπηρετῆσον ἐκποδὼν ὑπ᾽ αὐτῆς περικέκοπται. οὕτως δυσσυγκα- τάθετοι πρὸς τὰς ἐξωτερικὰς φιλίας ἦσαν, εἰ
καὶ βασιλικαὶ τυγχά- νοῖεν. (195)
παραπλήσια δὲ τούτοις καὶ τὰ περὶ τῆς σιωπῆς ἣν
παραγγέλματα, φέροντα εἰς σωφροσύνης ἄσκησιν᾽ πάντων γὰρ χαλεπώτατόν ἐστιν ἐγκρατευμάτων τὸ γλώσσης
κρατεῖν. τῆς αὐτῆς δὲ ἀρετῆς ἐστι καὶ τὸ
πεῖσαι Κροτωνιάτας ἀπέχεσθαι τῆς ἀθύτου
καὶ νόθης πρὸς τὰς παλλακίδας συνουσίας, καὶ ἔτι ἡ διὰ τῆς μου- σικῆς ἐπανόρθωσις, δι᾽ ἧς καὶ τὸ οἰστρημένον
μειράκιον ὑπὸ τοῦ ἔρωτος εἰς σωφροσύνην
μετέστησε. καὶ ἡ τῆς ὕβρεως δὲ ἀπάγουσα
παραίνεσις εἰς τὴν αὐτὴν ἀρετὴν ἀνήκει.
(196) καὶ ταῦτα δὲ παρέδωκε τοῖς Πυθαγορείοις Πυθαγόρας, ὧν αἴτιος αὐτὸς ἦν. προσεῖχον γὰρ οὗτοι, τὰ
σώματα ὡς ἂν ἐπὶ τῶν αὐτῶν «ἀεὶ»
διακέηται, καὶ μὴ ποτὲ μὲν ῥικνά, ὁτὲ δὲ πολύσαρκα᾽ ἀνωμάλου γὰρ βίου ᾧοντο εἶναι δεῖγμα. ἀλλὰ
ὡσαύτως καὶ κατὰ τὴν διάνοιαν οὐχ ὁτὲ
μὲν ἱλαροί, ὁτὲ δὲ κατηφεῖς, ἀλλὰ ἐφ᾽ ὁμαλοῦ
πράως χαίροντες. διεκρούοντο δὲ ὀργάς, ἀθυμίας, ταραχάς, καὶ ἦν αὐτοῖς παράγγελμα, ὡς οὐδὲν δεῖ τῶν
ἀνθρωπίνων συμπτωμάτων ἀπροσδόκητον
εἶναι παρὰ τοῖς νοῦν ἔχουσιν, ἀλλὰ πάντα [108] προ- σδοκᾶν, ὧν μὴ τυγχάνουσιν αὐτοὶ κύριοι ὄντες.
εἰ δέ ποτε αὐτοῖς συμβαίη ἢ ὀργὴ ἢ λύπη
ἢ ἄλλο τι τοιοῦτον, ἐκποδὼν ἀπηλλάττοντο,
καὶ καθ᾽ ἑαυτὸν ἕκαστος γενόμενος (197) ἐπειρᾶτο καταπέττειν τε καὶ ἰατρεύειν τὸ πάθος. λέγεται δὲ καὶ τάδε
περὶ τῶν Πυθαγορείων, ὡς οὔτε οἰκέτην
ἐκόλασεν οὐθεὶς αὐτῶν ὑπὸ ὀργῆς ἐχόμενος οὔτε
τῶν ἐλευθέρων ἐνουθέτησέ τινα, ἀλλὰ ἀνέμενεν ἕκαστος τὴν τῆς διανοίας ἀποκατάστασιν (ἐκάλουν δὲ τὸ
νουθετεῖν πεδαρτᾶν)" ἐπο- τοῦντο
γὰρ τὴν ἀναμονὴν σιωπῇ χρώμενοι καὶ ἡσυχίᾳ. Σπίνθαρος γοῦν διηγεῖτο πολλάκις περὶ ᾿Αρχύτου «τοῦ»
Ταραντίνου, ὅτι διὰ χρόνου τινὸς εἰς
ἀγρὸν ἀφικόμενος, ἐκ στρατιᾶς νεωστὶ παραγε-
γονώς, ἣν ἐστρατεύσατο ἡ πόλις εἰς Μεσσαπίους, ὡς εἶδε τόν τε ἐπίτροπον καὶ τοὺς ἄλλους οἰκέτας οὐκ εὖ τῶν
περὶ τὴν γεωργίαν ἐπιμελείας
πεποιημένους, ἀλλὰ μεγάλῃ τινὶ κεχρημένους ὀλιγωρί- VITA DI PITAGORA 229 sputò in faccia al tiranno, mostrando cosî
che, seppure la sua natura di donna,
vinta dalla tortura, poteva essere costretta a rivelare qualco- sa di ciò che avrebbe dovuto mantenere segreto,
almeno aveva elimi- nato da sé l’organo
che poteva servire allo scopo. Era tale la indispo- nibilità dei Pitagorici a fare amicizia con
gli estranei alla scuola, anche quando
avevano a che fare con sovrani. (195)
Più o meno dello stesso genere erano anche i precetti rela- tivi al silenzio, perché essi portavano a
esercitare la temperanza; infat- ti tra
tutti gli esercizi di continenza quello più difficile è il dominio della lingua. Appartiene alla medesima virtù
il fatto che Pitagora aves- se convinto
i Crotoniati ad astenersi dall’avere rapporti sessuali, empi e illegittimi, con le concubine, e ancora la
correzione per mezzo della musica, con
la quale egli riusci a ridurre a temperanza anche il giova- notto reso folle dal suo amore.!24 Anche il
monito che allontana dalla tracotanza si
ricollega alla medesima virtù. (196)
Anche i seguenti insegnamenti, di cui egli stesso era autore, Pitagora ha trasmesso ai Pitagorici. Questi
infatti si preoccupavano che i loro
corpi si mantenessero sempre nelle stesse condizioni, e non fossero ora magri ora grassi, perché essi
credevano che questo fosse segno di uno
stile di vita sregolata. Ma allo stesso modo anche nella mente si mantenevano non ora allegri ora
tristi, bensi <sempre> gio- iosi
con regolare mitezza. Evitavano scatti d’ira, scoraggiamenti, tur- bamenti, e avevano come precetto che nessun
evento umano debba cogliere inaspettato
coloro che hanno intelligenza, i quali al contrario devono aspettarsi tutto ciò di cui essi
stessi non siamo padroni. Se poi
talvolta capitava loro o uno scatto d’ira o un’afflizione o
qualcos'altro del genere, allora essi se
ne liberavano, e ciascuno, standosene in soli-
tudine, cercava di smaltire e curare la sua affezione. (197) Si raccontano sui Pitagorici anche
queste cose, cioè che nes- suno di loro,
quando era adirato, né puniva alcun servo né ammoni- va alcun uomo libero, anzi ognuno di loro
attendeva di riprendere la propria
ragionevolezza (chiamavano “correggere” l’ammonire); infat- ti trascorrevano l’attesa usando silenzio e
tranquillità. Spintaro, ad esempio,
raccontava spesso, a proposito di Archita di Taranto, che questi, un certo tempo dopo essere rientrato
nel suo podere, appena di ritorno da una
spedizione militare che la città aveva compiuto con- tro i Messapi, venuto a sapere che
l'amministratore e i servi non si 230
GIAMBLICO ας ὑπερβολῇ, ὀργισθείς τε
καὶ ἀγανακτήσας οὕτως ὡς ἂν ἐκεῖνος,
εἶπεν, ὡς ἔοικε, πρὸς τοὺς οἰκέτας, ὅτι εὐτυχοῦσιν, ὅτι αὐτοῖς
ὦργι- σται᾿ εἰ γὰρ μὴ τοῦτο συμβεβηκὸς
ἦν, οὐκ ἄν ποτε αὐτοὺς ἀθῴους γενέσθαι
τηλικαῦτα ἡμαρ(]9ϑ8)τηκότας. ἔφη δὲ λέγεσθαι καὶ περὶ Κλεινίου τοιαῦτά τινα’ καὶ γὰρ ἐκεῖνον
ἀναβάλλεσθαι πάσας νου- θετήσεις τε καὶ
κολάσεις εἰς τὴν τῆς διανοίας ἀποκατάστασιν.
οἴκτων δὲ καὶ δακρύων καὶ πάντων τῶν τοιούτων εἴργεσθαι τοὺς ἄνδρας, οὔτε δὲ κέρδος οὔτε ἐπιθυμίαν οὔτε
ὀργὴν οὔτε [109] φιλο- τιμίαν οὔτε ἄλλο
οὐδὲν τῶν τοιούτων αἴτιον γίνεσθαι διαφορᾶς,
ἀλλὰ πάντας τοὺς Πυθαγορείους οὕτως ἔχειν πρὸς ἀλλήλους, ὡς ἂν πατὴρ σπουδαῖος πρὸς τέκνα σχοίη. καλὸν δὲ καὶ τὸ πάντα Πυθαγόρᾳ ἀνατιθέναι τε
καὶ ἀπονέμειν καὶ μηδεμίαν περιποιεῖσθαι
δόξαν ἰδίαν ἀπὸ τῶν εὑρισκομένων, εἰ μή
πού τι σπάνιον’ πάνυ γὰρ δή τινές (199) εἰσιν ὀλίγοι, ὧν ἴδια γνωρίζεται ὑπομνήματα. θαυμάζεται δὲ καὶ ἡ
τῆς φυλακῆς ἀκρίβε- ta' ἐν γὰρ τοσαύταις
γενεαῖς ἐτῶν οὐθεὶς οὐδενὶ φαίνεται τῶν
Πυθαγορείων ὑπομνημάτων περιτετευχὼς πρὸ τῆς Φιλολάου ἡλικίας, ἀλλ᾽ οὗτος πρῶτος ἐξήνεγκε τὰ
θρυλλούμενα ταῦτα τρία βιβλία, ἃ λέγεται
Δίων ὁ Συρακούσιος ἑκατὸν μνῶν πρίασθαι
Πλάτωνος κελεύσαντος, εἰς πενίαν τινὰ μεγάλην τε καὶ ἰσχυρὰν ἀφικομένου τοῦ Φιλολάου, ἐπειδὴ καὶ αὐτὸς ἦν
ἀπὸ τῆς συγγενεί- ας τῶν Πυθαγορείων καὶ
διὰ τοῦτο μετέλαβε τῶν βιβλίων. (200)
περὶ δὲ δόξης τάδε φασὶ λέγειν αὐτούς. ἀνόητον μὲν εἶναι καὶ τὸ πάσῃ καὶ παντὸς δόξῃ προσέχειν, καὶ
μάλιστα τὸ τῇ παρὰ τῶν πολλῶν γινομένῃ᾽
τὸ γὰρ καλῶς ὑπολαμβάνειν τε καὶ δοξάζειν ὀλί-
γοις ὑπάρχειν. δῆλον γὰρ ὅτι περὶ τοὺς εἰδότας τοῦτο γίνεσθαι: οὗτοι δέ εἰσιν ὀλίγοι. ὥστε δῆλον ὅτι οὐκ ἂν
διατείνοι εἰς τοὺς πολλοὺς ἡ τοιαύτη
δύναμις. ἀνόητον δ᾽ εἶναι καὶ πάσης ὑπολήψεώς
τε καὶ δόξης καταφρονεῖν: συμβήσεται γὰρ ἀμαθῆ τε καὶ ἀνεπανό- ρθωτον εἶναι τὸν οὕτω διακείμενον. ἀναγκαῖον
δ᾽ εἶναι τῷ μὲν ἀνε- πιστήμονι μανθάνειν
ἃ τυγχάνει ἀγνοῶν τε καὶ οὐκ ἐπιστάμενος, τῷ
VITA DI PITAGORA 231 erano
presa buona cura delle coltivazioni, ché anzi le avevano ecces- sivamente trascurate, preso dall’ira e
dall’indignazione, per quanto egli ne
fosse capace, disse ai suoi servi, a quanto sembra, che poteva- no ritenersi fortunati se egli si era adirato
contro di loro, dal momen- to che, se
ciò non fosse accaduto, essi non sarebbero in quel caso rimasti impuniti dopo cosi grave errore. (198) Anche a proposito di Clinia, Spintaro
raccontava che aves- se pronunciato
parole del genere: e infatti raccontava che quello aveva rimandato ogni ammonizione e punizione
a quando avesse ripreso la propria
ragionevolezza. Diceva poi che i Pitagorici evitava- no lamenti e pianti e ogni cosa del genere,
né era causa di disaccordo tra di loro
il profitto o l’appetito o l’ira o l’amore di gloria o alcun’al- tra passione del genere, anzi tutti i
Pitagorici si comportavano nei loro
reciproci rapporti come si comporterebbe un padre premuroso verso i figli.
È una bella cosa anche il fatto di riferire e attribuire a Pitagora ogni loro gesto e di non trarre, se non
raramente, motivo di vanto dalle loro
scoperte; e infatti sono pochissimi i Pitagorici dei quali si riconosce la paternità di Memorie.125 (199) Suscita ammirazione anche la cura con
cui tenevano segre- te le loro dottrine,
dal momento che nel corso di tante generazioni,
sembra che nessuno, prima dell’età di Filolao, si sia imbattuto in Memorie di nessun Pitagorico, ché anzi
Filolao è stato il primo a pub- blicare
quei tre famosi libri, che Dione di Siracusa — come si raccon- ta — acquistò per cento mine su suggerimento
di Platone, nel momen- to in cui Filolao
si era ridotto in grande ed estrema povertà, poiché anch'egli proveniva dalla comunità dei
Pitagorici e perciò poteva accedere ai
loro libri. (200) A proposito
dell’opinione, si racconta che essi dicevano
queste cose. E da uomini non intelligenti seguire ogni opinione e
di chiunque, e soprattutto l’opinione
espressa dai più, perché appartie- ne a
pochi la capacità di intendere e opinare nel modo giusto. È chia- ro infatti che tale capacità è di coloro che
sanno, ma questi sono pochi. È chiaro,
di conseguenza, che tale capacità non si può estende- re ai più. È da uomini non intelligenti,
d’altra parte, anche disprezza- re
qualunque supposizione e opinione, perché chi assumesse questa disposizione resterebbe irreparabilmente
ignorante. È necessario, 232
GIAMBLICO δὲ μανθάνοντι προσέχειν τῇ
τοῦ ἐπισταμένου τε καὶ διδάξαι δυνα-
μένου ὑπολήψει τε [110] (201) καὶ δόξῃ, καθόλου δ᾽ εἰπεῖν ἀναγ- καῖον εἶναι τοὺς σωθησομένους τῶν νέων
προσέχειν ταῖς τῶν πρε- σβυτέρων τε καὶ
καλῶς βεβιωκότων ὑπολήψεσί τε καὶ δόξαις. ἐν δὲ
τῷ ἀνθρωπίνῳ βίῳ τῷ σύμπαντι εἶναί τινας ἡλικίας ἐνδεδασμένας (οὕτω γὰρ καὶ λέγειν αὐτούς φασιν), ἃς οὐκ
εἶναι τοῦ τυχόντος πρὸς ἀλλήλας
συνεῖραι᾽ ἐκκρούεσθαι γὰρ αὐτὰς ὑπ’ ἀλλήλων, ἐάν τις μὴ καλῶς τε καὶ ὀρθῶς ἄγῃ τὸν ἄνθρωπον ἐκ
γενετῆς. δεῖν οὖν τῆς τοῦ παιδὸς ἀγωγῆς
καλῆς τε καὶ σώφρονος γινομένης καὶ ἀνδρικῆς πολὺ εἶναι μέρος τὸ παραδιδόμενον εἰς τὴν τοῦ
νεανίσκου ἡλικίαν, ὡσαύτως δὲ καὶ τῆς
τοῦ νεανίσκου ἐπιμελείας τε καὶ ἀγωγῆς καλῆς
τε καὶ ἀνδρικῆς καὶ σώφρονος γινομένης πολὺ εἶναι μέρος «τὸ» παραδιδόμενον εἰς τὴν τοῦ ἀνδρὸς ἡλικίαν,
ἐπείπερ εἴς γε τοὺς πολλοὺς ἄτοπόν τε
καὶ γε(202)λοῖον εἶναι τὸ συμβαῖνον. παῖδας
μὲν γὰρ ὄντας οἴεσθαι δεῖν εὐτακτεῖν τε καὶ σωφρονεῖν καὶ ἀπέχε- σθαι πάντων τῶν φορτικῶν τε καὶ ἀσχημόνων
εἶναι δοκούντων, νεα- νίσκους δὲ
γενομένους ἀφεῖσθαι παρά γε δὴ τοῖς πολλοῖς ποιεῖν ὅ τι ἂν βούλωνται. συρρεῖν δὲ σχεδὸν εἰς ταύτην
τὴν ἡλικίαν ἀμφότε- pa τὰ γένη τῶν
ἁμαρτημάτων᾽ καὶ γὰρ παιδαριώδη πολλὰ καὶ
ἀνδρώδη τοὺς νεανίσκους ἁμαρτάνειν. τὸ μὲν γὰρ φεύγειν ἅπαν τὸ τῆς σπουδῆς τε καὶ τάξεως γένος, ὡς ἁπλῶς
εἰπεῖν, διώκειν δὲ τὸ τῆς παιγνίας τε
καὶ ἀκολασίας καὶ ὕβρεως τῆς παιδικῆς εἶδος, τῆς τοῦ παιδὸς ἡλικίας οἰκειότατον εἶναι᾽ ἐκ ταύτης
οὖν εἰς τὴν ἐχομένην ἡλικίαν ἀφικνεῖσθαι
τὴν τοιαύτην διάθεσιν. τὸ δὲ τῶν ἐπιθυμιῶν
τῶν ἰσχυρῶν, ὡσαύτως δὲ καὶ τὸ τῶν φιλοτιμιῶν γένος, ὁμοίως δὲ καὶ τὰς λοιπὰς ὁρμάς τε καὶ διαθέσεις, ὅσαι
τυγχάνουσιν οὖσαι τοῦ χαλεποῦ τε καὶ
[111] θορυβώδους γένους, ἐκ τῆς τοῦ ἀνδρὸς
ἡλικίας εἰς τὴν τῶν νεανίσκων ἀφικνεῖσθαι. διόπερ πασῶν δεῖσθαι τῶν (203) ἡλικιῶν ταύτην πλείστης ἐπιμελείας.
καθόλου δ᾽ εἰπεῖν οὐδέποτε τὸν ἄνθρωπον
ἑατέον εἶναι ποιεῖν ὅ τι ἂν βούληται, ἀλλ᾽
ἀεί τινα ἐπιστατείαν ὑπάρχειν δεῖν καὶ ἀρχὴν νόμιμόν τε καὶ εὐ- σχήμονα, ἧς ὑπήκοος ἔσται ἕκαστος τῶν
πολιτῶν᾽ ταχέως γὰρ ἐξί- VITA DI
PITAGORA 233 poi, che colui che non sa
apprenda le cose che ignora e non conosce,
e colui che apprende, a sua volta, segua la supposizione e
l’opinione di colui che sa ed è capace
di insegnare <ciò che sa>. (201)
In generale i Pitagorici dicevano che i giovani che tengono alla loro salvezza devono necessariamente
seguire le supposizioni e le opinioni
dei più anziani e di coloro che hanno vissuto rettamente. Nella vita umana, considerata nel suo
complesso, ci sono alcune età
“distribuite al loro interno” (era questo il termine che — come si
rac- conta — essi usavano), le cui parti
non è possibile a chiunque collega- re
l’una con l’altra, perché si respingono a vicenda, qualora non si sappia educare, in maniera giusta e corretta,
l’uomo fin dalla sua nascita. Occorre
dunque che molta parte dell'educazione del fanciul- lo, intesa a renderlo giusto e temperante e
coraggioso, venga trasmes- sa
all'adolescenza, e allo stesso modo molta parte della cura e del- l'educazione dell’adolescente, intesa a
renderlo giusto e coraggioso e
temperante, sia trasmessa all'uomo adulto, dal momento che è assur- do e ridicolo ciò che accade alla maggior
parte degli uomini. (202) Infatti si
ritiene <comunemente> che quando si è fanciulli bisogna essere ordinati e temperanti e
astenersi da tutto ciò che si ritiene
volgare e indecoroso, mentre quando si diventa adolescenti si è lasciati liberi, almeno per la maggior
parte di loro, di fare ciò che si vuole.
In questa età [sc. nell'adolescenza] confluiscono quasi tutti gli errori di entrambe le altre età [sc. della
fanciullezza e dell’età adulta], perché
gli adolescenti commettono sia gli errori dei fanciulli sia quel- li degli adulti. Infatti il rifuggire da ogni
sorta di serietà e di ordine, per dirla
in breve, e il tenere dietro a ogni specie di giuoco e di intem- peranza e di tracotanza propria dei
fanciulli, è certamente la cosa più
appropriata alla fanciullezza: una tale disposizione, dunque, si
trasfe- risce dalla fanciullezza all’età
seguente. D'altra parte il genere degli
appetiti violenti, cosi come quello dell'amore per gli onori e allo
stes- so modo il resto degli impulsi e
delle disposizioni, che sono comune-
mente di un genere aspro e turbolento, si trasferiscono dall’età
adul- ta a quella adolescenziale. È
questa la ragione per cui l’adolescenza,
fra tutte le età, ha bisogno della massima cura. (203) In generale, i Pitagorici dicevano che
non è possibile mai lasciare fare
all'uomo quello che vuole, anzi sempre ci dev'essere una qualche sovrintendenza e un'autorità che
indichi ciò che è legale e 234
GIAMBLICO στασθαι τὸ ζῷον ἐαθέν τε καὶ
ὀλιγωρηθὲν εἰς κακίαν te καὶ φαυλό-
mnta. ἐρωτᾶν τε καὶ διαπορεῖν πολλάκις αὐτοὺς ἔφασαν, τίνος ἕνεκα τοὺς παῖδας συνεθίζομεν προσφέρεσθαι
τὴν τροφὴν τεταγ- μένως τε καὶ
συμμέτρως, καὶ τὴν μὲν τάξιν καὶ τὴν συμμετρίαν ἀπο- φαίνομεν αὐτοῖς καλά, τὰ δὲ τούτων ἐναντία,
τήν τε ἀταξίαν καὶ τὴν ἀσυμμετρίαν,
αἰσχρά, ὃ καὶ ἔστιν ὅ τε οἰνόφλυξ καὶ ἄπληστος ἐν μεγάλῳ ὀνείδει κείμενος. εἰ γὰρ μηδὲν τούτων
ἐστὶ χρήσιμον εἰς τὴν τοῦ ἀνδρὸς ἡλικίαν
ἀφικνουμένων ἡμῶν, μάταιον εἶναι τὸ συνε-
θίζειν παῖδας ὄντας τῇ τοιαύτῃ τάξει᾽ τὸν αὐτὸν δὲ λόγον εἶναι καὶ περὶ τῶν (204) ἄλλων ἐθῶν. οὐκ οὖν ἐπί γε τῶν
λοιπῶν ζῴων τοῦτο ὁρᾶσθαι συμβαῖνον, ὅσα
ὑπ᾽ ἀνθρώπων παιδεύεται, ἀλλ᾽ εὐθὺς ἐξ
ἀρχῆς τόν τε σκύλακα καὶ τὸν πῶλον ταῦτα συνεθίζεσθαί τε καὶ μανθάνειν, ἃ δεήσει πράττειν αὐτοὺς
τελεωθέντας. καθόλου δὲ τοὺς
Πυθαγορείους ἔφασαν παρακελεύεσθαι τοῖς ἐντυγχάνουσί τε καὶ ἀφικνουμένοις εἰς συνήθειαν εὐλαβεῖσθαι
τὴν ἡδονήν, εἴπερ τι καὶ ἄλλο τῶν
εὐλαβείας δεομένων" οὐθὲν γὰρ οὕτω σφάλλειν ἡμᾶς οὐδ᾽ ἐμβάλλειν εἰς ἁμαρτίαν ὡς τοῦτο τὸ
πάθος. καθόλου δέ, ὡς ἔοικε, διετείνοντο
μηδέποτε μηδὲν πράττειν ἡδονῆς στοχαζομένους
(καὶ γὰρ ἀσχήμονα καὶ βλαβερὸν ὡς ἐπὶ τὸ πολὺ τοῦτον εἶναι τὸν σκοπόν), ἀλλὰ μάλιστα μὲν πρὸς [112] τὸ καλόν
τε καὶ εὔσχημον βλέποντας πράττειν ὃ ἂν
fi πρακτέον, δεύτερον δὲ πρὸς τὸ συμφέρον
τε καὶ ὠφέλι(δθδ)μον, δεῖσθαί τε ταῦτα κρίσεως οὐ τῆς τυχούσης. περὶ δὲ τῆς σωματικῆς ὀνομαζομένης ἐπιθυμίας
τοιαῦτα λέγειν ἔφασαν τοὺς ἄνδρας
ἐκείνους. αὐτὴν μὲν τὴν ἐπιθυμίαν ἐπιφοράν
τινα εἶναι τῆς ψυχῆς καὶ ὁρμὴν καὶ ὄρεξιν ἤτοι πληρώσεώς τινος ἢ παρουσίας τινῶν αἰσθήσεως ἢ διαθέσεως
αἰσθητικῆς. γίνεσθαι δὲ καὶ τῶν ἐναντίων
ἐπιθυμίαν, οἷον κενώσεώς͵ τε καὶ ἀπουσίας καὶ
τοῦ μὴ αἰσθάνεσθαι ἐνίων. ποικίλον δ᾽ εἶναι τὸ πάθος τοῦτο καὶ σχεδὸν τῶν περὶ ἄνθρωπον πολνυειδέστατον.
εἶναι δὲ τὰς πολλὰς τῶν ἀνθρωπίνων
ἐπιθυμιῶν ἐπικτήτους τε καὶ κατεσκευασμένας ὑπ’
αὐτῶν τῶν ἀνθρώπων, διὸ δὴ καὶ πλείστης ἐπιμελείας δεῖσθαι τὸ πάθος τοῦτο καὶ φυλακῆς τε καὶ σωμασκίας οὐ
τῆς τυχούσης. τὸ μὲν γὰρ κενωθέντος τοῦ
σώματος τῆς τροφῆς ἐπιθυμεῖν φυσικὸν εἶναι,
καὶ τὸ πάλιν ἀναπληρωθέντος κενώσεως ἐπιθυμεῖν τῆς προ- VITA DI PITAGORA 235 decoroso, autorità alla quale ciascun
cittadino dovrà essere sottopo- sto,
perché l’essere vivente, se abbandonato e negletto, cede rapida- mente al vizio e alla malvagità. I Pitagorici
— come si racconta — spes- so ponevano e
discutevano la seguente domanda: a qual fine noi abi- tuiamo i fanciulli ad un’alimentazione
ordinata e proporzionata, e mostriamo
loro come cose belle l'ordine e la proporzione, e come cose contrarie a queste, e quindi brutte, il
disordine e la sproporzio- ne, per cui
l’ubriachezza e l’ingordigia sono oggetto di grande biasi- mo? Se infatti nulla di ciò ci potrà essere
utile quando giungiamo all’età adulta, è
vano abituarci da fanciulli a un tale ordine; ma lo stes- so discorso vale per le altre abitudini. (204) Ebbene, non accade di osservare tutto
questo a proposito degli altri esseri
viventi, che vengono allevati dagli uomini, ché al con- trario il cagnolino e il puledro subito fin
dall’inizio si abituano e apprendono ciò
che dovranno fare una volta che siano divenuti adul- ti. In generale i Pitagorici -- si dice --
raccomandavano, a coloro che incontravano
e che giungevano nella loro comunità, di essere circo- spetti di fronte al piacere, se mai ci sia
qualcos'altro che meriti circo-
spezione, perché nulla ci fa scivolare e piombare nell’errore tanto quanto il piacere. In generale — a quanto
sembra - i Pitagorici si sfor- zavano di
non compiere mai nessun’azione mirando al piacere (e infatti nella maggior parte dei casi un tale
scopo è indecoroso e noci- vo), ma di
fare ciò che si deve fare guardando in primo luogo al bello e al decoroso, e in secondo luogo al
conveniente e all’utile, e tutto ciò
esige un giudizio preso non a caso.
(205) Per quanto concerne il cosiddetto “appetito corporeo”, i Pitagorici dicevano — come si racconta — le
cose seguenti: considera- to in se
stesso, l'appetito è una sorta di moto dell’anima e un impulso o desiderio di una qualche soddisfazione o
presenza di certe sensazio- ni o
disposizioni sensoriali. Ma c'è anche l’appetito delle cose contra- rie a queste, ad esempio di vacuità e di
assenza di percezione ovvero del non
percepire alcunché. Questa passione è variegata e quasi la più multiforme tra le passioni dell’uomo. Ma
molti appetiti umani sono acquisiti e
costruiti dagli uomini stessi, e perciò questo tipo di passio- ne ha bisogno della massima cura e cautela e
di un particolare eserci- zio fisico. Se
il corpo è vuoto, infatti, l’appetito di nutrirsi è naturale, e se è pieno, l’appetito di una conveniente
evacuazione è anche que- 236
GIAMBLICO σηκούσης φυσικὸν καὶ τοῦτ᾽
εἶναι: τὸ δὲ ἐπιθυμεῖν περιέργου τροφῆς
ἢ περιέργου τε καὶ τρυφερᾶς ἐσθῆτός τε καὶ στρωμνῆς ἢ περιέργου τε καὶ πολυτελοῦς καὶ ποικίλης
οἰκήσεως ἐπίκτητον εἶναι. τὸν αὐτὸν δὴ
λόγον εἶναι καὶ περὶ σκευῶν τε καὶ ποτηρίων
καὶ διακόνων καὶ θρεμμάτων τῶν εἰς τροφὴν (206) ἀνηκόντων. καθόλου δὲ τῶν περὶ ἄνθρωπον παθῶν σχεδὸν
τοῦτο μάλιστα τοιοῦτον εἶναι οἷον
μηδαμοῦ ἵστασθαι, ἀλλὰ προάγειν εἰς ἄπειρον.
διόπερ εὐθὺς ἐκ νεότητος ἐπιμελητέον εἶναι τῶν ἀναφυομένων, ὅπως ἐπιθυμήσωσι μὲν ὧν δεῖ, φυλάξωνται δὲ
τῶν ματαίων τε καὶ περιέργων ἐπιθυμιῶν,
ἀτάρακτοί τε καὶ καθαροὶ τῶν τοιούτων ὀρέ-
ξεων [113] ὄντες καὶ καταφρονοῦντες αὐτῶν τε τῶν ἀξιοκατα- φρονήτων καὶ τῶν ἐνδεδεμένων ἐν ταῖς
ἐπιθυμίαις. μάλιστα δ᾽ εἶναι κατανοῆσαι
τάς τε ματαίους καὶ τὰς βλαβερὰς καὶ τὰς περιέργους καὶ τὰς ὑβριστικὰς τῶν ἐπιθυμιῶν παρὰ τῶν ἐν
ἐξουσίαις ἀναστρε- φομένων γινομένας:
οὐδὲν γὰρ οὕτως ἄτοπον εἶναι, ἐφ᾽ ὃ τὴν ψυχὴν
οὐχ ὁρμᾶν τῶν (207) τοιούτων παίδων τε καὶ ἀνδρῶν καὶ γυναικῶν. καθόλου δὲ ποικιλώτατον εἶναι τὸ ἀνθρώπινον
γένος κατὰ τὸ τῶν ἐπιθυμιῶν πλῆθος.
σημεῖον δὲ ἐναργὲς εἶναι τὴν τῶν προσφερο-
μένων ποικιλίαν: ἀπέραντον μὲν γάρ τι πλῆθος εἶναι καρπῶν, ἀπέ- ραντον δὲ ῥιζῶν, ᾧ χρῆται τὸ ἀνθρώπινον
γένος. ἔτι δὲ σαρκοφαγίᾳ παντοδαπῇ
χρῆσθαι, καὶ ἔργον εἶναι εὑρεῖν, τίνος οὐ γεύεται τῶν TE χερσαίων καὶ τῶν πτηνῶν καὶ τῶν ἐνύδρων
ζῴων. καὶ δὴ σκευα- σίας παντοδαπὰς περὶ
ταῦτα μεμηχανῆσθαι καὶ χυμῶν παντοίας μί-
ἕξεις. ὅθεν εἰκότως μανικόν τε καὶ πολύμορφον εἶναι κατὰ τὴν (208) τῆς ψυχῆς κίνησιν τὸ ἀνθρώπινον φῦλον ἕκαστον
γὰρ δὴ τῶν προ- σφερομένων ἰδίου τινὸς
διαθέσεως αἴτιον γίνεσθαι. ἀλλὰ τοὺς
ἀνθρώπους τὰ μὲν παραχρῆμα μεγάλης ἀλλοιώσεως αἴτια γενόμενα συνορᾶν, οἷον καὶ τὸν οἶνον, ὅτι πλείων
προσενεχθεὶς μέχρι μέν τινος ἱλαρωτέρους
ποιεῖ, ἔπειτα μανικωτέρους καὶ ἀσχημονεστέ-
ρους τὰ δὲ μὴ τοιαύτην ἐνδεικνύμενα δύναμιν ἀγνοεῖν. γίνεσθαι δὲ πᾶν τὸ προσενεχθὲν αἴτιόν τινος ἰδίου
διαθέσεως. διὸ δὴ καὶ μεγάλης σοφίας τὸ
κατανοῆσαί τε καὶ συνιδεῖν, ποίοις τε καὶ πό-
σοις δεῖ χρῆσθαι πρὸς τὴν τροφήν. εἶναι δὲ ταύτην τὴν ἐπιστήμην τὸ μὲν ἐξ ἀρχῆς ᾿Απόλλωνός τε καὶ Παιῶ(Ζθθ)νος,
ὕστερον δὲ τῶν περὶ ᾿Ασκληπιόν. περὶ δὲ
γεννήσεως [114] τάδε λέγειν αὐτοὺς ἔφασαν.
VITA DI PITAGORA 237 sto
naturale; l'appetito di nutrimento raffinato, invece, o di vesti e coperte raffinate e lussuose e di
un’abitazione raffinata e molto costo-
sa e variopinta, è artificioso. Ebbene, lo stesso discorso vale per
le suppellettili e le coppe e la servità
e gli animali che vengono allevati per
nutrirsene. (206) In generale, tra le
passioni che riguardano l’uomo l’appeti-
to è forse la passione che al più alto livello è tale da non arrestarsi
mai, anzi da procedere all'infinito. È
per questo che subito fin dall’infan-
zia bisogna avere cura che i fanciulli, mentre crescono,
appetiscano <soltanto> le cose di
cui hanno bisogno, e si preservino dagli appeti- ti inutili e superflui, e siano esenti da
turbamenti e scevri da tali desi- deri e
disprezzino sia le cose stesse che meritano disprezzo sia coloro che sono irretiti tra gli appetiti. Ma
soprattutto bisogna capire che gli
appetiti inutili e dannosi e superflui e violenti nascono in coloro
che si trovano al potere, perché non c’è
niente che sia cosi assurdo che non
attragga l’anima di fanciulli e uomini e donne che si trovino in tale condizione. (207) In generale, il genere umano è molto
variegato in virtà della grande quantità
dei suoi appetiti. Ne è segno evidente la varietà degli alimenti: c'è infatti una illimitata quantità
di frutti, ma anche una illi- mitata
quantità di radici, che il genere umano utilizza <per alimentar- si>. Ancora, esso si serve si una varietà
di carni animali, e sarebbe una fatica
scoprire di quale animale esso non si cibi tra quelli che vivono sulla terra o nell'aria o nell'acqua. In
verità sono state escogitate anche una
varietà di modi di preparare questi alimenti e una varietà di mescolanze di sapori. Di qui,
probabilmente, il fatto che il genere
umano sia affetto, nei moti della sua anima, da molteplici manie, (208) perché ciascun alimento è causa,
appunto, di una particola- re
disposizione d'animo. Ma gli uomini, mentre si accorgono di que- gli alimenti che causano improvvisamente
grande alterazione, ad esempio del vino
— che bevuto in quantità eccessiva rende, fino a un certo punto, allegri e in seguito piuttosto
maniaci e indecenti —, igno- rano invece
gli alimenti che non mostrano un tale potere. Ma ogni ali- mento causa una particolare disposizione
d’animo. Ed è perciò un fatto di grande
sapienza comprendere e avere coscienza di quali e di quanti cibi ci dobbiamo servire per
alimentarci. È questa la scienza che
all’inizio fu propria di Apollo Peone,!26 e in seguito di Asclepio.127 238 GIAMBLICO καθόλου μὲν dovro δεῖν φυλάττεσθαι τὸ
καλούμενον προφερές (οὔτε γὰρ τῶν φυτῶν
τὰ προφερῆ οὔτε τῶν ζῴων εὔκαρπα γίνεσθαι),
«ἀλλὰ δεῖν γενέσθαι» τινὰ χρόνον πρὸ τῆς καρποφορίας, ὅπως ἐξ ἰσχυόντων τε καὶ τετελειωμένων τῶν σωμάτων τὰ
σπέρματα καὶ οἱ καρποὶ γίνωνται. δεῖν
οὖν τούς τε παῖδας καὶ τὰς παρθένους ἐν πό-
VOLG τε καὶ γυμνασίοις καὶ καρτερίαις ταῖς προσηκούσαις τρέφειν, τροφὴν προσφέροντας τὴν ἁρμόττουσαν φιλοπόνῳ
τε καὶ σώφρονι καὶ καρτερικῷ βίῳ. πολλὰ
δὲ τῶν κατὰ τὸν ἀνθρώπινον βίον τοιαῦτα
εἶναι ἐν οἷς βέλτιόν ἐστιν ἡ ὀψιμάθεια ὧν εἶναι καὶ τὴν (210) τῶν ἀφροδισίων χρείαν. δεῖν οὖν τὸν παῖδα οὕτως
ἄγεσθαι, ὥστε μὴ ζητεῖν ἐντὸς τῶν
εἴκοσιν ἐτῶν τὴν τοιαύτην συνουσίαν. ὅταν δ᾽ εἰς τοῦτο ἀφίκηται, σπανίοις εἶναι χρηστέον τοῖς
ἀφροδισίοις. ἔσεσθαι δὲ τοῦτο, ἐὰν
τίμιόν τε καὶ καλὸν εἶναι νομίζηται ἡ εὐεξία ἀκρα- σίαν γὰρ ἅμα καὶ εὐεξίαν οὐ πάνυ γίνεσθαι
περὶ τὸν αὐτόν. ἐπαι- νεῖσθαι δ᾽ αὐτοῖς
ἔφασαν καὶ τὰ τοιάδε τῶν προὐπαρχόντων
νομίμων ἐν ταῖς Ἑλληνικαῖς πόλεσι, τὸ μήτε μητράσι συγγίνεσθαι μήτε θυγατρὶ μήτ᾽ ἀδελφῇ μήτ᾽ ἐν ἱερῷ μήτ᾽ ἐν
τῷ φανερῷ᾽ καλόν τε γὰρ εἶναι καὶ
σύμφορον τὸ ὡς πλεῖστα γίνεσθαι κωλύματα τῆς ἐνερ- γείας ταύτης. ὑπελάμβανον δ᾽, ὡς ἔοικεν,
ἐκεῖνοι οἱ ἄνδρες περιαι- ρεῖν μὲν δεῖν
τάς τε παρὰ φύσιν γεννήσεις καὶ τὰς μεθ᾽ ὕβρεως
γιγνομένας, καταλιμπάνειν δὲ τῶν κατὰ φύσιν τε καὶ μετὰ σωφρο- σύνης γινομένων τὰς ἐπὶ τεκνοποιίᾳ σώφρονί τε
[115] (211) καὶ νομίμῳ γινομένας.
ὑπελάμβανον δὲ δεῖν πολλὴν πρόνοιαν
ποιεῖσθαι τοὺς τεκνοποιουμένους τῶν ἐσομένων ἐκγόνων. πρώτην μὲν οὖν εἶναι καὶ μεγίστην πρόνοιαν τὸ
προσάγειν αὑτὸν πρὸς τὴν τεκνοποιίαν
σωφρόνως τε καὶ ὑγιεινῶς βεβιωκότα τε καὶ ζῶντα καὶ μήτε πληρώσει χρώμενον τροφῆς ἀκαίρως μήτε
προσφερόμενον τοιαῦτα ἀφ᾽ ὧν χείρους αἱ
τῶν σωμάτων ἕξεις γίνονται, μήτι δὴ
μεθύοντά γε, ἀλλ᾽ ἥκιστα πάντων ᾧοντο γὰρ ἐκ φαύλης τε καὶ ἀσυμφώνου καὶ ταραχώδους κράσεως μοχθηρὰ (212)
γίνεσθαι τὰ σπέρματα. καθόλου δὲ
παντελῶς ᾧοντο ῥᾳθύμου τινὸς εἶναι καὶ
ἀπροσκέπτου τὸν μέλλοντα ζφοποιεῖν καὶ ἄγειν τινὰ εἰς γένεσίν τε καὶ οὐσίαν, τοῦτον μὴ μετὰ πάσης σπουδῆς
προορᾶν, ὅπως ἔσται ὡς χαριεστάτη τῶν
γινομένων ἡ εἰς τὸ εἶναί τε καὶ ζῆν ἄφιξις, ἀλλὰ VITA DI PITAGORA 239 (209) Sulla procreazione i Pitagorici —
come si racconta — diceva- no queste
cose. In generale essi credevano che bisogna evitare la cosiddetta “precocità” (perché né le piante
né gli animali precoci pro- ducono buoni
frutti), ma occorre che trascorra un certo tempo prima che essi producano dei frutti, allo scopo che
i semi e i frutti nascano da corpi
robusti e giunti a maturazione. Bisogna dunque fare cresce- re i fanciulli e le fanciulle tra sforzi ed
esercizi ginnici e adeguate prove di
sopportazione, fornendo loro un’alimentazione conveniente a una vita operosa e temperante e resistente.
Sono molti gli aspetti del vivere umano
che è meglio imparare tardi: tra questi c’è anche il <buon> uso delle relazioni
amorose. (210) Occorre dunque che il
fanciullo sia educato in modo che non
cerchi relazioni di tal genere prima di avere compiuto venti anni. Ma <anche> quando abbia raggiunto
questa età, l’uso dei rapporti sessuali
deve essere raro. E questo si verificherà qualora sarà conside- rata cosa preziosa e giusta la vigoria
fisica, perché non possono coesi- stere
affatto nella medesima persona incontinenza e vigoria fisica. Si dice anche che i Pitagorici lodavano le
seguenti consuetudini preesi- stenti
nelle città greche: non avere rapporti sessuali né con la madre né con la figlia né con la sorella né in
luogo sacro né in pubblico, per- ché è
giusto e conveniente che a tale attività sia posto il maggior numero di ostacoli. Quegli uomini ritenevano,
a quanto sembra, che bisogna impedire
sia le procreazioni contro natura sia quelle ottenu- te con tracotanza, e che tra i figli generati
secondo natura e con tem- peranza
bisogna accettare quelli ottenute in maniera casta e legale.128 (211) Essi ritenevano, poi, che coloro i
quali <intendono> gene- rare dei
figli devono usare molta previdenza verso i nascituri. La prima e maggiore previdenza è, dunque, quella
di predisporsi alla procreazione avendo
vissuto e vivendo in modo casto e salutare e
senza eccessiva e inopportuna alimentazione, e senza alimentarsi di cibi da cui possano derivare le peggiori
disposizioni del corpo, e soprattutto
senza ubriacarsi, perché essi credevano che da una catti- va e disarmonica e disordinata costituzione
corporea si genera uno sperma di cattiva
qualità. (212) In generale i Pitagorici
credevano che sia assolutamente
negligente e sconsiderato chi si accinga a procreare e a portare
<quin- di> qualcuno a nascere ed
esistere senza prevedere con la massima
240 GIAMBLICO τοὺς μὲν
φιλόκυνας μετὰ πάσης σπουδῆς ἐπιμελεῖσθαι τῆς σκυλα- κείας, ὅπως ἐξ ὧν δεῖ καὶ ὅτε δεῖ καὶ ὡς δεῖ
διακειμένων προσηνῆ γίνηται τὰ σκυλάκια,
ὡσαύτως δὲ καὶ τοὺς (213) φιλόρνιθας (δῆλον
δ᾽ ὅτι καὶ τοὺς λοιποὺς τῶν ἐσπουδακότων περὶ τὰ γενναῖα τῶν ζῴων πᾶσαν ποιεῖσθαι σπουδὴν περὶ τοῦ μὴ εἰκῆ
γίνεσθαι τὰς γεννήσεις αὐτῶν), τοὺς δ᾽
ἀνθρώπους μηδένα λόγον ποιεῖσθαι τῶν ἰδίων ἐκ-
γόνων, ἀλλ᾽ ἅμα γεννᾶν εἰκῆ τε καὶ ὡς ἔτυχε σχεδιάζοντας πάντα τρόπον καὶ μετὰ ταῦτα τρέφειν τε καὶ
παιδεύειν μετὰ πάσης ὀλιγ- ὡρίας. ταύτην
γὰρ εἶναι τὴν ἰσχυροτάτην τε καὶ σαφεστάτην αἰτίαν τῆς τῶν πολλῶν ἀνθρώπων κακίας τε καὶ
φαυλότητος" βοσκηματώδη γὰρ καὶ
εἰκαίαν τινὰ [116] γίνεσθαι τὴν τεκνοποιίαν παρὰ τοῖς πολλοῖς. τοιαῦτα τὰ ὑφηγήματα καὶ ἐπιτηδεύματα
παρὰ τοῖς ἀνδρά- σιν ἐκείνοις διὰ λόγων
τε καὶ ἔργων ἠσκεῖτο περὶ σωφροσύνης,
ἄνωθεν παρειληφόσιν αὐτοῖς τὰ παραγγέλματα ὥσπερ τινὰ πυθό- χρήῆστα λόγια παρ᾽ αὐτοῦ Πυθαγόρου. 32 (214) Περὶ δὲ ἀνδρείας πολλὰ μὲν ἤδη καὶ
τῶν εἰρημένων oi- κείως καὶ πρὸς αὐτὴν
ἔχει, οἷον τὰ περὶ Τιμύχαν θαυμαστὰ ἔργα
καὶ τὰ τῶν ἑλομένων ἀποθανεῖν πρὸ τοῦ τι παραβῆναι τῶν ὁρισθέντων ὑπὸ Πυθαγόρου περὶ κυάμων καὶ ἄλλ᾽
ἄττα τῶν τοιούτων ἐπιτηδευμάτων ἐχόμενα,
ὅσα τε Πυθαγόρας αὐτὸς ἐπετέ- λεσε
γενναίως, ἀποδημῶν πανταχοῦ μόνος καὶ πρὸς πόνους καὶ κιν- δύνους ἀμηχάνους ὅσους παραβαλλόμενος,
ἑλόμενος δὲ καὶ τὴν πατρίδα ἀπολιπεῖν
καὶ ἐπὶ τῆς ἀλλοδαπῆς διατρίβων, τυραννίδας δὲ
καταλύων καὶ πολιτείας συγκεχυμένας διατάττων, ἐλευθερίαν τε ἀπὸ δουλείας ταῖς πόλεσι παραδιδοὺς καὶ τὴν
παρανομίαν παύων, ὕβριν τε καταλύων καὶ
τοὺς ὑβριστὰς καὶ τυραννικοὺς κολούων,
καὶ τοῖς μὲν δικαίοις καὶ ἡμέροις πρᾶον ἑαυτὸν παρέχων καθηγε- μόνα, τοὺς δὲ ἀγρίους ἄνδρας καὶ ὑβριστὰς
ἀπελαύνων τῆς συνου- σίας καὶ μὴ
θεμιστεύειν τούτοις ἀπαγορεύων, καὶ τοῖς μὲν συναγω- νιζόμεγος προ(215)θύμως, τοῖς δὲ παντὶ σθένει
ἐνιστάμενος. πολλὰ μὲν οὖν τούτων ἔχοι
τις ἂν λέγειν τεκμήρια καὶ πολλάκις αὐτῷ
κατορθωθέντα, μέγιστα δὲ πάντων ἐστὶ τὰ πρὸς Φάλαριν αὐτῷ μετὰ παρρησίας ἀνυποστάτου ῥηθέντα τε καὶ
πραχθέντα. ὅτε γὰρ ὑπὸ Φαλάριδος τοῦ
ὠμοτάτου τῶν τυράννων κατείχετο, καὶ συνέμιξεν
αὐτῷ σοφὸς ἀνήρ, Ὑπερβόρειος τὸ γένος, Ἄβαρις τοὔνομα, αὐτοῦ VITA DI PITAGORA 241 cura affinché la venuta all’essere e alla
vita dei suoi generati sia la più favorevole
possibile, al contrario di quanto accade ai cinofili, che si prendono ogni cura affinché la cucciolata
nasca di indole buona, sce- gliendo da
quali genitori, in quale momento e con quali condizioni debbano essere generati, cosi come fanno
anche gli ornitofili (213) (ma è chiaro
che anche tutti gli altri che si occupano di alleva- mento degli animali si prendono ogni cura
affinché la loro nascita non sia
casuale), gli uomini invece non tengono in alcun conto la procrea- zione dei propri figli, anzi li generano a
caso e come capita, agendo in ogni modo
con improvvisazione, dopo di che li allevano e li educano in tutta noncuranza. Ed è infatti questa la
ragione più forte e più chia- ra della
malvagità e cattiveria della maggior parte degli uomini: i più infatti procreano in maniera bestiale e
casuale. Sono tali gli orienta- menti e
le pratiche che i Pitagorici esercitavano con le parole e con le opere a proposito della temperanza, avendo
essi ricevuti dall’alto, cioè dallo
stesso Pitagora, questi precetti come degli oracoli della Pizia.
32 (214) A proposito del coraggio, molte delle cose che sono state dette lo riguardano propriamente, ad esempio
i meravigliosi fatti rela- tivi a Timica
e a coloro che preferirono morire anziché trasgredire le proibizioni di Pitagora sulle fave, e le
altre pratiche del genere, che Pitagora
stesso esercitò in maniera eccellente, viaggiando da solo per ogni dove e affrontando numerose fatiche e
straordinari pericoli, sce- gliendo
anche di abbandonare la patria e soggiornare in terra stranie- ra, rovesciando tirannidi e mettendo ordine
in città disordinate, e ridando la
libertà a città asservite e facendo cessare l’illegalità, e demolendo la tracotanza e stroncando gli
uomini tracotanti e tiranni- ci, e
proponendosi con la sua mitezza a guida dei giusti e dei mansue- ti, e allontanando dalle sue lezioni gli
uomini violenti e tracotanti
rifiutandosi anche di dar loro responsi, e combattendo animatamente assieme ai primi e opponendosi con tutta la
sua forza ai secondi. (215) Ebbene, si
potrebbero fornire molte prove di tali eventi straor- dinari che Pitagora riusci spesso a compiere,
ma la prova maggiore fra tutte è ciò che
egli disse e fece con irresistibile libertà di parola nei confronti di Falaride. Infatti, quando egli
era prigioniero di Falaride, il più
crudele dei tiranni, e un uomo sapiente di stirpe Iperborea, di 242 GIAMBLICO τούτου ἕνεκα ἀφικόμενος [117] τοῦ συμβαλεῖν
αὐτῷ, λόγους te ἠρώτησε καὶ μάλα ἱερούς,
περὶ ἀγαλμάτων καὶ τῆς ὁσιωτάτης θερα-
πείας καὶ τῆς τῶν θεῶν προνοίας, τῶν TE κατ᾽ οὐρανὸν ὄντων καὶ τῶν περὶ τὴν γῆν ἐπιστρεφομένων, ἄλλα τε πολλὰ
τοιαῦτα ἐπύθετο, (216) ὁ δὲ Πυθαγόρος,
οἷος ἦν, ἐνθέως σφόδρα καὶ μετ᾽ ἀληθείας
πάσης ἀπεκρίνατο καὶ πειθοῦς, ὥστε προσαγαγέσθαι τοὺς ἀκούον- τας, τότε ὁ Φάλαρις ἀνεφλέχθη μὲν ὑπὸ ὀργῆς
πρὸς τὸν ἐπαινοῦντα Πυθαγόραν Ἅβαριν,
ἠγρίαινε δὲ καὶ πρὸς αὐτὸν Πυθαγόραν, ἐτό-
λμα δὲ πρὸς τοὺς θεοὺς αὐτοὺς βλασφημίας δεινὰς προφέρειν καὶ τοιαύτας οἵας ἂν ἐκεῖνος εἶπεν. ὁ δ᾽ “Αβαρις
πρὸς ταῦτα ὡμολόγει μὲν χάριν Πυθαγόρᾳ,
μετὰ δὲ τοῦτο ἐμάνθανε παρ᾽ αὐτοῦ περὶ τοῦ
οὐρανόθεν ἠρτῆσθαι καὶ οἰκονομεῖσθαι πάντα ἀπ᾽ ἄλλων te πλε- ιόνων καὶ ἀπὸ τῆς ἐνεργείας τῶν ἱερῶν, πολλοῦ
τε ἔδει γόητα νομί- ζειν Πυθαγόραν τὸν
ταῦτα παιδεύοντα, ὃς γε αὐτὸν καὶ ἐθαύμαζεν
ὡς ἂν θεὸν ὑπερφυῶς. πρὸς ταῦτα Φάλαρις ἀνήρει μὲν μαντείας, ἀνήρει δὲ καὶ τὰ ἐν τοῖς (217) ἱεροῖς δρώμενα
περιφανῶς. ὁ δ᾽ Ἅβαρις μετῆγε τὸν λόγον
ἀπὸ τούτων ἐπὶ τὰ πᾶσι φαινόμενα
ἐναργῶς, καὶ ἀπὸ τῶν ἐν ἀμηχάνοις, ἤτοι πολέμοις ἀτλήτοις ἢ νό- σοις ἀνιάτοις ἢ καρπῶν φθοραῖς ἢ λοιμῶν
φοραῖς ἢ ἄλλοις τισὶ τοιούτοις
παγχαλέποις καὶ ἀνηκέστοις παραγιγνομένων δαιμονίων τινῶν καὶ θείων εὐεργετημάτων ἐπειρᾶτο
συμπείθειν, ὡς ἔστι θεία πρόνοια, πᾶσαν
ἐλπίδα ἀνθρωπίνην καὶ δύναμιν ὑπεραίρουσα. ὁ δὲ
Φάλαρις καὶ πρὸς ταῦτα ἠναισχύντει τε καὶ ἀπεθρασύνετο. αὖθις οὖν ὁ Πυθαγόρας, ὑποπτεύων μὲν ὅτι Φάλαρις
αὐτῷ ῥάπτοι θάνα- τον, ὅμως δὲ εἰδὼς ὡς
οὐκ εἴη Φαλάριδι μόρσιμος, ἐξουσιαστικῶς
ἐπεχείρει λέγειν. ἀπιδὼν γὰρ πρὸς τὸν Ἄβαριν ἔφη, ὅτι οὐρανόθεν [118] ἡ διάβασις εἴς τε τὰ ἀέρια καὶ τὰ
ἐπίγεια φέρεσθαι πέ(18)φυκε, καὶ ἔτι
περὶ τῆς πρὸς τὸν οὐρανὸν ἀκολουθίας πάντων
διεξῆλθε γνωριμώτατα τοῖς πᾶσι, περί τε τῆς ἐν τῇ ψυχῇ αὐτεξουσί- ov δυνάμεως ἀναμφισβητήτως ἀπέδειξε, καὶ
προϊὼν περὶ τῆς τοῦ λό- γου καὶ τοῦ νοῦ
τελείας ἐνεργείας ἐπεξῆλθεν ἱκανῶς, κάθ᾽ οὕτω
μετὰ παρρησίας περὶ τυραννίδος τε καὶ τῶν κατὰ τύχην πλεονεκ- τημάτων πάντων, ἀδικίας τε καὶ τῆς ἀνθρωπίνης
πλεονεξίας ὅλης, στερεῶς ἀνεδίδαξεν, ὅτι
οὐδενός ἐστι ταῦτα ἄξια. μετὰ δὲ ταῦτα
VITA DI PITAGORA 243 nome
Abari, volle incontrarlo, perché venuto apposta per intrattener- si con lui, e gli rivolse dei discorsi a mo’
di questioni, soprattutto di ordine
religioso, intorno alle statue sacre e al culto più santo e alla provvidenza degli dèi, sia di quelli che
stanno in cielo sia di quelli che sono
rivolti verso la terra, e molte altre questioni ancora, (216) e Pitagora, dal canto suo, in
atteggiamento del tutto ispirato,
com’era per sua natura, diede delle risposte assolutamente vere e
con- vincenti, tanto da conquistare gli
uditori, a quel punto Falaride si accese
d’ira contro Abari che lodava Pitagora, e si irritò contro lo stes- so Pitagora, e osò proferire contro gli dèi
delle terribili bestemmie, quali poteva
proferire solo un uomo come lui. Abari, dal canto suo, per tutta risposta ringraziò Pitagora, e in
seguito imparò da lui, e da molte altre
fonti e <soprattutto> dall’attività sacrificale, che ogni cosa dipende ed è governata dal cielo, e ben lungi
dal ritenere un mago Pitagora che gli
insegnava quelle cose, ne ebbe straordinaria ammira- zione come fosse un dio. Dinanzi a tutto
questo Falaride si mise a negare
esplicitamente le divinazioni e tutto ciò che si compie nei riti. (217) Abari, allora, spostò il discorso da
questi argomenti a ciò che appare
evidente a tutti, e muovendo dalle azioni benefiche con le quali alcuni demoni e divinità ci assistono
nelle gravi difficoltà, siano queste
guerre insopportabili o mali incurabili o distruzioni di raccol- ti o diffusioni di pestilenze o simili
calamità difficilissime a superarsi e
irrimediabili, tentava di convincere Falaride che esiste una divina provvidenza che va al di là di ogni speranza
e potenza degli uomini. Ma Falaride
anche a questo reagiva in modo spudorato e spavaldo. A questo punto Pitagora, sospettando che
Falaride stesse tramando per ucciderlo,
ma sapendo al contempo che non era destinato a morire ad opera di Falaride, cominciò a parlare in
maniera autoritaria. Volgendo, infatti,
lo sguardo verso Abari, disse che esiste per natura un passaggio che porta dal cielo alle regioni
aeree e terrestri, (218) e ancora
espose nel modo più accessibile a tutti l’idea che ogni cosa segue il suo rapporto col cielo, e
dimostrò in modo inconfutabi- le che
nell’anima esiste la facoltà del libero arbitrio, e procedendo giunse a discutere adeguatamente di quale sia
la perfetta attività della ragione e
dell’intelletto, e passò cosi a dare, con libertà di parola, soli- di insegnamenti sulla tirannide e su tutti i
privilegi della fortuna e sul-
l'ingiustizia e tutta l'arroganza degli uomini, mostrando che tutte
que- 244 GIAMBLICO θείαν παραίνεσιν ἐποιήσατο περὶ τοῦ ἀρίστου
βίου καὶ πρὸς τὸν κάκιστον ἀντιπαραβολὴν
αὐτοῦ προθύμως ἀντιπαρέτεινε, περὶ ψυχῆς
τε καὶ τῶν δυνάμεων αὐτῆς καὶ τῶν παθῶν, ὅπως ἔχει ταῦτα, σαφέστατα ἀπεκάλυψε, καὶ τὸ κάλλιστον πάντων,
ἐπέδειξεν ὅτι οἱ θεοὶ τῶν κακῶν εἰσιν
ἀναίτιοι, καὶ ὅτι νόσοι καὶ ὅσα πάθη σώμα-
τος ἀκολασίας ἐστὶ σπέρματα. περί τε τῶν κακῶς λεγομένων ἐν τοῖς μύθοις διήλεγξε τοὺς λογοποιούς τε καὶ
ποιητάς. τόν τε Φάλαριν μετ᾽ ἐλέγχων
ἐνουθέτει, καὶ τὴν τοῦ τυράννου δύναμιν, ὁποία τίς ἐστι καὶ ὅση, δι᾽ ἔργων ἐπεδείκνυε, περί τε
τῆς κατὰ νόμον κολά- σεως, ὡς εἰκότως
γίνεται, τεκμήρια πολλὰ παρέθετο, περί τε τῆς
διαφορᾶς ἀνθρώπων πρὸς τὰ ἄλλα ζῷα παρέδειξε περιφανῶς, περί τε τοῦ ἐνδιαθέτου λόγου καὶ τοῦ ἔξω προϊόντος
ἐπιστημονικῶς διεξῆλθε, περί τε νοῦ καὶ
τῆς ἀπ᾿ αὐτοῦ κατιούσης γνώσεως ἀπέδει-
ξε τελείως, ἠθικά τε ἄλλα πολλὰ (219) ἐχόμενα τούτων δόγματα περὶ τῶν ἐν τῷ βίῳ χρηστῶν ὠφελιμώτατα
ἐπαίδευσε, παραινέσεις τε. συμφώνους
τούτοις συνήρμοσεν ἐπιεικέστατα, ἀπαγορεύσεις τε ὧν οὐ χρὴ ποιεῖν παρέθετο καὶ τὸ μέγιστον,
τῶν «κατὰ πεπρωμένην καὶ» καθ᾽
εἱμαρμένην καὶ κατὰ νοῦν δρωμένων τὴν διά[1|9]κρισιν ἐποιήσατο [καὶ τῶν κατὰ πεπρωμένην καὶ καθ᾽
εἱμαρμένην], περὶ δαιμόνων τε πολλὰ καὶ
σοφὰ διελέχθη καὶ περὶ ψυχῆς ἀθανασίας.
ταῦτα μὲν οὖν ἄλλος ἂν εἴη τρόπος λόγων᾽ ἐκεῖνα δὲ καὶ μάλα τοῖς περὶ ἀνδρείας (220) ἐπιτηδεύμασι προσήκει. εἰ
γὰρ ἐν αὐτοῖς μέ- σοις ἐμβεβηκὼς τοῖς
δεινοῖς σταθερᾷ τῇ γνώμῃ φιλοσοφῶν ἐφαίνε-
το, παντάπασι παρατεταγμένως καὶ καρτερούντως ἠμύνετο τὴν τύχην, καὶ εἰ πρὸς αὐτὸν τὸν ἐπάγοντα τοὺς
κινδύνους ἐξουσίᾳ καὶ παρρησίᾳ χρώμενος
ἔνδηλος ἦν, πάντως που καταφρονητικῶς εἶχε
τῶν νομιζομένων εἶναι δεινῶν ὡς οὐδενὸς ἀξίων ὄντων. καὶ εἰ τοῦ θανάτου προσδοκωμένου, ὅσα γε δὴ τὰ
ἀνθρώπινα, ὠλιγώρει τούτου παντάπασι καὶ
οὐκ ἦν προσιέχων» τῇ παρούσῃ τότε προσδοκίᾳ,
δῆλον δήπουθεν ὡς εἰλικρινῶς ἀδεὴς ἦν πρὸς θάνατον. καὶ τούτων δὲ ἔτι γενναιότερον διεπράξατο, τὴν κατάλυσιν
τῆς τυραννίδος ἀπεργασάμενος καὶ
κατασχὼν μὲν τὸν τύραννον μέλλοντα ἀνηκέ-
στους συμφορὰς ἐπάγειν τοῖς ἀνθρώποις, ἐλευθερώσας δὲ τῆς duo- τάτης τυραννίδος Σι(221)κελίαν. ὅτι δὲ αὐτὸς
ἦν ὁ ταῦτα κατορ- VITA DI PITAGORA
245 ste cose non hanno alcun valore.
Dopo di che fece un divino monito
intorno al migliore genere di vita e lo contrappose animatamente al peggiore genere di vita, quello di Falaride,
e rivelò nella maniera più evidente come
stanno le cose a proposito dell'anima e delle sue facol- tà e delle sue passioni, e — discorso più
bello fra tutti -- dimostrò che gli dèi
non sono responsabili dei mali!2° e che malattie e affezioni del corpo sono frutto!30 di intemperanza; e
criticò anche gli scrittori e i poeti
per i loro cattivi racconti mitologici. E con queste confutazioni egli intendeva ammonire Falaride, e gli
indicava con i fatti quale e quanto
grande fosse il potere del tiranno, e forniva molte prove di come probabilmente avveniva la sua punizione
secondo la legge, e gli mostrò
chiaramente la differenza tra gli uomini e gli altri animali, e giunse a trattare scientificamente del
discorso interiore e di quello che
procede verso l’esterno,!3! e gli spiegò alla perfezione <la
natura> del- l'intelletto e la
conoscenza che da esso discende, (219)
e gli insegnò molte altre dottrine morali che, in rapporto all’in- telletto e alla conoscenza, sono di grande
utilità per i beni della vita, e vi
collegò nel modo più conveniente gli ammonimenti che si accor- dano con quelle dottrine, e vi aggiunse le
proibizioni che indicano ciò che non si
deve fare; e -- cosa più grande di tutte — fece una distinzio- ne tra ciò che si compie per destino o per
intelligenza, e discusse di molte
sapienti dottrine a proposito dei demoni e dell'immortalità del- l’anima. Ma questo sarebbe oggetto di un
altro discorso: e qui convie- ne
trattare soprattutto di ciò che concerne le sue pratiche relative al coraggio.
(220) Se infatti, pur trovandosi in mezzo a terribili situazioni,
egli appariva capace di filosofare con
mente solida, se respingeva la fortu- na
in maniera assolutamente ferma e perseverante, e se contro la stes- sa persona che gli procurava i pericoli usava
apertamente autorità e franchezza di
linguaggio, ciò vuol dire che egli si comportava in maniera assolutamente sprezzante verso le
cose che sono ritenute pericolose come
se fossero di nessun valore. E se non si curava affat- to della morte, che pure si aspettava — cosa
del tutto umana —, e non prestava alcuna
attenzione a tale eventualità, anche quando era pre- sente, allora è assolutamente e semplicemente
chiaro che egli non aveva paura della
morte. Ma egli fece qualcosa di ancora pit nobile di tutto questo, quando operò il crollo della
tirannide e trattenne il 246 GIAMBLICO θώσας, τεκμήριον μὲν καὶ ἀπὸ τῶν χρησμῶν
τοῦ ᾿Απόλλωνος, τότε τὴν κατάλυσιν
διασημαινόντων τῷ Φαλάριδι γενήσεσθαι τῆς ἀρχῆς, ὅτε κρείττονες καὶ ὁμονοπτικώτεροι γένοιντο
καὶ συνιστάμενοι μετ᾽ ἀλλήλων οἱ
ἀρχόμενοι, οἷοι καὶ τότε ἐγένοντο Πυθαγόρου
παρόντος διὰ τὰς ὑφηγήσεις αὐτοῦ καὶ παιδεύσεις. τούτου δ᾽ ἔτι μεῖζον τεκμήριον ἦν ἀπὸ τοῦ χρόνον ἐπὶ γὰρ
τῆς αὐτῆς ἡμέρας Πυθαγόρᾳ τε καὶ
᾿Αβάριδι Φάλαρις ἐπῆγε κίνδυνον περὶ θανάτου
καὶ αὐτὸς ὑπὸ τῶν ἐπιβουλευόντων ἀπεσφάγη. καὶ τὸ κατ᾽ Ἐπιμενίδην δὲ τῶν (222) αὐτῶν τούτων ἔστω
τεκμήριον. ὥσπερ γὰρ Ἐπιμενίδης ὁ [120]
Πυθαγόρου μαθητής, μέλλων ὑπό τινων ἀναι-
ρεῖσθαι, ἐπειδὴ τὰς ἐρινύας ἐπεκαλέσατο καὶ τοὺς τιμωροὺς θεούς, ἐποίησε τοὺς ἐπιβουλεύοντας πάντας ἄρδην περὶ
ἑαυτοῖς ἀπο- σφαγῆναι, οὕτω δήπου καὶ
Πυθαγόρας, ἐπαμύνων τοῖς ἀνθρώποις κατὰ
τὴν τοῦ Ἡρακλέους δίκην καὶ ἀνδρείαν, τὸν ἐξυβρίζοντα καὶ πλημμελοῦντα εἰς τοὺς ἀνθρώπους ἐπ᾽ ὠφελείᾳ
τῶν ἀνθρώπων ἐκό- λασε καὶ θανάτῳ
παρέδωκε δι᾽ αὐτῶν τῶν χρησμῶν τοῦ ᾿Απόλλωνος,
οἷς ἦν αὐτοφυῶς συνηρτημένος ἀπὸ τῆς ἐξ ἀρχῆς γενέσεως. τοῦτο μὲν οὖν τὸ θαυμαστὸν αὐτοῦ τῆς ἀνδρείας
κατόρθωμα ἄχρι τοσοὐ(223)του μνήμης
ἠξιώκαμεν. ἄλλο δὲ τεκμήριον αὐτῆς ποιη-
σώμεθα τὴν σωτηρίαν τῆς ἐννόμου δόξης, δι᾽ ἣν αὐτός τε μόνα τὰ δοκοῦντα ἑαυτῷ ἔπραττε καὶ τὰ ὑπὸ τοῦ ὀρθοῦ
λόγου ὑπαγορευόμενα, μήτε ὑπὸ ἡδονῆς
μήτε ὑπὸ πόνου μήτε ὑπ᾽ ἄλλου τινὸς
πάθους ἢ κινδύνου μεθιστάμενος ἀπ᾽ αὐτῶν, οἵ τε ἑταῖροι αὐὖ- τοῦ πρὸ τοῦ τι παραβῆναι τῶν ὁρισθέντων ὑπ᾽
αὐτοῦ ἡροῦντο ἀποθα- νεῖν, ἐν
παντοδαπαῖς τε τύχαις ἐξεταζόμενοι τὸ αὐτὸ ἦθος ἀδιάφθο- ρὸν διεφύλαττον, ἐν μυρίαις τε συμφοραῖς
γενόμενοι οὐδέποτε ὑπ᾽ αὐτῶν
μετετράπησαν. ἦν δὲ καὶ ἀδιάλειπτος παρ᾽ αὐτοῖς παρά- κλησις τὸ «νόμῳ βοηθεῖν ἀεὶ καὶ ἀνομίᾳ
πολεμεῖν», καὶ πρὸς τὸ εἴργειν καὶ
ἀπωθεῖσθαι τὴν τρυφὴν καὶ συνεθίζε(22ά)σθαι ἀπὸ
γενετῆς σώφρονι καὶ ἀνδρικῷ βίῳ. ἦν δέ τινα μέλη παρ᾽ αὐτοῖς πρὸς τὰ ψυχῆς πάθη πεποιημένα, πρός τε ἀθυμίας καὶ
δηγμούς, ἃ δὴ βοη- VITA DI PITAGORA
247 tiranno che stava per infliggere
agli uomini sciagure insanabili, e libe-
τὸ la Sicilia dalla piti crudele delle tirannidi. (221) Che sia stato Pitagora a portare a
compimento tali imprese, se ne ebbe
prova dagli oracoli di Apollo, allorché essi annunciarono che il potere di Falaride sarebbe crollato,
quando i suoi sudditi fossero divenuti
migliori e più concordi e più uniti tra loro, quali essi diven- nero, presente Pitagora, attraverso i suoi
consigli e insegnamenti. Una prova
migliore di questa fu data dalla concomitanza temporale: il giorno stesso, infatti, in cui Falaride fece
rischiare la morte a Pitagora e ad
Abari, egli stesso fu assassinato da coloro che cospiravano con- tro di lui. E come prova di questi stessi
avvenimenti valga l’episodio di
Epimenide. (222) Allo stesso modo,
infatti, dell'allievo di Pitagora, Epimenide,
che quando stava per essere ucciso da alcuni uomini, dopo avere invocato le Erinni e gli dèi vendicatori,
fece si che coloro che lo insi- diavano
si scannassero tutti tra loro, cosî appunto anche Pitagora, che veniva in soccorso degli uomini in virtî
della giustizia e il coraggio di Eracle,
puni e consegnò alla morte colui che eccedeva in tracotanza e sbagliava verso gli uomini, proprio per
aiutare gli uomini, avvalendo- si degli
stessi oracoli di Apollo, ai quali era legato per sua stessa natu- ra fin dalla nascita. Ecco dunque il
meraviglioso atto di coraggio che
Pitagora riusci a compiere e che noi abbiamo ritenuto degno che
fosse raccontato cosî estesamente. (223) Altra prova del suo coraggio noi
potremo trovarla nel fatto che Pitagora
manteneva ferma la legittima opinione, per cui egli faceva soltanto ciò che gli appariva dettato dalla
retta ragione, senza che ne fosse
distolto né dal piacere né dalla sofferenza né da alcun’altra pas- sione o situazione di rischio, e anche nel
fatto che i suoi allievi prefe- rivano
morire anziché trasgredire i suoi divieti, e messi alla prova in difficili occasioni di ogni sorta mantenevano
inalterato il medesimo loro modo di
comportarsi, e non lo mutavano mai pur in mezzo a innumerevoli sventure. Ed essi raccomandavano
continuamente di “aiutare sempre la
legge e combattere l'illegalità”, e a respingere e fuggire il lusso e abituarsi fin dalla
nascita a uno stile di vita tempe- rante
e coraggioso. (224) I Pitagorici si
servivano di alcune melodie composte per com-
battere le passioni dell'anima, nonché i suoi stati di scoraggiamento e 248 GIAMBLICO θητικώτατα ἐπινενόητο, καὶ πάλιν αὖ ἕτερα
πρός te τὰς ὀργὰς kai πρὸς τοὺς θυμούς,
δι᾽ ὧν ἐπιτείνοντες αὐτὰ καὶ ἀνιέντες ἄχρι τοῦ
μετρίου σύμμετρα πρὸς ἀνδρείαν ἀπειργάζοντο. ἦν δὲ καὶ τοῦτο μέ- γιστον εἰς γενναιότητα ἕρμα, τὸ πεπεῖσθαι ὡς
[121] οὐδὲν δεῖ τῶν ἀνθρωπίνων
συμπτωμάτων ἀπροσδόκητον εἶναι παρὰ τοῖς νοῦν
ἔχουσιν, ἀλλὰ πάντα προσδοκᾶν, ὧν (225) μὴ τυγχάνουσιν αὐτοὶ κύριοι ὄντες. οὐ μὴν ἀλλ᾽ εἴ ποτε συμβαίη
αὐτοῖς ἢ ὀργὴ ἢ λύπη ἢ ἄλλο τι τῶν
τοιούτων, ἐκποδὼν ἀπηλλάττοντο, καὶ καθ᾽ ἑαυτὸν
ἕκαστος γενόμενος ἐπειρᾶτο καταπέττειν τε καὶ ἰατρεύειν τὸ πάθος ἀνδρικῶς. ἦν δὲ γεννικὸν αὐτῶν καὶ τὸ περὶ τὰ
μαθήματα καὶ ἐπι- τηδεύματα ἐπίπονον καὶ
αἱ τῆς ἐμφύτου πᾶσιν ἀκρασίας τε καὶ
πλεονεξίας βάσανοι, ποικιλώταταί τε κολάσεις καὶ ἀνακοπαὶ πυρὶ καὶ σιδήρῳ συντελούμεναι ἀπαραιτήτως καὶ οὔτε
πόνων οὔτε καρ- τερίας οὐδεμιᾶς
φειδόμεναι. τοῦτο μὲν γὰρ ἀποχὴ ἐμψύχων
ἁπάντων καὶ προσέτι βρωμάτων τινῶν ἠσκεῖτο γενναίως, τοῦτο δὲ ἐπεγρίαι τοῦ λογισμοῦ καὶ εἰλικρίνειαι τῶν
ἐμποδιζόντων ἐπε- τηδεύοντο, τοῦτο δὲ
ἐχεμυθία τε καὶ παντελὴς σιωπή, πρὸς τὸ
γλώσσης κρατεῖν συνασκοῦσα ἐπὶ ἔτη πολλά, τὴν ἀνδρείαν αὐτῶν ἐγύμναζεν, ἥ τε σύντονος καὶ ἀδιάπνευστος
περὶ τὰ δυσληπτότατα (226) τῶν
θεωρημάτων ἐξέτασίς τε καὶ ἀνάληψις, διὰ ταὐτὰ δὲ ἀνοι- via καὶ ὀλιγοσιτία καὶ ὀλιγοῦπνία, δόξης τε
καὶ πλούτου καὶ τῶν ὁμοίων ἀνεπιτήδευτος
περιφρόνησις᾽ καὶ ταῦτα πάντα εἰς ἀνδρείαν
αὐτοῖς συνέτεινεν. οἴκτων δὲ καὶ δακρύων καὶ πάντων τῶν τοιούτων εἴργεσθαι τοὺς ἄνδρας ἐκείνους φασί.
ἀπείχοντο δὲ καὶ δεήσεων καὶ ἱκετειῶν
καὶ πάσης τῆς τοιαύτης ἀνελευθέρου θωπείας ὡς ἀνά- νδρου καὶ ταπεινῆς οὔσης. τῆς δὲ αὐτῆς ἰδέας
τῶν ἠθῶν θετέον καὶ ὅτι τὰ κυριώτατα καὶ
συνεκτικώτατα τῶν ἑαυτῶν δογμάτων ἀπό-
ppnta ἐν ἑαυτοῖς διεφύλαττον ἅπαντες ἀεί, μετὰ ἀκριβοῦς ἐχεμυθί- ας πρὸς τοὺς ἐξωτερικοὺς ἀνέκφορα
διατηροῦντες ἀγράφως ἐν μνήμῃ, τοῖς
διαδόχοις [122] (227) ἅπερ μυστήρια θεῶν μεταπαραδι- δόντες. διόπερ οὐδὲν ἐξεφοίτησε τῶν γε λόγου
ἀξίων μέχρι πολλοῦ, διδασκόμενά τε καὶ
μανθανόμενα ἐντὸς τοίχων μόνον ἐγνωρίζετο.
VITA DI PITAGORA 249 di
rimorso, e queste melodie erano le invenzioni di maggiore aiuto, e ancora altre melodie composte per i momenti
di ira e di impetuosi- tà;!52 con esse
operavano per rendere più o meno intense le passioni fino a renderle di misura proporzionata al
coraggio.!33 Ma il suppor- to più grande
per la loro nobiltà d’animo era la loro convinzione che nessun accadimento umano deve essere inatteso
per coloro che hanno intelligenza, anzi
questi devono attendersi tutte quelle cose che pos- sono loro capitare perché non sono in loro
potere. (225) Ma se capitava loro di
essere presi dall'ira o dal dolore o da
qualche altra passione del genere, allora cercavano di
sbarazzarsene, e ciascuno cercava,
isolandosi, di smaltirla e porvi rimedio con corag- gio, ed erano per loro fatti naturali sia lo
sforzo di apprendere le matematiche e di
praticarle, sia la messa alla prova dell’incontinenza e dell’arroganza che sono sentimenti innati
in tutti gli uomini, sia le varie
punizioni e restrizioni ottenute inesorabilmente col ferro e col fuoco e senza alcun risparmio né di fatica né
di pazienza. Ed è per questo, infatti,
che essi si esercitavano nobilmente nell’astensione dalla carne di qualsiasi animale oltre che da
certi alimenti, e ancora si esercitavano
a tenere la facoltà razionale sveglia e sgombra da impe- dimenti, e ancora esercitavano il coraggio
con la riservatezza e l’asso- luto
silenzio, che mantenuto per molti anni li aiutava a dominare la lingua, e ancora praticavano un’intensa e
incessante investigazione e ripetizione
delle dottrine più difficili, (226) e
per questo essi si astenevano dal vino e mangiavano e dormi- vano poco, e disprezzavano senza affettazione
la gloria e la ricchezza e cose simili;
e tutto ciò era per loro uno sprone verso il coraggio. Si racconta che quegli uomini evitavano di lamentarsi
e di piangere e di manifestare simili
emozioni. Si astenevano anche da preghiere e da
suppliche e da ogni servile adulazione del genere in quanto riteneva- no che fosse segno di debolezza e abiezione.
Bisogna ritenere del medesimo genere di
costume anche il fatto che tutti i Pitagorici man- tenevano sempre segrete, tra di loro, le più
importanti ed essenziali tra le loro
dottrine, custodendole nella memoria senza metterle per iscritto, con accurata segretezza nei confronti
degli estranei, per tra- smetterle ai
loro successori come misteri divini.
(227) E per questa ragione che per lungo tempo non è trapelato
nulla delle loro dottrine di cui valesse
la pena di discutere, e le cose da loro
250 GIAMBLICO ἐπὶ δὲ τῶν
θυραίων καὶ ὡς εἰπεῖν βεβήλων, εἰ καί ποτε τύχοι, διὰ συμβόλων ἀλλήλοις οἱ ἄνδρες ἠνίττοντο, ὧν ἴχνος
ἔτι νῦν [ὧν] περι- φέρονται τὰ
θρυλλούμενα, οἷον «πῦρ μαχαίρῃ μὴ σκάλευε» καὶ τὰ τοιαῦτα σύμβολα, ἅπερ ψιλῇ μὲν τῇ φράσει
γραώδεσιν ὑποθήκαις ἔοικε, διαπτυσσόμενα
δὲ θαυμαστήν τινα καὶ σεμνὴν ὠφέλειαν
παρέχεται τοῖς μετα(228)λαβοῦσι. μέγιστον δὲ πάντων πρὸς ἀνδρεί- αν παράγγελμά ἐστι τὸ σκοπὸν προθέσθαι τὸν
κυριώτατον, ῥύσασθαι καὶ ἐλευθερῶσαι τῶν
τοσούτων εἰργμῶν καὶ συνδέσεων τὸν
κατεχόμενον ἐκ βρεφῶν νοῦν, οὗ χωρὶς ὑγιὲς οὐδὲν ἄν τις οὐδὲ ἀληθὲς τὸ παράπαν ἐκμάθοι οὐδ᾽ ἂν κατίδοι δι᾽
ἧστινος οὖν ἐνεργῶν αἰσθήσεως. «νοῦς»
γὰρ κατ᾽ αὐτοὺς «πάνθ᾽ ὁρῇ καὶ πάντ᾽
ἀκούει, τάλλα δὲ κωφὰ καὶ τυφλά». δεύτερον δὲ τὸ ὑπερσπουδάζειν διακαθαρθέντι λοιπὸν αὐτῷ καὶ ποικίλως
ἐπιτηδειωθέντι διὰ τῶν μαθηματικῶν
ὀργιασμῶν, τὸ τηνικάδε τῶν ὀνησιφόρων τι καὶ θείων ἐντιθέναι καὶ μεταδιδόναι, ὡς μήτε τῶν
σωμάτων ἀφιστάμενον ἀπο- δειλιᾶν, μήτε
πρὸς τὰ ἀσώματα προσαγόμενον ὑπὸ τῆς λαμπροτάτης αὐτῶν μαρμαρυγῆς ἀποστρέφεσθαι τὰ ὄμματα,
μήτε τῶν προ- σηλούντων τῷ σώματι τὴν
ψυχὴν παθημά[123]τῶν καὶ προσπε-
ρονώντων ἐπιστρέφεσθαι, ὅλως δὲ ἀδάμαστον εἶναι πρὸς πάντα γενεσιουργὰ καὶ καταγωγὰ παθήματα᾽ ἡ γὰρ διὰ
τούτων πάντων γυμνασία καὶ ἄνοδος τῆς
τελειοτάτης ἀνδρείας ἦν ἐπιτήδευσις.
τοσαῦτα καὶ περὶ τῆς ἀνδρείας ἡμῖν τεκμήρια κείσθω περὶ Πυθαγόρου τε καὶ τῶν Πυθαγορείων ἀνδρῶν. 33 (229) Φιλίαν δὲ διαφανέστατα πάντων πρὸς
ἅπαντας Πυθαγόρας παρέδωκε, θεῶν μὲν
πρὸς ἀνθρώπους δι᾽ εὐσεβείας καὶ
ἐπιστημονικῆς θεραπείας, δογμάτων δὲ πρὸς ἄλληλα καὶ καθόλου ψυχῆς πρὸς σῶμα λογιστικοῦ τε πρὸς τὰ τοῦ
ἀλόγου εἴδη διὰ φιλο- σοφίας καὶ τῆς
κατ᾽ αὐτὴν θεωρίας, ἀνθρώπων δὲ πρὸς ἀλλήλους,
πολιτῶν μὲν διὰ νομιμότητος ὑγιοῦς, ἑτεροφύλων δὲ διὰ φυσιολογί- ας ὀρθῆς, ἀνδρὸς δὲ πρὸς γυναῖκα ἢ τέκνα ἢ
ἀδελφοὺς καὶ οἰκείους VITA DI PITAGORA
251 insegnate e apprese restavano note
soltanto tra le pareti della scuola.
Dinanzi agli estranei, ai profani, per cosî dire, quegli uomini
parlava- no tra loro, se mai dovesse
capitare, enigmaticamente per simboli, di
cui ancora oggi circolano come traccia dei simboli famosi, quali ad esempio: “Non attizzare il fuoco con il
coltello” e simboli del genere, che
somigliano — nella loro pura espressione letterale — a delle regole da vecchietta, ma che, una volta spiegate,
forniscono una straordina- ria e
venerabile utilità a coloro che le comprendono. (228) Ma il precetto più grande di tutti in
rapporto al coraggio è quel- lo di
proporre come scopo più importante di preservare e liberare l'intelletto da tutte quante le pastoie e le
catene che lo frenano fin dal-
l'infanzia, senza di che non è affatto possibile né apprendere né
scor- gere nulla di sensato né di vero,
qualunque sia la facoltà sensitiva con
cui si operi. “L'intelletto” infatti — a loro parere — “vede tutto e
inten- de tutto, e tutto il resto è
sordo e cieco”. A un intelletto che sia stato
purificato di tutto il resto e reso capace di applicarsi a vari studi mediante iniziazioni matematiche, viene come
secondo compito, a quel punto, quello di
instillargli e comunicargli qualcosa di proficuo e di divino, di modo che non provi
sbigottimento quando si allonta- na
dalle cose corporee, né, accostandosi agli incorporei, distolga il suo sguardo a causa del loro assoluto fulgore, né
volga la sua attenzione alle passioni
che inchiodano l’anima al corpo e ve la conficcano, ma sia assolutamente inflessibile nei confronti
di tutte le passioni che concernono la
funzione generativa e che portano l’anima verso il basso: esercitarsi in tutte queste cose,
infatti, ed elevare <la loro
anima>, in questo consisteva <appunto> la loro pratica del
coraggio. Ecco quello che dobbiamo
stabilire quale prova del coraggio di
Pitagora e dei Pitagorici. 33
(229) Pitagora insegnò in modo evidentissimo l’amicizia di tutti verso tutti, degli dèi verso gli uomini, per
mezzo della pietà e di un culto fondato
sulla scienza, delle dottrine tra loro, e in generale del- l'anima verso il corpo, e della sua parte
razionale verso le <varie> forme
di quella irrazionale per mezzo della filosofia e della contem- plazione che si ha in funzione di essa, degli
uomini tra di loro, tra cit- tadini per
mezzo di una sana osservanza della legge, tra diversi grup- pi etnici per mezzo di una corretta
conoscenza della natura <umana>,
252 GIAMBLICO διὰ κοινωνίας
ἀδιαστρόφου, συλλήβδην δὲ πάντων πρὸς ἅπαντας
καὶ προσέτι τῶν ἀλόγων ζῴων τινὰ διὰ δικαιοσύνης καὶ φυσικῆς ἐπιπλοκῆς καὶ κοινότητος, σώματος δὲ καθ᾽
ἑαυτὸ θνητοῦ τῶν ἐγκε- κρυμμένων αὐτῷ
ἐναντίων δυνάμεων εἰρήνευσίν τε καὶ cuppipa-
σμὸν δι᾽ ὑγείας καὶ τῆς εἰς ταύτην διαίτης καὶ σωφροσύνης κατὰ μίμησιν τῆς ἐν (230) τοῖς κοσμικοῖς
στοιχείοις εὐετηρίας. ἐν πᾶσι δὴ τούτοις
ἑνὸς καὶ τοῦ αὐτοῦ κατὰ σύλληψιν τοῦ τῆς φιλίας ὀνόμα- τος ὄντος, εὑρετὴς καὶ νομοθέτης
ὁμολογουμένως Πυθαγόρας ἐγέ- νετο, καὶ
οὕτω θαυμαστὴν φιλίαν παρέδωκε τοῖς χρωμένοις, ὥστε ἔτι καὶ νῦν τοὺς πολλοὺς λέγειν ἐπὶ τῶν
σφοδρότερον εὐνοούντων ἑαυτοῖς ὅτι τῶν
Πυθαγορείων εἰσί. δεῖ δὴ καὶ περὶ τούτων τὴν
Πυθαγόρου παιδείαν παραθέσθαι καὶ τὰ παραγγέλματα, οἷς ἐχρῆτο πρὸς [124] τοὺς αὑτοῦ γνωρίμους.
παρεκελεύοντο οὖν οἱ ἄνδρες οὗτοι ἐκ
φιλίας ἀληθινῆς ἐξαιρεῖν ἀγῶνά τε καὶ φιλονεικίαν, μάλι- στα μὲν ἐκ πάσης, εἰ δυνατόν, εἰ δὲ μή, ἔκ γε
τῆς πατρικῆς καὶ καθόλου ἐκ τῆς πρὸς
τοὺς πρεσβυτέρους ὡσαύτως δὲ καὶ ἐκ τῆς
πρὸς τοὺς εὐεργέτας. τὸ γὰρ διαγωνίζεσθαι ἢ διαφιλονεικεῖν πρὸς τοὺς τοιούτους ἐμπεσούσης ὀργῆς ἢ ἀλλοῦ τινὸς
τοιούτου πάθους οὐ σωτή(231)ριον τῆς
ὑπαρχούσης φιλίας. ἔφασαν δὲ δεῖν ὡς ἐλαχίστας
ἀμυχάς τε καὶ ἑλκώσεις ἐν ταῖς φιλίαις ἐγγίνεσθαι" «τοῦτο δὲ
γίνε- σθαι,» ἐὰν ἐπίστωνται εἴκειν καὶ
κρατεῖν ὀργῆς ἀμφότεροι μέν, μᾶλλον
μέντοι ὁ νεώτερός τε καὶ τῶν εἰρημένων τάξεων ἔχων ἡνδήποτε. τὰς ἐπανορθώσεις τε καὶ
νουθετήσεις, ἃς δὴ πεδαρτάσεις ἐκάλουν
ἐκεῖνοι, μετὰ πολλῆς εὐφημίας τε καὶ εὐλαβείας ᾧοντο δεῖν γενέσθαι παρὰ τῶν πρεσβυτέρων τοῖς
νεωτέροις, καὶ πολὺ ἐμ- φαίνεσθαι ἐν
τοῖς νουθετοῦσι τὸ κηδεμονικόν τε καὶ οἰκεῖον" οὕτω γὰρ εὐσχήμονά τε γίνεσθαι καὶ ὠφέλιμον τὴν
νουθέ(232)τησιν. ἐκ φιλίας μηδέποτε
ἐξαιρεῖν πίστιν μήτε παίζοντας μήτε σπουδάζον-
tag: οὐ γὰρ ἔτι ῥάδιον εἶναι διυγιᾶναι τὴν ὑπάρχουσαν φιλίαν, ὅταν ἅπαξ παρεμπέσῃ τὸ ψεῦδος εἰς τὰ τῶν
φασκόντων φίλων εἶναι ἤθη. φιλίαν μὴ
ἀπογιγνώσκειν ἀτυχίας ἕνεκα ἢ ἄλλης τινὸς ἀδυνα- VITA DI PITAGORA 253 del marito verso la moglie o i figli o i
fratelli o i parenti per mezzo di una
stabile comunione: in breve amicizia di tutti verso tutti e ancora verso alcuni animali irrazionali per un senso
di giustizia e di naturale vicinanza e
comunanza,15 e infine del corpo di per sé mortale, al livel- lo di pacificazione e conciliazione tra
facoltà contrarie che si nascon- dono in
esso, per mezzo della salute e del relativo regime di vita, e della temperanza ad imitazione della
prosperità che vige tra gli ele- menti
dell'universo. (230) Poiché in tutti
questi casi esiste un unico e medesimo nome
che li sintetizza, cioè “amicizia”, si ritiene concordemente che
sia stato Pitagora a scoprirlo e imporlo
come legge: e lo abbia insegnato a
coloro che lo frequentavano in maniera cosî splendida che ancora oggi la maggior parte degli uomini, a
proposito di coloro che si trat- tano
con reciproca benevolenza, dicono che appartengono alla cate- goria dei Pitagorici. Occorre dunque
presentare anche l'educazione che
Pitagora offriva intorno a tali argomenti nonché i precetti, di cui si serviva nei rapporti con i suoi intimi
discepoli. Essi dunque prescri- vevano
di eliminare competizione e rivalità dalla vera amicizia e, pos- sibilmente, da qualsiasi amicizia in
assoluto, o quanto meno da quel- la
verso i genitori e in generale verso i più anziani, come pure verso i benefattori. Il competere e il rivaleggiare
con persone di questo gene- re, infatti,
quando subentra l’ira o un altro tipo di passione, fa perde- re l'eventuale amicizia. (231) I Pitagorici dicevano che nelle
amicizie occorre che ci sia il meno
possibile di lacerazioni o ulcerazioni; e questo avviene, se ambe- due le parti sanno cedere e dominare l’ira,
ma soprattutto la parte pit giovane e
quella che si trovi comunque nelle posizioni di cui si è detto. Le correzioni e le ammonizioni, che i
Pitagorici chiamavano “riaccordature”,
credevano che dovessero essere date dai pit anziani ai più giovani con parole molto dolci e con
circospezione, e che nelle ammonizioni
dovesse apparire molta sollecitudine e familiarità, per- ché in tal modo l’ammonizione risultava
<al contempo> decorosa e
proficua. (232) Dall’amicizia
non si deve mai eliminare la fiducia né per scher- zo né seriamente, perché non è facile
mantenere ancora salda un’eventuale
amicizia, una volta che sia subentrata la menzogna nei comportamenti di coloro che pretendono di
essere amici. Non si deve 254
GIAMBLICO μίας τῶν εἰς τὸν βίον
ἐμπιπτουσῶν, ἀλλὰ μόνην εἶναι δόκιμον ἀπό-
γνῶσιν φίλου τε καὶ φιλίας τὴν γινομένην διὰ κακίαν μεγάλην τε καὶ ἀνεπανόρθωτον. ἔχθραν ἑκόντα μὲν μηδέποτε
αἴρεσθαι πρὸς τοὺς μὴ τελείως κακούς,
ἀράμενον δὲ μένειν εὐγενῶς ἐν τῷ διαπο-
λεμεῖν, ἂν μὴ μεταπέσῃ τὸ ἦθος τοῦ δια[125]φερομένου καὶ προσγέ- νηται εὐγνωμοσύνη. πολεμεῖν δὲ μὴ λόγῳ, ἀλλὰ
τοῖς ἔργοις" νόμι- μὸν δὲ εἶναι καὶ
ὅσιον τὸν πολέμιον, εἰ ὡς ἄνθρωπος ἀνθρώπῳ
πολεμήσειεν. αἴτιον μηδέποτε γίνεσθαι εἰς δύναμιν διαφορᾶς, εὐλαβεῖσθαι «δὲ» (233) ταύτης τὴν ἀρχὴν ὡς
οἷόν τε μάλιστα. ἐν τῇ μελλούσῃ ἀληθινῇ
ἔσεσθαι φιλίᾳ ὡς πλεῖστα δεῖν ἔφασαν εἶναι τὰ
ὡρισμένα καὶ νενομισμένα, καλῶς δὲ ταῦτ᾽ εἶναι κεκριμένα καὶ μὴ εἰκῆ, καὶ δῆτα καὶ εἰς ἔθος ἕκαστον
κατακεχωρισμένον δεῖν εἶναι, ὅπως μήτε
ὁμιλία μηδεμία ὀλιγώρως τε καὶ εἰκῆ γίνηται, ἀλλὰ μετ᾽ αἰδοῦς τε καὶ συννοίας καὶ τάξεως ὀρθῆς, μήτε
πάθος ἐγείρηται μηδὲν εἰκῆ καὶ φαύλως
καὶ ἡμαρτημένως, οἷον ἐπιθυμία ἢ ὀργή. ὁ
αὐτὸς δὲ λόγος καὶ κατὰ τῶν λειπομένων παθῶν τε καὶ διαθέσεων. ἀλλὰ μὴν τεκμήραιτο ἄν τις καὶ περὶ τοῦ μὴ
παρέργως αὐτοὺς τὰς ἀλλοτρίας ἐκκλίνειν
φιλίας, ἀλλὰ καὶ πάνυ σπουδαίως περικάμ-
πτειν αὐτὰς καὶ φυλάττεσθαι, καὶ περὶ τοῦ δὲ μέχρι πολλῶν γενεῶν τὸ φιλικὸν πρὸς ἀλλήλους ἀνένδοτον
διατετηρηκέναι, ἔκ τε ὧν ᾿Αριστόξενος ἐν
τῷ περὶ Πυθαγορικοῦ βίου αὐτὸς διακηκοέναι
φησὶ Διονυσίου τοῦ Σικελίας τυράννου, ὅτε ἐκπεσὼν τῆς μοναρχί- ας γράμματα (234) ἐν Κορίνθῳ ἐδίδασκε. φησὶ
γὰρ οὕτως ὁ ᾿Αριστόξενος: «οἴκτων δὲ καὶ
δακρύων καὶ πάντων τῶν τοιούτων
εἴργεσθαι τοὺς ἄνδρας ἐκείνους ὡς ἐνδέχεται μάλιστα’ ὁ αὐτὸς δὲ λόγος καὶ περὶ θωπείας καὶ δεήσεως καὶ λιτανείας
καὶ πάντων τῶν τοιούτων. Διονύσιος οὖν ὁ
ἐκπεσὼν τῆς [126] τυραννίδος καὶ ἀφι-
κόμενος εἰς Κόρινθον πολλάκις ἡμῖν διηγεῖτο περὶ τῶν κατὰ Φιντίαν τε καὶ Δάμωνα τοὺς Πυθαγορείους. ἦν
δὲ ταῦτα τὰ περὶ τὴν τοῦ θανάτου
γενομένην ἐγγύην. ὁ δὲ τρόπος τῆς ἐγγυήσεως τοιόσδε τις ἦν. «εἶναί» τινας ἔφη τῶν περὶ αὑτὸν
διατριβόντων, οἱ πολλάκις ἐποιοῦντο
μνείαν τῶν Πυθαγορείων, διασύροντες καὶ διαμωκώμε- VITA DI PITAGORA 255 misconoscere un'amicizia per un infortunio
o altra difficoltà che può capitare nella
vita, al contrario può essere giustificato motivo di rinunzia a un amico e a un’amicizia
unicamente la malvagità grande e
incorreggibile.!33 Non bisogna mai scegliere volontariamente
un’ini- micizia verso coloro che non
siano dei perfetti malvagi, mentre biso-
gna perseverare nobilmente nella contesa, finché il contendente non cambi il suo comportamento e non divenga
assennato. Occorre com- battere, poi,
non con le parole, ma coi fatti: il nemico sarà legittimo e sacro, se combatterà da uomo a uomo. Non
bisogna mai, per quanto è possibile,
farsi responsabile di discordia, e non bisogna, per quanto è possibile, assolutamente prenderne
l’iniziativa. (233) Per far si che
un’amicizia divenga vera amicizia, dicevano i
Pitagorici, occorre che un gran numero di condizioni siano definite
e pattuite, e queste devono essere
decise a ragion veduta e non a caso, e
dunque occorre anche che siano disposte in relazione al carattere di ciascuno degli interessati, in modo che
nessun aspetto della relazione sia
frutto di negligenza o casualità, ma sia accompagnato da rispetto e riflessione e sia ben ordinato, e nessuna
passione, ad esempio un appetito o un
accesso d’ira, possa emergere per puro caso o per leg- gerezza o per errore. Lo stesso discorso
valeva anche per le rimanen- ti passioni
e disposizioni. Ma che i Pitagorici evitassero accuratamen- te le amicizie con stranieri, ché anzi le
schivassero e se ne guardasse- ro con
assoluta serietà, e che avessero fermamente cercato per molte generazioni i rapporti di amicizia fra di
loro, lo si potrebbe provare partendo da
ciò che Aristosseno, nella sua Vita di Pitagora, dice di avere ascoltato personalmente da Dionigi,
tiranno di Sicilia, allorché spodestato
del suo potere assoluto si recò a Corinto a fare il maestro di scuola.
(234) Ecco infatti quel che dice Aristosseno: «Quegli uomini
evitava- no il più possibile di
lamentarsi e di piangere e di provare ogni emo-
zione del genere; lo stesso discorso valeva per la adulazione e la
pre- ghiera e la supplica e per ogni
manifestazione del genere. Dionigi
dunque, una volta spodestato della suo potere tirannico, giunto a Corinto, ci raccontava spesso la vicenda
relativa ai Pitagorici Finzia e
Damone.!36 Si trattava di una cauzione offerta per un condannato a morte. La faccenda della cauzione si svolse
cosî. C'erano alcuni mem- bri della sua
corte — diceva Dionigi — che menzionavano spesso i 256 GIAMBLICO νοι καὶ ἀλαζόνας ἀποκαλοῦντες αὐτοὺς καὶ
λέγοντες ὅτι ἐκκοπείη ἂν αὐτῶν ἥ τε
σεμνότης αὕτη καὶ ἡ προσποίητος πίστις καὶ ἡ ἀπά- θεια, εἴ τις (235) περιστήσειεν εἰς φόβον
ἀξιόχρεων. ἀντιλεγόντων δέ τινων καὶ
γινομένης φιλονεικίας συνταχθῆναι ἐπὶ τοὺς περὶ
Φιντίαν δρᾶμα τοιόνδε. μεταπεμψάμενος ὁ Διονύσιος ἔφη τὸν Φιντίαν ἐναντίον τέ τινα τῶν κατηγόρων αὐτοῦ
εἰπεῖν, ὅτι φανερὸς γέγονε μετά τινων
ἐπιβουλεύων αὐτῷ, καὶ τοῦτο μαρτυρεῖσθαί τε
ὑπὸ τῶν παρόντων ἐκείνων, καὶ τὴν ἀγανάκτησιν πιθανῶς πάνυ γενέσθαι. τὸν δὲ Φιντίαν θαυμάζειν τὸν λόγον.
ὡς δὲ αὐτὸς διαρρήδην εἰπεῖν, ὅτι
ἐξήτασται ταῦτα ἀκριβῶς καὶ δεῖ αὐτὸν
ἀποθνύσκειν, εἰπεῖν τὸν Φιντίαν ὅτι, εἰ οὕτως αὐτῷ δέδοκται ταῦτα γενέσθαι, ἀξιώσαι γε αὑτῷ δοθῆναι τὸ λοιπὸν
τῆς ἡμέρας, ὅπως οἱ- κονομήσηται τά τε
καθ᾽ αὑτὸν καὶ τὰ κατὰ τὸν Δάμωνα: συνέζων
γὰρ οἱ ἄνδρες οὗτοι καὶ ἐκοινώνουν ἁπάντων, πρεσβύτερος δ᾽ ὧν ὁ Φιντίας τὰ πολλὰ τῶν περὶ οἰκονομίαν ἦν εἰς
αὑτὸν ἀνειληφώς. ἠξίωσεν οὖν ἐπὶ ταῦτα
(236) ἀφεθῆναι ἐγγυητὴν καταστήσας τὸν
Δάμωνα. ἔφη οὖν ὁ Διονύσιος θαυμάσαι τε καὶ ἐρωτῆσαι, εἰ ἔστιν ὁ ἄνθρωπος οὗτος ὅστις ὑπομενεῖ θανάτου
γενέσθαι ἐγγυητής. φήσαν- τος δὲ τοῦ
Φιντίου μετάπεμπτον γενέσθαι τὸν Δάμωνα, καὶ διακού- σαντα τὰ συμβεβηκότα φάσκειν ἐγγυήσεσθαί τε
καὶ μενεῖν αὐτοῦ, ἕως ἂν ἐπανέλθῃ ὁ
Φιντίας. [127] αὐτὸς μὲν οὖν ἐπὶ τούτοις εὐθὺς
ἐκπλαγῆναι ἔφη, ἐκείνους δὲ τοὺς ἐξ ἀρχῆς εἰσαγαγόντας τὴν διά- πειραν τὸν Δάμωνα χλευάζειν ὡς
ἐγκαταλειφθησόμενον καὶ σκώπτοντας
ἔλαφον ἀντιδεδόσθαι λέγειν. ὄντος δ᾽ οὖν ἤδη τοῦ ἡλίου περὶ δυσμὰς ἥκειν τὸν Φιντίαν
ἀποθανούμενον, ἐφ᾽ ᾧ πάντας ἐκπλαγῆναί
τε καὶ δουλωθῆναι. αὐτὸς δ᾽ οὖν ἔφη περιβαλών τε καὶ φιλήσας τοὺς ἄνδρας ἀξιῶσαι τρίτον αὐτὸν εἰς
τὴν φιλίαν παραδέ- ξασθαι, τοὺς δὲ
μηδενὶ τρόπῳ, καίτοι λιπαροῦντος αὐτοῦ, συγκα-
θεῖναι εἰς τὸ τοιοῦτον.» (237) καὶ ταῦτα μὲν ᾿Αριστόξενος ὡς παρ᾽ αὐτοῦ Διονυσίου πυθόμενός φησι. λέγεται δὲ ὡς
καὶ ἀγνοοῦντες VITA DI PITAGORA
257 Pitagorici, per schernirli e
metterli in ridicolo, chiamandoli persino
impostori: dicevano che la loro solennità e presunta fedeltà e impas- sibilità sarebbero venute meno se qualcuno li
avesse impauriti abba- stanza. (235) Ma poiché altri dicevano il contrario,
ne nacque una contesa e si ογα la
seguente macchinazione nei confronti di Finzia. Mandato a chiamare Finzia — diceva Dionigi — e messolo
a confronto con i suoi accusatori, disse
di avere prove evidenti che Finzia aveva complotta- to con altri contro di lui, e poiché i
presenti testimoniavano che tale accusa
era vera, l'indignazione di Dionigi apparve assolutamente cre- dibile. Finzia dal canto suo mostrò stupore
per quel discorso. Ma sic- come Dionigi
dichiarava apertamente di avere condotto precise inda- gini su quell’accusa e che <di
conseguenza> bisognava condannarlo a
morte, allora Finzia disse che, se da un lato era d’accordo che la
cosa dovesse andare cosî come diceva
Dionigi, chiedeva che almeno gli fosse
concesso il resto della giornata per badare all’amministrazione degli affari suoi propri e di Damone, dal
momento che i due uomini vivevano
insieme e avevano ogni cosa in comune, e Finzia, che era pit anziano, aveva riservato per sé
l’amministrazione della maggior parte
degli affari di casa. Chiese dunque che gli si desse l'opportunità
di andar via per sbrigare quegli affari
e propose che Damone fosse il suo
mallevadore. (236) Allora
Dionigi si stupi e chiese se esistesse quell'uomo che accettava di fare da mallevadore a costo di morire.
Finzia rispose di sî e cosi fu fatto
venire Damone, il quale, dopo avere ascoltato quel che accadeva, dichiarò che avrebbe fatto da
mallevadore e che sarebbe rimasto li
fino a quando Finzia non fosse ritornato. Dionigi dunque raccontava di essere rimasto subito colpito
da questi fatti, mentre quelli che
all’inizio avevano condotto quell’esperimento deridevano Damone e lo beffeggiavano dicendogli che
Finzia lo avrebbe lasciato a fare da
cervo sacrificale. Ma quando il sole era già al tramonto Finzia ritornò per morire, cosa che colpi e
soggiogò tutti quanti. Allora Dionigi --
come egli stesso raccontava — abbracciando e strin- gendo a sé i due Pitagorici chiese loro di
ritenerlo degno di essere accolto come
un terzo amico, ma quelli, nonostante le sue insistenze, in nessun modo acconsentirono alla richiesta
di Dionigi». (237) E tutto questo
racconto Aristosseno dice di averlo appreso da 258 GIAMBLICO ἀλλήλους οἱ Πυθαγορικοὶ ἐπειρῶντο φιλικὰ
ἔργα διαπράττεσθαι ὑπὲρ τῶν εἰς ὄψιν
μηδέποτε ἀφιγμένων, ἡνίκα τεκμήριόν τι λάβοιεν
τοῦ μετέχειν τῶν αὐτῶν λόγων, ὥστ᾽ ἐκ τῶν τοιῶνδε ἔργων μηδ᾽ ἐκεῖνον τὸν λόγον ἀπιστεῖσθαι, ὡς ἄρ᾽ οἱ
σπουδαῖοι ἄνδρες καὶ προσωτάτω γῆς
οἰκοῦντες φίλοι εἰσὶν ἀλλήλοις πρὶν ἢ γνώριμοί τε καὶ προσήγοροι γενέσθαι. καταχθῆναι γοῦν φασι
τῶν Πυθαγορικῶν τινα μακρὰν καὶ ἐρήμην
ὁδὸν βαδίζοντα εἷς τι πανδοχεῖον, ὑπὸ κό-
που δὲ καὶ ἄλλης παντοδαπῆς αἰτίας εἰς νόσον μακράν τε καὶ βαρεῖαν ἐμπεσεῖν, ὥστ᾽ ἐπιλιπεῖν αὐτὸν τὰ
ἐπιτή(238)δεια. τὸν μέ- ντοι πανδοχέα,
εἴτε οἴκτῳ τοῦ ἀνθρώπου εἴτε καὶ ἀποδοχῇ, πάντα
παρασχέσθαι, μήτε ὑπουργίας τινὸς φεισάμενον μήτε δαπάνης μηδεμιᾶς. ἐπειδὴ δὲ κρείττων ἦν ἡ νόσος, τὸν
μὲν ἀποθνήσκειν ἑλόμενον γράψαι τι
σύμβολον ἐν πίνακι καὶ ἐπιστεῖλαι, ὅπως, ἄν τι
πάθοι, κριμνὰς τὴν δέλτον παρὰ τὴν ὁδὸν ἐπισκοπῇ, εἴ τις τῶν παριόντων ἀναγνωριεῖ τὸ σύμβολον τοῦτον γὰρ
ἔφη αὐτῷ [128] ἀποδώσειν τὰ ἀναλώματα,
ἅπερ εἰς αὐτὸν ἐποιήσατο, καὶ χάριν ἐκ-
τίσειν ὑπὲρ ἑαυτοῦ. τὸν δὲ πανδοχέα μετὰ τὴν τελευτὴν θάψαι τε καὶ ἐπιμεληθῆναι τοῦ σώματος αὐτοῦ, μὴ μέντοι
γε ἐλπίδας ἔχειν τοῦ κομίσασθαι τὰ
δαπανήματα, μή τί γε καὶ πρὸς εὖ παθεῖν πρός
τινος τῶν ἀναγνωριούντων τὴν δέλτον. ὅμως μέντοι διαπειρᾶσθαι ἐκπεπληγμένον τὰς ἐντολὰς ἐκτιθέναι τε
ἑκάστοτε εἰς τὸ μέσον τὸν πίνακα. χρόνῳ
δὲ πολλῷ ὕστερον τῶν Πυθαγορικῶν τινὰ παριόντα
ἐπιστῆναί τε καὶ μαθεῖν τὸν θέντα τὸ σύμβολον, ἐξετάσαι τε τὸ συμβὰν καὶ τῷ πανδοχεῖ πολλῷ πλέον ἀργύριον
ἐκτῖσαι τῶν δεδα- πανημένων. (239)
Κλεινίαν γε μὴν τὸν Ταραντῖνόν φασι πυθόμενον,
ὡς Πρῶρος ὁ Κυρηναῖος, τῶν Πυθαγόρου λόγων ζηλωτὴς ὦν, κινδυ- νεύοι περὶ πάσης τῆς οὐσίας, συλλεξάμενον
χρήματα πλεῦσαι ἐπὶ Κυρήνης καὶ
ἐπανορθώσασθαι τὰ Πρώρου πράγματα, μὴ μόνον τοῦ
μειῶσαι τὴν ἑαυτοῦ οὐσίαν ὀλιγωρήσαντα, ἀλλὰ μηδὲ τὸν διὰ τοῦ πλοῦ κίνδυνον περιστάντα. τὸν αὐτὸν δὲ τρόπον
καὶ Θέστορα τὸν Ποσειδωνιάτην ἀκοῇ μόνον
ἱστοροῦντα, ὅτι Θυμαρίδης εἴη «ὦ Πάριος
τῶν Πυθαγορείων, ἡνίκα συνέπεσεν εἰς ἀπορίαν αὐτὸν καταστῆναι ἐκ πολλῆς περιουσίας, πλεῦσαί
φασιν εἰς τὴν Πάρον, VITA DI PITAGORA
259 Dionigi in persona. Si racconta
anche che i Pitagorici, anche quando non
si conoscevano l’un l’altro, cercavano di compiere gesti di amici- zia nei confronti di coloro che non avevano
mai visto prima, sempre- ché avessero
qualche prova che quelli condividevano le loro stesse dottrine, sicché da questi fatti si evince la
credibilità di quel detto, secondo cui
“gli uomini saggi anche se abitano in terre lontanissime sono amici tra di loro ancor prima di
familiarizzare e di rivolgersi la
parola”. Orbene, si racconta che un Pitagorico, dopo avere percorso un lungo e solitario cammino, arrivò in un
albergo e, a causa della fati- ca o per
altre varie cause, cadde in una lunga e grave malattia, sicché egli esaurf tutti i suoi mezzi di
sussistenza. (238) L'albergatore,
tuttavia, o per compassione verso quell’uomo o
perché lo aveva ospitato, gli forni tutto <ciò di cui aveva
bisogno>, senza alcun risparmio né di
assistenza medica né di spesa. Ma poiché
la malattia si aggravava, il Pitagorico, convinto di morire, scrisse
un simbolo su una tavoletta e pregò
l’albergatore di appendere lo scritto ai
margini della strada, dopo la sua morte, per vedere se qualcuno dei passanti lo riconoscesse, perché quello —
egli diceva — gli avrebbe rim- borsato
le spese fatte per lui, e lo avrebbe ringraziato al posto suo. Dopo che quello mori, l’albergatore gli
tributò gli onori funebri e si prese
cura del suo corpo, anche se non sperava di recuperare le spese sostenute, e ancor meno di ricevere
gratitudine da qualcuno che aves- se
riconosciuto quello scritto. Nondimeno, sebbene stupito per quel- la raccomandazione, fece ugualmente il
tentativo e tenne esposta con-
tinuamente la tavoletta in mezzo alla strada. Molto tempo dopo un Pitagorico di passaggio si fermò e riconobbe
chi aveva posto quel sim- bolo, e indagò
sull'accaduto e ripagò l’albergatore molto più di quan- to avesse pagato. (239) Si racconta poi che Clinia di Taranto,
venuto a sapere che Proro di Cirene, il
quale era un seguace degli insegnamenti di Pitagora,!7 correva il rischio di perdere ogni sua
sostanza, raccolta una certa quantità di
denaro, si recò per mare a Cirene e rimise in sesto gli affa- ri di Proro, non solo senza preoccuparsi di
intaccare le proprie sostanze, ma anche
senza lasciarsi fermare dal pericolo della naviga- zione. Allo stesso modo si racconta che anche
Testore di Posidonia, appena apprese,
solo per sentito dire, che Timarida di Paro era un Pitagorico che era caduto nell’indigenza da
ricchissimo che era, dopo 260
GIAMBLICO ἀργύριον συχνὸν
συλλεξάμενον, kai dvarmm(240)cacdar αὐτῷ τὰ
ὑπάρξαντα. καλὰ μὲν οὖν ταῦτα καὶ πρέποντα τῆς φιλίας τεκμήρια. πολὺ δὲ τούτων θαυμασιώτερα ἦν τὰ περὶ τῆς
κοινωνίας τῶν θείων ἀγαθῶν καὶ τὰ περὶ
τῆς τοῦ νοῦ ὁμονοίας καὶ τὰ περὶ τῆς θείας
ψυχῆς παρ᾽ αὐτοῖς ἀφορισθέντα. παρήγγελλον γὰρ θαμὰ ἀλλήλοις [129] μὴ διασπᾶν τὸν ἐν ἑαυτοῖς θεόν. οὐκοῦν
εἰς θεοκρασίαν τινὰ καὶ τὴν πρὸς τὸν
θεὸν ἕνωσιν καὶ τὴν τοῦ νοῦ κοινωνίαν καὶ τὴν τῆς θείας ψυχῆς ἀπέβλεπεν αὐτοῖς ἡ πᾶσα τῆς
φιλίας σπουδὴ δι᾽ ἔργων τε καὶ λόγων.
τούτου δὲ οὐκ ἂν ἔχοι τις εὑρεῖν ἄλλο βέλτιον, οὔτε ἐν λόγοις λεγόμενον οὔτε ἐν ἐπιτηδεύμασι
πραττόμενον. οἶμαι δ᾽ ὅτι καὶ πάντα τῆς
φιλίας ἀγαθὰ ἐν αὐτῷ περιέχεται. διόπερ καὶ
ἡμεῖς ὥσπερ ἐν κεφαλαίῳ τούτῳ τὰ πάντα περιλαβόντες τῆς Πυθαγορικῆς φιλίας πλεονεκτήματα παυόμεθα τοῦ
πλείω περὶ αὐτῆς λέγειν. 34 (241) Ἐπεὶ δὲ κατὰ γένη τεταγμένως οὕτω
διήλθομεν περὶ Πυθαγόρου τε καὶ τῶν
Πυθαγορείων, ἴθι δὴ τὸ μετὰ τοῦτο καὶ τὰς
σποράδην ἀφηγήσεις εἰωθυίας λέγεσθαι «τεκμήρια» ποιησώμεθα, ὅσαι οὐχ ὑποπίπτουσιν ὑπὸ τὴν προειρημένην
τάξιν. λέγεται τοίνυν ὡς φωνῇ χρῆσθαι τῇ
πατρῴᾳ ἑκάστοις παρήγγελλον, ὅσοι τῶν
Ἑλλήνων προσῆλθον πρὸς τὴν κοινωνίαν ταύτην τὸ γὰρ ξενίζειν οὐκ ἐδοκίμαζον. προσῆλθον δὲ καὶ ξένοι τῇ
Πυθαγορείῳ αἱρέσει καὶ Μεσσαπίων καὶ
Λευκανῶν καὶ Πευκετίων καὶ Ῥωμαίων.
Μητρόδωρός τε ὁ Θύρσου «ἀδελφός, τῆς» τοῦ πατρὸς Ἐπιχάρμου καὶ τῆς ἐκείνου διδασκαλίας τὰ πλείονα πρὸς τὴν
ἰατρικὴν μετενέγκας, ἐξηγούμενος τοὺς
τοῦ πατρὸς λόγους πρὸς τὸν ἀδελφόν φησι τὸν
Ἐπίχαρμον καὶ πρὸ τούτου τὸν Πυθαγόραν τῶν διαλέκτων ἀρίστην λαμβάνειν τὴν Δωρίδα, καθάπερ καὶ τὴν
ἁρμονίαν τῆς μουσικῆς. καὶ τὴν μὲν Ἰάδα
καὶ τὴν Αἰολίδα μετεσχηκέναι τῆς ἐπὶ χρώματος
προσῴῳδίας, ᾿Ατθίδα δὲ κατακορέστερον μετεσχηκέναι τοῦ χρώμα- τος, [130] (242) τὴν δὲ Δώριον διάλεκτον
ἐναρμόνιον εἶναι, συνε- στηκυῖαν ἐκ τῶν
φωναέντων γραμμάτων. τῇ δὲ Δωρικῇ διαλέκτῳ
μαρτυρεῖν τὴν ἀρχαιότητα καὶ τὸν μῦθον. Νηρέα γὰρ γῆμαι Δωρίδα τὴν Ὠκεανοῦ, τούτῳ δὲ μυθεύεσθαι γενέσθαι τὰς
πεντήκοντα θυγα- τέρας, ὧν εἶναι καὶ τὴν
᾿Αχιλλέως μητέρα. λέγειν δέ τινάς φησι
Δευκαλίωνος τοῦ Προμηθέως καὶ Πύρρας τῆς Ἐπιμηθέως γενέσθαι VITA DI PITAGORA 261 avere raccolto molto denaro, si recò per
mare a Paro e gli permise di riacquistare
il suo patrimonio. (240) Sono queste,
dunque, le belle e convenienti prove dell'amicizia <dei Pitagorici>, ma molto più
sorprendenti erano le loro determina-
zioni circa la comunanza dei beni divini e la concordia
intellettiva!38 e la natura divina
dell’anima. Essi infatti si richiamavano spesso l’un l’altro alla prescrizione <di
Pitagora>!59 di non disperdere il dio che
era in loro. Tutta la loro cura dell'amicizia, dunque, mirava — con
fatti e con parole — ad una certa
fusione con dio, all'unione con lui e alla
comunione dell’intelletto e dell’anima divina. Non si potrebbe
trova- re nient'altro che sia, o detto
con parole o realizzato nella pratica,
migliore di questo loro modo di intendere l’amicizia: credo che in esso siano contenuti tutti gli aspetti buoni
dell’amicizia. È per questa ragione che
noi, una volta che abbiamo racchiuso, come abbiamo fatto in questo capitolo, tutti i vantaggi
dell’amicizia pitagorica, smet- tiamo di
dilungarci ancora su di essa. 34 (241)
Dopo avere percorso cosi ordinatamente, genere per genere, gli argomenti relativi a Pitagora e ai
Pitagorici, è tempo ormai di for- nire
prove di cose che vengono raccontate di solito in modo sporadi- co, e che non rientrano <quindi>
nell'ordine predetto. Si racconta dunque
che i Pitagorici prescrivevano a tutti i Greci che giungevano nella loro comunità di adoperare la loro
patria lingua, perché non approvavano
che si parlasse con accento straniero.!40 Alla scuola pita- gorica si unirono anche degli stranieri [sc.
dei non greci]: Messapi, Lucani, Peucezi
e Romani. Il fratello di Tirso, Metrodoro, che appli- cò alla medicina la maggior parte degli
insegnamenti di suo padre Epicarmo e di
Pitagora, esponendo al fratello i discorsi del padre, dice che Epicarmo e, prima di lui, Pitagora
ritenevano che quello dorico fosse il
dialetto migliore, cosî come lo è nella musica l'armonia dorica. Diceva anche che i dialetti ionico ed
eolico hanno un certo accento cromatico,
e che il dialetto attico lo ha ancora più forte, (242) mentre il dialetto dorico è
enarmonico, perché è costituito
<prevalentemente> di vocali. Anche il mito testimonia che
quello dorico è il dialetto più arcaico.
Infatti Nereo sposò Doride figlia di
Oceano, e quest’ultimo ebbe — secondo il mito — cinquanta figlie, delle quali una è la madre di Achille. Alcuni
raccontano — dice 262 GIAMBLICO Δῶρον, τοῦ δὲ Ἕλληνα, τοῦ δὲ Αἰόλον. ἐν δὲ
τοῖς Βαβυλωνίων ἀκού- eu ἱεροῖς “Ἕλληνα
γεγονέναι Διός, τοῦ δὲ Δῶρον καὶ Ξοῦθον καὶ
Αἰόλον, αἷς ὑφηγήσεσιν ἀκολουθῆσαι καὶ αὐτὸν Ἡσίοδον. ὁποτέρως μὲν οὖν ἔχει, περὶ τῶν ἀρχαίων οὐκ
εὐμαρὲς (243) δέχε- σθαι τἀκριβὲς τοῖς
νεωτέροις ἢ καταμαθεῖν, ὁμολογούμενον δὲ δι᾽
ἑκατέρας τῶν ἱστοριῶν συνάγεσθαι τὸ πρεσβυτάτην εἶναι τῶν δια- λέκτων τὴν Δωρίδα, μετὰ δὲ ταύτην γενέσθαι
τὴν Αἰολίδα, λαχοῦσαν ἀπὸ Αἰόλου
τοὔνομα, τρίτην δὲ τὴν ᾿Ατθίδα, κληθεῖσαν
ἀπὸ ᾿Ατθίδος τῆς Kpavaod, τετάρτην δὲ τὴν Ἰάδα, λεγομένην ἀπὸ Ἵωνος τοῦ Ξούθου καὶ Κρεούσης τῆς Ἐρεχθέως,
τεθειμένην δὲ τρισὶ γενεαῖς ὕστερον τῶν
πρότερον κατὰ Θρᾷκας καὶ τὴν Ὠρειθυίας
ἁρπαγήν, ὡς οἱ πλείους τῶν ἱστορικῶν ἀποφαίνουσι. κεχρῆσθαι δὲ τῇ Δωρικῇ διαλέκτῳ καὶ τὸν [131]
(244) Ὀρφέα, πρε- σβύτατον ὄντα τῶν
ποιητῶν. τῆς δὲ ἰατρικῆς μάλιστά φασιν αὐτοὺς
ἀποδέχεσθαι τὸ διαιτητικὸν εἶδος καὶ εἶναι ἀκριβεστάτους ἐν τούτῳ, καὶ πειρᾶσθαι πρῶτον μὲν καταμανθάνειν
σημεῖα συμμετρι- ‘ag ποτῶν τε καὶ σίτων
καὶ ἀναπαύσεως, ἔπειτα περὶ αὐτῆς τῆς κατα-
σκευῆς τῶν προσφερομένων σχεδὸν πρώτους ἐπιχειρῆσαί τε πραγ- ματεύεσθαι καὶ διορίζειν. ἅψασθαι δὲ καὶ
καταπλασμάτων ἐπὶ πλεῖον τοὺς
Πυθαγορείους τῶν ἔμπροσθεν, τὰ δὲ περὶ τὰς φαρμα- κείας ἧττον δοκιμάζειν, αὐτῶν δὲ τούτων
«τοῖς: πρὸς τὰς ἑλκώσεις μάλιστα χρῆσθαι,
τὰ δὲ περὶ τὰς τομάς τε καὶ καύσεις ἥκιστα
πάντων ἀποδέχεσθαι. χρῆσθαι δὲ καὶ ταῖς ἐπῳδαῖς πρὸς ἔνια τῶν ἀρρωστημάτων. (245) παραιτήσασθαι δὲ λέγονται
τοὺς τὰ μαθήματα καπηλεύοντας καὶ τὰς
ψυχὰς ὡς πανδοχείου θύρας ἀνοίγοντας
παντὶ τῷ προσιόντι τῶν ἀνθρώπων, ἂν δὲ μηδ᾽ οὕτως ὠνηταὶ εὑρεθῶσιν, αὐτοὺς ἐπιχεομένους εἰς τὰς πόλεις
καὶ συλλήβδην ἐργολαβοῦντας τὰ γυμνάσια
καὶ τοὺς νέους καὶ μισθὸν τῶν ἀτιμήτων
πράττοντας. αὐτὸν δὲ συνεπικρύπτεσθαι πολὺ τῶν λεγο- μένων, ὅπως οἱ μὲν καθαρῶς παιδευόμενοι σαφῶς
αὐτῶν μεταλαμβά- νῶσιν, οἱ δ᾽, ὥσπερ
Ὅμηρός φησι τὸν Τάνταλον, λυπῶνται παρόντων
αὐτῶν ἐν μέσῳ τῶν ἀκουσμάτων μηδὲν ἀπολαύοντες. λέγειν δ᾽ ab τοὺς οἶμαι καὶ περὶ τοῦ μὴ μισθοῦ διδάσκειν
τοὺς προσιόντας, cÙc καὶ χείρους τῶν
ἑρμογλύφων καὶ ἐπιδιφρίων τεχνιτῶν ἀποφαίνουσι. VITA DI PITAGORA 263 Metrodoto -- che Deucalione, figlio di
Prometeo, e Pirra, figlia di Epimeteo,
generarono Doro, il quale generò Elleno, che a sua volta generò Eolo. Nei santuari babilonesi, invece,
si sente dire che da Zeus sia stato
generato Elleno, e da questo siano stati generati Doro e Xuto ed Eolo, la quale tradizione è stata seguita
anche dallo stesso Esiodo. Comunque
stiano le cose — (243) e non è facile per i moderni, intor- no a questi antichi racconti, ricavare o
apprendere qualcosa di preci- so —, c'è
accordo sul fatto che da ambedue i racconti si evince che il dialetto dorico è il più antico, dopo di esso
viene quello eolico, che prende nome da
Eolo, terzo è il dialetto attico, che prende nome da Attide figlia di Cranao, e quarto è il dialetto
Ionico, detto cosi da Ione figlio di
Xuto e Creusa, figlia di Eretteo, dialetto quest’ultimo costrui- to tre generazioni dopo i precedenti, al
tempo dei Traci e del ratto di Orizia,
come indicano la maggior parte degli esperti di storia. Del dia- letto dorico si servi anche Orfeo, che è il
più antico tra i poeti. (244) Della
medicina i Pitagorici accolgono con favore, soprattutto, la branca relativa alla dieta e sono molto
precisi in questo settore, e cer- cano
anzitutto di apprendere ciò che indica la proporzione tra bevan- de, alimenti e riposo; e poi essi sono stati
forse i primi a ricercare e praticare e
stabilire le regole della stessa preparazione degli alimenti. I Pitagorici poi si occupano, più che i loro
predecessori, dei catapla- smi, mentre
approvano di meno i farmaci, e tra questi. si servono soprattutto di quelli che curano le
ulcerazioni, mentre non accettano per
nulla ciò che riguarda le incisioni e le cauterizzazioni. Si servono, per certe infermità, anche degli incantesimi.141 (245) Si racconta anche che essi
disprezzavano coloro che fanno della
scienza oggetto di commercio e che ad ogni uomo che incontrano aprono le loro anime come fossero le porte di
un albergo, e anche se nonostante ciò
non trovano dei compratori, essi si spandono per le città e, per dirla in breve, cercano di
trarre guadagno dai ginnasi e dai
giovani e si fanno pagare per cose che non hanno prezzo. Pitagora, invece, dissimulava molta parte dei suoi
insegnamenti, affinché potes- sero
averne chiara comprensione <solo> coloro che erano educati a principi puri, mentre altri dovessero
angustiarsi perché — come dice Omero di
Tantalo -, pur in presenza e quasi immersi in quegli inse- gnamenti, non erano in grado di trarne alcun
vantaggio. Essi diceva- no anche — come
io credo — che coloro che danno insegnamento a 264 GIAMBLICO τοὺς μὲν γὰρ ἐκδομένου τινὸς ἑρμῆν ζητεῖν
εἰς τὴν διάθεσιν τῆς μορφῆς ξύλον
ἐπιτήδειον, τοὺς δὲ [132] προχείρως ἐκ πάσης φύσεως ἐργάζεσθαι τὴν ἀρετῆς ἐπι(24δ)τήδευσιν.
προνοεῖν δὲ δεῖν μᾶλλον λέγουσι
φιλοσοφίας ἢ γονέων καὶ γεωργίας" τοὺς μὲν γὰρ γονέας καὶ τοὺς γεωργοὺς αἰτίους εἶναι τοῦ ζῆν ἡμᾶς,
τοὺς δὲ φιλοσόφους καὶ παιδευτὰς «τοῦ»
καὶ εὖ ζῆν καὶ φρονῆσαι, τὴν ὀρθὴν οἰκονομί-
αν εὑρόντας. οὔτε δὲ λέγειν οὔτε συγγράφειν οὕτως ἠξίου, ὡς πᾶσι τοῖς ἐπιτυχοῦσι κατάδηλα εἶναι τὰ νοήματα, ἀλλ᾽
αὐτὸ δὴ τοῦτο πρῶτον διδάξαι λέγεται
Πυθαγόρας τοὺς αὐτῷ προσφοιτῶντας, ὅπως
ἀκρασίας ἁπάσης καθαρεύοντες ἐν ἐχερρημοσύνῃ φυλάττωσιν οὗς ἂν ἀκροάσωνται λόγους. τὸν γοῦν πρῶτον
ἐκφάναντα τὴν τῆς συμμε- τρίας καὶ
ἀσυμμετρίας φύσιν τοῖς ἀναξίοις μετέχειν τῶν λόγων οὕτως φασὶν ἀποστυγηθῆναι, ὡς μὴ μόνον ἐκ τῆς
κοινῆς συνουσίας καὶ διαίτης
ἐξορισθῆναι, ἀλλὰ καὶ τάφον αὐτοῦ κατασκευασθῆναι, ὡς δῆτα ἀποιχομένου ἐκ τοῦ μετ᾽ ἀνθρώπων βίου
τοῦ ποτε ἑταίρου γενο(247)μένου. οἱ δέ
φασι καὶ τὸ δαιμόνιον νεμεσῆσαι τοῖς ἐξώφο-
ρα τὰ Πυθαγόρου ποιησαμένοις. φθαρῆναι γὰρ ὡς ἀσεβήσαντα ἐν θαλάσσῃ τὸν δηλώσαντα τὴν τοῦ εἰκοσαγώνου
σύστασιν. τοῦτο δ᾽ ἦν δωδεκάεδρον, ἕν
τῶν πέντε λεγομένων στερεῶν σχημάτων, εἰς
σφαῖραν ἐκτείνεσθαι. ἔνιοι δὲ τὸν περὶ τῆς ἀλογίας καὶ τῆς ἀσυμ- μετρίας ἐξειπόντα τοῦτο παθεῖν ἔλεξαν. ἰδιότροπός
τε μὴν καὶ συμ- βολικὴ ἦν ἡ σύμπασα
Πυθαγόρειος ἀγωγή, [ἐν] αἰνίγμασί τισι καὶ
γρίφοις ἔκ γε τῶν ἀποφθεγμάτων ἐοικυῖα διὰ τὸ ἀρχαΐζειν τῷ χαρακτῆρι, καθάπερ καὶ τὰ θεῖα τῷ ὄντι καὶ
πυθόχρη[133]στα λό- yia δυσπαρακολούθητά
roc καὶ δυσερμήνευτα φαίνεται τοῖς ἐκ
παρέργου χρηστηριαζομένοις. τοσαῦτα ἄν τις καὶ ἀπὸ τῶν σπο- ράδην λεγομένων τεκμήρια ἂν παράθοιτο περὶ
Πυθαγόρου τε καὶ τῶν Πυθαγορείων. 35 (248) Ἦσαν δέ τινες, οἱ προσεπολέμουν
τοῖς ἀνδράσι τούτοις VITA DI PITAGORA
265 pagamento a chiunque capiti
appaiono ancora peggiori degli scultori
di erme e degli artigiani sedentari: infatti, mentre questi ultimi,
quan- do qualcuno ordina un’erma, vanno
alla ricerca del legno adatto a ricevere
la forma di erma, i primi, invece, sono pronti a lavorare per fornire l'attitudine alla virti qualunque sia
la natura «αἱ chi vuole
acquistarla>. (246) I
Pitagorici dicono che occorre darsi pensiero più della filosofia che dei genitori o dell’agricoltura, perché è
vero sî che i genitori e gli agricoltori
sono responsabili della nostra vita, ma i filosofi e gli educa- tori lo sono del vivere bene e del pensare,
in quanto hanno trovato la giusta
maniera di gestire gli affari domestici. Si racconta che Pitagora riteneva opportuno che né si parlasse né si
scrivesse in modo tanto tra- sparente da
rendere i propri pensieri evidenti a chiunque, ché anzi egli insegnava come prima cosa a coloro che lo
frequentavano di mantene- re il
silenzio, purificandosi di ogni incontinenza, sui discorsi che aves- sero da lui ascoltati. E un fatto che i
Pitagorici — come si racconta — odiarono
tanto chi per primo rivelò,!42 a chi non era degno di condi- videre le loro dottrine, <una dottrina
pitagorica>, cioè la natura della
commensurabilità e incommensurabilità, che non solo lo esclusero dalla loro comunità scolastica e dal loro
regime di vita, ma anche costruirono per
lui un sepolcro come se realmente uno che era stato un tempo loro compagno fosse uscito dalla
vita degli uomini. (247) Altri
raccontano che anche il mondo degli dèi si è vendicato di coloro che avevano divulgato gli insegnamenti
di Pitagora. Infatti perî in mare come
empio chi aveva rivelato il metodo per costruire una figura di venti angoli <solidi>:
questa figura era il dodecaedro, una
delle cosiddette cinque figure solide <regolari>, che poteva esse- re iscritto in una sfera.!4 Alcuni hanno raccontato
che la stessa sorte subi colui che aveva
divulgato la teoria <pitagorica> dell’irrazionali- tà e della incommensurabilità.!44 In realtà
l'educazione pitagorica nel suo
complesso aveva un carattere particolare ed era di natura simbo- lica, in quanto simile, per il suo carattere
arcaizzante, a certi enigmi e oscuri
discorsi fatti di sentenze, cosi come gli oracoli realmente divini e manifestati dal dio Pizio appaiono,
a coloro che consultano l'oracolo in
maniera superficiale, in qualche modo difficili da segui- re e interpretare. Ecco dunque le
testimonianze che si possono forni- re,
partendo da racconti sporadici, su Pitagora e i Pitagorici. 266 GIAMBLICO καὶ ἐπανέστησαν αὐτοῖς. ὅτι μὲν οὖν ἀπόντος
Πυθαγόρου ἐγένετο ἡ ἐπιβουλή, πάντες
συνομολογοῦσι, διαφέρονται δὲ περὶ τῆς τότε
ἀποδημίας, οἱ μὲν πρὸς Φερεκύδην τὸν Σύριον, οἱ δὲ εἰς Μεταπόντιον λέγοντες ἀποδεδημηκέναι τὸν
Πυθαγόραν. αἱ δὲ αἰτί- αι τῆς ἐπιβουλῆς
πλείονες λέγονται, μία μὲν ὑπὸ τῶν Κυλωνείων
λεγομένων ἀνδρῶν τοιάδε γενομένη. Κύλων, ἀνὴρ Κροτωνιάτης, γέ- ver μὲν καὶ δόξῃ καὶ πλούτῳ πρωτεύων τῶν
πολιτῶν, ἄλλως δὲ χαλε- πός τις καὶ
βίαιος καὶ θορυβώδης καὶ τυραννικὸς τὸ ἦθος, πᾶσαν προθυμίαν παρασχόμενος πρὸς τὸ κοινωνῆσαι τοῦ
Πυθαγορείου βίου καὶ προσελθὼν πρὸς
αὐτὸν τὸν Πυθαγόραν ἤδη πρεσβύτην ὄντα, ἀπεδοκιμάσθη
διὰ τὰς προ(24θ)ειρημένας αἰτίας. γενομένου
δὲ τούτου πόλεμον ἰσχυρὸν ἤρατο καὶ αὐτὸς καὶ οἱ φίλοι αὐτοῦ πρὸς αὐτόν τε τὸν Πυθαγόραν καὶ τοὺς
ἑταίρους, καὶ οὕτω σφοδρά τις ἐγένετο
καὶ ἄκρατος ἡ φιλοτιμία αὐτοῦ τε τοῦ Κύλωνος καὶ τῶν μετ᾽ ἐκείνου τεταγμένων, ὥστε διατεῖναι μέχρι
τῶν τελευταίων Πυθαγορείων. ὁ μὲν οὖν
Πυθαγόρας διὰ ταύτην τὴν αἰτίαν ἀπῆλθεν
εἰς τὸ Μεταπόντιον, κἀκεῖ λέγεται καταστρέψαι τὸν βίον" οἱ δὲ Κυλώνειοι λεγόμενοι διετέλουν πρὸς
Πυθαγορείους στασιάζοντες καὶ πᾶσαν
ἐνδεικνύμενοι [134] δυσμένειαν. ἀλλ᾽ ὅμως ἐπεκράτει μέχρι τινὸς ἡ τῶν Πυθαγορείων καλοκαγαθία καὶ
ἡ τῶν πόλεων αὐτῶν βούλησις, ὥστε ὑπ᾽
ἐκείνων οἰκονομεῖσθαι βούλεσθαι τὰ περὶ
τὰς πολιτείας. τέλος δὲ εἰς τοσοῦτον ἐπεβούλευσαν τοῖς ἀνδράσιν, ὥστε ἐν τῇ Μίλωνος οἰκίᾳ ἐν Κρότωνι
συνεδρευόντων τῶν Πυθαγορείων καὶ
βουλευομένων περὶ πολιτικῶν πραγμάτων
ὑφάψαντες τὴν οἰκίαν κατέκαυσαν τοὺς ἄνδρας πλὴν δυεῖν, ᾿Αρχίππου τε καὶ Λύσιδος᾽ οὗτοι δὲ νεώτατοι
(250) ὄντες καὶ εὐρωστότατοι
διεξεπαίσαντο ἔξω πως. γενομένου δὲ τούτου καὶ λό- γον οὐδένα ποιησαμένων τῶν πόλεων περὶ τοῦ
συμβάντος πάθους ἐπαύσαντο τῆς
ἐπιμελείας οἱ Πυθαγόρειοι. συνέβη δὲ τοῦτο δι᾽ ἀμ- φοτέρας τὰς αἰτίας, διά τε τὴν ὀλιγωρίαν τῶν
πόλεων (τοῦ τοιούτου γὰρ καὶ τηλικούτου
γενομένου πάθους οὐδεμίαν ἐπιστροφὴν ἐποιή-
σαντο), διά τε τὴν ἀπώλειαν τῶν ἡγεμονικωτάτων ἀνδρῶν. τῶν δὲ δύο τῶν περισωθέντων, ἀμφοτέρων Ταραντίνων
ὄντων, ὁ μὲν Ἄρχιππος ἀνεχώρησεν εἰς
Τάραντα, ὁ δὲ Λῦσις μισήσας τὴν ὀλιγ-
opiav ἀπῆρεν εἰς τὴν Ἑλλάδα καὶ ἐν ᾿Αχαΐᾳ διέτριβε τῇ VITA DI PITAGORA 267 35 (248) Ma c’erano alcuni che osteggiavano
questi uomini [sc. i Pitagorici] e che
insorsero contro di loro. Orbene, che ci sia stato un complotto mentre Pitagora era in viaggio, lo
dicono tutti concorde- mente, ma c'è
discordanza proprio su quel viaggio: alcuni dicono che Pitagora era andato a trovare Ferecide di
Siro, altri che si era recato a
Metaponto. I motivi del complotto furono molti — a quanto si
raccon- ta --ἰ uno di tali motivi fu
dato dai cosiddetti “uomini di Cilone”, ed
è questo. Cilone, uomo di Crotone, preminente tra i suoi
concittadi- ni per nascita e fama e
ricchezza, ma che era, peraltro, di carattere dif- ficile e violento e turbolento e tirannico,
aveva messo ogni impegno per condividere
lo stile di vita pitagorico e una volta che ebbe incon- trato Pitagora in persona, quando questi era
già vecchio, fu da lui respinto per i
motivi suddetti.145 (249) A quel punto
Cilone e i suoi amici ingaggiarono una dura bat- taglia contro Pitagora e i suoi compagni, e
fu cosi forte e incontrolla- bile l'orgoglio
dello stesso Cilone e di coloro che si erano schierati dalla sua parte, che la lotta durò fino agli
ultimi Pitagorici. Fu dun- que per tale
ragione che Pitagora se ne andò a Metaponto, e li — come si racconta — cessò di vivere; i cosiddetti
Ciloniani invece continuaro- no a
complottare contro i Pitagorici e a rivelare tutta la loro avversio- ne contro di loro. Ciononostante la
rettitudine dei Pitagorici e la volontà
delle città prevalsero fino al punto che queste vollero che i loro affari pubblici fossero amministrati dai
Pitagorici. Ma il complot- to dei
Ciloniani contro i Pitagorici arrivò al punto che, mentre questi erano radunati nella casa di Milone a Crotone
per dibattere su que- stioni politiche,
quelli appiccarono il fuoco alla casa e bruciarono vivi tutti i Pitagorici tranne due, Archippo e
Liside: questi, che erano i più giovani
e <quindi> i più robusti, riuscirono in qualche modo ad aprir- si un varco e uscire fuori dalla casa. (250) Dopo questo evento, poiché le città
non avevano tenuto in nes- sun conto
l’accaduto, i Pitagorici cessarono di occuparsi di esse. E questo accadde per due ragioni, sia per
l'indifferenza delle città (que- ste
infatti non mostravano alcuna preoccupazione per la natura e la gravità della tragedia che si era consumata),
sia per la perdita dei Pitagorici più
idonei a dirigere gli affari pubblici. Dei due sopravvis- suti, poi, che erano ambedue di Taranto,
Archippo fece ritorno a Taranto, mentre
Liside, il quale odiava l’indifferenza <di quelle 268
GIAMBLICO Πελοποννησιακῇ, ἔπειτα εἰς
Θήβας μετῳκίσατο σπουδῆς τινος
γενομένης" οὗπερ ἐγένετο Ἐπαμεινώνδας ἀκροατὴς καὶ πατέρα τὸν Λῦσιν ἐκάλεσεν. ὧδε καὶ τὸν βίον κατέστρεψεν.
οἱ δὲ λοιποὶ τῶν Πυθαγορείων ἀπέστησαν
τῆς Ἰταλίας πλὴν ᾿Αρχύτου τοῦ
Tapav[135](251)tivov: ἀθροισθέντες δὲ εἰς τὸ Ῥήγιον ἐκεῖ διέτρι- βον μετ᾽ ἀλλήλων. προϊόντος δὲ τοῦ χρόνου καὶ
τῶν πολιτευμάτων ἐπὶ τὸ χεῖρον
προβαινόντων *** ἦσαν δὲ οἱ σπουδαιότατοι Φάντων τε καὶ Ἐχεκράτης καὶ Πολύμναστος καὶ Διοκλῆς
Φλιάσιοι, Ξενόφιλος δὲ Χαλκιδεὺς τῶν ἀπὸ
Θράκης Χαλκιδέων. ἐφύλαξαν μὲν οὖν τὰ ἐξ
ἀρχῆς ἤθη καὶ τὰ μαθήματα, xaitor ἐκλειπούσης τῆς αἱρέσεως, ἕως εὐγενῶς ἠφανίσθησαν. ταῦτα μὲν οὖν ᾿Αριστόξενος διηγεῖται᾽
Νικόμαχος δὲ τὰ μὲν ἄλλα συνομολογεῖ
τούτοις, παρὰ δὲ τὴν ἀποδημίαν (252) Πυθαγόρου φησὶ γεγονέναι τὴν ἐπιβουλὴν ταύτην. ὡς γὰρ
Φερεκύδη τὸν Σύριον, διδάσκαλον αὐτοῦ
γενόμενον, εἰς Δῆλον ἐπορεύθη, νοσοκομήσων
τε αὐτὸν περιπετῆ γενόμενον τῷ ἱστορουμένῳ τῆς φθειριάσεως πά- θει καὶ κηδεύσων. τότε δὴ οὖν οἱ ἀπογνωσθέντες
ὑπ᾽ αὐτῶν καὶ στηλιτευθέντες ἐπέθεντο
αὐτοῖς καὶ πάντας πανταχῇ ἐνέπρησαν,
αὐτοί τε ὑπὸ τῶν Ἰταλιωτῶν κατελεύσθησαν ἐπὶ τούτῳ καὶ ἐξερρί- φησαν ἄταφοι. τότε δὴ οὖν συνεπιλιπεῖν
συνέβαινε τὴν ἐπιστήμην τοῖς
ἐπισταμένοις, ἅτε δὴ ἄρρητον ὑπ᾽ αὐτῶν ἐν τοῖς στήθεσι διαφυ- λαχθεῖσαν μέχρι τότε, τὰ δὲ δυσσύνετα μόνα
καὶ ἀδιάπτυκτα παρὰ τοῖς ἔξω
διαμνημονεύεσθαι συνέβη, πλὴν ὀλίγων πάνυ, ὅσα τινὲς ἐν ἀλλοδημίαις τότε τυχόντες διέσωσαν ζώπυρα
ἄττα (253) πάνυ ἀμυ- δρὰ καὶ δυσθήρατα.
καὶ οὗτοι γὰρ μονωθέντες καὶ ἐπὶ τῷ συμβάντι
οὐ μετρίως ἀθυμήσαντες διεσπάρησαν μὲν ἄλλος ἀλλαχῇ, καὶ οὐκέ- τι κοινωνεῖν ἀνθρώπῳ τινὶ [136] λόγου τὸ
παράπαν ὑπέμενον, μονά- ζοντες δ᾽ ἐν
ταῖς ἐρημίαις, ὅπου ἂν τύχῃ, καὶ κατάκλειστοι τὰ πολλὰ τὴν αὐτὸς ἑαυτοῦ ἕκαστος συνουσίαν ἀντὶ
παντὸς ἠσμένιζον. διευλαβούμενοι δὲ μὴ
παντελῶς ἐξ ἀνθρώπων ἀπόληται τὸ φιλοσο-
φίας ὄνομα καὶ θεοῖς αὐτοὶ διὰ τοῦτο ἀπεχθάνωνται, διολέσαντες ἄρδην τὸ τηλικοῦτον αὐτῶν δῶρον, ὑπομνήματά
τινα κεφαλαιώδη καὶ συμβολικὰ
συνταξάμενοι τά τε τῶν πρεσβυτέρων συγγράμματα VITA DI PITAGORA 269 città>, salpò verso la Grecia e dimorò
in Acaia, nel Peloponneso, e poi si
trasferi a Tebe, città che dimostrava una certa attenzione nei suoi confronti. Li divenne suo uditore
Epaminonda, che chiamò Liside “padre”. E
cosi si concluse la sua vita. Tutti gli altri Pitagorici, ad eccezione di Archita di Taranto,
abbandonarono l’Italia; (251) e
radunatisi a Reggio, lî soggiornarono uniti tra loro. Col passa- re del tempo e col peggiorare
dell’organizzazione politica [...] ma i
più impegnati erano Fantone ed Echecrate e Polimnasto e Diocle, nativi di Fliunte, e il calcidese Senofilo
tra i Calcidesi provenienti dalla
Tracia. Essi dunque conservarono i costumi originari e le scien- ze matematiche, sebbene la scuola andasse
esaurendosi, finché non scomparvero
onorevolmente. Sono questi, dunque, i
fatti che racconta Aristosseno; e Nicomaco ne
racconta altri che concordano con questi, ma dice che quel complot- to ebbe luogo mentre Pitagora era
assente. (252) Infatti si era imbarcato
verso Delo per recarsi da Ferecide di
Siro, che era stato suo maestro, per curarlo della malattia in cui
era incappato, malattia che viene chiamata
“ftiriasi”, e <infine> rendergli
gli onori funebri.!46 Fu allora che <i Ciloniani>, che erano
stati respinti e condannati al
vituperio!” dai Pitagorici, li assalirono e li
bruciarono vivi tutti ovunque si trovassero, e quelli per questo <misfatto> furono lapidati dagli
Italioti e buttati fuori senza sepoltu-
ra. A quel punto dunque accadde che assieme a quegli scienziati venne meno anche la scienza, giacché questa
fino a quel momento era stata custodita
dai Pitagorici nel segreto dei loro petti, e accadde che soltanto le cose incomprensibili e
inspiegabili furono tramandate presso
gente estranea alla scuola,!48 ad eccezione di pochissime dot- trine che alcuni che si erano trovati in quel
tempo all’estero poterono conservare
quali fiammelle del tutto deboli e difficili da procacciarsi. (253) Ebbene, anche questi ultimi, isolati e
scoraggiati profondamen- te per
l'accaduto, si dispersero qua e là, e non sopportarono pit asso- lutamente di comunicare con alcun uomo, e si
isolarono in regioni disabitate ovunque
capitasse, e quasi del tutto chiusi in se stessi cia- scuno preferiva stare in compagnia di se
stesso anziché di chiunque altro. Ma
preoccupandosi che il nome della filosofia non sparisse completamente dal consorzio umano ed essi
stessi non fossero invisi agli dèi per
il fatto di avere distrutto completamente un cosi impor- 270 GIAMBLICO καὶ ὧν διεμέμνηντο συναλίσαντες κατέλιπον
ἕκαστος οὗπερ ἐτύγ- χανε τελευτῶν,
ἐπισκήψαντες υἱοῖς ἢ θυγατράσιν ἢ γυναιξὶ μηδενὶ δόμεναι τῶν ἐκτὸς τᾶς οἰκίας. αἱ δὲ μέχρι
παμπόλλου χρόνου τοῦτο διετήρησαν, ἐκ
διαδοχῆς τὴν αὐτὴν ταύτην ἐντολὴν ἐπιστέλλουσαι
τοῖς ἐπιγόνοις. (254) ἐπεὶ δὲ
καὶ ᾿Απολλώνιος περὶ τῶν αὐτῶν ἔστιν ὅπου διαφω- νεῖ, πολλὰ δὲ καὶ προστίθησι τῶν μὴ εἰρημένων
παρὰ τούτοις, φέρε δὴ καὶ τὴν τούτου
παραθώμεθα διήγησιν περὶ τῆς εἰς τοὺς
Πυθαγορείους ἐπιβουλῆς. λέγει τοίνυν ὡς ἐκείνῳ παρηκολούθει μὲν εὐθὺς È ἐκ παίδων ὁ φθόνος παρὰ τῶν
ἄλλων. οἱ γὰρ ἄνθρωποι, μέ- χρι μὲν
διελέγετο πᾶσι τοῖς προσιοῦσι Πυθαγόρας, ἡδέως εἶχον, ἐπεὶ δὲ μόνοις ἐνετύγχανε τοῖς μαθηταῖς,
ἠλαττοῦτο. καὶ τοῦ μὲν ἔξωθεν ἥκοντος
συνεχώρουν ἡττᾶσθαι, τοῖς δ᾽ ἐγχωρίοις πλεῖον
φέρεσθαι δοκοῦσιν ἤχθοντο, καὶ καθ᾽ αὑτῶν ὑπελάμβανον γίνεσθαι τὴν σύνοδον. ἔπειτα καὶ τῶν νεανίσκων ὄντων
ἐκ τῶν ἐν τοῖς ἀξιώ- μασι καὶ ταῖς
οὐσίαις προεχόντων, συνέβαινε προαγούσης τῆς
ἡλικίας μὴ μόνον αὐτοὺς ἐν τοῖς ἰδίοις βίοις πρωτεύειν, ἀλλὰ τὸ κοινῇ τὴν πόλιν [137] οἰκονομεῖν, μεγάλην μὲν
ἑταιρείαν συναγηο- χόσιν (ἦσαν «γὰρ»
ὑπὲρ τριακοσίους), μικρὸν δὲ μέρος τῆς πόλεως
οὖσι, τῆς οὐκ ἐν τοῖς αὐτοῖς ἔθεσιν οὐδ᾽ ἐπιτηδεύμασιν (255) ἐκεί- νοις πολιτευομένης. οὐ μὴν ἀλλὰ μέχρι μὲν οὖν
τὴν ὑπάρχουσαν χώραν ἐκέκτηντο καὶ
Πυθαγόρας ἐπεδήμει, διέμενεν ἡ μετὰ τὸν
συνοικισμὸν κεχρονισμένη κατάστασις, δυσαρεστουμένη καὶ ζητοῦσα καιρὸν εὕρασθαι μεταβολῆς. ἐπεὶ δὲ
Σύβαριν ἐχειρώσαν- το, κἀκεῖνος ἀπῆλθε,
καὶ τὴν δορίκτητον διῳκήσαντο μὴ κατα-
κληρουχηθῆναι κατὰ τὴν ἐπιθυμίαν τῶν πολλῶν, ἐξερράγη τὸ σιωπώμενον μῖσος, καὶ διέστη πρὸς αὐτοὺς τὸ
πλῆθος. ἡγεμόνες δὲ ἐγένοντο τῆς
διαφορᾶς οἱ ταῖς συγγενείαις «καὶ» ταῖς οἰκειότησιν ἐγγύτατα καθεστηκότες τῶν Πυθαγορείων. αἴτιον
δ᾽ ἦν, «ὅτι» τὰ μὲν πολλὰ αὐτοὺς ἐλύπει
τῶν πραττομένων, ὥσπερ καὶ τοὺς τυχόντας,
VITA DI PITAGORA 271 tante loro
dono, dopo avere composto delle Mezorie di natura som- maria e simbolica e avere raccolto gli
scritti dei Pitagorici più anziani e le
loro proprie Merzorie, li lasciarono ciascuno là dove capitò di morire, raccomandando ai loro figli o figlie
o mogli di non consegnar- li a nessuno
che fosse estraneo alla famiglia. E le famiglie mantenne- ro questo impegno per molto tempo,
trasmettendo per successione ai loro
discendenti questa stessa istruzione.
(254) Ma poiché sugli stessi eventi esiste un racconto di Apollonio che è discordante su qualche punto, e molte
cose egli aggiunge rispet- to a ciò che
è stato detto su questi eventi, allora è bene che noi pro- poniamo il suo racconto sul complotto contro
i Pitagorici. In realtà, egli dice,
Pitagora era stato accompagnato subito fin dall'infanzia dal- l’odio degli altri. Infatti, finché Pitagora
era disposto a dialogare con coloro che
lo avvicinavano, gli uomini lo trattavano dolcemente, ma allorché egli cominciò a intrattenersi solo
con i suoi allievi, cominciò a godere di
minore considerazione. Quelli accettavano si di essere da meno rispetto ad uno che veniva dall’estero,
ma detestavano il fatto che dei loro
concittadini pensassero di essere tenuti in maggior conto, e sospettavano che quelli si radunassero
contro di loro. In seguito, anche per il
fatto che i giovani provenivano da famiglie preminenti per fama e ricchezza, accadde che essi con
l’avanzare nell’età non solo
primeggiavano nella vita privata, ma finivano per avere in comune anche l’amministrazione della città, ed è
vero si che avevano costitui- to una
grande eteria (erano infatti più di trecento), ma erano pur sem- pre una piccola parte della città, la quale
quindi non era governata con gli stessi
costumi né con le stesse occupazioni dei Pitagorici. (255) Nondimeno, dunque, finché i Crotoniati
occuparono il territo- rio attuale e
anche Pitagora vi soggiornò, rimase in vigore la costitu- zione che durava dal momento della fondazione
della colonia, pur essendo oggetto di
malcontento e si cercasse di trovare un’occasione per mutarla. Ma dopo che ebbero sottomesso
Sibari, e dopo che Pitagora andò via, e
i Pitagorici decisero di non distribuire, secondo quanto desiderava la maggioranza dei
cittadini, le terre occupate con le
armi, esplose l’odio che era rimasto silenzioso, e la moltitudine si schierò contro i Pitagorici. E i capi della
rivolta furono quelli che ave- vano
strettissimi legami di parentela e di intimità con i Pitagorici. E la ragione era che essi, al pari della gente
comune, erano infastiditi dalla 272
GIAMBLICO >» ἐφ᾽ ὅσον ἰδιασμὸν εἶχε παρὰ τοὺς ἄλλους, ἐν
δὲ τοῖς μεγίστοις καθ αὑτῶν μόνον
ἐνόμιζον εἶναι τὴν ἀτιμίαν. ἐπὶ μὲν γὰρ τῷ μηδένα τῶν Πυθαγορείων ὀνομάζειν Πυθαγόῤξιι ἀλλὰ ζῶντα
μέν, ὁπότε βού- λοιντο δηλῶσαι, καλεῖν
αὐτὸν θεῖον, ἐπεὶ δὲ ἐτελεύτησεν, ἐκεῖνον
τὸν ἄνδρα, καθάπερ Ὅμηρος ἀποφαίνει τὸν Εὔμαιον ὑπὲρ Ὀδυσσέως μεμνημένον᾽ τὸν μὲν ἐγών, ὦ ξεῖνε,
καὶ οὐ παρεόντ᾽ ὀνο- μάζειν αἰδέομαι’
πέρι γάρ μ᾽ ἐφίλει καὶ ἐκήδετο λίην, (256)
ὁμοτρόπως δὲ μηδ᾽ ἐκ τῆς κλίνης ἀνίστασθαι ὕστερον ἢ τὸν ἥλιον ἀνίσχειν, μηδὲ δακτύλιον ἔχοντα θεοῦ σημεῖον
φορεῖν, ἀλλὰ τὸν μὲν παρατηρεῖν ὅπως
ἀνιόντα προσεύξων[]38]ται, τὸν δὲ μὴ περιτί-
θεσθαι, φυλαττομένους μὴ προσενέγκωσι πρὸς ἐκφορὰν ἤ τινα τό- πον οὐ καθαρόν, ὁμοίως δὲ μηδ᾽ ἀπροβούλευτον
μηδ᾽ ἀνυπεύθυνον μηδὲν ποιεῖν, ἀλλὰ πρωὶ
μὲν προχειρίζεσθαι τί πρακτέον, εἰς δὲ
τὴν νύκτα ἀναλογίζεσθαι τί διῳκήκασιν, ἅμα τῷ σκοπεῖσθαι καὶ τὴν μνήμην γυμναζομένους, παραπλησίως δ᾽, εἴ
τις τῶν κοιν- ὠνούντων τῆς διατριβῆς
ἀπαντῆσαι κελεύσειεν εἴς τινα τόπον, ἐν
ἐκείνῳ περιμένειν, ἕως ἔλθοι, δι᾽ ἡμέρας καὶ νυκτός, πάλιν ἐν τούτῳ τῶν Πυθαγορείων συνεθιζόντων μεμνῆσθαι
(257) τὸ ῥηθὲν καὶ μηδὲν εἰκῆ λέγειν,
ὅλως δ᾽ ἄχρι τῆς τελευτῆς εἶναί τι προστε-
ταγμένον κατὰ τὸν ὕστατον «γὰρ» καιρὸν παρήγγελλε μὴ βλα- σφημεῖν, ἀλλ᾽ ὥσπερ ἐν ταῖς ἀναγωγαῖς
οἰωνίζεσθαι μετὰ τῆς εὐ- φημίας, ἥνπερ
ἐποιοῦντο διωθούμενοι τὸν ᾿Αδρίαν. τὰ μὲν τοιαῦτα, καθάπερ προεῖπον, ἐπὶ τοσοῦτον ἐλύπει κοινῶς
ἅπαντας, ἐφ᾽ ὅσον ἔγνωσαν ἰδιάζοντας ἐν
αὑτοῖς τοὺς συμπεπαιδευμένους. ἐπὶ δὲ τῷ
μόνοις τοῖς Πυθαγορείοις τὴν δεξιὰν ἐμβάλλειν, ἑτέρῳ δὲ μηδενὶ τῶν οἰκείων πλὴν τῶν γονέων, καὶ τῷ τὰς
οὐσίας ἀλλήλων μὲν παρέ- χειν κοινάς,
πρὸς ἐκείνους δὲ ἐξηλλοτριωμένας, χαλεπώτερον καὶ βαρύτερον ἔφερον οἱ συγγενεῖς. ἀρχόντων δὲ
τούτων τῆς διαστά- σεως ἑτοίμως οἱ
λοιποὶ προσέπιπτον εἰς τὴν ἔχθραν. καὶ λεγόντων VITA DI PITAGORA 273 maggior parte delle azioni dei Pitagorici, in
quanto questi ultimi tene- vano un
comportamento contrario a quello di tutti gli altri, e credeva- no -- tra le questioni di maggiore importanza
— che il fatto che <spes- so> i
Pitagorici mancassero di rispetto per qualcuno non fosse altro che un atto di avversione contro di loro. A
proposito, ad esempio, del fatto che
nessun Pitagorico chiamasse Pitagora per nome, né quando era in vita né dopo la sua morte, ma lo
chiamasse il “divino”, “quel- l'uomo”,
cosî come fa Omero quando mostra come Eumeo menziona Odisseo: «a nominarlo, o straniero, benché
non sia presente, io ho vergogna, perché
molto mi amava mi aveva a cuore»,199
(256) cosi come del fatto che né si alzassero dal letto dopo la
levata del sole, né portassero anelli
con l’effigie di un dio, ma nel primo caso
i Pitagorici aspettavano che il sole si levasse allo scopo di potere
fare le loro preghiere, nel secondo caso
essi non cingevano quel tipo di anelli
per evitare di doverli portare a un funerale o in qualche luogo impuro, e allo stesso modo non facevano nulla
che non fosse stato deliberato in
anticipo e di cui non fossero <quindi> responsabili, anzi fin dal mattino si tenevano pronti per ciò
che dovevano compiere, e verso sera
facevano il resoconto di ciò che avevano gestito, per eser- citarsi nello stesso tempo a esaminare la
loro capacità mnemonica, e parimenti, se
qualcuno di coloro che facevano parte della scuola aves- se richiesto loro di andare in un certo
luogo, essi sarebbero rimasti in quel
luogo, di giorno e di notte, fino a quando quello non fosse arri- vato, e ancora <si infastidivano> del
fatto i Pitagorici erano soliti di
mandare a memoria ciò si era detto e di non dire nulla a caso, (257) e in generale il fatto che fino al
momento della morte c’era sem- pre
qualche cosa che veniva ordinata: infatti Pitagora prescriveva che all’ultimo istante della vita non si
bestemmiasse, ma si facessero pre- sagi
con parole augurali alla maniera di quelle che si adoperano nelle evocazioni, come facevano coloro che
affrontavano l'Adriatico. Cose di tal
genere infastidivano — come si diceva sopra — di solito tutti quanti, nella misura in cui si sapeva che i
Pitagorici si isolavano in se stessi,
pur essendo stati educati assieme agli altri. I parenti dei Pitagorici, poi, sopportavano più
difficilmente e consideravano come più
pesante il fatto poi che quelli tendessero la mano destra solo ai Pitagorici, e a nessun altro dei parenti ad
eccezione dei genitori, e che
condividessero tra loro le sostanze che avevano in comune, e che 274 GIAMBLICO ἐξ αὐτῶν τῶν χιλίων Ἱππάσου καὶ Διοδώρου
kai Θεάγους ὑπὲρ τοῦ [139] πάντας
κοινωνεῖν τῶν ἀρχῶν καὶ τῆς ἐκκλησίας καὶ διδόναι τὰς εὐθύνας τοὺς ἄρχοντας ἐν τοῖς ἐκ πάντων
λαχοῦσιν, ἐναντιου- μένων δὲ τῶν
Πυθαγορείων ᾿Αλκιμάχου καὶ Δεινάρχου καὶ
Μέτωνος καὶ Δημοκήδους καὶ διακωλυόντων τὴν πάτριον πολιτείαν μὴ καταλύειν, ἐκράτησαν οἱ τῷ (258) πλήθει
συνηγοροῦντες. μετὰ δὲ ταῦτα συνιόντων
τῶν πολλῶν διελόμενοι τὰς δημηγορίας κατηγό-
ρουν τῶν αὐτῶν ἐκ τῶν ῥητόρων Κύλων καὶ Νίνων. ἦν δ᾽ ὃ μὲν ἐκ τῶν εὐπόρων, ὃ δὲ ἐκ τῶν δημοτικῶν. τοιούτων δὲ
λόγων, μακροτέρων δὲ παρὰ τοῦ Κύλωνος
ῥηθέντων ἐπῆγεν ἅτερος, προσποιούμενος μὲν
ἐζητηκέναι τὰ τῶν Πυθαγορείων ἀπόρρητα, πεπλακὼς δὲ καὶ γεγραφὼς ἐξ ὧν μάλιστα αὐτοὺς ἤμελλε
διαβάλλειν, καὶ δοὺς τῷ γραμματεῖ
βιβλίον (259) ἐκέλευσεν ἀναγιγνώσκειν. ἦν δ᾽ αὐτῷ ἐπι- γραφὴ μὲν «λόγος ἱερός», ὁ δὲ τύπος τοιοῦτος
τῶν γεγραμμένων. τοὺς φίλους ὥσπερ τοὺς
θεοὺς σέβεσθαι, τοὺς δ᾽ ἄλλους ὥσπερ τὰ
θηρία χειροῦσθαι. τὴν αὐτὴν ταύτην γνώμην ὑπὲρ Πυθαγόρου μεμ- νημένους ἐν μέτρῳ τοὺς μαθητὰς λέγειν"
τοὺς μὲν ἑταίρους ἦγεν ἴσον μακάρεσσι
θεοῖσι, τοὺς δ᾽ ἄλλους ἡγεῖτ᾽ οὔτ᾽ ἐν λόγῳ οὔτ᾽ ἐν ἀριθμῷ. (260) τὸν Ὅμηρον μάλιστ᾽ ἐπαινεῖν ἐν
οἷς εἴρηκε ποιμένα λαῶν: ἐμφανίσκειν γὰρ
βοσκήματα τοὺς ἄλλους ὄντας, ὀλιγαρχικὸν
ὄντα. τοῖς κυάμοις πολεμεῖν ὡς ἀρχηγοῖς γεγονόσι [140] τοῦ κλήρου καὶ τοῦ καθιστάναι τοὺς λαχόντας ἐπὶ
τὰς ἐπιμελείας. τυραννίδος ὀρέγεσθαι
παρακαλοῦντας κρεῖττον εἶναι φάσκειν
γενέσθαι μίαν ἡμέραν ταῦρον ἢ πάντα τὸν αἰῶνα βοῦν. ἐπαινεῖν τὰ τῶν ἄλλων νόμιμα, κελεύειν δὲ χρῆσθαι τοῖς
ὑφ᾽ αὑτῶν ἐγνωσμέ- νοις. καθάπαξ τὴν
φιλοσοφίαν αὐτῶν συνωμοσίαν ἀπέφαινε κατὰ
τῶν πολλῶν καὶ παρεκάλει μηδὲ τὴν φωνὴν ἀνέχεσθαι συμβουλε- υόντων, ἀλλ᾽ ἐνθυμεῖσθαι διότι τὸ παράπαν
οὐδ᾽ ἂν συνῆλθον εἰς τὴν ἐκκλησίαν, εἰ
τοὺς χιλίους ἔπεισαν ἐκεῖνοι κυρῶσαι τὴν συμ-
βουλήν. ὥστε τοῖς κατὰ τὴν ἐκείνων δύναμιν κεκωλυμένοις τῶν VITA DI PITAGORA 275 <quindi> venivano sottratti ai
parenti. E dopo che questi cominciaro-
no subito a contestarli, anche gli altri si abbandonarono al rancore.
E siccome nello stesso Consiglio dei
Mille Ippaso e Diodoro e Teage dicevano
che tutti potevano partecipare alle magistrature e all’assem- blea e che gli arconti dovessero dare i loro
rendiconti davanti ai citta- dini
estratti a sorte fra tutti, mentre i Pitagorici Alcimaco e Dinarco e Metone e Democide erano contrari e volevano impedire
che venisse sciolta la patria
costituzione, allora prevalsero coloro che difendeva- no la causa della moltitudine. (258) Dopo di che, essendosi radunati in
molti, gli oratori Cilone e Ninone
lanciarono le loro accuse contro i Pitagorici, pronunciando distinte concioni. Il primo, Cilone,
proveniva dalla classe agiata, il
secondo, Ninone, da quella popolare. Pronunciate queste concioni, delle quali quella pronunciata da Cilone era
stata la più lunga, l’altro oratore,
Ninone, prosegui arrogandosi il merito di avere ricercato le dottrine segrete dei Pitagorici, e di avere
screditato questi ultimi aven- do
ricostruito e messo per iscritto la maggior parte di quelle dottrine. Dopo avere <quindi> consegnato al
cancelliere un libro, gli ordinò di
leggerlo. (259) Il titolo di
quel libro era “Discorso sacro”, mentre il contenuto dello scritto era di questo tenore: «Gli
amici siano venerati come dèi, e gli
altri soggiogati come bestie selvagge. Gli allievi esprimevano su Pitagora questo stesso pensiero in versi: “I
compagni li considerava uguali agli dèi
beati, gli altri non li teneva nella benché minima consi- derazione”.
(260) Si elogi Omero soprattutto per quei passaggi in cui dice
“pasto- re di popoli” 15° perché fa
vedere che gli altri sono greggi, mentre lui
è membro di un’oligarchia. Si faccia guerra alle fave come
capostipiti del sistema del sorteggio e
dell’attribuzione ai sorteggiati degli incari-
chi pubblici. Si aspiri alla tirannide, raccomandando di dire che è meglio essere un giorno toro che bue in
eterno. Si elogino le consue- tudini
degli altri, ma si ordini di servirsi di quelle riconosciute da noi stessi». Per dirla in breve, Ninone mostrava
come la filosofia dei Pitagorici fosse
una congiura contro la gente comune e raccomanda- va che non li si lasciasse parlare neppure
come consiglieri, ma si riflet- tesse
sul fatto che egli stesso non si sarebbe potuto affatto recare in assemblea, se quelli avessero convinto i
Mille a convalidare la loro 276
GIAMBLICO ἄλλων ἀκούειν οὐ προσήκειν
ἐᾶν αὐτοὺς λέγειν, ἀλλὰ τὴν δεξιὰν τὴν
ὑπ᾽ αὐτῶν ἀποδεδοκιμασμένην πολεμίαν ἐκείνοις ἔχειν, ὅταν τὰς γνώμας χειροτονῶσιν ἢ τὴν ψῆφον λάβωσιν,
αἰσχρὸν εἶναι νομί- ζοντας, τοὺς
τριάκοντα μυριάδων περὶ τὸν Τετράεντα ποταμὸν περι- γενομένους ὑπὸ τοῦ χιλιοστοῦ μέρους ἐκείνων
ἐν αὐτῇ (261) τῇ πόλει φανῆναι κατεστασιασμένους.
τὸ δ᾽ ὅλον οὕτω τῇ διαβολῇ τοὺς
ἀκούοντας ἐξηγρίωσεν, ὥστε μετ᾽ ὀλίγας ἡμέρας, μουσεῖα θυόντων αὐτῶν ἐν οἰκίᾳ παρὰ τὸ Πύθιον, ἀθρόοι
συνδραμόντες οἷοί τ᾽ ἦσαν τὴν ἐπίθεσιν
ἐπ᾽ αὐτοὺς ποιήσασθαι. οἱ δὲ προαισθόμενοι, οἱ μὲν εἰς πανδοκεῖον ἔφυγον, Δημοκήδης δὲ μετὰ τῶν
ἐφήβων εἰς Πλατέας ἀπεχώρησεν. οἱ δὲ
καταλύσαντες τοὺς νόμους ἐχρῶντο ψηφίσμασιν,
ἐν οἷς αἰτιασάμενοι τὸν Δημοκήδην συνεστακέναι τοὺς νεωτέρους ἐπὶ τυραννίδι, τρία τάλαντα ἐκήρυξαν δώσειν,
ἐάν τις αὐτὸν ἀνέλῃ, καὶ γενομένης
μάχης, κρατή[]4]]|σαντος αὐτοῦ τὸν κίνδυνον [ὑπὸ] Θεάγους, ἐκείνῳ τὰ τρία (262) τάλαντα παρὰ
τῆς πόλεως ἐμέρισαν. πολλῶν δὲ κακῶν
κατὰ τὴν πόλιν καὶ τὴν χώραν ὄντων, εἰς κρίσιν
προβληθέντων τῶν φυγάδων καὶ τρισὶ πόλεσι τῆς ἐπιτροπῆς παραδο- θείσης, Ταραντίνοις, Μεταποντίνοις,
Καυλωνιάταις, ἔδοξε τοῖς πεμφθεῖσιν ἐπὶ
τὴν γνώμην ἀργύριον λαβοῦσιν, ὡς ἐν τοῖς τῶν
Κροτωνιατῶν ὑπομνήμασιν ἀναγέγραπται, φεύγειν τοὺς αἰτίους. προσεξέβαλον δὲ τῇ κρίσει κρατήσαντες ἅπαντας
τοὺς τοῖς καθεστῶσι δυσχεραίνοντας καὶ
συνεφυγάδευσαν τὴν γενεάν, οὐ φάσκοντες
δεῖν ἀσεβεῖν οὐδὲ τοὺς παῖδας ἀπὸ τῶν γονέων διασπᾶν. καὶ τά τε (263) χρέα ἀπέκοψαν καὶ τὴν γῆν
ἀνάδαστον ἐποίησαν. ἐπιγενομένων δὲ
πολλῶν ἐτῶν καὶ τῶν περὶ τὸν Δείναρχον ἐν ἑτέρῳ
κινδύνῳ τελευτησάντων, ἀποθανόντος καὶ Λιτάτους, ὅσπερ ἦν ἡγεμονικώτατος τῶν στασιασάντων, ἔλεός τις
καὶ μετάνοια ἐνέπε- σε, καὶ τοὺς
περιλειπομένους αὐτῶν ἠβουλήθησαν κατάγειν. μετα- πεμπόμενοι δὲ πρεσβευτὰς ἐξ ᾿Αχαΐας δι᾽
ἐκείνων πρὸς τοὺς ἐκ- πεπτωκότας
διελύθησαν (264) καὶ τοὺς ὅρκους εἰς Δελφοὺς ἀνέ- VITA DI PITAGORA 277 proposta. Sicché lasciare parlare i
Pitagorici non conveniva a coloro che
erano stati impediti con la forza di ascoltare gli altri, anzi doveva- no considerare la loro mano destra, che da
quelli era stata respinta, come un’arma
contro i Pitagorici, nel momento in cui alzavano la mano o prendevano il sassolino per votare le
loro idee, pensando che sarebbe stato
vergognoso, per loro che avevano sconfitto al fiume Tetraente!51 ben trecentomila uomini, che
adesso nella loro propria città
apparissero sopraffatti dai Pitagorici che sono la millesima parte di quelli.152 (261) Insomma, Ninone inasprî con la sua
falsa accusa coloro che lo ascoltavano
al punto che, dopo pochi giorni, mentre i Pitagorici sacri- ficavano alle Muse in una casa vicina a
tempio di Apollo, si radunaro- no in
massa quanti poterono per aggredirli. Ma i Pitagorici, che ave- vano previsto ciò, alcuni si rifugiarono in
un albergo, mentre Democede assierne
agli efebi si ritirò a Platea. I Crotoniati allora, dopo avere abrogato le leggi
<correnti>, votarono dei decreti in cui
ritenevano Democede responsabile di avere costituito i più giovani in tirannide e proclamavano di dare tre talenti
a chi lo avesse ucciso, e una volta
ingaggiata la battaglia, avendo Teage sconfitto il pericolo costituito da Democede, gli furono attribuiti
dalla città i tre talenti. (262) Ma
poiché esistevano molti mali sia in città che nel territorio cir- costante, messi sotto accusa gli esuli, fu affidato
l’arbitrato a tre città, Taranto,
Metaponto e Caulonia, i cui delegati — che furono ricompen- sati in denaro per la decisione che dovevano
assumere, come è scrit- to nelle Memorie
dei Crotoniati — pensarono bene di esiliare i colpe- voli. Ma avendo ottenuto la vittoria nel
processo, i Crotoniati vi aggregarono
tutti quelli che erano in disaccordo con il regime costi- tuito e li esiliarono assieme alla famiglia,
dicendo <a loro giustificazio- ne>
che non si doveva commettere il misfatto di separare i figli dai genitori. E <inoltre> azzerarono i
debiti e ridistribuirono la terra. (263)
Trascorsi molti anni, morto Dinarco in un’altra situazione peri- colosa, morto anche Litate, che era il capo
supremo dei rivoltosi, subentrarono una
certa compassione e un ripensamento, e i
Crotoniati vollero richiamare dall'esilio quei Pitagorici che erano sopravvissuti. E fatti venire dall’Acaia
degli ambasciatori, per loro tra- mite
si riconciliarono con gli esiliati e consacrarono a Delfi i loro patti giurati.
278 GIAMBLICO θηκαν. ἦσαν δὲ
τῶν Πυθαγορικῶν καὶ περὶ ἑξήκοντα τὸν ἀριθμὸν οἱ κατελθόντες ἄνευ τῶν πρεσβυτέρων, ἐν οἷς ἐπὶ
τὴν ἰατρικήν τινες κατενεχθέντες καὶ
διαίτῃ τοὺς ἀρρώστους ὄντας θεραπεύοντες
ἡγεμόνες κατέστησαν τῆς εἰρημένης καθόδου. συνέβη δὲ καὶ τοὺς σωθέντας, διαφερόντως παρὰ τοῖς πολλοῖς
εὐδοκιμοῦντας, κατὰ τὸν καιρόν, ἐν ᾧ
λεγομένου πρὸς τοὺς παρανομοῦντας «οὐ τάδε ἐστὶν ἐπὶ Νίνωνος» γενέσθαι φασὶ ταύτην τὴν
παροιμίαν, κατὰ τοῦτον ἐμβα[!42]λόντων
τῶν Θουρίων κατὰ χώραν ἐκβοηθήσαντας καὶ pet
ἀλλήλων κινδυνεύσαντας ἀποθανεῖν, τὴν δὲ πόλιν οὕτως εἰς TOÙ- ναντίον μεταπεσεῖν, ὥστε χωρὶς τῶν ἐπαίνων,
ὧν ἐποιοῦντο περὶ τῶν ἀνδρῶν, ὑπολαβεῖν
μᾶλλον ταῖς Μούσαις κεχαρισμένην ἔσεσθαι
τὴν ἑορτήν, «εἰ» κατὰ τὸ Μουσεῖον τὴν δημοσίαν ποιοῖντο θυσίαν, «ὃ» κατ᾽ αὐτοὺς ἐκείνους πρότερον
ἱδρυσάμενοι τὰς θεὰς ἐτίμων. περὶ μὲν
οὖν τῆς κατὰ τῶν Πυθαγορείων γενομένης ἐπιθέ-
σεως τοσαῦτα εἰρήσθω. 36 (265)
Διάδοχος δὲ πρὸς πάντων ὁμολογεῖται Πυθαγόρου γεγο- νέναι ᾿Αρισταῖος Δαμοφῶντος ὁ Κροτωνιάτης,
κατ᾽ αὐτὸν Πυθαγόραν τοῖς χρόνοις
γενόμενος, ἑπτὰ γενεαῖς ἔγγιστα πρὸ
Πλάτωνος: καὶ οὐ μόνον τῆς σχολῆς, ἀλλὰ καὶ τῆς παιδοτροφίας καὶ τοῦ Θεανοῦς γάμου κατηξιώθη διὰ τὸ ἐξαιρέτως
περικεκρατηκέναι τῶν δογμάτων. αὐτὸν μὲν
γὰρ Πυθαγόραν ἀφηγήσασθαι λέγεται ἑνὸς
δέοντος ἔτη τεσσαράκοντα, τὰ πάντα βιώσαντα ἔτη ἐγγὺς τῶν ἑκατόν, παραδοῦναι δὲ ᾿Αρισταίῳ τὴν σχολὴν
πρεσβυτάτῳ ὄντι. μεθ᾽ ὃν ἡγήσασθαι
Μνήμαρχον τὸν Πυθαγόρου, τοῦτον δὲ
Βουλαγόρᾳ παραδοῦναι, ἐφ᾽ οὗ διαρπασθῆναι συνέβη τὴν Κροτωνιατῶν πόλιν. μεθ᾽ ὃν Γαρτύδαν τὸν
Κροτωνιάτην διάδοχον γενέσθαι,
ἐπανελθόντα ἐκ τῆς ἀποδημίας, ἣν ἐποιήσατο πρὸ τοῦ πολέμον᾽ διὰ μέντοι τὴν συμφορὰν τῆς πατρίδος
ἐκλιπεῖν τὸν βίον. ἕνα δὴ μόνον γενέσθαι
(266) τοῦτον, ὃς ὑπὸ λύπης προὔλιπε τὸν
βίον. τοῖς δ᾽ ἄλλοις [143] ἔθος εἶναι γηραιοῖς σφόδρα γενομένοις ὥσπερ ἐκ δεσμῶν τοῦ σώματος ἀπαλλάττεσθαι.
χρόνῳ μέντοι γε ὕστερον ᾿Αρεσᾶν ἐκ τῶν
Λευκανῶν, σωθέντα διά τινων Éévov,
ἀφηγήσασθαι τῆς σχολῆς: πρὸς ὃν ἀφικέσθαι Διόδωρον τὸν ᾿Ασπέν- διον, ὃν παραδεχθῆναι διὰ τὴν σπάνιν τῶν ἐν
τῷ συστήματι ἀνδρῶν. VITA DI PITAGORA
279 (264) Erano circa sessanta i
Pitagorici che rientrarono a Crotone,
senza contare gli anziani, alcuni dei quali si erano dedicati alla
medi- cina e poiché erano in grado di
curare i malati per mezzo della dieta,
si erano posti alla guida del suddetto rientro. E accadde anche che
i Pitagorici che si erano salvati,
godendo di ottima stima da parte delle
masse — si racconta che in quel periodo sia nato il seguente
proverbio, rivolto ai fuorilegge, “non
siamo più al tempo di Ninone” -, allorché
gli abitanti di Turi fecero irruzione nel territorio di Crotone
siano venuti in loro aiuto e siano morti
correndo i loro stessi rischi, e la città
di Crotone mutò a tal punto che, a parte gli elogi che furono rivolti
ai Pitagorici, si pensava che la festa
sarebbe stata più gradita alle Muse, se
si fosse operato un sacrificio pubblico nel tempio delle Muse -- tem- pio che essi avevano precedentemente
costruito su suggerimento degli stessi
Pitagorici per onorare quelle divinità —. Ecco dunque quanto c’era da dire a proposito
dell'aggressione che si verificò con-
tro i Pitagorici. 36 (265)
Tutti sono d’accordo nel dire che successore di Pitagora fu Aristeo di Crotone, figlio di Damofonte,
vissuto al tempo dello stesso Pitagora,
quasi sette generazioni prima di Platone; e Aristeo fu ritenuto degno non solo di dirigere la
scuola, ma anche di allevare i figli di
Pitagora e di sposarne <la moglie> Teano, per il fatto che egli padroneggiava egregiamente le dottrine
pitagoriche. Si racconta infat- ti che
Pitagora in persona guidò la scuola per trentanove anni, essen- do vissuto in tutto quasi cento anni, e la trasmise
ad Aristeo quando questi era già molto
vecchio. Dopo Aristeo fu capo della scuola il
figlio di Pitagora Mnemarco, che a sua volta la trasmise a Bulagora, sotto la cui direzione accadde che la città
di Crotone subi un saccheg- gio. Dopo
Bulagora divenne successore di Pitagora Gartida di Crotone, dopo un suo soggiorno all’estero che
egli aveva iniziato prima della guerra:
la sua morte avvenne proprio a causa della sorte che aveva subîfto la patria. È stato appunto
l’unico Pitagorico morto prima del tempo
perché ucciso dal dolore; (266) per
tutti gli altri invece la morte giunse di solito quando erano già molto vecchi, come se si fossero
liberati dai vincoli del loro corpo. Tra
quelli che vennero dopo, comunque, fu successore di Pitagora il lucano Aresa, il quale si era
salvato grazie ad alcuni stra- 280
GIAMBLICO οὗτος δὲ εἰς τὴν Ἑλλάδα
ἐπανελθὼν διέδωκε τὰς Πυθαγορείους
φωνάς. ζηλωτὰς δὲ γράφειν γενέσθαι τῶν ἀνδρῶν περὶ μὲν Ἡράκλειαν Κλεινίαν καὶ Φιλόλαον, «ἐν»
Μεταποντίῳ δὲ Θεωρίδην «καὶ» Εὔρυτον, ἐν
Τάραντι δὲ ᾿Αρχύταν. τῶν δ᾽ ἔξωθεν ἀκροατῶν
γενέσθαι καὶ Ἐπίχαρμον, ἀλλ᾽ οὐκ ἐκ τοῦ συστήματος τῶν ἀνδρῶν. ἀφικόμενον δὲ εἰς Συρακούσας διὰ τὴν Ἱέρωνος
τυραννίδα τοῦ μὲν φανερῶς φιλοσοφεῖν
ἀποσχέσθαι, εἰς μέτρον δ᾽ ἐντεῖναι τὰς διανοί-
ας τῶν ἀνδρῶν, μετὰ παιδιᾶς κρύφα ἐκφέροντα τὰ Πυθαγόρου δύγ- ματα. (267) τῶν δὲ συμπάντων Πυθαγορείων τοὺς
μὲν ἀγνῶτάς τε καὶ ἀνωνύμους τινὰς
πολλοὺς εἰκὸς γεγονέναι, τῶν δὲ γνωριζο-
μένων ἐστὶ τάδε τὰ ὀνόματα:
Κροτωνιᾶται Ἱππόστρατος, Δύμας, Αἴγων, Αἵμων, Σύλλος, Κλεοσθένης, ᾿Αγέλας, Ἐπίσυλος, Φυκιάδας,
“Ἔκφαντος, Τίμαιος, Βοῦθος, “Ἔρατος,
Ἰταναῖος, Ῥόδιππος, Βρύας, Εὔανδρος, Μυλλίας,
᾿Αντιμέδων, ᾿Αγέας, Λεόφρων, ᾿Αγύλος, Ὀνάτας, Ἱπποσθένης, Κλεόφρων, ᾿Αλκμαίων, Δαμοκλῆς, Μίλων,
Μένων [144] Μεταποντῖνοι Βροντῖνος,
Παρμίσκος, Ὀρεστάδας, Λέων, Δαμάρμενος,
Αἰνέας, Χειλᾶς, Μελησίας, ᾿Αριστέας, Λαφάων,
Εὔανδρος, ᾿Αγησίδαμος, Ξενοκάδης, Εὐρύφημος, ᾿Αριστομένης, ᾿Αγήσαρχος, ᾿Αλκίας, Ξενοφάντης, Θρασέας,
Εὔρυτος, Ἐπίφρων, Εἰρίσκος, Μεγιστίας,
Λεωκύδης, Θρασυμήδης, Εὔφημος, Προκλῆς,
᾿Αντιμένης, Λάκριτος, Δαμοτάγης, Πύρρων, Ῥηξίβιος, ᾿Αλώπεκος, ᾿Αστύλος, Λακύδας, Ἁνίοχος, Λακράτης,
Γλυκῖνος ᾿Ακραγαντῖνος Ἐμπεδοκλῆς Ἐλεάτης Παρμενίδης Ταραντῖνοι Φιλόλαος, Εὔρυτος, ᾿Αρχύτας,
Θεόδωρος, ᾿Αρίστιππος, Λύκων, Ἑστιαῖος,
Πολέμαρχος, ᾿Αστέας, Καινίας, Κλέων, Εὐρυ-
μέδων, ᾿Αρκέας, Κλειναγόρας, ἽΑρχιππος, Ζώπυρος, Εὔθυνος, Δικαίαρχος, φιλωνίδης, Φροντίδας, Λῦσις,
Λυσίβιος, Δεινοκράτης, Ἐχεκράτης,
Πακτίων, ᾿Ακουσιλάδας, ἽΚκκος, Πεισικράτης,
Κλεάρατος, Λεοντεύς, Φρύνιχος, Σιμιχίας, ᾿Αριστοκλείδας, Κλεινίας, Ἁβροτέλης, Πεισίρροδος, Βρύας,
Ἕλανδρος, ᾿Αρχέμαχος, Μιμνόμαχος, ᾿Ακμονίδας,
Δικᾶς, Καροφαντίδας Συβαρῖται Μέτωπος,
Ἵππασος, Πρόξενος, Εὐάνωρ, [145] Λεάναξ,
Μενέστωρ, Διοκλῆς, Ἕμπεδος, Τιμάσιος, Πολεμαῖος, Ἕνδιος, Τυρσηνός
Καρχηδόνιοι Μιλτιάδης, Ἅνθης, Ὁδίος, Λεώκριτος Πάριοι Αἰήτιος, Φαινεκλῆς, Δεξίθεος,
᾿Αλκίμαχος, Δείναρχος, VITA DI
PITAGORA 281 nieri. Sotto la sua
direzione giunse alla scuola Diodoro di Aspendo, il quale fu accolto <solo> perché nella
struttura scarseggiavano gli uomini.
Quest'ultimo poi, recatosi in Grecia, si mise a diffondere i discorsi dei Pitagorici. Egli scrive che
seguaci dei Pitagorici erano: ad Eraclea
Clinia e Filolao, a Metaponto Teoride ed Eurito, a Taranto Archita. Tra gli uditori esterni c'era anche
Epicarmo, anche se questi non proveniva
alla struttura pitagorica; giunto a Siracusa egli si asten- ne dal filosofare a causa della tirannide di
Ierone, ma mise in versi i pensieri dei
Pitagorici, esprimendo cosî, <come> per gioco, le dottri- ne di Pitagora. (267) Fra tutti i Pitagorici nel loro complesso,
molti, naturalmen- te, sono rimasti
sconosciuti e anonimi, di altri, invece, che ci sono noti, ecco i loro nomi. Di Crotone: Ippostrato, Dimante, Egone,
Emone, Sillo, Cleostene, Agela, Episilo,
Ficiada, Ecfanto, Timeo, Buto, Erato, Itaneo,
Rodippo, Briante, Evandro, Millia, Antimedonte, Agea, Leofrone, Agilo, Onata, Ippostene, Cleofrone,
Alcmeone, Damocle, Milone, Menone. Di Metaponto: Brontino, Parmisco, Orestada,
Leone, Damarmeno, Enea, Chilante,
Melesia, Aristea, Lafaone, Evandro, Agesidamo,
Senocade, Eurifemo, Aristomene, Agesarco, Alcia, Senofante, Trasea, Eurito, Epifrone, Irisco, Megistia,
Leocide, Trasimede, Eufemo, Procle,
Antimene, Lacrito, Damotage, Pirrone,
Ressibio, Alopeco, Astilo, Lacida, Anioco, Lacrate, Glicino. Di Agrigento: Empedocle. Di Elea: Parmenide. Di Taranto: Filolao, Eurito, Archita,
Teodoro, Aristippo, Licone, Estieo,
Polemarco, Astea, Cenia, Cleone, Eurimedonte, Arcea, Clinagora, Archippo, Zopiro, Eutino,
Dicearco, Filonide, Frontida, Liside, Lisibio,
Dinocrate, Echecrate, Pactione,
Acusilada, Icco, Pisicrate, Clearato, Leonteo, Frinico, Simichia, Aristoclida, Clinia, Abrotele, Pisirrodo,
Briante, Elandro, Archemaco, Mimnomaco,
Acmonida, Dicante, Carofantida. Di
Sibari: Metopo, Ippaso, Prosseno, Evanore, Leanatte, Menestore, Diocle, Empedo, Timasio, Polemeo, Endio,
Tirreno. Di Cartagine: Milziade, Ante,
Odio, Leocrito. 282 GIAMBLICO Μέτων, Τίμαιος, Τιμησιάναξ, Εὔμοιρος,
Θυμαρίδας Λοκροὶ Γύττιος, Ξένων,
Φιλόδαμος, Εὐέτης, Εὔδικος, Σθενωνίδας,
Σωσίστρατος, Εὐθύνους, Ζάλευκος, Τιμάρης
Ποσειδωνιᾶται ᾿Αθάμας, Σῖμος, Πρόξενος, Κραναός, Μύης, Βαθύλαος, Φαίδων Λευκανοὶ Ὅκκελος καὶ Ὅκκιλος ἀδελφοί,
᾿Αρέσανδρος, Κέραμβος Δαρδανεὺς
Μαλίων ᾿Αργεῖοι Ἱππομέδων, Τιμοσθένης,
Εὐέλθων, Θρασύδαμος, Κρίτων,
Πολύκτωρ Λάκωνες Αὐτοχαρίδας,
Κλεάνωρ, Εὐρυκράτης Ὑπερβύρειος
Ἅβαρις Ῥηγῖνοι ᾿Αριστείδης, Δημοσθένης,
᾿Αριστοκράτης, Φύτιος, Ἑλικάων,
Μνησίβουλος, Ἱππαρχίδης, Εὐθοσίων, Εὐθυκλῆς,
Ὄνγψιμος, Κἀλαῖς, Σελινούντιος
[146] Συρακούσιοι Λεπτίνης, Φιντίας, Δάμων Σάμιοι Μέλισσος, Λάκων, Ἄρχιππος, Ἑλώριππος,
Ἕλωρις, Ἵππων Καυλωνιᾶται Καλλίμβροτος,
Δίκων, Νάστας, Δρύμων, Ξενέας Φλιάσιοι
Διοκλῆς, Ἐχεκράτης, Πολύμναστος, Φάντων
Σικυώνιοι Πολιάδης, Δήμων, Στράτιος, Σωσθένης Κυρηναῖοι Πρῶρος, Μελάνιππος, ᾿Αριστάγγελος,
Θεόδωρος Κυζικηνοὶ Πυθόδωρος,
Ἱπποσθένης, Βούθηρος, Ξενόφιλος
Καταναῖοι Χαρώνδας, Λυσιάδης
Κορίνθιος Χρύσιππος Τυρρηνὸς
Ναυσίθοος ᾿Αθηναῖος Νεόκριτος Ποντικὸς Λύραμνος. οἱ πάντες GIN. Πυθαγορίδες δὲ γυναῖκες αἱ ἐπιφανέσταται:
Τιμύχα γυνὴ [ἡ] Μυλλία τοῦ Κροτωνιάτου,
Φιλτὺς θυγάτηρ Θεόφριος τοῦ Κροτωνιάτου,
Βυνδάκου ἀδελφή, Ὀκκελὼ καὶ Ἐκκελὼ «ἀδελφαὶ
Ὀκκέλω καὶ Ὀκκίλω» τῶν Λευκανῶν, Χειλωνὶς θυγάτηρ Χείλωνος τοῦ Λακεδαιμονίου, Κρατησίκλεια Λάκαινα γυνὴ
Κλεάνορος τοῦ Λακεδαιμονίου, Θεανὼ [147]
γυνὴ τοῦ Μεταποντίνου Βροτίνου, Μυῖα
γυνὴ Μίλωνος τοῦ Κροτωνιάτου, Λασθένεια ᾿Αρκάδισσα, Ἁβροτέλεια Ἁβροτέλους θυγάτηρ τοῦ Ταραντίνου,
Ἐχεκράτεια Φλιασία, Τυρσηνὶς Συβαρῖτις,
Πεισιρρόδη Ταραντινίς, Θεάδουσα Λάκαινα,
Βοιὼ ᾿Αργεία, Βαβελύκα ᾿Αργεία, Κλεαίχμα ἀδελφὴ
Αὐτοχαρίδα τοῦ Λάκωνος. αἱ πᾶσαι ιζ΄.
VITA DI PITAGORA 283 Di Paro:
Eezio, Fenecle, Dessiteo, Alcimaco, Dinarco, Metone, Timeo, Timesianatte, Eumero, Timarida. Di Locri: Gittio, Senone, Filodamo, Euete,
Eudico, Stenonida, Sosistrato, Eutinoo,
Zaleuco, Timare. Di Posidonia:
Atamante, Simo, Prosseno, Cranao, Mie, Batilao,
Fedone. Di Lucania: Occelo e
Occilo, fratelli, Aresandro, Cerambo.
Di Dardano: Malione. Di Argo:
Ippomedonte, Tinostene, Eueltone, Trasidamo, Critone, Polittore.
Di Laconia: Autocarida, Cleanore, Euricrate. Degli Iperborei: Abari. Di Reggio: Aristide, Demostene, Aristocrate,
Fizio, Elicaone, Mnesibulo, Ipparchide,
Eutosione, Euticle, Opsimo, Calaide,
Selinunzio. Di Siracusa:
Leptine, Finzia, Damone. Di Samo:
Melisso, Lacone, Archippo, Elorippo, Eloride, Ippone. Di Caulonia: Callimbroto, Dicone, Nasta,
Drimone, Senea. Di Fliunte: Diocle,
Echecrate, Polimnasto, Fantone. Di
Sicione: Poliade, Demone, Stratio, Sostene.
Di Cirene: Proro, Melanippo, Aristangelo, Teodoro. Di Cizico: Pitodoro, Ippostene, Butero,
Senofilo. Di Catania: Caronda,
Lisiade. Di Corinto: Crisippo. Di Etruria: Nausitoo. Di Atene: Neocrito. Del Ponto: Liramno. In tutto 218. Le donne Pitagoriche più note sono: Timica,
moglie di Millia di Crotone, Filtide,
figlia di Teofrio di Crotone e sorella di Bindaco, Occelo ed Eccelo, sorelle di Occelo e Occilo di
Lucania, Chilonide, figlia di Chilone di
Sparta, Cratesiclea di Laconia, moglie di Cleanoro di Sparta, Teano, moglie di Brotino di
Metaponto, Miia, moglie di Milone di
Crotone, Lastenia di Arcadia, Abrotelia, figlia di Abrotele di Taranto, Echecratia di Fliunte, Tirsenide
di Sibari, Pisirrode di Taranto, Teadusa
di Laconia, Boio di Argo, Babelica di Argo,
Cleecma, sorella di Autocarida di Laconia. In tutto 17. NOTE ALLA «VITA DI PITAGORA» 1 συνοπαδός è termine attinto da Platone.
Cf. Plat. Phdr 248c2 ss., a pro- posito
della legge di Adrastea. 2 Qui si vuole
precisare che il termine “figura” indica non la figura geo- metrica, bensi quella aritmetica, cioè la
configurazione di una esposizione di
numeri. 3 Non può non trattarsi,
in questo contesto, che delle figure poco prima
spiegate come diagrammi, cioè come figure numeriche. 4 Perché vi si facevano offerte senza
vittime, ma solo a base di biade. 5
Quindi non per esercitare il suo insegnamento, come nell’emiciclo, bensi allo scopo di avere un luogo tutto suo
per filosofare in forma esoteri-
ca. 6 C£. Plat. Minosse 319b
ss., dove, a commento di alcuni versi di Omero
(Od. 19,178 s.), Platone fa addirittura un’esegesi della parole con cui
il Poeta presenta Minosse come Διὸς
μεγάλου ὀαριστής, spiegando che, avendo il
termine ὀαριστής il significato di “chi conversa familiarmente <con
qualcu- no>”, ciò indica «che Minosse
conversò familiarmente e frequentò per nove
anni [δι᾽ ἐνάτου ἔτους] l’antro di Zeus, allo scopo di essere istruito
da Zeus come da un vero sapiente».
L'espressione δι᾽ ἐνάτου ἔτους, che equivale alla successiva ἐνάτῳ ἔτει, corrisponde all’
ἐννέωρος omerico (questo è tuttavia
riferito al tempo durante cui regnò Minosse), ma è stata da taluni
fraintesa e tradotta, erroneamente,
«ogni nove anni» [semmai, allora, «ogni otto
anni»!]. ? Le cosiddette
“liturgie”, che erano dei servizi che i cittadini più facol- tosi di una città prestavano a proprie
spese. 8 Cioè delle persone che per
studiare filosofia conducevano una vita di
comunità. 9 Cioè una grande
comunità di uditori che si riunivano insieme per svol- gere attività scolastiche. La voce ὁμακόοι
(co-uditori) e i paronimi ὁμακοεῖον e
ὁμακοίον (comunità di co-uditori e, talora, la sala dove si riu- nivano) sono spiegati da Giamblico al $ 73,
dove si dice che «con questo nome erano
chiamati tutti coloro che stavano intorno all'uomo [sc. a Pitagora]». È chiaro che si tratta di uditori
che costituiscono una “comuni tà
scolastica” perché stanno insieme o si riuniscono per ascoltare le lezioni
di Pitagora. Io ne do una traduzione
distinta da quella relativa ad altre voci
indicanti discepoli di Pitagora, quali ad esempio: ἑταῖρος (compagno), ὁμιλητής (discepolo), γνώριμος (intimo, che
può indicare il familiare o il discepolo
più vicino al maestro), μαθητής (allievo 0 studente), ecc. VITA DI PITAGORA 285 10 Cf. Aristot. Fr. p. 132 Ross. 11 L'espressione: δοὺς δὲ καὶ τὴν τῶν ἰχθύων
τιμὴν τοῖς ἁλιεῦσιν viene comunemente
tradotta «dopo avere pagato ai pescatori il prezzo del pesce». Soltanto Brisson/Segonds lasciano intendere
che potrebbe trattarsi non di pagamento,
ma di qualcos'altro, che tuttavia non appare chiaro. Essi
infatti traducono «Après avoir donné le
prix des poissons aux pécheurs». Che cosa
può significare “dare il prezzo dei pesci ai pescatori”? Io lo intenderei
nel senso di “stimare il valore venale,
ecc.”. Perché mai Pitagora avrebbe dovu-
to pagare ai pescatori il prezzo del pescato, quando essi sarebbero
certamen- te andati a venderlo? Al
contrario, è lecito giustificare la stima venale del pescato come ulteriore segno della capacità
calcolativa di Pitagora di quan- to
avrebbero ricavato i pescatori dal pesce venduto, Del resto egli aveva già stimato e fatto verificare la esatta
quantità, meglio il numero esatto, dei pesci
pescati. 1? Essendo, cioè, ciascuno
di sesso opposto a quello del genitore: figlia
femmina quella di Zeus, figlio maschio quello di Era. 15 Cioè dalla virti opposta alla temperanza,
che è la intemperanza (ἀκο- λασία). Per
tale opposizione, si cf. Aristot. Rbet. I 9, 1366b13 ss. Altre virtà opposte alla temperanza possono essere la
stoltezza o imprudenza (ἀφρο- σύνη) o,
meglio ancora, l’incontinenza (ἀκρασία), Sembra perciò accettabi- le la correzione di ἀντιθέσεως in διαθέσεως
proposta da Cobet e accolta da
Brisson/Segonds (cf. app. cr. dell’ed. Dibner/Klein). 14 Cioè da Crotone. 15 Cioè lo stesso Pitagora. Non è ben chiaro
quel che qui si dice, ma appa- re evidente
che si intende dire che anche dopo Pitagora l’uomo sapiente fu chiamato filosofo in virtà del fatto che
questo appellativo se l’era attribuito
una volta per tutte appunto Pitagora.
16 Pitagora si chiamò “amico della sapienza” invece che “sapiente”
tout court. 17 Il rifiuto della correzione di Deubner ha
la seguente motivazione. Con quella
correzione il senso del discorso cambia notevolmente e infatti qui tro- viamo differenti traduzioni. Secondo la
correzione di Deubner, infatti, il senso
è questo: poiché questo è il solo atteggiamento che provano anche gli altri animali (cf. Dillon/Hershbell,
Giangiulio); secondo la lezione dei MSS
invece il senso è quest'altro: poiché tra tutti gli animali solo gli
uomini pro- vano questo sentimento (cf.
von Albrecht, Montoneri, Clark, Brisson/Se-
gonds). Il primo senso sembra improbabile nella misura in cui è assurdo pensare che la generosità sia l’unico
sentimento comune a uomini e bruti. Il
secondo senso appare dunque più verisimile, in quanto il sentimento di generosità è, tra tutti quelli che provano
gli uomini, a differenza dei bruti,
quello che viene percepito meglio, anche perché si tratta di intravedere
l’in- tenzione che resta nascosta al di
lì della manifestazione di generosità ed è
286 GIAMBLICO quindi solo
oggetto di “compréhension intuitive”, come traducono Brisson/Segonds. 18 Cioè come una persona che ha diritto, per
costume religioso, a preten- dere
sostegno e aiuto dal marito come una supplice dall’autorità a cui si rivolge. Cf. il precetto pitagorico riferito
al cap. 84. 19 Cioè secondo le norme e
i costumi della tradizione, e quindi con licei-
tà e serietà. 20 Παιδεία da
παῖς, παιδός. 21 Ovviamente fanciulli
disposti ad essere educati come si deve.
22 Ritengo che qui l’espressione φόνῳ δὲ καὶ θανάτῳ si debba
prendere in endiadi. 23 Nel senso limitativo di “maschi”. 24 Nel senso che non appartiene alle varie
categorie di lavoratori. 25 Si ricordi
che poco fa si era detto che gli uomini vengono al mondo come una massa dalle inclinazioni più variegate. 26 Il bue era in verità un toro,
quindi. 27 Nel senso che il toro,
ascoltando Pitagora, indirettamente si asteneva
dal mangiare le fave. 28 In
quanto erano i versi omerici relativi alla morte di Euforbo per mano di Menelao.
29 Hom. Il. 17,51-60. 30
Significa questo che secondo Pitagora la storia e la civiltà aveva corrot- to l’anima umana? In ogni caso è chiaro che
tutta l'educazione, a comincia- re da
quella musicale, ha come fine la correzione delle disarmonie che il modo di vita degli uomini poteva avere
provocato nelle loro anime. 31 Lett.:
della sola trachea, cioè con il fiato emesso dai suoi polmoni. 3? Per il fatto, cioè, che tra gli uomini e
alcuni animali c’è rapporto di con-
vivenza (animali domestici) e anche di comportamento. 3) Cioè di educare formandoli alla dottrina
pitagorica. 34 L'espressione ἃς οὐκ
ἐχρῆν tor γενέσθαι δεύτερον viene tradotta in
vario modo, ad es. «qui n’aurait pas dù te vaincre»
[Brisson/Segonds], «which ought not to
happen to you a second time» [Dillon/Hershbell], «dem du nicht hàttest erliegen sollen» [von
Albrecht], «alle quali non avre- sti
dovuto indulgere” [Montoneri e Giangiulio], «though you should have got the better of it» [Clark]. In effetti il δεύτερον
non può qui avere altro senso se non
temporale oppure ordinale: io preferisco questo secondo, anche perché lo si può intendere in senso
estimativo. 35 Cioè selezionando quelli
che conviene loro irretire. 36 Gli
ἀκούσματα, donde traggono il loro nome i cosiddetti “acusmati- ci”, erano dei semplici precetti orali, delle
istruzioni, alla stessa maniera dei
VITA DI PITAGORA 287 cosiddetti
σύμβολα, altro termine che esprime lo stesso concetto pitagorico. 37 Cioè come pure rivelazioni divine. 38 Come dire che quanto più precetti o modi
di istruzione si inventano tanto più si
è saggi. 39 Si tratta, evidentemente —
come si deduce anche dal $ 187 — di una pro-
stituta. 40 Cf, $ 48. 41 È evidente il significato di questo
precetto: per essere considerati valo-
rosi in battaglia, è necessario che si resista sul campo e non si fugga
dinanzi al nemico, nel qual caso le
ferite si trovano sul dorso e non sul petto.
42 Non sono, cioè, state fatte dagli acusmatici, a prescindere, in
questo caso, dal fatto che questi siano
da considerarsi veri Pitagorici o meno. Cf.
sopra $ 81. 43 In questo contesto
il termine A6yog ha certamente il medesimo signifi- cato del precedente ἀρχή. 44 L'espressione, presa alla lettera, è oi
δὲ περὶ τὰ μαθήματα τῶν Πυθαγορείων che
comunemente viene tradotta “i Pitagorici che si occupa- no delle matematiche”. In effetti si tratta
di una perifrasi che sta a indicare
quella sezione dei Pitagorici che sono stati classificati in precedenza
come “Matematici”, per distinguerli
dagli “Acusmatici”. Cf. Iambl. De com.
mathem. sc. 76,24 ss. 45 Sembra
evidente che nell’espressione διὰ δὲ τὸ ἐξενεγκεῖν kai ypd- ψασθαι πρῶτος σφαῖραν τὴν ἐκ δώδεκα
πενταγώνων l'aggettivo πρῶτος non
dev'essere accordato con tutti e due gli infiniti ἐξενεγκεῖν e γράψασθαι, perché non ha senso dire che Ippaso avrebbe
“per primo divulgato e descrit- to”,
mentre ha senso dire che Ippaso avrebbe per primo scoperto e descrit- to il metodo in questione. Di un medesimo
segreto il primo divulgatore diviene
l’unico. In questo caso Ippaso viene presentato come lo scopritore di quel metodo e al contempo come colui che lo
avrebbe divulgato fuori della scuola,
commettendo cosi un atto di empietà. Del resto dai $$ 246 e 247 si evince rispettivamente che la prima
divulgazione di un segreto pitagorico
riguarda la teoria dell’incommensurabile (il divulgatore in questo caso
fu espulso dalla scuola e ritenuto
morto) e che peri per mare come empio colui
che aveva rivelato il metodo per costruire una figura di venti angoli,
cioè il dodecaedro. Anche se in questi
ultimi due paragrafi non si dice il nome, è
evidente che si tratta di Ippaso. Ritengo quindi più logico accordare
l’agget- tivo πρῶτος solo all'infinito
γράψασθαι, in quanto si vuole indicare in que-
sto caso che Ippaso fu “il primo” a “descrivere” (cioè a costruire
geometri- camente) la sfera servendosi
del dodecaedro: il senso dell’espressione, dun-
que, è il seguente: Ippaso divulgò fuori della scuola il metodo della
costru- zione della sfera che egli per
primo aveva scoperto. Che la sfera nascesse
288 GIAMBLICO dalla circoscrizione
a un dodecaedro si può evincere anche dal fatto che Platone dice nel Tirzeo che del dodecaedro si
servi il demiurgo per adorna. re il
cosmo (sferico) dopo averlo creato con tutti gli altri solidi regolari. È l’unico solido regolare, quindi, ad avere
questa funzione universale. Cf. Iambl.,
De comm. math. sc. 77,21, e nota alla trad. 190. 46 Cf. sopra $ 72. 47 ὑποτίθεσθαι è in questo testo un bapax
legomenon e dev'essere, quin- di, preso
con un significato forte. 48 Io
interpreto in tal modo l’espressione οἷοί té εἰσι σιωπᾶν καὶ διαφυ- λάττειν, dove non mi convince la ripetizione
di “fare silenzio” e quindi riten- go
che si debba subordinarlo all’altro verbo (διαφυλάττειν): in breve σιωπᾶν καὶ διαφυλάττειν significa in questo contesto
“mantenere il silenzio su ciò che si è
appreso nella scuola”. 49 Cioè i non
iniziati, ovvero quelli che stavano “fuori della tenda”. 50 Si tratta, com'è ovvio, di quel gruppo di
cosiddetti “politici”, i quali si
occupavano sia dell’amministrazione dei beni che della legislazione.
Sono chiamati “amministratori” e
“legislatori”: cf. $$ 72 e 89. 51
Lett.: massime che si esprimevano in forma di negazione, e quindi di invito a “non fare”. Nel paragrafo successivo
si parlerà di “simboli” che sono
anch'essi delle massime in forma negativa, ma di genere diverso,
precisamen- te un po’ più bisognevoli di
interpretazione (non dei semplici detti, quindi). 52 Cioè di figlio o beneficato. 5 Io attribuisco qui al termine πεδάρτασις
quel significato “musicale” che trovo,
con traduzione leggermente diversa, in Dillon/Hershbell. Si trat- ta infatti di un concetto di aggiustamento o
intonazione simile a quella che si fa
con gli strumenti musicali (0 con le racchette da tennis ai giorni
nostri). 54 Come dire che non bisogna
visitare il tempio e pregare cosi per caso,
ma predisponendosi adeguatamente.
55 È questo indubbiamente il significato del verbo συστέλλει, così
come intendono giustamente alcuni
traduttori (von Albrecht, Montoneri e
Giangiulio), diversamente non si spiegherebbe la congiunzione ὅθεν: Pitagora, infatti, avrebbe considerato il
miglio alimento adatto alla nutrizio- ne
dell’uomo perché esso aveva appunto tale proprietà. Basti riferirsi a Galeno, De simpl medic., vol. XII, p. 16,8-9
Kiihn, dove si legge che «il miglio
[...] asciuga l’intestino — ἡ κέγχρος [...] τὴν κοιλίαν ἐπιξηραίνει». Appare ovvio che “asciugare” l’intestino è la
stessa cosa che “astringerlo”. Altri
significati non sembrano possibili: ad es. “le [sc. il corpo] maintien- nent” (Brisson/Segonds) o “control the
functions {sc. del corpo]”
(Dillon/Hershbell) o “sustain the state [sc. del corpo)” (Clark). 56 Vengono adoperati qui due verbi affini,
ma certamente di significato
differenziato: τρώγω [rosicchio, rodo, addento, mastico] ed ἐσθίω
[mangio, VITA DI PITAGORA 289 in senso lato]. Quale potrebbe essere la
vera ragione di tale differenziazione
semantica? Suppongo che il cuore più che mangiarlo era conveniente
masti- carlo per trarne gli umori senza
ingoiare le parti callose e indigeste del
muscolo. Un po’ come si faceva con il lentischio che veniva masticato
per sbiancare i denti [σχινοτρώκτης era
chiamato il masticatore di lentischio].
57 Hom. Od. IV 221. 58 Cioè la
differenza di un tono, ovvero il rapporto 1 a (1+1/8) [ovvero 8 a 9, che è un rapporto epiottavo], che, nella
proporzione musicale, cioè armonica con
quattro termini, ad esempio 6, 8, 9, 12, costituisce il rapporto intermedio 8 a 9, che sta tra il rapporto
epitrite 6 a 8 dell'accordo di quarta e
il rapporto emiolio 6 a 9 dell'accordo di quinta: i due accordi, infatti
diffe- riscono di un tono. Si tratta di
una proporzione (o, meglio, di una redietà,
per usare il vero termine tecnico) che è detta armonica, perché — come
si dice in Giamblico, In Nicom. 108 — in
essa è possibile scorgere in germe i rappor-
ti musicali. In 3, 4, 6, ad esempio, si può vedere il cosiddetto accordo
di quarta, che è il più piccolo tra
tutti gli intervalli armonici, ed è visibile nel rapporto epitrite 3 a 4; l'accordo di quinta,
che segue a quello di quarta, ed è
visibile nel rapporto emiolio 4 a 6; e infine l'accordo di ottava, che è la
com- binazione di ambedue gli accordi
precedenti, ed è visibile nel rapporto dop-
pio 3 a 6. Ora, tra gli accordi di quarta e di quinta intercorre, come
rappor- to intermedio, quello di un
tono, ovvero il rapporto 8 a 9, che è rapporto
epiottavo. Tale rapporto non costituisce alcun accordo vero e proprio,
ovve- ro — ciò che è lo stesso —
costituisce un “accordo dissonante”, come notò Pitagora. Insomma, l’accordo di tono non è un
accordo se non nella misura in cui colma
la distanza tra l'accordo di quarta e quello di quinta. 59 σηκώματα e ῥοπάς sono termini che qui
stanno a indicare il primo il valore
ponderale del martello, il secondo il valore bilanciato, cioè la lunghez- za del manico del martello medesimo
(ovviamente un martello di un certo peso
con un bilanciamento maggiore batte con una forza maggiore rispetto a un altro martello dello stesso peso, ma con
bilanciamento minore). 60 In effetti è
costituito da una moltiplicazione. Infatti il rapporto emio- lio 12/8 moltiplicato per il rapporto
epitrite 8/6 dà 2 [12/8 x 8/6 = 3/2 x 4/3
= 12/6=2/1=2]. 61 Si tratta di
una inversione dei fattori di quel prodotto, per cui quest’ul- timo non muta. 62 Lett. piatti a percussione. 63 Specie di arpe a forma di triangolo. 64 Il rapporto 8 a 6 è infatti epitrite,
cioè 1+1/3. 6 Il rapporto 9 a 8 è
infatti epiottavo, cioè 1+1/8. 1/8 è la misura del tono.
6 Ritengo che la legge vietasse di riprendere le cose cadute per terra,
ma 290 GIAMBLICO solo nei templi, perché avevano toccato un
suolo sacro. Del resto non si spie-
gherebbe perché l’aneddoto dica che lo straniero aveva lasciato cadere
a terra qualcosa mentre si trovava
all’interno di un tempio. 67 Sembra che
qui Giamblico abbia estratto una parte delle storie che Aristosseno avrebbe appreso da Dionigi II di
Siracusa esule a Corinto dopo la sua
perdita della monarchia. Cf. Porph. Vita Pyth. 59. 68 Cioè basato sulla libera scelta della
volontà. 69 Cioè aveva la misura di 3,
che ha con il 4 della seconda linea un rap-
porto epitrite (4/3). 70 Il
testo qui non può essere tradotto alla lettera, ma il termine Svva- μένην indica certamente il rapporto quadrato
e il termine τοιαῦτα non può non
riferirsi alle altre due linee, che sono però della stessa natura, cioè
eleva- te al quadrato. 71 Si tratta, come è facile vedere, del
triangolo rettangolo pitagorico, cioè
composto di tre misure: 3 4 5, di cui le primi due sono i cateti e la
terza è la diagonale (32+42=52), 12 C£. sopra $$ 55-56. 73 In realtà, come si evince da quel che
segue, si trattava di convincere i
mariti ad essere fedeli alle loro mogli. 74 C£. Porph.
Fragmenta, 408F,27 -29 Smith (= p. 479 s.) = Philol. Hist. ap. Eus. PE X 3,27 ss., dove si legge che,
secondo il racconto di Androne,
«Pitagora un giorno a Metaponto, avendo sete, attinse dell’acqua da
un pozzo e dopo averne bevuto [πιών] predisse
che da lî a tre giorni ci sareb- be stato
un terremoto». Sembra, dunque, che sia fuorviante la traduzione di coloro che, accordando ἀπὸ φρέατος a σεισμὸν
ἐσόμενον, traducono nel senso che
Pitagora avrebbe predetto che un terremoto si sarebbe generato da un pozzo, da cui aveva attinto dell’acqua.
Intendono cosi il testo von Albrecht
(«Er soll auch ein Erdbeben vorausgesagt haben, das von einem Brunnen ausgehen wirde, von dem er trank»),
Giangiulio («E si racconta inoltre che
avesse preannumciato un terremoto destinato a originarsi da un pozzo dal quale stava bevendo») e Montoneri
(«Si dice anche che abbia pre- visto un
terremoto che avrebbe avuto origine da un pozzo in cui egli beve- va»). In effetti sembra più corretto
accordare ἀπὸ φρέατος al verbo προηγό-
pevoe, come fanno Brisson/Segonds («On rapporte aussi qu il annonga
un tremblement de terre ἃ venir ἃ partir
d’un puits, dont il avait bu l’eau») e la
Clark («It is also said that he predicted an earthquake from the
condition of a well from which he
drank»). In ogni caso resta innegabile il fatto che la pre- dizione del terremoto è messa in rapporto con
un pozzo o, meglio, con l’ac- qua di un
pozzo con la quale Pitagora si era dissetato e dalla cui natura (forse dal suo gusto) egli, non si sa bene come,
aveva ricavato la sua predizione. 75 Ho
sempre tradotto il termine διάνοια con “mente”, trattandosi, in un VITA DI PITAGORA 291 contesto pitagorico come questo, di un
termine che indica concettualmente ciò
che costituisce la facoltà di pensare in generale, e non già una facoltà raziocinativa ben distinta da altre facoltà
più o meno razionali, come accadrà nelle
filosofie classiche. Tuttavia in questo preciso contesto relativo alla man- tica più che della “mente” in generale come
attività di pensiero dell’uomo, si
tratta del contenuto di pensiero che proviene da un'ispirazione divina e quindi ho tradotto “i pensieri” nel senso di
contenuti oggettivi e non sogget- tivi
di una mente ispirata dagli dèi. 76
Insomma, i Pitagorici non credono nei miti in quanto tali, ma solo per- ché contengono elementi che possono
indirizzare al divino, di qualunque
natura essi siano (scientifica o mitologica). 77 Qui occorre dare un significato
particolare al verbo ἀφείλετο, dal
momento che in verità la freccia fu donata da Abari a Pitagora e non
sottrat- ta da quest’ultimo. La cosa non
cambia, perché in ogni caso Pitagora privò
involontariamente Abari del beneficio di quell’arnese. Del resto Abari
glie- l'aveva consegnata, più che
regalata, perché lo identificava con il dio Apollo Iperboreo.
78 Il termine qui usato è κωλυθήρια (lett. “di storno” o “di
allontanamen- to"), cioè atti a
stornare o allontanare qualche sciagura imminente. 79 Ottenne, cioè, che rimanesse con lui e si
associasse alla sua opera edu- cativa,
ricevendone a sua volta insegnamenti di particolare metodologia. Si cf. sopra i $$ 90-93. 80 Dal confronto con l’episodio del piccolo
serpente di Taormina, si arguisce che il
serpente “villoso” di Sibari fosse capace di uccidere in altro modo che non mordendo. 81
Ritengo opportuno anticipare, nella traduzione, il luogo di questo pro- digio, se è vero che i due momenti (la
risposta di Pitagora a chi lo pregava di
parlare e l'apparizione dell’orsa bianca) non possono non avere un
diretto collegamento. 82 Cf. sopra $ 31. 83 Io traduco il termine ἐπιστημονικόν
secondo il suo più comune signi- ficato,
mettendo da parte ogni interpretazione metaforica, come fanno colo- ro che traducono plus sage (Brisson/Segonds)
o more wise (Dillon/Hershbell) o greater
wisdom (Clark) o von tieferer Erfahrung (von
Albrecht) o maggiormente conforme alla ragione (Giangiulio) o
ragionevole (Montoneri), giacché
l’espressione è messa in bocca a un uomo che, oltre ad essere un Pitagorico, era un grande
matematico. Iambl. Ix Nicom., lo cita
ben cinque volte, soprattutto per la sua famosa “fiorita di Timarida”,
di cui peraltro lo stesso Giamblico si
serve per dimostrare alcune sue idee matema-
tiche. C£. Iambl., 1» Nicom. 11; 27; 62; 65; 68; passim. 84 L'espressione ripetuta τὸν περὶ θεῶν
λόγον non può avere la seconda 292
GIAMBLICO volta lo stesso significato
di “titolo” dello scritto pitagorico: occorre quindi tradurlo in senso più ordinario, cioè come
“un parlare degli dèi” o “un dire ciò
che si deve sugli dèi” o “un ragionamento sugli dèi” o semplicemente, nel caso più normale, “ciò che si dice sugli dèi”
in questo scritto di Pitagora. 85 Il
termine τελεστής è comune alla tradizione misterica e oracolare, cioè lo si ritrova sia nella letteratura orfica
che in quella caldaica. Si sa che ambe-
due queste tradizioni hanno lasciato la loro influenza e le loro tracce
indele- bili negli scrittori platonici e
soprattutto neoplatonici. Tuttavia occorre
distinguere il significato di τελεστής nell’uno e nell'altro contesto:
infatti, mentre nel contesto caldaico
(visibile soprattutto negli scritti di Proclo) esso significa “teurgo”, ovvero colui che occupa
il più alto rango nella ‘pratica di
iniziazione, nel contesto orfico, che è quello di cui ci stiamo
occupando (anche se la fonte è
Giamblico: occorre pensare alla fonte di Giamblico, ovviamente), esso non può essere chiamato
teurgo. Ed ecco perché io prefe- risco
traslitterarlo in “telesta”, ad evitare appunto ogni confusione storica e teorica. Qualcuno preferisce la traduzione
“iniziatore”, che si giustifichereb- be
per analogia con il termine “iniziato”. Ma mentre quest’ultimo non pre- senta seri rischi di fraintendimento, il
primo invece sî. Del resto, nella lette-
ratura ricordata, per indicare l’iniziato si adopera il termine
μεμυημένος, che non ha, ovviamente, la
medesima radice di τελεστής. 86 Cioè lo
studio delle scienze matematiche. 87 Cf.
sopra $ 139. 88 C£. sopra $ 100. 89 È interessante qui l’uso del termine
αὐτόματον perché indica qualun- que
accadimento o fatto che non si può spiegare scientificamente. Pitagora, insomma, aveva un senso spiccatamente
religioso verso ciò che non rientra- va
nella spiegazione matematica della realtà, senza che ciò significasse
nega- re valore divino anche alla
scienza matematica. Era questione di metodo:
secondo la matematica tutto accade per una spiegazione scientifica e
razio- nale e ha una spiegazione chiara
e inconfutabile, mentre tutto ciò che sfugge
a tale metodo non può essere rifiutato come inesistente, ma rinviato ad
altre cause di ordine non scientifico e
quindi dovute all’intervento diretto della
divinità, ciò che appunto si chiama il “caso”. % Cf. sopra $ 107, dove il termine
θεωρητικός è usato al superlativo. 91
Cf. sopra $$. 72 e 89. I “politici” erano divisi in “amministratori” e “legislatori”, come si è visto. 32 Non è facile intendere e tradurre questa
espressione τῆς Ὀρφέως ἑρμηνείας te καὶ
διαθέσεως; certamente i due termini ἑρμηνεία e διάθεσις non hanno il comune significato rispettivo di
“interpretazione” e “disposi- zione
d'animo” che si trova in altri testi filosofici, perché qui si riferiscono allo stile di Orfeo, e precisamente al suo
modo di comporre ed esprimere le proprie
idee. Altri danno al primo termine il significato di “stile retorico” e VITA DI PITAGORA 293 al secondo il comune significato di
“disposizione”, senza tenere conto che i
due termini sono strettamente congiunti per via del te xai. Si ricorda
che spesso te καί più che una semplice
congiunzione indicano una congiunzio- ne
per somiglianza o contrasto (cf. LSJ s.v, A II). 9 τοῖς ἱδρύμασι τοῖς θεοῖς: espressione
oscura, che potrebbe qui indica- re le
forme o figure divine che si possono trovare nell’universo, e che quindi vengono distinte da quelle umane. E probabile
che qui si alluda alle forme geometriche
che Pitagora costruiva per ispirazione divina, oltre che, natural- mente, per scienza matematica. % Il primo vero numero per natura è il
numero 3, che è la somma del pari e del
dispari. Cf. [Iambl.] Theo. arithm. 14,15 ss. De Falco/Klein: «[...] infatti il 3 è il primo numero dispari in
atto, poiché è, secondo la sua stessa
denominazione, “oltre l’uguale”, avendo cioè qualcosa di pit dell’uguale nella sua parte aggiuntiva [cioè in quell’ 1
che aggiunto al 2 forma il 3; il 2, si
era detto in precedenza, è chiamato “uguale”, quindi il 3 va oltre l’ugua- le], ed ha la prerogativa di essere il numero
successivo ai due primi principi e anche
uguale alla loro somma». Cf. anche [Iambl.] Theo/. arithm. 17,15: «Il 3 è inizio del numero in atto [ἀρχὴ kat
ἐνέργειαν ἀριθμοῦ ἡ τριάς]». 95 Per
comprendere questo discorso, si cf. ancora una volta [Iambl.] Theol. arithm. 42,16 ss.: «Il 6 è il primo
numero perfetto: esso infatti si può
calcolare con le sue proprie parti, perché contiene 1/6, 1/3 e 1/2 di
sé». Le potenze di 6 sono i suoi
divisori, cioè 3 2 1, la cui somma è uguale appunto a 6. Comunque diviso, quindi, o per 3 0 per 2
o per 1, il prodotto di ciò che si
ottiene (cioè di ciò che è sottratto e di ciò che resta) è uguale allo
stesso numero. Infatti: 6/3=2, ma 2x3=6;
oppure 6/2=3 e ancora una volta 3x2=6;
oppure 6/1=6, ma 6x1=6. % Cioè
dopo il compimento del settimo mese, quindi all’inizio dell’otta- vo mese,
57 καλλίστῳ non può non avere qui che tale significato, perché
preso come misuratore del valore (o
prezzo) di ogni merce. 9 È questo il
significato poetico di τροφή che qui appare calzante. C£. Sofocle, Orest. e Ps.-Euripide, Cyc/. Certo,
se si dovesse dare il senso di
“nutrimento”, avrebbero ragione Brisson/Segonds di considerare questo un «texte mystérieux» (cf. nota a p. 194). 99 L'acqua?
100 Nel senso che ciò che è già cucinato ed è, quindi, mangiabile, non acquista nulla dall’essere ricucinato in modo
violento, come appunto avvie- ne con
l’arrosto. 101 Cioè del fuoco. 102 Non è chiaro il rapporto tra bianco e
numero. Probabilmente il bian- co è
ritenuto il colore primario, oppure quello che racchiude in sé tutti i 294 GIAMBLICO colori.
103 È questa una traduzione che tiene conto del testo cosî come è
ripetu- to al successivo $ 179. 104 È chiaro che qui si vuole alludere alle
proprietà “aritmologiche” del numero 2,
che è principio del pari e “ammette ogni specie di dissoluzione” [ἡ δυὰς ... φθορᾶς πάσης ἀναδεκτική] e
«appare anche come l’infinità, se è vero
che esso è anche la diversità, e quest’ultima comincia appena fuori dal- l’unità e si estende all’infinito. Si può
dire anche che il 2 è il numero che pro-
duce l’infinità» (cf. [Iambl.], Theo/. aritbm. 12,15 sgg,). 105 Qualche linea sopra. 106 In realtà la dimostrazione scientifica
risulta “piena” o “completa” quando è
fondata, come vuole Aristotele, sul sillogismo apodittico o dedut- tivo.
107 Cioè dai primi principi. 108
Cioè la filosofia (che in sostanza si identifica con le matematiche) e la teologia.
109 Cioè le tecniche rispettivamente della dimostrazione, della
definizio- ne e della divisione. 110 Non è facile tradurre questa sentenza a
causa dei vari significati che può
assumere il verbo ἐπέοικεν. Io lo traduco “si adattano”, nel senso di “sono paragonabili”. Non mi sembra corretta
l’interpretazione che danno alcuni
traduttori: «All things are like unto number» (Dillon/Hershbell); «Der Zahl — es gleichet ihr alles» (von
Albrecht); «Et au nombre toutes cho- ses
on ressemblance» Brisson/Segonds), perché in questo caso non si inten- de dare l’idea di “somiglianza”. Le cose
tutte “non somigliano”, ma “si adat-
tano” al numero nel senso che ammettono di essere ridotte a numero. In
tal senso appaiono un po’ più
accettabili le traduzioni «all things correspond to number» (Clark) e «Tutte le cose al numero
consentono» (Montoneri e
Giangiulio). 111 Cioè le
declamazioni. 112 Il termine οἰκείωσις
non può avere in questo contesto uno dei vari
significati che si riscontrano nelle dottrine etiche di età classica ed
ellenisti- ca, tanto meno quello
specificamente stoico. Del resto οἰκείωσις dev'essere intesa in contrapposizione al successivo suo
contrario ἀλλοτρίωσις. 113 Il testo
dice καταφρόνησις τοῦ κοινοῦ γένους, quindi il disprezzo per il genere comune, ma è chiaro che qui si
tratti del genere umano, che è appunto
comune a tutti gli uomini. 114 Nel
senso, io credo, che l’affinità di natura tra uomini e animali in quanto esseri viventi era una ragione a monte
per giustificare 4 fortiori l’affi- nità
degli uomini tra loro. 115 Non è chiaro
qui se si allude alla rovina economica o alla distruzione VITA DI PITAGORA 295 vera e propria della casa o della
città. 116 L'alimentazione ordinata
faceva parte dell'educazione pitagorica. Cf.
$ 106. 117 Non appare del tutto
evidente la relazione tra coraggio e immortalità dell'anima: probabilmente qui il coraggio sta
per la speranza in una ricom- pensa dopo
la morte. In effetti, come insegnava Platone, che certamente era vicino in questo ai Pitagorici, il coraggio è
una virtà dell’anima che contri- buisce,
in armonia con le altre virtù, alla “giustizia” dell'anima. 118 (ἢ, $ 133. 119 Cf. $ 130. Si tratta del triangolo
rettangolo scaleno, i cui lati, nel-
l’esempio addotto al $ 130, misurano 3 4 5. Una tale figura geometrica
ha infatti un’infinità di configurazioni
(tante quanti sono i multipli rispettiva-
mente di 3 4 5: ad esempio il triplo corrisponde al triangolo 9 12 15,
per cui la somma dei quadrati di 9 e 12
[81+144] è uguale al quadrato di 15 [225]),
ma la stessa proprietà di presentare il quadrato dell’ipotenusa sempre
ugua- le alla somma dei quadrati dei
cateti. 120 È un'opera che Giamblico
annunzia anche in Protr. 112,2 Pistelli.
121 Qui si adopera il termine generico χρωμένοις e non uno degli altri
ter- mini che indicano i suoi discepoli
(quali ad esempio ἑταῖροι, oprAntai,
μαθηταί, γνώριμοι), perché si vuole interpretare la funzione educativa
di Pitagora nel suo significato più
universale. Del resto qualche linea prima si
parlava dell’insegnamento della giustizia che Pitagora destinava a tutti
gli uomini in generale. Lo stesso vale
dunque anche per la temperanza. 122 Cf,
$ 34, dove sono appunto indicate per nome i vizi che occorre sra- dicare dal corpo e dall’anima: malattia,
ignoranza, ecc. 13 Cioè al nono mese
già compiuto, e quindi all’inizio del decimo.
Questo per dare il senso dell’avanzato stato di gravidanza, come dire che poteva partorire da un momento all’altro. Che
il parto avvenisse di solito all'inizio
del decimo mese, cioè a nono mese già compiuto, lo dice Galeno che segue Ippocrate. Cf. Gal. In Hipp. VI
libr. Epidem. 17a, 810,13 ss.: «Ebbene,
coloro che ritengono opportuno contare otto o dieci mesi a parti- re dal momento dell’aborto [ὅσοι μὲν γὰρ ἀπὸ
τοῦ τῆς ἀμβλώσεως χρόνου [ἐξ] ὀκτὼ ἢ
δέκα μῆνας ἀριθμεῖν ἀξιοῦσι], dicono che l’utero soffre di soli- to in questi due periodi, cioè mell’ottavo e
nel decimo mese [τὴν «ὑστέραν» φασὶν
εἰθίσθαι κακοπαθεῖν ἐν δυσὶ τούτοις χρόνοις, ὀγδόῳ καὶ δεκάτῳ μηνί], perché verso l’ottavo mese il feto si
capovolge, e nel decimo mese viene
partorito [κατὰ μὲν γὰρ τὸν ὄγδοον μῆνα στρέφεσθαι τὸ ἔμβρυον, ἀποκυίσκεσθαι δ᾽ ἐν τῷ δεκάτῳ]». 124 Cf. $ 112. 125 In effetti la maggior parte degli
scritti dei Pitagorici sono pseudepigra-
fi. 296 GIAMBLICO 126 Sembra evidente che non si tratti di
due divinità, ma solo di Apollo chiamato
Peone, cioè Soccorritore. 127 Cioè i
medici. 128 Castità non significa,
naturalmente, astinenza, ma sobrietà.
129 È plausibile che i “mali”, della cui responsabilità sono poco prima
sca- gionati gli dèi, siano da
intendersi, per opposizione, come “mali morali”. 130 Qui il termine σπέρματα non può essere
tradotto con “semi”, pena un
rovesciamento incomprensibile del discorso: si sta trattando infatti
delle “cause” dei mali (morali o
corporei), e non si vede come un male fisico possa essere causa di un male morale
(l’intemperanza). È probabile, anzi, che in
questo contesto il termine ἀκολασία debba essere inteso come sinonimo
di ἀκρασία (incontinenza). 131 Evidente allusione alla distinzione di
origine stoica tra λόγος ἐνδιάθε- toc e
λόγος προφορικός. 132 Cf, $ 111. 133 Si ricordi che si sta parlando di
quest’ultimo come la virtù preminen- te
dei Pitagorici, i quali preferivano morire piuttosto che trasgredire i
precet- ti di Pitagora. 134 Per il fatto, cioè, che tra gli uomini e
alcuni animali c’è rapporto di
convivenza (animali domestici) e anche di comportamento. 135 Il lungo passaggio che da $ 230 (= p.
124,1) arriva fin qui è una ripe-
tizione di $ 101,4-102,8 (= pp. 58,15-59,13). 136 Cf. sopra $ 127. 137 Lett. «dei discorsi di Pitagora», dal
momento che anche i discorsi che
Pitagora teneva in pubblico erano suoi insegnamenti (essoterici). 138 È questo un concetto già espresso al $
30 (= p. 17,21), dove troviamo il
participio ὁμονοοῦντες al posto di νοῦ ὁμόνοια. Si tratta, come si può evincere da quel passaggio, della concordia
di sentimenti con la quale, fin dalla
sua fondazione in Magna Grecia, ciascun Pitagorico'si legava, e resta- va legato, all'intera comunità dei discepoli
di Pitagora. 139 Questa integrazione mi
sembra necessaria, dal momento che il verbo
παραγγέλλειν, nelle sue varie forme sia verbali che nominali, è riferito costantemente a Pitagora e alle sue
prescrizioni. 140 Come sarebbe accaduto
se gli stranieri avessero parlato un dialetto a
loro estraneo, ad esempio il dorico, che era gradito ai Pitagorici.
Sembra questa l’interpretazione più
plausibile di un passaggio alquanto ambiguo e
poco chiaro. Ho trovato varie traduzioni tra loro incompatibili, ο addirittu- ra di senso rovesciato. La prescrizione (o
esortazione, se si deve intendere il
παρήγγελλον come vogliono Brisson/Segonds) data ai Greci che arrivano presso la comunità pitagorica di adoperare il
loro proprio dialetto patrio, non credo
possa significare altro se non che ciascun Greco dovesse parlare VITA DI PITAGORA 297 nella sua lingua di origine. Non credo
perciò che il dialetto patrio sia il dori-
co, come pensano Dillon e Hershbell. La ragione [espressa dal γάρ] non è altrettanto chiara e inequivocabile, anche
perché è tutta concentrata nel senso da
dare all’infinito gevitew: a me sembra piuttosto logica la ragione per cui i Pitagorici non volessero che i
Greci nuovi arrivati parlassero un dia-
letto straniero, se ipotizziamo che dava loro fastidio sentire parlare
un dialet- to, ad esempio il dorico, con
accento innaturale perché pronunziato da chi
non era abituato a usarlo. 141
Questo $ 244 è per intero una ripetizione di $ 163,7-164,2. 142 Certamente Ippaso. Per il significato da
dare all’espressione πρῶτον ἐκφάναντα,
cf. sopra $ 88, dove Ippaso viene indicato come colui che per primo costruf la sfera circoscrivendola a un
dodecaedro e che divulgò tale sua
scoperta 143 Cf. $ 88, dove si mette in
rilievo che il dodecaedro ha dodici facce
pentagonali. 144 Cf. $ 246. In
effetti si tratta della medesima teoria concernente il fatto che il rapporto tra lato e diagonale di un
triangolo rettangolo, in quanto
grandezze incommensurabili appunto, equivale a un numero irrazionale,
a un numero cioè che, in forma decimale,
non può essere rappresentato da un
numero di cifre finito né di forma periodica, nella fattispecie alla
radice qua- drata di 2. 145 Cioè perché aveva un pessimo
carattere. 14 Ripetizione di $ 184 (=
p. 102,17-20). 147 Lett. «scritti sulla
stele [στηλιτευθέντες]», cioè segnati per nome sulla colonna dell’infamia. 148 E quindi incapace di renderne
conto. 149 Hom. Od. 14,145 s. 150 Hom, I/. 1,263, passim. 151 Oppure Traente, se si accetta la lezione
Τράεντα proposta dal Bentley sulla base
di Diodoro Sic. ΧΙ 22,1. 152 Cioè
trecento: cf. $ 254 supra.
GIAMBLICO ESORTAZIONE ALLA
FILOSOFIA [3=36dP] Sommario del
secondo libro <della Surzzza
pitagorica> IAMBAIXOY XAAKIAEQY THX
KOIAHY XYPIAX IIPOTPEITTIKOX ΕΠῚ
DIAOYODIAN [3] KEDAAAIA TOY AEYTEPOY
ΛΟΓΟΥ͂ α΄ Τίς ἡ ἀρχὴ κατὰ Πυθαγόραν
τῆς εἰς παιδείαν καὶ φιλοσοφίαν
εἰσαγωγῆς, καὶ πῶς κοινοτάτη ἐστὶ καὶ εἰς πάντα τὰ εἰς φιλοσοφίαν ἀγαθὰ διατείνουσα, τίς τε αὐτῆς ἡ τάξις καὶ
ὅτι τριχῇ διαιρεῖται, καὶ πῶς ἀεὶ
πρόεισιν ἐπὶ τὸ καθαρώτερον. β΄ Γνωμικὰ
ὁμοιώματα προτρεπτικὰ ἀπὸ τῶν ἐναργῶν πᾶσι κινοῦντα ἡμῶν τὴν προθυμίαν ἐπὶ τὸ γενναίως
ἀντιλαμβάνεσθαι τῆς κοινῶς κατὰ πᾶσαν
αἵρεσιν νοουμένης ἀρετῆς. γ΄ Πυθαγορικαὶ
γνῶμαι προτρεπτικαὶ ἔμμετροι, εἰς πᾶσαν τὴν
ἀρίστην καὶ θειοτάτην φιλοσοφίαν παρακαλεῖν δυνάμεναι. δ΄ Ἐπιστημονικαὶ ἔφοδοι εἰς προτροπὴν
τείνουσαι τῆς θεωρητικῆς φιλοσοφίας μετὰ
τοῦ καὶ διδασκαλίαν παρέχειν ὅσον τε καὶ
ἡλίκον ἀγαθόν ἐστιν ἡ σοφία καὶδιὰ τίνας αἰτίας περισπούδα- στον τοῖς εὖ φρονοῦσι. ε΄ Πυθαγορικαὶ ἰδίως προτροπαὶ πολὺ
παραλλάττουσαι τὰς παρὰ τοῖς ἄλλοις
φιλοσόφοις παρακλήσεις καὶ [20] ἰδίας ποιούμεναι τὰς ἐφόδους.
ς΄ Σύμμικτοι προτροπαὶ πρός τε τὴν πρακτικὴν καὶ πολιτικὴν ἀρετὴν καὶ πρὸς τὴν τῆς τελειοτέρας κατὰ νοῦν
σοφίας κτῆσίν τε καὶ χρῆσιν. i ζ΄ [4] Ἰδιάζουσαι παρακλήσεις πρὸς τὴν
θεωρητικὴν φιλοσοφίαν καὶ διαφερόντως
τὴν κατὰ νοῦν ζωήν, αἱ μὲν ἀπὸ τῆς τοῦ ὄντως
ἀνθρώπου φύσεως, αἱ δὲ ἀπὸ τῶν ἐναργῶν ὑπομιμνήσκουσαι τουτὶ τὸ προκείμενον. η΄ Ὑπομνήσεις ἀπὸ τῶν κοινῶν ἐννοιῶν
παραμυθούμεναι τὸ πρώτως ὀρεκτὸν καὶ δι᾽
ἑαυτὸ αἱρετὸν φιλοσοφίας, ἐναργῶς τε προάγουσαι
εἰς τὴν προτροπὴν ἀπὸ τῶν γνωρίμων τοῖς πᾶσιν. θ΄ ᾿Απὸ τοῦ βουλήματος τῆς φύσεως ἔφοδος εἰς
προί 10]τροπὴν κατὰ τὴν Πυθαγόρου ἀπόκρισιν,
ἣν εἶπε τοῖς ἐν Φλιοῦντι πυνθανομένοις
τίς ἐστι καὶ τίνος ἕνεκα γέγονε" ταύτῃ γὰρ ἑπομένως
συλλογιζόμε- θα τὴν προτροπὴν ὅλην. ι΄ Ὅτι καὶ μεγάλας ὠφελείας παρέχεται πρὸς
τὸν βίον ἡ θεωρητικὴ φρόνησις, ὑπομνήσεις
πλείονες καὶ ἀπὸ πλειόνων ἀφορμῶν τρόποι
ESORTAZIONE ALLA FILOSOFIA
Sommario! del secondo libro
<della Sura pitagorica>?
1. Quale sia l’inizio della introduzione all'educazione e alla
filoso- fia secondo <l’insegnamento
di>? Pitagora, e come tale introduzione
sia la più comune e quella che si estende a tutti i beni relativi alla
filo- sofia, e quale sia il suo ordine e
il fatto che si divida in tre parti, e
come proceda sempre verso ciò che è più puro. 2. Sentenze protrettiche a mo’ di immagini,
che a partire dalle cose più evidenti a
tutti ci spingono a impegnarci sulla genuina virtà cosî come è concepita in generale secondo
ogni scuola filosofica.‘ 3. Sentenze
protrettiche pitagoriche in versi, capaci di invitarci ad ogni filosofia che sia la migliore e la pit
divina. 4. Percorsi scientifici tesi ad
esortare alla filosofia contemplativa e
a insegnare nello stesso tempo quanto grande e potente sia il bene della sapienza e per quali ragioni debba
ricercarlo chi è assennato. 5.
Esortazioni propriamente pitagoriche che vanno molto al di là delle raccomandazioni degli altri filosofi e
che aprono percorsi parti- colari. [37dP] 6. Esortazioni mescolate alla virtà
pratica e politica non- ché all'acquisto
e all'utilizzo della sapienza più perfetta dal punto di vista intellettivo. [4] 7. Raccomandazioni particolari alla
filosofia contemplativa e specialmente
alla vita intellettiva, derivanti alcune dalla vera natura dell’uomo, altre dall’evidenza delle cose
(queste ultime richiamano il presente
discorso). 8. Richiami che derivano da
nozioni comuni e che incoraggiano a ciò
che nella filosofia è desiderabile primariamente e da scegliere per se stesso, e che conducono in modo evidente
all’esortazione muoven- do da ciò che è
noto a tutti. 9. Percorso verso
l’esortazione a partire dall’intenzione della natu- ra, secondo la risposta che Pitagora diede, a
Fliunte, a coloro che gli domandavano
chi fosse e perché fosse nato; seguendo tale risposta, infatti, noi ragioneremo sull’intera
esortazione. 10. Che la prudenza
teoretica offra anche grandi utilità alla vita, è un fatto che mostrano molti richiami e modi
di servirsene, che, a par- 302
GIAMBLICO TE τῆς χρείας ὑποδείκνυνται
διάφοροι καὶ πρὸς πολλὰ τέλη τῶν
συμφερόντων ἡμῖν συμβαλλόμενοι.
ια΄ Ὅτι τῷ τὸν κατὰ νοῦν ἑλομένῳ βίον καὶ τὸ χαῖρον [20] διαφε- ρόντως ὑπάρχει. ιβ΄ ᾿Απὸ τοῦ πρὸς εὐδαιμονίαν φέρειν
φιλοσοφίαν τελέως καὶ ἀληθῶς ἔφοδος εἰς
προτροπὴν τοῦ φιλοσοφεῖν τελέαν καὶ ἀνυσιμ-
OTOTMV. ιγ΄ ᾿Απὸ τῶν περὶ
φιλοσοφίας ἐννοιῶν ἔφοδοι εἰς προτροπὴν κατὰ
τὰς Πυθαγορικὰς ὑποθέσεις καὶ κατὰ τὰς ἀληθεῖς περὶ ψυχῆς δόξας.
18° ᾿Απὸ τοῦ βίου τοῦ ἐν φιλοσοφίᾳ καὶ τῆς ὅλης ζωῆς τοῦ φιλοσόφου ἀφορμαὶ εἰς προτροπήν, ὁμοῦ ἐξ [5]
ἀντιπαραθέσεως ἐπιδεικνύου- σαι ὅσῳ δή
τινι προέχει N τοιαύτη ἐνέργεια τῶν ἄλλων τῶν
δοκούντων εὐδοκίμων εἶναι βίων.
ιε΄ ᾿Απὸ τῆς παιδείας καὶ ἀπαιδευσίας ἡ προτροπή, εἰ τὸ μὲν μέγι- στον τῶν ἀγαθῶν, τὸ δὲ τῶν κακῶν μέγιστον, εἰ
καὶ αὐτά τέ ἐστι τοιαῦτα καὶ ἔοικε
τοιούτοις τισὶν ἑτέροις οἷαπέρ ἐστιν αὐτά, καὶ
ὅτι φιλοσοφία μὲν παιδείας ἐστὶν ἡγεμών, τὸ δὲ ἐναντίον κατάρχει ἀπαιδευσίας.
15° [10] Ἄλλαι ἔφοδοι ἀπὸ τοῦ τέλους τῆς παιδείας προτρέπουσαι ἐπὶ τὴν συγγενῆ πρὸς τὸ παιδεύεσθαι
φιλοσοφίαν, τό τε ἔργον ὁμοῦ τῆς
φιλοσοφίας ἐπιδεικνύουσαι καὶ τὴν ὅλην αὐτῆς ἐπιμέλειαν περὶ τὰς ἀρίστας ἐνεργείας τῶν τῆς ψυχῆς
δυνάμεων. ιζ΄ ᾿Απὸ τῶν παλαιῶν λόγων
καὶ τῶν ἱερῶν μύθων τῶν τε ἄλλων καὶ τῶν
Πυθαγορικῶν ὑπομνήσεις εἰς προτροπὴν ἐπὶ τὸν σώφρονα καὶ μέτριον καὶ κεκοσμημένον βίον᾽ αἱ δὲ αὐταὶ
μεταβάλλουσι τὴν διά- νοῖαν ἡμῶν ἐκ τοῦ
πρὸς τὴν ἀκολασίαν καὶ τοῦ κατὰ τὴν ἡδονὴν
βίου. in [20] ᾿Απὸ τῶν ἐναργῶς
περὶ τὸ σῶμα φαινομένων τάξεων καὶ ἀπὸ
τοῦ περὶ αὐτὸ κόσμου κατὰ τὴν ἀνάλογον μετάβασιν τῆς διανοίας ἐπὶ ψυχὴν μεταβαίνοντες ποιούμεθα τὴν
προτροπὴν γνωρίμως τοῖς ἀκούουσι καὶ
πιθανῶς διὰ τὸ ἀπὸ τῶν ἐναργῶν αὐτὴν προϊέναι.
1θ΄ ᾿Απὸ τῶν ἐν τῇ ψυχῇ ἀγαθῶν ἔφοδος εἰς προτροπὴν ὡς ὄντων κυριωτάτων εἰς εὐδαιμονίαν, καὶ ἀπὸ τῶν
ἀρετῶν ὡς αὐτάρκων ὑπαρχουσῶν πρὸς τὸν
μακάριον βίον ἣ ὁμοία παράκλησις.
ESORTAZIONE ALLA FILOSOFIA 303
tire da molti impulsi, sono diversi e contribuiscono a molte
realizza- zioni dei nostri vantaggi. 11. Sul fatto che a colui che abbia scelto
di vivere intellettivamen- te appartiene
in maniera eccellente anche la gioia.
12. Dal fatto che la filosofia porta alla perfetta felicità deriva anche il vero percorso verso la perfetta e
più efficace esortazione a
filosofare. 13. A partire dalle
nozioni intorno alla filosofia, percorsi all’esor- tazione secondo le premesse pitagoriche e
secondo le vere opinioni
sull’anima. [38dP] 14. Impulsi
all’esortazione derivanti dallo stile di vita filo- sofico e dall’intera vita del filosofo,
impulsi che al tempo stesso [5] mostrano
per contrapposizione quanto, fra tali attività che sembrano essere <ambedue> apprezzate, la prima
sia superiore all’altra. 15. L'esortazione
che deriva dall’educazione o dalla mancanza di
educazione, se la prima sia il più grande dei beni, e l’altra il più
gran- de dei mali, e se esse siano tali
in se stesse e sembrino a taluni altri
quali esse sono in se stessa, e il fatto che mentre la filosofia è
guida dell'educazione, il suo contrario
invece comandi la mancanza di edu-
cazione. 16. Altri percorsi,
derivanti dal fine dell'educazione, che sono
protrettici alla filosofia nella sua connaturalità rispetto all’essere
edu- cati, e che mostrano al tempo
stesso l’operare della filosofia e la cura
che l’intera filosofia si prende delle migliori attività delle facoltà
del- l’anima. 17. A partire dai discorsi degli antichi e
dai sacri miti e da altri discorsi anche
pitagorici, i richiami all’esortazione verso la vita tem- perante e moderata e ordinata; gli stessi
richiami che stornano la nostra ragione
dalla vita intemperante e dedita al piacere.
18. Partendo dagli ordinamenti che appaiono in maniera eviden- te essere relativi al corpo e trasponendo il
discorso dal mondo corpo- reo all’anima
in virtù di un analogo passaggio della ragione, noi siamo in grado di esortare nobilmente e in modo
convincente gli uditori per il fatto che
la nostra esortazione procede da fatti evidenti. 19. Percorso all’esortazione derivante dai
beni dell’anima, in quanto sono quelli
più importanti per la felicità, nonché la simile rac- comandazione derivante dalle virtà in quanto
sono sufficienti per la vita beata. 304 GIAMBLICO κ΄ [6] Μεμιγμέναι ὑποθῆκαι προτροπαῖς κοινῇ
διήκουσαι ἐπὶ πάν- τα τὰ ἀγαθὰ καὶ τὰ
μέρη πάντα τὰ ἐν φιλοσοφίᾳ καὶ τὰ τέλη τοῦ
βίου, ὧν στοχάζεται ἡ ἀρετή. κα΄
Τίς ἡ συμβολικὴ προτροπὴ καὶ πῶς γίνεται διὰ συμβόλων, ἀνάπ- τυξίς τε καὶ κοινὴ τῶν συμβόλων καὶ ἰδία
ἑκάστου, μόνον ἀπ᾽ αὐτῶν τὸ προτρεπτικὸν
ἐξηγουμένη ποσαχῶς γίνεται, τὴν δὲ ἄλλην πραγ-
ματείαν περὶ τῶν συμβόλων ἀλλαχοῦ ὑπερτιθεμένη. IAMBAIXOY ΧΑΛΚΙΔΕΩΣ ΤΗΣ ΚΟΙΛΗΣ [10] ΣΥΡΙΑΣ ΠΡΟΤΡΕΠΤΙΚΟΣ ΕΠῚ ΦΙΛΟΣΟΦΙΑΝ I. Περὶ μὲν Πυθαγόρου καὶ τοῦ κατ᾽ αὐτὸν
βίου τῶν τε Πυθαγορικῶν ἀνδρῶν τὰ
σύμμετρα ἐν τοῖς πρὸ τούτων εἰρήκαμεν,
ἀρχώμεθα δὲ τὸ λοιπὸν αὐτοῦ τῆς αἱρέσεως ἀπὸ τῆς κοινῆς εἰς πᾶσαν παιδείαν καὶ μάθησιν καὶ ἀρετὴν
παρασκευῆς, ἥτις οὐ κατὰ μέρος
ἀπολαβοῦσα πρὸς ἕν τι τῶν πάντων παρασκευάζει τὸν ἄνθρωπον ἐπιτήδειον, ἀλλ᾽ ὡς ἁπλῶς εἰπεῖν τὰς
ἐν αὐτῷ προθυμίας προτρέπει εἰς πάντα
μὲν τὰ μαθή[7]ματα, πάσας δὲ τὰς ἐπιστήμας,
πάσας δὲ τὰς ἐν τῷ βίῳ καλὰς καὶ γενναίας πράξεις, πάσας δὲ παι- δείας, καὶ ὡς ἔπος εἰπεῖν πάντα ὅσα μετέχει
τοῦ καλοῦ. οὔτε γὰρ ἄνευ τοῦ προτραπῆναι
οἷόν τέ ἐστιν ὁρμῆσαι ἐπὶ τὰ καλὰ καὶ γεν-
ναῖα ἐπιτηδεύματα, οὔτε οἷόν τε εὐθὺς ἐπὶ τὸ ἀκρότατον καὶ τελε- ιτιότατον ἀγαθὸν προευτρεπίζειν τινὰ πρὶν
ἐμποιῆσαι ὑποκατα- σκευὴν τῆς ψυχῆς διὰ
τῆς προτροπῆς" ἀλλ᾽ ὥσπερ ἡ ψυχὴ κατὰ
βραχὺ πρόεισιν ἐπὶ τὰ μείζονα ἀπὸ τῶν ἐλαττόνων, διὰ πάν[10Ί]των τε διέξεισι τῶν καλῶν, καὶ ἐπὶ τῷ τέλει τὰ
τελεώτατα ἀγαθὰ εὑρίσκει, οὕτως καὶ τὴν
προτροπὴν δεῖ ὁδῷ προϊέναι ἀρχομένην ἀπὸ
τῶν κοινῶν. εἰς γὰρ φιλοσοφίαν ἁπλῶς παρορμήσει καὶ πρὸς αὐτὸ τὸ φιλοσοφεῖν συλλήβδην καθ᾽ ἡντινοῦν
ἀγωγήν, μηδεμιᾶς τῶν αἱρέσεων ἄντικρυς
προκρινομένης, ἀλλὰ κοινῶς κατὰ γένος
ἁπασῶν ἐπαινουμένων καὶ παρὰ τὰ ἀνθρώπινα ἐπιτηδεύματα πρε- σβευομένων κατά τινα κοινὸν καὶ δημώδη
προτρεπτικὸν τρόπον. μετὰ δὲ ταῦτα μέσῃ
τινὶ μεθόδῳ χρηστέον, οὔτε παντάπασι δημώδει
οὔτε [20] μὴν ἄντικρυς Πυθαγορικῇ, ἀλλ᾽ οὐδὲ ἀπηλλαγμένῃ ὁλοσχερῶς ἑκατέρου τοῦ τρόπου τούτου. ἐν δὲ
ταύτῃ κοινάς τε ESORTAZIONE ALLA
FILOSOFIA 305 [6=39dP] 20. Regole
miste che si estendono comunemente a esortazioni
a tutti i beni e a tutte le loro parti della filosofia e ai fini della vita, a cui mira la virtù. 21. Quale sia l'esortazione simbolica e come
sia fatta attraverso simboli, e in
quanti modi si disvelano i simboli in generale e ciascuno di essi in particolare, spiegandone l’aspetto
protrettico solo a partire da essi, e
spostandone altrove il resto della trattazione. [40dP] Giamblico di Calcide in
Celesiria Esortazione alla filosofia 1. Di Pitagora e della sua vita, nonché dei
Pitagorici, abbiamo detto in modo
appropriato nel libro precedente, <adesso> invece cominciamo a trattare il resto della sua
scuola a partire dalla prepara- zione
generale a tutta l'educazione e all’apprendimento e alla virti, educazione che non prepara l’uomo,
assumendolo in modo parziale, ad
un'unica occupazione fra tutte, bensi lo esorta, per dirla in breve, a impegnarsi interiormente in tutte le [7]
matematiche, da un lato, e dall’altro
lato in tutte le scienze, e in tutte le azioni belle e nobili della vita, e nell'educazione, e per cosî dire in
tutto ciò che partecipa del bello.
Infatti non è possibile, senza essere esortati, né provare impul- so per le belle e nobili occupazioni, né
predisporre immediatamente qualcuno al
più alto e più perfetto dei beni, prima di averne prepara- ta l’anima attraverso l’esortazione; ma cosi
come l’anima procede a piccoli passi
dalle cose minori a quelle maggiori, e attraversando tutte le cose belle [41dP] scopre alla fine i beni
più perfetti, allo stesso modo occorre
anche che l’esortazione proceda partendo dalle cose generali. Essa infatti darà assolutamente
impulso alla filosofia e, per dirla in
breve, allo stesso filosofare secondo una qualsiasi formazione, senza preferire pregiudizialmente nessuna
scuola, ma apprezzandole tutte insieme e
in generale, e valutandole per le occupazioni umane secondo un metodo protrettico generale e
volgare. Dopo di che occorre utilizzare
un metodo intermedio, che non sia né assolutamen- te volgare né direttamente riservato ai
Pitagorici, ma neppure del tutto lontano
dall’uno e dall’altro di tali metodi. In questo metodo noi 306 GIAMBLICO πάσης φιλοσοφίας τάξομεν παρορμήσεις, ὥστε
κεχωρίσθαι αὐτὰς Πυθαγορικοῦ βουλήματος
κατά γε τοῦτο, συμμίξομεν δὲ ἐγκαιρότα-
τα καὶ τὰς τῶν ἀνδρῶν τούτων κυριωτάτας δόξας [εἰς ἃς προτρέπειν τῶν Πυθαγορικῶν), ὥστε οἰκεῖον γίγνεσθαι [τὸν
τρόπον] τῶν [8] Πυθαγορικῶν ἀνδρῶν κατά
γε τοῦτο τὸν τρόπον τῶν λόγων᾽ ἀφ᾽ οὗ δὴ
λεληθότως, ὡς τὸ εἰκός, ἀπὸ μὲν τῶν ἐξωτερικῶν ἐννοιῶν ἀπο- στησόμεθα, μεταβησόμεθα δὲ καὶ οἰκειωσόμεθα
ταῖς κατὰ τὴν αἵρεσιν τεχνολογουμέναις
ἀποδείξεσιν, οἷον διά τινος γεφύρας ἢ
κλίμακος κάτωθεν εἰς ὕψος ἀνιόντες. ἐπὶ δὲ τῷ τέλει τὰ ἴδια προ- τρεπτικὰ τῆς Πυθαγορικῆς αἱρέσεως συντάξομεν,
ἀλλότρια καὶ ἀπόρρητα τρόπον τινὰ πρὸς
τὰς ἄλλας ἀγωγὰς ὑπάρχοντα. II. [10]
᾿Αρξώμεθα δὲ τὸ λοιπὸν ἀπὸ τῶν ὡς πρὸς ἡμᾶς πρώτων. ἔστι δὴ τὰ ἐναργῆ ταῦτα καὶ φαινόμενα πᾶσι
καὶ μηδέπω προειλ- ηφότα τὴν οὐσίαν τῆς
ἀρετῆς, κατὰ δὲ τὰς κοινὰς ἐννοίας περὶ αὐτῆς
ἀνεγείροντα ἡμῶν τὴν προθυμίαν κατά τινας γνωρίμους τοῖς πολ- λοῖς γνώμας, ἀπεικαζομένας πρὸς τὰ ἐναργῆ
δείγματα τῶν ὄντων. ἔχουσι δὲ αὗται ὧδέ
πως. Ψυχῇ ζῶντας ἡμᾶς τῇ ταύτης ἀρετῇ
ῥητέον εὖ ζῆν, ὡς ὀφθαλμοῖς ὁρῶντας τῇ
τούτων ἀρετῇ καλῶς ὁρᾶν. οὔτε χρυσοῦ νομιστέον ἰόν, οὔτ᾽ ἀρετῆς αἶσχος [20] ἅπτεσθαι, καθάπερ εἰς
ἄσυλον τέμενος τὴν ἀρετὴν [9] ὁρμητέον,
ὅπως πρὸς μηδεμίαν ἀγεννῆ ψυχῆς ὕβριν ὦμεν
ἔκδοτοι. [περὶ κοινωνίας βίου καὶ παραμονῆς.] ἀρετῇ μὲν θαρσητέ- ον ὡς σώφρονι γαμετῇ, τύχῃ δ᾽ ὡς ἀστάτῳ
πιστευτέον ἑταίρᾳ. κρεῖττον μετὰ πενίας
ἀρετὴν ὑποληπτέον ἢ πλοῦτον μετὰ κακίας,
ὀλιγοσιτίαν μετὰ ὑγείας ἢ πολυφαγίαν μετὰ νόσου. βλαβερὰ μάλι- στα τροφῆς μὲν ἀφθονία τῷ τὸ σῶμα, κτήσεως δὲ
τῷ τὴν ψυχὴν δια- κειμένῳ κακῶς. καὶ
ἐπισφαλὲς καὶ ὅμοιον μαινομένῳ δοῦναι μά-
yarpav καὶ μοχθηρῷ δύνα[]0]μιν. καθάπερ τῷ ἐμπύῳ βέλτιον τὸ καίεσθαι τοῦ διαμένειν, καὶ τῷ μοχθηρῷ τὸ
τεθνάναι τοῦ ζῆν. τῶν κατὰ σοφίαν
θεωρημάτων ἀπολαυστέον ἐφόσον οἷόν τε, καθάπερ ESORTAZIONE ALLA FILOSOFIA 307 ordineremo incitazioni generali ad ogni
filosofia, in modo da tenerle separate
dall’intenzione di Pitagora in proposito, e mescoleremo molto opportunamente le più importanti
opinioni dei filosofi pitago- rici, in
modo che in virtù di tale stile pitagorico divenga proprio dei [8] Pitagorici; a questo punto noi ci
allontaneremo dolcemente, com'è giusto
che sia,” dalle nozioni essoteriche, e passeremo, per ren- derle familiari, alle dimostrazioni
tecnicamente approfondite proprie della
scuola, elevandoci dal basso verso il punto più alto come attra- verso un ponte
o una scala. Alla fine metteremo insieme i discorsi protrettici propri della
scuola pitagorica, che sono in qualche modo forme di educazione estranee e
segrete rispetto a quelle delle altre scuole. 2. Cominceremo adesso dalle cose
che sono prime per noi. E que- ste sono in verità cose evidenti e visibili a
tutti [42dP] e che non pre-
suppongono affatto l’essenza della virtà, e che risvegliano il
nostro impegno secondo le nozioni
comuni relative alla virtà in virtà di certe
sentenze note alla maggior parte degli uomini, sentenze che sono imi-
tazioni rispetto alle chiare indicazioni della realtà. Esse sono pressap- poco
le seguenti. Poiché noi viviamo per mezzo della nostra anima, bisogna dire che
viviamo bene per mezzo della sua virtù; allo stesso modo, poiché vediamo per mezzo degli occhi, bisogna
dire che vediamo bene per mezzo della
loro virtà. Non bisogna né credere che la ruggine possa intaccare l’oro, né il vizio la virtà.
Bisogna lanciarsi nella virti come in
un santuario inviolabile, [9] allo stesso modo non dobbiamo arren- derci a nessuna ignobile tracotanza
dell'anima. Bisogna fidarsi della
virtà come di una moglie casta, e della fortuna come di una compa- gna incostante. Meglio assumere la virti
accompagnata da povertà che la
ricchezza accompagnata da malvagità, nonché la sobrietà accompagnata da salute che la voracità
accompagnata da malattia. È
assolutamente nociva l'abbondanza di cibo a chi sta male nel corpo,
e l'abbondanza di possedimenti a chi sta male
nell’anima. È parimenti rischioso
dare una spada a un pazzo e il potere a un malvagio. Allo stesso modo, per uno che ha una ferita
suppurata è meglio essere cau- terizzato piuttosto che rimanere in quello
stato, e per un malvagio è meglio morire piuttosto che vivere. Bisogna godere,
per quanto è pos- 308 GIAMBLICO ἀμβροσίας καὶ νέκταρος ἀκήρατόν te γὰρ τὸ ἀπ᾽
αὐτῶν ἡδὺ καὶ, τὸ θεῖον τὸ
μεγαλόψυχον δύναται [τε] ποιεῖν, καὶ εἰ μὴ ἀιδίους, ἀι- δίων γε ἐπιστήμονας. εἰ εὐκτὸν ἡ
εὐαισθησία, μᾶλλον σπουδαστὸν ἡ
φρόνησις" ἔστι γὰρ τοῦ ἐν ἡμῖν πρακτικοῦ νοῦ οἱονεί τις εὐαι- σθησία᾽ δι᾽ ἣν μὲν γὰρ ἐν οἷς πάσχομεν οὐ
παραισθανόμεθα, δι᾽ ἣν δὲ ἐν οἷς
πράττομεν οὐ παρα[10]λογιζόμεθα. καὶ τὸν θεὸν σεβόμε- θα κατὰ τρόπον, εἰ τὸν ἐν ἡμῖν νοῦν
παρασκενυάσαιμεν πάσης κακί- ας ὥσπερ
τινὸς κηλῖδος καθαρόν. κοσμητέον ἱερὸν μὲν ἀναθήμασι, τὴν δὲ ψυχὴν μαθήμασιν. ὡς πρὸ τῶν μεγάλων
μυστηρίων τὸ μικρὰ παραδοτέον, καὶ
πρὸ φιλοσοφίας παιδείαν. ὁ μὲν τῆς γῆς καρπὸς δι᾽ ἐνιαυτοῦ, καθ᾽ ἕκαστον δὲ ὥρας μόριον ὁ
«τῆς» φιλοσοφίας ἀποδίδο- ται.
καθάπερ χώρας μάλιστα ἐπιμελητέον τῷ τῆς ἀρίστης ἐπιτυχό- ντι, καὶ ψυχῆς, ὅπως
τῆς [10] φύσεως ἄξιον ἐνέγκηται τὸν καρπόν. Τοιαῦτα ἄν τις ἀπὸ τῶν ἐναργῶν
γνωμικὰ ὁμοιώματα παρατιθέμενος κοινῶς ἂν εἰς φιλοσοφίαν προτρέψειεν. III. Ἔστι
δὲ καὶ ἄλλος τύπος γνώμαις χρώμενος καὶ αὐτός, οὐκέ- τι δὲ διὰ παραβολῆς ἀντιπαρατιθεὶς τὰς
ὁμοιώσεις, ἔμμετρος καὶ ἐναρμόνιος,
γνήσιος τῶν ἀνδρῶν τούτων, ὃν ἔχομεν παρειληφότες ἐν ἄλλοις τε καὶ ἐν τοῖς Χρυσοῖς ἔπεσιν,
ὧν ὀλίγα ἄττα δείγματα παραθετέον τὰ
τοιαῦτα“ [20] ταῦτα πόνει, ταῦτ᾽ ἐκμελέτα, τούτων χρὴ ἐρᾶν ce‘: ταῦτά σε τῆς θείας ἀρετῆς
εἰς ἴχνια θήσει. διὰ γὰρ τούτων εἰς
πάντα τὰ καλὰ μαθήματά τε καὶ ἐπιτηδεύματα προτρέ- πει, μήτε πόνων φείδεσθαι οἰόμενος δεῖν,
μήτε μελέτην ὑφιέναι μηδεμίαν, εἰς
ἔρωτά τε καὶ προθυμίαν τῶν καλῶν διεγείρων, καὶ [11] πάντα ταῦτα ἀνάγων εἰς τὴν τῆς ἀρετῆς
ἐπιτήδευσιν οὐχ ἁπλῶς τῆς τυχούσης,
ἀλλ᾽ ἥτις ἡμᾶς ἀφίστησι μὲν τῆς ἀνθρωπίνης φύσεως, ἐπὶ δὲ τὴν θείαν οὐσίαν καὶ τὴν γνῶσιν τῆς
θείας ἀρετῆς καὶ τὴν κτῆσιν αὐτῆς περιάγει. ἀλλὰ μὴν εἴς γε τὴν θεωρητικὴν
σοφίαν διὰ τούτων παρακαλεῖ" τούτων δὲ κρατήσας γνώσεαι ἀθανάτων τε θεῶν 1
τρόπον: τρόπον erron. des Places. ESORTAZIONE ALLA FILOSOFIA 309 sibile, delle
contemplazioni secondo sapienza, come fossero ambrosia e nettare, perché è puro il piacere che da
esse deriva e il loro caratte- re
divino può rendere magnanimi, se non addirittura eterni, [43dP] in quanto ci dà effettivamente la scienza
delle cose eterne, Se è vero che
bisogna auspicarsi di avere buona sensibilità, la prudenza è anco- ra più degna di essere perseguita, perché
è come una buona sensibili- tà del
nostro intelletto pratico; per mezzo di essa infatti noi evitiamo di subire inganno nelle nostre percezioni,
ed evitiamo anche di ingan- narci nel
calcolare le nostre azioni. [10] E noi veneriamo dio come si deve, se preserviamo il nostro intelletto
puro da ogni malvagità come da una
macchia pestifera. Bisogna adornare il tempio con delle offer- te, e l’anima con le scienze matematiche.
Allo stesso modo, bisogna insegnare i
piccoli misteri prima dei grandi misteri, e bisogna educa- re prima di insegnare filosofia. Mentre il
frutto della terra si riprodu- ce
annualmente, quello della filosofia invece si riproduce ogni minu- to. Come deve prendersi cura della terra
soprattutto chi ne abbia avuta in
sorte quella di migliore qualità, cosi bisogna fare anche con l’anima, affinché
produca il frutto che è degno della sua natura. Chi presenterà tali tipi di
sentenze/immagini? derivanti da cose evidenti, farà un’esortazione generale
alla filosofia. 3. C'è anche un altro tipo di esortazione che si serve
anch'esso di sentenze, ma che non
pone più a mo’ di parabola le immagini alle
sentenze, giacché è già in versi e in musica, ed è genuinamente pita- gorico, e noi lo possediamo per averlo
appreso tra l’altro nei Versi aurei,
di cui è giusto presentare qui poche indicazioni, e cioè le seguenti: “Fatica su queste cose,
praticale, occorre che tu le ami: esse
ti porranno sulle tracce della divina virtà”.? Attraverso queste
paro- le Pitagora esorta a tutto ciò
che di bello c’è nelle scienze e nelle
occupazioni matematiche, ritenendo che non ci si debba risparmiare le fatiche, né trascurare alcuna pratica
di studio, stimolando all’amo- re e
[44dP] all’impegno per le cose belle, e [11] riducendo tutto questo alla pratica della virtii, e non
semplicemente di una qualsiasi virti,
ma di quella che ci allontana dalla natura umana, e ci conduce alla divina essenza e alla conoscenza e all'acquisizione
della divina virtà. Ma in effetti
Pitagora ci invita alla sapienza contemplativa con le seguenti parole: “Quando
tu avrai dominato queste cose, conosce- 310 GIAMBLICO θνητῶν τ᾽ ἀνθρώπων
σύστασιν, ἧ te ἕκαστα διέρχεται ἧ te κρατεῖται" [10] γνώσῃ δ᾽, ἣ θέμις
ἐστί, φύσιν περὶ παντὸς ὁμοίην, ὥστε
σε μήτε ἄελπτ᾽ ἐλπίζειν μήτε τι λήθειν. τούτων γὰρ οὐκ ἔστιν ἄλλα θαυμασιώτερα τοῖς εὖ πεφυκόσιν εἰς τὸ
παρορμᾶσθαι γεν- ναίως εἰς τὴν
θεωρητικὴν φιλοσοφίαν. ἡ μὲν γὰρ γνῶσις τῶν θεῶν ἀρετή τέ ἐστι καὶ σοφία καὶ εὐδαιμονία
τελεία, ποιεῖ τε ἡμᾶς τοῖς θεοῖς
ὁμοίους, ἡ δὲ τῶν ἀνθρωπίνων ἐπιστήμη τάς τε ἀνθρωπίνας ἀρετὰς παρέχει καὶ τῶν ἡμετέρων πραγμάτων
ἐμπείρους ποιεῖ, τά τε ἀπὸ τούτων
ὠφέλιμα καὶ βλαβερὰ διακρίνει, καὶ τὰ μὲν φυλάττε- ται [20] τὰ δὲ περιποιεῖ, καὶ ὅλως τὴν
σύστασιν ἥτις ἐστὶ τῆς ἀνθρωπίνης
ζωῆς λόγῳ τε καὶ ἔργῳ καταμανθάνει. τὸ δὲ θαυμασιώ- τατον ἐκεῖνο διδάσκεται ἀπὸ τῆς τοιαύτης
εἰδήσεως, κατὰ τί διέ- ρχεται εὐλύτως
καὶ ἀκωλύτως ἕκαστα τῶν ἐν ἡμῖν, ὅσα ἐστὶ τῆς κρείττονος μοίρας, καὶ κατὰ τί
κρατεῖται καὶ κωλύεται, ὥστε μὴ δύνασθαι ῥᾳδίως ἐξιέναι καὶ τῶν δεσμῶν
ἀπολύεσθαι. [12] Ἡ δὲ μετὰ ταύτην γνώμη εἰς φυσιολογίαν ποιεῖται τὴν παρά-
κλησιν καὶ πᾶσαν τὴν περὶ τὸν οὐρανὸν θεωρίαν. ἣ γὰρ τούτου φύσις ἀεί ἐστιν ὁμοία κατὰ τὴν αὐτὴν
περιφορὰν ὡσαύτως περιοῦσα, ἣν ἐάν
τις καταμάθῃ, οὔτ᾽ ἂν ἀπροσδόκητά ποτε προσδο- κήσειεν, οὔτ᾽ ἂν ἀγνοήσειέ τι
τῶν Kat ἀνάγκην αὐτῷ μελλόντων συμβαίνειν. Αἱ δὲ ἐπὶ τούτοις γνῶμαι ἀπὸ τῆς
προαιρετικῆς ἐν ἡμῖν ζωῆς ποιοῦνται τὴν παράκλησιν, οἷον [10] γνώσῃ δ᾽
ἀνθρώπους αὐθαίρε- τα πήματ᾽ ἔχοντας
τλήμονας. εἰ γὰρ ἀρχαὶ τῶν πράξεών εἰσιν οἱ
ἄνθρωποι, καὶ δύναμιν ἔχουσιν ἐξ ἑαυτῶν οἰκείαν εἰς αἵρεσιν τῶν ἀγαθῶν καὶ φυγὴν τῶν κακῶν, ὁ μὴ χρώμενος
ταύτῃ τῇ δυνάμει τῶν δοθέντων ἐκ
φύσεως αὐτῷ πλεονεκτημάτων ἐστὶν ἀνάξιος. οὐδὲν οὖν ἄλλο λέγει ἢ τοῦτο, ὅτι ἡμεῖς τὸν
δαίμονα αἱρούμεθα, καὶ ὅτι αὐτοὶ
ἑαυτοῖς ἐσμεν ἐν τύχης τάξει καὶ δαίμονος, καὶ ὅτι εὐδαίμο- νας αὐτοὶ ἑαυτοὺς παρασκευάζομεν᾽ ὃ πρὸς
[20] μόνον τὸ καλὸν προτρέπει καὶ τὴν
τούτου τιμὴν δι᾽ ἑαυτὸ αἱρετὴν ἐπιδείκνυσι. Παραπλήσια δὲ τούτῳ καὶ τὰ τοιαῦτά
ἐστιν᾽ [13] οἵ τ᾽ ἀγαθῶν πέλας 2 θαυμασιώτερον des Places. ESORTAZIONE ALLA
FILOSOFIA 311 rai la costituzione!® degli dèi immortali e degli uomini mortali,
dove cioè ciascuna <di tali realtà> si sviluppa <liberamente> e
dove viene trattenuta;!! e tu
conoscerai, per quanto ti è consentito, che la natu- ra è sempre la medesima, !? sicché né tu
puoi sperare ciò che è inspe- rabile,
né alcunché ti rimane nascosto”. Ebbene, non esistono cose più straordinarie di queste per coloro che
sono capaci per natura di slanciarsi
nobilmente verso la filosofia contemplativa, perché la conoscenza degli dèi è perfetta virtù e
sapienza e felicità, e ci rende
simili agli dèi, e d’altra parte la scienza delle cose umane fornisce
le virtù umane e ci rende esperti
delle nostre faccende, e serve a farci
distinguere ciò che esse producono di utile o di nocivo, e ci preser- vano da alcune cose e ce ne procurano
delle altre, e insomma ci fa
apprendere a parole e a fatti la costituzione che è propria della vita umana. Ma la cosa più straordinaria che
viene insegnata da un sape- re
siffatto è il conoscere come si sviluppi liberamente e senza intop- pi ogni aspetto della nostra vita, quali
siano le sue parti migliori, e come siano trattenute e impedite al punto che
non si possa facilmen- te uscirne svincolandosi dai legami. [12] La sentenza
successiva a questa è la raccomandazione all’in- dagine sulla natura e ad ogni
forma di contemplazione del cielo. La
natura di quest’ultimo, infatti, è sempre la medesima,!) [45dP]
per- ché ruota allo stesso modo
secondo la stessa rivoluzione, e se qualcu- no la vuole apprendere, né potrà
attendersi cose inaspettate, né potrà ignorare che cosa stia per accadergli
necessariamente. Le sentenze successive a queste sono raccomandazioni
prodotte dalla vita che noi stessi
scegliamo, ad esempio: “Tu conoscerai che gli uomini, quando sono sventurati, subiscono
le sventure che si sono scelte”. Se
infatti gli uomini sono causa delle loro azioni, possiedono anche il potere, che deriva proprio da
loro stessi, di scegliere i beni e di
fuggire i mali, perché colui che non si serve di questo potere è inde- gno dei vantaggi che la natura gli dà.!4
Nient'altro dunque dice <que- sta
sentenza> se non questo, cioè che noi scegliamo il nostro demone, e.che siamo per noi stessi nel ruolo della
fortuna e del demone, e che ci procuriamo da noi stessi la nostra felicità:
cosa che esorta alla sola bellezza e mostra che il valore di questa è l'essere
scelta per se stessa. Più o meno vicine a questa sono le sentenze del tenore
seguente: [13] “Coloro che, da un lato, quando sono vicini ai beni né li
guarda- 312 GIAMBLICO ὄντων οὔτ᾽ ἐσορῶσιν οὔτε κλύουσι, λύσιν δὲ κακῶν παῦροι
συνιᾶσι. τὸ γὰρ ἐγγὺς εἶναι τἀγαθὰ καὶ συμπεφυκέναι ἡμῶν τῇ ψυχῇ πάντων δὲ ὑπάρχειν οἰκειότατα ἡμῖν,
θαυμαστῶς ἐστι προ- τρεπτικά. καὶ τὸ
μήτε ὁρᾶν μήτε ἀκούειν, ὑπὸ δὲ τῆς αἰσθήσεως
ἐπισκοτεῖσθαι, δαιμονίως εἰς τὴν νοερὰν ζωὴν παρακαλεῖ, ὡς τοῦ νοῦ μόνου καὶ ὁρῶντος πάντα καὶ ἀκούοντος.
ἡ δὲ ἀπαλλαγὴ τῶν κακῶν, ἣν ὀλίγοι
καθορῶσι, προτρέπει εἰς [10] τὴν λύσιν τὴν ἀπὸ τοῦ σώματος καὶ τὴν ζωὴν τὴν
καθ᾽ ἑαυτὴν τῆς ψυχῆς, ἥντινα μελέτην θανάτου προσαγορεύομεν. Καὶ ἄλλος δ᾽ ἐστὶ
προτρεπτικὸς τρόπος ἐφεξῆς ἀπὸ τῆς διαβολῆς τῶν κακῶν. οὐ γὰρ ἀνεκτόν ἐστι
κυλινδρίοις ἐοικότας ἄλλοτ᾽ ἐπ᾽ ἄλλα φέρεσθαι, ἀπείρονα πήματ᾽ ἔχοντας. τὸ γὰρ
βίαιον καὶ ἀλόγιστον καὶ εἰκῇ φερόμενον καὶ ἄλλοτε ἀλλοῖον καὶ μάλιστα τὸ ἀπέραντον
ἡ κακία παρίστησιν, ἃ δεῖ διαφερόντως φεύγειν. [20] Ἡ δὲ μετὰ ταῦτα γνώμη ἐστὶ
τοιαύτη λυγρὰ γὰρ συνοπαδὸς ἔρις βλάπτουσα λέληθε σύμφυτος, ἣν οὐ δεῖ προάγειν,
εἴκοντα δὲ φεύγειν. ἐνταῦθα καὶ τὸ διττὸν τῆς ἀνθρωπίνης φύσεως ἐπέδειξε, καὶ
τὸ παραπεφυκὸς ἡμῖν ἀπὸ τῆς γενέσεως [14] ἀλλόέτριον ζῷον, ὅπερ οἱ μὲν
πολυκέφαλον θηρίον, οἱ δὲ θνητόν τι ζωῆς εἶδος, ἄλλοι δὲ φύσιν γενεσιουργὸν
καλοῦσιν’ ἐνταῦθα δὲ ἔριν σύμφυτον ἐπω- νόμασεν, οὐχ ὡς ἴσην τάξιν ἔχουσαν ἡμῶν
πρὸς τὴν κυριωτάτην ζωήν, ἀλλ᾽ ὡς συνοπαδὸν συνακολουθοῦσαν τῇ πρεσβυτέρᾳ ζωῇ.
ταύτην δὴ οὖν παραγγέλλει φεύγειν, ἀντὶ δὲ ταύτης ἀνταλλάττεσθαι τὴν ἄνευ
ἐναντιώσεως ἑνοειδῆ νοερὰν ἐνέργειαν, ἥτις ἀντὶ μὲν τοῦ βλάπτειν ἀγαθοειδής
ἐστιν, ἀντὶ δὲ τοῦ ῥέπειν [10] εἰς ὄλεθρον σωτηρίας ἀρχὴν παρέχει, καὶ τὴν μὲν
ἐπεισοδιώδη καὶ δευτέραν συνεπομένην ὑπόστασιν ὡς ἀλλοτρίαν ἐκτὸς μεθίησι, τὴν
δὲ πρωτουργὸν καὶ ἀφ᾽ ἑαυτῆς καὶ ἐν ἑαυτῇ πάντα ἔχουσαν τελεω- τάτην ζωὴν
προσείληφε. διὰ πάντα οὖν ταῦτα ἐκείνην μὲν ὡς ἐπὶ βραχύτατον συστέλλειν ἄξιον,
ταύτην δὲ προάγειν ὡς ἐπὶ πλεῖστον" καὶ οὕτως εἰς τὴν κατὰ νοῦν ζωὴν ἡ
τοιαύτη προτροπὴ γέγονεν ἀνυ- σιμωτάτη. Πρός γε μὴν τὴν θείαν τελειότητα καὶ
τὴν μετὰ θεῶν συνεπομένην ἀρίστην κατάστασιν αἱ τοιαῦται [20] γνῶμαι
παρακαλοῦσι᾽ Zed πά- ESORTAZIONE ALLA FILOSOFIA 313 no né li ascoltano,
raramente, dall’altro lato, comprendono come libe- rarsi dai mali”. Che i beni
ci siano vicini, infatti, e siano connaturali all'anima di tutti noi e ci
appartengano come le cose più proprie, tutto ciò è straordinariamente
protrettico. E il non guardare e il non ascol- tare, da un lato, e l’essere
ottenebrati dalla sensibilità, dall’altro lato, sono uno splendido invito alla
vita intellettiva, come se fosse il solo intelletto a guardare e ascoltare ogni
cosa. E la liberazione dai mali, che pochi [46dP] osservano, esorta a liberarci
dal corpo e a vivere la vita dell'anima in se stessa, che noi chiamiamo
“meditazione sulla morte”. C'è, in successione, anche un altro metodo
protrettico che è quel- lo che deriva dalla ripugnanza verso i malvagi. Non è
tollerabile, infat- ti, che simili a oggetti cilindrici “i malvagi, pur subendo
infinite sven- ture, si muovano di qua e di là”.!5 La malvagità infatti produce
la vio- lenza e l’irrazionalità e il muoversi a caso, e ora qua ora là, e
soprat- tutto l’illimitatezza, cose che bisogna assolutamente fuggire. La
sentenza successiva è la seguente: “Malefica compagna, infat- ti, colpisce di
nascosto l’innata contesa, che non bisogna alimentare, ma fuggire cedendole il
passo”. [14] E qui la sentenza indica la dop- pia natura dell’uomo, nonché
l’animale straniero che la natura ci ha messo accanto fin dalla nascita, e che
alcuni chiamano mostro police- falo, altri una specie mortale di vita, altri
ancora natura generatrice; ma qui Pitagora ha denominata “innata” la contesa,
non in quanto ha un posto uguale a quello che hanno gli aspetti relativi alla
nostra vita più propria,!6 ma in quanto è compagna che segue la nostra vita più
nobile. E quella appunto che Pitagora prescrive di fuggire, e cioè quella che
noi dobbiamo sostituire con la nostra attività intellettiva che è uniforme e
priva di contrasti, attività intellettiva che, invece che colpire, è affine al
bene e, invece che inclinare verso la rovina, è punto di partenza per la
salvezza, [47dP] e lascia fuori come straniera la realtà avventizia e quella
secondaria che ne consegue, e assume la vita primordiale e perfetta che ha da
sé e in sé ogni cosa. Per tutto ciò, dunque, è opportuno ridurre al minimo la
prima e alimentare al mas- simo quest’ultima; e cosî tale esortazione alla vita
secondo intelletto diviene la più efficace. In effetti alla divina perfezione e
alla migliore collocazione nel seguire gli dèi ci invitano le sentenze del tipo
seguente: “Padre Zeus, 314 GIAMBLICO τερ, ἦ πολλῶν γε κακῶν παύσειας ἅπαντας,
εἰ πᾶσιν δείξεις οἵῳ τῷ δαίμονι χρῶνται. ἀλλὰ σὺ θάρσει, ἐπεὶ θεῖον γένος ἐστὶ
βροτοῖσιν. ἐν δὴ τούτοις μία μὲν ἀρίστη παράκλησις εἰς τὴν θείαν εὐδαιμονί- αν
ἡ μεμιγμένη ταῖς εὐχαῖς καὶ ἀνακλήσεσι τῶν θεῶν καὶ μάλιστα τοῦ βασιλέως αὐτῶν
[15] Διός, δευτέρα δὲ ἡ τοῦ δοθέντος καὶ συγ- κληρωθέντος ἡμῖν ἀπὸ τῶν θεῶν
δαίμονος δεῖξις ἐμφανὴς καὶ δι᾽ αὖ- τοῦ πάλιν πρὸς τοὺς θεοὺς ἀναγωγή. οὐδὲ γὰρ
ἂν ἄλλως τις δυνηθείη πρὸς τὸ θειότατον ἑαυτοῦ καὶ κυριώτατον τῆς οὐσίας
ἀναδραμεῖν, εἰ μὴ τῷ τοιούτῳ δαίμονι ἡγεμόνι χρήσαιτο, ὃν δεῖ πάντα τὸν ἐραστὴν
τῶν θεῶν γνησίως ἀποκαθαίρειν. ἀφ᾽ οὗ δὴ πρώτη μὲν ἔσται κακῶν παῦλα τῶν
συμπεφυκότων ἡμῖν ἀπὸ τῆς γενέσεως, ἔπειτα γνῶσις ἡμῖν ἀληθινὴ [10] παρέσται
τῆς δαιμονίας καὶ μακαρίας ζωῆς, ὅση τίς ἐστι καὶ ὁποία᾽ μεθ᾽ ἧς ἀνιόντες τὸ
ἀρχηγὸν θεῖον γένος τῶν ἀνθρώπων κατοψόμεθα, καὶ εἰς αὐτὸ ἐνιδρυθέντες τέλος
ἕξομεν τοῦ προτεθέντος ὑπὸ τῶν θεῶν τοῖς ἀνθρώποις μακαριωτά- του βίου. Ἐπὶ
τέλει τοίνυν πρὸς τὴν μετάστασιν τῆς ψυχῆς προτρέπει καὶ τὴν ζωὴν αὐτῆς τὴν
καθ᾽ ἑαυτήν, καθ᾽ ἣν ἀπήλλακται τοῦ σώματος καὶ τῶν τῷ σώματι συνηρτημένων
φύσεων. λέγει δὲ οὕτως" ἡνίοχον γνώμην στῆσον καθύπερθεν ἀρίστην, [20] ἢν
δ᾽ ἀπολείψας σῶμα ἐς αἰθέρ᾽ ἐλεύθερον ἔλθῃς, ἔσσεαι ἀθάνατος θεὸς ἄμβροτος,
οὐκέτι θνητός. τὸ μὲν οὖν ἐν τῇ ἀνωτάτω τάξει τὸν ἄριστον νοῦν ἡγεμόνα
προστήσασθαι, τῆς ψυχῆς ἀκραιφνῆ τὴν ὁμοιότητα διασῴζει πρὸς τοὺς θεούς, εἰς ἣν
καὶ [16] προτρέπει πρώτως᾽ τὸ δ᾽ ἀπολιπεῖν τὸ σῶμα καὶ μεταστῆναι εἰς τὸν
αἰθέρα, μεταλλάττειν καὶ τὴν ἀνθρωπίνην φύσιν εἰς τὴν τῶν θεῶν καθαρότητα καὶ
ἀντὶ θνητοῦ βίου ἀθάνατον ζωὴν προαιρεῖσθαι, εἰς τὴν αὐτὴν οὐσίαν τε ἀποκα-
θίστασθαι παρέχει καὶ μετὰ θεῶν περίοδον, ἥνπερ εἴχομεν καὶ πρότερον πρὶν
ἐλθεῖν εἰς ἀνθρώπινον εἶδος. πέφηνεν ἄρα καὶ ἡ τῶν τοιούτων παρακλήσεων μέθοδος
εἰς ὅλα τὰ γένη τῶν ἀγαθῶν καὶ πρὸς πάντα τὰ εἴδη τῆς BeA[10]tiovoc ζωῆς ἡμᾶς
προτρέπουσα. IV. Εἰ δὲ δεῖ λοιπὸν καὶ ἐπὶ τὰς ἐσωτερικάς τε καὶ ἐπιστημονι- κὰς
προτροπὰς ὁρμῆσαι, προχειρισώμεθα πρώτας ἐκείνας, ὅσαι ESORTAZIONE ALLA
FILOSOFIA 212 tu ci renderai tutti liberi da molti mali se indicherai a noi
tutti di quale demone dobbiamo servirci. Ma tu abbi coraggio, perché divino è
il genere dei mortali”.!? [15] In queste parole c’è in primo luogo una
raccomandazione alla felicità divina, che è la migliore, perché è mescolata
alle preghiere e alle invocazioni degli dèi e soprattutto di Zeus che è il loro
re, ma in secondo luogo una chiara indicazione del demone che ci è concesso o
dato in sorte dagli dèi,!8 e dell'ascesa per mezzo di lui di nuovo verso gli
dèi. Non si potrebbe, infatti, per nien- t'altro risalire verso l'aspetto più
divino e più importante della pro- pria essenza, se non per mezzo di tale
demone, di cui ci si serve come guida, e che ha il compito di rendere
autenticamente puro ogni aman- te degli dèi. Da ciò appunto verrà una prima
cessazione dei mali che ci sono connaturali fin dalla nascita, poi ci sarà dato
di conoscere veramente la vita divina
e beata, e quanto grande e di che natura essa sia: innalzandoci assieme ad essa,
noi osserveremo la primigenia e divina natura degli uomini, e stabilendoci in
essa possiederemo il fine della vita più beata che è stata proposta dagli dèi
agli uomini. [48dP] Alla fine, dunque, Pitagora esorta l’anima a trasferirsi
<lassti> e a vivere la sua propria e autonoma vita, secondo la quale essa
si allontana dal corpo e dalle disposizioni naturali da esso dipen- denti. Ecco
che cosa dice: “Assumi come auriga l'ottima intelligenza!? che è quella che
viene dall'alto [sc. dagli dèi], e se dopo avere abban- donato il corpo giungerai
al libero etere, sarai immortale come un dio, non più un uomo mortale”.20
Orbene, il fatto che il migliore intellet- to si colloca come guida al posto
più elevato, questo mantiene intatta la [16] somiglianza dell'anima agli dèi,
somiglianza a cui è rivolta anche la prima esortazione; mentre il fatto di
abbandonare il corpo e l'emigrare verso l’etere, e il trasferire la natura
umana alla purezza degli dèi e lo scegliere una vita immortale al posto di una
mortale, tutto questo consente di restituirla all'essenza degli dèi e alla
rivolu- zione in loro compagnia, situazione che noi avevamo prima di giun- gere
alla forma umana. È chiaro dunque che il metodo di tali racco- mandazioni ci
esorta a tutti i generi dei beni e ad ogni forma di vita migliore. 4. Se a
questo punto occorre affrontare anche le esortazioni eso- teriche e
scientifiche, allora tratteremo anzitutto di quelle che, col for- 316 GIAMBLICO
μετὰ τοῦ διδαχὴν παρέχειν τῶν κυριωτάτων καὶ πρώτων οὐσιῶν ὁμοῦ καὶ
προτρέπουσιν ἐπὶ τὴν θεολογικὴν καὶ νοερὰν αὐτῶν ἀνεύ- ρεσίν τε καὶ μάθησιν,
καὶ πρὸς τὴν πρεσβυτάτην σοφίαν παρακα- λοῦσιν. ᾿Αρχύτας τοίνυν ἐν τῷ Περὶ
σοφίας εὐθὺς ἀρχόμενος προ- τρέπει οὕτως" «τοσοῦτον διαφέρει σοφία ἐν πᾶσι
τοῖς ἀνθρωπίνοις [20] πράγμασιν, ὅσον ὀψις μὲν αἰσθασίων σώματος, νόος δὲ
ψυχᾶς, ἅλιος δὲ ἄστρων. ὄψις τε γὰρ
ἑκαβολεστάτα καὶ πολυειδεστάτα τᾶν ἀλλᾶν αἰσθασίων ἐντὶ καὶ νόος ὕπατος λόγω
καὶ διανοίας τὸ δέον ἐπικραίνων καὶ ὄψις καὶ δύναμις τῶν τιμιωτάτων ὑπάρχων.
ἅλιός γε μὰν ὀφθαλμός ἐντι καὶ ψυχὰ τῶν φύσιν ἐχόν[] 7]των᾽ ὁρῆταί τε γὰρ δι᾽
αὐτῶ πάντα καὶ γεννῆται καὶ νοῆται, ῥιζωθέντα καὶ γενναθέντα δὲ τράφεταί τε καὶ
ἀέξεται καὶ ζωπυρῆται μετ᾽ αἰσθάσιος.» πάνυ ἐπιστημονικῶς ἐνταῦθα τήν τε φύσιν
καὶ ἐνέργειαν τῆς σοφίας ἐπι- δείκνυσι, καὶ ἀπὸ τοῦ χρησιμωτάτην αὐτὴν εἶναι
καὶ ἡγεμονι- κωτάτην ποιεῖται τὴν προτροπὴν ἐπὶ τὸν νοῦν καὶ τὴν θεωρίαν. καὶ
ἄλλο δὲ θαυμάσιον οἷον εἰς προτροπὴν ἀγαθὸν παρέχεται. ἀπὸ γὰρ τῶν γνωρίμων
ποιεῖται τὴν ὑπό[0]μνησιν δι᾽ ἀναλογίας ἐναργοῦς. τὸ γὰρ ὄψιν εἶναι ὀξυτάτην
τῶν αἰσθήσεων καὶ ἀκριβεστάτην καὶ τιμιωτάτην πᾶσι πρόδηλον, καὶ τὸ τὸν ἥλιον
τῶν ἄστρων ὑπερέχειν οὐδένα λέληθε, καὶ τὸ τὸν νοῦν τῆς ψυχῆς εἶναι ἐξάρχοντα
ἐν ταῖς κοιναῖς ἐννοίαις προειλήφαμεν. ἀπὸ δὴ τούτων τὸ διαφέρον παρα- δηλοῖ
τῆς σοφίας πρὸς ἅπαντα τὰ ἀνθρώπινα πράγματα γνωρίμως καὶ ἐπιστημονικῶς, ὥστε
εὐμαθὲς εἶναι τὸ ἀληθὲς καὶ εὔληπτον τοῖς ἀκούουσι τὸ κρυπτόμενον ἐν ἀφανεῖ.
πρὸς τούτοις τοίνυν καὶ ἀπὸ τῶν δια[20]φορῶν ἑκάστου ἥ τε εἴδησις τῆς σοφίας
καὶ ἡ πρὸς αὐτὴν προτροπὴ ἀναδιδάσκεται. τοῦτο μὲν γάρ, εἰ ἡ ὄψις ἐκαβολεστάτα καὶ
πολυειδεστάτα τᾶν ἀλλᾶν αἰσθασίων ἐντί, καὶ ἡ σοφία κατὰ τὰ αὐτὰ τὰ πορρωτάτω
ἀφεστηκότα ὡς παρόντα νοεῖ καὶ πάντων τῶν ὄντων τὰ εἴδη περιείληφεν ἐν ἑαυτῇ
τοῦτο δέ, εἰ ὁ νόος ὕπατος λόγω καὶ
διανοίας τὸ δέον ἐπικραίνων καὶ ὄψις καὶ δύναμις τῶν τιμιωτάτων ὑπάρχων, πάντως
που καὶ ἡ σοφία ὡσαύτως [18] ὑπερέχει λόγου καὶ διανοίας καὶ ταῖς ἁπλουστέραις
τούτων ἐπι- ESORTAZIONE ALLA FILOSOFIA 317 nire l'insegnamento insieme delle
sostanze principali e primarie, esor- tano anche alla scoperta e all’apprendimento
teologico e intellettivo di esse, e invitano alla più alta sapienza. In verità
Archita, nel suo scritto Sulla sapienza, subito fin dall’inizio fa la seguente
esortazione: “La sapienza differisce fra tutte le cose umane tanto quanto
differisce la vista fra <tutti> i sensi corporei, [49dP] e l’intelletto
differisce dal- l’anima quanto il sole da <tutti gli altri> astri. La
vista infatti è fra tutti gli altri sensi quello che raggiunge gli obiettivi
più lontani?! e che assume più forme, <cosi come> l’intelletto è
assolutamente superiore alla ragione discorsiva22 nel portare a termine il suo
compito ed è visione e potenza delle cose più preziose. Il sole, da parte sua,
è occhio e anima delle cose naturali; [17] tutte queste cose infatti si vedono
e si generano e si concepiscono tramite lui, e una volta che siano radicate e
generate si nutrono e crescono e si accendono alla vita dei sensi”.2> In
maniera assolutamente scientifica qui Archita mostra sia la natura che
l’attività della sapienza, e partendo dal fatto che que- sta è assolutamente
utile e atta a guidare, esorta all’intelletto e alla contemplazione. È un altro
meraviglioso bene viene fornito a mo’ di esortazione, e cioè il fatto che la
sapienza, muovendo da cose note,
produce la reminiscenza tramite un’evidente analogia. Che la vista sia
fra i sensi quello più acuto e preciso e più prezioso, è cosa nota a tutti, e
che il sole sia superiore a tutti gli altri astri, nessuno lo ignora, e che
l’intelletto stia a capo dell'anima, lo abbiamo già assunto tra le nozio- ni
comuni, Da ciò appunto risulta, in maniera evidente e scientifica, la
differenza tra la sapienza e tutte quante le altre cose umane, al punto che è
facile apprendere e comprendere la verità per coloro che intendono ciò che si
nasconde nell’invisibile. Inoltre, è certamente a partire da ciascuna di tali
cose diverse che si insegna a conoscere real- mente la sapienza ed anche ad
esortare ad essa. Questo infatti <vuole significare Archita>: se la vista
è fra tutti gli altri sensi quello che rag- giunge gli obiettivi più lontani e
assume più forme, anche la sapienza [50dP] pensa come presenti le cose che in
se stesse sono le più lonta- ne, e contiene in sé le forme di tutti gli enti; e
<vuole significare> anche questo, cioè che, se l’intelletto è più elevato
del discorso e della ragione nel portare a termine il suo compito ed è anche
visione e potenza delle cose più preziose, allora anche la sapienza, in ogni
caso, è parimenti [18] superiore al discorso e alla ragione e contempla gli 318
GIAMBLICO βλητικαῖς νοήσεσι τὰ ὄντα θεωρεῖ, τά τε ἀγαθὰ κρίνει ἀφ᾽ ἑαυτῆς καὶ
ἐπιτελεῖ ἐν ἑαυτῇ, τῶν τε νοητῶν ἐστιν ὄψις καὶ δύναμις τῶν θειοτάτων καὶ
τελειοτάτων ἐνεργειῶν ὑπάρχει᾽ τοῦτο δ᾽ αὖ, εἰ ὁ ἥλιος ὀφθαλμός ἐντι καὶ ψυχὰ
τῶν φύσιν ἐχόντων ὁρῆταί τε γὰρ δι᾽ αὐτῶ πάντα καὶ γεννῆται καὶ νοῆται,
ῥιζωθέντα καὶ γενναθέντα δὲ τράφεταί
τε καὶ ἀέξεται καὶ ζωπυρῆται μετ᾽ [10] αἰσθάσιος: δῆλόν που καὶ ἀπὸ τούτων γίγνεται ὡς ὀφθαλμός
ἐστι καὶ ζωὴ τῶν νοερῶν ἡ σοφία, καὶ
τὸ ὁρᾶσθαι τοῖς νοουμένοις παρέχει πᾶσι καὶ τὸ εἶναι τοῖς οὖσι, δημιουργίας τε πάσης ἀρχηγὸς
γίγνεται ἐν τῷ κόσμῳ καὶ γεννήσεως
τῆς πρώτης καὶ τάξεως, καὶ δὴ καὶ ἐν ἡμῖν ὡσαύτως. τὴν δὴ τοιαύτην τε καὶ τοσαύτην αἰτίαν καὶ
τοσαῦτα ἀγαθὰ παρέχου- σαν τίς οὐκ ἂν
μετὰ μεγάλης σπουδῆς μεταθέοι ἂν προθύμως, βου- λόμενος τῆς ἀρίστης εὐδαιμονίας
μεταλαμβάνειν; ‘H μὲν οὖν ἀπὸ τοῦ τίμιον εἶναι τὴν σοφίαν
[20] προϊοῦσα εἰς προ- τροπὴν ἔφοδός
ἐστι τοιαύτη, ἡ δὲ ἀπὸ τοῦ ὄντως ἀνθρώπου
ὑπομιμνήσκουσα τῆς ἐπὶ τὰ αὐτὰ προτροπῆς διὰ τῶν" ἑξῆς
ἐπιδείκ- νυται τῶν οὕτω λεγομένων
«ἄνθρωπος πάντων ζῴων ἐπὶ πολλὸν γέ-
yove σοφώτατος" θεωρῆσαί τε γὰρ δυνατός ἐντι τὰ ἐόντα καὶ ἐπι- στάμαν καὶ φρόνασιν λαβὲν αὐτῶν ἁπάντων.
παρὸ καὶ ἐνεχάραξε [καὶ
ἐπεσημήνατο]" τὸ θεῖον αὐτῷ τὸ τῶ παντὸς λόγω σύσταμα, ἐν ᾧ τά τε εἴδεα πάντα τῶ [19] ἐόντος
ἐνδέδασται καὶ ταὶ σαμασίαι [τε] τῶν
ὀνυμάτων τε καὶ ῥημάτων. τοῖς μὲν γὰρ φθόγγοις τᾶς φωνᾶς τόπος ἀφώρισται φάρυγξ καὶ στόμα καὶ
ῥῖνες. ὥσπερ δὲ τῶν φθόγγων, δι᾽ ὧν
τὰ ὀνύματά τε καὶ ῥήματα τυπούμενα σαμαίνεται, γέγονεν ἄνθρωπος ὄργανον, οὕτω δὲ καὶ τῶν
νοαμάτων ἐν τοῖς ἐό- ντεσσιν
ὀπτιζομένοις.6 ἔργον σοφίας τοῦτο δοκεῖ μοι ἦμεν, ποθ᾽ ὅπερ καὶ γέγονε καὶ συνέστα ὁ ἄνθρωπος
[10] καὶ ὄργανα δὲ καὶ δυνάμεις
εἴλαφε παρὰ τῶ θεῶ.» αὕτη ἡ ἔφοδος ἐπὶ τὴν προτροπὴν ἀπὸ τῆς φύσεως γέγονε τοῦ ἀνθρώπου. εἰ γὰρ
σοφώτατός ἐστι καὶ θεωρῆσαι τὰ ὄντα
δυνατός, τῆς θεωρητικῆς αὐτὸν καὶ θεολογικῆς
σοφίας δεῖ ἀντιποιεῖσθαι καὶ εἴπερ ἐπιστήμην καὶ φρόνησιν λαβεῖν ἁπάντων δύναμιν ἔχει παρὰ τῆς
φύσεως, τὴν ἀποδεικτικὴν
3 τῶν: τῶς erron. des Places.
4 καὶ ἐπεσημήνατο
eliminò Pistelli post Vitelli.
5 [te] eliminò Pistelli:
ταὶ des Places post Thesleff.
6 ἐν τοῖς ἐόντεσσιν
ὀπτιζομένων sine cruce des Places.
ESORTAZIONE ALLA FILOSOFIA 319
enti per mezzo di
pensieri più semplici e più diretti che non quelli, e giudica da se stessa i beni e li realizza
in se stessa, ed è visione degli
intelligibili nonché potenza delle attività più divine e più perfette;
e poi <vuole significare> anche
questo, e cioè che, se il sole è occhio e
anima delle cose naturali (tutte queste cose infatti si vedono e si
gene- rano e si concepiscono tramite
lui, e una volta che siano radicate e
generate si nutrono e crescono e si accendono alla vita dei sensi),
allo- ra a partire da ciò risulta
chiaro in qualche modo che la sapienza è
come occhio e vita degli enti intellettivi, e consente a tutti gli enti
pen- sati di essere contemplati e a
tutti gli enti di esistere, e <cosî> diven- ta principio fondante dell’intera
creazione e della prima generazione e
dell'ordine di ciò che è nel mondo, e allo stesso modo, quindi, anche di ciò che è in noi. Una causa di siffatta
natura e cosî grande e che offre beni
cosî grandi, chi non si impegnerebbe a trattarla con grande cura, volendo partecipare della migliore
felicità? È tale dunque il percorso che, a partire
dal fatto che la sapienza è preziosa,
procede all’esortazione, l’altro è quello che, a partire dall’ef- fettiva realtà dell’uomo, richiama alla
memoria questa stessa esorta- zione
per mezzo di ciò che Archita espone con le seguenti parole: [51dP] “Tra tutti gli esseri viventi il
più sapiente è l’uomo, perché è
capace di contemplare gli enti e di acquisire di essi tutti scienza e
pru- denza. Perciò il divino ha anche
impresso?4 nell’uomo l’intero sistema
della ragione, nel quale sono state distribuite tutte le forme
dell’esse- re [19] e i significati
dei nomi e dei verbi. Infatti alle articolazioni della voce è stata assegnata come sede la
faringe e la bocca e le nari- ci.
Cosi come l’uomo è divenuto strumento delle articolazioni della voce, per mezzo delle quali vengono
significati i nomi e i verbi che vi
sono impressi, allo stesso modo è divenuto strumento anche dei pen- sieri che si presentano in maniera
visibile? negli enti. A me sembra
opera della sapienza ciò da cui è stato generato e di cui si
compone l’uomo, nonché gli organi e
le facoltà che egli ha ricevuto da dio”.26 È
questo il percorso all’esortazione che parte dalla natura dell’uomo.
Se infatti questi è il più sapiente
<degli animali> ed è in grado di con-
templare gli enti, occorre che esiga per sé la sapienza contemplativa e teologica; e se è vero che egli ha per sua
natura la capacità di conse- guire
scienza e prudenza in ogni cosa, allora occorre che persegua la scienza dimostrativa e la virti secondo
prudenza come quella che gli
320 GIAMBLICO
ἐπιστήμην αὐτὸν δεῖ
μεταδιώκειν καὶ τὴν κατὰ φρόνησιν ἀρετὴν ὡς
μάλιστα αὐτῷ πρέπουσαν. διότι γε μὴν ἐνετυπώσατο ἐν αὐτῷ τὸ θεῖον τὸ τοῦ παντὸς λόγου [20] σύστημα, ἐν
ᾧ καὶ τὰ εἴδη πάντα τῶν ὄντων καὶ αἱ
σημασίαι ἐνυπάρχουσι τῶν ὀνομάτων τε καὶ ῥημάτων, διὰ τοῦτο τῆς λογικῆς αὐτὸν φιλοσοφίας
πάσης ἀντιλαμβάνεσθαι προσήκει,
ἐπειδὴ οὐ τῶν σημαινομένων μόνον «διὰ τῶν φθόγγων ὄργανον» γέγονεν ὁ ἄνθρωπος, ἀλλὰ καὶ τῶν
νοημάτων τῶν ἐν τοῖς οὖσι [20] θεωρὸς
ὑπάρχει, καὶ πρὸς τοῦτο γέγονε καὶ ὄργανα καὶ δυνάμεις εἴληφε παρὰ τοῦ θεοῦ. διὰ ταῦτα
δὴ πάλιν περὶ πᾶν τὸ ὄν, ἡ ὄν, τῆς
θεωρητικῆς σοφίας ἐφίεσθαι αὐτὸν χρή, καὶ τὰς ἀρχὰς καὶ τὰ κριτήρια πάσης γνώσεως μεταθεῖν
ἐπιστημονικῶς περὶ πάντα τὰ γένη τῶν
ὄντων’ αὐτόν τε τὸν νοῦν καθ᾽ ἑαυτὸν καὶ τὸν καθαρώτα- τον λόγον ἐπισκοπεῖσθαι ἀξιον᾽ καὶ ὅσαι
ἀπ᾽ αὐτοῦ ἀρχαὶ ἐνδίδον- ται εἰς τὰ
καλὰ καὶ ἀγαθὰ τοῦ ἀνθρωπίνου βίου, καὶ ὅσα περὶ ἀρετῶν [10] ἐπιλογιζόμεθα καθόλου, καὶ ὅσα
περὶ μαθημάτων ἢ ἄλλων τινῶν τεχνῶν ἢ
ἐπιτηδευμάτων μανθάνομεν, προσήκει προ-
θύμως ἀναδιδάσκεσθαι. καὶ οὕτω πρὸς ὅλην τὴν φιλοσοφίαν καὶ ἡ ἀπὸ τῆς φύσεως τοῦ ἀνθρώπου ὁρμωμένη
γέγονε παράκλησις. Ποιεῖται δὲ καὶ ἄλλην σύμμικτον ἔφοδον ἐπὶ
τὰ αὐτὰ προτρέπου- σαν ὧδέ πως
«γέγονε καὶ συνέστα ὁ ἄνθρωπος ποττὸ θεωρῆσαι τὸν λόγον τᾶς τῶ ὅλω φύσιος: καὶ τᾶς σοφίας ὦν
ἔργον «κτᾶσθαι» καὶ θεωρὲν τὰν τῶν
ἐόντων φρόνασιν.» ὃ δή φαμεν [20] ἐν τούτοις σύμ- ULKTOV, ἐκεῖνό ἐστι τῇ γὰρ ἰδίᾳ φύσει τὴν
κοινὴν συνεκέρασεν, ὡς ἐχουσῶν τούτων
συμφωνίαν πρὸς ἀλλήλας. εἰ γὰρ ὅ τε λόγος τοῦ ἀνθρώπου θεωρητικός ἐστιν ἐν τῷ λόγῳ τᾶς
τῶ ὅλω φύσιος καὶ ἡ σοφία τοῦ
ἀνθρώπου κτᾶται καὶ θεωρεῖ τὰν τῶν ἐόντων φρόνασιν, ὁμοῦ μὲν ὁμολογία οὖσα ἀποδέδεικται τῆς
μεριστῆς τοῦ λόγου καὶ τῆς τοῦ ὅλου
νοερᾶς φύσεως, ὁμοῦ δὲ καὶ ἡ προτροπὴ τελεω[21]τέρα γέγονεν. οὐ γὰρ ἄλλως διαβιωσόμεθα κατὰ
φύσιν, οὗ πάντες διαφε- ρόντως ἐφιέμεθα,
ἐὰν μὴ κατὰ λόγον ζῶμεν τὸν θεῖον καὶ τὸν
ἀνθρώπινον, οὐδὲ ἄλλῃ πῃ εὐδαιμονήσομεν, ἐὰν μὴ κτησώμεθα διὰ φιλοσοφίας καὶ θεωρήσωμεν τὴν τῶν ὄντων
φρόνησιν. ἄλλη τοίνυν ἐν τούτοις
τοιαύτη νοείσθω σύμμιξις" ἐν ταὐτῷ γὰρ παρορμᾶν ἐπι-
7 οὐ: Οὐ erron. des
Places.
ESORTAZIONE ALLA FILOSOFIA 321
conviene al più alto livello. Proprio per
questo la divinità ha impres- so in
lui l’intero sistema della ragione, in cui esistono tutte le forme degli enti e tutti i significati dei nomi
e dei verbi; perciò conviene a lui
assumere tutta la filosofia razionale, poiché l’uomo non è soltanto strumento dei significati per mezzo delle
articolazioni della voce, ma è anche
capace di contemplare i pensieri che sono negli enti, [20=52dP] e per questo fine egli è nato e
ha ricevuto da dio sia gli organi che
le facoltà. E perciò, ancora a proposito di tutto l’essere in quanto essere, è necessario che egli miri
alla sapienza contemplativa, e rintracci
scientificamente i principi e i criteri di ogni conoscenza relativa a tutti i generi degli enti; ed è
opportuno che egli indaghi sul-
l'intelletto in sé e sulla ragione più pura: e tutti i principi che da
que- st'ultima sono forniti ai fini
del bello e del bene della vita umana, e
tutto ciò che noi in generale computiamo sulle virtù, e tutte le
scien- ze matematiche e alcune altre
tecniche e professioni che noi imparia-
mo, tutto questo conviene che sia appreso con impegno. È questa la raccomandazione all’intera filosofia
quando si prendono le mosse dalla
natura dell’uomo. Archita mostra anche in che modo sia
possibile un altro percor- so, questa
volta misto, che esorta alle medesime cose: “L'uomo è nato ed è strutturato per contemplare la
ragione della natura dell’univer- so;
ed è opera della sapienza?” acquistare e contemplare la ragione degli enti”.28 Ciò che in effetti
intendiamo dire in questo caso <par-
lando di percorso> “misto” ha la seguente ragione: <Archita>
ha mescolato la natura comune con
quella propria <dell’uomo>,?? come
se ambedue potessero accordarsi tra loro. Se infatti, da un alto la ragione dell’uomo è capace di contemplare
al suo interno?0 la ragio- ne della
natura universale, e dall’altro lato la sapienza dell’uomo acquista e contempla la ragione degli
enti, sono contemporaneamen- te
dimostrati l'accordo tra la natura individuale?! della ragione e quella intellettiva dell’universo, e al
contempo anche l'esortazione diviene
più perfetta. [21] Infatti noi non vivremo secondo natura, che è ciò a cui tutti noi miriamo
particolarmente, se non viviamo
secondo una ragione <al tempo stesso> divina e umana, né
saremo felici in altro modo se non
[53dP] acquisiremo e contempleremo
attraverso la filosofia la ragione degli enti. In verità occorre
conside- rare in tutto ciò un’altra
mescolanza, e cioè che <Archita> cerca di
322 GIAMBLICO
χειρεῖ εἴς τε τὴν πρακτικὴν
καὶ θεωρητικὴν φιλοσοφίαν. τὸ μὲν γὰρ
κτήσασθαι φρόνησιν ποιητικῆς τινός ἐστι καὶ πρακτικῆς ἀρετῆς [10] ἔργον, ἧς τέλος οὐ τὸ κατιδεῖν ἁπλῶς
οὑτωσίν, ἀλλὰ τὸ προσλα- βεῖν αὐτὸ
διὰ τῶν ἐνεργειῶν, τό γε μὴν θεωρῆσαι τοῦ θεωρητικοῦ νοῦ ἐνέργημα ὑπῆρχε. πρὸς ἀμφότερα τοίνυν
ἡ προτροπὴ δεόντως γέγονεν.
Ἐπεὶ τοίνυν μᾶλλον τὸ κοινὸν καὶ διατεῖνον ἐπὶ πάντα τῆς σοφίας ἀγαθὸν διαφαίνεται, καὶ ἡ προτροπὴ
τελεωτέρα πρὸς αὐτὸ γίγνεται διὰ τῶν
τοιούτων᾽ «ἁ σοφία οὐ περί τι ἀφωρισμένον ἐντὶ τῶν ἐόντων, ἀλλ᾽ ἁπλῶς περὶ πάντα τὰ ἐόντα, καὶ δεῖ μὴ
πρώταν αὐτὰν τὰς ἀρχὰς αὑτᾶςϑ
ἀνευρέσθαι, ἀλλὰ τὰς [20] κοινὰς τῶν ἐόντων’ οὕτω γὰρ ἔχει σοφία περὶ πάντα τὰ ἐόντα ὡς ὄψις περὶ
πάντα τὰ ὁρατά. τὰ ὦν καθόλω πᾶσι
συμβεβακότα συνιδὲν καὶ θεωρὲν τᾶς σοφίας οἰκῆον, καὶ διὰ τοῦτο σοφία τὰς τῶν ἐόντων ἁπάντων
ἀρχὰς ἀνευρίσκει.» πάλιν γὰρ ἐνταῦθα
οὐκ ἀφορίζει περί τι [22] μέρος τὴν ἐνέργειαν αὐτῆς, ἀλλὰ κοινῇ διήκειν φησὶν ἐπὶ πάντα
τὰ ὄντα, τάς τε ἀρχὰς τὰς κοινὰς τῶν
ὅλων φησὶν αὐτὴν ἐπισκοπεῖν καὶ κατὰ γένη ταῦτα θεωρεῖν καὶ κατὰ ἁπλουστάτας ἐπιβολάς,
ὥσπερ ἡ ὄψις τοῖς ὁρατοῖς ἐπιβάλλει,
τούς τε καθόλου λόγους πάντων φησὶν αὐτὴν
περιέχειν, καὶ πρὸς τούτῳ θεωρεῖν καὶ διαλογίζεσθαι μόνην δὲ καὶ ἀνυπόθετον εἶναι ἐπιστήμην, ἅτε δὴ τῶν
ὄντων πάντων τὰς ἀρχὰς ἀνευρίσκουσαν
καὶ περὶ τῶν οἰκείων ἑαυτῆς ἀρχῶν
δυνα[10]μένην λόγον διδόναι. εἰς καλὸν ἄρα συμβαίνει ἡ ἔφοδος τῆς προτροπῆς᾽ εἰ γὰρ τῆς τοιαύτης σοφίας
οὔτε καθολικωτέραν οὔτε τελειοτέραν
οὔτε κοινοτέραν οὔτε αὐταρκεστέραν οὔτε ἀγα-
θοειδεστέραν ἢ καλλίονα δυνατὸν λογισμῷ λαβεῖν, ταύτης ἐφίε- σθαι χρὴ τοὺς βουλομένους κατὰ λόγον καὶ
νοῦν εὐδαιμονεῖν. Ἐν τῷ τέλει τοίνυν πρὸς αὐτὸ τὸ ἀκρότατον
ἄνεισιν ἡ παράκλησις ὧδέ rog: «ὅστις
ὧν ἀναλῦσαι οἷός τέ ἐντι πάντα τὰ γένεα ὑπὸ μίαν τε καὶ τὰν αὐτὰν ἀρχὰν καὶ πάλιν συνθεῖναί
τε καὶ συν- αριθ[2Ζ0]μήσασθαι, οὗτος
δοκεῖ μοι καὶ σοφώτατος ἦμεν καὶ πανα-
λαθέστατος, ἔτι δὲ καὶ καλὰν σκοπιὰν εὑρηκέναι, ἀφ᾽ ἃς δυνατὸς
8 αὑτᾶς Pistelli post
Vitelli: αὐτὰς des Places post Thesleff.
ESORTAZIONE ALLA FILOSOFIA 323
spronare nello stesso
tempo verso la filosofia pratica e verso quella contemplativa. L'acquisire prudenza,
infatti, è opera di virtii che pro-
duce qualcosa, ma anche di virtù pratica, il cui fine ultimo non è quello di osservare <il bene>?? cosi
semplicemente, ma quello di con-
seguirlo attraverso le azioni, mentre il contemplare è azione
dell’in- telletto contemplante.
L'esortazione <di Archita> in effetti deve esse- re stata rivolta ad ambedue questi
scopi. Ma poiché il bene della sapienza è
maggiormente visibile quando è comune
e si estende a tutto, anche l’esortazione al bene diviene più perfetta per via delle seguenti parole di
Archita: “La sapienza non riguarda un
determinato ente, ma tutti gli enti in assoluto, e non deve anzitutto scoprire i suoi propri principi,
ma i principi comuni <a tutti>
gli enti;?? in tal modo infatti la sapienza sta a tutti gli enti come la vista sta alle cose visibili. E proprio
della sapienza il vedere e con-
templare le proprietà di ogni cosa in generale, ed è per questo che
la sapienza è capace di scoprire i
principi di tutti quanti gli enti”.
Archita, infatti, a questo punto, ancora una volta, non stabilisce che l’attività della sapienza concerne
qualcosa di particolare, [22] ma che
la sua natura si estende in generale a tutti gli enti, e afferma che
essa esamina i principi comuni
dell’universo e li contempla secondo i loro
generi e secondo le intuizioni più semplici,)4 cosî come la vista
intui- sce le cose visibili, e afferma
ancora che la sapienza contiene i rappor-
ti matematici universali di ogni cosa, oltre che contemplarli e
ragio- narvi sopra; ed è una scienza
unica e anipotetica,36 [54dP] in quanto,
appunto, scopre i principi di tutti gli enti ed è capace di rendere ragione degli stessi suoi propri principi.
Il percorso dell’esortazione, dunque,
giunge a un bel risultato: se infatti non è possibile ottenere per argomentazione una sapienza né più
universale, né più perfetta, né più
comune, né più autosufficiente, né più affine al bene ovvero migliore di questa, allora è necessario
che la desiderino coloro che vogliono
essere felici secondo ragione e intelletto.
Alla fine, dunque, la
raccomandazione <di Archita> si eleva a
quello che è in sé il punto più alto, più o meno con queste parole: “Chiunque sia capace di ridurre tutti i
generi ad un solo genere e ad un solo
principio e di nuovo sia capace di ricomporli e computarli, costui è — a mio parere — anche il più
sapiente e colui che dice assolu-
tamente la verità, e che ha scoperto, inoltre, anche un bel punto
di
324 GIAMBLICO
ἐσσεῖται τὸν θεὸν κατοψεῖσθαι καὶ πάντα τὰ ἐν τᾷ συστοιχίᾳ Kai τάξει τᾷ ἐκείνω κατακεχωρισμένα, καὶ
ταύταν ἁρματήλατον ὁδὸν
ἐκπορι[23]σάμενος τῷ νόῳ κατ᾽ εὐθεῖαν ὁρμαθῆμεν καὶ τελεοδρο- μᾶσαι τὰς ἀρχὰς τοῖς πέρασι συνάψαντα καὶ
ἐπιγνόντα διότι ὁ θεὸς ἀρχά τε καὶ
τέλος καὶ μέσον ἐντὶ πάντων τῶν κατὰ δίκαν τε καὶ τὸν ὀρθὸν λόγον περαινομένων.» σαφῶς δὴ καὶ ἐν
τούτοις τὸ τέλος ἐπέ- θηκε τῆς
θεολογικῆς προτροπῆς, μὴ ἵστασθαι ἀξιῶν ἐπὶ τῶν πολλῶν ἀρχῶν καὶ πάντων τοῦ ὄντος γενῶν,
ἀναλύσειν δὲ προθυμούμενος ὑπὸ μίαν
τε καὶ τὴν αὐτὴν ἀρχὴν τὰ πάντα, [10] ἀπὸ δὲ τῆς μιᾶς διαιρῶν κατὰ ἀριθμὸν ὡρισμένον τὰ πλησίον
τοῦ ἑνὸς καὶ οὕτως ἀεὶ τὰ πορρωτέρω
ἀφιστόμενα καὶ διιστάμενα ἐπισκοπῶν, ἕως ἂν
ἐπὶ τὰ σύνθετα καὶ ἐκ πολλῶν συνεστηκότα συναριθμήσηται τὸ πλῆθος; ἐπ᾽ ἄμφω τε οὕτω προϊὼν ἱκανὸς ἦν
ἀνάγειν τε ἑαυτὸν ἀπὸ τοῦ πλήθους ἐπὶ
τὸ Èv καὶ κατάγειν ἀπὸ τοῦ ἑνὸς ἐπὶ τὸ πλῆθος. ἐπεὶ δὲ μάλιστα ἀληθείας καὶ σοφίας
ἐφιέμεθα, προτρέπων ἐπὶ τὴν τοιαύτην
ἐπιστήμην σοφώτατον καὶ παναληθέστατόν φησιν εἶναι τὸν τὴν τοιαύτην διαιρετικὴν ἔχοντα
ἐπιστήμην [20] διὰ τῶν πρώτων εἰδῶν
καὶ γενῶν, συνάγοντά τε αὐτὴν εἰς ἕν διὰ τῆς ὁριστικῆς ἐπιστήμης, τοῦ τε ἑνὸς ὄντα θεωρητικόν,
ὅπερ τέλος ἐστὶ πάσης θεωρίας. καὶ
τούτου δ᾽ ἔτι κυριώτερον ἀγαθὸν ἐπήγαγε, τὸ ὥσπερ ἀπὸ σκοπιᾶς ἐντεῦθεν δύνασθαι τὸν θεὸν
καθορᾶν καὶ πάντα τὰ ἐν τῇ συστοιχίᾳ
τοῦ θεοῦ. εἰ γὰρ πάσης ἀληθείας καὶ εὐδαιμονίας οὐ- σίας τε καὶ αἰτίας καὶ τῶν ἀρχῶν ὁ θεὸς
ἐξηγεῖται, σπουδαστέον ἐν τούτῳ [24]
μάλιστα ἐκείνην τὴν ἐπιστήμην κτήσασθαι, δι᾽ ἧς ἀτενί- σει τις αὐτὸν καθαρὸν καὶ δι᾽ ἧς πλατεῖαν
εὑρήσει τὴν πρὸς αὐτὸν πορείαν καὶ
δι᾽ ἧς τὰ τέλη ταῖς ἀρχαῖς συνάψει. τελεωτάτη γὰρ ἡ τοιαύτη ζωὴ καὶ εὐδαιμονία, οὐκέτι
διωρισμένως τὰ τελευταῖα ἀπὸ τῶν
πρώτων διακρίνουσα, ἀλλ᾽ εἰς ἕν τὰ συναμφότερα ταῦτα συλλα- βοῦσα ἀρχάς τε καὶ τέλος καὶ μέσον ὁμοῦ
συνέχουσα. τοιαύτη γάρ ἐστιν ἡ θεία
αἰτία, ἧς δεῖ ἀντέχεσθαι τοὺς μέλλοντας εὐδαιμον- ήσειν. οὕτω μὲν [10] οὖν ἡ προτροπὴ διὰ
πάντων διεξελθοῦσα τῶν τε ἐν ἡμῖν καὶ
τῶν ἐν τῇ φύσει καὶ ὡς ἔπος εἰπεῖν διὰ πάντων τῶν ὄντων, συνεκεφαλαιώσατο πάσας τὰς ἐφόδους
εἰς μίαν τὴν ἐπὶ τὸν θεὸν ἀνήκουσαν
ἀναγωγήν.
