Luigi Speranza – GRICE ITALO!; ossia, Grice e Branciforte:
la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale dei giochi olimpici
– scuola di San Vito – filosofia emiliana -- filosofia italiana – Luigi Speranza,
pel Gruppo di Gioco di H. P.Grice, The Swimming-Pool Library (San Vito). Filosofo emiliano. Filosofo italiano. San Vito, Emilia-Romagna.
Grice: “You’ve got to love Branciforte: my favourite is his philosophy of what
he calls ‘il messaggio,’ – I do use the term when I speak of a transmitter, and
an addressee, etc. – the fact that he was born where Ikkos was born help, since
one would need to recover Ikkos’s message! Branciforte sees philosophy as a
pilgrimage of love – ‘il peregrine dell’amore’ with his ‘canzionere’ and surely
the song needs an addressee!”. trabia: Giuseppe Giovanni Lanza del Vasto (n. San Vito dei
Normanni), filosofo. Esponente della nobile famiglia siciliana dei Lanza di
Trabia. Il suo vero nome è infatti Giuseppe Giovanni Luigi Enrico Lanza di
Trabia-Branciforte. La sua personalità eccezionale riunisce caratteristiche
disparate: filosofo con una forte vena mistica, ma anche patriarca fondatore di
comunità rurali e attivista nonviolento contro la guerra d'Algeria o gli
armamenti nucleari. Trabia nacque in un piccolo paese salentino,
San Vito, nella masseria "Specchia di Mare", da famiglia antica ed
illustre: il padre, Luigi Giuseppe, nato a Ginevra, dottore in giurisprudenza e
titolare di un'azienda agricola-vitivinicola era figlio illegittimo del
principe siciliano Giuseppe III Lanza di Trabia. . Giuseppe Giovanni aveva due
fratelli: Lorenzo Ercole, e Angelo Carlo, cittadino americano (partecipò allo
sbarco in Sicilia). Lanza studiò al Condorcet a Parigi, poi filosofia a Firenze
e Pisa, dove fu allievo di Carlini. «La guerra di Abissinia già iniziava
ed il mio rifiuto a parteciparvi era la cosa più evidente. E poi questa guerra
non era che l’inizio: in seguito forse sarei stato ad uccidere inglesi,
tedeschi e un giorno avrei avuto dinanzi alla mia baionetta Rainer Maria Rilke.
No, la mia risposta era no. “Ma che cosa è che rende la guerra inevitabile?”,
mi domandavo. Benché giovane avevo capito la puerilità delle risposte
ordinarie, quelle che si rifanno alla nostra cattiveria, al nostro odio e al
pregiudizio. Sapevo che la guerra non aveva a che fare con tutto ciò. “Certo,
una dottrina esiste per opporsi alla guerra e la vedo nel Vangelo”, dicevo, “ma
com’è che i cristiani non la vedono? Manca quindi un metodo, un metodo per difendersi
senza offendere. Un modo nuovo, diverso, umano di risolvere i conflitti umani”.
Solo in Gandhi vedevo colui che avrebbe potuto darmi una risposta ed il
metodo.» (Pagni R., Ultimi dialoghi con Lanza del Vasto) Così B. ricorda
la sua decisione di partire per l'India, autofinanziandosi con la vendita a
un'amica facoltosa del manoscritto della sua prima opera, Giuda. Lanza non
partiva alla ricerca di spiritualità, tanto più che la conversione al
cristianesimo gli impegnava pienamente l'animo: «Ma mi ero, non senza
pena, convertito alla mia propria religione, e avevo il mio da fare per
meditare le Scritture ed applicarne i comandamenti. E se mi si chiedeva “siete
cristiano?, rispondevo: Sarebbe ben prezioso dire di sì. Tento di
esserlo".» (L’Arca aveva una vigna per vela). In India, Lanza
conobbe il Mahatma Gandhi, con il quale stette qualche mese, per poi recarsi in
Himalaya. Durante il viaggio «conobbi le inquietudini sociali dell'India ed il
suo metodo di liberazione, la non violenza, che era molto contraria al mio
carattere (come del resto credo sia contraria al carattere di tutti). Nessuno è
non violento per natura: siamo violenti e non proviamo vergogna a dirlo, anzi
lo diciamo con un certo orgoglio. Ma ciò che non diciamo è che la vigliaccheria
e la violenza fanno la forza delle nazioni e degli eserciti e la non violenza
consiste nel superare questi due grandi motivi della storia umana. In India
trova «un'umanità simile alla nostra quanto opposta: qualche cosa come un altro
sesso.l ritorno in Europa Lo scrittore e studioso in una delle sue
comunità rurali (l'ultimo a destra) Tornato dall'India dopo ulteriori
peregrinazioni in Terra Santa, Lanza comprende che la sua vocazione è di
fondare una comunità rurale nonviolenta, sul modello del gandhiano ashram, la
comunità autarchica ed egualitaria che per il Mahatma doveva essere la cellula
della società. Gli ci volle del tempo prima di riuscire a concretizzarla
attraverso la fondazione della comunità dell'Arca. Tra le poche persone a cui
gli riesce di esporre il suo progetto c'è Simone Weil, che incontra a
Marsiglia. Nonostante il suo pacifismo, Weil non nutriva molta fiducia nella
nonviolenza gandhiana. Lanza gliene parlò e lei sembrò comprendere meglio. Poi
parlarono della visione dell'Arca, che allora non si chiamava ancora così, ed
era la prima volta che Lanza ne parlava con qualcuno. Lei capì subito! “È un
diamante bellissimo”, disse. “Sì,” risposi “è vero. Ha solo un minuscolo
difetto: che non esiste”. E lei: “Ma esisterà, esisterà, perché Dio lo
vuole"."Simone aveva ragione. L'ultima sede della comunità è la Borie
Noble, con circa centocinquanta persone che vivono nel modo più frugale e
gioiosamente comunitario. Il nome venne quando si cominciò a parlare di
“lanzismo”. Si comincia a parlare di Lanzisti e Lanzismo, cosa che mi fece
rizzare il pelo. “Amici miei”, annunciai, “noi ci chiameremo l'Arca, quella di
Noè beninteso. E noi gli animali dell'Arca. Negli anni successivi
numerosissime iniziative nonviolente videro protagonista Lanza e i suoi
compagni, che seppero attirare l'attenzione dell'opinione pubblica francese e
non solo. La prima azione pubblica nonviolenta è contro le torture e i massacri
compiuti dai francesi in Algeria, e si svolge a Clichy in una casa dove aveva
vissuto San Vincenzo de Paoli. L'azione fu guardata con relativo favore dalla
stampa, e giunse la solidarietà di personalità come Mauriac o l'Abbé Pierre.
Poi vennero le lotte contro il nucleare. B. con i suoi compagni penetrano nel
cancello di una centrale elettronucleare e vengono poi trascinati via dai
poliziotti. Poi ancora la campagna contro i “campi di assegnazione per
residenza”, sorta di campi di concentramento per gli algerini “sospetti”, e
quella in favore degli obiettori di coscienza. Durante la Quaresima tra due
sessioni del Concilio Vaticano II B. fece un digiuno di quaranta giorni
compiuto nell'attesa di una parola forte sulla pace da parte della Chiesa. Poco
dopo il trentesimo giorno, il Segretario di Stato consegnò a Chanterelle, la
moglie di Lanza, il testo dell'enciclica Pacem in Terris: «Dentro ci sono cose
che non sono mai state dette, pagine che potrebbero essere firmate da suo
marito!». Altre saggi: Le pèlerinage aux sources, Denoël, Parigi, trad.
italiana: Pellegrinaggio alle sorgenti, Jaca Book, Milano; Approches de la vie
intérieure, Denoël, Parigi; traduzione italiana: Introduzione alla vita
interiore, Jaca, Milano; Technique de la non-violence, Denoël, Parigi;
traduzione italiana: Che cos'è la non violenza, Jaca, Milano; Il canzoniere del
peregrin d'amore, Jaca, Milano; Vinôbâ, ou le nouveau pèlerinage, Denoël,
Parigi; traduzione italiana: Vinoba, o il nuovo pellegrinaggio, Jaca, Milano;
L'Arche avait pour voilure une vigne, Denoël, Parigi; trad. italiana: L'Arca
aveva una vigna per vela, Jaca, Milano; Pour éviter la fin du monde, Rocher,
Parigi; traduzione italiana: Per evitare la fine del mondo, Jaca, Milano;
Principes et préceptes du retour à l'évidence, Denoël, Parigi; trad. italiana:
Principi e precetti del ritorno all'evidenza, Gribaudi, Torino; Préface au Message
Retrouvé de Cattiaux, Denoël, Parigi; traduzione italiana: Il Messaggio
Ritrovato, Mediterranee, Roma. Pagni, B., Pellegrinaggio alle sorgenti82 Fiori,
B. e Weil, Prospettiva Persona prospettiva persona/ editoriale// lanza_weil. pdf Pagni,
L'Arca aveva una vigna per vela48
ivi Madaule, Chi è B.; Mareuil, B.
(Seghers) Doumerc, Dialoghi con B.; Roquet, Les Facettes du cristal
(Conversazioni con B., Parigi) Arnaud de Mareuil, B., sa vie, son oeuvre, son
message (Saint-Jean-de-Braye) Anne Fougère, Claude-Henri Rocquet: Lanza del
Vasto. Pellegrino della nonviolenza, patriarca, poeta, (Paoline, Milano)
Antonino Drago, Paolo Trianni, La filosofia di Lanza del Vasto (Jaka Book,
Milano L'Arche di B. su arche-nonviolence.eu. Comunità di St Antoine, su
arche-de-st-antoine.com. Comunità dell'Arca in Italia, su xoomer.virgilio.
Provincia di Brindisi su Lanza del Vasto. Lanza del Vasto et Ramon Llull. Biografie
Biografie Letteratura Letteratura
Filosofo del XX secoloPoeti italiani del XX secoloScrittori italiani Professore
San Vito Non-violenza Lanza. vasto: essential
Italian philosopher. Branciforte: Giuseppe Giovanni Luigi Enrico Lanza di
Trabia-Branciforte -- Vasto: Essential Italian philosopher. Grice: “Note
that he is Lanza del Vasto, but if he wants to keep the Vasto, under Vasto he
goes! Even though Lanza is the aristocratic bit to it!” A • imm. Prf/^ro .-fcàfZle ^ f.tt. di F -Bei'fy/'J-i'
Airy'rvKAT^.wj jyj^ix.ù *^h:e7J'Atv attLiAI^d DEI
©iierosiHìi ©iLHMiPKsir DELLA GRECIA E DEI CIRCEINSI
UN ROMA DELLE CORSE DI BIGHE E DE’ FANTINI A CAVALLO ED A PIEDI IN
PADOVA e nell’ Anfiteatro dell’Arena in Milano coi Nomi
e Cognomi del Proprietarj dei Cavalli e di quelli dei Yincitori stati
premiati nei diversi Spettacoli M'J. G- A SPESE
DELL’AUTORE Edizione posta sotto la Salvaguardia delle Leggi.
Miiako. Dalla Tipografìa Visa]^ DEI (gailXgSìl I
GiuocHl più famosi della Grecia furono gli Olimpici. Essi instituiti furono non
solamente per avvezzare la gioventù agli esercizj del corpo, e per
celebrare in un determinato tempo la memoria de’più grandi avve-
nimenti; ma eziandio per onorare gli Dei. Distinte ve- nivano cinque
maniere differenti di esercitarsi oltre quella del canto, e della musica;
vale a dire il Corso che si fece in prima a piedi, e poscia sopra
de’coccbi; il Salto; il Disco; la Lotta; finalmente il Cesto o sia la
Scherma a colpi di pugni. I giuochi Olimpici, così chiamati
dalla città di Olim- pia, celebravansi ogni cinque anni; il che nascer
poi fece il costume di contare per via di Olimpiadi. Essi
cominciavano con un solenne sacrificio, e solevasi quivi accorrere da
tutte le parti della Grecia: i vincitori erano pubblicati ad alta voce da
un Araldo, e lodati con dei cantici di vittoria; e si soleva ancora
cinger la tevta del medesimi con una corona trionfale. Ogni città, a
cui appartenevano, faceva a’ medesimi de’ricchi doni, e man- tenuti
erano per tutto il rimanente della vita a pubbli- che spese. Il
jiriraoj che riportò il premio uel corso a piedi chiamavasi Corebo,
nativo di Elide.. Cinisca figliuola del re Archidamo fu la prima del suo
sesso, che guadagnò il premio nel corso de’cocchi, ciocché avvenne nella
sesia Olimpiade; così pure altre femmine ebbero parte in questi
giuochi. Cleostene Epidanio riportò il premio del corso a
cavallo. Polidamante, figlio di Nicia, aveva una statura gigan-
tesca, ed una forza, un coraggio ed una destrezza straordinaria. Essendo ancor
giovane assaltò sul monte Olimpo un gran leone, il quale desolava il
paese, e l’uccise. Esso ancora fermava con una sola mano un cocchio
tirato da quattro cavalli; quindi Dario figlio di Artaserse curioso di esser
testimonio della sua forza, gli pose sul capo tre de’ più forti delle sue
guardie, ed egli li uccise tutti con un colpo di pugno.
Milone Crotoniala il più robusto, e nerboruto di tutti gli atleti
si mise un giorno ne’ giuochi Olimpici un toro di due anni sopra le
spalle, e portollo correndo sino all’estremità dello steccato senza
prender fiato, di poi l’uccise con un colpo di pugno. Teagene Tasiese è
commendabile per la sua destrezza, per la sua agilità, e pel gran numero
di corone dal rnedesimo riportale in diversi torneamenti, che si
fanno ascendere a quattrocento. 1 vincitori di questi giuochi
onorare solevansi con delle corone; la più antica che data venne ai
medesimi era di Ulivo; e poscia date ne furono di Gramigna, di
Salcio, di Lauro, di Mirto, di Quercia, di Palma e di Appio. Gli atleti
vincitori incominciarono a far innalzare le loro statue, che furono dai
medesimi dedicate agli Dei; quindi ancora scolpiti venivano i loro
nomi sopra alcune colonne, poste nella pubblica piazza. Il concorso
a questi giuochi era si grande, che solamente i principali personaggi
delle città Greche vi potevano aver luogo, e si celebravano con molta
pompa e magnificenza. DEI m ^^oma E DEL CIRCO
MASSIMO Cm legge la storia de’principj <31 Roma, avrà
osservato, che questa singolare città prese ne’suoi primordj il governo,
le leggi, la magistratura, la religione, i riti e le arti dagli Etruschi
popoli circonvicini. Di tre specie erano i giuochi: i primi erano
sce- nici, o teatrali e consistevano, come oggi, a rappre- sentare
sul teatro commedie, canti, suoni, balli, e tutti questi alla foggia
toscana. Anfiteatrali erano i secondi; e si riducevano a combattimenti
gladiatori tra uomini ed uomini, o tra uomini e fiei’e. I giuochi
Circensi formavano la terza specie; ed erano, come dice Tertulliano, nel
loro apparato i più ricchi, ed i più pomposi. Consistevano essi in
corse di uomini a piedi ed a cavallo precedute da varj sagrifizi:
concorreva a questo brillante spettacolo tutto il popolo romano, e
special- niente la più elegante gioventù e le più belle fanciulle,
le quali in lunghi stuoli andavano parte per vedere, e parte per esser
vedute. 11 primo Circo chiuso che si ediGcasse in Roma, fu
opera di Tarquinio Prisco principe appassionato per le grandi
costruzioni. Esso edificio fu chiamato Circo Massimo, il quale poscia più
non bastò alla cresciuta popolazione di Roma. Giulio Cesare
credette dover dedicare al popolo romano ed alla religione, di cui era divenuto
capo, un altro ijii’co proporzionalo al bisogno; ma in vece di farlo
nuovo, pensò meglio di accrescere quello eretto da
Tarquinio. Augusto suo successore rifabbricò questo Circo, ornan-
dolo di marmi in occasione, che andava abbellendo la sua capitale.
Dionigi d’Alicarnasso narra che ai suoi tempi il Circo Massimo era
circondato da gran porticato, avente molte scale artificiosamente
distribuite a libero passo di quelli che entravano ed uscivano: esso
conteneva duecento sessanta mila spettatori. Tanta magnificenza non bastò
ai successori d’Augusto; perchè Tiberio, Caligola, Claudio e Nerone vi
fecero anch’essi varj accrescimenti. Quegli però, che più d’ogni
altro lo accrebbe, fu Trajano, perchè a’suoi tempi la popolazione di Roma
era giunta forse al massimo suo aumento. I Romani erano cosi amanti
di queste solennità, che non domandavano al Principe, altro che
abbondanza di pane, e frequenza di giuochi Circensi. Questi gran
giuochi Circensi consistevano poi in una solenne processione terminata da
varj pubblici sacrifizi, che si facevano sulla spina del Circo; e in una
corsa di cento Righe tirate a quattro cavalli di fronte, e di una
numerosa corsa di fantini a cavallo ed a piedi. Queste cento Bighe
erano divise in quattro fazioni, distinte dai colori, coi quali erano
dipinte. V’ erano le bianche, le rosse, le prasiue, o sia verde chiaro e
le ve- nete, o sia ceruleo marino; in modo, che ve n^erano ven-
ticinque per ciascun colore. Ogni Biga portava un nome, e quello
probabilmente del suo agitatore. Finite le corse de’carri,
gli agitatori scendevano nel- l’arena, e correvano a piedi a gara.
Dopo la corsa venivano gli atleti e i lottatori, i quali facevano
anch’ essi i loro esercizj, e con ciò finivasi la giornata.
Questi differenti esercizj erano interrotti da pubblici elogi che
recitavansi in lode dei vincitori, e dalle di- stribuzioni, che ad essi
faceansi delle corone e de’premi. Ecco dato un cenno o un’ idea dei
Giuochi Circensi. VENEZIA COME LA GRECIA E ROMA aveva
aneli’ essa i suoi Spettacoli Consistevano questi in Regate o
corse lungo il Ca- nalazzo che divide in due parti \^enezla, e in caccle
di tori con cani, nelle forze erculee divise in due fazioni di così
detti Nicolottl e Castellani, e in voli dal campanile di san Marco alla
riva della Piazzetta. Furono sempre soggetto di universale
ammirazione la Venezia questi spettacoli, massimamente quello della
così detta regata. Si dava principio allo spettacolo con un
fresco, vale a dire con una corsa di tutte le barche fornite riccamente
in diversi costumi, oltre le Bissone a otto remi, 3Ialgarolte a sei
remi e Peote, barche tutte di una diversa costru- zione: v’ erano quelle,
che rappresentavano le quattro parti del mondo, le quattro stagioni
dell’anno, i quat- tro elementi, non che quelle rappresentanti la Forza,
la Temperanza e la Giustizia. Terminato il corso delle barche
simboleggiate, avevano luogo le così dette regate, la prima delle quali
era di dodici battelletti a un remo, e dodici a due remi, e quella
delle gondole a un remo, e a due remi nel me- desimo
numero. Prendevano il corso dalla Motta di sant’ Antonio; schierate
partita per partita avanti un cordino, davano la mossa con uno sbaro di
raortaletto; percorrevano tutto il Canalazzo sino alla volta del palo
collocato al Corpus Domini, girato questo giungevano alla meta, in
volta del canale a casa del Nob. sig. Foscari, ove era costruita
una macchina a guisa di pulvinare, e dal giudici ri- cevevano i premi
destinati ai vincitori. La lunghezza del Canalazzo rappresentava un
ma- gnifico Anfiteatro: tutti i maestosi palazzi basati anche ih
parte sul legno d’india erano addobbati di ricchissime tappezzerie
orientali, e chiudeva lo spettacolo una marcia trionfale di tutte le suddette
barche. BELLE CORSE AL PRATO DELLA VALLE m ^ac/o
ova Sua Eccellenza proveditore Andrea Metnó ei’esse il gran Prato della
Valle in ampio Circo Olimpico, adorno di statue rappresentanti
uomini illusti'i, di obelischi, e di vasi etruschi, per far le
corse particolari delle bighe, dei fantini a cavallo, dei barberi e
dei fantini a piedi. Era costume in tutte le città dello Stato
Veneto di dare corse di cavalli e di uomini a piedi. Ambivano
i nobili veneti d’avere al loro Servizio i cosi detti Lacchè o Volanti,
che correvano a piedi in tutte quelle corse che si facevano nello Stato,
e queste erano frequentij difatto questi Volanti a piedi correvano
da Mestre a Padova in due ore (spazio di venti miglia
italiane.) Le solenni corse erano di miglia dieci, tra andata
e ritorno, e chi non correva questo spazio meno di un’ora non
prendeva premio. Detti premi erano cinque con le loro bandiere, la prima
rossa, la seconda celeste, la terza verde, la quarta gialla, e la quinta
bianca. Tutti quelli che si distinsero in queste gare sono i
seguenti: IO Nelle Corse parziali dei Lacchè:
Picino Fineo Sellila Badia Palermo Peverin Bernardinelli Martello Costa Baggio Seresa
Morte Nardini Schincaglia Nardini Giustiniani Nelle corse parz Il
N. Alessandro Pepoli. Il N. Giacomo Savorgnani. Il N. Siraone
Contarini. 11 N. Lodovico Priuli. Bologna, Meneghini Bettini Rabaldi
Contenti Menegazzi Poiana Petito Pietro. Coradi Bologna Picino
Faina Bianchini Strajoto Coppa li delle Bighe: Il N. Agostino
Nani. Il N. Antonio Riva, Il N. Zaneto Morosini:
ed altri. J DELLA COSTRUZIONE DEL CIRCO O
ARENA IN MILANO af/fa 3^ùa/z/ta c/ A spese della comune di
Milano fu eretto il gran Circo sulle tracce degli antichi Circhi di
Roma, dietro disegno dell’egregio signor cavaliere Luigi Canonica regio
architetto^ il suo giro esterno è di braccia milanesi i4oo circa^ la sua
lunghezza interna dalle car- ceri alla porta trionfale braccia 4oo; la
sua larghezza dal pulvinare alla porta mortoria braccia aSo. Nell’interno
del pulvinare il cornicione è fregiato di un basso rilievo a chiaroscuro
rappresentante la gran pompa Circense degli antichi Romani, dipinta
dall’esimio signor Monticelli. Dice Dionigi, ed anche OVIDIO, che
avanti di comin- ciare i giuochi Circensi, la pompa, o sia
processione, scendeva dal Campidoglio, e pel foro romano s’incammi-
nava in bell’ordine verso il circo Massimo; la galleria interna di ordine
Corinto, ornata di otto colonne di gra- nito lombardo, come pure tutti i
gradi, e scalari, che discende al podio; e ciò è quanto viene rappresentato
nel suddetto fregio. La porta trionfale è di ordine dorico di
granito; il timpano sopra il cornicione rappresenta la Fama in
basso rilievo, che distribuisce le corone al vincitori. Le car- Il
braccio di Milano corrisponde a metri lineari Oj5g centimetri. 12 deri,
della lunghezza di braccia loo in Uno colla terrazza sopra le medesime, e
le torri deU’oppldo costituiscono un imponente fabbricato tutto di pietra
viva. Nell’AnGteatro dell’ Arena in Milano, ebbe luogo il famoso
spettacolo, non più vedutosi in questa Capitale, della Naumachia, o
regata di barche. Per l’esecuzione di detto spettacolo, si fecero
traspor- tare una quantità di barche di varie dimensioni, prendendole nei
laghi vicini, e facendo venire molti barca- iuoli abitanti i paesi lungo
il lago di Como — Dato il segnale, si distaccarono dal luogo delle
carceri sei barche, ciascuna portando seco quattro barcaiuoli, i quali
fecero la loro corsa col compire tre giri intorno alla Arena.
Successivamente compirono i loro girl altre dodici bar- che a sei a sei,
come si disse delle prime. Le prime due di ciascuna coppia, che prime
poterono arrivare alla meta, dovettero di nuovo cimentarsi nella quarta
corsa per la decisione del premi, e rimasero vincitori gl’ in-
frascritti: e)Loiue 6 ©o^w/oiufi Set
Sverni a 111 cilowtiita ulaX'C'
IH Andrea Gregol .I. 4oo Bianchi. . .
II. 3oo 1 Prada III.
200 i La Lira Laliana equivale ad Aiistr. r.
l4- i3 — Si tenne neirAnfi teatro deU TArena in Milano lo
spettacolo di bighe, e fantini a piedi ed a cavallo. In detto giorno si
diede lo spetta- colo suddetto, essendosi prima esperlmentati
gl’individui ed i cavalli, e riconosciuti aventi ciascuno le
condizioni necessarie prescritte dai politici regolamenti. In
detta giornata i vincitori furono i seguenti. Slfooute e
Co^H-owt'e' ìit, Sei. ©O/caffi cKjoiM'e' 6'
©«^M'ome e> ilei, ( 3 aiitim/ IH/
cHoin-m'OiitoMt'e t)eC ^teiuio la §c. CORSO DELLE
BIGHE. Vignoni Cardinali I. 3 oo Della Tela
Gaet. Barzaghi li.
200 Roelli Radaelli Pietro IH.
100 CORS.A DEI FANTINI A CAVALLO.
Bottini Baldassare Porlesi Angelo I.
200 Ghezzi Daniri II. 100
CORSA DEI FANTINI A PIED I.
Coppa Girolamo I. i 5 o «5 Feroldi
II. 75 Scorpioni III. 5 o
1 Lo Scudo di ItJilano equivale ad Auslr. L. 5 . 29.
1 Si diede nell’Arena di Mi- lano un eguale spettacolo
tenutosi nel i Marzo 1808, cioè, corse di bighe e fantini a piedi ed a
cavallo. Quelli che fortunati ottennero in quel giorno il premio
furono i seguenti descritti nell’infrascitta tabella: Dii/
5*t(5pueba^ Dei/ GnvaKl cTCjouve 6 Go^itoiue
De^fi/ cHau-w^o., e/ Dei/ ^ aw.kwi; j ^MlM/td 111
/ Qiaiòi JWuw/Ou/tocw/e De6 $reiui/0 IH/
cltaE. CORSO DELLE Bl GHE. Fontana
Batt. Cardinali “ I. aooo Caprara S.
E. Carlo Vimercati Carlo II. 0
0 Sevolini Trabattoni III. 1000
CORSA D EI FANTINI A CAVALLO. Saul Conte
Àlorio Porlesi Luigi I. i5oo Besozzi
Filippo . Bucchetti Luigi. IL 1000
CORSA DEI FANTINI A PIED r.
Testoni Antonio I. 1000 Coppa
II. 5oo Feroldi Fr. 3oo i5 NeU’Anfiteatro
dell’Arena in Milano si tenne pubblico divertimento della regata eseguita
con barche fatte tra- sportare dai vicini laghi, e con barcaiuoli
abitanti i paesi lungo i detti laghi. Detto spettacolo ebbe
luogo nel giorno i Giugno i8ri colla distribuzione dei seguenti premi
consegnati ai sin- goli vincitori della medesima regata. Storne e
Go^uoitt/e Jet c/lomiuoM/tooiC'e Se-K
^teutio 11* Garavaglia Paolo I. 4oo
Baroni. . . II. 000 Bianchi Agostino
. Nel giorno i agosto i8ii sì tenne nell’Arena di Mi- lano uno spettacolo
di corse di bighe, e fantini a piedi ed a cavallo, colla distribuzione
dei sottonotati premi dati ai singoli vincitori come appare dall’unita
tabella. dei/ Oa.vafCv Slboni/e 6 Go^it/oiwe
cibu&'.^ix, e dei. lU/ Qtxóói/
lHoUMM/OW/toWe deC 11* 5taK. CORSO DELLE
BIGHE, Vignoni Carlo . Cardinali Gio. B.
I. 2000 Galli Giuseppe. Barzaghi Luigi
II. i5oo Della Tela Gio.B.
Vimercali 1000 CORSA DEI FANTINI A
CANAI LO, Labedojers Pier Giuseppe
. I. i5oo Alari conle Saule Rossi
II. 1000 CORSA DEI
FANTINI A PIEDI. Mandelli Giuseppe
I. 1000 Tesloni Antonio II.
5oo Coppa III. 3oo 17 In
Milano fuori di porta Orieulale nel giorno 17 ago- sto 1812, si tennero
le corse di fantini a piedi ed a cavallo. Detto spettacolo
ebbe il suo principio al ponte di Porta Orientale, ed aglrandosi 1
fantini intorno all’ al- bergo, detto di Loreto nuovo, ritornarono essi
sullo stesso ponte a ricevere gli stabiliti premi ai singoli
vincitori come dall’unita tabella: afLoiiKe e
Q/o^woiwe Jet $^capi/i,eta»j Jo) Oo/vix^G, Dii/
^OÀAhwV ^ veruno IU>
oRoiinM'outow/e ut ^taP, CORSA DEI FANTINI
A CAVALLO. Saul Conte Alario Botta Caprini
Comolli IL 1000 Cordini Agostino Domiri Paol9 I CORSA DEI
FANTINI A PIEDI. Coppa I. 1000
Testoni II. 600 Poutigia Frane.” III.
3oo 2 — i8 Avendo il Consiglio Comunale della regia città di
Mi- lano deliberato di festeggiare con pubbliche dimostra-^ zlonl
di esultanza il fausto arrivo in Milano di S. A. l’Arciduca
Giovanni. La Commissione delegata del predetto Consiglio de-
duce a notizia, che tra gli spettacoli 'pubblici divisati nel giorno i8
maggio i8i5, si faranno le Corse dello bighe e de’fautini a cavallo, e
dei fantini a piedi. 3«/ De» (3Li5iti6 e
©o^ Moitve De^^ii cAsirt'iga e Da ^ antiiu/
^teu*wj ciloii*iuoitbotx« 2ycc&. DÌI.
CORSO DELLE BIGHE. Galli . Cardinali.
I. 100 Galli Gallarati Carlo
'Vimercali Redaelli II. 8o, detto
Cadetto in. 6o CORSA BEI FANTINI
A CAVALLO. Giuseppe Bordoni GiovanniBelloni
I. 8o Gaetano Turcotii l
Giuseppe Bordoni Ferdin. Bergomi II.
6o Picozzi III. So CORSA
DEI FANTINI A PIE! H. Maodelli
I. 5o Frane. Pontigia Antonio Testoni
III. 3o Uno Zecchino corrisponde ad Auslr. L. i3. 6o. i
>9 Spettacoli Circenai diretti da Girolamo Coppa
da eseguirsi La Russia ha le sue slitte,
la Scozia le sue caccie, l’Inghilterra le sue corse, la Spagna le sue
giostre dei tori. La musica, il ballo, la corsa, le militari evoluzio-
ni, le sceniche rappresentazioni sono spettacoli de’quali anche a’giorni
nostra ogni popolo si diletta, e che pa- gano varii ed importanti tributi
all’utilità pubblica. il sistema degli antichi spettacoli ci
dimostra i sommi vantaggi che se ne possono ritrarre. Il vigore de’
corpi, che ha tanta influenza in quello dell’anima, la destrezza,
l’agilità, la forza ed il coraggio, non erano i soli beni che col piacere
combinavano negli esercizii della greca e della romana palestra, e negli
spettacoli a’qnali que- sti servivano. Veniva co’ medesimi mirabilmente
alimentata, estesa, invigorita la passione della gloria. In essi
comparivano i più distinti personaggi^ Socrate si faceva un dovere
d’intervenire, Alcibiade riportò tre premi, e Catone si disponeva nella
sua gioventù a divenire quel che fu nella sua vecchiezza. Le
corone d’ulivo, di lauro, di appio verde o secco che si davano ai
vincitori de’diversi giuochi in Grecia, i premj presso a poco simili che
si davano per Io stesso merito in Roma, preparavano quelli che si
ottenevano quindi dalla virtù e dai talenti del magistrato e del
guerriero nel foro e nel campo; nella palestra e nel circo gli esercizii
erano diversi, ma lo scopo era sempre un solo, quello di alimentare cioè
la passione della gloria. Ma i costumi nostri son diversi da quelli
de’Greci e de- gli antichi Romani, e le nostre leggi non hanno uopo
di un tal mezzo per estendere questa utilissima passione. Si può dire per
altro che noi pure potremmo ritrarre dei rilevanti vantaggi da questi
spettacoli se venissero nella patria nostra adottati, purché si avesse
cura di prevenire gl’incovenieuti che s’introdussero in quelli de’Ro-
^ni, si modificasse l’antica pakstra, e se ne proscrivesse ^ ferocia e
l’indecenza. Somministrando con essi de’piaceri utili agli uomini,
s’impedirebbe che da loro medesimi se ne formassero de'perniciosi.
Quell’ istinto che conduce i giovani all’ azione ed al placei’e
potrebbe in questi spettacoli servir di mezzo per abituarli all’ordine,
alla tolleranza della fatica, al vigore del corpo, all’energia dello
spirito e per garantirli dal- Tozio sempre seguito’ dalla noia, dalla
frivolezza e dal vizio. Con ({ueste idee Coppa Girolamo e
compagni pensarono d’introdurre in questa Capitale alcuni spettacoli,
ch’essi denominano Circensi dal circo od anfiteatro situato sulla piazza d’armi
di questa Città, luogo dove intendono di darli, e a questo oggetto implorarono
ed ottennero la necessaria permissione dall’Imperiale Regio Governo
di Milano. Una corsa di dieciotto fantini a piedi, vestili
alla Romana che sortiranno dalle Carceri, e gireranno in- torno
alla spina, faranno otto corse complete sino alla meta, i primi tre
vincitori otterranno Il primo . . italiane lir. 3 oo 11
secondo « 200 li terzo» 100 Questa verrà seguita da altra
corsa di dodici fautini a cavallo che sortendo dalle carceri, faranno
quattro corse complete sino alla meta Al primo italiane lir,
5 oo Al secondo « 3 oo Al terzo 30 0
Immediatamente alle accennate corse succederà quella di sei bighe, le
quali sortiranno parimenti dalle carceri e faranno quattro corse complete
sino alla meta La prima italiane lir. 700 La seconda >» 4 ®® L.i ter/.a » Lo
spettacolo sarà chiuso con una marcia trionfale e pompa Circense composta
di quattrocento individui vestiti tutti alla Romana. I. Il Prefetto dei giuochi
in cocchio a quattro cavalli di fronte. II. Banda militai^. Insegne
e trofei, varj genj, carro per le vestali ti- rato da otto buoi di
fronte. IV. Centuria o compagnia di 100 militari alla Romana. V. Tutti i
fantini a piedi ed a cavallo e gli auriga vincitori e pi’emiati in
carro trionfale tirato da quattro buoi di fronte. VI. Banda
militare. VII. Altra compagnia di loo militari alla Ro- mana non che
tutti i perdenti delle corse che chiudono la pompa Circense.
Colti e generosi Milanesi! la suddetta società assumo questa utile
e dispendiosa impresa sotto i vostri beni- gni auspicj. Voi che con tanto
ardore proteggete tutte le vantaggiose insti tuzioni, onorerete de’
vostri suffragi pur questa, che al vantaggio unisce il vostro
diletto. La scelta degli spettacoli sarà regolata dalla condizione
de’tempi e del luogo, e dal gran principio di dare al pubblico un utile
trattenimento. Ma a voi s’ appartiene 1 ’ animarla ed il
proteggerla. Incoraggiti da vostri applausi i valorosi atleti che
si presenteranno in questi spettacoli, nascerà nobil gara tra loro,
e siffatti esercizj che da principio potranno essere oggetto di semplice
curiosità, diverranno poscia mercè il vostro generoso eccitamento un
oggetto di pub- blico interesse. 32 1 c}'(3oiwe
E 3«. dei/ 0a(>a£& cT^lWe •
00^U«HM ellotACi^A » ^ autùw $e>eiulo
iM aAouuM'OHtlSM. d.f ^veuM/o IH» ólloE. CORSA
DELLE BIGHE. Gio. Vignoni Cardinali . 700 Galli.
Barzaghi II. 4oo Rossi Radaelli CORSA Uel
FAlVTmi A CAVALLO. Caprini Arrigoni
5oo Villano Gaet. Bazzeri II.
3oo Bianchi Lonati III. aoo
CORSA DEI FANXmi A PIEDI. Gius.
Mandelli I. 3(50 Girolamo Coppa II.
aoo Testoni IH. 100 spettacoli
Circensi diretti da Girolamo Coppa. Mentre si sta preparando un grandioso
spettadolo che deve principalinante corrispondere a quelli che
dagli antichi Romani chiamavansi Gircensijsl è divisato intanto di
dare nel giorno suindicato un trattenimento a questo rispettabile
Pubblico, che* pel suo genere e per il buon ordine ond’esso verrà
eseguito riuscirà di sommo dilello. Consisterà il medesimo in una
corsa di dodici fantini a cavallo nella quale compariranno de’cavalli
forestieri, che sortiranno dalle carceri, faranno sei giri completi
per arrivare alla metà. Indi avrà luogo una porsa di
ventiquattro fantini a piedi che saranno divisi in tre partite, ciascuna
delle quali sarà composta di otto, estratti a sorte. Ognuna di esse
deve fare quattro giri, ed I primi delle singole partite che giungeranno alla
mela, dovranno cimentarsi ad un’altra corsa di quattro giri per la
decisione de’prenij. Sortiranno poscia gli altri ventuno fantini, i
quali dovranno fare unitamente quattro giri, ed il primo di loro
che giungerà alla meta avrà il premio. Succederà a queste un’altra corsa
dilettevole eseguila da ventiquattro nani, che a guisa di satiri degli
antichi greci rallegrerà gli spettatori. Questi sortiranno dalle car-
ceri, e faranno un giro completo sino alla meta, i primi tre riporteranno
il premio. Due bande militari delle più melodiose rallegrerà lo
spirito degli spettatori nel tempo che dureranno queste corse.
Lo spettacolo avrà fine con Una marcia trionfale In cui vedrassi un
superbo cocchio, nel quale vi sarà il Prefetto dei giuochi. Terranno
dietro al medesimo i fan- tini a piedi, ed a cavallo, che non ottennero
il premio, e si chiuderà lo spettacolo con un maestoso carro trionfale,
su cui vi saranno i vincitori accompagnati da numerose comparse, che
colla splendidezza degli abiti loro e colla regolarità de’loro movimenti
renderanno ollre- modo piacevole e dignitosa questa
marcia. Accorrete dunqile, generosi milanesi, che hen degno farà di
voi lo spettacolo che vi si annunzia. Vogliate procurare a voi
stessi un nuovo e grande di- letto, ed all'impresa di questi giuochi
l'onore di aver saputo deliziosamente occupare alcune delle ore da
voi destinate al sollievo dell’animo. cTtoiM'S 8
Go^HOtM'e 3ei/ ^cepueboyc/j SeK Oavo-tCì. e
Oo^M'oiue Dà/ <5 ^ ccMhm Svenino iM.
0fa^Si/ cUsuuu'Ou.tM' e n* CORSA r
tEI FANTINI A CAVALLO. Angelo Curii .
Antonio Giulini I. 4oo Carlo
Galimberti Borsoni . ir. 3oo Ambrogio
Oliva Matteo Sarti .CORSA DEI FANTINI A
PIEI )I. Borghetli I. 3oo
Carlo Pedrelli II. 300 Tadei. III.
100 CORSA D EI 21 FANTII VI A
PI EDI. Coppa Unico 3òo C
:ORSA DEI NA NI. Botta Limonzino
detto Amabile ir. 8o Baldass.
Ducbetti detto Formica in. 6,
1 20 Avendo il Consiglio Comunale deliberato di festeggiare
il fausto avvenimento di S. A. R. il serenissimo arci-duca Ranieri, vice-re del
Regno Lombardo- Veneto; la Commissione delegata del suddetto Consiglio
deduce à pubblica notizia, che tra gli spettacoli divisati nel i6
giugno 1818, si faranno le corse delle bighe e de’ fan- tini a cavallo ed
a piedi, neU’anfìteatro dell’Arena alla Piazza d’Armi. f
Oo^tt'ouve ìei; ^C'OpMclaty Sei/ Gixvixffi-
10^01116 e Go^M'OIìVI’ oADut-i^a. e
Dei» ^veiMio tiK QlaSiii Ili CORSA DELLE
BIGHE. Ant, conte Eallhyany 1 Cardinale
I. too Fontana Carlo Vimercati II.
80 F ra nccScoF rigerio Paolo Trabattoni
III. 60 CORSA I] • EI FANTINI A
CAVALLO. Pizzini Marchesi 1. 8a
Bordoni Filip. Ognibenè II. 6a
Gaetano Bordoni Dionigio FiOrentini ICORSA
DEI FANTINI A PIEDI. Borghetti I.
5 o Pedrelli . IL 4 o
Tadei III. 3o • a6 Fa il seguente
avviso. Ridotti a compimento i difficili apparecchi dello spettacolo
annua* ràato col precedente manifesto del giorno i 5 e vedendo che
r attuale stagione favorisce pure il buon esito del medesirai, ci
affrettiamo di prevenire il rispettabile Pubblico di questa illustre Metropoli,
che oggi giorno die- ciotto avrà luogo un sorprendente fuoco artificiale
com- posto e diretto da Morengbi. Colte e gentili signore milanesi,
l’invito è a voi prin- cipalmente diretto, perchè se voi onorerete in
copioso numero lo spettacolo che vi si annunzia, esso sarà pure
onorato di gran numero di nomini, solendo questi accorrere ove vi siano garbate
e virtuose dopne. Gran Carosello o Giostra diretta dal si- (jnor
Capitano I\ antica IJng arese. Questo grandioso spettacolo del Cai’osello fu
eseguito alla presenza dì S. A. I. R, il serenissimo arciduca
Ranieri vice-re del Regno Lombardo-Veneto; il medesimo era composto
da quattrocento cavalieri ungheresi sotto la direzione de’ loro
comandanti. L’area dell’anfiteatro rappresentava un antico torneo arricchito
nel suo quadro- lungo di colonne, di statue in armatura dei secoli
di mezzo, nel centro torreggiava un magnifico obelisco acforno di
ricchissimi trofei militari, al suono armonioso di quattro bande riunite
succederono le gare fra i cavalieri giostratori, e queste si combinarono in
dilettevoli contraddanze, evoluzioni militari, in quadri
pittoreschi, e chiudeva lo spettacolo una marcia trionfale.
Grandioso spettacolo di corse di fantini a piedi dirette da Girolamo
Coppa, e mac- china di fuochi artificiali, che avrà luogo. Una banda
delle più melodiose rallegrerà gli spetla- loi’i ^ indi si presenteranno
ventiquattro fantini a piedi i quali eseguiranno una ben ordinala corsa^
che sarà di* visa in tre parli, ciascuna delle quali sarà composta di
otto; ognuna di esse deve fare quattro giri, ed i primi delle singole
parti che giungeranno alla meta^ dovranno rimettersi ad altra corsa di
quattro giri per la decisione de’premi. Sortiranno poscia gli
altri ventuno fantini, i quali do- vranno fare unitamente quattro giri,
ed il primo di loro, che giungerà alla meta, verrà unito ai primi tre; i
quali dovranno di nuovo cimentarsi ad una corsa di altri quat- tro
giri, per la decisione degrinfrascritti premi. Oo^it;>(ue
3el ^cetili» iit OfoAòt. ilef ^teuMO
ii« tTTClf. Bardelli Carlo I. 3oo Branca
Tadei. Pedroni Dopo ciò si cominceranno le forze ginnastiche dei
già rinomali Atleti e mentre che il Pubblico anderà applaudendo r
attività, la destrezza, e la forza degl’ individuati atleti, una granata annuncierà,
che nell* Anfi- teatro evvi un magnifico fuoco artificiale composto
« k^lrelto dal professore di pirotecnica, Giambattista Pio-
tiiarla, milanese. Una maccViina rappresentante la reggia di
Minerva, Dea delle scienze, si troverà innalzata nell’anfiteatro.
Gli spettatori potranno conoscere che il disegno di questa è tolto
da uno de’più magnificbi e grandiosi nell’ordine architettònico, avendo
campo di osservarlo partitamente, trientre si eseguiranno le suddette
corse. Diverse qualità di razzi, granate e bombe in N.° di 4
t) 0 ; saranno i forieri dell’incendio della macchina. Una galante
girandola, che mostrerà senza interruzione variate figure e moltipllcl colori,
sarà il primo pezzo de’gluochi fermi. Due grandi tornei
faranno al naturale distinguere il solò e la luna. Due sorprendènti
stelloni contornati da piccole stel- lette tutte illuminate, giuocheranno
unitamente, e formeranno uii fuoco brlllaote. Due girandole con specchio
d’ illuminazione, formeranno un mulino a vento. Due rosoni in continuo
giro, cori specchio a vari colori, si apriranno e si chiuderanno
replicatamente. Una scappata di mille saraSetti, formeranno in
aria un bouquet con batteria. Due casse di 4^0 razzi a
batterla regolata, faranno una continua moschettata. Una sortita di
4^0 palle avvampate; faranno apparire il chiaror del giorno.
La macchina verrà illiiminata a giorrto, riel ciii mezzo'
risplenderà la statua di Minerva. Ventiquattro fontanonl di un
getto tnaraviglloso, forme- r.nnno un intrecciato giùoco. Un
fuoco alla foggia di un grande Vesuvio, si alzerà nell’aria, con
istrepitosa batteria, che annuncierà il ter- mine dello spettacolo,
Colti e generosi Milanesi, voi che con tanto^ 'ardore proteggete le
belle arti, l’artefice Piomarta, ardisce as- Sicurai vi, che non
rimarrete delusi. Nel giorno i 4 maggio 1820, Giambattista Piomarta
professore macchinista di fuochi artificiali^ che nel giorno vent’otto
novembre del decorso anno, incendiò la mac- china da esso costrutta con
pieno aggradimento, ha di- visato anche 3 richiesta di molte persone che
nbn sono allora Intervenute, di ripetere il disegno della stessa
macchina. Due bande militari annuncieranno il divertimento,
che comincerà con una dilettevole corsa di dodici nani elegantemente
vestiti alla spagnupla, i quali sqrtiranno dalle carceri, e gireranna due
volte intorno alTarea del- Tanfiteatro, ed i primi tre che arriveranno
alla meta otterranno i seguenti prepil, S^ovu/e e/ Dei. tenui»
OflX^^lr II* 3 TCif. Roncignolo Poiani . IL
80 Pisina III. 60 La Lira
Milanese equivale ad Auslr. Cent, 87. Spettacolo del professore Giacomo
Garnerin, Esperienze aereo-fisiche che non ebbero effetto, per cui fu
condannalo il Garnerin a dare un altro spetta- colo nel mezzo della
piazza d'armi gfatis, che venne applaudito dal pubblico. Grandioso
spettacolo diretto da Coppa. Uno dei grandi avvenimenti che ci ha lasciato
la storia antica, è certamente la guerra micidiale tra i Greci ed i
Trojani che terminò coll’incendio e distruzione della famosa città di
Priamo, causata dal rapimento della greca Elena fatto da Paride. Questo
punto d’istoria tanto interessante, sebbene involto nelle tenebre dei
se- coli e nel bivio della favola, di cui Omero, e VIRGILIO ce ne
dipingono maestrevolmente la miseranda catastrofe, è l’interessante
trattenimento che Girolamo Coppa, e Socj si propongono di dare nel
suddetto giorno. Troja cinta dalle sue inespugnabili mura, che
Sarà collocata al sito delle carceri, si vedrà rapidamente ardere
dalle Gamme; le grida, il pianto, la disperazione degli infelici abitanti
confusi collo strepito dell’armi; le mine delle più alte moli, la
desolazione dei vinti e il tripu- dio dei vincitori; la partenza del pio
Enea portando sugli omeri il vecchio suo padre Anchise; una sor-
prendente illuminazione del tèmpio di Minerva col simulacro trasparente
della Dea; un fuoco che a guisa di Vesuvio s’innalzerà nell’aria sarà lo
spettacolo tragico-pan- loraimico-pirotecnico che si presenterà a questo
Pubblico rispettabile. Armata greca, guidata dal duci collegati ti-
rati nelle bighe da quattro cavalli di fronte, trombettieri a cavallo,
sacerdoti, auguri, sacriGcatori, vittime e il gran cavallo nel cui cavo
seno vi si nascondono armi, guerrieri, attrezzi, macchine di guerra; armata
trojana, coro di donzelle e fanciulle, bande militari, analogo
vestia- rio, popolo, e tutto ciò che forma il maestoso ed im-
ponente corredo di questo grande avvenimento, che verrà «seguilo da
mille, e più individui, non che con quella indispensabile illusione che
ne costituisce il pregio del- l’azione. Fi a ricbh^ta . generale &l replica il
grandioso spettacolo del famoso incendio e di> sti’Uzione della
celebre città di Troja^ causato dal Ratto d’Elena fatto da Paride.
Quindi è die lo spettacolo verrà eseguito con ujaggior nuineró
d’attori^ di truppe, di bighe, e di tutti quegli importanti accessori che
esige la nobiltà e grandezza deirargomento. Esperienze aereo fisiche
d^eseguirsi soltanto all’altezza delle piante del professore Già'
corno Gnrnerin di Parigi^ nel giorno 10 settembre 1820 alle ore 6
pomei'idiane. Appoggiato il detto Garnerin ai tratti
d’aggradimento dimostrati al suo spettacolo, che ebbe l’onore di
dare nello scorso agosto sulla grande piazza d’armi, egli si
accinge a darne un altro nuovo, di sommo interesse, e di particolare sua
invenzione. Detto spettacolo consisterà nel combattimento delle
Comete preceduto dalla prova del paracadute, eseguita con un animale
vivo, che ritornando a terra, discenderà tranquillamente nella stessa
arena, e da un pallone, col quale il professore, dimostrando la necessità
dell’invenzione del suo paracadute, farà conoscere appieno le tern ribili
catastrofi succedute a Pilatre-des-Roziers, e mada- ma Blanchard ed al
rinomatissimo italiano Zambeccari p*r mancanza del paracadute, c darà
altre espegenze areo-pirojecniche.La conquista di Belgrado. Grandioso
spettacolo, diretto da Girolamo Coppa., Quel Belgrado, che nella storia
della guerra aveva res i illustri i nomi di Corvino, Huniade,
Massimiliano di Baviera, ed Eugenio di Savoja era finalmente
destinato a coronare la gloria di Loudon. SuU’eseiTipio deir
anno scorso penetrarono anche in quest’anno sul piàncipio di agosto i
Turchi nel Banato dalla parte di Schuponeck, si sparsero per tutta la
valle, e volevano avanzare verso Mahadiaj ma li 28 agosto cac-
piolli il generai Cleirfart intieramente dal territorio Austriaco. Loudon
restituissi 3 Seraelicco, si accorsero or ora chiaramente i Turchi, che
si trattava dall’assedio di Belgrado. Il Bascià fece chiedere
istantemente una tregua; Loudon vi condiscese, nello stesso tempo facendo
intendere al Bascià di decidersi se voleva rendere la piazza, ed
accettare la libera sortita. La quale proposta venne ricusata dal Bascià,
e s’ incomincia col bombardamento della fortezza. Al sito delle Carceri
s’innalzerà la fortezza di Belgrado cinta dalle sue inespugnabili mui*a
in istato d’assedio. L’arena del circo rappresenterà un campo di
battaglia, sparso qua e là di tende militari, padiglioni, attrezzi
da guerra, cannoni, mortaj, e di truppe Tedesche ed Un- gheresi. Il
colonnello conte d’ Argentau, parla ai suoi subalterni. Miei signori, noi
siamo stati prescelti dal Maresciallo Loudon, per l’ iutrapresa
dell’attacco della fortezza. Ma tutto dal nostro zelo dipende, spero
quindi che ognuno impiegherà tutte le sue forze per sostenere anche
in quest’occasione l’onore del nome che portiamo, e la gloria che il nostro
Maresciallo si è acquistata. Non vi è bisogno d’ulteriori esortazioni
lusingandomi di po- tere giustamente riporre in loro tutta la mia
fiducia. S’ Incomincia l’ assalto della fórtezza. La soldatesca,
ripartita in quattro colonne, attaccano ad un tempo diverse parti. I volontari
precedono ciascuna colonna, e i granatieri, che fra questi si trovano,
marciano alla testa. Le truppe sono seguite da trecento lavoratori
con fascine, corbelli, sacchi d’arena, ed altri necessari strumenti per
costruire sul momento batterie, ridotti, ed altre fortificazioni. Si
attaccano con coraggio e risolutezza} le paL'zzate vengono superate. Il
cannonamento sostiene l’attacco. 1 Turchi si difendono
disperatamente, vengono con impareggiabile valore respinti, si
gettano nella piazza migliaja di palle, granate e bombe, Il Bascià
fa chiedere un abboccamento al Maresciallo per la capitolazione della
fortezza, sortono da Belgrado tre dei più ragguardevoli fra i Turchi con
il loro seguito, si presentano al padiglione del generale Loudon. 11
Bascià affetta di essere un Mussulmano estremamente zelante, riferisce
essere dal supremo destino determinata fino dall’eternità la resa della
fortezza; e spiegò quindi il desiderio di essere condotto colla sua guarnigione
a Nissa, ma Loudon sceglie in vece la fortezza d’Orsova. L’esercito
Austriaco prende possesso della fortezza entrando trionfalmente con
acclamazione di gio|a; al mo- mento venne basato sulle mura della
fortezza un magnifico arco trionfale guernito di fuochi artificiali;
opera del pirotecnico Giovanni Battista Piomarta. Le cannonate secche u
mazzo di stelle. Dodici piramidi intrecciate di serpenti. Esplosione
di bombe. Otto circoli di fuoco a colori diversi. Gran decorazione
all^arco trionfale. Esplosione di granate. Una sfuggita di due mila razzi
formeranno in aria un bouquet al naturale. Vili. Un fuoco
alla foggia d’un acceso Vesuvio si alzerà con strepitosa batteria che
annuncierà il termine dello spettacolo. Prima discesa col Paracadute
di madami- gella Garnerin areoporista, che avrà luogo, e corse di fantini
a cavallo ed a piedi, eon marcia trionfale, dirette da Girolamo
Coppa. L’apertura delle porte sarà annunciata da alcuni spari
d’artiglieria. Due gran bande di musica militare esegui- ranno dei pezzi
scelti d’armonia durante tutto lo spet- tacolo. Madamigella Garnerin
monterà nell’aerostato per eseguire la sua ascensione, che sarà
immediatamente seguita dalla sua discesa col paracadute, e sarà preceduta
altresì dall’ascensione di un pesce rombo indicatore della
direzione. Ventiquattro fantini a piedi eseguiranno una b^n
r- dinata corsa, che sarà divisa in tre parti, ciascuna composta di
otto fantini, che faranno tre giri, ed i primi delle singole parti, che
giungeranno alla meta, dovranno rimettersi ad altra corsa di tre giri per
la decisione dei premi. Sortiranno poscia altri ventuno fantini pure
a piedi, i quali dovranno fare tre giri, ed il primo di loro che
toccherà la meta, verrà unito a primi tre. 1 quat- tro fantini che primi
furono nell’aringa, dovranno di nuovo cimentarsi ad una corsa di altri
tre giri per la decisione dei controscritti premi. La corsa
dei fantini a cavallo, venne distribuita come segue. Uodici fantini a
cavallo eseguiranno due corse, divisi a sei per sei, compiendo i tre
prefissi giri circolari. I sei fantini a cavallo che nelle suindicate due
corse saranno i primi arrivati alla meta, si disputeranno la palma
con altra corsa, Gssata ugualmente di tre giri, e i tre che rimarranno
vincitori avranno il relativo premio. (0^oiMe et 0o^ao(Me Sfi/
dei/ Sedine e Oo^itoiue deu ^ (XitUitt/
^teuMo ('RsuMuoii/tcOc'e de6 ^texMMO uv .^.
cRou/i. CORSA DEI FANTINI A CAVALLO. Preda Raja
I. 3oo Gioja ‘Pietro . . Ferri
Luigi II. 200 Picozzi Giovanni
Slopani Giuseppe III. 100 CORSA
DEI FANTINI A PIEDI. Pozzi Francesco
I. 100 Tadei Giuseppe II.
80 Bardelli III. 60 Toja
Ambrogio . Seconda discesa col paracadute di madami- gella Garnerin
nel Delta discesa sarà preceduta da due corse, una di fan- tini a
cavallo, la seconda de’barberi, con due premj in- sieme di lìr. 6oo aust.
e bandiere, con estrazione pub- blica di dodici premi o lotti da lire 5 o
a lire 8oo: for- manti insieme una somma di lire 2600 austriache
che andranno a vantaggio degli spettatori i quali avranno preso dei
biglietti d’entrata a questa seconda esperienza e spettacolo, e detti
numeri corrisponderanno a quelli che saranno estratti a sorte.
Madamigella Garnerin ha fatto stampare 26000 bi- glietti di entrata
alla sua esperienza, i quali biglietti porteranno ciascuno un
numerocorrispondente a quello dei. 26000 biglietti che saranno posti
nelle urne, dalle quali ne verranno estratti dodici, pei dodici prenij
pro- messi. Detto spettacolo sarà diviso cqme
segue: Corsa dei fantini a cavallo, i quali dovranno ese- guire tre
corse complete, ed i primi tre che arriveranno alla meta dovranno
cimentarsi in un’altra corsa di tre giri, per disputarsi nuovamente i
premj. II. Corsa dei barberi i quali dovranno eseguire tre
giri dell’arena e i primi due, che ariveranuo alla meta avranno il
premio. III . Seconda corsa dei fantini a cavallo, che
serviranno a determinare Tassegnamento de’premj. iei/ da
OavoEfi. ^VOUllO da autiM/ ut/
ilowiuw utoW'e teuMO JIduS CORSA DEI
BARBERI. Preda Gardiaali I. II.
i5o CORSA DEI FANTINI A CAVALLO. Angiolini Laudoni Ferrario
Frane. Burella Antonio 200 i5o Ascensione di
madamigella Garnerin, die farà un giro intorno aU’arena. Poi s’innalzerà
ad una considere- vole altezza^ indi farà la sua discesa col
paracadute. y. Si darà fine allo spettacolo con l’ estrazione
pub- blica di dodici premi o lotti dalle lire 5 o fino alle
800. Avendo il Consiglio Comunale della regia città di Mi- lano
deliberato di festeggiare con pubbliche dimostra- zioni di esultanza il
fausto avvenimento della presenza in Milano di S. M. 1 . R. Paugustissimo
Monarca Fran- cesco I, la Congregazione Municipale e la Commissione
delegala del predetto Consiglio deducono a notizia, che tra gli
spettacoli pubblici divisati si faranno le corse delle bighe e de’fantini
a cavallo, e dell’esperienza arco- statica col paracadute della signora
Elisa Garnerin, nel- l’anfiteatro dell’Arena 1 6
t'cu Dei/ GrtoafCi/ (S^X^oiu/e e Gogii/oiMe
Dcgfi/ e Dei. ^ «uh 111/ ^celiti 0 111/
cHoilMIl/ 0 nt< 3 t */6 DeC ^telino III XeceS. 3
TL. CORSO DELLE BIGHE. Anglolini
Trabattoni I. 100 Fontana Gio. B.
Radaelli Santino II. 80 Suddetto
.... Cardinali d. il Pastirolo CORSA DEI FANTINI
A CAVALLO. Formigini Gius. Giuliani
Gius. I. 80 Castellani conte Gaetano
Vaisem II. 60 PezzinI Gioja III.
5 o Spettacolo eseguito da Francesco Orlandi. L’areonauta
Francesco Orlandi eseguirà il suo volo areostatico, sempre che l’
atmosfera si trovi abbastanza tranquilla onde pòssa lo stesso condurre
senza ostacolo il suo naviglio per le difficili ed azzardose vie dei
venti e dimostrare col fatto la verità delle sue teorie. Aggiungerà
la tanto apprezzata corsa de’fantini a ca- vallo vestiti all’inglese,
distribuita come segue; dodici fantini a cavallo eseguiranno due corse,
divisi a sei per sei, facendo i tre prefissi girl intorno
all’arena. I sei fantini a cavallo chd nelle suindicate due
corse saranno arrivali primi alla meta, si disputeranno la palma
con altra corsa, fissata egualmente di tre girl, ed i tre che rimaranno
vincitori avranno il relativo premio. Lo spettacolo sarà reso più
brillante dalla musica eseguita da due bande militari. Dm
QfxvcMi, eJLoiii'e 6 Oo^nom'e- Dei, ^ imtiwi/
^i>edwo ut, Qixiòi Jlowtitwittew'e Def
5*ceiitio 111/ cibitA.' Giuseppe Preda. Brunello
Pietro. I. 4oo Angelo Briani .
Raja Domenico . II. 000 Paolo
Pozzetti, Ferri III. i5o Sg Discesa col paracadute
delV aereoporista francese EHisa Garnerin. Questa discesa preceduta
dalla prima ascensione col pallone ritenuto da funi, della sua giovine
allieva Eu- frasia Bernardi che farà il giro dell’anfiteatro. Detto
spettacolo verrà preceduto dalle corse de’fantiiii a piedi ed a cavallo,
e dei barberi, dirette da Coppa, secondo il costume degli antichi Romani.
Due complete bande militari suoneranno alternativa- mente durante
lo spettacolo. Prima e seconda corsa de’fantini a piedi.
Corsa de’fantini a cavallo. Terza e quarta corsa de’fantiui a
piedi. Corsa de’barberi. Quinta ed ultima corsa
de’fantini a piedi. Marcia trionfale. I . Gran corso di
^musica militare. II. Un cocchio con quattro cavalli di fronte, che
por- terà il Prefetto dei giuochi col suo seguito. IH. La
prima coorte. IV. Otto porta-stendardi e trofei. V.
Seconda coorte armata di brandi e di scudi pe- santi. VI» Un
gran Carro trionfale tirato da otto buoi a quattro a quattro di fronte,
pei vincitori dei giuochi circondato da ventiquattro genj
simboleggiati. Terza coorte armata di giavellotti con scudi.
VHI. Squadrone di tutti i fantini a piedi. IX. Squadrone di
tutti i fantini a cavallo, che chiu- derà la marcia. •
Terminato [l’esperimento, Tareonauta rientrò nel circo in carrozza
scoperta per risalutare il pubblico esultante, che l’acclamava. Le corse
dei fantini a piedi, a cavallo e dei cavalli sciolti riuscirono
animatissime, per cura di Coppa, il quale in tali circostanze è stato
sem- pre chiamato, come quello che per le molte corone rac- colte
in simili solenni disfida, combinava colla pratica e col consiglio la
fiducia di chi si lasciava da esso di- rigere. c)lboiM6
e Gogmsui/e ut cllotwiM'Outowe CORSA DEI
BARBERI. Gardinali Nicola I. 3oo^
Ralli Giuseppe II. 200 Ghiggini IH.
100 CORSA DEI FANTINI A. CAVAL
LO. Conte S. Antonio Passi Gennaro I.
5oo Preda Brunello
II. 3oo Gardinali Nicola Merli
Giuseppe. CORSA DEI FANTINI A
PIEI )I. Rossi Giuseppe. I.
100 Feltrini Eugenio. . IT.
Pozzi III.
6o Gozzini Davide. IV. 4o •
f O . » . Straordinario spettacolo che sarà eseguito dalla
eotnpagnia del eavallerizzo Alessan- dro Guerra Romano^ nelV^ luglio
1S27. La solennità di nn magnifico torneo alla foggia di
quelli ’che ese^uivansi ne^passati tempi, formerà la. spet- tacolosa
festa ^le dal cavallerizzo Alessandro Guerra verrà esposta al Pubblico*
con l’aggiunta di varii eseroizii d’e- quitazione, corse a cavallo ed a
piedi, e colle bighe di- rette da Girolamo Coppa.
Distrihiizipne drllo spellacolò: Al suono della musica di due
corpi di bande mili- tari che alterneranno le loix) sipfonie si
faranno: I. La corsa di veutiqq^ttro fantini a piedi, divisi
in tre schiere di otto per ciascuna, che eseguiranno tre giri, e i
vincitori di ciascuna dovranno cimentarsi in altra simile corsa per il
conseguimento de’rispettivi premi. li. La corsa dì tre della
compagnia Guerra die eseguiranno ciascuno sopra due cavalli* gli esercizii,
cosi detti giuochi di Troja, effettuando a gran corsa tre giri
dell’Arena, e il primo che giungerà alla meta, otterrà una bandiem
d’onore •guernita in oro. Il premiato fu Luigi Guillaume. La
corsa di sei bighe, che gareggieranno a due a due, facendo parimenti tre
giri, ed i vincitori di questa corsa dovranno essi* pure citoentarsi altra volta
in egual numero di gh^i per riportarne il premio. IV.
Comincierà il torneo col maestoso ingresso dei cavalieri giostranti
muniti di armatura di ferro e lan- cia, distinti ciascuno dai colori
de’rispettivi abiti e sciar- pe, ed accompagnati dql loro particolare
corteo^ saranno essi* preceduti dall’araldo e dal corpo dei
trombettieri pure a cavallo, ed eseguiranno il gran torneo* nel
cen- tro dell’Arena in apposito steccato; ornato di trofei ana-
loghi allo spettacolo, colle ins’egne dei giostratori. Dato il segno
colle trombe, si cimenteranno i sei cavalieri a due, e i tre vincitori
dovranno rinnovare tra di loro il combattimento, sinché uno rimanga
superiore a tutti ptu- aver toccato colla punta della lancia l’insegila
degli avversar]. .V. Combattimento dei delti tre vincitori
tra di loro pei* ottenere il premio d’unar sciarpa d’onore ricamata
e "uernita in oro. O l Il vincitore della
sciarpa fu Alessandro Guerra. Grande marcia trionfale; si vedranno i
trombettieri, l’araldo, i cavalieri giostratorr col rispettivp loro
corteggio, le bande militari, la prima coorte 'armata di scudi e lance,
il gran carro trionfale tirató da buoi,* che porterei donzelle abbigliate
alla foggia delle Vestali, so- stenenti corone di alloro, mirto e quercia
pei vincitori; seguiranno littori e genjianaloghi allo spettacolo, i
porta- insegne con vari trofei, i fantini che avranno eseguita la
corsa a piedi e gli auriga premiati, e finalmente al- tra coorte d’armati
che chiuderà la marcia. iDXjoiM/e » Qo^omie Deu
Gapaffi. » io, ^ CU/IÌÒmì/ II* O^aóAi'
cibiMUi'OiitaM 111/ ellou/it. CORSA DELLE
BIGHE. Aless. Guerra .Pifetro Brunello I. 5oo
Leop. Servolini Paolo Trabaltoni II.
3oo Merliui e Preda Gaetano Rovelli
III. 200 CORSA DEI FANTim
A PIEDI. Rossi I. 100 Feltrini
IL 8o Ariibr. Turconi .IStraordinario spettacolo che si darà
dalla compagnia del cavallerizzo jdllessandro Guerra cousistente
nelle corse di dodici giovinetti in un sacco, di dodici nani, esercizj
d’equitazione sopra due destrieri, es’ercizj «seguiti da Faustina Guerra
d’anni tre, giuochi de’Coribanti sopra tre cavalli a dorso iludo, gran
torneo antico, pompa circense, e trionfo del cavallo arabo am-
maestrato in me^zo ad un’ fuoco artificiale; rappresentante un maestoso arco
trionfale nel mezzo dell’Alena. Primo straordinario sorprendente
spettacolo aereo di volatili diretto da Gio, ‘Battista Ferrano
modonese^ Le universali acclamazioni che otteiine Gio. Battista Ferrarlo
per questo genere di spettacolo prodotto a Modena, Parma e Torino, si
lusinga anche di meritare l’aggradimento del generoso pubblico
Milanese. I. \d un colpo di pistola uscirà da una cesta uno
stormo di colombi andando in traccia del loro padrone, e dopo voli vaghi,
e non limitati, caleranno ad un suo cenno al suoi piedi. II.
Sortirà un colombo che al preset’tare di una ban- diera calerà presso la
medesima, e vi si fermerà immo- bile girando sopra la bandiera
stessa. Un colombo chiamato il cannoniere, munito di miccia,
dopo varj voli, sparerà un cannone di bella grandezza. in campo un
colombo dello il sallatore, che farà il sallo dei cerchio a volonlà del
suo padrone con varie configurazioni e movimenti. V.
Usciranno un’altra volta tutti insieme i due stormi muniti di arma
arlifiziale, e combatteranno in aria tra di loro a fuoco vivo; e al
comando dei rispettivi coman- danti andranno alle loro posizioni.
VI. Un colombo chiamato Timpetuoso, passerà un cer- chio.
coperto di carta, e lo tornerà a passare dopo di aver rotto la carta
stessa. Una colomba detta la guerriera, volando a campo aperto in traccia
del suo padrone lo rinverrà ad un colpo di pistola; e nell’atto che
bramerà calare presso il medesimo le sarà presentata altra pistola sulla
quale essa «si fermerà immobile mentre sorte il colpo. Vili.
Altra colomba chiamata la cacclalrice, darà com- pimento alla serie dei
giuochi in mezzo di uno stormo; ad un colpo di fucile si distaccherà
dallo stormo e calerà .sopra il fucile medesimo, dove resterà immobile ad
una seconda scarica. Una banda militare collocata al podio del
pulvinare suonerà varj pezzi di musica. Secondo straordinario
spettacolo arco di volatili diretto dal suddetto Ferrarlo^ Le universali
generose acclamazioni, che ottenne Gio. Battista Ferrarlo da questo
illuminatissimo pubblico JMilanesp, presentando nell’ultima scorsa
domenica II suo .spettacolo dei colombi e la generale cortese
richiesta, perchè nuovamente lo esponga, sosi de.sse stale le ben
accette ragioni per replicare il suddetto spettacolo, con l’aggiunta
d’una corsa di- fantini a cavallo, distribuita come sefrne:
Dodici fantini a cavallo eseguiranno due corse, tlivisi a sei per
sei, corupieiltìo i tre prefissi giri dell’arena. I sei fantini a
cavallo che nelle suindicate due corse saranno arrivati primi alla meta,
si disputeranno il premio con altra corsa, fissata egualmente di tre
giri, e i tre che rimarranno vincitori avranno il relativo premio, con
bandiera d’onore analoga;' si chiuderà lo spet- tacolo con un giro
de’fantini a cavallo vincitori delle corse, al suono della banda
militare. cSl^oiwe 6 Oogw/oiite Dei ^vo^'uetixtj
Dei' SKooiue e Gu^uoiii'e Dir éf
aii'tiu'i vatui} iit a^iiuMa iitoci'f'/ DeE
^cenilo Jlou/Si CouteS. Aotonio Fassi Gennaro r.
3oo Bernareggi Gioja II. 200 1 Foglia
. Borri III. TOO Spettacolo maraviglloso
eseguito da Gastellier di Parigi, macchinista e com- positore di fuochi
artificiali, nel 26 ago- sto 1827 . Esso consisterà nella
Regala o gara delle gondole, ossia battelli nell’arena allagata.
O Dato il segnale, tre battelli si slanceranno alla
corsa montati ciascuno da quattro gondolieri, e compieranno due
giri deU’arena. Altri sei battelli in due riprese si contrasteranno la
vittoria. I primi tre battelli vincitori in ciascuna delle tre corse,
dovranno cimentarsi ad un’ul- tima cor^a, perchè vengano contraddistinti
dalle diverse qualità de’premj. ofiooitie e/
Oognoiiie cibiMmoivb^e iw cHau-òt. Paolo Podoni,
Giovanni Ricci, Pasquale Mari, Luca I. 800
Frizato, Plotli, Drago, Porlesi . . IL 600
Garavaglia, Domiri, Gerosa,
Ghezzi. 0 0 Nulla si è omesso, per quanto
si è potuto, affinchè questa parte del divertimento dilettevole riesca ed
in- teressante. I battelli furono sqelti d’ agile forma, vaga-
mente ornati e con eleganza d’addobbi. Esperti, robusti erano i
gondolieri, alcuni scelti dai paesi lungo i nostri laghi, altri ancora
fra gli esteri. * Poscia sorgeranno dall’onde ai lati dell’edifizio
due amene isolette, ed in -mezzo ad entrambe dominerà l’albero così
detto della cuccagna. Otto per ogni albero saranno quelli che si
sforzeranno di toccarne la cima, genei’oso sarà il bottino, e due
bande militari li accompagneranno sui battelli alla rispettiva isoletta nell’audata,
e nel ritorno. Nel mezzo dell’arena sarà basato un grandioso,
ed ottangolare edifizio, che porta per titolo; Il gran tempio
della Pace illuminato a gloi’no con lance di variati colori.
I. Si darà principio al fuoco con colpi di cannone, razzi, e
tourbillons. Due grandi congegni rappresentanti il sole, la luna e
le stelle del firmamento, che spariranno poscia con strepitose
esplosioni. Razzi a doppio volo, e varj altri bellissimi
fuochi. Avventura di don Chisciotte colle ali, un mulino a vento, e
brillanti vedute. Due risplendentissime bombe a pioggia
d’argemo. VI. Sei girandole prenderanno diverse conformazioni
jjer ben venti volte. VII. Nuovissimo comb£^ltimento di soli, che
cesserà coit grandi scoppj. Vili. Mirabile batteria di
candele egiziane. La gran cascata di Saint-Cloud, presso Parigi, la
quale con quattro straordinarie cadute genererà un pia- cevolissimo
mormorio di una cascata d’acqua. X. Moltiplici fuoclii della più
ricercata invenzione. XI. Si getteranno nell’acqua diversi pezzi di
fuoco d’un genere affatto singolare, i quali sorgeranno di nuovo
dall’acqua, ascenderanno nell’aria e scoppieranno. Lo spettacolo
avrà fine con un strepito di colpi di grandi racchette. Partiranno esse
dalle torri sopra le cosi dette carceri, e‘ in lato opposto della porta
trionfale, per cni incrocicchiandosi, e cadendo nell’onde
produrranno un vivissimo effetto. Spettacolo da eseguirsi da
Francesco Orlandi. f L’areonaula Francesco Orlandi,
Bolognese, spinto da brama soltanto di lasciare anche in questa insigne
Metropoli quel nome, che co’suoi esperimenti egli si è procacciato nelle città,
ed in particolare con quello recentemente eseguito in Genova alla .presenza di
quella sovrana corte, di molti illustri personaggi, e di una
immensa popolazione, ardisce coraggioso di cimentarsi di nuovo in
Milano, colla lusinga di meritarsi anche qui la soddisfazione di un Pubblico
colto ed illuminato, quindi con superiore autorizzazione ha 1’ onore di
prevenirlo, che nei suddetto giorno darà nell’anfiteatro
dell’Arena, tre spettacoli degni della pubblica ammirazione.
