Friday, June 1, 2012
Cronologia del melodramma
Speranza
Le origini del melodramma italiano si fanno risalire al passaggio tra il XVI e il XVII Secolo, quando un gruppo di intellettuali fiorentini, noto come Camerata de' Bardi, dal nome del mecenate che li ospitava, decide di formalizzare il nuovo genere.
Le sue radici storiche risalgono per altro al teatro medievale, mentre quelle ideali affondano nel teatro antico e in particolare nella tragedia classica.
D'altronde già la commedia dell'arte cinquecentesca prevedeva al suo interno l'uso delle canzoni, così come il ballet de court francese ed il masque inglese mescolavano voci, strumenti, scene, mentre i drammi pastorali comprendevano ampi spazi musicali.
L'opera ha poi enorme diffusione in età barocca, affermandosi soprattutto a Roma e Venezia.
Spettacolo inizialmente riservato alle corti, e dunque destinato a una élite di intellettuali e aristocratici, acquista carattere di intrattenimento a partire dall'apertura del primo teatro pubblico, nel 1637: il Teatro San Cassiano a Venezia, il primo teatro moderno per struttura, per organizzazione, per gestione (basti pensare al palcoscenico con fondali dipinti intercambiabili, la platea e i palchetti da affittare).
Tra i soggetti preferiti ci sono, nel corso del XVII secolo, i poemi omerici e virgiliani e le vicende cavalleresche, in particolare quelle narrate da Ludovico Ariosto e Torquato Tasso, con l'aggiunta di spunti comici, erotici, fantasiosi.
La musica è caratterizzata dall'onnipresente basso continuo, arricchito dalla presenza di strumenti a fiato e ad arco.
Alla severità dell'opera degli esordi, ancora permeata dell'estetica tardo-rinascimentale e che trova l'espressione più alta e originale nella figura di Claudio Monteverdi, subentra allora un gusto per la varietà delle musiche, delle situazioni, dei personaggi, degli intrecci; mentre la forma dell'aria, dalla melodia accattivante e occasione di esibizione canora, ruba sempre più spazio al recitativo dei dialoghi e, di riflesso, all'aspetto letterario, mentre il canto si fa sempre più fiorito.
Nel frattempo Lulli, un compositore italiano, dà vita all'opera a Parigi.
In la opera di Parigi la tipica cantabilità italiana, poco adatta alla lingua francese, è abbandonata a favore di una più rigorosa interpretazione musicale del testo.[non chiaro]
Lo stile di canto, più severo e declamatorio, è prevalentemente sillabico.
Ulteriori elementi di differenziazione rispetto al modello italiano sono costituiti dall'importanza assegnata alle coreografie e dalla struttura in cinque atti, che l'opera seria francese conserverà fino a tutto il XIX Secolo. Nacquero così la tragédie-lyrique e l'opéra-ballet.
Dalla fine del Seicento, le arie dell'opera italiana si compongono di due strofe poetiche intonate col "da capo", ossia ripetendo, con qualche variazione di stile, la prima strofa.
Una forma impiegata fino alla fine del XVIII secolo. È questo il secolo nel quale l'opera italiana è riformata dal poeta Pietro Metastasio, il quale stabilisce una serie di canoni formali, relativi sia all'impianto drammaturgico che alla struttura metrica delle arie, applicando le cosiddette unità aristoteliche e dedicandosi esclusivamente al genere serio.
La scelta di Metastasio di escludere ogni elemento comico dal teatro musicale serio determina la nascita dell'opera comica, dapprima in forma di Intermezzo, poi come opera buffa e dramma giocoso.
La seconda metà del XVIII Secolo registra anche l'azione riformatrice di Gluck e Mozart, in qualche misura anticipata, in Italia, da quella di Tommaso Traetta e Niccolò Jommelli. La riforma consiste in una riduzione dell'ampollosità e della retorica canora a vantaggio di un chiaro svolgimento dell'azione e di una maggiore aderenza della musica a situazioni e personaggi. La struttura del melodramma italiano, in particolare, col passare dei decenni, si era infatti cristallizzata in una meccanica successione di recitativi e arie. Gluck realizza la sua riforma nell'ambito dell'opera seria, mantenendosi entro il filone di una classicità espressivamente austera, entro i generi dell'opera italiana prima e dell'opera francese poi; Mozart sviluppando liberamente il genere di ascendenza goldoniana del dramma giocoso, nelle sue opere italiane più famose, nonché dando impulso alla nascente opera tedesca.
Intanto in Francia divampa la querelle des bouffons, un'accesa polemica tra i sostenitori dell'opera buffa italiana (tra cui gli enciclopedisti e in particolare Jean-Jacques Rousseau) e i seguaci dell'opera francese, scatenata dalla rappresentazione di un intermezzo di Pergolesi, La serva padrona.
