/*l^ -
^?^t>4 Dott. VI^CE^ZO BO^DO^IIO m tw ro3''2o-!S6i> SULL ’\mm BEL UHI STUDIO STORICO-CRITICO Tipografia Editrice G. Brignolo ««•ST** & & PROPRIETÀ LETTERARIA AI, MIO INSIGNE MAESTRO ANGELO VALDARNINI PROFESSORE DI FILOSOFIA TEORETICA E DI STORIA DELLA PEDAGOGIA NELLA UNIVERSITÀ DI BOLOGNA QUESTO PRIMO E MODESTO SAGGIO DE’ MIEI STUDI FILOSOFICI DEDICO IN SEGNO DI VERO AFFETTO E DI PROFONDA GRATITUDINE SULL’ IMPORTANZA DEL RAZIOCINIO STUDIO STORICO-CRITICO Che un uomo sappia più (l’un altro nasce quasi unicamente (la questo, che «no deduca più conseguenze dell’ago dagli stessi principi ■> Eosmiki. IHTRODUZIOHE. Aristotele nei Primi Analitici diede del Sillogismo una definizione che si può applicare cosi al ragio¬ namento deduttivo come all’induttivo, quantunque per solito lo contrapponesse all’Epagoge, vera e propria Induzione. Nel Medio Evo e nei tempi moderni, presso i filosofi inglesi, prevalse il criterio eh come espressione esclusiva della ecuzi «he è auel però considerata la natura del Raziocinio, che è quel procedimento della mente con cui essa per' iene a co- noscere e ad affermare la convenienza ° «a npugnK» di due idee mediante una terza idea, 1 * ° , forma (ondamentale di ogni argom^o^S^» poi la sua struttura, esso è la forma ttp» 4MgJ argomentazione deduttiva. Sotto questo duplice aspetto — 6 — ci proponiamo di studiare il Sillogismo; mettendone in rilievo il vero valore, e combattendo le obiezioni mos- segli da alcuni scienziati e filosofi. Esporremo prima brevemente le dottrine espresse dai Logici di ogni età intorno aU’importanza del Raziocinio, senza addentrarci in minute discussioni, accontentandoci di esporre come la teoria sillogistica siasi costituita, quale importanza le abbiano attribuito i filosofi posteriori ad Aristotele, in che modo infine alcuni di essi si siano ribellati alla dottrina dello Stagirita, ed altri nell’età moderna ab¬ biano preteso di rifare e migliorare l’opera del più grande pensatore della Grecia. Esamineremo e com¬ batteremo poscia le obiezioni mosse contro il Raziocinio, per venire quindi a stabilirne la reale importanza come mezzo efficace all’acquisto di nuove conoscenze; pregio che non gli può disconoscere se non colui il quale nega le idee universali ed ogni inferenza da esse. CAPITOLO I. Il Raziocinio in Aristotele. Il Raziocinio ha avuto precedenti? Ecco la domanda che prima si affaccia alla mente di colui che voglia studiarne un po’ addentro la storia. E il pensiero corre spontaneo a coloro i quali per primi parvero seguire certe norme nei loro ragionamenti, cioè ai Sofisti. Ma ben tosto Aristotele colla sua opera Hspì <70<ptcri/.wv èléy/w e Platone con l ’Eulidemo ci dichiarano che l’arte raziocinativa dei Sofisti consisteva soprattutto nel sapersi servire di giuochi di parole, nell’approfit- tare degli equivoci e delle incertezze del linguaggio. — 7 — Gorgia aveva formato la sua dottrina con queste tre proposizioni: Non v’è nulla; se qualche cosa fosse non sarebbe conoscibile; se fosse conoscibile non si potrebbe comunicare ad altri. Egli esagerava il concetto di Parmenide, che la natura è il non essere, esclu¬ dendo persino il pensiero, il quale era un raddoppia¬ mento dell’essere: escludeva poi l'espressione del pen¬ siero, perchè l’espressione è diversa dalla cosa espressa. I Sofisti negavano quindi le idee generali ed ogni possibilità di giudizio, non potevano perciò ammettere il passaggio da un’idea all’altra per mezzo di una terza, nè la connessione di proposizioni che si implicano. Solo oggetto di conoscenza era per essi il fenomeno che passa ; e tale cognizione consisteva nel rapporto dell’obbietto allo spirito individuale che lo conosce. Se dunque la ricerca della verità è un illusione fallace, non si ragiona, nè si confuta, nè si argomenta. La dialettica si riduce al metodo di una Eristica atta a dimostrare l’abilità di chi discorre. « OO -i/yv xx à-b tvì; Ti/vvi; oVovrs; », per dirla con Aristotele (1) , i Sofisti credevano di istruire. « La maniera di ben parlare introdotta dai Sofisti, come avvertiva il Monti (2) , altro non era in sostanza che un artificioso tessuto di antitesi e di metafore che incessantemente brillando in tutte le parti dell’orazione rapivano gli ignorami, nel mentre che nauseavano gli uomini di buon gusto. * Alquanto diversa dalla Sofistica fu l’Eristica, la quale non si valeva solo di giuochi di parole, ma 81 PP neva di combattere per combattere senza voler provare alcuna affermazione, e di contrae ire o 0 ni m Arist. - Soph. Elench., cap. . (2) Monti - Prose c poesie, Voi. IV, P»S- ’• — 8 — sola realtà vera per l’Eristica erano concetti immateiiali, senza rapporto fra loro, nè con gli individui. Onde se non si poteva dir nulla di nulla, gli argomenti capziosi erano destinati a mostrare questa impossibilità di unire le idee fra loro. Anche intorno all’Eristica sono per noi fonti d’insegnamento gli Elenchi sofistici ed i Topici di Aristotele, nonché l ’Eutidemo di Pla¬ tone. Ma, ci si potrà dire, tutto questo fu un vano armeggio che precedette il vero e proprio Raziocinio, e nulla ha che vedere con esso. Sta bene; ma se vogliamo poi renderci ragione di quella grande riforma che si compendia nei nomi di Socrate, Platone, Aristotele, e per la quale lo spirito fu rimesso nei suoi diritti, dobbiamo prima studiare qual conto avessero fatto della mente umana sia i Sofisti, sia i maestri del¬ l’Eristica. Gli argomenti sofistici provocarono la gran¬ diosa teoria delle idee; dall'esistenza e dalla natura delle idee generali doveva poi dipendere tutta la Logica. Socrate non è ancora un logico che faccia la teoria del suo ragionamento: egli oppone ai Sofisti il suo esempio costante. Il sapere è riposto nel conoscere i concetti delle cose, i quali si formano con l’aiuto dell’Induzione; con essi si possono comporre giudizi e ricavare conseguenze: in tal modo Socrate comprende il particolare ed il generale nei loro rapporti, e dice che una volta' ben definiti i concetti, è possibile la dimostrazione. Al dom- matismo dei filosofi fisici e allo scetticismo dei Sofisti egli contrappone la Dialettica, o la filosofia dei concetti, il cui metodo si riassume nel l’indurre e definire. Un esempio bellissimo del modo di ragionare di Socrate ci riferisce Senofonte nei Memorabili , là ove intro¬ duce il grande filosofo a discorrere con Lamprocle, — Si¬ che era adirato contro la madre sua. In quel dialogo Socrate comincia dal definire che cosa sia l’uomo in¬ grato, per derivare poi dalla definizione una serie di conseguenze fino a dimostrare che Lamprocle è stato ingiusto ed ingrato verso la madre ^1). Questo è un solo esempio: ne potremmo citare altri dai quali ap¬ parisce che il grande filosofo procedeva nei suoi ra¬ gionamenti non solo induttivamente, ma anche e spesso deduttivamente. Egli del resto ha, secondo Aristotele <2), il merito di non aver mai separato il generale dall’individuale, di non aver mai pensato a dare alle idee universali un'esistenza indipendente. In lui lo Stagirita riconosceva e ammirava due cose : l'arte del¬ l’Induzione e quella delle Definizioni. Certo bisogna ammettere che con Socrate la Dialettica prese un an¬ damento saggio e razionale, benché non ricevesse da lui determinate norme e leggi fisse. Più oltre di Socrate va senza dubbio Platone: il punto fondamentale della sua dottrina è I Idea, ciò che \i ha di costante nel l’avvicendarsi dei fenomeni. Egli ci da pure per primo una teoria della relazione delle idee fra loro, nella quale consiste propriamente il processo del metodo dialettico. Con la Definizione, dice Platone, la moltiplicità si raccoglie sotto l’unità; ma non basta, chè con la Divisione l'unità si scinde nella moltiplicità. La Divisione, secondo il suo concetto, c'insegna se h concetti sono identici o il genere con la specie, ci fa s al particolare. Ecco come questa teona c. porte alle dottrine degli Analitici pn»n e post&ioìi. (1) Senofonte - I detti memorabili di Socrate, Lib. H, cap. (2) Arist. — Metafisica, XII, I- — 10 — del pari provato che se fu sommo vanto di Aristotele l’aver risolto il problema del ragionamento deduttivo, non bisogna disconoscere che esso era già stato posto prima di lui. L’estensione delle conoscenze è limitata alla cogni¬ zione di un nuovo rapporto fra i concetti; e l’esigenze del conoscere sono due: 1° il sapere umano comprenda il maggior numero di conoscenze; 2° queste siano connesse nei loro rapporti e nelle loro dipendenze, sistemate nelle parti e nel tutto. Aristotele comprese tutto ciò e negli Analitici posteriori (1) indicò i punti di partenza della ricerca e del sapere « MacvOavousv, pgli disse, 'il É-ayor'yi r, ’i'j-i o~ -ri p.sv ).- ctò«v.; iy- t&v xa&ólou, r, 8’ È~z‘(or{ì] è/, rwv xarsc pipo;. » E meglio negli Analitici primi aveva già scritto che « airavva T«ffT£Ó 0 f«v r, or). ffu),>.oywuoC vi è?, È7ray©y?i; (2). » Si può muovere dal principio e dalla legge al fatto, o dal fatto alla legge ed al principio; nel primo caso si ha il Sillogismo vero e proprio o Deduzione; nel secondo l'Induzione: processi opposti fra loro, sebbene, dice Aristotele, l’Induzione si possa formulare in Sillogismi che sono perciò la forma ele¬ mentare del ragionamento. Ma in che cosa differisco il Sillogismo aristotelico dalla Divisione platonica? È questo un punto da chiarire prima di procedere alla esposizione della dottrina dello Stagirita. Dopo aver esposto il suo metodo di dimostrazione, Aristotele dice che la Divisione per generi è « puy.póv 3* f trf P £0v . ewévvj; pcQtóou (3) » cioè del metodo al Apistico, e serve a scoprire le relazioni delle essenze (1) Arist. — Anal. Post.' I. 1S. (2) Arist, — Anal. Pr., II. 03 ’ (3) Arist. - Anal. Post., I.~30 — 11 fra loro. La divisione ha due gravi difetti: 1° di supporre- in luogo di dimostrare, e di cercare arbitrariamente una delle due alternative della divisione stessa; 2° di,pren¬ dere per medio il termine più generale. Essa è quindi un Sillogismo impotente, che fa non una dimostrazione ma un’ipotesi, e conclude sempre un termine più esteso- di quello che si tratta di concludere (1). Nelle dimo¬ strazioni regolari si scende dal termine maggiore al medio, meno esteso; nella Divisione al contrario si prende sempre l’universale per termine medio. Per- citare un esempio: se si deve provare che l’uomo è mortale, la Divisione platonica stabilisce prima che ogni animale è mortale o immortale: aggiunge poi che l'uomo è animale e conclude: che « l'uomo è mortale o immortale » il che non è punto ciò che si voleva provare. La Divisione ci dice solo in questo caso che l’uomo « è mortale o immortale »; che sia mortale è solo un’ipotesi, non già una conclusione dimostrata;, oltre di ciò « mortale o immortale » è più esteso di « mortale » solo. L’errore che falsa il metodo della Divisione è la scelta del termine medio, il quale non può essere se non una specie del termine maggiore o- un attributo della conclusione: onde la divisione del genere in specie, non essendo che una parte del me¬ todo sillogistico, richiede un compimento. * Vi è una divisione della specie in generi, ed una divisione del genere nella specie, e queste due divisioni- (1) Arist. - Anal. Post., IT. 5 e segg. - Ami Post., Aliai. Pr. I. 31. (2) Arist. — Anal. Pi’., I, 1- frr? ijjr ,p m sw A r r?r p — 12 — poste alcune cose, da esse deriva qualcosa di diverso da ■ciò che esse sono. Il Sillogismo consta perciò di tre termini; il medio e due estremi, uno maggiore e l’altro minore; o, se vogliamo, d ue premesse col legate tra loro in modo da avere in comune il termine medio, e da farne seguire per necessità una terza proposizione che vi era inclusa. Il termine medio poi non ha sempre la stessa relazione verso gli estremi : perocché o esso è contenuto nel maggiore e comprende il minore (1* figura); o comprende sotto di sè il maggiore e il minore (2* figura); o infine è compreso sotto il mag¬ giore e il minore (3“ figura). Onde la 1* figura sol¬ tanto è perfetta e vale tanto per le conclusioni affer¬ mative quanto per le negative; la seconda e la terza per lo contrario sono imperfette, perchè quella conclude solo negativamente, questa solo particolarmente. IJ_ congegno del Sillogismo è dunque riposto nel nesso triHe premesse "e ciò che ne segue, e nella necessità ai tale lega me. Ma poiché vi sarebbe connessione anche se le premesse fossero false, purché la conclu¬ sione nascesse necessariamente da quelle, così distinse il Sillogismo dalla Dimostrazione o Apodissi, che ri¬ chiede la verità delle proposizioni sulle quali si fonda. II vero e proprio Sillogismo è lo scientifico e dimo¬ strativo, che deduce la conclusione da cause vere e proprie, e, per valerci delle sue parole, « TsXsiov w.èv oùv [xaXw] t I- r'i' nix. 7730 Tac 7 JCOV. bsso è la forma per eccellenza del ragionamento, (1) Arist. — Anal. Pcst., II, 2. — 13 — il più perfetto istrumento per la scoperta e l’esposi¬ zione della verità, perchè risponde alle condizioni del¬ l'esistenza reale, esprime il procedimento della natura, che va dal genere alla specie. La forma del ragiona¬ mento ha la sua ragione nel contenuto suo; il Sillo¬ gismo risponde alla natura dell’essere. Il Sillogismo è l’unione di due termini per mezzo di un terzo; si cerca se un tal predicato conviene o no ad un soggetto. Per risolvere la questione, si va in traccia di un termine medio e lo si paragona successivamente con ambo i termini, e secondo i rapporti di convenienza o scon¬ venienza che presenta.con essi, si conclude alla'con¬ venienza o sconvenienza dei due termini estremi. Onde il Sillogismo dimostra sempre alcunché di una cosa, « ó >J.h -z: 7uUoy-.7y.ò; rò zztz rivo; Ss’utvufft Az rovi pW'j (1) ». Ogni dimostrazione è pertanto un «truUoyt- C \jM s-« 7 T 7 ip.ovaó; (2) » e col semplice Sillogismo è in questa relazione : « ‘h p-sv yà? wnoywua; rt;, ó criAT.oys'jp.ò; àz où r.y.'jy. x-ooì'.C'-S (o). » Non occorrendo qui di fare una minuta esposizione della dottrina logica di Aristotele, sorvoliamo su tutto ciò che si riferisce alla costruzione del Sillogismo alle sue figure, a’ suoi modi, alla maniera di ridurlo a suoi elementi ed alle sue forme rigorose (4). noi basta di studiare quei punti della dottrina dello Sta¬ ggita, dai quali apparisce qual conto egli facesse de (1) Arist. — Anni. Post., II, 6. (2) Arist. — Anal. Post, I, 2. (!) Cfr. S l’espo!iz!Òne > fattar!o da B. du ?T den a ^^ t . = ^ « ElemeBta Logict l 2 Ari‘stoteleae »'e specialmente i pavagr. 20-21 e 33-36. X — 14 ! o iaJL Raziocinio ; e ci fermiamo innanzi lutto sui capitoli nei quali parla della ricerca del termine medio (1). Ciò che Aristotele dice in essi ci dimostra che egli riguardava il Raziocinio non solo come un semplice modo di esposizione formale, ma anche come un istrumento di scoperta. Altrove, nei Topici (2), confrontando l’in¬ duzione colla deduzione aveva detto: « .Vrt Ss yj :piv è-3ty<ùy'r, riGavcótìsov /.al caoscTspov, stai /.ara -rr.v al7$i«v yvupiy.w-spov /.al roì; ttoXXo?; y.osvov, ó Ss < 7 uA).oyt- •<7uò; (iiaT7'./.u-cpo; /.al ttoò? toò; àvrtXoyr/.où; svsoys'cTsoov. » Negli Analitici, fermandosi a parlare della ri¬ cerca del termine medio, il « maestro di color che sanno » ragiona press’ a poco in questo modo: nella ÌmÌitWiio natura esistono cose le quali sono sempre e solamente soggetto, senza poter essere mai attributo; altre sono -attributo, senza poter essere mai soggetto; altre infine possono essere e 1 uno e l'altro. Le prime sono gli individui, cioè le cose che cadono sotto i nostri sensi, le seconde i generi, le terze le specie. L’individuo non .può essere che soggetto, perchè la sua estensione si riduce in se stesso; il genere contiene i termini infe- nori, e non è contenuto da alcuno, perchè più estesu; in ne a specie contiene gli individui ed è contenuta on ^ e ^ termine medio tra il genere e -” 1 1V / U0 : Su esso dunque conviene portare le cerche e le discussioni della Dialettica; dati due termini, 0 na consi erare gli antecedenti ed i conseguenti rannn P ! J ° nantl * ^* 1 - Un ° 6 all a,tro: S 1 * antecedenti sa- •ouindi ,S SSett1 ’ ! conse S uenti gli attributi. Bisogna inguer bene i conseguenti e gli antecedenti JS AHst ' ~ AnaK Post -’ IJ > 5 6 15. ■ > Arist. — Topici I, 10. — 15 — essenziali dagli accidentali, i veri dai probabili ; pren¬ derli universali, perchè non v’ha Sillogismo senza universali; l’universalità poi dovrà essere nel soggetto, non nell’attributo. Questa ricerca non è semplice analisi di linguaggio; e per Aristotele il termine medio non importa per sè, ma per ciò che rappresenta. I veri termini del Sillogismo aristotelico non sono, come avverte un illustre critico, « nè le proposizioni, nè i termini, ma i fatti e le leggi, o meglio, le idee che realizzano negli individui i progressi della natura in moto verso Dio (1) ». Aristotele conclude i suoi precetti sulla ricerca del termine medio con queste parole: « -y.~ u.i'i ò.r/y.’ tz; -spi è/AKSiplzi is-tl jt xpxàoijvxi; » i principi di ogni scienza non ci possono essere dati che dall’esperienza, ma una volta conosciuti la dimostrazione sillogistica s’incarica di mostrarne i rapporti. Negli Analitici Primi Aristotele analizza il Sillogismo in sè, negli Analitici Posteriori ne mostra l’applicazione alla scienza-e studia in qual modo lo spirito arriva a conoscere qualche cosa cou cer¬ tezza. Il primo principio che pone lo Stagirita e che serve di fondamento all’intiera sua teoria è che ogni apprendimento intellettuale proviene da una conoscenza anteriore; ce ne possiamo convincere con l’esame dei metodi che seguono le varie scienze. La Logica procede per Sillogismo e per Induzione, l'uno partente da principi universali, accordati, l’altra dal particolare evidente di per se stesso (2). E come 1 Induzione è quella forma di ragionamento per la quale dall esame (1) Janet e Séailles — Histoire de la pHlosophie. (2) Arist. — Anal. Post., I Cfr. anche Saint-Hilaire, « De la logique d’Aristote » Voi. I, pag- 277 e segg. — 16 — o confronto di più casi osservati si sale ad un prin¬ cipio generale, che comprende non i soli casi osservati ma anche altri i quali hanno con quelli somiglianze e comunanza, così la Deduzione è qualunque forma di ragionamento riducibile a quello schema da lui chia¬ mato Sillogismo. Sapere una cosa in modo vero e stabile, non accidentale e sofistico, è conoscere la causa di questa cosa, che la fa essere tale quale è senza che possa essere altrimenti: l’unico mezzo di sapere così le cose è il «zuXXoywy.ò; èmcrryipovarf;. E però la Dimostrazione deve di necessità partire da principi più cogniti che non sia la conclusione; devono essere veri, primitivi, immediati, anteriori alla conclusione e da essi come da causa quella deve dipendere (1). Posto quindi che la scienza dimostrativa deve discendere da principi necessari e che le cose in sè sono quelle ' essenzialmente necessarie, ne segue che il Sillogismo dimostrativo deve derivare da cose in sè (2). Alla fine degli Analitici Primi Aristotele si fa a ricer¬ care come si formano neH’intelligenza i principi che ser¬ vono di base così alla Dimostrazione come al Sillogismo; o afferma che i concetti universali non si possono otte¬ nere sillogizzando, ma si acquistano con l’Induzione- « Il compito di fornire i principi sui quali si fonda la Deduzione, egli dice, spetta all’osservazione dei fatti particolari che costituiscono il campo di ricerca di ogni scienza. Così per quel che riguarda l’astronomia tale compito spetta alle osservazioni astronomiche ; perocché non si potranno fare deduzioni circa deter¬ minati fenomeni celesti, finché essi non siano stati (1) Arist. — Anal. Post., I, 2. (2) Arist. — Anal. Post., I, 6. Sì . ■ _.L . - 17 — convenientemente analizzati e compresi. Lo stesso vale per tutte le altre scienze ed arti, nelle quali si po¬ tranno presto trovare le dimostrazioni quando siano stati studiali a dovere i fatti cui esse si riferiscono (1) ». Tale dottrina egli applicò per quanto si poteva ai tempi suoi nei libri naturali, politici e morali. Poiché credeva fermamente che non v'è universale senza Induzione, nò Induzione senza il Senso (2), l'Induzione prepara il Sillogismo, la cui funzione consiste nel termine medio, scoperto appunto dall’Induzione (3). E perchè sommi¬ nistri concetti generali e sia vera l'Induzione, che è preceduta.dal senso, dall'osservazione e dall'esperienza, deve considerare tutti gli individui di una data specie e ricavarne i caratteri essenziali, comuni e costanti. L’argomentazione deduttiva poi ha il compito di ridurre ciò che è incerto al massimo grado di certezza; essa serve ad assicurare della verità di proposizioni solo probabili, collegandole ad altre sulle quali non si può sollevare alcun dubbio, allo stesso modo che nelle matematiche si confermano le proprie asserzioni coi primi principi matematici indiscutibili, di evidenza immediata. Questa è la dottrina dello Stagirita, con la quale pose e risolse una delle più grandi questioni, che agitò tutto il Medio Evo e formò l’oggetto della filosofìa dei secoli XVIII 0 e XIX 0 (4). Da queste poche considerazioni apparisce chiaramente che la Sillogistica aristotelica è ben lontana dal vuoto (1) Arist. — Anal. Pr„ I, 30. _ (2) E S. Tommaso più tardi disse: « Impossibile est speculari universalia absque inductione. » (3) Arist. — Anal. Post., I, 18 e II, 19. (1) Saint-Hilnire - « De la logique d’Aristote. » \ol. II. pag. GG. — 1S — formalismo, prevalso più tardi in coloro i quali si dissero seguaci del grande filosofo. Perocché egli am¬ mette che la dipendenza dei concetti espressa nel sillogismo rispecchia la dipendenza causale della realta; e.quantunque molto oggi occorra sfrondare dalla sua Sillogistica, rimane però fermo, come osserva giusta?