Luigi Speranza – GRICE ITALO!; ossia, Grice e Garin:
la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale del rinascimento – scuola
di Rieti – filosofia rietesi – filosofia lazia -- filosofia italiana – Luigi
Speranza (Rieti). Filosofo rietese. Filosofo lazio. Filosofo italiano. Rieti,
Lazio. Grice: “Garin is a serious student of what we may call the longitudinal,
rather than latitudinal, unity of Italian philosophy! If ever there is one!” --
Italian philosopher, author of a very
rich, “La cultura filosofica del rinascimento italiano.” And “L’umanesimo
italiano” Grice was Lit. Hum. Oxon, so he knew. Linceo. Studia sotto Limentani. Frequenta il Liceo
classico Galileo. Si laurea sotto Limentani. Vari studi sull'Illuminismo che confluiranno
nel volume sui moralisti inglesi. Subito dopo la laurea sostenne e vinse il
concorso per insegnare nei licei, cosa che continuò a fare fino a quando vinse
la cattedra da ordinario all'università. Tra i commissari del concorso liceale
c'è GUZZO (si veda), una figura che costituirà un punto di riferimento per G.
quanto meno fino ai primi anni del dopoguerra. I suoi riferimenti culturali non
erano costituiti da intellettuali e politici come Gramsci, ma da filosofi di
matrice spiritualista e cattolica come Lavelle,
Senne, Castelli Gattinara di ZUBIENA (si veda), SCIACCA (si veda) e lo
stesso GUZZO (si vedea). Iscritto al Partito Nazionale, pronuncia al liceo di
Firenze una commemorazione a GENTILE (si veda). Una svolta nelle prospettiva
politica, filosofica e storiografica (le tre cose non vanno separate) si ha con
l'uscita dei Quaderni del carcere di Gramsci, che hanno fortemente influenzato
la sua filosofia nel costante riferimento alla concretezza del pensiero, e con
la pubblicazione delle Cronache di filosofia italiana, fortemente sollecitato
da Laterza. Storico della filosofia molto legato al rigore filologico e al
lavoro sui testi, rifiuta la definizione di filosofo. È tuttavia considerabile
tale proprio in virtù delle sue polemiche anti-speculative e come influente
teorico della storiografia filosofica. Insegna a Firenze. Si ttrasfere a PISA a
causa dei perduranti disordini della rivolta studentesca, di cui non condivide
le modalità di lotta e che considera espressione di astratto
rivoluzionarismo. La sua infaticabile avidità di letture filosofiche lo rende
consigliere prezioso. I lincei gli confere il Premio Feltrinelli per la
Filosofia. Altre opere: “Pico: vita e dottrina”; “Gl’illuministi inglesi. I Moralisti;
“Il rinascimento ITALIANO”; “L'Umanesimo ITALIANO”; “Medioevo e Rinascimento”;
“Cronache di FILOSOFIA ITALIANA”; “L'educazione in Europa”; “La filosofia come
sapere storico”; “La filosofia nel Rinascimento ITALIANO”; “La cultura ITALIANA”;
“Scienza e vita civile nel Rinascimento ITALIANO”; “Storia della FILOSOFIA
ITALIANA”; “Dal Rinascimento all'Illuminismo”
“FILOSOFI ITALIANI”; “ Rinascite e rivoluzioni”; “Lo zodiaco della
vita”; “Tra due secoli”; “Cartesio”; “L’Ermetismo del Rinascimento”; “Gli
editori ITALIANI”; “La cultura del Rinascimento”. Ciò non toglie che
l'importanza della interpretazione del Rinascimento che G. ci dà nei suoi
scritti e ci documenta nelle sue edizioni, pubblicazioni, finissime traduzioni
di testi umanistici di ogni tipo (filosofico, politico, critico, letterario)
possa essere, senza iperbole, confrontata con l'importanza della evocazione del
Burckhardt» in Cantimori, Studi di storia, Torino, Einaudi, la Repubblica, Mecacci
L., La Ghirlanda fiorentina e la morte di Gentile, Adelphi, Milano, su lincei.
Fondo G., Il percorso storiografico di un maestro, Firenze, Le Lettere, Biondi,
Dopo il diluvio. G., l'ombra di Gentile e i bilanci della filosofia, in Un
secolo fiorentino, Arezzo, Helicon,,Olivia Catanorchi e Valentina Lepri, Dal
Rinascimento all'Illuminismo (Atti del convegno Firenze), Roma, Edizioni di
Storia e Letteratura,. Ciliberto, G.. Un intellettuale nel Novecento, Roma,
Laterza,. Raffaele Liucci, Quelle ombre sul delitto Gentile in "Treccani
Magazine", La Ghirlanda fiorentina e la morte di Gentile, Adelphi, Milano,
"Il Gramsci di G., in Archetipi del Novecento. Filosofia della prassi e
filosofia della realtà, Napoli, Bibliopolis, Umanesimo e umanesimi. Saggio
introduttivo alla storiografia di G., Milano, FrancoAngeli, Treccani Enciclopedie
Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Eugenio Garin, su BeWeb, Conferenza
Episcopale Italiana. Opere di G.. Quando con ritrosia è portato a farne un
sobrio bilancio, G. insiste a dire di essere stato soprattutto un insegnante.
Ho sempre insegnato, ripete. E insegnante lo è stato alla scuola di
avviamento al lavoro di Fucecchio, dei ragazzi di buona famiglia delle
Mantellate di Firenze, alle quali fa lezione sorvegliato da una severa suorina,
dei suoi quasi coetanei del Liceo Cannizzaro di Palermo, poi di quelli del
Liceo Vinci di Firenze, mentre sostituiva uno dei suoi maestri, SARLO (si
veda), nell’insegnamento universitario di filosofia. Insomma, sempre
insegna e, come si dice, in ogni ordine di scuola dall’università in giù.
Non saprei dire di G. insegnante di liceo. Vorrei dire solo qualosa di G.
docente universitario. Credo che ognuno possa sostenere, e con ragione,
di aver conosciuto e di aver avuto un suo G.. Non già perché egli avesse
la facoltà di adattarsi a chi per dovere o per diletto lo volesse
ascoltare. Anzi. Ma perché ciascuno era messo in grado di reagire a
quell’incontro con il proprio carattere, con la propria formazione, con è
scomparso G.. Al maestro fiorentino e alla sua opera la Biblioteca
Roncioniana aveva dedicato un convegno (cfr. Giornata di studi, omaggio a
G., Bollettino Roncioniano; del convegno sono poi usciti gli atti: G.. Il
percorso storiografico di un maestro, cur. Audisio e Savorelli, Firenze,
Le Lettere. Pubblichiamo qui un ricordo di G., che Tonini legge nela cerimonia
svoltasi in Palazzo vecchio, aha quale sono intervenuti il Sindaco di Firenze,
Domenici, Cacciali, Ciliberto, Luzi e Rossi. Il testo è apparso nella brochure
Per G., Napoli, Bibliopoli, edita a cura di Tonini e Franco, che si
ringraziano per averne acconsentito la ristampa in questa
sede. Tonini le proprie attese. In altre parole egli non intende
plasmare l’ascoltatore, ma solo offrire occasioni, occasioni cui ognuno
doveva e poteva rispondere a suo modo, liberamente.Non che il suo insegnamento è
univoco, uguale dappertutto e per tutti. È un insegnante troppo navigato
per sapere che una cosa è far lezione al pupillo di filosofia assieme,
un’altra ai soli filosofi, come ci chiama, un’altra cosa ancora ai laureati e
laureandi. Sa bene che è diverso rivolgersi ai colleghi in un convegno
di studio, o parlare in una casa del popolo, oppure rivolgersi a tutti,
ai cittadini, come spesso gli è capitato proprio qui nel palazzo vecchio della
sua Firenze. Cambiano i contenuti, mutano i toni, mai il carattere,
l’alta professionalità, medesima sempre la passione. G. non spezzetta mai
il pane della cultura: ovunque, o a chiunque avesse da parlare o da
insegnare, lo sconosciuto pupillo che si presenta all’esame, l’amico e collega,
lo studioso straniero, il laureato, tutti meritano sempre la stessa
attenzione, il medesimo trattamento. Sì che nella sua produzione letteraria le
conferenze lincee e le lezioni al Collège de France stanno insieme agli
scritti, diciamo, d’occasione, senza che il lettore ne colga, se non con
l’aiuto di riferimenti bibliografici, la loro provenienza e la loro
destinazione. Niente gli è più alieno, fisicamente e metaforicamente,
dell’espressione prendere per mano. G. non prende per mano nessuno. Apre un
libro, i cui capitoli anda narrando di volta in volta. Un libro sempre nuovo.