ESORTAZIONE ALLA FILOSOFIA 325
osservazione, da cui sarà in grado di
osservare dio e tutto ciò che si
colloca nell’ordine e nella posizione di esso, e si procura questa
via carrabile [23] per mezzo
dell’intelletto, si slancia e percorre lo stadio in linea retta collegando i punti iniziali
con quelli finali e riconosce perciò
che dio è inizio e fine e mezzo di tutto ciò che viene portato a termine secondo giustizia e retta
ragione”. È chiaro, dunque, che in
queste parole egli abbia posto il fine ultimo dell’esortazione
teologi- ca, non ritenendo opportuno
fermarsi ai molteplici principi e a tutti i
generi dell’essere, ma desiderando ridurre il tutto ad un unico e medesimo principio, e partendo da
quest’unico principio, per divisio-
ne secondo un numero determinato, osservare ciò che è prossimo all’Uno e cosi ciò che sempre più [55dP]
si allontana e si distanzia da esso,
fino ad enumerare nella loro quantità numerica le cose che sono composte e costituite di molti fattori; e
procedendo cosî in entrambi i sensi
di marcia egli fu in grado di elevarsi dai Molti all’Uno e discen- dere dall’Uno ai Molti. E poiché noi
miriamo al più alto livello di veri-
tà e di sapienza, poiché egli esorta a una tale scienza, dice che è il
più sapiente e uno che dice
assolutamente la verità colui che, possedendo una siffatta scienza che divide secondo le
prime specie e i primi gene- ri, è
capace di ricondurre specie e generi all’Uno per mezzo della scienza definitoria, e contemplare l’Uno
che è il fine ultimo di ogni
contemplazione. Ed ha aggiunto un bene ancora più importante di questo, cioè osservare, partendo da lî
come da un punto di osserva- zione,
dio e tutto ciò che si trova nel suo ordine. Se infatti dio è a capo di ogni verità e felicità ed essenza e
causa e di ogni principio, occorre
adoperarsi [24] soprattutto nell’acquisire quella scienza, per mezzo della quale lo si può fissare nella sua
purezza e si potrà scoprire in tutta
la sua ampiezza la via che porta a lui e si potranno collegare i punti finali a quelli iniziali. Tale vita
e tale felicità sono infatti perfet-
tissime, perché non distinguono più in maniera determinata ciò che sta alla fine da ciò che sta all’inizio,
ma li raccolgono ambedue in unità, e
contengono insieme inizio, fine e mezzo. Tale è infatti la causa divina, a cui si devono appoggiare coloro
che si accingono ad essere felici. È
cosî, dunque, che l'esortazione, attraversando ogni cosa, sia ciò che è in noi sia ciò che è in natura,
attraversando per cosi dire tutti
quanti gli enti, riassume tutti i percorsi riducendoli all'unico
percor- so che porta a dio.
326 GIAMBLICO
V. Δεῖ δὲ λοιπὸν αὐταῖς
ταῖς Πυθαγορικαῖς διαιρέσεσι
προσχρῆσθαι εἰς τὸ προτρέπειν. πάνυ γὰρ ἐντρεχῶς καὶ τελειότατα καὶ πρὸς τὰς ἄλλας φιλοσοφίας ἐξηλλαγμένως
οἱ κατὰ τήνδε τὴν αἵρεσιν διήρουν
ἑπόμενοι ταῖς ἐκείνου διδασκαλίαις τὸν εἰς παρό- ρμήῆσιν ἐπὶ φιλοσοφίαν λόγον, εὐμηχάνως
ἐπιρρωννύντες καὶ [20] πιστούμενοι
ἀποδείξεσιν ἐπιστημονικωτάταις μηδὲν ἀνακόλουθον συναγαγούσαις. εἰσὶ δὲ τοιαῦται.
Πάντες ἄνθρωποι βουλόμεθα εὖ πράττειν, εὖ δὲ πράττομεν, εἰ ἡμῖν πολλὰ ἀγαθὰ παρείη. ἀγαθὰ δὲ τὰ μέν ἐστι
κατὰ σῶμα, ὥστε ἱκανῶς αὐτὸ
παρεσκευάσθαι πρὸς τὴν κατὰ φύσιν συμμετρίαν καὶ κρᾶσιν καὶ ῥώμην’ τὰ δὲ ἐν τοῖς ἐκτός, ὥσπερ
εὐγένειαι καὶ δυνάμεις καὶ τιμαὶ ἐν
τῇ ἑαυτοῦ πατρίδι [25] τὰ δὲ περὶ ψυχήν, ὡς τὸ σώφρονά τε εἶναι καὶ δίκαιον καὶ ἀνδρεῖον, καὶ
διαφερόντως τὸ σοφὸν εἶναι μεθ᾽ ὧν οὐ
μικρὸν διαφέρει τὸ συνεπιλαμβάνειν καὶ τὴν εὐτυχίαν ταῖς ὀρθαῖς πράξεσιν, ἤτοι ὑπὸ τῆς σοφίας
ἐπιφερομένην, ἢ καὶ καθ᾽ αὑτὴν
ἔχουσαν ἰδίαν τινὰ δύναμιν. ἀλλ᾽ οὐκ εὐθὺς εὐδαιμονοῦμεν διὰ τὰ παρόντα ἀγαθά, εἰ μηδὲν ἡμᾶς
ὠφελοῖ: ὠφελεῖ δὲ οὐδέν, εἰ εἴη μόνον
ἡμῖν, χρῴμεθα δὲ αὐτοῖς μή. οὐδὲ γὰρ ἄλλο οὐδὲν παρὸν διὰ τὴν κτῆσιν ὠφελεῖ ἄνευ τοῦ [10]
χρῆσθαι αὐτῷ, οὐδ᾽ εἴ τις οὖν πλοῦτον
καὶ ἃ νῦν δὴ ἐλέγομεν ἀγαθὰ κεκτημένος εἴη, χρῷτο δὲ αὖ- τοῖς μή, οὐκ ἂν εὐδαιμονοῖ διὰ τὴν τούτων
τῶν ἀγαθῶν κτῆσιν. δεῖ ἄρα μὴ μόνον
κεκτῆσθαι τὰ τοιαῦτα ἀγαθὰ τὸν μέλλοντα εὐδαίμο- va ἔσεσθαι, ἀλλὰ καὶ χρῆσθαι αὐτοῖς, ἢ
οὐδὲν ὄφελος τῆς κτήσεως γίγνεται.
ἀλλ᾽ οὐδὲ τὸ χρῆσθαι μόνον ἐξαρκεῖ, ἀλλὰ δεῖ προσεῖναι τὸ ὀρθῶς χρῆσθαι. πλέον γὰρ θάτερόν ἐστιν,
ἐάν τις χρῆται μὴ ὀρθῶς ὁτῳοῦν
πράγματι, ἢ ἐὰν ἐᾷ᾽ τὸ μὲν γὰρ κακόν, τὸ δὲ οὔτε κακὸν οὔτε ἀγαθόν. [20] ἀλλὰ μὴν ἔν γε τῇ
χρήσει τε καὶ ἐργασίᾳ πάσῃ τῇ περὶ
ὁτιοῦν τὸ ἀπεργαζόμενον τὸ ὀρθῶς χρῆσθαι ἐπιστήμη παρέχεται. καὶ περὶ τὴν χρείαν οὖν ὧν
ἐλέγομεν τὸ πρῶτον τῶν ἀγαθῶν,
πλούτου τε καὶ ὑγιείας καὶ κάλλους, τὸ ὀρθῶς πᾶσι χρῆσθαι τοῖς τοιούτοις ἐπιστήμη ἡγουμένη
καὶ κατορθοῦσά ἐστι τὴν πρᾶξιν. où
μόνον οὖν εὐτυχίαν, ἀλλὰ καὶ εὐπραγίαν ἡ ἐπιστήμη παρέχει τοῖς ἀνθρώποις ἐν πάσῃ κτήσει τε
καὶ πράξει, καὶ οὐδὲν
ESORTAZIONE ALLA FILOSOFIA 327
5. Occorre inoltre servirsi delle stesse
divisioni pitagoriche in ordine
all’esortazione. Seguendo infatti gli insegnamenti di Pitagora, i filosofi della scuola pitagorica
dividevano con molta e perfetta soler-
zia, e in maniera diversa rispetto alle altre filosofie, [56dP] il
discor- so di incitamento alla
filosofia, rafforzandolo ingegnosamente e ren- dendolo credibile con dimostrazioni
assolutamente scientifiche e che non
comportavano alcuna inconsequenzialità. Tali dimostrazioni sono le seguenti.
Tutti noi, uomini, vogliamo essere felici, ma possiamo esserlo <solo> se possediamo molti beni. Ma
i beni sono, alcuni relativi al
corpo, in modo che questo sia sufficientemente fornito della
propor- zione e della complessione e
della vigoria che gli sono propri per
natura, altri esterni al corpo, come la nobiltà e il potere e gli onori nella propria patria; [25] altri ancora
sono relativi all'anima, come
l'essere temperanti e giusti e coraggiosi, e specialmente l’essere sapienti; assieme a questi beni non è di
scarsa importanza che ci venga in
aiuto anche la buona riuscita delle corrette azioni, sia che derivi da sapienza sia che abbia in se stessa una certa
propria capacità. Ma la presenza di
<tali> beni non ci procura subito la felicità, se essi non ci sono utili: e non ci sono per niente
utili, se noi le possediamo soltan-
to, ma non ce ne serviamo. Nessun altro bene, infatti, che sia
presen- te in noi, ci è utile
<solo> per il fatto che lo possediamo, senza che ce ne serviamo, né se qualcuno, dunque,
possedesse ricchezza oltre a quei
beni di cui ora parliamo, ma non se ne servisse, sarebbe felice per il fatto di possedere questi beni. Occorre
perciò che chi sarà per esse- re
felice non possegga soltanto tali beni, ma ne faccia anche uso, se no a nulla gli servirà il possederli. Ma non
basta neppure il solo servirse- ne,
anzi occorre che si aggiunga l’uso corretto di essi, perché è un male in più servirsi non correttamente di
qualsiasi cosa [57dP] piut- tosto che
rinunciare a servirsene: da un lato, infatti, ci sarebbe un male, dall'altro lato né male né bene. Ma
in ogni uso e azione relati- vamente
a qualsiasi cosa da compiere, è la scienza che fornisce l’uso corretto; e dunque a proposito dell’uso
dei beni di cui parlavamo prima, cioè
ricchezza e salute e bellezza, è la scienza che ci guida a ser- virci correttamente di tutti questi beni e
che ci indica il corretto agire. Non
solo dunque la buona riuscita, ma anche l’agire bene è la scien- za che li fornisce agli uomini, ogni volta
che, possedendo un bene, lo
328 GIAMBLICO
ὄφελος τῶν ἄλλων
κτημάτων ἄνευ φρονήσεώς τε καὶ σοφίας. τί γὰρ ὄφελος κεκτῆσθαι πολλὰ [26] καὶ πολλὰ
πράττειν νοῦν μὴ ἔχοντα μᾶλλον ἢ
ὀλίγα; οὐχ ὁ μὲν ἐλάττω πράττων ἐλάττω ἐξαμαρτάνει, ἐλάττω δ᾽ ἐξαμαρτάνων ἧττον ἂν κακῶς
πράττοι, ἧττον δὲ κακῶς πράττων
ἄθλιος ἂν ἧττον εἴη; συγχωρεῖν ἀναγκαῖον τούτοις, καὶ ὅτι ὁ μὲν τὰ εἰρημένα ἀγαθὰ κεκτημένος ἄνευ
νοῦ πλείονα πράξει, ὁ δὲ τὰ ἐναντία
ἔχων [tà kakà]? ἐλάττονα. ἐν κεφαλαίῳ ἄρα κινδυνεύει πάντα ἃ τὸ πρῶτον ἔφαμεν ἀγαθὰ εἶναι, οὐ
περὶ τούτου αὐτοῖς ὁ λόγος εἶναι,
ὅπως αὐτά γε καθ᾽ [10] αὑτὰ πέφυκεν ἀγαθὰ εἶναι, ἀλλ᾽, ὡς ἔοικεν, ὧδε ἔχει: ἐὰν μὲν αὐτῶν
ἡγῆται ἀμαθία, μείζω κακὰ εἶναι τῶν
ἐναντίων, ὅσῳ δυνατώτερα ὑπηρετεῖν τῷ ἡγουμένῳ κακῷ ὄντι᾽ ἐὰν δὲ φρόνησις καὶ σοφία,
μείζω ἀγαθά: αὐτὰ δὲ καθ᾽ αὑτὰ
οὐδέτερα αὐτῶν οὐδενὸς ἄξια εἶναι. μόνη τοίνυν ἡ μὲν σοφία ἀγαθόν ἐστιν, ἡ δὲ ἀμαθία κακόν. ἐπειδὴ
τοίνυν εὐδαίμονες μὲν εἶναι
προθυμούμεθα πάντες, ἐφάνημεν δὲ τοιοῦτοι γιγνόμενοι ἐκ τοῦ χρῆσθαί τε τοῖς πράγμασι καὶ ὀρθῶς
χρῆσθαι, τὴν δὲ ὀρθότητα καὶ εὐτυχίαν
ἐπιστήμη ἐστὶν ἡ παρέχουσα, [20] δεῖ δή, ὡς ἔοικεν, ἐκ παντὸς τρόπου πάντα ἄνδρα
παρασκευάζεσθαι, ὅπως ὡς σοφώτα- τος
ἔσται᾽ μόνον γὰρ τοῦτο τῶν ὄντων εὐδαίμονα καὶ εὐτυχῆ ποιεῖ τὸν ἄνθρωπον. ἀναγκαῖον οὖν φιλοσοφεῖν
τοῖς βουλομένοις εὖ πράττειν' ἡ δὲ
φιλοσοφία ὄρεξίς ἐστι καὶ κτῆσις ἐπιστήμης, οὐχ ἥτις κτητικὴ μόνον ἐστὶ τῶν δοκούντων
ἀγαθῶν, οὔθ᾽ ἥτις ποιητικὴ αὐτῶν,
χρηστικὴ δὲ οὔ. τοιαύτης οὖν δεῖ ἐπιστήμης, ἐν fi συμπέπτω- κεν [27] ἅμα τό τε ποιεῖν καὶ τὸ
ἐπίστασθαι καὶ χρῆσθαι τούτῳ ὃ ἂν
ποιήσῃ. εἰ τοίνυν αἱ μὲν ἄλλαι πᾶσαι ἐπιστῆμαι θηρευτικαί τινές εἰσι καὶ παρασκευαστικαὶ τῶν ἀγαθῶν,
μόνη δὲ ἡ τελέα δικα- ιοσύνη καὶ
φρόνησις τὴν κατ᾽ ἀξίαν χρῆσιν ποιοῦνται ἑκάστῳ καὶ ἀναφέρουσι ταύτην πρὸς τὸν ἡγεμόνα νοῦν,
αὕτη ἂν εἴη ἧς dei ἀντι- ποιεῖσθαι.
καὶ γὰρ τὸ θεωρεῖν καὶ κρίνειν ἐν αὑτῇ!ῦ ἔχει καὶ τὰς ἀρχὰς ἔχει τῆς ὀρθῆς χρήσεως τῶν ἀγαθῶν,
ἧς τυχόντες καλῶς ἂν τὸν ἐπίλοιπον
βίον διεξέλ[]Ο]θοιμεν. τοιαύτη τίς ἐστιν ἡ ἐκ τῆς «πρώτης» διαιρέσεως προτρεπτικὴ
ἔφοδος. Ἄλλη δέ ἐστι παρὰ αὐτοῖς τοιαύτη διαίρεσις:
ὡς ἔστι μέν τι ψυχὴ ἔστι δέ τι σῶμα
ἐν ἡμῖν, καὶ τὸ μὲν ἄρχει τὸ δὲ ἄρχεται, καὶ τὸ μὲν
9 [tà κακὰ] conservò des
Places. 10 ἐν αὑτῇ Pistelli: ἑαυτὴν
des Places post Vitelli.
ESORTAZIONE ALLA FILOSOFIA 329
vogliano mettere in pratica, e nessun altro
bene posseduto è utile senza prudenza
e sapienza. A che serve, infatti, possedere moli beni [26] e fare molte cose, piuttosto che
poche, se non si ha intelletto? Non è
forse vero che chi agisce meno sbaglia meno, e chi sbaglia meno agirà male di meno, e chi agisce male
di meno sarà infelice di meno?»7 È
necessario concedere che ciò è vero, e che è vero anche che chi ha acquistato i beni suddetti senza
intelletto, agirà <male> di più,
mentre chi possiede il contrario dei beni <sc. i mali>, agirà
<male> di meno.8 Per
riassumere, dunque, sembra che per quanto concerne tutte quelle cose che noi prima dicevamo
essere beni, il discorso non sta nel
fatto che essi siano beni, ma, a quanto pare, nel modo seguen- te: se li guida l’ignoranza, i beni sono i
mali peggiori, in quanto sono ancora
più potenti <dei mali> nel servire una guida che fosse catti- νΔ;}9 se invece a guidarli sono prudenza e
sapienza, allora sono dei beni a
maggior titolo; in sé e per sé, d'altra parte, essi non hanno alcun valore nell’un caso o nell’altro. In
verità solo la sapienza è bene, e
solo l'ignoranza è male. Poiché dunque tutti noi desideriamo essere felici, e d’altra parte abbiamo mostrato
che possiamo diventarlo a partire
dall’uso, anzi dall’uso corretto delle cose, [58dP] e che è la scienza che fornisce la correttezza e la
felicità, allora occorre, a quan- to
pare, che ogni uomo si preoccupi in tutti i modi di essere il pit sapiente possibile, perché solo questa
condizione rende l’uomo felice e
fortunato. È necessario dunque filosofare, se si vuole essere felici; e la filosofia è aspirazione e possesso di
scienza, non di quella che è solo
capace di acquisire dei beni presunti tali, né quella che li crea ma non li usa. Occorre dunque una scienza tale
che in essa possano trovarsi [27]
insieme e la creazione e la scienza e l’uso di ciò che si sarà crea- to. In effetti, se fra tutte le scienze ce
ne sono alcune che danno la cac- cia
e altre che procurano i beni, ma soltanto la perfetta giustizia e la prudenza ne creano l’uso adatto a ciascun
bene e riportano quest’uso
all’intelletto egemone, allora sarà alla giustizia che occorre
appigliar- si. Anche perché essa ha
in se stessa la capacità di contemplare e giu- dicare e possiede i principi dell’uso
corretto dei beni, ottenuto il quale,
noi potremo trascorrere bene il resto della nostra vita. Tale è il percorso protrettico che deriva dalla prima
divisione. Ma i Pitagorici fanno quest'altra
divisione: in noi, una cosa è l’ani-
ma, altra cosa il corpo, e l'una comanda l’altro è comandato, e
l’una
330 GIAMBLICO
χρῆται τὸ δ᾽ ἐστὶ τοιοῦτον οἷον è χρῆται, καὶ τὸ μὲν θεῖον καὶ ἀγα- θὸν καὶ οἰκειότατον ἡμῖν, τὸ δὲ ἄλλως
συνηρτημένον ὑπουργίας τινὸς ἕνεκα
καὶ χρείας ἐχόμενον τῆς εἰς τὸν κοινὸν βίον τὸν ἀνθρώπινον. δεῖ τοίνυν τοῦ ἄρχοντος μᾶλλον
ἀλλὰ μὴ τοῦ ἀρχομέ- νου, καὶ τοῦ
θειο[20]τέρου καὶ οἰκειοτέρου ἡμῖν ἀλλὰ μὴ τοῦ κατα- δεεστέρου ἐπιμελεῖσθαι.
Ταύτῃ δ᾽ ἐστὶ παραπλησία τοιαύτη διαίρεσις" ὡς τριχῇ τὰ
ἡμέτερα πάντα διήρηται, εἴς τε ψυχὴν
καὶ σῶμα καὶ τὰ τοῦ σώματος᾽ τούτων
δὲ τὰ μέν ἐστι πρῶτα, τὰ δὲ δεύτερα, τὰ δὲ τρίτα καὶ προηγουμένως [28] μὲν δεῖ στοχάζεσθαι τῶν τῆς ψυχῆς, τὰ
δ᾽ ἄλλα τῆς ψυχῆς ἕνεκα πράττειν: καὶ
γὰρ τοῦ σώματος ἐπιμελεῖσθαι χρὴ ἀναφέρον-
τας αὐτοῦ τὴν ἐπιμέλειαν ἐπὶ τὴν τῆς ψυχῆς ὑπηρεσίαν, καὶ τὰ χρήματα κτᾶσθαι δεῖ διὰ τὸ σῶμα, πάντα δὲ
τῆς ψυχῆς ἕνεκα δια- τάττειν καὶ τῶν
τῆς ψυχῆς ἀρχουσῶν δυνάμεων. εἰ δὴ τοῦτο οὕτως ἔχει, οὐδὲν τῶν δεόντων πράττουσιν ὅσοι
χρημάτων μὲν πέρι τὴν πᾶσαν σπουδὴν
ἔχουσι, δικαιοσύνης δὲ ἀμελοῦσι δι᾽ ἣν ἐπιστόμε- θα ὀρθῶς χρῆσθαι [10] τοῖς χρήμασι, καὶ
τοῦ μὲν ζῆν καὶ ὑγιαίνειν φροντίζουσι
τῷ σώματι, τοῦ δὲ ὀρθῶς χρῆσθαι τῇ ζωῇ καὶ τῇ ὑγείᾳ ἀμελοῦσι, καὶ τῆς μὲν ἄλλης παιδείας
ἐπιμελοῦνται δι᾽ ἣν οὐδέπο- τε
ὁμονοητικὴν φιλίαν κτήσασθαι δύνανται, τὴν δὲ τῆς ὁμονοίας ἀρχηγὸν ἐπιστήμην παρορῶσιν ἥτις διὰ
φιλοσοφίας μόνης κάλλιστα
παραγίγνεται, καὶ ταῖς μὲν πράξεσιν ἐπιχειροῦσι, τὸ δὲ πῶς δεῖ πράττειν ἕκαστον τῶν ἔργων οὔτε ἴσασιν
οὔτε λογίζονται. "Att ἄλλης δὲ ἀρχῆς διαιροῦσι τὰ
τοιαῦτα᾽ χωρὶς [20] δήπουθέν ἐστιν
αὐτὸς ἕκαστος, τὸ ἑαυτοῦ, ἅ ἐστι τῶν αὑτοῦ. αὐτὸς μὲν οὖν ἕκαστός ἐστιν ἡμῶν ἡ ψυχή, τὸ δ᾽ αὑτοῦ
ἐστι τὸ σῶμα καὶ τὰ τοῦ σώματος, ἃ δ᾽
ἐστὶ τῶν αὑτοῦ, τὰ χρήματά ἐστιν, ὅσα τοῦ σώματος ἕνεκα κτώμεθα. καὶ ἐπιστῆμαι τοίνυν τρεῖς
εἰσιν ἐπὶ τοῖς τρισὶ τούτοις
πράγμασιν. ὁ μὲν οὖν τὰ τοῦ σώματος γινώσκων, τὰ αὑτοῦ ἀλλ᾽ οὐχ αὑτὸν ἔγνωκεν. [29] ὅθεν οἱ
ἰατροὶ οὐχ ἑαυτοὺς γιγνώσκουσι
καθόσον ἰατροί, οὐδὲ οἱ παιδοτρῖβαι καθόσον παιδο- τρῖβαι. καὶ ὅσοι δὲ πορρωτέρω τῶν ἑαυτῶν
τὰ περὶ τὸ σῶμα γιγνώσκουσιν, οἷς
τοῦτο θεραπεύεται, ὡς οἱ γεωργοὶ καὶ οἱ ἄλλοι
ESORTAZIONE ALLA
FILOSOFIA 331
si serve l’altro è tale che quella se ne possa servire, e l’una è divina
e buona e la cosa a noi più appropriata, l’altro
è composto in modo diverso in vista
di un servigio da rendere e serve alla comune vita degli uomini. Ebbene, occorre curarsi più di ciò
che comanda che non di ciò che è
comandato, [59dP] e più di ciò che è più divino e a noi più appropriato che non di ciò che è
inferiore. Quasi identica a questa è la seguente
divisione. Tutto ciò che noi siamo si
divide in tre elementi: anima, corpo e le cose che apparten- gono al corpo; di queste ultime alcune
sono prime, altre seconde, altre
terze; e anzitutto [28] occorre tenere d’occhio le cose dell’anima, tutto il resto occorre farlo in vista
dell'anima; e infatti bisogna occu-
parsi del corpo riportando la cura di esso alla superiorità
dell'anima. E occorre acquistare le
ricchezze attraverso il corpo, ma ordinandole tutte in vista dell'anima e delle sue
facoltà che ne hanno il comando. Se
le cose stanno proprio cosi, allora non fanno nulla di ciò che dovrebbero, coloro che volgono tutta la
loro cura alle ricchezze, ma
trascurano la giustizia in virtà della quale noi sappiamo servirci
cor- rettamente delle ricchezze, e
neppure coloro che si curano della vita
e della salute del corpo, ma trascurano di servirsi correttamente
della vita e della salute, e si
preoccupano di quell’educazione con cui non
possono mai acquisire una concorde amicizia, e trascurano la
scienza che governa la concordia e
che ottiene il suo massimo risultato solo
per mezzo della filosofia, e neppure coloro, infine, che
intraprendono le loro azioni senza
sapere né calcolare come occorre compiere cia- scun'azione.
Da un diverso punto di partenza i Pitagorici fanno la seguente divisione: occorre distinguere nettamente
l’identità di ciascuno di noi da ciò
che è proprio di noi stessi e da ciò che ci appartiene.40 Ebbene, ciascuno di noi è la sua anima,#! ciò che
è proprio di ciascuno di noi è il
corpo e ciò che appartiene al corpo,*2 ciò che appartiene a ciascu- no di noi è la ricchezza, le cose cioè che
noi acquistiamo in vista del corpo.
[60dP] Anche le scienze, in verità, sono tre in rapporto a queste tre cose. Chi conosce, dunque, le
cose del corpo, conosce ciò che
appartiene a se stesso, ma non se stesso. [29] Ne consegue che i medici non conoscono se stessi in quanto
medici, né i maestri di gin- nastica
conoscono se stessi in quanto maestri di ginnastica. Anche coloro che conoscono le cose che
concernono il corpo in maniera pit
332 GIAMBLICO
δημιουργοί, πολλοῦ δὴ
δέουσιν ἑαυτοὺς γιγνώσκειν: οὐδὲ γὰρ τὰ
ἑαυτῶν οὗτοι γιγνώσκουσι. διὰ ταῦτα δὴ καὶ βάναυσοι αὗται αἱ τέχναι δοκοῦσιν εἶναι. μόνη δὲ σωφροσύνη
ἐστὶν ἡ τῆς ψυχῆς γνῶσις, καὶ τῷ ὄντι
ἡμετέρα ἀρετὴ μόνη ἐκείνη ὑπάρχει, ἥτις [10]
τὴν ψυχὴν βελτίονα ἀπεργάζεται. ταύτης ἄρα μάλιστα ἀντι- ποιεῖσθαι ἄξιον τοὺς βουλομένους
ὁμολογουμένως τῇ ἑαυτῶν οὐσί- ᾳ
διακοσμεῖν τὸν ἑαυτῶν βίον καὶ ἑαυτοὺς ἀπεργάζεσθαι καλοὺς καὶ
ἀγαθούς, καὶ τῷ ὄντι ἑαυτῶν ἐπιμελεῖσθαι προαιρουμένους. Τῆς δὲ αὐτῆς ἔχεται γνώμης καὶ ταῦτα' ὡς
τῶν ἡμετέρων κτημάτων μετὰ θεοὺς ψυχὴ
θειότατον οἰκειότατόν τέ ἐστι, τὰ δ᾽ ἡμέτερα διττὰ πάντα ἐστὶ πᾶσι, τὰ μὲν κρείττω καὶ ἀμείνω
δεσπόζοντα, τὰ δὲ ἥττω καὶ χείρω
δοῦλα. τὰ δεσπόζοντα οὖν προτιμητέον [20] τῶν δουλε- υηόντων. οὕτως οὖν τὴν ψυχὴν μετὰ θεοὺς
τῶν ἄλλων προτιμητέον πάντων. τιμᾷ δὲ
αὐτὴν οὐχ ὁ χείρονα ἐκ βελτίονος ἀπεργαζόμενος, οὐδ᾽ ὁ κακῶν καὶ μεταμελείας ἐμπιπλὰς
αὐτήν, οὐδ᾽ ὁ φεύγων τοὺς
ἐπαινουμένους πόνους καὶ φόβους καὶ ἀλγηδόνας καὶ λύπας (ἄτιμον γὰρ αὐτὴν ἀπεργάζεται ὁ τοιοῦτος),
οὐδ᾽ ὁ φεύγων τὸν θά- νατον (τὴν γὰρ
λύσιν τὴν ἀπὸ τοῦ σώματος καὶ τῆς ψυχῆς τὴν καθ᾽ ἑαυτὴν ζωὴν δυσχεραίνοιτο ἂν ὁ τοιοῦτος),
οὐδ᾽ ὁ πρὸ ἀρετῆς προ- τιμῶν [30]
κάλλος ἢ χρήματα (τῶν γὰρ χειρόνων οὕτω τὴν κρείττο- va ψυχὴν καταδεεστέραν ἀποφαίνει). μία
τοίνυν ἔσται τιμὴ τῆς ψυχῆς ἡ κατὰ
τὸν ὀρθὸν λόγον ζωὴ καὶ κατὰ νοῦν τελειότης τῆς ψυχῆς καὶ τὸ ὁμοιοῦσθαι τοῖς οὖσιν
ἀρίστοις παραδείγμασι καὶ τὸ τοῖς
ἀμείνοσιν ἕπεσθαι τὰ χείρονα, ὅσα γενέσθαι βελτίω δύναται, καὶ τὸ φεύγειν μὲν τὸ κακόν, ἰχνεῦσαι δὲ
καὶ ἑλεῖν τὸ πάντων ἄριστον, καὶ
ἑλόντα αὖ κοινῇ ξυνοικεῖν τὸν ἐπίλοιπον βίον. τοῦτο δὲ οὐδὲν ἄλλο ἐστὶν ἢ δεόντως [10]
φιλοσοφεῖν, ὥστ᾽ ἐξ ἅπαντος τρόπου
φιλοσοφητέον τοῖς βουλομένοις εὐδαιμονεῖν.
Τελέως δ᾽ ἂν καὶ οὕτως
ἐπὶ τὸ αὐτὸ ἐκ διαιρέσεως ἐπέλθοιμεν. τρία
τριχῇ ψυχῆς ἐν ἡμῖν εἴδη κατῴκισται, τὸ μὲν ᾧ λογιζόμεθα, τὸ δὲ ᾧ θυμούμεθα, τρίτον δὲ ᾧ ἐπιθυμοῦμεν.
τυγχάνει δ᾽ ἕκαστον αὐτῶν κινήσεις
ἔχον’ τὸ μὲν οὖν αὐτῶν ἐν ἀργίᾳ διάγον καὶ τῶν ἑαυτοῦ κινήσεων ἡσυχίαν ἄγον ἀσθενέστατον ἀνάγκη
γίγνεσθαι, τὸ δὲ ἐν γυμνασίοις
ἐρρωμενέστατον᾽ διὸ φυλακτέον, ὅπως ἂν ἔχωσι τὰς
ESORTAZIONE ALLA
FILOSOFIA 333
esterna, in quanto sono mezzi per curare il corpo, ad esempio gli
agri- coltori o gli altri artigiani,
hanno molto bisogno di conoscere se stes-
si, perché questi non conoscono nulla di se stessi. E per questo,
dun- que, che tali arti sembrano
volgari. Solo la conoscenza dell’anima è
temperanza, e solo questa è la nostra vera virti, la quale rende
miglio- re la nostra anima. Questa
dunque è opportuno che si sforzino al mas-
simo di acquisire coloro che vogliono ordinare la propria vita in modo conforme alla propria essenza e rendersi
<cosî> belli e buoni, e deci-
dono di prendersi cura realmente di se stessi.
A questa sentenza si collegano le cose seguenti: dei beni che pos- sediamo, dopo gli dèi è l’anima quello più
divino e appropriato, e tutti i
nostri beni sono per tutti noi di due tipi: quelli superiori e migliori che sono padroni, quelli inferiori e
peggiori che sono servi. I beni-
padroni, dunque, devono essere più stimati dei beni-servi. Cosî, dun- que, fra tutti gli altri beni, a parte gli
dèi, è l’anima che dev'essere più
stimata; non la stima chi la rende da migliore peggiore, né chi la riem- pie di mali e pentimento, né chi fugge,
quando se ne ha prova, le fati- che e
i timori e le sofferenze e i dolori (perché costui la rende priva di stima), né chi fugge la morte (perché
costui non tollererebbe il fatto che
l’anima e la vita in se stessa si sciolgano dal corpo), [61dP] né chi stima [30] bellezza e ricchezza più che
virtà (perché in tal modo mostra che
l’anima, che è migliore, è inferiore alle cose peggiori). Non ci sarà dunque per l’anima che un solo
onore, la vita secondo retta ragione
e la perfezione dell'anima secondo intelligenza e l’assimilarsi a quelli che sono i modelli migliori e il
far sf che le cose peggiori, o almeno
quelle tra esse che siano in grado di migliorare, vengano dopo le migliori, e ancora il fuggire il male,
e il cercare e scegliere il meglio di
ogni cosa, e una volta scelto il viverci insieme per tutto il resto della vita. Tutto ciò non è nient'altro che
filosofare come si deve, sicché in
ogni caso chi vuole essere felice deve filosofare.
Infine, potremmo giungere a questo stesso risultato partendo dalla seguente divisione. In noi dimorano
tre specie di anime, con la prima
ragioniamo, con la seconda siamo impetuosi, con la terza abbiamo appetiti. Accade che ciascuna di
tali anime possieda i suoi propri
movimenti; e dunque quella tra esse che resta inerte e se ne sta tranquilla necessariamente diventa la più
debole, mentre quella che si tiene in
esercizio diviene la più robusta; perciò occorre stare attenti
334 GIAMBLICO
κινήσεις πρὸς ἀλλήλας
συμμέτρους. [20] διαφερόντως δὲ δὴ τὸ
κυριώτατον τῆς ψυχῆς εἶδος, ὅπερ δαίμονα ὁ θεὸς ἑκάστῳ δέδωκε καὶ ὅπερ ἀπὸ γῆς ἡμᾶς αἴρει πρὸς τὴν ἐν
οὐρανῷ ξυγγένειαν ὡς ὄντας φυτὸν οὐκ
ἔγγειον, ἀλλ᾽ οὐράνιον, τοῦτο δὴ μάλιστα ἀσκητέ- ον. τῷ μὲν γὰρ περὶ τὰς ἐπιθυμίας ἢ περὶ
φιλονεικίας ἐσπουδακότι καὶ ταῦτα
σφόδρα διαπονοῦντι πάντα τὰ δόγματα ἀνάγκη θνητὰ ἐγ- γεγονέναι, καὶ παντάπασι καθόσον μάλιστα
δυνατὸν γίγνεσθαι θνητῷ, τούτου μηδὲ
σμικρὸν ἐλλείπειν, ἅτε τὸ τοιοῦτον
ηὐξη[31]κότι- τῷ δὲ περὶ φιλομάθειαν καὶ περὶ τὰς τῆς ἀληθείας φρονήσεις ἐσπουδακότι καὶ ταῦτα μάλιστα
τῶν αὑτοῦ γεγυμνα- σμένῳ, φρονεῖν μὲν
ἀθάνατα καὶ θεῖα, ἄνπερ ἀληθείας ἐφάπτηται,
πᾶσα ἀνάγκη mov, καθόσον δ᾽ αὖ μετασχεῖν ἀνθρωπίνῃ φύσει ἀθα- νασίας ἐνδέχεται, τούτου μηδὲν μέρος
ἀπολείπειν, ἅτε δὴ ἀεὶ θεραπεύοντα τὸ
θεῖον ἔχοντά τε αὐτὸν εὖ κεκοσμημένον τὸν δαίμο- va ξύνοικον ἑαυτῷ, διαφερόντως εὐδαίμονα
εἶναι. θεραπεία δὲ δὴ παντὶ παντὸς
μία, τὰς οἰκείας ἑκάστῳ [10] τροφὰς καὶ κινήσεις ἀπο- διδόναι᾽ τῷ δ᾽ ἐν ἡμῖν θείῳ ξυγγενεῖς εἰσι
κινήσεις αἱ! τοῦ παντὸς διανοήσεις
καὶ περιφοραί. ταύταις δὴ οὖν ξυνεπόμενον ἕκαστον δεῖ τὰς περὶ τὴν γένεσιν ἐν τῇ κεφαλῇ
διεφθαρμένας ἡμῶν περιόδους ἐξορθοῦν,
διὰ τὸ καταμανθάνειν τὰς τοῦ παντὸς ἁρμονίας καὶ περι- φοράς, τῷ κατανοουμένῳ δὲ τὸ κατανοοῦν
ἐξομοιῶσαι κατὰ τὴν ἀρχαίαν φύσιν,
ὁμοιώσαντα δὲ τέλος ἔχειν τοῦ προτεθέντος
ἀνθρώποις ὑπὸ θεῶν ἀρίστον βίου πρός τε τὸν παρόντα καὶ τὸν ἔπειτα χρόνον. οὐ γὰρ δὴ λυσιτελεῖ τὸ
παντοδαπὸν [20] θηρίον ὥσπερ τὴν
ἐπιθυμίαν εὐωχοῦντας ποιεῖν ἰσχυρόν, οὐδὲ τὸν λέοντα οἷον τὸν θυμὸν καὶ τὰ περὶ τὸν λέοντα
τρέφειν ἄξιον καὶ ἰσχυρὰ ποιεῖν ἐν
ἡμῖν, τὸν δὲ ἄνθρωπον ὥσπερ τὸν λόγον λιμοκτονεῖν καὶ ποιεῖν ἀσθενῆ, ὡς ἕλκεσθαι ὅπῃ ἂν ἐκείνων
ὁπότερον ἄγῃ, καὶ μηδὲν ἕτερον ἑτέρῳ
συνεθίζειν μηδὲ φίλον ποιεῖν: ἀλλὰ πολὺ
μᾶλλον τὸν ἐν ἡμῖν θεῖον ἄνθρωπον τοῦ πολυκεφάλου θρέμματος ἐγ- κρατῆ ποιητέον, [32] ὅπως ἂν τὰ μὲν ἥμερα
τῶν ἐπιθυμιῶν εἴδη
U ai: αἱ erron. des Places.
ESORTAZIONE ALLA FILOSOFIA 335
affinché le varie anime
abbiano dei movimenti tra loro proporzionati. In particolare, la specie di anima più
dominante, che dio ha donato come
demone a ciascuno di noi e che ci solleva dalla terra verso la parentela celeste in quanto noi siamo
piante non già terrestri, ma cele-
sti, è proprio quella che si deve esercitare al massimo grado. Chi
infat- ti ha prestato tutta la sua
cura agli appetiti e alle contese e le pratica assiduamente, necessariamente rende
mortali le sue opinioni, e comunque,
per quanto sia possibile che egli divenga mortale, non gli mancherà molto, giacché ha fatto crescere
un tale aspetto della sua
anima;[31]44 chi invece ha prestato tutta la sua cura all'amore per la scienza e ai pensieri di verità [62dP] e
ha esercitato al massimo livel- lo
tutto ciò, è assolutamente necessario, in qualche modo, che abbia pensieri immortali e divini, qualora si
metta in contatto con la verità, e
per quanto si ammetta che la natura umana possa partecipare del- l'immortalità, non vi sarà lontano per
niente, giacché appunto avrà sempre
il culto del divino, e avendo in sé il demone che convive con lui in maniera bene ordinata, gode di
straordinaria felicità. La cura che
ognuno di noi, dunque, deve avere per ogni sua specie di anima, è quella di attribuire a ciascuna anima i
suoi propri alimenti e movi- menti:
d’altra parte sono congeneri al divino che è in noi i:movimen- ti razionali e circolari dell’universo.49
E appunto conformandosi a tali
movimenti, dunque, che ciascuno di noi deve correggere i cicli <razionali> che nella nostra testa
sono corrotti in rapporto alla gene-
razione,4 attraverso l'apprendimento delle armonie e dei movimenti circolari dell'universo, e d’altra parte
chi osserva si assimila a ciò che
viene osservato,#7 in virti della natura originaria,48 e assimilandosi perviene al compimento della migliore vita
che gli dèi hanno propo- sto agli
uomini sia per il tempo presente che per il futuro. Non reca alcun vantaggio, infatti, il rafforzare,
ingrassandola, la multiforme bestia
che è in noi, cioè l'appetito, né è opportuno nutrire e rafforza- re il leone che è in noi, cioè l’impeto e
tutto ciò che lo concerne, e dal-
l’altra parte far morire di fame e indebolire l’uomo, cioè il principio razionale, in modo che quest’ultimo sia
trascinato dove voglia con- durlo
ciascuno dei primi due, e non cercare di affiatarli l’uno all’altro e renderli amici tra loro; ma occorre
soprattutto rendere l’uomo divi- no
che è in noi dominatore della bestia policefala,1° [32] in modo da nutrire e addomesticare le forme mansuete
dei nostri appetiti, e impe-
336 GIAMBLICO
τρέφῃ καὶ τιθασσεύῃ, τὰ
δὲ ἄγρια ἀποκωλύῃ φύεσθαι, σύμμαχον
ποιησάμενος τὴν τοῦ θυμοῦ φύσιν καὶ κοινῇ πάντων κηδόμενος, φίλα ποιησάμενος ἀλλήλοις τε καὶ ἑαυτῷ,
οὕτως αὐτὰ θρέψει. καὶ ὁ μὲν τοιοῦτος
κατὰ πάντα ἔσται ἄριστος, ὁ δ᾽ ἐναντίος οὐδὲν ὑγιὲς ἔχει. καὶ τὸ μὲν καλὸν ἐν τῷ τοιούτῳ
διαφαίνεται (ὑπὸ γὰρ τῷ θείῳ τὰ
θηριώδη τῆς φύσεως ὑποτάττεται), τὸ δ᾽ αἰσχρὸν ἐν τῷ ἐναντίῳ. ὑπὸ γὰρ τῷ ἀγρίῳ τὸ ἥμερον [10] δουλοῦται,
καὶ τὸ βέλτιστον ὑπὸ τῷ μοχθηροτάτῳ
καὶ τὸ ἑαυτῷ!2 θειότατον ὑπὸ τῷ ἀθεωτάτῳ τε καὶ μιαρωτάτῳ δουλοῦται καὶ ἐπὶ τῇ αὑτοῦ ψυχῇ
πλημμελεῖ. καὶ μὴν τό γε
ἀκολασταίνειν διὰ τὰ τοιαῦτα πάλαι ψέγεται, ὅτι ἀνίεται ἐν τῷ τοιούτῳ τὸ ἐπιθυμητικὸν εἰς ἐλευθερίαν
πέρα τοῦ δέοντος. καὶ ἡ αὐθάδεϊα δὲ
καὶ δυσκολία ψέγεται, ὅταν ὁ θυμὸς ἀναρμόστως αὔξηται καὶ συντείνῃται. τρυφὴ δὲ ἐπὶ
τῇ!" τοῦ αὐτοῦ ἀνέσει ψέγε- ται,
ὅταν ἐν αὐτῷ δειλίαν ἐμποιῇ. κολακεία δὲ καὶ ἀνελευθερία παρενοχλεὶῖ, ὅταν τις τὸ θυμοειδὲς [20]
ὑπὸ τῷ ὀχλώδει θηρίῳ ποιῇ, καὶ ἕνεκα
χρημάτων καὶ τῆς ἐκείνου ἀπληστίας προπηλακιζόμενον ἐθίζῃ ἐκ νέου ἀντὶ λέοντος πίθηκον
γίγνεσθαι. καὶ τάλλα δὲ ἀπὸ τούτου
δῆλα ὡς ἐστὶ δεινά, ὅσα τὸ βέλτιστον ἐν ἡμῖν εἶδος ἀσθενὲς ἀπεργάζεται. μόνως τοίνυν εὐδαιμονήσομεν
ὑπὸ τοῦ θείου καὶ φρο- νίμου
ἀρχόμενοι. οὕτω γὰρ εἰς δύναμιν πάντες ὅμοιοι ἐσόμεθα καὶ φίλοι τῷ [33] αὐτῷ κυβερνώμενοι. δηλοῖ δὲ
καὶ ὁ νόμος ὅτι τὸ τοιοῦτον βούλεται,
πᾶσι τοῖς ἐν τῇ πόλει ξύμμαχος ὦν: καὶ ἡ τῶν
παίδων ἀρχή, τὸ μὴ ἐᾶν ἐλευθέρους εἶναι, ἕως ἂν ἐν αὐτοῖς ὥσπερ ἐν πόλει πολιτείαν καταστήσωμεν, καὶ τὸ
βέλτιστον θεραπεύσαντες τῶν παρ᾽
ἡμῖν, τούτῳ ἀντικαταστήσωμεν φύλακα ὅμοιον καὶ ἄρχον- τα ἐν αὐτῷ, καὶ τότε δὴ ἐλεύθερον ἀφίεμεν.
οὐκοῦν ὅ γε νοῦν ἔχων πάντα τὰ αὑτοῦ
εἰς τοῦτο ξυντείνας βιώσεται, πρῶτον μὲν μαθήμα- τα τιμῶν ἃ τοιαύτην [10] αὐτοῦ τὴν ψυχὴν ἀπεργάσεται,
τὰ δὲ ἄλλα ἀτιμάζων, ἔπειτα τὴν τοῦ
σώματος ἕξιν καὶ τροφὴν οὐχ ὅπως τῇ
θηριώδει καὶ ἀλόγῳ ἡδονῇ ἐπιτρέψας ἐνταῦθα τετραμμένος ζήσει, ἀλλ᾽ οὐδὲ πρὸς ὑγείαν βλέπων, οὐδὲ τοῦτο
πρεσβεύων, ὅπως ἰσχυ- ρὸς ἢ ὑγιὴς ἢ
καλὸς ἔσται, ἐὰν μὴ καὶ σωφρονήσειν μέλλῃ ἀπ’ αὐτῶν’ ἀλλ᾽ ἀεὶ τὴν ἐν τῷ σώματι ἁρμονίαν
τῆς ἐν τῇ ψυχῇ ἕνεκα
12 τὸ ἑαυτῷ Pistelli: ἐν αὑτῷ des Places. 15 ἐπὶ τῇ: ἐπί τῇ erron. des Places.
ESORTAZIONE ALLA
FILOSOFIA 337
dire di far crescere quelle selvagge, [63dP] alleandosi alla natura
del- l'impeto e accomunandoli tutti
nella nostra cura, e cosî l’uomo” li
potrà nutrire, rendendoli amici tra loro e con se stesso. E sarà un
tale uomo assolutamente il migliore,
mentre il suo contrario non ha nulla
di sano. E nel primo si manifesta il bello (perché la sua natura
bestia- le è assoggettata alla sua
natura divina), mentre nel suo contrario si
manifesta il brutto, perché la parte mansueta è schiava di quella
sel- vaggia, e la parte migliore è
schiava di quella peggiore e la sua parte
più divina è schiava di quella più nemica del divino e più impura e <cosi> l’uomo pecca contro la sua
propria anima. E in effetti, l’esse-
re intemperante è da tempo biasimato per il fatto che in esso l’anima appetitiva si abbandona a una smodata
libertà. D'altra parte anche la
caparbietà e intrattabilità vengono biasimate quando l’impeto
cresce e insieme si eccita in modo
sproporzionato. Il lusso invece viene bia-
simato per il rilassamento che esso comporta, quando vi si genera viltà. Anche l’adulazione e la
illiberalità disturbano quando l’anima
impetuosa viene asservita alla bestia turbolenta e, infangata per
amore di ricchezza e per
l’insaziabilità della bestia, si abitua fin dalla giovi- nezza a divenire da leone scimmia. Da
questo risulta chiaro che sono
funesti anche gli altri sentimenti che indeboliscono in noi
l’aspetto migliore. Diverremo dunque
felici soltanto se siamo retti da ciò che è
divino e razionale, perché in tal modo, governati dallo stesso
princi- pio, noi saremo, per quanto
possibile, tutti simili e amici. [33] Ed è
chiaro che anche la legge vuole una cosa del genere, essendo essa alleata con tutti i cittadini; anche il
comando sui fanciulli, cioè il non
lasciarli liberi finché [64dP] non avremo stabilito in loro, come
nella città, una costituzione, e dopo
avere curato in tal modo la parte
migliore di ciò che è in noi, non avremo stabilito in loro un
guardia- no e un governatore simile
al nostro, e solo allora li lasceremo liberi. Chi ha intelletto, dunque, vivrà facendo
tendere tutte le proprie ener- gie a
questo fine, e anzitutto terrà nella dovuta stima quelle scienze che rendono tale [sc. divina e razionale]
la sua anima, e disprezzerà tutte le
altre, poi per quanto concerne il carattere e la cura del suo corpo vivrà non già come uno che si affida
ai piaceri bestiali e irrazio- nali
ed è tutto rivolto ad essi, ma neppure guarda alla salute, né si pre- occupa di essere forte o robusto o bello,
se non per acquisire tempe- ranza
anche da tali cose, ma sempre si mostrerà capace di collegare,
338 GIAMBLICO
ξυμφωνίας ἁρμοττόμενος
φανεῖται, ἐάνπερ μέλλῃ τῇ ἀληθείᾳ μουσι-
κὸς εἶναι. οὐκοῦν καὶ τὴν ἐν τῇ τῶν χρημάτων κτήσει σύνταξιν οὐκ εἰς ἄπειρον αὐξήσει [20] ἀπέραντα κακὰ
ἔχων, ἀλλ᾽ ἀποβλέπων πρὸς τὴν ἐν
ἑαυτῷ πολιτείαν καὶ φυλάττων, μή τι παρακινῇ αὑτοῦ τῶν ἐκεῖ διὰ πλῆθος οὐσίας ἢ δι᾽
ὀλιγότητα, οὕτω κυβερνῶν προ- σθήσει
καὶ ἀναλώσει τῆς οὐσίας καθόσον ἂν οἷός τε. ἀλλὰ μὴν καὶ τιμάς γε εἰς ταὐτὸν ἀποβλέπων τῶν μὲν
μεθέξει ἑκών, ἃς ἂν οἴηται ἀμείνω
αὑτὸν ποιήσειν, τὰς δὲ φεύξεται ἰδίᾳ καὶ δημοσίᾳ, ἃς ἂν ἡγῆται λύσειν τὴν ὑπάρχουσαν ἕξιν. καὶ ἑνὶ
δηλονότι τῷ πάντα τὰ ἄλλα
ἀνταλλάσσεσθαι ἐπιχειρήσει ἑνὸς τούτου μόνου, τοῦ φρό- νησιν κτήσασθαι, [34] καὶ πάντα πράξει
δουλεύων τῇ τοῦ νοῦ κτήσει. τοῦτο δὲ
οὐδὲν ἄλλο ἐστὶν ἢ τὸ φιλοσοφεῖν, ὥστε καὶ κατὰ ταύτην τὴν διαίρεσιν πάντων μάλιστα
φιλοσοφητέον τοῖς βουλομέ- νοις εὖ
πράττειν. Εἰς ταὐτὸ δὲ φέρει τέλος καὶ ἡ τοιάδε
ἔφοδος. πᾶσα φύσις ὥσπερ ἔχουσα λόγον
οὐθὲν μὲν εἰκῇ ποιεῖ, ἕνεκα δέ τινος πάντα, καὶ
μᾶλλον τοῦ ἕνεκά τινος τὸ εἰκῆ ἐξορίσασα πεφρόντικεν ἤπερ αἱ τέχναι, ὅτι καὶ φύσεως αἱ τέχναι ἦσαν
μιμήματα. τοῦ δὲ ἀνθρώπου συνεστῶτος
[10] φύσει ἐκ ψυχῆς τε καὶ σώματος, βελτίονος δὲ οὔσης τῆς ψυχῆς τοῦ σώματος καὶ ἀεὶ τοῦ
βελτίονος ἕνεκα ὑπηρ- ετουμένου τοῦ
χείρονος, καὶ τὸ σῶμα τῆς ψυχῆς ἕνεκά ἐστι. τῆς ψυχῆς δὲ τὸ μὲν ἦν ἔχον λόγον, τὸ δ᾽ οὐκ
ἔχον, ὅπερ καὶ χεῖρον. ὥστε τὸ ἄλογον
ἕνεκα τοῦ λόγον ἔχοντος. ἐν δὲ τῷ λόγον ἔχοντι ὁ νοῦς: ὥστε τοῦ νοῦ ἕνεκα πάντα εἶναι
ἀναγκάζει ἡ ἀπόδειξις. τοῦ δ᾽ αὖ νοῦ
αἱ νοήσεις ἐνέργειαι, ὁράσεις οὖσαι νοητῶν, ὡς τοῦ ὁρατικοῦ ἐνέργεια ὁρᾶν τὰ ὁρατά. νοήσεως
οὖν καὶ νοῦ «ἕνεκα» πά- ντα αἱρετὰ
τοῖς [20] ἀνθρώποις, εἴπερ τὰ μὲν ἄλλα τῆς ψυχῆς ἕνεκα αἱρετά, νοῦς δὲ τὸ βέλτιστον τῶν κατὰ ψυχὴν
povov,!4 τοῦ δὲ βελτί- στου τὰ ἄλλα
συνέστηκε χάριν. πάλιν δὲ τῶν διανοήσεων ἐλεύθεραι μὲν ἦσαν ὅσαι δι᾽ αὑτὰς αἱρεταί, δούλαις
δὲ ἐοικυῖαι αἱ δι᾽ ἄλλα τὴν γνῶσιν
ἀπερείδουσαι᾽ κρεῖττον δὲ πανταχοῦ τὸ δι᾽ αὑτὸ τοῦ δι᾽
14 μόνον eliminò des
Places.
ESORTAZIONE ALLA FILOSOFIA 339
per accordo, l'armonia del suo corpo a
quella della sua anima, sem- preché
voglia divenire un vero musico. Ebbene, anche nell’acquisizio- ne dei beni non accrescerà il loro
accumulo all’infinito, in modo da
procacciarsi mali infiniti, ma guardando alla sua propria
costituzione e cercando di mantenerla,
starà attento a non sconvolgere i suoi pro-
pri elementi per eccesso o difetto di ricchezza, in modo da poterli governare aumentando o diminuendo, per
quanto egli potrà, quella ricchezza.
Ma anche per quanto concerne gli onori, puntando allo stesso scopo, parteciperà volentieri di
quelli che penserà possano migliorare
se stesso, e fuggirà sia in privato che in pubblico quelli che riterrà possano corrompere il suo attuale
carattere.5!1 Ed è anche chia- ro che
soltanto con lo scambio di tutti gli altri beni, egli cercherà di ottenerne uno solo, quello della prudenza,
[34] e <cosi> compirà ogni
azione dedicandosi all’acquisizione dell'intelletto. Ciò non è altro che il filosofare, sicché anche secondo
una tale divisione occor- re
soprattutto filosofare se si vuole essere felici.5?
[65dP] Allo stesso fine conduce il seguente procedimento. Tutta la natura, come se fosse razionale, non
compie nulla a caso, ma ogni cosa in
vista di qualcosa, e avendo escluso la casualità, essa si è preoc- cupata della finalità più che le arti, in
quanto anche le arti erano imi-
tazioni della natura. Ma poiché l’uomo è composto per natura di anima e di corpo, e poiché l’anima è
superiore al corpo e sempre l’in-
feriore è assoggettato in vista del superiore, anche il corpo esiste
in vista dell'anima. Ma nell’anima una
parte era razionale e un’altra parte
irrazionale, che era anche quella inferiore; sicché l’irrazionale esiste in vista del razionale. Ma nella
parte razionale c’è l'intelletto;
sicché è dimostrato necessariamente che ogni parte dell’anima
esiste in vista dell'intelletto. Ora,
gli atti dell’intelletto sono le intellezioni, che sono visioni degli intelligibili, cosî
come il vedere le cose visibili è
atto della facoltà visiva. Dunque anche per gli uomini ogni loro scel- ta deve essere in vista dell’intellezione
e dell’intelletto, se è vero che
tutto il resto è scelto in vista dell'anima, e soltanto l’intelletto è
nel- l'anima la parte migliore, e
tutte le altre parti sono costituite in fun-
zione di <questa> che è la parte migliore. Ancora, tra i pensieri
erano degni di un uomo libero quelli
scelti per se stessi, mentre erano degni
di un servo quelli che basano la loro conoscenza su elementi ad
essi esterni; ma sempre è superiore
ciò che vale per se stesso rispetto a ciò
340 GIAMBLICO
ἄλλο, ὅτι καὶ τὸ
ἐλεύθερον τοῦ μὴ τοιούτου. χρωμένων δὴ τῶν πρά- ἔεων τῇ διανοίᾳ, κἂν αὐτὸς [35] ὑποβάλλῃ
τὸ συμφέρον καὶ ταύτῃ ἡγῆται, ἀλλ᾽
ἔπεταί γε ταύταις καὶ δεῖταί γε καὶ τοῦ διακονήσον- τος σώματος καὶ ἀναπίμπλαταί! γε καὶ τῆς
τύχης, ὑπὲρ ὧν ἀποδίδω- σι τὰς
πράξεις ὧν ὁ νοῦς κύριος, καὶ διὰ σώματος αἱ πολλαί. ὥστε τῶν διανοήσεων αἱ δι᾽ αὐτὸ ψιλὸν τὸ
θεωρεῖν αἱρεταὶ τιμιώτεραι καὶ
κρείττους τῶν πρὸς ἄλλα χρησίμων’ δι᾽ αὑτὰς δὲ τίμιοι αἱ θεωρίαι καὶ αἱρετὴ ἐν ταύταις τοῦ νοῦ ἡ
σοφία, διὰ δὲ πράξεις αἱ κατὰ
φρόνησιν᾽' ὥστε τὸ ἀγαθὸν καὶ [10] τίμιον ἐν ταῖς κατὰ σοφίαν θεωρίαις, θεωρίαις δὲ οὐ δήπου πάλιν ταῖς
τυχούσαις" οὐ γὰρ πᾶσα ἁπλῶς
κατάληψις τίμιον, ἀλλ᾽ ἡ τοῦ ἄρχοντος σοφοῦ ὄντος καὶ τῆς ἐν τῷ παντὶ ἀρχῆς, αὕτη καὶ σοφίᾳ σύνοικος
καὶ οἰκείως ἂν ὑποκέοιτο. αἰσθήσεως
μὲν οὖν καὶ νοῦ ἀφαιρεθεὶς ἄνθρωπος φυτῷ
γίγνεται παραπλήσιος, νοῦ δὲ μόνου ἀφῃρημένος ἐκθηριοῦται, ἀλο- γίας δὲ ἀφαιρεθεὶς μένων δ᾽ ἐν τῷ νῷ
ὁμοιοῦται θεῷ. καταργητέον οὖν εἰς
δύναμιν τῆς ἀλογίας τὰ πάθη, ταῖς δὲ τοῦ νοῦ καθαραῖς ἐνεργείαις καὶ εἰς [20] ἑαυτὸν καὶ τὸ
θεῖον ἀφορώσαις χρηστέον, καὶ ταῖς
διεξόδοις τοῦ νοῦ ζῆν μελετητέον, πᾶν τὸ τῆς προσοχῆς ὄμμα καὶ τὸν ἔρωτα πρὸς τοῦτον συνάψαντα.
οὐ γὰρ δὴ τὰ περὶ τὸν θεὸν καὶ τὰ
θεῖα θεωρητέον τῶν πράξεων ἕνεκα. οὐ γάρ φασι θεμι- τὸν εἶναι χραίνειν τὴν θέαν τοῦ θείου
καταδουλούμενον τῷ τοῦ χρησίμου
ἀνθρώποις ἀναγκαίῳ, οὐδ᾽ ὅλως τὸν νοῦν ἀσπαστέον διὰ τὰς χρείας *** εἰκὼς πρὸς ταύτας (μόνος δὴ
πασῶν [36] τῶν ἄλλων ἃς ἔχομεν
ἐπιτυχὴς δυνάμεων), ἔμπαλιν δὲ καὶ τὰς πράξεις καὶ πά- via τὰ ἄλλα πρὸς νοῦν καὶ τὸν θεὸν
συντακτέον, καὶ ἀπὸ τούτου καὶ τῶν
κατὰ μέρος καθηκόντων τὸ εὐλόγιστον ἀναμετρητέον. δικαία τε γὰρ καὶ κατ᾽ ἀξίαν ἡ κρίσις καὶ μόνη πασῶν
ἱκανὴ τὴν ἀληθινὴν ἀνθρώποις
εὐδαιμονίαν παρασκευάζειν. ᾧ γὰρ τῶν ἄλλων διαφέρο- μεν ζῴων, ἐν μόνῳ δὴ τούτῳ τῷ βίῳ
διαλάμπει, ᾧ οὐκ ἦν τι τυχὸν καὶ
15 ἀναπίμπλαταί: ἀναπίμλαταί erron. des
Places.
ESORTAZIONE ALLA FILOSOFIA 341
che vale per altro, poiché anche ciò che è libero
è superiore a ciò che non lo è.
Ebbene, quando nelle azioni si usa la ragione, sebbene chi agisce [35] si ispiri a ciò che <ad
essa> conviene e giudichi in questa
direzione, nondimeno nel seguire le azioni esso anche ha bisogno di servirsi del corpo e può essere
contaminato dalla fortuna in ciò per
cui compie le azioni sotto il dominio dell'intelletto, anche
<perché> molte delle sue azioni
sono compiute per mezzo del corpo. [66dP]
Ne consegue che tra i pensieri quelli scelti in virtà della pura contem- plazione sono più validi e migliori di
quelli che sono utili ad altro scopo;
ma tra di essi sono preziosi per se stessi quelli relativi alla con- templazione e tra questi che riguardano
l’intelletto dev'essere scelta la
sapienza, mentre tra quelli che riguardano le azioni <sono
preziosi per se stessi> i pensieri
relativi alla prudenza; sicché ciò che è buono e prezioso sta tra le contemplazioni
secondo sapienza, e, ancora una
volta, non certo tra le contemplazioni di qualsiasi natura, perché
non ogni percezione in quanto tale ha
valore, bensi quella di chi è al
comando ed è principio dell’universo, ed è questa la contemplazione che si potrebbe propriamente considerare
come inseparabile dalla sapienza.
Orbene, se a un uomo si toglie sensibilità e intelletto egli diviene pressoché una pianta, se gli toglie
il solo intelletto somiglia a un
bruto, se infine gli si toglie la irrazionalità e lo si lascia in possesso del <solo> intelletto egli diviene
simile a un dio. Occorre dunque
reprimere, per quanto possibile, le passioni dell'anima irrazionale,
e utilizzare le pure azioni
dell’intelletto che riguardano sia se stessi sia il divino, e darsi cura di vivere secondo
i procedimenti discorsivi del-
l'intelletto, collegando a quest’ultimo l’intero sguardo della nostra attenzione e il nostro amore. Non bisogna
infatti considerare dio e il divino
in vista delle azioni, perché non è lecito, si dice, contaminare la contemplazione del divino quando si è
asserviti alla necessità di ciò che è
utile agli uomini, né bisogna assolutamente dare addio all’intel- letto per via dei nostri bisogni ***53 (è
appunto la sola facoltà, tra tutte
[36] quelle che possediamo, ad avere successo <anche riguardo alle azioni>), al contrario bisogna
coordinare sia le <nostre> azioni
che tutto il resto con l'intelletto e con dio, e a partire da questo e
dai doveri particolari bisogna
calcolare la giusta misura. È infatti giusto
ed espresso secondo il merito il giudizio, che è anche l’unico tra
tutti, capace di fornire agli uomini
la vera felicità. [67dP] Ciò per cui, infat-
342 GIAMBLICO
où μεγάλην ἔχον ἀξίαν.
λόγου μὲν γὰρ καὶ φρονήσεως μικρά τινὰ
[10] καὶ ἐν ἐκείνοις αἰθύγματα, σοφίας δὲ θεωρητικῆς ταῦτα μὲν παντελῶς ἄμοιρα, μόνοις δὲ μέτεστι
θεοῖς" ὡς αἰσθήσεσί γε καὶ
ὁρμαῖς πολλῶν ἤδη ζῴων τῆς ἀκριβείας καὶ τῆς ἰσχύος λείπεται ἄνθρωπος, καὶ μόνον τοῦτο ὄντως ἀγαθὸν
ἀναφαίρετον, ὃ δὴ περιέ- χειν
συγχωροῦσι τὴν τοῦ ἀγαθοῦ ἔννοιαν, οὐδαμῶς μὲν τοῖς τυχηροῖς ὑποτάττοντος ἑαυτὸν κατὰ τοῦτον
τὸν βίον τοῦ σπουδαίου, ἀπὸ δὲ τῶν
ὑποχειρίων τῇ τύχῃ μάλιστα δὴ πάντων ἑαυτὸν ἐλευθερ- ὠσαντος. διὸ καὶ τὸ θαρρεῖν ἐξ ὅλης τῆς
γνώμης ἐν τούτῳ διατελοῦντα [20]
ἔνεστι τῷ βίῳ. τίνος γὰρ τίς αὐτὸν ἀφαιρήσεται τὸν πάλαι τῶν ἀφαιρεθῆναι οἵων τε ἑαυτὸν
ἀλλοτριώσαντα, ἔχοντα δὲ τὸν ὄντως
ἑαυτὸν καὶ ζῶντα ἐν τοῖς ἑαυτοῦ καὶ τρεφόμενον ἀπὸ τῶν αὑτοῦ καὶ τῆς ἀμετρήτου ᾧ συνῆπται
θεοῦ εὐζωίας; τοιαῦται μὲν οὖν ἡμῖν
ἔστωσαν αἱ πρὸς τὴν τελειοτάτην σοφίαν Πυθαγορικαὶ παρακλήσεις.
VI. ᾿Επεὶ δὲ ἀνθρώποις διαλεγόμεθα, ἀλλ᾽ οὐχὶ τοῖς τὴν θείαν μοῖραν τῆς ζωῆς πρόχειρον ἔχουσι, δεῖ [37]
συμμιγνύναι ταῖς τοιαύταις
παρακλήσεσι τὰς πρὸς τὸν πολιτικὸν καὶ πρακτικὸν βίον προτροπάς. ὧδε οὖν λέγωμεν: τὰ ὑποκείμενα
πρὸς τὸν βίον ἡμῖν, οἷον «τὸ»͵ σῶμα
καὶ «τὰ» περὶ τὸ σῶμα, καθάπερ ὄργανά τινα
ὑπόκειται, τούτων δ᾽ ἐπικίνδυνός ἐστιν ἡ χρῆσις, καὶ πλέον θάτε- ρον ἀπεργάζεται τοῖς μὴ δεόντως αὐτοῖς
χρωμένοις. δεῖ τοίνυν ὀρέ- γεσθαι τῆς
ἐπιστήμης κτᾶσθαίΐ τε αὐτὴν καὶ χρῆσθαι αὐτῇ προ- σηκόντως, δι᾽ ἧς πάντα ταῦτα εὖ θησόμεθα.
φιλοσοφητέον ἄρα ἡμῖν, [10] εἰ
μέλλομεν ὀρθῶς πολιτεύσεσθαι καὶ τὸν ἑαυτῶν βίον διάξειν ὠφελίμως. ἔτι τοίνυν ἄλλαι μέν εἰσιν αἱ
ποιοῦσαι ἕκαστον τῶν ἐν τῷ βίῳ
πλεονεκτημάτων ἐπιστῆμαι, ἄλλαι δὲ αἱ χρώμεναι ταύταις, καὶ ἄλλαι μὲν αἱ ὑπηρετοῦσαι, ἕτεραι δὲ αἱ
ἐπιτάττουσαι, ἐν αἷς ἐστιν ὡς ἂν
ἡγεμονικωτέραις ὑπαρχούσαις τὸ κυρίως ὃν ἀγαθόν. εἰ τοίνυν μόνη ἡ τοῦ κρίνειν ἔχουσα τὴν
ὀρθότητα καὶ ἡ τῷ λόγῳ
ESORTAZIONE ALLA FILOSOFIA 343
ti, siamo diversi dagli altri animali
risplende appunto solo in questo modo
di vivere a cui mancherebbe qualsiasi elemento che sia casuale o privo di grande valore. Anche negli
animali infatti esistono delle
piccole scintille di ragione e di prudenza, ma queste sono del
tutto prive di sapienza
contemplativa, che si deve attribuire solo agli dèi,54 cosi come, d’altra parte, l’uomo è privo
di quella precisione e forza di
sensibilità e di impulso che hanno molti animali;55 ed è solo questo il vero bene che non si può togliere
<all’uomo>,56 e che concordemen-
te si ritiene contenga la nozione di bene,57 se egli non si
sottomette mai a ciò che è fortuito
in virtà di una vita da saggio, bensi si rende libero il più possibile da tutto ciò che è
soggetto alla fortuna. Perciò è
possibile trarre, da questa intera sentenza,?8 anche <l’esortazione> ad “avere coraggio”, finché ci si trovi a
vivere questa vita. Infatti che cosa
si potrà togliere all'uomo che si sarà da tempo distaccato dalle cose che potevano essergli tolte, e che
possiede realmente se stesso e che
vive di ciò che gli appartiene e che si nutre di ciò che gli è pro- prio nonché della incommensurabile
felicità di dio alla quale egli si è
collegato? Tali siano dunque per noi le esortazioni pitagoriche alla
più perfetta sapienza.
6. Poiché noi stiamo ragionando con degli uomini, che tuttavia non hanno facile accesso alla vita divina,
allora dobbiamo [37] mescolare a tali
esortazioni quelle che incitano alla vita civile e prati- ca. Facciamo dunque un discorso di questo
tenore: le cose che stan- no a
fondamento della nostra vita, quali ad esempio il corpo e tutto ciò che lo riguarda, la sorreggono a mo’
di strumenti, il cui utilizzo non è
privo di rischi, e comporta effetti piuttosto negativi per coloro che non li adoperano come si deve. Occorre
dunque desiderare la scienza e
acquistarla e usarla [68dP] in modo conveniente, <perché> attraverso di essa noi potremo stabilire
l’uso corretto di tutti quegli
strumenti.5? Occorre dunque filosofare, se vogliamo essere dei
buoni cittadini e vogliamo condurre
in maniera proficua la nostra vita.
Ancora, altre sono le scienze che producono ciascuna delle cose che recano vantaggi nella vita, altre invece
le scienze che si servono delle
prime, e altre ancora le scienze che sono loro ausiliarie, e altre
infine che le comandano, perché
<solo> in queste, in quanto più egemoni- che, sussiste il bene vero e proprio. Se
dunque solo la scienza che giudica
secondo correttezza e si serve della ragione e contempla il
344 GIAMBLICO
χρωμένη καὶ ἡ τὸ ὅλον
ἀγαθὸν θεωροῦσα, ἥτις ἐστὶ φιλοσοφία,
χρῆσθαι πᾶσι καὶ ἐπιτάττειν κατὰ φύσιν δύναται, φιλοσοφητέον ἐκ παντὸς [20] τρόπου, ὡς μόνης φιλοσοφίας
τὴν ὀρθὴν κρίσιν καὶ τὴν ἀναμάρτητον
ἐπιτακτικὴν φρόνησιν ἐν ἑαυτῇ περιεχούσης. ἔτι τοί- νυν, ἐπεὶ τὰ δυνατὰ καὶ ὠφέλιμα πάντες
αἱρούμεθα, ἀποδεικτέον!ὁ ὡς τῷ
φιλοσοφεῖν ἀμφότερα ταῦτα ὑπάρχει, καὶ ὅτι τὴν χαλεπότητα τῆς κτήσεως ὑποδεεστέραν ἔχει τοῦ μεγέθους
τῆς ὠφελείας" τὰ γὰρ ῥάω πάντες
ἥδιον πονοῦμεν. ὅτι μὲν οὖν τὰς [38] περὶ τῶν δικαίων καὶ τῶν συμφερόντων, ἔτι δὲ περὶ φύσεώς τε
καὶ τῆς ἄλλης ἀληθεί- ας ἐπιστήμας
δυνατοὶ λαβεῖν ἐσμεν, ῥάδιον ἐπιδεῖξαι. ἀεὶ γὰρ γνωριμώτερα τὰ πρότερα τῶν ὑστέρων καὶ τὰ
βελτίω τὴν φύσιν τῶν χειρόνων. τῶν
γὰρ ὡρισμένων καὶ τεταγμένων ἐπιστήμη μᾶλλόν
ἐστιν ἢ τῶν ἐναντίων, ἔτι δὲ τῶν αἰτίων ἢ τῶν ἀποβαινόντων. ἔστι δ᾽ ὡρισμένα καὶ τεταγμένα τἀγαθὰ τῶν κακῶν
μᾶλλον, ὥσπερ ἄνθρωπος ἐπιεικὴς
ἀνθρώπου φαύλου' τὴν αὐτὴν γὰρ ἔχειν [10]
ἀναγκαῖον αὐτὰ πρὸς ἄλληλα διαφοράν. αἴτιά τε μᾶλλον τὰ πρότε- pa τῶν ὑστέρων’ ἐκείνων γὰρ ἀναιρουμένων
ἀναιρεῖται τὰ τὴν οὐ- σίαν ἐξ ἐκείνων
ἔχοντα, μήκη μὲν ἀριθμῶν, ἐπίπεδα δὲ μηκῶν, στε- ρεὰ δὲ ἐπιπέδων!, στοιχεῖα δὲ τῶν
ὀνομαζομένων συλλαβῶν]."7 ὥστε
εἴπερ ψυχὴ μὲν σώματος ἄμεινον (ἀρχικώτερον γὰρ τὴν φύσιν ἐστί), περὶ δὲ σῶμα τέχναι καὶ φρονήσεις εἰσὶν
ἰατρική τε καὶ γυμνα- στική (ταύτας
γὰρ ἡμεῖς ἐπιστήμας τίθεμεν καὶ κεκτῆσθαί τινας αὖ- τάς φαμεν), δῆλον ὅτι καὶ περὶ ψυχὴν καὶ
τὰς ψυχῆς!8 ἀρετάς ἐστί τις
ἐπιμέ[20]λεια καὶ τέχνη, καὶ δυνατοὶ λαβεῖν αὐτήν ἐσμεν, εἴπερ γε καὶ τῶν μετ᾽ ἀγνοίας πλείονος καὶ
γνῶναι χαλεπωτέρων. ὁμοίως δὲ καὶ τῶν
περὶ φύσεως πολὺ γὰρ πρότερον ἀναγκαῖον τῶν
αἱτίων καὶ τῶν στοιχείων [39] εἶναι φρόνησιν ἢ τῶν ὑστέρων. οὐ γὰρ ταῦτα τῶν ἄκρων οὐδ᾽ ἐκ τούτων τὰ
πρῶτα πέφυκεν, ἀλλ᾽ ἐξ ἐκείνων καὶ
δι᾽ ἐκείνων τάλλα γίγνεται καὶ συνίσταται φανερῶς. εἴτε γὰρ πῦρ εἴτ᾽ ἀὴρ εἴτε ἀριθμὸς εἴτε
ἄλλαι τινὲς φύσεις αἰτίαι καὶ πρῶται
τῶν ἄλλων, ἀδύνατον τῶν ἄλλων τι γιγνώσκειν ἐκείνας
16 ἀποδεικτέον des
Places, ma congetturò anche Pistelli.
17 [, στοιχεῖα - συλλαβῶν] conservò des Places. 18 ψυχικὰς des Places.
ESORTAZIONE ALLA FILOSOFIA
345
bene nella sua totalità, e cioè la filosofia, è capace di servirsi di
tutte le altre scienze e comandarle
per sua stessa natura, allora occorre in
ogni modo filosofare, in quanto solo la filosofia contiene in se
stessa il retto giudizio e la
prudenza capace di comandare in modo infallibi- le. Ancora, poiché noi tutti preferiamo le
cose possibili e utili, occor- re
dimostrare che ambedue tali generi di cose appartengono al filoso- fare, e che la difficoltà di acquisirla ha
una grandezza inferiore a quel- la
della sua utilità, perché noi tutti facciamo con maggior piacere le cose più facili. Orbene, è facile dimostrare
che noi siamo capaci di attingere
[38] le scienze relative alle cose giuste e convenienti, e anco- ra quelle relative alla natura e al resto
della verità,61 perché sempre le cose
primarie e migliori per natura sono entrambe più note, le pri- marie rispetto alle secondarie e le
migliori per natura rispetto alle peg-
giori. La scienza delle cose determinate e ordinate, infatti, vale
più della scienza dei loro contrari,
e ancora la scienza delle cause vale più
di quella degli effetti. D'altra parte i beni sono determinati e
ordinati più di quanto non lo siano i
mali, lo stesso vale per l’uomo dabbene
rispetto all’uomo cattivo, perché è necessario che tra loro ci sia la
stes- sa differenza <che c’è tra i
contrari>. E le cose primarie sono cause
più delle secondarie, perché, tolte le prime, sono tolte anche le
secon- de, che [69dP] ricevono
l’essere dalle prime, ad esempio le lunghez-
ze dai numeri, le superfici dalle lunghezze, i solidi dalle superfici. Sicché, se è vero che l’anima è meglio del
corpo (perché è per natura più
principiale), e le arti e le discipline relative al corpo sono la medi- cina e la ginnastica (perché noi poniamo
queste come scienze e dicia- mo che
alcuni le possono acquisire), è chiaro allora che esistono anche uno studio e un’arte intorno
all’anima e alle sue virtà, e che noi
siamo capaci di apprenderli, se è vero che possiamo conoscere cose
di cui siamo più ignoranti e che sono
più difficili. La stessa cosa vale per
le scienze della natura, perché è necessario conoscere le cause e
gli elementi [39] prima che le cose
che ne derivano. Queste, infatti, non
sono tra i primi principi, né questi ultimi derivano da esse per
natu- ra,65 ma tutto il resto nasce e
si costituisce, evidentemente, dai princi-
pi e per mezzo di essi. Sia il fuoco sia l’aria o il numero o alcune
altre nature sono, infatti, cause e
primi principi di tutte le altre cose, ed è
impossibile conoscere queste ultime senza conoscere quelli; in che modo infatti si potrebbe conoscere il
discorso ignorando le sillabe, o
346 GIAMBLICO
ἀγνοοῦντας" πῶς γὰρ
ἄν τις ἢ λόγον γνωρίζοι συλλαβὰς ἀγνοῶν, ἢ
ταύτας ἐπίσταιτο μηδὲν τῶν στοιχείων εἰδώς;
Ὅτι μὲν οὖν τῆς ἀληθείας καὶ τῆς περὶ ψυχὴν [10] ἀρετῆς ἐστιν ἐπιστήμη καὶ διότι δυνατοὶ λαβεῖν αὐτάς
ἐσμεν, ταῦτα ἡμῖν εἰρήσθω περὶ αὐτῶν᾽
ὅτι δὲ μέγιστόν ἐστι τῶν ἀγαθῶν καὶ πάντων
ὠφελιμώτατον τῶν ἄλλων, ἐκ τῶνδε δῆλον. πάντες γὰρ ὁμολογοῦμεν ὅτι δεῖ μὲν τὸν σπουδαιότατον ἄρχειν καὶ
τὸν τὴν φύσιν κράτιστον, τὸν δὲ νόμον
ἄρχοντα καὶ κύριον εἶναι μόνον᾽ οὗτος δὲ φρόνησίς τις καὶ λόγος ἀπὸ φρονήσεώς ἐστιν. ἔτι δὲ
τίς ἡμῖν κανὼν ἢ τίς ὅρος
ἀκριβέστερος τῶν ἀγαθῶν πλὴν ὁ φρόνιμος; ὅσα γὰρ ἂν οὗτος ἕλοιτο κατὰ τὴν ἐπιστήμην αἱρούμενος, ταῦτ᾽ ἐστὶν
ἀγαθά, καὶ [20] κακὰ δὲ τὰ ἐναντία
τούτοις. ἐπεὶ δὲ πάντες αἱροῦνται μάλιστα τὰ κατὰ τὰς οἰκείας ἕξεις (τὸ μὲν γὰρ δικαίως ζῆν
ὁ δίκαιος, τὸ δὲ κατὰ τὴν ἀνδρείαν ὁ
τὴν ἀνδρείαν ἔχων, ὁ δὲ σώφρων τὸ σωφρονεῖν ὁμοίως), δῆλον ὅτι καὶ τὸ φρονεῖν ὁ φρόνιμος
αἱρήσεται πάντων μάλιστα: τοῦτο γὰρ
ἔργον ταύτης τῆς δυνάμεως. ὥστε φανερὸν ὅτι κατὰ τὴν κυριωτάτην κρίσιν κράτιστόν ἐστι τῶν [40]
ἀγαθῶν ἡ φρόνησις. οὐ δὴ δεῖ φεύγειν
φιλοσοφίαν, εἵπερ ἐστὶν ἡ μὲν φιλοσοφία, καθάπερ οἰόμεθα, κτῆσίς τε καὶ χρῆσις σοφίας, ἣ δὲ
σοφία τῶν μεγίστων ἀγαθῶν. οὐδὲ δεῖ
χρημάτων μὲν ἕνεκα πλεῖν ἐφ᾽ Ἡρακλέους στήλας καὶ πολλάκις κινδυνεύειν, διὰ δὲ φρόνησιν
μηδὲν πονεῖν μηδὲ δαπανᾶν. ἦ μὴν
ἀνδραποδῶδές γε τοῦ ζῆν ἀλλὰ μὴ τοῦ ζῆν εὖ γλίχε- σθαι, καὶ ταῖς τῶν πολλῶν αὐτὸν ἀκολουθεῖν
δόξαις ἀλλὰ μὴ τοὺς πολλοὺς ἀξιοῦν
ταῖς αὑτοῦ, καὶ τὰ μὲν χρή[10]ματα ζητεῖν τῶν δὲ καλῶν μηδεμίαν ἐπιμέλειαν ποιεῖσθαι
τοπαράπαν. Καὶ περὶ μὲν ὠφελείας καὶ μεγέθους τοῦ
πράγματος ἱκανῶς ἀποδε- δεῖχθαι
νομίζω, διότι δὲ πολλῷ ῥᾷάστη τῶν ἄλλων ἀγαθῶν ἡ κτῆσις αὐτῆς, ἐκ τῶνδε πεισθείη τις ἄν. τὸ γὰρ
μήτε μισθοῦ παρὰ τῶν ἀνθρώπων
γινομένου τοῖς φιλοσοφοῦσι, δι᾽ ὃν συντόνως οὕτως ἂν διαπονήσειαν, πολύ τε προεμένους εἰς τὰς
ἄλλας τέχνας ὅμως ἐξ ὀλίγου χρόνου
θέοντας παρεληλυθέναι ταῖς ἀκριβείαις, σημεῖόν
ESORTAZIONE ALLA
FILOSOFIA 347
si potrebbero comporre queste ultime senza conoscere nessuna lette- ra dell'alfabeto?
Che ci sia, dunque, scienza della verità e della virtà dell'anima e che noi siamo in grado di attingerle, era
ciò che dovevamo dire in pro- posito;
che poi tutto questo sia il più grande dei beni e di tutte le altre cose utili, risulta chiaro da quel che
segue. Tutti noi infatti siamo d’ac-
cordo che deve comandare colui che è il più saggio, e cioè colui che
è il migliore per natura, e che solo
la legge debba comandare e signo-
reggiare; e la legge, d’altra parte, è una sorta di prudenza e di
discor- so derivante da prudenza. E
ancora, quale sorta di canone o limite più
preciso dei beni esiste per noi se non [70dP] l’essere prudente? Giacché le cose che il prudente sceglierà,
dal momento che le avrà scelte
secondo scienza, saranno dei beni, e i mali saranno <appunto> il contrario dei beni. Ma poiché tutti
scelgono soprattutto le cose che si
adattano al loro proprio carattere (il giusto, infatti, sceglie il vivere giustamente, chi ha coraggio il vivere
coraggiosamente, il temperante,
similmente, il vivere in modo temperante), è chiaro allora che
anche il saggio sceglierà soprattutto
il vivere secondo prudenza, perché que-
sto è opera di tale facoltà.7 Ne consegue in modo evidente che, a
giu- dicare nel modo più autorevole,
[40] la prudenza è il migliore dei
beni. Non bisogna dunque fuggire la filosofia, se è vero che la
filoso- fia è, a nostro giudizio,
possesso e uso della sapienza, e la sapienza è il bene più grande; non bisogna neppure,
per amore di ricchezza, navigare
verso le colonne d'Ercole, esponendosi a molti rischi, men- tre per conseguire prudenza non occorre né
faticare né dissipare ric- chezza.
Non c’è dubbio che è da schiavo affannarsi a vivere ma non a vivere bene, e a seguire le opinioni della
massa ma non ritenere la massa degna
della nostra opinione, e a cercare la ricchezza senza darsi per niente alcuna cura delle cose
belle. Anche a proposito dell’utilità e della
grandezza della filosofia io credo
che tutto ciò sia sufficiente, ma del fatto che il possesso di essa sia molto più facile di quello degli altri
beni, si potrebbe essere per- suasi
dal seguente discorso. Perché il fatto che quelli che filosofano non chiedano agli uomini alcun compenso, e
che, anche quando con- cedono un
certo vantaggio a quelli che corrono per conseguire le altre arti, tuttavia li superino in esattezza,
[71dP] tutto ciò a me sembra un segno
della facilità della filosofia. Ancora, il fatto che tutti amino fre-
348 GIAMBLICO
μοι δοκεῖ τῆς περὶ [20]
τὴν φιλοσοφίαν εἶναι ῥᾳστώνης. ἔτι δὲ τὸ
πάντας φιλοχωρεῖν ἐπ᾽ αὐτῇ καὶ βούλεσθαι σχολάζειν ἀφεμένους τῶν ἄλλων ἁπάντων, οὐ μικρὸν τεκμήριον ὅτι
μεθ᾽ ἡδονῆς ἡ προσε- δρεία
γίγνεται" πονεῖν γὰρ οὐδεὶς ἐθέλει πολὺν χρόνον. πρὸς δὲ τούτοις ἡ χρῆσις πλεῖστον διαφέρει πάντων᾽
οὐδὲ γὰρ δέονται πρὸς τὴν ἐργασίαν
ὀργάνων οὐδὲ τόπων, ἀλλ᾽ ὅπῃ τις ἂν θῇ [41] τῆς οἱ- κουμένης τὴν διάνοιαν, ὁμοίως πανταχόθεν
ὥσπερ παρούσης ἅπτε- ται τῆς
ἀληθείας. οὐκοῦν ἀποδέδεικται καὶ ὅτι δυνατὸν καὶ διότι μέγιστον τῶν ἀγαθῶν καὶ κτήσασθαι ῥάδιον ἡ
φιλοσοφία, ὥστε πάντων ἕνεκα προθύμως
αὐτῆς ἀντιλαμβάνεσθαι ἄξιον.
VII. Ἴδοι δ᾽ ἄν τις τὸ
αὐτὸ γνωριμώτερον ἀπὸ τούτων. τὸ φρονεῖν
καὶ τὸ γιγνώσκειν ἐστὶν αἱρετὸν καθ᾽ αὑτὸ τοῖς ἀνθρώποις (οὐδὲ γὰρ ζῆν δυνατὸν ὡς ἀνθρώποις ἄνευ τούτων),
χρήσιμόν τε εἰς τὸν βίον ὑπάρχει'
[10] οὐδὲν γὰρ ἡμῖν ἀγαθὸν παραγίγνεται, è τι μὴ λογισαμένοις καὶ κατὰ φρόνησιν ἐνεργήσασιν
τελειοῦται. καὶ μὴν εἶτε τὸ ζῆν
εὐδαιμόνως ἐν τῷ χαίρειν ἐστὶν εἴτε ἐν τῷ τὴν ἀρετὴν ἔχειν εἴτε ἐν τῇ φρονήσει, κατὰ ταῦτα
πάντα φιλοσοφητέον. ταῦτα γὰρ μάλιστα
καὶ εἰλικρινῶς διὰ τοῦ φιλοσοφεῖν ἡμῖν παραγίγνεται. ἔτι τοίνυν τὸ μέν ἐστι ψυχὴ τῶν ἐν ἡμῖν τὸ
δὲ σῶμα, καὶ τὸ μὲν ἄρχει τὸ δὲ
ἄρχεται, καὶ τὸ μὲν χρῆται τὸ δ᾽ ὑπόκειται ὡς ὄργανον. ἀεὶ τοίνυν πρὸς τὸ ἄρχον καὶ τὸ χρώμενον
συντάττεται ἡ τοῦ ἀρχο- μένου καὶ τοῦ
ὀργάνου [20] χρεία. τῆς δὲ ψυχῆς τὸ μὲν λόγος ἐστὶν ὅπερ κατὰ φύσιν ἄρχει καὶ κρίνει περὶ
ἡμῶν, τὸ δ᾽ ἕπεταί τε καὶ πέ- φυκεν
ἄρχεσθαι. πᾶν δὲ εὖ διάκειται κατὰ τὴν οἰκείαν ἀρετήν᾽ τὸ γὰρ τετυχηκέναι ταύτης ἀγαθόν ἐστι. καὶ
μὴν ὅταν γε ἔχῃ τὰ μάλι- στα καὶ
κυριώτατα καὶ τιμιώτατα τὴν ἀρετήν, τότε εὖ διάκειται. τοῦ βελτίονος ἄρα φύσει βελτίων ἐστὶν ἡ κατὰ
φύσιν ἀρετή. βέλτιον δὲ τὸ κατὰ φύσιν
ἀρχικώτερον καὶ μᾶλλον ἡγεμονικόν, ὡς ἄνθρωπος πρὸς τὰ ἄλλα ζῷα οὐκοῦν ψυχὴ μὲν σώματος
βέλτιον (ἀρχικώτερον γάρ), [30] ψυχῆς
δὲ τὸ λόγον ἔχον καὶ διάνοιαν. ἔστι γὰρ τοιοῦτον ὃ κελεύει καὶ κωλύει, καὶ δεῖν ἢ μὴ δεῖν
φησι [42] πράττειν. ἥτις
ESORTAZIONE ALLA FILOSOFIA 349
quentare la filosofia e vogliano studiarla
abbandonando ogni altra occupazione,
non è un piccolo indizio del fatto che lo studio assiduo della filosofia sia piacevole, perché
nessuno vuole faticare a lungo
<senza provare un qualche piacere>. Inoltre, l’uso della filosofia
dif- ferisce moltissimo da quello
delle altre arti, perché non occorre nes-
suno strumento o luogo per esercitarla, ché anzi ovunque, [41] nel- l'universo, si ponga mente, da ogni parte
si entra in contatto con la verità
come se fosse presente. Si è dunque dimostrato anche cosî che è possibile e facile acquisire il più
grande tra i beni che è la filosofia,
sicché, per tutte queste ragioni, è opportuno impegnarvisi con
ardo- re.
7. Si potrebbe ottenere la medesima conclusione in maniera più chiara, partendo dalle seguenti
considerazioni. Il pensare e il conosce-
re sono, per gli uomini, desiderabili per se stessi (perché gli uomini
in quanto tali non possono vivere
senza di questi), e sono anche utili per
la vita, perché a noi non arriva alcun bene che non sia realizzato
con nostro calcolo e con prudente
attività. E infatti, si faccia consistere il
vivere felici nell'essere lieti o nel comportarsi secondo virtù o
nell’es- sere prudenti, tutto ciò
comporta la necessità di filosofare, perché tali beni ci arrivano soprattutto e in maniera
genuina attraverso il filoso- fare.
Ancora, dei nostri due elementi costitutivi, cioè l’anima e il corpo, la prima comanda e l’altro è comandato,
e l’una si serve del- l'altro e
questo le è sottoposto come suo strumento. Sempre dunque l'uso di ciò che è comandato e dello
strumento è subordinato a ciò che
comanda e ne fa uso. Ma nell’anima è la ragione che per natura comanda e giudica delle cose che ci
riguardano, [72dP] mentre il corpo
per natura la segue ed è da essa comandato. E ogni cosa risul- ta bene ordinata a seconda della sua
propria virtà, perché l'avere rea-
lizzato la propria virti è un bene. Ed è, appunto, quando a
possede- re la virtii sia ciò che si
trova al massimo livello ed è l'elemento più
importante e più prezioso, che si ottiene la buona disposizione <di ogni cosa>; orbene, di ciò che è
migliore per natura, è migliore
<anche> la virtà secondo natura. Ma è migliore ciò che per natura
è più atto a comandare e a fare da
guida, cosî come lo è l’uomo rispet-
to agli altri animali; dunque l’anima è migliore del corpo (perché è più atta a comandare), e d’altra parte
nell'anima è migliore la parte che
possiede la ragione e il pensiero, perché è quella che permette o
vieta,
350 GIAMBLICO
ποτὲ οὖν ἐστιν ἀρετὴ τούτου τοῦ μέρους, ἀναγκαῖον εἶναι πάντων αἱρετωτάτην ἁπλῶς τε πᾶσι καὶ ἡμῖν"
καὶ γὰρ ἂν τοῦτο, οἶμαι, θείη τις, ὡς
ἤτοι μόνον ἢ μάλιστα ἡμεῖς ἐσμεν τὸ μόριον τοῦτο. ἔτι τοί- νυν ὅταν ὃ πέφυκεν ἔργον ἑκάστου μὴ κατὰ
συμβεβηκὸς ἀλλὰ καθ᾽ αὑτὸ λεγόμενον
κάλλιστα ἀποτελῇ, τότε καὶ τοῦτο ἀγαθὸν εἶναι λεκτέον, ταύτην τε ἀρετὴν θετέον
κυριωτάτην, καθ᾽ ἣν ἕκαστον αὐτὸ
τοῦτο πέφυκεν ἀπεργάζεσθαι. τοῦ μὲν οὖν συνθέτου [10] καὶ μεριστοῦ πλείους καὶ διάφοροί εἰσιν
ἐνέργειαι, τοῦ δὲ τὴν φύσιν ἁπλοῦ καὶ
μὴ πρὸς τὶ τὴν οὐσίαν ἔχοντος μίαν ἀναγκαῖον εἶναι τὴν καθ᾽ αὑτὸ κυρίως ἀρετήν. εἰ μὲν οὖν ἁπλοῦν
τι ζῷόν ἐστιν ὁ ἄνθρωπος καὶ κατὰ
λόγον καὶ νοῦν τέτακται αὐτοῦ ἡ οὐσία, οὐκ
ἄλλο ἐστὶν αὐτοῦ ἔργον ἢ μόνη ἡ ἀκριβεστάτη ἀλήθεια καὶ τὸ περὶ τῶν ὄντων ἀληθεύειν. εἰ δ᾽ ἐστὶν ἐκ
πλειόνων δυνάμεων συμπεφυ- κύς, δῆλόν
ἐστιν ὡς ἀφ᾽ οὗ πλείω πέφυκεν ἀποτελεῖσθαι, ἀεὶ τούτων τὸ βέλτιστον ἔργον ἐστίν, οἷον ἰατρικοῦ
ὑγεία καὶ κυβερ[20]νήτου σωτηρία.
βέλτιον δὲ οὐδὲν ἔχομεν λέγειν ἔργον τῆς διανοίας ἢ τοῦ διανοουμένου τῆς ψυχῆς ἡμῶν ἀληθείας.
ἀλήθεια ἄρα τὸ κυριώτα- τον ἔργον
ἐστὶ τοῦ μορίου τούτου τῆς ψυχῆς. τοῦτο δὲ δρᾷ κατ᾽ ἐπιστήμην ἁπλῶς, μᾶλλον δὲ κατὰ τὴν μᾶλλον
ἐπιστήμην, ταύτῃ δ᾽ ἐστὶ θεωρία τὸ
κυριώτατον τέλος. ὅταν γὰρ δυοῖν ὄντοιν θάτερον διὰ θάτερον αἱρετὸν ἦ, βέλτιόν ἐστι τοῦτο
καὶ μᾶλλον αἱρετὸν δι᾽ ὅπερ αἱρετόν
ἐστι καὶ θάτερον, οἷον ἡδονὴ μὲν τῶν ἡδέων, ὑγεία δὲ τῶν ὑγιεινῶν᾽ ταῦτα γὰρ ποιητικὰ λέγεται
τούτων. [43] οὐκοῦν τῆς φρονήσεως, ἥν
φαμεν δύναμιν εἶναι τοῦ κυριωτάτου τῶν ἐν ἡμῖν, οὐκ ἔστιν αἱρετώτερον οὐδέν, ὡς ἕξιν!9 πρὸς
ἕξιν κρίνεσθαι τὸ γὰρ γνωστικὸν μέρος
καὶ χωρὶς καὶ συγκείμενον βέλτιόν ἐστι πάσης τῆς ψυχῆς, τούτου δὲ ἐπιστήμη ἀρετή. οὐκ ἄρα
ἐστὶν ἔργον αὐτῆς οὐδε- μία τῶν κατὰ
μέρος λεγομένων ἀρετῶν: πασῶν γάρ ἐστι βελτίων, τὸ δὲ ποιούμενον τέλος ἀεὶ κρεῖττόν ἐστι τῆς
ποιούσης ἐπιστήμης" οὐδὲ μὴν
ἅπασα τῆς ψυχῆς ἀρετὴ οὕτως ἔργον οὐδ᾽ ἡ εὐδαι[]0]μονί-
19 ἕξιν des Places, ma
sospettò anche Pistelli: ἕξις codd.
ESORTAZIONE ALLA FILOSOFIA 351
e dice se bisogna fare o
non fare. [42] Quale che sia, dunque, la virtà di questa parte <dell’anima>, essa
sarà necessariamente la più deside-
rabile in assoluto per tutti e per noi stessi; e infatti si può
stabilire, io credo, che noi siamo o
unicamente o al massimo grado una tale parte. Ancora, quando l’opera di ciascuna cosa
realizza il meglio per natura e non
per accidente, ma per se stessa, allora si dovrà dire che anche questo è bene, e si dovrà porlo come la
sua virtù principale, secondo la
quale ogni cosa opera cosî per natura. Di ciò che è composto e divi- sibile esistono, dunque, molteplici e
differenti attività, mentre di ciò
che per natura è semplice e che possiede la sua essenza non in relazio- ne ad altro, necessariamente unica sarà la
virtù che esso avrà propria- mente
per se stesso. Se dunque l’uomo è un animale semplice e la sua essenza è stata ordinata secondo ragione e
intelletto, la sua opera non sarà
nient'altro che unicamente la più esatta verità, cioè il dire <esat- tamente> la verità intorno agli enti;
se invece [73dP] è composto per
natura di più potenze, allora è chiaro che l’opera migliore sarà
quella dalla quale l’uomo è
realizzato per natura in modo più perfetto, quale ad
esempio la salute per il medico o la salvezza <in un naufragio> per il nocchiero. Ma noi dobbiamo dire che la
migliore opera del pensie- ro o,
<meglio>, della facoltà raziocinativa della nostra anima, non è altro che la verità. La verità dunque è
l’opera più propria di questa parte
dell'anima. E quest'opera viene svolta <dall'anima> semplice- mente in virti della scienza, e
soprattutto in virti dell'aspetto più
forte della scienza, cioè della contemplazione che è il fine principale di essa. Quando infatti, fra due enti,
l’uno sia desiderabile in virtà del-
l’altro, allora è migliore e più desiderabile quello per cui è desidera- bile anche l’altro, ad esempio il piacere
rispetto alle cose piacevoli, la
salute rispetto alle cose salutari: si dice infatti che queste sono
<tali perché> produttive di
quelle.68 [43] Dunque della prudenza diciamo
che essa è la facoltà di ciò che in noi c’è di più proprio, e di cui non c’è nulla di più desiderabile, a giudicare
dal confronto tra l’una e l’al- tra
delle nostre facoltà;6? la parte razionale, infatti, sia da sola che in composizione con le altre, è migliore
dell’intera anima, ed appartiene ad
essa la virtà della scienza. Nessuna virtù tra quelle che si dicono particolari è dunque opera di tale parte
dell'anima, perché questa è migliore
fra tutte, e d’altra parte il fine prodotto è sempre migliore della scienza che lo produce, e in verità
nessuna virtù dell'anima è sua
352 GIAMBLICO
a. εἰ γὰρ ἔσται
ποιητική, ἑτέρα ἑτέρων ἔσται, ὥσπερ οἰκοδομικὴ οἱ- κίας, ἥτις οὐκ ἔστι μέρος τῆς οἰκίας, ἡ
μέντοι φρόνησις μόριον τῆς ἀρετῆς
ἐστι καὶ τῆς εὐδαιμονίας" ἢ γὰρ ἐκ ταύτης ἢ ταύτην φαμὲν εἶναι τὴν εὐδαιμονίαν. οὐκοῦν καὶ κατὰ τὸν
λόγον τοῦτον ἀδύνατον εἶναι τὴν
ἐπιστήμην ποιητικήν βέλτιον γὰρ δεῖ τὸ τέλος εἶναι τοῦ γιγνομένου, οὐδὲν δὲ βέλτιον εἶναι
φρονήσεως, πλὴν εἴ τι τῶν εἰρημένων,
τούτων δὲ οὐδὲν ἕτερον αὐτῆς ἐστιν ἔργον. θεωρητικήν τινα ἄρα φατέον εἶναι ταύτην τὴν
ἐπιστήμην, [20] ἐπείπερ ἀδύνατον
ποίησιν εἶναι τὸ τέλος. τὸ φρονεῖν ἄρα καὶ τὸ θεωρεῖν ἔργον τῆς ἀρετῆς ἐστι καὶ τοῦτο πάντων ἐστὶν
αἱρετώτατον τοῖς ἀνθρώποις, ὥσπερ
οἶμαι καὶ τὸ τοῖς ὄμμασιν ὁρᾶν, ὃ καὶ ἕλοιτό τις ἂν ἔχειν, εἰ καὶ μή τι μέλλοι γίγνεσθαι δι᾽ αὐτὸ παρ᾽
αὐτὴν τὴν ὄψιν ἕτερον. ἔτι εἰ τὸ ὁρᾶν
ἀγαπῶμεν δι᾽ ἑαυτό, ἱκανῶς μαρτυρεῖ τοῦτο ὅτι πάντες τὸ φρονεῖν καὶ τὸ γιγνώσκειν ἐσχάτως
ἀγαπῶσιν. ἔτι εἴ τις ἀγαπᾷ τόδε τι
διὰ τὸ συμβεβηκέναι ἕτερον αὐτῷ τι, δῆλον ὅτι μᾶλλον οὗτος βουλήσεται ᾧ μᾶλλον ὑπάρχει [44]
τοῦτο: οἷον εἰ τυγχάνει τις.
αἱρούμενος τὸ περιπατεῖν ὅτι ὑγιεινόν, εἴη δὲ μᾶλλον αὐτῷ ὑγιεινὸν τὸ τροχάζειν καὶ δυνατὸν
παραγενέσθαι, μᾶλλον αἱρήσεται τοῦτο
κἂν ἕλοιτο γνοὺς θᾶττον. εἰ τοίνυν ἐστὶν ἀληθὴς δόξα φρονήσει ὅμοιον, εἴπερ αἱρετὸν τὸ
δοξάζειν ἀληθῶς ταύτην καὶ κατὰ
τοσοῦτον καθόσον ὅμοιον τῇ φρονήσει διὰ τὴν ἀλήθειαν, εἰ μᾶλλον τοῦτο τῷ φρονεῖν ὑπάρχει, μᾶλλον
αἱρετὸν τὸ φρονεῖν ἔσται τοῦ δοξάζειν
ἀληθῶς. ἀλλὰ μὴν τό γε ζῆν τῷ αἰσθά[]0]νεσθαι διακρίνεται τοῦ μὴ ζῆν, καὶ ταύτης
παρουσίᾳ καὶ δυνάμει τὸ ζῆν
διώρισται, καὶ ταύτης ἐξαιρουμένης οὐκ ἔστιν ἄξιον ζῆν ὥσπερ ἀναιρουμένου τοῦ ζῆν αὐτοῦ διὰ τὴν
αἴσθησιν. τῆς δὲ αἰσθήσεως ἡ τῆς
ὄψεως διαφέρει δύναμις τῷ σαφεστάτη εἶναι, καὶ διὰ τοῦτο καὶ μάλιστα αἱρούμεθα αὐτήν αἴσθησις δὲ πᾶσα
δύναμίς ἐστι γνωρι- στικὴ διὰ
σώματος, ὥσπερ ἡ ἀκοὴ τοῦ ψόφου αἰσθάνεται διὰ τῶν ὦτων. οὐκοῦν εἰ τὸ ζῆν μέν ἐστιν αἱρετὸν
διὰ τὴν αἴσθησιν ἡ δ᾽ αἴσθησις γνῶσίς
τις, καὶ διὰ τὸ γνωρίζειν αὐτῇ δύ[20]νασθαι τὴν
ESORTAZIONE ALLA
FILOSOFIA 353
opera cosî come la scienza, neppure la felicità. Se infatti sarà
produt- trice <di qualcosa>,
sarà diversa dalle cose che produce, come lo è della casa l’opera che la costruisce, la
quale non è parte della casa, e
tuttavia la prudenza è parte della virtà e della felicità, perché
noi diciamo che la felicità o deriva
dalla prudenza o è questa stessa virti.
Dunque, anche secondo questo ragionamento è impossibile che la scienza sia produttrice, perché il fine è
migliore di ciò che viene pro- dotto,
e d'altra parte non c’è niente di migliore della prudenza, tran- ne qualcuna delle cose suddette,7° ma
nessuna di queste [74dP] è opera
diversa dalla prudenza. Dunque si deve dire che questa scienza è una scienza contemplativa, se è vero che
è impossibile che il suo fine sia la
produzione <di qualcosa>. Il pensare, dunque, e il contempla- re sono opera della virtù e tale opera è
per gli uomini la più desidera- bile,
come — io credo — lo sia il vedere per gli occhi, cosa che si prefe- rirebbe possedere, anche se con il vedere
non dovessimo ottenere nient'altro
che la vista. Inoltre, se noi amiamo il vedere per se stesso, ciò è prova sufficiente che tutti amano
sommamente il pensare e il conoscere.
Inoltre, se si ama una determinata cosa per il fatto che essa abbia una proprietà diversa da essa, è
chiaro che si vorrà di pit la cosa a
cui soprattutto appartiene quella proprietà; [44] ad esempio, se accade che qualcuno preferisca passeggiare
perché è salutare, ma se gli è più
salutare il correre ed è possibile che lo pratichi, allora prefe- rirà di più il correre e lo preferirà più
velocemente, ammesso che lo sappia.
Se dunque l’opinione vera è simile al pensare,7! se è vero che l'opinare con verità è preferibile in
virtii di tale somiglianza con il
pensare e in quanto è simile al pensare in virtà della sua verità,
allo- ra, se questa proprietà [cioè
la verità] appartiene più al pensare <che
all’opinare>, il pensare sarà più preferibile dell’opinare con
verità. Ma il vivere, appunto, si
distingue dal non-vivere per la capacità di
percepire, ed è per la presenza di tale capacità o facoltà che il vivere si determina, e una volta soppressa tale
facoltà non è più opportuno vivere,
come se venisse meno la vita assieme alla sensibilità. Ma la facoltà della vista differisce da quella
della sensibilità per il fatto che è
la più chiara,72 e perciò noi la preferiamo sopra tutte le altre facol- tà; ma ogni sensazione è capacità di
conoscere attraverso il corpo, come
l'udito è capacità di percepire il suono per mezzo delle orec- chie. Dunque se il [75dP] vivere è
desiderabile per via della sensazio-
ne e la sensazione è una forma di conoscenza, e noi desideriamo
<la
354 GIAMBLICO
ψυχὴν αἱρούμεθα, πάλαι δὲ εἴπομεν ὅτιπερ δυοῖν dei μᾶλλον αἱρετὸν ᾧ μᾶλλον ὑπάρχει ταὐτόν, τῶν μὲν
αἰσθήσεων τὴν ὄψιν ἀνάγκη μάλιστα
αἱρετὴν εἶναι καὶ τιμίαν, ταύτης δὲ καὶ τῶν ἄλλων ἁπασῶν αἱρετωτέρα καὶ τοῦ ζῆν ἐστιν ἡ
φρόνησις κυριωτέρα τῆς ἀληθείας ὥστε
πάντες ἄνθρωποι τὸ φρονεῖν μάλιστα διώκουσι. τὸ γὰρ ζῆν ἀγαπῶντες τὸ φρονεῖν καὶ τὸ
γνωρίζειν ἀγαπῶσι δι᾽ οὐδὲν γὰρ
ἕτερον αὐτὸ τιμῶσιν ἢ διὰ τὴν αἴσθησιν καὶ μάλιστα [45] διὰ τὴν ὄψιν. ταύτην γὰρ τὴν δύναμιν
ὑπερβαλλόντως φαίνονται
φιλοῦντες" αὕτη γὰρ πρὸς τὰς ἄλλας αἰσθήσεις ὥσπερ ἐπιστήμη τις ἀτεχνῶς ἐστιν.
VIII. Οὐ χεῖρον δ᾽ ἔτι καὶ ἀπὸ τῶν κοινῶν ἐννοιῶν ὑπομνῆσαι τὸ προκείμενον, ἀπὸ τῶν ἐναργῶς πᾶσι
φαινομένων. παντὶ δὴ οὖν τοῦτό γε
πρόδηλον, ὡς οὐδεὶς dv ἕλοιτο ζῆν ἔχων τὴν μεγίστην ἀπ᾽ ἀνθρώπων οὐσίαν καὶ δύναμιν, ἐξεστηκὼς
μέντοι τοῦ φρονεῖν καὶ μαινόμενος,
οὐδ᾽ εἰ μέλλοι τὰς νεανικωτάτας ἡδονὰς [10], ζώειν χαίρων, ὥσπερ ἔνιοι τῶν παραφρονούντων
διάγουσιν. οὐκοῦν ἀφρο- σύνην, ὡς
ἔοικε, μάλιστα πάντες φεύγουσιν. ἐναντίον δὲ φρόνησις ἀφροσύνῃ, τῶν δ᾽ ἐναντίων ἑκάτερον τὸ μὲν
φευκτόν ἐστι τὸ δὲ αἱρετόν. ὥσπερ οὖν
τὸ κάμνειν φευκτόν, οὕτως αἱρετὸν ἡμῖν τὸ
ὑγιαίνειν. φρόνησις οὖν, ὡς ἔοικε, καὶ κατὰ τοῦτον τὸν λόγον φαί- νεται τὸ πάντων αἱρετώτατον où δι᾽ ἕτερόν
τι τῶν συμβαινόντων, ὡς μαρτυροῦσιν
αἱ κοιναὶ ἔννοιαι. εἰ γὰρ καὶ πάντα τις ἔχοι, διεφθαρ- μένος δὲ εἴη καὶ νοσῶν τῷ φρονοῦντι, οὐχ
αἱρετὸς ὁ [20] βίος" οὐδὲν γὰρ
ὄφελος οὐδὲ τῶν ἄλλων ἀγαθῶν. ὥστε πάντες καθόσον αἰσθά- νονται τοῦ φρονεῖν καὶ γεύεσθαι δύνανται
τούτου τοῦ πράγματος, οὐδὲν οἴονται
τάλλα εἶναι, καὶ διὰ ταύτην τὴν αἰτίαν οὔτ᾽ ἂν μεθύων οὔτε παιδίον οὐδ᾽ ἂν εἷς ἡμῶν
ὑπομείνειεν εἶναι διὰ τέλους τὸν
βίον. διὰ δὴ τοῦτο καὶ τὸ καθ[46]εύδειν ἥδιστον μὲν οὐχ αἱρετὸν δέ, κἂν ὑποθώμεθα πάσας τῷ
καθεύδοντι παρούσας τὰς ἡδονάς, διότι
τὰ μὲν καθ᾽ ὕπνον φαντάσματα ψευδῆ, τὰ δ᾽ ἐγρηγορό- σιν ἀληθῆ. διαφέρει γὰρ οὐδενὶ τῶν ἄλλων
τὸ καθεύδειν καὶ τὸ ἐγρηγορέναι πλὴν
τῷ τὴν ψυχὴν τότε μὲν πολλάκις ἀληθεύειν,
καθεύδοντος δὲ ἀεὶ διεψεῦσθαι τὸ γὰρ τῶν ἐνυπνίων εἴδωλόν ἐστι καὶ ψεῦδος ἅπαν.
ESORTAZIONE ALLA
FILOSOFIA 355
sensazione> perché l’anima con essa è capace di conoscere, ma
noi prima abbiamo detto che fra due
cose è sempre preferibile di più
quella che possiede di pit la stessa proprietà <per cui è
preferibile>, allora tra le
facoltà sensoriali la vista è necessariamente la più deside- rabile e la più preziosa, ma più di essa e
di tutte le altre facoltà e della
stessa vita è desiderabile la prudenza, che è quella che domina di
più la verità. Coloro che amano il
vivere, infatti, amano il pensare e il
conoscere; per nient'altro, infatti, essi lo apprezzano se non per la
sen- sibilità e soprattutto [45] per
la vista, perché sembra che essi amino
quest'ultima facoltà in misura eccellente, perché è semplicemente come una scienza nei confronti degli altri
sensi. 8. Ma è ancora meglio richiamare alla mente
la materia presente partendo dalle
nozioni comuni, che sono a tutti evidenti. Ebbene, è assolutamente chiaro che nessuno
preferirebbe vivere possedendo la
massima ricchezza e il massimo potere, se tuttavia gli mancasse la facoltà di pensare e fosse matto, neppure
se egli potesse vivere goden- do dei
piaceri più intensi, come fanno alcuni dissennati. Dunque tutti, come sembra, rifuggono dalla imprudenza.
Ma la prudenza è il con- trario
dell’imprudenza, e allora i due contrari sono l’uno da fuggire, l'altro da desiderare. Dunque, cosî come
dobbiamo rifuggire dalla malattia,
allo stesso modo dobbiamo desiderare la salute. Dunque, come sembra, anche la prudenza, secondo
questo ragionamento, [76dP] appare la
cosa più desiderabile fra tutte non certo per qual- cosa che possa accadere al di fuori di
essa,7 come attestano le comu- ni
nozioni. Se infatti si possedesse ogni cosa, ma si fosse distrutti o malati nella facoltà pensante, la vita non
sarebbe <più> desiderabile,
perché neppure alcun altro bene sarebbe vantaggioso. Sicché tutti, nella misura in cui percepiscono la
prudenza e la possono assaporare,
ritengono che tutto il resto è nulla, e per tale ragione nessuno di noi tollererebbe di trascorrere tutta la sua
vita in stato di ebbrezza o di
fanciullezza. È per questo, appunto, che il dormire [46] è piacevole ma non desiderabile, per quanto
supponessimo che nel dormiente siano
presenti tutti i piaceri, e la ragione è che le <nostre> rappresen- tazioni sono false quando dormiamo, vere
quando siamo svegli. Il dormire e
l’essere svegli non differisce per nient'altro se non per il fatto che l’anima nella veglia afferra
spesso la verità, mentre nel sonno
afferra sempre il falso: i sogni, infatti, non sono che immagini e
false rappresentazioni.
356 GIAMBLICO
Καὶ τὸ φεύγειν δὲ τὸν
θάνατον τοὺς πολλοὺς δείκνυσι τὴν φιλομά-
θειαν τῆς ψυχῆς. φεύγει γὰρ ἃ [10] μὴ γιγνώσκει, τὸ σκοτῶδες καὶ τὸ μὴ δῆλον, φύσει δὲ διώκει τὸ φανερὸν
καὶ τὸ γνωστόν. διὸ καὶ μάλιστα τοὺς αἰτίους ἡμῖν τοῦ τὸν ἥλιον ἰδεῖν
καὶ τὸ φῶς, αὐτούς φαμεν δεῖν τιμᾶν
ὑπερβαλλόντως καὶ σέβεσθαι πατέρα καὶ μητέρα
ὡς μεγίστων ἀγαθῶν αἰτίους αἴτιοι δέ εἰσιν, ὡς ἔοικε, τοῦ φρονῆσαί τι καὶ ἰδεῖν. διὰ τὸ αὐτὸ δὲ
τοῦτο καὶ χαίρομεν τοῖς συν- ήθεσι
καὶ πράγμασι καὶ ἀνθρώποις, καὶ φίλους τούτους καλοῦμεν τοὺς γνωρίμους. δηλοῖ οὖν ταῦτα σαφῶς ὅτι
τὸ γνωστὸν καὶ «τὸ»20 φανερὸν καὶ τὸ
δῆλον ἀγαπητόν [20] ἐστιν᾽ εἰ δὲ τὸ γνωστὸν καὶ τὸ σαφές, δῆλον ὅτι καὶ τὸ γιγνώσκειν ἀναγκαῖον
καὶ τὸ φρονεῖν ὁμοίως.
Πρὸς δὴ τούτοις, ὥσπερ ἐπὶ τῆς οὐσίας οὐχ ἡ αὐτὴ κτῆσις ἕνεκα τοῦ ζῆν καὶ τοῦ ζῆν εὐδαιμόνως τοῖς ἀνθρώποις,
οὕτως καὶ ἐπὶ φρον- ήσεως οὐ τῆς
αὐτῆς οἶμαι δεόμεθα πρός τε τὸ ζῆν μόνον καὶ πρὸς τὸ ζῆν καλῶς. τοῖς μὲν οὖν πολλοῖς πολλὴ
συγγνώμη τοῦτο πράττειν (εὔχονται μὲν
γὰρ εὐδαιμονεῖν, ἀγαπῶσι δὲ κἂν μόνον δύνωνται ζῆν), ὅστις δὲ οἴεται μὴ [47] πάντα τρόπον
ὑπομένειν αὐτὸ δεῖν, καταγέλαστον ἤδη
τὸ μὴ πάντα πόνον ὑπομένειν καὶ πᾶσαν σπουδὴν
σπουδάζειν ὅπως κτήσηται ταύτην
τὴν φρόνησιν ἥτις γνώσεται τὴν
ἀλήθειαν. Γνοίῃ δ᾽ ἄν τις τὸ αὐτὸ καὶ ἀπὸ τούτων, εἰ
θεωρήσειεν ὑπ᾽ αὐγὰς τὸν ἀνθρώπειον
βίον. εὑρήσει γὰρ τὰ δοκοῦντα εἶναι μεγάλα τοῖς ἀνθρώποις πάντα ὄντα σκιαγραφίαν. ὅθεν καὶ
λέγεται καλῶς τὸ μηδὲν εἶναι τὸν
ἄνθρωπον καὶ τὸ μηδὲν εἶναι βέβαιον τῶν [10]
ἀνθρωπίνων. ἰσχύς τε γὰρ καὶ μέγεθος καὶ κάλλος γέλως ἐστὶ καὶ οὐδενὸς ἄξια, κάλλος τε παρὰ τὸ μηδὲν ὁρᾶν
ἀκριβὲς δοκεῖ εἶναι τοιοῦτον. εἰ γάρ
τις ἐδύνατο βλέπειν ὀξὺ καθάπερ τὸν Λυγκέα
φασίν, ὃς διὰ τῶν τοίχων ἑώρα καὶ τῶν δένδρων, πότ᾽ ἂν ἔδοξεν εἶναί τινα τὴν ὄψιν ἀνεκτόν, ὁρῶν ἐξ οἵων
συνέστηκε κακῶν; τιμαὶ δὲ καὶ δόξαι
τὰ ζηλούμενα μᾶλλον τῶν λοιπῶν ἀδιηγήτου γέμει φλυαρίας" τῷ γὰρ καθορῶντι τῶν ἀιδίων
τι ἠλίθιον περὶ ταῦτα σπου-
20 τὸ integrò Pistelli post Rose.
ESORTAZIONE ALLA
FILOSOFIA 357
Anche il fatto che tutti fuggano la morte è indizio dell'amore per il sapere da parte dell’anima, perché
questa fugge le cose che non conosce,
cioè il tenebroso e l’oscuro, mentre per natura persegue ciò che è chiaro e conoscibile. Perciò coloro
che per noi sono soprattut- to causa
del fatto che vediamo il sole e la luce, e cioè il padre e la madre, noi diciamo che devono essere
onorati e venerati sopra ogni cosa,
in quanto sono all’origine dei nostri beni più grandi; dobbiamo loro, infatti, come sembra, il pensare e
il vedere. Per questa stessa ragione
noi godiamo delle cose e degli uomini che ci sono familiari, e chiamiamo amici questi familiari. Tutto
questo mostra chiaramente che ciò che
è conoscibile e visibile ed evidente è degno di essere amato; ma se lo è ciò che è conoscibile e
chiaro, evidentemente lo saranno
necessariamente e allo stesso modo il conoscere e il pensare.
[77dP] Oltre a ciò, cosî come, a proposito della ricchezza, il suo possesso non è per gli uomini lo stesso
quello in vista della vita e quel- lo
in vista della felicità, allo stesso modo anche a proposito della pru- denza, noi non ne abbiamo lo stesso
bisogno — io credo — per vivere
soltanto e per vivere bene. Ebbene, per la maggior parte degli
uomi- ni si può provare molta
indulgenza se agisce così (perché da un lato
essi pregano di essere felici, dall’altro lato si contentano anche se
sono in grado solo di vivere), ma
chiunque ritenga di non [47] dovere tol-
lerare di vivere ad ogni costo, sarebbe ridicolo che non tollerasse ad ogni costo anche di esercitare ogni sforzo
per acquistare quella pru- denza che
farà contemplare la verità.
Si potrebbe acquisire lo
stesso risultato e partendo da queste con-
siderazioni, se si contemplasse in piena luce la vita umana, perché
si scoprirebbe che tutto ciò che agli
uomini appare essere grande non è
altro che illusione. Di qui si dice giustamente anche che l’uomo è nulla e che non c’è niente di sicuro tra
le cose umane, perché forza e
grandezza e bellezza sono cose ridicole e prive di nessun valore, e
la bellezza sembra essere tale solo
perché non vediamo nulla con preci-
sione. Se infatti qualcuno potesse vedere tanto acutamente quanto si racconta vedesse Linceo, il quale era
capace di vedere attraverso i muri e
gli alberi, non sembrerebbe allora intollerabile a vedersi un uomo nell’osservare di quali brutture esso
è costituito? Onori e repu- tazioni,
che sono più di ogni altra cosa oggetto di invidia, abbondano di indescrivibile futilità, perché a chi
osserva le cose eterne sembra
358 GIAMBLICO
δάζειν. τί δ᾽ ἐστὶ
μακρὸν ἢ τί πολυχρόνιον τῶν ἀνθρωπίνων; ἀλλὰ
διὰ [20] τὴν ἡμετέραν ἀσθένειαν, οἶμαι, καὶ βίου βραχύτητα καὶ τοῦτο φαίνεται πολύ. τίς ἂν οὖν εἰς ταῦτα
βλέπων οἴοιτο εὐδαίμων εἶναι καὶ
μακάριος, οἱ πρῶτον εὐθὺς φύσει συνέσταμεν, καθάπερ φασὶν οἱ τὰς τελετὰς λέγοντες, ὥσπερ ἂν
ἐπὶ τιμωρίᾳ πάντες; τοῦτο γὰρ θείως
οἱ ἀρχαιότεροι λέγουσι τὸ φάναι διδόναι τὴν [48] ψυχὴν τιμωρίαν καὶ ζῆν ἡμᾶς ἐπὶ κολάσει μεγάλων
τινῶν ἁμαρτημάτων. πάνυ γὰρ ἡ
σύζευξις τοιούτῳ τινὶ ἔοικε πρὸς τὸ σῶμα τῆς ψυχῆς. ὥσπερ γὰρ τοὺς ἐν τῇ Τυρρηνίᾳ φασὶ
βασανίζειν πολλάκις τοὺς ἁλισκομένους
προσδεσμεύοντας κατ᾽ ἀντικρὺ τοῖς ζῶσι νεκροὺς ἀντιπροσώπους ἕκαστον πρὸς ἕκαστον μέρος
προσαρμόττοντας, οὕτως ἔοικεν ἡ ψυχὴ
διατετάσθαι καὶ προσκεκολλῆσθαι πᾶσι τοῖς
αἰσθητικοῖς τοῦ σώματος μέλεσιν. οὐδὲν οὖν θεῖον ἢ μακάριον ὑπάρχει [10] τοῖς ἀνθρώποις, πλὴν ἐκεῖνό
γε μόνον ἄξιον σπουδῆς, ὅσον ἐστὶν ἐν
ἡμῖν νοῦ καὶ φρονήσεως" τοῦτο γὰρ μόνον ἔοικεν εἶναι τῶν ἡμετέρων ἀθάνατον καὶ μόνον
θεῖον. καὶ παρὰ τὸ τῆς τοιαύτης
δυνάμεως δύνασθαι κοινωνεῖν, καίπερ ὧν ὁ βίος ἄθλιος φύσει καὶ χαλεπός, ὅμως οὕτως ὠφκονόμηται
χαριέντως, ὥστε δοκεῖν πρὸς τὰ ἄλλα
θεὸν εἶναι τὸν ἄνθρωπον. «ὁ νοῦς γὰρ ἡμῶν ὁ θεός», εἴτε Ἑρμότιμος εἴτε ᾿Αναξαγόρας εἶπε
τοῦτο, καὶ ὅτι «ὁ θνητὸς αἰὼν μέρος
ἔχει θεοῦ τινοσ». ἢ φιλοσοφητέον οὖν ἢ χαίρειν εἰποῦσι τῷ ζῆν ἀπιτέον [20] ἐντεῦθεν, ὡς τὰ
ἄλλα γε πάντα φλυαρί- α τις ἔοικεν εἶναι πολλὴ καὶ λῆρος.
Οὕτως ἄν τις τὰς ἀπὸ τῶν «κοινῶν» ἐννοιῶν ἐφόδους συγκεφαλαιώ- cato δεόντως εἰς προτροπὴν τοῦ δεῖν
φιλοσοφεῖν θεωρητικῶς καὶ ζῆν ὅτι
μάλιστα τὸν κατ᾽ ἐπιστήμην καὶ τὸν τοῦ νοῦ βίον.
IX. [49] Ἄνωθεν δὲ ἀρχόμενοι ἀπὸ τοῦ τῆς φύσεως βουλήματος ἐπὶ τὴν αὐτὴν προτροπὴν προχωροῦμεν
οὑτωσί. τῶν γινομένων τὰ μὲν ἀπό τινος
διανοίας καὶ τέχνης γίνεται, οἷον οἰκία καὶ πλοῖον (ἀμφοτέρων γὰρ τούτων αἰτία τέχνη τίς ἐστι
καὶ διάνοια), τὰ δὲ διὰ τέχνης μὲν οὐδεμιᾶς, ἀλλὰ διὰ φύσιν ζῴων γὰρ
καὶ φυτῶν αἰτία φύσις, καὶ κατὰ φύσιν
γίνεται πάντα τὰ τοιαῦτα. ἀλλὰ μὴν καὶ διὰ
ESORTAZIONE ALLA FILOSOFIA 359
stolto occuparsi di
quelle futilità. Ma che cosa c’è di lungo e duratu- ro nelle cose umane? È piuttosto a causa
della nostra debolezza, io credo, e
della brevità della nostra vita che anche questo appare molto. Chi dunque, osservando tali cose, potrà
credere di essere felice e beato, se
[78dP] anzitutto siamo stati costituiti fin dall’origine, come dicono coloro che celebrano i misteri,
come se dovessimo essere tutti
puniti? Questo infatti dicono per ispirazione divina gli antichi
quan- do affermano [48] che la
<nostra> anima sconta la sua pena e che noi viviamo per scontare alcuni grandi
peccati, giacché l’aggiogamento
dell'anima al corpo sembra essere perfettamente qualcosa del
genere. Come infatti si dice che i
Tirreni spesso torturano i prigionieri legan- doli vivi in faccia a dei cadaveri, cioè
ciascuno con la faccia contro la
faccia e con le membra in corrispondenza alle membra, allo stesso modo sembra che l’anima sia stata disposta
e collegata con tutte le parti
sensoriali del corpo. Nulla di divino o di beato, dunque, appar- tiene agli uomini tranne quella sola parte
che è degna di cura, cioè quella che
si riferisce all’intelletto e al pensiero, perché questa parte sembra essere in noi la sola immortale e
la sola divina. E per il fatto che
noi possiamo partecipare di tale facoltà, sebbene la nostra vita sia per natura misera e piena di difficoltà,
tuttavia essa è regolata in maniera
cosî gradevole che l’uomo crede di essere un dio a confron- to degli altri esseri viventi.
“L'intelletto, infatti, è il nostro dio” — sia che dica questo Ermotimo o Anassagora —, e
ancora “La vita umana, sebbene
mortale, partecipa di qualche dio”. Bisogna dunque o filoso- fare oppure, dando addio [79dP] alla vita,
partire da quaggià, come se tutto il
resto sembrasse essere una grande e futile sciocchezza.
Ecco come si possono ricapitolare nel modo più conveniente i percorsi che, partendo dalle comuni
nozioni, esortano al dovere di
filosofare teoreticamente e di vivere il più possibile la vita
secondo scienza e intelligenza.
[49] 9. Cominciando dall’alto, cioè dall’intenzione della natura, noi procediamo alla stessa esortazione nel
modo seguente. Delle cose che
nascono, alcune nascono da una certa ragione e tecnica, ad esem- pio una casa o una nave (perché ambedue
hanno come causa una certa tecnica e
ragione), altre invece non nascono ad opera di alcuna tecnica, ma per natura: causa degli
animali e delle piante, infatti, è la
natura, e tali enti si generano tutti secondo natura. Ma in verità alcu-
360 GIAMBLICO
τύχην ἔνια γίνεται τῶν
πραγμάτων᾽ ὅσα γὰρ μήτε διὰ τέχνην μήτε
διὰ φύσιν [10] μήτ᾽ ἐξ ἀνάγκης γίγνεται, τὰ πολλὰ τούτων διὰ τύχην γίνεσθαί φαμεν. τῶν μὲν οὖν ἀπὸ τύχης
γιγνομένων οὐδὲν ἕνεκά του γίγνεται,
οὐδ᾽ ἔστι τι τέλος αὐτοῖς᾽ τοῖς δὲ ἀπὸ τέχνης γιγνομένοις ἔνεστι καὶ τὸ τέλος καὶ τὸ οὗ ἕνεκα (ἀεὶ
γὰρ ὁ τὴν τέχνην ἔχων ἀποδώσει σοι
λόγον δι᾽ ὃν ἔγραψε καὶ οὗ ἕνεκα), καὶ τοῦτο [ὅτι] βέλτιόν ἐστιν ἢ τὸ διὰ τοῦτο γιγνόμενον.
λέγω δ᾽ ὅσων καθ᾽ αὑτὴν ἡ τέχνη
πέφυκεν αἰτία καὶ μὴ κατὰ συμβεβηκός: ὑγείας μὲν γὰρ ἰα- τρικὴν μᾶλλον ἢ νόσου κυρίως ἂν θείημεν,
οἰκοδομικὴν δὲ οἰκίας, [20] ἀλλ᾽ οὐ
τοῦ καταβάλλειν. πᾶν ἄρα ἕνεκά του γίγνεται τὸ κατὰ τέχνην, καὶ τοῦτο τέλος αὐτῆς τὸ
βέλτιστον, τὸ μέντοι διὰ τύχην οὐ
γίνεται ἕνεκά του: συμβαίη μὲν γὰρ ἂν καὶ ἀπὸ τύχης τι ἀγαθόν, οὐ μὴν ἀλλὰ κατά γε τὴν τύχην καὶ καθόσον ἀπὸ
τύχης οὐκ ἀγαθόν, ἀό- ριστον δ᾽ ἀεὶ
τὸ γιγνόμενόν ἐστι κατ᾽ αὐτήν. ἀλλὰ μὴν τό γε κατὰ φύσιν ἕνεκά του γίγνεται, καὶ βελτίονος
ἕνεκεν ἀεὶ συνίσταται ἢ καθάπερ τὸ
διὰ τέχνης᾽ μιμεῖται γὰρ οὐ τὴν τέχνην ἡ φύσις ἀλλὰ [50] αὐτὴ τὴν φύσιν, καὶ ἔστιν ἐπὶ τῷ
βοηθεῖν καὶ τὰ παραλειπόμε- va τῆς
φύσεως ἀναπληροῦν. τὰ μὲν γὰρ ἔοικεν αὐτὴ δύνασθαι δι᾽ αὑτῆς ἡ φύσις ἐπιτελεῖν καὶ βοηθείας οὐδὲν
δεῖσθαι, τὰ δὲ μόλις καὶ παντελῶς
ἀδυνατεῖν, οἷον αὐτίκα καὶ περὶ τὰς γενέσεις" ἔνια μὲν δήπου τῶν σπερμάτων εἰς ὁποίαν «ἂν»
ἐμπέσῃ γῆν ἄνευ φυλακῆς γεννῶσιν,
ἔνια δὲ προσδεῖται τῆς γεωργικῆς τέχνης᾽ παραπλησίως δὲ καὶ τῶν ζῴων τὰ μὲν δι᾽ αὑτῶν ἅπασαν
ἀπολαμβάνει τὴν φύσιν, ἄν[Π0]θρῶπος
δὲ πολλῶν δεῖται τεχνῶν πρὸς σωτηρίαν κατά τε τὴν πρώτην γένεσιν καὶ πάλιν κατὰ τὴν ὑστέραν
τροφήν. εἰ τοίνυν ἡ τέχνη μιμεῖται
τὴν φύσιν, ἀπὸ ταύτης ἠκολούθηκε καὶ ταῖς τέχναις τὸ τὴν γένεσιν ἅπασαν ἕνεκά του γίγνεσθαι.
τὸ γὰρ ὀρθῶς γιγνόμε- νον ἅπαν ἕνεκά
του γίγνεσθαι θείημεν ἄν. οὐκοῦν τό γε καλῶς, ὀρθῶς; καὶ τὸ μὲν γιγνόμενον γίγνεται,
γέγονε δὲ τὸ γεγονὸς τό γε μὴν κατὰ
φύσιν ἅπαν καλῶς, εἴπερ τὸ παρὰ φύσιν φαῦλον καὶ τῷ κατὰ φύσιν *** γένεσις ἕνεκά του γίγνεται.
καὶ τοῦτο ἴδοι [20] τις ἂν καὶ ἀφ᾽
ἑκάστου τῶν ἐν ἡμῖν μερῶν᾽ οἷον εἰ κατανοοῖς τὸ βλέφα- ρον, ἴδοις ἂν ὡς οὐ μάτην ἀλλὰ βοηθείας
χάριν τῶν ὀμμάτων γέγο-
ESORTAZIONE ALLA FILOSOFIA 361
ne cose si generano per fortuna, perché
quelle che non si generano né per
tecnica né per natura né per necessità, noi diciamo che la maggior parte di queste si generano per fortuna.
Delle cose, dunque, che sono generate
dalla fortuna, nessuna si genera in vista di qualcosa, né esi- ste di esse alcun fine; di quelle che sono
generate dalla tecnica esiste invece
un fine ovvero qualcosa in vista di cui sono generate (perché sempre chi opera tecnicamente ti fornirà
la ragione per cui <ad esem-
pio> ha scritto qualcosa e in vista di cui lo ha fatto), e questa
ragione è qualcosa di meglio della
stessa cosa che si genera. Sto parlando delle cose la cui causa è naturalmente la
tecnica per se stessa e non per acci-
dente, perché noi porremo propriamente la medicina come causa della salute più che della malattia, e
l'architettura come causa della
costruzione di una casa, più che della sua demolizione. Dunque
tutto ciò che è fatto per tecnica si
genera in vista di qualcosa, e questo fine
è qualcosa di meglio che la stessa tecnica, [80dP] mentre ciò che nasce per fortuna non nasce in vista di
qualcosa, perché è vero si che dalla
fortuna potrebbe nascere un bene, ma in quanto appunto nasce secondo fortuna e in quanto lo genera la
fortuna, non è un bene, essendo
sempre qualcosa di indeterminato ciò che si genera secondo fortuna. Al contrario ciò che si genera
secondo natura si genera in vista di
un fine, e si costituisce in vista di qualcosa di meglio che non quello che si genera per tecnica, giacché
non è la natura che imita la tecnica,
[50] bensi questa la natura, e la tecnica esiste per aiutare e supplire alle omissioni della natura.
Alcune cose, infatti, sembra che la
natura le possa realizzare da se stessa senza avere bisogno di alcun aiuto, mentre altre riesce a farle a
stento o non ci riesce affatto, come
ad esempio accade per le germinazioni: alcune sementi germogliano senza una protezione qualunque sia la
qualità del terreno in cui sono state
seminate, altre invece hanno bisogno della tecnica dell’agricoltu- ra; la stessa cosa vale più o meno anche
per gli esseri viventi, perché alcuni
traggono da se stessi tutta loro natura, l’uomo invece ha biso- gno di molte tecniche per sopravvivere,
prima al momento della nascita e poi
quando deve nutrirsi. Se dunque è la tecnica che imita la natura, è da quest’ultima che discende per
le tecniche anche il fatto che ogni
loro produzione avviene in vista di qualcosa, giacché tutto ciò che si genera correttamente —? si
potrebbe stabilire —, si genera in
vista di qualcosa. Orbene, ciò che si genera bene, si genera
corretta-
362 GIAMBLICO
VEV, ὅπως ἀνάπαυσίν τε παρέχῃ. καὶ κωλύῃ τὰ προσπίπτοντα πρὸς τὴν ὄψιν. οὐκοῦν ταὐτόν ἐστιν οὗ τε ἕνεκα
γέγονέ τι καὶ οὗ ἕνεκα δεῖ γεγονέναι᾽
οἷον εἰ πλοῖον ἕνεκα τῆς κατὰ θάλατταν κομιδῆς ἔδει γίγνεσθαι, διὰ τοῦτο καὶ γέγονε. καὶ
μὴν τά γε ζῷα τῶν φύσει «te καὶ κατὰ
φύσιν» [51] γεγενημένων ἐστὶν ἤτοι πάντα τοπαράπαν ἢ τὰ βέλτιστα καὶ τιμιώτατα" διαφέρει
γὰρ οὐδὲν εἴ τις αὐτῶν τὰ πολλὰ παρὰ
φύσιν οἴεται γεγενῆσθαι διά τινα φθορὰν καὶ μοχθηρί- αν. τιμιώτατον δέ γε τῶν ἐνταῦθα ζῴων
ἄνθρωπός ἐστιν, ὥστε δῆλον ὅτι φύσει
τε καὶ κατὰ φύσιν γέγονε. καὶ τοῦτό ἐστι τῶν ὄντων οὗ χάριν ἡ φύσις ἡμᾶς ἐγέννησε καὶ ὁ θεός. τί
δὴ τοῦτό ἐστι Πυθαγόρας ἐρωτώμενος,
«τὸ θεάσασθαι» εἶπε «τὸν οὐρανόν», καὶ
ἑαυτὸν δὲ θεωρὸν ἔφασκεν εἶναι τῆς [10] φύσεως καὶ τούτου ἕνεκα παρεληλυθέναι εἰς τὸν βίον. καὶ
᾿Αναξαγόραν δέ φασιν εἰπεῖν
ἐρωτηθέντα τίνος ἂν ἕνεκα ἕλοιτο γενέσθαι τις καὶ ζῆν, ἀποκρίνα- σθαι πρὸς τὴν ἐρώτησιν’ ὡς «τοῦ θεάσασθαι
[τὰ περὶ] τὸν οὐρανὸν καὶ «τὰ» περὶ
αὐτὸν ἄστρα τε καὶ σελήνην καὶ ἥλιον», ὡς τῶν ἄλλων γε πάντων οὐδενὸς ἀξίων ὄντων. εἰ τοίνυν
παντὸς ἀεὶ τὸ τέλος ἐστὶ βέλτιον
(ἕνεκα γὰρ τοῦ τέλους πάντα γίγνεται! τὰ γιγνόμενα, τὸ δ᾽ οὗ ἕνεκα βέλτιον καὶ βέλτιστον πάντων),
τέλος δὲ κατὰ φύσιν τοῦτό ἐστιν ὃ
κατὰ τὴν γένεσιν πέφυκεν ὕστατον [20] ἐπιτελεῖσθαι περαι- νομένης τῆς γενέσεως συνεχῶς: οὐκοῦν
πρῶτον μὲν τὰ κατὰ τὸ σῶμα τῶν
ἀνθρώπων λαμβάνει τέλος, ὕστερον δὲ τὰ κατὰ τὴν ψυχὴν, καί πὼς ἀεὶ τὸ τοῦ βελτίονος τέλος ὑστερίζει
τῆς γενέσεως. οὐκοῦν ψυχὴ σώματος
ὕστερον, καὶ τῶν τῆς ψυχῆς τελευταῖον ἡ φρόνησις; τοῦτο γὰρ ὕστατον ὁρῶμεν [52] γιγνόμενον
φύσει τοῖς ἀνθρώποις, διὸ καὶ τὸ
γῆρας ἀντιποιεῖται τούτου μόνου τῶν ἀγαθῶν᾽ φρόνησις ἄρα τις κατὰ φύσιν ἡμῖν ἐστι τὸ τέλος καὶ
τὸ φρονεῖν. ἔσχατον οὐ χάριν
γεγόναμεν. οὐκοῦν εἰ γεγόναμεν, δῆλον ὅτι καὶ ἐσμὲν ἕνεκα τοῦ φρονῆσαί τι καὶ μαθεῖν. καλῶς ἄρα κατά
γε τοῦτον τὸν λόγον
21 γίγνεται: γίγεται erron. des Places.
ESORTAZIONE ALLA
FILOSOFIA 363
mente; ma ciò che si genera o si è generato secondo natura, si è
gene- rato bene, se è vero che ciò
che si genera contro natura non si genera
bene, e <d’altra parte> la generazione secondo natura avviene in
vista di qualcosa. Ed è ciò che si
può vedere anche da come si costituisce
ciascuna delle nostre parti: se tu osservi, ad esempio, la palpebra,
vedi che non si è costituita invano,
ma per aiutare gli occhi, [81dP] sia per
farli riposare sia per fare da ostacolo a ciò che li potrebbe colpire.
È identico, dunque, ciò in vista di
cui una cosa è nata e ciò per cui dove-
va nascere: se ad esempio una nave deve essere costruita in vista
del trasporto via mare, questo è ciò
in vista di cui è stata costruita. E gli
esseri viventi, appunto, sono tra le cose che si generano per natura e secondo natura [51] o quasi tutti o i
migliori e più pregevoli, perché non
fa differenza se si pensi che molti di essi siano nati contro natura a causa di qualche corruzione o
malformazione. L'essere vivente più
pregevole di quaggiù è certamente l’uomo, sicché è evidente che
esso sia nato sia per natura sia
secondo natura. Qual è dunque quella real-
tà per la quale la natura e dio ci hanno generati? Pitagora dà
questa risposta: “Per contemplare il
cielo” — egli dice —, e diceva che egli stes- so era un contemplatore della natura e che
era venuto alla vita in vista di ciò.
Anche Anassagora, si dice, interrogato da qualcuno sul perché si scelga di nascere e di vivere, rispose
alla domanda: “Per contempla- re il
cielo e gli astri che vi si trovano, e la luna e il sole”, come se tutte le altre realtà non avessero alcun valore.
Se dunque il fine di ogni cosa è
migliore <della cosa stessa> (perché tutto ciò che si genera, si
gene- ra in vista di tale fine, e
d’altra parte ciò in vista di cui si genera è meglio e anzi il meglio di tutto), e se
d’altra parte fine secondo natu- ra è
in ultima istanza il realizzarsi naturalmente secondo la generazio- ne, quando questa [82dP] procede con
continuità, allora sono anzi- tutto
le potenze corporee degli uomini che attingono il loro fine, e in seguito quelle dell’anima, e in qualche
modo il fine del meglio viene sempre
dopo la generazione. Dunque l’anima viene dopo il corpo, e la facoltà finale dell'anima è la
prudenza, perché questa per natura noi
la vediamo nascere per ultima [52] negli uomini, ed è anche questa
la ragione per cui la vecchiaia
pretende la prudenza come suo unico
bene; dunque è una prudenza il nostro fine secondo natura e il pen- sare è in ultima istanza ciò in vista di
cui siamo nati. Dunque se siamo nati,
è chiaro che noi esistiamo in vista del pensare e apprendere qual-
364 GIAMBLICO
Πυθαγόρας εἴρηκεν ὡς ἐπὶ
τὸ γνῶναί τε καὶ θεωρῆσαι πᾶς
ἄνθρωπος ὑπὸ τοῦ θεοῦ συνέστηκεν. ἀλλὰ τοῦτο τὸ γνωστὸν πότε- ρον ὁ κόσμος ἐστὶν ἤ τις ἑτέρα φύσις, [10]
σκεπτέον ἴσως ὕστερον, νῦν δὲ
τοσοῦτον ἱκανὸν τὴν πρώτην ἡμῖν. εἰ γάρ ἐστι κατὰ φύσιν τέλος ἡ φρόνησις, ἄριστον ἂν εἴη πάντων τὸ
φρονεῖν. ὥστε τὰ μὲν ἄλλα δεῖ
πράττειν ἕνεκα τῶν ἐν αὐτῷ γιγνομένων ἀγαθῶν, τούτων δὲ αὐτῶν τὰ μὲν ἐν τῷ σώματι τῶν ἐν «τῇ»
ψυχῇ, τὴν δὲ ἀρετὴν τῆς φρον- σεως
τοῦτο γάρ ἐστιν ἀκρότατον. τὸ δὲ ζητεῖν ἀπὸ πάσης ἐπιστήμης ἕτερόν τι γενέσθαι καὶ δεῖν
χρησίμην αὐτὴν εἶναι, παν- τάπασιν
ἀγνοοῦντός τινός ἐστιν ὅσον διέστηκεν ἐξ ἀρχῆς τὰ ἀγαθὰ καὶ τὰ ἀναγκαῖα: διαφέρει γὰρ [20] πλεῖστον.
τὰ μὲν γὰρ δι᾽ ἕτερον ἀγαπώμενα τῶν
πραγμάτων, ὧν ἄνευ ζῆν ἀδύνατον, ἀναγκαῖα καὶ συναίτια λεκτέον, ὅσα δὲ δι᾽ αὑτά, κἂν
ἀποβαίνῃ μηδὲν ἕτερον, ἀγαθὰ κυρίως
οὐ γὰρ δὴ τόδε μὲν αἱρετὸν διὰ τόδε, τόδε δὲ δι᾽ ἄλλο, τοῦτο δὲ εἰς ἄπειρον οἴχεται
προῖΐόν, ἀλλ᾽ ἵσταταί που. γελοῖον
οὖν ἤδη παντελῶς τὸ ζητεῖν ἀπὸ παντὸς ὠφέλειαν ἑτέραν παρ᾽ αὐτὸ τὸ πρᾶγμα, καὶ «τί οὖν ἡμῖν
ὄφελος;» καὶ «τί χρήσιμον;» ἐρωτᾶν.
ὡς ἀληθῶς γάρ, ὅπερ λέγομεν, [53] οὐδὲν ἔοικεν ὁ τοιοῦτος εἰδότι καλὸν κἀγαθὸν οὐδὲ τί αἴτιον τῷ
διαγιγνώσκοντι καὶ cvvai- τιον. ἴδοι
δ᾽ ἄν τις ὅτι παντὸς μᾶλλον ἀληθῆ ταῦτα λέγομεν, εἴ τις ἡμᾶς οἷον εἰς μακάρων νήσους τῇ διανοίᾳ
κομίσειεν. ἐκεῖ γὰρ οὐ- δενὸς χρεία
οὐδὲ τῶν ἄλλων τινὸς ὄφελος ἂν γένοιτο, μόνον δὲ καταλείπεται τὸ διανοεῖσθαι καὶ θεωρεῖν,
ὅνπερ καὶ νῦν ἐλεύθε- ρόν φαμεν βίον
εἶναι. εἰ δὲ ταῦτ᾽ ἐστὶν ἀληθῆ, πῶς οὐκ ἂν αἰσχύνοι- to δικαίως ὅστις ἡμῶν ἐξουσίας γενομένης
ἐν μακάρων [10] οἰκῆσαι νήσοις
ἀδύνατος εἴη δι᾽ ἑαυτόν; οὐκοῦν οὐ μεμπτὸς ὁ
μισθός ἐστι τῆς ἐπιστήμης τοῖς ἀνθρώποις, οὐδὲ μικρὸν τὸ γιγνόμε- νον ἀπ᾽ αὐτῆς ἀγαθόν. ὥσπερ γὰρ τῆς
δικαιοσύνης, ὥς φασιν οἱ σοφοὶ τῶν
ποιητῶν, ἐν Ἅιδου κομιζόμεθα τὰς δωρεάς, οὕτω τῆς φρον-
ESORTAZIONE ALLA
FILOSOFIA 365
cosa. Ha detto bene, dunque, Pitagora, stando a questo ragionamen- to, che ogni uomo è stato costituito da
dio per conoscere e contem- plare. Ma
se ciò che è conoscibile per primo sia il cosmo o qualche altra natura, forse dovremo indagarlo in
seguito, per il momento ci basti
avere raggiunto questa prima conclusione.?5 Se infatti il fine secondo natura è <per noi> la
prudenza, il pensare sarà fra tutte la
nostra facoltà migliore. Ne consegue che dobbiamo operare in tutto il resto in vista dei beni che ci sono
propri, e di tali beni alcuni che
appartengono al corpo sono in vista di quelli che sono nell’anima,
e d’altra parte dobbiamo esercitare
la virtù in vista della prudenza, per-
ché questa è il bene sommo. Ma cercare che da ogni scienza nasca qualcosa di diverso da essa, e pretendere
che la scienza sia utile, è pro- prio
di chi ignora del tutto che quanta distanza ci sia fin dall'origine tra il bene e il necessario (tale distanza
è infatti grandissima). Le cose,
infatti, che sono amate per qualcos'altro, cioè le cose senza le quali è impossibile vivere, devono essere dette
necessarie e concause, mentre le cose
che sono amate per se stesse, anche se non se ne ricavi nien- t'altro, devono essere dette beni in senso
proprio, perché una deter- minata
cosa non può essere desiderabile a causa di un’altra determi- nata cosa, e questa a causa di un’altra
ancora, perché procedendo cosi si
andrebbe all'infinito, senza potersi fermare da nessuna parte. Dunque è assolutamente ridicolo cercare da
ogni cosa un’utilità diversa dalla
cosa stessa, e domandarsi “che cosa [83dP] dunque è utile per noi?”, o “a che cosa serve?”. In
verità, infatti, cosa che noi andiamo
dicendo, [53] chi si comportasse cosî non somiglierebbe per nulla ad uno che sappia ciò che è giusto e
bene, neppure ad uno che riconosca
quale sia la causa e quale la concausa. E potrebbe vedere che più di ogni altra cosa è vero quel che
noi diciamo, se qualcuno ci
introducesse nella sua propria ragione come nelle isole dei beati. Li infatti non si ha bisogno di nulla né
alcun’altra cosa può essere utile, ma
rimane soltanto il ragionare e il contemplare, cosa che anche ora noi diciamo essere una vita libera. Ma se
è questa la verità, come potrebbe non
vergognarsi giustamente chi di noi, avendo la possibili- tà di andare ad abitare nelle isole dei
beati, se ne rendesse incapace a
causa di se stesso? Dunque non è da disprezzare la ricompensa che
gli uomini ricevono dalla scienza, né
è un piccolo bene quello che nasce da
essa. Cosî come, infatti, nell’Ade, come raccontano i saggi tra i
366 GIAMBLICO
oewg ἐν μακάρων νήσοις,
ὡς ἔοικεν. οὐδὲν οὖν δεινόν, ἂν μὴ dai-
νηται χρησίμη οὖσα μηδ᾽ ὠφέλιμος: οὐ γὰρ ὠφέλιμον ἀλλ᾽ ἀγαθὴν αὐτὴν εἶναί φαμεν, οὐδὲ δι᾽ ἕτερον ἀλλὰ
δι᾽ ἑαυτὴν αἱρεῖσθαι αὐτὴν προσήκει.
ὥσπερ γὰρ εἰς Ὀλυμπίαν αὐτῆς ἕνεκα τῆς θέας
ἀπο[20]δημοῦμεν, καὶ εἰ μηδὲν μέλλοι πλεῖον ἀπ᾽ αὐτῆς ἔσεσθαι (αὐτὴ γὰρ ἡ θεωρία κρείττων πολλῶν ἐστι
χρημάτων), καὶ τὰ Διονύσια δὲ
θεωροῦμεν οὐχ ὡς ληψόμενοί τι παρὰ τῶν ὑποκριτῶν ἀλλὰ καὶ προσθέντες, πολλάς τε ἄλλας θέας
ἑλοίμεθα «ἂν» ἀντὶ πολλῶν χρημάτων:
οὕτω καὶ τὴν θεωρίαν τοῦ παντὸς προτιμητέον
πάντων τῶν δοκούντων εἶναι χρησίμων. [54] οὐ γὰρ δήπου ἐπὶ μὲν ἀνθρώπους μιμουμένους γύναια καὶ δούλους,
τοὺς δὲ μαχομένους καὶ θέοντας, δεῖ
πορεύεσθαι μετὰ πολλῆς σπουδῆς ἕνεκα τοῦ θεά- σασθαι αὐτούς, τὴν δὲ τῶν ὄντων φύσιν καὶ
τὴν ἀλήθειαν οὐκ οἴεσθαι δεῖν θεωρεῖν
ἀμισθί. οὕτω μὲν οὖν ἀπὸ τοῦ βουλήματος τῆς
φύσεως ἐπιόντες προετρέψαμεν ἐπὶ τὸ φρονεῖν ὡς ἐπὶ ἀγαθόν τε ὑπάρχον καὶ δι᾽ αὑτὸ τίμιον, κἂν μηδὲν ἀπ᾿
αὐτοῦ χρήσιμον γί- γνῆται ὡς πρὸς τὸν
ἀνθρώπινον βίον. Χ. [10] ᾿Αλλὰ μὲν ὅτι γε καὶ ὠφελείας τὰς
μεγίστας ἡμῖν πρὸς τὸν ἀνθρώπινον
βίον παρέχεται ἡ θεωρητικὴ φρόνησις, εὑρήσει τις ῥᾳδίως ἀπὸ τῶν τεχνῶν. ὥσπερ γὰρ τῶν
ἰατρῶν ὅσοι κομψοὶ καὶ τῶν περὶ τὴν
γυμναστικὴν οἱ πλεῖστοι σχεδὸν ὁμολογοῦσιν ὅτι δεῖ τοὺς μέλλοντας ἀγαθοὺς ἰατροὺς ἔσεσθαι καὶ
γυμναστὰς περὶ φύσεως ἐμπείρους
εἶναι, οὕτω καὶ τοὺς ἀγαθοὺς νομοθέτας ἐμπείρους εἶναι δεῖ τῆς φύσεως, καὶ πολύ γε μᾶλλον
ἐκείνων. οἱ μὲν γὰρ τῆς τοῦ σώματος
ἀρετῆς εἰσι δημιουργοὶ μόνον, οἱ δὲ περὶ τὰς τῆς [20] ψυχῆς ἀρετὰς ὄντες καὶ περὶ πόλεως
εὐδαιμονίας καὶ xaxodaruo- νίας
διδάξειν προσποιούμενοι πολὺ δὴ μᾶλλον προσδέονται φιλο- σοφίας. καθάπερ γὰρ ἐν ταῖς ἄλλαις τέχναις
ταῖς δημιουργικαῖς ἀπὸ τῆς φύσεως
εὕρηται τὰ βέλτιστα τῶν ὀργάνων, οἷον ἐν τεκτο- νικῇ στάθμη καὶ κανὼν καὶ τόρνος τὰ μὲν
ὕδατι καὶ φωτὶ καὶ ταῖς αὐγαῖς τῶν
ἀκτίνων ληφθέντων, πρὸς ἃ κρίνοντες τὸ κατὰ τὴν αἴσθησιν ἱκανῶς εὐθὺ καὶ λεῖον
Pacavito[S5]uev, ὁμοίως δὲ καὶ τὸν
πολιτικὸν ἔχειν τινὰς ὅρους δεῖ ἀπὸ τῆς φύσεως αὐτῆς καὶ τῆς ἀληθείας, πρὸς οὖς κρινεῖ τί δίκαιον καὶ
τί καλόν καὶ τί συμφέρον. ὥσπερ γὰρ
ἐκεῖ τῶν ὀργάνων ταῦτα διαφέρει πάντων, οὕτω καὶ
22 αὐτῆς: αὐτῆς erron.
des Places.
ESORTAZIONE ALLA FILOSOFIA 367
poeti, noi riceviamo i doni della
giustizia, allo stesso modo -- come
sembra — nelle isole dei beati riceviamo quelli della prudenza.
Niente di male, dunque, che la
prudenza non appaia essere utile né vantag-
giosa, perché noi diciamo che essa non è utile bensi buona, né
convie- ne preferirla per altro se
non per se stessa. Come infatti ci rechiamo
ad Olimpia in vista dello spettacolo in sé, anche se da questo non verrà niente di più (giacché lo spettacolo
in sé vale più di molte ric- chezze),
ed assistiamo alle Dionisiache non per ottenere qualcosa dagli attori, anzi pagando del denaro, e
scegliamo molti altri spettaco- li a
costo di molto denaro; cosi anche lo spettacolo dell’universo è più apprezzabile di tutto ciò che può apparire
utile. [54] Non si deve certo
affrontare un viaggio con molta fatica per vedere degli uomini che imitano donnette e schiavi, o della
gente che gareggia, [B4dP] e non
dovere poi ritenere di contemplare gratuitamente la natura degli enti e la verità. Cosi dunque, muovendo
dall’intenzione della natura, noi
esorteremo al pensare come ad un bene che è anche prezioso per se stesso, sebbene da esso non nasca
alcunché di utile per la vita
umana. 10. Ma che la prudenza contemplativa ci
fornisca anche delle grandissime utilità
per la vita umana, lo si potrà scoprire facilmente partendo dalle tecniche. Come infatti i
medici più esperti e quasi tutti gli
esperti di ginnastica sono d’accordo sul fatto che per diventare bravi medici o ginnasti occorra essere
esperti della natura, cosî anche per
diventare dei buoni legislatori occorre essere esperti della natura, e molto più di quelli. Questi infatti sono
soltanto demiurghi della virtà del
corpo, i legislatori invece, essendo demiurghi della virti del- l’anima e pretendendo di dare lezioni sul
benessere o il malessere dello stato,
hanno molto pit bisogno della filosofia. Cosî come, infat- ti, nelle altre arti, cioè in quelle
artigianali, è a partire dalla natura che
sono stati scoperti i migliori strumenti, ad esempio nell’architettura
il filo a piombo e il regolo e il
compasso, ricavati gli uni dall'acqua e gli
altri dalla luce e dai raggi luminosi, strumenti che permettono,
giudi- cando in rapporto ad essi, di
mettere alla prova ciò che alla percezio-
ne appare sufficientemente in linea retta e uniforme, [55] allo
stesso modo anche il politico deve
possedere alcune regole desunte dalla
stessa natura e dalla verità, in rapporto alle quali giudichi che cosa
sia giusto e bello e vantaggioso.
Come infatti in quelle arti quegli stru-
368 GIAMBLICO
νόμος κάλλιστος ὁ
μάλιστα κατὰ φύσιν κείμενος. τοῦτο δ᾽ οὐχ οἷόν τε μὴ φιλοσοφήσαντα δύνασθαι ποιεῖν μηδὲ
γνωρίσαντα τὴν ἀλήθειαν. καὶ τῶν μὲν
ἄλλων τεχνῶν τά τε ὄργανα καὶ τοὺς λογι-
σμοὺς τοὺς ἀκριβεστάτους οὐκ ἀπ᾽ αὐτῶν τῶν πρώτων [10] λαβόντες σχεδὸν ἴσασιν, ἀλλ᾽ ἀπὸ τῶν δευτέρων καὶ
τρίτων καὶ πολλοστῶν, τούς τε λόγους
ἐξ ἐμπειρίας λαμβάνουσι: τῷ δὲ φιλοσόφῳ μόνῳ τῶν ἄλλων ἀπ᾽ αὐτῶν τῶν ἀκριβῶν ἡ μίμησίς
ἐστιν’ αὐτῶν γάρ ἐστι θεατής, ἀλλ᾽ οὐ
μιμημάτων. ὥσπερ οὖν οὐδ᾽ οἰκοδόμος ἀγαθός ἐστιν οὗτος ὅστις κανόνι μὲν μὴ χρῆται μηδὲ τῶν
ἄλλων μηδενὶ τῶν τοιούτων ὀργάνων,
ἑτέροις δὲ οἰκοδομήμασι παραβάλλων, ὁμοίως
ἴσως κἂν εἴ τις ἢ νόμους τίθεται πόλεσιν ἢ πράττει πράξεις ἀπο- βλέπων καὶ μιμούμενος πρὸς ἑτέρας πράξεις
ἢ πολιτείας ἀν[20Ο]θρωπίνας
Λακεδαιμονίων ἢ Κρητῶν ἤ τινων ἄλλων τοιούτων, οὐκ ἀγαθὸς νομοθέτης οὐδὲ σπουδαῖος"
οὐ γὰρ ἐνδέχεται μὴ καλοῦ μίμημα
καλὸν εἶναι, μηδὲ θείου καὶ βεβαίου τὴν φύσιν ἀθάνατον καὶ βέβαιον, ἀλλὰ μόνον ὅτι μόνου τῶν
δημιουργῶν τοῦ φιλοσόφου καὶ νόμοι
βέβαιοι καὶ πράξεις εἰσὶν ὀρθαὶ καὶ καλαί. μόνος γὰρ πρὸς τὴν φύσιν βλέπων ζῇ καὶ πρὸς τὸ
θεῖον, καὶ καθάπερ ἂν εἰ κυβερνήτης
τις ἀγαθὸς ἐξ [56] ἀιδίων καὶ μονίμων ἀναψάμενος τοῦ βίου τὰς ἀρχὰς ὁρμεῖ καὶ ζῇ καθ᾽ ἑαυτόν.
ἔστι μὲν οὖν θεωρητικὴ Tide ἡ
ἐπιστήμη, παρέχει δ᾽ ἡμῖν τὸ δημιουργεῖν κατ᾽ αὐτὴν ἅπαντα. ὥσπερ γὰρ ἡ ὄψις ποιητικὴ μὲν καὶ
δημιουργὸς οὐδενός ἐστι (μόνον γὰρ
αὐτῆς ἔργον ἐστὶ τὸ κρίνειν καὶ δηλοῦν ἕκαστον τῶν ὁρατῶν), ἡμῖν δὲ παρέχει τὸ πράττειν τι δι᾽ αὐτὴν
καὶ βοηθεῖ πρὸς τὰς πρά- ξεις ἡμῖν τὰ
μέγιστα (σχεδὸν γὰρ ἀκίνητοι παντελῶς ἂν εἶμεν στερ- ηθέντες αὐτῆς), οὕτω δῆλον ὅτι καὶ τῆς
ἐπιστήμης [10] θεωρητικῆς οὔσης μυρία
πράττομεν κατ᾽ αὐτὴν ὅμως ἡμεῖς, καὶ τὰ μὲν λαμβάνο- uev2) τὰ δὲ φεύγομεν τῶν πραγμάτων, καὶ
ὅλως πάντα τὰ ἀγαθὰ δι᾽ αὐτὴν
κτώμεθα. ΧΙ. Ὅτι τοίνυν τοῖς ἑλομένοις τὸν κατὰ νοῦν
βίον καὶ τὸ ζῆν ἡδέως μάλιστα
ὑπάρχει, δῆλον ἂν γένοιτο ἐντεῦθεν. φαίνεται διττῶς λέγεσθαι τὸ ζῆν, τὸ μὲν κατὰ δύναμιν τὸ δὲ
κατ᾽ ἐνέργειαν ὁρῶντα γὰρ εἶναί φαμεν
ὅσα τε ἔχει τῶν ζῴων ὄψιν καὶ δυνατὰ πέφυκεν
23 λαμβάνομεν: λαυβάνομεν erron. des
Places.
ESORTAZIONE ALLA FILOSOFIA 369
menti differivano da
tutti gli altri, cosi anche la legge più giusta è quella che [85dP] più di ogni altra
risulti conforme alla natura. Ma è
impossibile che possa fare ciò chi non si metta a filosofare e non
cono- sca la verità. Anche nelle
altre arti gli strumenti e i calcoli più precisi si conoscono desumendoli più o meno non
già dalle realtà primarie in sé,
bensi da quelle secondarie e terziarie o ancora più lontane, e assu- mono <quindi> i loro ragionamenti
dall'esperienza; al filosofo, inve-
ce, unico fra tutti ali altri, appartiene la capacità di imitare
partendo dalle realtà precise in sé,
giacché egli è capace di contemplare tali real- tà in sé, ma non le loro immagini. Come
dunque non è un buon costruttore di
case chiunque non si serva del regolo né di alcun altro di tali strumenti, ma prenda a modello le
altre costruzioni, cosî forse anche
chi imponesse delle leggi o compisse azioni <politiche> guar- dando e imitando le azioni degli altri o
le costituzioni politiche umane degli
Spartani o dei Cretesi o altre del genere, non saranno un legisla- tore né buono né serio, giacché non si dà
una copia bella di ciò che bello non
è, né si dà una copia immortale e stabile di ciò che non è per natura né divino né stabile, ma è
chiaro che, tra i demiurghi, solo le
leggi del filosofo sono stabili e le azioni <politiche> giuste e
belle. Solo chi guarda alla natura,
infatti, vive anche in rapporto col divino,
e come un buon pilota [56] che fa dipendere i principi della sua
vita da principi eterni e fissi
intraprende la navigazione <della vita> e vive per se stesso. È dunque questa scienza
contemplativa quella che for- nisce a
noi la capacità di costruire ogni cosa secondo scienza. Cosî come la vista, infatti, [B6dP] non è né
creatrice né artefice di alcun- ché
(perché la sua unica operazione è di discernere e mostrare ciascu- no degli enti visibili), ma ci fornisce la
capacità di operare qualcosa per
mezzo di essa e ci è di grandissimo ausilio nelle nostre azioni (per- ché saremmo quasi completamente immobili
se privati di essa), allo stesso modo
è chiaro che, pur essendo tale scienza contemplativa, noi possiamo tuttavia compiere per mezzo di
essa moltissime operazioni, sia
assumendo alcune cose sia evitandone altre, e insomma possiamo acquisire per mezzo di essa tutti quanti i
beni. 11. Che dunque il vivere sia soprattutto
piacevole per coloro che scelgano la
vita secondo intelletto, appare evidente da quanto segue. Sembra che il vivere si dica in due modi,
da un lato secondo la poten- za e
dall’altro lato secondo l’atto: noi diciamo infatti che sono veden-
370 GIAMBLICO
ἰδεῖν, κἂν μύοντα
τυγχάνῃ, καὶ τὰ χρώμενα τῇ δυνάμει καὶ προσ-
βάλλοντα τὴν ὄψιν. ὁμοίως δὲ καὶ τὸ ἐπίστασθαι [20] καὶ τὸ γιγνώσκειν, ἕν μὲν τὸ χρῆσθαι καὶ θεωρεῖν
λέγομεν, ἕν δὲ τὸ κεκτῆσθαι τὴν
δύναμιν καὶ τὴν ἐπιστήμην ἔχειν. εἰ τοίνυν τῷ μὲν αἰσθάνεσθαι τὸ ζῆν διακρίνομεν καὶ τὸ μὴ
ζῆν, τὸ δ᾽ αἰσθάνεσθαι διττόν, κυρίως
μὲν TÒ24 χρῆσθαι ταῖς αἰσθήσεσιν ἄλλως δὲ τὸ" δύ- νασθαι (διόπερ φαμὲν αἰσθάνεσθαι *** καὶ
[57] τὸν καθεύδοντα λέγοντες, ὡς
ἔοικε), δῆλον ὅτι καὶ τὸ ζῆν ἀκολουθήσει διττῶς λεγό- μενον’ τὸν μὲν γὰρ ἐγρηγορότα φατέον ζῆν
ἀληθῶς καὶ κυρίως, τὸν δὲ καθεύδοντα
διὰ τὸ δύνασθαι μεταβάλλειν εἰς ταύτην τὴν κί- νησιν, καθ’ ἣν λέγομεν ἐγρηγορέναι τε καὶ
τῶν πραγμάτων αἰσθά- νεσθαί τινος.
διὰ τοῦτο καὶ εἰς τοῦτο βλέποντες, ὅταν οὖν λέγηταί τι ταὐτὸν ἑκάτερον δυοῖν ὄντοιν, ἢ δὲ
θάτερον λεγόμενον ἢ τὸ ποιεῖν ἢ τὸ
πάσχειν, τούτῳ μᾶλλον ἀποδώσομεν ὑπάρχειν τὸ λεχ- θέν, [10] οἷον ἐπίστασθαι μὲν μᾶλλον τὸν
χρώμενον τοῦ τὴν ἐπιστήμην ἔχοντος,
ὁρᾶν δὲ τὸν προσβάλλοντα τὴν ὄψιν τοῦ Suva-
μένου προσβάλλειν. οὐ γὰρ μόνον τὸ μᾶλλον λέγομεν καθ᾽ ὑπεροχὴν ὧν ἂν εἷς ἡ λόγος, ἀλλὰ καὶ κατὰ
τὸ πρότερον εἶναι τὸ δὲ ὕστερον, οἷον
τὴν ὑγείαν τῶν ὑγιεινῶν μᾶλλον ἀγαθὸν εἶναί φαμεν, καὶ τὸ καθ᾽ αὑτὸ τὴν φύσιν αἱρετὸν τοῦ
ποιητικοῦ.26 καίτοι τόν γε λόγον
ὁρῶμεν ὡς οὐχ ἧ ἐστι κατηγορούμενος ἀμφοῖν, ὅτι ἀγαθὸν ἑκάτερον ἐπί τε τῶν ὠφελίμων καὶ τῆς
ἀρετῆς. καὶ ζῆν ἄρα μᾶλλον φατέον
[20] τὸν ἐγρηγορότα τοῦ καθεύδοντος καὶ τὸν ἐνεργοῦντα τῇ ψυχῇ τοῦ μόνον ἔχοντος: διὰ γὰρ ἐκεῖνον
καὶ τοῦτον ζῆν φαμεν, ὅτι τοιοῦτός
ἐστιν οἷος ἐκείνως27) πάσχειν ἢ ποιεῖν. οὐκοῦν τό γε χρῆσθαι παντὶ τοῦτ᾽ ἐστίν, ὅταν εἰ μὲν
ἑνὸς ἡ δύναμίς ἐστι, τοῦτο αὐτὸ
πράττῃ τις, εἰ δὲ πλειόνων τὸν ἀριθμόν, ὃ ἂν τούτων τὸ βέλτι- στον, οἷον αὐλοῖς, ἤτοι μόνον ὅταν αὐλῇ
χρῆταί τις ἢ μάλιστα“ ἴσως
24 τὸ Pistelli post Kiessling: τῷ des
Places. 25
τὸ
Pistelli post Kiessling: τῷ des Places. 26 ποιητοῦ
corresse des Places, ma invano. 27 ἐκεῖνος Pistelli:
ἐκείνως des Places, ma cf. Pistelli in appar. ad loc.
ESORTAZIONE ALLA
FILOSOFIA 371
ti sia quei viventi che hanno la vista e hanno quindi per natura la facoltà di vedere, anche quando tengono
gli occhi chiusi, sia quei viventi
che si servono di tale facoltà visiva e di fatto la esercitano. La stessa cosa vale per il percepire e per il
conoscere: noi diciamo che una cosa è
il farne uso e <quindi di fatto> contemplare, altra cosa il possedere tale facoltà ed avere
<già> la scienza. Se dunque noi distin- guiamo il vivere perché possiamo percepire
e il non vivere, e diciamo che il
potere percepire si divide in due modi, da un lato nel fare uso dei sensi in senso proprio e dall’altro
lato nel potere farne uso (e per- ciò
noi diciamo, come sembra, che ha capacità di percepire [57] anche chi dorme), è chiaro che anche il
vivere seguirà questo duplice modo di
essere detto: da un lato infatti si deve dire che vive realmen- te e propriamente chi è sveglio,
dall'altro lato anche chi dorme per il
fatto che ha la possibilità di passare a quel movimento, in virtà
del quale diciamo che si è svegliato
e percepisce qualcosa. Perciò, con lo
sguardo rivolto a tutto questo,76 quando dunque la stessa cosa si
può dire come se fossero due cose,
[87dP] mentre una delle due è detta o
l’agire o il patire, allora è a questa che attribuiremo piuttosto quello che si è detto, ad esempio che percepisce
piuttosto chi si serve <del
conoscere> e non chi possiede la scienza, e vede piuttosto chi
eserci- ta di fatto la vista e non
chi potrebbe esercitarla. Non solo, infatti, noi diciamo “più” secondo l'eccesso di
quantità a proposito delle cose che
hanno un’unica definizione, ma lo diciamo anche a proposito delle cose che sono secondo il prima e il
dopo, ad esempio diciamo che la
salute è un bene “più” che le cose sane, e ciò che per natura è preferibile per sé lo è “più” di ciò che
lo produce. E tuttavia, per quanto
concerne la definizione, noi vediamo che non è per il fatto che essa è predicata di ambedue che parliamo
di bene sia a proposito del- l’utile
che a proposito della virtà. Dunque si deve dire anche che vive “più” chi è sveglio che non chi dorme e
“più” chi vive in atto in fun- zione
della sua anima che non chi la possiede soltanto, giacché noi diciamo che è a causa di chi ha la vita in
atto che vive anche chi ha la vita in
potenza, perché quest’ultimo, allo stesso modo di quello, è capace di agire o patire.7? Dunque il
servirsi di qualunque cosa consi- ste
in questo: quando e se esiste la potenza di una sola cosa, questa stessa cosa la si fa passare all’atto,
mentre se esistono un certo nume- ro
di cose in potenza, si fa passare all’atto la cosa migliore fra di esse,
372 GIAMBLICO
γὰρ ἐπὶ τούτῳ καὶ τὰ τῶν
ἄλλων. [58] οὐκοῦν καὶ μᾶλλον χρῆσθαι
τὸν ὀρθῶς χρώμενον φατέον: τὸ γὰρ ἐφ᾽ ᾧ καὶ ὡς πέφυκεν ὑπάρχειν τῷ χρωμένῳ καλῶς καὶ ἀκριβῶς. ἔστι δὴ καὶ
ψυχῆς ἤτοι μόνον ἢ μάλιστα πάντων
ἔργον τὸ διανοεῖσθαί τε καὶ λογίζεσθαι. ἁπλοῦν ἄρα ἤδη τοῦτο καὶ παντὶ συλλογίζεσθαι
ῥάδιον ὅτι ζῇ μᾶλλον ὁ διανοούμενος
ὀρθῶς καὶ μάλιστα πάντων ὁ μάλιστα ἀληθεύων,
οὗτος δέ ἐστιν ὁ φρονῶν καὶ θεωρῶν κατὰ τὴν ἀκριβεστάτην ἐπιστήμην᾽ καὶ τό γε τελέως ζῆν τότε καὶ
τούτοις [10] ἀποδοτέον, τοῖς φρονοῦσι
καὶ τοῖς φρονίμοις. εἰ δὲ τὸ ζῆν ἐστι τῷ ζῴῳ γε ταὐτὸν παντὶ ὅπερ εἶναι, δῆλον ὅτι κἂν εἴη γε
μάλιστα καὶ κυριώτατα πάντων ὁ
φρόνιμος, καὶ τότε μάλιστα τοῦ χρόνου παντὸς ὅταν ἐνεργῇ καὶ τυγχάνῃ θεωρῶν τὸ μάλιστα τῶν
ὄντων γνώριμον. ἀλλὰ μὴν ἥ γε τελεία
ἐνέργεια καὶ ἀκώλυτος ἐν ἑαυτῇ ἔχει τὸ χαίρειν, ὥστε ἂν εἴη ἡ θεωρητικὴ ἐνέργεια πασῶν
ἡδίστη. ἔτι τοίνυν ἕτερόν ἐστιν τὸ
ἡδόμενον πίνειν καὶ τὸ ἡδέως πίνειν οὐδὲν γὰρ κωλύει μὴ διψῶντά τινα μηδὲ οἵῳ χαίρει πόματι
προσφερόμενον [20] πίνοντα χαίρειν,
μὴ τῷ πίνειν ἀλλὰ τῷ συμβαίνειν ἅμα θεωρεῖν ἢ θεωρεῖσθαι καθήμενον. οὐκοῦν τοῦτον
ἥδεσθαι μὲν καὶ ἡδόμενον πίνειν
φήσομεν, ἀλλ᾽ οὐ τῷ πίνειν οὐδὲ ἡδέως πίνειν. οὐκοῦν οὕτως καὶ βάδισιν καὶ καθέδραν καὶ μάθησιν καὶ
πᾶσαν κίνησιν ἐροῦμεν ἡδεῖαν ἢ
λυπηράν, οὐχ ὅσων συμβαίνει λυπεῖσθαι παρουσῶν ἡμᾶς ἢ χαίρειν, ἀλλ᾽ ὧν τῇ παρουσίᾳ καὶ λυπούμεθα
πάντες καὶ χαίρομεν. καὶ ζωὴν οὖν
ἡδεῖαν ὁμοίως ἐροῦμεν, ἧς ἡ παρουσία τοῖς ἔχουσιν [59] ἡδεῖα, καὶ ζῆν ἡδέως οὐ πάντας ὅσοις
ζῶσι συμβαίνει χαίρειν, ἀλλ᾽ οἷς αὐτὸ
τὸ ζῆν ἡδὺ καὶ χαίρουσι τὴν ἀπὸ ζωῆς ἡδονήν. οὐκοῦν τὸ ζῆν ἀποδίδομεν τῷ μὲν ἐγρηγορότι μᾶλλον
ἢ τῷ καθεύδοντι, τῷ
ESORTAZIONE ALLA FILOSOFIA 373
ad esempio, a proposito dei flautisti, o
quando ci si serve del flauto
nell'unico modo possibile o quando se ne fa uso nel migliore dei modi; forse questo vale anche a proposito
degli altri casi. [58] Bisogna dunque
dire anche che fa più uso di una chi ne fa un uso cor- retto, giacché in chi fa un uso giusto e
preciso è presente il perché e il
modo in cui una cosa esiste per natura. Ebbene, anche dell'anima esiste un’operazione che è o unica o
migliore fra tutte, e cioè il pensa-
re o ragionare. È dunque facile e semplice per chiunque capire que- sto, cioè che vive più chi ragiona
correttamente e soprattutto chi più
di ogni altro attinge nel migliore dei modi la verità, ma costui è
colui che pensa e contempla secondo
la scienza più esatta; ed anche il vive-
re in modo perfetto bisogna in questo caso [88dP] attribuirlo a
costo- ro,78 cioè a coloro che sono
prudenti e saggi. Se poi il vivere è per ogni vivente identico all’essere,7° allora è
chiaro che il saggio esiste come tale
in maniera maggiore e più propria di tutti gli altri viventi, e in questo caso soprattutto quando per tutta
la sua vita esercita la sua sag- gezza e quando gli capita di contemplare la
cosa più conoscibile fra tutte.80 Ma
la perfetta attività e priva di intralci ha in se stessa il suo proprio godimento, sicché sarà l’attività
contemplativa più piacevole fra
tutte. Inoltre, una cosa è in verità il bere come oggetto di piacere e altra cosa il bere piacevolmente: nulla
infatti impedisce che chi non avendo
sete né una qualche bevanda piacevole a sua disposizione, possa godere nel bere, non già per il
fatto di bere, ma perché gli capi- ti
al contempo di guardare o essere guardato mentre sta seduto. Dunque di costui noi diremo che prova
piacere e beve provando pia- cere, ma
non perché sta bevendo né perché beve piacevolmente. In tal modo dunque diremo che anche il
camminare e lo stare seduto e
l’apprendere e ogni altro movimento del genere può essere piacevole o doloroso, ma non perché capita in
presenza di tali movimenti di provare
dolore o piacere, bensi perché a causa della loro presenza noi tutti proviamo dolore o piacere. Ebbene noi
diremo che anche la vita può essere
piacevole, quando la sua presenza è piacevole per coloro che la vivono, [59] e che vivono
piacevolmente non tutti coloro a cui
capita di provare piacere mentre vivono, ma coloro per i quali il
vive- re è piacevole e che provano
piacere dalla vita. Dunque il vivere noi
lo attribuiamo più a chi è sveglio che non a chi dorme, e d’altra
parte più a chi è prudente che non a
chi è insensato, e diciamo che il piace-
374 GIAMBLICO
dpovovvTi? δὲ ἢ τῷ
ἄφρονι μᾶλλον, τὴν δ᾽ ἀπὸ ζωῆς ἡδονὴν τὴν ἀπὸ τῆς χρήσεως γιγνομένην φαμὲν εἶναι τῆς
ψυχῆς τοῦτο γάρ ἐστι τὸ ζῆν ἀληθῶς.
εἰ τοίνυν καὶ πολλαὶ ψυχῆς εἰσι χρήσεις, ἀλλὰ κυριω- τάτη γε πασῶν ἡ τοῦ φρονεῖν ὅ τι μάλιστα.
δῆλον τοίνυν ὅτι καὶ τὴν
yiyvo[10]uévnv ἀπὸ τοῦ φρονεῖν καὶ θεωρεῖν ἡδονὴν ἢ μόνην ἢ μάλιστα ἀναγκαῖον ἀπὸ τοῦ ζῆν εἶναι. τὸ
ζῆν ἄρα ἡδέως καὶ τὸ χαί- ρειν ὡς
ἀληθῶς ἤτοι μόνοις ἢ μάλιστα ὑπάρχει τοῖς φιλοσόφοις. ἡ γὰρ τῶν ἀληθεστάτων νοήσεων ἐνέργεια καὶ
ἀπὸ τῶν μάλιστα ὄντων πληρουμένη καὶ
στέγουσα ἀεὶ μονίμως τὴν ἐνδιδομένην τελειό-
τητα, αὕτη πασῶν ἐστι καὶ πρὸς εὐφροσύνην ἀνυσιμωτάτη. ὥστε καὶ δι᾽ αὐτὸ τὸ χαίρειν τὰς ἀληθεῖς καὶ ἀγαθὰς
ἡδονὰς φιλοσοφητέον ἐστὶ τοῖς νοῦν
ἔχουσιν. XII. Εἰ δὲ δεῖ μὴ μόνον ἀπὸ τῶν μερῶν τοῦτο
[20] συλλογίσα- σθαι, ἀλλὰ καὶ ἀπὸ
τῆς ὅλης εὐδαιμονίας ἄνωθεν τὸ αὐτὸ κατασκε-
vacat, λέγωμεν διαρρήδην ὅτι δὴ ὡς ἔχει πρὸς εὐδαιμονίαν τὸ φιλο- σοφεῖν, οὕτω καὶ πρὸς τὸ σπουδαῖον ἡμῖν ἢ
φαῦλον εἶναι αὐτὸ δια- κεῖσθαι. πάντα
γὰρ τὰ μὲν πρὸς τοῦτο τὰ δὲ διὰ τοῦτο πᾶσιν
αἱρετέον εἶναι, καὶ τὰ μὲν ὡς ἀναγκαῖα τῶν πραγμάτων τὰ δὲ ἡδέα δι᾽ ὧν εὐδαιμονοῦμεν. οὐκοῦν τὴν
εὐδαιμονίαν τιθέμεθα ἤτοι φρό- νησιν
εἶναι καί τινα σοφίαν ἢ τὴν ἀρετὴν ἢ τὸ μάλιστα χαίρειν «ἢ» πάντα [60] ταῦτα. οὐκοῦν εἴτε φρόνησίς
ἐστι, φανερὸν ὅτι μόνοις ἂν ὑπάρχοι
τοῖς φιλοσόφοις τὸ ζῆν εὐδαιμόνως, εἴτε ἀρετὴ ψυχῆς ἢ τὸ χαίρειν, κἂν οὕτως ἢ μόνοις ἢ μάλιστα
πάντων᾽ ἀρετὴ γάρ ἐστι τὸ κυριώτατον
τῶν ἐν ἡμῖν, ἥδιστόν τε πάντων ἐστὶν ὡς ἕν πρὸς ἕν ἡ φρόνησις, ὁμοίως δὲ κἂν ταῦτα πάντα ταὐτὰ
φῆ τις εἶναι τὴν εὐδαι- μονίαν,
ὁριστέον ἐστὶ τὸ φρονεῖν. ὥστε φιλοσοφητέον ἂν εἴη πᾶσι τοῖς δυναμένοις: ἢ γάρ τοι τοῦτ᾽ ἐστὶ τὸ
τελέως εὖ ζῆν, ἢ μάλιστά γε πάντων ὡς
[10] ἕν εἰπεῖν αἴτιον ταῖς ψυχαῖς. ἀλλ᾽ ἐνταῦθα μὲν διὰ τὸ παρὰ φύσιν ἴσως εἶναι τὸ γένος ἡμῶν
χαλεπὸν τὸ μανθάνειν τι καὶ σκοπεῖν
ἐστι, καὶ μόλις αἰσθάνοιτο, διὰ τὴν ἀφυΐαν καὶ τὴν παρὰ φύσιν Conv: ἂν δέ ποτε δυνηθῶμεν
σωθῆναι πάλιν ὅθεν ἐληλύ-
28 φρονοῦντι: φρονοῦτι erron. des Places.
ESORTAZIONE ALLA
FILOSOFIA 375
re che deriva dalla vita è quello che proviene dall'uso che si fa
del- l’anima: è questo infatti il
vivere veramente. Se è vero che ci sono
molti usi dell'anima, tuttavia quello più importante di tutti è
l’uso della facoltà di pensare il più
possibile. É tuttavia chiaro che anche il
piacere che deriva dal pensare e dal contemplare è necessariamente
o il solo o il migliore proveniente
dalla vita. Il vivere piacevolmente,
dunque, e il provare piacere appartengono in verità o ai soli filosofi
o soprattutto a loro [89dP], giacché
l’attività dei pensieri più veraci,
che è soprattutto piena di realtà e che contiene sempre in modo sta- bile la perfezione che <quei
pensieri> le imprimono, è questa la più
efficace fra tutte ai fini del benessere interiore. Di conseguenza, per questa stessa ragione anche per godere i
piaceri veri e buoni coloro che
possiedono intelligenza hanno il dovere di filosofare.
12. Se poi bisogna fare un tale ragionamento non soltanto parten- do dalle parti della felicità, ma anche
costruendolo a partire dalla feli-
cità nella sua interezza, allora dobbiamo dire chiaramente che il
filo- sofare ha rapporto con la
felicità cosi come lo stesso filosofare si trova in rapporto con il nostro essere seri o
sciocchi, giacché noi dobbiamo
scegliere ogni cosa o in rapporto alla felicità o in funzione di essa, e
le cose che ci rendono felici sono o
necessarie o piacevoli. Dunque noi
possiamo stabilire che anche la felicità è o una prudenza o una
certa sapienza o una virtù o consiste
nel godere di esse o in tutto o in mas-
sima parte. [60] Dunque, se è una prudenza, allora è chiaro che
solo ai filosofi appartiene il vivere
felici, se è una νἱττύ dell’anima o il godi-
mento <come tale>, allora anche in questo caso la felicità apparterrà o ai soli filosofi o soprattutto a loro,
perché la virti è ciò che noi abbiamo
di più appropriato, e fra tutte le nostre proprietà, confron- tate ad una ad una, la più piacevole è la
prudenza. Parimenti, se si dice chela
felicità è tutte queste cose insieme, allora bisogna definirla come lo <stesso> pensare. Ne
consegue che bisogna che filosofino
tutti quelli che ne hanno facoltà, giacché il filosofare o è il perfetto vivere bene, o — per dirla con una sola
parola — ne è, più di ogni altra
cosa, la causa <prima> per le anime. Ma quaggiù, per il fatto che
il genere umano ha la probabilità di
vivere contro natura, diviene diffi-
cile apprendere e riflettere, e ciò potrebbe appena essere percepito
a causa <appunto> della nostra
vita innaturale o <addirittura> contro
natura; [90dP] ma potendo talvolta salvarci ritornando là donde
376 GIAMBLICO
θαμεν, δῆλον ὡς ἥδιον
καὶ ῥᾷον αὐτὸ ποιήσομεν πάντες. νῦν μὲν
γὰρ ἀφειμένοι τῶν ἀγαθῶν διατελοῦμεν πράττοντες τὰ ἀναγκαῖα, καὶ μάλιστα πάντων οἱ μάλιστα μακάριοι
δοκοῦντες εἶναι τοῖς πολ- Xoîc ἐὰν δὲ
τῆς οὐρανίας ὁδοῦ λαβώμεθα καὶ ἐπὶ τὸ σύννομον ἄστρον τὴν [20] ζωὴν τὴν ἑαυτῶν
ἀπερείσωμεν, τότε φιλοσοφήσομεν
ζῶντες ἀληθῶς καὶ θεώμενοι θεωρίας ἀμηχάνους τὸ κάλλος, ἀτενί- ζοντες τῇ ψυχῇ πρὸς τὴν ἀλήθειαν ἀραρότως
καὶ θεώμενοι τὴν τῶν θεῶν ἀρχήν,
εὐφραινόμενοι καὶ χαίροντες συνεχῶς ἀπὸ τοῦ
θεωρεῖν, ἡδόμενοι [61] χωρὶς πάσης λύπης. οὕτως οὖν ἐπιόντες εἰς πᾶσαν εὐδαιμονίαν εὑρίσκομεν ἡμῖν
συμβαλλόμενον τὸ φιλοσοφεῖν: διόπερ
αὐτοῦ ἀντιλαμβάνεσθαι ἄξιον ὡς σπουδαιοτά-
του καὶ μάλιστα ἡμῖν προσήκοντος.
XIII. Εἰ δὲ δεῖ καὶ ἀπὸ
τῶν περὶ φιλοσοφίας ἐννοιῶν ποιήσασθαί
τινα ἐπὶ τοῦτο παράκλησιν, ἴθι δὴ καὶ ἀπὸ τούτων ἐπέλθωμεν οὑτωσί. κινδυνεύουσιν ὅσοι τυγχάνουσιν
ὀρθῶς ἁπτόμενοι φιλοσο- φίας
λεληθέναι τοὺς ἄλλους, ὅτι οὐδὲν ἄλλο αὐτοὶ ἐπιτη[10]δεύου- σιν ἢ ἀποθνήσκειν τε καὶ τεθνάναι. καὶ
μάλα εἰκότως. λέληθε γὰρ τοὺς πολλοὺς
ἧ τε θανατῶσι καὶ ἡἣ ἄξιοί εἰσι θανάτου καὶ οἵου θανάτου οἱ dc ἀληθῶς φιλόσοφοι. θάνατος
μὲν οὖν ἐστιν οὐκ ἄλλο τι ἢ ἡ τῆς
ψυχῆς ἀπὸ τοῦ σώματος ἀπαλλαγή, καὶ ἔστι τοῦτο τὸ τεθ- νάναι, χωρὶς μὲν ἀπὸ τῆς ψυχῆς ἀπαλλαγὲν
αὐτὸ καθ᾽ αὑτὸ τὸ σῶμα γεγονέναι,
χωρὶς δὲ τὴν ψυχὴν τοῦ σώματος ἀπαλλαγεῖσαν αὐτὴν καθ᾽ αὑτὴν εἶναι. τούτου δὴ οὖν οὕτως
ἔχοντος, εἰκότως δὴ οὐκ ἔστι
φιλοσόφου ἀνδρὸς ἐσπουδακέναι [20] περὶ τὰς ἡδονὰς καλουμένας τὰς τοιάσδε, οἷον σίτων τε καὶ ποτῶν, οὐδὲ
τὰς τῶν ἀφροδισίων᾽ ἀλλ᾽ οὐδὲ τὰς
ἄλλας τὰς περὶ τὸ σῶμα θεραπείας ἐντίμους ἡγήσεται ὁ τοιοῦτος, οἷον ἱματίων διαφερόντων
κτήσεις καὶ ὑποδημάτων, καὶ τοὺς
ἄλλους καλλωπισμοὺς τοὺς περὶ τὸ σῶμα οὐ τιμᾷ, ἀτιμάζει δὲ καθόσον μὴ πολλὴ ἀνάγκη μετέχειν αὐτῶν.
ὅλως δοκεῖ ἡ τοῦ τοιού- του
πραγματεία οὐ περὶ τὸ σῶμα εἶναι, ἀλλὰ καθόσον [62] δύναται ἀφεστάναι αὐτοῦ, πρὸς δὲ τὴν ψυχὴν
τετράφθαι. καὶ ἐν τοῖς τοιού- τοις
οὖν δῆλός ἐστιν ὁ φιλόσοφος ἀπολύων ὅτι μάλιστα τὴν ψυχὴν ἀπὸ τῆς τοῦ σώματος κοινωνίας διαφερόντως
τῶν ἄλλων ἀνθρώπων.
ESORTAZIONE ALLA FILOSOFIA 377
siamo venuti, è chiaro che tutti potremo
rendere la nostra condizione naturale
più piacevole e più facile. AI presente in verità, essendo lon- tani dai <veri> beni, passiamo la
vita facendo le cose ad essa necessa-
rie, e soprattutto lo fanno quelli che sembrano alla maggioranza degli uomini i più beati di tutti; ma se dopo
avere preso la via del cielo ci
appoggeremo all’astro a cui è associata la nostra stessa vita, allora
filo- soferemo conducendo una vera
vita e contemplando la bellezza di
una visione straordinaria, tendendo con la nostra anima verso la veri- tà indefettibile e contemplando il
principio degli dèi, ricevendo con-
tinuamente diletto e godimento da quel contemplare, provando pia- cere [61] senza alcun dolore. In tal modo
dunque, avvicinandoci alla completa
felicità, scopriremo che il filosofare ci aiuta; è opportuno perciò che ci si metta impegno come fosse
un’attività serissima e che ci
conviene al di sopra di ogni altra.
13. Ma se bisogna anche
fare qualche raccomandazione per tutto
ciò, muovendo dalle nozioni relative alla filosofia, ecco a quale
risul- tato possiamo giungere per
questa strada. Tutti coloro che intrapren-
dono a filosofare correttamente rischiano che gli altri
dimentichino che i filosofi di
nient'altro devono preoccuparsi se non di morire o di essere morti. E a buon diritto, perché i
più dimenticano che i veri filo- sofi
sono tali in quanto amano morire e in quanto sono degni di morte e di un certo tipo di morte. Ebbene, la
morte non è altro che la sepa-
razione dell’anima dal corpo, e questo è appunto l’essere morti: da
un lato il corpo, privo dell'anima,
resta separato in sé e per sé, dall’altro
lato l’anima, priva del corpo, è <anch’essa> separata in sé e per
sé. Cosi stando, dunque, le cose, è
giusto che non sia proprio [91dP] del
filosofo preoccuparsi dei cosiddetti piaceri quali, ad esempio,
quelli del mangiare e del bere, né di
quelli erotici; ma neppure alle altre cure
del corpo il filosofo darà valore, ad esempio all'acquisto di indumen- ti e di scarpe speciali, e non apprezzerà
neppure gli altri ornamenti del
corpo, e disprezzerà quanto non sia assolutamente necessario averne parte. In generale sembra che la
preoccupazione del filosofo non
riguardi ciò che è corporeo, [62] bensi quanto sia possibile aste- nersi da esso, e orientarsi verso l’anima.
È in questi casi, dunque, che si
manifesta il filosofo, quando cioè egli libera il più possibile l’anima dalla sua comunione con il corpo,
diversamente di come fanno gli altri
uomini. Ed è per questo, immagino, che la maggior parte degli
378 GIAMBLICO
καὶ δοκεῖ γέ mov διὰ
τοῦτο τοῖς πολλοῖς ἀνθρώποις, ᾧ μηδὲν ἡδὺ τῶν τοιούτων μηδὲ μετέχει αὐτῶν, οὐκ ἄξιον
εἶναι ζῆν, ἀλλ᾽ ἐγγύς τι τείνειν τοῦ
τεθνάναι ὁ μηδὲν φροντίζων τῶν ἡδονῶν aî διὰ τοῦ σώματός εἰσι. καὶ μὴν περί γε αὐτὴν τὴν
τῆς φρονήσεως [10] κτῆσιν ἐμπόδιον
τὸ29 σῶμα, ἐάν τις αὐτὸ ἐν τῇ ζητήσει κοινωνὸν συμπαρα- λαμβάνῃ. οἷον τὸ τοιόνδε λέγω" οὐκ
ἔχει ἀλήθειάν τινα ὄψις τε καὶ ἀκοὴ
τοῖς ἀνθρώποις: τὰ γὰρ τοιαῦτα οἱ ποιηταὶ ἀεὶ ἡμῖν θρυλλοῦσιν, ὅτι οὔτε ἀκούομεν ἀκριβὲς
οὐδὲν οὔτε ὁρῶμεν. καίτοι εἰ αὗται
τῶν περὶ τὸ σῶμα αἰσθήσεων μὴ ἀκριβεῖς εἰσι μηδὲ σαφεῖς, σχολῇ αἵ γε ἀλλαι᾽ πᾶσαι γάρ που τούτων
φαυλότεραί εἰσιν. οὐκοῦν εἰ ἡ ψυχὴ
τῆς ἀληθείας ἀποτυγχάνει, ὅταν μετὰ τοῦ σώματος ἐπι- χειρῇ τι σκοπεῖν (δῆλον γὰρ ὅτι τότε
ἐξαπατᾶται ὑπ᾽ αὐτοῦ), [20] πάντως
ποῦ ἐν τῷ λογίζεσθαι, εἴπερ που ἄλλοθι, κατάδηλον αὐτῇ γί- γνεταί τι τῶν ὄντων. λογίζεται δέ γέ πον
τότε κάλλιστα, ὅταν αὐτὴν τούτων
μηδὲν παραλυπῇ, μῆτε ἀκοὴ μήτε ὄψις μήτε ἀλγηδὼν μηδέ τις ἡδονή, ἀλλ᾽ ὅτι μάλιστα αὐτὴ καθ᾽
αὑτὴν γίγνηται ἐῶσα χαίρειν τὸ σῶμα,
καὶ καθόσον δύνηται μὴ κοινωνοῦσα αὐτῷ μηδὲ ἁπτομένη ὀρέγηται τοῦ ὄντος. οὐκοῦν καὶ ἐνταῦθα ἡ
τοῦ φιλοσόφου ψυχὴ μάλιστα ἀτιμάζει
τὸ σῶμα καὶ φεύγει ἀπ᾽ αὐτοῦ, ζητεῖ δὲ αὐτὴ καθ᾽ αὑτὴν γίγνεσθαι.
[63] Μάλιστα δὲ ἔσται τοῦτο δῆλον ἀπὸ τῆς τῶν εἰδῶν θεωρίας. τὸ γὰρ δίκαιον αὐτὸ καὶ καλὸν καὶ ἀγαθὸν καὶ
πάντα οἷς ἐπισφραγι- ζόμεθα τὸ ὅ
ἐστιν, οὐδεπώποτέ τις τοῖς ὀφθαλμοῖς εἶδεν, οὐδὲ ἄλλῃ τινὶ αἰσθήσει τῶν διὰ τοῦ σώματος ἐφήψατο
αὐτῶν, ἀλλ᾽ ὃς ἂν μάλι- στα ἡμῶν καὶ
ἀκριβέστατα παρασκενυάσηται αὐτὸ ἕκαστον δια- νοηθῆναι περὶ οὗ σκοπεῖ, οὗτος ἂν ἐγγύτατα
ἴοι τοῦ γνῶναι ἕκαστον. οὐκοῦν
ἐκεῖνος ἂν τοῦτο ποιήσειεν καθαρώτατα, ὅστις ὅ τι μάλιστα αὐτῇ τῇ [10] διανοίᾳ ἴοι ἐφ᾽
ἕκαστον, μήτε τὴν ὄψιν παρατιθέμενος
ἐν τῷ διανοεῖσθαι μήτε ἄλλην αἴσθησιν ἐφέλκων μηδεμίαν μετὰ τοῦ λογισμοῦ, ἀλλ᾽ αὐτῇ καθ᾽
αὑτὴν εἰλικρινεῖ τῇ διανοίᾳ χρώμενος
αὐτὸ καθ᾽ αὑτὸ εἰλικρινὲς ἕκαστον ἐπιχειροίη
29 τὸ: to erron. des Places. 30 ψυχῆ: ψυχ erron. des Places.
ESORTAZIONE ALLA
FILOSOFIA 379
uomini credono che colui che non prova piacere di tali cose né vi prende parte, non è degno di vivere, ma è
come uno che è prossimo a morire
perché non si cura di nessuno di quei piaceri che si provano attraverso il corpo. E in verità il corpo
fa da impedimento alla stessa
acquisizione della prudenza, se nella ricerca di questa lo si
assume come compagno. Ecco ciò che
intendo dire: vista e udito non posseg-
gono per gli uomini alcuna verità, perché è di questo tenore ciò che
i poeti ci cantano sempre, cioè che
noi non siamo capaci né di udire né
di vedere alcunché di preciso. Ma se è vero che questi due sensi
cor- porei sono tra quelli che non
hanno né precisione né chiarezza, allo-
ra non potranno averne affatto gli altri sensi, perché in qualche
modo questi ultimi sono più deboli di
quelli. Se dunque l’anima non riesce
a raggiungere la verità quando cerca di esaminare qualcosa in compa- gnia del corpo (perché è chiaro che in
questo caso viene da quello
ingannata), allora è in qualche modo nella sua capacità di ragionare, se ne ha possibilità da qualche altra
parte, che essa può acquisire in modo
chiaro qualcosa della realtà. Ma essa, come io credo, ragiona nel migliore dei modi, quando nessuna
sensazione la turba, [92dP] né
l'udito né la vista né alcun dolore né alcun piacere, ma essa si trova in sé e per sé al massimo livello
lasciando che goda <soltanto> il
corpo, e per quanto le sia possibile, non avendo né comunione né contatto con esso, desideri il
<vero> essere. Dunque anche quaggiù
l’anima del filosofo disprezza al massimo il corpo e rifugge da esso,
e cerca di starsene in sé e per
sé. [63] Ma questo sarà chiaro soprattutto
partendo dalla teoria delle idee,
perché il giusto in sé e il bello in sé e il buono in sé e tutto ciò che noi suggelliamo come “ciò che è”,
giammai si possono vedere con gli
occhi, né afferrare con qualche altro senso tra quegli stessi che operano attraverso il corpo, ma chi di noi
sarà preparato al massimo livello a
pensare in se stessa qualunque idea egli osservi, questi potrà avvicinarsi il più possibile alla
conoscenza di essa. Dunque renderà
tale idea assolutamente chiara chiunque giungerà a ciascuna idea soprattutto per mezzo della stessa
ragione, né userà la vista nel pen-
sarla, né si porterà dietro assieme al ragionamento alcun altro senso, ma, servendosi della pura ragione in sé e
per sé, cercherà di andare alla
caccia di ogni puro ente in sé e per sé, liberandolo soprattutto da qualsiasi cosa che appartenga alla vista e
all’udito e — in una parola --
380 GIAMBLICO
θηρεύειν τῶν ὄντων,
ἀπαλλαγεὶς ὅ τι μάλιστα ὀφθαλμῶν τε καὶ ὦτων
καὶ ὡς ἔπος εἰπεῖν ξύμπαντος τοῦ σώματος, ὡς ταράττοντος καὶ οὐκ ἐῶντος τὴν ψυχὴν κτήσασθαι ἀλήθειάν τε καὶ
φρόνησιν, ὅταν κοινωνῇ. οὗτος γάρ
ἐστιν, εἴπερ τις ἄλλος, ὁ τευξόμενος τοῦ ὄντος. ἀνάγκη δὴ οὖν ἐκ πάντων τούτων [20]
παρίστασθαι δόξαν τοιάνδε τινὰ τοῖς
γνησίοις φιλοσόφοις, ὥστε καὶ πρὸς ἀλλήλους τοιαῦτα ἄττα λέγειν, ὅτι κινδυνεύει τι ὥσπερ
ἀτραπὸς ἐκφέρειν ἡμᾶς μετὰ τοῦ λόγου
ἐν τῇ σκέψει, ὅτι,1 ἕως ἂν τὸ σῶμα ἔχωμεν καὶ ξυμπε- φυρμένη «ἦ» ἡμῶν ἡ ψυχὴ μετὰ τοιούτου
κακοῦ, οὐ μήποτε κτησώμε- θα ἱκανῶς
οὗ ἐπιθυμοῦμεν. φαμὲν δὲ τοῦτο εἶναι τὸ ἀληθές. μυρίας μὲν γὰρ ἡμῖν ἀσχολίας παρέχει τὸ σῶμα διὰ
τὴν ἀναγκαίαν [64] τροφήν. ἔτι δὲ ἄν
τινες νόσοι προσπέσωσιν, ἐμποδίζουσιν ἡμῶν τὴν τοῦ ὄντος θήραν. ἐρώτων δὲ καὶ ἐπιθυμιῶν
καὶ φόβων καὶ εἰδώλων παντοδαπῶν καὶ
φλυαρίας ἐμπίπλησιν ἡμᾶς, ὥστε τὸ λεγόμενον ὡς ἀληθῶς τῷ ὄντι ὑπ᾽ αὐτοῦ οὐδὲ φρονῆσαι
ἡμῖν ἐγγίγνεται οὐδέποτε οὐδέν. καὶ
γὰρ πολέμους καὶ στάσεις καὶ μάχας οὐδὲν ἄλλο παρέ- χει ἢ τὸ σῶμα καὶ αἱ τούτου ἐπιθυμίαι. διὰ
γὰρ τὴν τῶν χρημάτων κτῆσιν πάντες οἱ
πόλεμοι γίνονται, τὰ δὲ χρήματα ἀναγκα[]0]ζόμε- θα κτᾶσθαι διὰ τὸ σῶμα, δουλεύοντες τῇ
τούτου θεραπείᾳ" καὶ ἐκ τούτου
ἀσχολίαν ἄγομεν φιλοσοφίας πέρι διὰ πάντα ταῦτα. τὸ δὲ ἔσχατον πάντων ὅτι, ἐάν τις ἡμῖν καὶ σχολὴ
γένηται ἀπ᾽ αὐτοῦ καὶ τραπώμεθα πρὸς
τὸ σκοπεῖν τι, ἐν ταῖς ζητήσεσιν αὖ πανταχοῦ
παραπῖπτον θόρυβον παρέχει καὶ ταραχὴν καὶ ἐκπλήττει, ὥστε μὴ δύνασθαι ὑπ᾽ αὐτοῦ καθορᾶν τἀληθές, ἀλλὰ
τῷ ὄντι ἡμῖν δέδεικται ὅτι, εἰ
μέλλομέν ποτε καθαρῶς τι εἴσεσθαι, ἀπαλλακτέον αὐτοῦ καὶ αὐτῇ τῇ ψυχῇ θεατέον αὐτὰ τὰ πράγματα᾽
καὶ τότε, [20] ὡς ἔοικεν, ἡμῖν ἔσται
οὗ ἐπιθυμοῦμέν τε καί φαμεν ἐρασταὶ εἶναι,
φρόνησις, ἐπειδὰν τελευτήσωμεν, ὡς ὁ λόγος σημαίνει, ζῶσι δὲ οὔ. εἰ γὰρ μὴ οἷόν τε μετὰ τοῦ σώματος μηδὲν
καθαρῶς γνῶναι, δυοῖν τὰ ἕτερα, ἢ οὐδαμοῦ
ἔστι κτήσασθαι τὸ εἰδέναι ἢ τελευτήσασι τότε
γὰρ αὐτὴ καθ᾽ αὑτὴν ἔσται ἡ ψυχὴ χωρὶς τοῦ σώματος, πρότερον δὲ οὔ. καὶ ἐν ᾧ ἂν ζῶμεν, οὕτως ὡς ἔοικεν
ἐγγυτάτω ἐσόμεθα τοῦ εἰδέ-
31 ὅτι: dar erron. des Places.
ESORTAZIONE ALLA
FILOSOFIA 381
all'intero corpo, come da ciò che turba e impedisce all’anima,
quan- do ne è in comunione, di
acquisire verità e prudenza, giacché è pro-
prio costui, se c'è qualcuno, che sarà in grado di raggiungere il <vero> essere. È necessario dunque
che, partendo da tutte queste
ragioni, i filosofi autentici si mettano in mente un’opinione del
gene- re, in modo che siano capaci di
parlare in questo modo anche tra di
loro, dicendo che c’è il rischio che noi andiamo fuori strada nella ricerca assieme alla nostra ragione, nel
senso che, finché possediamo il corpo
e la nostra anima sarà mescolata [93dP] con tale sventura, mai potremo acquisire a sufficienza ciò
che desideriamo, e cioè quel- lo che
diciamo essere la verità. Il corpo infatti ci procura un'infinità di occupazioni a causa delle necessità
della sua nutrizione; [64] inol- tre
possono sopraggiungere alcune malattie, che ci sono di impedi- mento nella caccia al <vero> essere.
E poi le passioni amorose, e gli
appetiti e le paure e le fantasie e le futilità di ogni genere ci
riempio- no a tal punto che -- per
dire come stanno veramente le cose — dal
corpo mai ci potrà venire alcuna saggia riflessione. E infatti le guerre e le sedizioni e le battaglie nient'altro
le procura se non il corpo e gli
appetiti ad esso legati, perché tutte le guerre nascono per acquistare ricchezza, e noi siamo costretti ad
acquistare ricchezza per il corpo,
perché siamo asserviti alla cura di esso; e perciò, a causa di tutto
que- sto, non troviamo tempo per
occuparci della filosofia. E il colmo di
ciò è che, se qualche momento di tregua ci viene dal corpo e ci
vol- giamo ad esaminare qualcosa,
allora esso ci procura, nella ricerca,
improvvisamente da ogni parte un tumulto e un turbamento atti a sconvolgerci, al punto che siamo da ciò
resi incapaci di vedere la veri- tà,
anzi ci viene indicato realmente che, se mai potremo conoscere qualche cosa di chiaro, occorrerà
liberarsi del corpo e con la sola
anima considerare le cose in se stesse; e a quel punto, come
sembra, avremo ciò che desideriamo e
di cui diciamo di essere amanti, cioè la
prudenza, e solo dopo che saremo morti, secondo il significato di questo nostro discorso, e non da vivi. Se
infatti non è possibile insie- me col
corpo conoscere nulla in modo chiaro, una delle due, o non sarà possibile mai acquisire il sapere o
possiamo farlo solo da morti, giacché
solo allora l’anima sarà in sé e per sé, in quanto separata dal corpo, prima no. E finché noi viviamo,
cosî come sembra <dal nostro
ragionamento>, noi saremo il più possibile vicini al sapere, se per
382 GIAMBLICO
vat, ἐὰν ὅ τι μάλιστα
μηδὲν ὁμιλῶμεν τῷ σώματι μηδὲ κοινωνῶμεν,
ὅ τι μὴ πᾶσα ἀνάγκη, μηδὲ ἀναπιμπλώμεθα τῆς τούτου [65] φύσεως ἀλλὰ καθαρεύωμεν ἀπ᾽ αὐτοῦ, ἕως ἂν ὁ θεὸς
αὐτὸς ἀπολύσῃ ἡμᾶς. καὶ οὕτω μὲν
καθαροὶ ἀπαλλαττόμενοι τῆς τοῦ σώματος ἀφροσύνης, ὡς τὸ εἰκός, μετὰ τοιούτων ἐσόμεθα καὶ
γνωσόμεθα δι᾽ ἡμῶν αὐτῶν πᾶν τὸ
εἰλικρινές; τοῦτο δ᾽ ἐστὶν ἴσως τὸ ἀληθές. μὴ καθαρῷ γὰρ καθαροῦ ἐφάπτεσθαι μὴ οὐ θεμιτὸν ἦ.
κάθαρσις δὲ τοῦτο ξυμβαίνει, ὅπερ
πάλαι ἐν τῷ λόγῳ λέγεται, τὸ χωρίζειν ὅ τι μάλιστα ἀπὸ τοῦ σώματος τὴν ψυχὴν καὶ ἐθίσαι αὐτὴν καθ᾽
αὑτὴν πανταχόθεν [10] ἐκ τοῦ σώματος
συναγείρεσθαί τε καὶ ἀθροίζεσθαι, καὶ οἰκεῖν
κατὰ τὸ δυνατὸν καὶ ἐν τῷ νῦν παρόντι καὶ ἐν τῷ ἔπειτα μόνην καθ᾽ αὑτήν, ἐκλυομένην ὥσπερ ἐκ δεσμῶν ἐκ τοῦ
σώματος. τοῦτο δὲ θά- νατος
ὀνομάζεται, λύσις καὶ χωρισμὸς ψυχῆς ἀπὸ σώματος. λύειν δέ γε αὐτήν, ὥς φαμεν, προθυμοῦνται ἀεὶ
μάλιστα καὶ μόνοι οἱ φιλο- σοφοῦντες
ὀρθῶς, καὶ τὸ μελέτημα αὐτὸ τοῦτό ἐστι τῶν φιλοσόφων, λύσις καὶ χωρισμὸς ψυχῆς ἀπὸ σώματος. ὥστε
τὸ μέγιστον ἡμῖν ἀγα- θὸν ἡ φιλοσοφία
παρέχουσα, τὴν ἀπαλλαγὴν τῶν [20] ἐν τῇ ψυχῇ καὶ γενέσει δεσμῶν, περισπούδαστος ἂν εἴη
διαφερόντως. ᾿Αλλὰ μὴν καὶ ἡ ὀνομαζομένη ἀνδρεία τοῖς
οὕτω διακειμένοις μάλιστα προσήκει,
καὶ ἡ σωφροσύνη, ἣν καὶ οἱ πολλοὶ ὀνομάζουσι
σωφροσύνην, τὸ περὶ τὰς ἐπιθυμίας μὴ ἐπτοῆσθαι ἀλλ᾽ ὀλιγώρως ἔχειν καὶ [66] κοσμίως, τούτοις μόνοις
προσήκει, τοῖς μάλιστα τοῦ σώματος
ὀλιγωροῦσί τε καὶ ἐν φιλοσοφίᾳ ζῶσιν. εἰ γὰρ ἐθέλεις ἐννοῆσαι τήν γε τῶν ἄλλων ἀνδρείαν τε καὶ
σωφροσύνην, δόξει σοι εἶναι ἄτοπος.
οἶσθα γὰρ δήπου ὅτι τὸν θάνατον ἡγοῦνται πάντες οἱ ἄλλοι τῶν μεγάλων κακῶν. οὐκοῦν φόβῳ
μειζόνων ὑπομένουσιν αὐτῶν οἱ
ἀνδρεῖοι τὸν θάνατον, ὅταν ὑπομένωσι. τῷ δεδιέναι ἄρα καὶ δέει ἀνδρεῖοί εἰσι πάντες πλὴν οἱ
φιλόσοφοι. καίτοι ἄλογόν γε δέει τινὰ
καὶ δειλίᾳ [10] ἀνδρεῖον εἶναι, τί δὲ οἱ κόσμιοι αὐτῶν; οὐ ταὐτὸν τούτῳ πεπόνθασιν; ἀκολασίᾳ τινὶ
σώφρονές εἰσι; καίτοι φαμέν γε
ἀδύνατον εἶναι, ἀλλ᾽ ὅμως αὐτοῖς συμβαίνει τούτῳ ὅμοιον
ESORTAZIONE ALLA
FILOSOFIA 383
quanto è possibile non avremo alcun rapporto del corpo, e tanto meno avremo comunione con esso, se non per
assoluta necessità, né ci faremo
contaminare dalla sua [65] natura, anzi ci purificheremo di questa, finché [94dP] dio stesso non ce ne
libererà <con la morte>. E in
tal modo saremo puri perché liberi dalla mancanza di prudenza propria del corpo, e staremo, come sembra,
insieme a coloro che hanno la nostra
stessa condizione8! e conosceremo da noi stessi tutto ciò che è puro; ed è forse in questo che
consiste la verità, perché non può
essere lecito a ciò che è puro avere contatto con ciò che puro non è. La purificazione consiste — come si
dice in un vecchio discorso --82 nel
separare il più possibile l’anima dal corpo e nell’abituarla a riunir- si e raccogliersi in sé e per sé a partire
da ogni parte del corpo, e ad abitare
per quanto le sia possibile, sia nel tempo presente che in quel- lo futuro, sola in se stessa, libera dal
corpo come da catene. Ed è ciò che si
chiama “morte”, scioglimento e separazione dell'anima dal corpo. Ma sciogliere l’anima, come andiamo
dicendo, lo desiderano sempre,
soprattutto e soltanto coloro che esercitano una corretta filo- sofia, ed è questo appunto l’esercizio dei
filosofi: sciogliere e separa- re
l’anima dal corpo. Sicché la filosofia che ci procura il bene più grande, cioè la liberazione dai vincoli
che si trovano nell’anima e nella
generazione, sarà da ricercarsi in modo particolare.
Ma anche ciò che si chiama “coraggio” conviene a coloro che hanno una tale disposizione, ed anche la
temperanza, ovvero ciò che i più
chiamano temperanza, cioè il non farsi prendere dagli appetiti, ma essere noncuranti <del corpo> e
[66] onesti, conviene ai soli filo-
sofi, cioè a coloro che sono al più alto livello noncuranti <del
corpo> e che vivono di
<sola> filosofia. Se infatti tu vuoi [95dP] farti un’idea del coraggio e della temperanza di coloro
che non sono filosofi, ti apparirà
che sono sentimenti strani, giacché tu sai certamente che tutti costoro collocano la morte tra i
grandi mali. Ebbene, è per paura di
mali maggiori che gli uomini coraggiosi affrontano la morte, quan- do l’affrontano. Dunque tutti, tranne i
filosofi, sono coraggiosi perché
temono, cioè per paura. Sembra assurdo, tuttavia, che uno sia
corag- gioso per paura e per viltà.
Ma che dire degli uomini onesti? Non
sono forse nella stessa condizione di costoro? Sono temperanti per una certa intemperanza? In verità noi
diciamo che questo è impossi- bile,
ma nondimeno accade loro di provare qualcosa di simile alla loro
384 GIAMBLICO
τὸ πάθος τὸ περὶ ταύτην
τὴν εὐήθη σωφροσύνην. φοβούμενοι γὰρ
ἑτέρων ἡδονῶν στερηθῆναι καὶ ἐπιθυμοῦντες ἐκείνων, ἄλλων ἀπέ- χονται ὑπ᾽ ἄλλων κρατούμενοι. καίτοι
καλοῦσί γε ἀκολασίαν τὸ ὑπὸ τῶν
ἡδονῶν ἄρχεσθαι᾽ ἀλλ᾽ ὅμως συμβαίνει αὐτοῖς κρατουμέ- νοις ὑφ᾽ ἡδονῶν κρατεῖν ἄλλων ἡδονῶν.
τοῦτο δ᾽ ὅμοιόν ἐστιν ὃ νῦν δὴ [20]
ἔλεγον, τρόπον τινὰ δι᾽ ἀκολασίαν αὐτοὺς σεσωφρονίσθαι. οὐ τοίνυν αὕτη ἐστὶν ἡ ὀρθὴ πρὸς ἀρετὴν
ἀλλαγή, ἡδονὰς πρὸς ἡδονὰς καὶ λύπας
πρὸς λύπας καὶ φόβον πρὸς φόβον καταλλάττε-
σθαι, μείζω πρὸς ἐλάττω, ὥσπερ νομίσματα, ἀλλ᾽ ἦ ἐκεῖνο μόνον τὸ νόμισμα ὀρθόν, ἀντὶ οὗ δεῖ πάντα ταῦτα
καταλλάττεσθαι, φρόνησις, καὶ τούτου
μὲν πάντα καὶ μετὰ τούτου ὠνούμενά τε καὶ πιπρασκό- μενα τῷ ὄντι ἦ καὶ ἀνδρεία καὶ σωφροσύνη
καὶ δικαιοσύνη καὶ συλλήβδην ἀληθὴς
ἀρετὴ μετὰ φρονήσεως, καὶ προσγινομένων [67]
καὶ ἀπογιγνομένων καὶ ἡδονῶν καὶ φόβων καὶ τῶν ἄλλων πάντων τῶν τοιούτων. χωριζόμενα δὲ φρονήσεως καὶ
ἀλλαττόμενα ἀντὶ ἀλλήλων σκιαγραφία
τίς ἐστιν ἡ τοιαύτη ἀρετὴ καὶ τῷ ὄντι ἀνδρα-
ποδώδης τε καὶ οὐδὲν ὑγιὲς οὐδὲ ἀληθὲς ἔχει, τὸ δὲ ἀληθὲς τῷ ὄντι ἐστὶ κάθαρσίς τις τῶν τοιούτων πάντων, καὶ
ἡ σωφροσύνη καὶ ἡ δικαιοσύνη καὶ ἡ
ἀνδρεία καὶ αὐτὴ ἡ φρόνησις μὴ καθαρμός τις ἦ. καὶ κινδυνεύουσι καὶ οἱ τὰς τελετὰς ἡμῖν
οὗτοι καταστήσαντες οὐ φαῦλοι [10]
εἶναι, ἀλλὰ τῷ ὄντι πάλαι αἰνίττεσθαι ὅτι ὃς ἂν ἀμύ- ntog ἢ ἀτέλεστος εἰς Ἅιδου ἀφίκηται, ἐν
βορβόρῳ κείσεται, ὁ δὲ κεκαθαρμένος
τε καὶ τετελεσμένος ἐκεῖσε ἀφικόμενος μετὰ θεῶν οἰκήσει. εἰσὶ γὰρ δή, φασὶν οἱ περὶ τὰς
τελετάς, «ναρθηκοφόροι μὲν πολλοί,
βάκχοι δέ τε παῦροι», οὗτοι δ᾽ εἰσὶ κατὰ τὴν ἐμὴν δόξαν οὐκ ἄλλοι ἢ οἱ πεφιλοσοφηκότες. εἰ τοίνυν
καὶ ἀρετὴν τελείαν καὶ κάθαρσιν τῆς
ψυχῆς φιλοσοφία μόνη παρέχειν πέφυκε, μόνης αὐτῆς ἀντιλαμβάνεσθαι ἄξιον. εἰς γὰρ θεῶν γένος
μὴ φιλοσοφήσαντι καὶ παντελῶς καθαρῷ
[20] ἀπιόντι οὐ θέμις ἀφικνεῖσθαι ἄλλῳ ἢ τῷ
φιλομαθεῖ. ἀλλὰ τούτων ἕνεκα οἱ ὀρθῶς φιλόσοφοι ἀπέχονται τῶν κατὰ τὸ σῶμα ἐπιθυμιῶν ἁπασῶν καὶ
καρτεροῦσι καὶ οὐ παραδιδό- ασιν
αὐταῖς αὑτούς, οὐχὶ οἰκοφθορίαν τε καὶ πενίαν φοβούμενοι,
ESORTAZIONE ALLA
FILOSOFIA 385
schietta temperanza, perché, temendo di privarsi di altri piaceri
che pure desiderano, si astengono da
alcuni piaceri perché dominati da
altri. In verità si chiama intemperanza il lasciarsi comandare dai
pia- ceri, ma nondimeno accade a
quegli stessi che sono dominati dai pia-
ceri di dominare a loro volta altri piaceri. E questo è qualcosa di
simi- le a ciò che si diceva poco fa:
in qualche modo costoro sono tempe-
ranti in virtà di un’intemperanza. Non è certo questo uno scambio corretto in favore della virtà, scambiare
cioè piaceri con piaceri e dolori con
dolori e paura con paura, il più con il meno, come se fos- sero monete, anzi l’unica moneta che conta
è quella con cui si devo- no
scambiare tutte le altre monete, cioè la prudenza, e di tale moneta ci si serve per tutti gli acquisti e le
vendite quando si tratta di corag-
gio e temperanza e giustizia e, in una parola, di vera virtà accompa- gnata da prudenza, si aggiungano [67] o si
eliminino piaceri o paure o qualsiasi
altra cosa del genere; in assenza di prudenza, anche le cose scambiate con altre costituiscono una
virtù tale da essere un inganno ed è
realmente una virtà da schiavi e non ha niente di sano e di vero, e la vera virtù è una reale [96dP]
purificazione da cose del genere, e
la temperanza e la giustizia e il coraggio e la stessa prudenza non
sono che una sorta di rito
purificatorio. Ε non corrono il rischio di essere per noi degli incapaci anche costoro che
hanno fissato per noi le rego- le dei
riti iniziatici, ma che in realtà fin dai tempi antichi alludono al fatto che colui che giungesse all’Ade
senza iniziazione ai piccoli e ai
grandi misteri, rimarrebbe impantanato, mentre colui che si sia
puri- ficato e sia stato iniziato ai
misteri, una volta giunto laggiù, vi abiterà
in compagnia degli dèi. Come dicono, infatti, coloro che si
occupano delle iniziazioni, “molti
sono i portatori di ferula, ma pochi i baccan- ti”, e questi ultimi, a mio parere, non
sono altri che quelli che hanno
filosofato. Se dunque è la sola filosofia a fornire sia la perfetta
virtù sia la purificazione
dell’anima, allora è opportuno che ci si impegni solo in essa, perché pervenire presso il genere
degli dèi non è consentito a chi non
abbia filosofato e sia partito completamente puro, e quindi a nessun altro se non a chi ama il sapere.
Ma è per questo che coloro che
filosofano correttamente si astengono da tutti quanti gli appetiti corporei e vi oppongono resistenza e non
si abbandonano ad essi, né temono la
rovina della loro casa e la povertà, come fanno i più per amore di ricchezza; né tanto meno hanno
timore di perdere i diritti
386 GIAMBLICO
ὥσπερ οἱ πολλοὶ καὶ
φιλοχρήματοι: οὐδὲ αὖ ἀτιμίαν te καὶ dboti-
αν μοχθηρίας δεδιότες, ὥσπερ οἱ φίλαρχοί τε καὶ οἱ φιλότιμοι, ἔπειτα ἀπέχονται αὐτῶν. τοιγάρτοι τούτοις
μὲν ἅπασιν ἐκεῖνοι οἷς τι μέλει τῆς
ἑαυτῶν ψυχῆς, ἀλλὰ μὴ σώματα πλάτ[68]τοντες ζῶσι, χαίρειν εἰπόντες οὐ κατὰ τὰ αὐτὰ
πορεύονται αὐτοῖς, ὡς οὐκ εἰδό- σιν
ὅπῃ ἔρχονται, αὐτοὶ δὲ ἡγούμενοι οὐ δεῖν ἐναντία τῇ φιλοσοφί- ᾳ πράττειν καὶ τῇ ἐκείνης λύσει τε καὶ
καθαρμῷ ταύτῃ τρέπονται ἐκείνῃ
ἑπόμενοι, ἣ ἐκείνη ὑφηγεῖται. γιγνώσκουσι γὰρ οἱ φιλομα- θεῖς ὅτι παραλαβοῦσα αὐτῶν τὴν ψυχὴν ἡ
φιλοσοφία ἀτεχνῶς δια- δεδεμένην ἐν
τῷ σώματι καὶ προσκεκολλημένην, ἀναγκαζομένην δὲ ὥσπερ δι᾽ ἐργμοῦ διὰ τούτου σκοπεῖσθαι τὰ
ὄντα ἀλλὰ μὴ αὐτὴν [10] δι᾽ αὑτῆς,
καὶ ἐν πάσῃ ἀμαθίᾳ κυλινδουμένην, καὶ τοῦ ἑργμοῦ τὴν δεινότητα κατιδοῦσα ὅτι δι᾽ ἐπιθυμίας
ἐστίν, ὡς ἂν μάλιστα αὐτὸς ὁ
δεδεμένος ξυλλήπτωρ εἴη τῷ δεδέσθαι, - ὅπερ οὖν λέγω, γιγνώσκουσιν οἱ φιλομαθεῖς ὅτι οὕτω
παραλαβοῦσα ἡ φιλοσοφία ἔχουσαν αὐτῶν
τὴν ψυχὴν ἠρέμα παραμυθεῖται καὶ λύειν ἐπιχει- ρεῖ, ἐνδεικνυμένη ὅτι ἀπάτης «μὲν» μεστὴ ἡ
διὰ τῶν ὀμμάτων σκέ- ψις, ἀπάτης δὲ ἡ
διὰ τῶν ὦὥτων καὶ τῶν ἄλλων αἰσθήσεων, πείθουσα δὲ ἐκ τούτων μὲν ἀναχωρεῖν ὅσον μὴ ἀνάγκη
αὐτοῖς χρη[20]σθαι, αὐτὴν δὲ εἰς
αὑτὴν ξυλλέγεσθαι καὶ ἀθροίζεσθαι παρακελευομένη, πιστεύειν δὲ μηδενὶ ἄλλῳ ἀλλ᾽ ἢ αὐτὴν
αὑτῇ, ὅ τι ἂν νοήσῃ αὐτὴ καθ᾽ αὑτὴν
αὐτὸ καθ᾽ αὑτὸ τῶν ὄντων, ὅ τι δ᾽ ἂν δι᾽ ἄλλων σκοπῇ ἐν ἄλλοις ὃν ἄλλο, μηδὲν ἡγεῖσθαι ἀληθές;
εἶναι δὲ τὸ μὲν τοιοῦτον αἰσθητόν τε
καὶ ὁρατόν, ὃ δὲ αὐτὴ ὁρᾷ νοητόν τε καὶ ἀειδές. ταύτῃ οὖν τῇ λύσει οὐκ οἰομένη δεῖν ἐναντιοῦσθαι
ἡ τοῦ ὡς ἀληθῶς φιλο- σόφου ψυχὴ
οὕτως ἀπέχεται τῶν ἡδονῶν τε καὶ ἐπι [69] θυμιῶν καὶ λυπῶν καθόσον δύναται, λογιζομένη ὅτι,
ἐπειδάν τις σφόδρα ἡσθῇ ἢ λυπηθῇ ἢ
φοβηθῇ ἢ ἐπιθυμήσῃ, οὐδὲν τοσοῦτον κακὸν ἔπαθεν ἀπ’ αὐτῶν ὡς ἄν τις οἰηθείη, οἷον ἢ νοσήσας ἤ
τι ἀναλώσας διὰ τὰς ἐπι- θυμίας, ἀλλ᾽
ὃ πάντων μέγιστόν τε κακῶν καὶ ἔσχατόν ἐστι, τοῦτο
52 σώματα des Places:
σώματι Pistelli, che in verità sospettò σώματα in appar.
ESORTAZIONE ALLA FILOSOFIA 387
civili e la reputazione
come conseguenza della loro miseria, come
fanno gli amanti del potere e degli onori, una volta che si siano
aste- nuti da quei piaceri. E proprio
per questo, coloro che hanno in qual-
che modo cura della propria anima, e che anzi non vivono per pla- smare i loro corpi, [68] dicendo addio a
tutti questi desideri, non si
incamminano sulla stessa strada di <tutti> gli altri che non
sanno dove vanno, ritenendo essi di
non dovere compiere nulla di contrario
alla filosofia e in funzione del fatto che questa è strumento di libera- zione e di purificazione, si rivolgono ad
essa per seguire il cammino lungo il
quale essa li guida. Conoscono bene, infatti, gli amanti del sapere, che la filosofia, quando accoglie
la loro anima assolutamente
imprigionata nel corpo e legata ad esso, e costretta come [97dP] in una prigione, e non stando in sé e per sé,
a guardare la realtà attraver- so di
esso, e come avvoltolata nell’assoluta ignoranza, e quando la filo- sofia osserva che il rigore di quella
prigione è dovuto all’appetito come
se fosse soprattutto lo stesso prigioniero a collaborare nel veni- re imprigionato, — è questo, ripeto, ciò
che conoscono gli amanti del sapere,
cioè che la filosofia, quando accoglie la loro anima che si trova in queste condizioni, la esorta dolcemente
e cerca di liberarla, mostrando che è
piena di inganno l’indagine che si fa con gli occhi, e piena di inganno anche quella che si fa
con le orecchie e con gli altri
sensi, e persuadendola a separarsi da tali sensi per tutto ciò per
cui non sia necessario servirsene, e
raccomandandole di collegarsi e rac-
cogliersi in se stessa e di non fidarsi di nient'altro che di se stessa
in ciò che, rimanendo in sé e per sé,
essa può pensare della realtà in sé e
per sé, e di ciò che essa può esaminare per mezzo di altri mezzi e che è diverso in cose diverse, le raccomanda
di ritenere che nulla possa esserci
di vero, e che cose di questo genere sono di natura sensibile e visibile, mentre ciò che l’anima <in sé
e per sé> vede è di natura intel-
ligibile e invisibile —. Ritenendo dunque di non doversi opporre a tale liberazione, l’anima del vero filosofo si
astiene allora realmente dai piaceri
e dai desideri [69] e dai dolori per quanto le sia possibile, cal- colando che, quando uno prova intensamente
piacere o dolore o timore o
desiderio, non subisce nessuno di quella specie di mali che egli può immaginare, quali ad esempio il
cadere malato o l’andare in rovina a
causa dei propri appetiti, bensi quel male che è il maggiore ed estremo fra tutti i mali, e lo subisce
senza calcolarlo, cioè il fatto
388 GIAMBLICO
πάσχει καὶ οὐ λογίζεται
αὐτό, ὅτι δὴ ψυχὴ παντὸς ἀνθρώπου ἀναγ-
κάζεται ἅμα τε ἡσθῆναι σφόδρα ἢ λυπηθῆναι ἐπὶ τούτῳ καὶ ἡγεῖσθαι, περὶ ὃ ἂν πάσχῃ μάλιστα τοῦτο,
τοῦτο ἐναργέστατόν [10] τε εἶναι καὶ
ἀληθέστατον, οὐχ οὕτως ἔχον: ταῦτα δὲ μάλιστα ὁρατά. οὐκοῦν ἐν τούτῳ τῷ πάθει μάλιστα
καταδεῖται ψυχὴ ὑπὸ σώματος, ἐπεὶ
ἑκάστη ἡδονὴ καὶ λύπη ὥσπερ ἧλον ἔχουσα προσηλοῖ αὐτὴν πρὸς τὸ σῶμα καὶ προσπερονᾷ καὶ ποιεῖ
σωματοειδῆ, δοξάζουσαν ταῦτα ἀληθῆ
εἶναι ἅπερ ἂν καὶ τὸ σῶμα φῇ. ἐκ γὰρ τοῦ ὁμοδοξεῖν τῷ σώματι καὶ τοῖς αὐτοῖς χαίρειν
ἀναγκάζεται, οἶμαι, ὁμότροπός τε καὶ
ὁμότροφος γίγνεσθαι καὶ οἵα μηδέποτε εἰς Ἅιδου καθαρῶς ἀφικέσθαι, ἀλλ᾽ ἀεὶ ἀναπλέα τοῦ σώματος
ἐξιέναι, ὥστε ταχὺ πάλιν [20] πίπτειν
εἰς ἄλλο σῶμα καὶ ὥσπερ σπειρομένη [μὴ] ἐμφύεσθαι, καὶ ἐκ τούτων ἄμοιρος εἶναι τῆς τοῦ θείου
τε καὶ καθαροῦ καὶ μονοειδοῦς
συνουσίας. τούτων τοίνυν ἕνεκα οἱ δικαίως φιλομαθεῖς κύσμιοί εἰσι καὶ ἀνδρεῖοι, οὐχ ὧν οἱ
πολλοὶ ἕνεκά φασιν. ἀλλ᾽ οὕτω
λογίσαιτ᾽ ἂν ψυχὴ ἀνδρὸς φιλοσόφου, καὶ οὐκ ἂν οἰηθείη τὴν μὲν φιλοσοφίαν χρῆναι ἑαυτὴν λύειν λυούσης
δὲ ἐκείνης αὑτὴν παραδιδόναι ταῖς
ἡδοναῖς [70] καὶ λύπαις ἑαυτὴν πάλιν αὖ ἐγκατα- δεῖν καὶ ἀνήνυτον ἔργον πράττειν,
Πενελόπης τινὰ ἐναντίως ἱστὸν
μεταχειριζομένης: ἀλλὰ γαλήνην τούτων παρασκευάζουσα, ἑπομένη τῷ λογισμῷ καὶ ἀεὶ ἐν τούτῳ οὖσα,
τὸ ἀληθὲς καὶ τὸ θεῖον καὶ τὸ
ἀδόξαστον θεωμένη καὶ ὑπ᾽ ἐκείνου τρεφομένη, ζῆν τε οἴεται οὕτω δεῖν ἕως ἂν ζῇ, καὶ ἐπειδὰν
τελευτήσῃ εἰς τὸ ξυγγενὲς καὶ εἰς τὸ
τοιοῦτον ἀφικομένη ἀπηλλάχθαι τῶν ἀνθρωπίνων κακῶν. ἐκ δὴ τῆς τοιαύτης ἐφόδου φαίνεται ἡμῖν
[10] φιλοσοφία ἀπαλλαγὴν τῶν
ἀνθρωπίνων δεσμῶν παρέχειν καὶ λύσιν τῆς γενέσεως καὶ περιαγωγὴν ἐπὶ τὸ ὃν καὶ γνῶσιν τῆς ὄντως
ἀληθείας καὶ κάθαρσιν ταῖς ψυχαῖς. εἰ
δὲ ἐν τούτῳ μάλιστά ἐστιν ἡ ὄντως εὐδαιμονία, σπουδαστέον περὶ αὐτήν, εἴπερ ὄντως
βουλόμεθα μακάριοι εἶναι. ᾿Αλλὰ μὴν
καὶ τόδε διανοηθῆναι ἄξιον, ὅτι εἴπερ ἡ ψυχὴ ἀθάνατος, ἐπιμελείας δὴ δεῖται οὐχ ὑπὲρ τοῦ χρόνου
μόνου τούτου ἐν ᾧ καλοῦμεν τὸ ζῆν,
ἀλλ᾽ ὑπὲρ τοῦ παντός, καὶ ὁ κίνδυνος νῦν δὴ καὶ
ESORTAZIONE ALLA
FILOSOFIA 389
che l'anima di ogni uomo è costretta a provare intensamente piacere o dolore e nello stesso tempo ritenere che
ciò che subisce sia soprat- tutto
questo, cioè che ciò che subisce sia la cosa più evidente e più vera, ma le cose non stanno proprio cosî:
questo accade soprattutto per quelle
cose che sono visibili. Dunque [98dP] è proprio nel subi- re questo che l’anima viene incatenata dal
corpo, giacché qualsiasi piacere o
dolore possiede come un chiodo che la inchioda al corpo e ve la lascia attaccata, e la rende
corporea, dandole l’idea che sono vere
<solo> le cose che il corpo dirà essere tali. Per questo suo
adeguarsi alle opinioni del corpo e
per il fatto che provi gli stessi suoi godimen- ti, infatti, credo che l’anima sia
costretta a provare gli stessi impulsi e
a nutrirsi degli stessi nutrimenti del corpo e a non giungere mai all’Ade purificata, ma a uscire dal corpo
sempre contaminata, in modo da
ripiombare subito dopo in un altro corpo e a germogliarvi come se vi fosse stata seminata, e perciò
a non essere partecipe della
compagnia di ciò che è divino e puro e uniforme. È per questo, dun- que, che coloro che amano giustamente il
sapere sono onesti e corag- giosi,
non già per quello che dicono i più. Sarebbe questo il calcolo di un’anima di filosofo, e non crederebbe che
la filosofia debba liberar- la e, una
volta liberata, far si che l’anima si abbandoni ai piaceri {70] e ai dolori, si lasci di nuovo incatenare
e si metta a compiere il lavoro di
Penelope che tesse a ritroso la sua tela; al contrario, dopo avere portato la calma in tutto questo,
proseguendo nel suo calcolo e rima-
nendo sempre in esso, contemplando il divino e ciò che non è ogget- to di opinioni e lasciandosi nutrire da
esso, ritiene di dover vivere in tale
stato finché vive, e dopo la morte, giunta a ciò che le è congene- re e della sua stessa natura, liberarsi
dai mali degli uomini. Da un tale
percorso ci appare evidente, appunto, che la filosofia procura alle anime una liberazione dai mali degli
uomini e uno scioglimento dalla
generazione e una conversione al <vero> essere e alla conoscenza della reale verità e alla purificazione.
Se consiste in questo soprattut- to
la reale felicità, bisogna occuparsi della filosofia, se è vero che noi vogliamo realmente essere beati.
[99dP] Ma in verità è opportuno ragionare anche su questo, cioè sul fatto che, se è vero che l’anima è
immortale, allora dobbiamo prenderci
cura di essa non solo durante questo tempo che noi chia- miamo vita, bensi per tutto il tempo, e ci
sembra allora un grave
390 GIAMBLICO
δόξειεν [20] ἂν δεινὸς εἶναι, εἴ τις αὐτῆς ἀμελήσει. εἰ μὲν γὰρ ἦν ὁ θάνατος τοῦ παντὸς ἀπαλλαγή, ἕρμαιον ἂν
ἦν τοῖς κακοῖς ἀποθα- νοῦσι τοῦ τε
σώματος ἅμα ἀπηλλάχθαι καὶ τῆς αὑτῶν κακίας μετὰ τῆς
ψυχῆς" νῦν δὲ ἐπειδὴ ἀθάνατος φαίνεται οὖσα, οὐδεμία ἂν εἴη αὐτῇ ἄλλη ἀποφυγὴ κακῶν οὐδὲ σωτηρία πλὴν
τοῦ ὡς βελτίστην τε καὶ φρονιμωτάτην
γενέσθαι. οὐδὲν γὰρ ἄλλο ἔχουσα εἰς Ἅιδου ἡ
ψυχὴ ἔρχεται πλὴν τῆς παιδείας τε καὶ τροφῆς, ἃ δὴ καὶ λέγεται μέ- γιστα ὠφελεῖν ἢ βλάπτειν τὸν τελευτήσαντα εὐθὺς
ἐν ἀρχῇ [71] τῆς ἐκεῖσε πορείας. ἡ
μὲν γὰρ ἀμείνων ψυχὴ μετὰ θεῶν οἰκεῖ καὶ περι- πορεύεται κατ᾽ οὐρανὸν βελτίονός τε λήξεως
τυγχάνει, ἡ δὲ ἀδίκων ἔργων ἁψαμένη
καὶ ἀνοσιουργίας πλησθεῖσα καὶ ἀσεβείας εἰς τὰ ὑπὸ γῆν δικαιωτήρια ἐλθοῦσα δίκης τῆς
προσηκούσης μεταλαγχά- νει. ὧν δὴ
ἕνεκα χρὴ πᾶν ποιεῖν, ὥστε ἀρετῆς καὶ φρονήσεως ἐν τῷ βίῳ μετασχεῖν᾽ καλὸν γὰρ τὸ ἀθλον καὶ ἡ
ἐλπὶς μεγάλη. καὶ τούτων δὴ ἕνεκα
θαρρεῖν χρὴ περὶ τῇ ἑαυτοῦ ψυχῇ ἄνδρα, ὅστις ἐν τῷ βίῳ τὰς μὲν [10] ἄλλας ἡδονὰς τὰς περὶ τὸ σῶμα
καὶ τοὺς κόσμους εἴασε χαίρειν, ὡς
ἀλλοτρίους τε ὄντας καὶ πλέον θάτερον ἡγησάμενος ἀπεργάζεσθαι, τὰς δὲ περὶ τὸ μανθάνειν
ἐσπούδασέ τε καὶ κοσμήσας τὴν ψυχὴν
οὐκ ἀλλοτρίῳ ἀλλὰ τῷ ἑαυτῆς κόσμῳ, σωφρο-
σύνῃ τε καὶ δικαιοσύνῃ καὶ ἀνδρείᾳ καὶ ἐλευθερίᾳ καὶ ἀληθείᾳ, οὕτω περιμένει τὴν εἰς Ἅιδου πορείαν, ὡς
πορευσόμενος ὅταν ἡ εἱμαρμένη καλῇ.
τούτων δὴ οὖν οὕτως ἐχόντων οὐ χρημάτων δεῖ ἐπι- μελεῖσθαι ὅπως ἔσται ὡς πλεῖστα, οὐδὲ
δόξης καὶ τιμῆς, ἀλλὰ φρον- ήσεως καὶ
ἀληθείας [20] καὶ τῆς ψυχῆς, ὅπως ὡς βελτίστη ἔσται. οὐ γὰρ δεῖ τὰ πλείστου ἄξια περὶ ἐλαχίστου
ποιεῖσθαι, τὰ δὲ φαυλότε- ρα περὶ
πλείονος. οὔτε σωμάτων οὖν ἐπιμελεῖσθαι οὔτε χρημάτων δεῖ πρότερον, οὐδὲ οὕτως σφόδρα ὡς τῆς
ψυχῆς, ὅπως ὡς ἀρίστη ἔσται οὐ γὰρ ἐκ
χρημάτων ἀρετὴ γίγνεται, ἀλλ᾽ ἐξ ἀρετῆς χρήματα καὶ τἄλλα ἀγαθὰ τοῖς ἀνθρώποις πάντα καὶ
ἰδίᾳ καὶ [72] δημοσίᾳ. ἕν τι οὖν
τοῦτο διανοεῖσθαι δεῖ ἀληθές, ὅτι οὐκ ἔσται ἀνδρὶ ἀγαθῷ κακὸν οὐδὲν οὔτε ζῶντι οὔτε τελευτήσαντι,
οὐδὲ ἀμελεῖται ὑπὸ θεῶν τὰ τούτου
πράγματα, ὥστε εἰς ἑαυτὸν διανηρτῆσθαι πάντα τὰ ἀγαθὰ τὰ εἰς εὐδαιμονίαν φέροντα, καὶ ὁ
τούτου ἐγγύτατα παρε-
ESORTAZIONE ALLA FILOSOFIA 391
rischio non prendersi cura di essa. Se
infatti la morte fosse una libe-
razione da ogni cosa, sarebbe una felice scoperta per i malvagi che muoiono liberarsi a un tempo del corpo e,
con l’anima, delle loro pro- prie
malvagità; ora, però, dal momento che l’anima ci appare essere immortale, non ci sarà per essa alcuna
fuga dai mali né alcuna salvez- za
tranne che il divenire la migliore e più prudente possibile. Nient'altro infatti l'anima porta con sé
nell’Ade tranne la sua cultura e la
sua educazione, cose che — come si racconta -- sono del massimo vantaggio o nocumento per chi muore fin
dall’inizio [71] del suo viaggio
laggiù, perché l’anima migliore coabita con gli dèi e ruota con l'universo e ottiene la sorte migliore,
mentre quella che opera ingiu- stizie
ed è ricolma di nefandezza ed empietà, giunta ai tribunali sot- terranei, riceve la condanna che merita. È
per questo che bisogna fare ogni cosa
in modo da partecipare in questa vita della virtù e della pru- denza, perché il premio è bello e grande è
la speranza. E per tutto ciò bisogna
affidarsi, per la propria anima, a chi durante la sua vita ha dato addio agli altri piaceri, cioè ai
piaceri del corpo e ai suoi orpelli,
in quanto ritiene che siano realtà estranee e che operano in senso più contrario che favorevole all'anima, e si è
preoccupato di apprendere per dare
alla sua anima un ornamento non eterogeneo a quello che essa ha per se stessa, [100dP] e cioè a
prudenza e giustizia e coraggio e
libertà e verità, e aspetta il viaggio all’Ade in modo da compierlo quando il destino lo chiami. Stando cosi
le cose, dunque, non bisogna curarsi
delle ricchezze perché si accumulino al massimo, né della fama e degli onori, bensî <solo> della
prudenza e della verità e dell'anima,
affinché questa sia la migliore possibile. Non bisogna infatti
attribui- re pochissimo valore a ciò
che vale moltissimo, né un valore maggio-
re a ciò che vale di meno. Non bisogna dunque curarsi né dei corpi né delle ricchezze, né in maniera più
forte che dell'anima, affinché questa
sia la più virtuosa possibile; dalle ricchezze infatti non nasce virtà, al contrario dalla virtà nascono
ricchezze e tutti gli altri beni per
gli uomini, siano essi privati o [72] pubblici. Bisogna dunque pensa- re che c’è una sola verità, cioè che per
l’uomo virtuoso, sia in vita che dopo
la morte, non ci sarà alcun male, e neppure i suoi affari sono tra- scurati dagli dèi, sicché da lui stesso
dipendono tutti i beni che lo con-
ducono alla felicità, e colui che vi si avvicina di più vivrà nel modo
più beato possibile. Tali dovranno
essere anche i percorsi che partendo da
questi ragionamenti portano ad esortare alla filosofia.
392 GIAMBLICO
σκενασμένος οὗτος ἂν
μάλιστα μακαριώτατος διαζήσειεν. τοιαῦται
ἔστωσαν καὶ αἱ ἀπὸ τούτων ἐπὶ τὴν εἰς φιλοσοφίαν προτροπὴν ἔφοδοι.
XIV. Δεῖ δὲ καὶ ἀπὸ τοῦ
βίου τῶν κορυ[1θ]φαίων ἐν φιλοσοφίᾳ
ἀνδρῶν ἑπομένως ταῖς Πυθαγόρου ὑποθήκαις ποιήσασθαι τὴν προ- τροπήν. οἱ γὰρ τοιοῦτοί που ἐκ νέων πρῶτον
μὲν εἰς ἀγορὰν οὐκ ἴσασι τὴν ὁδόν,
οὐδὲ ὅπου δικαστήριον ἢ βουλευτήριον ἦ τι κοινὸν ἄλλο τῆς πόλεως συνέδριον, νόμους δὲ καὶ
ψηφίσματα λεγόμενα ἢ γεγραμμένα οὔτε
ὁρῶσιν οὔτε ἀκούουσι’ σπουδαὶ δὲ ἑταιρειῶν ἐπ᾽ ἀρχὰς καὶ σύνοδοι καὶ δεῖπνα καὶ σὺν
αὐλητρίσι κῶμοι, οὐδὲ ὄναρ πράττειν
προσίσταται αὐτοῖς. εὖ δὲ ἢ κακῶς τις γέγονεν ἐν πόλει, ἢ τί τῳ κακόν ἐστιν ἐκ προ[20]γόνων
γεγονὸς ἢ πρὸς ἀνδρῶν ἢ γυναικῶν,
μᾶλλον αὐτὸν λέληθεν ἢ οἱ τῆς θαλάττης λεγόμενοι χόες. καὶ ταῦτα πάντα οὐδ᾽ ὅτι οὐκ οἶδεν,
οἶδεν" οὐδὲ γὰρ αὐτῶν ἀπέχε- ται
τοῦ εὐδοκιμεῖν χάριν, ἀλλὰ τῷ ὄντι τὸ σῶμα μόνον ἐν τῇ πόλει κεῖται αὐτοῦ καὶ ἐπιδημεῖ, ἡ δὲ διάνοια,
ταῦτα πάντα ἡγησαμένη σμικρὰ [73] καὶ
οὐδέν, ἀτιμάσασα πανταχῇ πέτεται κατὰ Πίνδαρον τά τε γᾶς ὑπένερθε καὶ τὰ ἐπίπεδα
γεωμετροῦσα, οὐρανοῦ τε ὕπερ ἀστρονομοῦσα
καὶ πᾶσαν πάντῃ φύσιν ἐρευνωμένη τῶν ὄντων
ἑκάστου ὅλου, εἰς τῶν ἐγγὺς οὐδὲν ἑαυτὴν συγκαθιεῖσα. ὥσπερ δὴ καὶ Θαλῆν ἀστρονομοῦντα καὶ ἀναβλέποντα
πεσόντα εἰς φρέαρ Θρᾷττά τις ἐμμελὴς
καὶ χαρίεσσα θεραπαινὶς ἀποσκῶψαι λέγεται,
ὡς τὰ μὲν ἐν οὐρανῷ προθυμοῖτο εἰδέναι, τὰ δὲ ὄπισθεν αὐτοῦ καὶ παρὰ πόδας λαν[]0]θάνοι αὐτόν. ταὐτὸν δὲ
ἀρκεῖ σκῶμμα ἐπὶ πά- ντας ὅσοι ἐν
φιλοσοφίᾳ διάγουσι. τῷ γὰρ ὄντι τὸν τοιοῦτον ὁ μὲν πλησίον καὶ ὁ γείτων λέληθεν, οὐ μόνον ὅ
τι πράττει, ἀλλ᾽ ὀλίγου καὶ «εἰ»
ἄνθρωπός ἐστιν ἤ τι ἄλλο θρέμμα’ τί δή ποτ᾽ ἐστὶν ἄνθρωπος καὶ τί τῇ τοιαύτῃ φύσει προσήκει
διαφέρον τῶν ἄλλων ἢ ποιεῖν ἢ
πάσχειν, ζητεῖ τε καὶ πράγματ᾽ ἔχει διερευνώμενος. τοι- γάρτοι ἰδίᾳ τε συγγιγνόμενος ὁ τοιοῦτος
ἑκάστῳ καὶ δημοσίᾳ, ὅταν ἐν
δικαστηρίῳ ἤ που ἄλλοθι ἀναγκασθῇ περὶ τῶν παρὰ πόδας καὶ τῶν ἐν ὀφθαλ[20]μοῖς διαλέγεσθαι, γέλωτα
παρέχει οὐ μόνον Θράτταις
ESORTAZIONE ALLA FILOSOFIA 393
14. Bisogna poi fare esortazione anche
partendo dalla vita degli uomini che
in filosofia sono i corifei, e seguire appunto le regole dei Pitagorici, perché questi fin da giovani,
in qualche modo, non cono- scono
anzitutto qual è la strada che porta in piazza, né dove sia il tri- bunale o l'assemblea o altro pubblico
consesso della città, né prendo- no
visione né ascoltano leggi e decreti, verbali o scritti; e dispute [101dP] tra le eterie per la conquista di
cariche pubbliche e riunioni e
simposi e feste con la partecipazione di suonatrici di flauto, essi nep- pure in sogno si apprestano a frequentare.
Chi in città abbia una nascita nobile
o ignobile, o quali tare ereditarie esso abbia ricevuto dai suoi genitori, padre o madre, il
Pitagorico lo ignora più di quan- to
non ignori i cosiddetti congi del mare. E tutte queste cose egli non sa neppure che non le sa, perché se ne
tiene in disparte, e non certo per
vantarsene, ma perché nella città egli sta soltanto in virti del suo corpo e del suo diritto di residenza,
mentre la sua ragione, che ritiene
tutte queste cose di poco [73] o nessun valore, le disprezza e se
ne vola via da ogni parte, come dice
Pindaro, per calcolare geometrica-
mente le superfici sotterranee, e astronomitamente quelle sopra il cielo e scoprire da ogni parte l’intera
natura di ciascun ente dell’uni-
verso, senza <mai> abbassarsi verso nessuno degli enti che le
sono vicini. Cosi come si racconta di
Talete che avrebbe esercitato l’astro-
nomia e guardando verso l’alto fosse caduto in un pozzo, e una ser- vetta trace, intelligente e graziosa, si
sia fatta beffa di lui, perché desi-
derava conoscere le cose del cielo, ma ignorava quello che stava die- tro di lui e vicino ai suoi piedi, allo
stesso modo sarebbe giusto farsi
beffa di tutti coloro che trascorrono la propria vita a filosofare, per- ché costoro realmente ignorano chi è loro
prossimo e confinante, e non solo
quel che fa, ma neppure, quasi quasi, se è un uomo o un vivente di altra razza; in verità cosa mai
sia un uomo e che cosa per questa sua
natura gli competa di diverso da tutti gli altri o che cosa faccia o subisca, sono queste le cose che
egli indaga e cerca di scopri- re. E
proprio per questo un tale uomo (cioè il vero filosofo), chiun- que frequenti sia in privato che in
pubblico, quando in un tribunale o da
qualche altra parte sia costretto [102dP] a dialogare su ciò che ha vicino ai piedi e negli occhi, egli si
presta ad essere deriso non solo
dalle <servette> traci, ma anche da tutta l’altra gente, perché a
causa della sua inesperienza cade in
pozzi e in difficoltà di ogni genere, e la
394 GIAMBLICO
ἀλλὰ καὶ τῷ ἄλλῳ ὄχλῳ,
εἰς φρέατά τε καὶ πᾶσαν ἀπορίαν ἐμπίπτων
ὑπὸ ἀπειρίας, καὶ ἡ ἀσχημοσύνη δεινή, δόξαν ἀβελτηρίας παρεχο- μένη. ἔν τε γὰρ ταῖς λοιδορίαις ἴδιον ἔχει
οὐδὲν οὐδένα λοιδορεῖν αὐτὸς οὐκ
εἰδὼς κακὸν οὐδὲν οὐδενὸς ἐκ τοῦ μὴ μεμελετηκέναι" ἀπορῶν οὖν γελοῖος daivetar: ἔν τε τοῖς
ἐπαίνοις καὶ ταῖς τῶν ἄλλων
μεγαλαυχίαις οὐ προσποιήτως, [74] ἀλλὰ τῷ ὄντι γελῶν ἔνδηλος γιγνόμενος ληρώδης δοκεῖ εἶναι.
τύραννόν τε γὰρ ἢ βασι- λέα
ἐγκωμιαζόμενον ἕνα τῶν νομέων οἷον συβώτην ἢ ποιμένα ἤ τινα βουκόλον ἡγεῖται ἀκούειν εὐδαιμονιζόμενον
πολὺ βδάλλοντα γάλα, δυσκολώτερον δὲ
ἐκείνων ζῷον καὶ ἐπιβουλότερον ποιμαί-
νεῖν τε καὶ βδάλλειν νομίζει αὐτούς, ἀγροῖκον δὲ καὶ ἀπαίδευτον ὑπὸ ἀσχολίας οὐδὲν ἧττον τῶν νομέων τὸν
τοιοῦτον ἀναγκαῖον γί- γνεσθαι, σηκὸν
ἐν ὄρει τὸ τεῖχος περιβεβλημένον. γῆς δὲ ὅταν μυρί- α [10] πλέθρα ἢ ἔτι πλείω ἀκούσῃ ὥς τις
ἄρα κεκτημένος θαυμαστὰ πλήθει
κέκτηται, πάνσμικρα δοκεῖ ἀκούειν, εἰς ἅπασαν εἰωθὼς τὴν γῆν βλέπειν. τὰ δὲ δὴ γένη ὑμνούντων, ὡς
γενναῖός τις ἑπτὰ πάππους πλουσίους
ἔχων ἀποφῆναι, παντάπασιν ἀμβλὺ καὶ ἐπὶ σμικρὸν ὁρώντων ἡγεῖται τὸν ἔπαινον, ὑπὸ
ἀπαιδευσίας οὐ δυναμένων εἰς τὸ πᾶν
ἀεὶ βλέπειν οὐδὲ λογίζεσθαι ὅτι πάππων καὶ προγόνων μυριά- δες ἑκάστῳ γεγόνασιν ἀναρίθμητοι, ἐν αἷς
πλούσιοι καὶ πτωχοὶ καὶ βασιλεῖς καὶ
δοῦλοι βάρβαροί τε καὶ Ἕλληνες πολλάκις μυρίοι [20] γεγόνασιν ὁτῳοῦν, ἀλλ᾽ ἐπὶ πέντε καὶ
εἴκοσι καταλόγῳ προ- γόνων
σεμνυνομένων καὶ ἀναφερόντων εἰς Ἡρακλέα τὸν
᾿Αμφιτρύωνος «ἄτοπα αὐτῷ παταφαίνεται τῆς σμικρολογίας, ὅτι δὲ ὁ ἀπ᾽ ᾿Αμφιτρύωνος εἰς τὸ ἄνω
«πεντεκαιεικοστὸς;» τοιοῦτος ἦν οἵα
συνέβαινεν αὐτῷ τύχη, καὶ ὁ πεντηκοστὸς ἀπ᾽ αὐτοῦ, γελᾷ οὐ δυνα- μένων λογίζεσθαί τε καὶ χαυνότητα ἀνοήτου
ψυχῆς ἀπαλλάττειν. ἐν ἅπασι δὴ
τούτοις ὁ τοιοῦτος ὑπὸ τῶν πολλῶν καταγελᾶται, τὰ μὲν ὑπερηφάνως ἔχων, [75] ὡς δοκεῖ, τὰ δ᾽ ἐν
ποσὶν ἀγνοῶν τε καὶ ἐν
ESORTAZIONE ALLA FILOSOFIA 395
figuraccia che fa è terribile, perché gli
procura la fama di stolto, giac- ché
in fatto di biasimi egli non ne trova nessuno appropriato a nessu- no, perché non conosce alcun male di
nessuno per non essersene occupato; e
perciò quando è in difficoltà appare ridicolo; anche in fatto di lodi e di millanterie da parte di
altri egli, mettendosi a ridere
apertamente non per finta, [74] ma realmente, fa la figura di uno sciocco. Se viene lodato un tiranno o un
re, egli crede di sentire loda- re,
per l'abbondante latte che munge, un qualche pastore, un porca- ro, ad esempio, o un capraro o un bovaro,
e ritiene che il tiranno e il re
pascolino e mungano un animale (cioè l’uomo) più intrattabile e insidioso di quelli, e che un tale animale
(cioè l’uomo) possa divenire
necessariamente, per mancanza di tempo libero, rozzo e incolto non meno dei pastori, in una stalla di montagna
circondata da un muro. Quando poi
sente parlare di qualcuno che, possedendo diecimila plettri di terra, o ancora di più, sia per
questo uno che ne possiede una
quantità straordinaria, al filosofo sembra di ascoltare una quanti- tà assolutamente irrisoria, abituato com'è
a volgere lo sguardo alla terra
intera. Se poi si celebrano le stirpi e sente parlare della nobiltà di una stirpe perché presenta sette
generazioni di ricchi antenati, allo-
ra egli ritiene questa lode come fatta da uomini che hanno la vista assolutamente debole e corta, perché non
sono in grado a causa della loro
incultura di guardare sempre all’universo né di calcolare che per ciascuno di noi esistono innumerevoli
miriadi di antenati e progenito- ri,
tra cui ci sono ricchi e poveri e regnanti e schiavi e barbari e greci, per qualsiasi dei quali esistono, a loro
volta, parecchie decine di migliaia
di generazioni, anzi se si celebrano progenitori calcolandoli fino a venticinque generazioni facendoli
risalire ad Eracle figlio di
Anfitrione, al filosofo appare una lode stranamente meschina,
perché il fatto di essere, verso
l’alto, [103dP] il venticinquesimo da
Anfitrione dipende dalla fortuna, cosi come l’essere, <verso il
basso>, il cinquantesimo da lui, e
si mette a ridere perché quelli non sono
capaci di fare questo calcolo e di liberarsi della vanità di
un'anima incapace di pensare.8} In
tutti questi casi, appunto, un uomo del gene- re viene deriso dai più, da un lato come
uno che si comporta in modo
orgoglioso, [75] come sembra, dall’altro lato come uno che ignora quel che ha sotto i piedi e prova
difficoltà in ogni cosa. Quando inve-
ce egli trascina qualcuno verso l’alto, e qualcuno vuole risolvere
col
396 GIAMBLICO
ἑκάστοις ἀπορῶν. ὅταν δέ γέ τινα αὐτὸς ἑλκύσῃ ἄνω, καὶ ἐθελήσῃ τις αὐτῷ ἐκβῆναι ἐκ τοῦ Τί ἐγὼ σὲ ἀδικῶ ἢ
σὺ ἐμέ; εἰς σκέψιν αὖ τῆς δικαιοσύνης
τε καὶ ἀδικίας, τί τε ἑκάτερον αὐτοῖν καὶ τί τῶν πάντων ἢ ἀλλήλων διαφέρετον; ἢ ἐκ τοῦ Εἰ
βασιλεὺς εὐδαίμων κεκ- τημένος πολὺ
χρυσίον, [ἢ] βασιλείας πέρι καὶ ἀνθρωπίνης ὅλως εὐ- δαιμονίας καὶ ἀθλιότητος ἐπίσκεψιν, ποίω
τέ τινε ἐστὸν καὶ τίνα τρόπον
ἀνθρώπου [10] φύσει προσήκει τὸ μὲν κτήσασθαι αὐτοῖν, τὸ δὲ ἀποφυγεῖν, - περὶ πάντων τούτων ὅταν αὖ
δέῃ λόγον διδόναι τὸν σμικρὸν ἐκεῖνον
τὴν ψυχὴν καὶ δριμὺν καὶ δικανικόν, πάλιν αὖ τὰ ἀντίστροφα ἀποδίδωσιν. ἰλιγγιῶν τε ἀπὸ
ὑψηλοῦ κρεμασθεὶς καὶ βλέπων μετέωρος
ἄνωθεν ὑπὸ ἀηθείας ἀδημονῶν τε καὶ ἀπορῶν καὶ βαρβαρίζων γέλωτα Θράτταις μὲν οὐ παρέχει
οὐδ᾽ ἄλλῳ ἀπαιδεύτῳ οὐδενί (οὐδὲ γὰρ
αἰσθάνονται), τοῖς δὲ ἐναντίως ἢ ὡς ἀνδραπόδοις τραφεῖσι πᾶσιν. οὗτος δὴ ἑκατέρου τρόπος
τῆς ζωῆς᾽ ὁ μὲν τῷ ὄντι ἐν [20]
ἐλευθερίᾳ τε καὶ σχολῇ τεθραμμένου, ὃν δὴ «δεῖ» φιλόσοφον καλεῖν, «ᾧ» ἀνεμέσητον εὐήθει δοκεῖν καὶ
οὐδενὶ εἶναι, ὅταν εἰς δουλικὰ ἐμπέσῃ
διακονήματα, οἷον στρωματόδεσμον μὴ ἐπισταμέ- νου συςκευάσασθαι μηδὲ ὄψον ἡδῦναι ἢ θῶπας
λόγους" ὁ δ᾽ αὖ τὰ μὲν τοιαῦτα πάντα
δυναμένου τορῶς θατέρου καὶ ὀξέως διακῦνεῖν,
ἀναβάλλεσθαι «δὲ» οὐκ ἐπισταμένου ἐπὶ [76] δεξιὰ ἐλευθέρως οὐδὲ ἁρμονίαν λόγων λαβόντος ὀρθῶς ὑμνῆσαι θεῶν
τε καὶ ἀνδρῶν εὐ- δαιμόνων βίον
ἀληθῆ. οἶμαι δὴ οὖν, εἰ πείθοιντο οἱ ἄνθρωποι τού- τοις, πλείονα ἂν εἰρήνην καὶ κακὰ ἐλάττω
κατ᾽ αὐτοὺς ἔσεσθαι. τὰ μὲν οὖν κακὰ
οὔτ᾽ ἀπολέσθαι δυνατόν (ὑπεναντίον γάρ τι τῷ ἀγαθῷ ἀεὶ εἶναι ἀνάγκη), οὔτ᾽ ἐν θεοῖς αὐτὰ
ἱδρύσθαι, τὴν δὲ θνητὴν φύ- σιν καὶ
τόνδε τὸν τόπον περιπολεῖ ἐξ ἀνάγκης. διὸ καὶ πειρᾶσθαι χρὴ ἐνθένδε ἐκεῖσε φεύγειν ὅ τι τάχιστα.
φυγὴ [10] δὲ ὁμοίωσις θεῷ κατὰ τὸ
δυνατόν᾽ ὁμοίωσις δὲ δίκαιον καὶ ὅσιον μετὰ φρονήσεως γενέσθαι. ἀλλὰ γὰρ οὐ πάνυ ῥάδιον πεῖσαι,
ὡς ἄρα οὐχ ὧν ἕνεκα οἱ
ESORTAZIONE ALLA FILOSOFIA 397
suo aiuto problemi come questo: “che
ingiustizia io ho fatto a te o tu
ame”, allo scopo di indagare sulla giustizia e sull’ingiustizia, e su
che cosa appartiene a ciascuno di
tali concetti o a tutti e due, o in che cosa
differiscono tra loro; o come
quest'altro: “se il re è felice perché pos-
siede molto oro”, allo scopo di indagare sulla <condizione> regale
e in generale sulla felicità e sulla
sventura degli uomini, e sulle loro
rispettive qualità e in che modo conviene all’uomo acquistare l’una e fuggire l’altra; quando dunque su tutti
questi problemi si ha bisogno di
rendere ragione, per quel tale che è meschino nell’anima <anche se> scaltro e leguleio, arriva il
momento di ripagare il corrispettivo
<della sua derisione>. E colto da vertigini, perché è sospeso a
quel- l'altezza e guarda dall’alto
del cielo senza essere abituato, e agitato e
in difficoltà e balbettante, fa ridere non già le servette traci o altri
che siano incolti (perché questi non
ne avrebbero neppure la percezione),
ma tutti quelli che hanno ricevuto un’educazione opposta a quella degli schiavi. È questo il modo di vivere
dell’uno e dell'altro: quello di chi
è stato allevato realmente da uomo libero e negli studi liberali, quello appunto che si deve chiamare
filosofo, a cui, per la sua schiet-
tezza, non farebbe caso di apparire un ingenuo o un buono a nulla, allorché dovesse cadere in servigi da
schiavo, e non sapesse, ad esem- pio,
preparare l’occorrente per dormire in una sacca da viaggio, né condire una pietanza o esprimere parole di
adulazione; l’altro di chi invece è
in grado di gestire tutti questi servigi in maniera perspicua e risoluta, [104dP] anche se non sa tirarsi
su il mantello [76] sulla spal- la
destra alla maniera di un uomo libero né cogliere l'armonia delle parole per celebrare correttamente la vera
vita degli dèi e degli uomi- ni
felici. Io credo dunque che, se gli uomini si lasciano persuadere da questi ragionamenti, troveranno in loro
una pace maggiore e un minor numero
di mali. Non è possibile dunque che i mali si dissolva- no (perché necessariamente c’è sempre
qualcosa di contrario al bene), né
che dimorino presso gli dèi, mentre è necessario che essi girino intorno alla natura mortale e al luogo di
quaggiù. Perciò occorre anche cercare
di fuggire al più presto da qui verso lassù. E la fuga non è altro che un’assimilazione a dio, per
quanto sia possibile; e <questa>
assimilazione non è altro che un divenire giusti e santi con prudenza. Ma allora non è affatto facile incutere la
persuasione che non è dun- que a
causa delle ragioni di cui parlano i più che bisogna fuggire la
398 GIAMBLICO
πολλοί φασι δεῖν
πονηρίαν μὲν φεύγειν ἀρετὴν δὲ διώκειν, τούτων χάριν τὸ μὲν ἐπιτηδευτέον τὸ δ᾽ οὔ, ἵνα δὴ
μὴ κακὸς καὶ ἵνα ἀγαθὸς δοκῇ εἶναι.
ταῦτα μὲν γάρ ἐστιν ὁ λεγόμενος γραῶν ὕθλος, ὡς ἐμοὶ φαίνεται" τὸ δὲ ἀληθὲς ὧδε λέγομεν.
θεὸς οὐδαμῇ οὐδαμῶς ἀδικος, ἀλλ᾽ ὡς
οἷόν τε δικαιότατος, καὶ οὐκ ἔστιν αὐτῷ ὁμοιότερον οὐδὲν ἢ ὃς ἂν ἡμῶν αὖ γένηται ὅ τι [20]
δικαιότατος. περὶ τοῦτο καὶ ἡ ὡς
ἀληθῶς δεινότης ἀνδρὸς καὶ ἡ οὐδένειά τε καὶ ἀνανδρία. ἡ μὲν γὰρ τούτου γνῶσις σοφία καὶ ἀρετὴ ἀληθινή, ἡ
δὲ ἄγνοια ἀμαθία καὶ κακία ἐναργής᾽
αἱ δὲ ἄλλαι δεινότητές τε δοκοῦσαι καὶ σοφίαι ἐν μὲν πολιτικαῖς δυναστείαις γιγνόμεναι
φορτικαί, ἐν δὲ τέχναις βά- ναῦσοι.
τῷ οὖν ἀδικοῦντι καὶ ἀνόσια λέγοντι ἢ πράττοντι μακρῷ ἄριστ᾽ ἔχει τι τὸ μὴ συγχωρεῖν δεινῷ ὑπὸ
πανουργίας εἶναι" ἀγάλ- λονται
γὰρ τῷ ὀνείδει καὶ οἴονται ἀκούειν ὅτι οὐ λῆροί εἰσι, γῆς ἄλλως ἄχθη, ἀλλὰ ἄνδρες οἵους δεῖ ἐν [77]
πόλει τοὺς σωθησομέ- νους. λεκτέον
οὖν τὸ ἀληθές, ὅτι τοσούτῳ μᾶλλόν εἰσιν οἷοι οὐκ οἴονται, ὅτι οὐχὶ οἴονται ἀγνοοῦσι γὰρ
ζημίαν ἀδικίας, ὃ δεῖ ἥκιστα ἀγνοεῖν.
οὐ γάρ ἐστιν ἣν δοκοῦσι, πληγαί τε καὶ θάνατοι, ὧν ἐνίοτε πάσχουσιν οὐδὲν ἀδικοῦντες, ἀλλὰ ἣν
ἀδύνατον ἐκφυγεῖν. παραδειγμάτων γὰρ
ἐν τῷ ὄντι ἑστώτων, τοῦ μὲν θείου εὐδαιμονε-
στάτου, τοῦ δὲ «ἀθέου» ἀθλιωτάτου, οὐχ ὁρῶντες ὅτι οὕτως ἔχει, ὑπὸ ἠλιθιότητός τε καὶ τῆς ἐσχάτης ἀνοίας
λανθάνουσι [10] τῷ μὲν ὁμοιούμενοι
διὰ τὰς ἀδίκους πράξεις, τῷ δὲ ἀνομοιούμενοι. οὗ δὴ τίνουσι δίκην ζῶντες τὸν εἰκότα βίον ᾧ
ὡμοιοῦντο. ἐὰν δὲ εἴπωμεν ὅτι, ἐὰν μὴ
ἀπαλλαγῶσι τῆς δεινότητος, καὶ τελευτήσαντας αὐτοὺς ἐκεῖνος μὲν ὁ τῶν κακῶν καθαρὸς τόπος οὐ
δέξεται, ἐνθάδε δὲ τὴν αὑτοῖς
ὁμοιότητα τῆς διαγωγῆς ἀεὶ ἕξουσι, κακοὶ κακοῖς ξυνόντες, ταῦτα δὴ καὶ παντάπασιν ὡς δεινοὶ καὶ
πανοῦργοι ἀνοήτων τινῶν
ESORTAZIONE ALLA FILOSOFIA 399
malvagità e perseguire la virti, ragioni
per le quali bisogna esercitare l’una
e non l’altra, e cioè per dare l'impressione di non essere malva- gi e di essere buoni, perché questi
ragionamenti a me sembrano chiac-
chiera da vecchiette, come si dice; la verità è invece questa che noi diciamo: dio non è per nessun verso e in
nessun modo ingiusto, al contrario è
giusto al massimo livello, e non c’è niente di più simile a lui se non chi di noi sia a sua volta
divenuto il più giusto possibile. È
su questo che si valuta la vera abilità di un uomo o la sua nullità
e viltà. Conoscere ciò, infatti, è
sapienza e vera virtù, mentre ignorarlo
è stoltezza e malvagità evidente: le altre abilità appaiono come
sapien- ze volgari, se esercitate
nell’ambito dei poteri politici, da lavoro
manuale, se esercitate nelle arti. A chi dunque commette ingiustizie
o dice e fa cose empie è meglio non
concedere che sia abile per la sua
astuzia, perché tali uomini menano vanto di un <tale> biasimo e
cre- dono di sentirsi dire che non
sono sciocchi, “inutili pesi sulla terra”,
ma uomini tali da essere preservati in una città. [77] [105dP] Occorre dunque dire la verità, e cioè che
essi sono tanto più quello che non
credono di essere, quanto meno credono di esserlo, giacché ignorano la pena che comporta
un’ingiustizia, cosa che deve essere la
meno ignorata. Questa pena infatti non è quella che essi credono, cioè percosse e morti, nessuna delle quali essi
talora subiscono pur aven- do
commesso ingiustizia, bensi quella che è impossibile evitare. Ebbene, se sono questi realmente i due
modelli, da un lato quello di chi è
divino e felicissimo, dall’altro lato quello di chi è ateo e infelicis- simo, coloro che non vedono che le cose
stanno cosî, non si accorgo- no che
in conseguenza della loro stoltezza ed estrema dissennatezza, a causa delle loro ingiuste azioni,
somigliano al secondo e non somi-
gliano a primo di tali modelli. Ed è proprio di ciò che essi espiano
la pena vivendo, ovviamente, la vita
del modello a cui somigliano. E
qualora noi dicessimo loro che, se non si liberano della loro
abilità, anche da morti non li
accoglierà quel luogo che è puro di ogni male, e anche quaggiù avranno sempre uno stile
di vita che somiglia a se stessi,
vivranno cioè da malvagi in compagnia di malvagi, allora essi ascolterebbero queste nostre parole come
gente assolutamente abile e astuta
ascolterebbe le parole di qualche demente, ed è in verità qual- cosa di abbastanza esagerato ciò che essi
pensano. Una cosa tuttavia capita
loro: quando in privato si vedono costretti a rendere conto e
400 GIAMBLICO
ἀκούσονται, καὶ μάλα δὴ
ὑπέρογκον φρονοῦντες. ἕν μέντοι τι αὖ-
τοῖς συμβέβηκεν, ὅταν ἰδίᾳ λόγον δέῃ δοῦναί [20] τε καὶ δέξασθαι περὶ ὧν ψέγουσι, καὶ ἐθελήσωσιν ἀνδρικῶς
πολὺν χρόνον ὑπομεῖναι καὶ μὴ
ἀνάνδρως φεύγειν, τότε ἀτόπως τελευτῶντες οὐκ ἀρέσκουσιν αὐτοὶ αὑτοῖς περὶ ὧν λέγουσι,
καὶ ἡ ῥητορικὴ ἐκείνη πως
ἀπομαραίνεται, ὥστε παίδων δοκεῖν μηδὲν διαφέρειν. εἰ δὴ ταῦτα οὕτως ἔχει, καὶ ὁ βίος θειότερός τε
εἶναι καὶ εὐδαιμονέστε- ρος φαίνεται
τῶν ἐν φιλοσοφίᾳ διαγόντων, οὐδὲν ἄλλο χρὴ πράττειν ἢ φιλοσοφίας ἀντιλαμβάνεσθαι
γενναίως. XV. [78] Μετὰ ταῦτα δὴ ἀπεικάσαι δεῖ
τοιούτῳ πάθει τὴν ἡμετέραν φύσιν
παιδείας τε πέρι καὶ ἀπαιδευσίας. ἰδὲ γὰρ
ἀνθρώπους οἷον ἐν καταγείῳ οἰκήσει σπηλαιώδει, ἀναπεπταμένην πρὸς τὸ φῶς τὴν εἴσοδον ἐχούσῃ μακρὰν παρὰ
πᾶν τὸ σπήλαιον, ἐν ταύτῃ ἐκ παίδων
ὄντας ἐν δεσμοῖς καὶ τὰ σκέλη καὶ τοὺς αὐχένας, ὥστε μένειν τε αὐτοὺς εἴς τε τὸ πρόσθεν
μόνον ὁρᾶν, κύκλῳ δὲ τὰς κεφαλὰς ὑπὸ
τοῦ δεσμοῦ ἀδυνάτους περιάγειν, φῶς δὲ αὐτοῖς πυρὸς ἄνωθεν καὶ πόρρωθεν καόμενον [10] ὄπισθεν
αὐτῶν, μεταξὺ δὲ τοῦ πυρὸς καὶ τῶν
δεσμωτῶν ἐπάνω ὁδόν, παρ᾽ ἣν εἶναι τειχίον φκοδομ- nuévov, ὥσπερ τοῖς θαυματοποιοῖς πρὸ τῶν
ἀνθρώπων πρόκειται τὰ παραφράγματα,
ὑπὲρ ὧν τὰ θαύματα δεικνύουσιν. ἔτι τοίνυν ὅρα παρὰ τοῦτο τὸ τειχίον φέροντας ἀνθρώπους
σκεύη τε παντοδαπὰ ὑπερέχοντα τοῦ
τειχίου καὶ ἀνδριάντας καὶ ἄλλα ζῷα λίθινά τε καὶ ξύλινα καὶ παντοῖα εἰργασμένα, οἷον εἰκός,
τοὺς μὲν φθεγγομέ- νους, τοὺς δὲ
σιγῶντας τῶν παραφερόντων. τὴν δὴ ἄτοπον εἰκόνα ταύτην καὶ τοὺς δεσμώτας τοὺς [20] ἀτόπους
θὲς εἶναι ὁμοίους ἡμῖν. τοὺς γὰρ
τοιούτους πρῶτον μὲν ἑαυτῶν͵ τε καὶ ἀλλήλων οἴει ἄν τι ἑωρακέναι ἄλλο πλὴν τὰς σκιὰς τὰς ὑπὸ τοῦ
πυρὸς εἰς τὸ κατ᾽ ἀντι- κρὺ αὐτῶν τοῦ
σπηλαίου προσπιπτούσας; οὐδὲν ἄλλο. πῶς γάρ, εἰ ἀκινήτους γε τὰς κεφαλὰς ἔχειν
ἠναγκασμένοι εἶεν διὰ βίου; τί δὲ τῶν
παραφερομένων; οὐ ταὐτὸν τοῦτο; τί μήν; εἰ οὖν διαλέγεσθαι οἷοί
τ᾽ εἶεν πρὸς ἀλλήλους, οὐ ταῦτα ἡγῇ [79] ἂν τὰ ὄντα αὐτοὺς ὀνομάζειν, ἅπερ ὁρῷεν; ἀνάγκη. τί δ᾽... εἰ
καὶ ἠχὼ τὸ δεσμωτήριον ἐκ τοῦ κατ᾽
ἀντικρὺ ἔχοι, ὁπότε τις τῶν παριόντων φθέγξαιτο, οἴει
ESORTAZIONE ALLA
FILOSOFIA 401
accogliere ciò che essi biasimano <degli altri>, e intendono
resistere coraggiosamente per molto
tempo e non scappare vigliaccamente,
allora stranamente finiscono per non ritenersi più soddisfatti con
se stessi delle ragioni di cui parlano,
e la loro famosa retorica in qualche
modo appassisce, al punto da fare la figura di non essere altro che
dei bambini. Se le cose stanno
proprio cosiî, e più divina e più felice appa- re la vita di coloro che la vivono nella
filosofia, non bisogna fare altro che
impegnarsi a filosofare nel modo pit nobile.
[78] 15. Dopo di che
bisogna assimilare la [106dP] nostra natu-
ra relativa alla cultura e all’incultura a una condizione come
questa. Immagina di vedere degli
uomini in una specie di dimora sotterranea
a forma di caverna, e che abbia dalla parte della luce un'entrata
gran- de quanto l’intera caverna, e
tali uomini siano dentro la caverna fin da
bambini e siano incatenati gambe e collo in modo da non potersi muovere e da potere guardare soltanto in
avanti, e non siano in grado, a causa
delle catene, di ruotare il capo, e abbiano un fuoco che li illu- mini dall'alto e bruci lontano dietro di
loro, e tra questo fuoco e gli
incatenati corra una strada sopraelevata, sulla quale sia stato
costrui- to un muretto a mo’ di quei
parapetti che i giocolieri pongono davan-
ti agli spettatori per potere mostrare, standovi sopra, le meraviglie
dei loro spettacoli. Immagina inoltre
di vedere lungo questo muretto degli
uomini che portano sia attrezzi di ogni sorta che sovrastano il muretto, sia statue e figure di altri
animali fatti di marmo e di legno e
di ogni specie di sostanza, e tali portatori, com’è naturale, alcuni
par- lano e altri stanno zitti. E una
ben strana immagine questa e strani
anche gli uomini incatenati, posto che siano simili a noi. Infatti,
tu credi anzitutto che tali uomini possano
aver visto di se stessi e tra di loro
altra cosa che le ombre proiettate dal fuoco sulla parete della caverna che hanno di fronte? Nient'altro.
Ebbene, come possono far questo se
sono costretti ad avere la testa immobilizzata per tutta la vita? E che accade alle cose che vengono
trasportate? Non accade questa stessa
cosa? Quale cosa? Ebbene, se potessero dialogare tra loro, non pensi tu che [79] chiamerebbero
queste ombre che vedono enti reali?
Necessariamente. E che cosa accadrebbe ancora? Se la pri- gione avesse pure un’eco proveniente dalla
parte dirimpetto, ogni volta che
qualcuno di quelli che passano pronunziasse qualche paro- la, credi tu che quegli altri penserebbero
altro se non che a parlare sia
402 GIAMBLICO
ἂν ἄλλο τι αὐτοὺς
ἡγεῖσθαι τὸ φθεγγόμενον ἢ τὴν Tapiro doav σκιάν; οὐδὲν ἄλλο. παντάπασι δὴ οὖν οἱ τοιοῦτοι
οὐκ ἂν ἄλλο τι νομίζοιεν τὸ ἀληθὲς ἢ
τὰς τῶν σκευαστῶν σκιάς. πολλὴ ἀνάγκη. σκόπει οὖν αὐτῶν λύσιν τε καὶ ἴασιν τῶν τε δεσμῶν καὶ
τῆς ἀφροσύνης, οἵα τις ἂν εἴη, εἰ
φύσει τοιάδε ξυμβαίνοι αὐτοῖς" ὁπότε [10] τις λυθείη καὶ ἀναγκάζοιτο ἐξαίφνης ἀνίστασθαί τε καὶ
περιάγειν τὸν αὐχένα καὶ βαδίζειν καὶ
πρὸς τὸ φῶς ἀναβλέπειν, πάντα δὲ ταῦτα ποιῶν ἀλγοῖ τε καὶ διὰ τὰς μαρμαρυγὰς ἀδυνατοῖ καθορᾶν
ἐκεῖνα ὧν τότε τὰς σκιὰς ἑώρα, τί ἂν
οἴει αὐτὸν εἰπεῖν, εἴ τις αὐτῷ λέγοι ὅτι τότε μὲν ἑώρα φλυαρίας, νῦν δὲ μᾶλλόν τι ἐγγυτέρω
τοῦ ὄντος καὶ πρὸς μᾶλλον ὄντα
τετραμμένος ὀρθότερον βλέποι, καὶ δὴ καὶ ἕκαστον τῶν παριόντων δεικνὺς αὐτῷ ἀναγκάζοι
ἐρωτῶν ἀποκρίνασθαι ὅ τι ἐστίν; οὐκ
οἵει αὐτὸν ἀπορεῖν τε ἂν καὶ [20] ἡγεῖσθαι τὰ τότε ὁρώμενα ἀληθέστερα ἢ τὰ νῦν δεικνύμενα;
πάντως δήπου. οὐκοῦν κἂν εἰ πρὸς αὐτὸ
τὸ φῶς ἀναγκάζοι αὐτὸν βλέπειν, ἀλγεῖν τε ἂν τὰ ὄμματα καὶ φεύγειν ἀποστρεφόμενον πρὸς
ἐκεῖνα ἃ δύναται καθο- ρᾶν, καὶ
νομίζειν ταῦτα τῷ ὄντι σαφέστερα τῶν δεικνυμένων; εἰ δὲ ἐντεῦθεν ἕλκοι τις αὐτὸν βίᾳ διὰ τραχείας
τῆς ἀναβάσεως καὶ ἀνά- ντους, καὶ μὴ
ἀνείη πρὶν ἐξελκύσειεν εἰς τὸ τοῦ ἡλίου φῶς,
ὀδυνᾶσθαί τε ἂν καὶ ἀγανακτεῖν ἑλκόμενον; καὶ [80] ἐπειδὴ πρὸς τὸ φῶς ἔλθοι, αὐγῆς ἂν ἔχοντα τὰ ὄμματα μεστὰ
ὁρᾶν οὐδ᾽ dv ἕν δύνα- σθαι τῶν «νῦν»
λεγομένων ἀληθῶν, ὥστε ἐξαίφνης αὐτοῖς προσβάλ- λοντας; συνηθείας δή, οἶμαι, δέοιτ᾽ ἄν, εἰ
μέλλοι τὰ ἄνω ὄψεσθαι: καὶ πρῶτον μὲν
τὰς σκιὰς ἂν ῥᾷστα καθορῴη, καὶ μετὰ τοῦτο ἐν τοῖς ὕδασι τά τε τῶν ἀνθρώπων καὶ τὰ τῶν ἄλλων
εἴδωλα, ὕστερον δὲ ab- τά’ ἐκ δὲ
τούτων τὰ ἐν τῷ οὐρανῷ καὶ αὐτὸν τὸν οὐρανὸν νύκτωρ ἂν ῥᾷον θεάσαιτο, προσβλέπων τὸ [10] τῶν
ἄστρων τε καὶ σελήνης φῶς, ἢ μεθ᾽
ἡμέραν τὸν ἥλιόν τε καὶ τὸ τοῦ ἡλίου. τελευταῖον δή, οἶμαι, τὸν ἥλιον οὐκ ἐν ὕδασιν οὐδ᾽ ἐν ἀλλοτρίᾳ
ἕδρᾳ φαντάσματα αὐτοῦ,
FSORTAZIONE ALLA FILOSOFIA 403
l'ombra che passa? Non penserebbero
nient'altro. Dunque tali pri-
gionieri non crederebbero affatto che esista altra vera realtà
[107dP] se non le ombre delle cose
artificiali. Assolutamente necessario che
crederebbero questo. Rifletti dunque su quella che sarebbe la loro situazione se fossero sciolti dalle catene
e guariti della demenza, pensa se
naturalmente non capiterebbero gli eventi seguenti: ogni volta che qualcuno fosse sciolto e costretto
improvvisamente ad alzarsi e girare
il collo e camminare e guardare verso la luce, e che facendo tutti
que- sti movimenti provasse dolore e
non fosse in grado di vedere, perché
abbagliato dalla luce, le cose di cui poco prima vedeva le ombre, che cosa pensi tu che risponderebbe, se
qualcuno gli dicesse che prima vedeva
solo delle cose vane, mentre ora vede qualcosa di più vicino alla realtà ed essendo rivolto verso cose
pit reali vede più corretta- mente, e
gli mostrasse ciascuna delle cose che passano e gli chiedesse di rispondere alla domanda “che cos’è?”.
Non credi che quello si tro- verebbe
in difficoltà a rispondere e crederebbe che le cose viste prima erano più vere di quelle che adesso gli
vengono mostrate? Senza alcun dubbio.
E se poi lo costringesse a guardare verso la luce, non prove- rebbe male agli occhi e si volterebbe per
fuggire verso ciò che può guardare
[cioè le ombre], e non crederebbe che queste cose sono realmente più chiare di quelle che gli
vengono mostrate? Ma se qual- cuno lo
tirasse a forza dall’interno di quel luogo su per la salita aspra e scoscesa, e non lo mollasse prima di
averlo trascinato fuori alla luce del
sole, non se ne dorrebbe e non si irriterebbe di essere trascinato, e [80] dopo essere giunto alla luce del
sole, non avrebbe gli occhi pie-
namente abbagliati e non potrebbe quindi vedere nessuna di quelle cose che adesso sono dette essere vere, in
modo da andarci a sbattere
improvvisamente contro?* Avrebbe bisogno, io credo, di assuefarsi, se vorrà vedere le cose che stanno in alto.
E anzitutto vedrà più facil- mente le
ombre, e dopo le immagini riflesse nell'acqua sia degli uomi- ni [108dP] che delle altre cose, infine le
cose in se stesse; dopo di che potrà
contemplare più facilmente di notte i riflessi di ciò che sta in cielo e dello stesso cielo, guardando
verso la luce degli astri e della
luna, che non di giorno il sole e la sua luce. Infine potrà, io
credo, osservare e contemplare il
sole cosî com'è, non <quindi> nei suoi
riflessi nell'acqua né in altra sede, bensi nel suo proprio sito in sé
e per sé. Dopo di che potrebbe ormai
essere in grado di ragionare sul
404 GIAMBLICO
ἀλλ᾽ αὐτὸν καθ᾽ αὑτὸν ἐν
τῇ αὑτοῦ χώρᾳ δύναιτ᾽ ἂν κατιδεῖν καὶ
θεάσασθαι οἷός τέ ἐστι. καὶ μετὰ ταῦτ᾽ ἂν ἤδη συλλογίζοιτο περὶ αὐτοῦ, ὅτι οὗτος ὁ τάς τε ὥρας παρέχων καὶ
ἐνιαυτοὺς καὶ πάντα ἐπιτροπεύων τὰ ἐν
τῷ ὁρωμένῳ τόπῳ, καὶ ἐκείνων ὧν σφεῖς ἑώρων
τρόπον τινὰ πάντων αἴτιος. δῆλον γὰρ ὅτι ἐπὶ ταῦτα ἂν μετ᾽ ἐκεῖνα ἔλθοι. τί οὖν; ἀνα[20]μιμνῃσκόμενον αὐτὸν
τῆς πρώτης οἰκήσεως καὶ τῆς ἐκεῖ
σοφίας καὶ τῶν τότε ξυνδεσμωτῶν οὐκ ἂν οἴει αὑτὸν μὲν εὐδαιμονίζειν τῆς μεταβολῆς, τοὺς δὲ
ἐλεεῖν; καὶ μάλα. τιμαὶ δὲ καὶ
ἔπαινοι εἴ τινες ἦσαν αὐτοῖς τότε παρ᾽ ἀλλήλων καὶ γέρα τῷ ὀξύτατα καθορῶντι τὰ παριόντα, καὶ
μνημονεύοντι μάλιστα ὅσα τε πρότερα
αὐτῶν καὶ ὕστερα εἴωθε καὶ ἅμα πορεύεσθαι, καὶ ἐκ τούτων δὴ δυνατώτατα ἀπομαντευομένῳ τὸ
μέλλον ἥξειν, δοκεῖς ἂν αὐτὸν
ἐπιθυμητικῶς αὐτῶν ἔχειν καὶ [81] ζηλοῦν τοὺς παρ᾽ ἐκεί- VOLG τιμωμένους TE καὶ ἐνδυναστεύοντας, ἢ
τὸ τοῦ Ὁμήρου ἂν πεπονθέναι καὶ
σφόδρα βούλεσθαι ἐπάρουρον ἐόντα θητευέμεν
ἄλλῳ ἀνδρὶ παρ᾽ ἀκλήρῳ καὶ ὁτιοῦν ἂν πεπονθέναι μᾶλλον ἢ ἐκεῖνά τε δοξάζειν καὶ ἐκείνως ζῆν; οὕτως ἔγωγε
οἶμαι, πᾶν μᾶλλον πεπον- θέναι ἂν
δέξασθαι ἢ ζῆν ἐκείνως. καὶ τόδε δὴ ἐννόησον: εἰ πάλιν ὁ τοιοῦτος καταβὰς εἰς τὸν αὐτὸν θᾶκον
καθίζοιτο, dp’ οὐ σκότους ἀνάπλεως
σχοίη τοὺς ὀφθαλμούς, ἐξαίφνης ἥκων ἐκ τοῦ ἡλίου; [10] μάλα γε. τὰς δὲ δὴ σκιὰς ἐκείνας πάλιν εἰ
δέοι αὐτὸν γνωματεύον- τα
διαμιλλᾶσθαι τοῖς ἀεὶ δεσμώταις ἐκείνοις, ἐν ᾧ ἀμβλυωπεῖ, πρὶν καταστῆναι τὰ ὄμματα, οὗτος δὲ ὁ χρόνος μὴ
πάνυ ὀλίγος εἴη τῆς συνηθείας, ἄρα οὐ
γέλωτ᾽ ἂν παρέχοι, καὶ λέγοιτο ἂν περὶ αὐτοῦ, ὡς ἀναβὰς ἄνω διεφθαρμένος ἥκει τὰ ὄμματα,
καὶ ὅτι οὐκ ἄξιον οὐδὲ πειρᾶσθαι
ἀνιέναι, καὶ τὸν ἐπιχειροῦντα λύειν τε καὶ ἀνά- γειν, εἴ πως ἐν ταῖς χερσὶ δύναιντο λαβεῖν
καὶ ἀποκτείνειν, ἀποκ- τιννύναι ἄν;
σφόδρα γε. ταύτην τοίνυν τὴν εἰκόνα προσαπτέον [20] ἅπασαν ὡς ἀληθῶς τοῖς λεγομένοις, τὴν μὲν
δι᾽ ὄψεως φαινομένην
ESORTAZIONE ALLA FILOSOFIA 405
sole, pensando che è quello che procura sia
le stagioni che <il trascor-
rere> degli anni e che sovrintende a tutte le cose che si trovano
nel luogo visibile, e che di tutte
quelle cose che essi86 vedevano è in qual-
che modo causa. Ebbene, dopo tali conclusioni, è chiaro che arrive- rebbe a queste altre. A quali conclusioni?
Ricordandosi della sua pri- mitiva
dimora e della “sapienza” di laggi8” e dei suoi compagni di catene di un tempo, non credi che, mentre
sarebbe felice della sua mutata
condizione, proverebbe invece compassione per gli altri? Certamente. E gli onori e le lodi, se ne
avessero tributati allora tra di
loro, e il premio a chi avesse osservato con maggiore acutezza le ombre che passavano dinnanzi a loro, e a
chi avesse ricordato nel modo
migliore quelle di esse che di solito marciavano in testa o in coda o insieme, e perciò fosse stato il
più capace di indovinare la
situazione successiva, credi tu che egli potrebbe <ancora>
desiderare tali situazioni e [81]
provare gelosia per quelli tra di essi che avesse- ro onori e potere, o non proverebbero
piuttosto il sentimento che Omero
<attribuisce ad Achille che dialoga con Odisseo>:83 preferirei ardentemente di essere un contadino al
servizio di un padrone disere- dato e
sopportare qualsiasi cosa piuttosto che avere quelle opinioni e vivere in quella condizione? Credo che la
penserebbe cosi, cioè sop- portare
tutto piuttosto che avere quelle opinioni e vivere in quella condizione. E pensa anche questo: se quel
tale tornasse a scendere nella
caverna e a sedersi sulla stessa sedia, [109dP] non si troverebbe con gli occhi pieni di tenebra, dal
momento che si distacca improvvi-
samente dalla luce del sole? Certamente. E se avesse bisogno, per riconoscere nuovamente quelle ombre, di
gareggiare con coloro che sono
rimasti sempre incatenati, mentre si trova ancora con la vista indebolita, prima cioè che i suoi occhi si
siano ristabiliti, e se questo lasso
di tempo per la sua assuefazione non fosse affatto breve, non si esporrebbe forse alla derisione, e non
farebbe dire di sé che, per esse- re
salito di sopra si è rovinato gli occhi, e che <quindi> non sarebbe il caso neppure di tentare la risalita, e
se qualcuno tentasse di scio- glierli
e portarli si, lo ucciderebbero, sempreché potessero averlo tra le mani per ucciderlo?8? Sicuramente. E
questa dunque l’immagine che bisogna
interamente applicare, in quanto rispondente al vero, a quanto si è detto, assimilando la sede che
è visibile ai nostri occhi alla
dimora di quella prigione, e la luce del fuoco che lî si trova alla
406 GIAMBLICO
ἕδραν τῇ τοῦ δεσμωτηρίου
οἰκήσει ἀφομοιοῦντα, τὸ δὲ τοῦ πυρὸς ἐν
αὐτῇ φῶς τῇ τοῦ ἡλίου δυνάμει τὴν δὲ ἄνω ἀνάβασιν καὶ θέαν τῶν ἄνω τὴν εἰς τὸν νοητὸν τόπον τῆς ψυχῆς
ἄνοδον τιθεὶς οὐχ ἁμαρτήσει τῆς ἀληθείας. αὕτη δέ που οὕτω
φαίνεται ἐν τῷ γνωστῷ τελευταία ἡ τοῦ
ἀγαθοῦ ἰδέα καὶ μόγις ὁρᾶσθαι, ὀφθεῖσα δὲ συλλο- γιστέα εἶναι ὡς ἄρα πᾶσι πάντων αὕτη ὀρθῶν
τε καὶ καλῶν αἰτία, ἔν τε ὁρατῷ [82]
φῶς καὶ τὸν τούτου κύριον τεκοῦσα, ἔν τε νοητῷ αὐτὴ κυρία ἀλήθειαν καὶ νοῦν παρεχομένη,
καὶ ὅτι δεῖ ταύτην ἰδεῖν τὸν μέλλοντα
ἐμφρόνως πράξειν ἢ ἰδίᾳ ἢ δημοσίᾳ. εἰ δὴ τοῦτο ἔργον ἐστὶ τῆς παιδείας, καὶ τοσοῦτον
πρόκειται τὸ διάφορον αὐτῆς πρὸς τὴν
ἀπαιδευσίαν, τί ἂν ἄλλο ἁρμόζοι ἢ παιδείας ἀντιλαμβάνε- σθαι καὶ φιλοσοφίας, τῶν δὲ νῦν δοκούντων
εἶναι περισπουδάστων τοῖς πολλοῖς
ἀφίεσθαι ὡς οὐδεμίαν ἐχόντων εἰς εὐδαιμονίαν ῥοπὴν ἀξιόλογον;
XVI. [10] Ἔτι τοίνυν, εἰ ταῦτα ἀληθῆ, δεῖ νοῆσαι περὶ αὐτῶν τοιόνδε τι, τὴν παιδείαν οὐχ οἷόν τινες
ἐπαγγελλόμενοί φασιν εἶναι, τοιαύτην
καὶ εἶναι. φασὶ δέ που οὐκ ἐνούσης ἐν τῇ ψυχῇ ἐπιστήμης ἐντιθέναι, οἷον τυφλοῖς
ὀφθαλμοῖς ὄψιν ἐντιθέντες. ὁ δέ γε
νῦν λόγος σημαίνει ταύτην τὴν ἐνοῦσαν ἑκάστῳ δύναμιν ἐν τῇ ψυχῇ καὶ τὸ ὄργανον ᾧ καταμανθάνει
ἕκαστος, οἷον εἰ ὄμμα μὴ δυνατὸν ἦν
ἄλλως ἢ ξὺν ὅλῳ τῷ σώματι στρέφειν πρὸς τὸ φανὸν ἐκ τοῦ σκοτώδους, οὕτως ξὺν ὅλῃ τῇ ψυχῇ ἐκ
τοῦ γιγνομένου περιακ- τέον [20]
εἶναι, ἕως ἂν εἰς τὸ ὃν καὶ τοῦ ὄντος τὸ φανότατον δυνατὴ γένηται ἀνασχέσθαι θεωμένη. τοῦτο δ᾽ εἶναί
φαμεν τἀγαθόν. τούτου τοίνυν αὐτοῦ
τέχνη ἂν εἴη, τῆς περιαγωγῆς, τίνα τρόπον ὡς ῥᾷστά τε καὶ ἀνυσιμώτατα μεταστραφήσεται, οὐ τοῦ
ἐμποιῆσαι αὐτῷ «τὸ» ὁρᾶν, ἀλλ᾽ ὡς
ἔχοντι μὲν αὐτό, οὐκ ὀρθῶς δὲ τετραμμένῳ οὐδὲ βλέ- ποντι οἷ ἔδει, τοῦτο δεῖ μηχανήσασθαι. αἱ
μὲν τοίνυν ἄλλαι ἀρεταὶ
ESORTAZIONE ALLA FILOSOFIA 407
potenza del <nostro> sole; d’altra parte,
se tu ponessi la risalita fuori della
caverna e la contemplazione delle cose che vi si possono vedere come se fosse l'ascesa dell'anima al luogo
intelligibile, non saresti lon- tano
dalla verità. Quella che appare per ultima, come io penso, nel processo della conoscenza, è appunto
l’Idea del Bene ed essa si vede
appena, ma quando la si è vista si deve concludere razionalmente
che essa è causa di ogni cosa retta e
bella per chiunque, e nel mondo visi-
bile è lei che partorisce la luce [82] e il signore della luce, e
nel mondo intelligibile è lei che
fornisce da padrona verità e intelletto, e
perciò ha bisogno di vedere questa Idea chi vorrà agire con
prudenza sia in privato che in
pubblico. Se è appunto questa l’opera dell’edu- cazione, ed è tanta la differenza tra
educazione e mancanza di educa-
zione, allora che cos'altro converrà se non impegnarsi
nell’educazio- ne e nella filosofia,
e allontanarsi da tutto ciò che ai più sembra desi- derabile [110dP] come da qualcosa che non
ha alcun peso degno di considerazione
ai fini della felicità? 16. Ancora, se queste cose sono vere,
bisogna fare su di esse la seguente
riflessione: l'educazione non è quella che alcuni di coloro che ne fanno professione dicono che sia.
Essi presumono di introdur- re in
qualche modo la scienza nell'anima che ne è priva, come se introducessero la vista in occhi ciechi.
Ora, il discorso che abbiamo fatto
sta a significare che una tale facoltà esiste nell'anima di ciascuno di noi, dove esiste anche lo strumento con
cui ciascuno di noi eserci- ta il suo
apprendimento; allo stesso modo, siccome non è possibile volgere l’occhio dalla tenebra alla luce
se non insieme a tutto il corpo, non
è possibile neppure fare girare se non con l’intera anima quella facoltà e il suo strumento a partire dal
mondo del divenire finché l'anima non
sia in grado di sostenere la contemplazione del <vero> essere e del suo aspetto più luminoso, che
noi diciamo essere il Bene. In verità
la tecnica di tutto ciò, cioè di tale rivolgimento, consisterà in una conversione che è in qualche modo la
più facile ed efficace, per- ché
tenta non di immettere nell’occhio <dell’anima> la capacità di vedere, ma di far sf che esso, che
possiede già quella capacità, senza
però averla rivolta nel senso giusto per potere vedere ciò che deve vedere, possa realizzare il suo fine. In
verità tutte le altre cosiddette
virti dell'anima [83] rischiano di essere troppo vicine a quelle
del corpo, perché, assenti
all’inizio, esse vengono introdotte in seguito
408 GIAMBLICO
καλούμεναι ψυχῆς κινδυ
[83] νεύουσιν ἐγγύς τι εἶναι τῶν τοῦ
σώματος (τῷ ὄντι γὰρ οὐκ ἐνοῦσαι πρότερον ὕστερον ἐμποιεῖσθαι ἔθεσι καὶ ἀσκήσεσιν), ἡ δὲ τοῦ φρονῆσαι
παντὸς μᾶλλον θειοτέρου τινὸς
τυγχάνει, ὡς ἔοικεν, οὖσα, ὃ τὴν μὲν δύναμιν οὐδέποτε ἀπόλ- λυσιν, ὑπὸ δὲ τῆς περιαγωγῆς χρήσιμόν τε
καὶ ὠφέλιμον καὶ ἄχρηστον αὖ καὶ
βλαβερὸν γίγνεται. ἢ οὔπω ἐννενόηκας τῶν λεγο- μένων μὲν πονηρῶν, σοφῶν δέ, ὡς δριμὺ μὲν
βλέπει τὸ ψυχάριον καὶ ὀξέως διορᾷ
ταῦτα ἐφ᾽ ἃ τέτραπται, ὡς οὐ [10] φαύλην ἔχον τὴν ὄψιν, κακίᾳ δὲ ἠναγκασμένον ὑπηρετεῖν,
ὥστε ὅσῳ ἂν ὀξύτερον βλέπῃ, τοσούτῳ
πλείω κακὰ ἐργαζόμενον; τοῦτο μέντοι τὸ τῆς
τοιαύτης φύσεως εἰ ἐκ παιδὸς εὐθὺς κοπτόμενον περιεκόπη τὰς τῆς γενέσεως ξυγγενεῖς ὥσπερ μολυβδίδας, αἱ δὴ
ἐδωδαῖς τε καὶ τοιούτων ἡδοναῖς τε
καὶ λιχνείαις προσφυεῖς γιγνόμεναι περὶ τὰ
κάτω στρέφουσι τὴν τῆς ψυχῆς ὄψιν, ὧν εἰ ἀπαλλαγὲν περιεστρέφε- to εἰς τὰ ἀληθῆ, καὶ ἐκεῖνα ἂν τὸ αὐτὸ
τοῦτο τῶν αὐτῶν ἀνθρώπων ὀξύτατα
ἑώρα, ὥσ»περ καὶ ἐφ᾽ ἃ νῦν τέτραπται.
[20] Νῦν δὴ οὖν, ὁπότε
ἐνταῦθα γεγόναμεν, καὶ τὸ τῆς φιλοσοφίας
ἔργον ὁποῖόν ἐστι φαίνεται, καὶ ὥς ἐστι τίμιον αὐτόθεν ἐστὶ κατά- δηλον. τὸ γὰρ περιαιρεῖν τὴν γένεσιν ἀπὸ
τῆς ψυχῆς καὶ ἐκκαθαί- ρειν τὴν
λογίζεσθαι δυναμένην αὐτῆς ἐνέργειαν μάλιστα αὐτῇ προ- σήκει. οὗτος οὖν ἄριστος τρόπος τοῦ βίου,
τὴν δικαιοσύνην καὶ τὴν ἄλλην ἀρετὴν
ἀσκοῦντας καὶ ζῆν καὶ τεθνάναι. τούτῳ οὖν ἑπώμεθα, εἰ βουλοίμεθα ὄντως εὐδαιμονήσειν.
XVII. [84] Εἰ δὲ δεῖ καὶ ἀπὸ τῶν παλαιῶν λόγων καὶ τῶν μύθων τῶν ἱερῶν τῶν τε ἄλλων καὶ τῶν Πυθαγορείων
ὑπομνῆσαι τοὺς ἀκούοντας ἐπὶ τὴν
αὐτὴν παράκλησιν, ἀρχώμεθα καὶ τούτου
ἐντεῦθεν. ὀρθῶς λέγονται οἱ μηδενὸς δεόμενοι εὐδαίμονες εἶναι, καὶ ὡς τῶν ἀπεράντους ἐχόντων τὰς
ἐπιθυμίας δεινὸς ὁ βίος. οὐ γάρ τι
θαυμάζοιμ᾽ ἄν, εἰ Εὐριπίδης ἀληθῆ ἐν τοῖσδε λέγει, λέγων τίς δ᾽ οἶδεν, εἰ τὸ ζῆν μέν ἐστι κατθανεῖν, τὸ
κατθανεῖν δὲ ζῆν; καὶ [10] ἡμεῖς τῷ
ὄντι ἴσως τέθναμεν᾽ ἤδη γάρ του ἔγωγε καὶ ἤκουσα τῶν
ESORTAZIONE ALLA
FILOSOFIA 409
per mezzo dell’abitudine e dell’esercizio; la viti del pensare con
pru- denza, invece, appartiene più di
ogni altra a qualcosa di più divino,
che, come sembra, non perde mai il suo potere, quando quella virtù
è presente, e che, in dipendenza da
quel rivolgimento, diviene utile e
vantaggioso o, al contrario, inutile e dannoso. Non hai tu forse
osser- vato come l’animella dei
cosiddetti malvagi-sapienti abbia lo sguardo
penetrante e sappia distinguere acutamente quelle cose su cui essa
si indirizza, in quanto non ha la
vista debole, ma [111dP] è costretta ad
essere schiava della loro malvagità, a tal punto che quanto pit
essa guardi in modo acuto, tanto più
compie cose malvage? E tuttavia, se
questa loro animella naturale, colpita subito fin dall'infanzia,
venisse recisa nelle sue parti
connaturali alla generazione come se fossero
delle sue escrescenze, in quelle appunto che, nate come escrescenze naturali ad opera di ghiottonerie e di
piaceri del genere, fanno volge- re
la sua vista verso le cose di quaggiù, se fosse <dunque> liberata di queste escrescenze questa stessa animella
di questi stessi uomini si
convertirebbe alle cose vere, e per ciò stesso sarebbe capace di
veder- le, cosîf come vede anche le
cose verso cui ora si indirizza.
Ora dunque, dopo essere
giunti a questo punto, l’opera della filo-
sofia appare cosî com’è realmente, e risulta anche evidente nello
stes- so tempo quanto quest'opera sia
preziosa, giacché spetta soprattutto
a questa eliminare dall'anima tutt'intorno <gli effetti> della
genera- zione e purificare la sua
potenziale attività di ragionamento. È questo dunque il modo migliore di vivere, vivere
e morire esercitando la giu- stizia e
il resto delle virti. Seguiamo dunque questa regola, se voglia- mo essere realmente felici.
[84] 17. Se poi bisogna, partendo dai discorsi degli antichi e dai miti sacri e dagli altri miti,
<soprattutto> da quelli pitagorici, celebra- re coloro che prestano ascolto a questa
stessa raccomandazione, cominciano
anche da quest'altro punto. Si dice giustamente che colo- ro che non hanno bisogno di nulla sono
felici, mentre la vita di colo- ro
che hanno infiniti appetiti è terribile. Non dovremmo quindi mera- vigliarci quando Euripide, dicendo la
verità, si esprime con queste parole:
“Chissà se il vivere sia un morire e [112dP] il morire un vive- re?” Forse anche noi siamo realmente
morti, perché io ho già ascolta- to
anche da gente sapiente che noi siamo morti nella vita presente e che il corpo è la nostra tomba, e che la
parte dell’anima che è sede
410 GIAMBLICO
σοφῶν, ὡς νῦν ἡμεῖς
τέθναμεν, καὶ τὸ μὲν σῶμά ἐστιν ἡμῖν σῆμα, τῆς δὲ ψυχῆς τοῦτο, ἐν ᾧ ἐπιθυμίαι εἰσί,
τυγχάνει ὃν οἷον ἀναπείθε- σθαι καὶ
μεταπίπτειν ἄνω κάτω, καὶ τοῦτο ἄρα τις μυθολογῶν κομψὸς ἀνήρ, ἴσως Σικελικός τις ἢ Ἰταλικός
τις, παράγων τῷ ὀνόμα- τι διὰ τὸ
πιθανόν τε καὶ πιστικὸν ὠνόμασε πίθον, τοὺς δὲ ἀνοήτους ἀμυήτους᾽ τῶν δὲ ἀνοήτων τοῦτο τῆς ψυχῆς,
οὗ αἱ ἐπιθυμίαι εἰσί, τὸ ἀκόλαστον
αὐτοῦ καὶ οὐ στεγανόν, ὡς τετρημένος εἴη [20] πίθος διὰ τὴν ἀπληστίαν ἀπεικάσας. τοὐναντίον δὴ
οὗτος τοῖς πολλοῖς ἀνθρώποις
ἐνδείκνυται, ὡς τῶν ἐν Ἅιδου, τὸ ἀειδὲς δὴ λέγων, οὗτοι ἀθλιώτατοί εἰσιν οἱ ἀμύητοι, καὶ φοροῖεν
εἰς τὸν τετρημένον πίθον ὕδωρ ἑτέρῳ
τοιούτῳ τετρημένῳ κοσκίνῳ. τὸ δὲ κόσκινον ἄρα λέγει, ὡς ἔφη ὁ πρὸς ἐμὲ λέγων, τὴν ψυχὴν
εἶναι" τὴν δὲ ψυχὴν κοσκίνῳ
ἀπείκασε τὴν τῶν ἀνοήτων ὡς τετρημένην, ἅτε οὐ δυναμένην στέ- γειν δι᾽ ἀπι[85]στίαν τε καὶ λήθην. ταῦτα
ἐπιεικῶς μέν ἐστιν ὑπό τι ἄτοπα,
δηλοῖ μὴν ὃ ἐγὼ βούλομαι ἐνδείξασθαι, ὡς χρὴ μεταθέσθαι ἀπὸ τοῦ ἀπλήστως καὶ ἀκολάστως ἔχοντος
βίου ἐπὶ τὸν κοσμίως καὶ τοῖς ἀεὶ
παροῦσιν ἱκανῶς καὶ ἐξαρκούντως ἔχοντα βίον, καὶ πεῖθε- σθαι εὐδαιμονεστέρους εἶναι τοὺς κοσμίους
τῶν ἀκολάστων. φέρε δὴ οὖν καὶ ἄλλην
εἰκόνα εἴπω ἐκ τοῦ αὐτοῦ γυμνασίου τὴν νῦν.
σκόπει γὰρ εἰ τοιόνδε δοκεῖ περὶ τοῦ βίου ἑκατέρου, τοῦ τε σώφρο- νος καὶ τοῦ ἀκολάστου, οἷον εἰ [10] δυοῖν
ἀνδροῖν ἑκατέρῳ πίθοι πολλοὶ εἶεν,
καὶ τῷ μὲν ἑτέρῳ ὑγιεῖς καὶ πλήρεις, ὁ μὲν οἴνου ὁ δὲ μέλιτος ὁ δὲ γάλακτος καὶ ἄλλοι πολλοὶ
πολλῶν, νάματα δὲ σπάνια καὶ χαλεπὰ
ἑκάστου τούτων εἴη καὶ μετὰ πολλῶν πόνων καὶ
χαλεπῶν ἐκποριζόμενα: ὁ μὲν οὖν ἕτερος πληρωσάμενος μήτε ἐπο- χετεύοι μηδέ τι φροντίζοι, ἀλλ᾽ ἕνεκα
τούτων ἡσυχίαν ἔχοι᾽ τῷ δ᾽ ἑτέρῳ τὰ μὲν νάματα, ὥσπερ καὶ ἐκείνῳ, δυνατὰ μὲν
πορίζεσθαι εἴη, χαλεπὰ δέ, τὰ δὲ ἀγγεῖα τετρημένα καὶ σαθρά, ἀναγκάζοιτο δὲ ἀεὶ
καὶ νύκτα καὶ ἡμέραν πιμ[Ζθ]πλάναι αὐτά, ἢ τὰς ἐσχάτας λυποῖτο λύπας ἄρα
τοιούτου ὄντος τοῦ βίου, οὐκ ἔσται εὐδαιμονέ- στερος ὁ τοῦ κοσμίου ἢ τοῦ
ἀκολάστου; ὁ μὲν γὰρ τῷ ὡς πλεῖστον ESORTAZIONE ALLA FILOSOFIA 411 degli
appetiti è tale da lasciarsi sedurre <dal corpo>, e mutare su e gi, ed è
questo, dunque, che un uomo esperto di mitologia, forse un siciliano o un italico, giocando sul nome,
chiamò “orcio” quella parte dell'anima
che si lascia “persuadere” ed è fedele, e “iniziati” coloro che sono “insensati”;9 e negli insensati,
questa parte dell'anima dove risiedono
gli appetiti, per la sua dissolutezza e mancanza di impene- trabilità, disse che era come un “orcio
bucato”, assimilandola a que- sto per la
sua insaziabilità. Costui, contrariamente a quanto fa la mag- gior parte degli uomini, mostra che tra
quelli che stanno nell’Ade - lo chiama
cosî appunto perché “invisibile” —-9 proprio questi sono i più infelici, gli iniziati, <condannati> a
portare l’acqua nell’orcio bucato a
mezzo di un crivello anch’esso bucato. Ebbene, con “crivello” — come diceva costui che parlava con me — egli
intendeva l’anima; e assimilava l’anima
a un crivello perché l’anima degli insensati è come bucata, in quanto incapace di trattenere
alcunché a causa della sua [85]
incredulità e dimenticanza. Questi giochi di parole, che appaio- no alquanto strani, fanno vedere ciò che io
intendo mostrare, che cioè occorre
convertirsi dalla vita condotta in maniera insaziabile e disso- luta ad una vita condotta in maniera onesta e
sempre soddisfatta delle cose presenti
in quanto sufficienti, e persuadersi del fatto che sono più felici gli uomini onesti che non quelli
dissoluti. Suvvia dunque, lascia ch’io
ti parli di un’altra immagine [113dP] desunta dalla stessa scuola di prima. Ebbene, guarda se non ti
sembra che sia questa la vita dell'uno e
dell’altro, del temperante e del dissoluto, come quella di due uomini che abbiano ciascuno molti
orci, e quelli dell’uno siano sani e
pieni, uno di vino, un altro di miele, un altro di latte e molti altri di molti altri liquidi, e i liquidi di
ciascuno di tali orci fossero rari e di
difficile reperibilità o reperibili con molta fatica e difficoltà; una
volta dunque che avesse riempito i suoi
orci, costui non verserebbe più altro
liquido né se ne preoccuperebbe, e perciò se ne starebbe tran- quillo; mentre l’altro, che ha si la
possibilità di procacciarsi gli stessi
liquidi del primo, anche se con difficoltà, abbia i recipienti bucati
e guasti, e sia costretto <quindi>
a riempirli in continuazione, notte e
giorno, a meno di essere afflitto da dolori estremi; dunque, essendo tale la vita dell’uno e dell’altro, non sarà
più felice quella dell’uomo onesto che
non quella dell’uomo dissoluto? Quest'ultimo infatti ottie- ne la felicità con
il versare nella maggiore quantità possibile <i suoi 412 GIAMBLICO ἐπιρρεῖν
ἔχει τὸ εὔδαιμον, ἐν ᾧ πολὺ ἀνάγκη καὶ τὸ ἀπιὸν εἶναι καὶ μεγάλα ἄττα τὰ τρήματα εἶναι ταῖς
ἐκροαῖς, ὅπερ οὐδὲν ἄλλο ἐστὶν ἢ
χαραδριοῦ τινα βίον διαζῆν᾽ ὁ δὲ πεπληρωμένος εἰσάπαξ τῶν οἰκείων ἀγαθῶν αὐτάρκης ἀεὶ διαμένει
πάντα τὸν χρόνον. τοιαύτη τίς ἐστι καὶ ἡ ἀρχαιοπρεπὴς παράκλησις ἐπὶ τὴν τῆς
ἀρετῆς ἐπιτήδευσιν. XVIII. [86] Ταύτῃ δ᾽ ἐστὶ συγγενὴς καὶ ἄλλη ἔφοδος ἡ κατ᾽
ἀνα- λογίαν ἀπὸ τῶν ἐν τῷ σώματι
φαινομένων ἐναργῶν ἐπὶ τὰ τῆς ψυχῆς
μεταβαίνουσα κακά τε καὶ ἀγαθά, καὶ τῶν μὲν κακῶν χωρίζουσα καὶ πρὸς τὰ αἰσχρὰ ἀλλοτριοῦσα τὴν προαίρεσιν
ἡμῶν, τῶν δὲ ἀγαθῶν ἀντιλαμβάνεσθαι
παντὶ σθένει παρακελευομένη, καὶ πρὸς τὰ
καλὰ οἰκειοῦσα ἡμῶν τὴν διάνοιαν ἐξ ἅπαντος τρόπου. οἷον εἰ τὰ πάθη τοῦ σώματος φευκτὰ καὶ τὰ νοσήματα,
πολὺ δήπου πρότερον τὰ [10] τῆς ψυχῆς,
καὶ εἰ ἡ νόσος τοῦ σώματος οὐ βιωτὸν ἡμῖν τὸν
βίοτον ἀπεργάζεται, πολὺ δήπου πρότερον ἡ ἀδικία νόσος οὖσα τῆς ψυχῆς ἀφόρητόν ἐστι τῷ ἔχοντι, καὶ εἰ τὸ σῶμα
ἀσυμμέτρως διακεί- μενον ἀπόλλυσιν ἡμῶν
τὴν τελειότητα τῆς ψυχῆς, ὅταν ἐκεῖνο, ᾧ
ζῶμεν, πλημμελῶς ἔχῃ καὶ στασιάζῃ πρὸς ἑαυτό, οὐκ ἔνεστιν ὀρθῶς διαβιῶναι. μετίωμεν δὴ καὶ ἐπὶ θάτερα κατὰ
τὸν αὐτὸν τρόπον. ὥσπερ γὰρ τάξεως καὶ
κόσμου τὰ ἡμέτερα σώματα τυχόντα χρηστὰ
ἂν εἴη, ἀταξίας δὲ μοχθηρά, οὕτως καὶ ἡ ψυχὴ ἀταξίας [20] μὲν τυχοῦσα ἔσται πονηρά, χρηστὴ δὲ ἡ τάξεώς
τινος καὶ κόσμου ἐπιλα- βοῦσα. ἐπὶ μὲν
οὖν τῷ σώματι ὄνομά ἐστι τῷ ἐκ τῆς τάξεώς τε καὶ τοῦ κόσμου γιγνομένῳ ὑγεία, ἰσχύς; ἐπὶ δὲ αὖ
τῷ ἐν τῇ ψυχῇ ἐγγι- γνομένῳ ἐκ τῆς
τάξεως καὶ τοῦ κόσμου νόμιμόν τε καὶ νόμος ὄνομα κεῖται. ὥσπερ γὰρ ἐπὶ ταῖς τοῦ σώματος τάξεσι
τὸ ὑγιεινὸν ἀποδί- δομεν, ἐξ οὗ ἐν αὐτῷ
ὑγίεια γίγνεται καὶ ἄλλη ἀρετὴ τοῦ σώματος,
οὕτως ἐπὶ ταῖς τῆς [87] ψυχῆς κοσμήσεσιν ὁ νόμος λέγεται, ὅθεν καὶ νόμιμοι γίγνονται καὶ κόσμιοι᾽ ταῦτα δ᾽
ἐστὶ δικαιοσύνη τε καὶ σωφροσύνη. οὐκοῦν
ἐκεῖνοι οἷς τι μέλει τῆς ἑαυτῶν ψυχῆς πρὸς ταῦτα βλέποντες καὶ τοὺς λόγους
προσοίσουσι ταῖς ψυχαῖς, odg ἂν λέγωσι, καὶ τὰς πράξεις ἁπάσας, καὶ δῶρον ἐάν
τι διδῶσι, δώσου- ESORTAZIONE ALLA FILOSOFIA 413 liquidi>, in una situazione
in cui se ne ha molto bisogno per la perdi-
ta <abbondante> causata dai grossi buchi da cui i liquidi
defluiscono, cosa che altro non è che
trascorrere una vita da piviere;9 chi invece si riempie una volta per tutte dei
suoi propri beni rimane sempre auto- sufficiente per tutta la sua vita. É di
questo tenore anche la raccoman- dazione, veneranda per la sua antichità, di
esercitare la virtù. [86] 18. Congenere
a questo è anche l’altro percorso che per ana-
logia, partendo dai fenomeni che sono evidenti nel corpo, passa ai mali e ai beni dell'anima, e, facendole
mettere da parte i mali, rende la nostra
scelta estranea alle brutture, e ci raccomanda di impegnarci con tutte le forze nei beni, e rende la
nostra ragione capace di appro- priarsi
in tutti i modi del bello. Se ad esempio sono da fuggire le pas- sioni e le malattie del corpo, a maggior
ragione sono da fuggire quel- le
dell'anima, e se la malattia [114dP] del corpo ci fa sentire la vita come invivibile, a maggior ragione
l’ingiustizia, che è una malattia del-
l’anima, è intollerabile per chi ne è affetto, e se il corpo, trovandosi
in stato di disordine, rovina la
perfezione della nostra anima, allorché il
principio che ci fa vivere si trova in difetto e si ribella a se stesso,
allo- ra diventa impossibile condurre
una vita corretta. Ma passiamo a con-
siderare anche l’altro aspetto del nostro percorso, perché cosî come
i nostri corpi quando sono ordinati e
armoniosi ci sono di giovamento, mentre
quando sono disordinati divengono penosi, allo stesso modo anche l’anima quando è disordinata sarà
cattiva, e ci sarà invece di giovamento
quando è in qualche modo ordinata e armoniosa.
Ebbene, nel corpo il nome che si dà all’ordine e all’armonia è
quello di salute, forza; nell'anima
invece il nome che si dà all’ordine e all’ar-
monia è quello di legalità e legge, perché cosî come noi
attribuiamo alla condizione ordinata del
corpo la sanità, dalla quale discende la
salute che è in esso e ogni altra virtù corporea, allo stesso modo
chia- miamo [87] la condizione armoniosa
dell'anima la legge, dalla quale dipende
l'essere rispettosi delle leggi e onesti; ed è ciò che costituisce la giustizia e la temperanza. Quelli dunque
che hanno cura della loro propria anima
osservando tali regole, rivolgeranno alle anime sia i discorsi che essi potranno fare, sia tutte le
azioni che compiranno, e se faranno qualche dono «αἱ loro concittadini>, o
sottrarranno loro qualcosa, doneranno o sottrarranno con la mente rivolta sempre
a questo scopo, affinché cioè nasca nelle loro anime la giustizia, e si dis-
414 GIAMBLICO σι, καὶ ἐάν τι ἀφαιρῶνται, ἀφαιρήσονται, πρὸς τοῦτο ἀεὶ τὸν
νοῦν ἔχοντες, ὅπως ἂν αὐτῶν δικαιοσύνη
μὲν ἐν ταῖς ψυχαῖς γίγνηται, ἀδικία δὲ
ἀπαλλάττηται, καὶ σωφροσύνη μὲν [10] ἐγγίγνηται, ἀκο- λασία δὲ ἀπαλλάττηται, καὶ ἡ ἄλλη ἀρετὴ
ἐγγίγνηται, κακία δὲ ἀπίῃ. τί γὰρ ὄφελος
σώματί γε κάμνοντι καὶ μοχθηρῶς διακειμένῳ
ἢ σιτία πολλὰ διδόναι καὶ τὰ ἥδιστα ἢ ποτὰ ἢ ἄλλο ὁτιοῦν, ὃ μὴ ὀνήσει αὐτὸν ἔσθ᾽ ὅ τι πλέον ἢ τοὐναντίον,
κατά γε τὸν δίκαιον λό- γον, καὶ
ἔλαττον; ἔστι ταῦτα. οὐ γὰρ οἶμαι λυσιτελεῖν μετὰ μοχ- θηρίας σώματος ζῆν ἀνθρώπῳ’ ἀνάγκη γὰρ οὕτως
καὶ ζῆν μοχθηρῶς. οὐκοῦν καὶ τὰς
ἐπιθυμίας ἀποπιμπλάναι, οἷον πεινῶντα φαγεῖν
ὅσον βούλεται ἢ διψῶντα πιεῖν, ὑγιαίνοντα [20] μὲν ἐῶσιν οἱ ἰατροὶ ὡς τὰ πολλά, κάμνοντα δὲ ὡς ἔπος εἰπεῖν
οὐδέποτε ἐῶσιν ἐμπίπλα- σθαι ὧν
ἐπιθυμεῖ. ἀλλὰ μὴν καὶ περὶ ψυχὴν ὁ αὐτὸς τρόπος: ἕως μὲν dv πονηρὰ fl, ἀνόητός τε οὖσα καὶ ἀκόλαστος
καὶ ἄδικος καὶ ἀνό- σιος, εἴργειν αὐτὴν
δεῖ τῶν ἐπιθυμιῶν καὶ μὴ ἐπιτρέπειν, ἀλλ᾽ αὐτὰ
ποιεῖν ἃ ἂν ποιῶν βελτίων ἔσται. οὐ γάρ που αὐτῇ ἄμεινον τῇ ψυχῇ. οὐκοῦν τὸ εἴργειν ἐστὶν ἀφ᾽ ὧν ἐπιθυμεῖ
κολάζειν. τὸ κολάζεσθαι ἄρα τῇ ψυχῇ
ἄμεινόν ἐστιν ἢ ἀκολασία, ὥσπερ οἱ πολλοὶ οἵονται, καὶ τὸ κόσμιον εἶναι καὶ [88] τεταγμένον
προέχει τοῦ ἀκοσμήτου τε καὶ ἀτάκτου,
ὥστ᾽ ἐξ ἅπαντος τρόπου τὴν δικαιοσύνην καὶ σωφροσύνην ἀσκητέον πρὸ τῶν ἐναντίων
ἕξεων. καὶ τοῦτο μὲν ἡμῖν οὕτως ἐχέτω. XIX. δύναιτο δ᾽ ἀν τις καὶ κατ᾽ ἰδίαν
ἀπὸ τῶν ἐν τῇ ψυχῇ ἀγαθῶν ἐπεξελθεῖν τῷ
προκειμένῳ, δεικνύων αὐτῶν τὸ τέλεον καὶ κύριον
εὐδαιμονίας. ὅσῳ γὰρ ἡ ψυχὴ τοῦ σώματος προέχει, τοσούτῳ μᾶλλον καὶ τἀγαθὰ αὐτῆς ὑπερέχει καὶ τὰ μὲν
τοῦ σώματος ἔσται [10] εὐκαταφρόνητα, τὰ
δὲ τῆς ψυχῆς τίμια καὶ σεμνά, καὶ τὸ ἀγα-
θὸν οὖν οὐ τὸ αὐτό ἐστιν ὅπερ τὸ ἡδύ, καὶ τοῦ ἀγαθοῦ ἕνεκα πρακ- τέον τὸ ἡδύ, οὐ τὸ ἀγαθὸν ἕνεκα τοῦ ἡδέος.