- mente il Masci, il principio che ogni dimostrazione è dall’uiiiversale, « vi piv ò-óonc,i' ex toù xafloXoo. » Tutte le specie di prova prendono valore dai prin¬ cipi, dalle leggi, dagli assiomi, cioè da proposizioni aventi valore universale; e su di esse si fondano tanto il Sillogismo deduttivo (apodittico), quanto l’ó èq Ì7raY&>Yvi; du^Xo^w’po;, che Aristotele ammise esplicita¬ mente nei Primi Analitici (1) e che non avrebbe valore, se non avesse alcun fondamento il principio di causa. Perciò il procedimento di sussunzione è essen¬ ziale nel Sillogismo, e la figura che lo rappresenta è fondamentale. Soltanto bisogna tener presente che la sussunzione quantitativa non è la vera, e che sono legittime tutte le forme di ragionamento che ranno¬ dano una conseguenza ad un principio (2). Questa è l’importanza attribuita da Aristotele al Sillogismo. Altri discuta sul valore della sua logica: a noi basta far rilevare che egli non solo coordinò materiali già esistenti (3), ma in gran parte anche creò; onde dobbiamo riconoscergli pienamente il diritto, che si arroga egli stesso, di invocare « riconoscenza per tutte le scoperte fatte (4). » È suo vauto l’aver dato la teoria compiuta del Raziocinio, dettando quelle (1) Arist. — Anal. Pr., II, 23. (2) Masci — Elementi di filosofia - Logica, pag. 240. (d) Tennemann — Storia della Filosofia. Voi. II, pag. 176. (4) Arist. — Elenchi Sopii., cap. XXXIII. — 19 — regole che durano anche oggidì con la costante tra¬ dizione di ventitré secoli; egli conobbe per primo il Sillogismo ipotetico (1), e, rilevato il valore dell’Indu¬ zione, osservò che in fondo ogni ragionamento con¬ clusivo è sillogistico, e ridusse a tal forma l’Esempio, l’Obiezione, l’Abduzione. l'Entimema e l’Induzione stessa, giacché in essa l'illazione è la stessa premessa •maggiore del Sillogismo deduttivo, e il termine medio ■è lo stesso soggetto dell’illazione risoluto nelle sue specie A coloro poi i quali sostengono che Aristotele ha latto solo della logica applicata, eccettuata la dottrina delle tre figure, poiché per la Dimostrazione si è occupato del necessario, che la logica pura non deve conoscere, e pel Sillogismo si è occupato della moda¬ lità delle proposizioni, di cui la logica pura non si deve interessare, non sappiamo far cosa migliore che ripetere le parole del Saint-Hilaire: « Ce répoche n’est pas jusie, et l’exemple de Kant qui n a pas exclu la modalité de sa logique, toute pure qu’elle est, devait ótre un avvertissement suffìsant. Il est vrai •qu’on blàme Kant tout aussi bien qu’ Aristote. Mais pourquoi veut - on proscrire la modalité de la Ihéorie du syllogisme? Parce qu’ elle fait entrer, dit-on, la ■malière de la pensée dans un science qui ne devrait, s’enquerir qua des formes. Si ceci etait exact, il faudrait en effet que la logique s’abstint de toute •recherche sur les modales, et qu’ elle dit avec M. Hamilton, parodiant une sorte de proverbe scholastique: -« De modali non gustabit logicus. » (1) Aristotele intravide del pari la quarta figura sillogistica. Anal. Pr. I, 8. — 20 — CAPITOLO II. Il f^azioeinio dopo Aristotele. Dopo Aristotele la teoria del Raziocinio non andò soggetta a notevoli cambiamenti; quel che mutò ne fu il senso, perchè la logica andò scostandosi a poco a poco dalla ontologia per avvicinarsi alla grammatica. Teofrasto, amico di Aristotele e continuatore dell’opera sua, aggiunse ai quattro modi della prima figura cinque modi indiretti; più tardi Galeno, a detta di Averroè, svolse una quarta figura del Sillogismo. Innovazione importante fu il maggiore sviluppo dato al Raziocinio ipotetico, al quale del resto già aveva alluso lo stesso Aristotele (1). Ad ogni modo, Boezio ne attribuì a Teofrasto e ad Eudemo la scoperta, e a sè il merito di averne dato per primo la teoria (2). Gli Stoici si occuparono molto della Logica, che ritennero impor¬ tantissima, sia per l’educazione dello spirito, sia per la dimostrazione della verità; essi ridussero però il Sillogismo ad una forma puramente grammaticale, e trattarono solo dell’apodittico, perdendosi a ricavare dai cinque modi semplici un’infinità di altri non sera- W « IloXÀo: ciz v.a.'. értpoi jrspaivovrai si; ù~o6sccco; ou; èn’T/.vltxvGxi ùz~. /.ai /.«0apw;. » Anal. Pi\, I, 33. (2) Theophrastus vero vir omnium doctrinae capax renani tantum suramas exquiritur; Eudemus latiorem docendi gra- ditur viam, sed ita ut voluti quaedam seminarla sparsisse, nullum tamen frugis videatur extulisse proventum ». (Boezio - De Syllogismo hvpotetico, pag. GOG). — 21 — plicij come ebbe ad avvertire Cicerone (1). Gli Scettici infine, con Pirrone di Elide, ammisero che nè con la ragione, nò coi sensi, ci è dato di conoscere le cose; e siccome non possiamo affermare alcun predicato di nessuna cosa, ognuna dev’essere indifferente per noi (2). Qual conto facessero gli Scettici del Raziocinio apprendiamo dalle Iluppovjìa-. ‘Vjro-ujrwffst; di Sesto Empirico, il quale lo considerò nè più nè meno che un circolo vizioso. Sia data ad esempio la proposizione « Puomo è animale », dice egli; l’afl’ermazione è con¬ fermata dalle proposizioni singolari per Induzione; e se si trova un caso solo contrario agli altri, la propo¬ sizione universale non è più vera. Quando pertanto diciamo: « Ogni uomo è animale, Socrate è uomo, dunque Socrate è animale » e dalla proposizione uni¬ versale vogliamo derivarne una particolare, cadiamo in un modo vizioso di prova. L’Induzione poi, afferma Sesto Empirico, come quella che dai casi particolari vuol giungere all’universale, è anche più impugnabile: poiché se si percorreranno solo alcuni casi essa non sarà fondata, potendo benissimo accadere che un caso particolare lasciato a parte si riscontri poi contrario all’universale; se poi si vorranno percorrere tutti i particolari si intraprenderà una operazione impossibile, essendo essi infiniti e non circoscritti entro alcun limite (3). Concludendo, Sesto Empirico, sia nelle Ipotiposi Pirroniane , sia nell’altra sua opera IT?ò; p-kQ/i- jA«moó?, sostenne che nessun sillogismo, nè alcuna catena di sillogismi varrà mai a farci acquistare alcuna (1) Cicerone — Topici, 14. (2) Fiorentino — Storia della Filosofia, pag. 1-7. (3) Sesto Empirico — Pirroniane Ipotiposi, II - 14. — 22 — cognizione nuova, e che la Deduzione non è la forma tipica del ragionamento, ma un artifìcio degno dt sofisti, per celare altrui la nostra ignoranza. In tal modo Sesto Empirico fu il primo a levar la voce contro- il valore del Raziocinio: altre e più gravi accuse ad esso muoveranno i filosofi delle età posteriori. É inutile fermarsi a parlar degli Eclettici (1), che non produssero nulla dimuovo nella dottrina sillogistica, nè di Galeno, al quale, come già dicemmo, fu attri¬ buita la scoperta della 4* figura; nè vale la pena di discorrere di Apuleio e di Boezio, il quale fu 1 autore della teoria intorno al Sillogismo ipotetico (2). Che cosa aggiunsero o innovarono gli Scolastici nella teoria del Raziocinio? Il Prantl osserva che « in¬ tuito il Medio Evo non un autore produce da sò un pensiero suo proprio, ma tutta la coltura di quel tempo è dipendente ed è determinata dall’ambito del materiale tradizionale che trova (3) ». Per più di cinque secoli infatti lo studio della sillogistica, tale quale era stato creato da Aristotele, divenne generale; esso fu coltivato da Arabi e Cristiani. Unico merito di quell'età fu di avere inventato quella terminologia ingegnosa, che con l'uso di lettere e di parole facilitò l’apprendimento della Sillogistica. Michele. Pseilo nel 1020 scrisse un compendio della Logica Aristotelica, il quale tradotto da Guglielmo Shyreswood e da Pietro Ispano servì come testo alle scuole di filosofìa dell'Oc- (1) Cfr. a questo proposito Saint-Hilaire « De la logique d’Aristote, cap. G-10, Voi. ri. *.quod. igitur apud scriptores graecos perquam rarissimos strictim atque confuse, apud latinos vero nullos reperì * (De Syllog. hypot., pag. 606). Ob Prantl Storia della filosofia in Occidente. — 23'— cidenle. Le surriferite parole del Prantl però non vanno prese in senso troppo assoluto; chè quantunque la Scolastica abbia seguito in generale la tradizione e la sapienza filosofica antica, non mancarono però pensatóri i quali tentarono altre vie, precorrendo in certo qual modo l’avvenire. Il primo e il più grande fra tutti fu Ruggero Cacone , che levò la voce contro la validità della Deduzione, e magnificò oltremodo l’Esperienza, tanto che lo si può dire 'il'vero precursore dello sperimentalismo. Egli che esperimentò ed osservò, per quanto i tempi lo consentivano, scrisse nell’ Opus Maius che « Duo sunt modi cognoscendi, scilicet per argu mentum et éxperimentum . Argumentum concludit et facit nos concludere quaestionem, sed non certificat neque removet dubitationem, ut quiescat animus in intuitu veritatis nisi eam invenit via expe- rientiae ». E più oltre: « Ciò è manifesto nelle mate¬ matiche, dove potentissima è la dimostrazione. Chi volesse dimostrare, senza esperienza, che un triangolo è equilatero, egli non sarà pienamente persuaso finché non veda ciò per esperienza, vale a dire per l’inter¬ sezione di due circoli tracciati con un raggio eguale alla linea data, dalla quale intersezione si conducono due linee agli estremi della linea data (1) »• Infine: « Sine experientia nihil sufficienter sciri potest... haec sola scientiarum domina speculativarum (2) ». Egli intraprese la riforma del metodo scientifico, e unendo in felice accordo l’esperienza col ragionamento, aprì la via ai rinnovatori del metodo sperimentale com- (1) R. Bacone — Opus Maius, Pars IV, cap. I. Cfr. A. V aldarmm « Il Metodo Sperimentale da Aristotele a Galileo ». pag. 12. (2) R. Bacone — Op. M., Pars IV, cap. II e III. — 24 — prensivo. Perocché Bacone matematico ed astronomo riconobbe l’influsso della luna sulle maree, intuì l’at¬ trazione universale, ebbe forse l’idea del cannocchiale, e molte delle moderne scoperte divinò in modo mera¬ viglioso. E se errori anche volgari, inevitabili in quei tempi, non mancano nelle sue opere, le divinazioni meravigliose e le importanti scoperte attestano la potenza della mente di lui, che per tal rispetto può considerarsi come anello mediano che unisce Aristotele con Leonardo da Vinci, con Francesco Bacone da Verulamio e con Galileo. Ma le massime dottrine del monaco inglese furono allora soffocate dall’autorità del dogma e della scuola; prima che potessero farsi strada, occorreva che da un lato la Riforma, dall’altro il Risorgimento classico rinnovassero le coscienze e la Scienza. Il Pelrarca ed il Boccaccio furono tra i primi a scagliarsi contro gli Aristotelici. Il cantore di Laura se la prendeva in modo speciale con la sillogistica, pur ammirando altamente l’ingegno sovrano dello Stagirita. « Oh ! costoro, perchè sono tanto diversi dal loro maestro? » diceva egli parlando dei sillogiz¬ zanti filosofi suoi contemporanei. « Come non ridere, esclamava, di quelle meschine conclusioni, con le quali cotesti dotti infastidiscono sé e gli altri, e consumano la vita intera in tali inezie a quella inutili e perciò dannose? » « Se già vecchi, egli concludeva, non sappiamo ancora staccarci dalla scuola dialettica che ci divertì da fanciulli, vuol dire che forse ci piacerà ancora andare a cavalcioni sopra una canna e farci di nuovo d ondolare nella culla dei bambini. (1) » Gli (1) Petrarca — Epistolae de rebus familiaribus I, G-9 - Tra¬ duzione del Fracassetti. Umanisti della corte dei Medici andarono anche più innanzi: cercarono di diminuire i meriti e l’autorità dello Stagirita, pretendendo fra l'altre cose, di trovare in Platone le tre specie di Sillogismo. Lorenzo Valla nelle sue Dialecticae Disputaliones avvicinò la Logica e la Retorica, e combattendo Aristotele, gli contrappose Platone, Cicerone, Quintiliano « Quominus, scriveva egli, ferendi sunt recentes peripatetici qui interdicunt libertate ab Aristotele dissenfiendi, quasi sophos hic noster philosophus et quasi nemo hoc antea fecerit (1) ». Anche Cicerone, aggiungeva il Valla, diede la palma della filosofia a Platone, « quare, concludeva, illis contemplis ac spretis, si quae sunt, quae quarn in Aristotele melius dici possent, ea tentabo ipse melius dicere ». Il primo però, che in Logica tentasse la riforma d 1 cui si sentiva universalmente il bisogno, fu Pietro Ramo, il quale nelle Animadversiones in Dialecticam Aristotelis, biasimò gli ammiratori esagerati dello . Stagirita, ai quali, del resto, contrappose 1 esempio stesso del loro maestro, che senza rispetto alcuno per l’antichità cercava liberamente il vero. Atteggian¬ dosi a riformatore della Dialettica il Ramo afleimò che bisognava prendere la natura per guida; ma poi poco coerente a se stesso chiamò il Sillogismo « unica veritatis exsplorandae via », ed in sostanza alla Logica antica non seppe contrapporre altro che un miscuglio 1 Retorica attinta alle opere di Cicerone e di Quintiliano • In Italia il Telesio ed il Campanella intravidero al di là della Logica il metodo; chè anzi il primo di essi sosteneva nell’opera sua che bisogna stai e a a e. 1 (1) Valla — Dialecticae disputationes - Praetatio. — 26 — monianza dei sensi e si propose di guardare solo nei fatti, non in altro e di riconoscere per fonte unica d'ogni sapere il senso: concepì in sostanza una Fisica perfettamente induttiva (1). Così pure in Inghilteria Guglielmo Gilbert per scrutare i segreti della natura dava il primato all'esperienza, e dalla percezione dei sensi risaliva alle cause dei fenomeni, ed ai sensi univa l’aiuto della ragione, necessaria, secondo lui, a far progredire ogni scienza. E da noi ancora l’illustre filosofo naturalista Andrea Cesalpino faceva il più gran conto dell’esperienza, e ai vani sillogismi della Scolastica opponeva un metodo composto di tre pro¬ cessi mentali distinti: l’Induzione, la Divisione e la Definizione. Ma tutti costoro furono preceduti da un altro uomo dì sommo ingegno, Leonardo da Vinci, il quale dotalo di straordinaria penetrazione espresse qua e là nelle sue opere scientifiche sentenze che per la loro pro¬ fondità oltrepassano il suo secolo. « L’esprit géome- trique, dice di lui il Venturi, le guidoit par tout, soit dans l’art d’analyser un objet, soit dans l’enchàinement du discours, soit dans le soin de généraliser toujours ses ideés. (2) » Per ciò che si riferiva alle scienze naturali, egli non era mai soddisfatto di una proposi¬ zione, se non l’aveva verificata con l’esperienza; pen¬ sava che innanzi tutto conviene fare qualche esperi¬ mento e che nella ricerca dei fenomeni della natura bi¬ sogna osservare il metodo. La natura comincia, e \eio, col ragionamento, e finisce con l’esperienza; dod a; Telesio — Prefazione all’opera « De reruin natura mxta propria principia ... (-) Venturi — Essai sur les ouvrages scientifiques de -Leonardo de Vinci, pag. 4. — 27 — importa; a noi, secondo Leonardo da Vinci, conviene prendere la via opposta; perchè l’interprete degli ar¬ tifici della natura è l'esperienza. Bisogna quindi con¬ sultare quest’ultima, e variarne le circostanze, finché noi ne abbiamo desunte regole generali; esse poi ci. dirigono nelle ulteriori ricerche. Così scriveva Leonardo da Vinci un secolo prima di Francesco Bacone. Del resto il metodo del Vinci, come avverte giustamente il Val- darnini, fu scientifico e comprensivo, non escludendo la ragione e l’applicazione della matematica nello studio della natura. Egli riconobbe infatti l’armonia tra l’E¬ sperienza e il Raziocinio, ed affermo esplicitamente che « Chi si promette dalla sperienza quel che non è- in lei si discosta dalla ragione (1) ». Ma la via per la quale la scienza doveva fare grandi e così rapidi progressi fu trovata dal Galilei,, il sommo nostro scienziato. Prima ancora del JSovum Organum di Francesco Bacone, e del Discorso sul metodo di Renato Cartesio, Galileo praticò larga¬ mente il metodo sperimentale induttivo, i cui punti fondamentali sono dal Magalotti espressi nella Prefa¬ zione ai Saggi di Naturali esperienze dell'Accademia del Cimento.' Essi sono in ordine progressivo: 1 c somme verità degli assiomi naturali che stanno ne l’anima; 2° la geometria; 3° l'esperienza; 4 il ragio¬ namento che la guida; 5° il confronto delle espenenze dei dotti per conoscere da questi, provando e ripro¬ vando, la verità. In tal modo fu novatore rispetto alla filosofia medievale, perchè diede giance \aore 1) A. Yaldarniui - < Esperienza e discorso in^‘^106 ici, » in Rivista Italiana di filosofia, 189 » • »» P ;egg. e nel libro « Il metodo sperimentale da Aristotele — 2S — sperienza ed ai principi matematici, ed effettivamente mise in relazione le forinole matematiche coi dati sperimentali. Il Galilei non considerò falsa 1 antica Logica come altri aveva fatto, ma disse che bisognava saperla applicar bene (1). La Logica pratica secondo lui insegna a « dedurre da vere premesse necessità di conclusione » (2), e serve di regola a vei ificai e i discorsi e le dimostrazioni (3). » Per lui un empi¬ rismo senza ragionamento e senza guida di sommi principi è un’accozzaglia di fatti, non scienza, che "trova anche principi universali; e così un idealismo senza osservazione di fatti opera vana e non vale ad accrescere le cognizioni umane. Egli adunque rico¬ nobbe che la osservazione dei fatti non basta, e che qualcosa deve ad essa aggiungere la ragione. Insiste specialmente nell’affermare che senza l’uso dei sommi principi della ragione noi non potremmo progredire di un passo nella scienza (4), e che l’esperienza fondata sui sensi potrebbe talora ingannare, quindi essa va aiutata col ragionamento induttivo e deduttivo per discernere nei fenomeni naturali le cose certe e provate dalle ipotetiche ed incerte. « 11 discorso, di¬ ceva egli nelle Nuove Scienze, mi par concluden¬ tissimo e l’esperienza tanto accomodata per verificare il postulato che molto ben sia degno d'essere ricevuto (1) Galilei — Lettera al Liceti (15 sett. 1640) (2) Galilei — Lettera sul Candor Lunare. (3) Galilei — Dial. « Mass. Sistem., » Giorn II. (4) Galilei — Dial. Mass. Sistem., Giorn II e IV — Dia¬ loghi delle i^uove Scienze, I. Considerazioni sul discorso di Lod. delle Colombe — Lettera al P. Castelli intorno al sistema Copernicano. Cfr. anche Yaldarnini. « Il metodo sperimentale ecc. » pag. 71-74. — 29 — come si fosse dimostrato. » E in tutte le opere di Galilei noi vediamo disposata l'esperienza al ragiona¬ mento; e se nel Nuncius Sidereus prevale l’osser¬ vazione, nel Saggiatore l’esperienza è unita al discorso e all’uso dell’autorità scientifica, nei Dialoghi dei Massimi Sistemi il metodo s’informa anche ai sommi principi razionali e alle verità matematiche; nei Dialoghi delle Nuove Scienze il metodo è anche più matematico (1). Sempre poi il suo metodo com¬ prensivo ha il merito di essere conforme alla potenza del nostro intendimento ed alle relazioni naturali fra questo e le cose intelligibili, e senza di esso noi non potremmo affatto sludiare l’Universo. « La natuia. scrive il Villari, lo aveva fatto acuto osservatore ed accorto sopra ogni altro. Induceva cautamente, ma non si affidava solo al metodo, perchè la natura lo aveva latto divinatore unico delle leggi dell Universo. Osser¬ vava i fatti dietro la scorta del suo genio, e dopo osservato divinava, induceva, sperimentava provando e riprovando: ecco la parte nuova del metodo detto sperimentale e che ha rinnovalo le scienze naturali (2) ». Mentre in Italia il Galilei proseguiva nel glorioso suo cammino verso la verità, in Inghilterra acone da Verulamio e in Francia il Cartesio si scagliavano contro la dottrina aristotelica per tanti anni ^con cussa. Aristotele aveva considerata a ogica introduzione alla Filosofia ed a tutto il sapere (1) G. Rossi - Del metodo _ s ; Critici. (2) Villari - Arte, Sterra e Mesata . g di pag. 512. Cfr. anche Fiorentino «I Vari* Celeste » — Galileo » - A. Favaro « Galileo Galilei eSuor ^ Caverni « Storia del Metodo Sperimentale » A. Conti « Stori della Filosofia » pag. 322-312. — 30 - venerale, perché essa tratta dei concetti fondamentali che si usano in ogni sapere e dei procedimenti coi quali si acquista la scienza. Quei concetti fondamen¬ tali egli aveva denominati categorie, ed aveva detto che sebbene non esistano in sé, si riferiscono ad og¬ getti reali ed assolutamente esistenti; i nostri giudizi sono veri quando la congiunzione delle nostre rappre¬ sentazioni concorda con la reale congiunzione degli oggetti (1). Occupandosi dei procedimenti coi quali si acquista la scienza aveva distinto l’Induzione dalla Deduzione, con la teoria del Sillogismo aveva preteso di esporre il vero metodo scientifico; la ricerca del termine medio era per.lui la ricerca della causa, e la teoria del Raziocinio corollario di quella dell'essere. Francesco Bacone con la filosofia della natura volle rinnovare tutte le scienze: alla logica oppose il Novum Organum, al Raziocinio che suppone dati principi l’Induzione, la quale con l’esperienza scopre i principi stessi. Per primo riconobbe che la scienza può avere somma importanza per la vita pratica, ed opinò che scienza o filosofia devono fondarsi sui fatti. Quella, secondo Bacone, si fa per mezzo di esperienza che consta di osservazione e di esperimento, nell’osserva¬ zione poi bisogna guardarsi dai pregiudizi od illusioni, che egli denominò « idoli »; liberato da essi, l’uomo forma la scienza, salendo dalle osservazioni particolari alle leggi generali per mezzo dell’Induzione, nella quale (e non già nel Sillogismo) è riposto il nuovo Organo della Scienza. Il sommo filosofo inglese disdegnò gli Empirici, i quali non fanno altro che raccogliere fatti su fatti, e i Razionalisti che pretendono di ricavare (1) C. Cantoni — « Storia della Filosofia » — pag. 82. — 31 — tutto dal loro intelletto (1). Combattendo la filosofia che aveva regnato lungo tempo nelle scuole, e racco¬ mandando un metodo differente da quello seguito fino allora, espose idee che si agitavano già dalla maggior parte dei pensatori, ma nello stesso tempo, come osserva un suo commentatore insigne, il Bouillet, (2), aggiunse da uomo di genio elementi suoi proprii che dovevano far avanzare le scienze nella via del progresso. « Bacon seul, dice il Bouillet, comprit à la fois et les vices de la philosophie régnante et la vanité de tous les systèraes enfantés par l’imagination, et la nécessité de fixer avant tout le but de la science et de determiner la route qui pouvait conduir a ce but; seul il connut où du moins il exposa scientifi- quemont la méthode qui devait constituer la philosophie nouvelle ». Così egli riuscì a « costruire un nuovo ' edilìzio scientifico con disegno e fondamenta e mate¬ riali affatto nuovi (3) ». Ed il suo fu davvero disegno ardito e grandioso. Senonchè Bacone, intento a ma¬ gnificare l’Induzione, disconobbe il valore del procedi¬ mento deduttivo o sintetico, e disprezzo eccessivamente il Raziocinio. Il consentimento unanime dell’autorità di Aristotele parve a lui effetto di un pregiudizio uui versale, non di una reale convinzione dei filosofi circa i meriti della Logica antica (4). Egli affermò che ì Sillogismo « ad principia scienliarum non adhibetur, fi) Fiorentino. « Storia della Filosofia » pag (2) Bouillet. Oeuvres philosophiques de Bacon . 