Grice
e Mastrofini: l’implicatura conversazionale -- l’implicatura verbale di Romolo –
filosofia italiana – Luigi Speranza (Monte Compatri).
Filosofo italiano. Grice: “I like
Mastrofini; for one, he found how old Roman evolves into what we may call new
Roman, or Italian!” – Grice: “And of course as a philosopher, he focused on the
philosophical terminology – it takes a PHILOSOPHER to translate a philosophical
text!” – Grice: “What I like about Mastrofini” is that he mostly kept with the
cognates. La Crusca adores him!” Noto soprattutto per il volume “Le discussioni
sull'usura” in cui sostenne che non è reato far fruttare il danaro e che né la
Sacra Scrittura, né i Vangeli, né la tradizione ecclesiastica vietavano di
ottenere un giusto interesse per danaro dato a prestito. Questo diede luogo a
molte discussioni ma anche apprezzamenti lusinghieri da economisti dell'epoca e
dall'opinione pubblica. In precedenza aveva
scritto un'opera di economia finanziaria, il Piano per riparare la moneta erosa
relativa all'inflazione nello Stato Pontificio, opera largamente utilizzata per
la riforma finanziaria dello Stato, intrapresa da Pio VII. L'edificio del Collegio Romano ove insegna. Insegna a Frascatii. Nel pieno della
crisi della Repubblica Romana, si trasfere a Roma dove venne nominato
professore di eloquenza presso il Collegio Romano.Torna a a Frascati. Si trasfere
definitivamente a Roma dove assume la carica di consultore della "Nuova
Congregazione cardinalizia per gli affari totius orbis". Produce le traduzioni dei capolavori di Floro,
“Sulle cose romane,” e di Ampelio, “Sulle cose memorabili del mondo e degli
imperi.” Traduce “Le Antichità romane” di Dionigi. Pubblica “Teoria e
prospetto; ossia, dipinto critico dei verbi italiani coniugati, specialmente
degli anomali o mal noti nelle cadenze,” opera che porta un grande contributo
allo studio dell'italiano, utilizzata dall'Accademia della Crusca nella
revisione del dizionario della lingua italiana. Pubblica “Della maniera di
misurare le lesioni enormi nei contratti e uno studio sulla patria potestà e
filiazione, che ha larga eco nei circoli giuridici romani, essendo allora in
corso una causa di riconoscimento di paternità per successione tra i Torlonia e
i Cesarini. Piazza di Monte Citorio. Nell'edificio
dove abitava e morì, in piazza di Monte Citorio il Comune di Roma appose una
lapide con il seguente ricordo: Abita in questa casa -- dotto in filologia,
teologo e filosofo assai più grande che celebrato fissa le incerte leggi dei
verbi investiga felicemente con l’uso della ragione i misteri della scienza
divina S.P.Q.R.» “Dissertazione filosofica” (Roma); “Piano per riparare la
moneta erosa” (Roma); “Ritratti poetici, storici, critici dei personaggi più
famosi nell'antico e nuovo Testamento” (Floro); “Sulle cose romane” (Roma, Ampelio);
“Sulle cose memorabili del mondo e degli imperi” (Roma); Dionigi di Alicarnasso
“Le Antichità romane”, Roma, “Dizionario dei verbi italiani” (Roma); “Metaphisica
sublimior de Deo triun et uno,” Roma, Appiano “Storia delle guerre civili dei Romani",
Roma, Arriano “La Storia”, Roma, ristampata da Sonzongo con il titolo “Delle
cose d'Italia” “Le usure,” Roma, “Amplissimi frutti da raccogliere sul
calendario gregoriano,” Roma, “L'anima umana e i suoi stati,” Roma, “Teorica dei nomi,” Roma, “Teorica e
prospetto de' verbi italiani conjgeniti,” Roma. Dizionario Biografico degli
Italiani, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, Dizionario biografico
degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Il primo fondatore di Roma,
e dell'impero e Romolo, generato da Marte, e da Rea Silvia. Tanto nella sua gravidanza
confessa di sèquesta sacerdotessa: nè la fama ne dubita quando poco appresso il
fanciullo gettato con Remo suo fratello nella corrente per ancenno di Amulio, non
potè soffocarsi. Imperoc chè il padre Tevere ritira dal lido le acque ed una
lupa, lasciati i suoi parti, e seguendo il suono de'vagiti, in boccò li sue
mamelle a' fanciulli, presentando in se stessa una madre. Cosi trovatili un
regio pastore presso di un'arbore, e portatili in casa (2 gli educa. Di que'
giorni Alba, opera di Giulo, e capitale nel Lazio chè avea quegli dispregiata
Lavinia, città del suo padre Amulio. Sopra ttutto sembra inc satto l'intervallo
da Augusto fino a Trajano Eglilo crededi anni duecento ; laddove è di anni
cento due a!l'incircd . M a forse vi è sbaglio nel testo e dee leggersi cento
in lungo di duecento (1) Rea Silvia figliuola di Numitore presedeva al sacerdo
ziodiVesta Quindi è dettaSacerdotessa. Nel testo in casam: questa voce può
sign'ficare capan Tuttavia par verisimile che l'abituro di un regio pastore
fosse alquanto migliore di una capanna. L'espressione italiana comprende ogni
abitazione fosse capanna o no . av. Cr av. R. 26. na Enea dopo finita la
guerra con Turno foudo la città cui chiamò Lavinia dal nome della moglie .
Ascanio , ossia Giulo, peròdi luifigliuolo dopolamortediEneafabbricò A!. ba
Lunga la quale tu capitale del regno per trecento anni Ani. dik .
3.av. Cr. essi viregnava, avendonecacciato il germane suo Numitore, dalla cui
figlia Romolo era n..to . Adunque co stui nel primi bollore degli anni caccia
Imulio suo zio dal principato, el'avoloviri pone. In tanto egli amante del fiume
e de’monti, vicino a'quali era stato educato, meditava lemura di una nuovacitt).
Ma l'unoe l'altro essendo gemelli; p acque loro consultare gl'ld dj , qual
de’due le fondasse e vi dominasse . Per tantoRemo andossene al monte Aventino, el
altro al Palatino. Colui pel primo vide sei avoitoj: posteriormente videne
l'altro, ma dodici: e vincitore negli augurji nal Area fin quì fatto un'abozzo
di citta, piuttosto che una città; mancandole gli abitanti. Ma siccome riina
neale vicino un bosco;eg! 2feceunasilo; edisubia tovisiadund moltitudine prodigiosa
di uomini, Latini, e Toscani pastori , eGo ancotras marini , sia d e ' Frigj
venuti con Enea, sia degl’Arcadi con Evantro. Cosi quasida varii eleinenti , ne
trasse un corpo solo; e fu per lui creato il popolo romano Vi quel popolo di uomini era cosa di una sola
generazione. Si chiesero dunque de’matrimonj da'confinanti; e sccome non si
otteneano; furono con laforza espugnati. Imperocchè finti de 'giuochi equestri
, le vergini accorse per lo spets 747. incirca. Finalinente Romolo inalzò Roma che
diverrebbeca. C o . za una città pieno di speranza, che guerriera diverrebbe;
tanto ripromettendogli quegli uccelli, consueti a 7 LIBio sangue e prede
.Sembrava che in difesa della puova cit tá basterebbe un vallo; se non che
deridendo Remo le angustie di questo, anzi condannandole con saltarle, fu
trucidato; è dubbio se per comando del fratello; ma certo ei ne fu la prima
delle vittime; e consacra col sangue suo le fortificazioni della nuova città .
Av. Cr. R.2 so 52 7> ro dell'Italia e del mondo , PRIMO 13 (+)
Spoglie opine eran quelle che un comandante toglieva all'imperadore o supremo
comandante nemico uccidendolo di sua mano. Queste furono così rare; che se ne contano
appena tre. Le prime le riportò Romolo contro di Acrone. Le seconde Cornelio
Cosso contro di Tolunnio. E le terza Marco Marcello su Viridomaro. Giove poi fu
detto Feretrie o perchè a lui ferebantur si portavano le spoglie opime, o
perchè ferisce col fulmine; o perchè nell'acquistare le spoglie opime un
capitano feriva l'altro con la spada. Era questo un bel mantenere le promesse e
intendere di dare alla donzella gli scudi perchè gli scudi le vibravano
opprimendola . Questo metodo di mantenere le promesse , ras somiglia a quello
usato dalla fanciulla per consegnare una porta creduta da Floro senza inganno o
cone noi abbiamo tradotto , senza malizia , perchè non chiedeva danaro , ma gli
scudi o li braccialetti. Potrà inai persuadere questa ragione? La vergine, che quisi
addita, secondo ValerioMassimo 9.6.I.erafigliuoladi Spur.Tarpejo il quale a tempi
di Romolo presede alla fortezza:c coleiera uscitaper prenderc acqua pe’santi
riti, tacolo, furon preda, e cagione immediata di guerre. Furono I Vejentirespintie
fugati: lacittàdi Ceninafu presae diroccata: inoltre lo stesso monarca ne riporta
con le sue mani a Girve Feretrio le spoglie ooiine del re. Ma le nostre porte
furon date a Sabini per una donzella; nè già con malizia: ma chiesto avendone
la fanciulla in ricompensa ciocchè essi portavano alle sinistre , gli scudi
forse o li braccialetti; coloro e per m a n tenere a leila promessa e per
vendicarsene la oppressero congli scudi. Ricevuti in tal modo fra le mura i
nemici ne sorse nel foro medesim »un'atroce battaglia; tanto che Romolo prego
Giove che arrestasse la fuga vi tuperosa de’ suoi. Quindi ebbe origine il
tempio , e Giove Statore . Finalmente le donzelle in lacere chiome
s'intrammiseroadessiche infierivano.Cosìfulapace riordinata , e stabilita
l'alleanza con Fazio . Donde ne.diR. Cr. bandonati i lor domicilj, sen
passarono alla nuova città, consociando co'nuovi generi loro gli aviti beni per
dote. Accresciute in poco tempo le forze da il sapientissimo re quest: forma
alla Repubblica. E la gioventù divisa in tribà con cavalli ed armi perchè
sorgesse nelle subire guerre: fosse il consiglio su pubblici affari ne’ seniori,
i quali si chiamano pari arringando dinanzi la città presso la palude della
capra, e di repente levato di vista. Alcuni pensano che i senatori lo
trucidassero per la ferocia dell'indole di lui. Dopo la morte di Romolo il
trono resta privo di sovrano per un'anno, comandando in tanto a vicenda i senatori
di cinque in cinque giorni. Quello spazio fu chiamato interregno. Il magistrato
a forma d'interregno ha luogo ancora ne'se. coli posteriori quando I consoli
occupati in lontane azioni non potevano intervenire ai coinızj;o quando erano
costretti a depor. 14 LIBRO dir. seguitò, cioc chèè portentoso a dire, che
inemiciab 7.av. Cr. diR. 38. l'autorità, ma per la etaS.nuto. Ordinate in tal modo
le cose, egli SI CONDO Tav. 37 av 713 so non che la tempesta e l'oscurarsi del
sole presentaroncincid le imnagini con e di una santa operazione: alla nuale
poco appresso diè credito Giulio Proculo coll'offermare; che Ronolo si era a
lui dato a vedere Cr 743. informa più augusta della consueta; e che imponeva
che per Dio se lo prendessero. Piacere a Numi che egli sichiami Virinoin sul cielo.ContalmezoRoma
con quisterebbe le genti
.E'naturadelVerbodiesprimerel'afermazioneelanegazione.E siccome Essere e non
essere esprimono appunto per se stessi l'affer mazione e la negazione; ne
seguita che il verbo Essere preso nuda mente, o preceduto dalla particella
non,è verbo per natura e per ec cellenza. Comunemente la voce essore è nota col
nome di verbo so slantivo, perchè esprime l'esistere, o l'essere di sostanza.
Le qualità che si affermano o negano possono aversi distinte o no,
dall'affermazione,o negazione. Nel primo caso l'affermazione o negazione si
addita col verbo essere,come si è detto. Ma nel secondo caso risulta un nuovo
ordine di verbi più composti; appunto per chè in essi è riunita l'affermazione
o negazione colle qualità chesi affermano o negano: tali sono amare, godere,
odiare, piangere & c. che significano essere nell'amore, nel gaudio, tra
l'odio, o tra 'l pianto. Questo secondo genere di verbi ha servito
incredibilmente a variare e fecondare il discorso, in somma alla dolcezza dell’wloquenza,
e del la Poesia. Chi afferma e nega, o afferma e nega dise stesso,che sichia ma
persona prima, o di altri a cui parla, che si chiama persona se conda, o di
soggetto a cui non si parla,e si chiama persona terza. Per altro questepersone
possono essere una, o più, cioè possono ri guardarsi in singolare o plurale. E
'naturale che tanto nella nostra q u a n to nella più parte delle lingue
s'introducesse l'uso di finire il verbo diversamente secondo ladiversità
dellepersone,e del numero.E quin di abbiamo amo ami ama,amiamo amate amano. E
potendo il discorso riguardare cose presenti, cose cominciate e non finite, cose
passate, più che passate, e future; fubenevaria. Anzi siccome le proprietà si
affermano o negano assolutamente, o sotto certi rapporti e condizioni; cosi li
verbidivennero parole terminate diversamente secondo la persona, il numero , i
tempi, e i modi di affermazioni e negazioni assolute o relative. S. 1. re
il verbo secondo la persona,il numero, e i tempi. a I 6. Questi
modisono cinque: Indicativo, Imperativo, Ottativo, Congiuntivo, ed Infinito. L'indicativo
dimostra assolutamente che una cosa è, fu, sara; e perd vien detto ancora
assoluto e dimostrativo. Cosi Pietro ama amò amerà le scienze, forme tutte dell'Indicativo, dichia.
ranoche Pietro amo, ama, ed amerà, assolutamente. L'Imperativo esprime comando,
preghiera, avviso, consiglio, esortazione di far qualche cosa, e con una sola
voce si vuol esprimere il comando, preghiera &c, e l'azion e che deve
farsi. Tale sarebbe amatu, amerai til, ameremo noi &c. Pertanto si esprime
l'azione ed il modo col quale si fa, cioè per comando, preghiera &c;
laddove nell'Indicativo mancano questi rapporti. L'Ottativo esprime desiderio
di fare una cosa, giusta i varii tempi; e per questo è detto ancora
desiderativo, e tale sarebbe, “O se amassi,ioamerei, O avessi amato,lo
avreiamato &c. Il congiuntivo è così detto perché si adopera quando si vuo
le congiungere il discorso con altre cose precedenti, e perd siegue le
particole sebbene, quantunque, conciossiacosache &c.Tále èquel di Petr.