In prima l’Orlandi eseguirà il suo volo areostatico, facendo
conoscere che l’uomo può dominare non solo sulla terra e sull’acqua, ma
ancora nefjli aerei spazj. Secondariameule si rappresenterà uno de’più
sorpren- denti fenomeni della natura, quale è il Vesuvio di Napoli
nell’atto di una delle più forti sue eruzioni. Nulla sarà certo
trascurato onde imitare (per quanto permette Tarte e Tingegno) col fuoco
artificiale, questo orribile fenomeno, imponente spettacolo che
richiamerà l’antica memoria degl’infelici Pompejani. Per
terzo cessata l’eruzione, apparirà improvvisamente un teatro,
rappresentante la reggia d’Apollo tutta traspa- rente, cpn l’anfiteatro
^legantemente illuminato; spetta- colo per Milano affatto nuovo, eseguito
soltanto l’anno scorso in Firenze nell’occasione della festa Ji san
Gio- vanni, e replicato colà in quest’anno con eguale felice
esito. La regata Feneziana . Fu sempre soggetto di
universale ammirazione in Ve- nezia lo spettacolo della cosi detta
regata, e venne co- stantemente ritenuto che il medesimo effettuare non
si potesse se non in quella sola città. Dipendentemente dalle
verificazioni di fatto già ese- guite, si è ormai conosciuto, che la
Veneta regata può aver luogo eziandio nell’Arena di Milano non solo,
ma più ancora che l’effetto al Pubblico sarà per riuscire di
maggiore interesse attesa la posizione della località. Per render
più interessante il divertimento, la gara avrà luogo fra i più esperti
gondolieri di Venezia, qui appositamente condotti. Vi sarà molta varietà
di gon- dole e battelli secondo il metodo e costume Veneto.
Si vedranno riccamente fornite in seta le così dette Bissone ad
otto remi. Malgarotte a sei remi e Peote, barche tutte di una diversa
costruzione. Due saranno le orchestre, acciò la musica renda
più animato lo spettacolo. Si darà principio con una marcia
maestosa di tulle le barche appositamente trasportate da Venezia, alla
qual|J seguirà un cosi detto fresco, o corsa di tutte le ridette
barche. Dopo questo, al segnale di una tromba, avrà luogo la gara
de’battelletti ad un remo con premi, cioè pri- mo e secondo premio; e per
ultimo il premio del por- chetto secondo il costume di Venezia.
Seguirà poscia un nuovo fresco, o corsa di barche, fino a tanto che
verrà allestita una seconda gara di gondolette a due remi, sostenuta da
differenti barcaiuoli. In fine verrà chiuso il divertimento con nuova
marcia, dopo della quale il suono delle trombe, annunzierà il
termine dello spettacolo. c)ei/ llt>
Jbiuiii/ijwtat* ^veiwo IH -^t/e cUsttòt.
GONDOLE A DUE RESI!. Musico Giuseppe, e Celega Giuseppe
I. 8co Buranello Natale, e Forti Giovanni
IL 4oo BATTELLETTI AD UN REMO. Calderan
I. o o Papassissa
. 200 Spettacolo della regala Veneziana
eseguitosi nel 24 agosto 1828 . Si darà principio allo
spettacolo con una corsa di tutte le barche di ogni qualità e grandezza,
appositamente trasportate da Venezia riccamente addobbate alla
Turca, Spagnuola, Veneta ec. non che delle gondole, battelli e
barche d’ogni forma. 4 Al primo squillo di tromba avrà luogo la gara
dei piccoli battelletti a due remi eseguita da esperti rema- tori
di Venezia. Finita tale corsa ad uu secondo segnale si
slanceranno nell’acqua dodici esperti nuotatori, i due primi vinci-
tori andranno a prendere i loro premi stabiliti. Dopo tal gara vi
sarà quella delle Bissone ad otto remi dei remiganti Comascbi e del Po,
contro i barca- juoli Veneziani. Avendo avuto luogo una scommessa
di trenta pezzi da venti franchi, verranno questi depositati al
momento presso i giudici che ne disporranno a fa- vore del vincitore.
Sarà vincitrice quella delle Bissone che compirà prima il quarto giro
dell’Arena. Le due Parti interessale in questa scommessa, saranno nelle
ri- spettive Bissone, onde animare vieppiù i remiganti da loro
scelti. dboiue o Oo^u'oiMe' ^teirn^o
cRo/mM'oatat»'» BATTELLETTI A DUE RI EMI.
Calderau Andrea e Tasso Valentino 800 Friselle
Bartolomeo e Bagarolto Giuseppe II.
4oo Tedesclii Antonio e Papassissa III. ORI.
Giuseppe NU0TAT aoo Clavanzani
I. i 5 o Sambo Domenico ..NELLA PRIMA
BISSONA Vendetta, Celego, Gauasselle, Alberante,
Musico, Buranello Natale, Marella Lorenzo, Forti Govanui.
Spettacolo del giorno 19 luglio 1829 . Fra tutti gli
spettacoli, ch’ebbero finora luogo in questo magnifico anfiteatro, i più
aggraditi certamente, ed i più acclamati furono le corse delle bighe,
dei cavalli, e de’fantini a piedi. I Il concorso
straordinario di spettatori, di che in ogni occasione di tali corse
videsi affollato l’anfiteatro, ne fa testimonianza. >
L’anfiteatro, già interamente ristaurato ed abbellito, anche per
cura dell’ iutraprenditore, fu elegantemente disposto per lo spettacolo
succennato. Dall’istante in cui verrà aperto al pubblico
l’anfiteatro sino aH’incominciamento delle corse, e negli
intervalli di queste, due bande militari alterneranno degli scelti
pezzi di musica. Alle ore sei cominceranno le corse col- l’ordine
seguente: Corsa di sei fantini a cavallo, che slanciandosi dalle
carceri al primo squillo di tromba prendendo la via di mezzo alle due
spine, indi la destra, percorreranno tre volte l’anfiteatro compiendo
l’ultimo giro d’avanti al pulvinare, ove è stabilito il palio, e si
troveranno i signori delegati; fra i primi tre vincitori avrà poi
luogo una seconda corsa. Altra corsa di sei fantini a cavallo. Corsa
a piedi, che verrà eseguita da otto giovani dilettanti, che compiranno
tre giri intorno alle spine, ed ognuno dei tre vincitori riceverà una
bandiera d’onore. Ottennero questo premio: I. Davide
Dolnago. II. Giacinto Cipolla. III. Domenico Comasco. IV.
Corsa di sei fantini a cavallo, vincitori nelle pre- cedenti corse, onde
disputarsi i primi premi. Y. Corsa di sei bighe, che percorreranno
esse pure tre volte l’anfiteatro, compiendo parimenti l’ultimo giro
davanti al pulvinare. vr. Altra corsa (li quattro bighcj 11 vincitore
avra una baudiera d’onore e il premio di Lir. loo.
Proprietario Bonella Gennaro. Aurica Santino Redaelli.
VII. Corsa di quindici barberi, che non ebbe li suo pieno effetto
per impreveduto accidente. Vili. Lo spettacolo verrà chiuso colla
marcia trion- fale del vincitori di cadauna corsa all’intorno
dell’anfi- teatro, partendo dalle carceri precedute delle bande
militari. SLoiM/e e Dei' Gix/va-lh
iSffjoute e Gogw/oiite t'enfi/ 6 Da/ ouAÌm/
^ceuM'O lli< cRoilMUiOM-to»
iw/ CORSA DELLE BIGHE. Giuseppe Preda
Paolo Traballoui I. 800 Angelo
Radaelli Gaetano Rovelli II. 600
Carlo Angioliai Luigi Vimercati III.
4oo CORSA DEI EANTINI A GAYAL
LO. Salvatore Passi . Salvatore Passi . 600
Giuseppe Merlini Pietro Brunello. 0 0
Nicola Sangiorglo Prances. Perrario III.
3 oo / Spettacolo che si da. A tenore del
manifesti già pubblicati avrà luogo il già annunciato spettacolo di
corse, aggiuntivi gli altri divertimenti sotto indicati, il quinto
dell’introito netto è destinalo a sollievo dì alcune famiglie indigenti.
A.n- che per questo titolo non furono risparmiate spese, onde lo
spettacolo riesca più variato e più accetto. I. Corsa di fantini a
cavallo, i primi quattro, die giun- geranno al palio, dovranno eseguire
una seconda corsa fra di essi per disputarsi i premi. Coi'sa di
dodici somarelli montati da gobbi-nani, ciascuno di questi in diverso
abito di carattere carne- valesco, uscendo dalle carceri, eseguiranno due
girl com- piendo Tultlmo davanti al pulvinare. Il primo del
suddetti avrà un premio d’una bandiera ed un borsellino con denari.
III. Seconda corsa dei quattro fantini a cavallo vin- citori nella
prima, per disputarsi i premi. IV. Corsa di sei bighe che
percorreranno tre volte l’anfiteati’O, compiendo 1* ultimo giro davanti
al pulvinare. Le prime quattro, che giungeranno al palio, eseguiranno una
seconda corsa per disputarsi 1 premi. V. Seconda corsa delle
quattro bighe vincitrici nella prima corsa, per disputarsi i premi.
VI. Corsa de’ barberi, 1 quali restando chiusa la via di mezzo alle
spine, percorreranno tre volte l’anfiteatro, compiendo l’ultimo giro
davanti al pulvinare. Marcia trionfale dei vincitori, con corredo di
due bande militari che terminerà il giro davanti al pul- vinare.
Vili. Nell’atto, in cui la marcia trionfale compirà il giro,
verranno incendiate sei grandi piramidi, collocate alle estremità e nel
mezzo delle spine, e sormontate da altrettanti gran vasi. Altri quattro
gran vasi collocati pure sulle spine a diversa distanza, e diverse
batterle prenderanno fuoco nel tempo medesimo. L’anfiteatro ri-
marrà illuminato da un sorprendente fuoco del Bengal. L’artista
pirotecnico Antonio Zucchi si lusinga di pre- sentare in questo breve
passatempo un lavoro dell’arte degno dell’ammirazione dei suoi
concittadini. Sei/ Dai OiWafK/ ’òecSv
JìoLVU/acc iJiMUMOiAtave 3, 3 e
iex, ^ (xvtùt*/v ecc. "òli ^veuMo COUSA DELLE
BIGHE. Preda Giuseppe Trabattoni Paolo
I. Quadr. 7 di G. Ganavesi
Giacomo Rovelli Gaetano II. 5
Gatti Gaetano . Comisoli III. 4 Garillio
Giuseppe Pomè Giuseppe IV. 6o lir. A.
CORSA DEI FANTINI A CAVALLO. Passi Salvatore
. Passi Salvatore, Quadr. ^ di G. Merlin)
Gius. . Brunello II. 3 »,
Castellani. Brelino Pagani
Smid. IV. 3o lir. A. CORSA DEI
BARBERI. Castellani Cavalla Inglese I. 2 1/2
Q. Sperati Cavalla Transilvana II. 1 1/2
» 1, Gardinali Cavallo Polacco
La Quadrupla di Genova equivale ad Austr.
L. g5. Grandioso spettacolo d’ equitazione eseguito dalla
compagnia del cavallerizzo Guillaume Coi piacevoli e puerili travagli il
piccolo Davidde Guillaume in aspetto di amorino darà principio al trat-
tenimento. Farà detto fanciullo due volte il giro della vasta Arena sul
cavallo in piedi, ed arditamente mano- vrerà secondo il solito,
producendo quella meraviglia che può destare un adulto coraggio in sì
tenera età. Nuovo spettacolo presenteranno sedici individui
alti ed in foggia di giganti patagoni dell’America, i quali correranno
due volte d’intorno al grande anfiteatro di- sputandosi il palio.
IH. Tre cavallerizzi (ciascuno in piedi su due cavalli)
rappresentanti gli esercizii, e giuochi detti di Troja. IV. Il più
e più volte applaudito volteggiatore Guillaume il figlio, si produrrà ora con
sempre maggiore impegno a dar saggi di sua intrepida perizia, del
:nol- tiforme travaglio su tre cavalli a dorso nudo ed a ra-
pidissimo corso. Gara a celere corsa di varii giovanetti artisti,
che vestiti in costume inglese percorreranno per ben tre volte
l’arena a cavallo ad uso de’ fantini, ed il primo percepirà la bandiera
d^onore. Ricomparirà il predetto Luigi Guillaume guidando in piedi
quattro cavalli a dorso nudo. VII. Marcia trionfale dei vincitori,
corredata d’armoniose bande militari. Alle spine centrali dell’Arena
s’innalzeranno quat- tro archi trionfali sfavillanti con fuoco d’
artifìcio Un giovine in abito d’antico guerriero, montato sopra
veloce corridore oserà lanciarsi con furiosa corsa in mezzo, e fendere
replicate volte l’ una dietro l’ altra le ignee macchine, offrendo
all’occhio stupefatto misto il diletto collo spavento. In questo punto il
grande anfiteatro si troverà all’istante illuminato dal più brillante
splendore d’un fuoco del Bengal. Spettacolo diesi darà il ÌG maggio
1830 dalla famiglia Uetz. Una parte dei presenti
divertimenti, è affatto nuova per l’anfiteatro. La famiglia Uetz, a cui
ne è appoggiato l’esecuzione, è nella ferma fiducia, che se le
particolari sue fatiche nelle grandi forze d’Alcide, negli
equilibri, e nelle piramidi Greche non riesciranno di sorpresa.
come nei molti teatri in cui furono eseguite; lo saranno a motivo
della grandezza del circo. Essi sono divisi come segue: Da
una corsa di fantini a piedi, e cuccagne, e da un magnifico fuoco
d’artificio. Due ricche ed eleganti cuccagne erette nel mezzo
dell’arena, ed a conveniente distanza l’una dall’altra. I contendenti
all’acquisto saranno contraddistinti con segui particolari.
IL Equilibri e Piramidi Greche della numerosa fa- miglia Uetz,
eseguite sovra il gran palco appositamente innalzato nel mezzo del circo. Corsa
di dodici fantini a piedi, percorreranno l’arena tre volte, ed i primi
che arriveranno al palio percepiranno la bandiera d’onore. Il primo.
Davide Colnago. Il secondo. Giacinto Colnago. Il terzo. Eugenio
Feltrini. Attitudini e posizioni dell’alcide Francesco Uetz e di
quattro fanciulli sovra un gran carro tirato all’in- giro dell’arena da
quattro cavalli riccamente bardati. V. Grandi forze d’Alcide sul
palco posto come sopra. Marcia dei fantini e di tutti quelli che
compone- vano lo spettacolo accompagnati da due bande militari.
\1I. Gran fuoco artificiale diviso come segue; Tre grandi
girasoli, rappresentanti l’iride al naturale. Gran fuoco di
battaglia con duecento colpi di bomba, ed otto esplosioni di palle
lucenti. Tre sorprendenti cascate di fuoco. Esplosione
di ventiquattro grandi miniere. L’aurora. Magnifica
decorazione rappresentante il tempio della Gioja, con diversi ornamenti
di fuoco, e due iscrizioni trasparenti. Illuminazione
generale di tutto l’anfiteatro con fuochi del Bengal, imitanti lo
splendore del sole. Durante la decorazione succennata verrà innalzata una
grande quan- tità di razzi, e verranno tirati moltissimi colpi di
can- none e di bomba. Spettacolo equestre eseqiiito dalla
coinpafjìiìa dì Alessandro Guerra., Alessandro Guerra non
dimenticò nel giro di tre anni i pegni gentilissimi di cortese favore
accordali agli spet- tacoli da lui dati nell’estate 1827 in questo stesso
anfi- teatro ed è appunto questo ricordo che lo incoraggia a
rinnovare in questa per lui propizia circostanza altro
trattenimento. Corsa di cinque cavalli a dorso nudo, ed a gran
carriera del giovinetto Giorgio Cocchi, il quale montato in piedi sopra
due, guiderà gli altri tre in avanti. Corsa dei jokejs inglesi a cavallo
con tre premj. III. Corsa di tre damigelle, percorrendo sul
cavallo che giungerà al palio, otterrà in premio
un’elegante sciai pa. prima Elisa Sciiier. Gara a gran carriera,
eseguita fra quattro gio- vinetti allievi, che dovranno percorrere
tre volte l’arena ad uso de’fanllni. Il primo fra d’essi che arriverà
al palio, avrà in premio trenta fiorini moneta di conven- zione.
primo Giorgio Cocchi. V. Eserclzj delti giuochi di Troja eseguiti
da tre cavallerizzi, in piedi sopra due cavalli contemporanea-
mente, ed a gran carriera percorreranno per tre volte l’ampio circo;
assegnandosi a quello, che arriverà il primo al punto di fermata in
premio una ripetizione d'oro. Il primo Pietro Ghelia. VI. Il
Guerra col mezzo di artisti più scelti di Mi- lano, e di pirotecnici di
Roma si è prefisso di presen- tare uno de più grandi apparati di fuochi
artificiali. Nel mezzo deU’amhuIacro superiore alle carceri
sarà bnsato un grandioso edifizio, che rappresenterà l*e- slenio di
un magnifico tempio di stile greco decorato da otto colonne con figure e
gruppi allusivi a Plutone e Proserpina. Le sottoposte arcate, pure
presenteranno una caverna, dalla quale escirà un carro ornato da
ana- loghi emblemi tirato da quattro cavalli fiancheggiato da furie
che offrirà allo sguardo degli spettatori il Ratto di Proserpina in mezzo
ad una voragine di fuoco. Si darà principio ai fuochi con un
assortimento di razzi con lumi e pioggia d’oro, ed altri con
batteria. Nel centro del circo succederà una moltiplicità di
fuo- chi variati fra loro. Le decorazioni del tempio, in cima
del quale vi sa- ranno Plutone e Proserpina, saranno illuminati a
giorno con lance a diversi colori, candele romane, e pioggia di
fuoco. La caverna sarà pure intrecciata da tourbillons, can-
dele e fuochi in diversi modi, che termineranno con colpi ed
esplosioni. Una moltiplicità di colpi di grandi racchette,
che parteranno delle due torri sopra le carceri, e che incro-
cicchiandosi in aria produrranno un vivissimo effetto. Al termine
dello spettacolo l’anfiteatro presenterà quasi un nuovo emisfero,
restando in un momento illuminato da un sorprendente fuoco di
Bengal. (Sfioom'e e ?ei. Sei/ Owaffi.
Sffjome e Go^weiive M Gfoóòi/ l/W. ..^£,6
elio. Sperati Luigi . Brunelli Pietro
I. 3oo Gallarati Giacomo Gaggia
Bortolo ir. 300 Vignati Giovanni
Cozzio Giuseppe irr. 100 Spettacolo dato dalla
compagnia del caval- lerizzo Guerra li 6 giugno 1830 .
Sensibile il rispettoso cavallerizzo Alessandro Guerra ai generosi
pegni di favore continuamente accordati ai suoi esperimenti, nell’ atto
di sortire da questo suolo felice, studiò di dare ad ultimo pegno di
riconoscenza un nuovo straordinario soggetto di trattenimento al
rispettabile Pubblico. I. Corsa di dodici fantini a piedi, i quali
dovranno eseguire tre intieri giri, per l’ effetto che i tre primi,
che perverranno alia meta abbiano poi a cimentarsi in altra corsa.
il. Corsa di fantini a cavallo, i quali dovranno com- pire per tre
volte l’intero giro dell’Arena, ed i primi tre, che arriveranno alla
fermata, dovranno cimentarsi in altra corsa per decidere de’pi'emj.
III. Corsa di cinque cavalli a dorso nudo, ed a gran carriera del
giovinetto Giorgio Cocchi. IV. Corsa di una seconda schiera di
altri dodici fan- tini a piedi. V. Corsa di tre damigelle. La
prima, che giungerà al luogo fissato, otterrà in premio una collana
d’oro che fu Annetta Dcpcy. VI. Gara a gran carriera
sopra piccoli cavalli eseguita tra i quattro giovinetti allievi, il primo
fra d’essi che arriverà al palio, avrà in premio trenta fiorini in C. M.
che fu Gaetano Ciniselli. VII. Corsa di sei fantini a piedi,
che primi giunsero alla meta nelle due corse precedenti, per determinare
l’as- segnamento loro fissato. Vili. Esercizj detti giuochi
di Troia, eseguiti da tre cavallerizzi assegnandosi a quello, che
arriverà alla meta il premio d’una spilla di brillanti che fu
Giorgio Coccia. IX. Giuochi atletici e ginnastici eseguiti da
quaranta lottatori anfiteatrali. Corsa di Ire fantini a cavallo
risultanti i primi nella corsa precedente per determinare fra loro i
premi. XI. Ad oggetto di render più dilettevole il tratteni-
mento il Guerra procurò due artisti funambuli per opera de’quali averà
luogo il Ratto di Proserpina, e con la replica del fuoco artificiale, che
ebbe luogo il 3i mag- gio i83o. SlLoiive 6 Go^woiive
Se)/ Sei/ allÓoi4i« 6 Go^twiu/e dei ^
cmIÙmui ^veimo IM.
clbiuiivoiitei&e IM/ =^. clbu'iit. CORSA DEI
FANTIINI A CAVALLO. De Micheli Gius.
Galimberti Luigi I. 3oo Manini
Francesco Mazzoli Cipriano li. 200
Vignati Giovanni Palmoto Palma . 100
CORSA DEI FANTINI A PIEDI. Colnago
Davide I. 100 Tralanzi Giuseppe IL
Madera Giovanni Spettacolo. Lo spettacolo sarà de’più variati
e interessanti. Alle corse delle bighe e dei cavalli, che fu sempre il
diver- timento nell’anfiteatro il più aggradito ed acclamato, come
quello che alletta non solo, ma che desta entu- siasmo ed ammirazione,
chiamando lo spettatore a par- tici pare dei generosi sforzi della
bravura e del coraggio, saranno frammischiati dei divertimenti puramente
carnevalesclii, trasporlall dal palco e dalla scena per destare le risa. Passeggiata
mimica in maschera. Il tanto applau- dito balletto eseguitosi nel
p. p. carnevale neU’I. R. Tea- tro della Scala.' La comitiva
si compone di un araldo a cavallo, e di dodici caricature villereccie a
cavallo in diversi brillanti caratteri, cioè: Paesano
Giardiniere Savojardo Montanaro
Savojardo Maltese Rezio
Chinese Spagnolo Catalano
Samuese Celtico Greco
Frascatano Stentarello. Quadriglia a piedi.
Giove Giunone Minerva
Mercurio Apollo Diana Ercole
Marte Nettuno Plutone Dio Termine Diavolo
Bacco Satiro Don Chisciotte Sancio Pancia
Uffiziale Svizzero
Spaglinolo Turco Gran Gigante
Spaccamondo Due Chinesi
Donna in caricatura sei
caricature diverse sei
Arlecchini sei Lapouf Pulcinella Italiano Pulcinella Francese Girolamo
Vecchio Bamboccio Piccola
Vecchia Balia. Schiera di sei fantini a cavallo. HI. Altra di
sei fantini a cavallo, i tre primi di ca- dauna corsa, che giungeranno al
palio dovranno cimen- tarsi in una terza corsa per disputarsi i
premi. Schiera di dodici piccoli cavalli montati dalle succennate
caricature. Schiera de’sei fantini a cavallo vincitori nelle pri- me
corse, per disputarsi i premi. Gran carro elegantemente ornato, tirato da
quat- tro cavalli in ricca bardatura, e preceduto dall’Araldo, nel
detto carro Francesco Uetz eseguirà ai quattro an- goli dell’anfiteatro
le forze d’Alcide, ed i sorprendenti equilibri, nei quali fu altre volte
tanto applaudito. Corsa di sei bighe, le prime quattro a giungere al
palio dovranno eseguire un^altra corsa per disputarsi i premi.
Vili. Gran carro come sopra, su cui dalla famiglia Uetz saranno
eseguite piramidi ed attitudini Greche. iX. Seconda corsa delle
quattro bighe vincitrici nella prima, per disputarsi i premi.
X. Schiera de’sei piccoli cavalli vincitori nella prima corsa, che
ne eseguiranno una seconda per disputarsi i premi. Marcia trionfale
dei vincitori nelle corse sopra i l’ispettivi cavalli e bighe, aperta
dall’ Araldo come sopra. Gran bouquet di fiori a fuoco d’artificio e
batteria, lavoro dell’artista pirotecnico Giuseppe Uetz, al- l’usciU
tutte le porte saranno illuminate. Dei» ^tepwetir^
ì)ct/ iDfooitve e i^owc/i<yt 6 Jet/
<5^ aw.tii*i/ liv 0^41 (J^omnuoM/ltvoe Se?
^teuuo iiv oiWi. CORSA DELLE BIGHE. Preda
Giuseppe Trabattoni Paolo I. Galli.
Vimercati II. 5 oo Gattoni Comisoli
III. 4oo Garillio Giuseppe Pomè
Giuseppe IV. 3 ao CORSA DEI FANTINI
A CAVALLO. Fassi Salvatore. Smith. Mreglit Giansi.
II. Creizer Varesi. EOO CORSA DEI PICCOLI
CAVALE Piaggio I. 100
Ronchi. I. Galli . Grandioso c tutto nuovo spettacolo^ che
per opera di Luigi Henry si eseguirà. Gran coro pescareccio alla
siciliana composto dal maestro di musica sig. Panizza, diretto dal sig.
Granatelli td eseguito da cinquantadue dei migliori e più esperti,
coristi di questa capitale coll’accompagnamento d’una numerosa banda
militare, composta di novantadue pro- fessori, durante il quale gli
aspiranti ai premj dei differenti giuochi si presenteranno al
concorso. Corsa dei nuotatori, che sarà di tragitto assai breve, il
premio del vincitoi’e sarà di austriache lir. loo. Premiato
Gixisei’pe N., fabbro-ferrajo in S. Celso. Giuochi d’equilibrio, due dei
concorrenti, che avi’anuo la destrezza di stabilirsi i primi in piedi
sul palo uno alla destra e l’altro alla sinistra delle carceri,
acquisteranno ciascuno una posata d’argento. Premiali. Annibale
Isman. Antonio Fava. Corsa dei selvaggi del mare del sud, nelle piroghe
delle isole di Sandwich, scoperte dal capitano Cook, che faranno l’intero
giro dell’arena. Il premio del vincitore sarà di austriache lire
lOQ. Premiato. Giuseppe Arnaboldi. Giuoco dei bilancieri, ossia,
giostra di mare sospesa innanzi alla porta libitinaria. Il primo
campione, che avrà rovescialo due de’ suoi avversai] avrà in premio
della sua destrezza, una tazza d’argento. Premiato. Filippo Megname. Corsa
di due campioni in piedi a fior d’acqua, che partiranno dalle carceri ed
attraverseranno l’arena in tutta la sua lunghezza. Il vincitore avrà in
premio di austriache lire loo. Premiato. Gaetano Ricco.ll.
Giuoco dei due alberi di Cipresso, dirimpetto alla porla trionfale, un
bicchiere d’argento collocato alla cima (11 ciascuno del due alberi, sarà
11 premio del vin- citore. Premiati. Pietro Mur\tori.
Domenico An(;isola. Giuoco delle corde, come si pratica sui vascelli
d’alto bordo, in facciata al pulvinare. Ciascuno del due vincitori avrà
il premio d’un orinolo d’oro. Premiali. .Rossi. Colnago. La
Balena escirà da una specie di chiavica praticata alla porta trionfale,
ed attraverserà più volte il recinto dell’arena coll’andamento suo
naturale, e con tutti gli spontanei suol movimenti, aprendo l’immensa
bocca col maneggio della lingua, girando gli occhi e la testa,
versando grandi getti d’acqua dei vasti spiragli alla sommità del suo
capo, e movendo in lutti i versi la voluminosa sua coda, a segno di dare
una precisa idea della forma e natura di questo gran mostro
marino. Sarà ripetuto il gran coro sul cader della notte. Corsa (11 due
barche illuminate l’una di lanterne gialle, l’altra di lanterne rosse.
Queste faranno il giro di tutta l’arena partendo dal pulvinare, e la
barca vincitrice nella corsa avrà il premio di austriache lire loo.
Premiato. Antonio Gregol. XII. Una generale illuminazione in
parte stabile, in parte galeggiante Quattro fontane di fuoco,
lavoro del signor Uetz, annunzieranno al pubblico il termine dello
spettacolo. Spettacolo che darà Francesco Uetz. Il suddetto si
produrrà con corse di fantini a cavallo unitamente alla compagnia di
Syberlus Vansuest, che eseguirà quanto di più difficile e variato in
equestri eser- cizii presenta la scuola del celebre Franconi di
Parigi. La picciola milanese, d’anni sette, in abito d’amore
percorrerà due volte l’anfiteatro in piedi sul suo cavallo. ed
eseguendo passi ed attitudini superiori alla sua età sarà regalata d’una
bandiera. Corsa di sei fantini a cavallo, che in abito da
mammalucchi, eseguiranno tre giri intorno all’anfiteatro. Corsa di tre
cavallerizzi in piedi sopra due cavalli. La corsa sarà di due giri. Al
vincitore saranno date aust. lir. loo ed una bandiera il
vincitore fu Colombet. Corsa di altri sei mammalucchi a cavallo, che
come i precedenti, eseguiranno tre giri intorno al circo. Corsa a
cavallo di due donne, vestite da Amaz- zoni, ed accompagnate da due
cavallerizzi. Eseguiranno esse tre giri. La vincitrice otterrà una
bandiera d’onore con appesa una ricca sciarpa che fu madama
Bertotto. Corsa dei primi tre mammalucchi vincitori in cadauna delle
precedenti due corse, per disputarsi i premi di N.” 4 doppie di Genova il
primo. N.° 3 il secondo. N. 2 il terzo, e zecchini tre il quartoj i
vincitori furono: Proprietarj de’ cavalli. Passi Salvatori.
IL Ratti Giuseppe. Maninj Vignati. Fantini. Smith Giacomo.
Cattaneo. Mazzoli. Cozzio. Corsa sopra tre cavalli, eseguita in piedi
dal gio- vinetto Tardini, d’anni dieci, vestito alla Romana, farà
due giri. Avrà egli pure una bandiera d’onore. La vincitrice madama percorrerà
il circo, seguita da tutta la comitiva dei vincitori, portanti cia- scuno
la propria bandiera. E per ultimo gran fuoco variato d’artificio, col
quale s’illuminerà il «gran tempio situato innanzi alla porta
principale dell’anfiteatro. Oltre i fuochi del Bengal vi sarà una continua
esplosione di colpi di cannone e di bombe. Straordinario, equestre,
pirotecnico, areostatico spettacolo che darà la compagnia di Guerra.
Il suddetto darà equestri esercizi unitameute a corse di jockeys a
cavallo, esperimenti areostatici e fuochi artiOciali; detto spettacolo sarà
diviso come segue: Grand’entrata di tutti gli artisti della
compagnia, che col corredo di due bande militari eseguiranno il giro
di tutto Tanfiteatro. Gara a gran carriera sopra piccoli cavalli
eseguita da quattro giovinetti allievi, che dovranno percorrere per
tre volte l’intera Arena ad uso de’fantini. II primo, che ira d’essi
arriverà al palio avrà in premio una bandiera e fu Rodolfo Guerra. Corsa
dei jockeys inglesi a cavallo, dovranno essi compiere tre giri intorno
alla spina ovale, ed i primi tre, che arriveranno alla meta, dovranno
cimentarsi in un’ altra corsa pure di tre giri per disputarsi i
premi. Corsa di quattro madamigelle, che percorreranno tre volte
l’Arena: le prime due, che giungeranno alla meta, dovranno eseguire altri
tre giri per ottenere la bandiera d’onore. Premiata
Schier. Verranno innalzati in aria alcuni palloncini col mezzo del
gas idrogene, che non saranno discari agli spettatori. Corsa di
cinque cavalli a dorso nudo, ed a gran carriera di Cocchi, eseguendo tre
giri intorno la spina ovale. Corsa dei tre jockeys a cavallo
risultanti i primi nella corsa precedente per determinare fra loro i
premi, pel primo di ausi. lir. 3oo
pel secondo 2oo pel terzo
lOo, i vincitori furono; Proprietarj de’cavalli. Sperati.
Mreght. Merlo. Jockeys. Brunelli. Giansì.
Gambarino. Giuochi di Troja di tre cavallerizzi eseguili in piedi
sopra due cavalli, ed a gran carriera percorreranno tre volte Tampio
circo assegnando al primo uUa bandiera d’onore. Premiato Bartolomeo
Volani. Altro esperimento areostatico coll’ascensione d’un pescatore
col pesce rombo. Tenzone dei due artisti sopra tre cavalli a gran
corso, eseguiranno essi tre giri, ed il primo che arriverà al palio
otterrà una bandiera d’onore. Premiato Bartolomeo Volani. Al
termine dello spettacolo l’anfiteatro presenterà quasi un nuovo orizzonte
pel magnifico fuoco d’artificio opera d’un artista romano, restando in un
istante illuminalo da fuochi di Bengal. Equestre spettaeolo variato
cogli Elefanti, La compagnia del cavallerizzoTourniaire, ottenuta
la superiore permissione di fare nel soprannominato giorno un
interessantissimo trattenimento in questo grande anfiteatro, si
propone essa di segnare cosi fatta avventurosa circostanza col-
l’offei-ta d’uno spettacolo d’Equitazione varialo con divertimenti, che nulla
avranno di comune con quanti altri, se ne sono dati finora. Grande entrata
di tntti gli artisti, che col corredo di banda militare, e di
trombettieri militari a cavallo, eseguiranno il giro di tutto
l’anfiteatro. Gara a celere corsa di quattro giovinetti vestiti di
jockeys inglesi, percorreranno tre volte il circo, ed il primo de’quali
arrivato al palio riceverà la bandiera. Il vincitore Nicolò Moro. Corsa
di otto contadini i quali correranno tre giri, ed i primi quattro, che
giungeranno alla meta, dovranno nuovamente in un’ altra corsa disputarsi
tre premj. Tenzone di due Greci che sopra due cavalli a
schiena nuda per due giri, eseguiranno nel secondo giro il salto di due
barriere, ed il vincitore avrà una bandiera d’onore. Il
vincitore fu Luigi Tourniaire. Esercizi all’Inglese eseguiti da sei
cavallerizzi assegnandosi ai primi due, che arriveranno alla meta due
premi; al primo un pajo speroni d’argento, ed al se- condo un anello
d’oro. I vincitori sono: Primo Luigi Naicase.. Secondo Carlo
Reichard. Corsa di quattro damigelle sul cavallo, col premio d’un braccialetto
e un pajo d’orecchini d’oro. Vincitrici: Prima Adelaide TourniAire.
Seconda Maria Collet. \II. Corsa di quattro artisti ciascuno in
piedi sopra due cavalli col premio d’un pajo speroni d’argento e
d’un anello d’oro. Vincitori: Primo Francesco Lavelliè. Secondo
Luigi Tourniaire, Vili. Corsa dei primi quattro contadini
vincitori, che nuovamente percorreranno con tre giri l’anfiteatro
per disputarsi 1 premj, pel primo aust. lire 200, secondo i 5 o,
terzo 100. Vincitori: I. Pietro Bianchi, lì. Luigi Cattaneo. Felice
Ronchi. Ricomparirà Luigi Tourniaire, stando in piedi sopra due
cavalli a dorso nudo manovrando altri quattro cavalli. Esercizi di
quattro Cosacchi col premio d’itn orologio d'oro, ed uno d’argento.
Vincitori: Primo Francesco Tourniaire. Secondo Carlo
Delneccui. Grande pompa trionfale con due Elefanti magni- ficamente
ornati e montati da madamigella Adelaide Tourniaire, e da Mattias
Steffani. Chiuderà lo spettacolo quattro archi trionlali illuminati
d’un fuoco d’artifizio. Grandioso spettacolo intitolato Vincendio di
Rokeby. Sarà costruito in mezzo dell’arena un magnifico castello d’ordine
gotico-inglese, lungo cinquanta braccia, proporzionatamente largo ed
alto, della forma d’un ottangono oblungo con quattro torri agli angoli. La
parte principale dello spettacolo consisterà in una manovra in grande,
eseguita nel suddetto castello dive- nuto preda delle fiamme, da pompieri
veterani di questa città, cioè quelli che hanno servito in questo corpo,
sotto ottima direzione, la qual manovra sola durerà per lo meno
un’ora ed un quarto, offrendo ad ogni istante i più superbi e variati
colpi d’occhio, finché le quattro torri ed altre parti del castello
cadranno col fragor del tuono, diffondendo una luce vivissima, il che
unita- mente ad un combattimento al di fuori del castello, offrirà
un colpo d’occhio de’più imponenti che si possono immaginare. Gl’incidenti
dello spettacolo consisteranno in un bom- bardamento ed espugnazione del
castello, in diversi combattimenti interni ed esterni, marcie ed altre
azioni mimiche con musica scelta espressamente a tal uopo. Agiranno
in questo straordinario spettacolo oltre il corpo suddetto di pompieri un
corpo di castellani, un corpo di banditi, un corpo di truppe regolari con
artigìieri condotti da diversi capi, un seguito di damigelle di Matilde,
signora del castello di Rokeby, tutti vestiti ed armati
analogamente. Valentissimi artisti gareggieranno, affinchè lo
spetta- colo sia degno del magnifico anfiteatro, nel quale viene
rappresentato, e possa divertire, e fors’anco sorprendere, questo
coltissimo pubblico e quest’inclita guarnigione sempre giusti nel
pronunciare i loro giudizj. Il grande spettacolo, che si doveva dare nell’Arena
di questa città vi attirò molto concorso di spettatori. La
riuscita non avendo corrisposto all’aspettazione, il Pubblico manifestò
la sua disapprovazione con grida, e la parte meno educata ridusse in
pezzi le sedie e le ta- vole di cui erano muniti i sedili. La maggior
parte però degli spettatori si disponeva già tranquillamente alla
partenza, quando apertesi tutte le porte per la sortita, una moltitudine
del basso popolo si presentò al di fuori per entrare nell’anfiteatro,
dove voleva distruggere per vendetta il fiuto castello di Rokeby,
argomento dello spettacolo. Le guardie militari essendo accorse per
Impedire que- sto pericoloso accesso della moltitudine tumultuante,
vennero investite a colpi di pietre per cui alcuni soldati ed impiegati
rimasero feriti. Un distaccamento militare dopo aver resistito per
lungo tempo alla sfrenatezza della plelie, tornati vani i tentativi
per allontanarla, nè potendo più oltre difendersi, incominciò daU’cseguire
esplosioni di fucile in aria, per incutere timore, ed infine non avendo
ottenuto effètto alcuno, ed incalzando sempre più la moltitudine, fece
sca- riche a palla. Un individuo venne così sgraziatamente
colpito amorfe, ed altre dieci più o meno gravemente feriti.
La moltitudine allora si disperse, ogni tumulto, che d’altronde
limitossi alla sola località dell’anfiteatro cessò, e questo disordine
non ebbe altre conseguenze sulla tran- quillità pubblica, la quale era in
tutte le altre parti della città nella medesima sera^ come all’ordinario
perfetta. Spettacolo equestre eseguito da Alessandro Guerra. Consistente
nella corsa delle bìglie nella corsa
dei Jockeys a cavallo Corsa di Cocchi sopra cinque cavalli a dorso
nudo Corsa di quattro damigelle vestite
alll’Amazzone col premio d’uu’elegante sciarpa che l’ottenne
Leonilda. Carrara.Forze da^Gladlatori sopra cavalli, eseguiti da
Antonio Brand e Gaetano Ciniselli Esercizi di Troja, eseguiti da
quattro cavallerizzi col premio d’una ripetizione d’oro ottenuta da Cocchi.
Avrà fine lo spettacolo con un dilettevole fuoco d’artificio terminante collo
scoppio d’una batteria. afonie e GogwoiM'6 ?ei. 5'x'Opwe^oW'j
Dei Oai’idli' elGoiite 6 Gogirowve' De^Pi
clbiKti^* e 5ocke^A IH/ ailomiMOute^e De-E
^teiwto iw/ cHauA. CO RSA BELLE BIGHE. Sperati
Rovelli I. 5oo Consoni Yimercati CORSA
DEI JOCR EYS. Guerra Ciniselli
I. 3oo Suddetto Volani Spettacolo equestre del
detto Guer, Consistente nelle corsa delle bighe Corsa dei fan- tini a cavallo Corsa di tre damigelle sopra due ca-
valli pel premio d’tma spilla di diamanti e corona d’al- loro, la
vincitrice fu Leonilda Cariura. Altra corsa di Giorgio
Cocchi dirigendo sette cavalli Esercizi dei Gladiatori Corsa di quattro
dami- gelle a cavallo col premio d’un anello vinto da Luigia
Letard, Avrà fine lo spettacolo con un fuoco artificiale, re-
stando illuminato l’Anfiteatro da fuochi di Bengal. eTCtfiue e
Oo^u/diue Sei/ dei Oa(;ixl^ eHaoitie e
Oo^uoiu'e e del ^ oaitiiu ^vatMO Uh
’^om/movXaK/e deE ^velino IH cllou/A. CORSA
DELLE BIGHE, Sperati Giuseppe Rovelli
Gaetano I. 5oo Consoni Francesco Vimercati
Luigi II. CORSA DEI FANTINI A
CAVAILO, De Micheli Frane. Ciniselli Gaetano
I. aSo Guerra Alessandro Volani Bartolomeo II.
i5o Grisetti Carlo, Cozzi Giuseppe.
III. 100 I t- re spettacolo Consistentt
tini a cavalle valli pel prei loro, la vinci Altra
corsa Esercizi d gelle a cavali Avrà fine ’ stando
illumi (Set ^topwela. deir Qrava^ Sperati Giusef
Consoni Frane CORSi De Micheli Fri Guerra
Alessat Grisetti Carlo. Getty. Giovanni Lanza -Branciforte. Branciforte. Keywords: i giochi olimpici, Ikko, Crotone, Taranto. Branciforte.
Refs.: Luigi Speranza, "Grice e del Vasto," per Il Club
Anglo-Italiano, The Swimming-Pool Library, Villa Grice, Liguria, Italia.
Branciforte.
Luigi Speranza – GRICE ITALO!;
ossia, Grice e Brandalise: la ragione conversazionale e l’implicatura
conversazionale del municipio di Firenze –albero fiorito -- immune, comune – scuola
di Pistoia – filosofia toscana -- filosofia italiana – Luigi Speranza, pel
Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The Swimming-Pool Library (Pistoia). Filosofo
toscano. Filosofo italiano. Pistoia, Toscana. Grice: “I would say that
Brandalise is a Griceian – his tutees know it! He has philosophised on
keywords: communicazione, l’altro, indeed what he calls the Kantian
transcendental necessity of ‘l’altro,’ and the idea of a ‘collective’ desiderio
– or comunita – What is that if not my philosophy of communication?” Adone Brandalise (Pistoia) è un
critico letterario, letterato e accademico italiano. Si laurea con Branca con
una tesi dal titolo L'opera e la critica. Esperimenti critici su testi
narrativi italiani, in cui vengono sperimentati nuovi metodi critici su testi
di Manzoni e Gadda. Professore di teoria
della letteratura presso l'Padova, la sua attività di ricerca si caratterizza
per il costante intreccio tra riflessione filosofica e psicoanalitica con
l'interpretazione del testo letterario. I luoghi seminali della sua ricerca
vanno individuati nello studio di Spinoza e Plotino, cui si dedica sin dalla
giovinezza, di Hegel e dell'idealismo tedesco, oltre che nell'approfondimento
risalente agli anni Settanta dell'opera di Lacan. Promotore di numerose iniziative
scientifiche, tra cui alcuni progetti di didattica e ricerca legati agli studi
interculturali, ha collaborato a riviste quali "Lettere italiane", "Studi
novecenteschi", "Immagine riflessa", "Il centauro",
"Filosofia politica" o "Trickster". Tra i temi che segnano la sua ricerca vanno
senz'altro segnalati alcuni molto ricorrenti: il problema della singolarità, il
rapporto tra mistica ed evento soggettivo, quello tra pensiero filosofico e
azione politica, quello tra poesia e pensiero. Attentissimo cultore della
musica operistica e del cinema, tra gli autori che maggiormente animano la
scena della sua riflessione, affidata soprattutto all'oralità, sono Platone,
Leopardi, Melville, Nietzsche, Shakespeare, León, Ophüls e Welles. Operaismo Brandalise opera a Padova, dove
anima e partecipa a partire dagli anni settanta alla costituzione di numerosi
seminari e momenti di studio, anche in relazione con i dibattiti
dell'operaismo. Oltre all'attività sindacale, in comunicazione con Bianchini
(Padova), segna questa fase di sua riflessione politica il lavoro svolto
"off air" nella direzione romana di "Il Centauro. Rivista di
Filosofia e teoria politica, nel cui comitato direttivo operavano anche Nicola
Auciello, Adriana Cavarero, Remo Bodei, Massimo Cacciari, Umberto Curi,
Giuseppe Duso, Roberto Esposito, Giacomo Marramao, Giangiorgio Pasqualotto,
Biagio De Giovanni (direttore) e Racinaro.
Il Centauro, rivista pubblicata dall'editore Guida, nasce in una fase
storica segnata dal caso Moro, dal compromesso storico, dal teorema Calogero.
L'idea dei redattori era di avviare un laboratorio politico in cui potessero
intervenire intellettuali legati al PCI, anche se in modi spesso prossimi al
dissenso. Tuttavia non compare nelle rievocazioni più recenti degli anni
dell'operaismo il nome di Brandalise, certo per la relativa assenza di suoi
interventi scritti, ma anche per il coagularsi del suo percorso politico negli
anni Novanta intorno alla "nozione sintomatica" di politica
invisibile e poi, nel decennio successivo, di decostituzionalizzazione. Opere Oltranze. Simboli e concetti in
letteratura, Padova, Categorie e figure. Metafore e scrittura nel pensiero
politico, Padova, Macola, Psicoanálisis y arte de ingenio: de Cervantes a
Zambrano, Malaga, Miguel Gomez, con Macola e Otin, Bestiario lacaniano, Milano,
Mondadori, L'immagine del territorio e i processi migratori, in M. BERTONCIN,
A. PASE, Territorialità, Milano, Angeli. In weiter Ferne so nah. In margine al
sermone Beati Pauperes, in (G. Panno) Il silenzio degli angeli. Il ritrarsi di
Dio nella mistica medievale e nelle riscritture moderne, Padova, Unipress,
Oltre la comparazione. Modi e posizioni del pensiero dopo l'intercultura, in
(G. Pasqualotto), Per una filosofia interculturale, Milano, Mimesis,
Introduzione (con Barbieri), in (Barbieri, Mura, Panno), Le vie del racconto.
Temi antropologici, nuclei mitici e rielaborazione letteraria nella narrazione
medievale germanica e romanza, Padova, Unipress, Il multilinguismo nella
mediazione (con Celli, Rhazzali, Sartori), in (Mantovani) Intercultura e
mediazione, Roma, Carocci, Postfazione, in C. Tenuta, Dal mio esilio non sarei
mai tornato, io. Profili ebraici tra cultura e letteratura nell'Italia del
Novecento, Roma, Aracne, con N. Fazioni, Cosa cambia con Lacan? Saperi,
pratiche, poteri, in International Journal of Žižek Studies, Dentro il confine,
Milano, Mimesis,. Metodi della
singolarità, Milano, Mimesis,. La
necessità dell'Altro: scritti in onore di B., Milano, Mimesis, Gentili, La
crisi del politico. Antologia di "Il Centauro", Guida B. Sito
dedicato all'opera e al pensiero di B. Pod cast degli interventi di B.
Biografie Letteratura Letteratura
Università Università Categorie: Critici
letterari italiani Letterati italiani Accademici italiani Professore Pistoia. B.. camlet bound round the waist
with a girdle, after the ancient fashion, and a mantle lined with
minever, with a hood which they wore over their heads. And the women of
the people were clothed in coarse green cloth of Cambrai, made after
the same fashion. A hundred lire* was an ordinary dower for a wife. A
dower of two or three hundred was in those days considered enormous.
Girls, for the most part had completed their twentieth year before they
were married. Thus rude in dress and customs were the Florentines
of those days ; but they were loyal, and kept good faith, both
among each other and towards the Commonwealth. And with their poverty and
coarse mode of life, they did greater things, and acted more virtuously,
than we do with our greater effeminacy and greater riches. Those were the
manners of the good old times before the building of the second walls
around the increased city. The position of these walls, and the amount of
space thus added to the city, are very accurately known. The line taken
by the new circuit has been minutely recorded by Malispini,f
Villani, J and Coppo Stefani.§ But it will be sufficient for our purpose
to indicate in a more general manner the extent of the increase.
The old city, wholly confined to the northern bank of the river,
stretched along it from a point near the present Ponte Santa Trinita, to
another a little beyond the building of the Uffizi. A line drawn
northward from the foot of the Ponte Santa Trinita, to the corner formed
by the Via de' Rondinelli and the Via de' Cerretani, and thence turning at a
sharp angle westward, proceeding then in a direct line to the
Piazza del Duomo, encircling the Cathedral, and then turning
southwards to rejoin the river by a line nearly correspond- [The Tuscan
lira is now equal to eightpence sterling-. To find its equivalent value
at the time in question it must be multiplied by from ten to fifteen.] ing
with the present Via del Proconsolo, the Piazza di San Firenze, and the
Via de Leoni, would very nearly mark the position of the old wall. The
new one enclosed an area much more than twice as large as the old city.
This new wall extended along the northern bank of the river from the
present Ponte alle Grazie to the Ponte alia Carraia. A direct line drawn
in north-western direction from the foot of the latter, to the sharp
corner made by the Via delle Cantonelle, behind the Church of St.
Lorenzo, turning at that corner to follow in a south-easterly
direction, and nearly in a straight line, the course of the streets De
Gori, C alder ai, De Pucci, De' Cresci, and St. Egidio, to the corner of
the Via del Fosso, and there again turning to the south-west, and
striking towards the river in a direct line by the streets Del Diluvio
and De Benci, to the foot of the Ponte alle Grazie, would form the new
boundary of the city on the northern bank of the river. But the
suburbs which had been gradually formed on the southern bank, were also
now for the first time brought within the walled city. This new "
Oltrarno" quarter, "beyond the Arno," comprising less than
a quarter of the space now occupied by the city on the southern bank, was
bounded by the river from the Ponte Santa Trinitd, nearly to the
Ponte alle Grazie, and by a line of wall which, starting from the bank at
the spot where the former of these bridges now stands, followed the
entire length of the present Via Maggio, and then turning at an acute
angle back again towards the river, crossed the Piazza de Pitti in
an oblique direction, so as to exclude the ground on which the Pitti
Palace now stands, pursued an irregular course along the foot of the
steep hill, which here leaves but a narrow space between it and the Arno,
till it rejoined that river in the immediate neighbourhood of the Ponte
alle Grazie. It will be seen that this notable enlargement of
the city, while more then doubling its former area, comprised a
space less than a fourth of that contained within the present wall, which
third circuit was, in most respects as it still remains, traced some time
ago. Keywords: immune,
comune, rodano, paradosso del reciproco, amare, ligarsi, bestiario griceiano,
bestiarium griceianum, il municipio di Firenze. "To change the image somewhat,
what bothers me about what I am being offered is not that it is bare, but that it
has been systematically and relentlessly undressed. I am also adversely
influenced by a different kind of unattractive feature which some, or perhaps
even all of these bêtes noires seem to possess." Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Brandlise” – The
Swimming-Pool Library.
Luigi
Speranza – GRICE ITALO!; ossia, Grice e Breccia: la ragione conversazionale e l’implicatura
conversazionale della metafisica del dialogo – scuola di Trento – filosofia
trentina -- filosofia italiana – Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco d H. P.
Grice, The Swimming-Pool Library (Trento). Filosofo
trentino. Filosofo italiano. Trento, Trentino-Alto Adige. Grice: “I like
Breccia; he is, like Vitruvio, obsessed with the male human body – but also
about the ‘metafisica del dialogo,’ so we can call him a Griceian!” -- Breccia nel suo studio a Roma. Pier Augusto Breccia (Trento ), filosofo. La
pittura di Breccia esplora l’essere umano con un approccio ermeneutico (nel
senso della filosofia ermeneutica moderna di Jaspers, Heidegger, Gadamer) e si
apre su un vasto orizzonte di temi filosofici. L’opera di Breccia include oli
su tela, matite e pasteli su carta, 7 libri e numerosi saggi critici. B. ha
esposto in personali in Europa e USA. La famiglia paterna è originaria di
Porano, un piccolo paese dell’Umbria, dove sua madre, Elsa Faini (di Trento),
si era trasferita nel dopoguerra. I genitori di Pier Augusto lavoravano
entrambi nel settore ospedaliero: infermiera la madre e chirurgo il padre
Angelo. La famiglia si trasferisce a Roma, dove B. trascorrerà la maggior parte
della sua vita. Si iscrive al liceo classico Giulio Cesare di Roma, dove matura
un profondo interesse per gli studi umanistici che lo accompagnerà per il resto
della vita. Scopre la Divina Commedia che studia di sua iniziativa affascinato
dalle allegorie dantesche. Subito dopo, attratto dalla filosofia e dalla
mitologia greca, traduce per l’editore Signorelli l’“Antigone” di Sofocle e il
“Prometeo legato” di Eschilo. Ancora nella fase adolescenziale traduce i
“Dialoghi” di Platone. Completati gli studi liceali si iscrive alla facoltà di medicina
dell’Università Cattolica del Sacro Cuore e riceve, con il massimo dei voti, la
laurea in medicina. Professione medica Dopo la laurea consegue una
specializzandosi in urologia, in chirurgia generale e successivamente in
chirurgia cardiovascolare mentre comincia a far pratica al Policlinico Agostino
Gemelli di Roma. Sposa Maria Antonietta Vinciguerra, nasce il primo figlio,
Claudio e la figlia Adriana. Si trasferisce a Stoccolma, dove lavora al centro
di chirurgia toracica e cardiovascolarere dell'Istituto Karolinska sotto la
supervisione di Viking Björk (inventore della valvola cardiaca Bjork–Shiley).
Tornato all’università Cattolica di Roma e al connesso ospedale Gemelli,
diviene professore associato. Ppratica interventi a cuore aperto e pubblica
circa cinquanta articoli in riviste mediche. Il punto di svolta: dal
bisturi alla matita È quando B. scopre un inaspettato talento per il disegno,
che nei due anni successivi diverrà il suo hobby. Soltanto dopo la morte di suo
padre e a seguito di una profonda crisi esistenziale, il talento disegnativo
trova la sua espressione creativa. La produzione artistica dei primi due anni e
il pensiero filosofico da questa ispirato confluiscno nel libro
"Oltreomega". Durante un periodo di produzione artistica e di
mostre in Italia e all’estero (‘'Monologo corale’', ‘'Le forme concrete dell
in-esistente’', ‘'La semantica del silenzio’') prende un'aspettativa dalla
professione medica. Nel biennio seguente, lo stile artistico, da lui definito
"ideomorfico", si delinea con maggior chiarezza, così come il
pensiero filosofico, che presenta nel libro “L’Eterno Mortale”. Dà le
dimissioni dalla professione di chirurgo e nello stesso anno porta le sue opere
a New York, presentandole in due mostre consecutive, alla Gucci e all’Arras. La
strada dell’arte, si delinea rapidamente e, appena date le dimissioni, si
trasferisce a New York dove trascorre la maggior parte del tempo. Durante
questo periodo, espone in diverse città degli Stati Uniti (New York, Columbus,
Santa Fe, Miami e Houston). Sin dall’inizio è estremamente prolifico e
l'opera dei primi dieci anni viene raccolta nel libro “Animus-Anima”, che
comprende immagini di sue opere. Torna stabilmente a Roma ed espone in diverse
città italiane ed europee. Pubblica "L’altro Libro", scrive “Il
linguaggio sospeso dell’auto-coscienza”. B. presenta novanta opera in
un’imponente personale al museo Vittoriano e pubblica “Introduzione alla
pittura ermeneutica”, il suo manifesto artistico, al quale collabora il
filosofo Matassi. Negli anni seguenti, malgrado le condizioni di salute, è
impegnato in numerose mostre in musei italiani ed europei. Dopo la
chiusura della sua mostra di Trento, ha un infarto nel suo studio di Roma,
viene portato al Policlinico Gemelli, emuore. Ragione e immaginazione: “lo
spazio pensante” Lo spazio è l’elemento più distintivo delle opere di B., che
egli stesso definisce “denominatore comune della pittura ermeneutica[...]
principio stesso delle nostre facoltà intellettive”. Tuttavia, se nello
spazio paradossale di B. la ragione si sospende e precipita di continuo, il
senso di armonia ed equilibrio, che caratterizza tutta la sua opera permette
all’immaginazione di entrare nello spazio senza alcun tormento. Forme,
colori e luce: dis-oggettivazione Un'altra caratteristica delle tele di B. è la
presenza di “oggetti”, in un equilibrio generato tuttavia da forme e colori
piuttosto che da una oggettiva metrica di spazio. Allo stesso tempo, tali
“oggetti”, ridotti a forme/colori essenziali o addirittura trasformati in
spazio stesso o “altro da sé”, sono privi di una vera oggettività e di
conseguenza sono aperti ad essere letti come linguaggi, segni o, più
propriamente nel senso della filosofia ermeneutica di Karl Jaspers, come
“cifre”, cioè “segni” non ancora interpretati. L’uso della luce e del
chiaroscuro è parallelo a quello dello spazio e della prospettiva nella
molteplicità di paradossi. L’assenza di una fonte di luce all’interno
dello spazio pittorico contribuisce a rimuovere contenuti emozionali. In
ultimo, il rapporto luce-spazio-forma crea l'ennesimo paradosso di B. Se la
luce è spesso associata a ciò che è comprensibile razionalmente (e.g. “luce
della ragione”), nelle opere di B. tutto appare al contempo luminoso e
misterioso. B. usa il termine “pittura ermeneutica” per descrivere la sua
posizione come artista nel suo Manifesto “Introduzione alla pittura
ermeneutica”. Il presupposto di significabilità della cifra pittorica
ermeneutica è la libertà da canoni, convenzioni, dogmi di spazio e tempo, del
qui e dell’ora, che permette una verifica della significabilità dal di dentro.
In tal senso, l’arte può essere un’esperienza di conoscenza, in quanto
“apertura” da “un lato sull’infinita alterità dell’essere o di Dio, e
dall’altro sulla personale coscienza dell’ ‘Io’.”(Introduzione alla pittura
ermeneutica). Moschini e Zitko Zitko Zitko Comunicare, Università
Cattolica del Sacro Cuore,. Unomattina, RAI Unomattina, Gennaio Zitko Moschini
e Zitko, p.38. Steiner Steiner Moschini e Zitko Moschini e Zitko,
p.40. B., Introduzione alla Pittura
Ermeneutica, Vivaldi Moschini Zitko Steiner Moschini e Zitko. Moschini e Zitko Moschini,
M. e Zitko(), "The educational path of Ideomorphism. From theory of
knowledge to philosophy", Journal of Philosophy and Culture supplement,
laNOTTOLAdiMINERVA Zitko, "Il linguaggio della pittura ermeneutica e la
Chiffer di Jaspers", Dipartimento di Letteratura e Filosofia, Universita'
di Pisa Steiner, Profile: B., ART TIMES Steiner, Critique: B. at Arras Gallery,
NYC", ART TIMES Steiner, B.: Another Look, NYC", ART TIMES Matassi,
E. Sur la peinture Hernéutique: B., “le messager d’alterité”.I n: Du Nihilism à
l’hermenéutique libri gratis su itunes The educational path of Ideomorphism La
pittura ermeneutica, su didattica ermeneutica. B.: biografia, su
direnzo. Biografie Biografie: di biografie Categorie: Pittori italiani
Filosofi italiani Saggisti italiani Professore Trento Roma. THE DIALOGUE The universe of speech is egocentric. At the
centre is the speaker (ego) and the listener is slightly off-centre (tu).
The listener becomes a speaker in his turn and the axis of the universe
shifts slightly, but these are the two persons of speech, and all others
are objects to be pointed out. Ego spreads symbols in front of tu, but tu
is the arbiter of intelligibility. If ego makes unintelligible noises or
speaks Greek to the Eskimo tu, there is no communication and therefore no
language. If ego's symbols are unsatisfactory or unsatisfactorily
arranged, tu demands a new set or a better arrangement. Since speech is a
function of action, tu's acts determine the sense of ego's symbols to the
extent that ego must either acquiesce or come to a new
understanding. Soliloquy, meditation, and ‘arranging one’s thoughts’
are imitations of dialogue. They have involved in past time even
movements of lips ; hence the theatrical convention that the soliloquy and the
read letter can be overheard. But ego does not speak to ego; he has far
quicker ways of understanding himself. He soliloquizes before an imaginary
tu and he arranges his thoughts with a view to addressing later some real
tu. The dialogue occurs within a frame of reference provided by
circumstances and concerns some event. Gardiner 1 describes speech as
four-sided, with the IV factors of I speaker, [Gardiner, Speech and
Language, Oxford, io] II listener, III words, and IV things. The things,
however, should be those of a given moment, forming an external and
concrete association which we call circumstance. It is better to think of
them as external and concrete, because so they are in all languages,
including savage ones. Two persons may discuss the square root of minus
one in an oubliette at midnight and so reach an extreme of abstract
speech, but the topic is no more than the last of a long series of
abstractions which began with the sum of two flints or cave-bears or
the Circumstances or Context Event or Phenomenon
Impression Expression impression I H like. A square was once a
pattern on the ground. If one says to another ‘the unexamined life is not
worth living’ there has to be a context of ethical discussion to determine
what is ‘life’, ‘worth* or ‘examination*. An insurance agent might be
puzzled by the phrase and emend it to ‘the medically unexamined life is
not worth insuring*. Even so, though more concrete, his language
represents the end of a complex process of civilized abstraction. That
speech should be possible without visible circumstances is a relatively
late development, and is achieved by the creation of contexts. The
context of a discourse consists of spoken conventions which enable us to
dispense with visible objects, by siting the discourse well enough to
give the supplementary information that would otherwise have been derived
from circumstance. The language even of savages contains some abstraction,
since they speak of some parts of circumstance and neglect others.
Yet the Australian Arunta cannot count or distinguish times or
identify themselves. Basque host ‘five* probably means ‘closed fist’,
and counting in multiples of twenty (Basque ogei) was achieved
by counting fingers and toes. Getting lost in the higher figures, it
might prove simpler to proceed by subtraction (Lat. 19 undeviginti, 18
duodeviginti, Finnish 9 yhdeksan, 8 kahdeksan, cf. 1 yksi, 2 kaksi 9 and
the Indo-European for 10). Chinese characters are singularly illuminating
concerning the relations between concrete and abs- tract. ‘Benevolence*
is ‘man plus two* (a man who thinks of another beside himself),
‘happiness* is ‘one mouth supported by a field*, ‘peace* is ‘a woman
under a roof* (indoors), ‘home* is ‘a pig under a roof* (food and
shelter), ‘spirit* is the skeleton of a great man, a ‘great* man is one
who has not only legs to obey but arms to en- force, ‘father* is a ‘hand
holding a whip*. These written analyses are, no doubt, scholarly and
sometimes whimsical. It is not exactly in that way that abstractions have
been derived from objects and contexts substituted for circumstance, but
the language of savages is astoundingly concrete and only fully
intelligible when spoken in the presence of the objects of discourse.
Communication lies partly in what we say, partly in the circumstances.
The latter fill in so much that actual speaking is elliptical, erratic,
incomplete, and imprecise. Even the elliptical words may be further
curtailed by substituting gestures, 1 which refer one back vaguely to the
circumstances. Thus one may overhear: A. Hullo! How’s tricks? B. So
so ; and the boy ? A . Bursting with energy, thanks. The first is
not a question but a breach of silence, 2 and establishes the conversation
on the basis of casual familiarity. It does not seek or receive an
answer, but an opening is made for A’s principal interest (which is known
from the circumstances), and A, when replying with information,
acknowledges the kindly intention of B. It is possible to say quite
intelligibly ‘Old what*s-his-name is just bringing in the thingummy*, if,
at a Burns dinner, Mr. McLeod is seen piping in the haggis. It is even
better to be imprecise, and to say ‘my heart went pit-a-pat’, ‘the tray
came bang, thump, crash down the stairs’, or ‘whiff, it *s gone*,
because, while the circumstances 1 Gesture-languages seem, however, to be
translations of the spoken word or of set phrases as a whole. The Arunta
are said to have a gesture-language of 250 signs. This seems to be
different from the gestures which refer directly to circum- stance.
2 *To a natural man, another man’s silence is not a reassuring factor,
but, on the contrary, something alarming and dangerous. Malinowski,
Magic, Science and Religion, Boston. would explain either these
sentences or explicit statements, these expressions give an impression of
the immediate event, not generalized as one which might occur elsewhere.
This is the basis of the astonishing development of ideophones in Zulu
and other Bantu languages which will be discussed later. When we
‘speak like a book’ we provide explicit contexts as if circumstances did
not exist visibly to complete our meaning, and this procedure,
neces- sary in writing, is recognized as a defect in conversation.
Grammatical and verbal completeness is thus not required of the
sentence, and there is nothing to be, as older grammarians said,
‘understood’. It was difficult under the old regime to say precisely what
word or words were to be ‘understood* since the phrase could be completed
in various ways, but older grammarians, obsessed by literary contexts,
did not sufficiently allow for the completion by environment. R. Lenz 1
gives the following conversation: A. Where are you off to, Peter? B.
Valparaiso. A . At once ? B. No. Tomorrow, by the slow
train. A What for? B. A matter of business. A. Something
important ? B. Yes; the sale of my land. A. Have you a buyer in
sight? B. It seems so. A . Well, congratulations. B.
Thanks. This is what the linguist must accept. He is not at liberty to
rewrite the sentences so that each should have subject, verb, object,
and other principal parts. They are already complete and fully
intelli- gible in the circumstances. They are even intelligible as parts
of a context. Circumstance, and context eliminate uncertainties
which theoretically exist. Thus of eighty-four words in the fourth tone
of i in Chinese, 2 only ‘thought, will, intention* can exist in the
vicinity of ‘understand*. The same sound may mean ‘a mountain in
Shan- tung*, ‘dress*, ‘I* (in speaking to rulers); ‘licentious*, and
‘hiccup’, Lenz, La Oracion y sus partes, Chinese words are quoted
according to the transliteration adopted in MacGillivray’s Mandarin-Romanized
Dictionary of Chinese, Shanghai. It is according to Wade’s system, which
has no special advantage beyond that of a wide diffusion. See also the
pocket dictionaries by Goodrich and Soothill. but none of these are things
one ‘understands*. Actually, by com- bining synonyms (i+-szu l ‘thought,
will, intention’) modern Chinese gives the hearer more time to identify
the meaning, but these compounds are readily dissolved when no ambiguity
is possible. The written language provides ninety-two different signs for
i A so that the precise meaning identifies itself, without dependence
on visible circumstances or even on context. By way of compensation,
the old literary style was sparing of doublets or other helps to
understanding. Within the frame of circumstance each sentence
refers to an event or phenomenon as it appears to, and interests, us at
the moment of speaking. We distinguish activities and states, but
the distinction is partly an illusion. ‘Rome is the Eternal City’ now
and as things appear to us, though founded traditionally in 753
b.c., and still not so long-lived as Babylon. Damascus and Jerusalem
are older and still exist, but do not appear to us to have the
enduring quality conferred by the succession of the Papacy to the
Caesars. I am content now, but the phrase does not prevent my being
dis- contented in half an hour ; you are a Grand Duke or a soldier,
but a revolution may cancel all titles or you may be demobilized
to- morrow. The event is not known to us in all its cosmic significance
; we can only speak of what appears to us (represented by the wavi-
ness of the line in the diagram). Of what appears, we put into words only
what momentarily interests us, as in the celebrated observation: ‘What a lovely
day! Let’s go and kill something.’ We make a mock of the objective
statement ‘Queen Anne ’s dead’ because we are not accustomed to make
affirmations without immediate inter- est ; though historians have
devised for such statements a measure of interest by the postulate that
all historical dicta are, in some way, worth while. Each event is, of
course, unique. ‘Bear kills man’ and ‘Man kills bear’ are totally
dissimilar events. It is thus not sur- prising that many languages should
have word-sentences which express each event by a unique construction,
and all show a phenomenal residue (the verb) after analysis has gone so
far as to provide names for the parties, their qualities, and their modes
of action and being. The verb continues to show formidable com-
plexities in such a language as French, though the noun has become almost
an invariable unit. The Latin verb offered a complex paradigm which was
simplified by analysis in primitive Romance, but the Romance languages
have used these analytical simplifications to build new synthetic
paradigms. It is clear that the result is not due to analytical failure,
but to an appreciation of the need to dis- criminate between
phenomena. For the s^ke of simplicity we are considering the first
com- munication of a series. Ego's primary impression of the event
may be derived from any of the senses, though it is most likely to
be visual. It will be more agglomerative than any expression, and
probably either total or of selected parts modified by all their minor
characteristics. Infants, like Humpty-Dumpty, endeavour to speak in a
total way, packing their whole meaning into some such phrase as din-din.
One can take din-din as equal to ‘I am thirsty’ or ‘Why don’t you give me
a drink?’ or (in the case I have in mind) ‘I want more fizzy lemonade’.
The situation is unanalysed and the whole of it is expressed, so far as
the infant can, in two syllables and their accompanying intonations. On
the other hand, the agglomerative type of structure is common in
primitive tongues. The primary impression is thus intrinsically unlike
tu's secondary impression, which depends on the co-ordination of a linear
series of symbols. The older linguists spoke of ‘inner speech-form’
and ‘outer speech-form’ as if these had a one-to-one correspondence,
and it is still deemed legitimate to speak of the mental image of a
speech-sound and its actual enunciation. Whether the mind works in that
way a linguist is hardly qualified to know, since his task begins with
the audible sentence . The disconformity between global impressions and a
linear series of symbols seems to be what convinces so many that their
thoughts are too rich for words. There is an act of translation involved.
Impressions are collected at some point of the brain, co-ordinated,
transformed into orders to the speech organs, transmitted as a series of
vibrations, collected by the ear-drum, and retranslated into meaning. The
various mental movements have been identified to some extent by
physiologists. Ego displays his impression to tu in the form of a
linear symbolic expression. Any symbol that tu accepts is valid for
communication with tu y and any that he rejects is invalid. Ego may offer
any one of many gizon y homoy anthropos, czlowieky mard y ember, mies,
jen y hito t insdn, adamy orang, muntu, oquichtli, runa or tree y zugatz,
arbor y Baum, dendron, derevo y car and so on. The relation between
sound and thing is entirely artificial, and according to the language so
is x See, however, Gardiner, Speech and Language, ‘An Act of
Speech*. the convention. Even onomatopoeia is conventional. The
imitations serve, not because they are good, but because they are
conventional. [To a Frenchman one offers subject-verb-object, and to a
Turk subject-object-verb ; to a Chinese attribute-substantive is the
same as substantive-attribute to a Siamese or Malay. Increased
stress has the effect in one language that play on tones has in
another. The symbols are just symbols, valid in any agreed convention,
but without conventional agreement, unintelligible.
Expression is a linear succession of sounds, and the sentence is a
complete expression. It is understood, as we have seen, within the frame
of circumstance or context, and we cannot presume that it has any necessary
grammatical form. A sentence need not have a verb ‘expressed or
understood’, though it must have the quality of phenomenality. It need
not be a judgement. Most sentences consist of parts, and this is true
even of polysynthetic word- sentences. The parts are not necessarily
words, for in primitive languages we find embryonic stems which are not
precisely deter- mined for form or meaning, and in synthetic and
agglutinative languages we find affixes which are significant parts of a
sentence. Tu hears the expression and is the arbiter of its
intelligibility. He collects and retranslates the individual syllables as
soon as they begin to be heard, and combines them for meaning. If he
cannot achieve a meaning he asks for further symbols, whether in
the same language or in another. He reacts either by himself
becoming a speaker or by performing some action. But in either reaction
it becomes plain that tu’s impression is not identical with ego’s.
Their minds are somehow differently constituted (symbolized in the
diagram by the size of the circles). Despite all conventional agree-
ment, there is no perfect understanding between ego and tu . What tu
understands, more or less in agreement with ego, are (1) the reference of
symbols to things, which is the ‘logical’ or grammatical sense of the
sentence, (2) an emotional supercharge represented by agreed stylistic
symbols (which may be zero), and (3), since tu is also an artist in
words, something of the event itself. He under- stands this in his own fashion.
He may, for instance, be specially susceptible to the word torpedoed as
having gone through the experi- ence or as being endowed with a vivid
imagination. In this third aspect of meaning, however, though it is not
expressed in symbols, 1 e.g. the sound of a shot is in English bang
or crack, in Spanish pum or pa$ (the latter perhaps more appropriate to
the slither of the bullet as it lands). there is something on which the
artist in words can reckon; a play of mind on mind, through language but
above convention, which is presumably the secret of great poetry and
oratory. There is here an aspect of language which is beyond exact
measurement but can be intuitively felt. The speaker not merely conveys a
logical mean- ing and an emotion to the hearer, but stirs the hearer to a
secondary act of creation. The reactions to great literature are diverse
and some of them stimulate further reactions, so that works as
funda- mental as the Authorized Bible, Hamlet, and the Aeneid
become encrusted with added meanings, and are hard to reduce to
their original intention. Nor is the original intention, say of the
Aeneid, necessarily the highest value of a poem on which the
imagination of a Dante has operated so profoundly. Pier
Augusto Breccia. Keywords: ego tu -- Erstwiile,
Gardiner, ego et tu, la metafisica del dialogo, noi, ovvero, la metafisica
della conversazione, implicatura ermeneutica. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e
Breccia” – The Swimming-Pool Library. Breccia.
Luigi Speranza – GRICE ITALO!;
ossia, Grice e Brescia: la ragione conversazionale e l’implicatura
conversazionale della rarità vichiane –rarita griceiana – scuola di Trani –
filosofia pugliese -- filosofia italiana – Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco
di H. P. Grice, The Swimming-Pool Library (Trani). Filosofo
italiano. Trani, Barletta-Andria-Trani, Puglia. Si laurea con lode presso la
Facoltà di Lettere e Filosofia dell'Università degli Studi di Perugia. Inizia
la sua docenza come professore di Storia dell'Arte presso il Liceo Classico Carlo
Troya di Andria. Consegue la cattedra di Latino presso il Liceo Classico Oriani
di Corato. Consegue la cattedra di Lettere e Storia presso l'Istituto Magistrale
di Terlizzi. Insegna Latino nel Liceo Nuzzi
di Andria. Oottiene il suo primo incarico da preside a seguito del concorso
superato. La prima presidenza è dunque a Trani presso il Liceo Scientifico
Valdemaro Vecchi, intitolato al Vecchi dietro sua proposta. Presiede il Liceo Monticelli
di Brindisi. Presiede il Liceo Nuzzi di Andria. Presiede il Liceo Classico
Carlo Troya di Andria, esteso anche a Liceo Linguistico e Liceo delle Scienze
Sociali durante la sua direzione in seguito alla partecipazione alla Commissione
Brocca. Membro della Società di Storia Patria per la Puglia. Consegue il
Premio della Cultura della Presidenza del Consiglio dei Ministri. Viene
insignito della Medaglia d'Oro del Ministero della Pubblica Istruzione per i
benemeriti della cultura, dell'arte e della ricerca scientifica. Ottiene
l'onorificenza di Cavaliere della Repubblica Italiana. Ottiene il Premio
Pannunzio per la saggistica conferito dal Centro Pannunzio di Torino.
