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Thursday, April 24, 2025

GRICE E GARIN

 

Luigi Speranza – GRICE ITALO!; ossia, Grice e Garin: la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale del rinascimento – scuola di Rieti – filosofia rietesi – filosofia lazia -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Rieti). Filosofo rietese. Filosofo lazio. Filosofo italiano. Rieti, Lazio. Grice: “Garin is a serious student of what we may call the longitudinal, rather than latitudinal, unity of Italian philosophy! If ever there is one!” --  Italian philosopher, author of a very rich, “La cultura filosofica del rinascimento italiano.” And “L’umanesimo italiano” Grice was Lit. Hum. Oxon, so he knew. Linceo. Studia sotto Limentani. Frequenta il Liceo classico Galileo. Si laurea sotto Limentani. Vari studi sull'Illuminismo che confluiranno nel volume sui moralisti inglesi. Subito dopo la laurea sostenne e vinse il concorso per insegnare nei licei, cosa che continuò a fare fino a quando vinse la cattedra da ordinario all'università. Tra i commissari del concorso liceale c'è GUZZO (si veda), una figura che costituirà un punto di riferimento per G. quanto meno fino ai primi anni del dopoguerra. I suoi riferimenti culturali non erano costituiti da intellettuali e politici come Gramsci, ma da filosofi di matrice spiritualista e cattolica come Lavelle,  Senne, Castelli Gattinara di ZUBIENA (si veda), SCIACCA (si veda) e lo stesso GUZZO (si vedea). Iscritto al Partito Nazionale, pronuncia al liceo di Firenze una commemorazione a GENTILE (si veda). Una svolta nelle prospettiva politica, filosofica e storiografica (le tre cose non vanno separate) si ha con l'uscita dei Quaderni del carcere di Gramsci, che hanno fortemente influenzato la sua filosofia nel costante riferimento alla concretezza del pensiero, e con la pubblicazione delle Cronache di filosofia italiana, fortemente sollecitato da Laterza. Storico della filosofia molto legato al rigore filologico e al lavoro sui testi, rifiuta la definizione di filosofo. È tuttavia considerabile tale proprio in virtù delle sue polemiche anti-speculative e come influente teorico della storiografia filosofica. Insegna a Firenze. Si ttrasfere a PISA a causa dei perduranti disordini della rivolta studentesca, di cui non condivide le modalità di lotta e che considera espressione di astratto rivoluzionarismo. La sua infaticabile avidità di letture filosofiche lo rende consigliere prezioso. I lincei gli confere il Premio Feltrinelli per la Filosofia. Altre opere: “Pico: vita e dottrina”; “Gl’illuministi inglesi. I Moralisti; “Il rinascimento ITALIANO”; “L'Umanesimo ITALIANO”; “Medioevo e Rinascimento”; “Cronache di FILOSOFIA ITALIANA”; “L'educazione in Europa”; “La filosofia come sapere storico”; “La filosofia nel Rinascimento ITALIANO”; “La cultura ITALIANA”; “Scienza e vita civile nel Rinascimento ITALIANO”; “Storia della FILOSOFIA ITALIANA”; “Dal Rinascimento all'Illuminismo”  “FILOSOFI ITALIANI”; “ Rinascite e rivoluzioni”; “Lo zodiaco della vita”; “Tra due secoli”; “Cartesio”; “L’Ermetismo del Rinascimento”; “Gli editori ITALIANI”; “La cultura del Rinascimento”. Ciò non toglie che l'importanza della interpretazione del Rinascimento che G. ci dà nei suoi scritti e ci documenta nelle sue edizioni, pubblicazioni, finissime traduzioni di testi umanistici di ogni tipo (filosofico, politico, critico, letterario) possa essere, senza iperbole, confrontata con l'importanza della evocazione del Burckhardt» in Cantimori, Studi di storia, Torino, Einaudi, la Repubblica, Mecacci L., La Ghirlanda fiorentina e la morte di Gentile, Adelphi, Milano, su lincei. Fondo G., Il percorso storiografico di un maestro, Firenze, Le Lettere, Biondi, Dopo il diluvio. G., l'ombra di Gentile e i bilanci della filosofia, in Un secolo fiorentino, Arezzo, Helicon,,Olivia Catanorchi e Valentina Lepri, Dal Rinascimento all'Illuminismo (Atti del convegno Firenze), Roma, Edizioni di Storia e Letteratura,. Ciliberto, G.. Un intellettuale nel Novecento, Roma, Laterza,. Raffaele Liucci, Quelle ombre sul delitto Gentile in "Treccani Magazine", La Ghirlanda fiorentina e la morte di Gentile, Adelphi, Milano, "Il Gramsci di G., in Archetipi del Novecento. Filosofia della prassi e filosofia della realtà, Napoli, Bibliopolis, Umanesimo e umanesimi. Saggio introduttivo alla storiografia di G., Milano, FrancoAngeli, Treccani Enciclopedie Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.  Eugenio Garin, su BeWeb, Conferenza Episcopale Italiana. Opere di G.. Quando con ritrosia è portato a farne un sobrio bilancio, G. insiste a dire di essere stato soprattutto un insegnante. Ho sempre insegnato, ripete. E insegnante lo  è stato alla scuola di  avviamento al lavoro di Fucecchio, dei ragazzi di buona famiglia delle  Mantellate di Firenze, alle quali fa lezione sorvegliato da una severa suorina, dei suoi quasi coetanei del Liceo Cannizzaro di Palermo, poi di quelli del Liceo Vinci di Firenze, mentre sostituiva  uno dei suoi maestri, SARLO (si veda), nell’insegnamento universitario di filosofia. Insomma,  sempre insegna e, come si dice, in ogni ordine di scuola dall’università  in giù. Non saprei dire di G. insegnante di liceo. Vorrei dire solo qualosa di G. docente universitario. Credo che ognuno possa sostenere, e  con ragione, di aver conosciuto e di aver avuto un suo G.. Non già  perché egli avesse la facoltà di adattarsi a chi per dovere o per diletto lo  volesse ascoltare. Anzi. Ma perché ciascuno era messo in grado di reagire  a quell’incontro con il proprio carattere, con la propria formazione, con  è scomparso G.. Al maestro fiorentino e alla sua  opera la Biblioteca Roncioniana aveva dedicato un convegno (cfr. Giornata di studi,  omaggio a G., Bollettino Roncioniano; del convegno sono poi  usciti gli atti: G.. Il percorso storiografico di un maestro, cur. Audisio  e Savorelli, Firenze, Le Lettere. Pubblichiamo qui un ricordo di G., che Tonini legge nela cerimonia svoltasi in Palazzo vecchio, aha quale sono intervenuti il Sindaco di Firenze, Domenici, Cacciali, Ciliberto, Luzi e Rossi. Il testo è apparso nella brochure Per G., Napoli,  Bibliopoli, edita a cura di Tonini e Franco, che si ringraziano  per averne acconsentito la ristampa in questa sede. Tonini le proprie attese. In altre parole egli non intende plasmare l’ascoltatore, ma solo offrire occasioni, occasioni cui ognuno doveva e poteva rispondere a suo modo, liberamente.Non che il suo insegnamento è univoco, uguale dappertutto e per tutti. È un insegnante troppo navigato per  sapere che una cosa è far lezione al pupillo di filosofia assieme, un’altra ai soli filosofi, come ci chiama, un’altra cosa ancora ai laureati e laureandi. Sa bene che è diverso rivolgersi ai colleghi in un convegno di  studio, o parlare in una casa del popolo, oppure rivolgersi a tutti, ai cittadini, come spesso gli è capitato proprio qui nel palazzo vecchio della sua  Firenze. Cambiano i contenuti, mutano i toni, mai il carattere, l’alta  professionalità, medesima sempre la passione. G. non spezzetta mai il pane della cultura: ovunque, o a chiunque avesse da parlare  o da insegnare, lo sconosciuto pupillo che si presenta all’esame, l’amico e collega, lo studioso straniero, il laureato, tutti meritano  sempre la stessa attenzione, il medesimo trattamento. Sì che nella sua produzione letteraria le conferenze lincee e le lezioni al Collège de France  stanno insieme agli scritti, diciamo, d’occasione, senza che il lettore ne  colga, se non con l’aiuto di riferimenti bibliografici, la loro provenienza e  la loro destinazione. Niente gli è più alieno, fisicamente e metaforicamente, dell’espressione prendere per mano. G. non prende per mano nessuno. Apre un libro, i cui capitoli anda narrando di volta in volta. Un libro sempre nuovo. Per chi sa apprezzarlo, quel libro conduce a altri libri,  poi a una collana, infine a una biblioteca, spesso la sua. Un libro somigliante a quello di un autore a lui carissimo, Sterne, La vita e le opinioni di Shandy [LIFE AND OPINIONS – GRICE], fatto di parentesi, di divagazioni apparenti, di  vie traverse che sembrano far perdere di vista il contenuto promesso fino  a farlo dimenticare, ma che in realtà indicano tutto ciò che è necessario  per cominciare, più tardi altrove, la lettura. Come in un libro ciascuno,  per proprio conto, doveva specchiarvisi, trovarvi, se volete, la propria  strada, senza ammiccamenti né scorciatoie. E come con un libro, ciascuno instaura con lui un rapporto individuale: per quanto paradossale, la  sua lezione non consentiva alcuna lettura corale, alcuna possibilità di dispense, alcuna versione ufficiale. Considera la cultura, lo ha scritto, la conquista di una più profonda coscienza di sé. E l’università è cultura. In questo senso il suo non è  mai stato un insegnamento demagogicamente democratico, né si è mai  considerato un missionario, né ha considerato il proprio lavoro una missione. Piuttosto un funzionario, come amò talora definirsi, civettando  con il motivo del trasferimento della sua famiglia a Firenze, che assicurava un viaggio su un treno sicuro, tecnicamente aggiornato, ben condotto,  ma che, al pari di un capotreno, non era, e non si considerava, poi responsabile se i viaggiatori scendevano alle stazioni intermedie e prendevano altre direzioni. Non credo si sia mai sentito coinvolto nelle scelte altrui, né voleva esserlo. Non si prestava, pur avendone le doti, a essere il  pifferaio fascinatore di candide giovinette e di timidi giovinotti. Lo  considera un tradimento, un traviamento del suo compito, che  è appunto, e solo, quello di insegnare la filosofia, di insegnare a capirne  la storia, di fare cultura, ma sempre altro da convincere o da portare su  una strada che non fosse già in qualche modo segnata, e segnata individualmente, in chi lo ascolta. Un pescatore anche, ma un pescatore che getta reti larghe e profonde nelle quali si aspettava che i pesci entrassero spontaneamente, mai  che venissero catturati. I suoi pesci erano e dovevano essere pupillo non venivano infatti da un esame che ne aveva certificato proprio la maturità? che egli considerava suoi pari, almeno per quel che riguarda il cartesiano bori sens, la bona mens, la cosa più diffusa e più equamente  distribuita tra gli uomini, sì che la differenza tra lui e noi riguardava, galileianamente, l’estensione del sapere, non la capacità di comprendere. Il  severo, severissimo G., che tanto spaventa le matricole, è un benevolo confessore dell’ignoranza del suo pupillo. E quelli più maturi  imparavano subito che la migliore risposta alle domande che fioccavano  in aula era quella di confessarla subito quella ignoranza, anche quando si  era quasi sicuri della risposta -- ma chi è sicuro di fronte a G.?.  