Grice e Lucrezio: l'orto romano -- l'implicatura conversazionale dell'alma figlia di
Giove – Roma == filosofia italiana – Luigi Speranza (Pompei). Filosofo italiano. Grice: “By far the most important
concept in Lucrezio’s philosoophy is that of clinamen that Strawson translates
as the ‘swerve.’ It was saved from extinction by an Italian – as the novel
tells you!” Grice: “While Strawson reads it in Latin, I prefer the version in
the vulgar!” – Grice: “And by the vulgar I mean Marchetti!” Grice: “It’s
amazing how well Marchetti interprets Lucezio – there is a little treatise on
Epicureanism in the Lucrezio by Marchetti which is interesting. A real
continuity in Italian philosophy!” -- possibly the most important Italian
philosopher. Seguace dell'epicureismo. Della sua vita ci è ignoto quasi tutto:
egli non compare mai sulla scena politica romana, né sembra esistere negli
scritti dei contemporanei, in cui non viene mai citato, eccezion fatta per la
lettera di Cicerone ad Quintum fratrem II 9, contenuta nella sezione Ad
familiares, in cui il celebre oratore accenna all'edizione, forse postuma, del
poema di Lucrezio, che egli starebbe curando. Ma in scrittori romani successivi
egli viene spesso citato: ne parlano Seneca, Frontone, Marco Aurelio,
Quintiliano, Ovidio, Vitruvio, Plinio il Vecchio, senza tuttavia fornire nuove
informazioni sulla vita. Questo però dimostra che non si tratta di un
personaggio inventato. Un'altra fonte che lo cita è San Girolamo nel suo
Chronicon o Temporum liber, di cinque secoli dopo, in cui, ispirandosi ad
alcuni dubbi passi di Svetonio, ci dice che sarebbe nato morto suicida. Tale dato non concorda
tuttavia con quanto affermato da Elio Donato, maestro di Girolamo stesso,
secondo il quale Lucrezio sarebbe morto quando indossò la toga virile,
nell'anno in cui erano consoli per la seconda volta Crasso e Pompeo. Questo
dato ha fatto propendere a credere che Lucrezio mori nel 55 a.C., all'età di quarantatré anni.
Queste vengono comunemente considerate le uniche notizie biografiche tramandate
direttamente dall'antichità. Ignoto risulta anche il luogo di nascita,
che tuttavia taluni hanno creduto essere Ercolano, per la presenza di un
Giardino Epicureo in quest'ultima città, in particolare, dall'analisi di
numerose epigrafi risalenti all'epoca dell'autore latino, risulta evidente
un'ingente presenza del cognome Carus nell'antico territorio campano, secondo
la critica recente la suddetta indagine prova fermamente (nei limiti del probabile)
le origini campane di Lucrezio. Neppure la sua militanza politica sembra essere
ricostruibile: il desiderio di pace accennato prima non sembra affatto
ricordare il drammatico rancore dell'aristocratico, per altro solitamente
stoico, che vede sgretolarsi la Repubblica e la libertà, ma il desiderio
dell'"amico" epicureo, che vede nella pace e nel benessere di tutti
la possibilità di fare accoliti e viver serenamente. È tuttavia rilevante il
fatto che la sua opera De rerum natura sia dedicata a Memmio, fine letterato e
appassionato di cultura greca, ma anche e soprattutto membro di spicco degli
optimates. Tale era, del resto, il suo desiderio di pace da auspicare
alla fine del proemio della sua opera una "placida pace" per i
Romani. Questo anelito così forte alla pace è peraltro riscontrabile non solo
in Lucrezio, ma anche in Catullo, Sallustio, Cicerone, Catone l'Uticense e
perfino in Cesare: esso rappresenta il desiderio di un'intera società dilaniata
da un secolo di guerre civili e lotte intestine. La scarsità delle fonti
sulla sua vita ha portato molti a interrogarsi persino sulla stessa esistenza
del filosofo, a volte considerato solo uno pseudonimo sotto il quale si celava
un anonimo filosofo per alcuni un amico epicureo di Cicerone, Tito Pomponio
Attico, che si suicidò, o persino lo stesso Cicerone. Secondo lo storico
Luciano Canfora, è possibile ricostruire una scarna biografia di Lucrezio:
nacque ad Ercolano, dove aveva una villa la famiglia nobiliare di un possibile
parente, Marco Lucrezio Frontone) appartenente quasi sicuramente all'antica
famiglia nobile dei Lucretii (qualcuno ne fa invece un liberto della stessa
famiglia). Studiò l'epicureismo proprio ad Ercolano, dove si trovava un centro
della "filosofia del giardino", diretta da Filodemo di Gadara, allora ospite nella villa
di Lucio Calpurnio Pisone, il ricco suocero di Cesare (la cosiddetta "villa
dei papiri"). Avrebbe sofferto di sbalzi d'umore, chiamati oggi
disturbo bipolare, ma non sarebbe stato pazzo, ma di questo umore alterno
risentì il suo lavoro. In disaccordo con le guerre civili, avrebbe lasciato
Roma e non sarebbe morto suicida ma avrebbe viaggiato ad Atene, nei luoghi del
maestro Epicuro, e oltre, essendo forse il suo nome conosciuto da Diogene di
Enoanda, quindi quasi in Asia minore, nelle cui famose incisioni sotto il
portico della sua casa si ricorda un certo "Caro" (nome poco
diffuso), romano, e sapiente epicureo. Non si sa se il poema fosse
diffuso nell'oriente, quindi è possibile che Lucrezio si fosse davvero recato
in Grecia. Lucrezio, spinto da una delusione d'amore, si sarebbe allontanato
lasciando incompiuto il suo poema, affidato forse a Cicerone stesso (che
difatti non parla effettivamente di suicidio ma afferma: «Lucretii poemata, ut
scribis, ita sunt: multis luminibus ingenii, multae tamen artis» ("le
poesie di Lucrezio, come tu mi scrivi, sono dotate di molti lumi di talento, e
tuttavia di molta arte"), ma, forse, senza impazzire e morire (che fosse
suicidandosi o perché assassinato), esagerazione della fonte di Girolamo o di
qualche altro avversario di Lucrezio, e sarebbe stato forse volutamente confuso
dallo stesso Girolamo con Lucullo, onde screditare l'epicureismo. Il
destinatario dell'opera, Gaio Memmio, caduto in disgrazia ed espulso dal Senato
per condotta immorale, andò ad Atene, causando una nuova delusione a Lucrezio,
che, tornato a Roma, sarebbe morto. La
notizia di un "filtro d'amore" velenoso somministratogli da una donna
di facili costumi, amante gelosa di Lucrezio, viene riportata anche da Svetonio
nei confronti di Caligola e della moglie Milonia Cesonia; in questo caso è
apparsa una semplice diceria, e, data l'ispirazione svetoniana (dal perduto De
poetis) del passo di Girolamo su Lucrezio, anche lì sembra essere una
spiegazione semplicistica, dovuta alla poca conoscenza dei disturbi psichici
che si aveva all'epoca (anche per Caligola si parlò, difatti, come per
Lucrezio, di epilessia e malattie fisiche misteriose che l'avrebbero fatto
impazzire improvvisamente, come, nel caso di studiosi moderni, l'avvelenamento
da piombo, oltre che dei detti "filtri"). Se Lucrezio soffrì di
un disagio psichico, che lo avrebbe spinto a cercare sollievo nella filosofia,
non fu a causa di un veleno, e se il suicidio ci fu (il che potrebbe spiegare
l'abbandono improvviso del poema), la causa potrebbe essere stata di natura
politica — come sarà più tardi il caso di Catone Uticense —, ovverosia la
rovina del suo protettore Memmio e della sua cerchia culturale. Virgilio, che
lo rispettava anche se era passato dall'epicureismo, abbracciato in gioventù,
alle teorie pitagoriche, parla di lui nelle Georgiche e nelle Bucoliche,
definendolo "felix" (ossia "prediletto dalla dea Fortuna") e
non "folle". Secondo Guido Della Valle, la V ecloga, che parla della
morte di un personaggio chiamato Dafni (a volte identificato con Cesare, a
volte con Flacco, il fratello di Virgilio), potrebbe riferirsi invece alla
morte dello stesso Lucrezio, definita "immatura e innaturale", cioè
avvenuta per cause traumatiche. Il movente politico e morale del gesto potrebbe
essere la causa del silenzio attorno ad esso e del fiorire di aneddoti per
giustificarlo, dato che non si poteva cancellare la grandezza filosofica di
Lucrezio, con una sorta di damnatio memoriae di solito riservata ai nemici politici.
