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Monday, June 4, 2012

L'Aminta di Tasso

Speranza Aminta Torquato Tasso 1583 AMINTA FAVOLA BOSCHERECCIA DEL S. TORQVATO TASSO. Di novo corretta, & di vaghe figure adornata. CON PRIVILEGIO. IN VINETIA, M D XXCIII Presso Aldo . ALL' ILL. MO ET ECC. MO SIG. IL SIG. DON FERRANDO GONZAGA, PRINCIPE DI MALFETTA, sig. di gvastalla, etc. Vesto raro parto del maraviglioso ingegno del Sign. Torquato Tasso, essendo da tutti coloro, che prendono diletto della vaghezza delle poesie, bramato [p. 4]senza fine, non meno di quel, che facciano tutte l’altre sue cose, anzi forse via più, sì come quello, che delle sue mani ne’ suoi tempi migliori uscì più maturato, non dovea star celato presso à me, non senza grave ingiuria della gloria del suo Auttore, & con non lieve offesa di coloro, che, come già s’è detto, tuttavia l’aspettano. Dovendo io dunque adornar le stampe di opra così leggiadra, era conveniente, ch’io adornassi anch’essa del gran nome di V.Eccell. la quale, se il Sig. Torquato fosse nello stato, nel quale già [p. 5]tempo era non meno invidiato, che al presente sia compassionato, sarebbe veramente degno, & singolar soggetto de’ suoi incomparabili versi. Hora, havendo eletta la Persona sua, per honorar questa opera, per se nobile, & grande, se si riguarda alla sua bellezza, & alla fama dell’Auttore, che la compose, ma, se si riguarda à me, picciola, & bassa, poiche non le dono cosa alcuna di mio: non ho voluto, seguendo il costume, che osservano gli altri in simili occasioni, entrar nel largo mare delle sue lodi. perche poco [p. 6]dicendone, defraudava i suoi meriti, et dicendone quanto si conviene alla loro grandezza, io era astretto à tesserne un volume, che eccedea di gran lunga la brevità dell’opera, ch’io le appresento: & cosi ne riusciva una sproportione tra essa, & l’opera. S’io mi metteva poi à celebrar l’antichità, et la grandezza della sua Famiglia, & tanti Duchi, tanti Cardinali, et tanti Capitani di guerra, che l’han renduta illustre in tutto il Mondo, io tentava un’impresa ampia, & larga ad un ristretto libro, non che à [p. 7]picciola lettera, come fa di mestieri che sia questa. Solamente i governi, et le guerre del suo grandissimo Avolo, sopra la cui fede, e sopra il cui valore Carlo Qvinto, già Imperador senza alcun paragone, solea ripor la sicurtà, e l’honore di tutte le sue Imprese, e di tutti i suoi Stati, sarebbono bastanti ad ordir una lunga, e grande Historia. Se ’l sommo Iddio non chiamava à se il Padre dell’Eccellenza Vostra cosi per tempo, ben poteva sperar l’Italia di vederlo tosto salito nella medesima grandezza; si come [p. 8]ragionevolmente confida di dover vedere l’illustrissimo Signor Ottavio, Zio dell’Eccell. V. e chiaro lume della militia del Re Catolico. Nè minor fatica, nè minor tempo si ricercava, per lodar gli altri suoi Zij; quelli dico, che non men nella pace, che questi altri frà l’arme hanno giovato, e tuttavolta giovano alla Christiana Republica. Ammira la Chiesa, e il santo Pontefice, la prudenza, il consiglio, la religione, et la santità del Cardinal Borromeo, e del Cardinal Gonzaga. Mantova se ne vanta: Milano se ne gloria: tutta l’ [p. 9]Italia gioisce: & tutta la Christianità ne prende essempio. A me