Italia mia, benchè il parlar sia indarno & c. E talequel
diBocc.6.7.n.2.perl'amorediDio,comechèilfattosia& c. Tra i Greci l'Ottativo
ha le sue desinenze tutte diverse dal congiun tivo: ma nella lingua latina e
nella nostra l'ottativo adopera le stesse voci del congiuntivo, se ben si
rifletta. Il verbo si dice di modo finito o deterininato finchè si concepisce indicativo,
imperativo, ottativo, congiuntivo. Ma talvolta esprime indeterminatamente
qualche proprietà senz'additare ne persona, nè numero, come amare, leggere, &c.,
ed allora si chiama di modo infinito cioè indefinito ossia non determinato. La
varia desinenza di un verbo secondo le persone, il numero, i tempi, ed i modi
si chiama conjugazione. Ed i verbi si dicono di una conjugazione medesima o
diversa, secondo che rassomigliano o no nel complesso di queste desinenze. E
siccome queste si diversificano secondo la diversità dell'infinito; e l'infinito
puo terminare in -are, in -ere lungo e breve, ed in -ire; cosi tre sono le
conjugazioni della nostra lingua. Tutti gl’infiniti terminati in -are si dicono
della prima conjugazione come amare, balzare, danzare. Tutti quelli terminati
in -ere sichiamano della seconda, o l'infinito sia lungo o breve, come
temère,cadère, giacère, &c., e come credere, discendere, volgere, &c. I
latini di queste due desinenze ne faceano due conjugazioni diverse, come docère
e legere. Nè mancato è purtra gl'Italiani chi abbia concepite diverse le
conjugazioni secondo l'infinito lungo o breve. Ma siccome, tolta la pronunzia
lunga e breve dell' infinito, non vi sono altri divari, parlando regolarmente;
e siccome la pronunzia concerne il modo di significarlo in voce, non la forma del
verbo; così piùra gionevoli sono quelliche rinnisconoin una
conjugazionegl'infinitiin ere lunghi o brevi. Spettano alla terza tutti i verbi
terminati in -ire, come sentire,uscire&c. Chi si propone per iscopo
di presentare il prospetto de'verbi italiani dee porre sott'occhio le varie
desinenze di essi giusta i modi, I tempi, il numero, e le persone nelle varie
conjugazioni. E cið ė propriamente che noi cercheremo di eseguire. Per vedere
però più da presso il suggetto, anzi fin dalle origini, ed in tutta l'ampiezza
sua, divideremo quesť opera in due parti. La prima e tutta di Teoria e di Prospetto
generale; ed esporremo in essa 1.come le conjugazioni latine sian si
trasformate e si trasformino nelle presenti d'Italia: 2.la dipendenza comune
de' nostri verbi dall'infinito, e 3. per ogni conjugazione il prospetto di qualche
verbo che serve di norma in tutti i simili e regolari: come del verbo amare per
la prima, de'verbi temere e credere per la seconda, e de'verbi sentire ed
aborrire per la terza. Anteporremo per altro a tutti il verbo “essere” come
principio di ogni verbo, e quindi il verbo “avere” che prossimo gli succede,
esprimendo la sostanza, che passa ad ottenere in generale delle proprietà. E
ciò tanto più dee farsi; che senza questi due verbi, però detti “ausiliari, non
possono formarsi le tre conjugazioni divisate degli altri verbi. Dato cosi
principio e norma al prospetto di tutti i verbi regolari, verremo alla seconda
parte ed esporremo ad uno ad uno per ordine alfabetico i principali tra' verbi anomali
cioè quelli che in qualche tempo escono dalla legge consueta, ed i quali
servono spesso di regola per altri anomali non dissimili. Il prospetto e
distinto in quattro colonne. Nella prima si avranno le voci corrette, nella
seconda le antiche, nella terza le poetiche, e nella quarta le non ben certe, gl'idiotismi
e gli errori. Si avverta che non tutte le antiche sono affatto dismesse, anzi
talvolta usate a tempo adornano la scrittura: come pur le poetiche non tutte
sono così della poesia che non servano talora alla prosa. Il che si conoscerà dalle
note. Gli errori son sempre errori. Gl'idiotismi poi sono voci usate nel
parlare e nello scrivere familiare, non perd nelle belle scritture, sebbene
talvolta vi scorrano per incuria e per arbitrio degli scrittori che le decidon
per buone, o vogliono nobilitarle con la fama già da essi acquistata. Per
compimento dell'opera spesso porremo in fine del prospetto il participio ed il
gerundio.Il primo é propriamente un nome tratto dal verbo. Dicesi participio
perchè partecipa del nome e del verbo: e come nome si declina, e come tratto
dal verbo esprime un qual che significato di questo. Tali sarebbono amante, amato.Tra’Latini
si aveano participii presenti, passati, future: “amans”, “amatus” “amaturus”. Presso
noi non si hanno che li presenti, e li passati che sono “amante”, “amato,” temente,
temuto.Tra’nostri antichi furono ideati anche i futuri come fatturo, perituro&c,ma
non ebbero buon successo, nè più vi si pensa. Il participio passato sarà
descritto per lo più nella formazione de' tempi più che passati: laddove il
participio presente si troverà nel fine de' prospetti. Un tal participio può
essere messo informa diaggiunto e di attributo come se io dicessi: la virtù
possente, e la virtù a2 3 ,: il participio si riguarda anzi come
adjettivo, che qual participio. Per chè sia participio con ogni proprietà, dee,
quando si risolva, signifi care come i participj latini: come se dicesi canto
possente a diletta re: schiere seguenti le altre & c. E ciò rileva
conoscere perchè non di raro si anno gli esempj anzi di adjettivi che di
participi , e noi pur he useremo in mancanza di participi, tali per ogni
rispetto. Gerundio tra noi e tra' latini è una voce tratta dal verbo, la qual
significa le affezioni di questo, ma la quale non si declina come il nome, nel
che differisce dal participio: come amando, credenádo, temendo, sentendo. Da'quali
esempj risulta che il Gerundio delle prime conjugazioni finisce in -ando e
delle altre in -endo. L'uso di tali gerundi è frequentissimo nell'italiano in
luogo ancora de'partici pj presenti. Ma veniamo all'argomento, Come le
Congiugazioni Latine siansi trasformate e si trasformina nelle Conjugazioni
presenti d'Italia.Tutte le vocali latine, finali di parole intere, nè seguite
da consonanti, si conservano.Così in amo amare si conserva l'O di amo, e l'E di
amare.Tutte le consonanti finali sitra lasciano o mutano: le consonanti sono M,
S, T, NT, ST. Nel caso di NT si cambia il T in O, e però non si lascia che il T
amant amano, amarunt amarono: ma talvolta tutto l'NT si muta in RO : amassent
amassero: sebbe ne in questo e simili casi può sempre rimanere la regola di
mutare il solo T in o dicendosi ancora amassono. Vedi il prospetto di
amare.Tutti gli U finali seguiti da M o da S si cambiano in 0: possum posso: amamus
amiamo: ma se gli U sono seguiti da NT si cambiano in o nei presenti e nei
passati, ma nei futuri in AN. Così da legunt si trae leggono, e da amabunt
ameranno.Tutti gli A ovvero gli E precedenti immediatamente l'S finale si
mutano in I amas ami, times temi: e cosi da timeas abbiamo tu temi, e da legas
tu legghi. Il che basta a conservare la regola, ma ora si dice anche tu tema, e
tu legga. Tutti gli E, ogl'I precedent gliA, oppure gli O finali, si lasciano affatto.
Timea temo,timeam icma. Sentio sento: sentiam io senta, 4 è possente: il
fuoco bruciante, e il fuoco è bruciante: ma in tal caso NOZIONI
ARCHEOLOGICHE. Non dee sperar di
comprendere il trattato che qui soggiungo se non chi conosce per le gli altri
ne differiscano la lettura. sue regole l'idioma Latino e l'Italiano: 3. non si
$. Tutti gl'I precedenti gli S finali in singolare si conservano assumendo nel
futuro un A precedente: legis leggi:a ma bisamerai, edin pluralesimutanoin E:
legitis leggele. Tutti gl'Iseguitidal soloTfinalesubisconoun cambiamento
secondo itempi. Ne'presentisi cambiano inE, ene'fu turiinA accentatolegiilegge,
creditcrede:amabitameră,timebio temerà. Per i preteriti perfetti ne diremo più
innanzi. Tuttii B avantil'afinalene gl'imperfettisi cambianoinV consonante,ed
avanti l'O, l'I,o l'U finale del futuro, li B. caratteristichi della
conjugazione del tempo si cambiano in R. Quindi si trae amerò da amabo, ma da
belabo si forma belerò senza mutarne il primo B; perchè questo è proprio del
verbo, e non della formazione del futuro. 2. Queste regole sono ordinarie.
Vediamolo. LATINO amatis est amamo reg.3. e 2, ora amianio sono sono Ed eccone
la maniera. Dalle regole 3. e 2. è chiaro che la prima persona debba essere so
e l'ultima sono. Ora dee sapersi che appunto tra gli antichi si trova non poche
volte so per sono in pri ma persona.B. Jacop. Poes. Spirit.Venez. 1617. lib. 4.
cant.28. stanz. 12. sei amamus es еè sumus somo este credit & c. ama
reg. 2 credi reg. 2. amas sentit & c. Amo reg.i. Vedo reg.4. vedireg.4.
vede reg. 2. senti reg.2: Amo amat amant amano reg. 2. Dicasi altrettanto di
Video vides videt & c. credo ITALIANO ami reg. 4. e 2. 3. Applichiamo
queste regole al presente del verbo sostantivo : Sum amate reg. 5. e 2, sente
reg.6. credis credo So e finalmente Sono i 5 se, estis semo siamo sunt sete
siete sentio sentis crede reg. 6. sento reg. 4. lo so nulla: ho peccalo: Mi
exalto quantoposso. e cant. 3. st. 2. del lib, stes. A pinger laer
so dato. E GIUSTO de Conti nella bella mano pag. 39. La seconda persona es fu
trasposta e non altro, facendo prece dere l'S. Quindi gl’antichi dicevano
comunissimamente se anche senz'apostrofo per seconda persona: come Petrarca, Boccacci,
Albertano, ed altri: ALBERTAN.ediz. di Fir.cap.23. Selegaloamoglie? non
domandare di scioglierti. Se sciolto da moglie? non domandar di legarti.E
piùsotto: esìselenuloditantoamarla moglie.PETRARC. canz. 26. v. 77.
ediz.Comminiana Spirto beato,quale 6 Se,quando altruifaitale? e altrove
più e più volte. IlDecamerone secondo la ediz.1718. col la data di Asterdam ne
è pieno. Senza questa origine che fa cono scerecheseper seconda persona è voce
interaenon accorciata, non s'intenderebbe, perchè gl’antichi spesso non
l'apostrofassero. Tutta via perdistinguerla a prima vista da se pronome, e condizionale,
convenne in qualche modo contrassegnarla, e si fece uso dell'apostrofo: e
servendo questo a notare le voci scorciate; si riguardo se persona seconda, come
scorciata, quando nonera:e perchè tutte le seconde persone singolari presenti
dell'indicativo terminano in I Reg.4.e seguendo le leggi generali, tal persona nel
verbo sostantivo avrebbe dovuto essere un I. Così poco a poco si ricongiunse se
ed i in sei, ed ora si crede questa la voce intera di tal persona.E cid
supposto quan do si scrive se per indicarla, si apostrofa, quasi fosse uno
scorcio di Signornonè giovato Mostrarmi cortesia: Tanto so slato ingrato ! e
altrove spessissimo.E GUIDO Guinzelli Rime antic. appresso la bel la mano ediz.