Per chi sa apprezzarlo, quel libro conduce a altri libri, poi a una
collana, infine a una biblioteca, spesso la sua. Un libro somigliante a quello
di un autore a lui carissimo, Sterne, La vita e le opinioni di Shandy
[LIFE AND OPINIONS – GRICE], fatto di parentesi, di divagazioni apparenti,
di vie traverse che sembrano far perdere di vista il contenuto promesso
fino a farlo dimenticare, ma che in realtà indicano tutto ciò che è
necessario per cominciare, più tardi altrove, la lettura. Come in un
libro ciascuno, per proprio conto, doveva specchiarvisi, trovarvi, se
volete, la propria strada, senza ammiccamenti né scorciatoie. E come con
un libro, ciascuno instaura con lui un rapporto individuale: per quanto
paradossale, la sua lezione non consentiva alcuna lettura corale, alcuna
possibilità di dispense, alcuna versione ufficiale. Considera la cultura,
lo ha scritto, la conquista di una più profonda coscienza di sé. E l’università
è cultura. In questo senso il suo non è mai stato un insegnamento
demagogicamente democratico, né si è mai considerato un missionario, né
ha considerato il proprio lavoro una missione. Piuttosto un funzionario, come
amò talora definirsi, civettando con il motivo del trasferimento della
sua famiglia a Firenze, che assicurava un viaggio su un treno sicuro,
tecnicamente aggiornato, ben condotto, ma che, al pari di un capotreno,
non era, e non si considerava, poi responsabile se i viaggiatori scendevano
alle stazioni intermedie e prendevano altre direzioni. Non credo si sia mai
sentito coinvolto nelle scelte altrui, né voleva esserlo. Non si prestava, pur
avendone le doti, a essere il pifferaio fascinatore di candide giovinette
e di timidi giovinotti. Lo considera un tradimento, un traviamento del
suo compito, che è appunto, e solo, quello di insegnare la filosofia, di
insegnare a capirne la storia, di fare cultura, ma sempre altro da
convincere o da portare su una strada che non fosse già in qualche modo
segnata, e segnata individualmente, in chi lo ascolta. Un pescatore anche,
ma un pescatore che getta reti larghe e profonde nelle quali si aspettava che i
pesci entrassero spontaneamente, mai che venissero catturati. I suoi
pesci erano e dovevano essere pupillo non venivano infatti da un esame che ne
aveva certificato proprio la maturità? che egli considerava suoi pari,
almeno per quel che riguarda il cartesiano bori sens, la bona mens, la cosa più
diffusa e più equamente distribuita tra gli uomini, sì che la differenza
tra lui e noi riguardava, galileianamente, l’estensione del sapere, non la
capacità di comprendere. Il severo, severissimo G., che tanto spaventa le
matricole, è un benevolo confessore dell’ignoranza del suo pupillo. E quelli
più maturi imparavano subito che la migliore risposta alle domande che
fioccavano in aula era quella di confessarla subito quella ignoranza,
anche quando si era quasi sicuri della risposta -- ma chi è sicuro di
fronte a G.?. Certo, quell’estensione del sapere costituiva una barriera,
una differenza di cui era consapevole lui e consapevoli noi, una barriera
quantitativa, ci faceva credere, scalabile e riducibile, quasi come una
differenza di età, mai come un’inattingibile diversità, che mai si
trasformava in paternalistica condiscendenza. Quella barriera si sgretolava
nella generosa disponibilità a fornire indicazioni e libri, al reiterato
prestarsi a spiegare non solo le tematiche del proprio corso, ma a
offrirsi di guidare piccoli gruppi alla lettura dei testi (Hegel, Kant o
Husserl) dei corsi di altri colleghi che ci risultassero particolarmente
difficili. Il grande intellettuale non dimentica in nessuna occasione la sua
professione: non solo nel rigido adempimento dei suoi obblighi di docente,
nella proverbiale puntualità, nella scrupolosa preparazione dei corsi (i
‘bauli’ di libri che partivano anzitempo per la montagna), nella paziente e
tanto prodiga lettura dei capitoli delle tesi di laurea, nella curiosità
con cui ogni anno rinnovava l’incontro con i suoi giovani interlocutori.
Aveva trasformato una precoce vocazione in una professione, in un affetto per
il proprio lavoro, prima ancora che per chi dovesse usufruirne, in una
disciplina che scherzosamente at- [G. La lezione di un maestro
tribuiva alle lontane origini savoiarde, ma che forse è la chiave per cogliere
la sua straordinaria e mai dismessa operosità, la freschezza di ogni suo
intervento. G. non è mai stato altro cheun insegnante: poche, modeste e
occasionali le cariche accademiche, nelle quali emergeno un’insofferenza e una
scontrosità imprevedibili nel professore, altrettanto rare quelle
istituzionali o editoriali e solo al termine, o quasi, della sua carriera
scolastica, nessuna, ovviamente, carica politica, in un uomo che ha, come
sa, una grande e perdurante passione civile, per la sua scuola, per la
sua città, per il suo paese. Credo che nulla gli è apparso più estraneo e
spiacevole di esser considerato a capo di qualcosa, fosse un istituto, una
rivista o una cordata accademica. Di fatto non c’è mai stata una scuola
di G., ci sono stati, e ci sono, tanti che hanno studiato e si sono
laureati con lui, che lavorano con lui, che condivideno aspetti e momenti
del suo lavoro, che si sono incontrati con lui, ma niente di più. Incauti,
invidiamo gl’allievi di PRA, che il maestro raduna a S. Margherita o sul
lago di Garda, cui apre la Rivista critica di storia della filosofia, la
collana del centro milanese di storia della filosofia. O quelli di Paci, che si
ritrovano su aut aut, che si incontrano nelle edizioni del Saggiatore,
ricordiamo e riconoscemo quelli di Banfi o quelli emergenti di Geymonat, che
attendeno a imponenti opere collettive, e tanti altri che andano sorgendo
vicino e lontano. G. non ha nulla. Non ha mai diretto opere collettive, non ha
mai organizzato convegni né li ha fatti organizzare, mai collane editoriali.
Quando ciò è avvenuto con l’ISTITUTO NAZIONALE DEL RINASCIMENTO o con il
Giornale critico della filosofia italiana, tutto si è potuto e si può dire,
fuori che fossero espressioni di una scuola o di un gruppo che in lui si
riconoscesse o che in lui fosse riconoscibile. Neanche quando a PISA gli si è
offerta l’opportunità di cogliere ancora una volta una straordinaria e
entusiasta messe di studiosi, è venuto meno il carattere del suo
insegnamento. Lì, come in S. Marco e poi in Piazza Brunelleschi, non ha
mancato di offrire opportunità, un’occasione irripetibile, anzi,
generosamente resa disponibile, ma sempre e solo per chi aveva modo e voglia di
coglierla e di realizzarne le potenzialità, ma lasciando a ciascuno la libertà
di decidere, di interpretare quell’incontro, di farne ciò che voleva. Il
severo G. non rimprovera mai. Non gli è mai venuto in mente di
riprenderci, come capita al suo amico e collega CANTIMORI o a RAGIONIERI, se mancamo a una seduta di seminario e veniamo
sorpresi in biblioteca o, peggio, al bar. Ma neppure gli è venuto in mente
di TONINI portarci nello stesso bar a prendere un aperitivo o un caffè,
come capita spesso con Cantimori e occasionalmente con
Ragionieri. Non vuole essere né un padre, né un maestro di vita. Non
credo neppure che volesse additarci un modello. È piuttosto una lezione
di maturità, di piena e consapevole democrazia intesa come rigoroso
rispetto dei ruoli, quella a cui ci chiama, e che per molti è anche la
prima. Il suo dovere è quello di insegnare, del nostro doviamo
rispondere noi. Scende dalla cattedra per aiutarci a leggere un testo,
per offrirci un’indicazione, per mostrarci un passo di un libro, sede tra
noi a discutere di Cartesio o di Platone, e la lezione puo proseguire nella biblioteca
di facoltà, o vicino ai tavoli della Nazionale o tra i libri di Seeber,
ma senza mai abdicare alla sua funzione. Non è mai sceso a
discutere con noi il corso, la sua organizzazione, le sue modalità. A
ciascuno il suo. Non discute le nostre scelte di vita, i propositi di
lavoro, le carriere. Li considera su un altro piano, nel quale
l’insegnante non dove né puo intromettersi: li accetta. Al massimo
inarcava le ciglia, come nei lavori che gli sottoponevamo, e continuamo
a sottoporgli, quando un impercettibile segno di lapis segnala i dubbi
e gl’errori di sintassi. Cittadino di forti passioni civili, le lascia
tutte, fuorché quella di insegnare, fuori dall’aula. Ë facile sapere come
la pensa, lo leggemo su Paese sera, sull’Unità, su Rinascita, lo seguimo nelle
Case del popolo, al Circolo di cultura, ma non si è mai innescata, con lui, una
forma qualsiasi di intesa, di complicità, oserei dire, che prescindesse
da quella unica e prevalente di insegnante e studente. G. ci ha lasciato
centinaia, migliaia di pagine in cui ci ha insegnato come ricostruire
figure di pensatori grandi e piccoli, da ASTORINI a Cartesio, da CITTADINI
a PICO. Ha ricostruito squarci del nostro passato culturale e civile, da CROCE
a GENTILE, da GRAMSCI a LABRIOLA, da CAPPONI a VILLARI, ci ha dato
testi e momenti del nostro passato FILOSOFICO che hanno costituito e
costituiscono un’eredità operante, viva e vitale per ognuno che voglia fare
una professione simile alla sua. Non ci ha potuto lasciare, ed è
purtroppo destinato a perdersi, quello che gli pareva più importante: la sua
lezione. Mi accorgo, nel concludere, di aver ricordato una scuola, un’università
che non c’è più. Non saprei dire se l’attuale, nella quale molti di noi si trovano ora, sia migliore o peggiore di
quella. Mi auguro, e lo auguro soprattutto ai più giovani, di potervi
incontrare ancora un insegnante come G. L'insidia implicita nel concetto stesso
di genere letterario ha non di rado contribuito a falsare la prospettiva
necessaria a ben collocare la produzione filosofica dell’umanesimo. Eta in cui
vennero predominando preoccupazioni critiche, in cui tutta l'attivita spirituale e impegnata a costruire una
respublica terrena, degna pienamente dell'uomo nobile, trova la sua espressione
piu alta in opere di contenuto in largo senso moralistico e di tono retorico,
in cui non solo si consegna un modo di concepire la vita, ma si difende e si
giustifica polemicamente un atteggiamento originale in ogni suo tratto. Per
questo chi voglia andar cercando le pagine esemplari dell’epoca, le piu
profondamente espressive, dovra rivolgersi,
non gia a testi per
tradizione considerati monumenti letterari,
ma alle opere in cui veramente si
manifest6 tutto 1'impegno umano
della nuova civilta. Cosi,
mentre chi prenda a scorrere
novelle umanistiche non
potra non uscir
deluso da talune,
piu che imitazioni,
traduzioni, o meglio
raffazzonamenti, di modelli
boccacceschi, quali troviamo, tanto per esemplificare, in Fazio,
pagine di insospettata bellezza,
capaci di colpire
ogni piu raffinata
sensibilita, ci si fanno
incontro nei trattati
e nei dialoghi
di Bracciolini, e perfino nelle opere d’un filosofo di
professione, dall’andamento
talora scolasticizzante, qual e Ficino.