Certo, quell’estensione del sapere costituiva una barriera, una differenza di cui era consapevole lui e consapevoli noi, una barriera quantitativa, ci faceva credere, scalabile e riducibile, quasi come una differenza di  età, mai come un’inattingibile diversità, che mai si trasformava in paternalistica condiscendenza. Quella barriera si sgretolava nella generosa disponibilità a fornire indicazioni e libri, al reiterato prestarsi a spiegare non  solo le tematiche del proprio corso, ma a offrirsi di guidare piccoli gruppi  alla lettura dei testi (Hegel, Kant o Husserl) dei corsi di altri colleghi che  ci risultassero particolarmente difficili. Il grande intellettuale non dimentica in nessuna occasione la sua professione: non solo nel rigido adempimento dei suoi obblighi di docente, nella proverbiale puntualità, nella  scrupolosa preparazione dei corsi (i ‘bauli’ di libri che partivano anzitempo per la montagna), nella paziente e tanto prodiga lettura dei capitoli  delle tesi di laurea, nella curiosità con cui ogni anno rinnovava l’incontro  con i suoi giovani interlocutori. Aveva trasformato una precoce vocazione in una professione, in un affetto per il proprio lavoro, prima ancora  che per chi dovesse usufruirne, in una disciplina che scherzosamente at- [G. La lezione di un maestro  tribuiva alle lontane origini savoiarde, ma che forse è la chiave per cogliere la sua straordinaria e mai dismessa operosità, la freschezza di ogni suo  intervento. G. non è mai stato altro cheun insegnante: poche, modeste e occasionali le cariche accademiche, nelle quali emergeno un’insofferenza e una scontrosità imprevedibili nel professore, altrettanto rare  quelle istituzionali o editoriali e solo al termine, o quasi, della sua carriera  scolastica, nessuna, ovviamente, carica politica, in un uomo che ha, come sa, una grande e perdurante passione civile, per la sua scuola,  per la sua città, per il suo paese. Credo che nulla gli è apparso più  estraneo e spiacevole di esser considerato a capo di qualcosa, fosse un istituto, una rivista o una cordata accademica. Di fatto non c’è mai stata una  scuola di G., ci sono stati, e ci sono, tanti che hanno studiato e si sono  laureati con lui, che lavorano con lui, che condivideno aspetti  e momenti del suo lavoro, che si sono incontrati con lui, ma niente di più. Incauti, invidiamo gl’allievi di PRA, che il maestro  raduna a S. Margherita o sul lago di Garda, cui apre la Rivista critica  di storia della filosofia, la collana del centro milanese di storia della filosofia. O quelli di Paci, che si ritrovano su aut aut,  che si incontrano nelle edizioni del Saggiatore, ricordiamo e riconoscemo quelli di Banfi o quelli emergenti di Geymonat, che attendeno a imponenti opere collettive, e tanti altri che andano sorgendo vicino e lontano. G. non ha nulla. Non ha mai diretto opere collettive, non ha mai organizzato convegni né li ha fatti organizzare, mai collane editoriali. Quando ciò è avvenuto con l’ISTITUTO NAZIONALE DEL RINASCIMENTO o con il Giornale critico della filosofia italiana, tutto si è potuto e si può dire, fuori che fossero espressioni di una  scuola o di un gruppo che in lui si riconoscesse o che in lui fosse riconoscibile. Neanche quando a PISA gli si è offerta l’opportunità di cogliere ancora una volta una straordinaria e entusiasta messe  di studiosi, è venuto meno il carattere del suo insegnamento. Lì,  come in S. Marco e poi in Piazza Brunelleschi, non ha mancato di offrire  opportunità, un’occasione irripetibile, anzi, generosamente resa disponibile, ma sempre e solo per chi aveva modo e voglia di coglierla e di realizzarne le potenzialità, ma lasciando a ciascuno la libertà di decidere, di  interpretare quell’incontro, di farne ciò che voleva. Il severo G. non  rimprovera mai. Non gli è mai venuto in mente di riprenderci, come capita al suo amico e collega CANTIMORI o a RAGIONIERI,  se mancamo a una seduta di seminario e veniamo sorpresi in biblioteca o, peggio, al bar. Ma neppure gli è venuto in mente di TONINI portarci nello stesso bar a prendere un aperitivo o un caffè, come capita  spesso con Cantimori e occasionalmente con Ragionieri. Non vuole essere né un padre, né un maestro di vita. Non credo  neppure che volesse additarci un modello. È piuttosto una lezione di  maturità, di piena e consapevole democrazia intesa come rigoroso rispetto dei ruoli, quella a cui ci chiama, e che per molti è anche la prima.  Il suo dovere è quello di insegnare, del nostro doviamo rispondere  noi. Scende dalla cattedra per aiutarci a leggere un testo, per offrirci  un’indicazione, per mostrarci un passo di un libro, sede tra noi a discutere di Cartesio o di Platone, e la lezione puo proseguire nella biblioteca di facoltà, o vicino ai tavoli della Nazionale o tra i libri di Seeber, ma  senza mai abdicare alla sua funzione. Non è mai sceso a discutere  con noi il corso, la sua organizzazione, le sue modalità. A ciascuno il suo. Non discute le nostre scelte di vita, i propositi di  lavoro, le carriere. Li considera su un altro piano, nel quale l’insegnante  non dove né puo intromettersi: li accetta. Al massimo inarcava le  ciglia, come nei lavori che gli sottoponevamo, e continuamo a  sottoporgli, quando un impercettibile segno di lapis segnala i dubbi e gl’errori di sintassi. Cittadino di forti passioni civili, le lascia tutte,  fuorché quella di insegnare, fuori dall’aula. Ë facile sapere come la pensa, lo leggemo su Paese sera, sull’Unità, su Rinascita, lo seguimo nelle Case del popolo, al Circolo di cultura, ma non si è mai innescata, con lui, una forma qualsiasi di intesa, di complicità, oserei dire, che  prescindesse da quella unica e prevalente di insegnante e studente. G. ci ha lasciato centinaia, migliaia di pagine in cui ci ha insegnato  come ricostruire figure di pensatori grandi e piccoli, da ASTORINI a Cartesio, da CITTADINI a PICO. Ha ricostruito squarci del nostro passato culturale e civile, da CROCE a GENTILE, da GRAMSCI a LABRIOLA, da CAPPONI a VILLARI, ci ha dato testi  e momenti del nostro passato FILOSOFICO che hanno costituito e costituiscono un’eredità operante, viva e vitale per ognuno che voglia fare una  professione simile alla sua. Non ci ha potuto lasciare, ed è purtroppo destinato a perdersi, quello che gli pareva più importante: la sua lezione. Mi accorgo, nel concludere, di aver ricordato una scuola, un’università che non c’è più. Non saprei dire se l’attuale, nella quale molti di noi si  trovano ora, sia migliore o peggiore di quella. Mi auguro, e lo auguro soprattutto ai più giovani, di potervi incontrare ancora un insegnante come G. L'insidia implicita nel concetto stesso di genere letterario ha non di rado contribuito a falsare la prospettiva necessaria a ben collocare la produzione filosofica dell’umanesimo. Eta in cui vennero predominando preoccupazioni critiche, in cui tutta l'attivita  spirituale e impegnata a costruire una respublica terrena, degna pienamente dell'uomo nobile, trova la sua espressione piu alta in opere di contenuto in largo senso moralistico e di tono retorico, in cui non solo si consegna un modo di concepire la vita, ma si difende e si giustifica polemicamente un atteggiamento originale in ogni suo tratto. Per questo chi voglia andar cercando le pagine esemplari dell’epoca, le piu profondamente  espressive, dovra  rivolgersi,  non  gia  a testi per  tradizione  considerati  monumenti  letterari,  ma  alle opere in cui veramente si manifest6  tutto 1'impegno  umano  della nuova civilta. Cosi,  mentre  chi prenda a  scorrere  novelle  umanistiche  non  potra  non  uscir  deluso  da  talune,  piu  che  imitazioni,  traduzioni,  o  meglio  raffazzonamenti,  di  modelli  boccacceschi,  quali  troviamo, tanto per esemplificare, in Fazio, pagine  di insospettata bellezza, capaci  di  colpire  ogni  piu  raffinata  sensibilita, ci  si  fanno  incontro  nei  trattati  e  nei  dialoghi  di Bracciolini,  e perfino  nelle opere d’un  filosofo di  professione, dall’andamento  talora  scolasticizzante,  qual  e  Ficino.  E  proprio  Ficino  nella Theologia  platonica,  presentando  gl’uomini  travagliati  dalla  malinconia  della  vita  e  desiderosi  che  tutto  sia un  sogno  (wforsitan  non  sunt  vera  quae  nunc  nobis  apparent,  forsitan  in  præsentia  somniamus),  defmisce  nei  suoi  particolari  espressivi  un  tema  di  larghissima  risonanza  in  tutta  la letteratura europea. Sempre FICINO, nel Liber de Sole, pur  parafrasando  talora l’orazione  famosa  dell'imperatore GIULIANO, fissa i  momenti  di  quella lalda  del  sole che,  attraverso VINCI (si veda),  arriva  fino all’inno ispirato di Campanella. VINCI (si veda)  rimanda  esplicitamente  all'apertura  del  terzo  libro  degli  Inni  naturali  del  Marullo;  ma  chi  veramente,  ancora  una  volta,  in  una  prosa  di  grandissimo  impegno, ci offre tutti i temi di quella si. L'omo nato nobile e in citta libera- come  diii  PICCOLOMINI.  FICINO,  Opera,  Basilea,  Petri.  (Theol  plat.). lenne  preghiera  di  ringraziamento  alia  fonte  di  ogni  vita  e  di  ogni  luce,  e  proprio  Ficino. Del  quale  e la non  dimenticabile  raffigurazione  di  una  tenebra  totale,  ove  e  spento  ogni  astro,  che  fascia  lungamente  i  viventi,  finche  di  colpo  il  cielo  si  apre  per  mo-  strare  colui  che  e  sola  forma  visibile  del  Dio  verace.  