Powered By Blogger

Welcome to Villa Speranza.

Welcome to Villa Speranza.

Search This Blog

Translate

Monday, June 4, 2012

Il Teatro Rinascimentale

Il teatro rinascimentale è l'insieme dei generi drammaturgici e delle diverse forme di rappresentazione teatrale scritti e praticati in Europa tra la fine del medioevo e l'inizio dell'età moderna. In questo periodo si assiste ad un fenomeno di rinascita del teatro, preparata dalla lunga tradizione teatrale medioevale che si era manifestata nelle corti, nelle piazze e nelle università in molteplici forme, dalla sacra rappresentazione fino alle commedie colte quattrocentesche. Il Rinascimento fu l'età dell'oro della commedia italiana, anche grazie al recupero e alla traduzione nelle diverse lingue volgari, da parte degli umanisti di numerosi testi classici greci e latini (sia testi teatrali come le commedie di Plauto e Terenzio e le tragedie di Seneca che opere teoriche come la "Poetica" di Aristotele, tradotta per la prima volta in italiano dall'umanista Giorgio Valla nel 1498). I generi sviluppati e proposti furono la commedia, la tragedia, il dramma pastorale e, soltanto in seguito, il melodramma, i quali ebbero una notevole influenza sul teatro europeo del secolo. Ma si continuò anche nella tradizione medievale della Sacra rappresentazione che ebbe numerosi esponenti anche nel corso del rinascimento. Uno dei commediografi più rappresentativi del teatro rinascimentale è stato Niccolò Machiavelli. Il segretario fiorentino aveva scritto una delle commedie più importanti di questo periodo, La mandragola (1518), caratterizzata da una carica espressiva e da una linfa inventiva difficilmente eguagliate in seguito, ispirata da riferimenti satirici alla realtà quotidiana dei personaggi e non più necessariamente legati ai tipi della tradizione classica. Il cardinale Bernardo Dovizi da Bibbiena scrisse un'unica ma interessante commedia esemplare del gusto del periodo: La Calandria (1513), la prima in assoluto (secondo il prologo attribuito a Baldassarre Castiglione) scritta in italiano che non derivasse da un precedente testo greco o latino. Fra i molti che si cimentarono in composizioni di testi teatrali si possono citare gli eruditi Donato Giannotti (Il Vecchio Amoroso del 1536), Annibal Caro (Gli Straccioni del 1543) e il nobile senese Alessandro Piccolomini (Amor costante del 1536). Fra i primi commediografi molti erano fiorentini, a partire da Agnolo Poliziano con l'"L'Orfeo" (1480), una commedia di stampo pastoral-mitologico. Ma nel secolo successivo si affermarono dei veri professionisti della commedia come Anton Francesco Grazzini detto Il Lasca, Giovan Battista Cini, Giovan Battista Gelli, Giovanni Maria Cecchi e Raffaello Borghini nonché il giovane Lorenzino de' Medici che scrisse un'unica commedia L'Aridosia (1536) prima di essere assassinato dai sicari del Granduca Cosimo come tirannicida per l'uccisione del cugino il duca Alessandro. Un posto particolare occupano Pietro Aretino, Ludovico Ariosto e Ruzante, che furono tutti intellettuali al servizio delle corti. Per quella estense di Ferrara, Ariosto, oltre Orlando furioso, scriverà delle divertenti commedie d'origine plautina come La Cassaria (1508) e La Lena (1528). Nella Roma di Leone X imperverserà Pietro Aretino con le sue pasquinate ma anche con commedie come La Cortigiana (1525), nella quale trasgredirà molte convenzioni linguistiche e sceniche. A Roma il teatro venne riscoperto e, per la prima volta, avallato dai papi, che intuiscono la possibilità di strumentalizzarlo a fini politici. Il teatro rinascimentale a Roma non ebbe rappresentanti al pari delle altre corti italiane, con l'unica eccezione