Dopo una lunga e serena vita di studi muore improvvisamente ad Andria. Appresa
la notizia anche il sindaco di Andria Bruno ha espresso il cordoglio personale
e della città alla famiglia. Citando Loris Maria Marchetti su Pannunzio
Magazine: Ispirandosi alla lezione, originalmente aggiornata, di Croce e
di Popper (ai quali ha dedicato importanti studi), elabora un sistema
filosofico in quattro parti (Antropologia, Epistemologia, Cosmologia, Teoria
della Tetrade) dove trovano un punto di incontro storicismo, epistemologia ed
ermeneutica. La sua filosofia investe anche il pensiero politico e
l’àmbito dell’estetica, donde il suo fittissimo esercizio di saggista di
letteratura e arti figurative, interpretate sostanzialmente nel loro risvolto
filosofico-cognitivo. Altre opere: “Il tempo e la libertà”; “Pascal e
l’ermeneutica”; “Croce e il mondo”; “L’oro di Croce, Joyce dopo Joyce, Ipotesi
su Pico, Massa non massa, Radici di libertà, Il vivente originario, Tempo e
idea, I conti con il male, Radici dell’Occidente, Forme della vita e modi della
complessità; saggi su Bassani, Calvino, ecc.
Fedele collaboratore delle iniziative del Centro “Pannunzio”, negli Annali
comparvero suoi saggi su C. L. Ragghianti e su Cervantes in rapporto all’Ariosto
e alla tradizione italiana. Nel pannunziano Magazine pubblica, tra gli altri,
saggi su Accetto, Max Ascoli, Croce, Bosis, Sanctis, Freud, Aldous Huxley,
Jung, Vinci, Mathieu, Moravia, Pasolini, Solgenitsyn,Vico. Alfredo Parente -
L'“opera bella” come impegno morale, “Rivista di studi crociani”, Giovanni
Spadolini - Mazziniani asceti, “La Stampa”, Francesco Compagna - Editoriale, “Nord
e Sud”, Franchini - L'idea di progresso. Teoria e storia, Giannini,Franchini, Trittico
crociano, “Il Tempo”, A. Rosario Assunto, Filosofia del giardino e filosofia
nel giardino. Saggi di teoria e storia dell'estetica, Bulzoni, Roma, Rosario Assunto
- recensione di Brescia, “Non fu sì forte il padre”. Letture e interpreti di Croce,
Salentina, Galatina, in “Rassegna di cultura e vita scolastica”, Vittorio Stella
- recensione di Brescia, “Non fu sì forte il padre”. Letture e interpreti di Croce,
Salentina, Galatina, in “Rivista di studi crociani”, Vittorio Stella - Il
giudizio dell'arte. La critica storico-estetica in Croce e nei crociani,
Quodlibet Studio, Macerata, Boulay - Croce. Trente ans de vie intellectuelle,
Librairie Droz, Ginevra, Nicola Fiorelli - “La Follia di New York”, Sviluppi
filosofici nella più recente “scuola” crociana, Schena, Fasano. Vincenzo
Terenzio, Natura e spirito nel pensiero di B., Adda, Bari, Pietro Addante - La
“fucina del mondo”. Storicismo Epistemologia Ermeneutica, Schena, Fasano, Franco
Bosio -recensioni di I conti con il male, Laterza, Bari, Calvino e Andria,
Andria; Tempo e Idee, Libertates, Milano, Il vivente originario, Libertates,
Milano, in “Rivista Rosminiana”, Bosio - recensione di Le “Guise della
prudenza”. Vita e morte delle nazioni da Vico a noi (Laterza, Bari), “Rivista Rosminiana”,
Dario Antiseri; Croce e l'Anticristo, “Avvenire”, Dario Antiseri, Popper
protagonista del secolo XX, “Biblioteca Austriaca”, Rubbettino, Antiseri - Popper,
Rubbettino, Antiseri, Le ragioni della libertà, Rubbettino,Jannazzo - Il
liberalismo italiano del Novecento. Da Giolitti a Malagodi, “Fondazione Luigi
Einaudi”, Rubbettino, Beniamino Vizzini - Per una discussione intorno al
problema della libertà. Cenni per un colloquio di ermeneutica morale con B.,
Postfazione a Tempo e Idee. 'Sapienza dei secoli' e reinterpretazioni, Libertates,
Milano, Beniamino Vizzini - Vita e dialettica nel pensiero di Giuseppe Brescia
e Pavel Florenskj, “Rivista Rosminiana”, Janovitz - Gli studi su Croce, “Nuova
Antologia”, Janovitz - Quando Croce dialogava con Dio. Religiosità e
cristianesimo di Croce prima e dopo la lettura dell'epistolario con Maria
Curtopassi, “Nuova Antologia”, Janovitz, Il mio Croce. Scritti, Quaderni della “Nuova Antologia”, Firenze, Paolo
Bonetti - Introduzione a Croce, Laterza, Bonetti - recensione di I conti con il
male. Ontologia e gnoseologia del male, Laterza, Bari, in “Nuova Antologia”, Samuele
Govoni – B. celebra il Bassani amante dell'arte, “La Nuova Ferrara” - Cultura, Cosimo
Ceccuti - La Religione della Libertà, “Il Resto del Carlino”, Cultura e
Società, Il caffè. Nico Aurora - Sanctis e l'attualità del 'Discorso di Trani'.
La lezione di B. a distanza, “La Gazzetta del Mezzogiorno”, Vaccara -
Presentazione di Max Ascoli, il filosofo mondiale della libertà, “La Voce di
New York”, Poli - recensione di Le “Guise della prudenza”. Vita e morte delle
nazioni da Vico a noi, Laterza, Bari, in “Risorgimento e Mezzogiorno”, Domenico
Cofano - recensione di B., Giovanni Bovio. La vita e l'opera, Società di Storia
Patria per la Puglia, Andria, etetedizioni, in “Nuova Antologia”, Bovio,
maestro del pensiero, “La Gazzetta del Mezzogiorno”. È scomparso improvvisamente
il preside Brescia "andriaviva.it", Quirinale.it Quirinale.it – Onorificenze, Loris Maria
Marchetti, B., di Loris Maria Marchetti, su Pannunzio Magazine. Nuovo
lavoro editoriale del prof. Giuseppe B. – Società di Storia Patria per la
Puglia, chiamato “Le ‘guise della prudenza’ Vita e morte delle nazioni da Vico
a noi”. Per le edizioniLaterza del libro riportato, la premessa intitolata
“Come fermar il declino delle Nazioni”, Nella “Pratica di questa Scienza Nuova”
Vico, nostro europeo Altvater (come riconobbe Wolfgang Goethe), assegna alla
propria opera un valore “diagnostìco”, dal momento che permette di riconoscere
a quale stadio del suo corso si trovi una nazione, sia in rapporto alla sua
“acmè” sia nella prospettiva dello stadio successivo di dissoluzione del
proprio stato. È a questo punto che “bisogna lottare per restaurare il senso
comune perduto” e riavviare – così- il “ricorso”.Su questa linea si muove la
presente raccolta unitaria, ricomponendo i saggi “Le ‘guise della prudenza’
Vita e morte delle nazioni da Vico a noi”, che dà anche ìl titolo all’intiero
volume, apparso in “Filosofia e nuovi sentieri”; “Pico e Vico” (dalla “Rivista
Rosminiana”); con i percorsi “Teoria dei colori Alchimia Apocalisse in Newton”,
“Le origini dell’Islam la vita di Carafa”, e l’11 Settembre”, “Famiglia vita e
imprese di Carafa”, “La razzia dell’universo”, “Revisioni e conferme delle
‘tesi’ di Henri Pirenne” e “L’orrore delle razzie s’irradia nel mito”,
incentrati sul problema del male nella storia e il rapporto con il
fondamentalismo (preannunciati nelle rubriche “Ternpo e Libertà” di
“traninews-infonews”, e “Noi Credevamo” di Videoandria. Tale complessa
ricerca si inserisce nell’ultima fase del mio pensiero, caratterizzata dai
lavori ermeneutici Il vivente originario e Tempo e Idee. ‘Sapienza dei secoli e
reinterpretazioni’ (Libertates Libri, Milano entrambi con prefazione di Bosio);
I conti con il male. Ontologia e gnoseologia del male Laterza, Bari) e Italo
Calvino e Andria. Variazioni sul senso del celeste (Matarrese, Andria),
arricchiti spesso di Iconografia e mappe concettuali. L’ultimo attuale saggio
“Rarità vichiane a Trani” riprende i lineamenti della duplice “Lectio
Magistralis”, tenuta nella Biblioteca “Giovanni Bovio” di Trani, per onorare i
duecento anni dalla nascita di Francesco De Sanctis, nella ricorrenza
dell’elevato “Discorso di Trani”, non ché il capitolo La Nuova Scienza,
dedicato soprattutto a Vico dal critico e maestro d’Italia civile nella sua
Storia della letteratura, per conto della Sezione andriese della Società di
Storia Patria per la Puglia. Siamo (come ognun vede), “alle origini della
modemità e a “tenuta della civiltà” umanistica, di cui l’idealismo storicistico
rappresenta la nobile (quanto sofferta) fioritura”. Il lavoro di B. è
incentrato sul tragico nella storia (incidente ferroviario di
Andria;fondamentalismo; 11 settembre e biografia di Carafa, dettata da Vico;
Vico e De Sanctis a Trani. Giuseppe Brescia. Keywords: rarità vichiane, Croce,
implicatura, Croce inedito. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Brescia” – The
Swimming-Pool Library. Brescia.
Luigi
Speranza – GRICE ITALO!; ossia, Grice e Bressani: la ragione conversazionale e
l’implicatura conversazionale del vo significando – Vendler: have you stopped
meaning it yet? -- intorno alla lingua toscana – filosofia toscana – scuola di
Treviso – filosofia veneta -- filosofia italiana – Luigi Speranza, pel Gruppo
di Gioco di H. P. Grice, The Swimming-Pool Library (Treviso). Filosofo veneto. Filosofo italiano. Treviso, Veneto. Grice: “Strawson,
being boring, likes Bressani’s arguments – alla Plato and Aristotle, but mainly
Aristotle – againsts what Galileo has the cheek to call ‘filosofare’! – But I
prefer Bressani’s poems, the buccoliche, and especially his lovely treaise
‘discorso in torno alla lingua,’ his little ethical treatise is charming
especially if you are into what some (not I, certainly) call ‘developmental
conversational pragmatics’!” B.
Discorsi sopra le obbiezioni fatte dal Galileo alla dottrina di Aristotile – B.
Si laurea a Padova interessandosi a letteratura e filosofia. Fu aiutato da
Francesco Algarotti, cui aveva inviato delle proprie opere. Sostenne uno scolasticismo classico in
opposizione alla scienza moderna di Galileo e Newton. Altri saggi: B., Modo del
filosofare introdotto dal Galilei, ragguagliato al saggio di Platone e di
Aristotile, In Padova, nella Stamperia del Seminario, a B., Discorsi sopra le
obbiezioni fatte dal Galileo alla dottrina di Aristotile, In Padova, Angelo
Comino, B., in Dizionario biografico degli italiani, Roma, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana. Filosofia Filosofo Professore Treviso. DISCORSO
INTORNO ALLA LINGUA ITALIANA. B. RECITATO NELLA SALA VERDE DI PADOVA IN UN
ACCADEMICO ESERCIZIO Omparisce per la prima volta a lustrare la nostra miscellanea
B., soggetto di chiaro nome, e di ornamento e splendere alla fra Patria, col
presente ragionamento sopra la lingua italiana, recitato da lui ultimamente più
a cagion di esercizio che per altro fine in una radunanza di filosofi a Padova da
i quali avendosi per noi saputo l’approvazione che ha, speriamo far cosa grata
all'autore, e insieme d'alcun noftro merito, col pubblicarlo -- tanto più, che
potrà egli servir d’ajuto e di lume a quelli che molti sono i quali banno bisogno
di faggia scorta nello ſteam dio, che affettano dell’italiana FAVELLA. B.
Dottor e Accademico Ricovrato; Da eso recitato in un’accademia di esercizio
nella Sala Verde di Padova. A Chiemque fa, eruditi e dotti accademici, quanto
malagevol sia il rintracciare le cause effettrici dell’umane cognizioni, non
parrà cosa strana il sentimento di PLATONE ch’el le fieno provenienti tutte
dalla reminiscenza. Nè io credo che attribuire si possa ad altro, fuorchè alla
reminiscenza il sentire e l’accorgersi del di B.. e 3 dello spirito e del vero
pregio delle belle arti. Imperocchè tale vi ha che nè per tutta l'attenzion sua,
ne per opera degli altri non arriva giammai ad intenderlo. E laſciando di far
parola di quegli, che niun dilet ro pigliano, o nella Archittetura, o nella
Muſica, che ſono moltiſſimi rivolgo la conſiderazion mia a colo ro, che pur
amano d'eſser tenuti di ottimo guſto nella noſtra Lingua nulla fi accorgono, nè
ſono per ven tura atti ad accorgerſi, in che ne con fiſta principalmente la
venuſtà e la grazia. Avvegnacchè adunque ciaſcu na Lingua ſenta molto più
dell'ideas le, che non ſente l'Architettura la Muſica, e fia a lato di quelle
in termini incomparabilmente più ange fti riſtretta; non è per tanto che ella
non abbia le ſue verità in riſpetto a que' pochi, a cui è dato d'intendere non
ſolamente il ſignificato delle vo ci; ma la relazione tra loro meglio
convenevole. Ora come io, ſenza più, approvo iVocabolarj, gli avver timenti di
Gramatica e le Oſsers vazioni, che intorno a queſta Lingua XS o § fo 490
Diſcorſo della Lingua Italiana fonofi facte dalla diligenza d'Uomini valenci;
poco avrò che accennare de' fuoi materiali, ed il mio ragionamen. to ſarà
fpezialmente della forma quanto a me, la migliore, che rice ver ella debba
dalla fantaſía, e dal giudizio degli Scrittori. Ogni Archi tetto adopra i
materiale medeſimi, ed oſserva gli ordini medeſimi della Architettura; e le
loro opere ſono tra di sè varie nella proporzione, e nella leggiadria. Ogni
Compofitore di Muſica adopra le medefime note: 0. gni Scrittore di qualſifia
Lingua ado pra le medeſime parole, e ſegue le regole, che riſpettivamente
ſonogli preſcritte dalla ſua arte. Tuttavia i bei riſultati, che di eſse
procedono, fono, ed eſser debbono tra di sè di. verſi. Ma quanto agevol penſo
che mi farebbe il ridire le regole máte riali, che vi ha, per favellar bene;
tanto io temo di non faper altro che ofcuramente ragionare della varietà, e
perfezione di detti riſultati; ficco me quelli, che appartengono anzi al
giudicio de' noftri fenfi, che della no ftra ragione. Pur nondimeno per le í PO
Del Sig. Gregorio Breſami. 491 poche coſe in genere, che io ſono per accennare,
ſpero che il mio ra gionamento fia di qualche utilità a coloro che non fono
eſtremamente otcufi nel capire la vaghezza della noftra favella; ed a Voi,
Signori Accademici forſe non diſcaro ad udire. ! A noſtra Lingua, ſecondo l'opi
nion mia, da altri chiamaſi Ita liana perchè di tutta Italia' fi fon preſi i
vocaboli, donde è compoſta: da alcuni chiamaGi Volgare, forſe per chè uſata, ed
inteſa volgarmente:E da cercuni chiamaſi Toscana, o perchè il più de' vocaboli
fi fon preſi appun to di Toſcana, o perchè agli Toſca ni, come a padri di detta
lingua, e come a Tutori d'orecchio, e di giu, dicio finiffimo, meritamente è
conce. duto il diritto di giudicar della puri tà, e della barbarie di ciaſcun
voca bolo. E nel vero ad evitare la con fufione, che ne addiverrebbe, ſe cia.
ſcuno a ſuo talento uſaſse di nuove voci; egli è del pari laudevole che
neceſsario, che v'abbia il ſuo Tribunale inappellabile, che altri vocaboli
diſapprova come anticaglie, altri non ammette come barbari, ed altri ritie. ne,
o adotta come neceſsarj, o leg giadri. Il che dà a divedere, che la noſtra
Lingua è un corpo vivo ſog. getto ad alterazione, in quella guila che ſono gli
altri tutti, o naturali o politici. E perchè qualſivoglia cor ро dalla ſteſsa
ſua naturale alterazio ne è minacciato di rovina; faggiamen te fanno i Signori
Accademici della Cruſca, che non adottano per Mae ftro di Lingua ogni
triſtanzuol di Gra matico, che non tiene veruno ſtile e che in luogo di
vocaboli ufitati, e di proprj, ne adopra ſpeſso di affet tati, e di rancidi, di
groſsolani, o di ſtranieri. Benst a gran ragione a dottarono, e quando che ſia,
ſon cere to che adotteranno i vocaboli di que? grand’ Uomini, che per la loro
viva, ed ordinata fantafia, o inventarono, o crebbero alcune belle arti, o
alcu« ne- ſcienze; e fu di neceſſità il trovar nuove voci ad eſprimere i loro
nuovi concetti. Per altro qual biſogno, o qual capriccio egli è mai di ufar vo
cmano un diſcorſo (Nè io giày caboli zotici, e duri d'altre provin cie d'Italia,
o di accattarne degli ſtra nieri; quando ne abbiamo in tanta copia di cosi
proprj, e di così gentili? Ma come egli ſta nel volere di Chiun que l'apparare
i materiali della noſtra Lingua; non così puote ciaſcuno, o ſa farne
quell'accozzamento, onde ri fulti un diſcorſo naturale, ed inſie me leggiadro:
Nelle ricerche più aftrufe di qualche verità di Filica non v'ha paragone tra 'l
faper indo vinare quale non fia la cauſa d'un Fea nomeno e l'indovinare quale
ella fia. All'iſteſso modo confiderando io ciò, che ſi voglia per iſcriver bene
ed elegantemente, ben potrei io an noverare millantà difetti, che disfora
lafcero indietro di moſtrare alimeno le fonti principali, donde derivano ): ma
non così di leggieri potrei additare qual fia la grazia, e l'armonia, che lo
ren de vago, e lodevole. Pare io conſi dero, che benehe:la noſtra Lingua; come
io difli innanzi, quaſi altro non fia, che un Mondo ideale; non oſtan te i
caratteri del fuo bello, poſsono ef 494 Diſcorſo della Lingua Italian essere in
qualche parte paragonabili con quegli, che riſpettivamente fi rav. vifano nel
noſtro Mondo materiale. E certamente in quella guiſa, che a ciaſcuna parte del
noſtro Cielo riſpon. de la produzione di coſe differentiffie me; forſe per
ragioni ſomiglianti-, à ciaſcun paeſe riſponde un linguaggio tutto proprio, e
differente dagli altri. E non fa forza, che nella noſtra me. defima Italia
chiamaſseſi un tempo panis ciò, che noi al preſente chia miamo pane; poichè non
è ſolamente la varia deſinenza di ſuono, che die ftingua l'una Lingua
dall'altra; ben il modo, con che ſeguendo non ſo quale neceſſità,
fi.concepiſcono le coſe, e fi eſprimono. Onde non è maravi glia, che non ogni
Clima produca in gegni atti ad ogni genere di compo, nimenti. In fatti ſiccome
non è il metro, che diſtingua la poeſia dalla prola; ma il modo diconcepire
diver. ſo; cosi io porto opinione, che alme no in gran parte l'indole, e'l
genio della lingua Latina tuttavia fuffifta nel la noſtra Volgaré. La qual coſa
ſem. bra, che abbiale voluto confermare il divino ALIGHERI (si veda), laddove,
fingendo egli di parlare con Virgilio, diſse: Tu fe il mio Maeſtro, e il mio Au
tore, Tuſe folo Colui, da cui io tol. Lo bello Stile che mi ha fatto De nore.
Vero è che l'Armonia dello Stile, la qual naſce ſpezialmente dallo traſpo
nimento delle voci, e chiamaſi coſtru zione, a chi paragona lo ſcriver ret
torico di Cicerone, o 'l robufto di Li vio col noſtro parlar familiare non può
a meno di non parere di gran tratto diverfa: ma ella non parrà già tanto,
paragonando un componimen. to de' Latini con un noftro ſopra un fimile ſoggetto,
e d'una ſpezie mede fima. In fine molto meno ne parreb be diverſa, ove à noi
foffe dato di faa per pronunziare le parole de Latini come facevan elli, cioè
con quegli ac. centi, è con quelle delipenze, che per comune opinione noi
abbiamo -fiera mente alterati, o perduti. Ma nos così interviene, ove noi la
predetta armonia paragoniamo con quella di qualche Lingua ſtraniera; o ci diamo
a credere di poter rimeſcolarne i vo caboli, e forme di dire; che effendo d'un
genio differentiffimo; ficcome non ſi appiccano giammai gli inneſti di quelle
piante, che ſono tra di sè diverſe; così ciaſcuna Lingua mal com pofta tutto
ciò, che fenie d'un Clima diverſo. Io dico adunque, che la no ftra Lingua in
ciaſcuna ſua parte dee ſentire, per dir così, della ſua ſpezie, e della ſua
Nazione. Il che riſponde a quel carattere di bellezza, che nel le coſe create e
corporee chiamaſi u. nità; unità però tale, che da eſſa pro viene, ő piuttoſto
in eſſa ſtà racchiu. ſo un altro carattere, che è la varie ttà; la quale come
rendesi manifesta negl’animali, e nelle piante d'un'in fteila ſpezie, e d'un
iſteffo Clima; così ella dee apparire nello ſtile di cia Icuno Scrittore d'
un'iſteſſa Lingua. Il qual mio ſentimento moſtra in ſem. bianti d'effer il
medeſimo, che quello del celebre Baccone di Verulamio lade dove tocca della
bellezza dello ftile $ 1 dicendo dover'egli eſſere, rivis didu um fuis, imitans
neminem, nemini imitabile. Talchè dovendofi pur togliere d'altrui i vocaboli,
ed i modi di di re; conviene anche in ciò imitar la natura, che non genera cosa,
se non colla corruzione d'un'altra: Voglio significare, che quanto noi togliamo
d'altrui per formare un discorso, dee talmente tritarsi nel noſtro cervello
innanzi ché noi lo vestiamo di nuova forma, che al suo apparire niuno ha da
accorgerſi donde noi l'abbiamo tolto. Ed intorno a ciò comunemente non si dà
nel segno; perchè altri per travolco giudicio indi ſcoſtaſi, quanto più si
affatica di raggiugnerlo. Altri per infingardaggine li riposa nel limi tare del
buon sentiero, senza voler cercare più avanti. E finalmente altri è di sentimento
ottuso e d'intelligenza assai corta a capire la bellezza, e la fecondità, per
dir costi, di quel vero, che egli imprende ad imitare, Se ne fcoſtano i primi,
a' quali per ciocchè troppo ftà a cuore di render fi ſingolari dagli altri e
col penſare e coll'eſprimerſi; mentre ſtudiano di celu ceffare il vizio della
trivialità, offendono nel vizio della affettazione, in comparabilmente più
rincreſcevole. La qual’affettazione consiste in certe parole squarciate, e
lmanioſe, ed in certi accozzamenti di quelle, che volgarmente si chiamano belle
fraſi Iono forme di dire, che fanno notabile diſugguaglianza col restante del
discorſo e pe’quali (che che fi creda no gli ſciocchi) riſulta un tutto of
tremodo ftentato, e deforme. Esempio di ciò noi abbiamo in coloro, che avendo
appreso di molti vocaboli ale la rinfufa e varj modi di favellare da parecchi dicitori,
e tutti pulitif fimi; per la vanità di moſtrarlene do viziofi, in qualunque
racconto ne in trudono quanti mai poſsono il più, e mallimamente gli da loro stimati
me no comuni; tra quali ne intrudono anche di quegli, che non ſolo male fi
convengono colla ſemplicità della Natura; ma talora non ſi convengono colla
Verità del loro ſteſso ſentimento: e meritamente ripiglia coſtoro il noftro
Sovrano Poeta, dicendo: E quale che a gradin’oltre fo metu te? LC Non vede pide
dall uno all'altre filo. e 3 Per tanto niun’altra venufta, niun' altra grazia
ricever puote un discorso dagli vocaboli o forme di dire, fe non quella, che
deriva dal collocare ciascuno al luogo fuo; talmente che appaja eſser i
vocaboli piuttoſto, che abbiano cercato d'elser uſati dove fono; che d'eſser
eglino stati cercari ftudiofamente DAGLI FILOSOFI E perchè tanto altri
allontanafi dal vero coll' aggiungervi ciò, che non gli ſi con viene; quanto
altri coll'ommettere di collocarvi ciò, che gli fi conviene; ne ſeguita che un
diſcorſo rieſce diffetiofo sì ad uſare in eſso vocaboli di fover. chio, e fuori
di propofito, che a ri petere alcuni vocaboli, in vece d'ale tri varj, che fi
vorrebbono, ad eſpri mere propriamente i propri concerti dell'animo, ed a
fervare in un ragio namento quella varietà, che richiede fi a formarlo giuſta
l'eſemplare ſoprac. cennato de' corpi Fiſici. Ma che? Se gli Uomini per una
parte fon moſli da certo naturale deſiderio, o da qual ſivoglia altro ſtimolo
di giugnere nel la loro arte alla perfezione poſſibile i ſono all'incontro (laſciando
ſtare gli altri impedimenti, che ſpeſso ſi attra verſano al lor diſegno )
comunemente refpinti dalla fatica, che loro convien durare, prima che ad eſli
venga fatto di apprendere ad eſercitare qualſifia arte con lode. Ne vi ha
alcuna arte per limitata, o facile che ſia ſopra le altre, che pigliandoſi a
gabbo non rieſca imperfetta. Per la qual coſa, l'arte dello ſcriver bene si
nella no ftra, che in ciafcuna altra Lingua, richiede anch'eſsa di molta fatica,
ed induſtria. E vanno fortemente errati la maggior parte de' noftri Scrittori
che da che ſentonſi forniti di alquan ei vocaboli, e modi, onde groſsamer te
eſprimerſi; ed effi eſtimano di la per iſcrivere quanto baſta laudevol mente. E
come fi ſcontrano in uno ſtile un poco colto, che in un certo modo dovrebbe
eſser di rimprovero al loro difetto; dicono coſto che gli è uno ſtile che ſente
dell'affettato ', © dell'antico, „ dandogli a torto biaſmo, e mala voce. E così,
diſprezzando efli animoſamente ciò che per loro poltroneria non hanno appreſo.
Ferman fua opinione Prima che arte, o ragion per lor ſi ſcopra. Che ſe pur vero
foſse, che uſar non non ſi poteſsero altri vocaboli, o mo di di dire, ſe non
gli uſati da coſto. ro; il groſso Vocabolario della noſtra Lingua ridurrebbefi
ad un libriccivolo di quattro carce;. e laddove la noſtra Lingua ora vanta di
eſsere la ricchilli ma di voci, e di maniere leggiadre diverrebbe la più povera
e ſmozzicata di tutte. Oltrechè in proceſso di tem po gli ottimi Scrittori, c
Padri di no Itra Lingua ne diverrebbono molto oſcuri, e direi per poco in
intelligi gibili ". Vuolli per tanto aver pieria conoſcenza sì de'
vocaboli, che delle forme di dire; acciocchè il noſtro iti le abbia la predetta
varietà, e con ef ſo la ſua unità, per cui egli mantien. fi ſempre fomigliante
a ſe ſteſſo, e per cui ſembra quaſi uſcito di una fo la trafila. E le parole
groſsolane ri meſcolate colle gentili, e le parole adoperate fuor di luogo, o
con fazie vole repetizione, o le parole che non ſono più in uſo; lono come
altrettan te ſcabroſità, che gli impediſcono l' uſcirne. Per notabile che ſia
la varie. tà, o differenza tra gli Uomini nelle parti, che fuori appajono del
corpo, non è mai li grande, quanto ella è nel la capacità, ed aggiuftatezza del
loro ſpirito. Per la qual cola io avviſo di non poter paragonare gli umani inge
gni, che a coſe dello ſteſso genere bensi, ma di ſpezie diverſa. E fiami lecito
il paragonargli a varie piante, alcune delle quali reſtano picciole, perocchè
la ſtruttura primordiale de' loro ftami non comporta che fieno più oltre
ſviluppate, ed eſteſe (e GALILEI (si veda) dimostra, che così gl’animali, come
le piante, ſe foſsero d'altra grandezza, che non ſono vorrebbefi che la
ſimmetria delle lor parti foſse del cutto diverſa ) ed al cune altre non ſi
eſtendono, come eſtender ſi potrebbono per difetto dell' opportuno alimento.
Varia è la eſten, fione, e'l comprendimento de' noſtri ingegni, e varia è la
forte, che gli forniice di ajuti, e di occaſioni fa. vorevoli, onde poſsano
coltivarli. Egli è certo perciò, che quale s'im barazza nel voler' ordire un
ragiona mento, dirò così, di più fila ſopra la comprenſione, o coltura del fuo
in gegno, ovvero contro all'inclinazion lua particolare; il detto ragionamen to
fiaccherà da se medefimo, diffol. vendoli quaſi in brani; ed anche i vocaboli
ftelli, con che vorrà eſpri merlo non avranno nè unità, nè grazia. Nè fi
de'credere che l'Architetto, il quale fia buono da fabbrica. re una camera, fia
fempre buono da faper fabbricare un palagio: Nè che un Compositore d'una breve,
e femplice ſuonata fia fempre buono da con porre una Sinfonia aſſai lunga con
tutte le parti, che in eſſa ſi vou gliono a formare un'armonia perfec ta: Ne in
fine che un Uomo di leto dere, al quale venga fatto di ſaper unire inſieme una
decina di verli > fia per sé, ſia per
queſto buono da fare un Inne go poema; come ſe il palagio, la Sinfonia, ed il
poema altro non foſ. ſero, che un aggregato di più unità minori: Che nè la
Camera, nè la breve Suonata, nè la decina di verfi conſiderate riſpettivamente
nel pala gio, nella Sinfonia, nel poema, non lono già unità, ma parti. E però
non folo deono effer belle ma deono eſſerlo, anche per riſpetto a tutte le
altre parti, che ſono con efle integrali di tutta la fabbrica. Io non niego di
molte opericciuole ef ſere altrettante unità nel loro gene re, come ſono le
grandi; ma molto maggior forza, ed eſtenſione dinge. gno richiedeſi nel
comprendere un Poema (purchè le colę.; che in eſſo fon contenute; nonoſtante
che d'un racconto ſi trayalichi in altro; fien tutte come parti integrali d'una
azion ſola ) nel comprender, difli, un poe ma, che un Sonetto, una lunga Ora
zione, che una picciola riſtoria, ed al fro breve ragionamento: Ed il Boca
caccio medesimo fempre' doviziofiffi. mo che egli è di bei modi di dire,
pure sos che egli pure ſecondo la varia
facilità, e feli cità, con cui egli concepiva le coſe; vario è il diletto, che
egli ne reca ad eſprimerle. Nel breve racconto di qualche Novella non ha pari a
dipi gnerla con vivi colori, e con genti li, con mirabile naturalezza ė lega
giadria; mentre e pare a me, lia anzi increlcevole che nò nel lun. go racconto
del ſuo Filocopo, e della lua Fiammetta, ed altrove. In ſom. ma colui, che
imprende a far coſa ſopra la forza, e diſpoſizion nacura le del ſuo ſpirito,
non potrà giam mai ben riuſcirne. Certa coſa è che un'attenzione indefeffa a
leggere, e conſiderare parte per parte i gran maestri della noſtra Lingua; ed
un ben lungo uſo di ſcrivere, raffinano aſſai il noſtro giudicio, e perfeziona
no il noſtro ſenſo, ma egli è certo ancora, che il viburno con tutto l'
artificio, e la ſollecitudine degli Agri coltori, non giugnerà mai all' altezza
de i Cipreſli, nè il pioppo farà mai fructo: cioè quale non avrà chiara ap
prenſiva, ed eſteſa a veder per sè ſteſ lo ciò, che ſia d'uopo a formare quella
maniera di componimento, ch'ei fi prefigge nell'animo, dalle coſe più materiali
in fuori; nè dalla copia ottimi libri, nè dalla viva voce de'pe riti Maeſtri,
non potrà mai che poco, ed oſcuramente appararlo. E per que fto appunto che gli
Autori cladici del. la noſtra lingua non tenean biſogno di badare neli
eſprimerſi ad altro, che a' proprj fentimenti dell'animo, a chi guarda
ſottilmente, ſono impareggia bili con coloro che eſſendo ordina. riamente
poveriſfimi d'ingegno, ſpen. dono tutto il loro tempo nell'imitar, gli. Ma
comechè gli Uomini ſpeſſo fi Jamentino quando della lor povertà, quando della
poca robuſtezza, o d'al. tro difetto del corpo, quando della loro mala volontà,
o educazione; afſai di rado, o non mai fi dolgono di non effer forniti
d'ingegno, e di giu. dizio atto a qualſifia impreſa, non che a faper iſcrivere,
e favellare, come ſi conviene. Anzi non v'ha coſa più na. turale, e comune,
ficcome è il vede. re gli inertiſſimi del Mondo a preſu mer molto di sè, e
creder di far gran cole coſe; quando col loro poco ſenno non fanno altro, che
infucidare, e guaſta re i penſieri, e le maniere di dire che trovano ſparſe qua
e là nell'altrui opere. Ecco per tutto ciò che appreſ ſo alla cognizione, che
Uom dee ave re de'vocaboli, e d'altro; è da vede. re qual grandezza, e qualità
di com ponimento ſia da eſſo, e qual fia la forza del ſuo ſpirito a concepire
chia ramente più coſe, e'l modo, onde più facilmente, e felicemente le concepi.
fce; perchè altri farà eccellente nella poeſia, che non ſarà appena di mez zano
valore nella prota: ſenzachè al tri ſarà grazioſo in un genere di poe fia, che
in un altro genere non ſarà gran coſa piacevole: Altri farà com. mendabile in
un genere di profe; non così in un altro. Ma qualunque ſia il genere de componimenti,
qualunque ne fia la fpezie, qualunque in fine ſia la abilità del noſtro fpirito
a formare più queſto componimento, che quel.; ſi ha ad ogni ora in ciaſcuna
coſa, grande, o picciola che ella fiafi, da aſcoltar la Natura; che forſe ſotto
no. Y 2 me di Amoreaccennar volle in quei verfi il noſtro non mai baftevolmente
lodato Poeta:. Io mi ſon un, che, quan do Amore ſpira, noto; e a quel mo do
Ch'ei detta dentro., vo fignificando. Ma queſto ſi vuol fare con tal artificio;
che meglio pud eſſer inteſo da molti, che eſpreſſo da pochiſſimi. Ed io per
certo non ſaprei comemeglio a parole eſprimerlo. Ben ſo eſſere i più minuti, ed
eſatti raffinamenti, che fanno quel bello, quel raro in ogni coſa, per cui ella
ſale in gran pregio, ed in eſſo dura coſtantemente appo ogni Etade futura. Ma
la maggior par te degli Uomini, che pur ſi chiamano di profondo ſapere, non
badano a dete ti raffinamenti, perchè amano meglio, come dicon efi, di
raccozzare eſprimere rozzamente molte coſe, che poche con leggiadria. Di quegli
poi, che ſi conoſcono, e ſi dilettano de'leg gra. 7 e di giadri componimenti,
altri'l fanno per averlo ſolamente udito, ed appreſo da' Maeſtri; ed altri 'l
fanno maſſimamen te per propria meditazione, e quaſi per intimo ſenſo. De'primi
molti po. trai udire a giudicare rettamente dell' altrui Opere, ed a ragionare
a mara viglia de' precetti dell'arte; non così però ad eſeguirgli nelle loro.
Oltrechè effendo ne'più perfetti Esemplari di Lingua quella stessa gradazione
di ferie, che ravviſaſi in ciaſcuna ſpezie de' corpi Filici; coſicchè l'ultimo
Icric tore tra gli ottimi venga ad eſsere il primo tra gli altri inferiori;
rare volte avviene, che altri fuorchè i ſecondi, cioè, gli aventi il ſenſo ac
comodato a conoſcere il vero ſpirito d'uno ſtile, che naſce di una bella
fantaſia, correcta bensì, ma non pun to alterata dall'umano artificio; che
ſappiano diſtinguere tra i buoni gli ottimi, e co'migliori gareggiar di lo de
ne' loro componimenti. Benche il Mondo tutto de' Letterati non ab. bonda, che
di ingegni mediocri, o di coltivati mediocremente; come ſi abbattono a qualche
manie. i quali Ý 3. ra di file, o ſtrabocchevolmente fan taſtico, od in
qualunque altro modo corrotto, e fallo; fannol conoſcere ed isfuggire; per
altro facendo un fae fcio, come ſi dice, di tutti gli altri; hanno la ſtima
medeſima di Autori di merito differentiſlimi. E non ef fendo forſe uſi di
meditare ſopra ver runa coſa, per rinvenire da sè la verità; la credenza
dell'uno di coſto ro è ſoſtegno, e ragione baſtante al la credenza dell'altro.
In quanto poi a coloro che con qualche nuovo mo do di ſcrivere, tuttochè privo
della venuftà, e della finezza da me ac cennata, deſtano in altrui ammira zione,
e dilecto ye da i più fonte nuti per valentiffimi Scrittori; non è gran fatto
da ſtupirſene, che il giu dizio della gente groffa, cioè de i più, in
ſomiglianti cole è fallaciffimo. E inveſtigando io la ragione, onde in tervenga,
che una ſtampita rechi al la moltitudine forſe diletto maggio re, che non reca
un'armonia aggiu. ſtata; che un vafto, e bianco pala gio, che piuttoſto
dovrebbe dirſi un gran mucchio di pietre, fia ftimato e di B.. Sil ed ammirato
più, che una picciola caſa fabbricata cơn ottima architet tura; e che
finalmente uno ſtile, ed altra coſa fregolarà piaccia per av ventura più, che
non piacciono le coſe fatte riſpettivamente ſecondo le buone regole dell'arte;
avviſai, che ella non poſſa eſſer alcra, ſe non ſe queſt'una: che concioſiecchè
ricevono gli idioti dentro di sè un'idea di cofa, che non ha nè ordine, nè
proporzione, può ſembrar loro aggiuftara, e gen tile; perciocchè la confiderano
in se ſteſſa ſenza paragonarla colle idee che efli hanno delle coſe veramente
efiftenti; e ſenza paragonarla con que' caratteri di bellezza, che badanie do
ſottilmente, fi ravviſano nelle co ſe tutte, quali elle ſono create e diſpoſte
dall' Artefice fapientiſſimo: i quali caratteri vie più rendonſima nifeſti, e
mirabili, quanto maggiore fi è l'attenzione, e l'intelligenza di chi gli
conſidera. Quindi noi vedrem mo più maniere di ſtile ampolloſo, o d'altra guiſa
falſo aver tenuto per infino a tanto che fonofi dati gli - Uomini a fare il
ſopraccennato pa ragone; che è quanto dire a diſtin. guere l'ideale, che ha
infiniti fimili fuori di se, dal chimerico, che fol tanto dimora nel noſtro
ſregolato giudizio: ed all'incontro lo ſtile che è il vero (vero io intendo di
quella verità, che riſulta dalla con venienza tra l'eſpreſſion noſtra, e la
eſpreſſione la più acconcia, che ima giniamo effer poflibile in chi favel la,
ſecondochè gli detta la Natura ) può eſſere per alcun tempo in poco pregio,
appreſſo coloro, che non fanno altro, che correr dietro a ciò, she ha faccia di
novità, ſenza cere care più oltre. Ma certissima cosa è che opinionum commenta,
come dice CICERONE (si veda), delet dies; nature juedicia confirmat. Ed io da
capo francamente attribuiſcoverità anche al modo di ſcrivere che pazzo è per
opinion mia, qual fi crede, che non abbiavi altrove verità nelle belle arti;
ſalvo che ne' teoremi della Geometria, ovvero ne' calcoli dell'Aritmetica:
quaſichè innumerabili non foſſero i fenomeni in Natura (e tuca ti ſenza dubbio
ſono nel loro gene i re aggiuſtatiſſimi ) a' quali non ſi ponno addattare ne'
calcoli, nè figu re geometriche. Ma effendone noi certi altronde dell'armonia e
della verità delle coſe farce dall'arte, gliam noi dire perciò, che fien men
belle, o men vere di quelle, di cui noi conoſciamo in parte, e geome.
tricamente dimoſtriamo l' artificio? Il perchè io dico eſſerci verità in una
Cantica d’ALIGHIERI (si veda), eſpreſſa co me ha fatto egli; che ella non ci
farebbe altrimenti, ſe l'argomento ſteſso foſse eſpreſso dall' Uomo più
ſcienziato del Mondo, ma ignudo di vocaboli gentili, e di maniere di dire
leggiadre: Che altra verità contiene in sè una ſteſsa immagine delineata con
perfecta ſimmetria, con atteggia mento naturale, con ombreggiamenti, e colori
convenienti; ed altra, ſe det ta immagine tanto quanto ſi diſcoſta
dall'eſemplare di Natura; benchè noi per quella eſsa la ravvilaflimo egual
mente. Ora che altro è il noſtro Icria vere, e'l noſtro favellare, ſe non che
un dipignere le noſtre idee ſopra la immaginativa di chi ci ſtanno ad udire;
onde non dobbiam noi eſser con tenti ſol tanto, che una idea da noi groſsamente,
non ſo ſe io mi debba die re piuttoſto abbozzata, che eſpreſsa, non venga tolta
in iſcambio con un'al tra; ma dobbiamo innoltre porre ogni ftudio per eccitare
in altrui quel vivo ſentimento di quallfia coſa, che ab biam noi medeſimi,
allorchè vivamen te, e chiaramente l'abbiamo apprela. Che avvegnachè l'arte
dello ſcrivere confifta tutta in un aggregato di ſegni, o di modi, ſcelti, ſe
vuoi, ad arbi trio degli Uomini, io tengo non per tanto eſser detti ſegni quaſi
una coſa ſteſsa con ciò, che per eſſi ne viene rape preſentato; o almeno dover
eſser tali, Sì che dalfatto il dir non ſia diverſo Lungo ſarebbe il diſcender
ora á ra. gionar de' particolari, che recano, o tolgono la leggiadria, e la
verità a va rie maniere di componimenti. Ma ancorachè io nol faccia, il poco,
che io ne accennai in comune, ſpero che per avventura defterà in chi che fia la
reminiſcenza di quanto fa di meſtieri ula uſare a voler iſcrivere con lode; per
chè in fine, ſiccome non da altri, che dal proprio ſentimento ſi può appren
dere a modificar variamente l'armonia della Muſica, nè della Architectura; così
non da altri, che da sè veruno non può apprendere il vero modo di addattare la
propria fantaſia a cutte le occaſioni particolari di aver da eſpri merſi, che
ſono ſenza numero. Poco io diffi eſſere ciò, che mi cadde in animo di accennare
verſo il molto che un eſperto dicitore, quello, che io non ſono, avrebbe faputo
e medi tare, ed eſprimere di attinente a così raſto argomento. Con tutto ciò
ten gol per lufficientiffimo; purchè ſia da tanto di deſtare in eſso voi,
umanil ſimi e ſaggi Accademici, la voſtra cu rioſità ad iſcoprire le mie
fallacie; onde a mio utile proprio, io appren da quanto forſe mi trovi lunge
dal fe gno ' prefiſso; mentre io delidero di guidare altrui pel retro cammino
del la Verità. Gregorio Bressani. Bressani. Keywords:
intorno alla lingua toscana. Refs.:
l’implicatura di Galilei, discorso intorno a nostra lingua – discorso intorno
al volgare – Aligheri – vo significando – “meaning” – I am meaning – Gallileo,
forma logica aristotelica – vo significando -- forma logica galileana – forma
logica platonica – grammatica e geometria – grammatica profonda di Galilei --
Luigi Speranza, “Grice e Bressani” – The Swimming-Pool Library. Bressani.
Grice e Bria: la setta di Crotone --
Roma – scuola di Crotone – filosofia calabrese -- filosofia italiana – Luigi
Speranza (Crotone). Filosofo italiano. Crotone,
Calabria. According to Giamblico, a Pythagorean. Bria.
Luigi Speranza -- Grice e Bria: la
diaspora di Crotone -- Roma – scuola di Taranto -- filosofia italiana – Luigi
Speranza (Taranto). Filosofo italiano. Taranto,
Puglia. According to Giamblico, a Pythagorean. Bria.
Luigi Speranza -- Grice e Brotino:
la setta di Crotone -- Roma – scuola di Crotone – filosofia calabrese --
filosofia italiana – Luigi Speranza
(Crotone). Filosofo
italiano. Crotone, Calabria. Brotino or Brontino of Crotona or Metaponto. The
name crops up more than once in stories about Pythagoras Some say he was his
father in law, others his son in law. He is aldo said to have been a pupil of
Acmaeon o Crotone. Clement of Alexandria says he wrote a book on the nature of
the world. It is possible that a father and son sharing the same name have been
confused with each other.
Luigi
Speranza – GRICE ITALO!; ossia, Grice e Bruni: la ragione conversazionale e
l’implicatura conversazionale dell’interpretare – l’interpretazione di Romolo –
scuola d’Arezzo – filosofia aretina – filosofia toscana -- filosofia italiana –
Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The Swimming-Pool Library (Arezzo). Filosofo aretino. Filoofo toscano. Filosofo italiano. Arezzo, Toscana. Grice:
“Bruni is a philosopher – and a Griceian one at that; he reminds me when
Strawson and I used to give joint seminars on ‘De interpretation;’ our tutees
found it boring but we would say, ‘lay the blame on the Stagirite.” Grice: “Boezio
was possibly wrong in missing the metaphorical impicature of ‘hermeneutic,’ and
give us a rather boring ‘inter-pretatio’ – which is the thing Bruni uses when
dealing with Cicero – Bruni is unaware if what he is doing is ‘interpreting’ or
‘volgarizare,’ i. e. render the thing into the volgare that the volgo may
appreciate! His impicature seems to be: let the classics stay classic!” –Grice:
“But there is a little word that Bruni uses that is crucial, ‘recta’ –
interpretation has to be ‘recta,’ as opposed to incorrect – which leads us to
impilcature – is over-interpretation mis-interpretation? We think it is!” – “But since an implicaturum is
cancellable, we have to be VERY careful here, as Bruni is – especially when he
visited I Tatti!” – Politico, scrittore
e umanista italiano di Toscana, attivo soprattutto a Firenze, della cui
Repubblica ricopre la più alta carica di governo di Cancelliere. Uomo di grande
personalità, arguto e forbito parlatore dotato di grande eloquenza, si insere
nella disputa sulla questione della lingua, discussione apertasi con l'avvento
della lingua volgare all'interno della lingua in uso specie in chiave
letteraria a quell'epoca. Conobbe Filelfo ed ha come maestro Malpaghini. Nei
suoi studi riscontra fenomeni di ‘corruzione’ della lingua latina dall'interno,
rilevando ad esempio in Plauto le forme di assimilazione fonetica“isse” per “ipse”;
oppure “colonna” per “columna”. Teorizza quindi che il latino si fosse evoluto
dal proprio interno, sostenendo l'esistenza di una di-glossia. Oltre al latino antico
classico, aulico, sarebbe esistito un livello inferiore, meno corretto, usato
informalmente nei contesti quotidiani, da cui provengono la lingua romanza o
italiana – toscano, fiorentino. Oppositore di questa teoria e Biondo, il quale
sostiene invece che la causa della “decadenza” o corruzione del latino fosse
stata l'aggressione esterna dei due popoli germanici: gl’ostrogoti e i
longobardi. Gli studi storici hanno mostrato che le due teorie di Biondo e B. non
sono effettivamente incompatibili. Il latino si è evoluto per ragioni, sia “interne”
(e. g. le corruzioni di Plauto), sia “esterne” (le invasion dei barbari
ostrogoti e longobardi). Nella prima metà Professoresi avevano pareri opposti
in merito alla dignità del volgare. Filosofi come Salutati e Valla disprezzano
il volgare perché non dotato di norme grammaticali; Alberti, al contrario, si
adopera molto per far riconoscere il volgare come lingua ricca di dignità nel
panorama filosofico. B. conceve il dialogo “Ad Petrum Paulum Histrum”, nel
quale dava la parola a due esponenti dell'umanesimo del periodo: Salutati,
appunto, e Niccoli. Il primo assere che il volgare sarebbe stato degno solo se
regolamentato da assiomi precisi, e si dispiaceva del fatto che Alighieri non
avesse scritto la sua Commedia nel ben più nobile latino. Niccoli propone una
visione ancora più radicale, arrivando a giudicare tre fra i principali
filosofi italiani Alighieri, Petrarca e Boccaccio poco più che degli ignoranti.
Niccoli difende questi ultimi, riconoscendo la grandezza delle loro opere,
invece di giudicarli in base alla lingua che usarono. È celebre una sua
epistola in cui delinea princìpi fondamentali dell'umanesimo. È sepolto nella
basilica fiorentina di Santa Croce in un monumento opera di Rossellino. Altre
opere: “De primo bello punico” (della prima guerra punica);“Vita Ciceronis o
Cicero novus” (vita di Cicerone, ovvero, CICERONE nuovo); “Aristotele, Ethica
nicomachaea”; “Oratio in hypocritas”; Pseudo-Aristotele, “Libri oeconomici”; “Commentarius
de bello punico, adattamento di Polibio”; “De militia”; “Commentarius rerum
graecarum”; “De interpretatione recta” “Aristotele, Politica”; “Commentarius
rerum suo tempore gestarum”; “De bello italico adversus Gothos”; “Historiae
Florentini populi”, Storie del popolo fiorentino (Storia fiorentina) da Acciaiuoli
ed uscì a stampa a Venezia. Vedi alla voce "letteratura umanistica"
in umanesimo, riferimenti in Carlo Dionisotti, B., in Enciclopedia Dantesca. Roma,
Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Cesare Vasoli, B., Dizionario Biografico
degli Italiani, Repertorium Brunianum. Lingua volgare. Questione della lingua
Monumento funebre di B. di Rossellino, basilica di Santa Croce, Firenze. Dizionario
biografico degli italiani. Epistole (in latino). Dialogi ad Petrum Paulum Histrum di B. -
di Carlo Zacco Cancelliere fiorentino. B. è originario di Arezzo,
ma Arezzo pochi anni dopo la sua nascita passa sotto il controllo di
Firenze, e lo stesso B. si può definito a pieno titolo acquisito da Firenze ed
ottenne la cittadinanza di Firenze. E’ personaggio molto importante dal punto
di vista letterario ma ebbe una funzione importante sotto il profilo
amministrativo-civile perché fu uno dei più importanti cancellieri della
repubblica fiorentina, successore, non immediatamente, a quello che il più noto
dei cancellieri del 300: Salutati, una grande figura di intellettuale, che si
pose come diretto erede, insieme con il Boccaccio, del Petrarca. Salutati.
Coluccio è un personaggio di questo dialogo. Svolse in Firenze un ruolo molto
importante sia dal punto di vista politico (più politico di B.), e dal punto di
vista amministrativo-civile è uno dei più noti e importanti cancellieri di
firenze: le sue missive sia d’ufficio che private sono moltissime, e lasciò una
forte impronta. Un impronta volta a delineare l’ideologia della città di
Firenze: la difesa stessa della libertà fiorentina, per fare solo un esempio
fra tutti, contro la tirannide viscontea. Salutati ha anche un altro importante
merito che fu quello di portare a Firenze gli studi di greco. Fu per impulso
del salutati, anche se non solo suo, che venne a Firenze il Crisolora: uno dei
più importanti dotti bizantini e proprio tramite lui si instaurò lo studio del
greco a Firenze. Intorno al Crisolora si stabilisce un gruppo di figure, non
soltanto fiorentine, poiché dato che il greco si poteva studiare a Firenze,
vennero anche da altri luoghi giovani per imparare il greco; e tra questi
giovani che vennero a Firenze ad imparare il greco ci sta il dedicatario di
questa opera: Istriano, che è Vergerio, che operava nel contesto carrarese, a
Firenze per studiare il greco, e poi era tornato a Carrara. A sua volta aveva
scritto un trattato pedagogico intitolato “sui nobili costumi”. Trattati pedagogici:
altro aspetto dell’umanesimo, molti scritti sono di carattere pedagogico perché
uno degli aspetti importanti nell’umanesimo è proprio legato alla formazione
dei giovani basata sulle Humanae Litterae. L’umanesimo fiorentino. Questo è il
contesto culturale entro cui nasce questa operetta, interessante perché mette
in evidenza gli elementi di contrasto tra l’umanesimo inteso come un recupero
classicistico di stretta osservanza e la volontà di coniugare ad un
rinnovamento degli studi, quello che era la tradizione: in modo particolare
quella dei tre fiorentini Dante, Petrarca e Boccaccio. Ripresa del
dialogo classico. Questa operetta non è un trattato: è impostata come una
discussione, una disputatio ma è a sua volta, sviluppando alti elementi, è un
altro dei caposaldi di rifondazione del dialogo in latino: sulla scorta dei
classici, più sistematicamente di quanto non avesse fatto il pur importante
esempio petrarchesco. Disputatio in utramque partem. Questo è un dialogo
diegetico, non mimetico, dunque un dialogo dove la cornice è costantemente
presente. E’ un dialogo costruito in due libri, e la discussione è svoltain
utramque partem, da una parte e dall’altra. C’è un personaggio, un letterato e
al tempo stesso un personaggio di un certo peso a Firenze che si chiamava
Niccoli, che sostiene due parti tra loro contrapposte: nel primo libro attacca
violentemente le figure di Dante, Petrarca e Boccaccio, inserendo questo suo
discorso in un attacco relativo alla condizione della cultura contemporanea:
quindi denunciando lo stato di decadenza della cultura contemporanea; nel
successivo libro fa unapalinodia e svolge un discorso opposto: gli elogia di
questi tre personaggi. Oltre al fatto del far vedere che cosa è diventata a
questa altezza cronologica la disputatio, ci sono diversi aspetti in questo
che sono interessanti. C’è un primo problema di carattere cronologico,
qui ridotta ai minimi termini, in una discussione che è ancora in corso: è un
opera su cui si è discusso e scritto molto, e la cui datazione è uno degli
elementi di discussione. Altro elemento di discussione che è collegato a questo
è se questi due libri siano stati concepitiunitariamente o se il secondo sia
stato scritto dopo: cioè se l’autore avesse cambiato idea rispetto a quello che
aveva fatto sostenere a Niccoli e avesse svolto poi nel secondo libro
successivamente una palinodia egli stesso nel celebrare l’elogio dei tre
fiorentini. la datazione Termini ante/post quem. L’opinione più
persuasiva a tal proposito è questa. Innanzitutto c’è un problema di tempo
interno: c’è un indicazione precisa dal punto di vista cronologico, come emerge
all’inizio del dialogo; questo dialogo è collocato in due giorni diversi, uno
successivo all’altro, nei giorni di Pasqua. Il fatto che come tempo interno sia
dato un anno non significa che quello sia il tempo reale di scrittura
naturalmente. Comunque, posto che qui venga messo come data è evidente che B.
non potè scrivere l’opera prima di questa. L’altro termine di riferimento non
dopo il quale fu scritta l’opera, è un anno perché in quella data, in una
lettera, B. stesso direttamente ci parla di questa sua operetta come già
pubblicata (pubblicata ovviamente equivale a «circolante», almeno tra alcuni
dotti). morte di Salutati. Altro aspetto da considerare riguarda le figure dei
personaggi presenti. Tra queste figure c’è quella importante, una sorta di Nume
tutelare, il personaggio anziano, l’intellettuale in età avanzata rispetto al
gruppo dei giovani (c’è questa differenza importante che va considerata) che è Salutati.
Se noi stiamo a guardare ai dati dell’operetta possiamo pensare che sia stata
scritta quando il Salutati era ancora vivo, se consideriamo il Salutati
personaggio, che ci viene presentato in vita. In realtà però c’è tutta
una serie di elementi che fanno propendere a ritenere che sia stata scritta,
almeno per quello che riguarda il secondo libro, dopo la morte del Salutati.
Perché si attribuiscono al salutati posizioni che difficilmente il Salutati
avrebbe sottoscritto (lo sappiamo da altri dati, lettere
ecc). l’unitarietà Unitarietà dell’opera. Altra questione: è unitaria o no
questa operetta? Su questo punto è più difficile rispondere: il primo libro
presuppone indubbiamente un secondo libro che certamente modificasse l’assetto
del primo con il capovolgimento di posizione. Nei termini della disputatio in
utramque partemla tesi più persuasiva è che indubbiamente sotto questo profilo,
quello che è svolto come materia nel secondo libro sia già dato nel primo come
presupposto. Cioè che come testo dal punto di vistaunitario il bruni avesse
pensato all’opera in due libri; certo però è che ci sono alcune piccole
diffrazionidall’uno all’altro. Cambia la casa dove si svolgono i dialoghi;
viene introdotta un’altra figura, cosa possibile anche per alcuni spunti
ciceroniani a dire il vero, ma questo muta alcuni aspetti e alcune parti
dell’impostazione: in altre parole non è da escludere che il progetto
originario, pur prevedendo un secondo libro come è nella logica con cui è stata
scritta l’opera, si sia poi svolto effettivamente in untempo successivo nel
secondo libro. Ciò non toglie che, così come è svolta, l’opera abbia un assetto
contenutistico unitario, anche nell’impianto della disputa in entrambe le
direzioni. Uno degl’aspetti più interessanti dal punto di vista letterario
riguarda la consapevolezza da parte di B. di voler imitare anch’egli CICERONE,
non però il Laelius come fa Petrarca, ma una delle opere più imitate da questo
momento in poi in tutto il dialogo umanistico, e cioè il “De Oratore”. Il “De Oratore” è importante in quanto modello
per eccellenza del cortegiano. Ci sono delle modificazioni nell’impianto
da parte di B. rispetto al modello del “De oratore”: l’aspetto che lega
maggiormente questo testo al “De Oratore” è l’impianto con una cornice di
carattere realistico. Qui abbiamo la Firenze reale di quel tempo, abbiamo
personaggi storicamente individuati, abbiamo una autorità come Salutati. Altro
aspetto interessante sul piano dell’impianto e la palinodia, l’affermare una
cosa e il fare il discorso in opposto rispetto a quello che si è detto nel
primo libro è una modalità attuata nel “de oratore” mediante il personaggio di
Antonio. Antonio sostiene una tesi nel primo libro (nel “De Oratore” sono tre)
e capovolge la tesi nel secondo. Viene mostrato da CICERONE il modo retorico e le ragioni di questo. È stato
anche osservato che si tratta di una palinodia che non nega gl’asserti
precedenti, però sicuramente modifica quello che era stato detto nel libro
precedente. Anche la casa come luogo di raccolta, di discussione dei dialoghi è
un elemento ciceroniano; e lo è anche il tempo di festa: qui siamo a
Pasqua. La differenza che balza più all’occhio è che mentre per CICERONE
non c’è la presenza diretta dell’autore, perché CICERONE dice di aver riportato
dialoghi e discussioni che si erano svolti diversi anni prima, e c’è quindi una
diffrazione di carattere temporale, per cui CICERONE afferma di aver riportato
la testimonianza di chi gl’aveva raccontato quei dialoghi, qui invece c’è la
presenza diretta dell’auctor e c’è una attualizzazione totale nel senso che a
prescindere dalla data specifica i temi trattati sono altrettanto attuali e
attualizzati. Vediamo solo la prima parte, ma senza leggere la seconda non
si capisce l’effettivo svolgimento del discorso. Alcuni moduli che vediamo
riguardano solo questo dialogo, altri riguardano una modalità che nel tempo
viene ad essere ripresa e si evolve, come vedremo nel cortegiano, dove siamo
però in un ambiente diverso: questo cittadino, quello di CASTIGLIONE, della
corte. Questo è ambiente privato: un gruppo di amici che discutono tra di
loro. Queste discussioni non sono invenzione di B. Abbiamo altre tracce e
testimonianze in ambito fiorentino in relazione alle critiche che gruppi di
giovani classicisti di stretta osservanza avevano avanzato criticando
aspramente le cosiddette glorie fiorentine: Dante Petrarca e Boccaccio. Quello
che sta al fondo di questo dialogo è un problema e un tema di discussione
quanto mai attuale nella Firenze del tempo. Se a noi può sembrare strano, visto
che pensando a Dante pensiamo ad un grandissimo poeta e autore, trovare Dante
trattato come un autore di popolo, di farsettai, di pescivendoli eccetera, può
dare adito a qualche stupore. Le stesse accuse sono riferite da altri, non li
introduce solo B.: i problemi di cui si discute sono problemi su cui le
discussioni c’erano nella Firenze del tempo. Abbiamo dunque da un lato si
afferma prima questo aspetto destruens e dall’altro lo stesso che dice di
aver parlato di quelle cose per ragioni di carattere retorico e per fare in
modo che fosse proprio Salutati a fare l’elogio. Quindi li giustifica come una
sorta di esercizio di simulazione retorica. La dedicatoria L’antico
detto. Vediamo i caposaldi di questo discorso. Anche qui abbiamo un proemio che
è una lettera dedicatoria molto breve rivolta al Vergerio. La lettera si apre
con un antico detto di un saggio, e sia apre così a mo’ di omaggio verso il
Vergerio, che con questo detto, attribuito a Francesco il vecchio da carrara,
suo signore, aveva aperto il suo trattato. Questo detto è relativo alla patria:
antico detto di un saggio che l’uomo per essere felice deve innanzitutto avere
una patria illustre e nobile. Elogio di Firenze. La patria di origine del
B. non è più Arezzo nelle condizioni in cui era precedentemente, rovinata e
distrutta ormai dai colpi della fortuna. Ha però B. a sua volta l’opportunità
di vivere in una città eccellente, quest’opera è anche una celebrazione della
grandezza di Firenze. Il fatto che Firenze sia una città eccellente è
dimostrato facilmente perché lo stesso dedicatario era stato con lui a Firenze
compagno di studi presso il Crisolora: c’è stata dunque una comunanza di studi,
di vita e di affetti. Il dono all’amico lontano. Una comune abitudine
alla conversazione e alla discussione, a dato che l’amico è lontano, desiderato
e rimpianto, così come l’amico lontano desidera e rimpiange gli amici
fiorentini gli manda proprio come memoria ed omaggio (B. al Vergerio) la
testimonianza di una delle discussioni da poco avvenute tra loro giovani amici
e il Salutati, come testimonianza che può trasmettere le discussioni di
una volta allo stesso Vergerio. Anticipa, sui contenuti, ciò che riguarda la
dignità degli argomenti e la dignità degli uomini. Cita i due
protagonisti-antagonisti: Salutati e il Niccoli. L’altra dichiarazione che
costantemente viene fatta in trattati di questo genere è la testimonianza
–dedica: dice alla fine di questo proemio: «così io rimando la disputa
trascritta in questo libro in modo che tu, benchè assente, in qualche modo
possa godere di quanto godiamo noi, e nel far questo ho cercato soprattutto di
rendere con la massima fedeltà le due posizioni contrastanti (originale: morem
utriusuqe, il costume di entrambi)» e affida allo stesso Vergerio il compito di
giudicare se ci sia riuscito oppure no. La psicologia del personaggio.
Questo è un altro tratto importante: quello della delineazione del personaggio:
non sono solo voci, con personaggi con una loro individualità. Essendo un
dialogo diegetico questa loro personalità può essere messa in evidenza per alcuni
tratti dalla cornice diegetica, ma soprattutto dal modo in cui ciascuno si
esprime, e quindi da quella sorta di delineazione psicologica che deriva dal
discorso. L’abilità è anche quella di rendere da parte del bruni
l’atteggiamento nel dire dei due, e ne è giudice lo stesso Vergerio che li
conosceva entrambi. La rappresentazione dei personaggi rappresentano anche
dunque una prova distile e di bravura da parte dell’autore. Noi non
abbiamo modo di vederlo nel testo latino, ma quest’opera è letterariamente
significativa anche nel movimento stesso delle voci. Il primo libro
Cornice introduttiva Come viene fatta l’introduzione nel dialogo diegetico?
Innanzitutto c’è la cornice introduttiva, che ci dà delle indicazioni relative
alle circostanze del dialogo, al luogo e ai personaggi. Bruni e Niccoli
vanno a casa di Coluccio. In questa nostra cornice noi abbiamo che nel tempo
delle feste, questi giovani personaggi stanno andando a casa di Salutati, che
viene definito «senza dubbio l’uomo più eminente del tempo nostro per sapere,
eloquenza e dirittura morale»: triplice occorrenza che definisce il carattere
del nume tutelare. Viene poi introdotto un novo personaggio: mentre stanno per
andare da Salutati incontrano Rossi, il quale a sua volta è definito per ciò
che è proprio del personaggio stesso in relazione agli studi: «uomo dedito agli
studi liberali». Tutti insieme vanno da Coluccio, e De Rossi si unisce a
loro. La critica di Coluccio. Arrivati a Casa di Coluccio c’è un momento
di Silenzio: Coluccio pensa che quei ragazzi gli vogliono dire qualcosa, loro
non iniziano per far cominciare il maestro e quindi viene rappresentata questa
pausa: un elemento di carattere anche realistico. Alla fine Coluccio, dato che
nessuno parla si decide ed interviene nel discorso. Quindi la persona più
autorevole inizia il suo discorso: che inizia nei termini di una conversazione,
quello che può avvenire quando un gruppo di persone si trova in casa di uno che
è più autorevole di loro, e questo comincia a parlare, e di fatto esprime il
piacere di vederli e poi comincia, li loda per la loro passione per gli studi,
ma esprime poi una critica. • importanza della disputatio. Critica relativa al
fatto che hanno trascurato quello che per Coluccio invece è importante: la
disputatio, l’abitudine alla discussione che secondo il Salutati è fondamentale
proprio per affrontare in pieno sottili verità, per poterle sceverare
compiutamente, per mantenere la mente in occupazione, e scambiando discorsi in
comune per fare una gara esercitando il proprio intelletto, al fine di ottenere
la gloria quando si sia superiori nella disputa rispetto agli altri, oppure la
vergogna quando si è battuti; da qui verrebbe uno stimolo allo studio per
imparare di più., in fondo.Che cosa può lo sguardo di tutti. Attenzione: qui la
traduzione dice questione,che potrebbe far pensare alla quaestio, nel testo
latino si dice invece rem, l’oggetto della discussione, è diverso il senso da
dare alla cosa. E’ importante l’esercizio perché se non si compie, chi è
studioso rimane a parlare con sé stesso e con i propri libri, ma non si mette a
gara e non interviene nel colloquio con gli altri uomini, e non viene ad essere
di giovamento, non ottiene i frutti che possono essere dati dallo scambio
argomentato delle discussioni. Rievocazione degli studi a Bologna. Evoca
gli esordi della sua stessa educazione quando era a Bologna: dove aveva avuto
un insigne maestro ed aveva appreso l’arte del discutere; poi aveva avuto modo
di cimentarsi ulteriormente in relazione ad un dotto teologo e sapiente a
Firenze, e al tempo stesso dotto in teologia, agostiniano, e insieme amante dei
classici: è Luigi Marsili, che animava un cenacolo presso la chiesa di Santo
Spirito, ed è una figura eminente della Firenze trecentesca, che viene anche
nominato dal Petrarca. • l’elemento cronologico. Ci viene dato attraverso il
Marsili l’elemento cronologico che si diceva all’inizio poiché il Marsili è
indicato come morto sette anni prima: dato che era morto, allora ci porta. L’insegnamento del Marsili. Il Marsili aveva
dimostrato a Coluccio, nei tempi posteriori alla giovinezza, quando valesse la
discussione: era un sapiente conoscitore degli studi di teologia, ma anche un
conoscitore degli antichi; tanto profondamente legato alla scrittura degli
antichi da averle assimilate, anche stilisticamente tanto da riprodurne le
movenze. L’esempio che porta il Salutati di Sé e di quanto aveva guadagnato da
queste discussioni è dato per mostrare attraverso la propria persona, quanto
efficacemente egli ritenga sia proprio della discussione, cioè: il frutto delle
sue opere era stato dato secondo il salutati proprio attraverso questa via.
Dunque l’esercizio è fondamentale. Su questo punto si intavola tutta la
discussione che segue. Salutati, pur sostenendo di ammirare gli amici per
la loro apssione per gli studi, criticava il fatto che non si dedicassero, come
esercizio non solo opportuno e utile, ma necessario, la disputazione. Coluccio
aveva portato il proprio esempio sia dalle indicazioni che aveva ricevuto dalla
scuola di grammatica quando era un giovane studente a bologna, e sia per quello
che aveva ricavato dal rapporto continuo assiduo e importante con il
dotto teologo studioso dei classici Marsili. Una indicazione del Marsili ci dà
l’indicazione del tempo interno del dialogo. Il discorso di S. si concludeva con una
esortazione ai giovani perché si dedicassero alla disputa e cercassero di dare
maggior frutto ai loro studi. La risposta di Niccolò. Come personaggio
antagonista risponde Niccolò Niccoli: fin dalla presentazione che nella dedicatoria
aveva fatto al Vergerio B. aveva presentato le due figure di Coluccio e Niccoli
proprio in questo senso. In più di un momento pare che Niccoli dia ragione al
Salutati riconoscendo l’importanza della disputa che potrebbe giovare molto
agli studi, e lodando Salutati per l’efficacia sul piano dell’eloquenza con cui
aveva dimostrato questa tesi; e ricorda a sua volta la figura del Crisolora,
chiamato dallo stesso Salutati e da cui questi giovani avevano imparato il
greco. Il salutati invece aveva preso i primi rudimenti ma non tanto da essere
in grado di fare una traduzione dal greco al latino. Le colpe della
generazione precedente. Pare che Niccoli dia ragione al salutati, ma non
è così: egli giustifica se stesso e i suoi amici dicendo che se non svolgono
quella esercitazione non possono essere accusati i ragazzi stessi ma devono
essere accusati i tempi: c’è qui una rappresentazione estremamente negativa,
che riprende alcuni tratti del Bruni scrittore già ben presenti nelle opere
polemiche di Petrarca, e che per alcuni elementi emergono anche nel De Vita
Solitaria, un attacco da parte del Niccoli molto duro nei confronti della
condizione in cui è ridotta la cultura per colpa delle generazioni precedenti e
che dispersero il grande patrimonio della cultura antica. Di fatto come
sappiamo la concezione stessa del medioevo nasce polemicamente proprio in
contrapposizione con quello che riguarda la volontà da parte degli uomini
umanisti in primo luogo di ritornare alle fonti della vera sapienza degli
antichi superando la decadenza; è una notazione polemica questa che noi non
facciamo nostra, ma che riguarda la cultura del tempo.Il Niccoli spiega che per
poter svolgere una disputatio è indispensabile padroneggiare bene un
argomento, e per fare questo bisogna avere una grande mole di conoscenze;
Niccoli si domanda come si possa acquisire una tale mole di conoscenze in
questi tempi oscuri, con tanta penuria di libri. Invita a considerare poi come sono
le discipline umanistiche in passato e come sono oggi. Parte qui una sorta di
rassegna che mostra le radici della FILOSOFIA, mostra che cosa comporta IL
PASSAGGIO A ROMA della FILOSOFIA e mostra come ai tempi moderni è ridotta la
filosofia. Polemica contro gli aristotelici. Qui il Niccoli si lancia,
sulla scorta di considerazioni già petrarchesche (non qui enunciate come tali,
perché non si fa qui il nome di Petrarca) contro i filosofi e soprattutto
contro gli aristotelici. Non contro ARISTOTELE, ma contro gl’aristotelici che
tutto basano sull’autorità di un solo filosofo, e tutto basano sul cosiddetto
ipse dixit, essi d’altra parte fanno questo sulla base di un'unica autorità, e
non soltanto mostrano con ciò di non conoscere bene ciò di cui parlano, ma
mostrano una grande arroganza: la dimostrazione della loro arroganza e della
difficoltà nel padroneggiare gli scritti di Aristotele, trova una base
polemicamente anche con riferimento a una polemica che a sua volta contro i
retori del suo tempo fa CICERONE. • la corruzione del latino e dei testi. Poi
ritorna all’oggi e accusa i filosofi aristotelici di parlare di cose che in
realtà non sanno, e come possono saperle? Se questi non solo ignorano il greco,
ma IGNORANO IN GRAN PARTE ANCHE IL LATINO? E qui è sotto accusa anche IL LATINO
PERVERTITO del medio evo, che non è quello degl’umanisti. Addirittura Niccoli
dice che se tornasse lo stesso Aristotele, non riconoscerebbe neppure più i
suoi testi. Sottolinea un aspetto importante da un punto di vista filologico,
cioè il problema della restituzione critica dei testi aristotelici, il problema
cioè di andare a cercare il maggior numero di esemplari dei testi di Aristotele
e il tentativo di restituirli alla loro rispettiva lezione, e questo puo essere
fatto a partire dal testo greco. La conoscenza del greco che questo circolo di
umanisti possede, e in quei tempi appannaggio di quei pochi che avevano
beneficiato, sulla scorta del Crisolora. Altro affondo: gl’occamisti.