320, 321. — Introduction voi. 1 pag. LXXXIX - XC. i -n pinosi- (3) Valdarnini. Principio, Intendimento, e^ori^ Bacon0 Reazione delle conoscenze umane secon F. Ili parag. 3. (4) Bac. Nov. Org. I, Aph. 77. — 32 — ad media axiomata frustra adhibetur quuru sit subto¬ tali naturae longe impar; assensum itaque constringit r non res. (1). » Onde la logica prevalsa fino a’ suoi rriorni era per Bacone inutilissima « ad inventionem scientiarura (2), » chè anzi serviva a creare errori più che a scoprire la verità, ed era più dannosa che utile (3). « Sillogysmus, egli diceva, ex propositionibus constai, propositiones ex verbis, verba nolionum tes- serae sunt. Ita si notiones ipsae (id quod basis rei est) confusae sint, et temere a rebus abstractae; nihil ex iis, quae superstruuntur, est firmitudinis >; «itaque spes est una », concludeva, « in inductione vera (4). » Nè basta; chè altrove aggiungeva: « Nullo modo fieri potest, ut axiomata per argumentationem constituta ad inventionem novorum operum valeant; quia subtilitas naturae subtilitatem argumentandi multis partibus superai. Sed axiomata a particularibus rite et ordine abstracta, nova particularia rursus facile indicant et designant; itaque scientias reddunl activas (5) ». Nel* introduzione al De Augmenlis scientiarum rimpro¬ verava alla logica antica di essersi solo occupala del Raziocinio; e per reazione respingeva assolutamente la dimostrazione sillogistica (6). Per tutte queste considerazioni egli lasciava al Raziocinio piena giu¬ risdizione « in Artes populares et opinabiles, tamen ad Naturam rerum inductione per omnià, et tam ad maiores propositiones quara ad minores ulimur; indu¬ ci Bac - ^' ov - Org., I Aph 13. (•2) Bac. Nov. Org.. I Api» 11 . (3) Bac. Nov. Org., I Aph 12, (Il Bac. Nov. Org., I Aph U •ó) Bac. Nov. Org.. I Aph, 24. (G) Bac. De Augmentis scientiarum Disp. part. ctionem censemus eam esse demonstrandi formam quae sensum tuetur, et Naturarci premit, et operibus imminet ac fere immiscetur ». Come Aristotele si sforzava di provare che in ogni moto dei corpi vi è alcunché che sta in quiete, e in¬ troduceva elegantemente la favola di Atlante, il quale diritto sulla persona reggeva il mondo, così, diceva Bacone, gli uomini desiderano ardentemente di avere un punto che regga i fluttuanti moti del pensiero, temendo che essi abbiano a precipitare, « nescientes profecto eurn qui certa nimis propere captaverit, in dubiis finiturum; qui autem iudicium tempestive cohi- buerit. ad certa perventurum (1) ». Riassumendo, Bacone attribuì al Raziocinio due difetti principali: 1° Esso non permette di arrivare ai principi, e'anche le sue premesse il più delle volte riposano sull’Indu¬ zione. 2° La Deduzione non è in rapporto con la sot¬ tigliezza della natura, e non può convenire se non alle scienze popolari. Non va però dimenticato che Bacone non disdegnò in modo assoluto gli assiomi razionali, e proclamava la necessità di unire il discorso con l’esperienza. « L’uomo, egli ebbe a dire, ministro e interprete della natura, tanto conosce ed opera, quanto ebbe osservato nell’ordine di essa, o con 1 e- sperienza o con la ragione. » In tal guisa presunse di abbattere l’edifizio innalzato di Aristotele col suo sapiente « opyàvov; » e noi, pur riconoscendo che la Scienza non avrebbe rapidamente progredito senza l'aiuto poderoso di sommi pensatori i quali, come il grande filosofo inglese, insegnarono nuove vie, e le aprirono più spaziosi orizzonti, non possiamo I fi) Bac. — De aug. scient.. V. •!. 3 meno di affermare che Aristotele meritava di essere giudicato con molto maggior rispetto, e lopeia sua tenuta in queiralta stima alla quale ha diritto. Difatto per dirla col Saint-Hilaire, giudicare Aristotele é giu¬ dicare lo spirito umano, non solo in uno dei suoi più illustri rappresentanti, ma in se stesso, poiché con lo Stagirita facciamo comparire avanti a noi tutto il passato dello spirito umano (1). Senonchè v’è una giustificazione alle esagerate invettive di Bacone da Verulamio contro la sillogistica antica; egli non poteva ribellarsi contro quella interminabile e immane catena di errori, che a’ suoi tempi si opponeva ad ogni pro¬ gresso delle scienze, senza scagliarsi contro il Sillogismo, che per l’indole sua si era prestato a dare una appa¬ renza di verità e d'indiscutibilità a tutte le aberra¬ zioni dei tanti pensatori medioevali. E mentre affer¬ mava apertamente ch’egli voleva « reiicere syllogi- smurn », forse riconosceva che della sillogistica non aveva già abusato l’autore suo, ma i Neoplatonici e più tardi gli Scolastici, i quali valendosi del Raziocinio avevano diffuso tutti quegli errori, di cui risentivansi vivi più che mai i danni a’ suoi tempi, in tutti i rami del sapere. Con Cartesio e Bacone si inizia la filosofia moderna, poiché entrambi cominciarono con la critica severa del passato, dubitarono della loro scienza, poi ne divennero certi, fondandola l’uno sul puro pensiero, l’altro sull’esperienza: quegli si valse a preferenza della Deduzione, questi dell’Induzione. Cartesio sdegnò ogni sapere- che non fosse trovato dalla propria rifles¬ sione, volle trovare da sé, e il suo punto di appoggio (1) Samt-Hilairo - De la logique d’Avistote. Preface, pag. XLIX — 35 — fu la coscienza: sottraendo tutto, rimane per lui il pensieio, onde il famoso . « Cogito ergo sum »; e trovata la vera conoscenza potè poi dedurne le altre. Tanto egli quanto la sua scuola notarono che la Lo¬ gica antica eia troppo complessa, occupava eccessiva¬ mente lo spirito, e poteva giovare ad esporre, non a scoprire la verità, non era in grado di dare principi, e non serviva ad altro che a parlare verosimilmente di ciò che si ignora (1). Il metodo di Cartesio poi, in partieoiar modo, era deduttivo; ma il Sillogismo per lui serviva ad esporre i risultati di ogni ricerca; lo spirito solo bensì poteva, secondo lui, scoprire i principi reali, le nature semplici. Onde la Deduzione cartesiana si occupava solo con, metodo analitico della verità, e non della sua espressione formale, e tutto subordinava all’intuizione diretta dello spirito. Appena potè svincolarsi dalla soggezione dei maestri, Cartesio, come narra nel suo Discorso sul Metodo cessò affatto dagli studi intrapresi, e si diede a viaggiare, a fre¬ quentare persone di diverse condizioni, a raccogliere esperienze, con l’intento di non cercare più altra scienza se non quella che poteva trovare in se stesso e nel gran libro del mondo. Il primo vantaggio rica¬ vatone fu di « ne rien croire trop fermement de ce qui ne m’avoit été persuadé que par l’exemple et par la coutume (2) ». Così si liberò .a poco a poco degli errori e fece un bel giorno il proposito di studiare se stesso e di adoperare tutte le. forze dello spirito a cercare le vie che esso deve seguire. Da giovane aveva appreso la Logica, la Geometria, (L) Cartesio — Discours do la métliode, Part. II. (2) Cartesio — Disc. de la mét. Part. I. — - lì i — 3G — l’Algebra, tre scienze che dovevano servirgli per il suo disegno. Ma, dopo le assidue cure da lui poste nel ricercare il vero, si accorse che nella Logica il Sillogismo e le sue regole servono a spiegare agli altri le cose che si sanno, non già ad apprenderle. Per di più la Logica antica era, secondo lui, « si abstrainte à la consideration des figures, quelle ne peut exercer l’entendement sans fatiguer beaucoups l’imagination. » E perchè le molte regole offuscano la chiarezza di una scienza, ai molti precetti della Logica sostituì queste quattro regole, alle quali pro¬ mise di attenersi fedelmente: 1° Non si deve aver per vera alcuna cosa, se non si riconosce evidentemente tale. 2" Devesi dividere ciascuna difficoltà per meglio risolverla. 3° Si conducano per ordine i pensieri, co¬ minciando dagli obbietti più semplici e facili a cono¬ scersi e andando ai più complessi. 4° Si facciano enu¬ merazioni così intere da essere ben certi di non aver trascuralo nulla. Concludendo, la logica Cartesiana ripudiò tutte le artificiosità della Sillogistica antica, esaltò l’uso del- 1 analisi matematica nella ricerca della verità ; sdegnò occuparsi dell’espressione formale della verità stessa, e come abbiamo già detto, tutto subordinò all’intui¬ zione diretta, ed all’attività dello spirito (1). Nuovi colpi alla validità del Raziocinio diede Gio¬ vanni Locke, nel suo Saggio sull’intendimento umano, nel quale negò che lo spirito umano apprenda a ra¬ gionare con le regole del Sillogismo: il Raziocinio per lui non è utile a scoprire la falsità di un argomento e non serve affatto ad accrescere le nostre conoscenze: (1) Cartesio — Disc. de la mét., Part. I e I*. II, pag. 1-28. — 37 — tutt al piu è utile come arte di far valere disputando quel po’ di conoscenza che abbiamo, senza nulla ag¬ giungere. Ed ecco in qual modo pervenne a queste conclusioni. Nel Saggio citato si propose due fini: 1 di combattere 1 innatismo delle idee; 2° di dimostrare 3 origine empirica di tutte le nostre conoscenze, rian¬ nodandosi in tal modo alla dottrina di Bacone e com¬ battendo la filosofia Cartesiana. L'intelletto, pel Locke, è un foglio bianco in cui non sono caratteri di sorta: ve li scrive sopra il senso, poiché « nihil est in intellectu quod prius non fuerit in sensu »; Le idee poi sono semplici e complesse; queste ultime sono combinazióni di idee semplici, le quali alla loro volta nascono dalla sensazione e dalla riflessione. Stabiliti questi punti fondamentali della sua dottrina, il Locke negò recisamente il valore del Raziocinio, poiché, secondo lui, esso non aiuta la ragione se non nel mostrare le relazioni che passano fra le idee di una proposizione; ma anche in ciò l'uso suo è assai limitato; queste relazioni si scoprirebbero anche senza il suo soccorso. E quanti sono quegli uomini che, incapaci di formare un Sillogismo, ragionano tuttavia giusta¬ mente ! Del resto è assai dubbio che anche coloro i quali conoscono l’arte e le regole del Raziocinio se ne servano per ragionare, essendo tale metodo troppo lento, e correndo la mente umana molto più veloce. Coloro poi i quali sono penetrati bene addentro nella conoscenza di tali regole, non sono punto ceni, in virtù di un’argomentazione sillogistica, che la conclu¬ sione discenda dalle premesse; essi fanno una semplice supposizione. Se il Sillogismo fosse il vero e solo stru¬ mento della ragione, e l’unico mezzo di giungere alle conoscenze, bisognerebbe ammettere che prima di — 38 — Aristotele non vi fosse alcuno che conoscesse qualche cosa con la ragione. Questa forma di argomentazione non porta con sè nè chiarezza nè convinzione; chè essa è suscettibile del falso come ogni più semplice specie di ragionamento, ed anzi, come forma artificiosa, è più atta ad imbrogliare la mente che ad istruirla e a dissiparle attorno le nebbie. Onde, concludeva il Locke, dobbiamo valerci di qualche altro mezzo per giungere alla conoscenza, e, con tutto il rispetto allo- Stagirita, riconoscere che « Dio non è stato cosi poco liberale cogli uomini, da abbandonarli come semplici creature di due piedi, senza piume e con ugne lunghe, finché Aristotele non li avesse fatti animali ragione¬ voli col Sillogismo. » L’uomo ha la potenza di ragio¬ nare e di apprendere le relazioni delle sue idee. Se dobbiamo quindi scoprire i difetti di un ragionamento, non abbiamo che da spogliarlo delle idee superflue, le quali mescolate in quelle da cui dipende la conse¬ guenza sembrano mostrarne, una dove non è ; quindi confrontare queste idee; e senza tutte le noiose finezze del Sillogismo scopriremo la loro convenienza o scon¬ venienza. Queste furono le critiche del Locke, il quale negò inoltre che il Raziocinio aiuti la mente a fare nuove scoperte, ed ammise che esso serve tutt’al piò a convincere gli uomini dei loro errori e dei loro in¬ ganni, a disporre le prove che già si conoscono, ve¬ nendo sempre dopo la cognizione dalle verità, e a far valere disputando la conoscenza che si possegga, senza nulla aggiungere. Nel Raziocinio infine scoprì un altro gravissimo difetto. Ogni ragionamento sillo¬ gistico, egli osservò, per essere concludente deve avere una proposizione generale: or bene parrebbe che noi non potessimo nè ragionare nè aver conoscenze di — 39 — cose particolari. Ma ogni ragionamento, come ogni conoscenza, non verte che sulle idee esistenti nella mente di ciascun uomo, ognuna delle quali non è che un esistenza particolare; e le cose sono obbietto delle conoscenze umane in quanto sono conformate a queste idee particolari che ha l’uomo nella mente. L’universalità consiste in ciò che le idee particolari, le quali ne sono soggetto, sono tali che ad esse più d’un caso particolare può essere conforme, e più d’una cosa particolare può essere da loro rap¬ presentata (1). Come Giovanni Locke aveva ripreso ed ampliato le critiche di Bacone alla dottrina sillogistica, così Nic¬ colò Malebranche riprese le obiezioni di Cartesio. « La logique d’Aristote, secondo lui, n’est pas de grand usage, a cause qu’ elle occupe trop l’esprit, et qu’ elle le détourne de l’attention qu' il devroit ap- porter aux sujets qu’ il examine (2) ». Le regole che diede il filosofo per la ricerca della verità sono oltre modo semplici; la prima è che bisogna sempre con¬ servare l’evidenza nei ragionamenti per scoprire il vero senza timore di sbagliare; onde noi non dob¬ biamo ragionare se non su cose delle quali abbiamo idee chiare e precise, e cominciare dalle cose più semplici e più facili, ed arrestarci a lungo prima di intraprendere la ricerca delle più complesse e diffìcili. Il Malebranche sostenne che bisogna comprendere bene lo stato della questione da risolvere, ed avere idee distinte sui termini per poterli paragonare, e (1J Locke —Saggio filosofico sull’intelletto umano, L. IV, cap. 17. — Cfr. anche il Saggio del Locke compendiato dal Winne e tradotto dal Soave, Voi. II, pag. 110-113. (2J Malebranche — De la recerche de la Verité, lib. VI, cap. 1. — 40 — scoprire i rapporti cercati. Quando poi questi non si scoprono paragonando le cose immediatamente fra loro, allora bisogna scoprire, con qualche sforzo della mente, una o più idee che possano servire come di misura comune per riconoscere per mezzo loro i rap¬ porti che vi sono tra esse (1). Così il filosofo francese continuò l’opera del sommo suo connazionale, discono¬ scendo ogni valore alla Sillogistica di Aristotele, e tentando di rinnovare la Scienza con l'uso dell’analisi matematica. Il Malebranche fu imitato e seguito fedelmente dal- l’Arnauld e dal Nicole (2), i quali rimproverarono alla Logica aristotelica di essere in molte parti imbarazzante ed inutile. La Logica di Portoreale che, come avverte il Cantoni (3), diede l’ultimo tracollo all’Aristotelismo scolastico, « perchè lo colpì in quella parte che costi¬ tuiva la maggior sua forza, cioè nella parte formale », ebbe il merito di essere pei suoi tempi d’una grande originalità ed arditezza, e di preparare il trionfo della riflessione personale sui pregiudizi dell’autorità. Giovanni Locke aveva negato che lo spirito umano ap¬ prenda a ragionare con le regole del Sillogismo e che con esse si acquistino nuove conoscenze; Cartesio d altro lato aveva accusato la Logica antica di essere tioppo complessa ed aveva sostenuto che il Raziocinio è metto a scoprire la verità, ed utile solo ad esporle; Guglielmo Leibniz, pure ammettendo che della Sillo- gistica si f osse fatto un grande abuso, sorse col Nuovo (2)^nanld nCh T ~ D6 , la D rech - de la Veri* lib. VI. cap. Piefalione àu & ^t-Royal. - Cfr. anche Compayi a.' asU * * L ^“ (') . Cantoni — Storia della Filosofia, pag. 269 - 260 . — 41 — Saggio sull'intendimento, a sostenerne la reale utilità, è da grande filosofo ne fece uno studio veramente profondo (1). Egli avvertì giustamente che la forma scolastica del Sillogismo si usa poco e sarebbe troppo lunga ed imbrogliata se la si volesse adoperare seria¬ mente; ma con tutto ciò riconobbe nel Raziocinio UDa delle più belle invenzioni dello spirito umano (2). Al Locke, il quale aveva detto che il Sillogismo non serve che a vedere la connessione delle prove in un solo esempio, rispondeva che sarebbe ridicolo voler argo¬ mentare alla maniera scolastica nelle deliberazioni a causa della prolissità imbarazzante di quella forma di ragionamento: non per questo è men vero, che nelle più importanti deliberazioni della vita una logica severa è necessaria, poiché gli uomini si lasciano abbagliare dall’eloquenza e dall’autorità, dagli esempi male ap¬ plicati e dalle conseguenze fallaci. Sostenne poi che tesservi molti uomini i quali pure ignorando del tutto le regole della Sillogistica ragionano dirittamente, non porta già a disconoscere l’utilità del Raziocinio, allo stesso modo che non si può negare l’utilità della ma¬ tematica, solo perchè alcuno, senza aver appreso l’aritmetica, sa fare conti anche difficili. E contro il Locke, il quale aveva affermato che anche i Raziocini possono diventare sofistici, osservò giustamente che le loro stesse leggi servono a riconoscerne la falsità: e se il Sillogismo non vale nè a convincere, nè a (1) Leibniz — Nuovo Saggio sull’intendimento, lib. VI, cap. I, e lib. IV, cap. 1G. , . (2) « C’est ne espèce da mathéinatique, dice il Leibniz, dont l’importance n’est pas assez connue; et l'on peut dire qu un ar d’infallibilité y est contenu, pourvu qu’on sache, et qu on puisse s’en bien servir. » Saggio ecc. lib. IV cap. I. — 42 — convertire alcuno, non è già per la sua inettitudine, ma perchè l’abuso delle distinzioni e dei termini male intesi ne rende l’uso troppo prolisso (1). Infine notò che solo nella conoscenza intuitiva si vede immedia¬ tamente il legame delle idee e delle verità ; ma la dimo¬ strazione fondata su idee medie è quella che ci dà una conoscenza ragionata, e ciò perchè il legame dell’idea media con le estreme è necessaria. Ecco in qual modo Guglielmo Leibniz seppe riven¬ dicare il valore del Raziocinio, a torto disconosciuto così dagli Empirici, come dai Razionalisti, che l’avevano preceduto. Ma ben presto un altro filosofo insigne sorse a riprendere la critica contro la Sillogistica, ed a parlare con disprezzo di quello che Aristotele aveva considerato come istrumento di cui si serve la ragione umana nell acquisto delle conoscenze. Contro Aristotele erano insorti Bacone, Locke, Cartesio; contro il Leibniz si levò il Condillac; più tardi contro il Kant insor¬ geranno il Mill e lo Spencer, e mentre i Logici inglesi si sforzeranno di rifare la Logica aristotelica, in Italia fi Galluppi, il Rosmini ed il Gioberti sosterranno ancora una volta l’utilità del Raziocinio. Quando il Voltaire, abbandonata rin£Thilt.err fl ritm-nè (Oeuvres philosophiques a e Leibniz voi. I., cap. I. avec introd, p. P. Janet, — 43 — e come già il Montesquieu aveva divulgato la costi¬ tuzione inglese, cosi egli, ardente seguace del Locke,, fece noto ai Francesi il Saggio sull’intendimento- umano, che ebbe tosto non pochi ammiratori: primo e più grande fra tutti il Condillac. Questi da principio seguì le traccie del filosofo inglese nel Saggio sul¬ l'origine delle conoscenze umane, e terminò poi nel più schietto sensismo. Nella Logica, nella quale seppe- imprimere un’orma d’originalità come pochi altri filosofi, parlò della Sillogistica con grande disprezzo,, e- credette di annientare il valore del Raziocinio \&r lendosi di questo ragionamento: Ogni giudizio da noi pronunciato può includerne implicitamente un altro- non espresso; se diciamo ad esempio che un corpo è- pesante, affermiamo implicitamente che esso cadrà se non sarà sostenuto (1). Quando perciò un giudizio è contenuto in tal modo in un altro, si può pronunciare come una derivazione del primo, e dicesi perciò che ne è la conseguenza. Ciò posto, fare un Raziocinio- non è altro che pronunciare due giudizi di questa specie; e nei nostri Raziocini come nei giudizi non- v’hanno se non sensazioni. Il secondo giudizio nel suesposto Raziocinio è sensibilmente racchiuso nel primo e non v’è bisogno di cercarlo; ma se il secondo- giudizio non si mostrasse nel primo,, allora farebbe d'uopo cercarlo, cioè passando dalla cosa nota ai-- l’ignota, si dovrebbe scorrere per una serie di giudizi intermedi per vederli tutti successivamente contenuti¬ gli uni negli altri, fino a scoprire che il secondo giu¬ dizio è una conseguenza del primo. Ogni ragionamento è un calcolo; non consiste nell’andare dal generale al. ( 1 ) Condillac — Logique, Pait. I, cap. 7- — 44 - particolare, dal contenente al contenuto, ma dal me¬ desimo al medesimo, cambiando i segni; suo principio è l’identità, suo procedimento unico è la sostituzione. 