di Francesco Belo che scrisse Il pedante (1529) e il già citato Annibal Caro (originario però di Civitanova Marche), ma da sempre a Roma al servizio dei Farnese. Curiosità. Tra le pochissime piece che hanno per scenario la Roma dei Papi, anzi, ad essere precisi, la Roma del Giubileo del 1525, da segnalare la più importante commedia del Rinascimento teatrale croato e slavo in generale: “Dundo Maroje” (Padron o Zio Maro), scritta nel 1550 dal raguseo Marin Držić, detto anche Marino Darsa (1508-1567). La farsa cavaiola fu un fortunato genere letterario dialettale, partecipe dell'«ultima grande stagione del teatro comico cinquecentesco [...] quella fiorita in, e attorno, a Napoli»[1], legato soprattutto al nome di Vincenzo Braca. Il genere dovette conoscere una notevole fioritura tra la fine del XV e il XVI secolo, ma di questa cospicua produzione, su un arco di un secolo e mezzo[2], è sopravvissuto ben poco[2]. Il genere è incentrato sull'archetipo farsesco del cavaiuolo, ovvero un ignorante e stolto villico cavese (ossia un abitante della città di Cava), immaginato dai cittadini salernitani nella rozzezza del suo dialetto, e nei suoi tratti più grossolani e caricaturali[1]: esempi ne sono la Farza de lo Mastro de scola e la Farza de la Maestra di Vincenzo Braca, in cui il carattere del cavaiolo diviene l'archetipo del tipico «popolano sciocco»[3]. Tra le farse sopravvissute, le sole che precedono Vincenzo Braca sono il "Cartello di sfida cavajola" e la "Ricevuta dell'Imperatore", risalenti all'inizio del XVI secolo, entrambe di autori rimasti anonimi. La Ricevuta dell'Imperatore (anonima[1], ma per alcuni[3] ascrivibile al Braca) è la più antica tra le farse cavaiole[1], si riferisce burlescamente all'accoglienza ricevuta a Cava da Carlo V, che vi passò tornando da Tunisi nel 1535[1]. L'unica edizione teatrale professionale delle farse cavajole in epoca moderna è quella prodotta dal Centro studi sul Teatro Medioevale e Rinascimentale, diretto da Federico Doglio, che andò in scena al Teatro Valle di Roma nel 1986 con l'adattamento e la regia di Giuseppe Rocca. La farsa cavaiola nel contesto letterario rinascimentale [modifica] La 'farsa cavaiola' fu uno dei «momenti capitali della storia della farsa nell'Italia rinascimentale»[4], a fianco dell'insorgenza di altre manifestazioni letterarie come il senese Strascino (anteriore alla Congrega dei Rozzi), la commedia veneziana dei buffoni Zuan Polo e Domenico Tajacalze, e i mariazzi padovani del Ruzante[4]. Rispetto a queste altre manifestazioni, tuttavia, nonostante la vivace espressività linguistica, l'opera del Braca, si presenta con inflessioni sostanzialmente macchietistiche, di portata più locale e campanilistico[4]. La minore ampiezza dell'orizzonte satirico, ad esempio, non consente a Vincenzo Braca di accedere ai livelli di incisività raggiunti dal Ruzante[4]. Un caso a parte è rappresentato dalla figura e l'opera di Angelo Beolco detto il Ruzante dal nome del contadino padovano protagonista delle sue opere. La particolarità del teatro di Ruzante, anticipata di qualche anno dall'opera di Andrea Calmo, era quella di introdurre nel teatro italiano, che sino ad allora aveva usato il volgare fiorentino, l'uso del dialetto. Ruzante lavorava alla corte padovana di Alvise Cornaro il quale fece costruire un'apposita scenografia nella sua villa di Padova che fu detta la Loggia del Falconetto dal nome dell'architetto Giovanni Maria Falconetto che la ideò, spazio atto alla rappresentazione delle commedie ruzantiane come la Betìa (1525) e l'Anconitana (1535) per citare le più famose fra le commedie di Beolco. Del 1535-1537 è una commedia esemplare in dialetto veneziano, con