Nella seconda metà del Settecento alcuni dei più importanti maestri italiani, quali Piccinni, Sacchini, Cherubini e, più tardi, Spontini, si stabiliscono a Parigi, ma lo scontro fra le tradizioni e le scuole operistiche italiana e francese non cessa, traducendosi nell'ennesima disputa parigina, che vede contrapposti i seguaci di Piccinni e quelli di Gluck.
Il Teatro alla Pergola di Firenze
Gli anni che vanno dal 1810 al 1830 sono dominati in Italia dalla figura di Gioachino Rossini, che da un lato porta a compimento l'esperienza dell'opera buffa, abbandonando la commedia realistica in favore di una comicità assoluta, con punte di moderno surrealismo, dall'altro ingloba nel genere serio elementi di importazione francese. Lo stesso Rossini, trasferitosi a Parigi, inaugura con Guillaume Tell il genere del grand opéra, destinato a un'enorme fortuna nei decenni seguenti.
Dopo di lui, in Italia, la distinzione tra i generi si attenua progressivamente. Situazioni e personaggi di commedia sono integrati sempre più spesso nel teatro drammatico, proseguendo di fatto il breve esperimento dell'opera semiseria. Più in generale, nel periodo post-rossiniano la componente aulica e moraleggiante lascia spazio all'elemento propriamente lirico, e nelle opere di Vincenzo Bellini assistiamo al trionfo del canto, liberato da ogni retorica. Le opere di Bellini si collocano in una posizione sospesa fra l'estetica neoclassica e quella romantica.
Una sterzata verso un romanticismo di gusto francese o al più inglese, carico di contrasti drammatici ma anche caratterizzato da esplicite incursioni nel realismo, viene dal teatro di Saverio Mercadante e Gaetano Donizetti. Sulla loro scia, ma con una maggiore attenzione alla rappresentazione, diretta o metaforica, della realtà storica dell'Italia contemporanea e con una ben più organica visione drammaturgica, si colloca la figura di Giuseppe Verdi.
Giuseppe Verdi
In questa fase, che termina all'incirca con gli anni sessanta del secolo, si assiste a una progressiva dilatazione delle forme chiuse, in particolare del numero, in favore di una nuova continuità drammaturgica.
Nel frattempo, l'opera francese sviluppa i generi contrapposti del grand opéra (con messe in scena sfarzose e balli) e dell'opéra-comique (con i dialoghi parlati), ciascuno legato a un teatro parigino. Con la seconda metà del secolo si impone però un genere intermedio, l'opéra-lyrique, a cui si dedicano, tra gli altri, Charles Gounod, Georges Bizet e Jules Massenet.
Il modello francese ha un impatto decisivo anche sulla produzione operistica italiana degli anni settanta e ottanta dell'Ottocento, nella fase storica nota come "transizione", durante la quale, mentre decadono le vecchie forme convenzionali, si afferma il genere della Grande opera, rivisitazione italiana del vecchio grand opéra francese.
Assai meno fortunato rispetto al precedente, ma destinato a incidere ben più a lungo e ben più in profondità sull'evoluzione del teatro musicale europeo è il modello alternativo di Richard Wagner. Muovendo da una debole tradizione operistica tedesca - il cui maggior esponente era stato Carl Maria von Weber - Wagner rivoluzionò dalle fondamenta il genere operistico, eliminando le forme chiuse e il protagonismo dei cantanti e strutturando le sue partiture in chiave sinfonica intorno ai Leitmotiv (temi conduttori). Il suo nuovo linguaggio, estremamente ardito, è alle radici della musica moderna e nei decenni seguenti fu assorbito anche dalle scuole operistiche italiana e francese. Più indipendente si mantenne la nascente scuola russa, che muoveva da premesse nazionalistiche.
In Italia il modello musicale Wagneriano e quello teatrale-drammaturgico (e, in minor misura, lirico-musicale) dell'ultimo Verdi furono assorbiti e rielaborati in modo originale da Antonio Smareglia e dai compositori della Giovane scuola, affermatasi a partire dall'ultimo decennio del secolo, fra cui Pietro Mascagni, Umberto Giordano, Francesco Cilea, Ruggero Leoncavallo e soprattutto Giacomo Puccini. Vanno infine segnalati gli apporti alla poetica della giovane scuola da parte di un musicista di "transizione", come Amilcare Ponchielli, e dei francesi Charles Gounod e Georges Bizet che con Carmen aveva aperto nuove strade alla lirica europea del tempo.
In questo periodo gli operisti italiani, accantonati i soggetti storici della grande opera, si orientarono tuttavia verso drammaturgie di tipo realista o addirittura verista, ben più affini a quelle del teatro musicale francese del secondo Ottocento, in particolare al genere dell'opéra-lyrique.
Dopo la metà del secolo XX la produzione di nuove opere si è ridotta sensibilmente, anche a causa dell'affermarsi di nuove forme di spettacolo e intrattenimento quali la cinematografia, la radiofonia e la televisione.
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