11 tipo di questo genere di ragionamento è il ragio- nemento algebrico, al quale tutte le altre forme si possono ridurre. Nè importa obbiettare che così si piocede in Matematica, ove il Raziocinio si fa per equazioni; giacché avviene lo stesso anche per le altre scienze: equazioni, giudizi, proposizioni sono la mede¬ sima cosa. In ogni questione scientifica sono contenuti implicitamente i dati, altrimenti essa sarebbe insolu¬ bile; il trovarli è separarli e distinguerli in una espres¬ sione in cui non si trovano che implicitamente; e per sciogliere la questione bisogna tradurre l’espressione in un’altra, nella quale tutti i dati si mostrano in maniera esplicita e distinta (1). L’artificio del Razio¬ cinio è dunque lo stesso in tutte le scienze: come in Matematica si stabilisce la questione traducendola in néfla „iù * SCie " ze si ‘‘“lisce tradendola è ann i, n^ MeSprmi °" e: 6 1“^» la questione che uóatri C " e la 5ci °* lie »»n è altro z '° ne vixz “onTluro'ohe™! “riputo “Si^T 0 ” 6 S 6 " 0 ™ 1 * Particolari, e non ci ° “ n ° SCenM a—ce che (•) Condillac — Loeiaun p»,.* tt C2; Cond. _ Loo- P 8 '! tt o Cap - 8 ’ tt) yn - n > ca P- 8 - {ó ) 0ona - — Art. do Denser pL» , resto riconosceva altrove che non =; f ’ Cap ' 6 ' 11 Coudillac del della verità se non unendo in un J T f° gl ' essi nella ricerca unendo in un solo metodo l’analisi e la sintesi. — 45 — Onde il Sillogismo, che è il grande strumento della Sintesi, è perfettamente inutile, e seguire la Sillogistica è far consistere il ragionamento nella forma del di¬ scorso più che nello sviluppo dellè idee (1). E nulla vi è di più frivolo che questo metodo, perocché non importa punto la forma del ragionamento: <c tout la force de la démonstration est dans l’identité que la décornposition des idées rend sensible (2) ». Questa è in breve la teoria del Raziocinio esposta dal Condillac in parte nella Logica, in parte nell 'Art de 'penser; la quale dottrina fu il punto di partenza dei logici inglesi contemporanei, l’Hamilton, il Booles, il De Morgan, Stanley Jevons; i quali non fecero in sostanza che darle forma matematica. Dopoché il Condillac aveva annientato il valore della Sillogistica, Emanuele Kant la reintegrò ne’ suoi diritti, difendendola nella Critica della ragion pura e nella Logica. Da principio egli, come già il Wolf, aveva tenuto in poco conto la teoria del Raziocinio, anzi nel 1764 aveva pubblicato un opuscolo Sulla falsa sottigliezza delle quattro figure: ma in seguito si convertì alla dottrina del Leibniz, e dopo serio e ma¬ turo esame considerò la Logica di Aristotele come una Scienza ormai compiuta ed acquistata allo spirito umano. Cori l’Estetica aveva già chiarito la possibilità della conoscenza matematica per via d intuizione pura, con l’Analitica aveva sostenuto la possibilità della conoscenza fisica; con la Dialettica infine affermò (1) Il Condillac considerava una vana esercitazione da co - legio tutta la sillogistica degli antichi filosofi (Log. r. , cap. 7. Nota.) (2) Cond. - Opere, Voi. Vi, pag. 131. — 46 — l’impossibilità della, conoscenza metafisica, poiché non si dà cognizione se non di ciò che è oggetto di esperienza. Distinta poi la facoltà di pensale, o ra¬ gione da quella di conoscere, o intelletto, il filosofo di Kònisberg sostenne che noi abbiamo realmente bi¬ sogno di raccogliere i nostri giudizi in Raziocini e di ridurre questi a idee incondizionate, le quali non si possono ridurre ad altre. I tre generi di Sillogismo mettono capo a tre idee della ragione; i categorici all’idea di un soggetto incondizionato, che è quello di Anima; gli ipotetici all’idea di una causa incondizio¬ nata che è quella di Mondo; i disgiuntivi all'idea di un tutto incondizionato, l’idea di Dio. Vi è differenza tra ciò che viene conosciuto immediatamente e ciò che si argomenta o conchiude; dovendo poi sempre conchiudere, vi ci avvezziamo in modo che alla fine non distinguiamo più la differenza sopra indicata, e reputiamo come immediatamente percepita una cosa che non abbiamo fatto se non inferire. Tre generi di Sillogismi furono considerati dal Kant; i categorici, gli ipotetici e i disgiuntivi (1). Il principio sul quale riposano il valore e la possibilità di ogni Raziocinio categorico fu da lui compendiato nel motto famoso •« nota notae est nota rei ipsius, repugnans notae re- pugnat rei ipsi (2) ». Tutte queste considerazioni pro¬ vano quale importanza attribuì al Raziocinio il Kant, il quale nel suo alto sistema filosofico sostenne che la Scienza è e dev’essere, ma ha bisogno di fondarsi sui giudizi sintetici a priori, che come sintetici sono fe¬ condi e per essere a priori sono necessari. (L) Kant — Critica della Ragion pura, Voi. IV, pag. 150-157 della traduzione di V. Mantovani. (2; Kant — Melanges de logique, traci, da J. Tissot, pae. 56-03 e segg. 1 8 — 47 — Non ci fermeremo più oltre sulla dottrina del filosofo <11 Kònisberg; come non ci indugieremo sulla teoria sillogistica del Lambert, nè sulle lettere dell’Euler (1), perchè dovremmo discorrere di figure di modi e regole variamente distinte ed esposte. Non possiamo però tacere che l’Euler diede del Raziocinio l’esposizione più compiuta e più chiara che mai si fosse fatta; trattò di esso da vero geometra e matematico, e par¬ lando delle forze della natura fu condotto a studiare le forze della causalità, che ciascun uomo ha nella sua intelligenza, e ad esaminare e fare la teoria delle leggi del ragionamento, sotto le quali questa forza si produce. Nè possiamo infine passare sotto silenzio che, più ancora di Emanuele Kant, l’Hegel sostenne l’im¬ portanza della Logica e del Raziocinio. Chè anzi egli al pari dello Schelling e del Fichte disconobbe del tutto i diritti ed il valore stragrande dell’esperienza, e, come afferma giustamente Carlo Cantoni « pretendeva di esser giunto ad una spiegazione assoluta del Reale, ad una scienza o ad una filosofia assoluta, dalla cui altezza egli guardava con dispregio le scienze speri¬ mentali, che seguendo l’esempio del Newton, non fa¬ cevano, secondo l’Hegel, nessun progresso; perchè usavano senza senso e senza intendimento i concetti che esse pure accettavano (2) ». Poiché nostro intento nel compiere questa esposizione storica è di fermarci a parlare solo di quei filosofi i quali esposero nuove dottrine intorno alla Sillogistica, ve¬ niamo senz’altro ad esporre brevemente la riforma della (1) Euler — Lettres à uue princesse d’Alemagne. (2) C. Cantoni — Storia della Filosofia, pag. 400. — 48 — Logica formale tentata da alcuni filosofi inglesi della prima metà del secolo XIX 0 , i quali pretesero di rin¬ novare e di rifare l’opera di Aristotele, riservandoci di dire poscia in qual modo Stuart Mill ed Erberto Spencer tentassero annientare il valore del Raziocinio. I Logici inglesi della prima metà del secolo XIX° si dividono in due scuole principali: quelli della Logica reale e quelli della Logica formale; i seguaci della prima Herschel, Wewell, Stuart Mill, Erberto Spencer considerano la logica come la teoria dell’Induzione; i propugnatori della logica formale l’Hamilton, il Booles, il Morgan, Stanley Jevons la considerano come la scienza delle leggi del pensiero. In una sola cosa convengono tutti questi filosofi, nel condannare Ari¬ stotele: del resto poi il Mill e la sua scuola riducono tutte le inferenze alla induttiva, considerando il Sil¬ logismo come un’Induzione sformata; l'Hamilton e i suoi seguaci invece ammettono il valore della Dedu¬ zione, ma si propongono di sostituire ai metodi fram¬ mentari, come essi li considerano, dell’analitica antica, un metodo compiuto e generale di Deduzione. La teoria intorno aI[adeterminazione delle quantità del_gredicato esposta dall’Hamilton è il punto di par¬ tenza della dottrina dei moderni riformatori, i quali, come già avvertimmo, non fecero altro che dare forma matematica alla teoria del Condillac, e con ciò pre¬ tesero di aver riparato alle lacune di Aristotele e di aver semplificato le artificiosità della grande sua opera, che attraverso a secoli e secoli aveva subito solo leggere modificazioni, ed esercitato continnamente una notevole efficacia sullo spirilo umano. Il Liard (1) fL Liard — « Les logiciens anglais contemporains <> pag. 48. — 49 — osserva che non propriamente l’Hamilton ma un altro filosofo, Giorgio Bentham (1827), riconobbe la necessità di dare al predicato una quantità uguale a quella del soggetto; perii primo però l’Hamilton riconobbe le con- seguenze di tale principio e le sistemò definitivamente (1). Emanuele Kant aveva fatto distinzione tra la forma e la materia della conoscenza; il filosofo inglese poi diede il nome di pensiero all’elemento formale, considerò il pensiero come l’opera degli atti dell'in- tendimento, pei quali noi elaboriamo i materiali for¬ nitici dalle facoltà rappresentative, quindi come con¬ fronto, analisi, sintesi di attributi, nozioni, giudizi, e riguardò la Logica quale scienza delle leggi del pensiero. Essa, secondo PHamilton, non considera le cose come esistono in sé, ma solo le forme generali del pensiero, sotto le quali la mente le conosce, è in sostanza scienza puramente formale, non garantisce nè le pre¬ messe nè la conclusione, ma solo la conseguenza di questa da quelle; e il Raziocinio è l’affermazione esplicita della verità di una proposizione, nell’ipotesi chealtre proposizioni, le quali la contengono, siano vere. La Logica considera non gli atti, ma i prodotti del¬ l’intendimento, e le leggi fondamentali a cui essa è sottomessa sono tre: di identità, di causalità e del mezzo escluso, le quali non possono essere negate, perchè altrimenti bisognerebbe negare anche la pos¬ sibilità del pensiero. Avendo la Logica per oggetto a forma del pensiero, (proseguiamo nell’esposizione della dottrina dell’Hàmilton, quale risulta dai Frammenti di Filosofia tradotti dal Peisse) per compiere l’opera sua deve poter esprimere totalmente il senso de e nozioni, (1) Hamilton - Progments de philosophie, farad, par L. Peisse. 4 - 50 — dei giudizi, dei ragionamenti che considera, deve poter enunciare nel linguaggio tutto ciò che è contenuto impiicitaniente nel pensiero. Da quanto si è detto deriva l a teoria d eila quantità del predicato. Ogni proposizione è composta di un soggetto e di un pre¬ dicato, uniti da una copula; noi pensiamo il soggetto con una quantità determinata e dalla sua quantità risulta quella della proposizione. Ma il predicato è sempre pensato in maniera quantitativamente inde¬ terminata? Spesso si esprime senza unirgli un segno preciso di quantità, come in quest’esempio: « tutti gli uomini sono mortali », senza dire se si intende parlare di tutti i mortali o solo di qualcuno. Vi sono però casi in cui il linguaggio esprime la quantità anche del predicalo, come in quesl’altro esempio: « nell’uomo non vi ha di grande che lo spirito ». Potrebbe quindi nascere il dubbio che vi fossero eccezioni nel pensiero, come ve ne sono nel linguaggio: per risolvere tale questione consideriamo l'atto dell'intendimento pel quale uniamo un predicato ad un soggetto. Una no¬ zione è l’idea dell’insieme degli attributi generali per cui una pluralità di obbietti individuali coincide; è un tutto puramente ideale che lo spirito è costretto a formare per classificare nel pensiero e separare nel linguaggio gli obbietti vari della sua conoscenza. Attribuire un predicato ad un soggetto è pensare questo obbietto individuale in una nozione data: dire per es. « l’uomo è animale », è porre la nozione « uomo » sotto la nozione «animale». Ma per pensare un concetto sotto un altro bisogna conoscere non solo che l’uno è parte dell’altro, ma anche qual parte ne e; onde il predicato è pensato sempre e necessaria- 1 mente con una quantità uguale a quella del soggetto. — Si¬ li linguaggio che bada solo ad esprimere ciò che si pensa, non come si pensa, non va tanto pel sottile, ma la^ Logica deve enunciare tutto ciò che è implici¬ tamente contenuto nel pensiero ed assegnare ai pre¬ dicati di tutte le proposizioni una quantità determinata. Venendo poi all'applicazione di questa teoria, se il predicato è sempre implicitamente pensato e dev'essere espresso come una quantità determinata, se questa •quantità è uguale a quella del soggetto, se la propo¬ sizione è in ultima analisi un'equazione, ogni ragio¬ namento va da quantità uguale a quantità uguale, ogni Sillogismo è in fondo una_serie di equazioni tra ‘■membri equivalenti. Non si deve più parlare di mag¬ giore, minore, termine medio ecc.; il tipo di ogni ragionamento è: A = B; B = C; dunque A = C. Due sono poi le specie di ragionamento, poiché, se assolutamente •considerati tutto e parti sono identici, nell’ordine del pensiero si può concepire prima il tutto per dividerlo nelle sue parti, con una analisi mentale, o prima le parti per riunirle in un tutto, con una sintesi mentale: si ha così un ragionamento deduttivo ed uno induttivo. L’Induzione riposa sul principio che ciò che appartiene ■alle parti appartiene al tutto, ed ogni ragionamento induttivo si può mettere in forma sillogistica A è B, X, Y, Z è A ; dunque X, Y, Z è B; la differenza del Sillogismo ordinario è che nella forma suesposta 1 uno dei termini della conclusione in luogo di essere un tutto è una enumerazione di parti: la quale devessere ■compiuta nell’Induzione formale, mentre nella reale. ■non può mai essere (1). Ragionare non è dunque, per concludere, ar rie ~(i; Liard - Op. Cit., pag. 60-G9 ed Hamilton, op. cit. — 52 — trare una nozione in un’altra, ma sostituire in pro¬ posizioni date nozioni equivalenti a nozioni equivalenti; onde tutti i Raziocini riposano sul principio della sostituzione dei simili, in virtù del quale in ogni pro¬ posizione una nozione può essere sostituita da un’altra equivalente; il ragionamento è, in altri termini, un atto di confronto o di giudizio mediato, perchè ragio¬ nare è riconoscere che due nozioni sono tra di loro nella relazione di tutto e di parte, ed hanno lo stesso rapporto con una terza. Questa è la teoria con la quale l’Hamilton pretese di aver riempito le lacune del sistema aristotelico, e di averlo nel tempo stesso semplificato e liberato da tutte le regole imbarazzanti ed inutili. Non ci sembra però che il filosofo inglese abbia per questo riguardo così bene meritato della logica formale; e quantunque la critica mossagli da Stuart Mill non sia, a nostro avviso, in tutto fondata, nè priva di esagerazioni, cre¬ diamo tuttavia che egli non vada molto lungi dal vero quando afferma che le nuove forme introdotte nella Sillogistica non offrono maggior vantaggio delle antiche; chè anzi vi hanno introdotto ' nuove e serie compli¬ cazioni. « Le nuove forme, dice Stuart Mill, noni offrono praticamente alcun vantaggio; v’è poco merito ad averle inventate, e poco vantaggio a servirsene, al meno che noi le vogliamo riguardare come un eser¬ cizio di ginnastica mentale, utile a rafforzare le facoltà intellettuali degli scolari (l) ». - /l I filosofi inglesi seguaci deirHamilton si sforzarono (1) Stuart Mill - La philosophie de Hamilton (trad. par E. Ca¬ ttive 8 ’ 493 ‘ ? fr ' anChe Bain * Lo o‘ c l ue deductive ed indu- ct.ve » trad. par G. Compayré, Voi. I. pag. 129-181 e pag.269-2G6. — 53 — sempre più di rinnovare la vecchia Logica, allargando la base della Logica deduttiva, e dando della Dedu¬ zione una teoria generale, che abbracciasse tutti i casi ai quali questo metodo è applicabile. E se noi voles¬ simo parlare convenientemente del De Morgan, del Booles, di Stanley Jevons, dovremmo estenderci troppo a lungo, e usciremmo dai modesti confini che sin dal principio abbiamo proposti, al nostro studio. Onde ci limiteremo ad accennare brevissimamente come ognuno ■dei tre filosofi nominati svolgesse le idee dell’Hamilton, rimandando chi fosse desideroso di vedere trattata con ampiezza e profondità questa materia agli scritti magi¬ strali del Bain e del Liard (1). Il Morgan, al pari dell’Hamilton, considerò la Logica come una scienza puramente formale, che nulla ha a vedere con la materia della conoscenza e solo studia le leggi di azione del pensiero, e non tratta se non delle cose in relazione col pensiero e di questo in relazione con quelle. Vi ha per lui- inferenza quando le due premesse sono universali, o quando, una sola essendo particolare, il termine m e d i o _ h a _qu<m lijjL differente nelle due premesse. Il suo sistema pero nell’insieme, come osservai! Liard, pieno di distinzioni e di suddivisioni, non lascia allo spirito quell impres sione di vera unità e di semplicità propria delle opere definitive (2). . Il Booles, autore di un sistema che è una vera ana is matematica della Logica formale, oss ervò che _ og n ym ferenza è tratta o da una o da due proposizioni, (i; Bain — Op. cit., pag. 266-300 e (De Morgan;; pag. 99-146 (Booles;; pag. (2) Liard — Op. cit., pag. 96-97. Liard, op. cit., pag. 71-97 L47-177 (Stanley Jevons). mr< cw — 54 — quest’ultimo caso dicesi Sillogismo. Aristotele non si' domandò mai quali fossero le relazioni logiche possi¬ bili fra tutti i termini, nè quali conclusioni sarebbero- risultate da un sistema di più che due premesse. L'o¬ perazione deduttiva è in fondo pel Booles l’elimina¬ zione di un termine medio in un sistema di tre ter¬ mini. Onde generalizzato il problema lo pone in questo- modo: « Dato un sistema di un numero qualunque di termini, se ne eliminino quanti si vuole, e si deter¬ minino tutte le relazioni implicate dalle premesse fra gli elementi che si vogliono ritenere ». In tale modo il Raziocinio diventa un caso speciale della Logica. Senonchè per risolvere il problema secondo il Booles, non è d’aiuto l’Analitica antica, ma occorre un pro¬ cedimento analogo a quello dei matematici, e bisogna fare della Logica generale un calcolo; analizzare le operazioni dello spirito, occupato nella costituzione delle nozioni generali, delle proposizioni e dei ragio¬ namenti deduttivi, esprimerle in linguaggio simbolico- e dedurre la proprietà di questi simboli dalle leggi della loro combinazione. Stanley Jevons infine, accettò il principio, non ir metodo del Booles. Secondo la sua dottrina ogni ra¬ gionamento formale è deduttivo o induttivo; Implica proposizioni, e queste alla lor volta implicano termini, che sono o positivi o negativi. Ognijproposizione è, in fondo, . un id en ti tà ne segue che il ragionamento è un processo da rapporti conosciuti ad altri sconosciuti, consiste nel sostituire in una proposizione od in un ZT t propos,irioni Identico all’identico, l'equi- “ simile * ««ita- L’Analitica EaUfl'lasione. ed .esclusione; la ° ° erale inve ce procede per sostituzione, perchè — DO — in un insieme noi possiamo benissimo sostituire una parte con un'altra equivalente o simile. Onde l'unico principio del ragionamento in generale è, clic ciò c he è vero di una cosa o circostanza è vero di ogni altra. cQsa o circostanza identica od equivalente; e l’unico procedimento del ragionamento è la sostituzione dei simili, la quale presuppone le leggi di identità, di contraddizione e del mezzo escluso. Contro la schiera degli esaltatori della Logica formale sorse l’altra scuola della Logica reale, che ebbe per suoi principali rappresentanti l’Herschell, il Mill, il Bain e lo Spencer. « La Logica induttiva, osserva il Liard nell’opera già da noi più volte citata (1), non ha in sè nulla d’incompatibile con resistenza di una Logica formale: si potranno stabilire le regole della ricerca e della prova sperimentale senza negare pei ciò la legittimità delle deduzioni sillogistiche ». Questo fu pure sotto un certo rispetto il parere deH’Herschell, il quale si era formato della scienza un concetto simile a quello di Bacone da Verulamio. La conoscenza che noi possiamo avere della natura, egli disse, ci proviene dall’Esperienza, la quale però non ci scopre le cause intime e profonde dei fenomeni: noi non conosciamo altro che i fatti; primo stadio di scoperta è 1 osserva- zione: poi lo spirito, facendo rientrare i rappor 1 sco perti in altri sempre più vasti, passa a cognizioni sempre più generali; l'importante è discernere ne fatti osservati le circostanze