Essi erano spesso vittime delle liste di proscrizione dei vincitori, come
quella di Marco Antonio che colpirà Cicerone, e molti si toglievano la vita, in
quanto morte onorevole per i costumi romani; Virgilio e Orazio, estimatori di
Lucrezio, facevano parte della corte di Augusto, e dovevano quindi allinearsi
alla linea culturale dettata dall'imperatore, assertore dell'antica moralità e
diffusore della leggenda di Cesare (per cui venivano cancellate le espressioni
scomode di dissenso), e dal suo amico Mecenate, in cui l'epicureismo, se non
sfumato come in Orazio appuntocosì come ogni opera che non fosse celebrativa
del princeps e della grandezza di Roma non trovava spazio, per cui Lucrezio
verrà ricordato solo come grande poeta, tralasciandone l'aspetto
filosofico. Secondo Della Valle, quindi, Lucrezio si sarebbe tolto la
vita come gesto di protesta contro la classe politica in ascesa, o perché condannato
a morte da essa. Lucrezio, per il periodo in cui è vissuto, personaggio
scomodo: gli ideali epicurei di cui era profondamente intriso corrodevano le
basi del potere di una Roma alla vigilia della congiura di Catilina. In
un'epoca di tensioni repubblicane, infatti, isolarsi dalla realtà politica nell'hortus
epicureo significa sottrarsi ai negotia politici e uscire di conseguenza anche
dalla sfera d'influenza del potere. Le più forti correnti stoiche, ostili
all'epicureismo, avevano permeato la classe dirigente romana in quanto più
conformi alla tradizione guerriera dell'Urbe. L'epicureismo era invece presente
anche attraverso il citato Filodemo e altri in Campania, dove Virgilio avrebbe
approfondito la sua conoscenza dell'epicureismo. Orazio non lo nomina, ma è
evidente che lo conosce, e ideologicamente gli è più vicino di altri. La natura
poetica del De rerum natura fa sì che Lucrezio col suo pessimismo esistenziale
avanzi profezie apocalittiche, visioni quasi allucinate, critiche e ambigue
espressioni (Grice), che accompagnano il poema. Alcuni teologi come San
Girolamo ed altri, hanno dato di lui l'immagine di un ateo psicotico in preda
alle forze del male. Appoggiandosi alla psicoanalisi qualcuno ha sostenuto che
in certi bruschi cambiamenti di immagine e di pensiero ci fossero i sintomi di
una pazzia delirante o di problemi di ordine psichico. In realtà l'ipotizzata
pazzia di Lucrezio appare oggi più plausibilmente un tentativo di
mistificazione per screditare il poeta, così come la presunta morte per
suicidio sarebbe stato l'esito di un modo di pensare perverso, che travia chi
lo segue. L'ipotesi dell'epilessia poi, viene avanzata sulla base dell'arcaica
credenza che il poeta fosse sempre un invasato; elemento quest'ultimo da
collegare alla credenza che gli epilettici fossero sacri ad Apollo e da lui
ispirati nelle loro creazioni. Comunque altri scrittori cristiani come Arnobio
e Lattanzio affermarono che egli non fosse pazzo e che non si fosse ucciso.
L'ipotesi della follia e del suicidio attestata dal Chronicon di Girolamo si
fondava su illazioni di Svetonio, peraltro di difficile verifica. Potrebbe
anche esserci stata una confusione dovuta all'abbreviazione “Luc.,” impiegata
indifferentemente nei codici latini per indicare i nomi di Lucillius, Lucullus
e Lucretius. Plutarco scrisse infatti di un certo Licinio Lucullo, politico,
generale e cultore dei piaceri, che morì dopo essere impazzito a causa di un
filtro d'amore. L'errore di interpretazione dell'abbreviazione “Luc.” potrebbe
così aver permesso lo scambio dei due personaggi. A causa dell'impossibilità di
ricostruire i momenti salienti della sua vita, dunque, il progetto filosofico
che egli volle esprimere è ricostruibile interamente solo dalla sua opera,
considerata tra le più vigorose d'ogni età. Bisogna ora individuare le
motivazioni che spinsero Lucrezio a scrivere il De rerum natura, che
fondamentalmente sono due. La prima è una ragione etico-filosofica, in quanto
Lucrezio, affascinato dalla filosofia epicurea, desiderava invitare il lettore
alla pratica di tale filosofia, incitandolo a liberarsi dall'angoscia della
morte e degli dèi. La seconda motivazione invece è di carattere storico.
Lucrezio era conscio che la situazione politica a Roma peggiorasse di giorno in
giorno: Roma era quadro ormai di continui scontri bellici e conseguenti
dissidi; giustappunto egli, con un evidente positivismo, voleva incoraggiare il
cittadino-lettore romano a non perdere la fiducia verso un successivo miglioramento
della situazione. Lucrezio si proponeva di rivoluzionare il cammino di Roma,
riportandolo all'epicureismo che era stato declinato in favore dello stoicismo.