Dopo questo attacco agl’aristotelici passa ad attaccare I DIALETTICI. Anche
questa è una polemica già petrarchesca, con i cosiddetti barbari britanni,
soprattutto DIALETTICI e logici occamisti, seguaci di Occam. Secondo le accuse
che venivano fatte essi si occupano di cose da poco, di frivolezze, invece che
di occuparsi di cose importanti ed eccellenti. Ciò non vale solo per le due
discipline evocate ma dice che potrebbe dirsi lo stesso di tutte le altre arti:
Grammatica, retorica e tutte le altre arti. Non mancano gl’ingegni, ma mancano
i mezzi per imparare in questa condizione del sapere. Non abbiamo né mezzi ne
maestri. L’eccezione di Salutati. A questo punto è chiaro che occorre
fare un eccezione, perché sennò nel contesto del discorso ciò avrebbe
significato attaccare lo stesso Salutati. Allora Salutati è salvato da Niccoli
ed elogiato e rappresenta l’eccezione che conferma la regola. Perché Salutati
ha potuto far frutto con i suoi studi? In virtù del suo grande ingegno,
quasi divino, che gli ha consentito di fare quel salto di qualità e quindi di
essere l’eccezione alla regola. Ubi sunt. L’ultima parte del Discorso di
Niccoli si imposta su quel modello di elegiaco tema dell’Ubi Sunt, dove sono
mai?, tanto presente in ambito medievale, ma qui piegato a lamentare la
mancanza dei grandi libri dei classici; e fa un elenco di libri di grandi
autori che mancano. Il precetto di Pitagora. Aggiunge poi un aspetto legato
alla necessità del silenzio cui sono costretti, e fa un riferimento ad un
precetto dell’antico filosofi Pitagora: Pitagora aveva invitato i discepoli,
prima di parlare, a meditare e restare in silenzio per cinque anni, e se i
discepoli di Pitagora, che pure avevano tale maestro e tale possibilità stante
la cultura del tempo antico, come potranno questi giovani parlare e mettersi a
disputare? Dice il Niccoli: «noi che non abbiamo né maestri ne
insegnamenti né libri: come possiamo fare questo? Dunque non ti devi arrabbiare
con noi se stiamo zitti e non discutiamo, non è colpa nostra ma dei
tempi». Torna la cornice. A questo punto ritorna la cornice. Al discorso
diretto viene reintrodotta la cornice con una sorta di segno teatrale: una
pausa di silenzio che fa si che ci sia anche uno stacco in relazione alla voce
che ora segue; uno degli aspetti efficaci del dialogo è la messa in scienza dei
personaggi e quindi la rappresentazione delle loro voci. La cornice interviene
diegeticamente introdotta dal narratore-autore, che interrompe il flusso del
discorso, segnando appunto una pausa di silenzio. Disputa intorno a
disputare. Interviene Coluccio rilevando la contraddizione, perché il Niccoli
che aveva sostenuto di non poter parlare e discutere a causa dei tempi, aveva a
sua volta dato unabrillante dimostrazione di essere capace di discutere con le
sue stesse parole. Allora Coluccio cerca dichiudere questo discorso dicendo:
«lasciamo dunque se credete questa disputa che è intorno al disputare».
Gli altri chiedono il confronto. Ma il discorso non può finire qui e c’è
l’intervento di un dialogo a più voci, quindi c’è una variazione nel modo in
cui sono introdotte le voci di dialogo ed efficacemente dal punto di vista
letterario il dialogo viene ad essere animato. Interviene Roberto De Rossi, che
non vuole che la discussione rimanga a metà; • Coluccio. interviene di nuovo
Coluccio che dice per teme di aver destato il leone dormiente e chiede il
parere degli altri: chiede innanzitutto a Roberto De Rossi se sia d’accordo con
lui o con Niccoli dichiarando che in relazione a Leonardo, cioè colui che è al
tempo stesso personaggio e autore del dialogo, non ha dubbi perché ritiene che
Leonardo sia d’accordo con Niccolò. Interviene allora con la voce che dice
io lo stesso B. che chiede di essere considerato un giudice. Non vuole
prendere posizione; fermo restando che c’è una aggiunta, non priva di una certa
ambiguità, perché riconosce che la causa è in gioco non meno di quella di
Niccolò. Interviene infine Rossi che a sua volta dichiara di sospendere il
giudizio, e di sospendere il suo parere finché entrambi non espongono la loro
opinione. Dunque Coluccio adesso deve fare una confutazione di quello che Niccoli
ha detto. La confutazione di Coluccio. Si apre una ulteriore fase del
dialogo nell’ottica di una confutazione fatta da Coluccio in relazione a quello
che Niccoli ha detto. In primo luogo fa notare che è facile confutare che dice
che a causa dei tempi non si può disputare quando egli stesso lo ha dimostrato
egli stesso disputando. C’è anche una schermaglia un poco scherzosa in
relazione al Niccoli. Un altro degli aspetti del dialogo è anche l’introdurre
battute per alleggerire il senso delle discussioni, così come si introduce
all’interno del discorso riferendosi ad un personaggio che inizia a
parlare «sorridendo» ecc, così anche da battute. Viene ad essere interrotto a
sua volta il Salutati da Rossi con un'altra obiezione: allora se tu elogi il
Niccoli che ha mostrato di poter disputare, perché dici che ci si debba
esercitare? Se senza esercitarsi Niccoli c’è riuscito così efficacemente, vuol
dire che l’esercizio non è necessario. Risponde con una contro obiezione il
Salutati dicendo che l’esercizio è fondamentale per poter ottenere un ulteriore
eccellenza: se già ci sono delle buone disposizioni soltanto esercitandosi si
può migliorare. Elogio dell’esercizio. Coluccio si lancia in un elogio
dell’esercizio. Questo esercizio e la disputa sono di nuovo ri-definiti, e
questa definizione è importante:, riga 5: perciò io chiamo disputa: -
insisto su questo poiché il modo in cui è definita la disputa e la discussione
delimita i caratteri della discussione stessa, e la distingue rispetto alla
quaestio degli scolastici. Non poi così bui. Salutati ammette che la
situazione in cui versano le arti liberali non è la migliore possibile. Però in
relazione all’atteggiamento assolutamente negativo in Niccoli tende a
minimizzare: sì, un po’ sono decadute, ma non al punto tale che siano nella
condizione che dice Niccoli. E se è vero che molti libri mancano, è ben vero
che altri ce ne sono, e comunque le cose che abbiamo le dobbiamo usare e non le
dobbiamo disprezzare. E dunque ribadisce che il Niccoli sbaglia ad attribuire
la colpa ai tempi, perché così non riconosce quello che deve imputare a sé
stesso; cioè si sottrae di fatto quello che sono le sue responsabilità.
Chiarisce anche che il suo intento è quello di porsi in opposizione a lui, e
non di attaccarlo violentemente, cioè non è il suo un atteggiamento volutamente
polemico in termini distruttivi. La illustre tradizione fiorentina. D’altra
parte introduce, ritenendo che questa parte del discorso possa essere compiuta,
un ulteriore passo, che poi scatenerà il resto della discussione e la reazione
del Niccoli: E dice: «come è possibile che tu venga a dire che in tempi
moderni non ci siano possibilità da parte degli ingegni di fiorire se tu
tralasci tre uomini fioriti da questa nostra città e nei nostri tempi. Dante,
Petrarca e Boccaccio, che sono levati al cielo da così grande universale
consenso. C’è un motivo anche di carattere patriottico. -c’è una
specificazione data in relazione a Dante che è significativa per come volgerà
poi il seguito del dialogo, poiché sembra essere posta una riserva sul fatto
che Dante prescelse il volgare, infatti dice «se Dante avesse usato altro stile
(alio genere scribendi) io non mi contenterei di porlo insieme a quei nostri
padri, ma a loro e ai greci stessi io lo anteporrei»: cioè da un lato c’è una
lode del ruolo di Dante, dall’altro una riserva del modo di scrivere. E dice
che quei tre non vanno dimenticati ma ricordati perché sono il vanto e la
gloria della città. Dante. E qui la voce di Niccoli esplode. In realtà il
verbo non è messo, c’è un ellissi, ma il traduttore lo sottolinea permettere in
evidenza l’esplosione polemica del Niccoli. C’è un vero e proprio grido del
Niccoli. «allora Niccoli insorse ignorante d’ogni cosa? - e qui comincia un
atto d’accusa. Che parte da Dante, che viene accusato di non capire il latini
di Virgilio, citando un passo del Purgatorio; viene accusato di non aver capito
l’età di catone e di averlo invecchiato rispetto a quello che dice Lucano;
viene accusato di aver preso Cesare che era un tiranno, averlo lodato, ed aver
messo l’uccisore di cesare nella bocca di Lucifero; è accusato anche per la sua
cultura basata sulla scolastica, e per il latino di Dante stesso. E dunque che
cosa deve essere Dante? A chi deve essere lasciato Dante? A quale pubblico?
Pagina 99, in fondo: per cio familiare solo a gente simile». Fiorentini
contro Dante. Che a gruppi di classicisti di stretta osservanza fosse
rimproverato un atteggiamento simile lo sappiamo da altre fonti: che possono
anche essere collegate a questo, ma ci sono anche altre fonti fiorentine che ci
trasmettono questo atto d’accusa, mossa a giovani che invece di guardare alle
glorie della patria. Le attaccano. L’accusa è ancora più dura perché non
riguardava solo un giudizio di carattere letterario che attaccava i numi
tutelari della cultura fiorentina e il vanto della cultura fiorentina, ma
perché questi stessi giovani erano accusati di disinteresse nei confronti delle
sorti della patria. Un po’ di tempo prima della scrittura di questi dialoghi,
c’era stato uno scontro violento tra Firenze contro Visconti, e c’era stato un
momento in cui pareva che Firenze dovesse soccombere, solo la morte di Gian
Galeazzo salva Firenze definitivamente,
perché gli ultimi atti di guerra versavano molto negativamente. E si diceva che
c’erano questi gruppi di giovani classicisti che si disinteressavano
totalmente, che non si occupavano delle sorti della patria; e qui viene fatto
un collegamento tra lo spirito civile e le glorie cittadine. Qui il discorso è
riportato in termini letterari, ma c’è sotteso dell’altro. Un riverbero di questo
si vede alla fine del secondo dialogo. Petrarca e Boccaccio. Da dante si
passa Petrarca, e si attacca ciò che Petrarca aveva propagandato a quattro
venti in relazione alla grandezza del suo poema L’Africa in latino, poema non
compiuto, e quindi da questa grande aspettativa, dice Niccoli, (noi diremmo
“dalla montagna”) è saltato fuori «un topolino». Di fronte alle accuse fatte a
Dante e Petrarca, è inutile continuare con Boccaccio, che viene liquidato,
poiché se è inferiore ai primi due, è inutile continuare. D’altra parte
non soltanto questi sono da giudicare nei termini dati, ma ancor più è da
giudicare negativamente la loro singolare arroganza per come si sono
dichiarati: letterati, dotti e poeti. La conclusione liquidatoria del Niccoli è
la seguente: perciò Coluccio mio non hanno sapere alcuno»: una dichiarazione
radicale. A questo punto vediamo come finisce questo primo libro, perché siamo
quasi alla fine. Riprende a parlare Coluccio: c’è un distacco nella cornice
nell’atteggiamento «sorridendo come sua abitudine»: ora teniamo presente che i
personaggi ciceroniani, dei dialoghi ciceroniani, in particolare il De Oratore,
quando prendono la parola, nella cornice diegetica sono mostrati mentre a
prendono «sorridendo». Allora realismo nei confronti del Niccoli: «quanto
vorrei.. non abbia trovato un avversario, e qui cita gliavversari di Virgilio e
Terenzio. Però gli avversari di questi grandi latini del passato erano comunque
più sopportabili. Teniamo presente che questa sembra una nota caratteriale del
Niccoli, questa figura del Niccoli la troviamo al centro di diversi dialoghi di
polemiche e lettere. Ma perché gli avversari erano più sopportabili, perché
loro si opponevano ad una sola persona, e invece il Niccoli si oppone a tutti i
suoi concittadini. Ma il giorno ormai muore, ed occorre differire la risposta,
che necessita molto tempo, data la grandezza dei tre personaggi di cui occorre
fare la lode, per compensare il vituperio di Niccolo. Coluccio rimanderà questa
difesa. E qui Coluccio chiude circolarmente tornando al tema della discussione.
La conclusione del primo libro Necessità di una lode. Il primo libro ci
dice che l’attacco del Niccoli viene rifiutato in Toto dal nume tutelare, con
le parole del quale si era aperto il dialogo del primo libro, e a causa del
quale si erano svolti questi colloqui. Viene rimandato, senza un’indicazione
che dica a quando, viene detto che sarebbe necessario un discorso non breve e
che il tempo lo impedisce. Allora a questo punto, così come è impostato questo
libro, ci fa presupporre che ce ne debba esse un altro che comporti l’elogio di
questi tre, perché rimane in un tempo di attesa. Qui però c’è un problema
relativo al modo di trasmissione dei manoscritti dei nostri dialoghi in
relazione alla fortuna del testo: devo dire che i Dialogi ebbero una
notevolissima fortuna, abbiamo un numero rilevante di manoscritti però c’è
anche un dato che non possiamo eludere: una parte di manoscritti ci trasmette
il primo libro soltanto, quindi sembra di capire che una circolazione di questo
primo libro sia stata precedente o autonoma rispetto alla diffusione dell’opera
completa, cioè dei due libri. Questo non vuol dire che tra il primo e il
secondo ci sia uno iato di composizione, anche se è una delle testi che
sono state avanzate; e non significa soprattutto che il secondo libro sia una
aggiunta esterna, successiva o pensata dopo, perché in realtà la conclusione
stessa del libro anche se non è determinata, è la conclusione che compare
spesso nei dialoghi, anche ciceroniani, quando viene rimandato ad un successivo
giorno. Ma qui non è specificato il quando, questo è vero, quindi c’è qualche
interrogativo che pone la conclusione di questo primo libro. Il secondo
libro si imposta certamente in un rapporto che possiamo definire, considerando
l’opera nel suo insieme un rapporto unitario, un rapporto non senza qualche
diffrazione: cioè noi ci aspetteremmo qualcosa d’altro, e cioè che fosse
Coluccio a riprendere la lode dei tre grandi fiorentini, e soprattutto che si
riagganciasse a quello che è stato detto nel primo libro. Invece il modo in cui
si riaggancia ha qualche diffrazione. La cornice Verso casa De
Rossi. Il secondo libro del dialogo dunque si apre il giorno dopo; si ritrovano
quelli che si erano uniti il giorno precedente, ma si aggiunge un altro
personaggio. Altro interrogativo: questo personaggio è Piero di Ser Mini,
definito «giovane sveglio e sommamente facondo». Come ricorda la nota che
questo Piero di Ser Mini fu successore del Salutati nella cancelleria di
Firenze. Era rappresentato come personaggio familiare e vicino a Coluccio, e
insieme alla sua comparsa cambia anche la sede dei personaggi: si ritrovano i
personaggi del primo dialogo, tranne Roberto de Rossi, che vanno appunto a casa
di Rossi; nel primo Rossi si era aggiunto, ora i tre si aggiungono a lui. •
Oltr’Arno. C’è un passaggio nella dislocazione che non è privo di significato:
vanno oltr’Arno, perché Rossi abitava al di là dell’Arno, oltre Palazzo Pitti;
interessante nella dislocazione perché quando finisce il dialogo ritorneranno
dall’altra parte: è come se uscissero dalla città e tornassero in città una volta
concluso l’elogio e restituita per certi versi la pienezza della
compartecipazione di quella che è l’opinione dominante. Ci sono anche
connotazioni che rimandano a luoghi per eccellenza propri di quelli che sono
dibattiti di natura filosofica, anche se questo non è propriamente filosofico:
si parla del giardino, del portico. Lode di Firenze. A questo punto non
comincia una discussione come avevamo visto essere terminata nel secondo libro,
ma il nostro discorso comincia in un altro modo: comincia con una laudatio di
Firenze. Bisogna ricordare brevemente due cose che devono essere tenute
presenti per capire meglio. B. scrive una laudatio, unencomio, uno scritto il
lode di Firenze; particolarmente interessante in relazione alla tradizione
delle lodi alla città perché cambia l’impostazione: si basa sul Panatenaico di
Elio Aristide, cioè viene magnificata Firenze sul modello dell’elogio di Atene,
e l’elogio viene fatto per tutti gli elementi di Firenze, dall’aspetto fisico e
monumentale della città, alle sue istituzioni, alla città come rappresentativa
al massimo grado come figlia e erede di ROMA, perché i Romani erano stati fondatori
di Firenze ai tempi della repubblica romana secondo l’ipotesi avanzata in
quegli ultimi anni, ed era la depositaria e l’erede della libertà repubblicana;
quest’operetta era stata importante, e qui l’elogio in alto stile viene fatto
proprio da Salutati, che fa l’elogio della città dicendo per esempio quali
magnifici palazzi ci sono (e mostra i palazzi appena oltrepassati per andare da
Rossi) e dice quanto bene ha fatto B. a lodare Firenze e loda a sua volta,
lodando Firenze, quella che B. la fatto della città (esalta la laudatio di B.).
• l’encomio dell’«encomio». Quindi che cosa ottiene il bruni come autore in
questo modo? Mette lapropria opera come lodata dallo stesso Salutati. Ci
sono anche dei nessi con alcune altre opere del Salutati stesso. Questo elogio
viene completato dall’intervento di Pietro di Ser Mini e poi di altri e viene a
toccare in questo modo, come se fosse un discorso che si svolge naturalmente,
viene a toccare proprio il tema in oggetto, e cioè l’elogio delle glorie della
città, le glorie letterarie. b) Per capire altri punti facciamo presente che
viene citata un operetta di Salutati, da Salutati stesso. È un trattato scritto
si intitolava De Tyranno; qui Salutati aveva difeso la legittimità del potere
di Cesare, e soprattutto aveva difeso ALIGHIERI (si veda) per la posizione
assunta nella sua opera. Non è che qui adesso il Salutati faccia una palinodia
di quello che aveva scritto, però qui ne dà una interpretazione un tantino
diversa; e questa è una ragione che ci fa pensare che Salutati fosse morto a
quell’epoca, perché non avrebbe ma accettato, conoscendo quanto fosse molto
fortemente difensore delle proprie idee e posizioni. Una diffrazione: il
parere di De Rossi. Lasciando stare questo aspetto del problema, passiamo a
parlare dei vanti di Firenze, e Roberto (al quale erano state ricordate le
glorie politiche della propria famiglia in difesa del partito guelfo) diceva
che bisognerebbe svolgere le lodi di questi personaggi, perché questi tre poeti
non sono davvero «la minor parte della nostra gloria». Noi però ci dobbiamo
domandare quale fosse la posizione di Roberto nel libro precedente: aveva detto
di non voler dare giudizi, di aspettare a dare un parere, mentre qui si
dichiara finalmente d’accordo. Allora Coluccio risponde, ed anche questo ci
stupisce in quanto non dice che tale elogio effettivamente vada fatto, infatti
Coluccio dice: «sei nel giusto Roberto, essi sono non solo la minima parte, ma
anzi di gran lunga la fonte maggiore della nostra gloria; ma che debbo fare
ancora, non aprii ieri a sufficienza il mio sentire su quei tre sommi?» ma in
realtà non aveva risposto: aveva solo detto che era contrario al parere del
Niccoli, e che per svolgere l’elogio ci voleva molto tempo: quindi c’è una vera
e propria diffrazione, seppure lieve in questo. Integrazione della laudatio del
B. Teniamo presente che nella laudatio di Firenze il bruni aveva glissato sulle
glorie fiorentine sotto questo aspetto: cioè nella laudatio non sono citati ALIGHIERI
(si veda), Petrarca e Boccaccio; la laudatio si conclude con il vanto degli
egregi fiorentini, ma non ci sono i nomi, è un vanto generale. Questa parte
ora, in un certo senso si riaggancia alla laudatio del bruni e la completa: in
un certo senso questo secondo libro ha indubbiamente anche questo scopo. Tanto
più che il Bruni, quando nelle sue lettere parla di questo testo, lo definisce
«i libri dei nuovi poeti», quindi l’aggancio con la laudatio indubbiamente
amplifica e porta in una direzione questo discorso. Niccoli Smascherato.
Come si può risolvere il problema a questo punto? Niccoli rimane sulla
posizione di prima? No. Vien operata una definizione in chiave retorica della
posizione del Niccoli: di fatto Coluccio afferma di aver ben capito il giorno
prima che il Niccoli aveva fatto questo in modo artificioso: l’aveva fatto non
dicendo quello che pensava lui, ma lo aveva fatto per provocarlo,perché quello
che Niccoli voleva era che lui facesse l’elogio, ma Salutati non ci era caduto,
ed aveva capito bene quali erano idee di Niccoli, il quale, insieme a B.,
continua ad insistere che sia lui a fare l’elogio dei tre Grandi: Salutati dice
che farà ben questo, ma solo quando lo vorrà lui! A questo punto c’è una
schermaglia, uno scambio di battute con effetto teatrale, fino a quando c’è una
sorta di rilancio tra le parti: il Salutati vuole che sia B. a fare l’elogio,
mentre B. vuole che sia Coluccio, o quanto meno vuole decidere lui chi debba
farlo (e questo è un passo di tipo meta letterario, in quanto Bruni è anche
scrittore!); alla fine B. viene fatto arbitro e decide che sia Niccoli a fare
l’elogio: il Niccoli li ha attaccati, il Niccoli ora li difenda. Allora Niccoli
prende la parola e ribalta l’accusa che aveva fatto il giorno prima. Il modello
di questo è stato rilevato dagli studiosi nel personaggio di Antonio tra il 1°
e il 2° libro del “De Oratore”. Come Antonio, anche Niccoli, pur facendo una
confutazione di quelle accuse, non si adegua totalmente a quello che pensa
Salutati, così come Antonio, nel 2° libro del “De Oratore” non diviene totalmente
dell’idea dell’altro nume tutelare. C’è una dialettica interna che
rimane. Excusatio. Innanzitutto Niccoli si lancia in una ampia excusatio,
fin troppo ampia: e questo potrebbe fare pensare che il Niccoli storico, una
qualche responsabilità in queste accuse ai tre grandi potesse pure averla.
Insiste dicendo che gli altri non poteva assolutamente credere che egli
attaccasse veramente i tre grandi: è noto a tutti l’amore che ha avuto per
l’opera di Dante, per la memoria di Petrarca, per il quale è andato fino a
Padova per leggere l’Africa, l’amore per Boccaccio ecc. afferma di essere
consapevole di aver fatto quello che dice Coluccio: ha fatto un vituperio dei
tre fiorentini solo per sollecitare Coluccio a fare l’elogio. Dato che a questo
punto tocca a lui, è costretto a farlo, con grande soddisfazione di Coluccio
che lo obbliga. Palinodia, ma non totale. Inizia la palinodia: ciò
che rende grandi Dante, Petrarca e Boccaccio, e risponde alle accuse che egli
stesso aveva fatto prima. Ma c’è una differenza: il Salutati si pone su questa
posizione: il salutati è un innovatore che non rompe con la tradizione, è
l’erede del Petrarca a Firenze, e di Boccaccio. Però il Salutati non vuole
rompere e contrapporsi nello stesso modo in cui altri avevano fatto con la tradizione
precedente; il Niccoli recupera le lodi dei tre, ma alla fine del suo discorso
ritorna a quello che aveva detto prima: come il Salutati è un eccezione al
tempo contemporaneo, così questi tre grandi fiorentini sono delle eccezioni,
perché il loro grandissimo ingegno permise loro di eccellere nonostante la
decadenza degli studi e nonostante la situazione del mondo loro contemporaneo.
Non è quindi propriamente la posizione del salutati, ne una ritrattazione vera
e propria, o una confutazione delle accuse espresse prima. Petrarca
precursore degli umanisti. Ci sono nelle cose dette diverse cose interessanti,
una in particolare riguarda il Petrarca e il riconoscimento della sua funzione
per l’avvio del rinnovamento negli studi umanistici: riconosce l’importanza di
Petrarca come fondatore del movimento umanistico. Il discorso
improvvisato. L’altro aspetto importante per la struttura del dialogo riguarda
la dichiarazione del parlare all’improvviso e senza preparazione: questo dopo
aver fatto la lode di Dante. La caratteristica peculiare del dialogo è che
venga fatto come una CONVERSAZIONE reale. Gl’argomenti posti in campo, COME IN
UNA CONVERSAZIONE e senza un ordine sistematico, senza una preparazione pre-ordinata:
ciò mette in evidenza il carattere di naturalezza e libertà del discorso,
rispetto a quello che sarebbe in termini sistematici e stringenti di una
trattazione filosofica. Questo è un discorso, non un dialogo informa di
trattato. Altro aspetto interessante, per la posizione dal punto di vista
culturale è che, mentre d’ALIGHIERI viene esaltata la Commedia, per vari
motivi, di Petrarca e Boccaccio viene rilevata soprattutto l’opera IN LINGUA
LATINA. Di Petrarca in larghissima misura poi, solo poco si dice della
produzione in volgare. Di Boccaccio il Decàmeron in quanto tale non è citato!
Sono citate le opere IN LINGUA LATINA. Un solo accenno può far pensare al
Decàmeron, ma la centralità è data alla Genealogie. A questo punto, Dopo che
Niccoli ha finito il suo discorso, allora viene pronunciata l’assoluzione di
Niccoli che viene scagionato da quello che aveva fatto il giorno prima:
gli viene data l’assoluzione perché nella perorazione della causa aveva difeso
le sue ragioni e quindi non è responsabile di nulla. D’altra parte però anche
nel modo in cui viene data questa sorta di assoluzione, la formulazione non è
priva di tratti di ambiguità: perché quello che si dice riguarda non tanto il
discorso di Niccoli, quanto ciò che Niccoli aveva riportato a sé per l’amore
che aveva avuto per questi autori; un margine di ambiguità dunque rimane.
In definitiva. Delle Eccezioni. La parte finale del dialogo risolve e conclude
dicendo che da parte di Niccoli si ritiene abbastanza largamente premiato per
tutte le lodi ricevute, e ritorna però ai principi precedenti affermando che è
lontano dal credere di sapere qualcosa, e proprio ritorna circolarmente la sua
tesi fondamentale: «tanto più ciò mi par difficile, tanto più ammiro i
fiorentini in quanto nonostante l’avversità dei tempi, per una loro
sovrabbondanza di ingegno riuscirono ad essere pari o superiori agli antichi»:
delle eccezioni duqnue, illuminanti ma niente altro che delle eccezioni. Il
dialogo si conclude con l’intervento di Roberto e il ritorno al di là di ponte
vecchio. Modelli e fonti La cornice. La cornice di carattere
conviviale è la cornice classicamente ben autorizzata, il Simposio ed altro, è
un’altra delle cornici riusate, non frequentemente, nel dialogo
umanistico-rinascimentale. Il fatto che qui sia stato accennato in questa forma
è indizio di una attenzione da parte di B. verso questa nuova forma di dialogo.
Abbiamo visto quali fossero i modelli, e in particolare come modello di dialogo
diegetico, cioè narrativo in quanto introdotto da cornice che continua a
ritornare, il De Oratore. D’altra parte anche quando di fatto ci siano anche
altri modi e altre forme come quelle miste date da cornice introduttiva e poi
l’elemento di carattere mimetico, sulla scorta del Laelius de amicitia o come
aveva fatto Petrarca nel Secretum, in relazione al dialogo umanistico, non per
B., rimane un punto nodale di riferimento; specie in alcuni tratti che si
riprendono e ricompaiono nei dialoghi quattro-cinquecenteschi: in particolare
per il fatto che ci sia una cornice di carattere realistico (cosa che non c’è nel
Secretum); una cornice di carattere realistico; coordinate spazio temporali che
corrispondono ad aspetti di carattere realistico; e personaggi che appartengono
a figure storiche ben individuate. Altro dato che rimane costante e comune è la
rappresentazione scenica. C’è una dimensione teatrale largamente riconosciuta,
rappresentazione scenica sia in relazione ai personaggi, sia ai personaggi che
si alternano nel dialogo: personaggi che vengono a recitare un ruolo, come
vedremo ancora di più nel Cortegiano. Abbiamo poi visto la dichiarazione di
veridicità: l’autore dice di aver riportato un reale dialogo, e abbiamo visto
come si vuole cercare di rendere evidente al lettore, di mimare l’andamento di
una libera conversazione: una conversazione non preordinata. Il
dialogo Diversi usi del dialogo. Il nostro non è un trattato, ma la forma
del dialogo è una di quelle privilegiate per il trattato. Naturalmente le
possibilità insite possono essere diverse: in quanto noi ci possiamo trovare di
fronte ad un trattato in forma di dialogo in cui si voglia veicolare unatesi, e
si individua una strategia comunicativa dialogica che fa capire quale sia la
sua tesi. Ma ci possono essere altre possibilità: ci può essere quella propria
del confronto di opinioni, con un dialogo che si compone via via in una ricerca
che si completa a vicenda, e d’altra parte ci sono anche dialoghi che rimangono
aperti: sono confronti di opinioni che non sono riconducibili in unità, e
quindi la discordia rimane. Il dialogo per sua stessa natura presenta problemi
di carattere interpretativo in quanto ha un margine interno di ambiguità, nel
senso che ci troviamo di fronte ad enunciazioni di posizioni diverse da parte
dei personaggi: dipende molto dalla strategia compositiva, che può indirizzare
il lettore, ma ci possono essere delle voci, delle posizioni dei tratti che
possono sembrare ambivalenti o volutamente lasciate con prospettive diverse da
parte dell’autore, e questo comporta evidentemente dei problemi e difficoltà di
interpretazione. Naturalmente ci sono anche dialoghi dove da questo punto di
vista viene fatto intendere in maniera chiara ed evidente e viene orientata in
maniera che non ci siano dubbi quella che è la prospettiva dell’autore. In
questo è un notissimo l’esempio di Galileo, dove le posizioni sono definite in
modo chiaro, e la posizione di Simplicio è quella di chi enuncia testi che
devono essere confutate. Leonardo
Bruno. Leonardo Bruni. Bruni. Keywords: interpretare, implicatura geometrica,
Ethica nicomachaea, Grice, Hardie. “Ad
Petrum Paulum Histrum”, l’interpretazione di Romolo – l’interpretazione di
Remolo – I sei aquile I duodici aquile– primi I sei corvi – il segnato? Refs.
Luigi Speranza, “Grice e Bruni: implicatura geometrica” – The Swimming-Pool
Library. Bruni.
Luigi Speranza – GRICE ITALO!;
ossia, Grice e Bruno: la ragione conversazionale e l’implicatura
conversazionale dell’opera – libretto di -- Atteone – la scuola di Nola –
filosofia napoletana – filosofia campanese -- filosofia italiana – Luigi
Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The Swimming-Pool Library (Nola). Filosofo
nolese. Filosofo napoletano. Filosofo campanese. Filosofo italiano. Nola,
Napoli, Campania. Grice: “It has taken naturally an Italian – Rossi – to
unearth the connection between the chiave universalis and the cabbala!” Grice:
“Italians should concentrate on the few Italian philosophical dialogues by
Bruno in the vernacular, and leave those in ‘the learned’ for those who cannot
deal with the ‘volgare’!” “My favourite has to be the one on Atteone – which
Bruno describes as the ‘furor’ of a ‘heroe’ – Atteone il cacciatore – but the
one on the Fiume at the Campidoglio is also very good!” -- Giordano Bruno – Grice: “A genius”. La sua
filosofia, inquadrabile nel naturalismo rinascimentale d’amare infinitiamente,
fonde le più diverse tradizioni filosofiche — materialismo antico, galileismo, neoplatonismo,
ermetismo, mnemotecnica -- ma ruota intorno a un'unica idea: l'infinito –
“l’immenso” -- inteso come l'universo infinito, effetto di un Dio infinito,
in-figurabile, fatto di infiniti mondi, da amare infinitamente. Non
esistono molti documenti sulla sua gioventù. È lo stesso filosofo, negli
interrogatori cui fu sottoposto durante il processo che segna gli ultimi anni della sua vita, a dare le
informazioni sui suoi primi anni. Io ho nome Giordano Filippo della famiglia di
Bruni, della città de Nola vicina a Napoli dodeci miglia, nato ed allevato in
quella città, e più precisamente nella contrada di san Giovanni del Cesco, ai
piedi del monte Cicala. Figlio dell'alfiere Giovanni e di Fraulissa Savolina per
quanto ho inteso dalli miei. Il Mezzogiorno era allora parte del Regno di
Napoli. Fu battezzato col nome di Filippo in onore dell'erede al trono. La sua
casa - che non esiste più - era modesta, ma nel suo “De immense” ricorda con
commossa simpatia l'ambiente che la circondava, l'amenissimo monte Cicala, le
rovine del castello, gli ulivi, in parte gli stessi di oggi, e di fronte, il
Vesuvio, che, pensando che oltre quella montagna non vi fosse più nulla nel
mondo, esplora ragazzetto. Ne trae l'insegnamento di non basarsi esclusivamente
sul giudizio dei sensi, come fa, a suo dire, il grande Aristotele, imparando
soprattutto che, al di là di ogni apparente limite, vi è sempre qualche cosa
d'altro. Impara a leggere e a scrivere da un prete nolano, Giandomenico de
Iannello e compì gli studi di grammatica nella scuola di Aloia. Prosegue gli
studi superiori a Napoli, che era allora nel cortile del convento di san
Domenico, per apprendere lettere, logica e dialettica da Colle e lezioni
private di logica da un agostiniano, Vairano. Il Sarnese, ossia Colle e un
aristotelico. Per Colle, solo il concetto conta, nessuna importanza avendo la
forma nella quale il concetto e espresso. Scarse le notizie su Vairano, del
quale B. ebbe sempre ammirazione, tanto da farlo protagonista dei suoi dialoghi
cosmologici e da confidare al bibliotecario Cotin che eglio fu «il principale
tutore che abbia avuto in filosofia. Per delineare la sua prima formazione,
basta aggiungere che, introducendo la spiegazione del nono sigillo nella sua “Explicatio
triginta sigillorum”, scrive di essersi dedicato fin da giovanissimo allo
studio dell'arte della memoria, influenzato probabilmente dalla lettura del
trattato Phoenix seu artificiosa memoria di Tommai. In convento Interno
della chiesa di san Domenico Maggiore a Napoli, dove B. seguì il suo noviziato
e fu promosso agli ordini sacri. Rrinuncia al nome di Filippo, come imposto
dalla regola domenicana, assume il nome di Giordano, in onore a Giordano di
Sassonia, successore di Domenico, o forse di Giordano Crispo, suo tutore di
metafisica, e prende quindi l'abito di frate domenicano dal priore del convento
di san Domenico Maggiore a Napoli, Pasca. Fnito l'anno della probatione, e admesso
da lui medesimo alla professione», in realtà fu novizio e professo. Valutando
retrospettivamente, la scelta d'indossare l'abito domenicano può spiegarsi non
già per un interesse alla vita religiosa o agli studi teologici – che mai ebbe,
come affermò anche al processo - ma per potersi dedicare ai suoi studi
prediletti di filosofia con il vantaggio di godere della condizione di
privilegiata sicurezza che l'appartenenza a quell'ordine potente certamente gli
garanta. Che egli non fosse entrato fra i domenicani per tutelare
l'ortodossia della fede cattolica lo rivelò subito l'episodio – narrato da lui
stesso al processo – nel quale nel convento di san Domenico, butta via le
immagini dei santi in suo possesso, conservando solo il crocefisso e invitando
un novizio che legga la Historia delle sette allegrezze della Madonna a gettar
via quel libro, una modesta operetta devozionale, pubblicata a Firenze,
perifrasi di versi in latino di Chiaravalle, sostituendolo magari con lo studio
della Vita de' santi Padri di Cavalca. Episodio che, pur conosciuto dai
superiori, non provoca sanzioni nei suoi confronti, ma che dimostra come fosse
del tutto estraneo alle tematiche devozionali contro-riformistiche. Chiesa
di San Bartolomeo a Campagna, dove celebra la sua prima messa. E andato a Roma
e sia stato presentato a Pio V e al cardinale Rebiba, al quale avrebbe
insegnato qualche elemento di quell'arte mnemonica che tanta parte avrà nella
sua speculazione filosofica. Fu ordinato suddiacono, diacono, e presbitero,
celebrando la sua prima messa nel convento di san Bartolomeo a Campagna, presso
Salerno, a quell'epoca appartenente ai Grimaldi, principi di Monaco, e si
laurea con una tesi su AQUINO e Lombardo. Non bisogna pensare che un
convento fosse esclusivamente un'oasi di pace e di meditazione di spiriti eletti.
Nei confronti dei frati di san Domenico Maggiore furono emesse diciotto
sentenze di condanna per scandali sessuali, furti e perfino omicidi. Non deve
pertanto stupire il disprezzo che ostenta sempre nei confronti dei frati, ai
quali rimprovera in particolare la mancanza di cultura; e non solo, ma, secondo
un'ipotesi di Spampanato comunemente accettata in sede critica, nel protagonista
del suo “Candelaio”, Bonifacio, egli assai probabilmente alluse proprio a un
suo con-fratello, Bonifacio da Napoli, definito nella lettera dedicatoria alla
Signora Morgana B. “candelaio” “in carne ed ossa”, ossia “sodomita”. Tuttavia,
la possibilità di formarsi un'ampia cultura non manca certo nel convento di san
Domenico Maggiore, famoso per la ricchezza della sua biblioteca, anche se, come
negli altri conventi, sono vietati i saggi di Erasmo da Rotterdam che però si procura in parte, leggendoli di nascosto. La
sua esperienza conventuale e in ogni caso decisiva. Vi puo compiere i suoi
studi e formare la sua cultura leggendo di tutto, da Aristotele ad Aquino, da
Gerolamo a Crisostomo, oltre alle opere di Ficino. La sua indipendenza di
pensiero e la sua insofferenza verso l'osservanza dei dogmi si manifestarono inequivocabilmente.
Discutendo di arianesimo con Montalcino, ospite nel convento napoletano,
sostenne che le opinioni di Ario e meno perniciose di quel che si riteneva,
dichiarando che Ario dice che il verbo non era creatore né creatura, ma medio
intra il creatore e la creatura, come il verbo è mezzo intra il dicente
(DICENS, DICTOR, utterer, mittente) ed il detto (il detto, DICTUM, utteratum,
missum) e però essere detto primogenito avanti ogni creatura, non dal quale ma
per il quale è stato creato ogni cosa, non al quale ma per il quale si refferisce
e ritorna ogni cosa all'ultimo fine, che è il Padre, essagerandomi sopra
questo. Per il che fui tolto in suspetto e processato, tra le altre cose, forsi
de questo ancora. E all'inquisitore veneziano espresse il proprio scetticismo
sulla trinità, ammettendo di aver dubitato circa il nome di “persona” del
Figliolo e del Spirito Santo, non intendendo queste due persone distinte dal
Padre, ma considerando il Figlio, neo-platonicamente, l'intelletto e lo spirito,
pitagoricamente, l'amore del padre o l'anima del mondo, non dunque “persone” o
sostanze distinte, ma manifestazioni divine. Denunciato d’Agostino al
padre provincial Vita, costui istituì contro di lui un processo per eresia e,
come racconta lui stesso agli inquisitori veneti, dubitando di non esser messo
in preggione, me partto da Napoli ed ando a Roma. Raggiunse Roma, ospite del
convento domenicano di Santa Maria sopra Minerva, il cui procuratore, Lucca,
divenne pochi anni dopo generale dell'Ordine e
censura i saggi di Montaigne. Sono anni di gravi disordini: a Roma
sembra non farsi altro, scrive il cronista Gualtieri, che rubare e ammazzare:
molti gittati in Tevere, né di popolo solamente, ma i monsignori, i figli di
magnati, messi al tormento del fuoco, e nipoti di cardinali sono levati dal
mondo e ne incolpa il debole Gregorio XIII. è accusato di aver ammazzato e
gettato nel fiume un frate: scrive Cotin, fugge da Roma per un omicidio
commesso da un suo frère, per il quale egli è incolpato e in pericolo di vita,
sia per le calunnie dei suoi inquisitori che, ignoranti come sono, non
concepiscono la sua filosofia e lo accusano di eresia. Oltre all'accusa di
omicidio, ha infatti notizia che nel convento napoletano erano stati trovati,
tra i suoi saggi, saggi di Crisostomo e di Gerolamo annotate da Erasmo e che si
sta istruendo contro di lui un processo per eresia. Così abbandona
l'abito domenicano, riassume il nome di Filippo, lascia Roma e fugge in
Liguria. Portico del Palazzo comunale di Noli, dove soggiorna per un breve
periodo. Sotto il portico una lapide ricorda il soggiorno del filosofo: "B.
Prima d'insegnare all'Europa Le leggi dell'ordine universale fu maestro in Noli
di grammatica e cosmografia. è a Genova e scrive che allora, nella chiesa di
Santa Maria di Castello, si adora come reliquia e si fac baciare ai fedeli la
coda dell'asina che portò Gesù a Gerusalemme. Da qui, va poi a Noli, dove insegna
grammatica ai bambini e cosmografia agli adulti. è a Savona, poi a
Torino, che giudica deliciosa città ma, non trovandovi impiego, per via
fluviale s'indirizza a Venezia, dove alloggia in una locanda nella contrada di
Frezzeria, facendovi stampare il suo primo saggio, “De' segni de' tempi”, per
metter insieme un pocco de danari per potermi sustentar; la qual opera feci
veder prima al reverendo padre maestro Fiorenza, domenicano del convento dei
Santi Giovanni e Paolo. Ma a Venezia e in corso un'epidemia di peste che
ha fatto decine di migliaia di vittime, anche illustri, come Tiziano, così va a
Padova dove, dietro consiglio di alcuni domenicani, riprende il saio, quindi se
ne va a Brescia, dove si ferma nel convento domenicano. Qui un monaco, profeta,
gran teologo e poliglotta, sospettato di stregoneria per essersi messo a
profetizzare, viene da lui guarito, ritornando a essere - scrive ironicamente -
il solito asino. IDa Bergamo decide di andare in Francia: passa per Milano e
Torino, ed entra in Savoia passando l'inverno nel convento domenicano di
Chambéry. Successivamente, è a Ginevra,
città dov'è presente una numerosa colonia di italiani riformati. B. depone
nuovamente il saio e si veste di cappa, cappello e spada, aderisce al
calvinismo e trova lavoro come correttore di bozze, grazie all'interessamento del
marchese Caracciolo il quale, transfuga dall'Italia vi aveva fondato la comunità evangelica
italiana. S'iscrive allo studio di Ginevra come Filippo B. nolano,
professore di teologia sacra. Accusa il professore di filosofia Faye di essere
un cattivo insegnante e definisce pedagoghi i pastori calvinisti. È probabile
che volesse farsi notare, dimostrare l'eccellenza della sua preparazione
filosofica e delle sue capacità didattiche per ottenere un incarico
d'insegnante, costante ambizione di tutta la sua vita. Anche la sua adesione al
calvinismo e mirata a questo scopo. E in realtà indifferente a tutte le
confessioni religiose. Nella misura in cui l'adesione a una religione storica
non pregiudicasse le sue convinzioni filosofiche e la libertà di professarle, sarebbe
stato cattolico in Italia, calvinista in Svizzera, anglicano in Inghilterra e
luterano in Germania. Arrestato per diffamazione, viene processato e scomunicato.
Costretto a ritrattare. Lscia allora Ginevra e si trasferisce brevemente a
Lione per passare a Tolosa, città cattolica, sede di un'importante studio, dove
occupa il posto di lettore, insegnandovi, come Grice, il “De anima”, di
Aristotele e componendo un trattato di arte della memoria: la Clavis magna, che
si rifarebbe all'Ars magna. A Tolosa conosce il filosofo scettico Sanches, che
volle dedicargli il suo libro “Quod nihil scitur”, chiamandolo filosofo
acutissimo. Ma non ricambia la stima, se
scrisse di lui di considerare stupefacente che questo asino si dia il titolo di
dottore. A causa della guerra di religione fra cattolici e ugonotti, lascia
Tolosa per Parigi, dove tiene un corso di lezioni sugli attributi di Dio
secondo Aquino. E in seguito al successo di queste lezioni, come egli stesso
racconta agli inquisitori, acquistai nome tale che il re Enrico terzo mi fece
chiamare un giorno, ricercandomi se la memoria che ho e che professo, e naturale
o pur per arte magica; al qual diedi sodisfazione; e con quello che li dissi e
feci provare a lui medesmo, conosce che non era per arte magica ma per
scienzia. E doppo questo fa stampar un libro de memoria, sotto titolo “De
umbris idearum”, il qual dedica a Sua Maestà; e con questa occasione si fa
lettor straordinario e provvisionato. Appoggiando fattivamente l'operato
politico di Enrico III di Valois, a Parigi sarebbe rimasto poco meno di due
anni, occupato nella prestigiosa posizione di lecteur royal. È a Parigi che dà
alle stampe le sue prime opere pervenuteci. Oltre al “De compendiosa architectura
et complemento artis Lullii” vedono la luce il “De umbris idearum” (“Le ombre
delle idee”) e l'Ars memoriae ("L'arte della memoria"), seguiti dal “Cantus
Circaeus”, “Il canto di Circe”, e dalla
commedia in volgare intitolata “Candelaio” (Il sodomita). Nella suai intenzioni, il saggio di argomento
mnemotecnico, è distinto così in una parte di carattere teorico e in una di
carattere pratico. Per lui l'universo è un corpo unico, organicamente
formato, con un preciso ordine che struttura ogni singola cosa e la connette
con tutte le altre. Fondamento di quest'ordine sono le idee, principi eterni e
immutabili presenti totalmente e simultaneamente nella mente divina, ma queste
idee vengono "ombrate" e si separano nell'atto di volerle intendere.
Nel cosmo ogni singolo ente è dunque imitazione, immagine -- "ombra" --
della realtà ideale che la regge. Rispecchiando in sé stessa la struttura
dell'universo, la mente umana, che ha in sé non le idee ma le ombre delle idee
(Shakespeare, l’ombra dell’ombra), può raggiungere la vera conoscenza, ossia la
idea e il nesso che connetta ogni cosa con ogni altre, al di là della
molteplicità degli elementi particolari e del loro mutare nel tempo. Si tratta
allora di cercare di ottenere un metodo conoscitivo che colga la complessità
del reale, fino alla struttura ideale che sostiene il tutto. Tale mezzo
si fonda sull'arte della memoria, il cui compito è di evitare la confusione
generata dalla molteplicità delle immagini e di connettere la immagine della
cosa con il concetto, rappresentando simbolicamente tutto il reale. Nel
pensiero del filosofo, l'arte della memoria opera nel medesimo mondo dell’ombre
delle idea, presentandosi come emulatrice della natura. Se dall’idea prende
forma la cosa del mondo in quanto la idea contiene l’immagine di ogni cosa, e
ai nostri sensi la cosa si manifestano come ombra di quella, allora tramite
l'immaginazione stessa e possibile ripercorrere il cammino inverso, risalire
cioè dall’ombra alle idea, dall'uomo a Dio: l'arte della memoria non è più un
ausilio della retorica, ma un mezzo per ri-creare il mondo (cf. Grice
metaphysical routine: creation of concept, recreation of concept, creation of
thing). È dunque un processo visionario e non un metodo razionale quello che propone.
A similitudine di ogni altra arte, quella della memoria ha bisogno di un
sostrato (i subiecta), cioè "spazi" dell'immaginazione atti ad
accogliere il simbolo adatti (gl’ “adiecta”) tramite uno strumento opportuno.
Con questi presupposti, lcostruisce un “sistema” (cf. Grice, Gentzen), che associa
a ogni segno una immagine proprie della mitologia, in modo da rendere possibile
la codifica di segno e concetto secondo una particolare successione di
immagini. Il segno puo essere visualizzato su un diagramma circolare, o
"ruote mnemoniche", che girando e innestandosi l'una dentro l'altra,
fornisce un strumento via via più potenti. “Il canto di Circe” è composta da
due dialoghi. Protagonista del primo è la maga Circe che risentita dal
constatare che l’uomo si comporta come un animale inferiore, opera un incantesimo
trasformando l’uomo in bestia, mettendo così in luce la loro autentica natura.
Nel secondo dialogo, dando voce a uno dei due protagonisti, Borista, riprende
l'arte della memoria mostrando come memorizzare il dialogo precedente. Al testo
si fa corrispondere uno scenario che viene via via suddiviso in un maggior
numero di spazi e i vari oggetti lì contenuti sono ogni immagine relativa a
ogni concetto espresso nello scritto. Il Cantus resta dunque un trattato di
mnemotecnica nel quale però il filosofo già lascia intravedere una tematica
morale che e ampiamente riprese in opere successive, soprattutto nello “Spaccio
de la bestia trionfante” e ne “De gli eroici furori”. Ancora pubblica infine il
Candelaio, una commedia in cinque atti in cui alla complessità del linguaggio,
un italiano popolaresco che inserisce termini in latino, toscano e napoletano,
corrisponde l'eccentricità della trama, fondata su tre storie parallele. Esterno
della chiesa di Santa Maria Assunta dei Pignatelli, in Largo Corpo di Napoli,
presso il Seggio del Nilo, dove B. ambienta il suo Candelaio. Il nome “Candelaio”
deriva dalla statua del dio Nilo. La commedia è ambientata nella
Napoli-metropoli del secondo Cinquecento, in posti che il filosofo ben conosce
per avervi soggiornato durante il suo noviziato. Il candelaio (sodomita) Bonifacio,
pur sposato con la bella Carubina, corteggia la signora Vittoria ricorrendo a
pratiche magiche. L’avido alchimista Bartolomeo si ostina a voler trasformare i
metalli in oro. Il grammatico Manfurio si esprime in un linguaggio
incomprensibile (deutero-Esperanto). In queste tre storie si inserisce quella
del pittore Gioan Bernardo, voce di lui stesso che con una corte di servi e
malfattori si fa beffe di tutti e conquista Carubina. In questo classico
della letteratura italiana, appare un mondo assurdo, violento e corrotto,
rappresentato con amara comicità, dove gli eventi si succedono in una trasformazione
continua e vivace. La commedia è una feroce condanna della stupidità,
dell'avarizia e della pedanteria. Interessante nell'opera la descrizione
che lui fa di sé stesso. L'autore, si voi lo conoscete, direste ch'ave una
fisionomia smarrita: par che sii in contemplazione delle pene dell'inferno, par
sii stato alla pressa come le barrette: un che ride sol per far come fan gli
altri: per il più lo vedrete fastidito e bizzarro, non si contenta di nulla,
ritroso come un uomo d'ottant'anni, fantastico com'un cane ch'ha ricevute mille
spellicciate, pasciuto di cipolla. Intende venire in Inghilterra il dottor B.,
Nolano, professore di filosofia, la cui religione non posso approvare. Dalla
lettera dell'ambasciatore inglese a Parigi Cobham a Walsingham. Lascia Parigi e
parte per l'Inghilterra dove, a Londra, è ospitato dall'ambasciatore di Francia
Castelnau, che gli affianca il letterato Florio in quanto lui non conosce
l'inglese, accompagnandolo fino al termine del suo soggiorno inglese. Nelle
deposizioni lasciate agli inquisitori veneti egli sorvola sulle motivazioni di
questa partenza, riferendosi genericamente ai disordini là in corso per
questioni religiose. Sulla partenza da Parigi restano però aperte altre
ipotesi: che Bruno fosse partito in missione segreta per conto di Enrico III; che
il clima a Parigi si fosse fatto pericoloso a causa dei suoi insegnamenti. Bisogna
aggiungere anche il fatto che davanti agli inquisitori veneziani, qualche anno
più avanti, esprimer parole di apprezzamento per la regina d'Inghilterra
Elisabetta che egli aveva conosciuto andando spesso a corte con l'ambasciatore.
-- è a Oxford, e alla St. Mary sostenne con uno di quei professori una disputa
pubblica. Tornato a Londra, vi pubblica l'”Ars reminiscendi”, l' “Explicatio
triginta sigillorum” e il “Sigillus sigillorum” nel quale insere una lettera
indirizzata al vice cancelliere di Oxford, scrivendo che là trovea
dispostissimo e prontissimo un uomo col quale saggiare la misura della propria
forza. È una richiesta di poter insegnare nella prestigiosa università. La
proposta viene accolta. Parte per Oxford. Il “Sigillus sigillorum” e
considerato di argomento mnemotecnico. Il sigillus e è una concisa trattazione
teorica nella quale il filosofo introduce tematiche decisive nel suo pensiero,
quali l'unità dei processi cognitivi; l'amore come legame universale; l'unicità
e infinità di una forma universale che si esplica nelle infinite figure della
materia, e il furore nel senso di slancio verso il divino, argomenti che
saranno di lì a poco sviluppati a fondo nei successivi dialoghi italiani. È presentato
inoltre in quest'opera fondamentale un altro dei temi nucleari di sua filosofia:
la magia come guida e strumento di conoscenza e azione, argomento che egli
amplierà nelle cosiddette opere magiche. A Oxford tiene alcune lezioni
sulle teorie copernicane, ma il suo soggiorno presso quella città dura ben
poco. A Oxford non gradirono quelle novità, come testimonia Abbot, che fu presente
alle lezioni di B.. Quell'omiciattolo italiano intraprese il tentativo, tra
moltissime altre cose, di far stare in piedi l'opinione di Copernico, per cui
la terra gira e i cieli stanno fermi; mentre in realtà era la sua testa che
girava e il suo cervello che non stava fermo. Le lezioni furono quindi
interrotte, ufficialmente per un'accusa di plagio al “De vita coelitus
comparanda” di Ficino. Sono anni questi difficili e amari per il filosofo, come
traspare dal tono delle introduzioni alle opere immediatamente successive, i
dialoghi londinesi: le polemiche accese e i rifiuti sono vissuti lui come una
persecuzione, ingiusti oltraggi, e certo la fama che già lo aveva preceduto da
Parigi non lo aiuta. Ritornato a Londra, nonostante il clima avverso, pubblica presso
John Charlewood sei saggi fra le più importanti della sua produzione: sei opere
filosofiche in forma dialogica, i cosiddetti "dialoghi londinesi", o
anche "dialoghi italiani", perché tutti in lingua italiana: “La cena
de le ceneri”; “De la causa, principio et uno”; “De l'infinito, universo e
mondi”; “Spaccio de la bestia trionfante”; “Cabala del cavallo pegaseo con l'aggiunta
dell'Asino cillenico”; “De gli eroici furori”. “La cena de le ceneri” dedicata
a Castelnau, presso il quale era ospite, è divisa in cinque dialoghi, i
protagonisti sono quattro e fra questi Teofilo può considerarsi il portavoce dell'autore.
Immagina che il nobile sir Fulke Greville, il giorno delle ceneri, inviti a
cena Teofilo, lui stesso, Florio, precettore della figlia dell'ambasciatore, un
cavaliere e due accademici luterani di Oxford: i dottori Torquato e Nundinio.
Rispondendo alle domande degli altri protagonisti, Teofilo racconta gli eventi
che hanno portato all'incontro e lo svolgersi della conversazione avvenuta
durante la cena, esponendo così le teorie del nolano. B. elogia e difende la
teoria di Copernico contro gli attacchi dei conservatori e contro chi, come Osiander,
che aveva scritto una prefazione denigratoria al De revolutionibus orbium
coelestium, considera solo un'ipotesi ingegnosa quella dell'astronomo. Il mondo
di Copernico, però, era ancora finito e delimitato dalla sfera delle stelle
fisse. Nella Cena, non si limita a sostenere il moto della Terra di seguito
alla confutazione della cosmologia tolemaica; egli presenta altresì un universo
infinito: senza centro né confini. Afferma Teofilo (portavoce dell'autore)
riguardo all'universo che sappiamo certo che essendo effetto e principiato da
una causa infinita e principio infinito, deve secondo la capacità sua corporale
e modo suo essere infinitamente infinito. Non è possibile giamai di trovar
raggione semiprobabile per la quale sia margine di questo universo corporale; e
per conseguenza ancora li astri che nel suo spacio si contengono, siino di
numero finito; et oltre essere naturalmente determinato cento e mezzo di
quello». L'universo, che procede da Dio quale Causa infinita, è infinito a sua
volta e contiene mondi innumerabili. Per B. sono principi vani sostenere
l'esistenza del firmamento con le sue stelle fisse, la finitezza dell'universo
e che in questo esista un centro dove ora dovrebbe trovarsi immobile il Sole
come prima vi si immaginava ferma la Terra. Formula esempi che appaiono ad
alcuni autori come antesignani del principio di relatività galileiana. Seguendo
la Docta ignorantia del cardinale e umanista Cusano, sostiene l'infinità
dell'universo in quanto effetto di una causa infinita. -- e ovviamente
consapevole che le Scritture sostengono tutt'altro – finitezza dell'universo e
centralità della Terra – ma, risponde: «Se gli dei si fossero degnati di
insegnarci la teorica delle cose della natura, come ne han fatto favore di
proporci la pratica di cose morali, io più tosto mi accosterei alla fede de le
loro rivelazioni, che muovermi punto della certezza de mie raggioni e proprii
sentimenti. Come occorre distinguere tra dottrine morali e filosofia naturale,
così occorre distinguere tra teologi e filosofi: ai primi spettano le questioni
morali, ai secondi la ricerca della verità. Dunque B. traccia qui un confine
abbastanza netto fra opere di filosofia naturale e Sacre scritture. I
cinque dialoghi del De la causa, principio et uno intendono stabilire i principi
della realtà naturale. Lascia da parte l'aspetto teologico della conoscenza di
Dio, del quale, come causa della natura, non possiamo conoscere nulla
attraverso il «lume naturale», perché esso «ascende sopra la natura» e si può
pertanto aspirare a conoscere Dio solo per fede. Ciò che interessa a B. è
invece la filosofia e la contemplazione della natura, la conoscenza della
realtà naturale nella quale, come già aveva scritto nel De umbris, possiamo
soltanto cogliere le «ombre», il divino «per modo di vestigio. La costellazione
di Orione Riallacciandosi ad antiche tradizioni di pensiero, B. elabora una
concezione animistica della materia, nella quale l'anima del mondo viene a
identificarsi con la sua forma universale, e la cui prima e principale facoltà
è l'intelletto universale. L'intelletto è il «principio formale costitutivo de
l'universo e di ciò che in quello si contiene» e la forma non è altro che il
principio vitale, l'anima delle cose le quali, proprio perché tutte dotate di
anima, non hanno imperfezione. La materia, d'altro canto, non è in sé
stessa indifferenziata, un "nulla", come hanno sostenuto molti
filosofi, una bruta potenza, senza atto e senza perfezione, come direbbe
Aristotele. La materia è allora il secondo principio della natura, della
quale ogni cosa è formata. Essa è «potenza d'esser fatto, prodotto e creato»,
aspetto equivalente al principio formale che è potenza attiva, «potenza di
fare, di produrre, di creare» e non può esserci l'un principio senza l'altro.
Ponendosi quindi in contrasto col dualismo aristotelico, Bruno conclude che
principio formale e principio materiale benché distinti non possono essere
ritenuti separati, perché «il tutto secondo la sostanza è uno».
Discendono da queste considerazioni due elementi fondamentali della filosofia
bruniana: uno, tutta la materia è vita e la vita è nella materia, materia
infinita; due, Dio non può essere al di fuori della materia semplicemente
perché non esiste un "esterno" della materia: Dio è dentro la
materia, dentro di noi. Nel “De l'infinito, universo e mondi” riprende e
arricchisce temi già affrontati nei dialoghi precedenti: la necessità di un
accordo tra filosofi e teologi, perché «la fede si richiede per l'istituzione
di rozzi popoli che denno esser governati»; l'infinità dell'universo e
l'esistenza di mondi infiniti; la mancanza di un centro in un universo
infinito, che comporta un'ulteriore conseguenza: la scomparsa dell'antico,
ipotizzato ordine gerarchico, la «vanissima fantasia» che riteneva che al
centro vi fosse il «corpo più denso e crasso» e si ascendesse ai corpi più fini
e divini. La concezione aristotelica è difesa ancora da quei dottori (i
pedanti) che hanno fede nella «fama de gli autori che gli son stati messi nelle
mani», ma i filosofi moderni, che non hanno interesse a dipendere da quello che
dicono gli altri e pensano con la loro testa, si sbarazzano di queste
anticaglie e con passo più sicuro procedono verso la verità. Chiaramente
un universo eterno, infinitamente esteso, composto di un numero infinito di
sistemi solari simili al nostro e sprovvisto di centro sottrae alla Terra, e di
conseguenza all'uomo, quel ruolo privilegiato che Terra e uomo hanno nelle
religioni giudaico-cristiane all'interno del modello della creazione, creazione
che agli occhi del filosofo non ha più senso, perché come già aveva concluso
nei due dialoghi precedenti, l'universo è assimilabile a un organismo vivente,
dove la vita è insita in una materia infinita che perennemente muta. Il
copernicanesimo, per B, rappresenta la "vera" concezione
dell'universo, meglio, l'effettiva descrizione dei moti celesti. Nel Dialogo
primo del De l'infinito, universo e mondi, il nolano spiega che l'universo è
infinito perché tale è la sua Causa che coincide con Dio. Filoteo, portavoce
dell'autore, afferma: «Qual raggione vuole che vogliamo credere che l'agente
che può fare un buono infinito lo fa finito? e se lo fa finito, perché doviamo
noi credere che possa farlo infinito, essendo in lui il possere et il fare
tutto uno? Perché è inmutabile, non ha contingenzia nell'operazione, né nella
efficacia, ma da determinata e certa efficacia depende determinato e certo
effetto inmutabilmente: onde non può essere altro che quello che è; non può
essere tale quale non è; non può posser altro che quel che può; non può voler
altro che quel che vuole; e necessariamente non può far altro che quel che fa:
atteso che l'aver potenza distinta da l'atto conviene solamente a cose
mutabili». Essendo Dio infinitamente potente, dunque, il suo atto esplicativo
deve esserlo altrettanto. In Dio coincidono libertà e necessità, volontà e
potenza (o capacità); di conseguenza, non è credibile che all'atto della
creazione Egli abbia posto un limite a sé stesso. Bisogna tener presente
che B. opera una netta distinzione tra l'universo e i mondi. Parlare di un
sistema del mondo non vuol dire, nella sua visione del cosmo, parlare di un
sistema dell'universo. L'astronomia è legittima e possibile come scienza del
mondo che cade nell'ambito della nostra percezione sensibile. Ma, al di là di
esso, si estende un universo infinito che contiene quei grandi animali che
chiamiamo astri, che racchiude una pluralità infinita di mondi. Quell'universo
non ha dimensioni né misura, non ha forma né figura. Di esso, che è insieme
uniforme e senza forma, che non è né armonico né ordinato, non può in alcun
modo darsi un sistema. Quando aviene che un poltrone o forfante monta ad esser
principe o ricco, non è per mia colpa, ma per iniquità di voi altri che, per
esser scarsi del lume e splendor vostro, non lo sforfantaste o spoltronaste
prima, o non lo spoltronate e sforfantate al presente, o almeno appresso lo
vegnate a purgar della forfantesca poltronaria, a fine che un tale non
presieda. Non è errore che sia fatto un prencipe, ma che sia fatto prencipe un
forfante.» (Spaccio de la bestia trionfante, Fortuna (Sofia): dialogo II,
parte II) Opera allegorica, lo Spaccio, costituito da tre dialoghi di argomento
morale, si presta a essere interpretato su diversi livelli, tra i quali resta
fondamentale quello dell'intento polemico di Bruno contro la Riforma
protestante, che agli occhi del nolano rappresenta il punto più basso di un
ciclo di decadenza iniziato col cristianesimo. Decadenza non soltanto
religiosa, ma anche civile e filosofica: se B. aveva concluso nei precedenti
dialoghi che la fede è necessaria per il governo dei «rozzi popoli» cercando di
delimitare così i rispettivi campi d'azione di filosofia e religione, qui egli
riapre quel confine. Nella visione di B., il legame fra l'uomo e il
mondo, mondo naturale e mondo civile, è quello fra l'uomo e un Dio che non sta
"nell'alto dei cieli", ma nel mondo, perché la «natura non è altro
che dio nelle cose». Il filosofo, colui che cerca la Verità, deve pertanto
necessariamente operare là dove sono situate le «ombre» del divino. L'uomo non
può fare a meno di interagire con Dio, secondo il linguaggio di una
comunicazione che nel mondo naturale vede l'uomo perseguire la Conoscenza, e
nel mondo civile l'uomo seguire la Legge. Questo legame è proprio quello che
nella storia è stato interrotto, e il mondo tutto è decaduto perché è decaduta
la religione trascinando con sé e la legge e la filosofia, «di sorte che non
siamo più dèi, non siamo più noi. Nello Spaccio, dunque, etica, ontologia e
religione sono strettamente interconnessi. Religione, e questo va evidenziato,
che B. intende come religione civile e naturale, e il modello cui egli si
ispira è quello degli antichi Egizi e Romani, che «non adoravano Giove, come
lui fusse la divinità, ma adoravano la divinità come fusse in Giove. Per
ristabilire il legame col divino occorre però che «prima togliamo dalle nostre
spalli la grieve somma d'errori che ne trattiene.» È lo "spaccio",
cioè l'espulsione di ciò che ha deteriorato quel legame: le "bestie
trionfanti". Le bestie trionfanti sono immaginate nelle
costellazioni celesti, rappresentate da animali: occorre
"spacciarle", cioè cacciarle dal cielo in quanto rappresentanti vizi
che è tempo di sostituire con altre virtù: via dunque la Falsità, l'Ipocrisia,
la Malizia, la «stolta fede», la Stupidità, la Fierezza, la Fiacchezza, la
Viltà, l'Ozio, l'Avarizia, l'Invidia, l'Impostura, l'Adulazione e via
elencando. Occorre tornare alla semplicità, alla verità e all'operosità,
ribaltando le concezioni morali che si sono ormai imposte nel mondo, secondo le
quali le opere e gli affetti eroici sono privi di valore, dove credere senza
riflettere è sapienza, dove le imposture umane sono fatte passare per consigli
divini, la perversione della legge naturale è considerata pietà religiosa,
studiare è follia, l'onore è posto nelle ricchezze, la dignità nell'eleganza,
la prudenza nella malizia, l'accortezza nel tradimento, il saper vivere nella
finzione, la giustizia nella tirannia, il giudizio nella violenza.
Responsabile di questa crisi è il cristianesimo: già Paolo aveva operato il
rovesciamento dei valori naturali e ora Lutero, «macchia del mondo», ha chiuso
il ciclo: la ruota della storia, della vicissitudine del mondo, essendo giunta
al suo punto più basso, può operare un nuovo e positivo rovesciamento dei
valori. Nella nuova gerarchia di valori il primo posto spetta alla
Verità, necessaria guida per non errare. A questa segue la Prudenza, la
caratteristica del saggio che, conosciuta la verità, ne trae le conseguenze con
un comportamento adeguato. Al terzo posto B. inserisce la Sofia, la ricerca
della verità; quindi segue la Legge, che disciplina il comportamento civile
dell'uomo; infine il Giudizio, inteso come aspetto attuatorio della legge. B.
fa quindi discendere la Legge dalla Sapienza, in una visione razionalista nel
cui centro c'è l'uomo che opera cercando la Verità, in netto contrasto col
cristianesimo di Paolo, che vede la legge subordinata alla liberazione dal
peccato, e con la Riforma di Lutero, che vede nella "sola fede" il
faro dell'uomo. Per B. la "gloria di Dio" si rovescia così in «vana
gloria» e il patto fra Dio e gli uomini stabilito nel Nuovo Testamento si
rivela «madre di tutte le forfanterie». La religione deve tornare a essere
"religione civile": legame che favorisca la «communione de gli
uomini», la civile conversazione. Altri valori seguono i primi cinque: la
Fortezza (la forza dell'animo), la Diligenza, la Filantropia, la Magnanimità,
la Semplicità, l'Entusiasmo, lo Studio, l'Operosità, eccetera. E allora
vedremo, conclude beffardo B., «quanto siano atti a guadagnarsi un palmo di
terra questi che sono cossí effuse e prodighi a donar regni de' cieli». È
questa evidentemente un'etica che richiama i valori tradizionali
dell'Umanesimo, cui B. non ha mai dato molta importanza; ma questo schema
rigido è in realtà la premessa per le indicazioni di comportamento che B.
prospetta nell'opera di poco successiva, De gli eroici furori. Cabala del
cavallo pegaseo con l'aggiunta dell'Asino cillenico. «Li nostri divi asini,
privi del proprio sentimento ed affetto vegnono ad intendere non altrimente che
come gli vien soffiato alle orecchie delle rivelazioni o degli dei, o dei
vicarii loro; e per conseguenza a governarsi non secondo altra legge che di
que' medesimi. (Cabala del Cavallo Pegaseo, Saulino: dialogo I) La Cabala del
cavallo pegaseo viene pubblicata insieme a l'Asino cillenico in unico testo. Il
titolo allude a P., il cavallo alato della mitologia greca nato dal sangue di
Medusa decapitata da Perseo. Al termine delle sue imprese, Pegaso volò nel
cielo trasformandosi in costellazione, una delle 48 elencate da Tolomeo nel suo
Almagesto: la costellazione di Pegaso. Cabala si riferisce a una tradizione
mistica originatasi in seno all'ebraismo. Calcografia raffigurante le
stelle della costellazione di Pegaso che delineano la figura del cavallo
mitologico Pegaso L'opera, percorsa da una chiara vena comica, può essere letta
come un divertissement, opera d'intrattenimento senza pretese; oppure
interpretata in chiave allegorica, opera satirica, atto di accusa. Il cavallo
nel cielo sarebbe allora un asino idealizzato, figura celeste che rimanda
all'asinità umana: all'ignoranza, quella dei cabalisti, ma anche quella dei
religiosi in generale. I continui riferimenti ai testi sacri si rivelano
ambigui, perché da un lato suggeriscono interpretazioni, dall'altro confondono
il lettore. Uno dei filoni interpretativi, legato al lavoro critico svolto da
Vincenzo Spampanato, ha individuato nel cristianesimo delle origini e in Paolo
di Tarso il bersaglio polemico di B.. De gli eroici furori. De gli eroici
furori. Nei dieci dialoghi che compongono “De gli eroici furori” a Londra, individua
tre specie di passioni umane: quella per la vita speculativa, volta alla
conoscenza; quella per la vita pratica e attiva, e quella per la vita oziosa.