dunque non pareva possibile di poter ristringere in si picciolo spatio le famose attioni di si Eccellenti Principi. Mi pareva anco di offendere l’Eccell. V. s’io volea tanto stendermi per gli meriti de’ suoi maggiori: poi ch’io haveva cosi gran campo di parlar di Lei sola, la quale à pena stima sue lodi quelle, ch’ella da se medesima non s’acquista senza l’aiuto altrui, e nella qual risplendono tutte quelle virtù, che convengono à Principe sceso di si alto sangue: anzi [p. 10]tutte quelle, che i suoi maggiori hebbero, & al presente hà ciascun da se stesso, si trovano in Lei sola con harmonia bellissima raccolte; e, di gran lunga avvanzando la sua età, la sanno riguardevole à tutta la Christianità. Et, à parlar di Lei, à Lei scrivendo, non mi pareva luogo accommodato; sapendo io, che la V. Eccell. quanto ama l’operar magnanimamente, tanto ancora schiva d’udir con proprie orecchie i meriti suoi, per non mostrar di assentire à gli adulatori. Et questo appunto appunto è quel, che la fà molto più degna d’essere- [p. 11]essaltata di lontano. Questi rispetti adunque mi hanno fatto tralasciare il ragionamento, ch’io havrei potuto fare e di Lei stessa, e de’ suoi maggiori; e per hora procacciarmi la sua gratia, col farle dono delle cose di un così celebrato Poeta, come è il Sig. Torquato Tasso: maggior tempo aspettando, e miglior occasione per fare il rimanente, si come io desidero. Cominci la V. Eccell. à lasciarsi riverire, et honorare dalle penne altrui; e con lieto volto gradisca questo primo pegno della divotione, e [p. 12]servitù mia, il qual con tutto il cuore io le dedico, e dono. Di Vinetia, a’ XX. di Dicembre, M. D. XXC. Di V. Eccell. Ser. affettionatiss. Aldo Mannucci A' LETTORI. L divinissimo Sig. Torquato Tasso è già entrato in meritevole possesso di gloria immortale presso gl’huomini, per li molti componimenti, che di lui si sono veduti, & tuttavia nuovamente escono da quel sopra humano ingegno. Onde stimo sovverchio, che niuno si affatichi in dipingerlo per quello, ch’esso si è fatto dal Mondo conoscere [p. 14]col suo valore. nè bisognerebbe altra penna, che la sua, à parlar di lui. anzi, quanto di lui si scrive, non serve che ad illustrar quello, che ne scrive, se non di altro, almeno di perfetto giudicio. lode, che ogn’uno deve ambire. & perciò debbo io essere ragionevolmente iscusato, se non tralascio occasione di sodisfar à me stesso in questo pensiero. Hà questo Scrittore dati molti saggi della sua gran virtù. trà’ quali reca maraviglia ad ogn’uno, e si può veramente dire, che ottenga luogo principale la presente Favola, che hora & migliorata, & abbellita vi si dà. nella quale così vagamente hà espressi gli amori de’ Pastori, che non c’habbia arrivato al bello de gli antichi, ma parmi, che di gran lunga gli habbi avvanzati. & questo mio parere è così congiunto con l’universale, che mi reputo à gran ventura, che il mio giudicio habbia havuto così fermo [p. 15]riscontro. In che tanto più mi compiaccio, quanto che io sono stato il primo à destare ne gli animi de gli huomini desiderio di questo virtuosissimo Soggetto, meritevole di ogni gran fortuna. tutto che gli si goda la quiete con tale fermezza di animo, che pare, che invidij lo Stato a’ gran Prencipi. i quali se havessero tanto