E proprio Ficino
nella Theologia platonica, presentando
gl’uomini travagliati dalla
malinconia della vita
e desiderosi che
tutto sia un sogno
(wforsitan non sunt
vera quae nunc
nobis apparent, forsitan
in præsentia somniamus),
defmisce nei suoi
particolari espressivi un
tema di larghissima
risonanza in tutta
la letteratura europea. Sempre FICINO, nel Liber de Sole, pur parafrasando
talora l’orazione famosa dell'imperatore GIULIANO, fissa i momenti
di quella lalda del
sole che, attraverso VINCI (si
veda), arriva fino all’inno ispirato di Campanella. VINCI
(si veda) rimanda esplicitamente all'apertura
del terzo libro
degli Inni naturali
del Marullo; ma
chi veramente, ancora
una volta, in
una prosa di
grandissimo impegno, ci offre
tutti i temi di quella si. L'omo nato nobile e in citta libera- come diii
PICCOLOMINI. FICINO, Opera,
Basilea, Petri. (Theol
plat.). lenne preghiera di
ringraziamento alia fonte
di ogni vita
e di ogni
luce, e proprio
Ficino. Del quale e la non
dimenticabile raffigurazione di
una tenebra totale,
ove e spento
ogni astro, che
fascia lungamente i
viventi, finche di
colpo il cielo
si apre per
mo- strare colui
che e sola
forma visibile del
Dio verace. E
ficiniana e 1'opposizione del carcere
oscuro e della luce di vita, della tenebra di
morte e dei germi
rinnovellati dalla luce
e dal calore
solare, in cui
si articolera il metro
barbaro di Campanella. Ma per rimanere agli
scritti d’un medesimo
autore, ALBERTI, non
grande imitatore del
BOCCACCIO, raggiunge invece
la sua piena
efficacia quando costruisce
i suoi dialoghi,
e sa essere
perfettamente originale pur
intessendoli di reminiscenze
classiche. Perfino la
tanto celebrata Historia
de Eurialo et Lucretia di Enea
Silvio perde tutto il suo colore innanzi alle pagine dei Commentarii'*e sono
piu facili a dimenticarsi i casi di
Lucrezia che non le stanze delle antiche regine divenute nidi di serpi, o le
porpore dei magistrati
romani rievocate fra
Tedera che copre
le pietre rose
dal tempo, o
i topi che corrono la notte nei sotterranei
di un convento e il papa che caccia sdegnato i monaci negligenti. Per non dire
di quella feroce presentazione dei cardinali, fissati in ritratti nitidissimi
con rapide Imee mentre per
complottare trasferiscono
nelle latrine la
solennita del conclave.
Poggio consegna a
trattati di morale
narrazioni scintillanti di
arguzia, spesso molto
piu facete di
tutte le sue
Facezie. I mari
di Grecia percorsi
sognando d’Ulisse, il fasto
delle corti d'Oriente,
le belve africane,
i fiumi immensi, et
per Nilum horrifici
illi anguigeni crocodiliw,
si alternano a
discussioni erudite sulle
iscrizioni delle piramidi nelle
lettere agli amici
e nel taccuino
di viaggio di
quel bizzarro e
geniale archeologo che
fu Ciriaco dej Pizzicolli
d'Ancona. E forse
il grande Poliziano ha scritto
le sue pagine
piu belle nella
prolusione al corso
sugli Analitici primi
d' Aristotele e nella
lettera alPAntiquario sulla
morte del magnifico Lorenzo. Lettere
dialoghi e trattati,
orazioni e note
autobiografiche, sono i
monumenti piu alti
della letteratura del
Quattro cento, e tanto piu
efficaci quanto meno 1'autore si chiude nelle
i. «La novella era
un genere troppo
definite, troppo condizionato
nelle sue linee
essenziali da una
tradizione ormai piu
che secolare, perche
PICCOLOMINI (si veda) puo
eluderne il colorito
e gli schemi»
(PAPARELLI, Piccolomini, Bari,
Laterza). forme tradizionali,
quanto piii si
impegna nel problema
concrete che lo
preoccupa,1 o si
accende di passione politica
nel discorso e
nell'invettiva, o si
dimentica nella confessione
e nella lettera.
Poliziano, che della
produzione letteraria del
suo tempo fu
il critico piu
accorto e consapevole,
e che ha
dichiarato con grande
precisione i suoi
princlpi dottrinali nella
prefazione ai Miscellanea,
nella lettera al
Cortese e, soprattutto,
nella grande prolusione
a STAZIO (si veda) e
Quintiliano, ha visto
molto bene come
all’umanesimo sono intrinsiche
particolari maniere espressive. Proprio nelle
prime lezioni del
suo corso sulle
Selve di STAZIO (si veda), con
la cura minuta
che gli era
propria, si sofferma
a dissertare abbastanza
a lungo intorno
a due forme
letterarie tipiche, Fepistola
e IL DIALOGO, accennando insieme
al genere oratorio,
da cui gli
altri due si
distaccano pur non
senza svelare un'intima
parentela. L'epistola egli dice e
il colloquio con gl’assenti, siano
essi lontani da noi nello
spazio oppure nel
tempo: e vi
sono due specie
di lettere, scherzose
le une, gravi
e dottrinali le
altre -- altera ociosa,
gravis et severa
altera. Ma 1'epistola deve
essere sempre i.
In una compilazione
erudita come i
Dies geniales di
Alessandro d'Alessandro la
discussione filologica si inserisce con eleganza fra il ritratto e il ricordo
senza togliere a questi alcuna grazia,
cosi che la discussione di un testo classico si colloca nella descrizione d’un
compleanno del Pontano o d’una cena di
Barbaro, o fa seguito
a una lezione
romana di Filelfo (cfr.
CROCE, Varieta di
storia letteraria e civile, Bari,
Laterza. A proposito del DIALOGO e dell'epistola
come forme caratteristiche dell'umanesimo e da
vedere quanto dice RttEGG, Cicero und der Humanismus,
Formate Untersuchungen über Petrarca und
Erasmus, Zurich, Rhein-Verlag,
anche se a
proposito della sua
tendenza a ricondurre
tutto a CICERONE e da tener presente
la nota che
CROCE stese appunto
sull'opera del Rxiegg (Mommsen e
CICERONE, in Varieta). II commento del
Poliziano e nel ms. Magliab.
vn, (Bibl. Naz. Firenze). II
testo in questione e a
c. 4V-5V (est
ergo proprie epistola,
id quod ex
Ciceronis (CICERONE (si veda)) verbis
colligimus, scriptionis genus quo certiores facimus absentes si quid est
quod aut ipsorum aut nostra interesse
arbitremur. Eiusque tamen et aliæ
sunt species atque
multiplices, sed duæ præcipuae altera
ociosa, gravis et
severa altera. Atqui neque omnis
materia epistolis accommodata
est. Brevem autem concisamque
esse oportet simplicis ipsius rei
expositionem, eamque simplicibus verbis. Multas epistolæ inesse convenit festivitates, amoris significationes, multa
proverbia, ut quæ communia sunt atque ipsi multitudini accommodata. Qui vero sententias venatur quique
adhortationibus utitur nimiis,
iam non epistolam,
sed artificium oratorium. Epistola velut pars altera
dialogi. maiore quadam concinnatione
epistola indiget quam
dialogus imitatur enim hie
extemporaliter loquentem at epistola
scribitur.] breve e concisa,
semplice, con semplici
espressioni, ricca di brio,
di affettuosita, di motti, di proverbi (amulta
proverbia, ut quae
communia sunt atque
ipsi multitudini accommodata). Nella lettera
deve prendere un
tono troppo sentenzioso
e ammonitorio, altrimenti
non si ha piu una lettera ma una elaborata orazione
-- iam non epistolam,
sed artificium oratorium.
L'epistola e come la battuta
singola, e die
rimane quasi sospesa, di un dialogo (velut pars
altera dialogi), anche
se deve essere formalmente piu
curata del dialogo,
che per essere
schietto deve imitare
IL DISCORSO IMPROVISATO, mentre l’epistola
e per sua natura
discorso meditato e scritto. In tal modo un carteggio viene ad essere un
dialogo compiuto e vario; e non va dimenticato
come proprio il curioso epistolario di Poliziano ci
offra un esempio
caratteristico di simili
colloqui. Non a caso, con la
sua grande sensibilita critica,
Poliziano batte proprio
su queste forme:
ad esse infatti si puo ricondurre
quasi tutta la piu significativa produzione latina in prosa, poiche anche il diario,
il taccuino di viaggio, si
configura di continue
come lettera ad
un amico. Cosi, per
ricordare ancora
l’Itinerarium di Ciriaco
d'Ancona, noi vi
troviamo riportati di
peso i temi
e le espressioni
medesime delle epistole.]
stato detto, ma
non del tutto
giustamente, che l’umanesimo è una rivoluzione
formale. In verita la profonda
novita formale adere esattamente
a una rivoluzione sostanziale che facendo centro nella CONVERSAZIONE
CIVILE, nella vita civile, po- [Itinerarium: ego quidem interea magno visendi orbis
studio, ut ea quæ iamdiu
mihi maximæ curæ fuere antiquarum rerum monumenta undique
terris diffusa vestigare perficiam. Hinc ego rei nostrae gratia et magno utique
et innato visendi orbis desiderio. Epist.
Boruele Grimaldo (ins.
Targioni, Bibl. Naz. Firenze): cum
et a teneris
annis summus ille
visendi orbis amor
innatus esset. Del resto
tutta l’opera di
Ciriaco e una serie di variazioni di questo appassionato motivo: summus
ille visendi orbis amor,antiquarum rerum monumenta vestigare, quæ in dies longi
temporis labe collabuntur litteris mandare. La sete di conoscere il mondo,
il bisogno di vincere spazio
e tempo, di
riconquistare ogni piu
lontano frammento d'umanita
e di sottrarlo
alia morte, e
insieme questo senso
concrete del passato
trovano in lui
una espressione singolare.