Le due ultime tendenze rivelano una passione di poco valore, un furore bass. Il
desiderio di una vita volta alla contemplazione, cioè alla ricerca della verità,
è invece espressione di un furore eroico, con il quale l'anima, rapita sopra
l'orizzonte de gli affetti naturali vinta da gli alti pensieri, come morta al
corpo, aspira ad alto. Non si giunge a tale effetto con la preghiera, con atteggiamenti
devozionali, con aprir gli occhi al cielo, alzar alto le mani, ma, al
contrario, con il venir al più intimo di sé, considerando che Dio è vicino, con
sé e dentro di sé più ch'egli medesmo esser non si possa, come quello che è
anima delle anime, vita delle vite, essenza de le essenze». Una ricerca che assimila
a una caccia, non la comune caccia ove il cacciatore ricerca e cattura le
prede, ma quella in cui il cacciatore diviene egli stesso preda, come Atteone
che nel mito ripreso da lui, avendo visto la bellezza di Diana, si trasforma in
cervo ed è fatto preda dei cani, i pensieri de cose divine, che lo divorano facendolo
morto al volgo, alla moltitudine, sciolto dalli nodi de li perturbati sensi, di
sorte che tutto vede come uno, non vede più distinzioni e numeri. La conoscenza
della natura è lo scopo della scienza e quello più alto della nostra vita
stessa, che da questa scelta viene trasformata in un furore eroico assimiliandoci
alla perenne e tormentata vicissitudine in cui si esprime il principio che
anima tutto l'universo. Il filosofo ci dice che per conoscere veramente l'oggetto
della nostra ricerca, Diana ignuda, non dobbiamo essere virtuosi (virtù come
medietà tra gli estremi) ma dobbiamo essere pazzi, furiosi, solo così potremmo
arrivare a capire l'oggetto del nostro studio (Atteone trasformato in cervo). La
ricerca e l'essere fuoriosi, non sono una virtù ma un vizio. Il dialogo è
inoltre un prosimetro, come La vita nuova di Dante, un insieme di prosa e di
poesia (distici, sonetti e una canzone finale). Il precedente periodo oxoniense
inglese è da considerarsi il più creativo di B., periodo nel quale ha prodotto
il maggior numero di opere fino a quando l'ambasciatore Castelnau essendo
richiamato in Francia lo induce a imbarcarsi con lui; ma la nave verrà assalita
dai pirati, che derubano i passeggeri d'ogni avere. A Parigi B. abita
vicino al Collège de Cambrai, e ogni tanto va a prendere in prestito qualche
libro nella biblioteca di Saint-Victor, nella collina di Sainte-Geneviève, il
cui bibliotecario, il monaco Cotin, ha l'abitudine di annotare giornalmente
quanto avveniva nella biblioteca. Entrato in qualche confidenza col filosofo,
da lui sappiamo che B. stava per pubblicare un'opera, l'Arbor philosophorum,
che non ci è pervenuta, e che aveva lasciato l'Italia per «evitare le calunnie
degli inquisitori, che sono ignoranti e che, non concependo la sua filosofia,
lo accuserebbero di eresia». Il monaco annota tra l'altro che era ammiratore
d’Aquino, che disprezzava le sottigliezze degli scolastici, dei sacramenti e
anche dell'eucaristia, ignote a Pietro e a
Paolo, i quali non seppero altro che hoc est corpus meum. Dice che i
torbidi religiosi sarebbero facilmente tolti di mezzo, se fossero spazzate tali
questioni e confida che questa sarà presto la fine della contesa. L'anno
successive pubblica, dedicata a Piero Del Bene, abate di Belleville e membro
della corte francese, la Figuratio Aristotelici physici auditus, un'esposizione
della fisica aristotelica. Conosce il salernitano Mordente, che due anni prima aveva pubblicato
Il Compasso, illustrazione dell'invenzione di un compasso di nuova concezione
e, poiché egli non sa il latino, che ha apprezzato la sua invenzione, pubblica
i “Dialogi duo de Fabricii Mordentis Salernitani prope divina adinventione ad
perfectam cosmimetriae praxim”, dove elogia l'inventore ma gli rimprovera di
non aver compreso tutta la portata della sua invenzione, che dimostrava
l'impossibilità di una divisione infinita delle lunghezze. Offeso da questi
rilievi, il Mordente protestò violentemente, sicché B. finì col replicare con
le feroci satire dell'“Idiota triumphans seu de Mordentio inter geometras Deo
dialogus” e del “Dialogus qui de somnii interpretatione seu geometrica sylva inscribitur. Fa
stampare col nome di Hennequin l'opuscolo antiaristotelico “Centum et viginti
articuli de natura et mundo adversus peripateticos”, partecipando alla
successiva pubblica disputa nel Collège de Cambrai, ribadendo le sue critiche alla
filosofia aristotelica. Contro tali critiche si levò un giovane avvocato
parigino, Callier, che replica con violenza chiamando il filosofo Giordano
"Bruto". Sembra che l'intervento del Callier abbia ricevuto
l'appoggio di quasi tutti gli intervenuti e che si sia scatenato un putiferio
di fronte al quale il filosofo preferì, una volta tanto, allontanarsi, ma le
reazioni negative provocate dal suo intervento contro la filosofia
aristotelica, allora ancora in grande auge alla Sorbona, unitamente alla crisi
politica e religiosa in corso in Francia e alla mancanza di appoggi a corte, lo
indussero a lasciare nuovamente il suolo francese. In Germania La
Piazza del Mercato di Wittenberg Raggiunta in giugno la Germania, B. soggiorna
brevemente a Magonza e a Wiesbaden, passando poi a Marburg, nella cui
Università risulta immatricolato come Theologiae doctor romanensis. Ma non
trovando possibilità di insegnamento, probabilmente per le sue posizioni antiaristoteliche,
s'immatricola a Wittenberg come Doctor italicus, insegnandovi per due anni, due
anni che il filosofo trascorre in tranquilla operosità. “uomo di nessun nome e
autorità fra voi, sfuggito ai tumulti di Francia, non appoggiato da alcuna
raccomandazione principesca, mi avete ritenuto meritevole di cordialissima
accoglienza, mi avete incluso nell'albo della vostra accademia, mi avete
accolto in un consesso di uomini tanto nobili e dotti, da sembrare ai miei
occhi non una scuola privata o una conventicola esoterica, bensì, come si
conviene all'Atene tedesca, una vera università.» (Dedica del De lampade
combinatoria). Pubblica il De lampade combinatoria lulliana, un commento dell'Ars
magna e il “De progressu et lampade venatoria logicorum”, commento ai Topica di
Aristotele. Altri commenti a opere aristoteliche sono i suoi “Libri physicorum
Aristotelis explanati”. Pubblica ancora, a Wittenberg, il “Camoeracensis
Acrotismus”, una riedizione di “Centum et viginti articuli de natura et mundo
adversus peripateticos”. Un suo corso
privato sulla Retorica sarà invece pubblicato col titolo di “Artificium
perorandi” (l’arte della conversazione). Anche le “Animadversiones circa
lampadem” e la “Lampas triginta statuarum” verranno pubblicate. Nel saggio
della Yates si fa cenno al fatto che il Mocenigo aveva riferito
all'Inquisizione veneziana l'intenzione di B., durante il suo periodo tedesco,
di creare una nuova setta. Mentre altri accusatori (il Mocenigo negherà questa
affermazione) sostenevano che egli avrebbe voluto chiamare la nuova setta dei
Giordaniti e che essa avrebbe attirato molto i luterani tedeschi. L'autrice
inoltre si pone la domanda se in questa setta vi fossero stati dei rapporti con
i Rosacroce dato che in Germania emersero all'inizio del XVII secolo presso i
circoli luterani. Il nuovo duca Cristiano I, succeduto al padre morto, decide
di rovesciare l'indirizzo degli insegnamenti universitari che privilegiavano le
dottrine del filosofo calvinista Pietro Ramo a svantaggio delle classiche
teorie aristoteliche. Dovette essere questa svolta a spingere B. a lasciare Wittenberg,
non senza la lettura di una “Oratio valedictoria”, un saluto che è un
ringraziamento per l'ottima accoglienza della quale era stato
gratificato: «Sebbene fossi di nazione forestiero, esule, fuggiasco,
zimbello della fortuna, piccolo di corpo, scarso di beni, privo di favore,
premuto dall'odio della folla, quindi sprezzabile agli stolti e a quegli
ignobilissimi che non riconoscono nobiltà se non dove splende l'oro, tinnisce
l'argento, e il favore di persone loro simili tripudia e applaude, tuttavia
voi, dottissimi, gravissimi e morigeratissimi senatori, non mi disprezzaste, e
lo studio mio, non del tutto alieno dallo studio di tutti i dotti della vostra
nazione, non lo riprovaste permettendo che fosse violata la libertà filosofica
e macchiato il concetto della vostra insigne umanità.» (citato in Opere
di B. e CAMPANELLA (si veda)). Ne fu ricambiato dall'affetto degli allievi,
come Hieronymus Besler e Valtin Havenkenthal, il quale, nel suo saluto, lo
chiama «Essere sublime, oggetto di meraviglia per tutti, dinanzi a cui stupisce
la natura stessa, superata dall'opera sua, fiore d'Ausonia, Titano della
splendida Nola, decoro e delizia dell'uno e l'altro cielo». A Praga e a
Helmstedt I sigilli di B. Amoris I sigilli di B. sono delle
incisioni realizzate dallo stesso e pubblicate all'interno delle sue opere a
partire dal periodo praghese. Esse rappresentano figure geometriche sovrapposte
ma anche veri e propri disegni con presunte decorazioni e lettere. A parte il
titolo dei sigilli non abbiamo alcuna spiegazione in merito al loro significato
o al loro reale utilizzo. Fino a oggi sono state fatte molto congetture dai vari
studiosi senza giungere a nessuna conclusione definitiva. Giunge a Praga,
in quegli anni sede del Sacro Romano Impero, città dove rimane sei mesi. Qui
pubblica, in unico testo, il De lulliano specierum scrutinio e il De lampade
combinatoria Lullii, dedicato all'ambasciatore spagnolo presso la corte
imperiale, don Guillem de Santcliment (il quale vantava Lullo fra i suoi
antenati), mentre all'imperatore Rodolfo II, mecenate e appassionato di
alchimia e astrologia, dedica gli Articuli centum et sexaginta adversus huius
tempestatis mathematicos atque philosophos, che trattano di geometria, e nella
dedica rileva come per guarire i mali del mondo sia necessaria la tolleranza,
sia in campo strettamente religioso – «È questa la religione che io osservo,
sia per una convinzione intima sia per la consuetudine vigente nella mia patria
e tra la mia gente: una religione che esclude ogni disputa e non fomenta alcuna
controversia» – sia in quello filosofico, campo che deve rimanere libero da
autorità precostituite e da tradizioni elevate a prescrizioni normative. Quanto
a lui, «alle libere are della filosofia cercai riparo dai flutti fortunosi,
desiderando la sola compagnia di coloro che comandano non di chiudere gli
occhi, ma di aprirli. A me non piace dissimulare la verità che vedo, né ho
timore di professarla apertamente» Ricompensato con trecento talleri
dall'imperatore, in autunno B., che sperava di essere accolto a corte, decide
di lasciare Praga e, dopo una breve tappa a Tubinga, giunge a Helmstedt, nella
cui Università, chiamata Academia Julia, si registra. Una targa presso il
Planetario di Praga ricorda il passaggio del filosofo in quella città. per la
morte del fondatore dell'Accademia, il duca Julius von Braunschweig, vi legge
l'Oratio consolatoria, ove presenta sé stesso come forestiero ed esule:
«spregiai, abbandonai, perdetti la patria, la casa, la facoltà, gli onori, e
ogni altra cosa amabile, appetibile, desiderabile». In Italia «esposto alla
gola e alla voracità del lupo romano, qui libero. Lì costretto a culto
superstizioso e insanissimo, qui esortato a riti riformati. Lì morto per
violenza di tiranni, qui vivo per l'amabilità e la giustizia di un ottimo
principe». Le Muse dovrebbero essere libere per diritto naturale eppure «sono
invece, in Italia e in Spagna, conculcate dai piedi di vili preti, in Francia
patiscono per la guerra civile rischi gravissimi, in Belgio sono sballottate da
frequenti marosi, e in alcune regioni tedesche languono infelicemente.
Poche settimane dopo viene scomunicato dal sovrintendente della Chiesa luterana
della città, il teologo luterano Boezio per motivi non noti: B. riesce così a
collezionare le scomuniche delle maggiori confessioni europee, cattolica,
calvinista e luterana. Presenta ricorso al prorettore dell'Accademia, Hoffmann,
contro quello che egli definisce un abuso – perché «chi ha deciso qualcosa
senza ascoltare l'altra parte, anche se lo ha fatto giustamente, non è stato
giusto» – e una vendetta privata. Non ricevette però risposta, perché sembra
che fosse stato lo stesso Hoffmann a istigare Boezio. Benché scomunicato, poté
tuttavia rimanere ancora a Helmstedt, dove aveva ritrovato Valtin Acidalius
Havenkenthal e Besler, già suo allievo a Wittenberg, che gli fa da copista e
vedrà ancora brevemente in Italia, a Padova. B. compone diverse opere sulla
magia, tutte pubblicate postume: il “De magia”; le “Theses de magia”, un
compendio del trattato precedente, il “De magia mathematica”, che presenta come
fonti la Steganographia di Tritemio, il De occulta philosophia di Agrippa e lo
pseudo-Alberto Magno; il “De rerum principiis et elementis et causis” e la “Medicina”,
nella quale presume di aver trovato forme di applicazione della magia nella natura. "Mago"
è un termine che si presta a equivoche interpretazioni, ma che per l'autore,
come egli stesso chiarisce sin dall'ìncipit dell'opera, significa innanzitutto
sapiente: sapienti come per esempio erano i magi dello zoroastrismo o simili
depositari della conoscenza presso altre culture del passato. La magia di cui B.
si occupa non è pertanto quella associata alla superstizione o alla
stregoneria, bensì quella che vuole incrementare il sapere e agire
conseguentemente. L'assunto fondamentale da cui il filosofo parte è
l'onnipresenza di un'entità unica, che egli chiama indifferentemente
"spirito divino, cosmico" o "anima del mondo" o anche
"senso interiore", identificabile come quel principio universale che
dà vita, movimento e vicissitudine a ogni cosa o aggregato nell'universo. Il
mago deve tenere presente che come da Dio, attraverso gradi intermedi, tale
spirito si comunica a ogni cosa "animandola", così è altrettanto possibile
tendere a Dio dall'essere animato: questa ascensione dal particolare a Dio, dal
multiforme all'Uno è una possibile definizione della "magia". Lo
spirito divino, che per la sua unicità e infinità connette ogni cosa a ogni
altra, consente parimenti l'azione di un corpo su un altro. B. chiama «vincula»
i singoli nessi fra le cose: "vincolo", "legatura". La
magia altro non è che lo studio di questi legami, di questa infinita trama
"multidimensionale" che esiste nell'universo. Nel corso dell'opera
Bruno distingue e spiega differenti tipi di legami – legami che possono essere
utilizzati positivamente o negativamente, distinguendo così il mago dallo
stregone. Esempi di legami sono la fede; i riti; i caratteri; i sigilli; le
legature che vengono dai sensi, come la vista o l'udito; quelle che vengono
dalla fantasia, eccetera. B. lascia Helmstedt e in giugno raggiunge Francoforte
in compagnia di Besler, che prosegue verso l'Italia per studiare a Padova.
Avrebbe voluto alloggiare dallo stampatore Wechel, come richiese al Senato di
Francoforte ma la richiesta è respinta e allora B. andò ad abitare nel locale
convento dei Carmelitani i quali, per privilegio concesso da Carlo V, non erano
soggetti alla giurisdizione secolare. Vedono la luce tre opere, i
cosiddetti poemi francofortesi, culmine della ricerca filosofica di B.: il “De triplici minimo et mensura ad trium
speculativarum scientiarum et multarum activarum artium principia libri V”, in
cui vi sono delle immagini simili alla tabula recta di Tritemio; “De monade,
numero et figura liber consequens quinque”; il “De innumerabilibus, immenso et
infigurabili, seu De universo et mundis libri octo”. De minimo. Chi potrà
ritenere che gli strumenti diano misurazioni esatte dal momento che il fluire
delle cose non mantiene un identico ritmo ed un termine non si mantiene mai
alla stessa distanza dall'altro? Da De minimo, in Opere latine, a cura di Carlo
Monti, POMBA). Nei libri del “De minimo” si distinguono tre tipi di minimo: il
minimo fisico, l'atomo, che è alla base della scienza della fisica; il minimo
geometrico, il punto, che è alla base della geometria, e il minimo metafisico,
o monade, che è alla base della metafisica. Essere minimo significa essere in-divisibile
– e dunque Aristotele erra sostenendo la divisibilità all'infinito della
materia – perché, se così fosse, non raggiungendo mai la minima quantità di una
sostanza, il principio e fondamento di ogni sostanza, non spiegheremmo più la
costituzione, mediante aggregazioni di infiniti atomi, di mondi infiniti, in un
processo di formazione altrettanto infinito. I composti, infatti, «non
rimangono identici neppure per un attimo; ciascuno di essi, per lo scambio
vicendevole degli innumerevoli atomi, si muta continuamente e ovunque in tutte
le parti». La materia, come il filosofo aveva già espresso nei dialoghi
italiani, è in perenne mutazione, e ciò che dà vita a questo divenire è uno
«spirito ordinatore», l'anima del mondo, una nell'universo infinito. Dunque nel
divenire eracliteo dell'universo è situato l'essere parmenideo, uno ed eterno:
materia e anima sono inscindibili, l'anima non agisce dall'esterno, poiché non
c'è un esterno della materia. Ne viene che nell'atomo, la parte più piccola
della materia, anch'esso animato dal medesimo spirito, il minimo e il massimo
coincidono: è la coesistenza dei contrari: minimo-massimo; atomo-Dio;
finito-infinito. Contrariamente agli atomisti, quali ad esempio Democrito e
Leucippo, non ammette l'esistenza del vuoto. Il cosiddetto vuoto non è che un
vocabolo col quale si designa il mezzo che circonda i corpi naturali. Gli atomi
hanno un termine in questo mezzo, nel senso che essi né si toccano né sono
separati. Inoltre distingue fra minimi assoluti e minimi relativi, e così il
minimo di un cerchio è un cerchio; il minimo di un quadrato è un quadrato,
eccetera. I matematici dunque errano nella loro astrazione, considerando la
divisibilità all'infinito degli enti geometrici. Quella che B. espone è, usando
con terminologia moderna, una discretizzazione non solo della materia, ma anche
della geometria, una geometria discreta. Ciò è necessario onde rispettare
l'aderenza alla realtà fisica della descrizione geometrica, indagine in ultima
analsi non separabile da quella metafisica. Nel De monade Bruno si richiama
alle tradizioni pitagoriche attaccando la teoria aristotelica del motore
immobile, principio di ogni movimento: le cose si trasformano per la presenza
di principi interni, numerici e geometrici. De immenso Negli otto libri
del De immenso il filosofo riprende la propria teoria cosmologica, appoggiando
la teoria eliocentrica copernicana ma rifiutando l'esistenza delle sfere
cristalline e degli epicicli, ribadendo la concezione dell'infinità e
molteplicità dei mondi. Critica l'aristotelismo, negando qualunque differenza
tra la materia terrestre e celeste, la circolarità del moto planetario e
l'esistenza dell'etere. Il castello, situato presso Elgg e allora di
proprietà di Heinzel von Tägernstein, l’ospita nel suo breve soggiorno nel
cantone di Zurigo. Parte per la Svizzera, accogliendo l'invito del nobile Heinzel
von Tägernstein e del teologo Egli, entrambi appassionati di alchimia. Così B.,
ospite di Heinzel, insegna filosofia presso Zurigo: le sue lezioni, raccolte da
Raphael Egli con il titolo di Summa terminorum metaphysicorum, saranno pubblicate
da costui a Zurigo, e poi, postume, a Marburgo, insieme con la “Praxis
descensus seu applicatio entis”, rimasta incompiuta. La “Summa terminorum
metaphysicorum,” Somma dei termini metafisici, rappresenta un'importante
testimonianza dell'attività di B. insegnante. Si tratta di un compendio di 52
termini fra i più frequenti nell'opera di Aristotele che B. spiega riassumendo.
Nella “Praxis descensus”, “Prassi del descenso”, il nolano riprende gli stessi
termini (con qualche differenza) questa volta esposti secondo la propria
visione. Il testo consente così di confrontare puntualmente le differenze fra
Aristotele e B. La Praxis è divisa in tre parti, con gli stessi termini esposti
secondo la divisione triadica Dio, intelletto, anima del mondo. Purtroppo
l'ultima parte manca del tutto e anche la rimanente non è completamente curata.
Infatti ritorna a Francoforte per pubblicarvi ancora il De imaginum, signorum
et idearum compositione, dedicato a Heinzel. Ed è questa l'ultima opera la cui
pubblicazione fu curata da B. stesso. È probabile che il filosofo avesse
intenzione di tornare a Zurigo, e ciò spiegherebbe anche perché Egli abbia
atteso prima di pubblicare quella parte della Praxis che aveva trascritto, ma
in ogni caso nella città tedesca gli eventi evolveranno ben diversamente.
Francoforte e sede di un'importante fiera del libro, alla quale partecipavano i
librai di tutta Europa. Era stato così che due editori, il senese Ciotti e il
fiammingo Brittano, entrambi attivi a Venezia, avevano conosciuto B. almeno
stando alla successive dichiarazioni di Ciotti stesso al Tribunale dell'Inquisizione
di Venezia. Il patrizio veneto Mocenigo, che conosce Ciotti e ha comprato nella
sua libreria il “De minimo” del filosofo nolano, affida al libraio una sua
lettera nella quale invitava B. a Venezia affinché gli insegnasse li secreti
della memoria e li altri che egli professa, come si vede in questo suo libro. Appare
quantomeno strano il fatto che, dopo anni di peregrinazioni in Europa decidesse
di tornare in Italia sapendo quanto il rischio di finire sotto le mani
dell'inquisizione fosse concreto. Probabilmente non si considera “anti-cattolico”
ma semmai una sorta di riformatore che spera di avere concrete possibilità di
incidere sulla Chiesa. Oppure il senso di pienezza di sé o della sua "missione"
da compiere altera la reale percezione del pericolo a cui poteva andare
incontro. Inoltre, il clima politico, ossia l'ascesa vittoriosa di Enrico di
Navarra sulla Lega cattolica sembra costituire una valida speranza per
l'attuazione delle sue idee in ambito cattolico. B. e a Venezia. Che egli sia
tornato in Italia spinto dall'offerta di Mocenigo non è affatto sicuro, tant'è
che passeranno diversi mesi prima che accetta l'ospitalità del patrizio. Non
era certo un uomo a cui mancavano i mezzi, anzi, egli era considerato omo
universale, pieno di ingegno e ancora nel pieno del suo momento creativo. A
Venezia si trattenne solo pochi giorni per poi recarsi a Padova e incontrare
Besler, il suo copista di Helmstedt. Qui tenne per qualche mese lezioni agli
studenti che frequentano quello studio e spera invano di ottenervi la cattedra
di matematica, uno dei possibili motivi per cui B. torna in Italia. Compone le “Praelectiones
geometricae”, l'”Ars deformationum”, il “De vinculis in genere”, e il “De
sigillis Hermetis et Ptolomaei et aliorum”. Con il ritorno di Besler in Germania
per motivi familiari, torna a Venezia e si stabilì in casa del patrizio
veneziano, che era interessato alle arti della memoria e alle discipline
magiche. Informa il Mocenigo di voler tornare a Francoforte per stampare delle
sue opere. Questi pensa che cercas un pretesto per abbandonare le lezioni. Il
giorno dopo lo fece sequestrare in casa dai suoi servitori. Il giorno
successivo Mocenigo presenta all'Inquisizione una denuncia scritta, accusandolo
di blasfemia, di disprezzare le religioni, di non credere nella Trinità divina
e nella transustanziazione, di credere nell'eternità del mondo e nell'esistenza
di mondi infiniti, di praticare arti magiche, di credere nella metempsicosi, di
negare la verginità di Maria e le punizioni divine. Quel giorno stesso, e arrestato
e tratto nelle carceri dell'Inquisizione di Venezia, in san Domenico a Castello.
Maiori forsan cum timore sententiam in me fertis quam ego accipiam” (“Forse
tremate più voi nel pronunciare contro di me questa sentenza che io
nell'ascoltarla. B. rivolto ai giudici dell'Inquisizione. Il processo di B.,
basso-rilievo del basamento della statua in Campo de' Fiori da Ferrari.
Naturalmente sa che la sua vita è in gioco e si difende abilmente dalle accuse
dell'inquisizione veneziana. Nega quanto può, tace, e mente anche, su alcuni
punti delicati della sua dottrina, confidando che gli inquisitori non possano
essere a conoscenza di tutto quanto egli abbia fatto e scritto, e giustifica le
differenze fra le concezioni da lui espresse e i dogmi cattolici con il fatto
che un filosofo, ragionando secondo il lume naturale, può giungere a
conclusioni discordanti con le materie di fede, senza dover per questo essere
considerato un eretico. A ogni buon conto, dopo aver chiesto perdono per gli
errori commessi, si dichiara disposto a ritrattare quanto si trovi in contrasto
con la dottrina della Chiesa. L'Inquisizione romana chiede però la sua
estradizione, che viene concessa, dopo qualche esitazione, dal Senato veneziano.
E rinchiuso nelle carceri romane del Palazzo del Sant'Uffizio. Nuovi testi, per
quanto poco affidabili, essendo tutti imputati di vari reati dalla stessa
Inquisizione, confermano le accuse e ne aggiungono di nuove. E forse torturato,
secondo la decisione della Congregazione, stando all'ipotesi avanzata da Firpo
e Ciliberto, una circostanza negata invece dallo storico Andrea Del Col. Non
rinnega i fondamenti della sua filosofia. Ribada l'infinità dell'universo, la
molteplicità dei mondi, il moto della terra e la non generazione delle
sostanze. Queste non possono essere altro che quel che sono state, né saranno
altro che quel che sono, né alla loro grandezza o sostanza s'aggionge mai, o
mancarà ponto alcuno, e solamente accade separatione, e congiuntione, o
compositione, o divisione, o translatione da questo luogo a quell'altro. A
questo proposito spiega che il modo e la causa del moto della terra e della
immobilità del firmamento sono da me prodotte con le sue raggioni et autorità e
non pregiudicano all'autorità della divina scrittura. All'obiezione dell'inquisitore,
che gli contesta che nella Bibbia è scritto -- terra stat in aeternum -- e il sole
nasce e tramonta, risponde che vediamo il sole nascere e tramontare perché la terra
se gira circa il proprio centro. Alla contestazione che la sua posizione
contrasta con l'autorità dei Santi Padri, risponde che quelli sono meno de'
filosofi prattichi e meno attenti alle cose della natura. Il filosofo sostiene
che la terra è dotata di un'anima, che le stelle hanno natura angelica, che
l'anima non è forma del corpo, e come unica concessione, è disposto ad
ammettere l'immortalità dell'anima umana. Roma, Piazza di Campo de'
Fiori. E invitato ad abiurare otto proposizioni eretiche, nelle quali si
comprendevano la sua negazione della creazione divina, dell'immortalità
dell'anima, la sua concezione dell'infinità dell'universo e del movimento della
terra, dotata anche di anima, e di concepire gli astri come angeli. La sua
disponibilità ad abiurare, a condizione che le proposizioni siano riconosciute
eretiche non da sempre, ma solo ex nunc, è respinta dalla congregazione dei
cardinali inquisitori, tra i quali Bellarmino. Una successiva applicazione
della tortura, proposta dai consultori della congregazione fu invece respinta
da Clemente VIII. Nell'interrogatorio si dice ancora pronto all'abiura, ma icambia
idea e infine, dopo che il tribunale ha ricevuto una denuncia che accusa Bruno
di aver avuto fama di ateo in Inghilterra e di aver scritto il suo “Spaccio
della bestia trionfante” direttamente contro il papa, rifiuta recisamente ogni
abiura, non avendo, dichiara, nulla di cui doversi pentire. Al cospetto
dei cardinali inquisitori e dei consultori Mandina, Pietrasanta e Millini, è
costretto ad ascoltare in ginocchio la sentenza che lo scaccia dal foro
ecclesiastico e lo consegna al braccio secolare. Terminata la lettura della
sentenza, secondo la testimonianza di choppe, si alza e ai giudici indirizza la
storica frase. Maiori forsan cum timore sententiam in me fertis quam ego
accipiam. Forse tremate più voi nel pronunciare contro di me questa sentenza
che io nell'ascoltarla. Dopo aver rifiutato i conforti religiosi e il
crocefisso, con la lingua in giova – serrata da una mordacchia perché non possa
parlare, viene condotto in campo de’ fiori, denudato, legato a un palo e arso
vivo. Le sue ceneri sono gettate nel Tevere. Volse il viso pieno di disprezzo
quando ormai morente, venne posta innanzi l'immagine di Cristo crocefisso. Così
muore bruciato miseramente, credo per annunciare negli altri mondi che si è
immaginato in che modo i romani sono soliti trattare gli empi e i blasfemi.
Ecco qui, caro Rittershausen, il modo in cui procediamo contro gli uomini, o
meglio contro i mostri di tal specie. Il suo dio è da un lato trascendente, in
quanto supera ineffabilmente la natura, ma nello stesso tempo è immanente, in
quanto anima del mondo: in questo senso, Dio e Natura sono un'unica realtà da
amare alla follia, in un'inscindibile unità panenteistica di pensiero e
materia, in cui dall'infinità di Dio si evince l'infinità del cosmo, e quindi
la pluralità dei mondi, l'unità della sostanza, l'etica degli "eroici
furori". Questi ipostatizza un Dio-Natura sotto le spoglie dell'Infinito,
essendo l'infinitezza la caratteristica fondamentale del divino. Egli fa dire
nel dialogo De l'infinito, universo e mondi a Filoteo. Io dico Dio tutto
Infinito, perché da sé esclude ogni termine ed ogni suo attributo è uno e
infinito; e dico Dio totalmente infinito, perché lui è in tutto il mondo, ed in
ciascuna sua parte infinitamente e totalmente: al contrario dell'infinità de
l'universo, la quale è totalmente in tutto, e non in queste parti (se pur,
referendosi all'infinito, possono esse chiamate parti) che noi possiamo
comprendere in quello. B., De infinito, universo e mondi) Per queste
argomentazioni e per le sue convinzioni sulla Sacra Scrittura, sulla Trinità e
sul Cristianesimo, già scomunicato, fu incarcerato, giudicato eretico e quindi
condannato al rogo dall'Inquisizione della Chiesa cattolica. Fu arso vivo a
piazza Campo de' Fiori durante il pontificato di Clemente VIII. Ma la sua
filosofia sopravvive alla sua morte, portò all'abbattimento delle barriere
tolemaiche, rivelò un universo molteplice e non centralizzato e aprì la strada
alla Rivoluzione scientifica: per il suo pensiero B. è quindi ritenuto un
precursore di alcune idee della cosmologia moderna, come il multiverse. Per la
sua morte, è considerato un martire del libero pensiero. Giovanni Paolo II,
tramite una lettera del segretario di Stato Vaticano Angelo Sodano inviata a un
convegno che si svolse a Napoli, espresse profondo rammarico per la morte
atroce di B., pur non riabilitandone la dottrina: anche se la morte di B.
costituisce oggi un motivo di profondo rammarico, tuttavia questo triste
episodio della storia non consente la riabilitazione dell'opera del filosofo
nolano arso vivo come eretico, perché "il cammino del suo pensiero lo
condusse a scelte intellettuali che progressivamente si rivelarono, su alcuni
punti decisivi, incompatibili con la dottrina cristiana. D'altronde anche nel
saggio di Yates viene ribadito più volte la completa adesione di B. alla
"religione degli egizi" scaturita dal suo sapere ermetico nonché
afferma che "la religione egiziana ermetica è l'unica religione
vera". Il Dizionario di Bayle Ritratto di Schoppe, opera di Rubens
Malgrado la messa all'Indice dei libri di B. decretata, questi continuarono a
essere presenti nelle biblioteche europee, anche se rimasero equivoci e
incomprensioni sulle posizioni del filosofo nolano, così come volute mistificazioni
sulla sua figura. Già il cattolico Schoppe, ex luterano che assistette alla
pronuncia della sentenza e al rogo di B., pur non condividendo «l'opinione
volgare secondo la quale codesto B. fu bruciato perché luterano» finisce con
l'affermare che «Lutero ha insegnato non solo le stesse cose di B., ma altre
ancora più assurde e terribili», mentre il frate minimo Mersenne individuò nella
cosmologia bruniana la negazione della libertà di Dio, oltre che del libero
arbitrio umano. Mentre gli astronomi Brahe e Keplero criticarono
l'ipotesi dell'infinità dell'universo, non presa in considerazione nemmeno da GALILEI
(si veda), il libertino Naudé, nella sua Apologie pour tous les grands
personnages qui ont testé faussement soupçonnez de magie esalta in B. il libero
ricercatore delle leggi della natura. Bayle, nel suo Dizionario, arrivò a
dubitare della morte per rogo di Bruno e vide in lui il precursore di Spinoza e
di tutti i moderni panteisti, un monista ateo per il quale unica realtà è la
natura. Gli rispose il teologo deista Toland, che conosceva lo Spaccio della
bestia trionfante e lodava in Bruno la serietà scientifica e il coraggio
dimostrato nell'aver eliminato dalla speculazione filosofica ogni riferimento
alle religioni positive; segnala lo Spaccio a Leibniz - che tuttavia considera
B. un mediocre filosofo - e al de La Croze, convinto dell'ateismo di B.. Con
quest'ultimo concorda il Budde, mentre Heumann ritorna erroneamente a
ipotizzare un protestantesimo di B. Con l'Illuminismo, l'interesse e la
notorietà di Bruno aumenta. Weidler conosce il De immenso e lo Spaccio, mentre
Jean Sylvain Bailly lo definisce «ardito e inquieto, amante delle novità e
schernitore delle tradizioni», ma gli rimprovera la sua irreligiosità. In
Italiaè molto apprezzato da Barbieri, autore di una Storia dei matematici e
filosofi del Regno di Napoli, dove afferma che scrisse molte cose sublimi nella
Metafisica, e molte vere nella Fisica e nell'Astronomia e ne fa un precursore
della teoria dell'armonia prestabilita di Leibniz e di tanta parte delle teorie
di Cartesio. Il sistema dei vortici di Cartesio, o quei globuli giranti intorno
i loro centri nell'aere, e tutto il sistema fisico è suo. Il principio di
dubitazione saviamente da Cartesio introdotto nella filosofia a B. si deve, e
molte altre cose nella filosofia di Cartesio sono di lui. Questa tesi è
negata da Niceron, per il quale il razionalista Cartesio nulla può aver preso
da lui, irreligioso e ateo come Spinoza, che ha identificato Dio con la natura,
è rimasto legato alla filosofia del Rinascimento credendo ancora nella magia e,
per quanto ingegnoso, è spesso contorto e oscuro. Brucker concorda con l'incompatibilità
di Cartesio con lui, che considera un filosofo molto complesso, posto tra il
monismo spinoziano e il neo-pitagorismo, la cui concezione dell'universo
consisterebbe nella sua creazione per emanazione da un'unica fonte infinita,
dalla quale la natura creata non cesserebbe di dipendere. Fu Diderot a
scrivere per l'Enciclopedia la voce su B., da lui considerato precursore di
Leibniz - nell'armonia prestabilita, nella teoria della monade, nella ragione
sufficiente - e di Spinoza, il quale, come lui, concepisce Dio come essenza
infinita nella quale libertà e necessità coincidono: rispetto a lui pochi
sarebbero i filosofi paragonabili, se l'impeto della sua immaginazione gli
avesse permesso di ordinare le proprie idee, unendole in un ordine sistematico,
ma era nato poeta. Per Diderot, B., che si è sbarazzato della vecchia filosofia
aristotelica, è con Leibniz e Spinoza il fondatore della filosofia
moderna. Jacobi pubblica per la prima volta ampi estratti del “De la
causa, principio et uno” di «questo oscuro filosofo», che sa però dare un disegno
netto e bello del panteismo. Lo spiritualista non condivide certo il panteismo
ateo di lui e Spinoza, di cui ritiene inevitabili le contraddizioni, ma non
manca di riconoscerne la grande importanza nella storia della filosofia. Da
Jacobi Schelling trae spunto per il suo dialogo su lui, al quale riconosce di
aver colto quello che per lui è il fondamento della filosofia: l'unità del
Tutto, l'assoluto hegeliano, nel quale successivamente si conoscono le singole
cose finite. Hegel lo conosce e nelle sue “Lezioni” presenta la sua filosofia
come l'attività dello spirito che assume dis-ordinatamente» tutte le forme,
realizzandosi nella natura infinita. È un gran punto, per cominciare, quello di
pensare l'unità. L’altro punto fu cercare di comprendere l'universo nel suo
svolgimento, nel sistema delle sue determinazioni, mostrando come l'esteriorità
sia segno delle idee. In Italia, è l'hegeliano Spaventa a vedere in lui il
precursore di Spinoza, anche se il filosofo nolano oscilla nello stabilire un
chiaro rapporto fra la natura e Dio, che appare ora identificarsi con la natura
e ora mantenersi come principio sovra-mondano, osservazioni riprese da Fiorentino,
mentre Tocco mostra come egli, pur dissolvendo dio nella natura, non rinuncia a
una valutazione positiva della religione, concepita come utile educatrice dei
popoli. Nel primo decennio del Novecento si completa l'edizione di tutte
le opere e si accelerano gli studi biografici su lui, con particolare riguardo
al processo. Per GENTILE (si veda), altre a essere un martire della libertà di
pensiero, ha il grande merito di dare un'impronta strettamente razionale alla
sua filosofia, trascurando misticismi medievaleggianti e suggestioni magiche.
Opinione, quest'ultima, discutibile, come recentemente ha inteso mettere in
luce Yates, presentando B. nelle vesti di un autentico ermetico. Mentre Badaloni
ha rilevato come l'ostracismo decretato contro lui abbia contribuito a
emarginare l'Italia dalle innovative correnti della grande filosofia del
Seicento europeo, fra i maggiori e più assidui contributi nella definizione
della filosofia bruniana si contano attualmente quelli portati da Aquilecchia e
Ciliberto. Monumento a B. Medaglia con monumento a Giordano B. in Campo
de' Fiori a Roma, incisione di Broggi. La medaglia, di 60 mm, fu donata a
personaggi illustri e comitati vari. Insieme a questa fu coniata un'altra
medaglia di 64 mm in bronzo, abbastanza simile, a scopo commerciale Gli sono
stati dedicati il cratere lunare B. e due asteroidi della fascia principale:
Giordano e Cenaceneri. IRapisardi gli dedicò un'epigrafe. All'ipocrisia
volpeggiante fra la scuola e la sagrestia, ai conciliatori della scienza col
sillabo, all'imbestiato borghesume, che tutto falsando e trafficando, d'ogni
sacrificio eroico beatamente sogghigna, le coscienze, cui sorride ancora la
fede nel trionfo di tutte le umane libertà, lanciano oggi ad una voce dalle
università italiane una sfida solenne a gloria della tua virtù, a vendetta del tuo
martirio o B.. Numerose scuole sono state intitolate a B. in tutta Italia, in
particolare licei classici: ad esempio ad Arzano, Albenga, Roma, Torino,
Mestre, Budrio e Melzo, mentre a Maddaloni gli sono stati intitolati il
Convitto nazionale e il liceo classico cittadino. In Italia sono numerosi i monumenti
intitolati a Bruno, sono presenti: un monumento in una piazza a Nola, un busto
a Montella, un bassorilievo a Monsampolo del Tronto e un'epigrafe a Teora. Nel
Campo de' Fiori di Roma è presente il più importante monumento a Bruno, eretto
esattamente nel luogo in cui il filosofo fu condannato al rogo. La figura e il
ruolo del mago che Shakespeare presenta con Prospero, ne La tempesta, fosse influenzata
dalla formulazione del ruolo del mago attuata da B.. Sempre in Shakespeare, è
ormai dai più accettata l'identificazione del personaggio di “Berowne” (Browne,
Bruno), in “Pene d'amor perdute” con il filosofo italiano, considerando il
parzialmente documentato e più che plausibile incontro tra i due durante il suo
soggiorno inglese.Un riferimento molto più esplicito si trova in The Tragical
History of Doctor Faustus, Marlowe. Il personaggio “Bruno”, l'antipapa,
riassume molte caratteristiche della vicenda del filosofo: «I cardinali
dormienti si affannano / a punire Bruno, che invece è lontano. Vola. / Il suo
superbo corsiero, vivo come il pensiero, / Già passa le Alpi.»
(Christopher Marlowe, La triste storia del dottor Faust; citato in Jean Rocchi,
Giordano Bruno davanti all'inquisizione, Stampa Alternativa) La stessa vicenda
del Faust marlowiano richiama alla mente la figura del "furioso"
bruniano in De gli eroici furori. Cinema Interpretato da Volonté. Protagonista
nel film di Montaldo B. nel quale è stato interpretato da Volonté. Compare
anche nel film Galileo di Cavani. Negli anni novanta Rai Uno produce un film
documentario curato da Porta su B.. Interpretato da Vita. Nel film Caravaggio
con Boni c'è una scena in cui è mostrato il rogo di B.. Contrariamente alle fonti
che parlano di B. con la lingua in giova, il filosofo appare legato al palo
mentre poco prima delle fiamme incita la gente a non lasciarsi irretire dai
falsi maestri. “Candelaio” è al centro della fiction Il tredicesimo apostolo -
Il prescelto trasmessa su Canale 5. Il rapper Caparezza ha dedicato a lui una
mini-storia nel brano "Sono il tuo sogno eretico", presente in Il
sogno eretico: «Infine mi chiamo come il fiume che battezzò colui nel cui nome
fui posto in posti bui,/ mica arredati col feng shui. Nella cella reietto
perché tra fede e intelletto ho scelto il suddetto, Dio mi ha dato un cervello,
se non lo usassi gli mancherei di rispetto. E tutto crolla come in borsa, la
favella nella morsa, la mia pelle è bella arsa. Il processo? Bella farsa! Adesso
mi tocca tappare la bocca nel disincanto lì fuori, lasciatemi in vita invece di
farmi una statua in Campo de' Fiori/Mi bruci per ciò che predico è una fine che
non mi merito, mandi in cenere la verità perché sono il tuo sogno eretico.»
(Caparezza, Sono il tuo sogno eretico). La metal band californiana Avenged
Sevenfold lui ha dedicato il brano intitolato Roman Sky presente nel nuovo
album The Stage. L'album tratta infatti temi quali l'intelligenza artificiale e
l'universo. Sono dedicati al filosofo anche il brano Anima Mundi di
Massimiliano Larocca e l'album Numen Lumen del gruppo neofolk Hautville, che ha
nelle liriche brani di B.. Altre saggi: “De compendiosa architectura et
complemento artis Lullii”; “De umbris idearum”; “Ars memoriae”; “Cantus
Circaeus”; “Candelaio”; “Ars reminiscendi, Triginta sigilli, Triginta
sigillorum explicatio, Sigillus sigillorum”; “Cena de le Ceneri”; “De la causa,
principio et uno”; “De l'infinito, universo e mondi” “Spaccio della bestia
trionfante”; “Il cavallo pegaseo”; “De gli eroici furori”; “Centum et viginti
articuli de natura et mundo adversus peripateticos” – “contro i peripatetici”
-- “Figuratio Aristotelici physici
auditus”; “Dialogi duo de Fabricii Mordentis Salernitani prope divina adinventione”;
“Idiota triumphans”; “De somnii interpretation”; “Mordentius”; “De Mordentii
circino”; “Animadversiones circa lampadem” “animadversions in lampadem”; “Lampas
triginta statuarum” – trenta statue -- (Napoli); “Artificium perorandi”; “De lampade combinatoria”;
“De progressu”; “De lampade venatoria logicorum”; “Libri physicorum Aristotelis
explanati, Napoli); “Camoeracensis Acrotismus seu rationes articulorum
physicorum adversus peripateticos”; “Oratio valedictoria”; “De specierum scrutinio”
De lampade combinatoria”; “Articuli centum et sexaginta adversus huius
tempestatis philosophos”; “Oratio consolatoria”; “De magia (Firenze); “De magia
mathematica (Firenze); “De rerum principiis et elementis et causis” (Firenze);
“Medicina” (Firenze); “Theses de magia” (Firenze); “De innumerabilibus, immenso
et in-figurabili”; “De triplici minimo et mensura”; “De monade, numero et
figura”; “De imaginum, signorum et idearum compositione” (sintassi); “De
vinculis in genere” (Firenze); “Summa terminorum metaphysicorum”; “Accessit
eiusdem Praxis descensus seu applicatio entis”. Bruno nota che quantunque
Averroè fosse arabo e perciò ignorante di lingua greca, nella dottrina
peripatetica però intese più che qualsivoglia greco che abbiamo letto; e arebbe
più inteso, se non fusse stato così additto al suo nume Aristotele. Sia dai due
volti. Io ho lodato molti eretici ed anco principi eretici; ma non li ho lodati
come eretici, ma solamente per le virtù morali che loro avevano; né li ho mai
lodati come religiosi e pii, né usato simil sorte di voce di religione. Ed in
particulare nel mio libro Della causa, principio ed uno io lodo la Regina de
Inghilterra e la nomino diva, non per attributo di religione, ma per un certo
epiteto che li antichi ancora solevano dare a principi, ed in Inghilterra, dove
allora io mi ritrovava e composi quel libro, se suole dar questo titolo de diva
alla Regina; e tanto più me indussi a nominarla cusì, perché ella me conosceva,
andando io continuamente con l'Ambasciator in corte. E conosco di aver errato
in lodare questa donna, essendo eretica, e massime attribuendoli la voce de
diva. Degno di nota è che B. pubblica tutti e sei questi saggi indicando luoghi
di stampa non corrispondenti: Venezia. Che Dio sia nella materia non implica che
possa essere conosciuto. Dio è immanente da un punto di vista ontologico,
mentre è trascendente sul piano gnoseologico. In questo universo metto una
providenzia universal, in virtù della quale ogni cosa vive, vegeta e si move e
sta nella sua perfezione; e la intendo in due maniere, l'una nel modo con cui è
presente l'anima nel corpo, tutta in tutto e tutta in qual si voglia parte, e
questo chiamo natura, ombra e vestigio della divinità; l'altra nel modo
ineffabile col quale Iddio per essenzia, presenzia e potenzia è in tutto e
sopra tutto, non come parte, non come anima, ma in modo inesplicabile. Spaventa
fu convinto assertore del ruolo fondamentale della filosofia italiana nel
panorama della filosofia moderna, e in particolare di Bruno e Campanella. L'asinità. La fortuna di B. B. in Shakespeare
e nella cultura inglese. “Il B. di Gentile”. L'Asino Cillenico. Clavis
Magna. Clavis Magna, ovvero, Il Sigillo
dei Sigilli. De signorum compositione. Explicatio. Sigillorum. Sigilli, Sigillus
Sigillorum. Clavis Magna, ovvero, L'arte di inventare. De Compendiosa
Architectura et Complemento Artis. “L'Arte di Comunicare” Artificium
Perorandi”. “Clavis Magna, ovvero, La
logica per immagini”. Il B. degli italiani. ‘B.’ regia di di Montaldo. Dizionario
biografico degl’italiani. CESAR calendaire romaine. Centro di Studi Bruniani. (CA
ui i) e iui Mia ba, VA dai ‘agi LS it Il EGR Ln i
\ LA va Di = | Pome Rm Te ti n. i Li I e Aa Kt Hlirpogt] lb
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ia B. DRAMMA MILANO Tipografiaals dtt, TORIO
EMANUELE, Carnevale {Resta sapore PERSONAGGI:
B. SALASSA; LORENZO figlio naturale di B., «dot-tato:da) A.D'ANDRADE ROMANO
DEI LOMBARDI «+. >F. MIGLIARA LEANDRO giovine patrizio. S.ra
ANGIOLETTI LAURA figlia di ROMANO. >» A. Busi IL GRANDE
INQUISITORE . Sig. SALVARANI. ROCCO LILLE DAMIANI ANDREA. Ni agN° UN
GUARDIANO) che nonparlano N. N. UN OsTE .. Ni Ni Giovani e nobili veneziani,
servi di Romano, gondolieri, seguaci di B., soldati, Inquisitori, Si Servi
del S. Uffizio, Frati e Popolo. L'azione del 1.° e 2.° Atto è in
Veni quella del:3.° e 4.° Atto in Re ber a pieni Sofee
bi; pece SUIT ZIA Fitto Primo PIAZZA IN VENEZIA. Un’Osteria
e alcune seggiole. In fondo un canale praticabile, che traversa la scena.
Sul canale un ponte, che mette in un viottolo, sull'angolo del
quale sorge a destra, un magnifico Palazzo illumiminato a festa, prospiciente
sul Canale. .Un in- gresso laterale, illuminato da faci fisse ai muri,
conducedal viottolo nel Palazzo. La porta principale verso . il Canale è
aperta; durante la scena seguente, visi vedono approdare gondole, dalle quali
scendono persone ragguardevoli, che, ricevute dai servi, entrano
nel Palazzo. Sera. GIOVANI e
NOBILI VENEZIANI, parte ‘in abiti fantastici con mezza maschera al volto, e
parte in abiti comuni, vengono da sinistra, traversano il ponte, e
dalla strada entrano nel Palazzo. LEANDRO, ROCCO ed altri Giovani vanno e
vengono fermandosi sulla Piazza, cantando e ridendo, Poi LORENZO e LAURA.
Leandro (accompagnandosi colla ghitarra). A te, Venezia bella,
adorata, A te, mia sposa, la serenata. HEVVPETIAIAMITEREZI LIA VITE
RENTAL rara rr ovinanto sinezineneisevazize vecio sinioneee
IVTIPRErTA:Itr rara rirevenaatos aes szereris cva:i0e vice vi’ veve’
’avurecovio sr 0uIvI vare ri [tti STA Hocco (Volgendosi
all’osteria) Leandro, scuotiti! Le mura adori? Vieni ove brillano
Divini amori, Ove donzelle Cotanto belle Potrai
mirar. Coro dei nobili Al convito n’andiam! alla festa! Leandro
Prima di venir alla gran festa Distruggere io vo’ un'idea funesta!
Oste, su via porgetemi Vino di Cipro; a questo petto ardente
Occorre del più vecchio e più potente. Vivan le belle Danzanti;
volano. Gli occhi fiammeggiano Più che le stelle; Ne’ Joro
vortici Mi ruban Vanima. sui Crudo gioir! Più non mi
muovo Suolo dolcissimo, ir belt rrrrrr n
-a-rt-rvreorosoeeriovoe nueva zeranen sonia mise
eeerarmierereriiovnieteacivoteote0ie Nido mio nuovo! Muoio in tue
braccia... Santo delir! | A te, Venezia bella, adorata,
A te, mia sposa, la serenata, Coro AI Convito! n’andiam alla
festa. (S'appressano in una gondola LAURA e LORENZO) Eaurna Sul
mare immenso più non impera
Nè sulla terra che la circonda. Venezia,
è fango la tua bandiera! Lutto e non feste! Pianga e s’ asconda. Core
(con alto di cu iosità) E un amante e la sua Della Che passeggiano
alla luna; Laura sembra la sua stella, Ma egli fa poca
fortuna. Seguiam tutti i vaghi amanti, E vediam, se pur n’ è
dato, In fra i suoni, i balli e i canti Di trovar
l’innamorato. È Lorenzo di Giordano, Che fuggì dal sacro
tempio ; lì Lorenzo... il vil, l’insano Che ne porge un
triste esempio. Lorenzo (con ira). È rivolta a me l’offesa?
L’alma freme, batte il core! Già suonaron l’ultim’ ore; - E voi tutti io
sfiderò. Laura E rivolta a te I’effesa; rato L’alma freme,
batte il core! Già suonaron l'ultim’ ore Io con te li sfiderò.
(LORENZO furente si scaglia contro ROCCO, e gli toglie la spada.
Gli altri NOBILI sguainano. le proprie e si schierano în
fondo) ROMANO dei LOMBARDI entra frettoloso dalla casa di destra,
seguito da servi con torce accese, Bomano Chi grida? Chi chiama? Qual
chiasso villano? Non son cîttadini, ma plebe briaca! Lorenzo, tu? Il
ferro in mano hai snudato? Parla! Che avvenne! Sei pazzo? Ti placa! Laura
(atterrita alla vista del padre) Che mai dirà Al Genitor?...
pa Voce non ha, Non ha più cor. Lorenzo (con timore)
Che mai dirò AI Genitor? Voce non ho, Non ho più
cor.Leandro (con circospezione) Il segno di croce facciamoci... e andiam
via! Quel vecchio è uno sgherro dell’ Inquisizione. Partiamo,
fuggiamo... La belva più ria, E un angelo a petto di questo
demòne. Romane (ai Nobili) Non chiedo ragioni di vostra
contesa, Fra tenebre nacque... in tenebre resti; E calmi la notte
col sonno gli. ardori Di giovani folli, di stolti furori. Partite!
Or è cauto lontani restar. Coro di Nobili (infimoriti da
Romano). Fuggiam dal feroce Vegliardo Romano : Col fiato ne
ammorba Il truce, l’insano; nea Qui tutto è sospetto. Amici,
fuggìam. 1 NOBILI, it CORO, LEANDRO e LAURA sì riti- rano pel ponte
ed entrano nel Palazzo. L’OSTE ha chiuso ed è scomparso durante la rissa,
ROMANO fa un cenno ai Servi di allontanarsi. Romano Vengo, tu
il sai, da Roma; e il Santo Re e Pontefice armava il braccio mio.
‘Or sotto il ferreo terribil manto Della suprema Città di Dio L’
Inquisizione veneta sta; E a Roma solo ubbidirà. Dell’ eresia le
vampe infeste Soffocherò. tutte le teste D’ un colpo all’ idra io
troncherò. Lorenzo Fu il Campanella scoperto e preso?
Romano Libero ei 8° agita... Ma il gran sovrano De’ rei, che Italia
e il mondo ha acceso Contro la Chiesa santa, è Giordano. Presso i
suoi complici quì ascoso stà! Lorenzo Odio quel uomo tanto... tel
giuro. Romano Non basta odiarlo: questo io non curo; Tu quì
arrestarlo ora dovrai: (Musica da ballo neil’interno del
Palazzo) In fra le maschere lo scoprirai, Ed il porrat nelle mie
man. Lorenzo Si chiede un atto di traditor? Romano
Queste ai novizi prove si dan. Lorenzo Tradir ricuso; son uom
d’onor. Romano (con sdegno) A me tu, folle, devi? RANA RARA
pinete Lorenzo Obbedienza! Romano Ed alia Chiesa! Trema. Lorenzo
(soffocando il furore) Obbedienza! Romano Dunque ?...
Lorenzo (con sottomissione) Giordano io scoprirò! Eomano
(ricomponendosi) Tuci giovanili e schictti Modi ti gioveran, se
manca il senno Di età maggior, Tuo sguardo onestà; ispira, K assai
tua voce ad ascoltarti attira. Per la grand’ opra non sarai solo,
D’altri miei fidi 1’ aiuto avrai; Pronto a miei cenni sempre sarai,
Uno per ‘tutti sia il mio voler. Lorenzo (con dolore) L’iniqua trama
ahi mi colpisce! La terra, il cielo pur n’ hanno orror! Vile
è colui, ch’ altri tradisce, Nè v' ha pietade pel traditor. ERomano
(imperioso) Come voglio, sia fatto. Or d’ altro; è m'’ odi. Dal dì
che ardenti e improvidi Sguardi su Laura hai posti, Travolto dalla
subita Cicca passion tu fosti; N | Una rea febbre 1° agita
Tutte le membra o siolto, E vedo nel tuo volto Il
fuoco del delir. Bada! io ti scruto, o giovine, E leggo il tuo
desire; Guai se tal fiamma ignobile Io non vedrò svanire. Tu
sogni; ma chi vigila l'e per tuo ben consiglia; Dimentica mia
figlia, O trema del tuo ardir. (parte da sinistra
mentre sì volge ancora con fiero sguardo su LORENZO).
Lorenzo (con dolore): SO Solo alfin... solo quì sono. Piangere,
impallidir, tremar t’è dato sa Povero cor! Ma dannate in eterno ei Son
mie lacrime in lor foco d'inferno. Ci i . . 0 cielo, perchè l’aere
Fa A Spargi de’ tuoi profumi? CRT a O terra perchè il
giubilo. SA Delle tue stelle assumi? © nare: A me
negata è l'estasi. da D’ ogni dolcezza umana, No: ae
d'ogni gioia lè vana (ale EZIO Larva, che fugge ognor; TERIOS L’
amor che è riso d’ angioli, 0; Di Nel povero mio cor. i
Strazio divien di dèmone, WA Delirio agitator. pr | Amar non
posso... 0° AARON] eta P, ‘L'odio mi restag» SS CE ao ag Son
stretto a questa to; LR 1 sur aRatalità. EI : Vò di te vincere.
| Con santo zelo, .. Servir vo’ il Cielo... E questa l’
ultima . «Mia volontà. (parte con fretta per il ponte). Cala
la Vela. arnie, Affo Secondo onere ge oi SALA NEL
PALAZZO LOREDANO Una splendida sala da Ballo nel Palazzo di
Lore- dano a Venezia, con colonnato per modo che si possa figurare
l’accesso in altre sale. Illuminazione splendidissima. Coro
degl’Invitati ($ acc incanto dell’ebbre sale!
Che ballo immenso! Sarà immortale. Quest’ è la reggia della letizia;
Il, paradiso. d’ ogni. delizia. Deh! non fuggire, tempo; t’
arresta; Bearsi al lungo delir giocondo Della fatata splendida
festa Tutto in. Venezia vorrebbe il mondo. {Gl’invitati
s'allontanano in varie parti)B. entra con cautela e colla maschera in
mano, poi gli amici. drrezadzanzecez anconca n ionici oc. c0100 dna enrici
condiizeo tentoro neo dan'onto oarc rroniòolo /Tasossignor cecanzara anee
Giordano Quì ognun danza e delira
Spensierato e demente. E niun ragiona, E senno e cuore ha
niuno. x tutto quì è in periglio, ove il Leone Alato di
San Marco Prostrato dalla Santa Inquisizione Ai piè,
scordò il ruggito Di cui tremò per secoli ogni lito
(volgendosi in fondo) Ecco gli amici: ma assai lenti e scarsi. Alcuni dei
Primi Luce! Giordano Giustizia a tutti! E Primi E
verità! Alcuni dei Secondi [venendo oltre) Luce !
Giordano Giustizia a tutti E Secondi E libertà!
Giordano Grazie diletti! Sian pochi i detti; Molta l’opra. A
ingannar V'astuta Corio Dei biechi Inquisitori Ho scelto queste
sale Di Loredano. È pronto ognuno ? Coro Ognuno!
Giordano L’ ardir pari del vero alla grandezza? Ed uniti?
Coro Siam tuoi, Giordano Bruno! Giordano e Coro Nel
popol vero s’ incominci 1’ opra: S° illumini! Bugiarda è la
parola Di Roma e il suo Re, che Dio si noma, Sull’ alma i
Papi vogliono l’ impero Per posseder la terra; E coi
libri e col braccio tt Viva facciasi ovunque eterna guerra
Allo spirito, al verbo, a ogni menzogna, Con che farci suoi schiavi Roma
agogna LAURA entra anelante colla maschera in mano. Enura
Signor, fuggite! Giordano Io? no! non fuggo. Coro
(insospettito) Fuggiamo. È pazzo! (fuggono da va»ie aio Giordano
(con ira) Vili! Tu hai fede? (a Laura) ERaunna (sempre
ancelante) Gran Dio! In queste sale Circondavi un estremo ‘
Periglio. Per voi tremo. Fuggite per pietà. IIIEEZZZE RETETTEZI EXIZZELUPPEE
PE CETO CE TI CE CES CECI ICI IA CIT ALIZICI AZIO LETO EI Va besasnza rea
dI gra rirvarai tion Giordano (simulando) Fuggir? Da chi
fuggire? Laura Da tutti! I delatori, Cui fia virtù
tradire, Vi cercano là fuori. Son mille a me ben noti,
Fierissimi e devoti Al sacro Tribunal. Giordano
(sorpreso) Mi conoscete? Eguana A Padova Vi
scorsi il«dì che ardito Nel fiume vi gettaste, E un fanciullin
tornaste Vivo al materno sen. L’ Inquisizion seguiavi Co’
mille sgherri suoi Per arrestarvi; e voi Tra il popolo
festante Poteste in un istante Securo allor fuggir.
Giordano (simulando la calma) Bruno era quegli, che allor
miraste! Io non lo sono!... Mal giudicaste, .i Laura (sorpresa)
Credetti... ho divinato! © ; Voi siete IL GRAN FILOSOFO
[cf. Grice: Treat those who are great and dead as great and living. ]. Giordano
Oh certo s’ è ingannato Il vostro giovin cor. Laura
Perdonate se un lembo alzo del velo, Che a me vasconde... (solleva: dl
velo) Io v' ho scoperto! siete. Celarvi non potete. B. E chi
son io? Laura Giordano Bruno, cittadin di
Nola! (Durante questo colloquio, LORENZO entra da destra, LEANDRO da
sinistra; si fermano in - fondo, e, non veduti funno alto di
attenzione). erimmiberarisisaorizeoeee Mi nisi
bro aravrariszazazezea ripa paio: Lorenza ngi Ho. in mani,
alfin 1, dai i ‘Ch’ ha Italia avvelenato; ‘Salvo da Ini mille:
anime! a Il mondo mi sia. EH 9 Leandro (4. LormNZO | con simulata
ironia) % TAL il salverài, mia “tnamo, È quegli'il gran? ;
Filosofo) di Il celebre Giordanb. VESTA Dal Tribunal del
Dèmoni Ù 1 1 PR. E O ARNO E ‘J RARE.| Baura (| ‘801
‘presa vi ala PISAE) | dia 39 DS IDE Lorenzo! dui GicoL..(a o pi di
te-che mai sarà? F a iI Gietiala (con dolore)
Fui tradito !..-Oh cerudoltà So IV I Santo phrto)
Tana ‘in Cactpnse deg Di palpiti, di ladina, Tempo,non è, mio
cuore; .Salvarlo, fat Miracoli. DERE eo -0t devo ame l'amore. OL
DI Giordano La luce tua mi sfolgora, Fanciulla, nel
pensiero; Se il mio profeta! Libero Trionferà il mio vero.
(poi fissando LORENZO) Quel volto! V° è 1’ immagine Impressa
di Teresa. Misto è quel volto e annunziami La gioia ed il
dolor! (Prendendo per mano LORENZO) Giovane, dimmi: sei tu di
Roma? La tua favella mel dice... Parla! Dimmi: tua madre come
sì noma? Teresa forse? Lorenzo Teresa?... Sì! (In fondo appare ROMANO con SERVI e
SOLDATI poi vengono gl’Invitati). Giordano L’
inquisizione! Oh quale orror! (a Lorenzo) E tu con essa? Ah
traditor! o Io a te la vita diedi e la morte - Tu, iniquo, appresti
al Genitor!... A te l’ inferno schiuda le porte... Sii maledetto,
vil delator.fekresrey=neoan0enen castec pregsone e aosso g@ zor—rorerovrseereeeericrone
cer csvpirtetronert pari o son nen contiene nanenene Lorenzo Tu...
padre mio? Che mai feci io! Padre, perdonami Se pur ancora
‘ Merto pietà. GU INVITATI che riappariscono da destra e
sinistra e detti. GI Envitati e Leandro La festa è
orrenda! Fuggiamo tutti; Qual tradimenti! Keco distrutti Degl’
innocenti Gli almi piacer. Romano Grazie, o Ciel! Nelle mie
mani Or Giordane io vedo tratto! Roma esulti! Il suo desìo
Finalmente è soddisfatto. Lerenzo Orrenda infamia! Tu il. padre mio? Ah
me infelice! Che mai fec? io! Padre, perdonami... O Ciel, pietà! ERA
EeIOrtitiezast:nuvo cene cen vinariesazyaza cc uPONPPA PESSANO MT RI Laura
(a GIORDANO) Delle amarezze il calice Berrò con te,
Giordano; Già in seno il duolo squarciami Il core a brano a
brano; Peno per te, pel figlio Mio primo e solo
amor. Leandro Oh come ovunque penetra La santa
Inquisizione! Come sarà terribile La sua imputazione! In lui
perdiamo un figlio, Che della patria è onor. Giordano (4
LAURA) Ah no! Laura, non piangere... Giordano ha l’alma
forte! Pel Vero è pronto a vincere Il duolo pur di
morte! Dio deh! ritorna il figlio A Laura e al
Genitor, Lorenzo Sento nel seno piovermi D'un aspro
duol le stille!... Il padre... oh! il padre scorgere ab 0); Temon
le mie pupille! Com'è infelice un figlio Ribelle al genitor !
Romano Entro mi serpe un fremito, Che mi sconvolge il
core, Veggendo quest’ eretico Di scismi banditore, Che,
della Chiesa*figlio, Divenne traditor! Leandro
Tu piangi?... Incauto, a Lui {affida Pel suo perdono; ma
l’alma infida Nel suo rimorso gran pena avrà. Coro (a
LORENZO) Che piangi?... Ognuno vile ti grida; Se’ un
traditor; se’ un parricida! Nè Dio, nè il mondo n’avran pietà.
(I SOLDATI circondano GIORDANO e cala la tela/. IITTTTAAEIAIII
RA CORTI IN ROMA Sala nel palazzo
dell’Inquisizione. In fondo, nel
mezzo della parete una cortina nera che chiudela scena, A sinistra
una finestra aperta con ferriata. In fondo un tavolo coperto con un
tappeto nero, a cui siedono il grande INQUISITORE e DUE SCRIVANI; ai lati
siedono gl’INQUISITORI, e, di fronte, GIORDANO, R0MANO e LORENZO, — Porte a
destra e a sinistra. Romano {> iordano! Voi siete’ D’innanzi
ai vostri giudici, al supremo Tribunal della terra! E qui dovete,
Smésso l’antico stile, Risponder vero, obbediente, umile. “cà
ra G. Inquisitore Vostro nome è Giordan Bruno?
Giordano Di Nola. mrantsiorizea nano (199 AMDI ATTI ANI ANAZANAZA
NZ RATTI TIT IATA TERI ri prenpan ianana nananarena enzana G.
Inquisitore Vi conosciamo! Voi correste in terre D’eretici; lè in
Praga, in Francoforte. E predicaste spesso agl’ infedeli La
santissima Chiesa dileggiando Di Roma, tutti i novator
germani Esaltando. D’ Iddio 1’ essenza in false Forme sponeste;
come v’ inspirava Mal talento. D’ Iddio la legge in pubblici
E in segreti convegni commentaste; Le coscienze fùr
guaste. Giordano Mentite! Solo io dissi agli
uomini Il mondo ha una visiera Di antiche, immense tenebre ;
Cerchi la luce vera. Dio vuol che l’uomo spinga L’acuta sua
pupilla Fin dove in cielo brilla L’eterno suo splendor. Coro
d’Inquisitori D’ anime felle Empia utopia! Il tuo,
ribelle, Un Dio non è. Non ha che larve -Tua fantasia; .0 et gi ver disparve ; “Se in eresia ft fo
i AI fuoco, ‘al fuoco: © Sia condannato! 1 “REP carcer. poco,
s ra ! tal OmpIO, egli de (Si apre la cortina’ dalla’ quale
‘escono pina DTA io GRANDE INQUISITORE, quindi ROMANO, poi gli
SCRIVANI, ‘gi ISQUISITORI, ed sea pIoR-SSf DANÒ accompagnato, dalle
GUARDIE.Gala la cortina e solo LORENZO rimane în ‘scend), DÒ
dt e Laura 01,3 LAURA entra dalla' sinisird e presi itasi) di LORENZO in
atto supplichevole). SÉ Roe dia eor ATI v Rat Laura!
moi (HI dÉ tia Koi i È et Loréiizo i «105 si vo MREPSRI
RATA GIL Lorenzo Di ea DO Ur PA Ale 2 i sd Met: la
"I Che vuoi tut ot Raid) fai I n Setdi o SERRA 2
Senti la ToRe.e. un uomo Rico tu soi. “ rE: Lorenzo Tinura!
Da me che brami? Sento straziarmi il cuore. Laura Ah! tu il padre
salvar déi, Se una belva ancor non sei. Lorenzo
Tact Laura! Il ver dicesti È mio padre! Io lo sentìa Quando'.il labbro
suo: terribile. Me colpevole maledia. È mio padre! Ancor lo
sento AI perenne! e fier tormento.‘ ©’ Che m’ opprime e strazia il
cor. Laura Pietà del misero. Tuo genitor. Lorenzo L’accento
tuo terribile E un dardo al traditor. ebic Laura Lorenzo. it i
#1) Ma shananorazi scenza sanacenencacaee cena sane oean coneesccnio naacea
—ea—e@ce0cui0reò’npsQa”ncceinci’’’ ne Agp ipmpasrssssso Lorenzo Nol
posso! Laura Va da me lungi, o perfido, Se nieghi al genitor
Salvar la vita. E sorga il dì terribile Che
ognuno, o traditor, Ti nieghi aita. Lorenzo Taci! e che
far poss’ io? Laura Aiutarmi a salvarlo; tu lo puoi! ‘Ei fugga
da quell’orrida Fossa in serena terra, Ove su lui degli uomini
Taccia sì cruda guerra. Ove un demén carnefice Non trovi nell’
amico, Nel figlio, un traditor; Ove il sovran suo spirito
Onnipotente e pio Possa inalzarsi libero Di tutti al Padre, a
Dio; E riabbracciar qui un figlio, Che traviò pentito,
Stringendolo al suo cor.pra, im masasenananasa sesc’poosson costor09 posporooscoesaesose
Lorenzo Quell’ardire, che in volto a te brilla, La speranza, la fede
m' ispira: E una sacra, divina favilla Della fiamma,
che tarde nel cor. Raura e Lorenzo (assieme) Con te nutro la
credula speme, Che a giustizia il trionfo sorrida; Siamo uniti per
vincere insieme Od insieme da forti morir. (partono). Muta la
scena. Carcere di B. con porte in fondo: dentro vedesi un giaciglio di
pietra, una seg- giola ed un tavolo su cuì arde una lampada. A sinistra
una scala da cui si accede agli Uftizii del- l’
Inquisizione. Giordane (seduto sul giaciglio) Ecco, o Roma,
l’eretico In questo tetro carcere rinchiuso! Del sangue suo
dissetinsi I tuoi Inquisitori Ebbri di gioia in lor
ciechi furori! (Gleaso Sul rabido rogo dall’empio innalzato
La fiamma divampa sanguigna e stridente, Ma in mezzo
all'incendio securà possente Del martire invitto la voce s’
udrà. Il rogo non strugge la
libera idea; Ma, eterna fenice — risorge o sfavilla; Del vasto
creato — nel verbo s'inslilla Te dense tenebre del mondo a
fugar. In mano ai carnefici chi,
miser, mi trasse, Tu fosti, mio figlio;
tu sli maledetto Ma no maledirti, ma no, nol poss’io: La morte è
un trionfo per me, figlio mio! LORENZO apre con furia la porta del fondo
che mette nel carcere; indi entra anche LAURA. Entrambi «$0NO
Raealii in domino nero come i servi dell’Inquisizione. Lorenzo (di piedi
di GIORDANO) Padre mio! Tuo figlio. B. Non sogno!
Lorenzo Si, son io, ch’ hai maledetto; Ma figlio tuo! Ripeti un
altra volta La tua maledizione i Coll’ accento d’ un padre, ed al
mio cuore Più cara suonerà di quel che fora Del sacerdote la benedizione
; Ah! lasciami morir a pieid tuoi. TIrCItIVISIÀ poorrcens ersantisaazuztt=veSnII=TIERERA
TATE conuaca riv ertaziori (apusa ra rara zar sara ra bist enaneronesane B. Felice
è un tal momento! A me t’ adusse Iddio; Ora tu sei redento!
M’ abbraccia, o figlio mio. Lorenzo Padro' i] mio cuore un
balsamo Nella tua voce trova! Col tuo perdon risorgere
Mi sembra a vita nuova. Laura Redento il figlio,
accoglierlo Ben può il paterno core; Quale inattesa grazia
!.., Disparve ogni terrore. Mutti (inginocchiandosi) Gran Dio,
che fra le angoscie Apri a quest’ alma il riso, E mesci ai
loro spasimi In terra un paradiso. A te, che i santi vincoli
Riannodi di natura, Salga da queste mura L’ inno de’
nostri cor. B. (STO ER Dal fondo del cor mio 2/0 SARA Grazie a te
sien, gran Dio! a Pi E | re k » à, s ER wr:
DETTI, e ROMANO, che presentasi in cima della ° dente. Fissa collo
sguardo LORENZO, indi scende rapidamente. Lo seguono il GUARDIANO
Retles va x carceri e i SERVI del S. UHEIZIO: da si ‘Romano
< È Come tu qui?... La figlia ancor Di vedo, ea Oh mio furore '
eco 3 F : x Laura e Lorenzo 00 o O qual terror! > ua |
Romano È Giiordano. Questa ou fatale a me una figlia nn dio Spa ma a
te la vita. (LEANDRO, il GUARDIANO delle carceri ei SERVI. del S.
UFFIZIO mascherati ed armati si ap- d pressano). Lg i VEL 7
Pi AE Li unisoseorevrespropeosovo ” Romano (B.)
Trencar ti voglio, qual vile stelo ; Delle tue carni la terra e il
Cielo Io colle fiamme consolerò. Lorenzo Ed io fidato
m’ ero a tal jena ? Tutto l’inferno qui si scatena, E cielo e terra
han di te orror. Laura e Leandro Sublime martire! La tua gran
vita Tronca in un lampo tra l’infinita Gioia... Qual strazio sento
nel cor! B. Del mio carnefice sul volto scritto Sta col livore
il suo delitto; Solo dal Cielo giustizia avrò. Romano (a°
Soldati) Innanzi al Tribunal condotto sia. Coro (Servi e
Soldati) S'innalza un turbine Di guai novelli. Su de’ fratelli
— Tratti in error. E l’empio eretico < «N° è
lavcagionez 9:13 <L Maledizione Sul corruttor! Al rogo
ignifico ‘ Condotto Sia. © Chi l’eresia Tra noi portò. Legge
inviolabile Il turbolento A tal tormento Già condannò.
RIC FROCIO RA ATONTAITA Gran sala nel Palazzo dell’Inquisizione in Roma.
Nel fondo una Galleria apertà sostenuta da colonne, fra ile quali:
si, aprono grandi fin:stre che lasciano tra- vedere le cupole e i colli
di Roma. Porta: a de- stra e a sinistra. Nel mazzo un tavolo con
quattro candelabri. Siedono al tavolo il grande INQUISITORE, ROMANO e )
UE SCRIVANI. DUE SERVI «ai. lati, quindi gl’ INQUISITORI, i Coro
d'Inquisitori || |) eo nembo dall’aere piove Lupa ' Di
Giordano su:l’empia cervice! "Non v'ha niun che l’appelli
infelice, Non v'ha cor che si muova a pietà. Pronto è il
rogo, la fiamma divampa. E pur essa la vittima è pronta! AI gran Nome
Cristiano quest’onta. Or. dal fuoco purgata sarà. } B.
(appressandosi). O sommo Inquisitor! Giunta è l'estrema Ora, che me
a gran prova... al rogo.... appella! G. Inquisitore (alle guardie)
Fuor della porta vigilate! (le guardie e i servi partono) O
Bruno Di Nola! Quest’ è 1’ora che vi chiama Alla prova del fuoco....
a morte.... 0 a vita Lieta d'ogni uom nel mondo! E a voi concesso
Ciò e’ ha nessuno fu giammai; la scelta Fra la vita e la morte!
Scegliete. E in, vostre man la vostra sorte! Giordano (Mi
tentan!) Che si vuol da ms? Parlate. G. Inquisitore Qui in faccia a
tutti, dichiararvi figlio Della Romana Chiesa ora e in eterno E vi
doniam la vita; rimarrete Prigion; ma al figlio libertà darete! B.
(Dèmone tentator!) Nol vò.... nol posso! G. Inquisitore (qa
RomaANO)] Perduto! Udiste? La sentenza è data! Parte coi
servi, Le guardie circondano GIORDANO e partono). i Romano, in
preda a soffocato sdegno. Cieco sirumento io sono all’empie voglie
Di costoro! Ubbidir sempre... e frattanto Spezzare di mia figlia il
vergin core, Serbando la mia vita al lutto e al pianto! O Laura, tu
l’adori D’averno il rio Filosofo, Che con l'accento magico
Tuo cuor conquise già. Or ei morrà sul rogo!... Ma temo per mia
figlia... Dal duol trafitta, all’empio Vicina ella cadrà!...
Senza la figlia, il padre Più viver non potrà. To l’adoro! In lei
Tiposi Ogni speme ed ogni alta; La mia luce, la mia vita Con
la sua si spegnerà. Volgi, o Dio su me, su lei Un tuo sguardo
protettor, E la figlia, che perdei Deh! ridona al genitor. (ROMANO
parte da sinistra e nell'uscire si. moontra con LAURA).Laura
(apprdssandosi ‘a ROMANO. Ah! padre caro, mi benedici! Quel divin spirto,
che t’empie il core, Io pur lo sento! Odio i nemici Di quel gran
ùomo;-che' giùsto muore. Ma tu, che. il puoi, deh! tu lo salva; Se Do,
«con Lui io morirò. Romano La rea fiamma, che in cor ti VE Per chi
scuote de’ Papi l’impero, Sulla fronte il delitto’ ti Stampa Che tu
svolgi nel cupo pensiero. Salvo tu vuoi Giordano? Iniqua ! Nol sperar...
tu Il chiedi > invano. iLaura (con disperazione) Più di
salvarlo non v' ha speranza! L’ala nel tempo batte spietata! Ah! la fatale
ora 8° avanza. i Con te Giordano io morirò. ( prende il
veleno) A morte infame traggono. ; L’ apostolo del vero; Ma
dal suo rogo. pallida; | La fiamma sorgerà. Che sovra. il cieco
popolo La luce porterà; COLERE Nè più potrassi spegnere Quel fuoco
che foriero Sarà di libertà. Coro frecta judicate filù
hominum Laura Quai voci ascolto! Lugubre E questo il canto
estremo, ch’ora al supplizio adduce- L’apostolo del
Ver. Coro Recta judicate fili hominum Laura Con
te Giordano! Morir voglio! Al gaudio tuo volar desio. {LORENZO e
LEANDRO col corteo funebre s’inol- trano nella scena. GIORDANO Tifo, le
guardie si fa avanti nel mezzo). B. Gran Dio! la vittima. Tu
vedi pronta Il rogo a scendere \a 1 1 Per la tua, fe; CERRI
TERA ee L'ira de’ perfidi, Ovunque. conta, Oggi
terribile Piombò su di me. Coro Etenim in corde iniquilates
operamini; Injustitias manus vestrae concinnant. Lorenzo Si
squarcino le tenebre Or dell’uman pensiero, E torni vivo a
splendere Il sol di verità, Che strugga alla tirannide
L’atroce maestà, E’ incenerisca i fulmini Del mistico
nocchiero Nella futura età. Giordano e Leandro Da’ rei
carnefici Il rogo ardente Pel nuovo martire E posto là;
Ma la giustizia Di Dio clemente Le braccia schiudere A Lui
vorrà. GIORDANO circondato ddlle guardie parte col corteo. Leandro, Cero. In
terra injustitias manus. vestrae concinnant. LORENZO s’appressa a
LAURA, che si troverd, vicina. a ROMANO), i Lorenzo, con
disperazione. O Padre, addio. Per me l’estrema Ora fatale suonata è
già? Guarda tuo figlio, che più non trema Nel vendicare la
verità. A me di Laura l’amor fu tolto: Perchè un mistero buio
sognai. Ah! padre, credilo, tutto: ignorai; Solo or la luce scorgo del Ver. ER
omamno Lorenzo! Lorenzo [trattosi dall’ abito uu
pugnale, si ferisce) Laura! Laura (riavendosi avvicinasi a
LORENZO) Al gaudio Ei vola. Romane (sorreggendo
LORENZO) Serbate a quanti spasimi E il povero mio cor?
o aaravai -ercerecote e merie—i ve oraconcorsoee «n - peacee
-LilsSTFri= pone rete na dor e. Lorenzo È tardi, o padre, il
piangere. Anche Lorenzo... muor! (gli cadde ai piedi). Romano. Odesi
“una campana a lenti rintocchi; avvicinandosi a LAURA e
sorreggendola/ Orribil pena mi strazia il core... Un
disumano fui genitore! Non v’ha infelice al par di me! Laura
(presso LORENZO) Lieta è quest’ ora... della mia vita. Bel paradiso la
via... m’ addita B. Io volo... In ciel. con tel. Da una finestra vedonsi
le fiamme del rogo, ed un urlo di popolo annunzia la fine dello
spettacolo. Cala la tela. PRESENTAZIONE E SOGGETTO DEL
CANDELAIO IL LIBRO
A GLI ABBEVERATI
NEL FONTE CABALLINO.