La prima cosa da distruggere era la convinzione provvidenzialistica stoica e
più propriamente romana. Non c'era un dovere romano di civilizzare "l'orbe
terrifero e de le acque", come farà dire Virgilio alla Sibilla Cumana in
un colloquio con Enea. Non c'è una ragione seminale universale responsabile
della vita nel cosmo, destinata a deflagrare per poi ricominciare un nuovo,
identico, ciclo esistenziale, come voleva la fisica stoica, ma un mondo che non
è unico nell'universo, peraltro infinito, essendo uno dei tanti possibili. Non
c'è quindi nessun fine provvidenziale di Roma, essa è una Grande fra le Grandi,
ed un giorno perirà nel suo tempo. La religione, considerata come Instrumentum
regni, deve essere non distrutta, ma integrata nel contesto del viver civile
come utile ma falsa. Egli afferma fin dal libro I del De rerum natura. Tanto
male poté suggerire la religione. Ma anche tu forse un giorno, vinto dai
terribili detti dei vati, forse cercherai di staccarti da noi. Davvero,
infatti, quante favole sanno inventare, tali da poter sconvolgere le norme
della vita e turbare ogni tuo benessere con vani timori! Giustamente, poiché se
gli uomini vedessero la sicura fine dei loro travagli, in qualche modo
potrebbero contrastare le superstizioni e insieme le minacce dei vati... Queste
tenebre, dunque, e questo terrore dell'animo occorre che non i raggi del sole
né i dardi lucenti del giorno disperdano, bensì la realtà naturale e la
scienza... E perciò, quando avremo veduto che nulla può nascere dal nulla,
allora già più agevolmente di qui potremo scoprire l'oggetto delle nostre
ricerche, da cosa abbia vita ogni essenza, e in qual modo ciascuna si compia
senza opera alcuna di dèi. Lucrezio colpiva direttamente la credenza negli dèi
latini sostenendo che non c'è preghiera che schiuda le fauci di una tempesta,
giacché essa è regolata da leggi fisiche e gli dèi, seppur esistenti e anche
loro composti da atomi così sottili che ne assicurano l'immortalità, non si
curano del mondo né lo reggono; ma la religione deve essere inglobata nella
scoperta e nello studio della natura, che rasserena l'animo e fa comprendere la
vera natura delle cose: infatti l'unico principio divino che regge il mondo è
la Divina Voluptas, Venere: il piacere, la vita stessa intesa come animazione
regge l'universo, ed è l'unica cosa in grado di fermare lo sfacelo che sta
portando Roma alla fine: Marte, ovvero la Guerra. Proprio per questo, egli
elogia Atene, creatrice di quegli intelletti più grandi che hanno illuminato la
natura e quindi l'uomo stesso, ed in ultima istanza Epicuro, sole invitto della
conoscenza rasserenatrice. Non solo, egli stesso si sente quasi un poeta
rasserenatore delle tempeste umane e proprio per questo si sente profondamente
affine ai poeti delle origini, il cui luogo principe è in Empedocle (secondo
infatti per elogi solo a Epicuro) ma con una sola grande differenza: egli non è
portatore di una verità divina fra le umane genti, ma di una verità affatto
umana, universale e per tutti, che attecchirà ben presto per la salvezza di
Roma.[31] Epicuro è comunque, per Lucrezio, il più grande uomo mai esistito,
come risulta dai tre inni a lui dedicati (chiamati anche "trionfi" o
"elogi"): «E dunque trionfò la vivida forza del suo animo. E si
spinse lontano, oltre le mura fiammeggianti del mondo. E percorse con il cuore
e la mente l'immenso universo, da cui riporta a noi vittorioso quel che può
nascere, quel che non può, e infine per quale ragione ogni cosa ha un potere
definito e un termine profondamente connaturato. Perciò a sua volta abbattuta
sotto i piedi la religione è calpestata, mentre la vittoria ci eguaglia al
cielo. Il De rerum natura e un poema didascalico in esametri, di genere
scientifico-filosofico, suddiviso in sei libri (raccolti in diadi),
comprendente un totale di 7415 versi, che illustrano fenomeni di dimensioni
progressivamente più ampie: dagli atomi si passa al mondo umano per arrivare ai
fenomeni cosmici. Riproduce il modello prosastico e filosofico epicureo e la
struttura del poema Περὶ φύσεως di Empedocle (anche un'opera di Epicuro aveva
il medesimo titolo). Secondo i filologi vi sono corrispondenze e simmetrie
interne che corrisponderebbero ad un gusto alessandrino. L'opera infatti è
suddivisa in tre diadi, che hanno tutte un inizio solare ed una fine tragica.
Ogni diade contiene un inno ad Epicuro, mentre il secondo e il terzo libro (in
quest'ultimo è presente anche un'esposizione della sua estetica) si aprono
entrambi con un inno alla scienza. Essendo un poema didascalico, ha come
modello Esiodo e quindi anche Empedocle, che aveva preso il modello esiodeo
come massimo strumento per l'insegnamento della filosofia. Altri modelli
potrebbero essere i poeti ellenistici Arato e Nicandro di Colofone, che usavano
il poema didascalico come sfoggio di erudizione letteraria. Il destinatario e i
destinatari Il dedicatario dell'opera è la Memmi clara propago (I 42), ovvero
il rampollo della famiglia dei Memmi, che solitamente si identifica con Gaio
Memmio. Più in generale, si può dire che il destinatario che l'autore si
prefigge di conquistare è il giovane aperto ad ogni esperienza, che un giorno
prenderà il posto dei politici e attuerà quella rivoluzione propugnata con
tanto fervore da Lucrezio. Ma, almeno con Memmio, egli fallì: da adulto divenne
un dissoluto, fraintendendo il significato di piacere catastematico epicureo, e
fu allontanato dal Senato probri causa, cioè per immoralità. Riparò quindi in
Grecia, dove scrisse poesie licenziose e dove ce lo menziona anche Cicerone
(nelle Ad Familiares), intenzionato a distruggere la casa e il giardino in cui
proprio Epicuro risiedette, per costruirsi un palazzo, suscitando lo sdegno
degli epicurei che fecero istanza a Cicerone stesso di intervenire per
impedirglielo, senza che però Cicerone ci riuscisse. In un simile progetto
Lucrezio scelse di doversi rifare ad un modello di stile arcaico, che vedeva in
Livio Andronico, ma soprattutto in Ennio e in Pacuvio i modelli emuli, per
motivi fra loro quanto meno vari: l'egestas linguae (povertà della lingua), lo
vede costretto a dover arrangiare le lacune terminologiche e tecnicistiche con
l'arcaismo, ancora che proprio Lucrezio, insieme a Cicerone, sia uno dei
fondatori del lessico astratto e filosofico latino, e a colmare e ancor meglio
comprendere l'oscurità del filosofo con la mielosa luce della poesia. Discendendo
più in profondità nelle anguste gole del poema, si notano anche altri problemi
cui dovette far fronte: primo fra tutti, come tradurre parole di pregnanza
filosofica in latino, che ancora non aveva termini confacenti. Finché poté,
egli evitò la semplice translitterazione (ad es. "Atomus" per Ατομος)
e preferì invece usare altri termini presenti già nella sua lingua magari
dandogli altra accezione oppure (come mostrato anche sopra) creando neologismi.