di Firenz. 1715. Come io so avvolto nel Lenace visco; e se ne hanno esempj
ancora nelle letterediS. CATERINA,inFr.Gi. ROLAMO daSienanel1.Tom. delle delizie
degli eruditi Toscani, ed in altri:vedi vocab.diS.CATER.alla voce essere: ma so
trovasi parimente persona del verbo sapere, nata da sapio sapo sao so:ovvero da
scio regola 5. scosso so: la prima derivazione è di Menagio: a m e piacerebbela
seconda. Ma torniamo all'intento: siccomesoera voce ancora del verbo sapere, e
siccome il saper vero è di tanto posteriore all'essere. Così per togliere ogni
equivoco, sivolle piuttosto ridurre ilso del verbo essere in sono che lasciarlo
indistinto col so del verbo sapere. Chi dunque considera che il primo verbo italiano
essere ha la voce sonoperesprimere la prima singolare e la terza plurale, sappia
chequesto è stato un male di origine, voglio dire è provenuto dalla figliolanza
della Italiana dalla lingua latina, in forza delle leggi universali, che per
tanta combinazione di circostanze cooperarono a trasmutare l'una nell'altra
. s e i : nè chi procede con tal veduta può riprendersi: ma in
origine non vi era bisogno, e più che apostrofarsi, avrebbe dovuto accentarsi.
sero eepere.ALBERTAN. Giud. cap.51. Dal savio uomo eeda temere lo nimico. Or
cid fecesi per distinguere e del verbo, dalla congiunzione e, come pure dal
pronome ei solito ad apostofrarsi, e dallacongiunzione e seguita dall'articolo plurale
iliqualiduee iriunitisi rendeanopere: ma coltempo, la varietà dell'apostrofe e
dell'accento pote contrassegnare e diversificare abbastanza l’e del verbo dagliedi
altro valore: vediesseren.Trovasi ancora fra gl’antichi este per è m a
rarissime volte: vedi Gradidi S. GIROLAM .ediz. Fir.1729. in finealla voce
este; finchè preval sero le regole generali anzidette. Da sumus uscirebbe sumo
o somo, e non semo: ma siccome tutte le prime persone plurali dell'indicativo
presente nelle seconde conjugazioni presero la desinenza in “-emo,” come avemo,
tememo, &c.,così da sumus fu tratto semo: ovvero siccome tutte le persone
prime plurali ora pe'rincontri della forma loro anno rapporto con la seconda
per.sona singolare tanto che sono un composto di questa con qualche a g giunta,
come “amiamo” da ami ed amo, temiamo da temi ed amo & c;e siccome tal
seconda singolare era se nel presente indicativo di essere,
quindineuscisemoepoisiamo. Chi conosce gliantichisa quanto è familiare l'uso di
semo. Ne allego un esempio dalla vita nuova di Dante pag.13. perchè semo noi
venuti a queste donne? E Fra Jacop. lib.1.sat,5. Uomo pensa di che semo. Di che
fummo, et a che gimo. Vedi il prospetto del verbo Essere In forza delle regole
generali la seconda plurale sarebbe estes. ma trasponendo l'savantil'Ecomenel singolare
per uniformità maggiore con sono, sei, siamo; sen'ebbe sele, e questa appunto è
la voce degliantichi: siconsulti il verbo esserenot.5. finalmentesiag. giunse
un I per dolcezza o per distinguere tal voce da alcuni sostantivi e sen ebbe
siete, che ora è la voce più propria di questa persona. Apparisce dunque per
quali gradi e per quali mutamenti siasi formato il presente come ora si usa del
verbo essere, La terza persona si esprime con la voce e, che appunto ri sponde
all'est latino lasciatene le consonanti secondo la regola 2. ma gl’antichi, prima
che la lingua si modellasse in tutto, non di raro dis 7 Preferiti
Imperfetti Amabam amabas amabat amabamus amabatis amabant Amaya reg.2.7.
amavireg.2.4.7. amava reg.2.7. amavamo reg.7.3. 2. amavate reg.7.5.2. amayano
reg.7. 2. Temeva &c. legebam leggeva e e da sentiebam
lasciatone l’I che è quel di sentio reg. 4. si ha sen leva com e era nelle
origini prime, nelle quali, tutto risentiva di conjugazione seconda tra
gl'italiani ne' verbi provenienti dalla quarta de'latini:non è raro che senteva
si oda anche ora tra' contadini più corrotti che sono gli ultimi a correggersi:
e finalmente fu detto sentiya sentivi & c.lasciando l'E per l'I. Per queste
regole e questi progressi apparisce che la prima persona dell'imperfetto doveva
terminare in A amava temeva legge va sentiva. Al presente i filosofi ed i
gramatici si meravigliano,per chè la prima e terza persona singolare combinino,
e perchè la prima non siasi terminata in O. Ma la meraviglia cessa, se riflettasi
che al cambiarsi del latino nell'italiano, si prendevano di netto I vocaboli
antichi, nè si aveano di mira che certe regole, come le indicate di sopra, per
contornarli di nuovo. E siccome tutte le prime singolari degli imperfetti
levatane la terminazione latina in M ; restavano amaba lege ba ec; cosi mutato
il B in V non poté farsi a meno d'incorrere nel lo scoglio anzidetto: molto più
che in que'tempi non faceasi poco, se le parole non sapevano di latino. Veduto
come siasi introdotto l'equivoco, ora tocca ai filosofi di emendarlo: tanto più
che non siamo poi scarsissimi di esempii antichi pe'qualisi compionoin o le
persone primesingolari dell'inperfetto: de'quali mi piace allegarne qui alcuni riserbandone
altri ailor verbi nel prospetto. Petrar. Vit.dePontef.edImperadori: vita di Caligola,
lo pregavo ogni giorno che Tiberio morissi. Così pure leggiamo in Fr.
Jacop.1.4.can.38. Lacagiondelmalfuggivo.Cavalc.Epist.di S. Girol. ad Eusloch.
cap. 3. ediz. Rom.. E vedendomi io venir meno quasi ogni rimedio ed esser
privato di ogni ajuto, gittavomi a' piedi di Cristo&c.... iratoame medesimoerigido,solomimet
tevo per li diserti, e dove io trovavo più oscure e aspre e profonde valli, e
aspri monti o scogli pungenti o luoghi più aspri e spinosi; ivi mi ponevo in
orazione. Pulci. Morg.c.3.62. lo mi posavo in queste selve strane. Da
Timebam così pure si ebbe C.XI.83. Talch'io pensavo d'aver acquistato. 8
ec.16.44 Per Dio, cugin,ch'i'sognavo alpresente, Che un gran lion mi veniva
assalire. Onď io gridavo, echiamavo altra gente E però E con Frusberta il
volevo ferire. e altrove più volte. Letter.San.CATER.di Sien. ediz.di Aldo pag.
14. a tergo. Dicevo: Signor mio io ti priego & c. e pag. 20. vi aggiunsi
anzi che io volevo in voi la perfezione della carità pag.92.
desideravo divedervi: anzi tal voce desidera vosileggemolte volte
inquelle lettere.Vita B. COLOMBIN.ediz. di Roma pag.9.lo gode voévoinonmilascia
testare,epag.96.adirviilveroio andavo a posarmi;pag.167.0 figliuoli, e fratellimiei
io non meritavo di es ser padre di ianla buona gente;pag. 174. E questa la
compagnia che iodalesperavo,epag.299. pensavoche quanto è maggiore la soggezione
e l'unità ; lanto si vien piuttosto ad aver libertà : Vedi ero n.6. verbo
essere:e n.6. avere. Eram Erant Erate reg. 5. e 2. e quindi Eravate avevano
reg.7. 2. Imperocchè ben è facilissimo concepire, che se cambiavasi in questo
tempo in V il B precedente l'A finale, potevasi cambiare in V parimente anche
l'altro B:anzi parea troppo ragionevole, perchè non si notassetanto di variodi
usiinparole medesime, esifamiliari. E'poi noto, che tutto il verbo “avere” si
scrivea ne'principi, e si scrisse a n cor dopo per lunghissimo tempo con l'H
precedente: ed ora per un progresso, non saprei quanto considerato,si tralascia
ancora nelle vo ci,che forse ne abbisognano. Ma giova esaminare ancora
come siansi trasformati gl'imper fettide'verbi ausiliari: Eccolo 9. Si possono
da tutto ciò comprendere le cause de'cambiamenti prodotti nel presente di
habco:seguiamoli via via, che'non sarà inu tilela ricerca Lasciato l'E dihabeo
reg. 4,e le altre consonanti,e cambiatele giusta le altre regole, risulta 9 Era
reg. 2. Eramo ed erale presentano Erano reg. 2. levocicome
sitraevanodallatinoinot. tima forma. Ma il va inserito eramus ed eratis Eras
Era reg. 2. in eravamo, ed eravate negli altri verbi, mentre in suppongono il B
cambiatoinV, come dunquedivainera questa consonante. Tale aggiunta affatto
manca la origine, nè fu, che una intrusione vamo ed eravate è contro per di
altri verbi, che usciva , nato dal sentire le voci consimili isbaglio amayate
&c. Il peggio no in quel modo, come amavamo, non dandosi quell'aggiunta fu
che si anche alle voci era tolse la uniformità tiranno delle lingue, autorizza
erano & c. Non dimeno l'uso, quel , piùche lesemplicie naturali
vamoederavale essere,n.6. Ma diciamo si trovino pur queste. Vedi que
risultasse. Eccone la maniera fetto di avere, è come Haveva 8. Habebam habebas
Habeva habevi era eramo erate, quantun dell'imper Aveva reg.7. 2. habebamus
aveva reg. 7. 2. habebat habeva habevamo habevate habevano haveva havevamo
avevamo reg.7.3.2. avevate reg. 7. 5. 2. habebatis habebant havevate havevano
Erat Eramus Eratis Eri reg. 4. e 2. Eramo reg.3. e 2.e quindi Eravamo havevi
avevireg.7. 4. 2. b abbemo abbiamo &c. Forseil B fu raddoppiato
per compensare la perdita dell'E nell'ha beo. Sia comunque,abbosi legge ancora
in Dante Infer. 25. E quanto io l'abbo ingrado mentre io viva: E negl iAMMAESTRAMENTI
degli Antichi certamente abbo provato; e più sotto:ripensola seraa quello che
iolo di abbo detto.E nelle Vite de'SS.PP.ediz. Man.Fir,1731.,nella VITA DI
GIOSAFATTE ediz.Rom.,e nelleNoyelle anticheFir,1572l'usodi abbo èco mune .Abbi
è rimaso nel Congiuntivo.E 'poi noto, che gli Antichi usa vano la seconda
singolare presente dell'Indicativo ancora nel Congiun tivo, come resta tuttora
in molti verbi,Così ami serve in tutti due i tempi alle due seconde persone
singolari,e cosi temi può servire ancora, sebbene ora vi siano dei divarj. Sopravvanza
nell'uso comune abbiamo; e siccome gl’Antichi finivanole voci per tali persone
in eino, cosi non vi è dubbio che ne'principj sidicesse abbemo,quantunque negli
scritti forse non si trovi,per la rapidità di altri cambiamenti succeduti.
Certamente l'uso di scambiare tutti iB nell'imperfetto di ha bere,di buon pra
scorse in alcune,o in tutte le voci del presente, e si trasse da Habo Avo habi
ave avemo avete habono avono ave resta tuttora tra'poeti, e fu non meno della
prosa. Vedi questa voce nel prospetto di avere. Avemo é comunissima tra gli
Antichi. Avete rimane per ogni scrittura;le altre tre voci presto furono cam
biate: perchè siccome l'V consonante ha un suono come di vi, o di un i
sibiloso; così specialmente se l'V sia doppio, l'avo,oppure avvo per abbo, fe
sentire nella pronunzia questo I quasi doppio.E quindi è che il B. JACOPONE
lib. 1. satir. 9. scrive Nè ferma fede per esempio ch'aja; Franc.BARBERINI
edizion.Roman.pag.189. Nonveggio ancor chi contento ajail core. E Francesco
SACCHBTTI disse ajolo per lo ajo,cioè per lohu.S'insinud tal cambiamento nella
seconda persona avi,é mutato l'V in I, se ne habet abbi 1 habemus habe
habemo habete abbe avi da Habeo Abbo habes Ch'io n'ajo una si dura e più sotto:
ajo portato in_core & c ,ed altrove più volte:anzi usa aja per
abbia:lib.1.sat.12.3. 10 Illuminato mostromi fore, E ch'aja umilitate nel core.
DÁN.Parad,17. fece huii, e col tempo hai. E questa è la causa, per
la quale ora ci troviamo con hai, seconda persona del presente dell'Indicativo,
senza che volgarmente se ne intenda la origine.Può notarsi però che in forza
della provenienza di hai l’i finale è risultato da un doppio i; e quindi
seguendo le origini, avrebbe dovuto scriversi haj: e ciò sa rebbe
statoopportunissimope' giorninostri,ne'quali vuolsi lasciare an che l'h
precedente. Imperciocchè chiarissimamente si distinguerebbe che aj è del
verbo,senza pericolo alcuno che si confondesse con l'ar ticolo plurale ai. 1.
