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Dott. VI^CE^ZO BO^DO^IIO
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STUDIO STORICO-CRITICO
Tipografia Editrice G. Brignolo
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PROPRIETÀ LETTERARIA
AI, MIO INSIGNE MAESTRO
ANGELO VALDARNINI
PROFESSORE DI FILOSOFIA TEORETICA
E DI STORIA DELLA PEDAGOGIA
NELLA UNIVERSITÀ DI BOLOGNA
QUESTO PRIMO E MODESTO SAGGIO
DE’ MIEI STUDI FILOSOFICI
DEDICO
IN SEGNO DI VERO AFFETTO
E DI PROFONDA GRATITUDINE
SULL’ IMPORTANZA DEL RAZIOCINIO
STUDIO STORICO-CRITICO
Che un uomo sappia più (l’un altro
nasce quasi unicamente (la questo, che
«no deduca più conseguenze dell’ago
dagli stessi principi ■>
Eosmiki.
IHTRODUZIOHE.
Aristotele nei Primi Analitici diede del Sillogismo
una definizione che si può applicare cosi al ragio¬
namento deduttivo come all’induttivo, quantunque per
solito lo contrapponesse all’Epagoge, vera e propria
Induzione. Nel Medio Evo e nei tempi moderni, presso
i filosofi inglesi, prevalse il criterio eh
come espressione esclusiva della ecuzi «he è auel
però considerata la natura del Raziocinio, che è quel
procedimento della mente con cui essa per' iene a co-
noscere e ad affermare la convenienza ° «a npugnK»
di due idee mediante una terza idea, 1 * ° ,
forma (ondamentale di ogni argom^o^S^»
poi la sua struttura, esso è la forma ttp» 4MgJ
argomentazione deduttiva. Sotto questo duplice aspetto
— 6 —
ci proponiamo di studiare il Sillogismo; mettendone in
rilievo il vero valore, e combattendo le obiezioni mos-
segli da alcuni scienziati e filosofi. Esporremo prima
brevemente le dottrine espresse dai Logici di ogni età
intorno aU’importanza del Raziocinio, senza addentrarci
in minute discussioni, accontentandoci di esporre come
la teoria sillogistica siasi costituita, quale importanza
le abbiano attribuito i filosofi posteriori ad Aristotele,
in che modo infine alcuni di essi si siano ribellati alla
dottrina dello Stagirita, ed altri nell’età moderna ab¬
biano preteso di rifare e migliorare l’opera del più
grande pensatore della Grecia. Esamineremo e com¬
batteremo poscia le obiezioni mosse contro il Raziocinio,
per venire quindi a stabilirne la reale importanza come
mezzo efficace all’acquisto di nuove conoscenze; pregio
che non gli può disconoscere se non colui il quale
nega le idee universali ed ogni inferenza da esse.
CAPITOLO I.
Il Raziocinio in Aristotele.
Il Raziocinio ha avuto precedenti? Ecco la domanda
che prima si affaccia alla mente di colui che voglia
studiarne un po’ addentro la storia. E il pensiero corre
spontaneo a coloro i quali per primi parvero seguire
certe norme nei loro ragionamenti, cioè ai Sofisti. Ma
ben tosto Aristotele colla sua opera Hspì <70<ptcri/.wv
èléy/w e Platone con l ’Eulidemo ci dichiarano
che l’arte raziocinativa dei Sofisti consisteva soprattutto
nel sapersi servire di giuochi di parole, nell’approfit-
tare degli equivoci e delle incertezze del linguaggio.
— 7 —
Gorgia aveva formato la sua dottrina con queste
tre proposizioni: Non v’è nulla; se qualche cosa fosse
non sarebbe conoscibile; se fosse conoscibile non si
potrebbe comunicare ad altri. Egli esagerava il concetto
di Parmenide, che la natura è il non essere, esclu¬
dendo persino il pensiero, il quale era un raddoppia¬
mento dell’essere: escludeva poi l'espressione del pen¬
siero, perchè l’espressione è diversa dalla cosa espressa.
I Sofisti negavano quindi le idee generali ed ogni
possibilità di giudizio, non potevano perciò ammettere
il passaggio da un’idea all’altra per mezzo di una terza,
nè la connessione di proposizioni che si implicano.
Solo oggetto di conoscenza era per essi il fenomeno
che passa ; e tale cognizione consisteva nel rapporto
dell’obbietto allo spirito individuale che lo conosce.
Se dunque la ricerca della verità è un illusione fallace,
non si ragiona, nè si confuta, nè si argomenta. La
dialettica si riduce al metodo di una Eristica atta a
dimostrare l’abilità di chi discorre. « OO -i/yv
xx à-b tvì; Ti/vvi; oVovrs; », per dirla con Aristotele
(1) , i Sofisti credevano di istruire. « La maniera di ben
parlare introdotta dai Sofisti, come avvertiva il Monti
(2) , altro non era in sostanza che un artificioso tessuto
di antitesi e di metafore che incessantemente brillando
in tutte le parti dell’orazione rapivano gli ignorami,
nel mentre che nauseavano gli uomini di buon gusto. *
Alquanto diversa dalla Sofistica fu l’Eristica, la quale
non si valeva solo di giuochi di parole, ma 81 PP
neva di combattere per combattere senza voler provare
alcuna affermazione, e di contrae ire o 0 ni
m Arist. - Soph. Elench., cap. .
(2) Monti - Prose c poesie, Voi. IV, P»S- ’•
— 8 —
sola realtà vera per l’Eristica erano concetti immateiiali,
senza rapporto fra loro, nè con gli individui. Onde se
non si poteva dir nulla di nulla, gli argomenti capziosi
erano destinati a mostrare questa impossibilità di unire
le idee fra loro. Anche intorno all’Eristica sono per
noi fonti d’insegnamento gli Elenchi sofistici ed i
Topici di Aristotele, nonché l ’Eutidemo di Pla¬
tone. Ma, ci si potrà dire, tutto questo fu un vano
armeggio che precedette il vero e proprio Raziocinio, e
nulla ha che vedere con esso. Sta bene; ma se vogliamo
poi renderci ragione di quella grande riforma che si
compendia nei nomi di Socrate, Platone, Aristotele, e
per la quale lo spirito fu rimesso nei suoi diritti,
dobbiamo prima studiare qual conto avessero fatto
della mente umana sia i Sofisti, sia i maestri del¬
l’Eristica. Gli argomenti sofistici provocarono la gran¬
diosa teoria delle idee; dall'esistenza e dalla natura
delle idee generali doveva poi dipendere tutta la Logica.
Socrate non è ancora un logico che faccia la teoria
del suo ragionamento: egli oppone ai Sofisti il suo
esempio costante.
Il sapere è riposto nel conoscere i concetti delle
cose, i quali si formano con l’aiuto dell’Induzione; con
essi si possono comporre giudizi e ricavare conseguenze:
in tal modo Socrate comprende il particolare ed il
generale nei loro rapporti, e dice che una volta' ben
definiti i concetti, è possibile la dimostrazione. Al dom-
matismo dei filosofi fisici e allo scetticismo dei Sofisti
egli contrappone la Dialettica, o la filosofia dei concetti,
il cui metodo si riassume nel l’indurre e definire. Un
esempio bellissimo del modo di ragionare di Socrate
ci riferisce Senofonte nei Memorabili , là ove intro¬
duce il grande filosofo a discorrere con Lamprocle,
— Si¬
che era adirato contro la madre sua. In quel dialogo
Socrate comincia dal definire che cosa sia l’uomo in¬
grato, per derivare poi dalla definizione una serie di
conseguenze fino a dimostrare che Lamprocle è stato
ingiusto ed ingrato verso la madre ^1). Questo è un
solo esempio: ne potremmo citare altri dai quali ap¬
parisce che il grande filosofo procedeva nei suoi ra¬
gionamenti non solo induttivamente, ma anche e spesso
deduttivamente. Egli del resto ha, secondo Aristotele
<2), il merito di non aver mai separato il generale
dall’individuale, di non aver mai pensato a dare alle
idee universali un'esistenza indipendente. In lui lo
Stagirita riconosceva e ammirava due cose : l'arte del¬
l’Induzione e quella delle Definizioni. Certo bisogna
ammettere che con Socrate la Dialettica prese un an¬
damento saggio e razionale, benché non ricevesse da
lui determinate norme e leggi fisse.
Più oltre di Socrate va senza dubbio Platone: il punto
fondamentale della sua dottrina è I Idea, ciò che \i ha
di costante nel l’avvicendarsi dei fenomeni. Egli ci da
pure per primo una teoria della relazione delle idee
fra loro, nella quale consiste propriamente il processo
del metodo dialettico. Con la Definizione, dice Platone,
la moltiplicità si raccoglie sotto l’unità; ma non basta,
chè con la Divisione l'unità si scinde nella moltiplicità.
La Divisione, secondo il suo concetto, c'insegna se h
concetti sono identici o
il genere con la specie, ci fa s
al particolare. Ecco come questa teona c. porte alle
dottrine degli Analitici pn»n e post&ioìi.
(1) Senofonte - I detti memorabili di Socrate, Lib. H, cap.
(2) Arist. — Metafisica, XII, I-
— 10 —
del pari provato che se fu sommo vanto di Aristotele
l’aver risolto il problema del ragionamento deduttivo,
non bisogna disconoscere che esso era già stato posto
prima di lui.
L’estensione delle conoscenze è limitata alla cogni¬
zione di un nuovo rapporto fra i concetti; e l’esigenze
del conoscere sono due: 1° il sapere umano comprenda
il maggior numero di conoscenze; 2° queste siano
connesse nei loro rapporti e nelle loro dipendenze,
sistemate nelle parti e nel tutto. Aristotele comprese
tutto ciò e negli Analitici posteriori (1) indicò i punti
di partenza della ricerca e del sapere « MacvOavousv,
pgli disse, 'il É-ayor'yi r, ’i'j-i o~ -ri p.sv
).- ctò«v.; iy- t&v xa&ólou, r, 8’ È~z‘(or{ì] è/, rwv xarsc
pipo;. » E meglio negli Analitici primi aveva già
scritto che « airavva T«ffT£Ó 0 f«v r, or). ffu),>.oywuoC vi è?,
È7ray©y?i; (2). » Si può muovere dal principio e dalla
legge al fatto, o dal fatto alla legge ed al principio;
nel primo caso si ha il Sillogismo vero e proprio o
Deduzione; nel secondo l'Induzione: processi opposti
fra loro, sebbene, dice Aristotele, l’Induzione si possa
formulare in Sillogismi che sono perciò la forma ele¬
mentare del ragionamento. Ma in che cosa differisco
il Sillogismo aristotelico dalla Divisione platonica? È
questo un punto da chiarire prima di procedere alla
esposizione della dottrina dello Stagirita.
Dopo aver esposto il suo metodo di dimostrazione,
Aristotele dice che la Divisione per generi è « puy.póv
3* f trf P £0v . ewévvj; pcQtóou (3) » cioè del metodo
al Apistico, e serve a scoprire le relazioni delle essenze
(1) Arist. — Anal. Post.' I. 1S.
(2) Arist, — Anal. Pr., II. 03 ’
(3) Arist. - Anal. Post., I.~30
— 11
fra loro. La divisione ha due gravi difetti: 1° di supporre-
in luogo di dimostrare, e di cercare arbitrariamente una
delle due alternative della divisione stessa; 2° di,pren¬
dere per medio il termine più generale. Essa è quindi
un Sillogismo impotente, che fa non una dimostrazione
ma un’ipotesi, e conclude sempre un termine più esteso-
di quello che si tratta di concludere (1). Nelle dimo¬
strazioni regolari si scende dal termine maggiore al
medio, meno esteso; nella Divisione al contrario si
prende sempre l’universale per termine medio. Per-
citare un esempio: se si deve provare che l’uomo è
mortale, la Divisione platonica stabilisce prima che
ogni animale è mortale o immortale: aggiunge poi
che l'uomo è animale e conclude: che « l'uomo è
mortale o immortale » il che non è punto ciò che si
voleva provare. La Divisione ci dice solo in questo caso
che l’uomo « è mortale o immortale »; che sia mortale
è solo un’ipotesi, non già una conclusione dimostrata;,
oltre di ciò « mortale o immortale » è più esteso di
« mortale » solo. L’errore che falsa il metodo della
Divisione è la scelta del termine medio, il quale non
può essere se non una specie del termine maggiore o-
un attributo della conclusione: onde la divisione del
genere in specie, non essendo che una parte del me¬
todo sillogistico, richiede un compimento.
* Vi è una divisione della specie in generi, ed una
divisione del genere nella specie, e queste due divisioni-
(1) Arist. - Anal. Post., IT. 5 e segg. - Ami Post.,
Aliai. Pr. I. 31.
(2) Arist. — Anal. Pi’., I, 1-
frr?
ijjr
,p m
sw
A r r?r p
— 12 —
poste alcune cose, da esse deriva qualcosa di diverso da
■ciò che esse sono. Il Sillogismo consta perciò di tre
termini; il medio e due estremi, uno maggiore e l’altro
minore; o, se vogliamo, d ue premesse col legate tra loro
in modo da avere in comune il termine medio, e da
farne seguire per necessità una terza proposizione che
vi era inclusa. Il termine medio poi non ha sempre
la stessa relazione verso gli estremi : perocché o esso
è contenuto nel maggiore e comprende il minore
(1* figura); o comprende sotto di sè il maggiore e il
minore (2* figura); o infine è compreso sotto il mag¬
giore e il minore (3“ figura). Onde la 1* figura sol¬
tanto è perfetta e vale tanto per le conclusioni affer¬
mative quanto per le negative; la seconda e la terza
per lo contrario sono imperfette, perchè quella conclude
solo negativamente, questa solo particolarmente. IJ_
congegno del Sillogismo è dunque riposto nel nesso
triHe premesse "e ciò che ne segue, e nella necessità
ai tale lega me. Ma poiché vi sarebbe connessione
anche se le premesse fossero false, purché la conclu¬
sione nascesse necessariamente da quelle, così distinse
il Sillogismo dalla Dimostrazione o Apodissi, che ri¬
chiede la verità delle proposizioni sulle quali si fonda.
II vero e proprio Sillogismo è lo scientifico e dimo¬
strativo, che deduce la conclusione da cause vere e
proprie, e, per valerci delle sue parole, « TsXsiov w.èv oùv
[xaXw]
t I- r'i' nix. 7730 Tac 7 JCOV.
bsso è la forma per eccellenza del ragionamento,
(1) Arist. — Anal. Pcst., II, 2.
— 13 —
il più perfetto istrumento per la scoperta e l’esposi¬
zione della verità, perchè risponde alle condizioni del¬
l'esistenza reale, esprime il procedimento della natura,
che va dal genere alla specie. La forma del ragiona¬
mento ha la sua ragione nel contenuto suo; il Sillo¬
gismo risponde alla natura dell’essere. Il Sillogismo è
l’unione di due termini per mezzo di un terzo; si cerca
se un tal predicato conviene o no ad un soggetto. Per
risolvere la questione, si va in traccia di un termine
medio e lo si paragona successivamente con ambo i
termini, e secondo i rapporti di convenienza o scon¬
venienza che presenta.con essi, si conclude alla'con¬
venienza o sconvenienza dei due termini estremi. Onde
il Sillogismo dimostra sempre alcunché di una cosa,
« ó >J.h -z: 7uUoy-.7y.ò; rò zztz rivo; Ss’utvufft Az rovi
pW'j (1) ». Ogni dimostrazione è pertanto un «truUoyt-
C \jM s-« 7 T 7 ip.ovaó; (2) » e col semplice Sillogismo è in
questa relazione : « ‘h p-sv yà? wnoywua; rt;,
ó criAT.oys'jp.ò; àz où r.y.'jy. x-ooì'.C'-S (o). »
Non occorrendo qui di fare una minuta esposizione
della dottrina logica di Aristotele, sorvoliamo su tutto
ciò che si riferisce alla costruzione del Sillogismo alle
sue figure, a’ suoi modi, alla maniera di ridurlo a
suoi elementi ed alle sue forme rigorose (4). noi
basta di studiare quei punti della dottrina dello Sta¬
ggita, dai quali apparisce qual conto egli facesse de
(1) Arist. — Anni. Post., II, 6.
(2) Arist. — Anal. Post, I, 2.
(!) Cfr. S l’espo!iz!Òne > fattar!o da B.
du ?T den a ^^ t . = ^ « ElemeBta
Logict l 2 Ari‘stoteleae »'e specialmente i pavagr. 20-21 e 33-36.
X
— 14
! o iaJL
Raziocinio ; e ci fermiamo innanzi lutto sui capitoli
nei quali parla della ricerca del termine medio (1).
Ciò che Aristotele dice in essi ci dimostra che egli
riguardava il Raziocinio non solo come un semplice modo
di esposizione formale, ma anche come un istrumento
di scoperta. Altrove, nei Topici (2), confrontando l’in¬
duzione colla deduzione aveva detto: « .Vrt Ss yj
:piv è-3ty<ùy'r, riGavcótìsov /.al caoscTspov, stai /.ara -rr.v
al7$i«v yvupiy.w-spov /.al roì; ttoXXo?; y.osvov, ó Ss < 7 uA).oyt-
•<7uò; (iiaT7'./.u-cpo; /.al ttoò? toò; àvrtXoyr/.où; svsoys'cTsoov. »
Negli Analitici, fermandosi a parlare della ri¬
cerca del termine medio, il « maestro di color che
sanno » ragiona press’ a poco in questo modo: nella
ÌmÌitWiio natura esistono cose le quali sono sempre e solamente
soggetto, senza poter essere mai attributo; altre sono
-attributo, senza poter essere mai soggetto; altre infine
possono essere e 1 uno e l'altro. Le prime sono gli
individui, cioè le cose che cadono sotto i nostri sensi,
le seconde i generi, le terze le specie. L’individuo non
.può essere che soggetto, perchè la sua estensione si
riduce in se stesso; il genere contiene i termini infe-
nori, e non è contenuto da alcuno, perchè più estesu;
in ne a specie contiene gli individui ed è contenuta
on ^ e ^ termine medio tra il genere e
-” 1 1V / U0 : Su esso dunque conviene portare le
cerche e le discussioni della Dialettica; dati due termini,
0 na consi erare gli antecedenti ed i conseguenti
rannn P ! J ° nantl * ^* 1 - Un ° 6 all a,tro: S 1 * antecedenti sa-
•ouindi ,S SSett1 ’ ! conse S uenti gli attributi. Bisogna
inguer bene i conseguenti e gli antecedenti
JS AHst ' ~ AnaK Post -’ IJ > 5 6 15.
■ > Arist. — Topici I, 10.
— 15 —
essenziali dagli accidentali, i veri dai probabili ; pren¬
derli universali, perchè non v’ha Sillogismo senza
universali; l’universalità poi dovrà essere nel soggetto,
non nell’attributo. Questa ricerca non è semplice analisi
di linguaggio; e per Aristotele il termine medio non
importa per sè, ma per ciò che rappresenta. I veri
termini del Sillogismo aristotelico non sono, come
avverte un illustre critico, « nè le proposizioni, nè i
termini, ma i fatti e le leggi, o meglio, le idee che
realizzano negli individui i progressi della natura in
moto verso Dio (1) ». Aristotele conclude i suoi precetti
sulla ricerca del termine medio con queste parole:
« -y.~ u.i'i ò.r/y.’ tz; -spi è/AKSiplzi is-tl jt xpxàoijvxi; »
i principi di ogni scienza non ci possono essere
dati che dall’esperienza, ma una volta conosciuti la
dimostrazione sillogistica s’incarica di mostrarne i
rapporti. Negli Analitici Primi Aristotele analizza
il Sillogismo in sè, negli Analitici Posteriori ne
mostra l’applicazione alla scienza-e studia in qual modo
lo spirito arriva a conoscere qualche cosa cou cer¬
tezza. Il primo principio che pone lo Stagirita e che
serve di fondamento all’intiera sua teoria è che ogni
apprendimento intellettuale proviene da una conoscenza
anteriore; ce ne possiamo convincere con l’esame dei
metodi che seguono le varie scienze. La Logica procede
per Sillogismo e per Induzione, l'uno partente da
principi universali, accordati, l’altra dal particolare
evidente di per se stesso (2). E come 1 Induzione è
quella forma di ragionamento per la quale dall esame
(1) Janet e Séailles — Histoire de la pHlosophie.
(2) Arist. — Anal. Post., I Cfr. anche Saint-Hilaire, « De la
logique d’Aristote » Voi. I, pag- 277 e segg.
— 16 —
o confronto di più casi osservati si sale ad un prin¬
cipio generale, che comprende non i soli casi osservati
ma anche altri i quali hanno con quelli somiglianze
e comunanza, così la Deduzione è qualunque forma di
ragionamento riducibile a quello schema da lui chia¬
mato Sillogismo. Sapere una cosa in modo vero e
stabile, non accidentale e sofistico, è conoscere la
causa di questa cosa, che la fa essere tale quale è
senza che possa essere altrimenti: l’unico mezzo di
sapere così le cose è il «zuXXoywy.ò; èmcrryipovarf;. E però
la Dimostrazione deve di necessità partire da principi più
cogniti che non sia la conclusione; devono essere veri,
primitivi, immediati, anteriori alla conclusione e da
essi come da causa quella deve dipendere (1). Posto
quindi che la scienza dimostrativa deve discendere da
principi necessari e che le cose in sè sono quelle '
essenzialmente necessarie, ne segue che il Sillogismo
dimostrativo deve derivare da cose in sè (2).
Alla fine degli Analitici Primi Aristotele si fa a ricer¬
care come si formano neH’intelligenza i principi che ser¬
vono di base così alla Dimostrazione come al Sillogismo;
o afferma che i concetti universali non si possono otte¬
nere sillogizzando, ma si acquistano con l’Induzione-
« Il compito di fornire i principi sui quali si fonda
la Deduzione, egli dice, spetta all’osservazione dei fatti
particolari che costituiscono il campo di ricerca di
ogni scienza. Così per quel che riguarda l’astronomia
tale compito spetta alle osservazioni astronomiche ;
perocché non si potranno fare deduzioni circa deter¬
minati fenomeni celesti, finché essi non siano stati
(1) Arist. — Anal. Post., I, 2.
(2) Arist. — Anal. Post., I, 6.
Sì . ■ _.L .
- 17 —
convenientemente analizzati e compresi. Lo stesso vale
per tutte le altre scienze ed arti, nelle quali si po¬
tranno presto trovare le dimostrazioni quando siano
stati studiali a dovere i fatti cui esse si riferiscono (1) ».
Tale dottrina egli applicò per quanto si poteva ai tempi
suoi nei libri naturali, politici e morali. Poiché credeva
fermamente che non v'è universale senza Induzione,
nò Induzione senza il Senso (2), l'Induzione prepara il
Sillogismo, la cui funzione consiste nel termine medio,
scoperto appunto dall’Induzione (3). E perchè sommi¬
nistri concetti generali e sia vera l'Induzione, che è
preceduta.dal senso, dall'osservazione e dall'esperienza,
deve considerare tutti gli individui di una data specie
e ricavarne i caratteri essenziali, comuni e costanti.