Ed è proprio grazie all'arcaismo che Lucrezio riesce a rendere possibile tutto
questo: infatti era proprio dello stile arcaico il neologismo
"munificenza" ed anche un certo uso (convulso a detta di antichi e
moderni) delle figure di suono quali allitterazioni, consonanze, assonanze e
omoteleuti. Molto importante è anche il fatto che Lucrezio non si limitò a
trasmettere il messaggio di Epicuro con un arido scritto filosofico, ma lo fece
attraverso un poema che, a differenza del rigoroso linguaggio razionale della
filosofia, parla per squarci imaginifici. Sul piano teorico l'opera di Lucrezio
si caratterizza come una puntualizzazione di quella epicurea con alcune
esplicazioni che nel suo referente greco non erano abbastanza chiare. Il
concetto di parenklisis che Lucrezio tradurrà con clinamen mancava di definizione
chiara. Nella Lettera ad Erodoto Epicuro poneva infatti la parenklisis ma poi
parla piuttosto di una deviazione per urto. Il celebre passaggio del libro II
del De rerum natura dice: «Perciò è sempre più necessario che i corpi
deviino un poco; ma non più del minimo, affinché non ci sembri di poter
immaginare movimenti obliqui che la manifesta realtà smentisce. Infatti è
evidente, a portata della nostra vista, che i corpi gravi in se stessi non
possono spostarsi di sghembo quando precipitano dall’alto, come è facile
constatare. Ma chi può scorgere che essi non compiono affatto alcuna deviazione
dalla linea retta del loro percorso? Lucrezio precisa poi ulteriormente le
modalità del clinamen aggiungendo: «Infine, se ogni moto è legato sempre
ad altri e quello nuovo sorge dal moto precedente in ordine certo, se i germi
primordiali con l’inclinarsi non determinano un qualche inizio di movimento che
infranga le leggi del fato così che da tempo infinito causa non sussegua a causa,
donde ha origine sulla terra per i viventi questo libero arbitrio, donde
proviene, io dico, codesta volontà indipendente dai fati, in virtù della quale
procediamo dove il piacere ci guida, e deviamo il nostro percorso non in un
momento esatto, né in un punto preciso dello spazio, ma quando lo decide la
mente? Infatti senza alcun dubbio a ciascuno un proprio volere suggerisce
l’inizio di questi moti che da esso si irradiano nelle membra]» Per
quanto riguarda la sfera del vivente Lucrezio la collega direttamente agli atomi
nel loro processo creativo, scrivendo: «Così è difficile rescindere
da tutto il corpo le nature dell'animo e dell'anima, senza che tutto si
dissolva. Con particelle elementari così intrecciate tra loro fin dall’origine,
si producono insieme fornite d’una vita di eguale destino: ed è chiaro che
ognuna di per sé, senza l’energia dell’altra, le facoltà del corpo e dell’anima
separate, non potrebbero aver senso: ma con moti reciprocamente comuni spira
dall’una e dall’altra quel senso acceso in noi attraverso gli organi. Lucrezio riprende
in maniera radicale la tesi già di Epicuro. La religione è la causa dei mali
dell'uomo e della sua ignoranza. Egli ritiene che la religione offuschi la
ragione impedendo all'uomo di realizzarsi degnamente e, soprattutto, di poter
accedere alla felicità, da raggiungere attraverso la liberazione dalla paura
della morte. Il poema ha come argomenti principali la lacerante antinomia fra
ratio e religio, l'epicureismo e il progresso. La ratio è vista da Lucrezio
come quella chiarità folgorante della verità «che squarcia le tenebre
dell'oscurità», è il discorso razionale sulla natura del mondo e dell'uomo,
quindi la dottrina epicurea, mentre la religio è ottundimento gnoseologico e
cieca ignoranza, che lo stesso Lucrezio denomina spesso con il termine
"superstitio". Indica l'insieme di credenze e dunque di comportamenti
umani "superstiziosi" nei confronti degli dèi e della loro potenza.
Poiché la religio non si basa sulla ratio essa è falsa e pericolosa. Afferma
che sono evidenti le nefaste conseguenze della religione e adduce come esempio
il caso di Ifigenia, dicendo poi che il mito è una rappresentazione falsata
della realtà, come nell'Evemerismo. La religione è perciò la causa principale
dell'ignoranza e dell'infelicità degli uomini. Lucrezio riprende i temi
principali della dottrina epicurea, che sono: l'aggregazione atomistica e la
"parenklisis" (che egli ribattezza clinamen), la liberazione dalla
paura della morte, la spiegazione dei fenomeni naturali in termini meramente
fisici e biologici. Egli opera un completamento di essa in senso naturalistico
ed esistenzialistico, introducendo un elemento di pessimismo, assente in
Epicuro, probabilmente da attribuirsi a una personalità malinconica. Da un
punto di vista ontologico, secondo Lucrezio, tutte le specie viventi (animali e
vegetali) sono state "partorite" dalla Terra grazie al calore e
all'umidità originari. Ma egli avanza anche un nuovo criterio evoluzionistico:
le specie così prodotte sono infatti mutate nel corso del tempo, perché quelle
malformate si sono estinte, mentre quelle dotate degli organi necessari alla
conservazione della vita sono riuscite a riprodursi. Tale concezione atea,
materialista, antiprovvidenzialista e storica della natura sarà ereditata e rielaborata
da molti pensatori materialisti dell'età moderna, in particolare gli
illuministi Diderot, d'Holbach e La Mettrie, anch'essi atei dichiarati e a loro
volta divulgatori dell'ateismo; Lucrezio sarà inoltre seguito da Ugo Foscolo e
Giacomo Leopardi. Lucrezio nega ogni sorta di creazione, di provvidenza e di
beatitudine originaria e afferma che l'uomo si è affrancato dalla condizione di
bisogno tramite la produzione di tecniche, che sono trasposizioni della natura.