essenziali dahe acciden¬ tali, le invariabili ed uniformi dalle varia 1 1 e seggere. Egli pur affermando essere « 1 esperienza la grande e sola sorgente ultima della nostra conoscenza (i; Liard — Op. cit., pag. 23. — 56 — della Natura e delle sue leggi (1) », sosteneva aper¬ tamente che si richiede continuo l’uso dei due metodi, l’induttivo e il deduttivo, perocché quello scopre ,le leggi, questo le verifica rigorosamente e ne vede le ultime conseguenze (2). Stuart Mill ed Herbert Spencer non stettero in questi limiti; e dalle loro dottrine su l’origine e la genesi delle conoscenze furono condotti a dare alla Logica induttiva un dominio troppo esteso. I Razionalisti e gli Empirici avevano contestato l’utilità del Raziocinio; l'Hamilton e gli altri riformatori avevano ammesso la possibilità di concludere dal generale al particolare; solo gii Scettici dell’antichità avevano negato ogni valore al Sillogismo, sostenendo che esso riposa in una petizione di principio, ed avevano detto che la verità delle premesse non può garantire quella della conclusione (3). Colui che nei tempi moderni giunse alle stesse conclusioni degli Scettici fu Stuart Mill, che sviluppò anche maggiormente la teoria di Sesto Empirico, e fu seguito nell’opera sua di demolizione e, se era possibile, anche superato dallo Spencer. Andare dal noto all’ignoto, disse Stuart Mill, é ragionare ta ® l0namen *' 0 * n senso più largo è sinonimo d inferenza: questa poi non si distingue in induttiva o deduttiva, poiché ì’una e l’altra sono derivate da n modo primitivo di inferenza, quello dal particolare InlT ■ ° gni Sillo S ism ° PO' vi è una peti- 0110 dl p nilcl P' 0 ' quando io dico per esempio: ««di» della filosofi. % " ~ 0p - cit ' Pai - II. cap. 6. Em P u ' IC0 - Ipot. Pirron., II 195 W Stuart Mill _ Sistema di ìogica, Voi I — 57 — « Tutti gli uomini sono mortali; Socrate è uomo, So¬ crate dunque è mortale », la proposizione « Socrate è mortale » é presupposta già nell'altra più generale « Tutti gli uomini sono mortali »; noi non possiamo essere certi della mortalità degli uomini, se già non siamo certi di quella di ciascun individuo. Al Raziocinio non resta perciò a provar nulla, e il ragionamento dal generale al particolare non prova niente, perchè da un principio generale non si possono inferire altri fatti particolari, all’infuori di quelli che il principio stesso ■presuppone già conosciuti. La generalizzazione è un procedimento di inferenza, per cui si è autorizzati a credere che ciò che si è trovato vero in casi partico¬ lari è vero pure in tutti i casi simili, presenti, passati e futuri, onde possiamo concludere solo dal particolare al particolare (1). . Le proposizioni generali sono semplici registri in¬ ferenze già effettuate e di certe formole per farne altre: la premessa maggiore è una furinola di questo genere e la conclusione è un’inferenza non dei nata da questa formola, ma fatta conforme ad essa, ante cedente logico essendo la premessa maggiore, cos 1 tuita da fatti particolari, dai quali si è formata a proposizione generale per induzione. Il Raziocinio tutt’ al più una garanzia indispensabile pei accer della stessa generalizzazione: quando si possiece collezione di fatti particolari, bastante pei on ar Induzione, si può concludere subito a que particolari ad altri. Il valore del carne e do le regole della sua applicazione non consis e che ad esse si deve informare ogn. nostro rag.ona Voi. I, Lib. 1, cap. B. (1) Stuart Mill - Sistema ai Logica, — 58 — mento, ma in ciò, che dette regole ci danno il modo di espressione in cui un ragionamento può essere posto, e mettono a nudo i difetti di conseguenza, quando in esso ve ne siano. L’ufficio del Sillogismo è dunque di verificazione di un dato argomento; il suo uso è in sostanza quello delle proposizioni generali: si può benissimo ragionare senza di esse, e ciò si fa abitualmente; ma alcune menti, alle quali manca il prezioso aiuto dell'esperienza, si trovano, senza l’aiuto delle proposizioni generali, disarmate di fronte ad ogni caso, per poco complicato che sia. Press a poco alle stesse conclusioni del Miti giunse Alessandro Baiti, filosofo originale e profondo che diede alla Logica deduttiva la stessa importanza che alla induttiva, e nella sua opera principale tentò la conciliazione tra Bacone e Aristotele. La Deduzione, secondo il Bain, ha una grande im¬ portanza ed un valore speciale; ma in sostanza non è che una Induzione sformata e simulata. L’assioma del Raziocinio è come lutti gli altri un’inferenza induttiva, ondata sull esperienza, garantita dalla credenza nel- umfbrmuà della natura, alla quale noi siamo tratti .ÌTrT . U maggiore di Sillogismo deve zione chi 1 3 ,n dUe Parti: in .P ri mo luogo l’afferma- in seconrin ^ espnme Sbraccia tutti i casi osservati, i casi simili T g ° qU<3Sta afferraazi one si porta su tutti conato ni nTi^T OSServati - L’inferenza induttiva somiglianza a * P artlcolar e al particolare; la e noi° rinnovi! S ? In ciascuna di queste inferenze, stessa soml .n ■ ragIOnamento ogni volta che la in Z 01 COlpÌSCe< N0Ì allora determiniamo autorizzano^ dedurre^dTcIsi ^ S ° miglianze che ci a casi passati a casi futuri ; — 59 — questa proposizione diventa la maggiore del Sillogismo;, la quale, in fondo, non è che un’affermazione relativa a più casi constatati, ma che nel tempo stesso pei caratteri generali e per le somiglianze da essa indi¬ cate può applicarsi a tutti i casi in cui noi ricono¬ sciamo successivamente questi caratteri di somiglianza;, la minore poi deve constatare se un caso speciale possiede questi caratteri, e rendere possibile una nuova applicazione della maggiore. L’inferenza de¬ duttiva è un metodo di interpretazione; ed il servigio principale che essa rende è di analizzare le parti differenti di una serie di ragionamenti, giacché « il ragio¬ namento è molto più chiaro quando il principio generale è stabilito in primo luogo, i casi particolari sono indi¬ cati immediatamente dopo, e la conclusione dedotta (1) ». L’ultimo insigne propugnatore della Logica og¬ gettiva fu Erberto Spencer, il quale, partito dagli stessi principi di Stuart Mil 1 e di Alessandro Bain,. andò più oltre di loro annientando del tutto il valore del Raziocinio. Ed ecco in breve come egli procede nella sua opera demolitrice. La Logica, secondo 1 au¬ tore dei Primi Principi, esprime la dipendenza ne-- cessaria tra le cose e non tra i pensieri, non è quindi una scienza delle leggi del pensiero stesso, e la Sillogistica in conseguenza non ha valore alcuno. Ogni inferenza è essenzialmente induttiva, e non po trebbe essere altrimenti, dal momento che la Logica ha per obbietto le cose considerate obiettivamente. Al ragionamento dal particolare al particolare si pu ri durre ogni altro, ed il Raziocinio non è per nu a a flj Bain — Logica deduttiva e induttiva, Voi. I, (P«g. 810 della trai di 8. Compajré), e lib. I, oap. 14 Cp.g «W — 60 — forma vera del ragionamento, perchè, (ed in ciò lo Spencer segue il Mill) quando ad esempio si dice: « Tutti gli uomini sono mortali; Tizio è uomo, dunque è mortale » uno degli elementi della conclusione ha suggerito un elemento della premessa maggiore. Nel ragionamento poi che va dal particolare al particolare i rapporti che servono di premessa e di conclusione sono singolari: l'atto mentale è una intuizione della somiglianza o della differenza d'un rapporto da un altro. Il fanciullo il quale si è bruciato una mano e che, avendo provato una volta il legame dell’impres¬ sione visuale del fuoco con la sensazione dolorosa della scottatura, messa la mano presso il fuoco, la ritira, vede mentalmente un rapporto tra il fuoco ed una bruciatura, simile in tutto a quello visto prece¬ dentemente, e pensa che il rapporto futuro sarà una ripetizione di quello del passato; presume quindi che essi sono simili. In tale ragionamento la premessa è un rapporto, e così pure l’inferenza;, moltiplicandosi le esperienze, l'atto del pensiero per cui è attesa la conclusione dove sempre in fondo restar simile. Il Raziocinio è dunque una proposizione fondata sulle somiglianze, e la probabilità della conclusione è più o meno forte secondo il grado di somiglianza dei rapporti paragonati. Per es. scrive lo Spencer, quando si dice: « tutti gli animali dallo corna sono ruminanti; quest animale ha le corna, dunque è ruminante, » l'atto mentale è una conoscenza di questo fatto, che il rapporto tra certi attributi particolari in questo ani¬ male è simile al rapporto tra certi attributi simili in altri animali. Tale proposizione si può espri¬ mere così: — 61 — Gli attributi costituenti \ / Gli attributi costituenti un animale dalle corna Al ia quest’anim. dalle corna coesistono con : coesistono con gli attributi costituenti \ J gli attributi costituenti un animale ruminante B J I b quest’anim. rumiti. (1) Il Sillogismo delle scuole poi non esplica tutti i fatti perchè non considera le affermazioni elementari che noi inferiamo senza alcun termine medio, e le conclusioni che deduciamo da un sistema di vari rap¬ porti (2). Di più se il ragionamento si deve portare sulle cose e non sulle idee, il Raziocinio pecca per un vizio di forma, comprendendo non già tre, aia quattro termini. Poiché in fatti, se esaminiamo per es. il •Sillogismo: « Tutti gli uomini sono mortali; Socrate è uomo; Socrate dunque è mortale », vi scorgiamo quattro termini: 1° l’insieme di attributi che caratterizza la classe <c uomo »; 2° l’attributo « mortale» affermato nella maggiore e come accompagnante sempre questa serie di attributi ; 3° la serie degli attributi presentata per l’individuo « So.c_rate », simile, non la stessa della precedente; 4° l’attributo particolare « mortale »,che si riferisce come accompagnante questa serie essen¬ zialmente simile di attributi. Onde se gli elementi del Sillogismo sono quattro: l’assioma « due c ose che coe¬ sistono con una terza cosa coesistono fra loto », non comprendendo se non tre obbietti, non può rapptesen taro l’atto mentale che coordina gli elementi del Ra¬ ziocinio. Così lo Spencer venne a negare in mo o reciso ogni valore al Sillogismo, che disse essere un (1) Spencer - Principi di Psicologia, Voi. II, cap. S, pag. 69 e se gg. della traduz. di Ribot ed Espinas. vr VTTT (2) Spencer — Principi di Psicologia, Voi. II, cap. V - — 62 — ragionamento per analogia, una proporzione fondata sulla similitudine (1). Non possiamo però trattenerci dal l’osservare che i quattro termini da lui presi in esame in realtà non esistono. Perocché se gli attributi riferentisi all’uomo sono più, come per es. « mortale, intelligente, libero ecc., » secondo il criterio dello Spencer i termini sarebbero non soltanto quattro, ma cinque, sei, sette ecc., quanti sono tali attributi. Onde noi crediamo ancora, nonostante l'affermazione del filosofo inglese, che in ogni Sillogismo i termini non sono più di tre e che nell’esempio surriferito « mortale » rappresenti il termine maggiore, « Socrate » il minore, « uomo » il medio. Ecco in qual modo in Inghilterra le due scuole della Logica formale e della reale si sforzarono l’una di rinnovare e perfezionare la Sillogistica, l’altra di ab¬ batterla, per instaurare sulle sue rovine il regno della Filosofìa positiva. In Francia il Destutt deTracy, uno dei più illustri rappresentanti del sensismo francese, segue intorno al Raziocinio le dottrine del suo connazionale, il Condillac. Il Tracy, che affermava esplicitamente noi non esistere se non per le nostre sensazioni cosi •esterne come interne, sostenne che il Condillac aveva avuto tra gli altri il merito grandissimo di aver fatto giustizia sommaria di tutte le regole e di tutti i prò- cedimenti della Logica antica (2). In Italia i più insigni pensatori portarono tutti •contributo di idee originali alla teoria Sillogistica, e se Maurizio Bufalini, e pochi altri negarono al Razio- (1) Spencer - Princ. di Psic., Voi. II, cap. Vili. ^ esfcutt tl0 ^ rac y — Principes Logiques pag. 68 e seg. e — 63 — cinio ogni valore nella scoperta della verità, il Galluppi, il Rosmini, il Gioberti, il Mamiani ripresero e svolsero lo teorie del Leibniz, del Kant, dell’Euler, rimettendo ■nel dovuto onore una delle più grandi creazioni del pensiero antico. Di essi vogliamo parlare ora breve¬ mente per quel che si riferisce al nostro argomento. La dottrina filosofica di Pasquale Galluppi si può riassumere, come osserva il Fiorentino, in questa breve formola: « la conoscenza consiste nella sintesi dello spi¬ rito espressa nel rapporto: i rapporti pel Galluppi non sono dati dall’esperienza, ma posti dalla nostra attività; dunque la conoscenza, se dalla sensualità attinge i termini, dall’attività sintetica ritrae la forma del rap¬ porto (1) ». Da questi postulati deriva come conse¬ guenza che non si debba, neanche per un istante, mettere in dubbio il valore del Raziocinio. Esso infatti, pel Galluppi, è utile in primo luogo perchè serve a far distinguere le proprietà specifiche dalle individuali; giova cioè a legare e subordinare le nostre conoscenze. Nè questo è tutto, chè il Sillogismo face ndo vede reJL r app orto fra tre giudizi conduce lo spirito ad alcune conoscenze che senza di esso non si potr e bbero ottenere (2). I principi sui quali è fondato il Raziocinio allorché classifica sono i seguenti: A chi conviene la definizione conviene il definito ; a chi conviene il definito con¬ tiene la definizione; a chi non conviene la definizione non conviene il definito; a chi non conviene il defi¬ nito non conviene la definizione. Quando poi ci con duce a nuove conoscenze è fondato su questi a tri Principi: A chi conviene il genere, conviene tutto ciò (t) Fiorentino — Storia della Filosofia, pag. Cll. (2; Galluppi — Elementi di Filosofia, Voi. I, P a S- b ■ — 64 — che si attribuisce al genere: a chi conviene la specie, conviene tutto ciò che si attribuisce alla specie; lutto ciò che si nega di tutto il genere e di tutta la specie, si deve negare di tutte le specie comprese sotto il genere e di tutti gli individui compresi sotto la specie (1). E come il Raziocinio puro è istruttivo in quanto rende evidente una proposizione che per se stessa non è (2), così il Raziocinio misto è di grande utilità, perchè serve a classificare i fatti della natura, ed a farci conoscere fra questi alcuni rapporti che abbiamo conosciuto esistere fra le idee generali, le quali com¬ prendono le idee particolari di questi fatti; ecl anche perchè da alcuni fatti presenti attualmente ai sensi ed alla memoria si conduce a concluderne altri non presenti attualmente. Queste le idee del Galluppi, il quale sostenne che la Logica usci dalle mani di Aristotele, per questo rispetto, perfetta, e gli sforzi di coloro che vollero cambiarla non approdarono ad altro che a portar confusione ed incertezza, ove era ordine e verità (3). Onde pel filosofo di Tropea è grave errore il ne¬ ri) Galluppi — Elementi di Filosofìa, Voi. I, pag. 74. (2) « So lo spirito, dice il Galluppi, non avesse la facoltà di paiagonarc le sue idea e di percepire la relazione di identità tia di esse, la scienza umana non potrebbe aver esistenza. Lo spirito percependo immediatamente l’identità fra alcune sue idee forma gli assiomi, e per mezzo degli assiomi formando i raziocini, scopro mediatamente l’identità fra alcune altre sue idee. » Elem. di Filosofia, Voi. I, pag. 71. (3) Galluppi - Op. cit., Voi. II, pag. 168, o Voi. II, pag. 16» nota. Ctr. anche del Galluppi le « Lezioni di Logica o Meta¬ fisica », Voi. I, cap. XXXIV-XXXVI, pag. 240 e seg. - — — 65 — gare agli antichi un granile merito nelle cose di puro raziocinio, che se ai nostri giorni sono più chiare le dimostrazioni, le più belle teorie sono nei libri degli antichi, i quali, per dirla con Lattanzio « temporibus antecesserunt, sapientia quoque antecesserunt. » Secondo Maurizio Bufalini, per contrario, il Razio¬ cinio non discopre alcuna uuova cognizione perchè '« la conclusione, che si crede enunciare una tale co¬ gnizione, non ripete per riguardo ad un particolare subietto, che quella medesima inchiusa nella premessa maggiore, relativamente a tutti i subietti dello stesso genere (1). » Nelle Istituzioni di Patologia l’illustre scienziato si lece a- considerare se gli assiomi apodit¬ tici trovati per azione pura soggettiva del pensiero, ed usati nella ricerca sperimentale si rendono fonte di verità, le quali non si sarebbero rinvenute senza il loro soccorso; egli non credette che tali verità schiudano alla mente « la cognizione delle singole esistenze e delle loro relazioni » (2), e recò a prove del suo asserto: 1“ il fatto che le scienze non acqui¬ starono mai per assiomi apodittici le più grandi veiit ’ onde furono povere e superstiziose finché le gui o a filosofia speculativa; 2° l’altro fatto che la filoso a sperimentale, all’incontro, fece fare alle scienze ra P' ! e meravigliosi progressi. Del resto le vent e 6 fi può arricchirsi la mente sono pel Bufalini o apo tiche e necessarie, o sperimentali e con w 0 en i , prime non possono originare altre nuove co D ’ e sono olili solo « per ciò che prestar possono talora un mezzo a stabilire i confronti necessari <= (1) Bufalini — Quesiti sul metodo scientifico, proemio. (2) Bufalini - Istituzioni di Patologia pag. »>. — 66 — sperimentali; le seconde sono comprensive di tutto ciò che del creato può venire a cognizione del¬ l’uomo » (1). Seguace del Galluppi fu invece, per quel che si rife- ( risce al Raziocinio, il Rosmini, il quale come già nel Nuovo Saggio erasi proposto il problema della conoscenza, ricercando il punto ove sensibililà ed in¬ telletto si congiungono insieme per produrla, così nella Logica combattè Francesco Bacone perchè aveva preteso che solo con l’Induzione si riuscisse a scoprire le verità, contrapponendola al Sillogismo, relegato fra gli istrumenti vani ed inutili. Il Raziocinio, pel filosofo di Rovereto « dimostra la precedenza della verità ueH’uomo a lutti i trovaraenti particolari del pensiero. » Esso ha valore sia nel campo teorico sia nel pratico (2): perocché pel primo riguardo bisogna considerare: 1° che solo l’uomo eser¬ citato nelle inferenze si mantiene coerente nei ragio¬ namenti; 2° che il ragionamento acquista con l’illa¬ zione precisione e chiarezza; 3° che una dottrina non è ridotta in forma di scienza se non quando essa è ridotta ad un principio del quale tutto ciò che essa contiene sia una serie di conseguenze le une derivate dafie altre; 4° che l’inferire le conseguenze da prin¬ cipi conduce alla scoperta di nuove verità; 5° che le inferenze scoprono nuovi veri non solo nella dialettica e nella metafisica, ma anche nella fisica. Nel campo 1; Bufalini -Quesiti sul metodo scientifico. Proemio. Rosi; “T ~ L ° SÌCa N ’ 1002 - °P-> Vo1 - IV. - Secondo il affermai 30 certo ^P^to aveva ragione l’Euler quando Sillogismo V 6 *-° gni ve “ til dev e essere la conclusione di un Uogismo, le cui premesse siano indubitabili. » -- -— •- — 67 — pratico poi il Raziocinio è di somma importanza: — 1 ° perchè l’uomo il quale mostra coerenza nei pensieri e nei ragionamenti suole essere coerente in atte le sue azioni; 2° perchè anche negli uffici pri¬ vati e pubblici il più efficace principio è quello della coerenza, laddove l'incocrenza rende deboli i governi stessi, e guasta l'esito di ogni grande impresa. Di queste dottrine si fecero sostenitori anche il Mamiani, il quale affermò apertamente che il pensiero se non fosse aiutato'dal Raziocinio non potrebbe in molti casi farsi strada à scoprire attinenze recondite piene di grande dottrina (1); e Vincenzo Gioberti che, dopo aver sostenuto il progresso discorsivo essere il successivo conoscimento che l'uomo ha dell’atto crea¬ tivo e del progresso cosmico (2), nella Teoria del Sovranaturale scriveva: « Il progresso che la causa efficiente fa dal principio sino alla fine nello svolgi¬ mento successivo della creazione, corrisponde al pro¬ cesso intellettuale che fa la mente dai primi principi sino alle ultime conseguenze nella esplicazione suc¬ cessiva della scienza, e che si Chiama discorso. Per tal guisa il ragionamento dell’uòmo è parallelo ed analogo col processo della natura, e là logica, ossia la sillogistica, si riscontra nella cosmologia (3) ». (i; Il Mamiani afferma cbe l’elemento estrinseco del ragionare importa assai più di quanto si creda ai giorni nostri, onde' ammonisce che non si deve distruggere l’opera della Scolastica,, ma ravvivarla con più largo spirito filosofico. (Del Rinnova-, mento della filosofia antica italiana. — Cap. XIII, pag. 110). (2) Gioberti — Introduzione allo Studio della Filosofia, Voi. Il,' pag. 243-241. (8) Gioberti — Teorica del Sovranaturale. N. XLIV, Voi. II, pag. 366. — 68 — Compiuta così rapidamente l'esposizione delle dottrine dei filosofi intorno al valore del Raziocinio, ci rimane a farne una critica equa e severa, per poter poi m fine dedurre un giudizio che non pecchi di esagera¬ zione. Poiché la logica posteriore ad Aristotele non fu, per dirla con un acuto critico francese, che un - « eco dei filosofi o un’opposizione impotente contro teorio che si appoggiano sulla verità (1) ». E quel che ò più, esagerarono i filosofi dell’una e dell altra specie;, gli uni rendendo la Logica aristotelica un vuoto for¬ malismo e sostenendo il valore del Raziocinio là ove non dovevano; gli altri combattendolo anche in ciò- in cui non era impugnabile. Ed in vero, come vedemmo, nel secolo XVI cominciò