ἡδὺ δέ ἐστι τοῦτο, οὗ παραγενομένου
ἡδόμεθα, ἀγαθὸν δέ, οὗ παρόντος ἀγαθοί ἐσμεν. ἀλλὰ μὴν ἀγαθοί γέ ἐσμεν καὶ
ἡμεῖς καὶ τὰ ἄλλα πάντα, ὅσα ἀγαθά ἐστιν, ἀρετῆς τινος παραγενομένης. ἀλλὰ μὲν
δὴ ἥ γε ἀρετὴ ESORTAZIONE ALLA FILOSOFIA 415 solva l'ingiustizia, e nasca la
temperanza, e si dissolva l’intemperanza,
nasca ogni altra virtà, [115dP] e sparisca ogni malvagità. In che
cosa, infatti, può essere realmente
utile a un corpo sfinito e in cattivo stato
il dargli molti alimenti e tra i più squisiti, o molte bevande o
qualun- que altra cosa, che non potrà
più recargli giovamento, o ancor meno,
secondo un giusto calcolo, gli recherà nocumento? È proprio cosi. Non credo infatti che sia un vantaggio per
l’uomo vivere con un corpo in cattivo
stato, perché necessariamente anche il vivere sarà in cattivo stato. Dunque anche il soddisfare i
propri appetiti, ad esem- pio mangiare
quanto si voglia quando si ha fame, o bere quando si ha sete, i medici lo permettono per lo più a chi
sta bene in salute, men- tre ad uno che
è malato non permettono mai, per cosi dire, di rimpin- zarsi a suo piacimento. Ma in verità questo
vale anche per l’anima: fin- ché essa è
cattiva, in quanto è insensata e dissoluta e ingiusta ed empia, bisogna impedirle di soddisfare i suoi
appetiti e non permet- terle di fare se
non le cose che la rendano migliore, perché cosî9 sarà in qualche modo meglio per la stessa anima.
Dunque l’impedirle di soddisfare i suoi
appetiti è come punire <la sua malvagità>. L'essere punita è dunque per l’anima meglio che non la
sua intemperanza, <al contrario>
di quel che pensano i più, e l’essere onesti e [88] ordinati prevale sull’essere disonesti e disordinati,
sicché bisogna in tutti i modi
esercitare la giustizia e la temperanza anziché le qualità contra- rie. E su questo noi ci fermiamo. 19. Si potrebbe anche con un discorso fatto
in privato, partendo dai beni
dell'anima, giungere al risultato qui proposto, mostrando come la realizzazione di tali beni sia
decisiva per la felicità. Quanto infatti
l’anima prevale sul corpo, tanto a maggior ragione i suoi beni superano <quelli del corpo>; e i beni
del corpo saranno da disprezza- re,
mentre quelli dell'anima saranno preziosi e sacri. E dunque il bene [116dP] non è la stessa cosa che il piacere,
ed è il piacere che si deve perseguire
in vista del bene, non il bene in vista del piacere. Piacere è ciò che, quando sopraggiunge, ci fa godere,
bene invece è ciò che, quando è
presente, ci rende buoni. Ma in verità noi e tutto il resto siamo buoni quando sopraggiunge una certa
virtii. Ma la νἱττύ di ogni cosa, di un
attrezzo o di un corpo o di un’anima o di ogni altro esse- re vivente, non arriva al suo livello
migliore cosî a caso, ma con ordi- ne e
correttezza e con quella tecnica che a ciascuna di tali cose è stata 416 GIAMBLICO ἑκάστου, καὶ σκεύους καὶ σώματος καὶ ψυχῆς
αὖ καὶ ζῴου παντός, οὐ τῷ εἰκῇ καὶ
κάλλιστα παραγίγνεται, ἀλλὰ τάξει καὶ ὀρθότητι
καὶ τέχνῃ, [20] ἥτις ἑκάστῳ ἀποδέδοται αὐτῶν. τάξει ἄρα τεταγμέ- νον τι καὶ κεκοσμημένον ἐστὶν ἡ ἀρετὴ
ἑκάστου, ὡς φαίη ἄν τις σωφρόνως
λογιζόμενος *** ἐν ἑκάστῳ [γὰρ] ὁ ἑκάστου οἰκεῖος ἀγα- θὸν παρέχει ἕκαστον τῶν ὄντων. ὅθεν δὴ καὶ
ψυχὴ κόσμον ἔχουσα τὸν αὑτῆς ἀμείνων τῆς
ἀκοσμήτου. ἀλλὰ μὴν ἥ γε κόσμον ἔχουσα
κοσμία, ἣ δέ Ye κοσμία σώφρων’ ἡ ἄρα σώφρων ψυχὴ ἀγαθή. [89] λέγω δὴ οὖν ὅτι, εἰ ἡ σώφρων ἀγαθή ἐστιν, ἡ
τοὐναντίον τῇ σώφρονι πεπονθυῖα κακή
ἐστιν ἦν δὲ αὕτη ἡ ἄφρων τε καὶ ἀκόλαστος. πολλὴ ἀνάγκη. καὶ μὴν ὅ γε σώφρων τὰ προσήκοντα
πράττοι ἂν καὶ περὶ θεοὺς καὶ ἀνθρώπους
οὐ γὰρ ἂν σωφρονοῖ τὰ μὴ προσήκοντα
πράττων. καὶ μὴν περὶ μὲν ἀνθρώπους τὰ προσήκοντα πράττων δίκα- La ἂν πράττοι, περὶ δὲ θεοὺς dora: τὸν δὲ τὰ
δίκαια καὶ ὅσια πράτ- τοντα ἀνάγκη
δίκαιον καὶ ὅσιον εἶναι. καὶ μὲν δὴ καὶ av[10]Speiòv γε ἀνάγκη" οὐ γὰρ δὴ σώφρονος ἀνδρός
ἐστιν οὔτε διώκειν οὔτε φεύγειν ἃ μὴ
προσήκει, ἀλλὰ δεῖ καὶ πράγματα καὶ ἀνθρώπους καὶ ἡδονὰς καὶ λύπας φεύγειν καὶ διώκειν, καὶ
ὑπομένοντα καρτερεῖν ὅπου δεῖ. ὥστε
πολλὴ ἀνάγκη τὸν σώφρονα, ὥσπερ διήλθομεν, δίκα- Lov ὄντα καὶ ἀνδρεῖον καὶ ὅσιον ἀγαθὸν ἄνδρα
εἶναι τελέως, τὸν δὲ ἀγαθὸν εὖ τε καὶ
καλῶς πράττειν ἃ ἂν πράττῃ, τὸν δὲ εὖ πράττοντα
μακάριόν τε καὶ εὐδαίμονα εἶναι, τὸν δὲ πονηρὸν καὶ κακῶς πράτ- τοντα ἄθλιον’ οὗτος δ᾽ ἂν εἴη ὁ ἐναντίως ἔχων
[20] τῷ σώφρονι, ὁ ἀκόλαστος. εἰ δή ἐστι
ταῦτα ἀληθῆ, τὸν βουλόμενον, ὡς ἔοικεν, εὐ-
δαίμονα εἶναι σωφροσύνην μὲν διωκτέον καὶ ἀσκητέον, ἀκολασίαν δὲ φευκτέον ὡς ἔχει ποδῶν ἕκαστος ἡμῶν, καὶ
παρασκευαστέον μάλιστα μὲν μηδὲν δεῖσθαι
τοῦ κολάζεσθαι, ἐὰν δὲ δεηθῇ αὐτὸς ἢ
ἄλλος τις τῶν οἰκείων, ἢ ἰδιώτης ἢ πόλις, ἐπιθετέον δίκην καὶ κολα- στέον, εἰ μέλλει εὐδαίμων εἶναι. οὗτος ἔμοιγε
δοκεῖ ὁ σκοπὸς εἶναι πρὸς ὃν βλέποντα
δεῖ ζῆν, καὶ πάντα εἰς τοῦτο τὰ αὑτοῦ συν-
τείνοντα καὶ τὰ τῆς πόλεως, ὅπως δικαιο[9θ]σύνη παρέσται καὶ σωφροσύνη τῷ μακαρίῳ μέλλοντι ἔσεσθαι, οὕτω
πράττειν, οὐκ ἐπι- θυμίας ἐῶντα
ἀκολάστους εἶναι καὶ ταῦτα ἐπιχειροῦντα πληροῦν, ESORTAZIONE ALLA FILOSOFIA 417 assegnata. In funzione di tale ordine la
virtii di ciascuno, dunque, è qualcosa
di ordinato e armonico, come direbbe chi ragiona con tem- peranza [lacuna] l'armonia propria di ciascun
ente rende buono cia- scun ente. Di qui
anche l'anima che possiede la propria armonia è
migliore di quella che è priva di armonia. Ma un’anima che possiede armonia è appunto armonica, e un'anima
armonica è temperante. Dunque è buona
l’anima temperante. [89] Intendo dunque dire che, se è buona l’anima temperante, quella che si
trova in uno stato con- trario a quello
dell'anima temperante è malvagia: e questa sarebbe l’anima intemperante e dissoluta. É cosî di
necessità. E in verità chi è temperante
compirà azioni convenienti sia verso gli dèi che verso gli uomini, perché chi non vive con temperanza
non potrà compiere azioni convenienti. E
certamente, compiendo azioni convenienti
verso gli uomini, compirà <verso questi> azioni giuste, e verso
gli dèi azioni sante; ma chi compie
azioni giuste e sante è necessariamente
giusto e santo. E sarà necessariamente anche coraggioso, perché non è da uomo temperante né perseguire né fuggire
ciò che non conviene, ma fuggire o
perseguire ciò che si deve, si tratti di cose o uomini o pia- ceri o dolori, e continuando a perseverare
dove occorra. Di conse- guenza, [117dP]
è assolutamente necessario che l’uomo temperante che, come abbiamo concluso, è giusto e
coraggioso e santo, sia buono in maniera
perfetta, e che, essendo buono, tutto ciò che fa lo faccia in maniera buona e bella, e che, agendo bene,
sia beato e felice, mentre il malvagio e
chi compie cattive azioni, sia infelice: e quest’ultimo è colui che si trova in uno stato contrario a
quello del temperante, cioè il
dissoluto. Ora, se tutto questo è vero, chi vuole essere felice, come sembra, deve da un lato perseguire ed
esercitare la temperanza, e dal- l’altro
lato fuggire a gambe levate l’intemperanza, e prepararsi a non avere bisogno di essere punito, e qualora ce
ne fosse bisogno, per lui o per altro
tra i suoi parenti, o per un privato cittadino o per una città, deve infliggere la <dovuta> pena o
punizione, se vuole essere felice.
Questo sembra che sia lo scopo in vista del quale bisogna che egli viva, facendo anche tendere a tale scopo
tutti i suoi affari e quelli della
città, [90] affinché colui che dovrà essere beato abbia giustizia e tem- peranza, e deve agire in modo da non
permettere che i suoi appetiti siano
dissoluti e non cercare di soddisfarli, cosa che è un male inesau- ribile, vivendo una vita da brigante. Infatti
l’uomo che conduce una 418
GIAMBLICO ἀνήνυτον κακόν, λῃστοῦ βίον
ζῶντα. οὔτε γὰρ dv ἄλλῳ ἀνθρώπῳ
προσφιλὴς εἴη ὁ τοιοῦτος οὔτε θεῷ" κοινωνεῖν γὰρ ἀδύνατος" ὅτῳ γὰρ μὴ ἔνι κοινωνία, φιλία οὐκ ἂν εἴη. φασὶ
δὲ οἱ σοφοὶ καὶ οὐρα- νὸν καὶ γῆν καὶ
θεοὺς καὶ ἀνθρώπους τὴν κοινωνίαν συνέχειν καὶ
φιλίαν καὶ κοσμιότητα καὶ σωφροσύνην καὶ δικαι[]Ο]ότητα, καὶ τὸ ὅλον τοῦτο διὰ ταῦτα κόσμον καλοῦσιν, οὐκ
ἀκοσμίαν οὐδὲ ἀκολα- σίαν. τὸν δὲ μὴ
προσέχοντα τούτοις λέληθεν ὅτι ἡ ἰσότης ἡ γεώμε- τρικὴ καὶ ἐν θεοῖς καὶ ἐν ἀνθρώποις μέγα δύναται᾽
δι᾽ ἃ πλεονεξί- αν οἴονται δεῖν
ἀσκεῖν" γεωμετρίας γὰρ ἀμελοῦσι. τὸ μὲν οὖν ὅλον τῆς εὐδαίμονος ζωῆς πέρι οὕτως ἔχει. καὶ
ἕπεται δὲ αὐτὴν τὸ καλῶς αἱρεῖσθαι
μᾶλλον τελευτᾶν, οἷς ἐστιν ἐξουσία ζῆν μὴ καλῶς, πρὶν παϊδάς τε καὶ τοὺς ἔπειτα εἰς ὀνείδη
καταστῆσαι, καὶ πρὶν τοὺς πατέρας τε καὶ
πᾶν τὸ πρόσθεν γένος αἰσχῦναι [20] τῷ γὰρ τοὺς
αὑτοῦ αἰσχύναντι ἀβίωτόν ἐστι, καὶ τῷ τοιούτῳ οὔτε τις ἀνθρώπων οὔτε θεῶν φίλος ὑπάρχει οὔτ᾽ ἐπὶ γῆς οὔτε ὑπὸ
γῆν τελευτήσαντι. χρὴ οὖν πάντα ἄνδρα,
ἐάν τι καὶ ἄλλο ἀσκῇ, μετ᾽ ἀρετῆς ἀσκεῖν, εἰ-
δότα ὅτι τούτου λειπόμενα ἅπαντα καὶ κτήματα καὶ ἐπιτηδεύματα αἰσχρὰ καὶ κακά. οὔτε γὰρ πλοῦτος κάλλος
φέρει τῷ κεκτημένῳ μετὰ ἀνανδρίας [91]
(ἀλλῳ γὰρ ὁ τοιοῦτος πλουτεῖ καὶ οὐχὶ ἑαυτῷ),
οὔτε σώματος κάλλος καὶ ἰσχὺς δειλῷ καὶ κακῷ ξυνοικοῦντα πρέ- ποντα φαίνεται ἀλλ᾽ ἀπρεπῆ, καὶ ἐπιφανέστερον
ποιεῖ τὸν ἔχοντα καὶ ἐκφαίνει τὴν
δειλίαν πᾶσά τε ἐπιστήμη χωριζομένη δικαιο-
σύνης καὶ τῆς ἄλλης ἀρετῆς πανουργία, οὐ σοφία φαίνεται. ὧν ἕνεκα πρῶτον καὶ ὕστατον καὶ διὰ παντὸς πᾶσαν
πάντως προθυμίαν πειρᾶσθαι δεῖ ἔχειν,
ὅπως μάλιστα μὲν ὑπερβαλεῖταί τις τοὺς πρό-
σθεν προγόνους εὐκλείᾳ: [10] εἰ δὲ μή, ὅπως εἰς ἴσον αὐτοῖς καταστήσῃ τὴν αὑτοῦ καλοκἀγαθίαν" ἡ μὲν
γὰρ ἐν τούτοις νίκη τιμὴν φέρει, ἡ δὲ
ἧττα, ἐὰν ἡττᾶταί τις, αἰσχύνην. μάλιστα δ᾽ ἂν
νικήσειέ τις ἐν τούτοις, εἰ παρασκευάσαιτο τῇ τῶν προγόνων δόξῃ μὴ καταχρήσασθαι μηδὲ ἀναλῶσαι αὐτὴν μάτην,
καλῶς εἰδὼς ὅτι ἀνδρὶ οἰομένῳ τι εἶναι
οὐκ ἔστιν αἴσχιον ἢ παρέχειν ἑαυτὸν τιμ-
ώμενον μὴ δι᾽ ἑαυτόν, ἀλλὰ διὰ δόξαν προγόνων. εἶναι μὲν γὰρ ESORTAZIONE ALLA FILOSOFIA 419 tale vita non potrà essere gradito né ad
altro uomo né a dio, perché è incapace di
entrare in comunione con essi; chiunque, infatti, sia privo di comunione, non può avere neppure amicizia.
D'altra parte i sapienti dicono che
cielo e terra e dèi e uomini contengono comunan- za e amicizia e onestà e temperanza e
giustizia, ed è per questa ragio- ne che
chiamano questo universo “cosmo” [cioè “armonia”], non già “disarmonia” né “intemperanza”. Chi non si
attiene a queste verità dimentica che
l'uguaglianza geometrica ha un grande potere sia tra gli dèi che tra gli uomini; per questo si crede
che bisogna esercitare l’ar- roganza,
perché cioè si trascura la geometria. [118dP] Sulla vita feli- ce nel suo insieme, le cose stanno cosî. Ne
consegue che preferiscono piuttosto di
morire bene, coloro che hanno la <sola> possibilità di vivere non bene, prima di esporre al biasimo
figli e discendenti, e prima di
disonorare i padri e tutta la stirpe degli antenati; chi infatti disonora i propri parenti vive una vita
invivibile, e in tale condizione non ha
alcun amico né tra gli uomini né tra gi dèi, né sulla terra né sottoterra dopo la morte. È necessario dunque
che ogni uomo, quan- do esercita una
qualsiasi azione, lo faccia esercitando anche la virtù, consapevole che senza di questa, ogni
ricchezza e occupazione è brut- ta e
cattiva. Infatti, né la ricchezza conferisce bellezza a chi l’ha acqui- sita con viltà [91] (perché costui diventa
ricco per altri, non per se stesso), né
la bellezza e la robustezza del corpo, come sembra, coabi- tano con chi è vile e malvagio in modo
conveniente, ma in modo scon- veniente,
e mettono pit in vista chi le possiede in quanto ne mostra- no la viltà; e ogni scienza che sia separata
dalla giustizia e da ogni altra virtù,
si presenta come astuzia, non come sapienza. Perciò prima e dopo e durante la vita, bisogna cercare di
desiderare ad ogni costo di far sî che
si vada, per quanto possibile, al di là dei nostri antenati in fatto di reputazione; o quanto meno, che li
si eguagli nel costituire la nostra
rettitudine, perché la nostra vittoria, su questo terreno, se minore è onorevole, se maggiore è
vergognosa.” Si vincerà il più pos-
sibile, su questo terreno, se ci si disporrà a non fare cattivo uso
della gloria degli antenati e a non
dissiparla inutilmente, sapendo bene che
per chi crede di essere qualcuno non c’è maggiore vergogna se farsi [119dP] stimare non per se stesso, ma per la
gloria degli antenati, giacché il fatto
che noi siamo figli dei nostri padri è un tesoro bello e magnifico;98 ma servirsi di questo tesoro e
di ricchezze e di onori, e 420
GIAMBLICO τιμὰς γονέων ἐκγόνοις καλὸς
θησαυρὸς καὶ μεγαλοπρεπής" χρῆσθαι
δὲ καὶ χρημάτων καὶ τιμῶν θησαυρῷ, [20] καὶ μὴ τοῖς ἐκγόνοις παραδιδόναι, αἰσχρὸν καὶ ἄνανδρον, ἀπορίᾳ
ἰδίων αὑτοῦ κτημάτων τε καὶ εὐδοξιῶν.
ἀφ᾽ ἑαυτῶν γὰρ ἄρχεσθαι dei πάντων τῶν ἀγαθῶν
καὶ τῶν εἰς εὔκλειαν καὶ εὐδαιμονίαν φερόντων. πάλαι γὰρ δὴ τὸ Μηδὲν ἄγαν λεγόμενον καλῶς δοκεῖ λέγεσθαι: τῷ
γὰρ ὄντι εὖ λέγε- ται. ὅτῳ γὰρ ἀνδρὶ εἰς
ἑαυτὸν ἀνήρτηται πάντα τὰ πρὸς εὐδαιμονί-
αν [92] φέροντα ἢ ἐγγὺς τούτου, καὶ μὴ ἐν ἄλλοις ἀνθρώποις αἰ- ὡρεῖται, ἐξ ὧν ἢ εὖ ἢ κακῶς πραξάντων
πλανᾶσθαι ἠνάγκασται καὶ τὰ ἐκείνου,
τούτῳ ἄριστα παρεσκεύασται ζῆν, οὗτός ἐστιν ὁ
σώφρων καὶ οὗτος ὁ ἀνδρεῖος καὶ φρόνιμος, οὗτος γιγνομένων χρημάτων καὶ παίδων καὶ διαφθειρομένων
μάλιστα πείσεται τῇ παροιμίᾳ" οὔτε
γὰρ χαίρων οὔτε λυπούμενος ἄγαν φανήσεται διὰ τὸ αὑτῷ πεποιθέναι. τοιούτους δὲ ἡμεῖς ἀξιοῦμεν
καὶ τοὺς ἀγαθοὺς εἶναι, οὔτε
ἀγανακτοῦντας οὔτε [10] φοβουμένους ἄγαν, εἰ δεῖ τελευτᾶν ἐν τῷ παρόντι ἢ ἄλλο τι πάσχειν τῶν
ἀνθρωπίνων. διατε- ταμένως γὰρ δὴ δεῖ
ταύτην ἔχειν τὴν δόξαν, ὡς ὁ μὲν ἀγαθὸς ἀνὴρ
σώφρων ὧν καὶ δίκαιος εὐδαίμων ἐστὶ καὶ μακάριος, ἐάν τε μέγας καὶ ἰσχυρός, ἐάν τε μικρὸς καὶ ἀσθενής, καὶ
ἐὰν πλουτῇ καὶ μή. ἐὰν δ᾽ ἄρα πλουτῇ
Κινύρα τε καὶ Μίδα μᾶλλον, fi δὲ ἄδικος, ἄθλιός τέ ἐστι καὶ ἀνιαρῶς ζῇ᾽ καὶ οὔτ᾽ dv μνησαίμην,
φησὶν ὁ ποιητής, εἴπερ ὀρθῶς λέγει, οὔτ᾽
ἐν λόγῳ ἄνδρα τιθοίμην, ὃς μὴ πάντα τὰ
λεγό[20]μενα καλὰ μετὰ δικαιοσύνης πράττοι καὶ κτῷτο, καὶ δηίων τοιοῦτος ὧν ὀρέγοιτο ἐγγύθεν ἱστάμενος,
ἄδικος δὲ ὧν μήτε τολμῷ ὁρῶν φόνον
αἱματόεντα μήτε νικῷ θέων Θρηίκιον Βορέην, μηδὲ
ἄλλο αὐτῷ μηδὲν τῶν λεγομένων ἀγαθῶν γίγνοιτό ποτε. τὰ γὰρ ὑπὸ τῶν πολλῶν λεγόμενα ἀγαθὰ οὐκ ὀρθῶς λέγεται.
λέγεται γὰρ ὡς «ἄριστον μὲν ὑγιαίνειν,
δεύτερον δὲ κάλλος, τρίτον δὲ πλοῦτος.»
μυρία δὲ ἄλλα [93] ἀγαθὰ λέγεται᾽ καὶ γὰρ ὀξὺ ὁρᾶν καὶ ἀκούειν καὶ πάντα ὅσα ἔχεται τῶν αἰσθήσεων εὐαισθήτως
ἔχειν, ἔτι δὲ καὶ τὸ ποιεῖν τυραννοῦντα
6 τι δᾶν ἐπιθυμῇ, καὶ τὸ δὴ τέλος ἁπάσης
μακαριότητος εἶναι τὸ πάντα ταῦτα κεκτημένον ἀθάνατον εἶναι γενόμενον ὅ τι τάχιστα. ὁ δὲ ἐμὸς λόγος ταδὶ
λέγει, ὡς ταῦτά ἐστι ξύμπαντα δικαίοις
μὲν καὶ ὁσίοις ἀνδράσιν ἀριστα κτήματα, ἀδί-
ESORTAZIONE ALLA FILOSOFIA 421
non trasmetterlo ai figli, per mancanza di beni e glorie personali,
è cosa turpe e vile, perché bisogna
partire da tutti quei beni che acqui-
stiamo da noi stessi e che sono quelli che conducono alla
reputazione e alla felicità. L'antico
detto “nulla di troppo” sembra proprio detto
giustamente; ed è realmente ben detto, perché colui che lega a se stes- so tutto ciò che conduce alla felicità [92] o
a qualcosa di vicino ad essa, e non lo
fa dipendere dagli altri uomini, i cui errori, dovuti ad azioni buone o cattive, rendono
necessarianiente errate anche le azio-
ni di quello, ebbene costui si prepara a vivere nel modo migliore,
ed è questo l’uomo temperante e
coraggioso e prudente, questo appun- to
che, quando acquisirà o perderà ricchezza e figli, obbedirà il più possibile al proverbio, giacché non apparirà
né contento né addolora- to per il fatto
che si sia affidato <solo> a se stesso. Tali noi stimiamo che siano i buoni, coloro cioè che non
provano né eccessiva irritazio- ne né
eccessivo timore, nel caso che debbano morire in questo momento o subire qualche altro evento umano.
Bisogna infatti atte- nersi costantemente
a questa opinione, che cioè l’uomo buono, essen- do prudente e giusto, è felice e beato, sia
esso grande e forte ὁ picco- lo e
debole, sia ricco o no. Se è più ricco di Cinira e Mida, ma ingiu- sto, è infelice e conduce una vita di stenti;
ed “io non ne farò menzio- ne”, come
dice il poeta,99 [120dP] se è vero che dice bene, “né potrei parlare di un uomo” che non facesse o
acquistasse con giustizia tutto ciò che
di bello si è detto, e che, essendo tale, volesse attaccare da vici- no i suoi nemici, e che, essendo ingiusto,
non osasse volgere lo sguar- do al massacro
sanguinoso né vincesse nella corsa il trace Boreo, né avesse mai nessun altro dei beni di cui si è
detto, dal momento che quelli che i più
chiamano beni non lo sono in senso corretto. Si dice infatti che “la cosa migliore è la salute, al
secondo posto c’è la bellez- za e al
terzo la ricchezza”. E si parla di moltissimi altri [93] beni, giac- ché sono ritenuti tali, ad esempio, avere la
vista e l’udito acuti e tutte le altre
facoltà sensitive in buone condizioni, e ancora il potere fare da tiranno tutto ciò che si desidera, e il colmo
di ogni beatitudine, una volta che si
possieda tutto ciò, si dice che sia il divenire immortali al più presto possibile. Ma il nostro discorso
in questo momento dice che tutti questi
beni sono gli acquisti migliori per uomini giusti e santi, mentre per uomini ingiusti sono i
peggiori, a cominciare dalla salute. In
verità anche il vedere e l’udire e il percepire e la vita nel suo 422 GIAMBLICO κοῖς δὲ κάκιστα ξύμπαντα, ἀρξάμενα ἀπὸ τῆς
ὑγείας. καὶ δὴ καὶ τὸ ὁρᾶν καὶ τὸ
ἀκούειν καὶ [10] αἰσθάνεσθαι καὶ τὸ παράπαν ζῆν μέ- γιστον μὲν κακὸν τὸν ξύμπαντα χρόνον ἀθάνατον
ὄντα καὶ κεκτημέ- νον πάντα τὰ λεγόμενα
ἀγαθὰ πλὴν δικαιοσύνης καὶ ἀρετῆς
ἁπάσης, ἔλαττον δέ, ἂν ὡς ὀλίγιστον ὁ τοιοῦτος χρόνον ἐπιζῴη. λέγω γὰρ δὴ σαφῶς τὰ μὲν κακὰ λεγόμενα ἀγαθὰ
τοῖς ἀδίκοις εἶναι, τοῖς δὲ δικαίοις
κακά, τὰ δὲ ἀγαθὰ τοῖς μὲν ἀγαθοῖς ὄντως ἀγαθά,
τοῖς δὲ κακοῖς κακά. καὶ ὁ μὲν ἀδίκως ζῶν καὶ ὑβριστικῶς ἐξ ἀνάγκης αἰσχρῶς ζῇ, εἰ δὲ αἰσχρῶς, καὶ
κακῶς" ὥστε καὶ ἀηδῶς ζῇ καὶ οὐ
ξυμφερόντως ἑαυτῷ τὸν γὰρ αὐτὸν ἥδιστόν [20] te καὶ ἄριστον ὑπὸ θεῶν βίον λέγεσθαι φάσκοντες
ἀληθέστατα ἐροῦμεν. εἰ τοίνυν καὶ τὰ
ἀγαθὰ τῷ κατ᾽ ἀρετὴν βίῳ μάλιστα συνήρτηται, καὶ τότε ἐστὶν ἀγαθὰ ὄντως, καὶ τὸ χαίρειν τῷ
φιλοσοφεῖν μόνῳ συνέ- πεται, πάντων
ἕνεκα χρὴ τοῦτον τὸν βίον προαιρεῖσθαι τοὺς βουλο- μένους ὄντως εὐδαιμονεῖν. ΧΧ. Οἶμαι τοίνυν οὐκ ἀνάρμοστον εἶναι
ἐνταῦθα καὶ τὴν διὰ τῶν ὑποθηκῶν
προτροπὴν ἤδη πῶς συνεγγίζουσαν εἰς τὴν ὑφήγησιν τὸ πῶς δεῖ βιοῦν, καὶ ua[94[A10ta ἐμφαίνουσαν
τοῦτο, ὡς οὐκ ἀπέ- σπασται τὰ τοῦ λόγου
τοῦ κατὰ φιλοσοφίαν μέρη, συνεχῆ δ᾽ ἐστὶ πά-
ντα πρὸς ἄλληλα, κατὰ δὴ ταύτην οὖν τὴν μέθοδον ἀπὸ τῶν τιμιω- τάτων ἀρχώμεθα" πρῶτον, ὡς δεῖ
θεοσέβειαν ἀσκεῖν. αὕτη δὲ οὐκ ἄν
παραγένοιτο, εἰ μή τις ἀφομοιώσειε τῷ θεραπευομένῳ τὸ θερα- πεῦον, τὴν δὲ ὁμοιότητα ταύτην οὐκ ἄλλη τις ἢ
φιλοσοφία παρέχει. ἀλλὰ μὴν καὶ
ἀψεύδειαν δεῖ περὶ πολλοῦ ποιεῖσθαι" τὸ γὰρ ἀληθεύειν καὶ πρὸς θεοὺς κατὰ τὴν θείαν
ἀλή[10]θειὰν καὶ πρὸς ἀνθρώπους κατὰ τὴν
ἀνθρωπίνην ἡγεῖται ἡμῖν πάντων τῶν θείων καὶ
ἀνθρωπίνων ἀγαθῶν. τοιαύτης δὲ οὔσης τῆς ἀληθείας, μόνως διὰ φιλοσοφίας αὕτη παραγίγνεται᾽ μόνοι γὰρ
φιλοθεάμονές εἰσι τῆς ἀληθείας οἱ
φιλόσοφοι. ἔτι τοίνυν τῶν νόμων τὴν δύναμιν ἑκάστου ἐπίστασθαι προσήκει, καὶ ὡς χρηστέον αὐτοῖς
ἐστι’ ταῦτα δὲ οὐκ ἔνεστι μαθεῖν μὴ τὴν
ἀρετὴν εἰδότας, πρὸς ἣν καὶ τὴν δύναμιν καὶ
τὴν χρῆσιν τῶν νόμων ἀναφέρομεν- ἡ δὲ τῆς ἀρετῆς ἐπιτήδευσις διὰ φιλοσοφίας παραγίγνεται ὥστε καὶ [20] πρὸς
ταύτην ἡγεμών ἐστι φιλοσοφία. ἔτι τοίνυν
εἰδέναι δεῖ πῶς πρὸς ἀνθρώπους ὁμιλητέον,
3) ἀρχώμεθα è mia congettura: ἀρχόμεθα Pistelli. ΓΕ, 6,14 supra. ESORTAZIONE ALLA FILOSOFIA 423 complesso sono il peggiore dei mali, quando
si è per tutto il tempo immortali e si
possiedono tutti i cosiddetti beni, ad eccezione della giustizia e di ogni virtà, mentre è un male
minore, qualora costui [sc. chi possiede
quei presunti beni] sopravviva per il più breve tempo possibile. Intendo dire, infatti, con
chiarezza che i cosiddetti mali sono per
gli uomini ingiusti dei beni, e sono mali <solo> per i giusti, e che i beni sono realmente beni per i buoni,
e realmente mali per i malvagi. E colui
che vive in maniera ingiusta e tracotante, di necessi- tà vive in maniera turpe, e se vive in
maniera turpe, vive anche in maniera
malvagia; sicché vive anche in maniera spiacevole e non con- veniente a se stesso, [121dP] perché se
diciamo che la vita più piace- vole e
migliore è quella che cosi è detta dagli dèi, diremo la cosa più vera. Se dunque anche i beni dipendono dalla
vita virtuosa, e che solo in quel caso
sono realmente beni, e se il godimento segue soltanto al filosofare, allora in vista di ciò bisogna
preferire questo tipo di vita [sc.
quella filosofica] se si vuole essere realmente felici. 20. Credo quindi che non sia a questo punto
inadeguata anche l'esortazione fatta per
mezzo di precetti e che ormai in qualche modo
si avvicina alla descrizione di come bisogna vivere, [94] e che
mostri soprattutto questo, cioè che le
parti del discorso filosofico non sono
avulse, ma tutte in continuità tra loro. Secondo tale metodo,
dunque, partiamo anzitutto da ciò che ha
più valore, dal fatto cioè che bisogna
esercitare la pietà. Questa non verrà, se non si assimila il culto al
suo oggetto, e questa assimilazione non
è fornita da altro se non dalla filo-
sofia. Ma in verità bisogna anche dare molto peso alla sincerità,
per- ché l'essere veritieri verso gli
dèi secondo la verità divina e verso gli
uomini secondo la verità umana, ecco ciò che ci guida verso tutti i beni divini e umani. Poiché la verità è di
questa natura, soltanto con la filosofia
essa può essere raggiunta, giacché solo i filosofi amano contemplare la verità. Ancora, conviene
sapere qual è il potere di cia- scuna
legge, e come occorra servirsene; e questo non è possibile apprenderlo senza sapere quale sia la virtà
alla quale dobbiamo rife- rire sia il
potere sia l’uso delle leggi; d’altra parte la pratica della virtù si ottiene attraverso la filosofia; sicché
anche nei confronti della virtù ci fa da
guida la filosofia. Inoltre bisogna sapere come mettersi in rela- zione con gli uomini, e questo [122dP] non si
può giudicare senza esaminare quale sia
la giustificazione di ciò che conviene fare a pro- 424 GIAMBLICO τοῦτο δὲ οὐκ div τις διαγνοίη μὴ τὸν τοῦ
προσήκοντος ἀπολογισμὸν ἐπὶ πασῶν τῶν
πράξεων ἐπεσκεμμένος, τὴν ἀξίαν τε καὶ ἀπαξίαν
εἰδὼς ἑκάστου τῶν ἀνθρώπων, καὶ δυνάμενος διακρίνειν τὰ ἤθη καὶ τὰς φύσεις ἑκάστων καὶ τὰς τῆς ψυχῆς δυνάμεις
καὶ τοὺς κατὰ πά- ντα ταῦτα
συναρμόζοντας λόγους. ἀλλὰ μὴν τούτων γε οὐδὲν χωρὶς φιλοσοφίας παραγίγνεται καὶ τούτων οὖν ἕνεκα
χρήσιμος ἂν εἴη. εἰ δὲ καὶ τοὺς
θηριώδεις ἀν[9δ]θρώπους καταγωνίζεσθαι ὁ τῆς
ἀνδρείας παραγγέλλει νόμος καὶ τὰ βλαβερώτατα τῶν θηρίων χει- ροῦσθαι, χωρεῖν τε ἐπὶ τοὺς κινδύνους δεῖ
προθύμως καὶ ἐθίζεσθαι αὐτοὺς ὑπομένειν,
ἴδωμεν καὶ πρὸς ταῦτα τίς ἡμᾶς ἐπιστήμη ἢ δύνα-
μις παρασκενάζει ἐπιτηδείους. οὐδεμία ἂν ἄλλη, ὡς ἐγῴμαι, ἢ μόνη φιλοσοφία. αὕτη γὰρ διαμελετᾷ καρτερεῖν καὶ
τοῦ θανάτου κατα- φρονεῖν ἐγκράτειάν τε
ἐπιτηδεύει δι᾽ ὅλου τοῦ βίου, καὶ πρὸς μὲν
τοὺς πόνους ἐναθλεῖ γενναίως, τῶν δὲ ἡδονῶν [10] ὑπερορᾷ παντά- πασι. μόνης ἄρα ταύτης ἀντιλαμβάνεσθαι χρὴ
τοὺς βουλομένους τῶν θείων καὶ
ἀνθρωπίνων ἀγαθῶν πάντων μεταλαγχάνειν. ὡς γὰρ
ἁπλῶς εἰπεῖν, ὅ τι ἄν τις ἐθέλῃ ἐξεργάσασθαι εἰς τέλος τὸ βέλτι- στον, ἐάν τε σοφίαν ἐάν τε ἀνδρείαν ἐάν τε
εὐγλωσσίαν ἐάν τε ἀρετὴν ἢ τὴν σύμπασαν
ἢ μέρος τι αὐτῆς, ἐκ τῶνδε οἷόν τε εἶναι
κατεργάσασθαι. φῦναι μὲν πρῶτον δεῖν, καὶ τοῦτο μὲν τῇ τύχῃ ἀπο- δεδόσθαι, τὰ δὲ ἐπ᾽ αὐτῷ ἤδη τῷ ἀνθρώπῳ τάδε
εἶναι, ἐπιθυμητὴν γενέσθαι τῶν καλῶν καὶ
ἀγαθῶν φιλόπονόν τε καὶ πρωιαίτατα [20]
μανθάνοντα καὶ πολὺν χρόνον αὐτοῖς συνδιατελοῦντα. εἰ δέ τι ἀπέ- σται τούτων καὶ ἕν, οὐχ οἷόν τέ ἐστιν οὐδὲ ἐς
τέλος τὸ ἄκρον ἐξερ- γάσασθαι, ἔχοντος
δὲ ἅπαντα ταῦτα, ἀνυπέρβλητον γίγνεται τοῦτο,
ὅ τι ἂν ἀσκῇ τις τῶν ἀνθρώπων. εἰ δὴ καὶ ἐπὶ τῶν ἄλλων ἐπιστημῶν ὀρθὸν τοῦτο, πόσῳ δὴ πλέον ἐπὶ τῆς
ἡγεμονικωτάτης πασῶν τῶν τεχνῶν,
φιλοσοφίας; πόνους τε δεῖ πάντας ὑφίστασθαι γενναίως καὶ χρόνον πολὺν καταναλίσκειν εἰς τὴν μάθησιν
προθυμίαν τε εἰσφέ- ρε[ϑ6]σθαι μεγίστην.
πρὸς δὴ τούτοις, ἐξ οὗ ἄν τις βούληται δόξαν
παρὰ τοῖς ἀνθρώποις λαβεῖν καὶ τοιοῦτος φαίνεσθαι οἷος ἂν fi, αὐὖ- τίκα δεῖ νέον τε ἄρξασθαι καὶ ἐπιχρῆσθαι αὐτῷ
ὁμαλῶς ἀεὶ καὶ μὴ ἄλλοτε ἄλλως.
συγχρονισθὲν μὲν γὰρ ἕκαστον τούτων καὶ αὐτίκα
τε ἀρξάμενον καὶ συναυξηθὲν εἰς τέλος λαμβάνει βέβαιον τὴν δό- ESORTAZIONE ALLA FILOSOFIA 425 posito di ogni azione, conoscendo bene la
dignità o la mancanza di dignità di
ciascun uomo, ed essendo cosî capaci di distinguere i carat- teri e le nature di ciascuno e le facoltà
dell’anima e i discorsi adatti secondo
ogni circostanza. Ma in verità nessuna di queste cose arriva senza filosofia; e dunque questa sarà utile
in vista di tali fini. [95] Se poi la
legge del coraggio prescrive di combattere gli uomini affini alle bestie e di soggiogare le bestie più nocive,
e se bisogna andare incon- tro ai
pericoli con ardimento e abituarsi a resistere ad essi, allora dob- biamo vedere quale scienza e quale facoltà ci
prepara ad essere idonei anche a tali
eventualità. Nessun'altra, io credo, se non la sola filoso- fia, perché questa ci esercita a perseverare
e a disprezzare la morte e ci fa
praticare la continenza per tutta la vita, e ci fa affrontare nobil- mente le fatiche e ci fa sottovalutare
completamente i piaceri. Solo in essa
dunque è necessario che ci impegniamo se vogliamo partecipare di tutti i beni divini e umani.!% Infatti,
per dirla in breve, se si vuole portare
a compimento qualcosa nel migliore dei modi, si tratti di sapienza o di coraggio o di scioltezza di
linguaggio o di virti, nel suo complesso
o in una sua parte, il modo migliore di operare è quello di partire dalle seguenti basi. Anzitutto
bisogna avere disposizione natu- rale, e
questo è un dono della fortuna, poi chi è già un uomo deve avere i seguenti requisiti: essere desideroso
delle cose belle e buone e amante della
fatica e precocissimo nell’imparare e nel sostenere a lungo lo studio. Se poi manca uno solo di
tali requisiti, non c’è la minima
possibilità di portare a compimento nulla nel modo più alto, mentre chi li ha tutti questi requisiti,
[123dP] qualunque sia il com- pito che
un uomo svolga, ottiene un risultato insuperabile. Se quindi ciò è corretto a proposito di tutte le altre
scienze, quanto più lo sarà a proposito
di quella che è la più preminente fra tutte le tecniche, la filosofia? Bisogna sottomettersi nobilmente a
tutte le fatiche e spen- dere molto
tempo nell’apprendimento e [96] impegnarvisi al massi- mo. Oltre a ciò, dal momento che si voglia
acquistare fama preso gli uomini e si
voglia apparire tal quale si è, bisogna subito fin da giova- ni cominciare e continuare assiduamente ad
apprendere sempre con ritmo uniforme e
senza fasi alterne. Protratta a lungo, infatti, e inizia- ta subito e accresciuta fino in fondo,
ciascuna attività di apprendi- mento
consegue in maniera stabile fama e gloria, per le seguenti ragio- ni; si acquista già fiducia senza riserve e
si evita l'invidia degli uomi- 426
GIAMBLICO Eav καὶ τὸ κλέος διὰ τάδε,
ὅτι πιστεύεταί τε ἤδη ἀνενδοιάστως, καὶ
ὁ φθόνος τῶν ἀνθρώπων οὐ προσγίγνεται, δι᾽ ὃν τὰ μὲν οὐκ αὔξου- σιν οὐδ᾽ εὐλόγως [10] μηνύουσι, τὰ δὲ
καταψεύδονται μεμφόμενοι παρὰ τὸ
δίκαιον. οὐ γὰρ ἡδὺ τοῖς ἀνθρώποις ἄλλον τινὰ τιμᾶν (αὐ- τοὶ γὰρ στερίσκεσθαί τινος ἡγοῦνται),
χειρωθέντες δὲ ὑπὸ τῆς ἀνάγκης αὐτῆς καὶ
κατὰ σμικρὸν ἐκ πολλοῦ ἐπαχθέντες ἐπαινέται
καὶ ἄκοντες ὅμως γίγνονται" ἅμα δὲ καὶ οὐκ ἀμφιβάλλουσιν, εἴτε ἄρα τοιοῦτος ἄνθρωπός ἐστιν οἷος φαίνεται, ἢ
ἐνεδρεύει καὶ θηρεύ- εται τὴν δόξαν ἐπὶ
ἀπάτῃ, καὶ ἃ ποιεῖ, ταῦτα καλλωπίζεται
ὑπαγόμενος τοὺς ἀνθρώπους: ἐν ἐκείνῳ δὲ τῷ τρόπῳ, ᾧ ἐγὼ προεῖπον, ἀσκηθεῖσα ἡ [20] ἀρετὴ πίστιν
ἐμποιεῖ περὶ ἑαυτῆς καὶ εὔκλειαν.
ἑαλωκότες γὰρ ἤδη κατὰ τὸ ἰσχυρὸν οἱ ἄνθρωποι οὔτε τῷ φθόνῳ ἔτι δύνανται χρῆσθαι οὔτε ἀπατᾶσθαι ἔτι
οἴονται. ἔτι δὲ καὶ ὁ χρόνος συνὼν μὲν
ἑκάστῳ ἔργῳ καὶ πράγματι πολὺς καὶ διὰ
μακροῦ κρατύνει τὸ ἀσκούμενον, ὁ δὲ ὀλίγος χρόνος οὐ δύναται τοῦτο ἀπεργάζεσθαι. καὶ τέχνην μὲν ἄν τις τὴν
κατὰ λόγους πυθό- μενος καὶ μαθὼν où
χείρων τοῦ διδάσκοντος ἂν γένοιτο ἐν ὀλίγῳ
χρόνῳ, ἀρετὴ δὲ ἥτις ἐξ ἔργων πολλῶν συνίσταται, ταύτην δὲ οὐχ οἷόν τε ὀψὲ ἀρξαμένῳ οὔτε [97] ὀλιγοχρονίως
ἐπὶ τέλος ἀγαγεῖν, ἀλλὰ συντραφῆναί τε
αὐτῇ δεῖ καὶ συναυξηθῆναι τῶν μὲν εἰργόμε-
νον κακῶν καὶ λόγων καὶ ἠθῶν, τὰ δ᾽ ἐπιτηδεύοντα καὶ κατεργαζό- μενον σὺν πολλῷ χρόνῳ καὶ ἐπιμελείᾳ. ἅμα δέ
τις καὶ τῇ ἐξ ὀλίγου χρόνου εὐδοξίᾳ
προσγίγνεται βλάβη τοιάδε τοὺς γὰρ ἐξαπιναίως
καὶ ἐξ ὀλίγου χρόνου ἢ πλουσίους ἢ σοφοὺς ἢ ἀγαθοὺς ἢ ἀνδρείους γενομένους οὐκ ἀποδέχονται ἡδέως οἱ ἄνθρωποι.
εἰ δὴ ταῦτα ἀληθῆ λέγομεν, καὶ οὐχ οἷόν
τε ἄλλως τὴν [10] ὁμοιότητα τῶν ἠθῶν καὶ τὸ
βέβαιον καὶ τὸ ἀμετάπτωτον παραγίγνεσθαι ἢ διὰ μόνης φιλοσοφί- ας, καὶ τοῦτο σαφὲς γέγονεν ἐκ τούτων, ὡς, εἰ
βουλοίμεθα τελείως ἀγαθοὶ γενέσθαι
εὐκλείας τε καὶ εὐδαιμονίας ὄντως μεταλαβεῖν,
οὐκ ἄλλο τι πρακτέον ἡμῖν ἢ φιλοσοφητέον. Ἔτι τοίνυν καὶ ἥδε ἡ παραίνεσις ἐπὶ τὸ αὐτὸ
τέλος φέρει, ὡς, ὅταν τις ὀρεχθείς τινος
τοῦτο κατεργασάμενος ἔχῃ αὐτὸ εἰς τέλος, ἐάν
τε εὐγλωσσίαν ἐάν τε σοφίαν. ἐάν τε ἰσχύν, τοὐτῷ εἰς ἀγαθὰ καὶ νόμιμα καταχρῆσθαι δεῖ᾽ εἰ δὲ εἰς ἀδικά τε
καὶ ἄνομα [20] χρήσε- 34 ἐάν τε
σοφίαν: omise des Places, pur traducendolo.
ESORTAZIONE ALLA FILOSOFIA 427
ni, a causa della quale alcune attività non vengono lodate né dichiara- te ragionevoli, e altre vengono ritenute
fasulle da chi le biasima ingiu-
stamente. Agli uomini, infatti, non piace apprezzare altri (perché essi credono che ciò andrebbe a proprio
discapito), e d'altra parte, quan- do
sono vinti dalla stessa necessità <dell’evidenza> e piegati a poco a poco dalla lungaggine del loro atteggiamento,
allora essi si mettono a lodare sia pure
malvolentieri; al tempo stesso essi non dubitano più se quel tal uomo sia tale quale appare, o se
tenda qualche tranello per cercare la
fama con l’inganno e quindi abbellisca ciò che fa per ade- scare gli uomini; praticata in quel modo che
ho detto, la virtù incute fiducia e
reputazione, perché conquistati già dalla forza <dell’eviden- za>, gli uomini non riescono più a usare
<l’arma> dell’invidia <anche
perché, forse,> non credono più di essere ingannati. Inoltre, anche
il tempo, quando accompagna molto a
lungo qualsiasi operazione o fatto,
rafforza ciò che si sta praticando, cosa che non può fare il tempo breve. E mentre chi cerca di imparare
la tecnica dei discorsi, può diventare
[124dP] in breve tempo non inferiore al suo maestro, la virtà invece, che si costituisce
attraverso molteplici operazioni, può
condurla a compimento chi non ne inizi l’esercizio troppo tardi e
non vi impieghi [97] poco tempo, anzi
bisogna svilupparsi e crescere assieme
ad essa, e astenersi da discorsi e costumi cattivi, e praticarne ed esercitarne altri <che siano buoni>
con l’impiego di molto tempo e di molta
cura. Nello stesso tempo anche la gloria acquisita in poco tempo subisce un certo danno, e cioè il fatto
che coloro che improv- visamente e in
poco tempo diventano ricchi o sapienti o buoni o coraggiosi, non sono graditi agli uomini. Se
quindi queste cose che diciamo sono
vere, e non è possibile pervenire all’assimilazione dei costumi e ad una condizione di stabilità e
immutabilità se non attra- verso la sola
filosofia, anche da ciò appare certo che, se vogliamo diventare perfettamente buoni e partecipare
realmente della reputa- zione e della
felicità, non dobbiamo fare altro che filosofare. Ancora, ecco qui un monito che porta allo
steso risultato: quando dopo avere
desiderato una delle cose <di cui si è parlato>,!0! scioltez- za di linguaggio o sapienza o robustezza, la
si persegue e alla fine si riesce a
ottenerla, bisogna servirsene a scopi buoni e legittimi; se inve- ce ci si servirà a scopi ingiusti e illeciti
del bene di cui si dispone, allo- ra
questo diviene il peggiore fra tutti i mali ed è meglio perderlo piut- 428 GIAMBLICO ταί τις τῷ ὑπάρχοντι ἀγαθῷ, πάντων κάκιστον
εἶναι τὸ τοιοῦτον καὶ ἀπεῖναι κρεῖσσον
αὐτὸ ἢ rapeîvar καὶ ὥσπερ ἀγαθὸς τελέως ὁ
τούτων τι ἔχων γίγνεται εἰς τὰ ἀγαθὰ αὐτοῖς καταχρώμενος, οὕτω πάλιν πάγκακος τελέως ὁ εἰς τὰ πονηρὰ
χρώμενος. τόν τε αὖ ἀρετῆς ὀρεγόμενον
τῆς συμπάσης σκεπτέον εἶναι, ἐκ τίνος ἂν λόγου ἢ ἔργου ἄριστος εἴη᾽ τοιοῦτος δ᾽ ἂν εἴη ὁ
πλείστοις ὠφέλιμος div. εἰ μέν τις
χρήματα διδοὺς εὐεργετήσει τοὺς πλησίον, ἀναγκασθήσεται κακὸς εἶναι πάλιν αὖ συλλέγων τὰ χρήματα [98]
ἔπειτα οὐκ ἂν οὕτω ἄφθονα συναγάγοι ὥστε
μὴ ἐπιλείπειν διδόντα καὶ δωρούμε- vov:
εἶτα αὕτη αὖθις δευτέρα κακία προσγίγνεται μετὰ τὴν συναγωγὴν τῶν χρημάτων, ἐὰν ἐκ πλουσίου πένης
γένηται καὶ ἐκ κεκτημένου μηδὲν ἔχων.
πῶς ἂν οὖν δή τις μὴ χρήματα νέμων ἀλλὰ
ἄλλῳ δή τινι τρόπῳ εὐποιπτικὸς ἂν εἴη ἀνθρώπων, καὶ ταῦτα μὴ σὺν κακίᾳ ἀλλὰ σὺν ἀρετῇ; καὶ προσέτι δωρούμενος
πῶς ἂν ἔχοι τὴν δό- σιν ἀνέκλειπτον; ὧδε
οὖν ἔσται τοῦτο, εἰ τοῖς νόμοις τε [10] καὶ τῷ
δικαίῳ ἐπικουροίπ᾽ τοῦτο γὰρ τάς τε πόλεις καὶ τοὺς ἀνθρώπους τὸ συνοικίζον καὶ τὸ συνέχον εἶναι. πάλιν οὖν
καὶ ἐκ τούτου τὰ αὐτὰ συμβαίνει᾽ εἰ γὰρ
τὴν ὀρθὴν χρῆσιν πάντων τῶν ἐν τῷ βίῳ πραγ-
μάτων καὶ τὴν τοῦ νοῦ διανομὴν ἣν καλοῦμεν νόμον φιλοσοφία παραδίδωσι γνησίως, οὐδὲν ἄλλο δεῖ πράττειν ἢ
φιλοσοφεῖν ἀληθινῶς τοὺς βουλομένους τῆς
τελειοτάτης ζωῆς μεταλαμβάνειν. καὶ μὴν
ἐγκρατέστατόν γε δεῖ εἶναι πάντα ἄνδρα διαφερόντως: τοιοῦτος δ᾽ ἂν μάλιστα, εἴ τις τῶν χρημάτων
κρείσσων [20] εἴη, πρὸς ἃ πάντες
διαφθείρονται, καὶ τῆς ψυχῆς ἀφειδὴς ἐπὶ τοῖς δικαίοις ἐσπουδακὼς καὶ τὴν ἀρετὴν μεταδιώκων᾽ πρὸς
ταῦτα γὰρ δύο οἱ πλεῖστοι ἀκρατεῖς εἰσι.
διὰ τοιοῦτον δέ τι ταῦτα πάσχουσιν. φιλο-
ψυχοῦσι μέν, ὅτι τοῦτο ἢ ζωή ἐστιν ἢ ψυχή᾽ ταύτης οὖν φείδονται καὶ ποθοῦσιν αὐτὴν διὰ φιλίαν τῆς ζωῆς καὶ
συνήθειαν fi συντρέ- φονται᾽
φιλοχρηματοῦσι δὲ τῶνδς εἵνεκα, ἅπερ φοβεῖ αὐτούς. τί δ᾽ ESORTAZIONE ALLA FILOSOFIA 429 tosto che averlo; e cosi come diviene
perfettamente buono chi posse- dendo
qualcuno di tali beni se ne serve a scopi buoni, allo stesso modo diviene per converso perfettamente
malvagio chi se ne serve a scopi
malvagi. Allora chi desidera la virti nel suo complesso, deve indagare quale sia il discorso o l'operazione
partendo dalla quale egli possa diventare
un uomo ottimo; e tale egli diventerà se sarà utile ai più. Se poi per fare del bene al prossimo
dovrà elargire del denaro, [125dP]
allora egli sarà costretto a ridiventare malvagio per accumu- lare ricchezze; [98] in seguito non riuscirà
ad accumularne abbastan- za da smettere
di continuare ad elargire denaro o fare doni; e subito dopo giungerà questa ulteriore disgrazia, il
fatto cioè che da ricco diverrà povero e
da possidente nullatenente. In che modo dunque,
senza distribuire del denaro, ma in qualche altro modo, si potrà
esse- re benefattori degli uomini, e ciò
senza malvagità, ma con virtà? E ancora,
in che modo, pur continuando a donare, potrà non esaurirsi la sua capacità di donare? Ebbene, ciò
accadrà in questo modo, se cioè andrà in
soccorso delle leggi e della giustizia, giacché è questo il fattore di coabitazione e coesione delle
città e degli uomini. Ancora una volta,
dunque, anche per questa strada giungiamo al medesimo risultato: se infatti l’uso corretto di tutte
le vicende della vita e quel-
l’intelligente distribuzione delle risorse che noi chiamiamo legge, è
la filosofia che ce li insegna in
maniera egregia, allora non bisogna fare
altro se non filosofare genuinamente, se si vuole partecipare della
vita più perfetta. E in verità ogni uomo dev'essere
particolarmente continente al massimo
livello; tale è soprattutto, se è superiore alla ricchezza [sc. incorruttibile], che è ciò per cui tutti gli
uomini si lasciano corrompe- re, e se
non risparmia la sua vita nel trattare seriamente diritti e dove- ri di ciascuno!?2 e nel perseguire la virti,
perché è appunto nei riguar- di di
queste due qualità che i pit si rivelano incontinenti. Ed essi acquistano queste qualità a causa di una
ragione come questa: da un lato amano la
loro anima, perché l’anima è il principio che li fa vive- re; e quindi la trattano con riguardo e la
coccolano per amore della vita e perché
sono abituati a crescere insieme con essa; dall'altro lato però amano la ricchezza in vista delle cose
che essi temono. Quali [99] cose? Le
[126dP] malattie, la vecchiaia, i guai improvvisi, inten- do dire quelli che non sono conseguenza delle
leggi (perché da questi 430
GIAMBLICO [99] ἐστὶ ταῦτα; αἱ νόσοι,
τὸ γῆρας, αἱ ἐξαπιναῖοι ζημίαι, οὐ τὰς ἐκ
τῶν νόμων λέγω ζημίας (ταύτας μὲν γὰρ καὶ εὐλαβηθῆναι ἔστι καὶ φυλάξασθαι), ἀλλὰ τὰς τοιαύτας, πυρκαϊάς,
θανάτους οἰκετῶν, τετραπόδων, ἄλλας αὖ
συμφοράς, αἱ περίκεινται αἱ μὲν τοῖς σώμα-
σιν, αἱ δὲ ταῖς ψυχαῖς, αἱ δὲ τοῖς χρήμασι. τούτων δὴ οὖν ἕνεκα πάντων, ὅπως ἐς ταῦτα ἔχωσι χρῆσθαι τοῖς
χρήμασι, πᾶς ἀνὴρ τοῦ πλούτου ὀρέγεται.
καὶ ἄλλ᾽ ἄττα δέ ἐστιν ἅπερ οὐχ ἧσσον ἢ τὰ προ-
eipnuéva [10] ἐξορμᾷ τοὺς ἀνθρώπους ἐπὶ τὸν χρηματισμόν, αἱ πρὸς ἀλλήλους φιλοτιμίαι καὶ οἱ ζῆλοι καὶ αἱ
δυναστεῖαι, δι᾽ ἃς τὰ χρήματα περὶ
πολλοῦ ποιοῦνται, ὅτι συμβάλλεται εἰς τὰ τοιαῦτα. ὅστις δέ ἐστιν ἀνὴρ ἀληθῶς ἀγαθός, οὗτος οὐκ
ἀλλοτρίῳ κόσμῳ περικειμένῳ τὴν δόξαν
θηρᾶται, ἀλλὰ τῇ αὑτοῦ ἀρετῇ. διόπερ ἐπεὶ
φιλοσοφία εἰς ἑαυτὸν ἀνηρτῆσθαι ποιεῖ τῷ ἀγαθῷ πάντα, παθῶν δὲ καὶ τῆς ἔξω χρείας ἀφίστησιν, εἴη ἂν
χρησιμωτάτη πασῶν πρὸς τὸν εὐδαίμονα
βίον. καὶ περὶ φιλοψυχίας δὲ ὧδε ἄν τις πεισθείη, ὅτι, εἰ μὲν [20] ὑπῆρχε τῷ ἀνθρώπῳ εἰ μὴ ὑπ᾽ ἄλλου
ἀποθάνοι ἀγήρῳ τε εἶναι καὶ ἀθανάτῳ τὸν
λοιπὸν χρόνον, συγγνώμη ἂν πολλὴ τῷ φει-
δομένῳ τῆς ψυχῆς; ἐπεὶ δὲ ὑπάρχει τῷ βίῳ μηκυνομένῳ τό τε γῆρας κάκιον ὃν ἀνθρώποις καὶ μὴ ἀθάνατον εἶναι,
καὶ ἡ ἀμαθία ἤδη ἐστὶ μεγάλη καὶ
συνήθεια πονηρῶν λόγων τε καὶ ἐπιθυμημάτων, ταύτην περιποιεῖν ἐπὶ δυσκλείᾳ, ἀλλὰ μὴ ἀθάνατον
ἀντ᾽ αὐτῆς λείπεσθαι, ἀντὶ θνητῆς οὔσης
εὐλογίαν ἀέναον καὶ ἀεὶ ζῶσαν. εἰ τοίνυν μόνη
φιλοσοφία [100] μελέτην ἐμποιεῖ θανάτου καὶ καταφρόνησιν, ἐπὶ δὲ τὴν ἀθάνατον καὶ ἀεὶ οὖσαν ζωὴν ἐπανάγει καὶ
τοὺς ἀεὶ ὄντας λό- γους ἀναδιδάσκει καὶ
τούτους ζηλοῦν ἐθίζει, πασῶν ἂν εἴη καὶ διὰ
τοῦτο ὠφελιμωτάτη. Ἔτι τοίνυν
οὐκ ἐπὶ πλεονεξίαν ὁρμᾶν δεῖ, οὐδὲ τὸ κράτος τὸ ἐπὶ τῇ πλεονεξίᾳ ἡγεῖσθαι ἀρετὴν εἶναι, τὸ δὲ τῶν
νόμων ὑπακούειν δει- λίαν"
πονηροτάτη γὰρ αὕτη ἡ διάνοιά ἐστι, καὶ ἐξ αὐτῆς πάντα τά- ναντία τοῖς ἀγαθοῖς γίνεται, κακία τε καὶ
βλάβη. εἰ γὰρ [10] ἔφυσαν μὲν οἱ
ἄνθρωποι ἀδύνατοι καθ᾽ ἕνα ζῆν, συνῆλθον δὲ πρὸς ΕΘΟΚΤΑΖΙΟΝΕ ALLA FILOSOFIA 431 che conseguono alle leggi ci si può
difendere e preservare), ma altri quali,
ad esempio, incendi, morti di parenti o di quadrupedi [sc. di animali domestici], e di altre sciagure
ancora, tra cui alcune incidono sul
corpo, altre sull’anima, altre infine sugli averi. In vista di tutte que- ste sciagure, per potere fronteggiarle
servendosi della propria ricchez- za,
ogni uomo aspira a diventare ricco. Ma ci sono altri motivi, non meno forti di questi di cui parliamo, che
spingono gli uomini ad accu- mulare
ricchezza, cioè le rivalità tra di loro e le emulazioni e <soprat- tutto l’amore per> il potere, in forza del
quale essi danno molto peso alla
ricchezza, in quanto <credono> che questa giovi molto in quelle circostanze. Ma chiunque sia uomo veramente
buono non va a caccia della fama
circondato di un ornamento a lui estraneo, ma per mezzo della sua propria virtà. Perciò, dal momento
che è la filosofia che nel- l’uomo buono
fa dipendere ogni cosa da lui, ed è essa che lo allonta- na dalle passioni e dal bisogno esteriore,
sarà essa l’attività più utile per la
vita felice. E a proposito dell'amore per la vita, in questo caso ci si dovrà convincere che, se all'uomo fosse
dato, sempreché qualcu- n’altro non lo
uccida, di non invecchiare ed essere immortale per sem- pre, sarebbe assolutamente scusato chi
volesse risparmiarla; ma poi- ché con il
protrarsi della vita è dato di invecchiare, che è cosa piutto- sto penosa per gli uomini, e di non essere
immortali, allora è senz’al- tro una
grande ignoranza dovuta alla familiarità con discorsi e deside- ri malvagi, il volerla conservare a costo di
ignominia, anziché lasciare al suo posto
qualcosa di immorale, lasciare cioè al posto della vita che è mortale un elogio imperituro e sempre vivo.
[100] Se dunque è la sola filosofia che
ispira [127dP] la meditazione sulla morte e il <con- seguente> disprezzo di essa, e d’altra
parte la filosofia conduce ad una vita
immortale ed eterna e insegna discorsi eterni e abitua ad esserne gelosi, allora essa sarà per tutto questo
anche l’attività più vantaggio- sa fra
tutte. Ancora, quindi, non bisogna
spingersi all’arroganza, né credere che
il dominio fondato sull’arroganza sia una virtà, mentre l’obbe- dienza alle leggi sia una viltà, perché una
tale idea è assolutamente malvagia, e da
essa deriva agli uomini tutto il contrario, cioè vizio e danno. Se infatti gli uomini sono per natura
incapaci di vivere isolata- mente, e
cedendo alla necessità si radunarono tra loro, e fu trovato cosî ogni tipo di vita possibile per loro con
i relativi strumenti tecni- 432
GIAMBLICO ἀλλήλους τῇ ἀνάγκῃ εἴκοντες,
πᾶσα δὲ ἡ ζωὴ αὐτοῖς εὕρηται καὶ τὰ
τεχνήματα πρὸς αὐτήν, σὺν ἀλλήλοις δὲ εἶναι αὐτοὺς καὶ ἀνομίᾳ διαιτᾶσθαι οὐχ οἷόν τε (μείζω γὰρ αὐτοῖς
ζημίαν οὕτω γίγνεσθαι ἐκείνης τῆς κατὰ
ἕνα διαίτης), διὰ ταύτας τοίνυν τὰς ἀνάγκας τόν
τε νόμον καὶ τὸ δίκαιον ἐμβασιλεύειν τοῖς ἀνθρώποις καὶ οὐδαμῇ μεταστῆναι ἂν avra: φύσει γὰρ ἰσχυρὰ
ἐνδεδέσθαι ταῦτα. εἰ μὲν δὴ γένοιτό τις
ἐξ ἀρχῆς φύσιν τοιάνδε ἔχων, ἄτρωτος τὸν χρῶτα [20] ἄνοσός τε καὶ ἀπαθὴς καὶ ὑπερφυὴς καὶ
ἀδαμάντινος τό τε σῶμα καὶ τὴν ψυχήν, τῷ
τοιούτῳ ἴσως ἄν τις ἀρκεῖν ἐνόμισε τὸ ἐπὶ τῇ
πλεονεξίᾳ κράτος (τὸν γὰρ τοιοῦτον τῷ νόμῳ μὴ ὑποδύνοντα δύνα- σθαι ἀθῷον εἶναι), οὐ μὴν ὀρθῶς οὗτος οἴεται
εἰ γὰρ καὶ τοιοῦτός τις εἴη, ὡς οὐκ ἂν
γένοιτο, τοῖς μὲν νόμοις συμμαχῶν καὶ τῷ δικαίῳ
καὶ ταῦτα κρατύνων καὶ τῇ ἰσχύι χρώμενος ἐπὶ ταῦτά τε καὶ τὰ τού- τοις ἐπικουροῦντα, οὕτω μὲν ἂν σῴζοιτο ὁ
τοιοῦτος, ἄλλως δὲ οὐκ ἂν διαμένοι᾽
δοκεῖν γὰρ ἂν τοὺς ἅπαντας ἀν[101]θρώπους τῷ
τοιούτῳ φύντι πολεμίους κατασταθέντας διὰ τὴν ἑαυτῶν εὐνομίαν, καὶ τὸ πλῆθος ἢ τέχνῃ ἢ δυνάμει ὑπερβαλέσθαι
ἂν καὶ περιγενέ- σθαι τοῦ τοιούτου
ἀνδρός. οὕτω φαίνεται καὶ αὐτὸ τὸ κράτος, ὅπερ
δὴ κράτος ἐστί, διά τε τοῦ νόμου καὶ διὰ τὴν δίκην σῳζόμενον. χωρὶς δὲ τούτων αὐτὸ δι᾽ αὑτὸ αἱρετόν ἐστι τὸ
δίκαιον, καὶ φύσει πρὸς αὐτὸ πεφύκαμεν.
κἂν μηδὲν οὖν τῶν ἔξωθεν περιγίγνηται κἄν
ἐλαττώματά τινα συμβαίνῃ ἀνθρώπινα, δικαιοπραγεῖν [10] ἄξιον, ὡς τούτου ὄντος πᾶσι τιμιωτάτου. Μαθεῖν δὲ ἄξιον καὶ ταῦτα περὶ τῆς εὐνομίας
τε καὶ ἀνομίας, ὅσον διαφέρετον
ἀλλήλοιν, καὶ ὅτι μὲν εὐνομία ἄριστον εἴη καὶ κοινῇ καὶ ἰδίᾳ, ἡ ἀνομία δὲ κάκιστον᾽ αἱ γὰρ
παραχρῆμα βλάβαι γίγνον- ται ἐκ τῆς
ἀνομίας. ἀρξώμεθα δὲ τὰ τῆς εὐνομίας δηλοῦν, ἅπερ γί- γνεται πρότερα. Πίστις μὲν πρώτη ἐγγίγνεται ἐκ τῆς εὐνομίας
μεγάλα ὠφελοῦσα τοὺς ἀνθρώπους τοὺς
σύμπαντας, καὶ τῶν μεγάλων ἀγαθῶν τοῦτό
ESORTAZIONE ALLA FILOSOFIA 433
ci, e d'altra parte non è possibile che essi stiano insieme tra loro e
con- vivano anche in assenza di leggi
(perché questo sarebbe per loro una pena
maggiore che non il convivere isolatamente), in forza, quindi, di queste necessità devono regnare tra gli uomini
la legge e la giustizia ed essi non
possono mai rimuoverle, giacché esse sono per loro dei forti legami naturali. Se poi qualcuno
dovesse essere fin dalla nascita in
possesso di una natura tale da essere fisiologicamente invulnerabi- le ed esente da malattie e da afflizioni e
<insomma> di natura straor-
dinaria e resistente come l’acciaio sia nel corpo che nell'anima,
si potrebbe forse credere che a costui
possa bastare il suo dominio fon- dato
sull’arroganza (perché avendo tale natura, anche se non ubbidi- sce alla legge, può restare impunito), ma
certo non potrebbe essere ritenuto tale
correttamente, perché, anche ad avere tale natura, cosa impossibile che accada, potrebbe salvarsi solo
a condizione che si alleasse con le
leggi e la giustizia e le rafforzasse ed esercitasse la forza in favore di esse e di ciò che le preserva,
altrimenti non sopravvivreb- be, perché
entrerebbero in ballo tutti quanti gli uomini [101] che [128dP] si costituirebbero come nemici di un
uomo di tale natura in virti del loro
proprio senso della legalità, e la massa prevarrebbe o con espedienti o con la potenza e avrebbe la
meglio contro un uomo del genere. Allo
stesso modo sembra che anche il dominio, che è
appunto un “diritto di comandare”, è salvo <solo> in virtà della
legge e della giustizia.!9 A parte ciò,
la giustizia è desiderabile in sé e per
sé, e noi siamo disposti per natura in favore di essa. E dunque,
anche se non conseguiamo nessuno dei
beni esteriori o ci capita di avere
qualche umana imperfezione, è opportuno agire secondo giustizia, come se ciò fosse per tutti noi la cosa più
preziosa. E opportuno poi apprendere
anche le seguenti cose intorno a
legalità e illegalità, cioè quanto queste siano diverse l’una
dall’altra, e il fatto che mentre la
legalità è quanto di meglio può esserci sia per la vita pubblica che per quella privata,
l'illegalità invece è quanto di peg- gio
può esserci <per esse>, giacché i danni per loro nascono diretta- mente dall’illegalità. Cominceremo
<dunque> a mostrare quali siano i
vantaggi della legalità. Il primo
vantaggio è la grande fiducia che nasce dalla legalità, fiducia che è utile a tutti quanti gli uomini
ed è uno dei loro grandi beni, perché da
essa nasce la ricchezza comune, e cosi anche quando 434 GIAMBLICO Éot' κοινὰ γὰρ tà χρή[20]ματα γίγνεται ἐξ
αὐτῆς, καὶ οὕτω μὲν ἐὰν καὶ ὀλίγα ἦ
ἐξαρκεῖ ὅμως κυκλούμενα, ἄνευ δὲ. ταύτης οὐδ᾽ ἂν πολλὰ ἦ ἐξαρκεῖ. Καὶ αἱ τύχαι δὲ αἱ εἰς τὰ χρήματα καὶ τὸν
βίον, αἵ τε ἀγαθαὶ καὶ μή, ἐκ τῆς
εὐνομίας τοῖς ἀνθρώποις προσφορώτατα κυβερνῶνται: τούς τε γὰρ εὐτυχοῦντας ἀσφαλεῖ αὐτῇ χρῆσθαι
καὶ ἀνεπιβου- λεύτῳ, τούς τε αὖ
δυστυχοῦντας ἐπικουρεῖσθαι ἐκ τῶν εὐτυχούντων
διὰ τὴν ἐπιμιξίαν τε καὶ πίστιν, ἅπερ ἐκ τῆς εὐνομίας γίγνεται. [102] Τόν τε αὖ χρόνον τοῖς ἀνθρώποις διὰ τὴν
εὐνομίαν εἰς μὲν τὰ πράγματα ἀργὸν
γίγνεσθαι, εἰς δὲ τὰ ἔργα τῆς ζωῆς ἐργάσιμον.
Φροντίδος δὲ τῆς μὲν ἀηδεστάτης ἀπηλλάχθαι τοὺς ἀνθρώπους ἐν τῇ εὐνομίᾳ, τῇ δὲ ἡδίστῃ συνεῖναι᾽ πραγμάτων μὲν
γὰρ φροντίδα ἀηδε- στάτην εἶναι, ἔργων
δὲ ἡδίστην. Εἴς τε αὖ τὸν ὕπνον ἰοῦσιν,
ὅπερ ἀνάπαυμα κακῶν ἐστιν ἀνθρώποις,
ἀφόβους μὲν καὶ ἄλυπα μερι[10]μνῶντας ἔρχεσθαι εἰς αὐτόν, γιγνο- μένους δὲ ἐπ᾽ αὐτοῦ ἕτερα τοιαῦτα πάσχειν,
καὶ μὴ ἐμφόβους ἐξά- πινα καθίστασθαι,
οὐδ᾽ ἐκ μεταλλαγῆς ἡδίστης τοῦ γνωστὴν τὴν
ἡμέραν εἶναι προσδέχεσθαι, ἀλλὰ ἡδέως φροντίδας μὲν ἀλύπους περὶ τὰ ἔργα τῆς ζωῆς ποιουμένους, τοὺς
πόνους δὲ τῇ ἀντιλήψει ἀγαθῶν ἐλπίσιν
εὐπίστοις καὶ εὐπροσδοκήτοις ἀνακουφίζοντας, ὧν
πάντων τὴν εὐνομίαν αἰτίαν εἶναι.
Καὶ τὸ κακὰ μέγιστα τοῖς ἀνθρώποις πορίζον, πόλεμον ἐπιφερόμε- νον εἰς καταστροφὴν καὶ δούλωσιν, καὶ [20]
τοῦτο ἀνομοῦσι μὲν μᾶλλον ἐπέρχεσθαι,
εὐνομουμένοις δ᾽ ἧσσον. Καὶ ἄλλα δὲ
πολλά ἐστιν ἐν τῇ εὐνομίᾳ ἀγαθά, ἅπερ ἐπικουρήματα τῇ ζωῇ καὶ παραψυχὴ τῶν χαλεπῶν ἐξ αὐτῆς
γίγνεται᾽ τὰ δ᾽ ἐκ τῆς ἀνομίας κακὰ
ἀποβαίνοντα τάδε ἐστίν. Ἄσχολοι μὲν
πρῶτον οἱ ἄνθρωποι πρὸς τὰ ἔργα γίγνονται καὶ ἐπι- μελοῦνται τοῦ ἀηδεστάτου, πραγμάτων [103]
ἀλλ᾽ οὐκ ἔργων, τά τε χρήματα δι᾽
ἀπιστίαν καὶ ἀμιξίαν ἀποθησαυρίζουσιν ἀλλ᾽ οὐ κοι- νοῦνται, καὶ οὕτως σπάνια γίγνεται, ἐὰν καὶ
πολλὰ fi. Αἵ τε τύχαι ai φλαῦραι καὶ αἱ
ἀγαθαὶ εἰς τἀναντία ὑπηρετοῦσιν᾽ ἥ
ESORTAZIONE ALLA FILOSOFIA 435
ce ne sia poca essa è tuttavia sufficiente se fatta circolare,
mentre senza fiducia la ricchezza, anche
se abbondante, non è sufficiente. Anche
le fortune relative alla ricchezza e alla vita, siano esse buone o no, sono governate dalla legalità nel
modo più conveniente per gli uomini,
perché coloro che hanno buona fortuna se ne posso- no servire perché la legalità è sicura e non
insidiosa, e coloro che hanno cattiva
fortuna ricevono soccorso da coloro che hanno buona fortuna in virtù delle relazioni che hanno con
loro e della loro affida- bilità,
requisiti che nascono <come si è detto> dalla legalità [102] Anche il tempo, poi, grazie alla
legalità diviene per gli uomini inattivo
per gli affari, e attivo per le opere della vita.10 Nella legalità poi gli uomini possono
liberarsi dei pensieri più sgradevoli,
[129dP] e convivere con quelle più piacevoli, perché gli affari sono fonte di sgradevolissime
occupazioni, mentre le opere della vita
sono fonte di piacevolissimi pensieri.
Anche quando poi si affidano al sonno, che è per gli uomini come una pausa dai loro mali, essi lo fanno senza
provare timore né ansie dolorose, e
ridestandosi provano altre cose del genere, e non si leva- no improvvisamente pieni di timore e non
attendono che da un tanto piacevole
mutamento nasca nuovo giorno, anzi si prendono piacevo- le e non dolorosa cura delle opere della loro
vita, e sentono le fatiche più leggere
sperando fiduciosamente e aspettando di ricevere in cam- bio dei beni, tutte cose di cui è causa la
legalità. Anche ciò che procura agli
uomini i mali più grandi, cioè la guer-
ra che porta al rovesciamento <dello stato> e alla schiavitii,
anche questa colpisce più quelli che
vivono nell’illegalità, e meno quelli che
vivono nella legalità. E molti
altri sono i beni della legalità, che vengono da questa generati come ausili per la vita e sollievo
dalle difficoltà; mentre i mali che
discendono dalla illegalità sono i seguenti.
Gli uomini anzitutto non hanno <mai> tempo libero per le loro opere e si curano <solo> di ciò che è
pit sgradevole, cioè di affari [103] ma
non di opere, e la ricchezza la accumulano per diffidenza e mancanza di relazioni sociali, senza metterla
in comune, e cosi diven- ta rara, anche
se ce n’è molta. E le fortune, cattive
o buone che siano, stanno al servizio del loro
contrario, sia perché nell’illegalità o la buona fortuna non è sicura,
ma 436 GIAMBLICO τε γὰρ εὐτυχία οὐκ ἀσφαλής ἐστιν ἐν τῇ
ἀνομίᾳ ἀλλ᾽ ἐπιβουλεύε- ται, ἥ τε δυστυχία
οὐκ ἀπωθεῖται ἀλλὰ κρατύνεται διὰ τὴν ἀπιστί-
αν καὶ ἀμιξίαν. Ὅ τε πόλεμος
ἔξωθεν μᾶλλον ἐπάγεται καὶ ἡ οἰκεία στάσις ἀπὸ τῆς αὐτῆς αἰτίας, καὶ ἐὰν μὴ πρόσθεν [10]
γίγνηται, τότε συμβαίνει" ἔν τε
πράγμασι συμβαίνει καθεστάναι ἀεὶ διὰ ἐπιβουλὰς τὰς ἐξ ἀλλήλων, δι᾽ ἅσπερ εὐλαβουμένους τε διατελεῖν
καὶ ἀντεπιβουλεύ- οντας ἀλλήλοις. Καὶ οὔτε ἐγρηγορόσιν ἡδείας τὰς φροντίδας
εἶναι οὔτε ἐς τὸν ὕπνον ἀπερχομένοις
ἡδεῖαν τὴν ὑποδοχὴν ἀλλὰ ἐνδείματον, τήν τε ἀνέ- γερσιν ἔμφοβον καὶ πτοοῦσαν τὸν ἄνθρωπον ἐπὶ
μνήμας κακῶν ἐξα- πιναίους ἄγειν’ ἅπερ
ἐκ τῆς ἀνομίας ταῦτά τε καὶ τὰ ἄλλα κακὰ τὰ
προειρημένα ἅπαντα ἀποβαίνει.
[20] Γίνεται δὲ καὶ ἡ τυραννίς, κακὸν τοσοῦτόν τε καὶ τοιοῦτον, οὐκ ἐξ ἄλλου τινὸς ἢ ἀνομίας. οἴονται δέ
τινες τῶν ἀνθρώπων, ὅσοι μὴ ὀρθῶς
συμβάλλονται, τύραννον ἐξ ἄλλου τινὸς καθίστασθαι καὶ τοὺς ἀνθρώπους στερίσκεσθαι τῆς ἐλευθερίας
οὐκ αὐτοὺς αἰτίους ὄντας, ἀλλὰ
βιασθέντας ὑπὸ τοῦ κατασταθέντος τυράννου, οὐκ
ὀρθῶς ταῦτα λογιζόμενοι ὅστις γὰρ ἡγεῖται βασιλέα ἢ τύραννον" ἐξ ἄλλου τινὸς γίγνεσθαι ἢ ἐξ ἀνομίας τε καὶ
πλεονεξίας, μωρός ἐστιν. ἐπειδὰν γὰρ
ἅπαντες ἐπὶ κακίαν τράπωνται, τότε τοῦτο γί-
yvetar: [104] οὐ γὰρ οἷόν τε ἀνθρώπους ἄνευ νόμων καὶ δίκης ζῆν. ὅταν οὖν ταῦτα τὰ δύο ἐκ τοῦ πλήθους ἐκλίπῃ,
ὅ τε νόμος καὶ ἡ δίκη, τότε ἤδη εἰς ἕνα
ἀποχωρεῖν τὴν ἐπιτροπίαν τούτων καὶ
φυλακήν. πῶς γὰρ ἂν ἄλλως εἰς ἕνα μοναρχία repiotain, εἰ μὴ τοῦ νόμου ἐξωσθέντος τοῦ τῷ πλήθει συμφέροντος;
δεῖ γὰρ τὸν ἄνδρα τοῦτον, ὃς τὴν δίκην
καταλύει καὶ τὸν νόμον τὸν πᾶσι κοινὸν καὶ
συμφέροντα ἀφαιρήσεται, ἀδαμάντινον γενέσθαι, εἰ μέλλει συλ- ήσειν ταῦτα παρὰ τοῦ πλήθους τῶν [10]
ἀνθρώπων εἷς ὧν παρὰ πολλῶν σάρκινος δὲ
καὶ ὅμοιος τοῖς λοιποῖς γενόμενος ταῦτα μὲν
οὐκ ἂν δυνηθείη ποιῆσαι, τἀναντία δὲ ἐκλελοιπότα καθιστὰς μοναρχήσειεν dv’ διὸ καὶ γιγνόμενον τοῦτο
ἐνίους τῶν ἀνθρώπων λανθάνει. εἰ τοίνυν
τοσούτων μὲν αἰτία κακῶν ἐστιν ἀνομία,
35 τύραννον: τύραννου erron. des Places. ESORTAZIONE ALLA FILOSOFIA 437 insidiosa, sia perché la cattiva fortuna
non può essere rimossa, ché anzi è
rafforzata dalla inaffidabilità e dalla mancanza di relazioni sociali.
[130dP] Anche la guerra esterna e la sedizione interna dipendo- no dalla stessa causa, e se non si sono
prodotte prima, accadono pro- prio nel
momento della illegalità; e accade che ci si trovi sempre impe- gnati negli affari a causa di reciproche
insidie, per le quali si è in con- tinuo
sospetto e pronti a controinsidiarsi reciprocamente. Né si hanno gradevoli pensieri quando ci si
sveglia né quando si va a dormire si ha
un rilassamento piacevole, anzi pieno di angoscia, e il risveglio è per l’uomo pieno di timori e
sconvolgente; e porta a repentini
ricordi di sventure; sono questi gli effetti della illegalità e accadono anche tutti gli altri mali di cui si
è detto. Ma anche la tirannide, un male
tanto grande e di cosî grave natu- ra,
non deriva da altro se non dalla illegalità. Alcuni uomini, che fanno congetture scorrette, credono che il
tiranno si imponga per tut- t’altra
causa, e che se gli uomini perdono la libertà, non sono loro la causa, perché essi subiscono violenza dal
tiranno costituito, ma un tale
ragionamento non è corretto, perché chiunque pensi che un re o un tiranno derivi da altra causa che non
siano l’illegalità e l’arrogan- za, è un
folle, giacché quando tutti quanti siano divenuti malvagi, solo allora ciò accade, [104] perché non è
possibile che gli uornini vivano senza
leggi e senza giustizia. Quando dunque vengono a mancare alla collettività queste due condizioni, cioè la
legge e la giustizia, solo allo- ra si
affida ad un solo uomola tutela e la salvaguardia di queste. Come potrebbe, infatti, ridursi altrimenti nelle
mani di un solo uomo la sovranità, se
non perché la legge, che spetta <di diritto> alla colletti- vità, viene cacciata fuori di essa? Ebbene,
occorre che quest'uomo [sc. il tiranno],
che sovvertirà la giustizia e cancellerà la legge che è comu- ne e conveniente a tutti, sia forte come
l’acciaio, se intende spogliare di tali
privilegi la stragrande maggioranza degli uomini, egli che è uno solo contro molti; [131dP] ma poiché egli è un
uomo in carne ed ossa, simile quindi al
resto degli uomini, non potrà fare tutto questo, ma solo dopo avere eliminato tutto ciò che
gli si oppone potrà inse- diarsi come
monarca assoluto; è questa la ragione per cui questo feno- meno rimane occulto ad alcuni uomini. Se
dunque causa di tante scia- gure è
l’illegalità, mentre la legalità è un bene cosî grande, non è pos- 438 GIAMBLICO τοσοῦτον δὲ ἀγαθὸν ebvopia, οὐκ ἄλλως
ἔνεστι τυχεῖν εὐδαιμονίας εἰ μή τις
νόμον ἡγεμόνα προστήσαιτο τοῦ οἰκείου βίου. οὗτος δ᾽ ἐστὶ λόγος ὀρθός, προστάττων μὲν ἃ δεῖ ποιεῖν
ἀπαγορεύων δὲ ἃ μὴ χρῆ, ἔν τε τῷ παντὶ
κόσμῳ καὶ ἐν πόλεσι καὶ ἐν ἰδίοις [20] οἴκοις
καὶ αὐτῷ τινι ἑκάστῳ πρὸς ἑαυτόν. εἰ τοίνυν τὸν τοιοῦτον λόγον περὶ ἀγαθῶν καὶ κακῶν ὄντα καὶ καλῶν καὶ
αἰσχρῶν οὐχ οἷόν τε ἄλλως μαθεῖν καὶ
γνόντα τελεώσασθαι, εἰ μή τις τελέως φιλοσο-
φήσειε, τούτων ἕνεκα φιλοσοφίαν ἀσκητέον πάντων μάλιστα τῶν ἀνθρωπίνων ἐπιτηδευμάτων. XXI. Τελευταῖον δὴ τρόπον εἰς προτροπὴν
τίθεμεν τὸν ἀπὸ τῶν συμβόλων, τὸν μὲν
ἴδιον ὄντα τῆς αἱρέ[05]σεὼς καὶ ἀπόρρητον
πρὸς τὰς ἄλλας ἀγωγάς, τὸν δὲ δημώδη καὶ κοινὸν πρὸς ἐκείνας, τρί- τον δὲ παρ᾽ ἀμφότερα μέσον ἀμφοῖν οὔτε
παντάπασι δημώδη οὔτε μὴν ἄντικρυς
Πυθαγορικόν, ἀλλ᾽ οὐδὲ ἀπηλλαγμένον ὁλοσχερῶς
ἑκατέρου. τῶν γὰρ λεγομένων Πυθαγορικῶν συμβόλων ὅσα dv ἀξιομνημόνευτα ἡμῖν φαίνηται καὶ τὸ
προτρεπτικὸν εἶδος παρα- δεικνύῃ
ἐκθέμενοι, διεγνώκαμεν ἐξήγησιν ποιήσασθαι τὴν πρέπου- σαν αὐτῶν εἰς παράκλησιν, ἐκ τοῦ τοιούτου
νομίζοντες πλήρη καὶ [10] ἐντελεστέραν
προτροπὴν εἰς φιλοσοφίαν ἐνήσειν τοῖς ἐντευξο-
μένοις μᾶλλον ἢ εἰ διὰ πλειόνων στίχων ποιοίμεθα τὴν προτροπήν. καθὸ μὲν οὖν ἐξωτερικάς τινας ἐπιλύσεις καὶ
κοινὰς πάσης φιλοσο- φίας ἐντάξομεν
αὐτῷ, κατὰ τοῦτο ἡγητέον αὐτὸ κεχωρίσθαι
Πυθαγορικοῦ βουλήματος, καθὸ δὲ καὶ τὰς τῶν ἀνδρῶν τούτων κυριωτάτας περὶ ἑκάστου δόξας ἐγκαταμίξομεν,
κατὰ τοῦτο πάλιν οἰκεῖον μὲν
Πυθαγορικῶν, ἀλλότριον δὲ τῶν ἄλλων φιλοσόφων
καλῶς ἔχει τίθεσθαι αὐτό. λεληθότως δέ, ὡς εἰκός, ἀποπαιδαγω- γήσει μὲν τοῦτο [20] ἡμᾶς ἀπὸ τῶν ἐξωτερικῶν
ἐννοιῶν, προσάξει δὲ καὶ οἰκειώσει
μάλιστα ταῖς προκειμέναις καὶ κατὰ τήνδε τὴν
αἵρεσιν τεχνολογουμέναις παρακλήσεσιν, οἷά τις γέφυρα ἢ κλῖμαξ κάτωθεν ἄνω καὶ εἰς ὕψος ἐκ βάθους ἀνιμῶσα
πολλοῦ καὶ ἀνάγου- σα τὴν ἑκάστου τῶν
γνησίως προσεξόντων διάνοιαν εἰς γὰρ τὸ
τοιοῦτο καὶ ἐμηχανήθη κατὰ μίμησιν καὶ ἀπόμαξιν τῶν προλξχ- θέντων. οἱ γὰρ παλαιότατοι καὶ αὐτῷ
συγχρονήσαντες καὶ [106] ESORTAZIONE
ALLA FILOSOFIA 439 sibile altrimenti
essere felici se non venga prima imposta la legge come guida della propria vita. E questa legge
non è altro che un cor- retto
ragionamento, che prescrive le cose che bisogna fare e interdice quelle che bisogna non fare, e fa questo
nell’intero universo e nelle città e
nelle case private e in ciascuno di noi preso singolarmente. Se dunque un tale ragionamento concerne beni e
mali e bello e brutto, non è possibile
apprenderlo e conoscerlo in modo completo altrimen- ti se non filosofando alla perfezione, e
<quindi> è in vista di ciò che
bisogna esercitare la filosofia al di sopra di ogni umana
occupazione. 21. Infine noi trattiamo
l’esortazione in questi altri <tre> modi:
quello per simboli, che appartiene propriamente [105] alla scuola <pitagorica> ed è nascosto a tutte le
altre scuole, quello volgare e comune a
tutte le scuole, come terza infine quello mediano tra le due, che non è né assolutamente volgare né
direttamente pitagorico, ma neppure
avulso completamente dall'uno e dall’altro. Infatti, dopo avere esposto, tra i cosiddetti simboli
pitagorici, quelli che ci appari- ranno
come degni di menzione e che rappresentano la forma protret- tica <vera e propria>, abbiamo deciso
di farne un’esposizione che sia
appropriata per una raccomandazione, credendo che in tal modo pos- siamo infondere in coloro che si imbattono in
questo scritto un’esor- tazione piena e
piuttosto perfetta alla filosofia più che se facessimo un’esortazione con molte più linee. [132dP]
Noi vi introdurremo dunque delle
soluzioni essoteriche e comuni ad ogni filosofia, nella misura in cui si riterrà che esse siano
lontane dalla volontà dei Pitagorici, e
d’altra parte vi mescoleremo le più importanti opinioni di questi filosofi su ciascun tema, nella
misura in cui sarà bene consi- derarle a
loro volta come propriamente pitagoriche, ed estranee quin- di agli altri filosofi. Senza volerlo poi,
come sembra, tutto ciò che è pitagorico
ci allontanerà dalle nozioni essoteriche, e ci avvicinerà e farà si che noi ci impadroniamo il più
possibile delle esortazioni pro- poste e
sistematizzate secondo la dottrina pitagorica, come se fossero un ponte o una scala che porta dal basso
verso l’alto e tira su da una grande
profondità verso la sommità e innalza la mente di ciascuno di coloro che vi si applichino in maniera
sincera, perché ad un risultato del
genere ci si è attrezzati ricavando immagini e impronte dalle cose di cui si è detto. I filosofi più antichi,
infatti, sia i contemporanei di Pitagora
che [106] i suoi discepoli, non si rendevano comprensibili e 440 GIAMBLICO μαθητεύσαντες τῷ Πυθαγόρᾳ οὐ τῇ κοινῇ καὶ
δημώδει καὶ τοῖς ἄλλοις ἅπασιν εἰωθυίᾳ
λέξει τε καὶ ἑρμηνείᾳ ἐποιοῦντο συνετὰ
καὶ εὐνόητα τοῖς ἁπλῶς ἀκούουσιν ἐξ ἐπιδρομῆς τε ἐντυγχάνουσιν, εὐπαρακολούθητα πειρώμενοι τίθεσθαι τὰ
φραζόμενα dr’ αὐτῶν, ἀλλὰ κατὰ τὴν
νενομοθετημένην αὐτοῖς ὑπὸ Πυθαγόρου ἐχεμυθίαν
μυστηρίων καὶ πρὸς τοὺς ἀτελεστέρους τρόπων ἀπορρήτων ἥπτοντο καὶ διὰ συμβόλων ἐπέσκεπον τὰς πρὸς ἀλλήλους
διαλέξεις ἢ συγ- γραφάς. καὶ εἰ μή τις
αὐτὰ [10] τὰ σύμβολα ἐκλέξας διαπτύξειε καὶ
ἀμώκῳ ἐξηγήσει περιλάβοι, γελοῖα ἂν καὶ γραώδη δόξειε τοῖς ἐντυγχάνουσι τὰ λεγόμενα λήρου μεστὰ καὶ
ἀδολεσχίας. iv’ οὖν «τὰ» ῥήματ᾽ ἐκφανῆ
καὶ τὸ εἰς προτροπὴν αὐτῶν ὄφελος κατάδηλον
γένηται, κατὰ τὸ ἐξωτερικόν τε ἅμα καὶ κατὰ τὸ ἀκροατικὸν ἀποδώ- σομεν ἑκάστου συμβόλου τὰς ἐπιλύσεις, μηδὲ τὰ
παρ᾽ αὐτοῖς ἀπό- ρρητα καὶ ἐχεμυθούμενα
πρὸς τοὺς ἀνεισάκτους παραλιπόντες ἀνε-
ξέταστα. ἔστω δὲ τὰ φρασθησόμενα σύμβολα ταῦτα" α΄. Εἰς ἱερὸν ἀπιὼν προσκυνῆσαι μηδὲν ἄλλο
μεταξὺ [20] βιωτι- κὸν μήτε λέγε μήτε
πράττε. β΄. Ὁδοῦ πάρεργον οὔτε εἰσιτέον
εἰς ἱερὸν οὔτε προσκυνητέον τοπαράπαν,
οὐδ᾽ εἰ πρὸς ταῖς θύραις αὐταῖς παριὼν γένοιο.
γ΄. ᾿Ανυπόδητος θῦε καὶ προσκύνει.
[107] δ΄. Τὰς λεωφόρους ὁδοὺς ἐκκλίνων διὰ τῶν ἀτραπῶν βάδιζε. ἐ ΄. Μελανούρου ἀπέχον" χθονίων γάρ ἐστι
θεῶν. . Γλώσσης πρὸ τῶν ἄλλων κράτει
θεοῖς ἑπόμενος. . ᾿Ανέμων πνεόντων τὴν
ἠχὼ προσκύνει. . Πῦρ μαχαίρῃ μὴ
σκάλευνε. . Ὀξίδα ἀπὸ σεαυτοῦ ἀπόστρεφε
πᾶσαν. ι΄. ᾿Ανδρὶ ἐπανατιθεμένῳ μὲν
φορτίον συνέπαιρε, μὴ συγκαθά- ρει δὲ
ἀποτιθεμένῳ. [10] ια΄. Εἰς μὲν ὑπόδησιν
τὸν δεξιὸν πόδα προπάρεχε, εἰς δὲ
ποδόνιπτρον τὸν εὐώνυμον. ιβ΄.
Περὶ Πυθαγορείων ἄνευ φωτὸς μὴ λάλει.
ιγ΄. Ζυγὸν μὴ ὑπέρβαινε. ιδ΄.
᾿Αποδημῶν τῆς οἰκίας μὴ ἐπιστρέφου Ἐρινύες γὰρ μετέρχον- m
ΦΞ στη N ESORTAZIONE ALLA FILOSOFIA 441 bene intelligibili di primo acchito ai
semplici uditori che incontrava- no
adoperando un linguaggio e una spiegazione comuni e volgari e accessibili a tutti gli altri, cercando di
rendere le cose che dicevano facili ad
essere seguite da quelli, ma adottavano, in ottemperanza della regola del silenzio nei misteri,
imposta loro come legge da Pitagora,
modi di esprimersi in forma segreta anche nei confronti dei non iniziati e coprivano con i simboli le
reciproche discussioni o i loro scritti.
E se qualcuno, dopo avere trascelto questi stessi simboli, non li spiegherà e comprenderà per mezzo di una
seria interpretazione, allora le cose
che essi dicono sembreranno a chiunque risibili e da vecchia donnetta, infarcite di futilità e di
chiacchiera. [133dP] Affinché dunque
siano rivelati i loro detti e sia evidente l’utilità di questi ai fini dell’esortazione, noi
scioglieremo ciascun simbolo secon- do
il suo significato insieme essoterico e acroamatico, senza lasciare prive di esame le loro dottrine segrete e
soggette al silenzio nei con- fronti di
coloro che non erano introdotti a tali dottrine. Ecco i simbo- li che saranno chiariti nel loro
significato. 1. Quando ti rechi in un
tempio per adorare, non dire né fare nel
frattempo nulla di mondano.195 2. Quando si cammina occasionalmente, non
bisogna affatto né entrare in un tempio
né adorare, neppure se ci si trovi a passare pro- prio nelle vicinanze delle porte «ἀεὶ
templi>.1% 3. Sacrifica e adora a
piedi nudi. [107] 4. Evita le strade
maestre e cammina per i sentieri. 5.
Astieniti dal melanuro, perché è sacro agli dèi sotterranei.10? 6. Frena la tua lingua davanti agli altri,
se vuoi obbedire agli dèi. 7. Quando i
venti soffiano, adora il loro suono. 8.
Non attizzare il fuoco con un coltello.
9. Allontana da te ogni ampolla d’aceto. 10. Se un uomo sta caricando un fardello,
aiutalo a sollevarlo, ma non a deporlo
quando deve scaricarlo. 11. Per
calzarti, porta avanti il piede destro, per lavarti i piedi, invece, porta avanti il sinistro. 12. Non parlare delle dottrine pitagoriche
quando sei al buio. 13. Non sorpassare
una bilancia.108 [134dP] 14. Quando
lasci la tua casa per un viaggio, non tornare più, perché le Erinni potrebbero vendicarsi. 442 GIAMBLICO ται.
ιε΄. Πρὸς ἥλιον τετραμμένος μὴ οὔρει.
ις΄. Δαδίῳ θᾶκον μὴ ἀπόμασσε.
ιζ΄. ᾿Αλεκτρυόνα τρέφε μὲν μὴ θῦε δέ" μήνῃ γὰρ καὶ ἡλίῳ καθιέ- ρῶται.
[20] ιη΄. Ἐπὶ χοίνικι μὴ καθέζου.
ιθ΄. Γαμψώνυχον μηδὲν παράτρεφε.
κ΄, Ἐν ὁδῷ μὴ σχίζε. κα΄.
Χελιδόνα οἰκίᾳ μὴ δέχου. κβ΄. Δακτύλιον
μὴ φόρει. κγ΄. Θεοῦ τύπον μὴ ἐπίγλυφε
δακτυλίῳ. κδ΄. Παρὰ λύχνον μὴ
ἐσοπτρίζου. κε΄. Περὶ θεῶν μηθὲν
θαυμαστὸν ἀπίστει, μηδὲ περὶ θείων δογ-
μάτων. κς΄. ᾿Ασχέτῳ γέλωτι μὴ
ἔχεσθαι. [108] κζ΄. Παρὰ θυσίᾳ μὴ
ὀνυχίζου. κη΄. Δεξιὰν μὴ παντὶ ῥᾳδίως
ἔμβαλλε. κθ΄. Στρωμάτων ἀναστὰς
συνέλισσε αὐτὰ καὶ τὸν τύπον συνστό-
pvve. λ΄. Καρδίαν μὴ τρῶγε. λα΄. Ἐγκέφαλον μὴ ἔσθιε. λβ΄. ᾿Αποκαρμάτων σῶν καὶ ἀπονυχισμάτων
κατάπτυε. λγ΄. Ἐρυθῖνον μὴ
προσλαμβάνου. λδ΄. Χύτρας ἴχνος ἀπὸ
σποδοῦ ἀφάνιζε. [10] λε΄. Χρυσὸν ἐχούσῃ
μὴ πλησίαζε ἐπὶ τεκνοποιίᾳ. λς΄.
Προτίμα τὸ σχῆμα καὶ βῆμα τοῦ σχῆμα καὶ τριώβολον. λζ΄. Κυάμων ἀπέχου. λη΄. Μολόχην ἐπιφύτευε μέν, μὴ ἔσθιε
δέ. λθ΄. Ἐμψύχων ἀπέχου. Ταῦτα δὴ πάντα κοινῶς μὲν προτρεπτικά ἐστι
πρὸς πᾶσαν ἀρετήν, κατ᾽ ἰδίαν δὲ ἕκαστα
πρὸς ἑκάστην ἀρετήν᾽ πρὸς μέρη τε φιλοσοφί-
ας καὶ μαθήσεως ἄλλα ἄλλως προσοικειοῖ, οἷον εὐθὺς τὰ πρῶτα εἰς [20] εὐσέβειαν καὶ τὴν θείαν ἐπιστήμην ἐστὶ
παρακλητικά. α΄ Τὸ γὰρ εἰς ἱερὸν ἀπιόντα
προσκυνῆσαι μηδὲν ἄλλο μεταξὺ βιωτι- κὸν
μήτε λέγειν μήτε πράττειν τηρεῖ τὸ θεῖον ἧπέρ ἐστι καθ᾽ αὑτὸ ESORTAZIONE ALLA FILOSOFIA 443 15. Non urinare quando sei rivolto verso il
sole. 16. Non strofinare una fiaccola
su una sedia. 17. Alleva un gallo senza
sacrificarlo, perché è sacro alla luna e al
sole. 18. Non sederti su una
chenice.199 19. Non allevare nessun
rapace. 20. Quando sei in cammino non
tagliare <alberi>. 21. Non
accogliere in casa una rondine. 22. Non
portare anello. 23. Non scolpire alcuna
effigie di divinità su un anello. 24.
Non specchiarti vicino a una lucerna.
25. A proposito di dèi e di dogmi divini non mettere in dubbio niente di meraviglioso. 26. Non mettersi a ridere in modo
irresistibile. [108] 27. Non tagliarti
le unghie durante un sacrificio. 28.
Non porgere facilmente a chiunque la mano destra. 29. Quando ti sei alzato dal letto, arrotola
le coperte spianando al contempo
l’impronta <del tuo corpo>. 30.
Non masticare del cuore. 31. Non
mangiare cervello. 110 32. Sputa sopra
i tuoi capelli rasati e le tue unghie tagliate.!!! 33. Non assumere <come cibo>!!? il
pesce fragolino.!13 34. Cancella dalla
cenere <ogni> traccia della pentola.
35. Non fare l’amore con una donna piena d’oro!!4 per generare dei figli.
[135dP] 36. Stima di più “figura e gradino” anziché “figura e
triobo- lo”.115 37. Astieniti dal mangiare fave. 38. Coltiva pure della malva, ma non
mangiarne. 39. Astieniti dal mangiare
animali. In verità tutti questi simboli
sono nel loro insieme delle esortazio-
ni ad ogni virtù, ma presi singolarmente sono ciascuna
un’esortazio- ne a una singola virtù;
essi sono appropriati a questa o a quella parte
della filosofia e dell’istruzione, ad esempio i primi simboli sono
subi- to raccomandazioni alla pietà e
alla scienza divina. 1. Infatti il
simbolo “Quando ti rechi in un tempio per adorare, non dire né fare nel frattempo nulla di
mondano” preserva il divino cosî com'è
in se stesso, cioè puro e incontaminato, e abitua a collega- 444 GIAMBLICO ἀμιγὲς ἄχραντον, τῷ τε καθαρῷ τὸ καθαρὸν
ἐθίζει συνάπτειν Kai ποιεῖ μηδὲν
ἐφέλκεσθαι ἀπὸ τῶν ἀνθρωπίνων εἰς [109] τὴν θείαν θρησκείαν. πάντα γὰρ ἀλλότριά ἐστι καὶ
ἐναντίως πρὸς αὐτὴν ἔχει. τὸ δ᾽ αὐτὸ καὶ
πρὸς ἐπιστήμην μεγάλα συμβάλλεται᾽ οὐδὲν γὰρ δεῖ πρὸς τὴν θείαν ἐπιστήμην προσφέρειν τοιοῦτον,
οἷόν ἐστιν ἀνθρώπινον διανόημα ἢ
βιωτικῆς φροντίδος ἐχόμενον. οὐδὲν οὖν
ἄλλο παρακελεύεται ἐν τούτοις ἢ τοὺς λόγους τοὺς ἱεροὺς καὶ τὰς θείας πράξεις μὴ συμμιγνύναι τοῖς ἀνθρωπίνοις
ἀστάτοις ἤθεσι. β΄ Τούτῳ δὲ συνῳδόν
ἐστι καὶ τὸ ἑξῆς τὸ ὁδοῦ [10] πάρεργον οὐκ εἰ-
σιτέον εἰς ἱερὸν οὐδὲ προσκυνητέον τοπαράπαν, οὐδ᾽ εἰ πρὸς ταῖς θύραις αὐταῖς παριὼν γένοιο. εἰ γὰρ ὁμοίῳ τὸ
ὅμοιον φίλον τέ ἐστι καὶ προσήγορον,
δῆλον ὅτι καὶ ἀρχηγικωτάτην οὐσίαν ἐχόντων τῶν
θεῶν ἐν τοῖς ὅλοις, προηγουμένην αὐτῶν δεῖ ποιεῖσθαι τὴν θερα- πείαν᾽ εἰ δ᾽ ἄλλου τις ἕνεκα αὐτὴν ποιοῖτο,
δεύτερον οὕτω θήσεται τὸ πάντων
προηγούμενον καὶ ἀναστρέψει τὴν ὅλην τάξιν τῆς ὅλης θεραπείας τε καὶ γνώσεως. ἔτι γὰρ τὰ τίμια
ἀγαθὰ οὐ δεῖ τῶν ἀνθρωπίνων ypnoi[20]uav
ἐν ὑστέρᾳ μοίρᾳ τίθεσθαι, οὐδὲ ἐν τέλους
μὲν τάξει τὰ ἡμέτερα, ἐν προσθήκης δὲ μέρει τὰ κρείττονα οὔτε ἔργα οὔτε διανοήματα. γ΄ Ἡ δ᾽ ἐπὶ τὸ αὐτὸ προτροπὴ καὶ ἀπὸ τοῦ
ἑξῆς γένοιτο ἄν᾽ τὸ γὰρ ἀνυπόδητος θῦε
καὶ προσκύνει ἕν μὲν σημαίνει τὸ δεῖν κοσμίως
καὶ μετρίως καὶ μὴ ὑπερέχοντας τῆς ἐν τῇ γῇ τάξεως τοὺς θεοὺς θεραπεύειν καὶ τὴν ὑπὲρ αὐτῶν γνῶσιν
ποιεῖσθαι, ἕτερον δὲ τὸ δεῖν δεσμῶν
χωρὶς καὶ εὔλυτον ὄντα τὴν θεραπείαν καὶ γνῶσιν τῶν θεῶν ποιεῖσθαι. ταῦτα [30] δὲ οὐκ ἐπὶ τοῦ σώματος
μόνου παραγγέλλει τὸ σύμ[110]βολον
διαπράττεσθαι, ἀλλὰ καὶ ἐπὶ τῶν τῆς ψυχῆς ἐνερ-
γειῶν, ὡς μήτε ὑπὸ παθῶν αὐτὰς κατέχεσθαι μήτε ὑπὸ τῆς τοῦ σώμα- τος ἀσθενείας μήτε ὑπὸ τῆς περιπεφυκυίας
ἔξωθεν ἡμῖν γενέσεως, εὔλυτα δὲ πάντα
ἔχειν καὶ ἕτοιμα πρὸς τὴν μετουσίαν τῶν θεῶν.
κε΄ Καὶ ἄλλο δέ τι τούτοις ὅμοιον εἰς τὴν αὐτήν τε ἀρετὴν προτρέ- πον ἐστὶ τὸ τοιοῦτον σύμβολον᾽ περὶ θεῶν
μηδὲν θαυμαστὸν ἀπί- στει, μηδὲ περὶ
θείων δογμάτων. ἱκανῶς γὰρ τὸ δόγμα τοῦτο
ESORTAZIONE ALLA FILOSOFIA 445
re il puro con il puro e non permette agli uomini di portarsi
dietro nulla <di umano> quando
rendono il loro culto [109] al divino, per-
ché qualunque cosa <che appartenga loro> sarebbe estranea a quel culto. Questo stesso simbolo giova molto
anche alla scienza, perché non bisogna
trasferire nella scienza del divino nulla che sia un umano pensiero o una <semplice>
preoccupazione mondana. Nient'altro
dunque viene raccomandato nelle parole di questo simbolo se non che discorsi sacri e azioni divine non siano
mescolati con l’instabile indole degli
uomini. 2. A questo segue l’altro
simbolo “Quando si cammina occasio-
nalmente, non bisogna affatto né entrare in un tempio né adorare, neppure se ci si trovi a passare proprio
nelle vicinanze delle porte <dei
templi>”. Se infatti il simile è amico intimo del simile, è chiaro che, avendo gli dèi un'essenza assolutamente
primordiale nell’univer- so, {136dP]
bisogna rendere loro un culto che sia superiore ad ogni altro; e se qualcuno venera gli dèi in vista
di altro, allora cosî facendo
considererà ciò che è superiore a tutto come secondario e
sovvertirà l'intero ordine dell’intero
culto e dell'intera conoscenza. Ancora una
volta, infatti, non bisogna collocare i beni preziosi al secondo
posto rispetto ai vantaggi degli uomini,
né attribuire a ciò che è nostro, opere
o pensieri che siano, un ruolo di fine, e a ciò che è superiore uno di accessorio. 3. Anche il simbolo successivo sarebbe
un’esortazione dello stes- so tenore,
perché “Sacrifica e adora a piedi nudi” significa in primo luogo che bisogna rendere culto agli dèi in
maniera onesta e misura- ta e senza
andare al di là dell'ordine terrestre, e in secondo luogo che bisogna rendere loro un culto e averne una
conoscenza ben sciolti e liberi da
<ogni> legame. Tutto ciò il simbolo non lo prescrive [110] soltanto a proposito del corpo, ma anche a
proposito delle attività dell'anima, in
modo che esse non vengano trattenute né dalle passio- ni né dalla debolezza del corpo né dalla
generazione che si attacca a noi
dall’esterno,!!6 ma siano completamente ben sciolte e pronte per partecipare degli dèi. 25. Anche un altro simbolo simile a questi
esorta alla stessa virti, ed è questo:
“A proposito di dèi e di dogmi divini non mettere in dub- bio niente di meraviglioso”. Infatti questo
dogma!!? è abbastanza reli- gioso!!8 e
rivelativo della trascendenza degli dèi, in quanto ci fa da via- 446 GIAMBLICO σεβα[10]στικὸν ὑπάρχει καὶ ἐμφαντικὸν τῆς
τῶν θεῶν ὑπεροχῆς, ἐφοδιάζον ἡμᾶς καὶ
ὑπομιμνῇσκον ὅτι οὐκ ἀπὸ τῆς ἡμῶν αὐτῶν συγ-
κρίσεως χρὴ τεκμαίρεσθαι καὶ τὴν θείαν δύναμιν, ἀλλ᾽ ἡμῖν μὲν ἅτε σωματικοῖς ὑπάρχουσι γενπτοῖς τε καὶ φθαρτοῖς
καὶ προσκαίροις, ὑποκειμένοις τε νόσων
ποικιλίᾳ καὶ ὄγκου μικρότητι καὶ τῆς ἐπὶ τὸ
μέσον φορᾶς τῇ βαρήσει καὶ ὑπνωδίᾳ καὶ ἐνδείᾳ καὶ πλεονασμῷ ἀβουλίᾳ τε καὶ ἀσθενείᾳ καὶ ψυχῆς παραποδισμῷ
καὶ τοῖς ἄλλοις, εἰκὸς ἀμήχανά τινα καὶ
ἀδύνατα ὑπάρχειν. καίτοι πολλὰ οὕτω παρὰ
[20] τῆς φύσεως ἔχομεν ἐξαίρετα, ἀλλ᾽ ὅμως πάντῃ τῶν θεῶν ἀπολει- πόμεθα, καὶ οὔτε δύναμιν τὴν αὐτὴν οὔτε
ἀρετὴν ἴσην πρὸς αὐτοὺς ἔχομεν. γνῶσιν
οὖν θεῶν διαφερόντως τοῦτο εἰσηγεῖται, ὡς πάντα
δυναμένων αὐτῶν. διὰ τοῦτο δὴ οὖν περὶ θεῶν μηδὲν ἀπιστεῖν παραγγέλλει. πρόσκειται δὲ μηδὲ περὶ θείων
δογμάτων, τῶν τῇ Πυθαγορικῇ φιλοσοφίᾳ
δοκούντων᾽ ταῦτα γὰρ ὑπὸ μαθημάτων καὶ
ἐπιστήμονος θεωρίας ἠσφαλισμένα ἀληθῆ καὶ ἀδιάψευστα μόνα ὑπάρχει, [111] ἀποδείξει παντοίᾳ καὶ
συναναγκασμῷ ὠχυρωμένα. τὰ δὲ αὐτὰ ταῦτα
δύναται καὶ πρὸς τὴν ἐπιστήμην τὴν περὶ θεῶν
προτρέπειν’ παραγγέλλει γὰρ ἐπιστήμην τοιαύτην κτήσασθαι, δι᾽ ἧς οὐδενὶ ἀπιστήσομεν τῶν λεγομένων περὶ θεῶν
καὶ περὶ θείων δογ- μάτων. δύναται
παραινεῖν τὰ αὐτὰ καὶ τὸ διὰ μαθημάτων χωρεῖν:
ὀμματουργὰ γὰρ ταῦτα μόνα καὶ φωτοποιὰ περὶ τῶν ὄντων ἁπάντων τῷ μέλλοντι σκέψεσθαι καὶ κατόψεσθαι αὐτά. ἐκ
γὰρ τοῦ μαθημάτων μετασχεῖν ἕν πρὸ
rav[10}tov συνίσταται, τὸ μὴ ἀπι- στεῖν
μήτε περὶ φύσεως θεῶν μήτε περὶ οὐσίας μήτε περὶ δυνάμεως, μηδὲ μὴν περὶ τῶν Πυθαγορικῶν δογμάτων
τερατολογεῖσθαι δοκούντων τοῖς
ἀνεισάκτοις καὶ μαθημάτων ἀμυήτοις᾽ ὥστε τὸ «μὴ
ἀπίστει» ἴσον ἐστὶ τῷ μετέρχου καὶ κτῶ ἐκεῖνα δι᾽ ἃ οὐκ ἀπι- στήσεις, τουτέστι μαθήματα καὶ ἐπιστημονικὰς
ἀποδείξεις. δ΄ Οἶμαι δ᾽ ὅτι καὶ τὸ ἐπὶ
τούτοις εἰς τὸ αὐτὸ συντείνει" τὰς λεωφό-
ρους ὁδοὺς ἐκκλίνων διὰ τῶν ἀτραπῶν βάδιζε. καὶ γὰρ τοῦτο τὴν μὲν δημώδη [20] καὶ ἀνθρωπίνην ζωὴν ἀφιέναι
παραγγέλλει, τὴν δὲ ESORTAZIONE ALLA
FILOSOFIA 447 tico e ci ricorda che
anche nel caso del potere degli dèi non dobbia-
mo trarre prova partendo dalla stessa costituzione di noi uomini, a
cui anzi, in quanto corporei e generati
e corruttibili e [137dP] precari, e
soggetti a malattie per variegata e piccola massa corporea e per
gravi- tà del nostro movimento verso il
centro <del mondo> e per sonnolen-
za e deficienza ed eccessiva svogliatezza e debolezza e per
impaccio psichico e per altri difetti, è
giusto che appartenga una certa inettitu-
dine o incapacità <di operare come gli dèi>. Ebbene, quantunque
noi abbiamo ricevuto dalla natura molte
doti eccezionali, nondimeno siamo
assolutamente lontani dall’essere dèi, e <quindi> non possedia- mo né il loro stesso potere né delle qualità
uguali alle loro. È questo dunque che ci
induce ad avere una conoscenza degli dèi come se fos- sero onnipotenti. É per questo, dunque, che
<il simbolo> prescrive “di non
mettere niente in dubbio a proposito di dèi”. E aggiunge “neppure a proposito di dogmi divini”, cioè
delle dottrine filosofiche di Pitagora,
perché queste derivano dalle matematiche e dalla con- templazione scientifica che sono le sole a
garantire verità e infallibili- tà,
[111] in forza della loro multiforme dimostrabilità e cogenza. E queste stesse parole del simbolo possono
esortare anche alla scienza intorno agli
dèi [sc. alla teologia], perché prescrivono di acquisire una tale scienza, in virtà della quale noi non
mettiamo in dubbio niente delle cose che
si dicono intorno agli dèi e ai dogmi divini. lo stesso simbolo è in grado di incoraggiarci a
percorrere la via delle matema-
tiche,1!9 perché sono solo queste le scienze che rendono visibili e luminosi tutti gli enti a chi voglia
indagarli e contemplarli. Dal parte-
cipare alle matematiche infatti si produce anzitutto un effetto,
cioè che non si mette in dubbio né la
natura degli dèi né la loro essenza né
il loro potere, né le <stesse> dottrine di Pitagora che
sembrano discorsi miracolosi a coloro
che non siano stati introdotti e iniziati alle
matematiche; sicché le parole del simbolo “non mettere in dubbio” equivalgono alle seguenti: “persegui e
acquisisci quelle cose in virtù delle
quali non avrai da dubitare”, cioè matematiche e dimostrazioni scientifiche. 4. Io credo che anche il simbolo successivo
tende allo stesso scopo: “Evita le
strade maestre e cammina per i sentieri”. [138dP] E infatti questo simbolo prescrive di
allontanarsi dalla vita popolare e
<genericamente> umana, e ritiene opportuno che si segua
quella 448 GIAMBLICO χωριστὴν καὶ θείαν μεταδιώκειν ἀξιοῖ, καὶ
τὰ μὲν δοξάσματα tà κοινά φησι δεῖν
ὑπερορᾶν, τὰ δὲ ἴδια καὶ ἀπόρρητα περὶ πολλοῦ
ποιεῖσθαι, καὶ τὴν μὲν πρὸς ἀνθρώπους φέρουσαν τέρψιν ἀτιμά- ζειν, τὴν δὲ τῆς θείας βουλήσεως ἐχομένην
εὐπραγίαν περὶ πολλοῦ ποιεῖσθαι, καὶ τὰ
μὲν ἀνθρώπινα ἔθη ἐᾶν ὡς δημώδη, τὰς δὲ τῶν
θεῶν θρησκείας ὡς ὑπερεχούσας τὴν δημώδη ζωὴν ἀνταλλάττεσθαι. Συγγενὲς δ᾽ ἐστὶ τούτῳ καὶ τὸ ἐφεξῆς:
μελαν[]] 2]ούρου ἀπέχου: χθονίων γάρ
ἐστι θεῶν. τὰ μὲν οὖν ἄλλα περὶ αὐτοῦ ἐν τῷ Περὶ συμ- βόλων ἐροῦμεν, ὅσα δὲ εἰς προτροπὴν ἁρμόζει,
παραγγέλλει τῆς οὐρανίας πορείας
ἀντέχεσθαι καὶ τοῖς νοεροῖς θεοῖς συνάπτεσθαι,
τῆς τε ἐνύλου φύσεως χωρίζεσθαι καὶ περιάγεσθαι πρὸς τὴν ἄυλον καὶ καθαρὰν ζωήν, θεῶν τε θεραπείᾳ χρῆσθαι τῇ
ἀρίστῃ καὶ μάλι- στα τοῖς πρωτίστοις
θεοῖς προσηκούσῃ. Ταῦτα μὲν οὖν εἰς
θεῶν γνῶσιν καὶ θρησκείαν [10] ποιεῖται τὴν
παράκλησιν, εἰς δὲ σοφίαν τὰ τοιαῦτα.
ς΄ Γλώσσης πρὸ τῶν ἄλλων κράτει θεοῖς ἑπόμενος. πρῶτον γάρ ἐστι σοφίας ἔργον τὸ τὸν λόγον ἐπιστρέφειν εἰς
ἑαυτὸν καὶ ἐθίζειν μὴ ἔξω προϊέναι,
τελεοῦσθαί τε καθ᾽ ἑαυτὸν καὶ ἐν τῇ πρὸς ἑαυτὸν
ἐπιστροφῇ καὶ μετὰ τοῦτο ἐν τῷ τοῖς θεοῖς ἕπεσθαι οὐδὲν γὰρ ἄλλο οὕτω τελειοῖ τὸν νοῦν ἢ ὅταν ἐπιστρεφόμενος
εἰς ἑαυτὸν τοῖς θεοῖς συνακολουθῇ. ζ΄ Τὸ δὲ ἀνέμων πνεόντων τὴν ἠχὼ προσκύνει
καὶ αὐτὸ τῆς θείας σοφίας ἐστὶ
γνώρισμα" [20] αἰνίττεται γὰρ ὡς δεῖ τῶν θείων οὐσιῶν καὶ δυνάμεων τὴν ὁμοιότητα ἀγαπᾶν, καὶ ὅταν
ἐνεργῶσι, τὸν σύμ- φῶνον πρὸς τὰς
ἐνεργείας αὐτῶν λόγον μετὰ μεγάλης σπουδῆς τιμᾶν τε καὶ σέβειν. η΄ Τὸ δὲ μαχαίρῃ πῦρ μὴ σκάλευε φρονήσεώς
ἐστι παρακλητικόν᾽ ἐγείρει γὰρ ἡμῖν τὴν
ἔννοιαν τὴν προσήκουσαν περὶ τοῦ μὴ δεῖν
πυρὸς πλήρει καὶ θυμοῦ ἀνθρώπῳ μήτε ἀντιτιθέναι λόγον τεθηγμέ- vov μήτε ἐρίζειν. πολλάκις γὰρ κινήσεις τῷ
λόγῳ τὸν ἀμαθῆ καὶ ταράξεις καὶ πείσῃ
δεινὰ καὶ ἀηδῆ. μάρτυς τοῖς [113] λεχθεῖσιν
Ἡράκλειτος: θυμῷ γάρ φησι μάχεσθαι χαλεπόν. ὅ τι γὰρ ἂν χρηίζῃ ESORTAZIONE ALLA FILOSOFIA 449 separata <dal popolo> e divina, e
dice che bisogna non tener conto delle
opinioni della gente comune, e stimare molto quelle private e segrete, e disdegnare la gioia che porta
verso gli uomini, e stimare molto invece
la buona condotta che dipende dalla volontà degli dèi, e scambiare i costumi umani in quanto volgari
con la venerazione degli dèi in quanto
va al di là della vita volgare. [112]
5. Affine a questo è il simbolo successivo: “Astieniti dal melanuro, perché è sacro agli dèi
sotterranei”. In merito a questo sim-
bolo noi faremo nel libro Sui simboli delle altre considerazioni,
ma per quanto riguarda l’esortazione,
questo simbolo prescrive di atte- nersi
al cammino celeste e collegarsi agli dèi intellettivi, e separarsi dalla natura materiale e ricondursi a una
vita pura e immateriale, e praticare
verso gli dèi il culto migliore e che conviene di più agli dèi assolutamente primi. Sono questi, dunque, i simboli che raccomandano
la conoscenza e la venerazione degli
dèi, i seguenti invece raccomandano la sapien-
za. 6. “Frena la tua lingua
davanti agli altri, se vuoi obbedire agli dèi”.
La prima opera della sapienza è quella di volgere il <proprio>
discor- so verso se stesso e abituarsi a
non farlo uscire fuori di sé, e di realiz-
zarsi in se stesso sia nella conversione a se stesso sia, dopo di
questa, nell’obbedienza agli dèi, perché
nient'altro motivo perfeziona cosi il
nostro intelletto se non il fatto che esso segua gli dèi convertendosi a se stesso.
7.”Quando i venti soffiano, adora il loro suono”: anche questo simbolo è un riconoscimento della sapienza
divina, perché allude al fatto che
bisogna amare ciò che somiglia alle essenze e ai poteri divi- ni, e, quando questi operano, onorare e
venerare con grande cura <ogni>
discorso che sia consono alle loro attività.
8. Il simbolo che dice: “Non attizzare il fuoco con un coltello”, raccomanda la prudenza [139dP], perché risveglia
in noi la conve- niente idea che non
bisogna fare resistenza con parole taglienti né liti- gare con chi è pieno di fuoco e di impeto.
Spesso, infatti, con la paro- la tu
potrai mettere in agitazione e sconvolgere chi è rozzo e potrai subire <di conseguenza> cose terribili
e spiacevoli. Ne è testimone [113]
Eraclito con queste parole: «Contro l’impeto — egli dice — è dif- ficile combattere, perché ciò che brama di
avere, lo compra a costo 450
GIAMBLICO γίγνεσθαι, ψυχῆς ὠνέεται.
καὶ τοῦτο ἀληθῶς εἶπε: πολλοὶ γὰρ χαρι-
ζόμενοι θυμῷ ἀντηλλάξαντο τὴν ἑαυτῶν ψυχὴν καὶ θάνατον φίλτε- ρον ἐποιήσαντο. ἐκ δὲ τοῦ γλώσσης κρατεῖν καὶ
εἶναι ἠρεμαῖον ἐκ μὲν νείκους γίγνεται
φιλία σβεννυμένου πυρὸς θυμικοῦ, καὶ αὐτὸς
οὐκ ἄφρων εἶναι δόξεις. θ΄ Τούτῳ
δὲ συμμαρτυρεῖ καὶ τὸ ἑξῆς τὴν ὀξίδα ἀποστρέφειν ἀπὸ σαυτοῦ: πρὸς ὃν γὰρ ἂν τύχῃ [10]
ἐπεστραμμένη, ἐπίληπτος Ἔ ἔσται. καὶ
τοῦτο φρονήσει χρῆσθαι παρακελεύεται καὶ μὴ θυμῷ. τὸ μὲν γὰρ ὀξὺ τῆς ψυχῆς, ὅπερ θυμὸν καλοῦμεν,
λογισμοῦ καὶ φρονήσεως ἐστέρπται (ζεῖ
γὰρ ὁ θυμὸς ὥσπερ λέβης πυρὶ θαλπόμενος), οὐθὲν
εἰς τὸ πρόσθεν γιγνόμενον μερίζων γνώμη. χρὴ οὖν ἐν νηνεμίᾳ καθιστάναι τὴν ψυχὴν ἀποστρέφοντα [τὴν ψυχὴν]
τοῦ θυμοῦ, ἐπι- λαμβανόμενον ἑαυτοῦ
πολλάκις: ὥσπερ «γὰρ» ἠχοῦντα χαλκὸν ἁφῇ,
καὶ τὸ πάθος οὖν τοῦτο τῷ λογισμῷ πιέζειν χρή. ι Τὸ δὲ φορτίον συνανατιθέναι,
συγκαθαι[20]ρεῖν δὲ un, εἰς ἀνδρείαν
προτρέπει. πᾶς μὲν γὰρ ἀνατιθέμενος φορτίον πόνου καὶ ἐνεργείας σημαίνεται πρᾶξιν, ὁ δὲ
καθαιρούμενος ἀναπαύσεως καὶ ἀνέσεως,
ὥστε καὶ τὸ σύμβολον τοιόνδε ἔχει ἐπιλογισμόν᾽ μὴ γί- yvov μήτε αὑτῷ μήτε ἄλλῳ ῥαθυμίας καὶ
μαλθακῆς διαίτης αἴτιος. πόνῳ γὰρ πᾶν
χρῆμα ἁλώσιμον. Ἡράκλειον δὲ οἱ Πυθαγόρειοι
ἐφήμιζον τόδε τὸ σύμβολον [114] εἶναι αὐτοῖς, ἐπισφραγιζόμενοι ἀπὸ τῶν ἐκείνου ἔργων. ὅτε γὰρ ὡμίλει κατ᾽
ἀνθρώπους, πολλάκις ἐκ πυρὸς καὶ πάντων
τῶν δεινοτάτων ἀπενόστει ὄκνον παραιτούμε-
νος᾿ ἐκ γὰρ τοῦ πράττειν καὶ ἐργάζεσθαι τὸ κατορθοῦν παραγίγνε- ται, ἀλλ᾽ οὐκ ἐκ τοῦ ἀποκνεῖν. ια΄ Τὸ δὲ εἰς μὲν ὑπόδησιν τὸν δεξιὸν πόδα
πάρεχε, εἰς δὲ ποδόνιπ- τρον τὸν
εὐώνυμον εἰς τὴν πρακτικὴν φρόνησιν παρακαλεῖ, τὰς μὲν σπουδαίας πράξεις ὡς δεξιὰς περιτίθεσθαι
παραγγέλλον [τὸ [10] σύμβολον], τὰς δὲ
φαύλας ὡς ἀριστερὰς ἀποτίθεσθαι παντάπασι καὶ
ἀπορρύπτεσθαι. ιβ΄ Μάλιστα δὲ τὸ
περὶ Πυθαγορείων ἄνευ φωτὸς μὴ λάλει παρα-
κλητικόν ἐστιν εἰς τὸν κατὰ φρόνησιν νοῦν. οὗτος γὰρ τῷ φωτὶ ἔοικε τῆς ψυχῆς καὶ ἀόριστον οὖσαν αὐτὴν ὁρίζει,
περιάγει τε ὥσπερ ἐκ 36 ἐπίληπτος:
ἐπίλητος erron. des Places.
ESORTAZIONE ALLA FILOSOFIA 451
dell’anima».120 E quello che dice è verità, perché molti, quando si abbandonano all’impeto, sono disposti a
pagare con la propria anima e reputano
piuttosto gradita la morte. Col frenare la lingua, invece, e col mantenersi calmi, si fa si che dalla
contesa nasca l'amicizia, una volta che
si sia spento il fuoco dell’impeto, e tu stesso non apparirai un insensato.
9. Questa stessa testimonianza la dà il simbolo successivo: “Allontana da te l’ampolla d’aceto”: se essa,
infatti, sarà rivolta verso qualcuno,
costui sarà colpevole. Anche questo simbolo raccomanda di usare prudenza e non adirarsi. L’acidità
dell’anima, infatti, che noi chiamiamo
impeto, è priva di razionalità e di prudenza (l’impeto, infatti, ribolle come un caldaio scaldato al
fuoco), e non sente affatto ragione nei
confronti di ciò che le sta dinanzi.!?2! Occorre dunque mettere l’anima in tranquillità
distogliendola dall’impeto, spesso con
un’autoripremsione; perché cosî come toccando un oggetto di bron- zo lo si fa smettere di risuonare, allo
stesso modo anche la passione occorre
comprimerla con il ragionamento. 10. Il
simbolo che dice: “[Se un uomo sta caricando un fardello,] aiuta a sollevare il fardello, ma non a
deporlo [quando deve scaricar- lo]”
esorta al coraggio, perché chiunque stia caricando un fardello mostra di compiere un'azione faticosa e
forzosa, mentre chiunque lo stia
scaricando mostra di compiere un’azione riposante e rilassante, sicché anche un simbolo siffatto comporta la
seguente computazio- ne:122 “Non
renderti responsabile né per te stesso né per altri di indo- lenza o vita comoda”, perché [140dP] tutto
ciò che ha valore si acqui- sta con
fatica. E i Pitagorici dicevano che questo era per loro [114] il simbolo di Eracle, perché ricavavano dalle
fatiche di questo il loro sigillo.123
Quando infatti Eracle frequentava il mondo degli uomini, spesso tornava a casa dopo avere affrontato
il fuoco e ogni terribile pericolo per
rifiuto dell’ignavia. Dall’agire e dall’operare, infatti, pro- viene il successo, non già
dall’indietreggiare <davanti al pericolo>. 11. Il simbolo che dice: “Per calzarti,
porta avanti il piede destro, per
lavarti i piedi, invece, porta avanti il sinistro” invita alla prudenza pratica, prescrivendo di cingere come destre
le azioni sagge, e di smettere del tutto
e ripulirsi come sinistre di quelle malvage.
12. Il simbolo che dice “Non parlare delle dottrine pitagoriche quando sei al buio” è un invito
all’intelletto secondo prudenza, per-
ché l'intelletto somiglia alla luce dell'anima, luce che dà limite
all’ani- 452 GIAMBLICO σκότου εἰς φῶς. περὶ πάντων μὲν οὖν τῶν ἐν
τῇ ζωῇ καλῶν ἡγεμόνα νοῦν προΐστασθαι
προσήκει, μάλιστα δὲ7 περὶ τῶν Πυθαγορείων
δογμάτων: ταῦτα γὰρ ἄνευ φωτὸς οὐχ οἷόν τέ ἐστι γνῶναι. ιγ΄ [20] Τὸ δὲ ζυγὸν μὴ ὑπερβαίνειν
δικαιοπραγεῖν παρακελεύεται καὶ προτιμᾶν
ἰσότητα καὶ μετριότητα θαυμαστῶς καὶ τὴν tedero- τάτην ἀρετὴν γιγνώσκειν δικαιοσύνην, ἧς
συμπληρωτικαὶ αἱ λοιπαὶ καὶ ἧς ἄνευ τῶν
ἄλλων οὐδὲν ὄφελος" καὶ οὐ παρέργως αὐτὴν εἰδέ- ναι χρή, ἀλλὰ διὰ θεωρημάτων καὶ
ἐπιστημονικῆς ἀποδείξεως. τοῦτο δὲ
οὐδεμιᾶς ἀλλης ἔργον ἐστὶ τέχνης εἰδέναι καὶ ἐπιστήμης πλὴν μόνης φιλοσοφίας τῆς κατὰ Πυθαγόραν,
ἥτις ἐξαιρέτως τῶν ἄλλων τὰ μαθήματα
προτιμᾷ. ιδ΄ Εἰς ταὐτὸ δὲ φέρει καὶ τὸ
ἀποδημῶν τῆς οἰκίας [115] μὴ ἐπιστρέ-
φου Ἐρινύες γὰρ μετέρχονται. καὶ γὰρ τοῦτο εἰς φιλοσοφίαν προ- τρέπει καὶ τὴν κατὰ νοῦν αὐτοπραγίαν. δηλοῖ
τε καὶ προλέγει τὸ σύμβολον ἐναργῶς ὅτι
φιλοσοφεῖν ἐπιβαλλόμενος χώριζε σαυτὸν
πάντων σωματικῶν καὶ αἰσθητῶν, καὶ ὄντως θανάτου μελέτην ποιοῦ ἐπὶ τὰ νοητὰ καὶ ἀυλα καὶ ἀεὶ κατὰ ταὐτὰ καὶ
ὡσαύτως ἔχοντα ἀμε- ταστρεπτὶ χωρῶν διὰ
τῶν προσηκόντων μαθημάτων. ἀποδημία μὲν
γὰρ μετάστασις τόπου, θάνατος δὲ ὁ τῆς ψυχῆς χωρισμὸς ἀπὸ [10] τοῦ σώματος, οὗτος δὲ τὸ φιλοσοφεῖν ὡς ἀληθῶς
καὶ ἄνευ ai- σθητηρίων καὶ σωματικῶν
ἐνεργειῶν καθαρῷ τῷ νῷ χρῆσθαι εἰς
κατάληψιν τῆς ἐν τοῖς οὖσιν ἀληθείας, ἥπερ ἐπέγνωσται σοφία οὖσα. φιλοσοφεῖν δὴ ἐπιβαλλόμενος μὴ
ἐπιστρέφου μηδὲ καθέλκου πρὸς τὰ πρότερα
καὶ ἐν συντροφίᾳ σοι διατελέσαντα σωματικά" μετάνοια γὰρ ἐκ τούτου πολλή σοι παρέψεται
ἐμποδιζομένῳ εἰς τὰς ὑγιεῖς καταλήψεις
ὑπὸ τῆς περὶ τὰ σωματικὰ ἀχλύος. τὴν δὲ μετά-
νοιαν Ἐρινὺν μετωνόμασε. ιε΄ Τὸ
δὲ πρὸς ἥλιον τετραμμένος μὴ οὔρει [20] ἐκεῖνο προτρέπει" 37 δὲ des Places, ma anche Pistelli
dubitando: μὲν οὖν codd. ESORTAZIONE
ALLA FILOSOFIA 453 ma che sia
illimitata, come se la volgesse dall’oscurità alla luce. A pro- posito di tutto ciò che la vita ha di bello,
dunque, conviene prestabi- lire
l'intelletto come nostra guida, ma soprattutto a proposito delle dottrine pitagoriche, perché queste senza
luce non si possono cono- sciute. 13. Il simbolo che dice “Non sorpassare una
bilancia” raccoman- da di agire con
giustizia e di stimare prevalentemente e in modo stra- ordinario l'uguaglianza e la giusta misura e
di riconoscere la giustizia come la
virtù più perfetta, della quale le altre virti non sono che com- plementi e senza la quale le altre virti non
hanno niente di utile; e bisogna averne
una conoscenza non superficiale, ma ottenuta per via di teoremi e di dimostrazione scientifica. E
tutto questo è opera di nessun'altra
tecnica e scienza se non della sola filosofia pitagorica, la quale apprezza in maniera speciale le
matematiche prima di ogni altra
scienza. [115] 14. Allo stesso
scopo mira anche il simbolo che dice
“Quando lasci la tua casa per un viaggio, non tornare più, perché le Erinni potrebbero vendicarsi”. E infatti
questo simbolo esorta alla filosofia e
all'autonomia intellettuale. [141dP] Questo simbolo mostra e proclama che se vuoi applicarti al
filosofare <devi> separa- re te
stesso da tutto ciò che è corporeo e sensibile, e meditare real- mente sulla morte procedendo senza voltarti
indietro, attraverso le appropriate
scienze matematiche, verso tutto ciò che è intelligibile e immateriale e che è sempre identico a se
stesso e allo stesso modo. Infatti,
mentre il lasciare la casa per un viaggio è un cambiamento di luogo, la morte invece è la separazione
dell’anima dal corpo, e questa
separazione è a sua volta il filosofare veramente e senza servirsi
dei sensi e delle attività corporee,
cioè con il puro intelletto, per afferra-
re la verità degli enti, la quale, come si è riconosciuto, non è altro
che sapienza. In verità se tu vuoi
applicarti al filosofare non devi voltarti
indietro né abbassarti verso le cose corporee che in precedenza
cre- scevano e trascorrevano la vita
assieme a te; da tutto questo, infatti,
conseguirà per te un grande pentimento quando le tenebre che avvol- gono il corporeo ti impediranno di avere
limpide percezioni della realtà. Ed è a
questo pentimento che il simbolo ha dato il nome di Erinne.
15. Il simbolo che dice “Non urinare quando sei rivolto verso il 454 GIAMBLICO μηδὲν Codec ἐπιβάλλου ποιεῖν, φιλοσόφει δὲ
τὸν οὐρανὸν ὁρῶν καὶ τὸν ἥλιον, φῶς τέ
σοι τῆς ἀληθείας ἡγείσθω, καὶ μηδέποτε μέμ-
vnoo ταπεινόφρων εἶναι ἐν φιλοσοφίᾳ, ἐπὶ θεοὺς δὲ καὶ σοφίαν διὰ τῆς τῶν οὐρανίων ἐπισκέψεως ἀνέρχου, καὶ
φιλοσοφίᾳ ἐπιβαλλόμε- νος καὶ τῷ ἐν αὐτῇ
φωτὶ τῆς ἀληθείας καθαίρων σεαυτὸν καὶ τρα-
πεὶς ἐπὶ τὴν τοιαύτην ἐπιτήδευσιν θεολογίαν τε καὶ φυσιολογίαν καὶ σφαιρικῶν ἐπίγνωσιν αἰτιολογίαν τε τὴν
ὑπὲρ πάντα ταῦτα μηκέτι ζῳῶδές τι ποίει
μηδὲ βοσκηματῶδες. ις΄ [116] Τὸ δὲ αὐτὸ
παραγγέλλει καὶ «τὸ» δαδίῳ θᾶκον μὴ ἀπόμασ-
σε. οὐ γὰρ μόνον ἐπεὶ καθαρτικὸν τὸ δᾳδίον τῷ ταχίστου καὶ πλεί- στου μεθεκτικὸν εἶναι πυρός, ὥσπερ τὸ
λεγόμενον θεῖον, παραινεῖ μὴ μιαίνειν
αὐτὸ φύσει μιασμῶν ἀποσοβητικὸν ὑπάρχον, μηδ᾽ ἀντι- μάχεσθαι τῇ φυσικῇ ἐπιτηδειότητι αὐτοῦ
μολύνοντα τὸ μολυσμῶν κωλυτικόν, ἀλλὰ
μᾶλλον μὴ μίσγειν μηδὲ κατακιρνᾶν τὰ σοφίας
ἴδια τοῖς τῆς ζῳωδίας: δᾳδίον μὲν γὰρ διὰ τὴν εὐφέγγειαν φιλοσο- dia παρα[10]βέβληται, θᾶκος δὲ διὰ τὴν
χαμαιπέτειαν ζῳωδίᾳ. ιζ΄ Τὸ δὲ
ἀλεκτρυόνα τρέφε μέν, μὴ θῦε dé: μήνῃ γὰρ καὶ ἡλίῳ καθιέρωται συμβουλεύει ἡμῖν ὑποτρέφειν καὶ
σωματοποιεῖν καὶ μὴ παρορᾶν ἀπολλύμενα
καὶ διαφθειρόμενα τὰ τῆς τοῦ κόσμου
ἐνώσεως καὶ ἀλληλουχίας συμπαθείας τε καὶ συμπνοίας μεγάλα τεκμήρια. ὥστε προτρέπει τῆς τοῦ παντὸς
θεωρίας καὶ φιλοσοφίας ἀντιλαμβάνεσθαι.
ἐπεὶ γὰρ ἀπόκρυφος φύσει ἡ περὶ τοῦ παντὸς
ἀλήθεια, καὶ δυσθήρατος ἱκανῶς" ζητητέα δὲ ὅμως ἀνθρώπῳ καὶ ἐξιχνευτέα μάλιστα [20] διὰ φιλοσοφίας. διὰ
γὰρ ἄλλου τινὸς ἐπι- τηδεύματος οὕτως
ἀδύνατον αὕτη δὲ μικρά τινα ἐναύσματα παρὰ
τῆς φύσεως λαμβάνουσα καὶ ὡσανεὶ ἐφοδιαζομένη ζωπυρεῖ τε αὐτὰ καὶ μεγεθύνει καὶ ἐνεργέστερα διὰ τῶν παρ᾽
αὐτῆς μαθημάτων ἀπεργάζεται. φιλοσοφητέον
«ἄρα» ἂν εἴη. τη΄ Τὸ δὲ ἐπὶ χοίνικι μὴ
καθέζου Πυθαγορικώτερον ἐκδέξαιτ᾽ ἄν τις
ἐκ τῶν αὐτῶν τοῖς ἄνωθεν ὁρμώ[117]μενος. ἐπεὶ γὰρ σωματότητι καὶ ζῳωδίᾳ καὶ οὐ χοίνικι μετρητή ἐστιν ἡ τροφή,
μὴ ἠρέμει μηδ᾽ ἀμύ- ESORTAZIONE ALLA
FILOSOFIA 455 sole” fa la medesima
esortazione: Non metterti a compiere niente di
animalesco, ma filosofa guardando il cielo e il sole, e abbi come
guida la luce della verità, e ricordati
di non avere mai, in filosofia, pensieri
di basso profilo, ma innalzati verso gli dèi e la sapienza per mezzo
del- l'osservazione dei fenomeni
celesti, e applicandoti alla filosofia e puri-
ficandoti con la stessa luce della verità e volgendoti a tale occupazio- ne, cioè alla teologia e all'indagine sulla
natura e alla conoscenza <delle
leggi> dell’astronomia e alla ricerca delle cause che trascendo- no tutte queste cose, tu non compirai mai
niente di animalesco né di
bestiale. [116] 16. La stessa
cosa prescrive anche il simbolo che dice “Non
strofinare una fiaccola su una sedia”. Non è infatti soltanto perché
la fiaccola è purificatrice [142dP] in
quanto partecipa velocemente e al
massimo livello del fuoco, come di ciò che è detto divino, che il sim- bolo incoraggia a non insozzare quella stessa
cosa che per natura è capace di
eliminare le sozzure, e a non combattere la sua idoneità naturale insudiciando ciò che capace di
impedire il sudiciume, ma incoraggia
piuttosto a non mescolare né contaminare ciò che è pro- prio della sapienza con ciò che è proprio
dell’animalità; il simbolo infatti ha
messo a confronto la fiaccola con la filosofia in virtà del suo splendore, e la sedia con l’animalità in
virti del fatto che è poggiata al suolo. 17. Il simbolo che dice “Alleva un gallo senza
sacrificarlo, perché è sacro alla luna e
al sole” ci consiglia di nutrire e rinforzare e non tra- scurare ciò che dissolve e corrompe i grandi
indizi dell'unione e coe- sione e
simpatia e cospirazione del cosmo. Sicché ci esorta a impe- gnarci nella contemplazione dell’universo e
nella filosofia, perché la verità
sull’universo, essendo per natura nascosta, è anche abbastanza difficile ad essere raggiunta; e tuttavia
dev'essere dall'uomo indagata e
rintracciata il più possibile per mezzo della filosofia, perché è impossibile ottenere questo per mezzo di
altra occupazione; ma la filosofia,
assumendo dalla natura delle piccole scintille e facendone come un viatico, le accende e le ingrandisce
e le rende più attive per mezzo delle
sue <conoscenze> matematiche. Bisognerà dunque filo- sofare.
18. Il simbolo che dice “Non sederti su una chenice” lo si potreb- be accogliere in un senso più pitagorico
partendo dalle stesse consi- derazioni
che abbiamo fatto sopra. [117] Poiché infatti il nutrimento 456 GIAMBLICO ntos φιλοσοφίας διατέλει, ἀλλ᾽ εἰς ταύτην
σαυτὸν δοὺς ἐκείνου μᾶλλον προνοοῦ τοῦ
ἐν σοὶ θεοειδεστέρου, ὅ ἐστι ψυχή, καὶ πολὺ
πρότερον τοῦ ἐν ταύτῃ νοῦ, ὧν τροφὴ οὐ χοίνικι ἀλλὰ θεωρίᾳ καὶ μαθήσει μετρεῖται. ιθ΄ Τὸ δὲ γαμψώνυχον μηδὲν παράτρεφε
Πυθαγορικώτερον συμβου- λεύξι᾽
κοινωνικὸς ἴσθι, μεταδοτικός, καὶ τοὺς ἄλλους τοιούτους εἶναι παρασκεύαζε, [10] διδόναι τι καὶ
δέχεσθαι ἀκακοήθως καὶ ἀφθόνως ἐθίζων,
ἀλλὰ μὴ πάντα μὲν λαμβάνειν ἀπλήστως, διδόναι
δὲ μηδέν. ἡ γὰρ τῶν γαμψωνύχων φυσικὴ διοργάνωσις λαβεῖν μὲν τάχιστα καὶ ῥᾳδίως δεδημιούργηται, ἀφεῖναι δὲ
ἢ μεταδοῦναι οὐκέ- τι διὰ τὴν ἔνστασιν
ἀγκύλων ὄντων τῶν ὀνύχων, ὃν τρόπον καὶ αἱ
κρεάγραι πεφύκασιν ἐπισπᾶσθαι μὲν τάχιστα, ἀφιέναι δὲ δυσχερῶς, εἰ μή τις ἄρα ὑπερεπικλίνῃ αὐτὰς
ἀναστρέφων. προσαρ- τηθεισῶν δὴ ἡμῖν ὑπὸ
τῆς φύσεως τῶν χειρῶν, ἵνα δι᾽ αὐτῶν διδῶμέν
τε καὶ δεχώμεθα κατὰ τὸν [20] κοινωνικὸν λόγον, καὶ τῶν δακτύλων ἁπλῶν πως καὶ οὐκ ἀγκύλων αὐταῖς
προσπεφυκότων, OÙ μιμητέον ἐν τοῖς
τοιούτοις τὰ γαμψώνυχα ἑτέρῳ τρόπῳ δημιουργηθέντα ὑπὸ τοῦ πλάσαντος, ἀλλὰ μᾶλλον κοινωνητέον ἀλλήλοις
καὶ μεταληπτέον, προτρεπομένους εἰς τὸ
τοιοῦτον ὑπ᾽ αὐτῶν τῶν τὰ ὀνόματα τιθε-
μένων, οἱ τὴν δεξιὰν τῶν χειρῶν ἐντιμοτέραν ὠνόμασαν οὐ μόνον ἀπὸ τοῦ δέχεσθαι, ἀλλὰ καὶ ἀπὸ τοῦ δεκτὴν
ὑπάρχειν ἐν τῷ μεταδι- δόναι. δικαιοπραγητέον
ἄρα, διὰ δὲ τοῦτο [118] φιλοσοφητέον’
ἀμοιβὴ γάρ τις καὶ ἀνταπόδοσις ἡ δικαιοσύνη, τὸ πλεονάζον καὶ ἐλλιπὲς ἀνταποδιδοῦσα δι᾽ ἀντισώσεως. κ΄ Τὸ δὲ ἐν ὁδῷ μὴ σχίζε δηλοῖ ὅτι ἕν μὲν τὸ
ἀληθές, πολυσχιδὲς δὲ τὸ ψεῦδος: δῆλον
δὲ ἐκ τοῦ τὸ μέν τι ἕκαστον μοναχῶς λέγεσθαι
εἴπερ ὑγιῶς λέγοιτο, τὸ δέ τι οὐχὶ ἕκαστον ἀπείροις τρόποις. ὁδὸς δὴ ἣ φιλοσοφία δοκεῖ εἶναι. λέγει οὖν ὅτι
αἱροῦ φιλοσοφίαν ἐκείνην καὶ τὴν ἐπὶ
σοφίαν ὁδόν, ἐν ἧ οὐ [10] σχίσεις οὐδὲ ἀντιλε- ESORTAZIONE ALLA FILOSOFIA 457 si misura con la corporeità e animalità e
non con una chenice, esso non rimane
stabile né perdura senza essere iniziato alla filosofia, ma prevedendo, nel consacrarti a questa, [143dP]
a quel che c’è in te di più divino, che
è <appunto> l’anima, e molto prima ancora all’intel- letto che è nell'anima, avendo ambedue un
nutrimento che non si misura con una
chenice ma con la contemplazione e con l’apprendi- mento.
19. Il simbolo che dice “Non allevare nessun rapace” dà in un modo più pitagorico il seguente consiglio:
sii socievole, liberale, e pre- para ad
essere tali <anche> gli altri, abituandoli a donare e ricevere senza frode né invidia, anzi a non afferrare
ogni cosa in maniera insa- ziabile,
senza donare nulla. La struttura naturale dei rapaci, infatti, è stata creata per afferrare con la massima
velocità e facilità, senza più mollare
né condividere nulla delle cose che tengono con le loro unghie che sono ricurve proprio per
trattenere, alla stregua degli uncini
che sono fatti per tirare <la carne dalla pentola> con la massi- ma velocità, senza mollarla facilmente, a
meno che qualcuno non vi si curvi sopra
per rivoltarli. In verità, poiché dalla natura ci sono state attaccate le mani, affinché con esse
potessimo dare e ricevere a secon- da
del nostro rapporto sociale, e le dita sono state fatte per natura in qualche modo semplici e non ricurve, allora
occorre che noi imitiamo in ciò i rapaci
che sono stati dal creatore plasmati in altro modo, ma piuttosto socializziamo e partecipiamo
reciprocamente, essendo noi esortati a
una cosa del genere dagli stessi impositori dei nomi, i quali hanno chiamato la mano destra con tale nome
pit pregevole non sem- plicemente perché
riceve, ma anche perché viene ricevuta nell’atto di dare in cambio. Bisogna dunque agire secondo
giustizia, e per far questo [118]
bisogna filosofare, perché la giustizia è un atto di rico- noscenza e un dare in cambio, in quanto fa
corrispondere per egua- gliamento
l’eccesso e il difetto. 20. Il simbolo
che dice “Quando sei in cammino non tagliare
<alberi>” fa vedere che una sola è la verità, e che la falsità è
frantu- mata; ed è chiaro perciò che,
mentre la prima consiste nel dire ogni
cosa in maniera univoca, qualora ci si esprima con chiarezza,
l’altra invece [144dP] nel dire ogni
cosa non già in maniera univoca, <ma>
in modi infiniti. In verità il cammino <di cui parla il simbolo>
sembra essere la filosofia. Esso dunque
intende dire questo: scegli questa filo-
458 GIAMBLICO γόμενα
δογματίσεις, ἀλλὰ ἑστῶτα καὶ τὰ αὐτὰ ἑαυτοῖς ἀποδείξει ἐπιστημονικῇ βεβαιωθέντα διὰ μαθημάτων καὶ
θεωρίας, ὅ ἐστι Πυθαγορικῶς φιλοσόφει.
δύναται δὲ καί, - ἐπειδὴ ἡ διὰ τῶν σωμα-
τικῶν καὶ αἰσθητῶν χωροῦσα φιλοσοφία, ἧἣ οἱ νεώτεροι κατακόρως χρῶνται καὶ τὸν θεὸν καὶ τὰς ποιότητας καὶ
τὴν ψυχὴν καὶ τὰς ἀρε- τὰς καὶ ἁπλῶς
πάντα τὰ ἐν τοῖς οὖσιν αἴτια κυριώτατα νομίζοντες σῶμα εἶναι, εὐολίσθητός ἐστι καὶ
εὐανάτρεπτος, ὡς δηλοῦσιν αἱ τῶν
δοκούντων τι λέγειν περὶ αὐτῆς ποι[20]κιλώταται ἐπιχειρ- noe: ἡ δὲ «διὰ» τῶν ἀσωμάτων καὶ νοητῶν ἀύλων
τε καὶ ἀιδίων τὴν προχώρησιν ποιουμένη,
τῶν τε ἀεὶ κατὰ τὰ αὐτὰ καὶ ὡσαύτως
ἐχόντων καὶ οὐδέποτε ὅσον ἐπ᾽ αὐτοῖς φθορὰν ἢ μεταβολὴν ἐπιδε- χομένων, ὁμοία τοῖς ὑποκειμένοις ἀδιάπτωτός
ἐστι καὶ εὐσταθής, ἑδραίας καὶ ἀκλινοῦς
ἀποδείξεως δημιουργός, - συμβουλεύει τοί-
νυν ἡμῖν τὸ παράγγελμα, ἐπειδὰν φιλοσοφῶμεν καὶ τὴν δηλουμένην ὁδὸν ἀνύωμεν, φεύγειν μὲν τὴν τῶν σωματικῶν
καὶ πολυσχιδῶν ἐπι- βολὴν καὶ ἀποδοχήν,
προσοικειοῦσθαι δὲ τῇ τῶν [119] ἀσωμάτων
οὐσίᾳ τῇ οὐκ ἔστιν ὅτε οὐχὶ ἑαυτοῖς ὁμοίων διατελούντων διὰ τὴν ἐνυπάρχουσαν αὐτοῖς φύσει ἀλήθειαν καὶ
ἀδιαπτωσίαν. κα΄ Τὸ δὲ χελιδόνα οἰκίᾳ
μὴ δέχου συμβουλεύει: ῥάθυμον καὶ μὴ
διηνεκῶς φιλοπονοῦντα μηδὲ ἐπίμονον αἱρετιστὴν καὶ γνώριμον εἰς τὰ σὰ δόγματα μὴ ἐπιδέχου, δεόμενα συνεχοῦς
καὶ εὐτονωτάτης προσοχῆς καὶ φερεπονίας
διὰ τὴν τῶν ἐν αὐτοῖς ποικίλων μαθημάτων
ἐξαλλαγὴν καὶ περιπλέκειαν. εἰκόνι δὲ ῥᾳθυ[!0]μίας καὶ ἐγκοπῆς χρόνων χελιδόνι κέχρηται, ὅτι
μέρος τι τοῦ ἐνιαυτοῦ αὕτη ἐπιφοιτᾷ ἡμῖν
καὶ ὡσανεὶ ἐπιξενοῦται πρὸς βραχὺν καιρόν, τὸ
δὲ πλεῖον ἀφίσταται καὶ ἀφανὴς ἡμῖν ὑπάρχει. κβ΄ Τὸ δὲ δακτύλιον μὴ φόρει ἀκολούθως τῷ
Πυθαγορικῷ ἀρέσκον- τι ἕλκομεν εἰς τὴν
παράκλησιν οὕτως: ἐπεὶ δεσμοῦ τρόπῳ περίκει-
ESORTAZIONE ALLA FILOSOFIA 459
sofia anche <perché è> il cammino verso la sapienza, nella quale
tu non acquisirai dottrine spezzettate
né contraddittorie, ma stabili e
consolidate nel loro essere sempre identiche a se stesse per mezzo
di una dimostrazione scientifica
attraverso le matematiche e la contem-
plazione, il che significa: filosofa alla maniera pitagorica. Ma
poiché la filosofia che attraversa ciò
che è corporeo e sensibile, la filosofia
cioè praticata abbondantemente dai filosofi più recenti i quali
credo- no che dio e le qualità e l’anima
e le virtù e, per dirla in breve, tutte
le più importanti cause degli enti non siano altro che corpo,
poiché questa filosofia, dico, è
scivolosa e controvertibile, come mostrano le
variegatissime argomentazioni di coloro che credono di dire
qualcosa <di serio> intorno ad
essa; mentre la filosofia che procede attraverso ciò che è incorporeo e intelligibile e
immateriale ed eterno, e che è sempre
identico a se stesso e allo stesso modo e che in quanto tale non ammette mai né corruzione né mutamento,
essendo simile a ciò che è suo oggetto,
è infallibile e stabile, e costruttrice di dimostrazioni soli- de e indeclinabili, allora l'ordine di questo
simbolo si può ridurre al seguente
consiglio: dopo che noi abbiamo filosofato e compiuto il cammino indicato, dobbiamo rifuggire dal
concepire e accettare ciò che è corporeo
e frantumato, e impadronirci dell'essenza degli [119] incorporei che appartiene alle cose che
perdurano sempre simili a se stesse per
via della verità e della infallibilità che esse possiedono per natura.
21. Il simbolo che dice “Non accogliere in casa una rondine” dà il seguente consiglio: non accettare quale
seguace o discepolo del tuo insegnamento
dottrinale chi è indolente e non è capace di resistere a lungo alla fatica e non è perseverante,
perché il tuo insegnamento esige
un’attenzione continua e intensissima e una capacità di soppor- tare la fatica a causa del mutamento e
complessità delle sue varie discipline.
[145dP] Il simbolo della rondine è servito quale immagi- ne di indolenza e incapacità di
perseverare,124 perché essa vive assie-
me a noi per una parte dell’anno ed è in qualche modo nostra ospite per una breve occasione, mentre per molto
tempo se ne sta lontana e ci rimane
invisibile. 22. Il simbolo che dice
“Non portare anello” noi lo riduciamo,
seguendo la dottrina pitagorica, alla seguente raccomandazione:
poi- ché l'anello cinge quelli che lo
portano alla stregua di una catena,
460 GIAMBLICO ται τοῖς φοροῦσιν
ὁ δακτύλιος, ἴδιον ἔχων τὸ μὴ ἄγχειν μηδὲ κακου- χεῖν ἀλλά πὼς ἁρμόζειν καὶ προσφυῶς ἔχειν,
δεσμὸς δὲ τοιοῦτός τις καὶ τὸ σῶμα τῇ
ψυχῇ ὑπάρχει, τὸ οὖν [20] δακτύλιον μὴ φόρει φιλο- σόφει φησὶν ὡς ἀληθῶς καὶ χώριζε τοῦ
περικειμένου δεσμοῦ τὴν ψυχήν μελέτη γὰρ
θανάτου καὶ χωρισμὸς ψυχῆς ἀπὸ σώματος ἡ
φιλοσοφία. τὴν ἄρα Πυθαγορικὴν μέτιθι σπουδῇ μεγάλῃ, τὴν ἀφι- στᾶσαν ἑαυτὴν διὰ τοῦ νοῦ ἀπὸ σωματικῶν
πάντων καὶ περὶ τὰ νοητὰ καὶ ἄυλα διὰ
τῶν θεωρητικῶν μαθημάτων καταγιγνομένην᾽
ἀλλὰ καὶ ἀπόλυε σαυτοῦ τὰ ἁμαρτήματα καὶ ἀνθολκὰ καὶ κωλυ- σιεργὰ τοῦ φιλοσοφεῖν σαρκὸς ἀσχολήματα
τροφάς τε ὑπερ- βαλλούσας καὶ πληθώρας
ἀκαίρους, δεσμοῦ τρόπον τὸ [120] σῶμα
καταλαμβανούσας νοσοκομίας τε καὶ ἀσχολίας ἀδιαλείπτους ἐμπο- ιούσας.
κγ΄ Τὸ δὲ θεοῦ τύπον μὴ ἐπίγλυφε δακτυλίῳ κατὰ τὴν προλεχθεῖσαν ἔννοιαν προτροπῇ χρῆται τοιᾷδε᾽ φιλοσόφει καὶ
ἀσωμάτους πρὸ παντὸς ἡγοῦ θεοὺς
ὑπάρχειν᾽ τὸ γὰρ κυριώτατον ῥίζωμα τῶν
Πυθαγορικῶν δογμάτων τοῦτ᾽ ἐστίν, ἐξ οὗ τὰ πάντα σχεδὸν ἤρτηται καὶ ὑφ᾽ οὗ μέχρι τέλους κρατύνεται᾽ μὴ νόμιζε
δὲ μορφαῖς αὐτοὺς κεχρῆσθαι ὅσαι εἰσὶ
σωματικαί, [10] μηδὲ προσδεδέσθαι
ὑποστάσει ὑλικῇ καὶ οἷον δεσμῷ ὑλικῷ σώματι, ὥσπερ τὰ ἄλλα ζῷα. αἱ δὲ ἐπὶ δακτυλίοις γλυφαὶ τόν τε δεσμὸν δι᾽
αὐτοῦ τοῦ δακτυλίου ἐμφαίνουσι καὶ τὴν
σωματότητα τό τε αἰσθητὸν εἶδος καὶ ὡσανεί
τινος τῶν ἐπὶ μέρους ζῴων διὰ τῆς γλυπτῆς προσόψεως, ἧς χωριστέ- ον μάλιστα τὸ τῶν θεῶν γένος ὡς ἀίδιόν τε καὶ
νοητὸν καὶ κατὰ τὰ αὐτὰ καὶ ὡσαύτως ἀεὶ
ἔχον, ὡς ἐν τῷ Περὶ θεοῦ ἰδίως καὶ πληρέ-
στατα τεχνολογεῖται. κδ΄ Τὸ δὲ
παρὰ λύχνον μὴ ἐσοπτρίζου Πυθαγορι[20]κώτερον συμ- βουλεύει τὸ φιλοσόφει μὴ προστρέχων μὴ ταῖς
κατ᾽ αἴσθησιν φαντα- σίαις, αἵτινες φῶς
μέν τι περὶ τὰς καταλήψεις ποιοῦσι, λυχνοειδὲς
μέντοι καὶ οὐχὶ φυσικὸν οὐδὲ ἀληθές, ἀλλὰ μᾶλλον ταῖς κατὰ τὸ νοητικὸν ἐπιστημονικαῖς, ἀφ᾽ ὧν λαμπροτάτη
τις εὐαυγία καὶ ἀδιάπταιστος περὶ τὸ τῆς
ψυχῆς ὄμμα συνίσταται ***38 ἐξ ἁπάντων
ESORTAZIONE ALLA FILOSOFIA 461
avendo la proprietà <tuttavia> di non soffocare né tormentare, ma
di adattarsi in qualche modo e aderire
naturalmente <a noi>, e una cate-
na del genere è per l’anima anche il corpo, allora “non portare
anel- lo” vuol dire: sii veramente
filosofo e separati dalla catena che cinge
la tua anima, perché la filosofia è meditazione sulla morte e
separazio- ne dell'anima dal corpo.
Coltiva dunque con grande serietà la filoso-
fia pitagorica, che si distacca per mezzo dell'intelletto da ogni
cosa corporea e si occupa di ciò che è
intelligibile e immateriale per mezzo
delle discipline contemplative; ma liberati anche degli errori e
degli ostacoli e di quanto impedisce di
filosofare, cioè affari carnali ed
eccessivi nutrimenti e inopportuni riempimenti, che alla stregua di una catena [120] afferrano il corpo e gli
impongono cure di malattie e continue
perdite di tempo libero.125 23. Il
simbolo che dice “Non scolpire alcuna effigie di divinità su un anello”, seguendo l’idea già espressa
sopra, si serve della seguente
esortazione: filosofa e anzitutto sii del parere che gli dèi sono
incor- porei, perché le dottrine
pitagoriche hanno questo come loro radice
più importante, dalla quale dipendono e sono dominate fino in fondo quasi tutte le loro idee; e non credere che
gli dèi abbiano <mai> uti- lizzato
forme che siano corporee, né che abbiano bisogno di una real- tà materiale o di un corpo come loro legame
materiale, come [146dP] accade agli
altri esseri viventi. Ma le effigi scolpite sugli anelli mostra- no sia questo tipo di legame per la stessa
forma che ha l’anello,126 sia la
corporeità e la specie sensibile e, per via di ciò che vi si può vede- re scolpito, in qualche modo di un animale
particolare, da cui occor- re tenere il
più possibile separato il genere degli dèi in quanto eterno e intelligibile e sempre identico a se stesso
e allo stesso modo, come viene
approfonditamente e particolarmente e pienamente spiegato nello scritto Su di0.127 24. Il simbolo che dice “Non specchiarti
vicino a una lucerna” dà in maniera più
pitagorica il seguente consiglio: filosofa senza accostar- ti alle rappresentazioni sensibili, le quali
gettano una certa luce sulle nostre
percezioni, luce che tuttavia è affine alle tenebre e nient’affat- to naturale né verace, ma piuttosto
accostandoti alle rappresentazio- ni
scientifiche dell’intelletto, dalle quali viene costituito nell’occhio dell'anima un certo splendore luminosissimo e
ininterrotto [lacu- na]!28 <come è
possibile ricavare> da ogni intellezione e intelligibile 462 GIAMBLICO τῶν νοημάτων «καὶ νοητῶν» καὶ τῆς περὶ ταῦτα
θεωρίας, ἀλλ᾽ οὐκ ἐκ τῶν σωματικῶν καὶ
αἰσθητῶν ἐν συνεχεῖ γὰρ ταῦτα ῥύσει καὶ
μεταβολῇ πολλάκις [121] ἐδηλώθη κατ᾽ οὐδένα τρόπον μόνιμα καὶ τὰ αὐτὰ ἑαυτοῖς ὑπάρχοντα, ἵνα καὶ βεβαίαν
ἐπιστημονικήν τε ὑπομείνῃ κατάληψιν καὶ
ἐπίγνωσιν ὡς ἐκεῖνα. κε΄ Τὸ δὲ περὶ
θεῶν μηδὲν θαυμαστὸν ἀπίστει μηδὲ περὶ θείων δογ- μάτων προτρέπει μετιέναι καὶ κτᾶσθαι ἐκεῖνα
τὰ μαθήματα, δι᾽ ἃ οὐκ ἀπιστήσεις οὐκέτι
περὶ θεῶν καὶ περὶ θείων δογμάτων ἔχων τὰ
μαθήματα καὶ τὰς ἐπιστημονικὰς ἀποδείξεις. κς΄ Τὸ δὲ ἀσχέτῳ γέλωτι μὴ ἔχεσθαι δηλοῖ
κρα[]0]τεῖν τῶν παθῶν διὰ λόγου
φιλοσόφου ἐπέχειν τε τὸ εὐμετάβλητον καὶ οὐ μόνιμον τῶν ἀνθρωπίνων παθῶν’ ὑπομίμνῃσκε δὲ σαυτὸν
τοῦ ὀρθοῦ λόγου, μήτε ἄρα εὐτυχίαις
ἐπιχαυνοῦ μήτε συμφοραῖς συνταπεινοῦ ἐν οὐ-
θετέρῳ μεταβολῆς ἔννοιαν ὑπολογιζόμενος. τὸν δὲ γέλωτα ὑπὲρ πάντων τῶν παθῶν ὠνόμασεν, ὅτι μόνος μάλιστα
ἐκφανῶς μηνύεται, ὥσπερ τι ἐπάνθημα
ὑπάρχων καὶ ἐπίφλεγμα μέχρι προσώπου τῆς
διαθέσεως. ἴσως δὲ [παραγγέλλει], ἐπειδὴ ἀνθρώπου ἴδιον παρὰ τὰ ἄλλα ζῷα οὗτος (ὁρίζονται γοῦν τινες ζῷον
αὐτὸ γελα[20]στικὸν εἶναι), δηλοῦται ὑπὸ
τοῦ παραγγέλματος τὸ μὴ ἐπιμόνως καὶ ἀμε-
ταβλήτως τῇ ἀνθρωπότητι ἔμμενε, ἀλλὰ μίμησιν θεοῦ κατὰ τὸ δυνα- τὸν τῶν φιλοσοφῶν καὶ τοῦ ἰδιώματος τούτου
τῶν ἀνθρώπων ὑπεκχωρῶν προκρίνων τε τὸ
λογικὸν τοῦ γελαστικοῦ εἰς διάκρισιν καὶ
διαφορὰν πρὸς τὰ λοιπὰ ζῷα. κζ΄ Τὸ δὲ
παρὰ θυσίᾳ μὴ ὀνυχίζου περὶ φιλίας ἐστὶ προτρεπτικόν᾽ τῶν γὰρ οἰκείων καὶ προσηκόντων [122] ἡμῖν ἐξ
αἵματος οἱ μὲν ἔγγιστα γένους εἰσὶν
ἀδελφοὶ καὶ τέκνα καὶ γονεῖς, ἐοικότες τοῖς
μέρεσιν ἡμῶν ἅπερ ἀφαιρεθέντα ἄλγημα οὐ τὸ τυχὸν παρέχει καὶ κολούρωσιν, οἷον δάκτυλοι χεῖρες ὦτα ῥὶν καὶ
τὰ ὅμοια᾽ οἱ δ᾽ ἐξ ἀποστήματος πολλοῦ
προσῳκειωμένοι, οἷον ἀνεψιάδαι ἢ πατρα-
δέλφων γαμβροντιδεῖς ἢ τοιοῦτοί τινες, ἐοίκασιν ἑκάστου ἡμῶν 38 Ia lacuna stabilita da Pistelli è stata
eliminata da des Places. 39 καὶ νοητῶν
aggiunse des Places seguendo i codd.: omise Pistelli. ESORTAZIONE ALLA FILOSOFIA 463 e dalla loro contemplazione, ma non dalle
cose corporee e sensibili, giacché
queste ultime, essendo in continuo scorrimento e mutamen- to, spesso [121] non si rivelano in aleun
modo come univoche e sem- pre identiche
a se stesse, perché possano sostenere una percezione e una conoscenza stabili e scientifiche come
possono fare quelle. 25. Il simbolo che
dice “A proposito di dèi e di dogmi divini non
mettere in dubbio niente di meraviglioso” esorta a perseguire e
acqui- sire quelle discipline, con le
quali tu non potrai più avere dubbi sugli
dèi e sul divino, in quanto possiedi già le matematiche e le
dimostra- zioni scientifiche. 26. Il simbolo che dice “Non mettersi a
ridere in modo irresistibi- le” mostra
che è possibile non farsi dominare dalle passioni per mezzo del discorso filosofico ed evitare l'aspetto
di facile mutevolezza e instabilità
delle passioni umane; ti richiama poi alla mente [147dP] il discorso corretto, che ti consente di non
inorgoglirti per il facile suc- cesso né
di deprimerti per gli insuccessi, rimanendo nell’idea che nel- l’un caso e nell’altro non cambia nulla. Il
simbolo ha usato il nome “riso” per
indicare tutte le passioni, nel senso che soltanto il riso si rivela in modo evidentissimo come una certa
efflorescenza e arrossa- mento della
pelle persino nella configurazione del viso. Poiché è peculiare dell’uomo tra tutti gli animali
(alcuni infatti definiscono l’uomo
“animale che ride”), allora questo simbolo probabilmente è indicato dal seguente ordine: non restare
permanentemente e immu- tabilmente nella
tua umanità, ma acquisisci col filosofare la sembian- za di un dio, per quanto ti sia possibile,
sia sottraendoti a questa pecu- liarità
degli uomini sia anteponendo la tua proprietà di essere razio- nale a quella di essere capace di ridere,
allo scopo di distinguerti e dif-
ferenziarti dagli altri animali.
27.11 simbolo che dice “Non tagliarti le unghie durante un sacri- ficio” è un’esortazione che concerne
l'amicizia: tra coloro, infatti, che ci
sono parenti o familiari [122] per sangue, alcuni sono i pit vicini per nascita e sono fratelli e figli e genitori,
che sono come parti di noi stessi, parti
la cui perdita ci procura un dolore e una mutilazione non comuni, come ad esempio la perdita delle
dita, delle mani, delle orec- chie, del
naso di cose del genere; altri invece sono parenti molto alla lontana, come ad esempio secondi cugini o zii
paterni o parenti affi- ni,!29 o simili,
e questi sono come parti del corpo di ciascuno di noi 464 GIAMBLICO τοῖς μέρεσιν dv τεμνομένων ἄλγησις οὐδεμία
παραγίνεται, οἷον θριξὶ καὶ ὄνυξι καὶ
τοῖς ὁμοίοις. βουλόμενος οὖν ἐκείνους τοὺς
συγ[10]γενεῖς δηλῶσαι τοὺς παρὰ τὸν ἄλλον χρόνον ἠμελημένους διὰ τὴν ἀπόστασιν, τοῖς ὄνυξιν ἐχρήσατο καὶ
εἶπε μὴ ἀποτίθεσο παντάπασι τούτους,
ἀλλ᾽ ἔν γε θυσίαις, εἰ καὶ τῷ ἄλλῳ χρόνῳ παρ-
ημελήθησαν, πρόσαγε αὐτοὺς σαυτῷ καὶ ἀνανέου τὴν οἰκειότητα. κη΄ Τὸ δὲ δεξιὰν μὴ παντὶ ῥᾳδίως ἔμβαλλε μὴ
ὄρεγε ῥᾳδίως φησὶ δεξιάν, τουτέστι μὴ
ἀνάσπα μηδὲ ἀνιμᾶν ἐπιχείρει δεξιὰν ὀρέγων
τοῖς ἀνεπιτηδείοις καὶ ἀνοργιάστοις, ἔτι δὲ διὰ παιδευμάτων τε καὶ διδαγμάτων, ἃ πολλῷ χρόνῳ δοκιμασθεῖσιν
ἀξίοις εἶναι τοῦ [20] μεταλαβεῖν
ἐγκρατείας τε καὶ πενταετοῦς σιωπῆς καὶ τῆς ἄλλης βασάνου μόγις δίδοται. κθ΄ Τὸ δὲ στρωμάτων ἐξαναστὰς συνέλισσε αὐτὰ
καὶ τὸν τύπον συν- στόρννυε τοῦτο
παραγγέλλει, ὅτι φιλοσοφεῖν ἐπιβαλλόμενος νοητοῖς λοιπὸν καὶ ἀσωμάτοις προσοικείου σεαυτόν. ἐκ
τοῦ οὖν τῆς ἀμαθί- ας ὕπνου καὶ
νυκτοειδοῦς σκότους ἐξανιστάμενος μηδὲν συνεπισπῶ σεαυτῷ σωματικὸν εἰς τὸ τῆς φιλο[] 23]σοφίας
ἡμεροειδές, ἀλλὰ πά- ντὰ τὰ τοῦ ὕπνου
ἐκείνου ἴχνη τῆς μνήμης τῆς σεαυτοῦ ἐκκάθαιρε
καὶ ἐξαφάνιζε. X Τὸ δὲ καρδίαν
μὴ τρῶγε σημαίνει τὸ μὴ δεῖν τὴν ἕνωσιν τοῦ
παντὸς καὶ τὴν σύμπνοιαν διασπᾶν, καὶ ἔτι μᾶλλον τὸ μὴ ἴσθι βά- σκανος, ἀλλὰ φιλάνθρωπος καὶ κοινωνικός. ἐκ
δὲ τούτου φιλοσο- φεῖν παραινεῖ. μόνη
γὰρ αὕτη ἐπιστημῶν καὶ τεχνῶν οὔτε
ἐπιλυπεῖται ἀγαθοῖς ἀλλοτρίοις οὔτε ἐπιχαίρει κακοῖς τοῖς πέλας, ἅτε φύσει συγγενεῖς καὶ οἰκείους ὁμοιοπαθεῖς
τε καὶ [10] κοινῇ ὑποκειμένους τύχῃ
ἀπροόρατόν τε τὸ μέλλον ἔχοντας τοὺς
ἀνθρώπους πάντας ὁμαλῶς ἀποφαίνουσα᾽ διόπερ συμπαθεῖς τε καὶ φιλαλλήλους παραγγέλλει εἶναι, κοινωνικόν τε
ὡς ἀληθῶς καὶ λογικὸν ζῷον. λα΄ Τούτῳ δὲ ἔοικε καὶ τὸ ἐγκέφαλον μὴ
ἔσθιε" καὶ γὰρ αὐτὸς οὗτος
ἡγεμονικόν ἐστι τοῦ φρονεῖν ὄργανον. αἰνίττεται οὖν ὡς οὐ δεῖ καλῶς βεβουλευμένα πράγματα καὶ δόγματα
διασιλλαίνειν μηδὲ ESORTAZIONE ALLA
FILOSOFIA 465 che si possono amputare
senza provocare alcun dolore, ad esempio i
capelli e le unghie e simili. Volendo dunque indicare questi nostri congiunti, che si possono trascurare per il
resto del tempo, data la loro distanza,
il simbolo si è servito delle unghie, dicendo: non allon- tanarti da costoro, ma durante i sacrifici,
almeno, anche se li hai tra- scurati per
il resto del tempo, avvicinati a loro e rinverdisci la tua parentela.
[148dP] 28. Il simbolo che dice “Non porgere facilmente a chiunque la mano destra” significa: non
porgere facilmente la mano destra, cioè
non tirare fuori, non cercare di far risalire in loro, porgen- do la mano destra, gli inetti e i non
iniziati, e per giunta attraverso
l'educazione e l'insegnamento, che sono dati a stento a coloro che appaiono per molto tempo degni di condividere
l’esercizio della con- tinenza e del
silenzio quinquennale e di altre prove.
29. Il simbolo che dice “Quando ti sei alzato dal letto, arrotola
le coperte spianando al contempo
l'impronta <del tuo corpo>” dà il
seguente ordine: se vuoi applicarti alla filosofia, familiarizzati per
il resto del tempo con gli intelligibili
e gli incorporei. Ne consegue, dun- que,
che quando ti sei levato dal sonno dell’ignoranza e dalle tenebre notturne, non devi trascinare con te nulla di
corporeo verso ciò che [123] nella
filosofia è affine alla luce diurna, ma devi purificare e fare sparire dalla tua memoria ogni traccia di
quel sonno. 30. Il simbolo che dice
“Non masticare del cuore” significa che
non si deve straziare l’unità e la cospirazione del cosmo, e ancor
più questo: non essere malevolo, ma
filantropo e socievole. E perciò que-
sto simbolo incoraggia a filosofare, perché soltanto la filosofia, tra
le scienze e le tecniche, né si
rattrista per i beni altrui né si rallegra per i mali dei vicini, in quanto per natura essa fa
vedere che tutti gli uomi- ni sono
ugualmente parenti e familiari che hanno le stesse passioni e sono soggetti ad una comune fortuna e non
possiedono il dono della previsione del
futuro; è per questo che il simbolo prescrive di avere simpatia reciproca, e di condurre una vita
veramente socievole e razionale. 31. A questo somiglia anche il simbolo che
dice “Non mangiare cervello”, anche
perché lo stesso cervello è il principale strumento del pensiero.!30 Il simbolo allude quindi al
fatto che non bisogna giusta- mente né
beffeggiare né sbranare!3! cose e dottrine già deliberate, e 466 GIAMBLICO διαδάκνειν, καλῶς δ᾽ dv εἴη βεβουλευμένα tà
διὰ φρενῶν καὶ τοῦ κατ᾽ αὐτὸ τὸ νοεῖν
ἡγεμονικοῦ συνεσκεμμένα, [20] ἴσον τῷ ἐπι-
στημονικά. οὐ γὰρ διὰ τῶν τοῦ ἀλόγου τῆς ψυχῆς εἴδους ὀργάνων, καρδίας καὶ ἤπατος, ἀλλὰ διὰ τοῦ καθαροῦ τοῦ
λογιστικοῦ τὰ τοιαῦτα ἐθεωρήθη: διόπερ
ἀβουλία τὸ ἀντικόπτειν αὐτοῖς. σέβε-
σθαι δὲ μᾶλλον κελεύει τὸ σύμβολον τὴν τῶν φρενῶν πηγὴν καὶ τὸ τῷ νοεῖν προσεχέστατον ὄργανον, δι᾽ οὗ
θεωρίαν τε καὶ ἐπιστήμην καὶ τὸ σύνολον
σοφίαν κτώμεθα καὶ ὡς ἀληθῶς φιλοσοφοῦμεν, καὶ
μὴ συγχεῖν μηδὲ ἀφανίζειν τὰ δι᾽ αὐτοῦ ἴχνη. λβ΄ [124] Τὸ δὲ ἀποκαρμάτων σῶν καὶ
ἀπονυχισμάτων κατάπτυε λέ- γει τοῦτο:
εὐκαταφρόνητα τὰ σύμφυτα μέν σοι, ἀψυχότερα δέ πως, ὥσπερ τιμιώτερα τὰ ψυχικώτερα᾽ οὕτως δὴ καὶ
ἐπειδὰν φιλοσοφεῖν ἐπιβάλῃ, προτίμα μὲν
τὰ διὰ ψυχῆς καὶ νοῦ ἄνευ αἰσθητηρίων ἀπο-
δεικνύμενα διὰ θεωρηματικῆς ἐπιστήμης, καταφρόνει δὲ καὶ κατάπτυε τῶν ἄνευ νοητικοῦ φωτὸς δοξαζομένων
διὰ τῶν συμφύτων ψιλῶς αἰσθητηρίων, ἃ
μηκέτι εὐτονεῖ τῇ τοῦ νοῦ ἀιδιότητι παρο-
μαρτεῖν. λγ΄ [10] Τὸ δὲ ἐρυθῖνον
μὴ προσλαμβάνου φαίνεται πρὸς τὴν τοῦ
ὀνόματος ἐτυμολογίαν ψιλὴν συμβεβλῆσθαι. ἀπηρυθριακότα γὰρ καὶ ἀναίσχυντον μὴ ἐπιδέχου ἄνθρωπον, ἢ ἐκ
τοῦ ἐναντίου καταπλῆγα καὶ ἐν παντὶ καθ᾽
ὑπερβολὴν ἐρυθριῶντα καὶ ταπεινού- μενον
ὑπό τε νοῦ καὶ ἀσθενοῦς διανοίας. διὰ δὲ τούτου νοεῖται τὸ μὴ αὐτὸς τοιοῦτος ἴσθι. λδ΄ Τὸ δὲ χύτρας ἴχνος ἀπὸ σποδοῦ ἀφάνιζε
σημαίνει συγχύσεως καὶ παχυτῆτος, ὅπερ
ἐστὶ σωματικῶν καὶ αἰσθητῶν ἀποδείξεων,
ἐκλανθάνεσθαι φιλοσο[20]φεῖν ἐπιβαλλόμενον, νοηταῖς δὲ χρῆσθαι μᾶλλον ἀποδείξεσιν. ἡ δὲ σποδὸς ἀντὶ τῆς
κόνεως τῆς ἐπὶ τοῖς ἄβαξι παρελήφθη, ἐφ᾽
ἧς αἱ ἀποδείξεις συμπεραίνονται.
ESORTAZIONE ALLA FILOSOFIA 467
saranno giustamente [149dP] deliberate le cose che sono connesse per mezzo della mente e della facoltà
egemonica conforme allo stesso pensare,
che è la stessa cosa che dire connesse scientificamente. Non per mezzo degli strumenti della forma
irrazionale dell'anima, infatti, cioè
fegato e cuore, ma per mezzo della sua forma pura e razionale cose di questo genere possono essere
contemplate; perciò è segno di
svogliatezza il resistere ad esse. Il simbolo poi consente di venerare piuttosto la fonte della mente e lo strumento
più aderente al pensare, per mezzo del
quale noi acquistiamo contemplazione e scienza e insomma sapienza e filosofiamo come veramente
si deve, senza scom- pigliare né fare
sparire le tracce che esso ci fa scoprire.
[124] 32. Il simbolo che dice “Sputa sopra i tuoi capelli rasati e le tue unghie tagliate” vuol significare questo:
devi disprezzare le cose che crescono
assieme a te, e che in qualche modo sono piuttosto prive di anima, cosi come più apprezzabili sono le
cose piuttosto animate; in tal modo,
anche dopo che ti sarai impegnato a filosofare, stima soprattutto ciò che viene dimostrato per
mezzo dell’anima e dell’in- telletto,
senza il concorso dei sensi, ma <solo> per mezzo della scien- za teoretica, e disprezza e sputa sopra ciò
che viene opinato senza la luce
dell’intelletto, ma per mezzo dei puri sensi che crescono assieme a te, e che non valgono più per accompagnare
l’eternità dell’intellet- to. 33. Il simbolo che dice “Non assumere
<come cibo> il pesce fra- golino”
mostra avere avuto un significato simbolico <solo> in rappor- to all’etimologia del nome, perché tu non
devi accogliere chi non arrossisce [sc.
l’impudente] e non prova pudore, o che, al contrario, è timido e arrossisce eccessivamente in ogni
occasione e si rattrista a causa della
sua debolezza e di intelletto e di ragione. Perciò il simbo- lo intende dire questo: non essere tu stesso
come sono costoro. 34. Il simbolo che
dice “Cancella dalla cenere <ogni> traccia della pentola” significa questo: chi si impegna a
filosofare deve dimentica- re la
confusione e la grossolanità proprie delle dimostrazioni basate sui corpi e sui sensi, e utilizzare piuttosto
le dimostrazioni basate sul-
l'intelletto. [150dP] La cenere, d’altra parte, è assunta dal simbolo
al posto della polvere che si sparge
sulle tavolette, su cui si concludono le
dimostrazioni <matematiche>. 35.
Il simbolo che dice “Non fare l’amore con una donna piena 468 GIAMBLICO λε΄ Χρυσὸν δὲ ἐχούσῃ μὴ πλησίαζε ἐπὶ
τεκνοποιίᾳ, οὐ γυναικὶ λέ- γει, ἀλλ᾽
αἱρέσει καὶ φιλοσοφίᾳ, ἧπέρ ἐστι πολὺ τὸ σωματικὸν καὶ κατάφορον εἰς βαρύτητα. πάντων γὰρ τῶν ἐπὶ
γῆς βαρύτατον χρυσὸς καὶ τῆς ἐπὶ τὸ
μέσον φορᾶς διωκτικόν, ὅπερ βάρους σωματικοῦ
ἴδιον. τὸ δὲ πλησιάζειν οὐ μόνον συγγίνεσθαι, ἀλλὰ καὶ συνεγγί- ζειν ἐστὶ καὶ πλησίον καθίστασθαι. λς΄ [125] Τὸ δὲ προτίμα τὸ σχῆμα καὶ βῆμα
τοῦ σχῆμα καὶ τριώβο- λον παραγγέλλει
τοῦτο: φιλοσόφει καὶ μαθήματα μέτιθι μὴ
παρέργως, καὶ δι᾽ αὐτῶν ὥσπερ διαβάθρας ἐπὶ τὸ προκείμενον χώρει κατάπτυε δὲ τῶν προτιμωμένων καὶ
πρεσβευομένων τοῖς πολλοῖς, καὶ προτίμα
τὴν Ἰταλικὴν φιλοσοφίαν τὴν τὰ ἀσώματα καθ᾽
αὑτὰ θεωροῦσαν τῆς Ἰωνικῆς τῆς τὰ σώματα προηγουμένως ἐπισκο- πουμένης.
λζ΄ Τὸ δὲ κυάμων ἀπέχου συμβουλεύει φυλάττεσθαι [10] πᾶν ὅσον ἐστὶ φθαρτικὸν τῆς πρὸς θεοὺς ὁμιλίας καὶ τῆς
θείας μαντικῆς. λη΄ Τὸ δὲ μολόχην
petaguteve μέν, μὴ ἔσθιε δέ, αἰνίττεται μὲν ὅτι
συντρέπεται τῷ ἡλίῳ τὰ τοιαῦτα φυτὰ καὶ παρατηρεῖν ἀξιοῖ τοῦτο, πρόσκειται δὲ τὸ μεταφύτενε, τουτέστιν
ἐπιστὰς τῇ αὐτοῦ φύσει καὶ τῇ πρὸς τὸν
ἥλιον διατάσει καὶ συμπαθείᾳ μὴ ἀρκοῦ μηδὲ ἐπίμενε μόνῳ τούτῳ, ἀλλὰ τὴν διάνοιαν μεταβίβαζε καὶ
ὡσανεὶ μεταφύτευε καὶ ἐπὶ τὰ ὁμογενῆ
φυτὰ καὶ λάχανα καὶ ἐπὶ τὰ μὴ ὁμογενῆ [δὲ] ζῷα
ἤδη [20] καὶ λίθους καὶ ποταμοὺς καὶ πάσας ἁπλῶς φύσεις; πολύ- χουν γὰρ εὑρήσεις καὶ πολύτροπον θαυμασίως δὲ
δαψιλὲς τὸ τῆς τοῦ κόσμου ἑνώσεως καὶ
συμπνοίας σημαντικόν, ὥσπερ ἀπὸ ῥίζης
καὶ ἀφετῆρος τῆς μολόχης ὡρμημένος. οὐ μόνον οὖν μὴ ἔσθιε μηδὲ ἀφάνιζε τὰς τοιαύτας παρατηρήσεις, ἀλλὰ καὶ
αὖξε καὶ πληθοποί- ει δίκην
μεταφυτεύοντος. λθ΄ Τὸ δὲ ἐμψύχων
ἀπέχου. ἐπὶ δικαιοσύνην προτρέπει καὶ πᾶσαν
τὴν τοῦ συγγενοῦς τιμὴν καὶ τὴν τῆς ὁμοίας ζωῆς ἀποδοχὴν καὶ πρὸς ἕτερα τοιαῦτα πλείονα. ESORTAZIONE ALLA FILOSOFIA 469 d’oro per generare dei figli” non intende
parlare di una donna, ma di una scuola o
di una filosofia, che senta molto il peso del corporeo e di ciò che porta verso il basso. Fra tutti i
corpi che si trovano sulla terra,
infatti, l’oro è il più pesante e gli si può quindi addebitare di muoversi <più di ogni altro corpo>
verso il centro <della terra>, ten-
denza propria di <ogni> corpo pesante. Il “fare l’amore”, poi,
non vuol dire soltanto accoppiarsi, ma
anche accostarsi o stabilirsi nelle
vicinanze. [125] 36. Il simbolo
che dice “Stima di più “figura e gradino”
anziché “figura e triobolo”” dà il seguente ordine: filosofa e coltiva
le matematiche non in modo superficiale,
e procedi per mezzo di esse come di una
scala verso ciò che ti sei proposto; sputa poi su ciò che la maggior parte degli uomini stimano di più
e ritengono più dignito- so, e stima
anzitutto la filosofia italica [sc. la filosofia pitagorica] che contempla gli incorporei, laddove la
filosofia ionica esamina princi-
palmente i corpi. 37. il simbolo
che dice “Astieniti dal mangiare fave” consiglia di evitare ogni cosa che sia capace di
distruggere il nostro rapporto con gli
dèi e la mantica divina. 38. Il simbolo
che dice “Trapianta!?? pure della malva, ma non
mangiarne” allude al fatto che le piante dello stesso genere della malva si volgono verso il sole e ritiene
<quindi> che sia opportuno fare lo
stesso, ma il simbolo aggiunge: trapianta, cioè: cerca di cono- scere la natura di questa pianta e la sua
tensione e simpatia per il sole e non
contentarti né fermarti solo a questo, ma trasferisci la tua ragio- ne, come se dovessi trapiantarla, verso le
piante e gli erbaggi dello stesso genere
ma anche agli animali, che certo non sono di quel gene- re, e alle pietre e ai fiumi e in breve ad
ogni specie naturale; troverai infatti
una varietà e molteplicità di specie straordinariamente fecon- de, <che costituiscono> l'aspetto
corporeo dell’unione e della simpa- tia
del cosmo, se sarai partito dalla radice della malva [151dP] come tuo punto di lancio. Non solo dunque non devi
mangiare <la malva> per non fare
sparire la possibilità di tali investigazioni, ma devi anche, a guisa di chi opera trapianti, far si che
essa cresca e si moltiplichi. 39. Il
simbolo che dice “Astieniti dal mangiare animali” esorta alla giustizia e ad ogni stima di ciò che è affine
a noi e ad astenersi <quin- di> da
ciò che ha una vita simile alla nostra e a molte altre cose del genere.
470 GIAMBLICO [126] Διὰ πάντων
δὴ οὖν τούτων φανερὸς γέγονε καὶ ὁ διὰ τῶν συμ-
βόλων προτρεπτικὸς τύπος ἔχων πολὺ τὸ ἀρχαιότροπον καὶ Πυθαγορικόν. ἀλλ᾽ ἐπεὶ διὰ πάντων
διεξεληλύθαμεν τῶν tporper- τικῶν
τρόπων, ἐνταῦθα καταπαύομεν τοὺς εἰς παράκλησιν τείνον- τας λόγους.
ESORTAZIONE ALLA FILOSOFIA 471
[126] Per tutte queste considerazioni, dunque, diviene chiaro anche il carattere specifico dell’esortazione
per simboli, la quale ha molto del
carattere dell’esortazione pit antica e <soprattutto> pitago- rica. Ma dopo avere discusso di tutti i modi
protrettici, chiudiamo a questo punto la
nostra trattazione dei discorsi che mirano alla racco- mandazione.
NOTE ALL’ «ESORTAZIONE ALLA FILOSOFIA»
! Lett.: Capitoli [κεφάλαια]. In effetti non si tratta di semplici
titoletti delle varie divisioni del
testo, bensi di veri e propri punti programmatici del discorso che sarà sviluppato. Essi
corrispondono, quindi, a quello che noi
chiamiamo il sommario di un’opera.
2 Il Protrettico costituisce, infatti, il secondo scritto della Surmzza
pitagori- ca: il primo è la Vita di
Pitagora. 3 L'integrazione sembrerà
opportuna, se si confronta l’inizio dello svolgi- mento di questo primo punto del sommario, a
p. 40,6 des Places [d'ora in avanti
pagine e linee saranno indicate secondo questa edizione, di cui si man- tiene anche la numerazione dei capitoli]:
ἀρχόμεϑα dè τὸ λοιπὸν αὐτοῦ τῆς αἱρέσεως
ἀπὸ τῆς κοινῆς εἰς πᾶσαν παιδείαν κτλ.
4 Lett.: «secondo ogni scuola filosofica [κατὰ πᾶσαν αἵρεσιν]. Cf. p.
41,5 s. dP infra. 5 Come dire che Giamblico considera il suo
programma di esortazione alla filosofia
pitagorica come dettato da suggerimenti basati su raccomanda- zioni evidenti e oggettive. 6 Cioè nel Libro I della Summa pitagorica,
che è consacrato alla Vita di Pitagora. ? Il passaggio dalle dottrine essoteriche a
quelle esoteriche dev'essere ovviamente
condotto con un'operazione delicata e graduale, cosî come meri- ta la trattazione della scienza segreta
pitagorica. 8 Cf. p. 36,7 dP supra:
γνωμικὰ ὁμοιώματα προτρεπτικά, e p. 42,3 5. dP:
γνώμας, ἀπεικαζομένας πρὸς τὰ ἐναργῆ δείγματα τῶν ὄντων. ° Cf. Pyth. Carr. aur 45 5. Diehl/Young. 10 σύστασιν: questo termine non appare di
chiara interpretazione. Des Places lo
traduce τοῦ, ed anche Schònberger lo intende cosi (Vereinung). Una tale traduzione/interpretazione non ha
senso, a mio avviso, tanto che gli
stessi traduttori qualche linea dopo, quando Giamblico cerca di
spiegare quel che vuole dire Pitagora in
quei versi, intendono il medesimo termine
come constitution (des Places) e Ordnung (Schònberger). !l I significati dei due verbi διέρχεται e
κρατεῖται appaiono evidenti nella
spiegazione che subito dopo ne dà Giamblico. Cf. p. 44,23 ss. dP. 12 La natura segue sempre le stesse
leggi. 13 C£. p. 44,10 dP supra: φύσιν
... ὁμοίην. !4 Come dire che il potere
scegliere o il bene o il male è per l’uomo un
privilegio naturale. 15 Cf.
Carm. aur. 57 s. (= H. Thesleff, The Pythagorean Texts of the Hellenistic Period, Àbo 1965, p. 162): οἱ δὲ
κύλινδροι ἄλλοτ᾽ ἐπ᾽ ἄλλα φέρονται
ἀπείρονα πήματ᾽ ἔχοντες. 16 Cioè alla
vita che ci accompagna per natura: la contesa, cioè, non è detta innata cosf come tutte le nostre
proprietà connaturali. 17 C£. Carm.
aur. 61 ss., dove si trova λύσειας al posto di παύσειας. 18 Ritengo che il καὶ συγκληρωθέντος sia una
specificazione a chiarimen- to del
precedente τοῦ δοθέντος. 19 Cf, Iambl.
Vita Pyth. 38,17, dove alla domanda “qual è la cosa più potente?” Pitagora risponde “l'intelligenza
[γνώμη]. 20 Cf. Carm. aur. 69 ss. La
difficoltà di interpretare questa sentenza sta nel preciso significato da attribuire ai due
termini ἀθάνατος e ἄμβροτος; il primo è
chiaro per contrapposizione al successivo θνητός; il secondo non può non essere un omonimo di θεός, nel suo
significato di “non uomo mortale [ἀ-
βροτός]". 21 Lett. “la
lungi-saettante [ἐκαβολεστάτα]᾽".
22 Occorre prendere qui l’espressione λόγω καὶ διανοίας come un’endia- di in contrapposizione a νόος. 23 Una nota apposta da A. Segonds alla
traduzione di des Places (p. 49)
corregge molto opportunamente il senso che des Places attribuisce all'espressione greca ζωπυρῆται μετ᾽
αἰσθάσιος che viene tradotta “s’en-
flamme avec le sens”. “Devient pourvu de sens actifs”, scrive
giustamente Segonds. 24 A questo punto, some si piò vedere dal
testo a fronte, Pistelli ha can- cellato
le parole “e suggellato” [καὶ ἐπεσημήνατο], mentre des Places da un lato reintegra nella sua edizione queste
stesse parole e dall'altro lato non le
traduce. 25 ὀπτιζομένοις —
quest’ultimo termine è un hapax legomenon (cf. i voca- bolari Stephanus e LS]J). 26 Cf.
Ps.-Archytas, De sapientia, fr. 2 = H. Thesleff, The Pyth. Texts of the Hellen. Period, Àbo 1965, p. 44. 2? Ritengo che sia da eliminare 1’ ὧν che
segue σοφίας seguendo Stob. Cf. app. ad
loc. 28 τὰν τῶν ἐόντων φρόνασιν: è
chiaro che in questo caso φρόνασις non
può significare “prudenza” in quanto virtù teoretica, ma “natura
razionale” dell’universo. 29 Appare chiaro dal contesto che qui la
natura propria [τῇ ἰδίᾳ φύσει], per
contrapposizione con quella comune (ossia universale) [τὴν κοινήν], sia appunto la natura umana. Intendere quindi
l’espressione τῇ ἰδίᾳ φύσει come natura
individuale per contrapposizione a natura comune, come fa des 474 GIAMBLICO Places [«Archytas a mélangé la nature
commune et l’individuelle». Cf. anche
Schònberger: «Er hat der eigenen Natur die allgemeine beigemischt»],
mi sembra erroneo o quantomeno
fuorviante, perché si potrebbe intendere:
natura umana comune dell’uomo e natura propria dell'individuo umano
(e questo non avrebbe senso). 30 L'espressione ἐν τῷ λόγῳ τᾶς τῶ ὅλω
φύσιος ricalca le parole di Archita
riferite poco prima con la differenza che al posto di ἐν τῷ λόγῳ li si
trova, molto più coerentemente, un τὸν
λόγον. La traduzione apparentemente cor-
retta dovrebbe essere, dunque: la ragione dell’uomo è capace di
contempla- re “nella ragione [o
all'interno della ragione] della natura universale”, come dire che il soggetto contemplante [la ragione
umana] contempla internamen- te al suo
oggetto [la ragione universale]. Ma è chiaro il senso del contesto: la ragione dell’uomo è capace di contemplare la
ragione dell’universo, pur essendo la
prima interna all’altra. 31 μεριστῆς:
questo termine non può avere in tale contesto il significato di “diviso” o “divisibile”, come intendono
des Places (nature divisée) e
Schénberger (Te:lnatur), bensi quello di individuale (che è come dire
indivi- sibile) per contrapposizione con
la natura universale. Naturalmente la natu-
ra individuale della ragione altro non può significare che la ragione
dell’in- dividuo umano, che si accorda
con la ragione del tutto. 32 τὸ ἀγαθόν
è integrazione dello scoliaste. Cf. ed. des Places, p. 152,7 [= ed. Pistelli, p. 127]. 33 Qui il testo appare poco chiaro, tanto
che alcuni (Vitelli e Pistelli) hanno
corretto l’ αὐτάς dei MSS nel riflessivo αὑτάς; non è chiaro infatti se Archita intenda dire che la sapienza deve
scoprire i principi della realtà prima
di quelli suoi propri, oppure prima dei principi in se stessi. Come dire che la sapienza è investigazione dei principi
concretamente immanenti negli enti
piuttosto che dei principi in quanto tali. A me non sembra plausibile quest’ultima interpretazione, perché
presuppone un discorso di tipo aristo-
telico poco adattabile alla mentalità arcaica. A meno che non lo si
voglia attribuire a un intervento dello
stesso Giamblico. Ritengo pertanto plausibi-
le la correzione Vitelli/Pistelli.
34 κατὰ ἁπλουστάτας ἐπιβολάς: quest’ultimo termine (cosî come il
verbo corrispondente della linea
seguente ἐπιβάλλει) è di chiara origine neoplato- nica ed è, dunque, da attribuirsi a un
intervento di Giamblico. 35 In tale
contesto l’espressione τούς te καθόλου λόγους sembra avere un significato matematico (perciò ho aggiunto
questo aggettivo al sostantivo
“rapporto”), come è del tutto plausibile in un discorso pitagorico. 36 Il termine ἀνυπόθετον non è certamente
pitagorico, ma platonico. Si tratta
comunque di un hapax legomenon per Giamblico: esso infatti ricorre un’altra sola volta, ma al plurale, in De
com. math. sc. 39,24 Festa, a indi- care
i principi primi che solo il dialettico è in grado di conoscere, in un
con- testo di esplicito riferimento alla
linea quadripartita della Repubblica plato-
nica. 37 Questo passaggio è
attinto letteralmente da Plat. Ed. 281b8 ss.
38 Qui il testo non è abbastanza perspicuo. Esso infatti dice
letteralmen- te: «chi possiede i beni
suddetti senza intelletto agirà di più, mentre chi ha il contrario, i mali, agirà di meno». Ora,
espresso cosî, il pensiero di Giamblico
non significa niente: prima infatti si era detto che chi agisce meno
sbaglia di meno e chi sbaglia di meno
agisce male di meno; è chiaro dunque che chi
agisce di più sbaglia di più e chi sbaglia di più agisce male di più.
Adesso, se si sostituisce all'espressione
“agire più o meno” l’espressione “possedere i
beni senza intelletto o con intelletto”, si otterrà il seguente
risultato: chi pos- siede i beni senza
intelletto agisce male di più, mentre chi possiede i beni con intelletto agisce male di meno. Ha ragione
quindi Pistelli, contrariamente a quanto
pensa des Places, nel cancellare il tà κακά della li. 17 [= p. 57,17 des Places], e intendere il τὰ ἐναντία della
stessa linea come riferito all’ ἄνευ νοῦ
precedente. 3° In quanto
ignorante, ovverosia senza intelletto.
Ὁ Si tratta, come si può vedere, di tre aspetti della nostra
individualità: 1. la nostra
individualità come tale (la nostra identità personale, diremmo in termini moderni), 2. le nostre proprietà
intrinseche, che fanno tutt'uno con il
nostro io, 3. le cose che possediamo e quindi ci appartengono, ma non sono estrinseche rispetto al nostro io. 4! L’anima, dunque, costituisce la nostra
“identità individuale”. ‘2 Il corpo,
dunque, è proprietà intrinseca a ciascuno di noi. Esso non ha con noi la medesima relazione che possono
avere le cose che possediamo. 451 beni
materiali dunque sono da considerarsi strumenti utili solo alla vita corporea. * Fermo restando il fatto che l’anima umana
è immortale, il dedicarsi a pratiche
terrene e orientate verso il mortale rende l’anima il più possibile vicina alla mortalità. Come dire che esiste
un aspetto per cosi dire “morta- le” e
“terrestre” nell’anima che si esercita prevalentemente in “movimenti” legati alle cose terrestri, cioè, nella
fattispecie, a desideri e contese, o ambi-
zioni, 45 τῷ δ᾽ ἐν ἡμῖν θείῳ
ξυγγενεῖς εἰσι κινήσεις ai τοῦ παντὸς διανοήσεις καὶ περιφοραί. Non traduco a ragion veduta
questo testo come fanno i più,
intendendo cioè l’espressione: αἱ τοῦ παντὸς διανοήσεις come: «i
pensieri dell'universo». Anche la fonte
che è Plat. Tizz. 90c8 la trovo tradotta e inte- sa alla stessa maniera. Io credo che Platone,
e quindi Giamblico che qui lo utilizza,
non pensino di attribuire all'universo delle διανοήσεις, cioè degli atti propri della διάνοια, che è facoltà
certamente estranea sia all'universo
476 GIAMBLICO sia
all’Intelletto che lo governa (ammesso che questo sia diverso dal demiur- go). E per convincersene basterebbe tornare
alla pagina immediatamente precedente, a
89al, dove si può trovare il medesimo contenuto concettuale espresso in maniera più conforme allo spirito
platonico: τῶν δ᾽ αὖ κινήσεων ἡ ἐν ἑαυτῷ
ὑφ᾽ αὑτοῦ ἀρίστη κίνησις — μάλιστα γὰρ τῇ διανοητικῇ καὶ τῇ τοῦ παντὸς κινήσει συγγενής -- «Dei movimenti
quello che è in sé e per sé è il
migliore, perché è congenere al massimo livello al <movimento> della ragione discorsiva e al movimento
dell’universo». Come si può osservare,
qui il movimento del discorso razionale viene assimilato. ma non
confuso (per via della particella
copulativa xai) con il movimento <circolare> del- l'universo.
4 Sc. a causa della nostra nascita. Non c’entra quindi il divenire,
come intende des Places («les circuits
relatifs au devenir»), giacché anche i “cir-
cuits” dell’universo riguardano in qualche nodo il divenire. 47 In questo caso si tratta di osservazioni
astronomiche e ciò che viene osservato
altro non è che l’insieme delle rivoluzioni celesti. 48 Che è identica nell’universo e
nell'uomo. 49 Questa variazione della
precedente espressione παντοδαπὸν θηρίον sta
a significare insieme le due anime irrazionali, ἐπιθυμία e θυμός. 5° Sc. l’anima razionale, come si diceva
sopra. 3! Sc. quegli onori che sono in
grado di spezzare l’equilibrio già raggiun-
to. 9° Cf. p. 58,5-6 dP
supra. 53 Non traduco le parole εἰκὼς
πρὸς ταύτας che seguono la lacuna, per-
ché devono far parte di essa e quindi restano senza senso qualora non
si colmi la lacuna medesima. Ritengo
anche che il successivo discorso tra
parentesi tonde può benissimo legarsi al resto, in quanto si riferisce
all’intel- letto. 5 Ma anche agli uomini che partecipano della
sapienza divina. 5° Si riferisce
ovviamente alle facoltà istintive che nei bruti sono molto più potenti che nell'uomo. 5 Pena la mancanza di vera umanità: se
mancasse il bene della sapienza
contemplativa, mancherebbe la stessa essenza della vita felice per
l’uomo. 5” Cioè rappresenti l’essenza
dell'idea di bene per l’uomo. Il termine
ἔννοια qui indica appunto la nozione essenziale di una cosa. 5? Quasi certamente si fa riferimento alla
sentenza di cui si è comnciato a
discutere alla p. 14 Pistelli (= p. 47 des Places), a proposito delle
parole trat- te sich aur. 61 ss.; “Ma tu
abbi coraggio, perché divino è il genere dei
mortali”. 9° Soltanto con la
scienza, dunque, è possibile fissare i modi pit conve- ESORTAZIONE ALLA FILOSOFIA 477 nienti di usare il corpo e tutto ciò che lo
riguarda, in vista della nostra felici-
tà. 50 Si tratta ovviamente
della filosofia come scienza che conosce il sommo Bene. Tale aspetto della filosofia potrebbe
coincidere con la teologia, alme- no
nella concezione pitagorico-neoplatonica di Giamblico. 8! Sembra che si alluda alle scienze
naturali in senso lato, in quanto
distinte dalle scienze etico-politiche.
62 γνωριμότερα tà πρότερα τῶν ὑστέρων: il termine γνώριμος non ha
in questo contesto il normale
significato di “noto o riconoscibile”, un significa- to cioè di ordine empirico o euristico, bensi
quello di “primario nell'ordine della
conoscenza” ovvero di “ciò che si deve conoscere per primo”. I princi- pi infatti, anche se spesso sono conosciuti
per ultimi, sono primi per il loro
valore epistemologico. Del resto l’esempio seguente relativo alla causa
rispet- to all'effetto va in tale
direzione ermeneutica. 9) Cioè gli
effetti. 5 τῶν ἄκρων ha il testo, ma
sia Kiessling che Pistelli congetturano, l'uno
ἀρχῶν l’altro πρώτων (cf. ed. Pistelli, app. cr. ad loc.) 65 Ancora una volta Giamblico distingue ciò
che è primario per natura da ciò che può
essere conosciuto in via secondaria: i principi sono primi per natura, anche se possono diventare noti dopo
i loro derivati. 66 Non è facile
tradurre l’espressione τὸν σπουδαιότατον ... καὶ τὸν τὴν φύσιν κράτιστον. Letteralmente potrebbe
significare “colui che è il più sag- gio
e colui che è il migliore per natura”: il verbo ἀρχεῖν avrebbe in tal modo due soggetti coordinati. Ma tutto ciò non ha
senso, perché dal punto di vista
concettuale il migliore per natura è appunto il più saggio, colui che
possie- de, cioè, la natura migliore,
cioè il massimo livello di razionalità. Ma per non ritenere coordinati, e quindi separati, e
pertinenti al medesimo soggetto i due
attributi σπουδαιότατον e κράτιστον, occorre dare al καί valore di con- giunzione disgiuntiva (ovviamente non
esclusiva [24] ma alternativo-espli-
cativa [ve/]), come del resto richiede l’analisi concettuale
dell'espressione. Ed ecco perché io ho
tradotto il καί con “e cioè”. 57 Qui
viene indicata la prudenza come una facoltà dell'anima. In effetti si tratta piuttosto di una virtà che deriva
dalla facoltà del ben ragionare [τὸ
φρονεῖν]: insomma si indica la causa per l’effetto. 68 Occorre evitare di cadere a questo punto
in un grave fraintendimento. Giamblico
sta dicendo che fra due cose è migliore e più desiderabile quella a causa della quale l’altra è desiderabile.
Allora tra la salute, ad esempio, e un
medicamento la salute è migliore e più desiderabile, perché è ciò a causa di cui è desiderabile il medicamento. Il
medicamento è dunque desiderabile perché
produce la salute, ma è quest’ultima la migliore e più desiderabile delle due cose: io desidero il medicamento
perché, producendo la salute, è
desiderabile a causa del fatto che produce la salute. Appare dunque
inappro- priato il γάρ, qualora si dia
ad esso valore causale: la salute è desiderabile di più del medicamento, perché il medicamento è
desiderabile in virtù o a causa della
desiderabilità della salute e non perché produce la salute, come sembrerebbe qualora si desse valore causativo
alla proposizione ταῦτα γὰρ ποιητικὰ
λέγεται τοῦτων. Insomma un conto è dire che il medicamento pro- duce la salute ed è perciò desiderabile cosî
come la salute, altro conto è dire che
il medicamento è meno desiderabile della salute in quanto è desiderabi- le non per se stesso, ma per la salute che
esso produce. In definitiva, ciò che è
prodotto (la salute) è migliore di ciò che lo produce (il medicamento).
Ecco perché io ho tradotto con
integrazione l’espressione suddetta. La cosa
migliore, comunque, sarebbe quella di espungere tale espressione. Si
tratta infatti di una ovvia
considerazione, tanto ovvia da potere essere ritenuta una semplice glossa. 99 ὡς ἕξιν πρὸς ἕξιν κρίνεσθαι: in tale
contesto ritengo si debba intende- re la
voce ἕξις non già come habitus o status, bensi come facoltà o attitudine, perché di ciò si sta parlando. 70 Cioè della scienza o della felicità. ?! Il testo ha φρονήσει ὅμοιον, cioè “simile
alla prudenza”, ma dal con- testo si
evince che si tratta del φρονεῖν, cioè del pensare. 72 σαφεστάτη: quella, cioè, che consente di
percepire in maniera più evi- dente gli
oggetti. 75 Cioè solo per se
stessa. 74 Sia per natura sia per
tecnica. 7 Ovvero che la prudenza è il
fine ultimo della nostra esistenza di uomi-
ni. 76 Le parole iniziali di
questo periodo sono ritenute una glossa da des
Places (che segue de Strycker) e sono quindi espunte. 77 In sostanza, solo perché si è già passati
dalla potenza all’atto si può dire che
chi è in potenza può passare all’atto. Si tratta della nota teoria
aristoteli- ca del primato dell'atto
sulla potenza (cf. Aristot. Mera. IX 8).
78 Cioè a coloro che pensano e contemplano secondo la scienza più esat- ta.
79 Nel senso che il vivente “è” tale in quanto “vive”. 80 Cioè Dio ovvero il Primo Principio. 8! Cioè assieme ai morti ovvero con altre
anime libere dal corpo. 82 Di
tradizione orfica. 83 In questo
passaggio c’è un poco di confusione, proveniente da alcune integrazioni nella fonte che è il Teeteto
platonico (cf. des Places in apparato ad
loc.). Tra le integrazioni fatte da Arcerius, si trova il numerale
πεντεκα- ιεικοστός, che gioca in modo
strano con il successivo numerale (questo non
integrato) πεντηκοστός. Il difficile calcolo per cui il filosofo si
mette a ride- re dipende da questi due
numerali, perché la cosa strana appare che a con- tare la generazione verso l'alto si ottiene
il numero 25, mentre a contarla verso il
basso si ottiene il numero 50, cioè il doppio. Il che fa pensare che il calcolo è sbagliato perché si sommano le
generazioni ascendenti e quelle
discendenti. Cosa che sembra strana se consideriamo l’inizio del
discorso, dove si dice: «se si celebrano
progenitori calcolandoli fino a venticinque
generazioni facendoli risalire ad Eracle figlio di Anfitrione». In
effetti Anfitrione è il punto di arrivo
nel calcolo delle 25 generazioni, di cui quel-
la di Eracle sarebbe la più alta. Ma perché le generazioni diventino
50 occorre raddoppiare tale numero,
sempre tenendo come punto di riferi-
mento Anfitrione. Dunque l’errore di calcolo che fa sorridere il
filosofo (ricordiamo che si tratta di un
filosofo che, in quanto Pitagorico, è anche un
matematico) deve consistere nel fatto che si sommano il numero a salire
e quello a scendere. Il che è veramente
“ridicolo”. Un riferimento per questo
tipo di calcolo, in quel caso non scorretto, lo possiamo trovare in
Iambl. Ix Nicom. 89,4, dove si parla, a
proposito del rapporto tra 10 e 100 [cioè di
102], ma estensibile a qualsiasi numero quadrato, del cosiddetto metodo
del “diaulo”, che consiste nella «somma
dei [primi dieci] numeri secondo pro-
gressione dall’inizio [cioè dall’ 1] come da barriera di partenza e
regressio- ne verso la meta [cioè ancora
l’ 1] come da punto di svolta [cioè dal 10]»:
cost: 1+2+3+4+5+6+7+8+9+10+9+8+7+6+5+4+3+2 +1 = 100. Si tratta in questo caso di somma
cumulativa, mentre nel caso delle
generazioni la somma non è tale, ma un semplice contare. # Accolgo perché più sensato il singolare
προσβάλλοντα di O e di Aron., preferita
peraltro da Kiessling, al posto del plurale προσβάλλοντας di F. 85 Cioè fuori della caverna. 56 σφεῖς sono evidentemente il prigioniero
liberato e il suo liberatore. 87 C'è
evidentemente dell’ironia nel chiamare sapienza l'ignoranza che regnava nella caverna! Ecco perché ho scritto
sapienza tra apici. # Hom. Od. 11,489
s. Ecco le precise parole che Achille rivolge ad Odisseo: «Non lodarmi la morte, splendido
Odisseo. Vorrei essere bifolco, servire
un padrone, un diseredato, che non avesse ricchezza, piuttosto che dominare su tutte l’ombre consunte» (tr. it.
di Rosa Calzecchi Onesti, Torino 1963).
Non capisco perché νεκύεσσι, che significa “cadaveri”, venga tradot- to “ombre”. In effetti, sembra ci sia una
corrispondenza perfetta con σκιάς (le
ombre della caverna) reiteratamente espressa nel testo di Giamblico: che ci sia un'influenza di quest’ultimo? 8? Non mi sembra necessario estrapolare ᾿᾿
ἀποκτείνειν che sta prima di
ἀποκτιννύναι, come fa des Places al seguito di Drachmann. Cf. des
Places in appar. ad loc. 30 Cioè il posto dove noi ci troviamo sulla
terra e quindi sotto il sole e non 480
GIAMBLICO nella buia caverna. 91 Cioè la luce del sole e il sole stesso.
Si noti l’uso del verbo τίκτειν, che
significa in questo caso “partorire” ovvero “dare alla luce”. Si
dovrebbe per- ciò tradurre meglio cosî:
«è lei che dà alla luce la luce e il signore della luce». "2 Gioco di parole: πίθον da
πιθανόν. ® Anche qui un gioco di
parole: ἀμυήτους da ἀνοήτους. % Anche
qui un gioco di parole: Ἅιδης da ἀϊδές.
ὅ5 Si tratta di un uccello migratore che preferisce le zone umide lungo
le coste del mare o le rive dei fiumi.
Come dire che quel tale che ha bisogno di
versare continuamente dei liquidi nei suoi recipienti deve trovarsi in
condi- zione di reperire quei liquidi,
cosi come fa il piviere portandosi a ridosso del mare o dei fiumi. 56 Preferisco l’oitw del testo platonico
all’où del testo des Places (ma anche
Pistelli). Del resto anche Kiessling fa la medesima scelta, come posso evincere dall’appar. di quest’ultimo, che des
Places non riferisce. 57 La posizione
più equilibrata e conveniente sembrerebbe, dunque, essere quella di eguagliare in rettitudine i
nostri antenati, perché, se essi ci
superano, noi siamo onorati di lasciarci superare (ma restiamo
sconfitti), mentre se noi li superiamo,
ce ne dobbiamo vergognare. La cosa migliore è
quindi di non superarli né lasciarsi superare, cioè di stare con loro
alla pari. La cosa appare più chiara se
letta nella fonte, cioè nel testo platonico del
Menesseno, che suona cost: «se noi vi superiamo in virtù [dicono gli
antena- ti ai loro discendenti], allora
la vittoria ci farà vergognare, la sconfitta inve- ce, nel caso che siamo noi ad essere
superati, ci renderà felici» (Plat. Mux.
24705 ss.). 98 Accetto, alla li.
119,2, la lezione di F: ἡμᾶς al posto di τιμάς, e ἐγγό- νοῦς al posto di ἐκγόνοις. C£. appar. ad loc.
sia in Pistelli che in des Places. 99
Tirteo, 9,1 ss. Diehl. 100 Da questo
punto in avanti si estende fino p. 131,4 des Places (= p. 104,14 Pistelli) il cosiddetto Aroninzo di
Giamblico. !0" Cf. supra p. 122,
21 des Places. ‘02 Traduco cosî il
plurale τοῖς δικαίοις, dal momento che in preceden- za si parlava appunto di leggi e di giustizia
distributiva. [05 La ripetizione di
κράτος indica che nel secondo caso si tratti di qual- cosa di diverso dal puro κράτος (dominio) e
nella fattispecie di qualcosa che
richiama alla mente la funzione della legge e della giustizia, che sono
quelle che lo salvano, cioè la funzione
del comandare di diritto e non di fatto ovve-
ro la funzione di chi ha sovranità legittima. 1% La distinzione tra affari e opere della
vita riguarda la diversa, talora
opposta, natura che hanno da un lato gli impegni di partecipazione alla
vita pubblica, e dall’altro gli impegni
privati e personali. ESORTAZIONE ALLA
FILOSOFIA 481 105 Brotixév:
letteralmente “attinente alla vita comune”.
106 Come dire che non bisogna visitare il tempio e pregare cosî per
caso, ma predisponendosi adeguatamente. 107 Cioè degli inferi. 108 Cioè non trasgredire le leggi. 109 Misura di capacità per aridi,
corrispondente a 1,09 litri. !!0 Cf.
Iambl. Vita Pytb. 109. Sulla differenza di significato di τρώγω ed ἐσθίω, cf. li nota 57. !!! Cioè sui residui della rasatura dei
capelli e e sui residui del taglio delle
unghie. ΠΣ Nel testo si legge
solo μὴ προσλαμβάνου, che tradotto alla lettera
significa: non afferrare, non catturare, ecc. Ma io ritengo che qui il
senso del verbo abbia un significato più
ampio, giacché prendere o catturare un pesce
ha un senso solo se lo si vuole mangiare. "5 Cf. Iambl. Vita Pytb. 109. "14 Ricca? Potrebbe significare,
invece, “ingioiellata” “piena di ornamen-
ti d’oro”. !15 C£, Iambl, Vita
Pyth. 22. In questo passo si afferma che Pitagora cercò di introdurre un giovane volenteroso nello
studio dell’aritmetica e della geo-
metria, facendo su un abaco le dimostrazioni su ogni argomento di
aritme- tica, e dandogli un triobolo, a
mo’ di salario e compenso per la fatica, per
ogni figura, cioè per ogni diagramma, che gli insegnava. Si parla di
figura e non di gradino (Bfiua)”, come
qui nel Protr., ma il triobolo come compen-
so lascia intendere che il discorso è lo stesso. Importante la
precisazione che la figura di cui si
parla non è quella geometrica pura e semplice, bensi la figura aritmetica, cioè il diagramma in cui
vengono esposti dei numeri in forma di
figura geometrica. Come si vedrà in seguito, la spiegazione che Giamblico dà di questo simbolo contiene il significato
che qui ha il termine βῆμα, e cioè
quello di scala (διαβάθρα), che è fatta appunto di gradini per salire verso l’alto. Si noti che βῆμα [βᾶμα]
e βάθρον hanno la stessa radice dal
verbo βαίνω. Π6 Cf. Plat. Resp. X 611c8
ss., dove si parla delle incrostazioni che subi- sce dall’esterno la primitiva natura di
Glauco marino, conchiglie, alghe, pie-
tre e altro, al punto da esserne sfigurato e irriconoscibile, cosî come
accade all'anima quando è condizionata
da mille mali. !!? Preferisco non tradurre
δόγμα con “dottrina”, come si fa comune-
mente, dal momento che in questo caso il termine corrisponde appunto
alla verità teologica, secondo cui gli
dèi non hanno limiti nella loro capacità di
produrre effetti sorprendenti al di là di ogni legge di natura. È
evidente che una tale verità non ha
nulla a che fare con la normale conoscenza scientifica, ma solo con la fede negli dèi e soprattutto,
come viene spiegato subito dopo, 482
GIAMBLICO nella loro trascendenza. !!8 Meglio “produttivo di religiosità”. 119 Cioè a procedere con metodo scientifico
matematico. 120 Eraclito fr. 85 DK. ‘2! Qui il testo appare corrotto ed è,
comunque, poco comprensibile. Pistelli
mette, infatti, una crux prima di γνώμη [γνώμην des Places, ma γνώμῃ codd.]. Tutto sta nel significato da
attribuire a μερίζων γνώμην [γνώμη], che
in ogni caso bisogna collegare con οὐθέν. Il verbo μερίζειν (dividere,
spar- tire, ecc.) in questo caso
potrebbe, unito appunto a γνώμη (non importa se
all’acc. o al dat.), avere il senso di “dividere ragione”,
“[con]dividere ragio- ne”, “partecipare
di ragione”, ecc., e quindi “comportarsi razionalmente” verso [εἰς] chi o ciò che sta dinanzi. 122 Cioè la seguente riflessione calcolata e
conclusiva. '23 Non è molto chiaro il
senso di quest’ultima espressione, che viene tra- dotta da des Places “en faisant des ses
travaux le sceau de leurs désirs”, dove
non si capisce da che cosa egli desuma i “desideri”. Potrebbe
significare molto semplicemente che i
Pitagorici ritenevano Eracle il simbolo degli
uomini che acquistano meriti con le proprie fatiche e cosî
suggellavano (autenticavano con un
suggello divino) le difficoltà nel divulgare le loro dot- trine.
124 ἐγκοπῆς χρόνων: letteralmente “ interruzione del tempo” , e
quindi “assenza di perseveranza nelle
occupazioni” o, come forse giustamente tra-
duce Schénberger, “perdita di tempo” [Zestverlust]. ἰῇ ἀσχολίας: preferisco dare a questo
termine non il significato ordina- rio
di “faccenda, occupazione”, bensi quello specificamente tecnico di “assenza di tempo libero”, cioè di tempo per
lo studio, trattandosi in questo caso
appunto di impedimenti alla pratica della filosofia. 126 Cioè per il fatto stesso che l’anello ha
un aspetto che cinge e quindi incatena
il dito. 121 Deve trattarsi sicuramente
dello scritto Sugli dèi citato da Giamblico
in De mysteriis VIII 8 (= p. 271,13 des Places). L'axpiéotepov che si
legge lî corrisponderebbe 4}} ἰδίως καὶ
πληρέστατα che si legge qui. 128
Stranamente des Places elimina nel testo la lacuna stabilita da Pistelli, ma la mantiene nella traduzione. 129 Cioè affini per rapporti di
matrimonio. 130 καὶ γὰρ αὐτὸς οὗτος
ἡγεμονικόν ἐστι τοῦ φρονεῖν ὄργανον: appare
un po’ strana questa espressione, tanto che des Places la traduce cosf:
«car c’est l’organe qui commande la
pensée». Ridicola interpretazione: lo stru-
mento del pensiero che comanda il pensiero di cui è strumento! Indubbiamente qui l'aggettivo ἡγεμονικός deve
assumere un significato più
ESORTAZIONE ALLA FILOSOFIA 483
sfumato, a meno che non si debba correggere ἡγεμονικός in
ἡγεμονικοῦ rendendolo attributo di
φρονεῖν, interpretando quindi la frase cosi: «lo stes- so cervello è strumento del pensare che è
atto a comandare [in quanto atti- vità
dell’intelletto]». Peraltro qualche linea dopo lo stesso aggettivo viene attribuito al νοεῖν, che corrisponde al
φρονεῖν, 3! Il verbo διαδάκνειν riveste
qui un significato equivalente a quello del
verbo τρώγειν, impiegato poco prima nel simbolo 30 a proposito del cuore. 32 Qui troviamo il verbo μεταφύτευε, mentre
sopra è usato il verbo ἐπι- φύτευε. GIAMBLICO
LA SCIENZA MATEMATICA COMUNE
TERZO LIBRO <DELLA «SUMMA
PITAGORICA»> IAMBAIXOY
ΧΑΛΚΊΔΕΩΣ THX KOIAHX XYPIAX ΠΕΡῚ THX KOINHX MAOHMATIKHE ΕΠΙΣΤΗΜΗΣ ΛΟΓΟΣ Γ΄
[3] KEDAAAIA TOY TPITOY ΛΟΓΟΥ͂
α΄ Τίς ἡ πρόθεσις τοῦ παρόντος βιβλίου ἡ ὅλη, καὶ τίνες οἱ ὑπ᾽
αὐτὴν μερικοὶ σκοποὶ καὶ ποσαχῶς καὶ εἰς
τίνα διαιρούμενοι, πόθεν τε ἔχοντες τὰς
πρώτας αἰτίας τῆς οἰκείας ἐπισκέψεως καὶ ἀπὸ ποίας οὐσίας.
β΄ Τίς ἡ κοινὴ θεωρία περὶ τῶν
μαθημάτων ὅλων καὶ περὶ τῆς μαθηματικῆς
ἐπιστήμης, ὁπόθεν τε αὐτὴν καὶ ἀπὸ τίνων τὸν ὅρον αὐτῆς ληπτέον, πόσην τε ἔχει [10] τὴν
διάστασιν καὶ ἐπὶ πόσα γένη κοινὰ
διήκουσαν. y Τίνες ἀρχαὶ τῶν ὅλων
μαθημάτων καὶ τίνι διαφέρουσι τῶν ἄλλων
ἀρχῶν, ὅσαι ἑτέρων οὐσιῶν εἰσιν ἀρχαί, πῶς τε κοινὴν τὴν αἰτίαν παρέχονται αἱ τοιαῦται εἰς ὅλα τὰ
μαθήματα. [4] δ΄ Τίνες αἱ ἴδιαι ἀρχαὶ
ἑκάστου τῶν μαθημάτων καὶ τίνα ἔχου- σαι
τὴν καθ᾽ αὑτὰς ἰδιότητα καὶ τὴν πρὸς ἀλλήλας διαφορὰν καὶ τὴν πρὸς πάσας τὰς ἄλλας ἀρχὰς πάντων τῶν
ὄντων. ε΄ Τίνα κοινῶς ὑπόκειται πᾶσι
τοῖς μαθήμασι, περὶ ἃ ποιοῦνται τὴν
πραγματείαν οἱ φιλομαθεῖς, καὶ πῶς ἔνεστι περὶ αὐτὰ καθόλου τὴν θεωρίαν ποιεῖσθαι. ς΄ Τίς ἀρίστη χρῆσις τῆς περὶ τὰ μαθήματα
σπουδῆς, καὶ πρὸς ti τέλος ἀναφέρειν δεῖ
τὴν ἀρίστην περὶ αὐτὰ πραγματείαν. ζ΄
Τί ἑκάστῃ μαθηματικῇ ἐπιστήμῃ ὑπόκειται οἰκεῖον ἐπιστητόν, καὶ πῶς ἔνεστιν ἐκ διαιρέσεως τὴν κοινὴν
αὐτῶν διάκρισιν ποιήσα- σθαι, ὡς εἰδέναι
τὸ ἐν [10] τοῖς μαθήμασιν ἕν καὶ πλῆθος ποῖόν τί ἐστι καὶ πῶς αὐτὸ δεῖ ὁρίζειν. [3] Sommario del terzo libro <della
Summa pitagorica>. 1. Quale sia
l'intenzione generale del presente libro, e quali gli argomenti particolari che vi sono contenuti e
in quanti e quali modi questi siano
distribuiti, e da dove ricavino le ragioni primarie della loro propria indagine e muovendo da quale
realtà. 2. Quale sia la teoria comune!
a tutte le matematiche e alla mate-
matica come scienza, e da dove bisogna attingerla e quali siano i
suoi confini, e quanto sia grande la sua
dimensione e su quanti generi comuni
essa si estenda. 3. Quali siano i
principi di tutte le matematiche e in che cosa dif- feriscano dagli altri principi, da quelli
cioè che sono i principi delle altre
realtà,? e in che modo tali principi forniscano a tutte quante le matematiche la loro comune origine. 4. Quali siano i principi propri di
ciascuna matematica e quale pecu-
liarità essi abbiano in se stessi e quale differenza tra di essi e
rispetto a tutti gli altri principi di
tutti gli enti. [4] 5. Quali siano gli
elementi comuni che soggiacciono a tutte le
matematiche, elementi di cui trattano gli amanti del sapere} e in che modo sia possibile costruire una teoria
generale di questi stessi ele- menti
comuni. 6. Quale sia l’uso migliore
dello studio delle matematiche, e a
quale fine ultimo si debba ricondurre la migliore trattazione di
esse. 7. Quale sia l'oggetto specifico
di ciascuna scienza matematica, e come
sia possibile, partendo dalla classificazione dello scibile, deter- minare la comune distinzione delle
matematiche, in modo che si conosca in
che cosa consista la loro unità e la loro molteplicità.5 e come si debbano determinare questi due
aspetti.6 488 GIAMBLICO η΄ Ti κοινὸν κριτήριον τῶν μαθημάτων
πάντων, καὶ πῶς ἀπὸ τῆς τομῆς εὑρίσκεται
τῆς γραμμῆς, ἣν οἱ Πυθαγόρειοι παραδιδόασι.
θ΄ Περὶ τῶν ὡρισμένην ἀπονεμόντων οὐσίαν τοῖς μαθήμασιν, ὧν πρώτη δόξα παράκειται τῶν εἰς ψυχὴν ἀναγόντων
αὐτήν, αἰτίαι τε πλείονες τῆς τοιαύτης
ὑποθέσεως λέγονται καὶ πρὸς τὴν ὅλην
θεωρίαν περὶ αὐτῶν ἀφορμαί.
[20] ι΄ Πῶς ἐκ πάντων τῶν μαθημάτων συνέστηκεν ἡ τῆς ψυχῆς οὐ- σία, καὶ κατὰ τίνα διορισμὸν ἀφορισθείη ἂν
αὐτῶν ἡ σύγκρασις ἐν αὐτῇ, καὶ εἰ πᾶσαν
περιέχει τῶν μαθημάτων τὴν ὑπόστασιν ἐν
ἑαυτῇ ἢ καὶ ἀλλη τις ἀρχὴ αὐτῶν θεωρεῖται. 1a’ Τί τὸ ἔργον τῆς μαθηματικῆς θεωρίας καὶ
πῶς παραγίγνεται, καὶ ὅτι συμφώνως
τούτοις μαθηματικὴ ἐπονομάζεται. [5]
ιβ΄ Τίνες αἱ δυνάμεις τῆς μαθηματικῆς ἐπιστήμης, καὶ τίνας ἔχουσι τάξεις ἐν αὑταῖς καὶ κατὰ πόσας
διαφορὰς διαιροῦνται καὶ ποσαχῶς
νοοῦνται. ιγ΄ Τίνα στοιχεῖα καὶ γένη
τῆς μαθηματικῆς ἐστιν ἐπιστήμης, καὶ πῶς
μὲν στοιχεῖα πῶς δὲ γένη τὰ αὐτὰ ὑπάρχει, τίνι τε διέστηκε ταῦτα τῶν ἐν ταῖς ἄλλαις ἐπιστήμαις καὶ
οὐσίαις ταῖς τε νοηταῖς καὶ ὅσαι εἰσὶν
ἐν γενέσει. ιδ΄ Περὶ ὁμοιότητος καὶ
ἀνομοιότητος τῆς [10] μαθηματικῆς, τίνες
τέ εἰσι καὶ ἐπὶ πόσον διατείνουσι καὶ πῶς ὑπάρχουσιν ἐπὶ τῆς μαθηματικῆς οὐσίας, κατὰ τί τε διενηνόχασι
τῶν ὁμωνύμων γενῶν, ὅσα ἐπὶ τῶν νοητῶν
λέγεται καὶ ἐπὶ τῶν αἰσθητῶν. ιε΄ Πῶς
διήκει ἡ ὅλη μαθηματικὴ ἐπιστήμη, αὐτή τε καὶ τὰ γένη αὐτῆς καὶ τὰ στοιχεῖα καὶ ἀρχαί, εἰς ὅλην
φιλοσοφίαν καὶ τὰ τῆς LA SCIENZA
MATEMATICA COMUNE 489 8. Quale sia il
criterio di verità comune a tutte le matematiche?, e come lo si possa scoprire partendo dalla
linea sezionata, che ci tra- mandano i
Pitagorici.8 9. Di coloro che
attribuiscono alle matematiche un'essenza deter- minata: per prima viene presentata l’opinione
di coloro che la fanno risalire
all'anima, e sono esposte le ragioni di una tale ipotesi che, a loro dire, sono molteplici, e i punti di
partenza che conducono alla teoria
generale sulle matematiche. 10. In che
modo l’essenza dell'anima sia costituita da tutte le matematiche, e secondo quale determinazione
si potrebbe definire la loro
combinazione nell’anima, e se questa contenga in sé l’intera real- tà di tutte le matematiche, o se si debba
considerare anche un altro principio di
esse. 11. Quale sia l'operatività
della teoria matematica e in che modo si
svolga, e perché, in accordo con tutto ciò, questa teoria sia denomi- nata “matematica”. [5] 12. Quali siano le potenze della scienza
matematica, e quali siano i loro ruoli,
e secondo quante differenze esse si distinguano e in quanti modi si possano concepire. 13. Quali siano gli elementi e i generi
della scienza matematica, e in che modo
elementi e generi esistano sempre allo stesso modo, e in che cosa essi si distinguano da quelli delle
altre scienze e delle altre realtà, sia
del mondo intelligibile che di quello sensibile.9 14. Sulla somiglianza e la dissomiglianza
proprie della matemati- ca, e quali esse
siano e fino a qual punto si estendano e in che modo esistano nell’ambito della realtà matematica,
e in che cosa esse diffe- riscano dai
generi omonimi,!° che si dicono relativamente agli intelli- gibili e ai sensibili. 15. In che modo l’intera scienza
matematica, cioè la matematica in quanto
tale e i suoi generi ed elementi e principi, si estenda alla filo- 490 GIAMBLICO φιλοσοφίας μέρη, πῶς τε πρὸς αὐτὰ
ἐπικοινωνεῖ Kai κατὰ τίνα συν-
τέλειαν. ις΄ Πόσα ταῖς τέχναις
συμβάλλεται ἀγαθά, ταῖς τε ὅλαις καθολικῶς
καὶ ταῖς κατὰ γένη διωρισμέναις, ὥσπερ ταῖς θεωρητικαῖς καὶ ποιη- τικαῖς καὶ πρακτικαῖς, ἐν κεφαλαίῳ τε περὶ
αὐτῶν διδασκαλία. ιζ΄ Τίς ἡ τάξις τῆς
ἐν τῇ μαθηματικῇ ἀγωγῆς, καὶ εἰ κατὰ φύσιν ἔχει
τάξιν καὶ πρὸς μάθησιν, καὶ εἰ συμφωνεῖ ἑκατέρα τάξις πρὸς ἑκατέραν καὶ αἱ δύο πρὸς ἀλλήλας. [6] ιη΄ Τίνες οἱ ἴδιοι τρόποι τῆς
Πυθαγορικῆς παραδόσεως τῶν μαθημάτων καὶ
πῶς αὐτοῖς ἐχρῶντο καὶ πρὸς τίνας, καὶ ὅτι τὸ οἰ- κεῖον προσέφερον ἀεὶ τοῖς τε πράγμασι καὶ
τοῖς μανθάνουσι. 10° Διαίρεσις κατὰ
τοὺς Πυθαγορείους τῆς ὅλης μαθηματικῆς
ἐπιστήμης εἰς γένη τε καὶ εἴδη τὰ κυριώτατα, κοινὴν περὶ αὐτῶν ποιουμένη τὴν θεωρίαν. κ΄ Τίς ἡ ὁριστικὴ τῆς μαθηματικῆς μέθοδος
καὶ πῶς γιγνομένη, τί τε ὄφελος εἰς
ἐπιστήμην [10] συμβάλλεται, καὶ ὅτι τέλος ἔχει ἡ μαθηματική, καὶ ποῖόν τι αὐτῆς ἐστι
τέλος. κα΄ Τίνες ἀρχηγέται τῆς κατὰ
Πυθαγόραν μαθηματικῆς προηγήσαν- το καὶ
τίνα ἐξαίρετα κατ᾽ αὐτόν ἐστι τῆς τοιαύτης ἐπιστήμης, πῶς τε δεῖ ἑπομένως αὐτῷ τὰς περὶ τῶν μαθημάτων
διατάξεις ποιεῖσθαι, κοινὴ
διάληψις. κβ΄ Τίς ἡ ἰδιάζουσα κατὰ
Πυθαγόραν ἦν μελέτη τῆς μαθηματικῆς
ἐπιστήμης, καὶ πρὸς πόσα ἀπέβλεπε χρήσιμα τῇ ψυχῇ καὶ τοῖς ἀνθρώποις, πῶς τε αὐτὴν [20] μετεχειρίζοντο
παρ᾽ ὅλην τὴν οἰκείαν ἑαυτῶν ζωήν. LA SCIENZA MATEMATICA COMUNE 491 sofia nel suo complesso e alle sue parti, e
che cosa abbia in comune con queste
parti della filosofia e quale sia il suo contributo. 16. Quanti beni l'insegnamento delle
matematiche, anche se fatto per sommi
capi, arrechi alle arti, sia nel loro complesso generale, sia nella loro distinzione per generi, come ad
esempio in teoretiche, pro- duttive e
pratiche.!! 17. Quale sia il ruolo
dell'istruzione matematica, e se essa ne pos-
sieda uno per natura!? e uno per l’apprendimento, e se ciascuno di questi si accordi con l’altro e tutti e due
tra di loro. [6] 18. Quali fossero i
metodi particolari dell’insegnamento pita-
gorico delle matematiche, e in che modo i Pitagorici si servissero
di essi e in rapporto a chi, e perché il
loro proprio metodo fosse sempre
conveniente sia alle cose che essi insegnavano sia a coloro che le
impa- ravano. 19. Divisione, secondo i Pitagorici,
dell'intera scienza matematica nei suoi
generi e nelle sue specie più importanti, divisione che produ- ce la teoria comune delle matematiche. 20. Quale sia il metodo definitorio delle
matematiche e in che modo esso nasca, e
quale vantaggio arrechi alla scienza, e perché la matematica abbia un fine ultimo e di che
natura sia questo suo fine ultimo. 21. Chi siano i primi fondatori della
matematica di Pitagora, e quali siano le
prerogative di tale scienza secondo lui, e in che modo sul suo esempio bisogna ordinare le
matematiche, e cioè quale sia la loro
comune classificazione. 22. Quale
fosse secondo Pitagora lo studio specifico della scienza matematica, e a quanti vantaggi per l’anima e
per gli uomini esso mirava, e come i
Pitagorici lo esercitassero durante tutta la loro pro- pria vita.
492 GIAMBLICO xy Ὅτι οὐκ εἰκῇ
oi Πυθαγόρειοι τὰ μαθήματα ἐπὶ πλεῖον
προῆγον, ἀλλὰ]! πρὸς τὸν βίον τῆς ἀναγκαίας χρήσεως, τίνες τε αἱ τούτου αἰτίαι διὰ πλειόνων ὑπόμνησις. κδ΄ Τίς ἦν ἡ συνήθεια ἐν τοῖς μαθήμασι τῆς
[7] διατριβῆς τῶν Πυθαγορείων, καὶ τίς ἡ
ἐν ταῖς ἐπιστήμαις γυμνασία αὐτῶν καὶ
ἐξεργασία. κε΄ Τίνες ἦσαν οἱ
μαθηματικοὶ τῶν Πυθαγορείων καὶ κατὰ τί διέφε-
ρον τῶν ἀκουσματικῶν, τί τε ἦν αὐτῶν τὸ ἔργον καὶ ποῖόν τι τὸ εἶδος τῶν λόγων καὶ τῶν ἀποδείξεων. κς΄ ᾿Αντιλήψεις τῶν μαθημάτων ὡς οὐδενὸς
ἀξίων ὄντων, καὶ ἀντι- λογίαι πρὸς αὐτὰς
ἀντιδιατάξεις τε διὰ πλειόνων. [10]
κζ΄ Τί ἀπαιτεῖν δεῖ παρὰ τοῦ μαθηματικοῦ τὸν ὄντως πεπαιδευ- μένον, καὶ πῶς δεῖ κρίνεσθαι αὐτοῦ τὴν
θεωρίαν, καὶ ἐκ τίνων ὅρων τὴν ὀρθότητα
περιλαμβάνεσθαι. κη΄ Πότε μαθηματικῆς
ἐστὶν ἢ ἄλλης ἐπιστήμης τὸ πρόβλημα ἢ ὁ
τρόπος τῶν ἀποδείξεων, διάκρισις ἐπιστημονική. κθ΄ Περὶ τῶν μαθηματικῶν συλλογισμῶν καὶ
τῶν μαθηματικῶν διαι- ρέσεών τε καὶ ὁρισμῶν
πῶς χρῆται αὐτοῖς ἡ μαθηματικὴ ἐπιστήμη,
πότερον κατὰ τὸν [20] οἰκεῖον τρόπον ἢ παρὰ διαλεκτικῆς λαμβά- νουσα τὰς ἀρχάς. λ΄ Ὅτι φιλοσοφίᾳ πάσῃ καὶ τοῖς μέρεσιν
αὑτῆς ὅλοις μεγάλα συμ- βάλλεται ἡ
μαθηματικὴ ὑπουργοῦσα πρὸς πάντα αὐτῇ, καὶ μάλιστα ἡ κατὰ τοὺς Πυθαγορείους, ἥτις πολὺ διαφέρει
τῆς ἄλλης μαθηπ30,5 ματικῆς. λα΄ Ὅτι τοῖς αὐτοῖς μαθήμασιν ἐπὶ πολλὰ
πράγματα διάφορα ἐχρῶντο οἱ
Πυθαγόρειοι, καὶ [8] πλείονα μαθήματα τοῦ αὐτοῦ
πράγματος ἐποιοῦντο δηλωτικά, καὶ διὰ τίνας αἰτίας, ! ho
eliminato io per una congettura di Festa (cf. appar. ad loc.). LA SCIENZA MATEMATICA COMUNE 493 23. Perché i Pitagorici non a caso
promuovessero le matematiche ancor pit
delle cose necessarie alla vita, e quali fossero le ragioni di ciò, e cioè soprattutto la reminiscenza.! 24. Quale fosse il costume dei Pitagorici
[7] nel trattare le mate- matiche, e
come esercitassero le scienze matematiche in maniera pro- duttiva.
25. Chi tra i Pitagorici fossero i Matematici e in che cosa differis- sero dagli Acusmatici, e quale fosse la loro
attività e di che tipo i loro
ragionamenti e le loro dimostrazioni.
26. Obiezioni contro le matematiche come cose degne di nessuna considerazione, e confutazioni e dettagliate
controargomentazioni a tali
obiezioni. 27. Quale reale
preparazione culturale si debba esigere dal mate- matico, e come si debba giudicare la sua
dottrina teorica, e entro quali confini
si debba circoscrivere la sua correttezza.
28. Quando il problema o il modo di procedere nella dimostrazio- ne appartengano alla matematica o ad altra
scienza, cioè la differen- ziazione tra
le varie scienze. 29. Sui sillogismi
matematici e le divisioni e le definizioni matema- tiche: in che modo la scienza matematica se
ne serva, e se lo faccia secondo un modo
suo proprio, oppure attingendo i suoi principi
dalla dialettica. 30. Perché la
matematica dà un grande contributo alla filosofia nella sua interezza e a tutte le sue parti,
operando al suo servizio sotto ogni
riguardo, e soprattutto la matematica pitagorica, la quale differi- sce molto dalla matematica non
pitagorica. 31. Perché i Pitagorici si
servissero di una medesima matematica a
proposito di molte cose diverse, e costruissero più [8] matematiche per mostrare la medesima cosa, e per quali
ragioni. 494 GIAMBLICO λβ΄ Πῶς ἐνίοτε καὶ περὶ αἰσθητῶν
μαθηματικῶς ἐπιχειροῦμεν καὶ ποσαχῶς
τοῦτο γίγνεται, καὶ πῶς ἐν τοῖς μαθήμασι πολλὰ εἰς ἄλλα ἀνάγεται καὶ διὰ τίνας αἰτίας. λγ΄ Τί τὸ κοινὸν ἐν ὅλῃ τῇ μαθηματικῇ ἐπιστήμῃ
καὶ τὸ ἴδιον αὐτῆς ἐστι κατὰ τὰς ἐν
πολλοῖς εἴδεσι θεωρουμένας διαφοράς, ὅπως τε δεῖ τέμνειν [10] αὐτὸ κατὰ τὴν διαιρετικὴν
ἐπιστήμην ἀφ᾽ ἑνὸς ἐπὶ 33,5 δύο, εἶτα
ἐπὶ πλείονα εἴδη. λδ΄ Πόθεν ὠνόμασται
ἡ τῶν μαθημάτων ἐπιστήμη καὶ τίς αὐτῆς ὁ
χαρακτήρ, τίσι τε δεῖ προσέχειν ἐν τῷ τὸ εἰδος τῶν μαθημάτων ἐπι- κρίνειν.
λε΄ ᾿Ανακεφαλαίωσις τοῦ κοινοῦ λόγου περὶ πάντων τῶν μαθημάτων, τῆς τε τάξεως τῶν κεφαλαίων παράδειξις, καὶ
ὑπόμνησις ἅμα καὶ περὶ τοῦ ὀρθῶς
διῃρῆσθαι τὴν ὅλην αὐτῶν σύνοψιν. [9] IAMBAIXOY ΧΑΛΚΊΔΕΩΣ THX KOIAHX ΣΥΡΙΑΣ ΠΕΡῚ ΤΗΣ ΚΟΙΝΗΣ MAOHMATIKHX ΕΠΙΣΤΗΜΗΣ ΛΟΓΟΣ Γ΄
1. Ἢ μὲν πρόθεσις τῆς παρούσης ἐπισκέψεως τὴν κοινὴν βούλε- ται τῶν μαθημάτων θεωρίαν παραδεῖξαι, τίς
ἐστιν ἡ ὅλη καὶ τίνα ἔχει μίαν αἰτίαν
καὶ οὐσίαν πρεσβυτάτην προηγουμένην, μετὰ μίαν
δὲ δύο εἴ πως εἰσὶν ἀρχαὶ ταύτης ἐπισκεψόμεθα, καὶ μετὰ ταύτην τὴν διχοτομίαν εἴ τις ἐστὶν ἀριθμὸς ὡρισμένος
τῶν ἐν [10] αὐτοῖς γενῶν πειρασόμεθα
ἀπολογίζεσθαι μετ᾽ ἐπιστημονικῆς τινος διαι-
ρέσεως: καὶ τότε δὴ τὰ κοινὰ εἴδη τῶν μαθημάτων πάντων ἐπισκε- ψόμεθα κατὰ κοινήν tiva ἐπιβολήν, μηδέπω τῶν
καθ᾽ ἕκαστον θεωρημάτων ἐφαπτόμενοι.
καθ᾽ ἕκαστον δὲ τῶν εἰρημένων παραδεί-
ἕομεν τὴν οὐσίαν περὶ ἣν ἕκαστον γένος καὶ εἶδος τῶν μαθηματικῶν LA SCIENZA MATEMATICA COMUNE 495 32. In che modo qualche volta noi indaghiamo
con metodo mate- matico anche sui
sensibili, e in quanti modi lo facciamo, e in che modo nelle matematiche molte cose sono
ricondotte ad altre e per quali
ragioni. 33. Quale sia la parte comune
dell’intera scienza matematica e quale
quella particolare secondo le differenze osservate nelle sue mol- teplici specie, e in che modo bisogna
dividere quest’ultima secondo la scienza
dieretica,!4 dividendo cioè l’unico genere comune prima in due, e poi in molte specie. 34. Donde riceva la sua denominazione la
“scienza delle matema- tiche”, e quale
sia la sua natura, e a quali criteri bisogna attenersi nel giudicare la specificità delle
matematiche. 35. Ricapitolazione del
discorso comune su tutte le matemati-
che, e presentazione dell’ordine dei capitoli, e al contempo
richiamo della corretta divisione del
joro quadro complessivo. Giamblico di
Calcide in Celesiria La Scienza
Matematica Comune Terzo libro <della
Sura pitagorica>. [9] 1.
L'intenzione della presente ricerca è di volere presentare la teoria comune delle matematiche: noi
indagheremo quale essa sia nel suo
complesso e quale unica origine e quale essenza prioritaria, per- ché la più anziana <fra quelle delle
singole scienze matematiche>, essa
abbia, e se, dopo quest’unica origine, siano in qualche modo due i principi di tale teoria, e dopo questa
dicotomia tenteremo di rende- re conto
con una divisione scientifica se nelle matematiche ci sia un numero determinato di generi;!5 e a quel
punto esamineremo le forme comuni di
tutte le matematiche secondo una loro comune rappresen- tazione, senza toccare ancora i singoli
teoremi. Presenteremo di cia- scuna di
tali forme comuni l’essenza a cui inerisce ciascun genere o 496 GIAMBLICO ἐνυπάρχει, τίς TÉ ἐστιν ἡ τούτων συντέλεια
πρὸς τὸ πᾶν καὶ ἡ πρὸς ἄλληλα σύνταξις
οὐ παρήσομεν εἰπεῖν, τίς τε αὐτοῖς καὶ πόθεν ἡ
συγγένεια ἐφήκει, καὶ ἀπὸ τίνων συνδεῖται ἀρχῶν, εἰς [20] τίνας τε ἀνάγεται τὰς πρεσβυτέρας ἑαυτῆς αἰτίας, καὶ
πῶς ἄν τις αὐτῶν ἐπι- τυχεῖν δυνηθείη,
τί τε χρήσιμός ἐστιν ἡ πραγματεία καὶ πρὸς πόσα
ἀγαθὰ ὁδηγεῖ, καὶ ὅτι καθ᾽ αὑτήν τέ ἐστιν αἱρετὴ καὶ διὰ τὰς [10] παραγινομένας dr’ αὐτῆς ἐπιστήμας, καὶ ὅτι
πρὸς πᾶσαν φιλοσοφί- αν περιάγει τὴν
διάνοιαν καὶ πρὸς πᾶσαν τὴν περὶ τῶν ὄντων καὶ
νοητῶν ἐπιστήμην. τὰ μὲν οὖν προκείμενα ἡμῖν ἐστι τοσαῦτα ἐν τούτῳ τῷ βιβλίῳ διελθεῖν, ἀρξώμεθα δὲ ἀπὸ τοῦ
πρώτου ἄνωθεν ἀναλαβόντες. Κοινῇ δὴ περὶ πάντων τῶν μαθημάτων ἀξιώματα
ἡμῖν προκείσθωΣ ταῦτα' ὡς ἔστιν ἀσώματα
καὶ καθ᾽ ἑαυτὰ ὑφεστηκότα, τῶν τε ἀμε-
ρίστων οὐσιῶν καὶ τῶν [10] περὶ τὰ σώματα μεριστῶν μέσα, εἰδῶν τε καὶ λόγων, τὴν μεταξὺ τοῦ τε ἀμεροῦς καὶ
τοῦ μεριστοῦ τάξιν εἰληχότα, καὶ τῶν μὲν
ὄντα καθαρώτερα τῶν δὲ ποικιλώτερα, συν-
θέσει μὲν καὶ διαιρέσει χρώμενα, ἀγενήτως δὲ καὶ ἀιδίως τὸ συν- τιθέμενον καὶ διαιρούμενον ἐπισκοπούμενα, τῶν
μὲν νοητῶν οὐ- σιῶν καταδεέστερα ὄντα,
τῶν δὲ ἐν τῇ φύσει πρότερα, κάλλει τε
καὶ τάξει καὶ ἀκριβείᾳ προέχοντα τῶν ὁρατῶν, ἀπολειπόμενα δὲ τῶν νοητῶν, συμμετρίᾳ τε ὡσαύτως καὶ ὁμολογίᾳ
μέσῃ χρώμενα, δύ- ναμίν τε ἔχοντα
διαπορθμεύειν καὶ [20] διαβιβάζειν ἐπὶ τὰ ἀμέρι- στα εἴδη, ἅτε συγγενῆ πρὸς αὐτὰ ὑπάρχοντα,
καὶ τῶν μὲν σωμάτων ἀπάγοντα τοὺς
συνήθεις πρὸς αὐτὰ γιγνομένους, περιάγοντα δὲ ἐπὶ τὰς θείας οὐσίας ὥσπερ διά τινος κλίμακος
ἀναγούσης ἐπὶ τὸ ὕψος. δεῖ δὴ θεωρεῖν
οὐκ ἀφ᾽ ἑνὸς μόνου [11] γένους τῶν ὄντων καθήκου- σαν εἰς ταῦτα δευτέραν τῆς ἀσωμάτου! οὐσίας
δόσιν, ἀλλ᾽ ἀπὸ πάντων ὅσα ποτέ ἐστιν ἐν
τῷ ὄντως ὄντι καὶ τῷ νῷ γένη᾽ κάτεισι γὰρ
ἀπὸ πάντων τούτων εἰς τὰς μεταξὺ φύσεις τῶν μαθημάτων ἡ μεσότης τῶν τε αἰτίων καὶ τῶν ἀποτελουμένων ὑπ᾽
αὐτῶν, συνάπτει TE τὰ γιγνόμενα πρὸς τὰ
ὄντα καὶ κοινωνίαν αὐτῶν πρὸς ἄλληλα ἀπεργά-
ζεται. τοσαύτης δὴ οὖν οὔσης «τῆς. τῶν μαθημάτων θεωρίας καὶ οὕτως ἐπὶ πάντα διατεινούσης, ἣ μαθηματικὴ
[10] ἐπιστήμη γνῶσίς 2 προκείσθω ho
scritto io seguendo la /ectio di un apogr. del cod. F (cf. appar. ad loc.): προσκείσθω. } ἀσωμάτου congetturò Vitelli: «τῶν»
ἀσωμάτων congetturò Pistelli (cf. ed.
Festa in Add. et Corr): ἀσωμάτων Festa.
LA SCIENZA MATEMATICA COMUNE 497
specie delle matematiche. E non tralasceremo di dire quale sia il
con- tributo di queste forme rispetto
all'intero, e quale la loro reciproca
sistemazione, e quale sia e da dove derivi il loro apparentamento, e
da quali principi esse siano tenute
insieme, e a quali loro superiori cause
esse si riferiscano, e come si possano raggiungere tali cause, e di
quale utilità sia la loro trattazione e
a quanti beni questa conduca, e perché
tale teoria comune sia desiderabile sia per se stessa che
attraverso [10] le scienze che da essa
provengono, e perché conduca la ragione
verso l’intera filosofia e verso l’intera scienza degli enti anche
intelli- gibili. Tali sono dunque gli
obiettivi che vogliamo conseguire in que-
sto libro, ma cominceremo dal primo, cioè dall’alto. In generale, a proposito di tutte le
matematiche, dobbiamo pre- mettere i
seguenti assiomi: gli enti matematici sono incorporei e in sé sussistenti, e intermedi tra le essenze
indivisibili e quelle divisibili nei
corpi, nonché tra le idee e i concetti, e hanno avuto in sorte un
posto intermedio, tra ciò che è privo di
parti e ciò che è diviso in parti, e
delle essenze divisibili sono più puri, mentre di quelle indivisibili sono più variegati, e le matematiche da un
lato si servono della com- posizione e
della divisione, dall'altro lato esaminano sotto un aspetto non empirico ed eterno ciò che è composto e
diviso, e da un lato sono inferiori alle
essenze intelligibili, dall'altro lato superiori agli enti naturali, e superano le cose visibili per
bellezza e ordine e precisione, pur
essendo inferiori agli intelligibili, e si servono allo stesso modo della simmetria e della funzione di raccordo
proprie delle cose inter- medie, e hanno
il potere di fare passare e condurre alle forme indivi- sibili,16 in quanto sono ad esse congeneri, e
da un lato allontanano dai corpi coloro
che con questi sono entrati in dimestichezza, e dall’altro lato conducono alle essenze divine come per
mezzo di una scala che porti al punto
più alto possibile.!? Bisogna poi tenere conto che [11] agli enti matematici spetta una seconda
attribuzione di essenza incor- porea!8
derivante non da un solo genere di enti, ma da quanti generi esistano mai nel vero essere!? e
nell’intelletto:20 infatti la posizione
intermedia tra le cause e i loro effetti discende alle nature delle
mate- matiche da tutti questi generi, ed
esse congiungono i fenomeni con gli enti
e operano la loro reciproca comunanza. Essendo, dunque, di tale portata la teoria delle matematiche e cosî
estesa su ogni cosa, la scien- za
matematica è conoscenza intermedia, in quanto è più composita di 498 GIAMBLICO ἐστι μέση, πλεονάζουσα τοῦ νοῦ τῇ συνθέσει,
διανοητική τις οὖσα, πολλὰ ἐν ταὐτῷ
συλλαμβάνουσα, διεξόδοις τισὶ χρωμένη μᾶλλον
καὶ ἀνελίξεσιν, εἴδεσί τε καὶ λόγοις μέσοις καὶ οὐ πάντῃ πεπερα- σμένοις, ἀλλὰ περὶ τὸ ἄπειρον ἀφορίζουσι τὸ
πέρας, σαφήνειάν τε ἐν τοῖς μὴ πάνυ
γνωρίμοις παρεχομένοις. 2. Τοιαύτης δὴ
οὖν οὔσης τῆς ἐπιστήμης, ληπτέον αὐτὴν σωμάτων
ἀφισταμένους καὶ γενέσεως, φαντασιῶν τε καὶ αἰσθήσεων καθα- ρεύοντας, συνεθιζομένους τε τοῖς καθ᾽ αὑτὰ
ἀσωμάτοις καὶ τῇ μελέτῃ τῶν λόγων [20]
συνεχεῖ χρωμένους. τὸν δὲ ὅρον αὐτοῖς ἐπι-
τιθέναι ἄξιον ἀπὸ τῆς τῶν ὄντων ἐπιστήμης καὶ τῆς καθαρᾶς νοή- σεῶς τῶν τε καθαρῶν λόγων καὶ τῶν ἀύλων εἰδῶν
καὶ τῆς πεπερα- σμένης τῶν νοητῶν
ἀληθείας: ἀπὸ γὰρ τούτων ἄν τις τὸ τέλειον καὶ
εἰλικρινὲς προσλάβοι τῆς ἐν αὐτοῖς εἰδήσεως. διατείνει δὲ ἐπὶ πά- ντα ὅσα μέσα ἐστὶ γένη τε καὶ εἴδη τῶν ὄντων,
ὅσα τε ἐν ἀριθμοῖς ὠρισμένοις
περιείληπται, καὶ ὅσα πρόεισιν ὡρισμένως κατά τινας εἰδητικὰς διαφοράς. καὶ τὰ μὲν ἐπὶ τὸ πρόσω
προχωρεῖ εἰς ὕψος τε ἄνεισι, τὰ δὲ τοῖς
[12] ὑποδεεστέροις καὶ κατωτέρω πελάζει, τὰ δ᾽
ἐν μέσῳ τούτων ὄντα συνάπτει τὰ ἄκρα. γένη δὲ αὐτῶν καὶ εἴδη κατὰ πάντα ταῦτα διοριστέον, καὶ ἔτι τὰ μὲν
ὡς καθ᾽ αὑτά, τὰ δὲ ὡς πρὸς ἕτερα
διαιρετέον' καὶ κατὰ τὰς τοῦ ποσοῦ δὲ διαφορὰς
ὑποληπτέον αὐτῶν τὴν διάκρισιν, καὶ κατὰ τὰς τῶν λόγων τῶν μέσων καὶ εἰδῶν διαιρέσεις καὶ τὰ μὲν πρότερα
αὐτῶν, τὰ δὲ ὕστερα ὑποθετέον, ὅπως ἂν
αἱ φύσεις ἔχωσι τὸ πρὸς ἀλλήλας τεταγμένον.
δύναται δέ τις καὶ κατὰ τὰς δυνάμεις τῆς [10] ψυχῆς τὰς γνωριστι- κάς, ὅσαι μέσαι εἰσὶ καὶ διανοητικαί,
συλλογίζεσθαι αὐτῶν τὴν ἑτερότητα, ὥσπερ
καὶ ᾿Αρχύτας φαίνεται ποιῶν ἐν τῇ τῆς γνωρι-
στικῆς γραμμῆς τομῇ. τοιαύτη τις ἔστω ὡς ἐν τύποις ὑπογράψαι i πρώτη περίληψις τῆς κοινῆς περὶ μαθημάτων
θεωρίας, τὰ δὲ ἐντεῦθεν ἄνωθεν
ἀναλαβόντες πειραθῶμεν καθ᾽ ἕκαστον ἐπελθεῖν
τὰ ἤδη προειρημένα προβλήματα.
3. Κοινῶς δὴ περὶ πάντων τῶν μαθημάτων ἀφορισώμεθα τίνες τῆς μαθηματικῆς οὐσίας εἰσὶν ἀρχαί᾽ [20] ἐπειδὴ
γὰρ πᾶσα ἐπιστήμη παραγίνεται διὰ τῶν
οἰκείων ἀρχῶν, καὶ τῆς μαθηματικῆς οὐσίας
LA SCIENZA MATEMATICA COMUNE 499
quella dell’intelletto, essendo una conoscenza dianoetica, e
riunisce molte cose in una medesima
cosa, e si serve, più che l'intelletto, di
procedimenti discorsivi ed esplicativi, e di forme e concetti intermedi e assolutamente non limitati, bensi capaci di
determinare il limite nel- l’illimitato,
e fornire chiarezza in cose che si presentano nient’affatto di comune dominio. 2. Essendo, dunque, tale la scienza
<matematica>, bisogna assu- merla
tenendosi lontani dai corpi e dal divenire, purificati da imma- ginazioni e da sensazioni, e familiarizzati
con gli incorporei in sé e che fanno uso
continuo dello studio dei concetti. E’ opportuno poi che gli enti matematici siano distinti rispetto alla
scienza degli enti?! e alla pura
intellezione?2 e ai puri concetti e alle forme immateriali e alla verità ben definita degli intelligibili,
perché da tutto ciò si potrà acquisire
il perfetto e genuino sapere che essi contengono. Essi si estendono a tutti quanti i generi e le specie
degli enti intermedi, sia a quelli che
sono compresi in numeri determinati, sia a quelli che pro- cedono in modo determinato secondo certe
differenze specifiche. E alcuni avanzano
oltre e si innalzano al punto supremo, altri [12] si avvicinano alle cose inferiori e più basse,
altri, infine, stando nel mezzo,
congiungono gli estremi. Bisogna poi determinare sulla base di tutto ciò i loro generi e le loro specie,
e ancora distinguere ciò che è in sé da
ciò che è per altro; e bisogna intendere questa loro distin- zione secondo le differenze del quanto e
secondo le divisioni dei rap- porti e
delle specie intermedi; e bisogna stabilire i loro termini prima- ri e secondari, affinché le nature siano fra
loro ordinate. È possibile calcolare la
loro diversità anche sulla base delle potenze conoscitive dell'anima, che sono intermedie e
dianoetiche, come anche Archita sembra
fare nella divisione della linea sezionata della conoscenza.? Tale dev'essere, per fare una sommaria
descrizione, la prima com- prensione
della teoria comune delle matematiche, e riprendendo il discorso di qui, cioè dall'alto, noi
cercheremo di affrontare, su cia- scun
punto, i problemi di cui abbiamo già parlato.24 3. In generale, a proposito di tutte le
matematiche, noi definire- mo quali
siano i principi della realtà matematica: poiché, infatti, ogni scienza si riconosce attraverso i suoi propri
principi, anche della real- 500
GIAMBLICO ἀρίστη dv γένοιτο ἡ ἐντεῦθεν
ὁρμωμένη εἴδησις. ὅτι μὲν οὖν τὸ
πεπερασμένον καὶ ἄπειρον ἀρχαί εἰσι πάντων τῶν μαθημάτων καὶ πάσης μαθηματικῆς οὐσίας, παντὶ δῆλον, ὡς
δοκεῖ τοῖς Πυθαγορείοις: ἀλλὰ τούτων
ἑκάτερον οὐχ ἕνα λόγον οὐδ᾽ ἐπὶ πάσης
οὐσίας τὸν αὐτόν, ἀλλ᾽ ἐπὶ μὲν [13] τῶν νοητῶν εἰδῶν καὶ τῶν ἀύλων λόγων ἄλλαι εἰσὶν αἱ τοιαῦται ἀρχαί, νοηταί
te πάντῃ καὶ ἄυλοι καὶ καθ᾽ ἑαυτὰς οὖσαι
ἀμέριστοι, ἐπὶ δὲ τῶν μαθημάτων πλήθους
καὶ μεγέθους, διαιρέσεώς τε καὶ διαστάσεως ἔσονται αἰτίαι, μεριστῆς τε φύσεως μεθέξουσι καὶ οἰκεῖα γένη
λήψονται τὰ προ- σήκοντα τοῖς ὅλοις
μαθήμασι, συνθέσεώς τε μεταλήψονται καὶ κρι-
θήσονται διανοήσει ἑτέρᾳ οὔσῃ παρὰ τὴν κρίνουσαν δύναμιν τὰς ἁπλᾶς καὶ ἀμερίστους καὶ νοερὰς οὐσίας.
κίνησιν δὲ ταῖς [10] ἀρχαῖς ταύταις τῶν
μαθημάτων ἔνιοι μὲν ἴσως δώσουσιν, ὅσοι ἐν τῇ
ψυχῇ καὶ ταῖς τῆς ψυχῆς ζωαῖς καὶ δυνάμεσι τὰς ἀρχὰς ταύτας ὑποτίθενται, βέλτιον δὲ τὴν μὲν ψυχὴν ἐν
ἑτέρῳ γένει τῆς οὐσίας τιθέναι, τὰς δὲ
μαθηματικὰς ἀρχὰς καὶ τὴν μαθηματικὴν οὐσίαν
ἀκινήτους ὑπολαμβάνειν᾽ ἕστηκέ τε γὰρ αὐτῶν ἀεὶ τὰ εἴδη καὶ ὡσαύτως αὐτὰ θεωροῦμεν καὶ κατὰ τὰ αὐτά.
μέσαι δή τινες οὖν εἰ- σιν αὗται αἱ
ἀρχαὶ τοῦ τε ἀπείρου καὶ τοῦ πέρατος, κρατούσης ἀεὶ τῆς τοῦ πέρατος ἰδέας τοῦ ἀπείρον καὶ
περιοριζούσης αὐτὴν ἐν ἑαυτῇ: [20] διὸ
καὶ πρόεισι μὲν ἐπὶ τὸ ἄπειρον ἀεί, ὁρίζεται δὲ ὑπὸ τοῦ περαίνοντος. τῶν μὲν οὖν ἐν τῷ νῷ
ὑπαρχόντων διαφέρουσιν αἵδε αἱ ἀρχαὶ τῷ
διαιρέσεως καὶ πλήθους καὶ μεγέθους καὶ συνθέ-
σεως ἐνδιδόναι τὴν αἰτίαν ἀφ᾽ ἑαυτῶν, τῶν δὲ τῆς φύσεως καὶ τῶν τῆς ψυχῆς λόγων χωρίζονται τῷ τε ἀκίνητοι
εἶναι καὶ διότι τῶν μεταξὺ τεταγμένων
μέσων ἀσωμάτων καθ᾽ ἑαυτὰς ὑπάρχουσι κεχ-
ὡρισμέναι τῆς ὕλης, αἱ δὲ καὶ τῆς ὕλης ἐφάπτονται. [14] ὅτι μὲν οὖν διαφέρουσι τῶν ἄλλων αἰτίων, ἐκ τούτων ἄν τις
πεισθείη. τὴν δὲ κοινότητα αὐτῶν τὴν ἐπὶ
πάντα διατείνουσαν ἀπό τε τῆς μεσότητος
τῆς ἁπλῶς οὕτω νοουμένης ὑποληπτέον, καὶ ἀπὸ τῆς ὑποδεεστέρας φύσεως τῶν ἀμερίστων καὶ νοητῶν εἰδῶν,
πρεσβυτέρας δὲ τῶν περὶ LA SCIENZA
MATEMATICA COMUNE 501 tà matematica la
migliore conoscenza sarà quella che prende spunto di qui, cioè dai suoi principi. E, dunque,
assolutamente evidente che, come pensano
i Pitagorici, i principi di tutte le matematiche e di ogni realtà matematica siano il “limitato”26 e l’
“illimitato”: ma ambedue questi principi
non hanno un'unica definizione né sono la stessa cosa in ogni realtà, bensi [13] tali principi sono
diversi a seconda che si riferiscano
alle forme intelligibili e ai rapporti immateriali, dove saranno assolutamente intelligibili e
immateriali e in se stessi indivisi-
bili, oppure alle matematiche, dove saranno cause di quantità nume- rica e di grandezza, e di divisione e di
estensione, e parteciperanno della
natura divisibile e assumeranno come loro propri generi?” quel- li che convengono alle matematiche nel loro
complesso, e partecipe- ranno della
composizione e saranno giudicati in virtà di un atto di conoscenza razionale che è diverso dalla
facoltà che giudica le realtà semplici e
indivisibili e intellettive. Taluni,28 forse, attribuiranno movimento a questi principi delle
matematiche, e sono coloro che
suppongono che tali principi siano nell’anima e nei suoi aspetti vitali e nelle sue facoltà, ma è meglio collocare
l’anima in un diverso gene- re di
realtà, e concepire i principi della matematica e la realtà mate- matica come privi di movimento: e infatti le
loro forme sono eterne e noi le vediamo
sempre allo stesso modo e per se stesse. Esistono certo alcuni di questi principi che sono intermedi
tra l’illimitato e il limite, anche se
l’idea dell’illimitato prevale sempre su quella del limite per- ché la contiene in sé; ed è per questo che
essa da un lato procede sem- pre
all’infinito, e dall’altro lato è determinata da ciò che la limita. Da un lato dunque questi principi differiscono
dalle cose che esistono nell’intelletto
per il fatto che forniscono da se stessi la causa della divi- sione e della quantità numerica e della
grandezza e della composizio- ne,
dall'altro lato sono separati dalla natura e dai principi razionali dell'anima sia perché sono privi di
movimento, sia perché, tra gli
incorporei che occupano un posto mediano, ci sono quelli che
esisto- no per se stessi separati dalla
materia, mentre ce ne sono di quelli che
sono a contatto con la materia. Da tutto ciò si può desumere la
con- vinzione [14] che sono cause
diverse dalle altre, Il fatto poi che la loro
comunanza si estenda su tutto, si può desumere, sia perché il loro stato di enti intermedi è pensato in modo
puro e semplice, sia perché la loro
natura è da un lato inferiore a quella delle forme indivisibili e 502 GIAMBLICO τὰ σώματα μεριστῶν. καὶ εἰ λόγους δέ τις
λαμβάνοι, καὶ ταύτην τὴν κοινότητα αὐτῶν
ἐν τοῖς λόγοις θεωρητέον. καὶ τὴν ἀοριστίαν δὲ
ὡσαύτως κοινῶς ἐπὶ πάντα διατείνουσαν ὑποθετέον. Ei τέ τινες ὑποδοχαὶ νοοῦνται τῶν [10] μαθηματικῶν εἰδῶν,
κοινὰς ταύτας ἀπο- λιπεῖν ἄξιον πάσης
τῆς ἐν τοῖς μαθήμασι θεωρουμένης πολυειδοῦς
συστάσεως: οὕτω γὰρ ἄν τις τὴν κοινότητα αὐτῶν κατανοήσειε, δύ- σληπτον μὲν οὖσαν νοῆσαι ὥστε αὐτὴν ἑνὶ
λογισμῷ περιλαβεῖν, διὰ τὸ ἐν πολλοῖς
καὶ διαφέρουσιν ἐνυπάρχειν, μόλις δ᾽ ἂν οὕτως ἐπι- νοηθῆναι δυναμένην. τοσαῦτα μὲν οὖν καὶ περὶ
τῶν κοινῶν ἡμῖν διωρίσθω. 4. Εἰ δὲ δεῖ καὶ τὰς ἰδίας ἀρχὰς καθ᾽
ἕκαστον τῶν μαθημάτων ἀφορίσασθαι, τίνες
τέ εἰσι καὶ ὁποῖαι [20] καὶ τίνα ἔχουσαι τὴν
καθ᾽ αὑτὰς ἰδιότητα καὶ τὴν πρὸς ἀλλήλας διαφορὰν καὶ τὴν πρὸς ἁπάσας τὰς ἄλλας ἀρχὰς πάντων τῶν ὄντων,
καιρός ἐστιν ἤδη καὶ περὶ τούτων
διελθεῖν. πάντων δὲ ἄριστον, ἐπεὶ τάξις τίς ἐστιν ἐν αὐτοῖς, καὶ τὰ μὲν ὡς πρότερα προηγεῖται οὐ
τῇ τάξει μόνον ἀλλὰ καὶ τῇ φύσει
(συναναιρεῖ μὲν γὰρ οὐ συναναιρεῖται δέ, καὶ συνε- πιφέρει μὲν οὐ συνεπιφέρεται δέ), [15] τὰ δὲ
ἐν ἀμφοτέροις τούτοις ἀπολείπεται
πρεσβείᾳ καὶ ἁπλότητι, τούτων δὴ ἕνεκα καὶ ἡμῖν προ- σήκει τῇ κατὰ φύσιν αὐτῶν τάξει
συνακολουθῆσαι, καὶ πρῶτον μὲν εἰπεῖν
περὶ τῶν πρώτων, ἔπειθ᾽ οὕτω περὶ τῶν ἄλλων.
Τῶν δὴ ἀριθμῶν «καὶ πάντων»" τῶν μαθηματικῶν δύο τὰς πρωτίστας καὶ ἀνωτάτω ὑποθετέον ἀρχάς, τὸ ἕν (ὅπερ δὴ
οὐδὲ ὄν πω δεῖ καλεῖν, διὰ τὸ ἁπλοῦν
εἶναι καὶ διὰ τὸ ἀρχὴν μὲν ὑπάρχειν τῶν
ὄντων, τὴν δὲ ἀρχὴν μηδέπω [10] εἶναι τοιαύτην οἷα ἐκεῖνα ὧν ἐστιν ἀρχή), καὶ ἄλλην πάλιν ἀρχὴν τὴν τοῦ πλήθους,
ἣν καὶ διαίρεσιν οἷόν τ᾽ εἶναι καθ᾽ αὑτὸ
παρέχεσθαι, καὶ διὰ τοῦτο ὑγρᾷ τινι παντά-
πασι καὶ εὐπλαδεῖ ὕλῃ, προσηκόντως εἰς δύναμιν παραδεικνύντες, ἀποφαίνοιμεν ἂν ὁμοίαν εἶναι" ἐξ ὧν
ἀποτελεῖσθαι, τοῦ τε ἑνὸς καὶ τῆς τοῦ
πλήθους ἀρχῆς, τὸ πρῶτον γένος, ἀριθμῶν ἐξ ἀμφοτέρων τούτων μετά τινος πιθανῆς ἀνάγκης
συντιθεμένων. καὶ χρὴ καθ᾽ 4 καὶ
sospettò Vitelli: κατὰ. 5 l'integrazione
è di Festa (cf. Ind. verb. p. 112 τιν. ἀριθμός). LA SCIENZA MATEMATICA COMUNE 503 intelligibili, e dall’altro lato superiore
a quella delle forme divisibili nei
corpi. E se si prendono in esame i rapporti, anche in essi si può osservare questa loro comunanza. E bisogna
ritenere la loro indeter- minatezza allo
stesso modo estesa comunemente su tutto. E se alcuni principi sono concepiti come ricettivi delle
forme matematiche, è opportuno
abbandonare l’idea che queste siano quelle comuni a tutto il multiforme sistema delle matematiche: chi,
infatti, penserà in que- sto modo la
loro comunanza, da un lato difficilmente la penserà in modo da comprenderla con un unico
ragionamento,!? per il fatto che esiste
in cose molteplici e diverse, dall’altro lato difficilmente potreb- be cosî essere rappresentata alla mente. Sono
tante, dunque, le distin- zioni che
dobbiamo fare a proposito degli aspetti comuni delle mate- matiche.
4. Se bisogna poi definire anche i principi propri di ciascuna scienza, e quali essi siano e di che natura,
e quale proprietà essi pos- siedano per
se stessi e quale differenza ci sia tra loro e in rapporto a tutti i principi di tutti gli enti,?0 è il
momento ormai di passare a trat- tare
anche questo argomento. Ma la cosa migliore da fare è che, dal momento che c’è un ordine gerarchico tra
questi principi, e alcuni, in quanto
primi, precedono?! non soltanto per il posto che occupano, ma anche per la loro natura (infatti
escludono, ma non sono esclusi, e
d’altra parte implicano, ma non sono implicati) 2 [15] altri sono
infe- riori per dignità e semplicità
sotto ambedue tali aspetti, cioè il posto
e la natura, allora per tutto questo ci conviene seguire il loro
ordine secondo natura, e parlare prima
di quelli primari, e poi degli altri.
Orbene, bisogna partire dal presupposto che i principi assoluta- mente primi e sommi dei numeri e di tutti gli
enti matematici sono due: uno di essi è
l'uno (di cui non si può dire in nessun modo che è ente, per il fatto che esso è semplice e
perché è principio degli enti, e il
principio non è mai della stessa natura delle cose di cui è principio); l’altro è a sua volta il molteplice, il quale
è capace, per quel che è in se stesso,
di fornire la divisione, e perciò, se ce lo rappresentiamo in modo conveniente, per quanto possiamo,
potremo assimilarlo a una materia
assolutamente umida e duttile.33 Da questi due principi, cioè l’uno e il molteplice, si produce il primo
genere [sc. il numero], essen- do i
numeri composizione di questi due principi, accompagnata da 304 GIAMBLICO ἕκαστον ἐπεξιόντα τῶν ἀριθμῶν διαίρεσιν μὲν
ἅπασαν λέγειν ἅπαντι ἀριθμῷ καὶ μέγεθος
ὡς [20] καθόλου εἰρῆσθαι ταύτην τὴν
φύσιν παρέχεσθαι, τὸ δὲ ποιὸν εἶναι ἕκαστον αὐτῶν, ἔτι δὲ ὡρισμένον καὶ ἕν, τὴν ἀδιάφορον καὶ ἄτμητον
ἀρχὴν ἐπισφραγιζο- μένην ἀποτυποῦν.
κακὸν δὲ ἢ αἰσχρὸν τὸ τοιοῦτον οὐ προσῆκον
ἴσως ἐστὶ τιθέναι, ᾧ συμβαίνει μεγέθους τε καὶ διαιρέσεως, ἔτι δὲ αὔξης, καθ᾽ ἑαυτὸ αἰτίῳ εἶναι᾽ οὔτε γὰρ ἐν
τοῖς ἄλλοις τὸ τοιοῦτο γένος εἰς κακὴν
μοῖραν εἰώθαμεν τιθέναι, ἔστιν ὅτε δὲ τοῦ μεγαλο- πρεποῦς καὶ ἐλευθερίου μετὰ ποιότητος
συμπλεκόμενόν τινος τὸ μέγα αἴτιον
λέγοιμεν ἂν ἴσως ἀληθεύοντες" [16] ὥστε πολλοῦ δέον ἂν εἴη κακὸν προσαγορεύεσθαι αὐτό. εἰ γὰρ δὴ
καὶ τὴν τοῦ ἑνός τις φύσιν ἐπαινῶν
τυγχάνοι δι᾽ αὐτάρκειάν τε καὶ τὸ καλῶν τινων ἐν τοῖς ἀριθμοῖς αἴτιον εἶναι, πῶς οὐκ ἄλογον ἂν
εἴη λέγειν τὸ κακὸν ἢ τὸ αἰσχρὸν
δεκτικὸν κατὰ φύσιν τοῦ τοιούτου πράγματος εἶναι; οὐ γὰρ ἂν ἔτι πάντῃ συμβαίνοι ψεκτὸν εἶναι τὸ
κακὸν καὶ τὸ αἰ- σχρύν, εἴπερ τὸ
δεκτικόν τινος ἐπαινετοῦ καὶ αὐτὸ δεῖ ἐπαινετὸν
προσαγορεύειν. αὕτη μὲν οὖν οὕτως ἡμῖν νοείσθω [10] ἀρχή. τὸ δὲ ἕν οὔτε καλὸν οὔτε ἀγαθὸν ἀξιον καλεῖν, διὰ
τὸ καὶ τοῦ καλοῦ καὶ τοῦ ἀγαθοῦ ὑπεράνω
εἶναι προϊούσης γὰρ πορρωτέρω ἀπὸ τῶν ἐν
ἀρχῇ τῆς φύσεως πρῶτον μὲν τὸ καλὸν ἐφάνη, δεύτερον δὲ καὶ μακροτέραν ἀπόστασιν ἐχόντων τῶν στοιχείων
τἀγαθόν. ἡ τοίνυν πρώτη ὑποδοχή τε καὶ
μέγεθος, ἢ ὅ τι δήποτε δεῖ προσαγορεύειν
αὐτήν, τὸ τῶν ἀριθμῶν εἶδος ἀπετύπωσε, πλήθει μὲν ἀόριστον εἰ- κότως, εἴδει δέ πὼς ὡρισμένον ἐκ τῆς τοῦ ἑνὸς
παραλαβοῦσα μοί- ρας. εἰ μὲν οὖν μίαν
ἄπειρον ἅπασιν ὑποθήσει τις ὕλην τε [20] καὶ
ὑποδοχήν, ἄλογον ὡς τὸ εἰκὸς συμβήσεται τό, τῆς «τοῦ»ὁ ἑνὸς ἰδέας ἐγγιγνομένης ἐν αὐτῇ, εἴπερ ὁμοία διὰ παντός,
μὴ οὐ τὰ αὐτὰ καὶ γένη πάλιν
ἀποτελεῖσθαι. ὥστε πάντα ἀριθμοὺς τὰ γένη παντελῶς συμβήσεται εἶναι διαφορὰν γὰρ οὐχ ἕξομεν
ἁρμόττουσαν προσά- ψαι, διὰ τί δήποτε
ἐνθάδε μὲν ἀριθμῶν ἐγεννήθη φύσις, μετὰ δὲ
τοῦτο γραμμῶν καὶ ἐπιπέδων καὶ σχημάτων, καὶ οὐκ ἀεὶ τὸ αὐτὸ 6 l'integrazione è di Festa (cf. appar. ad
loc.): è confermata da Happ (cf. ed.
Klein Add. p. XVIII). LA SCIENZA
MATEMATICA COMUNE 505 una certa convincente
necessità. E per ogni numero che si incontra è
necessario dire da un lato tutta la sua divisione e grandezza
numeri- ca, che è come dire che è questa
quantità che produce la sua natura,‘ e
dall’altro lato che ciascun numero ha una sua qualità, e che è, inol- tre, un numero unico nella sua
determinatezza, e occorre imprimergli
come un suggello il suo principio indifferenziato e indiviso.35 E non
è certo conveniente porre tale principio
della molteplicità come male o
bruttezza, per il fatto che ha la proprietà di essere per se stesso
causa di grandezza e divisione, oltre
che di aumento: neppure nel caso di
altre cose, infatti, siamo soliti porre tale genere» dalla parte del
male, mentre saremmo forse dalla parte
del vero se dicessimo che il grande, in
combinazione con una qualche qualità, è causa della magnanimità e della liberalità; [16] di conseguenza ci
corre molto dal chiamare male tale
principio del numero. Se infatti noi elogiamo la natura del- l’uno,33 perché è autosufficiente ed è causa
di alcune bellezze nei numeri, come
potrebbe non essere irragionevole dire che il male o la bruttezza siano ricettivi per natura di un
tale principio? Non può essere infatti
per nulla biasimevole il male o la bruttezza, se è vero che ciò che accoglie qualcosa di lodevole
dev'essere chiamato anch'esso lodevole.
In questo modo dunque noi dobbiamo concepire questo principio del molteplice dei numeri. D'altra
parte l’uno non può esse- re chiamato né
bello né buono,39 perché è al di sopra sia del bello che del bene. Infatti è solo quando la natura si
è allontanata notevolmen- te dai
principi che appaiono prima il bello, e poi, a maggiore distan- za dagli elementi,90 anche il bene. In
verità, il primo ricettacolo‘! e
grandezza, o comunque si debba mai denominarlo4 una volta che abbia ricevuto la sua forma dalla porzione
dell'uno, la riproduce come forma dei
numeri, la quale da un lato è naturalmente indetermi- nata nella quantità, e dall’altro lato è in
qualche modo di specie deter- minata.44
Se dunque si partirà dal presupposto che esista un’unica infinita materia e ricettacolo per ogni cosa,
allora sarà naturalmente irrazionale
che, una volta che in quella materia e ricettacolo soprag- giunga la forma dell’uno, non si producano a
loro volta gli stessi gene- ri, se è
vero che quella forma è per ogni cosa sempre la stessa.46 La conseguenza sarà che tutti i generi sono
assolutamente numeri: infat- ti non
potremmo aggiungere alcuna differenza appropriata, perché dopo che sia nata la natura dei numeri, nasca
anche quella delle linee 506
GIAMBLICO γένος, ἀπό γε τῶν ὁμοίων καὶ
κατὰ τὸν αὐτὸν τρόπον ἀλλήλοις συμ-
πλεκομένων [17] στοιχείων. εἰ δέ τις μίαν μὲν ὑποθήσεται τὴν ἅπαντος πλήθους τε καὶ μεγέθους αἰτίαν
πρώτην, διαφορὰς δὲ πολλὰς ἐν αὑτῇ
παρεχομένην, δι᾽ ὅπερ ἄλλα καὶ ἄλλα γένη κατὰ
πᾶσαν τὴν φύσιν ἀποτίκτειν πεφυκέναι, καίπερ τοῦ ἑνὸς ὁμοίου ἐγ- γιγνομένου διὰ παντός, οὐδὲ μὴν οὐδὲ τούτου
διὰ τὴν παχύτητα τῆς ὕλης ἀκριβῆ τὴν
ἑαυτοῦ φύσιν ἐμφαίνοντος ἀεί, καθάπερ ἔν τισιν
εἰκαίοις ξύλοις σχῆμα, ταῦτα μὲν οὖν οὐκ ἀλόγως ἂν ἴσως συμβαί- νοι αὐτῷ, τὸ δὲ πρῶτον στοιχεῖον εἰς [10]
τοσαύτας διαφορὰς διαι- ρέσεις ἔχειν
δυσχεραίνοι ἄν τις προσηκόντως ἴσως, ἄλλως τε καὶ εἰ παντάπασιν εἴη διήκων κατὰ ταῦτα τὰ
παραδείγματα" τὸ γὰρ ἁπλούστατον
πανταχοῦ στοιχεῖον εἶναι. λοιπὸν οὖν τινα ἑτέραν μεγέθους αἰτίαν ὑποθεμένους, ὡς ἐν ἀριθμοῖς
μονάδα κατὰ τὸ ἕν, οὕτως στιγμὴν ἐν
γραμμαῖς τιθέναι, θέσιν δὲ καὶ διάστασιν τόπων
περί τε γραμμὰς καὶ χωρία καὶ στερεὰ πρῶτον, κατὰ τὰ αὐτὰ δὲ καὶ τόπον ἐνταῦθα φανῆναι παρὰ [τὸ]" τὴν τῆς
ὑποδοχῆς διαφορὰν ἴδιόν τι παραδιδόναι
τῷ ἀπ᾽ αὐτῆς γένει. [20] ἔτι δὲ καὶ τὸ συνεχὲς καὶ τὸ συμμεμολυσμένον μᾶλλον τῶν ἀριθμῶν καὶ
παχύτερον ἐκ ταύτης ἄντις αἰτιώμενος καὶ
λέγων, ἴσως οὐ διαμαρτάνοι. καὶ μέχρι μὲν δὴ
τούτων γένος ἂν εἴη ἀποτετελεσμένον δεύτερον᾽ εἰς ταὐτὸ Yap τί- θημι γραμμάς τε καὶ στερεὰ καὶ πλάτη χωρίων.
πρώτη μὲν οὖν ἡ τῶν ἀριθμῶν ἐστιν ὕλη,
δευτέρα δὲ ἡ τῶν γραμμῶν τε καὶ τῶν ἐπιπέδων
καὶ στερεῶν σχημάτων. καὶ τῶν ἄλλων δὲ ὡσαύτως μαθημάτων, ὅσα ἂν καὶ ὁποῖα ἂν εὕρῃ. ὁ λόγος, τὰς οἰκείας
ὑποδοχὰς προὐποθετέον. [18] Καὶ τοῦτο
μὲν οὖν οὕτως ἡμῖν ἐχέτω. τὰ δὲ στοιχεῖα, ἐξ ὧν οἱ ἀριθμοί, οὐδέπω ὑπάρχει οὔτε καλὰ οὔτε ἀγαθά:
ἐκ δὲ τῆς συνθέ- σεῶς τοῦ ἑνὸς καὶ τῆς
τοῦ πλήθους αἰτίας ὕλης ὑφίσταται μὲν ὁ
ἀριθμός, πρώτοις δὲ ἐν τούτοις τὸ ὃν φαίνεται καὶ κάλλος, ἐφεξῆς ἐκ τῶν στοιχείων τῶν γραμμῶν τῆς γεωμετρικῆς
οὐσίας φανείσης, ἐν ἧ ὡσαύτως τὸ ὃν καὶ
τὸ καλόν, ἐν οἷς [οὔτε] οὐδὲν οὔτε αἰσχρόν
7 eliminò Happ (cf. ed. Klein Add. p. XVIII). LA SCIENZA MATEMATICA COMUNE 507 e delle superfici e delle figure solide, e
sempre di genere diverso, se è vero che
sono composte dagli stessi elementi combinati tra loro alla stessa maniera. [17] Se d’altra parte si
muoverà dal presupposto che esista
un'unica causa prima di ogni quantità numerica e di ogni gran- dezza, e che essa presenti in sé molte
differenze, per cui sia capace per sua
propria natura di produrre questo o quel genere nell’intero mondo naturale, sebbene l’uno rimanga ovunque
uguale a se stesso, e non manifesti
sempre chiaramente la sua propria natura per via della densità‘? della materia, come una figura che
per caso compaia in alcu- ni tronchi
d’albero, allora non è forse assurdo pensare che tutto ciò accada all'uno quale principio, mentre si
rigetterà forse a ragione l’idea che il
primo elemento*8 si suddivida in tante differenze, soprat- tutto se, come mostrano questi esempi, si
estende ad ogni cosa: ele- mento,‘°
infatti, è sempre la cosa più semplice. Avendo supposto, dunque, che esiste per la grandezza una causa
diversa <da quella del numero>,
resta da porre il punto per le linee, cosî come si è posta l’unità secondo l’uno per i numeri, e
anzitutto indicare posizione ed
estensione spaziale relativamente a linee, superfici e solidi,5° e a
que- sto punto, sulla base di tali
elementi, anche lo spazio perché la diffe-
renza del ricettacolo attribuisce qualche cosa di proprio al genere
che da esso deriva. Inoltre, chi dicesse
che la continuità <delle grandezze geometriche>!
e il fatto che sono più contaminate e dense dei nume- ri è da attribuirsi a questo loro ricettacolo
materiale, forse non sba- glierebbe. E
fin qui si sarebbe prodotto il genere secondario: in que- sto stesso genere io infatti pongo sia le
linee che i solidi e le superfici.
Prima, dunque, sta la materia dei numeri, in secondo luogo quella delle linee e delle superfici e dei solidi.
Anche per le altre scienze matematiche,’
per quanto il nostro discorso ne possa scoprire e di qualunque natura, si devono presupporre
ugualmente ricettacoli appropriati. [18] Che questo punto resti, dunque, cosi
stabilito per noi. Quanto agli elementi? che costituiscono i numeri, essi non
sono affat- to né belli né buoni; ma dalla composizione dell’uno con la materia,
che è causa della molteplicità, nasce il numero, ed è nei numeri che appaiono
per la prima volta l’essere e la bellezza; poi dagli elementi delle linee viene
fuori la realtà geometrica, e in questa appaiono ugualmente l'essere e la
bellezza, perché negli enti geometrici non c’è 508 GIAMBLICO ἐστιν οὔτε κακόν.
ἐπ᾽’ ἐσχάτῳ δὲ ἐν τοῖς τετάρτοις καὶ πέμπτοις [10] τοῖς συντιθεμένοις ἀπὸ τῶν
στοιχείων τῶν τελευταίων κακίαν γενέ- σθαι οὐ προηγουμένως, ἐκ δὲ τοῦ ἐκπίπτειν
καὶ μὴ κατακρατεῖν τινα τοῦ κατὰ φύσιν.
Ἐκ δὴ τούτων φανερόν ἐστι καὶ τίνα ἔχουσι τὴν διαφορὰν αἱ μαθηματικαὶ ἀρχαὶ
πρὸς τὰς ἄλλας: τῶν μὲν γὰρ τελευταίων προέ- χοῦυσι, διότι σωματικῶν πως
ἐκείνων οὐσῶν αὗταί εἰσιν ἀσώματοι, τῶν δὲ κατὰ τὴν ζωὴν θεωρουμένων, διότι
κατὰ κίνησιν ἐκείνων χαρακτηριζομένων αὗταί εἰσιν ἀκίνητοι, τῶν δὲ νοητῶν,
διότι ἀμε- ρίστων ἐκείνων προὐπαρχουσῶν αὗται [20] συνθέσεως καὶ διαιρέ- CES
ἀρχὴν παρέχονται. οὕτως ἡμῖν ὁ κοινὸς λόγος περὶ τῶν μαθηματικῶν ἀρχῶν καὶ ὁ
ἴδιος περὶ ἑκάστων ἐχέτω διορισμόν’ πῇ τε διαφέρει τῶν ἄλλων ἀρχῶν, οὑτωσὶ
διακεκρίσθω. 5. Τά γε μὴν ὑποκείμενα τῇ μαθηματικῇ θεωρίᾳ, τὰ κοινῇ ἐπὶ πᾶσαν
διατείνοντα τὴν ἐπιστήμην ταύτην, ἐκεῖνά ἐστιν ὅσα κοινά ἐστι θεωρήματα,
δυνάμενα μὲν ἐπὶ ἀριθμῶν, δυνάμενα δὲ καὶ ἐπὶ
μεγεθῶν [19] ἐφαρμόζειν, ἔτι δὲ καὶ ἁρμονιῶν καὶ ἀστρονομίας καὶ πάντων
τῶν ἄλλων. ἔστι δὲ τοιαῦτα «τὰ» τῶν ἀναλογιῶν καὶ τὰ περὶ τὰς κοινῶς συνθέσεις
καὶ διαιρέσεις, καὶ ὅσα περὶ τὸ ἴσον καὶ ἄνισον θεωρεῖται τὸ ὁπωσοῦν ἔχον ἢ τὸ
ὁποιονοῦν, καὶ ὅσα τὸ πολ- λαπλάσιον ἢ τὸ μεριστὸν ἐπισκοπεῖται, ἢ τὸ ὑπερέχον
καὶ ἐλλεῖπον, ἢ τὸ διωρισμένον καὶ ἀδιόριστον κατὰ κοινὴν ἐπιβολήν, ἢ τὸ καθ᾽ αὑτὸ καὶ τὸ πρός τι, ἢ τὸ ποσὸν
ἁπλῶς, μηδὲν προσλαμβά- νον τὸ τοιόνδε
εἶδος τοῦ ποσοῦ [10] ποσὸν τὴν τάξιν καὶ τὸ καλὸν τὸ ἐν τοῖς μαθηματικοῖς εἴδεσιν 7 ἐστιν
ἐπιστημονικὰ θεωρεῖ, μηδὲν προσδιορίζον
τὸ τοιόνδε κάλλος (ἤδη γὰρ τὸ τοιοῦτον τῶν ἐν
μέρει ἐπιστημῶν ἐφάπτεται)" καὶ ὅσον δὲ αὖ τὸ ἀραρὸς καὶ βέβαιον τῆς ἐπιστήμης τῆς μαθηματικῆς σκοπεῖ, μήτε
μεταβαλλόμενον ἄλλοτε ἄλλως, μήτε ἐξιστάμενον τῆς οἰκείας οὐσίας, μήτε νῦν μὲν
οὕτως αὖθις δὲ ἑτέρως νοούμενον, καὶ τοῦτο τὰ κοινὰ ὑποκείμενα LA SCIENZA
MATEMATICA COMUNE 509 nulla né di brutto né di cattivo; alla fine, cioè nelle
quarte e quinte composizioni degli
ultimi elementi, si genera il male non in modo essenziale,55 ma per il fatto
che certe cose decadono dall’essere secon- do natura e non lo dominano più. Da
tutto ciò si evince, dunque, chiaramente che i principi mate- matici
differiscono in qualche modo dagli altri principi:5 sono infatti superiori, da un lato agli ultimi enti,
perché, mentre questi sono cor- porei,
quelli sono incorporei, e dall’altro lato agli aspetti vitali, per- ché, mentre questi sono caratterizzati dal
movimento, quelli invece sono privi di
movimento, e ancora superano gli intelligibili, perché, mentre questi preesistono come enti
indivisibili, quelli invece forni- scono
il principio della composizione e della divisione. Questo è il discorso comune che dobbiamo fare intorno ai
principi matematici, e quello
particolare su ciascuno di essi dev'essere tenuto distinto; e su come tali
principi differiscano da tutti gli altri, ecco le seguenti distin- zioni che
dobbiamo fare. 5. I soggetti propri della teoria matematica, quelli che in
generale si estendono a tutta intera questa scienza, sono quei teoremi che sono
comuni, perché possono adattarsi ai numeri,” ma anche alle grandez- ze8 [19] e ancora all’armonica e
all’astronomia e a tutte le altre mate-
matiche. Ma sono di questa natura i teoremi delle proporzioni e
quel- li relativi alle composizioni e
alle divisioni di ordine comune;9 e la
teoria matematica contempla ciò che si può considerare in rapporto all’uguale e al disuguale, comunque e
qualunque esso sia, e ciò che può essere
giudicato come moltiplicabile o divisibile, o per eccesso o per difetto, o come determinato o
indeterminato secondo una rappre-
sentazione generale, o in se stesso o in rapporto a qualcosa, o come quantità pura e semplice, cioè che non assuma
alcuna forma determi- nata della
quantità, o come quantità per altro, o come ordine e bellez- za proprie delle forme matematiche, nel senso
cioè di oggetti di pura scienza,6° cioè
che non determinino alcuna bellezza concreta (se fosse tale, infatti, spetterebbe già alle scienze
particolari);61 essa prende in esame
anche ciò che nella scienza matematica è stabile e fisso, e che non muta ora in un modo ora in un altro, né
esce fuori dalla sua pro- pria essenza, né è pensato ora in un modo e subito
dopo in un altro: ecco ciò che abbracciano con il loro ragionamento i soggetti
comuni 510 GIAMBLICO τῇ μαθηματικῇ ἐπιστήμῃ τῷ λογισμῷ περιλαμβάνει. οὐ μέντοι
δεῖ ταῦτα ὑπολαβεῖν ὡς [20] ἐπιγιγνόμενα τὰ κοινά, ἀλλ᾽ ὡς προὔπάρχοντα τῶν καθ᾽ ἕκαστα" οὐδ᾽ ὡς ἐν
τοῖς κατὰ μέρος καὶ μετ᾽ αὐτῶν ἔχοντα
τὴν οὐσίαν, ἀλλ᾽ ὡς πρεσβυτέραν αὐτῶν καὶ ἀρχικω- τέραν προειληφότα, οὐ μὴν διήκουσαν δι᾽
αὐτῶν, ἀλλὰ προτετογ- μένην πρὸ τῶν
ἰδίων [20] ἑκάστης ἐπιστήμης μαθημάτων. διόπερ δὴ καὶ ἡ γνῶσις αὐτῶν κοινή ἐστι καὶ
προηγουμένη, τελειοτέρα τε τῶν καθ᾽
ἕκαστα, σὐνοψίν τε κοινὴν ποιουμένη πάντων, ἀφ᾽ ἑνός τε καὶ εἰς ἕν τὰ θεωρήματα πάντα τὰ μαθηματικὰ
συντάττουσα, τήν τε συγ- γένειαν καὶ τὴν
ὁμοιότητα αὐτῶν πρὸς ἄλληλα ἐπιβλέπουσα, καὶ τὸ
ἀνόμοιον ἐν αὐτοῖς καὶ ἕτερον παραθεωροῦσα, γένη τε ὅσα αὐτῶν ἐστι πρῶτα καὶ εἴδη συνάγουσα εἰς ταὐτὸ καὶ
διακρίνουσα, κοινά τε ὁμολογήματα καὶ
ὑποθέσεις πρώτας [10] καὶ ὁρισμοὺς καὶ θέ-
σεις καὶ διαιρέσεις καὶ συναγωγὰς συνθέσεις τε καὶ μερισμοὺς καὶ ὑπερβολὰς καὶ ἐλλείψεις καὶ παραβολὰς
καθ᾽ ὁποιαοῦν γένη τῶν μαθηματικῶς ὄντων
θεωροῦσα, ὡς ἁπλῶς εἰπεῖν, καὶ οὐ διωρι-
σμένως καθ᾽ ἕκαστον, τό τε δυνατὸν τὸ ἐν τούτοις καὶ τὸ ἀδύνατον, καὶ τὸ ἀναγκαῖον καὶ τὸ οὐκ ἀναγκαῖον, τό τε
ἀληθὲς καὶ ψεῦδος διακρίνουσα, τάς τε ἐν
αὐτοῖς διαφοράς, ὅσαι τέ εἰσι καὶ ὁποῖαι, διερευνωμένη δι᾽ ἀκριβείας. Τοσαῦτα
ἡμῖν καὶ περὶ τῶν κοινῶς ὑποκειμένων [20] τῇ μαθηματικῇ ἐπιστήμῃ καὶ περὶ τοῦ
κοινοῦ τρόπου τῆς κατ᾽ αὐτὴν θεωρίας διωρίσθω ἐν τῷ παρόντι. 6. Νοητέον δέ ἐστι
περὶ πάντα τὰ τοιαῦτα μαθήματα τόδε, ὡς ἐὰν
μέν τις τούτων ἕκαστα ὀρθῶς λαμβάνῃ, μέγα ὄφελος γίνεται τῷ παραλαμβάνοντι κατὰ τρόπον, εἰ δὲ μή, θεὸν
ἄμεινον ἀεὶ καλεῖν. ὁ δὲ τρόπος ὅδε“
ἀνάγκη γὰρ τό γε τοσοῦτον φράζειν. [21] πᾶν διά- γραμμα ἀριθμοῦ τε σύστημα καὶ ἁρμονίας
σύστασιν ἅπασαν τῆς τε τῶν ἄστρων
περιφορᾶς τὴν ἀναλογίαν οὖσαν μίαν ἁπάντων ἀνα-
φανῆναι δεῖ τῷ κατὰ τρόπον μανθάνοντι. φανήσεται δέ, ἐὰν ὃ λέγο- μεν ὀρθῶς τις ἐμβλέπων μανθάνῃ᾽ δεσμὸς γὰρ
πεφυκὼς πάντων τούτων εἷς ἀναφανήσεται διανοουμένοις. εἰ δ᾽ ἄλλως πως μεταχει-
LA SCIENZA MATEMATICA COMUNE 511 della scienza matematica. Non bisogna tuttavia
intendere questi sog- getti della
matematica come se fossero delle cose comuni che si aggiungono,62 bensîf come preesistenti alle
cose singole; e neppure come ciò che ha
la sua propria essenza nelle cose particolari e in ciò che le accompagna, bensi
come ciò che ha ricevuto in anticipo un’es- senza più nobile e più principiale
e che non si estende certo ad esse, ma che è stata preordinata agli oggetti
particolari di ciascuna scienza. [20] Perciò la conoscenza comune di questi
principi è anche priori- taria, ed è più
perfetta della conoscenza delle singole cose, e produce una comune visione complessiva di tutto, che
è capace di coordinare a partire
dall’unità e in vista dell’unità tutti i teoremi matematici, e di guardare alla parentela e somiglianza che
essi hanno tra loro, e di osservare allo
stesso tempo la loro dissomiglianza e diversità, e di rac- cogliere e dividere in rapporto al medesimo
termine i loro primi gene- ri e le loro
prime specie, e di osservarne accordi comuni e presuppo- sti primari e definizioni e posizioni e
divisioni e implicazioni e com-
posizioni e partizioni ed eccessi e difetti e comparazioni in
funzione di qualsiasi genere di ente
matematico, per dirla in termini semplici,
e di valutare, non in maniera singolarmente determinata, ciò che in essi è possibile e ciò che è impossibile, il
vero e il falso, e di esplorare con esattezza quante e quali siano le loro
differenze. Questo è quanto dobbiamo definire per il momento a proposito sia
dei soggetti comuni della scienza matematica che del carattere comune della
relativa teoria. 6. Occorre pensare, a proposito di tutte queste
matematiche,# che allorché ciascuna di esse
venga assunta correttamente, chi le
apprende come si deve ne riceve una grande utilità, se no, è sempre meglio invocare dio. E il modo di apprendere
le matematiche è il seguente (perché
bisogna dire almeno ciò che è importante). Occorre mostrare a chi deve imparare come si deve che
ogni [21] diagramma e sistema numerico e
tutta la combinazione armonica e la proporzio-
nalità del movimento circolare degli astri rivelano, a chi impara
con metodo, che c’è un unico accordo in
tutto. E tale unità apparirà, lo
ripetiamo, se si apprende con osservazioni corrette ciò che noi dicia- mo, perché a chi ci ragioni sopra tutti
questi aspetti del mondo rive- leranno un unico legame naturale. Se invece a
tale studio ci si applica 512 GIAMBLICO ριεῖταί τις, τύχην dei καλεῖν, ὥσπερ
καὶ λέγομεν’ où γὰρ ἄνευ γε τούτων
μήποτέ τις ἐν πόλεσιν εὐδαίμων γένηται φύσις, ἀλλ᾽ οὗτος ὁ τρόπος, [10] αὕτη τροφή, ταῦτα μαθήματα, εἴτε
χαλεπὰ εἴτε ῥάδια, ταύτῃ πορευτέον.
ἀμελῆσαι δὲ οὐ θεμιτόν ἐστι θεῶν, καταφανοῦς γενομένης τῆς πάντων αὐτῶν κατὰ
τρόπον λεγομένης φήμης εὐτυ- χοῦς. τὸν δὲ ξύμπαντα ταῦτα οὕτως εἰληφότα, τοῦτον
λέγω τὸν ἀληθέστατα σοφώτατον τὴν γὰρ πάντων καλλίστην καὶ θειοτάτην φύσιν,
ὅσην ἀνθρώποις θεὸς ἔδωκε κατιδεῖν, οὔποτε ἄνευ τῶν νῦν δὴ εἰρημένων μὴ κατιδὼν
ἐπεύξηταί τις ῥαστώνῃ παραλαβεῖν. πρὸς τούτοις τε τὸ καθ᾽ ἕν τε καὶ κατ᾽ εἴδη προσακτέον
ἐν ἑκάσταις ταῖς τῶν [20] μαθημάτων εἰδήσεσιν, ἕως ἂν ἐξεύρωμεν τὸν ὅλον
κόσμον, ὃν ἔταξε λόγος ὁ πάντων θειότατος ὁρατόν᾽ ὃν ὁ εὐδαίμων πρῶτον μὲν
ἐθαύμασεν, ἔπειτα δὲ ἔρωτα ἔσχε τοῦ καταμαθεῖν ὁπόσα θνητῇ φύσει δυνατά,
ἡγούμενος ἄριστα οὕτως εὐτυχέστατά «τε» [22] διά- ἕειν τὸν βίον, τελευτήσας τε
εἰς τόπους ἥξειν προσήκοντας ἀρετῇ, καὶ
μεμυημένος ἀληθῶς τε καὶ ὄντως, μεταλαβὼν φρονήσεως εἷς ὧν μιᾶς, τὸν ἐπίλοιπον χρόνον θεωρὸς τῶν
καλλίστων γενόμενος, ὅσα κατ᾽ ὄψιν,
διατελεῖν. δεῖ δὲ καὶ τὰ χύδην μαθήματα ἐν τῇ παιδείᾳ γενόμενα συνάγειν εἰς σύνοψιν οἰκειότητός τε
ἀλλήλων τῶν μαθημάτων καὶ τῆς τοῦ ὄντος
φύσεως" μόνη γὰρ ἡ τοιαύτη μάθησις
βέβαιος ἐν οἷς ἂν γένηται. δεῖ δὲ καὶ ὀμμάτων καὶ τῆς ἄλλης [10] αἰσθήσεως δυνατοὺς γίγνεσθαι μεθιεμένους ἐπ᾽
αὐτὸ τὸ ὃν μετ᾽ ἀληθείας ἱέναι. δεῖ δὲ
καὶ μονίμους εἶναι ἐν τοῖς μαθήμασι καὶ
ὀξεῖς καὶ τὰ ἄλλα ἔχοντας ὅσα τῇ φύσει τῇ ἀρίστῃ προσήκει" ὡς, ἐὰν μὲν ἀρτιμελεῖς τε καὶ ἀρτίφρονας ἐπὶ
τοσαύτην μάθησιν καὶ τοσαύτην ἄσκησιν
κομίσαντες παιδεύωμεν, ἥ τε δίκη ἡμῖν οὐ μέ-
μψεται αὐτή, τήν τε πόλιν καὶ πολιτείαν σώσομεν, ἀλλοίους δὲ ἄγοντες ἐπὶ ταῦτα, τἀναντία πάντα πράξομεν
καὶ φιλομαθείας ἔτι πλείω γέλωτα
καταντλήσομεν. εἰ δὲ δεῖ τὸ ἀληθὲς εἰπεῖν ὅλον ὡς ἔχει, ἐν [20] τούτοις τοῖς μαθήμασιν ἑκάστου
ὄργανόν τι ψυχῆς ἐκ- καθαίρεταί τε καὶ
ἀναζωπυρεῖται ἀπολλύμενον καὶ τυφλούμενον ὑπὸ τῶν ἄλλων ἐπιτηδευμάτων, κρεῖττον
ὃν σωθῆναι μυρίων ὀμ- μάτων᾽ μόνῳ γὰρ αὐτῷ ἀλήθεια ὁρᾶται. οἷς μὲν οὖν ταῦτα
ξυνδοκεῖ, LA SCIENZA MATEMATICA COMUNE 513 in un modo non metodico, allora,
bisogna invocare la fortuna, come noi pure siamo soliti dire. Senza questi
studi, infatti, non nasce mai nelle
città natura felice, ma questo è il metodo, questa l'educazione matematica, queste le matematiche, difficili
o facili che siano, in que- sto modo
bisogna procedere. D'altra parte non è lecito trascurare gli dèi, giacché la felice rivelazione di tutti
loro si è manifestata con chia- re
espressioni. Chi abbia acquisito in tal modo tutte queste matema- tiche, costui, io dico, è l’uomo più sapiente
nel più vero senso della parola, perché
senza i suddetti metodi di studio delle matematiche, chi non la conosce non potrà mai vantarsi di
apprendere facilmente la più bella e più
divina natura che dio abbia concesso agli uomini di conoscere. Inoltre bisogna introdurre in
ciascuna specie di matemati- ca il
criterio dell’uno e delle forme, finché non scopriamo l’intero uni- verso, che il più divino fra tutti i calcoli
ha ordinato come mondo visibile: felice
chi prima lo ammira e poi desidera esplorarlo per quan- to possa una natura mortale, pensando che
cosî vivrà nel modo migliore e più
felice, [22] e finendo per giungere ai luoghi conformi a virtù, e da vero ed effettivo iniziato,
partecipando da solo dell’uni- ca
saggezza, e divenendo per il resto della sua vita contemplatore delle cose più belle a vedersi. E bisogna
anche raccogliere le matema- tiche che
nell’insegnamento sono disordinate in una visione che ne comprenda le proprietà reciproche insieme con
la natura dell’essere: sarà tale infatti
l’unico tipo di apprendimento sicuro nelle matemati- che. E bisogna anche essere capaci, mettendo
da parte gli occhi e gli altri sensi, di
puntare veramente all’essere in sé. E bisogna anche rin- saldarsi nelle matematiche ed essere acuti e
possedere tutte le altre prerogative che
convengono al migliore carattere: in modo che, se noi educhiamo portando ad apprendere ed
esercitare discipline cosi importanti
uomini robusti di corpo e di mente, anche la stessa giu- stizia non ci biasimerà, e salveremo la città
e la sua costituzione, men- tre
istruendo in tali discipline uomini di differente natura, otterremo un effetto contrario e anzi copriremo di
ridicolo l’amore per la scien- za. Se
poi dobbiamo dire interamente come veramente stanno le cose, in queste matematiche viene purificato
e temprato a fuoco un certo strumento
dell'anima di ciascuno che è corrotto e accecato dalle altre occupazioni, la
conservazione del quale strumento è meglio che avere mille occhi, perché la
verità è vista solo per suo mezzo. Coloro 514 GIAMBLICO [23] ἀμηχάνως ὡς εὖ
δοκεῖ λέγεσθαι tà rapévra: ὅσοι δὲ τούτου μηδαμῇ ἠσθημένοι, εἰκότως ἡγήσονται
ἡμᾶς λέγειν οὐδέν᾽ ἄλλην γὰρ ἀπ᾽ αὐτῶν
οὐχ ὁρῶσιν ἀξίαν λόγου ὠφέλειαν. τὸ δ᾽, ὡς ἔοικεν, οὐκ ὀστράκου ἂν εἴη περιστροφή, ἀλλὰ ψυχῆς
περιαγωγή, ἐκ νυκ- τερινῆς τινος ἡμέρας
εἰς ἀληθινὴν τοῦ ὄντος οὖσαν ἐπάνοδον, ἣν δὴ
φιλομάθειαν ἀληθινὴν φήσομεν εἶναι. οὐκοῦν δεῖ σκοπεῖσθαι τί τῶν μαθημάτων ἔχει τοιαύτην δύναμιν, καὶ τί
μάθημα ψυχῆς ὁλκόν ἐστιν ἀπὸ τοῦ [10]
γιγνομένου ἐπὶ τὸ ὄν. λέγω τοίνυν ὡς τὰ μὲν ἐν
ταῖς αἰσθήσεσιν οὐ παρακαλοῦντα τὴν νόησιν εἰς ἐπίσκεψιν, ὡς ἱκανῶς ὑπὸ τῆς αἰσθήσεως κρινόμενα, τὰ δὲ
παντάπασι διακελευό- μενα ἐκείνην
ἐπισκέψασθαι, ὡς τῆς αἰσθήσεως οὐδὲν ὑγιὲς
ποιούσης: καὶ τὰ μὲν οὐ παρακαλοῦντα, ὅσα μὴ ἐκβαίνει εἰς ἐναν- τίαν αἴσθησιν ἅμα, τὰ δ᾽ ἐκβαίνοντα ὡς
παρακαλοῦντα τίθημι, ἐπει- δὰν ἡ
αἴσθησις μηδὲν μᾶλλον τοῦτο ἢ τὸ ἐναντίον δηλοῖ, εἴτε ἐγγύ- θεν προσπίπτουσα εἴτε πόρρωθεν. ὧδε δὲ ἃ λέγω
σαφέστερον εἰσό- μεθα. οὗτοι, φαμέν,
[20] τρεῖς ἂν εἶεν δάκτυλοι, ὅ τε σμικρότατος
καὶ ὁ δεύτερος καὶ ὁ μέσος᾽ ὡς ἐγγύθεν τοίνυν ὁρωμένους λέγοντός μοῦ διανοοῦ. ἀλλά μοι περὶ αὐτῶν τόδε σκόπει᾽
δάκτυλος μέν που αὐτῶν φαίνεται ὁμοίως
ἕκαστος, καὶ ταύτῃ γε οὐδὲν διαφέρει, ἐάν
τε ἐν μέσῳ ὁρᾶται ἐάν τ᾽ ἐπ᾽ ἐσχάτῳ, ἐάν τε λευκὸς ἐάν τε [24] μέλας, ἐάν τε παχὺς ἐάν τε λεπτός, καὶ πᾶν ὅ
τι τοιοῦτον᾽ ἐν πᾶσι γὰρ τούτοις οὐκ
ἀναγκάζεται τῶν πολλῶν N ψυχὴ τὴν νόησιν ἐπερέ-
σθαι, τί ποτ᾽ ἐστὶ δάκτυλος" οὐδαμοῦ γὰρ ἡ ὄψις αὐτὴ ἅμα
ἐσήμαι- ve τὸν δάκτυλον τοὐναντίον ἢ
δάκτυλον εἶναι. οὐκοῦν εἰκότως τό γε
τοιοῦτον νοήσεως οὐκ ἂν παρακλητικὸν εἴη. τί δὲ δή; τὸ μέγεθος αὐτῶν καὶ τὴν μικρότητα ἡ ὄψις dpa ἱκανῶς
ὁρᾷ, καὶ οὐδὲν αὐτῇ διαφέρει ἐν μέσῳ
αὐτῶν τινα κεῖσθαι ἢ ἐπ᾽ ἐσχάτῳ; καὶ [10]
ὡσαύτως πάχος καὶ λεπτότητα καὶ σκληρότητα ἡ ἁφή; καὶ αἱ ἄλλαι αἰσθήσεις ἄρα οὐκ ἐνδεῶς τὰ τοιαῦτα
δηλώσουσιν; ἢ ὧδε ποιεῖ ἑκάστη
αὐτῶν" πρῶτον ἡ ἐπὶ τῷ σκληρῷ τεταγμένη αἴσθησις ἠνάγ- κασται καὶ ἐπὶ τῷ μαλακῷ τετάχθαι, καὶ
παραγγέλλει τῇ ψυχῇ ὡς ταὐτὸν σκληρόν τε
καὶ μαλακὸν αἰσθανομένη; οὐκοῦν ἀναγκαῖον
LA SCIENZA MATEMATICA COMUNE 515
dunque che sono d’accordo su tutto questo, [23] non possono ritene- re che il presente discorso non serva a
niente; coloro invece che non
percepiscono affatto tutto questo, probabilmente penseranno che noi parliamo invano: non vedono infatti provenire
da ciò alcun vantaggio degno di
considerazione. Ma qui non si tratta, evidentemente, di rovesciare la conchiglia,68 ma di convertire
l’anima da un giorno tene- broso a un
giorno vero, si tratta cioè della sua ascesa all'essere, che chiameremo appunto amore verace della
scienza. Occorre dunque esaminare quale
tra le matematiche possiede questo potere, e quale matematica spinge l’anima dal mondo del
divenire verso quello del- l’essere.69
Io dico dunque che alcuni enti sensibili non spingono l’in- telligenza alla ricerca, in quanto è
sufficiente che siano giudicati dalla
sensibilità, altri invece la stimolano in tutti i modi alla ricerca,
in quanto la sensibilità non produce
nulla di sano; e i sensibili che non
stimolano l’intellezione sono quelli che non producono contempora- neamente una sensazione contraria, i
sensibili che la stimolano sono invece
quelli che lo fanno, quando cioè la sensazione, che si avvicini o che si allontani, mostra indifferentemente
una cosa e il suo contra- rio. Ma
comprenderemo in modo più chiaro ciò ch’io dico con que- sto esempio. Ecco, queste, diciamo, sono tre
dita, pollice, indice, medio: pensa
dunque che ne parli come se li vedessi da vicino. Orbene, fammi questa osservazione in proposito:
ciascuno di essi appare alla stessa
maniera un dito, e cosi non c’è nessuna differenza che lo si veda al centro o all'estremità, che
sia bianco o nero, [24] grosso o
sottile, e cosi via. In tutti questi casi, infatti, l'anima dei più non è costretta a domandarsi, in rapporto
alla sua intellezione, che cos'è mai un
dito, perché la visione in quanto tale non gli ha mai signi- ficato contemporaneamente che un dito è il
contrario di un dito. È ragionevole
dunque pensare che questo non stimolerà l’intellezione. Ma che forse la vista vede abbastanza la
grandezza e la piccolezza delle dita, o
per essa non fa differenza che un dito stia al centro o all'estremità? E allo stesso modo il tatto sente
abbastanza grossezza e sottigliezza e
durezza? E gli altri sensi non sono forse insufficienti a indicare tali aspetti? O forse che ciascuno
dei sensi non opera nel modo seguente:
anzitutto il senso ordinato a sentire il duro è costret- to a sentire anche il molle, e comunica
all'anima di percepire come una medesima
cosa il duro e il molle? È necessario dunque che in 516 GIAMBLICO ἐν τοῖς τοιούτοις αὖ τὴν ψυχὴν ἀπορεῖν, ti
ποτε σημαίνει αὐτὴ ἡ αἴσθησις τὸ
σκληρόν, εἴπερ τὸ αὐτὸ καὶ μαλακὸν λέγει, καὶ ἡ τοῦ κούφου καὶ ἡ τοῦ βαρέος, τί τὸ κοῦφον καὶ
βαρύ, εἰ τό τε βαρὺ [20] κοῦφον καὶ τὸ
κοῦφον βαρὺ σημαίνει" αὗται γὰρ ἄτοποι τῇ ψυχῇ αἱ ἑρμηνεῖαι καὶ ἐπισκέψεως δεόμεναι. εἰκότως
οὖν ἐν τοῖς τοιούτοις πρῶτον μὲν
πειρᾶται λογισμόν τε καὶ νόησιν ψυχὴ παρακαλοῦσα ἐπισκοπεῖν, εἴτε ἕν εἴη εἴτε δύο ἐστὶν ἕκαστα
τῶν εἰσαγγελλο- μένων. οὐκοῦν ἐὰν δύο
φαίνηται, ἕτερόν τε καὶ ἕν ἑκάτερον φαίνε-
tar: εἰ ἄρα ἕν ἑκάτερον, ἀμφότερα δὲ δύο, τά γε δύο κεχωρισμένα νοήσει" οὐ γὰρ ἂν [25] χωριστά γε δύο ἐνόει,
ἀλλ᾽ ἕν. μέγα μὴν καὶ ἡ ὄψις καὶ σμικρὸν
ἑώρα, ὥς φαμεν, ἀλλ᾽ οὐ κεχωρισμένον, ἀλλὰ
συγκεχυμένον TI διὰ δὲ τὴν τούτου σαφήνειαν μέγα αὖ καὶ σμικρὸν ἡ νόησις ἠναγκάσθη ἰδεῖν, οὐ συγκεχυμένα ἀλλὰ
διωρισμένα, toù ναντίον ἢ κείνη. οὐκοῦν
ἐντεῦθέν ποθεν πρῶτον ἐπέρχεται ἐρέσθαι
ἡμῖν' τί οὖν ποτ᾽ ἔσται τὸ μέγα αὖ καὶ τὸ σμικρόν; καὶ οὕτω δὴ τὸ μὲν νοητόν, τὸ δ᾽ ὁρατὸν ἐκαλέσαμεν. ταῦτα
τοίνυν καὶ ἄρτι ἐπε- χείρουν λέγειν,
[10] ὡς τὰ μὲν παρακλητικὰ τῆς διανοίας ἐστί, τὰ δ᾽ οὔ, ἃ μὲν εἰς τὴν αἴσθησιν ἅμα τοῖς ἐναντίοις
ἑαυτοῖς ἐμπίπτει, παρακλητικὰ
ὁριζόμενος, ὅσα δὲ μή, οὐκ ἐγερτικὰ τῆς νοήσεως. τί οὖν; ἀριθμός τε καὶ τὸ ἕν καὶ τὰ ἄλλα
μαθήματα ποτέρων δοκεῖ εἶναι, ἐκ τῶν
προειρημένων ἀναλογίζεσθαι ῥάδιον. εἰ μὲν γὰρ
ἱκανῶς αὐτὸ ὁρᾶται ἢ ἄλλῃ τινὶ αἰσθήσει λαμβάνεται τὸ ἕν ἢ ἄλλο τι τῶν μαθημάτων, οὐκ ἂν ὁλκὸν εἴη ἐπὶ τὴν
οὐσίαν, ὥσπερ ἐπὶ τοῦ δακτύλου ἐλέγομεν᾽
εἰ δ᾽ dei τι αὐτῷ ἅμα ὁρᾶται ἐναντίωμα, ὥστε
μηδὲν μᾶλλον [20] Èv ἢ καὶ τοὐναντίον φαίνεσθαι, τοῦ ἐπικρι- νοῦντος δὴ δέοι ἂν ἤδη, καὶ ἀναγκάζοιτ᾽ ἂν ἐν
αὐτῷ ψυχὴ ἀπορεῖν καὶ ζητεῖν κινοῦσα ἐν
ἑαυτῇ τὴν ἔννοιαν, καὶ ἀνερωτᾶν τί ποτ᾽
ἐστὶν αὐτὸ τὸ ἕν, καὶ οὕτω τῶν ἀγωγῶν ἂν εἴη καὶ μεταστρεπτικῶν ἐπὶ τὴν τοῦ ὄντος θέαν ἡ περὶ τὸ ἕν μάθησις.
ἀλλὰ μέντοι τοῦτό γε LA SCIENZA
MATEMATICA COMUNE 517 questi casi
l’anima, al contrario di prima, si ponga il problema di che cosa mai il senso in quanto tale indichi come
duro, se è vero che essa dice che è lo
stesso che il molle, e che anche a proposito del pesante e del leggero, si domandi che cosa mai il
senso indichi leggero o pesante, se essa
indica come leggero il pesante ‘e viceversa. Queste interpretazioni da parte dei sensi, infatti,
per l’anima sono assurde e hanno bisogno
di essere attentamente esaminate. A ragione dunque in questi casi l’anima anzitutto tenta la via
del ragionamento e dell’in- tellezione,
spinta com'è a indagare se ciascuna delle cose che i sensi le comunicano sia una o due. Se dunque risulta
essere due, ciascuna delle due risulterà
essere l’una e l’altra insieme; se invece ciascuna delle due risulterà essere una, e ambedue
sono due, allora l’anima le penserà come
due separate, perché [25] se non fossero separate, non le penserebbe come due, ma come una sola.
Ora, anche la vista, dicia- mo, vedeva
grande e piccolo, ma non come qualche cosa di separato, bensi di confuso, e per chiarire ciò
l’intellezione è costretta di nuovo a
vedere grande e piccolo non come confusi, ma distinti, contraria- mente a quanto accade alla vista. Dunque noi
dobbiamo anzitutto partire nella nostra
ricerca da questa domanda: che cosa sarà mai il
grande e che cosa il piccolo? E cosi noi abbiamo chiamato per nome da un lato l’intelligibile e dall’altro lato
il visibile. Queste cose anche poco fa
io cercavo di dire, cioè che alcuni sensibili stimolano la ragio- ne, altri no, e definivo stimolanti
dell’intellezione quelli che cadono
sotto i sensi con aspetti contemporaneamente contrari tra loro, non stimolanti quelli che non producono tale
contrarietà. Ebbene, da ciò che si è
detto è facile desumere per analogia a quale delle due specie di sensazioni somiglino, a mio avviso, il
numero e l’unità e le altre realtà
matematiche. Se infatti l’unità o un’altra realtà matematica sono chiaramente assunte in se stesse dalla vista
o da un altro senso, allora non possono
essere stimolo all'essere, come dicevamo a proposito del dito; se invece vi si può vedere sempre e
contemporaneamente come una contrarietà,
in modo che nulla appaia indifferentemente come
l’uno e l’altro contrario, allora si sentirà già il bisogno di qualcuno
che giudichi, e l’anima sarà costretta
in questo caso a porsi il problema e a
cercare la soluzione muovendo la sua interna riflessione, e a doman- darsi quale mai sia l'unità in sé, e cosî tra
le cose che conducono e convertono
l’anima alla contemplazione dell’essere ci sarà l’apprendi- 518 GIAMBLICO ἔχει οὐχ ἥκιστα ἡ περὶ αὐτὸ ὄψις" ἅμα
γὰρ ταὐτὸν ὡς ἕν τε ὁρῶμεν καὶ ὡς ἄπειρα
τὸ πλῆθος. οὐκοῦν, εἴπερ τὸ ἕν, καὶ ξύμπας ἀριθμὸς ταὐτὸν πέπονθε τούτῳ. ἀλλὰ [26] μὴν λογιστική
τε καὶ ἀριθμητικὴ περὶ ἀριθμὸν πᾶσα
ταῦτα δὲ φαίνεται ἀγωγὰ πρὸς ἀλήθειαν.