Però, il progresso non è positivo a priori, ma solo finché libera l'uomo
dall'oppressione. Se è invece fonte di degradazione morale, lo condanna
duramente. Lucrezio introduce nel III libro del De rerum natura una
chiarificazione che nel mondo latino era stata trascurata generando non poche
confusioni, circa il concetto di “animus” in rapporto a quello di “anima” «Vi
sono dunque calore e aria vitale nella sostanza stessa del corpo, che abbandona
i nostri arti morenti. Perciò, trovata quale sia la natura dell'animo e
dell'anima quasi una parte dell'uomo -, rigetta il nome di armonia, recato ai
musicisti già dall'alto Elicona, o che essi hanno forse tratto d'altrove e
trasferito a una cosa che prima non aveva un suo nome. Tu ascolta le mie
parole. Ora affermo che l'anima e l'animo sono tenuti Avvinti tra loro, e
formano tra sé una stessa natura. Ma è il capo, per così dire, è il pensiero a
dominare tutto il corpo: quello che noi denominiamo animo e mente e che ha
stabile sede nella zona centrale del petto. Qui palpitano infatti l'angoscia e
il timore, qui intorno le gioie provocano dolcezza; qui è dunque la mente,
l’animo. La restante parte dell’anima, diffusa per tutto il corpo, obbedisce e
si muove al volere e all’impulso della mente. Questa da sé sola prende
conoscenza, e da sé gioisce, quando nessuna cosa stimola l’anima e il corpo. Lucrezio
riprende il concetto ellenico di anima come "soffio vitale che vivifica ed
anima il corpo, ciò che i greci chiamavano psyché. Questo soffio pervade tutto
il corpo in ogni sua parte e lo abbandona solo “con l'ultimo respiro".
L'"animus" invece è identificabile col "noùs" ellenico,
traducibile in latino con mens. Dunque animus e mens paiono essere o la stessa
cosa o due elementi coniugati dell'unità mentale. L'indicazione della “zona centrale
del petto” come sede fa pensare al concetto di “cuore”, ricorrente ancora oggi
nel linguaggio comune per indicare la sensibilità umana, centro dell'emozione e
del sentimento. Parrebbe allora che l'animus sia insieme e conoscenza e
emozione, mentre l'anima è soffio vitale. L'angoscia esistenziale Il De rerum
natura è ricchissimo di elementi tipici dell'esistenzialismo moderno,
riscontrabile specialmente in Giacomo Leopardi, che dell'opera di Lucrezio era
un profondo conoscitore, anche se in realtà non è noto il lasso di tempo in cui
Leopardi lesse Lucrezio. Questi elementi di angoscia hanno indotto alcuni
studiosi a sottolineare il pessimismo di fondo che si opporrebbe alla volontà
di rinnovare il mondo a partire dalla filosofia epicurea; in altre parole, in
Lucrezio ci sarebbero due spinte contrapposte; l'una dominata dalla razionalità
e fiduciosa nel riscatto dell'uomo, l'altra ossessionata dalla fragilità
intrinseca degli esseri viventi e dal loro destino di dolore e morte. Altri
studiosi, però ritengono che l'insistenza di Lucrezio sugli aspetti dolorosi
della condizione umana non sia altro che una strategia di propaganda, per fare
emergere più fortemente la funzione salvifica della ratio epicurea. S'intende,
ciechi alla dottrina di Epicuro. Sul
luogo di nascita: anche se c'è chi afferma fosse nato a Roma, si ritiene quasi
all'unanimità che fosse originario della Campania: di Napoli, di Ercolano, o,
secondo recenti studi epigrafici, di Pompei, dove il nomen e il cognomen Tito e
Lucrezio sono attestati, e la gens Lucretia aveva delle ville cfr: Biografia di
Lucrezio; o perlomeno vi avesse abitato a lungo cfr. Enrico Borla, Ennio
Foppiani, Bricolage per un naufragio. Alla deriva nella notte del mondo, cfr.
anche la Lucrezio Caro, Tito su Enciclopedia Treccani Sulla data di nascita: molti optano per il 98
a.C. o secondo altri 96 a.C. Secondo
alcune fonti: Lucretius testimonia vitae Luciano Canfora, Vita di Lucrezio,
Sellerio, o secondo altri 53 a.C., cfr.
Paolo Di Sacco, M. Serio, "Odi et amoStoria e testi della letteratura
latina" 1 "L'età arcaica e la
repubblica", Edizioni Scolastiche Bruno Mondadori, Sezione 2, Modulo. Testimonianze
su Lucrezio Canfora. Lucrezio, De rerum
natura, Lucrezio, De rerum natura, Enrico Fichera, I "templa serena"
e il pessimismo di Lucrezio: echi lucreziani nella letteratura, Roma, Bonanno
edizioni, G. Lippold, Testo per Arndt-Bruckmann, Griech. u. röm. Porträts,
Monaco. Enciclopedia dell'arte antica
Cfr. Gerlo, Benedetto Coccia, Il mondo classico nell'immaginario
contemporaneo Nel romanzo epistolare di
Tiziano Colombi, Il segreto di Cicerone, Palermo, Sellerio, Nomi romani:
glossario Canfora, Cicerone, Ep. ad
Quintum fratrem, II 9. SLucrezio Canfora, Classici: Lucrezio e il De rerum
natura Aldo Oliviero, Il suicidio di Lucrezio, su lafrontieraalta.com. Ettore
Stampini, Il suicidio di Lucrezio, Messina, Tipografia D'Amico, La risposta di
Virgilio a Lucrezio Guido Della Valle
(Napoli), pedagogista e docente universitario, autore di Tito Lucrezio Caro e
l'epicureismo campano, Napoli, Accademia Pontaniana, Lucrezio in Enciclopedia
Italiana Lucrezio: informazioni
biografiche ibidem La natura delle cose, Milano, Rizzoli, Eneide,
libro VI. La natura delle cose, cit.
supra81. Lucrezio, La natura delle cose,
La natura delle cose. Il De rerum natura
di Lucrezio Introduzione a Lucrezio accesso= Memmio su Enciclopedia
Italiana Lo stile di Lucrezio C.