contro la Sillogistica di Ari¬ stotele un'opposizione fierissima, la quale credette di abbattere, ma non riuscì che a far vieppiù risplendere la gloria di quell’opera immortale. Tale movimento contrario allo Stagirita cominciò col Ramo in Francia, e per mezzo di Bacone e Cartesio continuò fino al Locke, spirito profondo, il quale seppe per un istante far disprezzare l’opera che per circa venti secoli aveva istruito lo spirito umano; finché col Coudillac parve che tutta l'ammirazione per Aristotele fosse svanita affatto, nè si ricordassero i principi e la storia del - l'Analitica antica, nè più si distinguesse la pura e genuina dottrina dello Stagirita dai travestimenti che l'età di mezzo le aveva imposti. Fu vanto del Leibniz 1 aver proclamato che Aristotele non era irreconcilia¬ bile con lo spirito moderno, e l’avere sostenuta la importanza innegabile del Sillogismo, che egli chiamò una delle più belle invenzioni dello spirito umano. (1) Saint-Hilaire — De la logique d’Aristote, Voi, II, pag. 122. — 69 — La reazione del Leibniz fu continuata dal Kant, •dall’Euler, dal Lambert, seguendo la sentenza del sommo filosofo di Kónisberg, che alla Logica quale •era stata fissata da Aristotele nulla v ! era da aggiun¬ gere. Al principio del secolo XIX' poi contro il Alili, il Bain, lo Spencer, i quali nel giudicare il Sil¬ logismo avevano ripreso le antiche teorie degli Scettici, insorsero nella stessa Inghilterra 1’Hamilton, il Mor- -san, il Booles, benché cercassero a torto di semplifi- care un’opera che non ne aveva bisogno, e riuscissero invece ad imbrogliarla e ad ottenebrarla, e, molto meglio, in Italia l’utilità del Raziocinio fu sostenuta dai più grandi pensatori, dal Galluppi al Rosmini, dal Gioberti al Mamiani. Ed a ragione; poiché la Logica antica non è falsa, bisogna saperla applicar bene: come avvertiva il nostro grande Galilei; e la scoperta del Sillogismo, vanamente contestata, porta in se stessa ■qualche cosa di prodigioso, come osserva il Saint-Hi- •laire (1). « Rien ne la revèle avant Aristote, scrisse il grande critico francese, après lui rien ne la peut ■renverser. Une école de plnlosophie a tentò inutilement aprés dixhuit siécles, d’en nier la vórité et la valeun ■ses efforts impuissants n’out pu prévaloir ; 1 esprit philosophique, à l’heure qu ’il est. vit de nouveau •de la foi aristotélique, et il croit, d’après elle, à des principos genéraux et indemontrables dans l’intelli- gence, sources de la démonstration et du syllogisme. » (1,) Saint-Hilaire — De la logique cl’Aristote, 1 ol. II, pag.118. — 70 — CAPITOLO III. Critica delle obiezioni mosse eontro il valore del Raziocinio. Le obiezioni mosse da alcuni filosofi contro il ge¬ nuino valore del Raziocinio possono dividersi in due categorie: le prime riguardano il Sillogismo come forma tipica' di ogni argomentare deduttivo, le seconde lo riguardano come fondamento dcirinduzione: delle une e delle altre dobbiamo fare una critica breve, ma più che sarà possibile esatta; e cominciamo senz’altro dalle obiezioni della prima specie. La legge principale del Raziocinio è che la mag¬ giore contenga la conclusione: da essa trae la sua forza il Sillogismo, ad essa si riducono le altre otto regole riferentisi ai termini ed alle proposizioni. Eb¬ bene, Stuart Mill, Erberto Spencer e tutti gli altri Logici inglesi della loro scuola affermano che appunto per essere la conclusione contenuta nelle premesse il Raziocinio è del tutto inutile. Bisogna però intendersi intorno al significato da darsi alle parole « contenuto nelle premesse ». Con tale espressione intendiamo di dire che la conclusione è contenuta « implicitamente » nella maggiore, perchè se vi fosse contenuta « espli¬ citamente » la maggiore sarebbe particolare e non più universale. Ma è regola del Sillogismo che nulla si può concludere da due premesse particolari. La conclusione è adunque nota in virtù del Raziocinio che rende esplicita la notizia prima implicita, o per — 71 — lo meno, nei casi in cui la conclusione fosse già nota prima come fatto, eleva la notizia al grado di scienza. In realtà l’illazione non ha servito a formare le pre¬ messe, e non è vero che una proposizione generale si possa applicare solo ai casi nei quali è stata verificata; l’esperienza stessa contraddice l'affermazione, giacché quando affermo: « Tutti gli uomini sono mortali, Caio è uomo, Caio dunque è mortale », il caso di Caio ancora vivente non ha potuto servire a formare la premessa generale. Talora il Sillogismo anche di sus¬ sunzione può essere ben più diffìcile, potendo essere difficilissimo vedere se un soggetto si riporta o no ad una classe avente una determinata proprietà, o la ragione per la quale un soggetto ha o non ha una proprietà qualunque. Naturalmente la conclusione de¬ v’essere contenuta nelle premesse, e il- Raziocinio è precisamente l’operazione del pensiero necessaria per dare forma logica dimostrativa alla contenenza della illazione nelle premesse. Del resto la maggiore non ha una universalità puramente quantitativa, la quale sarebbe distrutta da un solo caso particolare contrario, ma è una legge, cioè un universale quantitativo. Lo- perazione sillogistica, come fu avvertito acutamente (1). non è quindi diversa nel Sillogismo di sussunzione dalla funzione interpretativa del magistrato che applica la legge al caso speciale, operazione anche questa non facile e dalla quale si riconosce il valore del giurista. Senza contare che non tutti i Sillogismi sono e tipo di quello citato da Stuart Mill; poiché ve ne sono alcuni nei quali non si applica solo una regola gene¬ rale ad un caso speciale, ma in cui le due piemessc (1) Masci — Elementi di filosofia, Logica pag. 2(1. — 72 — sono proposizioni generali, e la conclusione è una proposizione generale che non può essere provata con Tlnduzione, senza ricorrere ad esperienze del tutto diverse da quelle dalle quali le premesse sono state provate. Questo è il ragionamento che ha luogo quando noi veniamo a conoscere che un dato fenomeno X ha costante relazione con un altro Y, non valendoci di una generalizzazione ottenuta dall’aver osservato i fatti nei quali si riscontra la connessione tra X e Y, ma servendoci della conoscenza ehe abbiamo di una relazione tra X ed un terzo fenomeno Z e tra Y e lo stesso Z. In tal caso non v’ha dubbio che con la De¬ duzione perveniamo a nuove cognizioni, a scoprire cioè certe analogie che la semplice osservazione non ci avrebbe fatto percepire. E, per concludere, il dire che ciò che si afferma nella conclusione è già compreso nelle premesse è precisamente un mettere sempre più in luce l’importanza del Raziocinio, perchè si viene a dire che con esso colui il quale sapientemente trae le sue deduzioni rende fruttuose le premesse di cui si serve nel suo ragionamento, al modo stesso che il lavoratore con l’opera indefessa rende fruttuosa la terra, traendo alla luce i tesori che essa nasconde. Del resto i Logici inglesi a provare la inutilità del Raziocinio si valgono pei primi di un Sillogismo vero e proprio: Quel che è conosciuto, essi dicono, non ha bisogno di essere provato; ma una illazione contenuta nelle prèmesse è nota; dunque non ha bisogno di essere piovata. Or bene o essi considerano veramente inutile il Raziocinio, e in tal caso non vediamo la ragione per cui se ne debbano valere nelle loro dimostrazioni, e special¬ mente poi in questa; o di fatto lo erodono giovevole alla ricerca della verità, e non sappiamo perchè debbano con tanto accanimento disconoscerne a parole il valore. — 73 - Cosi cade anche l’obiezione che il Sillogismo sia viziato da una petizione di principio, poiché l’illazione non ha servito a formare la premessa, e la validità di questa è indipendente da quella dell’altra; obiezione sorta perchè la Logica delle scuole considerava la maggiore come universale semplicemente quantitativo, laddove l’universalità della premessa esprime non già una somma, ma una legge. Se il Sillogismo fosse il rapporto analitico dei concetti, distribuiti secondo la loro estensione, servirebbe a classificare formalmente i concetti, non già a scoprire nuovi veri: onde il Ra¬ ziocinio non è punto un sofisma, come pretese qualche filosofo. Stuart Mill, di fronte alla inconfutabilità di questa verità, cambiò la teoria del ragionamento in generale e del deduttivo in ispecial modo, e sostenne che in¬ esso non si procede dal generale al particolare, ma dal particolare al particolare. Da ogni esperienza, sono press’ a poco le sue parole, nasce l’aspettativa che il caso futuro sarà simile a quello sperimentato, e la fede cresce a mano a mano che aumentano le esperienze accordantisi; la maggiore è un registro abbreviato di inferenze, una assicurazione che le esperienze passa e — 74 — singolare a legge e giunga al principio die il furto deve andare impunito, vede meglio tutta l’enormità dell’assoluzione. Il Sillogismo poi, secondo il Mill, ,rj 0 va perché il ragionamento fondato sulle regole ha maggior evidenza e persuasione di quello fondato sui precedenti e sugli esempi. Non occorre dopo quello che abbiamo detto sopra fermarci molto a confutare l'opinione del filosofo inglese: è chiaro che egli con¬ fonde il processo psicologico, il quale va dal particolare al particolare, col procedimento logico, che ha per ufilcio di dire quando l’inferenza è legittima: ed è tale quando la maggiore non è un registro di inferenze ina una vera legge. Onde, concludendo, nel Raziocinio: « Tutti gli uomini sono mortali: Tizio è uomo; Tizio dunque è mortale », si può dedurre la mortalità di Tizio quando consta che egli è uomo. Che so la pro¬ posizione generale fosse un semplice registro di infe¬ renza, e una somma dei particolari osservati, se esprimesse un semplice ricordo del passato, nulla si potrebbe inferire dei particolari futuri. Ma qual me¬ raviglia se Stuart Mill con tanto accanimento impugnò il valore del Raziocinio? Egli riguardo alle idee uni¬ versali ed al principio di causalità la pensava come Davide Hume, il quale non solo negava ogni valore oggettivo all’idea di sostanza come il Locke, e la realtà delle idee astratte come il Berckeley, ma so¬ steneva che non possiamo nò percepire nè dimostrare la causalità, quindi l’ammettiamo per abito, perchè associamo due fatti che vediamo succedersi costante- mente l’uno all’altro. Un obiezione che a tutta prima potrebbe parer grave fu pure mossa da alcuni Logici contro il Raziocinio; essi dissero che la sua efficacia sta tutta nella con- — io — nessione di nostri giudizi, quindi non ci assicura che della loro coerenza; esso è nè più nè meno di una tecnica delle relazioni dei concetti, che ha un ufficio secondario nella prova scientifica. Così il Sillogismo viene concepito alla maniera di Bacone, il quale gli negò ogni valore oggettivo per sè e lo stimò in tutto subordinata airinduzione, la sola adatta a scoprire i principi delle scienze. Per ammettere vera e legittima ouest’obiezione bisognerebbe credere con Pirrone Ene- side.no e Gorgia che la verità non esiste e che noi non la possiamo conoscere in sè, avendo le nostro cognizioni valore solo relativo. Colui il quale pertanto no°i sottoscrive allo scetticismo assoluto, vero suicidio del pensiero, come ben fu definito (1), nè d aiti a par e si appaga del dommatismo, che ammette il combacia- mento assoluto tra la mente e la realtà, perchè con- trario ai risultati della filosofia critica e non consen¬ tito dalla ragione e dall'esperienza inuminate, nè ha fede nel semiscetticisrao Kantiano, giu m ier o »e surriferita degna in tutto della filosofia dell «neono scibile II vero è che la connessione dei nostri 0 iud.z non è mera legge formale subiettiva del P^ sie ™;“ a essa deriva dalla connessione delle cose nel . . a La forma della conoscenza non può stare d,s 'unto dalla materia; nè il pensiero da un « qui» » tesato; Le nostre cognizioni non possono essere vere M non sono conformi alla natura deg i o iie , a ’l la il Baziocinio non deve essere vero solo quanto a la forma, cioè alla °e "a dizi, ma anche per quel che riguarua natura dell’oggetto su cui verte il ragio (l) ValdarniaL - Saggi di filosofia teoretica, pag. 05. — 76 — il Sillogismo assicurandoci della coerenza dei nostri pensieri ci garantisce che essi sono conformi alla realtà. Erberlo Spencer ha creduto che manchi un principio- fondamentale, un assioma sul quale si fondi il valore della Deduzione sillogistica: principio che, secondo il suo sistema filosofico dovrebbe essere unico, ed avere valore oggettivo, essere cioè una legge della realtà, non solo del pensiero. Ciò sarebbe vero se si conce¬ pisse la conoscenza come imitazione passiva, copia della realtà; ma la conoscenza nel suo procedimento logico deve essere considerata come lavoro di sintesi e di analisi mentale, che passa per una serie più o meno lunga di nessi ideali per giungere al nesso reale. E affermando l’intelletto affermiamo la realtà di un ente, capace per sua natura d’intendere, pensare e cogliere il vero; il pensiero si radica nella realtà e partecipa dell essere universale: ed infine corre un'in¬ tima armonia tra le leggi formali del pensiero e le leggi reali che governano la natura dell’essere intel¬ ligibile. « Se la conoscenza, osserva giustamente il Masci, è via alla realtà, se questa via è quella delle forme logiche e specialmente del ragionamento, il principio di queste non deve dire quale dev'essere la realtà, ma quale dev'essere il procedimento del pensiero per apprenderla mediatamente, cioè quando essa è l’oggetto dell’esperienza diretta. Un tale principio non potrebbe essere un principio della realtà, bensì solo un principio del pensiero nella ricerca mediata e in¬ diretta della realtà, lo schema di un procedimento che ha in sè stesso quel carattere di logica evidenza che è criterio di verità (1) ». (1) Masci — Elementi di Filosofia Logica, pag. 271. L — 11 — I Logici non sono d’accordo sul principio logico for¬ male del Raziocinio, e se Aristotele formò detto prin¬ cipio tanto sotto il rapporto dell’estensione, quanto, sotto quello del contenuto dei concetti, la Logica tra¬ dizionale lo espresse col « dictum d e omni et de- nullo », il Kant la formulò nel « nota notae est nota rei; repugnans notae repugnat rei ipsi », altri come- l’Hamilton lo presentarono nella forma dell’eguaglianza delle parti col tutto, lo stesso Spencer ammise che la ^isti tuzione dell'identico sia il procedimento generale- dei Raziocinio, e già il nostro Campanella aveva af¬ fermato a’ suoi tempi che « la virtù di concludere questo da quello è nel Sillogismo per forza di identità (1) ». Ma a dire il vero i principi sui quali si fonda¬ la legittimità dei nostri Raziocini, non meno di quella, dei nostri giudizi, sono i tre che emanano immedia¬ tamente dalla nozione di ente: quello di identità, :l quale, applicato alla quantità, si trasforma nell’assioma « il tutto è maggiore delle parti », ed alla causalità nell’altro « non v’ha effetto senza causa » ; quello di contraddizione, e quello di mezzo escluso. In fatti come il secondo e il terzo sono fondamento del Sillogismo- di seconda figura, cosi il rapporto di principio ad effetto è il fondamento del Raziocinio ipotetico, e pel disgiuntivo vale il principio dell’alternativa, che è una forma di quello. Concludendo, questo principio non ò oggettivo ma formale, non è legge della natura ma del pensiero, non è l’assioma, ma gli assiomi fonda¬ mentali del pensare, i primi ed evidentissimi, che non sono dimostrabili, ma si devono ammettere come in¬ contrastabili: essi sono la base di ogni ramo della (1) Campanella— Universalis philosophia, p. I, lib. Ili, cap. 2.. — 7S — scienza, non essendo essa se non un sistema di cogni¬ zioni dimostrate e dipendenti da un solo principio, o in breve, come voleva il Gioberti « l’esplicazione di un principio (1) ». Tali assiomi infine non derivano già dal senso, nè da un intuito primitivo; chè la nostra natura non ha alcuna determinazione, bensì l’attitudine- a conoscere gli obbietti, come e quando a lei si presentano; e come il senso percepisce diretta- mente il sensibile, così l’intelletto coglie l'intelligibile e in tal modo noi possiamo percepire con le nostre facoltà l’essere ideale e reale delle cose. Qui cade in acconcio di rispondere due parole a coloro i quali pur concedendo che il Raziocinio serva all’appli¬ cazione dei principi ai casi particolari, mettono fuori di esso I Induzione inventrice dei principi. Anche nell’Indu¬ zione è sempre sottinteso un principio universale, da cui parte e su cui si appoggia ogni ragionamento indut¬ tivo. L’assioma è il seguente: « Ciò che in una data specie di cose è sempre avvenuto in un dato modo, avvei rà sempie in questa stessa specie nella maniera medesima, quando le circostanze siano le stesse »; ciò equivale a dire che la natura è governata da leggi fisse e costanti. Ma, di grazia, donde deriva questo principio, se non dagli altri di causalità e di sostanza, dai quali trae tutta la sua forza? Onde l’Induzione considerata sotto questo rispetto può mettersi sempre in forma di Sillogismo, e può benissimo definirsi « la funzione della mente per la quale applicando un principio universale ad alcuni fatti particolari da noi ossei vati, questi generalizziamo con una proposizione esprimente un principio od una legge generale che- (1) Gioberti — Introduzione allo studio della filosofìa. — 79 — ooi affermiamo esistere in natura (1) ». Del resto uno dei principi di tutte le nostre conoscenze è il principio di causa, che ha un valore universale, ideale e reale ; ideale appunto perchè è la forma di ogni conoscenza; reale, perchè nei modi e limiti suoi tutto il mondo ci si svela. Lo stesso Stuart Mill è costretto a riconoscere questi principi supremi razionali, che sono necessari all’Analogia, all’Induzione imperfetta e alla Deduzione; « e, osserva giustamente il Cantoni, non si può concludere da un particolare ad un par¬ ticolare senza ammettere implicitamente come valido il principio generale, e non si può dare vera, assoluta universalità ad un giudizio senza presupporre i prin¬ cipi supremi della ragione (2) ». Rimane ad esaminare l’ultima delle obiezioni mosse al Sillogismo, come forma tipica di ogni argomentare deduttivo. Alcuni Logici, tra cui il Cantoni, osservarono che il Sillogismo non corrisponde a tutte le argomen¬ tazioni rigorosamente conclusive. Le regole dei modi di prima figura sono: 1° la maggiore dev'essere sempre universale, ma può essere affermativa o negativa; 2° la minore dev’essere sempre affermativa, ma può es¬ sere universale o particolare; la conclusione ha sempre la qualità della maggiore e la quantità della minore (3). Se dunque la minore in un Sillogismo di prima figura in tutti i suoi modi dev’essere affermativa, questo Sillogismo (che cita il Cantoni) « soltanto gli esseri liheri nelle loro azioni sono responsabili, i pazzi non sono liberi, dunque i pazzi non sono re¬ sponsabili », in forza di quel « soltanto » conclude (1) Corte — Elementi di filosofia Yol. I, pag. 80. (2) Cantoni — Elementi di Filosofia. Logica, pag. 209-210. (3) Peiretti — Compendio di Logica generale pag. 154 e seg. — 80 — legittimamente. Non occorre una lunga discussione per dimostrare che questa obiezione non regge, poiché quando si dice che la minore dev’essere affermativa, si intende in senso logico, non già grammaticale; onde nel Raziocinio surriferito la minore è gramma¬ ticalmente negativa, ma logicamente affermativa, che equivale a dire: « i pazzi sono non - liberi ». E veniamo ad esaminare le obiezioni mosse contro il Raziocinio come fondamento dell'Induzione; perocché ad alcuni Filosofi non parve che questa prenda dal Sillogismo la sua forza, come non era sembrato che ogni specie di argomentazione deduttiva prendesse da esso la sua chiarezza. Abbiamo già accennato in breve al principio che governa l’Induzione, ora aggiungiamo che essa conchiude dai fatti alle cause, dai fenonemi alle leggi, dal particolare all’universale, in forza della Deduzione stessa, pei seguenti principi impliciti, che, come avverte acutamente il Professor Martini (1), si collegano in forma di Sillogismo. « Ciò che pur va¬ riati gli aggiunti si è osservato essere fenomeno o legge costante in molti particolari, in circostanze di¬ verse dev essere effetto non delle circostanze diverse ma di quello che nei particolari è costante e comune. Ora ciò che nei molti particolari, nel resto diversi, è solo costanto e comune è la loro natura. Dunque que fenomeno o legge costante in essi osservata é effetto della loro natura. Ma ciò che è effetto di alcuna na- tura si ha da verificare in tutti gli esseri che hanno la natura medesima. Dunque si verificherà in tutti i particolari della stessa natura, benché non ancora Firenzo^m diFilosofia - P«MS- 58 (Paravia — in¬ osservati. » Qui si riduce quella legge che molti asse¬ gnano come fondamento dell’Induzione: « le leggi di natura non mutano, » ove per legge di natura si vogliono intendere non solo le leggi fisiche, ma anche quelle che, fondate sulle realtà, sono regolatrici dell’umano pensiero e discorso. Così intesa, è questa legge il principio che dà all'Induzione la forza di produrre certezza scientifica, benché muova dal particolare contingente. Ciò premesso, ritorniamo all'argomento: la prima delle obiezioni della seconda specie, òche il Sillogismo non sia il tipo ordinario di ogni nostro ragionamento, e non vi sia