La mutazione del doppio B in V ed inIdoppio o lungo,al meno quanto al suono,
porto l'altro cambiamento in aggio, aggi, aggiamo, aggia, aggiano: essendonoto
che l'J lungo si cambia spessis simointalmodo:equestaè la causa parimente, percuisidiceveg
go veggiamo & c. Imperciocchè nelle prime origini si disse ancora vejo vej
veje per vedo vedivede: si consulti il prospetto di vedere. Quindi 'Imperador
Feder.Rim.ant. 114. Rispondimi Signor ch'altro non chiejo. Da crejo è
propriamente quello scorcio, che pur si usd tra'poeti di cre' per credo, quasi
crejo fosse cre io. Vedi il prospetto di credere. Ant.Pucci nelsuo Centiloquio
can.XI.terz.27. scrive: Gli comandò che giù sedesse al piano. L'ultimo verso
assai dimostra, che sie fu detto per siedi: E siccome in Dan. Inf. 27.53. si trovasi
e'persiede; parchiarocheambedue de rivino da sejo. Allego un esempio di
trajamo: Boc. g.8. n.5. lo vo glio che noi gli trajamo quelle brache del
tutto:da ciò ben apparisce la origine ditraggiamo &c. 12. Ridotto havi ad
hai;dovea sembrare che fosse di netto stato levato l'V consonante , quando
erasi inviscerato nell'j: e cið compa rendo,era facile di lasciarlo pure nella
terza persona have, e formar ne hae come si trova in Fr. Jacop.,in
Guid.Giud.,in ALBERTANO, Di voi,chiaritaspera. Rim .Allac. 408 Ciulo dal
Camo Cose da non parlare. anzi avverto, che tra gli Antichi si trova ancora
crejo, chiejo, sejo, trajamo, donde sono creggio, chieggio, seggo, lraggiamo &c,enon
dalla mutazione del D inG comesitiene,forsemenopropriamente daiGram matici.Cosi
Fr. Jac.lib.5. c.3.12. secondo che io crejo:e nelleno te vi si legge:
crejo,creggio,credo, e lib.5. can.25. 12. II E vejo li sembjanti Quando ci
passo e vejoti. F. Jac. lib. sat. 3.9. la sera il vei seccato. lib. 6. can. 45.
4. Che vee con vista acuda disse l'anziano: Sie giù a pena di cento fiorini: E
volendo pagare a mano a mano, E l'anziano a pena di dugento b2 12 e
generalmente negli Antichi.Cost Albertan. al càp. 12. L'avar7 sempre ha e le mani
di stesepertorre. ..ivil'avaronon haesicura vita.I Grammatici han creduto,che
quell'E sia stato sopraggiunto all'ha per genio della lingua,chenon amava
finirele parolein accento: ma questo sarebbevero, quando la parola originale
della terza persona fosseha, ciòche è falso; essendoquestahabet, habe, have.Hae
dun que non èche have,toltone ”v per simiglianza di quanto era ac caduto in
hai, ed in hajo. 13. A questo proposito avverte, che non di raro fra gli
Antichi si legge dae,fae, slae per dà,fa, sta, come leggesi trae, e come hne
per ha. Anche gli E di dae, fae,stae, si credono aggiunti per la ra gione
medesima: ma egli è falso ugualmente; perchè dai ruderi an tichi della lingua
può concludersi ta esistenza degl'infiniti, daire,fai re, staire, come esiste
traire. Ora da quegl' infiniti daire & c. sorge n a turalissimamente dae, fae,
stae, cometrae, che ancorc irimane da trai re:vedi S. III. di questa Prima
Parte sotto il titolo Dipendenza delle conjugazioni italiane dall'infiniton.2.E
quindi puresono levoci dai, fai,stai,come trai,che altronde sono
inesplicabili.A dichiarare quanto dico sappiasi,che Fr. Jacop.
lib.6.c.10.st.20.scrive A chi gli dice villania & c. Fra duo ladri allo
staia. e lib. 4. c. 1o. E che al povero dala. elib.6.c.43.5.
Ch'eglièildaenteetiilricevitore: e lib.7. c.9. II. Staendo in
quest'altura dello mare: Vita S.MariaMad.É cosistaendola poverettasì per l'amorechegid
ave v a con celto di Gesù Cristo, si per la doglia ; cominciò a piangere.
Parimente in Fr.Guitt. si legge più volte faite alla pag. 36, efaie alla pag.54.Enel
TESORETTO:ponelemente al beneche faiteperusaggio:e Franc.BARBE RINO pag. 17. Faesselei
di quel pregio degnare.NeiGRADI diS.Girolamo alla voce Fa il e nell'indice si dichiara,
chel’idifaiteè un aggiunto,e non più:ma faie,faesse,elevocislaca,daia
&c.ne'verbi similipalesano il contrario:e Traire si legge in Fr.
Guit.lett.2. pag.9, ma traers spiega ugualmente la originedi trae, come fae
sorgerebbe ancora da faere, delquale fece uso Franc. BARBERINO nel verso
allegato. Per tanto gli E di dae, fae, stae non sono aggiunti,come si pensa, m
a sono naturali;ed ora non si è cessato diaggiungerli, ma sono stati tolti.
Tornando alle voci hai ed hae, siccome in queste era perito \'u consonante;
così poco a poco si tento,ma non riusci,di farlo pe rire nelle vociavemo,
avete: e non è infrequente di udire aemo, aele; e nel futuro dell'Indicativo, e
negl'imperfetti dell'Ottativo trovasi scritto arò,arai,arei,aresti'&c.come
vedremo.Non prevalendo pero quel tentativo, siri serbarono le voci
avemo,avete,etalvoltaaviamo, aviate, aggiamo,aggiate. Essendosi creduto, che
l’E di hae fosse ag giunto; presto fu stabilita ha per terza persona; talchè le
prime tre fossero ho, hai,ha.La terza plurale divenne harno;perchè
dall'ha bent sifece haveno, haeno, hano, hanno,ed esistono
ancora'esempi di dano,fano & c.per danno e fanno, voci similissime nella
origine,com me è chiaro:vedi S. III. 12. 15. Ma passiamo ad esaminare come dai
perfetti de'verbi latini si traessero quelli presenti d'Italia. Potrà ciò
conoscersi ne'verbi co muni ad ambe le lingue,ma terminati secondo i metodi di
ciascuna: E noi su questi rifletteremo. I Latini sincopizzavano il perfetto in
più voci, togliendone il VI,o ilVe.Per avere dai perfetti latini lita
lianocorrispondente,silasciilVI,oVe intutte lepersoneperquan to si può senza
contradire alle regole generali del s. I. Quindi nel la persona prima singolare
dee lasciarsi ilsolo V , non potendosi to gliere l'I finale, secondo la regola
prima. Si noti, che la terza singo lare risulterebbe simile ad alcuna voce del
presente, e quindi nelle origini si accentava: ma ora se la voce finisce in A,
simuta in O accentato.La prima plurale sarebbe amamo come nel presente,e quin
di I'M si è raddoppiato. Del resto in Gio. VILLANI nella edizione fatta
procurare da Remigio Fiorentino in Venezia si vede gran quan tità di persone
prime plurali dei perfetti,scritte con un semplice M : come tememo per
tememmo.Altrettantosiosserva in Fazzo degli Uber ti,nel Cavaliere Jacopo
SALVIATI Tom . 18. Delizie degli eruditi To scani, nella Cronica delPitti,ed in
altriAntichi; indizioche pertali vie si passava dal latino all'italiano in
questo tempo. Anzi Celso CITTAD I ninelle sue Origini dellaToscanafavellaosservaalcap.6.che
i Sanesi in tali personenon davanoasentire che unM ,quasipronunziandoface
mo,dicemo &c,ed eglicon pari ortografia scrisse tali voci.Ma Giro lamo
Gigli nel suo Vocabolario di S. Caterina noto alla lettera M , che a'suoi tempi
(vuol dire un secolo dopo ilCittadini,) quell'uso era perduto. Serbate dunque
anche le regole generali del n. primo, avre di Ama(v)i ama (viisti ama(vit)
ama(vi)mus ama(vi)stis ama (verunt Amai amasti amd amamo amammo amaste amarono
16. Dai Latini si disse ancora amávere: toltone il ve, si ebbe Vita Lano amare,
e perché non si confondesse con l'Infinito, si muto l'E i n o , e si ebbe amaro
per altra terza persona plurale. I Grammatici han ereduto, che amaro sia
precisamente una sincope di amarono, toltone il no.Á me perd sembra,che amaro
siavoce interain sestessa, e provenuta altronde, come ho dichiarato. E questa è
la ragione, per cui amaro può troncarsi ancora,e dirsi amàr per amaro, laddove
le troncature delle troncature non sono consuete, almeno nella lingua, come ora
si trova. 13 mo 17. II P. Bartoli nella sua Ortografia riguarda come un
incan to, che le terze plurali del Perfetto indicativo scorciate tre volte s e
m 14 pre significhinolo stessocon quadrupla
desinenza:amarono,amaron, amaro,amàr.Ma l'incanto,se ben siconsideri, non è che
un caro abbagliodiun animo,chealvederprimosiappaga,stancodellemo lestiedi
riflettere. Imperocchè da amarono sitragge amaron,e qui cesserebbe la
troncatura:ma perchè levato anche l'N ci troviamo da amaron in amaro ,
desinenza ancor buona ; si è creduto, che tal bontà risulti in forza di uno
scorcio: laddove amaro già eralegittima de sinenza in se stessa: e perchè tale,
ammettevasi; non perchè nata da amaron,levatone l'N. A parlar dunque
propriamente si hanno due desinenze,amaro,ed amarono,edognuna ammetteuno
scorcio,ama rono porgendo amaron,ed amaro la voce amar,colvago incidente, che
se da amaron si spicca l'N finale;ci troviamo alladesinenza se conda, la quale
è amaro. E siccome amaro è desinenza intera in sestessa;di qui nasce, che gli
scrittori del buon secolo, ed alcuni ancora del cinquecento, come il DAVANZATI
ne fecero tanto uso: laddove le altre sincopi amar ed amaron sono assai più
rare,spacialmente in prosa. Anzi si noti, che nelle NOVELLE 'ANTICHE la
desinenza in aro è quasi la comune, lad dove l'altra in arono vi è scarsa, e
meno pregiata. 18. Ma proseguiamo l'esame de perfetti:eprima nella terza con
jugazione. Audi(vi audi(ve)runt Audii audisti audi audimmo audirono udiste
udiro. proviene udiro dall'audivere,come amaro dall'amavere. E'poinoto, che
nelle origini della lingua si disse in Italiano anche audire finchè l'au si
chiuse in o,cone nelle voci aurum, tesaurus,dalle quali si trasse oro, tesoro
&c, e se n’ebbe udii, udisti &c.Vedi questo verbo nel prospetto. Debui
debuimus debuerunt Devei , . Pertanto abbiamo da dové doveste udisti
audi(vi)t udi audi(vi)mus udimm o audi(vi)stis 19. Riguardo alle seconde
conjugazioni, avanti l'I finale vi è l'U vocale, e non consonante, quindi
regolarmente parlando tutto l'UI o l'UE si muta .in E semplice,avvertendo, che
l'1 finale nella prima persona dee conservarsi secondo i canonigenerali
debuisti Dovei deve, audiro devemmo, deveste, deverono, audi(vi)sti audi(vere)
debuit debuistis debuere doverono dovero. audiste devesti, dovesti devero,
Siccomel'U fu cambiato in E(dovei)gravatodi accento,quindinella terza persona
non potea non dirsi se non dovè seguendo leregole ge Udii udirono dovemmo
nerali, o dovèt, trascurando la regola sulle consonanti finali; e da que.
sto nacque che per istrascico di pronunzia fu detto ancora dovette, come dalla
voce Giudit PETRARC. Trionf.fam . c. 2. v. 119. Non fia
Guiditlavedovellaardita,sièfattoGiuditta,ecome da Josafat, DANTE
Infer.10.v.8.Quando da Josafat qui torneranno,sièprodottoGiosafalte
comunemente.Fattosi dovei,dovė,o davèt,fecesi quindi per coerenza do veltero e
dovelti: e cosi questi preteriti ebbero doppia desinenza: e si disse temci e
temetti, teme e temette, temerono e temettero. 20. E' poi tanto vero, che
questa è la origine di temetti, tèmel te & c, che siccome lo stesso
argomento vale per le terze conjuga zioni; così talvolta si scontra ancor
questa desinenza applicata alle medesime. Ond'è che trovasifuggi,fuggi & c;
e nelle Vire de SS.PP. ediz.Man.tom.1.pag.20.fuggitte,e nellapag.125
salitlepersa li: una nolle, essendo questi ito,alla casa di una vergine
Cristiana o per rubare,o per altromalfare,salitte con certi ingegni il tetto
della casa. Anzi questa ragione è sì certa che spessissimo le desinenze in ilte
come salitle & c.furono modellate affatto a norma delle altre in elle, cioè
di temelle,credette & c. Quindi è che nel medesimo tom. 1. delle Vit.deSS.PP.se
in alcuni esemplarisi legge fuggitte,inal tri, sihafuggelte: allapag.101 ediz. citat.