gusto del buono, & del bello, (e sia detto, con gratia de’ buoni) quanto egli con sodisfattione mirabile di se stesso, e con tanto godimento de’ virtuosi opera sempre maravigliosamente, bene starebbe il Mondo; nè desidereremmo i Virgilij, dove hora più si possono desiderare i Mecenati. INTERLOCVTORI. Amore, in habito Pastorale. Dafne. Silvia. Aminta. Tirsi. Elpino. Satiro. Nerina. Ergasto, overo Nuncio Choro de’ Pastori. Amore, in habito Pastorale. Hi crederia, che sotto humane forme, E sotto queste pastorali spoglie, Fosse nascosto un Dio non mica un Dio Selvaggio, ò de la plebe de gli Dei, Ma tra grandi, e celesti il più potente, Che fà spesso cader di mano à Marte [p. 18] La sanguinosa spada, & à Nettuno, Scotitor de la terra, il gran Tridente, Et i folgori eterni al sommo Giove, In questo aspetto certo, e questi panni, Non riconoscerà si di leggiero Venere madre me suo figlio Amore. Io da lei son constretto di fuggire, E celarmi da lei, perch’ella vuole, Ch’io di me stesso, e de le mie saette Faccia à suo senno; e, qual femina, e quale Vana, & ambitiosa, mi rispinge Pur trà le corti, e trà corone, e scettri; E quivi vuol, che impieghi ogni mia prova; E solo al volgo de’ ministri miei, Miei minori i fratelli, ella consente L’albergar trà le selve, & oprar l’armi Ne’ rozi petti. Io, che non son fanciullo, Se ben hò volto fanciullesco, & atti, Voglio dispor di me, come à me piace; Ch’à me fù, non à lei, concessa in sorte La face onnipotente, e l’arco d’oro. Però, spesso celandomi, e fuggendo, L’imperio nò, che in me non hà, ma i preghi, C’han forza porti da importuna madre, Ricovero ne’ boschi, e ne le case De le genti minute, ella mi segue, Dar promettendo à chi m’insegna à lei, O dolci baci, ò cosa altra più cara, Quasi io di dare in cambio non sia buono A chi mi tace, ò mi nasconde à lei, O dolci baci, ò cosa altra più cara. [p. 19] Questo io so certo almen, che i baci miei Saran sempre più cari à le fanciulle, Se io, che son l’Amor, d’amor m’intendo: Onde sovente ella mi cerca in vano, Che rivelarmi altri non vuole, e tace. Ma, per istarne anco più occolto, ond’ella Ritrovar non mi possa à i contrasegni, Deposto hò l’ali, la faretra, e l’arco. Non però disarmato io qui ne vengo, Che questa, che par verga, è la mia face. Cosi l’hò trasformata, e tutta spira D’invisibili fiamme: e questo dardo, Se bene egli non hà la punta d’oro, È di tempre divine, e imprime Amore Dovunque fiede. io voglio hoggi con questo Far cupa, e immedicabile ferita Nel duro sen de la più cruda Ninfa, Che mai seguisse il Choro di Diana. Nè le piaga di Silvia sia minore, (Che questo è ’l nome de l’alpestre Ninfa) Che fosse quella, che pur feci io stesso Nel molle sen d’Aminta, hor son molt’anni, Quando lei tenerella, ei tenerello Seguiva ne le caccie, e ne i diporti: E, perche il colpo mio più in lei s’interni, Aspetterò, che la pietà mollisca Quel duro gelo, che d’intorno al core L’hà ristretto il rigor de l’honestate, E del virginal fasto; & in quel punto, Ch’ei fia più molle, lancerogli il dardo; E, per far si bell’opra à mio grand’agio, [p. 20] Io ne vò à mescolarmi infra la turba De’Pastori festanti, e coronati, Che già quì s’è inviata, ove à diporto Si stà ne’dì solenni, esser fingendo Uno di loro schiera: e in