E  ficiniana e 1'opposizione del carcere  oscuro e della luce di vita, della tenebra  di  morte  e dei  germi  rinnovellati  dalla  luce  e  dal  calore  solare,  in  cui  si  articolera il  metro  barbaro  di  Campanella. Ma per rimanere  agli  scritti  d’un  medesimo  autore,  ALBERTI,  non  grande  imitatore  del  BOCCACCIO,  raggiunge  invece  la  sua  piena  efficacia  quando  costruisce  i  suoi  dialoghi,  e  sa  essere  perfettamente  originale  pur  intessendoli  di  reminiscenze  classiche.  Perfino  la  tanto  celebrata  Historia  de  Eurialo et Lucretia di Enea Silvio perde tutto il suo colore innanzi alle pagine dei Commentarii'*e sono piu facili a dimenticarsi i casi  di Lucrezia che non le stanze delle antiche regine divenute nidi di serpi, o le porpore  dei  magistrati  romani  rievocate  fra  Tedera  che  copre  le  pietre  rose  dal  tempo,  o  i  topi che corrono la notte nei sotterranei di un convento e il papa che caccia sdegnato i monaci negligenti. Per non dire di quella feroce presentazione dei cardinali, fissati in ritratti nitidissimi con rapide Imee  mentre  per  complottare  trasferiscono nelle  latrine  la  solennita  del  conclave.  Poggio  consegna  a  trattati  di  morale  narrazioni  scintillanti  di  arguzia,  spesso  molto  piu  facete  di  tutte  le  sue  Facezie.  I  mari  di  Grecia  percorsi  sognando  d’Ulisse,  il fasto  delle  corti  d'Oriente,  le  belve  africane,  i  fiumi  immensi, et  per  Nilum  horrifici  illi  anguigeni  crocodiliw,  si  alternano  a  discussioni  erudite  sulle  iscrizioni  delle piramidi  nelle  lettere  agli  amici  e  nel  taccuino  di  viaggio  di  quel  bizzarro  e  geniale  archeologo  che  fu  Ciriaco dej  Pizzicolli  d'Ancona.  E  forse  il grande Poliziano  ha  scritto  le  sue  pagine  piu  belle  nella  prolusione  al  corso  sugli  Analitici  primi  d' Aristotele  e  nella  lettera  alPAntiquario  sulla  morte  del  magnifico Lorenzo.  Lettere  dialoghi  e  trattati,  orazioni  e  note  autobiografiche,  sono  i  monumenti  piu  alti  della  letteratura  del  Quattro  cento, e tanto piu efficaci quanto meno 1'autore si chiude nelle  i. «La  novella  era  un  genere  troppo  definite,  troppo  condizionato  nelle  sue  linee  essenziali  da  una  tradizione  ormai  piu  che  secolare,  perche  PICCOLOMINI (si veda) puo  eluderne  il  colorito  e  gli  schemi»  (PAPARELLI,  Piccolomini, Bari, Laterza).  forme  tradizionali,  quanto  piii  si  impegna  nel  problema  concrete  che  lo  preoccupa,1  o  si  accende di  passione  politica  nel  discorso  e  nell'invettiva,  o  si  dimentica  nella  confessione  e  nella  lettera.   Poliziano,  che  della  produzione  letteraria  del  suo  tempo  fu  il  critico  piu  accorto  e  consapevole,  e  che  ha  dichiarato  con  grande  precisione  i  suoi  princlpi  dottrinali  nella  prefazione  ai  Miscellanea,  nella  lettera  al  Cortese  e,  soprattutto,  nella  grande  prolusione  a  STAZIO (si veda)  e  Quintiliano,  ha  visto  molto  bene  come  all’umanesimo  sono  intrinsiche  particolari  maniere  espressive. Proprio  nelle  prime  lezioni  del  suo  corso  sulle  Selve  di  STAZIO (si veda),  con  la  cura  minuta  che  gli  era  propria,  si  sofferma  a  dissertare  abbastanza  a  lungo  intorno  a  due  forme  letterarie  tipiche,  Fepistola  e  IL DIALOGO, accennando  insieme  al  genere  oratorio,  da  cui  gli  altri  due  si  distaccano  pur  non  senza  svelare  un'intima  parentela.  L'epistola egli  dice e  il  colloquio  con  gl’assenti,  siano  essi  lontani  da  noi  nello  spazio  oppure  nel  tempo:  e  vi  sono  due  specie  di  lettere,  scherzose  le  une,  gravi  e  dottrinali  le  altre  -- altera  ociosa,  gravis  et  severa  altera. Ma  1'epistola  deve  essere  sempre  i.  In  una  compilazione  erudita  come  i  Dies  geniales  di  Alessandro  d'Alessandro la discussione filologica si inserisce con eleganza fra il ritratto e il ricordo senza togliere a questi  alcuna grazia, cosi che la discussione di un testo classico si colloca nella descrizione d’un compleanno del  Pontano o d’una  cena di  Barbaro,  o fa  seguito  a  una  lezione  romana  di Filelfo  (cfr.  CROCE,  Varieta  di  storia letteraria e civile,  Bari, Laterza. A  proposito del DIALOGO e  dell'epistola  come  forme  caratteristiche  dell'umanesimo e  da  vedere  quanto  dice RttEGG, Cicero und der Humanismus, Formate Untersuchungen  über Petrarca und Erasmus,  Zurich,  Rhein-Verlag,  anche  se  a  proposito  della  sua  tendenza  a  ricondurre  tutto  a CICERONE e da tener  presente  la  nota  che  CROCE  stese  appunto  sull'opera del Rxiegg  (Mommsen  e  CICERONE, in Varieta).  II commento  del  Poliziano  e nel  ms. Magliab.  vn, (Bibl.  Naz.  Firenze). II  testo  in questione e  a  c.  4V-5V  (est  ergo  proprie  epistola,  id  quod  ex  Ciceronis (CICERONE (si veda)) verbis  colligimus, scriptionis genus quo certiores facimus absentes si quid est quod aut ipsorum aut nostra interesse  arbitremur. Eiusque tamen  et  aliæ  sunt  species  atque  multiplices,  sed  duæ  præcipuae  altera  ociosa,  gravis  et  severa  altera. Atqui  neque omnis  materia  epistolis  accommodata  est. Brevem  autem  concisamque  esse  oportet simplicis ipsius rei expositionem, eamque simplicibus verbis. Multas epistolæ inesse convenit  festivitates, amoris significationes, multa proverbia, ut quæ communia sunt atque ipsi multitudini accommodata.  Qui vero sententias venatur  quique  adhortationibus  utitur  nimiis,  iam  non  epistolam,  sed  artificium  oratorium. Epistola velut pars altera dialogi. maiore  quadam  concinnatione  epistola  indiget  quam  dialogus imitatur  enim  hie  extemporaliter  loquentem at  epistola  scribitur.] breve  e  concisa,  semplice,  con  semplici  espressioni,  ricca di brio, di  affettuosita, di motti,  di  proverbi  (amulta  proverbia,  ut  quae  communia  sunt  atque  ipsi  multitudini  accommodata). Nella  lettera  deve  prendere  un  tono  troppo  sentenzioso  e  ammonitorio,  altrimenti  non si ha piu una lettera ma una elaborata  orazione  -- iam  non  epistolam,  sed  artificium  oratorium.  L'epistola  e come la battuta singola,  e  die  rimane  quasi  sospesa, di un  dialogo (velut  pars  altera  dialogi),  anche  se  deve essere formalmente  piu  curata  del  dialogo,  che  per  essere  schietto  deve  imitare  IL DISCORSO IMPROVISATO,  mentre l’epistola e per  sua  natura  discorso meditato e scritto. In tal modo un carteggio viene ad essere un dialogo compiuto e vario; e non va dimenticato  come proprio il curioso epistolario di Poliziano  ci  offra  un  esempio  caratteristico  di  simili  colloqui. Non a caso, con la  sua  grande sensibilita  critica,  Poliziano  batte  proprio  su  queste  forme:  ad esse  infatti  si  puo  ricondurre  quasi  tutta la  piu significativa produzione  latina in prosa,  poiche anche il  diario,  il taccuino di  viaggio,  si  configura  di  continue  come  lettera  ad  un  amico. Cosi,  per  ricordare  ancora l’Itinerarium  di  Ciriaco  d'Ancona,  noi  vi  troviamo  riportati  di  peso  i  temi  e  le  espressioni  medesime  delle  epistole.]  stato  detto,  ma  non  del  tutto  giustamente,  che  l’umanesimo è una  rivoluzione  formale. In verita la profonda  novita  formale adere esattamente a una rivoluzione sostanziale che facendo centro nella CONVERSAZIONE CIVILE,  nella vita civile,  po- [Itinerarium:  ego quidem interea magno visendi orbis studio,  ut  ea  quæ  iamdiu  mihi  maximæ  curæ fuere antiquarum rerum monumenta undique terris diffusa vestigare perficiam. Hinc ego rei nostrae gratia et magno utique et innato visendi orbis desiderio. Epist.  Boruele  Grimaldo  (ins.  Targioni, Bibl.  Naz.  Firenze): cum  et  a  teneris  annis  summus  ille  visendi  orbis  amor  innatus  esset. Del  resto  tutta  l’opera  di  Ciriaco e una serie di variazioni di questo appassionato motivo: summus ille visendi orbis amor,antiquarum  rerum  monumenta vestigare, quæ in dies longi temporis labe collabuntur litteris mandare. La sete di conoscere il  mondo,  il bisogno di vincere spazio  e  tempo,  di  riconquistare  ogni  piu  lontano  frammento  d'umanita  e  di  sottrarlo  alia  morte,  e  insieme  questo  senso  concrete  del  passato  trovano  in  lui  una  espressione  singolare.  Nella  medesima  epistola  a Bruni abbiarno in sieme notizia di  un'iscrizione  inviata  da  Atene ex me nuper Athenis e della difesa di Cesare contro Bracciolini spedita dall'Epiro ex  Epyro  hisce  nuper  diebus. Cosl,  appunto,  il  Riiegg, (der  Humanismus  ist  eine  formale,  nicht  eine  dogmatische  Revolution).  neva  IL COLLOQUIO COME FORMA ESPRESSIVA ESEMPLARE (GRICE, CONVERSAZIONE). E se la lettera deve  essere  considerata  velut  pars  altera  DIALOGI,  l’attenzione  si  polarizza  sul  DIALOGO:  ed  IN FORMA DI DIALOGO e  in  genere  il  trattato,  di  argomento  morale o politico o filosofico IN SENSO LATO, che  rispecchia  la vita d’una umana  respublica e traduce perfettamente questa collaborazione voita a formare uomini ccnobili e  liberi, che costituisce 1'essenza stessa della humanitas rinascimentale. La quale celebrandosi  nella  societa  umana  tende  a  persuadere,  a  far  culminare  ogni  incontro  in  una  trasformazione  degli  altri  attraverso  una  riforma  interiore  raggiunta  per  mezzo  della  politia  litteraria. Limiti  e  prolungamenti  del  colloquio  ci  appaiono  da  un  lato  la  notazione  autobiogranca,  dall’altro  il  pubblico  discorso,  1'orazione,  che  attraverso  la  polemica  arriva  all'invettiva.  I  cancellieri fiorentini, Salutati e Bruni, ci offrono esempi  insigni di questo intrinsecarsi  di  filosofia  e  politica, di questa prosa che dell’efficacia e potenza espressiva si fa un'arma  piu valida delle schiere combattenti.  