Vi è fuggetti per fuggii: nella 62 ,uscite per uscì, nella 71 irrigidelle per
irrigidi, nella 73 finette per fini, ed Antonio Pucci versificatore famoso del
trecento nel suo Centiloquio al can. 2. st. 69 ha sentelle per senti; ed Oito
impe rador che ciò sentette, e così altre se ne veggono in altre pagine ed
opere. Simile terminazione non potevaaver luogonellaprima conjuga zione,perchè
l'amavit,secondol'usodi cavarneilvolgare,cessadove èilsecondo a,dicendosi amo ,e
non cessanell'I con farsentire un amavit: il che direttamente gli avrebbe
causato la uniformità, che'mai non ottenne:ora la desinenza in illi ed etti
& c.è del tutto abolita per le terze conjugazioni: rimane ancora la cadenza
in etti e dette, &c. per le seconde conjugazioni; ma forse, almenoin
piùverbi,è men cara che nelle origini della lingua, come potrà rilevarsi dal
prospetto de' verbi, che soggiungeremo. 21. E giacchè consideriamoil rapporto
fraledesinenze delleter, ze persone de'preteriti dell'indicativo, piacemi
dilatare ancor più la serie delle riflessioni,picciole sì,ma pur necessarie per
chi brami co noscere intimamente la lingua,e suoi movimenti. Ho detto di sopra,
che dall'amavit, debuit, audivitsitragge amò, dove, udi,abolendoin tutto,quel
vit finale:ma questa è piuttostola regola,che ora predo, mina.Del resto quando
la lingua pendeva incerta sul fissare le sue desinenze, talvolta tentò rendere
queste, tutte simili alla cadenza del. la prima conjugazione, e tal altra a
quella della seconda.E certo quell'amavit ebbe talorauna desinenza come amao:di
che produco un esempio luminoso di FR. Jacop.lib. 2.can.2. Quando che in prima
l'uomo peccdo Si guastò l'ordin lullo dell'amore: / 15 E
questa è la causa, per la quale oradiciamo amarono, lassaro no, e non amorono,
lassorono & c. vuol dire questa è la causa, per la quale la sillaba
antipenultima è un a, e non un o. Tutte le ter ze plurali nascono nel preterito
con aggiungere alla terzasingolare un rono,o un semplice ro,
ne'perfettianomali, o simili aglianoma li. Così diciamo senti rono,temè
rono,crede rono, sparse ro, videro & c. Pardunquela originalterza
personaquellade'contadiniamà,las sà & c. e quindi sen ebbe ama rono,
lassarono, e non amorono, las sorono &c.desinenza che leggesi in molti
Antichi: Così nelle Vite de'Ponteficidi PETRARCA visileggeandorono,seccorono,esimili
or dinariamente.Il Venturi traduttore di Dionigi di Alicarnasso è pie no di
tali cadenze.Forse a dire amarono,lassarono &c.vi contribui pur la dolcezza
per non avere insieme tre o finali amorono, lasso rono & c. Nel modo poi
che il vit era supplito da un o nella prima con jugazione; lo fi pure
nelleseconde e nelle terze: e quindi sono le voci temeo,credeo,poteo,
aprio,finio, udio, e simili,tanto frequenti ne gli Scrittori. Ora queste
desinenze, per le prime conjugazioni sono spente in tutto: m a nelle altre
conjugazioni rimangono tuttavia per li poeti, e l'uso moderato può riuscire
utile non meno che dilettevole. Chi non bene conosceleprimizie della
lingua,meravigliasiche imo di poteo,lemeo,udio&c.fossero
comunissimi.IGrammatici dissero,che l'o finale si aggiunse per licenza poetica:
ma cið non ispiega perchè voci di questoconio abbiansi frequentissime ne'vecchi
prosatori, come nelleStorie dei Villani,nelDavanzati,ed in altri.Dir finalmente
che l’osi accresceva per non finireinaccento,era un luogo comune,un
parlardiabitudine,enullapiù. Sidoveva avvertire, che quest'ori ceveasi da tutte
le conjugazioni nelle terze persone singolari de'pre 16 Nell'amor proprio
tanto l'abbracciao ; Che n'antepose se al creatore. E la Giustizia tanto
s'indignao; Che la spogliò di tutto suo onore: Ciascheduna virtù l'abbandonao,
Gli fu il demonio dato possessore: Nel tom.12 degli Scrittor. Ital. Del MURATORI
trovasi inserita laMemoria di Messer Lodovico di Buon Conto Monaldesti su la
coronazione del Petrarca: costui,che lavidediperse,cosìscrive:Poi comparve lo
Sena tore in mezzo a muti (molti)cittadini, e portao allo capo soio (suo) na
corona di lauro,ese assettao alla sedia, e poi s'inginocchiaoallo senatore
& c. Si vede in questi esempi, che si accento l a preceden te il vit,e
questo vit fu supplito con un o.Più volteho notato,che presso alcuni contadini
appunto ne'dintorni di Roma dicesi difforme mente amà ,lassà,&c.per
amò,lasciò come ora è laregola:Toccaal filologo accorto di rintracciarne le provenienze:esse
non sono che per lo scorcio naturale,che si faceva della lingua parlata sotto
questo cie lo da'nostri antenati. teriti , e la uniformità medesima
avrebbe fatto conoscere , che era un supplemento del vil, risecato dalle voci
latinecorrispondenti , o pure una proprietàdi cadenza;e con cið sarebbesi
dichiarato perchégliAn tichiusassero temeo, udio,e simili,promiscuamente in
ogni scrittura, senzascrupolodiriprensioni.E'poitantomanifestochequell'O non si
aggiungeva per non finire in accento , che nel Dittamondo si tro va unito anche
alle prime persone della terza conjugazione,leggen dovisi nel 3 lib. cap. 15
udio per udii : 22. Tornando al nostro principio , apparisce dal fin qui detto
che sitento chiudere in tutte le conjugazioni con desinenza simile allaprima:ma
perchè l'uso non eraancora ben fissoe comune, si tento per eguale maniera
terminare tutte le terze singolari d e' prete ritiinE,comein E finisce la terza
singolare nella seconda conjugazione. Quindi è che troviamo amoe, teme, finie, e
similicon tan ta abbondanza di esempj. Faz. Dittam. lib. 4 cap. 20 23. La chiusa
delle terze persone tutteinO,ovverotutteinE,de riyavadallevoci corrispondenti
latine,finite tutte in un modoamavil, timuit,audivit.Era difficile abbandonare ogni
somiglianza nell'italiano,с 17 Passato poi Suasina , io udio & c. e
cap. 16 Secondo ch'io udio , e'l nome prese e cosi nel lib. 4 cap. 4 vi si
legge sentiu per io sentii, e nella Vin LadiGiosaf.pag.31 uno essemplo tidico chel'udio
direa uno molto savio uomo : e pag. 34 lo ritornerò nella mia casa onde io
uscio. Novell.ANTIC. Firenz.1572 novel. 20 lo poi che mi partio,abbo avuto
moglie efigliuoli. Etic.di Arist. compend. da Ser BRUNET.ediz. Lion. pag.100 quando
io udio le loro parole, non mido lea &c. Gli o dunque di udio ,finio ,
lemeo & c. in terza persona, non sono licenze di poeti,non aggiunteper
iscansare gliaccenti,ma regole o modi di terminazione, e risultati di una
lingua , che in altra si trasmutava,come or ora meglio dichiareremo. Che amoe
si;che'lsipuò dir percerto. e cap. 20. Che rifutoe l'onor di tanta manna . Vit.
de S S . P P. inciampo e in una pietra,
e fece alcuno strepito: pag.10 con molte lagrime cantoe salmi, e pag.6 ľani
male si levoe a corsa, e fuggie:pag. 43 per la sele l'uno morie,e pag.47 udie
una voce che gli disse & c.'Or questa uniformità fa vede re,come dianzi ho
pur detto,una proprietà di cadenza nelle terze persone singolari del preterito
in su le origini della lingua, e quin di è che se ne abbiatanta copia ancora
ne'prosatori;e tanto èlun gi che l'E si aggiungesse perevitare l'accento,che ci
è facile tro yare temè,ma non temee; se non forse per la rima.Cosl Dante dis
sePurg.3212 senza la vista al quanto essermife e permife,voce interain
sestessa,come vedremo nella seconda parte al num.6 del verbo Fare .
dopo che le altre persone omologhe del preterito si erano concordate
nella desinenza.Così tutte le prime escono in I,amai, temei,udii, tutte le seconde
in sti, amasti,temesti,udisti:e tuttelepluralihan pari concordia di finale. Or
come poteasi tralasciare quesť armonia nelle sole terze del singolare? Questa è
la origine vera degli O e degli E che si aggiungevano, e non le sognate fra le
minuzie di una grammatica, che inaridisce. Col progressodel tempo sivolle
trascurare quellaparitàdicadenza, elevocisichiuseroin0, in E, inI,ac centandole
finalmente, sebbene quelle chiuse in O si trovino spesso tra gli Antichi
senz'accento comeinFazio degli UBERTI, e nelle NoVELLE ANTICHE.Ed
oranoi,lucidiesseridi unsecolointelligente,go diamo su la idea dolcissima di
una lingua perfezionata. M a i gravis simiAntichi,colle mire ch'essi
aveano,questi Antichi io dico, risor gendo,ne sarebbero in tutto persuasi? 24.
E cid su le terze persone singolari de'preteriti: ora torniamo al verbo temere
o dovere, dalle considerazioni del quale siamo qui per venuti. Si noti che
doverono e temerono ammettono le tre solite scor ciature Lemeron, temero,temer,come
amaron,amaro,amàr,perchè da lemeron ci troviamo all'altra desinenza intera
temèro prodotta da ti muere,come
dovèrodadebuere:laddovedovellerononsopportacheuna scorciatura appena,potendosi
faredovetter, ma non proceder più oltre; perchè le nuove scorciature non ci
fanno casualmente trovare in altra desinenza compiuta in se stessa.Tanto è vero
quelloche siadditonel 3. 17. 25. E'certo che ne'perfetti delle seconde
conjugazioni italianeso no le irregolarità più grandi: ma non ho veduto che
altri notasse in esse un incontro curioso: cioè la irregolarità non concerne
mai se non la prima persona singolare,e le dueterze singolare e plurale,mentre
tutte le altre persone si trovan sempre comela regola chiederebbe. Cosi nel
preterito rompere abbiamo ruppi, ruppe, ruppero anomale; e le altrevocisono
rompesti,rompemmo,rompeste,come vorrebbe la indo le di un perfetto italiano
regolare rompei , rompè & c. Tal cosa è so vente osservata e confermata con
esempj nel prospetto. E m m i più vol. te nato il prurito d'indovinare onde sia
talearcano di lingua. A me ne sembra la origine dall'avere le terze persone
plurali una seconda desinenza derivatadal latino,per esempio rupere
ond'èruppero,enon daruperuntond'èrupperono,oromperonoBo'i reg.2,chepursitro ya
negli Antichi: vedi ilprospetto di questo verbo. Romperono ha l'ac cento,che
riposa in su l’E: e quindila terza singolare non può es. sereche rompe, e la prima
rompei; laddo veruppero hal'accento nell'U, restandobrevelaE.Quindi
perleggedicorrispondenzalaterzasin golaredee tenere l'accento anch'essa nella
vocaleprecedente, e non nella finale; altrettanto dee succedere nella prima
singolare: e p e r ciddeemancarel'E diEInelladesinenza,giacchèl'E diEIintutte
le conjugazioni seconde è gravato di accento; efinalmentedee cavar
seneruppi,ruppe,ruppero.Ma rompesti, rompeste,rompemmo non pos. 18
già 26. Ma diciamo qualchecosade'perfettide'verbiausiliari.Nascono
fuit fusti fosti C2 sono non avere l'accento sull'E in forza
dellaformazione loro,essen do in esse la E seguitata dalla doppia consonante S
T , M M . Quindi non possono non esser tali come romperono , quantunque poco o
nulla usate, come avviene in molti se provenissero da rompei, rompe, verbi
irregolari. E per cið l'anomalia de'preteriti non può concer nere se non la
prima singolare , e le due terze persone singolare e plurale de'perfetti.