Craca, Le possibilità della poesia. Lucrezio e la madre frigia in «De rerum
natura» IBari, Edipuglia, Epicuro, Opere, E. Bignone, Laterza Lucrezio, La
natura delle cose, Biagio Conte, Milano, Rizzoli, La natura delle cose, cit. supra271. De rerum natura, Diego Fusaro, Tito Lucrezio
Caro, su filosofico.net. e rerum natura, VTasso segue Lucrezio stilisticamente,
non ideologicamente: vedasi la famosa similitudine del proemio del libro IV, ripresa
nel proemio della Gerusalemme liberate, La natura delle cose, cit. supra, De rerum natura, Mario Pazzaglia, Antologia
della letteratura italiana. Lucrezio,
introduzione Edizioni De rerum natura, (Brixiae), Thoma Fer(r)ando
auctore, De rerum natura libri sex nuper emendati, Venetiis, apud Aldum, In
Carum Lucretium poetam commentarij a Joanne Baptista Pio editi, Bononiae, in
ergasterio Hieronymi Baptistae de Benedictis, De rerum natura libri sex a
Dionysio Lambino emendati atque restituti & commentariis illustrati,
Parisiis, in Gulielmi Rovillij aedibus, De rerum natura libri VI, Patavii,
excudebat Josephus Cominus, De rerum natura libri sex, Revisione del testo,
commento e studi introduttivi di Carlo Giussani, Torino, E. Loescher (importante edizione critica, tuttora
fondamentale). De rerum natura, Edizione critica con introduzione e versione
Enrico Flores, 3 Napoli, Bibliopolis, Traduzioni italiane Della natura delle cose
libri sei tradotti da Alessandro Marchetti, Londra, per G. Pickard. La natura,
libri VI tradotti da Mario Rapisardi, Milano, G. Brigola, 1880. Della natura,
Armando Fellin, Torino, POMBA. Della natura, Versione, introduzione e note di
Enzio Cetrangolo, Firenze, Sansoni, La natura delle cose, Introduzione di Gian
Biagio Conte, Traduzione di Luca Canali, Testo latino e commento Ivano Dionigi,
Milano, Rizzoli, 1990. La natura, Introduzione, testo criticamente riveduto,
traduzione e commento di Francesco Giancotti, Milano, Garzanti (Per la specifica sul De rerum natura si rimanda a
tale voce) V.E. Alfieri, Lucrezio, Firenze, Le Monnier, A. Bartalucci,
Lucrezio e la retorica, in: Studi classici in onore di Quintino Cataudella,
Catania, Edigraf, M. Bollack, La raison de Lucrece. Constitution d'une poetique
philosophique avec un essai d'interpretation de la critique lucretienne,
Parigi, Les editions de Minuit, 1978. G. Bonelli, I motivi profondi della
poesia lucreziana, Bruxelles, Latomus, Boyancé, Lucrezio e l'epicureismo,
Edizione italiana Alberto Grilli, Brescia, Paideia, D. Camardese, Il mondo
animale nella poesia lucreziana tra topos e osservazione realistica, Bologna,
Patron,. Luca Canali, Lucrezio poeta della ragione, Roma, Editori Riuniti, Luciano
Canfora, Vita di Lucrezio, Palermo, Sellerio, G. Della Valle, Tito Lucrezio
Caro e l'epicureismo campano, Seconda edizione con due nuovi capitoli, Napoli,
Accademia Pontaniana, 1935. A. Gerlo, Pseudo-Lucretius?, in: «L'Antiquité Classique»,F.
Giancotti, Lucrezio poeta epicureo. Rettificazioni, Roma, G. Bardi, 1961. F.
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testi annotati e tradotti, Bologna, Patron, 1989. G. Giardini, Lucrezio. La
vita, il poema, i testi esemplari, Milano, Accademia, 1974. S. Greenblatt, Il
manoscritto. Come la riscoperta di un libro perduto cambiò la storia della
cultura europea, traduzione di Roberta Zuppet, Milano, Rizzoli, H. Jones, La tradizione epicurea, Genova,
ECIG, R. Papa, Veterum poetarum sermo et reliquiae quatenus Lucretiano carmine
contineantur, Neapoli, A. Loffredo, [1963]. L. Perelli, Lucrezio poeta
dell'angoscia, Firenze, La Nuova Italia, L. Perelli, Lucrezio. Letture critiche,
Milano, Mursia, A. Pieri, Lucrezio in Macrobio. Adattamenti al testo
virgiliano, Messina, Casa Editrice D'Anna, V. Prosperi, Di soavi licor gli orli
del vaso. La fortuna di Lucrezio dall'Umanesimo alla Controriforma, Torino, N.
Aragno, G. Sasso, Il progresso e la morte. Saggi su Lucrezio, Bologna, Il
Mulino, R. ScarciaE. ParatoreG. D'Anna, Ricerche di biografia lucreziana, Roma,
Edizioni dell'Ateneo, O. Tescari, Lucretiana, Torino, SEI,O. Tescari, Lucrezio,
Roma, Edizioni Roma, A. Traglia, De Lucretiano sermone ad philosophiam
pertinente, Roma, Gismondi, 1947. Scritti letterari Luca Canali, Nei pleniluni
sereni. Autobiografia immaginaria di Tito Lucrezio Caro, Milano, Longanesi, E.
Cetrangolo, Lucrezio. Tragedia, Roma, Edizioni della Cometa, Tiziano Colombi,
Il segreto di Cicerone, Palermo, Sellerio, 1993. Piergiorgio Odifreddi, Come
stanno le cose. Il mio Lucrezio, la mia Venere, Milano, Rizzoli, Alieto Pieri,
Non parlerò degli dèi. Il romanzo di Lucrezio, Firenze, Le Lettere, Epicureismo
Esistenzialismo ateo Storia dell'ateismo Tito Lucrezio Caro, su
TreccaniEnciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Tito Lucrezio Caro, in Enciclopedia Italiana,
Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Tito Lucrezio Caro Opere di Tito Lucrezio
Caro, su Liber Liber. openMLOL, Horizons
Audiolibri di Tito Lucrezio Caro, su LibriVox. Goodreads. De Rerum Natura:
testo con concordanze e liste di frequenza, su intratext.com. Intervista a Luca
Canali su passioni e razionalità in Lucrezio, dall'Enciclopedia multimediale
delle scienze filosofiche, su conoscenza.rai. Analisi critica del pensiero di
Lucrezio, su lucrezio.exactpages.com. V D M EpicureismoFilosofia
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romaniFilosofi romani 15 ottobre Roma Tito Lucrezio Caro Atomisti Epicurei Filosofi
atei Lucretii Storia dell'evoluzionismo Pre-esistenzialisti Personalità
dell'ateismo. Refs.: Lucretius, in The Stanford Encyclopaedia. Alma
figlia di Giove, inclita madre Del gran germe d'Enea, Venere bella,
Degli uomini piacere e degli Dei: Tu che sotto i girevoli e
lucenti Segni del cielo il mar profondo, e tutta D’ animai d'ogni
specie orni la terra, Che per se fora un vasto orror soUngo :
Te Dea , fnggono i venti: al primo arrivo Tuo svaniscon le nubi: a
te germoglia Erbe e fiori odorosi il suolo indnstre : Tu
rassereni i giorni foschi, e rendi Col dolce sguardo il mar chiaro e
tranquillo, E splender fai di maggior lume il ciclo. Qualor deposto
il freddo ispido manto L'anno ringiovanisce, « la soave Aura
feconda di Favonio spira,, Tosto tra fronde e fronde i vaghi
augelli. Feriti il cor da' tuoi pungenti dardi , Cantan festosi
il tuo ritorno, o Diva; Liete scorron saltando i grassi
paschi Le fiere , e gonfi di nuor' acqae i fìami Varcano a nuoto e
i rapidi torrenti: Tal da' teneri tuoi rezzi lascivi
Dolcemente allettato ogni animale Desioso ti segue ovunque il
gnidi. In somma tu per mari e monti e fiumi, Pe'boschi
ombrosi e per gli aperti campi, Di piacevole amore i petti accendi,
E cosi fai che si conservi '1 mondo. Or se tu sol della
Natura il freno Reggi a tua voglia , e senza te non vede Del di la
luce desiata e bella, Nè lieta e amabil fassi alcuna cosa:
Te , Dea, te bramo per compagna all'opra, In cui di scriver tento
in nuovi carmi Di Natura i segreti e le cagioni Al gran Memmo
Gemello a te si caro , In ogni tempo, e d’ogni laude ornato.