necessità che noi ci serviamo sempre di tal forma. Quando si considerasse del Sillogismo la sola materia, l’osservazione sarebbe esatta ed avrebbe una certa importanza. Ma se si considera la legge ■fondamentale del Raziocinio e l’inferenza del partico¬ lare dall’universale si vede che, se si è dispensati dall’e- sprimere sempre il principio universale che contiene la conclusione, però si è costretti sempre a suppor- velo almeno implicito, e la stessa Induzione dà luogo alle conclusioni generali in forza di un Sillogismo sottinteso come vedemmo. L'osservazione poi di coloro i quali affermano che ragionando nessuno adopera la forma sillogistica, non ha alcun valore, perchè nulla impedisce che la mente possa nella pratica intuire nessi remoti e sopprimere un certo numero di nessi intermedi. Allo Spencer, che nei Principi di psico¬ logia afferma esservi ragionamenti i quali non po¬ trebbero mettersi in forma sillogistica e cita in pro¬ posito alcuni esempi, si deve osservare che egli non doveva accontentarsi di affermare, ma aveva anche l’obbligo di dimostrare tale impossibilità, la quale nel 6 — 82 — fatto é solo relativa ; e del resto solo perchè qualche ragionamento non si lascia disporre negli schemi sil¬ logistici, non si può perciò rigettare tutto quanto il Sillogismo. A coloro infine i quali affermano che il Raziocinio deduttivo non forma compiutamente tutti i procedimenti del pensiero nel ragionare si può os¬ servare che neanche l'Induzione generalizzatrice dello scienzato non è per lo più prodotto di un discorso pei singoli casi, che spesso da un solo caso lo scien¬ ziato vede le condizioni della validità di una legge, Che se dal non essere formulalo il ragionamento si dovesse concludere che non c'è, allora la Logica do¬ vrebbe, come osserva giustamente il Masci (1), cedere il suo dominio tutto alla Psicologia. La prova segue la scoperta, ma non per questo è meno necessaria per convertire in sicuro possesso le verità trovate (2). Il Mill e il Bain osservarono che il Raziocinio é la riprova dell’Induzione; è un processo di verificazione. Onde fu detto che Stuart Mill non annientò il valore del Sillogismo; ma, di grazia, quando ammette che esso non serve alla scoperta di alcuna verità, noti viene a disconoscergli ogni importanza? Un’Induzione dal particolare al generale seguita da una Deduzione, osservò il filosofo inglese, è una forma in cui possiamo ragionare; ed è indispensabile porre in forma sillogi¬ stica un ragionamento, quando abbiamo dubbi sulla sua legittimità. Ed anche ciò è vero, perchè uf¬ ficio del Raziocinio è quello di smascherare gli errori dei falsi ragionamenti; ed in tal modo non solo esso è strumento di scoperta della verità, ma ha anche un (1) Masci — Logica, pag. 277. ($) Masci — Logica, pag. 278. — 83 — compito altamente nobile.se è vero che, come afferma il Genovesi, « gli uomini dove non siano aggirati dal falso hanno sempre bastante forza a vedere le più importanti verità (1) ». Alessandro Bain condivise il parere del Mi 11, sostenendo che « uno dei grandi servigi che rende la forma Sillogistica è di analizzare, di mettere in tutta la loro luce e di presentare ad un esame separato le parti differenti di una serie o di una catena di ragionamenti (2) ». E'sta bene il Raziocinio ha un reale valore come fondamento del¬ l’Induzione, segue che ne divenga la riprova. Ma non per questo l’obiezione ha valore universale, perché nelle scienze di deduzione si danno Sillogismi che sono unica forma di ragionamento possibile, nè occorre esemplificare, poiché infiniti sono i casi, anche nella sola Matematica, che confermano quest osservazione. Del resto se in natura noi vediamo che l’universale contiene il particolare, il Raziocinio non può non es¬ sere il tipo perfetto di ogni argomentazione. Veniamo all'ultima e più universale obiezione: «il Raziocinio non vale alla scoperta del vero ; esso serve tntt’ al più a chiarire e ordinare i nostri concetti. » Che realmente compia questo secondo ufficio non vi ha dubbio alcuno, ed anche in ciò consiste la sua importanza, perchè se i concetti sono oscuri e non si vede la dipendenza loro non si possono dire scienti¬ fici; perocché conoscere scientificamente una cosa equivale, per dirla col Vico, a conoscerla ne suoi principi, e nelle ragioni. È questa un utilità del Ra¬ ziocinio che si può esperimentare quotidianamente.- Ma (1) Genovesi — Logica per i giovanetti. • (2) Bain — Logica deduttiva e induttiva, Voi. Ij-pàg. 300. — 84 — ben piccola sarebbe l’utilità del Raziocinio se si limi¬ tasse a ordinare le nostre conoscenze; esso serve pure a condurre lo spirito all’acquisto di nuova scienza, che ci sarebbe impossibile acquistare senza il suo aiuto. Su questo punto importantissimo ritorneremo in se¬ guito, qui basterà che ci fermiamo ad una semplice e brevissima confutazione dell’obiezione, ripetuta da Logici di tutti i tempi, a cominciare da Sesto Empirico, per venire Ano a Bacone.e poi giù giù fino a Stuart Mill ed alla sua scuola, che cioè il Sillogismo non vale alla scoperta del vero. Prenderemo le mosse da un. passo della Logica di Carlo Cantoni (11, nel quale l’insigne professore dell’Ateneo di Pavia fa sua la obiezione espressa già in altri termini dal Mill e dal Baili. « Con la prima figura, egli dice, che da alcuni' è riguardata come la forma fondamentale e tipica del ragionamento umano, si viene ad affermare di una specie una proprietà deh suo genere. Ora un ragio¬ namento simile pei" solito non si usa nè per dimostrare- le proprietà di un oggetto, nè per discopricele, giacché- solitamente noi Affermiamo che un oggetto appartiene- ad un dato genere quando vi abbiamo osservato e riscontrato le sue proprietà più essenziali ; così non è- naturale questo Raziocinio: Gli organici muoiono; gli animali sono organici, dunque anch’ essi muoiono; perchè tale qualità del morire si è dovuta riscontrare negli animali prima di dirli organici. » Il Cantoni va anche più in là quando afferma che « tali Raziocini valgono ancor meno nella Matematica, la quale nella costruzione stessa dei concetti viene via via attribuendo- alle specie tutte le proprietà dei loro generi senza (1) Cantoni — Logica, pag. 209-216. — 85 — bisogno dei Sillogismi. Or bene ciò non ci pare conforme al vero. Lo dimostra per noi il Professore Martini già citato. Nell’esempio surriferito egli osserva al Cantoni: < Se la mortalità prima si è dovuta riscontrare negli animali per dirli organici, è segno che la mortalità •è la causa delTorganismo, non questa la condizione di quella. Dunque neppure si poteva dire « gli orga¬ nici muoiono » prima di averli visti morire: e se sol dopo la morte si potevano conoscere organici, si po¬ tevano conoscere quando non eran più. È dunque na¬ turale e vero l’allegato Sillogismo; perchè dall’idea di organico, condizione di mortalità, la concludere ciò che per avventura non si sapesse da chi ancora non avesse visto morire nessun animale, che cioè sono mortali, e perchè organici ». Del resto poi egli osserva ancora che per affermare di una specie una proprietà del suo genere si richiede che prima vi abbiamo scoperto le proprietà comuni più essenzia i, non tutte, se no non si argomenta ma si intuisce (1). Nel campo delle scienze pure se le idee che si of¬ frono alla mente rimanessero isolate e non si para¬ gonassero fra loro, non avremmo alcuna conoscenza. Lo spirito conoscendo immediatamente alcuni rappoiti delle sue idee forma gli assiomi, coi quali poi procede alla conoscenza; perocché non cogliendo immediata mente tutti i rapporti delle idee fa uso del Raziocinio, paragonando due idee con una terza. Or bene i no vare questi rapporti che prima non si vedevano non •è progredire nella conoscenza? E come il Raziocinio puro serve a classificare le cognizioni già avute e a conseguirne a 11 re nuove, quello misto pronuncino osi Martini — Op. cit., pag. 53. - 86 — sulle cose esistenti è doppiamente istruttivo, in quanto ci istruisce sui rapporti dei fatti e ci svela pure fatti che l'esperienza ci manifesta, ammesso sempre che vi sia un legame tra il fatto noto e l'ignoto da de¬ durre. Il Raziocinio per condurci da un fatto che sperimentiamo ad un altro che non esperi mentiamo ha, come osserva anche il Galluppi, questi mezzi; o dedurre dall’esistenza di un soggetto che cade sotto l'esperienza resistenza di una qualità che non vi cade (1), o da una causa che si sperimenta un effetto che non cade sotto i sensi, o viceversa (2). Questi due modi di Raziocinio sono per Davide I-Iume appoggiati sul principio: « il futuro sarà simile al passato »: assioma che secondo lui non è una verità nò a 'priori nè sperimentale. Ma, osserva benissimo il Galluppi, la somiglianza tra il futuro e il passato è una verità sperimentale, sintetica, contingente, e vale quanto dire: « la natura secondo l’esperienza è costante nel suo corso, » nè la possibilità che il futuro sia simile a} passato può distruggere la legittimità delle deduzioni sperimentali, le quali vanno perciò considerate comn certe. Dicemmo che se le idee, le quali si offrono alfa mente rimanessero isolate e non si paragonassero fra loro, lo spirito non avrebbe mai alcuna conoscenza. 1“ ff ue f 10 ravvicinamento e confronto delle idee sta l’istruzione vera e propria del Raziocinio, perocché in esso non si tratta soltanto di riconoscere che l’illazione è implicitamente contenuta nelle premesse, bensì nella (1) Per es. questo corpo che vedo è un metallo; i metal! sono duttili; questo corpo dunque è duttile. (2) Per. es. vedo biade in un campo, e ne deduco che i: campo e stato seminato. — 87 — conclusione si palesa una nuova relazione fra due idee, onde la mente acquista una notizia che prima non aveva. Il Raziocinio infatti fondandosi sull assioma che « due cose uguali ad una terza sono uguali fra loro », muove a scoprire la convenienza o la ripugnanza di due idee; a tal uopo ne assume una terza media, e la pa¬ ragona prima col predicato, indi col soggetto della conclusione controversa, e afferma in un terzo giudizio la convenienza o la ripugnanza tra un soggetto e un predicato dati, e cosi ha la cognizione nuova di cui andava in traccia. A convincersi dell’importanza del¬ l’argomento deduttivo, si pensi che bene spesso non apparisce alla mente la relazione fra due idee date o due giudizi. Supponendo che abbiamo nella mente le due idee di « proprietà » e di « inviolabilità », come pos¬ siamo sapere se esse convengono o no fra loro? Pren¬ diamo un’idea media, quella di « diritto », .a quale con viene all’idea di «proprieUà» eaquelladi « inviolabilità ». Conviene alla seconda in quanto sia il diritto naturale, sia il reale, che deriva pel fatto della società, sono invio¬ labili, perocché l’umana libertà non può essere vinco¬ lata se non dalla legge morale in ordine al fine su¬ premo proposto all’uomo come essere ragionevo e. conviene alla prima in quanto Tuorao. composto c i anima e di corpo, se ha il dovere di conservarsi e di perfezionarsi ha pure diritto a beni esterni materiali, senza i quali non può raggiungere tale perfeziona¬ mento, nò la conservazione dell’essere suo. Paragonata così l’idea media con l’altre due che già avevamo, in conseguenza dell’assioma surriferito possiamo for¬ mulare il seguente Raziocinio: « ogni diritto dell uomo è inviolabile; la proprietà acquistata onestamente e legittimamente è un diritto, dunque la propneta — 88 — inviolabile; » col quale abbiamo acquistato la nuova cognizione contenuta nell'ultimo giudizio da noi for¬ mulato. Cosi pure supponiamo di voler sapere se il bruto è moralmente libero : dobbiamo cercare un ter¬ mine medio; sia questo l’idea di « imputabilità »; se la paragoniamo colle altre due, colle quali conviene, pos¬ siamo formulare il Raziocinio seguente: « Chi è im¬ putabile dei proprii atti è moralmente libero, il bruto non è imputabile de’ suoi atti; dunque il bruto non è mo¬ ralmente libero », il quale ci procura così la cognizione desiderata. Ecco perchè, nonostante le obiezioni di Sesto Empirico, di Francesco Bacone, di Stuart Mill e di tutta la sua scuola, noi siamo fermamente persuasi che il Razio¬ cinio riesca istruttivo ed abbia grande valore come istrumento di ricerca, e che quindi il metodo deduttivo valga non solo a dimostrare il vero e a sistemare le umane cognizioni, ma ancora a scoprire nuove verità (1). CAPITOLO IV. Importanza del J^azioeinio nella seoperia della verità. Dopo aver fatto in breve la critica delle obiezioni e 1 filosofi mossero in tuffi ; (1) Valdarnini — Elemci — Parte Seconda, pag. 82. Elementi Scientifici di Psicologia e Logica — 89 - nell’applicazione ai vari rami del sapere. È un fatto che le verità da cui muove la Deduzione non sono tulle formate dalla ragione, ma ora sono principi puri, ora sperimentali; nè può la Deduzione usurpare nelle scienze il campo dell’Induzione. Ciò non di meno rimangono ben ferrai questi punti: il Raziocinio ha o-rande importanza come processo della mente, la quale non può andare sempre dal particolare al ge¬ nerale; ha valore come conferma dell'Induzione nelle scienze deduttive; ed in fine ha somma efficacia nella formazione del carattere umano. Per poco che noi poniamo attenzione allo svolgi¬ mento e alla storia del pensiero e del sapere dell uomo, vediamo che dapprima esso preferisce le grandi linee; lo spettacolo per lui ancor nuovo e complesso del mondo non gli lascia vedere ed osservare nessun particolare. Col tempo però abituatasi la mente alle cose di quaggiù, discende ad esaminarle ad una ad una con minuziosa cura, per poi sollevarsi di bel nuovo all’unità, che allora apparisce più netia e precisa, in quanto è l’effetto di una assidua esperienza. Tale storia del pensiero umano è ritratta nelle sue grandi proporzioni dal significato e dal valore che nei vari tempi ebbero i due procedimenti induttivo e deduttivo, che incarnano le due tendenze della nostra mente. Per molti secoli il procedimento in onore fu essen¬ zialmente il deduttivo. L’età della Scolastica poi in ispecial modo ebbe per carattere la pratica della Dialettica Sillogistica. 11 Raziocinio che da premesse date ricava una con¬ seguenza doveva naturalmente essere 1 islrumento delle conoscenze in un’epoca di fede, in cui non si voleva mutare mai nulla e solo bastava ai dotti e ai filosofi — co¬ ll i mostrare dogmi immutabili, rendendo la Filosofia umile ancella della Teologia, e ragionando di continuo sulle cognizioni già acquistate per trarne conseguenze che valessero a commentare i libri sacii e la dotti ina aristotelica. Col sorgere di tempi nuovi per la filosofia c la scienza tutta l'importanza fu attribuita all Induzione, chè anzi, come dimostrammo, al Sillogismo alcuni filo¬ sofi non attribuirono se non un valore sistematico, ordinatore delle verità scoperte pervia dell’Induzione; la quale veniva così considerata la sola vera autrice, dei progressi delle scienze, così fisiche e naturali, come storiche, morali, giuridiche e sociali. Anche oggi la contesa perdura, quantunque si sia alquanto mitigata: perchè molli hanno compreso clm, se si può giustificare il dissidio fra i due processi come reazione a sistemi, a metodi, a dottrine troppo dommaliche ed assolute, esso non ha però intrinsecamente alcuna ragione di essere. Accingendoci a svolgere questa affermazione premettiamo che non intendiamo punto di disconoscere e neanche per piccola parte negare o menomare il valore dell’Induzione. Sappiamo benissimo quale im¬ portanza si debba attribuire all’Induzione scientifica, la quale arriva alla scoperta di verità generali e di principi, come una causa, una legge, una proprietà essenziale e comune a più individui, ed anche a certe verità supreme di ordine matematico, morale e meta¬ fìsico. Conosciamo del pari che la Psicologia speri¬ mentale, la Pedagogia, la Filosofia della Storia, non che poi le scienze di esperienza devono in gran parte all’Induzione il loro essere ed i loro meravigliosi pro¬ gressi. Ma d’altro lato non crediamo si possa in modo assoluto « reicere syllogismum », come voleva Bacone, ma si debba piuttosto ammettere col Rosmini che * — 91 — tre fonti principali onde l’uomo può attingere la cognizione del vero sono: 1° L’Autorità e la Tradizione; 2 M’Osservazione e l’Esperienza; 3° il Raziocinio (1). " Tra la Deduzione e l’Induzione non vi è vera e propria opposizione; l’una e l’altra vanno considerate piuttosto come due funzioni distinte dello stesso metodo; e, osservava Gian Domenico Roraagnosi, (2) « tra la cognizione di fatto e quella di ordine non vi può- passare altra differenza che la direzione. Ecco il metodo. In esso l’uomo non cangia l’indole del pensiero, ma solamente ne dirige l’andamento.Dunque ne risulta l’improprietà delle denominazioni di analitico e sintetico date al metodo, perocché nella sua indole propria e complessiva non è nè analitico nè sintetico, ma diret¬ tamente discorsivo. (3) »■ Nò altrimenti la pensava l'He-el, il quale diceva che i due procedimenti non sono° due metodi distinti, ma piuttosto due maniere onde si esplica, o due momenti onde si manifesta un medesimo metodo (4). . La Deduzione parte da premesse che sono risultate da una precedente Induzione, anzi da esse e dagli assiomi deve partire la Deduzione pei essere scien i c se no 6 arbitraria. L’Induzione poi implica mo ti e e menti deduttivi; in primo luogo perchè 1 osservazione ed enumerazione dei casi particolari in essa not * mai compiuta; onde Bacone osservava eie n uzi (1) Rosmini - Sistema filosofico di A- Rosmini, pag. 9L (2j Romagnosi - Vedute fondamentali dell arte logica, • > "(3) nSagnosi stesso poi diceva parlando del Sillogismo che esso & « l’argomento delle scienze » (Logica, lib. P , cap. 4. (4) Hegel - Logica, Voi. II, pag. 2GG. — 92 — per « enumerationem simplicem », l’£7:«Ycdy/i 7ravrwv (1) è cosa puerile, e non esclude la possibilità d’un caso particolare contrario, il quale la distrugga. Nel¬ l’Induzione scientifica l’osservatore dopo aver riscon¬ trato un numero di casi sufficiente la compie legitti¬ mando la conclusione con principi universali, come la legge di causalità, nella formola di essa, secondo la quale cause simili in condizioni simili producono effetti simili. Nè l’Induzione sarebbe possibile senza anticipa¬ zione del ragionamento sull’esperienza. Il Galilei ci offre bellissimi esempi di questo procedimento: l'osser¬ vazione dei fatti suscitava nell’animo suo un’idea, che era come la presupposta spiegazione di essi ; su di quella ragionando cercava di ricondurre i fatti stessi come a loro principio. E così egli procedeva non solo per Induzione ma anche per via di Deduzione; questa però era sempre provvisoria; ipotetica, perchè ad ogni passo del ragionamento il filosofo naturalista sentiva il bisogno di riscontrare la verità dell’ipotesi coi fatti osservati, e di variare quella secondo la natura di questi: soltanto dopo mature e assidue riflessioni con¬ vertiva in tesi la primitiva deduzione. Giustamente perciò Ernesto Navi Ile (2) osservava che in ogni ordine di ricerche il metodo si compone di tre elementi di¬ ti; Aristotele — Aliai. Pr. TI, 23. (2) Naville — La logiqué de l’hypothése, pag. 68. v L’hypotliése, dice il Naville, intervient dans l’observation et la verification; 1 observation intervient dans 1* l’hypotése, dont elle forme le poiut de depart et dans la vérification, dont elle est la sub* stance. La vérification enfili est inseparable do l’observation qui est son instrument, et de 1* hypothése qu’elle a pour but de detruire ou de confirmer. La mdthode est dono triple dans ^on unite, et une dans sa triplicité. » — 93 — stinti ma inseparabili: osservazione, supposizione e verificazione. Gli esempi del Galilei abbondano, ne riferiremo alcuni fra i più chiari e famosi. Il testo di Aristotele il quale afferma che la caduta dei corpi è in ragione del loro peso fa dubitare Ga¬ lileo; egli vede che i chicchi di grandine muovendo insieme ed essendo di diversa dimensione arrivano contemporaneamente a terra; ne induce che 1 afferma¬ zione dello Stagi ri ta è falsa. Procedendo più oltre col discorso forma un assioma e suppone che qualsiasi grave discenda con una velocità, la quale si può alte¬ rare senza far violenza al suo corso naturale. Final¬ mente stabilisce la legge che gli spazi percorsi da un grave che cade sono proporzionali ai quadrati dei tempi impiegati a percorrerli, astrazion fatta dal peso: cerca poi la conferma della legge nelle osservazioni della discesa dei corpi pel piano inclinato. Ma è meglio riferire il passo importantissimo del Galilei relativo alla sua scoperta. Nelle Esercitazioni filosofiche di Antonio Rocco, filosofo 'peripoletico, così egli sciiveva. « Resta che io produca le ragioni che oltre alla espe¬ rienza confermano la mia proposizione, sebbene pei assicurare l’intellplto, dove arriva l’esperienza, non ò necessaria la ragione, la quale io produrrò si pei vostro beneficio, sì ancora perchè prima fui persuaso dalla ragione che assicurato dal senso. Io un assioma, da non essere revocato in du io a nessuno, e supposi qualsivoglia corpo grave discen en e aver nel suo moto grado di velocità dalla natuia 1 untato ed in maniera prefisso, che volerglielo alterare col crescere la velocità e diminuirgliela non si potesse fare senza usargli violenza per ritardargli o concitar^, 1 il detto suo limitato corso naturale. Formato questo- — 94 — •discorso mi figurai colla mente due corpi uguali in mole ed in peso, quali fossero due mattoni, li quali da una medesima altezza in un medesimo istante si partissero; questi, non si può dubitare che scenderanno con pari velocità, cioè colrassegnata loro dalla natura, la quale se da qualche altro mobile dee loro essere accresciuta, è necessario che questo con velocità mag¬ giore si muova. Ma se si figureranno i mattoni nello scendere unirsi ed attaccarsi insieme, quale sarà di loro quello che aggiungendo impeto all’altro gli rad¬ doppi la velocità, stantechè ella non può essere accresciuta da un sopravveniente mobile, se con maggior velocità si muove? Conviene quindi concedere che il composto di due mattoni non alteri la loro prima ve¬ locità. » Da ciò il Galilei concludeva deduttivamente c ìe se due corpi di materia uguale e di peso diverso cadono con velocità differente, ciò non dipende dalla differenza di peso ma da quella di forma, la quale fa i eie i mezzo in cui discendono opponga alla loro caduta una. resistenza differente. La scoperta della legge di inerzia è dovuta quasi esclusivamente al procedimento deduttivo perchè il l’imno^« q- iTfi ne r Dlalogo dei massimi sistemi affermò Sent ; ' glUngGrVÌ S0, ° COn 'Suzione. Nè tnShll P r 7 DedUZÌ ° ne i! Galilei coprii! ;r d °i d „c' h av r dell ° ( * ™ è “ Olanlsotbbri- mento « „ a,eva caEUAlrneMe visto l’ingrandi- “ 8geU ' ?