un titolo inequivocabile: La Venexiana che pure se di autore anonimo dimostra la maturità del teatro della città di Venezia, fino ad allora legata ad autori della terraferma. Nel caso di Ruzante il dialetto con il quale si esprimeva la sua drammaturgia era il padovano cinquecentesco delle campagne venete: le sonorità onomatopeiche della difficile lingua furono di ispirazione, a distanza di molti secoli, per artisti contemporanei come Dario Fo, che trasse ispirazione appunto dalla lingua di Ruzante per il suo grammelot. Il teatro in dialetto cominciò a svilupparsi in questo periodo con la Commedia dell'Arte, le sue maschere, come il bergamasco Arlecchino (che poi assumerà come lingua il veneziano), il napoletano Pulcinella con le sue invenzioni mimiche e gestuali e il vecchio mercante veneziano Pantalone fra i più famosi. Altri frequentatori del teatro veneto-padano furono il piacentino Girolamo Parabosco e Ludovico Dolce che scrisse due commedie e due tragedie. La commedia cinquecentesca subì una svolta nel 1582, quando a Parigi venne pubblicato il Candelaio, di Giordano Bruno ricco di caratteristiche anomale e trasgressive.[5] Il nobile perugino Sforza Oddi (1540-1611) con le sue commedie: L'Erofilomachia ovvero il duello d'Amore e d'Amicitia (1572), I Morti vivi (1580), e La Prigione d'amore (1580), ci offre il panorama della contaminazione fra il teatro tardo cinquecentesco e quello dei professionisti che si sta affermando anche presso le corti italiane e francesi, l'intreccio è così palese che nei suoi testi ci sono già dei personaggi ormai consueti per il pubblico della Commedia dell'arte come gli Zanni e i Capitani spacconi. L'apparizione, nel teatro dei nobili dilettanti, delle maschere della Commedia dell'arte, che ha in Sforza Oddi un precursore, diventerà un vero e proprio genere detto Commedia ridicolosa e nel '600-'700 avrà anche una vasta platea nei teatri gestiti dalle Accademie. ----- Nel rinascimento anche il teatro tragico trovò un suo spazio. I rappresentanti più importanti della tragedia rinascimentale furono il conte Gian Giorgio Trissino, autore di "Sofonisba" (1514) e Giambattista Giraldi Cinzio autore, tra le altre, della tragedia "Orbecche" (1541). Anche Torquato Tasso compose tragedie di carattere mitico ed epico-pastorale, genere a metà strada fra la tragedia e la commedia. La più rappresentativa di questo periodo, fu un dramma pastorale di sapore molto arcadico: "Il pastor fido" (1590) di Giovan Battista Guarini. Il Dramma pastorale stesso ebbe un'origine classica in quanto ispirata alle Bucoliche di Virgilio. Anche "L'Aminta" (1573) di Torquato Tasso è considerato un capolavoro di questa tipologia pastorale, non solo per la fortuna editoriale e teatrale ottenuta, ma soprattutto per la sua notevole influenza sulla drammaturgia europea e sul melodramma seicentesco. Ma la tragedia vera d'ispirazione senechiana del Tasso fu il "Torrismondo" (1587), d'ambientazione nordica. Altri frequentatori della tragedia nel rinascimento furono Giovanni Rucellai che scrisse le due tragedie: Rosmunda (1515) e Oreste e Sperone Speroni, autore della Canace (1542). Oltre che l'eclettico Aretino che compose una sola tragedia Orazia (1546) che è considerata una delle più esemplari del rinascimento. Questi testi teatrali venivano rappresentati da giovani dilettanti, come le Compagnie della calza dei nobili veneziani per i quali lavorarono il Ruzante e l'Aretino, la Congrega dei Rozzi e l'Accademia degli Intronati di Siena, per la quale lavorò, fra gli altri, il citato Alessandro Piccolomini o le Confraternite fiorentine come la Compagnia del Vangelista oppure, sempre a Firenze, compagnie di nobili