Voi che tettate
di muse da
mamma, E che
fiatate su lor
grassa broda Col
musso, r eccellenza vostra
m*oda. Si fed'e
caritad' il cuor
v infiamma. Piango,
chiedo, mendico un
epigramma. Un sonetto,
un encomio, un
inno, un oda
Che mi sii
posta in poppa
over in proda.
Per farmene gir
lieto a tata
e mamma. Eimè
ch'in van d'andar
vestito bramo. Oimè
ch'i* men vo
nudo com'un Eia,
E peggio: converrà
forse a me
gramo Monstrar scuoperto
alla Signora mia
Il zero e
menchia com'il padre
Adamo, Quand'era buono
dentro sua badia.
Una pezzentaria Di
braghe mentre chiedo,
da le valli
Veggio montar gran
furia di cavalli.
6 Parte prima
ALLA SIGNORA MORGANA
B., SUA SIGNORA
SEMPRE ONORANDA. Ed lo a
chi dedicarrò il
mio Candelaio? a
chi, o gran
destino, ti piace
ch'io intitoli il
mio bel parammfo,
il mio bon
corifeo P a
chi invlarrò quel
che dal sino
influsso celeste, in
questi più cuocenti
giorni, ed ore
più lambic- biccanti,
che dicon caniculan,
mi han fatto
piovere nel cervello
le stelle fìsse,
le vaghe lucciole
del firmamento mi
han crivellato sopra,
il decano de'
dodici segni m'ha
balestrato in capo,
e ne l'orecchie
interne m'han soffiato
i sette lumi
erranti P A
chi s'è voltato,
— • dico io,
— a chi
riguarda, a chi
prende la miraP
A Sua Santità
P no. A
Sua Maestà Cesarea
P no. A
Sua Serenità P
no. A Sua
Altezza, Signoria illustrissima
e reverendissima P non,
non. Per mia
fé, non è
prencipe o cardinale,
re, imperadore o
papa che mi
ìevarrà questa candela
di m.ano, in
questo solen- nissimo
offertorio. A voi
tocca, a voi
si dona; e
voi o l'attaccarrete al
vostro cabinetto o
la ficcarrete al
vostro candeliero in
superlativo dotta, saggia,
bella e generosa
mia signora Morgana:
voi, coltivatrice del
campo del- l'animo mio,
che, dopo aver
attrite le glebe
della sua du-
rezza e assottigliatogli il
stile, — acciò
che la polverosa
nebbia sullevata dal
vento della leggerezza
non offendesse gli
occhi di questo
e quello, —
con acqua divina,
che dal fonte
del vostro spirto
deriva, m'abbeveraste l'intelletto.
Però, a tempo
che ne posseamo
toccar la mano,
per la prima
vi indrizzai :
Gli pensier gai;
apresso: 11 tronco
d'acqua viva. Adesso
che, tra voi
che godete al
seno d'Abraamo, e
me che, senza
aspettar quel tuo
soc- corso che solea
rifrigerarmi la lingua,
desperatamente ardo e
sfavillo, intermezza un
gran caos, pur
troppo invidioso del
mio bene, per
farvi vedere che
non può far
quel mede- simo caos,
che il mio
am.ore, con qualche
proprio ostaggio e
material presente, non
passe al suo
marcio dispetto, eccovi
la candela che
vi vien porgiuta
per questo Candelaio che
da me si
parte, la qual
in questo paese,
ove mi trovo,
p otrà chiarir alquanto
certe Ombre dell'idee
le quali in
vero spaventano le
bestie e, come
fussero diavoli dan-
teschi, fan rimanere gli
asmi lungi a
dietro, ed in
cotesta patria, ove
voi siete, potrà
far contemplar l'animo
mio a molti,
e fargli vedere
che non è
al tutto smesso.
Salutate da mia
parte quell'altro Candelaio
di carne ed
ossa, delle quali
è detto che
« Regnum Dei
non posside- hunt
)'; e ditegli
che non goda
tanto che costì
si dica la mia memoria
esser stata strapazzata
a forza di
pie di porci
e calci d'asini:
perchè a quest'ora
a gli asini
son mozze l'o-
r ecchie, ed
i porci qualche
decembre me la
pagarranno. E che
non goda tanto
con quel suo
detto: « Abiit
in regio- nem
longinquam »; perchè,
si avverrà giamai
ch'i cieli mi
concedano ch'io effettualmente possi
dire: « Surgam
et ibo »,
cotesto vitello saginato
senza dubbio sarrà
parte della nostra
festa. Tra tanto,
viva e si
governe, ed attenda
a farsi più
grasso che non
è; perchè, dall'altro
canto, io spero
di ricovrare il
lardo, dove ha
persa l'erba, si
non sott'un mantello,
sotto un altro,
si non in
una, in un'altra
vita. Ricordatevi, Signora,
di quel che
credo che non
bisogna insegnarvi: —
Il tempo tutto toglie e
tutto dà; ogni cosa si muta,
nulla s'annichila; è un solo che non può mutarsi, un solo è eterno e può
perseverare eternamente uno, simile e
medesimo. Con questa filosofia l'animo mi
s'aggrandisse, e me si magnifica l'intelletto. Però, qualunque sii il
punto di questa sera ch'aspetto, si la mutazione è vera, io che son ne la
notte, aspetto il giorno, e quei che son nel giorno, aspettano la notte: tutto quel ch'è, o è qua o là, o vicino o lungi, o adesso o poi,
o presto o tardi. Godete, dunque, e, si possete, state sana, ed amate chi
v'ama. Son tre materie principali intessute insieme ne la presente comedia:
l'amor di Bonifacio, l'alchimia di Bartolomeo e la pedantaria di Manfuno. Però,
pella cognizion Bruno. distinta
de'suggetti, ragglon dell'ordine ed evidenza dell'artificiosa testura, rapportiamo prima, da per lui, l'insipido
amante, secondo il sordido avaro, terzo il goffo pedante: de'quali l'insipido
non è senza goffaria e sorditezza, il sordido è parimenti insipido e goffo, ed
il goffo non è men sordido ed insipido che goffo. Messer sì, ben considerato,
bene appuntato, bene ordinato. Forse che non ho profetato che questa comedia
non si sarebbe fatta questa sera. Quella
bagassa che è ordinata per rapresentar Vittoria e Carubina, ave non so
che mal di madre. Colui che ha da rappresentar il Bonifacio, è imbnaco che non
vede ciel né terra da mezzodì in qua; e, come non avesse da far nulla, non si
vuol alzar di letto; dice: Lasciatemi, lasciatemi che in tre giorni e mezzo e
sette sere, con quattro dui rimieri, sarrò tra parglioni e pipistregli: sia,
voga; voga, sia >k A me è stato commesso il prologo; e vi
giuro eh 'è tanto intricato ed mdiavolato che son quattro giorni che vi ho
sudato sopra, e dì e notte, che non bastan tutti trombetti e tamburini delle
Muse puttane d'Elicona a ficcarmene una pagliusca dentro la memoria. Or, va' fa
il prologo: su battello di questo barconaccio dismesso, scasciato, rotto, mal'impeciato,
che par che, co crocchi, rampini ed
arpagoni, sii stato per forza tirato dal profondo abisso; da molti canti gli
entra l'acqua dentro, non è punto spalmato; e vuol uscire e vuol fars' in alto
mareP lasciar questo sicuro porto del Mantraccio. far partita dal Molo del
silenzio? L'autore, si voi lo
conosceste, dirreste ch'ave una fisionomia smarrita: par che sempre sii in
contemplazione delle pene dell'inferno, par sii stato alla pressa
ccome le barrette: un che ride sol per far comme fan gl’altri: per il
più, lo vedrete fastidito, restio e bizarro, non si contenta di nulla, ritroso
come un vecchio, fantastico com'un cane ch'ha ricevute mille spellicciate,
pasciuto di cipolla. Al sangue, non voglio dir de chi, lui e tutti quest'altri
filosofi, poeti e pedanti la più gran nemica che abbino è la ricchezza e beni:
de quali mentre col lor cervello fanno
notomia, per tema di non essere da costoro da dovero sbranate, squartate e
dissipate, le fuggono come centomila diavoli, e vanno a ritrovar quelli che le
mantengono sane ed m conserva. Tanto che io, con servir simil canaglia, ho tanta
della fame, tanta della fame,
L’arte supplisce al difetto della natura, Bonifacio. Or, poi ch'a la
mal'ora non posso far che questa
traditora m'ame, o che al meno mi remiri con un simulato amorevole sguardo
d'occhio, chi sa, forse quella che non han mossa le paroli di Bonifacio, l'amor
di Bonifacio, il veder spasmare Bonifacio, potrà esser forzata con questa
occolta filosofìa. Si dice che l'arte magica è di tanta importanza che contra
natura fa ritornar gli fiumi a dietro, fissar il mare, muggire i monti,
intonar l'abisso, proibir il sole,
despiccar la luna, sveller le stelle, toglier il giorno e far fermar la notte:
però l'Academico di nulla academia, in quell'odioso titolo e poema smarrito,
disse: Don a rapidi fiumi in su ritorno. Smuove de Volto del V aurate stelle.
Fa sii giorno la notte, e notfil giorno. E la luna da lorhe proprio svelle E
gli cangia in sinistro il destro corno, E del mar Fonde ingonfia e fissa quelle. Terra, acqua, fuoco ed aria
despiuma, Ed al voler uman fa cangiar piuma. 0 Candelaio, Di tutto si potrebbe
dubitare; ma, circa quel ch'ultimamente dice quanto all'efifetto d'amore, ne
veggiamo l'esperienza d'ogni giorno. Lascio che del magistero di questo
Scaramurè sento dir cose maravlgliose a fatto. Ecco: vedo un di quei che rubbano
la vacca e poi donano le corna per
l'amor di Dio. Veggiamo che porta di bel novo. M. Bonifacio, M.
Bartolomeo ragionano; Pollulo e Sanguino, occoltì, ascoltano. Bart. Crudo
amore, essendo tanto ingiusto e tanto violento il regno tuo, che voi dir che perpetua
tanto P perchè fai che mi fugga quella ch'io stimo e adoro P perchè non è lei a
me, come io son cossi strettissimamente a lei legato P si può imaginar questo P
ed è pur vero. Che sorte di laccio è
questa P di dui fa l'un incatenato all'altro, e l'altro più che vento libero e
sciolto. BoN. Forse ch'io son soloP uh, uh uh. Bart. Che cosa avete, messer
Bonifacio mioP piangete la mia penaP BoN. Ed il mio martire ancora. Veggo ben
che sete percosso, vi veggio cangiato di colore, vi ho udito adesso lamentare,
intendo il vostro male, e, come partecipe di
medesma passione e forse peggior, vi compatisco. Molti sono de'giorni
che t’ho visto andar pensoso ed astratto, attonito, smarrito, come credo eh
altri mi veggano, scoppiar profondi suspir dal petto, cogl’occhi molli,
Diavolo! dicevo io a costui non è morto qualche propinquo, familiare e
benefattore; non ha lite in corte; ha tutto il suo bisogno, non se gli minaccia
male, ogni cosa gli va bene; io so che
non fa troppo conto di soi peccati; ed ecco che piange e plora, il cervello par
che gli stii in cimhalis male sonantibus: dunque è inamorato, dunque qualche
umore flemmatico o colerico o sanguigno o melancolico non so qual sii questo
umor cupidinesco gli è montato sulle testa. Adesso ti sento proferir queste
dolce parole: conchiudo più fermamente che di quel tossicoso mele abbi il stomaco ripieno. L'innamorato e le arti magiche d'amore Bari.
Oimè, ch'io son troppo crudamente preso dai suoi sguardi! Ma di voi mi
maraviglio, messer Bonifacio, non di me che ho per moglie una sgrignuta: voi
avete una bellissima mogliera più bella della quale non è facile trovar in
Napoli; e sete inamoratoP BoN. Pelle
paroli che adesso voi avete detto, credo che
sappiate quanto su imbrogliato e spropositato il regno d'amore. Si
volete saper l'ordine, o disordine, di miei amori, ascoltatemi, vi priego. Bart. Dite, messer Bonifacio, che non siamo
come le bestie ch'hanno il coito servile solamente pell'atto della generazione,
però hanno determinata legge del tempo e loco, come gl’asini ai quali il sole,
particulare o principalemente il maggio, scalda
la schena, ed in climi caldi e temperati generano, e non in freddi, come
nel settimo clima ed altre parti più vicine al polo; noi altri in ogni tempo e
loco. BoN. Io ho vissuto al mondo talmente che con mulieribus non sum
coinquinato; gionto che fui quando pell'ordinario suol infreddarsi l'amore e
cominciar a venir meno. Bart. In altri cessa, in altri si cangia. BoN. suol cominciar a venir meno, com'il caldo al tempo dell'autunno, allora
sono preso dall'amor di Carubina. Questa mi parve tra tutte l'altre belle
bellissima; questa mi scaldò, questa m'accese in fiamma talmente, che mi
bruggiò di sorte, che son dovenuto esca. Or, pella consuetudine ed uso continuo
tra me e lei, quella prima fiamma essendo estinta, il cuor mio è rimasto facile
ad esser acceso da nuovi fuochi. Bart. S'il fuoco fusse stato di meglior
tempra, non t'arrebbe fatto esca ma cenere; e s'io fusse stato in luoco di vostra moglie, arrei
fatto cossi. BoN. Fate ch'io finisca il
mio discorso, e poi dite quel che vi
piace. Bart. Seguite quella bella similitudine. BoN. Or, essendo nel mio cor cessata quella
fiamma che l'ha temprato in esca, facilmente fui questo aprile da un'altra
fiamma acceso. Bart. In questo tempo
s'mamora Petrarca, e gl’asini anch'essi, cominciano a rizzar la coda. BoN. Come avete detto. Bart. Ho detto che in
questo tempo s'inamora Petrarca, e gl’animi, anch'essi, si drizzano alla
contemplazione: perchè i spirti nell'inverno son contratti pel freddo,
nell'estade pel caldo son dispersi, la primavera sono in una mediocre e quieta
tempratura onde l'animo è piij atto,
pella tranquillità della disposizion del corpo che lo lascia libero alle sue
proprie operazioni. BoN. Lasciamo queste
filastroccole, venemo a proposizio.
Allora, essendo io ito a spasso e Pusilipo dagli sguardi della signora Vittoria
fui sì profondamente saettato, e tanto arso da'suoi lumi, e talmente legato da
sue catene, che oimè. Bart. Questo
animale che chiamano amore, pel più suole
assalir colui ch'ha poco da pensare e manco da fare: non eravate voi andato a
spasso? BoN. Or voi fatemi intendere il
versaglio dell'amor vostro, poi che m'avete donata occasion di discuoprirvi il
mio. Penso che voi ancora deviate prendere non poco refrigerio, confabulando
con quelli che patiscono del medesmo male, si pur male si può dir l'amare. Bart. Nominativo: la signora Argenteria m'affligge, la signora Orelia
m'accora. BoN. Il mal'anche Dio dia a te, e a lei ed a lei. Bart. Genitivo:
della signora Argenteria ho cura, della signora Orelia tengo pensiero. BoN. Del cancaro che mange Bartolomeo,
Aurelia ed Argentina. Bart. Dativo: alla signora Argenteria porto amore, alla
signora Orelia suspiro; alla signora Argenteria ed Orelia comunmente mi
raccomando. BoN. Vorrei saper che
diavol ha preso costui. Vocativo: o signora
Argenteria, perchè mi lasci? o signore Orelia, perchè mi fuggi
P BoN. Fuggir ti possano tanto
che non possi aver mai bene! va'col diavolo, tu sei venuto per burlarti di me!
Bari. E tu resta con quel dio che t'ha tolto il cervello, se pur è vero che
n'avesti giamai. DISIMPLICATURA Io vo a negociar pelle mie padrone. BoN.
Guarda, guarda con qual tiro, e con quanta facilità, questo scelerato me si ha
fatto dir quello che meglio
sarrebbe stato dirlo
a cinquant'altri. Io dubito con questo
amore di aver sin ora raccolte le primizie della pazzia. Or, alla mal'ora, voglio
andar in casa ad ispedir Lucia. Veggo certi furfanti che ridono: sùspico ch'avranno
udito questo diavol de dialogo, anch'essi. Amor ed ira non si puot'ascondere. ScARAMURÈ,
Bonifacio, Ascanio, ScAR. Ben trovato, messer
Bonifacio. BoN. Siate il molto ben venuto, signor Scaramurè, spe;anza della mia vita
appassionata. ScAR. Signum affecti animi. BoN. Si V. S. non rimedia al mio male,
io son morto. SvAR. Sì come io vedo, voi sete inam.orato. BoN. Cossi è: non bisogna
ch'io vi dica più. ScAR. Come mi fa conoscere la vostra fisionomia, il computo di
vostro nome, di vostri parenti o progenitori, la signora della vostra natività fu
«Venus retrograda in signo masculino; et
hoc f or tasse in G eminibus vigesimo septimo grada: che significa certa mutazione
e conversione nell'età di quarantasei anni, nella quale al presente vi ritrovate.
BoN. A punto, io non mi ricordo quando nacqui; ma, per quello che da altri ho udito
dire, mi trovo da quarantacinque anni in circa. ScAR. Gli mesi, giorni ed ore computare
ben io piìi distintamente, quando col compasso arò presa la proporzlone dalla latitudine dell'unghia maggiore
alla linea vitale, e distanza dalla summità dell'annulare a quel termine del centro
della mano, ove è designato il spacio di Marte; ma basta per ora aver fatto giudicio
cossi universale et in communi. Ditemi, quando fùstivo punto dall'amor di colei
per averla guardato, a che sito ti stava
ellaP a destra o a sinistra P BoN. A sinistra. ScAR. Arduo opere nanciscenda.
Verso mezzogiorno o settentrione, oriente o occidente, o altri luoghi mtra questi
P BoN. Verso mezzogiorno. ScAR. Oportet advocare septentrionales. Basta, basta:
qui non bisogna altro; voglio effectuare il tuo negocio con magia
naturale, lasciando a
maggior opportunità le
superstizioni d'arte più
profonda. BoN. Fate
di sorte ch'io
accape il negocio,
e sii come
si voglia. ScAR.
Non vi date
impaccio, lasciate la
cura a me.
La cosa già
fu per fascinazione P BoN.
Come per fascinazione
P io non
intendo. ScAR. Idest,
per averla guardata,
guardando lei anco
VOI. BoN. Sì,
signor sì, per
fascinazione. ScAR. Fascinazione
si fa per
la virtù di
un spirito lucido
e sottile, dal
calor del core
generato di sangue
più puro, il
quale, a guisa
di raggi, mandato
fuor de gli
occhi aperti, che
con forte imaginazion
guardando, vengono a
ferir la cosa
guardata, toccano il
core e sen
vanno ad afficere
l'altrui corpo e
spirto o di
affetto di amore
o di odio
o di invidia
o di maninconla
o altro simile
geno di passibili
qualità. L'esser fascinato
d'amore adviene, quando,
con frequentissimo over, benché
istantaneo, intenso sguardo
un occhio con
l'altro, e reciprocamente un
raggio visual con
l'altro si rincontra,
e lume con
lume si accopula.
Al- lora si gionge
spirto a spirto;
ed il lume
superiore, incul- cando l'inferiore, vengono
a scintillar per
gli occhi, cor-
rendo e penetrando el
spirto interno che
sta radicato al cuore;
e cossi commuoveno
amatorio incendio. Però,
chi non vuol
esser fascinato, deve
star massimamente cauto
e far buona
guardia negli occhi,
li quali, in
atto d'amore, principalmente son
fenestre dell'anima: onde
quel detto: «
Averte, averte oculos
tuos ». —
Questo, per il
presente, basti; noi
ci revedremo a
più bell'aggio, provedendo
alle cose necessarie.
BoN. Signor, si
questa cosa farete
venir al butto,
vi ac- corgerete di
non aver fatto
servizio a persona
ingrata. ScAR. Misser
Bonifacio, vi fo
intender questo: che
voglio io prima
esser grato a
voi, e poi
son certo, si
non mi sa-
rete grato, mi doverete
essere. BoN. Comandatemi,
che vi sono
affezionatissimo, ed ho
gran speranza nella
prudenza vostra. AscANio,
ScARAMURÈ, Bonifacio. Asc. Oh,
ecco messer Bonifacio
mio padrone. Misser,
siamo qui con
il Signor eccellentissimo e
dottissimo, il signor
Scaramurè. BoN. Ben
venuti. Avete dato
ordine alla cosaP
è tempo di
far nulla P
ScAR. Come nulla P
ecco qui la
imagine di cera
ver- gine, fatta m
suo nome; ecco
qui le cinque
aguglie che gli
devi piantar in
cinque parti della
persona. Questa par-
ticulare, pili grande
che le altre,
li pungerà la
sinistra mammella: guarda
di profondare troppo
dentro, perchè fareste
morir la paziente.
BoN. Me ne
guardarò bene. ScAR.
Ecco, ve là
dono in mano;
non fate che
da ora avanti
la tenga altro
che voi. Voi,
Ascanio, siate secreto,
non fate che
altra persona sappia
questi negocii. BoN.
Io non dubito
di lui: tra
noi passano negocii
più secreti di
questo. ScAR. Sta
bene. Farete, dunque,
far il fuoco
ad Ascanio di
legne di pigna
o di oliva
o di lauro,
si non possete
farlo di tutte tre
materie insieme. Poi
arrete d'incenso, alcuna-
mente esorcizato o incantato;
co la destra
mano lo getta-
rete al fuoco;
direte tre volte:
«/4urum thus »;
e cossi ver-
rete ad incensare e
fumigare la presente
imagine, la qual
prendendo in mano
direte tre volte:
« Sine quo
nihil »; oscltarete
tre volte co
gli occhii chiusi,
e poi, a
poco a poco,
svoltando verso il
caldo del fuoco
la presente imagine,
— guarda che
non si liquefacela,
perchè morrebbe la
pa- ziente, BoN. Me
ne guardar© bene.
ScAR. ...la farrete
tornare el medesmo
lato tre volte,
insieme insieme tre
volte dicendo: «
Zalarath Zhalaphar nectere
vincula: Caphure, Mìrion,
sarcha Vitloriae », come
sta notato in
questa cartolina. Poi,
mettendovi al contrarlo
sito del fuoco
verso l'occidente, svoltando
la imagine con
la medesma forma,
quale è detta,
dirrete pian piano:
« Fe- laphthon
disamis festino barocco
daraphti. Celantes dahitis
fapesmo frises omorum
'>K II che
tutto avendo fatto
e detto, lasciate
ch'il fuoco si
estingua da per
lui; e locarrete
la figura in
luoco secreto, e
che non su
sordido, ma onore-
vole ed odorifero. BoN.
Farro cossi a
punto. ScAR. Sì,
ma bisogna ricordarsi
ch'ho spesi cinque
scudi alle cose
che concorreno al
far della imagine.
BoN. Oh, ecco,
li sborso. Avete
speso troppo. ScAR.
E bisogna ricordarvi
di me. BoN.
Eccovi questo per
ora; e poi
farò di ventaggio
assai, si questa
cosa verrà a
perfezione. ScAR. Pazienza
! Avertite, messer
Bonifacio, che, si voi non
la spalmarete bene,
la barca correrà
mala- mente. BoN.
Non intendo. ScAR.
Vuoi dire che
bisogna onger ben
bene la mano:
non sapete P
BoN. In nome
del diavolo, lo
procedo per via
d'in- canti, per non
aver occasione di
pagar troppo! Incanti
e contanti. ScAR.
Non indugglate. Andate
presto a far
quel che vi è
ordinato, perchè Venere
è circa l'ultimo
grado di Pesci;
fate che non
scorra mezza ora,
che son trenta
minuti di Ariete.
BoN. A Dio,
dunque, Andiamo, Ascanlo.
Cancaro a Venere,
e... ScAR. Presto,
a la buon'ora,
caldamente! Bonifacio, solo.
(^> Per quel
che costei me
dice, io credo
di avere approssi-
mata le imagine tanto
presso al fuoco,
che quasi si
sarebbe liquefatta: penso
d'averla troppo scaldata.
Guarda come la
povera donna viene
tormentata dall'amore: per
mia fé, che
non ho possuto
contener le lacrime.
Si messer Scaramurè, che Dio li dia il bon giorno e la
buona sera, che adesso
conosco per propria
esperienza che è
un galantissimo uomo,
— non mi
avesse avertito con
dirmi — Guarda
che non si
liquefaccia; — io
certamente arrei fatta
qualche pazzia ch'io
non ardisco tra
me stesso dirla.
Or, va' numera
l'arte maggica tra
le scienze vane! Bruno.
In tristiUa hilaris,
etc.ARTI E DEBOLEZZE
DI DONNE Signora
VITTORIA, sola. Aspettare e
non venire è
cosa da morire.
Si se farà
troppo tardi, non
si potrà far
nulla per questa
volta; e non
so SI se
potrà di bel
nuovo offrirsi tale
occasione, come si
presenta questa sera,
di far che
questa pecoraccia rac-
coglia 1 frutti
degni del suo
amore. Quando mi
credevo di guadagnar
una dote co
l'amor di costui,
sento dir che
cerca d'affatturarmi, con
l'avermisi formata in
cera. E potrebbe
giamai l'unita forza,
fatta del profondo
inferno, giunta alla
efficacia che si
trova ne' spirti
de l'aria e
l'ac- qui, far ch'io
possa amar un
che non è
soggetto amoroso? Si
fusse il Dio
d'amore istesso, bello
quanto si voglia,
si sarà egli
povero o ver, che
tutto viene ad
uno, avaro, ecco lui
morto di freddo;
e tutto il
mondo agghiac- ciato per
lui. Certo, quel
dir povero, over
avaro, è un
mi- serabile e svergognatissimo epiteto,
che fa parer
brutti i belli,
ignobili i nobili,
ignoranti i savii,
ed impotenti i
forti. Tra noi
che si può
dir più che
reggi, monarchi ed
imperadon? questi pure,
si non arran
de quibus, si
non farran correre
gli de quibus,
saran come statue
vecchie d'al- tari sparati,
a' quali non
è chi faccia
riverenza. Non pos-
siamo non far differenza
tra il culto
divino e quello
di mortali. Adoriamo
le sculture e
le imagini, ed
onoriamo il nome
divino scritto, drizzando
l'intenzione a quel CandelaioArti e
debolezze di donne che
vive. Adoramo ed
onoramo questi altri
Dei, driz- zando la
intenzione e supplice
devozione alle lor
imagini e sculture,
perchè, mediante queste,
premiino i vir-
tuosi, inalzino i degni,
defendano gli oppressi,
dilatino i lor
confini, conservino i
suoi, e si
faccino temere de-
l'aversarie forze: il
re, dunque, ed
imperator di carne
ed ossa, si
non corre sculpito,
non vai nulla.
Or, che dun-
que sarà di Bonifacio,
che, come non
si trovassero uomini
al mondo, pensa
d'essere amato per
gli belli occhii
suoi P Vedete quanto
può la pazzia
! Questa sera
intenderà che possan
far contanti; questa
sera spero che
vedrà l'effetto della
sua incantazione. Marta,
sola, ^i) Meschina
me ! io
lo dico, io lo so,
io l'esperimento. Ero
più contenta, quando
questo zarrabuino di
mio ma- nto non
avea tanto da
spendere, che non
potrei essere al
dì d'oggi. Allora
giocavamo a gamba
a collo, alla
stret- tola, a infilare,
a spaccafico, al
sorecillo, alla zoppa,
alla sciancata, a
retoncunno, a spacciansieme, a
quattro spinte, quattro
botte, tre pertosa,
ed un buchetto.
Con queste ed
altre devozioni passavamo
la notte e
parte del giorno.
Adesso, perchè ha
scudi di vantaggio
per la eredità
di Puc- ciolo
— che gli
sii maledetta l'anima,
anco si fusse
in seno di
Abrammo! — ecco
lui posto in
pensiero, angosce, travagli,
tema di fallire,
suspicion d'esser rubbato,
ansia di non
essere ingannato da
questo, assassinato da
quello altro; e va e
viene, e trotta
e discorre, e
sbozza ed imbozza,
e macina e
cola, e soffia
vintiquattro ore del
giorno. Tra tanto,
oggi, gran mercè
a Barra, che,
se lui non
fusse, po- trei giurare,
che più dì
sette mesi sono,
che non me
ci ha piovuto.
Ieri, feci dir
la messa di
Sant'Elia contro la
sic- cità; questa mattina,
ho speso cinque
altre grana de
li- mosina per far
celebrar quella di
S. Gioachimo ed Anna,
la quale
è miracolosissima a
riunir il marito
co la moglie.
Si non è
difetto di devozione
dal canto del
prete, io spero
di ricevere la
grazie, benché ne
veggo mala vegilia:
che, in loco
di lasciar la
fornace e venirme
in camera, oggi
è uscito, più
del dover, di
casa, che mi
bisogna a questa
ora di andarlo
cercando. Pure, quando
men la persona
si pensa, le
gracie si adempiscono.
Gio. Bernardo e
Carubina. (') Carubina Olmè, messer
Gio. Bernardo, io
ho ben tenero
il core! Facilmente
credo quel che
dite, benché siino
in proverbio le
lusinghe d'amanti. Però
desidero ogni consolazion
vostra; ma, dal
canto mio, non
é possibile senza
pregiudizio del mio
onore. Gio. B.
Vita della mie
vita, credo ben
che sappiate che
cosa è onore,
e che cosa
anco su disonore.
Onore non é
altro che una
stima, una riputazione;
però sta sempre
intatto l'onore, quando
la stima e riputazione persevera
la medesma. Onore
è la buona
opinione che altri
abbian di noi:
mentre persevera questa,
persevera Tonore. E non è
quel che noi
siamo e quel
che noi facciamo,
che ne rendi
onorati o disonorati,
ma sì ben
quel che altri
stimano, e pensano
di noi. CaR.
Sii che si
vogli de gli
omini, che dirrete
in con- spetto de
gli angeli e
de' santi, che
vedeno il tutto,
e ne giudicano
P Gio. B.
Questi non vogliono esser veduti più di quel che si fan vedere; non
vogliono esser temuti più di quel che si fan temere; non vogliono esser
conosciuti più di quel che si fan conoscere. Car. Io non so quel che vogliate
dir per questo; queste paroli io non so come approvarle, né come riprovarle:
pur hanno un certo che d'impietà. Gio. B. Lasciamo le dispute, speranza
dell'anim.a mia. Fate, vi priego, che non in vano v'abbia prodotta
cossi bella il cielo: il quale, benché di tante fattezze e grazie vi sii stato
liberale e largo, è stato però, dall'altro canto, a voi avaro, con non
giongervi ad uomo che fa caso di quelle, ed a me crudele, col farmi per esse
spasimare, e mille volte il giorno morire. Or, mia vita, più dovete curare di
non farmi morire, che temer in punto alcuno che si scemi tantillo del vostro onore. Io
liberamente m’ucciderrò si non sarrà potente il dolore a farmi morire, si, avendovi avuta, come vi ho, comoda e
tanto presso, di quel che mi è pm caro che la vita dalla crudel fortuna rimagno
defraudato. Vita di questa alma afflitta non sarrà possibile che sia in punto
leso il vostro onore, degnandovi di darmi vita; ma si ben necessario ch'io
muoia essendomi voi crudele. Car. Di
grazia, andiamo in luoco più remoto, e non parliamo qui di queste cose. IN
TAVERNA Barra, Marca. Marc. O vedi il mastro Manfurio che
sen va. Bar. Lascialo col diavolo!
Seguite il proposito incominciato: fermamoci qua. Marc. Or dunque, ier sera,
all'osteria del Cerriglio, dopo che ebbemo benissimo mangiato, sin tanto che
non avendo lo tavernaio del bisogno, lo
mandaimo a procacciar altrove per fusticelli, cocozzate, cotugnate, ed altre
bagattelle da passar il tempo. Dopo che non sapevamo che più dimandare, un di
nostri compagni fìnse non so che debilità; e Toste essendo corso coll'aceto, io
dissi: Non ti vergogni, uomo da poco! camina, prendi dell'acqua namfa, di fiori
di cetrangoli, e porta della malvasia di Candia. Allora il tavernaio non so che si rinegasse egli, e poi
comincia a cridare, dicendo: In nome del diavolo, sete voi marchesi o duchi? sete
voi persone di aver speso quel che avete speso? Non so come la farremo al far
del conto. Questo che dimandate, non è cosa d’osteria. Furfante, ladro,
mariolo, dissi io, pensi ad aver a far con pan tuoi? tu sei un becco cornuto,
svergognato. Hai mentito per cento
canne, disse lui. Allora, tutti insieme, per nostro onore, ci alzaimo di
tavola, ed acciaffaimo, ciascuno, un spedo di que'più grandi, lunghi da diece
palmi.. Bar. Buon principio, messere. Marc. li quali ancor aveano la provisione
infilzata; ed il tavernaio corre a prendere un partesanone; e dui di suoi
servitori due spadi rugginenti. Noi, benché fussimo sei con sei spedi più
grandi che non era la partesana, presimo
delle caldaia, per servirne per scudi e rotelle. Bar. Saviamente. Marc. Alcuni
si puosero certi lavezzi di bronzo in testa per elmetto over celata. Bar.
Questa fu certo qualche costellazione che puose in esaltazione i lavezzi,
padelle e le caldaie. Marc. E cossi bene armati, reculando, ne andevamo
defendendo e retirandoci pelle scale in giù, verso la porta, benché facessimo fìnta di farci avanti. Bar. Bel
combattere! un passo avanti e dui a dietro, un passo avanti e dui a dietro:
disse il signor Cesare da Siena. Marc. Il tavernaio quando ci vedde molto più
forti e timidi più del dovero, in loco di gloriarsi, come quel che si porta
valentemente, entra in non so che suspizione: Bar. Ci sarebbe entrato
Scazzolla. Marc. pel che, buttata la partesana in terra, comandò a sua
servitori che si retirassero, che non volea di noi vendetta alcuna. Bar.
Buon'anima da canonizzare. Marc. E
voltato a noi disse: Signori gentiluomini, perdonatime, io non voglio
offendervi de dovero! di grazia, pagatemi ed andiate con Dio! Bar. AUor
sarrebbe stata bene qualche penitenza coll'assoluzione. Marc. Tu ci voi
uccidere, traditore: dissi io; e con questo puosemo i piedi fuor della porta.
Allora l'oste desperato, accorgendosi che non accettavamo la sua cortesia e
devozione, riprese il partesanone, chiamando aggiuto di servi, figli e moglie.
Bel sentire! l'oste cridava: Pagatemi, pagatemi; gli alti stridevano: A'marioli,
a'marioli! ah, ladri traditori! Con tutto ciò, nisciun fu tanto pazzo che ne
corresse a dietro, perché l'oscurità della notte faurlva più noi che altro. Noi, dunque, temendo il sdegno
ostile, idest dell'oste, fuggivimo ad una stanza apresso li Carmini, dove, per
conto fatto, abbiamo ancor da farne le spese per tre giorni. Bar. Far burla ad
osti è far sacrifìcio a nostro Signore; rubbare un tavernaio è far una
limosina; in batterlo bene consiste il merito di cavar un'anima di purgatorio!
Dimmi, avete saputo poi quel che seguitò
nell'ostariaP Marc. Concorsero molti, de quali altri pigliandosi spasso
altri attristandosi, altri piangendo, altri ridendo, questi consigliando,
quelli sperando, altri facendo un viso, altri un altro, altri questo linguaggio
ed altri quello: era veder insieme comedia e tragedia e chi sona a gloria e chi
a mortoro. Di sorte che chi volesse vedere come sta fatto il mondo derebbe
desiderare d'esservi stato presente. Bar. Veramente la fu buona. Ma io che non
so tanto di rettorica, solo soletto, senza compagnia, l'altr'ieri, venendo da
Nola per Pumigliano, dopoi ch'ebbi mangiato, non avendo tropo buona fantasia di
pagare, dissi al tavernaio: Messer osto, vorrei giocare. A qual gioco, disse lui, volemo giocare qua
ho de tarocchi. Risposi: A questo
maldetto gioco non posso vencere, perchè ho una pessima memoria. Disse lui: Ho
di carte ordinarie. Risposi: Saranno forse segnate, che voi le conoscerete.
Avetele che non siino state ancor adoperate? Lui rispose de non. Dunque,
pensiamo ad altro gioco. Ho le tavole, sai. Di queste non so nulla. Ho de scacchi, sai? Questo gioco mi farebbe
rinegar Cristo. Allora, gli venne il senapo in testa: A qual, dunque, diavolo
di gioco vorrai giocar tu? proponi Dico
io: A stracquare a palle maglio. Disse
egli: Come, a pall'e maglio P vedi tu qua tali ordegni P vedi luoco da posservi
giocare? Dissi: A la mirella? Questo è gioco da fachini, bifolchi e
guardaporci. A cinque dadi? Che diavolo
di cinque dadi? mai udivi di tal gioco. Si vuoi, giocamo a tre dadi. Io gli
dissi che a tre dadi non posso aver sorte. Al nome di cinquantamila diavoli, disse lui, si vuoi
giocare, proponi un gioco che possiamo farlo e voi ed io. Gli dissi: Giocamo a
spaccastrommola. Va', disse lui, che tu mi dai la baia: questo è gioco da
putti, non ti vergogni? Or su, dunque, dissi, giocamo a correre. Or, questa è
falsa disse lui. Ed io soggionsi: Al sangue dell'Intemerata, che giocarai! Vuoi
far bene, disse, pagami; e si non vuoi andar con Dio, va'col prior de'diavoli!
Io dissi: Al sangue delle scrofole, che giocarai! E che non gioco? diceva. E
che giochi? dicevo. E che mai mai vi giocai P.
E che vi giocarrai adesso. E che non voglio? E che vorrai? In
conclusione, comincio io a pagarlo colle calcagne, ideste a correre; ed ecco
quel porco chepoco fa dice che non volea giocare, e giurò che non volea
giocare, e giocò lui, e giocorno dui altri suoi guattari: di sorte che, per un
pezzo correndomi a presso m’arrivorno e giunsero colle voci. Poi, ti giuro,
pella tremenda piaga di S. Rocco che né io l'ho più uditi né essi m’hanno più
visto. CASTIGO E BEFFE PLAUDITE Barra,
Marca, Corcovizzo, Manfurio, Sanguino, ASCANIO. Bar. Quell'altro è ispedito.
Che vogliam far di costui, del domino Magister?
Sang. Questo porta sue colpa sulla fronte non vedi c'hè stravestito? non
vedi che quel mantello è stato rubbato a Tiburolo? Non l'hai visto che fugge la
corte? Marc. E vero; m’apporta certe
cause verisimile. Bar. Per ciò non deve dubitare d'andar priggione. Manf.
Verum; ma cascarrò in derisione app>o miei scolastici e di altri per i casi
che me si sono aventati al dorso. Sang. Intendete quel che vuol dir
costui? orc. Non l'intenderebbe
Sansone. Sang. Or su, per abbreviarla, vedi, Magister, a che cosa ti vuoi
resolvere: si volete voi venir piggione, over donar la bona mano alla compagnia
di que'scudi che ti son rimasti dentro la giornea, perchè, come dici, il
mariolo ti tolse sol quelli ch'avevi in mano per cambiarli. Mane. Minime, io
non ho altrimente veruno. Quelli che avevo, tutti mi furon tolti, ita,
mehercle, per lovem, per Altitonantem, vos sidera testar. Sang. Intendi quel
che ti dico. Si non voi provar il stretto della Vicaria, e non hai moneta,
fa'elezione d una delle altre due: o prendi diece spalmate con questo ferro di
correggia che vedi, o ver a brache calate arrai un cavallo de cmquanta
staffilate: che per ogni modo tu non ti partirrai da noi, senza penitenza di tui falli. Manf. Duobus propositis malis minus est tolerandum, sìcut duobus propositis
bonis melius est eligendum: dicit Peripateticorum princeps, Asc. Maestro,
parlate che siate inteso, perchè queste son gente sospette. Bar. Può esser che
dica bene costui, allor che non vuol esser inteso? Manf. Nil mali vobis imprecar: io non vi
impreco male. Sang. Pregatene ben quanto volete che da noi non sarrete
essaudito. CoRC. Elegetevi presto quel che vi piace, o vi legarremo meglio e vi
menarremo. Manf. Minus pudendum erit palma feriri, quam quod congerant in
veteres flagella nates: id non puerile est. Sang. Che dite voi? che dite, in
vostra mal'ora? Manf. Vi offro la palma. Sang. Tocca Uà, Corcovizzo, da'fermo.
CoRC. Io do. Taf, una. Manf. Oimmè,
lesus, of! Coro. Apri bene l'altra mano.
Taf, e due. Manf. Of, of, lesus Maria. CoRC. Stendi ben la mano, ti dico;
tienla dritta cossi. Taff, e tre. Manf. Oi oi, oimmè, uf, of of of, per amor
della Passion del nostro Signor Jesus. Potius fatemi alzar a cavallo perchè
tanto dolor suffrir non posso nelle mani. Sang. Orsù, dunque. Barra, prendilo
sulle spalli; tu. Marca, tienlo fermo per
i piedi, che non si possa movere; tu, Corcovizzo, spuntagli le brache e
tienle calate ben bene, a basso; e lasciatelo strigliar a me; e tu. Maestro,
conta le staffilate, ad una ad una, ch'io t'intenda, e guarda pritra ben che si
farrai errore nel contare che sarrà bisogno di ricominciare; voi, Ascanio,
vedete e giudicate. Mar. Tutto sta bene. Cominciatelo a spolverare, e
guardatevi di far male a i drappi che
non han colpa. Sang. Al nome di Santa Scoppettella, conta: toff. Manf. Tof, una; tof, oh tre; tof, oh oi,
quattro; toff, cime, oimè; tof, oi, oimè; tof, oh, per amor de Dio, sette!
Sang. Cominciamo da principio, un'altra volta. Vedete si dopo quattro son
sette. Dovevi dir cinque. Manf. Oimè, che farro ioP erano in rei ventate sette.
Sang. Dovevi contarle ad una ad una. Or su, via
di novo: toff. Manf. Toff, una; toff, una; toff, oimè, due; toff, toff,
toff, tre, quattro; toff, toff, cinque, oimè; toff, toff, sei. 0 per l'onor di
Dio, toff non piìj, toff, toff, non più, che vogliamo, toff, toff, veder nella
giornea, toff, che vi saran alquanti scudi. Sang. Bisogna contar da capo, che
ne ha lasciate molte che non ha contate. Bar. Perdonategli, di grazia, signor
Capitano, perchè vuol far quell'altra
elezione di pagar la strana. Sang. Lui non ha nulla. Manf. Ita, ita, che adesso
mi ricordo aver più di quattro scudi. Sang. Ponetelo abasso, dunque, vedete che
cosa vi è dentro la giornea. Bar. Sangue
di, che vi sono più di sette de scudi, Sang.Alzatelo, alzatelo di bel novo a
cavallo: pella mentita ch'ha detta, e falsi giuramenti ch'ha fatti, bisogna
contarle, fargli contar settanta. Manf. Misericordia! prendetevi gli scudi, la
giornea, e tutto quanto quel che volete, dimittam vobis. Sang. Or su, pigliate
quel che vi dona, e quel mantello ancora che è giusto che sii restituito al
povero padrone. Andiamone noi tutti: bona notte a voi, Ascanio mio. Asc. Bona
notte e mille bon'anni a V. S., signor Capitanio, e buon prò faccia al
Maestro.Manfurio, Ascanio. Manf. Ecquis
erit modus. Asc. Olà, mastro Manfurio, mastro Manfurio. Mane, Chi è, chi
mi conosce? chi in questo abito e fortuna mi distmgue? chi per nome mio proprio
m'appella? Asc. Non ti curar di questo,
che t'importa poco o nulla: apri gli occhi, e guarda dove sei, mira ove ti
trovi. Mane. Quo melius videam, per corroborar l'intuito e fìrm.ar l'acto della
potenza visiva, acciò l'acie della pupilla
più efficacemente pella linea visuale, emittendo il radio all'obiecto
visibile, venghi ad introdur la specie di quello nel senso interiore – GRICE
THE CAUSAL THEORY OF PERCEPTION: That pillar box seems red to me --, idesi, mediante il senso comone, collocarla
nelle cellula della fantastica facultade, voglio applicarmi gl’oculari al naso.
Oh, veggio di molti spectatori la corona. Asc. Non vi par esser entro una
comedia? Mane. Ita sane. Asc. Non
credete d'esser in scena? Mane. Omni
procul duhio, Asc. A che termine vorreste che fusse la comedia? Mane. In calce, in fine: ncque enim et ego
risu ilia tendo. Asc. Or dunque, fate e
donate il Plaudite. Mane. Quam male possum plaudere, Tentatus pacientia, Nam
plausus per me factus est lam dudum miserabilis. Et natibus et manibus Et aureorum
sonitu. Amen. AVVENTURE
LONDINESI Saulino. Che cosa me
dici, Sofìa? Dunque li Dei prendeno qualche volta Aristotele in mano? Studiano
verbigrazia negli filosofi P Sofia. Non
ti dirò di vantaggio di quel ch'è sulla Pippa, la Nanna, l'Antonia, il
Burchiello, l'Ancroia, e un altro libro che non si sa, ma è in questione,
s'è di Ovidio o Virgilio, e io non me ne ricordo il nome, e altri
simili. Saul. E pur adesso trattano cose tanto gravi e seriose? SoF. E ti par che quelle non son seriose? Non son
gravi? Se tu fussi più filosofo, dico più accorto, crederesti che non è
lezione, non è libro che non sia essaminato da'dei, e che se non è a fatto
senza sale, non sia maneggiato da dei; e che, se non è tutto balordesco, non sia
approvato e messo colle catene nella biblioteca commune; perchè piglian piacere
nella moltiforme representazione di tutte cose e frutti multiformi de tutti
ingegni, perchè loro si compiaceno in tutte le cose che sono, e tutte le
representazioni che si fanno, non meno che essi hanno cura che sieno, e donano
ordine e permissione che si facciano. E pensa ch'il giudicio degli Dei è altro
che il nostro commune, e non tutto quello che è peccato a noi e secondo noi, è
peccato a essi e secondo essi. Quei libri certo cossi, come le teologie, non
denno esser communi agli uomini ignoranti, che medesimi sono scelerati; perchè
ne riceveno mala instituzione. oribd.
La biblioteca degli
Dei Saul. Or non son libri fatti d’uomini di mala fama, disonesti e dissoluti,
e forse a mal fine? SoF. E vero; ma non sono senza la sua mstituzione e frutti
della cognizione de chi scrive, come scrive, perchè e onde scrive, di che
parla, come ne parla, come s'inganna lui, come gli altri s'ingannano di lui,
come si decima, e come s'inclina a uno affetto virtuoso e vizioso, come si
muove il riso, il fastidio, il piacere, la nausea; ed in tutto è sapienza e
providenza, e in ogni cosa è ogni cosa, e
massime è l'uno dove è l'altro contrario, e questo massime si cava da
quello. Saul. Or torniamo al proposito donde ne ha divertiti il nome
d'Aristotele e la fama della Pippa. Bruno, In tristitia hilariz, etc. O
sant’asinità, sant’ignoranza. Santa stolticia e pia divozione, Qual sola puoi
far Vanirne sì buone, CWuman ingegno e studio non F avanza; Non gionge faticosa vigilanza D'arte, qualunque sia, o 'nvenzione, Né de
sofossi contemplazione Al del, dove t'edifichi la stanza. Che vi vai, curiosi,
il studiare. Voler saper quel che fa la natura, Se gl’astri son pur terra,
fuoco e mare? La santa asinità di ciò non cura; Ma con man gionte e'n
ginocchion vuol stare. Aspettando da Dio la sua ventura. Nessuna cosa dura.
Eccetto il frutto dell'eterna requie. La qual ne done Dio dopo Fessequie. Dalla Cabala del Cavallo
Pegaseo, A L'ASINO CILLENICO Oh beato quel venir e le mammelle.
Che t'ha portato, en terra ti lattare,
Animalaccio divo, al mondo caro. Che qua fai residenza e tra le stelle!
Mai più preman tuo dorso basti e selle, E contril mondo ingrato e dell’avaro Ti
faccia sort'e natura riparo Con sì felice ingegno e buona pelle. Mostra la
testa tua buon naturale. Come le nari quel giudicio sodo. L'orecchie lunghe un
udito regale. Le dense labbra di gran gusto il modo, Da far invidia a'dei quel
GENITALE; Cervice tal la costanza, ch'io lodo. Sol lodandoti godo: Ma, lasso,
cercan tue condizioni Non un sonetto, ma mille sermoni. Oimè, auditor mio, che
senza focoso suspiro, lubrico pianto e tragica querela, coll’'affetto, con gli occhi e le raggioni
non può rammentar il mio ingegno, intonar la voce e dechiarar gl’argumenti,
quanto sia fallace il senso, turbido il pensiero ed imperito il giudicio, che
con atto di perversa, iniqua e pregiudiciosa sentenza non vede, non considera,
non definisce secondo il debito di natura, verità di ragglone LEIBNIZ GRICE
DOMMA e diritto di giustizia circa la pura bontade, regia sinceritade e magnifica maestade della santa
ignoranza, dotta pecoragme, e divina asinitade! Lasso! a quanto gran torto d’alcuni
è sì fieramente essagitata quest'eccellenza celeste tra gl’uomini viventi,
contro la quale altri con larghe narici si fan censori, altri con aperte sanne
si fan mordaci, altri con comici cachini si rendono beffeggiatori. Mentre
ovunque spreggiano, burlano e vilipendeno qualche cosa, non gl’odi dir altro
che: Costui, è un asino, quest’azione è asinesca, questa è un’asinitade; stante
che ciò absolutamente convegna dire dove son più maturi discorsi, più saldi
proponimenti e più trutinate sentenze. Lasso! perchè con ramarico del mio core,
cordoglio del spirito e aggravio dell'alma mi si presenta agl’occhi questa
imperita, stolta e profana moltitudine
che sì falsamente pensa, sì mordacemente parla, sì temerariamente scrive per
parturir que'scelerati Cabala del Cavallo Pegaseo. Declamazione al studioso,
divoto e pio lettore. discorsi de'tanti monumenti che vanno pelle stampe, pelle
librarle, per tutto, oltre gl’espressi ludibrli, dlspreggi e biasimi: l'asmo
d'oro, le lodi dell'asmo, l'encomio dell'asino; dove non si pensa altro che con ironiche sentenze prendere la
gloriosa asinitade in gioco, spasso e scherno? Or, chi terrà il mondo che non
pensi ch'io faccia il simile? Chi potrà donar freno alle lingue che non mettano nel medesimo
predicamento, come colui che corre appo gli vestigli degl’altri, che circa
cotal suggetto democriteggiano? Chi potrà contenerli che non credano, affermino
e confermino che io non intendo vera e
seriosamente lodar l'asino e asinitade, ma piuttosto procuro d’aggionger oglio
a quella lucerna la quale è stata dagl’altri accesa? Ma, o miei protervi e
temerarli glodlcl, o neghittosi e ribaldi calunniatori, o foschi e appassionati
detrattori, fermate il passo, voltate gl’occhi, prendete la mira; vedete,
penetrate, considerate se gli concetti semplici, le sentenze enunciative e gli discorsi sillogistici ch'apporto in
favor di questo sacro, impolluto e sarìto animale, son puri, veri e
demostratlvi, o pur son fìnti, impossibili ed apparenti. Se le vedrete in
effetto fondati sulle basi de fondamenti fortissimi, se son belli, se son
buoni; non le schivate, non le fuggite, non le rigettate; m’accettatele,
seguitele, abbracciatele, e non siate oltre legati dalla consuetudine del credere,
vinti dalla sufficienza del pensare, e guidati dalla vanità del dire, s’altro
vi mostra la luce dell'intelletto, altro la voce della dottrina intona ed altro
l'atto dell'esperienza conferma. L'asino
ideale e cabalistico che ne vien proposto nel corpo delle Sacre Lettere, che
credete voi che sia? Che pensate voi essere il cavallo pegaseo GRICE MYTHOLOGY
VACUOUS NAMES che vien trattato in figura degli poetici fìgmenti? Dell'asino
cillenico degno d'esser messo in croceis nelle più onorate academie che
v'imaginate? Or, lasciando il pensier del secondo e terzo da canto, e dando sul
campo del primo, platonico parimente e teologale, voglio che conosciate che non
manca testimonio dalle divine ed umane lettere, dettate da sacri e profani
dottori, che parlano con l'ombra de scienze e lume della fede. Saprà, dico,
ch'io non mentisco colui ch'è anco mediocremente perito in queste dottrine,
quando avien ch'io dica l'asino ideale esser principio prodottivo, formativo e
perfettivo sopranaturalmente della specie asinina; la quale, quantunque nel
capacissimo seno della natura si vede ed è dall'altre specie distinta, e nelle
menti seconde è messa in numero, e con diverso concetto appresa, e non quel
medesimo, con cui l'altre forme s'apprendeno;
nulla di meno, quel ch'importa tutto, nella prima mente è medesima che
la idea della specie umana, medesima che la specie della terra, della luna, del
sole, medesima che la specie dell'intelligenze, degli demoni, degli dei, degli
mondi, dell'universo; anzi è quella specie, da cui non solamente gli asini, ma e gl’uomini, e le stelle e gli mondi,
e gli mondani animali tutti han dependenza: quella dico, nella quale non è
differenza di forma e suggetto, di cosa e cosa; ma è semplicissima ed una.
Vedete, vedete, dunque, d'onde derive la caggione che senza biasimo alcuno il
santo de'santi, or è nominato, non solamente leone, monocorno, rinoceronte,
vento, tempesta, aquila, pellicano CORPUS CHRISTI GRICE, ma e non uomo,
opprobrio degl’uomini, abiezion di plebe, pecora, agnello, verme, similitudine
di colpa, sin ad esser detto peccato e peggio. Considerate il principio della
causa per cui gli cristiani e giudei non s'adirano, ma più tosto con glorioso
trionfo si congratulano insieme, quando colle metaforiche allusioni nella Santa
Scrittura son figurati per titoli e
definizioni asini, son appellati asini, son definiti per asini: di sorte
che, dovunque si tratta di quel benedetto animale, per moralità di lettera,
allegoria di senso, ed anagogia di proposito, s'intende l'uomo giusto, l'uomo
santo, l'uomo de Dio. Pregate, pregate Dio, o carissimi, se non siete ancora
asini, che vi faccia dovenir asini. Vogliate solamente; perchè certo certo,
facilissimamente vi sarà conceduta la
grazia: perchè, benché naturalmente siate asini, e la disciplina commune non
sia altro che una asinitade, dovete avertire e considerar molto bene se siate
asini secondo Dio; dico, se siate quei sfortunati che nmagnono legati avanti la
porta, o pur quegli altri felici, li
quali entran dentro. Ricordatevi, o fìdeli, che gli nostri primi parenti a quel
tempo piacquero a Dio, ed erano in sua
grazia, in sua salvaguardia, contenti nel terrestre paradiso nel quale erano
asini, cioè semplici ed ignoranti del bene e male; quando posseano esser
titillati dal desiderio di sapere bene e male; e per consequenza non ne
posseano aver notizia alcuna; quando possean credere una buggia, che gli
venesse detta dal serpente; quando se gli possea donar ad intender sin a
questo: che, benché Dio avesse detto che morrebono, né potesse essere il
contrario, in cotal disposizione erano grati,
erano accetti, fuor d'ogni dolor, cura e molestia. Sovvegnavi ancora
ch'amò Dio il popolo ebreo, quando era afflitto, servo, vile, oppresso,
ignorante, onerario, portator de'còfìni, somarro, che non gli possea mancar
altro, che la coda ad esser asino naturale sotto il dominio dell'Egitto: allora
fu detto da Dio suo popolo, sua gente, sua scelta generazione. Perverso,
scelerato, reprobo, adultero, fu detto quando fu sotto le discipline, le
dignitadi, le grandezze e similitudine degli altri popoli e regni onorati
secondo il mondo. Non è chi non loda l'età dell'oro, quando gl’uomini erano
asini, non sapean lavorar la terra, non sapean l'un dominar all'altro, intender
più dell'altro, avean per tetto gl’antri e le caverne, si donano a dosso come
fan le bestie, non eran tante coperte e gelosie e condimenti de libidine e
gola; ogni cosa è commune, il pasto eran le poma, le castagne, le ghiande in
quella forma che son prodotte dalla madre natura. Non é chi non sappia
qualmente non solamente nella specie umana, ma e in tutti gli geni d'animali la
madre ama più, accarezza più mantien contento più e ocioso, senza sollecitudine
e fatica, abbraccia, bacia, stringe, custodisce il figlio minore, come quello
che non sa male e bene, ha dell'agnello, ha della bestia; é un asino, non sa
cossi parlare, non può tanto discorrere; e come gli va crescendo il senno e la
prudenza, sempre a mano a mano se gli va scemando ramore, la cura, la pia
affezione, che gli vien portata dagli suoi parenti. Non è nemico che non
compatisca, abblandisca, favorisca a quella età, a quella persona, che non ha del virile, non ha del demonio,
non ha dell'uomo, non ha del maschio, non ha dell'accorto, non ha del barbuto,
non ha del sodo, non ha del maturo. Però, quando si vuol mover Dio a pietà e
comiserazione il suo Signore, dice quel profeta: Ah, ah ah. Domine, quia nescio
loqui; dove, col ragghiare e sentenza, mostra esser asino. E in un altro luogo
dice: Quia puer sum. Però, quando si brama la remission della colpa, molte
volte si presenta la causa nelli divini libri, con dire: Quia stulte egimus,
stulte egerunt, quia nesciunt quidfaciant, ignoramus, non intellexerunt .
Quando si vuol impetrar da lui maggior favore, ed acquistar tra gl’uomini
maggior fede, grazia ed autorità si dice in un loco, che l’apostoli eran
stimati imbreachi; in un altro loco, che non sapean quel che dicevano; perchè
non erano essi che parlano: ed un de'più eccellenti, per mostrar quanto avesse
del semplice, dice che era stato rapito al terzo cielo, uditi arcani
ineffabili, e che non sa s'era morto o vivo, s'era in corpo o fuor di quello.
Un altro dice che vedeva gli cieli aperti, e tanti e tanti altri propositi, che
tegnono gli diletti de Dio, alli quali è revelato quello che è occolto alla
sapienza umana, ed è asinità esquisita agl’occhi del DISCORSO RAZIONALE: perchè
queste pazzie, asinitadi e bestialitadi son sapienze, atti eroici e
intelligenze appresso il nostro Dio; il qual chiama li suoi pulcini, il suo
gregge, le sue pecore, li suoi parvuli, li suoi stolti, il suo pulledro, la sua
asina que' tali, che li credeno, l'amano, il sieguono. Non è, non è, dico,
meglior specchio messo avanti gl’occhi umani che l'asinitade e asino; il qual
più esplicatamente secondo tutti gli numeri dimostre qual essere debba colui,
che faticandosi nella vigna del Signore, deve aspettar la retribuzion dei
danaio diurno, il gusto della beatifica cena, il riposo che siegue il corso di
questa transitoria vita. Non è conformità megliore, o simile, che ne amene,
guide e conduca alla salute eterna più
attamente che far possa questa vera sapienza approvata dalla divina voce: come,
pel contrario, non è cosa che ne faccia più efficacememente impiombar al centro
ed al baratro tartareo che le filosofiche e razionali contemplazioni, quali
nascono dagli sensi, crescono nella facultà discorsiva e si maturano
nell'intelletto umano. Forzatevi, forzatevi dunque ad esser asini, o voi, che
siete uomini. E voi, che siete già asini, studiate, procurate, adattatevi a
proceder sempre da bene m meglio, a fin che perveniate a quel termine, a quella
dignità, la quale, non per scienze e opre, quantunque grandi, ma per fede
s'acquista; non per ignoranza e misfatti, quantunque enormi ma pella
incredulità, come dicono, secondo l'Apostolo, si perde. Se cossi vi
disporrete,se tali sarete e talmente vi
governarete, vi trovarete scritti nel libro della vita, impetrarete la grazia
in questa militante, ed otterrete la gloria in quella trionfante ecclesia,
nella quale vive e regna Dio per tutti secoli de'secoli. Cossi sia! O Sebasto.
è il peggio che diranno che metti avanti metafore, narri favole, raggioni in
parabola, intessi enigmi, accozzi similitudini, tratti misterii, mastichi
tropologie. SauliNO. Ma io dico la cosa a punto come la passa; e come la è
propriamente, la metto avanti gl’occhi. CoRlBANTE. Id est, sine fuco, plane,
candide; ma vorrei che fusse cossi, come dite, da dovero. Saul. Cossi piace
alli dei che fessi tu altro che fuco con questa tua gestuazione, toga, barba e
supercilio: come, anco quanto all'ingegno, candide, piane et sine fuco, mostri
agli occhi nostri l’idea della pedantaria.
Cor. Hactenus haec? Tanto che Sofia loco per loco, sedia per sedia vi
conduce? Saul. Sì. Cabala
del Cavallo Pegaseo. EMalogo primo Sono interlocutori SeBASTO, Sauuno, Coribante. Occórrevi de dir altro circa la previsione di
queste sedie? Saul. Non per ora, se voi non siete pronto a donarmi occasione di
chiarirvi de più punti circa esse col dimandarmi e destarmi la memoria, la
quale non può avermi suggerito la terza parte de'notabili propositi degni di
considerazione. Seb. Io, a dir il vero
rimagno sì suspeso dal desio de saper qual cosa sia quella ch'il gran padre
degli dei ha fatto succedere in quelle due sedie, l'una Boreale e l'altra
Australe che m'ha parso il tempo de mill'anni per veder il fine del vostro
filo, quantunque curioso, utile e degno: perchè quel proposito tanto più mi
vien a spronar il desio d'esserne fatto capace, quanto voi più l'avete
differito a far o udire. Cor. Spes efenim dilata affligit animum, vel animam,
ut melius dicam; haec enim mage significat naturam passibilem. Saul. Bene.
Dunque, perchè non più vi tormentiate sull'aspettar della risoluzione sappiate
che nella sedia prossima immediata e gionta al luogo, dove ere l'Orsa minore, e
nel quale sapete essere exaitata la Veritade, essendone tolta via l'Orsa
maggiore nella forma ch'avete inteso, per previdenza del prefato consiglio vi
ha succeduto l'Asinità in abstratto: e là, dove ancora vedete in fantasia il
fiume Eridano, piace agli medesimi che vi si trove l'Asinità in concreto, a
fine che da tutte tre le celesti reggioni
possiamo contemplare l'Asinità, la quale in due facelle era come occolta
nella vie de'pianeti, dov'è la coccia del Cancro. Cor. Procul, o procal, este,
profanil Questo è un sacrilegio, un profanismo di voler fingere, poscia che non
è possibile che cossi sie in fatto, vicino all'onorata ed eminente sedia della
Verità essere l'idea di sì immonda e vituperosa specie, la quale è stata dagli
sapienti Egizii negli lor geroglifici
presa per tipo dell'ignoranza. Saul. Alla
contemplazione della verità altri si promuoveno per via di dottrina e cognizione
razionale, per forza de rintelletto agente, che s'intrude nell'animo,
excitandovi il lume interiore. E questi son rari; onde dice il poeta: Fauci,
quos ardens evexit ad aethera virtus.
Altri per via d'ignoranza vi si voltano e forzansi di pervenirvi. E di
questi alcuni sono affetti di quella, che è detta ignoranza di semplice
negazione: e costoro né sanno, né presumeno di sapere; altri di quella che é
detta ignoranza di prava disposizione; e tali, quanto men sanno e sono imbibiti
de FALSE INFORMAZIONI GRICE FLORIDI, tanto più pensano di sapere: quali, per
informarsi del vero, richiedeno doppia fatica, cioè de dismettere l'uno abito contrario, e d’apprender l'altro. Altri
di quella, ch'è celebrata come divina acquisizione; e in questa son color, che,
né dicendo, né pensando di sapere, ed
oltre essendo creduti d’altri ignorantissimi, son veramente dotti, per ridursi
a quella gloriosissima asinitade e pazzia. E di questi alcuni sono naturali,
come quei che caminano col lume suo razionale, con CUI negano col lume del senso e della raggione ogni lume di
raggione e senso; alcuni altri caminano, o per dir meglio, si fanno guidare
colla lanterna della fede, cattivando l'intelletto a colui che gli monta sopra,
ed a sua bella posta l'addirizza e guida. E questi veramente son quelli che non
possono essi errare perchè non caminano col proprio fallace intendimento ma con
infallibil lume di superna intelligenza. Questi, questi son veramente atti e
predestinati per arrivare alla Jerusalem della beatitudine e vision aperta
della verità divina – the city of eternal truth -- Grice: perchè gli sopramonta
quello, senza il qual sopramontante non è chi condurvesi vaglia. Seb. Or ecco come si distingueno le specie
dell'ignoranza e asinitade, e come vegno a mano a mano a condescendere per
concedere l'asinitade essere una virtù
necessaria e divina, senza la quale sarrebe perso il mondo, e pella quale il
mondo tutto è salvo. Saul. Odi a questo proposito un principio per un'altra più
particular distinzione. Quello ch'unisce l'intelletto nostro, il qual é nella
sofia, alla verità, la quale è l'oggetto intelligibile, è una specie
d'ignoranza, secondo gli cabalisti e certi mistici teologi; un'altra
specie, secondo gli pirroniani, efettici
della scessi ed altri simili; un'altra, secondo teologi cristiani; tra'quali il
Tarsense la viene tanto più a magnificare, quanto a giudizio di tutt'il mondo è
passata per maggior pazzia. Pella prima specie sempre si niega; onde vien detta
ignoranza negativa, che mai ardisce affirmare. Pella seconda specie sempre si
dubita, e mai ardisce determinare o definire.
Pella terza specie gli principii tutti s'hanno per conosciuti, approvati
e con certo argumento manifesti, senza ogni demostrazione e apparenza. La prima
è denotata pell'asino pullo, fugace ed errabondo; la seconda per un'asina, che
sta fitta tra due vie, dal mezzo di quali mai si parte, non possendosi
risolvere per quale delle due più tosto debba muovere i passi; la terza
pell'asina col suo pulledro, che portano
sulla schena il redentor del mondo: dove Tasina, secondo che gli sacri dottori
insegnano, è tipo del popolo giudaico, e il pullo del popolo gentile, che, come
figlia ecclesia, è parturito dalla madre sinagoga; appartenendo cossi questi
come quelli alla medesima generazione, procedente dal padre de'credenti
Abraamo. Queste tre specie d'ignoranza, come tre rami, si riducono ad un stipe, nel quale
dall'archetipo influisce l'asinità, e che è fermo e piantato sulle radici delli
dieci sephiroth. Cor. O bel senso! Queste non sono retoriche persuasioni,
n’elenchici sofismi, né topiche probabilltadi, m’apodictiche demostrazioni;
pelle quali l'asino non è sì vile animale, come comunmente si crede, ma di
tanto più eroica e divina condizione. Seb. Non è d'uopo ch'oltre t'affatichi, o Saulino, per venir a
conchiudere quel tanto, che io dimando che da te mi fusse definito: sì perchè
avete sodisfatto a Coribante, sì anco perchè da li posti mezzi termini ad ogni
buono intenditore può esser facilmente sodisfatto. Ma, di grazia, fatemi ora
intendere le raggioni della sapienza, che consiste nell'ignoranza ed asinitade
iuxta il secondo modo: cioè, con qual
raggione siano partecipi dell'asinità gli pirronianì, efettici et altri
academici filosofi; perchè non dubito della prima e terza specie, che medesime
sono altissime e remotissime da'sensi, e chiarissime, di sorte che non è occhio
che non le possa conoscere. Saul. Presto verrò al proposito della vostra
dimanda: ma voglio che prima notiate il primo e terzo modo di stoltizia e
asinitade concorrere in certa maniera in
uno; e però medesimamente pendeno da principio incomprensibile ed ineffabile, a
constituir quella cognizione, ch'è disciplina delle discipline, dottrina delle
dottrine e arte dell’arti. Della quale voglio dirvi in che maniera con poco o
nullo studio e senza fatica alcuna ognun che vuole e volse, ne ha possuto e può
esser capace. Veddero e considerorn o que'santi dottori e rabini illuminati, che gli superbi e
presumptuosi sapienti del mondo, quali ebbero fiducia nel proprio ingegno, e
con temeraria e gonfia presunzione hanno avuto ardire d'alzarsi alla scienza
de'secreti divini e que'penetrali della deitade, non altrimente che coloro
ch'edificaro la torre di Babele, son stati confusi e messi in dispersione,
avendosi essi medesimi serrato il passo, onde meno fussero abili alla sapienza divina e visione
della veritade eterna – GRICE CITY OF ETERNAL TRUTH --. Che fero? Qual partito
presero? Fermaro i passi, piegarci o dismesero le braccia, chiusero gl’occhi,
bandirò ogni propria attenzione e studio, riprovarci qualsivoglia uman
pensiero, rmiegaro ogni sentimento naturale; e, in fine, si tennero asini. E
quei, che non erano, si trasformarci in
questo animale: alzarci, disteserci, acuminarci, ingrpssarci e magnificarno l'orecchie; e tutte le potenze
dell'anima riportarno e unirci
nell'udire, con ascoltare solamente e credere: come quello di cui si dice: In auditu auris obedivit mihi. Là, concentrandosi e cattivandisi la vegetativa,
sensitiva e intellettiva facultade, hanno inceppate le cinque dita in
un'unghia, perchè non potessero, come l'Adamo, stender le mani ad apprendere il
frutto vietato dall'arbore della scienza, per cui venessero ad essere privi
de'frutti de rarbore della vita, o come
Prometeo, che è metafora di medesimo
proposito, stender le mani a suffurar il fuoco di Giove, per accendere il lume
della potenza razionale. Cossi li nostri divi asini, privi del proprio
sentimento ed affetto, vegnono ad intendere non altrimente che come gli vien
soffiato all'orecchie dalle revelazioni o degli dei o de'vicarii loro; e per
consequenza a governarsi non secondo altra legge che di que'medesimi. Quindi
non si volgono a destra o a sinistra, se non secondo la lezione e raggione che
gli dona il capestro o freno che le tien pella gola, o pella bocca, non
caminano se non come son toccati. Hanno ingrossate le labbra, insolidate le mascelle, incontennuti
gli denti, a fin che, per duro, spinoso, aspro e forte a digerir che sia il
pasto, che gli vien posto avante, non manche d'essere accomodato al suo palato.
Indi si pascono de'più grossi e materialacci appositorii che altra qualsivoglia
bestia che si pasca sul dorso della terra; e tutto ciò per venire a quella
vilissima bassezza per cui fìano capaci de più
magnifica exaltazione, iuxta quello: Omnis qui se humiliat exaltabitur.
Seb. Ma vorrei intendere, come questa bestiaccia potrà distinguere che colui,
che gli monta sopra, è Dio o diavolo, è un uomo o un'altra bestia non molto
maggiore o minore se la più certa cosa ch'egli deve avere è che lui è un asino
e vuole essere asino, e non può far meglior vita ed aver costumi migliori che
di asino, e non deve aspettar meglior
fine che d’asino, ne è possibile, congruo e condigno ch'abbia altra gloria che
d'asino? Saul. Fidele colui, che non permette che siano tentati sopra quel che
possono: lui conosce li suoi, lui tiene e mantiene gli suoi per suoi, e non gli
possono esser tolti. O santa ignoranza, o divina pazzia, o sopraumana asinità!
Quel rapto, profondo e contemplativo
Areopagita, scrivendo a Caio, afferma che l’ignoranza è una
perfettissima scienza; come pell'equivalente volesse dire che l'asinità è una
divinità. Il dotto Agostino, molto inebriato di questo divino nettare, nelli
suoi Soliloquii testifica che l’ignoranza più tosto che la scienza ne conduce a
Dio, e la scienza più tosto che l’ignoranza ne mette in perdizione. In figura
di ciò vuole ch'il redentor del mondo
colle gambe e piedi degl’asini fusse entrato in Gerusalemme, significando
anagogicamente in questa militante quello che si verifica nella trionfante
cittade; come dice il profeta salmeggiante: Non in fortitudine equi voluntatem
habebit, neque in tibiis viri beneplacitum erit ei. Cor. Supple tu: Sed in fortitudine et tibiis asinae et pulii fila
coniugalis. Saul.
Or, per venire a mostrarvi come non è
altro che l'asinità quello con cui possiamo tendere ad avvicinarci a quell'alta
specola, voglio che comprendiate e sappiate non esser possibile al mondo
meglior contemplazione che quella che niega ogni scienza ed ogni apprension e
giudicio di vero; di maniera che la somma cognizione è certa stima, che non si
può saper nulla e non si sa nulla, e per consequenza di conoscersi di non
posser esser altro che asino e non esser altro che asino; allo qual scopo
giunsero gli socratici, dell’accademia, e della scessi ed altri simili, che non
ebbero l’orecchie tanto piccole, e le labbra tanto delicate, e la coda tanto
corta, che non le potessero lor medesimi
vedere. Seb. Priegoti, Saulino, non procedere oggi ad altro per confirmazion e
dechiarazion di questo: perchè assai pel presente abbiamo inteso; oltre che
vedi esser tempo di cena, e la materia richiede più lungo discorso. Per tanto
piacciavi (se così pare anco al Coribante) di rivederci domani
pell’elucidazione di questo proposito; ed io menarò meco Onorio, il quale si
ricorda d'esser stato asino, e però è a
tutta divozione pitagorico; oltre che ha de'grandi proprii discorsi, con gli
quali forse ne potrà far capaci di qualche proposito METAMFISICOSI one? Onor.