La lode  famosa di  Pio  II  alla saggezza di Firenze, e ai suoi dotti cancellieri le cui epistole  spaventano Visconti piu di  corazzate truppe di cavalleria, non e che la proclamazione del valore di una propaganda fatta su un piano  superiore  di cultura in una societa educata ad accogliere e  a rispettare la superiorita  della cultura.  L'incontro di politica  e  cultura a Firenze e a Venezia ritrova la valutazione  della retorica di un Poliziano e  di  un  Barbaro, e  giova a  definire  un'epoca che  cerca  i  suoi  titoli  di  nobilta  al  di fuori dei diritti  del  sangue. La VIRTÙ,  che  non  e  certamente  un bene ereditato,  e sempre intelligenza, humanitas, e cioe consapevolezza e  cultura. Anche  quando, nelle discussioni  non  infrequenti  sull’argomento,  si  riconosce  il  valore  della milizia,  s’intende  una  sottile dottrina, ove il valore  personale  del  capo e intessuto  di  sapienza.  Montefeltro  e  poco  ci  importa  se il ritratto è fedele e  profondamente  addottrinato, e sa che  i filosofi  descrivendo  le  battaglie  possono  divenire anch'essi maestri dell’arte  della  guerra. Alfonso  il  Magnanimo reca  seco  al  campo  una  piccola  biblioteca, e pensa sempre  a  filosofi,  e  sa che la parola bene adoprata,  ossia  veramente espressiva,  e  piu  potente d’ogni esercito.  C'è  appena  bisogno  di  ricordare  che  si  tratta  dei  titoli  delle  opere  di  Palmieri  e  di Guazzo. E  ancora il  titolo  di  un'opera  significativa,  quella  di  Decembrio  in  cui  si  rispecchia  la  scuola  di Guarino. II suo motto, racconta Vespasiano  da  Bisticci, è  che un re non letterato e un asino coronato. II  che non significa, si  badi, che  ser  Coluccio è un  vuoto  retore,  o  Alfonso  un  re  da  sermone,  ma  che  la  cultura è,  essa, viva  ed  efficace  e  umana,  e perfetta  espressione  di  una  societa  capace  d'accoglierla.   L'uomo  che  nel  linguaggio  celebra veramente  se  stesso -- l'uomo  si  manifesta  uomo  essenzialmente  nella  parola, come  si costituisce  in  pienezza  definendosi  attraverso  la  cultura  (le  litteræ  che  formano  la  humanitas), cosi raggiunge ogni sua  efficacia  mondana  mediante  la  parola  persuasiva,  mediante  la  retorica  intesa  nel  suo significato  profondo  di medicina  dell'anima,  signora  delle  passioni,  educatrice  vera  dell'uomo,  costruttrice  e  distruttrice  delle  citta. Tutto  e, veramente,  retorica,  sol  che  si  ricordi  ch,  d'altra  parte, retorica e  umanita,  ossia  spiritualita,  consapevolezza,  ragione,  DISCORSO di  uomini;  perche',  veramente,  l’umanesimo,  in  cui  tutto  è  inteso  sub  specie  humanitatis,  e humanitas  e UMANO COLLOQUIO,  ossia  tutto  il  regno  delle  muse figlie di Mnemosine che e il piu vero e il  piu bello dei  miti. Con  semplicita  francescana  frate  Bernardino  da  Siena,  che  vede in  ser  Coluccio  un  maestro  e  in  Bruni  un  amico,  scrive  cristianamente  le  medesime  cose. Non  aresti  tu  gran  piacere se tu vedessi o udissi predicare Gesu Cristo, san  Paulo,  GREGORIO (si veda),  santo  Geronimo  o  santo  Ambruogio?  Orsu  va,  leggi  i  loro  libri,  qual  piu  ti  piace  e  parlerai  con  loro,  ed  eglino  parleranno  teco;  udiranno te e tu udirai loro. E, come  dice  altrove,  le  lettere  ti  faranno  signore.  II  grande Valla  parlera  di  un  sacramentum il modesto Bartolomeo della  Fonte  dira  di  un  divinwn  mimen: quel nume  che  da  agl’uomini  anozze e  tribunali  ed  are. Per  questo le  litteræ  sono  una  cosa  terribilmente  seria,  e  la  responsabilita  di  un  termine bene  usato  e  gravissima,  e  non  v'e  posto per  Fozio. Per questo la poesia in senso vichiano e  da  cercarsi  la dove  si  traducono  e  si  consegnano  i  discorsi  essenziali  per  la  vita  dell’uomo. Cosi FLORA,  Umanesimo, Letterature  moderne, Ecco   secondo  Fonzio  quello  che  ottiene  la  parola:  fidem  inter  se  homines  colere,  matrimonia inire,  seque  in  una  mœnia  cogere  viribus  eloquentiæ  compulit.  Per tal modo  quella  poesia  che  talora e  lontana  dai  versi  e  dalle  novelle,  e  presente  ed  altissima  nella  pagina  di  un  filosofo  o  nell'appassionata  invettiva  di  un  politico. La  dolcezza  del  dire  (dulcedo et sonoritas  verborum),  la luce  della  forma (lux  orationis),  che  si  invoca  per  ogni  espressione  di  vera  umanita,  vuol  far  poesia  d’ogni  UMANO DISCORSO;  e  nel  momento  in  cui  riesce  a  tanto  toglie  ogni  privilegiato  dominio  alle  dettere  oziose. Perfino un  oscuro  erudito  come CASSI d'Arezzo  sa  dirci  che  in  tal  modo  nell'eloquenza si unificano  tutte le umane attivita,  e tutto in essa si umanizza  davero,  e  non  perche come  taluno  ha  fantasticato,  si  celebri  solo  il  letterato  ozioso,  ma  al  contrario  perche  1'uomo  e  presente  in  ogni  momento  dell'agire:  perche,  faccia  egli il matematico,  il  medico,  il  soldato  o  il  sacerdote,  sempre  e innanzitutto e uomo, e il suo sigillo  umano  imprime  ad  ogni  sua  opera  umanamente  esprimendola,  ossia  rivestendola  della  lux  orationis.   Di  qui  l’importanza  centrale che vengono ad  assumere le TRATTAZIONI SULLA LINGUA,  sulla  sua  storia,  sulla  eleganza?  ove  LA DISCUSSIONE GRAMMATICALE si  trasforma  di  continuo  in  discorso  finissimo  d’estetica:  e  quel  trapassare  dal  vocabolario,  e  magari  dal  repertorio  ortografico  basti  pensare  a Perotto  o  a  Tortelli nell’analisi  critica  e  nella  dissertazione  storica.  Mentre, contemporaneamente, la  storia,  che  intende  farsi  vivo  specchio  della  a  vita  civile)),  e  per  eccellenza  eloquente  discorso,  ossia  prosa  politica  e  trattato  pedagogico-morale. Bellissima  cosa e infatti come  afferma  Bruni raccontare 1'origine  prima e il  progresso della propria citta,  e conoscere  le imprese  dei  popoli  liberi (est enim decorum cum propriæ gentis originem  et  progressus,  turn  libe- i. Quasi  unum  in  corpus  convenerunt  scientiæ omnes, et rursus temporibus nostris eloquentiæ studiis studia sapientiæ coniuncta sunt (d’una  lettera  di  Cassi  a  Tortelli,  contenuta  nel  Vat.  lat.  e  pubblicata  da GAMURRINI, Arezzo  e  r Umanesimo, Arezzo, Cristelli, miscellanea in onore di Petrarca dell'Accademia Petrarca). A proposito  dell’eleganze di Valla  scrive  Cortesi, De hominibus doctis, ed. Galletti, Florentiæ, Mazzoni, conabatur Valla vim verborum  exprimere  et  quasi vias ad structuram orationis. rorum  populorum res gestas  cognoscere. Cortesi,  in quel felice  dialogo  De  hominibus  doctis,  che e una vera propria storia critica della letteratura,  appunto discorrendo delle  storie di Bruni, batte su questo incontro della verita con 1'eleganza, che e tutt'uno con quell’armonia di sapienza ed  eloquenza che Accolti celebra quale dote precipua dei fiorentini e dei veneziani del suo tempo nel dialogo De præstantia virorum  sui  aevi. Per  la  stessa  ragione  per  cui  tutto  sembra  divenir  DIALOGO, tutto  anche  e libro di storia; e storia e, ancora, colloquio con le eta antiche, con i grandi spiriti del passato.Bruni  nell'introduzione ai commentarii  confessa  che  la  grande  filosofia classica fa si che i tempi lontani ci siano piu vicini e piu noti dei tempi nostri (mihi quidem Ciceronis  Demosthenisque tempera  multo  magis  nota  videntur  quam ilia  quae  fuerunt  iam  annis  sexaginta),  e  dichiara che e  compito della storia  immettere  nella  nostra  vita e nel nostro colloquio il passato, farlo vivo con  noi, quasi  picturam  quondam viventem  adhuc  spirantemque. Palmieri  innanzi  alia  vita  di  ACCIAUOLI ci  insegna  che  la storia  e una  specie  di  immortalita  terrena  di quanto in  noi  e,  appunto,  vita  mondanala  storia e culto  e  salvezza  di  quella  parte  mortale che le lettere  redimono  da  morte  dilatando  la  società  umana oltre i limiti del tempo e salvandola  dall’oblio  e  dal  destino. Si  aprono  qui,  tuttavia,  a  proposito  della  prosa  latina,  due  questioni  fra  loro  strettamente  connesse e  che  sembrano  in  qualche  modo,  gia  nella  loro  impostazione,  venir  contrastando  con  quei Cosi  nel De studiis et litteris in BARON, BRUNI Aretino humanistisch-philosophische Schriften,  Leipzig.  Una giusta  valutazione  dell’opera  storica  di BRUNI presenta  Ullman, BRUNI and  humanistic  historiography, Medievalia  et  Humanistica e,  per quanto si e sopra osservato su retorica, politica e storia, son  da  vedere i tre  saggi  di  BARON,  Das  Erwachen  des  historischen  Denkens  im  Humanismus,  Hist.  Zeitschrift;  di RUBINSTEIN, The  Beginnings  of  Political  Thought  in  Florence: A Study in Mediaeval  Historiography, Journal  Warburg  Inst.; di CANTIMORI, Rhetoric  and  Politics in Italian  Humanism, Journ. Warburg  Inst.; Corpoream  vero  partem non  omnino  negligendam  ducunt,  sed  tamquam  suam  in  terra  recolendam,  ideoque  desiderant  illam oblivioni et fato præripere  caratteri  stessi che  si sono  voluti  definire. Come, infatti,  parlare  della’umanità d’una produzione che si serve di UNA LINGUA CHE NESSUNO ORMAI USA e che, dunque, gia nel mezzo espressivo pone come suo canone l’imitazione. In che modo  una  FILOSOFIA MIMETICA, RICALCATA SU MODELLI CICERONIANI,  puo oltrepassare  i  limiti  della  erudizione?  Ma i  due  gravi  problemi, del LATINO umanistico e dell’imitazione classica, gia tanto dibattuti, hanno oramai offerto  anche 1'avvio a una soluzione. Quanto infatti si obbietta intorno all’uso del latino, in luogo del volgare, e ad una  presunta  frattura  che  si  opera  rispetto  alla  tradizione,  deve  essere  corretto  coll’osservazione  che  i generi di prosa a cui ci  riferiamo,  orazioni,  trattati,  epistole  politiche,  DIALOGHI dottrinali, hanno  sempre  fatto uso  del  latino. Non e quindi esatto  dire  che da un presunto uso del volgare si torna al latino. È  vero invece che al LATINO MEDIEVALE definite  BARBARICO, e  cioe  GOTO O PARIGINO (dai franci, non gallii),  si  oppone  un  *altro*  latino  che  si  determina  e  si  definisce  rispetto  ai  modelli  classici.  