Questo discorso vale eziandio ne'verbi ano mali di terza conjugazione ; dicendo
dell'I quanto si è detto dell'E. Potremo da ciðtantomeglio persuadersi, cheamaro,
temero,&c. sono desinenze piene in se stesse , e non sincopi di amarono
merono & c. fuisti Fui da Fui fuistis fuerunt fuere fummo fuste foste
furono 19 fuimus furo Questo tempo somiglia in tutto al preterito debui o timui
della se conda conjugazione latina,alla quale appartiene ilverbo esse,o pure
essere secondo che leggesi in Plauto. Pure esso nelle persone non ha subito la
legge di mutare l'UI:ma ciò non è stato senza una ragio ne: Imperocchè dando
luogo a tal mutazione, sarebbe risultato fei, fe sti,fe & c, e questo
è il preterito appunto del verbo fare: purtroppo si osservano tra gli Antichi
talvolta le voci del preterito del verbo sostantivo piegate in quelle del verbo
fare: Cosi Fazio degli UBERTI nelsuoDitcam.1.4c.8 dissefoperfu. Per il diluvio chefositene
broso:Filip.Vil,nelprologo allesueStorie:con lostilechealuifopos sibile:e Faz. Nel
Ditlam. lib.3cap.22 infinescrivefonno perfurono,e Fr.Guitt.let.12,scrivefoe per
fu:eFra Jacop.1.2can.172 scrive fom per fummo.Per nonconfondere dunque una cosa
con lealtre,non doveasi praticarela legge anzidetta: nei tempi debui,debuisti
periva in. tuttele personel'UI,eccettol'Ifinalenellaprima perfareil cambiamen
toindicato. Infuisti, fuimus &c. sièritenuto l'U,edèperitol'I:edin fuerunt
è peritol'E. Si noti cheil fuit dagli Antichi si rendeva,e nesonopienii libri, perfue.IGrammaticihancredutol'Edifue
come una giunta per non terminare quell'E non è che la E nella quale dovea
mutarsi l'UI, supplita in questo luogo per dare alla terza singolare del
perfetto la desinenza in E,comune a tutte le persone simili di altri verbi di
questa con jugazione, dicendosi lemè, iemelte, crede, ruppe & c. Tanto siam
dunque lontani che l'e di fue siasi una giunta, che anzi era lettera distinti
va della persona, ed una conseguenza dellamutazione, che aveasi a faredelUI in E,
come più si poteva. E quando sparì quell'E, sitol fue fu in accento la
semplicefu:mą serealmente,non si cesso di aggiungerla.Ed ora ci
rimane il sem plice fu, voce cheesce affatto da ogni regola di terminazione. da
Habui E le voci avesti, aveste, avemmo sono comunissime: delle altre avei, avè,
averono, se pur furono in uso, non ho presente nemmeno un e s e m pio;e
solamente mi ricordo che in Fr. Jacop.si legge avi per ebbi, ed avvero per
ebbero. Di buon ora s'introdusse la irregolarità, la qua le concerne, come ho
detto, la sola prima singolare, e le due terze singolare e plurale, e si fece
ebbi, ebbe, ebbero; presa la occasione c o m e s'intende pel S. 17 dal habuere:
perché se ne dovea cavare ha . bero,con lapenultima breve,donde ne seguitava
habe per terza sin golare, ed habi per prima; e somigliando queste due voci ad
altre dell'antico presente abbo, abb i & c, non potè non cambiarsi l’A in E
, condirsiebi,ebe,ebero,ebbi,ebbe ebbero.IPoetitalvoltaco me PETRARCA Trionfo
Fam.cap. : ora investighiamo, come da’pre teriti più che perfetti latini ne derivassero
gl'italiani, che tanto sem brano differenti. E certamente i Latini esprimevano
col tempo la qua lità che si affermava, ossia la cosa che siera fatta: e tali
erano a m a yeram,fueram,habueram.Ma negliitaliani sidecomposero gliattri buti,
e si disse io aveva amato,io aveva avuto,io era stato.Possiamo però conoscere
che tra'Latini medesimi si aveano i semi di simili riso. luzioni. Cosi Cic. nel
15 Fam . 20 disse , quantum ex tuis litteris h a beo cognitum per cognovi:od in
Verr.7 63 hodie sic homines ha bent persuasum:cosìnel 4 Ac. comprehensum animo
habere atque perceptum; ed altrove assai volte. Pertanto nel passare
da'preteriti più che perfetti latini agliitaliani,nonsifeceche ampliareciocchè
giàsi usavadai Latinimedesimi. Abbiamopiù voltenotato,che 20 per la rima
scrivo. no ebe con un b solo:qualche Antico ciò praticava quasi per abitu dine,
come può vedersi nel Dittamondo di Fazio degli UBERTI l'uso finalmente ha
stabilito ebbi , ebbe : ma ,ebbero:vociche varianonel principio e nel fine come
appunto i preteriti greci. 28.Ma bastisu'preteritisemplici avesti ayè avemmo
aveste averono avero. 27.Seguendo le leggi descritte dovea nascere ancora
Habuisti Habuit Habuimus Habuistis Habuerunt Habuere I Ayei v.92, li che
incominciano ad imparare il latino quel lo scordano,facilmente ,o che per
disusoin parte esprimono le azioni trapassate col verbo habe re,e col participiopassato
latino. va linguagl'Italiani erano Or siccome nelle originidella in rispetto
della lingua latina nuo punto chiprincipiaadapprenderla come ap , o chi per
disuso l'ha quasi di menticata; così l'analogia e la voglia di esprimersi
inqualche modo gl'indusseade comporre,edireioavevaamato,io avevaavuto. &c;
lasciando in amalus ed habitus gli S finali, e mutando gli U in 0
secondoleleggidelş ireg:2e3, dallequaliappuntorisultaamalo ed ayuto con i
cambiamenti suggeriti appresso dall'uso. 29. Quanto al verbo essere:il più che
perfetto latino è fu -eram , fu-eras,fu-erat&c:talivocisonocompostedi
eram,eras,erat,e fuo fuit: quasi dicasi io erafu:tu eri fu &c.Seguendo
pertanto l'indole del tempo aveasi ad indicare tal nozione che spontanea si
presenta: cioè dovevasi indicare che questo era spettante alfueram; non era
indeterminato,e pendente come chiamano i Grammaticil'imperfetto, ma era
piuttosto di un tempo definito e certo. E'noto che i Latini appuntocon la voce
status, stata, statum upita al giorno o tempo accennavano i giorni e tempi
definiti. Cic. Offic.37 status diessit cum hoste:o come Plinio disse stato tempore.
Quindiin tempo che la lingua degenerava o si decomponeva si disse io era
stato,cioè in tempogiàfisso, giàpassato,e non pendente:tueristalo,cioèintempo
fisso & c, egli era stato, &c. La voce stato fu dunque come una giunta
o segno di cosa passata, e non altro:ed in seguito si aggiunse a tutti
itempi,che lo richiedevano nel verbo essere.I Grammatici han creduto, che stato
sia il participio del verbo stare applicato al verbo essere. M a non dee
presumersi che la formazione del verbo stare pre ceda quella di essere, che èil
primo de’verbi,e verbo per essenza: edaggiungo che sto,stas tra'Latini,da'quali
derivava in gran parte la lingua,se non è privo diparticipio, certamente ne
somministrava un uso ben raro, come può intendersi, consultando il Forcellini
sul verbo sto sta.Per taliriflessièda concepire,cheilverbo esserenon abbia
participio se non quello dedotto da stalus, stala & c. usato in principio
come segno e non più, di cose precedenti e consumate. 30. E da ciò nacque, che
a poco a poco si tentò creare un par ticipio proprio di essere,facendosi
essuto,issulo, o suto. Quindi AlBERTAN. Giud.cap.44pag.100
ediz.Fir.1610maggioronoreglisareb be essuto s'egli se ne fosse rimaso. Amm AESTRAM
. degli Antic.pag.93 Nella Grecia la Filosofia non sarebbe stata in tanto onore
s'ellanon fosse essuta invigorita per contenzione. Collaz. Ab. Isac. pag. 59 E
se l'uomo avesseconosciuto lasua infermilate nelprincipio e avessela veduta ;
non sarebbe essuto negligente. Questo participio pareva il più naturale: pur si
disse anche issuto; ma più di raro: AMMAESTRAM.de gli Antic. pag. 303 la nuora
il seguente di che è issuta menata, di. manda &c.Ma più di tutti fu in uso
ilparticipio sutopiùanalogo a sono,sei &c,e molti nesonogliesempj in
Boccaccio,nelle Croniche diLionardo MORELLI,nelMorgante del Pulci, nell'ARIOSTO,
ed in altri: ne allego un solo tratto da' FIORETTI di S. Francesco cap. 38 a.me
si è suto rivelato che tu & c. A fronte di tali sforzi non irragionevoli
lavocestato,laqualenonera che unsegno,divenneilparticipio legittimo, esclusone
ogni altro, 21 Ed eccone gli esempj.Fra JACOP. Poes,
Spirit.lib.1satir.i averanno reg.2, 3,7 perchè se nell'habebo si cambiavano i
due B in Vrisultava havevo e quindi havevi,haveva &c.come
nell'imperfetto:nonvolendosi dun que ritenere il secondo B, fu necessità
cambiarlo in altra consonante, e fu questa la R , e se n'ebbe averò, averai,
averà & c. in forza delle regolegeneralicitate:mapresto
sitolseanchel'Eintermedio,esi fece Ayrd Avremo ayrai 22 Sempre serai in
tenebria Ditlamon.lib.icap,25 eris erit erimus eritis erunt avrete ayrà avranno
serai sera seremo Serete seranno. LATINO habebis AveròS.Ireg.7 31. Venendo ai
futuri dirò prima come derivassero quelli de’ver bi ausiliari. Nel verbo essere
è il futuro Ben serai crudo se gli occhi non bagni. FBA Guit, let. 3_pag. 13,e
anche sera di molti. Dittamon. 1.2 c.31 L'ITALIANO nelle origini Sero Le cose
quivi ne seran più conte. Novell,ANTIC,99
serannoquestelenovellecheioporterò.Chileg. gegli Antichitrovaquesteésimilivocinon
infrequenti.Manifesta mente dunque derivano dalle latine con la giunta di un S
in prin cipio per uniformarle con sono, sei, siamo & c. Del resto
eris,erit, giusta le regole, danno erai, erà,S. 1, e quindi serai, serà. Presso
al cuni popoli ancora si ode ladesinenza serimo, serile, che presto fu ridotta
in seremo, serețe & c. Al presente si trova cangiato anche il pri mo
E,dicendosisarò,sarai.Questo cambiamento è1'usuale,ma non forse il migliore,
secondo le regole. Vedi il verbo essere n. 13. Quanto al futuro di avere era il
habebit averaiS.Ireg.5,e7 averemo reg.2, 3 habebitis LATINO Ero Habebo
habebimus avera S. i reg 6, 7 averete reg. 2,5, 7 habebunt L'ITALIANO
e talvolta a simiglianza delle mutazioni occorse nel presente si tolse
anche l'V,esen'ebbe Aremo arai arete arà E stabilita una volta la cadenza
de'futuri ne’primi verbiessereed avere inserò, sarò, arò per
continuadiscendenza dallatino;qualmeravi. glia che siestendesseposcia ai futuri
di ogni verbo, esi dicesse amar),amerò,temerò&c. 32. Può nondimeno
assegnarsi altra origine dei nostri futuri, sem-" plice al paro che
universale. Nel nascere della lingua si scrisse raggioper amarò,faraggio per farò
come leggonel B.Jacop. lib.2c.15, elio faraggio
questaconvenenza:ediceraggioperdiròcome lostesso autore scriye lib. 2.c. 25 or
m 'udite in cortesia Però crudele, villano, e nemico Sarabbo,amor,sempre ver te
se vale &c. In alcuni villaggi d'intorno a Roma si ode anch'oggi la
desinenza in ajo, come farajo, amerajo & c. A ben riflettervi tali voci non
senoncheamar-aggio, dicer-aggio,far-aggio &c:vuoldireaggioa fare,aggio a
dire,aggio adamare:formole intutto del futuro:per chè colui,il quale ha afare,
non ha fatto, nè fa, ma riserbasia fare: cioè dichiara l'azione sua come
futura. E perché in luogo di aggio si disse ancora ajo; quindi è che si hanno
pur le cadenze amerajo , farajo&c.Ma siccome in progresso abbo,aggio,ajodegenerarononelle
più semplici ho, hai, ha, avemo, ayete, e per sincope aemo, aele, han no;cosìda
ultimosifeceaver-ho, aver-hai,aver-ha, enelpluraleaver emo, averele, lasciato
l'a del dittongo in aemo, ed aete, e finalmente aver-hanno:ed eposto l'hozioso nel
mezzo di tali composizioni,sieb be aver-o,aver-ai&c.Ma perchèho, ha,come
monosillabe han suono tutto raccolto in esse,e grave come per accento; quindi è
che poco a poco simise ancorl'accentonelleprimee terzesingolari,dicendo si
averò, averà & c. Pari è la origine di serò, serai, serà & c.voci del
futuro del verbo sostantivo, quali usarono da principio per sarò, sarai, sarà
& c. Risultavano dall'infinito essere,troncatene le due prime let
tereES,come insono, sei &c, tanto che se ne avessesere,equindi
aranno, come si scorge ne'libri degli Antichi: Così Lell. 5 tra quelle del B.
GIOVANNI delle Celle: solo tanto l'arò a immutare, e nella letter. XI a Guido,
arai Dio teco, e più sotto, dove arai a stare in eterno , e lett. 13, che mai
non arannofine. FR. JACOP. lib. 2. cant. 3 pianto harete é dolore: tali yoci si
hanno pure ne' GRADI di S. Girolamo nell'Eneida di Annibal Ca'Ro , e nel
Cavalca, e comunissimamente nell'Orlando del BERNI. Diceraggiovi via via.