L’argomentazione deduttiva poi ha il compito di ridurre
ciò che è incerto al massimo grado di certezza; essa
serve ad assicurare della verità di proposizioni solo
probabili, collegandole ad altre sulle quali non si può
sollevare alcun dubbio, allo stesso modo che nelle
matematiche si confermano le proprie asserzioni coi
primi principi matematici indiscutibili, di evidenza
immediata. Questa è la dottrina dello Stagirita, con
la quale pose e risolse una delle più grandi questioni,
che agitò tutto il Medio Evo e formò l’oggetto della
filosofìa dei secoli XVIII 0 e XIX 0 (4).
Da queste poche considerazioni apparisce chiaramente
che la Sillogistica aristotelica è ben lontana dal vuoto
(1) Arist. — Anal. Pr„ I, 30. _
(2) E S. Tommaso più tardi disse: « Impossibile est speculari
universalia absque inductione. »
(3) Arist. — Anal. Post., I, 18 e II, 19.
(1) Saint-Hilnire - « De la logique d’Aristote. » \ol. II.
pag. GG.
— 1S —
formalismo, prevalso più tardi in coloro i quali si
dissero seguaci del grande filosofo. Perocché egli am¬
mette che la dipendenza dei concetti espressa nel
sillogismo rispecchia la dipendenza causale della realta;
e.quantunque molto oggi occorra sfrondare dalla sua
Sillogistica, rimane però fermo, come osserva giusta?-
mente il Masci, il principio che ogni dimostrazione
è dall’uiiiversale, « vi piv ò-óonc,i' ex toù xafloXoo. »
Tutte le specie di prova prendono valore dai prin¬
cipi, dalle leggi, dagli assiomi, cioè da proposizioni
aventi valore universale; e su di esse si fondano tanto
il Sillogismo deduttivo (apodittico), quanto l’ó èq
Ì7raY&>Yvi; du^Xo^w’po;, che Aristotele ammise esplicita¬
mente nei Primi Analitici (1) e che non avrebbe
valore, se non avesse alcun fondamento il principio di
causa. Perciò il procedimento di sussunzione è essen¬
ziale nel Sillogismo, e la figura che lo rappresenta è
fondamentale. Soltanto bisogna tener presente che la
sussunzione quantitativa non è la vera, e che sono
legittime tutte le forme di ragionamento che ranno¬
dano una conseguenza ad un principio (2).
Questa è l’importanza attribuita da Aristotele al
Sillogismo. Altri discuta sul valore della sua logica:
a noi basta far rilevare che egli non solo coordinò
materiali già esistenti (3), ma in gran parte anche
creò; onde dobbiamo riconoscergli pienamente il diritto,
che si arroga egli stesso, di invocare « riconoscenza
per tutte le scoperte fatte (4). » È suo vauto l’aver
dato la teoria compiuta del Raziocinio, dettando quelle
(1) Arist. — Anal. Pr., II, 23.
(2) Masci — Elementi di filosofia - Logica, pag. 240.
(d) Tennemann — Storia della Filosofia. Voi. II, pag. 176.
(4) Arist. — Elenchi Sopii., cap. XXXIII.
— 19 —
regole che durano anche oggidì con la costante tra¬
dizione di ventitré secoli; egli conobbe per primo il
Sillogismo ipotetico (1), e, rilevato il valore dell’Indu¬
zione, osservò che in fondo ogni ragionamento con¬
clusivo è sillogistico, e ridusse a tal forma l’Esempio,
l’Obiezione, l’Abduzione. l'Entimema e l’Induzione
stessa, giacché in essa l'illazione è la stessa premessa
•maggiore del Sillogismo deduttivo, e il termine medio
■è lo stesso soggetto dell’illazione risoluto nelle sue
specie
A coloro poi i quali sostengono che Aristotele ha
latto solo della logica applicata, eccettuata la dottrina
delle tre figure, poiché per la Dimostrazione si è
occupato del necessario, che la logica pura non deve
conoscere, e pel Sillogismo si è occupato della moda¬
lità delle proposizioni, di cui la logica pura non si
deve interessare, non sappiamo far cosa migliore che
ripetere le parole del Saint-Hilaire: « Ce répoche
n’est pas jusie, et l’exemple de Kant qui n a pas exclu
la modalité de sa logique, toute pure qu’elle est,
devait ótre un avvertissement suffìsant. Il est vrai
•qu’on blàme Kant tout aussi bien qu’ Aristote. Mais
pourquoi veut - on proscrire la modalité de la Ihéorie
du syllogisme? Parce qu’ elle fait entrer, dit-on, la
■malière de la pensée dans un science qui ne devrait,
s’enquerir qua des formes. Si ceci etait exact, il
faudrait en effet que la logique s’abstint de toute
•recherche sur les modales, et qu’ elle dit avec M.
Hamilton, parodiant une sorte de proverbe scholastique:
-« De modali non gustabit logicus. »
(1) Aristotele intravide del pari la quarta figura sillogistica.
Anal. Pr. I, 8.
— 20 —
CAPITOLO II.
Il f^azioeinio dopo Aristotele.
Dopo Aristotele la teoria del Raziocinio non andò
soggetta a notevoli cambiamenti; quel che mutò ne fu
il senso, perchè la logica andò scostandosi a poco a
poco dalla ontologia per avvicinarsi alla grammatica.
Teofrasto, amico di Aristotele e continuatore dell’opera
sua, aggiunse ai quattro modi della prima figura cinque
modi indiretti; più tardi Galeno, a detta di Averroè,
svolse una quarta figura del Sillogismo. Innovazione
importante fu il maggiore sviluppo dato al Raziocinio
ipotetico, al quale del resto già aveva alluso lo stesso
Aristotele (1). Ad ogni modo, Boezio ne attribuì a
Teofrasto e ad Eudemo la scoperta, e a sè il merito
di averne dato per primo la teoria (2). Gli Stoici si
occuparono molto della Logica, che ritennero impor¬
tantissima, sia per l’educazione dello spirito, sia per
la dimostrazione della verità; essi ridussero però il
Sillogismo ad una forma puramente grammaticale, e
trattarono solo dell’apodittico, perdendosi a ricavare
dai cinque modi semplici un’infinità di altri non sera-
W « IloXÀo: ciz v.a.'. értpoi jrspaivovrai si; ù~o6sccco; ou;
èn’T/.vltxvGxi ùz~. /.ai /.«0apw;. » Anal. Pi\, I, 33.
(2) Theophrastus vero vir omnium doctrinae capax renani
tantum suramas exquiritur; Eudemus latiorem docendi gra-
ditur viam, sed ita ut voluti quaedam seminarla sparsisse,
nullum tamen frugis videatur extulisse proventum ». (Boezio -
De Syllogismo hvpotetico, pag. GOG).
— 21 —
plicij come ebbe ad avvertire Cicerone (1). Gli Scettici
infine, con Pirrone di Elide, ammisero che nè con la
ragione, nò coi sensi, ci è dato di conoscere le cose;
e siccome non possiamo affermare alcun predicato di
nessuna cosa, ognuna dev’essere indifferente per noi (2).
Qual conto facessero gli Scettici del Raziocinio
apprendiamo dalle Iluppovjìa-. ‘Vjro-ujrwffst; di Sesto
Empirico, il quale lo considerò nè più nè meno che
un circolo vizioso. Sia data ad esempio la proposizione
« Puomo è animale », dice egli; l’afl’ermazione è con¬
fermata dalle proposizioni singolari per Induzione; e
se si trova un caso solo contrario agli altri, la propo¬
sizione universale non è più vera. Quando pertanto
diciamo: « Ogni uomo è animale, Socrate è uomo,
dunque Socrate è animale » e dalla proposizione uni¬
versale vogliamo derivarne una particolare, cadiamo
in un modo vizioso di prova. L’Induzione poi, afferma
Sesto Empirico, come quella che dai casi particolari
vuol giungere all’universale, è anche più impugnabile:
poiché se si percorreranno solo alcuni casi essa non
sarà fondata, potendo benissimo accadere che un caso
particolare lasciato a parte si riscontri poi contrario
all’universale; se poi si vorranno percorrere tutti i
particolari si intraprenderà una operazione impossibile,
essendo essi infiniti e non circoscritti entro alcun
limite (3).
Concludendo, Sesto Empirico, sia nelle Ipotiposi
Pirroniane , sia nell’altra sua opera IT?ò; p-kQ/i-
jA«moó?, sostenne che nessun sillogismo, nè alcuna
catena di sillogismi varrà mai a farci acquistare alcuna
(1) Cicerone — Topici, 14.
(2) Fiorentino — Storia della Filosofia, pag. 1-7.
(3) Sesto Empirico — Pirroniane Ipotiposi, II - 14.
— 22 —
cognizione nuova, e che la Deduzione non è la forma
tipica del ragionamento, ma un artifìcio degno dt
sofisti, per celare altrui la nostra ignoranza. In tal
modo Sesto Empirico fu il primo a levar la voce contro-
il valore del Raziocinio: altre e più gravi accuse ad
esso muoveranno i filosofi delle età posteriori.
É inutile fermarsi a parlar degli Eclettici (1), che
non produssero nulla dimuovo nella dottrina sillogistica,
nè di Galeno, al quale, come già dicemmo, fu attri¬
buita la scoperta della 4* figura; nè vale la pena di
discorrere di Apuleio e di Boezio, il quale fu 1 autore
della teoria intorno al Sillogismo ipotetico (2).
Che cosa aggiunsero o innovarono gli Scolastici
nella teoria del Raziocinio? Il Prantl osserva che « in¬
tuito il Medio Evo non un autore produce da sò un
pensiero suo proprio, ma tutta la coltura di quel
tempo è dipendente ed è determinata dall’ambito del
materiale tradizionale che trova (3) ». Per più di
cinque secoli infatti lo studio della sillogistica, tale
quale era stato creato da Aristotele, divenne generale;
esso fu coltivato da Arabi e Cristiani. Unico merito
di quell'età fu di avere inventato quella terminologia
ingegnosa, che con l'uso di lettere e di parole facilitò
l’apprendimento della Sillogistica. Michele. Pseilo nel
1020 scrisse un compendio della Logica Aristotelica,
il quale tradotto da Guglielmo Shyreswood e da Pietro
Ispano servì come testo alle scuole di filosofìa dell'Oc-
(1) Cfr. a questo proposito Saint-Hilaire « De la logique
d’Aristote, cap. G-10, Voi. ri.
*.quod. igitur apud scriptores graecos perquam
rarissimos strictim atque confuse, apud latinos vero nullos
reperì * (De Syllog. hypot., pag. 606).
Ob Prantl Storia della filosofia in Occidente.
— 23'—
cidenle. Le surriferite parole del Prantl però non
vanno prese in senso troppo assoluto; chè quantunque
la Scolastica abbia seguito in generale la tradizione
e la sapienza filosofica antica, non mancarono però
pensatóri i quali tentarono altre vie, precorrendo in
certo qual modo l’avvenire.
Il primo e il più grande fra tutti fu Ruggero Cacone , che
levò la voce contro la validità della Deduzione, e magnificò
oltremodo l’Esperienza, tanto che lo si può dire 'il'vero
precursore dello sperimentalismo. Egli che esperimentò
ed osservò, per quanto i tempi lo consentivano, scrisse
nell’ Opus Maius che « Duo sunt modi cognoscendi,
scilicet per argu mentum et éxperimentum . Argumentum
concludit et facit nos concludere quaestionem, sed
non certificat neque removet dubitationem, ut quiescat
animus in intuitu veritatis nisi eam invenit via expe-
rientiae ». E più oltre: « Ciò è manifesto nelle mate¬
matiche, dove potentissima è la dimostrazione. Chi
volesse dimostrare, senza esperienza, che un triangolo
è equilatero, egli non sarà pienamente persuaso finché
non veda ciò per esperienza, vale a dire per l’inter¬
sezione di due circoli tracciati con un raggio eguale
alla linea data, dalla quale intersezione si conducono
due linee agli estremi della linea data (1) »• Infine:
« Sine experientia nihil sufficienter sciri potest... haec
sola scientiarum domina speculativarum (2) ». Egli
intraprese la riforma del metodo scientifico, e unendo
in felice accordo l’esperienza col ragionamento, aprì
la via ai rinnovatori del metodo sperimentale com-
(1) R. Bacone — Opus Maius, Pars IV, cap. I. Cfr. A. V aldarmm
« Il Metodo Sperimentale da Aristotele a Galileo ». pag. 12.
(2) R. Bacone — Op. M., Pars IV, cap. II e III.
— 24 —
prensivo. Perocché Bacone matematico ed astronomo
riconobbe l’influsso della luna sulle maree, intuì l’at¬
trazione universale, ebbe forse l’idea del cannocchiale,
e molte delle moderne scoperte divinò in modo mera¬
viglioso. E se errori anche volgari, inevitabili in quei
tempi, non mancano nelle sue opere, le divinazioni
meravigliose e le importanti scoperte attestano la
potenza della mente di lui, che per tal rispetto può
considerarsi come anello mediano che unisce Aristotele
con Leonardo da Vinci, con Francesco Bacone da
Verulamio e con Galileo. Ma le massime dottrine del
monaco inglese furono allora soffocate dall’autorità
del dogma e della scuola; prima che potessero farsi
strada, occorreva che da un lato la Riforma, dall’altro
il Risorgimento classico rinnovassero le coscienze e
la Scienza.
Il Pelrarca ed il Boccaccio furono tra i primi a
scagliarsi contro gli Aristotelici. Il cantore di Laura
se la prendeva in modo speciale con la sillogistica,
pur ammirando altamente l’ingegno sovrano dello
Stagirita. « Oh ! costoro, perchè sono tanto diversi
dal loro maestro? » diceva egli parlando dei sillogiz¬
zanti filosofi suoi contemporanei. « Come non ridere,
esclamava, di quelle meschine conclusioni, con le quali
cotesti dotti infastidiscono sé e gli altri, e consumano
la vita intera in tali inezie a quella inutili e perciò
dannose? » « Se già vecchi, egli concludeva, non
sappiamo ancora staccarci dalla scuola dialettica che
ci divertì da fanciulli, vuol dire che forse ci piacerà
ancora andare a cavalcioni sopra una canna e farci
di nuovo d ondolare nella culla dei bambini. (1) » Gli
(1) Petrarca — Epistolae de rebus familiaribus I, G-9 - Tra¬
duzione del Fracassetti.
Umanisti della corte dei Medici andarono anche più
innanzi: cercarono di diminuire i meriti e l’autorità
dello Stagirita, pretendendo fra l'altre cose, di trovare
in Platone le tre specie di Sillogismo. Lorenzo Valla nelle
sue Dialecticae Disputaliones avvicinò la Logica e
la Retorica, e combattendo Aristotele, gli contrappose
Platone, Cicerone, Quintiliano « Quominus, scriveva
egli, ferendi sunt recentes peripatetici qui interdicunt
libertate ab Aristotele dissenfiendi, quasi sophos hic
noster philosophus et quasi nemo hoc antea fecerit
(1) ». Anche Cicerone, aggiungeva il Valla, diede la
palma della filosofia a Platone, « quare, concludeva,
illis contemplis ac spretis, si quae sunt, quae quarn
in Aristotele melius dici possent, ea tentabo ipse melius
dicere ».
Il primo però, che in Logica tentasse la riforma d 1
cui si sentiva universalmente il bisogno, fu Pietro
Ramo, il quale nelle Animadversiones in Dialecticam
Aristotelis, biasimò gli ammiratori esagerati dello
. Stagirita, ai quali, del resto, contrappose 1 esempio
stesso del loro maestro, che senza rispetto alcuno
per l’antichità cercava liberamente il vero. Atteggian¬
dosi a riformatore della Dialettica il Ramo afleimò
che bisognava prendere la natura per guida; ma poi
poco coerente a se stesso chiamò il Sillogismo « unica
veritatis exsplorandae via », ed in sostanza alla Logica
antica non seppe contrapporre altro che un miscuglio 1
Retorica attinta alle opere di Cicerone e di Quintiliano
• In Italia il Telesio ed il Campanella intravidero al
di là della Logica il metodo; chè anzi il primo di essi
sosteneva nell’opera sua che bisogna stai e a a e. 1
(1) Valla — Dialecticae disputationes - Praetatio.
— 26 —
monianza dei sensi e si propose di guardare solo nei
fatti, non in altro e di riconoscere per fonte unica
d'ogni sapere il senso: concepì in sostanza una Fisica
perfettamente induttiva (1). Così pure in Inghilteria
Guglielmo Gilbert per scrutare i segreti della natura
dava il primato all'esperienza, e dalla percezione dei
sensi risaliva alle cause dei fenomeni, ed ai sensi
univa l’aiuto della ragione, necessaria, secondo lui, a
far progredire ogni scienza. E da noi ancora l’illustre
filosofo naturalista Andrea Cesalpino faceva il più
gran conto dell’esperienza, e ai vani sillogismi della
Scolastica opponeva un metodo composto di tre pro¬
cessi mentali distinti: l’Induzione, la Divisione e la
Definizione.
Ma tutti costoro furono preceduti da un altro uomo
dì sommo ingegno, Leonardo da Vinci, il quale dotalo
di straordinaria penetrazione espresse qua e là nelle
sue opere scientifiche sentenze che per la loro pro¬
fondità oltrepassano il suo secolo. « L’esprit géome-
trique, dice di lui il Venturi, le guidoit par tout, soit
dans l’art d’analyser un objet, soit dans l’enchàinement
du discours, soit dans le soin de généraliser toujours
ses ideés. (2) » Per ciò che si riferiva alle scienze
naturali, egli non era mai soddisfatto di una proposi¬
zione, se non l’aveva verificata con l’esperienza; pen¬
sava che innanzi tutto conviene fare qualche esperi¬
mento e che nella ricerca dei fenomeni della natura bi¬
sogna osservare il metodo. La natura comincia, e
\eio, col ragionamento, e finisce con l’esperienza; dod
a; Telesio — Prefazione all’opera « De reruin natura
mxta propria principia ...
(-) Venturi — Essai sur les ouvrages scientifiques de
-Leonardo de Vinci, pag. 4.
— 27 —
importa; a noi, secondo Leonardo da Vinci, conviene
prendere la via opposta; perchè l’interprete degli ar¬
tifici della natura è l'esperienza. Bisogna quindi con¬
sultare quest’ultima, e variarne le circostanze, finché
noi ne abbiamo desunte regole generali; esse poi ci.
dirigono nelle ulteriori ricerche. Così scriveva Leonardo
da Vinci un secolo prima di Francesco Bacone. Del resto
il metodo del Vinci, come avverte giustamente il Val-
darnini, fu scientifico e comprensivo, non escludendo la
ragione e l’applicazione della matematica nello studio
della natura. Egli riconobbe infatti l’armonia tra l’E¬
sperienza e il Raziocinio, ed affermo esplicitamente
che « Chi si promette dalla sperienza quel che non è-
in lei si discosta dalla ragione (1) ».
Ma la via per la quale la scienza doveva fare
grandi e così rapidi progressi fu trovata dal Galilei,,
il sommo nostro scienziato. Prima ancora del JSovum
Organum di Francesco Bacone, e del Discorso sul
metodo di Renato Cartesio, Galileo praticò larga¬
mente il metodo sperimentale induttivo, i cui punti
fondamentali sono dal Magalotti espressi nella Prefa¬
zione ai Saggi di Naturali esperienze dell'Accademia
del Cimento.' Essi sono in ordine progressivo: 1 c
somme verità degli assiomi naturali che stanno ne
l’anima; 2° la geometria; 3° l'esperienza; 4 il ragio¬
namento che la guida; 5° il confronto delle espenenze
dei dotti per conoscere da questi, provando e ripro¬
vando, la verità. In tal modo fu novatore rispetto alla
filosofia medievale, perchè diede giance \aore
1) A. Yaldarniui - < Esperienza e discorso in^‘^106
ici, » in Rivista Italiana di filosofia, 189 » • »» P
;egg. e nel libro « Il metodo sperimentale da Aristotele
— 2S —
sperienza ed ai principi matematici, ed effettivamente
mise in relazione le forinole matematiche coi dati
sperimentali. Il Galilei non considerò falsa 1 antica
Logica come altri aveva fatto, ma disse che bisognava
saperla applicar bene (1). La Logica pratica secondo
lui insegna a « dedurre da vere premesse necessità
di conclusione » (2), e serve di regola a vei ificai e i
discorsi e le dimostrazioni (3). » Per lui un empi¬
rismo senza ragionamento e senza guida di sommi
principi è un’accozzaglia di fatti, non scienza, che
"trova anche principi universali; e così un idealismo
senza osservazione di fatti opera vana e non vale
ad accrescere le cognizioni umane. Egli adunque rico¬
nobbe che la osservazione dei fatti non basta, e che
qualcosa deve ad essa aggiungere la ragione. Insiste
specialmente nell’affermare che senza l’uso dei sommi
principi della ragione noi non potremmo progredire
di un passo nella scienza (4), e che l’esperienza
fondata sui sensi potrebbe talora ingannare, quindi
essa va aiutata col ragionamento induttivo e deduttivo
per discernere nei fenomeni naturali le cose certe e
provate dalle ipotetiche ed incerte. « 11 discorso, di¬
ceva egli nelle Nuove Scienze, mi par concluden¬
tissimo e l’esperienza tanto accomodata per verificare
il postulato che molto ben sia degno d'essere ricevuto
(1) Galilei — Lettera al Liceti (15 sett. 1640)
(2) Galilei — Lettera sul Candor Lunare.
(3) Galilei — Dial. « Mass. Sistem., » Giorn II.
(4) Galilei — Dial. Mass. Sistem., Giorn II e IV — Dia¬
loghi delle i^uove Scienze, I. Considerazioni sul discorso di
Lod. delle Colombe — Lettera al P. Castelli intorno al sistema
Copernicano. Cfr. anche Yaldarnini. « Il metodo sperimentale
ecc. » pag. 71-74.
— 29 —
come si fosse dimostrato. » E in tutte le opere di
Galilei noi vediamo disposata l'esperienza al ragiona¬
mento; e se nel Nuncius Sidereus prevale l’osser¬
vazione, nel Saggiatore l’esperienza è unita al
discorso e all’uso dell’autorità scientifica, nei Dialoghi
dei Massimi Sistemi il metodo s’informa anche ai
sommi principi razionali e alle verità matematiche;
nei Dialoghi delle Nuove Scienze il metodo è anche
più matematico (1). Sempre poi il suo metodo com¬
prensivo ha il merito di essere conforme alla potenza
del nostro intendimento ed alle relazioni naturali fra
questo e le cose intelligibili, e senza di esso noi non
potremmo affatto sludiare l’Universo. « La natuia.
scrive il Villari, lo aveva fatto acuto osservatore ed
accorto sopra ogni altro. Induceva cautamente, ma non
si affidava solo al metodo, perchè la natura lo aveva
latto divinatore unico delle leggi dell Universo. Osser¬
vava i fatti dietro la scorta del suo genio, e dopo
osservato divinava, induceva, sperimentava provando
e riprovando: ecco la parte nuova del metodo detto
sperimentale e che ha rinnovalo le scienze naturali (2) ».
Mentre in Italia il Galilei proseguiva nel glorioso
suo cammino verso la verità, in Inghilterra acone
da Verulamio e in Francia il Cartesio si scagliavano
contro la dottrina aristotelica per tanti anni ^con
cussa. Aristotele aveva considerata a ogica
introduzione alla Filosofia ed a tutto il sapere
(1) G. Rossi - Del metodo _ s ; Critici.