ὑπερφυῶς ἄρα ὧν ζητοῦμεν, ὡς ἔοικε, μαθημάτων εἴη ἂν τοῦτο. καὶ τἄλλα δὲ ὡσαύτως χρήσιμα ἂν εἴη πρὸς
ἐπιστήμην διὰ τὸ τῆς οὐσί- ας ἅπτεσθαι
γενέσεως δὲ ἀπολύεσθαι, καὶ τὴν μὲν νόησιν παρακα- λεῖν τῶν δὲ αἰσθήσεων ἀφιστάναι, καὶ ἐπὶ θέαν
τῆς τῶν ὄντων φύ- σεως παρακαλεῖν, αὐτῆς
δὲ τῆς ψυχῆς ῥᾳστώνην παρασκευάζειν τῆς
μεταστροφῆς ἀπὸ γενέσεως ἐπ᾽ ἀλήθειάν τε καὶ οὐσίαν. [10] δεῖ δὲ καὶ τοῦ γνωρίζειν ἕνεκα ἐπιτηδεύειν τὰ
μαθήματα" οὕτω γὰρ σφό- Spa ἄνω ποι
ἀνάγεται ἡ ψυχή, καὶ περὶ αὐτῶν τῶν ὄντων ἀναγκάζει διαλέγεσθαι, οὐδαμῇ ἀποδεχομένους, ἐάν τις
αὐτοῖς ὁρατὰ ἢ ἁπτὰ σώματα προτεινόμενος
διαλέγηται᾽ περὶ γὰρ τούτων λέγουσιν ὧν
διανοηθῆναι μόνον ἐγχωρεῖ, ἄλλως δὲ οὐδαμῶς μεταχειρίσασθαι δυνατόν. ἀναγκαῖα οὖν κινδυνεύει εἶναι τὰ
μαθήματα, ἐπειδὴ dai- νεται
προςαναγκάζειν αὐτῇ τῇ νοήσει χρῆσθαι τὴν ψυχὴν ἐπ᾽ αὐτὴν τὴν ἀλήθειαν. καὶ μὴν καὶ ὀξυτέρους ποιεῖ
[20] αὐτοὺς ἑαυτῶν γί- γνεσθαι, καὶ ἔτι
πολὺν πόνον παρέχει μανθάνοντί τε καὶ
μελετῶντι. Σκοπεῖσθαι δὲ δεῖ καὶ
εἴ τι πρὸς ἐκεῖνο τείνει, πρὸς τὸ ποιεῖν
κατιδεῖν ῥᾷον τὴν τοῦ ἀγαθοῦ ἰδέαν. τείνει δέ, φαμέν, πάντα av- τόσ᾽, ὅσα ἀναγκάζει ψυχὴν εἰς ἐκεῖνον τὸν
τόπον μεταστρέφεσθαι, ἐν ᾧ ἐστι τὸ
εὐδαιμονέστατον τοῦ ὄντος, ὃ δεῖ αὐτὴν παντὶ τρόπῳ 6.160 ἰδεῖν. οὐκοῦν εἰ μὲν οὐσίαν ἀναγκάζει
θεάσασθαι, προ- omker εἰ δὲ γένεσιν, οὐ
προσήκει. καὶ τὰ μὲν [27] γνώσεως ἕνεκα
ἐπιτηδευόμενα, ὡς μαθήματα ὄντα τιμητέον, ὅσα τοῦ ἀεὶ ὄντος γνώσεως, ἀλλ᾽ οὐ τοῦ ποτὲ γιγνομένου καὶ
ἀπολλυμένου ἀντιλαμβά- νεται. ὁλκὰ ἄρα
ψυχῆς πρὸς ἀλήθειαν εἴη ἂν ταῦτα, καὶ ἀπεργαστι- κὰ φιλοσόφου διανοίας πρὸς τὸ ἄνω σχεῖν ἃ νῦν
κάτω οὐ δέον ἔχομεν: μόνοις γὰρ αὐτοῖς
ἀλήθεια ὁρᾶται. δεῖ τοίνυν συνεχῶς καὶ
LA SCIENZA MATEMATICA COMUNE 519
mento dell'unità. Ma la vista dell'unità possiede in sommo grado
pro- prio questa caratteristica, perché
noi vediamo la stessa cosa come unità e
nello stesso tempo come infinita molteplicità. Se questo vale per l’unità, dunque, anche il numero nel suo
complesso avrà la stessa proprietà. Ma
[26] in realtà logistica e aritmetica concernono intera- mente il numero e appaiono dunque capaci di
guidare alla verità. Ebbene, tutto
questo, come sembra, appartiene straordinariamente alle matematiche che cercavamo. Ci saranno
ugualmente anche altri aspetti delle
matematiche utili per la scienza, dovute al fatto che esse sono legate all'essere e separate dal
divenire, e stimolano l’intelligen- za
ad allontanarsi dai sensi, e la spingono alla contemplazione della natura degli enti, e facilitano la capacità
dell'anima stessa a convertir- si dal
divenire alla verità e all'essere. E bisogna anche coltivare le matematiche a scopo di conoscenza. In tal
modo infatti l’anima è sol- levata
energicamente in alto, e costringe a ragionare sugli enti in se stessi, e a respingere sempre chi ragioni
proponendo come numeri corpi visibili e
tangibili. Si dice infatti che gli enti matematici sono cose su cui è permesso soltanto ragionare, e
che non è affatto possibi- le trattare
in altro modo. Sembra dunque che le matematiche siano necessarie, poiché è evidente che l’anima è
costretta a servirsi dell’in- telligenza
in sé per raggiungere la verità in sé; e in realtà le matemati- che ci rendono più acuti di quanto non lo
siamo naturalmente, e inol- tre
procurano molta fatica a chi le debba imparare e praticare. Occorre esaminare anche se lo scopo a cui
tende lo studio delle matematiche è
quello di fare scorgere più facilmente l’idea del bene. Al bene, possiamo dire, tende tutto ciò che
costringe l’anima a con- vertirsi a quel
luogo in cui si trova l’aspetto pit felice dell’essere, che l'anima deve in ogni modo contemplare. Se
dunque l’anima è costret- ta a
contemplare l’essere, allora questo studio le compete; se invece è costretta a contemplare il divenire, non le
compete. [27] E bisogna onorare le cose
che sono coltivate a scopo di conoscenza, come sono le matematiche, che afferrano ciò che sempre
è, e non ciò che ad un certo momento
nasce e si dissolve. Saranno le matematiche, dunque, a stimolare l’anima verso la verità, e a
produrre quei ragionamenti filosofici
che servano a mantenere in alto le cose che ora noi teniamo in basso come non dovremmo: soltanto con le
matematiche, infatti, si può contemplare
la verità. Occorre ovviamente che esse siano ricer- 520 GIAMBLICO ἐντόνως ζητεῖσθαι αὐτά, iva ἐκφανῆ γένηται
ὅπῃ ἔχει. πρὸς γὰρ τοῖς ἄλλοις καὶ τὸ
ἐπίχαρι διαφερόντως ἔχει, καὶ ἄνω [10] ποιεῖ τὴν ψυχὴν βλέπειν. τοιαῦτα δέ ἐστι μαθήματα
ἐκεῖνα ὅσα ἂν περὶ τὸ ὃν ἡ καὶ τὸ
ἀόρατον, καὶ ὅσα λόγῳ καὶ διανοίᾳ ληπτά, ὄψει δὲ οὔ. καὶ παραδείγμασι μὲν χρηστέον τοῖς
φαινομένοις" οὐ μέντοι ἐπισκο- πεῖν
αὐτὰ χρὴ σπουδῇ ὡς τὴν ἀλήθειαν ἐν αὐτοῖς ληψόμενον ἴσων ἢ διπλασίων ἢ ἄλλης τινὸς ξυμμετρίας. καὶ γὰρ
ἄτοπον, εἰ νομίζοι τίς γίγνεσθαί τε
ταῦτα ἀεὶ ὡσαύτως, καὶ οὐδαμῇ οὐδὲν παραλλάττειν σώματα ἔχοντα καὶ ὁρώμενα, καὶ ζητεῖν παντὶ
τρόπῳ τὴν ἀλήθειαν αὐτῶν λαβεῖν. παρὰ
πάντα δὲ ἐκεῖνο [20] δεῖ φυλάττειν, μήποτέ τι
αὐτῶν ἀτελὲς ἐπιχειρῶσιν ἡμῖν μανθάνειν odg παιδεύσομεν, καὶ οὐκ ἐξῆκον ἐκεῖσε ἀεί, οἷ πάντα δεῖ ἀφήκειν᾽
χρήσιμα γὰρ οὕτως ἔσται πρὸς τὴν τοῦ
καλοῦ καὶ ἀγαθοῦ ζήτησιν, ἄλλως δὲ μεταδιω-
κόμενα ἄχρηστα. οἶμαι δέ γε, καὶ ἡ τούτων πάντων τῶν μαθημάτων μέθοδος, ἐὰν μὲν ἐπὶ τὴν ἀλλήλων κοινωνίαν
ἀφίκηται καὶ ξυγγένε- Lav, καὶ
συλλογισθῇ ταῦτα ἧ ἐστιν ἀλλήλοις οἰκεῖα, φέρειν αὐτῶν εἰς ἃ βουλόμεθα τὴν πραγματείαν καὶ οὐκ [28]
ἀνόνητα πονεῖσθαι" εἰ δὲ μή,
ἀνόνητα. ἡ γὰρ λύσις ἀπὸ τῶν δεσμῶν καὶ μεταστροφὴ ἀπὸ τῶν σκιῶν ἐπὶ τὰ εἴδωλα καὶ τὸ φῶς, καὶ ἐκ
τοῦ καταγείου καὶ al- σθητοῦ εἰς τὸν
ἥλιον ἐπάνοδος καὶ τἀγαθόν, καὶ ἐκεῖ πρὸς μὲν τὰ ζῷά τε καὶ τὰ φυτὰ καὶ τὸ τοῦ ἡλίου φῶς ἔτι
ἀδυναμία βλέπειν, του- τέστι πρὸς τὰ
καθαρὰ εἴδη καὶ γένη, πρὸς δὲ τὰ ἐν ὕδασι φαντάσμα- τα θεῖα καὶ σκιὰς τῶν ὄντων, ἀλλ᾽ οὐκ εἰδώλων
σκιὰς δι᾽ ἑτέρου τοιούτου φωτὸς ὡς πρὸς
ἥλιον κρίνειν ἀποσκιαζομένας, [10] πᾶσα
αὕτη ἡ πραγματεία τῶν τεχνῶν, ἃς διήλθομεν, ταύτην ἔχει τὴν δύνα- μιν καὶ ἐπαναγωγὴν τοῦ βελτίστου ἐν ψυχῇ πρὸς
τὴν τοῦ ἀρίστου ἐν τοῖς οὖσι θέαν, ὥσπερ
τό-τε» τοῦ σαφεστάτου ἐν σώματι πρὸς τὴν
τοῦ φανοτάτου ἐν τῷ σωματοειδεῖ τε καὶ ἀοράτῳ τόπῳ. τοιαύτη τίς ἐστιν ἡ ἀρίστη χρῆσις τῶν μαθημάτων, καὶ τὸ
κυριώτατον αὐτῶν τέλος τοιόνδε
ὑπάρχει. 7. Ἐπεὶ δὲ δεῖ καὶ καθ᾽
ἑκάστην μαθηματικὴν ἐπιστήμην διορί- σαι
τὸ ὑποκείμενον ἑκάστῃ οἰκεῖον ἐπιστητόν, φέρε ἐκ διαιρέσεως ἀρχόμενοι διακρίνωμεν τὰ [20] εἴδη τῶν
μαθημάτων περὶ ἃ πραγμα- LA SCIENZA
MATEMATICA COMUNE 521 cate
continuamente e intensamente, affinché appaiano come vera- mente sono. Peraltro, infatti, esse hanno
anche un'eccellente gradevo- lezza, e
fanno volgere l’anima verso l’alto. Tali saranno quelle mate- matiche che trattano l'essere e l’invisibile,
e che sono afferrabili con il calcolo e
il ragionamento, non già con la vista. E bisogna servirsi dei fenomeni?0 come di esempi; non è dunque
necessario esaminare i fenomeni con cura
per cogliere in essi i veri rapporti di uguaglianza o di doppio o di altro tipo. E sarebbe strano
se qualcuno credesse che questi fenomeni
siano sempre alla stessa maniera, e che non ci sia alcuna differenza tra i corpi come sono e
come si vedono, e cercasse di
comprenderne in ogni modo la loro verità. E occorre in ogni caso che noi ci atteniamo a questo principio, fare
sî cioè che coloro che educhiamo nelle
matematiche non imparino mai alcuna di esse in
modo incompleto o che non pervenga là dove tutte devono mettere capo. Studiate cosî, infatti, saranno utili
alla ricerca del bello e del bene,
altrimenti saranno inutili?! E io credo che, anche il metodo di tutte queste matematiche, se perviene alla
loro reciproca comunanza e parentela, e
dimostra tali proprietà in cui essi sono in rapporto di reciprocità, conduce la loro trattazione
verso i risultati che vogliamo e non
avremo faticato inutilmente. [28] Se no, si tratta di cose vera- mente inutili, perché la liberazione dai
vincoli e la conversione dalle ombre
alle immagini e alla luce, e l'ascesa dal sotterraneo e dal sensi- bile verso il sole e il bene, e lassi
l'incapacità ancora di guardare gli
animali e le piante e la luce del sole, cioè alle pure specie e ai
puri generi, mentre è possibile guardare
le loro divine immagini riflesse
nell’acqua e le ombre dei veri enti, ma non le ombre delle immagini proiettate da una luce di natura diversa a
giudicarla in confronto al sole, tutta
questa trattazione delle tecniche, che abbiamo esposte, possiede questa capacità di elevare la parte
più nobile dell’anima alla
contemplazione della parte migliore degli enti, cosî come nel caso della vista la parte più chiara del corpo si
elevava alla parte più lumi- nosa del
corporeo e al luogo invisibile. È di tale natura l’uso migliore delle matematiche, e tale è la loro finalità
più importante.?? 7. Poiché bisogna
anche definire nelle singole scienze matemati-
che lo scibile proprio di ciascuna, allora cominciamo dalla divisione e distinguiamo le varie specie di matematica
secondo le cose di cui trat- 522
GIAMBLICO τεύονται. οὕτω γὰρ ἂν ῥᾷστα
μάθοιμεν τὸ ἕν καὶ τὸ πλῆθος τῆς μαθηματικῆς
ἐπιστήμης, ποταπόν ἐστι καὶ κατὰ ποίας διαφορὰς κρί- νεται. ἀρξώμεθα δὲ ἐντεῦθεν. ‘H τοῦ συνεχοῦς καὶ ἡ τοῦ διῃρημένου φύσις
[29] πᾶσα τοῖς οὖσιν, ὅπερ ἐστὶ τῇ τοῦ
παντὸς κόσμου συστάσει, διττῶς συνεπινοεῖται᾽
τοῦ μὲν διῃρημένου κατὰ παράθεσίν τε καὶ σωρείαν, τοῦ δὲ συνε- χοῦς κατὰ ἕνωσίν τε καὶ ἀλληλουχίαν. κυρίως
δὲ τὸ μὲν συνεχὲς καὶ ἡνωμένον καλοῖτ᾽
ἂν μέγεθος, τὸ δὲ παρακείμενον καὶ διῃρημέ-
νον πλῆθος. «καὶ» κατὰ μὲν τὴν τοῦ μεγέθους οὐσίαν εἷς τε ὁ κόσμος ἐπινοοῖτ᾽ ἂν καὶ λέγοιτο στερεὸς καὶ
σφαιρικός τε καὶ συμπεφυκὼς ἑαυτῷ
διατεταμένος τε καὶ ἀλληλουχούμενος, κατὰ δὲ [10] τὴν τοῦ πλήθους πάλιν ἰδέαν καὶ ἔννοιαν ἥ τε σύνταξις
καὶ διακόσμησις καὶ ἁρμονία τοῦ παντὸς
ἐπινοοῖτ᾽ ἂν ἐκ τοσῶνδε φέρε εἰπεῖν στοι-
χείων καὶ σφαιρῶν καὶ ἀστέρων γενῶν τε καὶ ζῴων καὶ φυτῶν ἐναν- τιοτήτων τε καὶ ὁμοιοτήτων τὴν σύστασιν
ἔχουσα. ἀλλὰ τοῦ μὲν ἡνωμένου ἐπ᾽
ἄπειρον μὲν ἐκ παντός ἐστιν ἡ τομή, ἡ δ᾽ αὔξησις ἐπὶ ὡρισμένον τοῦ δὲ πλήθους κατὰ ἀντιπεπόνθησιν
ἐπ᾽ ἄπειρον μὲν fl αὔξησις, ἔμπαλιν δὲ ἡ
τομὴ ἐπὶ ὡρισμένον, φύσει δὴ καὶ ἐπινοίᾳ ἀμ-
φοτέρων ἀπείρων ὄντων, καὶ διὰ [20] τοῦτο ἐπιστήμαις ἀπεριο- piotav: «ἀρχὰν γὰρ οὐδὲ τὸ γνωσούμενον
ἐσσεῖται πάντων ἀπείρων ἐόντων» κατὰ τὸν
Φιλόλαον. ἀναγκαίου δὲ ὄντος ἐπιστήμης φύσιν
ἐνορᾶσθαι τοῖς οὖσιν οὕτως ὑπὸ θείας ἠκριβωμένοις [30] προνοίας, ἀποτεμόμεναι ἑκατέρου καὶ περατώσασαΐ τινες
ἐπιστῆμαι τὸ περιληφθὲν αὐταῖς, ἀπὸ μὲν
τοῦ πλήθους ποσὸν ἐκάλεσαν, ὅπερ ἤδη
γνώριμον, ἀπὸ δὲ τοῦ μεγέθους κατὰ τὰ αὐτὰ πηλίκον. καὶ τὰ ἀμφό- tepa αὐτῶν γένη ἐπιστήμαις ὑπήγαγον ταῖς
ἑαυτῶν εἰδήσεσιν" ἀριθμητικῇ μὲν τὸ
ποσόν, γεωμετρίᾳ δὲ τὸ πηλίκον. ἀλλ᾽ ἐπεὶ μὴ
μονοειδῆ ταῦτα ἦν, ἔτι δὲ μερικωτέραν ὑποδιαίρεσιν ἑκάτερον αὐτῶν ἐπεδέχετο (τοῦ μὲν γὰρ ποσοῦ τὸ μὲν ἦν
καθ᾽ ἑαυτὸ τῆς πρὸς [10] ἄλλο πως
ἀπηλλαγμένον σχέσεως, οἷον φέρ᾽ εἰπεῖν ἄρτιον
περιττὸν τέλειον ἐλλιπὲς καὶ τὰ ὅμοια, τὸ δὲ πρὸς ἕτερόν πὼς ἔχον, LA SCIENZA MATEMATICA COMUNE 523 tano. Cosî infatti potremo imparare molto
facilmente l’unità e la mol- teplicità
della scienza matematica, quale sia mai la sua origine e secon- do quali differenze si distingua. Cominciamo
da qui. La natura del continuo e del
discreto, [29] nella totalità degli
enti, cioè nella struttura dell’intero universo, è concepita in due modi: come natura del discreto, per
giustapposizione e per accumu- lazione;
come natura del continuo, per unione e per coesione. In ter- mini appropriati, ciò che è continuo e
unificato si può chiamare “grandezza”,
ciò che è giustapposto e discreto, invece, “quantità numerica”. E mentre secondo l’essenza della
grandezza, il mondo sarà concepito unico
e sarà detto solido e sferico ed esteso e coeso in modo connaturale con se stesso; secondo
l’idea e la nozione di quan- tità
numerica, invece, sarà concepito come la struttura o l’ordinamen- to o l'armonia del tutto, composta, diciamo,
di tanti elementi e tanti generi di
sfere celesti e di astri e di animali e di piante e di contrarie- tà e di somiglianze. Ma ciò che è unificato
può essere del tutto diviso
all'infinito, mentre può essere aumentato in modo finito; la
quantità numerica, invece, secondo un
rapporto inverso, può essere aumenta- ta
all’infinito, mentre può essere divisa in modo finito, pur essendo, in verità, ambedue infiniti per natura e per
rappresentazione menta- le, e perciò
scientificamente indeterminabili: «Non ci potrà essere, infatti, cominciamento per il nostro
conoscere, se tutto è infinito», dice
Filolao.74 Ma poiché la scienza deve necessariamente per sua natura osservare gli enti cosi come sono
stati accuratamente ordinati dalla
divina [30] Provvidenza, alcune scienze, dopo essersi ritagliato e delimitato quello che di questi due aspetti
della realtà matematica? esse potevano
comprendere, hanno assegnato all’uno?6 il nome di “quanto”, ricavandolo dalla molteplicità
quantitativa,7” cosa di per sé ovvia,?8
e all’altro?? il nome di “quanto grande”, ricavandolo, con lo stesso criterio,80 dalla grandezza.8! E hanno
sussunto ambedue i loro generi come
oggetto di scienze la cui forma di sapere si identifica con loro stesse: il “quanto” come oggetto
dell’aritmetica, il “quanto gran- de”
come oggetto della geometria. Ma poiché questi due generi non erano di un’unica specie, e ciascuno di essi
ha subito una suddivisio- ne ancora più
particolare (infatti del quanto c’era da un lato il quan- to che è in sé, privo di qualsiasi relazione
ad altro,82 come ad esempio pari e
dispari, perfetto e deficiente, e simili, e dall’altro lato il quan- 524 GIAMBLICO ὃ δὴ πρός τι ποσὸν ἰδίως λέγεται, οἷον ἴσον
ἄνισον πολυπλάσιον ἐπιμόριον ἐπιμερὲς
καὶ τὰ παραπλήσια᾽ καὶ πάλιν τοῦ πηλίκου τὸ
μὲν ὑπάρχει τε καὶ ἐπινοεῖται μένον, τὸ δὲ κινούμενον καὶ φερόμε- νον), διὰ τοῦτ᾽ εἰκότως ταῖς προςαχθείσαις
δυσὶν ἐπιστήμαις ἕτεραί τινες δύο
συμμετέσχον καὶ συνεφήψαντο τῆς καθ᾽ ἑκάτερον
ἐπιστητὸν θεωρίας. τῇ μὲν γὰρ ἀριθμητικῇ, ἰδίως λαχούσῃ τὴν [20] περὶ τοῦ καθ᾽ ἑαυτὸ ποσοῦ σκέψιν, συμμετέσχεν
ἣ μουσικὴ τῆς περὶ τὸ πρός τι ποσὸν
τεχνολογίας (οὐδὲν γὰρ ἄλλο τὸ ἁρμονικὸν
αὐτῆς καὶ τὸ περὶ συμφωνιῶν ἐπαγγέλλεται, ὅτι μὴ σχέσεις καὶ λό- γους διαρθροῦν τῶν φθόγγων πρὸς ἀλλήλους καὶ
ποσότητα ὑπεροχῶν τε καὶ ἐλλείψεων), τῇ
δὲ γεωμετρίᾳ περὶ τὴν τοῦ μένον- τος καὶ
ἑστῶτος πηλίκου ἐξέτασιν [31] καταγινομένῃ συλλήπτρια ὑπῆρξεν ἡ σφαιρικὴ κινουμένου πηλίκου
ἐπιγνώμων καταστᾶσα, τοῦ τελειοτάτου
δηλονότι καὶ τεταγμένην καὶ ὁμαλὴν κίνησιν ἐπι-
δεδεγμένου. διόπερ περὶ ἀδελφὰ τὰ ὑποκείμενα καὶ αὐτὰς γενομέ- νας, εὔλογον ἀδελφὰς καὶ τὰς ἐπιστήμας ταύτας
νομίζειν, ἵνα μὴ ἀπαιδευτῇ τὸ
᾿Αρχύτειον᾽ «ταῦτα γὰρ τὰ μαθήματα δοκοῦντι εἶμεν ἀδελφά», ἀλλήλων τε ἐχόμενα τρόπον ἁλύσεως
κρίκων ἡγεῖσθαι, καὶ ἐφ᾽ ἕνα σύνδεσμον
καταλήγοντα,8 ὥς φησιν ὁ θειότατος [10]
Πλάτων, καὶ μίαν ἀναφαίνεσθαι προσήκειν τούτων τῶν μαθημάτων τὴν συγγένειαν τῷ κατὰ τρόπον μανθάνοντι, τὸν
δὲ σύμπαντα ταῦτα οὕτως εἰληφότα, ὡς
αὐτὸς ὑποτίθεται, τοῦτον δὴ καλεῖ τὸν ἀληθέ-
στατα σοφώτατον καὶ διισχυρίζεται παίζων, μεταδιωκτά τε καὶ ἐκ παντὸς αἱρετὰ ταῦτα τὰ μαθήματα, εἴτε χαλεπὰ
cite ῥάδια εἴη, παρεγγυᾷ τοῖς φιλοσοφεῖν
προθυμουμένοις: καὶ μάλα εὐλόγως, εἴπερ
συνεχοῦς καὶ διῃρημένου καταλήψεις διὰ τούτων μόνων γί- νονται, ἐκ δὲ συνεχοῦς καὶ διῃρημένου ὅ τε
κόσμος καὶ τὰ ἐν αὐτῷ [32] πάντα. τούτων
δὴ ἀκριβὴς κατάληψις σοφία, σοφίας δὲ ἔφεσις
φιλοσοφία, φιλοσοφία δὲ ἐκ πασῶν μονωτάτη τεχνῶν τε καὶ ἐπιστημῶν τὸ οἰκεῖον «καὶ» κατὰ φύσιν ἀνθρώπῳ
τέλος περιποιεῖ καὶ ἐπὶ τὴν εὐδαιμονίαν
ἄγει τὴν παρὰ τὰ ἄλλα ζῷα τούτῳ μόνῳ
προζςήκουσαν καὶ κατὰ φύσιν σπουδαζομένην ὡς σκοπιμώτατον αὐτῷ τέλος.
8 καταλήγοντα congetturò Festa in appar. ad ἰος.: καταλήγουσα. LA SCIENZA MATEMATICA COMUNE 525 to che è in una qualche relazione ad altro,
e che si chiama propria- mente “quanto
in rapporto a qualcosa”,84 come ad esempio uguale e disuguale, multiplo, epimorio,85 epimere,8 e
affini; anche del quanto grande, a sua
volta, esiste e si concepisce il quanto grande statico, e dall'altro lato il quanto grande mosso o in
movimento), e perciò a ragione alle due
scienze suddette8? se ne aggiunsero altre due88 desti- nate a concorrere alla teoria secondo l’uno o
l’altro di questi due oggetti della
scienza matematica.8? Con l’aritmetica, infatti, a cui è toccata in sorte propriamente la ricerca del
quanto in sé, si mise a col- laborare la
musica per la trattazione tecnica del quanto relativo (nien- t'altro infatti insegnano l’armonica e la
sinfonica musicali, se non ad articolare
relazioni e rapporti dei suoni tra loro e in ordine alla quan- tità di eccessi e difetti), con la geometria,
invece, che si occupa della ricerca sul
quanto grande statico e fisso, [31] si mise a collaborare la sferica che giudica del quanto grande in
movimento, di quello più perfetto,
naturalmente, e che ammette un movimento ordinato e uni- forme. Perciò queste scienze che si occupano
di soggetti fratelli, è ragionevole
considerarle scienze sorelle, affinché non si ritenga insen- sato il detto di Archita: «sembra che queste
scienze siano sorelle»?! e pensarle come
degli anelli che formino tra loro come una catena che le leghi in un vincolo unico, come dice il
divinissimo Platone, il quale afferma
anche che la parentela che unifica queste scienze si rive- la convenientemente a chi le apprenda secondo
il giusto metodo, e che colui che ha
acquisito l’insieme di tutte queste scienze, cosî come egli pensa si debba fare, Platone lo chiama
sapientissimo nel senso più vero del
termine e lo afferma scherzando, e raccomanda a chi deside- ri filosofare di ricercare e desiderare
sempre queste matematiche, siano esse
difficili o facili; e Platone dice cose molto ragionevoli, se è vero che da un lato il continuo e il discreto
si conoscono solo attra- verso queste
scienze, e dall’altro lato il cosmo e tutto quanto è in esso sono composti dal continuo e dal
discreto. [32] Sapienza è appunto
conoscenza esatta del quanto, e la filosofia è desiderio di sapienza, e la filosofia è assolutamente
l’unica, fra tutte le arti e le scienze,
che fa raggiungere all’uomo il suo proprio fine naturale e lo conduce alla felicità che solo a lui, fra
tutti gli esseri viventi, si addice e
che solo da lui per natura è desiderata come il suo fine supremo. 526 GIAMBLICO 8. Δεῖ δὴ τὸ μετὰ τοῦτο καὶ περὶ τοῦ
κριτηρίου πάντων τῶν μαθημάτων εἰπεῖν,
ποῖόν γέ τί ἐστι καὶ [10] τίνας ἔχει τὰς ἐν αὑτῷ διαφορὰς τῶν ἐνεργειῶν. ἄνωθεν οὖν
ἀναλαβόντες ἀπὸ διαιρέσεως ποιησώμεθα
τὴν ὅλην περὶ αὐτοῦ διδασκαλίαν. Τὰ δὴ
νοητὰ πάντα εἰς δύο διήρηται, εἰς τε τὰ ἰδίως νοητὰ καλούμε- va καὶ ἐπιστητά, καὶ εἰς τὰ διανοητά᾽ καὶ
πρῶτα μέν ἐστι τὰ νοητά, δεύτερα δὲ καὶ
ὑποδεέστερα τὰ διανοητά. πάλιν δὲ ἀπὸ τούτων
ἑτέρα οὐσία ἐστὶν ἡ τῶν αἰσθητῶν, τούτων δὲ τὰ μὲν ἰδίως ἐστὶν ai- σθητά, ἃ καὶ δοξαστά, τὰ δὲ εἰκαστά. δοξαστὰ
μὲν καὶ ἰδίως ai- σθητὰ τὰ κατὰ μέρος
σώματα, οἷον [20] λίθοι ξύλα τὰ τέτταρα στοι-
χεῖα, ταῦτα δέ ἐστιν ἐν αἰσθητοῖς πρῶτα μεθ᾽ ἃ ἀσθενῆ ἄλλα καὶ οὐχ ὅμοια, ἐπηκολουθηκότα δὲ τοῖς πρώτοις
ἐστίν. ἔστι δὲ ταῦτα αἱ σκιαί᾽ καὶ γὰρ
αἱ σκιαὶ παρακολουθήματα τῶν σωμάτων, καὶ εἰ μὴ
ἔχοιεν ἄλλο τι ὑποβεβλημένον σῶμα, οὐκ ἂν φανεῖεν. εἴδωλα οὖν αἱ σκιαὶ καὶ τὰ [33] ἐν ὕδασι καὶ κατόπτροις,
ἐν ἄλλοις καὶ οὐ καθ᾽ αὑτὰ ὄντα, οὐδὲ
ἄλλων δίχα φαινόμενα, ἀλλὰ εἰς ἄλλα σώματα
πεπτωκότα, ὧν ὑποσπασθέντων οὐ φαίνεται. διὸ αἰσθητὰ μέν ἐστι τῷ γένει, ὅτι ὑπὸ αἴσθησιν πίπτει, εἰκαστὰ δὲ
μᾶλλον καὶ πιστευτὰ ἢ ὑποστατά, κατὰ
πίστιν λεγόμενα τὴν ἐπὶ τῶν μὴ ἀποδεικτικῶν,
ἄλλως δὲ εἰς παραδοχὴν παραλαμβανομένων ἀπὸ τῆς τῶν προφε- ρόντων πίστεως. καὶ γὰρ τὰ τῶν σκιῶν οὐκ ἀφ᾽
αὑτῶν ἔχει τὸ ἀντιλ- ηπτικόν, ἀπὸ δὲ τῶν
σωμάτων εἰς [10] ἃ πέπτωκε καὶ ἐν οἷς ἀναπα-
υόμενα φαίνεται. ἔχει οὖν τὸ ἀβέβαιον ἡ τοιαύτη πίστις καὶ γὰρ ταῦτα εἰ ἀποσταίη τοῦ κατόπτρου ἢ ὕδατος ἢ
ἐδάφους, οὐδὲν ἂν εἴη τὸ σύνολον. ὥστε
καὶ τῶν σωμάτων δοξαστῶν ὄντων καὶ τὸ εἶναι ἐν
τῷ δοκεῖν κεκτημένων, αἱ σκιαὶ ἔτι μᾶλλον ὑποβεβήκασι τῷ μὴ ἔχειν ἐξ ἑαυτῶν τὸ στερέμνιον, ἀλλ᾽
ἐπερείδεσθαι ἐπ᾽ ἄλλου. τού- τοις δὴ
ἔοικε καὶ τὰ διανοητά, λόγον ἔχοντα πρὸς τὰ ἐπιστητὰ καὶ νοητά, ὃν τὰ εἰκαστὰ πρὸς τὰ αἰσθητά τε καὶ
δοξαστά. τάς τε γὰρ ἰδέας οἱονεὶ κατ᾽
ἐπαφὴν ἔχει [20] ὁ νοῦς τὰ ὄντως ὄντα οὔσας, τὰ
δὲ διανοητά, ἅπερ ἐστὶ τὰ γεωμετρικά, ὑπὸ τῆς διανοίας βλέπεται, οὐκέτι τῆς διανοίας αὐτοῖς κατ᾽ εὐθὺ καὶ οἷον
κατ᾽ ἐπιβολὴν πελα- ζούσης, ἀλλὰ διὰ
λόγου μᾶλλον τῆς ἐπ᾽ αὐτὰ γιγνομένης πελάσεως, LA SCIENZA MATEMATICA COMUNE 527 8. Bisogna parlare, dopo di ciò, anche del
criterio di verità di tutte le
matematiche, di che natura sia e quali differenti modi di operare esso abbia in sé. Cominciando, dunque,
dall’alto, cioè con il metodo della
divisione, facciamone una completa esposizione didattica. Orbene, tutti gli intelligibili si dividono
in due classi: gli intelligi- bili o
scibili* propriamente detti, e i raziocinabili; gli intelligibili sono primi, i raziocinabili secondi e inferiori.
C'è a sua volta un’altra clas- se di
enti, quella dei sensibili, e di questi alcuni sono sensibili in senso proprio, che sono anche opinabili,9” altri
immaginabili.98 Opinabili e sensibili in
senso proprio sono i corpi particolari, come ad esempio pietre, legni, i quattro elementi, ma questi
ultimi sono i primi tra i sen- sibili;
dopo questa classe di sensibili ci sono altri sensibili deboli e dis- simili da quelli, ed essi vengono dietro ai
primi. Ma questi secondi sensibili sono
le ombre dei sensibili: le ombre infatti seguono i corpi, e se non avessero un qualche corpo
sottostante, non apparirebbero neppure.
Immagini sono, senza dubbio, le ombre e [33] i riflessi che si vedono nelle acque e negli specchi, in
quanto esistono in altro e non in se
stessi, e non sono neppure fenomeni di sdoppiamento di altri corpi, bensi semplici epifenomeni?? di altri
corpi, venuti meno i quali quelli non
appaiono più. Perciò sono sensibili quanto al genere, poi- ché cadono sotto i sensi, ma sono più oggetto
di immaginazione e di credenza che non
enti in sé sussistenti, cose cioè dette per nostra cre- denza su cose che non indicano nulla, in
altri termini per acquisizio- ne di cose
assunte dal fatto che noi crediamo in ciò che le produce. E infatti le ombre non ricevono la loro
percettibilità da se stessi, ma dai
corpi di cui sono ombre e in cui appaiono riposare. Tale credenza, dunque, è priva di fondamento; e infatti
questa specie di sensibili, quando viene
a mancare lo specchio o l’acqua o ciò su cui poggiare, viene a mancare di colpo. Di conseguenza le
ombre sono soggette a non avere solidità
per se stesse, ma ad appoggiarsi ad altro ancor più dei corpi che pure sono opinabili e fondano
il loro essere nell’appari- re. In
realtà alle ombre!% somigliano anche i raziocinabili, che stanno agli scibili e intelligibili come gli
immaginabili stanno ai sensibili e
opinabili. E infatti le idee, che sono i veri enti, l’intelletto le
possiede come per contatto, mentre i
raziocinabili, che sono gli enti geometri-
ci, la ragione li vede quando non si è ancora accostata ad essi
diretta- mente, né li vede come per
intuizione, ma attraverso il calcolo più che
528 GIAMBLICO καὶ οἷον ἀπὸ τῶν
ἰδεῶν κατιόντων ὡς ἐπὶ εἰκάσματα [tà] ἐκείνων
καὶ εἴδωλα νοητά᾽ [34] τά τε εἰκαστὰ καὶ ἐν ταῖς σκιαῖς ὑποβέβηκε παρὰ τὰ αἰσθητά, τῷ ἐκεῖνα μὲν καθ᾽ αὑτὰ
ὑποπίπτειν τῇ αἰσθήσει κατ᾽ εὐθυωρίαν,
τὰ δὲ ἐν ἄλλῳ καὶ ἐπ᾽ ἄλλῳ καὶ δι᾽ ἄλλο
θεωρεῖσθαι. οὐ γὰρ δὴ καθ᾽ ἑαυτὴν ἡ σκιά, ἀλλ᾽ ἢ ἐν τῷ ἐδάφει αἰσθητῷ ὄντι καθ᾽ ἑαυτὸ ἢ ἐν τῷ κατόπτρῳ ἢ ἐν
τοῖς ὕδασιν, ἅπερ ἦν καθ᾽ ἑαυτὰ αἰσθητά.
οὕτως οὖν καὶ τὰ μαθηματικά, ὥσπερ ἐν ταῖς
ἰδέαις ἔοικε φαντάζεσθαι, καὶ ἐπ᾽ ἐκείναις ἔχειν τὸ ἐπέρεισμα- οὐ γὰρ δεῖ ἀπὸ τῶν αἰσθητῶν [10] κατὰ ἀφαίρεσιν
ἐπινοεῖσθαι αὐτά, ἀλλ᾽ ὑποβάντα ἀπὸ τῶν
ἰδεῶν τὸ εἰδωλικὸν ἔχειν ἀπ᾽ ἐκείνων, τῷ
προσειληφέναι καὶ μέγεθος καὶ ἐν διαστάσει φαντάζεσθαι. ὅπερ γὰρ ἐν τοῖς τῶν αἰσθητῶν εἰδώλοις τὸ ἀμενηνὸν
καὶ καθ᾽ ἑαυτὸ ἀνε- πέρειστον, τοῦτο ἐν
τοῖς νοητοῖς τὸ ἔνογκον καὶ διαστατόν᾽ ἀλλ᾽
ἐπεὶ καὶ τοῦτο σπεύδει πρὸς τὸ ἄογκον καὶ ἀμερές, ἐπαναπαύεσθαι ἔοικεν ἐν τῇ τῶν ἰδεῶν ἀμερείᾳ, ὡς αἱ σκιαὶ
ἐν τῇ τῶν αἰσθητῶν ἀντιτυπίᾳ. ὥσπερ
τοίνυν τὰ διανοητὰ τῶν νοητῶν κεχώρισται, οὕτω
καὶ ἡ διάνοια τῆς νοήσεως. [20] διόπερ καὶ Βροτῖνος ἐν τῷ Περὶ νοῦ καὶ διανοίας χωρίζων αὐτὰ ἀπ᾽ ἀλλήλων τάδε
λέγει «ἁ δὲ διάνοια τῷ vò μεῖζόν ἐστι,
καὶ τὸ διανοατὸν τῶ νοατῶ᾽ ὁ μὲν γὰρ νόος ἐστὶ τό τε ἁπλόον καὶ τὸ ἀσύνθετον καὶ τὸ πρᾶτον
νοέον καὶ τὸ νοεόμε- νον (τοιοῦτον δ᾽
ἐστὶ τὸ εἶδος" καὶ γὰρ ἀμερὲς καὶ ἀσύνθετον καὶ πρᾶτόν ἐστι [35] τῶν ἄλλων), ἁ δὲ διάνοια τό
τε πολλαπλόον καὶ μεριστὸν καὶ τὸ
δεύτερον νοέον (ἐπιστάμαν γὰρ καὶ λόγον τὸν προ- σείληφε), παραπλησίως δὲ καὶ τὰ διανοατά,
ταῦτα δ᾽ ἐντὶ τὰ ἐπιστα- τὰ καὶ τὰ
ἀποδεικτὰ καὶ τὰ καθόλω τὰ ὑπὸ τῶ νόω διὰ τῶ λόγω κατα- λαμβανόμενα.» ἐν δὴ τούτοις μεῖζον μὲν λέγει
τὴν διάνοιαν καὶ τὸ διανοητόν, οὐ τῇ
δυνάμει ἀλλὰ τῷ πλήθει (ἐναντίως δ᾽ ἔχει ταῦτα
πρὸς ἀλληλα), ἀφορίζεται δὲ αὐτὰ ἀπὸ τοῦ νοῦ καὶ τῶν νοητῶν οὐ τούτοις μόνον, ἀλλὰ [10] καὶ τῷ τὰ μὲν ἁπλᾶ
εἶναι καὶ ἀσύνθετα τὰ δὲ πολυειδῆ καὶ
σύνθετα, καὶ διότι τὰ μὲν πρώτως νοεῖ καὶ νοεῖται LA SCIENZA MATEMATICA COMUNE 529 per vicinanza ad essi, li vede cioè come
intelligibili che da idee scado- no a
loro rappresentazioni e immagini; [34] anche gli immaginabili tra i sensibili scadono a livello di ombre,
per il fatto che mentre i sen- sibili
cadono per se stessi sotto i sensi per visione diretta, le ombre invece sono viste in altro, su altro e per
mezzo di altro. L'ombra infat- ti non
esiste in se stessa, ma o in ciò su cui poggia e che è sensibile per se stesso, o nello specchio o nelle acque,
che sono sensibili per se stes- si. In
tal modo dunque anche gli enti matematici sembra che siano come immagini delle idee, e che abbiano in
queste il loro fondamen- to: non bisogna
infatti rappresentarseli come prodotti per astrazione dai sensibili, al contrario essi, discendendo
dalle idee, ricevono da queste il loro
carattere di immagini, per il fatto che hanno acquisito e grandezza e dimensione. Infatti
l’indebolimento che si ha nelle imma-
gini dei sensibili e il fatto di non avere sostegno in sé
corrisponde negli intelligibili
all’acquistare massa e dimensione; ma poiché anche questo avere massa e dimensione inclina verso
ciò che è privo di massa e di parti,
allora l’ente matematico sembra che risieda nella pri- vazione di parti propria delle idee, cosî
come le ombre sembra che risiedano nella
impenetrabilità dei sensibili. In realtà, come i razioci- nabili sono separati dagli intelligibili,
cosî anche la ragione è separata
dall’intellezione. Perciò anche Brotino nel suo libro Sull’intelletto e
la ragione,!0 separando tra loro queste
due facoltà, cosî dice: «la ragio- ne è
più dell’intelletto, e il raziocinabile è più dell’intelligibile: l’intel- letto infatti è il semplice e non composto e
primo soggetto e oggetto di intelligenza
(ma tale è l’idea: essa è infatti priva di parti e non com- posta e prima [35] di tutto il resto), la
ragione invece è il molteplice e
divisibile e soggetto di intelligenza di ordine secondario (essa infat- ti ha acquisito!02 scienza e ragionamento), e
un discorso simile vale per i
raziocinabili, che sono gli oggetti della scienza e ciò che questa può dimostrare e che sono gli universali che,
al livello inferiore a quel- lo
dell’intelletto, si afferrano per mezzo del ragionamento». In questo passo Brotino dice che la ragione e il raziocinabile
sono “più” dell’in- telletto, non nel
senso della potenza, bensi in quello della molteplici- tà (questi due aspetti stanno tra loro in
rapporto di contrarietà),!% ed egli li
distingue dall’intelletto e dagli intelligibili non solo per questo, ma anche per il fatto che gli uni sono
semplici e non composti e gli altri
multiformi e composti, e perciò i primi pensano e sono pensati a 530 GIAMBLICO
tà δὲ δευτέρως καὶ παρ᾽ ἐκείνων λαμβάνοντα τὴν τούτων ἐνέργειαν, καὶ τὰ μὲν ἐν
εἴδεσιν ἐνέστηκε τὰ δὲ ἐν λόγοις πολλαπλῆν ποιεῖται τὴν ἐνέργειαν, καὶ τὰ μέν
ἐστιν ἀμέριστα τὰ δὲ μεριστά, καὶ τὰ μὲν κρείττον᾽ ἀποδεικτικοῦ συλλογισμοῦ τὰ
δὲ συλλογίζεταί τι περὶ τῶν ὄντων, καὶ τὰ μὲν αὐτά ἐστι τὰ ὄντα τὰ δὲ ἐν τοῖς
καθόλου περιείληφε καὶ συνεμφαίνει τὰ καθ᾽ ἕκαστον, καὶ τὰ μὲν ἀύλοις καὶ [20]
καθαραῖς ἐνεργείαις χρῆται τὰ δὲ συμμεμιγμένην ἔχει τὴν νόησιν" τῷ γὰρ νῷ
διὰ τοῦ λόγου καταλαμβάνει τὰ οἰκεῖα γνωστά, ἢ τῷ νῷ μετὰ τοῦ λόγου. συμβαίνει
δὴ οὖν ἐκ τούτων τά τε κρινόμενα πράγματα καὶ τὰ κριτήρια αὐτῶν διεστηκέναι ἀπ᾽
ἀλλήλων, ὡς τὰ μὲν διανοητὰ τῶν νοητῶν διαφέρειν, τὴν δὲ διάνοιαν τοῦ νοῦ. Ἔτι
δὲ σαφέστερον ᾿Αρχύτας ἐν τῷ Περὶ νοῦ [36] καὶ αἰσθήσεως διακρίνει τὰ κριτήρια
τῶν ὄντων, καὶ τὸ τῶν μαθηματικῶν οἰκειότα- τον κριτήριον παρίστησι διὰ τούτων
«ἐν ἁμῖν» γὰρ «αὐτοῖς», φησί, «κατὰ ψυχὰν γνώσιές εἰσι τέσσαρες, νόος ἐπιστάμα
δόξα αἴσθησις, ὧν αἱ μὲν δύο τοῦ λόγου ἀρχαί ἐντι, οἷον νόος αἴσθασις, τὰ δὲ
δύο τέλη, οἷον ἐπιστάμα καὶ δόξα: τὸ δ᾽ ὅμοιον ἀεὶ τοῦ ὁμοίου γνωστι- κόν.
φανερὸν ὧν ὅτι ὁ μὲν νόος ἐν ἁμῖν τῶν νοατῶν γνωστικόν, ἁ δὲ ἐπιστήμη τῶν
ἐπιστατῶν, ἁ δὲ δόξα τῶν [10] δοξαστῶν, ἁ δὲ αἴσθασις τῶν αἰσθατῶν᾽ διόπερ ὧν
δεῖ μεταβαίνεν ἀπὸ μὲν τῶν ai- σθατῶν ἐπὶ τὰ δοξαστὰ τὰν διάνοιαν, ἀπὸ δὲ τῶν
δοξαστῶν ἐπὶ τὰ ἐπιστατά, καὶ ἀπὸ τούτων ἐπὶ τὰ νοατά᾽ ταῦτα δὲ σύμφωνα ποιητά,
θεωρούμενα δι᾽ αὐτῶν ἀλάθεα. διωρισμένων δὲ τούτων τὰ μετὰ ταῦτα δεῖ νοῆσαι.
καθάπερ γὰρ γραμμὰν δίχα τετμαμένην καὶ ἴσα πάλιν ἑκατέρων τμήματα τετμαμένα
ἀνὰ τὸν αὐτὸν λόγον, [καὶ] οὕτω διῃρήσθω καὶ τὸ νοατὸν ποττὸ ὁρατόν, καὶ πάλιν
ἑκάτερον οὕτως διωρίσθω, καὶ διαφέρεν σαφηνείᾳ τε [20] καὶ ἀσαφείᾳ ποτ᾽
ἄλλαλα!ο τὸν αὐτὸν δὴ τρόπον τῷ μὲν δὴ αἰσθατῶ τὸ μὲν ἅτερον τμῆμά ἐστι τά τε
εἴδωλα τὰ ἐν τοῖς ὕδασι καὶ ἐν τοῖς κατόπτροις, τὸ δ᾽ ἕτερον μέρος, ὧν ταῦτα
εἰκόνες, φυτὰ καὶ ζῷα’ τῶ δὲ νοατῶ [37] τὸ μὲν ἀνάλογον ἔχον ὡς αἱ εἰκόνες τὰ
περὶ τὰ μαθήματα γένη vii: οἱ γὰρ περὶ τὰν γαμετρίαν ὑποθέμενοι τό τε περισσὸν
καὶ τὸ ἄρτιον 9 eliminò Kroll (cf. ed. Klein Add. p. XVIII). 10 ποτ’ ἄλλαλα
Mullach: rottàA Aa Festa. LA SCIENZA MATEMATICA COMUNE 531 livello primario;
gli altri a livello secondario, in quanto attingono dai primi la loro capacità
di farlo, e gli uni stanno tra le idee, gli altri svol- gono una molteplice
attività nei ragionamenti, e inoltre gli uni sono indivisibili, gli altri
divisibili, e gli uni stanno al di sopra del sillogismo dimostrativo, gli altri
sillogizzano sugli enti, e gli uni sono enti in se stessi, gli altri
comprendono e al tempo stesso mostrano i particolari dentro gli universali, e
gli uni si servono di atti immateriali e puri, gli altri possiedono
un’intellezione mista: essi, infatti, afferrano i loro oggetti di conoscenza
per mezzo dell’intelletto attraverso il ragiona- mento, oppure per mezzo
dell'intelletto accompagnato dal ragiona- mento. Da tutto ciò consegue, dunque,
che sia le cose giudicate che i criteri secondo cui si giudicano sono diversi
tra loro, cosi come i raziocinabili differiscono dagli intelligibili, e la
ragione dall’intelletto. Ancora più chiaramente Archita nel suo libro
Sull’intelletto [36] e la sensazione distingue i criteri di conoscenza degli
enti e presenta quello proprio delle matematiche con queste parole:!% «In noi
stessi, egli dice, in rapporto alla nostra anima, ci sono quattro tipi di cono-
scenza: intelletto, scienza, opinione e sensazione; due di essi, intellet- to e
sensazione, stanno all’inizio del ragionamento, gli altri due, scien- za e
opinione, al termine del ragionamento; il simile conosce sempre il simile. È
chiaro dunque che il nostro intelletto è facoltà conoscitiva degli
intelligibili, la scienza lo è degli scibili, l'opinione degli opinabi- li, il
senso dei sensibili. È per questo, dunque. che la ragione deve pas- sare dai
sensibili agli opinabili, dagli opinabili agli scibili, e da questi ultimi agli
intelligibili: una volta che queste cose sono accordate fra loro, con esse è
possibile contemplare la verità. Fatte tali distinzioni, bisogna pensare le
cose che vengono dopo. Come infatti si può divi- dere una linea in due parti ed
ugualmente ciascuna di esse ancora in due secondo lo stesso rapporto, cosî si
divida anche l’intelligibile rispetto al visibile, e a sua volta si divida
ciascuno di questi sî che dif- feriscano tra loro in chiarezza e oscurità; allo
stesso modo, del sensi- bile una sezione è costituita dalle immagini riflesse
nelle acque e negli specchi, l’altra invece è costituita dalle cose di cui
queste sono imma- gini, e cioè piante e animali; dell’intelligibile invece la
sezione che cor- risponde alle immagini [37] è costituita dai generi
maternatici: i geo- metri, infatti, una volta stabiliti come presupposti il
dispari e il pari e le figure e le tre specie di angoli, partono da questi
elementi per trat- 532 GIAMBLICO καὶ σχάματα καὶ γωνιᾶν τρισσὰ εἴδεα, ἐκ τούτων
πραγματεύονται τὰ λοιπά, τὰ δὲ πράγματα ἐῶντι ὡς εἰδότες, λόγον τε οὐκ ἔχοντι
διδόμεν οὔτ᾽ αὐτεαύτοις οὔτ᾽ ἄλλοις" ἀλλὰ τοῖς μὲν αἰσθατοῖς, ὡς εἰκός,
χρῶνται, ζατοῦντι δὲ οὐ ταῦτα, οὐδὲ τούτων ἕνεκα ποιεῦνται τὼς λόγως, ἀλλὰ τᾶς
διαμέτρω χάριν καὶ αὐτῶ τετραγώνω. τὸ δ᾽ [10] ἅτερον τμᾶμά ἐντι TO νοατῶ, περὶ
ὃ διαλεκτικὰ κατασχόληται: αὐτὰ γὰρ τῷ ὄντι τὰς ὑποθέσιας [ἀλλ᾽ «οὐχ»!!!
ὑποθέσιας, ἀλλ᾽ ἀρχάς τε καὶ ἐπιβάσιας ποιεῖταις, ἵνα» μέχρι τῶ ἀνυποθέτω ἐπὶ
παντὸς ἀρχὰν ἔλθῃ, καὶ πάλιν ἐχομένα καταβᾷ ἐπὶ τὰν τελευτὰν οὐ- δενὶ
προσχρωμένα αἰσθατῷ, ἀλλ᾽ εἰδέεσσιν αὐτοῖς δι᾽ αὑτῶν. ἐπὶ δὲ τέτταρσι τούτοις
τμάμασι καλῶς ἔχει διανέμεν καὶ τὰ πάθεα τᾶς ψυχᾶς: καὶ καλέσαι νόασιν μὲν ἐπὶ
τῷ ἀκροτάτῳ, διάνοιαν δὲ ἐπὶ τῷ δευτέρῳ, ἐπὶ δὲ τῷ τρίτῳ πίστιν, εἰκασίαν δὲ
ἐπὶ τῷ τετάρτῳ.» [20] Οἶμαι τοίνυν καὶ διὰ τούτων κατάδηλον [38] γεγονέ ναι, ὡς
τέσσαρες μέν εἰσι διαφοραὶ τῶν ὄντων, τέτταρες δὲ τῆς κρίσεως ἀρχαΐ, καὶ ὡς ὁ
λόγος μέσην ἔχων ἐφάπτεται τῶν δύο ἄκρων, νοητῶν τε καὶ αἰσθητῶν, ἐν τέλους
τάξει πρὸς τὸν νοῦν καὶ τὴν αἴσθησιν καθιστάμενος ὡς ἀρχὰς οὔσας ἑαυτοῦ καὶ ὑπ᾽
αὐτῶν ἀποτελούμε- νος. ἔστι δὲ καὶ τοῦτο ἀξίωμα κοινὸν περὶ πάσης γνωριστικῆς
δυνά- μεως, ὡς τῷ ὁμοίῳ τὰ ὅμοια γιγνώσκεται. ἔνεστιν οὖν καὶ ἀπ᾽ ἀμφο- τέρων
ἀμφότερα καὶ ἀπὸ τῶν ἑτέρων τὰ ἕτερα τούτων [10] καταμαν- θάνειν, τάς τε ἴσας
διαιρέσεις κοινῶς τε καὶ ἰδίως οἷόν τε ἐπ᾿ αὐτῶν ποιεῖσθαι, τάξιν τε μεταβάσεως
ἀπὸ τῶν ἑτέρων ἐπὶ τὰ ἕτερα, του- τέστιν ἀπὸ τῶν καταδεεστέρων ἐπὶ τὰ ἀνωτέρω’
καὶ ἀναγωγὴν πάντων καὶ σύνταξιν ἐπὶ τὸν νοῦν ὅπως δεῖ ποιεῖσθαι διώρικε. τὸ δὴ
μετὰ τοῦτο τὴν γραμμὴν κατατέμνει, μίαν μὲν οὖσαν, ἵνα ὡς ἕν τὸ γνωριστικὸν
ὑπολάβωμεν, δίχα δὲ ταύτην διαιρεῖ κατὰ τὰς πρώτας διαφορὰς τῶν ὄντων καὶ τὰς
ἐπ᾽ αὐτοῖς διχῇ διῃρημένας κρίσεις. ἴσας δὲ αὐτὰς τίθεται κατὰ τὴν τῶν λόγων
μετουσίαν [20] καὶ τῶν εἰδῶν καὶ διὰ τὴν ὁμοιότητα τῶν μετεχόντων πρὸς τὰ
μετεχόμενα, καὶ διότι ἡ ἀναλογία ἡ αὐτή πώς ἐστιν ἐπ᾽ ἀμφοτέρων. πάλιν δ᾽
ἑκάτερον τῶν τμημάτων ἀνὰ τὸν αὐτὸν λόγον διαιρεῖ, ἐπειδὴ δι᾽ ὅλου ἡ γνωστικὴ
δύναμις ὁμοειδής ἐστι πρὸς ἑαυτήν, τάς τε διαφο- ρὰς αὐτῆς ποιεῖται σαφηνείᾳ τε
καὶ ἀσαφείᾳ καὶ τῷ τελέως ὡρίσθαι 11: ho aggiunto io seguendo Platone, Resp. 6,
5118: «οὐχ ἀρχάς», ἀλλ᾽ ὁρμάς τε καὶ avrebbe preferito Festa, seguendo sempre
Platone, Resp. 6, 5110. ma non mi sembra necessario. LA SCIENZA MATEMATICA
COMUNE 533 tare il resto, e trascurano, come se le conoscessero, le cose reali,
e non hanno da rendere ragione di ciò né a se stessi né ad altri; dei sensibi-
li, invece, si servono, si, ma senza indagarli, e costruiscono i loro
ragionamenti non già in funzione di questi, bensi del diametro e del suo
quadrato. Un'altra sezione è infine quella dell’intelligibile, su cui si
esercita la dialettica. Questa infatti pone delle ipotesi nel senso vero del
termine, cioè non come presupposti, ma come punti di partenza e di appoggio per
arrivare a quell’incondizionato che è il principio di tutto, e una volta
raggiuntolo rifare il percorso in giù sino alla fine senza utilizzare nessun
sensibile, ma solo forme pure dei sensibili. In queste quattro sezioni bisogna
ben distribuire anche le affezioni!05 dell'anima, e chiamare intellezione
quella che sta al punto più alto,ragione quella che viene subito dopo, credenza
la terza e immagina- zione la quarta».106 Ebbene, io ritengo che anche da ciò
risulti evidente [38]! che quattro sono le differenze tra gli enti, e quattro i
principi per giudi- carli, e che il ragionamento, stando nel mezzo, tocca i due
estremi, cioè gli intelligibili e i sensibili, giacché si colloca in posizione
termi- nale rispetto all’intelletto e alla sensazione che sono come suoi princi-
pi e di cui esso è realizzazione finale. Esiste anche il seguente assioma
generale relativamente ad ogni facoltà conoscitiva, cioè che i simili si
conoscono col simile. E possibile dunque anche apprendere ambe- due,
intelligibili e sensibili, da ambedue e i diversi dai diversi, e fare uguali
differenze sia in senso generale che in senso particolare come se fossero in
essi, e ordinare il passaggio dai diversi ai diversi, cioè dagli inferiori ai
superiori; e Archita stabilisce come si deve compie- re, a proposito
dell’intelletto, l'elevazione e la combinazione di ogni cosa. Dopo di che egli
taglia la linea, che rimane pur sempre una sola, affinché si possa comprendere
che il nostro potere conoscitivo è uni- tario, e la divide in due secondo le
differenze primarie degli enti e secondo le divisioni che in essi sono duplici.
E stabilisce le stesse uguali differenze secondo la partecipazione dei rapporti
e delle forme e attraverso la somiglianza dei partecipanti ai partecipati, e
perciò c’è in qualche modo la stessa proporzione in ambedue. E di nuovo divi-
de ciascuna delle due sezioni della linea con lo stesso analogo criterio,
poiché la potenza conoscitiva presa nella sua interezza è omogenea a se stessa,
e ne ricava le differenze secondo chiarezza e oscurità,!08 e ne 534 GIAMBLICO ἢ
τῷ ἐνδεῶς, πρὸς ἄλληλά te αὐτῶν τὴν διάκρισιν ἐπιδείκνυσι, κατὰ τί παραλλάττει
καὶ ὑποδεέστερά ἐστι τὰ δεύτερα τῶν προ- τέρων. πρῶτον δὲ διαιρεῖ τὸ αἰσθητὸν
ὡς γνωριμώτερον, καὶ [39] λαμβάνει αὐτοῦ τὴν κατ᾽ εἰκόνα ἀπὸ τῶν αἰσθητῶν
φαινομένην ὑπόστασιν, τὰ εἴδωλα τὰ ἐν τοῖς ὕδασι καὶ ἐν τοῖς κατόπτροις, ὡς
μίαν τινὰ φύσιν ἀποτεμών. τὸ δ᾽ ἕτερον μέρος ἀφορίζει τὸ ἀληθινόν, ὧν ταῦτά
εἰσιν εἰκόνες, οἷον φυτὰ καὶ ζῷα. ἀπὸ γὰρ τούτων εἰκασί- a γίγνεται τῶν εἰδώλων
κατὰ ἀνάκλασιν εἰς ταῦτα τῆς αἰσθήσεως [κατὰ δεύτερον τρόπον] ἐπιστρεφομένης,
καὶ οὕτως αὐτὰ γιγνωσκούσης δευτέρως ὥσπερ καὶ ὑφίσταται κατὰ δεύτερον τρό-
πον, τοῖς δὲ [10] αἰσθητοῖς αὐτόθεν ἐπιβαλλούσης ὥσπερ καὶ ὑφίσταται πρώτως καὶ
ἐν αὑτοῖς ἔχει τὴν ἔνυλον ὑπόστασιν. ἀπὸ δὴ τῆς τούτων ἀναλογίας καὶ τὸ ἕτερον
τμῆμα δυνατόν ἐστι καταμα- θεῖν. ταῖς μὲν γὰρ εἰκόσι τὰ περὶ τὰ μαθήματα γένη
ἐστὶν ἀνάλο- γον, καὶ αἱ γνώσεις αὐτῶν ταῖς εἰκασίαις τῶν εἰδώλων ἔχουσί τινα
ὁμοιότητα᾽ ἀπό τε γὰρ τῶν νοήσεων λαμβάνουσι τὴν ἐνέργειαν καὶ ἀπὸ τῶν νοητῶν
ἐπὶ τὰ μαθηματικὰ ὡς εἰκόνας μεταβαίνουσιν, ὑποθέσεσί τε χρῶνται καὶ τὴν αἰτίαν
οὐκ ἐπίστανται. καὶ τοῦτό ἐστι τὸ κριτήριον [20] τῶν μαθηματικῶν, ἑτέρου τε
πράγματος ὑπάρχον προγνωστικόν, ἀλλ᾽ οὐχὶ τοῦ νοητοῦ, καὶ ἑτέρᾳ γνώσει
ἀντιλαμβανόμενον τοῦ διανοητοῦ, ἀλλ᾽ οὐχὶ τῇ νοήσει" αὕτη γὰρ τοῦ
διαλεκτικοῦ ἐστι κριτήριον, καὶ δι᾽ αὐτῆς τὰ ὄντα καὶ τὰ εἴδη καὶ τὰ ἀνυπόθετα
πάντα θεωρεῖ καὶ λόγον ἔχει περὶ πάντων δοῦναι, αἰσθητῷ τε οὐδενὶ προσχρῆται,
ἀλλὰ τοῖς νοητοῖς εἴδεσι. τεττάρων δὴ οὐσῶν τῶν κρινουσῶν δυνάμεων τάξις τις
[40] αὐτῶν θεωρεῖται καὶ ἐνέργειαι διῃρημέναι τυγχάνουσιν, ἐπὶ μὲν τῷ ἀκροτάτῳ
νόησις, ἐπὶ δὲ τῷ δευτέρῳ διάνοια, ἐπὶ δὲ τῷ τρίτῳ πίστις, εἰκασία δὲ ἐπὶ τῷ
τετάρτῳ. Ἐκ δὴ τούτων ἐκ διαιρέσεως πέφηνεν ἱκανῶς ὅ τι ποτ᾽ ἐστὶ τὸ τῶν
μαθημάτων κριτήριον. 9. Εἰ δὲ δεῖ καὶ ὡρισμένως τὸ λοιπὸν περιλαβεῖν τὸ εἶδος
τῆς μαθηματικῆς τί τέ ἐστι καὶ πῶς ὑφέστηκεν, ἴδωμεν πρώτην δόξαν τῶν εἰς ψυχὴν
[10] αὐτὴν ἀναφερόντων“ εἰς γὰρ τοῦτο ὡρισμένως δυνηθείη dv τις ἐπερεῖσαι τὴν
διάνοιαν. LA SCIENZA MATEMATICA COMUNE 535 determina compiutezza o deficienza,
e mostra la loro reciproca distin- zione, in base a che cosa, cioè, i secondi
mutino e siano inferiori ai primi. Prima divide la sezione del sensibile in
quanto è più noto, e [39] ne considera la realtà come apparente, cioè come se
si trattasse di quelle immagini che i sensibili producono quando si riflettono
nelle acque e negli specchi, come se tagliasse da esse la loro unica natura.
Definisce poi l’altra parte dei sensibili, cioè quella vera, cioè le cose di
cui le prime sono immagini, ad esempio piante e animali. Da questi infatti si
formano delle immagini simili per un riflettersi della sensazione che ritorna
su di essi, e che li conosce in modo secon- dario cosî come è secondaria anche
la loro sussistenza, mentre ai sen- sibili si riferisce in modo diretto cosi
come i sensibili hanno sussisten- za primaria e una realtà materiale in se
stessi. Per corrispondenza con queste è possibile apprendere anche l’altra
sezione della linea. I gene- ri delle matematiche, infatti, corrispondono alle
immagini, e le loro conoscenze hanno una certa somiglianza con le
rappresentazioni delle immagini: le matematiche infatti cominciano ad agire
partendo dalle intellezioni e passano dagli intelligibili agli enti matematici
come immagini di quelli, e si servono di ipotesi senza conoscerne la prove-
nienza. Questo è il criterio di verità delle matematiche, criterio che è
capacità conoscitiva che precede quella dell’altra realtà,!°° ma non certo
quella dell’intelligibile, e che afferra il raziocinabile per cono- scenza
affatto diversa dall’intellezione: quest’ultima, infatti, costitui- sce il
criterio proprio del dialettico,!!0 il quale contempla per mezzo di essa i veri
enti e le idee e tutti i principi anipotetici e deve rendere ragione di tutto,
e non si serve di nessun sensibile, bensi delle forme intelligibili.!!! Essendo
queste quattro le facoltà del giudizio, si può vedere in esse un certo ordine
[40] e si possono distinguere i metodi di attuazione, e cioè l’intellezione al
punto più alto, la ragione al secondo posto, la credenza al terzo e
l'immaginazione al quarto. Dalla divisione di queste quattro facoltà appare
abbastanza chia- ro quale sia mai il criterio di verità delle matematiche. 9.
Se poi bisogna anche comprendere in maniera determinata la specificità della
matematica, quale sia e in che cosa consista, allora si sappia che una prima
opinione è quella di coloro che la riconducono all’anima: si faccia quindi
mente locale sulle seguenti specifiche con- siderazioni.1!? 536 GIAMBLICO Ἕν
μὲν οὖν γένος τῶν ἐν τοῖς μαθήμασιν [τῶν] ὄντων οὐκ ἄν τις αὐτὴν εὐλόγως θείη
κατὰ τὴν τοιαύτην ἐπιβολὴν τῆς θεωρίας: μεριστὴ γὰρ ἂν οὕτω γένοιτο ἡ περὶ τῆς
μαθηματικῆς οὐσίας γνῶσις. διόπερ οὔτε ἰδέαν τοῦ πάντῃ διαστατοῦ οὔτε ἀριθμὸν
αὐτοκίνητον οὔτε ἁρμονίαν ἐν λόγοις ὑφεστῶσαν οὔτε ἄλλο οὐδὲν τοιοῦτο κατ᾽
ἰδίαν ἀφοριστέον περὶ αὐτῆς, κοινῇ δὲ συμπλέκειν πάντα ἄξιον, ὡς τῆς ψυχῆς καὶ
[20] ἰδέας οὔσης ἀριθμίου καὶ κατ᾽ ἀριθμοὺς
ἁρμονίαν περιέχοντας ὑφεστώσης, πάσας τε συμμετρίας κοινῶς, ὅσαι ποτέ εἰσιν ὑπὸ τὴν μαθηματικήν, ὑπὸ
ταύτην ὑποτακτέον, τάς τε ἀναλογίας ὅλας
ὑπ᾽ αὐτὴν θετέον. διὰ δὴ τοῦτο γεωμετρικῇ τε
ὁμοῦ καὶ ἀριθμητικῇ καὶ ἁρμονικῇ ἀναλογίᾳ συνυπάρχει, ὅθεν δὴ καὶ λόγοις [41] τοῖς κατ᾽ ἀναλογίαν ἡ αὐτή
ἐστι, ταῖς τε ἀρχαῖς τῶν ὄντων ἔχει τινὰ
συγγένειαν καὶ πάντων ἐφάπτεται τῶν ὄντων καὶ
πρὸς πάντα ὁμοιοῦσθαι δύναται.
Αἰτίαι μὲν οὖν εἰσι τοιαῦται τῆς τοιαύτης ὑπολήψεως. πρὸς δὲ τὴν θεωρίαν ἀφορμαὶ dv γένοιντο τὴν μαθηματικὴν
ὁμοῦ καὶ τὴν περὶ τῆς ψυχῆς, εἰ κατίδοιμεν
ὡς τὸ πεπερασμένον πᾶν καὶ ὡρισμένον ἀπὸ
τῶν ἀριθμῶν εἰς αὐτὴν ἐφήκει, ὁ δ᾽ ἑνιαῖος λόγος ἀπὸ τῆς τοῦ ἑνὸς φύσεως, ἡ δὲ εἰς μέγεθος [10] καὶ
αὔξησιν προϊοῦσα δύναμις καὶ ἔχουσα
περιουσίαν, ὥστε 9,30 πᾶσι διδόναι αὐτὴν τοῖς μετρί- οις, ἀπὸ τῆς γεωμετρικῆς οὐσίας
πάρεστιν" ἡ δὲ δύναμις τῆς ἐναρ- μονίου
κινήσεως τάξις τε καὶ λόγων!2 συμμετρία ἥ τε ἐν ἀριθμοῖς συμφώνοις ἢ συμφωνίαν περιέχουσιν εὐμετρία
ἀπὸ τῆς κατ᾽ οὐσίαν ἁρμονίας
παραγίγνεται. διόπερ καὶ ἁρμονιῶν κατακούει ἡ ψυχὴ καὶ χαίρει τοῖς ἡρμοσμένοις, ὡς οὖσα καὶ αὐτὴ
ἁρμονία, ἔκ τε ἀριθμῶν καὶ ἄλλων
τοιούτων μαθηματικῶν μέτρων τὴν οὐσίαν ἔχει,
ἅπερ συγγένειαν παρεδέξατο πρός τε τὰ νοητὰ [20] εἴδη καὶ πρὸς τὰς αἰσθητὰς οὐσίας καὶ tà ἔνυλα εἴδη' πρὸς
γὰρ πάντα ταῦτα ἢ παροῦσα δόξα δίδωσι
θεωρίας ἀφορμήν, ὡς ἱκανῆς οὔσης τῆς οὕτως
ὑποτιθεμένης μαθηματικῆς δόξης πάντα τὰ τοιαῦτα νοήματα παρέ- χειν. ἵνα δὲ συνέλωμεν τὴν ὅλην δόξαν, ἐν
λόγοις κοινοῖς πάντων τῶν μαθημάτων τὴν
ψυχὴν νοοῦμεν οὖσαν, ἔχουσαν μὲν τὸ κριτικὸν
αὐτῶν, ἔχουσαν δὲ καὶ τὸ γεννητικόν τε καὶ ποιητικὸν αὐτῶν τῶν ἀσωμάτων μέτρων, οἷς καὶ τὴν γενεσιουργίαν
δύναταί τις [42] προ- 12 καὶ λόγων ho
preferito la lectio di Sophon. (cf. appar. ad loc.): καὶ ἁλόγων Festa.
LA SCIENZA MATEMATICA COMUNE 537
Ebbene, secondo un tale disegno teorico, non sarebbe ragionevo- le porre l’anima come un unico genere degli
enti matematici: cosi facendo, infatti,
la conoscenza della realtà matematica sarebbe sepa- rata <da quella dell'anima>. Perciò non
bisogna dare dell'anima una definizione
di volta in volta particolare, né come “forma dell’assolu- tamente esteso” né come “numero semovente” né
come “armonia esi- stente nei calcoli”
né come alcun’altra cosa del genere, ma è giusto considerare tutte queste cose come un
complesso generale, come se l’anima
fosse forma del numerabile e fosse costituita di numeri conte- nenti armonia, e bisogna sussumere sotto di
essa in generale tutte le misure
armoniche che una volta erano sussunte sotto la matematica, e fare altrettanto con tutte quante le
proporzioni. Perciò l’anima coe- siste
con la geometria e l’aritmetica e l’armonica, donde consegue anche [41] che l’anima esiste in virtà dei
calcoli proporzionali, e ha una certa
parentela con i principi ontologici ed è congiunta con tutti gli enti e può assimilarsi a ogni cosa. Sono tali, dunque, le ragioni di una siffatta
congettura. Saremo spinti verso una
teoria a un tempo matematica e psicologica, se tenia- mo conto che ogni delimitazione e
determinazione giunge all’anima dai
numeri, e che d’altra parte il principio razionale unitario deriva dalla natura dell’uno,!!3 e che la capacità
che ha l’anima di procedere alla
grandezza!!4 e all'’aumento!!5 e di possedere una ricchezza tale da poterla offrire a tutte le misure,!!6 le
proviene dalla realtà geometrica;
d’altra parte la capacità del movimento armonico e l’ordine e la sim- metria dei rapporti matematici e la giusta
misura dei numeri musica- li o che
contengono accordo musicale, le provengono dall’armonia per essenza.!17 Ed è per questo che l’anima
sente anche le armonie e gode delle cose
armoniose, in quanto è anch'essa armonia, e riceve il suo essere dai numeri e da altre misure
matematiche del genere, che ammettono
affinità sia con le forme intelligibili che con le realtà sen- sibili e le forme materiali: a tutto ciò,
infatti, spinge l’opinabile teoria di
cui parliamo, sî che, una volta posta con sufficiente chiarezza in tali termini una tale opinione della matematica,
affiorano tutti i pensieri di tal fatta.
Per dirla in modo sintetico, secondo tale opinione si pensa che l’anima risieda nei calcoli comuni a
tutte le matematiche, e che possieda il
potere di discriminarle, e la capacità di generare e creare le stesse misure incorporee, alle quali
facoltà [42] si può aggiungere 538
GIAMBLICO σαρμόζειν τῶν ἐνύλων εἰδῶν τήν
te δι᾽ εἰκόνων ἀπεργασίαν, ἐκ τῶν ἀφανῶν
εἰς τὸ φανερὸν προϊοῦσαν, συνάπτουσάν τε τὰ ἔξω τοῖς εἴσω. κατὰ γὰρ πάντα ταῦτα, ὡς συλλήβδην
εἰπεῖν, ὁ τῆς ψυχῆς λόγος περιέχει ἀφ᾽
ἑαυτοῦ τὴν ὅλην τῶν μαθημάτων συμπλήρωσιν.
10. Πότερον δὲ μῖγμα ἐκ πάντων ἐστὶ τῶν ἐν τοῖς μαθήμασιν ὄντων, ἢ πάντα ὑφίστησιν αὐτὴ καθ᾽ ἕνα λόγον
προηγούμενον, χρὴ διασκέψασθαι. εἰ μὲν
[10] οὖν σύμμιξίς ἐστιν ἀφ᾽ ὅλων, προὐπάρχει
αὐτῆς τὰ συμπληρωτικὰ ἀφ᾽ ὧν συνιόντων συγκίρναται, καὶ οὐκέτ᾽ ἂν εἴη αὐτὴ ἀρχὴ τῆς μαθηματικῆς οὐσίας, ἀλλ᾽
ἀπὸ τῶν σποράδην ὑφεστηκότων μαθημάτων
συνιόντων εἰς ταὐτὸ ἀπογεννωμένης πρὸς
τοῖς ἄλλοις ἀτόποις καὶ σύνθεσίν τινα συνάγει μετὰ τῆς ψυχῆς καὶ ὑστερογενῆ ὡς ἐκ προτέρων τινῶν
ἐπισυνισταμένην ὑπόστασιν᾽ εἰ μέντοι
αὕτη πρώτως ἀρχηγός ἐστι τῆς μαθηματικῆς οὐσίας καὶ παράγει ταύτην ἐξ ἑαυτῆς, πρεσβυτέρα τε αὐτῆς
ἔσται, καὶ ὡς ἐν αἰτίας [20] λόγῳ
προηγεῖται καὶ ὡς ἑτέρα ὑπερέχει. ἔστι δὲ καὶ
τοῦτο ὑπεναντίον πρὸς τὴν παροῦσαν δόξαν. τιμιωτέρα γὰρ ἂν οὕτω γένοιτο ἡ ψυχὴ τῶν ἐν τοῖς μαθήμασιν ὄντων.
βέλτιον οὖν λέγειν ὡς οὔτε προηγεῖται
οὔτ᾽ ἐπακολουθεῖ τοῖς μαθηματικῶς οὖσι, συντρέ-
χει δὲ ἅμα πρὸς αὐτὰ καὶ συνυφέστηκεν ἀσύνθετον καὶ ἀμέριστον ἔχουσα τὴν ἐν ὅλοις καὶ ἀφ᾽ ὅλων σύμμιξιν,
μονοειδῶς τε αὐτοῖς παροῦσα καὶ ἑνιαίως
αὐτῶν ὅλων [43] μετέχουσα, δύναμίν τε
περιεκτικὴν τῶν ὅλων ἐν ἑαυτῇ συλλαβοῦσα καὶ ἑαυτὴν δοῦσα εἰς ὅλα τὰ μαθήματα ὡσαύτως. εἰ δὲ τοῦτο οὕτως
ἔχει, καὶ πάντα περιείληφεν ἐν ἑαυτῇ
τελέως καὶ ἀνενδεῶς, οὐδέν τε ἐκτὸς ἑαυτῆς
ἀφίησιν (αὐτή τε γάρ ἐστι τελεία καὶ οὐχ οἷόν τε τῆς οἰκείας ἀρχῆς ἀπολείπεσθαί τι τῶν ὄντων), μία τε οὕτως
ἔσται ἡ οὐσία τῆς αὐτῆς ἀρχῆς δι᾽ ὅλων
διηκούσης. διαφοραί γε μὴν οὐδὲν ἧττον ἔσονται
κατὰ τὰς διαφόρους δυνάμεις καὶ ζωὰς καὶ ἐνεργείας τῆς [10] ψυχῆς καὶ τὸ τῶν οὐσιῶν αὐτῆς πλῆθος, ὅπερ ἐν
ἑνὶ περιέχεται. τοιοῦτον ἄν τις καὶ τὸν
περὶ τούτων διορισμὸν εὐλόγως ὑπόθοιτο.
Περὶ μὲν οὖν οὐσίας τῆς μαθηματικῆς θεωρίας τοσαῦτα ἡμῖν εἰρήσθω.
LA SCIENZA MATEMATICA COMUNE 539
anche quella di generare le forme materiali e quella di operare
trami- te le loro immagini, procedendo
dall’invisibile al visibile, e collegan-
do l’esterno all’interno. Sulla base di tutto ciò, infatti, per dirla in breve, il principio razionale dell'anima
abbraccia da sé l’intero siste- ma delle
matematiche. 10. Bisogna poi esaminare
se l’anima sia una mescolanza di tutti
gli enti matematici, o se essa li faccia sussistere tutti secondo un
unico principio razionale che li
precede. Ebbene, se l’anima è mescolanza di
tutti gli enti matematici, allora questi dalla cui concorrenza si
forma quella mescolanza preesistono
all'anima, e questa non sarebbe più
principio della realtà matematica, ma al contrario risulterebbe pro- dotta dalle matematiche che dalla loro dispersione
concorrono a for- mare una medesima
cosa, a parte le altre assurdità, cioè che le mate- matiche formerebbero con l’anima una certa
composizione e una sus- sistenza di
ordine secondario in quanto nascente da agglomerazione di elementi che la precedono.!!8 Se veramente
questa mescolanza è il principio
fondante dell’essenza della matematica e produce quest’ul- tima da se stessa, allora sarà superiore
all'essenza della matematica e la
precederà in quanto ne è causa e la oltrepasserà come qualcosa di diverso. Ma si oppone alla presente opinione
anche il seguente ragio- namento:
concepita cosi,!!9 l’anima avrebbe più valore degli enti matematici. Dunque è meglio dire che essa né
li precede né li segue, bensi coincide
con essi per costituire qualcosa di non composto e non divisibile, mescolandosi con essi in tutto e
per tutto, ed essendo pre- sente in essi
in maniera uniforme e partecipando di tutti questi enti in maniera unitaria, [43] e assumendo in se
stessa la potenza che li con- tiene tutti
e offrendosi a tutte le matematiche allo stesso modo. Se le cose stanno cosî, e l’anima li contiene in sé
tutte perfettamente e pie- namente, e
non ne lascia nessuna fuori di sé (essa infatti è perfetta ed è impossibile che alcunché si allontani dal
suo proprio principio), allora essa sarà
l’unica realtà di quello stesso principio che si estende su tutto. Ci saranno nondimeno differenze
secondo le differenti potenze e i modi
di vita e le attività dell’anima e il numero delle essen- ze che è contenuto nell’unità. Una tale
differenziazione dell’anima potrebbe
essere ragionevolmente ipotizzata. Sono
tante, dunque, le cose che dobbiamo dire a proposito del- l'essenza di questa teoria matematica. 540 GIAMBLICO
11. Ἔργον dè τῆς ἐπιστήμης ταύτης ἐστὶν οὐχ ὡρισμένον, οὐδὲ κατὰ τὰ αὐτὰ καὶ ὡσαύτως ἔχον, ὥσπερ τὸ τοῦ
νοῦ, οὐδὲ παρ᾽ ἑαυτοῦ πάντως τὸ
γιγνώσκειν ἔχον, ὥσπερ τῷ νῷ τὸ τοιοῦτον σύμφυ-
τόν ἐστιν’ ἔξωθεν δὲ διεγείρεται πρὸς τὰς εἰδήσεις, καὶ [20] δεχό- μενον παρ᾽ ἄλλων τὴν ἀρχὴν τῆς ἀναμνήσεως,
οὕτως αὐτὴν ἀφ᾽ ἑαυτοῦ προβάλλει:
σταθερόν τε οὐκ ἔστι κατὰ μίαν ἐνέργειαν,
ὥσπερ τὸ τοῦ νοῦ, ἀλλ᾽ ἐν κινήσει μᾶλλον πρόεισιν ἀφ᾽ ἑαυτοῦ καὶ εἰς ἑαυτό. ἀλλ᾽ οὐδὲ πλῆρές ἐστιν ἑαυτοῦ,
ὥσπερ τὸ νοερόν, ἐν δὲ τῷ ζητεῖν καὶ
εὑρίσκειν ἀεὶ ἀπό τινος κενώσεως τοῦ γιγνώσκειν εἰς πλήρωσιν αὑτοῦ προέρχεται. πέρατός τε καὶ
ἀπειρίας ὁμοίως ἐν μέσῳ διείληπται᾽ ὅθεν
[44] ἀπὸ τοῦ ἀπείρου ἐπὶ τὸ ὁρίζεσθαι ἀεὶ
προχωρεῖ, καὶ ἐπὶ τὸ μεταλαμβάνειν τῶν μαθηματικῶν εἰδῶν μεθί- σταται. διὰ δὴ πάντα ταῦτα καὶ παραγίγνεται ἡ
ἐπιστήμη αὕτη μαθήσεως πρώτης
προηγησαμένης, ἧς τὴν ἀρχὴν ὁ διδάσκων παρέ-
χει, εἶτα εὑρέσεως ἐπακολουθούσης, ἥτις συνήρτηται ταῖς κατα- βαλλομέναις ἀπὸ τοῦ διδάσκοντος ἀρχαῖς κατὰ
γὰρ ταῦτας ἀνα- μιμνήσκεται ἡ ψυχὴ τῶν
ἀληθῶν ἐν μαθηματικῇ εἰδῶν καὶ προβάλ-
λει τοὺς οἰκείους αὐτῶν λόγους. ἐνίοτέ γε μὴν [10] καὶ κοινὴ ἐξ ἀμ- φοτέρων γίγνεται ἡ ἐνέργεια, διόπερ ὁ
᾿Αρχύτας ἐν τῷ Περὶ μαθηματικῶν λέγει᾽
«δεῖ γὰρ μαθόντα παρ᾽ ἄλλω ἢ αὐτὸν ἐξευρό-
ντα, ὧν ἀνεπιστάμων ἦσθα, ἐπιστάμονα γενέσθαι. τὸ μὲν ὧν μαθέν, παρ᾽ ἄλλω καὶ ἀλλοτρίᾳ, τὸ δὲ ἐξευρέν, δι᾽
αὕταυτον καὶ ἴδιον, ἐξευρεῖν δὲ μὴ
ζατοῦντα, drropov καὶ σπάνιον, ζατοῦντα δὲ εὔπορον καὶ ῥάδιον, μὴ ἐπιστάμενον δὲ ζητεῖν
ἀδύνατον.» ἐν γὰρ τούτοις τὴν μάθησιν
πρώτην ἔθηκεν ὡς ἀρχὴν τῆς τοιαύτης ἐπιστήμης, καὶ τὸ ἴδιον αὐτῆς παρέδειξεν, ὡς παρ᾽ ἄλλου ἐνδιδομένης.
[20] δεύτερον ἐπήγαγε τὸ «αὐτὸν
ἐξευρόντα»" εἰ γὰρ καὶ τῇ δυνάμει τοῦτο προη- γεῖται, ἀλλὰ κατά γε τὴν ἀνθρωπίνην τάξιν ὡς
πρὸς ἡμᾶς ἐστι δευ- τέρα’ εἰς γένεσιν
γὰρ πεσόντας ἀνάγκη ὑπ᾽ ἄλλων ὑπομιμνήσκε-
σθαι πρότερον. ἔστι μὲν οὖν καὶ ὡς δύο τούτους τρόπους ὑπολαμβάνειν τοῦ παραδέχεσθαι ἐπιστήμην, [45]
ἔστι δὲ καὶ ὡς ἕνα αὐτοὺς τῷ λογισμῷ
περιλαμβάνειν: ἐπειδὰν γὰρ ὡς παρ᾽ ἄλλου καὶ
LA SCIENZA MATEMATICA COMUNE 541
11. La scienza matematica non ha un modo di operare che si può determinare come quello dell’intelletto,120
né si comporta secondo gli stessi
principi e allo stesso modo, né possiede una forma di conosce- re che deriva totalmente da sé, come quello
che è connaturale all’in- telletto: essa
è stimolata nelle sue conoscenze dal mondo esterno,!2! e può cosî proiettare da sé la sua reminiscenza
in quanto la riceve da altro; e non ha
stabilità grazie ad un'unica attività, come l’intelletto, ma piuttosto procede secondo un movimento che
parte da sé e va verso di sé. Ma
l’operare della matematica non è neppure pieno di sé, come quello dell’intelletto, ma perviene alla
pienezza di sé in un con- tinuo cercare
e scoprire a partire da uno stato di vuoto conoscitivo. Si può fissare la matematica esattamente a metà
tra il limite e l’illimita- to: per cui
[44] procede sempre dall’indefinito alla definizione, e passa cosî ad afferrare le forme matematiche.
Per tutte queste ragioni la scienza
matematica interviene dopo che si è realizzato quell’ap- prendimento primario, a cui dà avvio
l'insegnante <elementare>, e che è
seguito poi dall’apprendimento di elementi che si scoprono in collegamento con le nozioni fondamentali
impartite dall’insegnante: l’anima,
infatti, sulla base di tali nozioni ha reminiscenza delle veraci idee della matematica e propone i
ragionamenti che appartengono
propriamente a tali idee. Talvolta però da ambedue, limite e
illimita- to, nasce un’attività comune,
ed è per questo che Archita nel suo libro
Sulle matematiche dice: «Bisogna che tu abbia imparato da altri o sco- perto da te stesso le cose di cui eri
ignorante. Ciò che tu apprendi, dunque,
lo ricevi da altri e in modo non autonomo, ciò che invece scopri, lo hai in modo autonomo e personale,
ma scoprire senza cer- care è cosa
assurda o rara, mentre scoprire cercando è cosa accessibi- le e facile, d’altra parte è impossibile
cercare senza sapere cosa cerca- re».122
Dicendo questo, infatti, Archita ha indicato il primo apprendi- mento come principio della scienza
matematica, e ha mostrato che è sua
peculiarità il riceverlo da altri. In seconda linea egli ha aggiunto «lo scoprire da sé»: infatti, anche se
quest’ultima possibilità precede l’altra
per valore intrinseco, è tuttavia seconda nell’ordine umano, in quanto è in rapporto a noi, perché è
necessario che chi cade nella
generazione abbia prima reminiscenza ad opera di altri. È possibile, dunque, da un lato supporre due modi di
acquisire scienza, [45] dal- l’altro
lato ridurre per via di ragionamento questi due modi ad uno 542 GIAMBLICO ἀλλότρια μεταλάβωμεν tà μαθήματα, τότε αὐτὰ
ὡς ἴδια αὐτοὶ ἀφ᾽ ἑαυτῶν προχειρίζομεν.
τοῦτο δὲ ῥᾷάδιον καταμαθεῖν ἀπὸ τῶν
εὑρέσεων᾽ ὡς γὰρ ἔχοντες αὐτὰ ἐν ἑαυτοῖς, οὕτως εὑρίσκομεν καὶ ἐπιγιγνώσκομεν αὐτὰ εὑρεθέντα. καὶ ἀπὸ τῶν
ζητήσεων δὲ τὸ αὐτὸ καταφαίνεται. εἰ γὰρ
μὴ ἐπιστάμενον ζητεῖν ἀδύνατον, ἦν χρόνος
ὅτε ἠπιστάμεθα ταῦτα, καὶ οὐχ ὁ παρὼν οὗτος (νῦν γὰρ αὐτὰ [10] ἀγνοοῦμεν) πρότερον ἄρα αὐτὰ ἠπιστάμεθα. καὶ
διὰ τοῦτο ζητοῦντι εὔπορα καὶ ῥάδια τὰ
μαθήματα πρὸς εὕρεσιν, μὴ ζητοῦντι δὲ
ἄπορα καὶ σπάνια, διότι ἔνεστί πως ἐν ταῖς ψυχαῖς καὶ ἦν ποτε πρότερον περὶ αὐτὰς ἐν τῇ κατ᾽ ἐνέργειαν
ἐπιστήμῃ. ὁδὸς ἄρα ἀπὸ ζητήσεως εἰς
εὕρεσιν, καὶ ἀπὸ μαθήσεως εἰς ζήτησιν καὶ εὕρεσιν, ἡ διὰ τῶν μαθημάτων ἐστὶ πραγματεία. ὅθεν δὴ
καὶ τὸ ὄνομα τοῦτο ἔσχε τὸ μαθηματικὴ
καλεῖσθαι. ἀφ᾽ οὗ γὰρ πρώτου τὴν ἀρχὴν παρα-
δέχεται ἡ ἐπιστήμη καὶ οὗ χωρὶς οὐχ οἷόν τε αὐτὴν [20] ἐγγενέ- σθαι, λέγω δὲ τοῦ μανθάνειν, ἀπὸ τούτου τὸ
ὄνομα εἴληφεν. Ἔστω δὴ οὖν ἡμῖν καὶ
ταῦτα περὶ αὐτῆς οὑτωσὶ διηυκρινημένα.
12. Δυνάμεις δὲ αὐτῆς διαριθμήσαιτο μὲν ἄν τις καὶ ἄλλας πλεί- ονας, ἐν δὲ ταῖς πρώταις θεωρείσθωσαν αἱ ἀπὸ
τοῦ πλήθους συναγωγοὶ πρὸς τὸ ταὐτὸν καὶ
ἡνωμένον αἴτιον, καὶ ὅσαι ἀπὸ τοῦ ἑνὸς
[46] διαιρετικαί εἰσιν εἰς πλῆθος. ἐπεὶ γὰρ ἐκ πέρατος καὶ ἀπειρίας συνεστήκασι καὶ ἑνὸς καὶ πλήθους,
μέσαι τέ εἰσι τοῦ μεριστοῦ καὶ
ἀμερίστου, καὶ κατὰ τὸν αὐτὸν λόγον τῆς οὐσίας
μετειλήφασι καὶ συναγωγῆς καὶ διαιρέσεως, ἀναπλώσεώς τε καὶ συνειλήσεως, ἐπιστροφῆς τε ἐπὶ τὸ ὡρισμένον
καὶ ἀπ᾽ αὐτοῦ ἀπο- στάσεως. ἔστι μὲν οὖν
καὶ ἐν τῇ διαλεκτικῇ, τῇ περὶ τὸ ὃν προηγου-
μένως πραγματευομένῃ, ἡ τοιαύτη τῆς θεωρίας ἐνέργεια, οὐ μὴν ἀλλ᾽ ἔχει γέ τι διάφορον αὕτη πρὸς [10]
ἐκείνην οὐ σμικρόν᾽ ἡ μὲν γὰρ τὸ ἁπλῶς
ὃν θεωρεῖ καὶ τοῦτο συνάγει ἢ διαιρεῖ, ἡ δὲ τὸ
μαθηματικὸν ἐπισκοπεῖται καὶ περὶ αὐτὸ ποιεῖται τοῦ λόγου τὰς διττὰς ταύτας ἐνεργείας. εἰσὶ δὲ καὶ ἄλλαι
δυνάμεις αἱ τὸ κοινὸν LA SCIENZA
MATEMATICA COMUNE 543 solo: infatti,
prima riceviamo le matematiche da altri e in modo non autonomo, dopo noi le coltiviamo
autonomamente. Ed è questo il modo di
impararle facilmente partendo dalle nostre scoperte. Siccome infatti noi le possediamo in noi
stessi, allora le scopriamo e dopo
averle scoperte le riconosciamo. Questo appare ugualmente chiaro se consideriamo l'apprendimento delle
matematiche per via di ricerca. Se
infatti è impossibile cercare ciò che non si sa, ci dev'essere stato un tempo in cui noi conoscevamo queste
matematiche,!23 e que- sto tempo non può
essere certo questo nostro presente (perché noi al presente non le conosciamo): dunque le
abbiamo conosciute prima. Ed è per
questo che a chi le cerca le matematiche sono accessibili e facili da scoprirsi, mentre a chi non le
cerca sono inaccessibili o rara- mente
accessibili, perché cioè esistono in qualche modo nelle anime ed erano per loro un tempo, prima della
nostra nascita, scienza in atto. Dunque
studiare le matematiche è passare dalla ricerca alla sco- perta, e dall’apprendimento alla ricerca e
alla scoperta. Di qui appun- to prende
questo nome di “matematica”.124 Da questo primo appren- dimento, infatti, ha inizio la scienza, che
senza di esso non può gene- rarsi,
intendo dire dal fatto del suo apprenderla, che è ciò da cui ha preso il nome. Sono queste, dunque, le accurate distinzioni
che dobbiamo fare a proposito della
matematica. 12. Si potrebbero
enumerare anche molte altre potenze della
matematica, e tra le prime si considerino quelle che conducono una molteplicità ad un'unica e medesima causa, e
quelle che [46] divido- no un’unità in
una molteplicità. Poiché infatti sono costituite di limi- te e illimitato e di unità e molteplicità,125
e sono intermedi tra il divi- sibile e
l’indivisibile, queste potenze della matematica partecipano secondo lo stesso rapporto dell'essenza e
dell’unione e della divisio- ne, e del
dispiegamento e dell’addensamento, e della conversione al determinato e dell’allontanamento da esso.
Ebbene, c’è anche nella dialettica, che
si occupa essenzialmente dell’essere,126 una tale attività teorica, e nondimeno c’è una notevole
differenza tra l’una e l’altra: la
dialettica, infatti, considera l'essere nella sua purezza e lo unisce o
lo divide, mentre la matematica esamina
l’essere nel suo aspetto mate- matico e
compie su di esso questa duplice azione di calcolo.!?7 Ci ἐπὶ πολλοῖς ἐπιβλέπουσαι, ὅσαι ἐν τοῖς
διαφέρουσι μαθήμασι kor- νά τινα εἴδη
καὶ κοινοὺς λόγους θεωροῦσι καὶ κοινὰ μέτρα οἷς ἀφο- ρίζεται τὰ διαφέροντα, οἷον αἱ τῆς ἰσότητος
καὶ ἀνισότητος θεωρί- αι καὶ αἱ τοῦ
συμμέτρου καὶ ἀσυμμέτρου: αὗται γὰρ αἱ δυνάμεις τὰ κοινῶς ἐπὶ πλειόνων ὑφεστηκότα [20]
θεωροῦσιν. ἀντιτίθενται δὲ ταύταις αἱ τὸ
ἴδιον ἑκάστου τῆς οὐσίας θεωροῦσαι, οἷον τῶν
ἀριθμῶν καθόσον εἰσὶν ἀριθμοί, καὶ τῶν μεγεθῶν καθόσον ὑφέστηκε [τὰ] μεγέθη, καὶ ἐπὶ τῶν ἄλλων κατὰ
τὸν αὐτὸν τρόπον. ἐν δὴ ταῖς τοιαύταις
εἰσὶ καὶ αἱ τὴν ἀναλογίαν τὴν πανταχοῦ
ὑφισταμένην νοοῦσαι, ἄνωθεν μὲν ἀπὸ τῶν πρωτίστων ἀρχόμεναι, τελευτῶσαι δὲ ἐπὶ τὰ ἔσχατα, προϊοῦσαι δὲ διὰ
τῶν μέσων, τηροῦσαι δὲ πανταχοῦ τοὺς
αὐτοὺς λόγους καὶ ἑτέρους ἐν τοῖς δια-
φέρουσι καὶ δι᾽ ὅλων αὐτοὺς ἐναπεργαζόμεναι φανερούς. οὐ [47] μὴν ἀλλὰ καὶ τὰς θεωρούσας τὸ καλὸν καὶ τὸ
μέτρον τῶν μαθημα- τικῶν οὐσιῶν τό τε
ἡρμοσμένον καὶ τὸ σύμμετρον αὐτῶν ἐν λόγῳ
τινὶ θετέον᾽ ἔχουσι γὰρ κατὰ τὴν οἰκείαν αὐτῶν φύσιν εὐταξίαν καὶ τελειότητα καὶ πάντα ὅσα προσήκει ἀγαθὰ τοῖς
μαθηματικοῖς εἴδεσι. τοῖς μὲν οὖν
πολλοῖς αὗταί τε ἀκίνητοι δοκοῦσιν εἶναι καὶ
περὶ ἀκίνητα τὰ γνωστὰ ἐνεργεῖν, οὐ μὴν ὀρθῶς γε ἀρέσκει τοῦτο᾿ ἔστι γάρ τινα μαθήματα, ἃ τὸν τῆς κινήσεως
ἀριθμὸν καὶ τὰ μέτρα αὐτά τε [10] καθ᾽
αὑτὰ καὶ πρὸς ἄλληλα πῶς ἔχει τάξεως καὶ συμ-
μετρίας ἐπισκοπεῖ, τάς τε ἀσωμάτους τῆς ψυχῆς περιόδους, αἷς καὶ τοῦ οὐρανοῦ περιφοραὶ συνυπάρχουσι, πῶς
ἔχουσι συμμετρίας καὶ κατὰ τίνας
ἀριθμούς, καὶ διὰ τί συναρμόζουσι, καὶ πάντα τὰ
τοιαῦτα ἐπισκοπεῖται: ἐν οἷς δὴ καὶ ἀστρονομία καὶ ἁρμονικὴ περιέχονται. ἵνα τοίνυν διατείνωσιν αἱ
μαθηματικαὶ δυνάμεις καὶ ἐπὶ τὰς τῶν
κινήσεων θεωρητικάς, θετέον καὶ ταύτας ὡς περιεχομέ- νας ὑπ᾽ αὐτῆς. ταύταις δὲ ἀντιδιαιρεῖν χρὴ
τὰς σταθερὰς καὶ τῶν ἀκινήτων εἰδῶν [20]
καὶ λόγων θεωρητικάς, καὶ τὴν τούτων πρὸς
ἄλληλα τάξιν δυναμένων συλλογίζεσθαι, ἐν αἷς αἱ πολλαὶ τῆς μαθηματικῆς εἰσι σύμφυτοι δυνάμεις. τάξεις δὲ
αὐτῶν κατὰ τὴν οὐ- σίαν τῶν γνωστῶν ὧν
εἰσι θεωρητικαὶ δεῖ ἀφορίζεσθαι, εἰ τὰ μὲν
προηγεῖται τὰ δὲ ὑποτάττεται. καὶ κατὰ τὴν τοῦ καλοῦ προτίμησιν, sono anche altre potenze della matematica
capaci di vedere ciò che di comune
esista in una molteplicità, e sono quelle che nelle diverse matematiche enucleano forme comuni e rapporti
comuni e misure comuni con cui si
determinano le differenze, come ad esempio le
nozioni di uguaglianza e disuguaglianza e quelle di simmetria e
asim- metria: queste potenze infatti
vedono quel che c’è di comune tra più
cose. Contrapposte a queste sono le potenze che considerano il
carat- tere proprio di ciascuna realtà,
come ad esempio la proprietà dei numeri
in quanto numeri, e delle grandezze in quanto grandezze, e di altre cose secondo lo stesso criterio. Tra
tali potenze ci sono anche quelle che
concepiscono la proporzione che esiste in ogni cosa,!28 a partire dall’alto, cioè dagli enti
assolutamente primi, per finire agli
enti ultimi, procedendo attraverso gli enti intermedi, e mantenendo sempre gli identici rapporti o rapporti
differenti nelle differenze e mettendoli
in evidenza in ogni cosa. [47] Nondimeno bisogna tenere in qualche conto anche quelle potenze che
considerano la bellezza e la misura
delle realtà matematiche e la loro armonia e simmetria: le realtà matematiche infatti possiedono per
loro propria natura ordine e perfezione
e tutti quei beni che convengono alle forme matemati- che. Ebbene, molti pensano che queste potenze
matematiche siano immobili e producano
conoscenze su cose immobili, e questa non è
certo un’opinione corretta. Ci sono infatti delle matematiche, che prendono in esame il numero del movimento e
le sue misure, sia in sé e per sé che
nell’ordine e nella simmetria in cui stanno tra loro, ed esa- minano anche in quale ordine stanno i cicli
immateriali dell'anima, con i quali
coesistono anche le rivoluzioni celesti, e in quale propor- zione e secondo quali numeri, e perché si
accordino, ed esaminano tutte le cose di
questo genere. Tra queste matematiche sono compre- se l'astronomia e l’armonica. Naturalmente,
affinché le potenze mate- matiche si
estendano al punto da comprendere anche quelle che teo- rizzino i movimenti, bisogna stabilire che la
matematica comprenda anche queste
potenze. Ma è necessario contrapporre a queste le potenze stabili o che studiano forme e
rapporti immobili,129 e stabili- re
razionalmente l’ordine reciproco di queste potenze, tra cui molte sono connaturali alla matematica. Bisogna poi
determinare le loro funzioni secondo la
realtà dei conoscibili che esse teorizzano, e vede- re se alcune siano fondamentali e altre
subordinate e, tenendo conto εἰ tà μὲν
τὸ πρεσβύτατον καὶ ἄκρον καλὸν θεωρεῖ τὰ δὲ τὸ
ὑποδεέστερον καὶ ἀτελές. τὰς δὲ διαφορὰς ἐν αὐταῖς ληπτέον ἀπὸ τοῦ τρόπου τῶν ἐνεργειῶν καὶ τοῦ [48]
ἐξηλλαγμένου τῆς γνώσεως καὶ ἀπὸ τῶν
συνεζευγμένων αὐταῖς διαφόρων ὄντων, πρὸς ἃ συμπλέ- κουσι τὰς μαθήσεις. τὸ δὲ ποσαχῶς αὐτῶν
ἐπισκεπτέον ἀπὸ τῶν ἐξηλλαγμένων γνωστῶν
τῆς μαθήσεως, ἀπὸ γὰρ τούτων φαίνονται
πολλαχῶς αὐταί τε ὑφεστῶσαι αἱ δυνάμεις καὶ πολυτρόπως ποιού- μεναι τὰς ἐνεργείας. Οὕτως ἄν τις ὡς ἐν ὑπογραφῇ ταῦτα ἐν ἀρχῇ
διαστείλαιτο. χρὴ δ᾽, ὅπερ ἐστὶ
προσῆκον, περιμένειν τὸν πάντα περὶ αὐτῶν λόγον᾽ οὕτω γὰρ ἂν μάλιστα [20] τελεία ἡ περὶ αὐτῶν
διδαχὴ παραδοθείη. 13. Ἐπεὶ δὲ πᾶσα
θεωρία καὶ πᾶσα ἐπιστήμη ἐκ τῶν πρώτων
στοιχείων παραλαμβάνει τὸ ἀμετάπτωτον, ὅταν ἡ ταῦτα ὡρισμένα καὶ μήποτε ἄλλως ἔχοντα, ἀπό τε τῆς διεξόδου
τῆς διὰ τῶν στοι- χείων τὴν τελειοτάτην
ποιεῖται κατάληψιν, ἔτι τε ἀπὸ τῶν οἰκείων
γενῶν ἑκάστη τὸν πρόσφορον ἑαυτῇ τῶν λόγων καὶ τῶν ἀποδείξεων εὑρίσκει τρόπον, ἀναγκαῖον καὶ ἐπὶ τῆς
μαθηματικῆς στοιχεῖά τε αὐτῆς προδιελέσθαι
τὰ κοινότατα εἰς πᾶσαν τὴν τῶν μαθημάτων σύ-
ντασιν, [20] καὶ γενῶν θήραν ποιήσασθαι τῶν οἰκειοτάτων καὶ μάλιστα ἐπὶ πάντα κοινῶς διατεινόντων.
ἐπειδὰν δὲ ταῦτα κατίδω- μεν, σκεψώμεθα
πάλιν εἰ ἕτερα μὲν ἔσται τὰ στοιχεῖα ἕτερα δὲ τὰ γένη, ἢ τὰ αὐτὰ πῶς μὲν γένη θεωρεῖται πῶς δὲ
στοιχεῖα, καὶ τίνι δὴ διέστηκε τὰ ἐν τῇ
μαθηματικῇ τοιαῦτα τῶν ἐν ταῖς ἄλλαις ἐπι-
στήμαις καὶ οὐσίαις γενῶν καὶ στοιχείων, ὅσα τέ ἐστι νοητὰ καὶ ὅσα φέρεται ἐν τῇ γενέσει. Ὅτι μὲν οὖν ὡρισμένα καὶ ἑστηκότα ἀεὶ τὰ τῆς
[49] μαθηματικῆς ἐστι στοιχεῖα καὶ γένη,
οἵ τε ἄριστοι τῶν ἐν φιλοσοφίᾳ συνομολο-
γοῦσι, καὶ αὐταὶ αἱ ἀποδείξεις αἱ μαθηματικαὶ συμμαρτυροῦσι σαφῶς, ἀεὶ κατὰ τὰ αὐτὰ καὶ ὡσαύτως ἔχουσαι.
ὅτι δὲ καὶ ταῖς πρώταις ἀρχαῖς τῆς
μαθηματικῆς οὐσίας συμφωνεῖ καὶ ὁ περὶ
τούτων λόγος, ῥάδιον καταμαθεῖν: καὶ γὰρ ἐπὶ τούτων τὸ Èv καὶ τὸ πλῆθος, πέρας τε καὶ ἄπειρον, ταὐτόν τε καὶ
ἕτερον, στοιχεῖα καὶ γένη τῆς ἐπιστήμης
ἐστὶ καὶ τῶν ὑπ᾽ αὐτῆς γιγνωσκομένων πραγ-
μάτων. [10] ὅταν μὲν οὖν ταῦτα ὡς αἴτια θεωρῶμεν καὶ ποιητικὰ τῆς della loro bellezza, se alcune matematiche
teorizzano la bellezza più nobile e che
sta al livello pit alto, altre quella inferiore e imperfetta. Bisogna afferrare le differenze tra queste
potenze partendo dal modo del loro
operare e dal mutamento [48] del loro conoscere e dal loro accoppiarsi con enti differenti, a cui
collegano i loro modi di appren-
dimento. Occorre poi esaminare quanti sono i loro modi di appren- dimento partendo dal mutare dei loro
conoscibili: da questi modi del loro
apprendimento, infatti, si rivela la molteplicità sia del modo di essere che del modo di operare di queste
potenze. Sono queste le regole
matematiche che inizialmente è possibile
disporre come in un disegno generale. Ma è necessario e doveroso attendere di sentire l’intero discorso su di
esse, perché cosî la relativa dottrina
potrà essere impartita nella sua massima perfezione. 13. Poiché ogni teoria o scienza riceve
immutabilità dai suoi primi elementi,
quando questi siano determinati e non mutino mai, e perfe- ziona al massimo la sua capacità di
conoscenza quando si sviluppa per mezzo
dei suoi elementi, e ancora, poiché ciascuna scienza trova nei suoi propri generi il metodo di ragionare e
dimostrare che le convie- ne, è
necessario allora che anche a proposito della matematica siano preselezionati gli elementi più comuni
all’intera struttura delle mate-
matiche, e si vada alla caccia dei generi più appropriati e che si
esten- dono comunemente su ogni cosa.
Dopo avere osservato questo, noi
esamineremo ancora se vi siano altri elementi e altri generi, o in
che modo si possano individuare da un
lato gli elementi e dall’altro i gene-
ri, e rispetto a quale genere o elemento delle altre scienze o
realtà, siano essi intelligibili o
relativi al mondo del divenire, differiscano
questi della matematica. Orbene,
sul fatto che gli elementi e i generi della matematica siano determinati ed eterni, [49] sono d’accordo i
migliori filosofi, e lo testi- moniano
con chiarezza le stesse dimostrazioni matematiche, che sono fatte sempre secondo gli stessi criteri e
alla stessa maniera. È facile capire che
anche il ragionamento di queste dimostrazioni si accordi con i primi principi della realtà matematica;
e infatti tra questi ci sono l'uno e il
molteplice, il limite e l’illimitato, l’identico e il diverso, che sono elementi e generi della scienza matematica
e delle cose che essa conosce. Quando
dunque noi consideriamo queste cosel30 come
ὅλης μαθηματικῆς οὐσίας καὶ τῆς περὶ αὐτὴν θεωρίας, ἀρχαὶ νοεί- σθωσαν αἱ νῦν εἰρημέναι αἰτίαι᾽ ὅταν δὲ ὡς
ἐνυπάρχοντα ταῦτα καὶ συμπληροῦντα τὴν
οὐσίαν καὶ τὸν τῆς ἐπιστήμης λόγον νοῆται, ὡς
στοιχεῖα ταῦτα νοείσθω" ἐπειδὰν δὲ ὡς κοινὰ κατὰ πάντων τῶν μαθημάτων κατίδωμεν αὐτά, τῆς οὐσίας τὸν
σύνδεσμον παρέχοντα τῶν ἐν μέρει καὶ
οὐδὲν ἧττον αὐτὰ καθ᾽ αὑτὰ ὑφεστηκότα, τότε δὴ
καθορῶμεν αὐτὰ ὡς γένη. τὰ αὐτὰ ἄρα πὼς μέν ἐστιν ἀρχηγὰ τῆς μαθηματικῆς θεωρίας καὶ τῶν ὑπ᾽ αὐτῆς
γιγνωσκομένων ὡς ὄντων, πὼς δὲ στοιχεῖα
νοεῖται, ἄλλως δὲ [20] πάλιν ὡς γένη᾽ οὐχ ὅτι κατ᾽ ἐπίνοιαν τῷ λόγῳ μόνῳ διαφέρει, οὐδ᾽ ὅτι
συμμεταβάλλεται καὶ ἕτερα ἐξ ἑτέρων
γίγνεται κατὰ τὰς διαφόρους σχέσεις, ἀλλ᾽ ὅτι τὰ αὐτὰ προόδους ποιεῖται καὶ διαφορὰς ἐν
ἑαυτοῖς πλείονας. καὶ δὴ καὶ κατὰ τὴν
τῆς αἰτίας διαφορὰν ἔχει τὸ ἀδιάφορον᾽ οὐ γὰρ ταὐτόν ἐστι καθ᾽ αὑτὸ εἶναί τι τῶν ἀσωμάτων καὶ
συμπληρωτικὸν ἄλλων ὑπάρχειν, ἀλλ᾽ οὐδὲ
τὸ ποιητικόν τινων καὶ τὸ ὁπωσοῦν εἰς [50] οὐ-
σίαν συντελοῦν τῆς αὐτῆς τάξεως τετύχηκεν. οὐδ᾽ ἔστιν ὅπως ποτὲ τὸ συνταττόμενον μεθ᾽ ἑτέρων τὴν καθ᾽ αὑτὸ
οὐσίαν κατατάττει εἰς τὴν σύνταξιν, ἀλλ᾽
ἐκείνην μὲν ἀφίησι χωρίς, τὴν ἄλλην δὲ συνυφαί-
νει εἰς τὴν συμπλήρωσιν ἐκείνων τῶν οὐσιῶν, αἷς συντελεῖ εἰς τὸ εἶναι. κατὰ δὴ τὸν αὐτὸν λόγον οὐδὲ ἡ
παρέχουσα τὸ εἶναι αἰτία συνυπάρχει τοῖς
ὑφ᾽ ἑαυτῆς ἀποτελουμένοις, ἀλλ᾽ ἔστιν αὐτῶν πρε- σβυτέρα κατ᾽ αὐτὸν τὸν τῆς οὐσίας λόγον,
χωριστήν τε ἔχει ἐν [10] ἑαυτῇ τὴν
ὑπόστασιν, δι᾽ ἣν καὶ τοῖς σπαραττομένοις ὑφ᾽ ἑαυτῆς δίδωσιν ἑτέραν ὑπόστασιν μεθ᾽ ἑαυτήν. οὕτω δὴ
οὖν ἡμῖν τὸ ἄπει- ρον καὶ τὸ πέρας
εὐλόγως καὶ ἐν ἀρχαῖς καὶ στοιχείοις καὶ γένεσιν ἀφωρίσθη. διαφέρει δὲ ταῦτα τῶν μὲν νοητῶν
ἀρχῶν καὶ στοιχείων καὶ γενῶν, διότι
ἀπολείπεται αὐτῶν τελειότητι καὶ καθαρότητι καὶ
ἁπλότητί τε καὶ τῇ ἐπὶ πλεῖστον διατεινούσῃ περιοχῇ, τῷ τε ὡρίσθαι καὶ ἔτι τῷ κάλλει καὶ τοῖς ἀγαθοῖς
ἅπασι: τῶν δὲ ἐν γενέ- σει προέχει
τάξει, συμμετρίᾳ, τῇ ἀκινήτῳ καὶ σταθερᾷ φύσει, εἰδῶν cause e fattori dell’intera realtà matematica
e della relativa teoria, dobbiamo
concepire come principi le cause di cui ora si parla; quan- do invece le si concepisce come immanenti e
costituenti nel loro insie- me la realtà
e il discorso della scienza matematica, allora dobbiamo concepirle come elementi. Una volta che
abbiamo visto l’uno e il mol- teplice
come comuni a tutte le matematiche, in quanto forniscono il legame che tiene insieme la realtà degli enti
particolari e nondimeno sono sussistenti
in sé e per sé, allora li vediamo in realtà come generi. Le medesime cose, dunque, da un punto di
vista sono principi fon- danti della
teoria matematica e delle cose che essa conosce come enti concreti, e sono concepite in un certo senso
come elementi, e da un altro punto di
vista sono considerate come generi; non diciamo che differiscono solo concettualmente, né che
mutano insieme e si gene- rano come
diversi da diversi a seconda dei diversi rapporti, ma che le stesse cose producono in se stesse molte
procedure e differenze. E in verità
anche secondo la differenza della causa esse sono indifferenti, perché non è la stessa cosa per un ente
incorporeo essere per se stes- so 0
esistere come ciò che porta a compimento altri enti, ma neppure è mai accaduto che ciò che è produttore di
qualche cosa sia anche un elemento
qualsiasi [50] che contribuisca all'essere dello stesso suo ordine. Non è neppure possibile che ciò che è
coordinato con altri sia capace di
assegnare l’essere che gli appartiene in proprio all’insieme ordinato di cui fa parte, al contrario da un
lato esso è separato da que- sto,
dall’altro lato mette insieme il suo proprio essere per costituire il complesso di quelle realtà, al cui essere dà
il suo contributo. In base a questo
discorso, appunto, neppure la causa che fornisce l’essere coesiste con le cose che produce da sé, ma è
superiore a queste secon- do il concetto
stesso di essere, ed ha una sussistenza separata in se stessa, per mezzo della quale essa dà alle
cose che sono come strappa- te da sé una
diversa sussistenza. È cosî, dunque, che dobbiamo deter- minare ragionevolmente l’illimitato e il
limite, sia nei principi che negli
elementi e nei generi della matematica. Questi, d’altra parte, dif- feriscono dai principi o elementi o generi di
ordine intelligibile, per- ché ne sono
inferiori quanto a perfezione e purezza e semplicità e capacità di massima estensione,!3! e per
essere inoltre limitati nella bellezza e
in tutti i beni;132 precedono invece gli enti del mondo del divenire quanto a ordine, simmetria, natura
immobile e fissa, parteci- καθαρᾷ [20]
μετουσίᾳ, τῇ ἀσωμάτῳ καὶ ἀύλῳ φύσει, καὶ συλλήβδην φάναι, πᾶσι τοῖς βελτίοσιν. ἐκ δὴ τούτων οὖν
συνάγεται μέσα αὐτὰ ἀμφοτέρων εἶναι
τούτων, ἔχειν τε μεταξὺ τάξιν δυναμένην ἀμφοτέ-
ροις ἐπικοινωνεῖν καὶ πρὸς ἀμφότερα δὴ αὐτὰ διαπορθμεύειν ἐπ᾽ ἴσης.
Τοιαῦτα ἄν τις καὶ περὶ τούτων διαγιγνώσκων, οὐκ ἂν διαμαρτάνοι τοῦ προσήκοντος. 14. Περὶ δὲ ὁμοιότητος καὶ ἀνομοιότητος, ὡς
μὲν πολλή τίς ἐστιν ἐν τοῖς μαθήμασι καὶ
ἐπὶ τῆς [51] μαθηματικῆς οὐσίας, μεγάλην τε
ἔχει τὴν δύναμιν ἐνταῦθα, πάντες ἂν συνομολογήσειαν᾽ οὐδὲ γὰρ οἷόν τέ τι θεώρημα γνῶναι μαθηματικῶς, εἰ μή
τις αὐτὸ κατασκευά- CELEV ὁρισάμενός τι
σχῆμα αὐτῷ ὅμοιον καὶ δι᾽ ἑτέρας εἰκόνος
ποιησάμενος τὸν περὶ αὐτοῦ λόγον καὶ ἀφ᾽ ἑτέρου ἕτερον κατασκε- ᾽πυηάσας καθ᾽ ἕνα λόγον τὸν τῆς ὁμοιότητος.
ἀλλ᾽ ἐκεῖνο ἄξιον θεωρί- ας, τίνες εἰσὶν
αὗται αἱ κοινότητες αἱ τοῦ ὁμοίου καὶ ἀνομοίου, ἐπὶ πόσον τε διατείνουσιν ἐν τοῖς μαθήμασι, καὶ
πῶς [10] ὑπάρχουσιν ἐν αὐτοῖς, κατὰ τί
τε διεστήκασι τῶν ἐν τοῖς νοητοῖς ἢ αἰσθητοῖς
ὁμωνύμων λεγομένων ὁμοίων τε καὶ ἀνομοίων. δεῖ δὴ νοῆσαι τοῦτο, ὡς οὐ κατὰ ποιότητα τὸ ὅμοιον καὶ ἀνόμοιον
λέγεται ἐπὶ τῆς μαθηματικῆς οὐσίας, οὔτε
κατὰ σχῆμα τοιοῦτον οἷον ἐπί τισιν ὡς
ἕτερον περὶ ἑτέροις ἐπιγίνεται" τὰ μὲν γὰρ τοιαῦτα ποιὰ ἐν
τοῖς συνθέτοις καὶ περὶ σύνθεσιν φιλεῖ
συμβαίνειν, ἐφ᾽ ὧν ἕτερον μέν ἐστι τὸ
ὑποκείμενον, ἕτερον δὲ τὸ ἐν ὑποκειμένῳ συμβεβηκός, χαρακτῆρά τε καὶ εἰδοποιίαν περὶ τὴν
ὑποκειμένην [20] φύσιν ἐνα-
repyatbuevov: ὃ δὲ νῦν ζητοῦμεν ὅμοιόν τε καὶ ἀνόμοιον, πρεσβύ- τερόν ἐστι πάσης συνθέσεως. ἀλλ᾽ οὐδὲ κατὰ
σχέσιν θεωρεῖται τοιαύτην, οἵα ἐν τῷ πῶς
ἔχειν ὑφέστηκε. τῶν γὰρ καθ᾽ αὑτὰ
ὑπαρχόντων οὐ δεῖ ἐξ ἄλλων ἠρτημένας νοεῖν τὰς ὑποστάσεις. ἔστω δὴ οὖν κατ᾽ οὐσίαν προηγούμενον τὸ νυνὶ
λεγόμενον ὅμοιόν τε καὶ ἀνόμοιον, οὐσίαν
δὲ οὐ πᾶσαν, ἀλλὰ τὴν μαθηματικήν. εἴδη τινὰ
οὖν ταῦτα τῆς οὐσίας ἔσται τῆς μαθηματικῆς. οὐ γὰρ δεῖ τὸ ποιὸν καὶ ποσὸν ἀντιδιαιροῦντας τῇ οὐσίᾳ ἄλλην μὲν
ἐπιστήμην [52] ἐπὶ pazione pura delle idee,
natura incorporea e immateriale, e per dirla
in breve, per tutti gli aspetti migliori. Da tutto ciò si desume,
ovvia- mente, che essi sono intermedi
tra ambedue queste specie di principi o
elementi o generi,!3 e che hanno un ruolo intermedio capace ugual- mente di avere comunanza con ambedue e
trasmettere messaggi ad ambedue. Chi riconosca tali proprietà delle
matematiche, non può sbagliare su ciò
che ad esse conviene. 14. A proposito
di somiglianza e dissomiglianza, che ce ne siano molte nelle matematiche e nella [51] realtà
di natura matematica, e che vi
esercitino un grande potere, sono tutti d'accordo: non è possi- bile infatti avere conoscenza matematica di un
teorema, se non lo si costruisce
determinando una figura che gli somigli e facendo il relati- vo ragionamento attraverso una immagine che
ne sia diversa e dimo- strando che l’una
cosa deriva dall’altra secondo un unico rapporto di somiglianza. Ma è opportuno anche questo,
vedere cioè quali siano queste comunanze
tra il simile e il dissimile, e quanto questi si esten- dano nelle matematiche, e come appartengano
ad esse, e in che cosa differiscano
dagli aspetti degli intelligibili e dei sensibili che per omo- nimia si dicono simili e dissimili.!4 Bisogna
pensare che ovviamente, a proposito
della realtà matematica, il simile e il dissimile non si dico- no secondo la qualità, né secondo la figura,
come ad esempio in alcu- ne cose in cui
si aggiunge diverso a diverso. Tali qualità infatti predi- ligono i composti e riguardano la
composizione, cose cioè in cui una cosa
è il soggetto, cosa diversa l’accidente che è nel soggetto e che produce carattere e qualità specifica nella
natura del soggetto.135 Le cose che ora
noi cerchiamo, invece, sono il simile e il dissimile che sono superiori ad ogni composizione. Ma non
sono visti neppure secondo la relazione,
del genere di quella che c'è nella domanda “in
che rapporto sta”: delle cose che esistono per se stesse, infatti, non
si deve pensare che le loro sussistenze
dipendano l’una dall’altra. Il simile e
il dissimile di cui ora parliamo, dunque, devono essere visti come superiori nell’ordine della realtà, non
di ogni realtà, bensi di quella
matematica. Alcune forme, dunque, saranno queste della real- tà matematica. Non bisogna, infatti,
contrapporre il quale e il quanto
all'essere, mettendo sullo stesso piano da un lato una scienza [52] 552 GIAMBLICO τῇ οὐσίᾳ θεωρητικὴν συντάττειν, ἄλλην δὲ
ἐπὶ τῷ ποσῷ, Kai ταύτην ἀφορίζεσθαι
εἶναι τὴν μαθηματικήν᾽ ἀλλ᾽ ὥσπερ ἔχει φύσεως, οὕτω καὶ τὴν οἰκείαν οὐσίαν τὴν μαθηματικὴν
ἐπισκοπεῖν, καὶ τὰ εἴδη ταῦτα ὅσα τέ
ἐστι καὶ ὁποῖα καὶ [ὃ]}3 δὴ καὶ τὸ ποσὸν συνεξετά- ζειν,14 οὔτε τὸ ἐν τοῖς σώμασιν, οὔτε τὸ
νοητὸν παράδειγμα, ἀλλ᾽ ὅσον ἐστὶ
μαθηματικόν' ὡσαύτως δὴ οὖν καὶ τὸ ὅμοιον καὶ τὸ ἀνό- μοιον, εἴτε ὡς κοινὰ γένη περὶ τὴν οὐσίαν ἢ
εἴδη, εἴτε ὡς κοινὰς δυνάμεις γεννητικὰς
εἰδῶν τῶν ἐν [10] τοῖς καθ᾽ ἕκαστα μαθη-
μάτων, πέφυκε συνθεωρεῖν κατ᾽ αὐτὸν τὸν τοῦ εἶναι λόγον. διατεί- νει δὲ ἐπὶ μὲν τῆς ὅλης οὐσίας μαθηματικῆς
εἰς τὸ ὅλον αὐτῆς ὄν, ἐπὶ δὲ τῶν κατὰ
μέρος μαθημάτων εἰς τὰς μεριστὰς αὐτῶν ὑπο-
στάσεις, καὶ οὕτως καθ᾽ ὅσον ἄν τις θεωρῇ πλείονας ἢ ἐλάττονας ἢ μείζονας ἢ καταδεεστέρας τούτων περιγραφάς,
πάσαις συμπαρεκ- τείνει τὸ ὅμοιον καὶ
ἀνόμοιον ἢ ἐπὶ πλεῖον ἢ ἔλαττον διήκοντα.
οὐδὲ γὰρ ὅλως πλῆθος ἢ διαίρεσιν ἢ ἕνωσιν ἢ ταυτότητα καὶ ἑτερότητα δυνατὸν ἐν τοῖς ὄντως μαθηματικοῖς
ὑποστῆναι, [20] μὴ προηγησαμένης τῆς
κατ᾽ οὐσίαν ὁμοιότητός τε καὶ ἀνομοιότητος.
μηκέτι οὖν θαυμάζωμεν εἰ καὶ ἐφ᾽ ἕν γένος καὶ ἐπὶ πλείονα καὶ ἐπ᾽ ἐλάττονα καὶ ἐπὶ πάντα διατείνουσιν, ἀλλὰ
πολὺ μᾶλλον ἐκεῖνο χρὴ θεωρεῖν, ὡς κατὰ
τὴν οἰκειότητα ἑκάστων συγγενῶς αὐτοῖς ἐνυ-
πάρχουσι. καὶ δεῖ θεωρεῖν καὶ τοῦτο, λέγω δὴ τοῦ ὁμοίου καὶ ἀνο- μοίου τὸ ἕν καὶ τὰ πολλὰ καὶ τὰ μεταξὺ
τούτων, τάξιν τε αὐτῶν ἐπι- βλέπειν ἥτις
ἐστὶν ἡ προσήκουσα, καὶ διανομὴν ἐφ᾽ ἑκάστοις τοῖς [53] μαθήμασιν ὡς πέφυκεν ἕκαστα αὐτῶν
μεταλαμβάνειν. εἰ δὴ ταῦτα οὕτως ἔχει,
καὶ ἐπιστήμη μαθηματικὴ πασῶν ἂν εἴη κυριο-
τάτη, ἥτις τὸ αὐτὸ τῆς ὁμοιότητος αἴτιον καὶ τῆς ἀνομοιότητος ἐπὶ προτέρων καὶ ὑστέρων ὡσαύτως ἀνευρίσκει, ἐπὶ
δὲ τῶν ὁμοταγῶν ποιεῖται αὐτῶν τὴν
δέουσαν διάκρισιν. καὶ δὴ καὶ παρὰ δόξαν τῶν
πολλῶν κατὰ τὸν τῶν ἀσωμάτων τρόπον ἐν μὲν τοῖς διαφέρουσι τὸ ὅμοιον, ἐν δὲ τοῖς ἀδιαφόροις τὸ ἀνόμοιον
θεωρεῖ. καὶ ὁμοίως τά- ναντία ἐν
ἀλλήλοις [10] συνεξετάζει, ὥσπερ ἐν τῷ ὁμοίῳ τὸ ἀνόμο- τιον ἐπιθεωροῦσα. πῶς οὖν ἐγγίνεται αὐτῶν
ἑκάτερον, ἄριστα ἂν κατανοήσαιμεν, εἰ
φυλάττοιμεν καὶ ἐνταῦθα τὸ ἰδίωμα τῆς οὐσίας
13 ho eliminato io per congettura di Festa (cf. appar ad loc.). 14 συνεξετάζειν è la lectio del codice ς
[Cizersis] che io ho preferito (cf.
Festa, appar ad loc.): συνεξετάζει Festa. LA SCIENZA MATEMATICA COMUNE 553 teoretica dell'essere, e dall'altro lato
un’altra scienza teoretica della
quantità, e stabilendo che quest’ultima è la matematica; al
contrario, bisogna considerare la realtà
propria della matematica cosi come essa
è per natura, ed esaminare quali siano tali forme matematiche e quan- te siano e di che natura; e bisogna cercare
al contempo anche il quan- to, non
quello corporeo, né quello che è modello intelligibile, bensi il quanto della matematica; allo stesso modo,
dunque, anche il simile e il
dissimile,136 siano essi presi come generi comuni o come specie del- l'essere, o come potenze comuni!7 produttrici
delle forme matemati- che proprie delle
singole scienze matematiche, noi li dobbiamo natu- ralmente considerare insieme secondo un
medesimo rapporto ontolo- gico.138 Essi,
nella realtà matematica generale, si estendono all’essere in generale, nelle matematiche particolari,
invece, si estendono alle singole loro
sussistenze, e cosî, per quanto si possa vedere la moltepli- cità dei loro confini, minori o maggiori o
inferiori, il simile e il dissi- mile
coprono ugualmente tutte le matematiche secondo una maggio- re o minore estensione. Non è affatto
possibile, infatti, che negli enti
realmente matematici sussista alcuna quantità numerica o divisione
o unificazione o identità o alterità,
senza che prima ci sia nella realtà
somiglianza e dissomiglianza. Non dobbiamo meravigliarci più, dun- que, se questi aspetti si estendano anche al
genere “uno” e “più” e “meno” e “tutto”,
al contrario è molto pit necessario vedere che essi esistono nelle cose secondo la natura propria
di ciascuna di esse. E si deve
considerare anche questo, intendo dire l’unità e la molteplicità e ciò che sta in mezzo come proprietà del
simile e del dissimile, e guar- dare al
posto che ad essi compete, e comprendere la loro distribuzio- ne in ciascuna delle matematiche [53] secondo
la natura di ciascu- na.!39 Se le cose
stanno proprio cosi, allora la scienza matematica sarà anche la più importante fra tutte le scienze,
essendo quella che scopre la causa
stessa della somiglianza e della dissomiglianza tanto nelle cose primarie che nelle secondarie, e che fa
la dovuta distinzione fra cose dello
stesso ordine. E in realtà la matematica, nell’opinione comune, considera, cosi come fa degli
incorporei, anche la somiglian- za nelle
cose differenti e la dissomiglianza nelle cose identiche. E come nel simile vede il dissimile, allo
stesso modo ricerca gli opposti l'uno
nell'altro. La cosa migliore, dunque, sarebbe quella di capire come il simile e il dissimile nascano l’uno
nell’altro, se manterremo 554
GIAMBLICO περὶ ἧς ποιούμεθα τὸν λόγον.
μήτε γὰρ οὕτως αὐτὰ νοῶμεν ἐγγίγνε- σθαι
ὡς τὰ εἴδη τὰ ἔνυλα περὶ τὴν ὕλην ἐμφαντάζεται (συμφυῆ γάρ ἐστι καὶ ἀμετάστατα τῆς μαθηματικῆς οὐσίας,
ἐν ἧ ἔχει τὸ εἶναι), μήτε οὕτως ὥσπερ τὰ
ἔμφυτα ἐν τοῖς σώμασιν, οἷον ἡ θερμότης é ἐν τῷ
πυρί᾽ καὶ γὰρ ταῦτα εἰ καὶ ὅ τι μάλιστα συνυφέστηκε τοῖς ἔχουσιν αὑτά, ἀλλ᾽ [20] ὅμως θεωρεῖταί τις συνθέτου
διαφορότης, καθόσον μετέχεται ὡς ἑτέρα,
τὰ δὲ μετέχει ὡς ἄλλα. ἐπὶ δέ γε τῶν κατ᾽ οὐ-
σίαν προὔπαρχόντων ἐν τοῖς μαθηματικοῖς οὖσιν ἁπλῆ τις οὐσία θεωρεῖται δι᾽ ὅλης é ἑαυτῆς ἀσύνθετος οὖσα’
ὅσῳ γὰρ μᾶλλον ἀσώμα- τός ἐστι καὶ
χωριστὴ τῶν συνθέτων καὶ διαστατῶν ὄγκων, τοσούτῳ μᾶλλον ἁπλούστερον καὶ καθ᾽ ἑαυτὸ ὑφεστηκὸς
ἔχει καθαρώτερον τό τε ὅμοιον καὶ ἀνόμοιον
ἀμιγές. ὡσαύτως καὶ τὸ κοινὸν ἐν αὐτοῖς
εἰλικρινὲς καὶ ἀδιάφθορον. ὁπότε δὴ οὖν ταῦτα συνομολογοῦμεν, δεῖ κἀκεῖνο [54] καταμαθεῖν, ὡς ἣ μαθηματικὴ
ὁμοιότης καὶ ἀνομο- ιότης ἑτέρα τῆς ἐπὶ
τῶν νοητῶν καὶ τῆς ἐπὶ τῶν αἰσθητῶν
ὑπολαμβάνεσθαι ὀφείλει ὁμοιότητός τε καὶ ἀνομοιότητος. διακρι- θήσεται δὲ ἀπ᾽ αὐτῶν καθ᾽ ἕνα μὲν τρόπον,
καθ᾽ ὃν τὰς τρεῖς οὐσί- ας διεστειλάμεθα
(δῆλον γὰρ ὅτι «τριχῇ» τούτων διαφερουσῶν καὶ
τὰ ἐν αὐταῖς εἴδη τριχῇ διοίσει), καθ᾽ ἕτερον «δέ», διότι τῇ μεσότητι αὐτῶν διορίζεται, ἐκείνων ἄκρων ὄντων καὶ τὴν
ἀρχὴν καὶ τὸ τέλος ἀφοριζόντων τῶν περὶ
τὴν οἰκείαν [10] οὐσίαν εἰδῶν" καὶ ἄλλως δὲ τὰ μὲν ἀρχηγικὰ νοείσθω, τὰ δ᾽ ὡς ἐν
ἀποτελέσματος τάξει γιγνόμε- να, τὰ δὲ
μεταξὺ φυόμενα τῶν τε προηγουμένων αἰτίων καὶ τῶν ὡς ἐσχάτων ἀποτελουμένων. ταῦτα δὴ προειληφότες,
ῥᾳδίως ἂν δυν- θείημεν ἀπὸ τούτων καὶ τὰ
ἐν ἑκάστῳ τῶν μαθημάτων ἴδια αὐτῶν ὅμοια
καὶ ἀνόμοια ἐν τάξει θεωρεῖν, ὁπόταν τὸν ἴδιον περὶ αὐτῶν λόγον ποιώμεθα’ νῦν δὲ τὰ κοινὰ ἡμῖν περὶ
αὐτῶν ἄχρι τούτων εἰρήσθω. ᾿Απὸ δὴ τοιούτων καὶ τοσούτων γενῶν ἡ
μαθηματικὴ [20] ἐπιστήμη συνισταμένη
ἀρχῶν τε καὶ στοιχείων, καὶ τοιαύτη οὖσα οἵαν αὐτὴν προειρήκαμεν, οὐκ ἐπὶ βραχὺ διατείνει οὐδὲ
ἐπὶ ὀλίγα ἄττα τῶν ἐν LA SCIENZA
MATEMATICA COMUNE 555 anche in questo
la peculiarità della realtà matematica di cui parliamo. Non dobbiamo infatti pensare né che essi
nascano cosî come le forme immateriali
che si riflettono nella materia (essi infatti sono della stes- sa natura immutabile della realtà matematica,
in cui hanno il loro essere), né che
siano come le proprietà naturali dei corpi, come ad esempio il calore nel fuoco: e infatti queste
proprietà, seppure siano qualcosa che ha
la massima coesistenza con le cose che le contengo- no, nondimeno sono considerate come
differenza di un composto,!40 in quanto
una cosa è ciò che è partecipato,!4! altra cosa ciò che parte- cipa.!42 Nelle cose, invece, che preesistono
realmente negli enti mate- matici, si
può vedere una realtà semplice per se stessa assolutamente non composta: quanto pit, infatti, essa è
incorporea e separabile dalle masse
composite ed estese, tanto più sussiste in se stessa in modo più semplice, ed è simile e dissimile e non mescolata
in modo più puro. Anche l’aspetto della
comunanza è in essi! ugualmente puro e incor-
ruttibile. Una volta, dunque, che siamo d’accordo su questo, bisogna [54] apprendere anche quest'altro, cioè che
la somiglianza e la disso- miglianza
nella matematica non possono non essere assunte come diverse da quelle che appartengono agli
intelligibili e ai sensibili. E saranno
da queste distinte in un modo, che è quello in cui noi distin- guiamo i tre modi di essere (è chiaro infatti
che, essendoci tre diverse realtà, ci
saranno anche tre diverse loro specificità), e in un altro modo, cioè nel senso che essi sono
determinati dal fatto che hanno una
collocazione intermedia tra quelli, che sono i loro estremi e che determinano il principio e la fine delle
forme che hanno una sostanza vera e
propria.!4 In altri termini, bisogna pensare che da un lato ci sono le cose originarie, dall'altro le cose
che hanno il ruolo di loro prodotti, e
infine le cose che per natura stanno in mezzo tra le cause superiori e i loro ultimi effetti. Fatte
queste premesse, potremo facil- mente
partire da esse per considerare nell’ordine anche le somiglian- ze e le dissomiglianze che sono proprie di
ciascuna matematica, sem- pre che
facciamo un discorso che sia loro appropriato. Ed ora dob- biamo parlare degli aspetti comuni che a
proposito di tali scienze risultano a
questo punto. Di quali e quanti generi
e principi ed elementi sia costituita la
scienza matematica, e di che natura essa sia, lo abbiamo detto in
pre- cedenza:!4 essa non ha poca
estensione e non dà il suo contributo in
556 GIAMBLICO τῷ βίῳ πραγμάτων,
ἀλλ᾽ ἐπὶ τὰ μέγιστα καὶ κάλλιστα τῶν te θείων
καὶ ἀνθρωπίνων ἀγαθῶν συμβάλλεται.
15. Πρῶτον οὖν πειραθῶμεν εἰπεῖν ὅτι περὶ ὅλην φιλοσοφίαν διήκει καὶ περὶ πᾶσαν αὐτῆς θεωρίαν τῶν τε
ὄντων καὶ γιγνομένων, αὐτή τε ἡ ὅλη καὶ
τὰ γένη [55] αὐτῆς καὶ τὰ στοιχεῖα καὶ αἱ ἀρχαί, ὅσα τ᾽ ἐστὶ γένη μαθηματικῆς ἢ εἴδη,
διαπεφοίτηκεν εἰς ὅλην φιλο- σοφίαν.
ὅθεν δὴ καὶ πανταχοῦ χρῶνται οἱ ἄνδρες τοῖς μαθήμασιν, ὅταν τινὰ φιλόσοφον θεωρίαν ποιῶνται. ἀσώματα
γὰρ ὄντα καὶ μέσα, καὶ πᾶσιν
ἐναρμόζεσθαι δυνάμενα τοῖς οὖσι καὶ
ἀφομοιοῦσθαι, πρὸς πάσας τὰς ἐν φιλοσοφίᾳ ἐπιστήμας ἡμῖν μεγά- λα συναίρεται. τῇ τε γὰρ θεολογίᾳ παρασκευὴν
προευτρεπίζει καὶ ἐπιτηδειότητα,
ὁμοιότητά τε πρὸς αὐτὴν [10] παρέχει καὶ ἀναγωγὴν καὶ ἀποκάθαρσιν, τὰ μὲν νοερὰ ὄργανα
ἀπολύουσαν τῶν δεσμῶν καὶ ἀποκαθαίρουσαν
συνάπτουσάν τε πρὸς τὸ ὄν, τῷ δὲ κάλλει καὶ
τῇ εὐταξίᾳ τῶν θεωρουμένων ἐν τοῖς μαθήμασιν πλησιάζουσάν πως τοῖς νοητοῖς, διὰ δὲ τῆς τῶν ἀμεταπτώτων καὶ
ἀκινήτων θεωρίας πρὸς τὰ ἑστῶτα κατὰ τὰ
αὐτὰ καὶ ὡσαύτως νοητὰ καὶ ὡρισμένα ἀφο-
μοιουμένην, ἐθίζουσαν δὲ τὴν διάνοιαν ἠρέμα πρὸς τὸ φανὸν τοῦ ὄντος ἐπιβάλλειν, τῶν τε σωμάτων ἀπάγουσαν,
καὶ πίστιν περὶ τῆς τῶν ἀσωμάτων οὐσίας
ἐντιθεῖσαν, [20] βεβαιότητά τε ἐπιστημο-
νικὴν καὶ ἀκρίβειαν παρέχουσαν. πάντα γὰρ τὰ τοιαῦτα φέρει μεγάλην ἀφορμὴν εἰς τὴν τῶν ὄντων καὶ νοητῶν
κατανόησιν. ἀλλὰ μὴν τῷ γε φυσικῷ
συνεργεῖ οὐ μετρίως, συμμετρίαν τῶν ἐν τῇ φύσει
παραδεικνύουσα, εὐταξίαν τε εἰς ὑπερβολὴν καὶ ἀναλογίαν τὴν διὰ πάντων τῶν ἐν τῇ φύσει διήκουσαν, κάλλος τε
ἐπισκοπουμένη καὶ εἴδη φυσικὰ καὶ τοὺς
[56] περὶ αὐτῶν λόγους, στοιχεῖά τε καὶ
ἁπλούστατα καὶ τὰ σχήματα αὐτῶν, καὶ τὰ κυριώτατα γένη καὶ εἴδη’ πᾶσι γὰρ τούτοις οἱ γνησίως ἀπὸ τῶν
πρώτων ἀρχῶν φυσιολο- γοῦντες χρῶνται.
τῷ γε μὴν πολιτικῷ συμβάλλεται κινήσεως τεταγ-
μένης τῶν πράξεων ἐξηγουμένη, κίνησίν τε τῶν θεωρημάτων τῶν ἑστηκότων παρέχουσα, ἰσότητά τε πᾶσιν
ἐντιθεῖσα καὶ ὁμολογίαν τὴν προσήκουσαν.
τῷ δὲ ἠθικῷ συναίρεται λόγους ἀρετῶν περιέ-
χουσα καὶ παραδείγματα μαθηματικὰ εἴδη [10] ἐκφαίνουσα, οἷον LA SCIENZA MATEMATICA COMUNE 557 merito a poche cose quali quelle relative
alla vita, ma a beni più gran- di e più
belli, sia divini che umani. 15.
Anzitutto dunque proviamo a dire che la matematica si esten- de all'intera filosofia e a ogni sua teoria,
relativa sia all'essere che al divenire,
e permea l’intera filosofia sia nella sua interezza che [55] nei suoi generi ed elementi e principi, per
quanti generi e specie matema- tiche ci
siano. Di qui deriva certamente anche il fatto che gli uomini si servano delle scienze matematiche, tutte
le volte che costruiscono qualche teoria
filosofica.!46 Le cose, infatti, che sono incorporee e intermedie, e capaci di adattarsi e
assimilarsi a tutto, ci sono di gran- de
aiuto in tutte le scienze filosofiche. E infatti la matematica predi- spone e rende idonei ad apprendere la
teologia,!7 e procura la capa- cità di
assimilarsi ad essa e ad innalzarsi e a farsi purificare da essa, e da un lato libera da ogni legame le nostre
facoltà intellettive e le puri- fica e
le collega all’essere, e dall’altro lato per mezzo della bellezza e del giusto ordinamento proprio delle teorie
matematiche avvicina in qualche modo
agli intelligibili, e attraverso la contemplazione di ciò che è immutabile e immobile!4 rende simili
alle cose intelligibili e determinate
che sono stabili in se stesse e sempre uguali, e abitua piano piano ad applicare la ragione alla luce
dell’essere, e allontana dai corpi, e
induce a credere alla realtà degli incorporei, e fornisce sicurezza e precisione di ordine scientifico.
Tutte queste cose infatti stimolano
grandemente a riflettere sul vero essere e sull’intelligibile. Ma certamente la matematica è di enorme aiuto
al filosofo della natu- ra, perché gli
fa vedere la simmetria delle cose naturali, e la loro buona disposizione al trascendente e la
proporzionalità che è diffusa in tutti
gli enti naturali, e facendogli osservare nella loro bellezza sia le forme naturali [56] che i loro rapporti
matematici, e gli elementi e le cose più
semplici e le loro figure, e i generi e le specie fondamenta- li: di tutte queste cose infatti si servono
coloro che compiono autenti- che
ricerche fisiche partendo dai primi principi.:4? La matematica giova anche al politico, perché essa è capace
di guidare il movimento ordinato delle
azioni umane, e fornisce tale movimento con teoremi incrollabili, e imprime in ogni cosa
uguaglianza e conveniente accor- do. Dà
sostegno poi al filosofo morale, perché contiene i rapporti tra le virti e mostra come esempi matematici le
specie di virtii, quali ad 558
GIAMBLICO φιλίας ἢ εὐδαιμονίας ἢ ἄλλου
τινὸς τῶν μεγίστων ἀγαθῶν. προτί- θησι
δὲ καὶ πάντων τῶν ἐν τῷ βίῳ παραδείγματα μαθηματικά, οἷον εὐγονίας ἀγονίας, εὐφορίας ἀφορίας, καὶ πάντων
τοιούτων. ὅθεν δὴ καὶ πανταχοῦ δεῖ
χρῆσθαι τοῖς μαθήμασιν, ὥσπερ ἐν παραδείγμασι
τούτοις τὴν φιλοσοφίαν ὑπογράφοντας. τὰ αὐτὰ μὲν οὖν οὐ λαμβάνο- μεν πανταχοῦ παραδείγματα, τὰ δ᾽ οἰκεῖα ἐφ᾽
ἑκάστων κατὰ τὰ ἴδια γένη τῆς ἐπιστήμης
παρατιθέμεθα. διήκει μὲν οὖν καὶ ἡ ὅλη τῆς
μαθηματικῆς οὐσία αὐτή τε καὶ τὰ ἐν [20] αὐτῇ γένη καὶ στοιχεῖα καὶ ὅσαι εἰσὶν ἀρχαὶ περὶ πᾶσαν φιλοσοφίαν.
ἔνεστι γὰρ κοινῶς ἐφ᾽ ὅλην διατείνειν
αὐτὴν τοὺς μαθηματικοὺς λόγους, ἔνεστι δὲ καὶ
περὶ τὰ μέρη τῆς φιλοσοφίας διατείνειν αὐτά, ὅπως ἂν ἡ τοῦ λόγου χρεία ἀπαιτῇ. ἐπικοινωνεῖ δὲ πρὸς αὐτά, καθ᾽
ὅσον ἔχει τινὰ πρὸς αὐτὰ ὁμοιότητα, καὶ
συντέλειαν πρὸς αὐτὰ παρέχεται τὴν διαβιβά-
ζουσαν πρὸς αὐτὰ καὶ ὁδηγοῦσαν. καὶ πρὸς μὲν τὰ ἑστηκότα καὶ ὡρισμένα εἴδη, καὶ οὐ ποτὲ μὲν ὄντα ποτὲ δὲ
μὴ ὄντα, dei τε ὡσαύτως ἔχοντα,
ἀναφέρειν καὶ συνάγειν [57] πέφυκεν, ὡς ἂν ἀπο-
λειπομένη αὐτῶν τελειότητι καὶ καθαρότητι καὶ τῇ τῆς ἀσωματίας, ἵν᾽ οὕτως εἴπωμεν, λεπτότητι, ὁμοιῶταί τε
πρὸς αὐτὰ ὡς πρὸς ὑπερέχοντα. τῶν δὲ ἐν
γενέσει ἐνύλων εἰδῶν χωριστὰ τῶν σωμάτων
παραδείγματα προτείνει ἐν εἴδεσι μαθηματικοῖς" καὶ οὕτως
συνερ- γεῖ πρὸς ἀμφότερα. Πρὸς μὲν οὖν φιλοσοφίαν ὅλην καὶ τὰ μόρια
αὐτῆς τοιαύτην συντέ- λειαν
παρασκευάζει. 16. Πρὸς δὲ δὴ τὰς
τέχνας πάσας ὡς ἁπλῶς [10] εἰπεῖν ἐπιστημο-
νικὴν ἐντίθησι διάγνωσιν, ἀρχάς τε αὐτῶν παραδεικνύουσα καὶ τέλη καὶ διορισμούς, μέτρα τε καὶ ἐπικρίσεις
αὐτῶν ἀναδιδάσκου- σα, τό τε ὀρθὸν καὶ
διημαρτημένον αὐτῶν διαστέλλουσα, καὶ
τούτων ἑκατέρου στοιχεῖα τὰ προσήκοντα ἀφορίζουσα, τέλος τε αὐτῶν γιγνώσκουσα καὶ τὴν ἀκρίβειαν ἐνδιδοῦσα
τήν τε εὕρεσιν αὐτῶν ποιουμένη. ἐπειδὴ
γὰρ χωρὶς τήν τε οὐσίαν τῆς ὕλης θεωρεῖ
αὕτη ἡ ἐπιστήμη, λόγοις τε χρῆται χωριστοῖς καὶ οὐκ ἐπιταραττομέ- LA SCIENZA MATEMATICA COMUNE 559 esempio dell’amicizia o della felicità o di
qualche altro dei beni più grandi.
Propone anche esempi matematici di tutto ciò che riguarda la vita, ad esempio della fecondità o sterilità,
della fertilità o non fertili- tà, e
ogni cosa di questo genere. Di qui, naturalmente, la necessità di servirsi sempre delle matematiche come di
scienze che traducono la filosofia in
esempi di questo genere. Dunque, se da un lato non sem- pre assumiamo le cose matematiche come
esempi, dall’altro lato pre- sentiamo le
proprietà di ciascuna cosa secondo i generi propri di que- sta scienza. Dunque l’intera realtà della
matematica, e cioè essa e tutti i suoi
generi ed elementi e principi, si possono applicare a ogni tipo di filosofia. E infatti è possibile in
generale estendere i concetti mate-
matici all'intera filosofia, ed è possibile applicarli anche alle
parti della filosofia, a seconda che lo
esiga la necessità del discorso. La
matematica ha qualcosa in comune con le parti della filosofia, in quanto ha una certa somiglianza con esse, e
contribuisce a condurci ad esse o a
mostrarcene la strada. Il suo compito naturale è quello di fare risalire e condurre alle forme costanti
e determinate, non a quel- le che ora lo
sono ora non lo sono, cioè alle forme che sono sempre allo stesso modo, [57] sî che, pur essendo
inferiore ad esse in perfe- zione e in
purezza e in “sottigliezza dell’immaterialità”, per cosî dire, possa tuttavia assimilarci ad esse come ad
enti trascendenti; d’altra parte essa
esemplifica in forme matematiche separate dai corpi le forme materiali del mondo del divenire; e
cosî serve per entrambi gli aspetti.
150 La matematica dunque presta una
collaborazione di tale natura alla
filosofia nel suo insieme e alle parti di essa. 16. La matematica, per dirla in breve,
introduce in tutte le arti una capacità
di discernimento di ordine scientifico,15! perché mostra dove esse comincino e dove finiscano e quali siano
le loro articolazioni interne,!52 e
insegna più approfonditamente le loro misure e valuta- zioni, e discrimina ciò che in esse è giusto
o errato, e definisce gli ele- menti
propri di ciascuna di esse, e fa conoscere il loro fine ultimo, e conferisce loro precisione, e procura loro
capacità euristica.153 Poiché infatti
questa scienza!5 considera la realtà separatamente dalla mate- ria, e si serve di ragionamenti separati e
non inquinati dalle cose mate- riali,
essa in virtà di ciò possiede a ragione più responsabilità e più 560 GIAMBLICO νοις ἀπὸ τῶν ἐνύλων, εἰκότως διὰ ταῦτα
αἰτιωτέρα ἐστὶ καὶ [20] ἡγεμονικωτέρα
τῶν τῆς ὕλης ἐφαπτομένων τεχνῶν εἴς τε εὕρεσιν
αὐτῶν καὶ ἐπίκρισιν καὶ διάγνωσιν. τὰς μὲν οὖν θεωρητικὰς τέχνας διακαθαίρει καὶ τελειοῖ, ταῖς δὲ ποιητικαῖς
ἐν παραδείγματος τά- ἕξει πρόσκειται,
τὰς δὲ πρακτικὰς ἀνεγείρει καὶ κινεῖ τοῖς ἑστηκόσιν ἑαυτῆς εἴδεσιν, ἐφ᾽ ὅλων δὲ κοινῶς
τοὺς λόγους τοὺς χωριστοὺς συναρμόζει
ἐνύλοις εἴδεσιν. ὥσπερ ἀρχιτεκτονικὴ δὲ
οὖσα πασῶν, οὕτως αὐτῶν προηγεῖται, [58] χρηστική τε αὐταῖς ὑπάρχει, καὶ τιμίους αὐτὰς ἀπεργάζεται καὶ
ὠφελίμους τῷ μαθημα- τικῷ λόγῳ
βεβαιωθείσας, ἀποδείξει τε μαθημοτικῇ κρατύνει αὐτῶν τοὺς λόγους καὶ ποιεῖ ἀψευδεῖς. Πέφηνεν οὖν ἡ μαθηματικὴ διήκουσα θεωρία καὶ
περὶ πᾶσαν τεχ- νικὴν ἐργασίαν καὶ
γνῶσιν. 17. Καὶ μὴν ὅτι γε τάξις ἐστὶν
ἐν αὐτῇ διττή, ἡ μὲν κατὰ φύσιν αὐτῇ συνυπάρχουσα,
ἡ δὲ ὡς πρὸς τὴν μάθησιν, ῥάδιον ἐντεῦθεν
καταμαθεῖν. εἰ γὰρ [10] πᾶσι τοῖς ἄλλοις τὸ τεταγμένον ἀπὸ τῆς μαθηματικῆς ἐπιστήμης παραγίγνεται καὶ τὸ ἐξ
ἀνάγκης ἀκολου- θεῖν τόδε τῷδε, πολὺ
δήπου πρότερον αὐτὴ ἡ μαθηματικὴ θεωρία τά-
Guy περιέχει ἐν ἑαυτῇ, καὶ τὴν ἀγωγὴν τὴν πρὸς τὸ τέλειον τεταγ- μένως ποιεῖται. ἢ μὲν οὖν κατὰ φύσιν τῶν
μαθημάτων τάξις προτάτ- τει τὰ
ἁπλούστερα ὡς πρότερα, οἷον ἀριθμητικὴν γεωμετρίας, ἐνίο- τε δὲ καὶ πρὸς διδασκαλίαν τὰ αὐτὰ
προηγεῖται, ὅταν ἀπὸ τῶν στοι- χείων
γίγνηται τῶν συνθέτων ἡ μάθησις" οὐ μὴν ἀλλ᾽ ἐνίοτε καὶ ὡς πρὸς ἡμᾶς τὰ σύνθετα τῶν [20] ἁπλουστέρων È
ἔσται εἰς μάθησιν πρό- τερα, ὅταν ἦ
γνωριμώτερα, οἷον ὁ σύμπας οὐρανὸς καὶ ἡ περὶ αὐτὸν κίνησις τῆς ἁπλῶς σφαίρας καὶ τῆς αὐτὸ τοῦτο
κινουμένης σφαίρας ἐστὶ δήπου
γνωριμωτέρα. εἰ δή τις διὰ τῶν φανερῶν τὰ ἀφανῆ
ἐνδεικνύοιτο, οὐκ ἔσται ὁ τοιοῦτος τρόπος ἀπόβλητος τῆς ἐφόδου. οὕτω δὲ τούτων διχῇ διηρημένων, χρηστέον μὲν
ἀμφοτέροις τοῖς τρόποις, τοῖς μὲν ὡς
ἐπιστημονικωτέροις τοῖς δὲ [59] ὡς γνωριμωτέ-
ροις. καὶ δὴ ὅταν μὲν ἀναγκαῖον fi τῷ ἑτέρῳ μόνῳ χρῆσθαι τρόπῳ, LA SCIENZA MATEMATICA COMUNE 561 capacità di guida rispetto alle arti che
sono in contatto con la materia, sia in
ordine alla capacità di scoperta che di giudizio e di valutazione. Da un lato, dunque, essa emenda e perfeziona
le arti teoretiche, dal- l’altro lato
assume la funzione di modello per le arti poietiche, e fa emergere quelle pratiche stimolandole per
mezzo delle sue proprie forme stabili, e
in tutte quante in generale adatta alle forme materiali i suoi propri principi razionali, che sono
separati dalla materia. Siccome è capace
di costruirle tutte quante, perciò essa le precede [58] e le utilizza, e le valorizza e ne
consolida l’utilità per il discorso
matematico, e ne rafforza con la dimostrazione matematica i ragiona- menti, rendendole infallibili. La matematica si presenta, dunque, come una
teoria che si esten- de su ogni attività
produttiva e conoscitiva. 17. E che la
matematica abbia un ruolo duplice, lo si può facil- mente attingere dal fatto che da un lato
coesiste per natura con se stessa, e
dall’altro lato esiste come materia di apprendimento. Se infatti è dalla scienza matematica che deriva
per tutte le altre scienze il posto che
occupano e la loro capacità di trarre qua e là le loro neces- sarie conclusioni, allora la teoria
matematica contiene in se stessa,
naturalmente molto prima delle altre, il suo proprio ordine, e
produ- ce ordine nell’educazione alla
perfezione. Ebbene, l’ordine naturale
delle matematiche presenta come prime quelle più semplici, ad esem- pio l’aritmetica prima della geometria, e
qualche volta le medesime scienze
matematiche precedono nell’ordine dell’insegnamento, se l'apprendimento di ciò che è composto deriva
da quello degli elemen- ti: e nondimeno
qualche altra volta ciò che è per noi composto sarà, in ordine all’apprendimento, prima di ciò che
è più semplice, quando sia a noi più
noto, ad esempio il cielo nel suo insieme e il suo relativo movimento sono certamente pit noti della
sfera in quanto tale o della sfera
automoventesi.!55 Naturalmente se si indica l’invisibile per mezzo del visibile, un tale modo di procedere
non sarà da respingere. Fatta cosî
questa duplice distinzione, bisogna servirsi di ambedue questi tipi di metodologie, delle prime in
quanto pit scientifiche, delle altre
[59] in quanto a noi più familiari. E se è necessario servir- si di uno solo di tali metodi, allora bisogna
giudicare in anticipo quale dei due sia
più appropriato e pit conveniente per lo scibile proposto; 562 GIAMBLICO προκρίνειν δεῖ τὸν οἰκειότερον αὐτῶν καὶ
μᾶλλον συμβαλλόμενον πρὸς τὸ προκείμενον
ἐπιστητόν᾽ ὅταν δὲ ἐξῇ ἀμφοτέροις χρῆσθαι,
δι᾽ ἀμφοτέρων ὁδηγεῖν χρὴ εἰς τὴν ἐπιστήμην. ὅθεν δὴ ἐν πολλαῖς μαθηματικαῖς θεωρίαις τὰ αὐτὰ προβλήματα δι᾽
ἀναλύσεώς τε καὶ συνθέσεως ἀποδείκνυται.
ἐφ᾽ ὧν οὖν συμφωνοῦσιν οἱ δύο τρόποι τῆς
ἐπιστήμης, ἐπὶ τούτων χρηστέον ἀμφοτέροις. δεῖ δὲ καὶ τῆς [10] ἕξεως ἑκάστου στοχάζεσθαι, οἷον εἰ εὐφυὴς
ὀξὺς ὦν τις δύναται ἀφ᾽ ἑνὸς ἐπὶ πολλὰ
ῥᾳδίως μετιέναι καὶ ἀθρόως ἅμα πολλὰ παραδέχε-
σθαι τὰ συγγένειαν ἔχοντά τινα πρὸς ἄλληλα. κἀκεῖνο δὲ δεῖ σκο- πεῖν, τὸ τέλος τῆς ἀναφορᾶς τί ποτ᾽ ἐστὶ τῆς
ἐν μαθηματικῇ δια- τριβῆς, πότερον αὐτὸ
τοῦτο τὸ μαθεῖν τὰ τῆς ἐπιστήμης θεωρήματα,
ἢ εἰς φιλοσοφίαν τις αὐτὰ ἀνάγει καὶ προτίθεται ὁδηγεῖσθαι δι᾽ αὐτῶν ἐπὶ τὴν τοῦ νοητοῦ θέαν: τῷ γὰρ τοιούτῳ
ἄλλη ἂν εἴη ἡ τάξις, ἐνίοτε τὴν κατὰ
φύσιν ἀκολουθίαν τῶν μαθημάτων [20] ὑπερβαί-
νουσα. πάλιν τοίνυν ἕκαστον τῶν ἐν μαθηματικῇ θεωρημάτων τὰ μὲν αὐτόθεν φαινόμενα καὶ ἀτελέστερα ὑποδείκνυσιν
ὡς πρότερα, οἷον ὅτι τὸ ὀρθογώνιον
τρίγωνον ἴσον ἔχει δυναμένην τὴν ὑποτείνουσαν
ταῖς περιεχούσαις, τὰ μέντοι τελειότερα καὶ περιττῆς δεόμενα ἀπο- δείξεως ὕστερα παραδίδοται, ὅσα περὶ τοῦ
ὀρθογωνίου τριγώνου εἴς τε τὴν [60] τῶν
ἄστρων φορὰν καὶ τὴν εἰς τὸν ζωδιακὸν συντέλε-
Lav καὶ τὴν ἡλίου καὶ σελήνης φορὰν συντείνει. καὶ τὰ περὶ ἁρμονίας δὲ ὡσαύτως, τὰ μὲν περὶ τῆς ἁπλῆς
πρότερα διδάσκεται, τὰ δὲ περὶ τῆς τοῦ
κόσμου ὕστερα. Ταῦτα δὴ οὖν τούτου ἕνεκα
προειρήκαμεν, ἵνα μεθόδῳ τινὶ χρώμε- νοι
ἐν τῇ τάξει τῆς μαθηματικῆς πραγματείας δυεῖν στοχαζώμεθα, τῆς τε φύσεως τῶν πραγμάτων καὶ τῆς δυνάμεως
τῶν μανθανόντων, [10] ἑκατέρῳ τε χρώμεθα
ἁρμοττόντως, καὶ ὅταν συμφωνῇ ταῦτα πρὸς
ἄλληλα, ἀμφοτέροις ἐπ᾽ ἴσης. 18. Καὶ
μὴν οἵ γε ἴδιοι τρόποι τῆς Πυθαγορείου παραδόσεως τῶν μαθημάτων θαυμαστὴν εἶχον ἀκρίβειαν καὶ πολὺ
παρήλλαττον τὴν LA SCIENZA MATEMATICA
COMUNE 563 se invece è possibile
servirsi di ambedue, allora è necessario mostrare che si può arrivare alla scienza con ambedue.
Ne consegue ovviamen- te che in molte
teorie matematiche i medesimi problemi possono esse- re risolti per via sia di analisi che di
sintesi. In quei casi dunque in cui
questi due metodi scientifici possono andare d’accordo, occorre
ser- virsi di ambedue. Ma bisogna anche
tenere conto del carattere di cia- scuno
di noi, ad esempio se per acutezza innata uno è capace di pas- sare facilmente da una cosa a molte cose e
recepire tutte insieme molte cose che
abbiano tra loro una qualche affinità. E bisogna osser- vare anche questo, cioè quale mai sia il
punto finale di riferimento nello studio
della matematica, se essa faccia tutt'uno con l’apprende- re i teoremi di tale scienza o se si debbano
ridurre questi teoremi a filosofia e se
ci si debba proporre di arrivare per mezzo di essi alla contemplazione dell’intelligibile: in questo
caso, infatti, l’ordine sarebbe diverso,
in quanto talvolta esso andrebbe al di là della natu- rale consequenzialità delle matematiche.
Ancora una volta, dunque, ciascun
teorema della matematica mostra prima le cose che sono autoevidenti e meno perfette, ad esempio il
fatto che il triangolo ret- tangolo
abbia il quadrato dell’ipotenusa uguale alla somma dei qua- drati dei cateti, e dopo insegna le cose che
sono più perfette e biso- gnose di una
particolare dimostrazione, ad esempio il teorema relati- vo al triangolo rettangolo fa prestare
attenzione [60] al movimento degli astri
e al loro concorso nello zodiaco e al movimento del sole e della luna. E lo stesso discorso vale per i
teoremi dell’armonica, che prima
insegnano l’armonica pura e semplice, poi quella relativa all'universo. Queste cose, dunque, le abbiamo dette prima
affinché, servendo- ci di un certo
metodo, avessimo di mira due cose nell’ordine della trattazione matematica, e cioè la natura dei
contenuti e la capacità di apprendimento
dei discenti, e ci servissimo in modo conveniente del- l’una e dell’altra cosa, e quando queste sono
tra loro concordi, li usas- simo ambedue
allo stesso titolo. 18. In realtà
anche i metodi propri dell’insegnamento pitagorico delle matematiche avevano una meravigliosa
precisione e imprimeva- no un grande
mutamento alla tecnica di insegnamento di chi si occu- pa di matematica. Noi tracceremo, dunque, le
linee generali della tec- 564
GIAMBLICO τεχνικὴν τῶν ἐν τοῖς
μαθήμασι διατριβόντων διδασκαλίαν.
ὑπογράψωμεν οὖν ἐν τύποις αὐτήν, ὡς ἂν μάλιστα δυνατὸν ἧ κοινῷ λόγῳ περὶ αὐτῆς εἰπεῖν. Ἕν μὲν δὴ οὖν τοῦτο διομολογείσθω, ὡς ἄνωθεν
ἀπὸ τῶν πρώτων ἀρχῶν ὁρμώμενοι τὴν
πρώτην [20] ἐποιοῦντο τῶν μαθηματικῶν
θεωρημάτων σύστασιν, ὡς ἂν ἀπ᾽ αὐτῆς τῆς πρώτης οὐσίας αὐτῶν ποιούμενοι τῆς διανοίας τὰς ἐπιχειρήσεις, καὶ
ἐπ᾽ αὐτὴν ἀνάγοντες τελευταίαν τὴν ὅλην
μαθηματικὴν ἐπιβολήν. ἔτι τοίνυν τῷδε
ἑπόμενον, ἐπετήδευον τὸ καταδεικνύναι πρώτας τὰς εὑρέσεις τῶν θεωρημάτων, μηδενὶ δὲ ὡς ἤδη ὑπάρχοντι
χρῆσθαι, ἀλλ᾽ ἐπὶ πάντων θεωρεῖν πῶς ἂν
εἰς ὑπόστασιν ἔλθοι τὸ δεικνύμενον ἐν τοῖς
μαθήμασιν. ἦν δὲ καὶ ἄλλος τρόπος παρ᾽ αὐτοῖς ὁ διὰ [61] συμβόλων μαθηματικός, οἷον τῆς δικαιοσύνης ἡ πεντάς,
διότι πάντα τὰ εἴδη τῶν δικαίων
συμβολικῶς σημαίνει. χρήσιμον δὲ τὸ εἶδος ἦν αὐτοῖς εἰς πᾶσαν φιλοσοφίαν, ἐπειδὴ συμβολικῶς τε τὰ
πολλὰ ἐδίδασκον, καὶ ἡγοῦντο τὸν τρόπον
τοῦτον τοῖς θεοῖς εἶναι οἰκεῖον καὶ τῇ φύ-
σει πρόσφορον. ἀλλὰ μὴν ὅτι γε καὶ τὰς ἀρχὰς τὰς πρώτας καὶ τὰς εὑρέσεις παρεδίδοσαν τῶν μαθημάτων, δῆλον μέν
ἐστι καὶ ἀπὸ τῶν ἄλλων μαθηματικῶν
ἐπιστημῶν, φανερὸν δὲ καὶ ἐκ [10] τῶν ἀριθμ-
ητικῶν μεθόδων. ἕκαστον γὰρ γένος καὶ εἶδος ἀριθμῶν πῶς ἀπογεν- νᾶται πρώτως καὶ πῶς ὑφ᾽ ἡμῶν εὑρίσκεται
ἀναδιδάσκουσιν, ὡς μὴ οὔσης
ἐπιστημονικῆς τῆς περὶ αὐτὰ θεωρίας, εἰ μή τις αὐτὰ ἄνωθεν ὁρμώμενος καταλαμβάνοι. ἔτι τοίνυν τοῖς ὄντως
οὔσι καὶ τοῖς θεί- οις πᾶσι καὶ ταῖς τῆς
ψυχῆς ἕξεσι καὶ δυνάμεσι, τοῖς τε ἐν τῷ
οὐρανῷ φαινομένοις καὶ ταῖς περιόδοις τῶν ἄστρων, καὶ τοῖς ἐν τῇ γενέσει πᾶσι στοιχείοις τε σωμάτων καὶ τοῖς
ἀπὸ τούτων συγκρινο- μένοις, τῇ τε ὕλῃ
καὶ τοῖς ἀπ᾽ αὐτῆς [20] γεννωμένοις προσῳκείουν
ἀεὶ τὰ θεωρήματα τὰ μαθηματικά, πάντα τε ἁπλῶς καὶ ἀφ᾽ ἑκάστου λαμβάνοντες τὰ οἰκεῖα μιμήματα πρὸς ἕκαστον
τῶν ὄντων. τὰς δὲ ἀναφορὰς ἐποιοῦντο τῶν
μαθημάτων ἐπὶ τὰ ὄντα ἢ κατὰ κοινωνίαν
τῶν αὐτῶν λόγων, ἢ κατὰ ἔμφασίν τινα ἀμυδράν, ἢ κατὰ ὁμοιότητα ἐγγὺς πλησιάζουσαν ἢ πόρρωθεν ἀφεστηκυῖαν, ἢ
κατὰ εἰδώλων τινὰ ἀπεικασίαν, ἢ κατ᾽
αἰτίαν προηγουμένην ὡς ἐν παραδείγματι, ἢ
κατ᾽ ἄλλον τρόπον. καὶ ἄλλως δὲ πολυειδῶς συνεζεύγνυον!"5 τοῖς 15 συνεζεύγννυον ho scritto io per coerenza
con alcuni verbi precedenti di tempo
imperfetto: συζευγνύουσι. LA SCIENZA
MATEMATICA COMUNE 565 nica dei
Pitagorici, perché se ne possa soprattutto fare un discorso comune.
Ebbene, bisogna essere d’accordo su questo solo punto, cioè che i Pitagorici costruivano il primo sistema dei
teoremi matematici, pren- dendo le mosse
dall’alto, cioè dai primi principi, perché potessero fare le loro argomentazioni razionali a
partire dalla stessa realtà pri- maria
di quei teoremi, e ricondurre alla fine ad essa l’intera concezio- ne della matematica.156 Naturalmente dopo di
ciò si preoccupavano di fare vedere come
si trovano i primi teoremi, senza servirsi di alcun teorema già esistente, ma osservando come in
tutti i casi!” ciò che si dimostra nelle
matematiche si verifichi nella realtà. Un altro loro metodo matematico era [61] quello che
procedeva per simboli, ad esempio
mostrare che il numero 5 è simbolo della giustizia, perché significa simbolicamente tutte le forme
possibili di ciò che è giusto. E la
forma!58 era secondo i Pitagorici utile a tutta la filosofia, giacché la maggior parte del loro insegnamento era fatto
per simboli, ed essi cre- devano che
fosse questo il metodo proprio degli dèi e quello adatto alla natura.159 Ma certamente, che
insegnassero sia i primi principi che il
modo di scoprire i primi teoremi matematici, risulta evidente anche dalle altre scienze matematiche <dei
Pitagorici>, e appare anche dai
metodi della loro aritmetica. Essi infatti insegnano appro- fonditamente come nasca ogni genere e ogni
specie di numero e come noi possiamo
scoprirlo, come se non potesse esserci alcuna teoria scientifica dei numeri senza che li si
afferri muovendo dall’alto. Inoltre i
Pitagorici univano sempre e strettamente i teoremi matema- tici agli enti reali e a tutti gli enti
divini e ai caratteri e alle potenze del-
l’anima, e ai fenomeni celesti e ai movimenti ciclici degli astri, e a
tutti gli enti del mondo del divenire, e
agli elementi dei corpi e alle loro
combinazioni, e alla materia e ai suoi derivati, applicando a ciascun ente tutte le immagini appropriate, sia in
generale che ricavandole da ciascuna
matematica.!60 E riferivano le matematiche agli enti o per comunanza dei loro rapporti, o per una qualche
sia pur debole appa- renza, o per
somiglianza di accostamento o di allontanamento, o per una certa assimilazione di immagini, o
secondo la causa che precede
<l’effetto> come un suo modello, o in altro modo. E in altri
termini accoppiavano le matematiche alle
cose in molte altre forme, in modo che
[62] le cose potessero assimilarsi alle matematiche e le matemati- πράγμασι τὰ μαθήματα, ὡς καὶ [62] τῶν
πραγμάτων ὁμοιοῦσθαι τοὶς μαθήμασι
δυναμένων καὶ τῶν μαθημάτων τοῖς πράγμασι φύσιν
ἐχόντων ἀπεικάζεσθαι καὶ ἀμφοτέρων πρὸς ἄλληλα ἀνθομοιου- μένων. τῇ μὲν οὖν ποικιλίᾳ τοῦ λόγου καὶ τῇ
τῶν μεθόδων εὐπορίᾳ οὐ πάνυ τι ἔχαιρον,
ὡς λογικωτέρᾳ οὔσῃ καὶ τῆς τῶν πραγμάτων
ἀληθείας ἀφεστώσῃ, προηγουμένως δὲ ἠσπάζοντο τὴν αὐτῶν τῶν προβλημάτων γνῶσιν, ὡς ἂν συμβαλλομένην εἰς
τὴν τῶν ὄντων ἐπιστήμην τε καὶ εὕρεσιν.
καὶ μᾶλλον τῇ τῆς [10] ἀληθείας εὑρέσει
ἰσχυρίζοντο καὶ τῇ πρὸς τὰ πράγματα ἐπιβολῇ, ἀλλ᾽ οὐχὶ τῇ δριμύ- τητι καὶ ὀξύτητι τῶν περὶ τὰ προβλήματα
συλλογισμῶν. ὅθεν οὐδὲ τῇ εὐπορίᾳ μέγα
ἐφρόνουν τῶν μαθηματικῶν ἐπιχειρημάτων, τὸ δὲ
εἰς τὴν τῶν πραγμάτων εὕρεσιν συμβαλλόμενον προτιμῶντες ἐφαί- νοντο.
Τρόποι μὲν οὖν οὗτοι καὶ τοιοῦτοί τινες ἦσαν παρ᾽ αὐτοῖς τῆς μαθηματικῆς παραδόσεως. ἐχρῶντο δὲ αὐτοῖς
ἐπιστημονικῶς καὶ μετὰ τῆς θεωρητικῆς
φιλοσοφίας τῶν ὄντων καὶ τοῦ καλοῦ στοχαζό-
μενοι, [20] τό τε πεπερασμένον ἀεὶ καὶ τὸ ἐν βραχυτάτοις συναγό- μενον πρεσβεύειν οἰόμενοι δεῖν καὶ τιμᾶν, εἴ
τι δὲ χρήσιμον ἀπ᾽ αὐτῶν ἐκλεγόμενοι
πρός τε ἑαυτοὺς καὶ τοὺς συνόντας καὶ πρὸς
ὅλην τὴν τῶν ὄντων ἐπιστήμην. ἔτι τοίνυν ἐστοχάζοντο ἐν τῷ παρα- διδόναι, κατ᾽ ἄλλον μὲν τρόπον, τῶν
πραγμάτων, ὡς εἶχε ταῦτα τά- ἕεως καὶ
τῆς πρὸς ἄλληλα συνεχείας (κατὰ γὰρ τὴν τοιαύτην ἀκο- λουθίαν τὸ πρῶτον καὶ δεύτερον θεώρημα ἐν
αὐτοῖς ἀφώριζον), καθ᾽ ἕτερον δὲ τρόπον
ἀπέβλεπον καὶ πρὸς τοὺς μανθάνοντας, καὶ
τούτων ἐστοχάζοντο, [63] πῶς μὲν ἔχουσι δυνάμεως πῶς δὲ καὶ ὠφεληθήσονται ἀπ᾽ αὐτῶν, καὶ τίνα μὲν
ἀρχομένοις τίνα δὲ προκόπ- τουσι
παραδοτέον, καὶ τίνα μὲν ἐσωτερικὰ τίνα δὲ ἐξωτερικὰ μαθήματα, καὶ ποῖα μὲν ῥητὰ ποῖα δὲ ἄρρητα,
καὶ τίσι μὲν μετ᾽ ἐπιστήμης τῶν
πραγμάτων παραδιδόμενα τίσι δὲ αὐτὸ τοῦτο μόνον
μαθηματικῶς. ἡ γὰρ διὰ πάντων τούτων ἀκρίβεια οὐκ ἀργῶς παρ᾽ αὐτοῖς ἐπετηδεύετο, ἀλλ᾽ ἕνεκα τοῦ τὴν
μαθηματικὴν πραγματείαν ἑνὸς ἔχεσθαι,
τοῦ καλοῦ καὶ ἀγαθοῦ, καὶ [10] πρὸς ἕν συντετάχθαι, τὴν τοῦ ὄντος ἐπιστήμην καὶ τὴν πρὸς τἀγαθὸν
ὁμοίωσιν. καίτοι οὕτως οὐ μόνον γνῶσις
ψιλὴ τῶν μαθημάτων παρεδίδοτο, ἀλλὰ καὶ
che potessero per natura imitare le cose e le une e le altre si
accordas- sero tra di loro. I
Pitagorici, dunque, non provavano affatto compia- cenza per la varietà del ragionamento e la
ricchezza dei metodi, come fosse
qualcosa di più razionale e distaccato dalla verità delle cose, ma amavano specialmente la conoscenza stessa dei
problemi, per il con- tributo che può
dare alla scienza e alla scoperta degli enti.!61 E si fon- davano più sulla scoperta della verità e
sulla capacità di applicarsi alle cose,
che non sulla profondità e acutezza dei sillogismi problemati- «1.162 Perciò essi non si inorgoglivano
affatto della ricchezza delle
argomentazioni matematiche, e mostravano predilezione per ciò che contribuiva alla scoperta delle cose. Erano questi, dunque, e di tal natura alcuni
metodi d’insegna- mento della matematica
presso i Pitagorici. Essi facevano un uso
scientifico di tali metodi con l’occhio rivolto anche alla filosofia
teo- retica dell'essere e della
bellezza, nella convinzione che bisognasse
tenere sempre in gran conto e stima la determinatezza e la concentra- zione nella massima brevità, e se c’era da
ricavare da quei metodi qualcosa di
utile e per se stessi e per i discepoli e per l’intera scienza dell’essere. Ancora, nell’insegnamento, per
un verso avevano di mira i contenuti, il
loro ordine e la sequenza dell’uno rispetto all’altro (secondo questa loro consequenzialità,
infatti, essi determinavano se un
teorema doveva stare prima o dopo), per un altro verso puntava- no lo sguardo anche sui discenti, e avevano
di mira [63] quale fosse la loro
capacità di imparare e quale aiuto avrebbero ricavato dalle cose che imparavano, e quali di queste
dovevano essere insegnate o principianti
e quali ai discepoli già progrediti nello studio, e quali matematiche fossero da considerarsi
esoteriche e quali essoteriche, e di che
natura fossero quelle che si potevano dire e quelle che si dove- vano tacere, e a chi dovessero essere
insegnate assieme alla scienza delle
cose, e a chi invece da sole in modo semplicemente matematico. La precisione in tutto ciò, infatti, non era
per loro un'occupazione vana, ma era
finalizzata a fare una trattazione matematica dell’Uno, del Bello e del Bene, e a coordinare con
l’Uno la scienza dell’essere e
l'assimilazione al Bene. Facendo cosi, in verità, non solo veniva impartita la pura conoscenza delle
matematiche, ma veniva anche regolato il
modo di vivere ad esse appropriato, e veniva debitamente istituita l'ascesa verso le cose di più alta
dignità per mezzo delle mate- 568
GIAMBLICO ζωὴ προςήκουσα αὐτοῖς
συνετάττετο, καὶ ἄνοδος ἐπὶ τὰ τιμιώτατα
δι᾽ αὐτῶν καθίστατο δεόντως. διόπερ δὴ τὴν Πυθαγορικὴν ἐν τοῖς μαθήμασι διατριβήν, ὡς ἐξαίρετον οὖσαν καὶ
προκεκριμένην πασῶν τῶν μαθηματικῶν
τεχνῶν, οὕτως ἐπιτηδεύειν ἄξιον. 19.
Ἐπεὶ δὲ δεῖ μὴ τὸ ὅλον αὐτῆς ἀγαθὸν μόνως ἐπισκοπεῖν, ἀλλὰ καὶ τὰ γένη καὶ εἴδη πόσα ποτέ ἐστιν
[20] αὐτῆς καὶ ὁποῖα δεῖ ἑλέσθαι, κοινὴν
ποιησώμεθα περὶ αὐτῶν τὴν διδασκαλίαν δυνα-
μένην ἐφ᾽ ὅλα τε καὶ ἐφ᾽ ἕκαστον τῶν μαθημάτων ὡσαύτως διατείνε- σθαι.
Μαθηματικοῦ δὴ παντὸς καὶ τοῦ ἰδίου καθ᾽ ἕκαστον, ὁποῖόν ποτ᾽ ἂν ἦ, θεώρημα πρῶτόν ἐστι τὸ θεολογικόν, τῇ τῶν
θεῶν οὐσίᾳ καὶ δυνάμει, τάξει τε καὶ
ἐνεργείαις συναρμοζόμενον κατά τινα πρό-
σφορον ἀπεικασίαν, ὃ δὴ καὶ μάλιστα σπουδῆς ἀξιοῦται παρὰ τοῖς ἀνδράσιν, οἷον ἐπὶ ἀριθμῶν ποῖοί τινες
ἀριθμοὶ ποίοις θεοῖς συγγε- νεῖς εἰσι
καὶ ὁμοφνεῖς, καὶ ἐπὶ τῶν ἄλλων δὲ μαθημάτων τὸ αὐτὸ νοεῖν σύνηθες αὐτοῖς ἐστι. μετὰ δὴ τοῦτο περὶ
τὸ νοερὸν ὄντως ὃν [64] ἐνεργεῖν
ἐπιχειρεῖ τὰ μαθήματα παρ᾽ αὐτοῖς, κύκλον τε νοερὸν καὶ ἀριθμὸν εἰδητικόν, καὶ ἄλλα πολλὰ τοιαῦτα
μαθήματα συμφώνως τῇ καθαρωτάτῃ οὐσίᾳ
θεωροῦνται. ἔπειτα περὶ τὴν αὐτο-
κίνητον οὐσίαν καὶ τοὺς ἀιδίους λόγους συγκεφαλαιοῦσι τὴν τῶν μαθημάτων πραγματείαν, τὸν αὐτὸν αὐτοκίνητον
ἀριθμὸν ἀφοριζό- μενοι καὶ μέτρα τινὰ
τῶν λόγων κατά τινας συμμετρίας μαθηματι-
κὰς ἀνευρίσκοντες. πολλὴ δὲ καὶ περὶ τὸν οὐρανὸν καὶ πάσας τὰς ἐν οὐρανῷ περιφοράς, τάς [10] τε ἀπλανεῖς καὶ
τὰς τῶν πλανωμένων, θεωρεῖται μαθηματικὴ
ἐπιστήμη, οὐ μόνον τὰς ποικίλας κινήσεις
τῶν σφαιρῶν, ἀλλὰ καὶ τὰς μονοειδεῖς αὐτῶν συνεξετάζουσα. ἤδη δὲ καὶ τοὺς ἐνύλους λόγους καὶ τὰ ἔνυλα εἴδη,
πῶς τε ὑφέστηκε καὶ πῶς ἐξ ἀρχῆς
παρήχθη, διαπραγματεύεται" τοιοῦτον γάρ ἐστι τῆς μαθηματικῆς τὸ χωρίζον ταῖς ἐπινοίαις τὴν
μορφὴν καὶ τὰ σχήματα ἀπὸ τῶν σωμάτων.
καὶ ἄλλως δὲ φυσιολογεῖν ἐπιχειρεῖ τὰ ἐν γενέ-
σει, τὰ στοιχεῖα τὰ ἁπλᾶ καὶ τοὺς περὶ τοῖς σώμασι λόγους θεωροῦσα.
[20] Τούτοις οὖν πᾶσι τοῖς μορίοις τῆς μεθόδου καθ᾽ ἕκαστα καὶ ἐπὶ LA SCIENZA MATEMATICA COMUNE 569 matiche. Perciò appunto è opportuno
esercitare secondo tali metodi lo studio
pitagorico delle scienze matematiche, una volta che esso è stato tra tutte le tecniche matematiche
scelto e preferito. 19. Poiché si deve
non soltanto esaminare per intero il bene che è
la matematica, ma anche acquisire quanti e quali siano i suoi generi
e le sue specie, allora insegneremo la
loro dottrina comune che può estendersi
ugualmente a tutto l'insieme delle matematiche e a ciascu- na di esse.
Ebbene, la prima cosa da contemplare di ogni ente matematico e della sua singola proprietà, qualunque essa
sia, è l'aspetto teologico, cioè il suo
adattarsi all'essenza e alla potenza degli dèi, e al loro ordi- ne e alle loro azioni in virtà di un adeguato
processo di assimilazione, cosa che è
certamente degna della massima attenzione presso i Pitagorici, ad esempio è consueto per loro, a
proposito dei numeri,!63 trovare quali
di essi siano affini e connaturali agli dèi e a quali dèi, e pensare la stessa cosa a proposito delle
altre matematiche.!4 Dopo di che essi
cercano [64] di costruire le matematiche che concernono l'essere realmente intellettivo,16 cioè il
circolo intellettivo!6 e il numero
ideale,16? e molte altre matematiche del genere sono conside- rate in armonia con l’essere assolutamente
puro. In seguito i Pitagorici riassumono
la trattazione delle matematiche intorno all’es- sere che si muove da sé e agli eterni
rapporti,168 definendo il numero in sé
automoventesi e riscoprendo alcune misure dei suoi rapporti secondo certe proporzionalità matematiche.
Molta parte della scien- za matematica
riguarda sia il cielo che tutti i suoi movimenti di rivo- luzione, quelli delle stelle fisse e quelli
dei pianeti, ricercando non solo i
movimenti differenziati delle sfere, ma anche i loro movimenti uniformi. A questo punto si passa a trattare
anche i rapporti delle cose materiali e
le loro forme, e come esistano in atto e come siano stati prodotti all’origine: tale infatti è il
potere della matematica di separare
mentalmente dai corpi la loro forma e le loro figure. In altri termini la matematica cerca di indagare la
natura delle cose relative al divenire,
considerando gli elementi semplici e i rapporti relativi ai corpi.
L'educazione pitagorica, dunque, utilizza tutte queste parti del metodo per le singole matematiche e per tutte
quante le matematiche, 570
GIAMBLICO πάντα τὰ μαθήματα χρῆται ἡ
Πυθαγόρειος ἀγωγή, τάξιν τε δι᾽ αὐτῶν
καὶ ἀποκάθαρσιν ποιεῖται. ὥσπερ γὰρ ἐν τοῖς μαθηματικοῖς γιγνώσκεται τὰ δεύτερα ἀπὸ τῶν προτέρων,
οὕτως ἐπὶ τῶν τῆς ψυχῆς δυνάμεων πρὸς
τὰς τελειοτέρας ζωὰς καὶ ἐνεργείας γίγνεται δι᾽
αὐτῶν ἄνοδος. ἀλλὰ μὴν οὐδὲ ἀμελοῦσί τινος οὐδὲ παραλείπουσί τι τῶν μέσων ὅσα συμπληροῖ τὴν τοιαύτην
ἐπιστήμην, ἀλλ᾽ οὐδὲ τὰ ἄκρα ἀφιᾶσιν
ἀδιερεύνητα. διεξέρχονται δὲ δι᾽ ὅλων [65] ἀνεν- δεῶς, καὶ οὕτω τὴν διαίρεσιν, ἣν ἡ διαιρετικὴ
ἐπιστήμη κατέδειξεν, ἐπὶ τῶν κυριωτάτων καὶ
πρωτίστων γενῶν ἡ ἐπιστήμη αὕτη παρα-
δίδωσιν. ἀπὸ δὲ ταύτης ἔνεστι καὶ τὰς μεριστὰς τομὰς ἀνευρίσκειν τῶν μαθημάτων, ὧν καὶ προϊόντες μνημονεύσομεν
ἐν τῷ ἰδίῳ περὶ αὐτῶν!6 λόγῳ. 20. Ταύτῃ τοίνυν τῇ δυνάμει τῆς μαθηματικῆς
ἐστιν ἄλλη ἀντί- στροφος, ἡ ὁριστική᾽
χρῆται γὰρ καὶ ὁρισμοῖς ἡ μαθηματική, καὶ
τούτους δι᾽ ἀκριβείας [10] ποιεῖται. τρόπος δὲ τῆς ὅλης τῶν ὁρισμῶν συστάσεώς ἐστιν οὗτος. ἐπειδὰν ἡ διαιρετικὴ
τῆς μαθηματικῆς διέλῃ κατὰ γένη καὶ εἴδη
τὰ ἐν τοῖς μαθήμασι, τότε τὰς διαφορὰς
τὰς ἐκ τῆς διαιρέσεως εἰς ταὐτὸ συνάγει ἡ ὁριστική, λόγον τε ἕνα κοινὸν ἐκ πάντων συναθροίζει. ποιεῖ δὲ τὸ
αὐτὸ καὶ ἀπὸ τῆς ἀναλύ- σεῶως᾿ ἐπειδὰν
γὰρ ἡ ἀνάλυσις ἐπὶ τὰ ἁπλούστερα καὶ κοινότερα
ἀναγάγῃ τὴν νόησιν, καὶ τὰ γένη καὶ τὰς διαφορὰς διακρίνῃ ἧ πεφύ- Kkagiv ἕκαστα, τότε ἡ συναγωγὸς σύνθεσις
συνάγουσα εἰς ταὐτὸ τὰ διαφέροντα καὶ τὰ
[20] ἁπλᾶ ἀφορίζεται ἕκαστον τῶν ἐν τοῖς
μαθήμασι. καὶ οὕτως ἡ μαθηματικὴ ἐπιστήμη οἰκεῖον ἔχει ἀφ᾽ ἑαυτῆς τὸν ὁριστικὸν λόγον καὶ δύναται αὐτὸν
ἐξευρίσκειν θεωρητικῶς. ἐπειδὴ τοίνυν ἡ
μὲν διαίρεσις τὸ ἕν πολλὰ ποιεῖ ἡ δὲ
ὁριστικὴ τὰ πολλὰ ἕν, κατ᾽ ἀμφότερα ἀναγκαῖον τὴν μαθηματικὴν τὸ ἕν θεωρεῖν, ἀφ᾽ οὗ ὁρμᾶται καὶ πρὸς ὃ
ἀνάγεται. τοῦτο δὴ οὖν ἔσται τὸ τέλος,
ὅπερ ἄν τις καὶ εἶδος εἴποι, ἐπὶ πᾶσι τοῖς πολλοῖς θεωρήμασιν ἕν᾽ τὸ δὲ αὐτὸ καὶ καλόν ἐστι καὶ
ἀγαθόν, πρὸς ὃ τὰ διῃρημένα σπεύδει
συνάπτεσθαι. [66] διὰ δὴ τοῦτο καὶ ἐν τοῖς
16 αὐτῶν sospettò Fetsa giustamente: αὐτῆς. LA SCIENZA MATEMATICA COMUNE 571 e con esse crea ordine e purificazione.
Come infatti tra gli enti mate- matici
la conoscenza di quelli secondari si desume da quella degli enti primari, cosî per mezzo delle matematiche si
ha un’elevazione dalle facoltà
dell’anima!69 verso modi di vivere e di agire sempre più perfet- ti. Ma i Pitagorici naturalmente non
trascurano né mettono da parte alcuna di
quelle cose intermedie che completano tale scienza, ma nep- pure le cose estreme lasciano inesplorate.
Essi percorrono interamen- te ogni cosa,
[65] e cosi questa scienza,!70 a proposito dei generi asso- lutamente principali e primi, insegna quella
divisione, che ci è mostra- ta dalla
scienza dieretica. Ma partendo da questa divisione è possibi- le scoprire anche le singole sezioni delle
matematiche, di cui faremo menzione
quando, procedendo nel discorso, ne parleremo in modo specifico.
20. A questa potenza della matematica!7! fa da controparte un’al- tra potenza, l’oristica: la matematica
infatti si serve anche di definizio- ni,
che essa fa con esattezza. E il modo di combinare tutto l’insieme delle definizioni è il seguente. Dopo che la
dieretica matematica ha distinto il
contenuto delle matematiche in generi e specie, allora l’ori- stica raccoglie in un unico punto le
differenze nascenti dalla divisio- ne, e
le stringe tutte insieme in un’unica comune definizione. E la stessa cosa fa anche partendo dall’analisi:
infatti, dopo che l’analisi ha fatto
risalire la nostra intellezione ai principi più semplici e più comu- ni, e diviso i generi e le differenze cosî
come ciascuno è per natura, allora la
sintesi, che ha potenza unitiva, raccogliendo in un unico punto le cose differenti e quelle semplici,
dà una definizione di cia- scuno degli
enti matematici. E in tal modo la scienza matematica pos- siede un suo proprio e autonomo principio
definitorio ed è in grado di scoprirlo
teoreticamente.!72 Ma poiché la divisione rende l’uno molteplice mentre l’oristica rende il
molteplice uno, è necessario che la
matematica consideri l’uno da ambedue i versanti della ricerca, cioè sia dal punto di partenza che dal punto di
arrivo. Sarà dunque questo il fine
ultimo della matematica, fine che si può chiamare anche la sua forma, che è l'uno nella molteplicità dei
suoi teoremi. Ma lo stesso discorso vale
per il Bello e il Bene, a cui la matematica si studia di col- legare le cose che sono divise. [66] Ed è per
questo che nelle mate- matiche, noi che
pratichiamo il metodo matematico secondo le dot- 572 GIAMBLICO μαθήμασι τὸ ἄπειρον καὶ καθ᾽ ἕκαστον
ἀφίεμεν dei, ἐπὶ δὲ τὸ κοινὸν καὶ τὸ
ὡρισμένον σπεύδομεν ἀνιέναι, ὅσοι κατὰ τὰ ἀρέ-
σκοντα τοῖς Πυθαγορείοις μαθηματικὴν ἀσκοῦμεν, ἕως ἂν ἐπὶ τὸ ἕν τὸ πάντων ὁμοῦ τῶν μαθημάτων ἀναγάγωμεν τὴν
ὅλην θεωρίαν τῆς μαθηματικῆς
πραγματείας. καὶ τοῦτό ἐστι τὸ τέλος, πρὸς ὃ δεῖ σπεύδειν τοὺς ὄντως φιλοθεάμονας τῶν ὅλων
μαθηματικῶν εἰδῶν. 21. Ἐπεὶ δὲ τῆς
Πυθαγορείου μὲν μαθηματικῆς [10] προηγου-
μένως ἀντιποιούμεθα, ταύτην δὲ οὐκ ἔνεστι τελέως τῷ λόγῳ παρα- θέσθαι, εἰ μή τις αὐτῆς τὰς πρώτας ἀρχὰς
κατίδοι, ἀναγκαῖον διὰ τοῦτο καὶ τοὺς
ἀρχηγοὺς γενομένους Πυθαγόρᾳ τῆς τοιαύτης θεωρί- ας συμπεριλαβεῖν εἰς τὴν περὶ τῶν παρόντων
ἐξέτασιν οὕτω γὰρ ἂν τελειοτάτη γένοιτο
ἢ περὶ αὐτῶν ἐπίσκεψις, ἄνωθεν ἀπὸ τῶν
πρώτων αἰτίων βεβαιωθεῖσα. φασὶ τοίνυν ὡς Θαλῆς πρῶτος ἐξευρὼν οὐκ ὀλίγα τῶν ἐν γεωμετρίᾳ παρέδωκε Πυθαγόρᾳ
ὥστε καὶ ὅσα παρειλήφαμεν μαθηματικὰ
σκέμματα Θαλοῦ, δικαίως [20] ἂν αὐτὰ
προσοικειώσαιμεν τῇ Πυθαγορείῳ μαθηματικῇ. μετὰ δὴ Θαλῆν Αἰγυπτίοις συνεγένετο ἐν πολλῷ χρόνῳ, παρ᾽
αὐτῶν τε οὐκ ὀλίγα εἰς μαθηματικὴν
ἐπιστήμην εὕρατο ἀγαθά: διόπερ οὐκ ἂν ἄπο τρό-
που ποιοῖμεν πολλὰ καὶ τῶν παρ᾽ Αἰγυπτίοις συμπαραλαμβάνοντες. ἐπεὶ δὲ καὶ ᾿Ασσυρίοις ὕστερον συνεγένετο
τοῖς τε παρ᾽ αὐτοῖς λεγομένοις Χαλδαίοις
(οὕτω γὰρ οἱ μαθηματικοὶ παρ᾽ αὐτοῖς λέγον-
ται), ἀνάγκη καὶ παρὰ τούτων [67] ἡμᾶς πολλὰ λαμβάνειν εἰς τὴν μαθηματικὴν μέθοδον. 22. Οὐ μὴν ἐξαρκεῖ γε τοῦτο. ἀλλ᾽ ἐπεὶ
παραλαβὼν παρὰ βαρ- βάρων τὰ μαθήματα
Πυθαγόρας ἀφ᾽ ἑαυτοῦ πολλὰ προσέθηκε, δεῖ
καὶ τὰς τοιαύτας ἀρχὰς συνεισενεγκεῖν, τήν τε ἰδιότητα αὐτοῦ τῆς μαθηματικῆς προσθεῖναι. πολλὰ γὰρ φιλοσόφως
ἐθεώρησε τῶν μαθημάτων, φκειώσατό τε
αὐτὰ ταῖς οἰκείαις [10] ἐπιβολαῖς, καίτοι
παρ᾽ ἄλλων παραδοθέντα, τάξιν τε αὐτοῖς ἐφήρμοσε τὴν πρέπουσαν καὶ ζητήσεις περὶ αὐτῶν ἐποιήσατο τὰς
προσηκούσας, ὁμολογίαν τε δι᾽ ὅλων
παρέχεται τὴν αὐτὴν ἀεί, ὡς μηδαμοῦ παραβαίνειν τὸ ἀκό- λουθον. ταύταις οὖν ταῖς ἀρχαῖς ἐμμένοντας
δεῖ τὴν Πυθαγορικὴν μαθηματικὴν
ἀνιχνεύειν. ἐξαίρετα δὲ αὐτῆς ὡσπερεὶ στοιχεῖα LA SCIENZA MATEMATICA COMUNE 573 trine pitagoriche, trascuriamo sempre ciò
che è indeterminato e par- ticolare, e
ci preoccupiamo di risalire a ciò che è generale e determi. nato, fino a ricondurre l’intera teoria della
trattazione matematica all'unità di
tutte quante le matematiche. Ed è questo il fine ultimo, a cui devono sforzarsi di giungere coloro che
amano realmente contem- plare le varie
specie di matematica nel loro complesso.
21. Poiché pretendiamo di occuparci principalmente della mate- matica pitagorica,!7? e poiché non è
possibile presentarla con un discorso
compiuto senza considerare le sue prime origini, è necessa- rio allora conoscere per la presente ricerca
anche coloro che hanno iniziato Pitagora
a tale teoria: cosi infatti il nostro esame di questa materia potrà assumere la sua massima
compiutezza, in quanto sarà stato
consolidato partendo dall’alto, cioè dalle sue prime cause. Si dice, dunque, che fu Talete a scoprire per
primo e ad insegnare a Pitagora molta
parte della geometria;!74 sicché anche le ricerche mate- matiche che abbiamo apprese da Talete,
dovremmo giustamente asse- gnarle alla
matematica pitagorica. Dopo Talete, Pitagora frequentò per molto tempo gli Egizi, dai quali sono
state fatte molte buone sco- perte per
la scienza matematica; non sarebbe perciò sconveniente comprendere nella matematica pitagorica molte
scoperte degli Egizi. E poiché Pitagora
frequentò in seguito anche gli Assiri e tra questi i cosiddetti Caldei (questo è infatti presso di
loro il norme dei matema- tici), sarebbe
necessario [67] attingere per il metodo matematico molte cose anche da questi. 22. Questo non è certo sufficiente. Ebbene,
poiché Pitagora, acquisendo le
matematiche dei barbari aggiunse molto di suo, biso- gna allora mettere insieme tali inizi,!75 e
aggiungere ciò che della matematica gli
appartiene in proprio. Molte cose delle matematiche, infatti, egli le vede da un punto di vista
filosofico, e le adatta alle sue proprie
intuizioni, anche se insegnate da altri, e assegna loro il posto che meritano e le sottopone ad appropriate
ricerche, e le presenta sempre nel
medesimo accordo, in modo da non venire mai meno alla loro consequenzialità. Pur restando dunque
ancorati a tali inizi, biso- gna
rintracciare la matematica propriamente pitagorica. E dobbiamo assumere come elementi comuni quelli
peculiari di quest’ultima,!76 in 574
GIAMBLICO κοινὰ λάβωμεν, ὡς μὲν
αὐτόθεν ἀκοῦσαι τὴν συμβολικὴν καὶ ἀπε-
ξενωμένην χρῆσιν τῶν μαθηματικῶν λέξεων" τῶν γὰρ ὄντων στοχα- ζόμενος καὶ τῶν ἀληθῶν, οὕτω καὶ τὰ κατὰ
φύσιν ὀνόματα ἐτίθει τοῖς μαθήμασιν.
ἀρχὴν δὲ διδασκαλίας [20] ἀπ᾿ αὐτῶν ἐποιεῖτο
δυναμένην ὁδηγεῖν τοὺς ἀκούοντας, εἴ τις δι᾿ ἐμπειρίας ἱκανῆς ἱκανῶς ἀκούοι τῶν ὀνομάτων. καὶ μὴν
ἀποδείξεών γε καθαρότητι λεπτότητί τε
καὶ ἀκριβείᾳ παραλλάττει πᾶσαν τὴν τῶν ἄλλων
ὁμοειδῆ θεωρίαν, ἐναργείᾳ τε πολλῇ χρῆται καὶ ἀπὸ τῶν γνωρίμων ὁρμᾶται" κάλλιστον δὲ ἐν αὐτῇ τυγχάνει
τὸ ὃν τὸ ὑψηλόνουν καὶ ἐπὶ τὰ πρῶτα
αἴτια ἀναγόμενον, τῶν τε πραγμάτων ἕνεκα ποιούμε- νον τὰς μαθήσεις καὶ καθαρῶς ἀντιλαμβανόμενον
[68] τῶν ὄντων, ἐνιαχοῦ δὲ καὶ συνάπτον
τὰ μαθηματικὰ θεωρήματα τοῖς θεολογι-
κοῖς. τοσαῦτα γὰρ ἄν τις ἐν τῷ παρόντι ὡς κοινὰ ἐξαίρετα τῆς τοιαύτης ἐπιστήμης προστήσαιτο ἂν
στοιχεῖα. Πῶς δὲ δεῖ μεταδιώκειν αὐτῆς
τὴν θήραν, ἄξιον τόδε σύμπαν εἰπεῖν
ἑπομένως τοῖς ὑπ᾽ αὐτῶν τῶν ἀνδρῶν παραδοθεῖσιν. ἀλλ᾽ ἐπεὶ τὰ πλεῖστα ἐνεργὰ ἦν παρ᾽ αὐτοῖς, ἐν μνήμαις τε
ἀγράφοις διεσῴζετο, αἵ νῦν οὐκέτι
διαμένουσι, περὶ ὧν οὐδὲν τεκμήρασθαι [10] ῥάδιον οὐδὲ ἀνευρεῖν ἢ ἀπὸ γραμμάτων ἢ παρ᾽ ἄλλου
ἀκούοντα, δεῖ τοιόν- δε τι ποιεῖν' ἀπὸ
σμικρῶν αἰθυγμάτων ὁρμωμένους σωματοποιεῖν
ἀεὶ τὰ τοιαῦτα καὶ συναύξειν, εἰς ἀρχάς τε αὐτὰ ἀνάγειν τὰς προ- σηκούσας καὶ τὰ παραλειπόμενα ἀναπληροῦν,
στοχάζεσθαί τε κατὰ τὸ δυνατὸν τῆς
ἐκείνων γνώμης, τίνα ἂν εἶπον, εἰ ἐνεχώρει τινὰ
αὐτῶν διδάσκειν. ἤδη δὲ καὶ ἀπὸ τῆς ἀκολουθίας τῶν ἀναμ- φισβητήτως ἡμῖν παραδοθέντων δυνάμεθα τὰ ἑξῆς
ἀνευρίσκειν μαθήματα προσηκόντως. οἱ γὰρ
τοιοῦτοι τρόποι τῆς διερευνήσεως ἢ [20]
τυχεῖν ἡμᾶς ποιήσουσι τῆς ὄντως μαθηματικῆς Πυθαγορείου ἐπιστήμης, ἢ ἐγγυτάτω προσελθεῖν πρὸς αὐτήν,
καθ᾽ ὅσον οἷόν τ’ ἐστὶ μάλιστα.
συνομολογεῖν δὲ ταύτῃ νενόμικα τὴν ἐπιτήδευσιν
αὐτῆς, τὴν κατὰ τὸν οἰκεῖον ἀρχηγέτην διαμελετωμένην᾽ πάντῃ γὰρ ἦν ἰδιάζουσα καὶ παρὰ τὰς ἄλλας ἀσκήσεις
ἐξαίρετος, πρὸς τὴν ψυχὴν ἀποβλέπουσα
καὶ τὴν κάθαρσιν τοῦ τῆς ψυχῆς ὄμματος,
εὕρεσίν τε τῶν πρώτων εἰδῶν καὶ αἰτίων τῆς μαθηματικῆς οὐσίας LA SCIENZA MATEMATICA COMUNE 575 modo da interpretare da quest’angolo
visuale l’uso simbolico ed
extramatematico!77 delle sue espressioni matematiche. Avendo di mira infatti le cose reali e vere, Pitagora
imponeva cosî anche alle matematiche i
nomi secondo natura. E partendo dai nomi rendeva fin dall'inizio il suo insegnamento capace di
guidare i suoi discepoli, se si dava ai
nomi con sufficiente perizia un’adeguata interpretazione. La teoria di Pitagora naturalmente differisce da
ogni altra teoria dello stesso genere
per purezza e sottigliezza e precisione delle dimostrazio- ni, e si serve di molta evidenza e prende da
ciò che è noto: e la cosa più bella che
si incontra nella matematica pitagorica è che essa pensa l'essere nel senso più elevato e risale alle
prime cause, e procura apprendimento in
vista delle cose reali e percepisce gli enti in modo puro, [68] e collega talvolta i teoremi della
matematica con quelli della teologia.
Sono tanti infatti gli elementi peculiari comuni di tale matematica che si devono proporre. In che modo si debba andare alla ricerca di
questa matematica, è opportuno dirlo in
questo modo complessivo secondo le dottrine tra- smesseci dagli stessi Pitagorici. Ma poiché
la maggior parte di esse erano per loro
evidenti, e sono state conservate in memorie non scrit- te, che ora non esistono più, e intorno a cui
non è affatto facile dare testimonianze
né scoprire da scritti o da altro chi le abbia ascoltate, allora bisogna fare in questo modo: partendo
da piccole scintille dare sempre a
queste corposità e accrescerle, e ricondurle alle dovute ori- gini e colmare le lacune, e cercare di
intuire per quanto possibile la dottrina
di quei filosofi, quale fosse quella dottrina direi, nel caso fosse stato permesso a qualcuno di loro di
insegnarla. Ormai, dalla sequenza delle
sicure testimonianze tramandateci siamo in grado di scoprire adeguatamente le matematiche nella
loro successione. Questi nostri metodi
di investigazione, infatti, o ci faranno raggiungere la vera scienza matematica pitagorica, o ci
porteranno molto vicino ad essa, quanto
più sia possibile. E io credo che su questo siamo d’accor- do, cioè che la pratica di essa sia quella
condotta secondo il suo pro- prio
fondatore: essa infatti era di particolare natura sotto ogni aspet- to ed era di eccezionale valore tra tutte le
pratiche scientifiche, in quanto aveva
lo sguardo rivolto all'anima e alla purificazione dell’oc- chio dell’anima,178 e faceva scoprire le
forme primarie e le cause della realtà
matematica, e si adattava alla natura degli enti in se stessi, [69] 576 GIAMBLICO ποιουμένη, καὶ πρὸς τὴν φύσιν αὐτῶν τῶν ὄντων
[69] συναρμόζου- σα, προσοικειοῦσα δὲ
τοῖς νοητοῖς εἴδεσι, καὶ τὸ συγγενὲς αὐτῶν
πρὸς τὸ ἀγαθὸν καὶ τὸ πρὸς ἄλληλα τῶν μαθημάτων οἰκεῖον ἀναδι- δάσκουσα.
Τοιαύτη τοίνυν οὖσα ἡ μαθηματικὴ ἄσκησις συντόνως καὶ σφοδρῶς καὶ ἀδιαλείπτως ἀνεζήτει τὰ ὑφ᾽ ἑαυτὴν
θεωρήματα. συνεβάλλετο δὲ τῇ μὲν ψυχῇ
πρὸς γνώσεως καθαρότητα καὶ λεπτότητα τῶν δια-
νοήσεων, ἀκρίβειάν τε τοῦ λόγου καὶ συναφὴν πρὸς τὰς καθ᾽ ἑαυτὴν ἀσωμάτους οὐσίας, πρὸς συμμετρίαν τε καὶ [10]
εὐαρμοστίαν καὶ περιαγωγὴν ἐπὶ τὸ ὄν᾽ τῷ
δὲ ἀνθρώπῳ τάξιν εἰς τὸν βίον παρέχει
ἠρεμίαν τε τῶν παθῶν καὶ κάλλος ἐν τοῖς ἤθεσιν εὑρέσεις τε τῶν ἄλλων τῶν εἰς τὸν ἀνθρώπινον βίον
λυσιτελούντων. μετεχειρίζοντο δὲ αὐτὴν
παρ᾽ ὅλην τὴν οἰκείαν ζωήν, ταῖς τε πράξεσι συνυφαίνον- τες τὸ ἀπ᾽ αὐτῆς ὄφελος καὶ τοῖς τῆς ψυχῆς
τρόποις, ταῖς τε τῶν πόλεων κατασκευαῖς
καὶ ταῖς τῶν οἴκων διοικήσεσι, τεχνικαῖς τε
ἐργασίαις καὶ πολεμικαῖς ἢ εἰρηνικαῖς παρασκευαῖς, καὶ ὅλως περὶ πάντα τὰ μέρη τοῦ βίου τὴν μαθηματικὴν
[20] προσέφερον, οἱ- κείως μὲν τοῖς
πράγμασι, λυσιτελούντως δὲ τοῖς χρωμένοις, ἐμ-
μελῶς δὲ πρὸς ἀμφότερα ταῦτα, καὶ περὶ τἄλλα πάντα συμμέτρως. δεῖ τοίνυν κατὰ ταῦτα τὰ ἴχνη συνεπομένους
οὐχ ἁπλῶς ἀσκεῖν μαθηματικήν: ἡ γὰρ νῦν
ἐπιπολάζουσα αἰσθήσει καὶ φαντασίᾳ
χρῆται μᾶλλον, ἀλλοτρία τέ ἐστιν ἀληθείας, γενέσει τε μᾶλλον προσφιλὴς παραπέφυκεν. εἰ δὴ βουλοίμεθα
Πυθαγορικῶς μαθημα- τικὴν ἀσκεῖν, τὴν
ἔνθεον αὐτῆς ὁδὸν καὶ ἀναγωγὸν καὶ καθαρτικὴν
καὶ τελεσιουργὸν μεταδιώκειν σπουδῇ προσήκει. 23. [70] Ὅτι τοίνυν οὐδὲ εἰκῇ Πυθαγόρας τὴν
περὶ τὰ μαθήματα φιλοσοφίαν εἰς σχῆμα
παιδείας ἐλευθερίου μετέστησε, καὶ τῷ τε
πλήθει τῶν δεικνυμένων πολὺ προῆγεν αὐτὰ καὶ τῇ τῶν ἀποδείξεων ἀκριβείᾳ, τῆς τε ἀναγκαίας χρήσεως πρὸς τὸν
βίον περιττότερον αὐτὰ ἤσκησεν, ἐντεῦθεν
ῥάδιον καταμαθεῖν. εἰ γάρ τι σπέρμα καὶ
ἀρχὴν τοιαύτης γνώσεως ἐκομισάμεθα, ἀφ᾽ ἧς τὸ τῆς ἐπιστήμης γένος ὀνομαστὶ παρειληφότες πρότερον ἀκριβῶς
ἐθεωρήσαμεν οἷόν τι [10] τὴν φύσιν
ἐστίν, οὐκ ἀλλαχόθεν ἡμῖν γέγονεν ἢ ἀπὸ τούτων. LA SCIENZA MATEMATICA COMUNE 577 unendolo intimamente alle forme
intelligibili, e faceva comprendere a
fondo l'affinità di queste ultime al bene e il reciproco
apparentamen- to tra le
matematiche. Essendo dunque di tal
natura, l’esercizio della matematica condu-
ceva la ricerca sui teoremi che cadevano sotto il suo dominio in
modo serio e appassionato e
ininterrotto. E aiutava l'anima a rendere più
puro il suo conoscere e ad affinare i suoi ragionamenti, e a
precisare il suo discorso e a collegarsi
in se stessa con le essenze incorporee e
con la loro giusta misura e armonia e a ruotare intorno all'essere: e per quanto riguarda l’uomo essa forniva ordine
alla sua vita e riposo dalle passioni e
bellezza nei costumi e gli faceva scoprire tutte le altre cose che sono di giovamento alla vita umana. I
Pitagorici coltivavano la matematica per
l’intero arco della loro vita, intrecciando l’utilità deri- vante da quella con le attività pratiche e
con i modi di essere dell’ani- ma, e con
le costituzioni delle città e le amministrazioni familiari, e con il lavoro artigianale e con la
preparazione della guerra o della pace,
e insomma in tutti gli aspetti della vita essi applicavano la mate- matica, in modo proprio alla realtà delle
cose, in modo vantaggioso per quelli che
la usano, in modo conveniente ad ambedue, e in pro- porzione in tutto il resto. Bisogna quindi,
seguendo le loro tracce, esercitare non
la matematica pura e semplice:1?9 la matematica dei nostri tempi, infatti, che opera
superficialmente, si serve piuttosto dei
sensi e dell’immaginazione, e resta estranea alla verità, e ama per
sua natura piuttosto il mondo della
generazione. Se vogliamo veramente
esercitare la matematica pitagorica, conviene seguire con cura la
sua via divinamente ispirata e anagogica
e purificatrice e perfettrice. [70]
23. Che Pitagora abbia trasformato la filosofia delle matema- tiche non a caso in una forma di educazione
liberale, e che abbia fatto progredire
molto le matematiche sia con una quantità di suggerimen- ti che con l'esattezza delle dimostrazioni, e
che le abbia coltivate ancora più delle
cose necessarie alla vita, è facile apprenderlo dal seguente discorso. Se infatti accogliamo un
seme o un principio di tale conoscenza,
dalla quale, dopo avere conosciuto prima il genere della scienza solo per nome, apprendiamo con
esattezza quale essa sia nella sua
natura, allora non da altro essa ci è giunta se non da questo. Ebbene, anche il potere della scienza
<matematica> risulta evidente
578 GIAMBLICO ἀλλὰ καὶ ἡ
δύναμις τῆς ἐπιστήμης φανερὰ κατέστη διὰ τῶν οἰκείων λόγων ἐν ταῖς περὶ ταῦτα ἀποδείξεσιν. ἔτι δὲ
πολλοῖς πιστεύοντας ἡμᾶς εἰκῇ τῶν
φαινομένων ἐπηνώρθωκεν ἡ περὶ ταῦτα σύνεσις,
φανερὸν καθιστᾶσα περὶ αὐτῶν τἀληθὲς ὅπως ποτὲ ἔχει. μάλιστα δὲ θέας ἐλευθερίου τε καὶ φιλοσόφοις ἁρμοττούσης
πρῶτον ἐν τῇ τούτων κοινωνίᾳ
μεταλαμβάνομεν: οἰκεῖον γάρ ἐστιν ἑκάστῳ τὸ τὴν
φύσιν ὅμοιον, τοῦ δὲ ἐλευθέρου τὸ κύριον τέλος τῆς κατὰ τὸν οἱ- κεῖον [20] βίον ἐνεργείας πρὸς αὑτὸν τὴν
ἀναφορὰν ἔχει καὶ πρὸς οὐδὲν ἕτερον τῶν
ἐκτός «τοῦτο δὲ ταῖς»!7 λεχθείσαις ἐπιστήμαις
θεωρητικαῖς οὔσαις ὑπάρχει τε καὶ πρώταις ὑπάρχει διὰ τὸ τὴν μά- θησιν αὐτῶν πρώτην ἔχειν τάξιν κατὰ τὸν τῆς
ἡλικίας χρόνον, οὐδὲν προσδεομένην
τοιαύτης ἐπαγωγῆς, ἣ διὰ συνηθείας ἐκ τῶν καθ᾽
ἕκαστα γίνεσθαι πέφυκεν. ὅ τε φιλόσοφος ἔοικεν (εἰ δεῖ καθάπερ τὰς ἄλλας οἰκείας ὀρέξεις, ὅσαι τῇ
φιλοστοργίᾳ τῇ [71] πρός τι γένος εἰσὶν
ὠνομασμέναι, καὶ τοὐτῳ προσάψαι τοὔνομα οἰκείως
ἀπὸ τοῦ πάθους) ἐπιστήμης τινὸς ἔχειν ἔφεσιν δι᾽ αὑτὴν τιμίας, ἀλλ᾽ οὐ διά τι τῶν ἀποβαινόντων ἀπ᾽ αὐτῆς ἕτερον.
οὐ γὰρ ἂν δόξειαν αὐ- τοῖς τὴν πρέπουσαν
ἀπονέμειν τάξιν ἔνιοι τῶν προάγειν μὲν αὐτὰ
βουλομένων, φασκόντων δὲ τὴν μάθησιν αὐτῶν δεῖν ἡμᾶς ποιεῖσθαι διὰ τὸ χρησίμην εἶναι τὴν ἐν τούτοις
γυμνασίαν πρὸς ἑτέρας θεωρί- ας. ὧν γὰρ
χάριν τοῦτο παρακελεύονται δρᾶν, τῇ τούτων [10] φύσει τἀληθοῦς ἧττόν ἐστιν οἰκεῖα, καὶ τοῖς
εἰωθόσιν ὑπὲρ αὐτῶν λέγε- σθαι λόγοις,
οὐδὲ παράμιλλα κατὰ τὴν τῶν ἀποδείξεων ἀκρίβειαν. ἱκανὸν δὲ τούτου σημεῖον᾽ τὰς μὲν γὰρ
διαμενούσας τε καὶ πιστε- πηυη7ομένας
ὁρῶμεν διὰ τέλους ὁμοίως ὑπὸ τῶν μεταχειριζομένων αὖ- τάς, τῶν δὲ παντελῶς ὀλίγας ἄν τινας εὕροιμεν
τοιαύτας. πρὸς πολλὰς μὲν οὖν καὶ τῶν
πρὸς τὸν βίον ἀναγκαίων καὶ τῶν ἐκ
περιουσίας ἤδη καὶ καθ᾽ αὑτὰ τιμίων ἡ περὶ τὰ μαθήματα φιλοσοῤφί- α βεβοήθηκεν ἡμῖν. καὶ γὰρ τῶν δημιουργικῶν
τεχνῶν οὐκ ὀλίγαις εὕροιμεν [20] ἂν
ἐπικουρίαν ἀπ᾽ αὐτῶν γεγενημένην. καὶ τὴν περὶ
φύσεως φιλοσοφίαν, κἂν εἴ τις ἑτέρα ταύτης ἔχῃ τάξιν ἐντιμοτέραν, 17 lacuna colmata da Festugière (cf. ed.
Klein Add. p. XVIII). LA SCIENZA
MATEMATICA COMUNE 579 attraverso i
suoi propri principi razionali che troviamo nelle relative dimostrazioni. Inoltre, la conoscenza
matematica serve a correggerci nel caso
che noi avessimo molta fiducia nei fenomeni, dal momento che tale conoscenza verte chiaramente sul
loro aspetto di verità, nel modo in cui
essi la possiedono. E soprattutto noi partecipiamo della contemplazione liberale e adatta ai filosofi
che si trova anzitutto nella comunanza
delle matematiche. È proprio di ciascuno di noi, infatti, ciò che ci è simile per natura, e il fine
principale dell’uomo libero con- siste
nel volgere la propria condotta di vita verso se stesso e verso nient'altro che si riferisca al mondo
esterno, e ciò appartiene alle sud-
dette scienze perché sono teoretiche e appartiene loro in quanto conoscenze “primarie” nel senso che il loro
apprendimento occupa il “primo” posto in
ordine all’età,!8° e non ha bisogno affatto di quel processo induttivo che per natura deriva
dalle singole cose per via di
consuetudine;!8! e il filosofo (se bisogna dare anche a lui un nome
che derivi dalla sua propria
affezione,!82 cosî come si fa per gli altri suoi desideri, che ricevono il nome dall'amore
appassionato per un qual- che genere di
cose), [71] sembra che abbia desiderio di una certa scienza per il valore intrinseco di essa, e
non per qualcosa di diverso da ciò che
da essa discende. Sembrerebbe che non attribuiscano alle matematiche il posto che spetta loro alcuni
di coloro che vogliono si promuovere le
matematiche, ma dicendo che noi dobbiamo appren- derle perché l’esercitarsi in esse è utile
per altre attività teoriche. Costoro,
infatti, raccomandano di compiere questo esercizio matema- tico in vista di quelle altre attività, che
sono meno appropriate alla verità per
loro natura, e per i ragionamenti che di solito si fanno su di esse, e che non reggono al confronto con le
matematiche in fatto di esattezza
dimostrativa. Di ciò basta un indizio: noi infatti le scienze che resistono a lungo e che sono affidabili
le vediamo del tutto allo stesso modo di
coloro che le praticano, e potremmo trovarne assolu- tamente poche di tale natura. Per molte di
esse, dunque, sia tra quel- le che sono
necessarie alla vita sia tra quelle che derivano da ricchez- za e sono valide già per se stesse, ci è
venuta in aiuto la filosofia delle
matematiche. E infatti tra le tecniche artigianali ne potremo trovare molte a cui le matematiche prestano
assistenza; anche la filosofia della
natura, seppure ne esista qualche altra che abbia un ruolo più
digni- toso di questa, noi potremmo
vedere che si serve molto, nelle sue pro-
580 GIAMBLICO πολλοῖς ἂν
χρωμένην ἴδοιμεν ἐν ταῖς οἰκείαις ἀποδείξεσιν, ἃ διὰ τῶν λεχθέντων τεθεωρήκαμεν. ἔτι δὲ τοῦ
τεταγμένου τε καὶ τάξεως οἰκείους ἡμᾶς
καθιστᾶσα, καὶ πρὸς ἀρετὴν καὶ τὸ καλὸν ἅπαν
ποιοῖτ᾽ ἄν τινα προτροπήν. οὐ μόνον δὲ διὰ τὴν τοιαύτην βοήθειαν ἀγαπήσειεν ἄν τις αὐτῶν τὴν [72] δύναμιν,
ἀλλὰ μᾶλλον ἔτι δι᾽ αὐτὰς καὶ διὰ τὴν
οἰκείαν φύσιν. συγχωρεῖται μὲν γὰρ ὡς εἰσί τινες τῶν ἐπιστημῶν δι᾽ αὑτὰς αἱρεταί, καὶ οὐ μόνον
διὰ τὰ συμβαίνοντα ἀπ᾽ αὐτῶν: μόναις δὴ
μάλιστα τοιαύταις εἶναι ταῖς θεωρητικαῖς
ἐνδέχεται, διὰ τὸ μηδὲν αὐτῶν εἶναι τέλος ἕτερον παρὰ τὴν θεωρί- αν. ἔστι δὲ ταὐτά, οἷς ἑτέραν ἀνθ᾽ ἑτέρας
ἐπιστήμην αἱρετωτέραν εἶναι τίθεμεν, καὶ
οἷς αὐτὴν ἑκάστην αἱρετήν. αἱρούμεθα δὲ
ἑτέραν πρὸ ἑτέρας ἢ διὰ τὴν αὐτῆς ἀκρίβειαν ἢ [10] διὰ τὸ βελ- τιόνων καὶ τιμιωτέρων εἶναι θεωρητικήν᾽ ὧν τὸ
μὲν ἅπαντες συγχ- ὠρήσειαν «ἄν» ἡμῖν
διαφόρως ὑπάρχειν ταῖς μαθηματικαῖς τῶν
ἐπιστημῶν, τὸ δ᾽ ὅσοι ταῖς μὲν ἀρχαῖς ταῖς πρώταις τὴν εἰρημένην προεδρίαν ἀπονέμουσιν, ἀριθμοῖς δὲ καὶ
γραμμαῖς καὶ τοῖς τούτων πάθεσιν οἰκείαν
ὑπολαμβάνουσιν εἶναι τὴν τῆς ἀρχῆς φύσιν διὰ τὴν ἁπλότητα τῆς οὐσίας. ἔτι τὰ περὶ τὸν οὐρανὸν
θεωρήματα τιμιω- τάτην ἔχοντα καὶ
θειοτάτην τάξιν τῶν ἡμῖν αἰσθητῶν διὰ τῆς ἀστρο- λογικῆς ἐπιστήμης γνωρίζεσθαι πέφυκεν, ἣ μία
τῶν [20] μαθημα- τικῶν οὖσα τυγχάνει
ἄτοπον δ᾽ ἂν δόξειεν εἶναι καὶ οὐδαμῶς
ὁμολογούμενον τό, φάσκοντας οἰκεῖον εἶναι τῆς ἀληθείας τὸν φιλό- σοῴφον, ζητεῖν τιν᾽ αὐτὸν οἴεσθαι δεῖν καρπὸν
ἕτερον ἀπὸ τῶν τοιούτων θεωρημάτων, ἃ
τῆς ἀκροτάτης ἀληθείας κεκοινώνηκε: καὶ
φιλοθεάμονα ὄντα τὰς τοιαύτας τῶν ἐπιστημῶν ἀξιοῦν δι᾽ ἕτερον λαμβάνειν, aî περὶ τὰ κοινότατά τε τῆς φύσεώς
εἰσι καὶ τῶν ἡμῖν αἰσθητῶν τὰ θειότατα,
πλείστων τε καὶ θαυμασιωτάτων θεαμάτων
οὖσαι [73] πλήρεις ἀκρίβειαν οὐ πλαστὴν ἐκ λόγων κενῶν ἔχουσιν, ἀλλ᾽ οἰκείαν καὶ βέβαιον ἐκ τῆς ὑποκειμένης
αὐταῖς φύσεως. ὅλως δ᾽ ὅσα ζητήσειεν ἄν
τις δεῖν ὑπάρχειν ταῖς δι᾽ αὑτὰς αἱρεταῖς τῶν
ἐπιστημῶν, ἁπάντων τούτων εὑρήσομεν κοινωνούσας τὰς μαθηματι- LA SCIENZA MATEMATICA COMUNE 581 prie dimostrazioni, delle matematiche, come
abbiamo visto nelle con- siderazioni
precedenti. Inoltre, la filosofia delle matematiche, collo- candoci nell'ordine e al posto che ci
compete, potrà darci un impul- so anche
alla virtù e ad ogni bellezza. Non solo perché ci dà questo aiuto si ama il potere delle matematiche,
[72] ma ancora più le si amano per se
stesse e per la loro natura. Ad alcune scienze, infatti, è concesso di essere desiderabili per se stesse
e non solo per quello che ne può
derivare: a queste sole scienze soprattutto è concesso di esse- re teoretiche, per il fatto che non c’è in
esse altro fine se non la pura
conoscenza. Sono questi gli aspetti per cui noi stabiliamo che una scienza sia desiderabile più di un’altra, e
quelli per cui ciascuna scien- za sia
desiderabile per se stessa. Noi desideriamo una scienza invece che un’altra o per la sua esattezza o perché
ci fa conoscere cose migliori e di più
alto valore: quanto alla prima di queste ragioni, tutti ci concederebbero che le matematiche hanno
una posizione eccellen- te tra le
scienze, quanto all’altra ragione, invece, ci sono quelli che attribuiscono la preminenza di cui si parla
ai principi primi, ma sostengono che i
numeri e le linee e le proprietà del genere possiedo- no una propria natura di principio per la
semplicità del loro essere. Inoltre, i
teoremi relativi ai corpi celesti, che hanno un posto di altis- simo valore e sono i più divini tra gli enti
che noi possiamo percepi- re, sono per
natura conoscibili attraverso la scienza astrologica,183 che risulta essere una delle scienze matematiche:
si dovrà ritenere assurdo e
assolutamente inaccettabile che, dopo avere detto che è proprio del filosofo conoscere la verità, si debba poi
credere che il filosofo sia uno che
cerchi di ricavare un frutto diverso dalla verità proprio da quei teoremi astrologici, che partecipano della
pit alta verità; e, dopo avere detto che
il filosofo ama contemplare la verità, si creda che egli afferri per altra via tali scienze, che per
natura riguardano le cose più comuni e
più divine tra quelle che noi possiamo percepire, e che, essendo piene di moltissime e assolutamente
meravigliose visioni, [73] possiedono
una precisione non fatta di vuoti ragionamenti, ma ricavata propriamente e solidamente dalla
natura di ciò che è il loro oggetto di
studio. Insomma, di tutte le proprietà che si esigerà debba- no appartenere alle scienze che sono
desiderabili per se stesse,!* pro- prio
di tutte queste noi scopriremo che partecipano le scienze mate- matiche. Ciascuna matematica, infatti, si
occupa di una certa natura, 582
GIAMBLICO κάς. περὶ φύσιν γὰρ ἑκάστη
τινά ἐστιν αὐτῶν, καὶ ταύτην ἀίδιον καὶ
θεάματα ἔχουσαν ἐν αὑτῇ πολλὰ καὶ θαυμαστά, κατὰ τὴν τάξιν τῶν οἰκείων παθῶν καὶ κατὰ τὴν ἀπόστασιν τῆς ἐκ
τῶν αἰσθητῶν ὑπολήψεως. ἔτι δὲ [10] τὰς
τῶν ἀποδείξεων ἀρχὰς γνωρίμους λαμ-
βάνουσαι καὶ δι᾽ αὑτῶν πιστάς, οὕτω ποιοῦνται τοὺς ὑπὲρ τούτων συλλογισμοὺς διὰ τούτων, ὥστ᾽ εἶναι
παράδειγμα τοῖς βουλομένοις ἀκριβῶς τι
συναγαγεῖν τὰς ἐν τούτοις ἀποδείξεις" διόπερ ἁρμόττειν ἂν δόξειε τοῖς οἰομένοις τὴν μὲν ἐν τῷ
φιλοσοφεῖν διαγωγὴν καθ᾽ αὑτὴν αἱρετὴν
εἶναι, τὴν δὲ περὶ τὰ μαθήματα θεωρίαν οἰκείαν καὶ συγγενῆ φιλοσοφίᾳ. εἰκότως ἄρα διὰ ταῦτα
πάντα ἐτίμων τὴν περὶ τὰ μαθήματα
σπουδὴν οἱ Πυθαγόρειοι, καὶ πρὸς τὴν τοῦ κόσμου
θεωρίαν [20] αὐτὴν ποικίλως συνέταττον᾽ οἷον τὸν μὲν ἀριθμὸν ἀπὸ τῶν περιφορῶν καὶ τῆς διαφορᾶς τούτων τῷ
λογισμῷ παραλαμβάνον- τες,!8 τὰ δὲ
δυνατὰ καὶ ἀδύνατα τῇ τοῦ κόσμου συστάσει ἀπὸ τῶν ἐν τοῖς μαθήμασι δυνατῶν καὶ ἀδυνάτων
θεωροῦντες, τὰς δὲ οὐρανίους περιφορὰς
κατὰ τοὺς συμμέτρους ἀριθμοὺς μετ᾽ αἰτίας νοοῦντες, μέτρα τε τοῦ οὐρανοῦ κατά τινας μαθηματικοὺς
λόγους ἀφορίζον- τες, καὶ ὅλως τὴν
φυσιολογίαν τὴν προγνωστικὴν ἀπὸ τῶν
μαθημάτων συστησάμενοι, καὶ πρὸς τὰ ἄλλα τὰ περὶ τοῦ κόσμου θεωρήματα [74] ὥσπερ ἀρχὰς τὰ μαθήματα
προστησάμενοι. ἀφ᾽ ὧν δὴ καὶ εἰς τὰ περὶ
φύσεως πολλὰς ἀποδείξεις ἐπορίσαντο, καὶ εἰς τὸ
καλὸν κἀγαθὸν τὴν ἀρετὴν προτρέπουσι, καὶ [εἰς] τὸ μέγιστον θεο- λογικῶς ἀστρονομοῦσι διὰ τὰ μαθήματα. ὥστε
διὰ πάντα ταῦτα θαυ- μαστὴν εἰκότως
σπουδὴν περὶ αὐτὰ ἐποιοῦντο. 24. Τὸ δὴ
μετὰ τοῦτο καὶ τὴν συνήθειαν ἄξιον εἰπεῖν τῆς ἐν τοῖς μαθήμασι διατριβῆς τῶν Πυθαγορείων. ἐκεῖνοι
τοίνυν ἀπὸ τῶν αἰσθητῶν [10] ἀπέστησαν
τοὺς περὶ τῶν μαθημάτων λόγους, εἴς τε
πίστιν ἀσωμάτου οὐσίας περιῆγον δι᾽ αὐτῶν τὴν διάνοιαν, διαπορ- θμεύουσί τε αὐτοῖς ἐχρῶντο ἐπὶ τὰ νοητά, καὶ
ἐν τοῖς μάλιστα ἐσκόπουν τί πρὸς τὰ
καθαρὰ εἴδη καὶ τοὺς ἑνιαίους λόγους ἐστὶν
ἐν αὐτοῖς ἀπεικασμένον. τοῖς μὲν οὖν θεωρήμασι τοῦτον προσεφέ- 18 παραλαμβάνοντες sospettò Festa
giustamente: περιλαμβάνοντες. LA
SCIENZA MATEMATICA COMUNE 583 che ha
in sé eternamente molte e meravigliose cose degne di contem- plazione, a seconda del posto che occupano le
sue proprietà e della distanza da ciò
che si può sussumere dai sensibili. Inoltre, poiché tali scienze hanno familiarità con i principi
delle dimostrazioni, principi che hanno
in se stessi la loro affidabilità,185 allora esse, per mezzo di questi principi, costruiscono dei sillogismi
che trascendono gli stessi risultati del
loro ragionamento, in modo che diventino un esempio per chi voglia fare una raccolta precisa di
quelle dimostrazioni: perciò
risulterebbe che esse siano adatte a coloro che ritengono che il
proce- dimento filosofico sia
desiderabile per se stesso, e che la teoria delle matematiche sia propria e della stessa natura
della filosofia. A ragio- ne dunque i
Pitagorici, per tutti questi aspetti, tenevano in grande stima lo studio delle matematiche, e lo
coordinavano in vari modi con la
contemplazione del cosmo: ricavando, ad esempio, il numero per via di calcolo dalle rivoluzioni celesti e
dalla loro diversità, o conside- rando
le possibilità e le impossibilità nella costituzione del cosmo a partire dalle possibilità e dalle
impossibilità nelle matematiche, o pen-
sando in modo causale le rivoluzioni celesti in funzione dei numeri
ad essi commisurati,!86 o determinando
le misure del cielo secondo alcu- ni
calcoli matematici, o, per farla breve, costruendo la scienza delle previsioni naturali partendo dalle
matematiche, e collegando queste ultime
come loro punti di partenza a tutte le altre conoscenze teori- che del cosmo. [74] Partendo dalle
matematiche i Pitagorici passano anche a
molte dimostrazioni di ordine fisico, e spingono la virtù verso il Bello e il Bene, e con esse costruiscono
in chiave teologica la parte più
importante dell’astronomia. Sicché, per tutte queste ragioni, è ragionevole pensare che i Pitagorici
compissero meravigliosi studi sulle
matematiche. 24, Dopo di ciò vale la
pena di parlare anche delle consuetudini
che i Pitagorici seguivano nel praticare le matematiche. Anzitutto
essi separavano dai sensibili i
ragionamenti matematici, e per mezzo di
questi inducevano la mente a credere nella realtà immateriale, e se
ne servivano per passare agli
intelligibili, e in quei ragionamenti osserva-
vano soprattutto che cosa li renda in se stessi simili alle forme pure e ai principi unitari. Da un lato dunque i
Pitagorici si applicavano nella
costruzione dei teoremi con questo intendimento, dall’altro lato,
una 584 GIAMBLICO povto τὸν τρόπον, ἅπαξ δὲ ἀποστήσαντες
αὐτῶν τὴν ἐπιστήμην τῆς κοινῆς καὶ
δεδημοσιευμένης γνώσεως, καὶ τὴν μετάδοσιν ἐποιοῦντο αὐτῶν κατὰ τὰ αὐτὰ ἐν ἀπορρήτοις"
ὀλίγοις τε πάνυ τῆς γνώσεως [20] αὐτῶν
ἐκοινώνουν, καὶ εἴ πού τι ἔκφορον γένοιτο εἰς τοὺς πολ- λούς, ἀφωσιοῦντο τοῦτο ὡς ἀσέβημα᾽ διόπερ
ἀπωθοῦντο καὶ τοὺς ἔξω τῆς συνηθείας, ὡς
ἀναξίους ὄντας αὐτῶν μεταλαμβάνειν.
ὑπέλαβε γὰρ Πυθαγόρας οὐ πᾶσι δεῖν κοινωνεῖν τῆς ἐν τοῖς μαθήμασι φιλοσοφίας, ἀλλ᾽ αὐτοῖς μόνοις,
οἷσπερ ἄν τις τοῦ παντὸς βίου κοινωνήσειε.
καὶ πρὸς ταύτην τὴν ὁμιλίαν οὐκ εἰκῇ προσίετο
οὐδὲ τοὺς τυχόντας, ἀλλὰ πεῖράν τε [75] λαμβάνων ἐν πολλῷ χρόνῳ καὶ τοὺς ἀναξίους ἀπωθούμενος. καὶ τοῖς μὲν
ἔξω τῆς συνηθείας οὐκ ἐποιήσατο κοινὴν
τὴν δι᾽ αὑτοῦ γενομένην ἐπίδοσιν ἀπορ-
ρήτους ποιησάμενος πρὸς τοὺς ἄλλους τοὺς περὶ αὐτῶν λόγους, ἐν δὲ τοῖς ὀνομασθεῖσι Πυθαγορείοις διὰ τὴν πρὸς
ἑαυτὸν ἑταιρίαν πολλὴν ἐπίδοσιν παρέσχε
τῇ τε περὶ τὰ μαθήματα φιλοσοφίᾳ καὶ τῇ
περὶ γεωμετρίαν θεωρίᾳ, καὶ σχεδὸν ἁπάντων τῶν ὕστερον ἐπὶ πλέ- ον προελθόντων εὕροι τις ἂν τὰς ἀρχὰς ἡμῖν
παρ᾽ ἐκείνου [10] γεγενημένας. ἠγάπα δ᾽
ἐν αὐτοῖς οὐχ ὥσπερ ἔνιοι τῶν ὕστερον τὴν
δύναμιν, ἀφ᾽ ἧς οἷοί τ᾽ ἔσονται τὸ προβληθὲν εὑρίσκειν, ἀλλ᾽ αὐτὰ τὰ θεωρήματα. καὶ τούτων οὐχ ὅσα χαλεπώτατα
ἦν εὑρεῖν, καθάπερ [ἦν] οἱ πλεῖστοι τῶν
ὕστερον, ἀλλ᾽ ἐν οἷς ἦν μάλιστα αὐτῶν κατα-
νοῆσαι τάξιν ἤ τι σύμπτωμα φυσικόν. ἔπαθον δὲ τοῦτο διὰ τὸ τῆς ὅλης φύσεως οἴεσθαι τὰς ἀρχὰς ὑπάρχειν ἐν
τούτοις καὶ μάλιστα εὐθεωρήτους εἶναι
τίνες τέ εἰσι καὶ πόσαι, διὰ τὸ περὶ μένουσάν τε φύσιν εἶναι καὶ κινήσεως ἀπηλλαγμένην, ἔτι δὲ
[20] ἁπλῆν" διόπερ οὔτε τῶν
προβληματικῶν ἥψαντο, πλὴν ὅσα ἦν στοιχειώδη, καθάπερ n παραβολὴ καὶ ὁ τετραγωνισμός, οὔτ᾽ ἐν τοῖς
θεωρήμασιν ἐπραγμα- τεύοντο πάντα
ἐπεξιέναι βουλόμενοι καὶ μηδὲν τῶν ἐνδεχομένων
παραλιπεῖν, ἀλλ᾽ αὐτὰς μόνον τὰς ἀρχὰς ἰδεῖν ἐν ἑκάστοις ἐζήτουν. LA SCIENZA MATEMATICA COMUNE 585 volta che avevano impedito che la relativa
scienza divenisse di comu- ne e pubblico
dominio, insegnavano segretamente quei teoremi per quello che erano: ed erano molto pochi coloro
a cui comunicavano quella conoscenza, e
se per avventura qualcosa veniva divulgato, face- vano di ciò espiazione come di un sacrilegio;
respingevano perciò anche coloro che
erano estranei alle loro consuetudini, come se fosse- ro indegni di avere rapporto con loro.
Pitagora infatti credeva che non con
tutti bisogna avere in comune la filosofia delle matematiche, ma solo con quelli con cui si ha in comune
tutta la vita. E alle riunio- ni dei
Pitagorici egli non ammetteva né a caso né chiunque, [75] bensi dopo lunghe sperimentazioni e dopo
avere respinto chi non ne fosse degno. E
mentre a quelli che erano estranei alla sua scuola non comunicò i suoi propri contributi scientifici
imponendo anche agli altri il segreto
sui ragionamenti matematici, fu invece molto generoso di contributi, per quanto concerne sia la
filosofia delle matematiche che la
teoria della geometria, verso coloro che venivano chiamati Pitagorici per la familiarità che avevano con
lui, e forse di tutti i pro- gressi che
si sono compiuti per molto tempo dopo si scoprirà che i principi ci sono venuti da lui. Ma in costoro
Pitagora non amava, come alcuni di
coloro che sono venuti dopo, la loro potenzialità per la quale essi sarebbero stati in grado di
scoprire la soluzione dei pro- blemi che
si ponevano, bensi i loro teoremi in quanto tali;!87 e tra que- sti non quelli che erano di pit difficile
soluzione, come faranno la maggior parte
di coloro che sono venuti dopo, bensi quei teoremi in cui era possibile soprattutto comprendere il
loro ruolo o qualche loro proprietà che
si rifletteva nell'ordine naturale. E io sono stato colpito dal fatto che Pitagora credesse che nei
teoremi matematici ci siano i principi
dell'intera natura e soprattutto che sia facile teorizzare quali e quanti essi siano, per il fatto che
concernono la natura nella sua sta-
bilità e immobilità, oltre che semplicità; è per questo che i
Pitagorici non hanno toccato le
questioni problematiche, ad eccezione di quel-
le elementari, come la parabola e la quadratura <del cerchio>, e
dei teoremi non si occupavano con
l’intenzione di esaminare dettagliata-
mente tutti gli aspetti senza trascurare nessuna possibilità, ma cerca- vano di vedere in ciascuno di essi solo i
principi in quanto tali. E in queste
scienze matematiche si esercitavano e affinavano l’elaborazio- ne di calcolo in rapporto alla capacità
teoretica della particolare scien- 586
GIAMBLICO γυμνασίαν δὲ ἐν ταῖς
ἐπιστήμαις ταύταις καὶ ἐξεργασίαν λογικὴν
ἐποιοῦντο ἀκριβῆ θεωρητικὴν εἰς ἐπιστήμην οἰκείαν, τάξιν τε ἐν ταῖς ἐπιστήμαις προσέθηκαν τὴν προσήκουσαν,
ὀλίγα τε [76] κατ᾽ ἀρχὰς παραλαβόντες
ἐξειργάσαντο ταῦτα, καὶ μάλιστα τὰ τιμιώτα-
τὰ καὶ σεμνότατα τῶν θεωρημάτων ἐτελεώσαντο, ἄλλως τε ἀσκούμε- va τὰ θεωρήματα ἐπ᾽ ἄλλα περιήγαγον, τάξιν τ᾽
ἐν αὐτοῖς ἐποιοῦντο τοιαύτην ὡς τὰ μὲν
ἁπλούστερα «πρότερα» παραδιδόναι τὰ δὲ συν-
θέσεως ἐφαπτόμενα δεύτερα, καὶ τῇ φύσει τῶν ὄντων ἑπομένως συνέταττον τὰ θεωρήματα καὶ τῇ ἡμετέρᾳ
δυνάμει προσφόρως καὶ τῇ ἀξίᾳ τῶν
παραλαμβανόντων αὐτὰ οἰκείως τῇ τε πρὸς ἀρετὴν
ἀγωγῇ [10] καὶ τῇ ὅλῃ παιδείᾳ ὁμολογουμένως καὶ τῇ καθάρσει τῆς ψυχῆς προσηκόντως. Τοιαῦτα ἄν τις καὶ περὶ τούτου γνωρίσματα
τοῦ Πυθαγορικοῦ τύ- που ποιήσαιτο, περὶ
ὧν πλείονα ἐροῦμεν ἐν τοῖς κατ᾽ ἰδίαν περὶ
ἑκάστου τῶν μαθημάτων λεχθησομένοις.
25. Δύο δ᾽ ἐστὶ τῆς Ἰταλικῆς φιλοσοφίας εἴδη, καλουμένης δὲ Πυθαγορικῆς. δύο γὰρ ἦν γένη καὶ τῶν
μεταχειριζομένων αὐτήν, οἱ μὲν
ἀκουσματικοί, οἱ δὲ μαθηματικοί. τούτων δὲ οἱ μὲν ἀκουσματι- κοὶ [20] ὡμολογοῦντο Πυθαγόρειοι εἶναι ὑπὸ
τῶν ἑτέρων, τοὺς δὲ μαθηματικοὺς οὗτοι
οὐχ ὡμολόγουν, οὔτε τὴν πραγματείαν αὐτῶν
εἶναι Πυθαγόρου, ἀλλὰ Ἱππάσου. τὸν δ᾽ Ἵππασον οἱ μὲν Κροτω- νιάτην φασίν, οἱ δὲ Μεταποντῖνον. οἱ δὲ περὶ
τὰ μαθήματα τῶν Πυθαγορείων [77] τούτους
τε ὁμολογοῦσιν εἶναι Πυθαγορείους, καὶ
αὐτοί φασιν ἔτι μᾶλλον, καὶ ἃ λέγουσιν αὐτοὶ ἀληθῆ εἶναι. τὴν δὲ αἰτίαν τῆς ἀνομοιότητος τοιαύτην γενέσθαι
φασίν. ἀφικέσθαι τὸν Πυθαγόραν ἐξ Ἰωνίας
καὶ Σάμου κατὰ τὴν Πολυκράτους τυραν-
νίδα καὶ ἀκμαζούσης Ἰταλίας, καὶ γενέσθαι συνήθεις αὐτῷ τοὺς πρώτους ἐν ταῖς πόλεσι. τούτων δὲ τοῖς μὲν
πρεσβυτέροις καὶ ἀσχό- λοις διὰ τὸ ἐν
πολιτικοῖς «πράγμασι κατέχεσθαι, ὡς χαλεπὸν ὃν
διὰ τῶν μαθημάτων καὶ [10] ἀποδείξεων ἐντυγχάνειν, ψιλῶς δια- λεχθῆναι, ἡγούμενον οὐδὲν ἧττον ὠφελεῖσθαι ἂν
καὶ ἄνευ τῆς αἰτί- ας εἰδότας τί δεῖ
πράττειν, ὥσπερ καὶ οἱ ἰατρευόμενοι οὐ προσα-
LA SCIENZA MATEMATICA COMUNE 587
za di cui si occupavano, e hanno assegnato ad essa il posto che le
com- peteva di diritto tra le scienze,
[76] e assumendo pochi teoremi come
punti di partenza li hanno elaborati, e hanno portato a soluzione soprattutto i teoremi più prestigiosi e
venerandi, e inoltre traduceva- no l’uno
nell’altro i teoremi su cui si esercitavano, e imponevano ad essi un ordine tale che si potessero
insegnare prima quelli più sempli- ci e
poi quelli che avevano una struttura composita, e coordinavano i teoremi secondo la natura degli enti reali e
in rapporto alla nostra capacità di
apprenderli e in corrispondenza della condizione propria di coloro che ne erano destinatari e in
concordanza con l’educazione morale e
con l’intera istruzione e in maniera appropriata alla purifica- zione dell'anima. Sono tali i segni che contraddistinguono
questo modello pitagori- co di scienza
matematica, e intorno a cui noi diremo di più quando parleremo di ciascuna matematica in
particolare. 25. Sono due le forme
della filosofia italica, che è chiamata pita-
gorica. Due infatti erano anche i gruppi di quelli che la
praticavano, l'uno degli Acusmatici e
l’altro dei Matematici. Di questi,!88 i
Matematici riconoscevano come Pitagorici gli Acusmatici, mentre questi non riconoscevano come Pitagorici i
Matematici, né pensava- no che il loro
modo di trattare la matematica fosse quello di Pitagora, bensi di Ippaso. Alcuni dicono che Ippaso
fosse nativo di Crotone, altri di
Metaponto. I Pitagorici Matematici [77] riconoscono sî che gli Acusmatici sono Pitagorici, ma dicono di se
stessi che lo sono ancor più, e quel che
dicono è la verità. E dicono che la causa di tale diffe- renziazione è la seguente. Pitagora giunse
dalla Ionia, e precisamente da Samo,
quando questa città era sotto la tirannide di Policrate, men- tre l’Italia era al suo massimo splendore, e
gli esponenti principali delle città
entrarono in rapporto di amicizia con lui. E con quelli di loro che erano più anziani e non avevano
tempo libero perché occu- pati negli
affari politici, sî che, era difficile per loro occuparsi di dimo- strazioni matematiche, Pitagora si
intratteneva in conversazioni non
impegnative,!8? pensando che non si ha minore vantaggio anche quando si deve fare qualche cosa senza
conoscerne le ragioni, come accade a
coloro che sono sottoposti a cure mediche, i quali pur non comprendendo perché devono seguire le singole
istruzioni del medi- 588
GIAMBLICO κούοντες διὰ τί αὐτοῖς
ἕκαστα πρακτέον οὐδὲν ἧττον τυγχάνουσι
τῆς ὑγείας. ὅσοις δὲ νεωτέροις ἐνετύγχανε καὶ δυναμένοις πονεῖν καὶ μανθάνειν, τοῖς τοιούτοις διὰ ἀποδείξεως
καὶ τῶν μαθημάτων ἐνετύγχανεν. αὐτοὶ μὲν
οὖν εἶναι ἀπὸ τούτων, ἐκείνους δὲ ἀπὸ τῶν
ἑτέρων. περὶ δ᾽ Ἱππάσου λέγουσιν, ὡς ἦν μὲν τῶν Πυθαγορείων, διὰ δὲ τὸ ἐξενεγκεῖν καὶ [20] γράψασθαι πρῶτος
σφαῖραν τὴν ἐκ τῶν δώδεκα πενταγώνων!9
ἀπόλοιτο κατὰ θάλατταν ὡς ἀσεβήσας, δόξαν
δὲ λάβοι ὡς «εὑρών, εἶναι δὲ πάντα ἐκείνου τοῦ ἀνδρός"
προσαγο- ρεύουσι γὰρ οὕτω τὸν Πυθαγόραν
καὶ οὐ καλοῦσιν ὀνόματι. ἐπέδω- κε δὲ τὰ
μαθήματα, ἐπεὶ ἐξηνέχθησαν δισσοὶ προάγοντε μάλιστα, Θεόδωρός τε [78] ὁ Κυρηναῖος καὶ Ἱπποκράτης ὁ
Χῖος. λέγουσι δὲ οἱ Πυθαγόρειοι
ἐξενηνέχθαι γεωμετρίαν οὕτως. ἀποβαλεῖν τινα
τὴν οὐσίαν τῶν Πυθαγορείων, ὡς δὲ τοῦτ᾽ ἠτύχησε, δοθῆναι αὐτῷ χρηματίσασθαι ἀπὸ γεωμετρίας. ἐκαλεῖτο δὴ ἡ
γεωμετρία πρὸς Πυθαγόρου ἱστορία. περὶ
μὲν οὖν τῆς διαφορᾶς ἑκατέρας τῆς πραγ-
ματείας καὶ περὶ τῶν μαθημάτων σχεδὸν ταῦτά τε καὶ τοιαῦτά ἐστι τὰ συμβεβηκότα. οἱ δὲ Πυθαγόρειοι
διατρίψαντες È ἐν τοῖς μαθήμα- σι καὶ τό
τε ἀκριβὲς τῶν λόγων [10] ἀγαπήσαντες, ὅτι μόνα εἶχεν ἀποδείξεις ὧν μετεχειρίζοντο ἄνθρωποι, καὶ
ὁμολογούμενα ὁρῶντες ἐπ᾽ ἴσον τὰ περὶ
τὴν ἁρμονίαν [ὅτι] δι᾽ ἀριθμῶν καὶ τὰ
περὶ τὴν ὄψιν μαθήματα διὰ «διανγραμμάτων, ὅλως αἴτια τῶν ὄντων ταῦτα φήθησαν εἶναι καὶ τὰς τούτων ἀρχάς:
ὥστε τῷ βουλομένῳ θεωρεῖν τὰ ὄντα πῶς
ἔχει, εἰς ταῦτα βλεπτέον εἶναι, τοὺς ἀριθμοὺς
καὶ τὰ γεωμετρούμενα εἴδη τῶν ὄντων καὶ λόγους, διὰ τὸ δηλοῦσθαι πάντα διὰ τούτων. ὡς οὖν οὔτ᾽ ἐγκαιροτέρων ἂν
οὔτε τιμιωτέρων ἀνάψαντες ἑκάστων τὰς
δυνάμεις ἢ εἰς τὰ [20] πάντων αἴτια καὶ
πρῶτα σχεδὸν ὁμοτρόπως καὶ τὰ ἄλλα τούτοις διώριζον. αἱ μὲν οὖν ἀγωγαὶ εἰς τοὺς ἀριθμοὺς καὶ τὰ μαθήματα τῶν
πραγμάτων διὰ ταῦτά τε καὶ τοῦτον τὸν
τύπον ἐδόκουν ἔχειν αὐτοῖς. τοιαύτη τις ἦν
παρ᾽ αὐτοῖς καὶ ἡ μέθοδος τῶν ἀποδείξεων, ἐκ τοιούτων τε ἀρχῶν ὁρμωμένη καὶ οὕτως ἔχουσα τὸ πιστὸν καὶ
βέβαιον ἐν τοῖς λόγοις. 19 πενταγώνων
Burkert (cf. ed. Klein Add. p. XIX) e Giamblico, Vita Pytb. 52,4 Deubner: ἑξαγώνων. 20 ἐπ’ ἴσον congetturò Vitelli: ritenne si
dovesse eliminare Burkert (cf. ed. Klein
Add. p. XIX): ἔνισον Festa. LA SCIENZA
MATEMATICA COMUNE 589 co, nondimeno
guariscono. Con quelli che erano più giovani, invece, e in grado di sopportare le fatiche dello
studio, Pitagora passava alle
dimostrazioni e discuteva delle matematiche. I Matematici, dunque, dicevano che essi discendevano da questo
secondo gruppo, e che gli altri, cioè
gli Acusmatici, discendevano dal primo. Di Ippaso si dice che era un Pitagorico, e che sarebbe perito
in mare come empio per avere divulgato
la sfera che egli per primo aveva costruito con dodici figure pentagonali,!90 e cosî ebbe fama di
averla scoperta lui la sfera, mentre era
tutto merito di “quell’uomo”: indicavano infatti con que- st'espressione Pitagora, senza chiamarlo per
nome.!9% E alla divulga- zione della
geometria aggiunse quella delle matematiche, dopo che le avevano divulgate soprattutto due suoi
predecessori, Teodoro [78] di Cirene e
Ippocrate di Chio. Ma i Pitagorici dicono che la geometria sia nata cosi. Uno dei Pitagorici perse tutti
i suoi averi e, una volta accaduto
questo, gli fu data la possibilità di rifarsi economicamente sfruttando la geometria. E perciò da Pitagora
era chiamata “ricer- ca”.!92 Sono queste
pressappoco, e di tale tenore, le vicende relative alla differenziazione tra i due modi di
trattare le matematiche.19 I Pitagorici,
dal momento che si occupavano delle matematiche e ama- vano l'esattezza dei ragionamenti matematici,
perché solo questi pos- siedono capacità
apodittiche nelle faccende umane, e vedevano che erano in perfetto accordo tra loro le armonie
ottenute con il calcolo numerico e la
loro trasposizione visiva nei diagrammi matematici, ritennero che queste fossero in generale le
cause degli enti e i loro principi;
sicché chi vuole vedere come stanno realmente le cose, è a queste cose che deve guardare, cioè ai numeri
e alle forme degli enti ridotte a figure
geometriche e ai calcoli relativi, perché per mezzo di essi tutto appare chiaro. I Pitagorici,
dunque, dopo avere collegato le potenze
delle singole cose alle cause e ai principi di ogni cosa, quasi fossero meno opportune e meno pregevoli di
questi, quasi allo stesso modo
definivano per mezzo di questi principi anche tutto il resto. Dunque l'educazione ai numeri e alle
matematiche delle cose!% attra- versava,
secondo loro, queste fasi e questo modello pedagogico. Tale era anche il loro metodo delle dimostrazioni,
che prendeva le mosse da tali principi e
cosî godeva di affidabilità e stabilità nei ragionamen- tl.
590 GIAMBLICO 26. [79] Γεγόνασι
δέ τινες, οἱ μὲν παλαιοὶ οἱ δὲ νέοι, οἵτινες τὴν ἐναντίαν δόξαν περὶ τῶν μαθημάτων
ἐξενηνόχασι, ψέγοντες αὐτὰ ὡς παντελῶς
ἄχρηστα καὶ πρὸς τὸν ἀνθρώπινον βίον οὐδὲν συμβαλ- λόμενα. ἔνιοι δὲ οὕτως ἐπιχειροῦσιν" εἰ
ἀχρεῖον αὐτῶν τὸ τέλος, δι᾽ ὅπερ αὐτὰ
μανθάνειν φασὶ δεῖν οἱ φιλόσοφοι, πολὺ πρότερον
ἀνάγκη μάταιον εἶναι τὴν περὶ ταῦτα σπουδήν. περὶ δὲ τοῦ τέλους σχεδὸν ὁμολογοῦσι πάντες οἱ δοκοῦντες περὶ
αὐτὴν μάλιστα [10] ἠκριβωκέναι. φασὶ γὰρ
οἱ μὲν εἶναι τὴν τῶν ἀδίκων καὶ δικαίων καὶ
κακῶν καὶ ἀγαθῶν ἐπιστήμην, ὁμοίαν οὖσαν γεωμετρίᾳ καὶ ταῖς ἄλλαις ταῖς τοιαύταις, οἱ δὲ τὴν περὶ φύσεώς
τε καὶ τῆς τοιαύτης ἀληθείας φρόνησιν,
οἵαν οἵ τε περὶ ᾿Αναξαγόραν καὶ Παρμενίδην
εἰσηγήσαντο. δεῖ δὴ μὴ λεληθέναι τὸν μέλλοντα περὶ τούτων ἐξετά- ζειν, ὅτι πάντα τὰ ἀγαθὰ καὶ τὰ πρὸς τὸν βίον
ὠφέλιμα τοῖς ἀνθρώποις ἐν τῷ χρῆσθαι καὶ
πράττειν ἐστίν, ἀλλ᾽ οὐκ ἐν τῷ γιν-
ὦσκειν μόνον᾽ οὔτε γὰρ ὑγιαίνομεν τῷ γνωρίζειν τὰ ποιητικὰ τῆς [20] ὑγιείας, ἀλλὰ τῷ προσφέρεσθαι τοῖς
σώμασιν: οὔτε πλου- τοῦμεν τῷ γιγνώσκειν
πλοῦτον, ἀλλὰ τῷ κεκτῆσθαι πολλὴν οὐσίαν"
οὐδὲ τὸ πάντων μέγιστον εὖ ζῶμεν τῷ γιγνώσκειν ἄττα τῶν ὄντων, ἀλλὰ τῷ πράττειν ed τὸ γὰρ εὐδαιμονεῖν ἀληθῶς
τοῦτ᾽ ἐστίν. ὥστε προσήκει καὶ τὴν
φιλοσοφίαν, εἴπερ ἐστὶν ὠφέλιμος, ἤτοι πρᾶξιν
εἶναι τῶν ἀγαθῶν ἢ χρήσιμον εἰς τὰς [80] τοιαύτας πράξεις. ὅτι μὲν οὖν οὐκ ἔστιν οὔθ᾽ αὕτη πραγμάτων ἐργασία τις
οὔτ᾽ ἄλλη τῶν προ- εἰρημένων ἐπιστημῶν
οὐδεμία, φανερόν ἐστι πᾶσιν᾽ ὅτι δ᾽ οὐδ᾽ ἐστὶ
χρήσιμος εἰς τὰς πράξεις, ἐκεῖθεν div τις καταμάθοι. μέγιστον γὰρ ἔχομεν παράδειγμα τὰς ὁμοίας ἐπιστήμας αὐτῇ
καὶ τὰς ὑποκειμένας δόξας ὧν γάρ εἰσιν
οἱ γεωμέτραι δι᾽ ἀποδείξεως θεωρητικοί,
τούτων οὐδενὸς ὁρῶμεν αὐτοὺς ὄντας πρακτικούς, ἀλλὰ καὶ διελεῖν χωρίον καὶ τὰ ἄλλα πάντα πάθη τῶν
τε [10] μεγεθῶν καὶ τῶν τόπων οἱ μὲν
γεωδαῖται δύνανται δι᾽ ἐμπειρίαν, οἱ δὲ περὶ τὰ
μαθήματα καὶ τοὺς τούτων λόγους ἴσασι μὲν ὡς δεῖ πράττειν, οὐ δύ- νανται δὲ πράττειν. ὁμοίως δ᾽ ἔχει καὶ περὶ
μουσικὴν καὶ τὰς ἄλλας LA SCIENZA
MATEMATICA COMUNE 591 [79] 26. Ci sono
stati alcuni,19 sia tra gli antichi che tra i moder- ni, i quali hanno espresso un’opinione
contraria a proposito delle matematiche,
rimproverando loro di essere assolutamente inutili e di nessun aiuto per la vita dell’uomo.!% E
alcuni fanno questo ragiona- mento: se
il fine ultimo, per cui dicono i filosofi, devono essere appre- se le matematiche è inutile, necessariamente
sarà inutile a maggior ragione il loro
studio. Sul fine concordano più o meno tutti coloro che credono di avere ottenuto la massima
precisione nel trattare appunto di
matematica. Alcuni infatti, dicono che il fine ultimo della matema- tica è la scienza dell’ingiusto e del giusto,
del male e del bene, scien- za che è
simile alla geometria e alle altre scienze del genere, altri inve- ce che è la comprensione della natura e della
verità naturale, com'è ad esempio quella
che introdussero Anassagora e Parmenide. In verità chi si accinge a compiere ricerche
matematiche deve tenere presente che
tutti i beni e le cose utili alla vita degli uomini si trovano nell’usa- re e nell’agire praticamente, non nel solo
conoscere: infatti non ci fa guarire il
semplice conoscere le cose che procurano la salute, bensi l’applicarle ai corpi; né ci fa arricchire il
semplice sapere che cos'è la ricchezza,
bensi l’avere guadagnato molto; e neppure ci fa vivere nel miglior modo possibile il semplice conoscere
certe cose, bensi l’agire bene, perché
questo è veramente essere felici. Ne consegue che anche la filosofia, se è veramente utile, convenga
che sia un agire bene o un favorire [80]
le azioni buone. Ebbene, è chiaro per tutti che né essa né alcuna delle suddette scienze sia
un'operazione che produca cose concrete;
e che la filosofia non sia neppure un favorire le azioni, lo si può arguire nel modo seguente. Il massimo
esempio che possiamo trovare, infatti, è
quello delle scienze che le somigliano e delle opinio- ni su cui esse si fondano. Orbene, delle cose
che i geometri teorizza- no nelle loro
dimostrazioni, su nessuna vediamo che essi esercitano un’azione pratica, al contrario sono i
geodeti!? quelli capaci empiri- camente
di dividere l’area e tutti gli altri accidenti delle grandezze e dei luoghi, mentre coloro che si occupano
delle matematiche e dei loro principi
sanno si come si deve agire praticamente, ma non sono in grado di farlo. Lo stesso discorso vale
per la musica e per le altre scienze,
nelle quali si è fatta netta distinzione tra la conoscenza e l’esperienza. Alcuni infatti hanno preso
l'abitudine di esaminare gli accordi
musicali e materie del genere definendone alla maniera dei 592 GIAMBLICO ἐπιστήμας, ὅσαις διήρηται τό τε τῆς γνώσεως
καὶ τὸ τῆς ἐμπειρίας χωρίς. οἱ μὲν γὰρ
τὰς ἀποδείξεις καὶ τοὺς συλλογισμοὺς διωρισμέ-
νοι περὶ συμφωνίας καὶ τῶν ἄλλων τῶν τοιούτων, ὥσπερ οἱ κατὰ φιλοσοφίαν, σκοπεῖν εἰώθασιν, οὐδενὸς δὲ
κοινωνοῦσι τῶν ἔργων, ἀλλὰ κἂν
τυγχάνωσιν αὐτῶν δυνάμενοί τι [20] χειρουργεῖν, ὅταν μάθωσι τὰς ἀποδείξεις, ὥσπερ ἐπίτηδες, εὐθὺς αὐτὰ
χεῖρον ποιοῦσιν: οἱ δὲ τοὺς μὲν λόγους
ἀγνοοῦντες, γεγυμνασμένοι δὲ καὶ
δοξάζοντες ὀρθῶς ὅλῳ καὶ παντὶ διαφέρουσι πρὸς τὰς χρείας. ὡσαύτως δὲ καὶ περὶ τῶν κατὰ τὴν ἀστρολογίαν,
οἷον ἡλίου καὶ σελήνης πέρι καὶ τῶν
ἄλλων ἄστρων, οἱ μὲν τὰς αἰτίας καὶ τοὺς λό-
γους μεμελετηκότες οὐδὲν τῶν χρησίμων τοῖς ἀνθρώποις ἴσασιν, οἱ δὲ τὰς ὑπὸ τούτων ναυτικὰς καλουμένας
ἐπιστήμας ἔχοντες χειμῶνας καὶ πνεύματα
καὶ πολλὰ τῶν γινομένων δύνανται [81]
προλέγειν ἡμῖν. ὥστε πρὸς τὰς πράξεις ἀχρεῖοι παντελῶς ἔσονται αἱ τοιαῦται ἐπιστῆμαι᾽ εἰ δὲ τῶν πράξεων τῶν
ὀρθῶν ἀπολείπονται, τῶν μεγίστων ἀγαθῶν
ἀπολείπεται ἡ φιλομάθεια. Πρὸς δὴ ταῦτα
ἀντιλέγοντες, εἶναί τέ φαμεν ἐπιστήμας τῶν
μαθημάτων καὶ ταύτας δυνατὰς εἰς τὸ μεταλαβεῖν. ἀεὶ γὰρ γνώριμ- drepa ἀμφότερα, τὰ πρότερα τῶν ὑστέρων καὶ τὰ
βελτίω τὴν φύσιν τῶν χειρόνων. τῶν γὰρ
ὡρισμένων καὶ τεταγμένων [10] ἐπιστήμη
μᾶλλόν ἐστιν ἢ τῶν ἐναντίων, ἔτι δὲ τῶν αἰτίων ἢ τῶν ἀποβαινόντων. ἔστι δὲ ὡρισμένα καὶ τεταγμένα τὰ ἐν τοῖς
ἀκινήτοις μαθηματικοῖς εἴδεσιν. αἴτιά τε
μᾶλλον τὰ πρότερα τῶν ὑστέρων᾽ ἐκείνων γὰρ
ἀναιρουμένων ἀναιρεῖται τὰ τὴν οὐσίαν ἐξ ἐκείνων ἔχοντα, μήκη μὲν ἀριθμῶν, ἐπίπεδα δὲ μηκῶν, στερεὰ δὲ
ἐπιπέδων. ὥστε εἴπερ πάντων ἐστὶν
ἁπλούστερα τὰ ἐν τοῖς μαθήμασιν, ἔσται καὶ ἀρχικώ- tepa πάντων. ὥστε περὶ τὰ ἀμείνονα καὶ
ἀρχηγικώτερα ἔσονται πολὺ μᾶλλον ἐπιστῆμαι,
καὶ δυναταὶ κτήσασθαι ὑπάρχουσι [20]
πολὺ γὰρ πρότερον ἀναγκαῖον τῶν αἰτίων καὶ τῶν στοιχείων εἶναι φρόνησιν ἢ τῶν ὑστέρων. οὐ γὰρ ταῦτα τῶν
ἄκρων οὐδ᾽ ἐκ τούτων τὰ πρῶτα πέφυκεν,
ἀλλ᾽ ἐξ ἐκείνων καὶ δι᾽ ἐκείνων καὶ τάλλα γίγνε- ται καὶ συνίσταται φανερῶς. ὅτι δὲ καὶ
μέγιστόν ἐστι τῶν ἀγαθῶν LA SCIENZA
MATEMATICA COMUNE 593 filosofi le
dimostrazioni e i rapporti, senza avere niente a che fare con le relative operazioni, ma anche se capita
loro di essere capaci di com- piere al
meglio qualche operazione manuale, quando hanno imparato le dimostrazioni, immediatamente dopo le
compiono peggio; altri invece che si
sono abituati a operare ignorando i rapporti, una volta che siano esercitati e abbiano opinioni
corrette, acquistano un’assolu- ta
superiorità d’uso. Lo stesso discorso vale anche per l’astrologia: ad esempio, a proposito del sole e della luna e
delle altre stelle, alcuni astrologi,!98
dopo avere riflettuto sulle cause e sui rapporti, non sanno nulla dei vantaggi che gli astri arrecano
agli uomini; altri invece, che
possiedono le cosiddette scienze nautiche che dipendono dagli
astri, sono in grado di preannunziarci
le tempeste e i venti e molti di tali
fenomeni. [81] Ne consegue che le pure conoscenze scientifiche saranno assolutamente inutili rispetto alle
attività pratiche; ma se sono inferiori
rispetto alle corrette attività pratiche, allora l’amore del sapere è inferiore rispetto ai beni più
grandi. Ebbene, noi controbattiamo
questo ragionamento e diciamo che
esistono scienze delle matematiche e che tali scienze sono
disponibili alla partecipazione.!99
Sempre, infatti, le cose primarie e migliori per natura sono entrambe più note, le primarie
rispetto alle secondarie e le migliori
per natura rispetto alle peggiori per natura. La scienza delle cose determinate e ordinate, infatti,
vale più della scienza dei loro
contrari, e ancora la scienza delle cause vale più di quella degli effetti. E le cose che si trovano nelle forme
immobili200 delle matema- tiche sono
determinate e ordinate. E le cose primarie sono cause più delle secondarie, perché, tolte le prime,
sono tolte anche le seconde che ricevono
l’essere dalle prime, ad esempio le lunghezze dai nume- ri, le superfici dalle lunghezze, i solidi
dalle superfici. Ne consegue che, se è
vero che gli enti matematici sono più semplici di tutti gli altri, saranno anche più principiali di tutti
gli altri. Sicché delle cose superiori e
più originarie ci saranno a maggiore ragione scienze, e scienze che sono capaci di acquisirle:
infatti la conoscenza delle cause e
degli elementi viene necessariamente molto prima di quella delle cose ultime. Queste infatti non sono tra le
cose che stanno in alto, né le cose
primarie derivano per natura da quelle che sono ultime, bensi dalle cause prime, dalle quali manifestamente
nasce ed è composto tutto il resto.
Donde risulta evidente che la conoscenza scientifica 594 GIAMBLICO καὶ πάντων ὠφελιμώτατον τῶν ἄλλων,
ἐπίστασθαι τὰ μαθήματα, ἐκ τῶνδε δῆλον.
[82] λόγος γὰρ καὶ φρόνησις ἡγεῖται τῶν ἀγαθῶν'
κανών τε καὶ ὅρος ἀκριβέστατος τῶν ἀγαθῶν οὐδεὶς ἄλλος ἐστὶ πλὴν ὁ φρόνιμος: ὅσα γὰρ ἂν οὗτος ἕλοιτο,
ταῦτ᾽ ἐστὶν ἀγαθά, κακὰ δὲ τἀναντία
τούτοις. ἐπεὶ δὲ πάντες αἱροῦνται μάλιστα «τὰ» κατὰ τὰς οἰκείας ἕξεις (τὸ μὲν γὰρ δικαίως ζῆν ὁ
δίκαιος, τὸ δὲ κατὰ τὴν ἀνδρείαν ὁ τὴν
ἀνδρείαν ἔχων, ὁ δὲ σώφρων τὸ σωφρονεῖν), ὁμοίως δῆλον ὅτι καὶ τὸ φρονεῖν ὁ φρόνιμος αἱρήσεται
πάντων μάλιστα" τοῦτο γὰρ ἔργον
ταύτης τῆς δυνάμεως. [10] ὥστε φανερὸν ὅτι κατὰ
τὴν κυριωτάτην κρίσιν κράτιστόν ἐστι τῶν ἀγαθῶν ἡ φρόνησις. καὶ οὐ δεῖ πάντως! χρείας ἕνεκα αὐτὴν
μεταδιώκειν" καὶ γὰρ αὕτη δι᾽ αὑτήν
ἐστιν αἱρετή. Καὶ περὶ μὲν ὠφελείας καὶ
μεγέθους τοῦ πράγματος ἱκανῶς ἀποδε-
δεῖχθαι νομίζω, διότι δὲ πολλῷ ῥᾷάστη τῶν ἄλλων ἀγαθῶν ἡ κτῆσις αὑτῆς, ἐκ τῶνδε πέπεισμαι. τὸ γὰρ μήτε μισθοῦ
παρὰ τῶν ἀνθρώπων γινομένου τοῖς
φιλοσόφοις, δι᾽ ὃν συντόνως οὕτως ἂν διαπονήσειαν, πολὺ τε προεμένους «εἰς τὰς ἄλλας [20] τέχνας
ὅμως ἐξ ὀλίγου χρό- νου θέοντας
παρεληλυθέναι ταῖς ἀκριβείαις, σημεῖόν μοι δοκεῖ τῆς περὶ τὴν φιλοσοφίαν εἶναι ῥᾳστώνης. ἔτι δὲ τὸ
πάντας φιλοχωρεῖν ἐπ᾽ αὐτῇ καὶ βούλεσθαι
σχολάζειν ἀφεμένους τῶν ἄλλων ἁπάντων,
οὐ μικρὸν τεκμήριον ὅτι μεθ᾽ ἡδονῆς ἡ προσεδρεία γίγνεται" πονεῖν γὰρ οὐδεὶς ἐθέλει πολὺν χρόνον. πρὸς δὲ
τούτοις ἡ χρῆσις πλεῖστον διαφέρει
πάντων: οὐδὲν γὰρ δέονται πρὸς τὴν ἐργασίαν ὀργάνων οὐδὲ τόπων, ἀλλ᾽ ὅπῃ τις ἂν θῇ τῆς οἰκουμένης
τὴν [83] διάνοιαν, ὁμοίως πανταχόθεν
ὥσπερ παρούσης ἅπτεται τῆς ἀληθείας. ἀλλὰ
ταῦτα μὲν ἴσως ἀποχρώντως εἴρηται πρὸς τὸν ἐνεστῶτα καιρόν᾽ καὶ γὰρ ὅτι δυνατὸν καὶ διότι μέγιστον τῶν ἀγαθῶν
καὶ κτήσασθαι ῥάδιον ἡ φρόνησις,
ἀποδέδεικται. Νεώτατον οὖν
ὁμολογουμένως ἐστὶ τῶν ἐπιτηδευμάτων ἡ περὶ τὴν
ἀλήθειαν ἀκριβολογία. μετὰ γὰρ τὴν φθορὰν καὶ τὸν κατακλυσμὸν τὰ περὶ τὴν τροφὴν καὶ τὸ ζῆν πρῶτον
ἠναγκάζοντο φιλοσοφεῖν, [10] 21 πάντως
Diiring (cf. ed. Klein Add. p. XIX): πάντας Festa. LA SCIENZA MATEMATICA COMUNE 595 delle matematiche è anche il bene più
grande e più vantaggioso fra tutti,
perché la ragione [82] e l’intelligenza sono i primi beni; e non c'è nessun altro canone o limite dei beni più
sicuro di chi è intelligen- te: sono
beni, infatti, le cose che egli predilige, mali le cose contrarie. Ma poiché tutti desiderano le cose
soprattutto secondo le loro pro- prie
nature (chi è giusto, infatti, desidera il vivere secondo giustizia, e chi è coraggioso il vivere con coraggio, e
chi è saggio l'agire con sag- gezza),
allo stesso modo è chiaro che anche chi è intelligente deside- rerà soprattutto il capire ogni cosa, perché
questo è l'aspetto operati- vo
dell'essere intelligente. Sicché è chiaro che in virtà della sua capa- cità di giudicare al più alto livello, il
bene più eccellente è l’intelligen- za.
E non bisogna affatto cercarla per la sua utilità, ma perché è desi- derabile per se stessa. E sull’utilità e l’importanza della
filosofia credo sia stata data suf-
ficiente dimostrazione, ma per quale ragione l’acquisto della
filosofia sia di gran lunga il più
facile fra gli altri beni, io me ne sono persuaso in questo modo. Che i filosofi, infatti, non
abbiano ricevuto dagli uomini alcun
compenso, per cui valesse la pena di faticare cosi inten- samente, e che per quanto abbiano progredito
nelle altre discipline, tuttavia anche
quando esercitano la filosofia da poco tempo abbiano sorpassato gli altri in fatto di precisione,
a me sembra un segno della facilità di
essere filosofi. E ancora, il fatto che tutti vivano volentieri nella filosofia e vogliano coltivarla anche a
costo di abbandonare tutte le altre
discipline, è indizio non trascurabile che tale condizione è accompagnata da piacere: nessuno infatti ama
soffrire per lungo tempo. Si aggiunga il
fatto che l’uso di essa è assolutamente diverso
da quello di tutte le altre discipline. Per lavorare
filosoficamente, infatti, non c’è
affatto bisogno né di strumenti né di luoghi adatti, al contrario in qualunque parte del mondo ci si
metta a ragionare, [83] si è ugualmente
a contatto con la verità come se questa si presentasse da ogni parte. Ma quello che si è detto fin
qui è forse sufficiente per il momento:
e infatti si è dimostrato che è possibile e perché è possi- bile che l’intelligenza sia il più grande dei
beni e possa essere acqui- stata con
facilità. Orbene, c’è accordo sul fatto
che la più recente occupazione del-
l’uomo sia lo studio dell’esattezza a proposito della verità. Dopo la distruzione e il diluvio, infatti, gli uomini
erano costretti a procacciar- 596
GIAMBLICO εὐπορώτεροι δὲ γενόμενοι τὰς
πρὸς ἡδονὴν ἐξειργάσαντο 26,120 τέχνας,
οἷον μουσικὴν καὶ τὰς τοιαύτας, πλεονάσαντες δὲ τῶν ἀναγκαίων οὕτως ἐπεχείρησαν φιλοσοφεῖν.
τοσοῦτον δὲ νῦν προελ- ηλύθασιν ἐκ
μικρῶν ἀφορμῶν ἐν ἐλαχίστῳ χρόνῳ ζητοῦντες οἵ τε περὶ τὴν γεωμετρίαν καὶ τοὺς λόγους καὶ τὰς
ἄλλας παιδείας, ὅσον οὐδὲν ἕτερον γένος
ἐν οὐδεμιᾷ τῶν τεχνῶν. καίτοι τὰς μὲν ἄλλας
πάντες συνεξορμῶσι τιμῶντες κοινῇ καὶ τοὺς μισθοὺς τοῖς ἔχουσι διδόντες, τοὺς δὲ ταῦτα πραγματευομένους οὐ
μόνον οὐ προτρέπο- μεν ἀλλὰ καὶ [20]
διακωλύομεν πολλάκις, ἀλλ᾽ ὅμως ἐπιδίδωσι
πλεῖστον, διότι τῇ φύσει ἐστὶ πρεσβύτατα᾽ τὸ γὰρ τῇ γενέσει ὕστε- ρον, οὐσίᾳ καὶ τελειότητι προηγεῖται. Καὶ ἡ τῶν μαθημάτων οὖν ἐπιστήμη κρατεῖ πρὸς
ἅπαντα ταῦτα τῶν ἄλλων ἐπιστημῶν ἐκ
περιττοῦ, κάλλει καὶ ἀκριβείᾳ τῶν πάντων ἐπι-
τηδευμάτων προέχουσα᾽ [84] ἔχει δὲ καὶ τὸ κατὰ λόγον οὕτως. πρῶτα μὲν γὰρ τὰ τῇ γενέσει ὁμοφυῆ
περισπούδαστά ἐστι τοῖς ἀνθρώποις ὥστε
κτᾶσθαι κατὰ δύναμιν, ἐπὶ δὲ τούτοις τὰ ἀπολύον- ta ἡμᾶς τῆς σωματοειδοῦς φύσεως πολὺ τῶν
προτέρων ἐστὶ τιμιώτε- ρα’ τὰ μὲν γὰρ ὡς
ἀναγκαῖα προῦὔπόκειται, τὰ δὲ ὡς δι᾽ αὑτὰ αἱρετὰ καὶ σεμνὰ πρεσβείων καὶ τιμῆς ἠξίωται.
συμβάλλεται μὲν οὖν καὶ πρὸς τὴν ὅλην
ἀνθρωπίνην ζωὴν οὐκ ὀλίγας χρείας ἡμῖν τὰ μαθήμα- τα, ὡς πρόδηλον τοῖς ἐπὶ τοῦ βίου [10] τὰ ἀπὸ
τῶν μαθηματικῶν τεχνῶν ἔργα
ἐπισκοπουμένοις᾽ οὐ μὴν ἀλλὰ ταῦτα μέν ἐστι ἐλάττο- νος σπουδῆς ἄξια, τὰ δὲ μέγιστα ἡ κάθαρσίς
ἐστι τῆς ἀθανάτου ψυχῆς, καὶ ἡ τοῦ νοῦ
περιαγωγὴ πρὸς τὸ νοητόν, καὶ ἡ μετουσία τῆς
τοῦ ὄντος ἐνεργείας. ταῦτα δ᾽ ἡμῖν παρασκευάζουσα ἣ μαθηματικὴ ἐπιστήμη τὰ πάντα ἀγαθὰ παρέχει, ὥστε πρὸς τὸ
τέλος τῆς εὐδαιμο- viag οὐκ cid’ εἴ τις
ἄλλη μέθοδος οὕτω συναίρεται. διὰ δὴ τούτων
οὐ μόνον ψευδεῖς οἱ᾽ ἐναντίοι λόγοι πεφήνασιν, ἀλλὰ καὶ τὰ μαθήματα χρησιμώτατα ὄντα ἡμῖν [20]
ἀποδέδεικται. 27. Ἐπεὶ δὲ τοῦ
πεπαιδευμένου ἔργον ἐστὶ τὸ δύνασθαι κρῖναι
LA SCIENZA MATEMATICA COMUNE 597
si anzitutto gli alimenti e i mezzi per vivere, e quando ebbero
raggiun- to uno stato di maggiore
agiatezza si misero a coltivare le arti volut-
tuarie, come ad esempio la musica e le arti del genere, e cosî, una
volta che ebbero soddisfatto pienamente
i loro bisogni,20! si diedero alla
filosofia. E ora, coloro che fanno ricerche di geometria e di calcolo e di altre discipline,202 hanno progredito
tanto in pochissimo tempo e con
pochissime spinte quanto nessun altro genere di ricercatori in nessun'altra arte. E tuttavia, sebbene tutti
incoraggino le altre arti onorandole
pubblicamente e concedendo ricompense a coloro che le possiedono, quelli invece che praticano le
matematiche noi non solo non li
esortiamo, ma anzi spesso li ostacoliamo, ma nondimeno que- ste discipline progrediscono moltissimo,
perché sono le pit antiche per natura:
ciò che è posteriore per nascita,203 infatti, è anteriore per essenza e perfezione. Ebbene, anche la scienza delle matematiche,
supera abbondante- mente in tutto ciò le
altre scienze, in quanto precede tutte le altre
occupazioni per bellezza e precisione: [84] e c’è una ragione
perché le cose stiano cosî. Sono prime
infatti le scienze che, in quanto conna-
turali per nascita, gli uomini desiderano acquistare per quanto sia
loro possibile, ad esse si aggiungono
quelle che sono prime perché ci libe-
rano dalla natura corporea e che sono molto più preziose delle
prece- denti: alcune infatti fanno da
presupposto necessario a quelle, altre
sono degne di essere onorate e stimate in quanto di per sé desidera- bili e nobili.20 Le matematiche, dunque, ci
sono di grande utilità per quanto
riguarda la vita umana nel suo complesso, come risulta chiaro a chi osservi le influenze che le tecniche
matematiche hanno sulla nostra vita; e
queste influenze non sono meno degne di attenzione, e quelle di maggiore importanza sono la catarsi
dell'anima immortale, e la conversione
dell'intelletto verso l’intelligibile, e la partecipazione all'attività dell’essere.205 Procurandoci
queste condizioni, la scienza matematica
ci fornisce tutti i beni, tanto che io non so se si possa tro- vare un altro metodo che ci aiuti come questo
della matematica a rag- giungere la
felicità. Perciò non solo appaiono falsi i ragionamenti con- trari, ma si dimostra anche che le
matematiche sono per noi le scien- ze
più utili. 27. Poiché è compito
dell’uomo colto essere capace di giudicare
598 GIAMBLICO εὐστόχως τί καλῶς
ἢ μὴ καλῶς ἀποδίδωσιν ὁ λέγων, τοιοῦτον δή
τινα τὸν ὅλως πεπαιδευμένον οἰόμεθα εἶναι, καὶ τὸ πεπαιδεῦσθαι τὸ δύνασθαι ποιεῖν τὸ εἰρημένον. δῆλον δὴ
τοῦθ᾽ ὅτι καὶ περὶ τὰ μαθήματα τὸν ὀρθῶς
πεπαιδευμένον [85] ἀπαιτεῖν δεῖ παρὰ τοῦ
μαθηματικοῦ τὴν ὀρθότητα καὶ τὸ οἰκεῖον ἔργον, εἰ καλῶς ἢ μὴ καλῶς ποιεῖται τὴν περὶ αὐτῶν θεωρίαν. ὥσπερ
γὰρ τὸν ἁπλῶς πεπαιδευμένον περὶ πάντων
ὡς εἰπεῖν κριτικὸν νομίζομεν εἶναι ἕνα
τὸν ἀριθμὸν ὄντα, οὕτως καὶ περί τινος ἐπιστήμης ἀφωρισμένης εἴη ἄν τις ἕτερος τὸν αὐτὸν τρόπον τῷ εἰρημένῳ
διακείμενος περὶ μόριον. ὥστε δῆλον ὅτι
καὶ τῆς περὶ τὰ μαθήματα θεωρίας dei τινας
ὑπάρχειν ὅρους τοιούτους, πρὸς οὺς ἀναφέρων ἀποδέξεται ὁ [10] πεπαιδευμένος τὸν τρόπον τῶν δεικνυμένων,
χωρὶς τοῦ πῶς ἔχειν τἀληθές, εἴτε οὕτως
εἴτε ἄλλως. λέγω δὲ οἷον πότερον δεῖ λαμβά-
νοντας ἕν ἕκαστον θεώρημα τῶν μαθηματικῶν περὶ τούτου διορίζειν καθ᾽ αὑτό, οἷον περὶ τῶνδε τῶν τριγώνων, ἢ τὰ
κοινὰ θεωρήματα καὶ τὰ πᾶσιν ὑπάρχοντα
δεῖ σκοπεῖν κατά τι κοινὸν ὑποθεμένους.
πολλὰ γὰρ ὑπάρχει τὰ αὐτὰ πολλοῖς γένεσιν ἑτέροις οὖσιν ἀλλήλων, οἷον εἴ τις καθόσον ἐστὶ τρίγωνα
ποιοῖτο τὴν ἀπόδειξιν, ἢ καθόσον ἐστὶν
εὐθύγραμμα κοινῶς. εἰ γάρ τινα τὰ αὐτὰ [20]
ὑπάρχοι τοῖς εἴδει διαφέρουσιν, οὐδ᾽ ἡ ἀπόδειξις αὐτῶν οὐδεμίαν ὀφείλει ἔχειν διαφοράν. ἕτερα δὲ ἴσως ἐστίν,
οἷς συμβαίνει τὴν μὲν κατηγορίαν ἔχειν
τὴν αὐτήν, διαφέρειν δὲ τῇ κατ᾽ εἶδος διαφορᾷ᾽
οἷον τὸ ὅμοιον ἐπὶ μὲν τριγώνων ἐστὶν ἄλλο, ἐπ᾽ ἀριθμῶν δὲ ἕτερον. καὶ δεῖ καθ᾽ ἑκάτερον ἰδίας ποιεῖσθαι
ἀποδείξεις. ἐπισκεπτέον οὖν, πότε κοινῶς
κατὰ γένος καὶ πότε ἰδίως καθ᾽ ἕκαστον θεωρητέ-
ov' [86] τὸ γὰρ διωρίσθαι περὶ τού τῶν μέγα μέρος εἰς παιδείαν μαθηματικὴν συμβάλλεται. ἔτι κατὰ τὴν
ὑποκειμένην οὐσίαν δεῖ τοὺς λόγους
ἀπαιτεῖν τὸν μαθηματικόν, καὶ τὸν τρόπον τῶν ἀποδεί- ξεων οἰκεῖον ποιεῖσθαι. ὥσπερ οὖν τοῦ
ῥητορικοῦ πιθανολογοῦντος ἀνεχόμεθα,
οὕτω τὸν μαθηματικὸν ἀποδείξεις δεῖ ἀπαιτεῖν ἀναγ- καίας. οὐ πανταχοῦ δὲ τὰς αὐτὰς ἀνάγκας δεῖ
ζητεῖν οὐδ᾽ ὁμοίως τὴν αὐτὴν ἀκρίβειαν
ἐν ἅπασιν, ἀλλ᾽ ὥσπερ τὰ κατὰ τὰς τέχνας ταῖς
LA SCIENZA MATEMATICA COMUNE 599
in modo competente2% se uno che parli di qualcosa esprima cose cor- rette o no, noi riteniamo che sia tale uno
che abbia una cultura com- pleta, e che
essere colto significhi appunto essere in grado di mettere in pratica quello che si è detto. È chiaro
allora che anche a proposito delle
matematiche chi è veramente colto deve esigere [85] dal mate- matico correttezza ed è suo compito vedere se
egli costruisca in maniera giusta o no
la sua teoria matematica. Infatti, come noi ritenia- mo che chi è assolutamente istruito è, per
cosi dire, capace di emette- re giudizi
su tutto in quanto è giudice numericamente unico,207 cosî anche se qualcun altro è istruito in una
qualche scienza determinata, si troverà
nella stessa condizione di quello ma solo per una parte.208 Sicché è chiaro che anche della teoria
matematica devono esistere delle
definizioni tali che possa richiamarsi ad esse chi è istruito alla maniera suindicata, a prescindere se la
verità di quelle definizioni si concreti
in questo o in quell’altro modo.?0° Intendo dire, a prescinde- re, ad esempio, se coloro che assumono un
singolo teorema matema- tico debbano
definirlo per se stesso, ad esempio questi determinati triangoli, oppure debbano esaminare tutti i
teoremi validi per tutti i casi,210
supponendo che quel particolare caso valga come caso gene- rale. Esistono, infatti, molte cose identiche
in molti generi diversi tra loro, come
ad esempio se si indicasse in generale in che cosa consista- no i triangoli, o la linea retta.2!! Se
infatti ci fossero delle cose identi-
che in cose di specie diversa, neppure la loro dimostrazione potrebbe avere alcuna differenza. Parimenti sono cose
differenti quelle cui capita di avere la
stessa denominazione, e differire per diversa specie: una ad esempio è la somiglianza nei
triangoli, un’altra quella nei numeri. E
occorre fare dimostrazioni appropriate a ciascuna delle due specie. Occorre dunque osservare che talora
l’esame dev'essere fatto in modo comune
secondo il genere, e tal altra in modo particolare secondo la particolarità di ciascuna cosa:
l’avere fatto queste determi- nazioni,
infatti, contribuisce [86] largamente all'istruzione matemati- ca. Inoltre, bisogna esigere dal matematico
ragionamenti appropriati alla realtà di
cui tratta,212 e cioè che il metodo sia quello proprio delle dimostrazioni. Come dunque noi tolleriamo che
un retore dica solo cose credibili, cosi
dal matematico bisogna pretendere dimostrazioni
necessarie. E non bisogna cercare in ogni caso lo stesso tipo di
neces- sità, né parimenti la stessa
esattezza in tutto, al contrario, come nelle
600 GIAMBLICO ὑποκειμέναις
ὕλαις διαιροῦμεν, οὐχ ὁμοίως [10] ἐν χρυσῷ καὶ κατ- τιτέρῳ καὶ χαλκῷ ζητοῦντες τὸ ἀκριβές, οὐδὲ
ἐν φελλῷ καὶ πύξῳ καὶ λωτῷ, τὸν αὐτὸν
τρόπον καὶ ἐν ταῖς θεωρητικαῖς. εὐθὺς γὰρ
ποιήσει τὰ ὑποκείμενα διαφοράς, ὅταν «τὰ μὲν» ἁπλούστερα ἢ τὰ δὲ ἐν συνθέσει μᾶλλον, καὶ τὰ μὲν ὅλως ἀκίνητα
τὰ δὲ κινούμενα, οἷον τὰ ἐν ἀριθμοῖς καὶ
ἐν ἁρμονίᾳ ἢ τὰ ἐν γεωμετρίᾳ καὶ ἀστρονομίᾳ,
καὶ τῶν μὲν ὁ νοῦς ἡ ἀρχὴ τῶν δὲ ἡ διάνοια, ἐνίων δὲ καὶ ἀπὸ τῆς αἰσθήσεως μικραί τινες ἂν ὦσιν ἀφορμαί,
καθάπερ τῶν οὐρανίων. οὐ γὰρ οἷόν τε τὰς
αὐτὰς [20] οὐδὲ τὰς ὁμοίας αἰτίας περὶ τῶν
τοιούτων φέρειν, ἀλλ᾽ ὅσον αἱ ἀρχαὶ διαφέρουσι, τοσοῦτον καὶ τὰς ἀποδείξεις διαφέρειν: ἐν ἑκάσταις γὰρ
συγγενὴς ὁ τρόπος. ἔτι δ᾽ ἐν μείζονι
διαστάσει τούτων, ὅτι ἐπιζητοῦσιν οἱ μὲν ἔχοντες οἱ δὲ οὐκ ἔχοντες ἀρχάς; ὥστε οὐδ᾽ ἐνταῦθα ὁμοίας
αἰτίας οὐδ᾽ ὁμοίους τοὺς λόγους
ἀποδεικτέον. ἀνάγκη δὲ πρὸς ταῦτα γνωρίζειν τί ταὐτὸ [87] καὶ ἕτερον ἔχουσι καὶ τί κατ᾽ ἀναλογίαν
ταὐτόν, καὶ αἱ ποῖαι πλε- ιόνων δέονται
καὶ κατὰ ποίας πλείω τὰ ἀπορούμενα᾽ σχεδὸν γὰρ
τούτοις καὶ τοῖς τοιούτοις αἱ παραλλαγαὶ τῶν περὶ ἕκαστον ἀποδεί- ἕξεων καὶ λόγων εἰσίν. οὐ μόνον δὲ πρὸς τὸ
κρίνειν, ἀλλὰ καὶ πρὸς τὸ ζητεῖν ὡς δεῖ,
συμβάλοιτ᾽ dv ἣ τοιαύτη θεωρία᾽ διορισμὸν γὰρ
ἔχουσα τῆς καθ᾽ ἕκαστον αἰτίας, οἰκείους ποιήσει λόγους, ὅπερ οὐ ῥάδιον μὴ συνεθισθέντα δρᾶν. ἡ γὰρ φύσις αὐτὴ
καθ᾽ ἑαυτὴν ἐπὶ [10] μὲν τὰς ἀρχὰς
ὑφηγήσασθαι δύναται, κρῖναι δὲ ἕκαστα μὴ προ-
σλαβοῦσα σύνεσιν ἑτέραν οὐκ αὐτάρκης. ἔτι διακριτέον εἰ πλείους αἰτίαι εἰσὶ περὶ ὧν δεῖ τὸν μαθηματικὸν
λέγειν, ποία τε τούτων πρώτη καὶ δευτέρα
πέφυκεν. ἐξεταστικὸς γὰρ καὶ τῶν ἀποδιδο-
μένων αἰτίων ὁ πεπαιδευμένος μαθηματικῶς, καὶ τῆς τάξεως αὐτῶν θεωρητικός.
Οὐ δεῖ δὲ λανθάνειν κἀκεῖνο, ὅτι πολλοὶ τῶν νεωτέρων Πυθαγορικῶν μόνα τὰ κατὰ τὰ αὐτὰ καὶ ὡσαύτως
ἔχοντα τὰ ὑποκείμενα τοῖς μαθήμασιν [20]
ὑπελάμβανον, καὶ μόνας ταύτας ἀρχὰς
ὑπετίθεντο᾽ καὶ τὰς ἐπιστήμας οὖν κατὰ τὸν αὐτὸν τρόπον LA SCIENZA MATEMATICA COMUNE 601 arti discriminiamo gli oggetti a seconda
delle materie di cui sono fatti,
cercando la precisione non alla stessa maniera nell’oro o nello
stagno o nel bronzo, e neppure nel
sughero o nel bosso e nel loto, cosi dob-
biamo comportarci anche nelle questioni teoretiche. Infatti il
mate- matico farà subito differenza tra
i soggetti del suo studio, nel caso che
alcuni siano più semplici e altri più compositi, e alcuni
assolutamente immobili e altri in
movimento, come ad esempio gli oggetti dell’arit- metica e quelli dell’armonica,21) o quelli
della geometria e quelli del-
l’astronomia,2!4 e quelli che hanno come principio l’intelletto e
quelli che hanno come principio la
ragione,215 e alcuni di quelli di cui pic-
coli spunti arrivano anche dai sensi, come i fenomeni celesti. Non
è possibile infatti addurre a proposito
di tali soggetti le stesse cause né
cause simili, bensi quanto differiscono i principi, tanto
differiscono anche le dimostrazioni: in
ciascuna dimostrazione infatti il modo di
procedere è connaturale al relativo soggetto. E inoltre la differenza
sta anche nella maggiore estensione di
queste dimostrazioni, perché alcu- ne
ricercano possedendo i principi, altre n0,2!6 sicché qui non si devo- no indicare come simili né le cause né i
ragionamenti. È necessario conoscere per
tutti questi soggetti di ricerca quale identità [87] e quale diversità e quale identità per analogia
abbiano, e quali dimo- strazioni abbiano
un solo oggetto in questione,21 e quali ne abbiano più d’uno: sono più o meno queste e di questa
natura, infatti, i muta- menti tra le
singole dimostrazioni e i singoli ragionamenti. Non solo per giudicare, ma anche per ricercare come si
deve, sarà di grande giovamento una tale
teoria: una volta definita la singola questione, infatti, farà calcoli ad essa appropriati,
operazione non facile per chi non è
abituato a farli. La nostra natura, infatti, è per se stessa capace di condurci ai principi, e di farci
distinguere ciascuna cosa senza che
acquisisca conoscenza dall'esterno, come se non fosse
autosufficiente. Inoltre bisogna
discernere se le cause di cui deve parlare il matemati- co siano molteplici, e quale di esse sia per
sua natura primaria o secondaria. Chi ha
infatti una istruzione matematica è capace di inda- gare anche le questioni date, e di teorizzare
la loro gerarchia. Deve essere chiaro
anche questo, cioè che molti dei Pitagorici a
noi più vicini pensavano che soltanto le cose identiche e
immutabili sono i soggetti di cui si
occupa la matematica, e ritenevano che solo
queste cose sono principi; e definivano quindi le relative scienze e
le 602 GIAMBLICO περὶ τῶν τοιούτων ἀφωρίζοντο καὶ τὰς
ἀποδείξεις, ἐπεὶ δὲ ἡμεῖς ἕν τε τοῖς
προάγουσι νυνὶ λόγοις καὶ ἐν τοῖς ὕστερον ῥηθησομένοις ἀποδείξομεν, ὅτι πολλαὶ οὐσίαι καὶ ἕτεραι
ἀκίνητοι καὶ κατὰ τὰ αὐτὰ ἔχουσαι, οὐ
μόναι αἱ τῶν μαθημάτων, καὶ ὅτι πρεσβύτεραι καὶ
τιμιώτεραι αὐτῶν εἰσιν ἐκεῖναι, ἀποδείξομεν δὲ καὶ ὅτι οὐ μόνον ἀρχαί εἰσιν αὗται αἱ μαθηματικαί, ἀλλὰ καὶ
ἄλλαι, καὶ αἵ γε πρε- σβύτεραι καὶ
δυνατώτεραι αὐτῶν εἰσιν ἐκεῖναι, καὶ [88] ὅτι οὐ πάντων τῶν ὄντων εἰσὶν ἀρχαὶ αἱ μαθηματικαὶ
ἀλλὰ τινῶν᾽ διὰ δὴ ταῦτα διορισμὸν
ἀπαιτεῖ νυνὶ ἡ μαθηματικὴ ἀπόδειξις, τῶν ποίων
τινῶν κατὰ τὰ αὐτὰ καὶ ὡσαύτως ἐχόντων ἐστὶν ἀποδεικτική, καὶ ἐκ ποίων τινῶν ἀρχῶν συλλογίζεται, καὶ περὶ
ποίων τινῶν προ- βλημάτων ποιεῖται τὰς
ἀποδείξεις. ἣ γὰρ περὶ τούτων ἐπικρίνουσα
παιδεία τήν τε ὀρθότητα καὶ τὸ τέλος ἀφορίζεται τῆς μαθηματικῆς, mv τε ἐπίκρισιν αὐτῆς ποιεῖται δεόντως, καὶ
τὸν τρόπον πῶς δεῖ [10] ποιεῖσθαι τὰς
ζητήσεις καλῶς περιλαμβάνει. ὥστε καὶ περὶ
τούτων ἡμῖν ταυτὶ διωρίσθω. 28.
᾿Επεὶ δὲ πολλάκις οὐκ ἔστι φανερὸν εἴτε μαθηματική ἐστιν εἴτε κατ᾽ ἄλλην ἐπιστήμην ἣ προκειμένη ζήτησις,
ὅ τε τρόπος τῶν ἀποδείξεων ἀμφισβητεῖται
ποῖός ἐστι μαθηματικός, δεῖ διευκρινῆσαι
καὶ περὶ τούτων τὰ ποῖα προβλήματα καὶ τὰ πῶς ἀπο- δεικνύμενα μαθηματικὴν ἐμφαίνει μέθοδον.
καθόλου μὲν οὖν δεῖ προειδέναι ὡς παράκεινται
τῇ μαθηματικῇ θεωρίᾳ ἥ τε θεολογικὴ
ἐπιστήμη καὶ ἡ φυσική, ὥστε [20] καὶ αἱ ἀποδείξεις καὶ τὰ προ- βλήματα ἐπικοινωνεῖ τούτων τῶν ἐπιστημῶν πρὸς
ἀλλήλας. ἔχει μὲν οὖν καὶ τἀληθὲς οὕτως
ἡ τῆς γνώσεως συγγένεια περὶ τὰς διαφόρους
γνωριστικὰς δυνάμεις συνάπτουσά τινα μίαν οἰκειότητα, ἔχει δὲ καὶ τὰ πράγματα σὐνεγγύς πως ὄντα τὴν
συνέχειαν τὴν κοινὴν τῶν ἐπιστημῶν πρὸς
ἀλλήλας. οὐ μὴν ἀλλὰ οἵ γε Πυθαγόρειοι ἔτι
μᾶλλον τὴν κοινωνίαν ταύτην συνάπτουσιν ἀδιαίρετον, πολλὰ μὲν περὶ τῶν νοητῶν εἰδῶν διὰ τῶν μαθημάτων
παραδιδόντες, πολλὰ δὲ περὶ τῆς φύσεως,
πολλὰ δὲ [30] καὶ περὶ τῶν ἠθῶν μαθηματικῶς ἀνα- διδάσκοντες. δεῖ δ᾽ ὅμως διακρίνειν τὰ τρία
γένη τῶν λόγων τούτων καὶ [89] τὸ
μαθηματικὸν διορίζειν κατ᾽ ἰδίαν, ὥστε πρὸς μηδὲν LA SCIENZA MATEMATICA COMUNE 603 loro dimostrazioni con lo stesso criterio.
Poiché nei discorsi che fare- mo ora in
via preliminare e in quelli che faremo dopo, noi dimostre- remo che ci sono molte e diverse essenze
immobili e identiche a se stesse, non
soltanto quelle matematiche, e che sono pit nobili e più potenti di quelle matematiche, e dimostreremo
anche che i principi non sono soltanto
questi matematici, ma che ce ne sono anche altri, e che questi sono certamente più nobili e più
potenti di quelli matema- tici, e [88]
che non di tutti gli enti sono principi quelli matematici, ma solo di alcuni, per tutto ciò la
dimostrazione matematica richiede ora
appunto che si definisca quali siano le cose identiche e immutabili
che essa dimostra, e a partire da quali principi
essa costruisca i suoi ragio- namenti, e
di quali problemi essa dia soluzioni dimostrative. Il pro- cesso di formazione che fa giudicare queste
cose, infatti, determina sia la
correttezza che il fine ultimo della matematica, e fa giudicare come si deve, e fa comprendere bene il metodo
secondo cui si devono con- durre le
ricerche. Ecco ciò che dobbiamo stabilire su questo argo- mento.
28. Poiché spesso non è chiaro se la ricerca in atto sia di natura matematica o di altra natura scientifica, e
il punto in discussione è di che natura
sia il modo di procedere proprio delle dimostrazioni mate- matiche, occorre allora esaminare
attentamente anche a proposito di queste
ultime di che natura siano i loro problemi e come i risultati delle dimostrazioni facciano vedere che il
metodo sia quello matema- tico. Orbene,
in generale bisogna sapere anzitutto che sono vicine alla teoria matematica sia la scienza teologica
che quella fisica, sicché anche le
dimostrazioni e i problemi di tali scienze hanno tra loro qual- che cosa in comune. La verità dunque è
questa: da una lato l’affinità della
conoscenza nelle diverse potenze conoscitive le unisce in un unico rapporto di parentela, e dall’altro
lato anche gli oggetti di cono- scenza,
che sono in qualche modo vicini, stanno in quella continuità che accomuna le scienze tra loro. Nondimeno i
Pitagorici rendono ancora più
indivisibile questa comunanza, perché attraverso le mate- matiche danno molti insegnamenti sulle forme
intelligibili e sulla natura, e con il
metodo matematico fanno comprendere meglio anche molte questioni di etica. Bisogna tuttavia
tenere distinti questi tre generi di
concetti218 e [89] determinare a parte quello matematico, in 604 GIAMBLICO αὐτῶν συγκεχύσθαι. ἔστωσαν μὲν οὖν ἀκίνητοι
καθ᾽ ἑαυτοὺς καὶ ἀνέλεγκτοι οἱ
μαθηματικοὶ λόγοι τοῖς καθ᾽ αὑτὰ εἴδεσι καὶ γένεσι μαθηματικοῖς συνηρμοσμένοι, οὐ κατὰ ἀφαίρεσιν
ἀπὸ τῶν αἰσθητῶν ταῦτα περιλαμβάνοντες,
ἀλλ᾽ ὡρισμένως αὐτοῖς ἐπιβάλ- λοντες,
ἅτε δὴ καθ᾽ ἑαυτὰ ὑφεστηκόσιν, οὔτε κινήσεως ἐφαπτομέ- νοις, οὔτε τῶν νοητῶν καὶ ἀμερίστων εἰδῶν ἢ
τῶν νοήσεων εἰς tav- τότητα συνιοῦσι,
κατὰ δὲ τὰ [10] νοητὰ διεξιοῦσι καὶ τὰς διανοή-
σεις τὰς περὶ αὐτὰ συνισταμένας μέσον τέ τινα τρόπον τοῦτον μετα- χειριζομένοις γνώσεως. ἡ γὰρ τοιαύτη μέθοδος
τῶν λόγων καὶ τῶν ἀποδείξεων μαθηματική
τέ ἐστι καὶ πολὺ κεχωρισμένη τῶν παρὰ
τοῖς ἄλλοις ἐπιστήμοσι λόγων.
29. Ἕπεται δὲ τοῖς τοιούτοις προβλήμασι κἀκεῖνο συνεπισκέ- ψασθαι, πῶς χρῆται διαιρέσει καὶ ὁρισμῷ καὶ
συλλογισμοῖς ἡ μαθηματικὴ ἐπιστήμη,
εἴπερ δεχομένη παρὰ διαλεκτικῆς τὴν μά-
θησιν αὐτῶν, ἢ καὶ [20] αὐτὴ ἀφ᾽ ἑαυτῆς ἐνεργοῦσα περὶ ταῦτα. εἰ μὲν δὴ παραλαμβάνει ταῦτα ἀπὸ τῆς περὶ τὸν
λόγον θεωρίας, πολλῶν ἔσται ἐπιδεὴς καὶ
τῆς οἰκείας γνώσεως τὰς ἀρχὰς ἑτέρωθεν
μεταλαμβάνει: εἰ δὲ τὸ τοιοῦτον ἄλλῃ τινὶ μᾶλλον ἢ τῇ μαθηματικῇ ἀκριβείᾳ προσήκει, δεῖ νοεῖν τὰ τρία ταῦτα,
οἷον διαίρεσιν, ὁρισμόν, συλλογισμόν,
ἄλλα μὲν ὄντα ἐν διαλεκτικῆ, ἄλλα δὲ ἐν τῇ
μαθηματικῇ, κατὰ τὸ οἰκεῖον δὲ γένος ἑκατέρων διωρισμένα ἐφ᾽ ἑκατέρων. τὰ μὲν οὖν τῆς διαλεκτικῆς μείζονά
τέ ἐστι θεωρήματα καὶ οὐ πρόκειται νυνὶ
[90] διεξιέναι, τὰ δὲ τῆς μαθηματικῆς οἰκεῖα
αὐτῇ μόνῃ διαφέρει τῇ μαθηματικῇ. ἀφ᾽ ἑαυτῆς οὖν εὑρίσκει τε αὐτὰ καὶ τελειοῖ καὶ ἐξεργάζεται, τά τε
οἰκεῖα αὑτῇ καλῶς οἷδε δοκιμάζειν, καὶ
οὐ δεῖται ἄλλης ἐπιστήμης πρὸς τὴν οἰκείαν
θεωρίαν. οὐ γὰρ τὸ ἁπλῶς καθάπερ ἡ διαλεκτική, ἀλλὰ τὰ ὑφ᾽ ἑαυτὴν διαγινώσκει, οἰκείως τε αὐτὰ θεωρεῖ
καθόσον αὑτῇ ὑπόκειται, καὶ περὶ αὐτῶν
ποιεῖται τοὺς ἀκριβεῖς διορισμούς, κρι-
τήριά τε οἷς δεῖ δοκιμάζεσθαι αὐτὰ ἔχει παρ᾽ αὑτῇ, καὶ [10] τρό- πους τῶν ἀποδείξεων πλείονας ποιεῖται, καὶ
τούτων διαιρεῖ τούς τε βελτίονας καὶ
ἀληθινούς, ὅσοι τέ εἰσιν ἀμφίβολοι καὶ δεόμενοι
πλείονος ἐπιστάσεως. ἤδη δὲ καὶ διττὴν ποιεῖται πραγματείαν τὴν μὲν πρὸς εὕρεσιν συντείνουσαν, τὴν δὲ πρὸς
κρίσιν. κριτικὴ δέ ἐστι 22 οἰκείαν ho
corretto io: οἰκεῖαν Festa. LA SCIENZA
MATEMATICA COMUNE 605 modo che
quest’ultimo non si confonda con nessuno di quelli. I con- cetti matematici, dunque, che sono immobili
in se stessi e inconfuta- bili, devono
essere accordati alle specie e ai generi matematici presi per se stessi, e non bisogna afferrarli per
astrazione dai sensibili, bensî pensare
in modo determinato ad essi come a cose che sussistono in se stesse, e non sono affette da movimento, né
si identificano con le forme
intelligibili e indivisibili o con gli atti intellettivi, ma che in fun- zione degli intelligibili si sviluppano anche
attraverso i ragionamenti che si fanno
intorno a questi, e che esercitano in qualche modo que- sto tipo medio di conoscenza. Tale metodo
concettuale e dimostrati- vo, infatti, è
quello matematico ed è notevolmente separato dai ragio- namenti degli altri uomini di scienza. 29. A tali problemi si accompagna
contestualmente anche l'esame di come la
scienza matematica si serva della divisione e della defini- zione e dei ragionamenti sillogistici, se è
vero che apprende dalla dia- lettica
questi metodi, o in questo campo operi anche da sola. Certo se li assume dalla teoria della logica, essa
manca di molte cose e mutua dall'esterno
i principi della sua propria capacità conoscitiva; se inve- ce tutto questo appartiene a qualche altra
disciplina più che alla mate- matica,
allora bisogna pensare che questi tre metodi, cioè la divisione, la definizione e il ragionamento
sillogistico, sono una cosa nella dia-
lettica, altra cosa nella matematica, in quanto nell’un caso e
nell’altro sono determinati secondo il
proprio genere. Ebbene, i teoremi della
dialettica sono superiori e in questa sede non è il caso [90] di
espor- li, mentre quelli della
matematica in quanto suoi propri interessano
solo la matematica. Questa dunque li scopre e li perfeziona e li prati- ca da se stessa, e ciò che le appartiene in
proprio è ben capace di spe- rimentarlo,
e non ha bisogno di altra scienza per costruire la sua pro- pria teoria. Essa non conosce ciò che è in sé
e per sé come fa la dia- lettica, bensi
le realtà che cadono sotto il suo proprio dominio, e le considera come cosa propria in quanto suoi
propri soggetti, e di que- sti dà le
esatte definizioni, e possiede in se stessa i criteri con cui biso- gna esaminarli, e si crea parecchi metodi di
dimostrazione, e tra que- sti distingue
quelli che sono migliori e veritieri, e quelli che sono ambigui e hanno quindi bisogno di maggiore
attenzione. E ne fa subi- to una duplice
applicazione: l’una tendente alla scoperta, l’altra al giu- 606 GIAMBLICO καὶ εὑρετικὴ κατὰ τὸν ἴδιον τῆς οἰκείας
τέχνης λόγον, οὐ κατὰ τὸν ἁπλῶς
θεωρητικὸν νοῦν. δύναται οὖν διακρίνειν κατὰ τοῦτον πῶς μὲν δεῖ διαιρεῖν τὰ ἐν μαθηματικῇ εἴδη, τίνες
δέ εἰσιν αἱ διαιροῦσαι αὐτὰ οἰκείως
διαφοραί, τίνες δέ εἰσιν οἱ ὅροι οἱ ἐν τῇ
[20] μαθηματικῇ, καὶ πῶς δεῖ συνάγειν αὐτοὺς ἀπὸ τῶν μαθημα- τικῶν διαιρέσεων, πῶς δὲ γίγνεται μαθηματικὸς
συλλογισμός, καὶ κατὰ πόσους διορισμοὺς
τὸ ἀκριβὲς λαμβάνει, καὶ πότε δυνατός
ἐστι καὶ πότε ἀδύνατος, καὶ ποσαχῶς ἔχει τὸ ἀναγκαῖον. ἡ γὰρ ἐν τούτοις πᾶσιν οἰκεία αὐτῆς εὕρεσις καὶ χρῆσις
καὶ κρίσις οὐδε- μιᾶς ἐπεισάκτου δεῖται
παρασκευῆς, ὡς ἔνιοι νομίζουσιν. 30.
Ὅτι δὲ καὶ πρὸς πᾶσαν φιλοσοφίαν καὶ τὰ ὅλα μέρη αὐτῆς πολλὰς καὶ μεγάλας χρείας ἡ [91] μαθηματικὴ
συμβάλλεται, ὑπουργοῦσα τῇ θέᾳ τῶν ὄντων
καὶ κατ᾽ ἴχνος αὐτῇ συνεπομένη, ῥάδιον
ἐν30,5 τεῦθεν καταμαθεῖν. οὐκ ἔστιν ἡ τῶν Πυθαγορείων μαθηματικὴ τοιαύτη, ὁποίαν οἱ πολλοὶ
ἐπιτηδεύουσιν. ἐκείνη μέν γε τεχνικὴ τὸ
πλέον ἐστὶ καὶ σκοπὸν οὐκ ἔχουσα ἕνα οὐδὲ τοῦ
καλοῦ καὶ ἀγαθοῦ στοχαζομένη, ἡ δὲ τῶν Πυθαγορείων θεωρητική τέ ἐστι διαφερόντως, καὶ πρὸς τέλος ἕν
ἀναφέρει τὰ ἑαυτῆς θεωρήματα, τῷ καλῷ τε
καὶ ἀγαθῷ προσοικειοῖ πάντας τοὺς [10] oi-
κείους λόγους, καὶ πρὸς τὸ ὃν αὐτοῖς ἀναγωγοῖς χρῆται. ἀπὸ δὴ τῆς τοιαύτης ἀφορμῆς ὁρμωμένη διαστέλλει παρ᾽
ἑαυτῇ καλῶς, τίνες μὲν θεωρίαι τῶν παρ᾽
ἑαυτὴν πρὸς θεολογίαν εἰσὶν ἁρμόζουσαι, τά-
ξεώς τε καὶ μέτρων θείων δυνάμεναι μετέχειν, καὶ ταύτας ἀπονέμει τῷ τοιούτῳ μέρει τῆς φιλοσοφίας, τίνες δὲ τῇ
τοῦ ὄντος θήρᾳ προ- σήκουσι πρός τε
οἰκείωσιν καὶ συμμετρίαν καὶ περιαγωγήν, καὶ δὴ
καὶ τῷ τοιούτῳ μέρει ἀποδίδωσι τὰ τοιαῦτα θεωρήματα. οὐ διαλαν- θάνει δὲ αὐτὴν οὐδ᾽ εἴ τινες πρὸς τὴν τοῦ
λόγου [20] ἀκρίβειαν ἐπι- στημονικῶς
συναίρονται, εἴς τε τὸ συλλογίζεσθαι καὶ ἀποδεικνύ- ναι καὶ ὁρίζεσθαι καλῶς ὁδηγοῦσαι, τά τε
ψευδῆ διελέγχουσαι καὶ τὰ ἀληθῆ ἀπὸ τῶν
ψευδῶν διακρίνουσαι. οὐ μὴν ἀγνοεῖ οὐδὲ τῆς
περὶ φύσιν ἱστορίας τὴν ἐπιβάλλουσαν ἁρμονίαν, πῶς τε συνίσταται καὶ πῶς ἐστι χρήσιμος πῶς τε τὰ ἐλλείποντα τῇ
φύσει ἀναπληροῖ, καὶ πῶς τὴν ἐπίκρισιν
αὐτῶν ποιεῖται. ἔτι τοίνυν πρὸς πολιτείας
LA SCIENZA MATEMATICA COMUNE 607
dizio. Essa è capace sia di giudizio che di scoperta secondo il
criterio particolare della sua propria
tecnica, e non secondo l’intelligenza teo-
retica pura e semplice. La matematica è dunque capace di giudicare, sulla base di questo criterio, quale
divisione si debba fare tra le specie
della matematica, e sulla base di quali differenze esse siano propria- mente divise, e quali siano le definizioni
della matematica, e come bisogna
raggrupparle partendo dalle divisioni matematiche, e come nasca il sillogismo matematico, e quante
siano esattamente le sue
determinazioni,2!9 e quando esso sia possibile e quando impossibile,
e quanti siano i modi della sua
necessarietà.220 In tutto ciò la capacità di
scoperta propria della matematica e il suo impiego e la sua capacità
di giudizio non hanno bisogno di alcuna
preparazione che sia introdot- ta
dall'esterno, come alcuni credono. 30.
Che la matematica arrechi numerose e grandi utilità anche alla filosofia nel suo complesso e a tutte le sue
parti, [91] in quanto ne favorisce la
contemplazione degli enti seguendone le orme, è facile capirlo da questo. La matematica dei
Pitagorici non è la matematica che si
pratica comunemente. Quest'ultima infatti è piuttosto tecnica e non ha uno scopo unitario, né tende al Bello
e al Bene, mentre quel- la dei
Pitagorici è squisitamente teoretica,22! e riconduce ad un unico fine ultimo i suoi propri teoremi, e fa in
modo che tutti i suoi ragio- namenti si
uniscano strettamente al Bello e al Bene, e si serve di ragio- namenti che sono capaci di elevare
all’Essere. Spinta da un tale impul- so,
essa si scinde opportunamente in se stessa: alcune sue teorie??? si adattano alla teologia, e possono partecipare
dell’ordine e delle misu- re degli dèi,
e sono queste che essa assegna a tale parte della filoso- fia,22> altre invece appartengono alla
ricerca dell'essere per appro-
priarsene, commisurarsi con esso e convertirsi ad esso, ed è
appunto a questa parte della
filosofia224 che la matematica assegna questo
secondo gruppo di teoremi. Alla matematica non sfugge neppure se alcune sue teorie aiutino scientificamente a
dare precisione al discor- so,
insegnando a sillogizzare e a dimostrare e a definire correttamen- te, e confutando le falsità e discriminando
il vero dal falso. Essa non ignora
neppure la giusta armonia dell’indagine fisica, e come essa si costituisca e quale sia la sua utilità e come
riempia i vuoti della natu- ra, e come
ne faccia la verifica. Discende, inoltre, alla vita politica e 608 GIAMBLICO κάτεισι καὶ ἠθῶν κατασκευὴν βίου te
ὀρθότητα καὶ οἴκου καὶ πόλεων τοὺς
οἰκείους ὅρους τῶν μαθημάτων [92] ἀνευρίσκει, καὶ χρῆται αὐτοῖς δεόντως ἕνεκα τοῦ βελτίστου καὶ
πρὸς ἐπανόρθωσιν καὶ παιδείαν τὴν
ἀρίστην, εὐμετρίαν τε τὴν ἐπιβάλλουσαν, καὶ
φυλακὴν μὲν τῶν αἰσχρῶν, τῶν δὲ καλῶν κτῆσιν, κοινῶς τε οὑτωσὶ κατὰ πάντα τὰ μαθήματα καὶ καθ᾽ ἕκαστον αὐτῶν
οἰκείως συναι- ρουμένη. καὶ μὴν πρός γε
τὰ κατὰ φύσιν ἀγαθὰ καὶ πρὸς τὰ τῶν
τεχνῶν πλεονεκτήματα τὰ μὲν εὑροῦσα, τὰ δὲ ὡς πάρεργα καταδεί- ξασα ἐν προσθήκης τε μέρει συγκατασκευάσασα,
ἔργα te [10] ἀφ᾽ ἑαυτῆς παρασχομένη καὶ
μόρια ἐνίοις ἐνδοῦσα, ἐτελεώσατο τὴν
ἀνθρωπίνην ζωήν, ὥστ᾽ εἶναι αὐτάρκη ἑαυτῇ καὶ μηδενὸς ἐπιδεῖν ὧν βίος δεῖται. ὥστ᾽ εἰκότως ἂν τὴν ὑπὸ τῶν
Πυθαγορείων ἐπιτηδε- vopévnv μαθηματικὴν
συναρμόζοιμεν ἂν φιλοσοφίᾳ, ὡς οἰκείαν καὶ
πρόσφορον αὐτῇ ὑπάρχουσαν. 31.
Τοιαύτην δὲ αὐτὴν ὑπάρχουσαν κατὰ πολλὰς ὁδοὺς
εὑρίσκομεν χρωμένην τῇ περὶ τὰ πράγματα ἐπιστήμῃ. καὶ γὰρ τοῖς αὐτοῖς μαθήμασι πολλάκις ἐπὶ πολλὰ πράγματα
χρῆται, ἤτοι φυσι- κὰ ἢ [20] θεολογικά,
ἢ ἐπὶ τὴν γένεσιν ἢ ἐπὶ τὰ στοιχεῖα ἢ ὅσα
γενεσιουργίας ἔχεται ἢ ἐπὶ τὰ σύνθετα ἢ ἐπὶ τὰ ἁπλᾶ, οἷον τοῖς ἀριθμοῖς πρὸς πάντα ταῦτα χρῆται καὶ ταῖς
ἁρμονίαις καὶ τοῖς σχήμασι καὶ τοῖς
ἄλλοις τοῖς τοιούτοις" ἐνίοτε δὲ πλείονα ἅμα τοῦ αὐτοῦ δηλωτικὰ συμπαραλαμβάνει, οἷον τῆς
ψυχῆς ἀριθμούς, ἁρμονίας, σχήματα, ἄλλ᾽
ἄττα μαθηματικά. αἵτιον δὲ τοῦ μὲν προτέ-
ρου τὸ πολυειδεῖς εἶναι τὰς φύσεις ἑκάστου τῶν μαθημάτων καὶ ἑκάστης μαθηματικῆς [93] οὐσίας (διὰ γὰρ τοῦτο
τοῖς αὐτοῖς ἐπὶ πολλὰ χρώμεθα, οἷον τοῖς
ἀριθμοῖς ἐπὶ τὰ θεολογικὰ καὶ τὰ φυσι-
κά), τοῦ δὲ δευτέρου αἴτιόν ἐστι τὸ συγκεκρᾶσθαί τινα τῶν ὄντων ἀπὸ πολλῶν οὐσιῶν καὶ τὸ μέσα εἶναι πλειόνων
ἄκρων. διὰ γὰρ τοῦτο ἡ ψυχὴ καὶ αἱ μέσαι
φύσεις πᾶσαι πλείοσι μαθήμασιν ἀναδι-
δάσκονται, ὡς πρὸς πλείονας μαθηματικὰς οὐσίας ἐφαρμόζειν δυνάμεναι καὶ ἀπὸ πλειόνων παραλαμβάνουσαι
τὴν βεβαίωσιν τοῦ εἶναι. ταῦτα μὲν οὖν
τοιοῦτόν τινα ἂν ἔχοι [10] λόγον. LA
SCIENZA MATEMATICA COMUNE 609 riscopre
l'ordinamento dei costumi e la correttezza del modo di vita e le definizioni matematiche che sono proprie
della vita privata e di quella pubblica,
[92] e si serve di queste definizioni come conviene per portare quelle vite al loro stato
migliore e per correggerle e per
procurare loro un’ottima educazione, e la dovuta moderazione e la salvaguardia dalla turpitudine e l’acquisto
della rettitudine, e in gene- rale essa
è di aiuto, cosi facendo, con l’insieme delle matematiche e ciascuna di esse in particolare. E passando
poi ai beni naturali e ai vantaggi delle
arti, scoprendone alcuni, e introducendone altri come accessori e aiutando a ottenerli come un
sovrappiù,?25 e prestando le sue opere
da sola o trasferendo parte di sé in alcune altre,226 essa porta a compimento la vita umana, in modo che sia
autonoma in se stessa e non manchi di
nessuna delle cose di cui ha bisogno. Sicché noi potremmo a buon diritto adattare alla
filosofia la matematica pratica- ta dai
Pitagorici, in quanto è ad essa appropriata e conveniente. 31. Noi troviamo che la matematica
pitagorica è di tale natura che è capace
di utilizzare secondo molte procedure la scienza delle cose.22? E infatti essa si serve spesso delle
medesime matematiche a proposito di
molte questioni, o fisiche o teologiche, che riguardano o il divenire o gli elementi, o la generazione
o le sostanze composte o quelle
semplici, si serve per trattare tutto questo ad esempio dei numeri e degli accordi musicali e delle
figure e di altre cose del gene- re;
talvolta invece prende insieme e nello stesso tempo molti elemen- ti per fare vedere la medesima cosa, come ad
esempio numeri, accor- di musicali,
figure e altri elementi matematici per indicare l’anima. La ragione del primo fatto?28 è che sono
multiformi le nature di ciascuna
matematica e di ciascuna essenza matematica [93] (è per questo
infat- ti che noi ci serviamo delle
matematiche in molti campi, ci serviamo
ad esempio dei numeri nelle questioni teologiche o in quelle
fisiche <come si è detto>),229 la
ragione del secondo fatto230 invece è che
alcuni enti sono composti dalla mescolanza di molte sostanze e gli
enti intermedi231 dalla mescolanza di
molte sostanze estreme. È per que- sto
infatti che l’anima e tutte le nature intermedie possono essere spie- gate meglio quando si utilizzano più scienze
matematiche, in quanto sono capaci di
adattarsi a più essenze matematiche, e perché da più matematiche ricevono la stabilità del loro
essere. Di questo tenore sarà dunque il
discorso da fare su questo argomento.?32
610 GIAMBLICO 32. Ἔθος δ᾽ ἐστὶ
τῇ μαθηματικῇ θεωρίᾳ καὶ περὶ αἰσθητῶν ἐνίο-
τε μαθηματικῶς ἐπιχειρεῖν, οἷον περὶ τῶν τεττάρων στοιχείων γεω- μετρικῶς ἢ ἀριθμητικῶς ἢ ἁρμονικῶς, καὶ περὶ
τῶν ἄλλων ὡσαύτως. ἐπεὶ γὰρ προτέρα ἐστὶ
τῇ φύσει ἡ μαθηματικὴ θεωρία καὶ ἀπὸ προ-
τέρων τῶν κατὰ φύσιν ὄντων ὁρμᾶται, διὰ τοῦτο καὶ τοὺς συλλογι- σμοὺς ποιεῖται ὡς ἐκ προτέρων αἰτίων
ἀποδεικτικούς. πλειοναχῶς δὲ τοῦτο
ποιεῖ᾽ ἢ κατὰ ἀφαίρεσιν, ὅταν τὰ ἔνυλα εἴδη ἀφελοῦσα [20] ἀπὸ τῆς ὕλης ἐπισκοπῇ μαθηματικῶς"
ἢ κατὰ ἐφαρμογήν, ὅταν τοὺς λόγους τοὺς
μαθηματικοὺς ἐπάγῃ τοῖς φυσικοῖς καὶ συνάπτῃ" ἢ κατὰ τελείωσιν, ὅταν ἀτελῆ ὄντα τὰ εἴδη τὰ
σωματοειδῆ προστιθεῖσα τὸ ἐλλεῖπον
ἀναπληρώσῃ᾽ 7) κατὰ ἀπεικασίαν, ὅταν τὰ
ἴσα καὶ σύμμετρα τὰ ἐν τῇ γενέσει κατὰ τί μάλιστα ἀφωμοίωται τοῖς μαθηματικοῖς εἴδεσιν ἐπιβλέπῃ ἢ κατὰ
μετοχήν, ὅταν τῶν καθαρῶν λόγων οἱ ἐν
ἄλλοις ὄντες λόγοι κατὰ τί μετέχουσιν ἐπι-
σκοπῶμεν ἢ κατὰ [94] ἔμφασιν, ἡνίκα ἂν ἀμυδρὸν ἴχνος τοῦ μαθηματικοῦ ἐμφανταζόμενον περὶ τὰ αἰσθητὰ
θεωρῶμεν᾽ ἢ κατὰ διαίρεσιν, ὅταν τὸ ἕν
καὶ ἀμέριστον μαθηματικὸν εἶδος μεριζόμε-
νον περὶ τὰ καθ᾽ ἕκαστον καὶ πληθυνόμενον κατανοήσωμεν᾽ ἢ κατὰ παραβολήν, ὅταν παρ᾽ ἄλληλα συνεπισκοπῶμεν τὰ
καθαρὰ τῶν μαθημάτων εἴδη καὶ τὰ ἐν τοῖς
αἰσθητοῖς" ἢ κατὰ τὴν αἰτίαν τὴν ἀπὸ
τῶν προτέρων, ὅταν αἴτια προστησάμενοι τὰ μαθηματικὰ συνεπι- σκοπῶμεν πῶς ἀπ᾽ αὐτῶν γίνεται τὰ ἐν τοῖς
[10] αἰσθητοῖς. οὕτω γὰρ οἶμαι περὶ
πάντων τῶν ἐν τῇ φύσει καὶ τῶν ἐν τῇ γενέσει μαθημα- τικῶς ἐπιχειροῦμεν. ἀφ᾽ ἧς δὴ αἰτίας πολλὰ
τῶν ἐν τοῖς μαθήμασιν οὐ μένει ἐπὶ τῶν
μαθημάτων, ἀλλὰ ἕλκεται ἐπὶ τὰ καταδεέστερα
αὐτῶν, ἤτοι διὰ τὴν τῶν χρωμένων προαίρεσιν, ἢ καὶ διὰ τὴν τῶν πραγμάτων τῶν αἰσθητῶν πρὸς αὐτὰ συγγένειαν.