II  quale  latino,  che  si  dichiara — come dice esplicitamente PLATINA —  integrate da tutta la più feconda tradizione post-ciceroniana,  ivi  compresi  i Padri della Chiesa, intende rivendicare i diritti d’una lingua nazionale romana contro l’universalita d’un GERGO scolastico (lo stile PARIGINO della Sorbonna, non di Bologna), ed  innanzi  tutto  nel campo di una produzione costantemente  espressa in latino.  Giustamente  SANCTIS (si veda) sottoline la frase del VALLA che proclama lingua nostra il latino vero, che si contrappone al LATINO GOTICO dell’uso medievale. La quale nostra lingua romana degl’umanisti, che SI PRECISA CON CARATTERI PROPRI COSI RISPETTO AL LATINO CLASSICO COME A QUELLO BARBARO DEI BARBARI FRANCI,  va  vista  per  quello  che  essa  veramente  e,  anche  rispetto  al  volgare: un nuovo  latino,  in  cui  la  complessita  antica  cede  il  posto  alia  scioltezza  moderna. Il latino degl’umanisti, lingua veramente viva che aderisce in pieno a una cultura affermatasi attraverso una consapevolezza critica che  si  colloca chiaramente  nel  tempo  defiendo  i  propri rapporti cosl col mondo antico come con il medioevo. Il latino  dei grandi  umanisti, lungi  dal  rappresentare  una  battuta  d'arresto o un  momento  di  invo-  [Cosi  nella  prefazione  alle  Vite,  che  riportiamo  per  intero. Rilievi utili in proposito ha  Sabbadini sia nella Storia del ciceronianismo CICERONE (si veda) (Torino,  Loescher),  come  nel  Metodo  degl’umanisti  (Firenze,  Monnier). luzione,  si  colloca  nella  storia  stessa  del  volgare. Il latino insegna al volgare l'eleganza la misura la forza e 1'eloquenza, e il volgare imprime ne’filosofi umanisti le leggi del suo andamento piano, della sua sintassi sciolta, dei  suoi  trapassi intuitivi, della sua eloquenza  interiore. Fra il latino, in cui si rispecchia pienamente tutto un atteggiamento culturale, e il volgare v’e una collaborazione che del resto  si  traduce  quasi  materialmente  nel  fatto  che  gl’autori  spesso  scrivono  1'opera  loro  in  latino  e  in  italiano. Non  sempre  si e posto mente al fatto che  da MANETTI (si veda) a  FICINO gli stessi trattatisti, siano pur filosofi, stendono anche in volgare le loro meditazioni. E come il loro latino e  davvero  una lingua  low.,  cosi  il  volgare  che  adoperano  non  e  per  nulla  oppresso  da  una  imitazione  artificiosa  di  modelli  classici. Giungiamo  cosi  a  quello  che  forse  e  il  punto  piu  delicato  ad  intendersi  dell'atteggiamento  di questi:  l’imitazione degl’antichi. Che la posizione assunta dagl’umanisti rispetto  agl’autori  classici  sia  alimentata da  una  preoccupazione  storica  e  critica; che  essi sono dei  filologi  desiderosi innanzitutto  di  comprendere  gl’autori  del  passato  nelle  loro  reali  dimensioni e nella loro situazione concreta: e cosa ormai in complesso pacifica. Ora gia questo  definisce il  senso  di  quella  imitazione che indica un atteggiamento molto caratteristico. ACCOLIT  dichiara  nettamente  la  parita  di  valore  fra  i  nuovi  autori  e  i  classici.  POLIZIANO (si veda)  nella  polemica  col CORTESI,  che  e  un  testo  capitale,  confuta  tutte  le  istanze  del  ciceronianismo,  e  proclama il  valore di  un'intera  tradizione  afferrata nel suo sviluppo, rivendicando il senso di tutto il periodo piu tardo della FILOSOFIA ROMANA (neque autem statim detenus dixerimus quod  diversion  sit).  Ma  dice  soprattutto  1'enorme  distanza  fra  una  poesia  che  fiorisce  come  libera  creazione  su  una cultura meditata e fatta proprio sangue, e l'imitazione pedestre — ilia poetas facit, haec simias. SPONGANO, Un capitolo di storia della  nostra  prosa  d'arte,  Firenze,  Sansoni,  E  cosi  sono  spesso  notevoli  le  version!  di  scrittori  celebri  come  latinisti:  TAurispa  che  traduce  Buonaccorso  da  Montemagno,  Donate  ACCIAIUOLI che  volgarizza  BRUNI,  e  cosi  via. interessante  ritrovare,  distesi  e  volgarizzati,  i  concetti  di  un  Valla  e  di  un  Poliziano  nei filosofi  francesi.  Per  esempio  Bellay,  scrivendo  dopo  aver  tratto  da  Valla il concetto che Roma è grande per la lingua imposta  all'Europa  non  meno che  per l’impero  (la  gloire  du  peuple Romain n'est  moindre, comme a dit quelqu'unen l’amplifacation L'Umanesimo e in questa singolare imitazione-creazione, come la chiama RUSSO: l'umanita fatta consapevole attraverso il rapporto stabilito con gl’altri uomini nell'operoso  sforzo  di raggiungere una sempre pifc alta forma di vita. Di qui, appunto, il particolare carattere delle sue piu felici espressioni letterarie. de son langage que de ses limites) eccolo riprendere POLIZIANO: immitant  les  meilleurs  aucteurs,  se  transformant  en  eux,  les  devorant,  et  apres  les  avoir  bien  digerez,  les  convertissant  en  sang  et  nouriture. Solo cosi l’imitazione e giovevole allo scrittore. Autrement son immitation ressembleroit celle du singe. Cfr. WEINBERG, Critical  prefaces  of  the  French  Renaissance, Northwestern,  Evanston,  Illinois, Russo,  Problemi  di  metodo  critico,  Bari,  Laterza. G. Antonio  Nasce a Rieti, figlio di Francesco e di Teresa Barbagli. Il nonno, intendente di Finanza, si è trasferito dalla SAVOIA in Toscana con l’Unità d’Italia; la madre è originaria di San Giustino nel Valdarno; il padre – allievo di Vitelli, in rapporti amichevoli con Pasquali, che scrive il suo necrologio su Atene e Roma – è un valente filologo, con particolare interesse per la storia del romanzo greco, per Teocrito e per i commenti a Teocrito. La guerra e la fine prematura e quasi improvvisa ne stroncarono la carriera e costrinsero il figlio ad assumersi, precocemente, pesanti responsabilità.  G. ha, anche per questo, un'infanzia e un'adolescenza assai difficili e tormentate, che hanno un peso nel rafforzare i toni disincantati e pessimisti del carattere, controllati, in genere, dall'ironia e anche dal sarcasmo, pronti però a esplodere nei momenti di  particolare amarezza o di maggior contrasto con i tempi in cui gli toccò di vivere e di lavorare.   Fin da quegli anni – duri e mai dimenticati – comprese però quale era la sua vocazione e individuò nei libri, e in uno studio assiduo e disperatissimo, la bussola con cui avrebbe costruito, con tenacia, la propria vita: bruciando le tappe, si iscrisse alla facoltà di filosofia a Firenze e si laurea col massimo dei voti in filosofia con una tesi su Butler [cf. GRICE, SELF-LOVE, OTHER-LOVE], preparata sotto la guida di LIMENTANI (si veda). A Firenze aveva compiuto anche gli studi elementari e medi, frequentando il Liceo Galilei, nel quale insegna il padre e dove incontra Maria Soro, nata a Sassari, che sarebbe poi diventata sua moglie, con rito civile. G è nato a Rieti in seguito al trasferimento in quella città del padre, che come professore di liceo aveva girato, si può dire, tutta l’Italia; ma si considerò sempre fiorentino e conservò per tutta la vita un ricordo assai vivo degli anni liceali e, soprattutto, di quelli trascorsi nella facoltà di lettere di Firenze. In quel periodo fece incontri decisivi dal punto di vista sia personale sia scientifico, e non solo in ambito filosofico; stabilì rapporti con personalità come PASQUALI (si veda), e conosce compagni di studi ai quali resta legato tutta la vita, italiani e non italiani: Teicher, Rubinstein, LUPORINI (si veda), il quale, rievocando gli anni della sua formazione (Qualcosa di me stesso, in Luporini, a cura di Moneti, Il ponte), ricorda come G. eccellesse già allora su tutti, e fosse più avanti degli altri coetanei per maturità e sapere. In quegli stessi anni, G. conosce due maestri che incisero segni profondi nella sua mente e nella sua personalità intellettuale e scientifica: SARLO (si veda) e, soprattutto, LIMENTANI (si veda), che lo avviò agli studi sull'Illuminismo inglese, confluiti nel volume L'Illuminismo inglese. I moralisti (Milano). Dopo aver insegnato nel Regio Convitto delle Mantellate, G., ottenuta l’abilitazione in storia e filosofia riuscendo tredicesimo nella graduatoria generale, fa il concorso per l'insegnamento di filosofia e storia nei licei per sedi determinate, e lo vince, dopo essere stato esaminato da una commissione presieduta da GUZZO (si veda). Prende servizio come professore straordinario di filosofia e storia presso il Liceo Cannizzaro di Palermo, dove rimane fino a quando – dopo molti tentativi giustificati da motivi sia familiari sia filosofici – è trasferito a Firenze per insegnare, come professore ordinario, filosofia e storia al Liceo Vinci.  Gli anni palermitani sono assai importanti e fecondi per G.: per gli incontri umani e intellettuali che fece e per le ricerche che condusse, preparando l'importante volume PICO (si veda) Vita e dottrina, pubblicato a Firenze, ma già pronto a Palermo. È a Palermo che scrive in gran parte il suo primo saggio di argomento umanistico, servendosi dell’eccellenti biblioteche pubbliche della città, e frequentando la Biblioteca filosofica a Palazzo Reale, col suo singolare fondatore e direttore, POJERO (si veda), l'amico di GENTILE (si veda) e primo editore dell'Atto puro, il bizzarro filosof' noto dappertutto, sempre teso a cogliere una battuta e a fissarla per scritto (Una collaborazione lunga una vita, in Belfagor).  A spostare G. dagli studi iniziali sull'Illuminismo inglese verso le ricerche umanistiche e rinascimentali contribuì una pluralità di fattori: certo agirono la presenza, e il magistero, di Limentani, che in quegli stessi anni studia  il BRUNO 'inglese' sulla scia della importante monografia su La morale di Bruno. Ma alla base di quello spostamento ci furono due altri motivi, forse più rilevanti: la centralità assunta a quella data dall'Umanesimo e dal Rinascimento nella ricerca filosofica europea intorno a problemi decisivi come la libertà, e la dignità, dell'uomo; il rapporto tra uomo, mondo, Dio; il carattere e il significato dell'esperienza umana. È stato, peraltro, G., in un testo degli anni Settanta (lettera a Chemotti, la cui minuta è conservata presso il Fondo G. della Scuola Normale Superiore di Pisa), a segnalare la complessità delle questioni che, negli anni Trenta, si concentravano nella discussione sul Rinascimento: domande di ordine sia filosofico sia religioso, ma tutte convergenti in una generale interrogazione sul significato dell'uomo e del suo destino, in un momento tragico della storia del mondo.  