Nella medesima epistola
a Bruni abbiarno in sieme notizia di
un'iscrizione inviata da
Atene ex me nuper Athenis e della difesa di Cesare contro Bracciolini
spedita dall'Epiro ex Epyro hisce
nuper diebus. Cosl, appunto,
il Riiegg, (der Humanismus
ist eine formale,
nicht eine dogmatische
Revolution). neva IL COLLOQUIO COME FORMA ESPRESSIVA ESEMPLARE
(GRICE, CONVERSAZIONE). E se la lettera deve
essere considerata velut
pars altera DIALOGI,
l’attenzione si polarizza
sul DIALOGO: ed IN
FORMA DI DIALOGO e in genere
il trattato, di
argomento morale o politico o
filosofico IN SENSO LATO, che
rispecchia la vita d’una
umana respublica e traduce perfettamente
questa collaborazione voita a formare uomini ccnobili e liberi, che costituisce 1'essenza stessa
della humanitas rinascimentale. La quale celebrandosi nella
societa umana tende
a persuadere, a
far culminare ogni
incontro in una
trasformazione degli altri
attraverso una riforma
interiore raggiunta per
mezzo della politia
litteraria. Limiti e prolungamenti
del colloquio ci
appaiono da un
lato la notazione
autobiogranca, dall’altro il
pubblico discorso, 1'orazione,
che attraverso la
polemica arriva all'invettiva. I
cancellieri fiorentini, Salutati e Bruni, ci offrono esempi insigni di questo intrinsecarsi di
filosofia e politica, di questa prosa che dell’efficacia
e potenza espressiva si fa un'arma piu
valida delle schiere combattenti. La
lode famosa di Pio
II alla saggezza di Firenze, e ai
suoi dotti cancellieri le cui epistole
spaventano Visconti piu di
corazzate truppe di cavalleria, non e che la proclamazione del valore di
una propaganda fatta su un piano
superiore di cultura in una
societa educata ad accogliere e a
rispettare la superiorita della
cultura. L'incontro di politica e
cultura a Firenze e a Venezia ritrova la valutazione della retorica di un Poliziano e di
un Barbaro, e giova a
definire un'epoca che cerca
i suoi titoli
di nobilta al di
fuori dei diritti del sangue. La VIRTÙ, che
non e certamente
un bene ereditato, e sempre
intelligenza, humanitas, e cioe consapevolezza e cultura. Anche quando, nelle discussioni non
infrequenti sull’argomento, si
riconosce il valore
della milizia, s’intende una
sottile dottrina, ove il valore
personale del capo e intessuto di
sapienza. Montefeltro e
poco ci importa
se il ritratto è fedele e
profondamente addottrinato, e sa
che i filosofi descrivendo
le battaglie possono
divenire anch'essi maestri dell’arte
della guerra. Alfonso il
Magnanimo reca seco al
campo una piccola
biblioteca, e pensa sempre a filosofi,
e sa che la parola bene
adoprata, ossia veramente espressiva, e
piu potente d’ogni esercito. C'è
appena bisogno di
ricordare che si
tratta dei titoli
delle opere di
Palmieri e di Guazzo. E
ancora il titolo di
un'opera significativa, quella
di Decembrio in
cui si rispecchia
la scuola di Guarino. II suo motto, racconta Vespasiano da
Bisticci, è che un re non
letterato e un asino coronato. II che
non significa, si badi, che ser
Coluccio è un vuoto retore,
o Alfonso un
re da sermone,
ma che la
cultura è, essa, viva ed
efficace e umana,
e perfetta espressione di
una societa capace
d'accoglierla. L'uomo che
nel linguaggio celebra veramente se
stesso -- l'uomo si manifesta
uomo essenzialmente nella
parola, come si costituisce in
pienezza definendosi attraverso
la cultura (le
litteræ che formano
la humanitas), cosi raggiunge
ogni sua efficacia mondana
mediante la parola
persuasiva, mediante la
retorica intesa nel
suo significato profondo di medicina
dell'anima, signora delle
passioni, educatrice vera
dell'uomo, costruttrice e
distruttrice delle citta. Tutto
e, veramente, retorica, sol
che si ricordi
ch, d'altra parte, retorica e umanita,
ossia spiritualita, consapevolezza, ragione,
DISCORSO di uomini; perche',
veramente, l’umanesimo, in
cui tutto è
inteso sub specie
humanitatis, e humanitas e UMANO COLLOQUIO, ossia
tutto il regno
delle muse figlie di Mnemosine
che e il piu vero e il piu bello
dei miti. Con semplicita
francescana frate Bernardino
da Siena, che
vede in ser Coluccio
un maestro e
in Bruni un
amico, scrive cristianamente le
medesime cose. Non aresti
tu gran piacere se tu vedessi o udissi predicare Gesu
Cristo, san Paulo, GREGORIO (si veda), santo
Geronimo o santo
Ambruogio? Orsu va,
leggi i loro
libri, qual piu
ti piace e
parlerai con loro,
ed eglino parleranno
teco; udiranno te e tu udirai
loro. E, come dice altrove,
le lettere ti
faranno signore. II
grande Valla parlera di
un sacramentum il modesto
Bartolomeo della Fonte dira
di un divinwn
mimen: quel nume che da
agl’uomini anozze e tribunali
ed are. Per questo le
litteræ sono una
cosa terribilmente seria,
e la responsabilita di
un termine bene usato
e gravissima, e
non v'e posto per
Fozio. Per questo la poesia in senso vichiano e da
cercarsi la dove si
traducono e si
consegnano i discorsi
essenziali per la
vita dell’uomo. Cosi FLORA, Umanesimo, Letterature moderne, Ecco secondo
Fonzio quello che
ottiene la parola:
fidem inter se
homines colere, matrimonia inire, seque
in una mœnia
cogere viribus eloquentiæ
compulit. Per tal modo quella
poesia che talora e
lontana dai versi
e dalle novelle,
e presente ed
altissima nella pagina
di un filosofo
o nell'appassionata invettiva
di un politico. La
dolcezza del dire
(dulcedo et sonoritas
verborum), la luce della
forma (lux orationis), che
si invoca per
ogni espressione di
vera umanita, vuol
far poesia d’ogni
UMANO DISCORSO; e nel
momento in cui
riesce a tanto
toglie ogni privilegiato
dominio alle dettere
oziose. Perfino un oscuro erudito
come CASSI d'Arezzo sa dirci
che in tal
modo nell'eloquenza si
unificano tutte le umane attivita, e tutto in essa si umanizza davero,
e non perche come
taluno ha fantasticato,
si celebri solo
il letterato ozioso,
ma al contrario
perche 1'uomo e
presente in ogni
momento dell'agire: perche,
faccia egli il matematico, il
medico, il soldato
o il sacerdote,
sempre e innanzitutto e uomo, e
il suo sigillo umano imprime
ad ogni sua
opera umanamente esprimendola,
ossia rivestendola della
lux orationis. Di
qui l’importanza centrale che vengono ad assumere le TRATTAZIONI SULLA LINGUA, sulla
sua storia, sulla
eleganza? ove LA DISCUSSIONE GRAMMATICALE si trasforma
di continuo in
discorso finissimo d’estetica:
e quel trapassare
dal vocabolario, e
magari dal repertorio
ortografico basti pensare
a Perotto o a
Tortelli nell’analisi critica e
nella dissertazione storica.
Mentre, contemporaneamente, la
storia, che intende
farsi vivo specchio
della a vita
civile)), e per
eccellenza eloquente discorso,
ossia prosa politica
e trattato pedagogico-morale. Bellissima cosa e infatti come afferma
Bruni raccontare 1'origine prima
e il progresso della propria citta, e conoscere
le imprese dei popoli
liberi (est enim decorum cum propriæ gentis originem et
progressus, turn libe- i. Quasi unum
in corpus convenerunt
scientiæ omnes, et rursus temporibus nostris eloquentiæ studiis studia
sapientiæ coniuncta sunt (d’una lettera di
Cassi a Tortelli,
contenuta nel Vat.
lat. e pubblicata
da GAMURRINI, Arezzo e r Umanesimo, Arezzo, Cristelli, miscellanea
in onore di Petrarca dell'Accademia Petrarca). A proposito dell’eleganze di Valla scrive
Cortesi, De hominibus doctis, ed. Galletti, Florentiæ, Mazzoni,
conabatur Valla vim verborum exprimere et
quasi vias ad structuram orationis. rorum populorum res gestas cognoscere. Cortesi, in quel felice dialogo
De hominibus doctis,
che e una vera propria storia critica della letteratura, appunto discorrendo delle storie di Bruni, batte su questo incontro
della verita con 1'eleganza, che e tutt'uno con quell’armonia di sapienza ed eloquenza che Accolti celebra quale dote
precipua dei fiorentini e dei veneziani del suo tempo nel dialogo De præstantia
virorum sui aevi. Per
la stessa ragione
per cui tutto
sembra divenir DIALOGO, tutto anche
e libro di storia; e storia e, ancora, colloquio con le eta antiche, con
i grandi spiriti del passato.Bruni nell'introduzione
ai commentarii confessa che
la grande filosofia classica fa si che i tempi lontani
ci siano piu vicini e piu noti dei tempi nostri (mihi quidem Ciceronis Demosthenisque tempera multo magis nota
videntur quam ilia quae
fuerunt iam annis
sexaginta), e dichiara che e compito della storia immettere
nella nostra vita e nel nostro colloquio il passato, farlo
vivo con noi, quasi picturam
quondam viventem adhuc spirantemque. Palmieri innanzi
alia vita di
ACCIAUOLI ci insegna che la
storia e una specie
di immortalita terrena
di quanto in noi e,
appunto, vita mondanala
storia e culto e salvezza
di quella parte
mortale che le lettere
redimono da morte
dilatando la società
umana oltre i limiti del tempo e salvandola dall’oblio
e dal destino. Si
aprono qui, tuttavia,
a proposito della
prosa latina, due
questioni fra loro
strettamente connesse e che
sembrano in qualche
modo, gia nella
loro impostazione, venir
contrastando con quei Cosi
nel De studiis et litteris in BARON, BRUNI Aretino
humanistisch-philosophische Schriften,
Leipzig. Una giusta valutazione
dell’opera storica di BRUNI presenta Ullman, BRUNI and humanistic
historiography, Medievalia et Humanistica e, per quanto si e sopra osservato su retorica,
politica e storia, son da vedere i tre
saggi di BARON,
Das Erwachen des
historischen Denkens im
Humanismus, Hist. Zeitschrift; di
RUBINSTEIN, The Beginnings of
Political Thought in Florence:
A Study in Mediaeval Historiography,
Journal Warburg Inst.; di CANTIMORI, Rhetoric and
Politics in Italian Humanism,
Journ. Warburg
Inst.; Corpoream vero partem non
omnino negligendam ducunt,
sed tamquam suam
in terra recolendam,
ideoque desiderant illam oblivioni et fato præripere caratteri
stessi che si sono voluti
definire. Come, infatti,
parlare della’umanità d’una
produzione che si serve di UNA LINGUA CHE NESSUNO ORMAI USA e che, dunque, gia
nel mezzo espressivo pone come suo canone l’imitazione. In che modo una
FILOSOFIA MIMETICA, RICALCATA SU MODELLI CICERONIANI, puo oltrepassare i
limiti della erudizione?