ἐνίοτε δὲ καὶ ἐπὶ τὰ μείζονα ἀνάγεται ἡ
ἀπὸ τῶν μαθημάτων ἀφορμή, καὶ ἐπὶ πάντα τὰ
ἄλλα πράγματα, ἐπειδὴ εὐφυής ἐστιν ἡ ἀσώματος οὐσία προσοικε- ιοῦσθαι ταῖς καθαραῖς [20] οὐσίαις τῶν ὄντων,
καὶ διότι τὰ μαθήματα πᾶσιν ἀφομοιοῦσθαι
πέφυκεν. τοσαῦτα δὴ καὶ περὶ
τούτων. 33. Ἐπεὶ δὲ τὸ κοινὸν
τῆς ὅλης μαθηματικῆς ἐπιστήμης γένος
κυριώτατόν ἐστιν εἰς ἐπιστήμην τῆς παρούσης θεωρίας, δεῖ μάλιστα LA SCIENZA MATEMATICA COMUNE 611 32. La teoria matematica suole qualche
volta argomentare mate- maticamente
anche sui sensibili, ad esempio sui quattro elementi o in senso geometrico o aritmetico o armonico, e
cosi anche su altre cose. Poiché infatti
la teoria matematica è di natura primaria e prende le mosse da enti primari per natura, per questo
essa costruisce anche i suoi
ragionamenti sillogistici come capaci di dimostrazione a partire da cause primarie. E tale compito essa lo
svolge in tanti modi: o per astrazione,
quando esamina matematicamente le forme materiali dopo averle separate dalla materia; o per
adattamento, quando appli- ca e collega
i calcoli matematici con gli enti naturali; o per perfezio- namento, quando completa le forme materiali
che sono imperfette aggiungendo ciò che
manca; o per assimilazione, quando vede in che
cosa ciò che nel divenire è uguale e commisurato somigli in sommo grado alle forme matematiche; o per partecipazione,
quando osservia- mo in che cosa i
rapporti che sono in altro partecipino dei rapporti puri; o per rispecchiamento, [94] quando
vediamo riflessa nei sen- sibili una
vaga impronta di ciò che è matematico; o per divisione, quando pensiamo divisa e moltiplicata nelle
singole cose la loro forma matematica
che è una e indivisibile; o per comparazione, quando met- tiamo a confronto tra loro le pure forme
degli enti matematici e quel- le degli
enti sensibili; o per causazione da ciò che sta prima, quando, presupposti gli enti matematici come principi
causali, noi osserviamo come da essi si
producano effetti negli enti sensibili. Sono questi dun- que, io credo, i metodi secondo cui noi
argomentiamo matematica- mente intorno a
tutti i fenomeni naturali. È questa in verità la ragio- ne per cui molti aspetti delle matematiche
non restano all’interno di queste, ma
scivolano verso ciò che è ad esse inferiore, o per la libera scelta di coloro che se ne servono, o anche
per l’affinità delle cose sen- sibili
con quelle matematiche. Talvolta poi dalle matematiche si è spinti anche alle cose superiori, e a tutte
le altre, poiché la realtà incorporea234
ha naturale disposizione a unirsi intimamente con le pure essenze degli enti, ed è per questo che
le matematiche sono capaci per natura di
rappresentarsi ogni cosa. Ecco ciò che si doveva dire su questo argomento,235 33. Poiché il genere comune dell'intera
scienza matematica è quello che le è più
proprio in relazione alla conoscenza scientifica 612 GIAMBLICO τοῦτο κατιδεῖν, κατὰ τί ἔχει τὸ κοινὸν ἡ
πᾶσα μαθηματική. ἐὰν γὰρ τοῦ τὸ ἕν αὐτῆς
κατίδωμεν γένος καὶ τὴν κοινὴν οὐσίαν γνῶμεν
αὐτῆς, τελεωτάτην ἕξομεν περὶ αὐτῆς εἴδησιν. ἤδη μὲν οὖν καὶ ἐν ἀρχῇ περὶ τούτου [95] προδιεσκεψάμεθα, πλὴν
δεῖ γε καὶ κορυφὴν ἐπιτιθέναι ἐπὶ τῷ
τέλει τὴν αὐτὴν τῇ προκαταβληθείσῃ ἀρχῇ. καὶ
νῦν οὖν πάλιν ἐπαναλάβωμεν τὸν περὶ τοῦ ἑνὸς γένους τῆς μαθημα- τικῆς θεωρίας λόγον. Φημὶ δὴ οὖν ὡς τὸ μέσον ἁπλῶς οὑτωσὶ τῶν τε
νοητῶν καὶ αἰσθητῶν εἰδῶν κοινόν ἐστι
γένος ταύτης τῆς ἐπιστήμης, τὸ περιέχον ἐν
ἑαυτῷ πάντα ὁπόσα ἐστὶ καὶ ὁποῖα διάφορα εἴδη, μετέχον μὲν τῶν τοῦ ὄντος γενῶν πρώτως, συνειληφὸς δὲ ἐν
ἑαυτῷ τὰ τῶν αἰσθητῶν [10] γένη,
καθαρότητι δὲ καὶ ἀκριβείᾳ καὶ λεπτότητι καὶ ἀσωματί- ᾳ παντελῶς αὐτῶν προέχον, δυνάμεις δὲ
περιέχον ἐν ἑαυτῷ παντοί- ας, τὰς μὲν
ἐπὶ τὰ ὄντα ἀναγούσας τὰς δὲ ἐπὶ τὴν γένεσιν ἐπιρρε- πούσας, καὶ γνώσεις ὡσαύτως. τοῦτο δὲ
τοιοῦτον ἕν τιθέμενοι τὰς διαφορὰς αὐτοῦ
νοήσωμεν κατὰ τὰς διχοτομίας τῆς μέσης ταύτης φύ- σεως, ὧν τὴν μὲν ἐχομένην τοῦ ὄντος
ἀφορισώμεθα, τὴν δὲ τῶν αἰσθητῶν
ἀντιλαμβανομένην καὶ πρὸ αὐτῶν ἑστηκυῖαν᾽ πάλιν δὲ καθ᾽ ἑκάτερον τούτων τῶν εἰδῶν ἄλλους καὶ
ἄλλους ὅρους [20] λαμ- βάνοντες, τὸ
μέσον διαφόρως τῶν μαθημάτων ληψόμεθα ἢ κατὰ τὸ
ποσὸν ἢ κατ᾽ ἄλλο τι γένος τούτου διακρίνοντες. καὶ ἡ ἀπόστασις δὲ ἀπὸ τοῦ ὄντος ἢ πορρωτέρω οὖσα ἢ ἐγγὺς
παρέξει τὸ διάφορον τοῖς μαθήμασιν. ἔτι
δὲ ἡ προήγησις τῶν ἐν τῇ συστάσει τοῦ παντός,
πρώτη οὖσα ἢ δευτέρα, καὶ αὐτὴ ἐμποιεῖ τινας διαφορὰς τῶν μαθημάτων. τὴν δὲ τάξιν αὐτῶν ἢ κατὰ τὸ
ἐφεξῆς ἢ κατὰ τὸ συνεχὲς ἢ κατὰ τὸ
ἐχόμενον ἢ κατ᾽ ἄλλην συνέχειαν ἀνευρίσκειν ὀφείλο- μεν. [96] ταύτῃ δὲ τῇ ἀφ᾽ ἑνὸς προϊούσῃ καὶ
πληθυομένῃ συστάσει καὶ τῇ ἐφ᾽ ἕν
ἀναγομένῃ συντάξει διακρίνομεν, διακρίνοντές τε
ὡσαύτως συνάπτομεν. καὶ οὕτως ἡμῖν ἡ κοινὴ τῶν μαθημάτων οὐσί- LA SCIENZA MATEMATICA COMUNE 613 della presente teoria, bisogna soprattutto
considerare questo, cioè in che senso
l’intera matematica abbia un genere comune. Se infatti prendiamo in considerazione questo suo unico
genere e conosciamo la comune realtà,
che ad essa appartiene, allora avremo della matema- tica una conoscenza assolutamente perfetta.
Ebbene, già all’inizio del nostro
discorso abbiamo fatto un primo esame di questo genere comune della matematica, [95] solo che
bisogna certo aggiungere alla fine anche
la parte culminante di quel discorso presentato all’inizio. È tempo dunque di riprendere il discorso
intorno all’unico genere della teoria
matematica. Dico dunque che ciò che si
trova semplicemente in una posizione
intermedia tra le forme intelligibili e quelle sensibili costituisce
il genere comune di questa scienza,
genere che contiene in sé tutte le
diverse specie, quante e quali che siano, e che da un lato partecipa
dei generi primari dell’essere,236 ma
dall'altro lato abbraccia in se stesso i
generi dei sensibili pur superandoli per purezza e precisione e
sotti- gliezza e incorporeità, e
contiene in sé ogni specie di potenza, sia
quelle che elevano verso i veri enti, sia quelle che fanno piombare
nel divenire, e parimenti ogni specie di
conoscenza. Posta cosi l’unità di questo
genere comune della matematica, noi concepiremo le sue dif- ferenze dividendo in due parti questa sua
natura intermedia: da un lato
determineremo quella che possiede il vero essere, dall’altro lato quella che percepisce i sensibili e fa le
loro veci; assumendo a loro volta questa
o quella definizione secondo ciascuna di queste due forme del genere comune della matematica, noi
comprenderemo in modo differenziato la
collocazione intermedia delle matematiche giu-
dicandola o secondo il quanto o secondo qualche altro suo genere. E la maggiore o minore distanza dal vero essere
fornirà alle matemati- che la loro
differenziazione. Inoltre, la precedenza tra le cose che compongono l’universo, che può essere
primaria o secondaria,?? anch'essa crea
delle differenze nelle matematiche. Dobbiamo poi sco- prire la gerarchia delle matematiche secondo
l’ordine di successione o la continuità
o la contiguità o altra forma di sequenza. [96] Noi distinguiamo le matematiche in funzione di
questa loro combinazio- ne che procede e
si moltiplica a partire dall’unità, e della loro sistema- zione che riconduce all’unità, e cosî nel
distinguerle noi parimenti le uniamo. E
cosi potremo comprendere e insieme differenziare razio- 614 GIAMBLICO a κοινῶς τε περιληφθήσεται τῷ λογισμῷ καὶ
διαιρεθήσεται καὶ ἀπὸ τῶν πολλῶν πάλιν
ἀναχθήσεται ἐπὶ τὸ ἕν γένος τῆς μαθηματικῆς οὐ-
σίας: ὃ δὴ καὶ τέλος ἐστὶ τῆς διαιρετικῆς καὶ ὁριστικῆς μαθημα- τικῆς ἐπιστήμης. 34. ᾿Ωνόμασται δὲ ἡ τῶν μαθημάτων [10] È
ἐπιστήμη, È ἐπειδὴ ἀπὸ τῆς περὶ τῶν
νοητῶν νοήσεως κάτεισί τις εἰς αὐτὴν μάθησις, καὶ ἔστι πρὸς αὐτὴν οἰκεία αὕτη ἡ θεωρία, περὶ ἃ
δὲ νόησίς ἐστι καὶ ἐπιστήμη, περὶ ταῦτα
καὶ μάθησις παραγίγνεται, καὶ ταῦτα ἂν εἴη
μόνα τῶν ἄλλων μαθητά, διὸ καὶ μαθήματα προσηγόρευται. ἐδόκει δὲ τοῖς Πυθαγορείοις ὥσπερ οἰκεῖά τινα ὄργανα
πεπορίσθαι ταυτὶ τὰ μαθήματα πρὸς τὸ
ἀναπτύξαι τὴν τῶν ὄντων φύσιν, καὶ πᾶσαν
ἀφελεῖν τὴν ἀχλὺν τὴν ἐπισκοτοῦσαν τοῖς πράγμασιν, ὥστε εἰλι- κρινῶς τὴν ἀλήθειαν αὐτὴν [20] θεᾶσθαι: ἔτι
δὲ καὶ τῆς περὶ τὰ ἤθη ὁμολογίας
συνεξευπορήσειν τὴν αἰτίαν τὴν τοιαύτην μάθησιν, ἀγα- θοῦ τε καὶ κακοῦ τὴν φύσιν συναποκαλύψειν
φιλοσοφίᾳ προσαρ- ὠγὸν γιγνομένην, τῆς
τε περὶ τὸν κόσμον τάξεως καὶ τῆς περὶ τὸν
οὐρανὸν ἐγκυκλίου φορᾶς τὴν συμμετρίαν δι᾽ αὐτῆς θεωρεῖσθαι. διόπερ ἐνόμιζον χωρὶς αὐτῆς μὴ οἷόν τε εἶναι
φιλοσοφῆσαι. ἔτι τοί- νυν πολλά, ὥσπερ
διὰ κατόπτρων φανότητι διαφερόντων, θηρᾷ
εἴδωλα τῶν τῆς φύσεως ἔργων, ὅπερ μαθηματικὸν [97] μέρος τῆς φιλοσοφίας ὠνόμαζον, καὶ τοὺς ἐμπείρους τῶν
τοιῶνδε λόγων μαθηματικοὺς ἀπέφαινον.
ἐνόμιζον δὲ καὶ κάλλιστα παραδείγματα
εἶναι τὰ ἐν τοῖς μαθήμασι τῶν τῇδε, διότι πρὸς νόησιν ἐστάθμηται ταῦτα μόνιμά τε ὄντα καὶ ἀκίνητα καὶ κατὰ τὰ
αὐτὰ ἀεὶ ὡσαύτως ἔχοντα, πρὸς ἅπερ
ἀποβλέπων τις καὶ μιμούμενος ἀπεργάζοιτο ἂν
ἕκαστα τά τε σταθηρὰ καὶ βέβαια ἔργα. ἔχει δὲ ὁ μαθηματικὸς λόγος καὶ τὸ καθαρὸν καὶ ἐπιστημονικὸν καὶ
ἀνέλεγκτον. πρότερός τε εἶναι [10] δοκεῖ
τοῖς παλαιοῖς ὁ μαθηματικὸς τοῦ φυσικοῦ καὶ
ἀρχηγικώτερος᾽ ἐκ γὰρ τούτου ἐκκρέμασθαι͵ ὑπελάμβανε τὴν τῶν ἄλλων εἰλικρινῆ νόησιν. χαρακτὴρ μὲν οὖν
οὗτός ἐστι τοῦ μαθημα- τικοῦ λόγου.
προσέχειν δὲ δεῖ ἐν τῷ τὸ εἶδος αὐτοῦ ἐπικρίνειν τῇ ἀκριβείᾳ καὶ τῇ ἀνελέγκτῳ γνώσει καὶ τῇ
ὀρθότητι τῶν λόγων καὶ LA SCIENZA
MATEMATICA COMUNE 615 nalmente
l’essenza comune delle matematiche e partendo dalla loro molteplicità potremo risalire al genere
unitario della realtà matemati- ca. È
questo certamente anche il fine ultimo della scienza matematica che è capace di dividere e definire. 34. Si è data la denominazione di “scienza
delle matematiche”, perché dall’intellezione,
che riguarda gli intelligibili, discende un certo “apprendimento” ad essa relativo, ed è
appunto appropriata a tale
“intellezione” questa teoria,2)8 ma delle cose di cui c’è intellezione
c’è anche “scienza”, e di quelle di cui
c’è scienza c'è anche “apprendimen- to”,
e queste fra tutte saranno le sole “apprendibili” <in senso pro- prio>, e perciò sono dette anche
“matematiche” 259 I Pitagorici pensa-
vano che queste matematiche dovevano essere acquisite come stru- menti atti e spiegare la natura degli enti, e
a dissipare tutta l'oscurità che
ottenebra le cose, si da potere contemplare con chiarezza la verità in sé; pensavano inoltre che tale
apprendimento?40 avrebbe fornito al
contempo la causa dell'accordo nel comportamento morale, e avrebbe insieme rivelato anche la natura del bene e
del male, la quale spinge alla
filosofia, e che con la matematica si sarebbe potuto contemplare la corrispondenza tra l'ordine dell’universo e
il movimento circolare del cielo. Perciò
i Pitagorici credevano che non ci fosse altro modo di filo- sofare oltre a quello matematico. Inoltre, la
matematica va in cerca di molti
simulacri delle operazioni naturali, come attraverso specchi a luminosità differenziata,24! compito che i
Pitagorici [97] chiamavano la “parte
matematica della filosofia”, e mostravano che i matematici sono esperti in questo tipo di ragionamenti.
E credevano anche che le cose
matematiche sono i migliori modelli delle cose di quaggiù, perché con riferimento all’intellezione242 hanno
stimato questi modelli come stabili e
immobili e sempre identici a se stessi, guardando ai quali si potrebbero compiere per imitazione
particolari operazioni e stabili e
sicure. Il ragionamento matematico possiede anche purezza e
scienti- ficità e inconfutabilità. E gli
antichi credevano che il matematico pre-
cedesse e avesse un ruolo più originario di quello del filosofo
della natura: dal matematico infatti,
essi pensavano, dipende la purezza del
pensiero degli altri <studiosi>. È questo, dunque, il carattere
proprio del discorso matematico. E nel
valutare la sua forma, bisogna tenere
conto della precisione e dell’inconfutabilità conoscitiva e della
corret- 616 GIAMBLICO τῇ συμφωνίᾳ πρὸς tà ὄντα: μετὰ γὰρ τούτων
τὸ εἶδος αὐτοῦ ἄριστα διαφαίνεται. ἔστω
δὴ καὶ ταῦτα τὰ ἡμῖν προσκείμενα μετὰ τῶν
ἔμπροσθεν περὶ τούτων διωρισμένων.
35. [20] Ἐπειδὴ τοίνυν ἀπετελέσαμεν τὴν κοινὴν περὶ τῶν μαθημάτων θεωρίαν, καιρός ἐστιν ἤδη
συναγαγεῖν ὑπὸ μίαν σύνο- yiv τὰ ὅλα
περὶ αὐτῶν κεφάλαια. πρῶτα μὲν οὖν τὰ τῶν σκοπῶν καὶ τὰ περὶ τῆς ὅλης ἐπιστήμης τῆς μαθηματικῆς,
εἶτα περὶ ἀρχῶν τῶν τε κοινῶν καὶ τῶν
ἰδίων, ἐπὶ τούτοις περὶ τῶν ὑποκειμένων τοῖς
μαθήμασιν ἐποιησάμεθα λόγον, εἶτα περὶ [98] τῆς ἀρίστης αὐτῶν χρήσεως καὶ τῶν ἐν αὐτοῖς ἐπιστητῶν καὶ περί
τε τῶν καθ᾽ αὑτὰ κρι- τηρίων καὶ περὶ
τῆς ὡρισμένης αὐτῶν οὐσίας ποσαχῶς αὕτη
θεωρεῖται, τί τε τὸ ἔργον τῆς μαθηματικῆς θεωρίας καὶ τίνες αἱ δυνάμεις αὐτῆς καὶ τίνα τὰ στοιχεῖα, τά τε
κοινὰ καὶ τὰ ἴδια, καὶ πῶς ταῦτα πάντα
ἐπικοινωνεῖ πρὸς φιλοσοφίαν, καὶ πόσα ταῖς τέχ-
ναις συμβάλλεται, καὶ τίνα τάξιν ἔχει τῆς εἰς παιδείαν ἀγωγῆς, τίνες τε οἱ ἴδιοι τρόποι τῆς Πυθογορικῆς
παραδόσεως τῶν μαθη- μάτων, [10] καὶ τίς
ἡ διαίρεσις κατὰ τοὺς Πυθαγορείους τῆς ὅλης
μαθηματικῆς ἐπιστήμης, καὶ τίς ἡ ὁριστικὴ μαθηματική, καὶ τίνα ἐξαίρετα κατὰ Πυθαγόραν τῆς θεωρίας ταύτης,
τίς τε ἡ ἰδιάζουσα αὐτῆς κατ᾽ αὐτὸν
μελέτη, καὶ ὅτι οὐκ εἰκῇ αὐτὰ οἱ Πυθαγόρειοι
προήγαγον ἐπὶ πλεῖστον, τίς τε ἦν ἡ συνήθεια αὐτῶν τῆς ἐν τοῖς μαθήμασι διατριβῆς καὶ τίνες ἦσαν οἱ
μαθηματικοὶ παρ᾽ αὐτοῖς, ἀντιλήψεις τε
τῶν μαθημάτων καὶ ἀντιλογίαι πρὸς αὐτὰς καὶ ἀντι- διατάξεις, καὶ τί δεῖ ἀπαιτεῖν παρὰ τοῦ
μαθηματικοῦ τὸν ὄντως πεπαιδευμένον,
[20] διάκρισίς τε τῶν ἐν αὐτῇ προβλημάτων καὶ τοῦ τρόπου τῶν ἀποδείξεων, περὶ συλλογισμῶν τε
καὶ διαιρέσεων καὶ ὁρισμῶν μαθηματικῶν,
τίς τε ἡ κοινωνία φιλοσοφίᾳ πρὸς τὴν
Πυθαγόρειον ἣν ἐν τοῖς μαθήμασιν ἐχρῶντο οἱ Πυθαγόρειοι, τί τε τὸ κοινὸν καὶ ἴδιον τῆς μαθηματικῆς ἐπιστήμης
καὶ πόσας ἔχει διαιρέσεις καὶ πῶς
τεταγμένας, ἐπὶ τέλει τε περὶ τοῦ ὀνόματος
εἴρηται τῆς μαθηματικῆς καὶ τῶν τούτῳ συνεπομένων. [99] τοσαῦτα περὶ τοῦ κοινοῦ λόγου τῶν μαθημάτων καὶ τῶν
μαθηματικῶν ἐπιστημῶν κεφάλαια
ἐπεσκεψάμεθα, καὶ οἶμαι αὐτὰ συμμέτρως
ἔχειν᾽ εἰ δέ πού τινα παραλέλειπται, ῥᾳδίαν ἀπὸ τῶν εἰρημένων καὶ ταῦτα λήψεται τὴν διάγνωσιν. LA SCIENZA MATEMATICA COMUNE 617 tezza dei ragionamenti e dell'accordo con
gli enti, perché con questi accorgimenti
la forma del discorso matematico si rivela nel modo migliore. Sono queste appunto le cose che
dobbiamo aggiungere a quelle stabilite
in precedenza su questo argomento. 35.
Poiché dunque abbiamo portato a termine il discorso sulla teoria comune delle matematiche, è giunto il
momento ormai di dare uno sguardo
complessivo a tutti i capitoli in cui se ne è discusso. Primi dunque sono i capitoli degli scopi e
quelli relativi all'intera scienza
matematica, poi quelli dei principi e dei generi comuni e par- ticolari, e dopo di questi abbiamo parlato
dei soggetti delle matema- tiche, e poi
[98] del migliore uso di esse e delle scienze che esse con- tengono e dei criteri in se stessi e in che
modo si deve considerare l’es- senza
determinata di essi, e qual è l'operazione propria della teoria matematica e quali le sue potenze e i suoi
elementi, sia generali che particolari,
e come tutti questi comunicano con la filosofia, e quanti giovano alle tecniche, e qual è l'ordine
dell'educazione culturale <dei
Pitagorici>, e quali sono i modi particolari dell’insegnamento
pitago- rico delle matematiche, e qual è
la divisione che i Pitagorici fanno del-
l’intera scienza matematica, e qual è la matematica definitoria, e
quali parti di questa teoria preferiva
Pitagora, e quale cura particolare biso-
gna averne secondo lui, e perché i Pitagorici le promuovevano a ragion veduta il più possibile, e qual era la
loro consuetudine nel trat- tare le
matematiche e chi erano tra loro i Matematici, e quali erano le obiezioni alle matematiche e le
contraddizioni che si muovevano con- tro
di esse e i confronti su di esse, e quale effettiva istruzione si deve esigere dal matematico, e la divisione dei
problemi della matematica e del metodo
delle dimostrazioni, sia a proposito dei ragionamenti sil- logistici che delle divisioni e delle
definizioni matematiche, e che cosa la
matematica ha in comune con la filosofia pitagorica di cui i Pitagorici si servivano nelle matematiche, e
qual è l’aspetto generale e quello
particolare della scienza matematica e quante divisioni essi hanno e di quale ordine, e infine si è detto
del nome della matemati- ca e dei suoi
derivati. Sono tanti [99] i capitoli che abbiamo esamina- to a proposito del concetto generale degli
oggetti e delle scienze mate- matiche, e
io credo che essi siano tra loro commisurati; se poi da qual- che parte è stata trascurata qualche cosa, la
si potrà facilmente rico- noscere da
quanto abbiamo detto. NOTE ALLA «SCIENZA MATEMATICA COMUNE» 1A p. 3,7: [ἢ κοινὴ θεωρία] Syrian. Ir
Mesa. 101,26 ss. Kroll [= Aristotele,
Meta. M 1078 B 1], trattando la nozione di teoria matematica comune con riferimento esplicito ai
Pitagorici, attinge a Nicomaco e a
Giamblico, di cui parafrasa appunto questo passaggio del De com. math. sc., conservando l’espressione chiave «κοινὴ
θεωρία»: τίς μὲν αὐτῆς [sc. μαθηματικῆς]
ἡ κοινὴ θεωρία καὶ ἐπὶ πόσα διατείνουσα γένη (29 s.). Verso la fine del commento al lemma, Siriano cita
infatti Nicomaco e Giamblico in un
contesto the sembra dare all’esposizione e ai chiarimenti di Giamblico un peso addirittura maggiore della stessa teoria
di Nicomaco. Egli dice infatti che, se
qualcuno ha desiderio di apprendere in maniera più sviluppata ed esplicita questa teoria comune della
matematica, potrà soddisfare tale suo
desiderio leggendo le «Summe Pitagoriche» di Nicomaco [Νικομάχου συναγωγαῖς τῶν Πυθαγορείων δογμάτων] e i
trattati del divino Giamblico su di esse
[ταῖς τοῦ θείου Ἰαμβλίχου περὶ αὐτῶν τούτων πραγματείαις], alludendo naturalmente sia al De comm. math.
sc. che all’In Nicom. E di Giamblico
dice che fa un’esposizione di Nicomaco in forma storica e veridi- ca insieme — cioè rispettando la verità
storica e teorica —, e che attribuisce
all'insieme della dottrina un'organizzazione fatta di discorsi
preliminari e di dimostrazioni e di
intuizioni piuttosto intelligenti [νοερωτέραις ἐπιβολοῖς], atte cioè a rendere più comprensibili le tesi
pitagoriche di Nicomaco. 2 Sc. delle
realtà non matematiche. 3 $c. i
Pitagorici; cf. Siriano, In Meta. 101,36.
4La contemporanea presenza di unità e molteplicità delle
matematiche giustifica questo apparente
paradosso della loro «comune distinzione».
5 Unità e molteplicità sono, del resto, i principi primi di ogni
scienza matematica. 6 Sc. stabilire una dassificazione che le
contenga tutte insieme pur nella loro
reciproca distinzione, e quindi conoscere in che cosa tutte le matem- atiche siano un’unica scienza e al contempo
una molteplicità di scienze. Si tenga
presente che lo scopo del libro è quello di dimostrare che, nonostante esistano più scienze matematiche (aritmetica,
geometria, ecc.), è possibile costruire
una teoria matematica generale e comune a tutte le scienze matem- atiche.
? κριτήριον è l'insieme delle regole o procedure che rendono
possibile una certa attività
conoscitiva, nella fattispecie la conoscenza scientifica delle matematiche. Per una dettagliata conoscenza
della nozione e del termine κριτήριον, e
sui suoi vari approcci semantici e storico-filosofici, rinvio al vol. LA SCIENZA
MATEMATICA COMUNE 619 The Criterion of
Truth. Essays written in honour of C. Kerferd, ed. by P. Huby & G. Neal, University Press,
Liverpool 1989, che contiene una serie
di interessantissimi contributi che coprono l’intera storia del pensiero
antico e tardoantico, da Parmenide a
Proclo, tra i quali interessano particolarmente
il lettore di Giamblico (che peraltro è assente in questi contributi),
gli ultimi tre, rispettivamente di A.A.
Long su Tolemeo, di R.W. Sharples su Ales-
sandro di Afrodisia e di H.J. Blumenthal su Plotino e Proclo, oltre al
testo di Tolemeo, Περὶ κριτηρίου καὶ
ἡγεμονικοῦ. 8C£, Siriano, In Meta.
102,3-4 Kroll, dove l’opinione è attribuita specifi- camente ad Archita, che comunque non trovo
tra i frammenti editi. Si cf. anche p.
36 infra. Deve trattarsi di un testo tardo (neopitagorico) probabil- mente echeggiante la teoria della linea della
conoscenza della Repubblica pla- tonica,
dove, come si sa, la matematica coincide con il terzo segmento, la διάνοια.
9 ὅσαι εἰσὶν ἐν γενέσει significa letteralmente «il mondo del
divenire», ma io traduco «il mondo
sensibile» per analogia con l’ ὅσα [...] ἐπὶ τῶν αἰσθητῶν di p. 5,13, infra. 10 Sc, dalla somiglianza e dalla
dissomiglianza. 1! Cf, Aristotele,
Meta. E 1. 12 $c. per se stessa. 13 Sc. la conoscenza in senso platonico, o
meglio la funzione di seme e sti- molo e
occasione che la matematica svolge in ordine a qualsiasi conoscenza scientifica, come accade appunto nel processo
della reminiscenza. 1 Che è una delle
quattro sezioni della dialettica: dieretica, oristica, apodittica e analitica. Una teoria completa di
ciò si avrà con Prodo (cf. ad es. In
Crat. 3 = p. 2 Pasquali; cf. anche Platone, Crat. 424 B 7; Sopb. 229 Ὁ 6
et al. loc.). C£. p. 65, infra. 15 C£. Platone, Phil. 16 C 5 ss.: dagli dèi,
attraverso un certo Prometeo ci è stata
rivelata una verità che è brillante come un fuoco e ci è stata trasmes- sa dagli antichi, i quali ci superavano per
intelligenza perché vivevano più vicino
agli dèi, e cioè che ogni cosa ha connaturati in sé l’uno e i molti, il
limi- te e l’illimitato, e dunque noi
dobbiamo porre sempre e cercare in qualunque
caso un’unica idea [μίαν ἰδέαν], e poi una seconda, se c’è, e una terza,
e così via, per vedere come quell’unica
idea iniziale contenesse già una molteplic-
ità indefinita [καὶ πολλὰ καὶ ἄπειρά ἐστι] e cercare di determinare
tale molteplicità [καὶ ὀπόσα] in
rapporto a quell’unità. Indubbiamente qui gli
«antichi più vicini agli dèi» di cui parla Platone, sono i Pitagorici e
la dottri- na dell’uno e dei molti è la
loro dottrina, che sarà appunto ripresa da
Nicomaco e da Giamblico. 16 Sc.
agli intelligibili. i 17 Sulla natura
«mediana» delle realtà matematiche tutti i Platonici con- cordano con il comune maestro Platone, a
qualunque scuola o tendenza teorica essi
appartengano: essi infatti considerano gli oggetti delle matem- 620 GIAMBLICO atiche, da un lato incorporei e più
semplici degli enti naturali, dall'altro lato
inferiori, meno puri e più complessi degli intelligibili. La
tripartizione onto- logica del reale in
νοητά, μαθηματικά, αἰσθητά si accorda poi con la triplice capacità conoscitiva dell'anima che per
attingere questi tre livelli di realtà si
serve rispettivamente del νοῦς, della διάνοια e dell’aicno1c. Chi
teorizza in modo assolutamente chiaro e
inequivocabile una tale teoria è Proclo, il quale all’inizio del suo Commentario al I libro
degli Elementi di Euclide dice the le
ὑποστάσεις [cosi egli chiama le diverse specie di realtà] matematiche
occu- pano il posto intermedio [τὴν
μέσην χώραν] tra quelle incorporee e sempli-
ci e indivisibili, da un lato, e quelle corporee e composite e
divisibili, dall’al- tro lato, e che in
funzione di questo Platone distinse tre specie di conoscen- ze fondate su tre distinte facoltà
conoscitive, intelletto, ragione e opinione,
appunto. Ma quello che avvicina Proclo a Nicomaco e a Giamblico è il
fatto che, secondo lui, le realtà
matematiche e in generale razionali, pur essendo inferiori a quelle intelligibili per
semplicità, tuttavia riflettono gli intelligibii in maniera più netta e penetrante the non i
sensibili [tpaveotépag μὲν ἐμ- φάσεις
ἔχοντα τῶν αἰσθητῶν τῆς νοητῆς οὐσίας]. Eppure, conclude Proclo, gli enti matematici sono immagini degli
intelligibili, come del resto lo sono
anche i sensibili, ma rappresentano l’anticamera delle forme primarie,
cioè degli intelligibili [ἐν προθύροις
μὲν τεταγμένα τῶν πρώτων εἰδῶν]. È quest’ultima considerazione che contrassegna
particolarmente la posizione
pitagorizzante di alcuni tra i Platonici della tarda antichità. 18 Sc. l'essenza logico-razionale, che è
appunto seconda rispetto a quella
ontologica di essenza incorporea mediana tra l’intelligibile e il
sensibile. 19 Sc. nell'essere in sé. È
probabile che qui Giamblico alluda alle cate-
gorie platoniche del Sofista, come pensa lo Scoliasta (cf. nota seg.),
categorie che, a differenza di quelle
aristoteliche (peraltro non escluse), concernono appunto la realtà intelligibile. 20 Schol. «i cinque generi dell’essere: 1)
sostanza, 2) identità, 3) alterità, 4)
movimento, 5) stasi». Occorre aggiungere i dieci generi dell'intelletto, ovvero le dieci categorie aristoteliche. 21 Sc. dall’ontologia. 22 Sc. dalla noetica. 23 Cf. p. 36,16 ss., infra. 24 Cf. p. 10,5, supra. 25 Conformemente a tutta la tradizione
platonico-neoplatonica di ispi- razione
pitagorica, qui Giamblico determina le differenze di principio tra la conoscenza di ordine matematico e quella di
ordine intellettivo, tra la conoscenza
dianoetica e quella noetica, per usare la terminologia più comune a tale tradizione. Ma ciò che appare
più interessante da un punto di vista
teoretico è il fatto che una tale distinzione viene fondata sulla coppia dei principi più metafisica che il platonismo
conosca, e cioè sulla coppia
Limite/Illimitato. Si tratta ovviamente di fare emergere la
differenza LA SCIENZA MATEMATICA
COMUNE 621 metodologica implicita nell'uso
di tale strumento nelle due aree scientifiche,
rispettivamente metafisica in generale e matematica in particolare. Chi,
dopo Giamblico, ha più coerentemente e
chiaramente teorizzato lo statuto «inter-
medio» della realtà matematica è stato Proclo, il quale all’inizio del
primo Prologo al suo Commentario sul
Libro I degli Elementi di Euclide [In Ἐπεί,
5,11 ss. Friedlein] traccia i capisaldi della dottrina dei principi
della matem- atica a partire appunto
dalla μεσότης τῶν μαθηματικῶν γενῶν τε καὶ εἰδῶν. Per scoprire i principi dell'intera
matematica, egli scrive, occorre risalire ai
due principi che si estendono all’intera realtà e che generano da sé
ogni cosa: il Limite e l’Illimitato [τὸ
πέρας καὶ τὸ ἄπειρον]. Nella processione ordina- ta di tutte le cose da questi due principi è
possibile scoprire le cose che sono
primarie, quelle mediane e quelle ultime, e precisamente τὰ νοητά, tà
μαθη- ματικά, τὰ ἔσχατα καὶ ἐν ὕλῃ
φερόμενα. Ciascuno di questi tre generi di
enti partecipa in modo diverso dei suddetti due principi universali: gli
enti matematici, in ispecie, partecipano
dell’Illimitato nel senso che il numero, a
partire dall’ 1, è capace di crescere indefinitamente [ἄπαυστον ἔχει
τὴν αὔξησιν], del Limite nel senso che
qualunque numero si prenda è finito
ovvero sempre determinato nella sua quantità [ἀεὶ ὁ ληφθεὶς πεπέρασται]. Lo stesso discorso vale per gli enti
geometrici, cioè per le grandezze matem-
atiche, che godono di una divisibilità all'infinito, pur essendo
ciascuna per se stessa una certa
grandezza finita e delimitata. 26
Certamente qui, trattandosi di principi, il termine πεπερασμένον vale come sinonimo di πέρας, 27 Schol. «l’illimitato e il limite». 28 Schol. «gli Aristotelici chiamano
l’intelletto «intellezione»». 29 Schol.
«credo che intenda parlare della materia intelligibile». 30 Schol. «sono cinque in tutto le specie
matematiche». 31 I principi
dell’aritmetica precedono i principi delle altre scienze matematiche per la loro natura che li rende
condizionanti e non con- dizionati. Cf.
Nicomaco, Arithm. intr. 9,8. 16 ss.: l’aritmetica ha il ruolo di madre di tutte altre scienze matematiche
[πρὸς τὰς ἄλλας μητρὸς λόγον ἔχουσαν], e
togliendo se stessa toglie le altre, mentre tolte queste essa non è tolta [συναναιρεῖ μὲν ἑαυτῇ τὰ λοιπά, οὐ
συναναιρεῖται δὲ ἐκείνοις]; [Giamblico],
ΤΡοοί. arithm. 21,14 5. συναναιρεῖ γὰρ τὰς ἄλλας ἑαυτῇ καὶ συνεπιφέρεται δὲ ἐκείνας, οὐκ ἔμπαλιν
δέ. 52 Sc. quando essi sono esclusi,
sono esclusi anche gli altri, mentre quan-
do sono esclusi gli altri, essi non sono esclusi insieme con essi, e
d'altra parte quando sono posti gli
altri, sono implicati insieme con questi, mentre quan- do sono esclusi gli altri, essi non sono
esclusi. Cf. Giamblico, In Nicorr. 10,2
ss. e [Giamblico], Theo! arithm. 21,14 5. 33 εὐπλαδής: πλαδαρά Schol. 34 Sc. il suo essere il numero che è. 35 Sc. l'uno, il primo dei due principi.
Scho/. «a questo punto l’autore 622
GIAMBLICO introduce la materia
intelligibile, come facevano anche i Pitagorici prima di lui, ma Proclo non è d’accordo con
loro». 36 Sc. la divisibilità o
moltiplicabilità. 37 Schol. «spesso noi
poniamo questa grandezza come causa della mag-
nanimità e della liberalità, presa però insieme a una certa qualità. Ne
con- segue che non bisogna considerare
un male la quantità come tale. Male e
bruttezza è tutto ciò che ha una molteplice varietà di piedi [ad es. il
polipo], ma non per il fatto che una
certa quantità è anche molteplice, questa per ciò stesso è anche male. E ciò è prova che
liberalità e qualità simili sono belle».
38 Sc. dell'altro dei due principi.
39 Schol. «l’uno è al di là dell'essere e del male [sic! il testo ha
“bello”, cf. anche Schol. ad 18,1] e del
bene». 40 Sc. dai principi. 41 Schol. «che l’autore chiamava, sopra
[15,13], “umida”». 42 Sc. il principio
della molteplicità. 4 L'uno in quanto
principio formale del numero partecipa alla costi- tuzione di ciascun numero, il quale è dunque
una porzione dell’uno, che è tutto il
numero. 44 Sc. costituisce un
determinato numero. 45 Sc. non soltanto
numeri. 46 Ma è unica e identica, nella
fattispecie, anche la materia. 47 Schol.
«ora chiama “densa” la materia che prima chiamava “umida”». 48 Sc. il principio materiale. 49 Sc. principio. 50 Schol. «lo stare, l'estensione, il luogo,
sono proprietà delle grandezze». 51
Schol. «la continuità: la sozzura e la sporcizia dei numeri derivano dalla materia umida delle grandezze». 52 Sc. quello delle grandezze geometriche:
il primario è quello dei nu- meri. 53 Sc. oltre all’aritmetica e alla
geometria. 54 Schol. «intende dire le
materie, perché Ia materia dei numeri e l'uno
stanno al di là del bello e del bene».
55 Sc. come conseguenza diretta della combinazione degli elementi;
p. 18,11 οὐ προηγουμένως: su questo
avverbio sono state fatte molte e appro-
fondite considerazioni filologiche e filosofiche. Cf.
Ph. Merlan, From Platonism to
Neoplatonism, The Hague 1960, 2. ed. (1. ed. 1954) 122; M. Isnardi Parente, Speusippo in Sesto Empirico,
Adv. math. VII 145-146, «La Parola del
Passato» 24 (1969), 203-214; A. Grilli, Sesto Empirico, Adv. math. VII 142-146, ibid. 25 (1970), 407-416; Id.
Ancora su προηγουμένως in Speusippo,
ibid, 26 (1971), 120-128 = replica a Grilli; Id. Proodos in Speusippos, «Athenaeum» 53 NS (1975), 99; 109
nota 54 [88-110]; L. Taràn, Speusippus
of Athens, Leiden 1981, 102; 433 nota 256. L'orientamento
gen- erale è quello di attribuire a
questo avverbio un significato specificamente
LA SCIENZA MATEMATICA COMUNE 623
filosofico o, meglio, metafisico, più che quello comune di
«precedente- mente»: la sua forma
negativa, quindi, significherebbe in tale contesto [ma anche in contesti aristotelici ed epicurei,
oltre, naturalmente, che speusippei]
«non essenzialmente» o «in modo non primario», cioè legato alla natura
dei principi, o ancora «non come
risultato diretto», che è l’interpretazione più
sfumata, e perciò più accettabile, a mio avviso, di Tarn. In verità a me
non sembra che si sia costretti a porre οὐ
προηγουμένως in contrapposizione al
successivo ἐκ δὲ ... (ci saremmo aspettati un μὲν prima, o un ἀλλὰ dopo
προ- nyovuévoc), dal momento che può
benissimo stare in rapporto sintattico e
logico con il precedente ἐπ' ἐσχάτῳ, sicché il senso potrebbe essere
questo: «alla fine, non prima, cioè
nelle quarte e quinte combinazioni degli ultimi
elementi, si genera il male, e questo deriva dal fatto che qualcosa non
vive più secondo natura e non domina pit
l’essere per natura». Ma, non avendo
approfondito la questione in sede storico-filosofica più generale,
preferisco adeguarmi alla communis
opinio. 56 Schol. «ma non pure quello
che in Platone [Resp. VII 534 E] viene
chiamato “coronamento”». 57 Sc.
all'aritmetica. 58 Sc. alla
geometria. 59 Schol. «ad esempio il
doppio o la metà o l’epitrite e assiomi del
genere». 60 Sc. privi di
caratteri concreti e particolari. 61
Schol. «ad esempio aritmetica, armonica, geometria, e altre». 62 Sc. come delle acquisizioni
empiriche. 6 Sc. che non fa parte delle
essenze delle cose particolari e delle singole
scienze che le studiano. 6 A p.
20,23 ss.: troviamo una parafrasi di Platone, Epin. 991 Ὁ 6 ss., che Giamblico riprende certamente da Nicomaco,
Arithwm. intr. 7,9 ss. Da notare che
Giamblico, come del resto già Nicomaco, adatta in qualche modo il dis- corso di Platone che qui ha come oggetto Îe
scienze in generale allo studio delle
matematiche in particolare, anche se il termine adoperato nei due casi è lo stesso: tà μαθήματα ha in Platone un significato
più generico che in Nicomaco e in
Giamblico, dove indica specificamente le scienze matem- atiche di cui si cerca di fissare la teoria
comune. Da notare, tuttavia, lo scam-
bio del termine ἀναλογία usato da Nicomaco [7,11] e quindi da
Giamblico [21,2] al posto del platonico
ὁμολογία [991 E 4]: ovviamente il primo è ter-
mine pit tecnicamente matematico. Non si può essere, però, del tutto
sicuri che sia una scelta consapevole di
Nicomaco trasmessa a Giamblico, perché
ὁμολογία si trova in parecchi codici di Nicomaco (cf. ed. Hoche appar.
ad loc.). Se si pensa, tuttavia, che
Nicomaco possa averla desunta da Teone di
Smirne [quasi certamente di epoca anteriore a quella di Nicomaco,
ignorato da Teone, anche se l’argumentur
e silentio non si può considerare mai deci-
sivo], che riporta anch'egli il testo dell’Epirorzide nella sua Expos.
rerum 624 GIAMBLICO math. ad leg. Plat. utilium 84,7 ss.,
allora sarebbe forse più logico correggere
il testo platonico, dal momento che è arduo immaginare che Teone
abbia potuto sostituire il termine per
ragioni scientifiche come è possibile immag-
inare per Nicomaco. Teone, infatti, prima di dare il passo, spiega quale
sia, a suo giudizio, l’intenzione di
Platone, dicendo: ἔοικε δὲ ὁ Πλάτων μίαν
οἴεσθαι συνοχὴν εἶναι μαθημάτων τὴν ἐκ τῆς ἀναλογίας, e quindi
riferisce il testo dell’Epir. usando
appunto lo stesso termine. 6 $c quello
dell’Intelletto demiurgico. 66 Sc.
gente già perfettamente educata in tutto il resto. 67 C£. Platone, Resp. VII, 536 B 1-6, dove
alla li. 5 si legge φιλοσοφίας in luogo
di φιλομαθείας. È evidente la ragione della sostituzione del termine, dato che Giamblico intende adattare al suo
proprio discorso sulle matem- atiche le
parole di Platone. 68 Cf. Platone,
Resp. VII 521 C 5. Noto giuoco infantile consistente nel gettare in aria un coccio dipinto da un lato
di bianco e dall'altro lato di nero. A
seconda del colore che risultava visibile un gruppo di fanciulli fuggiva e l’altro inseguiva. Cf. Sartori, nota alla
traduzione ad /oc., in Platone, Opere,
Laterza, Roma-Bari 1966 e succ. rist.).
69 Da qui a p. 28,14, quasi σά litteram Platone, Resp. VII 521 C 6-532 D 1. 70
Schol. «dei fenomeni sensibili». 71
Schol. «alle necessità della vita materiale: infatti alle necessità della vita non è utile la figura pagata un triobolo,
dice il precetto». Cf. Giamblico, Protr.
125, 1 ss. Pistelli: «Il simbolo che dice: Stima di più “figura e gradino” anziché “figura e triobolo” dà il seguente
ordine: filosofa e coltiva le matem-
atiche non in modo superficiale, e procedi per mezzo di esse come di
una scala verso ciò che ti sei
proposto». 72 Schol. «al punto da
essere come un coronamento», 73 Cf. p.
28,24-32,7 = Giambilco, In Nicom. 7,3-9,23.
74 VS 44 B 3 Diels-Kranz. Cf. nota a Giamblico, In Nicorz. 7,24 5. 75 Sc. della quantità numerica e della
grandezza. 76 Sc. alla quantità
numerica. 77 Sc. dalla molteplicità
numerabile. 78 Nel senso che «quanto»
indica appunto la molteplicità di cui si com-
pone. 79 Sc. alla
grandezza. 80 Nel senso, cioè, che
anche qui il nome indica la natura della cosa.
81 Sc. dall’estensione in grandezza.
82 Sc. quanto assoluto. 83
Perfetto è un numero che è uguale alla somma dei suoi divisori: ad es. 6=3+2+1; deficiente un numero che è maggiore
della somma dei suoi divi- sori: ad es.
8>(4+2+1). Cf. Giamblico, De comm. math. sc. 8,12. 84 Sc. quanto relativo. LA SCIENZA MATEMATICA COMUNE 625 85 Numero che contiene un numero intero +
una frazione avente come numeratore
l’unità: 1+(1/n), dove n è un numero intero: ad es. 9=6+1/2(6); 8=6+1/3(6).
86 Numero che contiene un numero intero + una frazione avente come numeratore un numero superiore all’unità:
1+(m/(m+n)): ad es. 10=6+2/3(6);
14=8+3/4(8), ecc. 87 Sc: aritmetica e
geometria. 88 Sc. musica e
astronomia. 89 Sc. il quanto in
movimento (i numeri armonici della musica) e il quan- to grande in movimento (le figure mobili
dell'astronomia). 90 In tal modo
Giambilco spiega come siano nate le quattro scienze del quadrivio, aritmetica, musica, geometria e
astronomia, e come si colleghino tra di
loro a coppie, a seconda che il medesimo oggetto (il «quanto» o il «quanto grande») sia visto in sé o in
rapporto ad altro, in riposo o in movi-
mento. 7 VS 47 B 1, p. 432,7 s.
Diels-Kranz. 2 Cf. Platone, Epin. 991 E
3-992 B 3. 9 Cf. Giamblico, Ir Nicom.
9,14 ss. Qui Giamblico interpreta Platone
(che in realtà è Filippo di Opunte) in un senso eccessivamente
pitagoriz- zante, anche se a ben
considerare la teoria platonica della Repubblica, soprat- tutto quella contenuta nella similitudine
della «linea sezionata», la matemat- ica
(le quattro scienze matematiche di cui si parla qui) effettivamente copre l'intera conoscenza del mondo al di sotto
delle idee, cioè del mondo dia- noetico.
Che il mondo sia composto solo di «continuo e discreto», del resto, corrisponde alla fisica di Platone contenuta
nel Tirzeo. % La matematica va al di là
dell’attività teoretica, perché abbraccia anche
l’attività pratica: la sua funzione filosofica e antropologica è tipica
della men- talità pitagorica. 9 La διαίρεσις è il momento primario di ogni
analisi, perché conduce alla necessaria
determinazione e denominazione degli oggetti della ricerca. Cf. 6,5 ss. supra e, in generale, Platone,
Soph. 229 D 6, passim. % Sc. oggetti di
scienza. 51 Sc. oggetti di
opinione. 98 Sc. oggetti di
immaginazione. 99 Sc. accadimenti,
proprietà apparenti. 100 Sc. agli
immaginabili. 101 A p. 34,20-35,26
[διόπερ καὶ Βροτῖνος-τὴν δὲ διάνοιαν τοῦ νοῦ] cf. Siriano, In Meta. 165,24-166,14 [=
Aristotele, Meta. N 1087 A 29-B 4], dove
viene confutato il sillogismo aristotelico secondo cui i contrari non
possono essere principi, perché, essendo
in un soggetto o sostanza, presuppongono
quest’ultima e i principi non possono essere posteriori alla sostanza.
Siriano cita a sostegno della sua tesi
Filolao, Archeneto [Archita?], Brotino e lo stes- so Platone [Resp., Phil., Parm.: nessuno di
costoro, quando parla dei prin- 626
GIAMBLICO cipi contrari, li intende
come soggetti o sostanze [ἀρχαί ... οὐσίαι], bensi come principi trascendenti l’essere [ἀρχαὶ
ὑπερούσιοι]. Brotino in ispecie afferma,
scrive Siriano, che il principio supera in potenza e dignità sia l’intel- letto che l’essere [νοῦ παντὸς καὶ οὐσίας
δυνάμει καὶ πρεσβείᾳ ὑπερέχει
166,5-6]. 102 Sc. conosce per
via mediata. 105 Sc. sono inversamente
proporzionali tra loro. Scho/. «negli enti, infat- ti, la potenza si contrappone alla quantità». 104 Mullach, FPG,
I 566 s., e H. Thesleff, The Pythagorean Texts of the Hellenistic Period, Àbo 1965, 38 s.; cf.
Platone, Resp. VI
509 D 7 ss., e rela- tivi Schol., in VI
350 5. Hermann. 105 Sc. le facoltà
conoscitive. 106 Schol. «il logos ha la
funzione di «termine» rispetto all’intelletto e alla sensazione, e di «inizio» rispetto alla
ragione e all’opinione: viceversa, la sen-
sazione e l’intelletto fanno da inizio del /ogos, mentre l'opinione e la
ragione fanno da termine». 107 Pagina 38,1-6 = Sophon. De ax. paraphr.
130,29-32 Hayduck. 108 Schol.
«l'intelletto è più chiaro della sensazione e dell’opinione e della ragione. E parimenti la ragione è più chiara
dell'opinione e della sen-
sazione». 109 Sc. il sensibile
reale. 110 Schol. «si deve intendere
qui per dialettica non quella dei Peripatetici,
cioè la dialettica che si studia di ridurre a contraddizione l’oggetto
del ragionamento, bensi quella dei
Platonici, o meglio dei Pitagorici: Platone
infatti l’ha appresa dai Pitagorici. E questa la conoscenza degli enti
in quan- to enti, cioè la conoscenza
“anipotetica”». 111
Pagina 39,26-40,4 = Sophon. De an. paraphr. 130,33-35 Hayduck. 112 Pagina 40,12-43,11 = Sophon. De an.
paraphr. 131,11-132,24 Hayduck.
13 È l’uno, cioè, che consente all’anima di avere una facoltà
razionale unitaria e unificante. 114 Sc. di passare dalla quantità aritmetica
alla quantità geometrica. 115 Sc. al
metodo dell’accrescimento delle figure. Si noti che αὔξησις può significare anche «moltiplicazione», se visto
in ambito aritmetico. 116 Le misure di
grandezza o geometriche sono, secondo questa visione, contenute tutte nella
grandezza infinita che qui viene raffigurata come «ric- chezza». 117 Sc.
dall’armonia in sé, o dall’armonia matematica, che è principio di ogni armonia
fuori dell’essenza matematica pura. 118 Cf. Aristotele, Meta. N 4, 1091 A
23-33, 119 Sc. come causa delle matematiche.
120 Pagina 43,15 ss.: la determinazione del modo di operare della
scien- za matematica, basata sulla
διάνοια, che qui Giamblico teorizza più sul ver- LA SCIENZA MATEMATICA COMUNE 627 sante della sua differenziazione rispetto
al modo di conoscere proprio del-
l'intelletto -- la sua differenziazione rispetto al modo di conoscere
proprio della sensibilità emerge
soltanto nell’accenno al fatto che la conoscenza matematica, a differenza di quest’ultima,
riceve solo lo stimolo dal mondo esterno
senza rimanervi impigliata —, si trova più dettagliatamente esposta, in rapporto a tutte e due le forme estreme di
conoscenza tra cui si colloca quel- la
matematica, in Proclo, In Εμεῖ. 18,10-19,5 Friedlein. Molto chiara ed
effi- cace risulta la differenzazione
fra i tre modi di operare rispettivamente del-
l'intelletto, del senso e della ragione matematica, nella proposizione
finale di tale testo procliano: «La
matematica inoltre non è fissata, come l’intelletto, al disopra di ogni indagine [οὔτε ... ἁπάσης
ζητήσεως ὑπερίδρυται] in quan- to piena
di se stessa, né è costituita, come la sensazione, di ciò che è altro da sé [οὔτε ἀφ᾽ ἑτέρων τελειοῦται], ma procede
attraverso l’indagine verso la scoperta
e passa dall’imperfezione alla perfezione [ἀπὸ τοῦ ἀτελοῦς εἰς τελειότητα ἐπάνεισι]». 121 $chol. «dai sensibili». 122 Cf, Platone, A/c. I 106 D. 123 Schol. «nota: se è vera [sc. la
premessa]». Si vede da questo indizio,
ma anche da altri, che lo Scoliasta non è un Platonico. 124 Sc. da μάθησις = apprendimento. 125 Schol. «intende dire: analitica e
dieretica». 126 Schol. «è la dialettica
rispettata da Platone». 127 Schol.
«analisi e divisione, che, egli dice, sono proprie della matemat- ica comune».
128 Schol. «sono quelle che insegna il grande Euclide nel Libro V
«ἀεὶ suoi Elementi>». 129 Schol «intende dire: geometria
stereometria aritmetica». 130 Sc. l’uno
e il molteplice, ecc. 131 Sc. per la
superiore capacità che hanno gli intelligibili di raggiungere la massima estensione possibile. 132 Sc. perché gli enti matematici hanno una
bellezza e una bontà minori di quelle
che possiedono gli intelligibili. 133
Sc. tra gli intelligibili e i sensibili.
134 Schol. «nota: si parla di somiglianza a proposito degli enti
matemati- ci per omonimia con quella
relativa agli intelligibili e ai sensibili».
135 Schol. «la somiglianza nei composti è concepita secondo la qualità
e secondo l’accidente, mentre nelle
matematiche somiglianza o dissomiglianza
sono “sostanza”». 136 Schol. «si
parla del simile e del dissimile come se fossero tra le cate- gorie. Il simile e il dissimile: secondo la
qualità, ad es. bianco simile o dissim- ile
a bianco, caldo a caldo; secondo la figura aggiunta, ad es. triangolo mate-
riale simile o dissimile a triangolo materiale; secondo lo stare in una certa
relazione, ad es. Bisanzio ha una posizione simile a quella di Sinope, oppure
628 GIAMBLICO a nord o a sud, per cui si dice anche che sono sulla medesima
latitudine [cf. Strabone, 2, 1,16 = I
97,12 ss. Meineke = τ. I 2, p. 23,5 ss. Aujac: μόλις γὰρ ἂν ταυτοκλινεῖς εἶεν τοῖς κατ' ᾿Αμισὸν καὶ
Σινώπεν καὶ Βυζάντιον kai Μασσαλίαν, οἱ
τοῦ Βορυσθένους καὶ τῶν Κελτῶν ὡμολόγηνται νοτιώτεροι σταδίοις τρισχιλίοις καὶ ἑπτακοσίοις --
difficilmente potrebbero [sc. i paesi
suddetti] essere della stessa latitudine di Amiso, Sinope, Bisanzio,
Marsiglia, che sono situati, per accordo
generale, a 3.700 stadi più a sud di Boristene e della Celtica]; secondo la sostanza
matematica, ad es. tracciare un solido par-
allelepipedo simile a un dato solido parallelepipedo. <Tutto questo
signifi- ca> che ciò che si dice
somiglianza e dissomiglianza a proposito delle matem- atiche è sostanza o forma della sostanza
matematica, perché la somiglianza nelle
matematiche non può essere per accidente; infatti gli enti immateriali non
possono ammettere l’errore e la sozzura proprie degli accidenti. Di qui la loro
grande capacità di inversione». 137 Sc. intelligibili. 138 Sc. secondo il
discorso che si è fatto sui tre livelli dell’essere: intelligi- bile, sensibile [o reale] e matematico.
Scho/. «non si deve ritenere, egli dice,
che la matematica sia la scienza del quanto considerato come accidente
cat- egoriale: il quanto di tale genere,
infatti, si trova nei composti ed è di secon-
da generazione [sc. concetto ricavato dall'esperienza] e accessorio e acci- dente, mentre la matematica è sostanza
autocostituentesi e precede la
molteplicità [dell'esperienza] e si trova nel mondo intelligibile». 139 Scbol. «a proposito della somiglianza e
della dissomiglianza nelle matematiche,
bisogna considerare l’unità in senso generico e la molteplicità in senso specifico e ciò che sta in mezzo
come subordinato all'una e all’altra, e
adattare cosi a ciascuna realtà matematica la propria somiglianza e dis- somiglianza». 140 Sc. come differenze specifiche o
proprietà, non come sostanze. 141 ὅς,
il composto in sé. 142 Sc. la proprietà
di esso come differenza specifica. 143
Sc. nel simile e nel dissimile matematici.
144 Sc. gli intelligibili e i sensibili. 145 Cf. cap. 13, supra. 146 Schol. «questo è ciò che insegna il
saggio Tolemeo nell’Introduzione
all'Almagesto». Cf. Pol. Almag. I, Introd. = J.L. Heiberg, C/ Ptol. Opera quae exstant omnia, vol. I, Lipsiae 1898. 1497 Pagina 55,8-20: questo passo è
caratterizzato da una serie di
attribuzioni qualitative e metodologiche alla matematica, le quali
possono essere distribuite in due
ordini, uno di carattere positivo e l’altro negativo. La matematica, infatti, negativamente: 1) purifica,
2) scioglie da ogni legame le facoltà
intellettive, 3) allontana dal corporeo; positivamente: 4) pre- dispone ad apprendere la scienza delle cose
divine, 5) assimila e innalza ad esse, 6) collega le facoltà intellettive
all’essere, 7) avvicina agli intelligibili con LA SCIENZA MATEMATICA COMUNE 629
la visione della bellezza e l'armonia dei ragionamenti matematici, 8) rende simili agli intelligibili e alla loro
stabilità, 9) abitua a sostenere la luce del-
l'essere, e, infine, 10) dà sicurezza e precisione di ordine
scientifico. Questa stessa lunga serie
di prerogative delle scienze matematiche era stata espressa in poche parole, in forza della sua abituale
concisione, da Plotino, En. I 3 [20]
3,5-7: «Bisogna fare studiare al filosofo [meglio, a chi è incline per
natu- ra alla filosofia] le matematiche,
perché lo si abitui a cogliere con la ragione
l'incorporeo e ad averne fiducia [mpòg συνεθισμὸν κατανοήσεως καὶ πίστεως ἀσωμάτου] -- ed egli, infatti,
accoglierà facilmente tali scienze in quanto amante del sapere [φιλομαθὴς ὧν]
—». 148 Sc. degli enti matematici. 149 Schol. «Aristotele, Tolemeo e Platone».
150 Sc. per quello matematico e per quello fisico. 151 Pag. 57,9-58,6: a questo
paragrafo XVI corrisponde sostanzialmente
Proclo, Ix Eucl. 24,21 ss., dove, con esplicito riferimento a Platone,
Phil. 55 E, vengono esposti i vantaggi
che la scienza matematica procura a tutte le
scienze e a tutte le arti, qualunque sia la loro natura o destinazione.
Come al solito, ovviamente, il discorso
di Proclo si caratterizza per la sua maggiore
precisione e definizione terminologica, anche se nella sostanza a me
sembra più ricco di contenuti quello di
Giamblico. 152 διορισμούς è da
intendersi in relazione ad ἀρχάς e τέλη.
153 Sc. attitudine alle scoperte e alle invenzioni: le arti sono per
natura «attività creative». 154 $c. la matematica. 155 Schol. «sulla quale dà insegnamenti
Autolico». Cf. Autolycos de Pitane, La
sphère en mouvement, ἔα. par G. Aujac, Paris 1979. 156 Sc. il modo di rappresentarsi
complessivamente la scienza matemati- ca, 157 Schol. «a proposito di tutti gli enti,
con l’aiuto di esempi». 158 Sc. il
simbolo. 159 Si noti il senso
«teologico» di quest'idea di adattamento del metodo divino (nella fattispecie quello
simbolico-matematico) alla realtà naturale.
160 Il testo non è chiaro, ma il significato ultimo è questo: i
Pitagorici adattavano tutti i loro
teoremi a ciascuna specie di realtà servendosi di quelle immagini o di quei simboli che giudicavano di
volta in volta appropriati. 161 Sc,
amavano la matematica come scienza applicata.
162 Sc, sui ragionamenti e sui calcoli ipotetici e privi di referenti
reali. 163 Sc. dell’aritmetica. 164 Sc. della geometria, della musica,
dell'astronomia, ecc.. 165 $c. i
concetti puri, tra cui si trova, ovviamente, anche il numero matematico.
16 Non è molto chiaro qui l’uso del termine «circolo» al posto di «numero»: forse per mettere in evidenza,
ancora una volta, che il discorso 630
GIAMBLICO che vale per l’aritmetica
vale anche per le altre matematiche, geometria com- presa (in questo contesto si ripetono più
volte, accanto ad espressioni che
contengono ἀριθμός, espressioni che contengono ἄλλα μαθήματα). 16? Sc. il numero intelligibile. 168 Sc. alle leggi dell'astronomia. 169 Sc. dall'ordinario esercizio delle
potenze dell'anima. 170 Sc. la
matematica insegnata secondo il metodo pitagorico. 171 Sc. la dieretica. 172 Sc. a priori, cioè contemplando se
stessa. 173 C£, cap. 18, supra. 174 C£. Giamblico, Vita Pytb. 9,15 ss.
Deubner. 175 Sc. ciò che Pitagora ha
inizialmente acquisito dai suoi maestri.
176 Dobbiamo acquisire gli elementi peculiari della matematica
pitagori- ca come elementi della
matematica comune che andiamo esponendo.
17? Sc. estraneo [ἀπεξενωμένην] al significato primario che hanno per la scienza matematica, Ma cf. Giamblico, V.
Pytb. 5,17. 178 Sc. l'intelletto. 17? Ma quella propria dei Pitagorici. Scho/.
«quella di Euclide, Archimede, Tolemeo e
simili». 180 Le matematiche sono le
prime materie dell’educazione primaria o
elementare. 181 L'“induzione”,
infatti, è frutto di ripetuto apprendimento di tante singole acquisizioni conoscitive, è cioè un
procedimento empirico abitudi- nario e
non teoretico-contemplativo. Cf. Aristotele, Top. A 12, 105 A 13 ss. ἐπαγωγὴ δὲ ἡ ἀπὸ τῶν καθ᾽ ἕκαστα ἐπὶ τὸ
καθόλου ἔφοδος: οἷον εἰ ἔστι κυβερνήτης
ὁ ἐπιστάμενος κράτιστος, καὶ ἡνίοχος, καὶ ὅλως ἐστὶν ὁ ἐπισ- τάμενος περὶ ἕκαστον ἄριστος. Per il rapporto
tra ἐπαγωγή e συνήθεια cf. ibid. A
14,105 B 27. 182 Sc. dalla sua
affezione in quanto filosofo, cioè dal suo amore per la sapienza.
183 Qui, come più avanti a p. 80,24, ritengo sia opportuno conservare
il termine «astrologia», anche se
potrebbe sembrare più congruo l’uso del ter-
mine «astronomia», dal momento che Giamblico adopera quest’ultimo
tre volte (a 19,1; 47,15 e 86,16), ma
sempre per indicare direttamente una delle
quattro scienze matematiche. Appare dunque plausibile che in quei due
casi si intenda distinguere l'astronomia
come scienza matematica pura dalla sua
applicazione scientifica. 184
Sc. non per i vantaggi che possono arrecare al di là dei loro naturali risultati: cf. p. 71,17, supra. 185 Non dipendono, cioè, dalla nostra
capacità raziocinativa, anzi al con-
trario la fondano. 186 Sc.
mettendo in relazione di causa ed effetto i movimenti dei cieli con i rapporti matematici ad essi
corrispondenti. LA SCIENZA MATEMATICA
COMUNE 631 187 Non già la loro
capacità di risolvere i problemi, bensi il loro metodo e la loro capacità di impostarli
correttamente. 188 Pagina 76,19 ss.:
c'è una discrepanza evidente, nell’indicazione delle rispettive posizioni degli Acusmatici e dei
Matematici, fra questo testo e quello di
Giamblico, Vita. Pyth. 46,26 ss. Deubner: qui i matematici sono scambiati con gli Acusmatici. E dico questo a
ragion veduta, perché in effet- ti il
testo del De comm. math. sc. presenta la versione corretta del passo e le ragioni sono spiegate dallo stesso Giamblico
nella continuazione del discor- so. In
effetti sono gli Acusmatici a non riconoscere i Matematici come Pitagorici, mentre questi ultimi riconoscono
i primi come Pitagorici, cioè come
discepoli di Pitagora (e come potevano non riconoscerlo!), anche se si considerano loro i veri Pitagorici, cioè
coloro che avevano appreso meglio la
lezione del comune antico maestro. Per la questione filologica della
confu- sione tra le due tradizioni
testuali, cf. L. Deubner, Bemerkungen zum Text
der Vita Pythagorae des Iamblichus, «SB.Ak.Wiss.Berlin» 19 (1935),
620. 189 Sc. senza difficoltà di ordine
scientifico e di ricerca matematica.
190 «Pentagonali» è congettura di Burkert (dr. ed. Klein Add. p.
XIX), ma si trova anche in Giamblico,
Vita Pyth. 52,4 Deubner), e sembra molto
più plausibile, perché il solido regolare che ha dodici facce e tutte pentago- nali è il dodecaedro, che peraltro
rappresenta, nella tradizione pitagorico-
platonica, la figura della quale si servi il Derniurgo per ornare il
cosmo dopo averlo costruito con le
rimanenti figure solide regolari: cf. Platone, Tim. 55 C.
191 Cf. Giamblico, Vita Pyth. 137,20 ss. Deubner, dove, come esempio
di tale discrezione nel non chiamare
Pitagora per nome, è riferito Hom. Od.
14,145 5. a proposito di Eumeo che ha pudore di nominare [ὀνομάζειν
aidé- ὁμαι] Ulisse in sua assenza. 192 Pagina 78,1-5: discorso non chiaro. Non
sembra ci sia rapporto tra l’aneddoto e
il nome dato alla geometria da Pitagora. A meno che non si debba intendere ἱστορία come «ricerca di
denaro». D'altra parte il δὴ della li.5
sembra avere un significato conclusivo.
19 Sc. quello degli Acusmatici e l’altro dei Matematici. 194 Sc. alle matematiche applicate. 195 Pag. 79,1-83,22: cf. Aristotele, Protr.
B 52 Diiring, parzialmente. Cf. anche
Proclo, In Eucl 25,15-29,13, che si riferisce quasi certamente al Protrettico di Aristotele, come suggerisce il
πείθειν di 26,13 [cf. Proclus, A
Commentary on the First Book of Euclid's Elements, by G.R. Morrow, Princeton 1970, 22 nota 49]. Ma è utile
vedere anche Aristotele, Meta. A 981 B
13 ss., a proposito della purezza e del disinteresse delle scienze matem- atiche, le quali non mirano né al piacere né
ai bisogni della vita [μὴ πρὸς ἡδονὴν
μηδὲ πρὸς τἀναγκαῖα]. 196 Schol.
«Epicuro diceva: «Bisogna fuggire a vele spiegate le matem- atiche»». Per le varie parafrasi di questo
frammento epicureo, cf. edizioni 632
GIAMBLICO Arrighetti, Torino 19702, e
Isnardi Parente, Torino 1974. 19? Sc.
gli agrimensori: l'antica geodesia si identificava con l’agrimensura, cioè con l’attività «pratica» e tecnica
intesa a suddividere geometricamente il
territorio. 198 C£. supra p. 72,18 e
relativa nota. Che anche qui Giamblico distingua in qualche modo astrologia da astronomia, è
provato dal fatto che si parla di
riflessione non solo sui rapporti, ma anche sulle cause. 199 Sc. sono aperte alla comunicazione con
le altre scienze: cf. p. 88,25 s., ma
anche Protr. 38,2 s. 200 Sc.
immutabili. 201 Sembra che in questo
caso le «necessità della vita» comprendano
anche i bisogni relativi al piacere, come dire che ci sono nella natura
umana bisogni primari e bisogni
secondari, mentre la filosofia è un bisogno che sta a sé.
202 Ivi compresa naturalmente la filosofia: si ricordi che questa è
stata assimilata alle scienze
matematiche non foss'altro che come scienza teoreti- ca.
203 Come è il caso delle matematiche e della filosofia, che
storicamente sono nate per ultime. 204 Si tratta di prerogative tutte quante
attribuibili alle scienze matem- atiche
sia nel loro aspetto teorico o puro che in quello applicato o relativo alle cose.
205 Sc. la capacità che hanno le matematiche di farci scoprire la
natura delle cose: cf. p. 78,22, supra,
tà μαθήματα τῶν πραγμάτων. . 206 Schol.
«nel senso aristotelico». Cf. Aristotele, PA 1,1, 639 A 4-6: πεπαιδευμένου γάρ ἐστι κατὰ τρόπον τὸ
δύνασθαι κρῖναι εὐστόχως τί καλῶς ἢ μὴ
καλῶς ἀποδίδωσιν ὁ λέγων. 207 Cf.
Aristotele, EN A 1094 B. 208 Avrà cioè
la stessa capacità di giudizio, ma solo per la parte dello sci- bile che possiede. Cf. Aristotele, EN A 1095
A 1 s. 209 Sc. secondo l’una o l’altra
scienza matematica. 210 Ad es. per
tutti i tipi di triangolo. 211 La
definizione di triangolo o di retta, infatti, contiene differenti specie di triangoli o di rette. 212 ὅς, alla matematica. 213 L'aritmetica è scienza dei numeri
immobili, l’armonica (o musica) dei
numeri in movimento. 214 La
geometria è scienza delle figure immobili, l'astronomia delle figu- re in movimento. 215 Gli oggetti dell'intelletto sono
immobili (intelligibili), quelli della
ragione in movimento (intellettuali): l'intelletto, infatti, è attività
intuitiva, la ragione è attività
discorsiva. 216 Le dimostrazioni che
partono dai principi sono più estese di quelle LA SCIENZA MATEMATICA COMUNE 633 che li presuppongono come già
dimostrati. 217 ὅς. muovano da un unico
quesito problematico. 218 Sc.
teologico, fisico ed etico. 219 Sc. le sue
figure, valide e non. 220 Sc. della sua
cogenza apodittica. 221 ὅς,
contemplativa. 222 Sc. alcune sue
indagini teoretiche o contemplative.
22) Sc. alla teologia. 224 Sc.
all’ontologia. 225 Sc. come beni non
necessari alla vita, ma voluttuari, si direbbe oggi. 226 Sc. consentendo applicazioni dei suoi
propri metodi in altre scienze o
arti. 227 Sc. la conoscenza
scientifica dei vari ordini della realtà, cioè almeno dei due ordini principali, gli intelligibili
e i sensibili. Cf. p. 63,5, supra, pet
ἐπιστήμης τῶν πραγμάτων, ma anche 78,22 tà μαθήματα τῶν πραγμάτων. 228 Sc. del fatto di servirsi di aspetti
diversi delle cose. 229 C£. pp. 74,2;
88,19; 91,24 e 92,19 s., supra. 230 Sc.
del fatto che la matematica prende insieme molti elementi per indicare la medesima cosa. 231 Sc. quelli di cui si occupa
prevalentemente la matematica. 232 Sc.
sulle ragioni per le quali i Pitagorici spiegavano più cose con la medesima matematica, o la medesima cosa con
più matematiche. 233 Rapporti puri sono
le pure relazioni matematiche (di quantità o arit- metici: ad es. doppio triplo emiolio
epitrite, ecc., e di qualità o geometrici:
ad es. di somiglianza e di dissomiglianza). 234 Sc. l'oggetto della matematica. 235 Sc. sui modi di indagare matematicamente
anche su cose non matem- atiche. 236 Sc. degli intelligibili. 257 Non è chiaro: forse si intende dire che
la priorità di una cosa sull’al- tra può
dipendere o dalla loro stessa essenza, e in questo caso sarebbe pri- maria, o dalle loro proprietà o attributi o
funzioni, nel qual caso sarebbe sec-
ondaria. 238 Sc. la
matematica. 239 Il ragionamento sembra
piuttosto contorto, ma il significato ultimo è
chiaro: il nome μαθήματα [matematiche] deriva da μαθητά [apprendibili]
e questo da μάθησις [apprendimento], che
discende gnoseologicamente dalla νόησις,
cioè dalla conoscenza intuitiva degli intelligibili: quindi la matemat- ica è scienza dell'aspetto apprendibile degli
intelligibili, come dire che è scienza
degli intelligibili nel loro aspetto dianoetico (solo la conoscenza dia- noetica è apprendimento vero e proprio,
mentre quella noetica è semplice
intellezione o intuizione intellettiva): cf. Platone, Resp. VI 511 B ss. 634 GIAMBLICO 240 Sc. l'apprendimento delle
matematiche. 241 Cf. p. 32,25 s., supra
εἴδωλα οὖν αἱ σκιαὶ καὶ τὰ ἐν ὕδασι καὶ
κατόπτροις. L'immagine riflessa nell'acqua o nello specchio, considerata quale strumento di conoscenza indiretta, è
già presente in Platone, Phaed. 99 D-E.
Cf. anche Sopb. 239 D; Resp. VI 510 A; VII 516 A; 5326. 242 Sc. paragonandoli agli
intelligibili. GIAMBLICO INTRODUZIONE ALL'ARITMETICA DI NICOMACO
ΠΕΡῚ THX NIKOMAXOY APIOMHTIKHX
ΕἸΙΣΑΓΩΓΗΣ [3] IAMBAIXOY ΧΑΛΚΙΔΕΩΣ ΤΗΣ
KOIAHZ EYPIAZ ΠΕΡῚ ΤΗΣ NIKOMAXOY
APIOMHTIKHX ΕἸΣΑΓΩΓΗΣ ᾿Αρχόμενοι τοῦ
ἰδίου λόγου περὶ τῶν ἐν μέρεσι διωρισμένων
μαθημάτων ἀπὸ τῆς ἀριθμητικῆς ἀρχόμεθα᾽ αὕτη γὰρ φύσει πρεσβυ- τέραν ἔχει τὴν θεωρίαν τῷ περὶ ἁπλούστερα
πραγματεύεσθαι καὶ ἀρχηγικώτερα, διόπερ
καὶ ὁ περὶ αὐτῆς λόγος προηγεῖται τῶν [10]
ἄλλων μαθημάτων. ἔστι δὴ καὶ οὗτος οὐχ ἁπλοῦς, ἀλλὰ πολυειδής: ὅσα γάρ ἐστι γένη τῶν ὄντων, περὶ πάντα
συνδιαιρεῖται καὶ τὰς αὐτὰς δέχεται
διαιρέσεις. ἀλλὰ πρό γε τῶν ἐν ἄλλοις θεωρουμένων αὐτὸν καθ᾽ αὑτὸν τὸν ἀριθμὸν θεωρεῖν χρή, ἀφ᾽
οὗ δυνησόμεθα καὶ τὸν ἐν τῇ φύσει ἢ τοῖς
ἤθεσιν ἢ τοῖς εἴδεσιν ἢ ὅλως πᾶσι τοῖς οὖσιν
ἐπισκοπεῖν. διὰ δὴ τοῦτο παραλαμβάνειν δεῖ τὴν μαθηματικὴν ἐπιστήμην τῶν ἀριθμῶν. καὶ γὰρ ὡς ἐν ὑποθέσει
δεῖ προκεῖσθαι ταύτην προὐποκειμένης γὰρ
αὐτῆς, καὶ τὰς ἄλλας [20] παραγίγνε-
σθαι ἐπιστήμας δυνατόν, ἄνευ δὲ ταύτης οὐδὲ ἐκεῖναι παραγίγνον- ται. καὶ πρὸς μάθησιν δὲ ἐντεῦθεν [4]
ἄρχεσθαι Sei: προδιωρι- σμένων γὰρ τῶν
ἐν τοῖς μαθήμασιν ἀναγκαίων θεωρημάτων, δι᾽
αὐτῶν ὁδηγούμεθα πρὸς τὰς τελειοτέρας τῶν ἀριθμῶν θεωρίας; δῆλον γὰρ ὅτι συμφωνοῦσι πρὸς ταύτην ἐκεῖναι.
τὴν δ᾽ ἐπίνοιαν αὐτῆς, οὐχ ὡς ἐν ψιλοῖς
ἐννοήμασιν, οὐδ᾽ ὡς ὑστέραν ἐπὶ τοῖς ai-
σθητοῖς ἐπιγιγνομένην, οὐδ᾽ ὡς φαντάσματά τινὰ ἀπὸ τῶν αἰσθητῶν ἀποσυλῶσαν καὶ χωρίζουσαν, ἀλλ᾽ ὡς κοινὰ
νοήματα δυναμένην πᾶσιν ἐφαρμόζειν τοῖς
ὁπωσοῦν ὑφεστηκόσιν ἀριθμοῖς, οὕτως [10]
αὐτὴν προΐστασθαι ἀξιον. περὶ δὴ τῆς τοιαύτης μαθηματικῆς ἀριθμ- ητικῆς πρόκειται ἡμῖν νυνὶ λέγειν. Εὑρίσκομεν δὴ πάντα κατὰ γνώμην τοῦ
Πυθαγόρου! τὸν Νικόμαχον περὶ αὐτῆς
ἀποδεδωκότα ἐν τῇ ᾿Αριθμητικῇ τέχνῃ. ὅ τε
γὰρ ἀνὴρ μέγας ἐστὶν ἐν τοῖς μαθήμασι καὶ καθηγεμόνας ἔσχε περὶ αὐτῶν τοὺς ἐμπειροτάτους ἐν τοῖς μαθήμασι,
καὶ ἄνευ τούτων τάξιν 1 τοῦ Πυθαγόρου
congetturò Tennulius: τῷ Πυθαγόρᾳ.
Giamblico di Calcide in Celesiria
L'Introduzione all’Aritmetica di Nicomaco [3] Avendo stabilito di fare un discorso
specifico su ciascuna delle parti
distinte della matematica, cominciamo dall’aritmetica: questa infatti contiene per natura una teoria
prioritaria, perché si occupa di cose
più semplici e più originarie, e perciò il discorso su di essa pre- cede quello che si può fare sulle altre
matematiche. In verità il discor- so
sull’aritmetica non è semplice,! bensi multiforme: si suddivide infatti in tante parti quanti sono tutti i
generi degli enti e subisce quin- di le
medesime divisioni di questi. Ma prima di vederlo in altro, è necessario considerare il numero in sé e per
sé, partendo dal quale potremo anche
esaminare il numero nella natura o nei costumi o nelle varie specie di enti, insomma in tutto ciò
che esiste. È appunto per questo che
bisogna acquisire <anzitutto> la matematica come scienza dei numeri.? E infatti occorre che questa
scienza sia fatta precedere come
presupposto teorico: dopo che si è presupposta la scienza dei numeri, infatti, è possibile che
sopraggiungano anche le altre scienze;
senza di quella, invece, queste non si danno. Anche in relazione al processo dell’apprendimento? bisogna partire
dall’aritmetica: [4] infatti, una volta
predefiniti i teoremi matematici necessari, con essi troviamo la strada per arrivare a teorie
numeriche più perfette: è chia- ro
infatti che queste teorie sono in armonia con l’aritmetica. Quanto all'idea, poi, che dobbiamo averne, questa
teoria del numero in sé è giusto
raffigurarsela non come qualche cosa che risieda nei puri con- cetti, né che si aggiunga in un secondo
momento alle cose che perce- piamo, né
come il risultato di un processo di espoliazione e separazio- ne di alcune immagini dai sensibili, bensi
come capacità di adattare intuizioni
comuni dell’intelletto' a qualsiasi numero realmente esi- stente. Si tratta per noi ora di parlare
appunto di tale aritmetica
matematica. Scopriamo in effetti
che Nicomaco nella sua Tecnica aritmetica ha
insegnato tutto su questa teoria secondo il pensiero di Pitagora. Nicomaco infatti è grande nelle matematiche e
ha avuto come maestri i più esperti
matematici, e inoltre insegna la scienza matematica con 638 GIAMBLICO θαυμαστὴν καὶ θεωρίαν μετ᾽ ἀποδείξεώς τε
θαυμαστῆς τῶν ἐπι- στημονικῶν ἀρχῶν
ἐπιστήμην ἀκριβῶς παραδίδωσι, λόγον τε περὶ
αὐτῶν οἶδε ποιεῖσθαι, [20] καὶ ἀκραιφνῆ καὶ γνήσια τὰ θεωρήματα παραδίδωσι, μηδὲν ἐπιθολούμενα ὑπ᾽ ἀλλοτρίων
δοξασμάτων. ἔτι τε ποικίλος ἐστὶ καὶ
πολύχους τεταγμένος τε καὶ διηρθρωμένος ἐν τῇ
τῶν ἀριθμῶν εἰδήσει, τό τε καθολικὸν τῆς γνώσεως καὶ τὸ εὑρετικὸν πάρεστιν αὐτῷ πάμπολυ“ τὴν γὰρ
πρώτην σύστασιν καὶ τὴν πρώτην γένεσιν
τῶν ἀριθμῶν θηρεύει. ἔχει δὲ καὶ τὸ ἀπαρά-
λείπτον᾽ κοινῶς γὰρ ἐπὶ πάντα ἦλθε τὰ γένη καὶ τὰ εἴδη τῶν ἀριθμῶν, ἐν πεπερασμένοις τε [5] ἄπειρα
περιέλαβε καὶ ἐν τεταγ- μένοις τὰ
ἄτακτα, πρόεισί τε διὰ γενῶν καὶ εἰδῶν τεταγμένως οὐχ ὑπερβαίνων τὸ ἐφεξῆς, τά τε ἐν πολλοῖς
φερόμενα θεωρήμασιν ἀτελῶς ἐν ἑνὶ
περιλαμβάνει τελείως.2 ἔχει δὲ ἐνταῦθα καὶ ὃ ἐν τοῖς ἄλλοις βιβλίοις ἥκιστα ἄν τις ἴδοι ἐν αὐτῷ
ὑπάρχον τὸ σύντομον καὶ ἀκριβές, καὶ
μετὰ τούτων τὸ πλῆρες καὶ τέλειον, ἀγκύλον τε
καὶ συνεστραμμένον καὶ πολύνουν καὶ γόνιμον, ὡς μὲν ἐγὼ νομίζω, διότι αὐτὰ τὰ Πυθαγόρεια μαθήματα [10] περὶ
ἀριθμοῦ καθαρὰ τί- θησιν, ἐξέστω δὲ καὶ
τῷ βουλομένῳ περὶ τούτου εἰκάζειν ὅπως βού-
λεται. ἀλλ᾽ ὅπερ ἐκ πάντων τούτων δεῖ συλλογίσασθαι, ἐκεῖνό ἐστιν. εἰ γὰρ διὰ πάντα ταῦτα προκρίνομεν τὸν
ἄνδρα τοῦτον ὡς ἀριθμητικώτατον, εἰκότως
δὴ διὰ τοῦτο καὶ τίθεμεν ὅλην αὐτοῦ τὴν
ἀριθμητικὴν τέχνην, οὐχ ἡγούμενοι δεῖν οὔτε ἀτελῶς αὐτὴν ἐκφέ- ρειν ἀκρωτηριάσαντας αὐτῆς τὰ προηγούμενα,
οὔτε μεταγράφειν' περιττὸν γὰρ καὶ
τοῦτο᾽ οὔτε σφετερίζεσθαι τὰ γεγραμμένα"
ἀγνωμοσύνης γὰρ ἐσχάτης ἔργον [20] ἀφαιρεῖσθαι τῆς ἐπιβαλ- λούσης δόξης τὸν συγγεγραφότα. ἀλλ᾽ [20] οὐδὲ
διὰ τοῦτο δεῖ ἀλλο- τρίους τῶν
Πυθαγορικῶν διατριβῶν λόγους ποιεῖσθαι᾽ οὐδὲ γὰρ καινὰ λέγειν ἡμῖν πρόκειται, ἀλλὰ τὰ δοκοῦντα
τοῖς παλαιοῖς ἀνδράσιν, ὅθεν οὐδὲν οὔτε
ἀφελόντες οὔτε προσθέντες αὐτὴν τὴν
Νικομάχειον τέχνην ἤδη παρατιθέμεθα ἐν τοῖς λόγοις. Ἵνα δὲ μὴ ἀτελὴς γένηται μηδὲ κατὰ τοῦτο ἡ παροῦσα
πραγματεία, φιλοσοφί- αν Πυθαγόρας
ὠνόμασε πρῶτος καὶ ὄρεξιν αὐτὴν εἶπεν εἶναι καὶ
οἱονεὶ φιλίαν [6] σοφίας, σοφίαν δὲ ἐπιστήμην τῆς ἐν τοῖς οὖσιν ἀληθείας. ὄντα δὲ ἤδει καὶ ἔλεγε τὰ ἄυλα καὶ
ἀίδια καὶ μόνα δρα- 2 τελείως
congetturò Pistelli (cf. Add. et Corr. p. VI): τελείῳ. La conget- tura di Pistelli è giustificata dalla
corrispondenza per opposizione con !’
ἀτελῶς che precede. Il senso dell'espressione, comunque, non cambia. INTRODUZIONE ALL'ARITMETICA DI NICOMA-
639 precisione, secondo un ordine e
una teoria meravigliosi” e accompa-
gnati da una sorprendente capacità dimostrativa dei principi
scienti- fici,8 e sa ragionare su di
essi, e ne insegna i teoremi in modo puro e
genuino, senza offuscarli per niente con opinioni estranee.? Egli è inoltre, nella sua conoscenza dei numeri,
vario e fecondo, ordinato e articolato,
e tiene moltissimo in conto gli aspetti universale ed euristi- co della conoscenza:!° egli infatti ricerca
il primo costituirsi e generar- si dei
numeri. Nicomaco è anzi capace di non omettere nulla, perché in generale arriva a trattare tutti i generi
e le specie dei numeri, e nelle
grandezze finite fa rientrare quelle infinite, [5] e in quelle ordinate
le disordinate, e procede con ordine per
generi e specie, senza mai sal- tare
alcun passaggio,!! e stringe in unità perfetta gli elementi sparsi, in modo incompleto, in molti teoremi. E qui, nel
libro di Nicomaco, si trova quello che,
come io credo, non si potrebbe minimamente vede- re negli altri libri <sull’argomento>,
e cioè sinteticità e precisione, oltre
che completezza e perfezione, concatenazione e connessione, e ricchezza di idee e fecondità, giacché
Nicomaco presenta l’aritmetica
pitagorica nella sua autentica purezza. Su quest’ultimo punto sia
con- sentito a ciascuno di avere
l’opinione che vuole, ma ciò che si è detto
si deve ragionevolmente dedurre da tutti questi meriti di Nicomaco. Se dunque riteniamo in linea di principio, in
base a tutto ciò, che Nicomaco sia un
grandissimo aritmetico, è giusto che noi presentia- mo per intero la sua tecnica aritmetica,
perché riteniamo che non la si debba
esporre in modo incompleto, mutilandola delle sue premesse, e neppure che la si debba trascrivere cosi
com’è: anche questa infatti sarebbe
un'operazione inutile; né che ci si debba appropriare degli scritti altrui, perché è opera di estrema
malafede defraudare chi abbia scritto
qualcosa, della fama che gli spetta. Ma non bisogna, perciò, neppure fare discorsi estranei alle dottrine
pitagoriche: non si tratta infatti per
noi di esporre delle opinioni nuove, bensi quelle degli anti- chi Pitagorici, e quindi esponiamo senz'altro
l’aritmetica di Nicomaco per quello che
è, senza nulla togliere o aggiungere.
Affinché la presente trattazione non sia incompleta neppure in questo, diciamo che fu Pitagora!? il primo
che usò il nome “filosofia” e disse che
questa è desiderio e una specie di amore [6] della sapien- za, e che la sapienza è scienza della verità
degli enti.!3 E con la parola “enti”
egli intendeva dire le cose immateriali ed eterne che costitui- 640 GIAMBLICO στικά, ὅπερ ἐστὶ τὰ ἀσώματα, ὁμωνύμως δὲ
λοιπὸν ὄντα, κατὰ μετοχὴν αὐτῶν οὕτως
καλούμενα, σωματικὰ εἴδη καὶ ὑλικά, γεν-
vota τε καὶ φθαρτὰ καὶ ὄντως οὐδέποτε ὄντα. τὴν δὲ σοφίαν ἐπιστήμην εἶναι τῶν κυρίως ὄντων, ἀλλ᾽ οὐχὶ
τῶν ὁμωνύμως, ἐπει- δήπερ οὐδὲ ἐπιστητὰ
ὑπάρχει τὰ σωματικὰ οὐδὲ ἐπιδέχεται γνῶσιν
βεβαίαν, ἄπειρά τε ὄντα καὶ ἐπιστήμῃ [10] ἀπερίληπτα καὶ οἱονεὶ μὴ ὄντα κατὰ ἀντιδιαστολὴν τῶν καθόλου καὶ
οὐδὲ ὅρῳ ὑποπεσεῖν εὐπεριγράφως
δυνάμενα. τῶν δὲ φύσει μὴ ἐπιστητῶν οὐδὲ ἐπιστήμην οἷόν τε ἐπινοῆσαι" οὐκ ἄρα ὄρεξιν τῆς μὴ
ὑφεστώσης ἐπιστήμης εἰκὸς εἶναι, ἀλλὰ
μᾶλλον τῆς περὶ τὰ κυρίως ὄντα καὶ ἀεὶ κατὰ τὰ
αὐτὰ καὶ ὡσαύτως ἔχοντα καὶ τῇ προσηγορίᾳ ἀεὶ συνυπάρχοντα. καὶ γὰρ δὴ τῇ τούτων καταλήψει συμβέβηκε καὶ
τὴν τῶν ὁμωνύμως ὄντων παρομαρτεῖν, οὐδ᾽
ἐπιτηδευθεῖσάν ποτε, οἷα δὴ τῇ «τοῦ»
καθόλου ἐπιστήμῃ «ἡ» τοῦ κατὰ [20] μέρος" «τοιγὰρ περὶ τῶν
καθό- λου» φησὶν ᾿Αρχύτας «καλῶς
διαγνόντες ἔμελλον καὶ περὶ τῶν κατὰ
μέρος οἷα ἐντὶ καλῶς ὀψεῖσθαι.» διόπερ οὐδὲ μονογενῆ οὐδὲ ἁπλᾶ ὑπάρχει τὰ ὄντα, ποικίλα δὲ ἤδη καὶ πολυειδῆ
θεωρεῖται, τά τε νοητὰ καὶ τὰ ἀσώματα,
«ὧν τὰ» ὄντα ἡ κλῆσις, καὶ τὰ σωματικὰ καὶ
ὑπ᾽ [7] αἴσθησιν πεπτωκότα, ἃ δὴ κατὰ μετοχὴν κοινωνεῖ τοῦ ὄντως γενέσθαι. ἀκόλουθον ἂν εἴη περὶ πάντων ἁπλῶς
τῶν ὄντων τεχνολο- γεῖν οὑτωσί πως. ἡ
τοῦ συνεχοῦς καὶ ἡ τοῦ διῃρημένου φύσις πᾶσα
τοῖς οὖσιν, ὅπερ ἐστὶ τῇ τοῦ παντὸς κόσμου συστάσει, διττῶς συνε- πινοεῖται᾽ τοῦ μὲν διῃρημένου κατὰ παράθεσίν
τε καὶ σωρείαν, τοῦ δὲ συνεχοῦς κατὰ
ἕνωσίν τε καὶ ἀλληλουχίαν. κυρίως δὲ τὸ μὲν
συνεχὲς καὶ ἡνωμένον καλοῖτ᾽ ἂν μέγεθος, τὸ δὲ παρακείμενον καὶ [10] διηρημένον πλῆθος. καὶ κατὰ μὲν τὴν τοῦ
μεγέθους οὐσίαν, εἷς τε ὁ κόσμος
ἐπινοοῖτ᾽ ἂν καὶ λέγοιτο στερεὸς καὶ σφαιρικός τε καὶ συμπεφυκὼς ἑαυτῷ διατεταμένος τε καὶ
ἀλληλουχούμενος, κατὰ δὲ τὴν τοῦ πλήθους
πάλιν ἰδέαν καὶ ἔννοιαν ἥ τε σύνταξις καὶ διακό- σμησις καὶ ἁρμονία τοῦ παντὸς ἐπινοοῖτ᾽ ἂν ἐκ
τοσῶνδε φέρ᾽ εἰπεῖν στοιχείων καὶ
σφαιρῶν καὶ ἀστέρων γενῶν τε καὶ ζῴων καὶ φυτῶν INTRODUZIONE ALL'ARITMETICA DI NICOMACO
641 scono anche la sola parte attiva
dell’essere, cioè gli incorporei, e del resto le forme corporee e materiali, e
generate e corruttibili, e che non sono
mai realmente, sono chiamate enti per omonimia, in quanto par- tecipano dei veri enti. E la sapienza, egli
diceva, è scienza degli enti veri e
propri, non degli enti per omonimia, giacché le cose corporee non sono oggetto di scienza, né ammettono
conoscenza sicura, ed essendo di numero
indefinito non sono scientificamente afferrabili e in un certo senso non sono affatto, se
confrontati con gli enti univer- sali, e
non possono neppure essere definite in modo ben circoscrit- το... E delle cose che non sono per natura
oggetti di scienza, non è possibile
neppure pensare che ci sia scienza: dunque la filosofia non può essere naturalmente desiderio di una
scienza che non può esiste- re, ma
piuttosto di quella che è la scienza degli enti propriamente detti e che sono sempre identici e allo
stesso modo e coerenti sempre con la
loro denominazione di enti. E infatti alla conoscenza di tali enti! accade, anche senza volerlo di proposito,
che si accompagni anche la conoscenza
degli enti per omonimia, in quanto nella scienza dell’universale è inclusa la scienza del
particolare: «Se si conosceran- no bene
le cose universali -- dice Archita — si potranno vedere bene per quello che sono anche le cose
particolari». Perciò gli enti non sono
né di una sola specie né semplici, ma devono essere considerati a questo punto come vari e multiformi: ci
sono quelli intelligibili e incorporei,
ai quali spetta l’effettiva denominazione di “enti”, e quel- li corporei [7] e soggetti a sensazione, che
in realtà hanno qualcosa in comune con
il vero essere solo per partecipazione. Sarà logico quindi trattare sistematicamente di tutti gli enti
in assoluto, pressappoco cosî. La natura
del continuo e del discreto, nella totalità degli enti,16 cioè nella struttura dell’intero universo, è
concepita in due modi: come natura del
discreto, per giustapposizione e per accumulazione; come natura del continuo, per unione e per
coesione. In termini appropriati, ciò
che è continuo e unificato si può chiamare “grandez- za”,!? ciò che è giustapposto e discreto,
invece, “quantità numeri- ca”.18 E
mentre secondo l’essenza della grandezza, il mondo sarà con- cepito unico e sarà detto solido e sferico ed
esteso e coeso in modo connaturale con
se stesso, secondo l’idea e la nozione di quantità numerica,!9 invece, sarà concepito come la
struttura o l'ordinamento o l'armonia
del tutto, composta, diciamo, di tanti elementi e tanti 642 ' GIAMBLICO ἐναντιοτήτων TE καὶ ὁμοιοτήτων τὴν σύστασιν
ἔχουσα. ἀλλὰ τοῦ μὲν ἠνωμένου ἐπ᾽
ἄπειρον μὲν ἐκ παντός ἐστιν ἡ τομή, ἡ [20] δ᾽
αὔξησις ἐπὶ ὡρισμένον᾽ τοῦ δὲ πλήθους κατὰ ἀντιπεπόνθησιν ἐπ’ ἄπειρον μὲν ἡ αὔξησις, ἔμπαλιν δὲ ἡ τομὴ ἐπὶ
ὡρισμένον, φύσει δὴ κατ᾽ ἐπίνοιαν
ἀμφοτέρων ἀπείρων ὄντων, καὶ διὰ τοῦτο ἐπιστήμαις ἀπεριορίστων: «ἀρχὰν» γὰρ «οὐδὲ τὸ
γνωσούμενον ἐσσεῖται πάντων ἀπείρων
ἐόντων» κατὰ τὸν Φιλόλαον. ἀναγκαίου δὲ ὄντος
ἐπιστήμης φύσιν ἐνορᾶσθαι τοῖς οὖσιν [8] οὕτως ὑπὸ θείας ἠκριβω- μένοις προνοίας, ἀποτεμόμεναι ἑκατέρου καὶ
περατώσασαί τινες ἐπιστῆμαι τὸ
περιληφθὲν αὐταῖς, ἀπὸ μὲν τοῦ πλήθους ποσὸν ἐκά- λεσαν, ὅπερ ἤδη γνώριμον, ἀπὸ δὲ τοῦ μεγέθους
κατὰ τὰ αὐτὰ πηλί- Kov' καὶ τὰ ἀμφότερα
αὐτῶν γένη ἐπιστήμαις ὑπήγαγον ταῖς ἑαυτῶν
εἰδήσεσιν, ἀριθμητικῇ μὲν τὸ ποσόν, γεωμετρίᾳ δὲ τὸ πηλίκον. ἀλλ᾽ ἐπεὶ μὴ μονοειδῆ ταῦτα ἦν, ἔτι δὲ μερικωτέραν
ὑποδιαίρεσιν ἑκάτερον αὐτῶν ἐπεδέχετο 3
τοῦ μὲν γὰρ [10] ποσοῦ τὸ μὲν ἦν καθ᾽
ἑαυτὸ τῆς πρὸς ἄλλο πως ἀπηλλαγμένον σχέσεως, οἷον φέρ᾽ εἰπεῖν ἄρτιον περιττόν, τέλειον ἐλλιπὲς καὶ τὰ
ὅμοια, τὸ δὲ πρὸς ἕτερόν πως ἔχον (ὃ δὴ
πρός τι ποσὸν ἰδίως λέγεται), οἷον ἴσον ἄνισον,
πολυπλάσιον ἐπιμόριον ἐπιμερὲς καὶ τὰ παραπλήσια᾽ καὶ πάλιν τοῦ πηλίκου τὸ μὲν ὑπάρχει τε καὶ ἐπινοεῖται
μένον, τὸ δὲ κινού- μενον καὶ φερόμενον.
διὰ τοῦτ᾽ εἰκότως ταῖς προσαχθείσαις δυσὶν
ἐπιστήμαις ἕτεραί τινες δύο συνεπέσχον καὶ συνεφήψαντο τῆς καθ᾽ ἑκάτερον ἐπιστητὸν θεωρίας. τῇ μὲν γὰρ [20]
ἀριθμητικῇ, ἰδίως λαχούσῃ τὴν περὶ τοῦ
καθ᾽ ἑαυτὸ ποσοῦ σκέψιν, συμμετέσχεν ἡ
μουσικὴ τῆς περὶ τὸ πρός τι ποσὸν τεχνολογίας (οὐδὲν γὰρ ἄλλο τὸ ἁρμονικὸν αὐτῆς καὶ τὸ περὶ συμφωνιῶν
ἐπαγγέλλεται, ὅτι μὴ σχέ- σεις καὶ
λόγους διαρθροῦν τῶν φθόγγων πρὸς ἀλλήλους καὶ ποσό- τητα ὑπεροχῶν τε καὶ ἐλλείψεων), τῇ δὲ
γεωμετρίᾳ περὶ τὴν τοῦ μέ- νοντος καὶ
ἑστῶτος πηλίκου ἐξέτασιν καταγιγνομένῃ συλλήπτρια 35 ἐπεδέχετο congetturò Pistelli secondo De
comm. math. sc. 30,8: ἐπε- δέχοντο. INTRODUZIONE ALL'ARITMETICA DI NICOMACO
643 generi di sfere celesti e di astri
e di animali e di piante e di contrarie-
tà e di somiglianze. Ma ciò che è unificato?0 può essere del tutto
divi- so all'infinito, mentre può essere
aumentato in modo finito;2! la quan-
tità numerica, invece, secondo un rapporto inverso, può essere aumentata all'infinito, mentre può essere
divisa in modo finito,22 pur essendo, in
verità, ambedue infiniti per natura e per rappresentazio- ne mentale, e perciò scientificamente
indeterminabili: secondo Filolao,
infatti, «Non ci potrà essere cominciamento per il nostro conoscere, se tutto è infinito».23 Ma poiché
la scienza deve necessaria- mente per
sua natura osservare gli enti cosi come sono stati [8] accu- ratamente ordinati dalla Provvidenza divina,
alcune scienze, dopo essersi ritagliato
e delimitato quello che di questi due aspetti della realtà matematica24 esse potevano
comprendere, hanno assegnato all'uno il
nome di “quanto”, ricavandolo dalla molteplicità quanti- tativa,26 cosa di per sé ovvia,?? e
all’altro?8 il nome di “quanto grande”,
ricavandolo, con lo stesso criterio,° dalla grandezza,)° e hanno
sus- sunto ambedue i loro generi come
oggetto di scienze la cui forma di
sapere si identifica con loro stesse: il “quanto” come oggetto dell’arit- metica, il “quanto grande” come oggetto della
geometria. Ma poiché questi due generi
non erano di un’unica specie, esse ammettevano per ciascun genere una suddivisione ancora più
particolare: infatti del quanto c’è da
un lato il quanto che è in sé, privo di qualsiasi relazio- ne ad altro}! come ad esempio pari e dispari,
perfetto e deficiente,3? e simili,33 e
dall’altro lato il quanto che è in una qualche relazione ad altro (ciò che si chiama propriamente il
“quanto in rapporto a qual- cosa”),34
come ad esempio uguale e disuguale, multiplo, epimorio,35 epimere,36 e affini; anche del quanto grande,
a sua volta, esiste e si concepisce da
un lato il quanto grande statico, e dall'altro lato il quan- to grande mosso o in movimento; perciò, a
ragione, alle due scienze suddette?7 se
ne aggiunsero altre due?8 destinate a concorrere alla teo- ria secondo l’uno o l’altro di questi due
oggetti della scienza matema- tica.3?
Con l’aritmetica, infatti, a cui è toccata in sorte propriamente la ricerca del quanto in sé, si mise a
collaborare la musica per la tratta-
zione tecnica del quanto relativo (nient’altro infatti insegnano l’armo- nica e la sinfonica musicali, se non ad
articolare relazioni e rapporti dei
suoni tra loro e in ordine alla quantità di eccessi e difetti), con la geometria, invece, che si occupa della
ricerca sul quanto grande stati- 644
GIAMBLICO ὑπῆρξεν ἡ σφαιρικὴ
κινουμένου πηλίκου ἐπιγνώμων καταστᾶσα,
τοῦ τελειοτάτου δηλονότι καὶ τεταγμένην καὶ ὁμαλὴν [9] κίνησιν ἐπιδεδεγμένου. διότι περὶ ἀδελφὰ τὰ
ὑποκείμενα καταγενομένας, εὔλογον
ἀδελφὰς καὶ τὰς ἐπιστήμας ταύτας νομίζειν, ἵνα μὴ ἀπαι- δευτῇ τὸ ᾿Αρχύτειον «ταῦτα γὰρ τὰ μαθήματα
δοκοῦντι εἶμεν ἀδελ- φά», ἀλλήλων τε
ἐχόμενα τρόπον ἁλύσεως κρίκων ἡγεῖσθαι, καὶ εἰς
ἕνα σύνδεσμον καταλήγοντα,, ὥς φησιν ὁ θειότατος Πλάτων, καὶ μίαν ἀναφαίνεσθαι προσήκειν τούτων τῶν
μαθημάτων τὴν συγγένε- Lav τῷ κατὰ
τρόπον μανθάνοντι, τὸν δὲ σύμπαντα ταῦτα [10] οὕτως εἰληφότα, ὡς αὐτὸς ὑποτίθεται, τοῦτον δὴ
καλεῖ τὸν ἀληθέστατα σοφώτατον καὶ
διισχυρίζεται παίζων, μεταδιωκτά τε καὶ ἐκ παντὸς αἱρετὰ ταῦτα τὰ μαθήματα, εἴτε χαλεπὰ εἴτε
ῥδια εἴη, παρεγγυᾷ τοῖς φιλοσοφεῖν
προθύμου μένοις: καὶ μάλα εὐλόγως, εἴπερ συνε-
χοῦς καὶ διῃρημένου καταλήψεις διὰ τούτων μόνων γίνονται, ἐκ δὲ συνεχοῦς καὶ διῃρημένου ὅ τε κόσμος καὶ τὰ ἐν
αὐτῷ πάντα. τοῦ δὴ ποσοῦ ἀκριβὴς
κατάληψις σοφία, σοφίας δὲ ἔφεσις ἡ φιλοσοφία,
φιλοσοφία δὲ ἐκ πασῶν μονωτάτη τεχνῶν τε καὶ ἐπιστημῶν [20] τὸ οἰκεῖον καὶ κατὰ φύσιν ἀνθρώπῳ τέλος
περιποιεῖ καὶ ἐπὶ τὴν εὐ- δαιμονίαν ἀγει
τὴν παρὰ τὰ ἄλλα ζῷα τούτῳ μόνῳ προσήκουσαν καὶ
κατὰ φύσιν σπουδαζομένην, ὡς σκοπιμώτατον αὐτῷ τέλος. τῶν δέ γε τεςσάρων τούτων ἐπιστημῶν προηγεῖσθαι
φαίνεται ἡ [10] ἀριθμ- ητικὴ διὰ τὸ
προτέρα καὶ ἀρχεγονωτέρα εὑρίσκεσθαι. συναναιρεῖ τε γὰρ ἑαυτῇ τὰς λοιπάς, καὶ πάλιν ἐκείναις
συνεπιφέρεται᾽ τὰ δὲ συναναιροῦντα μὲν
μὴ συναναιρούμενα δέ, ἢ ἄλλως συνεπιφερόμε-
va μὲν μὴ συνεπιφέροντα δέ, πρότερά πως καὶ πρεσβύτερα δείκνυν- ται. διόπερ εὐλογωτάτη ἂν εἴη καὶ καθήκουσα ἡ
περὶ πρωτίστης τῆς ἀριθμητικῆς
τεχνολογίας σκέψις. Τὸ δὲ ποσόν, ὅπερ
ἐστὶ τὸν ἀριθμόν, Θαλῆς μὲν μονάδων σύ-
στημα ὡρίσατο (κατὰ τὸ Αἰγυπτιακὸν [10] ἀρέσκον, ὅπου περ καὶ ἐφιλομάθησε)" τὸ δὲ ἀριθμητὸν ἕν
ἰδίως" 5 οὐχ ὑποπεσεῖται οὖν οὔτε
«ἡ» μονὰς οὔτε τὸ ἕν τοῖς ὅροις. Πυθαγόρας δὲ ἔκτασιν καὶ ἐνέργε- tav τῶν ἐν μονάδι σπερματικῶν λόγων, ἢ ἑτέρως
τὸ πρὸ πάντων 4 καταλήγοντα sospettò
Festa giustamente: καταλέγουσαν: καταλήγου-
σαν De comm. matb. sc. 31,9. 5
τὸ dè ἀριθμητὸν ἕν ἰδίως congetturò Vitelli: τὸ δὲ ἀριθμητικὸν ἕν ἰδίων. Dopo ἰδίως ho aggiunto io il punto in
alto. Pistelli congetturò, tutta- via,
una lacuna dopo ἰδίων (cf. appar. ad loc.).
INTRODUZIONE ALL’ARITMETICA DI NICOMACO 645 co e fisso, si mise a collaborare la
sferica che giudica del quanto gran- de
in movimento, di quello più perfetto, naturalmente, e che ammet- te un movimento ordinato e uniforme.*° Perciò
[9] queste scienze che si occupano di
soggetti fratelli, è ragionevole considerarle scienze sorelle, affinché non si ritenga insensato il
detto di Archita: «sembra che queste
scienze siano sorelle»,4! e pensarle come degli anelli che formino tra loro come una catena che le leghi
in un unico vincolo, come dice il
divinissimo Platone,42 il quale afferma anche che la parentela che unifica queste scienze si
rivela convenientemente a chi le
apprenda secondo il giusto metodo, e che colui che ha acquisito l'insieme di tutte queste scienze, cosî come
egli pensa si debba fare, Platone lo
chiama sapientissimo nel senso più vero del termine e lo afferma scherzando, e raccomanda a chi
desideri filosofare di ricerca- re e
desiderare sempre queste matematiche, siano esse difficili o faci- li: e Platone dice cose molto ragionevoli, se
è vero che da un lato il continuo e il
discreto si conoscono solo attraverso queste scienze,4 e dall’altro lato il cosmo e tutto quanto è in
esso sono composti dal con- tinuo e dal
discreto. Sapienza è appunto conoscenza esatta del quan- to, e la filosofia è desiderio di sapienza, e
la filosofia è assolutamente l’unica,
fra tutte le arti e le scienze, che fa raggiungere all’uomo il suo proprio fine naturale e lo conduce alla
felicità che solo a lui, fra tutti gli
esseri viventi, si addice e che solo da lui per natura è desiderata come suo fine supremo.# Fra queste quattro
scienze, [10] l’aritmeti- ca si rivela
come quella che precede le altre, perché si scopre che è anteriore e più originaria.+5 Escludendo se
stessa, infatti, essa esclude al tempo
stesso le altre, e viceversa quando sono poste le altre è posta anch'essa; ma le cose che escludono le altre
senza essere escluse da quelle, e
d’altra parte sono implicate dalle altre senza implicarle, si rivelano in qualche modo anteriori e
superiori. Perciò la cosa più logi- ca e
doverosa è quella di esaminare con assoluta precedenza la tec- nica sistematica dell’aritmetica. Talete defini il quanto, cioè il numero,
«sistema di unità» (secon- do la
dottrina degli Egizi, presso i quali egli anche studiò), mentre defini il numerabile «uno» in senso proprio;
non cadranno dunque .entro confini né
l’unità né l’uno.47 Pitagora invece lo defini come «estensione e attuazione dei principi
seminali immanenti nell’unità», 0, con
altra espressione, «il principio numerico che sussiste, prima di 646 GIAMBLICO ὑποστὰν ἐν θείῳ vò ἀφ᾽ οὗ καὶ ἐξ οὗ πάντα
συντέτακται καὶ μένει τάξιν ἄλυτον διηριθμημένα.
ἕτεροι δὲ τῶν ἀπ᾿ αὐτοῦ προποδισμὸν ἀπὸ
μονάδος μεγέθει αὐτῆς. Εὔδοξος δὲ ὁ Πυθαγόρειος «ἀριθμός ἐστιν» εἶπε «πλῆθος ὡρισμένον» διαστείλας
εἶδος καὶ γένος, ὡς ἐν τοῖς ἀνωτέροις τὸ
ποσὸν [20] διεκρίθη. οἱ δὲ περὶ Ἵππασον ἀκου-
σματικοὶ ἀριθμὸν εἶπον παράδειγμα πρῶτον κοσμοποιίας, καὶ πάλιν κριτικὸν κοσμουργοῦ θεοῦ ὄργανον.
Φιλόλαος δέ φησιν ἀριθ- μὸν εἶναι τῆς
τῶν κοσμικῶν αἰωνίας διαμονῆς τὴν κ ρατιστεύουσαν καὶ αὐτογενὴ συνοχήν. [11] Μονὰς δέ ἐστι ποσοῦ τὸ ἐλάχιστον ἢ
ποσοῦ τὸ πρῶτον καὶ κοινὸν μέρος ἢ ἀρχὴ
ποσοῦ: ὡς δὲ Θυμαρίδας περαίνουσα ποσότης,
ἐπεὶ ἑκάστου καὶ ἀρχὴ καὶ τέλος πέρας καλεῖται, ἔστι δὲ ὧν καὶ τὸ μέσον, ὥσπερ ἀμέλει κύκλου καὶ σφαίρας. οἱ δὲ
νεώτεροι καθ᾽ ἣν ἕκαστον τῶν ὄντων ἕν
λέγεται᾽ ἔλειπε δὲ τῷ ὅρῳ τούτῳ τὸ κἂν
συστηματικὸν 7). συγκεχυμένως δὲ οἱ Χρυσίππειοι λέγοντες «μονάς ἐστι πλῆθος ἕν»: μόνη γὰρ αὕτη ἀντιδιέσταλται
τῷ πλήθει. τινὲς [10] δὲ τῶν Πυθαγορείων
«μονάς ἐστιν» εἶπον «ἀριθμοῦ καὶ μορίων
μεθόριον»᾽ ἀπ᾽ αὐτῆς γάρ, ὡς ἀπὸ σπέρματος καὶ ἀιδίου ῥίζης, ἐφ᾽ ἑκάτερον ἀντιπεπονθότως αὔξονται οἱ λόγοι,
τῶν μὲν ἐπ᾽ ἄπειρον τεμνομένων
μειούμενοι μεγαλωνυμώτερον ἀεί, τῶν δὲ ἐπ᾽ ἄπειρον αὐξομένων ἔμπαλιν μεγεθυνόμενοι. τινὲς δὲ
ὠρίσαντο μονάδα εἰδῶν εἶδος, ὡς δυνάμει
πάντας περιέχουσαν τοὺς ἐν ἀριθμῷ λό-
γους. καὶ γὰρ πολύγωνος ἐν ἐπιπέδῳ ἀπὸ τριγώνου μέχρι ἀπείρου, καὶ στερεὰ πᾶσιν εἴδεσιν ἐπιφαινομένη, καὶ
σφαιρικὴ καὶ κωνική, ἀποκαταστατικήδ
[20] τε καὶ πλευρικὴ καὶ διαμετρικὴ καὶ τὸ και-
νότατον ἑτερομήκης, ὅταν ἐφ᾽ ἑαυτὴν γενομένη μείζονος ἔννοιαν δυνάμει παράσχῃ, καὶ ἀναλογικὴ καὶ σχετικὴ
κατὰ τὰς δέκα σχέ- σεις, καὶ ποικίλως
ἄλλως, ὁσαχῶς ὑποδειχθήσεται. μονὰς δὲ ἀπὸ
6 ἀποκαταστατική ho corretto io seguendo Tennulius (cf. anche ed. Klein Add. p. XVIII): ἀποκαταστική
Pistelli. INTRODUZIONE ALL'ARITMETICA
DI NICOMACO 647 tutti i numeri,
nell’intelletto divino e ad opera del quale e dal quale vengono ordinate e mantengono il loro ordine
indissolubile le cose numerate».48 Altri
matematici dopo Pitagora hanno definito il nume- ro «progressione dei numeri a partire
dall'uno e regressione fino all'uno».
«Il numero è quantità determinata», dice il pitagorico Eudosso, dopo averne distinto specie e
genere, in modo che tra i prin- cipi
superiori? si potesse riconoscere il quanto. Gli Acusmatici segua- ci di Ippaso, dal canto loro, dicono che il
numero è «modello prima- rio della
creazione del mondo», e ancora «strumento con cui dio crea- tore del mondo, discerne le cose».5° Filolao,
dal canto suo, dice che «il numero è il
connettivo più potente e autogenerantesi che rende eternamente stabili le cose del
mondo».5! [11] L’'1èla più piccola
parte del quanto, ovvero la primaria e
comune parte del quanto, ovvero il principio del quanto: secondo la definizione di Timarida è «quantità
limitante»,52 poiché di ciascuna cosa e
l’inizio e la fine sono chiamati “limite”, ma ci sono cose in cui anche la parte centrale è chiamata limite,
come ad esempio nel cer- chio e nella
sfera. I matematici più recenti,5? invece, dicono che «unità è ciò secondo cui ciascun ente è detto uno»:
mancava, però, a questa definizione
«sebbene sia un insieme di parti».54 Una definizione piut- tosto confusa danno i seguaci di Crisippo
quando dicono che «l’ 1 è
unità/molteplicità»:5 tra unità e molteplicità, infatti, c'è solo
contrap- posizione. Alcuni Pitagorici la
definiscono dicendo: «l’unità è frontie-
ra tra numero e parti»: da essa infatti, come da seme o eterna
radice, si vanno moltiplicando, in
relazione inversa l'uno rispetto all’altro, i
rapporti numerici, da un lato quelli che in una divisione
all’infinito diminuiscono in rapporto a
un denominatore sempre maggiore,56 e
dall’altro lato quelli che al contrario, aumentano in una crescita
all’in- finito.57 Altri invece
definiscono l’unità «forma delle forme»,8 in
quanto contiene in potenza tutti i rapporti numerici. Essa infatti acquista la forma di poligono piano a partire
dal triangolo all’infinito, e diviene
solida in tutte le forme, perché è sferica?? e conica, e apoca- tastatica <o ricorrente>, e laterale e
diagonale e, nella sua denomina- zione
più recente, eteromeche, quando dà l’idea di essere in se stessa potenzialmente più di se stessa,60 e
proporzionale o relazionale secon- do le
dieci relazioni,6! e in vari altri modi, tanti quanti sono quelli in cui potrà essere mostrata. L'unità invece è
chiamata cosî perché in 648
GIAMBLICO τοῦ τῷ αὐτῆς te λόγῳ δι᾽
ὅλου ἐπιμένειν. καὶ τάλλα δὲ ὅσα ἂν ὑπ’
αὐτῆς οὕτω λογωθῇ. [12] Πάλιν δὲ
ἐξ ἄλλης ἀρχῆς τοῦ ποσοῦ κατὰ πρώτην «τομὴν» τὸ
μέν ἐστιν ἄρτιον, τὸ δὲ περισσόν. ἄρτιον μὲν τὸ μερῶν ἴσων ἀφ᾽ ἑαυτοῦ παρεκτικόν, μεγίστων τε καὶ ἐλαχίστων
μεγίστων μὲν πηλικότητι καὶ τῇ πρὸς τὸ
ὅλον σχέσει, ὅτι εἰς ἡμίση, ἐλαχίστων δὲ
ποσότπτι, ὅτι εἰς δύο (τῶν γὰρ δύο ἐλάττονα φύσει οὐκ ἔστιν, εἴπερ οὐδὲ τῆς δυάδος ἀριθμὸς ἐνδοτέρω πρώτη γὰρ
αὕτη μονάδων σύ- στημα, ὅσπερ γενικοῦ
ὅρος ἀριθμοῦ)" περισσὸν δὲ τὸ πάντως, ὅταν
εἰς τὰ [10] ἐλάχιστα διαιρῆται, ἄνισα τὰ μέρη ἀλλήλοις παρέχον. οὐ γὰρ διχῇ εἰς ἴσα μεριστόν“ ἀναιρετικὸν γὰρ
ἔσται τοῦτο τῆς φύ- σει ἀτόμου μονάδος
εἰς τὴν σύμπασαν τεχνολογίαν καὶ φυσιολογί-
ας τοιαύτας χρησιμευούσης. ἐπεὶ δὲ ὁ μὲν ἄρτιος διαιρούμενος ὁπωσοῦν ἢ ἴσα ἢ καὶ ἄνισα, εἰς ὁμογενῆ πάντως
λύεται ἢ γὰρ ἄρτια ἢ περιττὰ ἀμφότερα᾽ ὁ
δὲ περισσός, εἰς ἄλλα ἀμφότερα τὰ τοῦ ἀριθ-
μοῦ μήκη. ἑτερομήκη μὲν ἐκ τοῦ κατασυμβεβηκότος κατὰ τὸ σημαι- νόμενον τὸν ἄρτιον ἐπωνόμαζον οἱ ἀπὸ τοῦ
διδασκαλείου, ὡς τὸ ἕτερον [20] μόνον
τῶν τοῦ ἀριθμοῦ μηκῶν ἐν τοῖς μερισμοῖς ἔχοντα" ἀντιδιεσταλμένως δὲ τούτῳ ἀμφιμήκη τὸν
περισσὸν τὸν ἀμφότερα ὁμοῦ παρεχόμενον
ταῦτα. καὶ δι᾽ ἀλλήλων δ᾽ ἂν γνωρισθείησαν ἐν
τῇ φυσικῇ τοῦ ἀριθμοῦ ἐκθέσει, ἄρτιος μὲν ὁ μονάδι ἐφ᾽ ἑκάτερον διαφέρων περισσοῦ, περισσὸς δὲ ὁ τῷ αὐτῷ
ἀρτίου. εἰδοποιεῖται δὲ καθ᾽ ἑκάτερον
γένος ἰδίως τε καὶ [13] συμβεβηκότως᾽ ἄρτιος μὲν δυάδι ἰδίως, συμβεβηκότως δὲ καὶ μονάδι:
ἐπέρχεται γὰρ αὐτὸν μονὰς μὲν αἰεὶ
δυαδικῶς, εἴτε ἀμιγῶς εἴτε καὶ συνδιαφόρως εἴτε
καὶ ἄκρατος εἴτε καὶ σὺν ᾧτινιοῦν ὁμογενεῖ᾽ περισσὸς δὲ ἐκ τοῦ ἐναντίου, ἰδίως μὲν ὑπὸ μονάδος μετρεῖται ὅταν
περισσακῶς, συμ- βεβηκότως δὲ ὑπὸ
δυάδος, οὐ μὴν καθ᾽ ἑαυτήν, ἀλλὰ σὺν τῇ μονάδι.
ἐξαίρετον μέντοι μονὰς μὲν παρὰ πάντας ἔχει περισσούς, ὡς ἂν εἰ- δοποιὸς αὐτῶν, τὸ μηδ᾽ εἰς ἄνισα μερίζεσθαι’
δυὰς δὲ [10] παρ᾽ ἀρτίους, τὸ μόνον εἰς
ἴσα. διὸ τὴν μὲν «μονάδα» Ἄτροπόν τε καὶ
᾿Απόλλωνα καὶ ἕτερα τοιαῦτα, τὴν δὲ δυάδα Ἶσίν τε καὶ Ἄρτεμιν INTRODUZIONE ALL'ARITMETICA DI NICOMACO
649 rapporto con se stessa permane
sempre uguale.62 E la stessa cosa vale
per gli altri numeri che siano calcolati con il suo rapporto.8 [12] Riprendendo ancora una volta il
discorso dall’inizio, il quan- to si
divide anzitutto nel pari e nel dispari. Pari è quello che si dà da sé una divisione in parti uguali, siano esse
le più grandi o le più pic- cole: le più
grandi nel senso del quanto grande e rispetto all’intero,#4 perché è diviso a metà, le più piccole nel
senso della quantità,6 per- ché si
divide sempre fino ad arrivare a 2 (non è possibile infatti che si arrivi per natura a meno di 2, dal momento
che non si può affatto tro- vare un
numero pari inferiore al 2: è questo numero infatti la prima combinazione di unità, che è la definizione
generica di numero); dispari, invece, è
quello dalla cui divisione si ottengono parti assolu- tamente disuguali tra loro, fino alle più
piccole. Non è infatti divisibi- le a
metà in parti uguali, perché questo annullerebbe la natura indivi- sibile dell’unità che serve all’intero
sistema delle arti e alle indagini
matematiche sulla natura. Il pari invece, poiché può essere diviso comunque in parti uguali o disuguali, si
risolve sempre in parti omo- genee,
perché ambedue o pari o dispari,” mentre il dispari si risolve in due parti di diversa lunghezza numerica.
“Eteromeche” era il nome che gli
Scolastici? davano al numero pari,7° per un accidente del suo significato, in quanto nelle parti in
cui si divide differisce di una sola
lunghezza;”! viceversa chiamavano “anfimeche” il numero dispari, perché dà parti di ambedue le
lunghezze.?? E si potrà ricono- scerli
nella loro reciproca diversità attraverso l’esposizione dei nume- ri naturali: pari è il numero che differisce
dal dispari di un 1 in più o in meno, lo
stesso criterio vale per il dispari nei confronti del pari. Per ambedue i generi si dà una forma propria e
una forma accidentale: (13] la forma
propria del pari si ha con il 2, quella accidentale con |’ 1: 1° 1 infatti attraversa il pari a coppie
di due 1, sia che restino sepa- rati o
che si fondano, sia restando 1 puro o insieme a qualsiasi nume- ro dello stesso genere; al contrario la forma
propria del dispari è misu- rata dall’ 1
preso un numero dispari di volte, quella accidentale inve- ce è misurata dal 2, non dal 2 in sé, ma dal
2 insieme con l’ 1.1.1 ha questo di
singolare, che fra tutti i dispari, di cui sarebbe come il prin- cipio formale, è quello che non si può
dividere neppure in parti disu- guali,73
il 2 invece ha di singolare che fra tutti i pari?4 è quello che si può dividere soltanto in parti uguali.?5
Perciò i Pitagorici chiamavano 650
GIAMBLICO κατὰ ἀνάλογον οἱ Πυθαγορικοὶ
ἐπωνόμαζον. ἐκ δὲ τοῦ ἄτομος φύ- σει ἡ
μονὰς εἶναι, πέρας ἐφ᾽ ἑκάτερον καὶ ὁρισμὸς ἡ αὐτὴ φανήσε- ται" πηλίκῳ μέν, ἵνα ἀπ’ αὐτῆς ὡς ὅλου ἡ
ET ἄπειρον τομὴ ἄρχηται, ποσῷ δέ, ἵνα
κατὰ ταὐτὰ ἡ ἐπ᾽ ἄπειρον αὔξησις ἀντιπαρεκτείνηται ὡς μονάδος: καὶ ὡς ὅλου μὲν ἥμισυ εἶτα τρίτον
εἶτα τέταρτον εἶτα πέμπτον καὶ ἑξῆς
μείζονα αἰεὶ καὶ [20] μᾶλλον μέρη ἐναντίως τῇ
τῶν ὀνομάτων αὐξήσει προχωρούσῃ, γίνεται" ὡς δὲ ἀπὸ μονάδος δυὰς εἶτα τριὰς εἶτα τετρὰς καὶ ἐφεξῆς μέχρι
παντὸς προκόπτῃ κατὰ τὰ ὀνόματα ἡ
αὔξησις, καὶ ἀντιπαρωνυμίας γένεσις ποικίλης παρὰ τοῦτο ὑποφύηται, τῆς μονάδος [14] ὑφισταμένης
ἀμφοτέροις, ἄρθρου τρόπον, πηλίκῳ τε καὶ
ποσῷ, καὶ ὡσανεὶ διάφραγμα καὶ μεθόριον
ποιούσης ἑαυτὴν τῆς ἀντιπαρωνυμίας τούτων. ἐὰν γὰρ προχειρι- σώμεθα τὴν μονάδα, καὶ ὡς ἀπὸ γωνίας αὐτῆς
λάβδωμά τι καταγρά- yopev, καὶ τὴν μὲν
τῶν πλευρῶν αὐτοῦ τοῖς συνεχέσι μονάδι ἀριθ-
μοῖς ἐφεξῆς συμπληρώσωμεν μέχρι βουλόμεθα, οἷον β΄ γ΄ δ΄ ε΄ ς΄ ζ καὶ ἐφοσονοῦν, τὴν δὲ ἀπὸ τοῦ μεγίστου τῶν
μερῶν ἀρξάμενοι, ὅπερ ἐστὶν ἡμίσους τοῦ
προσεχεστάτου τῷ ὅλῳ κατὰ μέγεθος, [10] συνε-
χέσι καὶ αὐτοῖς ἐφεξῆς Yo δῷ co co ζῳ καὶ ἐφοσονοῦν, τὴν εἰρημένην ἀντιπεπόνθησιν ὀψόμεθα καὶ φυσικὴν
συνάρτησιν καὶ εὔτακτον σχέσιν, οἷον
τοιαύτην. ἐπεὶ εἰς δύο τὸ ὅλον ἐμερίσθη,
ἥμισυ παρωνομάσθη καὶ συνεζύγη οὕτως τὸ ἥμισυ τῷ δύο᾽ πάλιν ὅτι εἰς τρία τρίτον, καὶ εἰς τέσσαρα τέταρτον,
καὶ ἐφεξῆς μέχρις ἑκατοστοῦ καὶ
χιλιοστοῦ καὶ μυριοστοῦ, καὶ ἐντεῦθεν ἡ τῆς ἐπ᾽
ἄπειρον τομῆς ἀνάγκη διὰ τὴν παρέκτασιν τοῦ ὁμολογουμένως ἐπ᾿ ἄπειρον αὐξητοῦ παρεισβιάζεται. καὶ ἔτι ὡς
δὶς ἕν δύο, οὕτως ἡμισάκις ἕν ἥμισυ“
[20] καὶ ὡς δὶς δύο τέσσαρα, οὕτως ἡμισάκις
ἥμισυ τέταρτον: καὶ ὡς δὶς δύο δὶς ὀκτώ, οὕτως ἡμισάκις ἥμισυ ἡμισάκις ὄγδοον καὶ ὡς δὶς τρία ἕξ, οὕτως
ἡμισάκις τρίτον ἕκτον. καὶ καθάπαξ δὲ ὅ
τι ἂν ἀφ᾽ ἑκατέρου λάβωμεν, ἐν αὐτῷ ἐκείνῳ ὁ
λόγος μένει, καὶ ἐφ᾽ ἑκάστου τῶν ἀριθμῶν ὅσα ἂν ἁπλῶς συμβαίνῃ, ταῦτα ἐκ παντὸς καὶ ἐπὶ τῶν ἀντιστρόφων μερῶν
εὑρεθήσεται ἀνα- λογίᾳ. προληπτέον δέ,
ὡς χρήσιμον εἰς [15] τὰ ἑξῆς ἐσόμενον,
τοῦτο᾽ ὅτι παρωνυμούντων ἁπάντων μερῶν ἅπασιν ἀριθμοῖς, μόνον τὸ ἥμισυ τῷ δύο πράγματι μέν, οὐκέτι δὲ καὶ
ὀνόματι παρωνυμεῖ" ἐπέλιπε γὰρ ἐν
τῇ λέξει τοῦτο, ὥσπερ καὶ ἄλλα πολλά. γένεσις δὲ περισσοῦ καὶ ἀπὸ μονάδος, καὶ κατὰ σύνθεσιν
ἀδιάζευκτον οὐχὶ 7 καὶ ὡς δὶς δύο δὶς
ὀκτώ, οὕτως ἡμισάκις ἥμισυ ἡμισάκις ὄγδοον ho
mutato io l'ordine: καὶ ὡς δὶς δύο δίς, οὕτως ἡμισάκις ἥμισυ ἡμισάκις,
ὀκτώ τε καὶ ὄγδοον Pistelli. INTRODUZIONE ALL’ARITMETICA DI NICOMACO
651 l'1 Atropo”6 e Apollo e in altri
simili modi, e chiamavano analoga- mente
il 2 Iside?” e Artemide. Poiché l’ 1 è per natura indivisibile, esso apparirà limite e determinazione in ambedue
le forme della quanti- tà:78 nel quanto
grande, perché dall’ 1 come intero abbia inizio la divi- sione all’infinito, nel quanto, perché dall’
1 come tale si distenda con lo stesso
criterio l'aumento all'infinito; dall’ 1 come intero nascono la metà c poi il terzo e il quarto e il quinto e
cosi di seguito parti sempre più grandi
e in maggior numero ma in progressione inversa all’au- mento dei loro nomi;?? dall’ 1 come tale
nascono il 2 e poi il 3 e il 4 e cosi di
seguito finché l’aumento di tutta la serie non proceda secondo i nomi dei singoli numeri, e oltre a questo
non abbia origine la varie- tà degli
antiparonimi, costituendo l’ 1 [14] come una specie di giun- tura per ambedue, cioè per il quanto grande e
il quanto, o come un diaframma o una
frontiera, in quanto si fa antiparonimia di essi.80 Se infatti prendiamo l’ 1, e tracciamo due linee
a forma di un lambda che abbia il numero
1 come suo angolo, e riempiamo a nostro piacere una linea di questo lambda con i numeri
successivi all’ 1, ad esempio 2, 3, 4,5,
6,7, ecc., e l’altra linea con le parti dell’ 1 a partire da quella più grande, cioè 1/2 che segue in grandezza
l’intero, e le parti seguenti, cioè 1/3,
1/4, 1/5, 1/6, 1/7, ecc., allora vedremo la suddetta correla- zione e una tale naturale articolazione e
relazione bene ordinata. Dopo che
l’intero viene diviso in due, prende il nome di 1/2 e cosî 1/2 è accoppiato a 2; se di nuovo l’intero è
diviso in 3, prende il nome di 1/3, e se
è diviso in 4, prende il nome di 1/4, e cosi di seguito fino a 1/100 e a 1/1000 e a 1/10.000, e nasce di qui
la necessità di dividere all'infinito il
continuo per via del corrispondente aumento all’infinito del discreto. E inoltre, come 1x2 fa 2, cosî
1:2 fa 1/2; e come 2x2 fa 4, cosî 1/2:2
fa 1/4; e come 2x2x2 fa 8, cosi (1/2:2):2 fa 1/8; e come 3x2 fa 6, cosi 1/3:2 fa 1/6. E da qualunque
delle due operazioni noi partiamo, il
rapporto rimane assolutamente lo stesso, e nei singoli numeri, tutto ciò che proviene dal tutto si
troverà in proporzione anche in tutte le
parti corrispondenti. Ma occorre anticipare una cosa che sarà utile [15] in seguito, e cioè che di
tutte le parti che sono paronime di
tutti i numeri interi, soltanto 1/2 è paronimo di 2 di fatto, ma non di nome, perché questo manca
nell’espressione verbale, come mancano
molte altre cose. Il dispari nasce anch'esso dall’ 1, e si ottie- ne per somma non disgiuntiva,8! e non per
accumulazione,82 ma per 652
GIAMBLICO τὴν σωρηδὸν ἀλλὰ τὴν κατὰ
συνδυασμόν, ἥν τινες συζυγικὴν καλοῦσιν,
οἷον ἕν πρῶτον, εἶτα α΄ β΄, εἶτα πάλιν β΄ γ΄ καὶ γ΄ δ΄ πάλιν, ἐφεξῆς ὁμοίως: ἀρτίου δέ, κατ᾽ ἐμπλοκήν, ὡς
α΄ γ΄, β΄ δ΄, [10] γ΄ ε΄, δ΄ ς΄ καὶ
ἐφοσονοῦν, ἵνα ὡς εἰδοποιὸς ἀρτίου καὶ στοιχεῖον ἡ δυάς, ἀλλ᾽ οὐχ ὡς ἐνεργείᾳ ἄρτιος,
παραλείπηται" ἢ ἑτέρως, ἑκάστου τῶν
ἀπὸ μονάδος ἀριθμῶν διπλασιαζομένου, ὡς δὶς ἕν καὶ δὶς δύο καὶ ἐφεξῆς δὶς τρία, δὶς τέσσαρα, δι᾽ οὗ τρανοῦται
μᾶλλον ἡ προταχθεῖσα εἰδοποίησις ὑπὸ
δυάδος τοῦ ἀρτίου. καὶ ἐξ ἀλλήλων δ᾽ ἂν
γένοιτο οὕτως πρὸς ἔμφασιν τῆς τοῦ ἀριθμοῦ ἰδιότητος᾽ τῶν γὰρ ἑκατέρωθεν ἑκάτερος ἑτερογενῶν ἅμα ἥμισυς.
καὶ τὸ θαυμασιώτα- τον, καὶ μονάδος
ἴδιον καὶ συμβιβαστικὸν τοῦ μήπω ἀριθμὸν [20]
αὐτὴν εἶναι, ὅτι ἑτέρωθεν μόνον ἀλλ᾽ οὐχὶ ἀμφοτέρωθεν περιεχο- μένη, μόνης τῆς δυάδος ἡμίσειά ἐστιν,
ἀρκουμένη τῷ ἑνὶ γείτονι. οὕτως δυνάμει
πάντα ἐν αὐτῇ θεωρεῖται κοινῶς τά τε ἀρτίου καὶ
περισσοῦ εἴδη ὡς πηγῇ τινι καὶ ἀμφοτέρων ἀδιακρίτῳ ῥίζῃ καὶ ἀναγκαίως ἀδιαιρέτῳ παρὰ τὰ ἄλλα πάντα. καὶ
γὰρ τῶν βιαζομένων μονάδα διαιρεῖν καὶ
παρατιθέντων αὐτῇ ἐκ θατέρου τὸ ἥμισυ ὡς ἕν
ποσὸν καὶ ὁμογενὲς συνεχές, κωλυτικὸν γίνεται τὸ συζυγούντων ταῖς παρωνυμίαις τῶν ὑπὲρ αὐτὴν ἀριθμῶν
ἁπάντων τοῖς καθ᾽ [16] ἕκαστον
ἀντιθέτοις μέρεσιν, αὐτὴν μόνῳ τῷ ὅλῳ ἀντιδιαστέλλε- σθαι, καὶ τὸ σύγχυσιν ἔσεσθαι πάντως τῶν δύο
γενικῶν τοῦ ἀριθμοῦ εἰδῶν εἰ καὶ τὸ
περισσὸν φαίημεν τέμνεσθαι, καὶ πάλιν τὸ οἷόν 1° εἶναι παριστάνειν ἀναγκαῖονβ μᾶλλον αὐτῇ
ἡμίσους τὸ οὐδὲν ἐπὶ τὸ ἔλαττον
παρατιθέναι, ὅπερ πολλαχοῦ ἀκόντων ἡμῶν φαίνεται ἐγ- κρῖνον ἑαυτὸ τῇ τῆς θεωρίας φύσει καὶ ἐνθάδε
μὲν [ἐν] τῷ τῶν ἑκατέρωθεν ἅμα ἡμίσειαν
εἶναι τὴν μονάδα καὶ δυάδος καὶ τοῦ οὐ-
δέν, καθὰ καὶ οἱ [10] λοιποὶ ἀριθμοὶ τῶν ἑκατέρωθεν ἕκαστος ἅμα ἥμισυς ἐφαίνετο: κἀκεῖ δὲ πολὺ μᾶλλον καὶ
ἐναργέστερον ὅταν τοῦ θ΄ τετραγώνου
«περισσοῦ»9 πρωτίστου μετὰ tod!° δυνάμει ὄντος
περισσοῦ, ἐν τῇ μεσότητι, τουτέστι τῷ πέντε, ἀναφαίνηται ὁ τῆς δικαιοσύνης λόγος κατ᾽ ἀριθμητικὴν ἀναλογίαν
συζύγως ἀμειβόμε- νος καὶ ὡς ἀφορίζονται
οἱ Πυθαγορικοὶ δικαιοσύνην λέγοντες δύ-
8 παριστάνειν ἀναγκαῖον eliminò Pistelli (cf. appar. ad ἰος.), ma a me sembra che il discorso funzioni meglio con
quelle parole, cosi come — del resto —
lo stesso Pistelli sembra volere dire quando, in Add. et Corr. p. VI, riferisce l’interpretazione di Heiberg, il
quale ritiene che non si debba fare
alcun cambiamento al testo (nulla mutatione opus est). ? l'integrazione è di Pistelli in Add. et
Corr. p. VI). 10 μετὰ τοῦ Tennulius:
μετὰ τῶν. INTRODUZIONE ALL’ARITMETICA
DI NICOMACO 653 accoppiamento di due
numeri,8* e che alcuni chiamano “congiunti-
va”:84 ad esempio, prima solo 1, poi in coppia 1 e 2, e ancora 2 e 3,
e 3 e 4, e cosi di seguito; il pari
invece nasce per implicazione,85 come 1
e3,2e4,3e5,4e6, ecc., in modo tale che il 2 sia assunto come fat- tore formale ed elemento del pari, ma non
come pari in atto;86 o in altro modo,
quando ciascun numero a partire dall’ 1 venga raddop- piato, come 1x2, 2x2, e cosi di seguito 3x2,
4x2, ecc., per cui risulta più evidente
che la suddetta formazione del pari nasce dal 2. Ε cosi dispari e pari nasceranno l’uno dall’altro,87
perché si manifesti la pro- prietà del
numero: infatti ogni numero è al tempo stesso la metà della somma dei due numeri che stanno ai suoi lati
e che sono di genere diverso.88 E la
cosa più sorprendente, e che è propria dell’ 1 e che porta alla convinzione che esso non è affatto
un numero, è il fatto che l' 1, poiché è
contenuto solo da una parte e non da ambedue le parti, è la metà solo del 2,89 come se si
contentasse di un unico confinante. Cosi
nell’ 1 si possono vedere accomunate tutte le forme potenziali e del pari e del dispari, come in una fonte o
radice indistinta di ambe- due e
necessariamente inseparabile da tutti gli altri tipi di numero. E infatti, quando il dispari o il pari ci
costringono a dividere l’ 1 o ad
aggiungere ad esso la metà di un altro numero come un certo quanto discreto o un continuo omogeneo, siamo impediti
dal fatto che, men- tre tutti i numeri
superiori a 1 risultano dalla combinazione delle sin- gole parti [o frazioni] opposte aventi la
stessa denominazione,% [16] l’ 1 invece
si contrappone soltanto all’intero; un altro impedimento è il fatto che ci sarebbe assoluta confusione
tra le due specie generali del numero,
ammesso che noi dicessimo che il dispari sia divisibile, e ancora il fatto che, ad esempio, si potrebbe
presentare la necessità di indicare
piuttosto la metà dell’ 1 aggiungendo lo 0 dalla parte pit pic- cola, la qual cosa spesso, senza che lo
vogliamo, sembra si ammetta da sé in
virti della natura della teoria e in questo caso in virtù del fatto che anche l’ 1 debba essere al tempo stesso
la metà del 2 e dello 0, alla pari degli
altri numeri, ciascuno dei quali, come si è visto, è al tempo stesso la metà dei due numeri con cui confina
da un lato e dall’altro; e ciò appare
molto più evidente quando, sommato il 9, che è il primo quadrato dispari, con il dispari in potenza,?
nella metà della somma, e cioè nel 5,9
appare il principio della giustizia che regola il dare e l'avere secondo proporzione aritmetica,
stando alla definizione che ne 654
GIAMBLICO ναμῖν ἀποδόσεως τοῦ ἴσου καὶ
προσήκοντος ἐμπεριεχομένην ἀριθ- μοῦ
τετραγώνου περισσοῦ μεσότητι. ἐκτεθέντων γὰρ στιχηδὸν τῶν ἀπὸ μονάδος μέχρις ἐννεάδος [20] ἀριθμῶν, ὁ
πέντε μέσος τοὺς μὲν ἐντὸς ἑαυτοῦ
ἔλαττον ἢ προσῆκον ἔχοντας διορίσει, τοὺς δ᾽ ὑπὲρ αὐτὸν πλεονεκτοῦντας καὶ κατὰ πρόβασίν Ye:
τοὺς γὰρ μᾶλλον τῇ ἐννεάδι ἐγγίζοντας
ἀεί, τοὺς δὲ τῇ μονάδι ἀεὶ ἔλαττον προσήκει τε
ἑκάστῳ κατά γε τὸν τῆς ἰσότητος λόγον τὸ τοῦ πεντεκαιτεσσαρά- κοντα τῶν ὅλων συστήματος ἔννατον, ὅπερ
αὐτόθεν τῇ μεσότητι τοῦ πλέον [17] καὶ
ἔλαττον μόνῃ ἐμφαίνεται, ἐπεὶ καὶ ἡ δικαιοσύνη καὶ ἄλλαι ἀρεταὶ μεσότητες τούτων, ἀλλ᾽ οὐχ
ἕτερόν τι εὑρίσκονται οὖσαι. διὰ τοῦτο
ὅσῳ παρὰ τὸ καθῆκον ὑπερέχει ὁ θ΄ καὶ πλεονεκ-
tei, τοσούτῳ λείπεται ὁ πρῶτος" ὅσῳ δὲ ὁ η΄, «τοσούτῳ» ὁ
δεύτερος: καὶ ὅσῳ ὁ ζ΄, τοσούτῳ ὁ Y καὶ
ὅσῳ ὁ ς΄, τοσούτῳ ὁ δ΄" τῇ γὰρ ἐπὶ τὸ
μέσον βραχὺ ἐγγύτητι ὥσπερ ἐπὶ ἀορτὴν ζυγικοῦ πήχεος ἀπίσωσις ὑποφύεται, ὡς κἀκεῖ ὀρθότητος γωνιῶν, τῶν τε
πρὸς τὸν πῆχυν τῶν πλαστίγγων καὶ [10]
τῶν τοῦ πήχεος πρὸς αὐτὸν τὸν ἀορτήν. ὁ δὲ
μέσος ὁ ε΄ τοσούτῳ λείπεται ὅσῳ πλεονάζει: οὐδενὶ ἄρα. καὶ μία μὲν ἔμφασις ἥδε τοῦ οὐδὲν ὅτι χρήσιμον ἐν τῇ
θεωρίᾳ, καὶ ἄλλη δὲ εὐθὺς ἀναφαίνεται.
οὐ γὰρ μόνον συνάδει τὸ καὶ τῷ σχήματι τοῦ
χαρακτῆρος εἶναι τὸ ε΄ τὸ ἥμισυ τοῦ θ΄, ἀλλὰ καὶ ἔτι διὰ τὴν συγγέ- νειαν ὁμοκατάληκτα φύσει εἶναι τὰ συζύγως
ἑκατέρωθεν αὐτοῦ" ἐνάκι γὰρ θ΄ τῷ
ἅπαξ α΄, ὀκτάκι δὲ ὀκτὼ τῷ δὶς δύο, ἑπτάκι δὲ ἑπτὰ τῷ τρὶς γ΄, ἑξάκι δὲ ἕξ τῷ τετράκι δ΄, μόνον
δὲ αὐτὸ ἑαυτῷ τὸ πεντά- κις [20] πέντε.
ἔτι τὸ μὲν ἐνάκι ε΄ τῷ ἅπαξ ε΄, τὸ δὲ ἐνάκι ς΄ τῷ ἅπαξ δ΄͵, τὸ δὲ ἐνάκι ζ΄ τῷ ἅπαξ γ΄, τὸ δὲ ἐνάκι
ὀκτὼ τῷ ἅπαξ δύο. καὶ πάλιν τὸ ὀκτάκις
ζ΄ τῷ δὶς γ΄ καὶ τὸ ὀκτάκις ς΄ τῷ δὶς δΊ! «καὶ τὸ ὀκτάκις ε΄ τῷ δὶς ε΄» καὶ τὸ ἑπτάκις ς΄ τῷ τρὶς δ΄
«καὶ τὸ ἑπτάκις ε΄ τῷ τρὶς ε΄». καὶ
ἄλλως τὸ μὲν ἑξάκι ε΄ τῷ τετράκι ε΄, εἰ καὶ μὴ τῷ ὀνόματι ἀλλά γε τῇ δυνάμει, ὥσπερ καὶ [18] ἀπεδείξαμεν τὸ
ἥμισυ τῷ δύο ἀντι- παρωνυμεῖν δυνάμει,
ἀλλ᾽ οὐκ ὀνόματι. εἰ δὴ παρὰ τῶν πλεονεκ-
τούντων τοῖς πλεονεκτουμένοις, ὥσπερ κριταὶ δίκαιοι καὶ τοῦ ἴσου καὶ ἐπιβάλλοντος ἀποδοτικοί, λαμβάνοντες
ἀποδιδοῖμεν, οὐκ εἰκῇ παρὰ τοῦ τυχόντος
λαβόντες τῷ τυχόντι ἀποδώσομεν, ἀλλὰ κατὰ τὴν
αὐτὴν ἀναλογίαν, γνώμονι χρώμενοι καὶ οἷον κανόνι τῷ μήτε πλεο- !l δὶς δ΄ correttamente Pistelli: τρὶς δ΄
erroneamente nel TLG della California
Univ. di Irvine. INTRODUZIONE
ALL'ARITMETICA DI NICOMACO 655 danno i
Pitagorici, i quali dicono che giustizia è potere di assegnare in parti uguali ciò che spetta, potere che è
contenuto al centro del numero quadrato
dispari. Dei numeri,* infatti, che si estendono in fila dall’ 1 al 9, il 5, che sta al centro,
divide quelli che stanno prima in quanto
hanno meno di quanto dovrebbero avere per uguagliarlo, da quelli che lo superano nella progressione:
questi infatti crescono man mano che si
avvicinano al 9, quelli invece diminuiscono man
mano che si avvicinano all’ 1; e spetta a ciascuno di questi numeri,
in funzione del rapporto di uguaglianza,
la nona parte della somma tota- le che è
45, cosa che si rivela da sé per il solo fatto che il 5 è a metà tra il più e il meno, [17] poiché anche la
giustizia e le altre virtù sono medietà
tra il più e il meno,” anzi si scopre che altro non sono. Perciò di quanto il 9 supera e ha più del giusto, di
tanto ne è inferiore l’ 1; di quanto l’
8, di tanto il 2; di quanto il 7, di tanto il 3; di quanto il 6, di tanto il 4: infatti man mano che ci si
avvicina al centro come al punto di
equilibrio del braccio di una bilancia, si fa strada l’uguaglia- mento dei numeri rispetto al 5, come nel caso
della bilancia si vanno eguagliando gli
angoli retti, sia quelli dei piatti rispetto al braccio che quelli del braccio rispetto al punto stesso
di equilibrio. Il numero 5, che sta al
centro, di tanto difetta di quanto supera, dunque di 0. Ed è un primo modo in cui lo 0 appare utile alla
teoria, ma lo o riappare subito un’altra
volta. Infatti con la centralità del 5 concorda non solo il fatto che anche nella figura il segno 5
[e] è la metà del segno 9 [0], ma
persino il fatto che le combinazioni dei numeri che sono alla stes- sa distanza dal 5, dall'una e dall’altra
parte, hanno per natura un’uguale
terminazione: infatti 9x9 termina come 1x1; 8x8 come 2x2; 7x7 come 3x3; 6x6 come 4x4; mentre solo 5x5
termina per se stesso. E ancora, 5x9
termina come 5x1; 6x9 come 4x1; 7x9 come 3x1; 8x9 come 2x1. E ancora, 7x8 termina come 3x2; 6x8
come 4x2;100 5x8 come 5x2; 6x7 come 4x3;
5x7 come 5x3. E in altro modo, 5x6 termi-
na come 5x4, sebbene siano antiparonimi non nel nome ma nella potenza,!9! cosî come [18] abbiamo mostrato
che anche 1/2 è antipa- ronimo di 2 in
potenza, ma non nel nome.!92 Se poi volessimo toglie- re a chi ha di più rispetto a 5, e attribuire
a chi ne ha di meno, come fanno i
giudici giusti quando attribuiscono secondo uguaglianza e secondo il dovuto, allora noi non toglieremmo
e attribuiremmo a caso a seconda che
capiti questo o quel numero, ma secondo la medesima 656 GIAMBLICO νεκτήσαντι μήτε πλεονεκτηθέντι, τουτέστι τῇ
meviddi: οὗτος γὰρ μόνος δικαίως τὸ
ἑαυτοῦ πλῆρες ἔχει. [10] ἀπὸ τοῦ οὖν ἐννέα τὸν
ἀπ᾽’ αὐτοῦ πέμπτον λαβόντες τῷ α΄ δώσομεν, καὶ ἰσωθήσονται ὁ πλεῖστον ἀδικήσας καὶ ὁ πλεῖστον ἀδικηθείς᾽
πέμπτον δὲ ἀπὸ τοῦ θ΄ τὰ τέσσαρα. ἔστι
γὰρ η΄ ζ΄ ς΄ ε΄ δ΄. πάλιν ἀπὸ τοῦ η΄ προσθήσομεν τῷ δύο ἀφελόντες γ΄ ἀπὸ τοῦ η΄ πέμπτον γὰρ τὰ
γ΄. καὶ ἀπὸ τοῦ ζ΄ ἀφε- λόντες τὸν ἀπ᾽
αὐτοῦ πέμπτον τὰ β΄, προσθήσομεν τῷ τρία, καὶ
ἰσωθήσονται. καὶ πάλιν ἀπὸ τοῦ ς΄ ἀφελόντες τὸν ἀπ᾿ αὐτοῦ πέμπτον τὸ ἕν, προσθήσομεν τῷ δ΄, καὶ ἔσονται ἴσοι.
ἀπὸ δὲ τοῦ πέντε ἀφε- λόντες οὐδέν (τὸ
ἀπ᾽ [20] αὐτοῦ πέμπτον γὰρ [a] τὸ οὐδέν), προ-
σθήσομεν αὐτῷ, καὶ ἔσται ἑαυτῷ ἴσος. οὕτως τὸ νοούμενον ἔλαττον, μονάδος ἀδιαιρέτου οὔσης, τὸ οὐδέν, πανταχοῦ
σῴζει πρὸς τὴν μονάδα τὴν ἀναλογίαν,
μᾶλλον ἢ ὅπερ ἐκεῖνοι ἐνόμιζον ἥμισυ, καὶ
γέγονεν ἡ μονὰς καὶ αὐτὴ τῶν παρ᾽ ἑκάτερα συντεθέντων ἡμίσεια" τοῦ γὰρ δύο καὶ τοῦ οὐδὲν ἥμισυ τὸ ἕν. αὐτὸ
μέντοι τὸ τοῦ οὐδὲν [19] ὄνομα
ἐμφαντικώτατα ἡμῖν σημαίνει φύσει ἐλάχιστον εἶναι καὶ ἄτομον τὴν μονάδα: τὸ γὰρ οὐδὲν ἐν
διαιρέσει στερίσκει πάσης οὐσίας, ὅπερ
οὐκ ἂν ἐνοεῖτο εἰ τὸ ἥμισυ ὑπῆρχεν ἢ τρίτον ἢ τὰ ὅμοια αὐτῆς μέρη. τί γὰρ δεῖ προσεπιπλέκειν
ὅτι ἡ μονὰς πολυπλα- σιάσασα ἀριθμὸν
ὁντινοῦν αὐτοῦ ἐκείνου οὐκ ἐκβαίνει, ὁπότε καὶ
αὐτὴ τοῦτο ποιήσασα ἑαυτῇ οὐκ ἐξίσταται, ὡς ἂν μεθόριον τοῦ τε ἁπλῶς ἀριθμοῦ καὶ τοῦ οὐδὲν πεφυκυῖα; ὁ μὲν
γὰρ εἴτε ἑαυτὸν εἴτε ἄλλον λάβοι [10] ἐν
οὐδετέρῳ τὸν λόγον ἵστησιν, ἀλλὰ πάντως τρί-
τον τινὰ ἀπογεννᾷ τὸ δὲ οὐδὲν εἴτε ἑαυτὸ εἴτε ἄλλο δόξειε πολυ- πλασιάζειν αὐτὸ οὐδέποτε ἐκβήσεται᾽ οὐδενάκι
γὰρ οὐδέν, καὶ οὐ- δενάκι θ΄, οὐδέν᾽
ἴσον γὰρ τῷ οὐδαμῶς θ΄" καὶ ἐπὶ τῶν ἄλλων ὁμοίως. ἡ δὲ μονάς, ὡς ἀμφοῖν μέση, ἐὰν μὲν ἄλλον
λάβῃ, ἐν ἐκείνῳ τὸν λό- γον, ἐὰν δὲ
ἑαυτήν, ἐν ἑαυτῇ ἀπολείπει. καὶ ἔτι προσθετέον μετὰ τῶν προσεμφανισθέντων ὅτι ἀντιπεριίσταται
προκοπὴ ὑποβάσει καὶ ὑπόβασις προκοπῇ.
ἅπαξ γοῦν ἐννέα, ἐννέα: καὶ ὁ λόγος ἔμεινεν ἐν
ταῖς [20] ἀκροτάταις. καὶ δὶς θ΄, ιη΄ καὶ μετέβη ὁ λόγος εἰς τὰς
δευ- τέρας ἀκρότητας, καὶ τοῦτο ἐφεξῆς.
ἑτέρου γὰρ καιροῦ διερευνᾶν INTRODUZIONE
ALL’ARITMETICA DI NICOMACO 657
proporzione, cioè, usando il numero 5 come gnomone e norma che non ha né più né meno di quello che deve
avere, perché è il solo numero che
secondo giustizia possiede pienezza di sé. Togliendo quindi da 9 il numero che è 5 posti prima, e
cioè 4, lo attribuiremo a 1, e cosi
saranno resi uguali il numero 9 che ha commesso la massima ingiustizia e il numero 1 che ha subito la
massima ingiustizia:! 1] quinto numero a
partire da 9 è 4, perché la sequenza è 8, 7, 6, 5, 4. E ancora, il quinto numero a partire da 8 è 3.
E allora prenderemo il quinto numero
inferiore a 7, e cioè 2, e gli attribuiremo 3, e cost avre- mo di nuovo uguaglianza. E ancora, prenderemo
da 6 il quinto nume- ro che è 1, e lo
attribuiremo a 4, e saranno uguali. Infine sottrarremo da 5 il numero 0 (infatti il quinto numero
prima di 5 è 0), e lo attri- buiremo a
5, e cosî questo sarà uguale a se stesso. In tal modo ciò che si può concepire minore di 1, essendo questo
indivisibile, cioè lo 0, conserva sempre
la sua proporzione con l’ 1, più di ciò che pensava- no i Pitagorici, cioè 1/2, e I 1 diviene
anch'esso! la metà della somma dei due
numeri che stanno da una parte e dall’altra, cioè 2 e 0: infatti (2+0)/2=1. Lo stesso nome
“zero”,10 tuttavia, [19] significa per
noi in maniera assolutamente chiara che la cosa più piccola e indi- visibile per natura è l’ 1. Lo 0, infatti,
quando divide un numero lo priva di ogni
realtà,!° cosa che non penseremmo se si ottenesse la metà o il terzo o parti simili. Che cosa
infatti deve moltiplicare |’ 1 perché
moltiplicando un qualsiasi numero, non dia più di quello stes- so numero, e moltiplicando se stesso non dia
pit di se stesso, come se fosse per
natura una frontiera tra il numero naturale e lo 0? Un nume- ro naturale,107 infatti, sia che assuma
<come moltiplicatore> se stesso o
un altro numero, in nessuno dei due casi resta quello che ἐ,108 ma genera assolutamente un terzo numero; lo 0
invece, sia che appaia moltiplicare se
stesso o un altro numero, mai uscirà fuori di se stes- s0;10° 0x0, infatti, o 0x9, è sempre uguale a
0, mai a 9; e cosî in tutti gli altri
casi. L’ 1 invece, che è intermedio tra i due, se assume <come moltiplicatore> un altro numero, ha in
quello la sua ragion d'essere, se invece
assume se stesso, resta in se stesso. E oltre alle cose già mostrate, c'è da aggiungere che si scambiano
vicendevolmente di posto la progressione
con la regressione e la regressione con la pro-
gressione. Infatti 9x1=9: e il rapporto rimane entro le estremità.110 E 9x2=18: e qui il rapporto passa alle seconde
estremità,!1!! e cosî via. In 658
GIAMBLICO ἐπὶ πλέον πῶς καὶ
τετραγωνισθέντος ἀπὸ τῆς στιχηδὸν ἐκθέσεως
τοῦ ἀριθμοῦ οὐκ ἐλάττονα πιθανὰ ἐπισυμβαίνει φύσει καὶ οὐ νόμῳ, ὥς φησί που Φιλόλαος᾽ τοῦ μὲν πέντε ὁμοίως
καὶ ἐνταῦθα μεσό- τητος εὑρισκομένου
κατὰ τοὺς τρεῖς ἄλλοτε ἄλλως στίχους, μόνον
δὲ τῶν ἐφεπομένων αὐτοῦ κατά τε [20] μῆκος καὶ πλάτος καὶ ἔτι διαγωνίως ἀπειληφότων τὸ ἐπιβάλλον τῶν δὲ μὴ
οὕτως ἐχόντων πλεονεκτούντων τε καὶ
πλεονεκτουμένων᾽ καὶ οὐχ ὡς ἔτυχεν, ἀλλ᾽
ὡς κατά τινα ἀνάλογον ἀντιπεπόνθησιν. ἀλλὰ νῦν γε ἀναπέμψαντες τὸν περὶ τούτων πλήρη λόγον εἰς τὸν περὶ
δικαιοσύνης ἴδιον, χωρῶμεν ἐπὶ τὰ
ἑξῆς. Τοῦ γὰρ ἀρτίου καθ᾽ ὑποδιαίρεσιν
τὸ μέν ἐστιν ἀρτιάκις ἄρτιον, τὸ δ᾽
ἀντίζυγον τούτῳ ἀρτιοπέρισσον, ὡσανεὶ ἀκρότητες᾽ μέσον δ᾽ αὐτῶν καὶ οἷον [10] κοινὸν ἀμφοτέρων
περισσάρτιον. ὅπερ ἀγνοοῦντες οἱ περὶ
Εὐκλείδην συγκεχυμένως τὸν αὐτὸν οἴονται
περισσάρτιόν τε καὶ ἀρτιοπέρισσον εἶναι, οὐδὲν ἀκριβὲς ἐν τῷ τόπῳ γλαφυρωτάτῳ περ ὄντι θεωρήσαντες, ὡς
ἑξῆς δειχθήσεται. ἀρτιάκις ἄρτιος μὲν
οὖν ἐστιν ἀριθμὸς ὁ τὰ ἑαυτοῦ ἡμίση καὶ τὰ
τῶν ἡμίσεων ἡμίση καὶ ἔτι τῶν ὑπ᾽ ἐκεῖνα μέχρι μονάδος ἀεὶ ἄρτια ἔχων, È καὶ διὰ τοῦτο συμβέβηκε μόνῳ ὑπ᾽
ἀρτίου μετρεῖσθαι μό- νον ἀρτιάκις. εἰ
δέ τις πρὸς τούτῳ ἔτι καὶ περισσάκις μετρεῖται ὑπὸ ἀρτίου, [20] ἐκφεύξεται τὸ λεγόμενον καὶ
ἔσται θατέρου τῶν ἄλλων εἰδῶν. ὥστε καὶ
ἐνθάδε ἡμαρτημένως πάλιν Εὐκλείδης ἀφορίζεται
λέγων «ἀρτιάκις ἄρτιος ἀριθμός ἐστιν ὁ ὑπ᾽ ἀρτίου ἀριθμοῦ μετρούμενος ἀρτιάκις,» ἰδοὺ γὰρ ὁ κδ΄ ὑπὸ τοῦ
ς΄ ἀρτίου τετράκι μετρεῖται καὶ ὑπὸ τοῦ
δ΄ ἑξάκις, καὶ ἕτεροι ἄλλοι ὁμοίως, καὶ οὐκ
εἰσὶν ἀρτιάκις ἄρτιοι [21] οὐδὲ κατ᾽ αὐτόν, παρακολούθημα δ᾽ αὖ- τοῦ τὸ τὴν εἰς δύο λύσιν αὐτόν τε ἴσχειν καὶ
τὰ μέρη καὶ τῶν μερῶν τὰ μέρη, καὶ τοῦτο
μέχρι τῆς φύσει ἀτόμου μονάδος. ἔοικε δὲ διὰ τὸ
μὴ μόνον ὑπ᾽ ἀρτίου ἀρτιάκις μετρεῖσθαι τετευχέναι τοῦ ὀνόματος, ἀλλὰ καὶ ὅτι πᾶν ὃ ἂν ἐν αὐτῷ μέρος ληφθῇ
ἀρτιακῶς ὀνομάζεται. καὶ πάλιν ἡ ἑκάστῳ
μέρει ἐμπεριεχομένη δύναμις, τουτέστιν αἱ
μονάδες, ἄρτιοι καὶ αὐταὶ ὁμοειδῶς εἰσι. γένεσις δ᾽ αὐτοῦ ἀπὸ μονάδος ἀνάλογον [10] διπλάσιος λόγος ἐπ᾽
ἄπειρον. ἀλλ᾽ ἐὰν κατὰ περισσὴν ἔκθεσιν
οἱ ἀρτιάκις ἄρτιοι ἀπὸ ῥίζης προχειρισθῶσιν εἰς
μίαν μεσότητα, ἀντιπαρωνυμήσουσιν αἱ ἀκρότητες ἐν αὐτοῖς καὶ αἱ INTRODUZIONE ALL’ARITMETICA DI NICOMACO 659 un altro momento si dovrà indagare più a
fondo come anche del qua- drato di un
numero a partire da una esposizione per linee fatta «per natura e non per artificio», come dice da
qualche parte Filolao, si ottengano
risultati non meno convincenti; si scoprirà che 5 è allo stes- so modo anche qui medietà secondo le tre
linee da un lato e dall’al- tro, e cioè
che solo i numeri immediatamente successivi in lunghezza, larghezza e diagonale, hanno il giusto
rapporto;!!2 [20] sono in diver- sa
situazione invece i numeri superiori e inferiori a 5, ma non presi a caso, bensi secondo una certa corrispondenza
proporzionale.!!3 Ma ora, omettendo di
trattare pienamente di questi aspetti numerici che riguardano propriamente la giustizia,
passiamo al tema successivo. Ebbene,
dalla suddivisione del pari si ottengono il parimente-pari e come suo opposto il pari-dispari; in mezzo
a questi, come comune ad ambedue, si
trova il dispari-pari. Ignorando tutto questo, Euclide riteneva, confondendoli, che il dispari-pari
e il pari-dispari fossero la stessa
cosa, non teorizzando niente di preciso in questo luogo che pure è di assoluta eleganza, come si mostrerà
qui di seguito. Orbene, parimente-pari è
il numero che ha sempre pari le metà di sé e le metà delle metà e le metà delle metà che vengono
ancora dopo, fino all’uni- tà, e perciò
questo è il solo numero che ha la proprietà di essere misu- rato dal pari solo in modo pari.!!4Se invece
ne esiste oltre a questo un altro che
sia misurato dal pari anche in modo dispari,!!5 allora si sfug- girà alla condizione di cui si è detto,116 e
quest'altro pari sarà di spe- cie
diversa. Sicché anche a questo proposito Euclide sbaglia ancora una volta, quando dà la seguente definizione:
«Parimente pari è il numero che è
misurato dal pari in modo pari». Ecco infatti che 24, ad esempio, è misurato 4 volte dal 6, che è
numero pari, e 6 volte dal 4, e cosi
anche diversi altri numeri, ma non sono affatto parimente-pari [21] secondo la definizione, in base alla
quale dovrebbero essere divi- sibili a
metà sia il numero che le sue parti e le parti delle parti, e cosî fino all’unità che è per natura indivisibile.
Sembra che il nome “pari- mente-pari”
sia dato a questo numero non solo perché è misurato dal pari in modo pari, ma anche perché qualunque
parte si prenda in esso può essere
chiamata pari. E a sua volta la potenza!!? contenuta in cia- scuna sua parte, cioè le sue unità,!18 sono
anch'esse pari e della mede- sima
specie.!!9 La genesi di questa specie di numero dall’unità è in proporzione un rapporto di duplicazione
all’infinito. Ma se i numeri 660
GIAMBLICO μετ᾽ ἐκείνας καὶ αἱ συνεχῶς
μέχρι τῶν παραμέσων, ὥστε καὶ τὸ ὑφ᾽
ἑκάστης συζυγίας ἴσον ἀποτελεῖσθαι τῷ ἀπὸ τῆς μεσότητος, ἐπεὶ καὶ μόνη ἡ αὐτὴ παρωνύμως ἀνθυπήκουεν αὐτῇ.
ἐὰν δὲ κατὰ ἀρτί- αν, ὁ λόγος εἰς δύο
μεσότητας ἀντιπαρωνυμούσας ἀλλήλαις διχα-
σθήσεται, ὥστε καὶ τὸ ὑπ᾽ αὐτῶν ἴσον ἀποτελεῖσθαι τῷ ὑπὸ τῶν παρ᾽ ἑκάτερα εὐτάκτως ἀεὶ μέχρι τῶν [20] ἄκρων.
διαφορὰν δὲ πάντως ἕξουσιν ἐν τῇ τῆς
γενέσεως προκοπῇ οἱ μείζονες ἀεὶ πρὸς τοὺς
ἐλάττονας αὐτοὺς τοὺς ἐλάττονας, ἵν᾽ ἐκ τούτου καὶ αἱ διαφοραὶ καὶ αἱ τῶν διαφορῶν πάλιν διαφοραὶ καὶ τούτων
μέχρι ἐπιδέχεται τὸν αὐτὸν λόγον ἔχουσαι
τριγώνου τρόπον σχηματίζωνται. κατὰ σύ-
νθεσιν δ᾽ αὐτῶν τὴν σωρηδὸν περισσογονία πάντως γίνεται χρησι- μεύουσα ἡμῖν μετὰ βραχὺ εἰς τὴν τῶν τελείων
γένεσιν. αἰεὶ γὰρ παρ᾽ [22] αὐτῇ ὁ
μέλλων παρὰ μονάδα προεμφαίνεται, πάντες δὲ οἱ
μέλλοντες ἄρτιοι γενικῶς" τοιούτων γὰρ ἡ ἔκθεσις. παρὰ δὲ
μονά- δα πᾶς ἄρτιος ἀναγκαίως περιςσός.
καὶ ἐπὶ πασῶν δὲ τῶν ἀνάλογον ἐκθέσεων
βεβαιοῦται τὸ ἀδιαίρετον φύσει τὴν μονάδα μένειν᾽ ἀντι- παρωνυμοῦσαν γὰρ ἑκάστοτε τῷ μεγίστῳ τὴν τοῦ
ὅλου προσηγορίαν μόνη ὑφαίνει. ᾿Αρτιοπέρισσος δέ ἐστιν ὁ καὶ αὐτὸς μὲν εἰς
δύο ἴσα κατὰ τὸ κοινὸν διαιρούμενος, οὐ
μέντοι γε τὰ μέρη [10] ἔτι διαιρετὰ ἔχων,
ἀλλ᾽ εὐθὺς ἑκάτερον περισσόν’ ἔνθεν καὶ ὠνομάσθη, ὅτι ἄρτιος ὧν τὰ μέγιστα μέρη εὐθὺς περισσὰ ἔχει, ἢ μᾶλλον
ὅτι τοῖς τῶν ἐν αὐτῷ μερῶν ὀνόμασιν αἱ
αὐτῶν δυνάμεις ἀντιπαίουσιν, ἄρτιαι μὲν οὖσαι
περισσωνυμούντων ἐκείνων, περισσαὶ δὲ ἀρτιωνυμούντων. καὶ οὐ κατὰ τοῦτο μόνον ἀντικεῖσθαι τῷ πρώτῳ εἴδει
τοῦ ἀρτίου ἐλέχθη, ἀλλὰ καὶ ὅτι τούτου
μὲν τὸ μεῖζον ἄκρον μόνον ἅπαξ διαιρετὸν ἀό-
ριστον ὃν καὶ ἄλλοτε ἄλλο, ἐκείνου δὲ τὸ ἔλαττον μόνον ἀδιαίρε- τὸν ὡρισμένον ὑπάρχον καὶ ταὐτὸν ἀεί.
γεννᾶται [20] δὲ δυάδος τοὺς τάξει
περισσοὺς μηκυνούσης, ἵν᾽ ἐπειδὴ δυάδι οἱ γνώμονες ἀλλήλων διαφέρουσι δυὰς δὲ καὶ ἡ μηκύνουσα,
τῶν ἀποτελουμένων ἡ παραλλαγὴ συνεχῶν
τετρὰς ἦ᾽ δὶς γὰρ δύο τοῦτο. κἂν μὲν ἀπὸ τοῦ
INTRODUZIONE ΑΙ ΑΚΙΤΜΕΤΙΟΑ DI NICOMACO 661 parimente-pari sono presi secondo
un'esposizione dispari dalla radi- ce
fino all’unico termine medio, gli estremi di essi, e quelli che vengo- no dopo in sequenza fino a quelli prossimi al
medio, saranno antipa- ronimi,!20 sicché
anche il prodotto di ciascuna coppia sarà uguale al prodotto del medio con se stesso, poiché solo
questo è in corrispon- denza di
paronimia con se stesso. Se invece l’esposizione è pari, allo- ra il rapporto si raddoppierà in due termini
medi tra loro antiparoni- mi, in modo
tale che il prodotto di queste ultime sarà uguale al pro- dotto delle coppie di numeri che si trovano
ai lati di ambedue i medi sempre
nell'ordine fino agli estremi.!2! E in tutta la progressione che li genera, i maggiori avranno sempre rispetto
ai minori una differen- za avente il
valore degli stessi minori,!22 in modo che da ciò le diffe- renze e di nuovo le differenze delle
differenze e le differenze che hanno lo
stesso rapporto, finché questo sia ammesso, prendano la forma di un triangolo. Secondo la loro somma
cumulativa, invece, si ha la formazione
di numeri assolutamente dispari,!23 che ci servirà fra poco per indagare la genesi dei numeri
perfetti. In questa genesi, infatti,
[22] il numero che viene dopo apparirà sempre per differen- za di 1, e tutti saranno di genere pari,
perché l'esposizione è di nume- ri pari.
E d’altra parte in virtù dell’ 1 ogni numero pari diviene neces- sariamente dispari. E in tutte le esposizioni
proporzionali si può accertare che
l’indivisibile per natura resta l’ 1: questo infatti è il solo numero che costruisce la denominazione di
tutti i numeri di volta in volta in
corrispondenza a quello più grande.124
Il pari-dispari si divide anch'esso comunemente in due parti ugua- li, ma non ha le parti ancora divisibili,
bensî l'una e l’altra subito dispari; e
di qui riceve appunto il suo nome, perché pur essendo pari ha subito le parti più grandi dispari, o
piuttosto perché ai nomi delle sue
parti!25 si contrappongono quelli delle potenze di queste,!26 che sono pari quando le parti sono dispari, e
dispari quando le parti sono pari.127 E
non gli è toccato in sorte di essere l’opposto della prima forma di pari solo in questo, ma anche
perché, mentre di questo, cioè del
pari-dispari, l'estremo maggiore è divisibile una sola volta essen- do indefinito dall’una e dall’altra parte, di
quello invece solo l’estre- mo minore è
indivisibile essendo determinato e sempre lo stesso. Esso si genera quando il 2 fa crescere in
lunghezza i dispari nell’ordine, in
662 GIAMBLICO δυνάμει περισσοῦ
ἀρχώμεθα, ὁ δυνάμει ἀρτιοπέρισσος
ἀποτελεῖται ὁ δύο, ἐὰν δὲ ἀπὸ τοῦ ἐνεργείᾳ τοῦ τρία, ὁ ἐνεργείᾳ «ὁ» ς΄. ἔσονται δὴ ἐν τῇ φυσικῇ τοῦ ἀριθμοῦ
ἐκθέσει οἱ τοιοῦτοι δυάδι μὲν
εἰδοποιούμενοι, τρεῖς δὲ [23] παραλείποντες, τετράδι δὲ διαφέ- ροντες, πέμπτοι δ᾽ ἀπ᾽ ἀλλήλων. ὅτι δ᾽ ἐφάνη
τὸ συνεχές, ὅπερ ἐστὶ πηλίκον,
ἀντιπάσχον τῷ διῃρημένῳ, τουτέστι ποσῷ, κέχρηται δὲ ἤδη τὸ πρότερον εἶδος τῇ τοῦ πηλίκου ἀναλογίᾳ δὲ
χρήσεται καὶ τοῦτο τῇ τοῦ ποσοῦ ὡς ἂν
κατὰ τὸ ἀντικείμενον ἐκείνῳ, καὶ κατ᾽ ἀριθμ-
ητικὴν μεσότητα αἱ ἀκρότητες συντεθειμέναι ἴσαι ταῖς μεσότησιν ἔσονται ἐν ἀρτίᾳ ἐκθέσει᾽ ἐν δὲ περισσῇ, τῇ
μεσότητι σὺν αὐτῇ, τουτέστι διπλαῖ
αὐτῆς, ὥσπερ καὶ τὸ ἀπὸ τοῖς [10] ὑπὸ γεωμετρικῶς ἐν ἀρτιάκις ἀρτίῳ συμβάντος τὸ τοὺς ἄκρους
καὶ τοὺς ὑπ᾽ ἐκείνους μέχρι μέσου
ἀλλήλους πολυπλασιάζοντας ἴσους γίνεσθαι τῷ ἀπὸ
τοῦ μέσου πολυπλασιασθέντι, ἢ δυσὶ μέσοις καὶ αὐτοῖς μηκυνομέ- νοις, καθὰ καὶ οἱ ἑκατέρωθεν αὐτῶν ἄκροι, ἐν
ἀρτίᾳ δηλονότι ἐκ- θέσει. ἴδιον δὲ τοῦ
εἴδους τούτου ὑπεναντίον τῷ τοῦ προτέρου τὸ
μόνον ἢ ὑπὸ ἀρτίου περισσῶς ἢ ὑπὸ περισσοῦ ἀρτίως κατὰ ἀνα- στροφὴν μετρεῖσθαι. Ἐπειδὴ δὲ ἐνταῦθα
προδηλότερον ἁμάρτημα παρὰ τῷ Εὐκλείδῃ
ἐστὶ τὸ μὴ διακρίνειν ἀρτιοπέρισσον [20] περισ-
σαρτίου μηδὲ τὸν ἕτερον μὲν αὐτῶν ἀντικεῖσθαι ἀρτιάκις ἀρτίῳ τὸν δὲ λοιπὸν ἀμφοτέρων μῖγμα νομίζειν, ἔτι
σαφέστερον περὶ τοῦ τρί- του λέγωμεν,
αὐτὸ τὸ Εὐκλείδου ῥητὸν προεκθέμενοι περὶ αὐτῶν. λέγει γὰρ οὕτως" «ἀρτιοπέρισσος ἀριθμός
ἐστιν ὁ ὑπ᾽ [24] ἀρτίου ἀριθμοῦ
μετρούμενος περισσάκις.» ὁ δὲ αὐτὸς καὶ περισσάρτιός ἐστι καὶ γὰρ ὑπὸ περισσοῦ ἀριθμοῦ μετρεῖται
ἀρτιάκις, οἷον λό- yov χάριν ὁ ς΄"
ἐὰν μὲν γὰρ δὶς τρία λέγωμεν, ἀρτιοπέρισσος, ἐὰν δὲ τρὶς δύο, περισσάρτιος᾽ πάνυ εὐήθως. ἀλλὰ καὶ
ἐν τῷ τρίτῳ τῶν ἀριθμητικῶν τοὺς τρεῖς
εἰς ἕνα συγχέει, δουλεύων δηλονότι τῇ τοῦ
ὀνόματος ἐμφάσει φησὶ Yap: «ἐὰν ἄρτιος ἀριθμὸς τὸ ἥμισυ ἔχῃ περισσόν, ἀρτιάκις τέ ἐστι περισσὸς καὶ
περισσάκις [10] ἄρτιος», τὸ αὐτὸ
δηλονότι τοῖς ἔμπροσθεν λέγων. εἶτ᾽ ἐπιφέρει᾽ «ἐὰν ἄρτιος INTRODUZIONE ALL’ARITMETICA DI NICOMACO 663
modo che, mentre i gnomoni!?8 che
differiscono tra loro di 2 cresco- no
anche di 2,129 la differenza dei risultati in successione sia di 4, per- ché 2x2=4.130 Se partiamo dal dispari in
potenza,!?! si ottiene il pari- dispari
in potenza che è 2, se invece partiamo dal <primo> dispari in atto, cioè da 3, allora si ottiene il
<primo> pari-dispari in atto che è 6.
Nell’esposizione naturale del numero, saranno questi, appunto, i numeri che ricevono forma dal 2,152 [23]
lasciano da parte il 3, hanno differenza
di 4, e stanno al quinto posto l’uno dall’altro. Poiché il con- tinuo, cioè il quanto grande, sembra essere
di natura opposta al discreto, cioè al
quanto, la prima forma di numero pari, cioè il pari- mente-pari, si è già servita della
proporzione del quanto grande,!33 mentre
questa forma, cioè quella del pari-dispari, si servirà della pro- porzione del quanto,!34 come opposta a
quella, e secondo la medietà aritmetica
la somma degli estremi sarà uguale alla somma dei medi, in esposizione pari; in esposizione dispari,
invece, la somma degli estre- mi sarà
uguale alla medietà più se stessa, cioè al doppio della medie- tà, cosi come nella proporzione geometrica
del parimente-pari il pro- dotto degli
estremi e dei numeri che sono inferiori ad essi fino al medio è uguale al medio moltiplicato per se
stesso, oppure al prodot- to dei due
medi, come anche i loro estremi da una parte e dall’altra, naturalmente nell’esposizione pari. La sola
proprietà di questa secon- da forma
opposta a quella della prima è che può essere misurata inversamente o dal pari in modo dispari o dal
dispari in modo pari. Poiché su questo
punto è più visibile l'errore di Euclide, e cioè il fatto che egli non distingua il pari-dispari
dal dispari-pari, né oppon- ga il primo
di questi, cioè il pari-dispari, al parimente-pari, e ritenga il secondo, cioè il dispari-pari, una
mescolanza degli altri due, parlia- mo
allora in modo ancora più chiaro del terzo, cioè del pari-dispari, premettendo le stesse parole che Euclide scrive
in proposito. Questi dice infatti cosî:
«Pari-dispari è quel numero che è misurato [24] da un numero pari un numero di volte
dispari».!35 Ma allora esso è anche
dispari-pari: infatti è misurato anche da un numero dispari un numero pari di volte, come ad esempio il 6:
se infatti diciamo 3x2, questo è un
pari-dispari, se invece diciamo 2x3, è un dispari-pari, che è un’autentica sciocchezza! Ma anche nel
terzo libro dell’Aritmzetica, Euclide
confonde in uno i tre tipi di numero, schiavo evidentemente dell'apparenza del nome. Dice infatti: «Se un
numero pari ha la metà 664
GIAMBLICO μήτε τὸ ἥμισυ ἔχῃ περισσὸν
μήτε τῶν ἀπὸ μονάδος ἦ διπλασιαζο-
μένων, ἀρτιάκις τέ ἐστιν ἄρτιος καὶ ἀρτιάκις περισσὸς ὁ αὐτὸς καὶ περισσάκις ἄρτιος.» καὶ ὁ μὲν Εὐκλείδης
οὕτως: ἡμῖν δὲ μᾶλλον λεγέσθω τὸ τρίτον
εἶδος ὃ κοινῶς ἐξ ἀμφοῖν πλάσσεταί τε καὶ εἰδο-
ποιεῖται καὶ συμβεβηκότα ἴσχει. ἔστιν οὖν καὶ τῷ ὅρῳ κρᾶμα αὐτῶν᾽ ὑπό τε γὰρ ἀρτίου ἀρτιάκις μετρεῖται
καὶ ὁ αὐτὸς ὑπὸ ἀρτί- ov περισσάκις,
οὐδετέρῳ δὲ τῶν [20] προτέρων τοῦθ᾽ ἅμα συμβέ-
βηκεν, ἀλλὰ θάτερον μόνον θατέρῳ. καὶ μὴν τὸ πλεονάκις μὲν τοῦ ἅπαξ διαιρεῖσθαι παρὰ τοῦ ἀρτιάκις ἀρτίου
ἔχει, τὸ δὲ μὴ μέχρι μονάδος δύεσθαι
παρὰ τοῦ ἀρτιοπερίσσου: καὶ τῷ μὲν ἀντιπαίε-
σθαι τὰ τῶν μερῶν ὀνόματα ὑπὸ τῶν δυνάμεων κοινωνεῖ τῷ δευτέρῳ, τῷ δὲ ἅμα καὶ ὁμωνυμεῖν οὐκ ἀπήλλακται τοῦ
προτέρου, ἀπό τε τοῦ μείζονος ἄκρου ὅτι
πλεονάκις ἢ ἅπαξ διχοτομεῖται προστρέχει [25]
τῷ μέχρι μονάδος αὐτῷ. ἀφιστάμενος τοῦ ἅπαξ μόνον διχαζομένου᾽ πρὸς δὲ τῷ ἐλάττονι καὶ ἄλλα διαλυτὰ ἔχων
ἀφίσταται μὲν τούτου τέως, προσεχὴς δὲ
τῷ ἐναντίῳ γίνεται. καὶ ἡ γένεσις δ᾽ αὐτοῦ ἐξ ἀμ- φοῖν μικτή. τοὺς μὲν γὰρ τοῦ ἀρτιοπερίσσου
γνώμονας ἐκθέσθαι δεῖ πάντας ἑξῆς ἀπὸ
τριάδος, τοὺς δὲ ἀρτιάκις ἀρτίους αὐτοὺς ἐπὶ
ἑαυτῶν [καὶ] γνώμονας ἀπὸ τετράδος τάξει, καὶ ὁποτερωθενοῦν, ἀδιάφορον γάρ, τῷ πρώτῳ τὴν προτέραν ἔκθεσιν
καθ᾽ ἕκαστον ἐξ ἀρχῆς [10] μηκυντέον
μέχρι τις θέλει, εἶτα τῷ δευτέρῳ πάλιν τοὺς
αὐτοὺς καὶ μετὰ ταῦτα τῷ τρίτῳ, εἶτα πάλιν τῷ τετάρτῳ, καὶ ἐπ’ ἄπειρον. ἐὰν μὲν γὰρ τοῖς τοῦ ἅπαξ διαιρετοῦ
γνώμοσιν οἱ τοῦ ἑτέρου πολυπλασιασθῶσι,
γενήσονται πρῶτον μὲν ὀγδοάδι ἀλλήλων
διαφέροντες, διπλάσιοι ἀρτιοπερίσσων,!2 ἐπὶ πλάτος! περισσάρτιοι εὔτακτοι «ἀπ᾽»:4 εὐτάκτων. εἶτ᾽
ἀπ᾿ ἄλλης ἀρχῆς οἱ αὐτῶν τούτων
διπλάσιοι τῶν ἐξ ἀρχῆς τετραπλάσιοι, τετραπλασίᾳ πρὸς ἐκείνους χρώμενοι διαφορᾷ, πρὸς δὲ τοὺς
πρὸ αὐτῶν ἀναγ- καΐως διπλασίᾳ, καὶ
τοῦτο δι᾽ ὅλου [20] ἀναλόγως καὶ τοῦ μήκους
12 ἀρτιοιπερίσσων ho corretto io secondo una congettura di Pistelli
(cf. appar. ad loc.): ἄρτιοι περισσῶν. 13 ἐπὶ πλάτος congetturò giustamente
Pistelli in Add. et Corr. p. VII: ἐπί-
πλαστος. ὶ 14 congetturò si
dovesse aggiungere Pistelli confrontando p. 45,19 infra. INTRODUZIONE ALL'ARITMETICA DI NICOMACO
665 dispari, sarà sia
parimente-dispari che disparimente-pari», che è evi- dentemente lo stesso discorso di prima. Poi
aggiunge: «Se un nume- ro pari né ha la
metà dispari né è tra quelli che sono raddoppiati dal- l’unità, allora esso è parimente-pari e
parimente-dispari, che è lo stes- so che
il disparimente-pari».!36 Questo è quello che dice Euclide. Ma noi dobbiamo dire piuttosto che la terza
specie del numero pari!?7 è modellato e
formato in comune dagli altri due, di cui quindi possie- de le proprietà. Esso è dunque, anche nella
definizione, un misto degli altri due:
infatti lo stesso numero è misurato dal pari un nume- ro di volte pari e dispari, e queste due
proprietà non appartengono a nessuno dei
due numeri precedenti contemporaneamente, bensi sol- tanto l’una o l’altra all’uno o all’altro. La
proprietà di potere essere diviso più di
una volta gli proviene dal parimente-pari, mentre quel- la di non potere essere diviso a metà fino
all’ 1 gli proviene dal pari- dispari; e
d’altra parte, la proprietà di avere nomi delle parti in con- trasto con le potenze lo accomuna al
secondo,!38 mentre la proprietà di avere
contemporaneamente parti e potenze!3 dello stesso nome non lo allontana dal primo0,!49 e poiché si
può dividere più di una sola volta a
partire dal suo estremo maggiore,!4! allora da un lato si avvi- cina a quello [25] che si può dividere fino
all’ 1,142 ma dall’altro lato si
allontana da quello che si può dividere a metà una sola volta;!43 ma poiché fino al suo estremo minore! esso si
può dividere in più di una sola parte,
allora, in questo si allontana da quest’ultimo,145 men- tre si avvicina al suo contrario.!46 Esso
dunque si genera per mesco- lanza di
ambedue. Infatti si espongano su una linea tutti i gnomoni del pari-dispari in successione a partire dal
3, e quelli del parimente- pari in sé e
per sé ordinatamente a partire dal 4, e partendo da una qualsiasi delle due linee, perché è
indifferente, col primo numero si crei
la prima esposizione dei singoli numeri dal principio finché si vuole,!47 poi si crei una seconda esposizione
col secondo numero, e quindi col terzo,
e poi ancora col quarto e cosî all'infinito. Se infatti si moltiplicano i gnomoni del parimente-pari
per i gnomoni del divi- sibile una sola
volta,148 nasceranno nella prima colonna!‘ dei nume- ri che differiscono tra loro di 8 unità, che
sono doppi di pari-dispa- ri,50 e cioè
dispari-pari bene ordinati in larghezza!51 secondo l’ordi- ne di quelli. Poi nasceranno su una seconda
colonna i doppi di que- sti stessi, e
quindi i quadrupli di quelli iniziali, in quanto hanno una 666 GIAMBLICO ὑποφαινομένου. ἐὰν δὲ ἔμπαλιν τοῖς τοῦ
ἀρτιάκις ἀρτίου οἱ τοῦ ἀρτιοπερίσσου, τὰ
μὲν αὐτὰ συμβήσεται, μεταστήσεται δὲ εἰς
ἄλληλα τὸ μῆκος καὶ τὸ πλάτος, ὡς ἐν ἀμοιβῇ. ἵνα μέντοι προδηλό- τερον ἠγνοηκὼς ὁ Εὐκλείδης ταῦτα φανῇ, [26
Ἱπαρατηρητέον καὶ κατὰ τὰς ἐπὶ πλέον
ἐκθέσεις ἔν τε μήκει καὶ πλάτει τὰ ἀμφοτέροις
ἐκείνοις συμβεβηκότα ἅμα τούτῳ ὑπάρχοντα μόνῳ ὡς ἂν μίγματι αὐτῶν: τῇ γὰρ γεωμετρικῇ ἀναλογίᾳ χρήσεται ὡς
ὁ ἀρτιάκις ἄρτιος τὸ ὑπὸ ποιῶν τῶν ἄκρων
ἴσον τῷ ἀπὸ τοῦ μέσου ἢ ὑπὸ τῶν μέσων
παρὰ τὴν τῆς ἐκθέσεως ποσότητα, τῇ δὲ ἀριθμητικῇ ἴσα συναμφότε- ρα τὰ περιέχοντα τὸ μέσον ἢ τὰ μέσα ἀποτελῶν,
ἢ δὶς τῷ ἑνὶ ἢ ἅπαξ τοῖς δυσίν. οὕτως ἐν
ἅπασι κοινῶς ἀμφοῖν καὶ ὡσανεὶ ἔκγονος [10]
οὗτος δείκνυται, ἀντικειμένων ἀλλήλοις τῶν προελθόντων τοῦ ἀρτίου εἰδῶν, οὐ πάντῃ διαφέρων ἑκατέρου οὔτε
πάντῃ ὁ αὐτὸς ὦν. εὐθυντέον δὴ τοὺς
Εὐκλείδου ὅρους καὶ λεκτέον ὅτι ὁ μόνον ὑπ᾽
ἀρτίου περισσάκις ἀρτιοπέρισσος, ὁ δ᾽ οὐδέποτε μόνον θάτερον ἀλλ᾽ ἀμφότερα ἐξ ἀνάγκης ἀεὶ ἔχων ὅπερ
οὐδέτερος ἐκείνων «πε- ρισσάρτιος, ἀρμφοτέρου
δὲ ἅμα κρᾶμα εὐλόγως ἀμφοτέρων τῇ τοῦ
λοιποῦ μετοχῇ τοῦ ἑτέρου ἀφιστάμενος.
Τοῦ δὲ περισσοῦ ἀριθμοῦ πάλιν καθ᾽ ὑποδιαίρεσιν τὸ μέν ἐστι πρῶτον καὶ ἀσύνθετον τὸ δὲ δεύτερον [20] καὶ
σύνθετον, καὶ ἄλλως τὸ μὲν καθ᾽ αὑτὸ
πρῶτον, ὃ δὴ καὶ εὐθὺς πρὸς ἄλλο πρῶτον καὶ ἀσύ- νθετόν ἐστι, τὸ δὲ καθ᾽ αὑτὸ δεύτερον, ὃ οὐκ
ἀνάγκη καὶ πρὸς ἄλλο εἶναι δεύτερον,
ἀλλ᾽ αὐτοῦ τούτου τὸ μὲν πρὸς ἄλλο πρῶτον. τὸ δὲ καὶ καθ᾽ a vid! ἔσται δεύτερον καὶ σύνθετον.
πρῶτος μὲν οὖν καὶ ἀσύνθετος ἀριθμός
ἐστι περισσὸς ὃς ὑπὸ μόνης μονάδος [27]
πληρούντως μετρεῖται, οὐκέτι δὲ καὶ ὑπ᾽ ἄλλου τινὸς μέρους, καὶ ἐπὶ μίαν δὲ διάστασιν προβήσεται ὁ τοιοῦτος.
διὰ τοῦτο δὲ αὐτὸν καὶ εὐθυμετρικόν
τινες καλοῦσι, Θυμαρίδας δὲ καὶ εὐθυγραμμι-
κόν᾽ ἀπλατὴς γὰρ ἐν τῇ ἐκθέσει ἐφ᾽ ἕν μόνον διιστάμενος. ἴδιον δ᾽ αὐτοῦ τὸ μὴ ἔχειν μέρος ὅτι μὴ μόνον τὸ
παρώνυμον αὐτῷ, οὗ μέγε- θος ἐξ ἀνάγκης
μονάς. πρῶτος δὲ καλεῖται οὐ μόνον ὅτι μέτρον αὖ- τοῦ μονὰς μόνη ἄλλος δὲ οὐδεὶς ἀριθμός
(πρωτίστη δὲ καὶ στοιχεῖον 15 καθ᾽
αὑτὸ ho congetturato io confrontando Nicom. Aritbw. intr. 26, 7-8 Hoche: πρὸς ἄλλο Pistelli. C£. p. 28,105.
infra. Per una esposizione chia- ra di
questa variante della seconda specie di dispari, cf. Philop., In Nicom. 1 96 = G.R. Giardina, Giovanni Filopono, etc.
1999, pp. 142 e 323-5. INTRODUZIONE
ALL’ARITMETICA DI NICOMACO 667
differenza quadrupla rispetto a questi ultimi, e necessariamente
una differenza duplice rispetto ai
precedenti, e questo accade in propor-
zione per tutta la lunghezza che si è creata.!52 Se poi si invertono
di posizione i gnomoni del pari-dispari
con quelli del parimente-pari, allora
accadranno le stesse cose, ma la lunghezza e la larghezza si scambieranno di posto tra loro. Perché appaia
più chiaro che Euclide ignora tali cose,
[26] bisogna indagare anche secondo ulteriori espo- sizioni quali proprietà acquistino ambedue
quelle serie di numeri disposti insieme
in lunghezza e in larghezza per il solo fatto di mesco- larsi: se infatti il parimente-pari sarà
esposto in proporzione geome- trica, il
prodotto degli estremi sarà uguale al prodotto del medio con se stesso 0 dei medi tra loro, per tutta la
quantità dell’estensione; se invece sarà
esposto in proporzione aritmetica, la somma degli estre- mi che contengono un medio sarà uguale al
doppio del medio, o alla somma dei medi,
cioè o al doppio del medio o ai due medi presi una volta. Cosî quando le due forme opposte del
pari! procedono di conserva, quella del
dispari-pari appare come figlia di tutte e due, in quanto l’una non è del tutto diversa
dall’altra, né del tutto uguale. Bisogna
correggere allora le definizioni di Euclide e dire che il pari- dispari è solo quello misurato dal pari in
modo dispari, e che il dispa- ri-pari
non ha mai solo l’uno o l’altro, ma necessariamente ambedue, in quanto non è l’uno o l’altro dei due, ma
essendo di diritto mesco- lanza dell’uno
e dell’altro, si separa dall’uno in virtù della partecipa- zione all’altro. Il numero dispari, a sua volta, si suddivide
in queste specie: il dispari che è primo
e non-composto, il dispari che è secondo e com-
posto, o, detto in altri termini, il dispari primo per sé, ma anche immediatamente primo e non-composto per
altro, e il dispari secon- do per sé, ma
che non necessariamente è anche secondo per altro, ma di quest’ultimo ci sarà il dispari primo per
altro, ma anche secondo e composto per
altro. Primo e non-composto è dunque il numero
dispari che è misurato [27] pienamente dalla sola unità, e non pure da qualche altra parte, e come tale procederà
a una sola dimensione. Perciò alcuni lo
chiamano anche “lineare”,154 ma Timarida lo chiama “rettilineo”: privo di larghezza, infatti,
esso si estende solo in una sola
dimensione. Sua caratteristica è di non avere parte che non sia
solo sua paronima, la cui grandezza sarà
necessariamente l’unità. Viene 668
GIAMBLICO ἀριθμοῦ ἡ [10] μονάς), ἀλλὰ
καὶ ὅτι οὐδεὶς πρὸ αὐτοῦ δύναται ἀριθ-
μὸς θεωρηθῆναι, μονάδων γε ὧν σύστημα, οὗ αὐτὸς ἔσται πολυπλά- σιος, ἀλλὰ πρῶτον δῆλον ὅτι ἑαυτὸν παρέξει
εἰς τὸ ἄλλους τινὰς αὐτοῦ πολυπλασίους
γενέσθαι ἀσύνθετος δὲ ὅτι οὐκ ἂν λυθείη εἰς
ἀριθμοὺς ἀλλήλοις ἴσους, ἐξ οὗ δῆλον ὅτι οὐδὲ συνετέθη ἐκ τοιούτων.
Δεύτερος δὲ καὶ σύνθετος ὁ τἀναντία τῷ λεχθέντι ἔχων μέρος τε παρὲξ τοῦ παρωνύμου ἢ ἕν ἢ πλέονα, μέτρον τε
παρὰ τὴν μονάδα τὸν αὐτὸν τρόπον ἢ ἕν ἢ
πλέονα. ὁ δὲ τοιοῦτος πρὸς τῷ γραμμικῶς [20]
εὐθυμετρεῖσθαι ἔτι καὶ ἐπιπεδωθήσεται ἤτοι γε τετραγωνικῶς ἐὰν ἕν ἔχῃ μέρος παρὲξ τοῦ παρωνύμου, ἢ
παραλληλογράμμως ἐὰν ἐκ παντὸς δύο ἀνθυπακούοντα
ἀλλήλοις ἔχῃ μέρη παρὰ τὴν τῶν πλευρῶν
διαφοράν, πλείονα δ᾽ ἂν ἐπ᾽ ἀμφοτέρων εὑρεθείη πολυπλα- σίου, περισσάκις γενομένης τῆς ἐκθέσεως ἕως
τῶν ἐξ ἀρχῆς. [28] καλεῖται δὲ δεύτερος
μὲν ὅτι καὶ δευτέρῳ τινὶ μέτρῳ ἢ καὶ πλείο-
σι παρὰ τὴν μονάδα χρᾶται, καὶ ἐν πολυπλασίοις οὐδέποτε πρῶτος ἀλλὰ μετὰ πρῶτον ἢ πρώτους ἀνάλογον τάσσεται
σύνθετος δὲ ὅτι καὶ εἰς ἀριθμοὺς ἴσους
οἷός τέ ἐστι λύεσθαι, ἐξ οὗ φανερὸν ὅτι καὶ
συνετέθη ἐκ τοιούτων. "An
ἄλλης δὲ ἀρχῆς τοῦ δευτέρου εἴδους τὸ μὲν καὶ καθ᾽ ἑαυτὸ καὶ πρὸς ἄλλο δεύτερον καὶ σύνθετόν ἐστι ὡς
θ΄ πρὸς τε΄ ἢ κα΄, τὸ δὲ καθ᾽ ἑαυτὸ [10]
μὲν δεύτερον πρὸς δὲ ἄλλο πρῶτον ὡς τὰ θ΄ πρὸς
τὰ κε΄ ἢ λε΄. ἑτέροις μὲν γὰρ καθ᾽ ἑαυτοὺς οὗτοι μέτροις ἄνευ τῆς μονάδος χρῶνται, πρὸς δὲ ἀλλήλους μόνῃ ταύτῃ.
παραιτητέοι δὲ οἱ λέγοντες ἀνάπαλιν
εἶναί τινα καθ᾽ ἑαυτὸν πρῶτον καὶ ἀσύνθετον
πρὸς δὲ ἄλλον δεύτερον καὶ σύνθετον ἐξαπατῶνται γὰρ τὸ μέτρον αὐτὸ τῷ μετρουμένῳ συγκρίνοντες, καὶ οὐχ
ὁρῶσιν ὅτι κοινὸν δεῖ μέτρον ἄλλο παρὰ
τὴν μονάδα καὶ παρ᾽ ἀμφοτέρους ἔχειν. εἴ τινι
συμβήσεται πρὸς ἄλλον, οὗτος καὶ καθ᾽ ἑαυτὸν ὧν δεύτερος ἔσται καὶ πρὸς ἄλλον [20] δεύτερος. δυνατὸν δὲ ἐκ
τῶν ἐναντίων καθ᾽ ἑαυτὸν ἔχοντα δευτέρως
πρὸς ἄλλον μὴ ἔχειν. ἐὰν δὲ δύο τυχόντες
περισσοὶ προβληθῶσιν εἰς διάγνωσιν τοῦ πότερον πρῶτοι πρὸς ἀλλήλους ἢ δεύτεροί εἰσι, καὶ εἰ δεύτεροι τί
κοινὸν αὐτῶν μέτρον, ἀνθυφελοῦμεν ἀεὶ
τὸν ἐλάττονα ἀπὸ τοῦ μείζονος ὁσάκις δυνατὸν
καὶ τὸ λεῖπον ἀπὸ τοῦ ἐξ ἀρχῆς ἐλάσσονος καὶ ὁμοίως ἀεί, μέχρις INTRODUZIONE ALL’ARITMETICA DI NICOMACO
669 chiamato “primo” non solo perché
la sua sola misura è l’ 1 e nessun altro
numero (l’ 1 è numero assolutamente primo ed è elemento del numero), ma anche perché non si può pensare
prima di esso alcun altro numero di cui
esso sia multiplo, essendo ogni numero composi-
zione di unità, ma è chiaro che è chiamato “primo” perché genera da sé altri numeri che sono suoi multipli; viene
chiamato “non-compo- sto” perché non si
può sciogliere in numeri uguali tra loro, donde è chiaro che non è affatto composto di tali
numeri. “Secondo e composto” è il
numero che, contrariamente a quello di
cui si è detto, ha una o più parti oltre alla sua paronima, e allo stes- so modo di quello ha una o più misure oltre
all’unità. Tale tipo di dispari è
misurabile in linea retta, ma è anche riducibile a superficie, o a un quadrato, nel caso che abbia una sola
parte oltre alla paroni- ma, o a un
parallelogramma nel caso che abbia due parti del tutto corrispondenti tra loro, a parte la
differenza dei lati. Si possono tro-
vare più multipli da ambedue i lati, quando si fa un'esposizione dispari fino ai numeri iniziali. [28] Viene
chiamato “secondo” per- ché si serve di
una seconda misura o più misure, oltre all’unità, e non è mai primo tra i multipli, ma è ordinato in
proporzione dopo il primo o i primi
multipli; è chiamato “composto” perché è capace di sciogliersi in numeri uguali, donde è chiaro
che è anche composto di tali
numeri. Da un altro punto di partenza,
la seconda specie di dispari! si divide
nel dispari che è secondo e composto per sé e per altro, come 9 rispetto a 15 o 21,15 e nel dispari che è
secondo per sé ma primo per altro, come
9 rispetto a 25 ο 35.157 Questi dispari, infatti, si servo- no rispetto a sé di misure diverse, tolta
l’unità, mentre l’uno rispetto all’altro
si servono solo dell’unità.!58 Non bisogna dare ascolto a colo- ro che dicono il contrario, cioè che ci sia
un numero primo e sempli- ce per sé, e
secondo e composto per altro: essi infatti si ingannano perché confrontano la stessa misura con ciò
che da essa è misurato, e non vedono che
oltre all'unità devono avere un’altra misura che sia comune per entrambi i numeri. Se a un dispari
capiterà di essere secondo per altro,
esso lo sarà e per sé e per altro. È possibile al con- trario che quelli che sono secondi per sé non
lo siano anche per altro. Se due numeri
dispari saranno sottoposti ad esame per sapere se sono tra di loro primi o secondi, e, nel caso che
risultino secondi, quale 670
GIAMBLICO ἂν ἤτοι εἰς μονάδα ἡ
κατάληξις γένηται ἢ [29] εἴς τινα ἄλλον ἀριθ-
μόν, ἀφ᾽ οὗ οὐκέτ᾽ ἀφαιρεῖν οἷόν τε, καὶ οὗτος κοινὸν ἂν εἴη μέτρον τῶν ἐξ ἀρχῆς, οἵπερ δεύτεροι πρὸς ἀλλήλους
λεχθήσονται, ὡς ιε΄ καὶ λε΄" κοινὸν
γὰρ αὐτῶν μέτρον ἡ πεντάς. ἡ δὲ μονὰς πρώτους αὐ- τοὺς πρὸς ἀλλήλους καὶ ἀσυνθέτους ἀποφαίνει,
ὅταν εἰς αὐτὴν ἡ κατάληξις γίνηται᾽
τοιούτων γὰρ κοινὸν μέτρον αὕτη μόνη.
Ἵνα δὲ τάξει πάντας ἡμεῖς τοὺς δευτέρους καὶ συνθέτους καθ᾽ ἑαυτούς τε καὶ πρὸς ἀλλήλους εἰδῶμεν [10]
γεννᾶν, καὶ μέτρα αὐτῶν καὶ τὰ
ἀντιπαρονομαζόμενα μέρη ὅσα ἂν ἦ, ἔφοδον τοιαύτην τιν᾽ ἰστέον, ἥτις ὡσανεὶ κόσκινον τοὺς μὲν
τοιούτους ἐντὸς τοῦ λό- γου καθέξει,
τοὺς δὲ λοιποὺς, δηλονότι πρώτους καὶ ἀσυνθέτους, ὥσπερ ἐκβόλους ἀποχωρίσει. στοιχηδὸν
εὐτάκτους τοὺς ἀπὸ τριά- δος περισσοὺς
ἐφεξῆς ὡς ὅτι μάλιστα ἐπὶ μήκιστον ἐκθοῦ, καὶ τῷ πρώτῳ πειρώμενος μετρεῖν πληρούντως τῶν
ἐφεξῆς δυνήσῃ τοὺς δύο μέσους
παραλιπόντας ἐπ᾽ ἄπειρον, τῷ δὲ δευτέρῳ τοὺς τέσσαρας μέ- σοῦυς διαλείποντας, τῷ δὲ τρίτῳ τοὺς [20] ἕξ
καὶ τετάρτῳ τοὺς ὀκτὼ καὶ ἁπλῶς ἑκάστῳ
τοὺς διπλασίους τῆς ἑαυτοῦ τάξεως διαλείπον-
τας. ἐκ δὴ τούτου φανερὸν ὅτι ἕκαστος κατὰ τὸ ἑαυτοῦ ὄνομα τοὺς παρωνύμως ἀφεστῶτας μετρήσει, ὡς ὁ γ΄ δύο
ὑπερβὰς τρίτους ἀεί, καὶ τοῦτο
ἀκολούθως. ἀλλ᾽ ὁ μὲν πρῶτος κατὰ τὸ ἑαυτοῦ μέγεθος τρὶς τὸν μετ᾽ αὐτὸν πρώτως μετρούμενον
μετρήσει, τὸν δὲ μετ᾽ ἐκεῖνον πεντάκις
κατὰ τὸ τοῦ ἑξῆς μέγεθος, τὸν δὲ ἐκείνῳ ἐφεξῆς
κατὰ τὸ τοῦ τρίτου, καὶ τοῦτο δι᾿ ὅλου παραπλησίως; [30] ὁ δὲ δεύ- τερος μεταλαβὼν τὸ τοιοῦτον τὸν μὲν ἀπ᾽ αὐτοῦ
πέμπτον τῷ τοῦ ἔμπροσθεν μεγέθει, τὸν δὲ
ἀπ᾿ αὐτοῦ ἐκείνου πάλιν πέμπτον τῷ
ἑαυτοῦ, τὸν δὲ ἐφεξῆς πάλιν πέμπτον τῷ τοῦ μετ᾽ αὐτὸν καὶ τοῦτο μέχρι παντός, τὸ δ᾽ ὅμοιον καὶ ἐπὶ τῶν
λοιπῶν. καὶ ἡ τοῦ δυνάμει δὲ περισσοῦ
ἔννοια, τουτέστι μονάδος, κἀνταῦθα παραφανήσεται, ὁπόταν ἕκαστος τῶν ἐκκειμένων παραλαβὼν τὸ
μετρεῖν καὶ ἑαυτὸν πολυπλασιάζων
τετράγωνον ποιῇ, ὡς ἀπὸ τοῦ τρὶς τρία ὁ θ΄. ἐν δὲ [10] τοῖς τοιούτοις ἡ ταυτότης, ἥπερ ἐστὶ
παρὰ τὴν μονάδα ὡς ἅπαξ θ΄, ἡ δ᾽
ἑτερότης ἐπὶ παρὰ τὴν δυάδα ἐστὶν εὐλόγως καὶ οἱ ἀπὸ δια- INTRODUZIONE ALL’ARITMETICA DI NICOMACO
671 misura comune essi abbiano, allora
sottrarremo sempre il minore dal
maggiore quante volte sarà possibile, e sottrarremo il resto finale dal minore iniziale e sempre allo stesso modo,!9
fino a che non si otten- ga o il numero
1 o [29] un altro.numero, da cui non sia più possibile fare la sottrazione, e questo numero sarà la
misura comune dei nume- ri iniziali, i
quali saranno detti secondi tra loro, come 15 e 35; loro comune misura è infatti 5.160 1 1 invece,
quando il calcolo si conclu- de con
essa, mostra che i numeri sono tra loro primi e non-composîti: di tali numeri infatti l’ 1 è l’unica misura
comune. Affinché noi vediamo generarsi
nell’ordine tutti i numeri che siano secondi
e composti per sé e tra loro, e quante siano le loro misure e le parti antiparonime, dobbiamo conoscere un
procedimento tale che come un crivello
trattenga questi numeri che si trovino entro questo rapporto e scarti tutti gli altri, cioè i
numeri primi e non-composti. Esponi in
fila i numeri dispari a cominciare dal 3, scrivendoli in ordi- ne di successione nella massima lunghezza
possibile, e cercherai di misurare
pienamente quelli che in successione all’infinito lasciano due posti tra loro cominciando dal primo, quattro
posti cominciando dal secondo, sei posti
dal terzo, otto posti dal quarto, e, per dirla in breve, quelli che lasciano tra loro il doppio dei
posti rispetto a quello che occupa
ciascun numero di partenza. Da questo risulta chiaro che cia- scun numero misurerà secondo il suo proprio
nome i numeri che paronimamente se ne
distanziano,!9! come ad esempio il 3 che ne salta due misurerà sempre i terzi, e cosî di
seguito. Ma il primo numero [3] misurerà
quello che è misurato per primo! tre volte secondo la sua propria grandezza [3], il successivo [15] lo
misurerà cinque volte secondo la
grandezza del secondo [5], il successivo ancora [21] lo misurerà <sette volte> secondo la
grandezza del terzo [7], e cosi tutti
gli altri allo stesso modo; [30] il secondo numero, riprendendo lo stes- so criterio,!6 misurerà il quinto dopo di lui
[15] secondo la grandez- za che lo
precede [3], e ancora il quinto successivo [25] secondo la sua propria grandezza [5], e ancora il quinto
successivo [35] secondo la grandezza
successiva [7], e questo fino alla fine, per tutti gli altri numeri allo stesso modo. Anche la nozione del
numero dispari in potenza, cioè dell’ 1,
a questo punto si rivelerà quando ciascun nume-
ro esposto che riceve la misura, moltiplicandosi per se stesso
diverrà un quadrato, come il 9 che nasce
da 3x3. In tali numeri c’è da un lato
672 GIAMBLICO φόρων ἀριθμῶν
ἀλλήλους πολυπλασιασάντων γενόμενοι διαφόρους
καὶ τὰς πλευρὰς ἕξουσιν ἀντιφωνούσας κατὰ τὰ τῶν γνωμόνων μεγέθη, καὶ ὁ τοιοῦτος προμήκης κεκλήσεται.
τοῦ σαφοῦς δὲ ἕνεκα τὸ μὲν ποσάκις
μετρεῖν αὐτοὺς!ό κατὰ τὴν τῶν ἀπὸ τριάδος ἐπ᾽ ἄπει- ρον περισσῶν ἔκθεσιν φανήσεται, τὸ δὲ πόσους
διαλείποντας κατὰ τὴν τῶν ἀπὸ δυάδος
ἀρτίων (σύμβολον καὶ τοῦτο τῆς τῶν δύο εἰδῶν
τοῦ [20] ἀριθμοῦ ἀιδιότητός τε καὶ φιλαλληλίας, εἰ καὶ ἐναντία δοκεῖ καθάπερ δεξιὰ ἀριστερῷ καὶ ὁμοίως
συλληπτικὰ ἀλλήλοις) ἢ νὴ Δία κατὰ τὴν
«τῆς χώρας ἑκάστου διπλασίασιν, καθ᾽ ἣν ὁ μετρῶν τέτακται. οἱ μὲν οὖν ὑπὸ τῶν μετρήσεων τούτων
σημανθέντες δεύτε- por δηλονότι καὶ
σύνθετοι, κοινὸν δ᾽ αὐτῶν μέτρον τὸ ἐπελθὸν αὖ-
τοῖς" οἱ δὲ παραλειπόμενοι ὥσπερ τὰ διὰ κοσκίνου ἔκβολα πρῶτοι καὶ ἀσύνθετοι. κἀνταῦθα δὲ ὁ Εὐκλείδης
προδηλότατον ἁμάρτημα πάσχει τὴν δυάδα
[31] τῶν πρώτων καὶ ἀσυνθέτων οἰόμενος εἶναι,
ἐπεὶ μονάδι μόνῃ μέτρῳ χρῆται. ἐκλελησμένος ὅτι ἡ μὲν τοῦ ἀρτίου εἴδους ἐστίν, ὅτι μέντοι περισσοειδὴς ἑνοῖ
δυνάμει!7 τοὺς λόγους τῶν ὁμογενῶν
ἀρτιάκις ἀρτίων καὶ ἀρτιοπερίσσων τρόπῳ σπερμα-
τικῷ, καθάπερ ἡ μονὰς ἁπάντων ἁπλῶς᾽ οἱ δὲ πρῶτοι καὶ ἀσύνθετοι καθ᾽ ὑποδιαίρεσιν τοῦ περισσοῦ εἴδους μόνου
ὥφθησαν, ἀλλ᾽ οὐ καὶ τοῦ ἀρτίου. ἔτερον
γοῦν ἄρτιον οὐκ ἂν δύναιτο προχειρίσαι οὐδὲ
ἐπιταθεὶς «διὰ τὸ οὕτω»!}8 φύσει τοῦ [10] τοιούτου ἀπηλλάχθαι θάτερον τοῦ ἀριθμοῦ εἶδος, ὥςπερ καὶ τὸ
λοιπὸν τῶν αὐτοῦ ὑποδιαιρέσεων ἀρτιάκις
ἀρτίου τε καὶ ἀρτιοπερίσσου καὶ περισ-
σαρτίου. ἀλλὰ καὶ αὐτὴ ἡ δυὰς ὡς ἂν στοιχειώδης οὖσα καὶ σπερ- ματικὴ οὐ μετέχει τρανῶς τῶν ὑποδιαιρέσεων
τούτων καίτοι τούτου τοῦ γένους ἄρχουσα
αὐτοῖς, καθάπερ ἀμέλει καὶ ἐπὶ ἄλλων αἱ
ἀρχαὶ πολλῶν οὐ μετέχουσιν ὧν ἐξ ἀνάγκης τοῖς συγκρίμασι μέτε- στιν, ὥσπερ σημείῳ τὰ γραμμῇ συμβεβηκότα οὐκ
ἐνθεωρεῖται καὶ τὰ διαστήματι φθόγγῳ καὶ
τὰ ἀναλογίᾳ λόγῳ καὶ τὰ [20] σωματικὰ
ὕλῃ καὶ εἴδει καὶ τὰ πολλῶν ἑτέρων συστημάτων φαρμάκων τε καὶ μιγμάτων ἑκάστων προέχει «τῶν» στοιχείων. Πάλιν δὲ ἐξ ὑπαρχῆς τοῦ ἀρτίου ἀριθμοῦ καθ᾽
ἑαυτὸν καὶ παν- τάπασιν ἀπηλλαγμένου τῆς
πρὸς τὸν περισσὸν κἀνταῦθα ἐπιπλοκῆς
16 αὐτοὺς Tennulius: αὐτοῖς. 17
ὅτι μέντοι περισσοειδὴς ἑνοῖ δυνάμει congetturò Heiberg (cf. Add. et Corr. p. VII): ὅτι μέντοι περισσοειδὴς ἵνα
δυνάμει Pistelli. 18 l'integrazione è
di Heiberg (cf. Add. et Corr. p. VII.
INTRODUZIONE ALL’ARITMETICA DI NICOMACO 673 l'identità in virtà dell’ 1, come 9x1, e
dall’altro lato l’alterità in virtà
naturalmente del 2,164 e i numeri che nascono da numeri diversi che
si moltiplicano tra loro avranno diversi
anche i lati che avranno nomi opposti
secondo le grandezze dei gnomoni, e tale numero verrà chia- mato “promeche”. Per dirla in modo chiaro, la
quantità di volte che essi misurano
apparirà secondo l’esposizione dei numeri dispari dal 3 all'infinito, mentre la quantità dei posti
che saltano apparirà secondo
l'esposizione dei numeri pari a partire dal 2 (segno anche questo
del- l'eternità e dell'amore reciproco
delle due specie di numero, che sep-
pure contrari si rivelano come destra e sinistra e parimenti
compren- sibili l'uno con l’altro), o in
verità secondo la duplicazione del campo
in base al quale il numero misurante è ordinato. Dunque i numeri
che sono segnati in corrispondenza di
queste misure sono evidentemente secondi
e composti, e la loro misura comune è quella che si è già mostrata; i rimanenti numeri,!6 in quanto
costituiscono lo scarto del crivello,
sono invece primi e non-composti. E qui Euclide commette un errore evidentissimo quando ritiene che il
2 è [31] uno dei nume- ri primi e
non-composti, perché ha come misura soltanto l’unità, dimenticando che il 2 è di specie pari, e che
tuttavia, essendo affine al dispari,
unisce in potenza i principi dei numeri omogenei parimente- pari e pari-dispari e ne è come il fattore
generativo, cosî come l’ 1 lo è di tutti
i numeri in assoluto; i numeri primi e non-composti, invece, sono apparsi secondo la suddivisione della
sola specie dispari, e non pure di
quella pari. Nessuno dei due tipi di numero pari,!66 dunque, potrà dare un numero che non venga
accresciuto cosî da cambiare per natura
da un tipo di numero pari all’altro, come non potrà dare nep- pure il resto delle sue suddivisioni,
parimente-pari e pari-dispari e
dispari-pari. Ma anche il 2 come tale, come numero cioè in qualche modo elementare e di natura seminale, non
partecipa certamente di tali
suddivisioni, sebbene sia all’origine di quelle di specie pari,!6? come accade ad esempio anche in altri casi,
quando i principi non par- tecipano di
molte cose con le cui composizioni essi hanno necessaria- mente a che vedere, come ad esempio non si
vedono nel punto le pro- prietà della
linea o nel semplice suono quelle dell’intervallo musicale o nel semplice rapporto quelle della
proporzione o nella materia e nella
forma quelle degli enti corporei, e anche le proprietà di molte altre composizioni di misture farmaceutiche
superano i loro singoli elementi. 674 GIAMBLICO τὸ μέν ἐστιν ὑπερτελὲς τὸ δὲ ἐλλιπὲς
ἐναντία ἀλλήλοις, κοινὸν δ᾽ [32] αὐτῶν
καὶ οἱονεὶ μεσότης τὸ λεγόμενον τέλειον διαφέρον κατά τι ἀμφοῖν καὶ πάλιν ἀμφοῖν κατά τι μετέχον.
ὑπερτελὲς μὲν οὖν ἐστιν ὅταν ἄρτιος
ἀριθμὸς πάντα τὰ αὑτοῦ μέρη συντεθέντα πλείο-
νὰ ἀποδίδωσιν αὐτοῦ καὶ ὑπερπαίοντα τῇ ποσότητι᾽ διὰ τοῦτο γὰρ καὶ οὕτως ὠνόμασται, ὡς πλημμελής τις ὧν καὶ
πλεομελὴς καὶ πλεο- νέκτης, τεταγμένος
ἐν τῷ οἷον ἀδικεῖν καὶ πλέον τι τοῦ ἐπιβάλλον-
τος αὐτῷ ἔχειν, ὡς εἴ τινι πλέονες δάκτυλοι ἐν μιᾷ χειρὶ ἢ ἐν [10] ποδὶ εἶεν. ἐλλιπὲς δὲ ὅταν ὁμοίως ἄρτιος
ἀριθμὸς τοῖς ἑαυτοῦ πᾶσι μέρεσι
συντεθεῖσι συγκρινόμενος μείζων φαίνηται, τὰ δὲ μέρη ἐλάττονα ἑαυτοῦ ποιῇ, διὸ καὶ οὕτως
ὠνόμασται, ἐστερημένος μερῶν τῶν εἰς
συμπλήρωσιν αὐτοῦ προσηκόντων ὡσανεὶ πλεονεκ-
τούμενός τις ἐν τῷ ἀδικεῖσθαι καὶ μὴ ἀπειληφέναι τὰ ἴδια, ὡς εἴ τις ἄγλωσσος εἴη ἢ μονόχειρ. ὑπόδειγμα τοῦ μὲν
προτέρου ὅ τε ιβ΄ καὶ οἱ τούτου ἐπ᾽
ἄπειρον πολυπλάσιοι καὶ ὁ im καὶ ὁ κ΄ καὶ ἄλλοι πολ- λοὶ τοιοῦτοι, τοῦ δὲ δευτέρου ὅ τε η΄ καὶ ὁ
ι΄ καὶ ὁ ιδ΄ καὶ οἱ ὅμοιοι. [20]
Τέλειον δέ ἐστιν ὃ τούτων μέσον θεωρεῖται καὶ οὔτε πλέο- va ὡς τὸ ὑπερτελὲς οὔτε ἐλάσσονα ὡς τὸ
ἐλλιπὲς τὰ μέρη ἑαυτοῦ συντεθέντα ἔχει,
ἀλλὰ τὰ ἀνὰ μέσον τοῦ τε μείζονος καὶ τοῦ ἐλάσ-
σονος, ὅπερ ἐστὶν ἴσα, ὡς ἂν δικαιότητί τινι καὶ τῶν ἰδίων καὶ προ- σηκόντων ἀπολήψει. συνάδει δὲ τὰ τοιαῦτα [33]
παραδείγματα τῷ τὰς ἀρετὰς ὀρθῶς
νομίζεσθαι μετριότητάς τινας καὶ μεσότητας
ὑπερβολῆς καὶ ἐλλείψεως, ἀλλ᾽ οὐκ ἀκρότητας, ὥς τινες ὑπέλαβον εἶναι, καὶ ἀντικεῖσθαι μὲν κακὸν κακῷ,
συναμφότερα δ᾽ ἑνὶ ἀγαθῷ, ἀγαθὸν δὲ
ἀγαθῷ μηκέτι, ἀλλὰ δυσὶν ἅμα κακοῖς, ὥσπερ δειλίαν θρασύτητι ὧν κοινὸν ἀνανδρία συναμφότερα δὲ
ἀνδρείᾳ, καὶ πανουργίαν ἠλιθιότητι ὧν
κοινὸν ἀφροσύνη συναμφότερα δὲ φρον-
ήσει, καὶ ἀσωτίαν φιλαργυρίᾳ ὧν κοινὸν ἀνελευθερία συναμφότε- ρα [10] δὲ ἐλευθεριότητι, καὶ κατάπληξιν
ἀναισχυντίᾳ ὧν κοινὸν INTRODUZIONE
ALL’ARITMETICA DI NICOMACO 675 Ma
infine, ancora, del pari in sé e mancante del tutto dell’affinità al dispari, c'è da un lato il ridondante e
dall’altro lato il deficiente, proprietà
che sono contrarie tra loro, ma c’è anche quello comune [32] a questi due e quasi la loro medietà ed
è 9 cosiddetto perfetto che differisce
in qualche cosa da ambedue e di contro partecipa per qualche cosa di ambedue. Orbene, è ridondante
il numero pari che ha la somma delle sue
parti maggiore di se stesso o che lo supera in
quantità; è per questo infatti che è stato chiamato con questo
nome, come se fosse uno “sregolato” o
uno “che ha delle membra in pit” o un
“accaparratore”, ordinato in modo da commettere ingiustizia o possedere più di quello che gli spetta, come
se qualcuno avesse più di cinque dita in
una sola mano o in un solo piede. Deficiente è invece, secondo lo stesso criterio, il numero pari
che risulta maggiore rispet- to alla
somma di tutte le sue parti, ovvero che ha la somma delle parti minore di se stesso, ed è per questo che
riceve il suo nome, in quan- to cioè è
mancante delle parti che dovrebbe avere per essere comple- to, come uno che è defraudato subendo
ingiustizia e non ricevendo quello che
gli è proprio, come se uno fosse privo della lingua o aves- se una sola mano. Esempi del primo sono 12 e
i multipli di esso all’in- finito, e
ancora 18, 20 e molti altri come questi; esempi del secondo sono invece 8, 10, 14 e simili. Numero perfetto è considerato quello che è
intermedio fra i due e che non ha quindi
la somma delle sue parti né maggiore di sé come
quella del ridondante, né minore come quella del deficiente, ma a metà tra il maggiore e il minore, cioè
uguale, come se ricevesse per un atto di
giustizia ciò che gli è proprio e gli spetta. Tali esempi si accor- dano [33] col fatto che le virti sono
correttamente ritenute giuste misure e
medietà tra eccesso e difetto, e non estremità, come pensa- vano alcuni, e che il male è opposto al male,
e ambedue si oppongo- no ad un unico
bene, e mai un bene si oppone a un bene, ma a due mali contemporaneamente, come la timidezza si
oppone alla temeri- tà, con cui ha in
comune la viltà, e ambedue si oppongono al corag- gio, o come la scaltrezza si oppone alla
stupidità, con cui ha in comu- ne la
stoltezza, e ambedue si oppongono alla prudenza, e come la pro- digalità si oppone all’avarizia, con cui ha
in comune la illiberalità, e ambedue si
oppongono alla liberalità, o come la pudicizia si oppone alla sfrontatezza, con cui ha in comune
l’impudenza, e ambedue si 676
GIAMBLICO ἀναίδεια συναμφότερα δὲ
αἰδοῖ, καὶ ἐπὶ τῶν λοιπῶν ἀρετῶν τε καὶ
ἀστείων ἕξεων τὸ ἀνάλογον τηροῦσιν ἡμῖν ἀναφανήσεται, καθάπερ καὶ ἐπὶ τῆς τοῦ ἀνίσου σχέσεως δειχθήσεται
μειζονότης ἐλαττονό- τητι ὧν κοινὸν
ἀνισότης «συναμφότερα δὲ» τῇ ἰσότητι. τοῦ δὴ οὖν τελείου διὰ τὸ τοιοῦτον ἡ σπανιότης, ὥσπερ
ἀγαθοῦ τινος καὶ οὐχὶ πολύχου ὄντος
κακοῦ, ἕνα μὲν ἐν μονάσιν ἡμῖν μόνον, τουτέστιν
ἐντὸς δεκάδος, ἕνα δὲ μόνον ἐν δεκάσι, τουτέστι πρὸ τοῦ εἰς «ἑκατοντάδα ἐλθεῖν, ἕνα δὲ μόνον ἐν»!}9
ἑκατοντάσιν, [20] καὶ ἕνα μόνον ἐν
χιλιάσι παρέξει φυσικῷ νόμῳ. καὶ εἰ τύχοι ἐν πρώτῳ βαθμῷ μυριάδων ὁμοίως μόνον ἕνα, καὶ ἐν
δευτέρῳ πάλιν ἕνα, καὶ τὸ τοιοῦτον ἐπ᾿
ἄπειρον. ὑπόδειγμα δὲ τούτου ὁ ς΄ καὶ ὁ κη΄ «καὶ ὁ» πυηας΄ καὶ ὁ ηρκη καὶ οἱ ὅμοιοι παρὰ μέρος
εἰς ἐἑξάδα καὶ ὀγδοάδα καταλήγοντες.
γενέσεως δὲ ἔφοδος καὶ αὕτη συστατικὴ τῆς φιλαλ- ληλίας τῶν τοῦ ἀριθμοῦ εἰδῶν καὶ μετὰ
συμπνοίας ἀιδιότητος. τοὺς γὰρ ἀπὸ [34]
μονάδος ἀνάλογον διπλασίους, ὅπερ ἐστὶν ἀρτιάκις ἀρτίους, ἐπισωρεύειν δεῖ καθ᾽ ἕνα ἕκαστον ἀεὶ
καὶ κατὰ ἑκάστου ἀριθμοῦ σωρείαν
ἐπισκοπεῖν. εἰ πρῶτος καὶ ἀσύνθετος ἐκ τῆς ἐπι-
σωρείας γένοιτο, πολυπλασιάσωμεν τὸν γενόμενον τῷ ἐν τῇ συνθέ- σει ὑστάτῳ ληφθέντι᾽ ὁ γὰρ ἀποτελεσθεὶς
τέλειος ἐκ παντὸς ἔσται᾽ εἰ δὲ δεύτερος
καὶ σύνθετος, παραλείπωμεν αὐτόν, ἄλλον δὲ τὸν
ἑξῆς ἀνάλογον ἐπισωρεύσωμεν, εἰ πρῶτος καὶ ἀσύνθετος ὁ γενόμε- νος ἐὰν γὰρ τῷ [10] προσεπισωρευθέντι
πολυπλασιαστέον αὐτόν, καὶ οὕτως ὁ τῇ
τάξει συνεχὴς τέλειος ἀναφανήσεται. καὶ οὕτως μέ- χρι παντός. διὰ μὲν οὖν τῆς τῶν ἀρτιάκις
ἀρτίων συνθέσεως ἡ τοῦ ἀρτίου φύσις, διὰ
δὲ τῆς ἐξ αὐτῶν περισσογονίας, μάλιστα δὲ τῶν
πρώτων καὶ ἀσυνθέτων ἀποτελέσεως, ἡ τοῦ περισσοῦ παρεμφαίνε- ται. οὐ χρὴ δὲ ξενίζεσθαι εἰ τῷ αὐτῷ ἀριθμῷ
ποικίλα τινὰ ἐπικα- τηγορεῖται, οἷον
φέρ᾽ εἰπεῖν αὐτῷ τούτῳ τῷ ς΄ τὸ «πρῶτον» τέλειον εἶναι καὶ τὸ πρῶτον ἀρτιοπέρισσον καὶ πάλιν
πρῶτον ἑτερομήκη καὶ πρὸς τῶν Πυθαγορικῶν
[20] ἔτι γάμον καλεῖσθαι, ὅτι κατ᾽ αὐτὸ
πρώτιστον σύνοδος ἄρσενος καὶ θήλεος ἐκ κατακράσεως γίνεται᾽ καὶ γὰρ ἐκ τοῦ αὐτοῦ ὑγίειαν τὸν αὐτὸν
καλοῦσι καὶ ἔτι κάλλος διὰ τὴν ἐν αὐτῷ
τῶν μερῶν ὁλοκληρίαν καὶ συμμετρίαν. παρακηκο- 19 lacuna colmata da Vitelli (cf. appar. ad
loc.). INTRODUZIONE ALL'ARITMETICA DI
NICOMACO 677 oppongono alla
verecondia, e anche nelle rimanenti virtii e qualità civili, se conserveremo la proporzione, noi
vedremo come, nella rela- zione di
disuguaglianza, la maggioranza si rivelerà opposta alla mino- ranza, con cui ha in comune la
disuguaglianza, e ambedue si oppor-
ranno all’uguaglianza. È per questo, dunque, che la scarsa frequenza del numero perfetto, come di un bene e non di
un male, che è molto diffuso, ci fornirà
per legge naturale un solo numero perfetto tra le unità,!8 cioè al disotto del numero 10, uno
solo tra Ie decine, cioè prima di
arrivare al 100, uno solo tra le centinaia, e uno solo tra le migliaia. E se nel primo livello delle decine
di migliaia se ne incontra uno solo,
anche nel secondo livello!69 se ne incontra ancora uno solo, e cosî all’infinito. Esempi di numero
perfetto sono 6, 28, 496, 8128, e
simili, terminanti alternativamente per 6 e per 8. Il processo di
gene- razione dei numeri perfetti è
anch’esso costitutivo di questo amore
reciproco delle forme del numero assieme al loro eterno accordo. [34] Bisogna, infatti, accumulare ad uno ad
uno i numeri doppi che nascono
proporzionalmente a partire da 1, cioè i numeri parimente- pari, ed esaminare l'accumulo di ciascun
numero.!70 Se dall’accumu- lo!7! viene
fuori un numero primo e non-composto, allora moltipli- cheremo questo numero per l’ultimo numero
della somma: il numero che si otterrà
dalla moltiplicazione sarà assolutamente perfetto; se invece viene fuori un numero secondo e composto,
allora lo trascure- remo, e accumuleremo
proporzionalmente quello che segue, per
vedere se viene fuori un numero primo e non-composto, nel qual caso bisognerà moltiplicarlo per il numero
accumulato,!?2 e cosî apparirà il numero
perfetto che segue nell’ordine. E si procederà allo stesso modo per tutti i numeri. Attraverso la somma
dei numeri parimente- pari, dunque, si
mette in evidenza la natura del pari; attraverso la generazione dei numeri dispari proveniente
dai numeri pari, ma soprattutto
attraversò la produzione dei numeri primi e non-compo- sti, si manifesta invece la natura del
dispari. Non bisogna stupirsi se allo
stesso numero vengono attribuite denominazioni diverse, come ad esempio di questo stesso numero 6 si dice
che è il primo numero perfetto e anche
il primo pari-dispari e ancora il primo numero etero- meche e ancora “connubio”, come è chiamato
dai Pitagorici, perché è in virti di
questo numero che nasce per moltiplicazione la prima congiunzione di maschio e femmina;!?? e
infatti i Pitagorici chiamano 678
GIAMBLICO ‘agi δὲ οἱ καὶ φιλίαν τὸν
αὐτὸν νομίζοντες αὐτοὺς λέγειν διὰ τὴν
τῶν διαφερόντων σύνοδον ἐν αὐτῷ καὶ φίλωσιν' ἄλλους γάρ [35] τινας ἄντικρυς φίλους ἀριθμοὺς καλοῦσιν ἐν τῷ
προσοικειοῦν τάς τε ἀρετὰς καὶ τὰς
ἀστείας ἕξεις τοῖς ἀριθμοῖς, οἷον τὸν σπδ΄ καὶ τὸν σκ΄ γεννητικὰ γὰρ ἀλλήλων τὰ ἑκατέρου αὐτῶν
μέρη κατὰ τὸν τῆς φιλίας λόγον, ὡς
Πυθαγόρας ἀπεφήνατο᾽ ἐρομένου γάρ τινος «τί
ἐστι φίλος» εἶπεν. «ἕτερος ἐγώ», - ὅπερ ἐπὶ τούτων τῶν ἀριθμῶν δείκνυται. ἀλλ᾽ ἐπεὶ κατ᾽ οἰκεῖον τόπον
διελοῦμεν τὰ ὑπὸ τῶν Πυθαγορείων εἰς τὴν
τοιαύτην θεωρίαν πάνυ ἀνθηροτάτην καὶ γλα-
φυρὰν [10] οὖσαν ἀναφερόμενα, χωρητέον ἐπὶ τὰ ἑξῆς. ᾿Ακόλουθον γὰρ τούτοις διαλαβεῖν περὶ τοῦ
μηκέτι καθ᾽ αὑτὸ ἀλλ᾽ ἤδη πρός τι ποσοῦ,
οὐκ ἐπειδὴ πᾶσα ἡ περὶ τοῦ καθ᾽ αὑτὸ τεχ-
νολογία πέρας ἔχει (πῶς γὰρ ὅπου μήτε περὶ ἐπιπέδων παμποικίλων ὄντων μήτε περὶ στερεῶν διειλάμεθα;), ἀλλ᾽
ὅτι μάλιστα εἰς τὴν ἐκείνων
παρακολούθησιν συνεργοῦσιν οὗτοι. καὶ γὰρ οὐδὲ τὸν περὶ τούτων συνεχῶς ἔχοντες ἀπαρτιοῦμεν
λόγον, ἀλλὰ στοχαζόμε- vot τῆς τοῦ
εἰσαγομένου διὰ τὴν τάξιν εὐμαρείας τὸ πλέον αὐτοὺς μετ᾽ ἐκείνους [20] ποιησόμεθα, ὑπερθέντες ἃ
παρὰ μέρος τὴν περὶ ἀναλογιῶν ἐξήγησιν.
ὅπερ οὖν πρὸ βραχέος συντείνειν ἐφαίνετο
πρὸς τὸν περὶ ἀρετῶν λόγον ἐν τῷ τῶν τελείων καὶ ἐναντίων διο- ρισμῷ, τοῦτ᾽ εὐθὺς ἐν ἀρχῇ τοῦ πρός τι ποσοῦ
πάλιν ἡμῖν συνεμφαί- νεται. τῶν γὰρ πρὸς
ἄλλο πῶς θεωρουμένων ἀριθμῶν αἱ γενικώταται
δύο σχέσεις εἰσὶν ἰσότης τε καὶ ἀνισότης, καὶ ἡ μὲν ἰσότης ὥσπερ μετριότης τις καὶ μεσότης [36] ἄσχετός ἐστιν
οὔτ᾽ ἄνεσιν οὔτ᾽ ἐπί- τασιν ἐπιδεχομένη,
ἡ δὲ ἀνισότης κατὰ πρώτην τομὴν εἰς δύο σχίζε-
ται εἴς τε τὸ μεῖζον καὶ τὸ ἔλαττον, ὥσπερ κἀπὶ τῶν ἀρετῶν τὸ ἀντί- θετον εἰς ὑπερβολὴν καὶ ἔλλειψιν
ἀντιδιεστέλλοντο ἡ κακία. ἀντί- κειται
δὲ τὸ μεῖζον τῷ ἔλαττον καὶ συναμφότερα ἅμα τῷ ἴσῳ, οὔτε δὲ ἴσον ἄν τι εἴη ἄνευ τοῦ τινί, οὔτε μεῖζον
ἢ ἔλαττον ἄνευ τινός, διόπερ εἰκότως
πρός τι. ἀλλὰ τῷ μὲν ἴσον ἀνθυπακούει τὸ αὐτὸ
ὄνομα ὡς ἂν μεσότητι, ὅπερ καὶ [10] ἐπ᾽ ἄλλων τινῶν τοῦ πρός τι INTRODUZIONE ALL’ARITMETICA DI NICOMACO
679 per lo stesso motivo questo numero
“salute”! e inoltre, “bellezza” per la
integrità e congruenza delle sue parti. E interpretano male colo- ro che ritengono che i Pitagorici chiamano
questo numero “amicizia” in virti del
fatto che in esso ci sarebbe congiunzione e amorevolezza tra cose differenti; sono assolutamente altri
infatti [35] i numeri che essi chiamano
“amici” quando accordano le virtù e le qualità civili con i numeri, come ad esempio i numeri 284 e
220: le parti di ciascu- no di questi
due numeri, infatti, sono capaci di generarsi a vicenda secondo un rapporto di amicizia,!7 come mise
in evidenza Pitagora: se qualcuno,
infatti, pone la domanda: “che cosa è un amico”, Pitagora risponde: “un altro me stesso”,176
cosa che appare in questi numeri. Ma
poiché noi spiegheremo nel luogo opportuno!77 le cose che i Pitagorici riferiscono a tale teoria
che è assolutamente splendi- da ed
elegante, bisogna passare al tema successivo.
Ebbene, quel che consegue a questo di cui si è parlato, è la
tratta- zione del quanto, non del quanto
in sé, ma del quanto in rapporto ad
altro, non perché la trattazione approfondita del quanto in sé si sia
del tutto esaurita (come mai, infatti,
non ci siamo occupati né della varie- tà
dei numeri piani né dei numeri solidi?), ma perché questi ultimi178 servono soprattutto a farci trarre le
conseguenze di quelli.!79 E infat- ti,
continuando il discorso su questi numeri, non lo porteremo a ter- mine, ma proporremo questi dopo quelli con
ordine nell’intenzione di rendere più
facile la comprensione del discorso che abbiamo intro- dotto prima, rinviando la spiegazione
particolareggiata delle propor- zioni.
Ciò che poco fa, dunque, sembrava riguardare il discorso sulle virtà nella distinzione tra perfetti e
contrari, subito ci appare nuova- mente
nel principio del quanto in rapporto a qualcosa. Dei numeri che sono considerati in qualche modo in
rapporto ad altro, infatti, esi- stono
due generalissime relazioni: l'uguaglianza e la disuguaglianza, e mentre l'uguaglianza è come una giusta misura
e medietà [36] priva di relazione e che
non ammette né diminuzione né aggiunta, la disu- guaglianza i invece, in virtù di una sua
prima bipartizione, si distingue in
maggiore e minore, come anche a proposito delle virtù il loro opposto, cioè il vizio, si distingue in
eccesso e difetto. Il maggiore si oppone
al minore e ambedue si oppongono all’uguale, né una cosa può essere uguale senza essere uguale a
qualcosa, né può essere mag- giore o
minore senza esserlo di qualcosa, perciò si dice a ragione che 680 GIAMBLICO ὑποδειγμάτων δείκνυται ἐπί τε τοῦ ἀδελφὸς
καὶ συστρατιώτης καὶ γείτων καὶ ἧλιξ καὶ
ἄλλων ὁμοίων᾽ τῷ δὲ ἀνίσῳ κατὰ μὲν τὸ γενικὸν
παραπλήσιόν τι συμβέβηκε κατὰ δὲ τὰ εἴδη οὐκέτι, ἀλλ᾽ ἑτερώνυμος ἡ ἀνταπόκρισις γίνεται, καθάπερ
ἐπ᾽ ἄλλων, οἷον πατὴρ καὶ διδάσκαλος καὶ
ἐρώμενος καὶ τῶν ὁμοίων. ἴσον μὲν οὖν
ἐστι ποσὸν ὃ ἀντεξεταζόμενον τῷ συζύγῳ οὔτε πλέον οὔτε ἔλαττόν τι ἔχει, ἄνισον δὲ ὃ καὶ αὐτὸ ἀντεξεταζόμενον
τῷ συζύγῳ ἢ μεῖζόν ἐστι ἢ ἔλαττον: ἐν
γὰρ τῇ συζυγίᾳ [20] τὸ μέτρον πλέον τι μετὰ τὴν
[μίαν]20 μέτρησιν ἐν τῷ μετρουμένῳ καταλείψει. καὶ μεῖζον μέν ἐστιν ὃ πέφυκε μετρούμενον ὑπὸ θατέρου μετὰ
μίαν προσβολὴν ἀκαταμέτρητον αὑτοῦ τι
ἀπολιπεῖν ὁποσονοῦν, ἔλαττον δὲ «ὃ»
μετρητικὸν ὃν τοῦ συζύγου, μιᾷ προσβολῇ περι [37] σχεῖν ὅλον οὐ δύναται. καθ᾽ ὑποδιαίρεσιν δὲ τὰ δύο ταῦτα
τοῦ ἀνίσου εἴδη ἀνὰ πέντε σχέσεις
ἀποτελεῖ, συναμφότερα δὲ ὁμοῦ δέκα τοῦ τε γὰρ
μείζονος τὸ μέν ἐστι πολλαπλάσιον τὸ δὲ ἐπιμόριον τὸ δὲ ἐπιμερές, δύο δὲ τὰ λοιπά, μιγέντος τοῦ πολλαπλασίου
πρὸς ἑκάτερον τῶν λοιπῶν,
πολλαπλασιεπιμόριον καὶ πολλαπλασιεπιμερές" τοῦ δὲ ἐλάττονος κατὰ ἀντιπεπόνθησιν μετὰ τῆς ὑπό
προθέσεως τὸ μέν ἐστιν ὑποπολλαπλάσιον
τὸ δὲ ὑποεπιμόριον τὸ δὲ [10] ὑποεπιμερές,
δύο δὲ τὰ λοιπά, καθὰ καὶ ἐπὶ τοῦ προτέρου εἴδους μικτὰ ἔκ τε τοῦ πολλαπλασίου καὶ ἑκατέρου τῶν λοιπῶν,
ὑποπολλαπλασιεπιμόριόν τε καὶ
ὑποπολλαπλασιεκπιμερές. ἐφοδιάζει δὲ ἡμᾶς ἡ πρόθεσις ἐν τοῖς ὀνόμασι προλόγους μὲν ὡς ἂν φύσει καὶ τιμιότητι
πρώτους, καθάπερ δειχθήσεται, τοὺς
προτέρους εἰδέναι, ὑπολόγους δὲ καὶ τὰ
ἐναντία ἔχοντας τοὺς δευτέρους τοὺς δυομένους. εἰ δέ τις λέγοι τὴν ἰσότητα σχέσιν μὴ εἶναι διὰ τὸ τοὺς κατ᾽
αὐτὴν ὅρους ἀδιαστάτους καὶ ἀδιαφόρους
ὑπάρχειν, ὑπομνηστέον ὅτι σχέσις [20] ἕτερόν τι
διαστήματός ἐστιν᾽ ἰδοὺ γὰρ ἐν τῷ τυχόντι ἀνισότητος ὑποδείγματι δυεῖν ὅρων διάστημα μὲν ταὐτὸ κἂν
ἀναστρέφωνται, ἀναστρεφο- μένων δ᾽ ὅμως
λόγος πάντως ἕτερος, τουτέστι σχέσις, ὥστ᾽ οὐδὲν κωλύει τοὺς ἐν ἰσότητι ὅρους διαφορὰν μὲν μὴ
ἔχειν ἀδιαστάτους ὄντας, σχέσιν δὲ
πάντως, ἢ οὐκ ἔσται τῶν πρός τι τὸ ἴσον, ὅπερ ἀμ- ἤήχανον.
20 ho eliminato μίαν anziché τὴν, come preferirebbe Pistelli (cf. Add.
et Corr. p. VII), perché mi sembra più
chiaro e più corretto dire “dopo /4 misu-
razione” che non “dopo un'unica misurazione”. INTRODUZIONE ALL’ARITMETICA DI NICOMACO 681 sono in rapporto a qualcosa. Ma, mentre
all’uguale, in quanto medie- tà,
corrisponde lo stesso nome di ciò a cui è uguale, cosa che appare anche in tutti gli altri esempi di relazione
e nella relazione di fratello o di
commilitone o di vicino di casa o di coetaneo e di altre relazioni simili; al disuguale, invece, accade qualcosa
di simile secondo il gene- re, non però
secondo le specie, ma la corrispondenza dei relativi è diversa nei nomi, come se la relazione fosse
tra cose diverse, ad esem- pio padre o
maestro o amato e simili. L’uguale è dunque un quanto che, confrontato con il termine accoppiato,
non ha nulla che sia mag- giore o
minore, mentre il disuguale è un quanto che, confrontato anch'esso con il termine accoppiato, è
maggiore o minore: nella cop- pia
infatti, dopo la misurazione rimane nel misurato qualche misura in più. E il maggiore è quello che è misurato
naturalmente dall’altro e dopo una sola
applicazione lascia una certa sua quantità non misura- ta, mentre il minore è quello che se fa da
misura dell’altro con cui è accoppiato,
non può contenerlo interamente con una sola applicazio- ne. [37] Per suddivisione queste due specie
del disuguale producono ciascuna cinque
relazioni, e quindi dieci relazioni tutte e due: suddi- visioni del maggiore, infatti, sono il
multiplo, l’epimorio, l’epimere, e altri
due, quando il multiplo si mescola con ciascuno degli altri due, e cioè il multiplo-epimorio e il
multiplo-epimere; suddivisioni del
minore, invece, per rapporto inverso accompagnato dal prefisso “sotto”, sono il sotto-multiplo, il
sotto-epimorio, il sotto-epimere, e
altri due, secondo le mescolanze della prima forma derivanti dal
mul- tiplo e da ciascuno degli altri
due,180 e cioè il sotto-multiplo epimorio
e il sotto-multiplo-epimere. In questi nomi il prefisso ci fornisce
la possibilità di vedere i primi come
“prologhi”!8! come se fossero pri- mari
per natura e dignità, come sarà mostrato, e i secondi, che hanno carattere opposto, come “ipologhi”182 e cioè
immersi nei primi.18 Se qualcuno poi
dicesse che l'uguaglianza non è relazione perché in essa i termini non hanno tra loro distanza e
differenza, si deve ricordare che una
cosa è la relazione e altra cosa la distanza: ecco infatti, in un qualunque esempio di disuguaglianza la
distanza fra i due termini è la stessa,
sebbene essi si convertano, e tuttavia il rapporto fra i termini che si convertono è assolutamente diverso, ed
è questa la relazione, sicché niente
impedisce che i termini dell’uguaglianza non abbiano differenza in quanto non c’è distanza tra
loro, e abbiano assolutamen- 682
GIAMBLICO Πολλαπλάσιον μὲν οὖν ἐστι
τοῦ μείζονος τὸ πρῶτον εἶδος, ὅταν δυεῖν
ὅρων ὁ ἕτερος τὸν ἕτερον πλεο [38] νάκις ἢ ἅπαξ καταμετρῇ πληρούντως. ἄρξεται δὲ ἀπὸ τοῦ δίς, ἵνα παρὰ
τοῦτο ὀνομάζωνται ὁ μὲν μετρούμενος
διπλάσιος ὁ δὲ μετρῶν ὑποδιπλάσιός τε καὶ
ἥμισυς συνωνύμως, ὥσπερ ἀμέλει καὶ αὐτὸ τὸ ὑπόλοιπον γένος ὑποπολλαπλάσιόν τε λέγεται συνωνύμως καὶ
ψιλῶς μέρος; ἐὰν δὲ τρίς, ὁ μὲν μείζων
τριπλάσιος ὁ δὲ ἐλάττων ὑποτριπλάσιός τε καὶ
τρίτον καὶ τἄλλα κατὰ τὸ ἑξῆς εἴδη. ὑπόδειγμα δὲ πάντων εὐτάκτων πολυπλασίων σαφὲς ἕξομεν ἐὰν ἐκθέμενοι τὸν
[10] ἀπὸ μονάδος συνεχῆ ἀριθμὸν ἤτοι
πρὸς αὐτὴν τὴν μονάδα συγκρίνωμεν τοὺς μετ᾽
αὐτὴν καθ᾽ ἕκαστον ἑξῆς, ἢ πρὸς τὴν μετ᾽ αὐτὴν δυάδα τοὺς μετ᾽ ἐκείνην παρ᾽ ἕνα καθ᾽ ἕκαστον ὁμοίως ἑξῆς,
πρὸς τριάδα τοὺς παρὰ δύο, ἢ πρὸς τετράδα
τοὺς παρὰ τρεῖς καὶ ἐπ᾽ ἄπειρον, συμπροκοπ-
τόντων τῇ τοῦ ἀριθμοῦ ἐφοσονοῦν ἐκθέσει. ἐὰν δὲ κατὰ παραλ- λήλους στίχους καταγράψωμεν ἅπαντα τὰ τοῦ
πολυπλασίου εἴδη ἀπὸ μονάδος ἀρχόμενα,
προσεκθέμενοι τὸν ἐφεξῆς ἀριθμὸν καὶ
πρὸς αὐτὸν γεννήσαντες ἐπὶ βάθος τὴν πολλαπλασιότητα, [20] ἐνο- ψόμεθα πολλά τε ἄλλα τερπνὰ ἐπακολουθήματα
καὶ γλαφυρίαν ποι- κίλην καὶ εὔτακτον δὲ
γένεσιν ἀντιπαρωνυμίας ἐπιμορίων παν-
τοίων πρὸς πολλαπλασίους παντοίους καθ᾽ ὁμογένειαν καὶ ἔτι ἐπι- μερῶν καὶ εἴ τις ἐπισκέπτοιτο καὶ μικτῶν, καὶ
ὅλοι ὅλων στίχοι μιᾷ καὶ ἀπαραλλάκτῳ
σχέσει εὐτάκτως προκοπτούσῃ ὁμολόγως φαν-
ήσονται ἐν τε πλάτει καὶ βάθει. ἔτι μὴν καὶ ἐπιμορίων πυθμένες μὲν ἑνὶ στίχῳ ἐπὶ βάθος εὑρεθήσονται,
δεύτεροι δὲ ἀπὸ πυθμένος ἐν τῷ ἑξῆς,
[39] τρίτοι δὲ καὶ τέταρτοι κατὰ τὴν πρὸς τούτους ἀντα- κολουθίαν διαφορὰς ἔχοντες τοὺς ἀπὸ μονάδος
ἑξῆς ἀριθμούς. ἐὰν δὲ καὶ τὰς μὲν ἐπὶ
πλάτος μονάδας ἀφέλωμεν, ὡς ἂν μηδὲν ποικίλον
ἐχούσας, τὸν δὲ συνεχῆ ἀριθμὸν ἀντ᾽ αὐτῶν προτάξωμεν ἀπὸ! τῆς αὐτῆς μονάδος, γλαφυρίαν τινὰ ἐνοψόμεθα καὶ
σπερματικῶς ὑποφαινόμενον τὸν λόγον τῆς
τῶν μαντικῶν πλινθιδίων ἐφόδου, ὃς ἐν
τοῖς ἐπανθήμασι τῆς ἀριθμητικῆς εἰσαγωγῆς παραδίδοται. καὶ εἰ μέχρι δεκάδος εἴη ἡ [10] ἔκθεσις τῶν
πολλαπλασίων, ἐπί τε μῆκος καὶ πλάτος
γενήσονται μονάδες ἐγγώνιοι αἱ μὲν ἄκραι ἅπαξ ἡ δὲ μέση δίς, ὅπως καὶ ἐνταῦθα ἀποσῴζηται τὸ τῆς
ἀναλογίας ἴδιον' ἴσον γὰρ ἔσται τὸ ὑπὸ
τῶν ἄκρων τῷ ἀπὸ τοῦ μέσου, καὶ σημείου
μὲν λόγον ἕξει ἡ ἑτέρα τῶν ἄκρων μονὰς ἡ δὲ ἑτέρα τετραγώνου ἡ 21 ἀπὸ congetturò Heiberg giustamente:
ὑπὸ. INTRODUZIONE ALL'ARITMETICA DI
NICOMACO 683 te relazione, pena la
negazione che esista l'uguaglianza tra relativi, cosa impossibile. Orbene, il multiplo è la
prima specie del maggio- re,! e si ha
quando tra due termini l’uno misura [38] pienamente l'altro più di una volta. Si comincerà da due
volte, perché secondo questa misura il
quanto misurato sia indicato coi nome “doppio”, e il quanto misurante con i sinonimi
“sotto-doppio” e “metà”, come del resto
anche lo stesso rimanente genere!85 viene detto per sinonimia “sotto-multiplo” e semplicemente “parte”; se
invece l’uno misura tre volte l’altro,
allora il maggiore è detto “triplo” e il minore “sotto-tri- plo” e “terzo”,!86 e cosî le altre specie in
progressione. Un esempio chiaro di tutti
i multipli bene ordinati noi lo avremo se, dopo avere esposto il numero in successione partendo da
1, o confrontiamo con lo stesso 1
ciascuno dei numeri successivi ad uno ad uno, o col 2 pari- menti ciascuno dei successivi ma saltandone
uno per volta, o col 3 i successivi
saltandone due, o col 4 i successivi saltandone tre, e cosi all'infinito, procedendo nell’esposizione di
quanti più numeri possi- bile. Se poi
tracceremo su linee parallele tutte le specie del multiplo a partire da 1, esponendo il numero ad esso
successivo!87 e generando in rapporto ad
esso, in profondità!88 la serie dei multipli,!8? vi vedre- mo un'elegante varietà di molte gradevoli
sequenze e il prodursi di ogni specie di
epimori e di epimeri antiparonimi per omogeneità ad ogni specie di multipli, e se si guarderà
bene anche di misti, e tutte le linee di
tutti i misti appariranno in larghezza e profondità in un’uni- ca e immutata relazione in progressione
convenientemente bene ordi- nata e
uniforme. E inoltre si troveranno sulla prima linea in profondi- tà!% le basi degli epimori,!9! nella linea
successiva!9? i secondi epimo- ri a
partire dalla base,! [39] e in corrispondenza con questi, i terzi! e i quarti,!9 e tutti hanno come differenza i
numeri successivi a parti- re da 1.196
Se poi sottraiamo le unità nel senso della larghezza,!9? e la differenza sarà assolutamente la stessa, e
sostituiamo al posto delle differenze!98
il numero in successione a partire da 1, vedremo appari- re qualcosa di elegante e cioè il rapporto
generativo dei numeri “plin- tidi”199
che sono di natura divinatoria, rapporto che è tra le “fiorite” insegnate dalla Introduzione aritmetica.2% E
se l'esposizione dei mul- tipli si
porterà fino al 10, si genereranno sia in lunghezza che in lar- ghezza delle unità angolari,20! e cioè due
numeri estremi una volta cia- scuno?22 e
un numero medio due volte,20 in modo che anche in que- 684 GIAMBLICO δὲ μέση πλευρᾶς. καὶ ὁστισοῦν τῶν ἐν τῷ
διαγράμματι ληφθείη, ἥμισυς ἔσται δύο
τῶν ἑκατέρωθεν αὐτοῦ ἐπί τε μῆκος καὶ πλάτος.
διαγωνίως δὲ εἰ λαμβάνοιντο, πῇ μὲν ἔσται μονάδι ἐλάττων ἥμισυς ὁ μέσος, πῇ δὲ [20] μονάδι μείζων. ἀλλὰ καὶ
ἀπὸ τῆς ἐν ἀρχῇ γωνί- ας, τουτέστι τῆς
μονάδος, εἰς τὴν ἐν τέλει ἡ διαγώνιος ἔσται μόνων τετραγώνων, ἑκάστου παρασπιζομένου ὑπὸ δύο
ἑτερομηκῶν κατά τε μῆκος καὶ πλάτος, ὡς
κἀνταῦθα σῴζεσθαι τὸ καθολικὸν ἐκεῖνο τὸ
ἐκ δύο συνεχῶν ἑτερομηκῶν καὶ δὶς τοῦ μέσου αὐτῶν ἀνάλογον τετραγώνου γεννᾶσθαι πάντως τετράγωνον, καὶ
ἀνάπαλιν ἐκ δύο τετραγώνων καὶ δὶς τοῦ
μέσου αὐτῶν ἀνάλογον ἑτερομήκους ὁμοίως
τετράγωνον, καὶ τῇδε μὲν περις [40] σούς, τῇδε δὲ ἀρτίους. ἀλλὰ τὸ μὲν ἀρτίους φύεσθαι καὶ νῦν συμβαίνει διὰ τὸ
τοὺς παρασπιζομέ- vous τετραγώνους εἶναι
μόνους παρ᾽ ἕνα, φύσει περισσοὺς ὄντας
καὶ ἀρτίους, καὶ τοὺς δορυφοροῦντας ἑτερομήκεις ἀεὶ ἀρτίους, εἴτε δὲ ἄρτιος εἴη ὁ μέσος εἴτε περισσός, δὶς
λαμβανόμενος ἄρτιον ποιεῖ" τὸ δὲ
περιςσοὺς γίνεσθαι οὐκέτι, ἐπεὶ οὐ παρασπίζονται ἑτερομήκεις ὑπὸ τετραγώνων ἅπαξ γὰρ
λαμβανομένων τῶν ἄκρων, ἐν οἷς πάντως
ἐστὶ περισσός, διέμεινεν ἡ [10] περισσότης. καὶ ἐφ᾽ ἑκάστου δὲ τετραγώνου ἐφ᾽ ἑκάτερα γαμμοειδῶς
πάλιν εὔτακτοι αἱ σχέσεις θεωροῦνται ἀπ᾽
ἀρχῆς, τουτέστιν ἀπὸ διπλασίου. εἰ δὲ καὶ
τοὺς ἑτερομήκεις γαμμοειδῶς παρασπίζοιμεν τοῖς τετραγώνοις ἅπαξ τοὺς ἄκρους συντιθέντες καὶ δὶς τὸν
μέσον, ποιήσομεν οὕς ἐλέγομεν ἐνταῦθα
παραλείπεσθαι τετραγώνους περισσούς. διαφο-
ρὰν δὲ ἕξουσι πρὸς ἀλλήλους οἱ διαγώνιοι ἀριθμοὶ τῇδε μὲν ἀπὸ τριάδος περισσοὺς ἀπ᾽ ἀρχῆς εἰς τέλος, τῇδε
δὲ ἀπὸ δυάδος ἀρτίους ἀπὸ μέσων ἐπὶ
πέρατα, συζυγούντων κατ᾽ [20] ἰσότητα τῶν
ἑκατέρωθεν εὐτάκτων. Ἐπιμόριος
δὲ γίνεται λόγος, ὅταν τῶν συγκρινομένων ὅρων ὁ
μείζων ἔχῃ τὸν λοιπὸν καὶ ἔτι ἕν αὐτοῦ μόριον γενικῶς᾽ εἰδικῶς δὲ ἐὰν μὲν ἥμισυ ἦ τὸ μόριον ἡμιόλιος ἐὰν δὲ
τρίτον ἐπίτριτος ἐὰν δὲ τέταρτον
ἐπιτέταρτος καὶ ἑξῆς ἀκολούθως ἀεί, προλόγων μὲν γιγνο- INTRODUZIONE ALL'ARITMETICA DI NICOMACO
685 sto caso si conservi la proprietà
della proporzione:?% infatti il prodot-
to degli estremi sarà uguale al prodotto del medio per se stesso, e
un estremo fungerà da punto,20 l’altro
estremo da quadrato2% e il medio da
lato.20? E qualunque numero si prenda nel diagramma, esso sarà la metà della somma dei due numeri ad esso
contigui sia in lunghezza che in
larghezza.208 Se poi i numeri si prendono in diagonale, il medio sarà la metà della somma degli estremi qui
meno 1, lî più 1.209 Ma anche la
diagonale che parte dal primo angolo, cioè da 1, e arriva all'ultimo angolo,?!0 sarà composta solo di
numeri quadrati, ciascuno protetto ai
lati, in lunghezza e in larghezza, da due numeri eterome- chi, in modo che anche in questo caso si
conservi quella regola gene- rale,
secondo la quale dalla somma tra due numeri eteromechi da una parte e dall’altra di un quadrato e il doppio
di tale quadrato che sta in mezzo ad
essi si genera proporzionalmente un numero assoluta- mente quadrato,21! e inversamente dalla somma
di due quadrati con- tigui, che sono uno
pari e l’altro dispari, e il doppio del numero
medio tra loro che è proporzionalmente eteromeche2!2 si genera
pari- menti un numero quadrato. [40] Ma
anche ora l’emergere di numeri pari213
accade perché i quadrati contigui si alternano per natura solo in pari e dispari, mentre i numeri eteromechi
che fungono da guardie del corpo sono
sempre pari, e il medio, che sia pari o dispari, essen- do preso due volte; dà un pari; non accade
mai, invece, l'emergere di numeri
dispari, poiché gli eteromechi non hanno come contigui numeri quadrati:?!4 presi infatti una sola
volta gli estremi,215 la cui somma è
assolutamente dispari,216 rimane la disparità.2!7 E nei singo- li quadrati, a partire dall’inizio, cioè dal
doppio, è possibile osservare relazioni
a loro volta bene ordinate fra due quadrati sotto forma di (218 Se invece componiammo in forma di G gli
eteromechi con i qua- drati contigui, e
sommiamo una volta gli estremi e due volte il medio, costruiremo quei quadrati che, come dicevamo,
in questo caso resta- no dispari. I
numeri diagonali, invece, avranno tra loro come differen- za in una diagonale i numeri dispari a
partire da 3 dall'inizio alla fine,219 e
nell’altra diagonale220 i numeri pari a partire da 2, a cominia- re dai medi [ambedue 30] per finire agli
estremi [ambedue 10], che sono tutti
ugualmente appaiati nell'ordine da una parte e dall’altra.221 Si ha un rapporto “epimorio” in generale,
quando dei due termi- ni confrontati il
maggiore contiene l’altro <per intero> più una sola 686 GIAMBLICO μένων τῶν μειζόνων ὅρων πρὸς τοὺς
ἐλάττονας, ἀνάπαλιν δ᾽ ὑπολόγων τῶν
ἐλαττόνων πρὸς τοὺς μείζονας, [41] τὴν ὀνομασίαν ἰσχόντων καὶ τούτων ἀεὶ μετὰ τῆς ὑπό
προθέσεως. ὑπόδειγμα δ᾽ αὐτῶν ἡμιολίου
μὲν ἐὰν ἐκτεθέντος τοῦ συνεχοῦς ἀριθμοῦ ἐκλέξω-
μεν τοὺς ἀπὸ δυάδος ἀρτίους καὶ συγκρίνωμεν τῷ μὲν πρώτῳ τὸν παρ᾽ οὐδὲν τῷ δὲ ἑξῆς τὸν παρ᾽ ἕνα τῷ δὲ
τρίτῳ τὸν παρὰ δύο καὶ «τῷ» τετάρτῳ τὸν
παρὰ τρεῖς καὶ ἐφεξῆς ἀκολούθως: ἐπιτρίτου δὲ ὅταν τοὺς ἀπὸ τριάδος τριάδι διαφέροντας
ἐκλέξαντες συγκρίνωμεν aù- τοῖς τῷ μὲν
πρώτῳ τὸν παρ᾽ οὐδὲν τῷ δὲ δευτέρῳ τὸν παρ᾽ ἕνα [10] τῷ δὲ τρίτῳ τὸν παρὰ δύο τῷ δὲ τετάρτῳ τὸν
παρὰ τρεῖς καὶ ἑξῆς ἀκολούθας τοῖς
προτέροις. ἐπιτετάρτου δ᾽ ἕξομεν ὑπόδειγμα, ἐὰν
τοὺς ἀπὸ τετράδος τετράδι διαφέροντας ἐκλέξαντες πάλιν συγκρί- vopev αὐτοῖς τῷ μὲν πρώτῳ τὸν παρ᾽ οὐδὲν τῷ
δὲ δευτέρῳ τὸν παρ᾽ ἕνα καὶ τῷ τρίτῳ τὸν
παρὰ δύο καὶ ἀεὶ ὁμοίως τοῖς προειρημένοις.
καὶ ἐπὶ τῶν λοιπῶν δὲ τοῦ ἐπιμορίου εἰδῶν τὸ ἀνάλογον ποιήσομεν, κατ᾽ αὐτὸ τὸ τοῦ μορίου ὄνομα λαμβάνοντες
ἀριθμοὺς τοὺς πρώτους δυναμένους ἀφ᾽
ἑαυτῶν παρασχεῖν τὸ μόριον, καθ᾽ ὃ ἐπιμόριοι [20] αὐτῶν ἔσονται οἱ συγκρινόμενοι, οἵπερ καὶ
μονάδι αὐτῶν διοίσου- σι καὶ πυθμένες
τῶν λόγων γενήσονται. ἡ δὲ τοῦ μορίου κλῆσις
κατὰ τὸν ἐλάττονα λόγον ἀεὶ θεωρουμένη, μονάδι μεγαλωνυμωτέρα ἔσται κατὰ τὸν μείζονα. οὐκ ἔσται δὲ κατὰ
τοὺς μείζονας ὅρους ἡ τοῦ μορίου
ἐξέτασις, διότι οὐθεὶς τῶν πυθμενικῶν φανήσεται ἔχων ἐκεῖνο τὸ μόριον, καθ᾽ ὃ ἐπιμόριος ἕκαστος
αὐτῶν ἐστι τοῦ συγκρι- νομένου
ἐλάττονος, κατὰ δὲ τοὺς πυθμένας αὔξονται οἱ λόγοι. Ἐπιμερὴς δέ ἐστι σχέσις, ὅταν ὁ μείζων ὅρος
ἔχῃ [42] τὸν ἐλάτ- τονα καὶ ἔτι μέρη
τινὰ αὐτοῦ πλείονα ἑνὸς δηλονότι. ἀλλ᾽ ἐὰν δύο
ταῦτα, ἐπιδιμερὴς λέγεται καὶ ὁ ἐλάττων ὑποδιμερής, ἐὰν δὲ τρία ἐπιτριμερὴς καὶ ὑποτριμερής, ἐὰν δὲ τέσσαρα
ἐπιτετραμερὴς καὶ ὑποτετραμερὴς καὶ ἑξῆς
ἀκολούθως. ὑπόδειγμα δ᾽ ἕξομεν ἐπιδι-
μερῶν μὲν ἐὰν ἐκθέμενοι τοὺς ἀπὸ τριάδος συνεχεῖς ἀριθμοὺς συγκρίνωμεν ἑκάστῳ τὸν παρ᾽ ἕνα αὐτῶν,
ἐπιτριμερῶν δὲ ἐὰν τοὺς 22 συνεχεῖς
ἀριθμοὺς congetturò Pistelli correttamente: περισσοὺς. INTRODUZIONE ALL'ARITMETICA DI NICOMACO
687 parte di esso;222 nella
fattispecie, se la parte è 1/2, il rapporto è detto “emiolio”,22) se è 1/3, “epitrite”,224 se è
1/4, “epiquarto”,225 e cosi sempre in
progressione, e sono detti “prologhi” i termini maggiori rispetto ai minori, e inversamente “ipologhi”
i termini minori rispet- to αἱ maggiori
[41] e i minori sempre con il prefisso “sotto”.226 Un esempio, fra questi, di emiolio si ha quando,
esposto il numero suc- cessivo,
sceglieremo i numeri pari a partire dal 2 e confronteremo con il primo quello che non salta di nessun
posto,?27 con il secondo quel- lo che
salta di un posto,?28 con il terzo quello che salta di due posti,?229 con il quarto quello che salta di tre
posti,230 e cosi di seguito; esempio di
epitrite si ha quando, dopo avere scelto i numeri che differiscono tra loro di tre unità a partire dal 3,
confrontiamo con il primo di essi quello
che non salta di nessun posto,23! con il secondo quello che salta di un posto,22 con il terzo quello che salta
di due posti,233 con il quar- to quello
che salta di tre posti,234 e cosi di seguito come prima. Un esempio di epiquarto lo avremo se, dopo avere
scelto i numeri che differiscono di
quattro unità a partire dal 4, confrontiamo di nuovo con il primo di essi quello che non salta di
nessun posto, con il secondo quello che
salta di un posto,236 con il terzo quello che salta di due posti,237 e sempre cosî come si è detto
prima. Anche per le rima- nenti specie
di epimorio,238 opereremo in proporzione, prendendo secondo lo stesso nome della parte239 i primi
numeri che possono for- nire da sé la
parte,?4° per cui saranno epimori i numeri che confron- tati differiranno dai primi di un’unità?4! e
costituiranno le basi dei rapporti.24 La
denominazione della parte, che sarà sempre vista in rapporto al minore, sarà più grande di
un’unità in rapporto al mag- giore.24 Ma
non si farà secondo i termini maggiori la ricerca della parte, perché nessuno dei numeri-base
<degli epimori> risulterà con-
tenere quella parte,24 secondo la quale ciascuno di essi è epimorio
del minore con cui è confrontato, mentre
i rapporti aumenteranno secon- do le
basi.24 Si ha un rapporto “epimere”,
quando il termine maggiore contie- ne
[42] il minore più alcune parti di esso, cioè più di una sola parte.24 Se le parti in più sono due, esso viene detto
“epidimere” e il termine minore
“ipodimere”, se sono tre, il maggiore “epitrimere” e il mino- re “ipotrimere”, se sono quattro, il maggiore
“epitetramere” e il minore
“ipotetramere”, e cosî via. Un esempio di epidimere lo avre- 688 GIAMBLICO ἀπὸ τετράδος ἐκθέμενοι συνεχεῖς ἀριθμοὺς
συγκρίνωμεν αὐτοῖς τοὺς παρὰ δύο. [10]
ἐπεὶ δὲ οὐκ εἰλικρινεῖς ἀλλὰ πεφυρμέναι
ἑτέραις σχέσεσιν αἱ τοιαῦται πλάσεις, χρησόμεθα ταῖς κατὰ πολ- λαπλασίων λόγον προκοπαῖς, ὥσπερ ἐπὶ τῶν
μορίων πυθμένας λαμ- βάνοντες τοὺς
παρέξοντας ἀφ᾽ ἑαυτῶν τὰ μέρη, καθὰ ὁ ἐπιμερὴς κέ- xAntat, οἷον ἐπιδιμερῶν τὸν πέντε πρὸς τρία,
εἶτα διπλασίους καὶ τριπλασίους τούτων
καὶ ἐπ᾽ ἄπειρον, ἐπιτριμερῶν δὲ ἑπτὰ πρὸς τέσ-
σαρα, εἶτα διπλασίους καὶ τριπλασίους αὐτῶν καὶ ἑξῆς ἀκολούθως, ἐπιτετραμερῶν δὲ ἐννέα πρὸς πέντε, καὶ
ἀνάλογον μέχρι παντός, ἵν’ ἡ μὲν τῶν
ἐλαττόνων [20] ὅρων προκοπὴ ἐν τοῖς πυθμέσι κατὰ τοὺς ἀπὸ τριάδος ἐφεξῆς ἀριθμοὺς γίνηται, ἡ δὲ τῶν
μειζόνων κατὰ τοὺς ἀπὸ πεντάδος
περισσούς. καθόλου δὲ πυθμένας ἕξομεν παντὸς λό- yov, ἐν μὲν πολλαπλασίοις, ἐφ᾽ ὧν ἡ μονὰς
ἐλάττων ὅρος ἐστὶ τῶν συγκρινομένων,
ἐξαίρετον δ᾽ ἐπὶ διπλασίου τὸ τὴν αὐτὴν καὶ διαφο- ρὰν εἶναι᾽ ἐν δὲ ἐπιμορίοις κατὰ μὲν τὸ
ἡμιόλιον ἡ δυὰς ἔσται ὁ ἐλάττων ὅρος,
διαφορὰν δὲ ἕξουσιν οἱ ὅροι [43] πάλιν μονάδα. κατὰ δὲ τὸ ἐπίτριτον καὶ ἐπιτέταρτον καὶ τοὺς ἑξῆς
ἐπιμορίους λόγους ἔσται ὁ ἐλάττων ὅρος ὁ
τὴν ὀνομασίαν παρέχων ἀφ᾽ ἑαυτοῦ τῷ
μορίῳ, καθ᾽ ὃ ἐπιμόριος λόγος ἐστί, διαφορὰ δὲ ἔσται ἐν πᾶσιν ἡ αὐτὴ μονάς. ἀλλὰ καὶ ἐν ἐπιμορίῳ πυθμέσιν ἡ
αὐτὴ μονὰς καίτοι τό- πον οὐκ ἔχουσα ἢ
τοῖς ὅροις ἐμφαντάζεσθαι, ὡς ἐπὶ τῶν τοῦ πολλα-
πλασίου εἰδῶν, ἢ διαφορὰ εἶναι αὐτῶν, ὡς ἐπὶ τῶν τοῦ ἐπιμορίου, διὰ τὸ πλείοσιν ἑνὸς μέρεσιν ὑπερέχειν τὸν
μείζονα ὅρον τοῦ [10] ἐλάττονος, τρόπον
ἕτερον ἐνοφθήσεται τοῖς ὅροις" τὰ γὰρ ἀπολειπό- μενα ἐν τῷ μείζονι ἀκαταμέτρητα μόρια
συγκρινόμενα τῷ ἐλάττονι διαφορὰν ἕξει
πάντως μονάδα. Λοιπόν ἐστιν εἰπεῖν περὶ
τῶν μικτῶν σχέσεων ἔκ τε πολλαπλα- σίου
καὶ τῶν λοιπῶν δύο ἐπιμορίου «καὶ ἐπιμεροῦς; καὶ τῶν ὑπολόγων τούτων, ἵνα κατὰ τὴν τῆς δεκάδος
τελειότητα καὶ αἱ τῆς ἀνισότητος σχέσεις
φυσικῶς τὴν γένεσιν ἴσχωσι, πέντε μὲν τῶν
προλόγων ὄντων, πέντε δὲ τῶν τούτοις συζύγων ὑπολόγων᾽ προλόγων μὲν κατά τε τὸ πολλαπλάσιον καὶ ἐπιμόριον
[20] καὶ ἐπιμερὲς καὶ
πολλαπλασιεπιμόριον καὶ πολλαπλασιεπιμερές, ὑπολόγων δὲ τῶν ἴσων μετὰ τῆς ὑπό προθέσεως ὀνομαζομένων. ἡ
γὰρ τῆς ἰσότητος σχέσις ἅτε διαφορὰν οὐκ
ἔχουσα ἢ ἀλλ᾽ ὡσανεὶ ταυτότης οὖσα καὶ
INTRODUZIONE ALL’ARITMETICA DI NICOMACO 689 mo se, esposti in successione i numeri a
partire dal 3, confrontiamo con ciascuno
di essi il numero che salta di un posto;?47 un esempio di epitrimere se, esposti in successione i
numeri a partire dal 4, confron- tiamo
con ciascuno di essi il numero che salta di due posti.248 Ma poi- ché tali formazioni numeriche non sono
semplici, bensi miste ad altre
relazioni, ci serviremo delle progressioni secondo il rapporto dei
mul- tipli, prendendo come basi nelle
parti i numeri che forniscono da sé le
parti, ed è per questo che tale rapporto si chiama epimere: ad esem- pio, negli epidimeri 5 in rapporto a 3,249 e
poi i doppi e i tripli di que- sti, e
cosi all'infinito,25° negli epitrimeri 7 in rapporto a 4,51 e poi i doppi e i tripli di questi,252 negli
epitetrameri 9 in rapporto a 5,25 e
proporzionalmente in tutta la serie, in modo che la progressione dei termini minori si faccia, nelle basi, secondo
i numeri in successione a partire dal 3,
e nei termini maggiori secondo i numeri dispari in suc- cessione a partire dal 5. In generale avremo
basi di ogni rapporto nei multipli, in
cui l’unità è il minore tra i termini messi a confronto, e peculiarità del doppio sarà il fatto che la
stessa unità si fa anche diffe- renza;
negli epimori, che nascono secondo il rapporto emiolio, inve- ce, il termine minore sarà il 2, e i termini
avranno di nuovo come dif- ferenza [43]
l’unità. Secondo il rapporto epitrite ed epiquarto e i rap- porti epimori successivi, il termine minore
sarà quello che fornisce da sé la
denominazione alla parte, per la quale c'è appunto l’epimorio, e in tutti ci sarà la medesima differenza, cioè
l’unità. Ma anche nelle basi del
rapporto epimere, poiché la stessa unità non ha in verità luogo di apparire o nei termini, come accade
a proposito delle specie di multipli, o
di essere la loro differenza, come accade a proposito degli epimori, poiché il termine maggiore
supera di più di una parte il minore,
allora l’unità apparirà nei termini in altra maniera: infatti le parti che nel termine maggiore restano non
misurate, se le mettiamo a confronto con
il termine minore, avranno come differenza assoluta- mente l’unità. Resta da parlare delle relazioni miste
derivanti dal multiplo e dai rimanenti
due tipi di rapporti, l’epimorio e l’epimere, e dai loro ipo- loghi, affinché anche le relazioni della
disuguaglianza abbiano la loro origine
naturale secondo la perfezione della decade, e sono cinque dei prologhi e cinque degli ipologhi ad essi
accoppiati; quelle dei prolo- ghi sono
secondo il multiplo, l’epimorio e l’epimere, e il multiplo-epi- morio e il multiplo-epimere, quelle degli
ipologhi hanno uguale deno- 690
GIAMBLICO ἑνότης, εἴγε τὸ ἴσον ἕν πρὸς
ἕν ἐστιν, ἑτέρας φύσεως ἔσται καὶ τῆς
ἐναντίας γε τῇ ἀνισότητι, καὶ διὰ τοῦτο οὐ συγκαταριθμηθήσεται τοῖς εἴδεσι τῆς ἀνισότητος. καὶ μὴν καὶ ἀρχῆς
λόγον ἕξει ἡ ἰσότης πρὸς τὴν [44]
ἀνισότητα, καθάπερ καὶ ἐν γραμμικοῖς ἡ ὀρθὴ γωνία πρὸς ἀμβλεῖαν καὶ ὀξεῖαν, καὶ ἐν μουσικοῖς
διαστήμασιν ἡ μέση πρὸς τοὺς ἐπιτεινομένους
φθόγγους καὶ ἀνιεμένους. καὶ γὰρ ταῦτα
ἀπό τινος ὡρισμένου καὶ πεπερασμένου λαβόντα κατὰ τὸν τῆς ἰσό- τητος λόγον, ἀπὸ τούτου τὴν παρατροπὴν ἐπί τε
τὸ μεῖζον καὶ τὸ ἔλαττον23 ἴσχοντα κατὰ
τὴν ἀνισότητα ἐπ᾽ ἄπειρον πρόεισιν. ἵν᾽ οὖν
δεδειγμένον ἢ τὸ τὰς τῆς ἀνισότητος σχέσεις ἐκ τῆς ἰσότητος φυσικῇ ἀνάγκῃ γίνεσθαι καὶ [10] οὐχ ἡμῶν
θεμένων, καὶ πρῶτόν γε τὴν
πολλαπλασιότητα ἀπὸ διπλασίου ἀρξαμένην, ἀφ᾽ ἧς πάλιν τὴν ἐπιμοριότητα ἀπὸ ἡμιολίου τὴν ἀρχὴν ἴσχουσαν,
καὶ ἀπὸ ταύτης τὴν ἐπιμερότητα κατὰ τὴν
ἀνάλογον τάξιν καὶ ἑξῆς ἀπὸ τούτων τὰς μικ-
τάς, ἐκθετέον τρεῖς ὅρους, καὶ πρῶτόν γε ἐν μονάσιν εἶτα «ἐν» δυά- σι καὶ πάλιν ἐν τριάσι καὶ ἑξῆς ἀκολούθως,
καὶ παρ᾽ ἑκάστην ἔκθε- σιν ἄλλους τρεῖς
ὅρους πλαστέον διὰ τριῶν προςταγμάτων ἀεὶ τῶν
αὐτῶν, καὶ παρὰ τοὺς πλασθέντας ἑκατέρους τρεῖς καὶ ἐκ τούτων ἄλλους καὶ ἀεὶ ἑξῆς [20] ἀκολούθως, ἐφ᾽
ἑκάστης δὲ πλάσεως πει- ρατέον κατὰ
φύσιν τε καὶ ἀναστρόφως τοὺς ὅρους ἐκτίθεσθαι, καὶ δευτέραν ἔκθεσιν τοῖς αὐτοῖς προστάγμασι
χρωμένους πλάσσειν τοὺς ἀπ᾽ αὐτῶν. ἔσται
δὲ τὰ προστάγματα τάδε: ποιήσας πρῶτον ὅρον πρώτῳ τῶν ἐκκειμένων ἴσον, δεύτερον δὲ
πρώτῳ ἅμα καὶ δευ- τέρῳ, τὸν δὲ τρίτον
πρώτῳ δυσὶ δευτέροις ἅμα καὶ τρίτῳ. ἐκ πάν [45]
τῶν οὖν ἐν ἰσότητι ὅρων τριῶν προεκτεθέντων, εἴτ᾽ ἐν μονάσιν εἴτ᾽ ἐν δυάσιν ἢ καὶ τριάσι καὶ ἐφεξῆς, διὰ τῶν
προειρημένων προστογ- μάτων γενικῶς μὲν
πολλαπλάσιοι γενήσονται, εἰδικῶς δὲ πολλα-
πλασίων οἱ διπλάσιοι, πρῶτοι μὲν ἐκ μονάδων, οἱ δὲ συνεχεῖς ἐκ δυάδων καὶ οἱ μετ᾽ αὐτοὺς ἐκ τριάδων καὶ ἑξῆς
ἀκολούθως. ἐκ δὲ τῶν πλασθέντων
διπλασίων τριπλάσιοι, πρῶτοι πάλιν ἐκ πρώτων καὶ συνεχεῖς ἐκ συνεχῶν, ἐκ δὲ τριπλασίων
τετραπλάσιοι ἀποσῴζοντες τὴν αὐτῶν [10]
εὐταξίαν, καὶ ἐκ τετραπλασίων πενταπλάσιοι καὶ
ἀεὶ οἱ ἑπόμενοι λόγοι ἐκ τῶν ἡγουμένων. εἰ δὲ πλάσσοντες οὐ τῇ τοιᾷδε κατὰ φύσιν τῶν ὅρων ἐκθέσει
χρησαίμεθα, ἀλλὰ ἀναστρέ- 23 ἔλαττον
congetturò Vitelli: ἴσον. INTRODUZIONE
ALL’ARITMETICA DI NICOMACO 691
minazione con l’aggiunta del prefisso “sotto”. La relazione di
ugua- glianza, infatti, poiché non ha
differenza <al suo interno>, ovvero esi-
ste come identità e unità, se è vero che l’uguale è in rapporto uno
a uno, sarà di natura diversa e
contraria alla disuguaglianza, e perciò
non può essere calcolata in <diverse> specie cosi come la
disugua- glianza. E l'uguaglianza avrà
altresi funzione di principio rispetto alla
[44] disuguaglianza, cosi come accade anche in geometria dove l’an- golo retto è principio dell’angolo ottuso e
dell'angolo acuto, e negli intervalli
musicali dove la corda mediana è principio dei suoni acuti e gravi. E infatti queste cose procedono
all’infinito attingendo da qual- cosa di
determinato e delimitato in rapporto di uguaglianza, e allon- tanandosi da questo rapporto secondo la
maggiore o minore disugua- glianza.
Affinché dunque sia mostrato come le relazioni di disugua- glianza nascano dall’uguaglianza per
necessità naturale e non perché lo
stabiliamo noi,254 e anzitutto come dal doppio abbia inizio la serie dei multipli, da cui trae origine ancora la
serie degli epimori a partire
dall'emiolio, e come da quest’ultima serie nasca in proporzione
quel- la degli epimeri e poi da queste
quella delle relazioni miste, occorre
esporre tre termini, prima tre 1,29 poi tre 2,25 poi tre 3,257 e cosi di seguito, e per ciascuna esposizione formare
altri tre termini sempre per mezzo di
tre loro regole, e per ciascuna formazione altri tre termi- ni e dopo questi altri tre e cosi sempre in
successione. In ciascuna for- mazione
dobbiamo cercare di esporre i termini secondo natura e in rapporto inverso, e di formare una seconda
esposizione dei termini che vengono dopo
di quelli, servendoci delle stesse regole. E le rego- le saranno le seguenti: porre un primo
termine che sia uguale al primo dei
termini posti, poi un secondo termine uguale alla somma del primo e del secondo, poi un terzo termine
uguale allo somma del primo, di due
volte il secondo e del terzo. Ebbene, da [45] tutti e tre i termini esposti in precedenza in
uguaglianza, sia dai tre 1, che dai tre
2 e dai tre 3, e cosi via, attraverso le regole di cui abbiamo parlato si produrranno i multipli in generale, e
specificamente tra i multipli i doppi: i
primi dalla serie di 1, i successivi dalla serie di 2, e quelli dopo di essi dalla serie di 3, e cosî di seguito.
Dai doppi che si saranno for- mati
nasceranno i tripli, i primi a loro volta dai primi e i successivi dai successivi, e dai tripli i quadrupli che
conservano lo stesso ordine, dai
quadrupli i quintupli e sempre i rapporti eponimi dai rapporti
prece- 692 GIAMBLICO ψαιμεν τοὺς πρώτους ἀπὸ τῶν ἰσοτήτων πλασθέντας
ὕρους, ὥστε τὸν τρίτον ὅρον ἐν τῇ τοῦ
πρώτου χώρᾳ τάξαι τὸν δὲ πρῶτον ἐν τῇ τοῦ
τρίτου, τὸν δὲ μέσον ὁμοίως μέσον τηρήσαιμεν, ἔπειτα διὰ τῶν αὐτῶν προσταγμάτων ἑτέρους πλάσσοιμεν,
φύσονται γενικῶς μὲν ἐπιμόριοι ἀπὸ
πολλαπλασίων, εἰδικῶς δὲ ἡμιόλιοι μὲν ἀπὸ διπλα- σίων εὕτακτοι ἀπ᾿ εὐτάκτων, [20] ἐπίτριτοι δὲ
ἀπὸ τριπλασίων ἀποσῴζοντες τὴν αὐτὴν
τάξιν, καὶ ὁμοίως ἐπιτέταρτοι ἀπὸ τετρα-
πλασίων καὶ ἐπίπεμπτοι ἀπὸ πενταπλασίων καὶ ἑξῆς κατά τινα συγ- γένειαν φυσικὴν συμπαρεκτεινομένων τοῖς εἴδεσι
τοῦ πολλαπλασί- οὐ τῶν παρωνυμούντων
καθ᾽ ἕκαστον εἶδος ἐπιμορίων. ἐκ δὲ αὐτῶν
τούτων πάλιν ἀναστραφέντων τῶν ὅρων τοὺς ἐπιμερεῖς λόγους πάντως γεννήσομεν πρώτους πάλιν ἐκ πρώτων καὶ
δευτέρους ἐκ δευ- τέρων καὶ τρίτους ἐκ
τρίτων καὶ ἑξῆς ἀκολούθως, καὶ τούτων [46]
διευτακτουμένων καταλλήλως τῇ ἐξ ἀρχῆς παρωνυμήσει. ὑποδείγματος δὲ ἕνεκα ἔστωσαν μονάδες τρεῖς
κατ᾽ ἴσον λόγον προ- εκκείμεναι. εἰ δὴ
ποιήσαιμεν κατὰ τὰ εἰρημένα προστάγματα
πρῶτον ὄρον πρώτῳ ἴσον ἔσται μονάς, εἰ δὲ δεύτερον πρώτῳ καὶ δευτέρῳ ἔσται δυάς, εἰ δὲ τρίτον πρώτῳ δυσὶ
δευτέροις τρίτῳ ἔσται τετράς, καὶ
γενήσονται οἱ πλασθέντες ἐν διπλασίῳ λόγῳ α΄ β΄ δ΄. ἐκ δὲ αὐτῶν κατὰ τὰ αὐτὰ προστάγματα ἕξομεν τοὺς
ἐν τριπλασίῳ α΄ Y θ΄, καὶ ἀπὸ τούτων
[10] τοὺς ἐπὶ τούτοις ἐν τετραπλασίῳ α΄ δ΄ ις΄,
καὶ ἐφεξῆς ἀκολούθως. εἰ δὲ δυάδας ἐν ἰσότητι προεκθοίμεθα, ἔσονται οἱ ἑξῆς ὅροι ἐν διπλασίῳ ὁμοίως ὄντες
λόγῳ οἱ β΄ δ΄ η΄ καὶ ἀπὸ τούτων πάλιν οἱ
ἑξῆς τριπλάσιοι β΄ ς΄ ιη΄, ἀφ᾽ ὧν οἱ ἑξῆς τετρα- πλάσιοι β΄ π΄ λβ΄, καὶ ἀθρόοι ἀκόλουθοι. εἰ δὲ
ἀναστρέψαιμεν τοὺς πρώτους ἐν διπλασίῳ
λόγῳ τοὺς α΄ β΄ δ΄ διὰ τῶν αὐτῶν προσταγμάτων
ποιήσομεν τοὺς πρώτους ἐν ἡμιολίῳ ἀναλογίᾳ ὄντας τοὺς δ΄ ς΄ θ΄, ἀπὸ δὲ τούτων πάλιν ἀναστραφέντων τοὺς ἐν
ἐπιδιμερεῖ ὁμοίως ἀναλογίᾳ [20] ὄντας
τοὺς θ΄ ιε΄ κε΄. ἐκ τούτου συμ«βαίνει ἐμνφανῆ2ἠ
γίνεσθαι τὴν συγγένειαν τῶν σχέσεων. εἰ γὰρ ὁ διπλάσιος λόγος ἀπὸ ἰσότητος ἐγεννήθη, ἐμάθομεν δὲ
παρωνομασμένον τὸ ἥμισυ τῷ δύο, εἰκότως
ἑξῆς ὡς οἰκεῖος ὁ ἡμιόλιος λόγος ἐπλάσθη ἐν ἐπιμορί- οἷς, ἀπὸ δὲ τούτου πάλιν ὡς ἐν ἐπιμερέσι κατὰ
τὴν οἰκειότητα τῆς δυάδος ὁ ἐπιδιμερής.
εἰ δὲ οἱ πρῶτοι ἐν τριπλασίῳ λόγῳ, ἐκφύσον-
ται ἀπ᾽ αὐτῶν ἐπίτριτοι καὶ ἀπὸ τούτων ἐπιτριμερεῖς, εἰ δὲ τετρα- 24 l'integrazione è di Vitelli (cf. Add. et
Corr. p. VII). INTRODUZIONE
ALL’ARITMETICA DI NICOMACO 693 denti.
Se nel formare queste serie di numeri non ci serviremo di sif- fatta esposizione naturale dei termini, ma
invertiremo i primi termini formati
dalle uguaglianze, in modo da collocare il terzo termine al posto del primo e il primo al posto del
terzo, e manterremo il medio come medio,
e poi formeremo altri termini in base alle stesse regole, allora nasceranno dai multipli gli epimori in
generale, e nella fattispe- cie dai
doppi gli emioli ordinati secondo l’ordine di quelli, dai tripli gli epitriti che conservano lo stesso ordine,
e ugualmente dai quadru- pli gli
epiquarti e dai quintupli gli epiquinti, e mi successione, secon- do una naturale affinità, gli epimori saranno
coestesi con le singole specie del
multiplo di cui sono paronimi. Da questi stessi termini a loro volta invertiti faremo nascere tutti i
rapporti epimeri, i primi dai primi e di
nuovo i secondi dai secondi e i terzi dai terzi e cosî di segui- to, e questi [46] si ordineranno tra loro in
virtà della paronimia ini- ziale. Siano
posti, ad esempio, tre 1 secondo un rapporto di ugua- glianza. Se faremo, sulla base delle suddette
regole, un primo termine uguale al primo
che abbiamo posto, si avrà 1, se faremo un secondo termine uguale alla somma del primo e del
secondo, si avrà 2, se fare- mo un terzo
termine uguale alla somma del primo, di due volte il secondo e del terzo, si avrà 4, e i termini
cosî formatisi saranno in rap- porto
doppio: 1, 2, 4. Secondo le stesse regole, da questi otterremo i termini di rapporto triplo: 1, 3, 9, e da
questi i termini di rapporto quadruplo:
1, 4, 16, e cosi di seguito. Se invece premettiamo un’ugua- glianza fatta con il numero 2, allora si
otterranno i termini successivi di
rapporto parimenti doppio, e cioè 2, 4, 8, e da questi a loro volta i termini di rapporto triplo: 2, 6, 18, a cui
seguiranno i termini di rap- porto
quadruplo: 2, 8, 32, e tutti i termini seguenti nel loro insieme. Se poi invertiremo i primi termini di
rapporto doppio, cioè 1, 2, 4,258
formeremo, secondo le stesse regole, i primi termini di rapporto emiolio, che saranno proporzionalmente 4, 6,
9, e da questi a loro volta invertiti259
formeremo i termini di rapporto epidimere, che
ugualmente saranno proporzionalmente 9, 15, 25. Da ciò appare con chiarezza che tra queste relazioni c’è
affinità. Se infatti il rapporto doppio
è generato dall’uguaglianza, apprendiamo la metà come paro- nima di 2, e similmente come negli epimori si
formi propriamente il rapporto emiolio,
e come da questo a sua volta si formi negli epimeri il rapporto epidimere secondo la proprietà
del 2. Se i primi termini 694
GIAMBLICO πλάσιοι ἐπιτέταρτοί τε καὶ
ἐπιτετραμερεῖς καὶ dei oi ἑξῆς,
ἀποσῴζοντες τὴν [47] οἰκειότητα τῆς παρωνυμήσεως καὶ πυθμένες μὲν ἀπὸ πυθμένων δεύτεροι δὲ ἀπὸ δευτέρων καὶ
τρίτοι ἀπὸ τρίτων καὶ ἀεὶ ὁμοίως.
πυθμένας δὲ ἐπιμορίων ἐν τρισὶν ὅροις μὴ τοὺς αὖ- τοὺς οἰώμεθα γενήσεσθαι, οἵπερ ἐν δυσὶ
φαίνονται: οὐ γὰρ δυνατὸν ἐν δυσὶν ὄντος
λόγου τινὸς καὶ τρίτον ὅρον προσπορισθῆναι τὸν
αὐτὸν λόγον πρὸς τὸν μέσον ἀποσῴζοντα, διότι μὴ τοῦ αὐτοῦ μορί- ov παρεκτικός ἐστιν ὁ μείζων, καθ᾽ ὃ
ἐπιμόριός ἐστι τοῦ πρώτου, ἵνα καὶ ὁ
τρίτος κατ᾽ αὐτὸν ἐκείνῳ τὸν [10] λόγον ἀποσῴζῃ᾽ πᾶς γὰρ ἐπιμορίου λόγου πυθμὴν ὁ τοὺς ὅρους ἔχων
μονάδι διαφέροντας οὐχ ὁμοίους αὐτοὺς
ἕξει διαιρετούς, ἀλλ᾽ εἰ μὲν ὁ ἐλάττων διχῇ διαι- ροῖτο, ὁ μείζων τριχῇ, εἰ δὲ ὁ ἐλάττων τριχῇ,
ὁ μείζων τετραχῇ, καὶ ἀεὶ μονάδι
μεγαλωνυμωτέραν ὁ μείζων τοῦ ἐλάττονος τὴν διαίρεσιν ἐπιδέξεται, ὥστε τοῦ μορίου ἐν λόγῳ ᾧτινιοῦν
κατὰ τὸν ἐλάττονα ἐξεταζομένου, ὃς
ὑπόλογός ἐστι πρὸς τὸν μείζονα, οὐκ ἔσται τις
τρίτος πρόλογος κατ᾽ ἐκεῖνο τὸ μόριον ὑπόλογον ἔχων τὸν μείζονα, ἀλλ᾽ οὖν ἐπεὶ μή εἰσιν οἱ [20] αὐτοὶ τοῖς ἐν
δυσὶν οἱ ἐν τρισίν, ἑτέρως
ἐμφαντασθήσονται οἱ πυθμένες τοῖς ἀνάλογον. διαφοραὶ γὰρ αὐτῶν γενήσονται, οἷον φέρ᾽ εἰπεῖν ἐπεὶ
ἀνάλογον ἐν ἡμιολίῳ λόγῳ εἰσὶν οἱ δ΄ ς΄
θ΄, ἔσονται αὐτῶν διαφοραὶ οἱ τὸν αὐτὸν λόγον
περιέχοντες πυθμένες ὁ γ΄ καὶ ὁ β΄, καὶ πάλιν ἐν ἐπιτρίτῳ οἱ θ΄ τβ΄ ις΄, ἔσονται διαφοραὶ τούτων οἱ πυθμενικοὶ ὁ
δ΄ πρὸς τὸν γ΄, καὶ ἀεὶ ὁμοίως τὸ αὐτὸ
συμβήσεται ἐν ἅπασι τοῖς εἴδεσι τῶν ἐπιμορίων᾽
καθόλου γὰρ πυθμένες ἔσονται ἐν τρισίν, ὧν διαφοραὶ οἱ ἐν δυσίν. ἐν δὲ τοῖς [48] πολλαπλασίοις οἱ ἀνάλογον ἀπ᾽
ἀρχῆς ἐκκείμενοι τοὺς ἐλάττονας ὅρους
ἀεὶ πυθμένας ἕξουσι καθ᾽ ἕκαστον λόγον. αἰ-
τία δὲ τούτου ἡ μονὰς ὑπόλογον ἑαυτὴν πρὸς πάντας λόγους τοῦ πολλαπλασίου παρέχουσα. οὐδὲν δὲ ἧττον καὶ αἱ
ἐν τοῖς ἀνάλογον διαφοραὶ τὸν αὐτὸν
λόγον περιέξουσιν, εἰ καὶ μὴ πυθμένες εἰσὶ τῶν
λόγων, ὡς ἐπὶ τῶν ἐπιμορίων συνέβαινε. μόνοι δὲ οἱ ἐν διπλασίῳ ἀνάλογον ἀπ᾽ ἀρχῆς ἐξαίρετον ἕξουσι τὸ καὶ
διαφορὰς ἔχειν τοὺς ἐλάττονας ὅρους,
οἵπερ εἰσὶ [10] πυθμενικοί. ἐν δὲ τοῖς τῶν ἐπι-
μερῶν εἴδεσιν οἱ τοὺς πυθμένας τῶν λόγων περιέχοντες ὅροι οὔτ᾽ ἐν INTRODUZIONE ALL’ARITMETICA DI NICOMACO
695 sono in rapporto triplo, verranno
fuori da essi termini epitriti e da
questi termini epitrimeri, se invece sono quadrupli verranno fuori epiquarti ed epitetrameri e cosi sempre gli
altri seguenti, e tutti con- servano
[47] la proprietà della paronimia, e le basi nasceranno dalle basi, i secondi dai secondi, i terzi dai
terzi, e sempre allo stesso modo. Non
crediamo invece che fra tre termini ci siano le stesse basi di epi- mori che appaiono tra due termini, perché,
dato un rapporto epimo- rio tra due
termini, non è possibile ottenere un terzo termine che mantenga lo stesso rapporto con il medio, per
il fatto che il maggiore non può fornire
la stessa parte, per la quale il secondo è epimorio del primo, affinché anche il terzo mantenga lo
stesso rapporto di quel- lo.260 Ogni
base del rapporto epimorio, infatti, è quella che, avendo i termini che differiscono di un’unità, non
potrà avere questi termini divisibili
allo stesso modo, al contrario, se il minore è divisibile per 2, il maggiore sarà divisibile per 3, se il
minore è divisibile per 3, il mag- giore
sarà divisibile per 4, e il maggiore ammetterà sempre una divi- sione secondo un denominatore più grande di
un’unità rispetto al minore, di modo
che, considerata la parte in un qualunque rapporto con il minore, che è ipologo rispetto al
maggiore, non ci sarà secondo la stessa
parte un terzo numero prologo che abbia quel maggiore come ipologo. Al contrario, dunque, poiché
fra due termini non ci sono gli stessi
rapporti che fra tre termini, le basi appariranno in modo diverso da quello proporzionale; ci
saranno infatti differenze tra di essi,
come ad esempio, dati i numeri 4, 6, 9, che costituiscono una proporzione di rapporto emiolio, saranno
loro differenze le basi che contengono
lo stesso rapporto, cioè 3 e 2, e a sua volta nell’epitri- te, in cui i numeri in rapporto sono 9, 12,
16, le loro differenze saran- no le
basi, cioè 4 in rapporto a 3, e cosi sempre accadrà la stessa cosa in tutte le specie di epimorio: in generale
infatti saranno basi nei tre termini
quelli le cui differenze sono basi nei due termini. Nei multi- pli, invece, [48] i numeri esposti
proporzionalmente all’inizio avran- no
sempre come basi i termini minori secondo ciascun rapporto. Causa di ciò è l’unità che è per se stessa
termine ipologo rispetto a tutti i
rapporti del multiplo. Nondimeno anche le differenze che sono in essi proporzionali avranno lo stesso
rapporto, sebbene non siano basi dei
rapporti, come accade a proposito degli epimori. Soltanto i multipli che sono all’inizio
proporzionalmente in rapporto doppio,
696 GIAMBLICO ταῖς διαφοραῖς
φανήσονται ὡς ἐπὶ τῶν ἐπιμορίων, οὔτε ἐν τοῖς ἐλάτ- τοσιν ὅροις ὡς ἐπὶ τῶν πολλαπλασίων, ἀλλὰ
κατά τινα ἄλλην εὔτακ- τον ἀναλογίαν. οἱ
μὲν γὰρ ἐν λόγῳ ἐπιδιμερεῖ ἀνάλογον ὄντες ἐν
ἡμίσει τῶν διαφορῶν τοὺς πυθμενικοὺς περιέξουσι, πάλιν κἀνταῦθα τῆς οἰκειότητος τοῦ ἡμίσους πρὸς τὴν
δυάδα, καθ᾽ ἣν ἐπι- διμερὴς ὁ λόγος
ἐστί, ἐμφαινομένης᾽ οἱ δ᾽ ἐν ἐπιτριμερεῖ ἐν τρίτῳ τῶν διαφορῶν οἱ δὲ ἐν ἐπιτετραμερεῖ [20] ἐν
τετάρτῳ καὶ οἱ ἐν ἐπι- πενταμερεῖ ἐν
πέμπτῳ, καὶ ἀεὶ ἑξῆς τὸ ὅμοιον ἔσται, ἀποσῳζομένης τῆς συμφυῖας τοῦ μορίου πρὸς τὸν λόγον. καὶ
γὰρ καθ᾽ αὑτοὺς οἱ λό- γοι ἐν τοῖς
μέρεσι τὴν ὀνομασίαν ἴσχουσιν ἐξεταζόμενοι πρὸς τὰ μόρια, καθά ἐστιν ἡ ὑπεροχὴ τοῦ μείζονος ὅρου
πρὸς τὸν ἐλάττονα μονάδι μειωνυμώτερον᾽
ἐπιδιμερὴς μὲν γὰρ ἔσται ὁ πρῶτος λόγος
τρίτων, ἐπιτριμερὴς δὲ ὁ δεύτερος τετάρτων καὶ ἐπιτετραμερὴς ὁ τρίτος πέμπτων καὶ ἑξῆς ὁμοίως. [49] Αἱ δὲ μικταὶ σχέσεις ἔκ τε πολλαπλασίου
καὶ ἑκατέρου τῶν λοιπῶν ἐπιμορίου καὶ
ἐπιμεροῦς γεννῶνται καὶ αὗται ἐκ τῶν πρὸ
ἑαυτῶν, ἡ μὲν ἐν πολλαπλασιεπιμορίῳ λόγῳ ἐκ τῆς ἐν ἐπιμορίῳ, ἀφ᾽ ἧς καὶ «ἦ» ἐν ἐπιμερεῖ ἐγεννᾶτο, οἷον
εἰδικῶς ἡ διπλασιεφήμι- συς ἀπὸ τῆς ἐν
ἡμιολίοις φύεται, οὐκέτι ἀναστρόφως τῶν ὅρων κει- μένων, ἀλλὰ κατὰ φύσιν χρωμένων ἡμῶν τοῖς
αὐτοῖς τρισὶ προστάγ- μασιν’ οὔσης γὰρ
ἀναλογίας ἐν ἡμιολίῳ τῆς δ΄ ς΄ θ΄, ἧς αἱ διαφοραὶ οἱ [10] πυθμενικοὶ ὅροι, πλασθήσεται ἡ
διπλασιεφήμισυς «ἐν» ὅροις τοῖς δ΄ τ΄
κε΄. ἐκ δὲ τῆς ἐν ἐπιτρίτῳ λόγῳ τῆς θ΄ ιβ΄ ις΄, ἧς πάλιν αἱ διαφοραί εἰσιν οἱ πυθμενικοὶ ὅροι, ὁμοίως ἀπὸ
τοῦ ἐλάττονος ὅρον ἀρχομένων ἡμῶν ἡ
διπλασιεπίτριτος ἐν ὅροις τοῖς θ΄ κα΄ μθ΄. ἐκ δὲ τῆς ἐν ἐπιτετάρτῳ τῆς 15° κ΄ κε΄, ἧς αἱ
διαφοραὶ πάλιν οἱ πυθμενικοί, ἡ
διπλασιεπιτέταρτος γεννᾶται ἐν ὅροις τοῖς 15° λς΄ πα΄, καὶ ἑξῆς ὁμοίως, ἀποσῳζομένης κἀνταῦθα τῆς οἰκειότητος
τοῦ μετὰ τὴν πολ- λαπλασιότητα
ἐπιτροέχοντος μορίου πρὸς τὴν ὀνομασίαν τοῦ [20] ἐπιμορίου λόγου, ἀφ᾽ οὗπερ ἡ γένεσίς ἐστι τῇ
μικτῇ σχέσει. ἐπεὶ γὰρ ἡμιόλιος ἡ
γεννῶσα σχέσις διπλασιεφήμισυς ἡ γεννωμένη, ἐπεὶ INTRODUZIONE ALL'ARITMETICA DI NICOMACO
697 faranno eccezione per il fatto che
hanno come differenze i termini minori,
che sono basali. Nelle specie degli epimeri, invece, i termini che contengono le basi dei rapporti26! non
appariranno né nelle dif- ferenze, come
accade negli epimori,262 né nei termini minori, come accade nei multipli,26 ma in un’altra
proporzione bene ordinata. I termini,
infatti, che sono proporzionalmente in rapporto epidimere, conterranno le basi nella metà delle
differenze,26 e anche qui si mani- festa
di nuovo la parentela tra la metà e il 2, secondo cui il rapporto è epidimere; i termini in rapporto epitrimere,
invece, avranno le basi nella terza
parte delle differenze, quelli in rapporto epitetramere nella quarta parte delle differenze, e quelli in
rapporto epipentamere nella quinta parte
delle differenze, e sarà sempre alla stessa maniera nei successivi, affinché si conservi la
corrispondenza naturale tra la parte e
il rapporto. E infatti i rapporti per se stessi prendono denominazio- ne nelle parti265 messe in relazione con i
rapporti delle parti,266 nel senso che
l'eccesso del termine maggiore rispetto al minore?6? prende denominazione per differenza di un’unità:268
epidimere infatti sarà il primo rapporto
delle terze parti,26? epitrimere il secondo rapporto delle quarte270 ed epitetramere il terzo
rapporto delle quinte,?7! e cosî di
seguito. [49] Le relazioni miste,
formate dal multiplo e da ciascuno dei
rimanenti due rapporti, cioè dall’'epimorio e dall’epimere, nascono anch'esse dalle relazioni che le precedono:
dalla relazione di rappor- to epimorio
nasce quella di rapporto multiplo-epimorio, dalla quale è generata anche quella di rapporto epimere,
come ad esempio nella fattispecie la
relazione di rapporto doppio-emiolio nasce da quella di rapporto emiolio, in quanto i termini non
sono più invertiti, ma noi ci serviamo
naturalmente delle stesse tre regole; posta la proporzione di rapporto emiolio'4, 6, 9, le cui differenze
sono le basi, si formerà la relazione
doppio-emiolia nei termini 4, 10, 25. Dalla proporzione di rapporto epitrite 9, 12, 16, le cui
differenze a loro volta sono i termi- ni
basali, si formerà similmente, a partire dal termine minore, la rela- zione doppio-epitrite nei termini 9, 21, 49.
Dalla proporzione di rap- porto
epiquarto 16, 20, 25, le cui differenze sono ancora una volta i termini basali, si formerà la relazione
doppio-epiquarto nei termini 16, 36, 81,
e cosi di seguito, e si manterrà anche in questo caso la pro- prietà del rapporto che, dopo la
moltiplicazione, si ha tra la parte
698 GIAMBLICO δὲ ἐπίτριτος
διπλασιεπίτριτος, καὶ «ἐπεὶ» ἐπιτέταρτος διπλασιεπι- τέταρτος, καὶ ἑξῆς δὲ ἀκολούθως. πάλιν δὲ καὶ
τούτων οἱ πυθμένες διευτακτη[5θ]θήσονται
οὐκέτ᾽ αὐτόθεν ἐμφαινόμενοι ταῖς διαφο-
ραῖς τῶν πλασσομένων, ὡς ἐπὶ τῶν ἁπλῶν σχέσεων ἐγίνετο, ἀλλὰ διὰ τὸ μικτὰς εἶναι τὰς σχέσεις καὶ τοὺς
λόγους ηὐξῆσθαι ἐν μορί- οἷς τῶν
διαφορῶν ὄντες φανήσονται. διπλασιεφημίσους μὲν γὰρ λό- γου ὁ πυθμὴν ἐν τρίτῳ μέρει τῶν διαφορῶν,
διπλασιεπιτρίτου δὲ ἐν τετάρτῳ καὶ
διπλασιεπιτετάρτου δ᾽ ἐν πέμπτῳ, καὶ ἑξῆς ἀκολούθως μονάδι μεγαλωνυμώτερον ἀεὶ ἔσται τὸ μόριον
ἀντεξεταζόμενον πρὸς τὸ ὄνομα τοῦ
ἐπιτρέχοντος [10] μορίου ἐν τοῖς εἴδεσι τοῦ πολ- λαπλασιεπιμορίου. παρατηρητέον δὲ ἐφ᾽ ἑκάστης
πλάσεως τῶν τε ἐπιμερῶν σχέσεων καὶ τῶν
πολλαπλασιεπιμορίων πῶς καὶ ἀντιπε-
πόνθησίς τις γλαφυρὰ ὑποφύεται. αἱ μὲν γὰρ ἐπιμερεῖς ἅπαξ πλῆρες τὸ μέτρον προσέβαλλον καὶ πλείονα τὰ ἀκαταμέτρητα
ἀπέλειπον μόρια ἀρχόμενα ἀπὸ δύο:
ἐπιδιμερὴς γὰρ ἡ πρώτη, εἶτ᾽ ἐπιτριμερὴς
καὶ ἐπιτετραμερὴς καὶ ἑξῆς ἀκολούθως: αἱ δὲ πολλαπλασιεπιμό- ριοι ἀντιπεπονθότως δὶς μὲν τὸ μέτρον
προςβάλλουσι πληρούντως, ἕν δὲ μέρος ἀεὶ
ἀπολείπουσιν [20] ἀκαταμέτρητον ἀρχόμενον καὶ
αὐτὸ ἀπὸ τοῦ συζυγοῦντος τῷ δύο ἀριθμῷ μορίου, καὶ ἑξῆς προκόπ- τον ἀκολούθως. ἐπὶ δὲ πασῶν τῶν πλασσομένων
σχέσεων καὶ ἀφ᾽ ὧν αἱ πλάσεις οἱ ἄκροι
τετράγωνοι γίνονται. ἡ δὲ λοιπὴ μικτὴ σχέσις
ἡ πολλαπλασιεπιμερὴς γεννᾶται ἐκ τῆς ἐπιμεροῦς, καὶ ἐκ μὲν τῆς ἐπιδιμεροῦς «ἢ» δὶς ἐπιτρίτου, εἰδικῶς τῆς θ΄
[καὶ ]25 τε΄ κε΄, ἀρχο- μένων ἡμῶν ἀπὸ
τοῦ ἐλάττονος ὅρου, γεννᾶται ἡ [51] διπλασιεπιδι- μερὴς τρίτων ἐν ὅροις τοῖς θ΄ κδ΄ ξδ΄, ἐκ δὲ
τῆς ἐπιτριμεροῦς ἢ τρὶς ἐπιτετάρτου τῆς
ις΄ κη΄ μθ΄ ἡ διπλασιεπιτριμερὴς τετάρτων ἐν ὅροις τοῖς 15° μδ΄ pra”, πάλιν δὲ ἐκ τῆς
ἐπιτετραμεροῦς ἢ τετράκις ἐπιπέμ- πτοῦυ
τῆς κε΄ με΄ πα΄ γεννᾶται ἡ διπλασιεπιτετραμερὴς πέμπτων ἐν ὅροις τοῖς κε΄ ο΄ ρας΄, καὶ κατὰ τὸ ἑξῆς ἐπ᾽
ἄπειρον εὑρήσομεν ἀνα- λόγως καὶ ἀκολούθως
προϊοῦσαν τὴν πλάσιν τῶν πολλαπλασιεπι-
μερῶν σχέσεων ταῖς ἐπιμερέσιν. ἐκ μὲν γὰρ ἐπιδιμεροῦς [10] τρίτων ἐγένετο ἡ διπλασιεπιδιμερὴς τρίτων, ἐκ
δὲ τῆς ἐπιτριμεροῦς τετάρτων ἡ
διπλασιεπιτριμερὴς τετάρτων, ἐκ δὲ τῆς ἐπιτετραμεροῦς 25 καὶ congetturò si dovesse eliminare
Pistelli. INTRODUZIONE ALL’ARITMETICA
DI NICOMACO 699 eccedente il multiplo
e la denominazione dell’epimorio, rapporto da
cui ha origine la relazione mista. Se infatti la relazione generante è
di rapporto emiolio, quella generata è
doppio-emiolia; se la generante è di
rapporto epitrite, la generata è doppio-epitrite; se la generante è di rapporto epiquarto, la generata è
doppio-epiquarto, e cosî di seguito.
Anche le basi di queste relazioni, a loro volta, [50] si
manterranno nello stesso ordine, non più
in quanto appaiono da sé nelle differen-
ze dei termini ordinati, come avveniva nelle relazioni semplici, ma perché, essendo miste le relazioni e
aumentati i rapporti, le basi appa-
riranno nelle parti delle differenze. Del rapporto doppio-emiolio, infatti, la base è nella terza parte delle
differenze, del rapporto dop-
pio-epitrite invece è nella quarta parte, e del rapporto doppio-epi- quarto nella quinta parte, e in successione
sarà sempre minore di un’unità la parte
esaminata in corrispondenza con il nome della par- ticella nelle forme del multiplo-epimorio.
Bisogna osservare come emerga
un'elegante correlazione inversa da ciascuna formazione sia delle relazioni di rapporto epimere che di quelle
di rapporto multi- plo-epimorio. Le
relazioni epimeri, infatti, producevano una piena misura una sola volta e lasciavano prive di
misura più parti a comin- ciare dal 2:
infatti prima c’è la relazione epidimere, poi quella epitri- mere, poi quella epitetramere, e cosî di
seguito; le relazioni multiplo-
epimorio, al contrario, producono due o pit volte la piena misura,
e lasciano sempre priva di misura una
parte,a cominciare anche qui dalla parte
accoppiata al numero 2, e cosî di seguito in progressione. In tutte le relazioni che vengono formate e
da cui nascono le forma- zioni, i
termini estremi sono numeri quadrati. La rimanente relazione mista, cioè quella multiplo-epimere, si
genera dalla relazione epime- re, e
dall’epidimere,??2 o epiditrite,27) nella fattispecie, cominciando dal termine minore,?74 da 9, 15, 25,275 si
genera [51] il doppio-epidi- mere?76
delle terze parti tra i termini 9, 24, 64;277 dall’epitrimere,?78 o epitriquarto,?7?? nella fattispecie, da 16,
28, 49,280 si ha il doppio-epi- trimere28!
delle quarte parti nei termini 16, 44, 121,282 e ancora, dal- l'epitetramere, 0 epitetraquinto,28 nella
fattispecie, da 25, 45, 81, si genera il
doppio-epitetramere,2* delle quinte parti nei termini 25, 70, 196,285 e cosi di seguito all'infinito
troveremo che la formazione delle
relazioni di rapporto multiplo-epimere progredisce proporzional- mente e conseguentemente alle relazioni di
rapporto epimere. Dalla 700
GIAMBLICO πέμπτων ἡ
διπλασιεπιτετραμερὴς πέμπτων. πάλιν SÈ καὶ αὐτῶν τούτων οἱ πυθμένες κατά τινα λόγον φανήσονται
διευτακτούμενοι᾽ τῆς μὲν γὰρ
διπλασιεπιδιμεροῦς τρίτων ἐν πέμπτῳ μέρει τῶν δια- φορῶν ἐνοφθήσονται οἱ πυθμένες, τῆς
διπλασιεπιτριμεροῦς τετάρ- τῶν ἐν
ἑβδόμῳ, τῆς δὲ διπλασιεπιτετραμεροῦς πέμπτων ἐν ἐννάτῳ, καὶ ἀεὶ κατὰ δυάδος προσθήκην τὴν κλῆσιν ἕξει
τὸ μόριον, οἷον ὁ ια΄ [20] καὶ ιγ΄ καὶ
ιε΄, καὶ ἀεὶ ὁμοίως. Ἐπιδειχθείσης ἡμῖν
τῆς τῶν σχέσεων πλάσεως ἀπλῶν καὶ μικτῶν
ἀπὸ ἰσότητος τὴν ἀρχὴν ἐσχηκυίας, καθολικόν τι θεώρημα προσληπτέον χρήσιμον ἡμῖν ἐσόμενον εἰς τοὺς
λόγους τῆς ἁρμονικῆς θεωρίας [52]
τοιοῦτον. ἕκαστον τῶν ἀπὸ μονάδος πολλα-
πλασίων ἢ οὑτινοσοῦν ἀριθμοῦ πρώτου καὶ ἀσυνθέτου τοσούτων ἐπιμορίων ἡγήσεται λόγων ἀντιπαρωνύμων
ὁπόστος ἂν αὐτὸς ὧν τυγχάνῃ ἀπὸ μονάδος
ἢ τοῦ πρώτου καὶ ἀσυνθέτου. τῷ μὲν γὰρ καθ᾽
ἕκαστον πρώτῳ πολλαπλασίῳ εἰς βάθος παρώνυμος εἷς ἐπιμόριος παραγραφήσεται, δευτέρῳ δὲ καθ᾽ ἕκαστον δύο,
τρίτῳ δὲ τρεῖς, τετάρτῳ τέσσαρες, καὶ
ἑξῆς ἀκολούθως, ὥστε σύριγγι ὁμοίου τοῦ
διαγράμματος γενομένου πολλὴν [10] γλαφυρίαν ἐμφαίνεσθαι κατά τε τὸ μῆκος καὶ τὸ βάθος καὶ τὴν ὑποτείνουσαν.
ἐκ μὲν γὰρ διπλα- σίων τριπλάσιοί τε καὶ
ἡμιόλιοι φύσονται, ἐκ δὲ τριπλασίων τετρα-
πλάσιοί τε καὶ ἐπίτριτοι, ἐκ δὲ τετραπλασίων πενταπλάσιοί τε καὶ ἐπιτέταρτοι, καὶ ἐφοσονοῦν ἀεὶ τῆς αὐτῆς
ἀκολουθίας ἀποσῳζο- μένης. ὁ δὲ συνεχὴς
ἀεὶ πολλαπλάσιος ὑποφύσεται διὰ τῆς
ὑποτεινούσης κωλυτὴρ γινόμενος τῶν περαιτέρω τῆς εἰρημένης τά- ἕεως ἐπιμορίων ἐστερημένος τοιούτου
[ἐπι]μορίου καθ᾽ ὃ λέγεται ὁ ἐπιμόριος,
ὡς ὁ τρία ἡμίσους καὶ ὁ [20] τέσσαρα τρίτου καὶ ὁ πέντε τετάρτου καὶ ἀεὶ ὁμοίως. καθ᾽ ἑκάστην δὲ
σύριγγα ὁ κατὰ τὴν ὀρθὴν γωνίαν
τεταγμένος ἀριθμὸς πρὸς τοὺς ἑκατέρωθεν συγγενεῖς κατά τε τὸ πλάτος καὶ τὸ βάθος λόγον τινὰ ἀποσώσει
οὐκ ἄτακτον, οἷον ἐν μὲν τῇ τῶν
διπλασίων ἐκθέσει διπλάσιός τε καὶ ὑφημιόλιος γινό- μενος, ἐν δὲ τῇ τῶν τριπλασίων τριπλάσιός τε
καὶ ὑπεπίτριτος, καὶ ἐπὶ τῶν λοιπῶν
ἀναλόγως. Προληπτέον δὲ καὶ ἄλλο τι
θεώρημα χρησιμώτατον ἡμῖν ἐσόμε- νον εἰς
τὴν μουσικὴν εἰσαγωγὴν τοιοῦτον. [53] δύο ἀριθμῶν ἀνίσων ἐὰν ἡ πρὸς ἀλλήλους διαφορὰ κατά τινας ἄλλους
ἀριθμοὺς παρὰ μονάδα ἴσους ἀλλήλοις
μετρῇ, τὸν μὲν μείζονα κατὰ τὸν μείζονα
INTRODUZIONE ALL’ARITMETICA DI NICOMACO 701 relazione epidimere di terzi, infatti, era
nata quella doppio-epidimere di terzi,
da quella epitrimere di quarti quella doppio-epitrimere di quarti, da quella epitetramere di quinti
quella doppio-epitetramere di quinti. E
ancora, di queste stesse relazioni le basi appariranno ordina- te secondo un certo rapporto: della relazione
doppio-epidimere di terzi le basi
saranno viste nella quinta parte delle differenze, della relazione doppio-epitrimere di quarti nella
settima parte delle diffe- renze, della
relazione doppio-epitetramere di quinti nella nona parte delle differenze, essendo sempre la parte
denominata per aggiunta di 2, come ad
esempio 11? e 13: e 154, e sempre cosî.