Tu dunque , o Diva , ogni mio detto aspergi D’eterna grazia, e fa’
cessare intanto E per mare e per terra il fiero Marte, Tu,
che sola puoi farlo : egli sovente D’ amorosa ferita il cor
trafitto Umil si posa nel divin tuo grembo. Or mentr’ ei
pasce il desioso sguardo Di tua beltà, ch'ogni beltade avanza,
E che l’anima sua da te sol pende, Deh ! porgi a lui ,
vezzosa Dea , deh ! porgi A lui soavi preghi , e fa'ch’ ei renda Al
popol suo la desiata pace. Che se la patria nostra è da
nemiche Armi abitata, io più seguir non posso con animo quieto il
preso stile, nè può di Memmo il generoso figlio aS
l^egar sé stesso alla comaa salate. Tu, gran prole di Memmo,
ora mi porgi Grate ed attente orecchie, e ti prepara, Lungi da te
cacciando ogni altra cura, Alle vere ragioni , e non volere I
miei doni sprezzar pria che gl’ intenda. Io narrerotti in che maniera il
cielo con moto alterno ognnr si volga c giri j Degli Dei la natura,
e delle cose Gli alti principi , e come nasca il tutto ; Come poi
-si nutrichi, e come cresca, Ed in che finalmente ei si risolva
: £ ciò da noi nell’avvenir dirassi primo corpo, materia, o
primo seme, o corpo genitale , essendo quello Onde prima si forma
ogni altro corpo: Che d'uopo é pur che’n somma eterna pace
Yivan gli Dei per lor natura , e lungi Stian dal governo delle cose umane
, Scevri d' ogni dolor, d’ogni periglio, biechi sol di lor
stessi, e di lor fuori di nulla bisognosi, e che nè metto Nostro gli
alletti, o colpa accenda ad ira. Giacca l’ umana vita oppressa e
stanca Sotto religìon grave e severa. Che mostrando dal ciel
l’altero capo Spaventevole in vista e minacciante ne soprasta. Un
iiom d’Atene il primo e, che d’ergerle incontra ebbe ardimento Gli
occhi ancor che mortali, e le s’oppose. Questi non paventò nè eie!
tonante Nè tremoto che ’l mondo empia d’ orrore , Nè fama degli
Dei, nè fulmin torto j Ma qual acciar su dura alpina cote quanto
s’agita più tanto più splende. Tal dell’animo suo mai sempre invitto
Nelle difficoltà crebbe il desio a Di spezzar pria
d'ogni altro i saldi chiostri, E r ampie porte di Natura aprirne.
Cosi vins' egli , e con l' eccelsa mente Varcando oltre a' confin
del nostro mondo, e bastante a capir spazio infinito. Quindi
sicuramente egli n’ insegna Gid che nasca o non nasca, ed in qual
modo Ciò che racchiude l' Universo in seno Ha poter limitato , e
tcrmin certo : E la religion co’pié calcata, L' alta
vittoria sua c’ erge alle stelle. Nè creder già che scelerate ed
empie sian le cose eh’ io parlo. Anzi sovente L' altrui religion ne’
tempi^antichi Cose produsse scelerate ed empie. Questa il
fior degli eroi scelti per duci Deir oste argiva in Aalide indusse
Di Diana a macchiar l' ara innocente Col sangue d' Ifigenia , allor che
cinto di bianca fascia il bel virgineo crine vid’ella a se davanti in
mesto volto Il padre, e alni vicini i sacerdoti Celar 1’ aspra
bipenne , e '1 popol tutto Stillar per gli occhi in larga vena il
pianto Sol per pietà di lei , che muta e mesta Teneva a terra le
ginocchia inchine. Nè giovi punto all’innocente e casta povera
verginella in tempo tale , Ch’ a nome della patria il prence
avesse All’ esercito greco un re donato ; Che tolta dalle man
del suo consorte Fu condotta all’ aitar tutta tremante: Non
perchè terminato il sacrifizio, legata fosse col soave nodo d’un
illustre imeneo. Ma per cadere Nel tempo stesso delle proprie nozze
A* piè del genitore ostia dolente per dar felice e fortunato evento
All' armata navale. Error si grave Persuader la religion poteo. Tu stesso
dall’orribili minacce de’ poeti atterrito, a i detti nostri di negar
tenterai la fe dovuta. Ed oh, quanti potrei fìngerti anch'io Sogni e
chimere, a sovvertir bastanti Del viver tuo la pace, e col timóre
Il sereno turbar della tua mente. Ed a ragion, che se prescritto il
fine vedesse l'uomo alle miserie sue. Ben resister potrebbe alle
minacce Delle religioni, e de' poeti. Ma come mai resister
può, s' ei teme Dopo la morte aspri tormenti eterni. Perchè dell'
alma è a lui 1' essenza ignota: S' ella sia nata, od a chi nasce
infusa, E se morendo il corpo anch' ella muoia? Se le tenebre dense ,
e se le vaste Paludi vegga del tremendo Inferno, O s' entri
ad informare altri animali Per ^divino voler, siccome il nostro
Ennio cantò , che pria d' ogn' altro colse In riva d'Elicona eterni
allori. Onde intrecciossi una ghirlanda al crine FRA L’ITALICA
GENTI illustre c chiara? Bench' ci ne' dotti versi affermi
ancora Che sulle sponde d' Acheronte s' erge Un tempio sacro a gl'
infernali Dei , Ove non 1' alme o i corpi nostri stanno.