(2) Villari - Arte, Sterra e Mesata . g di
pag. 512. Cfr. anche Fiorentino «I Vari* Celeste » —
Galileo » - A. Favaro « Galileo Galilei eSuor ^
Caverni « Storia del Metodo Sperimentale » A. Conti « Stori
della Filosofia » pag. 322-312.
— 30 -
venerale, perché essa tratta dei concetti fondamentali
che si usano in ogni sapere e dei procedimenti coi
quali si acquista la scienza. Quei concetti fondamen¬
tali egli aveva denominati categorie, ed aveva detto
che sebbene non esistano in sé, si riferiscono ad og¬
getti reali ed assolutamente esistenti; i nostri giudizi
sono veri quando la congiunzione delle nostre rappre¬
sentazioni concorda con la reale congiunzione degli
oggetti (1). Occupandosi dei procedimenti coi quali
si acquista la scienza aveva distinto l’Induzione dalla
Deduzione, con la teoria del Sillogismo aveva preteso
di esporre il vero metodo scientifico; la ricerca del
termine medio era per.lui la ricerca della causa, e
la teoria del Raziocinio corollario di quella dell'essere.
Francesco Bacone con la filosofia della natura volle
rinnovare tutte le scienze: alla logica oppose il Novum
Organum, al Raziocinio che suppone dati principi
l’Induzione, la quale con l’esperienza scopre i principi
stessi. Per primo riconobbe che la scienza può avere
somma importanza per la vita pratica, ed opinò che
scienza o filosofia devono fondarsi sui fatti. Quella,
secondo Bacone, si fa per mezzo di esperienza che
consta di osservazione e di esperimento, nell’osserva¬
zione poi bisogna guardarsi dai pregiudizi od illusioni,
che egli denominò « idoli »; liberato da essi, l’uomo
forma la scienza, salendo dalle osservazioni particolari
alle leggi generali per mezzo dell’Induzione, nella quale
(e non già nel Sillogismo) è riposto il nuovo Organo
della Scienza. Il sommo filosofo inglese disdegnò gli
Empirici, i quali non fanno altro che raccogliere fatti
su fatti, e i Razionalisti che pretendono di ricavare
(1) C. Cantoni — « Storia della Filosofia » — pag. 82.
— 31 —
tutto dal loro intelletto (1). Combattendo la filosofia
che aveva regnato lungo tempo nelle scuole, e racco¬
mandando un metodo differente da quello seguito
fino allora, espose idee che si agitavano già dalla
maggior parte dei pensatori, ma nello stesso tempo,
come osserva un suo commentatore insigne, il Bouillet,
(2), aggiunse da uomo di genio elementi suoi proprii
che dovevano far avanzare le scienze nella via del
progresso. « Bacon seul, dice il Bouillet, comprit à
la fois et les vices de la philosophie régnante et la
vanité de tous les systèraes enfantés par l’imagination,
et la nécessité de fixer avant tout le but de la science
et de determiner la route qui pouvait conduir a ce
but; seul il connut où du moins il exposa scientifi-
quemont la méthode qui devait constituer la philosophie
nouvelle ». Così egli riuscì a « costruire un nuovo
' edilìzio scientifico con disegno e fondamenta e mate¬
riali affatto nuovi (3) ». Ed il suo fu davvero disegno
ardito e grandioso. Senonchè Bacone, intento a ma¬
gnificare l’Induzione, disconobbe il valore del procedi¬
mento deduttivo o sintetico, e disprezzo eccessivamente
il Raziocinio. Il consentimento unanime dell’autorità
di Aristotele parve a lui effetto di un pregiudizio uui
versale, non di una reale convinzione dei filosofi circa
i meriti della Logica antica (4). Egli affermò che ì
Sillogismo « ad principia scienliarum non adhibetur,
fi) Fiorentino. « Storia della Filosofia » pag
(2) Bouillet. Oeuvres philosophiques de Bacon
. 320, 321.
— Introduction
voi. 1 pag. LXXXIX - XC. i -n pinosi-
(3) Valdarnini. Principio, Intendimento, e^ori^ Bacon0
Reazione delle conoscenze umane secon
F. Ili parag. 3.
(4) Bac. Nov. Org. I, Aph. 77.
— 32 —
ad media axiomata frustra adhibetur quuru sit subto¬
tali naturae longe impar; assensum itaque constringit r
non res. (1). » Onde la logica prevalsa fino a’ suoi
rriorni era per Bacone inutilissima « ad inventionem
scientiarura (2), » chè anzi serviva a creare errori
più che a scoprire la verità, ed era più dannosa che
utile (3). « Sillogysmus, egli diceva, ex propositionibus
constai, propositiones ex verbis, verba nolionum tes-
serae sunt. Ita si notiones ipsae (id quod basis rei est)
confusae sint, et temere a rebus abstractae; nihil
ex iis, quae superstruuntur, est firmitudinis >; «itaque
spes est una », concludeva, « in inductione vera (4). »
Nè basta; chè altrove aggiungeva: « Nullo modo fieri
potest, ut axiomata per argumentationem constituta ad
inventionem novorum operum valeant; quia subtilitas
naturae subtilitatem argumentandi multis partibus
superai. Sed axiomata a particularibus rite et ordine
abstracta, nova particularia rursus facile indicant et
designant; itaque scientias reddunl activas (5) ». Nel*
introduzione al De Augmenlis scientiarum rimpro¬
verava alla logica antica di essersi solo occupala
del Raziocinio; e per reazione respingeva assolutamente
la dimostrazione sillogistica (6). Per tutte queste
considerazioni egli lasciava al Raziocinio piena giu¬
risdizione « in Artes populares et opinabiles, tamen
ad Naturam rerum inductione per omnià, et tam ad
maiores propositiones quara ad minores ulimur; indu¬
ci Bac - ^' ov - Org., I Aph 13.
(•2) Bac. Nov. Org.. I Api» 11 .
(3) Bac. Nov. Org., I Aph 12,
(Il Bac. Nov. Org., I Aph U
•ó) Bac. Nov. Org.. I Aph, 24.
(G) Bac. De Augmentis scientiarum Disp. part.
ctionem censemus eam esse demonstrandi formam
quae sensum tuetur, et Naturarci premit, et operibus
imminet ac fere immiscetur ».
Come Aristotele si sforzava di provare che in ogni
moto dei corpi vi è alcunché che sta in quiete, e in¬
troduceva elegantemente la favola di Atlante, il quale
diritto sulla persona reggeva il mondo, così, diceva
Bacone, gli uomini desiderano ardentemente di avere
un punto che regga i fluttuanti moti del pensiero,
temendo che essi abbiano a precipitare, « nescientes
profecto eurn qui certa nimis propere captaverit, in
dubiis finiturum; qui autem iudicium tempestive cohi-
buerit. ad certa perventurum (1) ». Riassumendo,
Bacone attribuì al Raziocinio due difetti principali:
1° Esso non permette di arrivare ai principi, e'anche
le sue premesse il più delle volte riposano sull’Indu¬
zione. 2° La Deduzione non è in rapporto con la sot¬
tigliezza della natura, e non può convenire se non
alle scienze popolari. Non va però dimenticato che
Bacone non disdegnò in modo assoluto gli assiomi
razionali, e proclamava la necessità di unire il discorso
con l’esperienza. « L’uomo, egli ebbe a dire, ministro
e interprete della natura, tanto conosce ed opera,
quanto ebbe osservato nell’ordine di essa, o con 1 e-
sperienza o con la ragione. » In tal guisa presunse
di abbattere l’edifizio innalzato di Aristotele col suo
sapiente « opyàvov; » e noi, pur riconoscendo che la
Scienza non avrebbe rapidamente progredito senza
l'aiuto poderoso di sommi pensatori i quali, come il
grande filosofo inglese, insegnarono nuove vie, e le
aprirono più spaziosi orizzonti, non possiamo I
fi) Bac. — De aug. scient.. V. •!.
3
meno di affermare che Aristotele meritava di essere
giudicato con molto maggior rispetto, e lopeia sua
tenuta in queiralta stima alla quale ha diritto. Difatto
per dirla col Saint-Hilaire, giudicare Aristotele é giu¬
dicare lo spirito umano, non solo in uno dei suoi più
illustri rappresentanti, ma in se stesso, poiché con lo
Stagirita facciamo comparire avanti a noi tutto il
passato dello spirito umano (1). Senonchè v’è una
giustificazione alle esagerate invettive di Bacone da
Verulamio contro la sillogistica antica; egli non poteva
ribellarsi contro quella interminabile e immane catena
di errori, che a’ suoi tempi si opponeva ad ogni pro¬
gresso delle scienze, senza scagliarsi contro il Sillogismo,
che per l’indole sua si era prestato a dare una appa¬
renza di verità e d'indiscutibilità a tutte le aberra¬
zioni dei tanti pensatori medioevali. E mentre affer¬
mava apertamente ch’egli voleva « reiicere syllogi-
smurn », forse riconosceva che della sillogistica non
aveva già abusato l’autore suo, ma i Neoplatonici e
più tardi gli Scolastici, i quali valendosi del Raziocinio
avevano diffuso tutti quegli errori, di cui risentivansi
vivi più che mai i danni a’ suoi tempi, in tutti i rami
del sapere.
Con Cartesio e Bacone si inizia la filosofia moderna,
poiché entrambi cominciarono con la critica severa
del passato, dubitarono della loro scienza, poi ne
divennero certi, fondandola l’uno sul puro pensiero,
l’altro sull’esperienza: quegli si valse a preferenza
della Deduzione, questi dell’Induzione. Cartesio sdegnò
ogni sapere- che non fosse trovato dalla propria rifles¬
sione, volle trovare da sé, e il suo punto di appoggio
(1) Samt-Hilairo - De la logique d’Avistote. Preface, pag. XLIX
— 35 —
fu la coscienza: sottraendo tutto, rimane per lui il
pensieio, onde il famoso . « Cogito ergo sum »; e
trovata la vera conoscenza potè poi dedurne le altre.
Tanto egli quanto la sua scuola notarono che la Lo¬
gica antica eia troppo complessa, occupava eccessiva¬
mente lo spirito, e poteva giovare ad esporre, non a
scoprire la verità, non era in grado di dare principi,
e non serviva ad altro che a parlare verosimilmente
di ciò che si ignora (1). Il metodo di Cartesio poi,
in partieoiar modo, era deduttivo; ma il Sillogismo
per lui serviva ad esporre i risultati di ogni ricerca;
lo spirito solo bensì poteva, secondo lui, scoprire i
principi reali, le nature semplici. Onde la Deduzione
cartesiana si occupava solo con, metodo analitico della
verità, e non della sua espressione formale, e tutto
subordinava all’intuizione diretta dello spirito. Appena
potè svincolarsi dalla soggezione dei maestri, Cartesio,
come narra nel suo Discorso sul Metodo cessò affatto
dagli studi intrapresi, e si diede a viaggiare, a fre¬
quentare persone di diverse condizioni, a raccogliere
esperienze, con l’intento di non cercare più altra
scienza se non quella che poteva trovare in se stesso
e nel gran libro del mondo. Il primo vantaggio rica¬
vatone fu di « ne rien croire trop fermement de ce
qui ne m’avoit été persuadé que par l’exemple et par
la coutume (2) ». Così si liberò .a poco a poco degli
errori e fece un bel giorno il proposito di studiare se
stesso e di adoperare tutte le. forze dello spirito a
cercare le vie che esso deve seguire.
Da giovane aveva appreso la Logica, la Geometria,
(L) Cartesio — Discours do la métliode, Part. II.
(2) Cartesio — Disc. de la mét. Part. I.
— -
lì
i
— 3G —
l’Algebra, tre scienze che dovevano servirgli per il
suo disegno. Ma, dopo le assidue cure da lui poste
nel ricercare il vero, si accorse che nella Logica il
Sillogismo e le sue regole servono a spiegare agli
altri le cose che si sanno, non già ad apprenderle.
Per di più la Logica antica era, secondo lui, « si
abstrainte à la consideration des figures, quelle ne
peut exercer l’entendement sans fatiguer beaucoups
l’imagination. » E perchè le molte regole offuscano
la chiarezza di una scienza, ai molti precetti della
Logica sostituì queste quattro regole, alle quali pro¬
mise di attenersi fedelmente: 1° Non si deve aver per
vera alcuna cosa, se non si riconosce evidentemente
tale. 2" Devesi dividere ciascuna difficoltà per meglio
risolverla. 3° Si conducano per ordine i pensieri, co¬
minciando dagli obbietti più semplici e facili a cono¬
scersi e andando ai più complessi. 4° Si facciano enu¬
merazioni così intere da essere ben certi di non aver
trascuralo nulla.
Concludendo, la logica Cartesiana ripudiò tutte le
artificiosità della Sillogistica antica, esaltò l’uso del-
1 analisi matematica nella ricerca della verità ; sdegnò
occuparsi dell’espressione formale della verità stessa,
e come abbiamo già detto, tutto subordinò all’intui¬
zione diretta, ed all’attività dello spirito (1).
Nuovi colpi alla validità del Raziocinio diede Gio¬
vanni Locke, nel suo Saggio sull’intendimento umano,
nel quale negò che lo spirito umano apprenda a ra¬
gionare con le regole del Sillogismo: il Raziocinio per
lui non è utile a scoprire la falsità di un argomento
e non serve affatto ad accrescere le nostre conoscenze:
(1) Cartesio — Disc. de la mét., Part. I e I*. II, pag. 1-28.
— 37 —
tutt al piu è utile come arte di far valere disputando
quel po’ di conoscenza che abbiamo, senza nulla ag¬
giungere. Ed ecco in qual modo pervenne a queste
conclusioni. Nel Saggio citato si propose due fini:
1 di combattere 1 innatismo delle idee; 2° di dimostrare
3 origine empirica di tutte le nostre conoscenze, rian¬
nodandosi in tal modo alla dottrina di Bacone e com¬
battendo la filosofia Cartesiana. L'intelletto, pel Locke,
è un foglio bianco in cui non sono caratteri di sorta:
ve li scrive sopra il senso, poiché « nihil est in
intellectu quod prius non fuerit in sensu »; Le idee
poi sono semplici e complesse; queste ultime sono
combinazióni di idee semplici, le quali alla loro volta
nascono dalla sensazione e dalla riflessione.
Stabiliti questi punti fondamentali della sua dottrina,
il Locke negò recisamente il valore del Raziocinio,
poiché, secondo lui, esso non aiuta la ragione se non
nel mostrare le relazioni che passano fra le idee di
una proposizione; ma anche in ciò l'uso suo è assai
limitato; queste relazioni si scoprirebbero anche senza il
suo soccorso. E quanti sono quegli uomini che, incapaci
di formare un Sillogismo, ragionano tuttavia giusta¬
mente ! Del resto è assai dubbio che anche coloro i
quali conoscono l’arte e le regole del Raziocinio se
ne servano per ragionare, essendo tale metodo troppo
lento, e correndo la mente umana molto più veloce.
Coloro poi i quali sono penetrati bene addentro nella
conoscenza di tali regole, non sono punto ceni, in
virtù di un’argomentazione sillogistica, che la conclu¬
sione discenda dalle premesse; essi fanno una semplice
supposizione. Se il Sillogismo fosse il vero e solo stru¬
mento della ragione, e l’unico mezzo di giungere alle
conoscenze, bisognerebbe ammettere che prima di
— 38 —
Aristotele non vi fosse alcuno che conoscesse qualche
cosa con la ragione. Questa forma di argomentazione
non porta con sè nè chiarezza nè convinzione; chè
essa è suscettibile del falso come ogni più semplice
specie di ragionamento, ed anzi, come forma artificiosa,
è più atta ad imbrogliare la mente che ad istruirla e
a dissiparle attorno le nebbie. Onde, concludeva il
Locke, dobbiamo valerci di qualche altro mezzo per
giungere alla conoscenza, e, con tutto il rispetto allo-
Stagirita, riconoscere che « Dio non è stato cosi poco
liberale cogli uomini, da abbandonarli come semplici
creature di due piedi, senza piume e con ugne lunghe,
finché Aristotele non li avesse fatti animali ragione¬
voli col Sillogismo. » L’uomo ha la potenza di ragio¬
nare e di apprendere le relazioni delle sue idee. Se
dobbiamo quindi scoprire i difetti di un ragionamento,
non abbiamo che da spogliarlo delle idee superflue,
le quali mescolate in quelle da cui dipende la conse¬
guenza sembrano mostrarne, una dove non è ; quindi
confrontare queste idee; e senza tutte le noiose finezze
del Sillogismo scopriremo la loro convenienza o scon¬
venienza. Queste furono le critiche del Locke, il quale
negò inoltre che il Raziocinio aiuti la mente a fare
nuove scoperte, ed ammise che esso serve tutt’al piò
a convincere gli uomini dei loro errori e dei loro in¬
ganni, a disporre le prove che già si conoscono, ve¬
nendo sempre dopo la cognizione dalle verità, e a
far valere disputando la conoscenza che si possegga,
senza nulla aggiungere. Nel Raziocinio infine scoprì
un altro gravissimo difetto. Ogni ragionamento sillo¬
gistico, egli osservò, per essere concludente deve avere
una proposizione generale: or bene parrebbe che noi
non potessimo nè ragionare nè aver conoscenze di
— 39 —
cose particolari. Ma ogni ragionamento, come ogni
conoscenza, non verte che sulle idee esistenti nella
mente di ciascun uomo, ognuna delle quali non è
che un esistenza particolare; e le cose sono obbietto
delle conoscenze umane in quanto sono conformate a
queste idee particolari che ha l’uomo nella mente.
L’universalità consiste in ciò che le idee particolari,
le quali ne sono soggetto, sono tali che ad esse più
d’un caso particolare può essere conforme, e più
d’una cosa particolare può essere da loro rap¬
presentata (1).
Come Giovanni Locke aveva ripreso ed ampliato le
critiche di Bacone alla dottrina sillogistica, così Nic¬
colò Malebranche riprese le obiezioni di Cartesio.
« La logique d’Aristote, secondo lui, n’est pas de
grand usage, a cause qu’ elle occupe trop l’esprit, et
qu’ elle le détourne de l’attention qu' il devroit ap-
porter aux sujets qu’ il examine (2) ». Le regole che
diede il filosofo per la ricerca della verità sono oltre
modo semplici; la prima è che bisogna sempre con¬
servare l’evidenza nei ragionamenti per scoprire il
vero senza timore di sbagliare; onde noi non dob¬
biamo ragionare se non su cose delle quali abbiamo
idee chiare e precise, e cominciare dalle cose più
semplici e più facili, ed arrestarci a lungo prima di
intraprendere la ricerca delle più complesse e diffìcili.
Il Malebranche sostenne che bisogna comprendere
bene lo stato della questione da risolvere, ed avere
idee distinte sui termini per poterli paragonare, e
(1J Locke —Saggio filosofico sull’intelletto umano, L. IV, cap.
17. — Cfr. anche il Saggio del Locke compendiato dal Winne e
tradotto dal Soave, Voi. II, pag. 110-113.
(2J Malebranche — De la recerche de la Verité, lib. VI, cap. 1.
— 40 —
scoprire i rapporti cercati. Quando poi questi non si
scoprono paragonando le cose immediatamente fra
loro, allora bisogna scoprire, con qualche sforzo della
mente, una o più idee che possano servire come di
misura comune per riconoscere per mezzo loro i rap¬
porti che vi sono tra esse (1). Così il filosofo francese
continuò l’opera del sommo suo connazionale, discono¬
scendo ogni valore alla Sillogistica di Aristotele, e
tentando di rinnovare la Scienza con l'uso dell’analisi
matematica.
Il Malebranche fu imitato e seguito fedelmente dal-
l’Arnauld e dal Nicole (2), i quali rimproverarono alla
Logica aristotelica di essere in molte parti imbarazzante
ed inutile. La Logica di Portoreale che, come avverte
il Cantoni (3), diede l’ultimo tracollo all’Aristotelismo
scolastico, « perchè lo colpì in quella parte che costi¬
tuiva la maggior sua forza, cioè nella parte formale »,
ebbe il merito di essere pei suoi tempi d’una grande
originalità ed arditezza, e di preparare il trionfo della
riflessione personale sui pregiudizi dell’autorità.
Giovanni Locke aveva negato che lo spirito umano ap¬
prenda a ragionare con le regole del Sillogismo e che
con esse si acquistino nuove conoscenze; Cartesio
d altro lato aveva accusato la Logica antica di essere
tioppo complessa ed aveva sostenuto che il Raziocinio
è metto a scoprire la verità, ed utile solo ad esporle;
Guglielmo Leibniz, pure ammettendo che della Sillo-
gistica si f osse fatto un grande abuso, sorse col Nuovo
(2)^nanld nCh T ~ D6 , la D rech - de la Veri* lib. VI. cap.
Piefalione àu & ^t-Royal. - Cfr. anche Compayi
a.' asU * * L ^“
(') . Cantoni — Storia della Filosofia, pag. 269 - 260 .
— 41 —
Saggio sull'intendimento, a sostenerne la reale utilità,
è da grande filosofo ne fece uno studio veramente
profondo (1). Egli avvertì giustamente che la forma
scolastica del Sillogismo si usa poco e sarebbe troppo
lunga ed imbrogliata se la si volesse adoperare seria¬
mente; ma con tutto ciò riconobbe nel Raziocinio UDa
delle più belle invenzioni dello spirito umano (2). Al
Locke, il quale aveva detto che il Sillogismo non serve
che a vedere la connessione delle prove in un solo
esempio, rispondeva che sarebbe ridicolo voler argo¬
mentare alla maniera scolastica nelle deliberazioni a
causa della prolissità imbarazzante di quella forma di
ragionamento: non per questo è men vero, che nelle
più importanti deliberazioni della vita una logica severa
è necessaria, poiché gli uomini si lasciano abbagliare
dall’eloquenza e dall’autorità, dagli esempi male ap¬
plicati e dalle conseguenze fallaci. Sostenne poi che
tesservi molti uomini i quali pure ignorando del tutto
le regole della Sillogistica ragionano dirittamente, non
porta già a disconoscere l’utilità del Raziocinio, allo
stesso modo che non si può negare l’utilità della ma¬
tematica, solo perchè alcuno, senza aver appreso
l’aritmetica, sa fare conti anche difficili. E contro il
Locke, il quale aveva affermato che anche i Raziocini
possono diventare sofistici, osservò giustamente che
le loro stesse leggi servono a riconoscerne la falsità:
e se il Sillogismo non vale nè a convincere, nè a
(1) Leibniz — Nuovo Saggio sull’intendimento, lib. VI, cap. I,
e lib. IV, cap. 1G. ,
. (2) « C’est ne espèce da mathéinatique, dice il Leibniz, dont
l’importance n’est pas assez connue; et l'on peut dire qu un ar
d’infallibilité y est contenu, pourvu qu’on sache, et qu on
puisse s’en bien servir. » Saggio ecc. lib. IV cap. I.
— 42 —
convertire alcuno, non è già per la sua inettitudine,
ma perchè l’abuso delle distinzioni e dei termini male
intesi ne rende l’uso troppo prolisso (1). Infine notò
che solo nella conoscenza intuitiva si vede immedia¬
tamente il legame delle idee e delle verità ; ma la dimo¬
strazione fondata su idee medie è quella che ci dà
una conoscenza ragionata, e ciò perchè il legame
dell’idea media con le estreme è necessaria.