■ fabl,ricat0 “ telescopio^ ritrovai di “n «r P | r Vm , dÌSC ° rS °- Questo ertiselo coarta ,Clr ° sol ° 0 dl P"> di uno; di u „ s „| 0 „„„ pu6 (1) Gol.l», _ Prose scelte ed annotile da A. Conti. Cap.VIII. — 95 — j essere perchè la sua figura è convessa cioè più grossa nel mezzo che verso gli estremi, o è concava, cioè più f. sottile nel mezzo, o è compresa tra superficie parallele, ma questo non altera punto gli oggetti visibili col crescergli o diminuirgli; la concava gli diminuisce, la convessa gli accresce bene, ma gli mostra assai indi¬ stinti ed abbagliati, dunque un vetro solo non basta per produrre l’effetto. Passando poi a due e sapendo che il vetro di superficie parallela non altera niente, come s’è detto, conchiusi che l’effetto non poteva neanche ■ seguire dall’accoppiamento di questo con alcuno degli altri due. Onde mi restrinsi a voler esperimentare quel che facesse la composizione degli altri due, cioè del convesso e del concavo, e vidi come questo mi dava l'intento ». 11 moto di Venere intorno al sole fu da lui dedotto dal vederla falcata scemare e crescere come la luna (1). Infine Galileo dedusse resistenza dei monti e delle profondità della luna, dalle ombre e dai lumi non meno che dall’orlo smerlato e luminoso della luna che scemava, apparenze che, secondo lui, esclu¬ devano che la luna fosse una sfera liscia e pulita ( ). E tanta era la sua fiducia nel Raziocinio, che a prò posito di quest’ultima scoperta egli ^affermava nel Dialogo dei Massimi sistemi (Giorn. 1 ) « Se 10 0SS1 nella Luna stessa, non credo che io potessi con mano toccar più chiaramente l’asprezza della sua super eie di quello che io me la scorga ora con l'apprensione del discorso ». Così egli praticava il metodo sperimen- 1 tale, e laddove Francesco Bacone, il grande suo con temporaneo, non faceva alcuna scoperta ed acco tì leva (1) Galilei - Dialogo dei Massimi Sistemi., Giorn. IH (2) Galilei — Dialogo dei Mass. Sisfc., Giorn.. — 96 — anche ne’ suoi scritti errori volgari, egli arricchiva la scienza di sempre nuove e straordinarie scoperte, e guidalo dal suo genio non solo osservava ma divi¬ nava, nè mai trascurava di accompagnare il ragio¬ namento all'esperienza. Che dire poi del Newton? Induttivamente egli dalle leggi di Keplero ricavò la legge della gravitazione universale; laddove ragionando deduttivamente sull’ipotesi che la deviazione della luna dalla tangente fosse un caso della gravità terrestre, e calcolandone il valore (riconosciuto poi conforme a! vero) trovò l’identità tra la gravità terrestre e l’attra¬ zione esercitata dalla terra sulla luna(l) Il Bode dalla legge generale di continuità da lui scoperta nei corpi celesti argomentò all’esistenza di uno o più pianeti fra Giove e Marte, il che fu poi verificato appuntino sul principio del secolo XIX° con la scoperta di Cerere. Pallade, Vesta e Giunone. Il Leverrier solo appog¬ giandosi al calcolo e al Raziocinio vide, prima che fosse scoperto al telescopio, un lontanissimo pianeta, Nettuno, e ne definì con precisione la grandezza, la posizione e l’orbita. Il Torricelli infine, quantunque verificasse che l’aria è pesante coll’invenzione del barometro, già prima di tale sua invenzione dopo aver osservato alcune qualità sensibili dell’aria aveva con¬ cluso deduttivamente che l’aria doveva essere pesante •come tutti gli altri corpi. A tanto può condurre il Raziocinio spinto alle ultime (1} Il Newton adopero nelle sue dimostrazioni il metodo sintetico di cui avevano dato l’esempio gli antichi geometri greci, e lo preferì ai metodi analitici allora seguiti general¬ mente. Cfr. G. Rossi « I principi Newtoniani della Filosofia naturale, in Riv. Ital. di fìsosof. 1890, Pag. 44 e seg. — 97 — sue conseguenze! Perocché la conquista di così stra¬ ordinarie verità, quali quelle del Galilei e del Newton acquistate alla scienza, non si poteva assolutamente fare con semplici procedimenti di paragone, con ge¬ neralizzazioni fondate sull’aver scoperto alcune ana¬ logie; ben altre attività della mente si richiedevano a tant’opera! L'Induzione sola sarebbe stata infruttuosa; si richiedeva anche la Deduzione, ma sapientemente adoperata; non certo come l’usavano gli antichi, spe¬ cialmente nello studio dei fatti naturali. Per i moderni da Galileo in poi la Deduzione ha avuto un grande valore nel percepire le ultime analogie tra fenomeni in apparenza diversi e non riducibili alle stesse leggi. Abbiamo detto per i pensatori e scienziati moderni, perché, come avverte un dotto scrittore in un suo opuscolo (1), per gli scienziati antichi spiegare un fenomeno non voleva già dire farne l’analisi o de¬ terminare le leggi della sua produzione, ma ravvi¬ cinarlo o identificarlo con altri più comuni, da loro meglio conosciuti. Dal Raziocinio non pretendevano altro che questo servizio, laddove esso sapientemente usato, come vedemmo, può spesso precorrere 1 espe¬ rienza, farci spingere le teorie alle loro conseguenze ultime, farci vedere fino a qual segno una legge renda conto di tutti i particolari di un dato fatto. Dalle considerazioni da noi esposte e dai numerosi esempi addotti ci pare si possa concludere che la ricerca in¬ duttiva non è mai compiuta di per sé sola. Il proce¬ dimento induttivo e il deduttivo si integrano a vicenda (1) Vailati — Il metodo deduttivo come strumento di ricerca, pag. 17. Lettura d’introduzione al corso di lezioni sulla storia della Meccanica, tenuto a Torino l’anno 1897-98 (Roux Pressati). — 98 — come operazioni inverse, e mentre il primo è la veri¬ ficazione della legge nel fatto, il secondo ne è la ve¬ rificazione. nella teoria, cioè la spiegazione. « Le due vie, dice Augusto Conti, continuamente si incrociano. L’un metodo senza l’altro dà nel falso o resta incom¬ piuto; la Deduzione senza Induzione o forma principi arbitrari e non gli applica con precisione, o gli applica a caso; l’Induzione senza Deduzione non ha regole, nè mostra l’attinenza di ragione per cui si va dal noto all’ignoto, cioè da un principio evidente alla conse¬ guenza (1) ». Nè questo è tutto, chè le stesse verità sperimentali acquistano il più alto grado di certezza quando si giunga ad applicar loro il calcolo matema¬ tico, il quale è il più bell'esempio di procedimento deduttivo e viene non solo ad ordinarle le verità, ma anche a dar loro una consistenza che altrimenti sa- sebbe vano sperare, non potendosi dire ritrovata una verità se è di ancor dubbia esistenza. È inutile parlare dell’importanza del Raziocinio nelle scienze deduttive in generale, nè vi è bisogno di ri¬ cordare che tanto colui il quale impara le Matematiche, quanto chi le insegna procedono per via di Sillogismo. E vero che, come affermava il Bufalini, le scienze furono povere e superstiziose finché le guidò la filosofia spe¬ culativa, e che solo la filosofia sperimentale fece fare ad esse rapidi e prodigiosi progressi. Ma non v’è chi non riconosca che i Peripatetici e specialmente gli ultimi della scuola abusarono del Raziocinio trascurando l’Induzione. Coi loro metodi non fecero avanzare le scienze fi¬ siche durante secoli e secoli dal punto in cui le ave- (1) Conti — Storia della filosofia, Voi. II. pag. IBS e seg. — 99 — -vano condotte i Greci, salvo arditi tentativi di Rogero Bacone. Ed invero dai principii che il sole è più nobile della terra, che il riposo è più nobile del movimento, che il moto circolare è il più perfetto, che la natura ha orrore del vuoto, non potevasi trarre alcuna spiegazione di fatti naturali, nè dare alcuna spiegazione di fatti naturali, nè fare alcuna scoperta. Ma non bisogna però dimenticare che le scienze giunte allo stadio deduttivo sono di gran lunga più ricche e meglio costituite di quelle che sono ancora costrette, ogni qualvolta si presentano nuovi casi, a fare sempre nuove generalizzazioni, in mancanza di una generalizzazione ultima, atta a ricollegare dedut¬ tivamente tutte le sue parti. L’Astronomia ha fatto rapidi progressi ed ha raggiunto quel grado di per¬ fezione che ora l'adorna in virtù di una sola gcneia- lizznzione, l’attrazione universale; e cosi la Fisica, pel principio dell’equivalenza delle forze; e la stessa Chi¬ mica moderna non esisterebbe senza l’ipotesi che dicesi teoria atomica, nè l'Ottica senza quella che la luco sia un movimento ondulatorio. Che dire poi della Mec¬ canica? Il dottor Vailati avvertiva giustamente in una ■sua pregevolissima Lettura tenuta pochi anni or sono all’Università di Torino (1), che le prime esperienze che fecero progredire la Meccanica furono, più che interrogazioni rivolte alla natura- « veri cimenti a cui l’assoggettavano per sfidarla quasi a rispondere diver¬ samente da quel che avrebbe dovuto. » Talora pareva che fossero indotti a sperimentare più per convincere gli altri che se stessi ; poiché i fatti soli potevano scuotere gli increduli. E noi già recammo parecchi esempi del Galilei, più eloquenti di lunghi discorsi. (1) Vailati — Op. cit., pag. 14. — 100 — In oo-ni scienza ritrovate le leggi semplici incomincia un procedimento inventivo della Deduzione, che può essere una riduzione od una sintesi. Quantoè rimasta più indietro laStoria naturale! E ciò perché sebbene la teoria dell’evoluzione sia una generalizzazione ultima rispetto- alla Biologia, tuttavia non è così certa nelle sue ipotesi, nè così compiuta nelle sue leggi da potersi affidare al procedimento deduttivo nelle dimostrazioni e ricerche. Perciò fin quando non si dimostri che nella cellula germinativa sono tutti gli elementi costitutivi delle- specie, ed anche i germi del sentire, dell intendere, del volere; fin quando non cesserà di essere un arcano come da un atto meccanico si passi ad un atto psi¬ chico, la teoria del Darvin e dello Spencer potrà allct¬ tare molte menti, - ma non sarà riconosciuta quale accertata verità scientifica. Onde l’applicazione della Deduzione alle scienze è desiderabile pel loro progresso ; e tali vantaggi ha posto splendidamente in luce il dottor Vailati nel suo scritto già da noi citato. Uno di questi vantaggi consiste per lui nel « reciproco controllo che le proposizioni legate per mezzo della Deduzione sono poste in grado di esercitare le une sulle altre, e nel vicendevole appoggio che vengono così a prestarsi mettendo in certo modo in comune la forza complessiva di tutti i fatti e di tutte lo verifiche di cui ciascuna di esse dispone (1).» Altro vantaggio infine è quello che si riferisce « alla capacità che ha la Deduzione di semplificare e facilitare la descrizione e la caratterizzazione dell’andamento dei fenomeni al cui studio si applica, permettendoci di rappresentare nelle nostra mente le leggi che li regolano mediante (1) Vailati — Op. cit., pag. 85. — 101 — un minimo numero di proposizioni abbracciane ciascuna un insieme, il più possibilmente esteso, di fatti parti¬ colari e casi speciali (1). » Onde apparisce chiaro che il Raziocinio è ben più d’un semplice ordinatore, di un istrumcnto tassonomico che vale a scoprire nuovi veri in ogni ramo del sapere. Le scienze poi non vanno divise in due campi, in deduttive e induttive, esclusiva- mente, in quantoche Deduzione e Induzione, come già vedemmo, si integrano a vicenda in ogni scienza, e si può parlare tutt’al più della prevalenza di un metodo sull’altro, non mai di contrasto. Come non è possibile separare l’Analisi dalla Sintesi, perocché se ogni Analisi nella ricerca ha per fine una Sintesi ogni Sintesi è il risultamento della composi¬ zione di precedenti Analisi; così non si può disgiungere la Deduzione dall’Induzione, perchè quella muove o da principi raggiunti con l’Induzione, o da ipotesi, ossia principi formulati analogicamente, conforme agli induttivi; e d’altro lato alcuni procedimenti, coi quali l’Induzione cerca di raggiungerei principi sono dedut¬ tivi, come si vede nel metodo di differenza. Bisogna poi sempre tener presente che in ogni scienza occorre ad ogni passo la spiegazione la quale in sostanza è una Deduzione, una riduzione del particolare all’uni¬ versale, una generalizzazione. Che più? Tutte le scienze da induttive tendono, come già dicemmo, a diventare deduttive, ed in’ciù consiste la loro perfezione, sia estensiva sia intensiva. E, per concludere, in tutte le scienze se si trovano nuove cognizioni di fatti con l’osservazione esterna ed interna, col ragionamento e con la riflessione si acquistano nuove VailatL — Op. cit., pag. 36. — 102 — cognizioni razionali; con 1 Induzione si arriva a sco_ prire verità generali nei concetti particolari; col Ra¬ ziocinio si scoprono le attinenze particolari nelle verità generali e nei principi puri e sperimentali; ed infine non già il Senso con l’Esperienza e l'Induzione, ma la Ragione assorge ai principi supremi, li furmola, e li- applica alle stesse scienze sperimentali. Perocché . i principi generali, di perse stessi, per dirla con Augusto- Conti, « sono astratti e nulla insegnano, e sono come- tesoro, che, posseduto non si spende nè si mette in com¬ mercio e quindi non serve a nulla (1) ». Onde il metodo- più acconcio per far progredire ogni scienza è il com¬ prensivo, creato e sapientemente seguito dal nostro’ Galilei. Il vero scienziato deve partire dai summi prin¬ cipi della ragione, ingiustamente dal Locke, dal Bor- ckeley e dall'I-Iume considerati infecondi nella scienza- perchè astratti ed universali. Essi sono indispensabili; al progresso del sapere: indi è necessaria la Matematica- e specialmente la Geometria, perchè, per dirla col’ Galilei, « l’universo è scritto in lingua matematica, o- i caratteri sono triangoli, cerchi ed altre figure geo¬ metriche, » o in altri termini, « i fatti naturali e le proprietà dei corpi si riducono ad attinenze certe di numero o di spazio; perchè le leggi di natura si ren¬ dono, per la mente nostra, generali e costanti ove siano sottoposte al calcolo (2). » Viene poscia in campo l'Esperienza, ma questa deve sempre essere sorretta dal Discorso, nè ad essa lo scienziato deve affidarsi troppo ciecamente, ricordando le autee parole dal Magalotti nel Proemio ai Sugffi (1) Conti o Sartini — Filosofia elementare, pag. 269-270. (2_1 Cfr. anche Conti e Sartini, op. cit., pag. 274. — 103 — di Naturali esperienze dell'Accademia del Cimento : « Conviene camminare con molto riguardo, che la troppa fede all’esperienza non ci faccia travedere e ci inganni, essendoché alle volte prima eh’ ella ci mostri la verità, manifesta dopo levati quei primi velami delle falsità più palesi, ne fa scorgere certe apparenze ingannevoli,ch’hanno sembianze di vero (1) » Da ultimo non deve mai trascurarsi l’autorità scientifica, che giova ed evitare ogni eventuale inganno delle proprie osser¬ vazioni e dei propri ragionamenti. Questo è il vero metodo scientifico e non altro; esso è gloria nostra, ed ha rinnovalo tutte le scienze e nuovi trionfi è an¬ cora destinato a riportare pel bene dell’umanità. Non possiamo chiudere questo nostro breve studio sul Raziocinio senza accennare ad un altro suo pregio che nessuno vorrà disconoscere, cioè all’efficacia che esso ha nella formazione del carattere. Poiché il Sil¬ logismo facendo vedere ogni fatto particolare collegato con un principio generale abitua gli uomini alla coe¬ renza, che trasportala nelle azioni dicesi carattere. E giustamente osserva il Kant (2) che bisogna operare come se la massima dell'azione dovesse divenire legge universale della natura. Ma alla dottrina Kantiana sublime nella sua rigidezza, non sa uniformarsi se non colui il quale, per dirla col Rosmini, « si esercita ed abitua nella coerenza dei pensamenti, e non lasciando sterili in se stessi i principi ne deduce le ultime con¬ ti) Magalotti — Saggi di naturali esperienze dell’Accademia del Cimento, Proemio — e A. Valdarnini — Il metodo speri¬ mentale ecc., pag. 68. (2) Kant — Fondamenti della Metafisica dei Costumi, — e Critica della Ragion Pratica. — 1° 4 — . ' .. /i\ il rii-attere infatti è 1 abitudine di seguenze (1)- stabilita e di attenervisi fcrysrs rr^rr ! tondamente del carattere è lord,ne morale e . dovere, ma perchè possa effettuare, cosinegl uou« come nelle nazioni « è necessario che tutte le nostre hcoltà "li atti della mente, e le libere operazioni .1 proposito i mezzi e l’intento, fondati sul senUmento è sull’idea della legge morale e del dovere armonizzino fra loro e siano rivolti al vero e piu elevato flne della vita umana e della civile società (3). » E se c vero, come vuole lo Smiles, che la nobiltà del carattere è quanto vi ha di meglio nell'umana natura ; se vero che il carattere stesso degli individui e dei po¬ poli è la forza più potente nel mondo morale, il Ra¬ ziocinio che fortemente concorre a formarlo ci rende un altro grande c segnalato servigio. La coscienza morale poi è complessa: richiede in primo luogo a conoscenza della legge; indi la coscienza di un fatto volontario reale o intenzionale; infine la constatazione che l'atto è conforme alla legge o disforme da essa. Onde la coscienza morale fu da alcuno definita mo to bene: « il giudizio della ragion pratica ultimo circa i particolari fatti umani, dedotti dagli universali pnn- (1) Rosmini — Logica, N. 994. ,010 (2) Fiorentino — Elementi di Filosofia, pag. 311-olZ. (3) Yaldarnini — Elementi di Etica e di diritto, pag* — 105 — cipì del costume, » e può considerarsi come la con- f clusione di un Raziocinio la cui premessa maggiore è data dai primi principi morali, e la minore dalla coscienza del fatto posto o da porre. j CONCLUSIONE Il nostro lavoro è compiuto: in esso abbiamo cercato di seguire sempre il vero, senza curarci di attenerci ! più a questo che a quel sistema filosofico, nè di abbando¬ narci ad esagerate affermazioni. Dallo studio dei più grandi scrittori di Logica ci è parso che in generale si sia trasceso; da alcuni attribuendo al Raziocinio una soverchia importanza che esso non ha, da altri disconoscendogli ogni valore. Nessuno ha mai potuto nè potrà in avvenire infir¬ mare validamente l’utilità e le regole del Raziocinio, che, esposte in antico da Aristotele, furono riferite in ogni età, e dal nostro Galilei opposte di continuo ai falsi Peripatetici dell’età sua. Ricordiamo sempre che se le scienze hanno progredito nell’età moderna in modo così meraviglioso, ciò è stato perchè non il solo metodo autoritario e deduttivo o lo sperimentale induttivo, ma entrambi felicemente congiunti in ac¬ cordo armonico le guidarono nel loro cammino. E rammentiamo ancora che, come ammonisce molto saviamente il Conti (1), « un empirismo senza rigore di ragionamento e senza guida dei sovrani principi è accozzaglia di fatti, non è scienza, nè troverà mai leggi universali, com’è l’attrazione del Newton e le (1) Conti — Storia della Filosofia, Voi. II, pag. 342. — 106 — oscillazioni del Galilei. Un idealismo senza osserva¬ zione dei fatti, che induca e deduca fuor di quello che essi mostrano, non è altro che tela di ragno, un soffio la disfà, e ce l’insegna la storia. Nè ciò vale solo pei fatti esteriori, ma per gli interni altresì; e come 1 tìsici così hanno i filosofi nel Galilei un maestro sicuro. » Il suo metodo e quello della sua scuola ha dato alla scienza così splendidi risultati, che i grandi scienziati non lo abbandonarono più. « Una è la verità; e se la verità ci si palesa dagli insegnamenti di Galileo, è impossibile che essa stia in insegnamenti contrari. » FINE. 1 KT » 1 c e Introduzione. Cap. I — Il Raziocinio in Aristotele .... Cap. II — Il Raziocinio dopo Aristotele Cap. Ili — Critica delle obiezioni mosse contro il valore del Raziocinio. Cap. IV — Importanza del Raziocinio nella scoperta della veritìi. Conclusione. Paj. 5 6 20 70 88 ■ 105. ERRATA-CORRIGE- 20 linea 23 in luogo (lì irfatfe leggi idi 'os 48 P 22 » delio P della G5 P 15 » rendono P rendono 07 P 15 » Teoria » Teorica 70 P 20 > contenuto P contenuta 71 » 23 p quantitativo P qualitativo ■ 75 P 1 » di > dei 75 » 7 p subordinata P subordinalo 77 » 29 9 i pròni P primi 73 > 10- P percepire P conoscere 80 » 0 » che > chi 83 P 9 > E sta bene » li sta beile; 93 » 20 P peripotetioo P peripatetico- 90 • 19 » al »■ col
No comments:
Post a Comment