“Rinaldo ed Armida”, dramma eroico in cinque atti di Gluck, su libretto di Filippo Quinault, andata in scena per la prima volta all’Académie Royale de Musique (Opéra) il 23 settembre 1777, vede crescere il suo successo di replica in replica.
Viene ripresa di nuovo a Parigi nel 1825, poi a Berlino e quindi a
Dresda nel 1843.
Entra nel repertorio del Teatro alla Scala con Arturo
Toscanini.
La musica di Gluck, il suo stile, ed ogni elemento che concorre a costruire la drammaturgia del testo rappresentano lo snodo fra teatro del Settecento e teatro dell’Ottocento.
CRISTOFORO GLUCK, RICCARDO WAGNER -- "Rinaldo" e "Parsifal"
L'arte di Cristoforo Gluck ha
illuminato ben oltre la morte del compositore il lavoro dei musicisti che, in
particolare, si sono dedicati al teatro in musica, a partire proprio da Riccardo
Wagner che, in Cristoforo Gluck, vedeva quell’artista che in un’epoca precedente alla sua,
già aveva creduto nella linearità dell’espressione del canto, nell’importanza
del rapporto dinamico fra espressione vocale ed espressione strumentale e nella
necessità che il flusso dell’espressione della musica e della parola fosse
inarrestabile, nel senso di avvicinare il più possibile il tempo teatrale al
tempo reale; e, laddove ciò non fosse possibile, crearne l’illusione attraverso
la fusione fra i vari elementi di immagine, suono, spazio e tempo.
In questo
senso "Rinaldo ed Armida” di Cristoforo Gluck è l’opera più vicina al pensiero wagneriano.
"Rinaldo ed Armida" è la penultima
scritta da Gluck, dopo un percorso lunghissimo, nella quale confluiscono gli
elementi dell’antico e del moderno in una sintesi perfetta.
Se da una parte
Gluck mantiene la struttura della tragédie lyrique (non dimentichiamo che prima
di lui il soggetto di Armide, proprio in quest’ultima forma venne musicato da
Francesca Caccini, Giovanni-Battista Lulli, Giorgio Frederico Handel...), dall’altra parte impiega una scrittura modernissima dal
punto di vista strumentale e vocale dove tutto scorre come un enorme flusso.
Cristoforo Gluck soprattutto lavora sul rapporto parola-musica in termini
assolutamente inediti.
Fino ad allora nessun autore francese era riuscito a
creare una dinamica fra parola e suono tale da sembrare che il suono “uscisse”
dalla parola e non “accompagnasse” la parola.
Di conseguenza, se la parola
viene “parificata” al suono, può entrare con esso in dinamiche totalmente
nuove.
Cristoforo Gluck unisce il vecchio al nuovo anche nel trattare il soggetto, nel
senso che sceglie una vicenda dove si contrastano sentimenti forti come la
religione, l’amore, il senso del dovere, il tradimento e la magia.
Armida è
una maga che si mette sulla strada dei cavalieri che si recano al Santo
Sepolcro.
Li soggioga con il suo fascino affinchè i suoi soldati possano poi
ucciderli.
La maga Armide, sicura di non innamorarsi di nessuno dei cavalieri
che deve soggiogare affinchè cadano prigionieri, cede invece al fascino di
Rinaldo.
Lo fa cadere in un sonno profondo e chiede aiuto al dio dell’odio,
affinchè le dia la forza di ucciderlo. Nemmeno questo sortilegio la distoglierà
però dal suo amore.
Quando due compagni di Rinaldo arrivano alla reggia di
Armide e lo richiamano ai suoi doveri, egli abbandona la maga e riprende il
cammino per Gerusalemme.
Armida invoca allora le potenze dell’inferno e,
mentre la reggia si inabissa, scompare nel cielo su un carro alato.
Rinaldo
ritorna dunque padrone di sé, mentre Armide viene punita ma non muore.
Il dio
dell’odio, quasi fosse un “deus ex-machina”, entità soprannaturale chiamata a
risolvere le situazioni, fallisce.
Cristoforo Gluck scolpisce tutta l’opera con una
forza immaginifica totalmente inedita, usando sostanzialmente pochi mezzi.
La
scrittura di “Rinaldo ed Armida” infatti è essenziale, quasi schematica, come nello stile
del compositore tedesco.
La novità, rispetto alle opere precedenti, sta nella
maggiore intensità della forza drammatica, ottenuta attraverso una sempre più
stretta interazione fra testo e musica.
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A ben guardare la storia di Rinaldo e la maga
Armida ricorda quella del “Parsifal” di Wagner e in particolare la vicenda di
un’altra maga, Kundry.
Kundry, al servizio del mago Klingsor, mai acettato
nel ristretto gremio dei cavalieri del Sacro Graal, attirava i cavalieri di
stanza al tempio del Monsalvat i quali, prima sotto gli ordini di Titurel e poi
sotto quelli di Amfortas, celebravano tutti i pomeriggi all’ora del vespro il
rito del Sacro Graal.
Kundry l’ha vinta su tutti i cavalieri (in particolare
su Amfortas), ma NON SU PARSIFAL il quale sa
SA RESISTERE AL SUO FASCINO, cosicchè
lei e Klingsor crollano e il giardino magico di quest’ultimo si trasforma in un
deserto.
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