Una volta che abbiamo indicato la formazione delle relazioni sem- plici e di quelle miste, formazione che ha
origine dall’uguaglianza, occorre
aggiungere un teorema generale che ci sarà utile per i rappor- ti della teoria armonica, [52] e che si può
formulare cosi: ciascuno dei multipli a
partire dall’unità o da qualsiasi numero primo e non-com- posto precederà tanti rapporti epimori
antiparonimi quanti corri- spondono allo
stesso numero che esso è a partire dall’unità o dal numero primo e non-composto. Accanto ad ogni
primo multiplo, infatti, sarà segnato in
colonna discendente un proprio epimorio
paronimo, accanto ad ogni secondo multiplo due epimori, accanto ad ogni terzo tre, accanto ad ogni quarto
quattro, e cosi di seguito, in modo tale
che appaia a mo’ di “siringa” la figura molto elegante di un diagramma sia in lunghezza?86 che in
altezza28” e in ipotenusa.?88 Dai doppi,
infatti verranno fuori tripli ed emioli, dai tripli quadrupli ed epitriti, dai quadrupli quintupli ed
epiquarti, e qualunque sia il nume- ro
di tali accoppiamenti si conserverà sempre la medesima sequenza. Il multiplo nascerà continuamente nel senso
dell’ipotenusa, in quan- to esso
impedisce il formarsi di ulteriori epimori del suddetto ordine essendo privo di quella parte per cui è detto
epimorio, come il 3 della metà e il 4 di
un terzo e il 5 di un quarto, e cosî di seguito. Per ciascu- na “siringa” il numero posto all'angolo retto
conserverà, rispetto ai numeri affini di
ambo i lati sia in larghezza che in altezza, un rappor- to non bene ordinato: ad esempio,
nell'esposizione dei doppi, il dop- pio
è anche sotto-emiolio, nell’esposizione dei tripli, il triplo è anche sotto-epitrite, e proporzionalmente negli
altri. Bisogna anticipare anche un
altro teorema che ci sarà molto utile ai
fini dell’Introduzione alla musica, ed è il seguente: [53] se la diffe- 702 GIAMBLICO τὸν δὲ ἐλάττονα κατὰ τὸν ἐλάττονα, ἤτοι
πληρούντως αὐτοὺς μετρήσει ἢ
ὑπερβαλλόντως ἢ ἐλλιπῶς. ἀλλ᾽ ἐπεὶ τὸ μὲν πλῆρες ἑνὶ τρόπῳ πλῆρές ἐστιν, ὡς τὸ τέλειον καὶ τὸ ἴσον
κατὰ τὴν τῶν ἀρετῶν φύσιν, τὸ δὲ ἐλλιπὲς
καὶ τὸ ὑπερβάλλον ἄπειρά τε καὶ ἀόριστα,
καθὰ καὶ αἱ κακίαι, διὰ τὴν τῆς ἀνισότητος φύσιν, κατὰ [10] μὲν τὴν πλήρη μέτρησιν ἕνα καὶ τὸν αὐτὸν οἱ
μετρηθέντες λόγον ἕξουσι πρὸς ἐκείνους,
καθ᾽ οὗς ἐμέτρησεν αὐτοὺς ἡ διαφορά, καὶ ἔσται ὁ τούτων μείζων πρὸς τὸν ἐλάττονα, ὡς ὁ ἐκείνων
μονάδι μείζων πρὸς τὸν μονάδι ἐλάττονα
κατὰ δὲ τὰς λοιπὰς δύο μετρήσεις ἢ μείζονα
ἢ ἐλάττονα, καὶ οὐκέτι τὸν αὐτόν. ἀλλ᾽ εἰ μὲν ἐλλιπὴς ἡ ἡ μέτρησις, ὥστε μετὰ τὴν τοῦ μέτρου προσβολὴν τοσαυτάκις
καὶ οἱ πρὸ αὐτῶν ἀκαταμέτρητόν τι
ἀπολειφθῆναι ἐν ἀμφοτέροις τοῖς μετρηθεῖσιν,
ἴσον δὲ τοῦτο, ἐν μείζονι πάντες οἱ ὅλοι λόγῳ γενήσονται [20] ἤπερ τὰ ὑπὸ τοῦ μέτρου καταληφθέντα πληρούντως
αὐτῶν μέρη πρὸς ἄλληλα ἐξεταζόμενα, καὶ
καθόλου οἱ ἐνδοτέρω καὶ εἰς τὸ ἔλαττον
κατὰ ἴσην διαφορὰν ὑποβιβαζόμενοι ἀριθμοὶ μείζονας ἀεὶ καὶ μᾶλλον λόγους ἕξουσιν τῶν ὑπὲρ αὐτοὺς
μειζόνων, ὡς ἐπὶ τῶν ἀριθμητικῶν
μεσοτήτων πασῶν ἔστιν ἰδεῖν τοὺς ἐλάττονας ὅρους αἰεὶ ἐν μείζοσιν ὄντας λόγοις, τοὺς δὲ
μείζονας ἐν ἐλάττοσιν. ἐὰν δέ γε
ὑπερβάλλουσα ἦ ἡ μέτρησις, [54] ὥστε, καταμετρηθέντων ὑπὸ τῆς κοινῆς αὐτῶν διαφορᾶς τῶν ὅλων, κατὰ τὴν
αὐτῶν ποσότητα ὑπερπαίειν ἴσῃ τινὶ
ποσότητι τὸ μέτρον, ἐν ἐλάσσονι οἱ ὅλοι λόγῳ
πρὸς ἀλλήλους ἔσονται ἤπερ οἱ τὴν ἴσην ὑπερέκπτωσιν τοῦ μέτρου ἐν ἀμφοῖν ὁρίζοντες. ἔστω δὲ τῶν λεχθέντων
τριῶν τρόπων ὑποδείγματα τρεῖς τινες
αἵδε συζυγίαι τῆς μὲν πλήρους μετρήσεως
ἡ ν΄ καὶ νε΄, τῆς δ᾽ ἐλλειπούσης ἡ μη΄ καὶ νγ΄, τῆς δὲ
ὑπερβαλλούσης ἡ νγ΄ καὶ [ἡ] νη΄, κοινὴ
δὲ διαφορὰ ἐν [10] πάσαις ἡ πεντάς. καθ᾽
ἑκατέρων οὖν τῶν ἐν ἑκάστῃ συζυγίᾳ ὅρων μετροῦσα ἡ πεντὰς τοὺς μὲν μείζονας ἑνδεκάκις μετρήσει τοὺς δὲ
ἐλάττονας δεκάκις. ἀλλ᾽ ἐν μὲν τῇ πρώτῃ
ἴσους τοὺς λόγους ἕξουσιν οἵ τε ὅλοι καὶ οἱ καθ᾽ οὗς ἐμετρήθησαν, εἴ γε οὗτοι μὲν ἐν τῷ αὐτῷ
ἐπιδεκάτῳ λόγῳ ἔσον- ται. ἐἐν δὲ τῇ
δευτέρᾳ μείζονα οἱ ὅλοι τῶν καθ᾽ οὺς ἐμετρήθησαν᾽ οἱ μὲν γὰρ ἐν τῷ ἐπιδεκάτῳ λόγῳ ἔσονται,» οἱ
δ᾽ ὅλοι οὐκέτι μὲν ἐν τῷ αὐτῷ, ἀλλ᾽ ἐν
μείζονι ἢ ἐπιδεκάτῳ“ ὁ γὰρ νγ΄ ἔχει τὸν μη΄ καὶ INTRODUZIONE ALL’ARITMETICA DI NICOMACO
703 renza tra due numeri tra loro
disuguali di misura secondo altri nume-
ri, tranne l’ 1, uguali tra loro, il maggiore rispetto al maggiore e
il minore rispetto al minore, tale
differenza o li misurerà pienamente28? o
per eccesso?9 o per difetto.2?! Ma poiché la misura piena lo è in un unico modo, come il perfetto e l’uguale
secondo la natura delle virtù, mentre le
misure per difetto e per eccesso lo sono in un modo infini- to e indeterminato, come lo sono anche i
vizi, per la natura della disu-
guaglianza, allora, secondo la misura piena i numeri misurati
avranno un unico e medesimo rapporto
rispetto a quelli, secondo cui la diffe-
renza li ha misurati, e tra questi il maggiore sarà in rapporto al
mino- re come tra quelli il maggiore di
un'unità sarà in rapporto al minore di
un’unità, mentre secondo le altre due misure si avrà un rapporto o maggiore o minore, mai lo stesso. Ma se la
misura è per difetto, tale che dopo
l'applicazione del misurante29? tante volte quanto sui primi, resti in ambedue i numeri misurati qualche
cosa di non misurato?” e questo resto
sia uguale,29 allora tutti gli interi staranno in un rappor- to maggiore che le loro parti contenute sotto
la misura piena, una volta che siano
confrontate tra loro, e in generale i numeri interni e abbassati al minore secondo la stessa differenza
avranno rapporti maggiori e sempre più
consistenti che non quelli che sono maggiori di
essi, come è possibile vedere, a proposito di tutte le medietà aritmeti- che, dove i termini minori sono sempre in
rapporti maggiori, mentre i maggiori
sono sempre in rapporti minori; se invece la misura è per eccesso, [54] tale che la misura degli
interi, che sono misurati dalla loro
comune differenza, ecceda, secondo la loro quantità, di una quantità uguale, allora gli interi staranno
tra loro in un rapporto minore che non
quelli che in ambedue determinano un uguale ecces- so di misura.2% Facciamo tre esempi
particolari di accoppiamento relativi ai
tre modi di cui abbiamo parlato. Secondo misura piena sono ad esempio 50 e 55, secondo misura per
difetto 48 e 53, secon- do misura per
eccesso 53 e 58: la differenza comune in tutte e tre que- ste le coppie di numeri è 5. Ebbene, quando
questo numero fa da misura in ambedue i
termini di ciascuna coppia, misurerà?29% 11 volte i maggiori e 10 volte i minori. Ma nella
prima coppia sia gli interi [50 e 55]
che i numeri secondo cui sono misurati [10 e 11] avranno ugua- li rapporti, se è vero che in ambedue i casi
si trova lo stesso rapporto epidecimo.?9
Nella seconda coppia, invece, gli interi avranno un rap- 704 GIAMBLICO μεῖζον ἢ τὸ [20] δέκατον αὐτοῦ. ἐν δὲ τῇ
τρίτῃ ἐλάττονα οἱ ὅλοι τῶν καθ᾽ oc
ἐμετρήθησαν᾽ οἱ μὲν γὰρ ἐν τῷ αὐτῷ ἐπιδεκάτῳ ἔσονται λόγῳ, οἱ δὲ ὅλοι «ἐν» ἐλάττονι ἢ ἐπιδεκάτῳ: ὁ
γὰρ νη΄ τοῦ νγ΄ ἐλάσσων ἐστὶν ἢ
ἐπιδέκατος, εἴ γε ἔχει ὁ μείζων τὸν ἐλάσσονα καὶ ἔλαττον ἢ τὸ δέκατον αὐτοῦ. ἐὰν δὲ ὅροις
ἀνίσοις ἴσοι ἀριθμοὶ προ- στεθῶσιν, ἡ
μὲν αὐτὴ ἔσται διαφορὰ τῶν τε [55] ἐξ ἀρχῆς καὶ τῶν μετὰ τῆς προσθέσεως, λόγον δὲ ἐλάττονα
ἕξουσιν οἱ ὕστερον, του- τέστιν οἱ σὺν
τῇ προσθέσει. κἂν ἀπὸ ἀνίσων δὲ ὅρων ἴση ἀφαίρεσις γένηται, οἱ ἐξ αὐτῶν λειπόμενοι ἀριθμοὶ τὴν
αὐτὴν μὲν ἕξουσι δια- φορὰν τοῖς ἐξ
ἀρχῆς, ἐν μείζονι δὲ λόγῳ γενήσονται.
Ἕτι κἀκεῖνο προληπτέον χρήσιμον ἡμῖν εἰς τὰ αὐτὰ ἐσόμενον: ὅτι ἐὰν διάστημα ὁτιοῦν δὶς συντεθῇ,
τουτέστιν ὁστισοῦν λόγος διαφορηθῇ,
διαμένοντος δηλονότι κοινοῦ τοῦ μέσου ὅρου, οἱ ἄκροι [10] πάντως ἐν μείζονι λόγῳ ἔσονται ἤπερ οἱ
ἁπλοῦν τὸ διάστημα περιέχοντες. ἀλλ᾽ ἐὰν
μὲν τὸ διαφορούμενον διάστημα ἐν πολλα-
πλασίονι λόγῳ Ti, καὶ οἱ ἐμπεριέχοντες ἄκροι ἐν πολλαπλασίονι ἔσονται᾽ ἐὰν δὲ ἐν ἐπιμορίῳ, οὔτ᾽ ἐν ἐπιμορίῳ
ἔσονται οἱ περιέχον- τες οὔτ᾽ ἐν
πολλαπλασίῳ, ἀλλ᾽ ἐν ἄλλῃ τινὶ σχέσει μικτῇ. ἔστιν οὖν καὶ ἀναστρέψαντα εἰπεῖν ὅτι ἐὰν σύνθετον
διάστημα τοὺς ἄκρους ἔχῃ ἐν πολλαπλασίῳ
λόγῳ ὄντας πρὸς ἀλλήλους, πάντως καὶ τὸ δια-
φορηθὲν διάστημα ἐν πολλαπλασίονι λόγῳ ἔσται" ἐὰν δὲ μήτε [20] πολλαπλάσιος ἦ ὁ λόγος τῶν ἄκρων μήτε
ἐπιμόριος, μικτὸς δέ τις, τὸ διαφορηθὲν
διάστημα πολλαπλάσιον μὲν οὐκ ἔσται, ἐπιμόριον δὲ ἢ ἑτερογενές. ἀφ᾽ οὗ βεβαιωθήσεται ἐν τοῖς
ἁρμονικοῖς λόγοις τίνα μὲν σύμφωνα
διαστήματα συμφώνοις συντιθέμενα μείζους συμφωνί- ας ἀποτελέσει, τίνα δὲ οὐχί, καὶ ἐν τίνι λόγῳ
εἰσὶν αἱ ἀποτελούμε- ναι σύνθετοι, καὶ
ἐν τίνι «αἱ» ἐξ ἀρχῆς. Ἔτι κἀκεῖνο
προληπτέον, ὅτι ἀριθμὸς ἀριθμὸν ἕτε [56] ρον πολ- λαπλασιάσας τὸν ἀπογεννώμενον ἔχοντα παρέξει
ἑκατέρου τῶν γεννησάντων τὰ ἰδιώματα.
καὶ ἐὰν δύο ἀριθμοὶ ἐν λόγῳ τινὶ ὄντες
ἑτέρους δύο μηκύνωσιν ἐν ἄλλῳ λόγῳ ὄντας, ὁ μείζων τὸν μείζονα INTRODUZIONE ALL’ARITMETICA DI NICOMACO
705 porto maggiore rispetto ai numeri
secondo cui sono misurati:29 que- sti
infatti saranno di rapporto epidecimo, mentre gli interi non saran- no più nello stesso rapporto, ma in uno
maggiore di quello epideci- mo: 53
infatti contiene 48 e più di 1/10 di esso.299 Nella terza coppia, infine, gli interi avranno un rapporto minore
che i numeri secondo cui sono
misurati:30 questi infatti saranno dello stesso rapporto epi- decimo, gli interi invece di un rapporto
minore dell’epidecimo: 58 infatti è
minore che l’epidecimo di 53, se è vero che il maggiore con- tiene il minore e meno di 1/10 di esso.30! Se
poi si aggiungono nume- ri uguali a
termini disuguali, allora la differenza [55] tra i numeri ini- ziali e quelli ottenuti dopo l'aggiunta sarà
la stessa, mentre il rappor- to tra i
numeri ottenuti dopo l'aggiunta sarà minore.302 E se si sottrar- ranno numeri uguali da termini disuguali, i
numeri che si otterranno dopo la
sottrazione avranno un’uguale differenza rispetto ai numeri iniziali, ma saranno in un rapporto
maggiore.?9 Dobbiamo inoltre anticipare
anche quell’altro teorema che ci sarà
utile per quello stesso argomento,)% ed è il seguente: se un
qualunque intervallo viene sommato due
volte, se cioè viene mutato un qualsiasi
rapporto, restando naturalmente in comune il termine medio, i
termi- ni estremi saranno assolutamente
in rapporto maggiore rispetto a quelli
che contengono l'intervallo semplice. Ma se l’intervallo che muta è di rapporto multiplo, anche gli
estremi che lo contengono saranno di
rapporto multiplo, se invece sono di rapporto epimorio, i termini che lo contengono non saranno né di
rapporto epimorio né di rapporto
multiplo; ma di altra relazione mista. È possibile dunque dire, invertendo i termini del discorso, che
se l’intervallo sommato ha gli estremi
di rapporto multiplo tra loro, assolutamente anche l’inter- vallo sottratto sarà di rapporto multiplo; se
invece il rapporto degli estremi non è
né multiplo né epimorio, ma un rapporto misto, l’inter- vallo sottratto non sarà multiplo, ma
epimorio o di diversa natura. Di qui si
potrà stabilire il teorema secondo cui nei rapporti armonici alcuni intervalli di accordo sommati ad altri
accordi produrranno accordi maggiori,
altri no, e in un rapporto ci sono gli accordi prodot- ti, in un altro quelli precedenti. Dobbiamo inoltre anticipare anche
quest'altro teorema, e cioè che un
numero [56] che moltiplica un altro numero farà nascere un numero che ha le proprietà di ciascuno dei
due numeri che lo hanno 706
GIAMBLICO καὶ ὁ ἐλάττων τὸν ἐλάττονα,
ἀνάγκη τοὺς ἐξ αὐτῶν γεννωμένους
ἀποσῶσαι ἑκάτερον τὸν λόγον’ καὶ ἐὰν μὲν πυθμενικοὶ ὦσιν οἱ γεν- νήτορες, πυθμενικὴ καὶ ἡ λῆξις τῶν λεγομένων
ἐν τοῖς ἀπογεννωμέ- νοις συμβήσεται, εἰ
δὲ μὴ πυθμένες εἶεν, τὴν αὐτὴν ἀποσώσουσιν
[10] ἀναλογίαν τῆς τάξεως.
Ὁμοίως κἀκεῖνο προληπτέον᾽ πάντες οἱ ὅροι κατ᾽ ἀρτίαν ἔκθε- σιν ἐκκείμενοι «καὶ»26 κατ᾽ ἴσην ὑπεροχήν, εἴτε
τῆς ἀρτίας φύσεως εἶεν εἴτε τῆς περισσῆς
εἴτε καὶ ἑκατέρας, τοσουτοπλάσιον τὸ ἐκ
τῆς ἐπισυνθέσεως πάντων τῶν ἐκκειμένων ὅρων ἀποτελοῦσι τοῦ ἐκ μόνων τῶν ἄκρων, ὅσονπερ τοῦ πλήθους τῶν ὅρων
ἥμισυ ὑπάρχει, ἀφ᾽ οὗ παρωνυμήσει ἡ
πολλαπλασιότης. ᾿Ακόλουθον τούτοις τὸν
περὶ ἀναλογιῶν ὄντα τόπον, ὅτι σύ- στημα
λόγων ἐστὶν ἡ ἀναλογία, τὸ παρὸν [20] ὑπερθέμενοι, πρότε- ρον τὸν περὶ ἐπιπέδων καὶ στερεῶν
ἐπελευσόμεθα, ἴδιον ὄντα τοῦ καθ᾽ αὑτὸ
ποσοῦ καὶ διὰ τὸ χρήσιμον τῆς διδασκαλίας ὑπέρθεσιν λαβόντα.
Ἐπειδὰν τοίνυν ἀριθμὸς ἀπὸ μονάδος ὁστισοῦν ἤτοι καθ᾽ αὑτὸν ἢ καὶ ἐπισυντιθέμενος τοῖς πρὸ αὐτοῦ εἰς
μονάδας ἀναλύηται καὶ κατὰ γραμμὴν
ἐπεκτείνηται, εὐθυγραμμικὸς κεκλήσεται, διότι
ἀπλατῶς ἐπὶ μόνον τὸ μῆκος πρόεισιν ἱστέον γὰρ ὡς τὸ παλαιὸν [57] φυσικώτερον οἱ πρόσθεν ἐσημαίνοντο τὰς
τοῦ ἀριθμοῦ ποσό- τητας ἀναλύοντες εἰς
μονάδας, ἀλλ᾽ οὐχ ὥσπερ οἱ νῦν συμβολικῶς.
ἰδίως δὲ εὐθυγραμμικοὶ καλοῦνται οἱ διάγραμμα ἐπίπεδον μὴ ποιοῦντες, ὡς ὁ ε΄ καὶ ὁ ζ΄ καὶ οἱ ὅμοιοι
εὐθυμετρικοὶ δὲ καλοῦνται διὰ τὸ κατ᾽
εὐθεῖαν μετρεῖσθαι ὑπὸ μονάδος. καὶ ἐπειδὴ
ἀρχή ἐστι καὶ στοιχεῖον μήκους ἡ στιγμή, ἧσπερ ῥύσιν φασὶν εἶναι οἱ γεωμέτραι τὴν γραμμήν, ἕξει καὶ ἡ μονὰς
καθ᾽ ὁμοιότητα στιγμῆς καὶ σημείου [10]
λόγον, ὡς ἂν ἀρχὴ οὖσα ποσοῦ, καὶ δὴ καὶ ἀφ᾽
ἑαυτῆς ὡσανεὶ ῥυεῖσα καὶ κατὰ τὸ ἑαυτῆς μέγεθος ἐφ᾽ ἕν διαστᾶσα, εἰς μῆκος προελεύσεται. οὕτως καὶ συμβεβηκότα
τινὰ ἕξει κοινὰ πρὸς τὸ σημεῖον τό τε
ἀρχὴ εἶναι ποσοῦ, ὡς ἐκεῖνο πηλίκου, καὶ τὸ
ἀμερὴς εἶναι, ὡς ἐκεῖνο, καὶ τὸ δύνασθαι μηδὲν πλέον ἑαυτῆς, καθὰ κἀκεῖνο ὡς γὰρ ἅπαξ ἕν οὐδὲν πλέον τοῦ
ἕν, οὕτως ἐπ᾽ ἄλληλα σημεῖα γινόμενα
οὐδὲν πλέον σημείου ποιεῖ: οὐδὲ γάρ 26
ho aggiunto io secondo una congettura di Pistelli. INTRODUZIONE ALL’ARITMETICA DI NICOMACO
707 generato. E se due numeri che sono
in un certo rapporto moltiplica- no due
altri numeri che sono in un rapporto diverso, e il maggiore moltiplicherà il maggiore e il minore il
minore, necessariamente i numeri
generati da essi conserveranno l’uno e l’altro rapporto;39 se poi i numeri generanti sono basali, anche il
risultato dei suddetti numeri nei loro
prodotti sarà basale,3% se invece non sono basi, con- serveranno la stessa proporzione del loro
ordine.307 Bisogna parimenti anticipare
anche quest'altro teorema, e cioè che
tutti i termini che siano esposti secondo un’estensione pari e un
ecces- so uguale.308 siano essi di
natura pari o dispari o di entrambe, produ-
cono, fatta la somma di tutti i termini esposti, un numero che è
mul- tiplo di quello che nasce dalla
somma dei soli estremi per la metà del
numero dei termini, dalla quale verrà la denominazione del multiplo stesso.309
A questo punto converrebbe fare posto al discorso sulle propor- zioni, perché la proporzione è un sistema di
rapporti, ma noi per il momento lo
metteremo da parte e passeremo prima a trattare dei numeri piani e dei numeri solidi, che è il
discorso proprio del quanto in sé ed è
più utile alla dottrina. Ebbene, poiché
qualsiasi numero, in quanto nasce dall’unità, o
come numero in se stesso o come composto dalla somma di quelli che lo precedono, si risolve in unità e si
estende in linea retta, sarà chia- mato
perciò rettilineo, perché procede non in larghezza ma solo in lunghezza; bisogna sapere infatti che [57]
anticamente i nostri ante- nati
designavano, in maniera più naturale, le quantità del numero risolvendole in unità, non per mezzo di
simboli, come si fa adesso. Nella
fattispecie sono detti rettilinei i numeri che non producono figura piana, come il 5 e il 7 e simili; e
sono detti lineari perché sono misurati
in linea retta a partire dall'unità. E poiché principio ed ele- mento della lunghezza è il punto
geometrico,3!9 il cui scorrimento i
geometri dicono che è la linea, l’unità avrà anche la funzione di
punto a somiglianza del punto
geometrico, in quanto sarebbe principio del
quanto, € appunto scorrendo da sé e distendendosi secondo la sua propria grandezza con un solo intervallo,
essa arriva a formare la lun- ghezza.
Cosî l’unità avrà anche delle proprietà comuni con il punto, sia perché è principio del quanto, come il
punto lo è del quanto gran- de, sia
perché è priva di parti, come il punto, sia infine perché non ha 708 GIAMBLICO ἐστιν ἡ γραμμὴ πλειόνων σύνθεσις σημείων,
ἀλλ᾽ ἤτοι ψαυστῶν ἀδιαστασία ἔσται ἢ
διαστάντων [20] ἀψαυστία, ὥστ᾽ οὐκέτι μέρος
γραμμῆς τὸ σημεῖον᾽ οὐ γὰρ μόνον σημεῖόν ἐστιν οὗ μέρος οὐδέν, ἀλλὰ καὶ «ὃ» οὐδ᾽ ἄλλου τινός ἐστι μέρος.
κοινὸν δὲ ἔχει πρὸς τὸ σημεῖον ἡ μονὰς
καὶ τὸ στερεῶν πυραμίδων ἀπειρογόνων ταῖς βάσε-
σιν ἐπὶ κορυφῇ θεωρουμένη ὡς ἐκεῖνο πανσχήμων νοεῖσθαι. ἴδια δὲ ἤδη ἔχει, καθὰ διαφέρει σημείου, ὡσανεὶ
ὁρογενὴς οὖσα, τό τε κατὰ σύνθεσιν
ἑαυτῆς εἰς μῆκος διίστασθαι καὶ ἔτι τὸ μέρος εἶναι τούτου. εἰ δὲ τῆς ἐφ᾽ ἕν διαστάσεως
παυσαίμεθα καταγράφοντες τὰς μονάδας καὶ
ἐπεκβάλ [58] λοντες τὸ μῆκος, ἐπὶ δὲ τὸ πλάτος ἐπέ- λθοιμεν κατ᾽ ἐπίπεδον σχηματίζοντες αὐτάς, ὁ
τοιοῦτος ἀριθμὸς ἐπίπεδος κεκλήσεται
διχῇ γὰρ ἤδη διαστατὸς καὶ ποικίλλεται
εἴδεσι καταγραφόμενος, ἀρχόμενος περὶ τριγώνου, περὶ ὧν ἐν κεφα- λαίῳ οὕτως ἐφοδευτέον καὶ ποριστέον αὐτῶν
εὕτακτον γένεσιν. Ἐκκειμένου γὰρ τοῦ
ἐφεξῆς ἀπὸ μονάδος ἀριθμοῦ, ἐὰν μὲν
μηδὲν διαλιπόντες σωρηδὸν συντιθῶμεν αἰεὶ τοὺς ἐφεξῆς καθ᾽ ἕνα, οἷον ἕνα πρῶτον, εἶτ᾽ ἐπὶ τούτῳ [10] δύο, εἶτα
ἐπὶ τοῖς δυσὶ τρία καὶ πρὸς τούτοις
τέσσαρα καὶ μέχρις οὗ βουλόμεθα, τρίγωνοι ἐφεξῆς ἀπὸ μονάδος ἀποτελεσθήσονται οἱ α΄ γ΄ ς΄ ι΄
τε΄ κα΄ κη΄ λς΄ καὶ ἐφεξῆς, ὧν ἕκαστος
σχηματισθήσεται ἀναλυθεὶς εἰς μονάδας τριγώ-
νοῦ τρόπον, καὶ αὐτὴ δὲ καθ᾽ ἑαυτὴν ἡ μονὰς ὡς δυνάμει οὖσα τριγωνική. τὰς δὲ πλευρὰς ἕκαστος τῶν μετὰ
μονάδα τοσούτων ἕξει μονάδων, ὅσωνπερ
καὶ ὁ γνώμων ἐστίν, ἢ νὴ Δία ὅσωνπερ μονάδων
ὁ ὕστατος παραληφθεὶς ἐν τῇ ἐπισυνθέσει γνώμων ἐστίν, ὅπερ ἴδιον μόνων τριγώνων ἐστίν. εἴρηται δὲ γνώμων ὁ
[20] αὐξητικὸς ἑκάστου εἴδους τῶν
πολυγώνων κατὰ πρόςθεσιν τὸ αὐτὸ εἶδος διαφυλάττων, ὡς φέρε εἰπεῖν τῷ τρία τριγώνῳ ὄντι
περιτεθεῖσα ἡ τριὰς τὸ αὐτὸ εἶδος ἔχοντα
τὸν ς΄ ἀπετέλεσε. μετῆκται δὲ ἀπὸ τῶν ἐν γεωμετρίᾳ τὸ ὄνομα' λέγεται γὰρ ἡ ὑπεροχὴ ἣ περιέχει
τετράγωνον τετραγώ- νου γνώμων. πάντως
δὲ ἡ σχημάτισις κατ᾽ ἰσόπλευρον ἔσται τρίγω-
vov' ὥστε τρίγωνος ἂν εἴη ἀριθμὸς ὁ «ἐκ» τῶν ἀπὸ μονάδος κατὰ [59] μονάδος διαφορὰν συντιθεμένων σωρηδὸν
ἀπογεννώμενος. ἐν δὲ τῇ INTRODUZIONE
ALL’ARITMETICA DI NICOMACO 109 nessuna
potenza che sia più di se stessa, cosi come il punto; come infatti 1x1 non fa niente più che 1, cosî un
punto moltiplicato per se stesso non fa
niente più che un punto; la linea infatti non è affatto la somma di più punti, al contrario essa sarà o
una serie di punti che si toccano senza
intervallo, o una serie di punti intervallati che non si toccano, in modo che il punto non sia più
parte della linea; non solo infatti il
punto è ciò di cui non esiste parte, ma anche ciò che non è affatto parte di un’altra cosa. L'unità, poi,
ha in comune col punto anche il fatto
che la si può vedere al vertice di figure solide piramida- li, strutturate in un numero infinito di
basi, cosî come possiamo con- cepire il
punto al vertice di ogni figura piana.3!! Una proprietà per cui la linea differisce dal punto è che si
estende in lunghezza come se si
generasse da un termine per somma di se stessa, e che di questa
lun- ghezza è anche la parte. Se poi in
un punto dell’estensione smettiamo di
proseguire a tracciare le unità [58] secondo la lunghezza, e arrivia- mo alla larghezza configurando le unità in
una figura piana, allora tale numero
sarà chiamato numero piano; quando infatti il numero ha già due dimensioni, esso può essere anche
configurato in vario modo, a partire dai
triangoli, sui quali occorre fare una sommaria indagine, procurando di conoscerne l’origine in modo
bene ordinato. Esposto infatti il
numero successivo a partire dall’unità, se som-
miamo i numeri ad uno ad uno sempre in successione, se ad esempio prendiamo prima l’ 1, poi a questo sommiamo
il 2, poi al 2 il 3 e a que- sti il 4 e
cosi finché si vuole, subito dopo l’unità risulteranno i nume- ri triangolari 1, 3, 6, 10, 15, 21, 28, 36 e
cosî via,}!? ciascuno dei quali, ridotto
a unità, assumerà la forma di un triangolo, e anche l’unità in sé e per sé è come un numero triangolare in
potenza. Ciascuno dei numeri successivi
all'unità avrà per lati tante unità, quante sono quel- le che formano il gnomone, ovvero, quante
sono le unità che si otten- gono per
somma nell’ultimo gnomone, proprietà che è solo dei nume- ri triangolari. Si dice gnomone il numero che
fa aumentare per addi- zione ciascuna
forma dei numeri poligonali conservandone la stessa forma, come dire che, se al numero 3 che è
triangolare si mette intor- no un altro
3, si otterrà 6 che ha la stessa forma triangolare.313 Il nome è stato ricavato dai gnomoni geometrici: si
chiama infatti gnomone del quadrato
l'eccesso che contiene il quadrato. E la configurazione sarà sempre secondo un triangolo equilatero,
in modo che sia nume- 710
GIAMBLICO ἐπιπεδώσει ἄρξεται ὁ
τέταρτος ἐναπολαμβάνειν τὸν πρῶτον, ὁ δὲ
πέμπτος τὸν δεύτερον καὶ ἀκολούθως οἱ ἄλλοι, μέχρις οὗ πάλιν ὁ ἕβδομος τὸν πρῶτον περιέχοντα περισχῇ διὰ τὸ
εἶναι καὶ αὐτὸς τέ- ταρτος ἀπὸ τοῦ
τετάρτου, καὶ οἱ ἑξῆς δὲ ἀναλόγως τὸ αὐτὸ ποιήσου- σι.
Πάλιν δὲ ἐξ ἄλλης ἀρχῆς ἐὰν ἐκ τοῦ ἐφεξῆς ἀριθμοῦ ἀπὸ μονά- δος ἀρχόμενοι συντιθῶμεν σωρηδὸν [10] μηκέτι
τοὺς ἐφεξῆς ἀλλὰ τοὺς παρ᾽ ἕνα, τουτέστι
τοὺς περισσούς, οἷον α΄, εἶτα α΄ γ΄, εἶτα α Y
ε΄, καὶ πάλιν α΄ γ΄ ε΄ ζ΄ καὶ ἐφεξῆς ἀκολούθως, τετράγωνοι φύσονται καὶ ἐπιπεδωθήσονται τετραγωνικῶς ἀναλυθέντες
εἰς μονάδας. οἱ δὲ γνώμονες γωνίαν
ποιοῦντες ἀεὶ περιτεθήσονται καὶ οὐκέτι κατὰ
μίαν πλευρὰν αὐξηθήσονται οἱ τετράγωνοι, ὥσπερ ἐπὶ τῶν πρὸ αὐτῶν ἐγένετο. ἄρξεται δὲ πάλιν κἀνταῦθα ὁ
τρίτος ἐμπεριέχειν τὸν πρῶτον καὶ ὁ
τέταρτος τὸν δεύτερον καὶ ὁ πέμπτος τὸν τρίτον
ἀλλὰ καὶ τὸν πρῶτον, ἕκτος [20] δὲ τέταρτον καὶ δεύτερον, καὶ καθόλου οἱ ἀρτιοταγεῖς ἀρτίους καὶ οἱ
περισσοταγεῖς περισσούς. ἔστιν οὖν
τετραγωνικὸς ἀριθμὸς ὁ ἐκ τῶν ἀπὸ μονάδος δυάδι διαφε- ρόντων συντιθεμένων ἀποτελούμενος, ὡς α΄ δ΄
θ΄ ις΄ κε΄ λς΄ καὶ ὁ ἐφεξῆς ἕκαστος
πάλιν ἔχων τοσούτων μονάδων τὴν πλευράν, ὅσου-
σπερ καὶ τοὺς ἐν τῇ συνθέσει παραληφθέντας γνώμονας. ἐπεὶ δὲ τὸ τετράγωνον σχῆμα ἐν γραμμικοῖς διαγωνίου
ἀχθείσης εἰς δύο τρίγωνα λύεται, δῆλον
δ᾽ ὅτι καὶ συνίσταται [60] ἐκ τούτων, εὕροι-
μεν ἂν καὶ ἐν ἀριθμητικοῖς ἐκ πάντων δύο τριγώνων ἀριθμῶν συνεχῶν τετράγωνον συνιστάμενον. γεννῶνται δ᾽
οἱ τετράγωνοι καὶ ἑκάστου τῶν ἀπὸ
μονάδος ἀριθμῶν ἑαυτὸν πολλαπλασιάσαντος: ἡ
μὲν γὰρ μονὰς ἑαυτὴν μονάσασα τετραγωνικὴ γίνεται, ἡ δὲ δυὰς ἑαυτὴν δυάσασα τετράγωνον τὸν δ΄ ποιεῖ καὶ ἡ
τριὰς ἑαυτὴν τριά- σασα τὸν θ΄ καὶ ἑξῆς
ἀκολούθως. Ἐὰν δὲ πάλιν ἐκ τοῦ ἐφεξῆς
ἀριθμοῦ τοὺς δύο διαλείποντας τῇ μονάδι
σωρηδὸν ἐπισυνθῶμεν, [10] πεντάγωνοι φύσονται οἱ α΄ ε΄ ιβ΄ κβ΄ λε΄ καὶ ἐφεξῆς, καὶ αὐτοὶ ἀναλυόμενοι εἰς
μονάδας καὶ πεν- ταγωνικῶς
σχηματιζόμενοι κατὰ τὰς τρεῖς πλευρὰς περιτιθεμένων τῶν γνωμόνων. πάλιν δὲ τοσούτων μονάδων ἔσται
ἡ πλευρὰ ἑκάστου, ὅσοιπερ καὶ γνώμονες
εἰς τὴν γένεσιν αὐτοῦ συνετέθησαν. ἔσται
οὖν πενταγωνικὸς ἀριθμὸς ὁ ἐκ τῶν ἀπὸ μονάδος τριάδι διαφε- INTRODUZIONE ALL'ARITMETICA DI NICOMACO
711 ro triangolare quello che è
generato [59] dalla somma cumulativa dei
numeri a partire da 1 per differenza di 1.314 Nella formazione
delle figure piane comincerà il quarto
triangolo a contenere il primo, il
quinto a contenere il secondo, e cosi gli altri in successione, fino
al settimo che contiene il primo
contenente,3!5 perché è anch’esso quar-
to a cominciare dal quarto, e in proporzione i triangoli successivi faranno lo stesso. Ancora, partendo da un altro punto di
partenza, se sommiamo cumulativamente in
successione a partire da 1 i numeri non in succes- sione, ma saltandone uno per volta, se
sommiamo cioè i numeri dispa- ri, come
ad esempio prima 1, poi 1, 3, poi 1, 3, 5, e ancora 1, 3,5, 7, e cosi di seguito, nasceranno dei numeri
quadrati che, se risolti in unità,
assumeranno figura piana quadrata. I gnomoni, che formano un angolo, saranno posti sempre tutt'intorno,
e i numeri quadrati non saranno
aumentati più per un solo lato, come accadeva con in nume- ri precedenti.3!6 Qui poi comincerà di nuovo
il terzo a contenere il primo, e il
quarto a contenere il secondo, e il quinto il terzo, ma anche il primo, e il sesto il quarto e il secondo,
e in generale i numeri pari ordinati in
modo pari e i numeri dispari ordinati in modo dispari. Numero quadrato, dunque, è quello che risulta
dalla somma dei numeri che a partire da
1 differiscono di 2, come ad esempio 1, 4, 9,
16, 25, 36,31? e ancora ciascuno dei numeri successivi che hanno il
lato composto di tante unità quanti sono
i gnomoni assunti nella somma. Ma poiché
in geometria la figura quadrata si può risolvere, tirata la diagonale, in due triangoli, ed è quindi
chiaramente composta [60] da questi
triangoli, anche in aritmetica troveremo che un numero quadrato è costituito sempre da due numeri
triangolari contigui. Numeri quadrati si
generano anche quando ciascun numero a partire
dall’unità si moltiplica per se stesso: l’ 1 infatti quando si
moltiplica per 1 vale come un
quadrato,318 il 2 quando si moltiplica per 2 fa il quadrato 4, il 3 quando si moltiplica per 3
fa il quadrato 9, e cos di seguito. Se di nuovo sommiamo cumulativamente
all’unità i numeri a que- sta successivi
lasciando due posti tra loro, allora si genereranno i numeri pentagonali, e cioè 1, 5, 12, 22, 35,
e cosi via,3!9 che possono risolversi in
unità e assumere figura pentagonale, se si applicano i gno- moni intorno a tre lati. Ciascun lato avrà, a
sua volta, tante unità 712
GIAMBLICO ρόντων συντιθεμένων
ἀποτελούμενος, ἑξαγωνικὸς δὲ ὁ ἐκ τῶν ἀπὸ
μονάδος τετράδι διαφερόντων, καὶ ἑπταγωνικὸς ὁ «ἐκ» τῶν πεντάδι καὶ ἑξῆς ἀκολούθως, [καὶ] [20] κατὰ δυάδος
ὑπεροχὴν τῶν πολυγώνων πρὸς τὰς διαφορὰς
τῶν γνωμόνων τὴν ὀνομασίαν ἰσχόντων. εἰ
δέ τις ἐκθοῖτο στιχηδὸν ἐφεξῆς τοὺς πολυγώνους ἀπὸ τριγώνου προτάξας αὐτῶν καὶ τὸν συνεχῆ
ἀριθμόν, φανήσονται ἐν τῷ διαγράμματι
τρίγωνοι μὲν δύο παρὰ δύο ἄρτιοι καὶ περισσοὶ
ὄντες, τετράγωνοι δὲ εἷς παρ᾽ ἕνα, πεντάγωνοι δὲ ὁμοίως τοῖς τριγώ- νοις δύο παρὰ δύο, καὶ ὅλως οἱ ὁμοταγεῖς
αὐτῶν, τουτέστιν «οἱ περισσοταγεῖς δύο
παρὰ δύο, εἷς δὲ παρ᾽ ἕνα οἱ»2 [61] ἀρτιοταγεῖς. καὶ γὰρ γνωμόνων ἔτυχον ἅπαντες οἱ πολύγωνοι
κατά τινα φυσικὴν εὐταξίαν, τρίγωνος μὲν
ἑνὸς παρ᾽ ἕνα περισσοῦ καὶ ἀρτίου,
τετράγωνος δὲ περισσῶν μόνων, πεντάγωνος δὲ ἑνὸς πάλιν παρ᾽ ἕνα καὶ ἐξάγωνος περισσῶν μόνων, καὶ τοῦτο δι᾽
ὅλου ἀκολούθως. Ἐπεὶ δὲ ἡ μονὰς πάσης
γενέσεως τῶν πολυγώνων ἀφηγεῖται καὶ διὰ
τοῦτο πανσχήμων ἐστίν, ἐοικέναι λέγεται τοῦτο κύκλῳ καὶ σφαίρᾳ, διότι τε ὑπὸ μιᾶς γραμμῆς ὁ κύκλος
περιέχεται καὶ ἑνὸς ἐπιπέδου ἡ [10]
σφαῖρα καὶ διότι ὅ τε κύκλος χωρητικός ἐστι καὶ
περικλειστικὸς παντὸς πολυγώνου ἐπιπέδου σχήματος καὶ ἡ σφαῖρα στερεοῦ. φανήσεται δὲ καὶ ἑξῆς καὶ τῶν
στερεῶν σχημάτων τῆς γενέσεως ἀφηγουμένη
ἡ μονὰς καὶ δυνάμει ἐπιδεχομένη τοὺς
πάντων λόγους, πρὸς τούτοις τε ὅτι ἀφ᾽ ἑαυτῆς καὶ περὶ ἑαυτὴν ὡσανεὶ κινηθεῖσα εἰς ἑαυτὴν ἀποκαθίσταται,
καθὰ καὶ ὁ κύκλος ἀπό τινος περὶ τι ἐξ
ἴσου διαστήματος εἰς ταὐτὸν ἀποκαθίσταται. εἰ
δὲ ὁ κυκλικὸς λόγος τῇ μονάδι ἐμφαίνεται ἄρχονται δὲ ἐπὶ τριάδος αἱ σχηματίσεις [20] τῶν πολυγώνων, τὴν δυάδα
εὐλόγως οἱ ἀπὸ Πυθαγόρου ἀόριστον ἔφασαν
εἶναι, διότι καθ᾽ αὑτὴν οὐδ᾽ ὁτιοῦν
περιορίζεται σχῆμα’ πρῶτον γὰρ εὐθύγραμμον καὶ στοιχεῖον ἐπίπε- δον τὸ τρίγωνον, διότι ἐν τρισὶν ὅροις τὸ
διχῇ διαστατόν. καὶ ἐπειδὴ ἐν γραμμικοῖς
εἰδοποιεῖται τὰ πολύγωνα ὑπὸ τριγώνου, εἴ γε τὴν σύστασιν ἀπ᾽ αὐτοῦ καὶ εἰς αὐτὸ τὴν ἀνάλυσιν
ἴσχει, [καὶ] διὰ τοῦτο καὶ ἐν
ἀριθμητικοῖς εἰδοποιηθήσονται οἱ [62] πολυγώνιοι ὑπὸ τῶν τριγώνων κατά τινα φυσικὴν εὐταξίαν.
ἔσται γὰρ ὁ δυνάμει τρίγωνος ἡ μονὰς
διαφορὰ τῶν ἐνεργείᾳ. πρώτων πολυγώνων ἐπὶ
27 lacuna colmata da Pistelli in appar. INTRODUZIONE ALL’ARITMETICA DI NICOMACO
713 quanti gnomoni si sommano nel suo
generarsi. Numero pentagonale sarà,
dunque, quello che risulta dalla somma dei numeri che a partire da 1 differiscono di 3, mentre numero
esagonale sarà quello che risul- ta
dalla somma dei numeri a partire da 1 di differenza 4, e numero ettagonale quello composto dalla somma dei
numeri di differenza 5, e cosi di
seguito, assumendo tali numeri poligonali la loro denomina- zione secondo un eccesso di 2 rispetto alle
differenze dei gnomoni. Se si esporranno
in serie successive i numeri poligonali a partire da quel- lo triangolare e si ordineranno i loro numeri
contigui, spunteranno nel diagramma alternativamente,
i triangolari due pari e due dispari, i
quadrati uno pari e uno dispari, i pentagonali due pari e due dispa- ri, come i triangolari, e in generale quelli
dello stesso loro ordine, cioè a due a
due quelli di posto dispari,)20 ad uno ad uno quelli di posto pari.?21 [61] E infatti tutti i numeri
poligonali hanno i loro gnomoni secondo
un ordine naturale, il triangolare alternativamente uno dispa- ri e uno pari,}22 il quadrato solo
dispari,32} il pentagonale ancora alter-
nativamente uno dispari e uno pari,124 l’esagonale solo dispari,}??
e cosî per tutti i seguenti. Poiché l’unità precede ogni generazione dei
numeri poligonali ed è perciò
onniconfigurabile,326 si dice che in ciò essa somiglia a un cir- colo o a una sfera, sia perché il circolo è
contenuto da un’unica linea e la sfera
da un’unica superficie, sia perché il circolo è capace di con- tenere e di chiudere ogni figura piana
poligonale e la sfera ogni figu- ra
solida. Apparirà anche da quel che segue che l’unità precede la generazione di ogni figura solida e ammette
in potenza i rapporti di tutte le
figure, e inoltre ritorna a se stessa come se si muovesse da se stessa e intorno a se stessa, allo stesso
modo che anche il circolo ritor- na a se
stesso, partendo da un punto e muovendosi intorno a un altro punto mantenendo la stessa distanza. Se nell’
1 si manifesta il rappor- to del circolo
e nel 3 hanno inizio le configurazioni dei numeri poli- gonali, hanno detto bene i Pitagorici che il
2 è indefinito,?27 perché con esso non è
possibile circoscrivere una qualsiasi figura: la prima figura piana rettilinea ed elementare è
infatti il triangolo, perché ciò che ha
due dimensioni è costituito da 3 termini. E poiché in geome- tria i poligoni sono formati dal triangolo,
se è vero che dal triangolo deriva la
loro costituzione e nel triangolo si risolvono, allora anche in aritmetica [62] i numeri poligonali saranno
formati da numeri trian- 714
GIAMBLICO βάθος θεωρουμένων τῶν γ΄ δ΄
ε΄ ς΄ ζ΄ η΄ θ΄ ι΄ καὶ ἐφεξῆς, ὁ δὲ Evepyei-
ᾳ πρῶτος τρίγωνος ὁ τρία, τῇ δὲ τάξει δεύτερος, τῶν δευτέρων πολυγώνων ἔσται διαφορὰ τῶν ς΄ θ΄ ιβ΄ ιε΄ n
κα΄ κδ΄ κζ΄, ὁ δὲ τρίτος ὁ ς΄ τῶν
τριγώνων περίεισιν ι΄ 15° κβ΄ κη΄ λδ΄ μ΄ μς΄ νβ΄, καὶ πάλιν ὁ τέταρτος τῶν τετάρτων καὶ ὁ πέμπτος τῶν [10]
πέμπτων καὶ ἐφοσο- νοῦν. καὶ ἐν τῇ
σχηματογραφίᾳ δὲ τῶν πολυγώνων δύο μὲν ἐπὶ
πάντων αἱ αὐταὶ μενοῦσι πλευραὶ μηκυνόμεναι καθ᾽ ἕκαστον, αἱ δὲ παρὰ ταύτας ἐναποληφθήσονται τῇ τῶν γνωμόνων
περιθέσει αἰεὶ ἀλλασσόμεναι, μία μὲν ἐν
τριγώνῳ δύο δὲ ἐν τετραγώνῳ καὶ τρεῖς ἐν
πενταγώνῳ καὶ ὁμοίως ἐπ᾽ ἄπειρον, κατὰ δυάδος κἀνταῦθα δια- φορὰν τῆς κλήσεως τῶν πολυγώνων πρὸς τὴν
ποσότητα τῶν ἀλλασσο- μένων γινομένης.
ἐντεῦθεν καὶ ἡ ἔφοδος τοῦ Θυμαριδείου ἐπαν-
θήματος ἐλήφθη. ὡρισμένων γὰρ ἢ [20] ἀορίστων μερισαμένων ὡρισμένον τι καὶ ἑνὸς οὑτινοσοῦν τοῖς λοιποῖς
καθ᾽ ἕκαστον συν- τεθέντος, τὸ ἐκ πάντων
ἀθροισθὲν πλῆθος ἐπὶ μὲν τριῶν μετὰ τὴν ἐξ
ἀρχῆς ὁρισθεῖσαν ποσότητα ὅλον τῷ συγκριθέντι προσνέμει τ᾽ ἀφ᾽ 0023 τὸ λεῖπον καθ᾽ ἕκαστον τῶν λοιπῶν
ἀφαιρεθήσεται.29 ἐπὶ δὲ τεσσάρων τὸ
ἥμισυ καὶ ἐπὶ πέντε τὸ τρίτον καὶ ἐπὶ ἕξ τὸ τέταρτον καὶ ἀεὶ ἀκολούθως, δυάδος κἀνταῦθα διαφορᾶς
ἐπιφαινομένης [63] πρός τε τὴν ποσότητα
τῶν μεριζομένων καὶ πρὸς τὴν τοῦ μορίου
κλῆσιν. παρατηρητέον πῶς κἀνταῦθα ἡ μονὰς χώραν ἔσχε τῷ ὅλῳ συζυγῆσαι΄ ἐν μὲν γὰρ τῷ τῶν πολυγωνιῶν
θεωρήματι τῷ κατὰ τὴν σχηματογραφίαν
ἐλέγομεν μίαν εἶναι τὴν ἀλλασσομένην πλευρὰν
τῶν τριγώνων, δύο δὲ τῶν τετραγώνων καὶ τρεῖς πενταγώνων καὶ ἑξῆς ἀκολούθως. ἐνταῦθα δὲ «ἐν» τῷ ἐπανθήματι
εἰ μὲν τρεῖς εἶεν οἱ μεριζόμενοι, μετὰ
τὴν ἀφαίρεσιν τοῦ ὁρισθέντος ὁρισμοῦ ὅλον τὸ
λειφθὲν [10] προσνεμοῦμεν τῷ συγκριθέντι πρὸς τοὺς λοιπούς, ὡς ἀναλόγως ἔχειν ἐνταῦθα τὸ ὅλον πρὸς τὴν ἐν
τοῖς τριγώνοις ἀλλασ- σομένην μίαν
πλευράν. καὶ ἐπεὶ ἐκεῖ δύο ἔσονται ἐπὶ τετραγώνων αἱ ἀλλασσόμεναι πλευραί, ἐνταῦθα, εἰ τέσσαρες
εἶεν οἱ μεριζόμε- vot, τὸ ἥμισυ
προσνεμοῦμεν, εἶτα τρίτον εἰ ἐκεῖ τρεῖς, καὶ ἀεὶ ἀνα- 28 ἀφ᾽ οὗ si riferisce ἃ πλῆθος li. 22, non
a συγκριθέντι li. 23. 29 62,22-25
πληθος-ἀφαιρεθήσεται: πλῆθος μετὰ τὴν ἐξ ἀρχῆς
ὁρισθεῖσαν ποσότητα «ἀφαιρεθεῖσαν;», ἐπὶ μὲν τριῶν ὅλον τῷ καθ᾽
ἕκαστον τῶν λοιπῶν συγκριθέντι
προσνέμεται volle si leggesse Nesselmann (cf.
Pistelli «ppar. ad loc.). In effetti le modifiche e l'ordine di lettura
proposti da Nesselmann, anche se non
necessari, rendono un po’ più chiara l’esposizio- ne della “fiorita di Timarida”. Ne ho tenuto
conto nella mia traduzione.
INTRODUZIONE ALL'ARITMETICA DI NICOMACO 715 golari secondo un ordine naturale. L’ 1
infatti, che è il numero trian- golare
in potenza, sarà la differenza dei primi numeri poligonali in atto, che visti in altezza sono: 3, 4, 5, 6,
7, 8,9, 10, ecc.; il 3, cheè il primo
triangolare in atto, ma secondo nell’ordine,328 sarà la differen- za dei secondi numeri poligonali, che sono:
6, 9, 12, 15, 18, 21, 24, 27; il terzo
triangolare, cioè il 6, sarà la differenza dei terzi numeri poli- gonali, che sono: 10, 16, 22, 28, 34, 40, 46,
52; e a sua volta il quarto poligonale
lo sarà dei quarti, e il quinto dei quinti, e cosî per qualsia- si numero poligonale. E nel disegno delle
figure dei numeri poligona- li, due lati
resteranno in ciascuna sempre identici a se stessi nella loro estensione, mentre i lati che sono intorno
quei due saranno compresi nell’ambito
dei gnomoni e muteranno sempre, uno nel triangolo, due nel quadrato, tre nel pentagono, e cosi
all'infinito, essendo in questo caso la
denominazione dei numeri poligonali di differenza 2?29 rispet- to alla quantità dei lati che mutano.?30 Di
qui è stato attinto anche il
procedimento della “fiorita di Timarida”. Date infatti delle
quantità determinate} o indeterminate3*2
che dividano una quantità determi-
nata,33} e sommata una qualsiasi di esse?3 a ciascuna delle
rimanen- ti) la somma complessiva di
tutte queste somme,336 sottratta da essa
la quantità determinata all’inizio)? viene attribuita alla quantità
che è stata scelta e combinata con
ciascuna delle rimanenti,338 per intero
se il numero complessivo di tutte le quantità, tolta la prima, è di
tre,359 per metà se è di quattro,349 per
un terzo se è di cinque,}4! per un quar-
to se è di sei,342 e cosî sempre di seguito, e si vedrà che anche qui
il numero 2 [63] rappresenta la differenza
<costante> tra il numero delle
quantità ripartite343 e il nome della parte.344 E bisogna osservare come anche qui trovi posto l’ 1, quando la
combinazione è intera:34 nel teorema dei
numeri poligonali, a proposito della descrizione delle loro figure geometriche, infatti, noi
dicevamo che nei numeri triango- lari il
lato che muta è uno solo, nei quadrati sono due, nei pentagona- li tre, e cosî di seguito. Qui, nel metodo
della fiorita di Timarida, se i
divisori,34 tolto il primo, sono 3, noi assegneremo per intero
quello che resta alla quantità combinata
con le altre,347 in modo, che ci sia
analogia tra l’intero di qui e l’unico lato che lî è quello che muta nei triangolari. E poiché lf saranno due i lati
che mutano nei quadrati, qui, se i
divisori348 sono quattro,34? noi assegneremo la metà, e poi un terz0,350 se lî i lati che mutano sono tre, e
cosi facendo sempre in pro- 716
GIAMBLICO λόγως ποιοῦντες οὐ
διαπεσούμεθα. ὅτι δὲ οὐ παρέλκει τὸ ἐπάνθημα
τοῦτο, ἀλλὰ καὶ πρὸς θεώρημα ἀριθμητικὸν ἔχει τὴν ἀναφορὰν καὶ ἐφόδου γλαφυρωτάτης πρὸς ἀνεύρεσιν αἴτιον
ἡμῖν γίνεται, οὕτως ἂν θεωρήσαιμεν. [20]
προστετάχθω γὰρ ἡμῖν λόγου χάριν ἀριθμοὺς ἐκ-
θέσθαι τέσσαρας, ὧν ὁ πρῶτος μετὰ τοῦ δευτέρου διπλάσιος ἔσται τρίτου ἅμα καὶ τετάρτου, καὶ πάλιν ὁ πρῶτος
μετὰ τοῦ τρίτου τρι- πλάσιος δευτέρου
ἅμα καὶ τετάρτου, ὁμοίως τε ὁ αὐτὸς πρῶτος μετὰ
τοῦ τετάρτου τετραπλάσιος τῶν δύο μέσων δευτέρου ἅμα καὶ τρί- του, σύμπαντες δὲ. ἅμα πενταπλάσιοι τῶν αὐτῶν
δύο μέσων, ὡς ἂν καὶ τάξει φυσικῇ τῶν
πολλαπλασίων ἀπὸ διπλασίου εἰς πενταπλά-
σιον ἡ προχώρησις [64] εἴη. ἐφοδευτέον δὴ οὕτως. ἐπεὶ ἡμίσους χρεία διὰ τὸν διπλάσιον, λαμβάνω τὸν δύο
ἀριθμόν᾽ πρώτιστος γὰρ ἡμίσους
παρεκτικὸς καὶ πρῶτος διπλάσιος. ἐπεὶ δὲ καὶ τρίτου διὰ τὸν τριπλάσιον λόγον, τρὶς ποιῶ τὰ δύο. ὁ δὴ
γενόμενος ς΄ δι᾽ ἀμφο- τέρους τοὺς
γεννήτορας πρῶτος ἔσται καὶ ἡμίσους καὶ τρίτου ἐπι- δεκτικός. πάλιν δὲ ἐπεὶ τετάρτου μέρους δεῖ
διὰ τὸν τετραπλάσιον λόγον, τετράκι τὰ
ς΄ ποιῶ, καὶ ἐπεὶ πενταπλασίου χρεία, τὰ κδ΄ πεν- τάκις, ἅπερ γίνεται ρκ΄, [10] καὶ ἔχω τοῦτον
τὸν ἀριθμὸν κοινὸν ὄντα συγκεφαλαίωμα
τῶν τεσσάρων ὅρων, ὃ δὴ καὶ θετέον εἶναι
μεριστὸν εἰς τοὺς ἀναφανησομένους τέσσαρας ἀριθμούς, οἷς ἐμφα- νίσονται οἱ προειρημένοι λόγοι. διανεμητέον
τὸν ρκ΄ τρόπῳ τούτῳ. ἐπεὶ οἱ πρῶτοι δύο
ἀριθμοὶ τῶν λοιπῶν δύο διπλάσιοι ἔσονται, ἐστὶ
δὲ διπλασίων πυθμὴν ὡς δύο πρὸς ἕν, ἅ ἐστιν ὁμοῦ τρία, δὶς ποιῶ τὸν ρκ΄, καὶ τὸν σμ΄ μερίζω παρὰ τὸν γ΄. γίνεται
δὴ μέρος ἕν τὰ π΄. φημὶ δὴ τοσούτων
εἶναι μονάδων τοὺς δύο πρώτους ἀριθμούς, οἵπερ [20] διπλάσιοι ἔσονται τῶν λοιπῶν δύο, ὄντων
δηλονότι καὶ αὐτῶν ἐν τεσσαράκοντα
μονάσι. πάλιν ἐπεὶ ὁ πρῶτος καὶ ὁ τρίτος τριπλάσιοι ἔσονται τῶν λοιπῶν δευτέρου καὶ τετάρτου, ὡς
τρία πρὸς ἕν, ἅ ἐστιν ὁμοῦ δ΄, ποιῶ τρὶς
τὸν αὐτὸν ρκ΄ καὶ γίνεται τξ΄, ἃ μερίζω παρὰ τον δ΄, ἵν᾽ ἡ τὸ μέρος 4ᾳ΄. φημὶ δὴ τοσούτων
εἶναι μονάδων τὸν πρῶτον ἅμα καὶ τὸν
τρίτον, τοὺς τριπλασίους τῶν λοιπῶν δευτέρου καὶ τετά- ρτου, ὄντων δηλονότι ἐν μονάσι λ΄. πάλιν ἐπεὶ
ὁ πρῶτος σὺν τῷ τετάρτῳ τετραπλάσιός
ἐστι τῶν δύο [65] μέσων δευτέρου καὶ τρί-
του, ὡς τέσσαρα πρὸς ἕν, ἅ ἐστιν ὁμοῦ πέντε, τετράκις ποιῶ τὰ ρκ΄, INTRODUZIONE ALL’ARITMETICA DI NICOMACO 717 porzione non sbaglieremo. In tal modo noi
potremo vedere che que- sto metodo della
fiorita non cade a sproposito, ché anzi ci riporta a un teorema aritmetico ed è per noi motivo di
scoperta di un metodo tra i più
eleganti. Ci sia ordinato, infatti, di estendere, per esempio, quattro numeri, tali che la somma del primo e
del secondo sia il dop- pio della somma
del terzo e del quarto, e ancora la somma del primo e del terzo sia il triplo della somma del
secondo e del quarto, e pari- menti la
somma del primo e del quarto sia il quadruplo della somma del secondo e del terzo che sono medi, e la
somma di tutti e quattro sia il
quintuplo della somma di questi stessi due medi, in modo che ci sia progressione di multipli ordinata
naturalmente dal doppio al quin- tuplo.
[64] Occorre procedere in questo modo. Poiché c’è bisogno della metà per fare il doppio, prendo il
numero 2, perché è il numero
assolutamente primo che può dare la metà ed è anche il primo nume- ro doppio. E poiché c’è bisogno anche della
terza parte per fare il rap- porto
triplo, allora moltiplico 2x3 ottenendo il 6 che, in virtà dei due fattori da cui nasce,35! sarà il primo numero
che ammetta 1/2 e 1/3. E ancora, poiché
c'è bisogno della quarta parte per fare il rapporto qua- druplo, allora moltiplico 6x4 ottenendo 24, e
poiché c’è bisogno della quinta parte,
moltiplicherò 24x5 ottenendo 120, e ottengo cosi il numero che è la somma comune dei quattro
termini?52 e che appunto bisogna porre
come il numero che può essere ripartito nei quattro numeri che si riveleranno quelli in cui si
manifestano i rapporti sud- detti.333
Bisogna distribuire 120 nel seguente modo. Poiché i primi due numeri saranno il doppio degli altri due,
e la base dei doppi k il rapporto 2 a 1,
che insieme fanno 3, allora io moltiplico 120x2 otte- nendo 240, e divido 240 per 3. Nasce quindi
come parte il numero 80. Dico dunque che
i primi due numeri hanno tante unità quant'è il
doppio degli altri due, i quali quindi avranno evidentemente 40
unità. Poiché inoltre il primo e il
terzo numero saranno il triplo dei rimanen-
ti secondo e quarto, e la base dei tripli è il rapporto 3 a 1, che
insie- me fanno 4, moltiplico allora lo
stesso 120x3 e ottengo 360, che divi- do
per 4 in modo da ottenere come parte 90. Dico dunque che il primo e il terzo insieme hanno tante unità
quante ne ha il triplo dei rimanenti
secondo e quarto, i quali hanno evidentemente 30 unità. Poiché inoltre il primo e il quarto insieme
sono il quadruplo dei due [65] numeri
intermedi secondo e terzo, e la base dei quadrupli è il 718 GIAMBLICO γίνεται vt, μερίζω παρὰ τὸν ε΄ καὶ ἔχω
μέρος ἕν τὰ ας΄. τοσούτων οὖν φημι
μονάδων εἶναι τὸν πρῶτον σὺν τῷ τετάρτῳ, οἵπερ τετραπλά- σιοί εἰσι τῶν δύο μέσων ἐν μονάσιν ὄντων κδ΄.
κατὰ συνδυασμὸν οὖν εὑρημένων τῶν
ἀριθμῶν, οὐδέπω δὲ καθ᾽ ἑαυτοὺς διακεκριμένων,
ἔφοδον ἡμῖν τῆς διακρίσεως παρέχει ἡ τοῦ Θυμαρίδου ἐπανθήματος γνῶσις. συγκεφαλαιωθέντων [10] γὰρ ὁμοῦ τῶν
κατὰ τὰς συζυγίας ἀριθμῶν, λέγω δὲ τοῦ
π΄ καὶ q' καὶ ς΄, τὸ σύμπαν ἔσται σξς΄. ἀφαιρῶ
δὴ τὸν ἐξ ἀρχῆς μερισθέντα εἰς τοὺς τέςσαρας ὅρους τὸν px, καὶ λείπεταί μοι ρμς΄, ὧν ἐπεὶ τέσσαρές εἰσιν οἱ
μερισάμενοι τὸ ἥμισυ «προσνέμω τῷ πρώτῳ
τῶν κατὰ τὰς συζυγίας ἀριθμῶν᾽ καὶ γὰρ πρὸς
τοὺς λοιποὺς τρεῖς τὴν σύγκρισιν»}"9 ἕξει ὃ κατὰ τὴν πρώτην
συζυγί- αν ἴδιον ὁ π΄. ἔστι δὲ ἥμισυ ὁ
ογ΄, καὶ τὰ λοιπὰ ἀπὸ τῶν π΄ τὰ ζ΄ ἔσται
τοῦ δευτέρου ὅρου. ἐπειδὴ ἡ δευτέρα συζυγία περιέχει ἀριθμὸν τὸν 4, πάλιν ἀφαιρῶ ἀπὸ τῶν q' τὸν ογ΄, καὶ
λείπεται ιζ΄, ἅ φημι εἶναι τοῦ τρίτου
ὅρου. ἐπεὶ δὲ καὶ [20] ἡ τρίτη συζυγία ης΄ ἐστὶ μονάδων, πάλιν ἀφαιρῶ τὰ ογ΄, καὶ τὰ λοιπὰ κγ΄
προσνέμω τῷ τετάρτῳ ὅρῳ. καὶ οὕτως
γίνεταί μοι ὁ πρῶτος ὅρος τῶν ογ΄, ὡσανεὶ γνώμων τῆς τῶν συζυγιῶν εὑρέσεως, ὥστε καθ᾽ ἕκαστον ἰδίᾳ
διακεκριμένους τοὺς τέσσαρας εὑρεθῆναι
ἐφεξῆς ὄντας ογ΄ ζ΄ ιζ΄ κγ΄ οἵπερ εἰσὶν ὁμοῦ px
περιέχοντες τοὺς εἰρημένους λόγους τόν τε διπλάσιον «καὶ τριπλά- σιον καὶ τετραπλάσιον"3"] καὶ
πενταπλάσιον. πρώτιστοι μὲν οὖν οὗτοι
καὶ πυθμενικοὶ ἀριθμοὶ ἐν τελείαις μονάσιν τοὺς εἰρημένους λόγους [66] ἐπιδέχονται. εἰ δὲ καὶ μερίζειν
θέλοιμεν τὴν μονάδα καὶ τοὺς κατ᾽ αὐτὴν
εἰδοποιηθέντας ἀριθμοὺς περιςσοὺς εἰς δύο ἴσα,
φανήσονται καὶ οἱ τῶν προκειμένων ἀριθμῶν ἡμίσεις τοὺς αὐτοὺς περιέχοντες λόγους ὅ τε λς΄ (( καὶ ὁ Y (΄ καὶ
ὁ n (( καὶ τα΄ (7, ὧν [xai]}? τὰ
συγκεφαλαιώματα ζ΄, ἅτινα ἡμίση ἔσται δηλονότι τοῦ προ- τέρου συγκεφαλαιώματος τοῦ ρκ΄. εἰ δὲ καὶ
πολλαπλασίους τῶν ἐξ ἀρχῆς ποιῶμεν καθ᾽
ὁποιονοῦν πολλαπλασίου εἶδος, ἢ ἐπιμορίους, ἢ
ἐπιμερεῖς, οἱ [10] γενόμενοι πάντως τοὺς αὐτοὺς λόγους περιέξου- σιν. ἵνα δὲ τεσσάρων ἄλλων ἀριθμῶν ἐκτεθέντων
κατὰ τὴν αὐτὴν τά- ἔιν τοῖς προτέροις
ὁμοταγεῖς κατὰ συνδυασμὸν τὸν προειρημένον
τῶν ὁμοιοτάτων, ἀντὶ μὲν πολλαπλασίων γενικῶς «ὑποπολλαπλάσιοι γίνωνται», εἰδικῶς δὲ ἀντὶ μὲν διπλασίων
ἡμιόλιοι, ἀντὶ δὲ τριπλα- σίων
ἐπίτριτοι, ἀντὶ δὲ τετραπλασίων ἐπιτέταρτοι, λαμβάνω κατὰ 30 necessaria integrazione di Vitelli (cf.
Add. et Corr. p. VII) come dimo- stra il
ποῦ intellego di Pistelli riferito in appar al successivo ὃ κατὰ — ὁ π΄. 31 sospettò giustamente si dovesse
aggiungere Pistelli. 32 ho eliminato
io. INTRODUZIONE ALL’ARITMETICA DI
NICOMACO 719 rapporto 4 a 1, che
insieme fanno 5, allora moltiplico 120x4 e otten- go 480, che divido per 5 e ottengo come parte
96. Dico dunque che il primo numero
insieme col quarto hanno tante unità quante ne ha il quadruplo dei due medi, che hanno quindi 24
unità. Poiché dunque i suddetti numeri
sono ciascuno la somma di due numeri e non sono
affatto distinti in se stessi3% il procedimento della loro distinzione
ci viene fornito dalla conoscenza della
fiorita di Timarida. Ebbene, i numeri
sommati insieme per coppie, intendo dire 80 e 90 e 96, faran- no in totale 266. Sottraggo allora il numero
diviso all'inizio nei quat- tro termini,
e cioè 120, e mi resta 146, di cui, essendo quattro i nume- ri divisori, la metà?” l'assegno al primo
numero della prima coppia; e infatti
esso in combinazione con gli altri tre farà nella prima coppia?5 proprio 80. La metà dunque è 73,357 e il
resto di 80, cioè 7, sarà la quantità
del secondo termine. Poiché la seconda coppia contiene il numero 90, di nuovo sottraggo da 90 il 73, e
mi resta 17, che io dico essere proprio
la quantità del terzo termine. E poiché la terza coppia è formata da 96 unità, di nuovo sottraggo 73,
e il resto, cioè 23, lo assegno al
quarto termine.?58 E cosî mi viene fuori il primo termine 73 quale gnomone per scoprire le coppie, in modo
da trovare i quattro numeri distinti per
singola quantità, che sono nell’ordine 73, 7, 17, 23, la cui somma è 120, numero che contiene i
rapporti suddetti, cioè il doppio, 9
triplo, il quadruplo e il quintuplo. Sono questi i numeri assolutamente primi e basali che in unità
perfette ammettono i rap- porti suddetti.
[66] Se vogliamo anche dividere in due parti uguali l’unità e i numeri dispari da questa
formati,}59 appariranno anche i numeri
che sono la metà dei precedenti e contengono gli stessi rap- porti, e cioè 36 e 1/2, 3 e 1/2, 8 e 1/2, 11
e 1/2, la cui somma è 60, che sarà
chiaramente la metà della prima somma 120. Se poi facciamo anche i multipli dei numeri iniziali secondo
una forma qualsiasi di multiplo, o gli
epimori o gli epimeri, i numeri che risultano conterran- no assolutamente gli stessi rapporti.
Affinché poi, esposti altri quattro
numeri secondo lo stesso ordine dei precedenti, nascano numeri accoppiati a due a due in modo assolutamente
simile ai precedenti, in generale
sotto-multipli invece che multipli, nella fattispecie emioli invece che doppi, epitriti invece che tripli,
epiquarti invece che qua- drupli, allora
io procedo allo stesso modo di prima e, poiché occorre il rapporto emiolio, prendo invece del doppio
il primo numero che sia 720 GIAMBLICO τὴν αὐτὴν ἔφοδον, ἐπεὶ ἡμιολίου λόγου
χρεία, ἀντὶ διπλασίου τὸν πρῶτον
δυνάμενον ἥμισυ παρασχεῖν, τουτέστι τὸν δύο, ὅσπερ ἦν καὶ πρῶτος διπλάσιος ἐπὶ τῶν [20] προτέρων
ἀριθμῶν, καὶ πεντάκις αὐτὸν ποιῶ, διότι
σύστημά ἐστι τὰ ε΄ τῶν τὸν ἡμιόλιον λόγον περιε- χόντων τοῦ γ΄ καὶ β΄, ψίνεται 1.33 καὶ ἐπεὶ
ἀντὶ τριπλασίου ἐπιτρί- του λόγου χρεία,
πυθμὴν δὲ ἐπιτρίτων ὁ δ΄ πρὸς γ΄ ἐστίν, ὁμοῦ ζ΄, ποιῶ ταῦτα δεκάκις, γίνεται ο΄. πάλιν ἐπεὶ
χρεία ἐπιτετάρτου ἀντὶ τετραπλασίου,
ἔστι δὲ πυθμὴν ἐπιτετάρτων ε΄ πρὸς δ΄, ἅ ἐστι ὁμοῦ θ΄, ἐνάκις ποιῶ τὸν ο΄, γίνεται χλ΄. οὗτος
οὖν ἔσται ὁ συνέχων τοὺς περιεκτικοὺς
τῶν εἰρημένων λόγων [67] ἀριθμούς. καὶ ἐπεὶ
ἡμιολίου λόγου χρεία, διότι τοὺς πρώτους δύο ἀριθμοὺς τῶν ὑστέρων δύο ἡμιολίους εἶναι δεήσει, ἔστι δὲ
πρόλογος ἐν τοῖς ἡμιόλιον λόγον
περιέχουσι πυθμέσιν ὁ γ΄, τρὶς ποιῶ τὸν χλ΄ καὶ cyi- νεται» αὐᾳ΄, ἃ μερίζω παρὰ τὸν ε΄, ὅ ἐστι
σύστημα τῶν πυθμενικῶν ἡμιόλιον, καὶ
ἴσχω πέμπτον μέρος τὸν «τοη΄» ἀριθμόν, «ὅν» φημι εἶναι πρώτην συζυγίαν τῶν ἀναφανησομένων
πρώτου καὶ δευτέρου ἀριθμοῦ, οἱ ἔσονται
ἐν τῇ ἐκθέσει ἡμιόλιοι τῶν ὑστέρων δύο. [10]
πάλιν ὅτι ἐπιτρίτου λόγου χρεία, διότι τὸν πρῶτον καὶ τὸν τρίτον ἀριθμὸν συνάμφω ἐπιτρίτους χρὴ εἶναι δευτέρου
καὶ τετάρτου, ἔστι δὲ πρόλογος ἐν
ἐπιτρίτῳ πυθμέσιν ὁ δ΄, τετράκις ποιῷ τὸν XA, γίνε- ται βφκ΄, ἃ μερίζω παρὰ τὸ συναμφότερον τῶν
τὸν ἐπίτριτον λόγον περιεχόντων
πυθμένων, τουτέστι τὸν ζ΄, καὶ ἴσχω μέρος ζον τὸν TE ἀριθμόν, ὃς γίνεταί μοι δευτέρας συζυγίας τῶν
ἀναφανησομένων πρώτου καὶ τρίτου
ἀριθμοῦ, οἱ συνάμφω ἐπίτριτοι ἔσονται δευτέρου
καὶ τετάρτου. ὁμοίως διότι ἐπιτετάρτου λόγου χρεία, ἵνα [20] πρῶτος καὶ τέταρτος συνάμφω τῶν δύο μέσων
ἐπιτέταρτοι ὦσιν, ἔστι δὲ πρόλογος ἐν
ἐπιτετάρτῳ πυθμέσι «ὁ ε΄», ποιῶ πεντάκις τὸν XX, γί- νεται γρν΄, ἃ μερίζω παρὰ τὸ συναμφότερον τῶν
τὸν ἐπιτέταρτον λό- γον περιεχόντων
πυθμένων, τουτέστιν θ΄, καὶ ἴσχω μέρος θὸον τν΄, ἃ δὴ λέγω τρίτην εἶναι συζυγίαν πρώτου καὶ
τετάρτου ἀριθμοῦ, οἱ συνάμφω ἐπιτέταρτοι
[68] γενήσονται δευτέρου ἅμα καὶ τρίτου. ἵνα
δὲ καὶ διακρίνω εἰς τοὺς ζητουμένους τέσσαρας ἀριθμοὺς τὰς τρεῖς συζυγίας, χρήσομαι τῇ αὐτῇ ἐφόδῳ τοῦ
Θυμαριδείου ἐπανθήματος, συγκεφαλαιῶ γὰρ
πάλιν τοὺς τῶν συζυγιῶν ἀριθμοὺς τόν τε τοη΄ καὶ τὸν τξ΄ καὶ τὸν tv, ἵν᾽ ἦ μοι τὸ ἀθροισθὲν
πλῆθος απη΄, καὶ πάλιν 33
l'integrazione è mia. 34 πρόλογος ho
scritto io confrontando li. 12 e 21 infra: ὁ πρῶτος λόγος Tennulius e Pistelli. INTRODUZIONE ALL’ARITMETICA DI NICOMACO
721 capace di fornire la metà, e cioè
2, che nei numeri precedenti era il
primo doppio, e moltiplico 2x5, perché 5 è la somma di 3+2 che sono i numeri che contengono il rapporto emiolio,
e ottengo 10. E poiché occorre il
rapporto epitrite invece che il triplo, e la base degli epitriti è il rapporto 4 a 3, la cui somma è 7, allora
moltiplico 7x10 e ottengo 70. Poiché
inoltre occorre il rapporto epiquarto invece che il quadru- plo, e la base degli epiquarti è il rapporto
5 a 4, la cui somma è 9, allo- ra
moltiplico 70x9 e ottengo 630. Sarà questo numero, dunque, quel- lo che contiene i numeri che ammettono i
suddetti rapporti.390 [67] E poiché c’è
bisogno di un rapporto emiolio, perché occorrerà che i primi due numeri siano due emioli degli
ultimi numeri, ma prologo base tra i
numeri che contengono un rapporto emiolio è 3, allora mol- tiplico 630x3 e ottengo 1890, che divido per
5, che è la somma dei numeri basali che
contengono il rapporto emiolio,?8! e ottengo la
quinta parte che è il numero 378, che io dico essere la somma della prima coppia dei numeri che si presenteranno
come primo e secon- do, i quali saranno
nell’esposizione emioli degli altri due.362 Poiché inoltre occorre un rapporto epitrite, dal
momento che il primo e il terzo numero
devono essere ambedue epitriti del secondo e del quar- to, ma prologo base tra i numeri che
contengono un rapporto epitri- te è 4,
allora moltiplico 630x4 e ottengo 2520, che divido per la somma delle basi che contengono il rapporto
epitrite,363 cioè 7, e ottengo la
settima parte che è il numero 360, che mi risulta essere la somma della seconda coppia di numeri che si
presenteranno come primo e terzo, che
presi insieme saranno epitriti del secondo e del quarto. Allo stesso modo, poiché c'è bisogno
del rapporto epiquarto, perché il primo
e il quarto numero siano ambedue epiquarti dei due intermedi, ma prologo base tra i numeri che
contengono un rapporto epiquarto è 5,
allora moltiplico 630x5 e ottengo 3150, che divido per la somma delle basi che contengono il
rapporto epiquarto,3% cioè 9, e ottengo
cosi la nona parte, cioè 350, che io dico essere la somma della terza coppia di numeri, cioè primo e
quarto, che presi insieme saranno
epiquarti [68] del secondo e del terzo. Per potere anche distinguere le tre coppie nei quattro numeri
oggetto della mia ricerca, mi servirò
del medesimo procedimento della fiorita di Timarida. Sommerò infatti, ancora una volta, i numeri
delle coppie, cioè 378, 360 e 350,
sicché mi verrà fuori la somma complessiva di 1088, e 722 GIAMBLICO ἀφαιρῶ τὸ ἐξ ἀρχῆς συγκεφαλαίωμα χλ΄. καὶ
ἐπειδὴ τέσσαρές εἰσιν οἱ ζητούμενοι
ὅροι, τὸ ἥμισυ τοῦ λειπομένου ἀριθμοῦ τοῦ υνη΄ τὰ σκθ΄ προσνέμω τῷ πρώτῳ ὅρῳ [10] τῶν
ζητουμένων, ὃς πρὸς τοὺς λοι- ποὺς τρεῖς
τὴν σύγκρισιν ἕξει. ἀπὸ δὲ τοη΄, ὅσπερ ἦν τῆς πρώτης συζυγίας ἀριθμός, ἂν ἀφέλω τὰ σκθ΄, λείπεταί
μοι ρμθ΄. τοῦτον οὖν φημι τὸν δεύτερον
ἐν τῇ ἐκθέσει ἀριθμὸν εἶναι. πάλιν ἐπεὶ ἡ δευτέ- ρα συζυγία ἀριθμός ἐ ἐστιν ὁ τῶν TE, ἀφαιρῶ
τὸν αὐτὸν σκθ΄ καὶ λεί- πεταί μοι pia”,
ὅν φημι εἶναι τρίτον ὅρον ἐν τῇ ἐκθέσει. ὁμοίως. ἐπεὶ τρίτης συζυγίας ἐστὶ τὰ TV, «ἂν» ἀφέλω σκθ΄,
λείπω ρκα΄ καὶ ἴσχω τὸν τέταρτον. ὁμοῦ
οὖν τῶν τεσσάρων ὅρων τάξει τούτων σκθ΄ ρμθ΄
ρλα΄ ρκα΄ ὁ μὲν πρῶτος [20] καὶ δεύτερος συνάμφω ἔσονται τρίτου τε καὶ τετάρτου ἡμιόλιοι, πρῶτος δὲ ἅμα καὶ
τρίτος δευτέρου καὶ τετάρτου ἐπίτριτοι,
πρῶτος δὲ πάλιν καὶ τέταρτος συνάμφω δευτέ-
ρου τε καὶ τρίτου ἐπιτέταρτοι, ὅπερ ἔδει δεῖξαι. καὶ ταῦτα μὲν ἔξωθεν ἡμῖν εἰς ἔνδειξιν τῆς τῶν ἀριθμητικῶν
ἐπανθημάτων γλαφυ- ρίας οὐκ ἀσκόπως
παρηδολεσχείσθω. Ἐπανιτέον δὲ ἐπὶ τὴν
τῶν πολυγώνων θεωρίαν καὶ [69] προσεκ-
τέον πῶς καὶ καθ᾽ ὅλων αὐτῶν τὸ διάγραμμα συμβαίνοι τοὺς συνε- χεῖς ἀπὸ μονάδος ἀριθμούς, εἰ προεκτεθείησαν
κατὰ πρῶτον στί- χον, γνώμονας εἶναι τοῦ
συνεχοῦς αὐτοῖς τριγωνικοῦ στίχου, τοῦ δὲ
τετραγωνικοῦ3 τοὺς παρ᾽ ἕνα καὶ τοῦ πενταγωνικοῦϑ6 τοὺς παρὰ δύο καὶ «τοῦ ἑξαγωνικοῦ τοὺς»37 παρὰ τρεῖς
καὶ ἑξῆς ἀκολούθως. καὶ οἱ μὲν τοῦ
ἑπταγώνου πάντες γνώμονες ὁμοκατάληκτοι ἔσονται
τοῖς πρώτοις δυσὶ τῷ τε α΄ καὶ τῷ ς΄, οἱ δὲ τῶν ἄλλων κατ᾽ ἄλλας
καὶ ἄλλας θεωρίας, ὥσπερ ἐν τῇ [10] τοῦ
ἑξαγώνου ἐκθέσει πάντες οἱ τέλειοι
εὑρεθήσονται. καὶ ἴδιόν τι τοῖς ἑξαγώνοις συμβεβηκὸς ἔσται τὸ καὶ τριγώνοις εἶναι πᾶσιν, οὐκέτι
μὴν τοῖς τριγώνοις πᾶσι τὸ καὶ ἑξαγώνοις
εἶναι συμβήσεται, ἀλλ᾽ ἢ μόνοις τοῖς παρ᾽ ἕνα,
τουτέστι τοῖς ἡμίσεσι τοῖς α΄ ς΄ ιε΄ κη΄ με΄, ἵνα καὶ ἐνταῦθα τὸ
ἥμισυ τῷ δύο οἰκείως συζυγῇ. ἐπεὶ γὰρ
διπλάσιος ὁ ἑξάγωνος κατὰ τὰς γωνίας τε
καὶ πλευρὰς τοῦ τριγώνου, διὰ τοῦτο τοὺς ἡμίσεις παρέ- ξει ἀφ᾽ ἑαυτοῦ ὁ τριγωνικὸς στίχος ἑξαγώνους,
οἱ δ᾽ ἐν τῇ ἐκθέσει 35 τετραγωνικοῦ ho
mutato io seguendo Tennulius: παρ᾽ ἕνα Pistelli. 36 πενταγωνικοῦ ho mutato io seguendo
Tennulius: παρὰ δύο Pistelli. 37 τοῦ
ἐξαγωνικοῦ τοὺς ho integrato io: τοῦ παρὰ τρεῖς τοὺς integrò Pistelli.
38 κατὰ τὰς γωνίας τε καὶ πλευρὰς congetturò Heiberg e accolse
Pistelli solo in Add. et Corr. p. VII:
καταστὰς γωνίας te καὶ πλευρᾶς.
INTRODUZIONE ALL'ARITMETICA DI NICOMACO 723 ancora una volta sottraggo la somma
iniziale, cioè 630. E poiché sono
quattro i termini che cerco, prendo la metà del resto 458, e cioè 229365 e l'assegno al primo dei termini che cerco e
che sarà combinato con gli altri tre. Da
378, che sarebbe il numero della prima coppia, devo sottrarre 229,)66 e mi resta 149.397 Questo
dunque, io dico, è il secon- do numero
dell’esposizione. Ancora, poiché il numero della seconda coppia è 360, sottraggo lo stesso numero 229
e mi resta il numero 131, che io dico
essere il terzo termine dell’esposizione. Allo stesso modo, poiché il numero della terza coppia è 350,
devo sottrarre 229, e mi resta 121, e ho
cosi il quarto termine. Poiché dunque i quattro termi- ni sono, nell’ordine, i seguenti: 229, 149,
131, 121, il primo e il secon- do presi
insieme saranno emioli del terzo e del quarto, mentre il primo e il terzo insieme saranno epitriti del
secondo e del quarto, e a loro volta il
primo e il quarto saranno epiquarti del secondo e del terzo, che è ciò che si doveva dimostrare.368
E tutto questo discorso non dev'essere
considerato estraneo al nostro scopo, bensi detto al fine di mostrare l’eleganza delle fiorite
aritmetiche. Ma occorre tornare alla
teoria dei numeri poligonali [69] e osser-
vare come anche nel diagramma di tutti i numeri possa accadere che i numeri in successione a partire da 1, se
esposti in una prima linea, siano
gnomoni della linea ad essi successiva fatta di numeri triangola- ri,)69 se esposti saltandone uno per volta,
siano gnomoni della linea dei
quadrati,370 se esposti saltandone due per volta, siano gnomoni della linea dei pentagoni,}7! se esposti
saltandone tre per volta, siano gnomoni
della linea degli esagoni,}72 e cosî via in successione. E tutti i gnomoni del numero ettagonale avranno
terminazione uguale a quella dei primi
due, cioè 1 e 6,27) mentre i gnomoni degli altri nume- ri poligonali avranno terminazione secondo
diverse visioni,?74 cosi come si
scoprirà che nell'esposizione del numero esagonale ci sono tutti numeri perfetti. E peculiarità dei
numeri esagonali sarà l'essere anche
tutti numeri triangolari, mentre peculiarità dei numeri triango- lari non sarà più l'essere anche tutti numeri
esagonali, bensi solo uno sf e uno no,
cioè una metà di essi, ad esempio 1, 6, 15, 28, 4575 in modo che anche in questo caso la metà si
combini propriamente col 2.376 Poiché
infatti il numero esagonale è doppio di quello triangola- re per angoli e lati, è per questo che la
linea dei numeri triangolari presenterà
da sé la metà dei numeri esagonali, che nell'esposizione dei 724 GIAMBLICO τῶν ἑξαγώνων τέλειοι ἅμα καὶ [20] tpiyovoi
εἰσιν. ἐν δὲ τῇ τοῦ πεν- ταγώνου, ἔνθα
δύο ἄρτιοι ἀνὰ μέσον τῶν δύο συζυγιῶν περισσῶν, ὁ μὲν ἕτερος ἀναγκαίως τῶν ἀρτίων ἀρτιοπέρισσός
ἐστιν, ὁ δὲ λοιπὸς περισσάρτιος. καὶ
πολλὰ ἄλλα παρακολουθήματα γλαφυρὰ εὕροι
τις ἂν συντείνων ἑαυτὸν συμβεβηκότα τῷ τῶν πολυγώνων διαγράμ- ματι, οἷον ὅτι ἐπὶ βάθος οἱ πρῶτοι μετὰ τὰς
μονάδας ὁ ἐφεξῆς ἀριθ- μός ἐστιν, οἱ δὲ
δεύτεροι κοινῇ μὲν διαφορᾷ [70] χρώμενοι τριάδι, τάξει δὲ οἱ ἐπιμόριοι ἀφ᾽ ἡμιολίου ἀρχόμενοι,
οἱ δὲ τρίτοι ἐπιμε- ρεῖς κοινῇ μὲν ἐξάδα
διαφορὰν ἔχοντες ὀνομαζόμενοι δὲ τάξει τινὶ
ἄλλῃ πρὸς ἀλλήλους; ἐπιτριμερεῖς μὲν γάρ, ἀλλὰ πέμπτα τὰ μέρη ἐπὶ τοῦ πρώτου, ἐπὶ δὲ τοῦ ἑξῆς ὄγδοα, εἶτα
ἐνδέκατα, εἶτα τεσσα- ρεσκαιδέκατα, ἑξῆς
ἀκολούθως, ὀνομαζομένων τῶν μορίων ἀεὶ
κατὰ τὸ τοῦ ὑπολόγου ἥμισυ καὶ τῇ συζυγίᾳ τῆς ἐπιμερότητος. ἐμ- φανέστερον δὲ εὑρίσκεται ὁ ἐν τῷ διαγράμματι
ἕκαστος μὲν [10] τετράγωνος σύστημα ὧν
τοῦ ὑπὲρ αὐτὸν τριγώνου καὶ τοῦ πρὸ ἐκεί-
νοῦ ὁμοειδοῦς, ἅπας δὲ πεντάγωνος τοῦ κατ᾽ αὐτὸν ἐπὶ βάθος τριγώ- νου καὶ δὶς τοῦ πρὸ ἐκείνου, καὶ πᾶς ἑξάγωνος
τοῦ κατ᾽ αὐτὸν ἐπὶ βάθος τριγώνου καὶ
τρὶς τοῦ πρὸ ἐκείνου, καὶ ἑπτάγωνος ὁμοίως τοῦ
κατ᾽ αὐτὸν καὶ τετράκι τοῦ πρὸ ἐκείνου, καὶ ἀεὶ τὸ αὐτὸ συμβήσε- ται κατὰ πρόσθεσιν μονάδος τῆς ποσότητος
παρανυξομένης. πάλιν ὁ δεύτερος
τετράγωνος ὁ θ΄ σύστημά ἐστι τοῦ ὑπὲρ αὐτὸν τριγώνου τοῦ ἕξ καὶ τοῦ πρὸ ἐκείνου γ΄, ὡς εἴρηται. ὁ
δ᾽ ὑπὸ [20] τοῦτον πεν- τάγωνος ιβ΄
σύστημά ἐστι τοῦ ὑπὲρ αὐτὸν τετραγώνου τοῦ θ΄ καὶ τοῦ πρὸ ἐκείνου τετραγώνου τοῦ δ΄, παρὰ τὸν α΄
διαγώνιον κείμενον αὐτῷ πρῶτον
τρίγωνον.39 ὁ δ᾽ ὑπὸ τοῦτον ἑξάγωνος ὁ ιε΄ σύστημά ἐστι τοῦ ὑπὲρ αὐτὸν πενταγώνου τοῦ ιβ΄ καὶ
τοῦ πρὸ ἐκείνου ε΄, παρὰ δὶς τὸν αὐτὸν
τρίγωνον τὸ πρῶτον α΄. ὁ δ᾽ ὑπ᾽ αὐτὸν ἑπτάγωνος
ὁ in ἐκ τοῦ ὑπὲρ αὐτὸν ἑξαγώνου τοῦ ιε΄ καὶ τοῦ πρὸ ἐκείνου τοῦ ς΄, παρὰ τρὶς τὸν αὐτὸν τρίγωνον τὸ α΄. οἱ
γὰρ ἐνεργείᾳ [71] πρῶτοι πολύγωνοι οἱ
μετὰ τὰς δυνάμει μονάδας τεταγμένοι παρ᾽ οὐδὲν
ἦσαν, ἀλλά πως ἕκαστος ἐκ τοῦ ὑπὲρ αὐτὸν καὶ τοῦ πρὸ ἐκείνου. 39 70,22 5. παρὰ τὸν α΄ διαγώνιον κείμενον
αὐτῷ πρῶτον τρίγωνον ho congetturato io:
παρὰ τὸν ε΄, διαγωνίου κειμένου αὐτῷ ἑνὸς τριγώνου Pistelli, che però sospettò giustamente che
fosse corrotto τὸν ε΄ e che ci si
aspetterebbe τὸν πρῶτον τρίγωνον τὸ α΄ (cf. appar. ad loc.): παρὰ τὸν
ἐπὶ διαγωνίου κείμενον αὐτῷ πρῶτον
τρίγωνον Heiberg. Se si volesse preferire
la lectio tràdita, mutando soltanto la ε΄ in α΄, il senso non
cambierebbe: «sot- tratto 1, essendo
questo l’unico triangolare posto diagonalmente ad esso». INTRODUZIONE ALL'ARITMETICA DI NICOMACO 725
numeri esagonali sono insieme perfetti e triangolari. Nell’esposizione del
numero pentagonale invece, ci sono due numeri pari al centro di due coppie di
numeri dispari,377 e necessariamente l’uno dei pari è pari-dispari, l’altro
dispari-pari.?78 E chi si predisponga con la dovuta tensione potrà scoprire
molte altre eleganti sequenze quali proprietà del diagramma dei numeri
poligonali, come ad esempio il fatto che,
visti in altezza, i primi dopo le unità??? differiscono di 1,380 i
secondi hanno come differenza comune
[70] 3,)8! essendo nell’ordine gli epi-
mori a partire dall’emiolio,582 i terzi sono epimeri e hanno come
dif- ferenza comune 6 e prendono
denominazione tra loro da un ordine
diverso; sono infatti epitrimeri, ma prendono, nella prima coppia quinte parti,385 nella seconda ottave
parti,?84 nella terza undicesime
parti,38 nella quarta quattordicesime parti,?86 e cosi di seguito;
essen- do il nome delle parti sempre in
funzione della metà dell’ipologo?87 per
combinazione di epimeri.388 In modo più evidente si scoprirà nel diagramma che ogni quadrato è uguale alla
somma del triangolare che gli sta sopra
e di quello che precede quest’ultimo nella stessa spe- cie,389 e che ogni pentagonale è uguale alla
somma del triangolare che gli sta sopra
nella stessa colonna e due volte il triangolare preceden- 16,30 e che ogni esagonale è uguale alla
somma del triangolare che gli sta sopra
in colonna e tre volte il triangolare precedente,39! e che ogni ettagonale parimenti è uguale alla somma del
triangolare che gli sta sopra in colonna
e quattro volte quello che lo precede,}92 e accadrà sempre la stessa cosa crescendo la quantità?
per aggiunta di un’uni- tà.:9% Ancora,
il secondo quadrato, cioè 9, è somma del triangolare che gli sta sopra, cioè 6, e di quello
precedente, cioè 3, come si è detto. Il
pentagonale che gli sta sotto, cioè 12, è somma del quadrato che sta sopra, cioè 9, e del quadrato
precedente, cioè 4, sottratto il primo
triangolare posto diagonalmente ad esso, cioè 1. L'esagonale sotto il 12, cioè 15, è somma del pentagonale
che gli sta sopra, cioè 12, e di quello
precedente, cioè 5, sottratto due volte lo stesso primo triangolare, cioè 1. L'ettagonale che sta
ancora sotto, cioè 18, è somma
dell’esagonale che gli sta sopra, cioè 15, e di quello precedente,
cioè 6, sottratto tre volte lo stesso
primo triangolare, cioè 1. I primi nume-
ri poligonali in atto, infatti, [71] ordinati dopo le unità, che sono poligonali in potenza, nascevano senza alcuna
sottrazione, bensi, in qualche modo, ciascuno dalla somma di quello che gli sta
sopra e di 726 GIAMBLICO πάλιν δὲ ἐξ ἄλλης ἀρχῆς ὁ 15° τετράγωνος κατὰ τὸν
τέταρτον ἐπὶ πλάτος στίχον τεταγμένος
σύστημά ἐστι τοῦ ὑπὲρ αὐτὸν τριγώνου τοῦ
ι΄ καὶ τοῦ πρὸ ἐκείνου ς΄ ὁμοίως παρ᾽ οὐδέν. ὁ δ᾽ ὑπ᾽ αὐτὸν πεν- τάγωνος ὁ κβ΄ σύστημα τοῦ ὑπὲρ αὐτὸν
τετραγώνου τοῦ ις΄ καὶ τοῦ πρὸ ἐκείνου
τοῦ θ΄, παρὰ τὸν ἐνεργείᾳ πρῶτον τρίγωνον [10] τὸν γ΄, διαγώνιον ὄντα πρὸς αὐτόν. ὁ δ᾽ ὑπ᾽ αὐτὸν
ἑξάγωνος ὁ κη΄ συνέ- στηκεν ἔκ τε τοῦ
ὑπὲρ αὐτὸν κβ΄ πενταγώνου καὶ τοῦ πρὸ ἐκείνου
ιβ΄, παρὰ δὶς τὸν αὐτὸν τρίγωνον τὸν γ΄. ὁ δ᾽ ὑπ᾽ αὐτὸν ἑπτάγωνος ὁ λδ΄ σύστημά ἐστι τοῦ ὑπὲρ αὐτὸν ἑξαγώνου τοῦ
κη΄ καὶ τοῦ πρὸ ἐκείνου ιε΄, παρὰ τρὶς
[καὶ] τὸν αὐτὸν τρίγωνον τὸν γ΄. καὶ ἑξῆς
ὁμοίως τὸ αὐτὸ συμβήσεται συμπροκοπτόντων τοῖς ἑξῆς ἐπὶ τὸ πλά- τος λαμβανομένοις πολυγώνοις καὶ τῶν
γνωμονικῶν τριγώνων. ὁ μὲν γὰρ ἐφεξῆς
εἰς τὸ πλάτος στίχος τῶν πολυγώνων, [20] οὗ ἄρχει ὁ ιε΄ τρίγωνος, διεκταθήσεται ὁμοίως τοῖς
προειρημένοις κατὰ τὸν 1° τρίγωνον. ὁ δὲ
μετ᾽ αὐτόν, οὗ ἀρχὴ κα΄, κατὰ τὸν ιε΄. καὶ ἀεὶ ὁμοίως διεκταθήσεται ἡ προκοπὴ τῶν πολυγώνων καὶ τῶν
εἰδοποιούντων αὐτοὺς τριγώνων, ὥστε
καθολικὸν ἐπ᾽ αὐτῶν εἶναι θεώρημα τοῦτο:
ἕκαστος γὰρ πολύγωνος σύστημά ἐστι τοῦ ὑπὲρ αὐτὸν μονάδι μικρωνυμωτέρου καὶ τριγώνου τοῦ ἑνὶ βαθμῷ
ὑποβεβιβασμένου. καὶ τὰ μὲν [72] τοῖς ἐπιπέδοις ἀριθμοῖς συμβαίνοντα ὡς ἐν ἐπι-
δρομῇ ἐπὶ τοσοῦτον ἡμῖν δεδείχθω. Ἐπεὶ δὲ καὶ περὶ ἑτερομηκῶν λέγειν καιρός,
διότι τῆς τῶν ἐπι- πέδων ἰδιότητός εἰσι
καὶ αὐτοί, ἄξιον θαυμάσαι τῶν περὶ
Πυθαγόραν τὴν περὶ τὰ μαθήματα σπουδήν τε καὶ ἀκρίβειαν᾽ κατι- δόντες γὰρ οἱ σοφώτατοι πάντας τοὺς ἐν ἀριθμῷ
λόγους ποικιλωτά- τους ὄντας καὶ
ἀπείρους τὸ πλῆθος ἀπὸ μονάδος ἅπαντας, ὥσπερ
ἀπὸ κοινῆς τινος ῥίζης, φυομένους καὶ εἰς τὸ [10] ἐνεργείᾳ ἀπὸ δυνάμεως μεθισταμένους ἀρτίους τε καὶ
περισσοὺς καὶ καθ᾽ ἑκάτερον τοὺς
εἰδικοὺς αὐτῶν τελείους τε καὶ τοὺς ἐναντίους, ἔτι μὴν καὶ τὰς δέκα σχέσεις ἀπ᾽ αὐτῆς
πλασσομένας, πολυγώνους τε καὶ ἐπιπέδους
ἀπὸ τριγώνου μέχρις ἀπείρου, ἔτι μὴν καὶ στερεούς, ὡς ἑξῆς δειχθήσεται, κατὰ
πᾶν εἶδος στερεοῦ, σφαιρικοὺς λέγω καὶ κυβικοὺς καὶ πυραμιδικούς, πλευρικούς τε
καὶ διαμετρικούς, καὶ 40 πλάτος corresse Heiberg: ἔπος. INTRODUZIONE
ALL'ARITMETICA DI NICOMACO 727 quello precedente.3% Ancora, da un altro punto
di partenza, il nume- ro quadrato 16,
che è ordinato al quarto posto in larghezza, è allo stes- so modo397 somma del triangolare che sta
sopra di esso, cioè 10, e di quello
precedente, cioè 6, senza alcuna sottrazione. Il pentagonale che sta sotto di esso, cioè 22, è somma del
quadrato che gli sta sopra, cioè 16, e
di quello precedente, cioè 9, sottratto il primo triangolare in atto, cioè 3, che è diagonale ad esso.
L'esagonale che sta sotto, cioè 28, è
somma del pentagonale che sta sopra, cioè 22, e di quello pre- cedente, cioè 12, sottratto due volte lo
stesso primo triangolare in atto, cioè
3.39 L'ettagonale che sta sotto, cioè 34, è somma dell’esago- nale che gli sta sopra, cioè 28, e di quello
precedente, cioè 15, sottrat- to tre
volte lo stesso triangolare, cioè 3. E accadrà lo stesso in succes- sione anche ai triangolari gnomonici?* che
progrediscono insieme con i poligonali
presi in successione secondo la larghezza.°0 Infatti la successione in larghezza“! dei poligonali che
hanno come inizio il triangolare 15,492
si estenderà sempre nella misura dei triangolari pre- cedenti, in questo caso secondo il
triangolare 10;4% la colonna succes-
siva, invece, che comincia con 21, si estenderà secondo il
triangolare 15.4 E cosî la progressione
dei numeri poligonali si estenderà sempre
allo stesso modo di quella dei triangolari che li formano,9 sicché
il teorema generale su di essi è il
seguente: ogni numero poligonale è la
somma del poligonale che ha denominazione più piccola di un'unità e che gli sta sopra40 e del triangolare di un
grado più basso.40 [72] E a questo
punto, come passo successivo a quanto abbiamo detto, dob- biamo mostrare le
proprietà dei numeri piani. Poiché è il momento di parlare anche dei numeri
eteromechi, giac- ché hanno anch'essi la
proprietà di numeri piani, è giusto ammirare la
cura e la precisione dei Pitagorici nelle matematiche: hanno visto, infatti, quei sapientissimi, tutti i rapporti
numerici che sono assoluta- mente vari e
di numero infinito e tutti generati dall'unità come da una comune radice, e che, una volta passati dalla
potenza all’atto, sono pari e dispari, e
in ambedue i casi specificamente perfetti o contrari ai perfetti, e hanno visto inoltre le dieci
relazioni formate dall’unità, i numeri
poligonali e piani che vanno dal triangolare all’infinito, e ancora i numeri solidi, come si mostrerà in seguito,
secondo ogni forma di figura solida, intendo dire sferici e cubici e
piramidali, late- rali e diametrali, e insomma tutte quante le proprietà dei
numeri che 728 GIAMBLICO ἁπλῶς ἅπαντα ὅσα συμβέβηκε τοῖς ἀριθμοῖς
προσεμφαινόμενα τῇ μονάδι «δι᾽» ἐκείνην
τε καὶ ἀπ᾽ ἐκείνης διατρανούμενα «ἕνα» δὲ [20]
μόνον λόγον τὸν ἑτερομηκικὸν ἐν ἁπάσῃ τῇ θεωρίᾳ τῇ ἀριθμητικῇ κατὰ μηδὲν αὐτῇ κοινωνοῦντα μήτε ἐν τῷ
μεταλαμβάνειν μήτε ἐν τῷ μεταδιδόναι,
ἀλλ᾽ ὥσπερ ἀντίξουν αὐτῇ καὶ ἑτερογενῆ ἐπίτηδες ὑπ’ αὐτῆς τῆς φύσεως ἀναδειχθέντα πως. κατὰ τὴν
τῶν ἀρχῶν τούτων ἐναντιότητα τῶν ὄντων
ἁπάντων συνισταμένων, ὡς ἑξῆς ἐπιδειχ-
θήσεται, ἡ τῆς ἁρμονίας οὐσία χώραν [73] ἀναγκαίως ἔχει, εἴ γε «συναρμογά τίς ἐστι καὶ ἕνωσις τῶν
διχοφωνεόντων καὶ τᾷ φύσει πολεμίων
ἁρμονία» κατὰ τοὺς Πυθαγορείους, καὶ ἄλλως ἐὰν Td”! καθόλου κἀνταῦθα διαφυλάττηται τὸ «μηδὲν
εἶναι ἐν τοῖς οὖσιν οὗ τὸ ἐναντίον οὐκ
ἔστιν». εὐθὺς οὖν καὶ ἐξ αὐτοῦ τοῦ ὀνόματος τῆς
ἑτερότητος τὴν ἐναντιότητα συνιδεῖν ἔστι᾽ ταὐτὸν γὰρ «ἕτερα Kai» ἐναντία, ἡ δὲ ταυτότης καὶ ἑνότης περὶ τὴν
τῆς μονάδος φύσιν φαν- τάζεται, ὅπως καὶ
μονάδα ἔφαμεν αὐτὴν κεκλῆσθαι διὰ τὸ μονὴν καὶ
[10] στάσιν ἔχειν αὐτῆς τὸν λόγον, εἴτε καθ᾽ ἑαυτὴν ἐξετάζοιτο,
εἴτε καὶ σὺν ἄλλῳ ᾧτινιοῦν᾽ εἴτε «γὰρ»
ἀριθμῷ εἴτε ὄγκῳ εἴτε μεγέθει πλησιάζοι
καὶ ἀνακίρναιτο, στάσιν αὐτῷ καὶ ταυτότητα παρέχει" ἅπαξ γὰρ τὰ ἑκατὸν ρ΄, καὶ ἅπαξ τὸ τρίγωνον
τρίγωνον, καὶ ἅπαξ ὁ ἄνθρωπος ἄνθρωπος,
καὶ ἐπὶ πάντων ὁμοίως. καὶ μὴν καὶ ὅτι τῶν
περισσῶν εἰδοποιὸς ἐφάνη οὖσα ἡ μονὰς ἰδίως, γνώμονες δὲ τετρα- γώνων ἐφάνησαν ὄντες οἱ περισσοί, ταυτότητα δὲ
καὶ ἰσότητα ἐνεί- δομεν τοῖς τετραγώνοις
ὑπάρχουσαν, εὐλόγως ἂν ἡ ταυτότης ἀπὸ
μονάδος καὶ [20] διὰ μονάδα τοῖς ἄλλοις" συμβαίνειν λέγοιτο. εἰ
δὲ ἡ ταυτότης κατὰ μονάδα, ἡ ἑτερότης
κατὰ τὴν ἐναντίαν δύναμιν συμ- βήσεται
τοῖς οὖσιν πάλιν γὰρ αὕτη φανήσεται ἰδίως τοὺς Étepo- μήκεις εἰδοποιοῦσα καὶ μηδὲν τῆς μονάδος εἰς
τὴν πλάσιν αὐτῶν δεομένη, ἀλλ᾽ εὐθὺς
ἑτερότητα καὶ παρατροπὴν τῆς διὰ μονάδα ταυ-
τότητος κατὰ τὰς πλευρὰς ἀπογεννῶσα. παρὰ [74] μονάδα γὰρ ἴσας τὰς πλευρὰς παντὸς ἑτερομήκους ἀποφαίνει,
διότι καὶ αὕτη παρὰ μονάδα ἴση ἐστὶ τῇ
μονάδι, καὶ πρώτη ἀνισότητος αἰτία γενήσεται
καὶ μείζονος καὶ ἐλάττονος ἐμφαντική. καὶ ἡ συνήθεια τὸ ἕτερον ἐπὶ δυοῖν λέγει ὅθεν καὶ οἱ γεννῶντες τὸν
ἑτερομήκη δύο τέ εἰσιν ἀριθμοὶ καὶ μονάδι ἀλλήλων διαφέροντες. ἐκ ταὐτοῦ, ὃ δὴ
καὶ ἴσον καὶ ὅμοιον, ἐξ ἑτέρου, ὃ δὴ καὶ ἄνισον καὶ ἀνόμοιόν ἐστιν, ὡσανεὶ 41
τὸ Tennulius: tà Pistelli. 42 l’integrazione è di Vitelli. 4 l'integrazione è
di Vitelli. 44 ἄλλοις congetturò Vitelli:
ἀλόγοις Pistelli: λόγοις Tennulius.
INTRODUZIONE ALL'ARITMETICA DI NICOMACO 729 appaiono nell’unità e che per mezzo di essa e
a partire da essa si dispiegano in un
unico rapporto eteromeche nell’intera teoria aritme- tica, pur essendo proprietà che non hanno
niente in comune con l’unità né nel
prendere né nel dare, ma che sono quasi opposte ed ete- rogenee ad essa, accettate quasi
intenzionalmente dalla sua stessa
natura. In virtà della contrarietà di questi principi, che sono, come
si mostrerà in seguito, tutti costanti,
trova posto necessariamente l’es- senza
dell'armonia, [73] se è vero che «un’armonia è accordo e unio- ne di cose dissonanti*0 e nemiche per natura»,
come dicono i Pitagorici, e, in altri
termini, se si deve mantenere anche in questo
caso la regola generale che dice: «non c’è niente che non abbia il suo contrario». Ebbene, anche dallo stesso nome
“diversità” è possibile conoscere
direttamente la “contrarietà”: sono la stessa cosa, infatti, diversi e contrari, mentre identità e unità
si manifestano nella natura del numero
1, come pure dicevamo che questo è chiamato unità ἱμονάς] perché stabilità [uovn] e immobilità
hanno il principio del- l'unità, sia
questa considerata in se stessa o insieme ad una qualsiasi altra cosa, perché accostata o mescolata che
sia o al numero? o al volume?410 o alla
grandezza,#!! fornisce loro immobilità e identità; una volta 100, infatti, fa 100,412 e una volta
triangolo fa triangolo,4!3 e una volta
uomo fa uomo,4!4 e questo vale per tutte le cose. E in verità, poi- ché si è dimostrato che l’unità dà
propriamente forma ai dispari, e i
dispari sono gnomoni di quadrati, e noi vediamo che nei quadrati c'è identità e uguaglianza, sarà ragionevole
allora dire che l’identità deri- va
dall'unità ed è proprietà delle altre cose in virtà dell’unità. E se l'identità è proprietà degli enti in virti
dell’unità, la diversità lo è in virti
della potenza contraria:4! il 2, infatti, apparirà a sua volta come il numero che dà propriamente forma ai numeri
eteromechi e che per fare questo non ha
bisogno dell’ 1, ma produce direttamente diversi- tà e deviazione nei lati per mezzo dell’
1.416 [74] È in virti dell’unità,
infatti, che il 2 mostra uguali i lati di ogni numero eteromeche,
per- chè è per l’ 1 che esso è uguale a
1, sarà cioè anch'esso la prima causa
della disuguaglianza che esprime il più e il meno. E normalmente si dice che la diversità è fra due cose; donde
anche i numeri che genera- no
l’eteromeche sono due e differiscono tra loro di un’unità. Secondo l'opinione dei Pitagorici, dall’identico, che
è uguale e simile, e dal diverso, che è
disuguale o dissimile, nascono, come da due elementi 730 GIAMBLICO
ἐκ δύο στοιχείων πάντα διαφερόντων, γίνεσθαι [10] ἔδοξε τοῖς ἀπὸ Πυθαγόρου πρώτιστα μὲν τὰ ἐν ἀριθμοῖς
συμπτώματα διὰ τὴν τῆς δυάδος πρὸς
μονάδα ἐναντιότητα, κατὰ δὲ τὴν τούτων ἤδη μετουσί- αν καὶ ἀφομοίωσιν καὶ τὰ ἐν κόσμῳ πάντα: τὰ
μὲν γὰρ ἄλλα πάντα τὸν ἀριθμὸν φαίνεται
μιμούμενα, ὁ δὲ ἀριθμὸς «παρέχει»"5 παρ᾽
ἑαυτοῦ ἀρχὰς μονάδα καὶ δυάδα. ὡς οὖν ἀπὸ πάντων τῶν τέσσαρας πλευράς τε καὶ γωνίας ἐχόντων σχημάτων
συστείλαντες τὸ ὄνομα τετράγωνον
ἐκαλέσαμεν τὸν πάσας πλευράς τε καὶ γωνίας ἴσας
ἔχοντα, οὕτως καὶ ἑτερομήκη καλέσομεν ἀπὸ πάντων τῶν τῆς [20] ἑτερότητος εἰδῶν κατὰ τὰς πλευρὰς τὸν
ἐγγυτάτω τῆς ἑτερότητος τὴν παρατροπὴν
ἐμφήναντα, τουτέστι τὸν παρὰ μονάδα τὸ ἕτερον ἐν τοῖς μήκεσιν ἐσχηκότα, ἀντιδιεσταλμένως
λεγόμενον τῷ αὐτομ- mixer. ὅπερ πάλιν οὐ
συνιδὼν ὁ Εὐκλείδης συνέχεε κἀπὶ τούτῳ τὴν
τῆς θεωρίας ἐξαλλαγὴν καὶ ποικιλίαν, οἰηθεὶς ἑτερομήκη εἶναι τὸν ἁπλῶς ὑπὸ διαφόρων δύο ἀριθμῶν
πολλαπλασιασθέντων γινόμενον καὶ μὴ
διακρινόμενος αὐτοῦ «τὸν» προμήκη, ὅπερ εἰ συγχωρήσειέ τις αὐτῷ, συμβήσεται τὰ ἐναντία ἀσυνύπαρκτα
φύσει ὄντα ἅμα καὶ [75] περὶ τὸ αὐτὸ
εὑρίσκεσθαι" τὸν αὐτὸν γὰρ ἀριθμὸν τετράγωνον ἀλλὰ καὶ ἑτερομήκη ἀποφαίνει ὁ ἐκείνου λόγος,
οἷον τὸν λς΄ καὶ τὸν 15° καὶ ἑτέρους
πολλούς, È ὅπερ ἴσον ἂν εἴη τῷ τὸν περισσὸν ἀριθ- μὸν ταὐτὸν εἶναι τῷ ἀρτίῳ. εἰ δέ γε ἐκεῖνοι
ἀπ᾿ αὐτῆς τῆς φύσεως καὶ οὐχ ἡμῶν θεμένων
εἰς παρ᾽ ἕνα διευτακτοῦνται καὶ οὐκ ἄν ποτε
συγχυθεῖεν, οὕτως τετράγωνοι καὶ ἑτερομήκεις φυσικώτατοι καὶ αὐτοὶ εὐταξίᾳ χρήσονται ὡς ἂν ἀπ᾽ ἐκείνων τὴν
πλάσιν ἔχοντες καὶ διακόσμησιν,
ἡγουμένης [10] καὶ ἀρχούσης τῶν μὲν περισσῶν μονά- δος, δυάδος δὲ τῶν ἀρτίων" ἐκ μὲν γὰρ
τῶν α΄ γ΄ ε΄ ζ΄ θ΄ τα΄ ιγ΄ ιε΄ ιζ΄ ιθ΄
καὶ ἐφοσονοῦν συντιθεμένων, γίνονται τετράγωνοι οἱ α΄ δ΄ θ΄ 15° κε΄ λς΄ μθ΄ ES πα΄ ρ΄ ἐκ δὲ τῶν β΄ δ΄ ς΄ η΄
ι΄ ιβ΄ ιδ΄ 15° ιη΄ κ΄ ἑτερομήκεις οἱ β΄
ς΄ ιβ΄ κ΄ λ΄ μβ΄ νς΄ οβ΄ ζ΄ pr. καὶ οἱ μὲν ἰσάκις ἴσοι πλευρὰς ἕξουσι τοὺς ἀπὸ μονάδος ἐφεξῆς ἀριθμούς, οἱ
δὲ ἀνισάκις ἄνισοι ἔγγιστα, τουτέστι
παρὰ μονάδα τοὺς ἀπὸ μονάδος ἐφεξῆς σύνδυο,
κατὰ τὸν συνημμένον τρόπον ἐκλεγομένους, | ἵνα καὶ [20] αἱ πλευ- ραὶ μονάδι ἀλλήλων διαφέρωσιν. ἐν μὲν οὖν τῇ
τῶν τετραγώνων γενέσει ἡ μονὰς τὴν
αἰτίαν ἀποφέρεται τῆς συστάσεως; ἔν τε γὰρ τῇ
τῶν γνωμόνων περιθέσει αὕτη ἐστὶν ἡ προὐφισταμένη, ἄνευ δὲ 45 l’integrazione è mia, ma deriva da una
congettura di Heiberg, il quale tuttavia
ha proposto παρέχει al posto di rap’. Quest'ultimo, a mio avviso, è invece necessario prima di ἑαυτοῦ, come
giustamente scrive Pistelli.
INTRODUZIONE ALL’ARITMETICA DI NICOMACO 731 del tutto differenti, prima le proprietà dei
numeri in virti della con- trarietà tra
il 2 e l’ 1, e poi anche tutte le cose del mondo in virti della loro partecipazione e assimilazione a
quelle:4!7 tutte le altre cose infat- ti
sembrano imitare il numero, mentre il numero trae da sé i suoi pro- pri principi cioè l’unità e la diade. Come,
dunque, partendo da tutte le figure che
hanno quattro lati e quattro angoli, noi chiamiamo, per abbreviazione, col nome di quadrato quella
figura che ha uguali tutti i lati e
tutti gli angoli, cosî, partendo da tutte le specie di diversità nei lati, chiameremo “eteromeche” quel numero che
mostra la variazione di diversità più
piccola, cioè quello che ha nelle sue lunghezze la diversità di un'unità, chiamandolo cosi‘!8
per opposizione ad “auto- meche”.
Ignorando la qual cosa, Euclide faceva ancora una volta con- fusione, anche in questo caso*!° per il
mutamento e la varietà di quel che
andava considerando, ritenendo eteromeche il numero che nasce dalla semplice moltiplicazione di due numeri
diversi senza distingue- re da questo il
numero “promeche”, per cui, se si dovesse dargli retta, accadrebbe di trovare insieme e nello stesso
numero proprietà contra- rie incapaci
per natura di coesistere: [75] egli infatti afferma che lo stesso numero è quadrato ed eteromeche, come
ad esempio 36, 16 e molti altri, che è
come dire che il numero dispari è uguale al numero pari. Ma se quei numeri vengono bene ordinati
dalla stessa natura e non li poniamo noi
alternativamente uno dispari e uno pari, in
modo da non confonderli mai,42! allora i quadrati e gli eteromechi, che sono le specie di numeri più conformi a
natura, assumeranno anch'essi un ordine
come se fossero formati e ordinati da quelli,122 essendo capofila‘2> dei dispari l’ 1, dei
pari il 2: infatti da 1, 3, 5,7,9, 11,
13, 15, 17, 19, e da qualunque altra composizione di numeri dispari, nascono i quadrati 1, 4, 9, 16, 25,
36, 49, 64, 81, 100;424 da 2, 4, 6, 8,
10, 12, 14, 16, 18, 20, nascono invece gli eteromechi 2, 6, 12, 20, 30, 42, 56, 72, 90, 110. E i numeri
uguali un numero uguale di volte425
avranno come lati i numeri in successione a partire da 1, men- tre i numeri disuguali un numero disuguale di
volte426 avranno come lati i mumeri più
vicini, cioè i numeri che a due a due differiscono di 1 a partire dall’unità, selezionati cioè in
maniera tale che anche i lati
differiscano tra loro di 1. Nella generazione dei numeri quadrati,
dun- que, l’unità fornisce la causa
della composizione: e infatti, nell’appli-
cazione dei gnomoni, l’unità è quella che ha sussistenza primaria,
e 732 GIAMBLICO αὐτῆς καθ᾽ αὑτοὺς τῶν περισσῶν ἡ ἐπισύνθεσις
οὐκ dv γεννήσειε τετραγώνους, ἔν τε τῇ
κατὰ τὸν λεγόμενον δίαυλον ἐπισωρείᾳ τῶν
ἐφεξῆς ἀριθμῶν παρέχει ἑαυτὴν ἡ μονὰς ὕσπληγά τε καὶ νύσσαν καθ᾽ ἑκάστην [76] ἐπισύνθεσιν᾽ ἀπ᾽ αὐτῆς τε
γὰρ ἡ τῆς προβάσεως ἀρχὴ γίνεται κατὰ
τὴν γένεσιν ἑκάστου τετραγώνου, ὡς ἀπὸ
ὕσπληγος μέχρι ὡσανεὶ καμπτῆρος τῆς τοῦ ἀποτελεσθησομένου πλευρᾶς, καὶ πάλιν ἐπ᾽ αὐτὴν ἡ ἐπάνοδος ὡς
ἐπί τινα νύσσαν, κατὰ διαφόρησιν πάντων
τῶν ἀριθμῶν καὶ αὐτῆς, πλὴν τοῦ καμπτῆρος,
ὅπερ καὶ πλευρὰ ἔσται τοῦ κατ᾽ αὐτὸν τετραγώνου. οὕτως γὰρ καὶ συμβήσεται ἕκαστον τῶν ἀριθμῶν μέχρις ἑαυτοῦ
τὴν ἀπὸ μονάδος πρόβασιν ἀναδεχόμενον
καὶ ἀπ᾽ [10] αὐτοῦ τὴν ἀνάκρουσιν τῆς
παλινδρομίας ὡς ἐπὶ μονάδα ποιούμενον πλευρὰν τετραγωνικὴν ὑπάρχειν, τὸν μὲν δύο πλευρὰν τοῦ τέτταρα
τετραγώνου: α΄ γὰρ καὶ δύο καὶ ἐξ
ὑποστροφῆς πάλιν ὁ α΄, ὁ δ΄ γίνεται τετράγωνος. τὸν δὲ Y τοῦ θ΄: α΄ γὰρ καὶ δύο καὶ τρία καὶ ἐξ
ὑποστροφῆς β΄ καὶ α΄, ὁ θ΄ τετράγωνος.
τὸν δὲ [τέταρτον] 46 δ΄ τοῦ 19° α΄ γὰρ καὶ β΄ γ΄ δ΄ «καὶ ἐξ ὑποστροφῆς γ΄ β΄ α΄, ὁ 15° τετράγωνορ. καὶ
μέχρι ὅσου τις θέλει διε- λεγχέτω, εὕροι
ἂν πάντας μὲν τοὺς ἐντὸς τοῦ ὑστάτου ἀριθμοῦ, ὅς ἐστι πλευρὰ τοῦ [20] τετραγώνου,
διαφορουμένους ἐν τῇ συνθέσει κατά τε
τὴν ἀπὸ μονάδος πρόοδον καὶ τὴν εἰς αὐτὴν ἐπάνοδον: μό- νον δὲ τὸν πλευρικὸν ἀδιαφόρητον, καὶ ἀρχῆς τε
ἅμα καὶ τέλους καὶ πρὸς τούτοις
μεσότητος λόγον ἔχοντα, ἀρχῆς μὲν διότι ἀπ᾽ αὖ-
τοῦ ἡ ἐπάνοδος εἰς μονάδα, τέλους δὲ διότι ἐπ᾿ αὐτὸν N πρόοδος ἀπὸ μονάδος, μεσότητος δὲ διότι ὁρίζει τήν τε
πρόοδον καὶ ἐπάνοδον, ὡσανεὶ καμπτὴρ
ὑπάρχων, καὶ μέντοι διὰ τοῦτο δύναμίς ἐστιν αὖ-
τοῦ τὸ πᾶν συγκεφαλαίωμα [77] τῶν ἐπισυντιθεμένων ἀριθμῶν κατά τε πρόοδον καὶ ἐπάνοδον, ἐπειδὴ ὥσπερ ἐν
ἀκροπόλει μόνος τεταγ- μένος
δορυφορεῖται ὡς ὑπὸ δυνάμεως τῶν λοιπῶν ἀριθμῶν κατὰ πρό- βασιν. ἐν δὲ τῇ τῶν ἑτερομηκῶν συστάσει εἴτε
γνωμονικῶς δέοι περιτιθέναι τινὶ τὴν
ἐπισωρείαν τῶν ἀρτίων, ἡ δυὰς μόνη φανήσεται
ἀναδεχομένη καὶ ὑπομένουσα τὴν περίθεσιν, ἄνευ δὲ αὐτῆς οὐ φύ- σονται ἑτερομήκεις᾽ εἴτε κατὰ τὸν αὐτὸν
δίαυλον οἱ ἐφεξῆς ἀριθ- μοὶ
συνσωρεύοιντο, ἡ μὲν [10] μονὰς ὡς ἂν ἀρχὴ οὖσα πάντων κατὰ τὸν Φιλόλαον («οὐ γὰρ ἕν» φησιν «ἀρχὰ
πάντων») καὶ τοῖς ἑτερομήκεσιν εἰς
γένεσιν ὕσπληγα ὁμοίως ἑαυτὴν παρέξει, οὐκέτι
δὲ καὶ νύσσα ἔσται τῆς καθ᾽ ὑποστροφὴν παλινδρομίας καὶ ἐπανό- 4 ho eliminato io. 47 μέντοι Vitelli: μή τι Pistelli, che
avrebbe preferito eliminare.
INTRODUZIONE ALL’ARITMETICA DI NICOMACO 733 senza l’unità la somma degli stessi numeri
dispari non genererebbe i numeri
quadrati,‘ e nell’accumulazione dei numeri in successione secondo il cosiddetto “diaulo”428 l’unità si
presenta come barriera di partenza e
meta finale in ciascuna [76] somma:29 dall’unità, infatti, come da barriera di partenza, ha inizio la
progressione secondo cui si genera
ciascun numero quadrato, per arrivare, come a punto di svol- ta, al lato del numero che si produrrà, e
ancora all'unità si ritorna come a meta
finale, per dissipazione di tutti i numeri e della stessa unità, ad eccezione del punto di svolta, che
sarà anche il lato del qua- drato
costruito secondo quel numero. In tal modo infatti ciascun numero che progredisca fino a se stesso a
partire dall’unità e regredi- sca
tornando da se stesso fino all'unità, costituirà il lato di un quadra- to: cosî 2 è lato del quadrato 4: infatti la
somma di 1 e 2 e ancora 1, per
regressione, fa il quadrato 4;430 3 è lato del quadrato 9: infatti la somma di 1 e 2 e 3 e ancora 2 e 1, per
regressione, fa il quadrato 9.431 4 è
lato del quadrato 16: infatti la somma di 1 e 2 e 3 e 4 e ancora 3 e 2 e I, per regressione, fa il quadrato 16.422
Si discuta finché si voglia e si
scopriranno tutti i numeri dentro l’ultimo numero, che è il lato del quadrato, numeri che differiscono nella somma
a seconda che si pro- gredisca
dall’unità o si regredisca all’unità; soltanto il numero latera- le sarà indifferente e dotato di un rapporto
insieme di inizio e di fine oltre che di
medietà: di inizio perché la regressione all’unità parte da esso, di fine perché la progressione
dall’unità procede verso di esso, di
medietà perché esso delimita, come punto di svolta, sia la progres- sione che la regressione, e appunto perciò
potenza di esso43 è la somma totale [77]
dei numeri che si cumulano secondo la progressio- ne e la regressione, poiché, come se fosse il
solo numero ordinato al comando della
città, esso procede come scortato dalla potenza degli altri numeri. Nella composizione degli
eteromechi invece, nel caso si debba
fare gnomonicamente l'accumulo dei numeri pari, solo il numero 2 apparirà come quello che ammette e
sopporta tale opera- zione, senza il 2
infatti non nasceranno gli eteromechi;44 nel caso che i numeri in successione si accumulino secondo
il suddetto criterio del diaulo, allora
sarà l’ 1 che come principio di tutti, come dice Filolao («non è l’Uno, infatti, egli dice, principio
di tutto?»)45 si presterà anche per gli
eteromechi come barriera di partenza della loro genera- zione, anche se non sarà più meta finale nel
processo di ritorno o 734 GIAMBLICO δου, ἀλλὰ τὸ τοιοῦτον ἡ δυὰς ἀντ᾽ αὐτῆς
ὑποστήσεται᾽ ταύτης γὰρ αὐτῆς ἔσται ἡ
ἐπάνοδος. ἔοικε δὲ ἡ μὲν ἀπὸ μονάδος πρόοδος μέχρι τῶν πλευρικῶν δύο ἀριθμῶν, οἵπερ καμπτήρων
λόγον ἕξουσιν ἐπὶ τῶν ἑτερομηκῶν,
γενέσει προϊούσῃ ἀπὸ τῆς κοινῆς πάντων ἀρχῆς
ὡσανεὶ ἐπ᾽ ἀκμὴν αὐτοὺς [20] τοὺς καμπτῆρας, ἡ δὲ ἀπὸ τούτων ἐπά- νοδος ὥσπερ τις ἀνάλυσις οὖσα καὶ παρακμὴ
φθορᾷ, διόπερ εὐλόγως εἰς μὲν σύστασιν
καὶ αὐτῶν τῶν ἑτερομηκῶν ὡς ἂν εἴδους
λόγον ἔχουσα ἡ μονὰς ἑαυτὴν ἐπιδώσει, εἰς δὲ ἀνάλυσιν καὶ ὡσανεὶ φθορὰν οὐκέτι, ἀλλὰ εἰς δυάδα ὕλης
λόγον ἔχουσαν κατα- στρέψει, ὥσπερ ὁρῶμεν
καὶ ἐπὶ τῶν φυσικῶν τὰ ἐν γενέσει πάντα τὸ
μὲν γίνεσθαι καὶ τόδε τι εἶναι καὶ ἕν εἶναι ἕκαστον ἔχοντα παρὰ τὸ [78] εἶδος, τὸ δὲ φθείρεσθαι καὶ μὴ εἶναι
ἀλλὰ ἀοριστεῖν παρὰ τὴν ὕλην: εἴδους γὰρ
καὶ μορφῆς στερόμενον τὸ τόδε τι ὕλη ἂν εἴη
ἀόριστος καὶ ἄποσος καὶ ἄποιος, διὰ τὴν τῆς δυάδος ἀοριστίαν καὶ ἀνισότητα. διὰ τοῦτο ἰδίως τῶν ἑτερομηκῶν
εἰδοποιὸς ἡ δυὰς ἐφάνη οὖσα καὶ τῆς
ἰδίας δυνάμεως αὐτοῖς κατὰ τὰς πλευρὰς μεταδι-
δοῦσα, τουτέστι τῆς ἀνισότητος: δύο γὰρ τὸ ἄνισον, ὑπεροχὴ καὶ ἔλλειψις ἡ δὲ μονὰς τῶν τετραγώνων, διόπερ
καὶ ἰσάκις ἴσοι᾽ ἀρχὴ γὰρ τῶν ἴσων [10]
τὸ ἔν καὶ ἡ μονάς, εἶ γε τὸ ἴσον ἕν πρὸς ἕν ἐστι, καὶ τὰ ἴσα καθ᾽ ἕνα λόγον ἐστὶν ἴσα. δῆλον
οὖν ὅτι ἀναλόγως ἐξ εἴδους καὶ ὕλης τὰ ἐν
κόσμῳ πάντα συνέστη καὶ γίνεται, ὡς ἐκ
μονάδος καὶ δυάδος τὰ ἐν ἀριθμῷ συμπτώματα πάντα. πρώτως μὲν γὰρ εἰδοποιὸς ἑκατέρα ἡ ἀρχὴ τῶν δύο μηκῶν
τοῦ ἀριθμοῦ, ἀρτίου λέγω καὶ περισσοῦ,
δευτέρως δὲ ἡ μὲν τετραγώνων ἡ δὲ
ἑτερομηκῶν, καὶ οὐκ ἐπαλλάττουσιν αἱ δυνάμεις αὐτῶν, ἀλλ᾽ ἐναν- τιώταται οὖσαι κατὰ τὸν ἴδιον λόγον ἑκατέρα
διατίθησι τὰ μετί- σχοντα αὐτῶν. [20] ὡς
γὰρ τὸ θερμὸν θερμαίνειν πέφυκε τὰ πλησιά-
ζοντα καὶ τὸ ψυχρὸν ψύχειν καὶ τὸ ὑγρὸν ὑγραίνειν, οὕτως καὶ αἱ τῶν ὄντων ἀρχαὶ ἄμικτοι τῶν ἄλλων δυνάμεων
οὖσαι πάντα τὰ μετα- λαμβάνοντα αὐτῶν
κατὰ τὰς οἰκείας δυνάμεις ῥυθμίζουσι. πέφυκε
INTRODUZIONE ALL’ARITMETICA DI NICOMACO 735 regressione, perché questo compito spetterà,
invece che all’ 1, al 2: infatti la
regressione arriverà al 2. La progressione dall’ 1 fino ai due numeri laterali, che avranno il ruolo di
punti di svolta dei numeri ete- romechi,
si presenta in virti della loro generazione che procede da un inizio comune a tutti e due45 quasi che al
culmine fossero essi stessi i punti di
svolta,47 mentre la regressione a partire da questi si presen- ta in virtà della loro risoluzione che è
anche uno svanire per dissolu- zione,
per cui a ragione l’ 1 si offrirà alla composizione degli eterome- chi come a costituirne il principio formale,
mentre non si offrirà alla risoluzione48
come loro dissoluzione, ma si convertirà in 2 che ne costituirà il principio materiale,49 cosi
come vediamo anche a propo- sito della
realtà fisica, dove tutto ciò che diviene, da una parte è un nascere e un essere questa cosa qui e un
avere una propria singolari- tà [78] in
virtà della forma, e dall’altra parte un morire e un non esse- re, anzi un essere indeterminato in virtù
della materia, perché questo essere qual
cosa privo di specie e di forma sarà appunto la materia che è priva di determinazione e di quantità e di
qualità, a causa dell’inde- terminatezza
e disuguaglianza del numero 2. Perciò il 2 è apparso propriamente come il numero che dà forma agli
eteromechi essendo anche quello che
fornisce ad essi la sua propria potenza, cioè la disu- guaglianza, in rapporto ai lati: sono due
infatti le specie di disugua- glianza,
eccesso e difetto;440 l’ 1 invece appartiene ai quadrati, che sono perciò uguali un numero di volte uguale:
l’ 1 o l’unità infatti è principio delle
cose uguali, se è vero che l’uguale è “uno a uno”, e le cose uguali sono uguali secondo un solo
rapporto. È chiaro dunque che tutte le
cose del mondo sono costituite e nascono da forma e materia, cosî come tutte le proprietà dei
numeri sono composte e nascono da 1 e 2.
Questi due numeri, infatti, costituiscono in primo luogo il principio che dà forma alle due
lunghezze del numero, inten- do dire il
pari e il dispari; in secondo luogo l’uno è principio dei qua- drati e l’altro degli eteromechi, e le loro
potenze non si scambiano le rispettive
funzioni, ma, essendo assolutamente contrarie tra loro, cia- scuna delle due dispone le cose che di esse
partecipano secondo il proprio rapporto:
come infatti il caldo per sua natura riscalda le cose che gli si avvicinano e il freddo le
raffredda e l’umido le inumidisce, cosi
anche i principi degli enti, non avendo le potenze mescolate tra loro, regolano tutto ciò che di essi
partecipa ciascuno secondo la pro- 736
GIAMBLICO δὲ τὸ μὲν ἕν καὶ ἡ μονὰς
ὁρίζειν καὶ περαίνειν kai μορφοῦν καὶ ἰσά-
ζειν καὶ σῴζειν καὶ ὅλως ἑνοποιεῖν, ἡ δὲ δυὰς μερίζειν καὶ διχάζειν καὶ φθείρειν καὶ ὅλως ἀορισταίνειν, διόπερ ἐν
τῇ εἰρημένῃ γενέσει τῶν ἑτερομηκῶν εἰς
τὴν αὐτῆς «τῆς» 48 δυάδος σύστασιν ἡ μονὰς οὐκ
[79] ἐτι ἑαυτὴν παρέξει, ἀλλ᾽ αὐτὴ καθ᾽ αὑτὴν ἡ δυὰς ὡς ἂν ἀρχὴ οὖσα καὶ αὐτὴ εὐθὺς ἑτερομηκῶν ἐστι πυθμήν.
διότι δὲ ἐξ ἀρχῆς οὐκ ἂν εἴη, φησὶν ὁ
Πλάτων, οὐκ ἂν ἔτι ἀρχὴ εἴη. εὑρίσκεται δὲ
ἀναλόγως καὶ ἐν ταῖς κοσμικαῖς ἀρχαῖς ὁ δημιουργὸς θεὸς μὴ ὧν τῆς ὕλης γεννητικός, ἀλλὰ καὶ αὐτὴν ἀίδιον
παραλαβών, εἴδεσι καὶ λό- γοις τοῖς κατ᾽
ἀριθμὸν διαπλάττων καὶ κοσμοποιῶν. εἰς δέ γε τὰς τῶν λοιπῶν ἑτερομηκῶν συστάσεις κατὰ μόνην τὴν
πρόοδον, ὡς [10] ἔφαμεν, ἐπιδώσει αὑτὴν
ἡ μονάς, οὐκέτι δὲ καὶ εἰς τὴν ἐπάνοδον,
οἷον οὕτως ἐκ τοῦ ἕν καὶ δύο καὶ τρία ὁ ς΄ γίνεται ἑτερομήκης συνεχὴς ὧν τῇ δυάδι καὶ πλευρὰς ἔχων δυάδα
καὶ τριάδα, αἵπερ καμπτήρων ἀμφότεραι
λόγον ἔχουσιν.9 ἐν μὲν γὰρ τοῖς τετραγώνοις
διὰ τὴν ταυτότητα καὶ ἰσότητα τῶν πλευρῶν ἕνα καμπτῆρα εἶναι συνέβαινεν, ὃς δὴ πλευρικὸς ἦν καθ᾽ ἕκαστον
τετράγωνον ἀριθμός: ἐνταῦθα δὲ ἐπὶ τῶν
ἑτερομηκῶν, ὅτι διαφόρους καὶ ἀνίσους εἶναι
δεῖ τὰς πλευράς, δύο καμπτήρων ἐδέησε, κατ᾽ ἐπάνοδον [20] δ᾽ ἐπι- συνθεῖναι κωλυόμεθα ἀριθμὸν ὑπὸ τοῦ ς΄,
ἐπείπερ ὑπόκειται i μονὰς ἀνεπίδεκτος
οὖσα τῆς ἐπανόδου καὶ ἀναλύσεως. ἡ δὲ δυὰς
οὐδὲν ἔλαττον τῆς τριάδος καμπτὴρ ὑπάρχει, ἀλλ᾽ ἰσοκρατῶς ἀμφό- τεροι πλευρικοί εἰσιν ἀριθμοὶ τοῦ ς΄
ἑτερομήκους ἐκ τοῦ δὶς τρία «Tp ἐκ τοῦ
τρὶς β΄ ποιοῦντες αὐτόν. ἅπαξ δὲ χρὴ κατὰ μόνην τὴν πρό- οδον ἐκ πάντων ἑτερομηκῶν τοὺς καμπτῆρας
λαμβάνεσθαι, ὡς καὶ ἐπὶ τῶν τετρα [80]
γώνων ἐποιοῦμεν. πάλιν ἐκ τῶν α΄ β΄ γ΄ δ΄ καὶ ἐξ ὑποστροφῆς μόνου τοῦ β΄ ὁ ιβ΄ τρίτος
ἑτερομήκης γίνεται, οὗ πλευραὶ δύο
καμπτῆρες ὅ τε γ΄ καὶ ὁ δ΄, ιβ΄ τετράκι γ΄ ἀποτελεῖται. καὶ μὴν ἐκ τοῦ α΄ β΄ γ΄ δ΄ ε΄ καὶ ἐξ ὑποστροφῆς γ΄ β΄ ὁ
ἑξῆς εὔτακτος κ΄ γίνεται, πλευρὰς ἔχων
καὶ αὐτὸς τοὺς δύο καμπτῆρας οὅ τε δ΄ καὶ ὁ ε΄»5 καὶ ἐκ τοῦ τετράκι πέντε ἢ πεντάκι τέσσαρα
γεννώμενος, καὶ τοῦτο μέ- χρι παντὸς
συμβήσεται κατὰ τὴν αὐτὴν ἔφοδον. ἔσται οὖν καὶ τοῖς ἑτερομήκεσι ποικίλη ἡ [10] γένεσις, καθὰ καὶ
τοῖς τετραγώνοις, καὶ κατὰ σύνθεσιν καὶ
κατ᾽ ἔγκρασιν καὶ κατὰ τὸν εἰρημένον δίαυλον.
48 l'integrazione è di Heiberg (cf. Add. et Corr. p. VIII). 49 αἵπερ καμπτήρων ἀμφότεραι λόγον ἔχουσιν
congetturò Heiberg (cf. Add. et Corr. p.
VIII): καίπερ καμπτήρων ἀμφότεραι λόγον ἔχουσαι. 50 l'integrazione è mia. INTRODUZIONE ALL’ARITMETICA DI NICOMACO
737 pria potenza. L' 1 o l’unità ha per
natura il potere di determinare e
delimitare e dare forma e rendere uguale e conservare e in generale
di dare forma unitaria, mentre il 2 ha
per natura il potere di dividere e
sdoppiare e corrompere e in generale di rendere indeterminato, per cui nella generazione degli eteromechi di cui
si è parlato l’ 1 non si offrirà mai
alla composizione del 2 come tale, [79] ché anzi, in quan- to è anch’esso principio, il 2 è per se
stesso radice diretta degli etero-
mechi. Ma poiché non era al principio,#4! dice Platone, non sarà
più principio. Ma si scoprirà per
analogia che anche tra i principi del
mondo il dio demiurgo non genera, ma assume la materia che è anch’essa eterna, per plasmarla e
trasformarla in mondo per mezzo delle
forme e dei rapporti numerici. E l’ 1 si offrirà alla composizione dei rimanenti eteromechi solo per la
progressione, come dicevamo, e non anche
per la regressione: cosi ad esempio dalla somma di 1+2+3 nasce il 6 che è il numero eteromeche che
viene subito dopo il 2443 ed ha come
lati 2 e 3, che fungono ambedue da punti di svolta. Nei numeri quadrati, infatti, accadeva che il
punto di svolta, per l’identi- tà o
uguaglianza dei lati, era uno solo,444 appunto il numero laterale di ciascun quadrato; qui invece, nei numeri
eteromechi, poiché i lati devono essere
diversi e disuguali, occorrono due punti di svolta, e secondo la regressione faremo in modo che non
si aggiunga alcun numero sotto il 6,
giacché sotto sta l’ 1 che non ammette regressione o risoluzione; il 2 invece non è meno del 3
punto di svolta, anzi hanno ambedue
uguale potenza di numeri laterali del 6, che è eteromeche in quanto nasce da 3x2 o da 2x3, che dànno lo
stesso prodotto. Occorre però che tutti
gli eteromechi assumano una sola volta nella sola pro- gressione i numeri di svolta, come facciamo
anche a proposito dei quadrati. [80]
Ancora, dalla somma di 1+2+3+4 e per regressione solo di 2 nasce il 12 che è il terzo
eteromeche e ha come lati i due punti di
svolta 3 e 4: 12 infatti è prodotto di 3x4. E poi dalla somma di 1+2+3+4+5 e per regressione di 3 e 2 nasce
in buon ordine il 20 che è il successivo
eteromeche e ha anch’esso come lati due punti di svolta, 4 e 5, essendo il prodotto di 5x4 o
di 4x5, e questo accadrà in tutti
secondo lo stesso procedimento. I numeri eteromechi, cosf come i quadrati, avranno dunque varia origine sia
per somma che per mescolanza o secondo
il metodo del diaulo di cui si è parlato. Per
mescolanza, come i quadrati nascevano dai seguenti prodotti: 1x1, 738 GIAMBLICO
κατὰ μὲν ἔγκρασιν, ὡς ἐγίνοντο ἐκεῖνοι ἐκ τοῦ ἅπαξ, α΄ καὶ δὶς β΄ καὶ τρὶς γ΄ καὶ τετράκι δ΄ καὶ ἐφοσον οὖν,
οὕτως οἱ ἑτερομήκεις γεν- ήσονται ἐκ τοῦ
ἅπαξ β΄ καὶ δὶς γ΄ καὶ τρὶς δ΄ καὶ τετράκι ε΄ καὶ ἐφεξῆς, κατὰ συνδυασμὸν ἐγκιρναμένων δύο
ἀριθμῶν μονάδι ἀλλήλων διαφερόντων. κατὰ
δὲ σύνθεσιν, ὡς ἐκεῖνοι ἦσαν πρῶτον εἷς
περισσὸς εἶτα δύο εἶτα τρεῖς εἶτα τέσσαρες καὶ ἀεὶ ὁμοίως, «οὕτως καὶ οἱ ἑτερομήκεις ἔσονται πρῶτον εἷς
ἄρτιος εἶτα δύο εἶτα τρεῖς εἶτα τέσσαρες
καὶ ἀεὶ ὁμοίωςφ.5] οὐκέτι κατὰ συνδυασμὸν [20]
ἀλλὰ κατὰ πρόσθεσιν τὴν ἐπὶ τοῖς ἐξ ἀρχῆς. περὶ δὲ τῆς κατὰ τὸν λεγόμενον δίαυλον αὐτῶν γενέσεως μικρῷ
πρόσθεν εἴρηται. λέγεται δὲ κατ᾽
ἔγκρασιν ἡ εἰρημένη πλάσις ἑκατέρου εἴδους, ὅτι ὁ γενόμε- νος τοὺς γνώμονας εἰλικρινεῖς ἀποδοῦναι
οὐκέτι ἔχει διὰ τὴν σύμ- φθαρσιν, ἀλλ᾽
ἐν ταῖς διακρίσεσι συμφαίνονται ἀλλήλοις, οἷον φέρ᾽ εἰπεῖν ὁ ς΄ ἐκ τοῦ δὶς τρεῖς [81] ὧν οὐ
λύεται εἰς τὸν δύο καὶ τρία, ἀλλ᾽ ἡ
σύμφθαρσις πλέον τι τῆς ποσότητος τῶν γνωμόνων ἀπετέλεσε. τοσαυτάκις γάρ ἐστι θάτερος τῶν γνωμόνων ἐν
τῷ γεννωμένῳ, ὅσοσπερ ὁ σύζυγος αὐτοῦ
ἐστι, καὶ διὰ τοῦτο συνεμφαίνεσθαι
ἀλλήλοις εἴρηνται, καθὰ καὶ ἐπὶ τῶν ἐγκιρναμένων ὑγρῶν συμβαί- νει χυλῶν τε καὶ χυτῶν καὶ τηκτῶν καὶ τῶν
ὁμοίων οὐ γὰρ ἔστιν εἰς τὰ ἐξ ἀρχῆς τὴν
διάκρισιν γενέσθαι διὰ τὸ συνεφθάρθαι καὶ συνεμ- φαίνεσθαι τὰς ποιότητας. κατὰ δὲ [10]
παράθεσιν καὶ σύνθεσιν εἴρηται ἡ ἑτέρα
πλάσις, ὅτι δυνατὸν λύεσθαι τοὺς ἀποτελουμένους
εἰς τοὺς ἐξ ὧν συνετέθησαν, οἷον τὸν ς΄ ἐκ τοῦ β΄ καὶ δ΄ συγκείμε- νον δυνατὸν διελεῖν εἰς τοὺς αὐτούς, ὥστε καὶ
πᾶν πλῆθος κατὰ σωρείαν ἢ κατὰ
συναγελασμὸν συγκείμενον εἰς ἑνιαῖα διακρίνε-
ται.52 μόνη δὲ ἀπὸ πάντων ἀριθμῶν ἡ δυάς, ὡς ἔμπροσθεν ἐμάθομεν, τὸ κατ᾽ ἔγκρασιν τῷ κατὰ σύνθεσιν ἴσον
ἀποτελεῖ, τῶν μετ᾽ αὐτὴν ἀριθμῶν πλέον
τὸ κατὰ σύγκρασιν τοῦ κατὰ σύνθεσιν ποιούντων,
τῆς δὲ πρὸ αὐτῆς μονάδος [20] ἀνάπαλιν ἔλαττον διόπερ αὐτὴν ἴσην καὶ δικαίαν οἱ ἀπὸ Πυθαγόρου ἐκ τοῦ
συμβαίνοντος ἐκάλουν, καὶ ἐκ τοῦ τοιοῦδε
τὸ σπερματικὸν αὐτῆς καὶ ἀρχοειδὲς γνωρίζεται" ὡς γὰρ ἡ μονὰς «ἀρχοειδῶς»53 καὶ σπερματικῶς
ἀδιακρίτους τοὺς ἐν ἀριθμῷ λόγους
περιέχει, οὕτω καὶ ἡ δυὰς συγκεχυμένον καὶ ἀδιά- φορον μόνον περιέξει τὸ τῆς ἐγκράσεως καὶ τὸ
τῆς παραθέσεως ἰδίω- μα, ὅπερ οὐδὲ [82]
τῇ μονάδι ὑπάρξει, ἀλλ᾽ ἔσται δυάδος ἴδιον. καὶ
ἐν τοῖς φυσικοῖς δ᾽ ἂν εὕροιμεν τὰ σπέρματα πάντα τοὺς λόγους τῶν 5! lacuna colmata da Pistelli. 52 διακρίνεται congetturò Vitelli:
διακρῖναι. 5 lacuna colmata da Pistelli. INTRODUZIONE ALL’ARITMETICA DI NICOMACO
739 2x2, 3x3 e 4x4, ecc., cosi gli
eteromechi nasceranno dai seguenti pro-
dotti: 2x1, 3x2, 4x3 e 5x4, ecc., secondo un accoppiamento di due numeri distanti tra loro di un'unità. Per
somma, come i quadrati erano prima un
dispari poi due poi tre poi quattro, ecc.,44 cosî anche gli eteromechi saranno prima un pari poi due
poi tre poi quattro, ecc.,447 e non già
per accoppiamento, ma per aggiunta al numeri ini- ziali.448 Sulla loro genesi secondo il
cosiddetto diaulo, si è detto poco fa.
Si dice “per mescolanza” la formazione di ambedue le specie, per- ché il risultato44° non si produce per
fusione dei semplici gnomoni,50 i quali
invece appaiono tra loro ben distinti, come ad esempio 6, che è prodotto di 3x2, [81] non si scioglie in 2
e 3; al contrario la fusio- ne produce
più della quantità dei gnomoni. Infatti nel prodotto il secondo gnomone è tante volte quante volte è
il suo compagno di coppia,451 e perciò
si dice che i gnomoni si presentano insieme e in rapporto reciproco, come accade anche nella
mescolanza delle cose umide, succhi o
liquidi o infusi, e simili: non è possibile infatti torna- re a distinguere gli elementi iniziali perché
le qualità insieme si fon- dono e
insieme appaiono. Si è detto “per giustapposizione o somma” l’altro tipo di formazione, perché è
possibile che i numeri risultanti si
sciolgano in quelli da cui sono composti, come ad esempio il 6, che nasce dalla somma di 2 e 4, può dividersi in
questi stessi numeri, cosi come anche
ogni quantità numerica composta per accumulazione o aggregazione si può dividere nei suoi singoli
componenti. Solo il 2 fra tutti i
numeri, come si è appreso in precedenza, ha un risultato per mescolanza uguale a quello per somma, mentre
i numeri posterio- ri a 2 danno un
prodotto maggiore della somma, e viceversa il
numero 1 che precede il 2 dà un prodotto minore della somma; perciò i Pitagorici chiamavano il 2, in
ragione di questa sua proprie- tà,
“uguale”45 e “giusto”, e da questo fatto si riconosce la sua natu- ra di seme o principio: come infatti l’ 1
contiene allo stato principia- le e
seminale i rapporti numerici, cosî anche il 2 conterrà esso solo allo stato confuso e indistinto le proprietà
della mescolanza e della
giustapposizione, cosa che [82] non accadrà all’ 1, ma sarà
proprie- tà del 2. Anche nelle cose
naturali possiamo scoprire tutti i semi che
contengono allo stato confuso e indiscriminato i rapporti di ciò
che quelle sono in grado di produrre, in
quanto sono in potenza ciò che 740
GIAMBLICO ἀποτελεσθησομένων ἐξ αὐτῶν
ἀδιακρίτους καὶ συγκεχυμένους ἔχοντα, ὡς
ἂν δυνάμει ὄντα ἐκεῖνα ἃ ἐξ αὐτῶν γενήσεται. πάλιν οὖν ἐξ ἄλλης ἀρχῆς ἐπεὶ οἱ μὲν τετράγωνοι
δυνάμεις εἰσὶν ἰδίῳ τινῶν μήκει
αὐξηθέντων ἀριθμῶν, ἑτερομήκεις δὲ οὐκ ἰδίῳ ἀλλ᾽ ἑτέρῳ, οὐκ ἀπεικότως ἑτερομήκεις ἐκλήθησαν, οὗ κατὰ
ἀντιδιαστολὴν τοὺς τετραγώνους οὐκ ἦν
ἀπρεπὲς [10] ἰδιομήκεις καλεῖν. οἱ δὲ
παλαιοὶ ταὐτούς τε καὶ ὁμοίους αὐτοὺς ἐκάλουν διὰ τὴν περὶ τὰς πλευράς τε καὶ γωνίας ὁμοιότητα καὶ ἰσότητα,
ἀνομοίους δὲ ἐκ τοῦ ἐναντίου καὶ
θατέρονς τοὺς ἑτερομήκεις. ἐν δὲ τῇ ἐκθέσει
ἑκατέρου εἴδους οἱ μὲν ἕνα παρ᾽ ἕνα περισσοὶ καὶ ἄρτιοι γενήσον- ται, ὅτι οἱ τοιοῦτοι αὐτοὺς αὐξάνουσιν᾽ οἱ δ᾽
ἑτερομήκεις πάντες ἄρτιοι, ὅτι περισσὸς
ἄρτιον ἢ ἄρτιος περισσὸν μηκύνει, πᾶς δὲ
περισσὸς κατ᾽ ἄρτιον αὐξηθεὶς ἄρτιον γεννᾷ. καὶ ἐπεὶ ἐνταῦθα λό- yov ἐσμέν, ἰστέον ὅτι χρήσιμον ἡμῖν τοῦτο
[20] ἔσται τὸ παράδειγ- μα εἰς τὸν ἐν τῇ
Πλάτωνος πολιτείᾳ γαμικὸν ἀριθμόν, ἔνθα φησὶν ἐκ δύο ἀγαθῶν ἀγαθογονίαν πάντως ἔσεσθαι καὶ ἐκ
δύο τῶν ἐναντίων τὸ ἐναντίον, ἐκ δὲ
μικτῶν πάντως κακογονίαν οὐδέποτε δὲ ἀγαθογο-
νίαν. καὶ γὰρ ἐκ μὲν τῆς τῶν περισσῶν καθ᾽ ἑαυτοὺς συνόδου καὶ ἐπισυνθέσεως ἡγουμένης μονάδος ἐγίνοντο
τετράγωνοι τῆς τἀγαθοῦ φύσεως ὄντες ἀπὸ
τοιούτων αἰτία δὲ τούτου ἥ [83] τε ἰσότης καὶ πρὸ ταύτης τὸ ἕν᾽ ἐκ δὲ τῆς τῶν ἀρτίων ἡγουμένης
δυάδος ἑτερομήκεις τῆς ἐναντίας φύσεως
ὄντες, διότιπερ καὶ οἱ γεννήτορες᾽ πάλιν δὲ αἰ-
τία τούτου ἥ τε ἀνισότης καὶ πρὸ ταύτης ἡ ἀόριστος δυάς. καὶ εἰ κρᾶσις δὲ γένοιτο καὶ ὡς ἂν εἶποι τις γάμος
ἀρτίου καὶ περισσοῦ, οἱ γεννώμενοι
ἀνόμοιοι" καὶ τῆς θατέρου φύσεως εἴτε μονάδι διαφέ- porev οἱ γεννήτορες εἴτε καὶ μείζονί τινι
ἀριθμῷ ἢ γὰρ ἑτερομή- κεις ἢ προμήκεις
οἱ ἀποτελούμενοι. καὶ πάλιν ἐκ [10] μὲν τετραγώ- νων ἀλλήλοις μιγέντων οἱ γινόμενοι
τετράγωνοι, ἐκ δὲ ἑτερομηκῶν ὅμοιοι, ἐκ
δὲ μικτῶν οὐδέποτε μὲν τετράγωνοι πάντως δὲ ἑτερο- γενεῖς, καὶ τοῦτό φησιν ὁ θειότατος Πλάτων
παριδόντας τοὺς τῆς πολιτείας αὐτοῦ
ἄρχοντας καὶ ἀρχούσας, διὰ τὸ μὴ τεθράφθαι ἐν
τοῖς μαθήμασιν ἢ εἰ καὶ τραφεῖεν παρενθυμηθέντας, τοὺς γάμους φύρδην ἀναμίξειν, ἀφ᾽ ὧν φαῦλοι γενόμενοι οἱ
ἔγγονοι ἀρχὴ στά- σεῶς καὶ διαφορᾶς τῇ
συμπάσῃ πολιτείᾳ γενήσονται. ἵνα δὲ καὶ
54 ἀνόμοιοι mutò Vitelli: ὄγκοι.
55 θατέρου sospettò Pistelli: καθ᾽ ἑκατέρου. INTRODUZIONE ALL’ARITMETICA DI NICOMACO
741 da esse sarà generato. Partendo di
nuovo da un altro punto, dunque, poiché
i quadrati sono potenze di numeri aumentati per la propria lunghezza, mentre gli eteromechi sono potenze
di numeri aumentati per una lunghezza
non propria ma diversa, e perciò hanno ricevuto
non a torto tale nome, allora per contrapposizione non sarebbe
scon- veniente chiamare i quadrati
“idiomechi”. Gli antichi li chiamavano
“identici” e “simili”,456 per il fatto che hanno lati e angoli simili
e identici, e al contrario chiamavano
gli eteromechi “dissimili” e “diver-
si”. Nell’esposizione dell'una e dell’altra forma di numero, i
quadrati saranno alternativamente
dispari e pari, perché sono prodotti di
numeri dispari e di numeri pari,497 gli eteromechi invece saranno tutti pari, perché il dispari moltiplica il pari e
il pari il dispari,498 e ogni dispari
moltiplicato da un pari produce un pari.459 E poiché siamo giunti a parlare di ciò, bisogna sapere che
questo esempio ci è utile a proposito
del “numero nuziale” di cui parla Platone nella
Repubblica,46 là dove dice che due genitori buoni generano figli
asso- lutamente buoni, e due genitori
cattivi figli assolutamente cattivi, e
due genitori assolutamente misti figli cattivi e mai buoni. E infatti
da numeri dispari uniti o sommati tra
loro a partire da 1 nascono qua- drati,
che appartengono alla natura del bene perché generati da tali numeri: causa di ciò sono [83] l’uguaglianza
e l’uno che la precede; dalla somma dei
numeri pari a partire da 2 nascono, invece, eterome- chi, che sono di natura contraria al bene,
cosi come i numeri che li generano;
causa di ciò sono, a loro volta, la disuguaglianza e la diade indeterminata che la guida. E se poi si fa
una moltiplicazione o, come si potrebbe
dire, un matrimonio tra un pari e un dispari, nascono dis- simili e della natura del diverso, sia che i
generanti differiscano di un'unità o di
un numero maggiore: i risultati infatti saranno o etero- mechi41 o promechi.462 E ancora, se si
moltiplicano tra loro* dei quadrati, i
risultati sono quadrati, e se si moltiplicano eteromechi i risultati sono della stessa specie,464 mentre
se si moltiplicano dei misti non nascono
mai quadrati ma numeri eterogenei, e se i gover- nanti, uomini e donne, della sua repubblica,
dice il divinissimo Platone, non
prestano attenzione a tutto ciò, perché non sono stati istruiti nelle matematiche o, anche se
istruiti, le disprezzano, mesco- leranno
alla rinfusa i matrimoni, da cui poi nasceranno cattivi figli che saranno principio di discordia e di divisione
per l’intera repubblica. 742 GIAMBLICO μάθωμεν τὴν ἑκατέρου εἴδους τετραγώνων καὶ
[20] ἑτερομηκῶν, ἐναντιωτάτης περ ὄντων
φύσεως, ἐναρμόνιον καὶ συμφυεστάτην σύ-
ζευξιν, ἐκθετέον στιχηδὸν καὶ παραλλήλως ἑκατέρους ἀπὸ τῆς οἰ- κείας ἀρχῆς, τετραγώνους μὲν ἀπὸ μονάδος ἀπὸ
δὲ δυάδος ἑτερομήκεις, οὕτως" α΄ δ΄
θ΄ 19° κε΄ λς΄ μθ΄ ξδ΄ πα΄ ρ΄ β΄ ς΄ ιβ΄ κ΄ λ΄ μβ΄ ve’ οβ΄ q' ρι΄ καὶ προσεκτέον πῶς ὁ πρῶτος
τῶν θατέρων πρὸς «τὸν» [84] πρῶτον τῶν
ταὐτῶν περιέχει τὸν πυθμενικὸν λόγον τοῦ πρώτου
τῶν πολλαπλασίων, ὁ δὲ δεύτερος πρὸς «τὸν» δεύτερον ἀπὸ πυθμέ- νος τοῦ πρώτου τῶν ἐπιμορίων, ὁ δὲ τρίτος
πρὸς [γ] τὸν τρίτον ἀπὸ πυθμένος τοῦ
δευτέρου τῶν ἐπιμορίων, καὶ ὁ τέταρτος πρὸς τὸν τέ- ταρτον ἀπὸ πυθμένος τοῦ τρίτου τῶν ἐπιμορίων,
καὶ τοῦτο ἐφ᾽ ὅσον τις θέλει ἐξετάζων
εὑρήσει εὐτάκτως προχωροῦν. διαφορὰ δ᾽ ἔσται
αὐτοῖς πᾶσι πρὸς πάντας καθ᾽ ἑκάστην συζυγίαν ἐξεταζομένοις ὁ [10] ἑξῆς ἀπὸ μονάδος ἀριθμός. καθ᾽ ἑαυτοὺς
δὲ ἐξεταζομένων τῶν στίχων, ἐπὶ μὲν τῶν
ὁμοίων οἱ ἀπὸ τριάδος περισσοὶ ἔσονται διαφο-
ραί, ἐπὶ δὲ τῶν ἀνομοίων οἱ ἀπὸ τετράδος ἄρτιοι. καὶ πάλιν ἑκάστη διαφορὰ τῶν ἀνομοίων σύνδυο λαμβανομένων πρὸς
τὴν ὁμοιότητα τῶν ὁμοίων λόγον ἕξει
ἐπιμόριον, πάντως δὲ οἱ λόγοι περισσώνυμοι
γενήσονται᾽ ἐπίτριτος γὰρ καὶ ἐπίπεμπτος καὶ ἐφέβδομος καὶ ἐπέ- ννατος καὶ ἑξῆς ἀκολούθως. πάλιν ἐκ πρώτου
ὁμοίου καὶ δὶς τοῦ ὑπ᾽ αὐτὸν ἀνομοίου
«καὶ δευτέρου ὁμοίου» ὁ ἀποτελεσθεὶς ὅμοιός [20] ἐστι, καὶ ἐκ τρίτου ὁμοίου καὶ δὶς τοῦ ὑπ᾽
αὐτὸν ἀνομοίου καὶ τετά- ρτου ὁμοίου ὁ
γενόμενος ὅμοιος, καὶ ἀεὶ οὕτως ποιοῦντες, ὥστε
ἄρχειν τῆς προτέρας γενέσεως τὸ τέλος τῆς ὑστέρας, ὁμοίους πά- viag γεννήσομεν. εἰ δὲ ἀνάπαλιν ἀρξαίμεθα ἀπὸ
τῶν ἀνομοίων ἄκρους αὐτοὺς τάσσοντες,
μέσους δὲ τοὺς ὁμοίους καθ᾽ ἑκάστην
σύζευξιν, ἀνόμοιοι πάντες γενήσονται καὶ τῆς θατέρου φύσεως. εἰ δὲ μὴ τοὺς ἰσοταγεῖςδό μεσεμβολοίημεν
ὁμοίους, ἀλλὰ τοὺς ἐφεξῆς [85] ἀεὶ καθ᾽
ἑκάστην γένεσιν, ἄκρους τηροῦντες τοὺς αὐτοὺς ἀνο- μοίους, οἱ παραληφθέντες ἔσονται ὅμοιοι ὅ τε
19° καὶ ὁ λς΄ καὶ ὁ ξδ΄ καὶ οἱ ἀνάλογον.
καὶ οὗτοι μὲν ἄρτιοι πάντες, ὅτι οἱ μεσεμβολού- 56 sc. τοῖς ἀνομοίοις. INTRODUZIONE ALL’ARITMETICA DI NICOMACO 743 Ma affinché noi impariamo anche quale sia
l'accoppiamento armoni- co e più
connaturale dell’una e dell'altra specie di numeri, cioè dei quadrati e degli eteromechi, che sono di
natura assolutamente oppo- sta, bisogna
esporre in file parallele ciascuno di essi a partire dal rispettivo inizio, i quadrati cioè a
cominciare da 1 e gli eteromechi a
cominciare da 2, in questo modo:
1 4 9 16 25 36 49 64 81 100 2 6
12 20 30 42 56 72 90 110 e osservare
con attenzione come il primo numero della seconda fila [84] rispetto al primo della prima fila
contenga il rapporto basale466 del primo
multiplo,49? il secondo rispetto al secondo il rapporto deri- vante dalla base del primo epimorio,4 il
terzo rispetto al terzo quel- lo
derivante dalla base del secondo epimorio,46 il quarto rispetto al quarto quello derivante dalla base del terzo
epimorio,470 e si troverà che il
medesimo rapporto <epimorio> , per quanto si vorrà cercare, segue una progressione bene ordinata.!”! Se
poi si esaminano tutti questi numeri
secondo ciascuna coppia, la loro differenza rappresen- ta la serie successiva dei numeri a partire
da 1.472 Se le due file sono esaminate
ciascuna singolarmente, le differenze tra numeri simili4?3 rappresentano la serie dei numeri dispari a
partire da 3,474 mentre tra numeri
dissimili47> le differenze rappresentano la serie dei numeri pari a partire da 4.476 E ancora, ciascuna
differenza tra numeri dissi- mili, presi
a coppie, rispetto alla differenza corrispondente tra nume- ri simili conterrà un rapporto epimorio, e
ogni volta i rapporti saran- no di
denominazione dispari,477 perché saranno epitriti, epiquinti, episettimi, epinoni, ecc.478 Ancora, se
sommiamo il primo simile, due volte il
dissimile sotto di esso e il secondo simile, il risultato è simi- le,479 e simile è anche quello che risulta
dalla somma del terzo simile, di due
volte il dissimile sotto di esso e del quarto simile,48° e facendo sempre cosi, in modo cioè che la somma
successiva cominci con la fine della
precedente, avremo tutti risultati simili.48!1 Se viceversa cominceremo dai dissimili, ponendo come
estremi essi stessi e come medi i simili
per ciascuna coppia, i risultati saranno tutti dissimili o della natura del diverso.482 Se invece non
intercaleremo i simili dello stesso
ordine dei dissimili, ma sempre i successivi [85] per ciascuna generazione, facendo sî che estremi siano gli
stessi dissimili, allora si otterranno i
simili 16, 36, 64, e cosî via in proporzione.4 E questi 744 GIAMBLICO μενοι ὅμοιοι κἂν περισσοὶ ὦσι dic
λαμβανόμενοι μετὰ ἀρτίων τῶν ἀνομοίων
ἄκρων ἀρτίους ποιοῦσι᾽ δὶς γὰρ πᾶς περισσὸς ἄρτιος γίνε- ται᾿ οἱ δὲ πρότεροι πάντες περισσοί, διότι ὁ
ἕτερος τῶν ὁμοίων ἄκρος πάντως ἦν
περισσός, καὶ διὰ τὸ ἅπαξ λαμβάνεσθαι τὴν περισ- σότητα ἐφύλαττον. [10] ἡ δὲ τῶν κατὰ τοὺς
αὐτοὺς «τρόπους»57 τῶν γνωμόνων σύζενξις
εὐτάκτους τινὰς λόγους ἀποφαίνει᾽ ἐκ μὲν γὰρ
τοῦ [ἅπαξ]58 πρώτου ὁμοίου καὶ [δὶς]59 πρώτου ἀνομοίου καὶ [ἅπαξ]69 δευτέρου ὁμοίου ὁ ὑποδιπλάσιος λόγος φύσεται,
ἐκ δὲ τοῦ δευτέρου ὁμοίου καὶ [δὶς]61
τοῦ ὑπ᾽ αὐτὸν ἀνομοίου καὶ τοῦ ἑξῆς ὁμοίου ὁ
ἡμιόλιος,52 καὶ κατὰ τὴν τρίτην σύζευξιν ὁ ἐπίτριτος καὶ κατὰ τὴν τετάρτην ὁ ἐπιτέταρτος καὶ ἑξῆς ἀκολούθως.
καὶ ἐν τῇ τῶν παραλε- λειμμένων ὁμοίων
γενέσει ἡ σύζευξις τῶν γενομένων οὐκέτι μὲν ἐν
τῷ αὐτῷ λόγῳ τοὺς τρεῖς [20] ὅρους καθ᾽ ἑκάστην συζυγίαν ἀποφαί- νει, ἀλλ᾽ ἐν διαφόροις, οὐ μὴν ἀνοικείοις γε,
ἀλλὰ πάλιν τινὰ φυσικὴν εὐταξίαν καὶ
συγγένειαν διπλασίου λόγου πρὸς ἡμιόλιον
καὶ ἡμιολίου πρὸς ἐπίτριτον καὶ ἐπιτρίτου πρὸς ἐπιτέταρτον. ἐν μὲν γὰρ τοῖς β΄ δ΄ ς΄ ὅροις διπλάσιος καὶ
ἡμιόλιος λόγος ἐστίν, ἐν δὲ τοῖς ς΄ θ΄
ιβ΄ ἡμιόλιος καὶ ἐπίτριτος, ἐν δὲ τοῖς ιβ΄ 19° κ΄ ἐπίτριτος καὶ ἐπι- τέταρτος καὶ ἑξῆς ἀναλόγως, μονάδι
μεγαλωνυμωτέρως τοῦ δευτέ- ρου λόγου
πρὸς τὸν σύζυγον [86] λεγομένου. πάλιν ἕκαστος ὅμοιος μεθ᾽ ἑκάστου ὁμοταγοῦς ἀνομοίου τρίγωνον
ποιεῖ᾽ οἱ δὲ γενόμενοι τρίγωνοι ἄρχοντος
τοῦ τρία αἰεὶ παρ᾽ ἕν γενήσονται οὗτοι γ΄ ι΄ κα΄ λς΄ νε΄ οη΄ ρε΄ καὶ ἀνάλογον, παραλείποντες
ἐκ τῆς εὐτάκτου τῶν τριγώνων πλάσεως τόν
τε ς΄ καὶ τὸν LE' καὶ τὸν κη΄ καὶ τὸν με΄ καὶ
τὸν ἕς΄ καὶ τὸν αα΄ καὶ τοὺς τούτοις ἀνάλογον. εἰ δὲ μὴ τῇ κατὰ
παρά- λληλον μόνῃ συνθέσει χρησαίμεθα
ἀλλὰ καὶ τῇ κατ᾽ ἐμπλοκὴν σῃυμ-
πλέκοντες duas πρῶτον ἀνόμοιον [10] δευτέρῳ ὁμοίῳ καὶ δεύτερον ἀνόμοιον τρίτῳ ὁμοίῳ καὶ τρίτον τετάρτῳ καὶ
τέταρτον πέμπτῳ καὶ ἀεὶ ἀκολούθως,
πάντες ἑξῆς σὺν τοῖς προτέροις ἀπὸ τριάδος οἱ
τρίγωνοι φύσονται οὗτοι γ΄ ς΄ 1 ιε΄ κα΄ κη΄ λς΄ με΄ νε΄ ἔς΄ οη΄ αα΄
pe καὶ οἱ ἑξῆς ἐπ᾽ ἄπειρον. πάλιν δὲ καὶ
αὐτῶν καθ᾽ αὑτοὺς τῶν ἀνο- 57 l'integrazione
è di Heiberg. 58 ho eliminato io. 59 eliminò Tennulius. 60 ho eliminato io. 61 eliminò Tennulius. 62 ἡμιόλιος Tennulius correttamente:
ὑφημιόλιος. 6 ἅμα corresse Heiberg (cf.
Add. et Corr. p. VIII): ἄν.
INTRODUZIONE ALL’ARITMETICA DI NICOMACO 745 saranno tutti pari, perché i simili
intercalati, in quanto presi due
volte,48 anche se dispari, sommati ai dissimili estremi che sono pari,49 fanno numeri pari: infatti ogni
dispari moltiplicato per 2 è un numero
pari; tutti i dispari del primo caso, invece, poiché il secondo estremo dei simili era assolutamente dispari,
mantenevano la proprie- tà di numeri
dispari anche perché erano presi una sola volta. La com- binazione di questi numeri486 considerati in
sé come gnomoni*87 mostra alcuni
rapporti bene ordinati: infatti tra il primo simile, il primo dissimile e il secondo simile nascerà
il rapporto doppio,488 mentre tra il
secondo simile, il dissimile sotto di esso e il simile suc- cessivo nascerà il rapporto emiolio,489 e
nella terza combinazione l’epitrite,19°
e nella quarta l’epiquarto,49! e cosi di seguito. E nella genesi dei simili intercalati,492 la
combinazione dei numeri generati non
mostra più i tre termini di ciascuna combinazione secondo lo stesso rapporto, ma in rapporti differenti,
non certo disappropriati, ma secondo un
certo ordine ancora una volta naturale e congenere, e cioè di rapporto da doppio ad emiolio, e di
rapporto da emiolio ad epitrite, e di
rapporto da epitrite ad epiquarto <ecc.>: tra i termini 2, 4, 6, infatti, il rapporto è doppio ed
emiolio,9 mentre tra i numeri 6, 9, 12,
è emiolio ed epitrite,4% e tra i numeri 12, 16, 20, è epitrite ed epiquarto4 e cosi via in proporzione, giacché
il secondo rapporto è più grande di
un'unità rispetto a quello con cui lo diciamo accoppia- to. [86] Ancora, ciascun simile!% sommato a
ciascun dissimile49 che occupi lo stesso
posto, fa un numero triangolare; i numeri triangolari che si ottengono a cominciare dal 3, saltando
l’ 1, saranno i seguenti: 3, 10, 21, 36,
55, 78, 105, e gli altri in proporzione, e questi lasciano fuori dalla formazione bene ordinata dei
numeri triangolari questi altri: 6, 15,
28, 45, 66, 91, e quelli che sono in proporzione a questi. Se utilizziamo i numeri non solo secondo la
somma sulla stessa colon- na,498 ma
anche secondo la somma su linee intrecciate, intrecciando appunto contemporaneamente il primo dissimile
con il secondo simi- le, e il secondo
dissimile con il terzo simile e il terzo col quarto e il quarto col quinto e cosî di seguito,49? tutti
i numeri triangolari che nasceranno in
successione, compresi i primi a partire dal 3, saranno i seguenti: 3, 6, 10, 15, 21, 28, 36, 45, 59,
66, 78, 91, 105, e cosî all’in- finito.
Ma anche le metà di ciascun dissimile preso per se stesso pro- durranno i numeri triangolari bene ordinati a
partire da 1.500 Ciascuna 746
GIAMBLICO μοίων τὰ ἡμίση τοὺς ἀπὸ
μονάδος εὐτάκτους τριγώνους ποιήσει.
ἑκάστη δὲ διαφορὰ ἀνομοίων καθ᾽ ἕκαστον πρὸς ὁμοίους λόγον ἕξει πρὸς οὖς ὧν ἐστι | διαφορὰ οὐκ ἄτακτον"
οὗ μὲν γὰρ ἡμίσεια. ἔσται οὗ δὲ τρίτον,
καὶ οὗ μὲν τρίτον [20] οὗ δὲ τέταρτον, καὶ οὗ μὲν τέταρ- τον où δὲ πέμπτον, καὶ ἀεὶ ἀκολούθως, ἀρχὴν
δὲ παρέξει τῆς τοιαύτης εὐταξίας ἡ ἡ
δευτέρα συζυγία τοῦ δ΄ πρὸς ς΄ τῇ γὰρ πρώτῃ
συζυγίᾳ τῇ α΄ πρὸς δύο οὐχ ὑπάρξει τὸ τοσοῦτον διὰ τὸ ἀμερὲς εἶναι τὸ ἕν καὶ τὴν μονάδα εἴδους καὶ ταυτότητος
λόγον ἔχουσαν. πρώτη δὲ δυὰς ἐπιδεκτικὴ
ἔσται μερισμοῦ καὶ διακρίσεως, τῆς θατέρου φύ-
σεως οὖσα καὶ τὸν τῆς ὕλης λόγον ἀναδεδεγμένη, καὶ ἐπεὶ συζυγὴς οὖσα τῇ μονάδι δι᾽ ἐκείνην ἐκωλύθη τῆς
εἰρημένης εὐταξίας τῶν μορίων ἄρξαι,
αὐτὴ [87] διαφορὰ οὖσα τῆς δευτέρας συζυγίας
εὑρίσκεται, τοῦ μὲν τέσσαρα ἡμίσεια οὖσα, τοῦ δὲ ς΄, γον. ἀλλὰ καὶ πρὸς τὸν δ΄ συγκρινομένη οὐδὲν ἧττον «Tv»
διαφορὰν πρὸς αὐτὸν φυλάττει. καὶ ἐπειδὴ
τῇ κατὰ τὰς διαφορὰς ποσότητι ἀδιαφοροῦσιν
οἱ τρεῖς ὅροι οἱ β΄ δ΄ ς΄, [καὶ ]65 ποιότητι τῇ κατὰ τοὺς λόγους
διαφέ- povor: διπλάσιος μὲν γὰρ ὁ δ΄ τοῦ
β΄, ἡμιόλιος δὲ ὁ ς΄ τοῦ δ΄. ὁ δὲ αὐτὸς
ς΄ πρὸς τὸν ἑξῆς ὁμοίως συγκρινόμενος τὸν θ΄, ποιότητι μὲν οὐ διοίσει τὸν γὰρ αὐτὸν ἡμιόλιον λόγον [10]
φυλάξει, ὑπόλογον È ἑαυ- τὸν παρέχων,
ὥσπερ καὶ πρὸς τὸν δ΄ τοῦ αὐτοῦ λόγου πρόλογος ἦν᾽ τῇ δὲ κατὰ τὴν διαφορὰν ποσότητι διοίσει, εἴ γε
πρὸς μὲν τὸν δ΄ δυάς ἐστιν ἡ διαφορά,
πρὸς δὲ τὸν θ΄ τριάς. πάλιν ὁ θ΄ πρὸς τὸν ς΄ ἀλλὰ καὶ πρὸς τὸν ιβ΄ συγκρινόμενος ποιότητι μὲν τῶν
λόγων διοίσει, εἴ γε τοῦ μὲν ἡμιόλιος
τοῦ δὲ ὑπεπίτριτός ἐστι, ποσότητι δὲ τῇ κατὰ τὰς διαφορὰς οὐ διοίσει᾽ τριὰς γὰρ αὐτῷ διαφορὰ
πρὸς ἑκάτερον. καὶ καθόλου ἔνθα μὲν τῇ
κατὰ τὰς διαφορὰς ποσότητι διαφέρουσι τρεῖς
ὅροι οὕτως [20] λαμβανόμενοι ὡς εἴρηται, ποιότητι κατὰ τοὺς λό- γους ἀδιάφοροι ἔσονται᾽ εἰ δὲ διαφέροιεν
ποιότητι, ποσότπτι ἀδια- φορήσουσι. καὶ
ἐξ ἀλλήλων δ᾽ ἂν γνωρισθείησαν ὅμοιοί τε καὶ ἀνό- μοιοι΄ ὁ γὰρ πρῶτος ἀνόμοιος ἐκ δὶς πρώτου
ἐστὶν ὁμοίου, καὶ ὁ δεύ- τερος ὅμοιος ἐκ
δὶς πρώτου ἐστὶν ἀνομοίου, ὁ δὲ δεύτερος ἀνόμοιος ἐξ ἑνὸς «καὶ» ἡμίσους δευτέρου ὁμοίου. πάλιν
ὁ τρίτος ἀνόμοιος ἐξ ἑνὸς καὶ τρίτου
ἐστὶ τρίτου ὁμοίου, ὥσπερ καὶ τέταρτος ὅμοιος ἐξ ἑνὸς καὶ τρίτου [88] ἐστὶ τρίτου ἀνομοίου. ὁ
δὲ τέταρτος ἀνόμοιος ἐξ ἑνὸς καὶ
τετάρτου ἐστὶ τετάρτου ὁμοίου, καθὰ καὶ ὁ πέμπτος ὅμοιος ἐξ ἑνὸς καὶ τετάρτου ἔσται τετάρτου
ἀνομοίου, ὁ δὲ πέμπτος 64
l’integrazione è di Heiberg. 6 eliminò
Heiberg. INTRODUZIONE ALL’ARITMETICA
DI NICOMACO 747 differenza tra un
dissimile e un simile, sarà in rapporto non ordinato rispetto ai numeri di cui è differenza: sarà
dell’uno 1/2, dell’altro 1/3, e dell'uno
1/3 e dell’altro 1/4, e dell’uno 1/4 e dell’altro 1/5, e cosi sempre in successione, e sarà la seconda
coppia, cioè 4 e 6, a dare ini- zio a
questa formazione bene ordinata: per la prima coppia, infatti, cioè 1 e 2, non esisterà un tale rapporto per
il fatto che l’ 1 è privo di parti e
l’unità ha il ruolo di forma e identità. Il primo numero ad ammettere partizione o divisione sarà il 2,
perché ha la natura del diverso e assume
il ruolo di materia, e poiché è in coppia con l° 1, il 2 è da quest’ultimo impedito a dare inizio
alla suddetta formazione bene ordinata
delle parti, e si rivela [87] differenza della seconda coppia [4 e 6], perché del 4 è 1/2 e del 6
1/3. Ma anche confrontato col 4, il 2
mantiene nondimeno la sua differenza rispetto ad esso.50! E poiché i tre termini, 2, 4, 6, non
differiscono tra loro per quantità di
differenza [2], differiscono invece nella qualità dei rapporti: men- tre infatti 4 è doppio di 2, 6 invece è
emiolio di 4. Lo stesso 6 inve- ce, se
confrontato parimenti con il simile successivo, cioè col 9, non differirà da esso per qualità, perché
manterrà il medesimo rapporto emiolio,
perché sarà suo ipologo, come era prologo nello stesso rap- porto rispetto al 4, mentre differirà per
quantità di differenza, se è vero che la
differenza rispetto a 4 è di 2, mentre rispetto a 9 è di 3. Il 9 a sua volta, confrontato col 6, ma anche
col 12, differirà per quali- tà di
rapporti, se è vero che è emiolio del primo e sotto-epitrite del secondo, ma non per quantità di differenza,
perché la differenza è con ambedue di 3.
E in generale qui i tre termini, se presi cosî come si è detto, differiscono per quantità di
differenza ma non saranno dif- ferenti
per qualità di rapporti; se invece differiscono per qualità, non differiranno per quantità. Si potranno anche
riconoscere, l’uno rispetto all’altro,
sia i simili che i dissimili: il primo dissimile, infatti, è due volte il primo simile,502 e il secondo
simile due volte il primo dissimile,
mentre il secondo dissimile è 1+1/2 il secondo simile.50% Il terzo dissimile, a sua volta, è 1+1/3 il
terzo simile,5% come anche il quarto
simile è 1+1/3 [88] il terzo dissimile.5% Il quarto dissimile è 1+1/4 il quarto simile,50 cosi come il quinto
simile sarà 1+1/4 il quarto
dissimile,508 cosî come il quinto dissimile sarà 1+115 il suo accoppiato,909 e 9 sesto 1+1/6,510 e accadrà
sempre cosi in successio- 748
GIAMBLICO ἀνόμοιος ἐξ ἑνὸς καὶ πέμπτου
ἔσται τοῦ συζύγου, καὶ ὁ ἕκτος ἐξ ἑνὸς
καὶ ἕκτου, καὶ ἀεὶ ἀκολούθως τὸ αὐτὸ συμβήσεται, τοῦ μορί- ov ὀνομαζομένου κατὰ τὴν ποσότητα τῆς χώρας
ἑκάστου τῶν ἀνο- μοίων πρὸς τὸν
ὁμοιοταγῆ ὅμοιον συγκρινομένου, οὗ καὶ τὸ μόριον ἔσται πρώτως, δευτέρως δὲ καὶ τοῦ [10]
ἀνομοίου πρὸς τὸν ἑξῆς ὅμοιον
συγκρινομένου. καὶ ἄλλα πολλὰ εὕροι τις ἂν γλαφυρὰ καθ᾽ ἑαυτὸν ἐνατενίζων τῷ διαγράμματι καὶ ἀεὶ
διεξετάζων τὴν ἐναρμό- νιον σχέσιν τῶν
ἐναντίων τῶν δύο δυνάμεων ταυτότητος καὶ
ἑτερότητος ἐμφαινομένων τῇ τῶν τετραγώνων καὶ ἑτερομηκῶν ἐκθέ- σει. ἱκανὸν δὲ ἐγκώμιον ἔσται τῆς δεκάδος ἡ
κατὰ τὸν εἰρημένον δίαυλον τῶν
τετραγώνων γένεσις, ὅταν ἐν μὲν τῷ πρώτῳ βαθμῷ τῶν ἀριθμῶν, ὧν ὁρίζει αὐτὴ ἡ δεκάς, ἀπὸ μονάδος
ἡ πρόοδος μέχρις αὐτῆς γένηται καὶ πάλιν
ἀπ᾿ αὐτῆς [20] ὡς ἀπὸ ἀριθμοῦ τινος διορί-
ζοντος μονάδας ἀπὸ δεκάδων ἡ ἐπάνοδος ὡς ἐπὶ μονάδα’ ἔσται γὰρ ἐκ τῆς «δεκάδος ὡς ἀπὸ συνθέσεως τετράγωνος ὁ
ρ΄ ἀριθμός, καὶ αὐτὸς ὧν ἄρθρον
διοριστικὸν δεκάδων καὶ ἑκατοντάδων, καὶ μονὰς
τριωδουμένη καλούμενος πρὸς τῶν Πυθαγορείων, ὥσπερ καὶ ἡ δεκὰς δευτερωδουμένη μονὰς καὶ χιλιὰς
τετρωδουμένη μονάς, πλευρὰ δὲ [89] ἔσται
τοῦ ρ΄ τετραγώνου αὐτὴ ἡ δεκάς, καὶ δύναμις
αὐτῆς τὸ συγκεφαλαίωμα τῆς ἐπὶ ταύτῃ ἐπισωρείας τῶν ἐντὸς αὐτῆς ἀριθμῶν δὶς λαμβανομένων᾽ οὕτω γὰρ καὶ διαύλῳ
ἀπεικάσθαι εἴρηται ὅ τε κατὰ πρόοδον ὡς
ἀπὸ ὕσπληγος τῆς ἀρχῆς καὶ ὁ κατ᾽
ἐπάνοδον ὡς ἀπὸ καμπτῆρος τοῦ τέλους τρόπος τῆς ἐπισυνθέσεως τῶν ἀριθμῶν. εἰ δὲ τῇ δεκάδι μηκέτι μὲν
καμπτῆρι, ὕσπληγι δὲ χρησαίμεθα καὶ ἀρχῇ
τῆς προόδου μέχρις ἑκατοντάδος, ἀφ᾽ ἧς πάλιν
ἡ ἐπάνοδος ἐπὶ τὴν δεκάδα [10] ἔσται, ἐκ τῆς ἐπισυνθέσεως γενήσε- ται ὁ πρῶτος ἀριθμὸς ἡ τετρωδουμένη μονάς,
ἀρθρον καὶ αὐτὸς ὧν διοριστικὸν
ἑκατοντάδων τε καὶ μυριάδων. οὐκέτι δὲ καὶ πλευρὰ ἔσται τετραγωνικὴ τοῦ χίλια ἀριθμοῦ ἡ
ἑκατοντάς" οὐδὲ γὰρ τετρά- γωνός
ἐστιν ὁ χίλια, ἀλλὰ κύβος, ἀπὸ πλευρᾶς δεκάδος. ἵνα δ᾽ ἐπι- πεδωθῇ προμηκικῶς, πλευρὰ αὐτοῦ ἔσται ἣ
ἑκατοντὰς σὺν τῇ αὐτῇ δεκάδι,66 ὡς δῆλον
εἶναι ὅτι δεήσεται ἡ ἑκατοντὰς τῆς δεκάδος εἰς
τὸ πλευρικὴν γενέσθαι. πάλιν εἰ τῇ ἑκατοντάδι ἀρχῇ χρησαίμεθα καὶ ἀντὶ ὕσπληγος, [20] προσέλθοιμεν δὲ
ἐπισυντιθέντες τὰς μετ᾽ αὐτὴν
ἑκατοντάδας μέχρι χιλιάδος, καὶ ἀπὸ ταύτης ὡς ἀπὸ καμ- πτῆρος ὁμοίως ἐπὶ τὴν ἑκατοντάδα ἐπανέλθοιμεν
ὡς ἐπὶ νύςσαν, ἔσται ἀριθμὸς ὁ τῶν
μυρίων ἡ πεντωδουμένη μονάς, πλευρὰν ἔχων
66 τῇ αὐτῇ δεκάδι corresse Heiberg (cf. Add. et Corr. p. VII): τῇ
καὶ δεκάδι. INTRODUZIONE ALL'ARITMETICA DI NICOMACO
749 ne, se la parte ha lo stesso nome
della quantità del posto5!! che occu- pa
ciascun dissimile confrontato col simile occupante 9 medesimo posto, parte che si aggiunge in questo primo
caso?!? al simile, mentre in un secondo
caso?!) si aggiunge al dissimile confrontato col simile occupante il posto successivo. E potrà
scoprire molte altre cose ele- ganti chi
concentrerà la sua attenzione sul diagramma e cercherà di esaminare sempre la relazione armonica tra le
due potenze contrarie, cioè tra
l’identità e l’alterità, che si rivelano nell’esposizione dei qua- drati e degli eteromechi. Per tessere
l'elogio del numero 10 sarà suffi-
ciente vedere come si generino i quadrati secondo il metodo del
diau- lo di cui si è parlato, quando nel
primo grado dei numeri,714 che ha come
confine lo stesso 10, si progredisce da 1 fino a 10 e di nuovo da 10 si regredisce fino a 1: dal 10 infatti
sarà composto il quadrato 100, che è la
cerniera divisoria tra le decine e le centinaia,7!5 ed è chiama- to dai Pitagorici “unità di terza serie”,
come il 10 è chiamato “unità di seconda
serie”516 e il 1.000 “unità di quarta serie”. Lato [89] del quadrato 100 sarà lo stesso 10, e sua potenza
la somma, cumulata con esso, dei numeri
che si trovano sotto di esso!” presi due volte:58 così infatti si dice che somiglia a un diaulo
anche il modo della somma dei numeri
secondo progressione dall’inizio?!? come da barriera di par- tenza e regressione verso la meta?20 come da
punto di svolta.52! Se poi del 10 ci
serviremo non più come punto di svolta, ma come barriera di partenza ovvero come inizio della
progressione fino a 100, da cui di
nuovo?22 si regredirà fino a 10, allora dalla somma nascerà il primo numero che è detto unità di quarta serie,52?
che è anch'esso cerniera che divide le
centinaia dalle migliaia. Ma 100 non sarà più lato qua- drato del numero 1.000, perché 1.000 non è un
quadrato, bensi un cubo di lato 10. Per
renderlo numero piano secondo il rapporto di un
promeche,524 il suo lato dovrà essere 100 in unione con lo stesso
10, in modo che sia chiaro che 100 avrà
bisogno di 10 per essere numero
laterale. Se di nuovo ci serviremo del 100 come inizio o barriera
di partenza, e procederemo sommando
cumulativamente le centinaia successive
a 100 fino a 1.000, e da quest’ultimo come da punto di svolta regrediremo parimenti fino a 100 come
meta, allora si otterrà il numero di
10.000, che è l’unità quinquenaria, che in quanto quadra- to ha come lato 100 e in quanto promeche ha
come lati 1.000 e 10. In 750
GIAMBLICO ὡς μὲν τετράγωνος τὴν
ἑκατοντάδα ὡς δὲ προμήκης τὴν χιλιάδα
μετὰ τῆς αὐτῆς δεκάδος. οὕτως ἡ δεκὰς εἰς μὲν τὸ αὐτὴν πλευρικὴνδ γενέσθαι κατὰ τὸν διαυλικὸν τρόπον οὐδενὸς
τῶν «τῶν»68 ἄλλων γενέσεων ἄρθρων τοῦ
ἀριθμοῦ δεήσεται, ἑκατοντάδος λέγω καὶ
χιλιάδος: αὗται δὲ ἵνα αὐταῖς [90] τὸ τοιοῦτο συμβῇ πάντως δεήσον- ται τῆς δεκάδος, ὅθεν αὐτῇ ἐγκώμιον τοῦτο
προσενείμαμεν. λοιπὸν δὲ εἰπεῖν καὶ ὅσα
ἄλλα συμπτώματα δύναται ἐπινοεῖσθαι ὑπὸ τῶν
κατὰ τὸ φιλοθέωρον συντεινόντων ἑαυτοὺς ἐπὶ τὴν ἀνεύρεσιν τῶν συμβεβηκότων τοῖς ἀριθμοῖς, οἷον ὅτι πᾶς τετράγωνος
ἤτοι αὐτόθεν τρίτον ἔχει, ἢ εἰ μὴ ἔχει
πάντως γε τέταρτον, ἢ εἰ μηδὲ τοῦτο μονά-
δος ἀφαιρεθείσης ἐκ μὲν τρίτον ἔχοντος τέταρτον ἔχοντα ἀποτελέ- σεις, ἐκ δὲ τέταρτον ἔχοντος τρίτον ἔχοντα, εἰ
[10] δὲ μηδ᾽ ἕτερον, ἀμφότερα' εἰ δὲ
ἔχει ἀμφότερα, ἔστιν ὅτε ἡ ἀφαίρεσις τῆς μονάδος ἀμφοτέρων στερίσκει. καὶ ἅπας ἀριθμὸς τὸν
δυάδι διαφέροντα ἐφ᾽ ἑκάτερα ὁποτερονοῦν
ὁμογενῆ πολλαπλασιάσας καὶ προσλαβὼν
μονάδα τετράγωνον ποιεῖ. περισσοὶ μὲν ἀρτίους ποιοῦσιν, ἄρτιοι δὲ περισσούς. καὶ ἅπας ἀριθμὸς τὸν ἑαυτοῦ
πολλαπλάσιον μηκύνας τοσουτοπλάσιον τοῦ
ἐξ αὐτοῦ τετραγώνου ποιήσει, κἂν ἐπιμόριον
κἂν ἐπιμερῆ κἂν μικτὸν λαμβάνῃς. ὁμοίως καὶ πᾶς τρίγωνος ὀκτάκι γενόμενος καὶ προσλαβὼν μονάδα τετράγωνον ποιεῖ,
[20] καὶ ἐκ δύο τετραγώνων ἐπ᾽ ἀλλήλους
γενομένων ὁ γενόμενος τετράγωνος, καὶ ἐκ
τῶν ἀπὸ μονάδος ἀνάλογον ἐὰν ὁ τῇ μονάδι ἑξῆς τετράγωνος fl καὶ οἱ λοιποὶ τετράγωνοι ἔσονται, καὶ
τριῶν τινων ἀνάλογον ὄν- τῶν ἐὰν ὁ
πρῶτος τετράγωνος ἦ καὶ ὁ τρίτος ἔσται τετράγωνος, καὶ μετροῦντος τετράγωνον τετραγώνου καὶ πλευρὰ
πλευρὰν μετρήσει, καὶ πᾶς ἐκ δύο πλευρῶν
συνεχῶν τετραγώνων μηκυνθεὶς ἀνάλογον
αὐτῶν μέσος [91] ἔσται, καὶ πολλὰ ἄλλα τοιαῦτα δι᾽ ἑαυτῶν τε προ- θυμηθέντες εὑρήσομεν καὶ ὑπ᾽ ἄλλων ἐκπεπονημένα
ἱστορῆσαι δυνησόμεθα. τὰ νῦν δὲ μετιτέον
ἐπὶ τὸν πλευρικόν τε καὶ διαμετρι- κὸν
λόγον ἱκανωτάτης ἐξετάσεως ἐν γεωμετρίᾳ τετυχηκότα, διότι δοκεῖ κατ᾽ αὐτόν πὼς ῥυθμίζεσθαι καὶ
εἰδοποιεῖσθαι τὰ σχήματα. ὡς οὖν καὶ ἐπ’
αὐτῶν τῶν σχημάτων ἐποιοῦμεν μετάγοντες αὐτῶν
τοὺς λόγους καθ᾽ ὁμοιότητα “Kai ἐπὶ τοὺς ἀριθμούς ῥητὰ γὰρ 67 αὐτὴν πλευρικὴν congetturò Vitelli (cf.
Add. et Corr. p. VIII): αὐτὴ τὴν
πλευρικὴν. 68 l’integrazione è di
Heiberg. INTRODUZIONE ALL'ARITMETICA
DI NICOMACO 751 tal modo il numero 10,
per divenire esso stesso numero laterale secon-
do il procedimento del diaulo, non avrà bisogno di nessun’altra
gene- razione di cerniere numeriche,
intendo dire né del 100 né del 1.000;
questi ultimi invece, [90] per avere la stessa proprietà’? avranno assolutamente bisogno del 10, e perciò noi
tributiamo questo elogio al numero 10.
Resta da dire anche quante altre proprietà possano essere immaginate da coloro che per amore di
contemplazione si industriano a scoprire
tutte le proprietà dei numeri, come ad esempio
che ogni numero quadrato o ha da se stesso una terza parte o, in
man- canza di questa, ha certamente una
quarta parte,?26 o, se non ha nep- pure
questa, allora, sottratta un’unità, tu potrai ridurlo da numero avente una terza parte a numero avente una
quarta parte, e da nume- ro avente una
quarta parte a numero avente una terza parte:5?” se non ha nessuna delle due parti, le può avere
ambedue,528 se invece ha ambedue le
parti, allora la sottrazione di un’unità lo priverà di ambe- due.529 Si scoprirà anche che ogni numero che
moltiplichi il numero omogeneo?30 di
differenza 2 da un lato e dall’altro, e aggiunga al pro- dotto un’unità, produce un quadrato: i
dispari producono quadra- ti pari, i
pari quadrati dispari. E ogni numero che moltiplichi il suo proprio multiplo produrrà un numero che è
tante volte quante è il suo proprio
quadrato, sia che tu prenda un numero epimorio o epimere o misto.532 Parimenti, anche ogni numero triangolare
moltiplicato per 8 con l’aggiunta di
un’unità fa un numero quadrato, e da due quadra- ti moltiplicati tra loro si ottiene un
quadrato, e tra numeri proporzio- nali a
partire da 1, se quello successivo a 1 è quadrato, anche i rima- nenti saranno quadrati, e fra tre numeri
proporzionali, se il primo è un
quadrato, anche il terzo sarà un quadrato, e se un quadrato misu- ra un quadrato, anche il lato misurerà il
lato, e ogni numero che sia prodotto di
due quadrati di lati contigui farà da medio nella propor- zione con questi, [91] e molte altre
proprietà del genere potremo, volendo,
scoprire da noi stessi, o esporre quelle elaborate da altri. A questo punto bisogna passare ad esaminare il
rapporto laterale e dia- metrale che è
oggetto di attentissimo studio in geometria, perché sem- bra che secondo tale rapporto debbano essere
in qualche modo rego- late e formate le
figure geometriche. Come dunque facevamo a pro-
posito delle stesse figure geometriche trasferendo i loro rapporti secondo somiglianza anche nei numeri, perché
anche le figure si pos- 752
GIAMBLICO κἀκεῖνα γίνεται τοῖς
ἀριθμοῖς: οὕτως [10] χρὴ καὶ περὶ πλευρᾶς
καὶ διαμέτρου διαλεγομένους καὶ ἀκολουθοῦντας τῇ τοῦ ἀριθμοῦ φύσει ἀποσῴζειν ὡς ἐνδέχεται τὴν ὁμοιότητα.
οὐ γὰρ ὥσπερ ἐν πηλίκοις πλευρᾶς
λογωθείσης ἡ διάμετρος ἄλογος ἢ ἀνάπαλιν δια-
μέτρου λογωθείσης <p πλευρὰ ἄλογος, οὕτω καὶ ἐν ποσοῖς, ἀλλ᾽ ἔσται ῥητὴ πλευρὰ διαμέτρῳ, ἵνα πάντῃ ῥητὸς ἧ
ὁ ἀριθμὸς καὶ τοῦτ᾽ ἐξαίρετον ἔχῃ, ὡς ἂν
ἀρχικώτατος ὧν καὶ τοῖς ἄλλοις ἅπασιν αἴτιος
γενόμενος ῥητότητος. κοινὸν μὲν γὰρ ἀριθμοῖς καὶ μεγέθεσιν ὡς ἂν ἀσωμάτοις οὖσι τὸ ἀκίνητα εἶναι, [20] ἴδιον
δὲ ἀριθμοῦ τὸ μηδὲ ἀσυμμετρίαν ἔχειν,
τῶν μεγεθῶν ἐχόντων. δεῖ δὴ πάλιν ἀπὸ μονάδος
τὴν γένεσιν τοῦ πλευρικοῦ καὶ διαμετρικοῦ λόγου μεθοδεῦσαι, ἐπειδὴ πάντων τῶν ἐν ἀριθμοῖς λόγων ἔφαμεν
αὐτὴν ἀφηγεῖσθαι. ὀνομάσαι γὰρ δεῖ δύο
μονάδας τὴν μὲν πλευρὰν τὴν δὲ διάμετρον,
καὶ χρήσασθαι καθολικαῖς τισι προσθέσεσι καὶ ἀεὶ ταῖς αὐταῖς, τῇ μὲν [92] πλευρᾷ διάμετρον προστιθέντας τῇ δὲ
διαμέτρῳ δύο πλευ- ράς, ἐπειδὴ ὅσον ἡ πλευρὰ
«δὶς» δύναται ἐν γραμμικοῖς, ἡ διάμετρος
ἅπαξ. γίνεται οὖν ἡ διάμετρος μονάδι μείζων τῆς πλευρᾶς. ἡ δ᾽ ἐξ ἀρχῆς ἄνευ τῆς προσθήκης τὸ ἀπὸ τῆς μοναδικῆς
διαμέτρου δυνάμει τετράγωνον μονάδι
ἔλαττον ἢ διπλάσιον τοῦ ἀπὸ τῆς μοναδικῆς
πλευρᾶς δυνόμει τετραγώνον᾽ ἐν ἰσότητι γὰρ οὖσαι αἱ μονάδες τὴν ἑτέραν τῆς λοιπῆς μονάδι ἐλάττονα ποιοῦσιν ἢ
διπλασίαν. τῆς δὲ [10] προσθήκης
γενομένης ὡς εἵρπται, ἔσται τὸ ἀπὸ τῆς διαμέτρου τετράγωνον τοῦ ἀπὸ τῆς πλευρᾶς μονάδι μεῖζον
ἢ διπλάσιον᾽ θ΄ γὰρ καὶ δ΄. πάλιν ἐὰν
προσθῶμεν τῇ μὲν πλευρᾷ διάμετρον τῇ δὲ δια-
μέτρῳ δύο πλευράς, ἔσται ζ΄ καὶ ε΄, καὶ γίνεται τὸ ἀπὸ τῆς διαμέ- τρου μονάδι ἔλαττον ἢ διπλάσιον τοῦ ἀπὸ τῆς
πλευρᾶς; ἔστι γὰρ μθ΄ πρὸς κε΄. πάλιν εἰ
ἡ αὐτὴ προσθήκη γίγνοιτο, ἔσται τὸ ἀπὸ τῆς δια-
μέτρου μονάδι μεῖζον ἢ διπλάσιον τοῦ ἀπὸ τῆς πλευρᾶς᾽ ἔστι γὰρ σπθ΄ πρὸς ρμδ΄. καὶ δὴ ὁμοίως κατὰ τὸν αὐτὸν
λόγον τῆς [20] προσθήκης γιγνομένης ποτὲ
μὲν μονάδι μεῖζον ἢ διπλάσιον ἔσται τὸ
ἀπό τοῦ ἀπό, ποτὲ δὲ μονάδι ἔλαττον, καὶ οὕτως ῥηταὶ γίνονται πρὸς ἀλλήλας πλευραί τε καὶ διάμετροι. ἀλλ᾽ οὖν
ἐπειδὴ ἐναλλὰξ ποτὲ μὲν δυνάμει «μονάδι»
μείζους εἰσὶν ἢ διάμετροι διπλάσιαι 69
l'integrazione è mia: congetturò si dovesse solo mutare δυνάμει in μονάδι Pistelli (cf. Ad4. et Corr. p.
VIII). INTRODUZIONE ALL’ARITMETICA DI
NICOMACO 753 sono ridurre, per mezzo
dei numeri, a quantità razionali, così è
necessario che quando discorriamo di lati e di diametro e seguiamo
la natura del numero, noi facciamo sî
che essi ammettano la somiglian- za. Non
vale infatti nelle quantità numeriche quello che vale nelle quantità geometriche, dove il diametro ha un
rapporto irrazionale con il lato, o
inversamente, il lato con il diametro:535 qui al contrario il lato536 è una quantità razionale rispetto
al diametro,” sicché il numero è sempre
una quantità razionale e ha come sua prerogativa il fatto che, siccome è assolutamente
principiale,538 è anche causa della
razionalità di tutto il resto. La proprietà di essere immobili, infatti,
è comune ai numeri e alle grandezze, in
quanto sono incorporei, men- tre è
proprietà del numero il non avere affatto quella incommensura- bilità che hanno invece le grandezze. Occorre
poi investigare accura- tamente la
genesi del rapporto laterale e diametrale partendo dall’uni- tà, giacché questa, abbiamo detto, è il punto
di partenza di tutti i rap- porti
numerici. Bisogna infatti prendere due unità e denominarle una “lato” e l’altra “diametro” 539 e servirsi di
due somme universali e sempre identiche,
[92] sommando cioè al lato un diametro e al dia- metro due lati,540 poiché in geometria il
lato preso due volte vale quanto il
diametro preso una sola volta. Il diametro dunque è mag- giore di un'unità rispetto al lato. Il
diametro iniziale, invece, senza
aggiunta [1], è il quadrato potenziale del diametro 1 che è minore
di un'unità del doppio del quadrato
potenziale del lato 1:54 le unità
infatti,542 essendo interne all’uguaglianza,4 fanno sî che l’una
sia minore di un’unità rispetto al doppio
dell’altra. Dopo che si è fatta la somma
alla maniera suddetta, invece, il quadrato del diametro sarà maggiore di un’unità del doppio del quadrato
del lato: i due quadra- ti sono infatti
9 e 4.54 Se sommiamo un’altra volta al lato un diame- tro e al diametro due lati,545 si avrà 7 e
5,54 allora il quadrato del dia- metro
sarà minore di un’unità del doppio del quadrato del lato: è infatti 49 rispetto a 25.547 Se facciamo
un’altra volta la stessa somma,54 il
quadrato del diametro sarà maggiore di un’unità del dop- pio del quadrato del lato: è infatti 289
rispetto a 144.549 E sempre alla stesso
modo, se la somma è fatta secondo lo stesso rapporto, il qua- drato del diametro ora è maggiore di un’unità
del doppio del quadra- to del lato, ora
è minore, e cosî i lati e i diametri hanno tra loro un rapporto di quantità razionale.55° Ma poiché
alternativamente nelle 754
GIAMBLICO πλευρῶν, ποτὲ δὲ μονάδι
ἐλάττους ἢ διπλάσιαι, ἔσονται κατ᾽ ἐπίνο-
tav πᾶσαι ὁμοῦ αἱ διάμετροι πασῶν ὁμοῦ τῶν πλευρῶν δυνάμει διπλάσιαι᾽ ἀπίσωσις γὰρ γίνεται τοῦ μείζονος
τῷ ἐλάττονι ἀναμι- γέντος, διότι [93]
στάσις τοῦ ὑπερέχοντος πρὸς ὑπερεχόμενον n
ἰσότης ἐστὶ, διόπερ κἀνταῦθα τὸ μονάδι μεῖζον ἢ διπλάσιον προ- στεθὲν τῷ μονάδι ἐλάττονι ἢ διπλασίῳ ἀπισώσει
τὸ πᾶν, ὥστε ἀεὶ τὴν διάμετρον δυνάμει
διπλασίαν εἶναι τῆς πλευρᾶς, καθάπερ καὶ
ἐπὶ τῶν γραμμικῶν δείκνυται. καὶ τοσαῦτα μὲν ἡμῖν περὶ τῶν τοῖς ἐπιπέδοις ἀριθμοῖς συμβεβηκότων εἰρήσθω. Στερεὸς δέ ἐστιν ἀριθμὸς ὁ τρίτον διάστημα
παρὰ τὰ ἐν ἐπιπέ- δοις δύο προσειληφώς,
δηλονότι τετάρτου [10] ὅρου προσγενομέ-
νου ἐν γὰρ τέσσαρσιν ὅροις τὸ τριχῇ διαστατόν, ἵνα μετὰ λαβό- ντοςὉ καὶ ληφθέντος καὶ τρίτου καθ᾽ ὃν
λαμβάνεται τέταρτος αὐτὸς î. τῶν δὴ
στερεῶν ἀριθμῶν εἰσιν οἱ μὲν ἰσογώνιοί τε καὶ ἰσοεπίπε- Sol καὶ ἰσοδιάστατοι, καθ᾽ ὁμοιότητα καὶ
αὐτοὶ λαμβανόμενοι τῶν ἐν γραμμικοῖς:
καλοῦνται δ᾽ οὗτοι κύβοι καὶ τετράεδροι πυραμίδες, ὧν πάντῃ μεταλαμβάνεται ἡ βάσις οἱ δὲ
παραμηκεπίπεδοι7! καὶ ἰσογώνιοι,
ἀνισοδιάστατοι δέ, ὧν εἴδη πλινθίδες τε καὶ δοκίδες, οἱ δὲ ἀνισεπίπεδοι καὶ ἀνισογώνιοι καὶ ἀνισοδιάστατοι,
[20] καλού- μενοι σφηκίσκοι ἢ ὥς τινες
βωμίσκοι ἢ σφηνίσκοι, ἑκάστου ὀνόμα- τος
καθ᾽ ὁμοιότητα τεθέντος, οἱ δὲ μικτοὶ πάσας μὲν γωνίας παρὰ μίαν ἴσας ἔχοντες πάντα δὲ ἐπίπεδα πάλιν παρ᾽
ἕν ἴσα πυραμίδες, αἱ ἀπὸ «τῆς τετραγώνῳ
βάσει χρωμένης ἀρχόμεναι μέχρις ἀπείρου,
ὧν οὐκέτι μετάληψις ἔσται κατὰ τὴν βάσιν, ὡς ἐπὶ τῆς τριγώνῳ βά- σει χρωμένης συνέβαινεν. ἀναλογεῖ δὲ ἐν
ἐπιπέδοις τὸ μὲν ἐν τετραπλεύροις κυρίως
[94] λεγόμενον τετράγωνον κύβῳ, τὸ δὲ
παραλληλόγραμμον πλινθίδι ἢ δοκίδι, ἤν τινες στηλίδα καλοῦσι, τὸ δὲ τραπέζιον σφηνίσκῳ. δεῖγμα δὲ τοῦ μὲν
πάντῃ ἰσάκις ἴσως διι- σταμένου κύβου ὅ
τε η΄ καὶ ὁ κζ΄ καὶ ὁ ξδ΄ καὶ ρκε΄ καὶ σις΄, ἔκ τε τοῦ δὶς δύο δὶς καὶ ἐκ τοῦ τρὶς τρία τρὶς καὶ
τετράκι τέσσαρα τετρά- κις καὶ πεντάκι
πέντε πεντάκις καὶ ἑξάκις ἕξ ἑξάκις γινόμενοι. ὧν πάντων κύβων καλουμένων ὅσοι ἂν ἐπὶ τὸ αὐτὸ
πάσῃ προβάσει κα- ταλήγωσιν ἔτι μᾶλλον
καὶ σφαιρικοὶ [10] λεγέσθωσαν, ἑνὶ πλείονι
διαστήματι αὐξηθέντες ἀπὸ κυκλικῶν καὶ αὐτῶν ὁμοκαταλήκτων 70 ἵνα μετὰ λαβόντος congetturò Heiberg:
iv’ ἐκ λαβόντος congetturò Vitelli: ἵνα
καὶ λαβόντος Pistelli. 71
παραμηκεπίπεδοι Becker (cf. ed. Klein Add. p. XVII): παραλληλε- πίπεδοι.
INTRODUZIONE ALL'ARITMETICA DI NICOMACO 755 loro potenze i diametri sono ora maggiori
ora minori di un’unità rispetto ai lati,
allora tutti i diametri presi insieme potranno essere pensati come potenzialmente doppi di tutti i
lati presi insieme: infat- ti il
maggiore e il minore si eguaglieranno per mescolanza, dal momento che [93] è uguaglianza la stabilità
tra ciò che abbonda e ciò che manca:
perciò anche in questo caso la somma tra il maggiore di un'unità del doppio e il minore di un’unità
del doppio renderà ugua- le il tutto, in
modo che sempre il diametro è in potenza il doppio del lato, come si dimostra anche in geometria. E
sono queste le cose che dobbiamo dire a
proposito delle proprietà dei numeri piani.
Solido è il numero che assume una terza dimensione oltre alle due che sono proprie dei numeri piani, perché si
aggiunge evidentemente un quarto
termine: infatti è fra quattro termini che ci sono tre inter- valli, dimodoché quel termine sarà quarto
insieme ai termine assu- mente, a quello
assunto e a quello secondo cui è assunto.55! Alcuni dei numeri solidi hanno angoli, piani e
dimensioni uguali, e sono presi a
somiglianza delle figure geometriche: tali numeri si chiamano cubi
e piramidi tetraedre, la cui base è
assolutamente intercambiabile; altri
invece hanno piani paramechi e angoli uguali e dimensioni
disuguali, e loro specie sono
plintidi?9? e docidi;75 altri ancora hanno piani e angoli e dimensioni disuguali, e sono detti
sfecischi9% o, come dicono alcuni,
bomischi55 o sfenischi,556 tutti nomi assunti per similitudine; altri infine sono misti, perché hanno tutti
gli angoli uguali tranne uno, e tutti i
piani a loro volta uguali tranne uno,597 sono cioè piramidi che iniziano da quella di base quadrata
all’infinito, e la cui base non sarà più
intercambiabile,598 come accadeva nelle piramidi di base triango- lare.559 Tra le figure piane, il quadrato,
che propriamente parlando è tra i
quadrilateri, corrisponde [94] al cubo, mentre il parallelogram- ma corrisponde al plintide e al docide, che
alcuni chiamano stelide,560 e il
trapezio allo sfenisco. Esempi di numero cubo, il quale ha dimen- sioni assolutamente uguali moltiplicate un
uguale numero di volte,561 sono i numeri
8 e 27 e 64 e 125 e 216, che nascono rispettivamente da 2x2x2, e da 3x3x3, e da 4x4x4, e da 5x5x5, e
da 6x6x6. Di tutti que- sti numeri che
abbiamo chiamato cubi, quelli che alla fine della pro- gressione terminano con lo stesso numero,562
devono assumere in aggiunta anche il
nome di sferici, in quanto possiedono un’ulteriore dimensione rispetto ai numeri circolari,’ che
sono anch'essi di ugua- 756
GIAMBLICO ὄντων, ὡς ὁ pre’ ἀπὸ πλευρᾶς
πεντάδος ὧν καὶ ὁ σις΄ ἀπὸ πλευρᾶς
ἑξάδος. κἂν ἐπὶ πλέον δὲ αὐξάνωνται οὗτοι, οὐδὲν ἧττον ἑκάτεροι ἐπὶ τὴν ἑαυτῶν πλευρὰν καταλήξουσιν. ἡ δὲ
μονὰς ὥσπερ τὰ ἐν ἐπι- πέδοις πάντα
περιεῖχε χωρὶς τοῦ ἑτερομηκικοῦ λόγου, οὕτως καὶ τὰ ἐν στερεοῖς πυραμιδική τε γὰρ ἔσται ἐπὶ
κορυφῆς θεωρουμένη παντὸς εἴδους
πυραμίδος, δυνάμει στερεοῦ σημείου λόγον ἔχουσα
καθ᾽ ἕκαστον παντὸς γὰρ στερεοῦ [20] ἀριθμοῦ αἱ γωνίαι μονάδες σημειώδεις ἔσονται τῶν «ἐν» ἐπιπέδοις δυνάμει
μείζονες, διότι στε- ρεαί: ἁπλοῦν μὲν
γὰρ τὸ σημεῖόν ἐστι πέρας ὃν τοῦ ἐφ᾽ ἕν διαστατοῦ μεγέθους, διπλοῦν δὲ δυνάμει ἐν ἐπιπέδοις διὰ
τὴν σύννευσιν τῶν δύο γραμμῶν ἐφ᾽ ἕν
σημεῖον, ἐν δὲ στερεοῖς δυνάμει ἀόριστον ἀρχό-
μενον ἀπὸ τριπλοῦ, διότι πρώτη σύννευσις τριῶν πλευρῶν στερεὰν γωνίαν τὴν πυραμιδικὴν ἀποτελεῖ. καὶ μὴν
σφαιρικὴ ἔσται ἡ [95] μονάς, ὥσπερ ἦν
καὶ κυκλική, τρὶς κατὰ τὸ ἑαυτῆς μέγεθος
διαστᾶσα. τῶν δὲ πάντῃ ἀνισοδιαστάτων ἀριθμῶν ὑπόδειγμα κοινὸν ἔστω ὁ ξ΄“ καὶ γὰρ ἐκ τοῦ τρὶς τέσσαρα
πεντάκις ἐστὶ καὶ ἀνάπαλιν ἐκ τοῦ πεντάκι
τέσσαρα τρὶς καὶ ἐκ τοῦ τετράκι πέντε τρὶς καὶ ἐκ τοῦ τετράκι τρία πεντάκις. παραμηκεπιπέδων72
δέ, πλινθίδων μὲν ἰσάκις ἴσων
ἐλαττονάκις οὐσῶν ὁ τη΄ ἐκ τοῦ τρὶς τρία δὶς ὧν καὶ ὁ μη΄ ἐκ τοῦ τετράκι τέσσαρες τρίς, δοκίδων δέ,
ἅς τινες στηλίδας, ἰσάκις ἴσας [10]
μειζονάκις οὔσας ὁ AG ἐκ τοῦ τρὶς τρία τετράκις ὧν καὶ ὁ με΄ ἐκ τοῦ τρὶς τρία πεντάκι“ ἔνεστι
γὰρ καὶ ἐπὶ τούτων καὶ ἐπὶ τῶν
πλινθιδίων μὴ μόνον παρακειμένας, τουτέστι παρὰ μονάδα, μειώσεις τε καὶ αὐξήσεις ποιεῖσθαι, ἀλλὰ καὶ
διεστώσας, ἵνα μᾶλλον αἱ ὁμοιότητες
«τῆς: σχηματίσεως"3 ἐμφαίνωνται. πυραμίδων
δὲ λόγος ῥάων «ἄἂν»79 γένοιτο καὶ εὐεφόδευτος εἰ τὴν τῶν πολυγώνων ἔκθεσιν ἀπὸ τριγώνων κατὰ παραλλήλους στίχους
ὡς μικρῷ πρόσθεν διαγράψαιμεν, εἶτ᾽
ἐφαρμόζοιμεν σωρηδὸν τοὺς ὁμογενεῖς ἀλλήλοις
εὐτάκτως [20] μέχρις ὁποσονοῦν, ἵνα κορυφὴ μὲν πάντως μονὰς ἦ καθ᾽ ἑκάστην ἐπισωρείαν, ὁμοιοσχήμων δὲ
δυνάμει πάσῃ «ἡ» βάσις γίνηται. διὰ μὲν
οὖν τῶν [τριῶν] γ΄ ς΄ ι΄ τε΄ κα΄ καὶ ἐφεξῆς τριγώνων ἔσονται πυραμίδες αἱ τρίγωνον βάσιν ἔχουσαι
αὗται δ΄ ι΄ κ΄ λε΄ vo, διὰ δὲ τῶν
τετραγώνων τῶν δ΄ θ΄ ις΄ κε΄ λς΄ αἱ τετραγώνῳ βάσει 72 παραμηκεπιπέδων cf. 93,17 supra:
παραλληλεπιπέδων. 73 ai ὁμοιότητες
«τῆς» σχηματίσεως congetturò Heiberg: ἡ ὁμοιότης σχηματίσεως.
74 l'integrazione è di Heiberg.
INTRODUZIONE ALL’ARITMETICA DI NICOMACO 757 le terminazione, come 125 che nasce dal
lato 5 e 216 che nasce dal lato 6.564
Tali numeri, per quante volte siano moltiplicati, nondimeno termineranno sempre con il loro stesso lato.
L'unità invece, come con- tiene tutti i
rapporti dei numeri piani tranne quello eteromeche, cosi contiene anche tutti i rapporti dei numeri
solidi: essa sarà infatti pira- midale
se considerata all’apice di ogni specie di piramide, perché in ciascuna ha il ruolo di “punto solido” in
potenza: gli angoli di ogni numero
solido, infatti, saranno unità puntiformi di potenza maggiore rispetto a quelle dei numeri piani, perché
appunto unità solide; il punto infatti è
di potenza semplice se è limite di una grandezza a una sola dimensione, di potenza doppia se è nei
numeri piani, a causa della convergenza
in un solo punto di due linee, di potenza infinita a partire dal triplo se è nei numeri solidi,
perché la prima? convergen- za in un
solo punto di tre lati produce un angolo solido, cioè l’ango- lo piramidale. In verità l’unità sarà anche
sferica, [95] cosi come era anche
circolare, in quanto ha una dimensione tre volte la sua grandez- za. Dei numeri che hanno dimensioni del tutto
disuguali esempio per tutti sia il 60: e
infatti questo numero risulta da 4x3x5 0, invertendo i fattori, da 4x5x3 o da 5x4x3 o da 3x4x5. Tra
i numeri paramechepi- pedi,56 dei
plintidi, che sono prodotti di due numeri uguali e uno minore, esempio sia il numero 18, che risulta
da 3x3x2, o il 48, che risulta da 4x4x3;
dei docidi, invece, che alcuni chiamano stelidi e che sono prodotti di due numeri uguali e uno
maggiore, esempio sia il 36, che risulta
da 3x3x4, o il 45, che risulta da 3x3x5; in questi numeri,567 infatti, e anche nei plintidi, è possibile
che si formino diminuzioni e aumenti non
solo contigui, differenti cioè di un’unità, ma anche inter- vallati, in modo che appaiano di più le
somiglianze della loro configu- razione.
Il rapporto delle piramidi, dal canto suo, sarà più facile e ci farà da buona guida nell’esposizione dei
numeri poligonali a partire da quello
triangolare per linee parallele, come abbiamo descritto poco fa: adatteremo quindi cumulativamente
tra loro i numeri dello stesso genere568
in modo bene ordinato fin dove vorremo, in modo
che come apice ci sia sempre l’unità per ciascun accumulo, e la
base abbia una figura simile in ogni
potenza.570 Ebbene, per mezzo dei numeri
triangolari 3, 6, 10, 15, 21, ecc., si formeranno le seguenti piramidi di base triangolare 4, 10, 20, 35,
56,571 per mezzo dei quadra- ti 4, 9,
16, 25, 36, le piramidi di base quadrata 5, 14, 30, 55, 91;572 per 758 GIAMBLICO χρώμεναι ε΄ ιδ΄ λ΄ νε΄ ga’, διὰ δὲ τῶν
πενταγώνων τῶν ε΄ ιβ΄ κβ΄ λε΄ να΄ αἱ
βάσει πενταγώνῳ χρώμεναι αἱ ς΄ im μ΄ οε΄ ρκς΄. τὸ δ᾽ αὐτὸ καὶ [96] ἐπὶ τῶν ἑξῆς πολυγώνων ποιήσομεν ὡς γὰρ
γνώμονας εἴχομεν τῶν πολυγώνων τοὺς
ἐφεξῆς ἀπὸ μονάδος ἀριθμούς, οὕτως καὶ πυρα-
μίδων «τοὺς ἐφεξῆς πολυγώνους καθ᾽ ἕκαστον. ἀνάλογος δ᾽ ἔσται καὶ ἡ ποσότης τῶν ἐπιπέδων πρὸς τὰς πλευρὰς
τὰς τῶν γνωμόνων, καὶ ὡς ἐκείνων
περισσοταγεῖς μὲν δύο παρὰ δύο ἦσαν ἄρτιοι καὶ
περισσοί, ἀρτιοταγεῖς δὲ εἷς παρ᾽ ἕνα, οὕτως κἀπὶ τούτων περισσο- ταγεῖς μία παρὰ τρεῖς ἀρτίας περισσὴ καὶ εἰς
πεντάδα γε λήγουσα πλὴν τῇ [10] δυνάμει:
καὶ γὰρ ἐν πέμπταις ἀπ᾽ ἀλλήλων εἰσὶ χώραις᾽
ἀρτιοταγεῖς δὲ δύο παρὰ δύο, συμπιπτουσῶν ἀναγκαίως ταῖς ἐν περισσοταγέσι περισσαῖς τῶν καὶ ἐντεῦθεν
ὁμοιοκαταλήκτων. σύ- στημα δέ ἐστιν
ἑκάστη τῆς ὑπὲρ αὐτὴν ἑτεροειδοῦς καὶ τῆς τῶν εἰς ἐπίπεδον ἕνα βαθμὸν ὑποβεβηκυίας, ὡς καὶ ἐπὶ
τῶν πολυγώνων συνέβαινεν: οἷον «ἣ» ε΄
τῆς δ΄ καὶ α΄, ἡ ς΄ τῆς ε΄ καὶ α΄, ἡ ζ΄ τῆς ς΄ καὶ α΄, καὶ πάλιν ἡ ιδ΄ τῆς τ΄ καὶ δ΄, ἡ δὲ τη΄
τῆς τδ΄ καὶ δ΄, ἡ δὲ κβ΄ τῆς in καὶ δ΄,
καὶ ἐφεξῆς ἀκολούθως κατὰ τὸ βάθος καὶ τὸ πλάτος [20] ἑκάστης τῶν πολυγώνων διαγραφῆς ἐφαρμόζοντες
ἀνάλογα εὑρήσομεν, ὅτι ἑκάστη πυραμὶς
σύστημά ἐστι τῆς ὑπὲρ αὐτὴν καὶ τῆς ὑπ᾽
ἐκείνην πρῶτον γὰρ οὐδὲν εἶτα παράπαξ εἰς ἐπίπεδον εἶτα παρὰ δὶς εἶτα παρὰ τρὶς καὶ ἐφεξῆς. καὶ τὰ
ἄλλα κατὰ ταὐτὰ ἀνα- λόγως συμπτώματα
καὶ περὶ ταύτας εὑρήσομεν. καὶ ἐν μὲν πλάτει
διοίσουσιν ἀλλήλων ἰδίαις βάσεσιν, ἐν δὲ βάθει μετὰ τὸν ἰσότητι στίχον εὐθυγραμμικῶς ἐκκείμενον τετρὰς ἔσται
ἡ διαφορὰ στοι- χεῖον οὖσα πυραμίδων
ἐνεργείᾳ, εἶτα δεκὰς ἡ δευτέρα πυραμίς,
εἶτα εἰκοσὰς [97] ἡ τρίτη πυραμὶς καὶ ἑξῆς ἀκολούθως. ἐὰν δέ τις πυραμὶς μὴ ἐπὶ μονάδα κορυφῶται, ἀλλ᾽ ἐπὶ τὸν
παρ᾽ αὐτῇ γνώμονα, κόλουρος καλεῖται ἐὰν
δὲ μηδὲ ἐπ᾽ ἐκεῖνον, ἀλλ᾽ ἐπὶ τὸν ἑξῆς,
δικόλουρος, καὶ ὁμοίως τρικόλουρος καὶ τετρακόλουρος καὶ ἀεὶ ἀκολούθως ὀνομασθήσεται κατὰ τὴν ποσότητα τῶν
ἀφαιρουμένων γνωμόνων. ἰδιώματα δὲ καὶ
κύβων πολλὰ εὑρήσομεν ὥσπερ καὶ τῶν INTRODUZIONE
ALL’ARITMETICA DI NICOMACO 759 mezzo
dei numeri pentagonali 5, 12, 22, 35, 51, le piramidi di base pentagonale 6, 18, 40, 75, 126.57 [96] La
stessa cosa faremo anche per i
successivi numeri poligonali: come infatti avevamo quali gnomo- ni dei numeri poligonali i numeri in
successione a partire da 1, cosî avremo
anche quali gnomoni delle piramidi i singoli numeri poligo- nali in successione.574 E la quantità dei
piani sarà proporzionale ai lati dei
gnomoni, e come i numeri piani, quando erano collocati in posti dispari,97 erano alternativamente due pari e
due dispari, mentre quando erano
collocati in posti pari,7 erano alternativamente uno pari e uno dispari,577 cosî anche i numeri
piramidali, quando sono col- locati in
posti dispari,78 sono alternativamente tre pari e uno dispari terminante per 5, a parte la potenza,’79
perché sono tra loro nelle quinte
posizioni;?80 quando sono invece collocati in posti pari, sono alternativamente due pari e due dispari, e
quelli che cadono necessa- riamente nel
medesimo posto dei dispari tra quelli collocati in modo dispari,58! hanno per ciò stesso anche la
medesima terminazione [5]. Ciascun
numero piramidale è la somma di quello di diversa specie che gli sta sopra e quello che è inferiore di un
grado tra quelli che sono al piano,582
come accade anche a proposito dei numeri poligonali: ad esempio <tra i poligonali> 5 è somma di
4 e 1,6 di5e 1,7 di6el,e a loro volta
<tra i piramidali> 14 è somma di 10 e 4, 18 di 14 e 4, 22 di 18 e 4, e cosi in successione li troveremo
disposti in proporzione, se li avremo
adattati secondo la profondità e la larghezza di ciascun diagramma?83 dei poligonali, perché ogni
numero piramidale è la somma del
poligonale che sta sopra e di quelli che precedono; prima c'è lo 0,584 poi due poligonali,58 poi
tre,586 e cosî via. Scopriremo anche
delle altre proprietà proporzionali secondo gli stessi criteri intorno agli stessi numeri piramidali. E
mentre in larghezza differiran- no tra
loro per le proprie basi, in profondità, invece, dopo la prima colonna che contiene numeri uguali
<unità>, secondo l’esposizione
ordinata in linea orizzontale, la differenza sarà 4, che è elemento
delle piramidi in atto,587 poi 10,588
che è la seconda piramide, poi 20, [97]
che è la terza piramide, e cosi di seguito. Se una piramide non ha come apice 1, ma il gnomone successivo a
1,589 viene detta tronca; se non ha come
vertice il secondo gnomone, ma quello successivo, sarà chiamata bitronca, e allo stesso modo
tritronca e tetratronca, e sem- pre cosî
in successione secondo il numero di gnomoni rimasti fuori. 760 GIAMBLICO τετραγώνων᾽ καὶ γὰρ ἑκάστου ἀριθμοῦ τῶν ἀπὸ
μονάδος ἑαυτὸν πολλαπλασιάσαντος καὶ
[10] τὸν ἐξ αὐτοῦ γίνονται εὔτακτοι κύβοι.
καὶ εἰ τάξει οἱ ἀπὸ τετράδος τετράγωνοι τάξει τοὺς ἀπὸ δυάδος ἐφεξῆς ἀριθμοὺς ἕκαστος75 ἕκαστον μηκύνῃ ἢ
ὑπὸ ἑκάστου μηκύ- νοιῖτο, ὁμοίως γενήσονται
εὔτακτοι κύβοι. ἔτι οἱ περισσοὶ ἐπειδὴ
ἐπί t176 ὁμοποιοί εἰσι καὶ τῆς αὐτοῦ φύσεως, ὡς ἐδείχθη, εἰ συντι- θοῖντο κατ᾽ ἐκλογὰς ἀεὶ προσθέσει ἑνός,
φύσονται κύβοι᾽ οἷον α΄ πρῶτον ὁ δυνάμει
κύβος ἀσύνθετος, εἶτα δύο περισσοὶ Y ε΄ ὁ n
κύβος δεύτερος, εἶτα τρεῖς περισσοὶ ζ΄ θ΄ ια΄ <ò κζ΄» τρίτος
κύβος, εἶτα τέσσαρες ιγ΄ τε΄ ιζ΄ τθ΄ ὁ
ξδ΄ [20] τέταρτος κύβος, καὶ ἐπὶ τῶν
ἐφεξῆς ὁμοίως. πάλιν ἐν τῇ τῶν ἀναλόγων ἐκθέσει οἱ μὲν τρίτοι τετράγωνοί εἰσιν, οἱ δὲ τέταρτοι κύβοι, οἱ δὲ
ζοι κύβοι ἅμα καὶ τετράγωνοι. πᾶς δὲ
κύβος τῇ ἑαυτοῦ πλευρᾷ αὐξηθεὶς τετράγωνον
ποιεῖ, ὃς ἔσται τοσουτοπλάσιος τοῦ κύβου ὁσαπλάσιος ἔσται καὶ ὁ ἀπὸ τῆς κυβικῆς πλευρᾶς τετράγωνος αὐτῆς τῆς
πλευρᾶς, ὁ δὲ τετράγωνος [98] πλευρὰ καὶ
αὐτὸς ἔσται τετραγωνικὴ τοῦ γενομέ- νου
ἔκ τε τοῦ κύβου καὶ τῆς αὐτοῦ πλευρᾶς. πάλιν ὡς ἐκ δύο τετραγώνων μηκυνάντων ἀλλήλους τετράγωνος
ἐγένετο, οὕτως ἐκ δύο κύβων κύβος, ἐκ δὲ
κύβου ἑαυτὸν λαβόντος κύβος ἅμα καὶ
τετράγωνος. καὶ ἐν τοῖς ἀνάλογον ἐὰν ὁ μὲν μετὰ μονάδα κύβος ἦ, καὶ οἱ λοιποὶ κύβοι ἔσονται: καὶ τεσσάρων
ἀνάλογον ὄντων, ἐὰν ὁ πρῶτος κύβος ἦ,
καὶ ὁ τέταρτος ἔσται κύβος, ἢ καὶ μετροῦντος κύ- βου κύβον, καὶ πλευρὰ πλευρὰν μετρήσει. καὶ
σχεδὸν τὰ [10] συμ- βεβηκότα πάντα
τετραγώνοις ἀναλόγως ἐνοραθήσεται καὶ τοῖς κύ-
βοις. ἐπιτρέψαντες οὖν τοῖς δι᾽ αὑτῶν φιλοκαλήσουσι τὴν τῶν τοιούτων συμπτωμάτων ἀνεύρεσιν, ἐπὶ τὸν περὶ
ἀναλογιῶν μετα- βησόμεθα τόπον. Ἡ τοίνυν ἀναλογία λόγων ἐστὶ πλειόνων
ὁμοιότης καὶ ταυτότης. τί δέ ποτ᾽ ἐστὶ
λόγος ὁ κατ᾽ ἀναλογίαν, ἐπεὶ πολλαχῶς ὁ λόγος, ἐν τοῖς πρόσθεν διεσαφήσαμεν ὅτι δυεῖν ὅρων
ὁμογενῶν ἡ πρὸς ἀλλήλους ἐστὶ σχέσις.
ὁμογενῶν δὲ πρόσκειται, διότι τὰ ὑπὸ ταὐτὸ
γένος συγκρίνειν προσῆκεν, οἷον μνᾶν πρὸς τάλαντον, ὧν [20] 75 ἕκαστος Tennulius: ἑκάστους. 76 ἐπί τι congetturò Heiberg: ἔτι. INTRODUZIONE ALL’ARITMETICA DI NICOMACO 761 Troveremo anche molte proprietà nei cubi
allo stesso modo che nei quadrati: e
infatti da ciascun numero, a partire dall’unità, moltiplica- to per se stesso e ancora per il risultato di
questa prima moltiplicazio- ne, nascono
in buon ordine i numeri cubi. E se i quadrati ordinati in successione a partire da 4 moltiplicano o
sono moltiplicati ciascuno dai singoli
numeri ordinati in successione a partire da 2, nasceranno dei cubi parimenti bene ordinati. Ancora,
poiché i numeri dispari hanno la
medesima capacità formatrice e la natura dell’identico, come si è dimostrato,59 se sono sommati per gruppi
di quantità sempre aumentata di uno,59
diventeranno cubi; ad esempio prima si prende
l’ 1 che è il cubo in potenza non-composto, poi si sommano due dispari, 3 e 5, e si ottiene 8 che è il
secondo cubo, poi tre dispari, 7, 9 e
ll, e si ottiene 27 che è il terzo cubo, poi quattro dispari, 13, 15, 17 e 19, e si ottiene 64 che è il quarto cubo, e
cosi di seguito. Ancora, se esponiamo
proporzionalmente i quadrati,592 quelli della terza colon- na sono quadrati, quelli della quarta colonne
sono cubi, quelli della settima colonna
sono insieme cubi e quadrati. Ogni numero cubo,
poi, se è moltiplicato per il suo stesso lato, produrrà un quadrato
che sarà tante volte multiplo del cubo
quante volte il quadrato del lato del
cubo è multiplo dello stesso lato, e questo quadrato sarà [98] lo stesso lato quadrato del quadrato nascente
dal cubo e dal suo lato.59 Ancora, come
da due quadrati che si moltiplicano a vicenda nasce un quadrato, cosi da due cubi un cubo, e da un
cubo moltiplicato se stes- so nasce un
cubo che è insieme anche un quadrato. E tra numeri proporzionali, se quello che viene dopo l’ 1
è un cubo, anche i rima- nenti saranno
dei cubi; e fra quattro numeri proporzionali, se il primo è un cubo, anche il quarto sarà un cubo; o se
un cubo misurerà un cubo, anche il lato
dell’uno misurerà il lato dell’altro. E quasi tutte le proprietà dei quadrati si vedrà che sono in
proporzione come le pro- prietà dei
cubi. Orbene, lasciamo che scopra tali proprietà chi ama fare da sé i suoi calcoli, e passiamo a
trattare delle proporzioni. La
proporzione è somiglianza o identità di più rapporti. Che cosa sia mai il rapporto di proporzione, dal
momento che “rapporto” si dice in tanti
modi, lo abbiamo chiarito in precedenza, quando si è detto che è relazione reciproca fra due
termini omogenei. Si aggiun- ge alla
parola termini l’attributo “omogenei”, perché si devono con- frontare cose che cadono sotto lo stesso
genere, ad esempio mina con 762
GIAMBLICO κοινὸν γένος τὸ βάρος, καὶ
γραμμὴν πρὸς ἐπιφάνειαν ἢ στερεόν'
κοινὸν γὰρ αὐτῶν τὸ μέγεθος. ἔστι δέ τινα καὶ κατὰ δύναμιν καὶ κατὰ ὄγκον καὶ ἄλλα τινὰ γένη συγκρινόμενα.
τὰ δὲ ἀνομογενῆ πῶς ἔχει πρὸς ἄλληλα οὐ
δυνατὸν εἰδέναι, οἷον πῆχυς πρὸς κοτύλην,
πρὸς χοίνικα τὸ λευκόν. ἕν δὲ γένος ἐστὶ καὶ τὸ ποσὸν καὶ ποσοῦ ὁ ἀριθμός, ὥστε γενήσεται καὶ τῶν ἐν ἀριθμῷ
λόγων ἡ σύγκρισις, ἔσται αὐτῶν λόγος τις
[99] καὶ σχέσις ποιά. κἂν μὲν ἐν ἰσότητι
ὦσιν οἱ ὅροι, ἴσου πρὸς ἴσον ἔσται 677 λόγος ἀδιάφορος γὰρ ἡ ἰσότης: ἐν δὲ ἀνισότητι κατὰ διαφοράν. καὶ
διάστημα μὲν οὐ ταὐτὸ ἔσται καὶ ὁ λόγος
διττὸς καὶ διότι7δ καὶ τὸ ἄνισον δύο καὶ οὐχ ἕν
καὶ διάστημα μὲν ταὐτὸν ἔσται, λόγος δὲ ἕτερος" τοῦ γὰρ δύο
πρὸς ἕν καὶ τοῦ ἑνὸς πρὸς δύο διάστημα
μὲν ταὐτόν, λόγος δὲ διπλάσιός τε καὶ
ἥμισυς, ὥστε ἕτερον λόγον εἶναι διαστήματος: καὶ γὰρ ἐπὶ πλείοσιν ὅροις, λόγου πολλάκις τοῦ αὐτοῦ [10]
ὄντος, διάστημα ἕτερόν ἐστιν, ὡς ἐπὶ τῶν
δ΄ ς΄ θ΄. ὅτι δὲ ὁ τῆς ἀνισότητος λόγος ἐν
δέκα γένεσίν ἐστι, καὶ πέντε μὲν προλόγοις κατὰ τὸ μεῖζον, ὑπολόγοις δὲ τοῖς ἴσοις κατὰ τὸ ἔλαττον, καὶ
ὅτι ἀπὸ ἰσότητος πά- ντες τὴν γένεσιν
ἔχουσιν, ἐμάθομεν ἔμπροσθεν ἐν τῷ περὶ τῶν σχέ-
σεῶν τόπῳ. ἔστι δέ τις καὶ ἀριθμοῦ πρὸς ἀριθμὸν λόγος αὐτῷ λεγό- μενος, διὰ τὸ μηδενὶ ὑποπίπτειν τῶν δέκα
γενῶν, ὡς ἐπιδειχθήσεται ἐν τοῖς
ἁρμονικοῖς, ὁ τοῦ λείμματος λόγος ἐν ὅροις ἐν τοῖς σνς΄ πρὸς σμγ΄. τῶν οὖν ἐν ἀριθμοῖς λόγων τοιούτων [20]
τινῶν ὄντων ἡ ἀναλο- γία σύλληψις ἔσται
πλειόνων ἐν ὁμοιότητι λόγων ἐν ἐλαχίστοις
τρισὶν ὅροις: λέγεται γὰρ λόγος συνῆφθαι, ὅταν κοινὸς ὅρος ἦ μέσος πρὸς ἑκάτερον τῶν ἄκρων λόγον ἔχων᾽ ὁ
γὰρ κοινὸς ὅρος τοῦ λόγου συνάπτει.
διεζεῦχθαι δὲ λέγεται λόγος λόγου, ὅταν μὴ ἔχωσι κοινὸν ὅρον. τοῦτο δὲ ἐν τέτταρσιν ὅροις
γίνεται, διὸ καὶ δοκεῖ τὸ ἀνάλογον τῆς
ἀναλο [100] γίας διαφέρειν" τὸ μὲν γὰρ ἀνάλογον καὶ ἐν διεζευγμένοις ὅροις γίνεται, ἡ δὲ ἀναλογία
κυρίως ἐπὶ τῶν κοινὸν ἐχόντων ὅρον
τάττεται. τῆς δὴ ἀναλογίας ἐν τρισὶν ὅροις
7] ἔσται ὁ Tennulius: ἐστὶ. 78
διότι congetturò Heiberg: ὅτι.
INTRODUZIONE ALL’ARITMETICA DI NICOMACO 763 talento,59 che hanno come genere comune il
peso, o linea con super- ficie o con
volume, perché tutti e tre hanno come genere comune la grandezza.59 Ci sono poi alcune cose che si
possono confrontare per potenza o per
volume o per altri generi <comuni>. Non è possibile invece conoscere in che rapporto stiano tra
loro cose che non siano omogenee, ad
esempio cubito’% con cotila,799 o bianchezza con che- nice.600 Un genere è anche il quanto o il
numero del quanto, sicché sarà possibile
anche confrontare i rapporti numerici, e ci sarà dunque un rapporto tra rapporti numerici e sarà [99]
una relazione di un certo tipo. E
quand’anche i termini siano in uguaglianza, ci sarà sem- pre un rapporto, cioè quello di uguale a
uguale; l'uguaglianza infatti è priva di
differenza; se invece i termini sono in disuguaglianza, il rap- porto sarà per differenza. E l’intervallo non
sarà identico e il rappor- to sarà
doppio, e poiché anche la disuguaglianza è due e non uno,602 anche l'intervallo potrà essere identico, ma
il rapporto sarà diverso: e infatti
l'intervallo di 2a 1 e di 1 a 2 è lo stesso,60* mentre il rapporto è “doppio” e “metà”, sicché il rapporto è
cosa diversa dall’intervallo: e infatti
tra più termini, pur essendoci spesso lo stesso rapporto, l’in- tervalio può essere diverso, come tra 4, 6,
9.6% Ma che il rapporto di
disuguaglianza sia diviso in 10 generi, 5 prologhi secondo il
maggio- re, e 5 ipologhi secondo il
minore, e che tutti questi rapporti abbiano
origine dall’uguaglianza, lo abbiamo imparato in precedenza là dove abbiamo parlato delle relazioni. Ma c’è
anche un rapporto di numero a numero che
si deve considerare per se stesso, perché non
cade sotto nessuno dei dieci generi, come sarà dimostrato
nell’armo- nica, cioè il rapporto del
“limma” che si trova fra i termini 256 e
243 60 Essendo dunque di tale natura alcuni rapporti tra i numeri,
la proporzione sarà comprensione di più
rapporti di somiglianza alme- no fra tre
termini:6 si dice infatti che intercorre un rapporto,608 quando c’è un termine medio comune che è in
rapporto con ambe- due gli estremi: il
termine comune del rapporto, infatti, è quello che li collega. Si dice invece che un rapporto si
disgiunge da un rapporto, quando i due
rapporti non hanno un termine comune. Questo acca- de fra quattro termini, per cui sembra anche
che l’essere proporzio- nato [100]
differisca dalla proporzione: infatti anche termini disgiun- ti possono essere proporzionati, mentre la
proporzione in senso pro- prio si
stabilisce fra termini che abbiano un termine in comune. Nella 764 GIAMBLICO γινομένης δεῖ ἔχειν τὸν πρῶτον ὅρον πρὸς
τὸν δεύτερον λόγον ὃν ὁ δεύτερος ἔχει
πρὸς τὸν τρίτον, ἢ ἀνάπαλιν, διὸ καὶ οὕτως ὠνομά- σθαι’ ἀνὰ γὰρ τὸν αὐτὸν λόγον ἔκκεινται οἱ
ὅροι. ἔσονται δὲ καὶ διαφοραὶ αὐτῶν ἐν
τῷ αὐτῷ λόγῳ᾽ εἰ δὲ λόγος ἐστὶ καὶ ἐν ἰσότητι,
δῆλον ὅτι καὶ ἀναλογία. καὶ [10] ταύτης στοιχειωδεστάτη ἡ ἐν μο- νάσιν, ἵνα καὶ ἀναλογικὴ «ip μονὰς ὑπάρχῃ,
εἶτα ἡ ἐν δυάσι καὶ τρίτη ἡ ἐν τριάσι
καὶ ἑξῆς ἀκολούθως, ἀφ᾽ ὧν κατὰ τὰ εἰρημένα
ἔμπροσθεν τρία προστάγματα εὔτακτοι φύονται αἱ ἐν ἀνισότητι ἀναλογίαι.
Προληπτέον δὲ ὅτι κυρίως ἀναλογίαν ἐκάλουν οἱ παλαιοὶ τὴν γεωμετρικήν, κοινότερον δὲ ἤδη καὶ τὰς
λοιπάς, πάσας μὴν γενικῶς μεσότητας. ὅτι
δὲ εὐλόγως συνεστάλη τὸ ὄνομα ἐπὶ τῆς γεωμε-
τρικῆς, ἐν τῷ περὶ αὐτῆς ῥηθήσεται λόγῳ. μόναι δὲ τὸ παλαιὸν τρεῖς [20] ἦσαν μεσότητες ἐπὶ Πυθαγόρου καὶ τῶν
κατ᾽ αὐτὸν μαθημα- τικῶν, ἀριθμητική τε
καὶ ἡ γεωμετρικὴ καὶ ἡ ποτὲ μὲν ὑπεναντία
λεγομένη τῇ τάξει τρίτη, ὑπὸ δὲ τῶν περὶ ᾿Αρχύταν αὖθις καὶ Ἵππασον ἁρμονικὴ μετακληθεῖσα, ὅτι τοὺς κατὰ
τὸ ἡρμοσμένον καὶ ἐμμελὲς ἐφαίνετο
λόγους περιέχουσα. ὑπεναντία δὲ πρότερον ἐκα-
λεῖτο, διότι ὑπεναντίον τι ἔπασχε τῇ ἀριθμητικῇ, [101] ὡς δειχ- θήσεται. ἀλλαγέντος δὲ τοῦ ὀνόματος οἱ μετὰ
ταῦτα περὶ Εὔδοξον μαθηματικοὶ ἄλλας
τρεῖς TPOGAVEVPOVTEG μεσότητας τὴν τετάρτην
ἰδίως ὑπεναντίαν ἐκάλεσαν, διὰ τὸ καὶ αὐτὴν ὑπεναντίον τι πά- σχειν τῇ ἁρμονικῇ, ὡς δειχθήσεται. τὰς δὲ
λοιπὰς δύο ἁπλῶς κατὰ τὴν τάξιν
προσηγόρευσαν πέμπτην τε καὶ ἕκτην. οἱ μὲν «oùv? παλαιοὶ καὶ οἱ μετ᾽ ἐκείνους τοσαύτας ᾧοντο
δυνατὸν εἶναι συστῆσαι μεσότητας,
τουτέστιν ἕξ οἱ δὲ νεώτεροι τέσσαρας ἄλλας
τινὰς προσανεῦρον, ἐκ τῶν [10] ὅρων καὶ τῶν διαστημάτων προστεχ- νησάμενοι τὴν γένεσιν αὐτῶν. Ἡ μὲν οὖν πρώτη ἀριθμητικὴ μεσότης ἐστίν,
ὅταν τῶν ὅρων ὁ 79 l'integrazione è di
Heiberg. INTRODUZIONE ALL’ARITMETICA
DI NICOMACO 765 proporzione fra tre
termini occorre che il primo termine abbia col
secondo lo stesso rapporto che il secondo ha col terzo, e viceversa,
ed è per questo che ha il nome
“proporzione” [ἀναλογία], perché i ter-
mini sono esposti “secondo” [dvd] lo stesso “rapporto” [λόγον]. Anzi, anche le differenze tra i termini
saranno nello stesso rapporto; e se il
rapporto è di uguaglianza, è chiaro che ci sarà anche propor- zione di uguaglianza.60? E la proporzione più
elementare di questo tipo è quella delle
differenze di 1,610 in modo che anche l’unità sia proporzionale, poi viene quella delle
differenze di 2 e poi quella delle
differenze di 3, e cosi di seguito: da queste proporzioni di
uguaglian- za nascono ordinatamente,
secondo le tre regole di cui si è parlato
prima,6!! le proporzioni di disuguaglianza. Bisogna però partire dalla premessa che gli
antichi chiamavano “proporzione” in
senso proprio quella geometrica, ma più comune-
mente ormai anche le altre sono dette proporzioni, anche se
effettiva- mente in senso generico sono
dette tutte “medietà”. Perché il nome
“proporzione” sia nato giustamente riservato a quella geometrica,
lo diremo quando parleremo di
quest’ultima.6!2 Anticamente Pitagora e
i suoi discepoli Matematici6!> stabilirono che solo tre sono le
medie- tà, e cioè la medietà aritmetica,
quella geometrica e quella che allora
veniva chiamata “subcontraria” e che stava al terzo posto; in
seguito Archita e Ippaso hanno mutato
questo nome in quello di “armonica”,
perché appariva come quella che contiene i rapporti musicali e
melo- dici. Prima, invece, veniva
chiamata subcontraria, perché è di natura
in qualche modo contraria alla proporzione aritmetica, [101] come sarà dimostrato. Dopo questo mutamento di
nome,6!4 i matematici posteriori che
furono seguaci di Eudosso, avendo scoperto altre tre medietà, hanno chiamato la quarta
subcontraria in senso proprio, perché
anch’essa è di natura in qualche modo contraria, ma contraria all'armonica, come sarà dimostrato; le
rimanenti due medietà sono state
chiamate semplicemente quinta e sesta medietà sulla base del posto che occupavano. Gli antichi, dunque, e
coloro che vennero dopo, credevano che
sono tante le medietà che si possono costruire,
cioè sei; i matematici più recenti, invece, hanno scoperto altre quattro
medietà, e ne hanno studiato
accuratamente la genesi secondo i ter-
mini e gli intervalli. Orbene,
la prima medietà, quella aritmetica, si ha quando il termi- 766 GIAMBLICO μέσος ἔχῃ «ἶσον» διάστημα πρὸς τοὺς
ἑκατέρωθεν ἄκρους kai ὑπερέχῃ καὶ
ὑπερέχηται ἴσῳ ἀριθμῷ, λόγους δὲ ἔχῃ διαφόρους πρὸς τοὺς ἄκρους, καὶ μείζονα μὲν τὸν πρὸς τὸν
ἐλάττονα ὅρον, ἐλάττο- va δὲ τὸν «πρὸς
τὸν»80 μείζονα, συνεχεῖς δὲ τούτους ἑτερογενῶς,
ὑπόδειγμα δ᾽ αὐτῆς ἐκτεθέντος ἀπὸ μονάδος τοῦ ἐφεξῆς ἀριθμοῦ καὶ ὡντινωνοῦν τριῶν ὅρων λαμβανομένων εἴτε [20]
συνεχῶν εἴτε τῶν παρ᾽ ἕνα εἴτε τῶν παρὰ
δύο ἢ τρεῖς ἢ τέσσαρας ἢ ὅσους τις ἂν θέλῃ,
ὁ μέσος καθ᾽ ἑκάστην ἐκλογὴν ἴσῳ ἀριθμῷ ὑπερέχει τὸν ἐλάττονα καὶ ὑπερέχεται ὑπὸ τοῦ μείζονος, οἷον α΄ β΄
γ΄ καὶ α΄ Y ε΄ καὶ β΄ δ΄ ς΄, γεννᾶται δὲ
ἐξ ἰσότητος οὕτως" πρῶτον ἴσον πρώτῳ, δεύτερον πρώτῳ καὶ δευτέρῳ, τρίτον [102] πρώτῳ καὶ
δευτέρῳ καὶ pito: πάλιν πρῶτον ἐκ πρώτου
καὶ δευτέρου, δεύτερον ἐκ πρώτου καὶ δύο
δευτέρων, τρίτον ἐκ πρώτου δύο δευτέρων «καὶ» τρίτου. ἀλλ᾽ ἐκ μὲν τῆς ἐπὶ μονάσι διὰ τῆς προτέρας ἐφόδου ἡ παρ᾽
οὐδὲν τοὺς ὅρους ἔχουσα γεννᾶται, ἐκ δὲ
τῆς ἐν δυάσιν ἡ παρ᾽ ἕν, ἐκ δὲ τῆς ἐν τριά-
σιν ἡ παρὰ δύο καὶ ἐν τετράσιν ἡ παρὰ τρεῖς καὶ ἐφεξῆς ἀναλόγως. κἂν μὲν διπλάσιος ὁ πρότερος ἡ λόγος,
ἡμιόλιος πάντως ὁ δεύτερος, τριπλάσιος
δὲ ὁ τῶν ἄκρων. ἂν δὲ [10] τριπλάσιος, ἐπιδιμερὴς τρίτων, πενταπλάσιος δὲ ὁ τῶν ἄκρων. κἂν
τετραπλάσιος, ἐπιτρι- μερὴς τετάρτων,
ἑπταπλάσιος δὲ ὁ τῶν ἄκρων καὶ ἑξῆς ἀναλόγως.
ἴδιον δὲ τῆς μεσότητος ταύτης τὸ ὑποδιπλάσιον εἶναι τὸν μέσον ὅρον τῶν δύο ἄκρων. καὶ πάλιν, ὡς ἕκαστος
ὅρος ἔχει πρὸς ἑαυτόν, οὕτως καὶ ἡ
ὑπεροχὴ πρὸς τὴν ὑπεροχήν, τοῦτο δέ ἐστι τὸ ἐν ἴσῃ ὑπεροχῇ τοὺς ὅρους εἶναι. αἱ δὲ ἀπὸ μονάδος
κατὰ τρεῖς ὅρους λαμ- βανόμεναι συζυγίαι
ποιήσουσι πολυγώνων τοὺς δευτέρους ἐνεργεί-
a, τριάδι πάντας ἀλλήλων ὑπερέχοντας: ἐκ μὲν [20] γὰρ τῆς α΄ BY ὁ δεύτερος ἐνεργείᾳ τρίγωνος γίνεται ὁ ς΄, ἐκ
δὲ τῆς β΄ γ΄ 32! ὁ δεύ- τερος ἐνεργείᾳ
τετράγωνος ὁ θ΄, ἐκ δὲ τῆς γ΄ δ΄ ε΄ ὁ δεύτερος ἐνερ- γείᾳ πεντάγωνος ὁ ιβ΄ καὶ ἑξῆς ἀκολούθως ἐὰν
δὲ οἱ ὅροι παρ᾽ ἕνα 80 δὲ τὸν «πρὸς
τὸν» Heiberg: δὲ «πρὸς» τὸν Pistelli.
81 β΄ γ΄ δ΄ ho corretto io: α΄ γ΄ Ε΄ erroneamente Pistelli e Tennulius.
C'è evidente confusione con il passaggio
corrispondente degli esempi di secon- do
tipa, cioè di combinazioni col salto di un termine. Cf. li. 25 s. infra. INTRODUZIONE ALL’ARITMETICA DI NICOMACO
167 ne medio, rispetto agli estremi da
ambedue le parti, ha uguale inter-
vallo, cioè supera ed è superato di un uguale numero, e ha rapporti differenti rispetto agli estremi, e cioè un
rapporto maggiore col termi- ne minore,
e un rapporto minore col termine maggiore,6!5 e tali rap- porti sono continui in modo eterogeneo.616 Un
esempio di questa medietà si ha quando,
fatta l'esposizione del numero in successione a
partire da 1 e presi tre termini qualsiasi o contigui o saltandone uno per volta o due per volta o tre 0 quattro o
quanti si voglia, il termine medio in
ciascuna medietà scelta supera di un uguale numero il ter- mine minore ed è superato di un uguale numero
dal maggiore, come ad esempio 1, 2, 3, o
1, 3,5, 0 2, 4, 6. Nascono poi dall’uguaglianza6!7 in questo modo: il primo è uguale al primo,
il secondo alla somma del primo e del
secondo, il terzo [102] alla somma del primo, del secon- do e del terz0;5!8 ancora, il primo nasce
dalla somma del primo e del secondo, il
secondo dalla somma del primo e di due volte il secondo, il terzo dalla somma del primo, di due volte
il secondo e del terz0.619 Ma
dall’uguaglianza fatta di 1620 nasce, secondo il primo procedimen- to, la medietà che ha i termini in
successione senza alcun salto,62! mentre
dall’uguaglianza fatta di 2 nasce la medietà che ha i termini in successione col salto di uno,622 e
dall’uguaglianza fatta di 3 nasce la
medietà che ha i termini in successione col salto di due,%2? e
dall’ugua- glianza fatta di 4 nasce la
medietà che ha i termini in successione col
salto di 3,624 e cosî via in proporzione. E se il primo rapporto è
dop- pio, il secondo è assolutamente
emiolio, e quello degli estremi tri-
plo.625 Se invece il primo rapporto è triplo, quello dei terzi è
epidime- re, e quello degli estremi
quintuplo.626 Se poi il primo rapporto è qua-
druplo, quello dei quarti è epitrimere, e quello degli estremi
etta- plo,627 e cosi via in proporzione.
E proprio di tale medietà il fatto che
il termine medio tra i due estremi è sotto-doppio. E ancora, come ogni termine sta a se stesso, cosi
l'eccedenza sta all’eccedenza, e cioè i
termini sono di uguale eccedenza.628 E le combinazioni?29 a partire dall’unità, che siano fatte di tre termini
<contigui>, produrranno i secondi
poligonali in atto, e saranno tutti tra loro eccedenti di 3: dalla medietà 1, 2, 3, infatti, deriva il secondo
triangolare in atto che è 6, dalla
medietà 2, 3, 4 deriva il secondo quadrato in atto che è 9, dalla medietà 3, 4, 5, deriva il secondo
pentagonale in atto che è 12, e cosi via
in successione. Se poi i termini sono scelti a partire dall’unità ma 768 GIAMBLICO ἐκλεγῶσιν ἀπὸ μονάδος, οὐκέτι ἄρξει τῶν
πολυγώνων ὁ Tpiyovoc, μεταστήσεται δὲ ἡ
ἀφήγησις εἰς τετράγωνον: πρῶτος γὰρ ἔσται ὁ θ΄
ὁ ἐκ τῆς α΄ Y ε΄ συζυγίας, οἱ δὲ ἑξῆς γινόμενοι λόγον τινὰ οὐκ ἄτακ- τον ἕξουσιν. ἐὰν δὲ παρὰ δύο παράλειψιν ἡ
[103] ἐκλογὴ γίνηται, ἵν᾽ ἦ α΄ δ΄ ζ΄,
ἄρξει πεντάγωνος ὁ ιβ΄. ἐὰν δὲ κατὰ τριῶν παράλειψιν, ἔσται ἐκ τῶν α΄ ε΄ θ΄ ἑξάγωνος ὁ ιε΄, καὶ
οὕτως μέχρι παντὸς ἀκο- λούθως τῇ αὐτῶν
τῶν πολυγώνων γενέσει. διότι μὲν γὰρ οἱ τρίγωνοι ἐγίνοντο ἐκ τῶν παρ᾽ οὐδέν, ἄρξει ἐν τῇ πρώτῃ
συστάσει τῶν πολυγώνων τρίγωνος ὁ ς΄,
διότι δὲ ἐκ τῶν παρ᾽ ἕνα ἐγίνοντο οἱ
τετράγωνοι, ἀφηγεῖται ἐν τῇ δευτέρᾳ συστάσει ὁ θ΄ τετράγωνος, καὶ ἔτι ἐκ τῶν παρὰ δύο οἱ πεντάγωνοι, καὶ τοῦτο
δι᾽ ὅλου [10] ἔσται ἀκολούθως. ἐπεὶ δὲ
ἑξάδος ἀποτελεστική ἐστιν ἡ πρώτη παρ᾽ οὐδὲν
ἀπὸ μονάδος συζυγία, ἡ πρώτη α΄ β΄ γ΄ εἰδοποιήσει τὰς ἑξῆς αὐτῇ, μηδενὸς ὅρου κοινοῦ λαμβανομένου μηδὲ μὴν
παρελλειπομένου, ἀλλὰ μετὰ τὴν α΄ BY
λαμβανομένης τῆς δ΄ ε΄ ς΄, εἶτα ζ΄ η΄ θ΄ καὶ ἑξῆς ἀκολούθως: πᾶσαι γὰρ αὗται ἑξάδες γενήσονται
μεταλαμβανούσης τὸν μονάδος τόπον ἀεὶ
τῆς δεκάδος, τουτέστιν εἰς μονάδα ἀναγο-
μένης: οὕτως γὰρ αὐτὴν καὶ δευτερωδουμέναν μονάδα καλεῖσθαι ἐλέγομεν πρὸς τῶν Πυθαγορείων, καὶ
τριωδουμέναν [20] τὴν ἑκατοντάδα, καὶ
τετρωδουμέναν τὴν χιλιάδα. ἡ μὲν γὰρ δ΄ ε΄ ς΄ ποιεῖ ἀριθμὸν τὸν ιε΄ ἀναγομένης δὲ τῆς δεκάδος εἰς
μονάδα, ὁ πέντε προσλαβὼν αὐτὴν ἑξὰς
γίνεται. πάλιν ἡ ζ΄ η΄ θ΄ συνθεῖσα ποιεῖ τὸν
κδ΄ ἀριθμόν, οὗ τὰ κ΄ εἰς δύο μονάδας ἀναγαγὼν προστίθημι τῷ δ΄, καὶ ἔχω πάλιν ἐἑξάδα. πάλιν τ΄ τα΄ ιβ΄
συνθεὶς ποιῶ λγ΄, ὧν τὰ λ΄ τριάς ἐστιν,
ἣν προσθεὶς τοῖς τρισὶν ἔχω ὁμοίως ἑξάδα, καὶ τοῦτο [104] ὁμοίως ἔσται δι᾽ ὅλου. καὶ ἡ μὲν πρώτη ἑξὰς
οὐκ ἔχει μετάθεσιν δεκάδος εἰς μονάδα,
ὡς ἂν εἰδοποιὸς καὶ στοιχεῖον τῶν μετ᾽ αὐτὴν
ὑπάρχουσα: ἡ δὲ δευτέρα μιᾶς μονάδος μετάθεσιν ἕξει, ἡ δὲ τρίτη δυεῖν καὶ ἡ τετάρτη τριῶν καὶ ἡ πέμπτη
τεσσάρων καὶ ἑξῆς ἀκο- λούθως. ὅσαι δ᾽
ἂν ὦσιν αἱ μετατιθέμεναι δεκάδες, τοσαῦται καὶ αἱ ἐννεάδες ἀφαιρεθήσονται ἐκ τοῦ ὅλου
συστήματος, ἵνα τὸ λεῖπον ὁμοίως ἑξὰς ἦ᾽
τοῦ γὰρ ιε΄ μιᾶς δεκάδος ἔχοντος μετάθεσιν, ἐὰν
ἀφέλω [10] μίαν ἐννεάδα, λειφθήσεται ἑξάς. τοῦ δὲ κδ΄ δύο ἔχοντος INTRODUZIONE ALL’ARITMETICA DI NICOMACO
769 saltandone uno, allora i
poligonali non cominceranno più con un
triangolare, perché al suo posto ci sarà un quadrato: il primo
poligo- nale infatti sarà il quadrato 9,
che deriva dalla combinazione®0 di 1,
3,5, e quelli che verranno dopo avranno un rapporto non disordina- to. Se poi la scelta viene fatta saltando due
termini, [103] in modo che si abbia
<all’inizio> 1, 4, 7, il primo poligonale sarà il pentagonale 12. Se invece la scelta è fatta saltando tre
termini, il primo poligonale che si
formerà da 1, 5, 9, sarà l’esagonale 15, e cosi via in successione per tutta la generazione dei numeri poligonali.
Poiché infatti dai numeri presi in
successione senza alcun salto nascevano i triangolari, nella prima combinazione si comincerà col
triangolare 6, e poiché dai numeri presi
in successione saltandone uno nascevano i quadrati, nella seconda combinazione si comincerà col
quadrato 9, e ancora dalla scelta col
salto di due nasceranno i pentagonali, e cosî accadrà per tutta la sequenza. E poiché la prima
combinazione a partire da 1 senza alcun
salto produce il triangolare 6, questa prima combinazio- ne, che è 1, 2, 3, darà forma ai triangolari
successivi a 6, se non si prenderà
nessun termine comune! né se ne ometterà alcuno, ma si prenderà, dopo la prima medietà 1, 2, 3, la
successiva 4, 5, 6, e poi la successiva
7, 8, 9, e cosi via: tutti questi poligonali infatti danno come somma 6, se si cambia la decina in unità,
cioè se si riduce il 10 a 1;622 cosi
infatti dicevano che i Pitagorici chiamano il 10 anche unità di seconda serie, e il 100 unità di terza serie,
e il 1000 unità di quarta serie. La
somma di 4, 5, 6, infatti, fa 15, ma se riduco 10 a 1 e aggiun- go 5, ottengo 6. Ancora, la somma di 7, 8, 9
fa 24, ma se riduco 20 a 2 e sommo 4,
ottengo ancora una volta 6. Ancora, se sommo 10, 11, 12, ottengo 33, ma se riduco 30 a 3 e sommo
3, ottengo parimenti 6, e questo [104]
accadrà ugualmente in tutti i casi. E mentre il primo 6 non ha riduzione di decina a unità, in quanto
è elemento formativo dei 6 successivi,
la seconda combinazione, invece, avrà riduzione di un'unità, e la terza di due, e la quarta di
tre, e la quinta di quattro, e cosi di
seguito. E quanti saranno i 10 da ridurre a 1, tanti potranno essere i 9 da sottrarre alla somma
complessiva, in modo che ciò che resta
sia ugualmente 6: infatti, se a 15, che ha un 10 da ridurre a 1, sot- traggo 9, mi resta 6. Se a 24, che ha due 10
da ridurre a 2, sottraggo due 9, mi
resta ancora 6, e questo accadrà in tutti i casi. E si potreb- be scoprire un numero maggiore di tali
conseguenze eleganti della 770
GIAMBLICO δεκάδας τὰς μεταποιουμένας
ἐὰν ἀφέλω δύο ἐννεάδας, λειφθήσεται
πάλιν ἑξάς, καὶ τοῦτο δι᾽ ὅλου συμβήσεται. καὶ πλέονα δ᾽ ἄν τις εὕροι παρακολουθοῦντα γλαφυρὰ τῇ ἀριθμητικῇ
μεσότητι, ἅπερ ἑκόντες τὰ νῦν
παραλείπομεν στοχαζόμενοι τῆς κατὰ τὴν εἰζςαγωγὴν συμμετρίας. ταύτην δ᾽ εἶπεν ὁ Πλάτων μεσότητα
«ἴσῳ μὲν κατ᾽ ἀριθ- μὸν ὑπερεχομένην,
ἴσῳ δὲ ὑπερέχουσαν». Ἡ δὲ δευτέρα
μεσότης ἡ γεωμετρικὴ κυρίως [20] ἀναλογία κέ-
κληται, διότι λόγον τὸν αὐτὸν οἱ ὅροι περιέχουσιν, ἀνὰ τὸν αὐτὸν λόγον διεστῶτες: ὃν γὰρ λόγον ἔχουσιν οἱ ὅροι
πρὸς ἀλλήλους ἢ ἀπ᾿ ἐλάττονος ἐπὶ
μείζονα διὰ τοῦ κοινοῦ ἢ ἀνάπαλιν, τοῦτον ἔχει καὶ διαφορὰ πρὸς διαφοράν: αἴτιον δέ τι κατ᾽ ἴσην
διαφορὰν οὐ δια- στήσονται οἱ ὅροι ὡς
ἐπὶ τῆς προτέρας. δυνατόν τε καὶ ἐν τέτταρσιν
ὅροις τὸ ἀνάλογον γενέσθαι διεζευγμένων τῶν λόγων. καὶ ἵνα τὸ [105] Πλατωνικὸν ἐνθάδε προσαρμόσωμεν τῇ
ἀναλογίᾳ λεκτέον" «ὁπόταν γὰρ
ἀριθμῶν τριῶν εἴτε ὄγκων εἴτε δυνάμεών τι κοινωνῇ τὸ μέσον, ὅ τι περ τὸ πρῶτον πρὸς αὐτό, τοῦτο
αὐτὸ πρὸς τὸ ἔσχατον, καὶ πάλιν αὖθις, ὅ
τι τὸ ἔσχατον πρὸς τὸ μέσον, τὸ μέσον πρὸς τὸ
πρῶτον, τότε τὸ μέσον μὲν πρῶτον καὶ ἔσχατον γινόμενον, τὸ δὲ ἔσχατον καὶ τὸ πρῶτον αὖ μέσα ἀμφότερα, ταῦθ᾽
οὕτως ἐξ ἀνάγκης τὰ αὐτὰ εἶναι καὶ [10]
ξυμβήσεται.» καὶ πρὸ Πλάτωνος δὲ τὰ αὐτὰ
διειλήφεσαν Πυθαγορικοὶ περὶ αὐτῆς. Τίμαιός τ᾽ οὖν ὁ Λοκρὸς ἐν τῷ Περὶ φύσεως κόσμω καὶ ψυχᾶς (ἀφ᾽ οὗπερ
ἐφοδιασθέντα Πλάτωνα τὸν διὰ τοῦτο
φερώνυμον Τίμαιον συντάξαι λέγουσιν, ὧν ἐστιν καὶ ὁ τοὺς σίλλους ποιήσας Τίμων λέγων οὕτως:
«πολλῶν δ᾽ ἀργυρίων ὀλίγην ἠλλάξατο
βίβλον ἔνθεν ἀφορμηθεὶς τιμαιογραφεῖν ἐπεχεί-
ρει») οὕτω πώς ENEL «τριῶν γὰρ ὡντινωνοῦν ὅρων, ὅταν καὶ τὰ δια- στάματα καττὸνϑ2 αὐτὸν ἐστάθη λόγον ποτ᾽
ἄλλαλα,33 τότε [20] δὴ τὸ μέσονϑἪ ῥυσμῷ
δίκας ὁρήμεθα ποττὸ πρᾶτον, ὅ τι περ τὸ τρίτον ποτ᾽ αὐτὸ κἀνάπαλινβϑ5 καὶ παραλλάξ.» ἔστι δὲ ἡ
γεωμετρικὴ ἀναλογία τοῦ συνεχοῦς ποσοῦ,
τουτέστι τοῦ πηλίκου, κατὰ λόγους [106] ἴσους
καὶ ὁμοίους διεστῶσα᾽ ἡ δὲ ἀριθμητικὴ τοῦ διῃρημένου ποσοῦ οὐκέ- τι μὲν λόγοις, ἀριθμοῖς δὲ ἴσοις κατὰ τὰς
ὑπεροχὰς διεστῶσα. καὶ ἐν μὲν ταύτῃ
λόγοι ἕτεροι, διαστήματα δὲ ταὐτά" ἐν δὲ τῇ γεωμετρικῇ 82 καττὸν Marg ap. H.
Thesleff, The Pythagorean texts of the Hellenistic period (Abo 1965) 207,23: κατὰ
τὸν
Pistelli. 83 ποτ᾽
ἄλλαλα
:bid. 208,1: ποτ᾽
ἄλλα
Pistelli. 84 μέσον
:bid.: μέσσον
Pistelli. 85 κἀνάπαλιν sospettò
Pistelli in Add er Corr p. VIII: κἄνπαλιν
Thesleff, op. cit. 208,2 (con un 7 in appar. ad loc.): κἂν πάλιν. INTRODUZIONE ALL’ARITMETICA DI NICOMACO 771 medietà aritmetica, ma ora le vogliamo
accantonare per non dilungar- ci troppo
in questa nostra Introduzione. Platone dice che la medietà aritmetica è quella in cui il medio «è
superato <da un estremo> e supera
<l’altro estremo> di un uguale numero».634 La seconda medietà, quella geometrica, è
chiamata proporzione in senso proprio,
perché i suoi termini contengono lo stesso rappor- to, e sono intervallati secondo lo stesso
rapporto: infatti il rapporto che i
termini hanno tra loro, o dal minore al maggiore attraverso il termine comune, o viceversa, è lo stesso che
c’è tra differenza e dif- ferenza; e la
ragione è che i termini non saranno intervallati secondo un'uguale differenza come nella prima
medietà. Ed è possibile anche che ci sia
proporzione fra quattro termini, quando i rapporti sono disgiunti. [105] E per adattare alla
proporzione la regola di Platone,
bisogna riferire le sue parole: «Quando infatti fra tre numeri o
masse o potenze85 c'è un medio comune,
tale che il medio stia all’ultimo come
il primo sta al medio, e d'altra parte ancora il medio stia al primo come l’ultimo sta al medio, allora il
medio divenendo primo e ultimo e il
primo e l’ultimo divenendo a loro volta ambedue medi, cosi necessariamente accadrà che tutte queste
cose6% saranno le stes- se».637 Ma
questa stessa definizione della proporzione, ancora prima di Platone, l'avevano compresa i Pitagorici.
E in effetti Timeo di Locri638 nel suo
libro Sulla natura del mondo e dell'anima (sulla cui falsariga Platone compose il suo scritto che
si intitola appunto Tizzeo, dicono
alcuni, e uno di questi è Timone <di Fliunte>, autore dei Si//, il quale dice: «[Platone] acquistò a
carissimo prezzo un libriccino, e di li
attingendo, si mise a scrivere il suo Tizeo»)69 dice in qualche modo la stessa cosa: «Quando fra tre termini
qualsiasi, infatti, gli intervalli
stanno nello stesso rapporto tra loro, allora vediamo che, secondo giusta misura, il medio sta al primo
come il terzo sta al medio, anche se si
invertono o si scambiano di posto».640 E quella
geometrica è proporzione del quanto continuo, cioè del quanto gran- de, in quanto ha intervalli secondo rapporti
[106] uguali o della stes- sa natura;64!
quella aritmetica, invece, è proporzione del quanto discreto, in quanto ha intervalli non secondo
uguali rapporti, ma secondo uguali
eccedenze numeriche. E mentre nella proporzione
aritmetica i rapporti sono diversi, gli intervalli uguali, nella
propor- 772 GIAMBLICO ἀνάπαλιν λόγοι μὲν οἱ αὐτοί, διαφοραὶ δὲ
ἕτεραι. γεννᾶται δὲ καὶ αὕτη ἀπὸ
ἰσότητος τοῖς ἐπὶ τῶν σχέσεων τρισὶ τοῖς αὐτῶν προστάγ- μασι πάντως γὰρ ἐκεῖ τρεῖς ὅροι κατὰ ταύτην
ἀναλογοῦσι τὴν μεσότητα ἔχοντες οὕτως ὡς
ὁ μείζων πρὸς τὸν μέσον ὅ τε μέσος πρὸς
[10] τὸν ἐλάττονα, καὶ ἡ τοῦ μείζονος παρὰ τὸν μέσον ὑπεροχὴ πρὸς τὴν τοῦ μέσου παρὰ τὸν ἐλάττονα. ἴδιον
δ᾽ αὐτῆς τὸ ὑπὸ τῶν ἄκρων τῷ ἀπὸ τοῦ
μέσου ἴσον ἀποτελεῖν, ἐὰν τρεῖς ἢ καθόλου
περισσοὶ ὧσιν οἱ dpor' εἰ δὲ τέσσαρες ἢ ὅλως ἄρτιοι, τὸ ὑπὸ τῶν ἄκρων ἴσον τῷ ὑπὸ τῶν μέσων ποιήσει. καὶ ἐπὶ
μὲν ταύτης κατ᾽ ἔγκρασιν οἱ ὅροι
ἀλλήλους μηκύνουσιν, ἐπὶ δὲ τῆς ἀριθμητικῆς
κατὰ σύνθεσιν, ὅτι τοιοῦτον τὸ διῃρημένον ποσὸν καὶ τὸ πλῆθος, περὶ ὃ πάλιν ἰδίως ἡ ἀριθμητικὴ καταγίνεται,
ὡς ἐν ἀρχῇ τῆς εἰ- σαγωγῆς [20] ἡμῖν
εἴρηται. ἐν μὲν οὖν πολλαπλασίοις ἀνάλογον ἐκ-
θέσεσι παντοίαις πάμπολλα αὐτῆς εὑρήσομεν ὑποδείγματα, ἐν δὲ ἐπιμορίοις καὶ ἐπιμερέσιν ἀεὶ καὶ μᾶλλον
σπανιώτερα κατὰ τὴν τοῦ μερικοῦ ὀνόματος
πρόοδον. τὸ δὲ αἴτιον προφανές, ὅτι πολυπλα-
σιάζεσθαι μὲν πᾶς ἀριθμὸς δυνατός, μέρη δὲ πάντα δέξασθαι οὐ πᾶς, ἀλλ᾽ ἡμίση οἱ παρ᾽ ἕνα, τρίτα δὲ οἱ παρὰ
[τὰ] δύο, τέταρτα δὲ οἱ παρὰ τρεῖς,
πέμπτα δὲ οἱ παρὰ τέσσαρας καὶ ἑξῆς dei καὶ μᾶλλον ἀραιότεροι οἱ μεγαλωνυμώτερα μέρη ἔχοντες. εἰ
δὲ λόγοι ἀεὶ καὶ [107] μᾶλλον ὀλιγώτεροι
ἔσονται διὰ τὴν σπανιότητα τῶν ἐπιδεξο-
μένων τὸ μόριον ἀριθμῶν καθ᾽ ὃ ἐπιμόριον ἐπιμερεῖς γενήσονται, πολὺ μᾶλλον σπανιώτεραι αἱ ἀναλογίαι
γενήσονται διὰ τὴν τοῦ τρί- του
πρόσθεσιν ὅρου: οὐ γὰρ ὁ πρὸς τῷ ὅρῳ τῷ μέσῳ φέρ᾽ εἰπεῖν καὶ ἥμισύ τινος ἔχων, καὶ αὐτὸς πάντως ἥμισυ
ἔχει, οὐδὲ ὁ σὺν τρίτῳ μέρει περιέχων
τινά, καὶ αὐτὸς τρίτον ἔχει, καὶ ἐπὶ τῶν ἑξῆς μερῶν παραπλησίως. ἀλλ᾽ ἵνα ἀναλογία γίνηται,
ἀνάγκη τοὺς περιεκτι- κοὺς ὅρους τῶν
λόγων [10] πυθμένας ἀλλήλους πολυπλασιάσαι,
οἵπερ καὶ ἐμφαντασθήσονται ταῖς διαφοραῖς τῆς ἀναλογίας. ἵνα δὲ κοινόν τι ὑπόδειγμα λάβωμεν πυθμενικῶν
ἀναλογιῶν κατὰ πάντα τὰ εἴδη τοῦ
ἐπιμορίου ἀρξαμένου ἀπὸ ἡμιολίου καὶ πρὸς τούτοις πολ- λαπλασίων τοῦ πρώτου, τουτέστι διπλασίου,
ἐκθετέον κἀνταῦθα στιχηδὸν ταὐτούς τε
καὶ ἑτέρους ἑκατέρους ἀπὸ τῆς οἰκείας ἀρχῆς,
INTRODUZIONE ALL'ARITMETICA DI NICOMACO 773 zione geometrica, viceversa, i rapporti
sono uguali, le differenze62 diverse.
Anche la proporzione geometrica è generata dall’uguaglian- za secondo le tre stesse regole delle
relazioni: in essa infatti i tre ter-
mini sono assolutamente proporzionali secondo questa medietà, e cioè che il medio sta al minore come il
maggiore sta al medio, e l’ec- cedenza
del maggiore sul medio sta all’eccedenza del medio sul minore. Ed è proprietà della proporzione
geometrica il fatto che il prodotto
degli estremi è uguale al prodotto del medio <per se stes- so>, se i termini sono tre o in generale
di quantità dispari; se sono quattro o
in generale di quantità pari, allora il prodotto degli estremi sarà uguale al prodotto dei due medi. E in
questa proporzione i ter- mini si
allungano tra loro per mescolanza,# mentre nella medietà aritmetica si allungano per somma, perché
tale è la quantità discreta o quantità
numerica intorno a cui, a differenza della geometria, si muove propriamente l’aritmetica, come abbiamo
detto all’inizio di questa Introduzione.
Nei multipli, dunque, in proporzione alle varie
specie di esposizione, troveremo molti esempi di proporzione geo- metrica, mentre negli epimori e negli epimeri
gli esempi si faranno sempre più rari in
funzione del nome della parte. E la ragione sta
evidentemente nel fatto che ogni numero può essere moltiplicato, ma non tutti i numeri ammettono tutte le parti,
ma i numeri in succes- sione che saltano
un posto ammettono le metà,#6 i numeri che salta- no due posti i terzi,#7 quelli che ne saltano
tre i quarti,648 quelli che ne saltano
quattro i quinti, e cosî in successione saranno sempre più rari i numeri che hanno parti di
denominazione sempre maggio- re,650 E se
i rapporti saranno sempre [107] più scarsi per il rarefarsi dei numeri che ammettono la parte in virtà
della quale nasceranno epimori o
epimeri, molto più rare saranno le proporzioni a causa del- l'aggiungersi di un terzo termine: infatti
non sempre il termine che contiene un
certo termine medio più la sua metà,65! poniamo, possie- de esso stesso la metà,652 né il termine che
contiene un certo termine medio più la
sua terza parte9 possiede sempre esso stesso la terza parte, e cosî più o meno accadrà per le parti
successive. Ma perché nasca una proporzione,
è necessario che i termini che contengono i
rapporti moltiplichino ciascuno le proprie basi, che appariranno anche nelle differenze della proporzione. Per
fare un esempio comu- ne di proporzioni
basali secondo tutte le specie dell’epimorio, a 774 GIAMBLICO καὶ συναρμοστέον κατ᾽ ἐμπλοκὴν αὐτούς, ὥσθ᾽
ἑκάστην συζυγίαν τριῶν ὅρων εἶναι, καὶ
κατὰ συνέχειάν γε ἀεὶ τῆς προτέρας συζυγί-
ας τοῦ ὑστάτου [20] ἄρχοντος τῆς μετ᾽ αὐτήν κατὰ γὰρ τὴν ἀδιά- ζευκτον ἐκλογὴν ἕκαστοι τρεῖς ὅροι ἀπὸ μονάδος
παραδείξουσι τὸ ζητούμενον. Ἡ δὲ τρίτη μεσότης ἡ καλουμένη ἁρμονική
ἐστιν, ὅταν τριῶν ὅρων ἀνίσων ὡς ἔχει ὁ
μείζων ὅρος πρὸς τὸν ἐλάχιστον, οὕτως ἢ
ὑπεροχὴ μειζόνων ὅρων πρὸς ὑπεροχὴν ἐλαττόνων, τουτέστιν ἡ τοῦ μείζονος παρὰ τὸν μέσον ὑπεροχὴ πρὸς τὴν τοῦ
μέσου παρὰ τὸν ἐλάττονα. ἑτέρα δέ ἐστιν
αὕτη παρὰ τὰς πρὸ αὐτῆς, [108] ὅτι ὁ
μέσος ὅρος οὔτε ἀριθμῷ τῶν ἄκρων ἴσῳ ὑπερέχει καὶ ὑπερέχεται, οὔτ᾽ ἐν λόγῳ ἐστὶν ὁμοίως πρὸς αὐτούς.
πυθμένες δὲ αὐτῆς β΄ γ΄ ς΄ ἢ γ΄ δ΄ ς΄:
κατὰ γὰρ τούτων πολλαπλασιασμὸν ἢ ἐπιμοριασμόν, ἐάν γε ἐπιδέχωνται, ἄλλαι πολλαὶ φύσονται. καλοῦσι
δέ τινες τὴν μεσό- mmta ταύτην
ἑστηκυῖαν, ὅτι ἐν μόνοις τοῖς εἰρημένοις πυθμενικοῖς ὅροις ὥσπερ ἑστῶσι καὶ πρωτοτύποις φαίνεται᾽
ἐπὶ γὰρ τῆς ἀριθμ- πητικῆς καὶ
γεωμετρικῆς ἀπείρους συζυγίας ἔνεστι συντάττεσθαι. ἀλλ᾽ οὖν ἐν ἀμφοτέραις ταῖς πυθμενικαῖς οἵ τε
ἄκροι ἐν διπλασίῳ καὶ τριπλασίῳ λόγῳ
εἰσὶ πρὸς ἀλλήλους καὶ αἱ τῶν μειζόνων πρὸς
τοὺς μέσους διαφοραὶ πρὸς τὰς τῶν μέσων πρὸς τοὺς ἐλάττονας. ἁρμονικὴ δὲ κέκληται ἡ μεσότης ὅτι
σπερματικῶς τοὺς ἐν ἁρμονίᾳ λόγους ἔστιν
ἐνιδεῖν αὐτῇ, οἷον ἐν τῇ y δ΄ ς΄ τὸ διὰ τεσσάρων λεγό- μενον σύμφωνον, ὅπερ ἐλάχιστόν ἐστι τῶν ἄλλων
συμφώνων δια- στημάτων, ἐν ἐπιτρίτῳ λόγῳ
θεωρούμενον ἐν ὅροις ἐστὶ τοῖς ἐλάτ-
τοσι, τουτέστι τῷ δ΄ πρὸς γ΄ τὸ δὲ διὰ πέντε, ὅπερ ἑξῆς μετὰ τὸ διὰ [20] τεσσάρων ἐστὶν ἐν ἡμιολίῳ λόγῳ ὃν ἐν
τοῖς μείζοσιν ὅροις, τουτέστι τῷ ς΄ πρὸς
δ΄" τὸ δὲ διὰ πασῶν σύστημα ὃν ἀμφοτέρων τῶν προειρημένων καὶ ἐν διπλασίονι λόγῳ
θεωρούμενον ἐν τοῖς ἄκροις, τουτέστι τῷ
ς΄ πρὸς γ΄. καὶ ἔτι ἡ τοῦ ς΄ διαφορὰ παρὰ τὸν δ΄ πρὸς τὴν τοῦ δ΄ παρὰ τὸν γ΄ ὁμοίως ἐν διπλασίῳ λόγῳ
ἐστί, κατὰ τὴν διὰ πασῶν συμφωνίαν. καὶ
μὴν καὶ ἡ δύναμις τῶν ἄκρων ἐπ᾽ ἀλλήλους
INTRODUZIONE ALL’ARITMETICA DI NICOMACO 775 cominciare dall’emiolio, e inoltre del
primo multiplo, cioè del dop- pio,
occorre anche in questo caso esporre in fila gli identici95 e j diversi, ambedue a partire dal proprio
inizio,659 e combinandoli insieme
adattarli m modo che ogni combinazione abbia tre termini, e sempre in continuazione l’ultimo termine
della combinazione pre- cedente da il
primo termine della combinazione seguente:05” infatti ciascuna tema di termini, presi a partire da
1 secondo una scelta non disgiunta,658
fornirà quello che cerchiamo.$59 La
terza medietà è la cosiddetta proporzione armonica, e si ha quando fra tre termini disuguali, come il
termine maggiore sta al ter- mine minore
cosi l'eccedenza fra i termini più grandi, cioè l’ecceden- za del maggiore sul medio, sta all’eccedenza
fra i termini più piccoli, cioè
all’eccedenza del medio sul minore. Questa terza medietà diffe- risce dalle due precedenti, [108] perché il
termine medio né supera né è superato
dai termini estremi secondo lo stesso numero,60 né si trova con essi nel medesimo rapporto. Basi
della medietà armonica sono 2, 3, 6,
oppure 3, 4, 6; molte altre medietà, infatti, si genereran- no secondo i multipli o gli epimori di tali
basi, naturalmente qualora li ammettano.
Alcuni chiamano questa, medietà “costante”, perché si manifesta soltanto nei suddetti termini
basali come fossero i suoi sta- bili
prototipi: infatti nelle medietà aritmetica e geometrica è possibile che si formino infinite combinazioni. Al
contrario, in ambedue le medietà basali
<della proporzione armonica> c’è rapporto doppio e triplo sia tra gli estremi62 che tra le
differenze dei maggiori rispetto ai medi
e le differenze dei medi rispetto ai minori.66? Ma questa medie- tà è detta armonica, perché in essa è
possibile vedere in germe i rap- porti
musicali: in 3, 4, 6, ad esempio, si può vedere il cosiddetto accordo di quarta, che è il più piccolo tra
tutti gli intervalli armonici, ed è
visibile nel rapporto epitrite dei termini minori, cioè nel rappor- to 4 a 3; l'accordo di quinta, che segue a
quello di quarta, ed è nel rap- porto
emiolio proprio dei termini maggiori, cioè nel rapporto 6 a 4; e infine l'accordo di ottava, che è la
combinazione di ambedue gli accordi
precedenti,64 ed è visibile nel rapporto doppio degli estremi, cioè nel rapporto 6 a 3. Inoltre, anche la
differenza tra 6 e 4 e quella tra 4 e 3
sono parimenti in rapporto doppio, come l'accordo di otta- va. In verità, anche il rapporto tra la
potenza degli estremi tra loro,665 [109]
cioè 18, e la potenza del medio per se stesso, cioè 16, essen- 776 GIAMBLICO ye [109] νομένων tà ιη΄ πρὸς τὴν τοῦ μέσου
ἐφ᾽ ἑαυτὸν γενομένου τὴν 15° ἐν ἐπογδόῳ
λόγῳ οὖσαν περιέχει τὸ τονιαῖον διάστημα ἐν
γὰρ τοῖς πρωτοτύποις ὅροις τοῖς γ΄ δ΄ ς΄ οὐκ ἐνῆν τὸν λόγον τοῦ δια- στήματος τούτου φανῆναι, διότι οὐδεὶς αὐτῶν
ὀγδόον μέρους ἐστὶ παρεκτικός, καθ᾽ ὃ
ἄλλος τις αὐτοῦ ἔσται ἐπόγδοος. πάλιν ἡ δύνα-
μις τοῦ μεγίστου ἐστὶ τριπλασία, ὁ δὲ τριπλάσιος λόγος περιέχει τὴν διὰ πασῶν ἅμα καὶ διὰ πέντε συμφωνίαν, ἡ
δὲ δύναμις καθ᾽ αὑτὸν τοῦ [10] μεγίστου
πρὸς τὴν δύναμιν τοῦ ἐλαχίστου λόγον ἕξει
τετραπλάσιον, ὃς περιέχει τὴν δὶς διὰ πασῶν συμφωνίαν. πάλιν δὲ ἐξ ἄλλης ἀρχῆς δύναμις τοῦ μὲν ἐλαχίστου πρὸς
τὸν μέσον ιβ΄, τοῦ δ᾽ αὐτοῦ πρὸς τὸν
μέγιστον 1°, τοῦ δὲ μέσου πρὸς τὸν μέγιστον κδ΄. ἰδία δὲ τοῦ μὲν γ΄ καθ᾽ ἑαυτὸν θ΄, τοῦ δὲ δ΄
ις΄, τοῦ δὲ ς΄ λς΄. καὶ ἔστιν ἐν μὲν
ἐπιτρίτῳ λόγῳ τῷ τὸ διὰ τῶν τεσσάρων περιέχοντι τά TE κδ΄ τῶν in καὶ τὰ 1β΄ τῶν θ΄" ἐν δὲ
ἡμιολίῳ τῷ διὰ πέντε τά τε in τῶν ιβ΄
καὶ τὰ κδ΄ τῶν 15° καὶ τὰ λς΄ τῶν κδ΄, [20] ἐν δὲ τριπλασίῳ λόγῳ, ἵνα τὸ διὰ πασῶν καὶ διὰ πέντε συστῇ, ὁ
λς΄ πρὸς τὸν ιβ΄, ἐν δὲ τετραπλασίῳ, ἵνα
τὸ δὶς διὰ πασῶν φανῇ, ὁ λς΄ πρὸς θ΄, ἐν δὲ
ἐπογδόῳ πρὸς τὴν τοῦ τονιαίου διαστήματος ἔμφασιν τὰ ιη΄ τοῦ ις΄, ὡς προερρήθη. καὶ ἡ ἑτέρα δὲ πυθμενικὴ
μεσότης ἡ β΄ γ΄ ς΄ αὐτόθεν μὲν ἔχει τὸν
τριπλάσιον λόγον ἔν τε τοῖς ἄκροις πρὸς ἀλλήλους καὶ τὰς διαφορὰς πάλιν πρὸς ἀλλήλας, ἐν ᾧ λόγῳ
ἐστὶν ἡ [110] διὰ πασῶν καὶ διὰ πέντε
μικτὴ συμφωνία, ὅπερ οὐχ ὑπῆρχε τῇ προτέρᾳ
μεσότητι γ΄ δ΄ «΄. εἰ δὲ καὶ πολλαπλασιάσαιμεν τούς τε ὅρους καθ᾽ ἑαυτοὺς καὶ ἐπ᾽ ἀλλήλους καὶ «τὰς»δ6 διαφορὰς
καθ᾽ ἑαυτὰς καὶ ἐπὶ τοὺς ὄρους καὶ ἔτι
ἐπ᾽ ἀλλήλας, φύσονται ἡμῖν πλείους συμφωνιῶν
λόγοι, ὡς ἔνεστί τινα δι᾽ ἑαυτοῦ φιλοκαλήσαντα κατανοῆσαι. προ- σαρμοσθείη δ᾽ ἂν κἀπὶ ταύτης τῆς μεσότητος οἰκείως
τὸ Πλατωνικόν᾽ ἁρμονικὴ γάρ ἐστιν ἡ
μεσότης ἡ «ταὐτῷ μέρει τῶν ἄκρων [10]
αὐτῶν ὑπερέχουσά τε καὶ ὑπερεχομένη», ὅπερ ἄλλῃ οὐ συμβέβηκεν. ἐπί τε γὰρ τῆς β΄ γ΄ ς΄ [τῷ αὐτῷ
μέρει} ὁ μέσος ὅρος τῷ αὐτῷ μέρει τῶν
ἄκρων, τουτέστιν ἡμίσει, ὑπερέχει τε καὶ
ὑπερέχεται᾽ ὑπερέχει μὲν τοῦ ἐλάττονος, ὑπερέχεται δὲ ὑπὸ τοῦ μείζονος: ἐπί τε τῆς γ΄ δ΄ ς΄ πάλιν ὁ μέσος
ὅρος τῷ αὐτῷ μέρει τρίτῳ, τῶν ἄκρων
ὑπερέχει μὲν τοῦ γ΄, ὑπερέχεται δὲ ὑπὸ τοῦ ς΄ μονάδι γὰρ καὶ δυάδι, ὑπεναντία δὲ τῇ ἀριθμητικῇ
μεσότητι αὕτη ἐνομίσθη ὑπὸ τῶν περὶ
Πυθαγόραν, διότι ἐκείνη τὸν μέσον [20] ὑπερεχό- 86 l'integrazione è di Vitelli. INTRODUZIONE ALL’ARITMETICA DI NICOMACO
777 do di rapporto ερίἰοἴζανο,667
contiene l’intervallo di un tono:$8 nei ter-
mini originari, infatti, non potrebbe manifestarsi il rapporto di tale intervallo, perché nessuno di essi ammette
l’ottava parte, sf che l’uno possa
essere 1/8 dell’altro. Ancora, la potenza del termine maggiore è tripla,669 e il rapporto triplo contiene
insieme gli accordi di ottava e di
quinta,670 mentre la potenza del maggiore per se stesso?! avrà il
rap- porto quadruplo della potenza del
minore per se stesso67? che contie- ne
due volte l’accordo di ottava.6?3 Ancora, da un altro punto di par- tenza, la potenza del termine minore per il
medio è 12, del minore per il maggiore è
18, del medio per il maggiore è 24; d’altra parte le potenze proprie di ciascuno dei tre
termini6?4 sono rispettivamente 9, 16,
36. E qui ci sono il rapporto epitrite, che contiene l’accordo di quarta, di 24 a 18, e di 12 a 9; il rapporto
emiolio, che contiene l’ac- cordo di
quinta, di 18 a 12, di 24 a 16, e di 36 a 24;6% il rapporto tri- plo, perché si combinino gli accordi di
ottava e di quinta, di 36 a 12; il
rapporto quadruplo, perché appaia il doppio dell'accordo di otta- va, di 36 a 9; e infine il rapporto
epiottavo, perché appaia l'intervallo di
un tono, di 18 a 16,577 come si è detto in precedenza. L'altra medie- tà basale, cioè 2, 3, 6, possiede
direttamente, contrariamente a quan- to
accadeva nella prima medietà 3, 4, 6, il rapporto triplo nel confron- to sia tra i termini estremi che tra le
differenze,678 rapporto che è quel- lo
in cui si trova [110] l’accordo misto di ottava e di quinta.979 Se poi moltiplichiamo i termini con se stessi e tra
loro, e le differenze con se stesse e
con i termini e ancora tra loro, vedremo nascere molti rappor- ti di accordo armonico, come potrà osservare
chi ama fare da sé i suoi calcoli. Si
potrebbe concordare, a proposito di questa medietà, con l’efficace definizione che ne dà Platone: la
medietà armonica, infatti, è «quella in
cui <il termine medio> supera ed è superato dai termini estremi di uguale parte»,680 cosa che non
accadeva ad altra medietà: infatti nella
medietà 2, 3, 6, il termine medio supera ed è superato dagli estremi di uguale loro parte, cioè
supera il minore ed è supera- to dal
maggiore rispettivamente di 1/2;681 e nella medietà 3, 4, 6, a sua volta, il termine medio supera ed è superato
dai termini estremi di uguale parte,
cioè di 1/3: supera di 1/3 il 3682 ed è superato di 1/3 dal 6,683 cioè rispettivamente di 1 e di 2. I
Pitagorici hanno creduto che questa
medietà fosse subcontraria alla medietà aritmetica, perché in quest’ultima il medio è superato e supera di
una uguale parte di se 778
GIAMBLICO μενόν te καὶ ὑπερέχοντα
εἶχεν ἰδίῳ αὑτοῦ μέρει οὐκέτι τῶν ἄκρων
καὶ τῷ αὐτῷ“ ἴσῳ γὰρ ὑπερέχει καὶ ὑπερέχεται ἀριθμῷ ἢ μονάδι, ἐπὶ δὲ τῆς ἁρμονικῆς οὐκ ἴσῳ. ἐπεὶ δὲ
βούλονταί τινες ὑπεναντίαν ἀμφοτέραις
ἀριθμητικῇ τε καὶ γεωμετρικῇ ταύτην ἐκδέχεσθαι,
ἔφαμεν δὲ ἡμεῖς τῇ ἀριθμητικῇ μόνῃ ὑπεναντίον τι πάσχειν, συλ- λήψεται ἡμῖν κἀκεῖνο᾽ ἐφέξει γὰρ τὸ μικτόν τι
παθοῦσαν φαίνεσθαι τὴν γεωμετρικὴν καὶ
μεσότητος λόγον ἔχειν πρός τε ἀριθμητικὴν
καὶ [111] ἁρμονικὴν ὡς ἀεὶ ἀκρότητα. τὰ γὰρ ἑκατέρας ἰδιώματα ἐφ᾽ ἑαυτῆς ἀναμίξει. ἦν μὲν γὰρ τῆς ἁρμονικῆς
ἴδιον τὸ τὸν μέσον ὅρον ὑπερέχειν τε καὶ
ὑπερέχεσθαι μέρει αὐτῶν τῶν ἄκρων ποιότητι τῷ
αὐτῷ, εἰ καὶ μὴ ποσότητι, οὐδέποτε δὲ τοῦ μέσου᾽ τῆς δὲ ἀριθμ- ητικῆς ἀνάπαλιν οὐκέτι τῶν ἄκρων, ἀλλὰ τοῦ
μέσου καὶ ποσότητι τῷ αὐτῷ. ἐπὶ δὲ τῆς
γεωμετρικῆς ὁ μέσος ὅρος è ὑπερέχει καὶ
ὑπερέχεται μέρει, ἐκεῖνο οὔτε μόνων τῶν ἄκρων ἐστὶν οὔτε μόνου τοῦ μέσου, ἀλλὰ καὶ μέσου [10] καὶ ἄκρων τοῦ
μὲν γὰρ ἑτέρου τῶν ἄκρων ὑπερέξει αὑτοῦ
μέρει, ὑπερσχεθήσεται δὲ ὑπὸ θατέρου τοῦ
ἐκείνου μέρει᾽ τὸ δὲ αὐτὸ ἔσται ποιότητι, εἰ καὶ μὴ ποσότητι τὸ μέρος, ὡς ἐπὶ τῆς ἁρμονικῆς. πολλάκις δὲ καὶ
πλείοσι μέρεσιν ὑπερέξει τε καὶ
ὑπερσχεθήσεται, ἐπὶ ποιότητι πάλιν τοῖς αὐτοῖς,
ὥστε καὶ κοινόν τι ἕξει πρὸς τὴν ἁρμονικὴν τὸ μόνον ποιότητι ταὐ- τὸν εἶναι τὸ μέρος, μηκέτι δὲ ποσότητι, καὶ
κατὰ τοῦτο οὐκ ἔσται αὐτῇ ὑπεναντία ἡ
ἁρμονική. πάλιν ἐν μὲν τῇ ἀριθμητικῇ κατὰ μὲν
τοὺς μείζονας ὅρους οἱ [20] ἐλάττονες λόγοι ἐφαίνοντο, κατὰ δὲ τοὺς ἐλάττονας οἱ μείζονες ἐν δὲ τῇ ἁρμονικῇ
ὑπεναντίως μείζονες μὲν ἐν τοῖς
μείζοσιν, ἐλάττονες δὲ ἐν τοῖς ἐλάττοσιν, ἐν δὲ τῇ γεω- μετρικῇ ὡσανεὶ μέσῃ αὐτῶν οὔσῃ οὔτε ἐλάττονες
οὔτε μείζονες, ἀλλ᾽ ἴσοι. διὰ δὴ ταῦτα
εὐλόγως ἂν μόνῃ τῇ ἀριθμητικῇ ὑπεναντία ἡ
ἁρμονικὴ λέγοιτο, οὐκέτι δὲ καὶ τῇ γεωμετρικῇ. ἴδιον δὲ ἔχει ἡ ἁρμονικὴ τὸ ὑπὸ μέσου καὶ συνάμφω τῶν ἄκρων
εἶναι διπλάσιον τοῦ ὑπὸ μόνων τῶν ἄκρων
γινομένου. [112] γεννᾶται δὲ προστάγμα-
σι τούτοις πάλιν ἀπὸ ἰσότητος πρῶτον ἐκ μονάδων «εἶτα δυάδων» εἶτα τριάδων καὶ ἐφεξῆς" πρῶτον ἐκ
πρώτου καὶ δευτέρου, δεύτερον δὲ ἐκ
πρώτου δύο δευτέρων, τρίτον δὲ ἐκ πρώτου δὶς δευτέρου τρὶς τρίτου, ἵνα γένηται ἡ τὰ ἄκρα καὶ τὰς
διαφορὰς ἐν τριπλασίῳ λόγῳ
INTRODUZIONE ALL’ARITMETICA DI NICOMACO 779 stesso e non degli estremi: supera,
infatti, ed è superato di un nume- ro o
unità uguale, mentre nella medietà armonica questo numero non è uguale. Ma poiché alcuni pretendono che
questa denominazione di “subcontraria”
spetti alla medietà armonica rispetto ad ambedue le medietà, l’aritmetica e la geometrica, e
invece noi dicevamo che è sub- contraria
solo alla medietà aritmetica, allora ci sarà utile considerare anche questo, cioè che si opporrà a
quell’opinione6* il fatto che la medietà
geometrica sembra avere una certa proprietà mista e una posizione intermedia rispetto alla medietà
aritmetica e a quella armo- nica, [111]
che saranno sempre suoi estremi: essa infatti mescolerà in se stessa le proprietà dell’una e dell’altra.
Era infatti proprietà della medietà
armonica che il termine medio superasse e fosse superato di uguale parte degli stessi estremi secondo la
qualità, anche se non secondo la
quantità, e mai di parte del medio; proprietà della medie- tà aritmetica, al contrario, era che il medio
superasse e fosse superato di uguale
parte non già degli estremi, ma del medio e secondo la quantità. Ora, nella medietà geometrica il
termine medio supera ed è superato di
una parte che non è né dei soli estremi né del solo medio, ma insieme del medio e degli estremi: infatti
il medio supererà un estremo di una
parte di quest’ultimo, mentre sarà superato dall’altro estremo di uguale parte <qualitativa>
di quello;685 e questa parte sarà uguale
secondo la qualità, anche se non nella quantità, come accade nella medietà armonica. Spesso supererà e
sarà superato di più parti, e ancora una
volta uguali per qualità, sicché la medietà geometrica avrà in comune con la medietà armonica il fatto
che la parte è uguale solo nella
qualità, e non pure nella quantità, e perciò l’armonica non potrà essere subcontraria rispetto alla
geometrica. Nella medietà arit- metica,
a sua volta, i rapporti minori si rivelavano tra i termini mag- giori, e i rapporti maggiori fra i termini
minori;686 nella medietà armo- nica, al
contrario, i rapporti maggiori si rivelavano tra i termini mag- giori, e i rapporti minori tra i termini
minori;68? nella medietà geome- trica,
che è intermedia tra le due, invece, i rapporti non si rivelano né minori né maggiori, bensi uguali. Perciò a
ragione si potrà dire che la medietà
armonica è subcontraria alla sola medietà aritmetica, e non pure alla medietà geometrica. L'armonica ha
come proprietà che il prodotto del medio
per la somma di ambedue gli estremi equivale al
doppio del prodotto dei due soli estremi.688 [112] Secondo queste 780 GIAMBLICO ἔχουσα. εἰ δὲ ἧ ἐν διπλασίῳ, πρῶτον ἐκ
πρώτου Kai δὶς δευτέρου, δεύτερον δ᾽ ἐκ
δὶς πρώτου καὶ δὶς δευτέρου, τρίτον δὲ ἐξ ἅπαξ
πρώτου δὶς δευτέρου τρὶς τρίτου. ἀπὸ μὲν γὰρ [10] ἰσότητος ἐν μονά- σιν ἔσονται κατὰ τὰ εἰρημένα προστάγματα αἱ
πυθμενικαὶ δύο μεσότητες ἡ β΄ γ΄ ς΄ καὶ
ἡ γ΄ δ΄ ς΄" ἀπὸ δὲ τῆς ἐν δυάσιν «αἱ διπλάσιαι καὶ ἀπὸ τῆς ἐν τριάσιν» αἱ τριπλάσιαι καὶ
ἐφεξῆς. ἀπὸ πασῶν δὲ τῶν γινομένων
πλάσεων τὰ ἰδιώματα τῆς ἁρμονικῆς παρακολουθήσει. Καθάπερ δὲ ἐπὶ τοῦ κανόνος τῶν ἐξάψεων
μενουσῶν ὁ ὑπαγωγεὺς μεθιστάμενος
ποικίλας συμφωνίας ἀποτελεῖ, τὸν αὐτὸν
τρόπον δυνατόν ἐστι, δύο ὅρων δοθέντων εἴτε ἀρτίων εἴτε καὶ περισσῶν καὶ τῶν [20] αὐτῶν διαμενόντων,
ἄλλην καὶ ἄλλην μεσό- mmta νῦν μὲν
ἀριθμητικὴν ἀποτελεῖν νῦν δὲ γεωμετρικὴν νῦν δὲ τὴν τῇ ἀριθμητικῇ ὑπεναντίαν, τουτέστιν
ἁρμονικήν᾽ ἰδοὺ γὰρ ἐν μὲν ἀρτίοις ὅροις
τῷ τε μ΄ καὶ τῷ ι΄ ὁ μὲν κε΄ ὅρος μεσότης γενόμενος ἀριθμητικὴν ἀποτελεῖ, fi καὶ τὰ ἰδιώματα
πάντα παρακολουθήσει, ὁ δὲ κ΄
γεωμετρικὴν σὺν τοῖς ἰδιώμασιν αὐτῆς, ὁ δὲ 19° ἁρμονικὴν μετὰ τῶν προσηκόντων [113] συμπτωμάτων. ἐν δὲ
περισσοῖς ὅροις τῷ τε με΄ καὶ τῷ ε΄ ὁ
αὐτὸς κε΄ μεσεμβοληθεὶς ὁμοίως ποιήσει τὴν
ἀριθμητικήν᾽ αἴτιον δ᾽ ὅτι οἷον προσέλαβεν ὁ μείζων πρὸς «τὸν μέ- σον», τοσούτων ἀφῃρέθη ὁ ἐλάττων, ὥστε κατ᾽
ἴσην πάλιν ὑπεροχὴν τὸν μέσον ὑπερέχειν
τε καὶ ὑπερέχεσθαι: τοῦτο γὰρ ἦν ἀριθμητικῆς
ἴδιον. ὁ δὲ ιε΄ μεσεμβοληθεὶς γεωμετρικὴν ποιήσει, ὁ δὲ θ΄ τὴν ἁρμονικήν. ἐλάττονας δὲ ἀριθμοὺς τῶν ἐκκειμένων
ἄκρων κατά τε τὸ περισσὸν εἶδος καὶ τὸ
ἄρτιον [10] περιεκτικοὺς τῶν τριῶν
μεσοτήτων οὐκ ἄν τις εὕροι, ἀλλ᾽ οὗτοι ἂν εἶεν οἱ πυθμενικοὶ καὶ ἐλάχιστοι.
Καὶ αἵδε μὲν αἱ τρεῖς μεσότητες πρὸς τῶν παλαιῶν μόναι λόγου ἠξιοῦντο, διαφοραῖς χρώμεναι πρὸς ἀλλήλας καὶ
ἰδιότησι καθ᾽ αὑτὰς ταῖς εἰρημέναις,
ἐφηρμόζοντο δὲ ὑπ᾽ αὐτῶν καὶ τῇ κοσμικῇ
INTRODUZIONE ALL'ARITMETICA DI NICOMACO 781 regole questa medietà è generata a sua
volta dall’uguaglianza, prima di 1, poi
di 2, poi di 3, e cosî di seguito; il primo termine nasce dalla somma del primo e del secondo, il secondo
termine dalla somma del primo e di due
secondi, a terzo termine dalla somma del primo, di due volte il secondo e di tre volte il terzo,
affinché si generi la medie- tà che
abbia gli estremi e le differenze in rapporto triplo.689 Se è in rapporto doppio,69 allora il primo termine
nasce dalla somma del primo e di due
volte il secondo, il secondo termine dalla somma di due volte il primo e di due volte il secondo,
il terzo termine dalla somma di una volta
il primo, di due volte il secondo e di tre volte il terzo.691 Dall’uguaglianza di 1, infatti, si
otterranno, secondo le sud- dette
regole, le due medietà basali, cioè 2, 3, 6, e 3, 4, 6; dall’ugua- glianza di 2 le medietà doppie e
dall’uguaglianza di 3 le medietà tri-
ple, e cosi di seguito. Da tutte queste formazioni seguiranno le pro- prietà della medietà armonica. Come nello strumento canonico
<musicale>, fermi restando i lega-
menti <della corda>, il ponticello, cambiando posizione, produce
vari accordi armonici, allo stesso modo,
dati due termini, o pari o anche
dispari, che restino sempre uguali, è possibile produrre di volta
in volta ora una medietà aritmetica, ora
una geometrica, ora quella sub-
contraria alla medietà aritmetica, cioè l’armonica; ecco infatti,
dati due termini pari, 40 e 10, se si dà
come termine medio 25, si produ- ce una
medietà aritmetica, a cui seguiranno tutte le sue proprietà; se si dà come termine medio 20, si produce una
medietà geometrica con le sue proprietà;
se si dà infine come termine medio 16, si produce una medietà armonica con tutte le proprietà
che le si addicono. [113] Dati invece
due termini dispari, 45 e 5, se si dà come termine medio quello stesso 25, si produrrà ugualmente una
medietà aritmetica; la ragione è che il
maggiore aumenta sul medio tanto quanto ne dimi- nuisce il minore,692 di modo che il medio
supera ed è superato di un’uguale
eccedenza rispetto agli estremi: tale era infatti la proprietà della medietà aritmetica. Se invece si pone
come medio 15, si produ- ce una medietà
geometrica, se 9 una medietà armonica. Non si
potrebbero trovare, posti quei due estremi numeri minori, di specie dispari o pari, che ammettano le tre medietà,
ma saranno questi appunto i termini
basali, cioè più piccoli. Ed erano solo
queste tre le medietà di cui si doveva discutere, 782 GIAMBLICO συστάσει καὶ ἁρμονίᾳ, ὡς ἐν ἄλλοις
δείξομεν. ai δὲ ἐπὶ ταύταις τρεῖς ὑπ᾽
᾿Αρχύτουϑ7 καὶ Ἱππάσου παραδοχῆς καὶ αὐταὶ ἠξιώθησαν, ὧν ἡ πρώτη, τετάρτη δὲ συναριθμουμένωνβϑβ τῶν
ἐξ ἀρχῆς τριῶν, ἰδίως ὑπεναντία [20] ὡς
ἔφαμεν κέκληται, διὰ τὸ ὑπεναντίον τι πά-
σχεῖν τῇ ἁρμονικῇ διὰ τοὺς ἐνοφθέντας αὐτῇ τῶν συμφωνιῶν λόγους. ἔστι δ᾽ οὖν ἡ τετάρτη μεσότης τοιαύτη’ τριῶν
ὅρων ὡς ἔχει ὁ μείζων πρὸς τὸν ἐλάττονα,
οὕτως ἕξει ἡ τῶν ἐλαττόνων ὅρων διαφορὰ πρὸς
τὴν τῶν μειζόνων. ὑπεναντία δὲ τῇ ἁρμονικῇ εἴρηται, διότι ἐν ἐκείνῃ ἡ τῶν μειζόνων ὅρων διαφορὰ πρόλογος
ἦν, ἐπὶ δὲ ταύτης ἡ τῶν ἐλαττόνων. τοὺς
δὲ ἄκρους τοὺς [114] αὐτοὺς διατηροῦσιν ἀμ-
φότεραι κατά τε τὰς πυθμενικὰς καὶ τὰς τούτων πολλαπλασίους. ὑποδείγματα δὲ ταύτης ἔσται β΄ ε΄ ς΄, γ΄ ε΄
ς΄, ἴδιον δὲ τὸ πολλαπλά- σιον ἀποτελεῖν
τὸ ὑπὸ τῶν μειζόνων ὅρων τοῦ ὑπὸ τῶν ἐλαττόνων.
οὔτε δὲ τῷ αὐτῷ μέρει τῶν ἄκρων αὐτῶν ὁ μέσος ὅρος ὑπερέξει τε καὶ ὑπερσχεθήσεται ὡς ἐπὶ τῆς ἁρμονικῆς, οὔτε
τῷ ἑαυτοῦ μέρει ὡς ἐπὶ τῆς ἀριθμητικῆς,
οὔτε ἅμα τῷ τε ἑαυτοῦ καὶ τοῦ ἑτέρου τῶν
ἄκρων ὡς ἐπὶ τῆς γεωμετρικῆς, ἀλλ᾽ [10] ἔσται τις ἰδιότης κατὰ τὴν ὑπεροχὴν ἑαυτῆς. γεννᾶται δὲ καὶ αὕτη ἐξ
ἰσότητος, πρώτως τῆς ἐν μονάσιν εἶτ᾽ ἐν
δυάσι καὶ τριάσιν καὶ ἑξῆς ἀκολούθως: πρῶτον ἐκ
πρώτου καὶ δευτέρου, δεύτερον δὲ «ἐκ» πρώτου δύο δευτέρων δύο τρίτων, τρίτον δὲ ἐξ ἅπαξ πρώτου δὶς δευτέρου
τρὶς τρίτου, καὶ φύ- σεται ἡ ἐν
τριπλασίῳ λόγῳ τοὺς ἄκρους ἔχουσα. ἵνα δὲ ἡ ἐν διπλα- σίῳ ἔχουσα γένηται, ποιητέον πρῶτον ἐκ πρώτου
δύο δευτέρων, δεύτερον δὲ ἐκ πρώτου δύο
δευτέρων δύο τρίτων, τρίτον δὲ ἐξ ἅπαξ
πρώτου δὶς δευτέρου τρὶς [20] τρίτου. αἱ μὲν οὖν εἰρημέναι πρωτό- τυποι φύσονται ἐκ τῆς ἀπὸ μονάδων ἰσότητος,
αἱ δὲ τούτων διπλά- σιαι ἐκ τῆς ἀπὸ
δυάδων καὶ τριπλάσιαι ἐκ τῆς ἀπὸ τριάδων καὶ ἑξῆς ἀκολούθως. ἡ δὲ πέμπτη ὑπεναντίον μέν τι καὶ
αὕτη πάσχει τῇ γεω- μετρικῇ, ἁπλῶς δὲ
πέμπτη εἴρηται διὰ τὸ προειλῆφθαι τῷ ὀνόματι
τὴν πρὸ αὐτῆς. ἔστι δ᾽ οὖν τριῶν ὅρων ὡς ὁ μέσος πρὸς τὸν ἐλάχι- στον, οὕτως ἡ αὐτῶν τούτων διαφορὰ πρὸς τὴν
τῶν μειζόνων, οἷον β΄ δ΄ ε΄.
ὑπηναντίωται δὲ τῇ γεωμετρικῇ, διότι ἐπὶ μὲν ἐκείνης ἦν ἡ τῶν 87 ὑπ’ ᾿Αρχύτου corresse Pistelli in Add.
et Corr. p. VIII: ἀπ᾽ ᾿Αρχύτου. 88
συναριθμουμένων congetturò Heiberg giustamente (cf. Add. et Corr. p. VIII): συναριθμουμένη. INTRODUZIONE ALL’ARITMETICA DI NICOMACO
783 secondo l’opinione degli antichi,
perché hanno tra loro le differenze e le
proprietà di cui si è detto, e gli antichi le adattavano sia alla strut- tura che all’armonia del mondo, come
mostreremo altrove. Oltre a queste ci
sono altre tre medietà secondo l’insegnamento di Archita e di Ippaso: la prima di esse, che rappresenta
quindi la quarta se con- tiamo le tre
iniziali, è detta “subcontraria” in senso proprio, come dicevamo, perché possiede una certa sua
proprietà subcontraria alla medietà
armonica per i rapporti di accordi armonici che in essa si possono vedere. La quarta medietà è dunque la
seguente: dati tre ter- mini, come il
maggiore sta al minore, cosi la differenza tra i minori starà alla differenza tra i maggiori.69 Si
dice che è subcontraria alla medietà
armonica, perché nell’armonica era prologo la differenza tra i termini maggiori, mentre in questa lo è la
differenza tra i termini minori.69 [114]
Ambedue queste medietà mantengono gli stessi
estremi sia quando sono basali che quando sono loro multipli.695 Esempi di questa quarta medietà saranno: 2,
5, 6, e 3, 5, 6, ed è loro proprietà che
il prodotto dei termini maggiori sia multiplo del pro- dotto dei termini minori. Ma il termine medio
né supererà e sarà superato di uguale
parte degli stessi estremi, come nella medietà
armonica,6% né di uguale parte di se stesso, come nella medietà arit- metica,697 né insieme di uguale parte di se
stesso e dell'altro estremo, come nella
medietà geometrica,’ bensi sarà una certa propriejà per eccedenza di se stessa.69° Anche questa
medietà nasce dall’uguaglian- za,
anzitutto da quella di 1, poi da quella di 2, e di 3, e cosi via: il primo termine nasce dalla somma del primo e
del secondo, il secon- do termine dalla
somma del primo, di due secondi e di due terzi, il terzo termine dalla somma di una volta il
primo, di due volte il secon- do e di
tre volte il terzo, e nascerà come una medietà che ha gli estre- mi in rapporto triplo. Perché si generi la
medietà che abbia gli estre- mi in
rapporto doppio, bisogna fare nascere il primo termine dalla somma del primo e di due secondi, il secondo
termine dalla somma del primo, di due
secondi e di due terzi, il terzo termine dalla somma di una volta il primo, di due volte il
secondo e di tre volte il terzo.
Nasceranno dunque dall’uguaglianza di 1 le cosiddette medietà pro- totipe:70 di esse, quelle doppie nasceranno
dalla medietà di 2, quelle triple da
quella di 3, e cosî di seguito. La quinta medietà ha anch’es- sa una certa proprietà subcontraria, ma
rispetto alla medietà geome- 784
GIAMBLICO [115] μειζόνων ὅρων διαφορὰ
πολλαπλασία τῆς τῶν ἐλαςσόνων, ἐπὶ δὲ
ταύτης ἀνάπαλιν ἡ τῶν ἐλασσόνων τῆς τῶν μειζόνων, ἐν μέντοι τῷ αὐτῷ λόγῳ ἐν ᾧ καὶ οἱ λεχθέντες ὅροι. ἴδιον
δ᾽ ἔχει τὸ διπλάσιον ἀποτελεῖν τὸ ἀπὸ
τοῦ μέσου τοῦ ὑπ᾽ ἐλαχίστου καὶ μέσου, καὶ ἔτι
τὸ ὑπὸ τῶν μειζόνων ὅρων τοῦ ὑπὸ τῶν ἄκρων. καὶ ταύτης δὲ αἱ πολ- λαπλάσιαι τὰ αὐτὰ ἕξουσι παρακολουθήματα.
γεννᾶται δὲ ἐκ τριῶν ἴσων ὅρων, πρῶτος
ὅρος ἐκ πρώτου καὶ δευτέρου, μέσος ἐκ δύο [10]
πρώτων δύο δευτέρων, μείζων ἐκ τοῦ πρώτου δύο δευτέρων δύο τρίτων. ἡ δὲ ἕκτη, ὅταν ὡς ὁ μέγιστος τῶν
τριῶν ὅρων πρὸς τὸν μέ- σον ἔχῃ, οὕτως
καὶ ἡ τῶν ἐλαττόνων ὑπεροχὴ πρὸς τὴν τῶν μειζόνων. διὰ ταὐτὰ δέ, δι᾽ ἅπερ καὶ ἣ πρὸ αὐτῆς, τῇ
γεωμετρικῇ ἠναντίωται, οἷον α΄ δ΄ ς΄.
κἀνταῦθα δὲ πρόλογός ἐστιν ἡ τῶν ἐλαττόνων ὅρων δια- φορά, τῆς γεωμετρικῆς πρόλογον ἐχούσης τὴν
τῶν μειζόνων ὅρων πρὸς ἀλλήλους, καὶ
συνάμφω τῶν διαφορῶν πρὸς ἀλλήλας ἡμιόλιοί
εἰσι. «καὶ»89 τοιοῦτοι γενήσονται καὶ οἱ τὸ ἴδιον [20] «ταύτης; τῆς μεσότητος ἀποδιδόντες λόγοι. τὸ γὰρ ἀπὸ τοῦ
μεγίστου ς΄ ἡμιόλιόν ἐστι τοῦ ὑπὸ τῶν
μειζόνων ὅρων, καὶ αὐτὸ τοῦτο «τοῦ» ἀπὸ τοῦ μέ-
σου, καὶ αὕτη δ᾽ ἂν γεννηθείη ἐκ τριῶν ἐν ἰσότητι ὅρων οὕτως; πρῶτος πρώτῳ ἴσος, δεύτερος δυσὶ πρώτοις δυσὶ
δευτέροις, τρίτος ἐξ ἅπαξ πρώτου δὶς
δευτέρου τρὶς τρίτου. ἡ μὲν οὖν πρωτότυπος ἀπὸ
μονάδων ἐστίν, αἱ δὲ ταύτης πολλαπλάσιαι ἀπὸ δυάδων καὶ τριάδων καὶ τῶν ἑξῆς ἰσοτήτων. [116] Εἴρηται καὶ περὶ τῶν ἑξῆς ταῖς πρώταις
τριῶν μεσοτήτων, αἷς καὶ οἱ ἀπὸ Πλάτωνος
μέχρις Ἐρατοσθένους ἐχρήσαντο, ἄρξαν-
τος ὡς ἔφαμεν τῆς εὑρέσεως αὐτῶν ᾿Αρχύτα καὶ Ἱππάσου τῶν μαθηματικῶν. τὰς δ᾽ ὑπὸ τῶν μετὰ ταῦτα
νεωτέρων περί τε Μνωνίδην καὶ Εὐφράνορα
τοὺς Πυθαγορικοὺς προσφιλοτεχνηθεί- σὰς
τέσσαρας οὔτε παραλείπειν ἄξιον: ἀφιλόκαλον γὰρ τὸ τοιοῦτον᾽ οὔτε μὴν ἐπεκτείνειν τὸν περὶ αὐτῶν
λόγον, διὰ τὸ μηδὲν οὕτω σεμνὸν αὐτὰς
ἔχειν μηδὲ ποικίλον, [10] ὡς τὰς πρὸ αὐτῶν. διό- περ ἐν ἐπιδρομῇ ῥητέον περὶ αὐτῶν
στοχαζομένους ἅμα καὶ τῆς τοῦ 89
l'integrazione è di Heiberg.
INTRODUZIONE ALL’ARITMETICA DI NICOMACO 785 trica,701 ed è detta quinta semplicemente
perché quella che la prece- de è la
quarta. Posti tre termini, dunque, come il medio sta al più pic- colo, cosi la differenza tra questi due sta
alla differenza tra i maggio- ri, come
ad esempio 2, 4, 5.702 È subcontraria alla medietà geometri- ca, perché mentre nella medietà geometrica
[115] la differenza dei termini maggiori
era multipla della differenza dei minori, in questa quinta medietà al contrario la differenza dei
minori è multipla della differenza dei
maggiori, e tuttavia nello stesso rapporto in cui stanno i detti termini. Sua proprietà è che il
prodotto del medio per se stes- so è
doppio del prodotto del più piccolo per il medio, e inoltre che il prodotto dei termini maggiori è doppio del
prodotto dei termini estremi. Ma anche i
suoi multipli daranno gli stessi risultati. Ed è generata anch’essa da tre termini uguali:?%
il primo termine dalla somma del primo e
del secondo, il medio dalla somma di due primi e di due secondi, il maggiore dalla somma del
primo, di due secondi e di due terzi. La
sesta medietà si ha quando, posti tre termini, come il più grande sta al medio cosi l'eccedenza tra
i minori sta all’eccedenza tra i
maggiori. Perciò la sesta medietà è subcontraria alla medietà geo- metrica, per le stesse ragioni della
precedente, come ad esempio 1, 4, 6.
Anche in questo caso è prologo, nella sesta medietà la differenza tra i termini minori, nella medietà geometrica al
contrario la differenza tra i maggiori,
e ambedue le differenze sono emiolie tra loro.?% Ed emioli saranno anche i rapporti che producono
la proprietà di questa medietà. Il
prodotto del termine più grande per se stesso, infatti, [cioè 36=6x6], è emiolio del prodotto dei due
termini maggiori [cioè 36 è emiolio di
24=4x6], e questo stesso [cioè 24] è emiolio del prodotto del medio per se stesso [cioè 24 è emiolio di
16=4x4], e questa medie- tà potrà
nascere dall’uguaglianza di tre termini nel seguente modo: il primo termine è uguale al primo, il secondo
alla somma di due primi e di due
secondi, il terzo alla somma di una volta il primo, di due volte il secondo e di tre volte il terzo. La forma
prototipa di questa medie- tà, dunque,
parte dall’uguaglianza di 1, e i suoi multipli dall’ugua- glianza di 2 e di 3, e cosi di seguito. [116] Abbiamo parlato cosî anche delle tre
medietà successive alle prime tre,75 di
cui si sono serviti gli studiosi da Platone ad
Eratostene, dopo che, come abbiamo detto,7% i matematici Archita e Ippaso le avevano scoperte. Ma è opportuno
non trascurare le quat- 786
GIAMBLICO βιβλίου συμμετρίας.
ὠνομάσαμεν δ᾽ αὐτὰς ἁπλῶς οὕτως" ἑβδόμην
καὶ ὀγδόην καὶ ἐνάτην καὶ δεκάτην. καὶ ἔστιν ἡ μὲν ἑβδόμη, ὅταν ὡς ὁ μέγιστος πρὸς τὸν ἐλάχιστον ἔχῃ, οὕτως ἡ
αὐτῶν διαφορὰ πρὸς τὴν τῶν ἐλαττόνων,
οἷον ς΄ η΄ θ΄. γένεσις δὲ αὐτῆς ἐκ τῆς τετάρτης
«τῆρ Y ε΄ ς΄ τὰ γὰρ ἐκείνης ἄκρα συνθεὶς ταύτης μέγιστον τάσσω, ἐκ δὲ ἐλαχίστου καὶ μέσου τὸν ταύτης ποιῶ
μέσον, τὸν δ᾽ ἐκείνης μέγιστον ταύτης
[20] ἐλάχιστον. παρακολουθεῖ δὲ ταύτῃ τὸ ἔχειν
τὸν αὐτὸν λόγον τὸ ὑπὸ τῶν μειζόνων ὅρων πρόμηκες πρὸς τὰ ὑπὸ τῶν ἐλαττόνων, ὅνπερ καὶ ὁ μέγιστος ὅρος πρὸς
τὸν ἐλάχιστον ἔχει, καὶ ἡ τῶν ἄκρων
διαφορὰ πρὸς τὴν τῶν ἐλαττόνων. ἡ δὲ ὀγδόη
θεωρεῖται, ὅταν ὡς ὁ μέγιστος πρὸς τὸν ἐλάχιστον ἔχῃ, οὕτως καὶ ἡ αὐτῶν τούτων ὑπεροχὴ πρὸς τὴν τοῦ μεγίστου
παρὰ [117] τὸν μέσον, ἀντιστρόφως τῇ πρὸ
αὐτῆς, οἷον ς΄ ζ΄ θ΄. γένεσις δὲ καὶ ταύτης ἐκ τῆς πέμπτης τῆς β΄ δ΄ ε΄. συνθεὶς γὰρ τοὺς
μεγίστους αὐτῆς ὅρους ποιῶ τὸν ταύτης
μέγιστον, τοὺς δ᾽ ἄκρους τὸν ταύτης μέσον τάσσω, τοὺς δὲ ἐλάττονας πάλιν συνθεὶς ἐκείνης ἔχω τὸν
ταύτης ἐλάττονα. παρακολουθεῖ δὲ αὐτῇ
τό, ὡς ὁ μέγιστος πρὸς τὸν ἐλάχιστον ἔχει,
οὕτως καὶ τὸ ὑπὸ τῶν μειζόνων ὅρων ἔχειν πρὸς τὸ ὑπὸ τῶν ἐλατ- τόνων. ἡ δὲ ἐννάτη, ὅταν ὡς ὁ μέσος ὅρος πρὸς
τὸν [10] ἐλάχιστον ἔχῃ, οὕτως ἡ διαφορὰ
τῶν ἄκρων πρὸς τὴν τῶν ἐλαττόνων, οἷον δ΄ ς΄
ζ΄. ἴδιον δὲ ἔχει τὸ ἐν τῷ αὐτῷ λόγῳ εἶναι τὸ ὑπὸ τῶν μειζόνων πρὸς τὸ ὑπὸ τῶν ἄκρων, ἐν ᾧπερ καὶ μέσος πρὸς
ἐλάχιστον, καὶ διαφορὰ δὲ ἄκρων πρὸς
διαφορὰν ἐλαττόνων. γεννήσομεν δὲ καὶ ταύτην ἐκ
τῆς ἕκτης «τῆς» α΄ δ΄ ς΄- συνθεὶς γὰρ αὐτῆς τὰ ἄκρα ποιῶ τὸν ταύτης μέγιστον, μέσον δὲ τάσσω τὸν ἐκείνης
μέγιστον, ἐλάχιστον δὲ τὸν μέσον.