questo luogo, In questo luogo à punto io farò il colpo, Che veder non potrallo occhio mortale. Queste selve hoggi ragionar d’Amore S’udranno in nuova guisa: e ben parrassi, Che la mia Deità sia qui presente In se medesima, e non ne’suoi ministri. Spirerò nobil sensi à’rozi petti; Raddolcirò de le lor lingue il suono; Perche, ovunque i mi sia, io sono Amore. Ne’pastori non men, che ne gli heroi; E la disagguaglianza de’soggetti, Come à me piace, agguaglio: e questa è pure Suprema gloria, e gran miracol mio, Render simili à le più dotte cetre Le rustiche sampogne; e, se mia madre, Che si sdegna vedermi errar frà boschi, Ciò non conosce, è cieca ella, e non io, Cui cieco à torto il cieco volgo appella. ATTO PRIMO. SCENA PRIMA. Dafne. Silvia. Dafne VOrrai dunque pur, Silvia, Da i piaceri di Venere lontana Menarne tu questa tua giovanezza? Nè’l dolce nome di madre udirai, Nè intorno ti vedrai vezzosamente Scherzar i figli pargoletti? ah, cangia, [p. 22] Cangia (prego) consiglio, Pazzarella che sei. Silvia Altri segua i diletti de l’Amore, Se pur v’è ne l’amor alcun diletto: Ma questa vita giova, e’l mio trastullo E’ la cura de l’arco, e de gli strali, Seguir le fere fugaci, e le forti Atterrar combattattendo, e, se non mancano Saette à la faretra, ò fere al bosco, Non tem’io, che à me manchino diporti. Dafne Inspidi diporti veramente, Et insipida vita: e, s’à te piace, E’ sol, perche non hai provata l’altra. Così la gente prima, che già visse Nel mondo ancora semplice, & infante, Stimò dolce bevanda, e dolce cibo, L’acqua, e le ghiăde, & hor l’acqua, e le ghiăde Sono cibo, e bevanda d’animali, Poi che s’è posto in uso il grano, e l’uva. Forsem se tu gustassi anco una volta La millesima parte de le gioie, Che gusta un cor amato riamando: Diresti, ripensita, sospirando: Perduto è tutto il tempo, Che in amar non si spende. O mia fuggita etate, Quante vedove notti, Quanti dì solitari Ho consumati indarno, Che si poteano impiegar in quest’uso, Il qual, più replicato, è più soave. [p. 23] Cangia, cangia consiglio, Pazzarella che sei: Che’l pentirsi da sezzo nulla giova. Silvia Quando io dirò, pentita, sospirando Queste parole, che tu fingi, ed orni, Come à te piace, torneranno i fiumi A le lor fonti, e i lupi fuggiranno Da gli agni, e’l veltro le timide lepri, Amerà l’orso il mare, e ’l delfin l’alpi. Dafne Conosco la ritrosa fanciullezza. Qual tu sei, tal io fui: così portava La vita, e ’l volto, e così biondo il crine, E così vermigliuzza havea la bocca, E così mista col candor la rosa Ne le guancie pienotte, e delicate. Era il mio sommo gusto, (hor me n’avveggio, Gusto di sciocca) sol tender le reti, Et invescar le panie, ed aguzzare Il dardo ad una cote, e spiar l’orme, E ’l covil de le fere: e, se talhora Vedea guatarmi da cupido amante, Chinava gli occhi, rustica, e selvaggia, Piena di sdegno, e di vergogna, e m’era Mal grata la mia gratia, e dispiacente, Quanto di me piaceva altrui: pur come Fosse mia colpa, e mia onta, e mio scorno L’esser guardata, amata, e desiata. Ma, che non puote il tempo? e che non puote, Servendo, meritando, supplicando, Fare un fedele, ed importuno amante? Fui vinta. Io te ’l confesso, e furon l’armi [p. 24] Del vincitore, humiltà, sofferenza, Pianti, sospiri, e dimandar