È in questo contesto che si inseriscono sia il saggio su PICO sia il saggio su La "dignitas hominis" e la letteratura patristica (in La Rinascita)  in cui questo intreccio di motivi si presenta in modo esemplare, con un netto primato della problematica di tipo religioso – anzi esplicitamente cristiano – e, simmetricamente, con un consapevole distacco dalle impostazioni di tipo idealistico, comprese quelle risalenti a Gentile. Come testimoniano anche i molteplici richiami alla interpretazione  Burdach – messa in circolazione in Italia, anche da Cantimori –, a quella data G. era su un'onda assai diversa rispetto a Gentile che, pure, fin dal primo momento apprezzò molto i suoi lavori su Pico, invitandolo a collaborare al GIORNALE CRITICO DELLA FILOSOFIA ITALIANA, sul quale aveva cominciato a pubblicare con un saggio su L’etica di Butler.  Non si trattava solo di una distanza di ordine storiografico, evidente, per esempio, nella importanza che già in questi anni G. comincia ad assegnare alla tradizione ermetica, avviando una ricerca che avrebbe continuato, sia pure con toni e forme assai diverse, fino ai suoi ultimi anni -- il saggio su Una fonte ermetica poco nota. Contributi alla storia del pensiero umanistico, destinato a essere ripreso e profondamente modificato, uscì originariamente in La Rinascita. Al fondo, rispetto a Gentile, c'era una forte distanza di carattere strettamente filosofico, come risulta dai principali riferimenti filosofici di G. in questi anni: Senne, Marcel, Gilson, Lavelle, forse il più importante di tutti, quello al quale si sentì a lungo più vicino.   Sono tutti autori di area francese e di matrice cristiana, convergenti, sia pure con toni differenti, nella prospettiva di un esistenzialismo religioso che appare ben presente negli scritti storici di . sul Rinascimento di questo periodo, pur mediati, e filtrati, da una armatura di carattere filologico ed erudito molto forte già in quegli anni (ne è una conferma il ricco e aggiornatissimo corredo bibliografico del libro su Pico). Mancano, invece – con l'importante eccezione di Cassirer, presente già nel saggio– riferimenti altrettanto significativi ad autori di area tedesca, a cominciare da Heidegger che, in quegli anni, era invece interlocutore privilegiato di altri importanti esponenti della generazione di G., come Luporini, suo amico fin dagli anni della Università, ma assai diverso sia per interessi filosofici che per le strade che avrebbe poi preso sul terreno politico.  È una mancanza che non stupisce, se si considera che la cultura di matrice francese fu una componente centrale della formazione di G., e che essa – insieme al pensiero inglese, ma con maggiore forza – ebbe un ruolo centrale nella sua attività scientifica e anche editoriale, come testimonia l'imponente opera di presentazione e traduzione di testi capitali del pensiero francese svolta insieme alla moglie – da Rousseau a Malebranche, a d'Holbach e gl’enciclopedisti.  Il primato della cultura di matrice francese era, del resto, un tratto diffuso della generazione di G. e, in modo particolare, dell'ambiente culturale fiorentino: quello che si esprimeva in istituzioni di notevole rilievo come il Gabinetto Vieusseux – di cui è bibliotecario e direttore Montale –, e LA BIBLIOTECA FILOSOFICA di Levasti e Marrucchi, una personalità notevole, alla quale G. rimane sempre legato e che ricorda in pagine molto intense, rievocando quell'ambiente e quell’atmosfera, in cui vive il ricordo di una figura come Michelstaedter, alla quale anche G. dedica, a più riprese, molta attenzione. Tornato a Firenze, ha un incarico di filosofia teoretica presso la facoltà di lettere e filosofia. Ottenne, poi, la libera docenza in storia della filosofia. Quando per effetto delle leggi razziali LIMENTANI (si veda) lascia la cattedra di filosofia morale, la facoltà decide di NON chiamare su essa un altro ordinario, ma di conferire l’incarico a G., discepolo – pupillo -- di LIMENTANI (si veda).  Nei modi possibili in quei tempi difficili, G. espressa pubblicamente la sua fedeltà al maestro e tutore con cui si è formato, tenendo una conferenza presso la BIBLIOTECA FILOSOFICA Biblioteca di Firenze in cui attacca a fondo ogni forma di storicismo  identificato con il relativismo rivendicando, da un lato, il valore della lotta, e dell'ostacolo, sulla scia di Senne. Ribadendo, dall'altro, e con massima energia, la distinzione tra vittima e carnefice, tra perseguitato e persecutore, che nessuna provvidenza storica avrebbe mai potuto, in alcun modo, risarcire. Dopo la morte di LIMENTANI (si veda), ne redatta un commosso necrologio, pubblicato in opuscolo insieme alla bibliografia dei suoi scritti (Limentani, Firenze). Comincia, intanto, a partecipare a concorsi per ottenere una cattedra universitaria, che riuscì a vincere quando risulta primo ternato in quello per professore straordinario alla cattedra di storia della filosofia a Cagliari -- la commissione èformata da Aliotta, presidente, Lamanna, segretario, Abbagnano, Banfi, e Spirito. Precedentemente partecipa, venendo dichiarato maturo, a tre altri concorsi, banditi, rispettivamente, da Messina e da Napoli -- quest’ultimo si svolse in due tornate, per l’annullamento, a causa di un ricorso, dei risultati della prima.  Difficili sul piano accademico e anche personale, quegli anni sono però fertilissimi dal punto di vista filosofico. Oltre a una serie di saggi assai importanti usciti, in genere, su La Rinascita diretta da Papini, con il quale ha, allora, un rapporto intenso, G. pubblica due importanti antologie: Il Rinascimento italiano, Milano, commissionatagli da VOLPE (si veda) e stampata nella collana dell'ISPI; e Filosofi italiani, Firenze, uscita come pubblicazione dell'Istituto nazionale di studi sul Rinascimento. Si tratta, in entrambi i casi di opere fondamentali, destinate a lasciare una orma profonda negli studi rinascimentali. Ma lette con attenzione – e tenendo conto della inclinazione dissimulatoria tipica dell'epoca –, esse svelano con precisione quali fossero gli atteggiamenti filosofici e politici di G. in quel momento: una posizione nettamente antifascista, trasparente nelle pagine dedicate alla critica del tiranno; un profondo interesse di tipo religioso, già emerso nei primi saggi rinascimentali della seconda metà degli anni Trenta, e ora pienamente dispiegato nella lunga Introduzione ai Filosofi italiani, a cominciare dalle pagine scritte sulla morte, discorrendo di Salutati. Sono temi nei quali la nota religiosa risuona con particolare forza e vigore, e non solo nei testi sull'Umanesimo. Pubblica per una piccola casa editrice fiorentina, Cya, una antologia di testi tolstoiani, Ultime parole,  nei quali è affermato con nettezza il primato della 'riforma interiore' come condizione di ogni riforma di tipo economico e sociale. Sarebbe stato, del resto, lo stesso G. ricordare che anni prima, nel pieno della guerra, attraversa una vera e propria crisi di tipo religioso, subendo a fondo l'influenza di Tolstoj. Sul terreno filosofico è una inclinazione che si rivela, oltre che sul piano del linguaggio, nel forte ruolo assegnato a SAVONAROLA (si veda), un autore che gli è sempre carissimo, ma che arriva ad affiancare al Platone della Repubblica per il Trattato sul reggimento di Firenze. Spicca anche il lavoro di presentazione e di traduzione dei testi fondamentali di PICO (si veda): De hominis dignitate, Heptaplus, De ente et uno, Firenze; Disputationes adversus astrologiam divinatricem -- un'impresa imponente, che contribuì a mutare in profondità sia l'immagine tradizionale di Pico, sia quella corrente del Rinascimento, ponendo le basi della interpretazione generale che G. propone ne “Der italienische Humanismus, pubblicato nella collana diretta da GRASSI (si veda) per l'editore Francke di Berna, ristampato poi nel testo originale presso Laterza. Sono saggi resi possibili anche dal forte sostegno di una figura singolare, ma più importante di quanto in genere si pensi, della cultura italiana: CASTELLI ZUBIENA (si veda), il quale – oltre a pubblicare le traduzioni di PICO (si veda) nell'ambito dell’edizione nazionale dei classici del pensiero italiano promossa dal REGIO ISTITUTO DI STUDI FILOSOFICI da lui presieduto e del quale G. è anche segretario della sezione toscana, si impegna con molta tenacia e costanza, a tutti i livelli, per fargli ottenere un distacco dal Liceo Vinci che gli consentisse di svolgere con maggiore tranquillità il suo lavoro. G. sottolinea più volte che non c'è un rapporto meccanico tra storia della cultura e storia politica, precisando, per esempio, che la crisi e la fine dell'idealismo crociano si compiono nel 1968, non nel 1945. Non c'è però dubbio che con la fine della guerra sia iniziata una nuova fase della sua lunga vita sul piano sia intellettuale sia politico. Dopo un periodo connotato dalla vicinanza a posizioni di tipo liberal-democratico (come appare chiaro dagli articoli che pubblica sull'Italiano), si avvicinò infatti, sia pur progressivamente, al Partito comunista italiano, senza mai iscriversi a esso, ma diventandone, specie negli anni Cinquanta e Sessanta, uno dei principali intellettuali di riferimento.  Alla base di questo netto spostamento di campo ci furono motivazioni di ordine intellettuale e di natura politica.   