dilettanti, ad imitazione delle Compagnie della calza veneziane, come quella della Cazzuola e la Compagnia del Paiuolo. La professionalità dell'attore non era riconosciuta, sebbene la professione esistesse già dal tempo dei giocolieri di piazza e i buffoni di corte, ma si sviluppò, nel tempo con progressi notevoli dal punto di vista dell'arte drammatica e dell'interpretazione del testo, nonché dell'allestimento scenico, spesse volte a carico delle compagnie girovaghe che si affermeranno dalla metà del XVI secolo (la prima testimonianza di una compagnia di attori professionisti è citata in un atto notarile del 1545[7]) fino a tutto il secolo successivo con la Commedia dell'arte. Durante il rinascimento la produzione di teatro sacro, che proveniva dalla sacra rappresentazione d'ascendenza medievale, non s'interruppe ma ebbe una fioritura importante che traghettò i temi religiosi anche nelle corti italiane fra il '400 e il '500. Anche se diffuso in tutta Europa questo genere si affermò principalmente a Firenze con la presenza di importanti autori come Feo Belcari e Lorenzo de' Medici nel '400 e con Giovanni Maria Cecchi nel '500. Nonostante ciò la maggioranza delle sacre rappresentazioni rinascimentali rimase in forma anonima come era nella consuetudine medievale. Così rimasero anonimi gli autori (o l'autore) dellAscensione, recitata nella Chiesa del Carmine di Firenze e quella dellAnnunciazione nella Chiesa fiorentina di San Felice in Piazza allestite per il Concilio di Firenze (1438-1439) e apparate da Filippo Brunelleschi nella sua inconsueta veste di scenografo[8], come testimoniato da Vasari nella Vita dello stesso architetto. Queste rappresentazioni erano scritte per le Confraternite fiorentine dei giovani, la più celebre fu la Rappresentazione dei Santi Giovanni e Paolo scritta dal Magnifico per l'entrata del figlio Piero nella Compagnia del Vangelista e recitata nel cortile del Convento della Trinità Vecchia o Convento di San Giusto alle mura, diventato in seguito Teatro di Via dell'Acqua, nel 1491. Per la stessa Compagnia il Cecchi, quasi ad un secolo di distanza nel 1589, scrisse L'Esaltazione della Croce; a testimonianza che anche alla fine del rinascimento questo genere sacro era ancora vitale gradito dal popolo e dalla corte medicea. Il mimo [modifica] Se da una parte la nascita della commedia rinascimentale permise lo svilupparsi di una forma autonoma di prosa teatrale, dall'altra la tradizione dei giullari e dei guitti non andò perduta, permettendone la perpetrazione grazie ai buffoni di corte e ai mimi. I loro lavori non si ispiravano in alcun modo alla tradizione latina, distaccandosi così dalle forme di spettacolo coeve e presentando moduli che in parte confluiranno nella Commedia dell'Arte. È tuttavia errato considerare le buffonate e le burlesche come il contraltare della letteratura teatrale colta: i temi dei giullari e dei mimi del Quattrocento sono gli stessi dei loro antenati, incastrati in una sceneggiatura modesta e breve, nella quale i temi della città si confrontano con quelli del villano, che diviene punto di riferimento della burla e del beffeggio[9]. Il teatro ebraico a Mantova [modifica] Una particolarità del teatro rinascimentale fu la presenza di una figura come quella del mantovano Leone de' Sommi, di religione israelita condusse, per conto del duca di Mantova, il teatro della Compagnia degli ebrei dal 1579 al 1587, componendo egli stesso un dramma, intitolato Magen Nashìm, che provocò scandalo tra i rabbini italiani del '500, che gli imputavano di aver usato la lingua degli antenati per il divertimento di principi gentili (ovvero non ebrei). Dopo la Controriforma questo tipo di