Ma i due gravi
problemi, del LATINO umanistico e dell’imitazione classica, gia tanto
dibattuti, hanno oramai offerto anche
1'avvio a una soluzione. Quanto infatti si obbietta intorno all’uso del latino,
in luogo del volgare, e ad una
presunta frattura che
si opera rispetto
alla tradizione, deve
essere corretto coll’osservazione che i
generi di prosa a cui ci riferiamo, orazioni,
trattati, epistole politiche,
DIALOGHI dottrinali, hanno
sempre fatto uso del
latino. Non e quindi esatto
dire che da un presunto uso del
volgare si torna al latino. È vero
invece che al LATINO MEDIEVALE definite
BARBARICO, e cioe GOTO O PARIGINO (dai franci, non
gallii), si oppone
un *altro* latino
che si determina
e si definisce
rispetto ai modelli
classici. II quale
latino, che si
dichiara — come dice esplicitamente PLATINA — integrate da tutta la più feconda tradizione
post-ciceroniana, ivi compresi
i Padri della Chiesa, intende rivendicare i diritti d’una lingua
nazionale romana contro l’universalita d’un GERGO scolastico (lo stile PARIGINO
della Sorbonna, non di Bologna), ed
innanzi tutto nel campo di una produzione
costantemente espressa in latino. Giustamente
SANCTIS (si veda) sottoline la frase del VALLA che proclama lingua
nostra il latino vero, che si contrappone al LATINO GOTICO dell’uso medievale.
La quale nostra lingua romana degl’umanisti, che SI PRECISA CON CARATTERI
PROPRI COSI RISPETTO AL LATINO CLASSICO COME A QUELLO BARBARO DEI BARBARI
FRANCI, va vista
per quello che
essa veramente e,
anche rispetto al
volgare: un nuovo latino, in
cui la complessita
antica cede il
posto alia scioltezza
moderna. Il latino degl’umanisti, lingua veramente viva che aderisce in
pieno a una cultura affermatasi attraverso una consapevolezza critica che si
colloca chiaramente nel tempo
defiendo i propri rapporti cosl col mondo antico come
con il medioevo. Il latino dei
grandi umanisti, lungi dal
rappresentare una battuta
d'arresto o un momento di
invo- [Cosi nella
prefazione alle Vite,
che riportiamo per
intero. Rilievi utili in proposito ha
Sabbadini sia nella Storia del ciceronianismo CICERONE (si veda)
(Torino, Loescher), come
nel Metodo degl’umanisti
(Firenze, Monnier). luzione, si
colloca nella storia
stessa del volgare. Il latino insegna al volgare
l'eleganza la misura la forza e 1'eloquenza, e il volgare imprime ne’filosofi
umanisti le leggi del suo andamento piano, della sua sintassi sciolta, dei suoi
trapassi intuitivi, della sua eloquenza
interiore. Fra il latino, in cui si rispecchia pienamente tutto un
atteggiamento culturale, e il volgare v’e una collaborazione che del resto si
traduce quasi materialmente
nel fatto che
gl’autori spesso scrivono
1'opera loro in
latino e in
italiano. Non sempre si e posto mente al fatto che da MANETTI (si veda) a FICINO gli stessi trattatisti, siano pur
filosofi, stendono anche in volgare le loro meditazioni. E come il loro latino
e davvero una lingua
low., cosi il
volgare che adoperano
non e per
nulla oppresso da
una imitazione artificiosa
di modelli classici. Giungiamo cosi
a quello che
forse e il
punto piu delicato
ad intendersi dell'atteggiamento di questi:
l’imitazione degl’antichi. Che la posizione assunta dagl’umanisti
rispetto agl’autori classici
sia alimentata da una
preoccupazione storica e
critica; che essi sono dei filologi
desiderosi innanzitutto di comprendere
gl’autori del passato
nelle loro reali
dimensioni e nella loro situazione concreta: e cosa ormai in complesso
pacifica. Ora gia questo definisce il senso
di quella imitazione che indica un atteggiamento molto
caratteristico. ACCOLIT dichiara nettamente
la parita di
valore fra i
nuovi autori e
i classici. POLIZIANO (si veda) nella
polemica col CORTESI, che e un
testo capitale, confuta
tutte le istanze
del ciceronianismo, e
proclama il valore di un'intera
tradizione afferrata nel suo
sviluppo, rivendicando il senso di tutto il periodo piu tardo della FILOSOFIA
ROMANA (neque autem statim detenus dixerimus quod diversion
sit). Ma dice
soprattutto 1'enorme distanza
fra una poesia
che fiorisce come
libera creazione su una
cultura meditata e fatta proprio sangue, e l'imitazione pedestre — ilia poetas
facit, haec simias. SPONGANO, Un capitolo di storia della nostra
prosa d'arte, Firenze,
Sansoni, E cosi
sono spesso notevoli
le version! di
scrittori celebri come
latinisti: TAurispa che
traduce Buonaccorso da
Montemagno, Donate ACCIAIUOLI che volgarizza
BRUNI, e cosi
via. interessante ritrovare, distesi
e volgarizzati, i
concetti di un
Valla e di
un Poliziano nei filosofi
francesi. Per esempio
Bellay, scrivendo dopo
aver tratto da
Valla il concetto che Roma è grande per la lingua imposta all'Europa
non meno che per l’impero
(la gloire du
peuple Romain n'est moindre,
comme a dit quelqu'unen l’amplifacation L'Umanesimo e in questa singolare
imitazione-creazione, come la chiama RUSSO: l'umanita fatta consapevole
attraverso il rapporto stabilito con gl’altri uomini nell'operoso sforzo
di raggiungere una sempre pifc alta forma di vita. Di qui, appunto, il particolare
carattere delle sue piu felici espressioni letterarie. de son langage que de
ses limites) eccolo riprendere POLIZIANO: immitant les
meilleurs aucteurs, se
transformant en eux,
les devorant, et
apres les avoir
bien digerez, les
convertissant en sang
et nouriture. Solo cosi l’imitazione e giovevole allo scrittore.
Autrement son immitation ressembleroit celle du singe. Cfr. WEINBERG,
Critical prefaces of
the French Renaissance, Northwestern, Evanston,
Illinois, Russo, Problemi di
metodo critico, Bari,
Laterza. G. Antonio Nasce a
Rieti, figlio di Francesco e di Teresa Barbagli. Il nonno, intendente di
Finanza, si è trasferito dalla SAVOIA in Toscana con l’Unità d’Italia; la madre
è originaria di San Giustino nel Valdarno; il padre – allievo di Vitelli, in
rapporti amichevoli con Pasquali, che scrive il suo necrologio su Atene e Roma
– è un valente filologo, con particolare interesse per la storia del romanzo
greco, per Teocrito e per i commenti a Teocrito. La guerra e la fine prematura
e quasi improvvisa ne stroncarono la carriera e costrinsero il figlio ad
assumersi, precocemente, pesanti responsabilità. G. ha, anche per questo,
un'infanzia e un'adolescenza assai difficili e tormentate, che hanno un peso
nel rafforzare i toni disincantati e pessimisti del carattere, controllati, in
genere, dall'ironia e anche dal sarcasmo, pronti però a esplodere nei momenti
di particolare amarezza o di maggior contrasto con i tempi in cui gli
toccò di vivere e di lavorare. Fin da quegli anni – duri e mai
dimenticati – comprese però quale era la sua vocazione e individuò nei libri, e
in uno studio assiduo e disperatissimo, la bussola con cui avrebbe costruito,
con tenacia, la propria vita: bruciando le tappe, si iscrisse alla facoltà di
filosofia a Firenze e si laurea col massimo dei voti in filosofia con una tesi su
Butler [cf. GRICE, SELF-LOVE, OTHER-LOVE], preparata sotto la guida di LIMENTANI
(si veda). A Firenze aveva compiuto anche gli studi elementari e medi,
frequentando il Liceo Galilei, nel quale insegna il padre e dove incontra Maria
Soro, nata a Sassari, che sarebbe poi diventata sua moglie, con rito
civile. G è nato a Rieti in seguito al trasferimento in quella città del
padre, che come professore di liceo aveva girato, si può dire, tutta l’Italia;
ma si considerò sempre fiorentino e conservò per tutta la vita un ricordo assai
vivo degli anni liceali e, soprattutto, di quelli trascorsi nella facoltà di
lettere di Firenze. In quel periodo fece incontri decisivi dal punto di vista
sia personale sia scientifico, e non solo in ambito filosofico; stabilì rapporti
con personalità come PASQUALI (si veda), e conosce compagni di studi ai quali
resta legato tutta la vita, italiani e non italiani: Teicher, Rubinstein, LUPORINI
(si veda), il quale, rievocando gli anni della sua formazione (Qualcosa di me
stesso, in Luporini, a cura di Moneti, Il ponte), ricorda come G. eccellesse
già allora su tutti, e fosse più avanti degli altri coetanei per maturità e
sapere. In quegli stessi anni, G. conosce due maestri che incisero segni
profondi nella sua mente e nella sua personalità intellettuale e scientifica: SARLO
(si veda) e, soprattutto, LIMENTANI (si veda), che lo avviò agli studi
sull'Illuminismo inglese, confluiti nel volume L'Illuminismo inglese. I
moralisti (Milano). Dopo aver insegnato nel Regio Convitto delle Mantellate, G.,
ottenuta l’abilitazione in storia e filosofia riuscendo tredicesimo nella
graduatoria generale, fa il concorso per l'insegnamento di filosofia e storia
nei licei per sedi determinate, e lo vince, dopo essere stato esaminato da una
commissione presieduta da GUZZO (si veda). Prende servizio come professore
straordinario di filosofia e storia presso il Liceo Cannizzaro di Palermo, dove
rimane fino a quando – dopo molti tentativi giustificati da motivi sia
familiari sia filosofici – è trasferito a Firenze per insegnare, come
professore ordinario, filosofia e storia al Liceo Vinci. Gli anni
palermitani sono assai importanti e fecondi per G.: per gli incontri umani e
intellettuali che fece e per le ricerche che condusse, preparando l'importante
volume PICO (si veda) Vita e dottrina, pubblicato a Firenze, ma già pronto a
Palermo. È a Palermo che scrive in gran parte il suo primo saggio di argomento
umanistico, servendosi dell’eccellenti biblioteche pubbliche della città, e
frequentando la Biblioteca filosofica a Palazzo Reale, col suo singolare
fondatore e direttore, POJERO (si veda), l'amico di GENTILE (si veda) e primo
editore dell'Atto puro, il bizzarro filosof' noto dappertutto, sempre teso a
cogliere una battuta e a fissarla per scritto (Una collaborazione lunga una
vita, in Belfagor). A spostare G. dagli studi iniziali sull'Illuminismo
inglese verso le ricerche umanistiche e rinascimentali contribuì una pluralità
di fattori: certo agirono la presenza, e il magistero, di Limentani, che in
quegli stessi anni studia il BRUNO
'inglese' sulla scia della importante monografia su La morale di Bruno. Ma alla
base di quello spostamento ci furono due altri motivi, forse più rilevanti: la
centralità assunta a quella data dall'Umanesimo e dal Rinascimento nella
ricerca filosofica europea intorno a problemi decisivi come la libertà, e la
dignità, dell'uomo; il rapporto tra uomo, mondo, Dio; il carattere e il
significato dell'esperienza umana. È stato, peraltro, G., in un testo degli
anni Settanta (lettera a Chemotti, la cui minuta è conservata presso il Fondo G.