Ecco in qual modo Guglielmo Leibniz seppe riven¬
dicare il valore del Raziocinio, a torto disconosciuto
così dagli Empirici, come dai Razionalisti, che l’avevano
preceduto. Ma ben presto un altro filosofo insigne
sorse a riprendere la critica contro la Sillogistica, ed
a parlare con disprezzo di quello che Aristotele aveva
considerato come istrumento di cui si serve la ragione
umana nell acquisto delle conoscenze. Contro Aristotele
erano insorti Bacone, Locke, Cartesio; contro il Leibniz
si levò il Condillac; più tardi contro il Kant insor¬
geranno il Mill e lo Spencer, e mentre i Logici inglesi
si sforzeranno di rifare la Logica aristotelica, in Italia
fi Galluppi, il Rosmini ed il Gioberti sosterranno
ancora una volta l’utilità del Raziocinio.
Quando il Voltaire, abbandonata rin£Thilt.err fl ritm-nè
(Oeuvres philosophiques a e Leibniz
voi. I., cap. I.
avec introd, p. P. Janet,
— 43 —
e come già il Montesquieu aveva divulgato la costi¬
tuzione inglese, cosi egli, ardente seguace del Locke,,
fece noto ai Francesi il Saggio sull’intendimento-
umano, che ebbe tosto non pochi ammiratori: primo
e più grande fra tutti il Condillac. Questi da principio
seguì le traccie del filosofo inglese nel Saggio sul¬
l'origine delle conoscenze umane, e terminò poi nel
più schietto sensismo. Nella Logica, nella quale seppe-
imprimere un’orma d’originalità come pochi altri
filosofi, parlò della Sillogistica con grande disprezzo,, e-
credette di annientare il valore del Raziocinio \&r
lendosi di questo ragionamento: Ogni giudizio da noi
pronunciato può includerne implicitamente un altro-
non espresso; se diciamo ad esempio che un corpo è-
pesante, affermiamo implicitamente che esso cadrà se
non sarà sostenuto (1). Quando perciò un giudizio è
contenuto in tal modo in un altro, si può pronunciare
come una derivazione del primo, e dicesi perciò che
ne è la conseguenza. Ciò posto, fare un Raziocinio-
non è altro che pronunciare due giudizi di questa
specie; e nei nostri Raziocini come nei giudizi non-
v’hanno se non sensazioni. Il secondo giudizio nel
suesposto Raziocinio è sensibilmente racchiuso nel
primo e non v’è bisogno di cercarlo; ma se il secondo-
giudizio non si mostrasse nel primo,, allora farebbe
d'uopo cercarlo, cioè passando dalla cosa nota ai--
l’ignota, si dovrebbe scorrere per una serie di giudizi
intermedi per vederli tutti successivamente contenuti¬
gli uni negli altri, fino a scoprire che il secondo giu¬
dizio è una conseguenza del primo. Ogni ragionamento
è un calcolo; non consiste nell’andare dal generale al.
( 1 ) Condillac — Logique, Pait. I, cap. 7-
— 44 -
particolare, dal contenente al contenuto, ma dal me¬
desimo al medesimo, cambiando i segni; suo principio
è l’identità, suo procedimento unico è la sostituzione.
11 tipo di questo genere di ragionamento è il ragio-
nemento algebrico, al quale tutte le altre forme si
possono ridurre. Nè importa obbiettare che così si
piocede in Matematica, ove il Raziocinio si fa per
equazioni; giacché avviene lo stesso anche per le altre
scienze: equazioni, giudizi, proposizioni sono la mede¬
sima cosa. In ogni questione scientifica sono contenuti
implicitamente i dati, altrimenti essa sarebbe insolu¬
bile; il trovarli è separarli e distinguerli in una espres¬
sione in cui non si trovano che implicitamente; e per
sciogliere la questione bisogna tradurre l’espressione
in un’altra, nella quale tutti i dati si mostrano in
maniera esplicita e distinta (1). L’artificio del Razio¬
cinio è dunque lo stesso in tutte le scienze: come in
Matematica si stabilisce la questione traducendola in
néfla „iù * SCie " ze si ‘‘“lisce tradendola
è ann i, n^ MeSprmi °" e: 6 1“^» la questione
che uóatri C " e la 5ci °* lie »»n è altro
z '° ne vixz
“onTluro'ohe™! “riputo “Si^T 0 ” 6 S 6 " 0 ™ 1 *
Particolari, e non ci ° “ n ° SCenM
a—ce che
(•) Condillac — Loeiaun p»,.* tt
C2; Cond. _ Loo- P 8 '! tt o Cap - 8 ’
tt) yn - n > ca P- 8 -
{ó ) 0ona - — Art. do Denser pL» ,
resto riconosceva altrove che non =; f ’ Cap ' 6 ' 11 Coudillac del
della verità se non unendo in un J T f° gl ' essi nella ricerca
unendo in un solo metodo l’analisi e la sintesi.
— 45 —
Onde il Sillogismo, che è il grande strumento della
Sintesi, è perfettamente inutile, e seguire la Sillogistica
è far consistere il ragionamento nella forma del di¬
scorso più che nello sviluppo dellè idee (1). E nulla vi è
di più frivolo che questo metodo, perocché non importa
punto la forma del ragionamento: <c tout la force de la
démonstration est dans l’identité que la décornposition
des idées rend sensible (2) ».
Questa è in breve la teoria del Raziocinio esposta dal
Condillac in parte nella Logica, in parte nell 'Art de
'penser; la quale dottrina fu il punto di partenza dei
logici inglesi contemporanei, l’Hamilton, il Booles, il
De Morgan, Stanley Jevons; i quali non fecero in
sostanza che darle forma matematica.
Dopoché il Condillac aveva annientato il valore della
Sillogistica, Emanuele Kant la reintegrò ne’ suoi diritti,
difendendola nella Critica della ragion pura e nella
Logica. Da principio egli, come già il Wolf, aveva
tenuto in poco conto la teoria del Raziocinio, anzi
nel 1764 aveva pubblicato un opuscolo Sulla falsa
sottigliezza delle quattro figure: ma in seguito si
convertì alla dottrina del Leibniz, e dopo serio e ma¬
turo esame considerò la Logica di Aristotele come una
Scienza ormai compiuta ed acquistata allo spirito
umano. Cori l’Estetica aveva già chiarito la possibilità
della conoscenza matematica per via d intuizione pura,
con l’Analitica aveva sostenuto la possibilità della
conoscenza fisica; con la Dialettica infine affermò
(1) Il Condillac considerava una vana esercitazione da co -
legio tutta la sillogistica degli antichi filosofi (Log. r. ,
cap. 7. Nota.)
(2) Cond. - Opere, Voi. Vi, pag. 131.
— 46 —
l’impossibilità della, conoscenza metafisica, poiché non
si dà cognizione se non di ciò che è oggetto di
esperienza. Distinta poi la facoltà di pensale, o ra¬
gione da quella di conoscere, o intelletto, il filosofo
di Kònisberg sostenne che noi abbiamo realmente bi¬
sogno di raccogliere i nostri giudizi in Raziocini e di
ridurre questi a idee incondizionate, le quali non si
possono ridurre ad altre. I tre generi di Sillogismo
mettono capo a tre idee della ragione; i categorici
all’idea di un soggetto incondizionato, che è quello di
Anima; gli ipotetici all’idea di una causa incondizio¬
nata che è quella di Mondo; i disgiuntivi all'idea di
un tutto incondizionato, l’idea di Dio. Vi è differenza
tra ciò che viene conosciuto immediatamente e ciò
che si argomenta o conchiude; dovendo poi sempre
conchiudere, vi ci avvezziamo in modo che alla fine
non distinguiamo più la differenza sopra indicata, e
reputiamo come immediatamente percepita una cosa
che non abbiamo fatto se non inferire. Tre generi di
Sillogismi furono considerati dal Kant; i categorici,
gli ipotetici e i disgiuntivi (1). Il principio sul quale
riposano il valore e la possibilità di ogni Raziocinio
categorico fu da lui compendiato nel motto famoso
•« nota notae est nota rei ipsius, repugnans notae re-
pugnat rei ipsi (2) ». Tutte queste considerazioni pro¬
vano quale importanza attribuì al Raziocinio il Kant,
il quale nel suo alto sistema filosofico sostenne che la
Scienza è e dev’essere, ma ha bisogno di fondarsi sui
giudizi sintetici a priori, che come sintetici sono fe¬
condi e per essere a priori sono necessari.
(L) Kant — Critica della Ragion pura, Voi. IV, pag. 150-157
della traduzione di V. Mantovani.
(2; Kant — Melanges de logique, traci, da J. Tissot, pae. 56-03
e segg. 1 8
— 47 —
Non ci fermeremo più oltre sulla dottrina del filosofo
<11 Kònisberg; come non ci indugieremo sulla teoria
sillogistica del Lambert, nè sulle lettere dell’Euler (1),
perchè dovremmo discorrere di figure di modi e regole
variamente distinte ed esposte. Non possiamo però
tacere che l’Euler diede del Raziocinio l’esposizione
più compiuta e più chiara che mai si fosse fatta;
trattò di esso da vero geometra e matematico, e par¬
lando delle forze della natura fu condotto a studiare
le forze della causalità, che ciascun uomo ha nella
sua intelligenza, e ad esaminare e fare la teoria delle
leggi del ragionamento, sotto le quali questa forza si
produce. Nè possiamo infine passare sotto silenzio che,
più ancora di Emanuele Kant, l’Hegel sostenne l’im¬
portanza della Logica e del Raziocinio. Chè anzi egli
al pari dello Schelling e del Fichte disconobbe del
tutto i diritti ed il valore stragrande dell’esperienza,
e, come afferma giustamente Carlo Cantoni « pretendeva
di esser giunto ad una spiegazione assoluta del Reale,
ad una scienza o ad una filosofia assoluta, dalla cui
altezza egli guardava con dispregio le scienze speri¬
mentali, che seguendo l’esempio del Newton, non fa¬
cevano, secondo l’Hegel, nessun progresso; perchè
usavano senza senso e senza intendimento i concetti
che esse pure accettavano (2) ».
Poiché nostro intento nel compiere questa esposizione
storica è di fermarci a parlare solo di quei filosofi i quali
esposero nuove dottrine intorno alla Sillogistica, ve¬
niamo senz’altro ad esporre brevemente la riforma della
(1) Euler — Lettres à uue princesse d’Alemagne.
(2) C. Cantoni — Storia della Filosofia, pag. 400.
— 48 —
Logica formale tentata da alcuni filosofi inglesi della
prima metà del secolo XIX 0 , i quali pretesero di rin¬
novare e di rifare l’opera di Aristotele, riservandoci
di dire poscia in qual modo Stuart Mill ed Erberto
Spencer tentassero annientare il valore del Raziocinio.
I Logici inglesi della prima metà del secolo XIX° si
dividono in due scuole principali: quelli della Logica
reale e quelli della Logica formale; i seguaci della
prima Herschel, Wewell, Stuart Mill, Erberto Spencer
considerano la logica come la teoria dell’Induzione; i
propugnatori della logica formale l’Hamilton, il Booles,
il Morgan, Stanley Jevons la considerano come la
scienza delle leggi del pensiero. In una sola cosa
convengono tutti questi filosofi, nel condannare Ari¬
stotele: del resto poi il Mill e la sua scuola riducono
tutte le inferenze alla induttiva, considerando il Sil¬
logismo come un’Induzione sformata; l'Hamilton e i
suoi seguaci invece ammettono il valore della Dedu¬
zione, ma si propongono di sostituire ai metodi fram¬
mentari, come essi li considerano, dell’analitica antica,
un metodo compiuto e generale di Deduzione.
La teoria intorno aI[adeterminazione delle quantità
del_gredicato esposta dall’Hamilton è il punto di par¬
tenza della dottrina dei moderni riformatori, i quali,
come già avvertimmo, non fecero altro che dare forma
matematica alla teoria del Condillac, e con ciò pre¬
tesero di aver riparato alle lacune di Aristotele e di
aver semplificato le artificiosità della grande sua opera,
che attraverso a secoli e secoli aveva subito solo
leggere modificazioni, ed esercitato continnamente una
notevole efficacia sullo spirilo umano. Il Liard (1)
fL Liard — « Les logiciens anglais contemporains <> pag. 48.
— 49 —
osserva che non propriamente l’Hamilton ma un altro
filosofo, Giorgio Bentham (1827), riconobbe la necessità
di dare al predicato una quantità uguale a quella del
soggetto; perii primo però l’Hamilton riconobbe le con-
seguenze di tale principio e le sistemò definitivamente
(1). Emanuele Kant aveva fatto distinzione tra la
forma e la materia della conoscenza; il filosofo inglese
poi diede il nome di pensiero all’elemento formale,
considerò il pensiero come l’opera degli atti dell'in-
tendimento, pei quali noi elaboriamo i materiali for¬
nitici dalle facoltà rappresentative, quindi come con¬
fronto, analisi, sintesi di attributi, nozioni, giudizi, e
riguardò la Logica quale scienza delle leggi del pensiero.
Essa, secondo PHamilton, non considera le cose come
esistono in sé, ma solo le forme generali del pensiero,
sotto le quali la mente le conosce, è in sostanza
scienza puramente formale, non garantisce nè le pre¬
messe nè la conclusione, ma solo la conseguenza di
questa da quelle; e il Raziocinio è l’affermazione
esplicita della verità di una proposizione, nell’ipotesi
chealtre proposizioni, le quali la contengono, siano vere.
La Logica considera non gli atti, ma i prodotti del¬
l’intendimento, e le leggi fondamentali a cui essa è
sottomessa sono tre: di identità, di causalità e del
mezzo escluso, le quali non possono essere negate,
perchè altrimenti bisognerebbe negare anche la pos¬
sibilità del pensiero. Avendo la Logica per oggetto a
forma del pensiero, (proseguiamo nell’esposizione della
dottrina dell’Hàmilton, quale risulta dai Frammenti di
Filosofia tradotti dal Peisse) per compiere l’opera sua
deve poter esprimere totalmente il senso de e nozioni,
(1) Hamilton - Progments de philosophie, farad, par L. Peisse.
4
- 50 —
dei giudizi, dei ragionamenti che considera, deve poter
enunciare nel linguaggio tutto ciò che è contenuto
impiicitaniente nel pensiero. Da quanto si è detto
deriva l a teoria d eila quantità del predicato. Ogni
proposizione è composta di un soggetto e di un pre¬
dicato, uniti da una copula; noi pensiamo il soggetto
con una quantità determinata e dalla sua quantità
risulta quella della proposizione. Ma il predicato è
sempre pensato in maniera quantitativamente inde¬
terminata? Spesso si esprime senza unirgli un segno
preciso di quantità, come in quest’esempio: « tutti gli
uomini sono mortali », senza dire se si intende parlare
di tutti i mortali o solo di qualcuno. Vi sono però
casi in cui il linguaggio esprime la quantità anche
del predicalo, come in quesl’altro esempio: « nell’uomo
non vi ha di grande che lo spirito ». Potrebbe quindi
nascere il dubbio che vi fossero eccezioni nel pensiero,
come ve ne sono nel linguaggio: per risolvere tale
questione consideriamo l'atto dell'intendimento pel
quale uniamo un predicato ad un soggetto. Una no¬
zione è l’idea dell’insieme degli attributi generali per
cui una pluralità di obbietti individuali coincide; è un
tutto puramente ideale che lo spirito è costretto a
formare per classificare nel pensiero e separare nel
linguaggio gli obbietti vari della sua conoscenza.
Attribuire un predicato ad un soggetto è pensare
questo obbietto individuale in una nozione data: dire
per es. « l’uomo è animale », è porre la nozione
« uomo » sotto la nozione «animale». Ma per pensare un
concetto sotto un altro bisogna conoscere non solo
che l’uno è parte dell’altro, ma anche qual parte ne
e; onde il predicato è pensato sempre e necessaria-
1 mente con una quantità uguale a quella del soggetto.
— Si¬
li linguaggio che bada solo ad esprimere ciò che si
pensa, non come si pensa, non va tanto pel sottile,
ma la^ Logica deve enunciare tutto ciò che è implici¬
tamente contenuto nel pensiero ed assegnare ai pre¬
dicati di tutte le proposizioni una quantità determinata.
Venendo poi all'applicazione di questa teoria, se il
predicato è sempre implicitamente pensato e dev'essere
espresso come una quantità determinata, se questa
•quantità è uguale a quella del soggetto, se la propo¬
sizione è in ultima analisi un'equazione, ogni ragio¬
namento va da quantità uguale a quantità uguale,
ogni Sillogismo è in fondo una_serie di equazioni tra
‘■membri equivalenti. Non si deve più parlare di mag¬
giore, minore, termine medio ecc.; il tipo di ogni
ragionamento è: A = B; B = C; dunque A = C. Due sono
poi le specie di ragionamento, poiché, se assolutamente
•considerati tutto e parti sono identici, nell’ordine del
pensiero si può concepire prima il tutto per dividerlo
nelle sue parti, con una analisi mentale, o prima le
parti per riunirle in un tutto, con una sintesi mentale:
si ha così un ragionamento deduttivo ed uno induttivo.
L’Induzione riposa sul principio che ciò che appartiene
■alle parti appartiene al tutto, ed ogni ragionamento
induttivo si può mettere in forma sillogistica A è B,
X, Y, Z è A ; dunque X, Y, Z è B; la differenza del
Sillogismo ordinario è che nella forma suesposta 1 uno
dei termini della conclusione in luogo di essere un
tutto è una enumerazione di parti: la quale devessere
■compiuta nell’Induzione formale, mentre nella reale.
■non può mai essere (1).
Ragionare non è dunque, per concludere, ar rie
~(i; Liard - Op. Cit., pag. 60-G9 ed Hamilton, op. cit.
— 52 —
trare una nozione in un’altra, ma sostituire in pro¬
posizioni date nozioni equivalenti a nozioni equivalenti;
onde tutti i Raziocini riposano sul principio della
sostituzione dei simili, in virtù del quale in ogni pro¬
posizione una nozione può essere sostituita da un’altra
equivalente; il ragionamento è, in altri termini, un
atto di confronto o di giudizio mediato, perchè ragio¬
nare è riconoscere che due nozioni sono tra di loro
nella relazione di tutto e di parte, ed hanno lo stesso
rapporto con una terza.
Questa è la teoria con la quale l’Hamilton pretese
di aver riempito le lacune del sistema aristotelico, e
di averlo nel tempo stesso semplificato e liberato da
tutte le regole imbarazzanti ed inutili. Non ci sembra
però che il filosofo inglese abbia per questo riguardo
così bene meritato della logica formale; e quantunque
la critica mossagli da Stuart Mill non sia, a nostro
avviso, in tutto fondata, nè priva di esagerazioni, cre¬
diamo tuttavia che egli non vada molto lungi dal vero
quando afferma che le nuove forme introdotte nella
Sillogistica non offrono maggior vantaggio delle antiche;
chè anzi vi hanno introdotto ' nuove e serie compli¬
cazioni. « Le nuove forme, dice Stuart Mill, noni
offrono praticamente alcun vantaggio; v’è poco merito
ad averle inventate, e poco vantaggio a servirsene, al
meno che noi le vogliamo riguardare come un eser¬
cizio di ginnastica mentale, utile a rafforzare le facoltà
intellettuali degli scolari (l) ». - /l
I filosofi inglesi seguaci deirHamilton si sforzarono
(1) Stuart Mill - La philosophie de Hamilton (trad. par E. Ca¬
ttive 8 ’ 493 ‘ ? fr ' anChe Bain * Lo o‘ c l ue deductive ed indu-
ct.ve » trad. par G. Compayré, Voi. I. pag. 129-181 e pag.269-2G6.
— 53 —
sempre più di rinnovare la vecchia Logica, allargando
la base della Logica deduttiva, e dando della Dedu¬
zione una teoria generale, che abbracciasse tutti i casi
ai quali questo metodo è applicabile. E se noi voles¬
simo parlare convenientemente del De Morgan, del
Booles, di Stanley Jevons, dovremmo estenderci troppo
a lungo, e usciremmo dai modesti confini che sin dal
principio abbiamo proposti, al nostro studio. Onde ci
limiteremo ad accennare brevissimamente come ognuno
■dei tre filosofi nominati svolgesse le idee dell’Hamilton,
rimandando chi fosse desideroso di vedere trattata con
ampiezza e profondità questa materia agli scritti magi¬
strali del Bain e del Liard (1).
Il Morgan, al pari dell’Hamilton, considerò la Logica
come una scienza puramente formale, che nulla ha a
vedere con la materia della conoscenza e solo studia
le leggi di azione del pensiero, e non tratta se non
delle cose in relazione col pensiero e di questo in
relazione con quelle. Vi ha per lui- inferenza quando
le due premesse sono universali, o quando, una sola
essendo particolare, il termine m e d i o _ h a _qu<m lijjL
differente nelle due premesse. Il suo sistema pero
nell’insieme, come osservai! Liard, pieno di distinzioni
e di suddivisioni, non lascia allo spirito quell impres
sione di vera unità e di semplicità propria delle opere
definitive (2). .
Il Booles, autore di un sistema che è una vera ana is
matematica della Logica formale, oss ervò che _ og n ym
ferenza è tratta o da una o da due proposizioni,
(i; Bain — Op. cit., pag. 266-300 e
(De Morgan;; pag. 99-146 (Booles;; pag.
(2) Liard — Op. cit., pag. 96-97.
Liard, op. cit., pag. 71-97
L47-177 (Stanley Jevons).
mr< cw
— 54 —
quest’ultimo caso dicesi Sillogismo. Aristotele non si'
domandò mai quali fossero le relazioni logiche possi¬
bili fra tutti i termini, nè quali conclusioni sarebbero-
risultate da un sistema di più che due premesse. L'o¬
perazione deduttiva è in fondo pel Booles l’elimina¬
zione di un termine medio in un sistema di tre ter¬
mini. Onde generalizzato il problema lo pone in questo-
modo: « Dato un sistema di un numero qualunque di
termini, se ne eliminino quanti si vuole, e si deter¬
minino tutte le relazioni implicate dalle premesse fra
gli elementi che si vogliono ritenere ». In tale modo
il Raziocinio diventa un caso speciale della Logica.
Senonchè per risolvere il problema secondo il Booles,
non è d’aiuto l’Analitica antica, ma occorre un pro¬
cedimento analogo a quello dei matematici, e bisogna
fare della Logica generale un calcolo; analizzare le
operazioni dello spirito, occupato nella costituzione
delle nozioni generali, delle proposizioni e dei ragio¬
namenti deduttivi, esprimerle in linguaggio simbolico-
e dedurre la proprietà di questi simboli dalle leggi
della loro combinazione.