ἔσονται δὴ τάξει ταῖς ἀπὸ τῆς ἑβδόμης τρισὶ μεσότησιν αἱ γενέσεις ἀπὸ τῶν πρὸ αὐτῶν τριῶν [20]
τετάρτης τε καὶ πέμπτης καὶ ἕκτης. ἡ δ᾽
ἐπὶ πάσαις δεκάτη ἐστίν, ὅταν ὡς ὁ μέσος ἔχῃ πρὸς τὸν ἐλάςσονα, οὕτως καὶ ἡ «διαφορὰ τῶν ἄκρων πρὸς
τὴν διαφορὰν» τοῦ μεγίστου παρὰ τὸν
μέσον, οἷον γ΄ ε΄ η΄. ἴδιον δὲ ταύτης τὸ ἐν ἐπιμε- INTRODUZIONE ALL’ARITMETICA DI NICOMACO
787 tro medietà che si sono aggiunte a
queste prime sei ad opera degli studi
approfonditi dei Pitagorici più recenti, Mionide ed Eufranore: non sarebbe elegante una tale omissione, ma
non è il caso neppure di dilungarci su
di esse, perché non hanno affatto la medesima dignità e varietà delle precedenti. Perciò bisogna che
ce la sbrighiamo rapida- mente a
proposito di queste ultime quattro medietà, allo scopo anche di contenere le proporzioni di questo nostro
libro. Abbiamo chiama- to queste medietà
semplicemente cosi: settima, ottava, nona e decima. La settima medietà si ha quando, <posti
tre termini>, come il più grande sta
al più piccolo, cosi la differenza tra il più grande e il più piccolo sta alla differenza tra i due minori,
ad esempio 6, 8, 9. Questa settima
medietà ha origine dalla quarta medietà, cioè 3, 5, 6: somman- do infatti gli estremi della quarta ottengo
il termine più grande della settima,
sommando a più piccolo e il medio nella quarta ottengo il medio della settima, mentre il più grande
della quarta è uguale al più piccolo
della settima. Ne consegue che in questa settima medietà il prodotto dei termini maggiori e il prodotto
dei minori stanno nello stesso rapporto,
che è promeche, in cui stanno il termine più grande e il più piccolo, e la differenza degli
estremi e la differenza dei mino- ri.?07
L'ottava medietà si può vedere quando, <posti tre termini>, come il più grande sta al più piccolo, cosi
l'eccedenza tra il più gran- de e il più
piccolo sta all’eccedenza tra il più grande e il medio, [117] cioè in modo inverso rispetto alla settima
medietà, come ad esempio 6, 7,9. Questa
ottava medietà ha origine dalla quinta, cioè da 2, 4, 5: sommando infatti i termini più grandi della
quinta medietà ottengo il termine più
grande dell’ottava, sommando gli estremi ottengo il medio, sommando i minori ottengo a sua volta
il minore. Ne conse- gue che in questa
ottava medietà, come il termine più grande sta al più piccolo, cosî il prodotto dei termini
maggiori sta al prodotto dei minori. La
nona medietà si ha quando, <posti tre termini>, come il termine medio sta al più piccolo, cosî la
differenza tra gli estremi sta alla
differenza tra i minori, ad esempio 4, 6, 7. Questa medietà ha come proprietà che il rapporto tra il
prodotto dei maggiori e il pro- dotto
degli estremi è lo stesso che tra il medio e il più piccolo, e tra la differenza tra gli estremi e la differenza
tra i minori. E faremo nasce- re questa
medietà dalla sesta, 1, 4, 6: sommando infatti gli estremi della sesta medietà ottengo il termine più
grande della nona, e ordino 788
GIAMBLICO pei λόγῳ θεωρεῖσθαι καὶ
πυθμένειν γε, ἀλλ᾽ οὐκ ἐν πολλαπλασίῳ ἢ
ἐπιμορίῳ. καὶ παρακολουθεῖ αὐτῇ τὸ ὑπὸ τῶν ἐλαττόνων [118] πρόμ- ηκες ἴσον τῷ ὑπὸ τῶν λεχθεισῶν διαφορῶν
ἀποτελεῖν: αἴτιον δ᾽ ὅτι οἱ αὐτοί εἰσιν
ἀριθμοί. γεννᾶται δὲ καὶ αὕτη ἐκ τῆς ἁρμονικῆς τῆς β΄ γ΄ ς΄, ἥτις πρὸ τῶν εἰρημένων ἐστὶ τριῶν
μέσων, ἵνα συνεχεῖς ἀπὸ συνεχῶν καὶ εἰ
μὴ εὐτάκτων τὴν γένεσιν σχῶσι. συνθεὶς γοῦν" τοὺς ἄκρους ἐκείνης ποιῶ τὸν ταύτης μέγιστον,
ἐκ δὲ τῶν ἐλασ- σόνων τὸν μέσον ταύτης
τάσσω, τὸν δὲ μέσον ἐφ᾽ ἑαυτοῦ ἐλάχιστον
ταύτης φυλάσσω. δέκα δὴ τῶν πασῶν ἡμῖν ἀναφανεισῶν μεσοτήτων, οὐ [10] τὸ τυχὸν ἐγκώμιον ἔσται τῆς δεκάδος
καὶ τοῦτο πρὸς τὸ μηδένα τέλειον λόγον
ἐκφυγεῖν αὐτήν, ἀλλ᾽ ὡσανεὶ δεχάδα τινὰ
οὖσαν τοὺς τῶν ὄντων ἁπάντων λόγους εἰς ἑαυτὴν ἀναδέχεσθαι, καὶ διὰ τοῦτο πᾶν καὶ ὅλον καὶ οὐρανὸν πρὸς τῶν
παλαιῶν ἐπωνομά- σθαι, ὡς ἐν τῷ περὶ
αὐτῆς λόγῳ πειρασόμεθα δεῖξαι, ὅταν καὶ τῶν
ἄλλων ἀπὸ μονάδος μέχρις αὐτῆς ἀριθμῶν ἑκάστου ἐπανθήματα εὐθὺς ἑξῆς μετὰ τήνδε τὴν εἰσαγωγὴν
δεικνύωμεν. Τὰ νῦν δὲ περὶ τῆς
τελειοτάτης ἀναλογίας ῥητέον [20] ἐν τέσ-
σαρσιν ὅροις ὑπαρχούσης καὶ ἰδίως μουσικῆς ἐπικληθείσης διὰ τὸ τοὺς μουσικοὺς λόγους τῶν καθ᾽ ἁρμονίαν
συμφωνιῶν τρανότατα ἐν αὐτῇ περιέχεσθαι.
εὕρημα δ᾽ αὐτήν φασιν εἶναι Βαβυλωνίων καὶ
διὰ Πυθαγόρου πρῶτον εἰς Ἕλληνας ἐλθεῖν. εὑρίσκονται γοῦν πολ- λοὶ τῶν Πυθαγορείων αὐτῇ κεχρημένοι, ὥςπερ
᾿Αρισταῖος ὁ Κροτωνιάτης καὶ Τίμαιος ὁ
Λοκρὸς [119] καὶ Φιλόλαος καὶ ᾿Αρχύτας
οἱ Ταραντῖνοι καὶ ἄλλοι πλείους, καὶ μετὰ ταῦτα Πλάτων ἐν τῷ Τιμαίῳ λέγων οὕτως «μετὰ δὲ ταῦτα
συνεπληροῦτο τά τε διπλάσια καὶ τριπλάσια
διαστήματα, μοίρας ἔτι ἐκεῖθεν ἀποτέμνων
καὶ τιθεὶς εἰς τὸ μεταξὺ τούτων, ὥστε ἐν ἑκάστῳ διαστήματι δύο εἶναι μεσότητας, τὴν μὲν ταὐτῷ μέρει τῶν
ἄκρων αὐτῶν ὑπερέ- 30 γοῦν congetturò Heiberg:
δ᾽ οὖν Pistelli. INTRODUZIONE
ALL’ARITMETICA DI NICOMACO 789 il
medio della nona come uguale al più grande della sesta, e il più pic- colo della nona come uguale al medio della
sesta. Le tre medietà nel- l'ordine a
partire dalla settima?08 si generano in tal modo dalle tre pre- cedenti, cioè rispettivamente dalla quarta,
dalla quinta e dalla sesta. La decima e
ultima medietà si ha quando, <posti tre termini>, come il medio sta al minore, cosi anche la
differenza tra gli estremi sta alla differenza tra il più grande e il medio, come
ad esempio 3, 5, 8. Proprietà di
quest’ultima medietà è che si può scorgere e stabilire come base il rapporto epimere,7°° ma non
multiplo o epimorio. Ne consegue che in
questa decima medietà il rapporto tra il prodotto dei minori, [118] che è promeche, è uguale al prodotto
delle dette diffe- renze: la ragione è
che i numeri sono gli stessi.?!0 E questa decima medietà si genera dalla medietà armonica 2,
3, 6, la quale precede le suddette tre
medietà intermedie,7!! in modo che ci sia una genesi di medietà continue da medietà continue,7!2
anche se non bene ordina- te.73 Sommando
dunque i termini estremi della medietà armonica
ottengo il più grande di questa decima medietà, sommando i minori dell’armonica ottengo il medio della decima,
mantengo infine il medio come tale
dell’armonica come il più piccolo della decima. Dal momento che ci sono apparse tutte e dieci le
medietà, faremo un elo- gio speciale del
numero 10, per il fatto che il 10 non sfugge a nessun rapporto perfetto, ma accoglie in sé come
fosse un “ricettacolo”7!4 i rapporti
propri di tutti gli enti, ed è per questo che è stato denomina- to dagli antichi “Tutto” e “Universo” e
“Cielo”,715 come cercheremo di mostrare
nel discorso che ad esso dedicheremo, quando mostrere- mo, subito dopo questa Introduzione, anche le
fiorite di ciascuno degli altri numeri
dall’ 1 al 10,716 Bisogna discutere ora
della proporzione perfettissima che inter-
corre tra quattro termini, di quella cioè che viene propriamente
chia- mata “proporzione musicale” per il
fatto che contiene in sé, in manie- ra
assolutamente nitida, i rapporti musicali degli accordi armonici. Si dice che essa sia stata scoperta dai
Babilonesi e che sia giunta in Grecia
per la prima volta attraverso Pitagora. Si scopre infatti che l'hanno utilizzata molti Pitagorici, ad
esempio Aristeo di Crotone?!? e Timeo di
Locri [119] e Filolao e Archita, ambedue di Taranto, e molti altri, e dopo di questi anche Platone nel
Tirze0,718 dove egli dice: «Dopo di ciò
[il Demiurgo] riempî gli intervalli doppi e tripli, taglian- 790 GIAMBLICO yovodv te καὶ ὑπερεχομένην, τὴν δ᾽ ἴσῳ μὲν
κατ᾽ ἀριθμὸν ὑπερέχουσαν, ἴσῳ δὲ [10]
ὑπερεχομένην᾽ ἡμιολίων δὲ καὶ ἐπιτρίτων
διαστάσεων διὰ πασῶν τῷ τοῦ ἐπογδόου λείμματι συνεπληροῦτο»:" καὶ τὰ τούτοις ἐφεξῆς, ἅπερ δῆλα πάντα ἔσται
μετὰ τὴν τῆς ἀναλο- γίας ταύτης
παράδοσιν. ἔστιν οὖν ἡ μουσικὴ καλουμένη ἀναλογία ἐν ὅροις τέσσαρσι, δύο μὲν ἄκροις δύο δὲ
μέσοις, ὥστ᾽ ἐμπεπλέχ- θαι διαφόρους
ὄντας τοὺς λόγους τῶν μέσων ὅρων πρὸς τοὺς ἄκρους κατὰ τὰς ἐν ἁρμονίαις συμφωνίας διεστώσαις.
ἐπεὶ γὰρ τὰ κατὰ μουσικὴν ἐν ἁρμονίᾳ
σύμφωνα γίνεται, φθόγγων δυεῖν ἢ καὶ πλε-
τόνων οὐχ ὁμοφώνων [20] ὑπὸ μίαν πλῆξιν κατακιρναμένωνϑ! καὶ τῇ ἀκοῇ ἑνοειδῶς προσπιπτόντων, ἐλάχιστον δὲ καὶ
πρῶτον τῇ ἀκοῇ αἰσθητὸν σύμφωνον
διάστημά ἐστι τὸ διὰ τεσσάρων: ἐν τοσαύτῃ γὰρ
αἱ περιέχουσαι αὐτὸ χορδαὶ ἀποστάσει εἰσὶν ἀπ᾽ ἀλλήλων. ἔστι δὲ τοῦτο ἐν ἐπιτρίτῳ λόγῳ, μεθ᾽ ὃ μιᾶς χορδῆς
προσληφθείσης τὸ μὲν ὅλον διά [120]
στημα παρὰ τὴν αὐτὴν αἰτίαν διὰ πέντε κέκληται, ἐν λόγῳ δὲ καὶ αὕτη ἡμιολίῳ τυγχάνει. διαφορὰ δὲ
τούτου πρὸς τὸν ἕτερον τὸ περιεχόμενόν
ἐστι διάστημα ὑπὸ τῆς προσληφθείσης
πέμπτης χορδῆς τονιαῖον ὑπάρχον καὶ ἐν ἐπογδόῳ λόγῳ τυγχάνον, ὥστε τὸ μὲν διὰ πέντε τοῦ διὰ τεσσάρων τόνῳ
ὑπερέξει, ὁ δὲ ἡμιόλιος λόγος ἐπιτρίτου
ἐπογδόῳ. καὶ ταῦτα μὲν ἀσύνθετα δια-
στήματα καὶ ἁπλῶς ἐν συμφώνοις κατείληπται, ἐξ ὧν συντιθεμένων τὰ μείζονα κατακορεστέραν ἤδη τὴν [10]
συμφωνίαν ἀποδίδωσι, καὶ πρῶτόν γε τὸ
διὰ πασῶν καλούμενον ὅπερ ἐξ ἀμφοτέρων
ἐκείνων σύνθετόν ἐστιν, ἐπικληθὲν καὶ αὐτὸ οὕτως, ὅτι πάσας ἐμ- περιέχει τὰς τὰ ἁπλᾶ σύμφωνα ἀποτελούσας
χορδάς, καὶ ἔστιν ἐν λόγῳ διπλασίφ᾽
παντὸς γὰρ ἐπιτρίτου καὶ ἡμιολίου λόγου σύστημά
ἐστιν ὁ διπλάσιος. ἐξ αὐτοῦ δὲ πάλιν τοῦ διπλασίου καὶ ἑκατέρου τῶν ἐξ ἀρχῆς «τὸ διὰ πασῶν ἅμα καὶ διὰ τεσσάρων
καὶ τὸ διὰ πασῶν ἅμα καὶ διὰ πέντε». τὸ
δὲ διὰ πασῶν ἅμα καὶ διὰ τεσσάρων λεγόμε-
νον οἱ Πυθαγορικοὶ μὲν σύμφωνον οὐκ [20] ᾧοντο εἶναι, διαφεῦγον πολλαπλάσιόν τε καὶ ἐπιμόριον λόγον καὶ ἔτι
ἐπιμερῆ, εἰς δὲ μικτὴν σχέσιν ἐκπῖπτόν
ἐστι’ καὶ γὰρ ὡς η΄ πρὸς γ΄, διότι τὰ μὲν ς΄
951 κατακιρναμένων sospettò Pistelli giustamente: κατακιρναμένη. INTRODUZIONE ALL'ARITMETICA DI NICOMACO
791 do ancora di là delle parti e
ponendole in mezzo ad essi, in modo che
in ciascun intervallo ci fossero due medi,?!9 di cui l’uno superasse
un estremo e fosse superato dall’altro
estremo di un’uguale parte di cia- scuno
di essi, e l’altro medio invece superasse e fosse superato di un’uguale quantità numerica;720 ed essendo
gli intervalli di rapporto emiolio ed
epitrite li completò con un limma??! di rapporto epiotta- vo,722 in modo da formare un accordo
completo»;?23 a queste seguo- no tutte
le indicazioni che appariranno chiare dopo che avremo spie- gato questo tipo di proporzione. Esiste
dunque una proporzione di quattro
termini che è chiamata musicale, formata da due estremi e due medi, in modo che i differenti rapporti
dei termini medi rispetto agli estremi
si intreccino secondo gli intervalli degli accordi armonici. Giacché, secondo la teoria musicale, gli
accordi armonici nascono appunto quando
due o anche più suoni non omofoni si fondono sotto un'unica percussione <dell’aria> e
giungono all'orecchio in modo
uniforme,724 e il più piccolo intervallo armonico, e il primo che
il nostro orecchio può percepire, è
l'accordo di quarta: tanta infatti è la
distanza reciproca delle corde che lo contengono.7 Tale accordo è
di rapporto epitrite, dopo di che,
aggiunta una corda di intervallo inte-
ro,726 [120] per la stessa ragione l’accordo è detto di quinta, e
anche questa corda è in rapporto con la
prima, ma il rapporto è emiolio. La
differenza tra questo accordo e l’altro??? è l'intervallo contenuto
dalla quinta corda che si è aggiunta, e
che è di rapporto epiottavo, sicché
l'accordo di quinta supererà l'accordo di quarta di un tono, e il rap- porto emiolio supererà il rapporto epitrite
di un rapporto epiotta- vo.728 E questi
intervalli, presi fuori della loro composizione, sono anche intesi come semplici accordi armonici,
mentre gli intervalli maggiori che
nascono dalla loro composizione dànno già l'accordo armonico più pieno, che è anche il primo
accordo armonico detto “diapason”72? e
composto di ambedue quegli accordi,7° e chiamato con questo nome, perché abbraccia tutte le
corde che producono gli accordi armonici
semplici, e che è di rapporto doppio: ogni rapporto epitrite??! combinato con un rapporto
emiolio”?? costituisce infatti un
rapporto doppio.?33 Dalla composizione tra questo rapporto doppio e ciascuno dei due rapporti iniziali, nascono
a loro volta, l'accordo di ottava e
insieme di quarta, e l'accordo di ottava e insieme di quinta. I Pitagorici invece non credevano che il
cosiddetto accordo di ottava e 792
GIAMBLICO τοῦ γ΄ διπλάσια, τὰ δὲ η΄
τοῦ ς΄ ἐπίτριτα" εἰς δ᾽ οὖν τὸ παρὸν κατὰ
τοὺς νεωτέρους νομιζέσθω καὶ αὐτὸ [121] σύμφωνον, σαφηνείας ἕνεκα τῶν ἑξῆς. μεθ᾽ ὃ πάλιν τὸ διὰ πασῶν ἅμα
καὶ διὰ πέντε σύμ- φωνόν ἐστιν ἐν
τριπλασίῳ λόγῳ ὄν, διότι ἐκ διπλασίου καὶ ἡμιολίου ὁ τριπλάσιος λόγος σύγκειται᾽ διπλάσια μὲν
γὰρ τὰ ς΄ τῶν γ΄, ἡμιόλια δὲ τὰ θ΄ τῶν
ς΄, ἅπερ πρὸς y ἐν τριπλασίῳ λόγῳ ἐστίν. ἑαυτῷ
δὲ τὸ διπλάσιον συντεθὲν ποιεῖ τὸ δὶς διὰ πασῶν σύμφωνον διά- στημα ἐν λόγῳ ὃν τετραπλασίῳφ᾽ δὶς γὰρ ὁ
διπλάσιος λόγος τετρα- πλάσιός ἐστι. τὰς
δὲ ἐπὶ τούτῳϑ2 μείζονας [10] συμφωνίας συμβαί-
νει γίνεσθαι, προσπλεκομένων πάλιν τῇ δὶς διὰ πασῶν τῶν ἐξ ἀρχῆς ἁπλῶν διαστημάτων, ἃ νῦν παρίεμεν ἑκόντες, ὡς
εὐκαιρότερον ὃν ἐν αὐτῇ τῇ Μουσικῇ
εἰσαγωγῇ περὶ αὐτῶν τεχνολογεῖν, τὰς δὲ ἐπι-
τάσεις καὶ ἀνέσεις τῶν χορδῶν κατὰ τοὺς εἰρημένους λόγους γινο- μένας πρῶτον Πυθαγόραν ἱστοροῦσι
συμμετρήσασθαι᾽ παριόντα γὰρ εἷς τι
χαλκοτυπεῖον, καὶ ἐκ τῆς τῶν ῥαιστήρων καταφορᾶς cvu- φώνου ἀπηχήσεως ἐπακούσαντα, συσταθμίσασθαι
τὰ βάρη, καὶ εὑρόντα «σύμμετρα αὐτὰ
ὄντα»9 καὶ ἐν λόγοις τοῖς εἰρημένοις, [20]
μεγαλοφυῶς περινοῆσαι καὶ ποικίλαις ὕλαις ἐφαρμόσαι τοὺς αὖ- τοὺς λόγους, νῦν μὲν μήκεσι χορδῶν ἢ ἰσοπαχῶν
μέν, κατὰ δὲ τὴν κολόβωσιν
συμμετρηθεισῶν πρὸς ἀλλήλας, ἢ ἀνάπαλιν ἰσομηκῶν μέν, ἀναλόγως δὲ παχυνθεισῶν, νῦν δὲ κατὰ μὲν
τὰ προειρημένα ἀδιαφόρων οὐσῶν κατὰ δὲ
μόνην τὴν τάσιν διαφόρως [122] συμμε-
τρηθεισῶν, πολλάκι δὲ καὶ κατὰ δύο τῶν εἰρημένων καὶ τρεῖς δια- φορὰς τὴν ἐξέτασιν ἀναλαμβανουσῶν. ἤδη δὲ
κἀπὶ τῶν συρίγγων καὶ αὐλῶν καὶ ὅλως τῶν
ἐμπνευστῶν τὸ ἀνάλογον ἐφαρμόζειν αὐτῷ
ῥᾶστον fiv: κἀκεῖ γὰρ ἀκολούθως τοῖς ἐντατοῖς τά τε μήκη καὶ αἱ κοιλώσεις κατὰ τοὺς εἰρημένους λόγους
συμμετρούμεναι τὰς συμ- φωνίας ἀπετέλουν,
τῆς μὲν εὐρύτητος καὶ μακρότητος τῶν αὐλῶν
ἀναλογούσης πάχει καὶ μήκει καὶ ἀνέσει χορδῆς, στενότητος δὲ καὶ [10] βραχύτητος λεπτότητί τε καὶ ἐπιτάσει
καὶ βραχύτητι. τὰς δ᾽ αἰτίας, δι᾽ ἃς
τοῦτο συνέβαινε, κατ᾽ οἰκεῖον τόπον ἐν αὐτῇ τῇ 92 ἐπὶ τούτῳ congetturò Heiberg giustamente
(cf. Ad4. et Corr. p. VIII): ε΄
τούτῳ. 9 lacuna colmata da Vitelli. INTRODUZIONE ALL’ARITMETICA DI NICOMACO
793 insieme di quarta fosse un accordo
armonico, perché esso non ammette alcun
rapporto, né multiplo né epimorio né epimere, ma scade in una relazione mista: e infatti è
come un rapporto 8 a 3, per- ché 6 è
doppio di 3, e 8 è epitrite di 6; ebbene ai giorni nostri bisogna credere, d'accordo con i matematici più
recenti, che anche questo è un accordo
armonico, [121] per quello che sarà chiarito in seguito. Dopo di che si dirà di nuovo che l’accordo di
ottava e insieme di quinta costituisce
un accordo armonico di rapporto triplo, perché il rapporto triplo è somma di rapporto doppio e
di rapporto emiolio: 6 infatti è doppio
di 3, ma 9 è emiolio di 6 e triplo di 3.734 Ma il doppio sommato a se stesso fa l’intervallo due volte
l’accordo di ottava, cioè di rapporto
quadruplo, perché il rapporto doppio?35 preso due volte è rapporto ‘quadruplo. Ed è appunto in questo
rapporto quadruplo che hanno origine gli
accordi armonici maggiori, se si applicano di
nuovo all'accordo di doppia ottava gli intervalli semplici iniziali,
che ora noi volentieri lasciamo da
parte, in quanto è più opportuno
approfondirli nella stessa Introduzione alla musica.?36 Si racconta che per primo Pitagora commisurò le tensioni e
gli allentamenti delle corde secondo i
suddetti rapporti: essendosi recato, infatti, nell’offi- cina di un fabbro, e avendo ascoltato la
risonanza armonica prodotta dalla caduta
dei martelli, misurò i pesi relativi dei martelli, e trovan- do che, essendo commisurati,
<rientravano> anche nei rapporti
armonici di cui si è detto, pensò, da quel grand’uomo che era, di applicare gli stessi rapporti a diversi
materiali, a corde ora di uguale
spessore, ma tagliate secondo lunghezze di misura proporzionata, o
al contrario di uguale lunghezza, ma di
spessore proporzionato, ora senza le
differenze di prima, ma commisurate secondo una diversa tensione, [122] ma spesso anche prendendole
in esame secondo le differenze di due o
tre dei suddetti criteri. Ed era ormai facile per lui applicare la proporzionalità anche alle
zampogne e ai flauti e a tutti gli
strumenti a fiato: anche in quei casi, infatti, sia-le lunghezze che le cavità, commisurate secondo i suddetti rapporti
sull'esempio degli strumenti a corda,
producevano gli accordi armonici, se c’era propor- zionalità tra la larghezza e la lunghezza dei
flauti e lo spessore e la lun- ghezza e
l’allentamento della corda, e tra il restringimento e l’accor- ciamento dei flauti e l’assottigliamento e la
tensione e l’accorciamen- to della
corda. Le ragioni per cui accadeva tutto ciò, le chiariremo a 794 GIAMBLICO Μουσικῇ εἰσαγωγῇ cagnvioduev. τὰ νῦν δὲ ὡς
ἐν ἐπιδρομῇ θεωρητέον ἐπ᾽ ἀριθμῶν τοὺς
εἰρημένους λόγους. ἵνα τοίνυν ἐπίτρι-
τον ἀποστήσῃ τις λόγον, ἀριθμοῦ δεῖ τρίτον ἔχοντος ὁ γὰρ τούτου ἐπίτριτος πάντως ἥμισυ ἕξει, ὅπως καὶ ὁ
τούτου ἡμιόλιος πρὸς τὸν ἐξ ἀρχῆς
διπλάσιον, ὡς ἔχει ἐπὶ τῶν ς΄ η΄ 18. ἢ πάλιν ἵνα ἡμιόλιον λόγον ποιήσω, ἀριθμοῦ δεῖ ἥμισυ ἔχοντος, ἵν᾽
ὁ ἡμιόλιος αὐτοῦ τει- νόμενος [20]
τρίτον ἀναγκαίως ἔχων ὑπεπίτριτον λόγον πρὸς ἄλλον τινὰ ὅρον παράσχῃ, ὃς τοῦ ἐξ ἀρχῆς ἔσται
πάλιν πολλαπλάσιος, ὡς ἔχει ἐπὶ τῶν ς΄
θ΄ ιβ΄. εἰ δὴ τηρήσαιμεν τοὺς ἄκρους ὅρους ἑστῶτας, ἐπειδὴ καὶ οἱ αὐτοί εἰσιν ἐν ἀμφοτέραις ταῖς
μεσότησι, τὸν ς΄ λέγω καὶ τὸν ιβ΄, τοὺς
δὲ μέσους ἅμα τάξαιμεν μεταξὺ αὐτῶν, ἔσται ἡ
εἰρημένη διὰ τεσσάρων ὅρων μουσικὴ ἀναλογία ἡ ς΄ η΄ θ΄ ιβ΄. πρῶτον δ᾽ ἑτάξαμεν αὐτῆς τὸν ς΄ ἀριθμόν, ἐπειδὴ
τρίτου ἅμα καὶ ἡμίσους [123] πρῶτος ἦν
ἐπιδεκτικός, ἵνα ἀπ᾿ αὐτοῦ τοὺς εἰρημένους λόγους ἀποστῆσαι δυνηθῶμεν, ἐπίτριτον μὲν τὸν η΄
πρὸς τὸν ἡμιόλιον τὸν ιβ΄, ὃς διπλάσιος
ἔσται τοῦ ἐξ ἀρχῆς ς΄, ἢ πάλιν ἡμιόλιον μὲν τὸν θ΄ πρὸς τὸν ἐπίτριτον τὸν ιβ΄, ὃς πάλιν ἔσται
τοῦ ἐξ ἀρχῆς «ς΄» διπλά- GLOG. καὶ αὕτη
ἐστὶν ἡ προειρημένη ἐμπλοκὴ τῶν μέσων ὅρων πρὸς
τοὺς ἄκρους. ὅτι δ᾽ ἀναγκαῖον ἦν πρῶτον τάξαι τὸν ς΄ πρὸς τὴν τῶν λόγων ἀπόστασιν, ἐντεῦθεν ἂν μάθοιμεν’ μονάδα
μὲν γὰρ οὐχ οἷόν τ᾽ [10] ἦν, ἐπειδὴ
ἀμερὴς ὑπόκειται καὶ οὔτε ἥμισυ οὔτε τρίτον
ἔχει, ἀλλ᾽ οὐδὲ δυάδα, διότι ἥμισυ μὲν ἔχει τρίτον δ᾽ οὐκ ἔχει,
οὐδὲ μὴν τὴν τριάδα τρίτον μὲν ἔχουσαν
ἥμισυ δ᾽ οὐκ ἔχουσαν, οὐδὲ τετράδα διὰ
τὰ αὐτὰ τῇ δυάδι (τρίτου γὰρ καὶ αὐτὴϑ4 ἐστέρηται), τὴν δὲ πεντάδα διὰ τὰ αὐτὰ τῇ μονάδι οὔθ᾽ ἥμισυ
οὔτε τρίτον ἔχουσαν. πρῶτος δὴ καὶ
ἐλάχιστος ἡμῖν ὁ ς΄ χρησιμεύσει πρὸς τὰς τῶν λόγων ἀποστάσεις, ἀποτέλεσμα ὧν τῶν δύο πρώτων
ἀριθμῶν καὶ ἡμίσους καὶ τρίτου
ἐπιδεκτικῶν, λέγω δὲ τοῦ β΄ καὶ γ΄. πρὸς [20] δὴ τὸν ς΄ ὁ μὲν η΄ ἐπίτριτος ὧν περιέξει τὴν διὰ τεσσάρων
συμφωνίαν. καὶ ἐπεὶ πρὸς τὸν η΄ ἡμιόλιός
ἐστιν ὁ ιβ΄ περιέχων τὴν διὰ πέντε, πρὸς τὸν ἐξ
ἀρχῆς ς΄ ὁ αὐτὸς ιβ΄ διπλάσιος ὧν «περιέξει τὴν διὰ πασῶν» συμ- φωνίαν σύνθετον οὖσαν ἐκ τῆς διὰ τεσσάρων καὶ
διὰ πέντε. καὶ πάλιν τοῦ ς΄ ὁ θ΄
ἡμιόλιος ὧν περιέξει τὴν διὰ πέντε, πρὸς δὲ τὸν θ΄ 94. αὐτὴ congetturò Vitelli: αὕτη
Pistelli. INTRODUZIONE ALL'ARITMETICA
DI NICOMACO 795 suo luogo nella stessa
Introduzione alla musica. Le cose che adesso
dobbiamo considerare rapidamente riguardano, invece, i suddetti rapporti numerici. Perché dunque si
costituisca un intervallo di rap- porto
epitrite, occorre che il numero ammetta una terza parte: l’epi- trite infatti avrà sempre una metà, cosî come
l’emiolio dell’epitrite è sempre il
doppio del numero iniziale, come accade tra i numeri 6, 8, 12. O ancora, perché io ottenga un rapporto
emiolio, occorre che il numero ammetta
una metà, affinché il suo rapporto emiolio, esten- dendosi, abbia necessariamente una terza
parte e fornisca quindi un rapporto
sotto-epitrite rispetto a un altro termine, che sarà a sua volta multiplo di quello iniziale, come accade tra
i numeri 6, 9, 12. Se quin- di
manteniamo fissi i termini estremi, giacché sono uguali in ambedue le medietà, intendo dire 6 e 12, e al tempo
stesso poniamo tra di essi i termini
medi [8 e 9], si avrà la proporzione musicale di quattro ter- mini di cui si è detto, cioè 6, 8, 9, 12.
Come suo primo termine noi poniamo il
numero 6, giacché era il primo numero che ammetteva insieme il terzo e la metà, [123] in modo che
possiamo intervallare da questo numero 6
i detti rapporti, cioè l’epitrite 8 rispetto all’emiolio 12, che sarà doppio del numero iniziale 6, o
ancora l’emiolio 9, rispet- to
all’epitrite 12, che sarà di nuovo doppio del numero iniziale 6. Ed è questa la combinazione dei termini medi con
gli estremi, della quale si diceva
prima. Che per intervallare i rapporti fosse necessario ordi- nare come primo termine il 6, potremmo
apprenderlo dal seguente ragionamento:
non è possibile che il primo termine sia 1, perché sog- giace a indivisibilità e non ha né metà né
terza parte, ma neppure 2, perché ha la
metà ma non la terza parte, e neppure 3, perché ha la terza parte ma non ha la metà, e neppure 4,
per le stesse ragioni del 2 (è privo
infatti anch’esso di terza parte), e neppure 5, per le stesse ragioni dell’ 1, perché cioè non ha né metà
né terza parte. Quindi il primo e più
piccolo numero che sarà utile per intervallare i rapporti è 6, che è prodotto dei primi due numeri che
ammettono rispettiva- mente metà e terza
parte, intendo dire 2 e 3. E in rapporto a 6, 8 che è epitrite, fornirà l'accordo di quarta. E
poiché in rapporto a 8, 12 è emiolio,
conterrà l’accordo di quinta, ma in rapporto al 6 iniziale, lo stesso 12 che è doppio, conterrà l'accordo di
ottava, che è composto dagli accordi di
quarta e di quinta.?3” E a sua volta in rapporto a 6, 9 che è emiolio, conterrà l'accordo di quinta,
mentre in rapporto a 9, 12 796
GIAMBLICO ὁ ιβ΄ τὴν διὰ τεσσάρων
ἐπίτριτος ὧν αὐτοῦ, πρὸς δὲ τὸν ἐξ ἀρχῆς ς΄
πάλιν τὴν διὰ πασῶν. τὴν δὲ ὑπεροχὴν τοῦ διὰ πέντε πρὸς τὸ διὰ τεσσάρων, τὸ τονιαῖον [124] διάστημα,
περιέξουσιν οἱ μέσοι ὁ θ΄ πρὸς π΄ ἐν
ἐπογδόῳ λόγῳ ὄντες, διότι ὁ ἡμιόλιος λόγος τοῦ ἐπιτρίτου ἐπογδόῳ ὑπερέχει, ὡς εἴρηται. καὶ ἡ διαφορὰ
δὲ μειζόνων ὅρων τοῦ 1β΄ καὶ θ΄ «πρὸς
τὴν» τοῦ η΄ καὶ ς΄ τὸν ἡμιόλιον λόγον περιέξει, ὅς ἐστι τῆς διὰ πέντε συμφωνίας καὶ κατ᾽
ἐμπλοκὴν ἡ διαφορὰ τοῦ ιβ΄ καὶ η΄ πρὸς
διαφορὰν τοῦ θ΄ καὶ ς΄ τὸν ἐπίτριτον ἕξει λόγον τῆς διὰ τεσσάρων συμφωνίας: τὸν δὲ διπλάσιον ἥ τε τοῦ
η΄ καὶ ς΄ διαφορὰ πρὸς τὴν τοῦ [10} η΄
καὶ θ΄ διαφοράν, καὶ ἡ τοῦ ιβ΄ καὶ η΄ διαφορὰ
πρὸς τὴν τοῦ η΄ καὶ ς΄ διαφοράν, καὶ ἔτι ἡ τοῦ ιβ΄ καὶ ς΄ διαφορὰ
πρὸς τὴν τοῦ θ΄ καὶ ς΄ διαφοράν. καθ᾽
ἑκάστην γὰρ συζυγίαν λόγος ἐστὶ τῆς διὰ
πασῶν συμφωνίας ὁ διπλάσιος. τὸν δὲ τριπλάσιον λόγον περιέξει τῇ διὰ πασῶν καὶ διὰ πέντε συμφωνίᾳ
ἡ διαφορὰ τοῦ τε θ΄ καὶ ς΄ πρὸς διαφορὰν
τοῦ θ΄ καὶ η΄ ἢ καὶ «» διαφορὰ τοῦ ιβ΄ καὶ ς΄
πρὸς διαφορὰν τοῦ η΄ καὶ ς΄. τὸν δὲ τετραπλάσιον λόγον τῆς «δὶς διὰ πασῶν συμφωνίας, ἡ τοῦ 18° καὶ η΄ [ἡ] διαφορὰ
[20] πρὸς τὴν τοῦ θ΄ καὶ η΄ διαφοράν.
καὶ πλείονας δ᾽ ἄν τις εὕροι λόγους τῶν συμφώνων διαστημάτων πολλαπλασιάσας τοὺς ἐκκειμένους
τέσσαρας ὅρους ἐπί τε αὑτοὺς ἕκαστον καὶ
ἐπ᾽ ἀλλήλους, καὶ ἔτι ἐπὶ τὰς αὐτῶν δια-
φοράς, καὶ αὐτὰς τὰς διαφορὰς καθ᾽ ἑαυτάς τε καὶ ἐπ᾽ ἀλλήλας, ὡς ἔνεστι κατὰ τὸ φιλόκαλον δι᾽ αὑτοῦ ἕκαστον
πειραθέντα κατανοῆσαι. ἔστιν οὖν πάλιν
μουσικὴ μεσότης, ὅταν ἐν τέτταρσιν ὅροις
ἦ ὡς [125] ὁ μέγιστος πρὸς τὸν παρ᾽ αὐτόν, οὕτως ὁ τῶν μέσων ἐλάττων πρὸς τὸν ἐλάχιστον. ὡς δ᾽ ὁ μέγιστος
πρὸς τὸν τῶν μέσων ἐλάττονα, οὕτως ὁ τῶν
μέσων μείζων πρὸς τὸν ἐλάχιστον. παρακο-
λουθεῖ δὲ αὐτῇ τὸ ὑπὸ τῶν ἄκρων πρόμηκες ἴσον ἀποτελεῖν τῷ ὑπὸ τῶν μέσων γινομένῳ ἑτερομήκει. περιέχει δὲ
καὶ τὰς πρωτίστας τρεῖς μεσότητας μόνη,
ἀριθμητικὴν μὲν ἐν ὅροις τοῖς 1β΄ θ΄ ς΄" ἴσως γὰρ ὁ μέσος «ὑπερέχει τε καὶ» ὑπερέχεται.
ἁρμονικὴν δὲ ἐν ὅροις τοῖς 18° η΄ ς΄
[10] τῷ γὰρ αὐτῷ μέρει τῶν ἄκρων αὐτῶν ὁ μέσος
ὑπερέχει τε καὶ ὑπερέχεται. τὴν δὲ γεωμετρικὴν ἐν διαζεύξει᾽ ἔστι γὰρ ὡς ιβ΄ πρὸς π΄, θ΄ πρὸς ς΄, ὥστε τὴν
ταυτότητα τῶν λόγων διὰ τῶν δ΄ ὅρων
ἀποδοθῆναι. INTRODUZIONE
ALL'ARITMETICA DI NICOMACO 797 che è
epitrite, conterrà l'accordo di quarta, e in rapporto al 6 iniziale <essendo doppio> conterrà di nuovo
l’accordo di ottava. L’eccedenza, poi,
dell'accordo di quinta sull’accordo di quarta, cioè l'intervallo di un tono, [124] sarà contenuta
dai termini medi 9 in rapporto a 8, che
sono in rapporto epiottavo, ed è per questo che, come si è detto, il rapporto emiolio eccede
quello epitrite di un epiot- tavo. Ma
anche la differenza tra i termini maggiori, cioè 12 e 9, sarà in rapporto emiolio rispetto alla differenza
tra 8 e 6,738 rapporto che è proprio
dell’accordo di quinta; e per converso la differenza tra 12 e 8 conterrà il rapporto epitrite rispetto alla
differenza tra 9 e 6, rappor- to che è
proprio dell'accordo di quarta; saranno poi in rapporto dop- pio la differenza tra 8 e 6 rispetto alla
differenza tra 8 e 9, e la diffe- renza
tra 12 e 8 rispetto alla differenza tra 8 e 6, e inoltre la differen- za tra 12 e 6 rispetto alla differenza tra 9
e 6. Il rapporto doppio di ciascuna
combinazione, infatti, è proprio dell’accordo di ottava. Il rapporto triplo sarà invece contenuto, per l'accordo
di ottava e di quinta, dalla differenza
tra 9 e 6 rispetto alla differenza tra 9 e 8,0
anche dalla differenza tra 12 e 6 rispetto alla differenza tra 8 e 6. Il rapporto quadruplo sarà invece contenuto, per
l'accordo di doppia ottava, dalla
differenza tra 12 e 8 rispetto alla differenza tra 9 e 8. E si potrebbero scoprire molti altri rapporti di
intervalli armonici molti- plicando i
quattro termini esposti, ciascuno per se stesso e tra di loro, e ancora moltiplicando le loro differenze,
ciascuna per se stessa e tra di loro,
come potrà osservare chi ama fare da sé i suoi calcoli.?39 Esiste dunque anche una medietà musicale,74° quando
fra quattro termini, [125] come il
termine più grande sta a quello che lo segue,74! cosi il minore dei medi sta al termine pit piccolo; e
come il termine più grande sta al minore
dei medi, cosî il maggiore dei medi sia al termi- ne più piccolo.?42 Ne consegue che in questa
medietà il prodotto degli estremi, che è
un numero promeche, è uguale al prodotto dei medi, che è un numero eteromeche. Essa è la sola
che contiene tutte e tre le medietà
assolutamente prime, e precisamente la medietà aritmetica nei termini 12, 9, 6: il medio infatti supera
ed è superato di pari quan- tità
numerica; la medietà armonica nei termini 12, 8, 6: il medio infat- ti supera ed è superato della stessa parte
degli estremi; la medietà geo- metrica
in disgiunzione:?4 infatti come 12 sia a 8, cosi 9 sta a 6, sic- ché nei quattro termini si dà identità di
rapporti. 798 GIAMBLICO Καὶ τοῦτο μὲν ἡμῖν πέρας τῆς Εἰσαγωγῆς ἔστω
τὸ παρὸς τῆς κατὰ τὸν Πυθαγόρειον
Νικόμαχον, αὖθις δὲ θεοῦ διδόντος ἐντελέστερόν
σοι καὶ αὐτὴν ταύτην τὴν ᾿Αριθμητικὴν εἰσαγωγὴν ὡς ἂν ἤδη ἕξιν παρακολουθητικὴν διὰ ταύτης ἐσχηκότι
ποιήσαντες παρέξομεν' καὶ ὅσα δὲ ἄλλα
ἐπανθεῖ τοῖς ἀπὸ μονάδος μέχρι [20] δεκάδος ἀριθ- μοῖς κατὰ τὸν φυσικὸν λόγον καὶ τὸν ἠθικὸν
καὶ ἔτι πρὸ τούτων τὸν θεολογικὸν
κατατάξαντες συμφιλολογήσομεν, ἵνα ἀπ᾽ αὐτῶν εὐμα- ρεστέρα σοι λοιπὸν καὶ ῥάστη τῶν ἑξῆς τριῶν
εἰσαγωγῶν, μουσικῆς λέγω καὶ γεωμετρικῆς
καὶ σφαιρικῆς, ἡ παράδοσις γίνηται.
INTRODUZIONE ΑΙ ΑΚΙΤΜΕΤΙΟΑ DI NICOMACO 799 E qui abbia termine per noi, temporaneamente,
questa Introduzione
<all'aritmetica> condotta secondo l'insegnamento di Nicomaco Pitagorico; in seguito ti
presenteremo, dio permettendo, questa
stessa Introduzione <all’aritmetica> in forma più completa, facendo anche in modo che tu possa ormai
acquisire con essa un habt- tus di
intelligenza critica; e studieremo insieme quante altre proprie- tà fioriscano nei numeri da 1 a 10
trattandole secondo l’ordine natu- rale
e l'ordine morale, e ancora secondo l’ordine teologico che prece- de quei due, affinché partendo da queste
proprietà aritmetiche ti venga poi più
agevole e assolutamente facile l'insegnamento delle tre successive Introduzioni, intendo dire
dell’Introduzione alla musica,
dell’Introduzione alla geometria e dell’Introduzione alla sferica. NOTE ALLA INTRODUZIONE ALL'’ARITMETICA DI NICOMACO 1 Sc. come il suo contenuto. 2 Sc. come “aritmetica”. 3 Sc. delle scienze matematiche in
generale. 4 Sc. forme numeriche
universali. 5 κοινὰ νοήματα: appare
evidente la distanza semantica tra questo νοή-
ματα e l' ἐννοήμασιν che precede e che viene escluso assieme ai
φαντάσμα- τα. È pure evidente il senso
di “pura intuizione” intellettiva che Giamblico
attribuisce a queste nozioni comuni di cui si compone l’aritmetica
primaria, dal momento che, come dice
altrove, il procedimento conoscitivo della mate- matica è basato sulla facoltà raziocinativa
[διάνοια] di cui appunto queste nozioni
altro non sono che i fondamenti e i presupposti (cf. Giamblico, De comm. math. sc. 11,9-11 ἡ μαθηματικὴ ἐπιστήμη
γνῶσίς ἐστι μέση, πλεονά- ζουσα τοῦ νοῦ
τῇ συνθέσει, διανοητική τις οὖσα). 6
ἀκριβῶς: cioè con la massima esattezza nel definire e nello spiegare i concetti.
? Organizzando, cioè, i concetti e le parti della sua esposizione senza
salti né inversioni. 8 Non può trattarsi qui della dimostrazione
nel suo significato tecnico, cioè come
procedimento logico-razionale, insomma nel senso aristotelico (cf. Aristotele, An. Post. 85 B 23 5. ἡ ἀπόδειξις
μέν ἐστι συλλογισμὸς δεικτικὸς αἰτίας
καὶ τοῦ διὰ τί), ma della determinazione dei principi generali di ogni dimostrazione matematica: un conto è definire
i principi di una scienza, altro conto è
dimostrarne vere le proposizioni. Lo stesso Aristotele, Ar. Post. 90 A 35 ss., distingue nettamente la conoscenza
per definizione dalla conoscen- za per
dimostrazione: «Ci si porrà il problema se è la stessa cosa e sotto lo stesso riguardo conoscere per definizione
[ὁρισμῷ εἰδέναι] e conoscere per
dimostrazione [ἀποδείξει], o se ciò sia impossibile [...Jinfatti si
potrà anche conoscere qualcosa per
definizione, senza averne dimostrazione; nulla però impedisce di averle insieme» (90 B 1
ss.). ? In effetti nessuna opinione è
ammessa nella matematica, perché è l’opi-
nione in quanto tale che è estranea ad essa. Si ricordi che in Platone,
Resp. VI, 509 D 7 ss., opinione e
ragione matematica rappresentano due segmenti
ben distinti della linea del conoscere, e le forme matematiche in sé
sono cose che non si possono vedere se
non con la ragione [οὐκ ἂν ἄλλως ἴδοι τις ἢ τῇ
διανοίᾳ 511 A 1]. INTRODUZIONE
ALL'ARITMETICA DI NICOMACO 801 10 Sc.
della conoscenza matematica, che sta alla base della conoscenza degli enti reali. 11 Questo concetto della distribuzione
dell'oggetto matematico in generi e
specie, soprattutto ai fini dell’insegnamento, è basilare nella mentalità
pita- gorica, e giamblichea in ispecie,
tanto che viene ribadito [o anticipato] in De
comm. matb. sc.: «Essi infatti insegnano approfonditamente
[ἀναδιδάσκου- σιν] come nasca ogni
genere e ogni specie di numero e come noi possiamo scoprirlo». Si noti che il verbo ἀναδιδάσκω è
usato nel De cormzzz. math. sc.
frequentemente e sempre con tale significato forte. Per converso, di
questo verbo non c’è alcuna occorrenza
nell'Ix Nicom. (ma del resto non occorre
neppure nel testo di Nicomaco).
12 Pag. 5,27-7,2 = Giamblico, Vita Pyth. 89,23-90,20 Deubner. 13 La nozione di saggezza come “scienza
della verità degli enti” si ritro- va in
Giamblico Protr. 14, 115,9 ss.: θάνατος δὲ ὁ τῆς ψυχῆς χωρισμὸς ἀπὸ τοῦ σώματος, οὗτος δὲ τὸ φιλοσοφεῖν ὡς ἀληθῶς
καὶ ἄνευ αἰσθητηρίων καὶ σωματικῶν
ἐνεργειῶν καθαρῷ τῷ νῷ χρῆσθαι εἰς κατάληψιν τῆς ἐν τοῖς οὖσιν ἀληθείας, ἤπερ ἐπέγνωσται σοφία οὖσα.
Ciò che Giamblico riferisce nel cap. 4
dello stesso scritto come pensiero contenuto nel Περὶ σοφίας di Archita -- che dalla critica è ritenuta opera
non di Archita, ma di un Anonimo del III
sec. a.C. (cf. H. Thesleff, Ax Introduction to the Pytbagorean Writings of the Hellenistic
Period, Àbo 1961, 115 --, presenta
notevoli differenze concettuali fondate tutte sul fatto che li σοφία si
esten- de a tutti gli enti, in quanto
«la sapienza pensa come presenti le cose che in
se stesse sono le più lontane, e contiene in sé le forme di tutti gli
enti » (Giamblico, Protr. 4, 17,23
ss.). 14 Qui il discorso appare
chiaramente ispirato dalla concezione platoni-
ca, che in ogni caso sta alla base di quella pitagorica in tutta
l’opera. Del resto in questo punto non
si sta parlando della matematica, bensi della filo- sofia come tale, cioè come desiderio o amore
di saggezza. 15 Sc. non per
omonimia. 16 Pag. 7,3-9,23 = Giamblico,
De comm. matb. sc. 28,24-32,7. 17
μέγεθος è termine che in questo contesto indica la quantità geometri- ca, che noi per comodità, allo scopo di
distinguerla nettamente dalla quan- tità
numerica, chiameremo semplicemente “grandezza”: essa significa insomma la quantità di una figura geometrica,
ovvero la quantità del conti- nuo. 18 πλῆθος è termine the in questo contesto
indica la quantità aritmetica, che noi
per comodità, allo scopo di distinguerla nettamente dalla grandez- za geometrica o quantità continua, chiameremo
“quantità numerica”: essa significa
insomma la quantità aritmetica ovvero il numero in quanto quan- tità discreta. È chiaro che questo secondo
tipo di quantità può esprimere la
quantità del primo tipo, ma, come si vedrà meglio in seguito, il
numero 802 GIAMBLICO come tale (la quantità numerica) è primario
rispetto alla grandezza (quanti- tà
geometrica). 19 È interessante
osservare che Giamblico non adopera lo stesso termine per confrontare i due punti di vista da cui
può essere considerato il mondo: egli
infatti usa il termine οὐσία per indicare quello della grandezza [κατὰ μὲν τὴν τοῦ μεγέθους οὐσίαν], e ἰδέα per
indicare quello del numero [κατὰ δὲ τηὲν
τοῦ πλήθους πάλιν ἰδέαν καὶ ἔννοιαν]: la ragione più plausibile sembra essere il fatto che la grandezza (o
quantità geometrica) appare agli occhi
di un Pitagorico molto più vicina agli enti corporei che non la quanti- tà numerica. Si veda per questo, Giamblico,
De comm. math. sc. 16-17, dove si parla
della differenza tra la causa del numero e quella della grandezza: qui il termine μέγεθος è unito al termine ὑποδοχή
(a sua volta assimilato a ὕλη) per
indicare la prima causa dell’aspetto molteplice del numero, cioè della sua determinatezza concreta, rispetto alla quale
il numero come tale rappresen- ta come
la forma o εἶδος. 20 Sc. della
grandezza, o quantità continua. 21 Una
figura geometrica, infatti, può essere divisa all'infinito, ma non può essere ingrandita all'infinito, pena la
perdita della sua forma. 22Un numero,
infatti, può essere aumentato all’infinito, ma non può esse- re diviso all’infinito, pena la perdita della
sua quantità discreta: si ricordi che
secondo questa teoria pitagorica i numeri sono concepiti come numeri natu- rali, e quindi come quantità determinate,
cioè divisibili in altre quantità
determinate. 23 Questo fr. di
Filolao (= VS 44 B 3 Diels-Kranz) non ha avuto traduzio- ni concordi: la difficoltà maggiore sta nell’
ἀρχάν iniziale. Cf. W. Burkert,
Lore and Science in Ancient Pythagoreanism, Cambridge, Mass. 1972,
260. 24 Sc. grandezza e
quantità numerica. 25 Sc. alla quantità
numerica. 26 Sc. dalla molteplicità
numerabile. 27 Nel senso che “quanto” indica
appunto la molteplicità di cui si com- pone.
28 Sc. alla grandezza. 29 Nel
senso, cioè, che anche qui il nome indica la natura della cosa. 30 Sc. dall’estensione in grandezza. 31 Sc. il quanto assoluto. 32 Perfetto è un numero che è uguale alla
somma dei suoi divisori: ad es. 6=3+2+1;
deficiente un numero che è maggiore della somma dei suoi diviso- ri: ad es. 8>(4+2+1). Cf. Giamblico, In
Nicom. 32,2 ss. 53 Infatti, non si può
dire “pari rispetto a qualcosa”, o “perfetto rispetto a qualcosa”.
34 Sc. il auanto relativo.
INTRODUZIONE ALL’ARITMETICA DI NICOMACO 803 35 Numero che contiene un numero intero +
una frazione avente come numeratore
l’unità: 1+(1/n), dove n è un numero intero: ad es. 9=6+1/2(6); 8=6+1/3(6).
36 Numero che contiene un numero intero + una frazione avente come numeratore un numero superiore all’unità:
1+(m/m+n): ad es. 10=6+2/3(6);
14=8+3/4(8), ecc. 37 Sc.
aritmetica e geometria. 38 Sc. musica e
astronomia. 39 Sc. il quanto in
movimento (oggetto della musica) e il quanto grande in movimento (oggetto dell'astronomia). 40 In tal modo Giamblico spiega come siano
nate le quattro scienze del quadrivio,
aritmetica, musica, geometria e astronomia, e come si colleghino tra di loro a coppie, a seconda che il
medesimo oggetto (il “quanto” o il
“quanto grande”) sia visto in sé o in rapporto ad altro, in riposo o in
movi- mento. 41 VS 47 Β 1, p. 432,7 5. Diels-Kranz. 42 C£. Platone, Epin. 991 E 3-992 B 3. 43 C£. Giamblico, De comm. math. sc. 31,17
ss. Qui Giamblico interpreta Platone
(che in realtà è Filippo di Opunte) in un senso eccessivamente pita- gorizzante, anche se a ben considerare la
teoria platonica della Repubblica,
soprattutto quella contenuta nella similitudine della “linea
segmentata”, la matematica (le quattro
scienze matematiche di cui si parla qui) copre effetti- vamente l’intera conoscenza del mondo al di
sotto delle idee, cioè il mondo
dianoetico. Che il mondo sia composto solo di “continuo e discreto”,
del resto, corrisponde alla fisica di
Platone contenuta nel Tizzeo. 44 La matematica va al di là dell'attività
teoretica, perché abbraccia anche
l’attività pratica: la sua funzione filosofica e antropologica è tipica
della men- talità pitagorica. 4 Anteriore, nel senso che l’aritmetica è
presupposta dalle altre scienze
matematiche: essa, cioè, costituisce il fondamento su cui si
costruiscono le altre; più originaria,
ovvero pit legata all'origine stessa della matematica nel suo complesso, nel senso che si basa su
principi e concetti primordiali rispet-
to a quelli delle altre scienze matematiche, pur essendo queste
ultime anch'esse primarie rispetto alle
scienze in generale. Sin dall’inizio del discor- so Giamblico sostiene il “primato” dell’aritmetica
sulle altre scienze, e spes- so adopera
termini che sono affini a questo adoperato qui, ἀρχέγονος, che indica soprattutto la priorità di nascita. Ad
es. a 3,8 troviamo ἀρχηγικός, che indica
priorità causale; e a 91,17 quest’ultimo significato appare ancora più chiaramente espresso nel termine ἀρχικός [ὁ
ἀριθμὸς ... ἀρχικώτατος], che indica un
rapporto semantico più direttamente legato al concetto di “princi- pio causativo”. In tutti i casi, comunque, è
affermato il carattere di “fonda- 804
GIAMBLICO mentalità” dell’aritmetica
rispetto a geometria, astronomia e musica, e, di riflesso, rispetto a tutte le altre scienze
non matematiche. Questa stessa prio-
rità viene attribuita alla matematica comune in De com. math. sc. 5,26
ss.: gli aspetti comuni della matematica
sono preesistenti alle singole cose e hanno
la prerogativa di un’essenza più nobile e fondamentale [οὐσίαν ... πρεσβυτέραν ... καὶ ἀρχικωτέραν] di esse, e
che non risiede nelle matema- tiche
proprie di ciascuna scienza, ma è ad esse preordinata [npotetayuévnv]. 46 εὔλογος nelle sue varie forme aggettivali
e avverbiali, anche — come in questo
caso — al grado superlativo, è termine adoperato spesso da Giamblico (qui, nell’Ix Nicom:. una decina di volte, e
altrettanto nel complesso degli altri
due scritti) a indicare non solo la “ragionevolezza” del discorso in
generale, ma soprattutto la
“consequenzialità logica” di una presa di posizione nel discorso.
4? La congettura di Vitelli non appare del tutto convincente. Il
senso, comunque, dovrebbe essere il
seguente: se la quantità in generale è “combi-
nazione di unità”, e d’altra parte la quantità in senso aritmetico è
detta pro- priamente “uno”, che è
l’elemento semplice di qualunque combinazione
determinata di unità, che è appunto composta di tanti “uno”, allora è
evi- dente che qualsiasi quantità, vuoi
in senso generale, ovvero come quantità di
cose reali, vuoi in senso aritmetico, ovvero come numero numerabile
nella mente, non potrà essere limitata
entro confini determinati, ma si estenderà
all’infinito. In altri termini, il numero ha una sua “definizione”
nell’unità, ma una sua “illimitatezza”
nella possibile combinazione delle unità, come dire che il numero è al tempo stesso uno e
molteplicità infinita (che è poi, in ulti-
ma istanza, la tesi dei Pitagorici e di Giamblico). 48 Anche i numeri possiedono i loro λόγοι
oreppatixoi [influenza stoi- ca sulla
“lettura” neoplatonica del Pitagorismo, ripetuta più volte nel corso di quest'opera], i quali si trovano,
ovviamente, nell’Uno, che è, a sua volta,
la radice del numero in dio. E questa radice ha in dio una sua
“sussistenza” [τὸ ὑποστάν], a differenza
dei numeri che ne derivano e che servono a
“numerare” le cose, che sono per se stesse numerabili. Sembra che qui
l’in- terpretazione giamblichea di
Pitagora collimi in qualche modo con l’altra
appena data di Talete: anche lî, infatti, il numero e il numerabile
risiedono nell’unità che si combina
illimitatamente con se stessa (ogni numero è “com- binazione di unità”). 49 Il principio del numero è di ordine
superiore al sensibile, essendo la
realtà matematica intermedia tra l’intelligibile e il sensibile. 50 Strumento di cui si serve dio per
discriminare o differenziare le cose del
mondo all’atto della sua creazione. L'espressione κριτικὸν ὄργανον, alcu- ni la intendono in senso “intellettivo”
(«strumento di giudizio» traduce, ad
es., M. Timpanaro Cardini [Pitagorici. Testimonianze e Frammenti,
Firenze 1958,1991; «instrument de
décision» intende J.-P. Dumont, Les
INTRODUZIONE ALL’ARITMETICA DI NICOMACO 805 Présocratigues, Paris 1988, 79]. Ritengo,
invece, che l’aggettivo significhi qui
“discriminativo o sceverativo” di una cosa dall’altra, a seconda della
quanti- tà numerica a cui si può
ricondurre l'essenza di ciascuna nel calcolo divino del disegno creativo. Un significato analogo
— mutatis mutandis — ha pure
l’espressione «strumento sceverativo», riferita in questo caso al nome,
in Proclo, In Crat 48=16,24 Pasquali
(cf. Ε Romano, Proclo. Lezioni sul Cratilo
di Platone, Firenze 1989 = Symbolon 7, pp. 16 e 140). In altri termini
qui κριτικός potrebbe essere sinonimo di
διακριτικός. Ammesso che l'atto crea-
tivo di dio sia alla base o all’origine un atto di intelligenza, essendo
dio nella tradizione
platonico-neoplatonica identificato con l’Intelletto (vodg), non si capirebbe come possa accordarsi con tale
attività noetico-demiurgica l’atti- vità
del giudicare 0, peggio, del decidere.
31 συνοχή ha qui un significato più forte che non quello di “legame”
o “vincolo”, come vogliono Kranz,
Timpanaro Cardini e Dumont: esso indica
la capacità di contenere o tenere insieme stabilmente, e quindi la
connessio- ne di tutto ciò che esiste
nel mondo. Cf. [Giamblico], Theo/. arithm. 23,16 ss., dove lo stesso concetto è teorizzato a
proposito della forma solida del numero
4, cioè la piramide, che costituisce la radice prima da cui nascono i quattro elementi cosmologici, fuoco aria
acqua terra, e quindi il mondo in se
stesso: κἀκεῖθεν [sc. dalla piramide o 4 solido] [...] τέσσαρες ἀρχαὶ
τοῦ κό- σμου, εἴτε ὡς ἀϊδίου συνοχῆς
εἴτε ὡς κτλ. 52 Sc. che rappresenta il
“limite” minimo, ovverosia la prima quantità
numerica, della serie dei numeri.
5 C£. Euclide Elem. 7, def. 1.
54 È chiaro che qui si intende dire che qualsiasi cosa, in quanto è nume- rabile, non si identifica con l’unità, ma è
un insieme di unità (vale sempre la
definizione di Talete secondo cui il numero è μονάδων σύστημα [cf. p.
10,9, supra)). L'unità di ciascuna cosa,
dunque, è un’unità composita, cioè una
quantità costituita di tante unità. Si noti come Giambilco non perda
occasio- ne per criticare Euclide (cf.
pp. 20; 23-26; 30; 74, infra). 55 Sc.
una molteplicità che costituisce un'unità. Questo frammento manca nelle raccolte di von Arnim, dove si trova
invece una testimonianza analoga di
Siriano, #1 Meta. 140,10 = SVF II 490 v, Arn. = M. Isnardi Parente, Stoici antichi, Torino 1989, II 857. 56 Sono le parti o frazioni dell’unità, che
crescono infinitamente per il cre- scere
del denominatore, che indica appunto la parte (fermo restando il numeratore che è sempre l’unità). 57 Sono i numeri interi che crescono
anch'essi infinitamente con il som-
marsi delle unità (cioè con il crescere del numeratore, fermo restando
il denominatore che è sempre l’unità). 58 Cf. [Giamblico], Theol. arithm.
2,22. 806 GIAMBLICO 59 Quando il prodotto di un numero
moltiplicato per se stesso qualunque
numero di volte termina sempre per lo stesso numero: è il caso del 5 e
del 6 (5x5=25 x5=125 x5=625, ecc.;
6x6=36 x6=216 x6=1296, ecc.). 60 Sc. di
avere un lato maggiore dell'unità, cioè di se stessa: il numero ete- romeche, infatti, è quello che si può ridurre
a una figura piana rettangolare con la
differenza di 1 tra lato maggiore e lato minore: cf. Nicomaco, Arithwz. intr. 108,8 ss. Hoche. 61 Cf. Nicomaco, Arithm. intr. 64,21
Hoche. 62 I° 1, infatti, moltiplicato
per se stesso dà sempre 1. Cf. [Giamblico],
Theol. aritbm. 1,5. 6 Qualsiasi
numero moltiplicato per 1 dà sempre se stesso. Ecco la com- pleta classificazione delle specie numeriche
che si trova in De comm. math. sc.:
Numero = Pari (ἄρτιος) e Dispari (περισσός) — Primo (πρῶτος καὶ ἀσύν- θετος) e Secondo (δεύτερος καὶ σύνθετος) —
Lineare (γραμμικός) Piano (ἐπίπεδος)
Solido (στερεός). Numero Piano = Poligonale (πολύγωνος): Triangolare (τρίγωνος) Quadrato (τετράγωνος)
Eteromeche (ἑτερομήκης = con una
dimensione più lunga di un’unità) Promeche [προμήκης = con una dimensione più lunga di più di un'unità] Pentagonale
(πεντάγωνος) ... Numero Solido =
Piramidale (πυραμίς) Cubico (κύβος) Parallelepipedo (παραλληλεπίπεδος) Scaleno (oxaAnvéc) (o
Sfenisco [σφηνίσκος = a forma di cuneo],
o Sfecisco [σφηκίσκος = variante della voce prec.], o Bomisco [βωμίσκος = a forma di altare]) Sferico
(σφαιρικός) (0 Ricorrente [ἀποκατα-
στατικός]) — Parallelepipedo = Plintide (πλινθίς = a forma di
mattone) Docide (Soxig = a forma di
trave). 64 Sc. rispetto alla quantità
totale o alla grandezza continua, e non alla
quantità aritmetica o discreta.
6 Sc. rispetto al quanto, o quantità discreta o aritmetica. 66 Cf. Nicomaco, Arithm. intr. 13,7 s. Hoche. 67 Il numero pari, infatti, può essere
diviso comunque in parti uguali o
disuguali, pur restando sempre le parti dello stesso tipo, o pari o
dispari. 68 Sc. pari e dispari
insieme. 69 Sc. i Pitagorici secondo il
loro linguaggio didattico: cf. Schol. ad loc.
70 Ogni numero eteromeche è un numero pari. 71 Sc. di un’unità: la differenza dei suoi
lati, infatti, è solo 1: 2x3, 5x6,
21x20, ecc., cioè ogni numero moltiplicato per quello che gli è
contiguo, o immediatamente prima o
immediatamente dopo. Cf. p. 74,19, infra.
72 Sc. l’una pari e l’altra dispari.
73 Sc. come qualsiasi numero dispari che si divide solo in parti
disuguali. 74 Di cui sarebbe come il
principio formale. 75 Cf, Nicomaco,
Arithm. intr. p. 14,1 ss. Hoche.
INTRODUZIONE ALL'ARITMETICA DI NICOMACO 807 76 Cf. [Giamblico], Theol. arithra.
4,9. 77 C£. [Giamblico], Theo. arithm.
13,12. 78 Sc. il quanto e il quanto
grande. 79 Più grande è il numero,
minore è la parte: ad es. un 1/4 è più piccolo
di 1/3. 80 Cf. Nicomaco,
Aritbwm. intr. 16 Hoche; ma anche [Giamblico], Theo! arithm. 2,5 5. 81 Sc. in modo che la coppia seguente
contenga come primo numero l’ul- timo
numero della coppia precedente. 82 ὅς,
per somma ottenuta da tutti i numeri in successione cumulativa- mente.
83 Sc. per somma di due numeri contigui. 84 Sc. “accoppiamento di due numeri”. 85 Sc. per numeri intercalati. 86 C£, [Giamblico], Theol. aritbm.
13,2. 8? Sia i dispari che i pari
nascono dalla combinazione di numeri dispari e
pari insieme. 88 Sc. dispari, se
quello è pari, e pari se quello è dispari: ad es. 8=(7+9)/2; 5=(4+6)/2; 21=(20+22)/2;
154=(153+155)/2. 89 Sc. di un solo
numero, e non della coppia adiacente da ambedue i lati. 90 ὅς, 2=2(1/2), cioè due metà; 3=3(1/3),
cioè tre terzi; 4=4(1/4), cioè quattro
quarti, ecc. 91 Sc. dalla parte
opposta al 2, in modo che l’ 1 sia la metà di 0+2: infatti 1=(0+2)/2.
92 Sc. il numero 1. 9 Sc.
5=(9+1)/2. 9 C£. [Giamblico], Theo/.
aritbm. 37,2. 55 Sc. del 9. % Pag. 16,18-20,6 corrisponde
sostanzialmente a [Giamblico], Theo.
arithm. 37,4-39,24. 9 Sc. tra
eccesso e difetto, che sono i due vizi opposti in rapporto a cia- scuna virtù.
8 Sc. del 5, e quindi 4. 99 Infatti
appare come una @ divisa longitudinalmente a metà. 100 4x3 [τρὶς δ erroneamente nel TLG della
California Univ. di Irvine. 101 Nel
senso che, pur avendo diverse denominazioni, 30 è emiolio di 20 [20+1/2(20)=30] come lo è 6 di 4
[4+1/2(4)=6]. 102 Cf. p. 15,3,
supra. 103 Essendo il 5 la giustizia,
il 9 possiede 4 più di 5, che è il massimo della 808 GIAMBLICO differenza in più, mentre il numero 1
possiede 4 meno di 5, che è il massimo
della differenza in meno. 104
Sc. come ogni altro numero. 105 Sc.
nulla: οὐδέν. 106 Nel senso che non
produce alcun numero-parte, ma fa sfumare all’in- finito lo stesso numero. 107 Ad eccezione, ovviamente, dell’ 1. 108 Come accade invece all’ 1. 109 Al contrario dell’ 1, che invece, quando
moltiplica un altro numero, assume
quest’ultimo. 110 Sc. tra 0 ε9. 111Sc.le8.
112 Sc. di medietà aritmetica.
113 Ad es, 52=25 è medio proporzionale aritmetico fra 4x5=20 e
6x5=30; ma anche fra 3x5=15 e 7x5=35; o
fra 2x5=10 e 8x5=40, ecc. Nel primo caso
4 e 6 sono contigui a 5 in lunghezza e larghezza, negli altri casi sono
o con- tigui in diagonale (3 e 7) o
distanti in posti proporzionali da un lato e dall’al- tro in lunghezza e in larghezza, come mostra
questa figura. 1 2 3 4 5 6 7 2 3 4 2 6 7 8
2 4 2 6 7 8 9 4 5 6 7 8 9 10 114 Sc. ottenendo numeri sempre pari fino
all’unità, che non è né pari né dispari. 115 Sc. sia in modo pari che in modo
dispari. 116 Sc. che dev'essere
misurato dal pari solo in modo pari.
117 Sc. il divisore, ovvero il numero intero che divide un altro
numero intero: cf. J. Bertier, Nicomaque
de Gérase, Introduction Arithmétique, Paris
1978, 157 nota 6. 118 Sc. i
singoli divisori o fattori del numero parimente-pari. 119 Sc. parimente-pari. 120 Sc. avranno un nome corrispondente come
parte e come valore nume- rico: ad es.,
data la serie dispari di numeri parimente-pari 1, 2, 4, 8, 16, 32, 64, dove c’è un unico medio che è 8, gli
estremi 1 e 64 sono antiparonirni nel
senso the 64/1=64; gli altri estremi interni verso il medio, cioè 2 e
32, sono antiparonimi nel senso che
64/2=32, cioè se le parti sono 2 il valore di esse è l’altro estremo, 32; gli altri estremi
interni, cioè 4 e 16, sono antiparonimi nel
senso che 64/4=16, cioè se le parti sono 4 il loro valore è 16; infine
il medio INTRODUZIONE ALL'ARITMETICA
DI NICOMACO 809 8 è antiparonimo di se
stesso nel senso che 64/8=8. 121 Ad es.
1, 2, 4, 8, 16, 32, hanno due medietà, 4 e 8, il cui prodotto è appunto 32, che è uguale a 2x16 e a
1x32. 122 Sc. in ogni coppia successiva, il maggiore
differisce dal minore di quanto è il
minore: ad es. 2-1=1; 4-2=2; 8-4=4, 16-8=8, ecc. 123 Infatti: 1+2=3+4=7+8=15+16=31+32=63,
ecc. 124 Cf, Nicomaco, Arithm. intr.
17,4 ss. Hoche. 125 Sc. al numero pari
o dispari delle parti in cui può dividersi.
126 Sc. dei divisori. (27 Ad
es.: 18, che è divisibile per 2 0 per 3 o per 6 o per 9, quando la potenza è pari, cioè 2 o le parti stesse sono
dispari (infatti 18/2=9; 18/6=3), quando
invece la potenza è dispari, allora le parti sono pari (infatti 18/3=6; 18/9=2); cf. Nicomaco, Arithm. intr. 20,2 ss.
Hoche. 128 Sc. i numeri dispari che lo
producono. 129 Sc. sono duplicati. 130 Ad es.: i gnomoni sono i dispari 3, 5,
7, 9, 11, ecc., che hanno una dif-
ferenza di 2; moltiplicata per 2 tale differenza, si ottengono i
pari-dispari the sono 6, 10, 14, 18, 22,
ecc., che hanno una differenza di 4.
131 Sc. da 1. 132 Sc. hanno la
differenza di 2 come gnomoni. 133 Sc.
della proporzione geometrica. 134 Sc.
della proporzione aritmetica. 135
Euclide, Elem. 7, def. 9, dove il testo è leggermente diverso: ἀρτιάκις δὲ περισσός ἐστιν ὁ ὑπὸ ἀρτίου ἀριθμοῦ
μετρούμενος κατὰ περισσὸν ἀριθ-
μόν. 136 Euclide, E/erz. 9,
prop. 33 e 34. A un rapido confronto sembra che
Euclide dica cose un po’ diverse. Ecco il testo di Eucl. ἐὰν ἀριθμὸς
τὸν ἥμισυν ἔχῃ περισσόν, ἀρτιάκις
περισσός ἐστι μόνον ... ἐὰν ἀριθμὸς μήτε
τῶν ἀπὸ δυάδος διπλασιαζομένων ᾧ μήτε τὸν ἥμισυν ἔχῃ περισσόν, ἀρτιά- κις τε ἄρτιός ἐστι καὶ ἀρτιάκις περισσός --
se un numero ha la metà dispa- ri, esso
è soltanto parimente-dispari ... se un numero non è tra quelli che nascono per duplicazione del 2, né ha ia metà
dispari, esso è sia parimente- pari che
parimente-dispari. Si noti che l’espressione ἀρτιάκις περισσός non si trova in Giamblico, né corrisponde alla
sua nozione di pari-dispari [ἀρτιο-
πέρισσος] (cf. p. 24,1 ss., supra).
137 Sc. il dispari-pari. 138 Sc.
Al pari-dispari. 139 Sono chiamate
“parti” i risultati della divisione, potenze i divisori: in termini moderni parti sono qui i “quozienti
esatti” (sc. senza resto) di una
divisione, potenze i “divisori” che danno quozienti esatti. È logico che
parti 810 GIAMBLICO e potenze possano essere viste come
“fattori” nella moltiplicazione che dà di
nuovo l’intero: quindi ja potenza, quando permette all'intero di passare
alle parti, è divisore, quando invece
permette alle parti di ricomporre l’intero è
moltiplicatore. E siccome qualsiasi numero ha come divisore, oltre a se
stes- so, 11, questo è “potenza di
tutto” (dove si saldano pitagorismo e neoplato-
nismo). 140 Sc. dal
parimente-pari. 141 Sc. dall’intera
quantità di esso. 142 Sc. al
parimente-pari. 143 Sc. dal
pari-dispari. 144 Sc. all'ultima parte
che non può più essere divisa (infatti la divisione pet 2 non arriva fino a 1). 145 Sc. dal pari-dispari, che è divisibile
una sola volta, essendo la sua metà un
numero dispari. 146 Sc. al
parimente-pari, che è divisibile più di una sola volta, anche se la sua divisione arriva a 1, contrariamente a
quanto accade nel dispari-pari. 147 Si
deve cioè moltiplicare il primo numero per ciascun gnomone e segnarlo in larghezza, cioè verticalmente: cf.
Nicomaco, Arithw. intr. 23,14 ss.
Hoche. 148 Sc. del pari-dispari. 149 Sc. sotto il 3 e il 4. 150 Infatti 12, ad esempio, che è il primo
prodotto (3x4), è doppio di 6, che è un
pari-dispari. 151 $c. in linea
verticale, ovvero in colonna. 152 ὅς,
in orizzontale, sotto ciascun gnomone e numero parimente-pari. 153 Sc. il parimente-pari e il
pari-dispari. 154 Sc. misurabile in
linea retta. 155 Sc. il dispari secondo
e composto. 156 Il 3 come parte che è
nell’uno è anche negli altri: 9=3x3; 15=3x5;
21=3x7. 157 Il 3 che è parte del
9 non si trova nel 25 e nel 35; il 5 che è nel 25 non si trova nel 9 e nel 35; il 7 che è nel 35
non si trova nel 9 e nel 25. 158 Sc.
questa è comune misura di tutti e tre.
159 Sc. quante volte sarà possibile.
160 Sc. 35-15=20-15=5, che è la comune misura. 161 $c. che occupano in successione il posto
paronimo del numero che li misurerà: ad
es. 3 misurerà quelli che vengono al terzo posto, cioè saltando- ne due, ecc.
162 Sc. il numero che, scartati due posti, è al terzo posto, nella
fattispecie 119. INTRODUZIONE ALL’ARITMETICA DI NICOMACO
811 163 Pag. 30,1 μεταλαβὼν τὸ
τοιοῦτον: interpreto questa espressione nel
senso che il dispari successivo a 3, cioè il 5 (ma il discorso vale per
tutti gli altri dispari), assume o
partecipa del criterio con cui il primo dispari misura i dispari nella successione relativa alla sua
collocazione (il 3 i terzi, il 5 i quin-
ti, il 7 i settimi, ecc.), e che quindi diventa criterio comune
consistente nel ricominciare sempre a
prendere come misura il primo dispari [3] e gli altri in stretta successione. Infatti il 5 misura
il quinto dispari dopo di lui (15) 3
volte, il secondo quinto dispari (25) 5 volte, ecc., cosf come il 7
misura il set- timo dispari dopo di lui
(21) sempre 3 volte, il secondo settimo dispari (35) 5 volte, ecc. 164 Sc. nel fatto che i posti saltati sono i
pari in successione: 2,4, 6, 8, ecc.
165 Sc. i numeri che non risultano segnati in base al procedimento
suddet- to. 166 Sc. parimente-pari e pari-dispari, che
sono le due forme principali del
pari. 167 Sc. parimente-pari e
pari-dispari. 168 Sc. tra i numeri
composti di una sola cifra. 169 Sc.
delle centinaia di migliaia. 170 Sc.
sommazrli in successione ad uno ad uno.
171 Sc. dalla somma cumulativa.
172 Sc. per l’ultimo numero risultante dalla somma. 173 Sc. il 6 è il primo prodotto del primo
numero pari [simbolo della fem- mina]
col primo numero dispari [simbolo del maschio]. Cf. [Giamblico], Theol. arithm. 48,15. 174 Cf. [Giamblico], Theo/ antbhm.
48,22. 175 Sc. 284 ha come divisori 1,
2, 4, 71, 142, la cui somma è 220; 220 dal
canto suo ha come divisori 1, 2, 4, 5, 10, 11, 20, 22, 44, 55, 110, la
cui somma è 284. 176 Sc. “un mio alter-ego”. 177 Dove? Sul rapporto in generale tra
matematica ed etica delle virti, cf.
Giamblico, De comm. math. sc. 56 e 74.
178 Sc. i piani e i solidi. 179
Sc. dei numeri pari/dispari, perfetti, ecc.
180 Sc. il multiplo-epimorio e il multiplo-epimere. 181 Sc. la parte “preminente” del
rapporto. 182 Sc. la parte
“sottostante” del rapporto. 183 I
sottomultipli sono come immersi nei multipli.
184 Sc. della prima forma di disuguaglianza. 185 Sc. tutti gli altri misuranti in
rapporto superiore a 2. IRA CA +-ennr
manto cemrnenzia 1/2 812
GIAMBLICO 187 Sc. 2,3,4,5, ecc. 188 Sc. in verticale. 189 $c. i doppi, 2, 4, 6, ecc., i tripli 3,
6,9, 12, ecc., i quadrupli 4, 8, 12, 16,
ecc., e cosî via. 190 Sc. sulla
prima linea dall'alto verso il basso.
191 Sc. i numeri più piccoli di ogni specie di rapporto epimorio, cioè
i primi epimori: l’emiolio 3 a 2,
l’epitrite 4 a 3, l’epiquarto 5 a 4, ecc.
192 Sc. sulla seconda linea verso il basso. 193 Sc. il secondo emiolio 6 a 4, il secondo
epitrite 8 a 6, il secondo epi- quarto
10 a 8, ecc. 194 Sc. sulla terza linea
il terzo emiolio 9 a 6, il terzo epitrite 12 a 9, il terzo epiquarto 15 a 12, ecc. 195 Sc. sulla quarta linea il quarto emiolio
12 a 8, il quarto epitrite 16 a 12, il
quarto epiquarto 20 a 16, ecc.. 1%
Infatti la differenza tra i primi è 1, tra i secondi 2, tra i terzi 3,
ecc. 197 Se cioè esponiamo la serie di
tutti i numeri e facciamo la differenza tra
il seguente e il precedente. 198
Il testo ha ἀντ᾽ αὐτῶν, che se ha, come sembra, valore sostitutivo, non può certo riferirsi alle unità, bensi alle
differenze, meglio alla differenza,
essendo questa invariabile. Quindi occorrerà sostituire alle differenze
i numeri in successione a partire da 1,
ottenendo cosî sotto il 2 un altro 2,
sotto il 3 un altro 3, e cosi via, in modo che si avranno tre numeri di
cui due uguali, in colonna, e uno
inferiore ad essi di un’unità, tali da formare appun- to dei numeri plintidi (cf. nota
seguente). 199 Sc. i numeri solidi
risultanti dal quadrato di un numero moltiplicato per lo stesso numero diminuito di un’unità:
ad es. 2x2x1=4; 3x3x2=18; 4x4x3=48, ecc.
Con quell’operazione si avrà 1, 2, 2, 3,3, 4,4,5,5,6,6,7,7, ecc., dove le serie dei tre numeri generativi
dei plintidi sono 1x2x2; 2x3x3; 3x4x4;
4x5x3, ecc. 200 Non credo si alluda
allo scritto di Nicomaco, dove non trovo esempi
di fiorite, semmai si rinvia qui a quell’Introduzione aritmetica più
completa che viene promessa alla fine di
quest'opera assieme ad altre Introduzioni
matematiche. C£. p. 125, infra.
201 Sc. degli 1 di primo, secondo e terzo livello, vale a dire 1, 10 e
100, disposti a khiaszz4 lungo le due
massime diagonali, per cui appariranno 1 in
opposizione a 100 e 10 in opposizione a 10, secondo la configurazione seguente:
1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 2. 4 6 8 10
12 14 16 18 20 INTRODUZIONE
ALL'ARITMETICA DI NICOMACO Si 3 6 9 12
15 18 21 24 26 30 4 8 12 16 20 24 28 32
36 40 5 10 15 20 25 30 35 40 45 50 6 12 18 24 30 36 42 48 54 60 7 14 21 28 35 42 49 56 63 70 8 16 24 32 40 48 56 64 72 80 9 18 27 36 45 54 63 72 81 90 10 20 30 40 50 60 70 80 90 100 202 ὅς, 1 « 10. 20 Sc. 10 e 10, che è detto medio perché è
di seconda serie, mentre 1 e 100 sono
rispettivamente di prima e di terza serie.
204 Sc. 1:10=10:100. 205 Sc. l 1
è l’inizio del quadrato. 206 Sc. il 100
chiuderà il quadrato. 207 Sc. il 10
sarà il lato del quadrato. 208 Sc.
1/2(a+c)=b: ad es. 1/2(2+6)=4; 1/2(3+9)=6; 1/2(4+12)=8, ecc. 209 Sc. 1/2(a+c)=b+1; ad es.: tra 12, 21 e
32, 21= Aa Ι; tra 54, 56 e 56,
56=1/2(54+56)+1; tra 35, 48 e 63, 48= 1/2(35+63)-1 210 Sc. a 100, 211
Sia, ad es., 16 il quadrato preso sulla diagonale: esso confina, sia in lunghezza che in larghezza, con i due
eteromechi 12 e 20; se sommiamo que- sti
due eteromechi e aggiungiamo il doppio del quadrato dato si otterrà un quadrato: infatti 12+20+(16x2)=64=8x8; se
prendiamo 49 che ha come ete- romechi
contigui 42 e 56, si ha: 42+56+(49x2)=196 =14x14. 212 Sc. formato dalle due radici dei
quadrati, le quali differiscono tra loro
di un’unità e possono quindi formare un numero eteromeche: ad es., tra
i quadrati 9 e 16 l’eteromeche 12 è
formato da 3x4 che sono le radici di 9 e
16. Anche qui, dunque, se sommiamo i due quadrati 9 e 16, e aggiungiamo il doppio dell’eteromeche 12, otteniamo un
altro quadrato: 9+16+(12x2)=49=7x7. 213 Sc. in alternanza con quelli dispari tra
i contigui. 214 Ad es. 6 ha come
contigui o 4 e 8, non ambedue quadrati, o 3 e 9, non ambedue quadrati, o in diagonale 2 e 12 0 4 e
6, non a coppie quadrati. 215 Sc. i
quadrati in diagonale e quindi non in lunghezza o larghezza. 216 Perché sono sempre pari e dispari, e la
somma di un pari con un dispari dà
sempre dispari. 217 Perché il numero
eteromeche è sempre pari, e quindi sommato al
dispari dà dispari. 814
GIAMBLICO 218 Sc. della lettera garza
maiuscola. Tra due quadrati contigui, ad es. 9
e 16, è possibile trovare due forme di garza col vertice in alto a
destra o in basso a sinistra nello
stesso numero, in questo caso 12; oppure tra i quadra- ti 49 e 64, ci sono due garzzza col vertice
in 56, ecc. 219 Sc. da 1 a 100: 4-1=3;
9-4=5; 16-9=7; 25-16=9; 36-25=11; 49-36=13;
64-49=15; 81-64=17; 100-81=19.
220 Sc. in quella che va da 10 a 10.
221 Sc. 30-28=2; 28-24=4; 24-18=6; 18-10=8, e cosi dall'altro lato
della diagonale. 222 Secondo la formula 1+1/n. 223 1+1/2=3/2. 224 1+1/3=4/3. 225 1+1/4=5/4. 226 Sc. sotto-epimorio = 1-1/n,
sotto-emiolio = 1-1/3=2/3, sotto-epitrite =
1-1/3=3/4, ecc. 227 Sc. il 3:
infatti 3=2+1/2(2). 228 Il 6 è al
secondo posto dopo il 4: infatti 6=4+1/2(4).
229 Sc. il 9=6+1/2(6). 230 Sc,
il 12=8+1/2(8). 231 Sc. il
4=3+1/3(3). 232 Sc. V 8=6+1/3 (6). 233 Sc. il 12=9+1/3 (9). 234 Sc. il 16=12+1/3(12). 235 Sc. il 5=4+1/4(4). 236 Sc. il 10=8+1/4(8). 231 Sc. il 15=12+1/4(12). 238 Sc. epiquinto, episesto, episettimo,
ecc. 239 Ad es. quinto, sesto, settimo,
ecc. 240 $c. i numeri che sono superiori
a ciascuno di quelli esposti di una
parte, cioè di 1/5, di 1/6, 1/7, ecc.
241 Sc. di 1/5, 1/6, 1/7, ecc.
242 Il primo avrà come epimorio il primo numero successivo, il
secondo il secondo, il terzo il terzo,
ecc.: ad es. 5, che è il primo delia serie, ha come epiquinto 6, che è il primo numero successivo
a 5; il 10, che è il secondo, ha come
epiquinto 12, che è il secondo successivo a 10; il 15, che è il terzo, ha come epiquinto 18, che è il terzo successivo
a 15, e cosî via. 243 Ad es., τγὰ 6 ε
1] suo epitrite 8, terzo è il nome della parte, ed è tale in rapporto al numero minore, cioè 1/3(6),
mentre in rapporto al maggiore, cioè a
8, i terzi sono quattro, cioè 8 è 4/3(6).
INTRODUZIONE ALL’ARITMETICA DI NICOMACO 815 244 Ad es, nel rapporto 6 a 8, 1/3 di 8 non
sarebbe un numero naturale, mentre lo è
di 6 (2). 245 Sc. le terze parti
saranno di numero maggiore di un’unità rispetto al nome della parte, in questo caso 4, solo
nelle basi, cioè nei maggiori. 246 Al
contrario dell’epimorio che ne contiene una sola. 247 Ad es. 3+2/3(3)=5, che salta il 3 di un
posto; 5+2/5(5)=7, che salta il 5 di un
posto, ecc. 248 Ad es. 4+3/4(4)=7, che
salta il 4 di due posti; 5+3/5(5)=8, che salta il 5 di due posti, ecc. 249 Ad es. 5 epidimere di 3 ha quest’ultimo
come rapporto nelle parti, in quanto le
due parti che ha in più sono appunto due terzi. 250 Sc. doppi: 10=6+2/3 (6), ecc.; tripli:
15=9+2/3(15), ecc. 251 Ad es. 7
epitrimere di 4 ha quest’ultimo come rapporto nelle parti, in quanto le tre parti the ha in più sono
appunto tre quarti. 252 Sc. doppi:
14=8+3/4(8), ecc.; tripli: 21=12+3/4(12), ecc.
253 9 epitetramere di 5 ha quest'ultimo come rapporto nelle parti,
in quanto le quattro parti in più sono
appunto quattro quinti. 254 Cf.
[Giamblico], Theo/. arithm. 2,2 s. 255
ὃς, 1, 1᾿, 1°; 256 ὃς, 2, 2᾽,
2". 257 ὃς, 3,3°,3”. 258 Sc. metteremo nell'ordine 4, 2, 1. 259 ὅς, 9, 6,4. 260 Ad es.: 3 è base del suo epimorio
epitrite 4, ma questo non può forni- ἐ
un terzo di sé perché un numero successivo, ad es. 5 o 6, ecc., sia epitrite 14.
261 Sc. il numeratore e il denominatore della parte. 262 Ad es. 8 epitrite di 6 contiene nella
differenza (1/3) le basi del suo rap-
porto epitrite, cioè 1, perché ha una sola parte come differenza, e 3
perché la parte è 1/3, 263 Ad es. 6 triplo di 2 contiene in
quest’ultimo, che è il termine minore,
il 3 che rappresenta il rapporto triplo (2x3). 264 Ad es. 10 epidimere di 6 contiene nella
metà della differenza, cioè 2
[=1/2(10-6)], la base del rapporto che è appunto 2 (2/3). 265 Sc. nel numero delle parti in più. 266 Sc. la metà, il terzo, il quarto,
ecc. 267 Sc. la differenza tra
denominatore e numeratore. 268 Il
numeratore è sempre inferiore di 1 rispetto al denominatore: 2/3, 3/4,4/5, 5/6, ecc. 816 GIAMBLICO 269 Sc. 2/3: ad es. 10 rispetto a 6. 270 Sc. 3/4: ad es. 14 rispetto a 8. 271 Sc. 4/5: ad es. 18 rispetto a 10. 272 ὃς. 1+2/3. 273 Sc. ἐπιδίτριτος, da non confondere con
il doppio-epitrite (διπλασιε- πίτριτος)
che è 2+1/3. 274 Sc. da 9. 275 Sc. 9+2/3(9)=15 e 15+2/3(15)=25. 276 Sc. 2+2/3. 277 Sc. (2x9)+2/3(9)=24 e (2x24)+2/3(24)=64. 278 Sc. 1+3/4. 279 Sc. ἐπιτριτέταρτος, da non confondere
con il triplo-epiquarto che è
3+1/4. 280 Sc. 16+3/4(16)=28 e
28+3/4(28)=49. 281 Sc. 2+3/4, 282 Sc. (2x16)+3/4(16)=44 e
(2x44)+3/4(44)=121. 283 Sc. 1+4/5. 284 Sc. 2+4/5. 285 Sc. (2x25)+4/5(25)=70 e
(2x70)+4/5(70)=196. 286 Sc. in
orizzontale. 287 Sc. in verticale. 288 Sc. in diagonale. 289 Sc. senza residuo. 290 Sc. per residuo in più. 291 $c. per residuo in meno. 292 Sc. della differenza che li misura. 293 Sc. che non rientri pienamente nella
misura. 294 Sia nel caso per eccesso
che in quello per difetto. 295 Il
ragionamento appare complicato, ma gli esempi che seguono lo ren- dono chiaro e intuitivo, Si potrebbe
utilmente leggere Boeth. De 245. I1 9,
237,28 ss. Friedlein, Lipsiae 1867, rist. anast. Frankfurt a. M.
1966. 2% Meglio, “dovrebbe
misurare”, dal momento che, come si vedrà subi.
to, tali misure risultano solo nella prima coppia (50=5x10;
55=5x11). 297 Sc. 50+1/10(50)=55;
10+1/10(10)=11. 298 Meglio, “dovrebbero
essere misurati”, dal momento che le vere misu-
re sono in questo caso 10,6 (=53/5) e 9,6 (=48/5). 299 Sc. 53>48+1/10(48)=52,8; ma anche le
loro misure sono l’una più che epidecima
dell'altra: 10,6>9,6+1/10(9,6)=10,56.
300 Meglio, “dovrebbero essere misurati”, dal momento che le vere
misu- INTRODUZIONE ALL’ARITMETICA DI
NICOMACO 817 re sono in questo caso
11,6 (=58/5) e 10,6 (=53/5). 301 Sc.
58<53+1/10(53=58,3; ma anche le loro misure sono l’una meno che un epidecimo dell’altra:
11,6<10,6+1/10(10,6)=11,66. 302 Se
aggiungiamo ad es. 2 unità a 12 e a 18, che hanno un rapporto emiolio, otterremo 14 e 20, che hanno un
rapporto minore di quello emio- lio,
perché 20<14+1/2(14)=21. 303 Secondo
il medesimo esempio di prima, sottratte 2 unità da 12 e da 18, si avranno 10 e 16, che hanno uguale
differenza, ma il rapporto è mag- giore
di quello emiolio, perché 10+1/2(10)=15<16.
304 Sc. l’introduzione alla musica.
305 Prendiamo ad es. 4 e 6 di rapporto emiolio (1+1/2) e li
moltiplichia- mo rispettivamente per 4 e
10 di rapporto doppio-emiolio (2+1/2), otterre-
mo 16 e 60 che sono di rapporto triplo-epitrite (3+3/4). In effetti
quest’ulti- mo rapporto corrisponde al
prodotto dei due primi rapporti e quindi si con- servano gli stessi rapporti. Infatti
(1+1/2)x(2+1/2)=3+3/4
[=3/2x5/2=15/4=3+3/4]. 306
Prendiamo ad es. due rapporti base, cioè 2 e 3 (base emiolia) e li mol- tiplichiamo rispettivamente per 3 e 4 (base
epitrite), otterremo 6 e 12, che sono di
rapporto doppio, che è base dei multipli.
307 Prendiamo l’esempio precedente, dove i generanti non erano basi,
e quindi non lo erano neppure i
generati. 308 Sc. per un numero pari di
termini e secondo lo stesso intervallo.
309 Ad es.: data l’esposizione pari per differenza di 2 dei seguenti 8
termi- ni 3,5, 7,9, 11, 13, 15, 17, la
somma totale di questi termini, che è 80, è il
multiplo della somma dei due estremi, cioè 20, per 4, che è la metà del
nume- ro dei termini, e da cui prende
quindi denominazione lo stesso multiplo, cioè
quadruplo: infatti 80=20x4. 310
Sc. στιγμή, che io traduco punto geometrico per distinguerla da σημεῖον, che è punto in senso generico. 311 Sc. come il punto è in ogni figura piana
il vertice o punto di incontro di due
linee, cosî l’unità solida è in ogni piramide il vertice o punto di incon- tro di tre o più facce. 312 1+2=3+3=6+4=10+5=15+6=21+7=28+8=36,
ecc.. 313 Sc. sono ambedue
triangolari. 314 Sc. ponendo
progressivamente come lato del triangolo il numero immediatamente successivo e sommando
cumulativamente tutti i punti o numeri
contenuti nel triangolo che si viene formando.
315 Sc. il quarto. 316 Sc. con i
triangolari. 317
1+3=4+5=9+7=16+9=25+11=36, ecc. 818
GIAMBLICO 318 Anche se in potenza,
essendo 4 il primo quadrato effettivo.
319 1+4=5+7=12+10=22+13=35+16=51, ecc.
320 Sc. ai posti I, III, V, ecc., come appunto sono rispettivamente
colloca- ti i triangolari, i
pentagonali, gli ettagonali, ecc. 321
Sc. ai posti II, IV, VI, ecc., come appunto sono rispettivamente collo- cati i quadrati, gli esagonali, gli
ottagonali, ecc. 322 3=1+2; 6=1+2+3;
10=1+2+3+4, ecc. 323 4=1+3; 9=1+3+5;
16=1+3+5+7, ecc. 324 5=1+4; 12=1+4+7,
ecc. 325 6=1+5; 15=1+5+49, ecc. 326 Sc. può assumere qualsiasi figura
geometrica. 327 C£, [Giamblico], Theo/.
aritbm. 12,10. 328 $c. rispetto all’ 1,
anche se questo è triangolare in potenza.
329 $c. quanti sono i lati che non mutano. 330 Il nome del poligono sarà di numero
uguale ai lati che mutano più due:
infatti dove mutano due lati, si ha il quadrato, cioè 2+2; dove mutano tre lati si ha il pentagono, cioè 3+2,
ecc. 331 Sc. “termini noti”. 332 Sc. “incognite”. 333 In termini moderni: dato un certo numero
[n] di termini noti o di incognite [x]
che ripartiscano una quantità assegnata [5], cioè x+x,,+x, +...+Xp.158
334 Sc. dei termini noti o delle incognite: ad es. x. 335 χεχ πᾶ); X+X7=47...X+Xn.12p.1- 336 Cioè 4.471... 8.1. 337 Sc. 5.
338 δὲ, x. 339
$c. se n=}. 340 Sc. se n=4. 341 Sc. se n=5. 342 Sc. se n=6. 343 Sc. n.
344
Il denominatore, o parte frazionaria da attribuire a x, è sempre n-2, qualunque sia n. Infatti l’intero
(denominatore 1) corrisponde a n=3 [3-
2=1], la metà (denominatore 2) a n=4 [4-2=2], il terzo (denominatore 3)
a n=5 [5-2=3], ecc. La formula generale
è la seguente: x=[(a;+a,+...+a,.1)-
s]:(n-2), che si ottiene cosî: poniamo x+x}+x3+...+Xn.1=S, € sommiamo
un termine qualsiasi del primo membro,
ad es. x, con ciascuno dei rimanenti:
x+x1=4; X+X7547...-X+X--124n.15 fatta la somma complessiva di queste
somme INTRODUZIONE ALL'ARITMETICA DI
NICOMACO 819
(n-1)x+xj+X7+...+Xp.12@+42+..-4p.1, sapendo che xj+X...+%n.1=5-x, si ha
(n- 1)x+5-x=aj+a,+...+4,.15
(n-2)x+s=a;+a+...+a,.;j (n-2)x=(aj+a,+...+4n.1)-5; quindi x=(a,+a,+...+a,.1)-s:n-2. 345 Sc. quando n-2=1. 346 Sc. n, che indica il numero delle
quantità note o incognite che divido- no
una quantità assegnata. 347 Sc. alla
x. 348 Sc. n. 349 ὃς, quanti sono i lati del
quadrato. 350 ὃς, i divisori sono
cinque, quanti i lati del pentagono. 351 Sc. 2e 3. 352 Sc. dei quattro numeri in cui vogliamo
distribuirlo secondo multipli
successivi. 353 Sc. doppio,
triplo, quadruplo e quintuplo. 354 Sc.
conosciamo la loro somma, ma non la rispettiva quantità. 355 Sc. 73.
356 Sc. in coppia con il secondo termine. 357 Sc. il primo termine. 358 Ecco il procedimento matematico secondo
la formula di Timarida: x+X1+X2+x3=120;
x+x}=2/3(120)=80, perché dev'essere il doppio della somma degli altri due termini che è 40;
x+x,=3/4(120)=90, perché dev’esse- re il
triplo degli altri due; x+x3=4/5(120)=96, perché dev'essere il quadruplo degli altri due; secondo la formula di
Timarida, che, come abbiamo visto, è
x=[(a;+a,+...+a,.1)-s]:(n-2), si avrà allora x=[(80+90+96)-120):2=73;
per semplice sottrazione tra i due
numeri di ciascuna coppia si avrà quindi
x;=80-73=7; x,=90-73=17; x3=96-73=23; quindi 120=73+7+17+23. 359 Sc. i dispari che nascono dall’aggiunta
di un'unità ai pari. 360 Sc. emiolio,
epitrite ed epiquarto. 36! Sc. del
primo prologo e del primo ipologo che ammettano un rappor- to emiolio, cioè 3 e 2. 362 Sc. del terzo e del quarto. 363 ὃς, 4 ς 3. 364 ὅς, 5 e 4. 365 1.088-630=458:2=229. 366 Sc. il primo termine. 367 Sc. il secondo termine. 368 Sc. quod erat demonstrandum. 369 1, 2,3,4,5,6,7,8,9 ... = gnomoni dei
triangolari nascenti per somma
cumulativa: 3, 6, 10, 15... 820
GIAMBLICO 370 1, 3,5, 7,9... = gnomoni
dei quadrati nascenti per somma cumulati-
va: 4,9, 16,25... 371 1, 4, 7,
10, 13 ... = gnomoni dei pentagonali nascenti sempre per somma cumulativa: 5, 12, 22, 35... 372 1, 5, 9, 13, 17 ... = gnomoni degli
esagonali nascenti sempre per somma
cumulativa: 6, 15, 28, 45 ... 373 $c. i
primi due gnomoni degli stessi ettagonali.
374 Sc. con numeri sempre diversi.
375 Sc. i triangolari uno si e uno no.
376 Sc. col doppio. 377 Sc. sono
pari e dispari a coppie alterne. 378 La
prima coppia di pari pentagonali è 12 e 22, di cui il primo è dispa- ri-pari (12:2=6:2=3), l’altro pari-dispari
(22:2=11); la seconda coppia è 70 e 92,
il primo pari-dispari (70:2=35), il secondo dispari-pari (92:2=46:2=23). 379 Sc. i numeri della seconda colonna,
perché la prima colonna contiene solo
unità. 380 Infatti sono 3, 4, 5, 6,
7,8, 9, ecc. 381 Infatti sono 6, 9, 12,
15, 18, 21, ecc. 3829 è emiolio di 6,
12 è epitrite di 9, 15 è epiquarto di 12, ecc.
383 16=10+3/5. 384
22=16+3/8. 385 28=22+3/11. 386 34=28+3/14. 387 Sc. i quinti hanno il nome dalla metà di
10; gli ottavi dalla metà di 16; gli
undicesimi dalla metà di 22, ecc. 388
Sc. sono sempre l’uno epimere dell'altro, ma le parti prendono nome dalla metà del minore che è appunto
l’ipologo. 389 Sc. triangolare: ad es.
il quadrato 16 è la somma di 10 che è il triango- lare posto sopra in colonna e 6 che è il
triangolare che precede 10. 39 Ad es.
il pentagonale 22 è la somma di 10 che è il triangolare che lo sovrasta in colonna e del doppio di 6 che
precede 10. 391 Ades. l’esagonale 45 è
la somma di 15 che è il triangolare che lo sovra- sta e del triplo di 10 che precede 15. 392 Ad es. l’ettagonale 18 è la somma di 6
che è il triangolare che lo sovra- sta e
quattro volte 3 che precede 6. 393 Sc.
il fattore moltiplicante. 394 Sc. il
moltiplicatore prima è 2, poi 3, poi 4, e cosi di seguito. 35 Sc. sulla seconda colonna. 3% La seconda colonna dei poligonali
contiene numeri che differiscono
INTRODUZIONE ALL’ARITMETICA DI NICOMACO 821 tra loro di 1, cioè del numero che
costituisce la colonna dei poligonali in
potenza, che è la prima colonna.
397 Sc. come quello del terzo ordine in larghezza. 398 28=22+12-(3x2). 399 Sc. che danno inizio alla serie dei
poligonali. 400 Sc. per colonne
successive. 401 ὅς, la colonna. 402 Sc. il quadrato 25, il pentagonale 35,
l’esagonale 45, ecc. 403 Sc. secondo il
triangolare precedente al 15: infatti i poligonali che stan- no sotto il triangolare 15 differiscono tutti
della stessa misura, cioè del trian-
golare precedente che è 10: sono infatti 25, 35, 45, 55, ecc. Ma anche i
poli- gonali che stanno ad es. in
colonna sotto il triangolare 6 differiscono tutti di 3 che è il triangolare precedente al 6: sono
infatti 9, 12, 15, 18, 21, ecc. 404 Sc.
precedente a 21. 405 Sc. ogni
poligonale sarà somma del suo precedente pii il precedente del triangolare della sua colonna. 406 Sc. che è immediatamente più piccolo: ad
es. quadrato rispetto a pen- tagonale, o
ettagonale rispetto a esagonale, ecc.
407 Sc. della colonna precedente, cioè del triangolare immediatamente
più piccolo di quello della sua
colonna. 408 Cf. Filolao, B 10 DK, dove
il testo riferito è sia quello di Nicomaco,
Arithm. intr. 115,2 Hoche, sia quello di Teone di Smirne 12,10 Hiller, i
quali hanno Sita dpoveb[ov]viov.
Trattandosi di «musica», come testimonia
Teone, è più probabile che i Pitagorici usassero il verbo φωνέομαι, come giustamente attesta Giamblico. Del resto, in
caso contrario, si tratterebbe di
«persone dissenzienti» (cosi Boezio, Aritbw. 126,117 Friedl.) e non di
«ele- menti discordanti», come correttamente
traduce Giannantoni (cf. I Presocratici,
a cura di G. G., 1975, ad loc.): il che sembra ancora pit impro- babile.
499 Sc. quantità numerica o aritmetica.
410 Sc. quantità geometrica solida.
411 $c. quantità geometrica piana.
412 Sc. nel caso del numero. 413
Sc. nel caso della grandezza piana. 414
Sc. nel caso del volume o massa. 415
Sc. della diade. 416 Sc. per passare
dai due lati uguali ai due disuguali.
417 Sc. all'1eal2. 418 Sc.
“eteromeche”. 419 € came in altri “δον
εἴ n 272 ΜΔ haccima κα. 822
GIAMBLICO 420 ὅς, i dispari e i
pari. 421 Se cioè ordineremo i soli
dispari e i soli pari, senza mescolarli, come
se li estendessimo in successione semplice. 422 Sc. dai dispari e dai pari. 423 Lett. iniziatore e guida. 424 O altra serie di quadrati, per somma
cumulativa. 425 Sc. i quadrati, che
sono prodotti di un numero per se stesso: 2x2, 3x3, 4x4, ecc.
426 Sc. gli eteromechi, che sono prodotti di numeri diversi: 2x3, 3x4,
4x5, 5x6, 6x7, ecc. 427 Sc. i quadrati nascono con l'aggiunta
successiva di un numero dispa- ri. 428 Lett. “doppio stadio”: corsa in andata e
ritorno con una barriera di partenza, un
punto di svolta e ritorno al punto di partenza quale meta fina- le.
429 Cf. [Giamblico], Theol aritbm. 10,4. 430 1+2+1=4. 431 1+2+3+2+1=9. 432 1+2+3+4+3+2+1=16. 433 Sc. il suo quadrato: se prendiamo ad es.
il quadrato 16, troviamo che 4, che è il
numero laterale, è inizio della regressione verso l’ 1 [4>3>2>]], fine della progressione dall’ 1
[1>2>3>4] e punto centrale o medietà tra pro- gressione e regressione, perché è il numero
in cui avviene la svolta dall’una
all’altra, e infine la somma totale di tutti i numeri che si incontrano
nella pro- gressione e nella
regressione, cioè 1+2+3+4+3+2+1, è 16 che è potenza qua- drata di 4.
434 Sc. si dovrà prendere le mosse dal 2 e non dall’ 1. 435 VS 44 B 8 Diels-Kranz; cf, anche VS 47
[Archita] A 20 Diels-Kranz = Theon
Smyrn. 20,19 Hiller, dove si dice che Filolao e Archita chiamavano indifferentemente Monade l’Uno e Uno la
Monade. 436 Sc. il numero 1 da cui ha
inizio sia il lato minore che quello maggiore,
437 Sc. i due numeri rappresentano i limiti dei due lati. 438 Sc. alla regressione. 439 Cf. [Giamblico], Theol. arithm.
9,14. 440 Sc. [Giamblico], Theo/.
arithm. 11,17. 441 Poiché prima del 2
c'è l’ 1. 442 Cf. Platone, Phaedr. 245
D 2 s., dove però si dice, con maggiore pre-
cisione, che «se un principio nasce da qualcosa, non è più principio —
εἰ γὰρ ἔκ του ἀρχὴ γίγνοιτο, οὐκ div ἔτι
ἀρχὴ γίγνοιτο». 443 Anch'esso
eteromeche: 1x2=2. INTRODUZIONE
ALL'ARITMETICA DI NICOMACO 823 444 Sc.
lo stesso numero: ad es. 16 ha come punto di svolta solo 4, perché 4x4=16.
445 Sc. per moltiplicazione. 446
Sc. nascevano per somma di un dispari poi di due poi di tre sempre dispari: ad es. 1+3=4+5=9+7=16+9=25, ecc.,
dove il progressivo risultato delle
somme dei dispari dà appunto i quadrati 4, 9, 16, 25, ecc. 447 Sc. nasceranno per somma di un primo
pari poi di due, ecc.: ad es.
2+4=6+6=12+8=20+10=30, ecc., dove il progressivo risultato della
somma dei pari dà appunto gli eteromechi
6, 12, 20, 30, ecc. 448 Sc. per
accumulazione. 449 Sc. il
prodotto. 450 Sc. dei fattori. 451 Sc. il prodotto è la somma di uno dei
due fattori tante volte quante sono le
unità dell'altro fattore: ad es., nel caso di 6,=3x2 0 2x3, 3 è preso due volte, o 2 tre volte. 452 2x2=2+2=4. Cf. [Giamblico], Theo/.
aritbm. 10,19. 453 3x3=9>3+3=6. 454 1x1=1<1+1=2. 455 Cf. [Giamblico], Theol. aritbm.
11,1. 456 C£. [Giamblico], Theol.
arithtn. 77,19. 457 Il quadrato di un
dispari è dispari, e viceversa il quadrato di un pari è pari.
458 Ogni eteromeche nasce dal prodotto di due numeri uno dispari e
l’al- tro pari, che dànno lo stesso
risultato moltiplicati vicendevolmente: ad es.
12=3x4=4x3. 459 Ogni pari
moltiplicato da un dispari produce ugualmente un pari: quindi quando si moltiplica un dispari per un
pari o viceversa si ottiene sem- pre un
prodotto pari. 460 Cf, Platone, Resp.
VIII 546 B ss. 461 Sc. nel primo
caso. 462 Sc. nel secondo caso. 465 Sc. accoppiati, cioè l’uno accanto
all’altro. 464 Sc. eteromechi: ad es.
2x6=12=3x4; 6x12=72=8x9;
30x42=1260=35x36, ecc. 465 Sc.
un quadrato con un eteromeche, o viceversa.
466 Sc. relativo al primo della serie.
467 Sc. del doppio: 2=1x2. 468
Sc. emiolio: 6=4+1/2(4). 469 Sc.
epitrite: 12=9+1/3(9). 824
GIAMBLICO 470 Sc. epiquarto:
20=16+1/4(16). 471 Sc. relativamente a
numeri che occupano il medesimo posto nelle due
file dei quadrati e degli eteromechi.
472 Sc. 1 (=2-1), 2 (=6-4), 3 (=12-9), ecc. 473 Sc. quadrati. 474 3 (=4-1), 5 (=9-4), 7 (=16-9), ecc. 475 Sc. eteromechi. 476 4 (=6-2), 6 (=12-6), 8 (=20-12),
ecc. 477 1+1/3, 1+1/5, 1+1/7, ecc. 478 4[=6-2] e 3 [=4-1]=epitrite [3+1/3(3)=4;
6[12-6] e 5[9-4]= epiquinto
[5+1/5(5)=6]; ecc. 479 Sc.
quadrato: 1+(2x2=4)+4=9. 480 Sc.
quadrato: 9+(12x2=24)+16=49. 481 Sc.
quadrati. 482 Sc. eteromechi. 483 Ad es.: 2+(4x2=8)+6=16;
6+(9x2=18)+12=36; ecc. 484 Sc.
moltiplicati per 2. 485 Sc. appunto
perché eteromechi. 486 Sc. quadrati, o
simili, ed eteromechi, o dissimili. 487
In effetti i veri gnomoni sono tutti i numeri dispari e tutti i numeri pari, dalla cui somma cumulativa si formano
rispettivamente i quadrati e gli
eteromechi. 488 Sc. 1, 2, 4: si
parte dal quadrato si aggiunge l’eteromeche che sta sotto e ancora il quadrato successivo. Poi si riprende
da quest’ultimo e si procede allo stesso
modo: la seconda combinazione sarà, quindi: 4, 6, 9. 489 Sc. 4+1/2(4)=6+1/2(6)=9. 490 Sc. 9+1/3(9)=12+1/3(12)=16. 491 Sc. 16+1/4(16)=20+1/4(20)=25. 492 Sc. nel formare combinazioni fatte di un
quadrato collocato tra i due eteromechi
contigui. Questa volta si deve partire, ovviamente, dall’eterome- che a cui si aggiunge il quadrato che sta
sopra in diagonale e quindi l’etero-
meche successivo: ad es. 2, 4, 6 (rapporti doppio ed emiolio); 6, 9, 12
(rap- porti emiolio ed epitrite); 12,
16, 20 (rapporti epitrite ed epiquarto); ecc.
493 4=2x2; 6=4+1/2(4). 494
9=6+1/2(6); 12=9+1/3(9). 495
16=12+1/3(12); 20=16+1/4(16). 496 Sc.
quadrato. 497 Sc. eteromeche. 498 Sc. secondo il medesimo posto occupato
nelle due file. INTRODUZIONE
ALL’ARITMETICA DI NICOMACO 825 499 Sc.
sommando ciascun eteromeche, oltre che con il quadrato che gli sta sopra, anche con il quadrato
seguente. 500 1 {=2:2), 3 (=6:2), 6
(=12:2), 10 (=20:2), ecc. 501 Perché è
contemporaneamente doppio e potenza nel medesimo tempo?
502 2=1x2. 50) 4=2x2. 504 6=4+1/2(4). 505 12=9+1/3(9). 506 16=12+1/3(12). 507 20=16+1/4(16). 508 25=20+1/4(20). 509 Sc. il quinto simile:
30=25+1/5(25). 510 42=36+1/6(36). 511 Sc. del numero ordinale: la frazione
dev'essere omonima del numero di posto
del dissimile. 512 Sc. quando i due
occupano il medesimo posto. 513 Sc.
quando uno dei due occupa il posto successivo.
514 Sc. nelle unità. 515 Sc. le
decine da 11 a 100 e le centinaia da 101 a 1000. 516 Cf. [Giamblico], Theo/ arithm. 27. 517 Sc. i numeri da 1 a9. 518 10+2(1+2+3+4+5+6+7+8+9)=100. 519 Sc. da 1. 520 Sc. 1.
521 Sc. 10: cioè 1+2+3+4+5+6+7+8+9+10+9+8+7+6+5+4+3+2+1=100. 522 Sc. come punto di svolta. 523 Sc. 1.000. 524 Sc. divisibile per due numeri la cui
differenza è più di 1. 525 Sc. di
essere numeri laterali. 526 Sc. è
divisibile o per 3 o per 4. 527 Ad es.
25, che non è divisibile né per 3 né per 4, sottratto 1, e quindi ridotto a 24, diviene divisibile per 3 (8) e
per 4 (6). 528 Se si sottrae
un’unità. 529 Ad es. 36, che è divisibile
sia per 3 che per 4, sottratto 1, e quindi
ridotto a 35, non è divisibile né per 3 né per 4. 530 Sc. della stessa specie, pari o dispari. 531 Ad es. 5x3+1=16, 5x7+1=36, 8x6+1=49,
8x10+1=81, ecc.. 826 GIAMBLICO 532 Sc. multiplo-epimorio o
multiplo-epimere: ad es.: 7x21{triplo) = 147:3
= 49 = 7x7; 8x16(doppio) = 128:2 = 64 = 8x8, ecc. 533 Ad es.: 6x8+1 = 49 = 7x7; 10x8+1 = 81 =
9x9, ecc. 534 Il termine ῥητός, che
comunemente ha il significato di “esprimibile
con parole”, in aritmetica significa la proprietà che si attribuisce a
quelli che i moderni chiamano “numeri
razionali”, cioè quantità intere o frazionarie di cui è sempre possibile la divisione (tranne che
per lo zero). 535 Non esiste, ad
esempio, un numero razionale che misuri il rapporto tra lato e ipotenusa in un triangolo
rettangolo, o tra circonferenza e diame-
tro in un circolo. 536 Sc. il
numero laterale. 537 Sc. con il numero
diametrale. 538 Sia come realtà
aritmetica, presupposto necessario di qualunque altra realtà matematica (geometrica, armonica,
ecc.), sia anche come principio di ogni
realtà non matematica, a parte, ovviamente, quella intelligibile, da cui anzi esso dipende. 539 Stabilire cioè il lato di misura 1 e il
diametro della stessa misura 1. 540
Portando cioè il lato a 2 e il diametro a 3.
541 Sc. diam. 1=(1x1) = lato 2(1x1)-1.
542 Sc. quella del diametro e quella del lato. 543 Sc. essendo uguali a se stesse anche
elevate alle loro potenze. 544 Infatti
diametro (3x3=9) = 1+ lato 2(2x2=4)=8.
545 δ΄, cosi come è stato stabilito che si debba fare universalmente e
in modo sempre identico. 546 Sc. diam. 3+2(2)=7; lato 2+3=5. 547 49=2(25)-1. 548 Sc. diam. 7+2(5)=17; lato 5+7=12. 549 (17x17=289)=2(12x12)+1. 550 Sc. hanno tra loro un rapporto
definibile con un numero razionale,
nella fattispecie 1. 551 Il
passaggio non è chiaro, ma il senso potrebbe essere questo: la prima dimensione è la linea, la seconda la
superficie, la terza il volume o massa, ma
perché si formi la prima dimensione occorrono due punti, perché la
dimen- sione è un intervallo e questo
richiede almeno due termini; perché poi si
formi la seconda dimensione basta aggiungere un terzo punto, cioè
due intervalli, e infine perché nasca la
terza dimensione, la solidità, occorre
aggiungere un quarto punto, cioè tre intervalli. Quindi la prima
dimensione è quella che assume, perché è
da essa che si parte nella formazione del soli-
do, la seconda dimensione è quella che viene assunta dalla prima perché
si possa procedere, la terza è quella in
virtà della quale, infine, è possibile che
INTRODUZIONE ALL'ARITMETICA DI NICOMACO 827 venga assunta la solidità. Il quarto
termine, dunque, occorre solo perché
siano possibili le tre dimensioni o intervalli, ma esso è già
virtualmente pre- sente fin dall’inizio,
cioè fin dalla formazione del primo intervallo o dimen- sione.
552 Sc. a forma di mattoni. 533
Sc. a forma di travi. 554 Sc. a forma
di pali. 555 Sc. a forma di
altari. 556 Sc. a forma di cunei. 557 Infatti le piramidi (da non confondere
qui con i tetraedri) hanno disu- guale
l'angolo al vertice. 558 Sc. hanno una
sola base possibile. 559 Sc.
tetraedri. 560 Sc. a forma di
colonna. 561 Sc. tutte le facce sono
uguali e ognuna, essendo un quadrato, rappre-
senta un dato numero moltiplicato per se stesso. 562 Sc. con il lato, che è il numero
iniziale. 563 Sc. ai quadrati dello
stesso numero. 564 5x5=25 (circolare)
x5=125 (sferico); 6x6=36 (circolare) x6=216 (sfe- rico): tali numeri sono stati detti anche
apocatastatici o ricorrenti: cf. p. 11,
supra. 565 Sc. quella del
tetraedro, perché al vertice delle altre specie di pirami- de convergono, in funzione della forma della
base, più di tre lati. 566 Cf. p.
93,17, supra. 567 Sc. nei docidi. 568 Sc. triangolari per formare piramidi di
base triangolare, quadrati per formare
piramidi di base quadrata, ecc. 569 Sc.
fino al numero di lati, alla base, che preferiamo. 570 Sc. della stessa forma poligonale del
numero piano di partenza. 371 1+3=4+6=10+10=20, ecc. 572 144=5+9=14+16=30+25=55, ecc. 573 1+5=6+12=18+22=40, ecc. 574 Sc. a partire da 1: si ricordi che 1 è
numero poligonale in potenza. 575 Sc.
triangolari, pentagonali, ettagonali, ecc.
576 Sc. quadrati, esagonali, ottagonali, ecc. 57? Cf. p. 60 fin., supra. 578 Sc. piramidi triangolari o pentagonali o
ettagonali, ecc. 579 Sc. il primo
numero. 580 Sc. tutti i dispari al
quinto posto. partendo dalla notenza. finiscono 828 GIAMBLICO per 3.
581 Sc. nella stessa colonna del dispari terminante per 5 che cade dopo
i tre pari della precedente serie. 582 Sc. sulla prima fila. 583 Sc. esposizione in fila
orizzontale. 584 Il primo piramidale è
1, che quindi si somma allo 0. 585 Il
secondo piramidale somma due poligonali.
586 Il terzo piramidale somma tre poligonali. 587 Sc. la prima piramide elementare, che è
appunto la piramide formata da quattro
piani triangolari o tetraedro: la differenza tra le piramidi della terza colonna sarà la prima piramide in atto
4. 588 Sc. la differenza tra le
piramidi della quarta colonna sarà la seconda
piramide in atto 10. 589 Tutte
le piramidi hanno come primo gnomone 1, ma diversi numeri come gnomoni successivi: ad es. le
triangolari hanno come gnomoni 1, 3, 6,
10, ecc.; le quadrate 1, 4, 9, 16, ecc., le pentagonali 1, 5, 12, 22,
ecc. 590 C£. p. 13 in. e 73 in., supra:
i dispari hanno la natura dell’identico per-
ché hanno come principio formale l’ 1. Il contrario vale per i pari, che
hanno come principio il 2. 591 Sc. prima un dispari, poi due dispari
successivi, poi tre dispari succes-
sivi, poi quattro dispari successivi, ecc. 592 Sc. in file parallele tutti i quadrati
dei numeri in successione. 59 Ad es.:
64, cubo di 4, moltiplicato per il suo stesso lato 4, fa 256, che è un quadrato di lato 16, ed è quadruplo del
cubo 64, come il quadrato del lato del
cubo 4, cioè 16, è quadruplo dello stesso lato 4; oppure 625, cubo di 1. lia 5, è quintuplo del cubo come il
quadrato 25 è quintu- plo di 5. 594 Nel primo esempio, 16 è lato del
quadrato 256, che nasce dal cubo 64
moltiplicato il suo lato 4. 59
Ad es. il cubo di 9 è 729, che è anche il quadrato di 27. 5% Due unità di valore monetario: 1 talento
= 60 mine. 597 Sc. il quanto grande o
quantità continua, propria degli enti geometri-
ci. 598 Unità di misura lineare;
1 cubito = m. 0,443 = 2 palmi o spanne [om-
θαμαί] = 24 dita. 59 Unità di
misura per liquidi e aridi: 1 cotila [ciotola] = 1/4 di litro ca. 600 Unità di misura per aridi: 1 chenice =
1,08 di litro = 1/48 di medim- no = 4
cotile. 601 Sc. la quantità discreta,
propria degli enti aritmetici o numeri.
602 Sc. la disuguaglianza presuppone due tipi di rapporto tra due
termini INTRODUZIONE ALL’ARITMETICA DI
NICOMACO 829 diversi: a con b e b con
a. 603 Sc. c'è una sola unità tra i due
numeri nell’un caso e nell’altro, anche
se in aumento o in diminuzione.
604 Sc. il rapporto è identico, perché è emiolio [1+1/2], mentre
l’interval- lo è diverso, perché è 2 e
3. 605 Cf. p. 37, supra. 606 Viene chiamato /irzzza il rapporto di
semitono o diesis, che tuttavia, secondo
i numeri proposti, è meno della metà di un tono (1/8). Infatti la dif- ferenza di tono rispetto a 243 sarebbe
273,375 (243+1/8(243)); se dividiamo a
metà la differenza tra 273,375 e 243, otteniamo 15,1875, che è più della dif- ferenza tra 256 e 243 (=13). Quindi si hanno
due semitoni, uno minore, che è il
lirzza di cui parliamo, e l’altro maggiore, che viene chiamato 4potome (nell'esempio numerico 17,375). Cf.
Teone di Smirne, Expos. rerum mathem. ad
leg. Plat. util. 66-67 Hiller, e Boezio, De 245. II 28 = 260 Friedlein; II
30 = 263 5. Friedlein. 607 Cf. Teone di Smirne, Expos. rerum
mathem. ad leg. Plat. util. 82 Hiller; Nicomaco, Arithm. intr. 120 Hoche; et
Aliî. 608 Sc. di questo tipo, cioè di
proporzione. 609 Si tratta, come si sa,
della proporzione aritmetica, che presuppone una differenza uguale tra i termini del
rapporto. 610 C£. p. 44-45, supra. 611 CÉ£. p. 44, supra. 612 C£. p. 104, supra. 613 Sc. non gli Acusmatici. Sulla
distinzione tra Matematici e Acusmatici,
cf. Giamblico, De comm. math. sc. cap. 25. 614 Sc. da subcontraria in armonica. 615 Sc. la differenza tra il medio e gli
estremi è uguale, ma il rapporto è
diverso, perché il medio è maggiore dell’estremo minore e minore dell’estre- mo maggiore.
616 Sc. possono cambiare di quantità senza che cambi la continuità,
cioè la distanza dei termini tra loro. 617 Sc. da una serie di tre numeri uguali:
cf. p. 44, supra. 618 1, 1+1,
1+1+1=1,2,3. 619 1+1, 1+(2x1),
1+(2x1)+1=2,3,4. 620 Sc. dalla serie di
tre 1. 621 Da 1, 1, 1, nasce la medietà
1, 2, 3. 622 Da 2, 2, 2, nasce la
medietà 2, 4, 6. 623 Da 3, 3, 3, nasce
la medietà 3, 6,9. 624 Da 4, 4, 4,
nasce la medietà 4, 8, 12. 625 Nel
rannarta 2 4 4 43 dannia di 7 a 4 amialin A 4 a ἐσ di 9 830 GIAMBLICO 626 Nel rapporto 2, 6, 10, 6 è triplo di 2
e 10 epidimere di 6 [10=6+2/3(6)] e
quintuplo di 2. 627 Nel rapporto 2, 8,
14, 8 è quadruplo di 2 e 14 epitrimere di 8
[14=8+3/4(8)] ed ettaplo di 2.
628 Cf, Nicomaco, Aritbm. intr. 125.
629 Sc. le somme. 630 Sc. dalla
somma. 631 Sc. che sia già incluso
nella precedente combinazione. 632
14243=6; 445+6=15=1+5=6;7+8+9=24=2+4=6,
633 C£, p. 88, supra. 634
Platone, Tim. 36 A. 635 Su questi tre
termini si è molto discusso fra gli studiosi del Timzeo: io credo che qui Platone non alluda alla
differenza tra numeri lineari piani e
solidi (Fraccaroli), o alla differenza tra aritmetica, geometria e musica (Giarratano), bensi alla differenza tra enti
matematici, enti corporei e poten- ze o
funzioni irriducibili tou! court agli uni o agli altri. 636 Sc. le varie collocazioni e funzioni del
medio e degli estremi: hanno torto
coloro che intendono il ταῦτα [πάντα in Platone] come riferito ai ter- mini, perché non ha senso dire che questi
sono “gli stessi” o “identici”, dal
momento che non della loro entità matematica o d’altro si tratta, bensi
della loro posizione o funzione nella
proporzione geometrica. Molto più plausibi-
le la traduzione di Reale «accadrà che tutte le proporzioni siano le
stesse» (cf. Platone, Tutti gli Scritti,
a cura di G. Reale, Milano 1991, ad loc.
637 Platone, Tir. 31 C 4 ss. 638
Sc. Pseudo-Timeo di Locri, un anonimo del II sec. a.C. autore di un’epitome del Tizzeo platonico. 659 Timone fr. 54 Diels [= 828
Lloyd-Jones/Parsons]: καὶ σύ, Πλάτων᾽
καὶ γάρ σε μαθητείης πόθος ἔσχεν, πολλῶν δ᾽ ἀργυρίων ὀλίγην ἠλλάξαο βίβλον, ἔνθεν ἀπαρχόμενος τιμαιογραφεῖν
ἐδιδάχθης. Su questo testo timonico e
sulle altre testimonianze relative al presunto plagio di Platone, cf. ora Timone di Fliunte, Sî//, a cura di M.
Di Marco, Roma 1989, 235 ss. 640
H, Thesleff, The Pytbagoreans Texts of the Hellenistic Period, Àbo 1965, 207,23-208,2. Se infatti si inverte
l’ordine in modo che l’ultimo estre- mo
diventi primo e viceversa il primo diventi ultimo, e il medio inverta le
due sue posizioni, o si scambiano di
ruolo i medi con gli estremi in modo che i
medi diventino estremi e gli estremi medi, allora accade che fra tre
termini, ad es. 2, 4, 8, si equivalgano
le seguenti proporzioni: 2:4=4:8; 8:4=4:2;
4:2=8:4; 4:8=2:4. 641 Sc. di
ogni specie di multiplo o epimorio, ecc.
642 Sc. gli intervalli.
INTRODUZIONE ALL’ARITMETICA DI NICOMACO 831 643 Sc. per moltiplicazione. 644 Sc. in funzione del progredire delle
frazioni. 645 Sc. non tutti possono
essere divisi in parti che si esprimano in numeri interi.
646 2,4, 6, 8, 10, 12, 14, 16, 18, 20, 22, 24... 647 3, 6,9, 12, 15, 18, 21, 24... 648 4, 8, 12, 16, 20, 24... 649 5, 10, 15, 20, 25... 650 Nell’es., entro i primi venticinque
numeri, si passa da dodici a cinque. 61
Sc. è emiolio. 652 Sc. in modo che
abbia un suo emiolio. 65) Sc. è
epitrite. 654 Sc. i quadrati: cf. p.
82, supra. 655 Sc. gli eteromechi: cf.
ibidem. 656 Sc. mettiamo in fila l’uno
dopo l’altro nell’ordine quadrati ed eterome-
chi, che si intrecceranno alternandosi fra loro, cosi: 1, 2, 4, 6, 9,
12, 16, 20, 25, 30, 36, ecc. 657 1, 2,4; 4, 6,9; 9, 12, 16; 16, 20, 25;
ecc. 658 Sc. in modo che l’ultimo della
terna precedente sia il primo della terna
seguente, come si diceva. 659
Sc. le basi dei rapporti. Infatti la prima terna 1, 2, 4 contiene il
rappor- to del doppio, la terna 4, 6, 9
il rapporto base emiolio, la terna 9, 12, 16 il
rapporto base epitrite, ecc. i
660 Cosi come accade nella proporzione aritmetica che ha uguali interval- i.
661 Cosi come accade nella proporzione geometrica, che ha uguali
rap- porti. 662 6=3x2; 6=2x3. 663 6-3=3 e 3-2=1 (3 triplo di 1); 6-4=2 e
4-3=1 (2 doppio di 1). 664 Infatti la
somma di un emiolio (accordo di quinta) e di un epitrite (accordo di quarta) fa un doppio (accordo di
ottava o diapason): [emio-
lio=1+1/2=3/2]+[epitrite=1/3(3/2)=3/6]=[doppio=2]. 665 Sc. il prodotto degli estremi
3x6=18. 666 Sc. il prodotto del medio
per se stesso 4x4=16. 667 Infatti
18=16+1/8(16). 668 Sc. 1+1/8, che,
nella proporzione musicale, cioè armonica con quattro termini, 6, 8, 9, 12 costituisce il rapporto
8 a 9, che sta tra il rapporto epitri-
te 6 a 8 dell'accordo di quarta e il rapporto emiolio 6 a 9 dell'accordo
di quinta: i due accordi, infatti
differiscono di un tono. 832
GIAMBLICO 669 Sc. secondo la prima
formazione 2, 3, 6. 670 Infatti
contiene il rapporto emiolio (di quinta) di 2 a 3, e il rapporto doppio (di ottava) di 3 a 6. 671 Sc. 6x6=36. 672 Infatti 6x6=36=4(3x3). 673 Sc. due volte il doppio. 674 Sc. ogni termine moltiplicato per se
stesso. 675 24=18+1/3(18);
12=9+1/3(9). 676 18=12+1/2(12);
24=16+1/2(16); 36=24+1/2(24). 677
18=16+1/8(16). 678 Sc. tra medio e
minore, da un lato, e maggiore e medio, dall’altro. 679 Sc. doppio come gli estremi 6 a 3, ed
emiolio come 3 a 2: infatti 2 (accordo
di ottava) + 1/2(2) (accordo di quinta) =
680 Platone, Tirz. 36 A: cf. p. 104, supra. 681 3=2+1/2(2)=6-1/2(6). 682 4=3+1/3(3). 683 4=6-1/3(6). 684 Sc. che la medietà armonica sia subcontraria
all’aritmetica e alla geo- metrica. 685 Sc. del medio; ad es. 4:6=6:9, dove il medio
6 supera l’estremo 4 di metà di questo
[2], ma è superato dall’estremo 9 della medesima parte, cioè la metà, del medio stesso [3]. 686 Ad es. 2, 3, 4, tra i minori 2 e 3 il
rapporto è emiolio, cioè maggiore di
quello epitrite che c’è tra i maggiori 3 e 4.
687 Ad es, 3, 4, 6, hanno tra i minori 3 e 4 il rapporto epitrite che è
mino- re di quello dei maggiori 4 e 6,
che è emiolio. 688 Infatti 2, 3, 6,
hanno 3x(2+6)=24=2x(2x6); e 3, 4, 6, hanno
4x(3+6)=36=2x(3x6). 689 Sc. la
prima delle due medietà: 2, 3, 6. 690
Sc. gli estremi sono l’uno doppio dell’altro, e doppia è pure la diffe- renza tra i maggiori rispetto a quella tra i
minori. 691 Sc. 3,4, 6. 692 ὅς, 5: infatti 40 aggiunge 5 e fa 45, e
10 perde sempre 5 e fa 5. 69 Ad es. 3,
5, 6, 6:3=(5-3):(6-5). 694 Nell’armonica
infatti diciamo: come la differenza tra i minori sta alla differenza tra i maggiori, ecc., mentre in
questa subcontraria invertiamo le
differenze. 69 Sc. gli estremi
dell’armonica sono 2 e 6, 0 3 e 6, cosî come quelli della quarta medietà: armonica = 2, 3, 6, 0 3, 4,
6; subc. = 2,5, 6,03, 5, 6. INTRODUZIONE
ALL'ARITMETICA DI NICOMACO 833 696
Quando, cioè, il medio supera l'estremo minore della stessa parte di cui è superato dall’estremo maggiore: ad es.
3, 4, 6, 4=3+1/3(3)=6-1/3(6). 697
Quando, cioè, il medio supera l’estremo minore della stessa quantità numerica con cui lo supera il maggiore: ad
es. 2, 4, 6, 4=2+2=6-2). 698 Quando,
cioè, il medio supera l'estremo minore di una parte di sé che è uguale alla parte dell'altro estremo con
cui questo a sua volta lo supera. 699
Sc. secondo una differenza in più e in meno dello stesso medio, per- ché questo ha con i due estremi differenze multiple
(inverse a quelle che tro- viamo nella
medietà geometrica, di cui infatti è subcontraria): ad es. 3, 5, 6, [6:3=(5-3):(6-5)]. 700 Sc. 2,5,6e3,5,6. 701 Sc. non a quella armonica. 702 4:2=(4-2):(5-4). 703 ὃς, dall’uguaglianza. 704 4-1=6-4+1/2(6-4), ovvero
3=2+1/2(2). 705 Sc. quarta, quinta e
sesta. 706 Cf. p. 113, supra. 707 Sc. 6, 8,9, (8x9):(6x8)=9:6=(9-6):(8-6),
cioè 72:48=9:6=3:2, come dire che c’è la
stessa divisibilità rispettivamente per 3 e per 2. Si noti che il rap- porto promeche nei prodotti 72 [24x3] e 48
[24x2] diviene alla fine etero- meche
3x2. 708 $c. settima, ottava e nona. 709 Sc. precisamente epidimere 3 a 5
[3+2/3(3)=5], epimere trisepiquinto 5 a
8 [5+3/5(5)=81]: cf. pp. 42 e 70, supra.
710 Sc. 5x3=(8-3)x(8-5)=5x3. 711
Sc. le medietà quarta, quinta e sesta scoperte da Archita e da Ippaso: cf. pp. 113 e 116, supra. 712 Sc. secondo una continuità di tre in
tte: infatti questa decima si gene- ra
dalla quarta cosi come la settima, creando un ritmo di terze: la settima infatti è al terzo posto dalla quarta come la
decima lo è dalla settima. 713 Sc.
anche se le terne non sono complete.
714 Cf, [Giamblico], Theo/. arithm. 80,8. 715 Cf. [Giamblico], Theo/. aritbm.
80,3. 716 Sembra una chiara allusione a
[Giamblico], Theol. aritbm. C£. p.
125,14 ss., infra. 717 Cf.
[Giamblico], Theo! arithm. 54,8. 718
Platone, Tir. 36 A-B. 719 Lett.:
medietà — μεσότητας. 720 Sc. dello
stesso numero: la formula generale è: 1, 1+1/3, 2: si tratta di rina nennaszinna armanina Ta cri Lasi κα 3
1 £ 2-2 4 £ 834 GIAMBLICO tuiscono proporzioni armoniche di rapporto
uguale, che è rispettivamente 1/3 e 1/2.
L'altro medio invece costituisce una proporzione aritmetica di rap- porto 1, 2, 3, in cui la differenza tra gli
estremi e il medio è un numero sem- pre
uguale. 721 Il termine lizza è qui
usato impropriamente al posto di intervallo:
infatti nel testo platonico troviamo διαστήματι (36 B 1) invece di
λείμματι. Il limama, infatti, non è
l'intervallo epiottavo che corrisponde al tono, bensi un altro tipo di rapporto che compete al
semitono o diesis. Cf. nota 606,
supra. 722 In armonica è l’intervallo
epiottavo (9 a 8 = un tono) che aggiunto
all'accordo di quarta forma l'accordo di quinta. 723 Sc. diapason, accordo di ottava,
appunto. In quest’ultima parte il testo
platonico è alterato e abbreviato.
724 Sc. all'unisono. 725 Sc.
l’intervallo tra suoni che sono in rapporto epitrite tra loro, come 4 a 3 [4=3+1/3(3)]. Dividendo infatti la corda
in 7 parti, e fissando alla quar- ta
parte un ponticello, e facendo risuonare alternativamente le due parti, si ottiene appunto l'accordo di quarta o
diatessaron. Cf. Boezio, De mus. ed.
cit., IV 18, p. 348 s., ma anche p. 365, dove si legge chiaramente
questa moti- vazione: «Etenim
diatessaron consonantia quattuor efficitur nervis, idcirco etiam diatessaron nuncupatur». 726 Sc. di intervallo di un tono. 727 Sc. tra l'accordo di quinta e l'accordo
di quarta. 728 Sc. di un tono: 6, 8, 9,
12 = epitrite 6 a 8, emiolio 8 a 12, epiottavo 8 a 9; l'accordo di quinta, emiolio, supera
l’accordo di quarta, epitrite, di un
epiottavo, che è il tono: infatti la somma di 4/3 (accordo di quarta) e
1/8(4/3) (accordo di tono) fa 3/2
(accordo di quinta). Se poi si aggiunge ancora 1/3 dell'accordo di quinta, cioè 1/3(3/2) (che è
la differenza tra accordo di otta- va e
accordo di quinta) si ottiene il doppio (2) che è l’accordo completo o diapason: infatti 3/2+1/3(3/2)=2. 729 Sc. completo (raddoppia infatti la
quantità iniziale: 1+1), o di ottava.
730 Sc. di quarta e di quinta. Cf. note 664 e 727, supra. 731 Sc. di quarta. 732 Sc. di quinta. 733 Sc. di ottava: la combinazione
dell'accordo di quarta, 8 epitrite di 6,
con l'accordo di quinta, 12 emiolio di 8, forma l'accordo di ottava o
diapa- son, 12 doppio di 6. 734 Sc. dal rapporto doppio 3 a 6 combinato
con il rapporto emiolio 6 a 9 si ha il
rapporto triplo 3 a 9. 735 Sc. di
ottava. 736 Cf. p. 52,29, supra, e p.
122,12, infra. 835 INTRODUZIONE ALL'ARITMETICA DI NICOMACO 737 Cf. note 664 e 727, supra. 738 Che sono i termini minori: infatti
3=2+1/2(2). 739 C£. pp. 98,11 s. e
110,6 s., supra. 740 Finora, infatti,
si era parlato della proporzionalità degli accordi armo- nici.
741 Sc. il maggiore tra i medi.
742 Sc. tra 12, 9, 8, 6, 12:9=8:6, e 12:8=9:6. 743 Sc. nella medietà di quattro termini,
cioè nella medietà con due termi- ni
medi. GIAMBLICO LA TEOLOGIA DELL'ARITMETICA TA OEOAOFOYMENA THX APIOMHTIKHX [1] «περὶ μονάδος.» Μονάς ἐστιν ἀρχὴ ἀριθμοῦ, θέσιν μὴ ἔχουσα: λέγεται
δὲ μονὰς παρὰ τὸ μένειν" καὶ γὰρ ἡ
μονάς, ἐφ᾽ ὃν γίνεται ἀριθμόν, φυλάσσει
τὸ αὐτὸ εἶδος, οἷον ἅπαξ τρία τρία, ἅπαξ τέσσαρα τέσσαρα. ἰδοὺ γὰρ ἐπὶ τούτοις προσελθοῦσα ἡ μονὰς τὸ αὐτὸ
εἶδος ἐφύλαξε καὶ οὐκ ἐποίησεν ἕτερον
ἀριθμόν. πάντα γὰρ ἐκ τῆς πάντα δυνάμει
περιεχούσης μονάδος [10] διακεκόσμηται" αὕτη γὰρ καὶ εἰ μήπω ἐνεργείᾳ ἀλλ᾽ οὖν σπερματικῶς πάντας τοὺς ἐν
πᾶσιν ἀριθμοῖς καὶ δὴ καὶ τοὺς ἐν δυάδι
λόγους ἔχει, ἀρτία τε οὖσα καὶ περιττὴ καὶ
ἀρτιοπέριττος καὶ γραμμὴ καὶ ἐπίπεδος καὶ στερεὰ κυβική τε καὶ σφαιρική. καὶ ἀπὸ τετραγώνου μέχρις
ἀπειρογώνου ἐν πυραμίδων εἴδεσι. τελεία
τε καὶ ὑπερτελὴς καὶ ἐλλιπὴς καὶ ἀνάλογος καὶ
ἁρμονικὴ καὶ πρώτη καὶ ἀσύνθετος καὶ δευτέρα καὶ διαμετρική τε καὶ πλευρική, καὶ ἐν ἰσότητι καὶ ἐν ἀνισότητι
πάσης κατάρχουσα σχέσεως, ὡς ἐν τῇ Εἰσαγωγῇ
ἀποδέδεικται᾽ πρὸς δὲ τοῖς εἰρημένοις
σημεῖόν τε καὶ γωνία σὺν ἅπασι τῆς γωνίας εἴδεσιν, [20] ἀρχή τε καὶ μέσον καὶ τέλος τῶν ὅλων φαίνεται᾽ «ἐκ
γὰρ τοῦ ἄτομος φύσει N μονὰς εἶναι,
πέρας ἐφ᾽ ἑκάτερον καὶ ὁρισμὸς ἡ αὐτὴ φαίνετα»,! ἐπὶ μὲν τὸ [2] μεῖον αὐτῆς, τὴν ἐπ᾽ ἄπειρον τοῦ
συνεχοῦς ὁρίζουσα τομήν, ἐπὶ δὲ τὸ
μεῖζον, τὴν ὁμοίαν τοῖς διῃρημένοις ἐπαύξησιν,
οὐχ ἡμῶν τοῦτο θεμένων ἀλλὰ θείας φύσεως. ἀναλόγως γοῦν ἀνθυ- πακούει καὶ ἀντιπεριίσταται ἑκάτερα ἐν αὐτῇ
τὰ μέρη πρὸς τὰ ὅλα, ὡς ἐν τῷ λαμβδοειδεῖ
διαγράμματι ἐσαφηνίσθη κατὰ τὴν ἀρχὴν τῆς
᾿Αριθμητικῆς᾽ διὸ καὶ ὡς τὰ μήκει διπλάσια δυνάμει «μὲν» τετρα- πλάσια, στερεῷ δὲ ὀκταπλάσια, καὶ τὰ μήκει
τριπλάσια δυνάμει μὲν ἐννεαπλάσια,
στερεῷ δὲ ἑπτακαιεικοσαπλάσια, ἐν τῇ τῶν
ἀριθμῶν πάντων εὐταξίᾳ, οὕτω [10] κἀν τῇ τῶν μερῶν τὰ μὲν μήκει ἡμίση δυνάμει «ὲν» τεταρτημόρια, στερεῷ δὲ
ὀγδοημόρια, τὰ δὲ μήκει τρίτα δυνάμει
μὲν ἔννατα, στερεῷ δὲ ἑπτακαιεικοσιμόρια.
καὶ πᾶν δὲ πλήθους σύστημα ἢ ὑποτομῆς μόριον κατὰ μονάδα εἰδο- ποιεῖται’ μία γὰρ δεκὰς καὶ μία χιλιὰς καὶ
ἔμπαλιν δέκατον ἕν καὶ 1 lacuna colmata
da Ast. Il numero1. [1] L’1è principio del numero e non ha
posizione:! è detto 1 per la sua
stabilità;? e infatti l’ 1 mantiene la stessa forma ad ogni numero con cui si combina} come ad esempio 3x1=3,
4x1=4: ecco infatti che l' 1, una volta
che si è associato a questi numeri, ne ha mantenuto la stessa forma e non ha prodotto un numero
diverso. Tutte le cose infat- ti sono
state ordinate dall’ 1, perché le contiene tutte in potenza: esso infatti, anche se mai in atto, almeno in
germe possiede tutti i rappor- ti di
tutti i numeri, compresi quelli del 2, in quanto l’ 1 è pari e dispa- ri, e pari-dispari, ed è linea e piano e
solido, cioè cubico e sferico, e
piramidale secondo ogni specie di piramide da quella quadrangolare fino a quella con un'infinità di angoli, ed è
perfetto, e ridondante e deficiente,4 e
proporzionale e armonico, e primo, e non-composto, e secondo, e diagonale e laterale, e dà origine
ad ogni relazione di ugua- glianza e di
disuguaglianza, come è stato dimostrato nell’Ixtrodu- zione; e inoltre si rivela come punto e
angolo, con tutte le forme di
quest’ultimo, e inizio e mezzo e fine di ogni cosa: dal suo essere,
infat- ti, indivisibile per natura, l’ 1
rivela di essere limite e determinazione
da ambedue i lati, [2] nel senso della sua diminuzione, esso delimita la divisione all’infinito del continuo,”
mentre nel senso del suo aumento, l’ 1
delimita l'accrescimento all’infinito del discreto,8 e non perché lo stabiliamo noi, ma in virtà della
sua natura divina. Nell’ 1, dunque, le
parti corrispondono e si contrappongono proporzional- mente agli interi, come appare nel diagramma
a forma di lambda descritto all’inizio
dell’Aritmzetica;!0 e perciò, come nell’ordinamento di tutti i numeri <interi>, i doppi in
lunghezza!! sono quattro volte al
quadrato e otto volte al cubo, e i tripli in lunghezza sono nove
volte al quadrato e ventisette volte al
cubo, cosî anche, nell’ordinamento di
tutte le parti,12 le metà in lunghezza sono quarti al quadrato e
ottavi al cubo, e i terzi in lunghezza
sono noni al quadrato e ventisettesimi
al cubo.! E ogni composizione di una quantità numerica od ogni parte di una suddivisione è formata dall’ 1:
infatti una è la decina e uno il
migliaio, e, in senso inverso, una è la decima parte e una la mil- 840 GIAMBLICO
χιλιοστὸν ἕν καὶ τὰ μόρια ἐπ᾽ ἄπειρον. καθ᾽ ἕκαστον δὲ τούτων εἴδει μὲν ἡ αὐτὴ μονάς, μεγέθει δὲ ἄλλη καὶ
ἄλλη, ἑαυτὴν πρὸς τού- τοις γεννῶσα ἐξ
ἑαυτῆς, καθὰ καὶ ὁ κοσμικὸς λόγος καὶ ἡ τῶν ὄντων φύσις, καὶ πάντα διατηροῦσα καὶ μεταπίπτειν
οὐκ ἐῶσα. ᾧ ἂν προ- σγένηται, μόνη τῶν
ἄλλων ὁμοίως ti? τοῦ [20] παντὸς σωτηρίῳ προ-
νοίᾳ ἐμφῆναί τε τὸν περὶ θεοῦ λόγον καὶ προσοικειωθῆναι αὐτῷ μάλιστα πάντων ἐπιτηδειοτάτη, ὅσῳ
προσεχεστάτη. καὶ εἶδος εἰδῶν τυγχάνει,
ὡς τέχνη τις τεχνικῷ καὶ νόησις νοητικῷ. μετρίως δὲ ἀπε- δείχθη τοῦτο ἐν τῇ περὶ [3] ἑτερομήκων καὶ
τετραγώνων ἐναντιώσει τῇ φιλαλλήλῳ. καὶ
ὅτι τὸν θεόν φησιν ὁ Νικόμαχος τῇ μονάδι ἐφαρ-
μόζειν, σπερματικῶς ὑπάρχοντα πάντα τὰ ἐν τῇ φύσει ὄντα ὡς αὐτὴν ἐν ἀριθμῷ, ἐμπεριέχεταί τε δυνάμει τὰ
δοκοῦντα ἐναντιώτατα κατ᾽ ἐνέργειαν
εἶναι πᾶσιν ἁπλῶς ἐναντιότητος τρόποις, καθὼς αὐτὴ ἀρρήτῳ τινὶ φύσει πανείδεος οὖσα ὥφθη παρ᾽
ὅλην τὴν ᾿Αριθμητικὴν εἰσαγωγήν, ἀρχήν
τε καὶ μέσον καὶ τέλος ἀνειληφυῖα τῶν ὅλων, ἐάν
τε κατ᾽ ἀλληλουχίαν ἐάν τε κατὰ παράθεσιν ἐπινοῶμεν αὐτὴν συνε- στάναι, καθάπερ καὶ μονὰς ἀρχή τε [10] καὶ
μέσον καὶ τέλος ποσοῦ τε καὶ πηλίκου καὶ
προσέτι πάσης ποιότητος. ὡς δὲ οὐκ ἄνευ αὐτῆς
σύστασις ἁπλῶς τινος, οὕτως οὐδὲ χωρὶς αὐτῆς γνώρισις οὑτινοσοῦν, ὡς φωτὸς καθαροῦ κυριωτάτης
πάντων ἁπλῶς οὔσης, καὶ ἡλιοειδοῦς καὶ
ἡγεμονικοῦ, ἵν᾽ ἐοΐκῃ καθ᾽ ἕκαστον τούτων τῷ
θεῷ, καὶ μάλιστα καθὸ φιλιωτικὴ καὶ συστατικὴ καὶ τῶν πολυμιγῶν καὶ πάνυ διαφορωτάτων, ὡς ἐκεῖνος ἐξ οὕτως
ἀντικειμένων ἁρμόσας καὶ ἑνώσας τόδε τὸ
TAV: ἑαυτήν γε μὴν γεννᾷ καὶ ἀφ᾽ ἑαυτῆς
γεννᾶται ὡς αὐτοτελὴς καὶ ἄναρχος καὶ ἀτελεύτητος, καὶ διαμονῆς αἰτία φαίνεται, καθὼς ὁ θεὸς ἐν τοῖς
φυσικοῖς [20] ἐνερ- γήμασι τοιοῦτος
ἐπινοεῖται, διασωστικὸς καὶ τῶν φύσεων τηρητι-
κός. λέγουσιν οὖν ταύτην οὐ μόνον θεόν, ἀλλὰ καὶ νοῦν [4] καὶ ἀρσενόθηλυν᾽ νοῦν μέν, ὅτι τὸ ἐν θεῷ
ἡγεμονικώτατον καὶ ἐν 2 τῇ corresse De
Falco secondo il cod. Par. gr. 2533 (cf. ed. Klein Add. p. XXVI): τῷ.
LA TEOLOGIA DELL'ARITMETICA 841
lesima parte, e cosî le altre parti all’infinito. In ciascuna di
queste parti, l’ 1 è identico nella
forma, diverso di volta in volta nella gran-
dezza, perché genera da sé se stesso, oltre che generare queste
parti, come se fosse il principio
razionale del mondo e insieme la natura
degli enti, e perché mantiene in essere ogni cosa e non permette
che venga meno ciò con cui si congiunge,
ed è, fra tutti i numeri, l’unico che
somigli alla provvidenza che conserva l’universo, ed anche il più idoneo a mostrare dio come principio
razionale, e soprattutto a unir- si
intimamente a lui, a cui è, quindi, il più vicino.14 Esso è di fatto forma delle forme,!5 come creazione per il
suo potere creativo e intel- lezione per
il suo potere intellettivo. Tutto ciò è stato mostrato a suf- ficienza [3] nella contrarietà degli
eteromechi e dei quadrati che si
attraggono fra loro.!6 Anche Nicomaco dice che dio si accorda con
l’ 1, perché dio è in germe tutte le
cose naturali come l’ 1 è in germe tutti
i numeri, e nell’ 1 sono racchiuse in potenza le cose che poi, quando sono in atto, sembrano essere le più
contrarie, in breve che appaiono in
tutte le forme della contrarietà, appunto come l’ 1 è visto, nel corso di tutta l’Introduzione all’aritmetica,!!
come il numero che, per una sua
ineffabile natura, è capace di assumere ogni forma, e di accogliere inizio, mezzo e fine di tutto, sia
che lo pensiamo costituito per
coesione!8 sia per comparazione,!? cosî come l’ 1 è anche inizio, mezzo e fine del quanto e del quanto grande e
di ogni altra qualità
<matematica>. Come senza l’ 1 nessuna cosa può assolutamente costituirsi, cosi senza di esso non ci può
essere neppure un qualsiasi atto
conoscitivo, come fosse la pura luce, in una parola la cosa più potente fra tutte, e della stessa natura del
Sole e con potere egemoni- co, tale da
apparire in ciascuna di queste proprietà simile a dio, e soprattutto perché l’ 1 ha il potere di
conciliare e combinare insieme sia le
cose fatte di molteplice mescolanza sia le cose assolutamente dif- ferenti tra loro, proprio come fa dio col suo
potere di ricavare da ele- menti
altrettanto opposti l'armonia e l’unità di questo mondo; in real- tà l’ 1 genera se stesso e da se stesso è
generato, nel senso che è in sé perfetto
e senza né principio né fine, e si presenta come causa di sta- bilità, cosi come si pensa che sia dio nel
processo di attuazione degli enti
naturali, cioè conservatore e custode delle loro nature. I Pitagorici, dunque, lo chiamano non solo dio,
ma anche intelligenza, [4] e
maschio-femmina:2 intelligenza, perché il potere assolutamen- 842 GIAMBLICO
κοσμοποιΐᾳ καὶ ἐν πάσῃ ἁπλῶς τέχνῃ τε καὶ λόγῳ, εἰ καὶ μὴ ἐπιφαί- νοῖτο τῇ καθ᾽ ἕκαστον ὕλῃ, δι᾽ ἐνεργείας νοῦς
ἐστι, ταυτότης τις ὧν καὶ ἀμετάτρεπτος
δι᾽ ἐπιστήμης, ὡς αὐτὴ πάντα περιειληφυῖα ἐν
ἑαυτῇ κατ᾽ ἐπίνοιαν, εἰ καὶ κατ᾽ ἔκστασιν ἐν τοῖς τῶν ὄντων εἴδεσιν, ὡς λόγος τις τεχνικὸς ἐοικὼς τῷ θεῷ,
καὶ οὐ μεθισταμένη τοῦ καθ᾽ ἑαυτὴν
λόγου, οὐδὲ μεθίστασθαι ἄλλον τινὰ ἐῶσα, ἀλλὰ
ἄτρεπτος ὡς ἀληθῶς καὶ μοῖρα Ἄτροπος. διὰ τοῦτο γὰρ καλεῖται δημιουργὸς [10] καὶ πλάστρια, προσόδοις καὶ
ἀποχωρήσεσιν ἐπινο- ovpévn τῶν
μαθηματικῶν φύσεων, ἀφ᾽ ὧν σωματότητες καὶ ζωογονί- αι καὶ συντάξεις κοσμικαί. διὸ καὶ Προμηθέα
μυθεύουσιν αὐτήν, δημιουργὸν ζωότητος,
ἀπὸ τοῦ πρόσω μηδενὶ τρόπῳ θεῖν μηδ᾽ ἐκῴοι-
τᾶν τοῦ ἰδίου λόγου μονώτατα μηδὲ τὰ ἄλλα ἐᾶν, μεταδιδοῦσαν τῶν ἰδιωμάτων ἑαυτῆς᾽ ὁπόσαις γὰρ ἂν αὐξηθῇ
ἀποστάσεσιν ἢ ὁπόσας ἂν αὐξήσῃ, θεῖν
πρόσω κωλύει καὶ μεταπίπτειν τὸν ἐξ ἀρχῆς ἑαυτῆς τε. κἀκείνων λόγον. ὡς δὲ σπέρμα συλλήβδην
ἁπάντων ἄρσενά τε καὶ θήλειαν τὴν αὐτὴν
τίθενται, οὐ μόνον ἐπεὶ τὸ μὲν περισσὸν
ἄρσεν [5] δυσδιαίρετον ὄν, τὸ δὲ ἄρτιον θῆλυ εὔλυτον ὃν ᾧοντο, ἀρτίαν δὲ καὶ περισσὴν μόνην αὐτήν, ἀλλὰ καὶ
ὅτι πατὴρ καὶ μήτηρ, ὕλης καὶ εἴδους
λόγον ἔχουσα, ἐπενοεῖτο, τεχνίτου καὶ τεχνητοῦ᾽
καὶ δυάδος γὰρ παρεκτικὴ διφορηθεῖσα᾽ ῥᾷον γὰρ τεχνίτῃ ὕλην ἑαυτῷ προσάγεσθαι ἢ τὸ ἔμπαλιν ὕλῃ τεχνίτην.
τὸ δὲ σπέρμα καὶ θήλεων καὶ ἀρσένων ὅσον
ἐπ᾽ αὐτῷ παρεκτικὸν ἀποσπαρὲν ἀδιά-
κριτόν τε τὴν ἀμφοῖν φύσιν παρέχει κἀν τῇ μέχρι τινὸς κυήσει," βρεφοῦσθαι δὲ ἀρχόμενον ἢ φυτοῦσθαι διάλλαξιν
λοιπὸν ἐπὶ θάτε- ρον καὶ ἐνάλλαξιν
ἐπιδέχεται, μετιὸν [10] ἀπὸ δυνάμεως εἰς ἐνέ-
ργειαν. εἰ δὲ δύναμις παντὸς ἀριθμοῦ ἐν μονάδι, νοητὸς ἂν κυρίως ἀριθμὸς εἴη μονάς, οὔπω τι ἐνεργὸν
ἀποφαίνουσα ἀλλὰ rave’ ὁμοῦ 5 τῇ καθ᾽
ἕκαστον ὕλῃ mutò De Falco secondo il cod. Par. gr. 2533 (cf. ed. Klein Add. p. XXVII): τοῖς καθ᾽ ἕκαστον
ὅλον. 4 κυήσει congetturò Waterfield,
Erzend.: κινήσει. LA TEOLOGIA
DELL’ARITMETICA 843 te egemonico di dio,
che si trova sia nella sua capacità di creare il mondo che in generale in ogni sua attività
creativa e in ogni suo pote- re
razionale, anche se non si manifesta nella materia individuale, è intelligenza nell’agire, perché è identità e
immutabilità nel conoscere, allo stesso
modo dell’ 1 che, sebbene differenziato nelle varie specie di enti, contiene in sé tutte le cose allo
stato mentale, come se fosse un
principio razionale capace di creare come dio, e che non muta
rispet- to al principio razionale che è
in sé, né permette ad altro di mutare,
ma che rimane immutabile come lo è veramente anche la Moira Atropo.2! È per questo, infatti, che l’ 1
viene chiamato “demiurgo” e “plasmatore”,
poiché con le sue progressioni e regressioni delinea?? le nature matematiche, da cui derivano processi
di corporeizzazione e di generazione di
esseri viventi e di strutturazione del mondo. Perciò i Pitagorici ne parlano anche come di un
Prometeo, cioè di un demiur- go della
natura vivente, giacché è assolutamente l’unico numero che in nessun modo né fugge in avanti, né
fuoriesce dal suo proprio principio
razionale, né permette che altre cose lo facciano, perché tra- smette loro le sue stesse proprietà: per
quanto possano aumentare i distacchi
dall’ 1 o questo possa generarne, esso non permette fughe in avanti né mutamenti dell’iniziale principio
razionale, suo proprio e di quei
distacchi. I Pitagorici poi, lo chiamano maschio e femmina in quanto, per dirla in breve, è seme di tutte
le cose, non solo perché cre- devano che
il dispari è maschile in quanto difficilmente divisibile24 [5] e il pari femminile in quanto facilmente
divisibile, e che soltan- to l’ 1 è pari
e dispari, ma anche perché lo concepivano come padre e madre, in quanto contiene il principio
razionale sia della materia che della
forma, sia dell’artefice che dell’artefatto, perché l’ 1, riportato due volte, fa sorgere il 2: è più facile infatti
che l’artefice si procacci la materia
che non, viceversa, la materia si procacci l'artefice. Il seme, che per sua propria natura è capace di
produrre maschio e femmina, una volta
seminato produce una natura indifferenziata rispetto ad ambedue i sessi, e fa questo fino a un certo
punto della gravidanza; quando invece
comincia a farsi feto e a crescere, allora ammette alla fine la distinzione e la differenziazione
nell’un sesso o nell’altro, pas- sando
dalla potenza all’atto. Ma se il potere di ogni numero è nell’ 1, allora questo sarà propriamente un numero
intelligibile, in quanto non manifesta
ancora nessuna realtà effettiva, bensi tutte le realtà 844 GIAMBLICO
κατ᾽ ἐπίνοιαν. κατὰ δέ τι σημαινόμενον καὶ ὕλην αὐτὴν καλοῦσι καὶ πανδοχέα γε, ὡς παρεκτικὴν οὖσαν καὶ
δυάδος τῆς κυρίως ὕλης καὶ πάντων
χωρητικὴν λόγων, εἴ γε πᾶσι παρεκτικὴ καὶ μεταδοτικὴ τυγχάνει. ὡσαύτως δὲ χάος αὐτήν φασι τὸ παρ᾽
Ἡσιόδῳ πρωτόγονον, ἐξ οὗ τὰ λοιπὰ ὡς ἐκ
μονάδος. ἡ αὐτὴ σύγχυσίς τε καὶ σύγκρασις
ἀλαμπία τε καὶ σκοτωδία στερήσει διαρθρώσεως καὶ διακρίσεως τῶν ἑξῆς ἁπάντων ἐπινοεῖται. [20] Ὅτι
᾿Ανατόλιος γονὴν αὐτήν φησι καλεῖσθαι καὶ
ὕλην, ὡς ἄνευ αὐτῆς μὴ ὄντος μηδενὸς ἀριθμοῦ:
ὅτι τὸ τῆς μονάδος σημαντικὸν χάραγμα σύμβολόν ἐστι τῆς τῶν ὅλων [6] ἀρχικωτάτης, καὶ τὴν πρὸς τὸν ἥλιον
κοινωνίαν ἐμφαίνει διὰ τῆς
συγκεφαλαιώσεως τοῦ ὀνόματος αὐτῆς" συναριθμηθὲν γὰρ τὸ μονὰς ὄνομα τξα΄ ἀποδίδωσιν, ἅπερ ζωδιακοῦ
κύκλου μοῖραί εἰ- σιν. ὅτι τὴν μονάδα
ἐκάλουν οἱ Πυθαγόρειοι νοῦν, εἰκάζοντες τῷ
ἑνί" ἐν ἀρεταῖς γὰρ εἴκαζον αὐτὴν φρονήσει. τὸ γὰρ ὀρθὸν ἕν.
ἐκά- λουν δὲ αὐτὴν οὐσίαν, αἴτιον
ἀληθείας, ἁπλοῦν, παράδειγμα, τάξιν,
συμφωνίαν, ἐν μείζονι καὶ ἐλάσσονι τὸ ἴσον, ἐν ἐπιτάσει καὶ ἀνέ- σει τὸ μέσον, ἐν πλήθει τὸ μέτριον, ἐν χρόνῳ
τὸν νῦν ἐνεστῶτα. [10] ἔτι δὲ καὶ ναῦν,
ἅρμα, φίλον, ζωήν, εὐδαιμονίαν. πρὸς τούτοις φασὶ περὶ τὸ μέσον τῶν τεσσάρων στοιχείων κεῖσθαί
τινα ἑναδικὸν διά- mupov κύβον, οὗ τὴν
μεσότητα τῆς θέσεως καὶ Ὅμηρον εἰδέναι λέ-
yovta: «τόσσον ἔνερθ᾽ Ἄϊδος, ὅσον οὐρανός ἐστ᾽ ἀπὸ γαίης». ἐοίκα- σι δὲ κατά γε ταῦτα κατηκολουθηκέναι τοῖς
Πυθαγορείοις οἵ τε περὶ Ἐμπεδοκλέα καὶ
Παρμενίδην καὶ σχεδὸν οἱ πλεῖστοι τῶν
πάλαι σοφῶν. φάμενοι τὴν μοναδικὴν φύσιν Ἑστίας τρόπον ἐν μέσῳ ἱδρῦσθαι. καὶ διὰ τὸ ἰσόρροπον φυλάσσειν τὴν
αὐτὴν ἕδραν, καὶ δὴ Εὐριπίδης, ὡς
᾿Αναξαγόρου γενόμενος μαθητὴς οὕτω τῆς γῆς [20]
μέμνηται: «Ἑστίαν δέ σ᾽ οἱ σοφοὶ βροτῶν νομίζουσιν». ἔτι [7] φασὶν οἱ Πυθαγόρειοι καὶ τὸ ὀρθογώνιον τρίγωνον ὑπὸ
Πυθαγόρου τὴν σύστασιν λαβεῖν διὰ
μονάδος κατιδόντος τοὺς ἐν αὐτῷ ἀριθμούς.
LA TEOLOGIA DELL'ARITMETICA 845
insieme allo stato mentale. Secondo un certo significato i
Pitagorici chiamano l’ 1 anche “materia”
e “colui che ospita ogni cosa”, in quan-
to è capace sia di produrre il 2, che è propriamente materia, che
di fare posto dentro di sé a tutti i
principi razionali, se è vero che è libe-
rale e generoso con tutto. Lo chiamano parimenti Caos, che in
Esiodo è il Primogenito,26 dal quale,
come dall’ 1, nascono tutte le altre cose.
È concepito anche come “confusione” e “mescolanza”, “oscurità” e “tenebra”, perché privo dell’articolazione e
della divisione proprie di tutto ciò che
viene dopo di lui. Anatolio dice che l’
1 è chiamato “nascita” e “materia”, in quan-
to senza di esso non c’è nessun numero; il segno scritto che indica
l’ 1 [a] è simbolo del suo essere
assoluto principio di tutte le cose, [6]
e attraverso la somma cumulativa del suo proprio nome esso rivela
la sua comunanza con il Sole: la somma
numerica delle lettere del nome μονάς,
infatti, dà 361,27 quanti sono i gradi del circolo dello Zodiaco. I Pitagorici chiamavano l’ 1 “intelligenza”,
perché pensavano che questa è simile
all’Uno: infatti tra le virtà essi assimilavano l’ 1 alla prudenza, perché ciò che è corretto è uno. Lo
chiamavano anche “essere”, “causa di
verità”, “semplicità”, “modello”, “ordine”, “con- cordia”, “l’uguale che sta tra maggiore e
minore”, “la medietà tra ten- sione e
allentamento”,28 “la misura nella molteplicità”, “l’istante nel tempo”: lo chiamavano anche “nave”, “carro”,
“amico”, “vita”, “feli- cità”. Dicono
inoltre che al centro dei quattro elementi c'è come un cubo unitario?9 infuocato, la cui posizione
centrale, essi dicono, cono- sce anche
Omero quando dice: «tanto al disotto dell’Ade, quanto il cielo dista dalla Terra».3° Sembra che anche
Empedocle e Parmenide e quasi tutti gli
antichi sapienti abbiano seguito in questo i Pitagorici. Essi infatti dicono che la natura dell’ 1 è
fissa al centro come Estia, e mantiene
sempre la medesima posizione per effetto di equilibrio; ma anche Euripide, dopo essere divenuto
discepolo di Anassagora, ha menzionato
la terra con queste parole: «I sapienti tra i mortali ti}! considerano Estia».32 I Pitagorici [7]
dicono, inoltre, che il triangolo
rettangolo fu costruito da Pitagora, quando questi osservò i numeri
di tale triangolo ad uno ad uno.33 846 GIAMBLICO
ὅτι τὴν ὕλην τῇ δυάδι προσαρμόττουσιν οἱ ITvAayopikoi: ἑτερότητος γὰρ ἐκείνη μὲν ἐν φύσει, δυὰς δὲ
ἐν ἀριθμῷ κατάρχει, καὶ ὡς ἐκείνη ἀόριστος
καθ᾽ αὑτὴν καὶ ἀσχημάτιστος, οὕτω μον-
OTT ἁπάντων ἀριθμῶν δυὰς σχήματος οὐκ ἔστιν ἐπιδεκτική᾽ μήτι γὰρ καὶ διὰ τοῦτο δύναται ἀόριστος ἡ δυὰς
κεκλῆσθαι ὑπὸ γὰρ ἐλαχίστων καὶ πρώτων
τριῶν γωνιῶν ἢ καὶ εὐθειῶν σχῆμα κατ᾽ ἐνέ-
ργειαν περιέχεται, [10] κατὰ δύναμιν δὲ ἡ μονάς. οὐκ ἀπιθάνως δὲ καὶ Πρωτέα προσηγόρευον αὐτὴν τὸν ἐν Αἰγύπτῳ
πάμμορφον ἥρωα τὰ πάντων ἰδιώματα
περιέχοντα, ὡς ἐκείνη τὸ ἑκάστου ἀριθμοῦ
συνέργημα. περὶ δυάδος.
᾿Ανατολίου. Ὅτι ἡ δυὰς συντεθεῖσα ἴσα
δύναται τῷ ἀπ᾽ αὐτῆς γινομένῳ’ ἡ γὰρ
σύνθεσις ταύτης καὶ ὁ πολλαπλασιασμὸς τοῦτο αὐτὸ ποιεῖ [ἤγουν τὸν δΊ, καίτοι ἐπὶ τῶν ἄλλων ὁ
πολλαπλασιασμὸς τῆς συνθέ- σεῶὼς μείζων.
εἴκαζον δὲ αὐτὴν ἐν ἀρεταῖς ἀνδρείᾳ" προβέβηκε γὰρ ἤδη ἐπὶ πρᾶξιν" διὸ καὶ τόλμαν [8]
ἐκάλουν καὶ ὁρμήν. καὶ δόξαν δὲ
ὠνόμαζον, ὅτι τὸ ἀληθὲς καὶ τὸ ψεῦδος ἐν δόξῃ. ὠνόμαζον δὲ αὐτὴν κίνησιν, γένεσιν, μεταβολήν, διαίρεσιν,
μῆκος, αὔξησιν, σύνθεσιν, κοινωνίαν, τὸ
πρός τι, λόγον τὸν ἐν ἀναλογίᾳ" δύο γὰρ ἀριθμῶν σχέ- σις πανσχήμον ἐστίν ἀπολείπεται δὴ μόνη
σχήματος ἄμοιρος καὶ ἐν τρισὶν ὅροις καὶ
ἐν ἀναλογίᾳ ὁρισμοῦ τινος ἡ δυὰς ὑπάρχουσα
ἀντίξους τε καὶ ἐναντιωτάτη παρὰ πάντας τοὺς ἐν ἀριθμῷ ὅρους τῇ μονάδι, ὡς ὕλη θεῷ καὶ σῶμα ἀσωμάτῳ, ἀρχή τε
καὶ πυθμὴν ὡσανεὶ τῆς τοῦ [10] ἀριθμοῦ
ἑτεροειδείας κατ᾽ εἰκόνα ὕλης, ἀντιδιαστελ-
λομένη παραπλησίως τῇ τοῦ θεοῦ φύσει κατὰ τὸ αὐτὴν μὲν τῆς μεταπτώσεως καὶ μεταβολῆς ἐμποιητικὴν τοῖς
οὖσι νομίζεσθαι, τὸν δὲ θεὸν ταυτότητος
καὶ ἀμεταπτώτου διαμονῆς. ἕν μὲν οὖν ἕκαστόν
τι καὶ ὁ κόσμος κατὰ τὴν ἐν αὐτῷ φυσικὴν καὶ συστηματικὴν μονά- δα, διαιρετὸν δὲ πάλιν ἕκαστον, καθ᾽ ὅσον
ἀναγκαίως καὶ ὑλικῆς δυάδος μετέσχε:
διόπερ ἡ πρώτη σύνοδος αὐτῶν πρῶτον ὡρισμένον
5 ὅτι congetturò Oppermann (cf. ed. Klein Ad4. p. XXVII): ἔτι. Si
trat- terebbe, quindi, di un nuovo
estratto. LA TEOLOGIA DELL'’ARITMETICA
847 I Pitagorici fanno corrispondere al
2 la materia: questa infatti dà origine
alla diversità nella natura, il 2 alla diversità nel numero, e come la materia è in se stessa indefinita e
priva di figura, cosî il 2 è fra tutti i
numeri assolutamente l’unico che non ammetta figura; ma non è meno valida, perché l’ 1 sia chiamato
indefinito, anche la seguente ragione, e
cioè che la prima figura in atto non può essere racchiusa da meno di tre angoli e tre linee rette, e
d’altra parte la figura in potenza è l'
1.34 E plausibile anche il nome “Proteo” con cui i Pitagorici chia- mavano l’ 1, perché quello era in Egitto
l’eroe capace di assumere ogni forma e
contenere quindi le proprietà di ogni cosa, cosi come l' 1 è fattore di ogni numero.) Il numero 2, secondo Anatolio. Il 2 sommato a se stesso è uguale al suo
prodotto per se stesso:36 la sua somma,
infatti, e la sua moltiplicazione danno lo stesso risulta- to, mentre negli altri numeri la
moltiplicazione è maggiore della somma.
Tra le virtà i Pitagorici assimilavano il 2 al “coraggio”: que- sto, infatti, è già passato all’azione;
perciò essi lo chiamavano anche
“audacia” [8] e “impulso”. Lo chiamavano anche “opinione”, perché nell’opinione ci può essere il vero o il
falso. Lo chiamavano anche “movimento”,
“generazione”, “mutamento”, “divisione”, “lunghez- za”, “moltiplicazione”, “somma”, “comunanza”,
“relazione”, “rap- porto proporzionale”:
la relazione di due numeri, infatti, può assume- re qualsiasi figura; in verità il 2 è l’unico
numero che resta privo di una figura?” e
di una determinazione, sia fra tre termini che nella pro- porzione,?8 in quanto è opposto e, a
confronto di tutti gli altri termi- ni
numerici, il più contrario al numero 1, come la materia rispetto a dio e il corpo rispetto all’incorporeo, come
fosse, a mo’ di materia, principio e
base della differenziazione dei numeri, un po’ come se fosse l'esatto contrario della natura di dio,
per il fatto che il 2 è rite- nuto il
principio che produce negli enti mutamento e trasformazione, mentre dio è il principio che produce
identità e immutabile perma- nenza.
Ciascun ente, dunque, cosî come il mondo, mentre è unitario in virti dell’ 1 che ne costituisce la
natura,}? è invece divisibile in quanto
partecipa necessariamente anche del 2 che ne costituisce la materia: perciò la prima unione dei numeri 1
e 2 ha come risultato la 848
GIAMBLICO πλῆθος ἀπετέλεσε, στοιχεῖον
τῶν ὄντων, ὃ ἂν εἴη τρίγωνον μεγεθῶν τε
καὶ ἀριθμῶν σωματικῶν τε καὶ ἀσωμάτων. ὡς γὰρ ὁ ὀπὸς τὸ κεχυ- μένον γάλα συστρέφει [20] κατὰ τὸ ποιητικόν
te καὶ ἐργατικὸν ἰδίωμα, οὕτως ἡ ἑνωτικὴ
δύναμις τῆς μονάδος προσελθοῦσα τῇ δυά-
δι, εὐπορίας καὶ [9] χύσεως οὔσῃ πηγῇ, πέρας ἐνεποίησεν, εἶδος δέ, ὅπερ ἐστὶν ἀριθμός, τῇ τριάδι" ἀρχὴ γὰρ
κατ᾽ ἐνέργειαν ἀριθμοῦ αὕτη, μονάδων
συστήματιό ὁριζομένου. μονὰς δὲ τρόπον τινὰ Kai ἣ δυὰς διὰ τὸ ἀρχοειδές. ὅτι δυὰς λέγεται παρὰ
τὸ διιέναι καὶ διαπο- ρεύεσθαι᾽ πρώτη
γὰρ ἡ δυὰς διεχώρισεν αὑτὴν ἐκ τῆς μονάδος, ὅθεν καὶ τόλμα καλεῖται᾽ τῆς γὰρ μονάδος ἕνωσιν
δηλούσης, n δυὰς ὑπεισελθοῦσα
διαχωρισμὸν δηλοῖ. ὅτι καὶ τῆς πρός τί πως σχέσεως αὐτὴ κατάρχει ἢ τῷ πρὸς τὴν μονάδα λόγῳ, ὅς
ἐστι διπλάσιος, ἢ τῷ πρὸς τὴν μετ᾽
αὐτήν, ὅς ἐστιν [10] ἡμιόλιος" ῥίζα δ᾽ οὗτοι τῶν ἐφ᾽ ἑκάτερα ἀπείρως προιόντων λόγων, ὥστε καὶ τῇ
τῶν πολλαπλασίων τε καὶ ἐπιμορίων ἡ αὐτή
ἐστιν. ὅτι καὶ ἡ δυὰς στοιχεῖον τῆς τῶν
ὅλων συστάσεως, ἀντίξουν μονάδι καὶ διὰ τοῦτο ἁρμονίᾳ ὑποπεσὸν πρὸς αὐτήν, ὡς ὕλη τις πρὸς εἶδος ὅθεν ἐπεὶ
τοῦ μὲν εἶναι καὶ ἀεὶ εἶναι τὸ εἶδος
συλληπτικόν, τῶν δὲ ἐναντίων ἡ ὕλη, τῶν μὲν πάντη ὁμοίων καὶ ταὐτῶν καὶ μονίμων, ὅ ἐστι
τετραγώνων, ἡ μονὰς αἰτία, οὗ μόνον,
ἐπειδὴ ὡς γνώμονες7 αὐτῇ περιτιθέμενοι οἱ ἑξῆς ἀριθμοὶ περιττοί, εἰδοποιήματα αὐτῆς ὄντες,
τετραγώνους ἀπετέλουν τῇ σωρηδὸν
προβάσει ἀεὶ καὶ [20] μᾶλλον τοὺς ἐπ᾽ ἄπειρον καὶ ἑξῆς προιόντας,Σ ἀλλ᾽ ὅτι καὶ ἑκάστη πλευρά, ὥσπερ
καμπτὴρ ἀπὸ ὕσπληγος μονάδος εἴς τε
νύσσαν μονάδα, πάλιν εἶχε τῆς προόδου
καὶ ἐπανόδου τὴν σύνθεσιν ἀφ᾽ ἑαυτῆς αὐτὸν τὸν τετράγωνον᾽ τῶν δὲ πάντη [10] ἀνομοίων, ὅ ἐστιν ἑτερομήκων, ἡ
δυὰς πάλιν αἰτία, οὐ μόνον ὅτι
περιτιθεμένων αὐτῇ ὡς γνωμόνωνϑ τῶν κατ᾽ αὐτὴν εἰδῶν 6 συστήματι congetturò Ast correttamente (cf.
17,15 ἡ γα): συστήμασιν. 7 γνώμονες
congetturò Becker (cf. ed. Klein Add. p. XXVII): γνώμονι. 8 dopo προιόντας ho aggiunto io la virgola. 9 γνωιόνων Becker: vvauovi. LA TEOLOGIA DELL'ARITMETICA 849 prima quantità numerica determinata,‘ quale
principio elementare degli enti, che
sarà il numero triangolare quale principio elementare delle grandezze e dei numeri, insieme
corporei e incorporei: infatti, come il
caglio raggruma il liquido latte in virtà della sua produttiva e attiva proprietà, cosi la potenza
unificatrice dell’ 1 accostandosi al 2,
che è fonte di flussione [9] e liquidità, produce il limite e la forma numerica del 3: questo, infatti, è, inizio
del numero in atto, che è determinato
per somma di unità. Unità in un certo senso è anche il 2, perché ha natura di principio. Il 2 è detto cosi [δυάς] per via del suo
“andare attraverso” [διιέ- var] e
“passare attraverso” [S1aropeveoda1]:4! il 2 infatti è il primo numero che si separa dall’ 1, per cui è
chiamato anche “audacia”: mentre l’ 1
infatti indica unione, il 2, invece, insinuandosi, indica separazione.
Il 2 dà inizio, in qualche modo, anche alla relazione, o per il suo rapporto con l’ 1, rapporto doppio, o per il
suo rapporto con il nume- ro seguente,
cioè il 3, rapporto emiolio; ma questi due rapporti sono la radice dei rapporti che da ambedue i lati?
procedono all’infinito, sicché anche il
24 è radice dei multipli e degli epimori.
ΠῚ 2 è anche elemento del costituirsi di tutte le cose, elemento opposto all’ 1, e perciò soggetto ad
accordarsi con questo, come una materia
rispetto alla sua forma;# di conseguenza, poiché la forma è comprensiva sia dell'essere che dell’essere
eterno, mentre la materia è comprensiva
dei loro contrari, allora dei numeri assolutamente simili e identici e stabili, cioè dei quadrati, è
causa l’ 1, non solo perché i numeri
dispari, che ricevono forma dall’ 1, disponendosi in successio- ne intorno ad esso a guisa di gnomoni,
producevano dei quadrati con il loro
progredire sempre per somma cumulativa, anzi i quadrati in successione all'infinito, ma anche perché
ciascun lato, che è come un punto di
svolta avente l’ 1 come barriera di partenza e come meta finale, otteneva a sua volta da sé lo stesso
quadrato come somma della progressione e
della regressione; dei numeri assolutamente
[10] dissimili, invece, cioè degli eteromechi, è causa a sua volta il
2, non solo perché gli eteromechi sono
prodotti per somma cumulativa 850
GIAMBLICO εἰδοποιηθέντων ἀρτίων καὶ
οὗτοι σωρηδὸν ἀποτελοῦνται, ἀλλὰ καὶ ὅτι
ἐν τῇ αὐτῇ τοῦ καμπτῆρός τε καὶ νύσσης καὶ ὕσπληγος εἰκόνι τὴν μὲν γένναν ὁμοίως ἡ μονὰς παρέχειν
φαίνεται, ὡς τοῦ ταὐτοῦ καὶ ἁπλῶς
διαμονῆς αἰτία, τὴν δὲ φθορὰν καὶ ἐπάνοδον παρηλλαγ- μένως πρὸς τοὺς προτέρους ἣ δυὰς ἀναδέχεσθαι,
ὡς ὑλική τις ὑπόστασις καὶ φθορᾶς πάσης
ἀναδεκτική. ὅτι νοουμένου πλήθους κατὰ
τριάδα τοῦ δ᾽ ἀντιθεμένου τῷ [10] πλήθει κατὰ τὴν μονάδα μεταίχμιον ἡ δυὰς ἂν εἴη. διὰ τοῦτο καὶ τὰ
ἀμφοτέρων ἰδιώματα ἅμα ἔχει᾽ τοῦ μὲν γὰρ
ἑνὸς ὡσανεὶ ἀρχῆς ἰδίωμα τὸ κατὰ σύνθεσιν
πλεῖόν τι ποιεῖν τοῦ κατ᾽ ἔγκρασιν' ἕν γοῦν καὶ ἕν πλέον τοῦ ἅπαξ ἕν’ τοῦ δὲ πλήθους ὡσανεὶ ἀποτελέσματος πάλιν
ἴδιον τὸ ἐναντίον" ἐκ μὲν γὰρ
κατακράσεως πλεῖον ποιεῖ, ἐκ δὲ παραθέσεως ἔλαττον" οὐκέτι γὰρ ἀρχοειδὲς τοῦτο, ἀλλ᾽ ἐξ ἀλλήλων
λοιπὸν ἡ γέννησις αὖ- τοῖς καὶ κατὰ
κρᾶσιν: τοιγαροῦν τρὶς τρία πλεῖον τῶν τρία καὶ τρία᾽ ἐναντιοπαθούντων δὲ ἀμφοῖν, ἡ δυὰς ὡσανεὶ
μέση οὖσα καὶ τὰ ἀμ- φοῖν ἅμα ἀναδέξεται
ἰδιώματα, τὴν ἑκατέρων [20] μεσότητα λαμβά-
νουσα. μέσον γὰρ μείζονος καὶ ἐλάσσονος εἴπομεν εἶναι τὸ ἴσον: τὸ ἴσον ἄρα ἐν μόνῃ ταύτῃ᾽ διὰ τοῦτο ἔσται τὸ
ἐκ κατακράσεως τῷ ἐκ παραθέσεως
ἴσον" δύο γὰρ καὶ [11] δύο ἴσα τῷ δὶς δύο᾽ ἔνθεν ἴσην αὐτὴν ἐπεκάλουν. ὅτι δὲ εἰδοποιὸς τοῦ
τοιούτου καὶ τοῖς προ- σήκουσιν αὐτῇ
πᾶσι, δῆλον οὐ μόνον, ἐξ ὧν ἐνεργείᾳ ἰσότητος
πρώτη ἔμφασιν παρέσχεν ἐπιπέδως τε καὶ στερεῶς ἔν τε τῷ 30 μήκους τε καὶ πλάτους καὶ ἐν τῷ ὀκτὼ πρὸς
τούτοις βάθους τε καὶ ὕψους, ἐν αὐτῇ τῇ
διαιρέσει εἰς δύο μονάδας οὔσῃ ἀλλήλαις ἴσας,
ἀλλὰ καὶ ἐν τῷ λεγομένῳ ἀπ᾽ αὐτῆς ἐξελίκτῳ, τουτέστι τῷ 15°, ὄντι δὶς δύο δὶς καὶ τοῦτο δίς, τῆς ἀπ᾿ αὐτῆς
λεγομένης χροιᾶς ἐπιπέδου ὑπάρχοντος:
τετράκις γὰρ τέσσαρα καὶ οὕτως!! μεσότης [10] τις τρόπον τινὰ ὁρᾶται πλείονος καὶ ἐλάττονος
κατὰ τὰ αὐτὰ τῇ δυάδι᾽ οἱ μὲν γὰρ πρὸ
αὐτοῦ τετράγωνοι πλείονας ἔχουσι τὰς περιμέτρους 10 δ΄ corresse Waterfield, Εγρομά.: δύο. 11 οὗτος scrisse Waterfield, Erzend., secondo
il cod. E: οὕτως. LA TEOLOGIA
DELL'ARITMETICA 851 dai numeri pari, che
ricevono forma dal 2, disposti intorno a questo a guisa di gnomoni, ma anche perché, secondo la
stessa immagine del punto di svolta e
della meta finale e della barriera di partenza,48 men- tre l’ 1, in quanto causa dell’identità e in
generale della permanenza, sembra
fornire la genesi anche in questo caso, il 2 invece sembra ammettere la dissoluzione e la regressione in
modo diverso rispetto ai percorsi
precedenti,4° come se fosse una realtà materiale che ammet- ta ogni specie di dissoluzione. Il 2 sarebbe il punto di demarcazione tra la
quantità numerica pensata secondo il 3 e
l’opposta quantità numerica pensata secondo l’
1. Esso possiede, quindi, contemporaneamente le proprietà di ambe- due: proprietà dell’ 1 quale inizio dei
numeri,5° infatti, è che la sua somma dà
più che la sua moltiplicazione: 1+1, infatti, è più che 1x1;7! proprietà della quantità numerica quale
risultato,52 invece, è il contra- rio,
perché 3 dà più per moltiplicazione, meno per giustapposizione [o somma]: la quantità numerica?’ infatti non
ha più natura di princi- pio, ma tra la
somma e la moltiplicazione c’è un resto: 3x3, appunto, fa più di 3+3; e mentre l’ 1 e il 3 hanno
opposte proprietà, il 2, stan- do in
mezzo, ammetterà insieme le proprietà dell’uno e dell’altro, in quanto assume la medietà fra i due. Ebbene,
noi diciamo che tra il maggiore e il
minore?4 sta l’uguale; l’uguale dunque sta solo nel 2; per- ciò il numero che nasce dalla sua
moltiplicazione sarà uguale a quel- lo
che nasce dalla sua giustapposizione [o somma]: infatti 2+2 [11] è uguale a 2x2; di qui il nome di “uguale”55
che i Pitagorici davano al 2. Che il 2
dia forma di uguaglianza anche a tutti i numeri che gli sono appropriati, risulta chiaro non solo dalla
sua stessa divisibilità in due unità
uguali tra loro, oltre a essere il primo numero che realizzi l'uguaglianza al livello dei numeri piani e
di quelli solidi, e cioè nel 4
l’uguaglianza di lunghezza e larghezza e inoltre nell’ 8 l’uguaglianza
di profondità? e altezza, ma anche dal
numero che nasce da esso ed è detto
“evoluto”? cioè nel 16, che è 2x2x2x2,58 perché è il numero piano? nascente dalla cosiddetta
“pellicola”60 del 2:61 infatti è 4x4; e
questo numero piano, cioè 16, è in qualche modo una medietà tra il più e il meno, cosi come lo è il 2:62 i
quadrati anteriori a 16,6 infatti, hanno
perimetri che misurano più delle loro superfici, mentre i qua- drati ad esso posteriori hanno perimetri che
misurano meno delle 852 GIAMBLICO τῶν ἐμβαδῶν, οἱ δὲ μετ᾽ αὐτὸν ἀντικειμένως
ἐλάττονας, οὗτος δὲ μονώτατος ἴσας. διὰ
τοῦτο φαίνεται καὶ Πλάτων ἐν τῷ Θεαιτήτῳ μέ-
χρι αὐτοῦ προελθὼν παύεσθαί πως ἐν τῇ ἑπτακαιδεκάποδι πρὸς ἔμφασιν τοῦ κατὰ τὸν ἑπτακαίδεκα ἰδιώματος
καὶ ἰσότητός τινος μεθεκτοῦ. τί οὖν
ὁρῶντες οἱ παλαιοὶ ἄνισον τὴν δυάδα ἐκάλουν καὶ
ἔλλειψιν καὶ πλεονασμόν; κατὰ τὴν τῆς ὕλης ἔννοιαν, εἰ δηλονότι ἐν αὐτῇ πρώτη ἀπόστασίς τε καὶ πλευρᾶς ἔννοια
ὦφθη, διαφορᾶς [20] ἤδη καὶ ἀνισότητος
ἀρχή᾽ καὶ ἄλλως δὲ ὅτι μέχρι μὲν αὐτῆς ἡ
ἀντεξέτασις πλείων τοῦ πρὸ αὐτῆς, μέχρι δὲ τετράδος [12] ἐλάττων τῶν πρὸ αὐτῆς: ἀνὰ μέσον δὲ ἀμφοῖν τῆς
τριάδος οὔσης, συμβήσεται πάλιν ἑτέρῳ
τρόπῳ ὁ τῆς ἰσότητος λόγος ἐν τριάδι πρὸς τοὺς πρὸ αὐτῆς ὁ δύο μὲν γὰρ μείζων τοῦ προκειμένου,
λέγω δὲ τοῦ ἕν, [καὶ] κατὰ τὴν
πυθμενικωτάτην γε τοῦ μείζονος σχέσιν, ὁ δ΄ δὲ ἐλάττων τοῦ Y β΄ α΄ κατὰ τὴν πυθμενικωτάτην γε τοῦ
ἐλάττονος σχέσιν, τρία δὲ ἴσα τῷ δύο ἕν
κατὰ τὴν ἄσχιστόν γε ἰσότητα, ὥστε ἐν μὲν αὐτῇ
ὡς πλευρᾷ τὸ πλεῖον, ἐν δὲ τῇ δυνάμει αὐτῆς ὡς ἐπιπέδῳ τὸ ἔλαττον ἐφαρμόζεσθαι. ἔλλειψις δὲ καὶ πλεονασμὸς
λέγεται καὶ ὕλη, [10] ἣν καὶ ἀόριστον
δυάδα ὁμωνύμως ταύτῃ καλοῦσι,:2 διὰ τὸ μορφῆς
καὶ εἴδους καὶ ὁρισμοῦ τινος ἐστερῆσθαι ὅσον ἐφ᾽ ἑαυτῇ, οἷόν τε δὲ διορισθῆναί τε καὶ ὁρισθῆναι ὑπὸ λόγου καὶ
τέχνης. ὅτι ἡ δυὰς φαί- νεται
ἀσχημάτιστος, εἴπερ ἀπὸ μὲν τριγώνου καὶ τριάδος τὰ ἐπ᾽ ἄπειρον πολύγωνα ἐνεργείᾳ προχωρεῖ, ἐκ δὲ
μονάδος πάνθ᾽ ὁμοῦ κατὰ δύναμιν ὑπάρχει,
ὑπὸ δὲ δύο οὔτε εὐθειῶν ποτε οὔτε γωνιῶν
εὐθύγραμμον συνίσταται σχῆμα᾽ κατὰ μόνην ἄρα αὐτὴν τὸ ἀόριστον καὶ ἀσχημάτιστον. ὅτι δὲ καὶ τὸ ἄπειρον φαίνεται,
εἴγε καὶ τὸ ἕτερον, τοῦτο δὲ ἀπὸ τοῦ
παρ᾽ ἕν ἀρξάμενον εἰς ἄπειρον ἐκπίπτει.
δύναται δὲ καὶ [20] ἀπείρου παρεκτικὴ λέγεσθαι, ὅτι μήκους πρώτη ἔμφασις ἐν δυάδι, ὡς ἀπὸ σημείου τῆς μονάδος,
ἐπ᾽ ἄπειρον δὲ τοῦτο 12 dopo καλοῦσι ho
aggiunto io la virgola. LA TEOLOGIA
DELL'ARITMETICA 853 superfici,6 e questo
quadrato, cioè 16, è assolutamente l’unico che li abbia di misura uguale. Sembra sia questa la
ragione per cui anche Platone nel
Teeteto,67 dopo essere giunto al quadrato di 16 piedi, si ferma «per una qualche ragione»68 al quadrato
di 17 piedi in presen- za della
proprietà del quadrato di superficie 1769 e dell’uguaglianza di un quadrato partecipato.?° Sulla base di
quale osservazione, dunque, gli antichi
chiamavano il 2 “disuguaglianza” e “difetto” ed “ecces- so”?71 Sulla base dell’idea di materia, se il
2 è chiaramente il primo numero in cui
si possono vedere separazione? e idea di lato,73 che sono già principio di differenziazione e di
disuguaglianza; ma un’altra ragione è
che il 2, a confronto con il numero che lo precede, è più, mentre il 4, a confronto con i numeri che lo
precedono, [12] è meno; e trovandosi il
3 in mezzo ad ambedue,74 accadrà ancora una volta, ma in modo diverso,75 che in esso, a
confronto con i numeri che lo precedono,
si trovi il rapporto di uguaglianza:”6 infatti, mentre il 2 è maggiore del numero che lo precede, intendo
dire dell’ 1, secondo la relazione
assolutamente basale dell’essere maggiore, e il 4 è minore di 3+2+17? secondo la relazione basale
dell’essere minore, il 3 invece è uguale
a 2+1 secondo l’uguaglianza che è naturalmente priva di rela- zione, dî modo che il più si accorda col 2 in
quanto lato,78 mentre il meno si accorda
col 2 in quanto superficie, cioè nella sua potenza.?9 Il 2, poi, è detto “difetto” ed “eccesso” e
“materia”, che i Pitagorici chiamano,
per omonimia col 2, anche “diade indeterminata”,80 per- ché il 2, quanto a se stesso, è privo di ogni
figura e forma e determi- nazione, ma è
capace di essere definito e determinato dalla ragione e dall’arte.
Il 2 appare privo di figura, se è vero che dal triangolo, e cioè
dal 3, procede la serie infinita dei
poligoni in atto, dall’ 1 procede tutto
l’insieme8! perché in esso è in potenza, mentre né con 2 rette né
con 2 angoli è possibile comporre alcuna
figura rettilinea;82 dunque l’in-
determinatezza e la mancanza di figura esistono solo nel 2. Il 2 appare anche come l’infinità, se è vero
che esso è anche la diversità, e
quest’ultima comincia appena fuori dall’unità e si estende all’infinito. Si può dire anche che il 2 è il
numero che produce l’infi- nità, perché
nel 2 è la prima manifestazione della lunghezza, come 854 GIAMBLICO
καὶ διαιρεῖται καὶ αὔξεται" καὶ μὴν καὶ ἡ τῆς ἀνισότητος φύσις
ἐπ’ ἄπειρον προιέναι μέλλουσα ἀπ᾽ αὐτῆς
ἄρχεται, [13] ἐναντιοζύγως τῇ μονάδι’
μείζων γὰρ καὶ ἐλάττων ἡ πρώτη διαίρεσις αὐτῶν. οὐκ ἀριθμὸς δὲ ἡ δυὰς οὐδὲ ἄρτιος ὅτι μὴ
ἐνεργείᾳ᾽ ἀμέλει πᾶς ἄρτιος καὶ εἰς ἴσα
καὶ εἰς ἄνισα δύναται ὁ αὐτὸς μερίζεσθαι, μόνη δὲ ἡ δυὰς εἰς ἄνισα οὐκ ἂν μερισθείη, καὶ εἰς ἴσα
δὲ μερισθεῖσα ἄδηλον ὁποτέρου γένους
ἄντικρυς αὐτὰ ἕξει, ὡς ἀρχοειδής τις οὖσα. ὅτι ἡ δυὰς καὶ Ἐρατώ, φασί, καλεῖται᾽ τὴν γὰρ τῆς
μονάδος ὡς εἴδους πρόσοδον δι᾽ ἔρωτα
ἐπισπωμένη, τὰ λοιπὰ ἀποτελέσματα γεννᾷ,
ἀρξαμένη ἀπὸ τριάδος καὶ τετράδος. ὠνομάσθαι δὲ αὐτὴν οἴονται παρ᾽ [10] αὐτὴν τὴν τόλμησιν, ὅτι ἄρα
ὑπέμεινε τὸν χωρισμὸν πρωτίστη, dn τε
«καὶ» ὑπομονὴ kai τλημοσύνη᾽ ἀπὸ δὲ τῆς εἰς δύο
τομῆς δίκη τε, οἱονεὶ δίχη, καὶ Ἴσις, οὐ μόνον ὅτι ἴσον ἐν αὐτῇ τὸ ἀπὸ κατακράσεως, ὡς ἔφαμεν, τῷ ἀπὸ συνθέσεως,
ἀλλὰ καὶ ὅτι οὐδὲ τὴν εἰς ἄνισα μονωτάτη
διαίρεσιν ἐγχωρεῖ. καὶ φύσιν δὲ αὐτὴν
καλοῦσι: κίνησις γὰρ εἰς τὸ εἶναί ἐστιν αὕτη καὶ οἷον γένεσίς τις ἀπὸ λόγου σπερματικοῦ «καὶ» ἔκτασις,
τετευχυῖα παρὰ τὸ τοιοῦτον τῆς
ὀνομασίας, παρ᾽ ὅσον ἐστὶ κίνησίς τις ἀφ᾽ ἑτέρου εἰς ἕτερον κατ᾽ εἰκόνα τῆς δυάδος. ὑπὸ μέντοι τῶν
ἀριθμητῶν ἤδη καὶ δευ- τέρων [20]
παραλογιζόμενοί τινες ἐπινοεῖν διδάσκονται τὴν δυάδα δύο τινῶν μονάδων σύστημα εἶναι, ὥστε καὶ
λυομένην εἰς τὰς αὐτὰς ἀνατρέχειν
μονάδας: ἀλλ᾽ εἴτε σύστημα μονάδων ἡ δυάς, προγενέ- στεραι [14] αἱ μονάδες, εἴτε ἥμισυ δυάδος ἡ
μονάς, προὐπάρχειν δεῖ τὴν δυάδα, εἴτε
σώζοιντο αὐταῖς αἱ πρὸς ἀλλήλας σχέσεις,
συνυπάρχειν ἀναγκαῖον, καθὸ διπλάσιον ἡμίσους καὶ ἥμισυ διπλα- σίου, καὶ οὔτε προτέρα οὔθ᾽ ὑστέρα διὰ τὸ
συνεπιφέρειν τε καὶ συνεπιφέρεσθαι καὶ
συναναιρεῖν καὶ συναναιρεῖσθαι. ὅτι καὶ
LA TEOLOGIA DELL'ARITMETICA 855
derivata dall’ 1 quale punto, ma la lunghezza può essere divisa o mol- tiplicata all’infinito; e in verità anche la
natura della disuguaglianza, dovendo
procedere all’infinito, comincia dal 2, [13] in coppia con l’ 1 come suo opposto: infatti la prima
distinzione di maggiore e mino- re si fa
tra 1 e 2. Il 2 non è neppure numero pari perché non è un pari in atto:8) non c’è dubbio infatti che ogni
numero pari in quanto tale può essere
diviso sia in parti uguali che disuguali, e il 2 è l’unico numero che non può essere diviso in parti
disuguali, e che una volta diviso in due
parti uguali, non è assolutamente chiaro di quale delle due specie di numero*' esso avrà tali PACS,
85 come se avesse una qual- che natura
di principio. I Pitagorici, si dice,
chiamano il 2 anche “Erato”: esso infatti, atti- rando verso di sé l'assalto amoroso dell’ 1
quale forma,86 genera come risultati
<della loro unione> i rimanenti numeri, a partire dal 3 e dal 4. Essi credevano che il 2, oltre al nome
stesso di “audacia”,87 debba avere anche
quelli di “sventura” [δυάς - δύη] e “sopportazione” e “pazienza”, perché è assolutamente il primo
numero che in effetti sopporta la
separazione; e per la sua dicotomia merita anche il nome di “giustizia”, nel senso di “diviso in due”
[δίκη - δίχα],38 e anche di “Iside”, non
solo perché in esso il prodotto è uguale alla somma, come dicevamo,8° ma anche perché è
assolutamente l’unico numero che non
consente affatto divisione in parti disuguali. Lo chiamano anche “natura”: esso infatti è movimento
verso l’essere, ed è come un generarsi
per estensione da un principio seminale: esso ha fatto nasce- re questo nome “natura” per il fatto che un
movimento da diverso a diverso somiglia
al 2.9° Alcuni tuttavia, facendo un falso ragionamen- to con calcoli numerici ormai?! di secondaria
importanza, insegnano a immaginare il 2
come somma di due 1,92 in modo che si possa anche tornare a scioglierlo nelle sue stesse due
unità; ma o il 2 è composizio- ne di due
1, e allora questi [14] sono nati prima di esso, oppure l’ 1 è la metà del 2, e in questo caso il 2 deve
preesistere all’ 1,9 oppure si dovranno
salvaguardare relazioni di reciprocità tra i due numeri, e allora necessariamente essi coesistono, come
doppio della metà e metà del doppio, e
non saranno né anteriori né posteriori l’uno
rispetto all’altro, perché l’un l’altro si implicano e sono implicati,
e l’un l’altro si annullano e sono
annullati. 856 GIAMBLICO διομήτορα ταύτην ὠνόμαζον ὡς Διὸς μητέρα --
Aia δ᾽ ἔλεγον τὴν μονάδα - καὶ Ῥέαν ἀπὸ
τῆς ῥύσεως καὶ ἀπὸ τῆς τάσεως, ὅπερ
οἰκεῖον καὶ δυάδι καὶ φύσει τῇ πάντα γινομένῃ. καὶ τῇ σελήνῃ δέ φασιν ἐφαρμόζειν τὸ δυὰς ὄνομα, [10] ὅτι τε
καὶ πλείονας δύσεις ἐκ πάντων τῶν
πλανητῶν ἐπιδέχεται καὶ ὅτι ἐδυάσθη καὶ ἐδιχοτομήθη: ἡμίτομος γὰρ καὶ διχότομος λέγεται. περὶ τριάδος.
Ὅτι ἡ τριὰς ἐξαίρετόν τι παρὰ πάντας τοὺς ἀριθμοὺς κάλλος εἴληχε καὶ εὐπρέπειαν, πρῶτον μὲν τὰς τῆς
μονάδος δυνάμεις ἐνερ- γοὺς πρωτίστη
παρασχοῦσα, περισσότητα, τελειότητα, ἀναλογίαν,
ἕνωσιν, πέρας: περισσὸς μὲν γὰρ κατ᾽ ἐνέργειαν πρῶτος ὁ γ΄, ἀκο- λούθως ταῖς ὀνομασίαις περίϊσος ὧν καὶ πλέον
τι τοῦ ἴσου ἐν ἑτέρῳ μέρει ἔχων,
ἐξαίρετον δὲ τὸ ταῖς [20] δυσὶν ἀρχαῖς συνεχὴς καὶ σύ- στημά γε ἀμφοῖν. ὑπάρχειν. τέλειός γε μὴν
ἰδιαίτερον τῶν ἄλλων ἐστίν, οἷς!3 οἱ ἀπὸ
μονάδος ἐφεξῆς ἴσοι εὑρίσκονται μέχρι τετρά-
δος΄ λέγω δὲ οἷον μονάδος, [15] τριάδος, ἑξάδος, δεκάδος: ἡ μὲν γὰρ μονὰς ὡς πυθμὴν μονάδι ἴση, ἡ δὲ τριὰς μονάδι
καὶ δυάδι, «ἡ δὲ ἑξὰς μονάδι δυάδι
τριάδι», δεκὰς δὲ μονάδι δυάδι τριάδι τετράδι. πλέον οὖν τι ἡ τριὰς ἔχειν φαίνεται τῷ συνεχὴς
εἶναι τούτοις, οἷς καὶ ἴση ὑπάρχει᾽ καὶ
γὰρ ἐκ τοῦ τοιούτου μεσότητα καὶ ἀναλογίαν αὐτὴν προσηγόρενον, οὐκ ἐπειδὴ πρωτίστη μὲν τῶν
ἀριθμῶν μέσον εἴληχε, μονωτάτη δὲ τὸ
αὐτὸ ἴσον τοῖς ἄκροις, ἀλλ᾽ ὅτι κατ᾽ εἰκόνα τῆς
γενικῆς ἰσότητος, μέσης τοῦ μείζονος καὶ ἐλάττονος ἀνισότητος εἰδῶν ὑπαρχούσης, καὶ αὐτὴ τοῦ πλείονος [10]
καὶ ὀλιγωτέρου ἀνὰ μέσον θεωρεῖται,
σύμμετρον φύσιν ἔχουσα ὁ μὲν γὰρ πρὸ αὐτῆς ὁ
δύο πλείων [τοῦ a'] τοῦ ὑπόπροσθεν ὑπάρχει, καὶ ῥίζα γε τῆς πυθ- μενικῆς τοῦ μείζονος σχέσεως διπλάσιος Yap: ὁ
δὲ μετ᾽ αὐτὴν ὁ δ΄ ἐλάττων [τοῦ α΄ β΄ γ᾽
καὶ γὰρ ς1 τῶν ὑπόπροσθεν, καὶ πρώτιστον γε
τῆς πυθμενικῆς τοῦ ἐλάσσονος σχέσεως εἶδος" ὑφημιόλιος γάρ᾽ αὕτη δὲ μεταξὺ ἀμφοῖν ἴση [τῷ α΄ βΊ τοῖς
ὑπόπροσθεν [ἤγουν ἐστὶ 13 οἷς mutò
Waterfield, Ezzend.: ὅτι. LA TEOLOGIA
DELL'ARITMETICA 857 I Pitagorici
chiamavano il 2 “Diometore”, cioè “Madre di Zeus” -- Zeus era l’ 1, essi dicevano — e, anche
“Rea”, per la flussione e la ten- sione,
che sono proprietà sia del 2 che della natura che diviene tutto. E dicono anche che il nome “diade” [δυάς]
conviene alla Luna, per- ché questa è il
pianeta che subisce più tramonti [δύσεις] di tutti, e perché è dimezzata o divisa in due:9 è detta
infatti divisa a metà o divisa in
due.” Il numero 3. Il 3 ha avuto in sorte, come una sua
prerogativa rispetto a tutti gli altri
numeri, bellezza e fascino, anzitutto perché è assolutamente il primo numero che presenta le potenze attive
dell’ 1, e cioè proprietà dispari,
perfezione, proporzione, unitarietà, limite; infatti il 3 è il primo numero dispari in atto, poiché è,
secondo la sua stessa denomi- nazione, “oltre
l’uguale” [περισσός - περίϊσος], avendo cioè qualco- sa di più dell’uguale nella sua parte
aggiuntiva,?8 e ha la prerogativa di
essere il numero successivo ai due primi principi e anche uguale
alla loro somma. In realtà il 3 è
perfetto in una maniera più particolare che
non quegli altri numeri, i quali si scoprono essere uguali alla somma di numeri in successione da 1 a 4, parlo
ovviamente dei numeri 1, [15] 3, 6, 10:
infatti 1 (base della serie)=1, 3=1+2, 6=1+2+3, 10 = 1+2+3+4. Ebbene, il 3 sembra avere qualcosa
di più di questi altri numeri, per il
fatto che è immediatamente successivo ai numeri, alla cui somma è anche uguale, ;9 e infatti per
questa sua proprietà è deno- minato
“medietà” e “proporzionalità”, ”, non già perché è assolutamen- te il primo numero a cui è toccato in sorte
un termine medio,199 e d’al- tra parte
perché è assolutamente l’unico numero che ha lo stesso ter- mine medio uguale agli estremi,!01 ma perché
a immagine dell’ugua- glianza in
generale, che è intermedia tra maggiore e minore che sono le due specie della disuguaglianza, è
considerato anch'esso al centro tra più
e meno, perché ha natura commisurata: infatti 2 che è prima di 3 è più di 1, che è prima di 2, ed è
infatti “doppio”, che è in effet- ti la
radice della relazione basale di “maggiore”:102 4 invece, che è dopo 3, è minore della somma dei numeri che
lo precedono,1% ed è assolutamente la
prima specie di relazione basale di “minore”, perché 858 GIAMBLICO
Υ7] εἰδοποιὸς ἄρα μεσότητος τοῖς ἄλλοις. ἔνθεν τρεῖς μὲν δι᾽ αὐτὴν αἱ ὀρθαὶ λεγόμεναι μεσότητες, ἀριθμητικὴ
γεωμετρικὴ ἁρμονική, τρεῖς δὲ αἱ ταύταις
ὑπεναντίαι, τρεῖς δὲ οἱ καθ᾽ ἑκάστην [20] ὅροι,
τρία δὲ «τὰ» διαστήματα, τουτέστιν αἱ ἐν ἑκάστῳ ὅρῳ [16] διαφοραὶ μικροῦ πρὸς μέσον καὶ μέσου πρὸς μέγα καὶ
μικροῦ πρὸς μέγα, σχέ- σεις τε ἰσάριθμοι
αἱ κατὰ τὰ λεχθέντα ἐν προλόγων τάξει, ἄλλαι δὲ
τρεῖς ἀναστροφαὶ ἐξεταζόμεναι μεγάλου πρὸς μικρόν, μεγάλου πρὸς μέσον, μέσου πρὸς μικρόν. ὅτι ἡ μὲν
μονὰς τοῦ παντὸς ἀριθμοῦ λόγον
ἀδιατύπωτον ἔτι καὶ ἀδιάρθρωτον ὡς ἐν σπέρματι ἑαυτῇ ἔχει, ἡ δυὰς δὲ βραχεῖά τις ἐπ᾽ ἀριθμὸν
προχώρησις, οὐκ ἄντικρυς δὲ τοιαύτη διὰ
τὸ ἀρχοειδές, ἡ τριὰς δὲ τὴν τῆς μονάδος δύναμιν εἰς ἐνέργειαν καὶ ἐπέκτασιν προχωρεῖν ποιεῖ. καὶ
μονάδος μὲν τὸ [10] τόδε, δυάδος δὲ τὸ
ἑκάτερον, τριάδος δὲ τὸ ἕκαστον καὶ τὸ «tav»
διὸ καὶ εἰς πλήθους ἔμφασιν τῇ τριάδι χρώμεθα, «τρισμύριοι» λέ- γόντες ἀντὶ τοῦ «πολλάκις πολλοί» καὶ
«τρισόλβιοι»" διὸ καὶ τὰς τῶν
νεκρῶν ἀνακλήσεις τρὶς εἰθίσθημεν ποιεῖν. ἔτι δὲ καὶ πᾶσα οὐ- σία διέξοδον ἔχουσα φυσικὴν ὅρους ἔχει τρεῖς,
ἀρχὴν ἀκμὴν τελευτήν, οἷον πέρατα καὶ
μέσον, διαστήματα δὲ «δύο», [οἷον]! 4
αὔξησιν καὶ φθίσιν, ὥστε τὴν μὲν δυάδος φύσιν καὶ τὸ ἑκάτερον ἐμ- φαίνεσθαι τῇ τριάδι διὰ τῶν περάτων. ὅτι ἡ
τριὰς εὐβουλία καλεῖ- ται καὶ φρόνησις,
οἷον τῶν ἀνθρώπων τά τε παρόντα διορθούντων
[20] τά τε μέλλοντα προορωμένων καὶ ἐκ τῶν ἤδη γεγονότων λαμβα- νόντων πεῖραν᾽ τῶν ἄρα τριῶν τοῦ χρόνου μερῶν
ἐποπτική πως ἡ φρόνησις, ὥστε καὶ ἡ
γνῶσις κατὰ τὴν τριάδα. ὅτι [17] τὴν τριάδα
εὐσέβειαν καλοῦσι᾽ διὸ καὶ τριὰς ὠνομάσθη παρὰ τὸ τρεῖν, τὸ δεδοικέναι καὶ εὐλαβεῖσθαι. ᾿Ανατολίου.
ὅτι ὁ τρία πρῶτος περισσὸς καλεῖται ὑπ᾽ ἐνίων τέλειος, ὅτι πρῶτος τὰ πάντα σημαίνει, ἀρχὴν καὶ μέσον καὶ
τέλος. τὰ ἐξαίσια 14 eliminò De Falco in
appar. ad loc., nonché ed. Klein Add. p. XXVII.
LA TEOLOGIA DELL'ARITMETICA 859 è
sotto-emiolio di 6;10 il 3, invece, che sta al centro fra i due,!0 è uguale alla somma dei numeri che lo
precedono;19% esso costituisce dunque la
medietà degli altri due.197 In conseguenza della medietà del numero 3 si hanno tre cosiddette “medietà
rette”, cioè le medietà arit- metica,
geometrica e armonica, e tre medietà ad esse subalterne, e tre termini in ciascuna di esse, e tre
intervalli, cioè le differenze di ciascun
termine con gli altri, ovvero gli intervalli [16] da piccolo a medio, da medio a grande, e da piccolo a grande, e
altrettante relazioni, cioè tre, secondo
l’ordine dei precedenti intervalli,!°8 e altre tre relazioni esa- minate in ordine inverso rispetto alle
precedenti, cioè da grande a pic- colo,
da grande a medio, e da medio a piccolo.109
L’1hainsé come in germe il principio non ancora formato o ben distinto di ogni numero, il 2 è un piccolo
passo avanti verso il nume- ro, ma non è
completamente numero perché ha natura di principio, il 3 invece consente all’ 1 di passare e
distendersi dalla potenza all’atto. E
all’ 1 appartiene il “questo qui”, al 2 “l’uno e l’altro”, al 3 il “cia- scuno e ogni”: perciò noi ci serviamo del 3
anche per indicare la “mol- titudine”,
dicendo “trentamila” invece di “molti molte volte”110 e “tre volte beati”;!!! ed è per questo che abbiamo
anche il costume di fare tre volte le
invocazioni dei morti. E ancora, ogni sostanza che abbia un naturale sviluppo possiede da un lato tre
termini, inizio, acme e fine,112 cioè
<due> limiti e un punto mediano, dall’altro lato due intervalli, crescita!!? e deperimento,!14 di
modo che ogni cosa rivela attraverso i
limiti del 3 la natura del 2, cioè de’ “l’uno e l’altro”,115 Il 3 è chiamato “assennatezza” e “prudenza”,
cioè quella virtù degli uomini che
agiscono con correttezza rispetto al presente e con la previsione del futuro e secondo
l’esperienza acquisita dal passato: cosî
la prudenza contempla in qualche modo le tre parti del tempo, sicché anche la conoscenza si svolge in
funzione del 3. [17] I Pitagorici
chiamano il 3 “pietà”; e perciò il nome 3 [τριάς] deriva da “tremare” [tp£îv], cioè “temere” e
<quindi> “essere cauti”.116
Secondo Anatolio. Il 3 che è il
primo numero dispari, è detto da alcuni “perfetto”, 860 GIAMBLICO
ἀπὸ ταύτης σεμνύνοντες καλοῦσι τρισολβίους, τρισμάκαρας. εὐχαὶ καὶ σπονδαὶ τρὶς γίνονται. εἰκών ἐστιν
ἐπιπέδου καὶ πρώτη ὑπόστασις ἐν
τριγώνοις" τρία γὰρ αὐτῶν γένη, ἰσόπλευρον ἰσοσκε- λὲς σκαληνόν᾽ ἔτι γωνίαι εὐθύγραμμοι τρεῖς,
[10] ὀξεῖα ἀμβλεῖα ὀρθή. χρόνου μέρη
τρία. εἴκαζον δὲ αὐτὴν ἐν ἀρεταῖς σωφροσύνῃ;
συμμετρία γὰρ αὕτη μεταξὺ ὑπεροχῆς καὶ ἐλλείψεως. ἔτι ἡ τριὰς ἐκ μονάδος καὶ δυάδος καὶ ἑαυτῆς τὸν ἕξ ποιεῖ
κατὰ σύνθεσιν, ὅς ἐστι πρῶτος τέλειος
ἀριθμός. Νικομάχου Θεολογούμενα. ὅτι ἀρχὴ κατ᾽ ἐνέργειαν ἀριθμοῦ ἡ τριὰς
μονάδων συστήματι ὁριζομένον᾽ μονὰς μὲν
γὰρ τρόπον τινὰ ἡ δυὰς διὰ τὸ ἀρχοειδές,
σύστημα δὲ μονάδος καὶ δυάδος ἡ τριὰς πρώτη' ἀλλὰ καὶ τέλους καὶ μέσου καὶ ἀρχῆς πρωτίστη ἐπιδεκτική, δι᾽ ὧν
τελειότης περαίνεται πᾶσα. εἶδος τῆς τῶν
ὅλων τελεσιουργίας [18] καὶ ὡς ἀληθῶς ἀριθ-
μὸς ἡ τριάς, ἰσότητα καὶ στέρησίν τινα τοῦ πλείονος καὶ ἐλάττονος τοῖς ὅλοις παρέσχεν, ὁρίσασα τὴν ὕλην καὶ
μορφώσασα ποιοτήτων πασῶν δυνάμεσιν.
ἴδιον γοῦν καὶ ἐξαίρετον ἔχει παρὰ τοὺς ἄλλους
ἀριθμοὺς ὁ τρία τὸ τοῖς πρὸ αὐτοῦ ἴσος εἶναι. τρὶς δὲ καὶ σπένδου- σι καὶ τρὶς ἐπιθύουσιν οἱ τελειωθῆναι τὰς
ἑαυτῶν εὐχὰς αἰτοῦντες παρὰ θεοῦ:
τρισμακαρίους τε καὶ τρισευδαίμονας καὶ τρισολβίους τρίς τε τὰ ἐναντία φαμέν, ὅσοις τελείως
ἕκαστον τούτων ὡσανεὶ πάρεστιν. ὅτι
ὠνομάσθαι καὶ ταύτην τριάδα φασὶ παρὰ [10] τὸ
ἀτειρής τις εἶναι καὶ ἀκαταπόνητος᾽ οὕτω δὲ λέγεται διὰ τὸ μὴ δύ- νασθαι αὐτὴν εἰς δύο ἴσα διαιρεῖσθαι. ὅτι
πρῶτον πλῆθος ἡ τριάς’ ἑνικὰ γὰρ καὶ
δυϊκὰ λέγομεν, εἶτ᾽ οὐκέτι τριαδικὰ ἀλλὰ πληθυντι- LA TEOLOGIA DELL’ARITMETICA 861 perché è il primo numero che significa tutte
le cose,!17 cioè inizio e mezzo e fine.
Per mettere in risalto aspetti straordinari, essi usano nomi derivati dal 3: “tre volte fortunati”,
“tre volte beati”. Preghiere e libagioni
si fanno tre volte. Il 3 è simbolo della superficie e prima realtà dei triangoli: ci sono, infatti, tre
generi di triangoli, equilatero isoscele
scaleno; e ancora, ci sono tre angoli rettilinei, acuto ottuso retto. Tre sono le parti del tempo. I
Pitagorici facevano corrisponde- re il 3
alla virtà della “temperanza”, perché questa è “giusta misura” tra eccesso e difetto. Inoltre, il 3 sommando
se stesso a 1 e 2118 pro- duce il 6, che
è il primo numero perfetto. La Teologia
<dell’aritmetica> di Nicomaco. Il
3 è inizio del numero in atto, che è determinato per composi- zione di unità.!!9 Unità, infatti, è in
qualche modo anche il 2, perché ha
natura di principio, mentre il 3 è il primo numero che è composi- zione di 1 e 2; ma il 3 è anche assolutamente
il primo numero che ammette fine, mezzo
e principio, che sono i limiti di ogni perfezione. Forma del realizzarsi di tutti i numeri [18]
e esso stesso vero nume- ro, il 3
fornisce all’intera realtà uguaglianza e una certa mancanza di più e meno, determinando la materia e dando
forma alle potenze di tutte le
qualità.120 Il 3 in effetti ha di proprio e peculiare, a differenza degli altri numeri, di essere uguale alla
somma dei numeri che lo pre- cedono.!21
E tre volte fanno libagione e tre volte compiono sacrificio coloro che chiedono a dio di esaudire le loro
preghiere; e “tre volte beati” e “tre
volte felici” e “tre volte fortunati” e “tre volte” il loro contrario, noi diciamo quelle cose in cui,
per cosî dire, è presente in modo
perfetto ciascuna di quelle condizioni.
1 Pitagorici dicono che il 3 è chiamato cosî perché somiglia a uno che è “indomabile” [τριάς - ἀτειρής] o
“instancabile”; e questo appellativo di
“indomabile” gli deriva dal fatto che non può essere diviso in due parti uguali. Il 3 è la prima vera pluralità: infatti noi
chiamiamo le cose <secon- do il
numero> “singolari” o “duali”, ma non aggiungiamo “tripli- ci” ,122 bensi, in modo appropriato,
“plurali” .123 862 GIAMBLICO κὰ ἰδίως. ὅτι καὶ ἐν τῇ τοῦ ἀριθμοῦ φύσει ἡ
τριὰς διατείνει" περιτ- τοῦ μὲν γὰρ
εἴδη τρία, τὸ μὲν πρῶτον καὶ ἀσύνθετον, τὸ δὲ δεύτε- ρον καὶ σύνθετον, τὸ δὲ μικτόν, τὸ πρὸς αὑτὸ
μὲν δεύτερον, πρὸς ἄλλο δὲ πρῶτον πάλιν
δὲ τὸ μὲν ὑπερτελές, τὸ δὲ ἀτελές, τὸ δὲ
τέλειον' συλλήβδην δὲ τοῦ πρός τι ποσοῦ τὸ μὲν μεῖζον, τὸ δὲ ἔλατ- τον, τὸ δὲ ἴσον. τῇ τε γεωμετρίᾳ
προσφυέστατόν ἐστιν ἡ τριάς᾽ τὸ [20] γὰρ
ἐν ἐπιπέδοις στοιχειωδέστατόν ἐστι τρίγωνον καὶ τούτου εἴδη τρία, ὀξυγώνιον ἀμβλυγώνιον σκαληνόν.
τρεῖς τε τῆς σελήνης οἱ σχηματισμοί,
αὔξησις πανσέληνος καὶ μινύθησις᾽ [19] τρεῖς δὲ
καὶ οἱ τῆς ἀνωμαλίας τρόποι, προποδισμὸς ἀναποδισμὸς καὶ ὁ μετα- ξὺ αὐτῶν στηριγμός. καὶ τρεῖς οἱ τὸ ζωδιακὸν
πλάτος ὁρίζοντες κύ- κλοι, θερινός τε
καὶ χειμερινὸς καὶ ὁ ἀνὰ μέσον τούτων ὁ λεγόμε-
νος ἐκλειπτικός. καὶ τρία μὲν εἴδη ζώων, πεζὸν πτηνὸν ἔνυδρον. τρεῖς δὲ καὶ αἱ Μοῖραι θεολογοῦνται, ὅτι καὶ
ἡ σύμπασα διεξαγωγὴ θείων τε καὶ θνητῶν
ἔκ τε προέσεως καὶ ὑποδοχῆς καὶ τρίτον ἀντα-
ποδόσεως κρατύνεται, σπερμαινόντων μὲν τρόπον τινὰ τῶν αἰθε- ρίων, ὑποδεχομένων δὲ ὡσανεὶ τῶν περιγείων,
ἀνταποδόσεων [10] δὲ διὰ τῶν ἀνὰ μέσον
τελουμένων, ὥσπερ ἐγγόνου τινὸς μεταξὺ
ἄρρενος καὶ θήλεος. καὶ τὸ παρ᾽ Ὁμήρῳ δὲ ἁρμόσοι τις ἂν τούτοις «τριχθὰ γὰρ πάντα δέδασται». ὅπου καὶ τὰς ἀρετὰς
εὑρίσκομεν δύο κακιῶν ἀλλήλαις τε καὶ
ἀρετῇ ἀντικειμένων μέσας, καὶ συνάδει ὁ
λόγος, κατὰ μὲν μονάδα ὡρισμένον τι καὶ γνωστὸν καὶ φρόνιμον τὰς ἀρετὰς εἶναι -- τὸ γὰρ μέσον ἕν -, κατὰ δὲ
δυάδα ἀόριστον καὶ ἄγνωστον καὶ ἄφρον
τὰς κακίας. ὅτι αὐτὴν!5 καὶ φιλίαν καὶ εἰρήνην
καὶ προσέτι ἁρμονίαν τε καὶ ὁμόνοιαν προσαγορεύουσιν. ἐναντίων γὰρ καὶ
οὐχ ὁμοίων συνακτικὰ καὶ ἑνωτικὰ ταῦτα᾽ διὸ [20] καὶ γά- μον ταύτην καλοῦσι.
τρεῖς δὲ καὶ αἱ ἡλικίαι. [20] περὶ τετράδος. Ὅτι ἐν τῇ μέχρι τῆς τετράδος
φυσικῇ ἐπανυξήσει πάντα συντε- λούμενα φαίνεται τὰ ἐν τῷ κόσμῳ, καθόλου καὶ
κατὰ μέρος, καὶ τὰ ἐν ἀριθμῷ, ἐν πάσαις ἁπλῶς φύσεσιν᾽ ἐξαίρετον δὲ καὶ πρὸς
τὴν 15 ὅτι αὐτὴν congetturò
dubitativamente Oppermann: ἔτι γε μὴν. Si tratterebbe quindi di un nuovo
estratto. LA TEOLOGIA DELL’ARITMETICA 863 Il 3 si riflette anche nella
natura!24 del numero: ci sono infatti tre
specie di dispari, primo e non composto, secondo e composto, e misto, che è secondo in rapporto a se stesso
e primo in rapporto ad altro; e ancora
<tre specie di pari> ridondante, deficiente [ἀτελές — ἐλλιπές] 125 e perfetto: del quanto
relativo,12 invece, ci sono, per dirla
in breve, il maggiore, il minore e l’uguale. Il 3 è anche il numero
più connaturale alla geometria: tra le
figure piane, infatti, la più elemen-
tare è il triangolo, e di questo ci sono tre specie, acutangolo ottusan- golo scaleno. Anche della Luna ci sono tre
configurazioni, luna cre- scente, luna
piena e luna calante; [19] sono tre anche i tipi di movi- mento irregolare dei pianeti, progressione,
regressione e, in posizione intermedia,
stazione. Tre sono anche i circoli che determinano la lati- tudine dello zodiaco, estivo, invernale e, in
posizione intermedia, la cosiddetta
eclittica. Tre sono anche le specie di animali, terrestre alata acquatica. Tre sono anche le Moire in
teologia, perché l’intera condot- ta di
vita e degli enti divini e dei mortali è regolata da emissione, rice- zione e, in terzo luogo, rimunerazione: le
cose celesti emettono in qualche modo il
seme, quelle terrestri lo ricevono, le rimunerazioni infine sono pagate attraverso quelli che
stanno al centro, come se fos- sero la
prole tra maschio e femmina.!27 Ciò potrebbe trovare confer- ma anche nelle parole di Omero: «il tutto fu
diviso in tre parti»,128 e là dove
troviamo anche che le virti sono intermedie tra due vizi che sono in opposizione tra loro e rispetto alla
virti, e lo conferma anche il discorso secondo cui le virtà sono ciò che è
determinato e conosci- bile e saggio in virti dell’ 1 — infatti il medio è uno
--,129 i vizi, invece, ciò che è indeterminato e inconoscibile e stolto in
virtà del 2.130 I Pitagorici chiamano il 3 anche “amicizia”, “pace”, e inoltre
“armonia” e “concordia”, perché tutte queste cose collegano e uni- scono i contrari
e i dissimili; perciò lo chiamano anche “matrimonio”, Sono tre anche le età
della vita.13 [20] Il numero 4. Tutte le cose del mondo, nel loro aspetto
generale e in quello par- ticolare, cosi come tutta la realtà dei numeri, e
insomma ogni cosa di 864 GIAMBLICO
ἐφάρμοσιν τοῦ ἀποτελέσματος μάλιστα συντεῖνον τὸ τὴν δεκάδα in αὐτῆς ἅμα τοῖς ὑπόπροσθεν συγκορυφοῦσθαι
γνώμονα καὶ συνοχὴν ὑπάρχουσαν, ἀλλὰ καὶ
τὸ τὴν σωμάτωσιν καὶ τὴν ἐπὶ τρία διάστα-
σιν μέχρις αὐτῆς πέρας ἴσχειν᾽ τὸ γὰρ ἐλάχιστον καὶ πρωτοφανέ- στατον σῶμα [10] πυραμὶς ἐν τετράδι ὁρᾶται
εἴτε γωνιῶν εἴτε ἐπι- πέδων, ὥσπερ καὶ
τὸ ἐξ ὕλης καὶ εἴδους αἰσθητόν, ὅ ἐστιν ἀποτέλε- σμα τριχῆ διαστατόν, ἐν τέσσαρσιν ὅροις ἐστί.
καὶ μὴν καὶ τῆς ἐν τοῖς οὖσιν ἀληθείας
τὴν κατάληψιν τήν τε βεβαίαν καὶ τὴν ἐπι-
στημονικὴν ἐπίγνωσιν ποιεῖσθαι διὰ τῶν τεσσάρων μαθημάτων βέλτιον καὶ ἀπταιστότερον᾽ τῶν γὰρ ὄντων
ἁπλῶς ἁπάντων ἐν μὲν παραθέσει καὶ
σωρείᾳ τῷ ποσῷ ὑπαγομένων, ἐν δὲ ἑνώσει καὶ
ἀλληλουχίᾳ τῷ πηλίκῳ, καὶ τῶν μὲν ἐν ποσότητι ἤτοι καθ᾽ ἑαυτὰ νοουμένων ἢ [ἐν] πρός τι, τῶν δὲ ἐν
πηλικότητι ἢ ἐν μονῇ ἢ ἐν κιν- ήσει,
τέτταρες ἀνάλογον [20] μαθηματικαὶ μέθοδοι καὶ ἐπιστῆμαι τὴν κατάληψιν ἑκάστην ἑκάστῃ κατ᾽ οἰκειότητα
ποιήσονται, ποσοῦ μὲν κοινῇ ἀριθμητική,
ἰδιαίτερον δὲ [περὶ] τοῦ καθ᾽ αὑτό, τοῦ δὲ
πρὸς ἕτερον ἤδη [kai]!6 μουσική, πηλίκου δὲ κοινῶς μὲν γεωμετρί- a, ἰδιαίτερον δὲ [21] τοῦ ἑστῶτος, τοῦ δ᾽ ἐν
κινήσει ἤδη καὶ ev- τάκτῳ μεταβάσει
σφαιρική. εἰ δὲ τῶν ὄντων εἶδος ὁ ἀριθμός, ἀριθ- μοῦ δὲ [τὰ]!7 ῥιζώματα καὶ οἱονεὶ στοιχεῖα οἱ
μέχρι τετράδος ὅροι, εἴη ἂν ἐν τούτοις
τὰ προλεχθέντα ἰδιώματα καὶ αἱ τῶν τεσσάρων
ἐπιστημῶν ἐμφάσεις, ἀριθμητικῆς μὲν ἐν μονάδι, μουσικῆς δὲ ἐν δυάδι, γεωμετρίας δὲ ἐν τριάδι, σφαιρικῆς δὲ
ἐν τετράδι, καθὼς ἐν τῷ δηλουμένῳ Περὶ
θεῶν συγγράμματι ὁ Πυθαγόρας οὕτω διορίζε-
ται’ «τέτταρες μὲν καὶ ταὶ σοφίας ἐπιβάθραι, ἀριθμητικὰ μωσικὰ γεωμετρία [10] σφαιρικά, α΄ β΄ γ΄ δ΄
τεταγμέναι.» καὶ Κλεινίας δὲ ὁ
Ταραντῖνος: «ταῦτα γὰρ ἄρα μένοντα μέν», φησίν, «ἀριθμητικὰν καὶ γεωμετρίαν ἐγέννασεν, ἐκκινηθέντα δὲ
ἁρμονίαν καὶ ἀστρονο- μίαν.» κατὰ μὲν
οὖν τὴν μονάδα ἡ ἀριθμητικὴ εἰκότως θεωρεῖται
πρῶτον’ συναναιρεῖ γὰρ τὰς ἄλλας ἑαυτῇ καὶ συνεπιφέρεται δὲ ἐκείναις,
οὐκ ἔμπαλιν δέ, ὥστε ἀρχεγονωτέρα καὶ μήτηρ αὐτῶν, καθὰ καὶ ἡ μονὰς πρὸς τοὺς
μετ᾽ αὐτὴν ἀριθμοὺς ἔχουσα φαίνεται. 16 eliminò De Falco in appar. ad loc. (cf.
anche ed. Klein Add. p. XXVII). 17 eliminò in un secondo momento De Falco
secondo il cod. Par. gr. 2533 (cf. ed. Klein Add. p. XXVII). LA TEOLOGIA DELL'ARITMETICA 865 qualsiasi natura, sembra che trovino il loro
compimento nell’accresci- mento naturale
che giunge fino al 4; e ciò che è peculiare e che con- tribuisce massimamente all’insieme armonico
del risultato, è il fatto che il numero
10, che è gnomone!?? e connessione,!33 risulta dalla somma del 4 con i numeri che lo precedono, ma
anche il fatto che il 4 costituisce il
limite della corporeità e della tridimensionalità: infatti nel 4, sia come angoli!» che come facce, si
può osservare il solido più piccolo e
che appare per primo, cioè la piramide, cosi come il più pic- colo corpo percepibile, che è costituito di
materia e forma ed è risul- tato
tridimensionale, consiste di quattro termini. Inoltre è meglio e più esente da errore acquisire conoscenza
sicura e scientifica della verità degli
enti attraverso le quattro scienze matematiche: poiché infatti tutte quante le cose sono senz'altro
soggette al “quanto” per
giustapposizione o accumulazione, al “quanto grande” per unione o coesione, e sono concepite rispetto al quanto
o in se stesse o in rap- porto a
qualcosa, e rispetto al quanto grande o in quiete o in movi- mento, allora per analogia saranno quattro i
metodi e le scienze mate- matiche che
produrranno la conoscenza specifica in rapporto a cia- scuna di queste <quattro> proprietà:135
l’aritmetica fornirà la cono- scenza del
quanto in generale, ma più specificamente del quanto in sé, la musica quella del quanto già in rapporto
ad altro, mentre la geome- tria fornirà
la conoscenza del quanto grande in generale, ma specifi- camente [21] del quanto grande in quiete, la
sferica quella del quan- to grande già
in movimento e in traslazione regolare. Ma se il nume- ro è forma degli enti, e radici ed elementi,
per cosi dire, del numero sono i termini
da 1 a 4136 allora in questi quattro termini si troveran- no le suddette proprietà!57 e si
manifesteranno le quattro scienze
<matematiche>, e precisamente nell’ 1 l’aritmetica, nel 2 la
musica, nel 3 la geometria, nel 4 la
sferica, cosî come stabilisce Pitagora nel
trattato intitolato Sugli dèi quando dice: «Quattro sono gli accessi
alla sapienza, aritmetica, musica,
geometria, sferica, nell'ordine 1, 2,3, 4».
Anche Clinia di Taranto dice: «Tali cose, dunque, quando sono in quiete fanno nascere la matematica e la
geometria, quando sono in movimento
l’armonica e l'astronomia». Nell’ 1, quindi, è giusto vede- re anzitutto l’aritmetica: infatti, tolta
l’aritmetica sono tolte le altre scienze matematiche e date le altre scienze è
data insieme anche l’arit- metica, ma non viceversa, sicché l’aritmetica è più
primigenia di quel- le a na èà madra ρα ansha Τ᾿ 1 cambkea sceccrla in anna hr
i ironia 866 GIAMBLICO ἀλλὰ καὶ ἀριθμοῦ πᾶν εἶδος καὶ πᾶν ἰδίωμα καὶ παρακολούθημα
ἐν τῇ μονάδι πρώτιστα ὡς ἐν σπέρματι
ὁρᾶται ἔστι γὰρ ποσόν τι ἡ [20] μονὰς
καὶ καθ᾽ ἑαυτό γε θεωρούμενον καὶ μονώτατον περαῖνον καὶ ἀληθῶς ὁρίζον σὺν γὰρ ἑτέρῳ μόνον οὐκ ἄν ποτε
εἴη τι. κατὰ δὲ τὴν δυάδα ἑτερότητος γὰρ
πρωτίστη ἔννοια ἐν δυάδι: [22] πρὸς ἕτερον
δέ πῶς ἡ μουσικὴ φαίνεται, σχέσις πως οὖσα καὶ ἁρμονία τῶν ἀνο- μοίων πάντη καὶ ἐν ἑτερότητι᾽ κατὰ δὲ τὴν
τριάδα γεωμετρική, οὐ μόνον ὅτι περὶ τὸ
τριχῆ διαστατὸν καὶ τὰ τούτου κατασχολεῖται
μέρη καὶ εἴδη, ἀλλ᾽ ὅτι καὶ ἴδιον τοῦ διδασκάλου τούτου, τὰς ἐπι- φανείας, ἃς δὴ χροιὰς ἔφασκον, γεωμετρίαν
περαινούσας ὀνομάζειν ἀεί, ὡς δὴ τῆς
γεωμετρίας περὶ τὸ ἐπίπεδον πρώτιστα διαγινομένης, ἐπίπεδον δὲ τὸ στοιχειωδέστατον ἐν τριάδι
ἤτοι γωνιῶν ἢ πλευρῶν, ἀφ᾽ οὗ ὡς ἀπό
τινος βάσεως ὡς ἐπὶ ἕν τι σημεῖον βάθους προσγενο- μένου [10] πάλιν σωμάτων τὸ στοιχειωδέστατον
πυραμὶς συνίσταται ὑπὸ τεσσάρων τῶν
ἐλαχίστων ἤτοι γωνιῶν ἢ ἐπιπέδων!8 καὶ αὐτὴ
περιεχομένη, τρισὶν ἴσοις διαστήμασι καθαρμοσθεῖσα, μεθ᾽ ἃ οὐ- κέτι ἄλλο «τι» ἐν τῷ σώματι ὑπόκειται φύσει.
καὶ ἡ σφαιρικὴ τῇ τετράδι ἐφαρμόζεται:
σωμάτων γὰρ πάντων τελειότατόν τε καὶ τῶν
ἄλλων μάλιστα περιεκτικώτατον φύσει καὶ μυρίοις ἑτέροις ὑπερφέρον τί ἐστιν ἡ σφαῖρα, τεσσάρων περιοχή
τις οὖσα, κέντρου διαμέτρου περιφερείας
ἐμβαδοῦ, ὅ ἐστιν ἀντιτυπίας. τοιαύτης δὲ
οὔσης ἐπώμνυον δι᾽ αὐτῆς τὸν Πυθαγόραν οἱ ἄνδρες, θαυμάζοντες δηλονότι καὶ [20] ἀνευφημοῦντες ἐπὶ τῇ
εὑρέσει, καθά που καὶ Ἐμπεδοκλῆς «οὔ, μὰ
τὸν ἁμετέρᾳ γενεᾷ παραδόντα τετρακτύν,
παγὰν ἀενάου φύσεως ῥιζώματ᾽ ἔχουσαν.» [23] ἀέναον γὰρ φύσιν τὴν δεκάδα ἠνίττοντο τὴν οἱονεὶ ἀΐδιον καὶ
αἰώνιον τῶν ὅλων φύσιν καὶ εἰδῶν
ὑπάρχουσαν, καθ᾽ ἣν συνεπληρώθη καὶ πέρας τὸ ἁρμόζον καὶ περικαλλέστατον ἔσχε τὰ ἐν κόσμῳ.
ῥιζώματα δ᾽ αὐτῆς τὰ μέχρι τετράδος, α΄
β΄ γ΄ δ΄ πέρατα γὰρ ταῦτα καὶ οἱονεὶ ἀρχαί τινες τῶν ἀριθμοῦ ἰδιωμάτων, μονὰς μὲν ταὐτοῦ καθ᾽ αὑτὸ
νοουμένου, δυὰς δὲ θατέρου καὶ τοῦ ἤδη πρὸς ἄλλο, τριὰς δὲ ἑκάστου τε καὶ
περισσοῦ τοῦ κατ᾽ ἐνέργειαν, τετρὰς δὲ τοῦ ἐνεργείᾳ ἀρτίου᾽ περισσοειδὴς 18
ἐπιπέδων MSS: γραμμῶν De Falco erroneamente secondo la correzio- ne di una
seconda mano (cf. appar ad loc.). Legge ἐπιπέδων
anche Waterfield: «it is encompassed by at leastfour angles or surfaces» (cf.
Trad. p. 57). LA TEOLOGIA
DELL'ARITMETICA 867 ri che lo seguono. Ma nell’ 1 è possibile vedere anzitutto,
come in germe, ogni specie di numero e ogni sua proprietà e tutto ciò che
ne consegue: l’ 1 è infatti un “quanto”
che si può considerare in se stes- so e
nella sua capacità, che esso solo possiede, di fornire limite e reale determinazione alle cose: insieme con
un’altra, infatti, una cosa non sarà mai
una sola, ma due: nel 2 infatti sta l’idea assolutamente prima della alterità; [22] in rapporto alla
alterità!38 in qualche modo sembra
stare, invece, la musica, che è in qualche modo relazione e armonia
tra cose del tutto dissimili e diverse;
nel 3 sta la geometria, non solo per-
ché si occupa della tridimensionalità e delle sue parti e specie, ma anche perché è compito di chi insegna questa
disciplina parlare sem- pre di
“superfici”, che costituiscono i confini della geometria,!39 e che gli antichi chiamavano “pellicole”,14° in
quanto appunto la geometria si occupa in
primo luogo della figura piana, e la figura piana più ele- mentare risiede nel 3, o 3 angoli o 3 lati, e
se, partendo da questa come base si
giunge in altezza a un unico punto, allora si costruisce a sua volta il più elementare dei solidi cioè
la piramide, che, pur essen- do
contenuta da almeno 4 angoli o facce,ì4! è composta di tre uguali dimensioni, al disotto delle quali non è
possibile che esista alcun corpo
naturale. E la sferica si accorda con il 4, perché di tutti i corpi il più perfetto e soprattutto il più capace
per natura di contenere gli altri corpi,
e che è loro superiore per un'infinità di altri aspetti, è la sfera, che è una figura che comprende quattro
elementi: centro, dia- metro,
circonferenza e area, cioè superficie. Poiché il 4 è di tale natu- ra, gli uomini giuravano per Pitagora con
questo numero, perché evi- dentemente lo ammiravano e lo acclamavano per averlo
scoperto,!42 per cui anche Empedocle dice da qualche parte: «No, per colui che
ha tramandato alla nostra generazione la
Tetratti, sorgente che contiene le radici dell’inesauribile
natura».14 [23] Con l’espressione
“inesauribile natura”, infatti, i Pitagorici allu- devano alla “Decade” quale “natura eterna e
perpetua” di tutte le cose e di tutte le
loro specie, in virtà della quale ciò che è nel mondo si compie e ha il suo limite appropriato e
più bello. Le “radici” della Decade sono
i numeri fino a 4, cioè 1, 2, 3, 4: questi infatti sono come dei principi delle proprietà del numero: l’ 1
della sua identità pensa- ta per se stessa, il 2 della sua diversità e del suo
essere già in rappor- to ad altro, il 3 della singolarità del numero e del
dispari in atto, il 4 868 GIAMBLICO γὰρ πολλάκις ἡμῖν ὥφθη ἡ δυὰς διὰ τὸ [10]
ἀρχοειδὲς οὔπω τῶν ἀρτίου καθαρῶν
ἰδιωμάτων ἐπιδεκτικὴ οὖσα οὐδὲ τῶν
ὑποδιαιρέσεων. ὅτι ἐν πρώτῃ τετράδι σωμάτωσις ἐλαχίστη καὶ σπερματικωτάτη, εἴπερ καὶ στοιχειωδέστατον
τῶν σωμάτων καὶ μικρομερέστερόν ἐστι τὸ
πῦρ, αὐτοῦ δὲ τούτου σχῆμα ὡς σώματος
πυραμὶς φερώνυμος διὰ τοῦτο ὑπὸ τεσσάρων τε βάσεων καὶ ὑπὸ τεσ- σάρων γωνιῶν μόνη περικλειομένη goti:
κἀκεῖθεν, rerodeinpev ἀν, τέσσαρες ἀρχαὶ
τοῦ κόσμου, εἴτε ὡς ἀϊδίου συνοχῆς εἴτε ὡς
γεννητῆς συστάσεως, «ὡς προελέχθη, ὑφ᾽ οὗ, ἐξ οὗ, δι᾽ ὅ, πρὸς è: θεὸς ἄρα καὶ ὕλη καὶ εἶδος καὶ ἀποτέλεσμα.
ὅτι γὰρ καὶ τὰ τέσσα- pa [20] στοιχεῖα,
πῦρ ἀὴρ ὕδωρ γῆ, καὶ αἱ τούτων δυνάμεις, θερμὸν
ψυχρὸν ὑγρὸν ξηρόν, κατὰ τὴν τετράδος φύσιν ἐν τοῖς οὖσι διατέ- τακται, δῆλον. καὶ τὰ οὐράνια δὲ κατὰ ταύτην
διακεκόσμηται᾽ τέ- τρασι γὰρ κέντροις,
τῷ ὑπὲρ κορυφήν, τῷ κατὰ [24] ἀνατολήν, τῷ
πρὸς ὀρθὰς ὑπὸ γῆν, τῷ πρὸς δύσιν" ἃ δὴ καὶ | ζωδιακὸς ἀπ᾽ ἀλ- λήλων τέτταρα φαίνεται,.9 καὶ ἑτέρως τοῖς
τέσσαρσι πέρασιν, ἀρκτικῷ, ἀνταρκτικῷ,
ἑῴῳ καὶ ἑσπερίῳ, εἴς τε τὸν τῆς σφαιρώσεως
αὐτῆς λόγον, κέντρῳ, ἄξονι, περιφερείᾳ, ἐμβαδῷ. ἀλλὰ καὶ τὰ λεγό- μενα ἐννενηκονταμόρια τοῦ ζωδιακοῦ τμήματα,
καθ᾽ ἃ διὰ τοῦ ἐκλειπτικοῦ ψαύει
τροπικῶν τεσσάρων, θερινοῦ, χειμερινοῦ,
ἰσημερινοῦ δὶς κεχιασμένως κατὰ διάμετρον, τοσαῦθ᾽ ὑπάρχει᾽ αἵ τε ἐν ἀλλήλαις καὶ δι᾽ ἀλλήλων ἐξαιρέτως μόνῳ
συμβεβηκυῖαι οὐρανῷ κινήσεις [10]
τέσσαρες αἱ γενικαί, πρόσω μὲν διὰ τοῦ καθ᾽
ἕκαστον κλίμα μεσουρανήματος, «ὀπίσω δὲ διὰ τοῦ μησουρανήμα- τος ὑπὸ γῆν»,22 ἄνω δὲ διὰ τοῦ ἀναφερομένου
ὑπὲρ τὸν ὁρίζοντα, κάτω δὲ διὰ τοῦ
δυομένου. τέσσαρες δὲ καὶ αἱ λεγόμεναι ὧραι τοῦ ἔτους, ἔαρ θέρος μετόπωρον
χειμών. τέσσαρα δὲ καὶ τὰ τῆς καθο-λικῆς κινήσεως σχεδὸν μέτρα, ὧν τὸ μέγιστον
καὶ διηνεκὲς αἰὼν 19 ἃ δὴ καὶ + ζωδιακὸς ἀπ᾽ ἀλλήλων τέτταρα φαίνεται: la crux
indica che questo passaggio è, secondo
De Falco, corrotto e alquanto difficile, forse a causa soprattutto dell’ ἀπ’ ἀλλήλων, tanto
che Ast lo ha eliminato (cf. appar. ad
loc.). Ritengo comunque che sia assolutamente comprensibile. I quattro centri dello Zodiaco (zenit [nord], levante,
sud e ponente) appazono (è inte-
ressante questo φαίνεται) disposti in rapporto reciproco tra loro e
sotto un altro aspetto corrispondono alle quattro zone della Terra, che sono
appunto i suoi confini. 20 lacuna colmata parzialmente da Waterfield, Ezend.,
secondo una con- cettuira di De Falen LA TEOLOGIA DELL'ARITMETICA 869 del pari
in atto — il 2 infatti noi lo abbiamo considerato spesso di natu- ra dispari,
perché ha natura di principio in quanto non ammette anco- ra le pure proprietà
del pari né ammette suddivisioni.!44 Il 4 è anche il primo numero in cui si
trova la corporeità più pic- cola e più embrionale, se è vero che il corpo più
elementare e compo- sto delle particelle
più piccole è il fuoco, e la figura solida di questo stesso corpo è la piramide — che ripete
appunto il suo nome da “fuoco” —, che è
l’unica ad essere chiusa da quattro basi e da quattro angoli:!4 di qui, secondo la nostra
persuasione, derivano i quattro principi
del cosmo, sia questo inteso come eterna connessione <di elementi>!4 o come composizione generata,
come si è detto prima,!47 e precisamente
“ciò ad opera di cui”, “ciò da cui”, “ciò in virtù di cui”, “ciò in vista di cui”, e dunque dio,!48
materia,!49 forma,!50 risul- tato.151
Che, infatti, anche i quattro elementi, fuoco aria acqua terra, e le quattro potenze!5? di questi elementi,
caldo freddo umido secco, siano stati
ordinati negli enti in funzione della natura del 4, è cosa evi- dente. Anche i corpi celesti sono stati
ordinati in funzione del 4: hanno
infatti quattro centri, quello sopra lo zenit, [24] quello di levante, quello a perpendicolo sotto la
Terra, quello di ponente: in realtà,
questi appaiono anche come i quattro punti di reciproco rife- rimento dello Zodiaco, e, sotto un altro
aspetto, come i quattro suoi confini:
Nord Sud Est Ovest, e, nel caso che il 4 sia visto sotto il pro- filo della sua sfericità, <come i quattro
elementi di questa>: centro asse
circonferenza area. Ma sono altrettante, cioè quattro, anche le cosiddette “sezioni di 90 gradi”153 dello
Zodiaco, in cui i quattro tro- pici
toccano l’eclittica,94 e che formano una X incrociandosi due volte diametralmente, cioè il solstizio
d’estate, il solstizio d’inverno, e i
due equinozi; sono quattro anche le specie generali del movimento, che nel loro reciproco rapporto sono
proprietà speciali del cielo: movimento
in avanti attraverso il meridiano celeste in ciascuna latitu- dine, indietro attraverso il meridiano
celeste al di sotto della Terra [Nadir],
verso l’alto attraverso la parte che si leva al di sopra dell’oriz- zonte, verso il basso attraverso la parte del
tramonto. Quattro sono anche le
cosiddette stagioni dell’anno: primavera estate autunno inverno. Quattro anche,
io credo, le misure del movimento in genera- le, di cui quella più grande e
priva di scansione è chiamata “eternità”, 870 GIAMBLICO ἐκλήθη, τὸ δὲ καθ᾽ αὑτὸ
καὶ κατ᾽ ἐπίνοιαν εὔληπτον χρόνος, τὸ δ᾽
ἔτι ὑποβεβηκὸς καὶ τρόπον τινὰ ἐν καταλήψει αἰσθητῇ ἡμῖν πεφυ- κὸς καιρός, τὸ δὲ βραχυτάτης διαστάσεως καὶ
παρεκτάσεως μετέ- χον ὥρα: καὶ ἑτέρως
ἔτος, μήν, νύξ, ἡμέρα. τούτοις δ΄ ἀνάλογα καὶ
κατὰ τὴν [20] κοσμικὴν συμπλήρωσιν, ἄγγελοι δαίμονες ζῶα φυτά, συμπληροῖ
[25] τὸ πᾶν. τέσσαρσι δὲ τρόποις καὶ αὐτὰς τὰς κινήσεις διακρίνουσι, προποδισμῷ,
ἀναποδισμῷ, στηριγμοῖς δυσί, προτέρῳ καὶ δευτέρῳ. καὶ ἐν τοῖς ζώοις δὲ
αἰσθήσεις τέσσαρες ὡρισμέναι καταλαμβάνονται, τῆς ἁφῆς κοινῆς ὑποβεβλημένης
ἁπασῶν καὶ διὰ τοῦτο τόπον ἢ ὄργανον
μόνης εὔτακτον οὐκ ἐχούσης. καὶ φυτῶν δὲ
τὰ μὲν δένδρα, τὰ δὲ θάμνοι, τὰ δὲ λάχανα, τὰ δὲ πόα. καὶ γένη δὲ ἀρετῶν τέσσαρα, φρόνησις μὲν πρώτη τῆς ψυχῆς,
κατ᾽ αὐτὴν δὲ εὐαισθησία σώματος καὶ
εὐτυχία ἐν τοῖς ἐκτός, δευτέρα σωφρο-
σύνη περὶ ψυχήν, [10] ὑγεία δὲ περὶ σῶμα, εὐδοξία δὲ ἐν τοῖς ἐκ- τός, τρίτη δὲ κατὰ τὴν αὐτὴν τάξιν ἀνδρεία,
ἰσχύς, δυναστεία, καὶ τετάρτη
δικαιοσύνη, κάλλος, φιλία. καὶ μὴν καὶ ὧραι, ὥσπερ ἔτους. οὕτω δὴ καὶ ἀνθρώπου τέσσαρες, παῖς νεανίας
ἀνὴρ γέρων. ἀλλὰ καὶ τὰ ἐν ἀριθμῷ
στοιχειωδέστατα ἰδιώματα τέσσαρα. ταὐτὸν ἐν
μονάδι, ἕτερον ἐν δυάδι, χροιὰ ἐν τριάδι, σῶμα ἐν τετράδι. ὅτι καὶ ὁ ἄνθρωπος εἰς τέσσαρα διαιρεῖται. κεφαλὴν
θώρακα πόδας καὶ χεῖρας. καὶ τέσσαρες
ἀρχαὶ τοῦ λογικοῦ ζώου, ὥσπερ καὶ Φιλόλαος
ἐν τῷ Περὶ φύσεως λέγει, ἐγκέφαλος καρδία ὀμφαλὸς αἰδοῖον"
«ἐγ- κέφαλος μὲν νόου, [20] καρδία δὲ
ψυχᾶς καὶ αἰσθήσιος, ὀμφαλὸς δὲ ῥιζώσιος
καὶ ἀναφύσιος τοῦ πρώτου, αἰδοῖον δὲ σπέρματος [καὶ] καταβολᾶς τε καὶ
γεννήσιος. ἐγκέφαλος δὲ «σαμαίνει» τὰν ἀνθρώπω ἀρχάν, καρδία δὲ τὰν [26] ζώου,
ὀμφαλὸς δὲ τὰν φυτοῦ, αἰδοῖον δὲ τὰν ξυναπάντων' πάντα γὰρ ἀπὸ σπέρματος καὶ
θάλλοντι καὶ βλα- LA TEOLOGIA DELL'ARITMETICA 871 quella che esiste in sé, e
che è anche facilmente afferrabile con la
mente, “tempo”, quella poi che è per natura proprietà interna della precedente,!55 e che possiamo in qualche modo
afferrare con la per- cezione sensibile,
“tempo giusto”, quella infine che partecipa della dimensione o espansione più breve “ora”;
sotto un altro aspetto, il 4 appare
sotto forma di “anno” “mese” “notte” “giorno”. Proporzio- nalmente a questi aspetti del 4, e in
funzione della sua piena attuazio- ne,
completano l’universo <quattro specie di enti>: “angeli” “demo- ni” “animali” “piante”. [25] I Pitagorici
distinguono anche quattro specie di
movimento <dei pianeti>: progressione, regressione e due specie di stazione, primaria e secondaria.!5
Anche le facoltà sensitive degli esseri
viventi si possono ridurre a quattro,!57 perché il tatto è fondamento comune di tutte e quattro quelle
facoltà, ed è perciò l’unica facoltà
sensitiva a non avere né collocazione né organo che propriamente le appartengano. Anche delle
piante ci sono quattro specie:
alberi,!58 cespugli,!59 arbusti!60 ed erbe.!61 Ci sono anche quat- tro generi di virtà: in primo luogo “prudenza”
dell’anima, e, in corri- spondenza ad essa,
“sensibilità” del corpo e “buona fortuna” in rap- porto al mondo esterno, in secondo luogo
“temperanza” in rapporto all'anima,
“salute” in rapporto al corpo, e “reputazione” in rapporto al mondo esterno, in terzo luogo, nello
stesso ordine, “coraggio”, “forza” e
“potere”, in quarto luogo “giustizia”, “bellezza” e “amici- zia”. In verità anche le stagioni dell’uomo,
come quelle dell’anno, sono quattro:
fanciullezza giovinezza maturità vecchiaia. Ma anche nel numero le proprietà
più elementari sono quattro: “identità” nell’ 1, “alterità” nel 2,
“pellicola”162 nel 3, “corpo”!6 nel 4, Anche l’uomo si divide in quattro parti:
testa, tronco, gambe, braccia. Sono quattro anche i principi del vivente
razionale, come dice anche Filolao nel
libro Sulla natura: cervello, cuore, ombelico e
organo genitale: «Il cervello! è principio del pensiero, il cuore
del- l’anima e della sensibilità,
l’ombelico dell'impianto e dello sviluppo
dell'embrione, l’organo genitale dell’inseminazione e della
generazio- ne. Il cervello, però,
rappresenta il principio dell’uomo, il cuore [26] dell'animale, l'ombelico della pianta,
l'organo genitale di tutti e tre insieme: tutti i viventi, infatti, fioriscono
e germogliano da un seme».165 872 GIAMBLICO στάνοντι.» ὅτι εἰ καὶ πλῆθος ἐν
τριάδι πρῶτον ὥφθη, ἀλλ᾽ οὖν οὔτε σωρεία ἐπινοηθῆναι ἄνευ τετράδος δύναται,
καθ᾽ ἣν καὶ ἡ πυραμὶς φύσει ἐν
ἀλληλουχουμένοις λαμβάνει τὸ δυσδιάλυτον σχῆμα
δυσδιαλύτον σώματος, πλήθους δὲ ἐπίτασις ὁ σωρός πως καὶ βιαιό- τερος ἢ κατὰ τὴν τριάδα. ἀμέλει κατὰ τὸ
Σόλωνος ἀπόφθεγμα τὸ «τέλος ὁρᾶν μακροῦ
βίου» δυνατὸν ἐκδέξασθαι παρὰ τῷ ποιητῇ
τοὺς μὲν ἔτι ζῶντας [10] τρὶς μόνον ἐπ᾽ εὐδαιμονίᾳ μακαριζομέ- νους, ἀδήλου τοῦ τῆς μεταπτώσεως καὶ
μεταβολῆς ἔτι ὑπάρχοντος, τοὺς δὲ
τεθνεῶτας βεβαίως ἔχοντας τὸ εὔδαιμον καὶ μεταβολῆς ἐκτὸς τελειότερον τετράκις" λέγει γὰρ
ἐπὶ μὲν τοῦ ζῶντος" «τρι- σμάκαρ
᾿Ατρείδη» μόνον, ἐπὶ δὲ τῶν ἄριστα μετηλλαχότων «τρισμά- καρες Δαναοὶ καὶ τετράκις, οἱ τότ᾽ ὄλοντο».
τὸ γὰρ κατὰ φύσιν πλῆθος καὶ σωρείαν
παρασχεῖν δυνάμενον τοῦθ᾽ ὑπάρχει, εἴπερ
καὶ τελειότητος εἴδη τέσσαρα ἀνάλογα καὶ ὁμοταγῆ τοῖς τέτρασι τελείοις ἀριθμοῖς, οἱ συνίστανται ἐντὸς
δεκάδος ἴσοι κατὰ πρόβα- σιν τοῖς ἀπὸ
μονάδος συνεχέσι, μέχρις [20] ἂν εἰς τετράδα ἡ προ- κοπὴ ἔλθῃ. πρῶτον μὲν γὰρ ἀσύνθετον «ὄν τι»
21 αὐτὴ ἡ μονὰς τελε- τιότητος τρόπον
τινὰ ἔχουσα ἐν τῷ πάντ᾽ [27] ἔχειν δυνάμει ἐν ἑαυτῇ καὶ μηδενὸς προσδεῖσθαι, παρεκτικὴ δὲ ἄλλως
καὶ εἰδοποιὸς ὑπάρχει τοῖς ἄλλοις ἅπασι
κατὰ πάσας διαφορῶν παραλλαγάς᾽ εἰ γὰρ
καὶ ἔστι τι τέλειον εἶδος τὸ τοῖς ἑαυτοῦ μέρεσιν ἴσον, μέρος δὲ ἡ μονὰς οὐκ ἔχει, ὅλη δέ ἐστιν ἑαυτῇ ἴση,
τελεία ἂν καὶ αὐτὴ εἴη. δεύτερον δὲ
μονάδι καὶ δυάδι ἴση καὶ συνεχής γε ἐξαιρέτως ἡ
τριάς, ἄλλως οὖσα καὶ αὐτὴ τελεία, ὅτι ἀρχὴν καὶ μέσον καὶ τέλος μονωτάτη ἔχει. τρίτον δὲ τὸ ἕν καὶ δύο καὶ
τρία οὐκέτι συνεχὴς ἡ ἑξὰς ἴση ὑπάρχει τρόπῳ τινὶ τελεία, τοῖς γὰρ ἑαυτῆς
μέρεσιν ἴση πρώτη [10] ὑπάρχει, ἡμίσει τρίτῳ ἕκτῳ. τέταρτον δὲ τὸ α΄ β΄ γ΄ δ΄ ἡ
21 aggiunse Waterfield, Emzend. LA TEOLOGIA DELL'ARITMETICA 873 Anche se la
quantità numerica ha la sua prima manifestazione nel 3,166 nondimeno l’accumulazione numerica! non
può essere conce- pita senza il 4, in
virtà del quale anche la piramide, tra le cose natu- rali che nascono per coesione, assume la
figura di ciò che è difficile a
dissolversi propria di un corpo che è difficile a dissolversi,168 e
l’accu- mulazione numerica!%9 è in un
certo senso un distendersi della quan-
tità numerica!?0 ed è più forte di ciò che nasce in virtà del 3.171 Ebbene, secondo la sentenza di Solone: «Una
lunga vita bisogna vederla quando
finisce», è possibile apprendere dal Poeta!72 che colo- ro che ancora sono in vita vengono stimati
beati per la loro felicità!7 solo tre
volte, non essendo ancora chiaro se la loro condizione subirà cadute e mutamenti, mentre coloro che sono
già morti hanno una feli- cità sicura e
più compiuta perché priva di mutamento, e quindi sono felici “quattro volte”: il Poeta infatti dice
di un vivente soltanto «o tre volte
beato Atride»,174 mentre di quelli che avevano avuto un’ottima morte dice «o tre volte e quattro volte beati
quei Danai che allora perirono».!75
Tutto ciò è in grado di fornire la quantità numerica e l’accumulazione naturali, se è vero che sono
quattro anche le specie di perfezione
che corrispondono e si collocano nello stesso ordine dei quattro numeri perfetti, la cui somma,
procedendo senza interruzio- ne da 1 a
4,176 è uguale a 10.177 In primo luogo, infatti, si ha 1᾿ 1 come tale,178 che sebbene numero non composto, ha
una qualche perfezio- ne nel fatto che
possiede [27] in sé potenzialmente ogni cosa e non manca di nulla, ed è inoltre il numero che dà
forma a tutti gli altri numeri secondo
tutte le loro differenti proprietà: infatti, anche se un numero si dice di specie perfetta quando è
uguale alla somma delle sue parti,179 e
1 1 non partecipa certo di tale proprietà, anche l’ 1, tut- tavia, sarà perfetto, poiché è come intero
uguale a se stesso.180 In secondo luogo,
si ha il 3181 che ha la prerogativa di essere uguale alla somma dei numeri immediatamente precedenti,
cioè 1 e 2, ed è in un senso diverso
dall’ 1 anch'esso perfetto, perché è assolutamente l’uni- co numero che abbia inizio, mezzo e fine.!82
In terzo luogo, si ha il 6,18 che
essendo uguale alla somma di 1+2+3, anche se non è imme- diatamente successivo a questi, è in un certo
modo perfetto, perché è il primo numero che è uguale alla somma delle sue
parti, che sono 1/2, 1/3 e 1/6 di esso. In quarto luogo, si ha il 10 che è la
somma di 874 GIAMBLICO δεκάς, πολὺ μᾶλλον οὐ συνεχής, τὴν τελειότητα ἑτέρῳ τινὶ
παρὰ τούτους τοὺς τρόπους κεκτημένη μέτρον γὰρ καὶ τέλειος ὅρος παντὸς αὕτη
ἀριθμοῦ, καὶ οὐκέτι μετ᾽ αὐτὴν οὐδὲ εἷς φυσικός, ἀλλὰ πάντες δευτερωδούμενοι καὶ ἐπ᾽ ἄπειρον
παλινωδούμενοι κατὰ μετοχὴν αὐτῆς.
τετρακτὺς ἄρα τις καὶ ἡ τῶν ἐντὸς δεκάδος τελείων αὕτη διαφορά. μή τι καὶ τούτου χάριν μέγισται
μὲν καὶ ὡσανεὶ τελειότεραι περίοδοι
τριταῖϊαί τε καὶ τεταρταῖαι καὶ εὐσημόταται
τυγχάνουσι, μείζων δὲ καὶ βεβαιοτέρα καὶ διὰ τοῦτο καὶ δυσαπο- νιπτοτέρα ἡ τεταρταία διὰ τὴν [20] τοῦ
τέσσαρα ἀριθμοῦ ἑδραιότητα πάντα
πυραμι-δι»κῶς [28] καταλαμβανομένην εἰς eù-
σταθεῖς βάσεις. διὸ καὶ τὸν Ἡρακλέα τοιοῦτον ἀκλινῆ γεγονότα τετράδι γεγεννῆσθαί φασι. τετράγωνοι δὲ καὶ
οἷον οὐκ εὔσειστοι ἐν τῷ καταφρονεῖν
κατὰ τὰ αὐτὰ τῷ τοιούτῳ ἀναπλασσομένῳ Ἑρμῇ.
ἐπεὶ δὲ μονάδος ἀνὰ μέσον καὶ ἑβδομάδος κυβικῶν χωρίων κυβικὸς ὁ δ΄, εἰκότως, κρισίμου μάλιστα τῆς ἑβδομάδος
ἐν τοῖς ἀρρωστήμα- σιν οὔσης,
ἐπιδηλότερον οἱ ἰατροί, καθάπερ Ἱπποκράτης, τὴν
τετράδα λέγουσι κοινωνοῦσαν ὁλοσχερέστερόν πως τῇ ἑβδομάδι ἐν τῇ διὰ πάντων ἐνεργείᾳ, εἴτε καὶ ἄλλως
συναπτομένη τῇ ἑβδομάδι [10] δεκάδα
ἀποτελεῖ [τετάρτην]22 κυβικῆς τετάρτης χώρας παρεκ- τικήν. ὅτι Αἰόλου φύσιν ἐπωνόμαζον τὴν
τετράδα τὸ ποικίλον ἐμ- φαίνοντες τῆς
οἰκειότητος. καὶ ὅτι οὐκ ἄνευ ταύτης ἡ καθολικὴ δια- κόσμησις, διὸ καὶ κλειδοῦχόν τινα τῆς φύσεως
αὐτὴν πανταχοῦ ἐπωνόμαζον. τὸν Αἴολον δέ
φησιν ἡ ποίησις φορικοὺς ἐκπορίζειν
ἀνέμους, ὃς καὶ Ἱπποτάδης προσηγορεύθη ἀπὸ τῆς ταχυτῆτος τῶν ἐπιτελούντων αὐτὸν ἄστρων καὶ διὰ τοῦ
ἀδιαλείπτου δρόμον᾽ ἔστι γὰρ Αἴολος ὁ
ἐνιαυτὸς διὰ τὴν τῶν κατ᾽ αὐτὸν φυομένων ποικιλίαν. πάλιν δὲ Ἡρακλέα παρὰ τὴν αὐτὴν τοῦ ἔτους
ἔννοιαν τὴν τετράδα [20] καλοῦσι, χρονιότητος οὖσαν παρεκτικήν, εἴπερ «δ΄» αἰὼν
χρό- νος καιρὸς ὥρα, ἔτι «ἔτος» μὴν [ὥρα] νὺξ «ἡμέρα, καὶ» [29] ὄρθρος 22
eliminò Waterfield, Erzend. LA TEOLOGIA DELL'ARITMETICA 875 1+2+3+4, ed è molto
più del 6 non immediatamente successivo ai
suoi fattori, ma acquista perfezione in un modo diverso, per le seguenti ragioni: è infatti misura e confine perfetto
di ogni numero, e nessun altro numero
naturale esiste dopo di esso, ma tutti sono, per partecipazione di esso, numeri di secondo
livello!85 e di livello ulterio- re
all’infinito.!86 C'è dunque una Tetratti che è questa differenza tra i numeri perfetti interni alla decade.!8” Per
non dire anche che c’è un’altra ragione,
e cioè che, mentre i cicli febbrili!88 più importanti e, per cosi dire, più perfetti e più
riconoscibili sono quelli di 3 e 4 gior-
ni, quello di 4 è il maggiore e più stabile del due, e perciò il
meno superabile, in virtà del fatto che
il numero 4 con la sua stabilità affer-
ra ogni cosa [28] come in una piramide dalle basi ben salde.!89 Εὶ per questo che anche Eracle, dicono i Pitagorici,
è diventato cosi fisica- mente solido
perché generato in funzione del 4.19 1 quadrati sono, per cosi dire, non facilmente soggetti a
scossoni, come se fossero in
atteggiamento di disprezzo,!9 alla stessa maniera di Ermes che è
raf- figurato appunto in forma quadrata.!92
E poiché il 4 come numero cubico! occupa
il posto centrale tra i sette posti cubici da 1 a 7,194 a ragione i medici, come ad esempio Ippocrate,
essendo 7 numero mas- simamente
“critico”19 nelle malattie, dicono in modo piuttosto chia- ro che il 4, in qualunque tipo di realtà,
gode in qualche modo pit che gli altri numeri di una completa comunanza col 7,
e d’altra parte il 4 moltiplicato il 7 produce il 10,196 che fornisce il quarto
numero cubi- co della serie.197 I Pitagorici chiamavano il 4 anche “natura di
Eolo”, ad indicare la varietà del suo carattere [Αἴολος - αἰόλος = cangiante].
E poiché senza il numero 4 non ci
sarebbe l'ordinamento dell’universo, allora
lo chiamavano in ogni occasione anche “custode della natura”. Omero!® dice che i venti “trasportatori” sono
forniti da Eolo, che è chiamato da lui
anche Ippotade!9? per la celerità degli astri che lo pro- ducono e per la sua incessante corsa: Eolo
infatti rappresenta l’anno, a causa
della varietà delle cose che in esso crescono. E ancora chiama- no il numero 4 Eracle, in relazione alla
stessa idea di anno, giacché esso fa
vedere la durata del tempo, se è vero che sono 4 appunto gli aspetti di tale durata: “eternità” “tempo”
“tempo giusto” “ora”, e ancora: “anno” “mese” “notte” “giorno”, e ancora: [29]
“mattino” “mezzasiarno” “sera” “notte” 876 GIAMBLICO μεσημβρία ἑσπέρα νύξ. ὅτι
τετράδα κατ᾽ ἐναλλαγὴν τοῦ <A» πρὸς τὸ «<p> τετλάδα νομίζουσιν
εἰρῆσθαι τὴν ὑπομείνασαν, καθάπερ ἡ
αὐτῆς πλευρὰ τὴν πρώτην ἀπὸ μονάδος ἀπόστασιν᾽ τὰς γὰρ πάσας ἀποστάσεις ἤτοι τὰς τρεῖς ὑπέστη, ὧν
περαιτέρω οὐκέτι εἰσίν. ἐτίμων δὲ αὐτὴν
οἱ Πυθαγόρειοι ὡς δεκάδος γεννητικήν. καλεῖται
δὲ αὐτή, ὥς φησιν ὁ ᾿Ανατόλιος, δικαιοσύνη, ἐπεὶ τὸ τετράγωνον τὸ ἀπ᾽ αὐτῆς, τουτέστι τὸ ἐμβαδόν, τῇ περιμέτρῳ
ἴσον τῶν μὲν γὰρ πρὸ αὐτῆς ἡ περίμετρος
τοῦ ἐμβαδοῦ τοῦ τετραγώνου μείζων, τῶν δὲ μετ᾽
αὐτὴν [10] ἡ περίμετρος τοῦ ἐμβαδοῦ ἐλάττων, ἐπ᾽ αὐτῆς δὲ ἴση. πρώτη ἡ τετρὰς ἔδειξε τὴν τοῦ στερεοῦ φύσιν'
σημεῖον γάρ. εἶτα γραμμή, εἶτα ἐπιφάνεια, εἶτα στερεόν, ὅ τι σῶμα. πρῶτος
ἀρτιάκις ἄρτιος, πρῶτος ἐπίτριτος τῆς πρώτης ἁρμονίας τῆς διὰ τεσσάρων, ἴσα
πάντα ἐπ᾽ αὐτοῦ, ἐμβαδὸν γωνίαι πλευραί. κλίματα τέσσαρα, σημεῖα τέσσαρα,
ἀνατολικὸν δυτικὸν μεσουράνημα ὑπὸ γῆν καὶ
ὑπὲρ γῆν᾽ ἄνεμοι οἱ πρῶτοι δ΄. [30] ἄλλοι τὰ ὅλα διακοσμηθῆναί φασιν ἐκ τεσσάρων, οὐσίας σχήματος εἴδους
λόγου. οὐ μόνον δὲ τὸν τοῦ σώματος
ἐπέχει λόγον τετράς, ἀλλὰ καὶ τὸν τῆς ψυχῆς" ὡς γὰρ τὸν ὅλον κόσμον φασὶ κατὰ ἁρμονίαν
διοικεῖσθαι, οὕτω καὶ τὸ ζῶον ψυχοῦσθαι.
δοκεῖ δὲ καὶ τελεία ἁρμονία ἐν τρισὶ συμφωνίαις
ὑφεστάναι, τῇ διὰ τεσσάρων, ἥτις ἐν ἐπιτρίτῳ κεῖται λόγῳ, τῇ διὰ πέντε ἐν ἡμιολίῳ, τῇ διὰ πασῶν ἐν διπλασίῳ.
ὄντων δὲ ἀριθμῶν τεσ- σάρων τῶν πρώτων
α΄ β΄ γ΄ δ΄, ἐν τούτοις καὶ ἡ τῆς ψυχῆς ἰδέα περιέ- χεται κατὰ τὸν ἐναρμόνιον λόγον: [10] ὁ μὲν
γὰρ [τοῦ] δ΄ τοῦ β΄ καὶ ὁ β΄ τοῦ α΄
διπλάσιος, ἐν È κεῖται ἡ διὰ πασῶν συμφωνία, ὁ δὲ Y τοῦ β΄ ἡμιόλιος περιέχων αὐτὸν καὶ τὸ ἥμισυ, ἐν ᾧ
ἡ διὰ πέντε συμφωνί- a, ὁ δὲ δ΄ τοῦ γ΄
ἐπίτριτος, ἐν ᾧ ἡ διὰ τεσσάρων συμφωνία. εἰ δὲ ἐν τῷ δ΄ ἀριθμῷ τὸ πᾶν κεῖται ἐκ ψυχῆς καὶ
σώματος, ἀληθὲς ἄρα καί, ὅτι αἱ
συμφωνίαι πᾶσαι κατ᾽ αὐτὸν τελοῦνται. LA
TEOLOGIA DELL'ARITMETICA 877 I
Pitagorici pensavano che “tetrade”, per il mutamento di λ in p, viene chiamata “tetlade”, cioè “che
resiste”,200 a indicare che il suo
lato20! resiste al primo distacco dall’ 1: il 4 infatti fa sussistere
tutte le dimensioni, che sono tre e non
più di tre. Ma i Pitagorici onoravano il
4 perché genera il 10. Il 4 è chiamato anche “giustizia”, perché, come dice Anatolio, il suo quadrato, cioè
l’area, è uguale al suo peri- metro:202
i numeri prima del 4, infatti, hanno il perimetro maggiore dell’area, cioè del quadrato,20 mentre quelli
dopo il 4 hanno il peri- metro minore
dell’area, quelli del 4, invece, sono uguali. Il 4 è il primo numero che fa vedere la natura del
solido: infatti dopo il punto, la linea
e la superficie, viene il solido, cioè un corpo. 4 è anche il primo numero parimente-pari,2% ed è il primo
numero che contiene un rapporto
epitrite,206 che è proprio del primo accordo armonico, cioè dell’accordo di quarta, e tutto in esso
è uguale: area, angoli e lati. Quattro
sono le zone climatiche,207 quattro i punti cardinali: est ovest nadir zenith.
Quattro anche i venti principali. [30] Alcuni Pitagorici = che l'universo è
ordinato secondo 4 aspetti: “essenza” “figu- a” “specie” “principio razionale”
.208 Il 4, poi, spiega non soltanto il o, ma anche l’anima: essi infatti dicono
che l’essere vivente è ani- mato cosî come
è regolato l'universo mondo, cioè con armonia. Ma è evidente che l’armonia perfetta consiste di
tre accordi armonici: del- l’accordo di
quarta, che è di rapporto epitrite, dell'accordo di quinta, che è di rapporto emiolio, e dell’accordo di
ottava, che è di rapporto doppio. Dati
allora i primi quattro numeri 1, 2, 3, 4, in essi è già con- tenuta la forma dell’anima secondo il
rapporto armonico: 4 infatti è doppio di
2 e 2 è doppio di 1, e nel rapporto doppio risiede l’accor- do di ottava, mentre 3 è emiolio di 2 in
quanto contiene 2+1/2(2), e nel rapporto
emiolio risiede l'accordo di quinta, 4 infine è epitrite di 3, e nel rapporto epitrite risiede l'accordo
di quarta. E se è vero che nel numero 4
risiede il tutto in quanto composto di anima e di corpo, allora sarà vero anche che nel 4 si
realizzano tutti gli accordi armoni-
ci. 878 GIAMBLICO περὶ πεντάδος. ᾿Ανατολίου. Ὅτι ἡ πεντὰς πρώτη περιέλαβε τὸ τοῦ παντὸς
ἀριθμοῦ εἶδος, ἤτοι τὸν β΄ τὸν πρῶτον
ἄρτιον καὶ τὸν γ΄ τὸν πρῶτον περιττόν" διὸ
καὶ γάμος καλεῖται ὡς ἐξ ἄρρενος καὶ θήλεος. [31] κέντρον ἐστὶ τῆς δεκάδος. τετραγωνιζομένη ἀεὶ περιέχει ἑαυτήν,
πεντάκις γὰρ πέ- ντε κε΄ μηκυνομένη δὲ
αὕτη καὶ τὸν τετράγωνον ὅλον περιέχει καὶ
λήγει εἰς ἑαυτήν, πεντάκις γὰρ κε΄ ρκε΄. σχήματα στερεὰ ἰσόπλευ- ρα καὶ ἰσογώνια πέντε, τετράεδρον, ὅ ἐστι
πυραμίς, ὀκτάεδρον. εἰ- κοσάεξδρον,
κύβος, δωδεκάεδρον. τὸ μὲν πυρὸς σχῆμά φησιν ὁ
Πλάτων, τὸ δὲ ἀέρος, τὸ δὲ ὕδατος, τὸ δὲ γῆς, τὸ δὲ παντός. ἔτι23
οἱ πλανώμενοι πέντε ἐκτὸς ἡλίου καὶ
σελήνης. τὸ ἀπὸ τοῦ ε΄ πρῶτον τετράγωνον
ἴσον δυσὶ τετραγώνοις τῷ τε ἀπὸ τῶν τριῶν καὶ [10] τῷ ἀπὸ τῶν δ΄. λέγεται τετράχορδος ἐκ πρώτου
ἀρτίου εἶναι καὶ πρώτου περισσοῦ, κατὰ
τὸν ε΄ νοεῖται συμφωνία γεωμετρικύή. ἔτι, ἂν
καθ᾽ ὁποιανοῦν σύνθεσιν τὸν δέκα συνθῇς, μέσος εὑρεθήσεται ὁ ε΄ κατὰ τὴν ἀριθμητικὴν ἀναλογίαν, οἷον θ΄ καὶ
α΄, η΄ καὶ β΄, ζ΄ καὶ γ΄, ς΄ καὶ δ΄ ἐξ
ἑκάστης γὰρ συνθέσεως ὁ ι΄ ἀποτελεῖται καὶ μέσος εὑρίσκεται ὁ ε΄ κατὰ τὴν ἀριθμητικὴν
ἀναλογίαν, ὡς δηλοῖ τὸ διά- γραμμα. ὅτι
ἡ πεντὰς πρώτη μεσότητος τῆς ἀρίστης καὶ φυσικωτάτης ἐμφαντικὴ κατὰ διάζευξιν ἀμφοτέροις πέρασι
τοῦ φυσικοῦ ἀριθ- μοῦ, μονάδι μὲν ὡς
ἀρχῇ, δεκάδι δὲ ὡς τέλει, συνεζευγμένη τῇ δυά-
δι, [32] ὕσπερ γὰρ ἕν πρὸς β΄, οὕτω ε΄ πρὸς 1, καὶ ἀνάπαλιν ὡς ι΄ πρὸς ε΄, οὕτω β΄ πρὸς α΄, παραλλάξ τε, ὡς ι΄
πρὸς β΄, ε΄ πρὸς α΄ καὶ ὡς β΄ πρὸς ι΄,
α΄ πρὸς e τό τε ὑπὸ τῶν ἄκρων ἴσον τῷ ὑπὸ τῶν μέσων ἀκολούθως τῇ γεωμετρικῇ ἀναλογίᾳ" τὸ γὰρ
δὶς ε΄ ἴσον τῷ ἅπαξ κι΄. 23 ἔτι sospettò
De Falco in appar. ad loc. (cf. anche ed. Klein Add. p. XXVII): ὅτι.
LA TEOLOGIA DELL'ARITMETICA 879
Il numero 5, secondo Anatolio. Il
5 è il primo numero che comprende la specie209 di ogni nume- ro, precisamente il 2 che è il primo numero
pazri e il 3 che è il primo numero
dispari; ed è per questo che è chiamato “matrimonio”, per- ché costituito di maschio e femmina. [31] Il
5 è il centro della deca- de. Tutte le
volte che viene elevato al quadrato, contiene sempre se stesso: infatti 5x5 fa 25, e moltiplicato
ancora per se stesso, contiene l’intero
suo quadrato e termina per se stesso: 25x5 infatti fa 125.210 Cinque sono le figure solide che hanno lati e
angoli uguali <per cia- scuna
faccia>: “tetraedro”, cioè piramide, “ottaedro” “icosaedro” “cubo” [o esaedro] “dodecaedro”: Platone2!!
dice che sono queste rispettivamente le
figure del fuoco, dell’aria, dell’acqua, della terra e dell’universo. Inoltre sono cinque anche i
pianeti, se non contiamo il Sole e la
Luna. Il quadrato di 5 è il primo quadrato che è uguale a due quadrati, rispettivamente di 3 e di 4.212 Si
dice che un “tetracordo” è formato dal
primo pari e dal primo dispari,213 e in funzione del 5 è concepibile un accordo [proporzione]
geometrico.214 Inoltre, se arri- vi fino
a 10 con qualsiasi somma, si troverà che 5 è medio in propor- zione aritmetica, ad esempio, 9+1, 8+2, 7+3,
6+4: da ciascuna di que- ste somme,
infatti, si ottiene 10, e si trova 5 come medio in propor- zione aritmetica, come mostra il
diagramma. 1 4 7 2 2 8
3 6 9 Il 5 è il primo numero che
esprime la medietà migliore e più natu-
rale se è preso insieme col 2 in una proporzione disgiunta?!5 fatta con i confini216 del numero naturale, cioè con l’
1 quale inizio e col 10 quale fine: [32]
infatti come 1 sta a 2, cosî 5 sta a 10, e inversamente, come 10 sta a 5, cosî 2 sta a 1, e in
alternanza, come 10 sta a 2, cosî 5 sta
a 1, e come2 sta a 10, cosî 1 sta a 5; e il prodotto degli estremi sarà uguale al prodotto dei medi secondo la
proporzione geometrica: infatti
5x2=10x1.2!7 Possiamo subito osservare anzitutto nel 5, con- 880 GIAMBLICO
[ὅτι δὲ ἄρχεται μὲν ἀπὸ μονάδος, τελειοῦται δὲ ὁ ἀριθμὸς εἰς δέκα, λεχθήσεται προιοῦσιν.] ἀντιπεπονθότως ἄρα τὸν
τοῦ ἡμίσους λόγον ἐν πρωτίστῃ τῇ πεντάδι
πρὸς τὸ μεῖζον ἄκρον ἔχομεν ἰδεῖν, καθά-
περ ἐν τῇ δυάδι πρὸς τὸ ἔλαττον᾽ διπλάσια μὲν γὰρ τοῦ α΄ τὰ β΄, ἡμίσεα [10] δὲ τοῦ ι΄ τὰ ε΄. διόπερ μάλιστα
συλληπτικὴ τῶν ἐν κοσμικῇ φύσει
φαινομένων. ὅτι ἄρα κατὰ μὲν τὴν δεκάδα ὁ πᾶς κό- σμος ἠνύσθαι καὶ κατακεκλεῖσθαι ἐφάνη,
πολλάκις ἡμῖν λόγος. κατὰ δὲ τὴν μονάδα
ἐρριζῶσθαι, καὶ κίνησιν μὲν κατὰ δυάδα
ἐσχηκέναι, φύσιν δὲ ζωότητος κατὰ πεντάδα, οὖσαν ἄλλως καὶ προ- σεχεστάτως καὶ μόνον μέρος τῆς δεκάδος, εἴπερ
αὐτῇ μὲν τὸ ἀντί- ζυγον ἀναγκαίως
ἀκολουθεῖ, τὸ δὲ ὁμώνυμον τῇ δυάδι. πέντε οὖν
καὶ τὰ καθόλου στοιχεῖα τοῦ παντός, γῆ ὕδωρ ἀὴρ πῦρ αἰθήρ. πέντε δὲ καὶ τὰ τούτων σχήματα, τετράεδρον ἑξάεδρον
ὀκτάεδρον δωδε- κάεδρον εἰκοσάεδρον, ὧν
ἡ συγκορύφωσις [20] πάλιν τῶν βάσεων εἰς
τὸν πεντάδος δεκαπλασιάζεται2 λόγον. πέντε δὲ καὶ οἱ παρά- λληλοι κατὰ τὸν οὐρανὸν κύκλοι, ἰσημερινὸς
καὶ οἱ παρ᾽ ἑκάτερα τούτου τροπικοί,
θερινὸς καὶ χειμερινός. [33] ἀλλήλοις μὲν ἴσοι,
δεύτεροι δὲ τῇ τοῦ μεγέθους συμμετρίᾳ, καὶ οἱ τούτων ἐφ᾽ ἑκατέρωθεν τὸ ἔξαρμα καὶ τὸ ἀντέξαρμα
ὁρίζοντες, ἀρκτικός τε καὶ ἀνταρκτικός,
μικρότατοι μὲν τῷ μεγέθει, ἀλλήλοις μέντοι καὶ
αὐτοὶ ἴσοι. ὧν ἀναλόγως τῇ θέσει πέντε καὶ ἐπὶ γῆς ζῶναι ἐπινοοῦνται, κεκαυμένη μὲν ἰσημερινῷ,
εὔκρατοι δὲ δύο τροπικοῖς δυσίν, ἴσαι δὲ
αἱ «δύο» ἀοίκητοι ὑπὸ κρύους τῶν παρ᾽ ἑκάτερα πόλων. πέντε δὲ μόνοι ἐκτὸς ἡλίου
καὶ σελήνης οἱ πλάνητες ἀστέ- ρες ὑπάρχουσι. καὶ σελήνης φάσεις ὡς ἐπίπαν
τοσαῦται, διχότομοι δύο, [10] ἀμφίκυρτοι δύο, πλησίφως μία. τινὲς δὲ
ἀκριβέστερον ἀντὶ τῶν δύο διχοτόμων μηνοειδεῖς δύο τάσσουσι τῷ ἀριθμῷ τῶν
φάσεων τὸ γὰρ διχότομον οὐχ ὡς ἀληθῶς
συμβαίνειν τῇ σελήνῃ τότε, ὅτε
νομίζεται, ἀλλὰ μόνον φαίνεσθαι, κατὰ γραμμικὴν δὲ ἀπόδειξιν πλεῖον δεῖ πάντως εἶναι τοῦ φαινομένου τὸ
πεφωτισμένον, ἔλαττον δὲ τὸ ἀφώτιστον,
εἴπερ τῆς ἡλιακῆς σφαίρας μικροτέρα ἡ σελ-
ηνιακή, τῆς δὲ τοιαύτης πλέον ἀεὶ τοῦ ἡμίσους λάμπεται, ἵνα καὶ τὸ ἀπορρέον αὐτῆς σκίασμα κωνοειδὲς ἀποτελῆται,
τὸ δὲ ἐπὶ θάτερα ἀντεκβαλλόμενον ἐπ᾽
εὐθὺ τῶν τοῦ κώνου εὐθειῶν καλαθοειδὲς
24 δεκαπλασιάζεται ho scritto io: διπλασιάζεται De Falco: [εἰς] τὸν πεντάδος δεκαπλασιάζει λόγον congetturò
Waterfield, Erzend. Tale corre- zione
appare necessaria, ma non sembra necessario, come pensa Waterfield, cneneimara [τὸ ςῦ δ muitasa il πνεῖ da madin
in attimi LA TEOLOGIA DELL'ARITMETICA
881 frontato con l’estremo maggiore [10]
il rapporto “metà”, cosî come osserviamo
nel 2, confrontato con l'estremo minore [1] il rapporto “doppio”: infatti 2 è doppio di 1, mentre 5 è
metà di 10. E per que- sto che il 5 è
<fra tutti i numeri> il più comprensivo dei fenomeni della natura cosmica. Noi in verità
affermiamo spesso2!8 che l’intero
universo appare compiuto e racchiuso nel 10, e radicato nell’ 1, e
che riceve movimento dal 2, e natura di
essere vivente dal 5, perché que- sto è
diversamente che il 2, parte del 10 nella maniera più appropria- ta e unica, se è vero che al 5 consegue
necessariamente l'equivalenza, mentre
col 2 c’è solo omonimia.?!9 Cinque sono in verità anche gli ele- menti universali del mondo: terra, acqua,
aria, fuoco ed etere, Ε cin- que sono
anche le figure di tali elementi: tetraedro, esaedro, ottaedro, dodecaedro e icosaedro, la cui somma
complessiva delle basi?20 si decuplica,
a sua volta, in rapporto al 5. Cinque sono anche i circoli paralleli del cielo: l’ “equatore celeste” e
i “tropici” dall’una e dall’al- tra
parte di esso, cioè il “tropico del Cancro” e il “tropico del Capricorno”, [33] che sono uguali tra loro, e
secondi in rapporto alla grandezza, e
infine i circoli che delimitano da una lato e dall'altro dei tropici la latitudine boreale e quella
australe,?2! cioè I’ “artico” e l’
“antartico”, che sono i circoli più piccoli in grandezza e tuttavia anch'essi uguali tra loro. In corrispondenza
con la posizione di tali circoli, anche
sulla terra si rappresentano cinque zone: la “zona torri- da” in corrispondenza dell'equatore, le due
“zone temperate” in cor- rispondenza dei
due tropici, e altre due zone che sono disabitate per- ché coperte dal ghiaccio dei due poli. Sono
soltanto cinque i pianeti oltre al Sole
e alla Luna. Altrettante sono, generalmente parlando, le fasi lunari: due di luna falcata, due di luna
scema, una di luna piena. Alcuni, più
esattamente, al posto delle due fasi di luna falcata anno- verano due fasi di mezza luna, perché la Luna
non è falcata realmen- te, quando
crediamo che lo sia, bensi solo apparentemente, e si può dimostrare geometricamente che la parte
illuminata dev'essere asso- lutamente
maggiore di quanto non appaia, e minore la parte non illu- minata, se è vero che la sfera lunare è più
piccola della sfera solare, e della
sfera lunare più della metà è sempre illuminata, sicché l’ombra che essa proietta finisce a forma di cono, e
il prolungamento dalla parte opposta
delle linee del cono <fino al Sole> assume la figura di un canestro; e la linea circolare che
delimita la parte illuminata e quel- 882
GIAMBLICO σχῆμα fi κοινὴν δὲ ἀμφοῖν [20]
βάσιν ἡ τὸ πεφωτισμένον καὶ ἀφώ- τιστον
διορίζουσα κυκλικὴ γραμμὴ περιγράφει. πέντε δὲ καὶ τῶν τὰ κοσμικὰ κέντρα ἀποτελουσῶν εὐθειῶν ψαύσεις᾽
δῆλον γάρ, ὅτι διά- μετροί εἰσιν αὗται
δύο, αἵπερ καὶ μέγισται, πρὸς ὀρθὰς ἀλλήλας
téuvovoar: [34] ἑαυτῶν οὖν καὶ τῆς οὐρανίας σφαίρας πενταχῆ ψαύουσι, καὶ ἑαυτῶν μὲν κατὰ κοσμικὸν
κέντρον, τῆς δὲ σφαίρας κατὰ ταῦτα τὰ
ὀνομασθέντα κέντρα. αἰσθητήρια τὰ τῶν τελειοτέρων ἤδη ζώων τοσαῦτα, κατὰ συγγένειαν καὶ ὁμοίαν
τάξιν καὶ ὑπόβασιν τοῖς στοιχείοις. ἡ δὲ
φύσις διὰ τοῦτο πενταχῆ τῶν ἡμετέρων μερῶν
ἕκαστα κατὰ τὰ ἄκρα διέκρινε, ποδῶν λέγω καὶ χειρῶν, εἰς δακτύ- λους. πέντε δὲ καὶ σπλάγχνων εἴδη, νεφροὶ
πνεύμων ἧπαρ σπλὴν καρδία. πέντε δὲ καὶ
τῶν κατ᾽ ἐπιφάνειαν ὁλοσχερῶς ὁρωμένων
μορίων εἴδη, κεφαλὴ χεῖρες θώραξ αἰδοῖα [10] πόδες. πέντε δὲ καὶ ζώων γένη, ἐμπύρων ἐναερίων ἐγγείων ἐνύδρων
ἀμφιβίων. ὅτι καὶ ἀνεικίαν προσηγόρευον
τὴν πεντάδα, οὐ μόνον ἐπειδὴ τὸ πέμπτον
καὶ κατ᾽ αὐτὸ τεταγμένον στοιχεῖον ὁ αἰθὴρ κατὰ ταὐτὰ καὶ ὡσαύτως ἔχον διατελεῖ, νείκους καὶ μεταβολῆς
ἐν τοῖς ὑπ᾽ αὐτὸν ὑπαρχόντων ἀπὸ σελήνης
μεχρὶ γῆς, ἀλλ᾽ ὅτι τὰ πρώτιστα διαφέρον-
τὰ καὶ οὐχ ὅμοια τοῦ ἀριθμοῦ δύο εἴδη, ἄρτιον καὶ περιττόν, αὐτὸς ὡσανεὶ ἐφίλωσε καὶ συνήρτησε σύστημα τῆς αὐτῶν
γενόμενος συνόδου, καθάπερ καὶ ὁ αἰθὴρ
ἑαυτοῦ τε φίλος διατελεῖ σχήματι καὶ
οὐσίᾳ καὶ τοῖς ὁμοίοις τοῖς τε ἄλλοις ἅπασι [20] τοῦ τοιούτου παρεκτικὸς εὑρίσκεται, παντοίαν περὶ τὰς δύο
ἀρχὰς ἐπιδεδειγμέ- νοις ἐναντιότητα. διὰ
τοῦτο καὶ Μέγιλλος ἐν τῷ Περὶ ἀριθμῶν
οὕτως αὐτὴν σεμνύνων φησίν᾽ [35] «a δὲ πεντὰς ἀλλοίωσις, φάος, ἀνεικία: ἀλλοίωσις μέν, ὅτι τριχᾶ διαστὰν ἐς
ταυτότητα τῆς σφαί- ρας ἤμειψε, κυκλικῶς
κινήσασα καὶ φάος ἐνεργασαμένη, διόπερ
καὶ φάος᾽ ἀνεικία δὲ παρὰ τὴν πάντων προδιεστώτων σύστασιν καὶ ἕνωσιν καὶ διὰ τὴν τῶν δύο εἰδέων σύνοδον καὶ
φίλωσιν.» ὅτι τῆς LA TEOLOGIA
DELL'ARITMETICA 883 la oscura descrive
una base che è comune ad ambedue.?22 Cinque
sono anche i punti di contatto tra le linee rette che producono i
“cen- tri cosmici”: è chiaro infatti che
queste linee sono due diametri, che sono
quindi anche le linee più grandi, e si intersecano tra loro ad angolo retto; [34] esse dunque si intersecano
tra loro e con la sfera celeste cinque
volte: tra loro al centro del cosmo, con la sfera in quei punti che abbiamo chiamati “centri”.223
Cinque sono anche gli orga- ni di senso
degli esseri viventi che si sono sviluppati al più alto livel- lo, <differenziati> per affinità di
natura o per collocazione allo stesso
livello o per ordine discendente, rispetto agli elementi.224 È per que- sto che la Natura ha diviso in cinque parti
ciascuna delle nostre estre- mità,
intendo dire dei piedi e delle mani. Cinque sono anche le spe- cie di visceri: “reni”, “polmoni”, “fegato”,
“milza” e “cuore”. Cinque sono anche le
specie di parti interamente visibili in superficie: “testa”, “braccia”, “tronco”, “organi genitali” e
“gambe”. Cinque anche i generi degli
animali: “ignei”, “aerei”, “terrestri”, “acquatici” e “anfi- bi” I
Pitagorici chiamavano il 5 anche “assenza di contesa”, non solo perché il quinto elemento che ha un suo posto
autonomo, cioè l’ete- re, persiste nello
stesso stato ed è sempre uguale a se stesso, mentre la contesa e il mutamento sono proprietà delle
cose che stanno al di sotto dell’etere,
dalla Luna fino alla Terra, ma anche perché le due specie di numero assolutamente primarie e
differenti e dissimili tra loro, cioè il
pari e il dispari, sono come conciliate e legate insieme dal numero 5, perché questo è composto dalla loro
unione,?25 allo stesso modo che l'etere,
in quanto amico di se stesso, persiste nella sua figu- ra e nella sua essenza, e in altri simili
stati, e si scopre anche che il 5
fornisce una tale proprietà?26 a tutte le altre cose che presentano tutta la varietà delle proprietà contrarie insita
nei due principi.22? Perciò anche
Megillo, nel suo libro Su nuzzeri celebra il 5 con queste paro- le: [35] «Il 5 è “alterazione”, “luce”,
“assenza di contesa”: “alterazio- ne”
perché cambia la tridimensionalità nell’identità?28 della sfera,229 muovendosi circolarmente e producendo luce,
per cui è detto anche “luce”; “assenza
di contesa”, perché concilia e unisce tutte le cose prima disunite, e perché è unione e amicizia
delle due specie <di
numero>»,250 884
GIAMBLICO δικαιοσύνης ἐμφαντικωτάτη ἡ
πεντάς, δικαιοσύνη δὲ πασῶν τῶν ἀρετῶν περιεκτική᾽
ἡ γὰρ τὸ προσῆκον ἀποδιδοῦσα ἑκάστῃ καὶ τὴν
ἐν τῇ ψυχῇ ἰσότητα κρατύνουσα αὕτη ἂν εἴη, ἰσότης δὲ ψυχῆς [10] περὶ τὸ λογικὸν μόνον, ἀνισότης δὲ περὶ τὸ
ἄλογον, ὑπεῖκον δὲ καὶ πειθόμενον τῷ
λόγῳ. ἀλλὰ τὸ μὲν ἴσον ἀποίκιλον (ἑνὶ γὰρ τρόπῳ
ἴσον), τὸ δὲ ἄνισον ποικιλώτατον (κατὰ πολλοὺς γὰρ τρόπους ἄνισον), καὶ τά γε πρώτιστα αὐτοῦ εἴδη δύο
ἐστί, μεῖζόν τε καὶ ἔλαττον. καὶ τῆς
ψυχῆς ἄρα τὸ μὲν ἴσον ἔσται, τὸ δὲ ἄνισον, ἴσον
μὲν τὸ θεῖον καὶ λογικόν, ἄνισον δὲ τὸ θνητόν τε καὶ ἄλογον, αὐτοῦ δὲ τούτου μεῖζον μὲν τὸ θυμοειδές (ὑπέρζεσις
γάρ ἐστι καὶ ὥσπερ ἀποθέσεως τοῦ
περιττεύοντος ἔφεσις), ἔλαττον δὲ τὸ ἐπιθυμητικόν (ἐνδεὲς γὰρ τῇ τοῦ ἐλλείποντος ὀρέξει), ἀλλ᾽
ὑπὸ τοῦ λογικοῦ [20] κρατηθέντα πάντα
καὶ ἰσότπτος δι᾽ αὐτὸ μετασχόντα ἀρετὰς κτᾶται,
τὸ μὲν θυμοειδὲς ἀνδρείαν, τὸ δὲ ἐπιθυμητικὸν [36] σωφροσύνην. εἴ τις τοίνυν ἀριθμὸς ἰσάκις ἴσος ἐστίν, οὗτος
δικαιοσύνης εἰδοποιὸς καὶ ἐπιδεκτικὸς ἂν
εἴη. πᾶς δὲ τετράγωνος ἰσάκις ἴσος ὑπάρχει,
ἀλλ᾽ οὐ πᾶς μεσότητος δεκτικός, ἀλλὰ μόνος δηλονότι, ὃς ἂν περισ- σὸς fi καθόλου γὰρ ἀρτίου ἀριθμοῦ μεσότης οὐ
φαίνεται περισσῶν δὲ προσεχέστατος καὶ
οἰκειότατος ἂν εἴη ὁ πυθμήν, εἰ καὶ τῶν αὐ- τοῦ λόγων ἐπιδεκτικοὶ οἱ μετ᾽
αὐτόν. ἐπιστημονικαὶ δὲ καὶ φιλόσο- dor ἀποδείξεις ἀεὶ τοῖς πυθμέσιν ἐλαχίστοις
ἔτι καὶ εὐςλογίστοις καὶ εὐ»πίστοις ἐπιχρῶνται καὶ ἐνορῶσιν αὐτοῖς ὡς ἐν
παραδείγμα- σί τισι [10] τὰ ὁμοιότατα τῶν ὁμογενῶν, οἷον διπλασίων μὲν ἀπείρων φύσει ὄντων ἐν δυάδι μᾶλλον πρὸς
μονάδα, ἡμιολίων δὲ ἐν τριάδι πρὸς δυάδα
ὥστε ἡ τῆς δικαιοσύνης ἔννοια καὶ φύσις ἐν
ἰσάκις ἴσῳ δεικνυμένη ἀριθμῷ, τουτέστιν ἐν τετραγώνῳ, ἐν ἀρτίῳ μὲν οὐκ ὀρθῶς δειχθείη «ἂν» μεσότητος
ἀμοιροῦντι, ἀλλ᾽ ἐν περισσῷ δηλονότι καὶ
τῶν περισσῶν ἐν πυθμενικωτάτῳ καὶ οἱονεὶ
σπέρματι τῶν ἄλλων διὰ τὸ ἐπιστημονικόν" ἐν ἄρα πρωτίστῳ τῷ
θ΄" LA TEOLOGIA DELL'ARITMETICA
885 Il 5 è l’espressione più alta della
giustizia,3! e la giustizia abbrac- cia
tutte le virtù: la giustizia, infatti, è capace di dare a ciascuna virtù ciò che le è proprio e di consolidare
<quindi> l'uguaglianza dell’ani-
ma, e l'uguaglianza dell’anima è solo nella parte è razionale, mentre
la disuguaglianza è in quella
irrazionale, e quest'ultima deve piegarsi e
ubbidire alla ragione. Ma l’uguale non è di varia specie (perché c’è solo un modo di essere uguale), mentre il
disuguale è assolutamente di varia
specie (perché ci sono molti modi di essere disuguale), e le specie assolutamente prime del disuguale sono
due, maggiore e mino- re; e dunque
nell’anima ci saranno da un lato l’uguale, dall'altro lato il disuguale: è uguale la parte divina e
razionale, disuguale quella mor- tale e
irrazionale, e la specie maggiore della parte disuguale è l’anima impetuosa (perché è un ribollimento e, per
cosî dire, un desiderio di lasciare da
parte il sovrappit), la specie minore invece è l’anima appe- titiva (perché è carente e perciò desiderosa
di ciò che le manca),23? ma tutte e due
queste specie della parte irrazionale dell’anima, se sotto- poste al dominio della parte razionale e
partecipi per ciò stesso del-
l'uguaglianza, acquistano virtù, l’anima impetuosa la virtà del corag- gio, l’anima appetitiva [36] quella della
temperanza. Se poi un nume- ro è uguale
un uguale numero di volte,?3> esso formerà e ammetterà la giustizia.234 Ogni quadrato è uguale un
uguale numero di volte, ma non ogni
quadrato ammette medietà, ma ovviamente solo quello che sia dispari: mai, infatti, un numero pari può
rivelare una medietà; e tra i quadrati
dispari il più immediato e appropriato sarà quello basale,235 se anche i quadrati dispari che lo seguono
ammettono i suoi stessi rapporti. Le
dimostrazioni scientifiche e filosofiche si servono sempre delle basi più piccole, che sono anche quelle
di facile e affidabile cal- colo, e
osservano in esse, come in dei paradigmi, le somiglianze che hanno i numeri dello stesso genere: ad
esempio preferiscono osserva- re i
doppi, che sono infiniti per natura, nel rapporto di 2 a 1, e gli emioli nel rapporto di 3 a 2; ne consegue che
l’idea e la natura di giu- stizia che si
presentano nel numero uguale un uguale numero di volte, cioè nel numero quadrato, non si
manifesteranno correttamente nel
quadrato pari che manca appunto di medietà, ma evidentemente in quello dispari e tra i dispari in quello pit
basale, come se fosse il seme degli
altri, essendo oggetto di conoscenza scientifica, e cioè nel qua- 886 GIAMBLICO
οὗτος γὰρ καὶ ἀπὸ πρώτου περισσοῦ ἀριθμοῦ τοῦ γ΄ πυθμὴν τετράγωνος συνίσταται τρὶς γ΄ ὦν, πλευρικοῦ
μεσότητα πρώτου ἔχοντος, τετράγωνος καὶ
αὐτὸς μεσότητα [20] πρῶτος ἔχων. τούτοις
ἄρα ἐπιχειρητέον ἁρμόζειν τὸν περὶ [37] δικαιοσύνης λόγον ἀκο- λούθως τῷ Πυθαγορικῷ περὶ δικαιοσύνης ὅρῳ, ὅς
got: «δύναμις ἀποδόσεως τοῦ ἴσου «καὶ»
τοῦ προσήκοντος, ἐμπεριεχομένη ἀριθ- μοῦ
τετραγώνου περισσοῦ μεσότητι. » πρῶτον δὴ ἐκθετέον στιχηδὸν τοὺς μέχρι τούτου ἀριθμοὺς ἀπὸ μονάδος ἑξῆς,
α΄ β΄ γ᾽ δ΄ ε΄ ς΄ ζ η θ΄, εἶτα
συγκεφαλαιωτέον τὴν πάντων ὁμοῦ ποσότητα, καὶ ἐπεὶ ἐννεάχ- ρος ὁ στίχος, τὸ ἔννατον τοῦ συγκεφαλαιώματος
ζητητέον, εἴ τι φύσει πάρεστιν ἤδη τῶν
ἐν τῷ στίχῳ ἀριθμῶν: εὑρήσομεν γὰρ αὐτῇ
τῇ μεσότητι τοῦτο προσὸν μόνῃ [10] πεντὰς γάρ ἐστιν ἄλλο μήτε πλέον μήτε ἔλασσον ἐ ἔχουσά τι, καὶ τοῖς
λοιποῖς περιποιητικὴ τοῦ τοιούτου αὐτὴ
φανήσεται, ὡς ἄν τις δικαιοσύνη οὖσα, κατ᾽ εἰκόνα τοῦ ὀργάνου τοῦ ζυγικοῦ" εἰ γὰρ τὸν στίχον
ὑποθοίμεθα τοιοῦτόν τινα ὑπάρχειν
ζυγικόν, τὴν δὲ μεσότητα τὸν ε΄ ἀριθμὸν τὸ τρῆμα εἶναι τὸ τοῦ ἀορτοῦ, καταρρέποντα μὲν πάντα
διὰ πλῆθος ἔ ἔσται τὰ πρὸς τῇ ἐννεάδι
ἀπὸ ἑξάδος μέρη, ἀναρρέποντα δὲ τὰ πρὸς τῇ μονά- δι ἀπὸ τετράδος δι᾽ ὀλιγότητα, τριπλάσια δὲ
τὰ πλεονεκτοῦντα τῶν πλεονεκτουμένων
σύνολα συνόλων, αὐτὴν δὲ τὴν ε΄, ὥσπερ τὸ τοῦ
πήχεος τρῆμα, μηδετέρου μετέχουσαν. [20] ἀλλ᾽ ἰσότητα μόνον καὶ ταυτότητα. κατὰ βραχὺ δὲ τὰ γειτνιῶντα [38]
αὐτῇ καὶ ἐγγυτέρω γινόμενα ἔλαττον ἀεὶ
καὶ ἔλαττον πλεονεκτοῦντά τε καὶ πλεονεκ-
τούμενα, ὥσπερ TÙ25 ἀπὸ τῶν ζυγικῶν πλαστίγγων κατὰ μικρὸν ὑποβαίνοντα τοῦ πήχεος ὡς πρὸς τὴν ἀορτήν᾽
μήκιστον μὲν γὰρ ἀφέ- στηκεν ἡ ἐννεὰς
καὶ μονάς, διὸ καὶ πλείστῳ πλεονεκτεῖ μὲν ἐννε-
dc, πλεονεκτεῖται δὲ μονάς, τετράδι ὅλῃ βραχὺ δὲ τούτων ἐνδοτέρω ὀγδοὰς καὶ δυάς, διὸ καὶ βραχὺ ἐλάττονι πλέον
μὲν ὀγδοάς, ἔλατ- τον δὲ δυὰς ἔχει
τριάδα γάρ᾽ εἶθ᾽ ἑξῆς τούτοις ἑβδομάς τε καὶ
τριάς, διὰ τοῦτο τῇ ἑξῆς ποσότητι ἐλαττοῦται μὲν τριάς, πλεονάζει δὲ ἑβδομάς᾽ [10] δυάδι γὰρ ἐνδοτέρω: ἐνδοτέρω
δὲ τούτων καὶ προ- σεχῶς τῇ πεντάδι,
ὡσανεὶ τῇ ἀορτῇ, τετράς τε καὶ ἑξὰς τῷ ἐλαχίστῳ
25 tà ho mutato io secondo una congettura di De Falco in appar. ad
loc.): τὴν. LA TEOLOGIA DELL’ARITMETICA 887 drato dispari assolutamente primo, cioè nel
9: questo infatti, essendo 3x3, è un
quadrato base costituito dal primo numero dispari, cioè 3, che è il primo numero laterale che ha
medietà, ed anche 9 è il primo quadrato
che ha medietà. A tutto ciò, dunque, bisogna cercare di col- legare [37] il discorso sulla giustizia,
secondo la definizione che ne danno i
Pitagorici, che è questa: «Potenza di dare in parti uguali ciò che spetta, perché contenuta nella medietà di
un numero quadrato dispari».236 Bisogna
anzitutto?” esporre in fila la successione dei
numeri da 1 a 9: 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9; poi sommare insieme la quan- tità di tutti questi numeri,238 e poiché la
fila è costituita di 9 termini, bisogna
cercare la nona parte della somma totale [5], e vedere se è già presente per sua natura nella fila di quei
numeri; scopriremo infatti che questa
nona parte [5] è presente solo al centro della fila, perché 5 è il numero che ha lo stesso numero di
termini da un lato e dall’al- tro, e
apparirà come il numero che procura agli altri della fila una pro- prietà dello stesso genere, come se fosse una
giustizia, simile cioè a una bilancia:
se infatti supponiamo che la fila sia come una bilancia, il numero 5 che sta al centro, rappresenta il
foro, cioè il punto di equi- librio
della bilancia, mentre tutte le parti23? da 6 a 9 faranno pendere, per la loro maggiore quantità? il braccio
della bilancia, e le parti da 4 a 1 lo
faranno salire per la loro minore quantità, e la somma dei numeri che superano il 5 sarà il triplo della
somma dei numeri che sono superati dal
5,24! e il 5 come tale, in quanto rappresenta il foro del braccio della bilancia, non parteciperà
di nessuna delle due parti, ma sarà
uguaglianza e identità.242 E in ragione della maggiore vicinan- za al 5 [38] ci sarà una sempre minore
differenza in più o in meno,243 come
accade ai piatti della bilancia, dove la pendenza del braccio diminuisce man mano che ci si avvicini al
punto di equilibrio: i più distanti in
lunghezza <da 5», infatti, sono 9 e 1, e perciò il 9 è il nume- ro che supera di più il 5 e l’ 1 è quello che
è superato di più, nell’un caso e
nell’altro la differenza è 4; un po’ meno distanti andando verso l'interno, sono 8 e 2, rispettivamente
maggiore e minore di 5, e perciò tra 8 e
2, da un lato, e 5, dall’altro, c'è una minore differenza, che è infatti 3;244 subito dopo vengono 7 e 3,
rispettivamente maggiore e minore di 5,
e perciò c’è anche una minore differenza, che è infatti 2; pit all’interno e in prossimità del 5, che fa
da punto di equilibrio, sono 4 e 6, che
hanno la più piccola differenza in più e in meno: non 888 GIAMBLICO
πλεονεκτοῦσα᾽ ἐλάττων γὰρ τούτου ἀριθμὸς οὐκέτι νοεῖται. ἀναρτῳμένου δὲ τοῦ πήχεος, τὰ μὲν πλέον
ἔχοντα πλεονεκτοῦσαν καὶ τὴν πρὸς τὴν
«πλάστιγγα»26 γωνίαν ἀπεργάζεται καὶ τὴν ἑαυτῶν
πρὸς τὴν ἀορτήν, τὰ δὲ ἔλαττον ὀλιγεκτοῦσαν καθ᾽ ἑκάτερον᾽ πλεο- νεκτοῦσα δὲ γωνία ἡ ἀμβλεῖά ἐστι, τὸν
ἰσότατον λόγον τῆς ὀρθῆς ἐχούσης. ἐπεὶ
δὲ ἐπίσης μὲν ἐν ἀδικίᾳ οἵ τε ἀδικούμενοι οἵ τε ἀδι- κοῦντες ὡς ἐν ἀνισότητι ἐπίσης τό τε μεῖζον
τό τε ἔλαττον, ἀδικώ- τεροι «δὲ» ὅμως οἱ
ἀδικοῦντες τῶν [20] ἀδικουμένων (οἱ μὲν γὰρ
κολάσεως, οἱ δὲ ἐπισώσεως καὶ βοηθείας δέονται), τὰ κατὰ ἀμβλεῖαν ἄρα ἀφιστάμενα γωνίαν περί τε τῷ
ζυγῷ καὶ ἐν τῷ ἀριθμ- ητικῷ ὑποδείγματι
πλέον ἀποστήσεται τοῦ μέσου, ὅπερ ἐστὶ τῆς
δικαιοσύνης, μᾶλλον ἀεὶ [39] καὶ μᾶλλον, τουτέστι τὰ πλεονεκ- τοῦντα, προσδραμεῖται δὲ καὶ προσπελάσει ἔτι
καὶ ἔτι ἀεὶ τὰ κατ᾽ ὀξεῖαν, καὶ οἱονεὶ
ἀδικούμενα ἀεὶ ἐν τῷ πλεονεκτεῖσθαι τὰ μὲν
κάτω καὶ εἰς φθόρον καὶ εἰς κακίας βαπτισμὸν οἰχήσεται, τὰ δὲ ἄνω καὶ ὡς εἰς θεὸν προσφεύγοντα ἀναρρέψει τιμωρίας
καὶ ἀπισώσεως δεόμενα. εἰ γοῦν δεήσει
σὺν παντὶ τῷ πήχει καὶ τῷ ἀριθμητικῷ ἐκ-
θέματι τούτῳ ἰσότητα ἐγγενέσθαι, πάλιν τὸ τοιοῦτον κατὰ πεντάδος μετοχὴν ὡσανεὶ δικαιοσύνης τινὸς οὔσης μηχανηθήσεται᾽
ἤτοι γὰρ τὰ ἀπὸ τῶν πλεονεκτούντων
τεταγμένα [10] πέμπτα ἀφαιρεθέντα αὐτῶν
εἰ προστεθείη τοῖς πλεονεκτουμένοις, τὸ ζητούμενον ἀπερ- γάζεται: ἤτοι κατὰ διορισμὸν καὶ
ἀντιπεπονθυῖαν διαστολὴν τὴν πεντάδα ἀπὸ
μὲν τοῦ μήκιστον ἀφεστῶτος πλεονέκτου τὸ τοῦ ἑτέρου μέρους ἐλάχιστον ἀπέχον
πλεονεκτούμενον «ἀπολαβεῖν καὶ προ- σθεῖναι τῷ μήκιστον ἀπέχοντι», ὅ ἐστι τὸ
ἕν, πρὸς ἀπίσωσιν ἀπολα- βεῖν τὰ δ΄ ἀπὸ «τοῦ» θ΄ καὶ προσθεῖναι τῷ ἑνί, ἀπὸ δὲ
τοῦ η΄ τὰ γ΄, ἃ προσθήκη τῷ β΄ ἔσται,
ἀπὸ δὲ τοῦ ζ΄ τὰ β΄, ἃ τῷ γ΄ πρόσκειται, ἀπὸ δὲ
26 τὴν «πλάστιγγα» mutò Delatte confrontando Giamblico, In Nicom. 17,9 (cf. ed. Klein Add. et Corr. p. XXVII,
ma anche De Falco, in Miscell. Galbiati
2, Milano 1951, p. 168, nt, 1): αὐτὴν.
LA TEOLOGIA DELL'ARITMETICA 889
si può pensare infatti un numero minore di questo [1]. Appeso il braccio della bilancia, la parte che contiene
la somma maggiore? forma due angoli, uno
rispetto al piatto?4 e un altro rispetto al punto di sospensione,” che sono maggiori degli
angoli formati nei due punti
corrispondenti?48 dalla parte che contiene la somma minore; e l'angolo maggiore? è un angolo ottuso,
essendo l'angolo retto quel- lo
corrispondente al rapporto di assoluta uguaglianza <tra le due parti della bilancia>. E poiché il rapporto che,
nel campo dell’ingiustizia, intercorre
tra quelli che la subiscono e quelli che la commettono è uguale al rapporto che, nel campo della
disuguaglianza?5 intercorre tra il
maggiore e il minore,?°! ma nondimeno quelli che commettono ingiustizia sono più ingiusti di quelli che
la subiscono (gli uni, infatti, meritano
pena, gli altri invece riequilibramento e aiuto), ne consegue che la parte che è più lontana in funzione
dell’angolo ottuso, sia nel- l'esempio
della bilancia che in quello aritmetico, cioè la parte prepon- derante, si allontanerà dal punto
centrale,25? cioè dalla giustizia, in
misura sempre [39] crescente, mentre la parte che forma l’angolo acuto correrà e si avvicinerà sempre più
verso il punto centrale, e cos accade
anche di quelli che subiscono ingiustizia e sono sempre più soverchiati, e mentre la parte che si trova
in basso? andrà verso la rovina e si
immergerà nella malvagità, la parte invece che si trova in alto si eleverà come se fuggisse verso dio
perché bisognosa di soccor- so e di
ristabilimento dell’equilibrio. Se a questo punto, come è certo, bisognerà ristabilire l'uguaglianza
sull’intero braccio della bilancia e
nell’esposizione dei numeri, ancora una volta tale operazione dovrà essere congegnata secondo la partecipazione
al numero 5 come fosse giustizia:
infatti l'equilibrio che cerchiamo si ottiene se sommiamo ai numeri della parte inferiore [1, 2, 3, 4] la
differenza tra i numeri della parte
superiore e quelli della parte inferiore, presi ciascuno al quinto posto;254 oppure, assumendo 5 come punto di
demarcazione e di reci- proca
distanza,?95 se prendiamo il numero della parte inferiore che è meno distante dal centro, lo sottraiamo da
quello della parte superio- re che è più
distante e lo sommiamo a quello che è più distante dalla parte opposta, che è 1: per ottenere
l'equilibrio dunque si sottrae 4256 da
925] e lo si somma a 1,258 si sottrae poi 3 da 8 e lo si somma ἃ 2,259 quindi si sottrae 2 da 7 e lo si somma a
3,260 infine si sottrae 1 da 6 e lo si
somma a 4:28! si ottiene cosî l'equilibrio cercato, e tutti i numeri, 890 GIAMBLICO
τοῦ ς΄ τὸ α΄, ὅ ἐστι τῷ δ΄ προσθήκη εἰς ἀπίσωσιν, καὶ πάντα ἐπίσης τά τε κολασθέντα ὡς πλεονεκτικὰ καὶ [20] τὰ
ἐπανορθωθέντα ἀπι- σώσει ὡς ἠδικημένα
ὁμοιωθήσεται τῇ τῆς δικαιοσύνης μεσότητι᾽
ἀνὰ ε΄ γὰρ ἅπαντα ἔσται᾽ μόνη γὰρ αὕτη ἀναφαίρετός τε καὶ ἀπρό- σθετος διαμένει, ὡς ἂν μήτε πλέον μήτε
ἔλασσον, ἀλλὰ καὶ τὸ προσῆκον καὶ
ἐπιβάλλον φύσει μόνη ἔχουσα. καὶ τῷ σχήματι δὲ οἱ τοὺς τῶν γραμμάτων χαρακτῆρας [40] πρῶτοι
τυπώσαντες, ἐπεὶ τὸ θ΄ τοῦ ἐννέα
σημαντικὸν ὑπάρχει, μεσότης δὲ αὐτοῦ ὡς τετραγώνου τὸ ε΄, τὸ δὲ μέσον ἐν ἑκάστῳ σχεδὸν κατὰ τὸ
ἥμισυ ὁρᾶται, ἥμισυ τοῦ θ΄ γράμματος
τυποῦσθαι τὸ ε΄ ἐπενόησαν, ὡς διχοτόμημα τοῦ θ΄, [καθὰ καὶ τὸ τοῦ οἽ.27 τούτῳ δὴ τῷ τρόπῳ τῆς
δικαιοσύνης τῷ ε΄ ἀριθμῷ δικαιότατα
ἐνοφθείσης καὶ τῆς τοῦ στίχου ἀριθμητικῆς εἰ-
κόνος ζυγῷ τινι οὐκ ἀπιθάνως εἰκασθείσης, τὸ παράγγελμα τοῖς γνωρίμοις ἐν συμβόλου σχήματι ὁ Πυθαγόρας
ἐνεποιήσατο «ζυγὸν μὴ ὑπέρβαινε»,
τουτέστι δικαιοσύνην. [10] τριῶν δὲ ὄντων τῶν ζωο- ποιητικῶν κατὰ τοὺς φυσικοὺς μετὰ τὴν
σωμάτωσιν, φυτικοῦ yuyi- κοῦ λογικοῦ,
καὶ τοῦ μὲν λογικοῦ κατὰ μὲν ἑβδομάδα τασσομένου, τοῦ δὲ ψυχικοῦ καθ᾽ ἑξάδα, τὸ φυτικὸν
ἀναγκαίως κατὰ τὴν πεντά- δα πίπτει,
ὥστε καὶ ἀκρότης τις ἡ ἐλαχίστη τῆς ζωότητος ἡ πεντάς: γενέσεων μὲν γὰρ ῥίζα πασῶν ἡ μονάς, κίνησις
δὲ ἐφ᾽ ἕν τι ἡ δυάς, ἐπὶ δὲ δεύτερον ἡ
τριάς, ἐπὶ δὲ τρίτον καὶ τελειότερον ἡ τετράς, ἐπὶ δὲ τὴν πάντη πρόσθεσιν καὶ αὔξησιν ἡ πεντὰς
κατὰ τὴν φυτικὴν τῆς ψυχῆς ἕξιν, ἣ εὐθὺς
καὶ τὸ αἰσθητικὸν γενικὸν παρέσπαρται. ὅτι
Νέμεσιν καλοῦσι τὴν πεντάδα- νέμει γοῦν [20] προσηκόντως τά τε οὐράνια καὶ θεῖα καὶ φυσικὰ στοιχεῖα τοῖς
πέντε, τὰ πέντε σχήμα- τα ταῖς κύκλῳ
[ταῖς] κινήσεσι ταῖς τε σεληνιακαῖς καὶ τῶν λοιπῶν ἀστέρων, ἑσπερίᾳ ἀνατολῇ, ἑσπερίᾳ [41] δύσει,
ἑῴᾳ ἀνατολῇ, ἑῴᾳ δύσει καὶ τῇ ἄνευ
τούτων ἁπλῇ περιπολήσει᾽ εἶτα τὰ κατ᾽ ἐπίκυ-
κλον στηριγμοῖς δυσὶν ἢ προποδισμῷ ἢ ἀναποδισμῷ, «τὰ δὲ urp? ὁμαλότητι μιᾷ τῇ κατὰ φύσιν" τοῖς τε
φυτοῖς πενταμερὲς αὐτῶν τὸ 27 sospettò
giustamente si dovessero eliminare queste parole, come ini- zio di una glossa, De Falco (cf. anche ed.