Sul primo punto, è decisivo l'incontro con le Lettere dal carcere di Antonio Gramsci, che recensì subito su Leonardo, la rivista di cui, divenne redattore – cioè, in effetti,  direttore –, avviando un intensissimo colloquio che sarebbe continuato lungo tutta la sua vita e che avrebbe inciso sia sulle sue ricerche umanistiche sia sulle Cronache di filosofia italiana pubblicate per i tipi di Laterza ma preparate dagli articoli su Leonardo e sul GIORNALE CRITICO DELLA FILOSOFIA ITALIANA fondato da GENTILE (si veda) e diretto da SPIRITO (si veda). Dal punto di vista strettamente politico, per quanto possa apparire paradossale, in quella scelta agì il profondo, e mai venuto meno, interesse religioso di G.: e infatti profondamente LAICO, NON LAICISTA. Ritene necessario distinguere con chiarezza ciò che è di Cesare e ciò che è di Dio, anzi pensa che dalla confusione dell'uno e dell'altro potesse derivare una degenerazione di entrambi. Il partito della Democrazia cristiana gli apparve come la realizzazione concreta di questo rischio, con la ripresa, e il potenziarsi, di quelle tendenze che durante il Regime si erano espresse nel clerico-fascismo, contribuendo, a suo giudizio, a corrompere il carattere morale degl’italiani. Perciò considera negativamente l'inserzione dell'articolo 7 nella Costituzione repubblicana, ma fu per questi stessi motivi che si avvicinò al Partito comunista: per una scelta di ordine anzitutto morale e, alle origini, religiosa. Pur nel dissenso con il Partito comunista nella valutazione dell'articolo 7, G. vide in esso la forza più intransigentemente schierata a favore di una concezione laica dello Stato e, in genere, della vita, contro il riaffiorare e l'imporsi di una nuova forma di clerico-fascismo, dannosa, ai suoi occhi, sia per la politica sia per una autentica esperienza religiosa.  I due piani – quello culturale e quello politico – si intrecciarono e si potenziarono a vicenda, nella concretezza del suo lavoro, sia in quello sul Rinascimento sia nelle ricerche sulla filosofia italiana. A quest'ultima aveva già dedicato, per incarico di Gentile, due volumi pubblicati da Vallardi. Si tratta dell'opera: La filosofia, da non confondere con la Storia della filosofia uscita per i tipi di Vallecchi: uno de suoi libri più belli, più vivaci, più liberi.  Le Cronache di filosofia italiana  erano, in effetti, un'altra cosa: una sorta di autobiografia di una intera generazione, quella nata al tornante del primo decennio del secolo – la stessa di Bobbio, nato anch'egli, come G., e autore di Politica e cultura, l'altro grande testo 'autobiografico' della loro generazione. A considerare oggi quegli anni, non appare casuale che due intellettuali di quel livello abbiano avvertito, nello stesso momento, la necessità di confrontarsi con la propria storia, sia pure da punti di vista diversi e con strumenti differenti. In G., assai più che in BOBBIO (si veda), e infatti presente la lezione di Gramsci. Sul piano del metodo, anzitutto: La filosofia come sapere storico (Bari) si conclude con un lungo saggio su Gramsci, nato come relazione al Convegno di studi gramsciani, tenutosi a Roma l'anno prima, ma anche sul piano del merito, cioè di specifiche valutazioni di uomini e cose, come Togliatti rileva nella sua recensione a Cronache di filosofia italiana (Rinascita).  Non solo: la lezione di Gramsci, in forme assai mediate e controllate, è visibile anche negli scritti che G. dedica al Rinascimento. Nonostante che, in questo caso, i giudizi di Gramsci e G. fossero, proprio nel merito, profondamente differenti. L’UMANESIMO CIVILE, IL TRAMONTO DI UN MONDO  Quando si parla di G. si pensa, in genere, alla sua interpretazione del Rinascimento come 'umanesimo civile'. È giusto, ma riduttivo per due ordini di motivi. In primo luogo, essa svolge funzioni e ruoli diversi, anche a seconda del mutare dei contesti storico-politici. In secondo luogo, a cominciare dagli anni Settanta G. riformula in modo profondo la sua interpretazione, dislocando l'Umanesimo civile in zone progressivamente laterali, rispetto al nucleo centrale del suo discorso (in questo senso è fondamentale Rinascite e rivoluzioni: movimenti culturali, Roma-Bari: uno dei suoi lavori più importanti, insieme a La cultura filosofica del Rinascimento italiano. Ricerche e documenti, uscito per i tipi di Sansoni, nel quale spicca in apertura il saggio – capitale dal punto di vista dell'Umanesimo civile – su I cancellieri umanisti della Repubblica fiorentina da Salutati a Scala, pubblicato originariamente  in Rivista storica italiana. All'interpretazione del Rinascimento come Umanesimo civile G. lavorava, in effetti in convergenza con le ricerche di Baron, del quale fa pubblicare su La Rinascita un importante saggio. Ma allora esso aveva una funzione parallela, anzi secondaria, rispetto ai motivi ermetici che G. tendeva maggiormente a valorizzare, anche in relazione a quell'esistenzialismo religioso nel quale allora si riconosceva. Negli anni Cinquanta e Sessanta il quadro muta in modo deciso, e  l'Umanesimo civile diventò il motivo dominante della sua interpretazione, come appare dall'antologia, fortemente lodata da Cantimori, Prosatori latini del Quattrocento (Milano). I motivi messi a fuoco nella seconda metà degli anni Trenta erano ripresi, e anzi energicamente sviluppati, a cominciare dalle tematiche magiche e astrologiche, cui dedicò due saggi fondamentali; ma essi ora venivano riformulati (per esempio, cambiò in modo consistente il giudizio sull'astrologia) ed inseriti in una prospettiva che privilegiava, in primo luogo, la dimensione mondana, terrestre – appunto, 'civile' del Rinascimento –, dando rilievo centrale al problema del rapporto tra 'vita contemplativa' e 'vita activa', e valorizzando in questa luce i grandi cancellieri fiorentini come SALUTATI (si veda) e BRUNI (si veda). Ne scaturì una nuova immagine del Rinascimento, entro cui assunsero valore centrale discipline come LA RETORICA, l'arte della memoria o esperienze filosofiche prima trascurate, o non comprese in modo adeguato, come, per esempio, il lullismo. Su questo sfondo, G. si pose in termini nuovi rispetto agli scritti degli anni Trenta anche il problema della genesi e dei caratteri della scienza moderna, sforzandosi di mostrare come un moto di cultura strettamente legato nelle sue origini alla vita delle città italiane debba considerarsi una delle premesse del rinnovamento scientifico moderno (come scriveva nella Premessa al volume Scienza e vita civile nel Rinascimento italiano, pubblicato con Laterza: una linea di ricerca, sia detto tra parentesi, che non ebbe ulteriori sviluppi, anche per i mutamenti che, di lì a poco, avrebbero sconvolto il mondo storico, coinvolgendo a fondo anche il mondo storiografico). In questa accentuazione della dimensione civile agì certamente la lezione metodica di GRAMSCI (si veda), che appare con ancor maggiore chiarezza nei lavori che G. dedica alla filosofia contemporanea, specie a quella ITALIANA. Sono importanti, da questo punto di vista, sia La cultura italiana (Bari); sia, e soprattutto, quello sugli Intellettuali italiani  (Roma), che costituisce, per molti aspetti, il vertice della presenza, e della influenza, di G. nella cultura, e anche nella politica, italiane.   Se si considera il corso della sua vita, si può azzardare un giudizio: forse furono proprio quelli gli anni in cui G. riuscì a stabilire, nel complesso, un rapporto positivo con il proprio tempo storico, e non solo per i molti riconoscimenti pubblici che ebbe in quel periodo, dentro e fuori l'Università, in Italia e all’estero. E diventato professore ordinario di storia della filosofia medievale a Firenze, insegnamento che tenne per incarico. È poi subentrato a Lamanna come titolare della cattedra di storia della filosofia presso la stessa Università.   Riconoscimenti, e onori, altrettanto importanti stava avendo anche al di fuori dell'Università. Socio effettivo dell'Accademia toscana di scienze e lettere 'La Colombaria', ne era anche segretario generale; eletto socio corrispondente dei lincei, diventandone socio nazionale. Riceve dalla British Academy la Serena medal for Italian studies (gl’ultimi italiani che l'avevano ottenuta – scrive, con orgoglio, al direttore della Scuola Normale comunicandogli la notizia – sono Longhi e Bandinelli.  Al fondo, però, pur considerandosi anzitutto un insegnante, G. è, a suo modo, un animal politicum, e avrebbe voluto essere un cittadino. Riusce a esserlo come non gli era accaduto prima e non sarebbe più successo dopo, intrecciando un'attività scientifica di alto livello con un impegno civile assai intenso sui temi che gli interessavano maggiormente, a iniziare dalla scuola, su cui intervenne anche con una relazione molto dura letta al Teatro Valle di Roma  pubblicandola poi in volume, La cultura nella società italiana, Torino. La situazione muta profondamente. Quell'equilibrio, sempre fragile e precario, si incrina e G. si distacca, progressivamente, fino a contrapporsi, dai movimenti culturali e politici che comincia a scuotere il paese fin dalle fondamenta, nel bene e nel male. Il punto più aspro del contrasto, anzi la vera e propria rottura, si produce quando – si legge in una lettera al preside della facoltà di lettere, Sestan -- minuta nel Fondo G. della Scuola Normale Superiore – e costretto a interrompere la lezione per il contegno oltraggioso e provocatorio di uno studente. È una scelta assai meditata, anche se amara, quella di lasciare Firenze, che è stata la sua alma aater, trasferendosi alla scuola normale superiore di PISA come professore e anche questa scelta è significativa di storia della filosofia del Rinascimento. Come scrive al direttore della scuola, Bernardini, sarebbe stata quella la conclusione migliore, certo la più onorevole, di un lungo insegnamento (minuta).  