Ma certi simulacri in ammirande Guise pallidi in volto, e quivi
narra d’aver visto l'imagine d’Omero Piangere amaramente, e di
Natura Raccontargli i segreti e le cagioni. Dunque non pnr
de’più sublimi effetti Cercar le cause, e dichiarar conviensi Della
luna e del sole i morimenti. Ma come possan generarsi in terra tutte
le cose, e con ragion sagace principalmente investigar dell' alma,
£ dell'animo uman l’occulta essenza, E ciò che sia quel, che
vegliando infermi, £ sepolti nel sonno, in guisa n'empie d’alto
terror , che di veder presente Parne , e d’udir chi già per morte in
nude ossa ò converso, e poca terra asconde e so ben io qual malagevol’
opra Sia r illustrar de’ Greci in toschi carmi L’ oscure
invenzioni, e quanto spesso Nuove parole converrammi usare, non per
la povertà della mia lingua ch’alia greca non cede , e più d’ ogn’ altra piena
è di proprie e di leggiadre vocij ma per la novità di quei concetti
Ch’esprimer tento, e che nuli’ altro espresse. Pur nondimcn la tua
virtude ò tale, e lo sperato mio dolce conforto Della nostr’amistà,
eh’ ognor mi sprona A soffrir volentieri ogni fatica, E
m’induce a vegliar le notti intere, sol per veder con quai parole io
possa Portare innanzi alla tua mente un lume, Ond’ ella vegga ogni
cagione occulta. Or si vano terror , si cieche tenebre
Schiarir bisogna, e via cacciar dall’ animo nn co’ be’ rai del sol,
non già co’ lucidi dardi del giorno a saettar poc’ abili fuorché 1’
ombre notturne e i sogni pallidi , Ma col mirar della Natura , e
intendere D’occulte cause e la velata imagine. Tu, se di conseguir
ciò brami, ascoltami. Sappi , che nulla per diyin volere Pad dal
nalla crearsi, onde il timore, che qaind'il cor d'ogni mortale ingombra
, Vano è del tutto, e se tu vedi ognora Formarsi molte cose in
terra e ’n cielo, nè d'esse intendi le cagioni, e pensi Perciò che
Dio le faccia , erri e deliri. Sia dunque mio principio il
dimostrarti, Che nulla mai si può crear dal nulla. Quindi assai
meglio intenderemo il resto £ come possa generarsi il lutto
Senz'opra degli Dei. Or se dal nnlla- Si creasser le cose, esse di
seme Non avrian d'uopo, e si vedrian produrre Uomini ed animai nel
seti dell' acque, nel grembo della terra uccelli e pesci, e nel vano
dell’aria armenti e greggi; Pe' luoghi culli, e per gl' inculti il
parto D'ogni fera selvaggia incerto fora; Nè sempre ne darian
gl'istessi frutti Gli alberi , ma diversi ; anzi ciascuno D' ogni
specie a produrgli allo sarebbe. Poiché come potrian da certa madre nascer
le cose, ove assegnati i propri semi non fosser da ^Natura a tutte 1
Ma or perché ciascuna è da principi certi creala , indi ha il natale ed
esce Lieta a godere i dolci rai del giorno, ov'è la sua
materia e -i-vorpi primi: E quindi nascer d'ogni cosa il
tutto Non può, perchè fra loro alcune certe cose hall l'interna
facoltà distinta. Inoltre ond' è che primavera adorna sempre è
d’ erlie e di fior? che di mature Biade all' estiv' arsura ondeggia il
campo? e che sol quando Febo occupa i segni O di Libra o di Scorpio,
allor la vite Suda il dolce liquor che inebria i sensi? Se non
perché a'ior tempi alcuni certi Semi in un concorrendo, atti a
produrre Son ciò che nasce, alJor che le stagioni Opportune il
richieggono, e la terra «I Di rigor genital piena c di succo ,
Puote all’ aure inalzar sicuramente Le molli erbette e l’altre cose
tenere i che se pur generate esser dal nulla Potessero, apparir dovrian
repente In contrarie stagioni e spazio incerto , Non vi essendo
alcun seme , che impedito Dall' Union feconda esser potesse O per
ghiaccio o per sol ne' tempi avversi. Né per crescer le cose avrian
mestiere di spazio alcuno in cui si unisca il seme, i' elle fosser
del nulla atte a nutrirsi. Ma nati appena i pargoletti infanti
Diverrebbero adulti , e in un momento Si vedrebber le piante inverso il
cielo Erger da terra le robuste braccia. Il che mai non
succede. Anzi ogni cosa cresce, come conviensi , a poco a poco,
E crescendo, conserva e rende eterna La propria specie. Or tu
confessa adunque Che della sua materia , e del suo seme Nasce, si
nutre e divien grande il tutto. S’arroge a ciò, che non daria la
terra il dovuto alimento ai lieti parti. Se non cadesse a fecondarle
il seno Dal del 1' umida pioggia, e senza cibo propagar non
potrebber gli animali La propria specie, e conservar la vita,
Ond' è ben verisimile, che molte Cose molti fra lor corpi
comuni Àbbian, come le voci han gli elementij Anzi, che sia senza
principio alcuna. In somma ond' è che non forma Natura uomini
tanto grandi e si robusti, che potesser co’ piè del mar profondo varcar
l’ acque sonanti e con la mano sveller dall’imolor l’alte montagne, e
viver molt’ etadi , e molti secoli? L. is known only for his long poem De rerum
natura in which he sets out the doctrines of the Garden. As the only
substantial systematic work of the Garden to survive from antiquity it is a
work of considerable significance. Unfortunately, it is difficult to judge how
accurate an account of the school’s teaching as there is little with which to
compare it. However, the Garden tended towards conservatism in doctrinal
matters and so it isunlikely Lurezio strayed far from orthodoxy. The first two
books of the poem are mainly concerned with espounding atomism, the middle two
are concerned with human nature and knowledge, and the last to analyse a number
of natural phenomena. Tito Lucrezio Caro. Lucrezio. Luigi Speranza, "Grice, Lucrezio, e la natura
delle cose," per Il Club Anglo-Italiano, The Swimming-Pool Library, Villa
Grice, Liguria, Italia. Luigi Speranza, “Grice e Lucrezio: implicatura atomica”
– “implicatura e composizionalita” – “implicatura elementare” – “implicatura
simplex” “implicatura simplice” “implicatura complessa”, “alma figlia di Giove”
--. Lucrezio.
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