contaminazioni non saranno più possibili. Sempre nel corso del '500 si fecero i primi esperimenti che avrebbero condotto alla nascita del genere più rivoluzionario del teatro italiano: il melodramma. Nel palazzo fiorentino di Giovanni de' Bardi si riunì un gruppo d'intellettuali che prese il nome di Camerata dei Bardi. Cercando di riesumare l'antica tipologia del recitar cantando attribuita al teatro greco classico, fecero nascere quello stile che poi si affermerà nel corso dei secoli successivi grazie al genio di autori del calibro di Claudio Monteverdi, Metastasio fino alla grande opera ottocentesca di Giuseppe Verdi e Giacomo Puccini. I primi sperimentatori della camerata fiorentina, nata intorno al 1573, erano Jacopo Peri, Giulio Caccini, Vincenzo Galilei (padre di Galileo), Emilio de' Cavalieri ("Aminta", di Tasso, 1590), Jacopo Corsi e il poeta Ottavio Rinuccini che scrisse i primi libretti. Nel 1589, con la messinscena, al Teatro Mediceo degli Uffizi di Firenze, della commedia "La pellegrina" del senese Girolamo Bargagli, i membri della Camerata furono chiamati a musicare gli Intermezzi della commedia che furono le prime applicazioni pratiche della teoria musicale del recitar-cantando e la nascita del melodramma. Gli Intermezzi della Pellegrina ebbero vasta risonanza per l'apparato costruito dall'architetto-pittore-scenografo "Bernardo Buontalenti" che anticipò con questa opera le grandi e complesse scenografie del teatro barocco italiano. All'inizio del Quattrocento le rappresentazioni avvenivano in luoghi privati come giardini, cortili di conventi e saloni dei palazzi addobbati per le rappresentazioni come nel caso del Salone dei Cinquecento nel Palazzo della Signoria a Firenze adattato a teatro dal Vasari. Con la rimessa in scena dei testi greco-latini si cominciò a costruire degli spazi atti a contenere scenografie, alle volte anche molto complesse. In questo periodo vennero costruiti nuovi spazi teatrali a cominciare dalla Loggia del Falconetto di Padova già citata. Ma l'esempio più eclatante dell'applicazione scenografica rinascimentale fu il Teatro Olimpico di Andrea Palladio, a Vicenza, che ancora oggi conserva la scenografia originale cinquecentesca di Vincenzo Scamozzi dell'Edipo re di Sofocle, opera con la quale fu inaugurato il teatro nel 1585. In seguito, nel 1590, allo stesso Scamozzi i Gonzaga affidarono la costruzione di un altro teatro per il Palazzo Ducale di Sabbioneta che prese il nome di "Teatro all'Antica". A Roma grazie all'attivismo di Pomponio Leto, atto a far riscoprire il teatro latino, il Foro e Castel Sant'Angelo divennero luoghi deputati per le rappresentazioni, solitamente effettuate durante le feste e le celebrazioni; proprio a Castel Sant'Angelo sussiste un cortile a forma di teatro usato ai tempi di Alessandro VI e dell'ancor più gaudente Leone X. La riscoperta e valorizzazione degli antichi classici da parte degli umanisti permise lo studio delle opere concernenti il teatro non solo dal punto di vista drammaturgico (nel 1425 Nicolò di Cusa scoprì, ad esempio, nove commedie plautine) ma anche dal punto di vista architettonico: architetti, pittori e trattatisti come Sebastiano Serlio che adattò al teatro del Cinquecento i modelli classici greco-romani delle scenografie: comica, tragica e pastorale, tripartizione che fu rispettata nelle opere del teatro del Rinascimento. Le scenografie complesse ebbero in Girolamo Genga, Baldassarre Peruzzi e Pellegrino da Udine (in ambito ferrarese) i suoi migliori rappresentanti. Mentre i trattatisti come Leon Battista Alberti e lo stesso Serlio cercarono ispirazione in Vitruvio negli aspetti teatrali del suo trattato sull'architettura romana