Quella dell'uomo è medesima in essenza specifica e generica con quella delle
mosche, ostreche marine e piante, e di qualsivoglia cosa, che si trove animata,
o abbia anima: come non è corpo, che non abbia o più o meno vivace e perfettamente communicazion di
spirito in se stesso. Or cotal spinto, secondo il fato o providenza, ordine o
fortuna, viene a giongersi or ad una specie di corpo, or ad un'altra; e, secondo la raggione della
diversità di complessioni e membri, viene ad avere diersi gradi e perfezioni
d'ingegno e operazioni. Là onde quel spinto o anima, che era nell'aragna, e vi
avea quell'industria e quell’artigli e membra in tal numero, quantità e forma;
medesimo, gionto alla prolificazione umana, acquista altr’intelligenza, altri
instrumenti, attitudini e atti. Giongo a questo che, se fusse possibile, o in
fatto si trovasse, che d'un serpente il capo si formas e storna in figura d'una
testa umana, e il busto crescesse in tanta quantità, quanta può contenersi nel
periodo di cotal specie, se gl’allarga
la lingua, ampiano le spalli, se gli ramificassero le braccia e mani, e al
luogo, dove è terminata coda, andassero ad ingeminarsi le gambe; intenderebbe,
apparirebbe, spirarebbe, parla, opra e cammerebbe non altrimente che l'uomo;
perchè non sarebbe altro ch’uomo (LOCKE ON MAN GRICE PIROT. Come, pel
contrario, l'uomo non sarebbe altro che serpente, se venisse a contraere, come dentro un ceppo,
le braccia e gambe, e Tossa tutte concorressero alla formazion d'una spina,
s’incolubrasse e prende tutte quelle figure de'membri e abiti de complessioni.
Allora avrebbe più o men vivace Ingegno; In luogo di parlar, sibilarebbe; in
luogo di caminare, serperebbe; in luogo d'edificarsi palaggio, si cavarebbe un
pertuggio; e non gli converrebe la
stanza, ma la buca; e come già era sotto quelle, ora è sotto queste membra,
mstrumenti, potenze e atti; come dal medesimo artefice, diversamente inebriato
dalla contrazion di materia, e da diversi organi armato, appaiono exercizii de
diverso mgegno, e pendeno execuzioni diverse. Quindi possete capire esser
possibile, che molti animali possono aver più ingegno e molto maggior lume d'intelletto che l'uomo – VERY
INTELLIGENT PIROT, GRICE --, come non è burla quel che proferì Mosè del serpe,
che nomina sapientissimo tra tutte l'altre bestie della terra, escluso il
parrot. Onorio. Or essendo io, come ho già detto, nella region celeste in
titolo di cavallo Pegaseo, mi è avvenuto per ordine del fato, che pella
conversione alle cose inferiori, causa di certo
affetto, ch'io indi venevo ad acquistare, la qual molto bene vien
descritta dal platonico Plotino, come inebriato di nettare, venia bandito ad
esser or un filosofo or un poeta, or un pedante, lasciando la mia imagine in
cielo; alla cui sedia a tempi delle trasmigrazioni ritornavo, riportandovi la
memoria delle specie, le quali nell'abitazion corporale avevo acquistate; e
quelle medesime, come in una biblioteca,
lasciavo là, quando accade ch'io dovesse ritornar a qualch'altra terrestre
abitazione. Delle quali specie memorabili l’ultime son quelle, ch'ho cominciate
a imbibire a tempo della vita de Filippo macedone, dopo che fui ingenerato dal
seme de Nicomaco, come si crede. Qua, appresso esser stato discepolo
d'Aristarco, Platone ed altri, è promosso col favor di mio padre, ch'è consegliero di Filippo, ad esser pedante
d'Alexandro Magno; sotto il quale, benché erudito molto bene nelle umanistiche
scienze, nelle quali ero più illustre che tutti li miei predecessori, entrai m
presunzione d'esser filosofo naturale, come è ordinario nelli pedanti d'esser
sempre temerarii e presuntuosi; come Austin e Hare e con Cabala, Dialogo
secondo ciò, per esser estinta la
cognizione della filosofìa, morto Socrate, bandito Platone, e altri in
altre maniere dispersi, rimasi io solo lusco intra gli ciechi; e facilmente
possevi aver riputazion non sol di retorico, politico, logico, ma ancora de
filosofo. Cossi, malamente e scioccamente riportando l’opinioni degl’antiqui, e
de maniera tal sconcia, che né manco gli fanciulli e l’insensate vecchie
parlarebono e intenderebono come io
introduco quelli galantuomini intendere e parlare, mi venni ad intrudere come
riformator di quella disciplina, della quale io non avevo notizia alcuna. Mi
dissi principe de'peripatetici; insegnai in Atene nel sottoportico Liceo LICEO
LIZIO dove, secondo il lume, e per dir il vero, secondo le tenebre, che regnano
in me, intesi e insegnai perversamente circa la natura de li principii e
sustanza delle cose, delirai più che ristessa delirazione circa l'essenza
dell'anima, nulla possevi comprendere per dritto circa la natura del moto e
dell'universo; e, in conclusione, son fatto quello, per cui la scienza naturale
e divina è stinta nel bassissimo della ruota, come in tempo degli Caldei e
Pitagorici è stata in exaltazione. Seb. Ma pur ti veggiamo esser stato tanto tempo in admirazion del
mondo; e tra l'altre maraviglie è trovato un certo Arabo, ch'ha detto la
natura nella tua produzione aver fatto l'ultimo sforzo, per manifestar quanto
più terso, puro, alto e verace ingegno potesse stampare; e generalmente sei
detto demonio della natura. Onor. Non sarebbono gl’ignoranti se non fusse la
fede; e se non la fusse, non sarebbono le vicissitudini delle scienze e
virtudi, bestialitadi ed inerzie, e altre succedenze de contrarie impressioni,
come son della notte e il giorno, del fervor dell'estate e rigor
dell'inverno. Seb. Or, per venire a quel
ch'appartiene alla notizia dell'anima, mettendo per ora gl’altri propositi da
canto, ho letti e considerati que'tuoi tre libri, nelli quali parli più
balbamente, che possi mai d’altro balbo essere inteso; come ben ti puoi
accorgere di tanti diversi pareri ed estravaganti intenzioni e questionarii,
massime circa il dislac- Aristotele - asino e i suoi seguaci dar e disimbrogliar quel che ti vogli dire in
que confusi e leggieri propositi, gli quali, se pur ascondono qualche cosa, non
può esser altro che pedantesca o peripatetica levitade. Onor. Non è maraviglia,
fratello; atteso che non può in conto alcuno essere che essi loro possano
apprendere il mio intelletto circa quelle cose, nelle quali io non ebbi
intelletto; o che vagliano trovar construtto o argumento circa quel ch'io vi
voglia dire, se io medesimo non sapevo quel che mi volesse dire. Qual differenza
credete voi essere tra costoro e quei, che cercano le corna del gatto, e gambe
dell'anguilla? Nulla, certo. Della qual cosa precavendo ch'altri non
s'accorgesse, ed io con ciò venesse ad perdere la riputazion di protosofosso,
volsi far de maniera, che chiunque mi studiasse nella naturai filosofia, nella
qual fui e mi sentivi a fatto ignorantissimo, per inconveniente o confusion che
vi scorgesse, se non avea qualche lume d'ingegno, dovesse pensare e credere ciò
non essere la mia intenzion profonda, ma più tosto quel tanto, che lui, secondo
la sua capacità, posseva dagli miei sensi superficialmente comprendere. Laonde
feci che venesse publicata quella Lettera ad Alexandro, dove protestavo gli
libri fisicali esser messi in luce, come non messi in luce. Seb. e per tanto
voi mi parete aver isgravata la vostra conscienza; ed hanno torto questi tanti
asinoni a disporsi di lamentarsi di voi nel giorno del giudicio, come di quel
che l'hai ingannati e sedutti, e con sofistici apparati divertiti dal camino di
qualche veritade, che per altri principii e metodi arrebono possuta
racquistarsi. Tu l'hai pure insegnato quel tanto ch'a diritto doveano pensare:
che se tu hai publicato, come non publicato, essi, dopo averti letto, denno
pensare di non averti letto, come tu avevi cossi scritto, come non avessi
scritto: talmente quei cotali, ch'insegnano la tua dottrina, non altrimente
denno essere ascoltati, che un che parla, come non parlasse. E finalmente né a
voi deve più essere atteso che come ad un che raggiona e getta sentenza di quel che mai intese. Onor. Slamo
dovenutl a tale ch'ogni satiro, fauno, malenconico, embreaco e Infetto d'atra
bile. In contar sogni e dir de pappolate
senza construzione e senso alcuno – HEIDEGER DAS NICHTS NICHTET GRICE , ne
vogliono render suspetti de profezia grande, de recondito misterio, de alti
secreti e arcani divini, da risuscitar morti, da pietre filosofali, ed altre
poltronarie da donar volta a quei ch'han poco cervello, a farli dovenir al
tutto pazzi con giocarsi il tempo, l'intelletto, la fama e la robba, e spendere
sì misera e ignobilmente il corso di sua vita.
Seb. La intese bene un certo mio amico; il quale, avendo non so se un
certo libro de profeta enigmatico, o d'altro, dopo avervisi su lambiccato
alquanto dell'umor del capo con una grazia e bella leggiadria anda e gittarlo
nel cesso, dicendogli: Fratello, tu non vuoi esser inteso; IO non ti voglio
intendere; e soggiunse, ch'anda con cento diavoli, e lo lascia star con fatti suoi
in pace. Onor. E quel ch'è degno di compassione e riso è, che su questi editi
libelli e trattati pecoreschi vedi dovenir attonito Silvio, Ortensio
melanconico, smagrito Serafino, impallidito Cammaroto, invecchiato Ambruogio,
impazzito Giorgio, abstratto Reginaldo, gonfio Bonifacio; ed il molto reverendo
Don Cocchiarone pien d' infinita e nobil maraviglia, sen va pel largo della sua
sala, dove, rimosso dal rude ed ignobil volgo, se la spasseggia; e rimanendo or
quinci, or quindi della litteraria sua toga
e fimbrie, rimanendo or questo, or quell'altro piede, rigettando or
vers'il destro, or vers'il sinistro fianco il petto, col texto commento sotto
l'ascella, e con gesto di voler buttar quel pulce ch'ha tra le due prime dita,
in terra, colla rugata fronte cogitabondo, con erte ciglia ed occhi
arrotondati, in gesto d'un uomo fortamente maravigliato, conchiudendola con un
grave ed enfatico susplro, fa pervenir all'orecchio de'clrconstanti questa
sentenza: Huc usque ahi philosophi non pervenerunt. Se si trova in proposito di
lezion di qualche libro composto da qualche energumeno o inspirato, dove non è
espresso e donde non si può premere più sentimento, che possa V.
Aristotele asino e i suoi seguaci ritrovarsi in un spirito cavallino;
allora, per mostrar d’aver dato sul chiodo, exclama: O magnum mysteriuml Seb.
Ma vorrei saper da Saulino che magnifica tanto l'asmitade, quanto non può esser
magnificata la scienza e speculazione, dottrina e disciplina alcuna se
l'asinitade può aver luogo in altri che negl’asini; come è dire, se alcuno da
quel che non era asino, possa doventar asino per dottrina e disciplina. Perchè
bisogna che di questi quel che insegna, o quel che è insegnato, o cossi l'uno
come l'altro, o né l'uno né l'altro, siano asini. Dico, se sarà asino quello
solo che insegna, o quel solo ch'è insegnato, o né quello né questo, o questo e
quello insieme. Perchè qua col medesimo ordine si può vedere, che in nessun
modo si possa inasinire. Dunque,
dell'asinitade non può essere apprension alcuna, come non è d’arti e de
scienze. Onor. Di questo ne raggionaremo a tavola dopo cena. Andiamo, dunque,
ch'è ora. Cor. Propere eamus. L'Asino. Or perchè derrò lo abusar dell'alto,
raro e elegrino tuo dono, o folgorante
Giove? Perchè tanto talento, porgiutoml da te, che con sì partlcular occhio me
miraste {indicante fato), sotto la nera e
tenebrosa terra d'un ingratissimo silenzio terrò sepolto? Suffnrò più a
lungo l'esser sollecitato a dire, per non far uscir dalla mia bocca quell'estraordinario ribombo, che
la largita tua, in questo confusissimo secolo, nell'interno mio spirito, perchè
si produce fuora, ha seminato? Aprisi, aprisi, dunque, colla chiave
dell'occasione l'asinin palato, sciolgasi pell'industria del supposito la lingua, raccolgansi per mano dell'attenzione,
drizzata dal braccio dell'intenzione, i frutti degl’arbori e fiori dell'efbe,
che sono nel giardino dell'asinina memoria. Micco. O portento insolito, o
prodigio stupendo, o maraviglia incredibile, o miracoloso successo! Avertano
gli dii qualche sciagura! Parla l'asino P l'asino parla? O Muse, o Apolline, o
Ercule, da cotal testa esceno voci
articulate? Taci, Micco, forse t'inganni; forse sotto questa pelle qualch'uomo
stassi mascherato, per burlarsi di noi. Asino. Pensa pur. Micco, ch'io non sia
sofìstico, ma che son naturalissimo asino, che parlo; e cossi mi ricordo aver
avuti altre volte umani, come ora mi vedi aver bestiali membri. Micco.
Appresso, o demonio incarnato, dimandarotti chi, quale e come sei. Per ora, e
pella prima, vorrei saper che cosa
dimandi da qua? che augurio ne ameni? qual ordine porti dagli Dei? a che si
termina questa scena? a qual fine hai messi gli piedi a partitamente mostrarti
vocale in questo nostro sottoportico? Asino. Pella prima voglio che sappi,
ch'io cerco d’esser membro e dichiararmi dottore di qualche colleggio o
academia, perchè la mia sufficienza sia autenticata, a fin che non siano attesi
gli miei concetti, e ponderate le mie parole, e riputata la mia dottrina con
minor fede, che Micco. O Giove! è possibile, che ab aeterno abbi gìamai
registrato un fatto, un successo, un caso simile a questo? Asino. Lascia le
maraviglie per ora; e rispondetemi presto, o tu, o uno de questi altri, che
attoniti concorreno ad ascoltarmi.O togati, annulati, pileati, didascali, archididascali e della
sapienza eroi e semidei: volete, piacevi, ewi a core d'accettar nel vostro
consorzio, società, contubernio, e sotto la banda e vessillo della vostra
communione questo asino, che vedete e udite? Perchè di voi, altri ridendo si
maravigliano, altri maravigliando si ridono, altri attoniti, che son la maggior
parte, si mordeno le labbia, e nessun risponde? Micco. Vedi che per stupore non
parlano, e tutti con esser volti a me mi FAN SEGNO – SIGNI-FICARE -- ch'io ti
risponda; al qual, come presidente, ancora tocca di donarti risoluzione, e da
cui, come da tutti, devi aspettar l'ispedizione. Asino. Che academia è questa
che tien scritto sopra la porta: Lineam ne pertransito? Micco. La è una cuola de Pitagorici. Asino. Potravisi
entrare? Micco. Per academico non senza difficili e molte condizioni. Asino. Or
quali son queste condizioni? Micco. Son pur assai. Asino. Quali, dimandai, non
quante. Micco. Ti rispondo al meglio, riportando le principali. Prima, che,
offrendosi alcuno per essere ricevuto. avante che sia accettato, debba esser
squadrato nella dlsposlzlon del corpo, fisionomia ed ingegno, pella gran consequenza relativa che conoscemo aver il corpo dall'anima
e coll'anima. Asino. Ab love principium,
Musae, s'egli si vuol maritare. Micco. Secondo, ricevuto ch'egli è, se gli dona termine di tempo, che non è men
che di doi anni, nel quale deve tacere, e non gli è lecito d'ardire in punto
alcuno de dimandar, anco di cose non intese, non sol che di disputare e
exarninar propositi, e in quel tempo si
chiama acustico. Terzo, passato questo tempo, gli è lecito di parlare,
dimandare, scrivere le cose udite, ed esplicar le proprie opinioni; e in questo
mentre s’appella matematico, o caldeo. Quarto, informato di cose simili, e
ornato di que'studii, si volta alla considerazion dell'opre del mondo e
principii della natura: e qua ferma il passo, chiamandosi fisico. Asino. Non
procede oltre? Micco. Più che fisico non
può essere: perchè delle cosa sopranaturali non si possono aver raggioni,
eccetto in quanto riluceno nelle cose naturali; perciochè non accade ad altro
intelletto che al purgato e superiore di considerarle in sé. Asino. Non si
trova appo voi metafisica? Micco. No; e
quello che gl’altri vantano per metafisica, non è altro che parte di logica. Ma
lasciamo questo, che non fa al
proposito. Tali, in conclusione, son le condizioni e regole di nostra academia.
Asino. Queste? Micco. Messer sì. Asino.
O scola onorata, studio egregio, setta formosa, collegio venerando, gimnasio
clarissimo, ludo invitto, e academia tra le principali principalissima! L asino
errante, come sitibondo cervio, a voi, come a limpidissime e freschissime
acqui; l'asino umile e supplicante, a
voi, benignissimi ricettatori de'peregrini, s'appresenta, bramoso d'essere nel
consorzio vostro ascritto. Micco. Nel consorzio nostro? Asino. Sì, sì,
signor sì, nel consorzio vostro. Micco.
Va per quell'altra porta, messere, perchè da questa son banditi gl’asini.
Asino. Dimmi, fratello, per qual porta entrasti tu? Micco. Può far il cielo che gl’asini parlino,
ma non già ch’entrino in scola
pitagorica. Asino. Non esser
cossi fiero, o Micco, e ricordati, ch'il tuo Pitagora insegna di non spreggiar
cosa che si trova nel seno della natura. Benché io sono in forma d'asino al
presente, posso esser stato e posso esser appresso in forma di grand'uomo; e
benché tu sia un uomo, puoi esser stato e potrai esser appresso un grand'asino,
secondo che parrà ispediente al dispensator degli abiti e luoghi e disponitor dell'anime
transmigranti. Micco. Dimmi, fratello, hai intesi gli capitoli e condizioni
dell'academia? Asino. Molto bene. Micco.
Hai discorso sopra l'esser tuo, se per qualche tuo difetto ti possa essere
impedita l'entrata? Asino. Assai a mio giudicio. Micco. Or fatevi intendere.
Asino. La principal condizione, che m'ha fatto dubitare, é stata la prima. £ pur
vero che non ho quella indole, quelle
carni mollecine, quella pelle delicata, tersa e gentile, le quali tegnono li
fìsionotomisti, attissime alla recepzion della dottrina; perchè la durezza di
quelle ripugna all'agilità dell'intelletto. Ma sopra tal condizione mi par che
debba posser dispensar il principe; perchè non deve far rimaner fuori uno,
quando molte altre parzialitadi suppliscono a tal difetto, come la sincerità de’costumi, la prontezza
dell'ingegno, l'efficacia dell'intelligenza, e altre condizioni compagne,
sorelle e figlie di queste. Lascio, che non si deve aver per universale che
l'anime sieguano la complesslon del corpo; perchè può esser, che qualche più
efficace spiritual principio possa vincere e superar l'oltraggio, che dalla
crassezza o altra indisposizion di quello gli vegna fatto. Al qual proposito v'apporto l'esempio
de Socrate, giudicato dal fisognomico Zopiro per uomo stemprato, stupido,
bardo, effeminato, namoraticcio de putti e incostante; il che tutto venne
conceduto dal filosofo, ma non già, che l'atto de tali inclinazioni si
consumasse: stante ch'egli venia temprato dal continuo studio della filosofia,
che gli avea pòrto in mano il fermo temone contra l'empito dell'onde de naturali
indisposizioni, essendo che non è cosa, che pello studio non si vinca. Quanto
poi all'altra parte principale fisiognomica, che consista non nella complession
di temperamenti, ma nell'armonica proporzion de membri, vi notifico non esser
possibile de ritrovar in me defetto alcuno, quando sarà ben giudicato. Sapete
ch'il porco non deve esser bel cavallo, né
l'asino bell'uomo; ma l'asino bell'asino, il porco bel porco, l'uomo
bell'uomo. Che se, straportando il giudicio, il cavallo non par bello al porco,
né il porco par bello al cavallo; se a l'uomo non par bello l'asino, e l'uomo
non s'innamora de l'asino, né per opposito all'asino par bello l'uomo, e l'asmo non s'mnamora dell'uomo.
Micco. Sin al presente costui mostra di saper assai assai. Seguita, messer Asino, e fa pur gagliarde le tue
raggioni quanto ti piace; perché iVe
Fonde solchi e ne Farena semini, e il vago vento speri in rete accogliere, E le
speranze fondi in cuor di femine, se
speri, che dagli signori academici di questa o altra setta ti possa o debbia
esser concessa l'entrata. Ma, se sei dotto, contentati di rimanerti con la tua
dottrina solo. Asino. O insensati, credete ch'io dica le mie raggioni a voi, a ciò che me le
facciate valide? Credete eh io abbia fatto questo per altro fine, che per
accusarvi, e rendervi inexcusabili avanti a Giove? Giove con avermi fatto dotto
mi fé dottore. Aspettavo ben io, che dal
bel giudicio della vostra sufficienza venesse sputata questa sentenz. Non é
convenevole, che gl’asini entrino in Academia insieme con noi altri uomini.
Questo, se studioso di qualsivoglia
altra setta lo può dire, non può essere raggionevolmente detto da voi altri
pitagorici, che con questo, che negate a me l'entrata, struggete gli principii,
fondamenti e corpo della vostra filosofia. Or che differenza trovate voi tra
noi asini e voi altri uomini, non giudicando le cosa dalla superficie, volto ed
apparenza? Oltre di ciò dite, giudici inetti: quanti di voi errano
nell'academia degl’asini? quanti imparano nell'academia degl’asini? quanti
fanno profitto nell'academia degl’asini? quanti s'addottorano, marciscono e
muoiono nell'academia degl’asini? quanti son preferiti, inalzati, magnificati,
canonizati, glorificati e deificati nell'academia degl’asini? che se non
fussero stati e non fussero asini, non so, non so come la cosa sarrebbe passata e passarebbe per essi loro. Non son
tanti studii onoratissimi e splendidissimi, dove si dona lezione di saper inasinire,
per aver non solo il bene della vita temporale, ma e dell'eterna ancora? Dite,
a quante e quali facultadi ed onori s'entra pella porta dell'asinitade? Dite,
quanti son impediti, exclusi, rigettati e messi in vituperio, per non esser
partecipi dell'asinina facultade e perfezione? Or perchè non sarà lecito,
ch'alcuno degl’asini, o pur almeno uno degl’asini entri nell'academia
degl’uomini? Perchè non debbo esser accettato con aver la maggior parte delle
voci e voti in favore in qualsivoglia academia, essendo che, se non tutti,
almeno la maggior e massima parte è scritta e scolpita nell'academia tanto
universale de noi altri? Or se siamo sì larghi ed effusi noi asini in ricever
tutti, perchè dovete voi esser tanto restivi ad accettare un de noi altri al
meno? Micco. Maggior difficultà si fa in cose piìi degne e importanti: e non si
fa tanto caso, e non s'aprono tanto gl’occhi in cose di poco momento. Però,
senza ripugnanza e molto scrupolo di coscienza, si ricevon tutti nell'academia
degl’asini, e non deve esser così nell'academia degl’uomini. Asino. Ma, o messere, sappime dire e
resolvimi un poco, qua! cosa delle due è più degna, che un uomo inasinisca, o
ch’un asino inumanisca? Ma, ecco in veritade il mio Cillenio: il conosco pel
caduceo e l'ali. Ben venga il vago aligero, nuncio di Giove, fido interprete
della voluntà de tutti gli dei, largo donator delle scienze, addirizzator
dell'arti, continuo oracolo de'matematici, computista mirabile, elegante
dicitore, bel volto, leggiadra apparenza, facondo aspetto, personaggio grazioso, uomo tra gl’uomini, tra
le donne donna, desgraziato tra'desgraziati, tra'beati beato, fra tutti tutto;
che godi con chi gode, con chi piange piangi; però per tutto vai e stai, sei
ben visto e accettato. Che cosa de buono apporti? Merc. Perchè, Asino, fai conto di chiamarti
ed essere academico, io, come quel, che t'ho donati altri doni e grazie, al
presente ancora con plenaria autorità
t’ordino, constituisco e confermo accademico
e dommatico generale, acciò che possi entrar e abitar per tutto, senza
ch'alcuno ti possa tener porta o dar qualsivoglia sorte d'oltraggio o
impedimento, quibuscumque in oppositwn non ohstantibus. Entra, dunque, dove ti
pare e piace. Né vogliamo, che sii ubligato per il capitolo del silenzio
biennale, che SI trova nell'ordine
pitagorico, e qualsivogli 'altre leggi ordinane: perchè, novis
intervenientibus causis, novae condendae sunt leges, proque ipsis condita non
intelliguntur iura: interimque ad optimi iudicium iudicis referenda est
sententia, cuius intersit iuxta necessarium atqiie commodum providere. Parla,
dunque, tra gl’acustici; considera e contempla tra'matematici; discuti,
dimanda, insegna, dechiara e determina tra'fisici; trovati con tutti, discorri
con tutti, affratellati, unisciti, identificati con tutti, domina a tutti,
sii tutto. Asino. Avetel'inteso? Micco.
Non siamo sordi. DALLE TENEBRE ALLA LUCE
Elitropio. Qual rei nelle tenebre avezzi, che, liberati dal fondo di
qualche oscura torre, escono alla luce, molti degl’esercitati nella volgar
filosofia ed altri paventaranno, adn aranno, e,
non possendo soffrire il nuovo sole de' t; i chiari concetti, si
turbaranno. FlLOTEO. Il dift' o non è di
luce, ma di lumi: quanto m sé sarà più b lo e piìj eccellente il sole: tanto
sarà a'delle notturne strige odioso e discaro di vantaggio. Eli. L’impresa che
hai tolta, o Filoteo, è difficile, rara e singulare, mentre dal cieco cibisso
vuoi cacciarne e amenarne al discoperto, tranquillo e sereno aspetto delle stelle, che con sì bella
varietade veggiamo disseminate pel ceruleo manto del cielo. Benché agli uomini
soli l'aitatrice mano di tuo pietoso zelo soccorra, non saran però meno vani
gl’effetti d’ingrati verso di te, che varii son gl’animali che la benigna terra
genera e nodrisce nel suo materno e capace seno; se gli é vero che la specie
umana, particularmente negl'individui suoi, mostra de tutte l'altre la
varietade per esser in ciascuno più espressamente il tutto, che in quelli
d'altre specie. Onde vedransi questi, che, qual'appannata talpa, non sì tosto
sentiranno l'aria discoperto, che di bel nuovo, risfossicando la terra,
tentaranno agli nativi oscuri penetrali. Quelli, Della Causa, Principio ed Uno.
Dialogo Interlocutori sono; Elitropio,
Filoteo, Armesso. Bruno, In tristitia hilaris, etc. qua! notturni uccelli, non
sì tosto arran veduta spuntar dal lucido oriente la vermiglia ambasciatrice del
sole, che dall’imbecillità degl’occhi suol verranno invitati alla caliginosa
ntretta. Gl’animanti tutti, banditi dallo aspetto delle lampadi celesti e
destinati all'eterne gabbie, bolge ed antri di Plutone, dal spaventoso ed
erlnnico corno d'Alecto richiamati, apriran l'ali, e drizzaranno il veloce corso alle lor stanze.
Ma gl’animanti nati per vedere il sole, gionti al termine dell'odiosa notte,
ringraziando la benignità del cielo, e disponendosi a ricever nel centro del
globoso cristallo degl’occhi suoi gli tanto bramati e aspettati rai, con
dlsutato applauso di cuore, di voce e di mano adoraranno l'oriente; dal cui
dorato balco, avendo cacciati gli focosi destrieri il vago Titane, rotto il
sonnacchioso silenzio dell'umida notte, raggionano gl’uomini, belaranno gli
facili, inermi e semplici lanuti greggi, gli cornuti armenti sotto la cura
de'ruvidi bifolchi muggiranno. Gli cavalli di Sileno, perchè di nuovo in favor
degli smarriti dei, possano dar spavento ai più de lor stupidi gigantoni,
ragghiaranno; versandosi nel suo limoso letto, con importun gruito ne
assordiranno gli sannuti ciacchi. Le tigri, gli’orsi, gli leoni, i lupi e le
fallaci golpi, cacciando da sue spelunche il capo, dalle deserte alture
contemplando il piano campo della caccia, mandaranno dal ferino petto i lor
grunniti, ricti, bruiti, fremiti, ruggiti ed orli. Ne l'aria e sulle frondi di
ramose piante, gli galli, le aquile, li pavoni, le grue, le tortore, i merli, i
passari, i rosignoli, le cornacchie, le piche, gli corvi, gli cuculi e le
cicade non sarran negligenti di replicar e radoppiar gli suoi garriti strepitosi. Dal liquido e instabile campo
ancora, li bianchi cigni, le molticolorate anitre, gli solleciti merghi, gli
paludosi bruzii, l’oche rauche, le querulose rane ne toccaranno l'orecchie col
suo rumore, di sorte ch'il caldo lume di questo sole, diffuso all'aria di
questo più fortunato emisfero, verrà
accompagnato, salutato e forse molestato da tante e tali diversitadi de voci,
quanti e quali son spirti che dal profondo di proprii petti le caccian fuori.
FlL. Non solo è ordinarlo, ma anco naturale e necessario che ogni animale fa la
sua voce; e non è possibile che le bestie formino regolati accenti ed
ARTICULATI suoni come gl’uomini, come contrarie le complessioni, diversi i
gusti, varil gli nutrimenti. Armesso. Di grazia, concedetemi libertà di dir la
parte mia ancora; non circa la luce, ma circa alcune circustanze, pelle quali
non tanto si suol consolare il senso, quanto molestar il sentimento di chi vede
e considera; perchè, per vostra pace e vostra quiete, la quale con fraterna caritade
vi desio, non vorrei che di questi vostri discorsi vegnan formate comedie,
tragedie, lamenti, dialoghi, o come vogliam dire, simili a quelli che poco
tempo fa, per esserno essi usciti in campo a spasso, v’hanno forzato di starvi
rinchiusi e retirati in casa. FlL. Dite
liberamente. Arm. Io non parlo come santo
profeta, come astratto divino, come assumpto apocaliptico, né quale
angelicata asina di Balaamo; non raggiono come inspirato da Bacco, né gonfiato
di vento dalle puttane muse di Parnaso o come una Sibilla impregnata da Febo, o
come una fatidica Cassandra, né qual ingombrato dalle unghie de'piedi sin alla
cima di capegli dell'entusiasmo apollinesco, né qual vate illuminato
nell'oraculo o delfico tripode, né come Edipo esquisito contra gli nodi della
Sfinge, né come un Salomone inver gl’enigmi della regina Sabba, né qual
Calcante, interprete dell’olimpico senato, né come un inspiritato Merlino, o
come uscito dall'antro di Trofonio. Ma parlare pell'ordinano e per volgare,
come uomo che ho avuto altro pensiero che d'andarmi lambiccando il succhio
della grande e picciola nuca, con farmi al fine rimanere in secco la dura e pia
madre; come uomo, dico, che non ho altro cervello ch'il mio; a cui manco gli
dei dell'ultima cotta e da tinello nella corte celestiale, quei dico che non
beveno ambrosia, né gustan nettare, ma si vi tolgon la sete col basso delle
botte e vini rinversati, se non voglion far stima de linfe e ninfe, quei, dico,
che sogliono essere più domestici, familiari e CONVERSABILI con noi, come è
dire né il dio Bacco, né quel imbreaco cavalcator del'asino, né Pane, né
Vertunno, né Fauno, né Priapo, si degnano cacciarmene una pagliusca di più e di
vantaggio dentro, quantunque sogliano far copia de'fatti lor sin ai cavalli.
Eli. Troppo lungo proemio. Arm. Pacienza, che la conclusione è breve. Voglio
dir brevemente che vi farò udir paroli, che non bisogna disciferarle come poste
in distillazione, passate per lambicco, digente dal bagno di maria, e
subblimate in recipe di quinta essenza; ma tale quali m'insaccò nel capo la
nutriccia, la quale era quasi tanto cotennuta, pettoruta, ventruta, fiancuta e
naticuta, quanto può essere quella Londriota, che viddi a Westmester; la quale,
per iscalda É toio del stomaco, ha un paio di tettazze, che
paiono gli borzacchini del gigante san Sparagorio, e che, concie in cuoio,
varrebono sicuramente a far due pive ferrarese. Eli.e questo potrebbe bastare
per un proemio. vili. LA CENA FILOSOFICA
Armesso. Or su, per venire al resto, vorrei intendere da voi, lasciando un poco
da canto le voci e le lingue a proposito del lume e splendor, che possa
apportar la vostra filosofìa) con che voci volete che sia salutato
particolarmente da noi quel lustro di dottrina, che esce dal libro dela Cena delle ceneri? Quali animali son quelli,
che hanno recitata la Cena delle ceneri?
Dimando, se sono acquatici, o aerei, o terrestri, o lunatici? E
lasciando da canto gli propositi di Smitho, Prudenzio e Frulla, desidero di
sapere, se fallano coloro che dicono, che tu fai la voce di un cane rabbioso e
infuriato, oltre che tal volta fai la simia, tal volta il lupo, tal volta la
pica, tal volta il papagallo parrot
pirot Grice, tal volta un animale, tal volta un altro, meschiando propositi
gravi e seriosi, morali e naturali, ignobili e nobili, filosofici e
comici? FlLOTEO. Non vi maravigliate,
fratello, perchè questa non fu altro ch'una cena dove gli cervelli vegnono
governati dagl’affetti, quali gli vegnon porgiuti dall'efficacia di sapori e
fumi delle bevande e cibi. Qual dunque può
essere la cena materiale e corporale, tale conseguentemente succede la
verbale e spirituale; cossi dunque questa DIALOGALE ha le sue parti varie e
diverse, qual varie e diverse quell'altra suole aver le sue; non altnmente
questa ha le proprie condizioni, circonstanze e mezzi, che come le proprie
potrebbe aver quella. Arm. Di grazia, fate ch'io vi intenda. FlL. Ivi, come è
l'ordinario e il dovero, soglion trovarsi cose d’insalata, da pasto; da frutti,
d’ordinarlo; da cocina, da spedarla; da sani, d’amalatl; di freddo, di caldo;
di crudo, di cotto; di’acquatico, di terrestre; di domestico, di salvatico; di
rosto, di lesso; di maturo, d’acerbo; e cose da nutrimento solo e da gusto,
sustanziose e leggieri, salse e insipide, agreste e dolci, amare e suavi. Cossi
quivi, per certa conseguenza, vi sono apparse le sue contrarietadi e
diversitadi, accomodate a contrarie e
diversi stomachi e gusti, a'quali può piacere di farsi presenti al nostro
tipico simposio, a fine che non sia chi
si lamente d’esservi gionto in vano, e a chi non piace di questo, prenda di
quell'altro. Arm. e vero; ma che dirai, s’oltre nel vostro convito, ne la
vostra cena appariranno cose, che non son buone ne per insalata, né pe pasto; né per frutti, né per
ordinario; né fredde, né calde; né crude, né cotte, né vagliano pell'appetito,
né per fame; non son buone per sani, né per ammalati; e conviene che non escano
da mani di cuoco né di speciale? FlL.
Vedrai che né in questo la nostre cena é dissimile a qualunqu'altra esser
possa. Come dunque là, nel più bel del mangiare, o ti scotta qualche
troppo caldo boccone; di maniera che
bisogna cacciarlo de bel nuovo fuora, o piangendo e lagnmando mandarlo
vagheggiando pel palato, sin tanto che se gli possa donar quella maFadetta
spinta perl gargazzuolo al basso; o vero ti si stupefa qualche dente; o te
s'intercepe la lingua, che viene ad esser morduta conl pane; o qualche lapillo
te si viene a rompere e incalcinarsi tra gli denti per farti regittar tutto il boccone; o qualche pelo o
capello del cuoco ti s'inveschia nel palato, per farti presso che vomire; o te
s'arresta qualche aresta di pesce nella canna, a farti suavemente tussire; o
qualche ossetto te s'attraversa nella gola, permetterti in pericolo di
suffocare; cossi nella nostra cena, per nostra e comun disgrazia, vi si
son trovate cose corrispondenti e
proporzionali a quelle. Il che tutto avviene pel peccato dell'antico
protoplaste Adamo, per cui la perversa natura umana é condannata ad aver sempre
i disgusti gionti ai gusti. Arm. Pia e
santamente. LODE DEL NOLANO e Teofilo Or
che dirò lo del Nolano? Forse, per
essermi tanto prossimo, quanto io medesmo a me stesso, non mi converrà lodarlo?
Certamente, uomo raggionevole non sarà che mi riprenda in ciò, atteso che questo talvolta non
solamente conviene, ma è anco necessario, come bene espresse quel terso e colto
Tansillo: BencKad un uom, che preggio ed onor brama, Di sé stesso parlar molto
sconvegna. Perchè la lingua, ov'il cor teme ed ama. Non è nel suo parlar di
fede degna; L'esser altrui precon della sua fama Pur qualche volta par che si
convegno. Quando vien a parlar per un di
dui: Per fuggir hiasmo, o per giovar altrui.
Pure, se sarà un tanto supercilioso, che non voglia a proposito alcuno
patir la lode propria, o come propria, sappia, che quella talvolta non si può
dividere da sui presenti e riportati effetti. Gli Tifi han ritrovato il modo di
perturbar la pace altrui, violar i patrii genii delle reggioni, di confondere
quel che la provi da natura distinse, pel
commerzio radoppiar i difetti, e gionger vizii a vizii dell'una e
l'altra generazione, con violenza propagar nove follie, e piantar l'inaudite
pazzie ove non sono, conchludendosi al fin più saggio quel che più forte;
mostrar novi studi, instrumenti ed arte
di tirannizar e asassmar l'un l'altro; per mercè de quai gesti tempo verrà,
che, avendono quelli a sue male spese imparato per forza della vicissitudme delle cose, sapranno e potranno
renderci simili e peggior frutti de sì perniziose invenzioni.. Il Nolano, per
caggionar effetti al tutto contrarli, ha disciolto l'animo umano e la
cognizione, ch'era rinchiusa ne Partissimo carcere dell'aria turbulento; onde a
pena, come per certi buchi, avea facultà de remirar le lontanissime stelle; e
gl’erano mozze l'ali, a fin che non volasse ad
aprir il velame di queste nuvole, e veder quello, che veramente là su si
ritrovasse, e liberarse dalle chimere di quei, che, essendo usciti dal fango e
caverne della terra quasi Mercuri ed Appollini discesi dal cielo, con
moltiforme impostura han ripieno il mondo tutto d'infinite pazzie, bestialità e
vizii, come di tante vertù, divinità e discipline, smorzando quel lume, che
rendea divini ed eroici gl’animi di
nostri antichi padri, approvando e confirmando le tenebre caliginose de'sofisti
ed asini. Pel che già tanto tempo l'umana raggione oppressa, talvolta nel suo
lucido intervallo piangendo la sua sì bassa condizione, alla divina e provida
mente, che sempre nell'interno orecchio li susurra, si rivolge con simili
accenti: Chi salirà per me, madonna, in cielo, A riportarne il mio perduto ingegno? Or ecco quello, ch'ha varcato l'aria,
penetrato il cielo, discorse le stelle, trapassati gli margini del mondo, fatte
svanir le fantastiche muraglia delle prime, ottave, none, decime ed altre, che
vi s'avesser potuto aggiongere, sfere, per relazione de vani matematici e cieco
veder di filosofi volgari; cossi al cospetto d'ogni senso e raggione, colla
chiave di solertissima inquisizione aperti que'chiostri della verità, che da noi
aprir si posseano, nudata la ricoperta e velata natura, ha donati gl’occhi a le
talpe, illuminati ì ciechi, che non possean fissar gl’occhi e mirar l'imagin
sua in tanti specchi, che d’ogni lato gh s'opponeno; sciolta la lingua a'muti, che non sapeano e
non ardivano esplicar gl'intricati sentimenti; nsaldati i zoppi, che non valean
far quel progresso col spirto, che non
può far l'ignobile e dissolubile composto;
le rende non men presenti, che se fussero proprii abitatori del sole,
della luna ed altri nomati astri; dimostra, quanto siino simili o dissimili,
maggiori o peggiori quei corpi, che veggiamo lon-tano a quello, che n'è
appresso, ed a cui siamo uniti; e n'apre gl’occhi a veder questo nume, questa
nostra madre, che nel suo dorso ne
alimenta e ne nutrisce, dopo averne
produtti dal suo grembo al qual di nuovo sempre ne riaccoglie, e non pensar
oltre, lei essere un corpo senz’alma e vita, ed anche feccia tra le sustanze
corporali. A questo modo sappiamo, che, si noi fussimo nella luna o in altre
stelle, non sarreimo in loco molto dissimile a questo, e forse in peggiore;
come possono esser altri corpi cossi
buoni, e anco megliori per sé stessi, e pella maggior felicità de
proprii animali. Cossi conoscemo tante stelle, tanti astri, tanti numi, che son
quelle tante centenaia de migliaia, ch'assistono al ministerio e contemplazione
del primo, universale, infinito ed eterno efficiente. Non è più impriggionata
la nostra raggione coi ceppi de'fantastici mobili e motori otto, nove e diece.
Conoscemo, che non è ch'un cielo, una
eterea reggione immensa, dove questi magnifici lumi serbano le proprie
distanze, per comodità della participazione della perpetua vita. Questi
fiammeggianti corpi son que'ambasciatori ch’annunziano l'eccellenza della
gloria e maestà de Dio. Cossi siamo promossi a scuoprire l'infinito effetto
dell'infinita causa, il vero e vivo vestigio dell'infinito vigore; e abbiamo dottrina di non cercare la divinità
rimossa da noi, se l'abbiamo appresso, anzi di dentro, più che noi medesmi
siamo dentro a noi; non meno che gli coltori degli altri mondi non la denno
cercare appresso di noi, l'avendo appresso e dentro di se, atteso che non più
la luna è cielo a noi, che noi alla luna. Cossi si può tirar a certo meglior
proposito quel che disse il Tansillo quasi
per certo gioco: Se non togliete il ben, che ve da presso Come torrete
quel, che ve lontano? Spreggiar il vostro mi par fallo espresso, E bramar quel,
che sta ne l'altrui mano. Voi sete quel,
cK ahandonò se stesso. La sua sembianza desiando in vano: Voi sete il
veltro, che nel rio trabocca. Mentre F ombra desia di quel ch'ha in bocca,
Lasciate l'ombre, ed abbracciate il vero; Non cangiate il presente col futuro. Io d'aver di meglior
già non dispero; Ma, per viver piii lieto e più sicuro. Godo il presente e del
futuro spero: Cossi doppia dolcezza mi procuro. Con ciò un solo, benché solo,
può e potrà vincere, ed al fine ara vinto e trionfa centra l'ignoranza
generale; e non è dubio, se la cosa de'determinarsi non colla moltitudine di
ciechi e sordi testimoni, di convizu e di parole vane, ma colla forza di regolato sentimento,
il qual bisogna che conchiuda al fine; perchè, in fatto, tutti gli orbi non
vagliono per uno che vede, e tutti i stolti non possono servire per un savio.
Presentazione e soggetto del Candelaio A
gli abbeverati nel fonte Caballino Alla signora Morgana Argumento ed ordine
della Comedia Antiprologo Proprologo Bidello L'innamorato e le arti magiche d'amore Arti e debolezze di donne In
taverna Castigo e beffe Plaudite
Avventure londinesi Vili. Bottegari,
Servi, Furfanti Preludii alla Cena
delle Ceneri Cerimonie di
tavola Delle donne Pedanti Dottori
ed Archididascali La vecchiezza
di Giove Gli Dei a consiglio Orazione di Giove La provvidenza di Giove
Uomini e bestie V. Momo e Marte
Ricchezza e Povertà La biblioteca degli Dei La Fortuna Sonno ed Ozio La
Vergine La Bilancia Orione La Tazza Il
Centauro 1l Pesce Epistola
dedicatoria a don Sapatino In lode dell'asino A l'asino cillenico
Dissertazioni sopra l'asinità Metamfisicosi Aristotele Asino e i suoi seguaci L'asino accademico Dalle tenebre
alla luce Vili. La cena
filosofica Lode del Nolano PROFILI Serie
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Giusto Gaspara Stampa Setti Esiodo ArcaRI
Amiel Loria Malthus Angeli Verdi Labanca
Gesìi Momigliano Porta FavaRO
Galilei T. TELESIO Telesio RiBERA Cavalcanti A.
BUONAVENTURA A'i- colv Paganini Momigliano Tolstoi Albertazzi Tasso
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Consiglieri eletti dall'Assemblea dei
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e dei Soci perpetui sono costantemìnte ripetuti nelle pubblicazioni della
Leonardo. Le loro quote ne costituiscono il patrimonio intangibile. PQ Bruno In trisbitia hilaris Refs.: Luigi Speranza, Bruniana. Filippo
Bruno. Giordano Bruno. Keywords: paganesimo ario, anti-catolecismo,
anti-papismo, filosofia come anti-religione, ragione, non fede, contra la fede,
fede irrazionale – irrazionalismo della religione, irrazionalismo, ario,
ariano, tradizione aria, religione pagana, filosofia e religione nella Roma
antica – irrazionalismo della religione antica romana – carattere metaforico
della religione pagana della Roma antica, ermetismo, composizione dei signi, de
signorum compositione, compositio signorum, asino,asinita, Spaventa, Giudice,
Cacciatore, Gentile, implicatura e ligatura, relativita, infigurabile, indeterminabile,
Grice, indeterminacy, open, implicature, il Bruno di Marlowe; il Bruni di Shakespeare
(Pene d’amore perdute), Grice e Bruno a Oxford. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e
Bruno” – The Swimming-Pool Library.
Luigi Speranza – GRICE ITALO!;
ossia, Grice e Bruzi: la ragione
conversazionale el’implicatura conversazionale dei goti -- scuola di Squillace – filosofia calabrese -- filosofia
italiana – Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The
Swimming-Pool Library (Squillace). Filosofo italiano. Squillace, Catanzaro, Calabria. Grice: “Cassiodoro
was possibly a genius; I mean, I wrote a logic, and so did he – but he was
‘consul’ on top! My favourite – and indeed, the ONLY tract by him I recommend
my tutees is his “Dialettica” – Strawson prefers his “De anima,” but
‘anima’ is a confused notion, for Wittgenstein and neo-Wittgensteinians
alike – no souly ascription without behaviour that manifests it! – whereas with
‘dialettica’ you are safe enough!” –Grice: “I should be pointed out that of the
three of the trivial arts – ‘dialettica’ is the only one that deals with my
topic, conversation or dia-logue – grammatical is almost autistic, and rhetoric
is for lawyers, i. e. sharks! Only ‘dialettica’ represents why those in the
Lit. Hum. programme chose ‘philosophy’!” Grice: “Dialettica INCORPORATES all
that grammatical and rettorica can teach!”. Cassiodoro Flavio Cassiodoro Gesta Theodorici Flavius Magnus
Aurelius Cassiodorus. Cassiodoro, da un manoscritto su vellum del XII secolo.
Magister officiorum del Regno Ostrogoto MonarcaTeodorico il Grande Atalarico PredecessoreSeverino
Boezio Prefetto del pretorio d'Italia MonarcaAtalarico SuccessoreVenanzio
Opilione Monarca Teodato Vitige PredecessoreVenanzio Opilione Successore
Fidelio Dati generali Professione filosofo Flavio Magno Aurelio Cassiodoro
Senatore (latino: Flavius Magnus Aurelius Cassiodorus Senator. Vive sotto il
regno degli ostrogoti. Percorse un'importante carriera politica sotto il
governo di Teodorico ricoprendo ruoli tanto vicini al sovrano, da far pensare
in passato ad un effettivo contributo diretto al progetto del re ostrogoto.
Successore di Boezio, oltre che consigliere, fu cancelliere de Teodorico e il
compilatore delle sue lettere ufficiali e dei provvedimenti di legge. Collabora
anche con i successori di Teodorico. Al termine della guerra si stabilì
in via definitiva presso Squillace, dove fondò la biblioteca di Vivario. La
fonte principale che ci permette di conoscere la famiglia di Cassiodoro è data
dalla sua più vasta e importante opera, le “Variae”. Nasce in una delle più
stimate famiglie dei B., facente parte del patriziato. L'origine del nome è da
ricercarsi in un luogo di culto dedicato a Giove. Da una lettera scritta da B.
per Teodorico abbiamo notizie sui suoi genitori, così come su un parente di
nome Eliodoro. Dall'antica origine della famiglia si può comprendere la scelta
dei B. come nuova patria, essendo questa una zona della Magna Grecia. Si hanno
notizie inoltre del suo bonno, definito “vir illustris” e del nonno Senatore.
Quest'ultimo fu tribuno sotto Valentiniano III, e in qualità di ambasciatore
conobbe il re degli Unni Attila. Odoacre e Teodorico ritratti nelle
Cronache di Norimberga. Al padre furono indirizzate alcune lettere delle
“Variae”, il che ci offre più dati su di lui. Ricoprì il ruolo di comes rerum
privatarum e successivamente di comes sacrarum largitionum nel governo di
Odoacre. Mantenne la propria posizione di funzionario d'amministrazione anche
sotto Teodorico, tanto da diventare governatore provinciale. Lo si ritrova
governatore della Sicilia, e dopo essere entrato nelle grazie di Teodorico,
governatore della Calabria, quando si ritirerà alla sua villa. Così come
per i suoi familiari, ricaviamo notizie sulla vita di B. solo dalle sue opere.
La nascita e quella indicata dal Tritemio nel suo “De scriptoribus” (Basilea).
Il menologio lo ricorda. Per quelli che, come Theodor Mommsen, non ritengono
attendibili i dati del Tritemio, le date di nascita e morte di B. rimangono
ipotizzate, principalmente grazie a quelle note dei suoi incarichi
amministrativi; nonostante ciò molte cronache tendono a confondere alcuni dati
della vita di Cassiodoro con eventi vissuti dal padre, attribuendo una grande
longevità al letterato di Squillace. Proprio per quanto riguarda Squillace, non
è certo che vi nacque. Molto più probabilmente vi passò l'infanzia, ricevendo
dalla propria famiglia una prima educazione e seguendo degli studi. Ancora
giovane fu avviato dal padre alla carriera pubblica, per la quale ricopre
anzitutto il ruolo di “consiliarius”, per poi diventare quaestor sacri palatii,
forse perché Teodorico apprezza particolarmente un panegirico che egli aveva
composto. Poco tempo dopo ricevet il governatorato di Lucania e Bruttii,
notizia che si può apprendere da una lettera inviata al cancellarius Vitaliano.
Seguendo differenti interpretazioni storiche, questa congettura è stata però di
recente messa in dubbio. Risale la designazione a console. Nonostante si
trattasse ormai di una carica onorifica manteneva una certa importanza, permettendolo
di ricoprire il ruolo di eponimo. Dei anni successivi non si conosce salvo la
pubblicazione della Chronica. Successivamente, fu nominato magister officiorum
del re, succedendo nella carica a BOEZIO (si veda). Il ruolo e di grande
prestigio, e rappresenta con esso il capo dell'amministrazione pubblica, degli
official e delle scholae palatinae. Alla
morte di Teodorico, si apre una complessa
fase di successione. Divenne ministro della la figlia di Teodorico,
succedutagli sul trono come reggente per il figlio Atalarico. Presumibilmente
perdette parte della sua influenza nei primi anni di tali mutamenti politici,
ma seppe poi riproporsi e, con un lettera di Atalarico, guadagna il titolo di
Prefetto del pretorio per l'Italia. Non ricopre questo ruolo politico per molto
tempo. Atalarico morì e ai consueti problemi di successione si aggiunse la
malvolenza di Giustiniano verso gli ostrogoti, insofferenza che culminò poi con
la guerra gotica. Resse nuovamente la prefettura, sotto i re Teodato e Vitige,
per poi abbandonare definitivamente la carriera pubblica. Nelle Variae si
possono trovare le ultime lettere scritte per conto di Vitige, anche se non
viene detto nulla sul concludersi della sua funzione politica né si sa alcunché
dei suoi successori. Di fronte all'avanzata bizantina rimase dapprima in ritiro
a Ravenna, luogo che offriva ancora una certa sicurezza. Ravenna e conquistata
dalle truppe imperiali, e da quel momento si perdono le sue tracce. Le
alternative vagliate sono una permanenza a Squillace, dove però avrebbe avuto
scarse possibilità di movimento, o una permanenza più lunga a Ravenna. Lo si
ritrova nel seguito di papa VIRGILIO a Costantinopoli, città nella quale
potrebbe anche aver soggiornato, secondo una terza ipotesi, in un periodo
precedente alla data conosciuta. Rientrò nei Bruttii solo dopo la fine della
guerra, ritiratosi definitivamente dalla scena politica, fondò il monastero di
Vivario presso Squillace. Si hanno anche per questa parte della sua vita
pochissime informazioni, non si conoscono quindi le motivazioni che lo
portarono alla creazione di questa comunità monastica né particolari sulla
contemporanea situazione politica della penisola italica; per quanto riguarda
la sua situazione personale, si può ipotizzare che non ebbe eredi diretti. Al
Vivarium trascorse il resto dei suoi anni, dedicandosi allo studio e alla
scrittura di opere filosofiche. Qui istituì uno scriptorium per la raccolta e
la copiatura di manoscritti, che fu il modello a cui successivamente si
ispirarono i studii. Opera, il De ortographia. IL'obiettivo principale del
progetto politico-culturale di B. fu quello di accreditare il regno
teodericiano come una restaurazione del Principato, ossia quella forma di
governo che aveva garantito la collaborazione, formalmente quasi paritaria, tra
l'imperatore e la classe senatoria. Questa autorappresentazione del governo
goto serviva in primo luogo come legittimazione del regno nei confronti
dell'Impero costantinopolitano. Sostanzialmente, essendosi conformato il regime
ostrogoto al modello imperiale, il primato dell'imperatore e fondato
esclusivamente su un piano carismatico (pulcherrimum decus). Al tempo stesso,
tale imitazione da parte di Teoderico poneva l'Amalo in una posizione di
superiorità nei confronti degli altri regni barbarici attraverso un principio
politico-carismatico, basato su una gerarchia di due livelli (l'impero e il
regno di Teoderico, gli altri regni), con un vertice binario e leggermente
asimmetrico. Tra tutti gli altri dominantes, Teoderico era il solo che, per
volontà divina, aveva saputo dare al suo regno gli stessi fondamenti etici e
legali dell’imperium: il suo regno era una replica perfetta del modello imitato
e a sua volta un modello. Giardina. La prospettiva di B., infatti, non è più
l'impero universale, bensì quella nazionale dell'Italia romano-ostrogota,
autonoma ed egemone rispetto agli altri regni occidentali, sebbene siano state
avanzate riserve circa la reale ambizione di Teoderico di assumere l'eredità
del decaduto Impero romano d'Occidente. In particolare, il fondamento
dell'ideologia cassiodoriana ruota intorno al concetto di “civilitas”, che
indica tanto il rispetto delle leggi e dei princìpi della romanità, quanto la
convivenza sociale, giuridica ed economica di romani e stranieri fondata sulle
leggi. Secondo B., il regno goto si sarebbe fatto custode della civilitas,
garantendo così la giustizia e la pace sociale (l’otiosa tranquillitas, cioè
l'obiettivo di ogni buon governo), in accordo con la legge divina e la migliore
tradizione imperiale romana. Il richiamo all'ideologia del Principato da parte
di Teoderico e Atalarico si basa, nella fattispecie, sull'emulazione della
figura di Traiano, così come tratteggiata nel Panegirico di PLINIO (si veda) il
Giovane. Con il regno di Teodato, invece, il principale modello di riferimento
fu quello dell'”imperatore-filosofo” -- un ideale etico-politico ampiamente
imbevuto di caratteri neoplatonici. In seguito, nell'impellenza della guerra
greco-gotica, Vitige si distinse per il recupero di un'ideologia più specificamente
germanica, in cui e messi in risalto le virtù bellica e l'ardore
guerriero. San Benedetto da Norcia.
Inoltre esiste la possibilità che un primo abbozzo di ciò che sarebbe
diventato il monastero esistesse già da tempo, presente nei territori di
Squillace da una data sconosciuta e utilizzato come residenza da C. solo al
ritorno in patria dopo la guerra gotica. Ad ogni modo non aiuta nelle varie
ipotesi il silenzio delle fonti, poiché le Variae erano state già pubblicate e
nessuna delle opere dell'ormai ex politico trattò di questa fondazione; nulla
si conosce sul parto di questo progetto, né quando quest'idea fosse stata
concepita. Nonostante si intuisca dalle ultime opere di B. un avvicinamento
potente alla fede cristiana (si pensi al De anima e all'Expositio Psalmorum, il
monastero di Vivario nacque con uno scopo differente dal celebre Ora et labora:
l'obiettivo principale del nucleo monastico fu infatti la copiatura, la
conservazione, scrittura e studio dei volumi contenenti testi dei classici e
della patristica occidentale. La caratteristica di Vivarium era quindi la sua
forma di scriptorium, con le annesse problematiche di rifornimento materiali,
studio delle tecniche di scrittura e fatiche economiche. I codici e manoscritti
prodotti nel monastero raggiunsero una certa popolarità e furono molto
richiesti. Le forme entro cui si espresse invece l'organizzazione monastica dal
punto di vista religioso sono ben poco chiare, né aiuta l'assenza di
riferimenti alla vicina esperienza di Benedetto da Norcia; forse C. non ne
conobbe neppure l'esistenza, o potrebbe averne parlato in opere non giunteci.
Alcuni storici avanzano l'ipotesi che la Regula magistri, su cui si basa la
Regola benedettina, sia addirittura opera dello stesso B. Questo presunto rapporto
tra i due è però generalmente rigettato dagli studiosi, anche alla luce di
alcune citazioni provenienti dalle Institutiones che chiariscono le norme
monastiche adottate da Vivarium. Voi tutti che vivete rinchiusi entro le mura
del monastero osservate, pertanto, sia le regole dei Padri sia gli ordini del
vostro superiore e portate a compimento volentieri i comandi che vi vengono
dati per la vostra salvezza... Prima di tutto accogliete i pellegrini, fate
l'elemosina, vestite gli ignudi, spezzate il pane agli affamati, poiché si può
dire veramente consolato colui che consola i miseri. B., Institutiones. Ritratto
del profeta Esdra nel quale per molto tempo si riconobbe la figura di C.,
contenuto nel Codex Amiatinus. Questa citazione mostra come Vivarium seguisse
quindi le più comuni regole monastiche contemporanee, mentre altri passaggi
delle Institutiones ci suggeriscono un ruolo laico per C., forse esterno alla
vita monastica e puramente patronale Il vero centro vitale di Vivarium
era, particolare che segna la differenza con ogni altro centro monastico, la
biblioteca. C. distingue inoltre i libri del monastero da quelli personali,
differenza poi scomparsa in un periodo successivo. E la biblioteca, infatti,
come centro di cultura di tutto il monastero, la novità del suo programma, una
biblioteca nata ed accresciuta secondo le intenzioni del fondatore che dei suoi
libri conosceva non solo la sistemazione, perché l'aveva curata personalmente,
ma anche i testi, perché li aveva studiati, annotati, arricchiti di segni
critici, riuniti insieme secondo la materia in essi trattata e persino
abbelliti esteriormente. Il monastero prende nome da una serie di vivai di
pesci fatti preparare dallo stesso B. La loro presenza rappresentava un forte
valore simbolico, legato al concetto di Cristo come Ichthys. Non lontano dal
centro si trovava una zona per anacoreti, riservata a monaci con pregresse
esperienze di vita cenobitica. Vivarium sorgeva, secondo gli studi ad oggi
compiuti, nella contrada San Martino di Copanello, nei pressi del fiume Alessi.
In quella zona fu ritrovato un sarcofago, associato a graffiti devozionali e
subito considerato la sepoltura originale di B.. Per ciò che riguarda la
ripartizione del lavoro, i monaci inadatti a seguire la biblioteca con annessi
oneri intellettuali sono destilla coltivazioni di orti e campi, mentre i
letterati si occupavano dello studio delle sette arti liberali (dialettica, retorica,
grammatica, musica, geometria, aritmetica, astrologia) questi ultimi erano
divisi in notarii, rilegatori e traduttori. Le opere di carità erano
espressamente raccomandate dal fondatore, e legati a queste fiorivano gli studi
di medicina. Cassiodoro fece preparare tre edizioni differenti della Bibbia e
si occupò di copiature e riscritture di molti altri testi della cristianità,
considerando tutto ciò una vera e propria opera di predicazione. Non mancano
però nella biblioteca di Vivarium i testi profani: tra gli altri furono salvati
grazie all'opera di B. le Antiquitates di Giuseppe e l'Historia tripartita. Le
opere di B. del periodo di Teodorico, quelle da noi conosciute, sono tre: le
Laudes, la Chronica e l'Historia Gothorum. Della prima si sono conservati solo
due frammenti, mentre della Gothorum Historia rimane solo un'epitome a opera
dello storico Giordane. La Chronica racconta la saga dei poteri temporali di
tutta la storia, dai sovrani assiri sino ai consoli del tardo Impero, passando
ovviamente per tutta la storia romana. Possediamo un frammento di un'ulteriore
opera, l'Ordo generis Cassiodororum, che ci offre notizie sulla famiglia
dell'autore. Tra la produzione di Cassiodoro occupano un posto speciale le
Variae, raccolta di documenti ufficiali scritti i quali ci offrono quindi
informazioni su differenti periodi della vita dell'autore e sulla storia dei
Goti. A queste si può aggiungere il “De Anima”, opera per la prima volta
lontana da interessi politici e invece basata su temi della filosofia
psicologica. Il terreno religioso è battuto anche dalla successiva Expositio
Psalmorum, commento ai salmi di particolare importanza poiché unico esempio
pervenutoci dal mondo tardo antico. Al periodo di Vivarium appartengono tra le
opere a noi giunte, le Institutiones, le Complexiones in epistolas Beati Pauli
e le Complexiones in epistolas catholicas, le Complexiones actuum apostolorum
et in Apocalypsi e il De ortographia. La prima, senza dubbio l'opera più
importante di B., è datata in un periodo in cui il centro monastico era
sicuramente avviato; rappresenta sostanzialmente una "guida" per gli
studi nel monastero, è ricca di informazioni sulla vita dei monaci e sulle
opere intellettuali da loro compiute. Il De ortographia sarà la sua ultima
opera, scritta attorno ai novant'anni. Uno scritto di chiari intenti
politici è la Chronica, una sorta di storia universale scritta su richiesta per
celebrare il consolato di Eutarico Cillica (diviso con l'Imperatore Giustino),
genero di Teodorico e designato al trono. Il sovrano d'Italia non aveva eredi
maschi mentre Eutarico, sposandone la figlia Amalasunta, era riuscito a donargli
un nipote, Atalarico. Alla luce di questa nuova dinastia, la scelta di offrire
il ruolo di console a Eutarico rappresentava quindi un importante evento
politico: si trattava della celebrata unione tra i romani ed i goti, progetto
che poi fallirà tragicamente. L'opera, che come comprensibile dal titolo ha
chiari fini storici, propone una successione dei grandi poteri politici
succedutisi nella storia, passando da Adamo sino ad approdare con Eutarico. È
basata su numerose fonti che Cassiodoro spesso cita quali Eusebio, Gerolamo,
Livio, Aufidio Basso, Vittorio Aquitano e Prospero d'Aquitania. Per la
trattazione successiva invece l'autore è autonomo. L'elemento dell'opera che
maggiormente colpisce è il suo carattere spiccatamente filo-gotico. B. arriva a
manipolare alcuni eventi storici o a farne addirittura scomparire altri, al
fine di non far apparire i Goti sotto un'oscura luce. Historia Gothorum
Re Davide vincitore in una miniatura dall'Expositio Psalmorum, presente
nell'edizione del B. di Durham. Una delle sue opere più importanti fu il De
origine actibusque Getarum, più noto come Historia Gothorum, nel quale la sua
ideologia filogotica era tracciata e sviluppata in maniera più organica. Si
considera l'opera contemporanea o poco successiva alla Chronica, anche se più
studiosi tendono a ritenerla più recente, forse composta dopo. Certamente la
stesura fu caldeggiata da Teoderico, per essere infine pubblicata sotto
Atalarico. Nonostante ciò essa ci è pervenuta solo nella versione ridotta dello
storico Giordane, i Getica. Prima storia nazionale di un popolo barbarico, la
Historia Gothorum era tesa a glorificare la dinastia degli Amali, la stirpe
regnante, attraverso una ricostruzione della storia dei Goti dalle origini ai
tempi presenti. Il tentativo più ardito dell'opera fucome emerge dal titolo
stessol'identificazione dei Goti con i “geti” -- popolazione già nota a Erodoto
e maggiormente conosciuta dal mondo romano. Il racconto narra eventi storici e
come scopo ha inoltre quello di celebrare l'unione tra goti e romani, qui
comprovata dal matrimonio tra il romano Germano Giustino e l'amala Matasunta.
Il fine ultimo dell'opera lo svelaper bocca di Atalarico Cassiodoro stesso.
Questi B. ha sottratto i re dei Goti al lungo oblio in cui li aveva nascosti
l'antichità. Questi ha ridato agli Amali la gloria della loro stirpe,
dimostrando chiaramente che noi siamo stirpe regale da diciassette generazioni.
L'origine dei goti egli ha reso storia romana, quasi raccogliendo in una corona
fiori prima sparsi qua e là nel campo dei libri. Dell’Ordo generis B. rimane un
solo frammento in più copie. Il l testo, dalla difficile interpretazione,
fu composto negli anni della carriera pubblica di B. ed è dedicato a Rufio
Petronio Nicomaco Cetego. L'opera offre rare notizie sulla famiglia di
Cassiodoro, in particolare sul padre; nelle poche righe centrali vengono
nominche BOEZIO e Simmaco, il che farebbe pensare ad un qualche grado di
parentela tra l'autore e queste due figure, impossibile attualmente da
stabilire. La sua attività di funzionario al servizio del regno goto è
testimoniata dalle Variae, una raccolta di lettere e documenti, redatti in nome
dei sovrani o trasmessi a firma dell'autore stesso in un arco di tempo che va
dall’assunzione della questura al termine della carica di prefetto al pretorio.
Il titolo come l'autore spiega nella prefazione all'opera è dovuto alla
“varietà” degli stili letterari impiegati nei documenti del corpus, il quale
divenne successivamente un riferimento per lo stile cancelleresco e curiale. Espone
nella praefatio dell'opera il fine di questa raccolta di testi, ovvero la
necessità di fornire nozioni utili a chiunque si dovesse in futuro accostare
alla carriera pubblica. Ulteriore obiettivo dichiarato è quello di far
conoscere i propri trascorsi come membro del ceto dirigente.Le Variae sono
assai utili per conoscere le istituzioni, le condizioni politiche, morali e
sociali sia dei Goti sia dei Romani dell'Italia del tempo. Cominciato poco
prima della conclusione delle Variae, il “De anima” è considerato da B. come
una sorta di volume per quest'opera, quasi ne rappresentasse l'appendice.
Affronta temi esterni al mondo della politica, avvicinandosi agli stessi
interessi spirituali che poi toccherà con la Expositio Psalmorum. Il “De anima”
si dipana su XII questioni, tra le quali l'incorporeità e il destino
dell'anima, legata alla tradizione di Tertulliano, Agostino e Claudiano
Mamerto. Anche per l’Expositio Psalmorum non è possibile dare una datazione
certa, anche perché la sua composizione sembra essere stata portata avanti per
un periodo abbastanza prolungato. Si tratta di un commento completo ai salmi,
unico esemplare rimastoci da tutta la tarda antichità. Per mole è certamente
l'opera maggiore di Cassiodoro, anche se non viene considerata la più matura
tra le sue produzioni. Una più ampia influenza nel Medioevo ebbero le sue
Istituzioni, “Institutiones divinarum et saecularium litterarum”, erudita
introduzione alle sette arti liberali – dialettica, retorica, grammatical –
musica, geomtrica, aritmetica. Progettata dopo che la richiesta di Cassiodoro
per la fondazione di un'studi ricevette una risposta negativa da papa Agapito
I, l'opera visse un lungo periodo di incubazione: basti pensare che al suo
interno cita il De orthographia, ultima opera attestata di B.. Il lavoro su
questa enciclopedia si suddivide in varie sezioni: la prima presenta i vari
libri della Bibbia, la storia della Chiesa e degli studi teologici. La II si
occupa di quelle arti incluse successivamente nel trivio e quadrivio, con un occhio
rivolto alla cultura pagana e alle norme atte per trascrivere correttamente gli
antichi. Altre opere sono citate direttamente da B. nel De orthographia.
Complexiones in Epistolas et Acta apostolorum et Apocalypsin; si tratta di un
commento ad alcuni passi degli Atti degli Apostoli e dell'Apocalisse di
Giovanni Expositio epistolae ad Romanos (Commento alla lettera dei Romani).
Liber memorialis; breve riassunto del contenuto della Sacra Scrittura. Historia
ecclesiastica tripartita, di cui fu autore della sola prefazione. De
orthographia; trattato destinato a fissare norme e regole per la trascrizione
di scritti antichi e moderni. Senator è parte integrante del nome e non già
designazione della carica pubblica (Momigliano; Momigliano Le ipotesi che
vogliono Cassiodoro organizzatore e stratega nascosto dietro Teodorico sono ad
oggi considerate generalmente infondate, superate dalla tradizione che vede
Cassiodoro estraneo alla politica del regno; Cardini, Cardini, Abbate, Cardini,
Momigliano, In Siria si trovano attestati i nomi Κασιόδωρος e
Κασσιόδωρος. B., Variae. Noto come
Mons Cassius, da questo deriva Kassiodoros, ovvero "Dono del Monte
Cassio". Cardini. B., Variae, I, 4.
B., Variae. Onore guadagnato
forse per la difesa della Calabria dai Vandali di Genserico. Rouche, IV- Il
grande scontro, in Attila, I protagonisti della storia, traduzione di Marianna
Matullo, 14, Pioltello (MI), Salerno
Editrice, Cardini, Tuttavia non si conosce né la data in cui ricoprì la carica
né il nome della provincia. Cardini, Il nome stesso di B. viene riportato
solo nelle lettere dei papi Gelasio, Giovanni II e Vigilio. In Cardini, ci si sofferma su dizionari e
prontuari la cui affidabilità è considerata generalmente affidabile; in
particolare si cita l'opera Lessico classico di Federico Lübker. Cardini; scrive ad esempio nel Vivarium un
trattato di ortografia. Franceschini Cardini B., Ordo generis; si tratta di una
carica pubblica con funzioni di consigliere.
Cassiodoro, Variae, B, Variae, Cardini. La congettura si basa su un
passo delle Variae, in cui però B. non afferma esplicitamente di essere stato
governatore dei Bruzi. Questa ipotesi è stata rimessa in discussione da
Giardina e Cardini (Giardina). Cardini, Aveva cioè la possibilità di dare il
proprio nome all'anno, unitamente a quello del collega. Cardini, B.,
Variae, Ghisalberti. Ovvero le segreterie imperiali (officia memoriae,
epistularum, libellorum e admissionum).
Si tratta del corpo militare speciale incaricato di sorvegliare la corte
imperiale. Non si è certi se fosse stato
nominato prefetto del pretorio per la prima o seconda volta. Cardini, B.,
Variae, B., Variae, Momigliano; Cardini. Cardini. Cardini. Cardini. Reydellet,
Giardina. B., Variae, su bsbdmgh.bsb.lrz-muenchen).. Giardina, Teillet, Dietrich Claude,
Universale und partikulare Züge in der Politik Theoderichs, in «Francia», Reydellet,
Wolfram. B., Variae: Gothorum laus est civilitas custodita., su
bsbdmgh.bsb.lrz-muenchen.de B., Variae: regnantis est gloria subiectorum otiosa
tranquillitas., su bsbdmgh.bsb.lrz-muenchen.de). B., Variae, su
bsbdmgh.bsb.lrz-muenchen.de Reydellet, Anonimo Valesiano: a Romanis Traianus
vel Valentinianus, quorum tempora sectatus est, appellaretur. B., Variae. Ecce
Traiani vestri clarum saeculis reparamus exemplum., su
bsbdmgh.bsb.lrz-muenchen.de B., Variae, VIII 13,3-5: Non sunt imparia tempora
nostra transactis: habemus sequaces aemulosque priscorum. Redde nunc Plinium et
sume Traianum. Bonus princeps ille est, cui licet pro iustitia loqui, et contra
tyrannicae feritatis indicium audire nolle constituta veterum sanctionum.
Renovamus certe dictum illud celeberrimum Traiani: sume dictationem, si bonus
fuero, pro re publica et me, si malus, pro re publica in me su
bsbdmgh.bsb.lrz-muenchen.de Reydellet, Vitiello, Reydellet, Vitiello, Cardini, B.,
Expositio Psalmorum, Cardini, Cardini, Pellegrini, Cardini, B., Istituzioni,
Cardini, B., Istituzioni, Cardini, B., Istituzioni, B., Istituzioni, B.,
Istituzioni, B., Istituzioni. Questo
porta gli studiosi a ipotizzare una maggior partecipazione di B. al
progetto. B., Istituzioni Cardini,Cardini,
Cardini, Coloro che preparavano i testi per la trascrizione. B., Istituzioni,
I, B., Istituzioni, Cardini, Cardini, Cardini, Cardini, Cardini, Cardini,
Cardini, Altaner, Ceserani, Cardini, Cardini. La cronaca è un genere letterario
caratterizzato dall'esposizione di fatti storici in ordine cronologico.
Simonetti, Moorhead, B., Variae, De
origine actibusque Getarum, in sessanta capitoli. «La Historia Gothorum occupa un posto di
rilievo nella storia della cultura occidentale perché fu la prima storia
nazionale di un popolo barbarico: in tal senso essa introduce veramente il
medioevo». Simonetti, Simonetti, Germano Giustino faceva parte della Gens
Anicia, mentre Matasunta era nipote di Teodorico. Cardini, originem Gothicam historiam fecit
esse Romanam. B., Variae, Cardini Il frammento è noto anche come Anecdoton
Holderi; edizione critica e traduzione francese in Alain Galonnier,
"Anecdoton Holderi ou Ordo generis Cassiodororum: introduction, édition,
traduction et commentaire", Antiquité tardive, Cardini, B., Variae; B., Variae, XI, 7. Cardini, Momigliano, Istituzioni delle
lettere sacre e profane. Cardini, Cardini, Muse, B., Istituzioni. Opere di B. Expositio Psalmorum, M.A.
Adriaen, Le Cronache, Mirko Rizzotto,
Gerenzano, Runde Taarn, 2007. Le Istituzioni, Antonio Caruso, Roma, Vivere, Le
Istituzioni, Mauro Donnini, Città Nuova, Ordo generis Cassiodororum, Viscido,
M. D'Auria, Variae (traduzione parziale), Lorenzo Viscido, Squillace,
Pellegrini, De Orthographia, Tradizione manoscritta, fortuna, edizione critica
Patrizia Stoppacci, Firenze, Sismel-Edizioni del Galluzzo, (Società per lo studio del Medioevo latino).