della Scuola Normale Superiore di Pisa), a segnalare la complessità delle
questioni che, negli anni Trenta, si concentravano nella discussione sul
Rinascimento: domande di ordine sia filosofico sia religioso, ma tutte
convergenti in una generale interrogazione sul significato dell'uomo e del suo
destino, in un momento tragico della storia del mondo. È in questo
contesto che si inseriscono sia il saggio su PICO sia il saggio su La
"dignitas hominis" e la letteratura patristica (in La
Rinascita) in cui questo intreccio di motivi si presenta in modo
esemplare, con un netto primato della problematica di tipo religioso – anzi
esplicitamente cristiano – e, simmetricamente, con un consapevole distacco
dalle impostazioni di tipo idealistico, comprese quelle risalenti a
Gentile. Come testimoniano anche i molteplici richiami alla
interpretazione Burdach – messa in
circolazione in Italia, anche da Cantimori –, a quella data G. era su un'onda
assai diversa rispetto a Gentile che, pure, fin dal primo momento apprezzò
molto i suoi lavori su Pico, invitandolo a collaborare al GIORNALE CRITICO
DELLA FILOSOFIA ITALIANA, sul quale aveva cominciato a pubblicare con un saggio
su L’etica di Butler. Non si trattava solo di una distanza di ordine
storiografico, evidente, per esempio, nella importanza che già in questi anni G.
comincia ad assegnare alla tradizione ermetica, avviando una ricerca che avrebbe
continuato, sia pure con toni e forme assai diverse, fino ai suoi ultimi anni --
il saggio su Una fonte ermetica poco nota. Contributi alla storia del pensiero
umanistico, destinato a essere ripreso e profondamente modificato, uscì
originariamente in La Rinascita. Al fondo, rispetto a Gentile, c'era una forte
distanza di carattere strettamente filosofico, come risulta dai principali
riferimenti filosofici di G. in questi anni: Senne, Marcel, Gilson, Lavelle,
forse il più importante di tutti, quello al quale si sentì a lungo più
vicino. Sono tutti autori di area francese e di matrice cristiana,
convergenti, sia pure con toni differenti, nella prospettiva di un
esistenzialismo religioso che appare ben presente negli scritti storici di . sul
Rinascimento di questo periodo, pur mediati, e filtrati, da una armatura di
carattere filologico ed erudito molto forte già in quegli anni (ne è una
conferma il ricco e aggiornatissimo corredo bibliografico del libro su Pico).
Mancano, invece – con l'importante eccezione di Cassirer, presente già nel saggio–
riferimenti altrettanto significativi ad autori di area tedesca, a cominciare
da Heidegger che, in quegli anni, era invece interlocutore privilegiato di
altri importanti esponenti della generazione di G., come Luporini, suo amico
fin dagli anni della Università, ma assai diverso sia per interessi filosofici
che per le strade che avrebbe poi preso sul terreno politico. È una
mancanza che non stupisce, se si considera che la cultura di matrice francese
fu una componente centrale della formazione di G., e che essa – insieme al
pensiero inglese, ma con maggiore forza – ebbe un ruolo centrale nella sua
attività scientifica e anche editoriale, come testimonia l'imponente opera di
presentazione e traduzione di testi capitali del pensiero francese svolta insieme
alla moglie – da Rousseau a Malebranche, a d'Holbach e gl’enciclopedisti.
Il primato della cultura di matrice francese era, del resto, un tratto diffuso
della generazione di G. e, in modo particolare, dell'ambiente culturale
fiorentino: quello che si esprimeva in istituzioni di notevole rilievo come il
Gabinetto Vieusseux – di cui è bibliotecario e direttore Montale –, e LA
BIBLIOTECA FILOSOFICA di Levasti e Marrucchi, una personalità notevole, alla
quale G. rimane sempre legato e che ricorda in pagine molto intense, rievocando
quell'ambiente e quell’atmosfera, in cui vive il ricordo di una figura come
Michelstaedter, alla quale anche G. dedica, a più riprese, molta
attenzione. Tornato a Firenze, ha un incarico di filosofia teoretica
presso la facoltà di lettere e filosofia. Ottenne, poi, la libera docenza in
storia della filosofia. Quando per effetto delle leggi razziali LIMENTANI
(si veda) lascia la cattedra di filosofia morale, la facoltà decide di NON
chiamare su essa un altro ordinario, ma di conferire l’incarico a G., discepolo
– pupillo -- di LIMENTANI (si veda). Nei modi possibili in quei tempi
difficili, G. espressa pubblicamente la sua fedeltà al maestro e tutore con cui
si è formato, tenendo una conferenza presso la BIBLIOTECA FILOSOFICA Biblioteca
di Firenze in cui attacca a fondo ogni forma di storicismo identificato con il relativismo rivendicando,
da un lato, il valore della lotta, e dell'ostacolo, sulla scia di Senne. Ribadendo,
dall'altro, e con massima energia, la distinzione tra vittima e carnefice, tra
perseguitato e persecutore, che nessuna provvidenza storica avrebbe mai potuto,
in alcun modo, risarcire. Dopo la morte di LIMENTANI (si veda), ne redatta un
commosso necrologio, pubblicato in opuscolo insieme alla bibliografia dei suoi
scritti (Limentani, Firenze). Comincia, intanto, a partecipare a concorsi per
ottenere una cattedra universitaria, che riuscì a vincere quando risulta primo
ternato in quello per professore straordinario alla cattedra di storia della
filosofia a Cagliari -- la commissione èformata da Aliotta, presidente,
Lamanna, segretario, Abbagnano, Banfi, e Spirito. Precedentemente partecipa,
venendo dichiarato maturo, a tre altri concorsi, banditi, rispettivamente, da Messina
e da Napoli -- quest’ultimo si svolse in due tornate, per l’annullamento, a
causa di un ricorso, dei risultati della prima. Difficili sul piano
accademico e anche personale, quegli anni sono però fertilissimi dal punto di
vista filosofico. Oltre a una serie di saggi assai importanti usciti, in
genere, su La Rinascita diretta da Papini, con il quale ha, allora, un rapporto
intenso, G. pubblica due importanti antologie: Il Rinascimento italiano, Milano,
commissionatagli da VOLPE (si veda) e stampata nella collana dell'ISPI; e Filosofi
italiani, Firenze, uscita come pubblicazione dell'Istituto nazionale di studi
sul Rinascimento. Si tratta, in entrambi i casi di opere fondamentali,
destinate a lasciare una orma profonda negli studi rinascimentali. Ma lette con
attenzione – e tenendo conto della inclinazione dissimulatoria tipica
dell'epoca –, esse svelano con precisione quali fossero gli atteggiamenti
filosofici e politici di G. in quel momento: una posizione nettamente
antifascista, trasparente nelle pagine dedicate alla critica del tiranno; un
profondo interesse di tipo religioso, già emerso nei primi saggi rinascimentali
della seconda metà degli anni Trenta, e ora pienamente dispiegato nella lunga
Introduzione ai Filosofi italiani, a cominciare dalle pagine scritte sulla
morte, discorrendo di Salutati. Sono temi nei quali la nota religiosa
risuona con particolare forza e vigore, e non solo nei testi sull'Umanesimo. Pubblica
per una piccola casa editrice fiorentina, Cya, una antologia di testi
tolstoiani, Ultime parole, nei quali è affermato con nettezza il primato
della 'riforma interiore' come condizione di ogni riforma di tipo economico e
sociale. Sarebbe stato, del resto, lo stesso G. ricordare che anni prima, nel
pieno della guerra, attraversa una vera e propria crisi di tipo religioso,
subendo a fondo l'influenza di Tolstoj. Sul terreno filosofico è una
inclinazione che si rivela, oltre che sul piano del linguaggio, nel forte ruolo
assegnato a SAVONAROLA (si veda), un autore che gli è sempre carissimo, ma che
arriva ad affiancare al Platone della Repubblica per il Trattato sul reggimento
di Firenze. Spicca anche il lavoro di presentazione e di traduzione dei
testi fondamentali di PICO (si veda): De hominis dignitate, Heptaplus, De ente
et uno, Firenze; Disputationes adversus astrologiam divinatricem -- un'impresa
imponente, che contribuì a mutare in profondità sia l'immagine tradizionale di
Pico, sia quella corrente del Rinascimento, ponendo le basi della
interpretazione generale che G. propone ne “Der italienische Humanismus, pubblicato
nella collana diretta da GRASSI (si veda) per l'editore Francke di Berna, ristampato
poi nel testo originale presso Laterza. Sono saggi resi possibili anche
dal forte sostegno di una figura singolare, ma più importante di quanto in
genere si pensi, della cultura italiana: CASTELLI ZUBIENA (si veda), il quale –
oltre a pubblicare le traduzioni di PICO (si veda) nell'ambito dell’edizione
nazionale dei classici del pensiero italiano promossa dal REGIO ISTITUTO DI
STUDI FILOSOFICI da lui presieduto e del quale G. è anche segretario della
sezione toscana, si impegna con molta tenacia e costanza, a tutti i livelli,