Stanley Jevons infine, accettò il principio, non ir
metodo del Booles. Secondo la sua dottrina ogni ra¬
gionamento formale è deduttivo o induttivo; Implica
proposizioni, e queste alla lor volta implicano termini,
che sono o positivi o negativi. Ognijproposizione è, in
fondo, . un id en ti tà ne segue che il ragionamento è
un processo da rapporti conosciuti ad altri sconosciuti,
consiste nel sostituire in una proposizione od in un
ZT t propos,irioni Identico all’identico, l'equi-
“ simile * ««ita- L’Analitica
EaUfl'lasione. ed .esclusione; la
° ° erale inve ce procede per sostituzione, perchè
— DO —
in un insieme noi possiamo benissimo sostituire una
parte con un'altra equivalente o simile. Onde l'unico
principio del ragionamento in generale è, clic ciò c he
è vero di una cosa o circostanza è vero di ogni altra.
cQsa o circostanza identica od equivalente; e l’unico
procedimento del ragionamento è la sostituzione dei
simili, la quale presuppone le leggi di identità, di
contraddizione e del mezzo escluso.
Contro la schiera degli esaltatori della Logica formale
sorse l’altra scuola della Logica reale, che ebbe per
suoi principali rappresentanti l’Herschell, il Mill, il
Bain e lo Spencer. « La Logica induttiva, osserva il
Liard nell’opera già da noi più volte citata (1), non
ha in sè nulla d’incompatibile con resistenza di una
Logica formale: si potranno stabilire le regole della
ricerca e della prova sperimentale senza negare pei
ciò la legittimità delle deduzioni sillogistiche ». Questo
fu pure sotto un certo rispetto il parere deH’Herschell,
il quale si era formato della scienza un concetto simile
a quello di Bacone da Verulamio. La conoscenza che
noi possiamo avere della natura, egli disse, ci proviene
dall’Esperienza, la quale però non ci scopre le cause
intime e profonde dei fenomeni: noi non conosciamo
altro che i fatti; primo stadio di scoperta è 1 osserva-
zione: poi lo spirito, facendo rientrare i rappor 1 sco
perti in altri sempre più vasti, passa a cognizioni
sempre più generali; l'importante è discernere ne
fatti osservati le circostanze essenziali dahe acciden¬
tali, le invariabili ed uniformi dalle varia 1 1 e
seggere. Egli pur affermando essere « 1 esperienza la
grande e sola sorgente ultima della nostra conoscenza
(i; Liard — Op. cit., pag. 23.
— 56 —
della Natura e delle sue leggi (1) », sosteneva aper¬
tamente che si richiede continuo l’uso dei due metodi,
l’induttivo e il deduttivo, perocché quello scopre ,le
leggi, questo le verifica rigorosamente e ne vede le
ultime conseguenze (2).
Stuart Mill ed Herbert Spencer non stettero in questi
limiti; e dalle loro dottrine su l’origine e la genesi
delle conoscenze furono condotti a dare alla Logica
induttiva un dominio troppo esteso. I Razionalisti e
gli Empirici avevano contestato l’utilità del Raziocinio;
l'Hamilton e gli altri riformatori avevano ammesso la
possibilità di concludere dal generale al particolare;
solo gii Scettici dell’antichità avevano negato ogni
valore al Sillogismo, sostenendo che esso riposa in
una petizione di principio, ed avevano detto che la
verità delle premesse non può garantire quella della
conclusione (3). Colui che nei tempi moderni giunse
alle stesse conclusioni degli Scettici fu Stuart Mill,
che sviluppò anche maggiormente la teoria di Sesto
Empirico, e fu seguito nell’opera sua di demolizione
e, se era possibile, anche superato dallo Spencer.
Andare dal noto all’ignoto, disse Stuart Mill, é ragionare
ta ® l0namen *' 0 * n senso più largo è sinonimo
d inferenza: questa poi non si distingue in induttiva
o deduttiva, poiché ì’una e l’altra sono derivate da
n modo primitivo di inferenza, quello dal particolare
InlT ■ ° gni Sillo S ism ° PO' vi è una peti-
0110 dl p nilcl P' 0 ' quando io dico per esempio:
««di» della filosofi.
% " ~ 0p - cit ' Pai - II. cap. 6.
Em P u ' IC0 - Ipot. Pirron., II 195
W Stuart Mill _ Sistema di ìogica, Voi I
— 57 —
« Tutti gli uomini sono mortali; Socrate è uomo, So¬
crate dunque è mortale », la proposizione « Socrate
è mortale » é presupposta già nell'altra più generale
« Tutti gli uomini sono mortali »; noi non possiamo
essere certi della mortalità degli uomini, se già non
siamo certi di quella di ciascun individuo. Al Raziocinio
non resta perciò a provar nulla, e il ragionamento dal
generale al particolare non prova niente, perchè da
un principio generale non si possono inferire altri fatti
particolari, all’infuori di quelli che il principio stesso
■presuppone già conosciuti. La generalizzazione è un
procedimento di inferenza, per cui si è autorizzati a
credere che ciò che si è trovato vero in casi partico¬
lari è vero pure in tutti i casi simili, presenti, passati
e futuri, onde possiamo concludere solo dal particolare
al particolare (1). .
Le proposizioni generali sono semplici registri in¬
ferenze già effettuate e di certe formole per farne
altre: la premessa maggiore è una furinola di questo
genere e la conclusione è un’inferenza non dei nata
da questa formola, ma fatta conforme ad essa, ante
cedente logico essendo la premessa maggiore, cos 1
tuita da fatti particolari, dai quali si è formata a
proposizione generale per induzione. Il Raziocinio
tutt’ al più una garanzia indispensabile pei accer
della stessa generalizzazione: quando si possiece
collezione di fatti particolari, bastante pei on ar
Induzione, si può concludere subito a que
particolari ad altri. Il valore del carne e do le
regole della sua applicazione non consis e
che ad esse si deve informare ogn. nostro rag.ona
Voi. I, Lib. 1, cap. B.
(1) Stuart Mill - Sistema ai Logica,
— 58 —
mento, ma in ciò, che dette regole ci danno il modo
di espressione in cui un ragionamento può essere
posto, e mettono a nudo i difetti di conseguenza,
quando in esso ve ne siano. L’ufficio del Sillogismo è
dunque di verificazione di un dato argomento; il suo
uso è in sostanza quello delle proposizioni generali:
si può benissimo ragionare senza di esse, e ciò si fa
abitualmente; ma alcune menti, alle quali manca il
prezioso aiuto dell'esperienza, si trovano, senza l’aiuto
delle proposizioni generali, disarmate di fronte ad
ogni caso, per poco complicato che sia.
Press a poco alle stesse conclusioni del Miti giunse
Alessandro Baiti, filosofo originale e profondo che
diede alla Logica deduttiva la stessa importanza che
alla induttiva, e nella sua opera principale tentò la
conciliazione tra Bacone e Aristotele.
La Deduzione, secondo il Bain, ha una grande im¬
portanza ed un valore speciale; ma in sostanza non è
che una Induzione sformata e simulata. L’assioma del
Raziocinio è come lutti gli altri un’inferenza induttiva,
ondata sull esperienza, garantita dalla credenza nel-
umfbrmuà della natura, alla quale noi siamo tratti
.ÌTrT . U maggiore di Sillogismo deve
zione chi 1 3 ,n dUe Parti: in .P ri mo luogo l’afferma-
in seconrin ^ espnme Sbraccia tutti i casi osservati,
i casi simili T g ° qU<3Sta afferraazi one si porta su tutti
conato ni nTi^T OSServati - L’inferenza induttiva
somiglianza a * P artlcolar e al particolare; la
e noi° rinnovi! S ? In ciascuna di queste inferenze,
stessa soml .n ■ ragIOnamento ogni volta che la
in Z 01 COlpÌSCe< N0Ì allora determiniamo
autorizzano^ dedurre^dTcIsi ^ S ° miglianze che ci
a casi passati a casi futuri ;
— 59 —
questa proposizione diventa la maggiore del Sillogismo;,
la quale, in fondo, non è che un’affermazione relativa
a più casi constatati, ma che nel tempo stesso pei
caratteri generali e per le somiglianze da essa indi¬
cate può applicarsi a tutti i casi in cui noi ricono¬
sciamo successivamente questi caratteri di somiglianza;,
la minore poi deve constatare se un caso speciale
possiede questi caratteri, e rendere possibile una
nuova applicazione della maggiore. L’inferenza de¬
duttiva è un metodo di interpretazione; ed il servigio
principale che essa rende è di analizzare le parti
differenti di una serie di ragionamenti, giacché « il ragio¬
namento è molto più chiaro quando il principio generale
è stabilito in primo luogo, i casi particolari sono indi¬
cati immediatamente dopo, e la conclusione dedotta (1) ».
L’ultimo insigne propugnatore della Logica og¬
gettiva fu Erberto Spencer, il quale, partito dagli
stessi principi di Stuart Mil 1 e di Alessandro Bain,.
andò più oltre di loro annientando del tutto il valore
del Raziocinio. Ed ecco in breve come egli procede
nella sua opera demolitrice. La Logica, secondo 1 au¬
tore dei Primi Principi, esprime la dipendenza ne--
cessaria tra le cose e non tra i pensieri, non è
quindi una scienza delle leggi del pensiero stesso, e
la Sillogistica in conseguenza non ha valore alcuno.
Ogni inferenza è essenzialmente induttiva, e non po
trebbe essere altrimenti, dal momento che la Logica
ha per obbietto le cose considerate obiettivamente. Al
ragionamento dal particolare al particolare si pu ri
durre ogni altro, ed il Raziocinio non è per nu a a
flj Bain — Logica deduttiva e induttiva, Voi. I,
(P«g. 810 della trai di 8. Compajré), e lib. I, oap. 14 Cp.g «W
— 60 —
forma vera del ragionamento, perchè, (ed in ciò lo
Spencer segue il Mill) quando ad esempio si dice:
« Tutti gli uomini sono mortali; Tizio è uomo, dunque
è mortale » uno degli elementi della conclusione ha
suggerito un elemento della premessa maggiore. Nel
ragionamento poi che va dal particolare al particolare
i rapporti che servono di premessa e di conclusione
sono singolari: l'atto mentale è una intuizione della
somiglianza o della differenza d'un rapporto da un
altro. Il fanciullo il quale si è bruciato una mano e
che, avendo provato una volta il legame dell’impres¬
sione visuale del fuoco con la sensazione dolorosa
della scottatura, messa la mano presso il fuoco, la
ritira, vede mentalmente un rapporto tra il fuoco ed
una bruciatura, simile in tutto a quello visto prece¬
dentemente, e pensa che il rapporto futuro sarà una
ripetizione di quello del passato; presume quindi che
essi sono simili. In tale ragionamento la premessa è
un rapporto, e così pure l’inferenza;, moltiplicandosi
le esperienze, l'atto del pensiero per cui è attesa la
conclusione dove sempre in fondo restar simile. Il
Raziocinio è dunque una proposizione fondata sulle
somiglianze, e la probabilità della conclusione è più
o meno forte secondo il grado di somiglianza dei
rapporti paragonati. Per es. scrive lo Spencer, quando
si dice: « tutti gli animali dallo corna sono ruminanti;
quest animale ha le corna, dunque è ruminante, »
l'atto mentale è una conoscenza di questo fatto, che
il rapporto tra certi attributi particolari in questo ani¬
male è simile al rapporto tra certi attributi simili
in altri animali. Tale proposizione si può espri¬
mere così:
— 61 —
Gli attributi costituenti \ / Gli attributi costituenti
un animale dalle corna Al ia quest’anim. dalle corna
coesistono con : coesistono con
gli attributi costituenti \ J gli attributi costituenti
un animale ruminante B J I b quest’anim. rumiti. (1)
Il Sillogismo delle scuole poi non esplica tutti i
fatti perchè non considera le affermazioni elementari
che noi inferiamo senza alcun termine medio, e le
conclusioni che deduciamo da un sistema di vari rap¬
porti (2). Di più se il ragionamento si deve portare
sulle cose e non sulle idee, il Raziocinio pecca per un
vizio di forma, comprendendo non già tre, aia quattro
termini. Poiché in fatti, se esaminiamo per es. il
•Sillogismo: « Tutti gli uomini sono mortali; Socrate è
uomo; Socrate dunque è mortale », vi scorgiamo quattro
termini: 1° l’insieme di attributi che caratterizza la
classe <c uomo »; 2° l’attributo « mortale» affermato
nella maggiore e come accompagnante sempre questa
serie di attributi ; 3° la serie degli attributi presentata
per l’individuo « So.c_rate », simile, non la stessa della
precedente; 4° l’attributo particolare « mortale »,che
si riferisce come accompagnante questa serie essen¬
zialmente simile di attributi. Onde se gli elementi del
Sillogismo sono quattro: l’assioma « due c ose che coe¬
sistono con una terza cosa coesistono fra loto », non
comprendendo se non tre obbietti, non può rapptesen
taro l’atto mentale che coordina gli elementi del Ra¬
ziocinio. Così lo Spencer venne a negare in mo o
reciso ogni valore al Sillogismo, che disse essere un
(1) Spencer - Principi di Psicologia, Voi. II, cap. S, pag. 69 e
se gg. della traduz. di Ribot ed Espinas. vr VTTT
(2) Spencer — Principi di Psicologia, Voi. II, cap. V -
— 62 —
ragionamento per analogia, una proporzione fondata
sulla similitudine (1). Non possiamo però trattenerci
dal l’osservare che i quattro termini da lui presi in
esame in realtà non esistono. Perocché se gli attributi
riferentisi all’uomo sono più, come per es. « mortale,
intelligente, libero ecc., » secondo il criterio dello
Spencer i termini sarebbero non soltanto quattro, ma
cinque, sei, sette ecc., quanti sono tali attributi. Onde
noi crediamo ancora, nonostante l'affermazione del
filosofo inglese, che in ogni Sillogismo i termini non
sono più di tre e che nell’esempio surriferito « mortale »
rappresenti il termine maggiore, « Socrate » il minore,
« uomo » il medio.
Ecco in qual modo in Inghilterra le due scuole della
Logica formale e della reale si sforzarono l’una di
rinnovare e perfezionare la Sillogistica, l’altra di ab¬
batterla, per instaurare sulle sue rovine il regno della
Filosofìa positiva. In Francia il Destutt deTracy, uno dei
più illustri rappresentanti del sensismo francese, segue
intorno al Raziocinio le dottrine del suo connazionale,
il Condillac. Il Tracy, che affermava esplicitamente
noi non esistere se non per le nostre sensazioni cosi
•esterne come interne, sostenne che il Condillac aveva
avuto tra gli altri il merito grandissimo di aver fatto
giustizia sommaria di tutte le regole e di tutti i prò-
cedimenti della Logica antica (2).
In Italia i più insigni pensatori portarono tutti
•contributo di idee originali alla teoria Sillogistica, e
se Maurizio Bufalini, e pochi altri negarono al Razio-
(1) Spencer - Princ. di Psic., Voi. II, cap. Vili.
^ esfcutt tl0 ^ rac y — Principes Logiques pag. 68 e seg. e
— 63 —
cinio ogni valore nella scoperta della verità, il Galluppi,
il Rosmini, il Gioberti, il Mamiani ripresero e svolsero
lo teorie del Leibniz, del Kant, dell’Euler, rimettendo
■nel dovuto onore una delle più grandi creazioni del
pensiero antico. Di essi vogliamo parlare ora breve¬
mente per quel che si riferisce al nostro argomento.
La dottrina filosofica di Pasquale Galluppi si può
riassumere, come osserva il Fiorentino, in questa breve
formola: « la conoscenza consiste nella sintesi dello spi¬
rito espressa nel rapporto: i rapporti pel Galluppi non
sono dati dall’esperienza, ma posti dalla nostra attività;
dunque la conoscenza, se dalla sensualità attinge i
termini, dall’attività sintetica ritrae la forma del rap¬
porto (1) ». Da questi postulati deriva come conse¬
guenza che non si debba, neanche per un istante,
mettere in dubbio il valore del Raziocinio. Esso infatti,
pel Galluppi, è utile in primo luogo perchè serve a
far distinguere le proprietà specifiche dalle individuali;
giova cioè a legare e subordinare le nostre conoscenze.
Nè questo è tutto, chè il Sillogismo face ndo vede reJL
r app orto fra tre giudizi conduce lo spirito ad alcune
conoscenze che senza di esso non si potr e bbero ottenere
(2). I principi sui quali è fondato il Raziocinio allorché
classifica sono i seguenti: A chi conviene la definizione
conviene il definito ; a chi conviene il definito con¬
tiene la definizione; a chi non conviene la definizione
non conviene il definito; a chi non conviene il defi¬
nito non conviene la definizione. Quando poi ci con
duce a nuove conoscenze è fondato su questi a tri
Principi: A chi conviene il genere, conviene tutto ciò
(t) Fiorentino — Storia della Filosofia, pag. Cll.
(2; Galluppi — Elementi di Filosofia, Voi. I, P a S- b ■
— 64 —
che si attribuisce al genere: a chi conviene la specie,
conviene tutto ciò che si attribuisce alla specie; lutto
ciò che si nega di tutto il genere e di tutta la specie,
si deve negare di tutte le specie comprese sotto il
genere e di tutti gli individui compresi sotto la specie (1).
E come il Raziocinio puro è istruttivo in quanto
rende evidente una proposizione che per se stessa
non è (2), così il Raziocinio misto è di grande utilità,
perchè serve a classificare i fatti della natura, ed a
farci conoscere fra questi alcuni rapporti che abbiamo
conosciuto esistere fra le idee generali, le quali com¬
prendono le idee particolari di questi fatti; ecl anche
perchè da alcuni fatti presenti attualmente ai sensi
ed alla memoria si conduce a concluderne altri non
presenti attualmente.
Queste le idee del Galluppi, il quale sostenne che
la Logica usci dalle mani di Aristotele, per questo
rispetto, perfetta, e gli sforzi di coloro che vollero
cambiarla non approdarono ad altro che a portar
confusione ed incertezza, ove era ordine e verità (3).
Onde pel filosofo di Tropea è grave errore il ne¬
ri) Galluppi — Elementi di Filosofìa, Voi. I, pag. 74.
(2) « So lo spirito, dice il Galluppi, non avesse la facoltà di
paiagonarc le sue idea e di percepire la relazione di identità
tia di esse, la scienza umana non potrebbe aver esistenza. Lo
spirito percependo immediatamente l’identità fra alcune sue
idee forma gli assiomi, e per mezzo degli assiomi formando i
raziocini, scopro mediatamente l’identità fra alcune altre sue
idee. » Elem. di Filosofia, Voi. I, pag. 71.
(3) Galluppi - Op. cit., Voi. II, pag. 168, o Voi. II, pag. 16»
nota. Ctr. anche del Galluppi le « Lezioni di Logica o Meta¬
fisica », Voi. I, cap. XXXIV-XXXVI, pag. 240 e seg.
- —
— 65 —
gare agli antichi un granile merito nelle cose di puro
raziocinio, che se ai nostri giorni sono più chiare
le dimostrazioni, le più belle teorie sono nei libri degli
antichi, i quali, per dirla con Lattanzio « temporibus
antecesserunt, sapientia quoque antecesserunt. »
Secondo Maurizio Bufalini, per contrario, il Razio¬
cinio non discopre alcuna uuova cognizione perchè
'« la conclusione, che si crede enunciare una tale co¬
gnizione, non ripete per riguardo ad un particolare
subietto, che quella medesima inchiusa nella premessa
maggiore, relativamente a tutti i subietti dello stesso
genere (1). » Nelle Istituzioni di Patologia l’illustre
scienziato si lece a- considerare se gli assiomi apodit¬
tici trovati per azione pura soggettiva del pensiero,
ed usati nella ricerca sperimentale si rendono fonte
di verità, le quali non si sarebbero rinvenute senza
il loro soccorso; egli non credette che tali verità
schiudano alla mente « la cognizione delle singole
esistenze e delle loro relazioni » (2), e recò a prove
del suo asserto: 1“ il fatto che le scienze non acqui¬
starono mai per assiomi apodittici le più grandi veiit ’
onde furono povere e superstiziose finché le gui o a
filosofia speculativa; 2° l’altro fatto che la filoso a
sperimentale, all’incontro, fece fare alle scienze ra P' !
e meravigliosi progressi. Del resto le vent e 6 fi
può arricchirsi la mente sono pel Bufalini o apo
tiche e necessarie, o sperimentali e con w 0 en i ,
prime non possono originare altre nuove co D ’
e sono olili solo « per ciò che prestar possono talora
un mezzo a stabilire i confronti necessari <=
(1) Bufalini — Quesiti sul metodo scientifico, proemio.
(2) Bufalini - Istituzioni di Patologia pag. »>.
— 66 —
sperimentali; le seconde sono comprensive di tutto
ciò che del creato può venire a cognizione del¬
l’uomo » (1).
Seguace del Galluppi fu invece, per quel che si rife- (
risce al Raziocinio, il Rosmini, il quale come già nel
Nuovo Saggio erasi proposto il problema della
conoscenza, ricercando il punto ove sensibililà ed in¬
telletto si congiungono insieme per produrla, così nella
Logica combattè Francesco Bacone perchè aveva
preteso che solo con l’Induzione si riuscisse a scoprire
le verità, contrapponendola al Sillogismo, relegato fra
gli istrumenti vani ed inutili.
Il Raziocinio, pel filosofo di Rovereto « dimostra la
precedenza della verità ueH’uomo a lutti i trovaraenti
particolari del pensiero. » Esso ha valore sia nel
campo teorico sia nel pratico (2): perocché pel primo
riguardo bisogna considerare: 1° che solo l’uomo eser¬
citato nelle inferenze si mantiene coerente nei ragio¬
namenti; 2° che il ragionamento acquista con l’illa¬
zione precisione e chiarezza; 3° che una dottrina non
è ridotta in forma di scienza se non quando essa è
ridotta ad un principio del quale tutto ciò che essa
contiene sia una serie di conseguenze le une derivate
dafie altre; 4° che l’inferire le conseguenze da prin¬
cipi conduce alla scoperta di nuove verità; 5° che le
inferenze scoprono nuovi veri non solo nella dialettica
e nella metafisica, ma anche nella fisica. Nel campo
1; Bufalini -Quesiti sul metodo scientifico. Proemio.
Rosi; “T ~ L ° SÌCa N ’ 1002 - °P-> Vo1 - IV. - Secondo il
affermai 30 certo ^P^to aveva ragione l’Euler quando
Sillogismo V 6 *-° gni ve “ til dev e essere la conclusione di un
Uogismo, le cui premesse siano indubitabili. »
-- -— •-
— 67 —
pratico poi il Raziocinio è di somma importanza: —
1 ° perchè l’uomo il quale mostra coerenza nei
pensieri e nei ragionamenti suole essere coerente in
atte le sue azioni; 2° perchè anche negli uffici pri¬
vati e pubblici il più efficace principio è quello della
coerenza, laddove l'incocrenza rende deboli i governi
stessi, e guasta l'esito di ogni grande impresa.
Di queste dottrine si fecero sostenitori anche il
Mamiani, il quale affermò apertamente che il pensiero
se non fosse aiutato'dal Raziocinio non potrebbe in
molti casi farsi strada à scoprire attinenze recondite
piene di grande dottrina (1); e Vincenzo Gioberti che,
dopo aver sostenuto il progresso discorsivo essere il
successivo conoscimento che l'uomo ha dell’atto crea¬
tivo e del progresso cosmico (2), nella Teoria del
Sovranaturale scriveva: « Il progresso che la causa
efficiente fa dal principio sino alla fine nello svolgi¬
mento successivo della creazione, corrisponde al pro¬
cesso intellettuale che fa la mente dai primi principi
sino alle ultime conseguenze nella esplicazione suc¬
cessiva della scienza, e che si Chiama discorso. Per
tal guisa il ragionamento dell’uòmo è parallelo ed
analogo col processo della natura, e là logica, ossia
la sillogistica, si riscontra nella cosmologia (3) ».