FraGuit.ediz.Rom.1745lett,3 lamoremioparteraggio,elett.16 folle acquisto far mi
guarderaggio: e tal volta ne'scuri principj della lingua s'incontra la
desinenzain abbo,farabbo,amerabbo & c.per il futuro. GUITTON. d'Arez.Son.
ame 23 Ard sono ser-ho, ser-lai, ser-ha, ser-emo, ser-ete,
ser-hanno:e finalmente sarò, sa rai,sarà&c.Siapplichi
lateoriadichiarataancheaglialtriverbi, ed avremo
amar-ò,amar-ai,amar-à,amar-emo,amar-ele,amai-anno, comesidisse
originalmente:leLetteredi $.Caterina di Siena ediz. di Aldo son piene di questa
desinenza,ed ilVarchi,egregio maestro di lingua,ne fa uso ben grande nelle
opere sue.Ora l'A precedente l'R fina. lesicambia inE,non sapreiperqual
vezzoirragionevole(vediama re nel futuro del prospetto:) e siè prodotto
amer-ò,amer-ai,amer-à, amer-emo &c. Dicasi cid proporzionatamente di
temerò,temer-ai,sentir-ò,sentir-ai & c. 33. Si noti, che la terza singolare
del presente di avere era have, hae, ha. Spesso inluogodiadoperarehanelcomporre
ilfuturo,fu adoperata la voce hae,con dire aver-lae, aver-ae, amer-hae , amer
-ae , far-hae,far-ae.Questadesinenzaèfrequentissimain alcuniantichi Scrittori.I
nostriGrammatici han creduto che l'Ediaverae,farae &c. fosse un aggiunta,
per genio della lingua, che non soffriva di termi nareinaccento:ma essa non èchelaE
dihave,hae;etantoèlun gichefosseun'aggiunta,che anzidicendosiora
averà,amerà,non già si è cessato di aggiungerla,ma si è tolta propriamente laE
spet tante all'have,hae.Siapplichi quanto ho detto alla desinenzaameroe per
amerò lemeroe,per temerò & c. E'difficile trovar parola italiana terminata
in anno,la quale si scorci,eccetto le terze persone hanno,danno,fanno,
stanno,vanno , formate tutte a simiglianza di hanno. Quindi le terze plurali
avran no, ameranno &c.non si dovrebbero troncare;ma perchèson esseun
composto di aver-hanno,amar-hanno;cosi queste voci non han po tuto perdere lo
scorciamento particolare di hanno, e degli altri dan no, fanno & c.
foggiati a simiglianza di esso, come si vedrà nel trat tare partitamente
de'verbi.Anzi aggiungo,che hanno, fanno, slan no &c.intanto si scorciano
perchè nelle origini si diceva fano,stano, e così forse hano:voci idonee tutte
agli scorci,restando han, fan, dan:e siccome pur queste sirinvengono mozzando
hanno,fanno&c, perciò sono ricevute. Chi volesse notomizzare più
sottilmente questa materia, potrebbe trovare forse le tracce del futuro del presente
nel futuro del congiuntivo. Cosi lasciato da amavero, celavero &c. ilve per
simiglianza di quan to si pratico nel fissare la derivazione dei preteriti, si
avrebbe ed accentandoli celaro 24 54. Riguardando a tal seconda
spiegazione,i nostri futuri non sa rebbero quei de'Latini trasmutati:ma solo deriverebbero
quanto ne derivano gl'infiniti de'verbi,ed il presente del verbo ave re, che ne
sono gli elementi componenti. dal latino da Ama(ve)ro cela(ve)ro amaro & c.
55. Quanto agl'imperativi ognun vede che l'amato , il timelo, il legito, el'auditode'Latini,altrononèche
l'amatu,temitu,leggi Amaro lu,odi lu degl'Italiani.Le altre voci
italiane sono pur le latine tra dotte:ma perchèquestesono lestessedei
presenti,partedelcongiuntivo, eparte dell'indicativo,overo del futuro dell'indicativo;cosìnon
bi sogna se non investigare come que'tempi si diramino dal latino,cioc chè si è
fatto, e si farà tuttavia. 36. Eccomi pertanto ad esaminare il congiuntivo
de'Latini,dal quale hanno origine tutte le voci del nostro ottativo e
congiuntivo. Ames Amet Amemus Ametis Ament Nelle voci amemus, ametis l’E si
volge in IA, perchè nel tradurle si riguardanotalivocicomedipendenti dalla seconda
singolare conlagiun t a d i a m o o diate, ami - amo , ami -a l e . Del resto
sebbene l ’ E finale avanti la S dovea mutarsi in I; e la E di amem o di amet
dovea secondo leregole conservarsi; pure ne'principj non erano questi limiti abbastanza
riconosciuti: e diceasi promiscuamente io ame,tu ame, que gliame:desinenza era
questa originale, perchè meno distante dalla latina, taciutene le consonanti in
fine, e resta tuttavia tra’Poeti, spe cialmente per la rima: nondimeno si crede
che questa sia termina zione di licenza , e non primitiva e spontanea. Tale è
ilprogresso delle cose,c h e dimentichiamo gli usi più naturali, sostituendone
altri men proprj ,che poscia il tempo caratterizza come legittimi!Vedi amare num.
14. Nelle altre conjugazioni, lasciate o mutate le consonanti finali se condo
le regole S. 1 , e lasciato l'E, o l'I precedente l’A finale, S. I
reg.4,risulta dal LATINO Timeas Timeat Timeamus Timeatis Timeant Tema Temi, e
poi tema Tema Temiamo Temiate Creda d 25 1 Timeam ITALIANO Ame,ed ora ami
L'ITALIANO LATINO Amem Credam Temano Credi, e poi creda Creda Crediamo Crediate
Credano Credas Credat Credamus Credatis Credant Ami Reg. 4 e 2 Ame,ed ora ami
Amiamo Amiate Amino. E ne verbi ausiliari. Nel qual mutamento
l'EdiHabeam & c.èdivenuta per eccezione o dolcez. za un I, ed ilB siè
raddoppiato, osservate ancora le regole generali. Quanto alsim, sis, sit, simus,
sitis, sint, siccome il verbo essereè di seconda conjugazione, e tutte le
seconde conjugazioni anno il presente del congiuntivo terminato in A nel
singolare, almeno nella prima e terza persona; quindièchesifeceiosia,tusia,o
sii,quegli sia, noi siamo, siate, siano. 37. Ma perchè nelle origini della
lingua non era ben decisa la terminazione, con cui chiudere levocidel presente
nel congiunti vo, si tento talvolta, o si dubito modificarle in tutte le
conjugazioni, come nella prima. E siccome la prima era terminata in io ame
ovvero 38. Così pure essendosi terminata la prima conjugazione in I nel
presente del congiuntivo,siterminarono talvoltain Ipurlevoci delle altre: e si
trova abbi per abbia, giunghi per giunga, vadi per vada &c,in
terzapersona:Lett.S.Cat.pag.31.Deh!nonsirendipiù il cuor nostro ambiguo,cieco,
e negligente.E quindi è che tra'Cin quecentisti generalmente le terze plurali
abbiano,temano,leggano fu Abbia Habeam 26 tu ame Ilabeas Habeat Habeamus
Habeatis Habeant Abbi ed abbia Abbia Abbiamo Abbiate Abbiano io ami quegli ame
quindi èche si quegli ami; trovano anche i verbi di altreconjugazioni figurati.
Così AB. Isac. Collaz. cap.2. cosi con scrive,abbie preziosa operazione: e cap.
12 abbie paura della superbia, ed ALBERTANO Giudice l'uno de Scrittori più
antichi assegnato all' anno 1260 in circa, scrive vece diabbia al principio del
cap. in 6 tu abbie: e si dice abbie cari tade e fa ciò che tu vuoi, e cap.9 dci
render lo beneficio all'amico con usura se puoi:e se no; abbie spesso lo
beneficio a te dato memoria: e cosi nel cap. 3 usa in pieper diche per dichi,
enel 5 in finesap sappi: e nel cap. 9 sie per sia. Sie largo di dar mangiare
Tuoi conti ecari amici,e nel alli cap• 38 de'tuoi beni e dello stato che Dio
l'ha dato ţi stie contento.Tali formole parrebbono a chi non guarda alle
origini, tutte licenziose, laddove ri naturali,quando erano modi primitivi e la
lingua pendeva ancora indecisa circa la desinen za.Ora eccettosie efie,le quali
pur vogliono gran parsimonia piùnon siuserebbono talivoci. Vediesserenot.17,
avverto che tali voci abbie Del resto io non all'imperativo ,sie&c.spettano
al congiuntivo come . tu amirono abbino , temino , leggh i n o & c ., che
poi l'uso ragionevolmente 27 ha ri pudiate, perchè rimanesse un divario tra le
cadenze , onde riconoscer ne le conjugazioni. ec.1491. Are ( avrebbe) quelcolpo
gillatigiù mille. E qual sare'colei che nol facessi? In questo esempio il primo
sare sta per sarei, e l'altro per sarebbe . Eguali manieresiscontranoancora,ma
più rare assai,nell'Orlanda del BERNI:così nel c.5.16 39. Quanto
all'imperfetto amarem ,amares,amaret; taciutene le consonanti finali risultava
amare , voce non distinta dall'infinito: si aggiunse per cið un I finale, e si
fece amerei:e siccome il per fetto dell'indicativo termina in I, dicendosi
amai, temei, sentii, e da questa si ebbe per seconda persona amasti, temesli,
sentisti; cosi fu con progresso consimile terminata la seconda di questo tempo,
dicen dosiameresti,temeresti,sentirestiaggiunto un TI ad amares,timeres,
sentires,il quale in origine non era che un lu, e perciò trovasi tal volta
ameres-tu, vederes-tu per amaresti, vederesti &c.Cosi PASSAVAN ti nel
suoSpecchio di Penitenza pag.107.Avrestuoffeso intaleolal
cosa?&c.Laterzaamaret,gittatoilT,divenneamare nuovamente, e per
distinguerla si fece amerie,ovvero ameria per essere ne' prin cipii non ben
precisa la vocale distintiva da aggiungersi. Quindi in FRA Jacop.lib.4
cantic.30 silegge fariemiconsumare,permifaria consumare;e nellib.5can.27 si ha
vorrielo perlo vorria,eDan.Par. 29: 49 usa giungeriesi per sigiungeria. Nel
Morgante del Pulci s’in contra un uso speciale, ma certo molto analogo a
dimostrare la ori gine di questa persona.Egli più volte in vece di modificare
diver samente la voce, o desinenza amare, aggiunge un apostrofe ,e scrive
amere',sare',potre'perameria,saria,potria.Vedi c.12,13,c.13, 13 e 38. E son qui
per provarquelchel'hodetto. 'Amaremus diede ameremo mutatol'us in mo secondo le
regole generali: ma perchè ameremo è pur del futuro , si aggiunse un'M ,
facendosiameremmo:amaretisdiedeamereste,come da amarespro viene ameresti; o
come da amasti proviene amaste. amerieno da amerie; ovvero mutato il T di
amarent in secondo le regole,siccomerisultaamereno;cosi
coll'inserirviun'I,sen'ebbe amerieno. Amerie, ovvero ameria, ecostamerienosonodunque
desi nenze originali:e questa è laragione, per cui ne' Prosatori antichi, come
ne'Poeti, si trova tante volte la cadenza inieno,amarieno,te merieno,farieno:
la quale ora è mutata in iano , ameriano , temeria AO & c.da ameria,
cemeria, che prevalse sopra di amerie, temerie E disse sare'io, ch'era
pursaggia, Che a cosi degno amante non piacessi, Purchè mai tempo e luogo
accaggia; Ancormi dare il cord'uscirne nello, ipo d2 chissimo usate
fin da principio.I Poeti,sovrani conoscitoridella dol cezza degl'idiomi,
ritengono tuttora, usandola amplissimamente ,la terminazione in ia ed iano. I
Prosatori l'hanno quasi dismessa: nè io credo che ciò seguisse con piena
ragione: giacchè si allontanarono davoci, le quali presentano laoriginelorodallalingualatina
che ne era lamadre:e potevano variare con ogni dolcezza il discorso. Inluogo di
ameria,ameriano sottentraronole altre amerebbe,ame rebbero, ovvero amerebbono.
Queste voci a somiglianza di quelle del futuro sono composte ancor esse, ma
dall'infinito e dalle terze del perfetto diavere, amar-ebbe, amar-ebbero,ovvero
amar-ebbono.Può no tarsilamarciaincostantedegli uomini:mentre sonostatiesclusi
tantiB dagl'imperfetti, e dai futuri,qui ne sono stati riprodotti con usura: la
desinenza è divenuta più lunga, e talvolta quasi indistinta, essen dovi alcune
terze. Resta a dire qualche cosa intorno la desinenza amassi, temes
si&c.laqualeesprimeilpresentedell'ottativo,e l'imperfetto del congiuntivo.
E 'manisesto che questo tempo è tratto dalle voci sincopizzate del più ch perfetto de’ latini nel CONGIUNTIVO, tolto n
e il v i come nel perfetto dell'indicativo, e serbate leregole generiche delle
vocali finali, lasciato l'M , e mutata l'E in I & c. Amassi Amasse Amassimo
Amaste Amasseno . del perfetto, che somigliano, come crebbe, increbbe, bebbe,
ecc. E poco vedo cosa abbia a fare ebbe e debbero, vocidel perfetto, convocidel
soggiuntivo, lequalihannodell'imperfet persone to, cioè che resta da fare.
Possono osservarsi al verbo amare , dove trattasi della desinenza in ia , ed
iano, altre incongruenze. Ma l’uso ha già prevaluto, e chi parla dee parlare
conl'uso. Tale appunto sorse la terza plurale: ed ancora n e restano degli
esempj Fra Guit. let.I pag.8 se'reiabitasseno,elett.2ev'entrassenoalcore.