per fargli ottenere un distacco dal Liceo Vinci che gli consentisse di svolgere
con maggiore tranquillità il suo lavoro. G. sottolinea più volte che non
c'è un rapporto meccanico tra storia della cultura e storia politica,
precisando, per esempio, che la crisi e la fine dell'idealismo crociano si
compiono nel 1968, non nel 1945. Non c'è però dubbio che con la fine della
guerra sia iniziata una nuova fase della sua lunga vita sul piano sia
intellettuale sia politico. Dopo un periodo connotato dalla vicinanza a
posizioni di tipo liberal-democratico (come appare chiaro dagli articoli che
pubblica sull'Italiano), si avvicinò infatti, sia pur progressivamente, al
Partito comunista italiano, senza mai iscriversi a esso, ma diventandone,
specie negli anni Cinquanta e Sessanta, uno dei principali intellettuali di
riferimento. Alla base di questo netto spostamento di campo ci furono
motivazioni di ordine intellettuale e di natura politica. Sul primo
punto, è decisivo l'incontro con le Lettere dal carcere di Antonio Gramsci, che
recensì subito su Leonardo, la rivista di cui, divenne redattore – cioè, in
effetti, direttore –, avviando un intensissimo colloquio che sarebbe
continuato lungo tutta la sua vita e che avrebbe inciso sia sulle sue ricerche
umanistiche sia sulle Cronache di filosofia italiana pubblicate per i tipi di
Laterza ma preparate dagli articoli su Leonardo e sul GIORNALE CRITICO DELLA
FILOSOFIA ITALIANA fondato da GENTILE (si veda) e diretto da SPIRITO (si veda). Dal
punto di vista strettamente politico, per quanto possa apparire paradossale, in
quella scelta agì il profondo, e mai venuto meno, interesse religioso di G.: e
infatti profondamente LAICO, NON LAICISTA. Ritene necessario distinguere con
chiarezza ciò che è di Cesare e ciò che è di Dio, anzi pensa che dalla confusione
dell'uno e dell'altro potesse derivare una degenerazione di entrambi. Il
partito della Democrazia cristiana gli apparve come la realizzazione concreta
di questo rischio, con la ripresa, e il potenziarsi, di quelle tendenze che
durante il Regime si erano espresse nel clerico-fascismo, contribuendo, a suo
giudizio, a corrompere il carattere morale degl’italiani. Perciò considera
negativamente l'inserzione dell'articolo 7 nella Costituzione repubblicana, ma
fu per questi stessi motivi che si avvicinò al Partito comunista: per una
scelta di ordine anzitutto morale e, alle origini, religiosa. Pur nel dissenso
con il Partito comunista nella valutazione dell'articolo 7, G. vide in esso la
forza più intransigentemente schierata a favore di una concezione laica dello
Stato e, in genere, della vita, contro il riaffiorare e l'imporsi di una nuova
forma di clerico-fascismo, dannosa, ai suoi occhi, sia per la politica sia per
una autentica esperienza religiosa. I due piani – quello culturale e
quello politico – si intrecciarono e si potenziarono a vicenda, nella
concretezza del suo lavoro, sia in quello sul Rinascimento sia nelle ricerche
sulla filosofia italiana. A quest'ultima aveva già dedicato, per incarico di
Gentile, due volumi pubblicati da Vallardi. Si tratta dell'opera: La filosofia,
da non confondere con la Storia della filosofia uscita per i tipi di Vallecchi:
uno de suoi libri più belli, più vivaci, più liberi. Le Cronache di
filosofia italiana erano, in effetti,
un'altra cosa: una sorta di autobiografia di una intera generazione, quella
nata al tornante del primo decennio del secolo – la stessa di Bobbio, nato
anch'egli, come G., e autore di Politica e cultura, l'altro grande testo
'autobiografico' della loro generazione. A considerare oggi quegli anni, non
appare casuale che due intellettuali di quel livello abbiano avvertito, nello
stesso momento, la necessità di confrontarsi con la propria storia, sia pure da
punti di vista diversi e con strumenti differenti. In G., assai più che in BOBBIO
(si veda), e infatti presente la lezione di Gramsci. Sul piano del metodo,
anzitutto: La filosofia come sapere storico (Bari) si conclude con un lungo
saggio su Gramsci, nato come relazione al Convegno di studi gramsciani,
tenutosi a Roma l'anno prima, ma anche sul piano del merito, cioè di specifiche
valutazioni di uomini e cose, come Togliatti rileva nella sua recensione a
Cronache di filosofia italiana (Rinascita). Non solo: la lezione di
Gramsci, in forme assai mediate e controllate, è visibile anche negli scritti
che G. dedica al Rinascimento. Nonostante che, in questo caso, i giudizi di
Gramsci e G. fossero, proprio nel merito, profondamente
differenti. L’UMANESIMO CIVILE, IL TRAMONTO DI UN MONDO Quando si
parla di G. si pensa, in genere, alla sua interpretazione del Rinascimento come
'umanesimo civile'. È giusto, ma riduttivo per due ordini di motivi. In primo
luogo, essa svolge funzioni e ruoli diversi, anche a seconda del mutare dei
contesti storico-politici. In secondo luogo, a cominciare dagli anni Settanta G.
riformula in modo profondo la sua interpretazione, dislocando l'Umanesimo
civile in zone progressivamente laterali, rispetto al nucleo centrale del suo
discorso (in questo senso è fondamentale Rinascite e rivoluzioni: movimenti
culturali, Roma-Bari: uno dei suoi lavori più importanti, insieme a La cultura
filosofica del Rinascimento italiano. Ricerche e documenti, uscito per i tipi
di Sansoni, nel quale spicca in apertura il saggio – capitale dal punto di
vista dell'Umanesimo civile – su I cancellieri umanisti della Repubblica
fiorentina da Salutati a Scala, pubblicato originariamente in Rivista
storica italiana. All'interpretazione del Rinascimento come Umanesimo civile G.
lavorava, in effetti in convergenza con le ricerche di Baron, del quale fa
pubblicare su La Rinascita un importante saggio. Ma allora esso aveva una
funzione parallela, anzi secondaria, rispetto ai motivi ermetici che G. tendeva
maggiormente a valorizzare, anche in relazione a quell'esistenzialismo
religioso nel quale allora si riconosceva. Negli anni Cinquanta e Sessanta il
quadro muta in modo deciso, e l'Umanesimo civile diventò il motivo
dominante della sua interpretazione, come appare dall'antologia, fortemente
lodata da Cantimori, Prosatori latini del Quattrocento (Milano). I motivi messi
a fuoco nella seconda metà degli anni Trenta erano ripresi, e anzi
energicamente sviluppati, a cominciare dalle tematiche magiche e astrologiche,
cui dedicò due saggi fondamentali; ma essi ora venivano riformulati (per
esempio, cambiò in modo consistente il giudizio sull'astrologia) ed inseriti in
una prospettiva che privilegiava, in primo luogo, la dimensione mondana,
terrestre – appunto, 'civile' del Rinascimento –, dando rilievo centrale al
problema del rapporto tra 'vita contemplativa' e 'vita activa', e valorizzando
in questa luce i grandi cancellieri fiorentini come SALUTATI (si veda) e BRUNI
(si veda). Ne scaturì una nuova immagine del Rinascimento, entro cui
assunsero valore centrale discipline come LA RETORICA, l'arte della memoria o
esperienze filosofiche prima trascurate, o non comprese in modo adeguato, come,
per esempio, il lullismo. Su questo sfondo, G. si pose in termini nuovi
rispetto agli scritti degli anni Trenta anche il problema della genesi e dei
caratteri della scienza moderna, sforzandosi di mostrare come un moto di
cultura strettamente legato nelle sue origini alla vita delle città italiane debba
considerarsi una delle premesse del rinnovamento scientifico moderno (come
scriveva nella Premessa al volume Scienza e vita civile nel Rinascimento
italiano, pubblicato con Laterza: una linea di ricerca, sia detto tra
parentesi, che non ebbe ulteriori sviluppi, anche per i mutamenti che, di lì a
poco, avrebbero sconvolto il mondo storico, coinvolgendo a fondo anche il mondo
storiografico). In questa accentuazione della dimensione civile agì
certamente la lezione metodica di GRAMSCI (si veda), che appare con ancor
maggiore chiarezza nei lavori che G. dedica alla filosofia contemporanea,
specie a quella ITALIANA. Sono importanti, da questo punto di vista, sia La
cultura italiana (Bari); sia, e soprattutto, quello sugli Intellettuali
italiani (Roma), che costituisce, per
molti aspetti, il vertice della presenza, e della influenza, di G. nella
cultura, e anche nella politica, italiane. Se si considera il corso
della sua vita, si può azzardare un giudizio: forse furono proprio quelli gli
anni in cui G. riuscì a stabilire, nel complesso, un rapporto positivo con il
proprio tempo storico, e non solo per i molti riconoscimenti pubblici che ebbe
in quel periodo, dentro e fuori l'Università, in Italia e all’estero. E diventato
professore ordinario di storia della filosofia medievale a Firenze, insegnamento
che tenne per incarico. È poi subentrato a Lamanna come titolare della cattedra
di storia della filosofia presso la stessa Università.