(i; Il Mamiani afferma cbe l’elemento estrinseco del ragionare
importa assai più di quanto si creda ai giorni nostri, onde'
ammonisce che non si deve distruggere l’opera della Scolastica,,
ma ravvivarla con più largo spirito filosofico. (Del Rinnova-,
mento della filosofia antica italiana. — Cap. XIII, pag. 110).
(2) Gioberti — Introduzione allo Studio della Filosofia, Voi. Il,'
pag. 243-241.
(8) Gioberti — Teorica del Sovranaturale. N. XLIV, Voi. II,
pag. 366.
— 68 —
Compiuta così rapidamente l'esposizione delle dottrine
dei filosofi intorno al valore del Raziocinio, ci rimane
a farne una critica equa e severa, per poter poi m
fine dedurre un giudizio che non pecchi di esagera¬
zione. Poiché la logica posteriore ad Aristotele non
fu, per dirla con un acuto critico francese, che un - « eco
dei filosofi o un’opposizione impotente contro teorio
che si appoggiano sulla verità (1) ». E quel che ò
più, esagerarono i filosofi dell’una e dell altra specie;,
gli uni rendendo la Logica aristotelica un vuoto for¬
malismo e sostenendo il valore del Raziocinio là ove
non dovevano; gli altri combattendolo anche in ciò-
in cui non era impugnabile. Ed in vero, come vedemmo,
nel secolo XVI cominciò contro la Sillogistica di Ari¬
stotele un'opposizione fierissima, la quale credette di
abbattere, ma non riuscì che a far vieppiù risplendere
la gloria di quell’opera immortale. Tale movimento
contrario allo Stagirita cominciò col Ramo in Francia,
e per mezzo di Bacone e Cartesio continuò fino al
Locke, spirito profondo, il quale seppe per un istante
far disprezzare l’opera che per circa venti secoli aveva
istruito lo spirito umano; finché col Coudillac parve
che tutta l'ammirazione per Aristotele fosse svanita
affatto, nè si ricordassero i principi e la storia del -
l'Analitica antica, nè più si distinguesse la pura e
genuina dottrina dello Stagirita dai travestimenti che
l'età di mezzo le aveva imposti. Fu vanto del Leibniz
1 aver proclamato che Aristotele non era irreconcilia¬
bile con lo spirito moderno, e l’avere sostenuta la
importanza innegabile del Sillogismo, che egli chiamò
una delle più belle invenzioni dello spirito umano.
(1) Saint-Hilaire — De la logique d’Aristote, Voi, II, pag. 122.
— 69 —
La reazione del Leibniz fu continuata dal Kant,
•dall’Euler, dal Lambert, seguendo la sentenza del
sommo filosofo di Kónisberg, che alla Logica quale
•era stata fissata da Aristotele nulla v ! era da aggiun¬
gere. Al principio del secolo XIX' poi contro il
Alili, il Bain, lo Spencer, i quali nel giudicare il Sil¬
logismo avevano ripreso le antiche teorie degli Scettici,
insorsero nella stessa Inghilterra 1’Hamilton, il Mor-
-san, il Booles, benché cercassero a torto di semplifi-
care un’opera che non ne aveva bisogno, e riuscissero
invece ad imbrogliarla e ad ottenebrarla, e, molto
meglio, in Italia l’utilità del Raziocinio fu sostenuta
dai più grandi pensatori, dal Galluppi al Rosmini, dal
Gioberti al Mamiani. Ed a ragione; poiché la Logica
antica non è falsa, bisogna saperla applicar bene:
come avvertiva il nostro grande Galilei; e la scoperta
del Sillogismo, vanamente contestata, porta in se stessa
■qualche cosa di prodigioso, come osserva il Saint-Hi-
•laire (1). « Rien ne la revèle avant Aristote, scrisse il
grande critico francese, après lui rien ne la peut
■renverser. Une école de plnlosophie a tentò inutilement
aprés dixhuit siécles, d’en nier la vórité et la valeun
■ses efforts impuissants n’out pu prévaloir ; 1 esprit
philosophique, à l’heure qu ’il est. vit de nouveau
•de la foi aristotélique, et il croit, d’après elle, à des
principos genéraux et indemontrables dans l’intelli-
gence, sources de la démonstration et du syllogisme. »
(1,) Saint-Hilaire — De la logique cl’Aristote, 1 ol. II, pag.118.
— 70 —
CAPITOLO III.
Critica delle obiezioni mosse
eontro il valore del Raziocinio.
Le obiezioni mosse da alcuni filosofi contro il ge¬
nuino valore del Raziocinio possono dividersi in due
categorie: le prime riguardano il Sillogismo come
forma tipica' di ogni argomentare deduttivo, le seconde
lo riguardano come fondamento dcirinduzione: delle
une e delle altre dobbiamo fare una critica breve, ma
più che sarà possibile esatta; e cominciamo senz’altro
dalle obiezioni della prima specie.
La legge principale del Raziocinio è che la mag¬
giore contenga la conclusione: da essa trae la sua
forza il Sillogismo, ad essa si riducono le altre otto
regole riferentisi ai termini ed alle proposizioni. Eb¬
bene, Stuart Mill, Erberto Spencer e tutti gli altri
Logici inglesi della loro scuola affermano che appunto
per essere la conclusione contenuta nelle premesse il
Raziocinio è del tutto inutile. Bisogna però intendersi
intorno al significato da darsi alle parole « contenuto
nelle premesse ». Con tale espressione intendiamo di
dire che la conclusione è contenuta « implicitamente »
nella maggiore, perchè se vi fosse contenuta « espli¬
citamente » la maggiore sarebbe particolare e non
più universale. Ma è regola del Sillogismo che nulla
si può concludere da due premesse particolari. La
conclusione è adunque nota in virtù del Raziocinio
che rende esplicita la notizia prima implicita, o per
— 71 —
lo meno, nei casi in cui la conclusione fosse già nota
prima come fatto, eleva la notizia al grado di scienza.
In realtà l’illazione non ha servito a formare le pre¬
messe, e non è vero che una proposizione generale si
possa applicare solo ai casi nei quali è stata verificata;
l’esperienza stessa contraddice l'affermazione, giacché
quando affermo: « Tutti gli uomini sono mortali, Caio
è uomo, Caio dunque è mortale », il caso di Caio
ancora vivente non ha potuto servire a formare la
premessa generale. Talora il Sillogismo anche di sus¬
sunzione può essere ben più diffìcile, potendo essere
difficilissimo vedere se un soggetto si riporta o no
ad una classe avente una determinata proprietà, o la
ragione per la quale un soggetto ha o non ha una
proprietà qualunque. Naturalmente la conclusione de¬
v’essere contenuta nelle premesse, e il- Raziocinio è
precisamente l’operazione del pensiero necessaria per
dare forma logica dimostrativa alla contenenza della
illazione nelle premesse. Del resto la maggiore non
ha una universalità puramente quantitativa, la quale
sarebbe distrutta da un solo caso particolare contrario,
ma è una legge, cioè un universale quantitativo. Lo-
perazione sillogistica, come fu avvertito acutamente (1).
non è quindi diversa nel Sillogismo di sussunzione
dalla funzione interpretativa del magistrato che applica
la legge al caso speciale, operazione anche questa non
facile e dalla quale si riconosce il valore del giurista.
Senza contare che non tutti i Sillogismi sono e
tipo di quello citato da Stuart Mill; poiché ve ne sono
alcuni nei quali non si applica solo una regola gene¬
rale ad un caso speciale, ma in cui le due piemessc
(1) Masci — Elementi di filosofia, Logica pag. 2(1.
— 72 —
sono proposizioni generali, e la conclusione è una
proposizione generale che non può essere provata con
Tlnduzione, senza ricorrere ad esperienze del tutto
diverse da quelle dalle quali le premesse sono state
provate. Questo è il ragionamento che ha luogo quando
noi veniamo a conoscere che un dato fenomeno X ha
costante relazione con un altro Y, non valendoci di
una generalizzazione ottenuta dall’aver osservato i
fatti nei quali si riscontra la connessione tra X e Y,
ma servendoci della conoscenza ehe abbiamo di una
relazione tra X ed un terzo fenomeno Z e tra Y e lo
stesso Z. In tal caso non v’ha dubbio che con la De¬
duzione perveniamo a nuove cognizioni, a scoprire cioè
certe analogie che la semplice osservazione non ci
avrebbe fatto percepire. E, per concludere, il dire che
ciò che si afferma nella conclusione è già compreso
nelle premesse è precisamente un mettere sempre
più in luce l’importanza del Raziocinio, perchè si
viene a dire che con esso colui il quale sapientemente
trae le sue deduzioni rende fruttuose le premesse di
cui si serve nel suo ragionamento, al modo stesso
che il lavoratore con l’opera indefessa rende fruttuosa
la terra, traendo alla luce i tesori che essa nasconde.
Del resto i Logici inglesi a provare la inutilità del
Raziocinio si valgono pei primi di un Sillogismo vero
e proprio: Quel che è conosciuto, essi dicono, non ha
bisogno di essere provato; ma una illazione contenuta
nelle prèmesse è nota; dunque non ha bisogno di essere
piovata. Or bene o essi considerano veramente inutile il
Raziocinio, e in tal caso non vediamo la ragione per cui
se ne debbano valere nelle loro dimostrazioni, e special¬
mente poi in questa; o di fatto lo erodono giovevole alla
ricerca della verità, e non sappiamo perchè debbano
con tanto accanimento disconoscerne a parole il valore.
— 73 -
Cosi cade anche l’obiezione che il Sillogismo sia
viziato da una petizione di principio, poiché l’illazione
non ha servito a formare la premessa, e la validità
di questa è indipendente da quella dell’altra; obiezione
sorta perchè la Logica delle scuole considerava la
maggiore come universale semplicemente quantitativo,
laddove l’universalità della premessa esprime non già
una somma, ma una legge. Se il Sillogismo fosse il
rapporto analitico dei concetti, distribuiti secondo la
loro estensione, servirebbe a classificare formalmente
i concetti, non già a scoprire nuovi veri: onde il Ra¬
ziocinio non è punto un sofisma, come pretese qualche
filosofo.
Stuart Mill, di fronte alla inconfutabilità di questa
verità, cambiò la teoria del ragionamento in generale
e del deduttivo in ispecial modo, e sostenne che in¬
esso non si procede dal generale al particolare, ma
dal particolare al particolare. Da ogni esperienza, sono
press’ a poco le sue parole, nasce l’aspettativa che il
caso futuro sarà simile a quello sperimentato, e la fede
cresce a mano a mano che aumentano le esperienze
accordantisi; la maggiore è un registro abbreviato di
inferenze, una assicurazione che le esperienze passa e
— 74 —
singolare a legge e giunga al principio die il furto
deve andare impunito, vede meglio tutta l’enormità
dell’assoluzione. Il Sillogismo poi, secondo il Mill,
,rj 0 va perché il ragionamento fondato sulle regole ha
maggior evidenza e persuasione di quello fondato sui
precedenti e sugli esempi. Non occorre dopo quello
che abbiamo detto sopra fermarci molto a confutare
l'opinione del filosofo inglese: è chiaro che egli con¬
fonde il processo psicologico, il quale va dal particolare
al particolare, col procedimento logico, che ha per
ufilcio di dire quando l’inferenza è legittima: ed è
tale quando la maggiore non è un registro di inferenze
ina una vera legge. Onde, concludendo, nel Raziocinio:
« Tutti gli uomini sono mortali: Tizio è uomo; Tizio
dunque è mortale », si può dedurre la mortalità di
Tizio quando consta che egli è uomo. Che so la pro¬
posizione generale fosse un semplice registro di infe¬
renza, e una somma dei particolari osservati, se
esprimesse un semplice ricordo del passato, nulla si
potrebbe inferire dei particolari futuri. Ma qual me¬
raviglia se Stuart Mill con tanto accanimento impugnò
il valore del Raziocinio? Egli riguardo alle idee uni¬
versali ed al principio di causalità la pensava come
Davide Hume, il quale non solo negava ogni valore
oggettivo all’idea di sostanza come il Locke, e la
realtà delle idee astratte come il Berckeley, ma so¬
steneva che non possiamo nò percepire nè dimostrare
la causalità, quindi l’ammettiamo per abito, perchè
associamo due fatti che vediamo succedersi costante-
mente l’uno all’altro.
Un obiezione che a tutta prima potrebbe parer grave
fu pure mossa da alcuni Logici contro il Raziocinio;
essi dissero che la sua efficacia sta tutta nella con-
— io —
nessione di nostri giudizi, quindi non ci assicura
che della loro coerenza; esso è nè più nè meno di
una tecnica delle relazioni dei concetti, che ha un ufficio
secondario nella prova scientifica. Così il Sillogismo
viene concepito alla maniera di Bacone, il quale gli
negò ogni valore oggettivo per sè e lo stimò in tutto
subordinata airinduzione, la sola adatta a scoprire i
principi delle scienze. Per ammettere vera e legittima
ouest’obiezione bisognerebbe credere con Pirrone Ene-
side.no e Gorgia che la verità non esiste e che noi
non la possiamo conoscere in sè, avendo le nostro
cognizioni valore solo relativo. Colui il quale pertanto
no°i sottoscrive allo scetticismo assoluto, vero suicidio
del pensiero, come ben fu definito (1), nè d aiti a par e
si appaga del dommatismo, che ammette il combacia-
mento assoluto tra la mente e la realtà, perchè con-
trario ai risultati della filosofia critica e non consen¬
tito dalla ragione e dall'esperienza inuminate, nè ha
fede nel semiscetticisrao Kantiano, giu m ier o »e
surriferita degna in tutto della filosofia dell «neono
scibile II vero è che la connessione dei nostri 0 iud.z
non è mera legge formale subiettiva del P^ sie ™;“ a
essa deriva dalla connessione delle cose nel . . a
La forma della conoscenza non può stare d,s 'unto
dalla materia; nè il pensiero da un « qui» » tesato;
Le nostre cognizioni non possono essere vere M non
sono conformi alla natura deg i o iie , a ’l la
il Baziocinio non deve essere vero solo quanto a la
forma, cioè alla °e "a
dizi, ma anche per quel che riguarua
natura dell’oggetto su cui verte il ragio
(l)
ValdarniaL - Saggi di filosofia teoretica, pag.
05.
— 76 —
il Sillogismo assicurandoci della coerenza dei nostri
pensieri ci garantisce che essi sono conformi alla
realtà.
Erberlo Spencer ha creduto che manchi un principio-
fondamentale, un assioma sul quale si fondi il valore
della Deduzione sillogistica: principio che, secondo il
suo sistema filosofico dovrebbe essere unico, ed avere
valore oggettivo, essere cioè una legge della realtà,
non solo del pensiero. Ciò sarebbe vero se si conce¬
pisse la conoscenza come imitazione passiva, copia
della realtà; ma la conoscenza nel suo procedimento
logico deve essere considerata come lavoro di sintesi
e di analisi mentale, che passa per una serie più o
meno lunga di nessi ideali per giungere al nesso
reale. E affermando l’intelletto affermiamo la realtà
di un ente, capace per sua natura d’intendere, pensare
e cogliere il vero; il pensiero si radica nella realtà e
partecipa dell essere universale: ed infine corre un'in¬
tima armonia tra le leggi formali del pensiero e le
leggi reali che governano la natura dell’essere intel¬
ligibile. « Se la conoscenza, osserva giustamente il
Masci, è via alla realtà, se questa via è quella delle
forme logiche e specialmente del ragionamento, il
principio di queste non deve dire quale dev'essere la
realtà, ma quale dev'essere il procedimento del pensiero
per apprenderla mediatamente, cioè quando essa è
l’oggetto dell’esperienza diretta. Un tale principio non
potrebbe essere un principio della realtà, bensì solo
un principio del pensiero nella ricerca mediata e in¬
diretta della realtà, lo schema di un procedimento che
ha in sè stesso quel carattere di logica evidenza che
è criterio di verità (1) ».
(1) Masci — Elementi di Filosofia Logica, pag. 271.
L
— 11 —
I Logici non sono d’accordo sul principio logico for¬
male del Raziocinio, e se Aristotele formò detto prin¬
cipio tanto sotto il rapporto dell’estensione, quanto,
sotto quello del contenuto dei concetti, la Logica tra¬
dizionale lo espresse col « dictum d e omni et de-
nullo », il Kant la formulò nel « nota notae est nota
rei; repugnans notae repugnat rei ipsi », altri come-
l’Hamilton lo presentarono nella forma dell’eguaglianza
delle parti col tutto, lo stesso Spencer ammise che la
^isti tuzione dell'identico sia il procedimento generale-
dei Raziocinio, e già il nostro Campanella aveva af¬
fermato a’ suoi tempi che « la virtù di concludere
questo da quello è nel Sillogismo per forza di identità
(1) ». Ma a dire il vero i principi sui quali si fonda¬
la legittimità dei nostri Raziocini, non meno di quella,
dei nostri giudizi, sono i tre che emanano immedia¬
tamente dalla nozione di ente: quello di identità, :l
quale, applicato alla quantità, si trasforma nell’assioma
« il tutto è maggiore delle parti », ed alla causalità
nell’altro « non v’ha effetto senza causa » ; quello di
contraddizione, e quello di mezzo escluso. In fatti come
il secondo e il terzo sono fondamento del Sillogismo-
di seconda figura, cosi il rapporto di principio ad
effetto è il fondamento del Raziocinio ipotetico, e pel
disgiuntivo vale il principio dell’alternativa, che è una
forma di quello. Concludendo, questo principio non ò
oggettivo ma formale, non è legge della natura ma
del pensiero, non è l’assioma, ma gli assiomi fonda¬
mentali del pensare, i primi ed evidentissimi, che non
sono dimostrabili, ma si devono ammettere come in¬
contrastabili: essi sono la base di ogni ramo della
(1) Campanella— Universalis philosophia, p. I, lib. Ili, cap. 2..
— 7S —
scienza, non essendo essa se non un sistema di cogni¬
zioni dimostrate e dipendenti da un solo principio, o
in breve, come voleva il Gioberti « l’esplicazione di
un principio (1) ». Tali assiomi infine non derivano
già dal senso, nè da un intuito primitivo; chè la
nostra natura non ha alcuna determinazione, bensì
l’attitudine- a conoscere gli obbietti, come e quando a
lei si presentano; e come il senso percepisce diretta-
mente il sensibile, così l’intelletto coglie l'intelligibile
e in tal modo noi possiamo percepire con le nostre
facoltà l’essere ideale e reale delle cose.
Qui cade in acconcio di rispondere due parole a coloro
i quali pur concedendo che il Raziocinio serva all’appli¬
cazione dei principi ai casi particolari, mettono fuori di
esso I Induzione inventrice dei principi. Anche nell’Indu¬
zione è sempre sottinteso un principio universale, da cui
parte e su cui si appoggia ogni ragionamento indut¬
tivo. L’assioma è il seguente: « Ciò che in una data
specie di cose è sempre avvenuto in un dato modo,
avvei rà sempie in questa stessa specie nella maniera
medesima, quando le circostanze siano le stesse »; ciò
equivale a dire che la natura è governata da leggi
fisse e costanti. Ma, di grazia, donde deriva questo
principio, se non dagli altri di causalità e di sostanza,
dai quali trae tutta la sua forza? Onde l’Induzione
considerata sotto questo rispetto può mettersi sempre
in forma di Sillogismo, e può benissimo definirsi « la
funzione della mente per la quale applicando un
principio universale ad alcuni fatti particolari da noi
ossei vati, questi generalizziamo con una proposizione
esprimente un principio od una legge generale che-
(1) Gioberti — Introduzione allo studio
della filosofìa.
— 79 —
ooi affermiamo esistere in natura (1) ». Del resto
uno dei principi di tutte le nostre conoscenze è il
principio di causa, che ha un valore universale, ideale
e reale ; ideale appunto perchè è la forma di ogni
conoscenza; reale, perchè nei modi e limiti suoi tutto
il mondo ci si svela. Lo stesso Stuart Mill è costretto
a riconoscere questi principi supremi razionali, che
sono necessari all’Analogia, all’Induzione imperfetta e
alla Deduzione; « e, osserva giustamente il Cantoni,
non si può concludere da un particolare ad un par¬
ticolare senza ammettere implicitamente come valido
il principio generale, e non si può dare vera, assoluta
universalità ad un giudizio senza presupporre i prin¬
cipi supremi della ragione (2) ».
Rimane ad esaminare l’ultima delle obiezioni mosse
al Sillogismo, come forma tipica di ogni argomentare
deduttivo. Alcuni Logici, tra cui il Cantoni, osservarono
che il Sillogismo non corrisponde a tutte le argomen¬
tazioni rigorosamente conclusive. Le regole dei modi
di prima figura sono: 1° la maggiore dev'essere sempre
universale, ma può essere affermativa o negativa; 2°
la minore dev’essere sempre affermativa, ma può es¬
sere universale o particolare; la conclusione ha sempre
la qualità della maggiore e la quantità della minore
(3). Se dunque la minore in un Sillogismo di prima
figura in tutti i suoi modi dev’essere affermativa,
questo Sillogismo (che cita il Cantoni) « soltanto gli
esseri liheri nelle loro azioni sono responsabili, i
pazzi non sono liberi, dunque i pazzi non sono re¬
sponsabili », in forza di quel « soltanto » conclude
(1) Corte — Elementi di filosofia Yol. I, pag. 80.
(2) Cantoni — Elementi di Filosofia. Logica, pag. 209-210.
(3) Peiretti — Compendio di Logica generale pag. 154 e seg.
— 80 —
legittimamente. Non occorre una lunga discussione
per dimostrare che questa obiezione non regge, poiché
quando si dice che la minore dev’essere affermativa,
si intende in senso logico, non già grammaticale;
onde nel Raziocinio surriferito la minore è gramma¬
ticalmente negativa, ma logicamente affermativa, che
equivale a dire: « i pazzi sono non - liberi ».
E veniamo ad esaminare le obiezioni mosse contro
il Raziocinio come fondamento dell'Induzione; perocché
ad alcuni Filosofi non parve che questa prenda dal
Sillogismo la sua forza, come non era sembrato che
ogni specie di argomentazione deduttiva prendesse da
esso la sua chiarezza. Abbiamo già accennato in breve
al principio che governa l’Induzione, ora aggiungiamo
che essa conchiude dai fatti alle cause, dai fenonemi
alle leggi, dal particolare all’universale, in forza della
Deduzione stessa, pei seguenti principi impliciti, che,
come avverte acutamente il Professor Martini (1), si
collegano in forma di Sillogismo. « Ciò che pur va¬
riati gli aggiunti si è osservato essere fenomeno o
legge costante in molti particolari, in circostanze di¬
verse dev essere effetto non delle circostanze diverse
ma di quello che nei particolari è costante e comune.