PETRAR. son. 154 che andassen sempre lei sola cantando&c.Ma posteriormente
di “amasseno” si fa “amassono”, ed ora dicesi “amassero’ co munissimamente. Si
noti che la seconda plurale amaste involge una mancanza di lingua: perchè non
più vi resta il ssi o sse, caratteristi co di questo tempo, e perché amaste è
voce plurale ancora nel perfetto dell'INDICATIVO. Ed è certo un difetto con una
voce stessa esprimere tempi, emodi tanto differenti. Forse è natodaciòchetalvolta
s'in contra voi avessi per voi aveste, come in Antonio Pucci Centiloquio
cant.69 terz.58. Se voi in qua non m'avessi menato. Anzi ho notato che
MACCHIAVELLI tanto conoscitore della sua lin Amassi nel suo 28 Ama (vi)ssem Ama
(vi)sses Ama (vi)sset Ama (vi)ssemus Ama (vi)ssetis Ama (vi)ssent
Ma primach'iosentissetalruina&c. FRA JACOP.lib.6 c. 18. 28. 42. E
siccome questo tempo nell'italiano esprime il presente dell'OTTATIVO, e
l'imperfetto del congiuntivo, i quali non E cosìnella Gerus.8.24. : "Quel
partissi addita azione già fatta. 29 gua , spesso in tal tempo usa la
seconda singolare per la plurale con premettervi il pronome.Cosi nell'Arle
della guerra ediz. Cosmopoli Far este voi differenza di qual arte voi li scegliessi,
e pag.63 iodcsiderereichevoivenissiaqualcheesempio,pag.233.so lovorrei che
voimi solvessiquesti dubbj,e 236 vorrei chemi dices si&c.Un tale scriveresidirebbeartifiziosoonegligente?Glieru
diti decideranno se forse era meno male così scrivere. Certo se replichiamo nel
singolare io amassi, tu amassi,perchè non farlo nel plurale?
Amassetesarebbestata,parmi,lavoce idoneae conseguente:ma sealtri la dicesse ora
, sarebbe uno sgraziato, un imperito . Tanta è la prepon deranza degl’abusi, resi
venerandi per vecchiezza. L'origine di questo tempo è similissima in tutti gli
altri verbi.Così da timuissem è temessi, da legissem è leggessi, da audivissem
udissi, &c.e nezliausiliaridafuissemfossi,dahabuissem avessi,mu tato al
solito il B in V , e ľ U I in É come in “timuissem” , timui ecc. e tutti
soggiacciono all'inconveniente anzidetto.Del resto ne'principj della lingua
pendette incerto alcun poco se avesse a farsi amassio amasse di amassem , e
così sentissi o sentisse di sensissem. Quindi Fazio nel Dittam. lib. 1 loro
discordano, ma PROVIENE DAL LATINO, che era un più che passato. Così le di lui
voci medesime scorrono a significare cose passate non senza un pocodi
confusione:ma egliè male di origine, esivuol condonare:peress.SEGNERI
Predic.358.10Visovviend'altroreo,che mai tollerasse una o più tragica o più tirannica
forma di tribunale? E'chiaro che quel collerasse esprime cosa passata:tale è
pur quello nelle Vit. De'SS.PP. tom.1pag.83.E alloraconosceretechefuil meglio
per m e ch' io m i partissi molto fra D'amarli e di servir, quant'io potesse.
BARBER ch'io gli mandasse a quello. Giosafat ed io non sarei savio se io tale
cosa manifestasse. Novell. ANTIC.37 s'iovolesse dire una mia novella&c.Nel
primo tom.delle Delizie degli Erudili Toscani pag. CL.sinotanoaltriesempj disi
mili desinenze. E se piaciuto pur fosse là sopra ch'iovi morissi, il meritai
coll'opra. Quanto agli altri tempi amaverim , amavero & c. sono decom posti
negl'italiani,che io abbia amato, o io avrò amato & c. Sicchè non vi resta
presso a poco da osservare, se non quanto si disse in torno di habueram, fueram
ecc DIPENDENZA delle conjugazioni italiane dall'infinito, e loro somiglianza
generalissima. Conjugare i verbi italianinonèchevariarediversamentel'in
finito,secondoimodi,itempi,lepersone,inumeri,come altrove si è detto. Or
volendo conoscere queste variazioni e somiglianza loro generale, si avverta. Ogni
infinito termina in “-RE”: “amare”, “lemere”, “credere”, “sentire”; e quasi
tutte le variazioni succedono appunto in questo RE finale:solamente talvolta
subisce de cambiamenti anche la vocale precedenteilRE.Cos)per avere I participj
presenti, il “-RE” si muta in “-NTE” nelle prime e seconde conjugazioni: “amante”,
“credente” &c.E nelle terze tutto l'IRE, per ess. di sent-ire si muta in
ente, sentente; ovveroilREsimuta inENTE;obedi-re,obedi-ente.Per avereilpar
ticipio passato,aparlar generalmente, basta nella prima e terza con jugazione mutare
il “-RE” in “-TO”: “ama-re” > “ama-to” ,senti-re,senti-lo.nelle
altreconjugazionisicambiatuttol'EREinUTO lem-ere,tem-ulo, cred-ere, cred-uto.
2. Quanto ai tempi per avere il presente singolare si lascia il RE
dell'infinito, e lavocale precedente il “-RE” simuta in “-O” per le prime persone,
e dove bisogna in Iperleseconde;ma perle ter ze persone, tolto ilRE, I'lsicambiainE
nelleterzeconiugazioni: nelle altre non bisogna variazione ulteriore. Ama-re
teme-re Crede-re a m a teme crede senti ne’plurali il “-RE” dell'infinito si muta
in “-MO”, “-TE”, e “-NO”, per le prime seconde,e terze persone. Ama-mo Teme-mo
Crede-mo ama-te teme-te crede-te senti-te a m a -n o teme-no crede-no
Senti-mo 30 E cosi trovansi presso gli Antichi terminate le prime e terze
plurali. E per dare qui un qual ch'esempio su le terze plurali, CASTIGLIONE nel
suo perfetto cortigiano usa commoveno, rivesteno, discerneno, occorreno,
cadeno, moveno, serveno, ed altre moltissime. Nell’archisihagiaceno,
soggiaceno,ed altre. Ma ora l'uso porta che anche le vocali precedenti il “-RE”
hanno subito de'cambiamenti, dicendosi tutte le prime persone amiamo, temiamo, crediamo,
sentiamo:enelleultimedue conjugazioni terminandosi le terze persone plurali in
ono , temono , cre sente -n o 1 S. III. 1. amo temo credo sento ami temi credi
Senti-re sente. Quanto ai verbi della terza conjugazione, ne'qualivi è la
doppia cadenzacome abborroeabborrisco(vediquestoverboinfine della prima parte )
sappiasi che la cadenza in isco esce di regola nei pre senti dell'indicativo,
imperativo,e congiuntivo. Tutto il divario è che in questi presenti le persone,
prima, seconda, e terza singolare, si formano come prima secondo le regole, e
che poi alla vocale fi nale si antepone la sillaba ISC in ognuna di queste
solamente, on de si abbia: la terza plurale si trae dalla prima così mutata, aggiuntole
il “-N O”, segno della pluralità ne'verbi. “Abborrisco-no.” Ossia all'infinito
abborri re, tolto il R E si congiunge sco, sci, sce, scono , abborri-sco ,
abbor ri-sci, abborri-sce,abborri-scono. 4. Il Re dell'infinito si muta in VA
VI VA pel singolare a m a -re teme-re crede-re senti-re ama-va teme-va crede-va
sentiva Ne plurali alla prima, o terza di ciascun singolare si aggiungono le
distintive dette di sopra MO,TE,NO. amaya-mo temeva-mo sentiva-mo amava -te
temeva-te credeva-te credeva-no sentiva.no Perfetti dell'indicativo per la terza
persona l'ultimo “A” di “amasi” muta in “-O” accentato. Nelle altre
conjugazioni si accentuano la E o l'I; masiaggiunge MMO 31 dono,sentono
&c, come se aggiungasi ilNO alle prime persone,
temo,temono,credo,credono,sento,sentono,laddove essendole terze plurali un
multiplo di terza e non di prima persona singolare, non dove asiaggiungere il NO,
segnodipluralità,senonallaterza sin golare, come dicesi ama, amano, e non
amono. amava-no temeya -no STE 1) sentiva -te ama-vi ama -va t e m e -vi
teme-ya “senti-va” credevi sentivi Imperfetti dell'Indicativo 2 )
personeplurali, RONO 3 crede-va c r e d e v a -m o abborr (isco abborr(isc)i
abborr(isc)e 5.ToltoilRe dell'infinitosiaggiungeIperlaprima,eSTIper laseconda
persona: per le senti-sti senti ama-mmo teme-mmo crede-mmo senti. mmo
amo teme crede ama-ste teme.ste crede-ste a m a -rono teme-rono 6.Ma nelle
seconde conjugazioni,come in temere e credere, ol tre la legge universale,il RE
dell'infinito spesso si muta per le pri m e in singolari in T T I; per le terze
singolari in T T E , e per le terze plurali in TTERO ovvero in TTONO dicendosi
Temei temetti Credei credetti Temė Futuri dell'Indicativo 7. Il solo E finale
dell'infinito si muta, o cresce in O accentato 1 ) A I nelle amar-o temer-6
sentire amar-ete creder-emo sentir-emo Presenti dell'Ottativo IIRE si muta in “senti-ste”
crede-rono senti-rono creder-o 33 ama-re t e m e - r e c r e d e -r e
ama-sti teme-sti crede-sti amar-emo temer-emo temer-ete creder -ete sentir-ete
amar-anno temer-anno I SSI SSI SSIMO SSE . STE SSERO SSONO sentir-à senti i
amar-ai temer-ai creder-ai sentir-ó amar-a temer-à creder-à sentir-ai ama-i
teme-i crede-i amar-e temer-e creder-e Credé Temerono temettero temettono
Crederono credettero credettono 2 ) del singolare A accentato 3 EMO ETE nelle2)
delplur. ANNO 3) temette credette Si noti che ora si volge in E anche l'ultimo
A di amare , almeno dagli Scrittori, non senza equivoco. Vedi amare nel
prospetto not. 9. crederanno sentiranno sentire ama-re teme-re crede-re a
m a -sse teme-sse crede-sse crede-ssimo ama-ste teme-ste senti-ssi
serti-ssimocic. BBERO solamente nella prima conjugazione si è preso il COSTUME
– forse NON RAGIONEVOLE – di cambiare 1A precedenteilRE dell'infinitoinE.
sentire sentire-i credere-sti credere -bbe credere-mmo sentire-mmo credere-ste
sentire -ste credere-bbero sentire-bbero credere-bbono sentire-bbono Si noti
che le aggiunte che qui si fanno per le due prime per sone singolari eplurali
sonole stesse dei perfettie che quelle che si fanno per le terze sono , direi ,
le terze del perfetto di avere, ebbe, ebbero,ciocchè facilita di molto la
formazione di questo tempo, presente del congiuntivo AMO ATE credere credere -i
sentire-sti sentire-bbe ama-ssi a m a -ssi teme-ssi teme-ssi crede-ssi
crede-ssi senti-re senti-ssi ama-ssimo teme-ssimo Amare Io ami Imperfetto
dell'Ottativo Conjugazione 1." Si toglie il RE dell'infinito, e la vocale precedente
il “-RE” si muta in I, e nel plurale si aggiunge 3 1 sentisse credeste, amassero
amassono temessero temessono credessero credessono 33 I alla 1) S T I 2 ) del
singolare BBE 3) MMO I) STE 2)delplurale amare amere-i amere-sti amere-bbe
amere-m m o “amere-ste” amere-bbero amere -bbono 9. L'infinito resta immutabile
e si aggiungono Tu ami Colui ami Ami-amo Ami-ate Ami-no temere temere -i
temere-sti temere -bbe temere-m m o temere-ste temere -bbero temerebbono NO 2
person . La vocale precedente il -re dell'infinito si muta in “a” in
tutto il singolare, e nella terza plurale. Il resto è come nella prima :anzilla
seconda singolare può terminare come nella prima conjugazione; i che sarà
considerato ne verbi rispettivi. Credere Creda Creda o Credi Creda Crediamo
Crediate Credano. Queste sono le variazioni. Gl’altri tempi composti risultano
da alcuno de' tempi già esposti, presi da'verbi essere ed avere, e dal
participio passato del verbo particolare, il quale si usa; e però non occorrono
nuovi cambiamenti nell'infinito. Quindi si dovranno cercare nel prospetto.
Intanto si potranno raccogliere alcune regole, e sono: Tutte le prime persone singolari
dell'indicativo eccetto il perfetto e l'imperfetto finiscono in 0. Tutte le seconde
in I in ogni tempo. Tutte le prime plurali in ogni tempo e modo in “-mo”, e le
seconde in “-te”, e le terzein “-no” o “-ro” in alcuni tempi. Ma in tutte le prime
plurali dei presenti di ogni modo, degl'imperfetti, e futuri dell'indicativola Mè
semplice: amiamo, amassimo, amavamo, ameremo, temiamo, temessimo, temevamo, temeremo,
&c. Ma ne'perfetti dell'indicativo e negl'imperfetti dell'ottativo la “m” è
doppia: “amammo”, ameremmo, temeremmo, crederemmo, &c., e cosi le seconde
plurali in que stid u e tempi ed anche nel presente dell'ottativo anno la “s”
avanti ilTe finale dicendo siamásle amereste &c.!,le altre anno il semplice
“-te.” Parimente, questi tre tempi possono finire in “-no” ed in “-ro” nelle
terze plurali: amaro, amarono, amerebbero amerebbono, amas, amaranno, amarino. Gli.
Marco Mastrofini. Mastrofini. Keywords: implicature, Delle cose romane di
Floro, l’antichita romane di Dionigio, le cose memorabilia di Ampelio, il
sistema verbale della lingua Latina – del verbo latino, aspetto verbale – la
filosofia del verbo – tempus, azione, la concettualizazione dell’evento e
l’azione nel verbo latino --, categorie sintattiche e morfologiche e semantiche
e prammatiche dell’aspetto verbale nella lingua Latina. Refs.: Luigi Speranza,
“Grice e Mastrofini” – The Swimming-Pool Library.
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