mercede. Mostrommi l’ombra d’una breve notte Allhora quel, che ’l lungo corso, e ’l lume Di mille giorni non m’havea mostrato: Ripresi allhor me stessa e la mia cieca Simplicitate, e dissi sospirando: Eccoti, Cinthia, il corno, eccoti l’arco, Ch’io rinuncio i tuoi strali e la tua vita. Così spero veder, ch’anco il tuo Aminta Pur un giorno domestichi la tua Roza salvatichezza, ed ammollisca Questo tuo cor di ferro, e di macigno. Forse, ch’ei non è bello? ò ch’ei non t’ama? O ch’altri lui non ama? ò ch’ei si cambia Per l’amor d’altri? over per l’odio tuo? Forse ch’in gentilezza egli ti cede? Se tu sei figlia di Cidippe, à cui Fu padre il Dio di questo nobil fiume, Et egli è figlio di Silvano, à cui Pane fu Padre, il gran Dio de’ Pastori. Non è men di te bella, se ti guardi Dentro lo specchio mai d’alcuna fonte, La candida Amarilli, e pur ei sprezza Le sue dolci lusinghe, e segue i tuoi Dispettosi fastidi. hor fingi, (e voglia Pur Dio, che questo fingere sia vano) Ch’egli, teco sdegnato, al fin procuri, Ch’à lui piaccia colei, cui tanto ei piace, Qual animo fia il tuo? ò con quali occhi Il vedrai fatto altrui? fatto felice [p. 25] Ne l’altrui braccia, e te schernir ridendo? Silvia Faccia Aminta di se, e de’ suoi Amori, Quel ch’à lui piace, à me nulla ne cale; E, purche non sia mio, sia di chi vuole; Ma esser non può mio, s’io lui non voglio; Né s’anco egli mio fosse, io sarei sua. Dafne Onde nasce il tuo odio? Silvia Dal suo amore. Dafne Piacevol padre di figlio crudele. Ma, quando mai da i mansueti agnelli Nacquer le tigri? ò dai bei cigni i corvi? O me inganni, ò te stessa. Silvia Odio il suo amore, Ch’odia la mia honestate, ed amai lui Mentr’ei volse di me quel ch’io voleva. Dafne Tu volevi il tuo peggio: egli à te brama Quel, ch’à se brama. Silvia Dafne, ò taci, ò parla D’altro, se vuoi risposta. Dafne Hor guata modi? Guata, che dispettosa giovinetta? Hor, rispondimi almen, s’altri t’amasse, Gradiresti il suo amore in questa guisa? Silvia In questa guisa gradirei ciascuno Insidiator di mia Virginitate, Che tu dimandi amante, ed io nimico. Dafne Stimi dunque nemico Il monton de l’agnella? De la giovenca il toro? Stimi dunque nemico Il tortore à la fida tortorella? Stimi dunque stagione Di nimicitia, e d’ira La dolce Primavera? [p. 26] Ch’hor allegra, e ridente Riconsiglia ad amare Il mondo, e gli animali, E gli huomini, e le donne: e non t’accorgi, Come tutte le cose Hor son innamorate D’un’amor pien di gioia, e di salute? Mira là quel colombo, Con che dolce susurro lusingando, Bacia la sua compagna. Odi quel uscignuolo, Che và di ramo in ramo Cantando, Io amo, io amo: e, se no ’l sai, La biscia lascia il suo veleno, e corre Cupida al suo amatore, Van le tigri in amore, Ama il leon superbo: e tu sol, fiera, Più che tutte le fere, Albergo gli denieghi nel tuo petto; Ma, che dico leoni, e tigri, e serpi, Che pur han sentimento? amano ancora Gli alberi. veder puoi, con quanto affetto, Et con quanti iterati abbracciamenti, La vite s’avvitichia al suo marito, L’abete ama l’abete, il pino il pino, L’orno per l’orno, e per la salce il salce, E l’un per l’altro faggio arde, e sospira. Quella quercia, che pare Sì ruvida, e selvaggia, Sent’anch’ella il potere [p. 27] De l’amoroso foco; e, se tu