Klein Add. p. XXVII). 28 l'integrazione
è di Waterfield, Erzend. LA TEOLOGIA
DELL'ARITMETICA 891 sia quelli che
vengono puniti perché soverchianti, sia quelli che ven- gono reintegrati nel loro equilibrio perché
hanno subito ingiustizia, si
accorderanno nella stessa misura alla medietà della giustizia: tutti infatti faranno riferimento a 5, perché
quest’ultimo è l’unico che resta senza
detrazione né aggiunzione, sicché non potrà essere né più né meno di quello che è,262 bensi l’unico numero
che per natura possie- de ciò che gli
conviene e gli appartiene. Anche in rapporto alla figu- ra, coloro che per primi hanno impresso le
lettere delle parole per significare
questi numeri, [40] poiché il 9 è espresso con la lettera “0”, e il suo dimezzamento, come figura
quadrata, è “e”, e la parte mediana
quasi sempre è vista come la metà, allora hanno pensato che il segno “e” significasse la metà della
lettera “0”, come se fosse metà di 9.26
Poiché dunque la giustizia è stata vista in modo assolutamen- te corretto nel numero 5 e l’immagine della
fila di numeri <da 1 a 9>
assimilata in modo convincente a una bilancia, fu cosî che Pitagora imparti ai suoi discepoli in forma simbolica
il precetto: «Non fare tra- boccare la
bilancia»,264 cioè la giustizia. E poiché sono tre, secondo i filosofi della natura, i fattori della vita,
una volta che questa ha preso corpo:
vegetativo, psichico, razionale, e quello razionale è ordinato secondo il 7, e quello psichico secondo il 6,
allora necessariamente il fattore
vegetativo cade sotto il numero 5, sicché il 5 è anche l’estremi- tà minima della natura vivente: l’ 1 infatti
è radice di tutte le genera- zioni, il 2
è movimento in una prima dimensione,26 il 3 in una secon- da dimensione,266 il 4 in una terza e più
completa dimensione,?87 il 5 nel senso
di ogni aggiunta e aumento rispetto alla facoltà vegetativa dell’anima,268 nella quale immediatamente si
trova, anche se in germe, la generica
facoltà sensitiva. I Pitagorici chiamano
il 5 anche “Nemesi”; in effetti questa
“distribuisce” [νέμει] convenientemente, servendosi del numero 5, gli elementi sia celesti che divini e
naturali,269 le cinque figure dei movimenti
ciclici sia della Luna che delle altre stelle, cioè il sorgere alla sera, il tramontare alla sera, [41] il
sorgere all'alba, il tramontare
all’alba, e la rivoluzione degli astri pura e semplice, priva cioè di
rife- rimento al sorgere e al
tramontare; distribuisce inoltre i corpi celesti che sono sugli epicicli270 secondo due
stazioni, o in progressione o in
regressione,?7! e quelli che non lo sono??? in un’unica forma di
movi- mento resalare:273 anche le niante
hanno cinane narti nella lara ctrut. 892
GIAMBLICO ὁλοσχερὲς σύγκριμα. ῥίζα γὰρ
καὶ πρέμνος kai φλοιὸς καὶ φύλλον καὶ
καρπός: αἵ τε καταφοραὶ πέντε, ὑετοῦ χιόνος δρόσου χαλάζης πάχνης: ἀναφοραί τε πέντε, ἀτμὸς καπνὸς νέφος
ὁμίχλη καὶ ὁ λεγό- μενος τυφὼν ἀνεμώδης,
ὅν τινες στρόβιλον ὀνομάζουσι διὰ τοῦτο καὶ
πεμπάδα αὐτὴν ὠνομάσθαι, ὅτι κατ᾽ αὐτὴν αἱ φοραὶ αὗται [10] ἀναπέμπονται. διὰ δὲ τὸ ἰσοῦν τὰ ἄνισα καὶ
πρόνοιαν ὀνομάζουσι καὶ δίκην οἷον
δίχησιν καὶ Βουβάστειαν διὰ τὸ ἐν Βουβαστῷ τῆς
Αἰγύπτου τιμᾶσθαι, καὶ ᾿Αφροδίτην διὰ τὸ ἐπιπλέκεσθαι ἀλλήλοις ἄρρενα καὶ θῆλυν ἀριθμόν. κατὰ τὸν αὐτὸν δὲ
τρόπον καὶ γαμηλία καὶ ἀνδρογυνία καὶ
ἡμίθεος, οὐ μόνον ὅτι τοῦ δέκα θείου ὄντος
ἡμισύ ἐστιν, ἀλλὰ καὶ ὅτι ἐν τῷ ἰδίῳ διαγράμματι ἐν τῷ κατὰ μέσον ἐνετέτακτο. καὶ δίδυμον, ὅτι τὴν δεκάδα
διχάζει ἀδίχαστον ἑτέρως οὖσαν, ἄμβροτον
δὲ «καὶ» Παλλάδα κατ᾽ ἔμφασιν τῆς πέμπτης οὐσί-
ας καλοῦσι, καρδιᾶτιν δὲ κατ᾽ εἰκόνα τῆς [20] ἐν τοῖς ζώοις καρδί- ας μέσης τεταγμένης. [42] ἐκ τοῦ περὶ πεντάδος λόγου δευτέρου τῆς
᾿Αριθμητικῆς τοῦ Γερασηνοῦ Νικομάχου. οἱ ἄνθρωποι ὅταν μὲν ἀδικῶνται, θεοὺς εἶναι
θέλουσιν, ὅταν δὲ ἀδικῶσιν, οὐ θέλουσι᾽
διόπερ ἀδικοῦνται, ἵνα θεοὺς εἶναι
θέλωσιν: εἰ γὰρ μὴ θέλουσιν εἶναι θεούς, οὐ διαμενοῦσιν᾽ εἰ τοῦ διαμένειν οὖν ἀνθρώπους αἴτιον τὸ θέλειν
εἶναι θεούς, θέλουσι δέ, ὅταν ἀδικῶνται,
τὸ δὲ ἀδίκημά ἐστι μὲν κακόν, ἀλλ᾽ ἐπὶ συμφέρον
τι φύσεως, τὰ δ᾽ ἐπὶ συμφέρον τι φύσεως ἀγαθῶν ἔργα, φύσις δὲ ἀγαθή,
ταὐτὸν καὶ πρόνοια. [10] τὰ κακὰ ἄρα τοῖς ἀνθρώποις κατὰ πρόνοιαν γίνεται. τὰς
δ᾽ ἀφορμὰς εἰκὸς καὶ τούτου παρ᾽ Ὁμήρου εἰληφέναι εἰπόντος᾽ «καὶ τότε δὴ
χρύσεια πατὴρ ἐτίταινε τάλαντα, ἐν δ᾽ ἐτίθει δύο κῆρε τανηλεγέος θανάτοιο,
Τρώων θ᾽ ἱπποδάμων καὶ ᾿Αχαιῶν
χαλκοχιτώνων᾽ ἕλκε δὲ μέσσα λαβών. ῥέπε δ᾽ αἴσιμον LA TEOLOGIA DELL’ARITMETICA 893 tura globale: radice fusto corteccia foglia
frutto; e ci sono anche cin- que forme
di precipitazione: pioggia neve rugiada grandine brina; e cinque forme di esalazione: vapore fumo
foschia nebbia, e il cosiddet- to tifone
ventoso, che alcuni chiamano “ciclone”; e perciò il 5 viene chiamato anche “pempade” [πεμπάς], perché
precipitazioni ed esala- zioni “sorgono
in virtà del 5” [ἀναπέμπονται]. Il 5 è chiamato anche provvidenza e giustizia [δίκη], nel senso di
“divisione in due parti uguali”
[δίχησις],274 perché rende uguali i disuguali, e “Bubastiana” perché è venerata nel tempio egizio di
Bubasti, e Afrodite perché rap- presenta
il connubio tra numero maschio e numero femmina.” Per lo stesso motivo è chiamato anche
“matrimonio” e “androginia”, ed è anche
“semidio”, non solo perché è la metà del 10 che è numero divi- no, ma anche perché si colloca nel mezzo??
del suo proprio diagram- ma. È chiamato
anche “gemello”, perché è in grado di dividere in due parti uguali il 10 che non è divisibile
altrimenti in parti uguali, e
“immortale” e “Pallade” perché appare come la quinta essenza,” e “cardiati”278 perché somiglia al cuore che
negli esseri viventi è posto al
centro. [42] Dal secondo discorso sul
numero 5 dell’Aritmetica di Nicomaco di
Gerasa. Quando subiscono ingiustizia,
gli uomini vogliono che esistano gli
dèi, quando invece commettono ingiustizia, non lo vogliono: perciò devono subire ingiustizia per volere che
esistano gli dèi; se infatti non
vogliono che esistano gli dèi non sopportano <di subire
ingiustizia>; se dunque causa del
sopportare l’ingiustizia da parte degli uomini è il loro volere che gli dèi esistano, e d'altra
parte, vogliono che gli dèi esi- stano
quando subiscono ingiustizia, e se il commettere ingiustizia è sf un male, ma che in qualche modo torna a
vantaggio della natura, e operare a
vantaggio della natura è da buoni, e la natura è buona, ed è la stessa cosa che la provvidenza, allora i
mali accadono agli uomini per
provvidenza. A pensare questo, forse, ci spingono anche le paro- le di Omero quando dice: «E allora il padre
distese i due piatti della bilancia
d’oro, vi pose due Chere di dolorosa morte, di Troiani doma- tori di cavalli e di Achei dalle bronzee
tuniche; tira la bilancia pren- dendola
al centro; si inclinò il giorno fatale degli Achei. Le Chere 894 GIAMBLICO
ἦμαρ ᾿Αχαιῶν. αἱ μὲν ᾿Αχαιῶν κῆρες ἐπὶ χθονὶ πουλυβοτείρῃ «ἐζέσθην, Τρώων δὲ πρὸς οὐρανὸν εὐρὺν ἄερθεν.» περὶ ἑξάδος. ᾿Ανατολίου. Ἡ ἑξὰς πρώτη τέλειος; τοῖς γὰρ αὑτῆς μέρεσιν
ἀριθμεῖται, [20] ἕκτον ἔχουσα, τρίτον
καὶ ἥμισυ. τετραγωνιζόμενος περιέχει [43]
ἑαυτόν: ἑξάκις γὰρ ἕξ λς΄- κυβιζόμενος δὲ ἑαυτὸν τετράγωνον οὐ- κέτι τηρεῖ᾽ ἑξάκις γὰρ AS σις΄- οὗτος δὲ τὸν
μὲν ἕξ περιέχει, τὸν δὲ is" οὐκ
ἔχει. ἐξ ἀρτίου καὶ περισσοῦ τῶν πρώτων, ἄρρενος καὶ θήλεος, δυνάμει καὶ πολλαπλασιασμῷ
γίνεται" διὸ καὶ ἀρρενό- θηλυς
καλεῖται. καὶ γάμος καλεῖται κυρίως, ὅτι οὐ κατὰ παράθεσιν ὡς ἡ πεντὰς γίνεται, ἀλλὰ πολλαπλασιασμῷ' ἔτι
δὲ γάμος καλεῖται, ὅτι αὐτὸς τοῖς ἑαυτοῦ
μέρεσίν ἐστιν ἴσος, γάμου δὲ ἔργον τὸ ὅμοια
ποιεῖν τὰ ἔκγονα τοῖς γονεῦσι. κατὰ ἑξάδα πρῶτον συνέστη ἡ ἁρμονικὴ [10] μεσότης, ληφθέντος πρὸς τὸν ς΄
ἐπιτρίτου μὲν λόγου τοῦ n°, διπλασίου δὲ
τοῦ ιβ΄. τῷ γὰρ αὐτῷ μέρει ἤγουν τῷ τρίτῳ
ὑπερέχει καὶ ὑπερέχεται ὁ n τῶν ἄκρων. καὶ ἀριθμητικὴ δὲ μεσότης κατὰ τὸν ς΄, ληφθέντος πρὸς αὐτὸν
ἡμιολίου μὲν λόγου τοῦ θ΄, διπλασίου δὲ
τοῦ 18 τῷ γὰρ αὐτῷ ἀριθμῷ τὰ θ΄ ὑπερέχει τοῦ
ἄκρου καὶ ὑπερέχεται τῷ γ΄. ἔτι δὲ καὶ τὰ μέρη αὐτοῦ ἀναλογίαν τινὰ ἀριθμητικὴν ἔχει, οἷον α΄ β΄ γ΄. ἔτι
γεωμετρικὴ μεσότης ὁ ς΄, Y ς΄ 18°. ἔτι
δὲ διαστάσεις [44] σωμάτων ἕξ. μετὰ δὲ τὴν πεντάδα τὸν ς΄ εὐθὺς ἀριθμὸν ἐναργεστέροις ἐσέμνυνον
ἐγκωμίοις, ἐπιλογιζό- μενοι δείγμασιν
οὐκ ἀμφιβόλοις, κατ᾿ αὐτὴν ἐμψυχῶσθαι καὶ
καθηρμόσθαι τὸν κόσμον, τυχεῖν τε ὁλότητος καὶ διαμονῆς ἐπιτε- λοῦς2 τε ὑγείας καὶ τὰ ζῶα καὶ τὰ φυτὰ συνόδῳ
τε καὶ ἐπιγονῇ καὶ καλλονῆς καὶ ἀρετῆς
καὶ τῶν τοιούτων. ἐπεχείρουν δὲ οὕτως ἐπά-
γοντες᾽ ἡ τῆς ἐξ ἀρχῆς ἀϊδίου ὕλης ἀκοσμία καὶ ὅσον ἐπ᾽ αὐτῇ ἀμορ- φία στέρησίς τε πάντων ἁπλῶς τῶν τρανωτικῶν,
κατά τε ποιὸν καὶ ποσὸν καὶ τὰς λοιπὰς
κατηγορίας, ἀπ᾽ ἀριθμοῦ ὡς [10] κυριωτάτου
καὶ τεχνικοῦ εἴδους ἐκρίθη καὶ διεκοσμήθη τρανότατά τε καὶ ἐμ- 29 ἐπιτελοῦς Ast: ἐπιμελοῦς; ἐπὶ μέρους
preferisce Dodds (cf. ed. Klein Add. p.
XXVII). LA TEOLOGIA DELL’ARITMETICA
895 degli Achei si abbassarono verso la
feconda terra, mentre quelle dei Troiani
si levarono verso l’ampio cielo».279 Il
numero 6, secondo Anatolio. Il 6 è il
primo numero perfetto: esso infatti si può calcolare con le sue proprie parti, perché contiene 1/6, 1/3 e
1/2 di sé.280 Elevato al quadrato [43]
contiene se stesso:28! 6x6, infatti, fa 36; elevato al cubo, invece, non conserva più se stesso come
quadrato:282 36x6, infatti, fa 216, che
contiene il 6, ma non il 36. Il 6 nasce per moltiplicazione delle sue potenze,?8 cioè dal primo numero
pari e dal primo numero dispari, che
sono come maschio e femmina: perciò è chiamato anche maschio-femmina [ermafrodito]. E chiamato
anche “matrimonio” in senso proprio,
perché non nasce per giustapposizione?84 come il 5,285 ma per moltiplicazione; inoltre è chiamato
matrimonio, perché è uguale alle sue
proprie parti,286 ed è opera del matrimonio produrre i figli simili ai genitori. La prima medietà
armonica si costituisce in fun- zione
del 6, se si prende l’ 8 che sta col 6 in rapporto epitrite?28” e il 12 che è il doppio di 6:288 l’ 8 infatti supera
ed è superato dagli estremi [6 e 12]
della stessa parte, precisamente di 1/3.28? Ma anche la medie- tà aritmetica nasce in funzione del 6, se si
prende il 9 che sta col 6 in rapporto
emiolio, e il 12 che è doppio di 6:2% il 9 infatti supera ed è superato dai suoi estremi dello stesso
numero, cioè di 3.291 Inoltre anche le
parti del 6,292 cioè 1, 2, 3, contengono una proporzione arit- metica. Il 6, inoltre, costituisce la medietà
geometrica 3, 6, 12. Sono 6, inoltre, le
dimensioni [44] dei corpi.2» Dopo il 5, era il 6 che i Pitagorici celebravano con elogi più
evidenti, fondandosi su prove
inequivocabili, e cioè sul fatto che in virtà del numero 6 il mondo
è animato e armonizzato, e acquista
totalità e stabilità e perfetta salute,
in rapporto sia agli animali che alle piante nel loro accoppiarsi e
ripro- dursi, e bellezza e virtù e cose
del genere. Essi argomentavano con
questa sequela di ragionamenti: la mancanza di ordine e, per quanto le competa, anche di forma da parte della
materia eterna primordia- le, nonché la
sua privazione assoluta di tutti quei fattori che rendono esplicite le proprietà delle cose, sia
secondo la qualità che secondo la
quantità e tutte le altre categorie,?% furono differenziate e
ordinate dal numero, che è la forma
assolutamente dominante e creativa, giac-
896 GIAMBLICO μελοῦς ἐξαλλαγῆς
καὶ ἀκολουθίας ἀκηράτου ἔτυχε μετασχοῦσα
κατ᾽ ἔφεσιν καὶ ἀπόμαξιν τῶν ἀριθμοῦ ἰδιωμάτων. ὁ δ᾽ ἀριθμὸς αὐτὸς τὴν ἐπ᾽ ἄπειρον προχώρησιν
εἰδοποιούμενος εὑρίσκεται δι᾽ ἑξάδος
κατὰ τελείας συνθέσεις᾽ ἐπεὶ γὰρ τὸ μὲν πρῶτον τέλειον τὸ ἀρχὴν καὶ μέσον καὶ τέλος ἔχον, τὸ δὲ
δεύτερον τὸ τοῖς ἰδίοις μέρε- σιν ἴσον
ἀπλεονέκτητον καὶ ἀνελλιπὲς ἐν τῇ πρὸς αὐτὰ ἀντεξετά- σει, εὑρίσκεται δὲ τὸ μὲν πρῶτον ἐν τριάδι ὡς
ἐν ῥίζῃ, τὸ δὲ δεύτε- ρον ἐν ἑξάδι
πυθμενικῶς, ἀλλὰ καὶ κατὰ συμβεβηκὸς τὸ μὲν τῆς
τριάδος [20] ἐν τῇ ἑξάδι (πάλιν γὰρ β΄ καὶ β΄ καὶ β΄ ἀρχὴ καὶ μέσον καὶ τέλος), τὸ δὲ τῆς ἑξάδος οὐκέτι ἐν τῇ τριάδι
(ἐλλείπει γὰρ ἐν αὐτῇ τὰ μέρη πρὸς τὸ
ὅλον), συμβεβηκυίας δὲ εὑρίσκομεν κατὰ φύ-
σιν καὶ οὐ θεμένων ἡμῶν τὰς κατὰ τριάδα ποσότητας, ἐν ἀριθμῶν συνθέσει ἑξαδικὴν εἰδοποίησιν ἐμποιούσας
μέχρι ἀπείρου τῷ χύ- ματι παντί, τὰς μὲν
πρώτας αὐτῇ τῇ ἑξάδι α΄ β΄ γ΄, τὰς δὲ δευτέρας
πάλιν ἑξάδι, [45] μονάδος μιᾶς κατὰ δευτερωδίαν εἰς τὸν ἑξῆς βαθμὸν μετιούσης, δ΄ ε΄ ς΄, τὰς δὲ μετὰ ταῦτα
πάλιν ἑξάδι, δύο μονάδων
δευτερωδουμένων, ζ΄ η΄ θ΄, τριῶν δὲ καὶ τεττάρων καὶ ἐφεξῆς τῶν μετὰ ταῦτα τριάδων συγκεφαλαιουμένων,
τ΄ 10° ιβ΄ καὶ ἐφ᾽ ὁσονοῦν, ὥστε ἑξάδι
φαίνεσθαι κατὰ τριάδος ἐξάρτησιν διατυ-
πούμενον τὸν ἀριθμὸν σύμπαντα, διατυπωτικὸν φύσει καὶ αὐτὸν ὄντα τῆς ἐν τῇ ὕλῃ ἀμορφίας, εἶδος οὖν εἴδους
οὐκ ἂν διαμάρτοιμεν αὐτὴν ἡγούμενοι.
τρόπον δ᾽ ἕτερον εὐδιαρθρωτικὴβ0 καὶ συντακ-
τικὴ σώματος ψυχή, καθάπερ ψυχικὸν [10] εἶδος ἀμόρφου ὕλης, τῇ δὲ ψυχῆ τὸ παράπαν οὐδεὶς ἐφαρμόζειν δύναται
μᾶλλον ἑξάδος ἀριθμός, οὐκ ἄλλος ἂν οὕτω
διάρθρωσις τοῦ παντὸς λέγοιτο, ψυχο-
ποιὸς ἱσταμένως εὑρισκομένη καὶ τῆς ζωτικῆς ἕξεως ἐμποιητική, παρὸ ἑξάς. ὅτι μὲν γὰρ ἁρμονικὴ πᾶσα ψυχή,
ἁρμονίας δὲ τὰ στοι- χειωδέστατα σύμφωνα
διαστήματα ἐπίτριτος καὶ ἡμιόλιος, ὧν κατὰ
σύνθεσιν τὰ λοιπὰ συμπληροῦται, φανερόν' παρούσης μὲν γὰρ αὐτῆς, εἰρηνεύει καὶ εὐτακτεῖ καὶ βέλτιστα
ἐνήρμοσται τὰ ἐγκε- 30 ei διαρθρωτικὴ
Dodds (cf. ed. Klein Add. p. XXVII): εὐδιαρθρωτικὴ. LA TEOLOGIA DELL’ARITMETICA
897 ché la materia partecipa della distinzione e del mutamento regolare e della
concatenazione pura in virtà del suo desiderio e della sua capa- cità di
riprodurre le proprietà del numero. Ma si scopre che il nume- ro stesso forma la sua progressione
all’infinito per mezzo del 6, secon- do
somme perfette: infatti, poiché il numero perfetto, nella sua forma primaria, ha principio mezzo e fine, mentre
nella sua forma seconda- ria è uguale
alle sue proprie parti senza eccedenza né deficienza in rapporto ad esse, e si scopre che la forma
primaria ha la sua radice nel 3,29 e
quella secondaria ha come sua base il 6,296 ma mentre nel 6 si trova, anche se accidentalmente, la
perfezione propria del 329? (infat- ti
2+2+2 sono ancora una volta principio mezzo e fine), nel 3 invece non c’è più la perfezione propria del 62% (infatti
il 3 ha le parti defi- cienti rispetto
al tutto),29° e noi scopriamo che i gruppi di numeri presi anche a caso tre alla volta in tutta
l'estensione infinita della serie,30%
danno per natura, e non perché lo vogliamo noi, come somma aggregata 6,39! il primo gruppo, composto dai
numeri 1, 2, 3, ha come somma lo stesso
6,39 il secondo gruppo, composto dai numeri 4, 5, 6 dà come somma ancora 6,3% [45] e qui
ricorrendo un 1 di secondo livello,304
si passa alla somma di secondo grado, il terzo gruppo, composto dai numeri 7, 8, 9, dà come somma
ancora 6, e qui ricorro- no 2 unità di
secondo livello,3% e lo stesso accade con i seguenti grup- pi di numeri, cioè il quarto gruppo e i
successivi, cioè 10, 11, 12, e cosî via,
sicché il numero complessivo?0 si rivela formato dal 6 in dipen- denza dal 3,39 e poiché infine è il numero
che per natura dà forma alla materia
priva di forma, allora non sbagliamo a considerare il 6 come “forma di forma”.39 Secondo un altro
ragionamento, se l’ani- ma, quale forma
psichica di materia amorfa, è capace di articolare e organizzare il corpo, e se nessun numero in
assoluto può adattarsi all'anima più del
6, allora nessun altro numero può essere chiamato “articolazione dell’universo”, giacché si
scopre che questo numero è capace di
dare forma stabile all'anima e generare quindi in essa la sua natura [ἕξις], donde il suo nome “esade”
[ἑξάς], di principio di vita. Che ogni
anima, infatti, sia armonica e che gli intervalli più elementa- ri dell'accordo armonico siano di rapporto
epitrite ed emiolio, rap- porti dalla
cui combinazione si formano gli altri intervalli, è cosa evi- dente; con la sua presenza, infatti, l’anima
rappacifica e ordina e accorda al meglio
possibile i contrari che la natura ha scelto di inseri- 898 GIAMBLICO
κριμένα τῷ ζώῳ ἐναντία, ὑπείκοντα καὶ ἀντακολουθοῦντα καὶ διὰ τοῦτο ὑγείαν ἐμποιοῦντα τῷ συγκρίματι, θερμὸν
[20] ψυχρῷ, ὑγρὸν ξηρῷ, βαρὺ κούφῳ,
πυκνὸν ἀραιῷ, καὶ τὰ ἐοικότα, [46] ἃ χωρὶς
ἁρμονίας τινὸς οὐκ ἂν συναναστρέφοιτο᾽ συνυπάρχει γε μήν, ἐφ᾽ ὅσον ψυχὴ πάρεστι, συναγωγὸς αὐτοῖς,
διεξελθούσης δ᾽ αὐτῆς, διά- λυσις τῶν ἐν
τῷ ζώῳ πάντων καὶ λειποταξία συμβαίνει, εἰ δέ γε τὰς στοιχειόδεις τῆς ἁρμονίας λεχθεΐῖσας ἀρχὰς τό
τε ἡμιόλιον καὶ ἐπί- τριτον ἡμίσους τε
ἔδει ἐξ ἀνάγκης (οὐ γὰρ ἄνευ τούτου ἡμιόλιον,
οὐδὲ μὴν αὐτοῦ τούτου τὸ διὰ ΕἼ) καὶ τρίτου δέ᾽ σὺν γὰρ τούτῳ πάντως τὸ ἐπίτριτον, σὺν ᾧ εὐθὺς τὸ διὰ δ΄.
πρῶτος δὲ ἄλλων ὁ ς΄ ἀριθμὸς ὑπὸ τὸ αὐτὸ
καὶ ἥμισυ καὶ τρίτον ἔχει, πλευραῖς [10] δια-
φερούσαις χρησάμενος καὶ ἐναντίαις, τῇ μὲν διχαστῶν, τῇ δὲ τρι- χαστῶν ῥίζῃ, δυάδι καὶ τριάδι, ἵν᾽, ὡς τῶν
πάντη παρηλλαγμένων σύνοδος ἐγένετο,
οὕτω καὶ τὰ πάντη διαφέροντα συνάγειν καὶ
συνάδειν πεφύκῃ. ἐπεὶ δὲ ἀναγκαίως, καθὼς προείπομεν, πρὸς τού- τοις καὶ στερεὸν ἔδει καὶ σφαιρικόν γε τὸ τῆς
ψυχῆς μέγιστον εἶδος, καὶ οὔτε ἀρσενικῶς
μόνον στερεὸν οὔτε θηλυκῶς μόνον, ἀλλ᾽
ἀμφότερον (κοινὴ γὰρ ἐπίσης ἀμφοτέρου γένους ἡ ψύχωσις), ἀρτιο- περίττου τε πρῶτος διὰ τοῦτο ὁ ς΄ λόγον ἔσχε
φύσεως, καὶ τὸ κατ᾽ αὐτὸν σφαιρικόν,
ἀλλ᾽ οὐ τὸ κατὰ πεντάδα, ψυχῇ πρεπωδέστερον
ἐνομίσθη, ἅτε [20] ἀρσενόθηλυ, τοῦ ε΄ θάτερον μόνον εἶδος ἔχοντος. ἥ τε τοῦ κύβου πάλιν φύσις οὐ
μονοειδής, ἀλλὰ τριγενής, κατὰ τὸν ἕξ
φαντάζεται: τὸ γὰρ ἀπὸ ἑξαπέδου πλευρᾶς τετράγωνον συγκεφαλαίωμα ὑπάρχει τοῦ τε δυνάμει ἀρτίου
καὶ περιττοῦ, κύ- βου ἅμα καὶ τῶν κατ᾽
ἐνέργειαν ἑκατέρων, α΄ καὶ η΄ καὶ κζ΄ ὁ 19731
πρὸς ταύτῃ τῇ συνθέσει καὶ ἄλλην ἐμπεριέχων [47] ἁρμονίαν: τοῦ γὰρ ς΄ καὶ η΄ καὶ θ΄ καὶ 19 καὶ τῆς κοινῆς
ἀρχῆς, ὅ ἐστι μονάδος, ἄθροισμα πάλιν
ὑπάρχει, ἐν οἷς τὰ μουσικὰ διαστήματα μάλιστα
τεχνολογεῖται, ὡς οἰκειοτάτως καθολικὴ ἁρμονία, τὸ μὲν διὰ πασῶν διπλάσιον ἐν τοῖς ἄκροις, τὸ δὲ διὰ ε΄ ἡμιόλιον
ἐν ἀμφοτέροις τοῖς 31 ho mutato io la
virgola in punto. LA TEOLOGIA
DELL’ARITMETICA 899 re nell’essere
vivente, il caldo contrario del freddo, l’umido del secco, il pesante del leggero, il denso del rado, e,
simili, i quali cedendo l’uno all’altro
ed entrando in reciproca corrispondenza, procurano salute alla complessione del vivente, [46] giacché
essi senza un accordo armonico non
potrebbero convivere insieme; certamente tali contrari coesistono finché è presente l’anima, in
quanto questa si lega con essi, ma
quando l’anima si allontana, allora avvengono la dissoluzione e il distacco di tutto ciò che costituisce il
vivente, se appunto i suddetti principi
elementari dell'accordo armonico, cioè i rapporti emiolio ed epitrite, hanno bisogno sia di 1/2 (senza la
metà infatti non c’è rap- porto emiolio,
e neppure accordo di quinta) che di 1/3: infatti è con 1/3 che si dà assolutamente il rapporto
epitrite, insieme al quale nasce subito
l'accordo di quarta; ma il 6 è il primo fra tutti i numeri che ha in se stesso la metà e il terzo, poiché si
serve di lati diversi e contrari, cioè
della radice di ciò che è divisibile per 2 e della radice di ciò che è divisibile per 3, cioè 2 e 3, di modo che,
come c’è la convergenza di cose
assolutamente divergenti?10 cosî ci sia anche l’unione e l’accordo di cose assolutamente differenti per natura.
E poiché necessariamen- te, in base a
quello che abbiamo detto prima, occorreva inoltre anche una forma solida, e quella sferica è
certamente la forma che meglio si adatta
all'anima, ma una forma che non fosse né solo maschile né solo femminile, ma di ambedue i tipi (l'animazione
infatti è comune ugual- mente ad ambedue
i generi), e il 6 è, da questo punto di vista, il primo numero che possiede il principio della natura
pari-dispari, allora anche la sfericità
relativa al 671! che è maschio-femmina, e non quel- la relativa al 5,312 il quale ha solo l’una o
l’altra forma,313 è considera- ta più
conveniente all'anima. Anche la natura del cubo, a sua volta, è rappresentata dal 6, poiché non è
uniforme,?!4 bensi triplice:315 infat-
ti il quadrato di lato 6316 è la somma del cubo del pari e dispari
in potenza [1], e del cubo di ciascuno
dei primi pari e dispari in atto [2 e
31,317 cioè 36=1+8+27. Oltre a questa somma, contiene anche un altro rapporto armonico:318 [47] infatti 36 è
a sua volta la somma di 6+8+9+12, se si
aggiunge 1 che è il loro comune inizio, numeri in cui risiedono al più alto livello tecnico gli
intervalli musicali, in quanto
costituiscono in senso assolutamente proprio l'armonia in generale, cioè l'accordo di ottava che è il rapporto
doppio tra i due estremi, l’accordo di
quinta che è il rapporto emiolio tra i medi e gli estremi in 900 GIAMBLICO
μέσοις παρὰ μέρος πρὸς ἄκρα, ἑτέρου πρὸς ἕτερον, τοῦ ιβ΄ παρὰ τὸν μὴ συνεχῆ, ἤγουν τὸν η΄, τοῦ θ΄ οὐ πρὸς τὸν
ὄγδοον, ἀλλὰ πρὸς τὸν ς΄, τὸ δὲ διὰ δ΄
ἐπίτριτον ἐν τοῖς αὐτοῖς πρὸς τοὺς αὐτούς, ἀνάπαλιν μέντοι πρὸς τοὺς συνεχεῖς, ἐξεταζομένοις,
[10] ἀλλ᾽ οὐ πρὸς τοὺς διεχεῖς, η΄ πρὸς
ς΄ καὶ θ΄ πρὸς ιβ΄. ὅτι δὲ τούτων αἰτιωτάτη ἡ ἑξάς, δῆλον' σκοπὸς γὰρ αὕτη πᾶσιν ὑπέστη τὸν
ὑπάτης τόπον ἔχουσα, καὶ ἀπ᾽ αὐτῆς αἱ
σύμπασαι ἀποστάσεις ἐπενοήθησαν. εἰ δὲ καὶ
φυσικωτέρᾳ ἐφόδῳ. συντάττομεν τὴν τῆς ψυχῆς σύστασιν, πρὸς μὲν τριχῇ 32 διαστατόν, ἕκαστον δὲ διάστημα
πεπερασμένον ἑκατέρωθεν ἡγούμενοι δεῖν
εἶναι, δύο καθ᾽ ἕκαστον ἐπινοήσομεν πέρατα, τριῶν δὲ ὄντων EÉ ἀποτελεσθήσονται, δι᾽ ἣν αἰτίαν
καὶ αἱ λεγόμεναι σωματικαὶ περιστάσεις
τοσαῦται γίνονται καθ᾽ ἕκαστον διάστημα
δύο θεωρούμεναι, ὥστε καθ᾽ ἑξάδα καὶ οὗτος ὁ τῆς ψυχῆς [20] κυβι- σμός. μή τι καὶ διὰ τοῦτο ἕξ τε αἱ ὀρθαὶ
λεγόμεναι μεσότητες, ἃς ἀναλογίας
[τινὰς] τινὲς καλοῦσι, καὶ τοσαῦται αἱ ἁπλαῖ τοῦ ἀνίσου σχέσεις. αἷς πάντ᾽ ἐφαρμόζεται τὰ συμμετρίαν
καὶ ἀπίσωσιν ἐπιδε- χόμενα ἔν τε τοῖς
ἄλλοις καὶ ἐν αὐτῇ τῇ ψυχῇ ἄλογα μέρη. πρώτη
γὰρ ἡ ἑξὰς πυθμενικωτάτη περιέσχεν [48] ἀριθμητικὴν μεσότητα᾽ εἰ γὰρ ἐκείνη μὲν ἐν ἐλαχίστῳ α΄ BY φαίνεται,
τούτων δὲ ἦν σύστημα ἡ ἑξάς, ἀναλογιῶν
ἂν τὴν πρωτίστην δέχοιτο ἔμφασιν καὶ τὴν αὐτοῦ
τοῦ ἀριθμοῦ εἰδοποίησιν, εἵπερ τὸ ἴδιον τῆς αὐτοῦ μεσότητος εἰς ταύτην συγκεφαλαιοῦται, ἀλλὰ καὶ σκαληνοῦ N
πρωτίστη σωμάτω- σις μέχρις αὐτῆς
στερεοῦται, α΄ β΄ γ΄. ὅτι τὴν ἑξάδα ὁλομέλειαν προ- onyopevov οἱ Πυθαγορικοὶ κατακολουθοῦντες
Ὀρφεῖ, ἤτοι παρό- σον ὅλη τοῖς μέρεσιν ἢ
μέλεσιν ἴση ἐστὶ μόνη τῶν ἐντὸς δεκάδος, ἢ
ἐπειδὴ ὅλον καὶ τὸ πᾶν κατ᾽ [10] αὐτὴν διαμεμέρισται καὶ ἐμμελὲς ὑπάρχει ἑπτὰ γὰρ κινημάτων ἀστερικῶν
ὑπαρχόντων παρὲξ τοῦ τῶν ἀπλανῶν ὀγδόου
μέν, οὐχ ἁπλοῦ δέ, καὶ φθόγγους ἀποτελούντων
32 τριχῆ (sc. τριχῇ) congetturò Dodds correttamente (cf. ed. Klein
Add. p. XXVII): διχῆ. LA TEOLOGIA DELL'’ARITMETICA 901 senso alterno l’uno rispetto all’altro, cioè
12 in rapporto al numero che non gli è
prossimo, cioè 8,319 e 9 in rapporto non a 8, ma a 6,320 l'accordo di quarta che è il rapporto
epitrite tra i medi e gli estremi, ma
questa volta presi, a differenza di prima, in successione e non in alternanza, cioè 8 in rapporto a 62! e 9 in
rapporto a 12.522 E chiaro che di tutto
ciò è causa principale il numero 6: esso infatti costituisce il punto finale di tutti questi rapporti,
perché occupa il posto della ipate,32 ed
è a partire da esso che è possibile concepire tutti quanti gli intervalli. Se poi coordiniamo la struttura
dell’anima con un processo di una sua
maggiore relazione con la natura,}24 cioè in rapporto alla sua tridimensionalità, ma considerando che
ciascuna dimensione deve essere
determinata da una parte e dall’altra, concepiremo due limiti per ciascuna di esse, e di tre che
sono se ne produrranno sei, ragione per
la quale anche le cosiddette “direzioni” dei corpi sono altrettante, tenuto conto che sono due per
ciascuna dimensione, sic- ché anche tale
cubatura?25 dell’anima è regolata dal numero 6. E sono 6 anche le cosiddette medietà vere, che
alcuni chiamano proporzio- ni,326 e
altrettante sono le relazioni semplici del disuguale,32? con le quali si accordano tutte le parti
irrazionali?28 che, sia nella stessa
anima che in altro, ammettano simmetria ed uguagliamento. Il 6 è infatti il primo numero base in assoluto che
contiene [48] una medie- tà
aritmetica:29 se infatti i numeri più piccoli in cui si manifesta la medietà aritmetica sono 1, 2, 3, e d’altra parte
la somma di tali nume- ri è 6, allora
questo numero ammetterà il manifestarsi della prima pro- porzione in assoluto?30 e della prima
formazione numerica in quanto tale,331
se è vero che nel 6 si assomma la caratteristica propria della medietà numerica, ma acquista solidità anche
il processo di corpo- reizzazione
assolutamente primo del numero scaleno fino al 6, cioè 1, 2, 3.332
I Pitagorici sull'esempio di Orfeo denominavano il 6 “integrità delle membra”, o in quanto è l’unico tra i
numeri della decade in cui l’intero è
uguale alle sue parti? o membra, o perché l’intero univer- so è stato diviso in parti ed è armonico in
virtà del numero 6: essen- do 7 infatti
i movimenti astrali a parte l’ottavo proprio delle stelle fisse, che non è un movimento semplice, e
producendo quei movi- menti un uguale
numero di suoni per via del loro sibilare, è allora 902 GIAMBLICO
ἰσαρίθμους διὰ τῆς ῥοιζήσεως, ἀνάγκη τὰ διαστήματα αὐτῶν καὶ οἷον
μεσότητας ἕξ ὑπάρχειν. ταύτην φίλωσιν οἰκείως κατονομάζου- σιν’ αὕτη γὰρ
συμπλεκτικὴ ἄρρενος καὶ θήλεος κατ᾽ ἔγκρασιν, ἀλλ᾽ οὐχ ὡς ἡ πεντὰς κατὰ
παράθεσιν. καὶ εἰρήνη δὲ καλεῖται εἰκότως καὶ πολὺ πρότερον ἀπὸ τῆς διατάξεως
τῆσδε κόσμος καὶ γὰρ ὁ κό- σμος, ὥσπερ
καὶ ὁ ς΄, ἐξ ἐναντίων πολλάκις ὥφθη συνεστὼς καθ᾽ ἁρμονίαν, καὶ ἡ [20] συναρίθμησις τοῦ κόσμου
ὀνόματος ἑξακόσιά ἐστιν. ἐκάλουν δὲ
αὐτὴν ὑγείαν καὶ ἄκμονα τὴν οἷον ἀκάματον, ὅτι
εὐλόγως τὰ τῶν κοσμικῶν στοιχείων ἀρχικώτατα τρίγωνα μετέχει αὐτῆς, καθ᾽ ἕκαστον ἕξ ὑπάρχοντα, εἰ καθέτοις
τρισὶ διανέμοιτο᾽ ἑξαχῶς γὰρ ἂν πάντως
διανεμηθείη. διὰ τοῦτο τοσαῦται μὲν αἱ [49]
πυραμίδος πλευραί, τοσαῦτα δὲ καὶ τὰ τοῦ κύβου ἐπίπεδα, τοσαῦται δὲ καὶ αἱ ὀκταέδρου γωνίαι καὶ
δωδεκαέδρου βάσεις κύ- βου τε καὶ
ὀκταέδρου καὶ εἰκοσαέδρου πλευραΐ, καὶ οὐδὲν
ἀπήλλακται τοῦ ἕδραις ἢ γωνίαις ἢ πλευραῖς ἐφάπτεσθαι πάντως τῆς ἑξάδος., καὶ ἕξ μὲν ὑπὲρ γῆν, ἕξ δὲ ὑπὸ
γῆν ζώδια. ὅτι μέχρι πεν- τάδος ἡ ἀπὸ
μονάδος πρόβασις ἁπλῆ, ἀπὸ δ᾽ αὐτῆς παλινωδουμένη [καὶ]33 ἐξ ἄλλης αὖθις ἀρχῆς" ἕν γὰρ καὶ
πέντε ὁ τοῦ ἕξ συνεχής, καὶ δύο καὶ πέντε
ὁ μετ᾽ ἐκεῖνον, εἶτα τρία καὶ πέντε ἐφεξῆς, εἶτα τέσσαρα καὶ πέντε. εἶθ᾽ ὁ [10] τελευταῖος δὶς
πέντε, διὰ τὴν αὐτὴν τοῦ πέντε πρὸς
ἑαυτὴν ὑπάκουσιν. ἑκατηβελέτιν δὲ αὐτὴν καὶ τριο- δῖτιν καὶ διχρονίαν πρὸς τούτοις ἐκάλουν᾽
ἑκατηβελέτιν μὲν ἀπὸ τοῦ τὴν τριάδα, ἣν
Ἑκάτην οὖσαν παρειλήφαμεν, βολήσασαν. καὶ
οἷον ἐπισυντεθεῖσαν ἀπογεννῆσαι αὐτήν᾽ τριοδῖτιν δὲ τάχα μὲν παρὰ τὴν τῆς θεοῦ φύσιν, εἰκὸς δέ, ὅτι καὶ ἡ
ἑξὰς τὰ τρία τῶν δια- στάσεων κινήματα
πρώτη ἔλαχε, διχόθεν πεπερασμένα ἀμφοτέραις
καθ᾽ ἕκαστον περιστάσεσι᾽ διχρονίαν δὲ παρὰ τὴν ἀπονέμησιν τοῦ παντὸς χρόνου, ἣν ἑξὰς τῶν ὑπὲρ γῆν καὶ ὑπὸ
γῆν ζωδίων διατελεῖ, ἢ ὅτι τῇ τριάδι
[20] προσῳκειώθη ὁ χρόνος τριμερὴς ὦν, διὰ δὲ «δύ- o» τριῶν ἡ ἑξάς. παρὰ δὲ τὸ αὐτὸ καὶ
᾿Αμφιτρίτην ἐκάλουν αὐτήν, 33 eliminò De
Falco secondo il cod. Par. gr 2533 (cf. Miscell. Galbiati, cit., p. 168). LA TEOLOGIA DELL'ARITMETICA 903 necessario che i loro intervalli o per cosi
dire medietà siano 6. Il 6 è chiamato
propriamente “unione amorosa”, perché unisce insieme maschio e femmina?34 per mescolanza, e non
come il 5, per giustap- posizione. A
ragione è chiamato anche “pace” e, con un nome molto più antico ricavato dall’ordine delle cose di
quaggiù, “cosmo”: e infat- ti il cosmo,
come il 6, è visto spesso come composto di contrari in armonia tra loro, e la somma dei numeri
rappresentati dalle lettere del nome
κόσμος è 600.335 I Pitagorici chiamavano il 6 “salute”336 e “incudine” come dire “resistenza” [ἄκμων -
ἀκάματον], perché giu- stamente i
triangoli più principali che costituiscono gli elementi cosmici partecipano del 6, in quanto ogni
triangolo è 6, qualora venga diviso con
tre perpendicolari: risulterà diviso infatti in 6 parti in tutto.337 È per questo che sono dello stesso
ordine di grandezza?38 [49] i lati339
della piramide,340 e le facce del cubo}! e gli angoli del- l’ottaedro?42 e le basi del dodecaedro?4 e i
lati del cubo e dell’ottae- dro344 e
dell’icosaedro,345 e assolutamente nulla di ciò che attiene alla facce o agli angoli o agli spigoli <di
tali poliedri regolari> sfugge al
numero 6. 6 sono anche i segni dello zodiaco sopra la Terra e 6
quel- li sotto la Terra. La progressione da 1 a 5 è semplice,34 mentre
dal 6 in poi la pro- gressione si ripete
ma a partire da un altro inizio: il 6 infatti che è suc- cessivo al 5 è 1+5, e il 7 che è successivo
al 6 è 2+5, el’ 83+5, eil9 4+5. Poi
viene l’ultimo numero della decade [10] che è due volte 5, per via della corrispondenza del 5 con se
stesso. E inoltre i Pitagorici
chiamavano il 6 “lungi-saettante” e “triviale” e “tempo doppio”: “lungi-saettante”, perché il 3, che come
abbiamo appreso è Ecate, lo genera
scagliandolo, che è come dire sommandolo su se stesso; “tri- viale”, forse per via della natura della
dea,347 ma probabilmente anche perché il
6 è il primo numero a cui spettano i tre movimenti delle dimensioni, ciascuno dei quali ha un doppio
limite348 in ambedue le direzioni;399
“tempo doppio” [dicronia] per via della distribuzione di tutto il tempo prodotta dal 6 nei segni zodiacali
sopra e sotto la Terra,35° oppure perché
il tempo, essendo diviso in tre,}51 viene assi-
milato al numero 3, e il 6 nasce dal doppio di 3.352 Per lo stesso moti- vo i Pitagorici chiamavano il 6 anche
Anfitrite,353 in quanto presenta da
ambedue i suoi lati due 3 [᾿Αμφιτρίτη -- ἀμφὶς-τριάς]: infatti il 3 904 GIAMBLICO
ἀμφὶς ἑαυτῆς δύο παρέχουσαν τριάδας᾽ τὸ γὰρ ἀμφὶς κατὰ διχασμὸν χωρίς ἐστι. τὸ δ᾽ ἀγχίδικος ὄνομα καθ᾽ ἁπλῆν
ἔννοιαν [50] προ- σήρμοζον αὐτῇ, ὅτι
γείτων μάλιστα τῇ πεντάδι ἡ ἑξάς. Θάλεια δὲ ἡ
αὐτὴ διὰ τὴν τῶν ἑτέρων ἁρμονίαν, καὶ πανάκεια διὰ τὰ περὶ ὑγείας προειρημένα εἰς αὐτήν, ἢ οἷον πανάρκεια,
ἀρκετῶς κεχορηγημένη τοῖς μέρεσιν εἰς
τὴν ὁλότητα. ὅτι ἑπτὰ τῶν σφαιρῶν οὐσῶν κατὰ τὴν ἑξάδα τὰ διαστήματά ἐστι μονάδι γὰρ ἀεὶ
ἐλάττονα. καὶ τοῦ κύβου δέ, ὅ ἐστι τῆς
σωματότητος, ἕξ αἱ βάσεις τῶν τριῶν πέρατα οὖσαι διαστημάτων. διὰ δὲ τὴν τοῦ κόσμου κατὰ τὴν
ἑξάδα τελειότητα ἡ τοῦ δημιουργήσαντος
θεοῦ ἀρετὴ ἑξαδικὴ δικαίως [10] ἐνομίσθη:
μόνη γὰρ πασῶν ἀρετῶν θεία καὶ τελεία ὡς ἀληθῶς ἀκρότης καὶ κατ᾽ οὐδὲν μεσότητος κοινωνοῦσα ἡ σοφία
ὑπάρχει, ἕν ἁπλοῦν ἀντί- θετον ἔχουσα
μόνην τὴν αὑτῆς στέρησιν τὴν ἀμαθίαν, τῷ μήτε
ὑπερβάλλειν μήτε ἐλλείπειν οὐδὲ ἄλλης μέν τινος ἄπεστιν ἀρετῆς, ἀλλὰ συνυπάρχει πάσαις ὡς θνηταῖς, ταύτῃ δὲ
μόνῃ οὐ πλεονάζει διὰ τὴν ἑξάδος μετοχὴν
οὔτε πλέον οὔτε ἔλαττον πρὸς τὰ μέρη, ἰσό-
anta δὲ πάντως ἐχούσῃ κἀκ τούτου τελειότητα καὶ ὁλότητα, ἧ κατείληπται ὁ σοφίᾳ θεοῦ καὶ προνοίᾳ
μηχανηθεὶς κόσμος, αὐτός τε καὶ ἐπὶ
μέρους ἐν αὐτῷ φυτὰ καὶ ζῶα, ὡς κἀν τοῖς περὶ ἑβδομάδος [20] φανήσεται. καὶ νῦν δέ, ἐφ᾽ ὅσον ἑξάδι
προσῆκεν, οὕτως ὁρατέον κατ᾽ ἐπιδρομὴν
ἀπὸ μονάδος ἐν τῷ Πυθαγορικῷ ὀρθογωνίῳ
τριγώνῳ τὴν πρόοδον ποιουμένοις: μία μὲν ἡ αὐτόθεν ὀρθὴ ἐν αὐτῷ γωνία, δύο δὲ ἄνισοι μὲν ἀλλήλαις,
συναμφότεραι δὲ τῇ προλεχ- θείσῃ ἴσαι,
καθὰ καὶ τῷ ἀπὸ τῆς ἐκείνην ὑποτεινούσης τετραγώνῳ ἀμφότερα τὰ ἐφ᾽ ἑκατέρας ἀναπλασσόμενα τῶν
ἐκείνας ὑποτεινουσῶν. τρεῖς μὲν αἱ κατὰ
τὴν [51] ἐλάττονα τῶν περὶ τὴν ὀρθήν,
τέτταρες δὲ αἱ περὶ τὴν μείζονα, πέντε δὲ «αἱ» περὶ τὴν ὑποτείνουσαν, ἕξ δὲ αἱ τοῦ ἐμβαδοῦ, τουτέστιν
αἱ] τοῦ ἡμισεύ- ματος τοῦ
παραλληλογράμμου, ὅπερ ἡ τοῦ παραλληλογράμμου
περιώρισε διάμετρος. ἀπὸ γὰρ μονάδος συνεχὴς μέχρις ἑξάδος ἡ LA TEOLOGIA DELL’ARITMETICA 905 dall’uno e dall’altro lato significa che il 6
è separato per sdoppiamen- to.354 Il
fatto che il 6 sia vicinissimo al 5 fa nascere immediatamente l’idea che ad esso si adatti il nome di
“confinante di giustizia” [ἀγχί- δικος
-- ἄγχι δίκης]. [50] Il 6 era chiamato anche Talia?55 perché armonizza tra diversi, e anche “panacea”?
perché quello che abbia- mo detto sulla
salute è in rapporto al 6, o nel senso di “panarchia” [πανάκεια - πανάρκεια = piena sufficienza], in
quanto il 6 è fornito di parti
sufficienti [ἀρκετῶς] a formare l’intero.357
Essendo 7 le sfere celesti, gli intervalli sono in ragione di 6, per- ché sono sempre inferiori di un’unità.358
Anche del cubo, cioè della corporeità,
sono 6 le basi che costituiscono i confini delle sue tre dimensioni. In virti della perfezione del cosmo
dovuta al numero 6, si è creduto
giustamente che appartiene al 6 anche la virtà creativa di dio, perché la sapienza è tra tutte le virtù
l’unica divina e perfetta, in quanto è
quella più alta e non ha niente in comune con la medietà,159 avendo un unico e semplice opposto,
l’ignoranza, che è la privazione della
sapienza, e quindi opposto né per eccesso né per difetto; né la sapienza è assente da ogni altra virti, ma
coesiste con tutte le virtù in quanto
mortali,350 ed è solo grazie ad essa che il cosmo non eccede, perché quella partecipa del 6 che non è né in
più né in meno in rap- porto alle sue
parti,36! in quanto possiede assoluta uguaglianza e per- ciò perfezione e interezza, ed è da essa
pervaso in quanto congegnato in virtà
della sapienza e della provvidenza di dio, sia il mondo come tale che le sue parti, cioè piante e animali,
come si vedrà anche a pro- posito del
numero 7. Ed ora, per quanto riguarda il numero 6, ecco che cosa dobbiamo sommariamente osservare,
per quanto concerne la proprietà del 6,
quando costruiamo a partire da 1 la progressione del triangolo rettangolo pitagorico:
naturalmente c’è in esso un ango- lo
retto, mentre due sono gli angoli disuguali tra loro e la cui somma è uguale al primo angolo, cosi come è uguale
al quadrato derivante dal lato sotteso
all'angolo retto la somma dei due quadrati derivanti dai lati sottesi agli altri due angoli: 3
[51] è il numero del cateto più piccolo
dei due che formano l’angolo retto, 4 quello del cateto mag- giore, 5 quello dell’ipotenusa, quindi 6 è il
numero della superficie, cioè della metà
del parallelogramma, la quale è determinata dalla dia- gonale del parallelogramma. Infatti dall’ 1
al 6 c'è una progressione 906 GIAMBLICO
πρόοδος, ἀπὸ δὲ ἑξάδος ἐπὶ τῶν διπλασίων «καὶ τριπλασίων»3 ἡ μουσική, ἀπὸ δὲ
τούτων ἡ εἰς πάντα τὰ ὅλα διατείνουσα καθάρμο- σις, ἐπὶ δὲ γονιμότητος
ἑπταμήνων καὶ ἐννεαμήνων καὶ μᾶλλον ἐάν τε γὰρ (κατὰ τὰ ψυχικὰ δύο ἀποχετεύματα
διπλάσια καὶ τριπλά- σια) ἡ πρόβασις ἀπὸ ἑξάδος [10] διὰ δωδεκάδος χωρῇ
διπλασίως, ἐάν τε δι᾽ ὀκτωκαιδεκάδος
τριπλασίως, συμπεπλήρωται ἕκαστον
διάστημα, ὥστε δύο λαβεῖν μεσότητας, τὴν μὲν ταὐτῷ μέρει τῶν ἄκρων αὐτῶν ὑπερέχουσάν τε καὶ ὑπερεχομένην,
τὴν δὲ ἴσῳ μὲν κατ᾽ ἀριθμὸν ὑπερέχουσαν,
ἴσῳ δὲ ὑπερεχομένην, ἡμιολίων τε καὶ
ἐπιτρίτων διαστημάτων λόγους ἀναδέξασθαι, «καὶ» καθ᾽ ἑκάτερον πάντως ἡ δηλουμένη φύσεται ζωογονία᾽ ἐν μὲν
γὰρ τῷ διπλασίῳ τῷ ς΄ καὶ τῷ ιβ΄
μεσασθέντων τοῦ η΄ καὶ θ΄, (καὶ τὰ λεχθέντα τρανῶς ἀποτελεσάντων), τὸ ὁμοῦ πάντων σύστημα ὁ λε΄
ἑξάδι αὐξηθὲν ἑπτάμηνον χρόνον ἀποτελεῖ
τὸν τῶν σι΄ ἡμερῶν, ἐν δὲ τῷ ς΄ [20] καὶ
in τὰ θ΄ καὶ τὰ ιβ΄ μεσεμβοληθέντα καὶ τὴν αὐτὴν ἐναλλὰξ ἁρμονικὴν σχέσιν ἀποδόντα, συγκεφαλαιωθέντα
τὸν με΄ ἀποτελεῖ, ὃς τῇ αὐτῇ ἑξάδι
αὐξηθεὶς τὸν τῶν θ΄ μηνῶν ἀποδώσει ἀριθμόν,
ἡμερῶν ὄντα σο΄, ὥστε ἀμφοτέρους τοὺς ζωογονικοὺς τούτους χρό- νους ἠρτῆσθαι τῆς ἑξάδος, ὡς ἂν ψυχοειδοῦς. ἡ
γοῦν πρώτη παρὰ Πλάτωνι ἐν τῇ ψυχογονίᾳ
[52] μοῖρα ἑξὰς διὰ τοῦτο ὡς εὐλογιστό-
τερον τίθεται, διπλασία δὲ αὐτῆς ἡ δωδεκάς, τριπλασία δὲ ἡ ὀκτω- καιδεκὰς μέχρι τῆς ρξβ΄ ἑπτακαιεικοσαπλασίας᾽
ἐν γὰρ ταύταις ταῖς ποσότησιν ἡ τῶν δύο
μεσοτήτων ἐνορᾶται φύσις πρώταις ἐλαχί-
σταις ἥ τε τοῦ ἀνὰ μέσον ἀμφοῖν ἐπογδόονυ διαστήματος. ἐπεὶ δὲ ὁ ἀπὸ τοῦ ς΄ κύβος σις΄ γίνεται, ὁ ἐπὶ
ἑπταμήνων γονίμων χρόνος,
συναριθμουμένων τοῖς ἑπτὰ τῶν ἕξ ἡμερῶν, ἐν αἷς ἀφροῦται καὶ διαφύσεις σπέρματος λαμβάνει τὸ σπέρμα,
᾿Ανδροκύδης τε ὁ Πυθαγορικὸς ὁ Περὶ τῶν
συμβόλων γράψας καὶ Εὐβουλίδης [10] ὁ
Πυθαγορικὸς καὶ ᾿Αριστόξενος καὶ Ἱππόβοτος καὶ Νεάνθης οἱ τὰ κατὰ τὸν ἄνδρα ἀναγράψαντες σις΄ ἔτεσι τὰς
μετεμψυχώσεις τὰς αὐτῷ συμβεβηκνυίας
ἔφασαν γεγονέναι. μετὰ τοσαῦτα γοῦν ἔτη εἰς
παλιγγενεσίαν ἐλθεῖν Πυθαγόραν καὶ ἀναζῆσαι ὡσανεὶ μετὰ τὴν πρώτην ἀνακύκλησιν καὶ ἐπάνοδον τοῦ ἀπὸ ἕξ
ψυχογονικοῦ κύβου, τοῦ δ᾽ αὐτοῦ καὶ
ἀποκαταστατικοῦ διὰ τὸ σφαιρικόν, ὡς δὲ καὶ
34 l'integrazione è di Waterfield, Emend. LA TEOLOGIA DELL’ARITMETICA 907 continua,362 mentre dal 6 nasce la musica per
raddoppiamento e tri- plicazione del
6,36 e da questi ultimi viene fuori l'adattamento armo- nico che si estende su ogni cosa, e
specialmente sul parto di sette o nove
mesi: sia infatti che si passi dal 6 al 12 per un processo di dupli- cazione, sia che si passi al 18 per
triplicazione (secondo le due cana-
lizzazioni, doppia e tripla, dell’anima),?4 ciascun intervallo365 è
stato riempito in modo da ottenere due
medietà, una in cui il medio supe- ra ed
è superato di una identica frazione rispetto agli stessi estremi,36 e l’altra in cui il medio supera ed è
superato di un identico numero rispetto
agli estremi, e che tali medietà armoniche368 ammettano intervalli di rapporto emiolio ed epitrite, e
la suindicata generazione dei viventi
avverrà assolutamente secondo l’uno o l’altro di questi rap- porti: posti infatti tra 6 e il doppio 12 i
medi 8 e 9, (e chiaramente sono questi i risultati dei suddetti rapporti), la
somma di tutti i termi- ni presi insieme è 35 che moltiplicato per 6 fa il
tempo dei sette mesi, cioè 210 giorni,369 e d’altra parte posti tra 6 e 18570 i
medi 9 e 12 si ha in alternativa la relazione armonica, la somma dei cui
termini è 45, numero che moltiplicato
per lo stesso 6 dà il numero dei nove mesi,
cioè 270 giorni,}7! sicché ambedue questi tempi zoogonici dipendono dal 6, come se fossero di natura psichica. È
per questo dunque che in Platone??? la
prima porzione nella creazione dell'anima <da parte del demiurgo> è giustamente calcolata come 6
[52] e dopo <si trova> il doppio
di esso, cioè il 12, e dopo il triplo, cioè il 18 fino ad arrivare al 162 che è 27 volte 6: in tali quantità
infatti si può vedere la natura delle
due medietà?” in rapporto ai primi e più piccoli numeri, ma anche la natura dell’intervallo epiottavo tra
i due medi.374 Poiché il cubo di 6 è
216, il tempo per il parto di sette mesi, sommati ai sette mesi i 6 giorni durante i quali lo sperma
diviene spumoso acquistan- do le sue
punte di attecchimento,}75 allora il Pitagorico Androcide, autore di un libro Su? simboli, e il
Pitagorico Eubulide e Aristosseno e
Ippoboto e Neante, i quali hanno registrato le vicende della vita di Pitagora, dicono che le sue reincarnazioni
avvenivano ogni 216 anni. Dicono,
infatti, che dopo questo numero di anni Pitagora giunse al momento della sua rinascita e riprese a
vivere al compiersi del primo ciclo, per
cosî dire, e cioè al compiersi del cubo del numero 6 che è numero psicogonico, ma anche numero
ricorrente per via della sua sfericità,
e che poi rinacque un’altra volta, secondo lo stesso princi- 908 GIAMBLICO
ἄλλοτε διὰ τούτων ἀνάζησιν ἔσχεν" ᾧ καὶ συμφωνεῖ τὸ Εὐφόρβου τὴν ψυχὴν ἐσχηκέναι κατά γε τοὺς χρόνους᾽ ᾧ΄
γὰρ καὶ ιδ΄ ἔτη ἔγγι- στα ἀπὸ τῶν
Τρωικῶν ἱστορεῖται μέχρι Ξενοφάνους τοῦ φυσικοῦ
καὶ τῶν [20] ᾿Ανακρέοντός τε καὶ Πολυκράτους χρόνων καὶ τῆς ὑπὸ Ἁρπάγου τοῦ Μήδου Ἰώνων πολιορκίας καὶ
ἀναστάσεως, ἣν Φωκεῖς φυγόντες Μασσαλίαν
ᾧκησαν᾽ πᾶσι γὰρ τούτοις ὁμόχρονος ὁ [53]
Πυθαγόρας: ὑπὸ Καμβύσου γοῦν ἱστορεῖται Αἴγυπτον ἑλόντος συνῃχμαλωτίσθαι ἐκεῖ συνδιατρίβων τοῖς
ἱερεῦσι καὶ εἰς Βαβυλῶνα μετελθὼν τὰς
βαρβαρικὰς τελετὰς μυηθῆναι, ὅ τε Καμβύσης
τῇ Πολυκράτους μάλιστα τυραννίδι συνεχρόνει, ἣν
φεύγων εἰς Αἴγυπτον μετῆλθε Πυθαγόρας. δὶς οὖν ἀφαιρεθείσης τῆς περιόδου, τουτέστι δὶς τῶν σις΄ ἐτῶν, λοιπὰ
γίνεται τὰ τοῦ βίου αὐὖ- τοῦ πβ΄. τῆς
οὖν τοῦ ς΄ ἀριθμοῦ φύσεως διατεινούσης πως εἰς ψυχῆς συγγένειαν καὶ εἰδοποίησιν, συλληπτικὰ ἂν καὶ
τὰ ὑπὸ Πλάτωνος λεγόμενα εἰς τοῦτον τὸν
τρόπον [10] εὑρεθείη" τὸ γὰρ σύγκριμα, ἀφ᾽
οὗ ἡ τῆς ψυχογονίας διανομὴ καὶ τῶν μέχρις ἑπτακαιεικο- σαπλασίων μοιρῶν ἀπόστασις, ἑξαδικὸν καὶ κατ᾽
αὐτὸν ὑπάρχει εἰς οὐδὲν ἄλλο ἀπιδόντα ἢ
εἰς αὐτὴν τὴν περὶ ἑξάδος ὑφ᾽ ἡμῶν
λεχθεῖσαν ἰδιότητα. ἐπεὶ γὰρ αὕτη οὐ μόνον ἀρτιοπερίσσου τῆς μονάδος ἐναργές ἐστι πρὸ τῶν ἄλλων ὁμοίωμα,
πρωτίστη ἐναντιωνυ- μούμενα καὶ
ἀντωνυμοῦντα ἔχουσα τὰ μόρια (τρίτον μὲν β΄, ἥμισυ δὲ γ΄. ἕκτον α΄, ὅλον δὲ ς), ἀλλὰ καὶ τοῦ
πρώτου κατ᾽ ἐνέργειαν περισσοῦ καὶ τοῦ
ὁμοίως ἀρτίου σύγκριμά ἐστιν ἅμα καὶ ἥμισυ διὰ
τοῦτο μόνη ἀπὸ πάντων τῶν ἐντὸς δεκάδος, ὥστε [20] ὑπάρχειν τρανὲς τῆς ἀμερίστου οὐσίας καὶ τῆς μεριστῆς
μίγμα, ἑτερομήκης τε35 ἄντικρυς πρὸ τῶν
ἄλλων, δυάδος τοῦτο οὐκ εὐλόγως ἔχειν νομι-
ζομένης, καὶ πρὸς τούτοις στερεὸς πρῶτος ἀριθμῶν πεφώραται, καὶ εἰ σκαληνός, ἀλλ᾽ οὖν τριχῆ διαστατὸς διὰ τὰς
μεσότητας ἡ «δὲ»3ό ἐλαχίστη συμπασῶν
κατ᾽ αὐτὴν τοῖς [54] τε ἰδίοις μέρεσι τελείως
ἐξεταζομένων, εἰκότως διὰ πάντα ταῦτα τὸ κέρασμα ὁ Πλάτων συνεκεράσατο, πρῶτον μὲν τῆς τοῦ ἀμερίστου
οὐσίας, δεύτερον δὲ 35 τε De Falco
secondo il cod. Par. gr. 2533 (cf. Miscell. Galbiati, cit., 168): δὲ.
36 l'integrazione è di Waterfield, Emzend. LA TEOLOGIA DELL’ARITMETICA 909 pio;376 con questo si accorda
cronologicamente anche il fatto che
Pitagora ha assunto l’anima di Euforbo; si racconta infatti che sono passati circa 514 anni dalla fondazione di
Troia fino al tempo del filo- sofo della
natura Senofane e di Anacreonte e di Policrate, e dell’asse- dio e distruzione della Ionia da parte di
Arpago di Media, sfuggendo alla quale i
Focesi fondarono Massalia [Marsiglia]: Pitagora infatti è contemporaneo di tutti questi eventi; [53] si
racconta infatti che fu fatto
prigioniero da Cambise dopo la sua conquista dell'Egitto, dove frequentava i sacerdoti, e che passato in
Babilonia fece esperienza del-
l'iniziazione ai misteri di quei barbari; ora, Cambise visse
precisamen- te al tempo della tirannide
di Policrate, per sfuggire alla quale
Pitagora riparò in Egitto. Se dunque sottraiamo due volte il
periodo di 216 anni, rimangono 82 anni
che sono appunto quelli della sua
vita.377 Poiché dunque la natura del numero 6 si estende in qualche modo per affinità alla formazione dell'anima,
si potrà trovare di aiuto anche ciò che
in questo senso dice Platone: la combinazione numeri- ca, infatti, da cui è regolata la creazione
dell’anima e da cui deriva la
separazione delle parti fino alla moltiplicazione per 27,378 è relativa
al numero 6 anche secondo Platone, il
quale non guarda a nient'altro se non
alla stessa proprietà di cui abbiamo parlato a proposito del 6. Poiché, infatti, il 6 è il primo fra tutti i
numeri che non solo è chiara immagine
del numero pari-dispari, cioè dell’ 1, perché è il numero assolutamente primo le cui parti si
corrispondono con denominazio- ne
contraria (da un lato 1/3 è 2 e 1/2 è 3, e d’altro lato 1/6 è 1 e l’in- tero [6/1] è 6),37? ma anche perché è
combinazione380 del primo dispari in
atto [3] con il primo pari ugualmente in atto [2], ed è per- ciò l’unico numero, fra tutti quelli della
decade, che sta a metà,?8! sic- ché è
precisamente mescolanza di essenza indivisibile ed essenza divi- sibile,382 e poiché è il primo fra tutti i
numeri della decade che risulti
direttamente eteromeche, dal momento che non si può ragionevol- mente considerare il 2 come fornito di tale
proprietà,38 e poiché inol- tre si è
trovato che 6 è il primo numero solido, anche se scaleno,384 ma nondimeno per le sue medietà}8 è il
tridimensionale più piccolo tra tutti
quelli che seguono nella serie38 [54] e che si possono calcolare in modo perfetto nelle loro proprie parti,
per tutte queste ragioni Platone ha
giustamente formato quella mescolanza in cui il primo ter- mine è l’essenza indivisibile, il secondo
l’essenza divisibile, e il terzo 910
GIAMBLICO τῆς μεριστῆς, τρίτον δὲ τοῦ ἐξ
ἀμφοῖν, iva δύο ὄντα τριττὰ) καθ᾽
ἑκάτερον ὑπάρχῃ ἢ τρία κατὰ ἀντιδιαστολὴν διττά, ἴσον τῷ δὶς τρία ἢ τρὶς δύο, περισσὸν καὶ ἄρτιον καὶ
ἀρτιοπέρισσον [τετράγωνος,
ἑτερομήκης].38 ὅτι δὲ οὐδὲ ἐντὸς ἑξάδος δυνατὸν εὑρεῖν ἕτερον ἀριθμὸν τῶν τῆς ψυχῆς ἁρμονίας λόγων πάντων
ἐπιδεκτικόν, καὶ ᾿Αρισταῖος ὁ Πυθαγορικὸς
δείκνυσιν. [10] περὶ ἑπτάδος.
᾿Ανατολίου. Ὅτι ὁ ἑπτὰ ἀμήτωρ καὶ
παρθένος. ἀπὸ μονάδος συντεθεὶς τὸν κη΄
ποιεῖ τέλειον. ἡμέραι σελήνης κη΄ καθ᾽ ἑβδομάδας συμ- πληρωθεῖσαι. ἀπὸ μονάδος ἑπτὰ ἀριθμοὶ ἐν
διπλασίονι λόγῳ προ- σαυξηθέντες ποιοῦσι
τὸν πρῶτον τετράγωνον ὁμοῦ καὶ κύβον τὸν
ξδ΄, α΄ β΄ δ΄ η΄ 19° λβ΄ ξδ΄. ἐν τριπλασίονι δὲ λόγῳ προσαυξηθέντες ἑπτὰ ἀριθμοὶ ποιοῦσι τὸν δεύτερον τετράγωνον
[55] καὶ κύβον τὸν ψκθ΄, α΄ Y θ΄ κζ΄ πα΄
σμγ΄ ψκθ΄. ἔτι ἑβδομὰς ἐκ τῶν τριῶν διαστά-
σεων, μήκους πλάτους βάθους, καὶ τῶν τεσσάρων περάτων, σημείου γραμμῆς ἐπιφανείας πάχους, σῶμα δείκνυσιν. ὁ
ζ΄ λέγεται τῆς πρώτης συμφωνίας ἀριθμὸς
εἶναι τῆς διὰ δ΄ δγ, ἀναλογίας τε γεωμε-
τρικῆς α΄ β΄ δ΄. καλεῖται καὶ τελεσφόρος᾽ γόνιμα γὰρ τὰ ἑπτάμηνα. ἐν νόσοις κρίσιμος ἡ ἑβδομάς. τοῦ πρωτοτύπου
ὀρθογωνίου τριγώ- νου ὁ ζ΄ περιέχει τὰς
περὶ τὴν ὀρθὴν γωνίαν πλευράς" τῶν γὰρ
πλευρῶν ἡ μὲν δ΄, ἡ δὲ γ΄. πλάνητες ζ΄. ἑπτὰ ὁρῶμεν, σῶμα διάστασιν σχῆμα [10] μέγεθος χρῶμα κίνησιν στάσιν.
κινήσεις ἑπτά, ἄνω κάτω πρόσω ὀπίσω
δεξιὰ ἀριστερὰ [μέσον] ἐν κύκλῳ. Πλάτων ἐξ ἑπτὰ
ἀριθμῶν συνέστησε τὴν ψυχήν. πάντα φιλέβδομα. φωνήεντα ἑπτά, φωνῆς μεταβολαὶ ἑπτά. ἡλικίαι ζ΄, ὥς φησιν
Ἱπποκράτης᾽ «ἑπτά εἰ- σιν ὧραι, ἃς
ἡλικίας καλέομεν, παιδίον παῖς μειράκιον νεανίσκος ἀνὴρ πρεσβύτης γέρων’ καὶ [56] παιδίον μὲν
ἄχρις ἑπτὰ ἐτέων ὀδόντων ἐκβολῆς, παῖς
δ᾽ ἄχρι «γονῆς ἐκφύσιος, ἐς τὰ δὶς ζ΄, μειρά-
κιον δ᾽ ἄχρι γενείου λαχνώσιος, ἐς τὰ τρὶς ζ΄, νεανίσκος δ᾽ ἔστ᾽
αὖ- ξήσιος ὅλου τοῦ σώματος, ἐς τὰ
τετράκις ζ΄, ἀνὴρ δὲ ἄχρις ἑνὸς 37
τριττὰ congetturò Waterfield, Erzend.: τρίτα.
38 eliminò Waterfield, Erzend. Ma cf. anche ed. Klein Add. p.
XXVIII. LA TEOLOGIA DELL'ARITMETICA
911 l'essenza che deriva da ambedue, in
modo che da un lato 2 possa esse- re
triplicato, o dall'altro lato, inversamente, 3 possa essere duplicato, essendo il 6 uguale a 3x2 o a 2x3, dispari e
pari e pari-dispari. Che nella decade
non si possa trovare nessun altro numero che mostri tutti i rapporti dell'armonia dell'anima, lo
dichiara anche Aristeo Pitagorico.?388 Il numero 7, secondo Anatolio. Il numero 7 è senza madre ed è vergine. La
somma cumulativa da 1a7è28, che è numero
perfetto.389 I 28 giorni della Luna si compio-
no in ragione del 7.39 I primi 7 numeri a partire da 1 aumentati in rapporto doppio arrivano a 64, che è il primo
numero insieme qua- drato e cubo, cioè
1, 2, 4, 8, 16, 32, 64;39! gli stessi 7 numeri aumen- tati invece in rapporto triplo arrivano a
729, che è il secondo numero insieme
quadrato [55] e cubo, cioè 1, 3, 9, 27, 81, 243, 729.39 Inoltre il 7, essendo formato dalle 3 dimensioni,
lunghezza, larghezza e altez- za, e dai
4 limiti <della figura geometrica>, punto, linea, superficie e volume, è indice di corpo. Il 7 è detto
essere il numero del primo accordo
musicale, cioè dell’accordo di quarta, cioè 4/3, e della prima proporzione geometrica, cioè 1, 2, 4. É anche
chiamato “colui che conduce a termine”
[τελεσφόρος], perché conduce a termine il parto
di sette mesi.39 Nelle malattie 7 è momento critico. Il 7 contiene i
lati adiacenti all’angolo retto del
triangolo rettangolo prototipo,39% perché
quei lati misurano uno 4 e l’altro 3. 7 sono i pianeti. 7 sono gli
aspet- ti di ciò che vediamo: corpo,
dimensione, figura, grandezza, colore,
movimento e stasi. 7 sono le specie di movimento: in alto, in basso,
in avanti, indietro, a destra, a
sinistra e in circolo. Platone costruî l’ani-
ma con 7 numeri. Ogni cosa è amante del 7. 7 sono le vocali, 7 le modulazioni della voce. 7 sono le età della
vita come dice Ippocrate:39 «Sette sono
le stagioni <della vita>, che chiamiamo età: bambino, fanciullo, adolescente, giovane,
uomo [adulto], anziano, vecchio; e [56]
il bambino arriva fino alla dentizione, cioè all’età di 7 anni, il fanciullo fino al completo sviluppo
degli organi genitali,3% cioè verso i
due volte 7 anni, l'adolescente fino alla nascita dei peli sul mento,397 cioè verso i tre volte 7 anni, il
giovane fino alla crescita com- pleta
del corpo,5* cioè verso i quattro volte 7 anni, l’uomo fino all’età 912 GIAMBLICO
δέοντος «ἐτέων πεντήκοντα; ἐς τὰ ἑπτάκις ζ΄, πρεσβύτης δ᾽ ἄχρις ἐτέων ve”, ἐς τὰ ἑπτάκις η΄,3 τὸ δ᾽ ἐντεῦθεν
γέρων.» ἐκ τοῦ δευτέρου βιβλίου τῆς
᾿Αριθμητικῆς τοῦ Γερασηνοῦ Νικομάχου. [10] ᾿Αγελεία μὲν λέγεται ἀπὸ τοῦ συνειλῆσθαι
καὶ συνῆχθαι ἑνοειδῶς τὴν σύστασιν
αὐτῆς, ἐπείπερ παντοίως ἄλυτος, πλὴν εἰς τὸ
ὁμώνυμον, ἢ ἀπὸ τοῦ πάντα ἀγηοχέναι δι᾽ αὐτῆς τὰ φυσικὰ ἀποτελέ- σματα εἰς τελείωσιν, ἢ μᾶλλον, ὃ καὶ
Πυθαγορικώτερον, ἐπειδὴ καὶ Βαβυλωνίων
οἱ δοκιμώτατοι καὶ Ὁστάνης καὶ Ζωροάστρης ἀγέλας κυρίως καλοῦσι τὰς ἀστερικὰς [57] σφαίρας,
ἤτοι παρ᾽ ὅσον τελείως ἄγονται περὶ ἕν
τι κέντρον μόναι παρὰ τὰ σωματικὰ
μεγέθη, ἢ ἀπὸ τοῦ σύνδεσμοί πως καὶ συναγωγαὶ χρηματίζειν δογ- ματίζεσθαι παρ᾽ αὐτῶν τῶν φυσικῶν λογ«εί»ων,
ἃς ἀγέλους κατὰ τὰ αὐτὰ καλοῦσιν ἐν τοῖς
ἱεροῖς λόγοις, κατὰ παρέμπτωσιν δὲ τοῦ γάμ-
μα ἐφθαρμένως ἀγγέλους" διὸ καὶ τοὺς καθ᾽ ἑκάστην τούτων τῶν ἀγελῶν ἐξάρχοντας ἀστέρας °° δαίμονας ὁμοίως
ἀγγέλους καὶ ἀρχαγγέλους
προσαγορεύεσθαι, οἵπερ εἰσὶν ἑπτὰ τὸν ἀριθμόν,
ὥστε ἀγγελία κατὰ τοῦτο ἐτυμώτατα ἡ ἑβδομάς, μήτι δὲ καὶ [10] φυλακῖτις ἡ αὐτὴ ἐκ τοῦ αὐτοῦ" οὐ γὰρ
μόνον παρὰ τὸν τῶν φυλάκων ἀριθμὸν ἕπτ᾽
ἔσονται ἡγεμόνες, ἀλλὰ καὶ [ὅτι]: οἱ φυλάσσοντες τὸ πᾶν καὶ ἐν συνοχῇ καὶ αἰωνίῳ μονῇ
διακρατοῦντες τοσοῦτοί εἰσιν ἀστέρες.
ὅτι τὴν ἑπτάδα οἱ Πυθαγόρειοι οὐχ ὁμοίαν τοῖς ἄλλοις φασὶν ἀριθμοῖς, ἀλλὰ σεβασμοῦ φασιν ἀξίαν᾽
ἀμέλει σεπτάδα προ- σηγόρενυον αὐτήν,
καθὰ καὶ Πρῶρος ὁ Πυθαγορικὸς ἐν τῷ Περὶ τῆς
ἑβδομάδος φησί διὸ καὶ ἐξεπίτηδες τὸν ἕξ διὰ τῆς ἐκφωνήσεως τοῦ κάππα καὶ σίγμα (ταῦτα γὰρ ἐν τῷ ἕξι συνεξακούεσθαι)
ἐκφέρουσιν, ἵν᾽ ἐν τῇ συνεχεῖ καθ᾽
εἱρμὸν ἐπιφορᾷ τὸ σίγμα συνάπτηται τῷ ἑπτά.
[20] ὥστε λεληθότως ἐκφωνεῖσθαι σεπτά. τοῦ δὲ σεβάσμιον εἶναι 39 ἐς τὰ ἑπτάκις T: ci si aspetterebbe ἐς τὰ
ὀκτάκις ζ΄, cioè otto volte 7, come
giustamente dice di preferire De Falco in appar. ad loc. 40 ἢ De Falco secondo il cod. Par. gr. 2533
(cf. Miscell. Galbiati, cit., p. 168):
καὶ. 41 ho eliminato io. LA TEOLOGIA DELL’ARITMETICA 913 di 49 anni, cioè verso i sette volte 7 anni,
l’anziano fino all’età di 56 anni, cioè
fino a sette volte 8 anni, il vecchio infine va da quest’età in avanti».
Dal secondo libro dell’Aritmetica di Nicomaco di Gerasa Il numero 7 è detto “foraggiere” [dyeA£ia]39?
dal fatto che la sua composizione è
stata raccolta ed è contenuta in modo uniforme, giac- ché è assolutamente indissolubile, tranne che
nella sua parte omoni- ma [1/7], oppure
dal fatto che tutte le cose hanno portato a compi- mento ogni loro prodotto naturale per mezzo
del 7, o piuttosto — ragione ben più
pitagorica — perché anche i più illustri tra i
Babilonesi, sia Ostane che Zoroastro, chiamano le sfere celesti
pro- priamente “greggi”, [57] o perché
sono le sole grandezze corporee che si
muovono perfettamente intorno a un unico centro, oppure per- ché le loro congiunzioni, che studiate
secondo argomenti fisici pren- dono in
un certo senso anche il nome di “raggruppamenti”, nei loro discorsi sacri sono chiamate, per le stesse
ragioni, “greggi”, e con l’in- serzione
di un γ, che trasforma la parola, “angeli” [ἄγελοι - ἄγγε- λοι]; è per questo che anche gli astri o i
demoni che governano cia- scuna di
queste greggi vengono denominati parimenti “angeli” e “arcangeli”, ed essi sono 7 di numero, sicché
il 7 è in questo senso “annuncio”
[ἀγγελία] nel senso più etimologico della parola, e per la stessa ragione è chiamato anche “guardiano”:
non solo, infatti, ci saranno 7 guide
oltre al numero delle guardie,4°% ma sono altrettanti anche gli astri che fanno la guardia
all’universo e lo mantengono nella sua
continua ed eterna stabilità. I
Pitagorici affermano che il 7 non è simile agli altri numeri, bensî è degno di venerazione: difatti lo chiamavano
“settade” [centdg],401 come dice anche
Proro <di Cirene> Pitagorico nel suo libro Su/ numero 7; ed è per questo che essi
pronunziano il 6 [ἕξ = heks] accen-
tuando a bella posta i suoni x e o (sono queste infatti le lettere che
si odono insieme nella pronunzia della
lettera ἔ <di ἕξ»), in modo che, nel
pronunziare i numeri in successione senza distaccare le relative voci, il 6 si unisca a ἑπτά, con la
conseguenza che inavvertitamente
quest’ultimo verrà pronunziato certà.402 La ragione per cui il 7 è
un 914 GIAMBLICO τὸν ἕβδομον ἀριθμὸν αἰτία ne: ἡ τοῦ
κοσμοποιοῦ θεοῦ [58] πρόνο- Lo τὰ ὄντα
πάντα ἀπειργάσατο γενέσεως μὲν ἀρχὴν καὶ ῥίζαν ἀπὸ τοῦ πρωτογόνου ἑνὸς ποιησαμένη τοῦ παντὸς εἰς
ἀπόμαξιν καὶ ἀφο- μοίωσιν ἰόντος
ἀνωτάτου καλοῦ, συμπληρώσεως δὲ τελείωσιν καὶ
κατάκλεισιν ἐν αὐτῇ τῇ δεκάδι, ὄργανον δέ τι καὶ ἄρθρον τὸ κυριώ- τατον καὶ τῆς ἀπεργασίας τὸ κράτος ἀπειληφὸς
τὴν ἑβδομάδα νομι- στέον τῷ κοσμοποιῷ
θεῷ ὑπάρξαι μεσότης γάρ τις φυσικὴ καὶ οὐχ
ἡμῶν θεμένων ἡ ἑβδομὰς μονάδος καὶ δεκάδος, αἱ δὲ ἴδιαι μεσό- τῆτες κυριώτεραί πῶς τῶν ἄκρων ὑπάρχουσι᾽
πρὸς αὐτὰς32 γὰρ ἑκατέρωθεν οἱ [10]
λόγοι συννεύουσιν᾽ οὐ μόνον οὖν ὅτι, ἐπειδὴ
κατ᾽ ἀριθμητικὴν ἴσην σχέσιν μεσιτεύουσι μονάδος καὶ δεκάδος ὁ δ΄ καὶ ζ΄, ἴσον τῇ τῶν ἄκρων συνθέσει τὸ
ἀμφοτέρων αὐτῶν σύστημα παρέχοντες, dom
πλεονάζει τοῦ ἑνὸς ὁ δ΄ τοσούτῳ τοῦ δέκα ὁ ζ΄ λει- πόμενος, καὶ ἐναλλάξ, ὅσῳ [ὁ] τοῦ ι΄ ὁ δ΄
λείπεται, τοσούτῳ τοῦ α΄ ὁ ζ΄ πλεονάζων,
ἀλλὰ καὶ ὅτι τὰ μὲν ἀπὸ μονάδος μέχρι τετράδος
δυνάμει δέκα ἐστίν, ἐνεργείᾳ δὲ αὐτὸ τοῦτο ἡ δεκάς, ὁ δὲ ζ΄ ἀριθμ- ητικὴ μεσότης τετράδος καὶ δεκάδος, τρόπον
τινὰ δύο δεκάδων, τῆς μὲν δυνάμει, τῆς
δὲ ἐνεργείᾳ, ὑποδιπλάσιος ὧν τῆς ἀμφοῖν συνθέ-
σεως. ἔτι δὲ καὶ [20] ἀκρόπολίς τις ὡσανεὶ καὶ δυσχείρωτον ἔρυμα μονάδι ἀσχίστῳ κατὰ τοῦτο ἡ ἑβδομὰς ἐν τῇ
δεκάδι φαίνεται μον- ὡτάτη γὰρ οὔτε
πλάτος ἐπιδέχεται εὐθυμετρικὴ οὖσα καὶ μόνου τοῦ ὁμωνύμου ἐπιδεκτικὴ μέρους, οὔτε μὴν μιγνυμένη
τινὶ τῶν ἐντὸς δεκάδος τινὰ τῶν ἐν αὐτῇ
γεννᾷ, οὔτε μιγέντων τινῶν τῶν μέχρι
δεκάδος γεννᾶται, λόγον δὲ ἴδιον ἔχουσα καὶ [59] ἀκοινώνητον καιριώτατα τέτακται. διὸ πολλὰ συντυγχάνει ἐν
τοῖς κοσμικοῖς οὐρανίοις τε καὶ
περιγείοις, ἀστράσι καὶ ζώοις καὶ φυτοῖς, κατ᾽
αὐτὴν ἀποτελεῖσθαι᾽ τοιγαροῦν τύχη τε ὡς πᾶσι παρεπομένη τοῖς ἀποβαίνουσιν ὀνομάζεται καὶ καιρὸς ἐπὶ τούτῳ,
διότι καιριωτάτης τέτευχε χώρας καὶ
φύσεως. μέγα δὲ τεκμήριον τοῦ λόγου καὶ τὸ ἐν
ταῖς σφαίραις, ὀγδόην μὲν [τὴν] ἄνωθεν, τρίτην δὲ κάτωθεν τὴν σελ- ηνιακὴν ὑπάρχουσαν τὴν τῶν περὶ γῆν
ἀποτελεσμάτων ἀποτέλεσιν 42 αὐτὰς Dodds
(cf. ed. Klein Add. p. XXVIII): αὐτοῖς.
LA TEOLOGIA DELL’ARITMETICA 915
numero venerando, è la seguente: la provvidenza di dio, creatore
del mondo, [58] produsse tutti gli enti
traendo il principio e la radice della
loro generazione dall’Uno primogenito, giacché l’universo pro- cede a impronta e immagine della suprema
bellezza, e poiché egli poneva la
perfezione e la conclusione del realizzarsi della sua opera creativa nella stessa decade, dio creatore
del mondo dovette necessa- riamente
considerare il 7 come un suo strumento e come il nesso più dominante e la forza che assumeva il suo
proprio potere creativo: infatti per
natura, e non perché lo poniamo noi, 7 è un medio tra 1 e 10,40 e i medi sono in qualche modo più
importanti degli estremi: i rapporti
infatti inclinano da un lato e dall’altro verso i medi;1% non solo dunque, dal momento che 4 e 7 sono medi
tra 1 e 10 secondo un’uguale relazione
aritmetica, risultando la somma di ambedue que-
sti medi uguale alla somma degli estremi, di tanto 4 è superiore a 1
di quanto 7 è inferiore a 10, e
viceversa, di quanto 4 è inferiore a 10 di
tanto 7 è superiore a 1, ma anche i numeri che vanno da 1 alla
tetra- de sono potenzialmente 10, mentre
la decade è questo stesso numero in
atto, e 7 è medietà aritmetica tra tetrade e decade — giacché in un certo modo sono due le decadi, una in
potenza, l’altra in atto —, in quanto è
sotto-doppio' della somma di ambedue.4% Ancora, il 7 appare anche nella decade, come un’acropoli,
cioè come una fortezza inespugnabile,
per la sua indivisibile unità: il 7 infatti è assolutamen- te l’unico numero che non ammette larghezza,
giacché è numero lineare ed ammette una
sola parte, cioè la sua parte omonima,” né
genera alcun numero della decade per mescolanza‘ con altro nume- ro della stessa decade, né è prodotto per
mescolanza di alcun nume- ro nella
decade, ma, poiché possiede un rapporto che è suo proprio [59] e non è condiviso da altri, esso si
colloca nel posto più opportu- no.
Perciò accade che molte cose nei cieli cosmici e nelle zone intor- no alla Terra, astri e animali e piante,
siano portate a compimento secondo il
numero 7; ed è per questo che il 7 è chiamato anche “for- tuna”, perché accompagna tutto ciò che
accade, e anche “momento opportuno”,
perché ha assunto il posto e la natura più opportuni. Una prova di grande importanza di questo
ruolo del 7 è anche il fatto che tra le
sfere celesti quella della Luna, che occupa l’ottavo posto a partire dall’alto, e il terzo a partire dal
basso, porta a compimento e dà efficacia
alle influenze intorno alla Terra, perché la sfera lunare è 916 GIAMBLICO
καὶ ἐξουσίαν ἀποφέρεσθαι, μεσαίχμιον νοουμένην τῶν τε ἄνωθεν καὶ τῶν [10] κάτωθεν καὶ αὐτὴ γὰρ ἑβδομάδι
πρὸς ταῦτα ἐπι- χρωμένη φαίνεται
συλλαμβανούσης μέν πὼς ὡς ὑπασπιστοῦ τῆς
τετράδος - καὶ αὐτὴ γὰρ ἐν δεκάδι μεσότης don σὺν αὐτῇ τῇ ἑβδομάδι, «ὥστε» ἀναγκαίως τελεσιουργία καὶ
συμπλήρωσις τοῖς οὖσιν ἀποτελεῖται δι᾽
ἀμφοτέρων τῶν ἀριθμῶν, ἐπειδὴ καὶ ὁ κη΄,
τέλειος τοῖς ἑαυτοῦ μέρεσιν ὦν, ἀμφοτέρων ἐγκραθέντων ἔργον ἐστί (τετράκι γὰρ «ἑπτό») -- , συλλαμβανούσης
δὲ πολύ τι πλέον τῆς ἑβδομάδος" ἡ
γὰρ ἀπὸ μονάδος μέχρι αὐτῆς σύνθεσις ἀποτελεῖ aù- τόν. ἑπτάωροι οὖν αἱ τέσσαρες σεληνιακαὶ
φάσεις [60] ὑπάρχουσαι συμπλῃροῦσιν
εὐλόγως τὸν τοῦ ἀστέρος τούτου μῆνα, ἡμερῶν ὄντα ἔγγιστα κη΄. συλλογίσασθαι δὲ δεῖ καὶ τὰς
ἑπτὰ σχηματικὰς μορφὰς τῆς σελήνης
τετράδι, μηνοειδῆ διχότομον ἀμφίκυρτον πανσέληνον, πάλιν ἄλλην ἀμφίκυρτον, ἐκ θατέρου μέρους
φωτιζομένης αὐτῆς, καὶ πάλιν διχότομον
κατὰ ταὐτὰ καὶ ἄλλην μηνοειδῆ. διατιθέμενον
δὲ καὶ τὸν ὠκεανὸν ὑπ᾽ αὐτῆς κατὰ τοὺς ἑβδομαδικοὺς ἀριθμοὺς ὁρῶμεν. νουμηνίᾳ μὲν μέγιστος ἐν τῷ
πλημμύρειν ὁρᾶται, δευτέρᾳ δὲ βραχὺ
ὑποβεβηκώς, τρίτῃ ἔτι ἐλάσσων, καὶ κατὰ [10] τὸ ἑξῆς ἡ ἀνοίδησις τῆς πλημμυρίδος ἔτι μᾶλλον μειοῦται
μέχρι τῆς ἑβδόμης, ἥτις διχότομον τὴν
σελήνην ἐπιδείκνυσι, τὸ δ᾽ αὖ ἀπὸ ταύτης ἐν τῇ
ὀγδόῃ ἴσως πάλιν γίνεται τῇ ἑβδόμῃ, τουτέστιν ἡ αὐτὴ δυνάμει, ἐν δὲ τῇ θ΄, οἵαπερ ἐπὶ τῆς ς΄, δεκάτῃ δέ, οἵα
ἐπὶ τῆς ε΄, καὶ τῇ ια΄, οἵα ἐν τῇ δ΄, τῇ
δὲ 18, οἵα ἐν τῇ γ΄, τῇ δὲ ιγ΄, οἵα ἐν τῇ β΄, τῇ δὲ ιδ΄, οἵα ἐν τῇ α΄. εἶτα ἀπ᾽ ἄλλης ἀρχῆς ἡ τρίτη
ἑβδομὰς τὰς αὐτὰς διαθέσεις ποιεῖ τῇ
ὑδατικῇ σφαίρᾳ, ἃς ἡ πρώτη, ἡ δὲ τετάρτη, ἃς ἡ δευτέρα. τί γὰρ δεῖ νῦν ὀστρέων τε καὶ ἐγκεφάλων καὶ
μυελῶν μινύθησιν καὶ τῶν πλείστων ζώων
τὴν [20] συμπάθειαν ἐπεξιέναι τὴν πρὸς τὸ
ἄστρον τοῦτο, ὁπότε ἐξ αὐτῶν [61] τῶν τοῖς ἀνθρώποις συμβαι- νόντων αὐτάρκως δυνάμεθα πειραθῆναι περὶ τῶν
λεγομένων; πρῶτον μὲν αἱ καθάρσεις ταῖς
γυναιξὶ διὰ τῶν προλεχθεισῶν ἑβδομαδικῶν
περιόδων γίνονται, παρ᾽ αὐτὸ τοῦτο πρός τινων ἔμμηνα καὶ καταμήνια καλούμενα. εἶτα ἑπτάκις ὁ γόνος
ὡς ἐπίπαν τῷ ἄρρενι θόρνυται εἰς τὴν
γυναικείαν μήτραν, ἑπτὰ δὲ ὥραις ταῖς LA
TEOLOGIA DELL'ARITMETICA 917 concepita
come intermediaria tra quelle superiori e quelle inferio- ri;410 risulta, infatti, che la Luna per fare
questo utilizzi il 7 con la col-
laborazione del 4 che le farebbe in qualche modo da scudiero -- e infatti il 4 si è visto che nella decade è
termine medio insieme con lo stesso 7,
sicché necessariamente la realizzazione o il compimento degli enti avviene attraverso ambedue questi
numeri, giacché anche il 28, che è
numero perfetto in rapporto alle sue proprie parti,4!1 è pro- dotto della mescolanza di questi due numeri
(7x4=28 infatti) —, ma il 7 contribuisce
molto più del 4, perché la somma dei numeri da 1 a 7 fa appunto 28. Le 4 fasi lunari, dunque,
poiché sono di 7 giorni cia- scuna, {60]
compiono naturalmente il mese di questo astro, che è appunto di circa 28 giorni. Ma bisogna anche
calcolare le 7 configu- razioni della
Luna in rapporto alle sue 4 fasi: luna falcata [primo quarto], mezza luna, luna scema, luna piena,
un’altra volta luna scema, quando è
illuminata dall’altra parte, e un’altra volta mezza luna, per la stessa ragione, e un’altra volta
luna falcata [ultimo quar- to]. Ma
vediamo che anche l'Oceano è disposto dalla Luna secondo i numeri settenari: alla luna nuova [plenilunio]
esso è osservato nella sua marea più
grande, nel secondo giorno diminuisce un poco, nel terzo è ancora minore, e in seguito il
gonfiamento della marea dimi- nuisce
sempre più fino al settimo giorno, che segna la mezza luna, mentre da questo momento, nell’ottavo giorno
è di nuovo come al set- timo, cioè ha la
stessa potenza che nel settimo giorno, e nel nono gior- no è come al sesto, nel decimo come al
quinto, nell’undicesimo come al quarto,
nel dodicesimo come al terzo, nel tredicesimo come al secondo, nel quattordicesimo come al primo
giorno. Poi ricomincian- do il ciclo, la
terza settimana riproduce nella sfera acquatica le stesse condizioni della prima settimana, la quarta
settimana quelle della seconda. Che
bisogno c’è ora di passare in rassegna la diminuzione delle ostriche e dei ricci e dei mitili e
della maggior parte degli anima- li
<acquatici> e il loro rapporto simpatetico con questo astro,413
quan- do [61] noi possiamo provare ciò
che si è detto partendo dalle stesse
cose che accadono agli uomini? Anzitutto i flussi purificatori
avven- gono nelle donne secondo i
predetti cicli settenari, ed è per questo
che da alcuni sono chiamati “mestrui” o “mensuali”. C'è poi il seme del maschio che in generale affluisce sette
volte nell’utero femminile, e in sette
ore al massimo o accumula la sua parte feconda dando luogo 918 GIAMBLICO
πλείσταις ἤτοι προσπλάσσεται εἰς ζωογόνησιν τὸ νοστιμώτερον αὖ- τοῦ ἢ ἀπολισθαίνει, καθάπερ ἀμέλει καὶ
ἀντιστρόφως ἀπὸ τῆς φυσικῆς τοῦ ἐμβρύου
ὀμφαλοτομίας εἰς τὴν τῆς ἐξόδου ἐπίδειξιν
ἑπτὰ [10] ὡρῶν οὐκ ἐντὸς διάστημα avverta, ἐν αἷς συμμέτρως ἱκανὸν ἀντέχειν τὸ κύημα, οὔτε τῇ ἀπὸ τοῦ
ὀμφαλοῦ τροφῇ διακρα- τεῖσθαι ἔχον ἔτι
ὡς φυτὸν ἢ μέρος, οὔτε πω τῇ θύραθεν εἰσπνοῇ ὡς
ζῶον ἤδη ἀπροσάρτητον καὶ αὐτοτελές, ἡμέραις δὲ ἑπτὰ φύσει τινὶ ὑμενώδει ὑδροδόχῳ ὁμοιοῦται, καθάπερ καὶ ὁ
ἰατρὸς Ἱπποκράτης συναινεῖ λέγων ἐν τῷ
Περὶ παιδίου φύσεως᾽ «γυναικὸς οἰκείης ἡμῖν
μουσουργὸς ἀγαθὴ κάρτα καὶ πολύτιμος ἦν πρὸς ἄνδρας“ φοιτέου- σα, οὐκ ἔθελε δὲ λαβεῖν ἐν γαστρί, ἵνα μὴ
ἀτιμοτέρη τοῖς ἐρασταῖς εἴη. ἠκηκόει δὲ
ἡ μουσουργός, οἱάπερ αἱ γυναῖκες πρὸς [20]
ἀλλήλας λέγουσιν, ὅτι, ἐπειδὰν μέλλῃ ἡ γυνὴ συλλήψεσθαι ἐν γαστρί, οὐκ ἐξέρχεται ἡ γονή, ἀλλ᾽ ἐμμένει:
ταῦτα ἀκούσασα συνῆκε, καί που ἤσθετο
οὐκ [62] ἐξελθοῦσαν τὴν γονὴν ἅπασαν ἀφ᾽
ἑαυτῆς καὶ ἔφρασε τῇ δεσποίνῃ, καὶ ὁ λόγος ἦλθεν εἰς ἐμέ᾽ κἀγὼ ἀκούσας ἑβδομαίαν οὖσαν ἐπέτρεψα πρὸς γῆν
ὑψηλὰ πηδᾶν: ἑπτὰ δέ οἱ πεπήδητο, καὶ
ἐξῆλθεν αὐτῇ ἡ γονή, καὶ ψόφος ἐγένετο: οἷον
δὲ ἦν τὸ ἐκθορόν, ἐγὼ ἐρέω᾽ οἷον εἴ τις Mod τὸ ἔξωθεν λεπύριον περιέλοι, ἐν δὲ τῷ ἐσωτάτῳ ὑμένι τὸ ὑγρὸν
διαφαίνοιτο.» καὶ τάδε μὲν Ἱπποκράτης᾽
Στράτων δὲ ὁ Περιπατητικὸς καὶ Διοκλῆς ὁ
Καρύστιος καὶ πολλοὶ ἕτεροι τῶν ἰατρῶν ἐν μὲν τῇ δευτέρᾳ [10] ἑβδομάδι ῥανίδας αἵματος ἐπιφαίνεσθαι τῷ
λεχθέντι ὑμένι φασὶν ἐκ τῆς ἐξωτέρας
ἐπιπολῆς, ἐν δὲ τῇ τρίτῃ διϊκνεῖσθαι αὐτὰς μέχρι τῶν ὑγρῶν, ἐν δὲ τῇ δ΄ θρομβοῦσθαι τὸ ὑγρόν
φασι καὶ μέσον ὡς σαρκός τι καὶ αἵματος
σύστρεμμα ἴσχειν, δηλονότι τελεσιουργίας
τυχὸν διὰ τὴν τοῦ κη΄ τελείαν φύσιν ἢ διὰ τὴν ἐν αὐτῷ τῶν δύο περιττῶν κύβων περαινούσης οὐσίας ὑπαρχόντων
σύνθεσιν, ἐν δὲ τῇ ε΄ κατὰ τὴν λ΄
μάλιστα καὶ πέμπτην ἡμέραν διαπλάττεσθαι ἐν
μέσῳ αὐτοῦ μελίττης μὲν μεγέθει ἐοικὸς τὸ βρέφος, διατετρανωμέ- νον δὲ ὅμως, ὥστε κεφαλὴν καὶ αὐχένα καὶ
θώρακα καὶ κῶλα 43 ἀνύεται De Falco
secondo il cod. Par. gr. 2533 (cf. Miscell. Galbiati, cit., p. 168): ἀναλύεται. 44 ἄνδρας ho corretto io confrontando
Hippocr., De serz., de nat. pueri, de
morbis I 385 Κύμη: ἄνδρα. LA TEOLOGIA
DELL'ARITMETICA 919 al concepimento o
scivola via, cosî come per esempio, e in senso
inverso, dal momento del distacco naturale del cordone ombelicale dell’embrione fino a quando appare la
fuoruscita di quest’ultimo tra- scorre
un intervallo non inferiore a sette ore, durante le quali il feto conserva, relativamente alle sue condizioni
generali, una sufficiente capacità di
sopravvivenza, ma non si mantiene più con l’alimentazio- ne per via ombelicale come fosse una pianta o
una parte <della madre>, ma
neppure con la respirazione per via esterna come fosse un vivente già indipendente e
autosufficiente, e per sette giorni somi-
glia a qualcosa di natura membranosa e acquosa, e su questo è d’ac- cordo anche il medico Ippocrate quando dice
nel suo libro Sulla natu- ra del
bambino: «Una signora di mia conoscenza aveva una valente e stimata cantante che intratteneva rapporti
carnali con degli uomini, ma non voleva
rimanere incinta, per non perdere di valore presso i suoi amanti.414 Ma questa cantante aveva
inteso dire da delle donne che parlavano
tra di loro, che quando la donna sta per rimanere incin- ta lo sperma non esce fuori, ma rimane
dentro. Essa fece tesoro di ciò che
aveva udito, e una volta che si accorse [62] che non tutto lo sper- ma era fuoruscito da sé ne parlò con la sua
padrona, e il discorso arri- vò a me.
Saputa la cosa — era incinta da sette giorni —, le prescrissi di fare alti balzi sul terreno. Al settimo balzo
lo sperma le uscî fuori accompagnato da
un rumore. Ed ecco come si presentava la sostanza balzata fuori: era come se si fosse sgusciato
un uovo, e all’interno della membrana
trasparisse la parte umida».415 E queste sono le cose che dice Ippocrate; Stratone Peripatetico e
Diocle di Caristo e molti altri medici,
invece, dicono che nella seconda settimana compaiono sulla predetta membrana delle chiazze di sangue a
partire dalla superficie esterna, nella
terza settimana esse penetrano fino alle parti liquide, nella quarta settimana il liquido si
raggruma, essi dicono, e acquista nella
parte centrale come una concrezione di carne ἃ di sangue, evi- dentemente perché il feto arriva a
maturazione per la natura perfetta del
numero 28, o perché 28 contiene la somma dei <primi> due cubi dispari4!6 che sono di essenza limitante;417
nella quinta settimana, verso il 35°
giorno al più tardi, si forma nella parte centrale di quella concrezione il feto di grandezza simile a
un’ape, e nondimeno ben riconoscibile,
cioè tale che si possa vedere in esso in modo piuttosto compiuto testa e collo e torace e arti; e
cosi formato, essi dicono, è 920
GIAMBLICO ὁλοσχερέστερον [20]
φαντάζεσθαι ἐν αὐτῷ᾽ καὶ τοῦτό φασι ζ΄ μησὶ
γόνιμον εἶναι, εἰ δ᾽ ἐννέα μέλλει γενήσεσθαι, τῇ ἕκτῃ πάσχει τοῦτο ἑβδομάδι, ἂν [63] θῆλυ fi, ἂν δὲ ἄρσεν, τῇ
ἑβδόμῃ. τῆς δὲ γονιμό- τητος αἰτίαν
μάλιστα τὴν ἑβδομάδα ὑπάρχειν, δηλοῖ τὸ καὶ τὰ
ἑπταμηνιαῖα δι᾽ αὐτὴν ζώσιμα οὐκ ἔλαττον τῶν ἐννεαμηνιαίων γί- νεσθαι. διαφθείρεσθαι δὲ ὑπὸ τῆς φυσικῆς
ἀνάγκης τὰ ἀμφοῖν μέσα τεταγμένα
ὀκταμηνιαῖα, ὃ διὰ τοιούτου τινὸς ἐπιλογισμοῦ συνεβί- βαζον οἱ Πυθαγορικοί, δι᾽ ἀριθμητικῶν λόγων
καὶ διαγραμμάτων τὴν ἔφοδον ποιούμενοι᾽
τοὺς ἀπὸ τῶν δύο ἐλαχίστων ἀριθμῶν πυθ-
μένας κύβους τοῦ τε β΄ καὶ τοῦ γ΄ τὸν η΄ καὶ τὸν κζ΄ συντιθέντες ποιοῦσι τὸν λε΄, ἐν ᾧ μάλιστα συμβέβηκε [10]
τοὺς τῶν συμφωνιῶν ὁρᾶσθαι λόγους, δι᾽
ὧν ἡ ἁρμονία τελειοῦται᾽ γένεσις μὲν γὰρ
πᾶσα ἐξ ἐναντίων, ὑγροῦ ξηροῦ, ψυχροῦ θερμοῦ, ἐναντία δὲ οὐχ ὁμονοεῖ οὐδ᾽ εἰς συστασίν τινος συντρέχει
δίχα ἁρμονίας: ἁρμονιῶν δὲ ἀρίστη,
πάντων ἐπιδεκτικὴ τῶν συμφώνων λόγων, ἡ
κατὰ τὸν λε΄ ἀριθμόν, ὃς οὐ μόνον εἰς στερέωσιν καὶ τελειότητα τοῖς προλεχθεῖσι δυσὶ κύβοις τριχῆ διαστατοῖς
ἰσάκις ἴσοις ἰσάκις συμπληροῦται, ἀλλὰ
καὶ τῶν πρώτων τριῶν τελείων τῶν τοῖς ἰδίοις
μέρεσιν ἴσων, δυνάμει μὲν τοῦ α΄, ἐνεργείᾳ δὲ τοῦ ς΄ καὶ τοῦ κη΄, σύστημά ἐστι. πρὸς δὲ τούτοις καὶ τῶν τὴν
ἁρμονικὴν ἐπιδειξα- μένων [20]
πυθμενικῶς θεωρίαν τῶν τῶν συμφωνιῶν σχέσεων
ἁπασῶν, τοῦ ς΄ καὶ η΄ καὶ θ΄ καὶ 18, συγκεφαλαίωμά ἐστι, τοῦτον δὲ τὸν λε΄ ἐναρμόνιον ὄντα καὶ τελεστικώτατον
ὑπὸ πλευρῶν δύο περισσῶν περιεχόμενον
παραλληλόγραμμον, τῆς ε΄ καὶ ζ΄, ψυχογο-
νικὸν γενέσθαι, εἰ τὴν τρίτην διάστασιν τῷ ς΄ μηκυνθεὶς αὐξηθείη (ψυχῇ γὰρ οἰκειότατος ὁ ς7, προαπεδείχθη. ὅτι
ποιότης [64] μὲν καὶ χροιὰ καὶ φῶς μετὰ
τὰ σωματικὰ μεγέθη τριχῆ διαστάντα ὥφθη
κατὰ τὴν πεντάδα, ψύχωσις δὲ καὶ ἕξις ζωτικὴ κατὰ τὴν ἑξάδα διὰ τοῦτο ὠνομασμένην, τελείωσις δὲ καὶ διανόησις
κατὰ τὴν ἑβδομάδα. ὅπερ οὖν πεντάκις ἕξ
ἑπτάκις «ἢ» ἑπτάκις ἕξ πεντάκις
ἀποτελεῖται, τοῦτο δηλονότι καὶ ἐκ τοῦ πεντάκις ἑπτὰ ἑξάκις ἀπο- Bain dv: σύμπαντα δὲ σι΄, ἐν ὅσαις ἡμέραις οἱ
ἑπταμήνιοι ζωογο- νοῦνται παρὲξ τῶν ἕξ
ἡμερῶν, δι᾽ ὅσων ἡ τοῦ ὑγροφόρου ὑμένος σύ-
στασις ἐδείχθη πρώτιστα φαίνεσθαι, σὺν δ᾽ ἐκείναις κύβος ἂν εἴη [10] ἀποκαταστατικὸς καὶ σφαιρικός, ὃς
ἀποτελειοῦται τοῖς οἰκεί- LA TEOLOGIA
DELL’ARITMETICA 921 vitale se nasce di
sette mesi, se nascerà invece di nove mesi, questa for- mazione l’assume nella sesta settimana, [63]
se femmina, o nella set- tima, se
maschio. La vitalità del bambino, essi dicono, dipende soprattutto dalla settimana: è chiaro anche
che i bambini che nasco- no di sette
mesi sono meno capaci di vivere di quelli che nascono di nove mesi, mentre il fatto che il parto di 8
mesi, che ha un posto inter- medio tra i
due,418 si conclude con la morte del bambino deriva da necessità naturale, ed è un evento che i
Pitagorici, procedendo con calcoli
aritmetici e con diagrammi, dimostravano per mezzo di un ragionamento di questo tenore: sommando i
cubi base a partire dai due numeri più
piccoli, 2 e 3, cioè i numeri 8419 e 27,420 si ottiene 35,421 numero nel quale soprattutto accade di
vedere i rapporti degli accordi
musicali, con cui si costruisce l'armonia: ogni nascita, infatti, deriva da contrari, ad esempio umido-secco,
freddo-caldo, e i contra- ri non si
accordano né convergono nel costituire qualcosa se non sono in armonia tra loro; d’altra parte la
migliore armonia, che ammette tutti i
rapporti sinfonici, è quella che si ottiene secondo il numero 35, il quale non solo trova la sua composizione
solida e perfetta nei sud- detti due
cubi estesi in tre dimensioni un uguale numero di volte uguali un uguale numero di volte,422 ma è
anche combinazione dei tre primi numeri
perfetti, uguali nelle loro proprie parti, e cioè l’ 1 che è perfetto in potenza, e il 6 e il 28 che sono
perfetti in atto.42 Inoltre il 35 è la
somma globale di tutte le relazioni degli accordi musicali che mostrano la teoria armonica al livello
basale, cioè 6, 8, 9, 12, e si è
dimostrato in precedenza”24 che questo numero 35,25 che è un paral- lelogramma‘26 armonioso e sommamente
iniziatico, circoscritto da due lati
dispari, 5 e 7,47 è numero psicogonico, se viene accresciuto e allungato alla terza dimensione mediante il
6428 (il 6 infatti è il nume- ro più
appropriato all’anima). Qualità [64] e
pellicola e luce, che accompagnano le grandezze
corporee tridimensionali appaiono in virti del numero 5,
l’animazio- ne e la natura [ἕξις] vitale
in virtà del numero 6, chiamato cosi [ἑξάς]
appunto per questa ragione,29 e la perfezione e il pensiero in virti
del numero 7. Ebbene, 6x5x7 o 6x7x5, dà
evidentemente lo stesso risul- tato di
7x5x6: in tutto fanno 210, tanti quanti sono i giorni in cui si compiono i parti di sette mesi, senza contare
i 6 giorni, durante i 922 GIAMBLICO og μέρεσιν ἴσος, tod ἕξ ψυχικοῦ ἀριθμοῦ. καὶ
Διοκλῆς δὲ ἑξαπλασιασθέντων τῶν λε΄
γίνεσθαί φησι στερεὸν τὸν σι΄, ὅσαιπέρ
εἰσιν εἰς τοὺς ἑπτὰ μῆνας ἡμέραι τοὺς τριακονθημέρους. Ἱπποκράτης dé: «τὰ ἐν ο΄ ἡμέραις κινούμενα,
φησίν, ἐν τριπλασίῃσι τελειοῦται» καὶ
κατὰ τοῦτον γὰρ αἱ μὲν ο΄ τριπλασιασθεῖσαι τοῦ
σι΄ ποιητικαί εἰσιν, αἱ δὲ dl’ τοῦ σο΄, ἑπταμήνου καὶ ἐννεαμήνου. ὅτι καὶ τὰ σπέρματα πάντα ὑπὲρ γῆν
ἀναφαίνεται δι᾽ ἑβδόμης μάλι- στα ἡμέρας
ἐκφνόμενα, καὶ ἑπτάκαυλα ὡς ἐπίπαν τὰ πλεῖστα γίνε- ται, τά τε βρέφη, ὥσπερ ἐσπάρη τε καὶ κατὰ
[20] γαστρὸς ἑβδομάδι διῳκήθη, οὕτω καὶ
μετὰ τὴν γένεσιν ἑπτὰ μὲν ὥραις τὴν κρίσιν
ἴσχει τοῦ ζῆν ἢ μή ἐμπνέοντα γὰρ πάντα τῆς μήτρας ἐξέρχεται τὰ τελεσφόρα καὶ οὐ νεκρὰ ἀποκυηθέντα, [65] πρὸς
δὲ τὴν τοῦ ἀναπ- νεομένου ἀέρος παραδοχήν,
ὑφ᾽ οὗ τονοῦται τὸ τῆς ψυχῆς εἶδος,
κρισιμωτάτῃ βεβαιοῦται τῇ ζ΄ ὥρᾳ ἐπὶ θάτερον, ἢ ζωὴν ἢ θάνατον. ἑπτὰ δὲ μησὶν ὀδοντοφυεῖ, δὶς δὲ ἑπτὰ
ἀνακαθίζει καὶ ἕδρας ἀκλι- νοῦς
τυγχάνει, τρὶς δὲ ἑπτὰ διαρθροῦν ἄρχεται τὸ φθέγμα καὶ λαλεῖν τὰς πρώτας ὁρμὰς ἐπιβάλλεται, τετράκις
δὲ ἑπτὰ ἵσταται μὴ σφαλλόμενα καὶ
διαβαίνειν ἐπιχειρεῖ, πεντάκις δὲ ἑπτὰ παύεται
τῆς τοῦ γάλακτος τροφῆς φυσικῶς ἀποδιατιθέμενα. ἑπτὰ δὲ ἔτεσιν ἀποβάλλει τοὺς φυσικοὺς ὀδόντας καὶ ἀναφύει
τοὺς πρὸς τὴν [10] σκληρὰν τροφὴν ἐπιτηδείους,
δὶς δὲ ἑπτὰ ἡβάσκει καὶ ὥσπερ
διηρθρωμένως ἔτυχε τοῦ παντὸς προφορικοῦ λόγου ἐν τῇ προτέρᾳ τῶν ἐτῶν ἑβδομάδι, τοσούτων φύσει ὑπαρχόντων
καὶ τῶν εἰς τὸ τοιοῦτον ἐπιτηδείων ἁπλῶν
φθεγμάτων, οὕτως ἀρχεται ταῖς τοῦ
ἐνδιαθέτου ἐπιβάλλειν διαρθρώσεσιν, καθὸ λογικὸν ἤδη ὑπάρχει ζῶον, ἑπτὰ κατὰ πολλοὺς τῶν φιλοσόφων
ὑπαρχουσῶν τῶν τὸ λογι- κὸν συνασκουσῶν
αἰσθήσεων καὶ τότε μάλιστα συμπληρουμένων᾽
πρὸς γὰρ ταῖς τεθρυλλημέναις πέντε ἔτι καὶ τὴν φωνητικὴν καὶ σπερματικὴν καταριθμοῦσιν ἔνιοι, αὕτη δὲ τότε
συμπληροῦται αὐ- τοῖς, ὅτε τὸ
σπερματικὸν [66] φυσικῶς ἅπασι κινεῖται, ἄρρεσι μὲν LA TEOLOGIA DELL'ARITMETICA 923 quali, come si è mostrato, appare anzitutto
il costituirsi della membra- na umida,
ma insieme a questi 6 giorni il numero diventerà il cubo ricorrente e sferico del numero psichico 6,
cubo che risulta essere uguale alle sue
proprie parti.430 Anche Diocle dice che moltiplicando per 6 il numero 335 si ha il numero solido?!
210, cioè tanti quanti sono i giorni per
arrivare ai 7 mesi di 30 giorni ciascuno. Ippocrate? da parte sua dice: «Le cose che si muovono in 70
giorni, si compiono in numero triplo»: e
infatti, secondo questo criterio, il triplo di 70 fa 210, e il triplo di 90 fa 270, che sono
rispettivamente i giorni dei parti di 7
e 9 mesi. Tutti i semi che germogliano
sulla terra spuntano al più tardi il set-
timo giorno, e per la maggior parte hanno al massimo 7 steli, e i
feti, come sono generati e regolati
nell’utero in funzione del numero 7,
cosî anche dopo la nascita raggiungono nelle 7 ore il momento
criti- co per sopravvivere o no: infatti
tutti quelli che sono partoriti già
maturi e non morti, escono dall’utero respirando, [65] ma in rappor- to all’aria ricevuta con la respirazione, e
destinata a tonificare il prin- cipio
vitale che è l’anima, solo alla settima ora, che è la più critica, essi si assicurano una delle due possibilità,
o sopravvivere o morire. A 7 mesi i
bambini fanno la dentizione, a due volte 7 mesi possono stare seduti con la schiena dritta e senza
vacillare, a tre volte 7 mesi comin-
ciano ad articolare la voce e fare i primi tentativi di parlare, a
quattro volte 7 mesi stanno ritti senza
cadere e tentano di camminare, a cin-
que volte 7 mesi, svezzandosi naturalmente, cessano di nutrirsi di latte. All’età di 7 anni perdono i denti
naturali e vedono crescere quel- li
idonei all’alimentazione secca,433 e a due volte 7 anni entrano nella pubertà e cosî come al compimento dei primi 7
anni erano capaci di articolare ogni
forma di discorso verbale, poiché sono appunto 7 per natura anche le voci semplici idonee a questo
scopo, allo stesso modo ora cominciano
ad articolare il discorso interiore, grazie al quale il vivente è già razionale, poiché sono appunto
7, secondo molti filoso- fi, i sensi che
concorrono all'esercizio della facoltà razionale e che in quest’età giungono al loro massimo
compimento: oltre ai cinque sensi ben
noti, infatti, alcuni annoverano anche il senso della parola e il senso procreativo, e quest’ultimo matura
nei viventi appunto nel- l’età in cui la
facoltà di procreare [66] entra in funzione in tutti natu- 924 GIAMBLICO
διὰ γονῆς, θηλείαις δὲ δι᾽ ἐμμήνου καθάρσεως" διόπερ ζωογον- ητικῆς ἐπιτηδειότητος τότε μόνον κατάρχονται,
καὶ Βαβυλωνίοις οὐδὲ θρησκεύονται οὐδὲ
τῆς αὐτῶν ἱερατικῆς σοφίας μετέχουσιν,
ἀλλ᾽ ἀποκλείονται τῶν ἐνταῦθα μνημάτων ἐντὸς τούτου τοῦ χρόνου. ἐπεὶ δὲ καὶ τίκτειν τῷ ἑξῆς ἔνεστι χρόνῳ καὶ
ἀνθ᾽ αὑτῶν ἀμείβειν εἰς τὴν κοσμικὴν
συμπλήρωσιν ἄνθρωπον, εἰκότως γενεὰν τὴν συμ-
μετροτάτη5 οἱ ποιηταὶ τὴν τριακονταετῆ τίθενται, ἐν ἣ τέκνον ἔστιν ἰδεῖν᾽ καὶ κατὰ τὴν ἐν τριάδι τελείωσιν
διὰ τριῶν ἡ [10] δια- δοχὴ συγκλείεται
διὰ πατρός, υἱοῦ, ἐγγόνου. τῇ δὲ τρίτῃ ἑβδομάδι
συλλήβδην καὶ τὴν ἐπὶ μῆκος αὔξησιν ἀπολαμβάνει, τῇ δὲ τετάρτῃ τὴν ἐπὶ πλάτος τελειοῦται, καὶ οὐδεμία ἄλλη
αὐτοῖς ἀπολείπεται σώματος ἐπίδοσις"
τέλειος γὰρ ὁ κη΄. τῇ δὲ ε΄ κατὰ τὸν ἁρμονικὸν
ἀποδειχθέντα τὸν λε΄ καὶ ἡ κατὰ ἰσχὺν πᾶσα ἐπίδοσις ἀποστραγγί- ζεται καὶ οὐκέτι οἷόν τε ἑαυτοῦ ἰσχυρότερον
μετὰ ταῦτα τὰ ἔτη γενέσθαι. διὰ τοῦτο οἱ
ἀθληταὶ τοσούτων γενόμενοι οἱ μὲν ἤδη
νενικηκότες πλέον τι πρᾶξαι οὐ προσδοκῶσιν, οἱ δὲ μήπω καταλύ- ουσι. καὶ αἱ τῶν βελτίστων πολιτειῶν
νομοθεσίαι μέχρι μὲν ταύτης στρατεύεσθαι
[20] ἀναγκάζουσιν, εἰσὶ δὲ καὶ αἱ μέχρι τῆς μετ᾽ αὐτήν, τὸ δὲ μετὰ τοῦτο στρατηγεῖν μέν,
οὐκέτι δὲ στρατεύεσθαι συγχωροῦσιν. τὸ
δὲ κεφάλαιον. ὅταν ὁ τῆς δεκάδος λόγος τῷ τῆς
ἑβδομάδος κερασθῇ καὶ δεκάκις ἑπτὰ γένηται, τότε πάντων ἔργων ἀφετέον [67] τῷ ἀνθρώπῳ, καθοσιωτέον δὲ τῇ
τῆς λεγομένης εὐδαι- μονίας ἀπολαύσει.
ὅτι εἰ46 τέσσαρα τὰ πάντα στοιχεῖα, τρεῖς δὲ
αὐτῶν ἀναγκαίως αἱ μεταξύτητες, ἑβδομὰς ἂν κἀνταῦθα ἐπικρατοίη τῶν ὅλων: διὸ καὶ Λίνος ὁ θεολόγος ἐν τῷ Πρὸς
Ὑμέναιον δευτέρῳ θεολογικῷ φαίνεται
λέγων «τέσσαρες ἀρχαὶ ἅπασι τρισσοῖς
δεσμοῖς κρατοῦνται.» πῦρ μὲν γὰρ καὶ γῆ συνηρμόσθησαν ἀλλήλοις κατὰ τὴν γεωμετρικὴν ἀναλογίαν᾽ ὃ πρὸς ἀέρα
γῆ, τοῦθ᾽ ὕδωρ πρὸς πῦρ, καὶ ἀνάπαλιν ὃ
πρὸς ἀέρα πῦρ, τοῦθ᾽ ὕδωρ πρὸς γῆν, καὶ τὸ
ἐναντίον᾽ τῶν δὲ [10] τοιούτων ἑνωτικαί πως αἱ ἁρμονίαι, μεταξὺ δὲ ἀέρος καὶ πυρὸς πειθώ: κατ᾽ ἔφεσιν γὰρ καὶ
ἀπόμαξιν ἀφομοιοῦται 45 συμμετροτάτην De
Falco [cf. RFIC 14 NS (1936) 376]: συμμετρό-
ma. 4 gi De Falco [cf. RFIC 14 NS
(1936) 376]: cf. ed. Klein Add. p.
XXVIII, dove erron. trovo scritto 76,2 invece che 67,2): εἰς. LA TEOLOGIA DELL'ARITMETICA 925 ralmente, nei maschi per mezzo del seme
fecondativo, nelle femmine per mezzo
della mestruazione; perciò solo allora ha inizio la loro atti- tudine a generare esseri viventi, e presso i
Babilonesi prima di questa età non
possono né esercitare le azioni di culto né partecipare della loro sapienza sacerdotale, ma sono interdetti
dalle iniziazioni che vi si praticano. E
poiché nell’età successiva ai quattordici anni è possibile anche avere figli e sostituire a se stessi un
altro uomo perché si com- pia l’ordine
cosmico, giustamente i poeti stabiliscono che la misura più giusta di una generazione è quella di 30
anni, età in cui è possibi- le vedere un
figlio <del figlio>:4?5 anche in virti della perfezione del numero 3 la successione generazionale si
completa per mezzo di 3 uomini: padre,
figlio e nipote. In generale nel terzo settennio l’uomo compie la sua crescita in lunghezza,46 nel
quarto in larghezza,” e non gli resta da
fare nessun'altra crescita:438 28,439 infatti, è numero perfetto. Nel quinto settennio, in virtà del
manifestarsi dell’armonico numero 35,440
finisce anche ogni crescita di vigore fisico e negli anni successivi, quindi, non è pit possibile
divenire più forti di quanto si è. E per
questo che tra gli atleti che hanno questa età, alcuni che abbiano già conseguito delle vittorie non si
aspettano di fare qualche cosa di più,
anche se altri non smettono ancora. Anche le legislazioni delle migliori città costringono al servizio
militare entro questa età — ma ce ne
sono anche di quelle che lo prescrivono fino all’età succes- siva —, e dopo i 35 anni accordano che si
faccia il comandante milita- re, ma non
più il soldato. Quando, infine, il rapporto del 10 si mesco- la con quello del 7 dando luogo a 10 volte
7,441 allora l’uomo dovrà smettere ogni
sua attività pratica, [67] e consacrarsi a ciò che si chia- ma “felicità”. Se gli elementi sono in tutto 4, e i loro
intervalli sono necessaria- mente 3,
allora anche in questo caso sull’universo*? dominerà il 7: perciò anche Lino il teologo [l’Orfico] nel
suo secondo libro sulla teologia
intitolato A Irzeneo dice: «Quattro principi sono dominati da tre vincoli in tutto». Fuoco e terra,44
infatti, sono connessi tra loro secondo
una proporzione geometrica: come la terra sta all’aria, cosi il fuoco sta all’acqua, e inversamente come il
fuoco sta all’aria, cosi l’ac- qua sta
alla terra, e viceversa; i rapporti armonici tra questi elementi sono in qualche modo unitari, e tra aria e
fuoco c'è obbedienza: le 926
GIAMBLICO τὰ ἀπὸ ἀέρος μέχρι γῆς τοῖς
οὐρανίοις καὶ dei κατὰ τὰ αὐτὰ ὡσαύτως
ἔχουσι, πειθόμενά πως καὶ ποδηγούμενα τῇ τοῦ ἀρχεγόνου καὶ πάντα ἕλκοντος ἐφ᾽ ἑαυτὸ κάλλους φύσει.
ὅτι πρὸς τοῖς ἄλλοις τῇ ἑβδομάδι ὑπάρχει
τὸ κρισιμωτάτην εἶναι αὐτήν, ὥσπερ ἐν τῇ
κυοφορήσει καὶ ἐν ταῖς τῆς ἀνατροφῆς ἡλικίαις, οὕτω δὲ καὶ ἐν ταῖς νόσοις καὶ ταῖς ὑγείαις διὰ τὸ συγγενεστάτην
αὐτὴν καὶ ὁμόφυτον εἶναι τῇ τοῦ ἀνθρώπου
κατασκευῇ σπλάγχνα τε γὰρ τὰ λεγόμενα
μέλανα ἑπτὰ κατ᾽ αὐτὴν ἐμπέφυκεν ἡμῖν, [20] γλῶττα, καρδία, ἧπαρ, πνεύμων, σπλήν, νεφροὶ δύο, καὶ τὰ [68] καθολικὰ
μέρη τοσαῦτα, ἅπερ ἐστὶ κεφαλή, θώραξ,
χεῖρες δύο, πόδες δύο καὶ αἰδοῖον" κατὰ
μέρος δὲ διατρήσεις ἐν μὲν τῷ προσώπῳ ζ΄, ὀφθαλμῶν β΄, ὠτῶν β΄, ῥινῶν β΄, στόματος α΄, τά τε πνοὴν καὶ τροφὴν
διαφέροντα ζ΄, φάρυγξ, στόμαχος, γαστήρ,
ἔντερον, μεσεντέριον, κύστις καὶ τὸ πρὸς τῇ
ἕδρᾳ, ὅ τινες ἀρχὸν καλοῦσιν. ὅτι μηδενὸς τρέφοντος ἐνεθέντος ζ΄ ἡμέρας οἷόν τε ζῆν. καὶ ἐν γεωμετρικαῖς
σκέψεσιν ἑπτὰ εἴδη τῶν παρ᾽ αὐτοῖς
ἀρχῶν, σημεῖον γραμμὴ ἐπιφάνεια γωνία σχῆμα στε- ρεὸν ἐπίπεδον, καὶ ἑπτὰ «τὰ» τῶν στοιχειωτῶν
ἐξετάσεις [10] ἐπι- δεχομένων
πληροῦνται᾽ τριγώνου γὰρ γωνίαι τρεῖς καὶ πλευραὶ ἴσαι καὶ αὐτὸ τὸ ἐμβαδὸν ἕν. πολὺ δὲ πλέον
καὶ ὅτι τὰ σημειωτικὰ δι᾿ ἑβδομάδος
κρατύνεται ἢ ἐπὶ τὸ νοσερὸν ἢ ἐπὶ τὸ ὑγιεινὸν
pérovta' εἰς γὰρ τὴν ἑβδόμην ἡμέραν μόνην τῶν ἐντὸς αὐτῆς οἱ πυρεκτικοὶ πάντες τύποι συναντῶσι᾽ διὸ καὶ
κρίσεως ἐνταῦθα τυγ- χάνουσιν. ὁ δὲ τῆς
ἀποδείξεως τρόπος ἁπλοῦς εἰκὼς τῷ «τῶν» προ-
βραχέος ἀπὸ μονάδος παντοίων ἀναλόγων ἐκθέσεων ἰδιώματι, ἐν ᾧ κύβων μὲν ἅμα καὶ τετραγώνων ἡ α΄ καὶ ζ΄ χώρα
μόνη ἐπιδεκτικὴ ἡμῖν ἐφάνη, τετραγώνων
δὲ μόνων ε΄ καὶ γ΄, «κΑὐβων δὲ μόνων δ΄,»48 β΄
καὶ ς΄ οὐδετέρων, ὡς οὐδὲ τριταίου [20] οὐδὲ τεταρταίου ἐν τοῖς πυρεκτικοῖς τύποις. ἰδοὺ γὰρ τοῦ μὲν
λεγομένου τριταίου τετραγώνῳ μάλιστα
ὁμοιουμένου διὰ τὸ [69] «ἐξ». ἐπιπέδων
τριγώνων κατάρχειν, ὧν τὸ συμμετρότατον τετράγωνον ἰσότητα ὀρθογωνίου καὶ πλευρῶν ἔχει, καὶ πρὸς αὐτὸ
εὐθύνεται, ἀλλὰ παρὰ 47 ἐξετάσεις:
meglio ἐκτάσεις (estensioni) che è congettura di Ast. Cf. appar. ad loc. 48 sospettò si dovesse aggiungere Waterfield,
Erzend. 49 aggiunse Waterfield,
Erzend. LA TEOLOGIA DELL'ARITMETICA 927 cose che vanno dall’aria fino alla terra,
infatti, imitano i corpi celesti per
desiderio e impronta e restano sempre allo stesso modo e nello stesso rapporto, obbedendo in qualche modo e
lasciandosi guidare dalla natura della
bellezza primigenia che attrae a sé ogni cosa.
Fra le altre proprietà il numero 7 ha quella di essere il numero
più critico, nella gravidanza e nelle
varie fasi dell’età evolutiva, cosi come
nelle malattie e nelle guarigioni, perché 7 è il numero pit
congeniale e connaturale alla
costituzione dell’uomo: e infatti le nostre cosiddet- te “viscere nere” sono per natura 7: lingua,
cuore, fegato, polmone, milza e due
reni, [68] e altrettante sono le parti del corpo in genera- le: testa, torace, due braccia, due gambe e
l’organo sessuale; anche gli orifizi
della faccia, presi uno alla volta, sono 7: due per gli occhi, due per gli orecchi, due per il naso e uno per la
bocca, e 7 sono gli orga- ni che portano
la respirazione e l’alimentazione: gola, esofago, stoma- co, intestino, mesenterio, vescica e ano, che
alcuni chiamano “retto”. È possibile
vivere 7 giorni senza a ingerire alcun alimento. Anche nelle relazioni geometriche sono in tutto 7
le specie dei loro principi: punto,
linea, superficie, angolo, figura, volume, piano, e 7 quelle dei principi più elementari‘ che ammettano
investigazioni:4 il triango- lo infatti
ha tre angoli, tre lati e un’area.446
Molto più sono dominati dal numero 7 i sintomi che inclinano o alla malattia o alla salute: solo verso il
settimo giorno, infatti, e non prima si
presentano tutti i tipi di febbre, e perciò essi acquistano a quel punto carattere critico. Questo loro
modo di manifestarsi si può
semplicemente e in breve dimostrare per somiglianza con la proprie- tà delle varie esposizioni proporzionali a
partire da 1, dove si vede che solo il
primo e il settimo posto contengono insieme cubi e quadrati, il quinto e il terzo solo quadrati, il quarto
solo cubi, il secondo e il sesto né
quadrati né cubi, proprio come tra le febbri tipiche tali posti non contengono né la terzana né la quartana.47
Infatti, della suddetta feb- bre terzana,
che somiglia soprattutto a un quadrato -- [69] perché un quadrato ha origine da triangoli piani, nella
cui uguaglianza di angoli retti e di
lati risiede il quadrato assolutamente commisurato —,448 ed è quindi regolata in rapporto al quadrato, ma
si manifesta comunque 928 GIAMBLICO μίαν πάντως ἐπισημαίνοντος, α΄ τε καὶ γ΄ καὶ
ε΄ καὶ ζ΄ μετέχουσιν ἀπ᾽ ἀλλήλων οὖσαι
τρίται καθὰ καὶ τετραγωνισμοῦ ἐν πάσαις ταῖς
ἀνάλογον ἐκθέσεσιν ἰσοταγεῖς χώρας τεταρταίου δὲ καὶ τῷ κύβῳ παραπεμφθέντος διὰ τὴν πανταχόθεν ἑδραιότητα
κἀκ τῶν ἕξ βάσεων τετραγώνων εὐσταθὲς α΄
καὶ δ΄ καὶ ζ΄ κοινωνοῦσι παρὰ γὰρ δύο
ἐπισημαίνει ὁ λόγος, ὥστε διὰ τετάρτης ἀπαντᾶν ἡμέρας, ὡς ἐν ταῖς [10] αὐτῶν ἀνάλογον ἐκθέσεσιν εἰς τὰς
τετάρτας πάντως οἱ κύβοι ἀποτελοῦνται
χώρας; τοῦ δὲ λεγομένου ἡμιτριταίου φύσιν μὲν ἰδί- αν οὐκ ἔχοντος, παρὰ δὲ τὸν τριταῖον
μορφουμένου, ἀπαντῶντος δὲ αὐτοῦ ἐν δυσὶ
νυχθημέροις, τουτέστιν ὥραις μη΄, ἀεὶ μέντοι τρεῖς ὥρας ὁρίζοντος εἰς ὁποτερονοῦν, ἤτοι λῆψιν ἢ
ἄνεσιν, τὸ δὲ λοιπὸν ἕν δωδεκάωρον εἰς
τοὐναντίον, παρὰ μέντοι τὸ θᾶττον ἢ βράδιον
αὐτὰ ταῦτα ἀποδιδόναι ἤτοι μεγάλου ἡμιτριταίου λεγομένου ἢ μικροῦ ἢ μέσου πρὸς τὰς παρ᾽ ἑκάτερον
παρολκὰς ἢ παρεκτάσεις, μεθέξει μὲν ἡ
τῆς δευτέρας ἡμέρας δευτέρα δωδεκάωρος ἐπισημαν- θεῖσα τῆς δὲ [20] τετάρτης ἡ προτέρα
δωδεκάωρος καὶ τῆς ἕκτης ἡ ἀρχή, ὥστε
πάλιν ἀπάντησιν εἰς τὴν τῆς ἑβδόμης ὑστέραν γενέσθαι καὶ τρόπον τινὰ τὴν ἑβδόμην ἐοικυῖαν εἶναι τῇ
πρωτίστῃ κατὰ πάν- Ta’ πάντων γὰρ ἁπλῶς
τῶν ἐντὸς διαστήματος τεταρταϊκοῦ τύπων
ἀμφότεραι μόναι μετέχουσαι, ἡ μὲν γεννητική, ὡς εἰπεῖν, [70] αὐτῶν ἔσται, ἡ δὲ κριτικὴ καὶ οἷον
δοκιμαστική, τῶν δ᾽ ἀνὰ μέσον πασῶν
οὐδεμία πάντων μετέχει πλὴν ἀφημερινοῦ, οὗπερ ἀναγκαίως καὶ ζ΄ καὶ α΄ κοινὴ γὰρ αὕτη ἐπισημασία μόνη,
ὥσπερ καὶ τῶν ἐκ- κειμένων διαγραμμάτων.
αὕτη ἡ πολλαπλασιότης κοινὸν πάντων
στίχων παρακολούθημα, ἀλλὰ διαφεύγει δευτέρα μὲν τριταῖον καὶ τεταρταῖον, μετέχει δὲ ἀφημερινοῦ καὶ
ἡμιτριταίου᾽ τρίτη δὲ δια- φεύγει μὲν
ἡμιτριταῖον καὶ τεταρταῖον, μετέχει δὲ ἀφημερινοῦ καὶ τριταίον᾽ τετάρτη δὲ διαφεύγει μὲν τριταῖον,
τῶν δὲ λοιπῶν μετέχει τριῶν" πέμπτη
δὲ [10] διαφεύγει μὲν τεταρταῖον, μετέχει δὲ καὶ τρι- 50 τύπων ho corretto io seguendo una giusta
congettura di Ast (cf. appar. ad loc.):
τόπων De Falco. La correzione si rende necessaria per il fatto che qui si sta trattando dei vari tipi di febbre
e il termine τύπος è adoperato nel
contesto sia prima che dopo (cf. li. 68,14 supra οἱ πυρεκτικοὶ πάντες
τύποι; li. 70,13 5. τὰ τῶν ἄλλων τύπων
[sc πυρεκτικῶν] συμφανέστερα ἢ
ἁπλούστερα infra). LA TEOLOGIA
DELL'ARITMETICA 929 con un solo giorno
di intervallo, partecipano i numeri 1, 3, 5, 7,449 che sono al terzo posto l’uno dall’altro, proprio
come partecipano anche del formarsi dei
quadrati proporzionalmente in tutte e due le esposi- zioni,45° occupando posti corrispondenti;
della febbre quartana, che è regolata
dal cubo, perché questo é da ogni parte stabile e ben equili- brato per le sue sei basi quadrate,
partecipano i numeri 1, 4 e 7, per- ché
essa si manifesta con un rapporto di due giorni di intervallo, di modo che ricorre al quarto giorno, proprio
come i cubi risultano pro-
porzionalmente, nelle relative esposizioni, rigorosamente ai quarti posti; della febbre cosiddetta semiterzana
che non ha una sua propria natura,
perché riceve forma da quella terzana, e ricorre in due perio- di di un giorno e una notte ciascuno, cioè in
48 ore, e tuttavia ha sem- pre un limite
di 3 ore nei due sensi, cioè per l’accesso o per il calo, e di un altro periodo di 12 ore per invertire
la tendenza,1?! e tuttavia, potendo
produrre gli stessi effetti o più rapidamente o più lentamen- te, allora si ha la cosiddetta grande o
piccola o media semiterzana in rapporto
ai ritardi o allungamenti in un senso o nell’altro, e faranno parte del corso febbrile sia la febbre che si
manifesta nelle 12 ore della seconda
parte del secondo giorno che quella delle prime 12 ore della prima parte del quarto giorno e quella delle
12 ore dell’inizio del sesto giorno, in
modo che ci sia una nuova ricorrenza" verso la seconda parte del settimo giorno e quest’ultimo sia
in qualche modo simile in tutti i tipi
al primo giorno: infatti questi due giorni sono i soli che par- tecipano semplicemente di tutti quanti i tipi
che cadono entro un intervallo
quartano,4) essendo l’uno, cioè il primo, quello che, per cosî dire, provocherà la febbre, [70] e
l’altro, cioè il settimo, quello che la
farà entrare in crisi come se la mettesse alla prova, mentre nes- suno dei giorni che stanno in mezzo partecipa
di tutti i tipi, tranne che della febbre
quotidiana, di cui necessariamente partecipano anche il settimo e il primo, perché questo tipo di
febbre è il solo comune, come accade
anche nei diagrammi esposti.454 Questo rapporto multi- plo455 accompagna comunemente tutte le
linee,456 ma il secondo posto sfugge
alle febbri terzana e quartana, e invece partecipa delle febbri quotidiana e semiterzana; il terzo posto
sfugge alla semiterzana e alla quartana,
e partecipa delle febbri quotidiana e terzana; il quarto posto sfugge alla terzana, e partecipa delle altre
tre febbri; il quinto posto sfugge alla
quartana, ma partecipa della terzana e della quotidiana e 930 GIAMBLICO
ταίου καὶ ἀφημερινοῦ καὶ τῆς τοῦ λοιποῦ ἀνωμαλίας; ἕκτη δὲ μόνη ἀφημερινοῦ μετέχει ἀντιπεπονθύότως τῇ τετάρτῃ
ἕνα μόνον διαφευ- γούσῃ᾽ ἑβδόμη δὲ
πάντων μετέχει, ὡς ἡ πρώτη. κἀπειδὴ τὰ τῶν
ἄλλων τύπων συμφανέστερα ἢ ἁπλούστερα, τεταραγμένου δὲ τοῦ ἡμιτριταίου, σαφέστερον οὕτω ὁρισθήσεται᾽
πρώτης ἀρχῆς σημασί- ας ἐνδοτέρω οὐκ ἂν
ἐπισημήνειε ε΄ ἑξαώρων, ὥστε κατὰ τὴν τῆς γ΄
ἑσπέραν τῆς πρότερον γενομένης κατὰ τὴν μεσημβρίαν τῆς δευτέ- ρας ἡ ἐπὶ ταύτῃ ὅρον ἕξει, οὗ ἐνδοτέρω
ἀμήχανον, πάλιν τὸ τῆς τετάρτης
μεσονύκτιον εἰς τὴν τῆς ἕκτης εὐθὺς [20] πρωΐαν, ὥστε τὴν τῆς ἑβδόμης μεσημβρίαν ἀποκρίνεσθαι. ἀπὸ δὲ
ταύτης τῆς διαιρέ- σεως, ἥτις ἐστὶ τοῦ
σμικροτάτου, καὶ τὰς ἀνωμαλίας λογιστέον. διὰ
τὸ οὖν τυχαίως καὶ ἐπίκαιρόν τινα τρόπον ἀπαντᾶν καὶ ἀποκρίνε- σθαι ἕκαστα «κατὰ» τὴν τῆς ἑβδομάδος χώραν
καιρὸν αὐτὴν καὶ τύχην ἐπωνόμαζον, καὶ
[71] ἡ συνήθεια καιρὸς καὶ τύχη εἰθίσθη
λέγειν. τί γὰρ δεῖ νῦν καὶ περὶ τῶν κλιμακτήρων λεπτολογεῖν ἑβδομαδικῶν μάλιστα παρὰ τοῖς
ἀποτελεσματολόγοις δογματιζο- μένων; ὅτι
᾿Αθηνᾶν καὶ καιρὸν καὶ τύχην τὴν ἑπτάδα ἐπωνόμαζον᾽ ᾿Αθηνᾶν μέν, ὅτι παραπλησίως τῇ μυθευομένῃ
παρθένος τις καὶ ἀζυξ ὑπάρχει, οὔτε ἐκ
μητρὸς γεννηθεῖσα, ὅ ἐστιν ἀρτίου ἀριθμοῦ,
οὔτε ἐκ πατρός, ὅ ἐστι περιττοῦ, πλὴν ἀπὸ κορυφῆς τοῦ πάντων πατρός, ὅπερ ἂν εἴη ἀπὸ τῆς τοῦ ἀριθμοῦ
κεφαλῆς μονάδος, καὶ ἔστιν οἷον ᾿Αθηνᾶ
ἀθήλυντός τις, θῆλυ δὲ ὁ εὐδιαίρετος [10] ἀριθ-
μός: καιρὸν δέ, ὅτι οὐ χρόνῳ μακρῷ τὰς ἐνεργείας ἀνυομένας ἐν ταῖς κρίσεσιν ἔχει «εἰς ὑγείαν ἢ νόσον ἢ εἰς
γένεσιν καὶ φθοράν" τύχην δέ, ὅτι
παραπλησίως τῇ μυθευομένῃ Τύχῃ τὰ θνητὰ διέπει.
ὅτι οὐ μόνον τῆς ἀνθρωπίνης φωνῆς ἀλλὰ καὶ ὀργανικῆς καὶ κοσμικῆς καὶ ἁπλῶς ἐναρμονίου φωνῆς ζ΄
ὑπάρχει τὰ στοιχειώδη LA TEOLOGIA
DELL'ARITMETICA 931 della parte
irregolare della rimanente febbre; il sesto posto è il solo che partecipi della quotidiana,
contrariamente al quarto posto, che
sfugge a una sola febbre; il settimo posto partecipa di tutte le
febbri, come il primo posto. E poiché
tutte le febbri ad eccezione della semi-
terzana, che è irregolare, sono piuttosto riconoscibili e semplici,
si potranno definire più chiaramente nel
modo seguente: poiché il primo sintomo
non si manifesterà prima di 5 periodi di 6 ore ciascu- no,47 allora, nel caso che il sintomo
precedente si manifesti a mezzo- giorno
del secondo giorno, il successivo non si manifesterà prima della sera del terzo giorno,458 prima di questo
termine è impossibile, mentre il sintomo
che si manifesterà la prima volta alla mezzanotte del quarto giorno si ripeterà al primo mattino
del sesto, in modo che si determini poi
il sintomo del mezzogiorno del settimo. A partire da questa suddivisione, che è quella della
febbre più piccola,159 si devo- no
calcolare anche le irregolarità. Comunque, poiché ogni cosa si manifesta e si determina a caso e al momento
giusto in virti del campo d’azione del
7, questo numero veniva chiamato «αὶ
Pitagorici> “giusto momento” e “fortuna”, [71] ed è invalsa
l’abitu- dine di dire “giusto momento” e
“fortuna”. Che bisogno c’è, dunque, ora
di sottilizzare anche a proposito dei momenti critici settenari, che si trovano teorizzati soprattutto presso gli
scrittori di astrologia?490 I Pitagorici
chiamavano il 7 “Atena” e “momento giusto” e “ for- tuna”: “Atena”, perché, proprio come la dea
del mito, questo nume- ro è vergine e
senza vincoli matrimoniali, né è stato generato da madre, che è come dire da numero pari, né da
padre, che è come dire da numero
dispari, bensi dalla parte sommitale#6! del padre di tutti, 462 e perché come Atena è privo di femminilità,
essendo femmina il numero che è
facilmente divisibile;46 “momento giusto”, perché il 7 contiene azioni di breve durata nei momenti
critici di passaggio alla salute o alla
malattia, alla generazione o alla corruzione; “fortuna”, infine, perché, proprio come la Tukhe del
mito, il 7 governa le cose mortali. Non solo sono 7 i suoni elementari della voce
umana,‘ ma anche quelli della voce
strumentale e cosmica, per dirla in breve dell’armo- nica, non soltanto perché sono i soli e
assolutamente primi suoni 932
GIAMBLICO φθέγματα, οὐ μόνον παρὰ τὸ ὑπὸ
τῶν ζ΄ ἀστέρων ἀφίεσθαι μόνα καὶ
πρώτιστα, ὡς ἐμάθομεν, ἀλλ᾽ ὅτι καὶ τὸ πρῶτον διάγραμμα παρὰ τοῖς μουσικοῖς ἑπτάχορδον ὑπέπεσεν. ὅτι τριῶν
ὄντων τῶν τῆς ψυχῆς εἰδῶν ἢ μερῶν,
φρονητικοῦ θυμικοῦ ἐπιθυμητικοῦ, τέσσαρες ἀρεταὶ αἱ [20] τελειόταται γίνονται, καθάπερ τριῶν
διαστημάτων τέσσαρες ὅροι ἐπὶ σωματικῆς
συναυξήσεως. [72] περὶ ὀκτάδος. Τὴν ὀκτάδα πρῶτον ἐνεργείᾳ κύβον καὶ μόνον
ἐντὸς δεκάδος ἀρτιάκις ἄρτιον ἔφαμεν,
ἐπειδὴ ὁ δ΄ συνέχειν φαίνεται τὰς περισ-
σαρτίου καὶ ἀρτιάκις ἀρτίου διαγνώσεις ἐν τῷ δύο μόνον διχα- σμοὺς ἐπιδέχεσθαι [εἰ] μέχρι μονάδος, τὸν μὲν
αὑτοῦ, τὸν δὲ τῶν μερῶν, παγκάλως τε καὶ
παραλλήλως ἡρμοσμένος πάσας ἁρμόσεις,
τὴν μὲν ἐκ δύο μήτε γεννώντων μήτε γεννωμένων, οἵπερ μόνοι ἐν δεκάδι ὥφθησαν (λέγω δὲ τὴν ἐκ τοῦ α΄ καὶ
ζ7), τὴν δὲ ἐκ δύο πρώτων ἀρτιοπερίσσων,
τῆς μὲν δυνάμει, τῆς δὲ ἐνεργείᾳ, τὴν ἐκ τοῦ β΄ καὶ ς΄, τὴν δὲ ἐκ δύο πρώτων περισσῶν, ἥπερ
στοιχειώδης [10] εἰς γέ- γνησιν κύβων
σύνθεσις καὶ πρώτη συλλαβή, τὴν ἐκ τοῦ Y καὶ ε΄, τοῦ μὲν πρὸ αὐτοῦ"! ἀσυνθέτως ἀποβάντος, τοῦ
ἑνός, (τοῦ δὲ μετ᾽ αὐτὸν ἐκ τριῶν τῶν
μετὰ τούτους ἐσομένων, ζ΄ θ΄ 10°, τοῦ δ᾽ ἔτι pet ἐκεῖνον ἐκ δ΄ συνεχῶν, ιγ΄ τε΄ ιζ΄ 10°),
τετάρτην δὲ τὴν ἐκ διφορου- μένου τοῦ
δ΄, μόνου καὶ [73] γεννῶντος ἅμα καὶ γεννωμένου, ἵν᾽ ἐκ τῶν ἀντιθέτων δύο πρωτίστων ἀγόνων καὶ γεννητῶν
καὶ τοῦ ἀμφότε- ρα ἔχοντος συντελῆ «ἦ τὰ
η΄. καὶ ἄλλως ὁ δ΄ μεθόριον ἁρμονικῶν
σχέσεων ἡμῖν ἀνεφάνη, συμφώνων μὲν ἐντὸς ἑαυτοῦ, ἀσυμφώνων δέ, ἀλλ᾽ ἐμμελῶν μεθ᾽ ἑαυτόν. ἔνθεν παναρμόνιος
ἐπεκαλεῖτο ὑπὸ τῶν 51 72,9-13 τὴν δὲ
ἐκ δύο πρώτων ἀρτιοπερίσσων, τῆς μὲν δυνάμει, τῆς δὲ ἐνεργείᾳ, τὴν ἐκ τοῦ β΄ καὶ ς΄, τὴν δὲ ἐκ
δύο πρώτων περισσῶν, ἥπερ στοιχειώδης
εἰς γέννησιν κύβων σύνθεσις καὶ πρώτη συλλαβή, τὴν ἐκ τοῦ Y καὶ ε΄, τοῦ μὲν πρὸ αὐτου: ho accettato la
congettura di Oppermann (cf. Waterfield,
Emend., Appendix): τὴν δὲ ἐκ δύο ἀρτιοπερίσσων ἐνεργείᾳ, ἥπερ στοιχειώδης εἰς γέννησιν κύβων σύνθεσις
καὶ πρώτη συλλαβή, τὴν «δὲ» ἐκ τοῦ Y καὶ
ε΄, τὴν μὲν δυνάμει, τὴν δὲ ἐνεργείᾳ τὴν ἐκ τοῦ β΄ καὶ ς΄, τὴν δὲ ἐκ δύο πρώτων περισσῶν, τοῦ μὲν πρὸ
αὐτοῦ De Falco. LA TEOLOGIA
DELL’ARITMETICA 933 emessi dai 7 astri,
come abbiamo imparato, ma anche perché il primo
diagramma che si presenta presso i musici è l’ettacordo. Poiché sono 3 le specie o, parti dell'anima,
cioè la prudente, l’im- petuosa e
l’appetitiva, 4 sono le virti più perfette,465 cosî come nella crescita del corpo sono 3 le dimensioni e 4 i
termini.466 [72] I/ numero 8. Dicevamo che il numero 8 è il primo cubo in
atto ed è nella deca- de quello che è il
solo numero parimente-pari,497 giacché il 4 sembra che abbia insieme le caratteristiche del
dispari-pari e del parimente- pari,
perché ammette due sole divisioni per due fino ad arrivare a 1, cioè quella di se stesso e quella delle sue
parti,468 ed è numero che mette
d’accordo benissimo e parallelamente tutte le combinazioni:499 1) quella dei due soli numeri che nella
decade sono non-generanti e non-generati
(intendo dire la combinazione di 1 e 7);470 2) quella dei primi due numeri pari-dispari, uno in potenza
e l’altro in atto, cioè 2 e 6; 3) quella
dei primi due numeri dispari, cioè 3 e 5, e questa è com- binazione e prima congiunzione elementare per
la generazione dei numeri cubi,47!
perché il cubo che viene prima di questo, cioè l’ 1,472 risulta non da una combinazione,#?3 (e quello
che viene dopo?4 è for- mato dai tre
dispari successivi, cioè 7, 9, 11475 e quello che viene ancora dopo di quest’ultimo?7 è formato dai
quattro dispari succes- sivi, cioè 13,
15, 17, 19);177 4) la combinazione, infine, che risulta dal 4 preso due volte [4+4], essendo il 4 l’unico
numero che è insieme [73] generante e
generato;478 ne consegue che l’ 8 risulta dalla concor- renza dei due numeri assolutamente primi
non-generati <e non-gene-
ranti>,479 che sono antitetici al 4,480 e dei numeri generanti <e
non- generati>,481 nonché dal numero
che contiene entrambi i caratteri
generante e generato <cioè 4>.482 Da un altro punto di vista il 4
si è rivelato come il limite delle
relazioni armoniche, perché gli accordi
armonici cadono entro il 4,485 mentre dopo il 4 ci sono gli accordi
non armonici, ma melodici.‘ Deriva di
qui il nome “panarmonico” che alcuni
davano al numero 8, perché esso ha una tale straordinaria armonia, oppure perché è il numero che genera
la più giusta delle armonie, essendo
uguale al primo fra tutti i numeri [2] moltiplicato 934 GIAMBLICO
ἀνδρῶν ἡ ὀγδοὰς διὰ τὴν ὑπερφυῆ καθάρμοσιν ταύτην ἢ ὅτι ἰσάκις ἴση ἰσάκις πρὸ πάντων αὐτὴ καθαρμοσθεῖσα
ηὐξήθη δικαιοτάτην γένεσιν. ὅτε οὖν
Καδμείαν καλοῦσιν αὐτήν, ὑπακουστέον, ὅτι παρ᾽
ὅσον Κάδμου γυναῖκα τὴν Ἁρμονίαν [10] πάντες ἱστοροῦσιν. ἐναργῶς δὲ κἀν τοῖς οὐρανίοις εὕροι τις ἂν
ἴχνη ὀγδοάδος᾽ ὀκτώ τε γὰρ σφαῖραι
ἀστέρων καὶ ὀκτὼ οἱ ἀστρονόμοις κατὰ λῆψιν ἀναγκα- LOTATOL καὶ ἐπιστημονικώτατοι κύκλοι τέσσαρες
μὲν μέγιστοι ἀλλήλων ἐφαπτόμενοι, πῇ μὲν
δίχα, πῇ δὲ ἄλλως, ἰσημερινὸς καὶ
ζωδιακὸς καὶ ὁρίζων καὶ ὁ διὰ τῶν πόλων, ὅν τινες μεσημβρινόν, οἱ δὲ κόλουρόν φασι, τέσσαρες δὲ ἐλάττονες,
οὐδαμῶς ἀλλήλων ἐφαπ- τόμενοι, ἀρκτικὸς
καὶ ἀνταρκτικὸς καὶ θερινὸς καὶ χειμερινός. καὶ
ἄλλα τοιαῦτα ἐν [δεῖ]52 τοῖς περιγείοις, εἴπερ τῶν πεποδισμένων ζώων ὁ ὄρος ἐν αὐτῇ, μετ᾽ αὐτὴν δὲ ἡ
ἀοριστία, σκορπίοι τε καὶ καρκῖνοι καὶ
τὰ [20] ὅμοια τῶν ῥητοὺς πόδας ἐχόντων, τὰ δὲ ἐφεξῆς αὐτοῖς [74] πολυπόδων ψιλῶν ἐστιν ἤδη. καὶ
τῶν τοῦ ἀνθρώπου ὀδόντων ἡ τετραχῆ διανέμησις
ὀγδοαδική πώς ἐστι, καὶ ἡ τῶν ἐκ κεφαλῆς
τεσσάρων κατατρήσεων διαφόρησις κατ᾽ αὐτὴν ὥρισται, καὶ ἕτερα ἐοικότα περί τε θηλὰς ζώων καὶ
χηλὰς κατ᾽ ἀνάλογον. ὅθεν αὐτὴν μητέρα
ἐπωνόμαζον, τάχα μὲν εἰς τὰ λεχθέντα ἀναφέ-
ροντες, (θῆλυς γὰρ ὁ ἄρτιος,) τάχα δέ, ἐπειδὴ μήτηρ μὲν θεῶν ἡ Ῥέα, Ῥέας δὲ δυὰς μὲν ἀπεδείχθη σπερματικῶς,
ὀγδοὰς δὲ κατ᾽ ἐπέκτα- σιν. δοκεῖ δέ
τισι καὶ αὐτὸ τὸ ὄνομα τοῦτο πεποιῆσθαι τὸ ὀγδοὰς οἷον ἐκδυὰς ἡ ἐκ δυάδος [10] γεγονυῖα
κυβισθείσης. Φιλόλαος δὲ μετὰ τὸ
μαθηματικὸν μέγεθος τριχῆ διαστὰν «ἐν» τετράδι, ποιότητα καὶ χρῶσιν ἐπιδειξαμένης τῆς φύσεως ἐν
πεντάδι, ψύχωσιν δὲ ἐν ἑξάδι, νοῦν δὲ
καὶ ὑγείαν καὶ τὸ ὑπ᾽ αὐτοῦ λεγόμενον φῶς ἐν
ἑβδομάδι, μετὰ ταῦτά φησιν ἔρωτα καὶ φιλίαν καὶ μῆτιν καὶ ἐπίνο- rav ἐπ᾽ ὀγδοάδι συμβῆναι τοῖς οὖσιν. ὅτι
ἀλιτόμηνος᾽ ἐπὶ μὲν τῆς Ῥέας μυθολογοῦσιν,
ὅτι τοὺς τικτομένους ἀπ᾽ αὐτῆς ἠφάνιζεν ὁ
Κρόνος, ὡς ἱστορεῖται, ἐπὶ δὲ τῆς ὀγδοάδος, ὅτι ἀτελεσιούργητοι αἱ 52 [δεῖ] mutò in δὴ in un secondo momento De
Falco (cf. ed. Klein Add. p. XXVIII). LA TEOLOGIA DELL’ARITMETICA 935 un uguale numero di volte uguali un uguale
numero di volte.486 Quando dunque i
Pitagorici lo chiamano “Cadmea”487 è da sottinten- dere che tutti i miti dicono che la moglie di
Cadmo era Armonia. Anche nelle cose
celesti si possono trovare evidenti tracce del nume- ro 8: e infatti 8 sono le sfere astrali e 8 i
circoli assolutamente neces- sari alla
conoscenza scientifica degli astronomi: 4 quelli più grandi che si intersecano, qui in due punti, lî in
un numero di punti diverso, e sono
l’equatore, lo zodiaco, l'orizzonte e il circolo che passa per i due poli, che alcuni chiamano meridiano e
altri “coluro”, e 4 quelli più piccoli
che non si intersecano mai, e sono l’artico, l’antartico, l’estivo488 e l’invernale.489 Altre tracce
del genere si possono trovare anche
nelle cose terrestri, se è vero che negli animali forniti di piedi il limite è 8, dopo di che il numero dei piedi
diviene illimitato: ad esem- pio
scorpioni e granchi e simili sono tra quelli che hanno appunto 8 piedi, mentre gli animali successivi a questi
[74] hanno già una vera e propria
moltitudine di piedi. Anche la quadruplice distribuzione dei denti nell'uomo è regolata in qualche
modo dal numero 8, e anche i quattro
orifizi della testa‘% se differenziati arrivano a 8,49! e analoga- mente si possono trovare altre distinzioni
del genere relativamente alle mammelle e
alle chele492 degli animali. Deriva di qui il nome “madre” che i Pitagorici davano al numero 8,
con riferimento forse a quanto abbiamo
già detto (cioè che il numero pari è femmina), ma forse perché Rea è madre degli dèi, e il 2,
come si è mostrato, è in germe Rea,4% e
l’ 8 è un’estensione del 2.49 E alcuni credono anche che questo stesso nome “otto” [ὀγδοάς] sia
stato coniato come fosse “ἐκδυάς",
cioè “generato dal 2”, se questo è elevato al cubo. Filolao,49 dopo avere detto che la grandezza
matematica tridimensio- nale risiede nel
4, la qualità e il colore della natura fenomenica nel 5, il principio della vita nel 6, l’intelligenza
e la salute e ciò che egli chia- ma luce
nel 7, continua dicendo che gli enti acquistano le proprietà dell’amore e dell'amicizia e della prudenza e
dell’inventiva in virtà del numero
8. Il numero 8 è chiamato “mese
sbagliato per il parto”:497 e mentre a
proposito di Rea,49 il mito dice che Crono, come si racconta, face- va sparire i figli che essa generava, a
proposito del numero 8, invece, le
doglie del parto di 8 mesi si dicono in un certo senso “del mese sba- 936 GIAMBLICO
κατὰ τὸν ὄγδοον μῆνα ὠδῖνες, ἠλιτόμηνοί πως διὰ τοῦτο λεγόμεναι. ὅτι τοῦ τῶν Μουσῶν ἀριθμοῦ τὸ [20] Εὐτέρπη
ὄνομα τῇ ὀγδοάδι ἐπι- πρέπειν ἔλεγον,
παρ᾽ ὅσον εὔτρεπτος μάλιστα τῶν ἐντὸς δεκάδος,
ἀρτιάκις ἄρτιος οὖσα καὶ μέχρι τῆς φύσει ἀτόμου μονάδος αὐτῆς. [75] ᾿Ανατολίου. ἡ ὀγδοὰς ἀσφάλεια καλεῖται καὶ ἕδρασμα,
ἀγωγὸς οὖσα παρὰ τὸ δύο ἄγειν σπέρμα
αὐτῆς ὁ πρῶτος ἄρτιος. τετράδι πολλαπλασια-
σθεῖσα ποιεῖ τὸν λβ΄, ἐν È φασι χρόνῳ τὰ ἑπτάμηνα διατυποῦσθαι᾽ ἡ περιέχουσα τὰ πάντα σφαῖρα ὀγδόη, ὅθεν ἡ
παροιμία «πάντα ὀκτώ» φησι. «[σὺν] ὀκτὼ
δὴ σφαίρῃσι κυλίνδετο [ὁ] κύκλῳ ἰόντα ...
ἐνάτην περὶ γαίην», Ἐρατοσθένης φησίν. ἀρχὴ τῶν μουσικῶν λόγων ἐστὶν ὁ η΄ ἀριθμός, καὶ εἰσὶν οἱ ὅροι τοῦ
κοσμικοῦ συστήματος [10] οὕτως ὁ η΄
ἀριθμὸς ἐπόγδοον ἔχων τὸν θ΄ ἀριθμόν (ὑπερέχει δὲ μονάδι ὁ θ΄ τοῦ n°), ὁ ιβ΄ ἡμιόλιος τοῦ η΄,
ἐπίτριτος τοῦ θ΄, ὑπερέχει τριάδι τοῦ
θ΄" ὁ 19° ἐπίτριτος τοῦ ιβ΄, ὑπερέχει δ΄" ὁ ιη΄ ἡμιόλιος τοῦ ιβ΄, ὑπερέχει ἑξάδι" ὁ κα΄ τοῦ θ΄
διπλασιεπίτριτος, ὑπερέχει ιβ΄. ὁ κδ΄
ἐπίτριτος τοῦ ιη΄, ὑπερέχει ς΄" ὁ λβ΄ ἐπίτριτος τοῦ κδ΄, ὑπερέχει η΄ ὁ λς΄ διπλάσιος τοῦ ιη΄, ἡμιόλιος τοῦ κδ΄,
ὑπερέχει 18 καὶ ἔστιν ὁ μὲν θ΄ ἐπόγδοος
τοῦ η΄ Σελήνης, ὁ ιβ΄ ἡμιόλιος τοῦ η΄ Ἑρμοῦ, ὁ 15° διπλάσιος τοῦ η΄ ᾿Αφροδίτης, ὁ ιη΄ διπλάσιος
τοῦ θ΄ ἐν ἐπογδόῳ τοῦ ις΄ Ἡλίου, ὁ κα΄
διπλασιεπίτριτος τοῦ θ΄ [20] Ἄρεος, ὁ κδ΄ διπλάσιος τοῦ ιβ΄ ἐν ἡμιολίῳ τοῦ η΄ Διός, ὁ λβ΄
τετραπλάσιος τοῦ η΄ Κρόνου, ὁ λς΄
τετραπλάσιος τοῦ θ΄ [76] ἀπλανῶν ἐν ἐπογδόῳ λόγῳ «τοῦ λβ΄ αἱ δὲ ὑπεροχαί᾽ λς΄ ὑπερέχει δ΄, λβ΄ n, κδ΄ γ΄,
«κα΄ Y>, in β΄, 15° δ΄, 1 Υ΄, θ΄ α΄, ἢ ὑπερέχει [δὲ] τοῦ η΄ ὁ θ΄ μονάδι, ὁ
18° τοῦ θ΄ τριάδι, ὁ ις΄ τοῦ ιβ΄ τετράδι, ὁ τη΄ τοῦ 15° δυάδι, καὶ οἱ λοιποὶ
ὁμοίως. περὶ ἐννεάδος. Τὴν δὲ ἐννεάδα μέγιστον τῶν ἐντὸς δεκάδος ἀριθμῶν καὶ
πέρας LA TEOLOGIA DELL'ARITMETICA 937
gliato”, perché non portano il parto a buon fine.499 A proposito del numero delle Muse,50 i
Pitagorici dicevano che il nome Euterpe
[Εὐτέρπη] è appropriato all’ 8, perché è il numero più “versatile” [εὔτρεπτος] tra quelli della
decade, essendo numero parimente-pari,
cioè <divisibile per 2> fino all’unità stessa, che è indi- visibile per natura. [75] <I/ numero 8> secondo
Anatolio. Il numero 8 è chiamato
“sicurezza” e “stabilità”, perché è guida
per via del fatto che il 2 è guida: il seme dell’ 8 <infatti> è il
primo numero pari.501 Moltiplicato per 4
fa 32, che è il tempo in cui, essi
dicono, si formano i feti dei parti di sette mesi;502 l’ 8 contiene
tutte le sfere celesti, donde il
proverbio che dice “Tutto è 8”. “In 8 sfere <i corpi celesti> orbitano ... intorno alla
nona sfera, che è quella della Terra»,
dice Eratostene. Il numero 8 è principio dei rapporti musica- li e i termini del sistema cosmico sono i
seguenti: il numero 8 in rap- porto
epiottavo col numero 95% (il 9 supera I’ 8 di un'unità), 12 è l’emiolio di 855% e l’epitrite di 9505
(supera il 9 di 3 unità); 16 è l’epi-
trite di 12 (supera il 12 di 4 unità); 18 è l’emiolio di 12 (lo
supera di 6 unità);597 21 è il doppio
epitrite di 9 (lo supera di 12 unità);508 24
è l’epitrite di 18 (lo supera di 6 unità);509 32 è l’epitrite di 24 (lo
supe- ra di 8 unità);?!0 36 è il doppio
di 18 e l’emiolio di 24 (lo supera di 12
unità);51! il 9 epiottavo di 8 appartiene alla Luna, il 12 emiolio di 8
a Ermes, il 16 doppio di 8 ad Afrodite,
il 18 doppio di 9 ed epiottavo di 16 al
Sole, il 21 doppio epitrite di 9 ad Ares, il 24 doppio di 12, che è a sua volta emiolio di 8, a Zeus, il 32
quadruplo di 8 a Crono, il 36 quadruplo
di 9 ed [76] epiottavo di 32, alle stelle fisse; le eccedenze sono le seguenti: 36 supera di 4, 32 di 8, 24
di 3, 21 di 3, 18 di 2, 16 di 4, 12 di
3, 9 di 1, oppure 9 supera 8 di 1, 12 supera 9 di 3, 16 supe- ra 12 di 4, 18 supera 16 di 2, e cosî via per
gli altri. Il numero 9. Il numero 9 è il più grande tra i numeri
inferiori a 10 ed è limite insuperabile:
delimita in ogni caso la formazione <dei rapporti musi- 938 GIAMBLICO
ἀνυπέρβλητον. ὁρίζει γοῦν τὴν εἰδοποίησιν οὕτως" οὐ γὰρ μόνον ἐπὶ τοῦ ἐπ᾽ ἐννάτου τόνου μηκέτι εἶναι
συμβέβηκε λόγον περαι- τέρω μουσικὸν
ἐπιμορίως, ἀλλὰ καὶ διὰ τὸ [10] φυσικῶς ἀναστρέ- φειν τὴν σύνθεσιν ἐκ φυσικοῦ τέλους εἰς τὴν
ἀρχὴν καὶ ἀπὸ συναμ- φοτέρων εἰς τὸ
μέσον, καθὰ ποικιλώτερον ἀπεδείξαμεν ἐν τῷ κατὰ
τὴν πεντάδα δικαιοσύνης διαγράμματι.53 κατὰ γοῦν τὸ ὄνομα τὴν συμπάθειαν καὶ ἀντιζυγίαν ἔοικεν αἰνίττεσθαι,
εἴπερ ἐννεὰς μὲν κέκληται οἱονεὶ ἑνὰς ἡ
πάντα ἐντὸς αὐτῆς κατὰ παρωνυμίαν τοῦ ἕν᾽
ὅτι δὲ οὐδὲν ὑπὲρ τὴν ἐννεάδα ὁ ἀριθμὸς ἐπιδέχεται, ἀλλ᾽ ἀνακυ- κλεῖ πάντα ἐντὸς ἑαυτῆς, δῆλον ἐκ τῶν
λεγομένων παλινωδιῶν. μέ- χρι μὲν γὰρ
αὐτῆς φυσικὴ πρόβασις, μετὰ δ᾽ αὐτὴν παλιμπετής᾽ τὰ γὰρ ι΄ μονὰς γίνεται κατὰ ἑνὸς ἀφαίρεσιν
στοιχειώδους ποσοῦ, [20] τουτέστι κατὰ
ἐννεάδος μιᾶς, τὰ δὲ τα΄ καὶ κ΄ πάλιν δυάς, ἤτοι μιᾶς ἢ δυοῖν ἀφαιρεθεισῶν, ιβ΄ δὲ καὶ λ΄ τριάς,
[77] καὶ πάλιν τὸ ρ΄ μονάς, ια΄ ἐννεάδων
ἀφαιρεθεισῶν, καὶ τὸ αὐτὸ μέχρι καὶ ἀπείρου, ὥστε μηδεμιᾷ μηχανῇ δυνατὸν εἶναι ἀριθμὸν ἄλλον
ὑπὲρ τὰ ἐννέα στοι- χειώδη συστῆναι. καὶ
διὰ τοῦτο Ὠκεανόν τε προσηγόρευον αὐτὴν
καὶ ὁρίζοντα, ὅτι ἀμφοτέρας ταύτας περιείληφεν οἰκήσεις καὶ ἐντὸς ἑαυτῆς ἔχει, κατ᾽ ἄλλο δὲ σημαινόμενον
Προμηθέα ἀπὸ τοῦ μηκέτι ἐᾶν τινα πρόσω
αὑτῆς χωρεῖν ἀριθμόν, καὶ εὐλόγως Ye: τρὶς
γὰρ τέλειος ὑπάρχουσα οὐδ᾽ ἐπίδοσιν αὐξήσεως ἀπέλιπεν, ἀλλὰ καὶ δύο κύβων ἅμα σύνθεσις, τοῦ α΄ καὶ τοῦ
η΄, καὶ τετράγωνος [10] οὖσα τὴν πλευρὰν
τρίγωνον ἔχει μόνη τῶν μέχρις αὐτῆς. διὰ γοῦν τὸ μὴ ἀφιέναι σκορπίζεσθαι ὑπὲρ αὐτὴν τὴν τοῦ
ἀριθμοῦ σύμπνοιαν, συνάγειν δὲ εἰς τὸ
αὐτὸ καὶ συναυλίζειν, ὁμόνοιά τε καλεῖται καὶ
πέρασις, καὶ ἅλιος ἀπὸ τοῦ ἁλίζειν. ἐκαλεῖτο δὲ καὶ ἀνεικία διὰ τὴν ἀνταπόδοσίν τε καὶ ἀμοιβὴν τῶν ἀπ᾿ αὐτῆς
μέχρι μονάδος, ὡς εἴρηται ἐν τῷ περὶ
δικαιοσύνης διαγράμματι- ὁμοίωσις δὲ τάχα μὲν
παρὰ τὸ πρῶτος περισσὸς τετράγωνος ὑπάρχειν (ὁμοιωτικὸν γὰρ δι᾽ 53 διαγράμματι Dodds seguendo Ast (cf. ed.
Klein Add. p. XXVIII): ἐπιγράμματι. LA TEOLOGIA DELL'ARITMETICA 939 cali> nel modo seguente: non solo,
infatti, accade che giunti al nono
tono?!2 non ci sia più un ulteriore rapporto musicale epimorio,713
ma anche che la somma ritorni
naturalmente dalla fine naturale all’inizio
e da ambedue questi estremi al punto centrale, cosî come abbiamo mostrato in maniera più dettagliata nel
diagramma della giustizia rela-
tivamente al numero 5.514 Comunque, stando al nome, sembra che il 9 nasconda i concetti di simpatia ed
equivalenza, se è vero che è stato
chiamato “nove” [ἐννεάς] nel senso di “unità” [ἑνάς], nel senso
cioè che tutto è dentro il 9 in virtà
del fatto che il suo nome è paronimo di
“uno” [ἕν]515 e risulta chiaro dalle cose che abbiamo detto più
volte che il numero in generale non
ammette niente oltre il 9, ma che, al
contrario, il 9 fa ruotare tutto al suo proprio interno: infatti la
pro- gressione naturale dei numeri
arriva fino a 9, dopo il 9 si torna indie-
tro, perché 10 diventa 1 per sottrazione di una quantità
elementare, cioè di 9,516 mentre 11 e 20
a loro volta diventano 2, sottraendo 9 una
volta o due volte,517 e 12 e 30 diventano 3 secondo lo stesso
criterio,718 [77] e a sua volta 100
diventa 1, sottraendo 11 volte 9,519 e cosi all’in- finito, sicché con nessun marchingegno è
possibile costituire altro numero oltre
i 9 numeri elementari. Ed è per questo che i Pitagorici lo chiamavano anche “Oceano” e “orizzonte”,
perché comprende queste due regioni
<terrestri> e le ha dentro di sé; secondo un altro significato, invece, lo chiamavano
“Prometeo”, perché al di là di se stesso
non lascia più posto ad alcun numero,920 e avevano certamente ragione: essendo infatti tre volte
perfetto?2! non manca di ulteriore
moltiplicazione,522 ma al tempo stesso è somma di due cubi,523 1 e
8, e poiché è un quadrato [9=32] è anche
l’unico numero tra quelli che arrivano
fino a lui che ha come lato un numero triangolare [3]. Comunque, poiché il 9 non permette che i
numeri, procedendo al di là di esso,
disperdano la loro compattezza, ma li raccoglie nello stes- so punto e li fa convivere, allora è chiamato
anche “concordia” e “limitazione”, e per
il fatto che li raduna [ἁλίζειν] è chiamato anche “Sole” [ἅλιος]. Era chiamato anche “assenza
di contesa”, per via della
corrispondenza e dell’alternanza tra i numeri che da esso arriva- no all'unità, come si è detto a proposito del
diagramma della giusti- zia:52 è detto
anche “assimilazione”, forse perché 9 è il primo dispa- ri quadrato (è per questa proprietà
assimilativa, infatti, che la specie
dispari è detta in generale “assimilativa” 526 laddove il pari è detto
dis- 940 GIAMBLICO ὅλου παρ᾽ αὐτῆς λέγεται τὸ περισσὸν εἶδος,
dvéuorovi! δὲ τὸ ἄρτιον, καὶ πάλιν
ὁμοιωτικὸνδ μὲν τὸ τετράγωνον, ἀνόμοιον δὲ [20]
τὸ ἑτερόμηκες), τάχα δὲ κἀπειδὴ μάλιστα τῇ πλευρᾷ ὡμοιώθη ὡς γὰρ ἐκείνη τρίτην χώραν ἐν τῇ φυσικῇ εἴληχεν,
οὕτω καὶ ἡ ἐννεὰς τρίτη ἐν τῇ κατ᾽ αὐτὴν
ἀναλόγῳ προβάσει. καὶ Ἥφαιστον δὲ αὐτὴν
ἐπωνόμαζον, ὅτι μέχρις αὐτῆς ὥσπερ [78] κατὰ χώνευσιν καὶ ἀνα- φορὰν ἡ ἄνοδος, καὶ Ἥραν παρὰ τὸ κατ᾽ αὐτὴν
τετάχθαι τὴν τοῦ ἀέ- ρος σφαῖραν ἐπὶ
ταῖς ὀκτὼ ἐννάτην οὖσαν, καὶ Διὸς ἀδελφὴν καὶ σύ- νευνον διὰ τὴν πρὸς μονάδα συζυγίαν, ἑκάεργον
ἀπὸ τοῦ εἴργειν τὴν ἑκὰς πρόβασιν τοῦ
ἀριθμοῦ, νυσσηίταν ἀπὸ τοῦ ἐπὶ νύσσαν καὶ
ὡσανεὶ τέρμα τι τῆς προόδου τετάχθαι. Κουρήτιδα δὲ ἰδίως καὶ Ὀρφεὺς καὶ Πυθαγόρας αὐτὴν τὴν ἐννεάδα
ἐκάλουν, ὡς Κουρήτων ἱερὰν ὑπάρχουσαν
τριῶν τριμερῆ, ἢ κόρην γε, ἅπερ ἀμφότερα τριά-
δι ἐφηρμόσθη, τρὶς τοῦτο ἔχουσαν, καὶ Ὑπερίονα [10] διὰ τὸ ὑπὲρ πάντας τοὺς ἄλλους εἰς μέγεθος ἐληλυθέναι,
καὶ Τερψιχόρην ἀπὸ τοῦ τρέπειν καὶ ὡς
χορὸν ἀνακυκλεῖν τὴν τῶν λόγων παλιμπέτειαν καὶ σύννευσιν ὡς εἰς μέσον καὶ τὴν
ἀρχὴν ἀπὸ τέλους τινός. ἐννεὰς ἀπὸ περισσοῦ πρῶτος τετράγωνος. καλεῖται δὲ καὶ
αὐτὴ τελεσφόρος, τελειοῖ δὲ τὰ ἐννεάμηνα ἔτι τέλειος, ὅτι ἐκ τελείου τοῦ γ΄ γίνεται. αἱ σφαῖραι περὶ ἐννάτην «τὴν»
γῆν στρέφονται. λέγε- ται δὲ καὶ τοὺς
τῶν [79] συμφωνιῶν λόγους ἔχειν «ὁ» θ΄, δ΄ γ΄ β΄, ἐπί- τριτον τὸν δ΄ πρὸς [τὸ] γ΄, ἡμιόλιον τὸν γ΄
πρὸς β΄, διπλάσιον τὸν δ΄ πρὸς β΄. πρῶτός ἐστιν ἐπόγδοος. περὶ δεκάδος.
Πολλάκις ἔφθημεν εἰπόντες τὸν τεχνικὸν νοῦν πρὸς τὰς ἀριθμοῦ ἐμφερείας καὶ
ἀφομοιώσεις ὡς πρὸς παράδειγμά τι παντελὲς ἀπερ- 54. ἀνόμοιον: ἀνομοιωτικὸν
avrei preferito, confrontando In Nicom. 74,14 ss. 55 ὁμοιωτικὸν: ὅμοιον avrei
preferito confrontando sempre In Nicom. 82,11. LA TEOLOGIA DELL'ARITMETICA 941
simile,527 e a sua volta il quadrato è detto assimilativo,528 laddove l’ete-
romeche è detto dissimile), e forse anche perché il quadrato 9 è di natura assolutamente simile al suo lato [3]:
come infatti il 3 occupa il terzo posto
nella progressione naturale dei numeri, cosî anche il 9 occupa il terzo posto nella corrispondente
progressione per tripli.529 Lo
chiamavano anche “Efesto”, perché la salita fino al 9 avviene [78] come per fusione ed evaporazione di
metalli,53° e anche “Era”, perché in
funzione del 9 è ordinata la sfera celeste dell’aria [Ἥρα - ἀήρ] che è nona dopo le altre otto, e “sorella e
consorte di Zeus”,531 perché fa coppia
con l’ 1,532 e anche “lungi-vietante” [gkdepyoc],533 perché vieta alla progressione numerica di andare
lontano,534 ma anche “nus- sita”, perché
è stato posto a meta finale [νύσσα] e, per cosi dire, a tra- guardo della progressione dei numeri. Anche
Orfeo e Pitagora chia- mavano il 9
propriamente “dominio dei Cureti”, perché composto di 3 ordini di 3 [3x3] come la sacra
«<trireme> dei Cureti, o anche
“Core” [fanciulla], che sono denominazioni che si accordano ambe- due col 3, giacché il 9 contiene il 3 tre
volte, e anche “Iperione” [Sole], perché
è andato al di là ['Yrepiov - ὑπερ-ἰών = che va al di là] di tutti gli altri numeri quanto a
grandezza, e anche “Tersicore”, perché
dirige [τρέπειν] e fa girare [ἀνακυκλεῖν] come un coro la ricorrenza e la convergenza dei rapporti
numerici, come se da un certo punto finale si muovessero verso il centro e
quindi verso l’ini- z10,535 I{ 9 è il primo quadrato di un numero dispari.53 È
chiamato anche “telesforo”, perché porta a compimento i parti di nove mesi. Ε chiamato
inoltre “perfetto”, perché nasce dal 3 che è
numero perfetto. Le sfere celesti girano intorno alla nona sfera che
è la Terra.537 Si dice anche che il 9
possiede [79] i rapporti degli accor- di musicali, cioè 9, 4, 3, 2, essendo 4
epitrite di 3, 3 emiolio di 2, 4 doppio di 2. Il 9 è il primo numero di
rapporto epiottavo.538 Il numero 10. Abbiamo detto più volte, prima d’ora, che
l’Intelletto creatore operò la costruzione e la composizione del cosmo e di
tutte le cose 942 GIAMBLICO γάσασθαι τὴν
τοῦ κόσμου καὶ τῶν ἐν κόσμῳ πάντων κατασκευήν TE καὶ σύστασιν: ἐπεὶ δὲ ἀόριστον
τὸ ὅλον πλῆθος ἦν καὶ ἀδιεξίτητος ἡ τοῦ ἀριθμοῦ πᾶσα ὑπόστασις, [10] οὐκ ἦν
εὔλογον οὐδ᾽ ἄλλως ἐπι- στημονικὸν
ἀπεριλήπτῳ χρῆσθαι παραδείγματι, ἔδει δὲ συμμετρί- ας, ἵνα τῶν προκειμένων αὐτῷ ὅρων καὶ μέτρων
ὁ τεχνίτης θεὸς ἐν τῇ δημιουργίᾳ
περιγένηται καὶ περικρατήσῃ, καὶ μήτε ἐπ᾽ ἔλαττον μήτε ἐπὶ πλέον τοῦ προσήκοντος ἤτοι ἐνδεῶς
συστείλῃ ἢ πλημμελῶς ὑπερεκπέσῃ; φυσικὴ
δέ τις συσταθμία καὶ μετριότης καὶ ὅλωσις ἐν
τῇδε μάλιστα ὑπῆρχε. πάντα μὲν σπερματικῶς ἐντὸς αὑτῆς περιειλ- ηφυῖα, στερεὰ καὶ ἐπίπεδα, ἄρτιά τε καὶ
περισσὰ καὶ ἀρτιοπέρισ- σα καὶ τέλεια
πᾶσι τρόποις, πρῶτά τε καὶ ἀσύνθετα, ἰσότητά τε καὶ ἀνισότητα, τὰς δὲ δέκα σχέσεις, διαμετρικά τε
καὶ [20] σφαιρικὰ καὶ κυκλικά, μηδεμίαν
δὲ ἰδιάζουσαν ἢ φυσικὴν ἄλλως παραλλαγὴν
καθ᾽ ἑαυτὴν ἔχουσα, ὅτι μὴ κατ᾽ ἐπιδρομὴν καὶ ἀνακύκλησιν τὴν εἰς ἑαυτήν, εἰκότως μέτρῳ τῶν ὅλων αὐτῇ καὶ
ὥσπερ γνώμονι καὶ εὐθυντηρίῳ ἐχρήσατο
πρὸς τὴν πρόθεσιν ἁρμοζόμενος: διόπερ τοῖς
κατ᾽ αὐτὴν λόγοις συμφώνως ἔχοντα τὰ ἀπ᾽ οὐρανοῦ μέχρι γῆς ὁλοσχερέστερόν τε καὶ [80] κατὰ μέρος
εὑρίσκεται [καὶ] διακεκο- σμημένα κατ᾽
αὐτήν. διόπερ καὶ ἐπωνόμαζον αὐτὴν θεολογοῦντες οἱ Πυθαγορικοὶ ποτὲ μὲν κόσμον, ποτὲ δὲ οὐρανόν,
ποτὲ δὲ πᾶν, ποτὲ δὲ εἱμαρμένην καὶ
αἰῶνα κράτος τε καὶ πίστιν καὶ ᾿Ανάγκην
Ἄτλαντά τε καὶ ἀκάμαντα καὶ θεὸν ψιλῶς καὶ Φάνητα καὶ ἥλιον, ἀπὸ μὲν τοῦ κατ᾽ αὐτὴν διατετάχθαι τὰ ὅλα
καθόλου τε καὶ κατὰ μέρος κόσμον, ἀπὸ δὲ
τοῦ ὅρον τὸν τελειότατον ἀριθμοῦ εἶναι, παρ᾽
ὃ δεκὰς οἱονεὶ δεχάς, καθάπερ ὁ οὐρανὸς τῶν πάντων δοχεῖον, οὐρανὸν καὶ Μουσῶν γε [10] Οὐρανίαν. πᾶν δέ,
ὅτι ἀριθμὸς φυσι- κὸς πλείων οὐδείς
ἐστιν, ἀλλ᾽ εἰ καί τις ἐπινοεῖται, κατὰ παλινωδί- ἂν ἐπ᾽ αὐτόν πως ἀνακυκλεῖται᾽ ἑκατοντὰς γὰρ
δέκα δεκάδες καὶ χιλιὰς δέκα ἑκατοντάδες
καὶ μυριὰς δέκα χιλιάδες καὶ ἄλλων
ἕκαστος οὕτως ἢ εἰς αὐτὴν ἢ εἴς τινα τῶν ἐντὸς αὐτῆς ἀναποδι- σθήσεται παλινωδούμενος᾽ πάντων οὖν εἰς αὐτὴν
ἡ ἀνάλυσις καὶ ἡ ἀναστροφὴ παντοία᾽ ἢ πᾶν ἡ δεκὰς καλεῖται ἀπὸ τοῦ μυθευομένου
Πανός: δεκάδι γὰρ καὶ οὗτος τιμᾶται καὶ ταῖς τῶν μηνῶν δεκαταί- LA TEOLOGIA
DELL'ARITMETICA 943 che in esso si trovano facendo riferimento alle affinità e
agli adatta- menti numerici come a un
modello assolutamente perfetto; ma poiché
l’intera molteplicità era illimitata e tutta la realtà numerica
intermina- bile, non era ragionevole, né
peraltro scientifico, che l’Intelletto crea-
tore si servisse di un modello incomprensibile,539 ma c’era bisogno
di commensurabilità, affinché dio
creatore vincesse e dominasse nella sua
azione demiurgica i limiti e le misure che gli si presentavano, e non procedesse in meno o in più rispetto alla
misura conveniente, riducendo per
difetto o superando per errore la misura: equilibrio naturale e giusta misura e interezza
risiedevano soprattutto nel nume- ro 10.
E poiché dentro il 10 è contenuta in germe ogni cosa:540 nume- ri solidi e piani, pari e dispari e
pari-dispari e numeri perfetti di ogni
tipo, numeri primi e non composti, uguaglianza e disuguaglianza, nonché le dieci relazioni, numeri diametrali
e sferici e circolari, giac- ché il 10
non subisce per se stesso alcun mutamento particolare o comunque naturale, tranne che per
riconvertirsi rapidamente a se
stesso,54! allora giustamente Dio si è servito di questo numero
come misura universale e gnomone e
regolo, adattandolo al suo disegno
creativo; perciò si scopre, per mezzo dei rapporti numerici relativi
al 10, che ogni cosa, dal cielo alla
terra, in generale e in particolare, è
stata ordinata [80] secondo il numero 10. Ed è per questo che i Pitagorici, quando discutevano in termini
teologici, chiamavano il 10, ora
“Cosmo”, ora “Cielo”, ora “Tutto”,54 ora “Destino” ed “Eternità”, “Forza” e “Fiducia” e
“Necessità”, “Atlante” e “Acamante”, e
semplicemente “Dio” e “Fanes” e “Sole”: “Cosmo”, perché secondo il 10 è stato ordinato
l’intero universo, in generale e in
particolare; “Cielo”, e tra le Muse, in verità, “Urania”, perché il 10 è il più perfetto limite del numero, nel
senso che il suo nome “dieci” [δεκάς]
suona come “ricettacolo” [$£ydc],54 appunto come il ciclo che è “recipiente” di ogni cosa; “Tutto”,
perché non c’è nessun nume- ro naturale
maggiore di 10, ma se anche se ne immagina qualcuno, questo per regressione, in un certo senso, si
converte in 10:54 il 100 infatti è 10x10
e il 1000 10x100545 e il 10.000 10x1000,54 e cosî qua- lunque altro numero per regressione ritornerà
o al 10 o ad uno dei numeri inferiori a
10:59 è varia, dunque, la risoluzione o conversione di tutti i numeri al 10;
un’altra ragione per cui il 10 è chiamato “Tutto” deriva da ciò che il mito
racconta di Pan: anche questa divi- 944 GIAMBLICO ag παρὰ τῶν ἀγροίκων τιμᾶται
καὶ ὑπὸ δέκα, καὶ ἐπίπαν ὑπὸ ποι- μένων,
αἰπόλων, βουκόλων, [20] ἱπποφορβῶν, πολεμικῶν, κυνηγῶν, ἁλιέων, κηπωρῶν, ὑλοτόμων, τῶν [81] θεμελίους
τινὰς καταβαλλο- μένων. καὶ τῷ ἀνθρωπίνῳ
δὲ γένει δέκα ζώων ἰδέας συνωκηκέναι λέγεται, κύνα, ὄρνιν, βοῦν, ἵππον, ὄνον,
ὀρέα, χῆνα [ἢ νῆτταν], αἶγα, πρόβατον, γαλῆν. εἱμαρμένην δὲ πάλιν ἔλεγον, παρ᾽
ὅσον οὐ- δεμία ἰδιότης οὔτε ἐν ἀριθμοῖς οὔτε ἐν τοῖς οὖσι κατ᾽ ἀριθμοῦ σύ-
στασίν ἐστιν, ἣ οὐκ ἐν δεκάδι καὶ τοῖς ἐντὸς αὐτῆς σπερματικῶς καταβέβληται,
κατὰ εἱρμὸν δὲ λοιπὸν καὶ κατ᾽ ἀκολουθίαν διατεί- νει καὶ ἐπὶ τὰ μετ᾽ αὐτήν,
εἱμαρμένη δὲ ὡς εἰρομένη τις καὶ εὐτακ- τουμένη ἀπόβασις: αἰῶνα δέ, ὅτι
περιεκτικὸς τῶν ὅλων οὗτος [10] τελειότατος ὧν καὶ ἀίδιος, τελεστικὸς τῶν
ἁπάντων, ὡς ἡ δεκάς, ἐλέχθη: κράτος δέ, ὅτι κρατύνεσθαί τε τὰ κοσμικὰ δι᾽ αὐτοῦ
συμ- βέβηκε, καὶ τῶν ἄλλων κρατεῖν ἀριθμῶν ὁ δέκα φαίνεται πάντων τε λόγων
ἕρκος τι καὶ περίκλεισις καὶ δοχεῖον διόπερ καὶ κλειδοῦχος ἐκαλεῖτο πρὸς τῷ καὶ
τοῦ μέχρι τετράδος εἶναι συστήματος. πίστις γε μὴν καλεῖται, ὅτι κατὰ τὸν
Φιλόλαον δεκάδι καὶ τοῖς αὐτῆς μορίοις περὶ τῶν ὄντων οὐ παρέργως
καταλαμβανομένωνδ6 πίστιν βεβαίαν ἔχομεν. διόπερ καὶ Μνήμη λέγοιτ᾽ ἂν ἐκ τῶν
αὐτῶν, ἀφ᾽ ὧν καὶ μονὰς Μνημοσύνη ὠνομάσθη. εἰ δὲ καὶ τὴν ᾿Ανάγκην οἱ [20]
θεολόγοι τῇ τοῦ παντὸς οὐρανοῦ ἐξωτάτῃ ἄντυγι ἐπηχοῦσι διη- νεκῶς ἐλαύνουσαν
καὶ κατεπείγουσαν ἀδαμαντίνῳ καὶ ἀτρύτῳ μά- στιγι τὴν σύμπασαν περιδίνησιν, εἴη
ἂν καὶ οὕτως ἡ [82] δεκὰς ᾿Ανάγκη, πάντα περιορίζουσα καὶ ἀλλήλοις
καταμιγνύουσα καὶ πάλιν διιστάνουσα καὶ κίνησιν καὶ ἀλληλουχίαν ἐμποιοῦσα τοῖς
οὖσιν. αἱ κατ᾽ αὐτὴν σφαῖραι τοῦ παντὸς αἱ δέκα. Ἄτλας δέ, παρ᾽ ὅσον ὁ μὲν
Τιτὰν μυθεύεται φέρειν ἐπὶ τοῖς ὦμοις τὸν οὐρανόν᾽ φησὶ γάρ᾽ «ἔχει δέ τε κίονας
αὐτὸς μακράς, αἱ γαῖάν τε καὶ οὐρα- νὸν ἀμφὶς ἔχουσιν»᾽ ἡ δὲ δεκὰς τὸν τῶν
σφαιρῶν συγκρατεῖ λόγον οἷον πασῶν τις διάμετρος οὖσα καὶ περιάγουσα ταύτας καὶ
περι- 56 καταλαμβανομένων Burkert (cf. ed. Klein Add. p. XXVIII): καταλαμ-
βανομένοις. LA TEOLOGIA DELL'ARITMETICA 945 nità infatti è venerata per mezzo
della decade, ed è venerata anche sotto forma di 10 per mezzo del decimo giorno
di ogni mese da parte dei contadini, e in generale da pecorai, caprai, bovari,
allevatori di cavalli, soldati, cacciatori, pescatori, giardinieri,
spaccalegna, [81] e da quelli che gettano le fondamenta delle case.548 Dicono
anche che 10 sono le specie di animali che convivono con il genere umano: cane,
uccello, bue, cavallo, asino, mulo, oca, capra, pecora e furetto.549 Ancora, lo
chiamavano “Destino”, perché non esiste, né nei numeri né negli enti visti
nella loro composizione numerica, alcuna proprietà che non sia stata posta in
germe nel 10 o nei numeri entro il 10, e che non si estenda, in successione
nella rimanente serie, anche ai numeri posteriori a 10, e il “destino”
[εἱμαρμένη] è appunto una sequenza “concatenata” [eipouévn] e “bene ordinata”;
“Eternità”, perché l'eternità, che contiene l'universo, essendo perfettissima e
perpetua, è capace, si dice, di portare a termine ogni cosa, allo stesso modo
del 10; “Forza”, perché il 10 ha la proprietà di rendere forti le cose del
mondo, e perché si rivela come il numero che domina su tutti i nume- ri, ed è
una difesa e un recinto e un recipiente di tutti i loro rapporti; perciò lo
chiamavano anche “clavigero”55 perché racchiude in sé i numeri fino a 4.551 È
chiamato “Fiducia”, perché, stando a quel che dice Filolao, noi in verità
facciamo sicuro affidamento sul 10 e sulle sue parti, se queste vengono
comprese, in rapporto agli enti, in modo non superficiale. Perciò il 10
potrebbe essere detto anche “Memoria” per le stesse ragioni per le quali l’ 1 è
stato denominato “Mnemosune”. Se poi i teologi [Orfici?] concordano anche nel
dire che è il 10 a produrre ininterrottamente mediante la circonferenza più
esterna di tutto il cielo e a sollecitare con la sua adamantina e instan-
cabile sferza il movimento vorticoso dell'universo, allora per la stessa
ragione esso sarà anche [82] “Necessità”, dal momento che circoscri- ve tutte
le cose?92 e le mescola tra loro e di nuovo le separa e imprime agli enti
movimento e coesione, È in virtà del numero 10 che sono dieci le sfere
dell'universo. Lo chiamavano “Atlante”, perché il mito racconta che questo
Titano porta il cielo sulle sue spalle: dice infatti <Omero>: «regge le
grandi colonne, che Terra e Cielo sostengono da
una parte e dall’altra»;55 è il 10 che governa il rapporto delle sfere
celesti, come fosse un diametro che le attraversa tutte e le fa ruotare e le
racchiude in modo da contenerle il meglio possibile. 946 GIAMBLICO κλείουσα
[10] συνεκτικώτατα. ὅτι καὶ Σπεύσιππος ὁ Πωτώνης μὲν υἱὸς τῆς τοῦ Πλάτωνος
ἀδελφῆς, διάδοχος δὲ ᾿Ακαδημίας πρὸ Ξενοκράτου, ἐκ τῶν ἐξαιρέτως σπουδασθεισῶν
ἀεὶ Πυθαγορικῶν ἀκροάσεων, μάλιστα δὲ τῶν Φιλολάου συγγραμμάτων, βιβλίδιόν τι
συντάξας γλαφυρὸν ἐπέγραψε μὲν αὐτὸ Περὶ Πυθαγορικῶν ἀριθμῶν, ἀπ᾽ ἀρχῆς δὲ
μέχρι ἡμίσους περὶ τῶν ἐν αὐτοῖς γραμμικῶν ἐμμελέ- στατα διεξελθὼν πολυγωνίων
τε καὶ παντοίων τῶν ἐν ἀριθμοῖς ἐπι- πέδων ἅμα καὶ στερεῶν περί τε τῶν πέντε
σχημάτων, ἃ τοῖς κοσμι- κοῖς ἀποδίδοται στοιχείοις, ἰδιότητός57 αὐτῶν καὶ πρὸς
ἄλληλα κοι- νότητος, ἀναλογίαςϑ8 τε [20] καὶ ἀντακολουθίας, μετὰ ταῦτα λοιπὸν
θάτερον τὸ τοῦ βιβλίου [83] ἥμισυ περὶ δεκάδος ἄντικρυς ποιεῖται φυσικωτάτην
αὐτὴν ἀποφαίνων καὶ τελεστικωτάτην τῶν ὄντων, οἷον εἶδός τι τοὶς κοσμικοῖς
ἀποτελέσμασι τεχνικὸν ἐφ᾽ ἑαυτῆς (ἀλλ᾽ οὐχ ἡμῶν νομισάντων ἢ ὡς ἔτυχε) θεμέλιον
ὑπάρχουσαν καὶ παρά- δεῖγμα παντελέστατον τῷ τοῦ παντὸς ποιητῇ θεῷ
προεκκειμένην. λέ- yer δὲ τὸν τρόπον τοῦτον περὶ αὐτῆς" «ἔστι δὲ τὰ δέκα
τέλειος «ἀριθ- μόρ, καὶ ὀρθῶς τε καὶ κατὰ φύσιν εἰς τοῦτον καταντῶμεν παντοίως
ἀριθμοῦντες Ἕλληνές τε καὶ πάντες ἄνθρωποι οὐδὲν αὐτοὶ ἐπι- τηδεύοντες᾽ πολλὰ
γὰρ ἴδια ἔχει, ἃ [10] προσήκει τὸν οὕτω τέλειον ἔχειν, πολλὰ δὲ ἴδια μὲν οὐκ
ἔστιν αὐτοῦ, δεῖ δὲ ἔχειν αὐτὰ τέλε- τον. πρῶτον μὲν οὖν ἄρτιον δεῖ εἶναι, ὅπως
ἴσοι ἐνῶσιν οἱ περισσοὶ καὶ ἄρτιοι καὶ μὴ ἑτερομερῶς: ἐπεὶ γὰρ πρότερος ἀεί
ἐστιν ὁ περισ- σὸς τοῦ ἀρτίου, εἰ μὴ ἀρτιος εἴη ὁ συμπεραίνων, πλεονεκτήσει ὁ
ἕτερος" εἶτα δὲ ἴσους ἔχειν χρὴ τοὺς πρώτους καὶ ἀσυνθέτους καὶ τοὺς
δευτέρους καὶ συνθέτους᾽ ὁ δὲ δέκα ἔχει ἴσους, καὶ οὐδεὶς ἂν ἄλλος ἐλάσσων τῶν
δέκα τοῦτο ἔπαθεν ἀριθμός, πλείων δὲ τάχα (καὶ γὰρ ὁ ιβ΄ καὶ ἄλλοι τινές), ἀλλὰ
πυθμὴν αὐτῶν ὁ δέκα᾽ καὶ πρῶτος τοῦτο ἔχων καὶ ἐλάχιστος τῶν [20] ἐχόντων τέλος
τι ἔχει, καὶ ἴδιόν πως αὐτοῦ τοῦτο γέγονε τὸ ἐν [84] πρώτῳ αὐτῷ ἴσους
ἀσυνθέτους τε καὶ συνθέτους ὦφθαι, ἔχων τε τοῦτο ἔχει πάλιν σους καὶ τοὺς
πολλαπλασίους καὶ τοὺς ὑποπολλαπλασίους, ὧν εἰσι πολλαπλάσιοι᾽ ἔχει μὲν γὰρ
ὑποπολλαπλασίους τοὺς μέχρι πέντε, τοὺς δὲ ἀπὸ τῶν 57 ἰδιότητος ho scritto io
seguendo Taran (cf. Speus., Text. p. 140, Comm. p. 267): ἰδιότητός «τε» De
Falco seguendo Diels. 58 ἀναλογίας ho scritto io accogliendo la lezione del
cod. M e seguendo Tarn (cf. Speus., Text p. 140, Comm. p. 263 55.): περὶ»
ἀναλογίας Tannery e De Falco. 59 ἐφ᾽ διαινντῃς mutò Tarin sepnenda Cherniss:
stà’ ἑωυτῆς LA TEOLOGIA DELL'ARITMETICA 947 Speusippo, figlio di Potona,
sorella di Platone, e diadoco dell’Accademia prima di Senocrate, compose un
elegante opuscolo tratto dalle Lezioni Pitagoriche,554 che sono state sempre
particolar- mente studiate, e soprattutto dagli scritti di Filolao, e lo
intitolò Sus numeri pitagorici: nella prima metà di questo scritto fa
un’accuratissi- ma esposizione dei numeri lineari, dei numeri poligonali e di
ogni specie dei numeri piani e insieme dei numeri solidi e delle cinque figure
<solide regolari>, che sono assegnate agli elementi cosmici, della
specificità e reciproca comunanza di tali numeri, della loro rela- zione e
corrispondenza,’ dopo di che, nella rimanente metà del libro, [83] affronta
direttamente il tema del numero 10, dichiarando che esso è il più legato alla
natura?5 e quello che più d’ogni altro con- duce a compimento gli enti, come
fosse una forma delle cose che si realizzano nel mondo, e che crea per sua
propria natura (e non certo per quel che ne possiamo pensare noi, o per caso),
e il fondamento e il modello perfettissimo che dio aveva dinnanzi quando creò
il mondo. Ma ecco come Speusippo parla della decade: «Il 10 è nume- ro perfetto, ed è insieme corretto e secondo
natura che noi Greci e tutti gli uomini,
senza che ce ne accorgiamo, nel contare arriviamo fino a 10:597 questo numero infatti ha molte
peculiarità, che conviene abbiano un
numero cosî perfetto, e molte ne ha che non gli apparten- gono, ma che un numero perfetto deve
possedere. Ebbene, un nume- ro perfetto
deve anzitutto essere numero pari, tale che contenga dispari e pari in uguale quantità e non
sbilanciati da un lato: poiché, infatti,
c'è sempre un dispari prima di un pari, se quello che chiude non sarà pari, l’altro558 lo soverchierà;959
poi è necessario che abbia in uguale
quantità i numeri primi e non composti, e i numeri secondi e composti:560 ma il 10 li ha in uguale
quantità, e nessun altro numero minore
di 10 presenta tale proprietà, qualche numero superiore a 10 forse si (è il caso infatti del 12 e di altri
numeri), ma il 10 è il numero base»61 di
tale categoria di numeri; ed essendo anche il primo nume- ro che ha questa proprietà ed il più piccolo
tra quelli che l'hanno, fa da termine;
anche questo è in qualche modo una sua prerogativa, cioè il fatto che è [84] il primo numero in
cui si possono vedere in uguale quantità numeri non-composti e numeri composti;
e ha anco- ra quest'altra proprietà, di avere cioè in uguale i multipli e i
sotto- multipli, di cui i primi sono multipli: infatti ha come sotto-multipli i
948 GIAMBLICO ἐξ μέχρι τῶν δέκα [oi] πολλαπλασίους αὐτῶν᾽ ἐπεὶ δὲ τὰ ἑπτὰ
οὐ- δενός, ἐξαιρετέον,60 καὶ τὰ τέσσαρα
ὡς πολλαπλάσια τοῦ δύο, ὥστε ἴσους εἶναι
πάλιν [δεῖ]. ἔτι πάντες οἱ λόγοι ἐν τῷ ι΄, ὅ τε τοῦ ἴσου καὶ τοῦ μείζονος καὶ τοῦ ἐλάττονος καὶ τοῦ
ἐπιμορίου καὶ τῶν λοιπῶν εἰδῶν ἐν αὐτῷ,
καὶ οἱ γραμμικοὶ «καὶ» οἱ [10] ἐπίπεδοι καὶ
οἱ στερεοί᾽ τὸ μὲν γὰρ ἕν στιγμή, τὰ δὲ δύο γραμμή, τὰ δὲ τρία τρίγωνον, τὰ δὲ τέσσαρα πυραμίς: ταῦτα δὲ
πάντα ἐστὶ πρῶτα καὶ ἀρχαὶ τῶν καθ᾽
ἕκαστον ὁμογενῶν. καὶ ἀναλογιῶν δὲ πρώτη αὕτη
ἐστὶν ἡ ἐν αὐτοῖς ὀφθεῖσα ἡ τὸ ἴσον μὲν ὑπερέχουσα, τέλος δὲ ἔχουσα ἐν τοῖς δέκα. ἔν τε ἐπιπέδοις καὶ
στερεοῖς πρῶτά ἐστι ταῦτα᾽ στιγμὴ γραμμὴ
τρίγωνον πυραμίς; ἔχει δὲ ταῦτα τὸν τῶν δέκα
ἀριθμὸν καὶ τέλος ἴσχει᾽ τετρὰς μὲν γὰρ ἐν πυραμίδος γωνίαις ἢ βά- σεσιν, ἑξὰς δὲ ἐν πλευραῖς, ὥστε δέκα᾽ τετρὰς
δὲ πάλιν ἐν στιγμῆς καὶ γραμμῆς
διαστήμασι καὶ πέρασιν, ἑξὰς δὲ ἐν τριγώνου [20] πλευραῖς καὶ γωνίαις, ὥστε πάλιν δέκα. καὶ
μὴν καὶ ἐν τοῖς [85] σχήμασι κατ᾽
ἀριθμὸν σκεπτομένῳ «ταὐτὸ» συμβαίνει πρῶτον γάρ
ἐστι τρίγωνον τὸ ἰσόπλευρον, ὃ ἔχει μίαν πως γραμμὴν καὶ
γωνίαν" λέγω δὲ μίαν, διότι ἴσας
ἔχει᾽ ἄσχιστον γὰρ ἀεὶ καὶ ἑνοειδὲς τὸ
ἴσον δεύτερον δὲ τὸ ἡμιτετράγωνον᾽ μίαν γὰρ ἔχον παραλλαγὴν γραμμῶν καὶ γωνιῶν ἐν δυάδι ὁρᾶται᾽ τρίτον δὲ
τὸ τοῦ ἰσοπλεύρου ἥμισυ τὸ καὶ
ἡμιτρίγωνον᾽ πάντως γὰρ ἄνισον καθ᾽ ἕκαστον, τὸ δὲ πάντη αὐτοῦ τρία ἐστί. καὶ ἐπὶ τῶν στερεῶν
εὑρίσκοις ἂν ἄχρι τῶν τεττάρων προϊὼνό!
τὸ τοιοῦτο, ὥστε δεκάδος καὶ οὕτως ψαύει γίνε-
ται γάρ πος ἡ [10] μὲν πρώτη πυραμὶς μίαν πῶς γραμμήν τε καὶ ἐπι- φάνειαν ἐν ἰσότητι ἔχουσα, ἐπὶ τοῦ ἰσοπλεύρου
ἱσταμένη: ἡ δὲ δευ- τέρα δύο, ἐπὶ
τετραγώνου ἐγηγερμένη, μίαν παραλλαγὴν ἔχουσα
παρὰ τῆς ἐπὶ τῆς βάσεως γωνίας, ὑπὸ τριῶν ἐπιπέδων περιεχομένη, τὴν κατὰ κορυφὴν ὑπὸ τεττάρων συγκλειομένη,
ὥστε ἐκ τούτου δυά- δι ἐοικέναι. ἡ δὲ τρίτη
τριάδι, ἐπὶ ἡμιτετραγώνου βεβηκυῖα καὶ σὺν
τῇ ὀφθείσῃ μιᾷ ὡς ἐν ἐπιπέδῳ τῇ ἡμιτετραγώνῳ ἔτι καὶ ἄλλην ἔχουσα
διαφορὰν τὴν τῆς κορυφαίας γωνίας, ὥστε τριάδι ἂν ὁμοιοῖτο, πρὸς ὀρθὰς τὴν
γωνίαν ἔχουσα τῇ τῆς βάσεως μέσῃ πλευ- 60 la virgola dopo ἐξαιρετέον eliminò
Dodds (cf. ed. Klein Add. p. XXVIII), ma
non in modo conveniente, giacché ἐξαιρετέον si riferisce a tà ἑπτὰ di li. 5, prima che a tà τέσσαρα di li.
6. 61 προϊὼν quasi tutti i MSS Ast
Tarin: προϊὸν Lang Diels De Falco. LA
TEOLOGIA DELL'ARITMETICA 949 numeri fino
a 5, e come multipli di questi i numeri da 6 a 10; e poi- ché 7 non è multiplo di nessuno dei numeri
fino a 5, non bisogna con- tarlo,56° ma
non si deve contare neppure 4 che è multiplo di 2,54 di modo che ancora una volta sono in uguale
quantità i multipli e i sotto- multipli.
Inoltre, tutti i rapporti numerici sono interni al 10: uguale, maggiore, minore, epimorio e tutte le altre
sue specie di rapporto, come ci sono
anche i numeri lineari, i numeri piani e i numeri solidi: infatti l 1 è punto, il 2 linea, il 3
triangolo, il 4 piramide: tutti questi
sono principi e punti di partenza di singole figure ad essi
omogenee. Ma in questi primi quattro
numeri, la cui somma fa appunto 10, si
può vedere anche la prima delle proporzioni, cioè quella che ammet- te <tra i termini> un’uguale
differenza.59 Sia nei numeri piani che nei
numeri solidi i principi sono questi: punto, linea, triangolo e
pirami- de: questi contengono il 10 come
loro somma e quindi hanno perfe- zione:
infatti nella piramide c'è il 4 degli angoli e delle basi,797 e il 6 dei lati 568 e quindi in tutto 10; e ancora,
nel triangolo c’è il 4 degli intervalli
e dei limiti di punto e linea,599 e il 6 dei lati e degli angoli, e quindi in tutto 10. E inoltre anche [85]
nelle figure?70 accade la stes- sa
cosa,?7! se le esaminiamo in funzione del numero: infatti il primo triangolo è quello equilatero, che ha in un
certo senso un solo lato e un solo
angolo: dico uno solo perché li ha uguali, e l’uguale è sempre indiviso e uniforme;572 il secondo triangolo
è il semiquadrato,573 ed ha un solo
mutamento di lati e di angoli, e lo si può vedere come 2;57 il terzo è la metà del triangolo equilatero ed è
il semitriangolo, che è del tutto
disuguale sotto ciascun aspetto,7 e il numero che gli spetta è in ogni caso il 3. E quanto alle figure solide,
se tu procedi allo stesso modo, troverai
numeri fino a 4, con il risultato che anche cosî9?6 toc- cherai il 10: infatti la piramide che viene
per prima?” ha in un certo senso un’unica
linea e un’unica superficie, perché le ha tutte uguali,578 essendo costruita su un triangolo
equilatero;57? la seconda pirami- de,580
è come se ne avesse 2,581 perché, essendo costruita su un qua- drato, ha una sola differenza perché
all’angolo di base?82 è circoscrit- ta
da tre facce,58 mentre all’angolo al vertice è chiusa da quattro facce, sicché somiglia per questo a un 2;585
la terza piramide che è stabilita su un
semiquadrato,586 è vista come 3, perché oltre all’unica differenza che abbiamo
già osservata nel semiquadrato come figura piana,587 ne ha un’altra che è
quella dell’angolo al vertice, angolo che 950 GIAMBLICO pa’ τετράδι δὲ ἡ [20]
τετάρτη κατὰ ταὐτά, ἐπὶ ἡμιτριγώνῳ βάσει
συνισταμένη, ὥστε τέλος ἐν τοῖς δέκα λαμβάνειν τὰ λεχθέντα. τὰ αὐτὰ δὲ καὶ ἐν τῇ γενέσει" πρώτη μὲν γὰρ
ἀρχὴ εἰς μέγεθος στιγμή, δευτέρα γραμμή, τρίτη ἐπιφάνεια, τέταρτον στερεόν.»
[86] ᾿Ανατολίου. ἡ δεκὰς γεννᾶται δυνάμει ἐξ ἀρτίου καὶ περιττοῦ" πεντάκις
γὰρ δύο δέκα. κύκλος ἐστὶ παντὸς ἀριθμοῦ
καὶ πέρας: περὶ αὐτὸν γὰρ εἰλούμενοι καὶ
ἀνακάμπτοντες ὥσπερ καμπτῆρα δολιχεύουσιν. ἔτι
ὅρος ἐστὶ τῆς ἀπειρίας τῶν ἀριθμῶν. καλεῖται δὲ κράτος καὶ παντέ- λεια, ἐπεὶ πάντα περαίνει τὸν ἀριθμὸν
περιέχουσα πᾶσαν φύσιν ἐντὸς ἑαυτῆς,
ἀρτίου τε καὶ περισσοῦ, κινουμένου τε καὶ ἀκινήτου, ἀγαθοῦ τε καὶ κακοῦ. ἔτι γέγονεν ἐκ τῶν
πρώτων ἀριθμῶν τῆς τετρακτύος [10]
συντεθέντων, α΄ β΄ γ΄ δ΄, καὶ ὁ κ΄ ἐκ δὶς ἑκάστου αὐτῶν. ἔτι ἡ δεκὰς ἀριθμὸν γεννᾷ τὸν ε΄ καὶ
ν΄ θαυμαστὰ περιέχον- τα κάλλη πρῶτον
μὲν γὰρ συνέστηκεν ἐκ τοῦ διπλασίου καὶ τοῦ
τριπλασίου τῶν κατὰ τὸ ἑξῆς συντεθειμένων, διπλασίων μὲν α΄ β΄ δ΄ η΄ (ταῦτα δέ ἐστι Le), τριπλασίων δὲ α΄ γ΄ θ΄
κζ΄ (ἅπερ ἐστὶ μγ 962 ταῦτα δὲ
συντιθέμενα ποιεῖ τὸν νε΄ ὧν καὶ Πλάτων μέμνηται τῆς ψυχογονίας ἀρχόμενος οὕτως «μίαν ἀφεῖλεν ἀπὸ
παντὸς μοῖραν» καὶ τὰ ἑξῆς. δεύτερον ὁ
μὲν νε΄ ἀριθμὸς δεκάδος ἐστὶ σύνθεσις, ὁ
δὲ τπε΄ τῆς δυνάμει δεκάδος" ἐὰν γὰρ ἐκ τῶν ἀπὸ μονάδος μέχρι
[20] δεκάδος πολλαπλασιάσῃς, συνθήσεις
τὸν προειρημένον ἀριθμὸν τὸν tre‘, τὰ δὲ
τπε΄ τοῦ νε΄ τὸ ἑπταπλάσιον. ἔτι ἐὰν ψηφίσῃς τὸ ἕν ἐν γράμμασιν, εὑρήσεις κατὰ σύνθεσιν τὸν νε΄.
ἔτι δὲ ἡ γονιμωτάτη ἑξὰς ἐφ᾽ ἑαυτὴν
πολλαπλασιασθεῖσα [87] δυνάμει ἐπιγεννᾷ τὸν λε΄" ἔστι δὲ ἑπτὰ τούτου μέρη γεννώμενα οὕτως, δὶς
ιη΄, τρὶς ιτβ΄, τετρά- κις θ΄, ἑξάκις ς΄, ἐννεάκις δ΄, δωδεκάκις γ΄,
ὀκτωκαιδεκάκις β΄" γί- νονταιόϑ μέρη μὲν «ἑπτά», ἀριθμὸς δὲ ὁ νε΄. ἔτι
τρίγωνοι πέντε κατὰ 62 εἰσὶ μ΄ ora De Falco (cf. ed. Klein Add. p. XXVIII):
ἐστὶ μ΄. 63 γίνονται ora De Falco (cf. ed. Klein Add. p. XXVIII): γίνεται. LA
TEOLOGIA DELL'ARITMETICA 951 converge
sulle perpendicolari al centro del lato di base, sicché potrà essere assimilata ai 3;588 la quarta
piramide, che è costruita su base
semitriangolare,58? per le medesime ragioni5” può essere assimilata
al 4;591 il risultato è che alla fine
queste figure di cui abbiamo parlato
danno come somma 10.592 Le stesse considerazioni valgono anche dal punto di vista della genesi delle figure:5%
infatti, in ordine di grandez- za, il primo principio è il punto, il secondo la
linea, il terzo la super- ficie, il quarto il volume». [86] <I/ numero
10> secondo Anatolio. Il 10 è potenzialmente generato da un pari e da un
dispari: infat- ti 10=2x5. Il 10 è moto
circolare e limite di ogni numero, perché tutti
i numeri corrono ruotando e girando intorno ad esso come a un punto di svolta. Ancora, il 10 è limite
dell’infinità dei numeri. É chiamato
“Forza” e “Onniperfezione”,59 giacché fa da confine a ogni numero contenendo dentro di sé ogni natura,
del pari e del dispari, di ciò che si
muove e di ciò che sta immobile, del bene e del male. Ancora, il 10 ha origine dalla somma dei
primi quattro numeri, cioè dalla
Tetratti [1, 2, 3, 4], e il 20 nasce dalla somma di ciascuno di essi moltiplicato per 2.596 Ancora, il 10 genera
il numero 55,59 numero che contiene
meravigliose bellezze: in primo luogo, infatti, è compo- sto dai <primi quattro> doppi e tripli
rispettivamente sommati in suc-
cessione, cioè dai doppi 1, 2, 4, 8 (la cui somma fa 15) e dai tripli 1, 3,9, 27 (la cui somma fa 40): sommati tutti
insieme fanno appunto 55, numero che
anche Platone menziona all’inizio del discorso sulla crea- zione dell’Anima?9 con queste parole: «tolse
[sc. il demiurgo] dal tutto una parte»,
ecc. In secondo luogo il numero 55 è uguale alla somma dei numeri della decade,59 e il numero
385 è uguale alla somma dei quadrati
degli stessi numeri della decade:600 se infatti mol- tiplichi per se stessi i numeri da 1 a 10 e
li sommi insieme, ottieni il predetto
numero 385, e d’altra parte 385 è ettaplo di 55.601 Ancora, se calcoli in lettere,602 scopri che la somma fa
55.6 Ancora, il 6, che è il numero più
fecondo,6 moltiplicato per se stesso [87] genera il 36, e questo ha 7 parti60 che si generano cost: 36
diviso per 2 fa 18, diviso per 3 fa 12,
diviso per 4 fa 9, diviso per 6 fa 6, diviso per 9 fa 4, divi- so per 12 fa 3,
diviso per 18 fa 2; e questi sette fattori, se sommati allo 952 GIAMBLICO τὸ
ἑξῆς γεννῶσι τὸν νε΄, γ΄ ς΄ ι΄ τε΄ κα΄ (γίνονται ve’): πάλιν τετράγω- νοι πέντε κατὰ τὸ ἑξῆς, α΄ δ΄ θ΄ 15° κε΄ (γίνονται
ve’), ἐκ δὲ τριγώνου καὶ τετραγώνου ἡ
τοῦ ὅλου γένεσις κατὰ Πλάτωνα: ἐκ μὲν «γὰρ»
ἰσοπλεύρων τριγώνων τρία σχήματα συνίστανται,6' πυραμὶς ὀκτάε- δρον εἰκοσάεδρον, ἡ μὲν πυρὸς σχῆμα, [10] τὸ
δὲ ἀέρος, τὸ δὲ ὕδατος, ἐκ δὲ τετραγώνων
ὁ κύβος, τοῦτο δὲ σχῆμα γῆς ἐστιν. 64
συνίστανται ora De Falco (cf. ed. Klein Add. p. XXVIII): συνίστα- tar.
LA TEOLOGIA DELL'ARITMETICA 953
stesso numero, danno 55.606 Ancora, i <primi> 5 numeri triangolari
in successione60? generano il numero 55,
cioè 3+6+10+15+21=55; anco- ra, i
<primi> cinque quadrati in successione fanno 55, cioè 1+4+9+16+25=55, e secondo Platone608
l’universo è generato da triangolo e
quadrato: infatti, di triangoli equilateri sono composte tre figure <solide>: piramide {tetraedro],
ottaedro e icosaedro, che sono
rispettivamente: la piramide figura del fuoco, l’ottaedro
dell’aria, l’icosaedro dell’acqua; di
quadrati invece è composto il <solo> cubo, che è figura della terra. NOTE
ALLA «TEOLOGIA DELL'ARITMETICA» 1 Sc. a differenza del punto che è I’ 1 avente
posizione, cioè collocato nello
spazio. 2 Cf, Giamblico, Ix Nicom. 11,24
s. } Sc. che moltiplica. 4 Perfetto è un numero che è perfettamente
uguale alla somma dei suoi divisori: ad
es. 6=3+2+1; ridondante è un numero che è minore della somma dei suoi divisori: ad es. 12<(6+4+3+2+1);
deficiente è un numero che è mag- giore
della somma dei suoi divisori: ad es. 8>(4+2+1). 5 Cf. Giamblico, In Nicom. 11; cf. anche
Nicomaco, Aritbm. intr. 65,17 ss.
Hoche. 6 Sc. nella divisione all’infinito
e nella moltiplicazione all'infinito. 7
Sc. per quante siano le parti in cui si divida una grandezza continua, la parte costituisce sempre un'unità: divisa per
2 produce 1/2, per 3 1/3, per 4 1/4,
ecc.: il numeratore è sempre 1, qualunque sia il denominatore. 8 Sc. per quante volte si moltiplichi una
grandezza discreta, il numero che si
ottiene è una somma di unità: 1x2=1+I; 1x3=1+1+1, ecc., ovverosia l’ 1 è sempre la differenza tra un accrescimento
e l’altro: cf. Giamblico, Ir Nicom.
13,13 ss. ? Cf. Giamblico, Ix Nicom.
44,10. 10 Cf. Giamblico, In Nicom. 13
s. 11
Sc. nell’ordine lineare. 12 Sc. delle
frazioni. 13 Sc. se x=2y, allora x2=4y?
e x3=8y?; se x=3y, allora x2=9y? e x3=27y?; se
x=1/2y, allora x2=1/4y? e x3=1/8y3; se x=1/3y, allora x2=1/9y2 e
x3=1/27y?. 14 Cf., mutatis mutandis,
Plotino, Enn. 6,2 [43] 11,29 ss.: «Τὰ μὲν δὴ φύ- σει οὕτω: τὰ δὲ ἐν ταῖς τέχναις αὐτὴ ἑκάστη ἕκαστον πρὸς τοῦτο καθόσον δύναται καὶ ὡς δύναται ἐκεῖνα οὕτως ἄγει. Τὸ δὲ ὃν μάλιστα πάντων
τού- του [sc. dell’Uno] τυγχάνει: ἐγγὺς γάρ -- Per le cose naturali certamente
è cosi; per le cose artificiali, invece,
ogni arte le porta allo stesso modo all’uni-
tà per quanto e come le sia possibile. Ma è l’Essere che soprattutto
attinge l’Uno al più alto livello,
perché gli è vicino». 15 C£. Giamblico,
In Nicom. 11,16. 16 Cf, Giamblico, In
Nicom. 76,1 ss., dove si dimostra che quadrati ed eteromechi, seppure contrari, nascono in
funzione dell’unità. LA TEOLOGIA
DELL'ARITMETICA 955 17 Sc. dello stesso
Nicomaco. 18 Sc. come grandezza continua
o quantità geometrica. 19 Sc. come
grandezza discreta o quantità aritmetica.
20 Sc. ermafrodito, androgino. 21
Cf. Giamblico, In Nicom. 13,11. 22 Crea,
cioè, le strutture formali delle nature degli enti secondo la loro valenza matematica. 23 Sc. da προ-μη-θεῖν = non fuggire in
avanti. 24 Sc. divisibile ma solo in
parti disuguali. 25 Sc. divisibile in
parti uguali e disuguali. 26 Sc. di
Crono. 27 Sc. μ΄ τον τα τσ΄ = 40+70+50+1+200
= 361. Questo metodo di ridu- zione delle lettere di una parola a numeri la cui
somma rappresenti l'essenza e il carattere del referente oggettivo della stessa
parola, è passato nella tradi- zione giudaica con la denominazione di gerzatria
[gimatrîze], che altro non è se non un
calco linguistico ebraico del greco γεωμετρία, e di li nell’esege- si biblica cristiana. Cf. W. Haubrichs, Ordo
als Form, Tibingen 1969; H. Meyer, Die
Zablenallegorese im Mittelalter Munchen 1975; e, soprattutto per le fonti, H. Meyer-R. Suntrup, Lexicon
der mittelalterlichen Zablenbedeutungen, Minchen 1987. 28 Sc. nelle corde dello strumento musicale. 29 Sc. che ha tutti i lati delle basi che
misurano 1, o forse che è della stes- sa
natura dell’Uno. 30 Omero, I/. 8,16. 31 Sc. considerano te, cioè l’ 1. 32 Euripide, fr. 938 Nauck?. 33 Forse nel senso di cui si parla a p. 50,21
s., ‘fra, 0 forse nel senso dei numeri
triangolari che si costruiscono per somma cumulativa a partire da 1, che è il triangolare in potenza. La
costruzione avveniva praticamente col
metodo dello gnomone e quindi collocando i numeri «ad uno ad uno».
Cf, Giamblico, Ix Nicom. 58,7 ss. 34 Sc. il 2 non può essere figura né in atto
né in potenza. 35 Sc. qualunque numero
ha come fattore 1. 36 2+2=4=2x2. 37 Il primo numero che ha figura, infatti, è
il 3. 38 Sc. nella medietà fra quattro
termini, che è la vera proporzione, ovve- ro la proporzione disgiunta, cioè con
due medi diversi. C£. p. 84,13 s., infra, dove si parla della prima (o basale}
proporzione aritmetica disgiunta tra 1, 2,
3,4. 39 Sc. la forma. 956 GIAMBLICO
40 Sc. che può assumere una determinata configurazione. 41 Si noti che ambedue questi verbi sono
composti da διά. 42 Sc. dal lato dei
multipli e dal lato delle parti. 43 Sc.
come i rapporti che nascono da esso. 44
Cf. Giamblico, In Nicom. 77,23. 4 Sc. di
ogni quadrato. 46 Sc. del diaulo: cf.
Giamblico, Ix Nicom. 75 fin., pass. 47
Ades.: sia 3 il lato del quadrato 9: questo si ottiene sommando a par- tire da
1 (barriera di partenza) i numeri che arrivano a 3 (punto di svolta) e che
tornano a 1 (meta finale); infatti 1+2+3+2+1=9.
48 Cf. Giamblico, In Nicom. 75,26.
49 Sc. con la regressione che arriva al 2 e non all’ 1: cf, Giamblico,
In Nicom. 77. 50 Sc. della quantità pensata secondo l’
1. 51 Qualsiasi numero moltiplicato per
1 rimane se stesso. 52 Sc. del 3, che
risulta dalla somma di 1+2. (3x3=9)>(3+1=4).
53 Sc. pensata come somma di 1+2=3.
54 Sc. tra 3 e 1, in mezzo ai quali sta il 2. 55 Cf. Giamblico, In Nicom. 81,20. 56 Sc. di larghezza del numero piano. 5? Sc. dal cubo che moltiplica il suo stesso
lato, e che è un quadrato: cf.
Giamblico, In Nicom. 97. 58 Sc.
16=23x2. 59 Nella fattispecie un
quadrato. 60 Sc. dalla superficie o
area: cf. p. 22, infra. 61 Sc. il
quadrato 16, il cui lato 4 è a sua volta un quadrato, 2x2. 62 I] 2, infatti, è il primo numero che è
medio tra due numeri: 1, 2, 3. 63 δὲ. 4
e 9, se non contiamo il quadrato in potenza 1.
64 Infatti il quadrato 4 ha perimetro 8 che è maggiore di 4; il quadrato
9 ha perimetro 12 che è maggiore di
9, 65 Sc. 25, 36,49, 81, ecc. 6 Infatti il quadrato 25 ha perimetro 20 che
è minore di 25; il quadrato 36 ha
perimetro 24 che è minore di 36; il quadrato 49 ha perimetro 28 che è minore si 49; il quadrato 81 ha perimetro 36
che è minore di 81, ecc. 67 Platone,
Theaet. 147 D. 6 πως; cf. Platone,
Theaet. 147 Ὁ 6: ἐν δὲ ταύτῃ πῶς ἐνέσχετο.
6 Proprietà che è diversa da quella del quadrato 16, 70 Sc. del quadrato 16, a cui compete
l'uguaglianza tra perimetro e super-
ficie [4+4+4+4=16=42), e che si trova al centro — e quindi partecipato
come LA TEOLOGIA DELL'ARITMETICA
957 quadrato di riferimento — delle due
serie di quadrati con caratteri opposti, cioè tra quelli che lo precedono, i
quali hanno il perimetro superiore alla superficie, e quelli che lo seguono, i
quali hanno il perimetro inferiore alla superficie. Non si può accettare la congettura
di Waterfield, Ezerd., secon- do la quale, dal momento the l'uguaglianza di cui
si parla appartiene al qua- drato 16, si
dovrebbe correggere l’ ἑπτακαίδεκα [17] della li. 15-16 in ἑκκαίδεκα [16]. Waterfield commette due
errori: uno perché attribuisce μεθεκτοῦ
a ἰσότητος [«shared equality»] accordando un maschile (o neutro) con un
femminile [probabilmente per confusione tra μεθεκτός,ή,όν e ἀμέ- θεκτος,ον), e
un altro perché non tiene in conto che nel testo platonico è detto in modo inequivocabile che Teodoro si
fermò quando giunse alla “potenza"
di 17 piedi (προαιρούμενος μέχρι τῆς ἑπτακαιδεκάποδος᾽ ἐν δὲ ταύτῃ πως ἐνέσχετο). La correzione più
logica,. semmai, sarebbe quella di
mutare ἰσότητος in μεσότητος (per analogia con la μεσότης della li. 9),
nel senso che il quadrato 16 sarebbe
“punto di riferimento" e quindi “parteci-
pato" dagli altri quadrati precedenti e seguenti. 71 Cf. Giamblico, Ir Nicom. 78,8. 72 Sc. il primo distacco dall’ 1. 73 Sc. di numero lineare, nel senso che con
il 2 è possibile tracciare la distanza
geometrica tra due punti. 74 Sc. tra 2 e
4. 75 Rispetto a prima: cf. p. 10 a proposito
della medietà e dell’uguaglian- za del 2
come punto di demarcazione tra quantità relativa a 1 e quantità rela- tiva a 3.
76 3=1+2. 7? Sc. dei numeri che
lo precedono. 78 Sc. numero
lineare. 79 4=2x2. 80 Cf. Giamblico, Ix Nicom. 61,21. 81 Sc. ogni cosa, non solo ogni figura
poligonale. 82 Meglio, piana. In
effetti, dire figura rettilinea non ha senso se non come una serie di linee
rette che non costituiscono una vera e propria figura geometrica, se non a
condizione che racchiudano uno spazio congiungendo- si tutte fra loro. In
questo senso la più semplice delle figure rettilinee (o piane) è quella
costituita da tre linee e tre angoli. 83
C£. Giamblico, In Nicom. 15,11. 84 Sc.
pari o dispari. 85 Infatti l’ 1 è
insieme pari e dispari e quindi non appartiene chiaramen- te all’una o all'altra specie di numero. 86 Sc. attraendo come femmina l’assalto del
maschio: questi è forma, come quella è
materia. 958 GIAMBLICO 87 C£. p. 7 fin., supra. 88 Sc. δίχα ο διχῇ. 89 Cf. p. 10 fin., supra. 90 Infatti il 2 nasce dall’ 1 per un
movimento di differenziazione. 91 Sc.
dopo quello che abbiamo detto. 92 Sc.
non come un principio numerico di importanza quasi uguale a quella dell’ 1, ma come una semplice
ripetizione del numero 1. 93 Sc. i due 1
esisterebbero già prima della nascita del 2, il che è assurdo. 94 Sc. 2 esisterebbe prima di 1, il che è
assurdo. 95 Sc. 2 doppio di 1 che è la
sua metà, e 1 metà di 2 che è il suo doppio.
96 ἐδυάσθη καὶ ἐδιχοτομήθη potrebbero qui non avere un significato sinonimico e significare invece «è
raddoppiata ed è dimezzata" (δυάζειν ha come significato primario quello
di “raddoppiare" o “moltiplicare per due", come ad es. nello stesso
Giamblico, fx Nicom. 60,6, dove peraltro occorro- no con analogo significato
μονάζειν e τριάζειν, nel senso che da metà divie- ne intera, raddoppiandosi, e da intera metà,
dividendosi in due: cf. p. 14,3- 4,
supra «(1 e il 2 sono] doppio della metà e metà del doppio». Naturalmente il dimezzamento raddoppia nel
senso che produce due parti (2), mentre
il raddoppio unifica nel senso che produce l’intero (1). 91 Sc. mezza luna: διχότομος è il termine
tecnico che indica questa fase lunare:
cf. p. 33,9, infra, dove però si precisa che secondo alcuni διχότομος può essere chiamata anche la fase di “luna
falcata" (μηνοειδής), cioè del
primo e dell’ultimo quarto, quando la luna sarebbe falcata solo in
apparen- za. 98 Sc. nell’ 1 che si aggiunge al 2 per
formare il 3 (cf. p. 5 in., infra: il 2
ha anch'esso la proprietà dell'uguaglianza (cf. p. 11,2, supra). 99 6 e 10, infatti, non sono somme di numeri
immediatamente preceden- ti. 100 Sc. perché da 1 a 3 c’è solo il 2 come
medio, o forse perché è il primo numero
che permette la prima proporzione aritmetica, dove appunto il medio è equidistante dagli estremi. 101 Sc. è somma di 1+1+1, dove il medio è
uguale agli estremi. 102 Sc. una delle
due relazioni di disuguaglianza: l’altra è quella di mino- re.
10) 1+2+3=6. 104 6=4+1/2(4),
oppure 4=2/3(6). 105 Sc. fra 2 ε 4. 106 3=1+2.
107 Sc. la relazione di uguaglianza che sta tra le due specie di
disugua- glianza, cioè maggiore e
minore. LA TEOLOGIA DELL’ARITMETICA
959 108 Sc. da p. ἃ m., dam.ag.,
dap.ag. 109 Sc. da g. a p, da g.am,
dam.a p. 110 Cf. Eraclito, A 1 D-K6, I
143 = Diog. 9, 16: εἷς ἐμοὶ ἄνθρωπος τρι-
σμύριοι, οἱ δ᾽ ἀνάριθμοι οὐδείς, dove c'è un'evidente equivalenza tra
tpi- σμύριοι e ἀνάριθμοι. 111 Invece di “beatissimi". 112 $c. nascita, acme dello sviluppo,
morte. 113 Sc. dalla nascita fino al
massimo sviluppo. 114 Sc. dal massimo
sviluppo fino alla morte. 115 Sc. dei
due confini, nascita e morte. 116 Tutte
proprietà della pietà. 117 Cf. p. 16,
11, supra. 118 Sc. dai suoi
precedenti. 119 Si ricordi che il 2 non
è somma di due unità, secondo questa dottri-
na, ma distensione dell’ 1. 120
In breve, fornendo materia e forma a tutte le cose secondo le loro qualità (cioè in quanto strutture numeriche
di un determinato tipo). 121 Ad es. il 4
non è somma dei numeri che lo precedono (1+2+3=6); il 5 non è somma dei numeri che lo precedono
(1+2+3+4=10); il 6, nonostan- te sia
somma dei primi tre numeri (1+2+3=6), non è somma dei numeri che lo precedono (1+2+3+4+5=15), ecc. 122 Meglio, “triali". 123 Evidentemente qui l’A. si riferisce al
“numero" grammaticale. 124 Sc. il
fatto che ci sono tre specie di numero sotto vari aspetti: tre spe- cie di pari, tre specie di dispari, tre
specie di rapporto (uguale, maggiore e
minore), ecc. 125 Cf. Nicomaco,
Arttbm. intr. 38,5 Hoche, appar. ad loc.
126 Cf. Giamblico, In Nicom. 8,13.
127 Il maschio emette il seme, la femmina lo riceve, il figlio
rappresenta il frutto o la
rimunerazione. 128 Omero, I/. 15,189. 129 C£. pp. 17; 19, pass., infra. La virtù è
l’unico “medio" tra due vizi: cf.
Aristotele, EN 2, 6, 1106 B 14 ss.: «La virtù è più precisa e migliore
di ogni arte, cosî come lo è la natura,
giacché essa punterebbe a ciò che sta nel
mezzo. Intendo dire la virtù etica [ché la virtù dianoetica è un’altra
cosa], perché essa riguarda le passioni
e le azioni, nelle quali ci sono eccesso e difet- to e medietà tra i due». 130 I vizi sono, infatti, i due opposti tra
cui sta la virtù: cf. nota 129, supra.
131 Sc. fanciullezza, maturità, vecchiaia. 132 C£. p. 79,4 fin., infra. 960 GIAMBLICO
133 Sc. somma dei primi quattro numeri: 1+2+3+4=10. 134 Sc. vertici, che sono angoli solidi; cf.
p. 85, infra. 135 Sc. il quanto in sé,
il quanto relativo, il quanto grande in quiete, il quanto in movimento. 136 Sc. 1,2,3,4. 137 Sc. le due specie del quanto e le due
specie del quanto grande. 138 Sc. al
2. 139 Sc. gli elementi da cui comincia
il discorso del geometra. 140 Cf.
Aristotele, Mesa. N 1091 A 16: «Non è il caso di dubitare se i Pitagorici
abbiano o non abbiano parlato di generazione. Essi dicono aper- tamente che,
quando l’uno si è costituito, con superfici, o con pellicole, o con seme, o con
altre cose che non sanno nominare, subito tutte le parti più vicine
dell’illimitato si sono fatte tirare e racchiudere dal limite» [tr. Viano].
ypord = surface, sec. Ross; piano, sec. Russo; colore, sec. Reale e
Giannantoni. Io accolgo la traduzione di Viano: risulta chiaro, infatti, che i
Pitagorici intendevano dire che la superficie è come una specie di
“epidermide", soprattutto in riferimento ai corpi solidi. 141 Sc. 4
vertici e 4 facce. 142 Sc. per avere scoperto le proprietà della Tetrade. 143
Cf. Giamblico, Vita Pytb., 153,17; 162,18 Deubner. 144 C£. p. 13, supra. 145
Sc. vertici. 146 Sc. come non generato,
ma costituito fin dall’eternità cosi com'è ora. 147 Forse p. 30,8, supra, o
forse p. 20, supra, all’inizio della sez. sul nume- ro 4, dove si avvia il
discorso con l’idea che tutte le cose del mondo, in gene- rale o in
particolare, derivano dal 4. 148 Sc. causa efficiente (ciò ad opera di cui).
149 Sc. causa materiale (ciò da cui). 150 Sc. causa formale (ciò in virtù di
cui). 151 ὅς, causa finale (ciò in vista
di cui). 152 ὅς, le proprietà
essenziali. 15) Lett. novantesimi:
l’espressione è impropria, volendo significare “composti di 90 gradi",
perché sono 4 sui 360 gradi del circolo zodiacale. 154 Si tratta dei quattro
punti del circolo zodiacale, che giace sul piano dell’eclittica, nei quali
s'incontrano con quest’ultima il circolo equinoziale e quello solstiziale,
perpendicolari tra loro. 155 Sc. del tempo.
156 Cf. p. 19, supra. 157 Sc.
vista, udito, gusto e odorato. LA
TEOLOGIA DELL’ARITMETICA 961158 Sc. un solo tronco e molti rami, ad es. ulivo.
159 Sc. niente tronco, ma molti rami, ad es. rovo spinoso. 160 Sc. molti
tronchi e molti rami, es. leguminosa e ortaggio. 161 Sc. niente tronco né rami, ma molte
foglie. 162 Sc. superficie. 163 Sc. solidità. 164 Alcuni codici hanno («testa [κεφαλά]»:
cf. VS 44 B 13 = I 413 Diels- Kranz6, e relativa nota (cf. anche ed. Klein Add.
p. XXVII). Io preferisco mantenere «cervello [ἐγκέφαλος]», anche per coerenza
con la ripetizione della stessa voce a p. 25,22 De Falco = I 413,8
Diels-Kranz$, dove non mi spiego perché non venga mutato come alla precedente
li, 5. 165 Cf, VS 44 B 13 D-K. 166 C£. pp. 8 e 18, supra. 167 Sc. la progressione dei numeri per somma
cumulativa. 168 Sc. del fuoco. 169 Sc. il 4.
170 Sc. del 3. 171 È infatti
un’accumulazione solida. 172 Sc.
Omero. 173 C£. Aristotele, Rber. 2, 1387
B 305. καὶ οἱ τιμώμενοι ἐπί τινι δια- φερόντως, καὶ μάλιστα ἐπὶ σοφίᾳ ἢ
εὐδαιμονίᾳ — «[sono invidiosi) anche coloro che sono onorati per qualche merito
particolare, soprattutto per sapienza o
felicità». 174 C£. Omero, I/. 3,182, fort. varia lectio. 175 Omero, Od. 5,306.
176 1+2=3 +3=6 +4=10. 177 Sulle proprietà del 10, cf. ultimo cap., infra. 178
Sc. come punto di partenza della somma cumulativa. 179 Sc. dei suoi fattori.
180 Se è vero che per definizione, a prescindere dalle parti o fattori, un
numero è perfetto se non è né più né meno di se stesso. 181 ]+2=3.
182 Sc. un unico mezzo tra l’inizio e la fine. 18) 1+2+3=6.
184 Sc. nel senso proprio. 185
Cf. Giamblico, Ir Nicom. 88,24 5. 186
Sc. di secondo livello sono i numeri da 11 a 100; di terzo livello i numeri da 101 a 1000, ecc. Cf. ultimo cap.,
infra. 187 Sc. le 4 diverse specie di
perfezione dei numeri 1, 3, 6, 10. 962
GIAMBLICO 188 Cf. p. 69, infra, e
Galeno, De differentiis febrium libri ii,7, 299,3 ss. 189 Sc. nel tetraedro, che ha 4 facce
ciascuna delle quali può fare ugual-
mente da base. 190 ὃς, concepito
il quarto giorno: Eracle nacque dall’unione furtiva di Zeus con Alcmena, moglie di Anfitrione, e
secondo una leggenda Zeus, che ingannò
la fedele Alcmena presentandosi a lei sotto le false sembianze del marito, fece durare la sua notte di nozze tre
intere giornate, ordinando al Sole di non levarsi che allo scadere del terzo
giorno, sicché Eracle fu conce- pito il quarto giorno. Cf. P. Grimal,
Dizionario di mitologia greca e romana (tr. it. della 6. ediz. Brescia 1987)
s.v. A/cmena, 191 Sc. come chi guarda dall'alto in basso, o con altezzosità, o
tiene in poco conto gli altri (il verbo κατα-φρονέω ha questo significato
etimologico): le statue squadrate di Ermes agli incroci delle strade, infatti,
lo raffigurava- no nell’atteggiamento di chi guarda in basso. 192 Sc. nelle
erme dei crocicchi. 193 Sc. il cubo che occupa il quarto posto nella serie dei
tripli: 1, 3, 9, 27, 81, 243, 729, 2187, 6561, 19683 ... C£. p.55, infra. 194
Sc. è il cubo intermedio tra il cubo del primo posto, 1, e il cubo del settimo
posto, 729. 195 Sc. decisivo per il decorso della malattia. 196 4,7 e 10 qui si
devono intendere come i cubi del quarto, del settimo e del decimo posto. 197 Il
quarto cubo, 27, moltiplicato per il settimo cubo, 729, dà il decimo cubo,
19683, la cui somma numerica, 1+9+6+8+3, fa 27, cioè appunto il quarto cubo.
198 Lett. la poesia. Cf. Omero, Od. 10,2 ss. 199 Sc. figlio del Cavaliere. 200
Dal pf. ep. tétAnka di τλάω = resisto. 201 Sc. la sua radice quadrata 2. 202
4x4=4+4+4+4=16. 203 3+3+3+3=12>3x3=9. 204 5+5+5+5=20<5x5=25. 205 Cf.
Giamblico, In Nicom. 20. 206 Sc. 4=3+1/3(3); 2, infatti contiene un rapporto
doppio, 2=1x2, e 3 un rapporto emiolio, 3=2+1/2(2): cf. Giamblico, In Nicom.
108 e 119. 207 Levante ponente settentrione mezzogiorno: cf. Erone Aless., Geom.
2,1: KAipata μὲν οὖν ἐστι «δ΄» ἀνατολή, δύσις, ἄρκτος, μεσημβρία. 208 Se
bisogna intendere questo discorso nel senso del Tirzeo platonico, a cui del
resto sembra riferirsi il διακοσμηθῆναι, allora questi quattro aspet- ti si
riferiscono alle differenze tra le quattro radici cosmologiche secondo la LA
TEOLOGIA DELL'ARITMETICA 963 loro forma stereometrica: esse infatti
differiscono per essenza, cioè per figu- ra geometrica, essendo i quattro
elementi riferiti a solidi geometrici regolari differenti, per specie, essendo
di natura specifica diversa, e per principio razionale, nel senso che
rappresentano altrettanti principi di cui si serve il demiurgo nel suo disegno
cosmogonico. 209 $c. parità o disparità. 210 Sc. un numero che contiene lo
stesso quadrato iniziale, 25, e che ter- mina per 5. 211 Platone, ΤΡ. 55 Ὁ 6
ss. 212 52=32442, 213 Sc. dal 5, che è la somma di quei numeri, che sono 2 e 3.
Secondo Waterfield, The Theology of Arithmetic. On the
Mystical, Mathematical and Cosmological Symbolism of the First Ten Numbers. Attributed to
Iamblichus (Grand Rapids, MI 1988) [d'ora in poi cit. Waterfield, Trad.], p. 65
nota 3, si tratterebbe di un tetracordo congiunto, formato da una sequen- za di
quattro note secondo due combinazioni rispettivamente di 2 e di 3 note, in cui
l’ultima della prima combinazione è la prima della seconda com- binazione.
Secondo me si tratta, invece, del rapporto di quarta proprio di tutte e tre le
specie di tetracordo, diatonico cromatico enarmonico. C£. Boezio, Inst. mus.
4,7 = 322,22 ss. Friedlein, Leipzig 1867, rist. Frankfurt a. M. 1966:
«Tetrachordum enim omne diatessaron resonat consonantiam. Igitur nete
hyperboleon et nete diezeugmenon in tribus generibus, id est vel in diatono vel
in chromate vel in enarmonio, diatessaron continet sympho- niam». A chiarimento
di tale rapporto tra l'accordo di quarta del tetracordo e il numero 5, cf.
Porfirio, x Harm. Ptol. 1,6 = Archita B 17 Diels-Kranz: se togliamo un’unità a
4 e a 3, che sono in rapporto di quarta, cioè epitrite, otte- niamo 3 e 2 la
cui somma è 5. 214 Waterfield, Trad., p. 65 nota 4, congettura che si tratti
della prima proporzione geometrica 1, 2, 4, la somma dei cui estremi fa 5. Ma a
me sem- bra più plausibile pensare alla più piccola “quinta" medietà (2,
4, 5), che cade appunto sotto il 5 e che è giudicata subcontraria alla medietà
“geome- trica": cf. Giamblico, In Nicom. 114 fin. 215 Sc. che ha quattro
termini, cioè due estremi e due medi. 216 Sc. gli estremi. 217 Sc. nella prima
combinazione proporzionale degli esempi. 218 C£. ad es. pp. 40 e 74, infra. 219
Infatti la prima divisione del 10 è 5 [10/2=5], che dà luogo a due parti
perfettamente controbilanciate ed equivalenti; la seconda divisione, invece, è
2 [10/5=2], che dà più parti che concordano con il 5 solo per il fatto che sono
“quinte" parti (5 e 1/5 sono omonimi ma non equivalenti). 220 Sc. 50,
quant'è il numero delle facce dei cinque solidi regolari: 964 GIAMBLICO
4+6+8+12+20=50. 221 Sc. l'altezza sul meridiano del polo Nord e del polo Sud.
222 Sc. al cono d'ombra e al canestro a forma di tronco di cono: ze Sole Luna
223 C£. p. 24, supra. 224 Sc. alle componenti strutturali del corpo vivente.
225 5=2+3. 226 Sc. la conciliazione dei contrari. 227 Sc. del pari e del
dispari. 228 Sc. uniformità, perché tutti i punti sono equidistanti dal centro.
229 Il 5 è numero sferico, cosî come il 6, perché il quadrato, il cubo, ecc.,
finiscono sempre per 5, o per 6: cf. p. 30, supra, e p. 46, infra. 230
Cf. H. Thesleff, The Pytbagorean Texts of the Hellenistic Period, Àbo 1965,
115. 231
Più che il 4: cf. p. 29, supra. 232 Sc. il disuguale ha due parti, una maggiore
e una minore: la maggio- re non ha bisogno della minore e la lascia da parte
come un superfluo, la minore invece desidera acquisire la parte che le manca.
233 Sc. un quadrato. 234 C£. Nicomaco, Arithm. intr. 113,24 s. Hoche: [oi
τετράγωνοι] ém- δεκτικοὶ πάντως TAUTOTNTOG καὶ ἰσότητος. 235 ὃς, il primo della
serie, cioè 9, 236 Cf. Giamblico, Ix Nicor:. 16,16 ss. 237 37,4-39,24
corrisponde sostanzialmente a Giamblico, In Nicom. 16,18-20,6. 238 Sc. fare la
somma che risulta essere 45. 239 Sc. i termini numerici. 240 Sc. per somma. 241
(6+7+8+9)>(4+3+2+1). 242 Sc. punto di divisione in parti uguali del braccio
della bilancia imma- ginaria. 243 Infatti il superare o l'essere superato dal 5
sarà sempre minore man mano che ci si accosti allo stesso 5: ad es. la
differenza tra 4 e 5 è minore della differenza tra 3 e 5, perché 4 è meno
distante da 5 che non il 3; la differen- za tra 7 e 5 è minore della differenza
tra 8 e 5, perché il 7 è meno distante LA TEOLOGIA DELL’ARITMETICA 965 dal 5
che non l’ 8. 244 Anziché 4, come la prima. 245 Sc. i numeri da 6 a 9. 246 $c.
l'angolo formato dal braccio con la perpendicolare del piatto più pesante. 247
Sc. l’angolo formato dal braccio con la perpendicolare sul foro della bilancia.
248 Sc. all'incontro del braccio con la perpendicolare del piatto meno pesante
e con la perpendicolare sul foro della bilancia. 249 Sc. i due angoli formati
dalla parte maggiore. 250 Ad es. nel caso della disuguaglianza dei piatti della
bilancia. 251 Sc. quelli che subiscono ingiustizia sono di numero maggiore di
quel- li che la commettono. 252 Meglio. dalla perpendicolare sul foro della
bilancia. 253 Sc. coloro che commettono ingiustizia. 254 Sc. 5, cioè 6-1, 7-2,
8-3, 9-4, che sono coppie di numeri al quinto posto tra loro. Infatti
(1+2+3+4)+(5+5+5+5) = 30 = 6+7+8+9. 255 Sc. considerando la maggiore e al tempo
stesso la minore distanza tra i numeri che stanno da una parte e dall’altra del
5. 256 Sc. il numero della parte inferiore più vicino a 5. 257 Sc. dal numero
della parte superiore pit lontano da 5. 258 ὅς, il numero della parte opposta,
inferiore, più lontano da 5: 9- 4+1=6. 259 8-3+2=7. 260 7-2+3=8. 261 6-1+4=9.
262 Sc. non ha numero corrispondente da cui essere sottratto o a cui debba
essere aggiunto. 263 Sc. non come la metà numerica, ché 5 non è metà di 9, ma
di 10, bensî come il centro della serie dei numeri da 1 a 9. 264 Cf. Giamblico,
Protr. 107,13 Pistelli = VS 58 C 6 = I 466,25 DielsKranz®. 265 Sc. quella
lineare. 266 Sc. quella piana. 267 Sc. quella solida. 268 Sc. vita vegetativa.
269 Sc. terra, acqua, aria, fuoco ed etere. 270 Sc. tutti i pianeti ad
eccezione del Sole e della Luna. 271 $c. progressione, stazione primaria,
regressione, stazione secondaria: 966 GIAMBLICO cf. pp. 19 e 25, supra, sui
movimenti irregolari dei pianeti. 272 Sc. Sole e Luna. 273 Sc. il movimento del
Sole e della Luna. 274 Sc. δίχασις, 275 Sc. dispari 3 + pari 2. 276 Sc.
semi-277 Non è chiara la relazione tra il nome Pallade e la quinta essenza. Waterfield,
Trad. p. 74, annota brevemente: «Pallas is Athena; fifth essence, or
quintessence, is aether»: ma, se si voleva mettere in rapporto il nome Atena
col nome etere, non si vede perché si sia usato il nome Pallade. A meno che non
si voglia intendere il paragone in funzione dell’assonanza tra Παλλάδα e
Πεντάδα. 278 Lett. essenza 0 funzione del cuore. 279 Omero, I/. 8,69-74. Non
appare evidente la relazione tra questa cita- zione omerica e il precedente
ragionamento di Nicomaco, mentre sembra altamente probabile che questo brano
(p. 42,10-17) sia uno scolio da inseri- re a p. 39,6, dove appunto si conclude
la similitudine della bilancia/giustizia, che, inclinandosi, trascina verso il
basso («verso la rovina» corrispondente qui a «si inclinò il giorno fatale
degli Achei») gli ingiusti, e verso l’alto («si eleverà come se fuggisse verso
dio» che qui corrisponde a «si levarono verso l'ampio cielo») coloro che
subiscono l’ingiustizia. Pertanto ritengo che que- sto brano dovrebbe essere
espunto dal testo come scolio. 280 Sc. è la somma dei suoi fattori, che sono
1[1/6]+2[1/3]+3[1/2]=6. 281 Sc. comprende lo stesso 6. 282 Sc. non comprende il
suo proprio quadrato, cioè 36. 283 Qui potenze sono i fattori o divisori dello
stesso numero. 284 Sc. per addizione. 285 Sc. come somma dei primi numeri pari
e dispari: 2+3=5. 286 Sc. alla somma dei suoi fattori, 1+2+3, in quanto è
numero perfetto. Qui parti indica appunto i fattori: cf. Euclide, E/ew. 7, def.
23: Τέλειος ἀριθμός ἐστιν ὁ τοῖς ἑαυτοῦ μέρεσιν ἴσος div. 287 6+2[=1/3(6)]=8.
288 6+6=12. 289 6+1/3(6)=8; 12-1/3(12)=8, 290 6+1/2(6)=9; 6+6=12. 291 6+3=9;
12-3=9. 292 Sc. i suoi fattori. 29 Sc. le direzioni doppie delle tre dimensioni
dei solidi: avanti/indietro, destra/sinistra, sopra/sotto. 2% ὃς, le dieci
categorie aristoteliche. LA TEOLOGIA DELL’ARITMETICA 967 295 Il 3 è il primo
dei numeri perfetti. È detto qui primario perché rap- presenta la triade
“principio, mezzo e fine”. In effetti il 3 ha un solo diviso- re, 1, che è al
contempo principio, mezzo e fine [3=1+1+1]. 2% Il 6 è il primo dei numeri
perfetti secondari. Sono detti qui seconda- ri i perfetti che hanno sî
principio, mezzo e fine, come il 3, ma in questo caso i divisori sono numeri
diversi. In effetti il 6 ha tre divisori, 1, 2, 3, e quindi, come il 3, ha
principio, mezzo e fine. Esso è la base dei perfetti di questo tipo, perché è
il primo dei numeri perfetti al di là del 3. 2% Sc. quella primaria. 298 Sc.
quella secondaria. 299 In realtà il 3 ha una sola parte, l’ 1, la quale
naturalmente è meno di 300 Sc. raggruppandoli in successione all'infinito tre
per volta. 301 Infatti la somma è 6 anche se fatta per aggregazioni successive,
cioè per somma delle cifre costituenti una data somma. 302 1+2+3=6. 303
4+5+6=15=1+5=6. 304 Sc. la decina. 305 $c. si sommano ancora i due numeri
ottenuti dalla prima somma, di cui il primo indica la decina. 306 Sc. due
decine, ovvero una ventina. 307 Sc. il numero che si ottiene alla fine dopo
tutte le somme. 308 Sc. si parte da tre numeri e si ottiene come numero finale
6. 309 Sc. come forma del numero, che è a sua volta forma del mondo. 310 Sc. il
pari e il dispari. 311 6x6x6=216. 312 5x5x5=125. 313 Cf. p. 43, supra: il 5 non
è propriamente maschio-femmina, perché nasce dal primo pari e dal primo dispari
non per moltiplicazione, ma per somma. 314 Sc. a una sola dimensione, lineare.
315 Sc. a tre dimensioni, solido. 316 6x6=36. 317 1[=13]+8[=271+27[=33]=36. 318
Sc. una proporzione armonica. 319 12=8+1/2(8). 320 9=6+1/2(6): occorre, cioè,
mettere in rapporto il primo estremo con il secondo medio, e il secondo estremo
con il primo medio. 321 8=6+1/3(6). 968 GIAMBLICO 322 12=9+1/3(9). 323 Sc.
l’ultima corda del tetracordo, la quale ha il tono più basso. 324 Considerando,
cioè, in maniera più netta la sua struttura di forma del corpo, sia del mondo
che degli esseri viventi. 325 Sc. consolidamento corporeo. 326 Sc. le
proporzioni 1) aritmetica, 2) geometrica, 3) armonica, 4) sub- contraria
all'armonica, 5) subcontraria alla geometrica, 6) subcontraria anch'essa alla
geometrica: cf. Giamblico, Ir Nicom. 100 ss.; Th.
Heath, A History of Greek Mathematics, Oxford 1965 [1921], I 87. 327 $c. i rapporti 1)
multiplo, 2) epimorio, 3) epimere, 4) sotto-multiplo, 5) sotto-epimorio, 6)
sotto-epimere: cf. Giamblico, In Nicom. 37; Heath, op. cit. I 1015. 328 C£. p.
35,10, supra. 329 Sc. 1, 2,3. 330 Sc. la proporzione basale del primo tipo di
proporzione che è quella aritmetica. 331 Sc. la prima sequenza di numeri che
sta alla base dell’intera succes- sione numerica: l’ 1 è principio di tutti i
numeri, il 2 principio dei numeri pari, il 3 principio dei numeri dispari. 332
Sc. il formarsi del primo numero solido che abbia tre dimensioni disuguali. 333
Sc. fattori o divisori. 334 Sc. i primi due numeri pari e dispari. Cf.
Giamblico, In Nicom. 37,21. 335 Sc. 20+70+200+40+70+200 = 600. 336 Cf.
Giamblico, In Nicom. 34,22. 337 Per il rapporto tra il 6 e il triangolo, cf.
anche p. 84 fir., infra, dove 6 è il numero che rappresenta la somma dei lati e
degli angoli di ogni triango- lo. Si aggiunga che il 6 è il primo numero
triangolare e perfetto nello stesso tempo. Cf. Platone, Tix. 54 D-E, dove
dall'unione di 6 triangoli rettangoli scaleni uguali, con uno dei cateti metà
dell’ipotenusa, si forma un triangolo equilatero. 338 Sc. 6 0 suo multiplo. 339
Sc. gli spigoli. 340 Sc. del tetraedro. 341 Sc. 6 nell’un caso e nell'altro.
342 Sc. 24, quadruplo di 6. 343 Sc. 12, doppio di 6. 344 Sc. 12 anche questi.
345 Sc. 30, quintuplo di 6. 346 Sc. si fa per aggiunta di un'unità: 2=1+1;
3=2+1; 4=3+1;5=4+1. LA TEOLOGIA DELL'ARITMETICA 969 347 Sc. Ecate, divinità dei
trivi. 348 Sc. il punto di intersezione da cui si dipartono le direzioni del
movi- mento. 349 Sc. le tre doppie direzioni rispettivamente di lunghezza,
larghezza e profondità: avanti e indietro, a destra e a sinistra, in alto e in
basso. 350 Sc. prodotta dal fatto che i segni dello zodiaco si distribuiscono 6
sopra la Terra e 6 sotto la Terra, per cui l’intero zodiaco rappresenta tutto
il tempo. 351 Sc. passato presente futuro. 352 Sc. doppio tempo. 353 La Nereide
moglie di Poseidone. 354 Sc. in due parti uguali. 355 Un'altra Nereide: Θάλεια
= fiorente. 356 Sc. insieme di tutti i rimedi: πανάκεια = ogni rimedio. 357 Il
6 è un numero perfetto. 358 Sc. gli intervalli tra un dato numero di termini
sono sempre di quel dato numero inferiore di un'unità. 359 Non è, come la virtù
nel senso aristotelico, medietà fra i due opposti vizi. 360 (ἢ, p. 35,16,
supra. 361 Sc. le altre virtù che non sono divine. 362 Sc. nessuna proporzione
ma solo progressione. 363 Sc. per due delle proporzioni: prop. armon.: 6, 8, 9,
12; prop. geom.: 6,9, 12, 18. 364 6+6=12+6=18. 365 6 a 12,6 a 18. 366 Sc.
medietà armonica: 6+1/3(6)=8, 12-1/3(12)=8; 6+1/2(6)=9, 18- 1/2(18)=9. 367 Sc.
medietà aritmetica: 6, 9, 12; 6, 12, 18. 368 Sc. quella del doppio: 6, 8, 12, e
quella del triplo: 6, 12, 18. 369 35x6=210=30x7=210. 370 Sc. il triplo. 371
45x6=270=30x9=270. 372 Platone, Tim. 35 B ss., dove però si parte da 1 e non da
6. 373 Sc. le medietà fra i numeri 6 e 12, e cioè la medietà armonica 6, 8, 12,
e la medietà aritmetica 6, 9, 12. 374 8+1/8(8)=9. 375 Sc. le διαφύσεις
σπέρματος che sono appunto le parti dello sperma attraverso cui attecchisce.
970 GIAMBLICO 376 Sc. dopo altri 216 anni, al compiersi di nuovo del cubo del
numero 6. 377 514-432[=216x2]=82. 378 Cf. Platone, Tim. 35 B ss. 379 In tutte
queste frazioni il numeratore e il denominatore si scambiano di posto. 380 Sc.
prodotto. 381 Sc. metà pari e metà dispari, ovvero che ha i suoi fattori o
divisori, a parte 1 e 6, che si generano l’un l’altro: 6/2=3, cioè dispari, e
6/3=2, cioè pari. 382 Come dice Platone nel Tirzeo 35 A ss. 383 Il 2, pur
essendo uguale a 1x2 e quindi formalmente eteromeche, è da considerarsi come il
numero base dei pari dalla cui somma cumulativa nascono gli eteromechi: cf. p.
10, supra [2+4=6 (eteromeche 2x3); 2+4+6=12 (eteromeche 3x4); 2+4+6+8=20
(eteromeche 4x5); ecc.]. 384 Scalena è una figura piana con tre lati disuguali
(triangolo scaleno) o una figura solida con angoli piani e dimensioni disuguali
(ad es. cuneo o numero sfenisco). 385 Secondo Platone, il processo aritmetico e
fisico di solidificazione o corporeizzazione ha bisogno di due termini medi:
cf. Platone, Tim. 32 B.386 6=1x2x3. 387 Sc. che sono numeri perfetti. 388 C£.
Giamblico, In Nicom. 118,26. 389 1+2+3+4+5+6+7=28. 390 Sc. di settimana in
settimana. 391 64=82=4), 392 729=272=93. 39 Filone, De opif. mu. 107,10 ss. ἐκ
τριάδος δὲ καὶ τετράδος ἑβδομάς. Ἔστι δὲ οὐ τελεσφόρος μόνον, ἀλλὰ καὶ ὡς ἔπος
εἰπεῖν ἁρμονικωτάτη καὶ τρόπον τινὰ πηγὴ τοῦ καλλίστου διαγράμματος, ὃ πάσας μὲν
τὰς ἁρμονίας, τὴν διὰ τεττάρων, τὴν διὰ πέντε, τὴν διὰ πασῶν, πάσας δὲ τὰς
ἀναλογίας, τὴν ἀριθμπητικήν, τὴν γεωμετρικήν, ἔτι δὲ τὴν ἁρμονικὴν περιέχει.
394 Sc. quello che ha i lati misurabili con tre numeri consecutivi: 3, 4, 5.
Infatti solo con questi tre numeri interi consecutivi è possibile costruire un
triangolo rettangolo i cui lati siano costituiti da numeri interi (si tratta
del triangolo rettangolo costruito da Pitagora per dimostrare il suo teorema): 32+42=52.
C£. p. 50,21-22 supra. 35 De hebdom. 5. 396 Sc. alla pubertà. Ὁ 397 Sc. allo
spuntare della barba. 398 Sc. al completamento dell’età dello sviluppo. LA
TEOLOGIA DELL’ARITMETICA 971 399 Il termine ἀγελεία riferito alla dea Atena
viene comunemente tradot- to “predatrice”. La mia traduzione “foraggiere”
(peraltro al maschile perché in italiano si dice al maschile “il 7” quello che
in greco si dice al femminile ἡ ἑπτάς) corrisponde a un significato più
appropriato in questo contesto, dove la denominazione ἀγελεία viene
interpretata nel senso di “addetto all’alle- vamento delle greggi” ovverosia
“mandriano” o, meglio, “foraggiere” delle greggi. Ne è testimonianza l’esempio
tratto dalla tradizione babilonese (che viene ritenuta “più pitagorica”) che
chiamalle sfere celesti “greggi” (ἀγέλας). Del resto il significato “the
forager” accanto a quello “driver of spoil” si trova in LSJ. 400 Sc. 7 capi per
100 guardie ciascuno: cf. Omero, I/ 9,85 5. ἕπτ᾽ ἔσαν ἡγεμόνες φυλάκων, ἑκατὸν
δὲ ἑκάστῳ κοῦροι. 401 Da σεπτός = venerando. 402 Sc. pronunziando ἕξ e ἑπτά
senza soluzione di continuità nella voce, il o della È di ἕξ si salda alla e di
ἑπτά, formando la voce certa. 49 Sc. è uno dei due medi nella proporzione
aritmetica disgiunta 1, 4, 7, 10. 404 Sc. la medesima differenza the accomuna
gli estremi è rivolta verso il corrispondente estremo: nella fattispecie il
rapporto 3 che costituisce la dif- ferenza comune va da dall’estremo 1 al medio
4, e dall'altro estremo 10 all’al- tro medio 7. 405 Sc. sotto-multiplo in
rapporto di 2, cioè l’inverso del doppio, cioè la metà. 40 Sc. della tetrade, o
decade in potenza, e della decade, cioè 7=1/2(4+10). 407 Sc. 1/7, avendo il 7
come unico divisore se stesso, a parte l’ 1. 408 Sc. per moltiplicazione. 40 In
ordine ascendente: Mercurio, Venere, Sole, Marte, Giove, Saturno, Stelle fisse.
410 In ordine discendente: Terra, Antiterra. Si noti che secondo i Pitagorici
le sfere celesti sono in tutto 10. 411 I fattori di 28 sono 1, 2, 4, 7, 14, la
cui somma dà appunto 28. 412 Sc. biconvessa. 413 Sc. la Luna, 414 Perché in
quella condizione sarebbe stata considerata non più appe- tibile sessualmente. 415
Cf. Ippocrate, De sem., de nat. pueri, de morbis. I 385 5. Kiihn. 416 13+33=28.
417 I cubi in generale sono detti “limitanti”, perché “determinano” la solidità
o tridimensionalità delle cose. 972 GIAMBLICO 418 $c. i sette mesi e i nove
mesi. 419 2=8. 420 33=27, 421 8+27=35. 422 C£. Nicomaco, Arithm. intr. 29,1 =
medietà armonica perfetta. 42) 1+6+28=35, 424 Cf. p. 51. supra. 425 Sc. la
somma di tali numeri in proporzione armonica. 426 Sc. un numero rettangolo,
nella fattispecie un promeche. 427 5x7=35. 428 5x7x6=210, che è il numero del
parto di sette mesi: 210:30=7. 429 Sc. perché fornisce la ἕξις vitale. 430
210+6=216=6}. 431 Siccome 210 non è un numero cubo, bisogna intendere qui
στερεόν nel senso di «triplice», cioè tridimensionale, come del resto appare
dal segui- to del discorso. 432 Epidem. ΠῚ 453 Kihn. 433 Sc. non liquida come
il latte. 434 Sc. all’età di due volte 7 anni. 435 Mi sembra necessario
intendere il τέκνον della li. 8 come figlio del figlio, cioè nipote, cosi come
si può arguire dalla successiva spiegazione. Forse il ragionamento è questo: a
14 anni è possibile mettersi a generare un figlio, ma deve trascorrere quasi un
anno prima di vederlo nascere, e siamo a 15 anni; il figlio può cominciare a
generare dopo 14 anni, cioè quando il padre ha 29 anni, ma può vedere nascere
suo figlio un anno dopo, cioè quan- do il nonno ha 30 anni. 436 Sc. raggiunge
la sua massima altezza. 437 Sc. raggiunge la sua massima robustezza. 438 Sc.
raggiunge il massimo della sua tridimensionalità che è la sua soli- dità
corporea. 439 Sc. i 28 anni. 440 Sc. del numero che chiude il quinto settennio.
441 Sc. quando si raggiunge l’età di 70 anni. 442 Sc. su tutte le cose che sono
costituite dai quattro elementi. 443 Sc. i principi estremi. i 444 Sc. che
riguardano la figura geometrica più elementare, cioè il trian- golo. 445 Forse
estensioni, se accettiamo la congettura di Ast ἐκτάσεις: cf. testo greco appar.
ad loc. 446 Sc. che sono le sue estensioni, a partire dal punto, dalla linea,
ecc. 447 Cf. p. 54 fin., supra, dove si parla dei primi sette numeri a) doppi e
b) tripli: a) 1 (quadrato e cubo), 2 (né q. né c.), 4 (solo q.), 8 (solo c.),
16 (solo q.), 32 (né q. né c.), 64 (q. e c.); b) 1 (q. e c.), 3 (né q. né c.) 9
(solo q.), 27 (solo c.), 81 (solo q.), 243 (né q. né c.), 729 (ᾳ. e c.). 448
Sc. dati due triangoli rettangoli uguali tra loro, se li uniamo per l’ipo-
tenusa nasce un quadrato ad essi perfettamente commisurato, avente cioè le loro
stesse misure, cioè i lati uguali ai cateti e l’area uguale alla somma delle
aree dei due triangoli rettangoli. 449 Sono i posti che contengono quadrati,
cioè i numeri, doppi o tripli, 1,4, 9, 16, 64, 81, 729. 450 Sc. dei doppi e dei
tripli. 451 Sc. per passare dalle une alle altre 48 ore. 452 Sc. un nuovo
accesso di febbre. 453 Sc. l'intervallo di tre giorni della febbre quartana.
454 Sc. nelle due esposizioni numeriche, dove appunto il primo e il secon- do
posto contengono numeri che sono sia quadrati che cubi. 455 Sc. di quadrati e
di cubi. 456 Sc. le corrispondenze tra le esposizioni numeriche e l'andamento
delle febbri. 457 Sc. 30 ore, cioè un giorno e un quarto. 458 ὃς, verso le 6 p.
m. 459 Sc. la semiterzana, a parte la quotidiana, di cui qui si parla poco. 460
Lett. gli scrittori che si occupano di predizione delle influenze astra- li,
cioè di scienza apotelesmatica. 461 Sc. dalla testa, 462 Sc. del numero 1, che
è come Zeus, dalla cui testa è nata Atena. 46 Cosa che non è il 7. 464 Sc. le 7
vocali dell’alfabeto (greco, naturalmente). 465 Sc. prudenza, temperanza,
coraggio, giustizia: cf. p. 25, supra. 466 Si ricordi che il solido base è il
tetraedro, che ha 3 dimensioni e quat- tro basi. 467 Sc. divisibile sempre per
2 fino ad arrivare a 1. 468 4/2=2/2=1. La ragione per cui il 4 sarebbe
parimente-pari e al tempo stesso dispari-pari sta nel fatto che esso è
divisibile per 2 fino ad arrivare a 1, come il parimente-pari, ma le sue parti
non sono ancora divisibili per 2 fino ad arrivare a 1, come il dispari-pari,
anche se non ha le parti subito dispari, come il pari-dispari. Esso dunque ha
le caratteristiche insieme del parimen- te-pari e del dispari-pari. In effetti
il primo vero e proprio dispari-pari non è il 4, bensî il 12. 469 Sc. tutte le
possibili combinazioni di numeri da cui può nascere per addizione. 470 Infatti
1 e 7 non trovano nella decade alcun moltiplicatore, a parte l’ 1, che produca
se stessi o altro numero. 471 La somma 3+5, infatti, è il cubo 8, che è il
primo cubo in atto. 472 che è cubo in potenza. 473 Sc. non è composto da numeri
diversi. 474 27=33, 475 27=7+9+11, 476 64=4}. 477 64=13+15+17+19, 478 4x2=8 e
2x2=4. 479 Sc. 167. 480 Che, come si vedrà subito, è generato e generante. 481
Sc. 2, 3,5, 6, quest'ultimo in verità, con i caratteri invertiti, non gene-
rante e generato. 482 4x2=8 e 2x2=4. Naturalmente, i numeri della decade da
prendere in considerazione non possono andare oltre il 7, devono cioè rientrare
entro l’ 8. Tutto il passo appare mancante di qualche inciso, ma il senso
generale è ben comprensibile. 483 C£. p. 30, supra. 484 Gli accordi melodici
sarebbero il semitono (maggiore o limma e minore o apotome) 16/15 o 256/243, il
tono maggiore 9/8, il tono minore 10/9, il terzo maggiore 5/4 e il terzo minore
6/5. Cf. Giamblico, In Nicom. 99,19, e nota alla trad. 606. 485 Sc. un'assoluta
compatibilità con tutti gli accordi musicali, armonici e melodici. 486 Cf. p. 63,
supra, dove l’ 8 è il primo cubo in atto che insieme al secon- do cubo in atto,
27, forma il numero 35 che è il numero che racchiude l’ar- monia più perfetta.
487 Sc. Rupe di Tebe. 488 Sc. Tropico del Cancro = solstizio d’estate. 489 Sc.
Tropico del Capricorno = solstizio d’inverno. 490 Sc. occhi, naso, orecchi e
bocca. 491 Sc. due occhi, due narici, due orecchi e due orifizi nella bocca,
cioè esofago e trachea. 492 Sc. unghia biforcute. 49 C£. p. 5 pass., supra. 494
Sc. flusso: cf. p. 14, supra. 495 Sc. il suo cubo. 49% CE, VS 44 A 12
Diels-Kranz. 497 I parti vitali, infatti, sono quelli di 1 e 9 mesi, quello di
8 mesi è per necessità di natura abortivo: cf. p. 63, supra. 498 Sc. del
rapporto che i Pitagorici stabilivano tra Rea e il numero 8: cf. p. 74, supra.
49 Perché fanno nascere il bambino morto. 500 Pià precisamente, a proposito
della relazione tra il numero e il nome delle Muse. 501 Il 2 è il numero guida,
cioè base, dei pari, e l’ 8 è il 2 nella sua stabi- lità, cioè come cubo: 8=2).
502 Cf. p. 62, supra: il 32° giorno cade al centro della quinta settimana che è
quella in cui si forma il feto. 503 9=8+1/8(8). 504 12=8+1/2(8). 505
12=9+1/3(9), 506 16=12+1/3(12). 507 18=12+1/2(12). 508 21=2x9+1/3(9), 509
24=18+1/3(18). 510 32=24+1/3(24). 311 36=24+1/2(24). 512 Sc. al tono che è
espresso da 9 quale epiottavo di 8. 513 I rapporti della perfetta armonia
musicale sono: di quarta o epitrite (4/3), di quinta o emiolio (3/2), di tono o
epiottavo (9/8), di ottava o doppio (2/1): cf. pp. 30; 47; 63, supra. 514 Sul
rapporto tra 5 e 9 relativamente alla giustizia, cf. p. 40, supra. 315 Sc.
ἐννεάς — ἑνάς — ἕν. 516 10-9=1. 517 11-9=2; 20-(2x9)2. 318 12-9=3; 30-(3x9)=3.
319 100-(11x9)=1. 520 Infatti il 9 è l’ultimo numero della decade, considerato
che il successivo 10 altro non è se non un 1 di secondo livello. Anche l’ 1 è
detto Prometeo (cf. p. 4, supra), ma in un senso diverso, nel senso cioè che l’
1 non permette né a se stesso né ad altro di valicare il proprio principio,
cioè la pro- pria identità o unità. 521 Sc. tre volte il numero 3, che è numero
perfetto: 9=3x3. 522 Sc. permette ogni ulteriore aumento, e quindi ogni numero.
523 Sc. dei primi due cubi, ovvero dei cubi dei primi due numeri: 9=13+2), 524
Sc. come radice quadrata. 525 Sc. il 5: οὗ, pp. 34-35, supra. Infatti i numeri
che vanno da 9 a 1, que- st'ultimo escluso perché né pari né dispari, sono
alternativamente quattro pari, 2, 4, 6, 8, e quattro dispari, 3, 5, 7, 9; non
solo, ma danno anche lo stes- so risultato, 10, se sommati a coppie di pari e dispari
corrispondenti, 1+9, 2:8, 3+7, 4+6, 5:5. 526 Sc. che produce i quadrati che
sono detti “simili”: infatti i quadrati nascono per somma cumulativa dai
dispari (1+3=22, 1+3+5=32, ecc.): cf. Giamblico, In Nicom. 59. 527 Pag. 77,18
ἀνομοιωτικόν, cioè “dissimilativo”, avrei preferito, invece di ἀνόμοιον, cioè
“dissimile”, confrontando Giamblico, In Nicom. 75,14 ss., in quanto produce gli
eteromechi che sono detti “dissimili”: infatti gli etero- mechi nascono per
somma cumulativa dai pari {2+4=6[2x3], 2+4+6=12[3x4), ecc.). i 528 Pag. 77,19
ὅμοιον, cioè “simile”, avrei preferito, invece di ὁμοιωτικόν, cioè
“assimilativo”, confrontando ancora una volta Giamblico, In Nicom. 82,11. 529
1,2,3,4...1,3,9,27.. 530 Sc. come se al 9 si risalisse per somma e scomparsa — ma
non annul- lamento -- di unità. 531 Sc. ancora Era. 532 Sc. col numero che
rappresenta Zeus. 533 Epiteto di Apollo. Sono possibili due etimologie di
ἑκάεργος; a) ἑκάςτεἴργων = “che vieta di andare lontano” (e non, come
erroneamente interpreta Waterfield, Trad., p. 107 nota 17, “che impedisce
volontariamen- te” [«from esrgein (prevent) and hekas (voluntary)»], dove si fa
un'evidente confusione tra ἑκάς e ἑκών; è vero che alcuni hanno tentato una
tale etimo- logia, data la somiglianza tra i due termini, ma in ogni caso ἑκάς
e ἑκών restano “alternativi” tra loro); b) ἑκάς ἔργον vel ἐργαζόμενος =
“lungi-ope- rante”. L'etimologia che io accolgo è la a). 534 Sc. oltre il 9,
cosî come si è detto poco fa, a p. 77, a proposito dell’eti- mologia del nome
“Prometeo”. 535 Sull’equilibrio tra i numeri da 1 a 9, anche in rapporto alla
bilancia della giustizia, cf. pp. 39-40, supra. 536 Cf. p. 77, supra: è una
ripetizione. 557 C£. p. 78, supra: è una ripetizione. 538 Sc. del tono: 9/8.
Ripetizione anche qui di cose già dette: cf. p. 76, supra. 539 Sc.
inafferrabile in quanto infinito. 540
Sc. ogni rapporto numerico relativamente a ogni ente. 541 Cf. p. 80, infra. 542
Cf. Giamblico, In Nicom. 118,13 s. 543 Cf. Giamblico, Ir Nicom. 118,12. Il
termine è stato coniato dai Pitagorici dalla radice di δέχομαι. 544 Cf. p. 79,
supra. 545 Sc. 10x10x10. 546 Sc. 10x10x10x10. 547 Sc. a un numero entro la
decade per somma delle cifre: ad es. 1378=1+3+7+8=19=1+9=10;
257=2+5+7=14=1+4=5, 548 Sc. dai muratori. 549 Questo animale (varietà domestica
della donnola) era molto apprez- zato nell’antichità sia come divoratore di
topi che come animale da diverti- mento. Era sacro a Ecate e aveva un ruolo
anche nella mantica. Nella tarda antichità soppiantò il gatto come animale
domestico. Il nome γαλῆ ha infat- ti, presso alcuni scrittori, il significato
di “gatta”. 550 Sc. colui che tiene le chiavi per custodire qualcuno o
qualcosa. 551 Sc. è uguale alla somma cumulativa dei primi quattro numeri. 552
Perché è la circonferenza massima dell’universo. 553 Omero, Od. 1,53 s. 554 Che
ci si intenda riferire qui a scritti pitagorici o pseudo-pitagorici anteriori a
Filolao, e non alla sola tradizione orale del Pitagorismo, come pensano alcuni,
risulta evidente dal fatto che Speusippo ha potuto ricavarne materia per il suo
scritto. Sull’uso anacronistico di ἀκρόασις, cf. L. Tarn, Speus. 261 s. 555 Il
significato di quest’ultimo termine appare molto pit chiaro, se si respinge,
come io ho fatto, l’integrazione di «περί» prima di ἀναλογίας fatta da Tannery
e De Falco. Cf. L. Tarin, Speusippus, Leiden 1981, 267 ss. Per quanto concerne
tutto l’inciso ἀναλογίας te καὶ ἀντακολουθίας, è evidente che qui non ha nulla
a che vedere con la teoria delle proporzioni (del resto assente da tutto il
contesto), ma si riferisce, assieme all’inciso precedente ἰδιότητος αὐτῶν καὶ
πρὸς ἄλληλα κοινότητος, alle proprietà singolari e comuni dei numeri e alla
loro relazione e corrispondenza con le figure. Insomma Speusippo distingue le
tre specie di numero, lineare piano solido, e ne presenta le caratteristiche
individuali, ma anche le interrelazioni. 556 Mi convince la traduzione che
Tarin fa di ἀποφαίνων con «dichiaran- do», meno invece la sua traduzione di
φυσικωτάτην con «che ha esistenza separata [o oggettival», perché il termine
potrebbe avere relazione con il fatto che la decade ha costituito il modello
divino nella creazione del mondo naturale. 557 Su questa idea della
universalità del sistema decimale, cf. L. Taràn, Speusippus, cit. 273 ss., e le
sue ragionevoli osservazioni che fanno rifiutare l'opinione di W. Burkert, Lore
and Science in Ancient Antiquity, Cambridge, Mass. 1972, 72 nota 122, secondo
cui Speusippo sarebbe fonte comune di questa e di altre precedenti
testimonianze su tale dottrina. 558 Sc. il dispari. 559 Se in una serie finita
di numeri, come è la decade, l’alternarsi di dispa- ri e pari, a partire dal
dispari, non si chiudesse con un numero pari, il dispa- ri (se si considera
dispari anche l’ 1) predominerebbe sul pari: nella fattispe- cie si avrebbero
cinque dispari e quattro pari. Il pari 10, dunque, deve chiu- dere la serie,
perché ci sia perfezione e uguaglianza delle due specie di nume- ro. 560 Sono
primi e non-composti: 1, 2, 3, 5, 7; sono invece secondi e com- posti: 4, 6, 8,
9, 10. Speusippo, dunque, come del resto Aristotele ed Euclide, considerava
numero primo anche il 2: cf., per tutta la questione, Th. Heath, Gr. Matb. I 70
ss.; L. Tarn, Speus. 277 ss. 561 Sc. il primo della serie. 562 È infatti 10 il
numero oltre il quale non si può scendere per trovarne un altro con la stessa
proprietà, con la proprietà cioè di contenere la stessa quantità di numeri
primi e secondi. 563 Perché non ha come sotto-multiplo nessuno dei numeri fino
a 5. 564 Perché, pur facendo parte del gruppo dei sotto-multipli [di 8], è un
multiplo [di 2]. Ci sarebbe da precisare che si tratta di due eccezioni contra-
rie: infatti 7 non è né multiplo né sotto-multiplo, 4 invece è insieme sotto-
multiplo [di 8] e multiplo [di 2]. 565 È la proporzione aritmetica disgiunta 1,
2, 3, 4, in cui la somma dei termini è 10. 566 Sc. dei vertici. 567 Sc. delle
facce che sono basi intercambiabili. 568 Sc. degli spigoli. 569 Non è chiaro.
L'ipotesi che fa Waterfield, Trad., p. 113 nota 21, è que- sta: dato un
triangolo ABC, la linea BC ha 2 limiti (uno in B e l’altro in C), ma ciascuno
di questi limiti ha un rapporto con il terzo punto A, quindi ancora 2: allora
2+2=4. Un ragionamento simile, anche se più aderente alla interpretazione che
io ne proporrò subito, trovo in Taràn, Speus. 284. Quello che convince poco in
questo tipo di spiegazione è il fatto che per ottenere 4 occorre sommare due
punti e due intervalli, quando si sa che sia gli uni che gli altri sono tre. A
mio avviso occorre insistere meglio sul carattere “costrut- tivistico” messo in
luce giustamente da Tarn, e ragionare cosf: per costruire. un triangolo bisogna
anzitutto porre un primo limite (A) e tracciare un primo intervallo (AB)
fissando un secondo limite (B), quindi tracciare un altro intervallo (BC)
fissando un terzo limite (C), e infine tracciare un altro intervallo fissando
un quarto limite, che pur non essendo distinto rispetto a tutti e tre i primi
limiti, perché coincide con il primo (A), risulta necessario per chiudere la
figura triangolare. Nella costruzione di un triangolo, quindi, anche se i punti
sono 3, il loro rapporto con gli intervalli o linee conduce al 4, perché il
primo di essi dev’essere preso necessariamente due volte, come punto di
partenza e come punto di arrivo o di chiusura. Come dire che affin- ché ci
siano i 3 intervalli o linee, occorrono 4 termini o limiti, che sono quel- li
che contano di più nel nostro caso, dal momento che qui si tratta di met- tere
insieme in relazione numeri e figure. 570 Sc. nelle figure geometriche
elementari (che tuttavia presuppongono come loro elementi il punto e la linea):
piana (triangolo) e solida (tetraedro). 571 Sc. si arriva al numero 10. 572 Sc.
lo si può vedere come 1. 573 Sc. il triangolo che nasce dalla divisione di un
quadrato lungo la dia- gonale: è il triangolo isoscele. 574 Sc. ha 2 lati
uguali. 275 Sc. sia nei lati che negli angoli. 576 Sc. sommando cumulativamente
i quattro numeri relativi alle figure: 11 del punto, il 2 della linea, il 3 del
triangolo, il 4 della piramide. 577 Sc. la piramide di base triangolare
equilatera o tetraedro. 578 Come il triangolo equilatero. 579 Anche
quest’ultimo, infatti, è stato visto come 1. 580 Sc. la piramide di base
quadrata. 581 Sc. linee e superfici. 582 Sc. ai vertici alla base. 583 Sc.
dalla faccia di base e da due facce triangolari. 584 Sc. da tutte e quattro le
facce triangolari: anche in questo, cioè nel fatto che ha una sola faccia
quadrata, si vede l’unica differenza che ha que- sto tipo di piramide. 585 Come
il triangolo isoscele. 586 Si tratta di una piramide triangolare con alla base
un triangolo isosce- le. 587 Sc. nel triangolo semiquadrato o isoscele, che ha
due angoli e due lati uguali e un angolo (quello retto) e un lato disuguali.
588 Perché ha due differenze come il triangolo scaleno, nascente come la metà
di un triangolo equilatero. 589 Si tratta dunque di una piramide triangolare
avente come base un triangolo rettangolo scaleno metà di un triangolo
equilatero, e le rimanenti tre facce a forma, una di triangolo equilatero, una
di triangolo isoscele, e una di triangolo scaleno (rettangolo): la si ottiene
secando un tetraedro con un piano bisettore di uno dei suoi sei angoli diedri
(sc. angoli agli spigoli). 590 Sc. calcolando, come nella terza piramide, i
lati e gli angoli alla base e al vertice. 591 Infatti ha tre differenze, due
delle quali che concernono i lati e gli angoli alla base che sono tutti e tre
disuguali, appartenendo a un triangolo scaleno (rettangolo), e una terza che
concerne l’angolo al vertice, circoscritto da tre facce triangolari tutte
disuguali (un triangolo equilatero, uno isoscele e uno scaleno). 592 Se infatti
sommiamo i numeri a cui abbiamo per somiglianza fatto corrispondere le quattro
specie di piramidi, otteniamo 10. 59 Sc. quando vogliamo esaminare come nascano
l’una dall’altra le figure geometriche, dal punto alla linea (figura lineare),
dalla linea al piano (figura piana), dal piano al solido (figura solida). 594
In un campo di corsa. 595 παντέλεια = compimento di ogni cosa. 5%
(1x2)+(2x2)+(3x2)+(4x2)=20. 597 1+2+3+4+5+6+7+8+9+10=55. 598 Cf. Platone, Tir.
35 B. 599 Come si è appena detto. 600 1+4+9+16+25+36+49+64+81+100=385. 601
385=55x7. 602 Se sommi, cioè, come numeri le lettere dell’ 1, e‘+v’ [ἕν],
ottieni 55 e quindi 10 [=5+5]. Si ricordi che 10 è 1 di secondo livello.
D'altro canto lo 0 non è cifra, per i Greci. 603 5(£°)+50(v)=55. 604 Sul rapporto
tra il 6 e la vita e l’anima, cf. pp. 44 ss., supra. 605 Sc. fattori o
divisori. 606 Infatti 2+3+4+6+9+12+18=54, ma, se si aggiunge il fattore dello
stesso numero 36, cioè 1 [36:36=1], si ottiene 55. 607 Sc. sommati
cumulativamente. 608 Cf. Platone, Τρ. 53 C ss. Assiopisto. Refs.: Luigi
Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, “Grice ed Assiopisto,” The
Swimming-Pool Library, Villa Speranza, Liguria, Italia.
Luigi Speranza – GRICE ITALO!; ossia, Grice ed Assunto:
all’isola – FILOSOFO SICILIANO, NON ITALIANO -- la ragione conversazionale e l’implicatura
conversazionale dei nazareni – la scuola di Caltaissetta – filosofia siciliana
-- filosofia italiana – Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The
Swimming-Pool Library (Caltanissetta). Filosofo siciliano. Filosofo italiano. Caltanissetta,
Sicilia. Grice: “I like Assunto; of course in Italy they take aesthetics
seriously; my wife would say that they ONLY take aesthetics seriously! And I
would correct her, ‘You mean that they take only aesthetics seriously,’ and she
would re-correct me, ‘Whatever, dear.’” – “Anyhow, Assunto is best known in
Italy as a historian, but he fails to see that when at Clifton we speak of the
classics we mean the timeless – my timeless meaning was meant as a
Cliftonianism! So Assunto is lacking background when he equates classicism, or
worse, neo-classicism of the Canova type popular in London, as dealing with
‘l’antichita’ – that would have offend Canova: his statues were meant to
represent Platonic timeless ideas or ideals!” Grice: “Gilbert and Leighton are
very explicit about this in ‘The Artist’s Model’!” “Then Assunto thinks he can
play with a fictiotious dichotomy between ‘l’antico’ and ‘il non-antico.’”
Grice: “I treasure Millais’s slogan that at the Royal Academy, he had to do
only TWO things: draw naked men ‘from nature’ – or draw naked men
‘dall’antico’!” – Grice: “As Millais suddently realised: ‘We found out that
there were no English types that would represent the ‘antico’, or timeless
ideal, so we had to deal with Italian models!” -- L'uomo che contempla il
giardino vivendo il giardino [...] solleva se stesso al di sopra della propria
caducità di mero vivente.» --
Ontologia e teleologia del giardino). Ha compiuto i suoi studi secondari presso
il Liceo Classico di Caltanissetta nella sua città natale. Laureato in
Giurisprudenza è stato avviato alla filosofia da Pantaleo Carabellese
professore di filosofia teoretica presso l'Roma. È stato docente di
Estetica a Urbino dal 1956 e titolare dal 1981 della cattedra di Storia della
filosofia italiana presso la Facoltà di Magistero a Roma. «Il suo
insegnamento è anticonformista, fortemente intriso di contraddittorio. Ma forse
proprio per questo motivo, quando arriva il Sessantotto, il filosofo sceglie la
via della controrivolta: quella che passa attraverso l'élite. Rifiuta di
adeguarsi al voto politico, si oppone ai collettivi e agli insegnamenti
assembleari. I suoi allievi non si oppongono al suo rifiuto, anzi con questo
comportamento Assunto riesce ad attirarsi la stima di molti esponenti del
Movimento studentesco. Talmente rivoluzionario da divenire reazionario, Rosario
Assunto dagli anni Settanta in poi avrà un atteggiamento sempre più
schivo...» Un isolamento, il suo, iniziato col Sessantotto, ma poi sempre
più accentuato; infine, si chiuse nei suoi studi e nelle sue speculazioni dopo
la morte della moglie, la storica dell'arte Wanda Gaeta, molto amata («Sono la
fotocopia di lei, che è stata uccisa dal mio stesso male»). A Roma fu
molto amico di Giulio Carlo Argan pur contrastando le sue idee politiche.
Pensiero Rosario Assunto, interessato ai temi estetici della filosofia da un
punto di vista storico e teoretico li ha trattati non solo come tipici della
filosofia dell'arte e del bello ma considerandoli coincidenti con la filosofia
stessa giudicata come pura estetica. Egli si rifà a Baumgarten, Cartesio,
Leibniz, Kant esaminati soprattutto per la loro concezione dell'uomo e del suo
rapporto con la natura. Una visione tradizionalista della filosofia, proprio
nel momento in cui l'estetica si rivolgeva alla semiotica, che isolò Assunto
soprattutto in Italia, mentre in Germania veniva tradotto e apprezzato.
Assunto ha rappresentato una delle voci più significative all'interno del
dibattito filosofico estetico del Novecento. Vivamente interessato all'estetica
dei giardini anticipa largamente nelle sue opere alcuni rilevanti concetti per
la riflessione più recente, come per esempio quello di "estetica del
paesaggio", che hanno ispirato i temi ambientalisti sulla tutela e
conservazione del paesaggio, naturale o elaborato dall'uomo, che egli definisce
«Spazio limitato, ma aperto; presenza, e non rappresentazione, dell'infinito
nel finito». Altre opere: "Civiltà fascista"; “Il teatro
nell'estetica di Platone, in "Rivista italiana del teatro"; Curatela
di Heinrich von Kleist, Michele Kohlhaas, Torino, Einaudi); “Essere e valore
nella filosofia di C. A. Sacheli, in "Rivista di storia della filosofia";
“L'educazione estetica, Milano, Viola); “Educazione pubblica e privata, Milano,
Viola); “La pedagogia greca, Milano, Viola); “Forma e destino, Milano, Edizioni
di comunità); “L'integrazione estetica. Studi e ricerche, Milano, Edizioni di
comunità); “Teoremi e problemi di estetica contemporanea. Con una premessa
kantiana, Milano, Feltrinelli); “La critica d'arte nel pensiero medioevale,
Milano, Il saggiatore); “Estetica dell'identità. Lettura della Filosofia
dell'arte di Schelling, Urbino, STEU); “Giudizio estetico, critica e censura.
Meditazioni e indagini, Firenze, La nuova Italia); “Stagioni e ragioni
nell'estetica del Settecento, Milano, Mursia); “L'automobile di Mallarmé e
altri ragionamenti intorno alla vocazione odierna delle arti, Roma, Ateneo); “L'estetica
di Immanuel Kant, una antologia dagli scritti a cura di, Torino, Loescher); “Hegel
nostro contemporaneo” (Roma, Unione italiana per il progresso della cultura); “Il
paesaggio e l'estetica I, Natura e storia, Napoli, Giannini); Arte, critica e
filosofia, Napoli, Giannini); “L'antichità come futuro. Studio sull'estetica
del neoclassicismo europeo, Milano, Mursia); “Ipotesi e postille sull'estetica
medioevale. Con alcuni rilievi su Alighieri teorizzatore della poesia, Milano,
Marzorati); “Libertà e fondazione estetica. Quattro studi filosofici, Roma,
Bulzoni); “Intervengono i personaggi (col permesso degli autori), Napoli,
Società editrice napoletana); “Specchio vivente del mondo. Artisti in Roma”
(Roma, De Luca); “Hohenegger. Esploratore del possibile” (Roma, De Luca); “Infinita
contemplazione. Gusto e filosofia dell'Europa barocca, Napoli, Società editrice
napoletana); “Filosofia del giardino e filosofia nel giardino. Saggi di teoria
e storia dell'estetica, Roma, Bulzoni); “La città di Anfione e la città di
Prometeo. Idea e poetiche della città, Milano, Jaca); “La parola anteriore come
parola ulteriore, Bologna, il Mulino); “1. Il parterre e i ghiacciai. Tre saggi
di estetica sul paesaggio del Settecento, Palermo, Novecento); “Verità e
bellezza nelle estetiche e nelle poetiche dell'Italia neoclassica e
primoromantica, Roma, Quasar); “Ontologia e teleologia del giardino, Milano,
Guerini); “Leopardi e la nuova Atlantide, Napoli, Istituto Suor Orsola
Benincasa-Edizioni scientifiche italiane); La natura, le arti, la storia.
Esercizi di estetica, Milano, Guerini studio); “Giardini e rimpatrio. Un
itinerario ricco di fascino attraverso le ville di Roma, in compagnia di
Winckelmann, di Stendhal, dei Nazareni, di D'Annunzio, Roma, Newton Compton); “La
bellezza come assoluto, l'assoluto come bellezza. Tre conversazioni a due o più
voci, Palermo, Novecento); Il sentimento e il tempo, antologia Giuseppe
Brescia, Andria, Grafiche Guglielmi. A. Ontologia e teleologia del giardino,
Guerini; Enciclopedia multimediale delle scienze filosofiche, su emsf.rai.
Nicita, Assunto scandaloso esteta, La Repubblica Cutinelli-Rendina, Emanuele,
Il Sessantotto di Rosario Assunto, Ventunesimo secolo: rivista di studi sulle
transizioni: 22, 2,, Soveria Mannelli: Rubbettino,. Op. cit. ibidem Assunto scrisse contro il progetto politico
della realizzazione del ponte di Messina
Debenedetti, A., filosofo delle forme, Corriere della Sera, Raffestin,
Dalla nostalgia del territorio al desiderio di paesaggio. Elementi per una
teoria del paesaggio, Alinea, Migliore, Il giardino: mito estetico d’A.,
Società Dante Alighieri. Calvano, Viaggio nel pittoresco: il giardino inglese
tra arte e natura, Donzelli; Cassatella, Enrica Dall'Ara e Maristella Storti,
L'opportunità dell'innovazione, Firenze; Caotorta, All'ombra delle farfalle. Il
giardino e le sue storie, Edizioni Mondadori,, Luciani, Luoghi, forma e vita di
giardini e di paesaggi: Premio internazionale Carlo Scarpa per il giardino,
Fondazione Benetton Studi Ricerche Pier Fausto Bagatti Valsecchi e Andreas
Kipar, Il giardino paesaggistico tra Settecento e Ottocento in Italia e in
Germania: Villa Vigoni e l'opera di Giuseppe Balzaretto, Guerini, Rendina, Il
Sessantotto di A. (con un carteggio inedito), in «Ventunesimo secolo», A. Opere
di Rosario Assunto,. Rosario Assunto, su Goodreads. Filosofia Filosofo Professore
Caltanissetta Roma. Nome compiuto: Rosario Assunto. Assunto. Keywords: i
nazareni, massimo, sala dante, koch, civilta, civilta fascista, theorie des
schoenen; D’Annunzio, i Nazareni, I nazareni, pittori germani a Roma, Casino
del marchese Carlo Massimo, Aligheri, Tasso, Ariosto. D’Annunzio, la
preservazione dei Giardini antichi, villa, giardino di villa, giardino di
palazzo, estetica del giardino, il giardino e il uomo, giardineria, filosofia
del giardino, il giardino di Epicuro a Roma. Horto di Epicuro – il giardino
d’Epicuro (non di Epicuro). Hortus, orto romano, i Scipione e la filosofia a
Roma dopo Carneade – filosofia al giardino – filosofia nell’orto – orto
italiano, giardino italiano, orto romano, simmetria, “teatro, cinematografo,
radio” “sono tre simboli ideali” – “Civilta” – “estetica del teatro in Platone”
assunto annunzio i nazareni a roma il
giardino d’epicuro “teatro, cinematografo, radio” teatro nell’estetica
platonica schelling il bello intro alla fondazione della metafisica dei costumi
natura ed arte — roma città — giovanni gentile. Refs.: Luigi Speranza, pel
Gruppo di Gioco di H. P. Grice, “Grice ed Assunto,” The Swimming-Pool Library,
Villa Speranza, Liguria, Italia.
Luigi Speranza -- Grice ed Astea: la diaspora di Crotone -- Roma –
filosofia italiana – Luigi Speranza (Taranto). Abstract.
Grice: “Giamblico di Calcide took the trouble to name all Italian philosophers
who followed Pythagoras (himself not an Italian). Strawson tried to do that for
me – but he stopped at Snowdon!” -- Filosofo italiano. Pytthagorean according to Giamblico di Calcide (“Vita
di Pitagora”). Astea. Refs.: Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P.
Grice, “Grice ed Astea,” The Swimming-Pool Library, Villa Speranza, Liguria,
Italia.
Luigi Speranza -- Grice ed Astilo: la diaspora di Crotone -- Roma –
filosofia italiana – Luigi Speranza (Metaponto). Grice:
“Counting by the number of Oxonian philosophers that have made use of my idea
of a ‘conversational implicature’ – mostly my juniors, like R. M. Hare, and D.
F. Pears – I would think that I myself count as many ‘Griceian’ discples as did
Pythagoras, who lived in what Strawson once called ‘the middle of nowhere,’
viz. Crotona!” -- Filosofo
italiano. Pythagorean according to Giamblico di Calcide (“Vita di Pitagora”).
Astilo. Refs.: Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, “Grice ed
Astilo,” The Swimming-Pool Library, Villa Speranza, Liguria, Italia.
Luigi Speranza -- Grice ed Astone: la setta di Crotone -- Roma –
filosofia italiana – Luigi Speranza (Crotone). Grice:
“There is a view, indeed circulated by Diogene Laerzio, that some of
Pythagoras’s philosophical discoveries – notably that a2 = b2 = c2 – were due
to one of his tutees – for Pythagoras claimed no tutor --, by the name of A.!” Filosofo
italiano. A Pythagorean. According to Diogene Laerzio, there is a view that A. is
the true author of some works attributed
to Pythagoras. Astone. Refs.:
Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, “Grice ed Astone,” The
Swimming-Pool Library, Villa Speranza, Liguria, Italia.
Luigi Speranza – GRICE ITALO!; ossia, Grice ed Astorini:
la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale – la scuola d’Albido
– filosofia cosentina – filosofia calabrese -- filosofia italiana – Luigi
Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The Swimming-Pool Library (Albidona). Filosofo
calabrese. Filosofo italiano. Albidona, Cosenza, Calabria. Grice: “I like
Astorini, but more so does Sir Peter, vide his section on ‘Space’ in
“Individuals: an essay in descriptive metaphysics”: ‘Surely we wouldn’t have
space as we know it if it were not for Astorini.” La vivacità del suo ingegno, e il desiderio di apprendere
cose nuove, lo induce a spogliarsi de' pregiudizi del secolo, e a studiare
attentamente i filosofi, conosciuta la forza delle loro ragioni, ardì
dichiararsi nemico del peripato del LIZIO; al che avendo congiunto lo studio
delle lingue ebraica e siriaca, ei cadde presso alcuni in sospetto di novatore,
e per poco non si attribuì ad arte magica ciò che era frutto del raro suo
ingegno e del suo instancabile studio.” Alcuni considerano i paesi di Cirò o di
Cerenzia la sua patria. Si ritieneno deboli gl’argomenti esposti da un
ingegnoso filosofo di Cirò il quale volle onorare la sua patria della sua
nascita. Molti filosofi presero a difendere l'autorità del romano pontefice e a
sostenere la chiesa romana contro i nimici della medesima. Uno solo, A., ne accennera
per amore di brevità, con tanto maggior vigore si accinse a difenderla, quanto
più avea per sua sventura potuto comprendere la debolezza dell'armi con cui
essa era oppugnata. Vari luoghi della Calabria Citeriore han preteso all'onore
di aver dato i natali a questo insigne filosofo, ma noi crediamo rimuovere ogni
dubbio intorno al luogo di lui natìo, seguendo in questo punto l'opinione di Zavarrone,
il quale afferma esser egli nato nella città di Cirò, detta anticamente
Cremissa, luogo non ignobile del paese de' Bruzi, dove questa famiglia vive
ancor oggi onorevolmente. «Molti scrittori di materie ecclesiastiche rilussero
in questo secolo, e fra i più celebri si annoverano: primo, A.. Studia con il
padre Diego, medico in loco, la grammatica, la retorica e la lingua greca. Si
trasfere a Cosenza per completare gli studi e poi a Napoli per apprendere gli
studi di FILOSOFIA, e di teologia a Roma, dove è insignito dalla corte papale
del compito di scrivere alcuni annali. In questo periodo pubblica “De vitali aeconomia
foetus in utero”. Pubblica alcuni saggi di matematica e geometria, come gli “Elementa
Euclidis ad usum nova methodo et compendiare olim demonstrate” e un “Decamerone
pitagorico”. Dopo alcuni anni lascia l'Italia per raggiungere la Svizzera e la
Germania, ma in quei territori, come la città di Groninga, riscontra una
notevole influenza religiosa protestante e poiché il conversar co' i filosofi
protestanti gli fece conoscere chiaramente che fuor dalla chiesa di Roma non
v'e unità di fede, decide di tornare in patria -- Terranova, feudo del paese di
Tarsia. Gimma, Elogi accademici della società degli spensierati di Rossano,
Troise. Si tratta di Zavarrone (Montalto Uffugo, Roma), religioso dell'ordine
dei Minimi e teologo al servizio di illustri politici, come Augusto III re di
Polonia e pontefici. È lettore del collegio urbano Propaganda Fide e consultore
del tribunale dell'inquisizione. Tiraboschi, Storia della letteratura italiana,
Notizie e opere d’A., Firenze: Molini,
Landi, Pietro Napoli-Signorelli, Vicende della coltura nelle II sicilie o sia
storia ragionata, Morelli di Gregorio, Panvini (Martuscelli), Biografia degl’uomini
illustri del regno di Napoli, ornata de loro rispettivi ritratti, Gervasi. Falcone,
Biblioteca storica topografica delle Calabrie. A., Dizionario degl’italiani,
Istituto dell'Enciclopedia. Opere di A.,
su open MLOL, Horizons Unlimited srl. Filosofi
italiani Matematici italiani Professore Albidona Terranova da Sibari Carmelitani.
Altre saggi: "De Vitali Oeconomia foetus in utero" (Groninch);
"Elementa Euclidis ad usum novæ Academiæ Nobilium Senensum, nova methodo
et compendiariè demonstrata", Sienna e Napoli, Mosca); "Prodromus apologeticus";
"De potestate sanctæ sedis apostolicæ"; "De vera ecclesia Jesu
Christi, contrà Lutheranos et Calvinianos libri III”, Napoli, Bono; “Apollonij
Pergæi Conica integritati suæ ordini atque nitoripri stino restituta,” Napoli;
"De recto regimine catholicæ hierarchiæ; “Ars magna pythagorica";
"PHILOSOPHIA SYMBOLICA”; "Archimedes restitutus";
"Decameron Pitagorico"; "Il consenso, e dissenso delle III Gramatiche
Ebraica, Arabica, e Siriaca e'l modo facilissimo per apprenderle ciascheduno da
se stesso in breve tempo"; "Commentaria ad Scientiam GALILEI (si
vedda) de Triplici Motu". La movimentata vicenda biografica di A.
aonda le radici in una formazione cosmopolita e interdisciplinare, iniziata in
Calabria sotto la guida del padre e proseguita accanto allo zio Tommaso
Cornelio, esponente del fronte de inovatores nella Napoli. È per lui naturale
ripudiare la filosofia scolastica e aderire alle teorie dei moderni, da GALILEI
(si veda) a Cartesio, Hobbes e Gassendi, teorie che diuse a Cosenza e tra i
filosofi nobili in varie località del vice-regno e che gli recarono grande
notorietà. Al termine di un lungo viaggio in Svizzera, Germania e i paesi bassi
durante il quale si fa apprezzare per le non comuni capacità didattiche, vive
alcuni anni tra Firenze e Siena dove frequenta i principali esponenti della
cultura umanistica e scientifica toscana, da Magliabechi a Redi e Viviani.
Ritornato nel vice-regno per dedicarsi alla pubblicazione di numerosi saggi, si
pone sotto la protezione del principe di Tarsia, ed anche d’Orsini, avvezzi
amendue a favoreggiar letterati. Per l’ampiezza dei temi arontati, sua
“PHILOSOPHIA SYMBOLICA” puo giovarsi del ricco patrimonio librario custodito
nella biblioteca di Spinelli. “PHILOSOPHIA SYMBOLICA” è divisa in dialoghi nei
quali sono illustrati tutti i sistemi filosofici, colle dimostrazioni e
osservazioni fatte in varie sette, ed erudizioni prese da' FILOSOFI ROMANI. Sebbene
varii luoghi della Calabria si contendano la patria d’A., pure l’opinione più
comune de’ suoi biografie che egli è nato a Cirò ed è nel battesimo nomato
Tommaso Antonio. È gli padre Diego, professore di medicina reputatissimo in
Albidona, ove da questi il figliuolo apprese la grammatica, la lingua greca e
la rettorica. Studia quindi in Napoli e Roma la FILOSOFIA aristotelica del
LIZIO, in che acquista tale riputazione, che gli venne permesso di scrivere a
fronte delle sue conclusioni il motto: de/‘elndet ipse solus. Morto il genitore
ripatrio per assestare i suoi domestici affari, e iotè frai libri e fra le
conversazioni dei suoi concittadini, dopo non lievi meditazioni, darsi tutto
alle dottrine filosofiche del TELESIO (si veda), ed alla libera maniera di
ragionare. Era cosi istrutto nella lingua latina che ne compose una GRAMMATICA
FILOSOFICA. E si dice, secondo l’andazzo de’tempi, e è accusato lotto per
magia; ma ei pote discolparsi dalla bassa calunnia, e percorrere per ben tre
volte l’ltalia, ovunque acquistandosi e fama ed amicizia. Nominato a reggente
di filosofia a Cosenza, è da qui il propagatore della filosofia per le
calabrie; come lo fu altresi della città di Penne per gli Abruzzi. Invitato in
Roma, vero o supposto che vi sfinfermasse, egli invece dimora per qualche tempo
in Albano. Ritenuto a Bari da alcuni nobili filosofi, che lo vollero a maestro,
ha a cominciare in quella Chiesa di S. Nicolo il suo annuale di prediche. Ma le
convinzioni libere che egli spacciava, gli mossero fiera persecuzione. Sicclie
passa in Zurigo, ed indi in Basilea, ove non dimore che un solo aniie. Pescia
recessi nel Palatinato, donde si trasferì nell’Assia, dove è costituito maggiore
-- ossia vice-prefetto -- dell'universita di Marburgo con la facoltà d’
insegnar FILOSOFIA. In stabile sempre si conduce dappoi in Groninga e da quella
Repubblica ha l'incarico di insegnar filosofia e quivi a spese del Senato e
dottorato, nel quale anno pubblico il suo saggio, "De vitali oeeonomia
foetus in utero", in cui sostenne la opinione, non per ance in quell’era
divulgate, della generazione dell'uomo. Scorgendo intanto, che iteo legi della
Chiesa riformata. fra le mille contese religiose si laceravano, penso
ritornarsene fra’cattolici in ltalia; e d’Amburgo chiese il condono d’ogni
apostasia; il che ottenuto dal S. Uffizio, recatosi presso il Vescovo di
lilunster fece solenne abiura, e si porta in Roma, onorevolmente accolto, ed
inviato in Pisa come predicatore generale. Dopo un anno da Pisa si traduce in
Firenze, ove si acquista il favore del Granduca, e si concilia l’amistà
fraternevele di Redi, Viviani, Marchetti e d’altri molti filosofi. In Siena,
dove recessi come professore di filosofia, coopera efficacemente alla
istituzione dei Fisio-Eritici, e ne e eletto Principe e Censore perpetuo. Qui
pubblica nel medesimo anno “Eiementft Euclidis nova methodo demostraiei”. Ritornato
in Roma è inviato a Cosenza col grado di maestro in filosofia, e di prefetto
degli studii. Ma riaccesigliodii sempre a cagien de’ suoi meriti, si ritira in
Cervinara nel Principato Ulteriore; e da la spesso recandosi in Napoli ha a
cenciliarsi la stima di Spinelli principe di Tarsia, il quale per Paifetto che
porta ad A. e per rimuoverlo dalla tristezza in che è caduto per la morte di
Francesco Mainerio A., lo indusse a recarsi in Terranova, deputandolo custode
della sua scelta biblioteca. È questa l'ultima residenza. Sono del pari suoi
saggi stampat: Apollonii Pergei conica integritati suae ac nitori
restituta" (Nap.); "De potestate S. Sedis apostolicae, Siena;
"De‘nera Ecclesia Christi disciplina, libri III Nap.). Fra i molti altri
saggi che lascia si commendano: PHILOSOPHIA SYMBOLICA IVXTA PROPRIA PRINCIPIA IN
DIALOGHI; Ars magna Pythagorica, una specie di enciclopedia
scientifico-universale; Decamerone Pitagorico, in verso, diviso in X
giornate, e contenente tutta la filosofia naturale pitagorica in forma di
satire in verso sciolto bernesco; Commentario, ad scientiam GALILEI (si veda)
de tripliei motu"; "Archimedes restitutus"; "De reato
reyimine Catholicaelticr archiae; "De vita Christi"; Apologia pro
fitte catltolica, che divisa di dedicare a Filippo di Spagna. Parlano con somma
lode di questo dotto filosofo Cimma, Zavarroni, Amato, Aceti, Mazzucchelli,
(lriglia, liraboschi, Alllitto, Relli, i
dizionarii storici, e per tacer‘ di tanti altri,. il Cantù. A. Nacque -- è incerto se a Cirò, feudo degli Spinelli
principi di Tarsia che lo protessero nelle ultime fortunose vicende della sua
vita (Zavarroni), o ad Umbriatico oppure ad Albidona (Gimma), dove il padre
Diego esercita la professione di medico e dove sicuramente egli trascorse gli
anni dell'adolescenza. Entra fra i carmelitani dell'antica osservanza, mutando
il nome di Tommaso Antonio in quello di Elia. Completa gli studi di FILOSOFIA aristotelica a Napoli nel convento dei Carmine
Maggiore dove appartenne agl’INCAUTI e a Roma quelli di teologia. La morte del
padre lo richiama in Calabria, nell'ambiente familiare. Stando ai suoi
biografi, in questi anni si colloca la
sua prima crisi spirituale che investe il campo delle dottrine filosofiche
acquisite: un radicale atteggiamento anti-peripatetico lo induce a formarsi un sistema eclettico
platonico-pitagorico e meccanicistico-materialistico, quest'ultimo ispirato
dalla lettura delle opere di GALILEI (si veda), Gassendi, Cartesio, Mersenne,
Hobbes. Più prechaniente possiamo dire, sulla base degl’elementi desumibili da
taluni suoi saggi, che egli riprese il pensiero dei suoi conterranei, del
famoso "notomista" SEVERINO, erede delle speculazioni campanelliane e
delle teorie fisiognomiche di Porta; di Musitano, che aveva accolto le
posizioni dei moderni come elaborate dagl’investiganti di Napoli; e soprattutto
di Comelio, del quale A. ama più tardi dichiararsi nipote (cfr. Giornale de,
Letterati). La crisi non gli impede tuttavia di raggiungere il sacerdozio
e di divenire reggente degli studi e lettore di filosofia e teologia nel
convento dei suo ordine a Cosenza. Ma i confratelli della congregazìone della
provincia di Calabria gli si ribellarono apertamente chiedendo al generale la
sua sostituzione. Rivalità locali, come il contrasto tra A. e il provinciale
Puglisi, adombrano l'inquietudine intellettuale del religioso e le resistenze
di metodi tradizionali di studio. Sospeso dall'insegnamento, penitenziato nel
carcere della curia arcivescovile di Cosenza, A. è infine inviato a Roma per un
giudìzio definitivo da parte deì superiori dell'ordine. Dopo un breve ciclo di
predicazìone si ritira ad Albano, non si sa se per punizione inflittagli o per
motivi di salute. Ha comunque ìnizio adesso il momento più ambiguo e per taluni
aspetti più oscuro della sua vita. Passa a Bari, dove stringe amicizia con
Tremigliozzi, seguace del gassendista Bartoli e di Cornelio e uno dei Coraggiosi,
bandìtrice delle nuove dottrine anti-galeniche nel settore delle scienze
mediche. Partecipa alle polemiche di Tremigliozzi in difesa di Musitano e
compose un epitafio alla materia prima per quella nuova staffetta del Parnaso
circa gl’affari della medicina dirizzata agl’illustrissimi spensierati di
Rossano, Francoforte, che ad opera di Tremigliozzi costituì una convinta difesa
del metodo sperimentale degl’investiganti contro la metodologia cartesiana. A
Bari conosce Gimna, che è il suo più diffuso biografo, al quale mostra vari
suoi manoscritti, tra essi un'ars magna trigonometrica. Predica a S. Nicola e
vive nel convento carmelitano barese dal quale poco tempo prima e fuggito,
apostata in Svizzera, il priore Rocco. Se dietro esempio di Rocco o pella sua crisi,
è certo comunque che di lì a poco A., rotto ogni indugio, depone l'abito
religioso e ripara anch'egli oltr'Alpe. Da Zurigo raggiunge Basilea, dove presenzia
a esperimenti. di medicina di Harder (Apiarium observationibus medicis refertum,
Basileae) e dove rimane circa un anno seguendo anche i corsi di Wettstein -- non
si sa se il padre o il figlio succedutogli sulla cattedra. Sosta nel Palatinato
presso il principe elettore Carlo fino alla morte di lui, per trasferirsì poi,
nel suo peregrinare da università ad università, a quella di Marburgo dove
divìene viceprefetto con facoltà di insegnare filosofia -- stando al Gimma, ma
la notizia non trova conferma nel Catalogus professorum Academiae Marburgensis,
a cura di F. Gundlach, Marburg. A Marburgo prosegue con fervore gl’intrapresi
studi di medicina ascoltando le lezioni di Waldschmiedt. Dopo un soggiorno a
Brema, è a Groninga: insegna nel collegio dei nobili cadetti francesi e compone
“De vitali œconomia fœtus in utero” (Groningae), che pare sottendere nello
studio del problema della fecondazione, oggetto allora di discussione tra gl’ovisti
e gl’animalculisti, le preoccupazioni speculative del filosofo, volte sulla
scia di SEVERINO e più di BARTOLI alla ricerca del PRINCIPIO VITALE (zoologico)
e formativo dell'embrione. Durante il soggiorno in Olanda si ha notizia
vaga di una sua partecipazione alle polemiche religiose nell'ambito del
calvinismo. La difesa che A. assume del cattolicesimo pre-annunzia un suo più
meditato ritorno alla fede cattolica. Attaccato pubblicamente dai ministri
calvinisti, si rifugia ad Amburgo. Qui una sua lettera al s. uffizio, con la
richiesta di poter ritornare in Italia, gli procura una benigna risposta da
parte di Brancati di Lauria e un salvacondotto. Assolto dal vescovo di Münster,
è a Roma. Riammesso nell'ordine, predica a Pìsa e Firenze. Conosce allora
Marchetti, cui l’unie l'interesse per la filosofia corpuscolare e che lo
presenta a Magliabechi, Redi -- cui lo lega la comune curiosità per il problema
della generazione -- e Viviani. Là questo,
il periodo culturamente più felice d’A. Per interessamento del
principe Gastone de’ Medici, ottiene la cattedra nella Accademia Nuova dei
nobili senesi. Per l'insegnamento prepara un'edizione degl’Elementa Euclidis ad
usum Novae Academiae Nobilium Senensium nova methodo et succincta demonstrata,
Senis, dedicata al principe protettore. Ma la prefazione è indirizzata a Redi,
e in essa A. chiarisce il proprio metodo. Etiam proportiones ipsas, quarum
nimis longa est series, redigerem. ad acquationes, more Analystarum -- ed
esalta la matematica in funzione dello sviluppo delle scienze naturali,
concludendo con un elogio della scuola scientifica toscana, da BUONAIUTI (si
veda) GALILEI a Redi a ROBERTI Torricelli a Viviani a Marchetti a Bellini a
Malpighi. Redi lo ringrazia (v. lettera, edita in Gimma), promettendo di
intervenire nuovamente presso il Granduca: il che dove procurare ad A. la
cattedra straordinaria di FILOSOFIA NATURALE – cf. Waynflete Meta-Physical
Philosophy -- nell'università di Siena, che resse. Intanto, A., con
Gabrielli e Grifoni, è tra i fondatori dei FISIO-CRITICI e ne diviene principe
(v. lettera di Redi a Gabrielli, in Redi, Opere). Dalle lettere che A. indirizza
in questo tomo di tempo a Maghabechi desumiamo molte preziose notizie circa i
rapporti tra cultura filosofica e scientifica e tradizione sperimentale,
rinnovando A. quell'incontro che per la generazione precedente e stato compiuto
a Pisa dalla scuola iatro-meccanica di Borelli. Il rapporto ideale tra “le due
culture” – al dire di Snow -- è anzi tanto stretto che A. teme per quella
toscana, le ri-percussioni della lotta scoppiata a Napoli contro la filosofia
moderna esperimentale -- processo degli ateisti. In Napoli vi sono di gran
rumori. Mi scrivono che sia stata origine la dottrina del zio CORNELIO e che
già la modernità va sossopra. Mi dispiace per diversi capi, benché io non
dubiti esservi framischiate delle calunnie degl’emoli aristotelici del LIZIO e
galienisti, e molto più mi dispiace per essersi già qui in Siena eretti i
FISICO-MEDICI tutti esperimentali e per esserne io stato eletto principe.
L'abbiamo celebrata due volte con l'intervento di tutta la più dotta nobiltà,
ma adesso ci siamo raffredati non sapendo dove vadano a terminare le faccende
-- a Magliabechi, Siena. Sotto la guida d’A. I FISIO-CRITICI possono tuttavia
continuare con tranquillità le riunioni colla metodo de' Progimnasmi -- i
Progymnasmata Physica -- di CORNELIO -- a Magliabechi, Siena. A. spera
contemporaneamente di raggiungere una sistemazione migliore. Ambì al titolo di
maestro e sollecita, tramite Magliabechi, un intervento di Malpighi, per il
momento senza successo. Compone, mettendo a frutto la sua diretta esperienza
del mondo protestante, un Prodromus apologeticus de Potestate sanctae Sedis
Apostolicae, Senis, dedicato a Francesco de' Medici, Roccaberti, Bibliotheca
maxima pontificia, Romae), introduzione a una progettata serie di dissertazioni
controversistiche che però non si distacca dalla consueta letteratura dei tempo.
Dedica tuttavia il meglio della propria attività ancora al settore teorico,
apprestando, tra l'altro, l'edizione delle Coniche di Apollonio, con la quale
per suggerimento di Redi e Viviani intese completare e sistemare l'edizione già
apprestata da Borelli con l'aiuto di Echellense (Firenze), e stendendo uno
scritto di meccanica, Commentaria ad scientiam Galilaei de triplici motu. Ma A.
lascia quasi improvvisamente Siena per le non buone condizioni economiche, dati
gli scarsi proventi che gli venivano dall'insegnamento, e per le sue precarie
condizioni di salute. È a Roma, poi a Cosenza, quale prefetto degli studi e
successivamente commissario generale nel suo convento di un tempo. Si
riaccendono le persecuzioni a suo danno, le vicende sono ancora più oscure, ma
gli procurano la protezione del principe di Tarsia, presso il quale, a
Terranova, dimora, e quella d’Orsini, di Benevento. Chiede il trasferimento
dalla provincia di Calabria a quella di terra di Lavoro nel convento di
Cervinara e, in un secondo momento, in quello di Mongrassano. E però di nuovo
prefetto degli studi a Cosenza, priore del convento di Scala e come tale
partecipa al capitolo provinciale. Eletto priore di Mongrassano, non partecipa
al capitolo per le peggiorate condizioni di salute e rinunzia anche alla
carica. Cura nel frattempo a Napoli la stampa dei De vera Ecclesia Iesu
Christi contra Lutheranos et Calvinianos libri III, degli Apollonii Pergaei Conica e la ristampa
degli Elementa Euclidis, Neapoli. Il nucleo ispiratore dei De vera
Ecclesia libri III, abbozzati in parte a Siena e dedicati al principe di
Tarsia, ha un reale interesse. A., come accenna in una lettera a Magliabechi,
appare preoccupato di confutare la tesi protestante circa i fondamenti
aristotelici della dottrina cattolica e sostenere invece l’identificazione
della linea culturale incentrata sull'umanesimo e sul neoplatonismo con il
cattolicesimo (Badaloni). Sulla linea umanistica viene rivendicata anche la
continuità del movimento scientifico. Ma tali motivi accennati nella prefazione
sono sommersi nell'opera, da un denso argomentare tradizionale in cui tuttavia
è messa a frutto d’A. la conoscenza della dialettica e della filosofia
simbolica. Nel chiuso ambiente conventuale, dopo l'esperienza in terra tedesca
e in Toscana -- durante la quale però sembra che A. e spinto più dall'esigenza
di contatti e di fresche osmosi scientifiche che non da un meditato
approfondimento culturale --, accanto a un crescente disagio che lo rende
insofferente della disciplina dell'ordine e lo induce a frequenti viaggi a
Napoli per sorvegliare la stampa delle sue opere, riaffiorano in A. le preoccupazioni
proprie di una formazione e di una tradizione meno aperta e duttile: il pesante
enciclopedismo e il gusto mnemotecnico prendono il sopravvento sull'inteligenza
sperimentale della natura, e A. si dedica a studi linguistici, condotti con
criteri analogico-combinatori, Il consenso e dissenso della grammatica
filosofica latina e la grammatica filosofica del volgare italiano e ad
elaborare o completare questa “Philosophia symbolica,” sorta di enciclopedia
pitagorica di cui fa parte opere che dai biografici sono indicate con titoli
particolari: un'Ars magna pythagorica, un Decamerone pitagorico, esposizione IN
RIME BERNESCHE della filosofia naturale, una LOGICA PYTHAGORICA seu de natura
et essentia rerum -- lo stesso che l'Ars magna. Degli inediti è
conosciuta soltanto l'Ars magna in duas divisa; Dissertationes Altera De
origine rerum altera De ortu et progressu Scientiarum della Biblioteca
Alessandrina di Roma. La copia e effettuata da Zavarroni per la Raccolta
d'opuscoli scientifici e filologici diretta da Calogerà -- cfr. acclusa allo
stesso ms. una lettera di Zavarroni a Calogerà. Probabilmente il carattere in
apparenza bizzarro del saggio dove dissuadere gli editori dal darlo alle
stampe. Esso, almeno nella copia di Zavarroni, pare l'introduzione a una serie
di Dissertationes e non va tout court identificato con l'Ars magna di cui fa
menzione Gimma. Se il De origine rerum, cioè la prima parte del manoscritto,
può in qualche modo connettersi ai studi d’A., a escludere che il De ortu et
progressu Scientiarum sia un saggio esperimentale contribuiscono il cenno
all'edizione dei Progymnasmata del Comelio, il ricordo di Redi e di Viviani, la
notizia degli studi compiuti d’A. sulla scienza galileiana del triplice moto,
la notevole conoscenza che A. dimostra degli studi di anatomia, elementi tutti
che presuppongono appunto la sua esperienza culturale in Germania e in
Toscana. La prima parte dell'opera che vuole essere una guida ad metam
naturalis sapientiae, contiene una critica agli schemi mnemotecnici di Lullo
e Kircher e si svolge nell'elencazione
di triadi platonico-pitagoriche, alla cui base v'è il presupposto gnoseologico
della possibilità di conseguire verità assolute attraverso l'ordine naturale
delle idee, poiché nella natura creata v'è una triplex virtus: intellectiva,
volitiva et effectrix, ad essa corrisponde una triplex operatio -- interectio,
volitio et impetus, ecc. Tale schema conduce ovviamente alla critica decisa
della definitio logica aristotelico-scolastica che non attingerebbe alla
quidditas rei come la definitio metaphysica, vagheggiata dall'autore. La Parte
II è in sostanza una ripartizione delle scienze ancora su base
platonico-pitagorica. Da "Sophia" è esclusa la logica, di cui sì
ribadisce il carattere meramente discorsivo. Ma a "Sophia"
appartengono la metafisica, notevoli i cenni platonizzanti circa il rapporto
microcosmo-macrocosmo; la fisica, per la quale A. si dilunga nella critica
all'aristotelismo e al cartesianesimo e nell'esaltazione della filosofia
atomistico-gassendiana e dello sperimentalismo galileiano, pur richiamandosi
insieme nettamente alla tradizione filosofica da Telesio a Cornelio; la
politica, per la quale egli esalta l'insegnamento di Platone; l'etica, per cui
continuo è il richiamo alla filosofia politica di Hobbes, ecc. A questo
impasto di vecchio e di nuovo, che contrappunta un momento della cultura
italiana e riflette il travaglio di una filosofia A. si dedica alla meditazione
filosofica e la occupazione di biblìotecario presso il principe Spinelli, a
Terranova di Sibari, dove muore. Fonti e Bibl.: Firenze, Bibl. Naz. Centrale,
Magl., A. lettere ad Ant. Magliabechi; Giornale de' Letterati e primo di
Modena, Giornale, Redi, Opere, Milano; Gimma, Elogi accademici della società
degli Spensierati di Rossano, Napoli; Zavarroni, Bibliotheca calabra, Napoli; Mazzuchelli,
Filosofi d'Italia, Brescia, riprende dal Gimma;
Di Cagno-Politi, E. A. filosofo e matematico, Appunti, Roma; Maugain, Etude sur l'évolution intellectuelle
de l'Italie environ, Paris; Grammatico, A., O. Carm., insignis disceptator, in
Analecta Ord. Carm., Badaloni, Introduzione a Vico, Milano. Nome compiuto: Elia
Astorino. Elia Astorini. Tommaso Antonio Astorini. Astorini. Keywords:
dialettica, filosofia simbolica, metodo discorsivo, grammatica filosofica,
triade, triplex virtus: intellectiva, volitiva et effectrix, ad essa
corrisponde una triplex operatio -- interectio, volitio et impetus. Refs.:
Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, “Grice ed Astorini,” The
Swimming-Pool Library, Villa Speranza, Liguria, Italia.


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