Ora ciò che nei molti particolari, nel resto diversi, è
solo costanto e comune è la loro natura. Dunque que
fenomeno o legge costante in essi osservata é effetto
della loro natura. Ma ciò che è effetto di alcuna na-
tura si ha da verificare in tutti gli esseri che hanno
la natura medesima. Dunque si verificherà in tutti i
particolari della stessa natura, benché non ancora
Firenzo^m diFilosofia - P«MS- 58 (Paravia
— in¬
osservati. » Qui si riduce quella legge che molti asse¬
gnano come fondamento dell’Induzione: « le leggi di
natura non mutano, » ove per legge di natura si vogliono
intendere non solo le leggi fisiche, ma anche quelle
che, fondate sulle realtà, sono regolatrici dell’umano
pensiero e discorso. Così intesa, è questa legge il
principio che dà all'Induzione la forza di produrre
certezza scientifica, benché muova dal particolare
contingente.
Ciò premesso, ritorniamo all'argomento: la prima
delle obiezioni della seconda specie, òche il Sillogismo
non sia il tipo ordinario di ogni nostro ragionamento,
e non vi sia necessità che noi ci serviamo sempre di
tal forma. Quando si considerasse del Sillogismo la
sola materia, l’osservazione sarebbe esatta ed avrebbe
una certa importanza. Ma se si considera la legge
■fondamentale del Raziocinio e l’inferenza del partico¬
lare dall’universale si vede che, se si è dispensati dall’e-
sprimere sempre il principio universale che contiene
la conclusione, però si è costretti sempre a suppor-
velo almeno implicito, e la stessa Induzione dà luogo
alle conclusioni generali in forza di un Sillogismo
sottinteso come vedemmo. L'osservazione poi di coloro
i quali affermano che ragionando nessuno adopera la
forma sillogistica, non ha alcun valore, perchè nulla
impedisce che la mente possa nella pratica intuire
nessi remoti e sopprimere un certo numero di nessi
intermedi. Allo Spencer, che nei Principi di psico¬
logia afferma esservi ragionamenti i quali non po¬
trebbero mettersi in forma sillogistica e cita in pro¬
posito alcuni esempi, si deve osservare che egli non
doveva accontentarsi di affermare, ma aveva anche
l’obbligo di dimostrare tale impossibilità, la quale nel
6
— 82 —
fatto é solo relativa ; e del resto solo perchè qualche
ragionamento non si lascia disporre negli schemi sil¬
logistici, non si può perciò rigettare tutto quanto il
Sillogismo. A coloro infine i quali affermano che il
Raziocinio deduttivo non forma compiutamente tutti
i procedimenti del pensiero nel ragionare si può os¬
servare che neanche l'Induzione generalizzatrice dello
scienzato non è per lo più prodotto di un discorso
pei singoli casi, che spesso da un solo caso lo scien¬
ziato vede le condizioni della validità di una legge,
Che se dal non essere formulalo il ragionamento si
dovesse concludere che non c'è, allora la Logica do¬
vrebbe, come osserva giustamente il Masci (1), cedere
il suo dominio tutto alla Psicologia. La prova segue
la scoperta, ma non per questo è meno necessaria per
convertire in sicuro possesso le verità trovate (2).
Il Mill e il Bain osservarono che il Raziocinio é la
riprova dell’Induzione; è un processo di verificazione.
Onde fu detto che Stuart Mill non annientò il valore
del Sillogismo; ma, di grazia, quando ammette che
esso non serve alla scoperta di alcuna verità, noti
viene a disconoscergli ogni importanza? Un’Induzione
dal particolare al generale seguita da una Deduzione,
osservò il filosofo inglese, è una forma in cui possiamo
ragionare; ed è indispensabile porre in forma sillogi¬
stica un ragionamento, quando abbiamo dubbi sulla
sua legittimità. Ed anche ciò è vero, perchè uf¬
ficio del Raziocinio è quello di smascherare gli errori
dei falsi ragionamenti; ed in tal modo non solo esso
è strumento di scoperta della verità, ma ha anche un
(1) Masci — Logica, pag. 277.
($) Masci — Logica, pag. 278.
— 83 —
compito altamente nobile.se è vero che, come afferma
il Genovesi, « gli uomini dove non siano aggirati dal
falso hanno sempre bastante forza a vedere le più
importanti verità (1) ». Alessandro Bain condivise il
parere del Mi 11, sostenendo che « uno dei grandi
servigi che rende la forma Sillogistica è di analizzare,
di mettere in tutta la loro luce e di presentare ad
un esame separato le parti differenti di una serie o
di una catena di ragionamenti (2) ». E'sta bene il
Raziocinio ha un reale valore come fondamento del¬
l’Induzione, segue che ne divenga la riprova. Ma non
per questo l’obiezione ha valore universale, perché
nelle scienze di deduzione si danno Sillogismi che sono
unica forma di ragionamento possibile, nè occorre
esemplificare, poiché infiniti sono i casi, anche nella
sola Matematica, che confermano quest osservazione.
Del resto se in natura noi vediamo che l’universale
contiene il particolare, il Raziocinio non può non es¬
sere il tipo perfetto di ogni argomentazione.
Veniamo all'ultima e più universale obiezione: «il
Raziocinio non vale alla scoperta del vero ; esso serve
tntt’ al più a chiarire e ordinare i nostri concetti. »
Che realmente compia questo secondo ufficio non vi
ha dubbio alcuno, ed anche in ciò consiste la sua
importanza, perchè se i concetti sono oscuri e non si
vede la dipendenza loro non si possono dire scienti¬
fici; perocché conoscere scientificamente una cosa
equivale, per dirla col Vico, a conoscerla ne suoi
principi, e nelle ragioni. È questa un utilità del Ra¬
ziocinio che si può esperimentare quotidianamente.- Ma
(1) Genovesi — Logica per i giovanetti. •
(2) Bain — Logica deduttiva e induttiva, Voi. Ij-pàg. 300.
— 84 —
ben piccola sarebbe l’utilità del Raziocinio se si limi¬
tasse a ordinare le nostre conoscenze; esso serve pure
a condurre lo spirito all’acquisto di nuova scienza,
che ci sarebbe impossibile acquistare senza il suo aiuto.
Su questo punto importantissimo ritorneremo in se¬
guito, qui basterà che ci fermiamo ad una semplice
e brevissima confutazione dell’obiezione, ripetuta da
Logici di tutti i tempi, a cominciare da Sesto Empirico,
per venire Ano a Bacone.e poi giù giù fino a Stuart Mill
ed alla sua scuola, che cioè il Sillogismo non vale
alla scoperta del vero. Prenderemo le mosse da un.
passo della Logica di Carlo Cantoni (11, nel quale
l’insigne professore dell’Ateneo di Pavia fa sua la
obiezione espressa già in altri termini dal Mill e dal
Baili. « Con la prima figura, egli dice, che da alcuni'
è riguardata come la forma fondamentale e tipica del
ragionamento umano, si viene ad affermare di una
specie una proprietà deh suo genere. Ora un ragio¬
namento simile pei" solito non si usa nè per dimostrare-
le proprietà di un oggetto, nè per discopricele, giacché-
solitamente noi Affermiamo che un oggetto appartiene-
ad un dato genere quando vi abbiamo osservato e
riscontrato le sue proprietà più essenziali ; così non è-
naturale questo Raziocinio: Gli organici muoiono; gli
animali sono organici, dunque anch’ essi muoiono;
perchè tale qualità del morire si è dovuta riscontrare
negli animali prima di dirli organici. » Il Cantoni va
anche più in là quando afferma che « tali Raziocini
valgono ancor meno nella Matematica, la quale nella
costruzione stessa dei concetti viene via via attribuendo-
alle specie tutte le proprietà dei loro generi senza
(1) Cantoni — Logica, pag. 209-216.
— 85 —
bisogno dei Sillogismi. Or bene ciò non ci pare conforme
al vero. Lo dimostra per noi il Professore Martini già
citato. Nell’esempio surriferito egli osserva al Cantoni:
< Se la mortalità prima si è dovuta riscontrare negli
animali per dirli organici, è segno che la mortalità
•è la causa delTorganismo, non questa la condizione
di quella. Dunque neppure si poteva dire « gli orga¬
nici muoiono » prima di averli visti morire: e se sol
dopo la morte si potevano conoscere organici, si po¬
tevano conoscere quando non eran più. È dunque na¬
turale e vero l’allegato Sillogismo; perchè dall’idea
di organico, condizione di mortalità, la concludere
ciò che per avventura non si sapesse da chi ancora
non avesse visto morire nessun animale, che cioè
sono mortali, e perchè organici ». Del resto poi egli
osserva ancora che per affermare di una specie una
proprietà del suo genere si richiede che prima vi
abbiamo scoperto le proprietà comuni più essenzia i,
non tutte, se no non si argomenta ma si intuisce (1).
Nel campo delle scienze pure se le idee che si of¬
frono alla mente rimanessero isolate e non si para¬
gonassero fra loro, non avremmo alcuna conoscenza.
Lo spirito conoscendo immediatamente alcuni rappoiti
delle sue idee forma gli assiomi, coi quali poi procede
alla conoscenza; perocché non cogliendo immediata
mente tutti i rapporti delle idee fa uso del Raziocinio,
paragonando due idee con una terza. Or bene i no
vare questi rapporti che prima non si vedevano non
•è progredire nella conoscenza? E come il Raziocinio
puro serve a classificare le cognizioni già avute e a
conseguirne a 11 re nuove, quello misto pronuncino osi
Martini — Op. cit., pag. 53.
- 86 —
sulle cose esistenti è doppiamente istruttivo, in quanto
ci istruisce sui rapporti dei fatti e ci svela pure fatti
che l'esperienza ci manifesta, ammesso sempre che
vi sia un legame tra il fatto noto e l'ignoto da de¬
durre. Il Raziocinio per condurci da un fatto che
sperimentiamo ad un altro che non esperi mentiamo
ha, come osserva anche il Galluppi, questi mezzi; o
dedurre dall’esistenza di un soggetto che cade sotto
l'esperienza resistenza di una qualità che non vi cade
(1), o da una causa che si sperimenta un effetto che
non cade sotto i sensi, o viceversa (2). Questi due
modi di Raziocinio sono per Davide I-Iume appoggiati
sul principio: « il futuro sarà simile al passato »:
assioma che secondo lui non è una verità nò a 'priori
nè sperimentale. Ma, osserva benissimo il Galluppi, la
somiglianza tra il futuro e il passato è una verità
sperimentale, sintetica, contingente, e vale quanto dire:
« la natura secondo l’esperienza è costante nel suo
corso, » nè la possibilità che il futuro sia simile a}
passato può distruggere la legittimità delle deduzioni
sperimentali, le quali vanno perciò considerate comn
certe.
Dicemmo che se le idee, le quali si offrono alfa
mente rimanessero isolate e non si paragonassero fra
loro, lo spirito non avrebbe mai alcuna conoscenza.
1“ ff ue f 10 ravvicinamento e confronto delle idee sta
l’istruzione vera e propria del Raziocinio, perocché in
esso non si tratta soltanto di riconoscere che l’illazione
è implicitamente contenuta nelle premesse, bensì nella
(1) Per es. questo corpo che vedo è un metallo; i metal!
sono duttili; questo corpo dunque è duttile.
(2) Per. es. vedo biade in un campo, e ne deduco che i:
campo e stato seminato.
— 87 —
conclusione si palesa una nuova relazione fra due idee,
onde la mente acquista una notizia che prima non
aveva. Il Raziocinio infatti fondandosi sull assioma che
« due cose uguali ad una terza sono uguali fra loro »,
muove a scoprire la convenienza o la ripugnanza di due
idee; a tal uopo ne assume una terza media, e la pa¬
ragona prima col predicato, indi col soggetto della
conclusione controversa, e afferma in un terzo giudizio
la convenienza o la ripugnanza tra un soggetto e un
predicato dati, e cosi ha la cognizione nuova di cui
andava in traccia. A convincersi dell’importanza del¬
l’argomento deduttivo, si pensi che bene spesso non
apparisce alla mente la relazione fra due idee date o
due giudizi. Supponendo che abbiamo nella mente le due
idee di « proprietà » e di « inviolabilità », come pos¬
siamo sapere se esse convengono o no fra loro? Pren¬
diamo un’idea media, quella di « diritto », .a quale con
viene all’idea di «proprieUà» eaquelladi « inviolabilità ».
Conviene alla seconda in quanto sia il diritto naturale,
sia il reale, che deriva pel fatto della società, sono invio¬
labili, perocché l’umana libertà non può essere vinco¬
lata se non dalla legge morale in ordine al fine su¬
premo proposto all’uomo come essere ragionevo e.
conviene alla prima in quanto Tuorao. composto c i
anima e di corpo, se ha il dovere di conservarsi e di
perfezionarsi ha pure diritto a beni esterni materiali,
senza i quali non può raggiungere tale perfeziona¬
mento, nò la conservazione dell’essere suo. Paragonata
così l’idea media con l’altre due che già avevamo,
in conseguenza dell’assioma surriferito possiamo for¬
mulare il seguente Raziocinio: « ogni diritto dell uomo
è inviolabile; la proprietà acquistata onestamente e
legittimamente è un diritto, dunque la propneta
— 88 —
inviolabile; » col quale abbiamo acquistato la nuova
cognizione contenuta nell'ultimo giudizio da noi for¬
mulato. Cosi pure supponiamo di voler sapere se il
bruto è moralmente libero : dobbiamo cercare un ter¬
mine medio; sia questo l’idea di « imputabilità »; se la
paragoniamo colle altre due, colle quali conviene, pos¬
siamo formulare il Raziocinio seguente: « Chi è im¬
putabile dei proprii atti è moralmente libero, il bruto
non è imputabile de’ suoi atti; dunque il bruto non è mo¬
ralmente libero », il quale ci procura così la cognizione
desiderata.
Ecco perchè, nonostante le obiezioni di Sesto Empirico,
di Francesco Bacone, di Stuart Mill e di tutta la sua
scuola, noi siamo fermamente persuasi che il Razio¬
cinio riesca istruttivo ed abbia grande valore come
istrumento di ricerca, e che quindi il metodo deduttivo
valga non solo a dimostrare il vero e a sistemare le
umane cognizioni, ma ancora a scoprire nuove verità (1).
CAPITOLO IV.
Importanza del J^azioeinio
nella seoperia della verità.
Dopo aver fatto in breve la critica delle obiezioni
e 1 filosofi mossero in tuffi ;
(1) Valdarnini — Elemci
— Parte Seconda, pag. 82.
Elementi Scientifici di Psicologia e Logica
— 89 -
nell’applicazione ai vari rami del sapere. È un fatto
che le verità da cui muove la Deduzione non sono
tulle formate dalla ragione, ma ora sono principi puri,
ora sperimentali; nè può la Deduzione usurpare nelle
scienze il campo dell’Induzione. Ciò non di meno
rimangono ben ferrai questi punti: il Raziocinio ha
o-rande importanza come processo della mente, la
quale non può andare sempre dal particolare al ge¬
nerale; ha valore come conferma dell'Induzione nelle
scienze deduttive; ed in fine ha somma efficacia nella
formazione del carattere umano.
Per poco che noi poniamo attenzione allo svolgi¬
mento e alla storia del pensiero e del sapere dell uomo,
vediamo che dapprima esso preferisce le grandi linee;
lo spettacolo per lui ancor nuovo e complesso del
mondo non gli lascia vedere ed osservare nessun
particolare. Col tempo però abituatasi la mente alle
cose di quaggiù, discende ad esaminarle ad una ad
una con minuziosa cura, per poi sollevarsi di bel nuovo
all’unità, che allora apparisce più netia e precisa, in
quanto è l’effetto di una assidua esperienza. Tale
storia del pensiero umano è ritratta nelle sue grandi
proporzioni dal significato e dal valore che nei vari
tempi ebbero i due procedimenti induttivo e deduttivo,
che incarnano le due tendenze della nostra mente.
Per molti secoli il procedimento in onore fu essen¬
zialmente il deduttivo. L’età della Scolastica poi in
ispecial modo ebbe per carattere la pratica della
Dialettica Sillogistica.
11 Raziocinio che da premesse date ricava una con¬
seguenza doveva naturalmente essere 1 islrumento delle
conoscenze in un’epoca di fede, in cui non si voleva
mutare mai nulla e solo bastava ai dotti e ai filosofi
— co¬
ll i mostrare dogmi immutabili, rendendo la Filosofia
umile ancella della Teologia, e ragionando di continuo
sulle cognizioni già acquistate per trarne conseguenze
che valessero a commentare i libri sacii e la dotti ina
aristotelica. Col sorgere di tempi nuovi per la filosofia
c la scienza tutta l'importanza fu attribuita all Induzione,
chè anzi, come dimostrammo, al Sillogismo alcuni filo¬
sofi non attribuirono se non un valore sistematico,
ordinatore delle verità scoperte pervia dell’Induzione;
la quale veniva così considerata la sola vera autrice,
dei progressi delle scienze, così fisiche e naturali,
come storiche, morali, giuridiche e sociali. Anche oggi
la contesa perdura, quantunque si sia alquanto mitigata:
perchè molli hanno compreso clm, se si può giustificare
il dissidio fra i due processi come reazione a sistemi,
a metodi, a dottrine troppo dommaliche ed assolute,
esso non ha però intrinsecamente alcuna ragione di
essere. Accingendoci a svolgere questa affermazione
premettiamo che non intendiamo punto di disconoscere
e neanche per piccola parte negare o menomare il
valore dell’Induzione. Sappiamo benissimo quale im¬
portanza si debba attribuire all’Induzione scientifica,
la quale arriva alla scoperta di verità generali e di
principi, come una causa, una legge, una proprietà
essenziale e comune a più individui, ed anche a certe
verità supreme di ordine matematico, morale e meta¬
fìsico. Conosciamo del pari che la Psicologia speri¬
mentale, la Pedagogia, la Filosofia della Storia, non
che poi le scienze di esperienza devono in gran parte
all’Induzione il loro essere ed i loro meravigliosi pro¬
gressi. Ma d’altro lato non crediamo si possa in modo
assoluto « reicere syllogismum », come voleva Bacone,
ma si debba piuttosto ammettere col Rosmini che *
— 91 —
tre fonti principali onde l’uomo può attingere la
cognizione del vero sono: 1° L’Autorità e la Tradizione;
2 M’Osservazione e l’Esperienza; 3° il Raziocinio (1).
" Tra la Deduzione e l’Induzione non vi è vera e
propria opposizione; l’una e l’altra vanno considerate
piuttosto come due funzioni distinte dello stesso metodo;
e, osservava Gian Domenico Roraagnosi, (2) « tra la
cognizione di fatto e quella di ordine non vi può-
passare altra differenza che la direzione. Ecco il metodo.
In esso l’uomo non cangia l’indole del pensiero, ma
solamente ne dirige l’andamento.Dunque ne risulta
l’improprietà delle denominazioni di analitico e sintetico
date al metodo, perocché nella sua indole propria e
complessiva non è nè analitico nè sintetico, ma diret¬
tamente discorsivo. (3) »■ Nò altrimenti la pensava
l'He-el, il quale diceva che i due procedimenti non
sono° due metodi distinti, ma piuttosto due maniere
onde si esplica, o due momenti onde si manifesta un
medesimo metodo (4). .
La Deduzione parte da premesse che sono risultate
da una precedente Induzione, anzi da esse e dagli
assiomi deve partire la Deduzione pei essere scien i c
se no 6 arbitraria. L’Induzione poi implica mo ti e e
menti deduttivi; in primo luogo perchè 1 osservazione
ed enumerazione dei casi particolari in essa not *
mai compiuta; onde Bacone osservava eie n uzi
(1) Rosmini - Sistema filosofico di A- Rosmini, pag. 9L
(2j Romagnosi - Vedute fondamentali dell arte logica, • >
"(3) nSagnosi stesso poi diceva parlando del Sillogismo
che esso & « l’argomento delle scienze » (Logica, lib. P , cap. 4.
(4) Hegel - Logica, Voi. II, pag. 2GG.
— 92 —
per « enumerationem simplicem », l’£7:«Ycdy/i 7ravrwv
(1) è cosa puerile, e non esclude la possibilità d’un
caso particolare contrario, il quale la distrugga. Nel¬
l’Induzione scientifica l’osservatore dopo aver riscon¬
trato un numero di casi sufficiente la compie legitti¬
mando la conclusione con principi universali, come la
legge di causalità, nella formola di essa, secondo la
quale cause simili in condizioni simili producono effetti
simili. Nè l’Induzione sarebbe possibile senza anticipa¬
zione del ragionamento sull’esperienza. Il Galilei ci
offre bellissimi esempi di questo procedimento: l'osser¬
vazione dei fatti suscitava nell’animo suo un’idea, che
era come la presupposta spiegazione di essi ; su di
quella ragionando cercava di ricondurre i fatti stessi
come a loro principio. E così egli procedeva non solo
per Induzione ma anche per via di Deduzione; questa
però era sempre provvisoria; ipotetica, perchè ad ogni
passo del ragionamento il filosofo naturalista sentiva
il bisogno di riscontrare la verità dell’ipotesi coi fatti
osservati, e di variare quella secondo la natura di
questi: soltanto dopo mature e assidue riflessioni con¬
vertiva in tesi la primitiva deduzione. Giustamente
perciò Ernesto Navi Ile (2) osservava che in ogni ordine
di ricerche il metodo si compone di tre elementi di¬
ti; Aristotele — Aliai. Pr. TI, 23.
(2) Naville — La logiqué de l’hypothése, pag. 68. v L’hypotliése,
dice il Naville, intervient dans l’observation et la verification;
1 observation intervient dans 1* l’hypotése, dont elle forme le
poiut de depart et dans la vérification, dont elle est la sub*
stance. La vérification enfili est inseparable do l’observation
qui est son instrument, et de 1* hypothése qu’elle a pour but
de detruire ou de confirmer. La mdthode est dono triple dans
^on unite, et une dans sa triplicité. »
— 93 —
stinti ma inseparabili: osservazione, supposizione e
verificazione. Gli esempi del Galilei abbondano, ne
riferiremo alcuni fra i più chiari e famosi.
Il testo di Aristotele il quale afferma che la caduta
dei corpi è in ragione del loro peso fa dubitare Ga¬
lileo; egli vede che i chicchi di grandine muovendo
insieme ed essendo di diversa dimensione arrivano
contemporaneamente a terra; ne induce che 1 afferma¬
zione dello Stagi ri ta è falsa. Procedendo più oltre col
discorso forma un assioma e suppone che qualsiasi
grave discenda con una velocità, la quale si può alte¬
rare senza far violenza al suo corso naturale. Final¬
mente stabilisce la legge che gli spazi percorsi da un
grave che cade sono proporzionali ai quadrati dei
tempi impiegati a percorrerli, astrazion fatta dal peso:
cerca poi la conferma della legge nelle osservazioni
della discesa dei corpi pel piano inclinato. Ma è meglio
riferire il passo importantissimo del Galilei relativo
alla sua scoperta. Nelle Esercitazioni filosofiche di
Antonio Rocco, filosofo 'peripoletico, così egli sciiveva.