Una nuova tipologia di teatri s'affermò alla fine del XVI secolo: i teatri privati a pagamento, aperti ad ogni classe sociale e non più esclusivo divertimento dell'aristocrazia. A Venezia, più che altrove, iniziò questa imprenditoria, ma che si affermerà nel secolo successivo con la lunga stagione della commedia dell'Arte. Il diffondersi di questi teatri anche nel resto d'Italia fece in modo che nascessero delle apposite Accademie nate per gestire questi nuovi spazi teatrali, non più ad uso esclusivo delle corti. Il teatro rinascimentale in Gran Bretagna [modifica] Swan Theatre di Londra del 1596 Nel periodo che va dalla fine del XV secolo alla metà di quello successivo, coincidente con lo sviluppo del rinascimento inglese, ebbero vasta risonanza gli interludi, forme drammatiche di intrattenimento agite alle corti dei nobili di derivazione dalle moralities ma di argomento non religioso: al contrario delle moralità classiche, il ruolo del protagonista era del signore che ospitava lo spettacolo, e che lo vedeva non alla ricerca della salvezza eterna dell'anima, bensì della felicità terrena, discostandosi così enormemente dalle finalità del teatro religioso.[10] Non di rado in essi era contenuta una propaganda politica: poiché prendevano spunto dalla contemporaneità, accadeva che l'autore prendesse posizione nei confronti di un accadimento come nel King John di John Bale, nel quale l'autore dichiarava la tesi dell'omicidio di Giovanni Senzaterra da parte dell'arcivescovo di Canterbury. Nella drammaturgia degli interludi vi è inoltre la possibilità di scorgervi elementi di derivazione classica, soprattutto degli autori latini e della novellistica italiana, che rimarrà un punto di riferimento anche per la produzione drammatica successiva. La presentazione scenica degli interludi era caratterizzata dal dialogo di più attori con un accompagnamento musicale composto sovente da piffero e tamburino[11]. Degli interludi possediamo circa 80 frammenti di copioni che coprono un arco temporale che va dal 1466 al 1576.[12] Tra i maggiori autori del genere vanno ricordati innanzitutto John Heywood, John Rastell, Henry Medwall, John Redford, Nicholas Udall. Proprio Udall viene ricordato come l'autore della prima commedia in lingua inglese: si trattava del Ralph Roister Doister del 1535, una versione modificata del Miles Gloriosus di Plauto[13]. Gli interludi, per il loro carattere politicizzato e colto, erano indirizzati ad un pubblico ben preciso: sullo stesso stile, ma di argomento comico e leggero, si inserivano le farse, rappresentate nelle piazze per il popolo.[14] Di derivazione medievale fu il masque[15], genere teatrale nato in principio da un carnascialesco corteo di maschere che, accompagnate da musica, allietavano le serate dei nobili e trasformato poi in una vera e propria opera teatrale anni dopo da Ben Jonson, che vi costruì impianti drammaturgici tali da renderlo celebre autore di tali spettacoli. Note [modifica] 1.^ a b c d e Franco Fido, La commedia a Napoli nel tardo Cinquecento: Della Porta da Italica.rai.it 2.^ a b Enrico Malato, «Braca, Vincenzo», in Dizionario Biografico degli Italiani, Istituto dell'Enciclopedia italiana Treccani 3.^ a b Voce «Vincenzo Braca» dal Dizionario degli autori della Letteratura italiana, a cura di Alberto Asor Rosa, Einaudi editore, 2007. 4.^ a b c d Giorgio Padoan, L'avventura della commedia rinascimentale (cap. VII «L'emergere del melodrammatico e del patetico» p. 184), Piccin, Padova, 1996 5.^ Storia del teatro italiano, di Giovanni Antonucci, ediz. Newton&Compton, Roma, 1996, pag. 32 6.^ a b Storia del teatro italiano, di Giovanni Antonucci, ediz. Newton&Compton, Roma, 1996, pag. 33 7.