havessi Spirto, e senso d’Amore, intenderesti I suoi muti sospiri. hor tu da meno Esser vuoi de le piante, Per non esser amante? Cangia, cangia consiglio, Pazzarella che sei. Silvia Hor sù, quando i sospiri Udirò de le piante, Io son contenta allhor d’esser amante. Dafne Tu prendi a gabbo i miei fidi consigli, E burli mie ragioni. ò in amore Sorda non men, che sciocca: ma và pure, Che verrà tempo, che ti pentirai Non haverli seguiti. e già non dico Allhor che fuggirai le fonti, ov’hora Spesso ti specchi, e forse ti vagheggi, Allhor che fuggirai le fonti, solo Per tema di vederti crespa, e brutta, Questo averratti ben. ma non t’annuncio Già questo solo, che, bench’è gran male, E però mal commune. hor non rammenti Ciò che l’altr’hier Elpino raccontava, Il saggio Elpino, à la bella Licori, Licori, ch’in Elpin puote con gli occhi, Quel ch’ei potere in lei dovria col canto, Se ’l dovere in amor si ritrovasse, E ’l raccontava udendo Batto, e Tirsi Gran maestri d’Amore, e ’l raccontava, Ne l’antro de l’Aurora, ove su l’uscio [p. 28] E’ scritto, Lungi, ah lungi ite, profani. Diceva egli, e diceva, che glie ’l disse Quel grande, che cantò l’armi, e gli amori, Ch’à lui lasciò la fistola morendo, Che la giù ne lo ’nferno è un nero speco, Là dove essala un fumo pien di puzza Da le triste fornaci d’Acheronte; E che quivi punite eternamente In tormenti di tenebre, e di pianto Son le femine ingrate, e sconoscenti. Quivi aspetta, ch’albergo s’apparecchi A la tua feritate; E dritto è ben, ch’il fumo Tragga mai sempre il pianto da quegli occhi, Onde trarlo giamai Non poté la pietate. Segui, segui tuo stile, Ostinata che sei. Silvia Ma, che fè allhor Licori? e com’ rispose A queste cose? Dafne Tu de’ fatti propri Nulla ti curi, e vuoi saper gli altrui. Con gli occhi gli rispose. Silvia Come risponder sol puote con gli occhi? Dafne Risposer questi con dolce sorriso, Volti ad Elpino, Il core, e noi siam tuoi, Tu bramar più non dei. Costei non puote Più darti, e tanto solo basterebbe Per intiera mercede al casto amante, Se stimasse veraci, come belli, Quegli occhi, e lor prestasse intera fede, [p. 29] Silvia E, perche lor non crede? Dafne Hor tu no sai Ciò che Tirsi ne scrisse? allhor, ch’ardendo Forsennato egli errò per le foreste, Sì, ch’insieme movea pietate, e riso. Ne le vezzose Ninfe, e ne’ pastori; Nè già cose scrivea degne di riso, Se ben cose facea degne di riso. Lo scrisse in mille piante, e con le piante Crebbero i versi, e così lessi in una, Specchi del cor fallaci infidi lumi, Ben riconosco in voi gl’inganni vostri. Ma che prò? se schivarli Amor mi toglie. Silvia Io qui trapasso il tempo ragionando, Nè mi sovviene, c’hoggi e ’l dì prescritto, Ch’andar si deve à la caccia ordinata Ne l’Eliceto. hor, se ti pare, aspetta, Ch’io pria deponga nel solito fonte Il sudore, e la polve, ond’hier mi sparsi, Seguendo in caccia una dama veloce, Ch’al fin giunsi, ed ancisi. Dafne Aspetterotti, E forse anch’io mi bagnerò nel fonte: Ma sino à le mie case ir prima voglio, Che l’hora non è tarda, come pare. Tu ne le tue m’aspetta, ch’à te venga, E pensa in tanto pur quel che più importa De la caccia, e del fonte; e, se non sai, Credi di non saver, e credi à’ savi.

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