« Resta che io produca le ragioni che oltre alla espe¬
rienza confermano la mia proposizione, sebbene pei
assicurare l’intellplto, dove arriva l’esperienza, non ò
necessaria la ragione, la quale io produrrò si pei
vostro beneficio, sì ancora perchè prima fui persuaso
dalla ragione che assicurato dal senso. Io
un assioma, da non essere revocato in du io a
nessuno, e supposi qualsivoglia corpo grave discen en e
aver nel suo moto grado di velocità dalla natuia 1
untato ed in maniera prefisso, che volerglielo alterare
col crescere la velocità e diminuirgliela non si potesse
fare senza usargli violenza per ritardargli o concitar^, 1
il detto suo limitato corso naturale. Formato questo-
— 94 —
•discorso mi figurai colla mente due corpi uguali in
mole ed in peso, quali fossero due mattoni, li quali
da una medesima altezza in un medesimo istante si
partissero; questi, non si può dubitare che scenderanno
con pari velocità, cioè colrassegnata loro dalla natura,
la quale se da qualche altro mobile dee loro essere
accresciuta, è necessario che questo con velocità mag¬
giore si muova. Ma se si figureranno i mattoni nello
scendere unirsi ed attaccarsi insieme, quale sarà di
loro quello che aggiungendo impeto all’altro gli rad¬
doppi la velocità, stantechè ella non può essere
accresciuta da un sopravveniente mobile, se con maggior
velocità si muove? Conviene quindi concedere che il
composto di due mattoni non alteri la loro prima ve¬
locità. » Da ciò il Galilei concludeva deduttivamente
c ìe se due corpi di materia uguale e di peso diverso
cadono con velocità differente, ciò non dipende dalla
differenza di peso ma da quella di forma, la quale fa
i eie i mezzo in cui discendono opponga alla loro
caduta una. resistenza differente.
La scoperta della legge di inerzia è dovuta quasi
esclusivamente al procedimento deduttivo perchè il
l’imno^« q- iTfi ne r Dlalogo dei massimi sistemi affermò
Sent ; ' glUngGrVÌ S0, ° COn 'Suzione. Nè
tnShll P r 7 DedUZÌ ° ne i! Galilei coprii!
;r d °i d „c' h av r dell ° ( * ™ è “ Olanlsotbbri-
mento « „ a,eva caEUAlrneMe visto l’ingrandi-
“ 8geU ' ?■ fabl,ricat0 “ telescopio^ ritrovai
di “n «r P | r Vm , dÌSC ° rS °- Questo ertiselo coarta
,Clr ° sol ° 0 dl P"> di uno; di u „ s „| 0 „„„ pu6
(1) Gol.l», _ Prose scelte ed annotile da A. Conti. Cap.VIII.
— 95 —
j essere perchè la sua figura è convessa cioè più grossa
nel mezzo che verso gli estremi, o è concava, cioè più
f. sottile nel mezzo, o è compresa tra superficie parallele,
ma questo non altera punto gli oggetti visibili col
crescergli o diminuirgli; la concava gli diminuisce, la
convessa gli accresce bene, ma gli mostra assai indi¬
stinti ed abbagliati, dunque un vetro solo non basta
per produrre l’effetto. Passando poi a due e sapendo
che il vetro di superficie parallela non altera niente,
come s’è detto, conchiusi che l’effetto non poteva neanche
■ seguire dall’accoppiamento di questo con alcuno degli
altri due. Onde mi restrinsi a voler esperimentare
quel che facesse la composizione degli altri due, cioè
del convesso e del concavo, e vidi come questo mi
dava l'intento ». 11 moto di Venere intorno al sole fu
da lui dedotto dal vederla falcata scemare e crescere
come la luna (1). Infine Galileo dedusse resistenza dei
monti e delle profondità della luna, dalle ombre e dai
lumi non meno che dall’orlo smerlato e luminoso della
luna che scemava, apparenze che, secondo lui, esclu¬
devano che la luna fosse una sfera liscia e pulita ( ).
E tanta era la sua fiducia nel Raziocinio, che a prò
posito di quest’ultima scoperta egli ^affermava nel
Dialogo dei Massimi sistemi (Giorn. 1 ) « Se 10 0SS1
nella Luna stessa, non credo che io potessi con mano
toccar più chiaramente l’asprezza della sua super eie
di quello che io me la scorga ora con l'apprensione
del discorso ». Così egli praticava il metodo sperimen-
1 tale, e laddove Francesco Bacone, il grande suo con
temporaneo, non faceva alcuna scoperta ed acco tì leva
(1) Galilei - Dialogo dei Massimi Sistemi., Giorn. IH
(2) Galilei — Dialogo dei Mass. Sisfc., Giorn..
— 96 —
anche ne’ suoi scritti errori volgari, egli arricchiva
la scienza di sempre nuove e straordinarie scoperte,
e guidalo dal suo genio non solo osservava ma divi¬
nava, nè mai trascurava di accompagnare il ragio¬
namento all'esperienza. Che dire poi del Newton?
Induttivamente egli dalle leggi di Keplero ricavò la
legge della gravitazione universale; laddove ragionando
deduttivamente sull’ipotesi che la deviazione della luna
dalla tangente fosse un caso della gravità terrestre, e
calcolandone il valore (riconosciuto poi conforme a!
vero) trovò l’identità tra la gravità terrestre e l’attra¬
zione esercitata dalla terra sulla luna(l) Il Bode dalla
legge generale di continuità da lui scoperta nei corpi
celesti argomentò all’esistenza di uno o più pianeti
fra Giove e Marte, il che fu poi verificato appuntino
sul principio del secolo XIX° con la scoperta di Cerere.
Pallade, Vesta e Giunone. Il Leverrier solo appog¬
giandosi al calcolo e al Raziocinio vide, prima che
fosse scoperto al telescopio, un lontanissimo pianeta,
Nettuno, e ne definì con precisione la grandezza, la
posizione e l’orbita. Il Torricelli infine, quantunque
verificasse che l’aria è pesante coll’invenzione del
barometro, già prima di tale sua invenzione dopo aver
osservato alcune qualità sensibili dell’aria aveva con¬
cluso deduttivamente che l’aria doveva essere pesante
•come tutti gli altri corpi.
A tanto può condurre il Raziocinio spinto alle ultime
(1} Il Newton adopero nelle sue dimostrazioni il metodo
sintetico di cui avevano dato l’esempio gli antichi geometri
greci, e lo preferì ai metodi analitici allora seguiti general¬
mente. Cfr. G. Rossi « I principi Newtoniani della Filosofia
naturale, in Riv. Ital. di fìsosof. 1890, Pag. 44 e seg.
— 97 —
sue conseguenze! Perocché la conquista di così stra¬
ordinarie verità, quali quelle del Galilei e del Newton
acquistate alla scienza, non si poteva assolutamente
fare con semplici procedimenti di paragone, con ge¬
neralizzazioni fondate sull’aver scoperto alcune ana¬
logie; ben altre attività della mente si richiedevano a
tant’opera! L'Induzione sola sarebbe stata infruttuosa;
si richiedeva anche la Deduzione, ma sapientemente
adoperata; non certo come l’usavano gli antichi, spe¬
cialmente nello studio dei fatti naturali. Per i moderni
da Galileo in poi la Deduzione ha avuto un grande
valore nel percepire le ultime analogie tra fenomeni
in apparenza diversi e non riducibili alle stesse leggi.
Abbiamo detto per i pensatori e scienziati moderni,
perché, come avverte un dotto scrittore in un suo
opuscolo (1), per gli scienziati antichi spiegare un
fenomeno non voleva già dire farne l’analisi o de¬
terminare le leggi della sua produzione, ma ravvi¬
cinarlo o identificarlo con altri più comuni, da loro
meglio conosciuti. Dal Raziocinio non pretendevano
altro che questo servizio, laddove esso sapientemente
usato, come vedemmo, può spesso precorrere 1 espe¬
rienza, farci spingere le teorie alle loro conseguenze
ultime, farci vedere fino a qual segno una legge renda
conto di tutti i particolari di un dato fatto. Dalle
considerazioni da noi esposte e dai numerosi esempi
addotti ci pare si possa concludere che la ricerca in¬
duttiva non è mai compiuta di per sé sola. Il proce¬
dimento induttivo e il deduttivo si integrano a vicenda
(1) Vailati — Il metodo deduttivo come strumento di ricerca,
pag. 17. Lettura d’introduzione al corso di lezioni sulla storia
della Meccanica, tenuto a Torino l’anno 1897-98 (Roux Pressati).
— 98 —
come operazioni inverse, e mentre il primo è la veri¬
ficazione della legge nel fatto, il secondo ne è la ve¬
rificazione. nella teoria, cioè la spiegazione. « Le due
vie, dice Augusto Conti, continuamente si incrociano.
L’un metodo senza l’altro dà nel falso o resta incom¬
piuto; la Deduzione senza Induzione o forma principi
arbitrari e non gli applica con precisione, o gli applica
a caso; l’Induzione senza Deduzione non ha regole, nè
mostra l’attinenza di ragione per cui si va dal noto
all’ignoto, cioè da un principio evidente alla conse¬
guenza (1) ». Nè questo è tutto, chè le stesse verità
sperimentali acquistano il più alto grado di certezza
quando si giunga ad applicar loro il calcolo matema¬
tico, il quale è il più bell'esempio di procedimento
deduttivo e viene non solo ad ordinarle le verità, ma
anche a dar loro una consistenza che altrimenti sa-
sebbe vano sperare, non potendosi dire ritrovata una
verità se è di ancor dubbia esistenza.
È inutile parlare dell’importanza del Raziocinio nelle
scienze deduttive in generale, nè vi è bisogno di ri¬
cordare che tanto colui il quale impara le Matematiche,
quanto chi le insegna procedono per via di Sillogismo. E
vero che, come affermava il Bufalini, le scienze furono
povere e superstiziose finché le guidò la filosofia spe¬
culativa, e che solo la filosofia sperimentale fece fare
ad esse rapidi e prodigiosi progressi. Ma non v’è chi
non riconosca che i Peripatetici e specialmente gli
ultimi della scuola abusarono del Raziocinio trascurando
l’Induzione.
Coi loro metodi non fecero avanzare le scienze fi¬
siche durante secoli e secoli dal punto in cui le ave-
(1) Conti — Storia della filosofia, Voi. II. pag. IBS e seg.
— 99 —
-vano condotte i Greci, salvo arditi tentativi di Rogero
Bacone. Ed invero dai principii che il sole è più
nobile della terra, che il riposo è più nobile del
movimento, che il moto circolare è il più perfetto,
che la natura ha orrore del vuoto, non potevasi trarre
alcuna spiegazione di fatti naturali, nè dare alcuna
spiegazione di fatti naturali, nè fare alcuna scoperta.
Ma non bisogna però dimenticare che le scienze
giunte allo stadio deduttivo sono di gran lunga più
ricche e meglio costituite di quelle che sono ancora
costrette, ogni qualvolta si presentano nuovi casi, a
fare sempre nuove generalizzazioni, in mancanza di
una generalizzazione ultima, atta a ricollegare dedut¬
tivamente tutte le sue parti. L’Astronomia ha fatto
rapidi progressi ed ha raggiunto quel grado di per¬
fezione che ora l'adorna in virtù di una sola gcneia-
lizznzione, l’attrazione universale; e cosi la Fisica, pel
principio dell’equivalenza delle forze; e la stessa Chi¬
mica moderna non esisterebbe senza l’ipotesi che dicesi
teoria atomica, nè l'Ottica senza quella che la luco
sia un movimento ondulatorio. Che dire poi della Mec¬
canica? Il dottor Vailati avvertiva giustamente in una
■sua pregevolissima Lettura tenuta pochi anni or sono
all’Università di Torino (1), che le prime esperienze
che fecero progredire la Meccanica furono, più che
interrogazioni rivolte alla natura- « veri cimenti a cui
l’assoggettavano per sfidarla quasi a rispondere diver¬
samente da quel che avrebbe dovuto. » Talora pareva
che fossero indotti a sperimentare più per convincere
gli altri che se stessi ; poiché i fatti soli potevano
scuotere gli increduli. E noi già recammo parecchi
esempi del Galilei, più eloquenti di lunghi discorsi.
(1) Vailati — Op. cit., pag. 14.
— 100 —
In oo-ni scienza ritrovate le leggi semplici incomincia
un procedimento inventivo della Deduzione, che può
essere una riduzione od una sintesi. Quantoè rimasta più
indietro laStoria naturale! E ciò perché sebbene la teoria
dell’evoluzione sia una generalizzazione ultima rispetto-
alla Biologia, tuttavia non è così certa nelle sue ipotesi,
nè così compiuta nelle sue leggi da potersi affidare al
procedimento deduttivo nelle dimostrazioni e ricerche.
Perciò fin quando non si dimostri che nella cellula
germinativa sono tutti gli elementi costitutivi delle-
specie, ed anche i germi del sentire, dell intendere, del
volere; fin quando non cesserà di essere un arcano
come da un atto meccanico si passi ad un atto psi¬
chico, la teoria del Darvin e dello Spencer potrà allct¬
tare molte menti, - ma non sarà riconosciuta quale
accertata verità scientifica. Onde l’applicazione della
Deduzione alle scienze è desiderabile pel loro progresso ;
e tali vantaggi ha posto splendidamente in luce
il dottor Vailati nel suo scritto già da noi citato. Uno
di questi vantaggi consiste per lui nel « reciproco
controllo che le proposizioni legate per mezzo della
Deduzione sono poste in grado di esercitare le une
sulle altre, e nel vicendevole appoggio che vengono
così a prestarsi mettendo in certo modo in comune
la forza complessiva di tutti i fatti e di tutte lo verifiche
di cui ciascuna di esse dispone (1).» Altro vantaggio
infine è quello che si riferisce « alla capacità che ha
la Deduzione di semplificare e facilitare la descrizione
e la caratterizzazione dell’andamento dei fenomeni al
cui studio si applica, permettendoci di rappresentare
nelle nostra mente le leggi che li regolano mediante
(1) Vailati — Op. cit., pag. 85.
— 101 —
un minimo numero di proposizioni abbracciane ciascuna
un insieme, il più possibilmente esteso, di fatti parti¬
colari e casi speciali (1). » Onde apparisce chiaro
che il Raziocinio è ben più d’un semplice ordinatore,
di un istrumcnto tassonomico che vale a scoprire nuovi
veri in ogni ramo del sapere. Le scienze poi non vanno
divise in due campi, in deduttive e induttive, esclusiva-
mente, in quantoche Deduzione e Induzione, come già
vedemmo, si integrano a vicenda in ogni scienza, e si
può parlare tutt’al più della prevalenza di un metodo
sull’altro, non mai di contrasto.
Come non è possibile separare l’Analisi dalla Sintesi,
perocché se ogni Analisi nella ricerca ha per fine una
Sintesi ogni Sintesi è il risultamento della composi¬
zione di precedenti Analisi; così non si può disgiungere
la Deduzione dall’Induzione, perchè quella muove o
da principi raggiunti con l’Induzione, o da ipotesi,
ossia principi formulati analogicamente, conforme agli
induttivi; e d’altro lato alcuni procedimenti, coi quali
l’Induzione cerca di raggiungerei principi sono dedut¬
tivi, come si vede nel metodo di differenza. Bisogna
poi sempre tener presente che in ogni scienza occorre
ad ogni passo la spiegazione la quale in sostanza è
una Deduzione, una riduzione del particolare all’uni¬
versale, una generalizzazione.
Che più? Tutte le scienze da induttive tendono, come
già dicemmo, a diventare deduttive, ed in’ciù consiste
la loro perfezione, sia estensiva sia intensiva. E, per
concludere, in tutte le scienze se si trovano nuove
cognizioni di fatti con l’osservazione esterna ed interna,
col ragionamento e con la riflessione si acquistano nuove
VailatL — Op. cit., pag. 36.
— 102 —
cognizioni razionali; con 1 Induzione si arriva a sco_
prire verità generali nei concetti particolari; col Ra¬
ziocinio si scoprono le attinenze particolari nelle verità
generali e nei principi puri e sperimentali; ed infine
non già il Senso con l’Esperienza e l'Induzione, ma la
Ragione assorge ai principi supremi, li furmola, e li-
applica alle stesse scienze sperimentali. Perocché . i
principi generali, di perse stessi, per dirla con Augusto-
Conti, « sono astratti e nulla insegnano, e sono come-
tesoro, che, posseduto non si spende nè si mette in com¬
mercio e quindi non serve a nulla (1) ». Onde il metodo-
più acconcio per far progredire ogni scienza è il com¬
prensivo, creato e sapientemente seguito dal nostro’
Galilei. Il vero scienziato deve partire dai summi prin¬
cipi della ragione, ingiustamente dal Locke, dal Bor-
ckeley e dall'I-Iume considerati infecondi nella scienza-
perchè astratti ed universali. Essi sono indispensabili;
al progresso del sapere: indi è necessaria la Matematica-
e specialmente la Geometria, perchè, per dirla col’
Galilei, « l’universo è scritto in lingua matematica, o-
i caratteri sono triangoli, cerchi ed altre figure geo¬
metriche, » o in altri termini, « i fatti naturali e le
proprietà dei corpi si riducono ad attinenze certe di
numero o di spazio; perchè le leggi di natura si ren¬
dono, per la mente nostra, generali e costanti ove siano
sottoposte al calcolo (2). »
Viene poscia in campo l'Esperienza, ma questa deve
sempre essere sorretta dal Discorso, nè ad essa lo
scienziato deve affidarsi troppo ciecamente, ricordando
le autee parole dal Magalotti nel Proemio ai Sugffi
(1) Conti o Sartini — Filosofia elementare, pag. 269-270.
(2_1 Cfr. anche Conti e Sartini, op. cit., pag. 274.
— 103 —
di Naturali esperienze dell'Accademia del Cimento :
« Conviene camminare con molto riguardo, che la
troppa fede all’esperienza non ci faccia travedere e ci
inganni, essendoché alle volte prima eh’ ella ci mostri
la verità, manifesta dopo levati quei primi velami delle
falsità più palesi, ne fa scorgere certe apparenze
ingannevoli,ch’hanno sembianze di vero (1) » Da ultimo
non deve mai trascurarsi l’autorità scientifica, che giova
ed evitare ogni eventuale inganno delle proprie osser¬
vazioni e dei propri ragionamenti. Questo è il vero
metodo scientifico e non altro; esso è gloria nostra,
ed ha rinnovalo tutte le scienze e nuovi trionfi è an¬
cora destinato a riportare pel bene dell’umanità.
Non possiamo chiudere questo nostro breve studio
sul Raziocinio senza accennare ad un altro suo pregio
che nessuno vorrà disconoscere, cioè all’efficacia che
esso ha nella formazione del carattere. Poiché il Sil¬
logismo facendo vedere ogni fatto particolare collegato
con un principio generale abitua gli uomini alla coe¬
renza, che trasportala nelle azioni dicesi carattere.
E giustamente osserva il Kant (2) che bisogna operare
come se la massima dell'azione dovesse divenire legge
universale della natura. Ma alla dottrina Kantiana
sublime nella sua rigidezza, non sa uniformarsi se non
colui il quale, per dirla col Rosmini, « si esercita ed
abitua nella coerenza dei pensamenti, e non lasciando
sterili in se stessi i principi ne deduce le ultime con¬
ti) Magalotti — Saggi di naturali esperienze dell’Accademia
del Cimento, Proemio — e A. Valdarnini — Il metodo speri¬
mentale ecc., pag. 68.
(2) Kant — Fondamenti della Metafisica dei Costumi, — e
Critica della Ragion Pratica.
— 1° 4 — . ' ..
/i\ il rii-attere infatti è 1 abitudine di
seguenze (1)- stabilita e di attenervisi
fcrysrs rr^rr
! tondamente del carattere è lord,ne morale e .
dovere, ma perchè possa effettuare, cosinegl uou«
come nelle nazioni « è necessario che tutte le nostre
hcoltà "li atti della mente, e le libere operazioni .1
proposito i mezzi e l’intento, fondati sul senUmento
è sull’idea della legge morale e del dovere armonizzino
fra loro e siano rivolti al vero e piu elevato flne
della vita umana e della civile società (3). » E se c
vero, come vuole lo Smiles, che la nobiltà del carattere
è quanto vi ha di meglio nell'umana natura ; se
vero che il carattere stesso degli individui e dei po¬
poli è la forza più potente nel mondo morale, il Ra¬
ziocinio che fortemente concorre a formarlo ci rende
un altro grande c segnalato servigio. La coscienza
morale poi è complessa: richiede in primo luogo a
conoscenza della legge; indi la coscienza di un fatto
volontario reale o intenzionale; infine la constatazione
che l'atto è conforme alla legge o disforme da essa.
Onde la coscienza morale fu da alcuno definita mo to
bene: « il giudizio della ragion pratica ultimo circa
i particolari fatti umani, dedotti dagli universali pnn-
(1) Rosmini — Logica, N. 994. ,010
(2) Fiorentino — Elementi di Filosofia, pag. 311-olZ.
(3) Yaldarnini — Elementi di Etica e di diritto, pag*
— 105 —
cipì del costume, » e può considerarsi come la con-
f clusione di un Raziocinio la cui premessa maggiore
è data dai primi principi morali, e la minore dalla
coscienza del fatto posto o da porre.
j CONCLUSIONE
Il nostro lavoro è compiuto: in esso abbiamo cercato
di seguire sempre il vero, senza curarci di attenerci
! più a questo che a quel sistema filosofico, nè di abbando¬
narci ad esagerate affermazioni. Dallo studio dei più
grandi scrittori di Logica ci è parso che in generale
si sia trasceso; da alcuni attribuendo al Raziocinio
una soverchia importanza che esso non ha, da altri
disconoscendogli ogni valore.
Nessuno ha mai potuto nè potrà in avvenire infir¬
mare validamente l’utilità e le regole del Raziocinio,
che, esposte in antico da Aristotele, furono riferite in
ogni età, e dal nostro Galilei opposte di continuo ai
falsi Peripatetici dell’età sua. Ricordiamo sempre che
se le scienze hanno progredito nell’età moderna in
modo così meraviglioso, ciò è stato perchè non il
solo metodo autoritario e deduttivo o lo sperimentale
induttivo, ma entrambi felicemente congiunti in ac¬
cordo armonico le guidarono nel loro cammino. E
rammentiamo ancora che, come ammonisce molto
saviamente il Conti (1), « un empirismo senza rigore
di ragionamento e senza guida dei sovrani principi è
accozzaglia di fatti, non è scienza, nè troverà mai
leggi universali, com’è l’attrazione del Newton e le
(1) Conti — Storia della Filosofia, Voi. II, pag. 342.
— 106 —
oscillazioni del Galilei. Un idealismo senza osserva¬
zione dei fatti, che induca e deduca fuor di quello che
essi mostrano, non è altro che tela di ragno, un soffio
la disfà, e ce l’insegna la storia. Nè ciò vale solo pei
fatti esteriori, ma per gli interni altresì; e come 1
tìsici così hanno i filosofi nel Galilei un maestro sicuro. »
Il suo metodo e quello della sua scuola ha dato alla
scienza così splendidi risultati, che i grandi scienziati
non lo abbandonarono più. « Una è la verità; e se
la verità ci si palesa dagli insegnamenti di Galileo, è
impossibile che essa stia in insegnamenti contrari. »
FINE.
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Introduzione.
Cap. I — Il Raziocinio in Aristotele ....
Cap. II — Il Raziocinio dopo Aristotele
Cap. Ili — Critica delle obiezioni mosse contro il valore
del Raziocinio.
Cap. IV — Importanza del Raziocinio nella scoperta
della veritìi.
Conclusione.
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