^ Ester Cocco, Una compagnia comica della prima metà del secolo XVI, in "Giornale Storico della Letteratura Italiana", 1915, 8.^ Il luogo teatrale a Firenze. Brunelleschi, Vasari, Buontalenti, Parigi , catalogo della mostra a cura di M. Fabbri, E. Garbero Zorzi, A. M. Petrioli Tofani; introduzione di Ludovico Zorzi, Milano, Electa 1975 9.^ Mario Apollonio, Storia del teatro italiano, Nuova edizione BUR, Milano 2003, Volume I, p. 265. 10.^ (EN) Gli interludi, dal sito dell'Università di Düsseldorf. 11.^ Joseph Macleod. Storia del teatro britannico. Sansoni, Firenze 1958, pag. 14. 12.^ Masolino D'Amico. Storia del teatro inglese. Newton & Compton, Roma 1995, pag. 16. 13.^ (EN) The Earliest English Comedies di Martha Fletcher Bellinger, originariamente in Martha Fletcher Bellinger, A Short History of the Drama, Henry Holt and Company, New York 1927, pag. 186-189. 14.^ (EN) Moralities, Interludes and Farces of the Middle Ages di Martha Fletcher Bellinger, originariamente in Martha Fletcher Bellinger, A Short History of the Drama, Henry Holt and Company, New York 1927, pp. 138-144. 15.^ (EN) Approfondimento sui masque tratto da Martha Fletcher Bellinger, A Short History of the Drama, Henry Holt and Company, New York 1927, pp. 202-204. Bibliografia [modifica] Mario Apollonio, Storia del teatro italiano, Nuova edizione BUR, Milano 2003 ISBN 88-17-10659-3 Mario Baratto, La commedia del Cinquecento. Vicenza Neri Pozza, 1977. Commedie del Cinquecento, a cura di Nino Borsellino. Milano Feltrinelli, 1962-67, voll. 2. Fabrizio Cruciani, Il teatro del Campidoglio e le feste romane del 1513. Milano Il Polifilo, 1969. Giulio Ferroni, Il testo e la scena. Saggi sul teatro del Cinquecento. Roma Bulzoni, 1980. Giulio Ferroni, "Mutazione" e "riscontro" nel teatro di Machiavelli e altri saggi sulla commedia del Cinquecento, Roma Bulzoni, 1972 La commedia del Cinquecento, a cura di G.Davico Bonino. Torino Einaudi, 1977-78, voll. 3. Ludovico Zorzi, Il teatro e la città, Einaudi Torino, 1977. Ludovico Zorzi, Carpaccio e la rappresentazione di Sant'Orsola. Ricerche sulla visualità dello spettacolo nel Quattrocento, Torino Einaudi, 1988 Ludovico Zorzi, Giuliano Innamorati e Siro Ferrone, Il teatro del Cinquecento, Firenze Sansoni, 1982 Sara Mamone, Il teatro nella Firenze medicea. Milano Mursia, 1981. Franco Ruffini, Commedia e festa nel Rinascimento. La "Calandria" alla corte di Urbino. Bologna Il Mulino, 1986 Diego Valeri, Caratteri e valori del teatro comico. in AA. VV, La civiltà veneziana del Rinascimento, Firenze Sansoni, 1958 Leone de' Sommi, Quattro Dialoghi in materia di rappresentazioni sceniche, a cura di Ferruccio Marotti, Milano Il Polifilo, 1968 Sacre rappresentazioni fiorentine del Quattrocento, a cura di G. Ponti, Milano Marzorati, 1974 Nino Pirrotta, Li due Orfei Da Poliziano a Monteverdi, Torino Einaudi, 1975 Marzia Pieri, La nascita del teatro moderno in Italia tra XV e XVI secolo, Torino Bollati Boringhieri, 1989 Giorgio Padoan, La Commedia rinascimentale veneta (1433-1565), Vicenza Neri Pozza, 1982 Maria Teresa Muraro, La festa a Venezia e le sue manifestazioni rappresentative: le Compagnie della Calza e le Momarie. in Storia della cultura veneta, Vicenza Neri Pozza, 1981 Cesare Molinari, Spettacoli fiorentini del Quattrocento. Contributi allo studio delle Sacre Rappresentazioni, Venezia Neri Pozza, 1961 Voci correlate [modifica] Teatro elisabettiano Commedia dell'Arte Farsa cavaiola Collegamenti esterni [modifica] Franco Fido, La Commedia del Cinquecento da Italica.rai.it [mostra] V · D · M Rinascimento Portale Rinascimento Portale Teatro Categoria: Teatro rinascimentale

No comments:

Post a Comment