Riconoscimenti, e onori, altrettanto importanti stava avendo anche al di
fuori dell'Università. Socio effettivo dell'Accademia toscana di scienze e
lettere 'La Colombaria', ne era anche segretario generale; eletto socio corrispondente
dei lincei, diventandone socio nazionale. Riceve dalla British Academy la
Serena medal for Italian studies (gl’ultimi italiani che l'avevano ottenuta –
scrive, con orgoglio, al direttore della Scuola Normale comunicandogli la
notizia – sono Longhi e Bandinelli. Al fondo, però, pur considerandosi
anzitutto un insegnante, G. è, a suo modo, un animal politicum, e avrebbe
voluto essere un cittadino. Riusce a esserlo come non gli era accaduto prima e
non sarebbe più successo dopo, intrecciando un'attività scientifica di alto
livello con un impegno civile assai intenso sui temi che gli interessavano
maggiormente, a iniziare dalla scuola, su cui intervenne anche con una
relazione molto dura letta al Teatro Valle di Roma pubblicandola poi in
volume, La cultura nella società italiana, Torino. La situazione muta
profondamente. Quell'equilibrio, sempre fragile e precario, si incrina e G. si
distacca, progressivamente, fino a contrapporsi, dai movimenti culturali e
politici che comincia a scuotere il paese fin dalle fondamenta, nel bene e nel
male. Il punto più aspro del contrasto, anzi la vera e propria rottura, si
produce quando – si legge in una lettera al preside della facoltà di lettere,
Sestan -- minuta nel Fondo G. della Scuola Normale Superiore – e costretto a
interrompere la lezione per il contegno oltraggioso e provocatorio di uno
studente. È una scelta assai meditata, anche se amara, quella di lasciare
Firenze, che è stata la sua alma aater, trasferendosi alla scuola normale superiore
di PISA come professore e anche questa scelta è significativa di storia della
filosofia del Rinascimento. Come scrive al direttore della scuola, Bernardini,
sarebbe stata quella la conclusione migliore, certo la più onorevole, di un
lungo insegnamento (minuta). Questo non significa che da quel momento si
sia disinteressato della filosofia contemporanea, a cominciare da quella
italiana. Anzi: pubblica, con l'editore barese Donato, un saggio importante,
Tra due secoli. Socialismo e filosofia in Italia, riprendendo in forme nuove il
problema del positivismo e riaprendo, in generale, la questione del rapporto
tra eredità positivistiche e filosofia, nelle sue varie diramazioni. Ma il saggio
non ebbe un successo paragonabile a quello tributato al volume sugli
Intellettuali italiani. Nel giro di pochi anni, la situazione era profondamente
mutata e i temi trattati in quel testo, pur così importante, avevano perso peso
e rilievo nel dibattito filosofico italiano, che stava ormai aprendosi, e su
vasta scala, a nuove tendenze estranee alla tradizione nazionale, nel pieno di
una crisi che investiva lo stato italiano fin dalle fondamenta. Effettivamente,
un intero mondo sta cominciando a finire. Tanto più colpisce, in questa
situazione, il saggio che in controtendenza, G. dedica a Gentile
pubblicandone, con l'editore Garzanti, le Opere filosofiche. Aveva ormai 82
anni: nel 1979 era uscito dai ruoli dell'insegnamento, nel 1984 era andato
definitivamente in pensione, nel 1986 era diventato professore emerito della
Scuola Normale. Lascia anche la presidenza dell'Istituto nazionale di studi sul
Rinascimento. E dunque diventato un libero studioso sciolto da qualunque
vincolo di ordine istituzionale, e forse anche questo contribuisce a spiegare
la libertà – e l'atteggiamento 'non conformista', si potrebbe dire – con cui si
confronta con Gentile nella lunghissima introduzione che premise ai testi,
spiegando il senso della sua scelta. Non è un'impresa facile. I rapporti
di G. con Gentile e con Croce sono infatti assai complessi e si modificarono, e
complicarono, con il tempo. Si possono però in sintesi individuare alcuni
elementi di ordine generale. Dal punto di vista filosofico egli si sentì, al
fondo, più vicino a Gentile. Basta leggere le pagine che gli dedicò nella
Storia della filosofia, e accostarle a quelle scritte nello stesso testo su
Croce, per vedere come ne apprezzasse la posizione e quanto fosse invece
distante da Croce. Certo, come dimostrano le cronache, il suo giudizio sull’idealismo
si approfondì col tempo e divenne assai più ricco e articolato. Ma la distanza
di G. dalla 'filosofia dello spirito' non venne mai meno, perché essa
coinvolgeva un punto centrale, allora e poi, della sua posizione. Alle
origini, le ragioni di quella scelta stano precisamente qui. Sul piano
filosofico GENTILE (si veda) appartene a quella filosofia della libertà, specie
di matrice francese, in cui G. riconosce il carattere principale della
filosofia e anche le proprie radici filosofiche. Filosofia della libertà: cioè
azione, praxis, atto, volontà. Sono i motivi che erano presenti anche in Marx,
quelli che gli avevano fatto apprezzare GRAMSCI (si veda), sentire affine la
ricerca dei Quaderni del carcere, e che, nel volume, sottolineò anche in GENTILE
(si veda), vedendo anzi nella sua lettura di Marx la via attraverso cui si era
affermato nel nostro paese il principio della praxis, dell'azione, della
volontà. È per queste stesse ragioni – strutturali, non contingenti – che
G. fu, invece, in sostanza, lontano da CROCE (si veda), pur apprezzandone il
rapporto stabilito tra politica e cultura e l'immenso lavoro: non ne
condivideva la concezione del circolo spirituale; lo sentiva distante per
l'incapacità di afferrare la intima, e insuperabile, tragicità della vita;
rifiuta la dissoluzione dell'individuo empirico, che invece per lui era
fondamentale. Certo, con il tempo maturò un giudizio assai più ricco di
quello espresso negli anni Quaranta; ma alcuni elementi in cui si esprimevano
un distacco, e un dissenso, perfino di ordine generazionale non vennero mai
completamente meno. In occasione del centenario della nascita di Croce, scrive
un bel saggio sui suoi rapporti con Serra (SERRA (si veda) e Croce, in
Belfagor) e, pur facendogli ampi riconoscimenti, non ha esitazione a
schierarsi, proprio per questi motivi, dalla parte di quest'ultimo. Iniziò
una profonda trasformazione del mondo storico, destinata a incidere, in vari
modi, nel mondo storiografico, compreso quello di G., che operò mutamenti
profondi nella sua posizione, a cominciare dalla concezione dell'Umanesimo
civile, che nel ventennio precedente era stato il centro della sua
interpretazione del Rinascimento. Ora venne configurandosi come un ideale; anzi
una ideologia nobile e importante, ma pur sempre una ideologia (come appare nel
Ritratto di Bruni aretino in Atti e Memorie dell'Accademia Petrarca di Lettere,
Arti e Scienze di Arezzo), mentre assunsero rilievo essenziale altri temi,
altri autori, come risulta chiaro dal libro Lo zodiaco della vita. La polemica
sull'astrologia dal Trecento al Cinquecento (Roma-Bari), che raccoglieva
quattro lezioni tenute al Collège de France. Fin dall'inizio della sua attività
G. da rilievo alle tematiche magiche, astrologiche, ermetiche, sistemandole,
poi, nel contesto dell'Umanesimo civile. Ora esse ridiventarono centrali, con
una particolare sporgenza dei testi e dei motivi di carattere astrologico. Alla
base di questo c'era, come sempre in G., un convincimento di ordine
teorico. A lungo era stato persuaso che nella cultura europea fosse
stata presente, e dominante, quella che egli chiama la 'linea PICO (si veda)-Sartre',
secondo cui l'uomo non ha una natura (una specie, una forma), ma è un atto che
si sceglie, per riprendere una sua battuta contenuta nella lettera a Amoroso
minuta nel Fondo G. della Scuola Normale Superiore di Pisa. È un convincimento
coerente con la sua filosofia della libertà, della praxis, del primato della
volontà. Negli ultimi anni furono proprio questi capisaldi che si infransero e
vennero meno sbalzando in primo piano, al posto dei cancellieri fiorentini, filosofi
come POMPONAZZI (si veda) e, soprattutto, ALBERTI (si veda), sostenitori, l'uno
e l'altro, di una concezione totalmente disincantata dell'uomo e della vita,
ridotta o a gioco privo di senso o a una eterna vicissitudine di uomini, di
cose, di sorti. E qui si può osservare come in un microcosmo in che modo lavora
G., e quanto fosse profondo nella sua ricerca l'intreccio tra autobiografia e
storiografia, a loro volta sostenute da una posizione teorica precisa, ma
destinata, al tempo stesso, a importanti variazioni e mutamenti. ALBERTI e s infatti
sempre al centro della sua attenzione, ma venne a lungo inserito nella
prospettiva dell’Umanesimo civile, mentre negli scritti dell'ultimo periodo si
configurò come uno dei principali esponenti di una concezione che vede
nell'uomo niente altro che un ludus deorum, per riprendere l'espressione
utilizzata da Platone nelle Leggi e ripresa nel De fato da POMPONAZZI (si veda). Sono
precisamente questi temi, e queste espressioni (citate puntualmente nello
Zodiaco della vita, e rafforzate dalla scoperta che fa di alcune Intercenali
inedite di Alberti, pubblicate su Rinascimentonel), che attrassero G. quando si
convinse che la linea PICO (si veda)-Sartre si era infranta ed èstata
sconfitta. Né è facile dire quanto in queste posizioni storiografiche avesse
inciso la crisi che fin dalla fine degli anni Sessanta sta travagliando il
mondo storico, dandogli progressivamente il senso – e poi la persuasione – che
una intera epoca della cultura europea stava tramontando, dissolvendo quegli
ideali e quelle utopie che ne avevano sostenuto il cammino, specie nei momenti
più gloriosi come il Rinascimento e l’Illuminismo. In un intreccio
profondo di autobiografia e storiografia, le pagine dell'ultimo G. sono solcate
da toni assai disincantati e pessimistici. Ma neppure in questi anni, e in
questi scritti, egli si presenta al lettore in toni disarmati o vinto: troppo
forte era stata la persuasione di un primato della praxis, dell'azione, della
volontà perché essa potesse venire mai integralmente meno. Stava qui la
sorgente originaria della sua personalità fin dagli anni Trenta, e a essa –
nonostante tutto – aveva cercato di restare fedele, dipanando il filo
essenziale della sua esistenza, nelle diverse situazioni in cui gli toccò di
vivere, per quasi un secolo. Quando muore, a Firenze non ha smesso di pensare all'utopia di un
mondo diverso: come gli avevano insegnato a fare i rappresentanti più eminenti
dell'epoca alla quale aveva dedicato tanta parte della sua esistenza. G.
Il percorso storiografico di un maestro del Novecento, Giornata di studio,
Prato, Biblioteca Roncioniana a cura di Audisio - A. Savorelli, Firenze (si
vedano in particolare i saggi di Cesa, Momenti della formazione di uno storico
della filosofia e di C. Vasoli, Gli studi di E. G. Su Pico; G. e il Novecento,
numero monografico del Giornale critico della filosofia italiana; Ciliberto, G.
Un intellettuale nel Novecento, Roma-Bari; G. Dal Rinascimento all’Illuminismo,
Atti del Convegno, Firenze, a cura di Catanorchi - Lepri, con Premessa di
Ciliberto, Roma-Firenze; Il Novecento di G., Atti del Convegno promosso dalla
Fondazione Istituto Gramsci in collaborazione con l’Istituto della Enciclopedia
Italiana, Roma, a cura di Ricci - Vacca, Roma. Grice: “Don’t expect philosophical insight from Garin.
He is at most an amanuensis. But like Gentile, it is helpful, if you are into
minor philosophers, or minor figures, to go through the indexes of his many
compilations. As with Gentile’s Storia della filosofia italiana, Garin’s is
just as boring. Garin makes it more difficult in that he uses two or three
words which we don’t use at Oxford: ‘pensiero’ for philosophy, ‘intellectual’
(‘intelletuali italiani del novecento’) and ‘culture’ (cultura italiana del
ottocento’). By these monickers, he is attempting to include as philosophers
people who we should not!” Eugenio
Antonio Garin. Eugenio Garin. Garin. Keywords: cicerone come umanista –
umanesimo e unamenismi – garin, umanista del Novecento – umanisti e il ritorno
dei filosofi antichi – umanesimo, ovvero, il primo secolo del rinascimento – il
ritorno dei filosofi antichi – retorica umanista – castelli e garin -- le
griceianisme est un humanism!” humus, human, homo sapiens, homo sapiens
sapiens, human vs. person, sapientia, persona -- human, umano, umanesimo – filosofia
romana -- Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Garin – umano, troppo umano – The
Swimming-Pool Library.


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