Questo non significa che da quel momento si sia disinteressato della filosofia contemporanea, a cominciare da quella italiana. Anzi: pubblica, con l'editore barese Donato, un saggio importante, Tra due secoli. Socialismo e filosofia in Italia, riprendendo in forme nuove il problema del positivismo e riaprendo, in generale, la questione del rapporto tra eredità positivistiche e filosofia, nelle sue varie diramazioni. Ma il saggio non ebbe un successo paragonabile a quello tributato al volume sugli Intellettuali italiani. Nel giro di pochi anni, la situazione era profondamente mutata e i temi trattati in quel testo, pur così importante, avevano perso peso e rilievo nel dibattito filosofico italiano, che stava ormai aprendosi, e su vasta scala, a nuove tendenze estranee alla tradizione nazionale, nel pieno di una crisi che investiva lo stato italiano fin dalle fondamenta. Effettivamente, un intero mondo sta cominciando a finire.  Tanto più colpisce, in questa situazione, il saggio  che in controtendenza, G. dedica a Gentile pubblicandone, con l'editore Garzanti, le Opere filosofiche. Aveva ormai 82 anni: nel 1979 era uscito dai ruoli dell'insegnamento, nel 1984 era andato definitivamente in pensione, nel 1986 era diventato professore emerito della Scuola Normale. Lascia anche la presidenza dell'Istituto nazionale di studi sul Rinascimento. E dunque diventato un libero studioso sciolto da qualunque vincolo di ordine istituzionale, e forse anche questo contribuisce a spiegare la libertà – e l'atteggiamento 'non conformista', si potrebbe dire – con cui si confronta con Gentile nella lunghissima introduzione che premise ai testi, spiegando il senso della sua scelta.  Non è un'impresa facile. I rapporti di G. con Gentile e con Croce sono infatti assai complessi e si modificarono, e complicarono, con il tempo. Si possono però in sintesi individuare alcuni elementi di ordine generale. Dal punto di vista filosofico egli si sentì, al fondo, più vicino a Gentile. Basta leggere le pagine che gli dedicò nella Storia della filosofia, e accostarle a quelle scritte nello stesso testo su Croce, per vedere come ne apprezzasse la posizione e quanto fosse invece distante da Croce. Certo, come dimostrano le cronache, il suo giudizio sull’idealismo si approfondì col tempo e divenne assai più ricco e articolato. Ma la distanza di G. dalla 'filosofia dello spirito' non venne mai meno, perché essa coinvolgeva un punto centrale, allora e poi, della sua posizione. Alle origini, le ragioni di quella scelta stano precisamente qui. Sul piano filosofico GENTILE (si veda) appartene a quella filosofia della libertà, specie di matrice francese, in cui G. riconosce il carattere principale della filosofia e anche le proprie radici filosofiche. Filosofia della libertà: cioè azione, praxis, atto, volontà. Sono i motivi che erano presenti anche in Marx, quelli che gli avevano fatto apprezzare GRAMSCI (si veda), sentire affine la ricerca dei Quaderni del carcere, e che, nel volume, sottolineò anche in GENTILE (si veda), vedendo anzi nella sua lettura di Marx la via attraverso cui si era affermato nel nostro paese il principio della praxis, dell'azione, della volontà.  È per queste stesse ragioni – strutturali, non contingenti – che G. fu, invece, in sostanza, lontano da CROCE (si veda), pur apprezzandone il rapporto stabilito tra politica e cultura e l'immenso lavoro: non ne condivideva la concezione del circolo spirituale; lo sentiva distante per l'incapacità di afferrare la intima, e insuperabile, tragicità della vita; rifiuta la dissoluzione dell'individuo empirico, che invece per lui era fondamentale. Certo, con il tempo maturò un giudizio assai più ricco di quello espresso negli anni Quaranta; ma alcuni elementi in cui si esprimevano un distacco, e un dissenso, perfino di ordine generazionale non vennero mai completamente meno. In occasione del centenario della nascita di Croce, scrive un bel saggio sui suoi rapporti con Serra (SERRA (si veda) e Croce, in Belfagor) e, pur facendogli ampi riconoscimenti, non ha esitazione a schierarsi, proprio per questi motivi, dalla parte di quest'ultimo. Iniziò una profonda trasformazione del mondo storico, destinata a incidere, in vari modi, nel mondo storiografico, compreso quello di G., che operò mutamenti profondi nella sua posizione, a cominciare dalla concezione dell'Umanesimo civile, che nel ventennio precedente era stato il centro della sua interpretazione del Rinascimento. Ora venne configurandosi come un ideale; anzi una ideologia nobile e importante, ma pur sempre una ideologia (come appare nel Ritratto di Bruni aretino in Atti e Memorie dell'Accademia Petrarca di Lettere, Arti e Scienze di Arezzo), mentre assunsero rilievo essenziale altri temi, altri autori, come risulta chiaro dal libro Lo zodiaco della vita. La polemica sull'astrologia dal Trecento al Cinquecento (Roma-Bari), che raccoglieva quattro lezioni tenute al Collège de France. Fin dall'inizio della sua attività G. da rilievo alle tematiche magiche, astrologiche, ermetiche, sistemandole, poi, nel contesto dell'Umanesimo civile. Ora esse ridiventarono centrali, con una particolare sporgenza dei testi e dei motivi di carattere astrologico. Alla base di questo c'era, come sempre in G., un convincimento di ordine teorico.   A lungo era stato persuaso che nella cultura europea fosse stata presente, e dominante, quella che egli chiama la 'linea PICO (si veda)-Sartre', secondo cui l'uomo non ha una natura (una specie, una forma), ma è un atto che si sceglie, per riprendere una sua battuta contenuta nella lettera a Amoroso minuta nel Fondo G. della Scuola Normale Superiore di Pisa. È un convincimento coerente con la sua filosofia della libertà, della praxis, del primato della volontà. Negli ultimi anni furono proprio questi capisaldi che si infransero e vennero meno sbalzando in primo piano, al posto dei cancellieri fiorentini, filosofi come POMPONAZZI (si veda) e, soprattutto, ALBERTI (si veda), sostenitori, l'uno e l'altro, di una concezione totalmente disincantata dell'uomo e della vita, ridotta o a gioco privo di senso o a una eterna vicissitudine di uomini, di cose, di sorti. E qui si può osservare come in un microcosmo in che modo lavora G., e quanto fosse profondo nella sua ricerca l'intreccio tra autobiografia e storiografia, a loro volta sostenute da una posizione teorica precisa, ma destinata, al tempo stesso, a importanti variazioni e mutamenti. ALBERTI e s infatti sempre al centro della sua attenzione, ma venne a lungo inserito nella prospettiva dell’Umanesimo civile, mentre negli scritti dell'ultimo periodo si configurò come uno dei principali esponenti di una concezione che vede nell'uomo niente altro che un ludus deorum, per riprendere l'espressione utilizzata da Platone nelle Leggi e ripresa nel De fato da POMPONAZZI (si veda). Sono precisamente questi temi, e queste espressioni (citate puntualmente nello Zodiaco della vita, e rafforzate dalla scoperta che fa di alcune Intercenali inedite di Alberti, pubblicate su Rinascimentonel), che attrassero G. quando si convinse che la linea PICO (si veda)-Sartre si era infranta ed èstata sconfitta. Né è facile dire quanto in queste posizioni storiografiche avesse inciso la crisi che fin dalla fine degli anni Sessanta sta travagliando il mondo storico, dandogli progressivamente il senso – e poi la persuasione – che una intera epoca della cultura europea stava tramontando, dissolvendo quegli ideali e quelle utopie che ne avevano sostenuto il cammino, specie nei momenti più gloriosi come il Rinascimento e l’Illuminismo.   In un intreccio profondo di autobiografia e storiografia, le pagine dell'ultimo G. sono solcate da toni assai disincantati e pessimistici. Ma neppure in questi anni, e in questi scritti, egli si presenta al lettore in toni disarmati o vinto: troppo forte era stata la persuasione di un primato della praxis, dell'azione, della volontà perché essa potesse venire mai integralmente meno. Stava qui la sorgente originaria della sua personalità fin dagli anni Trenta, e a essa – nonostante tutto – aveva cercato di restare fedele, dipanando il filo essenziale della sua esistenza, nelle diverse situazioni in cui gli toccò di vivere, per quasi un secolo.  Quando muore, a Firenze  non ha smesso di pensare all'utopia di un mondo diverso: come gli avevano insegnato a fare i rappresentanti più eminenti dell'epoca alla quale aveva dedicato tanta parte della sua esistenza. G. Il percorso storiografico di un maestro del Novecento, Giornata di studio, Prato, Biblioteca Roncioniana a cura di Audisio - A. Savorelli, Firenze (si vedano in particolare i saggi di Cesa, Momenti della formazione di uno storico della filosofia e di C. Vasoli, Gli studi di E. G. Su Pico; G. e il Novecento, numero monografico del Giornale critico della filosofia italiana; Ciliberto, G. Un intellettuale nel Novecento, Roma-Bari; G. Dal Rinascimento all’Illuminismo, Atti del Convegno, Firenze, a cura di Catanorchi - Lepri, con Premessa di Ciliberto, Roma-Firenze; Il Novecento di G., Atti del Convegno promosso dalla Fondazione Istituto Gramsci in collaborazione con l’Istituto della Enciclopedia Italiana, Roma, a cura di Ricci - Vacca, Roma. Grice: “Don’t expect philosophical insight from Garin. He is at most an amanuensis. But like Gentile, it is helpful, if you are into minor philosophers, or minor figures, to go through the indexes of his many compilations. As with Gentile’s Storia della filosofia italiana, Garin’s is just as boring. Garin makes it more difficult in that he uses two or three words which we don’t use at Oxford: ‘pensiero’ for philosophy, ‘intellectual’ (‘intelletuali italiani del novecento’) and ‘culture’ (cultura italiana del ottocento’). By these monickers, he is attempting to include as philosophers people who we should not!” Eugenio Antonio Garin. Eugenio Garin. Garin. Keywords: cicerone come umanista – umanesimo e unamenismi – garin, umanista del Novecento – umanisti e il ritorno dei filosofi antichi – umanesimo, ovvero, il primo secolo del rinascimento – il ritorno dei filosofi antichi – retorica umanista – castelli e garin -- le griceianisme est un humanism!” humus, human, homo sapiens, homo sapiens sapiens, human vs. person, sapientia, persona -- human, umano, umanesimo – filosofia romana -- Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Garin – umano, troppo umano – The Swimming-Pool Library. 

 

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