Expositio Psalmorum. Volume I, Tradizione manoscritta, fortuna, edizione
critica Patrizia Stoppacci, Firenze, Sismel-Edizioni del Galluzzo, (Società internazionale per lo studio del Medioevo
latino). Roma immaginaria, Danilo Laccetti, Roma, Arbor Sapientiae,. Confido in
te Signore. Commento alle suppliche individuali, Antonio Cantisani, Milano,
Jaca Book,. Autori moderni Samuel J. Barnish, Roman Responses to an Unstable
World: Cassiodorus' Variae in Context, in: Vivarium in Context, Vicenza, Centre
for Medieval Studies Leonard Boyle, Maïeul Cappuyns, Cassiodore, in
Dictionnaire d'histoire et de géographie ecclésiastique, Paris, Cardini, B. il Grande. Roma, i barbari
e il monachesimo, Milano, Jaca, Caruso, B. Nella vertigine dei tempi di ieri e
oggi, Soveria Mannelli, Centonze, Il Lactarius mons e la cura del latte a
Stabiae. Galeno, Simmaco, B., Procopio, Castellammare di Stabia, Bibliotheca
Stabiana, Arne Soby Christinsen, B. Jordanes and the History of the Goths:
Studies in a Migration Myth, Museum Tusculanum, Ruggini, B. and the Practical
Sciences, in: Vivarium in Context, Vicenza, Centre for Medieval Studies Boyle, Galonnier,
Anecdoton Holderi, ou Ordo generis Cassiodorum: éléments pour une étude de
l'authenticité boécienne des Opuscula sacra, Louvain-la-Neuve, Peeters,
Giardina, Cassiodoro politico, Roma, L'Erma di Bretschneider, Momigliano, B.
and Italian Culture of His Time, Oxford, Momigliano, B. in Dizionario
biografico degl’italiani, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana,
Momigliano, B., in Contributo alla storia degli studi classici e del mondo
antico, Roma, Storia e Letteratura, Moorhead,
B. on the Goths in Ostrogothic Italy, in Romano barbarica, O'Donnell, B.,
Berkeley Los Angeles Londra, Alessandro Pergoli Campanelli, Cassiodoro alle
origini dell'idea di restauro, Milano, Jaca, Pergoli Campanelli, Nova
construere, sed amplius vetusta servare: Cassiodoro e la nascita della moderna
idea di restauro, Studi Romani, Ravasi, B. il senatore, Il Sole24 ore, Reydellet, B. et l'idéal du Principat, in Id.,
La royauté dans la littérature latine de Sidoine Apollinaire à Isidore de
Séville (BEFAR), Roma, École française de Rome, Reydellet, Théoderic et la
«civilitas», in Carile, Teoderico e i Goti tra Oriente e Occidente. Congresso, (Ravenna,
Ravenna, Longo, Sirago, I B.. Una famiglia calabrese alla direzione d'Italia,
Soveria Mannelli, Teillet, B. et la formation d'une idéologie romano-gothique,
in Id., Des Goths à la nation gothique. Les origines de l’idée de nation en
Occident du Ve au VIIe siècle, Paris, Les Belles Lettres, Massimiliano
Vitiello, Il principe, il filosofo, il guerriero: lineamenti di pensiero
politico nell'Italia ostrogota, Stuttgart, Steiner, Herwig Wolfram, Die Goten:
Von den Anfängen bis zur Mitte des sechsten Jahrhunderts, München, Beck, Altri
testi Le Muse. Enciclopedia di tutte le
Arti, Novara, Istituto geografico De Agostini. Lezioni di letteratura
calabrese, Pellegrini Editore, Francesco Abbate, Storia dell'arte nell'Italia
meridionale, Donzelli; Berthold Altaner, Patrologia, Marietti; Ceserani e
Federicis, Il materiale e l'immaginario: laboratorio di analisi dei testi e di
lavoro critico, Loescher; Csaki, Contra voluntatem fundatorum: il monasterium
vivariense di B., ACTA Congressus Internationalis Archaeologiae Christianae
(Città del Vaticano-Split) Csaki, Il
monastero vivariense di B.: ricognizione e ricerche, Frühes Christentum
zwischen Rom und Konstantinopel, Akten des Kongresses für Christliche
Archäologie, Wien, hrsg. R. Harreither, Ph. Pergola,Pillinger, A. Pülz (Wien) Franceschini,
Lineamenti di una storia letteraria del Medioevo latino, Milano, I.S.U.
Università Cattolica, Ghisalberti, La filosofia medievale, Firenze, Demetra Giunti,
Ettore Paratore, Storia della Letteratura Latina dell'Età Imperiale, Milano,
BUR); Simonetti, Romani e Barbari. Le lettere latine alle origini dell'Europa,
Roma, Carocci. Opere di B., su digilibLT, Università degli Studi del Piemonte
Orientale Amedeo Avogadro. Opere di B. /
B. (altra versione) / B. (altra versione), su open MLOL, Horizons Unlimited srl.
Opere di B,. Opere di B., su Progetto Gutenberg. B., in Catholic Encyclopedia,
Appleton. Opere di B. nella Patrologia
Latina del Migne Opere di B. nella Bibliotheca Augustana, su hs-augsburg.de.
Monvmenta Germaniae Historica, Societas Aperiendis Fontibvs Rerum Germanicarvm
Medii Aevi, Avctorum Antiqvissorum Tomus XII, Berolini apud Weidmannos: B. Senatoris
Variae, recensvit Mommsen, accedvnt I. Epistvlae theodericianae variae edidit
Mommsen. Acta synhodorvm habitarvm Romae A.
edidit Th. Mommsen. III. Cassiodori orationvm reliqviae edidit Lvd.
Travbe. Sito ufficiale del Premio Cassiodoro, su premiocassiodoro.eu.
Aggiornamenti sul sito di Vivarium (fondazioni monastiche di Cassiodoro), su
centreleonardboyle. La fontana di Cassiodoro, su centreleonardboyle.com).
Beatus Cassiodorus e La fama sanctitatis di Cassiodoro Sulla fama di santità di
Cassiodoro nel Medioevo. Vivarium in Context Archiviato il 4 giugno in.. Scheda libro con recensioni dei saggi di
S.J. Barnish e L. Cracco Ruggini citati nella. Le dignità de' Consoli e de
gl'Imperadori, e i fatti de' Romani, e dell'accrescimento dell'Imperio, ridotti
a compendio da Sesto Ruffo, e similmente da Cassiodoro, e da M. L. Dolce
tradotti et ampliati, appresso Gabriel Giolito de' Ferrari, Venezia). Storici
romani Antica Roma Antica Roma
Biografie Biografie Cristianesimo Cristianesimo Letteratura Letteratura Lingua latina Lingua latina Medioevo Medioevo Categorie: Politici romani del VI
secoloLetterati romaniStorici romaniComites rerum privatarumComites sacrarum
largitionumConsoli medievali romaniCorrectores Lucaniae et BruttiorumMagistri
officiorumPrefetti del pretorio d'ItaliaScrittori. Grice: “The English had taught Italians that it’s not fair to call
Cicero an Italian, or Pythagoras, for that matter, since this all happened
before Garibalid! I’m glad the Italians never learned the lesson!” MAGNI
AURELII B. SENATORIS De Artibus ac Diſciplinis Liberalium Litterarum. vism
lectioni 33. titulis Prov. 8.28. Erionum 7. tartiem titke nec men wa/ > nec
716m2To Liberdivina UPERIOR liber, Domino præſtan- fuam cubitum unum? Item
IſaiasPropheta dicit: 16.40.1:., S | licet divinarum continet lectionum manu.
Rurſus creatura Dei probatur facta ſub comprebējus. hic triginta tribu's
titulis noſcitur pondere;ſicut ait in Proverbiis Salomon: Ei li. coinprehenſus.
Qui numerus ætati Dominice brabat fontesaquarum; et paulo poft: Quando probatur
accommodus, quando mundo peccatis appendebar fundamenta terra, cum eo eram.
mortuo æternam vitam præſtitit, et præmia cre- Quapropter opere Dei
fingularizato, magnifi Hic liber ſce- dentibus ſine fine concellit. Nunctempus
eſt, cæ res neceſſariâ definitione concluſæ ſuntut; fi cularium le- ut aliis
ſeptein titulis ſæcularium lectionum præcut eum omnia condidiffe credimus: ita
et quem ſentis libritextuin percurrere debeamus; qui ta- admodun facta ſunt,
aliquatenusdiſcerenus. lis abfolue men calculus per ſeptiinanas fibimet
ſuccedentes Unde datur intelligi mala opera diaboli nec Opera diabolt tur, et cur
in ſe continue revolutus, uſque ad totius orbis pondere, nec menfura, nec
numero cortineri: nec pondere, finem ſemper extenditur. quoniam quicquid agit
iniquitas, juſtitie ſein Defeptenario Sciendum eft plane, quoniam frequenter
quic- per adverſum eſt; ſicut et tertius deciinus Pſalmus continentur. numero,
quid continuam atqueperpetuum Scriptura fan- meminit, dicens: Contritio, ú
infelicitas in viis Pfal. quid feript.o. ita vultintelligi, fub iſto numero
comprehendit; corum, á viam pacis non cognoverunt: non eſt ia Super cum ficut
dicit David: Septies in dielaudem dixitibi; timor Dei anteoculos eorum. Ifaias
quoque dicit: intel'iyat. Plal. 118. cùm tamen alibi profiteatur: Benedicam
Domi- Dereliquerunt Deuin Sabaoth, et ambulaverunt 164. numin omni tempore:
femper lausejus in ore meo. per vias diſtortas. Revera mirabilis, et fummè Et Salomon: Sapientia edificavit fibi domum,
ſapiens Deus, qui omnes creaturas ſuas ſingulari excidit columnas feptem. In
Exodo quoque dixit moderatione diſtinxit: ne aliquid eorumfæda fingulari
Doininus ad Moyſen: Facies lucernas ſeptem, et confuſio pollideret. Unde Pater
Auguſtinus in deratione dio Exod. pones easſuper candelabrum, ut luceant ex
adver- libro 4. de Geneli ad litterain minatifinè difpu- ftinxerit? Apocal. 1.4.
fo. Quem numerum Apocalypfis in diverfis re tavit. bus omnino commeinorat; qui
tamen calculus Modd jamſecundi voluminis intremus initia, adillud nos æternum
tempus trahit,quod non po- quæ paulò diligentiùs audiamus; Intentus no- *Hicincipiño teſt habere
defectú. Meritò ergo ibi femper com- bis elt de arte Grammatica, tive Rhetorica,
vel MSS. codd. memoratur, ubi perpetuum tempus oftenditur. de diſciplinis
aliqua breviter velle confcribere; Arithmetita Sic Arithmetica diſciplina
dotata eſt, quando quarum rerum principia neceffe eft nos inchoa dotata,quan
rerum Opifex Deus diſpoſitiones ſuas ſub nume- re; dicenduinque prius eft de
arte Grammatica; Dei ſub nu xi, ponderis, et menfuræ quantitate conſtituits quæ
eft videlicet origo et fundamentuin Libera mern, ponle- ſicut ait Salomon;
Omnia in numero, menfura, lium litterarum. re our menu- c pondere feciſti.
Creatura ſiquidem Dei ſic nu Liber autein dictus eſt à libro, id eſt, arboris
Liber unde ra ft24. micro facta cognoſcitur, quando ipfe in Evange- cortice
dempto atque liberato, ubi ante copiam dictus. Sap. lio ait:Veftri autem et cepilli
capitis omnes nume- chartarum Antiqui carmina deſcribebant. Scire Matth.10 jo
ratifunt. Sic creatura Dei conſtituta eſt in men- autem debemus, ſicut Varro
dicit, utilitatis ali ſura; ficut ipfe in Evangelio teſtatur: Quis an- cujus
caufà omnium artium extitiſie principia. Matth. tem veftrum cogitans poteft
adjicere ad ftaturam Ars verò dicta eft, quòd nos fuis regulisarctet Unie ars
Plal. Prov. Ca Deus
on - nes creats n. do creat1471 dieta.
Liberalium Litterarum. 559 rints compoſuit. malis voce. our atque conſtringat.
Alii dicunt à Græcis hoc trà- Finis verò elimatæ locutionis vel ſcripturæ, in
ctum eſſe vocabuluin, amo tús agerős, id eſt, à culpabili placere peritia.
virtute doctrinæ, quam diferti yiri uniuſcujul Sed quamvis Auctores ſuperioruin
temporum QuideGram que bonæ rei ſcienriam vocant. de arte Grammatica ordine
diverſo tractaverint, matica orne tiùs ſcriple Secundò de arte Rhetorica, quæ
propter nito- fuiſque ſæculis honoris decushabuerint,ut Palæ rem ac copiain
eloquentiæ ſuæ, maxiniè in civi- mon, Phocas, Probus; et Cenſorinus: nobis ta
Libus quæſtionibus, neceſſaria niinis, et hono- men placet in medium Donatum
deducere, qui rabilis æſtiinatur. et pueris ſpecialiter aprus, et tironibus
probatur Tertiò de Logica, quæ Dialectica nuncupa- accomınodus, Cujus gemina
coinmenta reliqui-- Gemina com tur. Hæc, quantùm Magiſtri ſæ. ulares dicunt,
mus, ut ſupra quòd ipfe * planus eſt, fiat clarior menta in ar diſputatdivina
UPERIOR liber, Domino præſtan- fuam cubitum unum? Item IſaiasPropheta dicit:
16.40.1:., S | licet divinarum continet lectionum manu. Rurſus creatura Dei
probatur facta ſub comprebējus. hic triginta tribu's titulis noſcitur pondere;ſicut
ait in Proverbiis Salomon: Ei li. coinprehenſus. Qui numerus ætati Dominice
brabat fontesaquarum; et paulo poft: Quando probatur accommodus, quando mundo
peccatis appendebar fundamenta terra, cum eo eram. mortuo æternam vitam
præſtitit, et præmia cre- Quapropter opere Dei fingularizato, magnifi Hic liber
ſce- dentibus ſine fine concellit. Nunctempus eſt, cæ res neceſſariâ
definitioneconcluſæ ſuntut; fi cularium le- ut aliis ſeptein titulis ſæcularium
lectionum præ- cut eum omnia condidiffe credimus: ita et quem ſentis
libritextuin percurrere debeamus; qui ta- admodun facta ſunt,
aliquatenusdiſcerenus. lis abfolue men calculus per ſeptiinanas fibimet
ſuccedentes Unde datur intelligi mala opera diaboli nec Opera diabolt tur, et cur
in ſe continue revolutus, uſque ad totius orbis pondere, nec menfura, nec
numero cortineri: nec pondere, finem ſemper extenditur. quoniam quicquid agit
iniquitas, juſtitie ſein Defeptenario Sciendum eft plane, quoniam frequenter
quic- per adverſum eſt; ſicut et tertius deciinus Pſalmus continentur. numero,
quid continuam atqueperpetuum Scriptura fan- meminit, dicens: Contritio, ú
infelicitas in viis Pfal. quid feript.o.
ita vultintelligi, fub iſto numero comprehendit; corum, á viam pacis non
cognoverunt: non eſt ia Super cum ficut dicit David: Septies in dielaudem
dixitibi; timor Dei anteoculos eorum. Ifaias quoque dicit: intel'iyat. Plal.
cùm tamen alibi profiteatur: Benedicam Domi- Dereliquerunt Deuin Sabaoth, et ambulaverunt
numin omni tempore: femper lausejus in ore meo. per vias diſtortas. Revera mirabilis, et fummè Et Salomon: Sapientia edificavit fibi domum,
ſapiens Deus, qui omnes creaturas ſuas ſingulari excidit columnas feptem. In
Exodo quoque dixit moderatione diſtinxit: ne aliquid eorumfæda fingulari
Doininus ad Moyſen: Facies lucernas ſeptem, et confuſio pollideret. Unde Pater
Auguſtinus in deratione dio Exod.pones easſuper candelabrum, ut luceant ex
adver- libro 4. de Geneli ad litterain minatifinè difpu- ftinxerit?
Apocal. fo. Quem numerum Apocalypfis in
diverfis re tavit. bus omnino commeinorat; qui tamen calculus Modd jamſecundi
voluminis intremus initia, adillud nos æternum tempus trahit,quod non po- quæ
paulò diligentiùs audiamus; * Intentus no- *Hicincipiño teſt habere defectú.
Meritò ergo ibi femper com- bis elt de arte Grammatica, tive Rhetorica, vel
MSS. codd. memoratur, ubi perpetuum tempus oftenditur. de diſciplinis aliqua
breviter velle confcribere; Arithmetita Sic Arithmetica diſciplina dotata eſt,
quando quarum rerum principia neceffe eft nos inchoa dotata,quan rerum Opifex
Deus diſpoſitiones ſuas ſub nume- re; dicenduinque prius eft de arte
Grammatica; Dei ſub nu xi, ponderis, et menfuræ quantitate conſtituits quæ eft
videlicet origo et fundamentuin Libera mern, ponle- ſicut ait Salomon; Omnia in
numero, menfura, lium litterarum. re our menu- c pondere feciſti. Creatura
ſiquidem Dei ſic nu Liber autein dictus eſt à libro, id eſt, arboris Liber unde
ra ft24. micro facta cognoſcitur, quando ipfe in Evange- cortice dempto atque
liberato, ubi ante copiam dictus. Sap. 11. 21. lio ait:Veftri autem et cepilli
capitis omnes nume- chartarum Antiqui carmina deſcribebant. Scire Matth.10 jo
ratifunt. Sic creatura Dei conſtituta eſt in men- autem debemus, ſicut Varro
dicit, utilitatis ali ſura; ficut ipfe in Evangelio teſtatur: Quis an- cujus
caufà omnium artium extitiſie principia. Matth.tem veftrum cogitans poteft
adjicere ad ftaturam Ars verò dicta eft, quòd nos fuis regulisarctet Unie ars
Plal. Prov. Ca Deus on - nes creatsT45 11. 12. n. do
creat1471 dieta. Liberalium Litterarum.rints compoſuit. malis voce. our atque
conſtringat. Alii dicunt à Græcis hoc trà- Finis verò elimatæ locutionis vel scripturæ,
in ctum esse vocabuluin, amo tús agerős, id est, à culpabili placere peritia.
virtute doctrinæ, quam diferti yiri uniuſcujul Sed quamvis auctores superioruin
temporum QuideGram que bonæ rei scienriam vocant. de arte Grammatica [FILOSOFICA]
ordine diverso tractaverint, matica orne tiùs scriple Secundò DE ARTE RHETORICA,
quæ propter nito- fuisque sæculis honoris decus habuerint, ut Palæ rem ac
copiain ELOQUENTIAE suæ, maxiniè in civi- mon, Phocas, PROBO; et CENSORINOs:
nobis ta Libus quæstionibus, necessaria niinis, et hono- men placet in medium DONATO
deducere, qui rabilis æſtiinatur. et pueris specialiter aprus, et tironibus
probatur Tertiò de Logica, quæ DIALECTICA nuncupa- accomınodus, cuius gemina
coinmenta reliqui-- Gemina com tur. Hæc, quantùm Magistri sæ. ulares dicunt,
mus, u t supra quòd ipfe * planus eſt, fiat clarior menta in ar disputationibus
subtilissimis ac brevibus vera se- dupliciter explanatus. Sed et sanctum
Augufti- tes DONATO queſtrat à fallis. num propter fimplicitatem fratrum
breviter in- B. Quarto de Mathematica, quæ quatuor comstruendain, aliqua de
codem titulo scripsisse re- *MS.Sanger. plectitur diſciplinas, id eſt,
Arithmeticam,Geo- perimus, qux vobis le titanda reliquimus: ne Lasinus.
metricam, Musica in, et Astronomnicain. Qua in quid rudibus deeſſe videatur,
qui ad tantæ ſcien Che Mathe. Mathematicam LATINO ferinone doctrinalem diæ
culmina præparantur. maticado tri possumus appellare; quo nomine licet omnia
doctrinalia dicere valeamus, quæcumque docent: DONATO igitur in secundit purte
ita disceptat. hæc libi tamen commune vocabulum propter suam excellentiam
propriè vindicavit; ut Poeta De Voce Articulata. dictus, intclligitur VIRGILIO:
Orator enuntia De Littera. tus, advertitur CICERONE; quamvis multi et Poëtæ, De
Syllaba. &Oratores IN LINGUA LATINA esse doceantur; quod De Pedibus. etiam
de Homero, atque Demosthene Græcia fa De Accentibus. cunda concelebratı Dc
Pofituris, ſeu Distinctionibus. Quid fit Ma Mathematica verò est scientia, quæ
abſtra Et iterum DE PARTIBVS ORATIONIS P octo thematica? ctam conſiderat
quantitatem. Abstracta eniin De Schematibus. quantitas dicitur, quam intellectu
â materia fe De ETYMOLOGIAE parantes, vel ab aliis accidentibus, solâ ratio De
Orthographia. cinatione tractamus. Sic totius voluminis ordo Ed. ado. quasi
quodam vade promiffus est. VOX ARTICVLATA est aër percuſſus, sensibilis au-
Quid sit VOX Nunc quemadmodum pollicitafunt, per dividitu, quantum in ipso est.
ARTICVLATI. Duplex dif- fiones definitioneſque ſuas,
Domino juvante, LITTERA est pars ininima VOCIS ARTIVCLATAE. Quid Littera. cendi
genius. reddamus: quia duplex quodammodo diſcendi SYLLABA est comprehensio
litterarum vel unius Qwid Syd genus eſt quando et lincalis deſcriptio imbuit
vocalis enuntiatio, temporum capax. Ed. pol. diligenter aſpectum, et per aurium
præparatum Pes; eſt syllabarum et temporum certa dinu- Quid pes. intrat auditum.
Nec illud quoque tacebimus, meratio. quibus auctoribus tain LATINIS, Accentus,
est vicio carens vocis artificiosa pro- Quid Accen quæ dicimus, exposita
claruerunt ut; qui studio- nuntiatio. MSS.Reg. le legere voluerit, quibuſdam
compendiis in POSITVRA, ſive distinctio, est moderatæ pronun- Quid positu Sang.
competentiis. tiationis apta repausatio. troductus, lacidiùs Majorum di& ta
percipiat, PARTES autem ORATIONIS SUNT VIII. I Nomen II Pronomen III Verbuin IV
Adverbium V Participium, tionis funs VI Conjunctio VII Præpofitio VIII Interjectio.
Nomen est pars orationis cum casu, corpus Quid fis non aut rem
propriècommuniterve fignificans; pro- men. Caput. I. De
Grammatica: priè, ut Roma, Tiberis: cominuniter, ut urbs, 2. De Rhetorica.
Huvius, 3. De Dialectica; PRONOMEN eſt pars orationis, quæ pro nomi- Quid
Pronta 4. De Arithmetica: ne pofita, tantuindem pene ſignificat, perſo S. De
Muſica, namque interdum recipit. 6. De Geometria.
Verbum, eſt pars orationis cum tempore et Quid verbi. 7. De Aſtronomia: perſona
fine caſu. ADVERBVIVM eft pars orationis, quæ adjecta Quid Adverbo, SIGNIFICATIONEM
EIVS explanat atque iin- bium. pler; ut, jam faciam, vel non fáciam. INSTITUTIO
DE ARTE GRAMMATICA PARTICIPIVM est pars orationis, dicta qudd par- Quid Parti
tem capiat nominis, partemque verbi; recipit cipium. Unde Grama maticanomen
GKRammatica à litteris nomen accepit, ficuè enim ànomine genera et cafus, à
verbo tempo vocabuli ipfius derivatus sonus ostendit; ra et SIGNIFICATIONES, ab
utroque numeros et fi acceperit? quas primus omnium Cadınus ſexdecim tantum
guras. legitur inveniſſe, eaſque Græcis ſtudioſiſſimis CONJUNCTIO est pars orationis
annectens, ordi. Qyid com tradens, reliquas ipsi VIVICITATE ANIMI suppleve-
nanfque sententiam. junctio. De quarum formulis atque virtutibus, PRAEPOSITIO est
pars orationis, quæ præpofira Quid Præpo Helenus, atque Priſcianus ſubtiliter
Attico ſer- aliis partibus orationis, SIGNIFICATIONEM EARUM Juio. Quidfit Gra
mone locuti ſunt. Grammatica verò, est peritia aut inutat, aut complet,
autminuit. * MSS. Au- pulchrè loquendi ex Poëtis illuſtribus, * Orato INTERJECTIO
EST PARS ORATIONIS SIGNIFICANS MENTIS Quid inter Etoribus, ribuſque collecta.
Officium eius est fine vitio affectuin voce incondità. ječtio. dictionem
proſalem metricamque componere: Schemata, sunt transformationes fermonum Quid
Sche ba. ra. Partes ora octo. 5 $ 1 men. runt. marica? mata. B. de Inſtitutione
Quid Ortha les, vel fententiaruin, ornatus causâ policæ; quæ à dis:interdami,
ut folers,iners. quodam Arti grapho nomine Sacerdote collecta, In plurali
quoque, excepto genitivo e accusa fiunt numero nonaginta VIII: ita tamen, ut
qux rivo, omnibuscalibus similiter declinantur.Nam à DONATO inter vitia polita
ſunt, in ipso numero quædam in uin genitivo, accuſativo in es exeunt, collecta
claudantur. Quod et mihi quoque du- ut Mars, ars: quædam in ium -- ut “sapiens”,
“patiens”, ruin videtur vitia dicere, quæ auctorum exemplis, et ob hoc accusativi
eorum in eis excunt. Plera et maxiinè legis divinæ auctoritate firmantur. que
aurein ex his nomina III generibus com Hæc Grammaticis Oratoribusque cominunia
munia funt, et in licreram quam habent, neutra funt: quæ tamen in utraque parte
probabiliter in nominativo plurali dant etiam genitivis reli reperiuntur
aptata. quoruin generuin, cum quibus coinmunia sunt. Addenduin eſt etiam de
Eryinologiis, et Ortho In T littera, NEUTRA tantùm nomina quædam, graphia, de
quibus alius scripsisse certissimum est. pauca finiuntur; ut git, quod non
declinatur; Quid 'Etymo. Etymologia eſt aut vera aut veriſimilis deinon- ut
caput, ſinciput. Quidam cùm lac dicunt, loysa. ftratio, declarans ex qua
origine verba defcen- adjiciunti, propter quod facit lactis: ſed VIRGILIO
dant. Orthographia eſt rectitudo
fcribendi nullo er Lac mihi non æſtate novum, non frigore defit. graphics. rore
vitiata, quæ manum componit et linguam. quippe cùm nulla apud nos nomina in
duas mu Hæc breviter dicta fufficiant. tas exeant, et ideo veteres lacte in
nominativo Cæterùm qui ea voluerit lariùs pleniùſque co dixerant, gnoſceye, cum
præfarione ſua codicem legat, X littera terminat quædam, in quibus omnia quem
noſtra curiolitate formavimus, id eſt, Ar- communia in iuin cxeunt in genitivo
plurali; ob tem DONATO, cui de Orthographia librum, et hoc. accuſativo in i et s.
Plurima verò genitivo alium de Etymologiis inferuimus, quartum quo- in u et in,
non præcurrente i, et ob hoc in e et s que de Schematibus Sacerdotis
adjunximus;qua- accuſativo exeunt; nam in reliquis conſentiunt. tenus diligens
lector in uno codice reperire pof- Ut pote cùın ſingulariter omnia nominativa
et ſit, quodarti Gramınaticæ deputatum effe co vocativa habeant genitivum ini
et s, agant da gnoſcit. tivum in i littera: ablativum in e vel i definiant,
Nomen da Sed quia continentia magis artis Grammaticæ adjectáque m accuſativum
definiant impleánt verbum tant dicta eft, curaviinus aliqua denominis verbique
que: pluraliter verò dativum ablativúmque in partes adje regulis pro parte
ſubjicere, quas rectè tantùm bus fyllaba finiunt. muis Ariſtote. Ariſtoteles
orationis partes adferuit. Nam de cæteris, quibus diſident Veteres, qui dam
atrocum et ferocum, qua ratione omnium x DE NOMINIBUS. littera finitorun una
ſpecies videbitur. Huic x litreræ omnes vocales præferuntur; ut capax, fru
Nominis partes ſunt. tex, pernix, atrox, redux. Ex iis nominibus quædam in
nominativo producuntur, quædain Qualitas, mocomm. corripiuntur: quædam
conſentiunt in noininati Comparatio, ouynpisisa vo, in obliquis diſſentiunr.
Pax enim, et rapax, Genus, item rex et pumex, item nux et lux, etiam pri
Numerus, água uo'so mam poſitionem variant ad nix et nutrix. Item Figura,
oxaudio nox et atrox ſic in prima politioneconſentiunt, Caſus, T @ SIS.
urdiſcrepentper obliquos. Et illud animadvertendum eſt, quædam ex iis x
Pronominis partes: litteram in g, quædam in c per declinationes compellere. Lex
enimlegis, grex gregis facit, Qualitas ut pix picis, nux nucis. Nain in his
quæ non ſunt Genus. monoysllaba, nunquam non “x” littera genitivo i Numerus. “c”
convertitur – ut: “frutex” “fruticis”; “ferox” > “ferocis”. Figura. Supellex
autem, e ſenex, et nix, privilegio quo Persona. dam contra rationem declinantur:
quoniam ſu CASVS. pellex duabus ſyllabis creſcit, quod vetat ratio; et fenex ut
in nominativo itein genitivo diffyllabus Græca nomina, quæ apud nos in us; ut,
manet, cùm omnia x litterâ terminata creſcant. vulgus, pelagus, virus, Lucretius
viri dicit; Et nix nec in cconvertitur, ut pix: nec in gut quamquam rectiùs
inflexum maneat. Secundæ rex: sed in u conſonans, in vocalem tranſire non
ſpecies funt, quæ PER OBLIQVOS CASVS creſcunt, et poſſit. genitivo ſingulari in
is litteras exeunt; ut, genus, In plurali autem genitivo, ablativus singularis
nemus: ex quibus quædam uine mutant; ut olus formas vertit. Nam in a auto
terminatus, in rum oleris, ulcus ulceris: quædam in o, ut nemus exit; e
correpta in um:producta, in rum: iter neinoris, pecus pecoris. In dubitationem ve- minatus in uin. Dativus et ablativus pluralis a.
niunt fænus et ftercus in e, an in o inutent: in is exeunt et in bus. Quæ
præcepra in scholis quoniam quæ in nus syllabam finiunt, u in e mu- ſunt
tritiora: sed quotiens in is exeunt, longa tant; ut, vulnus, scelus, funus, et funeratos
syllaba terminantur: quotiesin bus, brevi. De dicimus. Fænusenim exemplo non
debet noce- curlis nominum regulis, æquuin eſt confequenter re, cùin inter
dubia genera ponatur. Item vete- adjicere canones verborum primæ conjugatio res
ſtercoratos agros dicebant, non ſterceratos. nis. In S littera finita nomina,
præcurrentibus n vel r, omnia ſunt uniusgeneris: nili quæ ante ſe t habent,
interdun d recipiunt, ut ſocors ſocor DE De Grammatica. 561: Tempus zeovc. DE V
ER BIS. ſyllaba, manente productione terminantur; ut Commeo, commea, commeavi:
Lanio, lania, Partes verbi funt. laniavi: Satio, fatia, fatiavi. Eodem modo,
codem tempore, fpecie inchoativa,adjectâ ad im Qualitas, perativum modum in bam
fyllaba terininantur; CONUUGATIO. ut cominea commeabain, lania laniabam, æſtua
Genus. æſtuabain. Prima
conjugatione, codem modo, Numerus. eodem tempore, specie recordativa, adjectis
ad Figura. IMPERATIVM MODVM veram ſyllabis, terminan Tempus. tur partes: ut
Commea commeaveram, lania, la Persona. 'niaveram, æſtua æſtuaveram. Priina
conjuga tione, codem modo, tempore futuro, adjecta Qualitas Verbi. ad
imperatiuum modun bo fyllaba, terminan rur --- ut “cominea” commeabo, lania
laniabo, æſtua Modi, # ſtuabo. Indicativi, ogesich. Quæveròindicativo modò,
tempore præſen Imperativi, προσακτική. tì, ad primam perfonam in o littera,
nulla alia OPTATIVI, ευκτική. præcedente vocali terminantur, ea indicativo
Conjunctivi, útotaxix. modo, tempore præterito, ſpecie abſoluta 80 Infinitivi,
atrapéu pet exacta, quatuor modis proferuntur. Et eſt primus, qui lunilem
regulam his babet. Genus Verbre Qui indicativo modo, tempore præſenti, prima
perſona penultiinam vocalem habet: ut Amo, Adiva, švępyutix.. ama, amavi,
amabam, amaveram, amabo, Pafliva, mee.Jotus amare, Communia, rond. Secundus eft,
qui o ini convertit ultimam in præterito perfecto,penultimam in pluſquàm per
fecto e corripit; ut Adjuvo, adjuvi, adjuveram. Tertius, qui fimilem quidem
regulaın habet Præſens, évesa's. primi modi, ſed detracta a littera deliungit;
ut Præteritum; ta zenauges Seco, ſecavi, ſecaveram, ſecabo, ſecare. Facit Futurun, uitwr. enim ſpecie abſoluta ſecui, et exacta ſecueram.
Imperfcerum, megatinad's. Quartus eſt, qui per geininationein fyllabae
Perfectum, Tee XÉCU. profertur; ut Sto, ſtá, kteci, fteterain, itabo Pluſquain
perfectam, impon TEARO'S. ftare. Huic ſimile Do, da, dedi, dabáin, dede
Infinitum; mogises. ram, dabo, dare, correpta littera a contra re-, gulain, in
eo quod eſt, dabam, dabo, dare. Proferuntur fecunda conjugationis verba, dente
vocali terminantur, vel præcante quæ indicativo modo, teinpore præſenti, perſo
vocali qualibet, formas habet quatuor. na prima, in eo litteris terminantur; ut
Video, Secundæ conjugationis correpræ verba verba,, for- vides vides; monco
monc mones. Secundæ conjugatio mas habent viginti. Sic quæcumque verba indi-
nis verba, indicativomodo, teinpore præſenti, cativo modo, tempore præfenti,
perſona primà, ad ſecundanı perſonam iu e littera producta,ter in o littera
terminantur, forinas habentſex,quæ ininantur; ut Video, vide; moneo, mone. Se
voces forınas habent duas. Quæ nulla præceden- cundæ conjugationis verba,
infinito inodo, ad te vocali in o littera terminantur, formas habent je et ta
ad imperativum modum re fyllaba, manen duodecim. te productione terminantur; ut
Vide, videre; Tertiæ conjugationis productæ verba, qua mone, monere. Secundæ
conjugationis verba, indicativo modo, tempore præſenti, perſona indicativo
modo, tempore præterito, {pecie ab prima in o littera terminantur, formas
habent ſoluta et exacta, ſeptem modis declinantur; et quinque. Quæcumque autem
verba cujuſcum- eft primus, qui forinain regulæ oſtendit.Nam for que
conjugationis indicativo modo, temporė mahæc eſt;cùm fecundæ conjugationis
verbum, præſenti, perfona prima, vel nulla præc dente
indicativomodo,temporepræterito quidem per vocali, vel qualibet alia præcedente,
in o littera fecto, adjecta ad iinpecalivun modum vi fyllaba, *terminantur,
corum declinatio hoc numero for- manente produđione. marum continetur. De
quibus fingulis dicam. Primæ conjugationis verba indicativo modo, tempore
præſenti, perſona prima, aut in o litte: ra nulla alia præcedente vocali
terminantur, ut DE ARTE RHETORICA, Canto io ut lanio,,. Rrium aliæ ſuntpofitæ
in Artes in tres Primæ conjugationis verba iinperativo modo, temporepræſenti ad
ſecundam perſonain in a lit- lis eſt Aſtrologia: nullum exigens actum, ſed ipſo
duntur. tera producta terminantur;ut amo, ama: canto, rei, cujus ſtudium habet,
intellectu contenta, canta: infinito modo ad imperatiuum modum, quæ Geargintzün
vocatur. Alia in agendo, cujus in in re fyllaba,manente productione terminantur;
hoc finis eſt, ut ipſo actu perficiatur, nihilque ut aina, amare: canta,
cantare. Item prima con- poſt actum operisrelinquat, quæ peakmix dici jugatio,
quæindicativo modo, tempore præte- tur, qualis ſaltatio eſt.Alia in effectu,quæ
operis, rito, ſpecie abſoluta, adjectâ ad imperatiuun yi quod oculis fubiicitur
confummatione, finein Bbbb V. ib, uclanio,fatio:autuo,uræſtuo,continuo A
evognizione peltimatione rerum,quas partes divina B. ea 1 tor. Etanda, accipiunt, quam nontoxù
appellamus, qualis eſt cauſam, locum, tempus, inftramentum, occa pictura.
fionemnarratione delibabiinus. Multæ ſæpe in Orationis duo Duo funt Genera
orationis: altera pespetua, una cauſa ſunt narrationes. Non femper co ordi
fuigenera. quæ Rhetorica dicitur: alteraconciſa, quæ Dia- ne narrandum, quo res
geſta eſt. Enthumous fit tectica; quas quidem Zeno adeo conjunxit, ut ad
augmentum vel invidiæ, vel miſerationis, vel hanc compreſlæ in pugnum manus,
illam expli- in adverfis. Initium narrationis à perſona fier, et catæ fimilean
dixerit. ſi noſtra elt, ornetur: fi aliena, infametur. Et Initiam di Initia
dicendidedit natura: initium artis ob- hæc cum ſuis accidentibus ponitur. Finis
narra cendi dedit fervatio. Homines enim ficur in Medicina, cum tionis fit,
cùın eò perducitur expofitio, unde natura,ini- viderent alia falubrià, alia
inſalubria ex obſerva- quæſtio oriatur. sium artis ob. tione eoruin effccerunt
arrein. feruatio. Facultas orandi confunmatur naturâ, arte, De Egreſionibus
Pacultas orandi tribus exercitatione; cui partein quartam adjiciunt qui
cofummatur. dam imitationem, quam nosarti ſubjicimus. Egreſſus eſt, vel
egrelfio, hoc eſt, méx6a95, Tria debet Tria funt quæ præltare debet Orator; ut
do- cum intermiffà parum re propofitâ, quiddain in præftare Ora- ceat, moveat,
delecter. Hæc enim clarior divi- terſeritur delectationis utilitatiſve gratiâ.
Sed fio eft, quàm eorum qui totum opus:in res, et ir hæ ſunt plures, quiæ
pertotam cauſam varios ex affectus partiuntur, curſus habent; ut laus hoininum
locorumque; Invadendo In fuadendo ac diſſuadendo rrja primùm fpe- ut defcriptio
regionum, expoſitio quarundam fodiſficaden- ctanda ſunt; quid ſit de quo
deliberetur: qui lint rerum geſtarum, vel etiam fabulofarum. do triape- qui
deliberent: quis ſit quifuadeat rem, dequa Sed indignatio, miſeratio, invidia,
convi elintpar. deliberatur. Omnisdeliberatio de dubiis fit. Partium, excuſario,
conciliatio, maledictorum re "tes fuadendi. tes ſuadendi ſunt honeftum,
utile, neceſſarium. futatio, et fimilia:omnis amplificatio, minutio, Quidam, ut
Quintilianus, furetor; hoc eſt,pofli- omnis affectus, genusdeluxuria, de
avaritia, re bile, approbat. ligione, officiis cuin ſuis argumentis ſubjecta ſi
milium rerum, quia cohærent, egredi non viden Ware Procemiam à Græcis dicitur.
tur. Areopagitæ damnaverunt puerum, corni cum oculos eruentem; qui putantur
nihil aliud Clarè partem hanc ante ingreffum rei, de qua judicaffe, quàm id
lignum effe pernicioſiflima diccndum fit,oftendunt.Nain livepropterea quod
mentis, multiſque malo futuræ li adoleviſſet. brun cantus elt, et Citharædi
pauca illa, quæ an tequam legitimum certamen inchoent, emerendi De Credibilibus
favoris gratia canunt, Proæmium cognomina runt. Oratores quoque ea, quæ
priuſquam cau Credibilium tria funt genera: ünum Grmiſti- Tria ſunt ore. fain
exordiantur, ad conciliandos libi judicun muni, quia ferè ſemper accidit; ut,
liberos à pa aninospræloquuntur, Procinii appellationc fi- rentibus amari.
gnarunt. Sive quod Græci viam appellant Alterum velut propenſius, eum qui rectè
va id, quod ante ingrekun reiponitur, fic vocari leat, in craſtinum perventurum.
Dikfit Proa- eft inſtituruin. Caufa Proæmii hæc eſt, ut audiro Tertium tantum
non repugnans; ab eo in dong mii carla. rem, quò fit nobis in cæteris
partibusaccommo- furtum factum, qui domui fuit. datior, præparemus. Id fit
tribus modis, li be nevolum, atrencum, docilemque feceris; et in Argumenta unde
ducantur. reliquis partibus haud minus, præcipuè tamen in initiis neceſſe eſt
animos judicum præparare. Ducuntur argumenta à perſonis, cauſis, tem pore;
cujus tres partes ſunt, præcedens, conjun Quid differt Proæmium ab Epilogo.
ctum, inſequens. Si agimus, noſtra confirmana da ſunt priùs; tum ea, quæ
noftris opponuntur, Quidam putarunt quòd inPræmio præterita, refutanda. Si
reſpondemus; ſæpiùs incipiendum in Epilogo fucura dicantur. Quintilianus autem
à refutatione. Locuples et fpeciofa &imperio co quod in ingreffu parciùs et
modeſtiùs præten- ſa vult eſſe Eloquentia. tanda ſit judicis miſericordia: in
Epilogo verò licear toros effundere affectus, et ficam oratio De Concluſione
nem induere perſonis, et defunctos excitare, et pignora reorum perducere, quæ
minus in Concluſio,quæ peroratio dicitur, duplicem has concluſodomen proæmiis
ſunt uſitata. bet rationem; ponitur enim autin rebus, aut in plicem habet
affectibus rerum, repetitio et congregatio, que rationem. De Narratione. Græcè
ávax!IO HAURIS dicitur, à quibufdam La tinorum renumeratio dicitur, et memoriam
au Narratio aut torà pro nobis eſt, aut cora pro ditoris reficit, et totam
ſimul cauſam ponit an adverſariis, aut mixta ex utriſque. Si erit tota te
oculos; ut etiam ſi per ſingulos minus vale pro nobis, contenti ſimus his
tribus partibus, bant, turbâ moveantur: ita tamen ut breviret uc judex
intelligat, meminerit, credat, nec quic eorum capita curlimque tangantur. Sed
tunc fita quan reprehenſione dignum pPomba. ubi inultæ caufæ, vel
quæſtionesinferuntur; nam Notandum, ut quoties exitus rei ſatis oſtendit fi
brevis et fimplex eſt, noneft neceffaria. priora, debemus hoc eſſe contenti,
quò reliqua intelliguntur; fatius eſt narrationi aliquot fuper De Affectibus:
eſſe, quàm deeffe; nain ſupervacua cum rædio dicuntur: neceſſaria cum periculo
ſubtrahuntur. Affectuum duæ funt ſpecies, quas Græci affectuur Quæ probacione
tractaturi ſumus, perſonain, aj mrásos vocant, hoc eit, quafimores et affe- dua
ſung species, dibilium gito nera. 1 1 De Rhetoricà. Te. ventio. tio. tio. 114.
us concitatos } et Teses quidem affectus con- et quæſtionem.Cauſa eft res,quæ
habet in ſe con citatos: " Jos veròmites atque compofiros; in il-
troverſiam in dicendo politam, perſonarum cer lis vehementesmotus, in his
lenes: et resos qui- tarum interpoſitione: quæſtio autem,eft res, quæ
demimperat, its perſuadet; hi ad perturbatio- habet in ſe controverſiam in
dicendo polítam, nem, illi ad benevolentiam prævalent. Et eſt line certarum
perfonarum interpofitione. Frágos temporale, ndos verò perpetuum; utra que ex
eadem natura: fed illud majus, hoc minus, ut amor esos, charitas » Sus; tados
con citat, isos fedat. Partes Rhetoricæ funt quinque. In
adverſos plus valet invidia,quàm convitium: quia invidia adverſarios,
convitiuin nos inviſos Inventio. facit. Nam ſunt quædam, quæfi ab imprudenti
Diſpoſitio. bus excidant, ſtulta ſant; cum ſimulamus, venuſta Elocurio Orator
vitio creduntur. Bonus altercator vitio iracundiæ ca Meinoria, iracundiæ ca-
reat; nullus enim rationi magis obftat affectus, et Pronuntiatio. reat; et qua-
fertextra cauſamplerumque, et defornia convi tia facere ac mereri cogit, et nonnunquam
in ipſos Inventio eft ex cogitatio rerum verarum aut ve. Quid fitta judices
incitatur; quoniam ſententiæ, verba, fi- riſinilium,quæ cauſam probabilem
reddunt. guræ, coloreſque funt occultiores quæſtiones in Difpofitio eft rerum
inventarun in ordinem Quid Diſposa genio, cura, exercitatione. pulchra
diftributio. Conjectura omnis, aut de re eſt, autde animo. Elocutio eft
idoneoruin verborum ad inventio Onid Eloc14 Utriuſque tria teinpora ſunt,
præteritum, pre- nein accommodata perceptio. ſens, &futuruin. De re et generales
quæſtiones Memoria eſt firma aniini rerum ac verborum funt, et definitæ; id
eft, et quæ non continentur, ad inventionem perceptio. Quid Memo perſonis, et quæ
continentúr. De animo quæri Pronuntiatio eſt ex rerun et verborum dignita non
poteſt, niſi ubi perſona eſt; et de facto, cùm te, vocis &corporis decora
moderatio. Quid Proing nuntiatio. de re agitur, aut quid factum ſit
in dubium venit, aut quid fiat, aut quid futurum ſit, et reliqua fi De
Generibus caufarum. unilia, De Amphibologia. Genera cauſarum Rhetoricæ ſunt
tria princi- General Cares palia. Demonſtrativum, Deliberativum, Judi- Jarum
Rheto Innsetabia Amphibologiæ ſpecies ſunt innumerabiles, ciale: Ticefunttrica
les lient Am. adeò ut FILOSOFI quidam putent nullum effé Demonſtrativum et In
laude phibologia verbum, quod non plura ſignificet genera, aut oftentativum
species admodum pauca; aut enim vocibus fingulis ac- Eyxaurasino's In
vituperatione cidiper ópw rupaar aut conjunctis per ainbiguani Emdeuxtixò,
conſtructionem, Quando fiat Vitiofa oratio fit, cùm inter duo nominamè-
Deliberativum et ſua In ſuaſione. vitioſa oratio dium verbum ponitur. forium
dicitur De oppofitio Oppoſitiones et fi contrariæ non ſint, ſed dif-
EupBBAEUTIKON In diſſualione niben. fimiles: verumtamen li fuain figuram
ſeryant, ſuntnihilomimus antitheta.. r In accuſatione, et de Naturalis quæitio
eſt, quæ eſt temporalis;fic Judiciale fenſione cut cúm que ſunt per ordines
temporum acta, acercón marrantur. Nunc ad artis Rhetoricæ diviſiones În præmii
penſione, et definitionofque veniamus; quæ ficut extenſa at negatione que
copiofa cft; ita à multis &claris ſcriptoribus tractata dilatatur,
Demonſtrativum genus eſt, cùm aliquid de- Quid fit De monſtramus, in quo eſt
laus et vituperatio,hoc monftrativi Onidfit Rhetorica eſt, quando per
hujuſinodidefcriptionem oſten- genus. dituraliquis, atque cognoſcirur; ut
pſalınús Rhetorica Rhetorica dicitur à copia deductæ locutio-. et alia vel loca
vel pſalmi plurimi,ut:Domine unde dicta. 'nis influere. Ars autein Rhetorica
elt, fi- in calo miſericordia tua, &uſque adnubesveria cur magiſtri tradunt
fæculariuin Litterarum, tas tua. Iuſtitia tua ficutmontesDei, et reliqua. bene
dicendi ſcientia in civilibus quæſtionibus. Deliberativum genus elt, in quo eſt
ſualio de. Quid Delią Quid fit Ora Orator igitur eſt vir bonus, dicendi
peritus, ut diſſualio, hoc eft quid appetere, quid fugere, berativos. zor, ju
offi- dictum eſt in civilibus quæſtionibus. Oratoris quiddocere, quid prohibere
debeamus, citum,erfinis. autem officium eſt, appolitè dicere ad perſuaden
Judiciale genus elt, in quo eſtaccuſatio et de Quid Fudia ciale. dum. Finis,
perſuadere dictione, quatenus rex fenſio, vel præmii penſio et negatio. ruin et
perſonarum conditio videtur admittere in civilibus quæſtionibus: unde nunc
aliqua bre De Statibus. viter aſſumemus, ut nonnullis partibus indicatis, penè
totiusartis ipſius ſumınam virtutemque in Status Græcè ça'os. Status cauſarum ſunt año Status caufae telligere debeamus. rationales, aut
legales. Status verò dicitur ea bacionales, rum åut ſuns Civiles quæſtiones
ſunt ſecundum Fortuna viles quaftio- tianum Artigraphum novelluin, quæ in com;
a Hæ funt quæſtiones an huic, an cumhoc, an học Quid fit firas ant legales, nes,
et quo modo divi munem animi conceptionem poffunt cadere; id seinpore, an hac
lege,an apud ipſum. Quidquidpræter van duntur. iſtas quinque partes in oratione
dicitur; egreſſio eſt. eſt, quâ unuſquiſque poteftintelligere, cùm de Hæc nagex
aois, quoniam à reco dicendi itinere defc. æquo quæritur et bono. Dividuntur
in cauſam,: &itur quælibet inſerendo. Bbbb ij Quid fine ci B. Quidfit con
Um. res, in qua cauſa conſiſtit. Fit autem ex intentio ne et depulfione, vel
conftitutione. ab alio objicitur, ab adverſario pernegatur, Statum alii vocant
conftitutionem, alii qua 2. Finitivus ſtatus cſt, cùm id quod objicitur,
jocuralis fia. {tionen, alii quod ex quæſtione appareat. non hoc efle
contendimus: fed quid illud lit, ad hibitis definitionibus approbamus. Quid
fam.si Status rationales ſecun Conje et ura. 3. Qualitas eft, cùm qualis res
lit, quæritur; dum generales quæſtio Finis. et quia de vi et genere negotii
controverſia elt, nes ſunt quatuor. Qualitas. conſtitutio generalis vocatur.
Tranſlatio. 1. Conjecturalis ſtatus eft, cùın factum, quod Imprudentia (Purgatio
Caſus. Concellio Juridicialis Absoluta Aut causæ, Nixologian Remotio Aur facti.
3 criminis Negotialis aitam Cui juftè in aliocom generalis Relatio mittitur,
quia et ifle in GegyueTiku priva criminis te fæpius commifin Αντίγκλημα..
Deprecatio Necessitas. Qualitas Comparatio Squando melius id Αντίστασης. factum
peragitur. 1 ſunt quinque ! с 12. 1 1 in Pſal. paz. ratio, Juridicialis eft, in
qua æqui &re &ti natura, Questas Ju. ſ Scriptum& voluntas.
riuscialis præmii et pænæ ratio quæritur. Porov ij dienoido Quid Nego
Negotialis eſt, in qua, quid juris ex civili mo Sätus Legales Leges contrariæ,
tizivs. re et æquitate lit, confideratur. Ambiguitas. Αμφιβολία. Quid Abfo luta.
Abſoluta eft, quæ ipfo in ſe continet juris et Collectio, live Raciocinatio.
injuriæ quæſtionem. Συλλογισμός purua Raid Allium. 'Affumptiva eſt, quæ ipfa
exſe nihil dat firmi, Definitio Legalisa. aut recuſationem foris, aut aliquid
defenfionis aſſumit. Scriptum et voluntas eſt, quando verba ipſa quid.fcripti
Quid con Conceſſio eſt, cum reus non id quod factum eſt, videntur cum sententia
ſcriptoris dillidere. et voluniss. defendit: fed, ut ignofcatur, poftulat; quod
nos Legis contrariæ ſtatus eſt, quando inter fe duz Quid legis Comment. ad
pænitentes* probavimus pertinere. leges, aut pluresdiſcrepare videntur.
contrarieta Remotio criminis eft, cùm id crimen quod in Ambiguitas eſt, cùm id
quod fcriptum eſt, tus, 169.1.09103. ferrur ab fe &ab ſua culpa, vi et poteftate
in duas auc plures res ſignificare videtur. Quid Ambi aligin reus dimovere
conatur. guitas. Collectio Quid Remo, quæ et Ratiocinatio nuncupatur, Quid
Colle tio criminis. Relatio criminis eſt, cùm ideo jure factum di- eſt quando
ex eo quod fcriptum eſt, invenitur, ft:0. Quid Relatio citur, quod aliquis ante
injuriam laceſſierit., Definitio legalis eſt, cum vis verbi quaſi de criminis.
erid Defini Comparatio eft, cùm aliud aliquod alterius finitivâ conſtitutione,
in qua pofita fit, quz- tio legalis. Quil Compa. factum honeſtum aut utile
contenditur, quod, ricur. ut fieret illud quod arguitur, dicitur eſſe com
Status ergo tam rationales quam legales à Statusà qui iniffum. quibuſdam decein
et octo connumerati ſunt. bullam 18. 2 Quid Purga Purgatio cft, cùm factum
quidem conceditur, Cæterum ſecundum Rhetoricos Tullii decem et Tullio verò bes
partenha- fedculparemovetur. Hæc partes habertres,Im- novem inveniuntur,
propterea qudd Tranſlatio- 19.numeran prudentiam, caſum, neceſſitatem.
Impruden- nem interRationales principaliter adfixit ftatus. tia eft, cùin
fciſfe fe aliquid is qui arguitur,negat. Unde feipfum eciam CICERONE (ſicut
ſuperiùs di Casus eſt, cum demonſtratur aliquam fortune &tum eſt )
reprehendens, Tranſlationem Legalia vim obſtitiffe voluntati. Neceſſitas eſt,
cùm vi bus ftatibus applicavit. quadam reus id quod fecerit, feciſſe ſe
dixerit. Quid ft De precatio. Deprecatio eſt, cùm et peccaffe, et conſultò De
Controverfia. peccaſſe reus conficetur; et tamen, ut ignoſca Quid Trans-
tur,poftulat.Quodgenus perraro poteft accidere. Omnis controverſia, ſicut ait CICERONE,
aut fim- Controverfis ex CICERONE lario. 4. Tranſlatio dicitur, cùm caufa ex eo
pendet, plex eſt, aut juncta, aut ex comparatione. triplex eft. cùm non aut is
agere videtur, quem oportet: aut Simplex eſt, quæabſolutam continet unam Quid
fit com non cum eo, quioportet: aut non apud quos, quo quæſtionem, hoc modo:
Corinthiis bellum indi- jeftura fim tempore, qua lege, quo crimine, qua pæna
cenus, án non. plex. oporteat. Tranſlationi adjicitur Conſtitutio, Juncta, eſt
ex pluribus quæſtionibus, in quòd actio tranſlationis &commutationis indi-
plura quæruntur hocpacto:Carthagodiruatur: Quid juncts. an Carthaginienſibus
reddatur, an eocolonia de Ubi adverſariis omnia conceduntur, et per colas
ducatur. lacrymas lupplices defenditur reus. Ex comparatione, utrum potius, an
quod po- Quid ex com paratione, a Et ſi juncta erit conſiderandum erit, utrum
ex plu ribus quæftionibus juncta fit, an ex aliqua cóparatione. tur. H: gere
videtur. 1 De Rhethorica. 565 > Exorarum. rario, t11.0. tiſſimum quæritur ad
hunc modum: utrum exer Exordium, eft oratio animum auditoris ido Quit fis
cituscontra Philippum in Macedoniam mittatur, neè comparans ad reliquam
dictionem. qui ſociis fit auxilio: an teneatur in Italia; ut Narratio, eft
reruin geftarum, aut at geſta- Quid Nar quàmmaximæ contra Annibalem copiæ fint.
rum expoſitio. Partitio eft, quæ fi re &tè habita fuerit, illu- Quid Per,
ftrem &perfpicaam roram efficit orationem. Confirmatio eft, per quam
argumentando no- Qrid Confir Genera cauſarumfunt quinque. ftræ caufæ fidem, et authoritatem,
et firinamen- mario. tum adjungit oratio. Honeſtum. Reprehenfio eft per quam
argumentando ad- Quid Repre Admirabile. verſariorum confirmatio diluitur, aut
elevarur. henfio. Humile. Concluſio eſt exitus et determinatio totius exid con
Anceps. orationis, ubi interdum et Epilogorum allegatio cnfio. Obſcurum.
flebilis adhibetur. Hæc licer Cicero Latinæ eloquentiæ Lumen Duos libros Quid
honefti Honeſtum caufæ genus eft, cui ſtatim fine ora- eximium, per varia
volumina copiosè ninis et de Rethorica cauſæ genus. tione noftra favet
auditoris aniinus. Admirabile diligenter effuderit, et in arte Rhetorica duobus
compoſuit ci Admirabile, à quo quod eft pre eft alienatus animus eorum, libris
videatur amplexus; quorumCoinmenta à cero, quos M. VITTORINO ter opinio- qui
audituri ſunt. VITTORINO composita, in Bibliotheca mea commentatus num hominü
Humile eft, quod negligitur ab auditore ', et vobis reliquiffecognoſcor. eft.
conftitutum. nonmagnopere attendendum videtur. Quintilianus etiain Doctor egregius, qui poſt Quintiliansis Quid Admi.
rabile. Anceps in quo aut judicatio dubia eft, aut Auvios Tullianos
fingulariter valuit implere quæ Doctor egre Quid Humile cauſa &honeſtatis
et turpitudinis particeps, ut docuit, virum bonum dicendi peritum à priinâ gius
in Rhe. Qivid Anceps benevolentiam pariật, &offenfionem. ætate fuſcipiens,
per cunctas artes, ac diſcipli- sorica doceka Puid'obfcs Obſcurum, in quo aut
tardi auditores funt,aut nas nobiliuin litterarum erudiendum eſſe mon
difficilioribus ad cognoſcendum negotiis cauſam ftravit. Libros autein duos CICERONE,
de arte implicata eft. Rhetorica, et Quintiliani duodeciin inſtitutio num !
judicavimus eſſe jungendos; ut nec codi cis'excrefceret magnitudo, et utrique
duin ne ceffarii fuerint, parati feinper occurrant. Partes orationis Rhetoricæ
funt fex. Fortunatianum verò Doctorem novellum, Fortunatik. qui
tribusvoluninibus de hac re ſubtiliter minu- nustria ro Exordium. tèque
tractavit; in pugillari codice Rhetorica Narratio. congruenterquc redegimus; ut
&faſtidiuin lecto confecis. Partitio. ri tollat, &quæ
ſuntneceffaria competenter in Confirmatio. ' finuet. Hunc legat qui brevitatis
amator eft, Reprehenfio. nam cum opus ſuum in multos libros non teten Concluſio,
five derit: plurima tamen acutiffimâ ratiocinatione Peroratio. diſſeruit.Quos
codices cum præfatione ſua in uno corpore reperietis eſſe collectos. da. tim
lumina de aptè lorfitan, Rhetorica Argumentatio fit. Illatio quæ r Propoſitio |
Aut per Inductio- ! nem cujusmembra &Affumptio funt hæc. dicitur. Concluſio
ina tayo Rhetorica Argu mentatio tracta tur. rEvdúcemus.Talo PEYSúumps, eſt
commentum, Convincibili. vel commentio ', hoc eſt | Oſtentabili. mentis
conceptio.Sententiabili. Exemplabili. Txer Suunne, qui eft imper- iCollectitio.
fectus fyllogylinus, atque Rethoricus, ficut Fortuna tianus dicit, in generibus
i explicatur. azódseçu eſt cer ta quædam argu menti concluſio vel ex confe
quentibus, vel repugnantibus. Aut perRatiocina tionem de Argu mentis, in quo no
mine complectun Atodict. tur, quæ Græci di cunt. Emxelamud too s Emreignus, eft
fententia cum fatione, Latinè dicitur Exe čutio, vel Approbatio, vel Argumentum
11.apemrbiem uc verò, qui eſt Aut Tripertitus. Rhetoricus et latior fyllogyf: 3
AutQuadripercitus. Aut quinquepertitus. | mus eft. B. Unde Argu titus. ductio.
Mem2. cit. mêtatiodista. Argumentatio dicta eſt quaſi argutæ mentis rici
ſyllogiſmi, latitudinediſtanz& productione oratio. fermonis à dialecticis
fyllogiſmis, propter quod Quidfit Ar Argumentatio eſt enim oratio ipſa, qua
inven- Rhetoribus datur. gumentatio. tum probabiliter exequimur argumentum.
Tripertitus, epichirematicus fyllogiſmus eſt; Quid Triper Quid fit In Inductio
eft oratio,qua rebusnon dubiis capra- qui conſtat inembris tribus: id eft,
propoſitione, mus aſſenſionein ejus, cum quo inſtituta eſt,live aſſumptione,
concluſione. inter FILOSOFI, ſive interRhetores, five inter Quadripertitus eſt,
qui conſtatmembris qua- Quid Quz Seriocinantes. tuor: propoſitione,
affumptione, et una propo- dripernicus. Quid Probo Propoſitio inductionis eſt,quæ
fimilitudines fitionis live afſuinptionis conjuncta probatione, fitio.
concedendæ rei unius inducit, aut plurimaruin. et conclufione. Quid illatio.
Illatioinductioniseft, quæ et affumptio dicitur, Quinquepertitus eſt,qui
conſtat membris quin- Que de Marine quæ rem dequa contenditur, et cujus cauſa
ſimi- que:id eft,propoſitione,& probatione, aſſum- quepertiim, litudines
adhibitæ ſunt introducit. ptione, et ejus probatione, et concluſione. Quid con
Concluſio inductionis eſt, quæ aut conceſſio. Hunc CICERONE ita facit in arte
Rhetorica: Si de clulo. nem illationis confirmat, aut quid ex ea confi-
liberatio et deinonſtratio genera ſunt cauſarum, ciatur, oftendit. non poffunt
rectè partes alicujus generis cauſa Qwid Ratio Ratiocinatio eft oratio, quâid
de quo eft quæ- putari. Eadem enim res, alii genus, alii pars effc cinatio.
ítio comprobamus. poteft: idem genus, et pars effe non poteſt, vel Quid Enthy
Enthymema igitur eſt, quod Latinè interpreta- cætera; quoufque fyllogiſini
hujus meinbra clau cur mentis conceptio, quam imperfectum fyllo- dantur. Sed
videro quantum in aliis partibus giſmum ſolent Artigraphi nuncupare. Nam in
lecter ſuum exercere poſſit ingenium. duabus partibus hæc argumentiforma
conſiſtit: Memoratus aurein Fortunatianus in tertio libro quando id quod ad
fidein pertinet faciendam, meminit de oratoris memoria, de pronuntiatio utitur
fyllogiſmorum lege præterita; ut eſt illud: ne, et voce, unde tainen Monachus
cum aliqua Si tempeſtas vitanda eſt, non eft igitur navigan- utilitate
diſcedit: quando ad ſuas partes non im dum. Exſola enim propoſitione et conclufione
probè videtur attrahere, quod illi ad exercendas conítat effe perfectum: unde
magis oratoribus, controverſias utiliter aptaverunt. Memoriam { i quàm
dialecticis convenire judicatum eſt. De quidem lectionis divinæ re cognita
cautela ſerva dialecticis autem ſyllogiſinisſuo loco dicemus. bit, cùm in
ſupradicto libro ejus vim qualitatém Quid con Convincibile eft,quod evidenti
ratione * con- que cognoverit: artem verò pronuntiationis in*AIS.convin. vincitur;ſicut
fecit CICERONE pro Milone. Ejusigi- divinæ legis effatione concipiet. Vocis
autem di tur mortis ſedetis ultores, cujus vitain, li * pPombais ligentiam in
pſalmodiæ decantatione cuſtodiet. * Ed. poſetis. per vosreſtitui poſſe,
noletis. Sic inſtructus in opere ſancto redditur, quamvis Quid Ofien
Oſtentabile eft, quod certa reidemonſtratione libris ſæcularibus occupetur.
rabile. conſtringit; ſic CICERONE in Catilinam: Hic ramen Nunc ad Logicam, quæ
et DIALECTICA dicitur, vivit, imò etiam in Senatuin venit. ſequenti ordine
veniamus, quam quidam diſci Quid Senten tiabile. Sententiale est, quod SENTENTIA
generalis addi- plinain, quidam artem appellare maluerunt, di cit; ut apud
Terentiun: Obſequium amicos,ve centes: quando apodicticis,id eſt, probabili
ritas odium parit. bus diſputationibus aliquid diſſerit, diſciplina Quid Exem
plabile. Exemplabile elt, quod alicujus exempli com- debeat nuncupari: quando
verò aliquid verilimi M. G. ini. paratione eventum fimilem comminatur; ſicut le
tractat, ut ſunt ſyllogiſini ſophiſtici, nomen Cicero in
Philippicisdicit:Temiror,Antoni,quo- artis accipiat. Ita utrumque vocabulum pro
ar *M.G. per- rum facta * imitere, eoruin exitus, non * per- gumentionis ſuæ
qualitate promeretur. timefcere, horrefcere. Quid Colle Collectivum eſt, cùm in
unum, quæ argumentata funt, colliguntur; ſicut ait CICERONE pro Milone: Quem
igitur cum gratia noluit, hunc voluit De Dialectica cuin aliquorum querela,
quemjure, quem loco, quem temporemoneftaulus: hunc injuria,alie- DIALECTICAM
primi FILOSOFI indi&ionum no cum periculo non dubitavit occidere. runt: non
tamch ad artis redegereperitiam. Post Ed. destris Præterea secundum VITTORINO ENTHYMEMATIS
quos Aristoteles -- ut fuit disciplinarum omniun altera eft definitio. Ex fola
propoſitione, ſicutjam diligens inquiſitor, ad regulas quasdam hujus Aristoseler
dictum est, ita constat ENTHYMEMA -- ut est illud: doctrinæ argumenta perduxit,
quæ priùs ſub cer- DIALECTICE Si tempestas vitanda est, non est navigatio
requitis præceptionibus non fuerunt. Hic libros fa- argumenta ad regulas renda.
Ex fola assumptione s ut est illud: Sunt ciens exquisitos, Græcorum scholam
multiplici quafdamper autem qui munduin dicant fine divina administra- laude
decoravit; quem noftri non perferentes duris. tione discurrere. Ex fola concluſione
-- ut est il- diutiùs alienum, translatum expofitúmque Ro DIALECTICAM lud: Vera
est igitur divina sententia. Ex pro- manæ ELOQUENTIAE contulerunt. DIALECTICAM verò,
*MS. fcick poſitione et assumptione -- ut est illud: Si inimicus
&Rhetoricam VARRONE in nove;n disciplinarú libris canin move est, occidit.
Inimicus autem eſt: et quia illi deelt tali funilitudine definivit. DIALECTICA
et Rhetori- libris Vaira. conclufio, ENTHYMEMA vocatur. Sequitur Epi- ca est,
quod in manu hominis pugnus ad strictus, definivit. chirema. et palma diſtenſa:
illa brevi oratione argumenta Quid Epic EPICHIEREMA est, quod superiùs diximus,
dels concludens, ista facundiæ campos copioso fer chirema. cendens de
ratiocinatione latior excurfio Rheto- mone discurrens: illa verba contrahens, ista
di Itendens. Et ARGVMENTVM est ARGVTAE MENTIS IVDICIA QVOD PER INDAGATIONES
PROBABILES, rei dubiæ perficitfidem, per Rhetorica ad illa, quæ nititur docenda,
facun- pomaleticom DIALECTICA fiquidem ad differendas res acutior: Que fic disse
exempla confirmans -- ut est: Noliæinulari in malignan tibus: quoniam tanquain
fænum, &c. dior. Illa ad scholas non numquam venit,
iſta ju. et Rhetori saris. Zivim. et Rhetoria
64m. DE DIALECTICA son quenter. girer
procedit in forum: illa requirit rariſſimos et noftræ diſpoſitionis
curràtintentio. Conſue * MSS.fre- ftudiofos, hæc * frequentes populos. Sed
priul- tudo iraque eft doctoribus philoſophiæ, ante quam de fyllogiſmis dicamus,
ubi totius Diale- quam ad Iſagogen veniant exponendam, divis dicæ utilitas et virtusoſtenditur,
oporter de ejus lionem philoſophiše paucis attingere:quam nos initiis, quaſi
quibuſdam elementis, pauca diffe- quoque ſervantes; præſenti tempore non immer
cere; ut ficut eſt à Majoribus diſtinctus ordo, ita ritò credimus intiinandain,
Philofophiæ divifio. In Inſpectivam, TIXMT, hæc dividitur in In Naturalem.
| Doctrinalem, hæc (In Arithmeticam dividitur Muficam. Geometricain. Divinain.
Aftronomicain Diviſt thing Lofophiæ. Philoſophia divi ditur fecundum
Ariftotelem. Moralem. | Sirir. Er Actualeta Ciſpenſativa, Φρακτικών PorxorowyXXV. hæc dividitur in Civilem. ίπολιτική » ACETA! oixorouexin. weg.Xti xh. νομοθεπκό., thesxor. Sewertexn.. φυσική. Definitiò Philos
fophiæ. megatoxin. resnio intoxin. 23 Quid 1 3. Dirogoera oroimene Occs Kated
to duratór ávöçóórw. plina quæ curſus cæleftium, fiderumque figuras homophine
en Philoſophia eft divinaruin, humanarùmque re contemplatur omnes,
&habitudines ftellaruni quotuplex. rum, inquantum homini poſſibile eſt,
probabilis circa ſe; et circa terram, indagabili ratione per Ycientia:
Aliter,Philoſophia eſt ars artiuni, et dif- currit. Actualis dicitur, quæ res
propoſitas ope ciplina diſciplinarum.Rucſus, Philoſophia eſtme, rationibus ſuis
explicare contendit. Moralis di ditatio mortis,quod magis convenit Chriſtianis,
citur, per quam mos vivendihoneſtus appetitur; 2.Corint. 16. qui ſæculi
ambitione calcata, converſatione dif- et inſtitura ad virtutem tendentia
præparantur. ciplinabili, fimilitudine futuræ patriæ vivunt; Diſpenſativa
dicitur, domeſticaruin reruin fa Philip. 3. 20. Sícut dicitApoftolus: In carne
enim ambulantes, pienter ordo diſpoſitus. Civilis dicitur, per quàm non
ſecundum carnem militamus; et alibi: Con- totius civitatis adminiſtrarur
utilitas. Philoſo verſatio noftra in calis eft. Philofophia eſt affimi- phiæ
diviſionibus definitionibúſque tractatis, in lari Deo ſecundum quod poflibile
eft homini. quibus generaliter omnia continentur, nunc ad Inſpectiva
dicitur,qua ſupergreſſi vilbilia de di- Porphyrii librum, qui Iſagoge
inſcribitur, acce vinis aliquid et cæleſtibus contemplamur, eáque damus. mente
foluinmodo contuernur, quantum corpo De Iſagoge Porphyrii. reum ſupergrediuntur
aſpectum. Naturalis
dici tur,ubiuniuſenjufque rei natura diſcutitur: quia de Genere. Dávc.
nihilcontra'naturain generaturin vita: ſed unun | de Specie. tidos. quodque
hisufibus deputatur, in quibus à Crea- llagoģe Por de Differentia. Depoeg tore
productú eit: nifi fortè cum voluntate divina phyrii tractat de Proprio. ibor
aliquod miraculuin proveniremonſtrerur.Doctii i de Accidente, συμβεβηκός. *MSS.
figni- nalis dicitur ſcientia, quæ abſtractam * conſiderat ficar. quantitatem.
Abſtracta eniin quantitas dicitur, Genus eft ad fpecies pertinens, quod de
diffe- Quid fit Ge quam intellectu àmateria ſeparantes,vel ab aliis rentibus
fpecie, in co quod quid ſit, prædicatur; nun accidentibus; ut eſt, par, impar:
vel alia hujuſce ut animal. Per ſingulas enim fpecies, id
eft, modi in ſola ratiocinatione rractainus. Divinalis hominis, equi, bovis, et
cæterorun,genus anis dicitur, quando aụt ineffabilem naturam divi- mal
prædicarur atque ſignificatur, nam, aut ſpirituales creaturas ex aliqua parte,
Species eſt, quod de pluribus et differentibii's Quid fit Spo profundifſimâ
qualitate differimus. Arithinerican numero, in eo quod quid fit, prædicatur;
nam cies, eſt diſciplina quantitatis numerabilis ſecundum de Socrate, Platóne,
et Cicerone homo prædi ſe. Muſica, eſt diſciplina quæ de numeris loqui- catur.
tur, quiad aliquid ſunt his, qui inveniuntur in Differentia eſt, quod de
plaribus et differen » Quid fit Dif". ſonis. Geometrica, elt
diſciplina magnitudinis tibus ſpecie,in eo quod quale ſit,prædicatur; ſicuc
erensia, immobilis,&formarum. Aftronoinia,eſt diſci- rationale et inortale,in
eoquodquale ſit, dc ho- f mine prædicatur, B. € lcens. men. atque bos. Tulum,
Quid fit Pro Proprium eſt, quod unaquæque ſpecies, vel Hoc opus Ariſtotelis
intentè legendum eſt, cur Carego prium. perſona certo additamento infignitur,
&ab om- quando ficut dictum eſt; quicquid hoino loqui- rie Ariftotelis ni
communione feparatur. tur, inter decem ifta Prædicamenta inevitabili, intentè
les erid fut Ac. gende. Accidens eſt, quod accidit et recedit præter ter
invenitur: proficit etiam ad libros intelligen ſubjecti corruptionem: vel ea
quæ fic accidunt, dos, qui live Rhetoribus, fivc Dialecticis appli ut penitus
non recedant. Hæc qui pleniùs noſſe cantur. deliderant, Introductionem legant
Porphyrii; * £ d.alicujus quilicetad utilitatein * alieni operis ſedicatſcri
Incipitperi hermenias, id eft, de inter bere, non tamen ſine propria laude
viſus eſt talia pretatione. dicta futinafle. Sequitur liber peri hermenias
ſubtiliſimus rii Categorie Ariſtotelis. mis, et per varias formas,
iterationéfque cautif ſimus, de quo dictuin eſt: Ariſtoteles, quando Sequuntur
Categorix Ariſtotelis, ſive Prædi- librum peri herinenias ſcriptitabat, calamum
in camenta: quibus mirum in modum per varias fi- mente tingebat.
gnificantiasomnis fermo concluſuseſt: quorum De nomine. organa ſive
inftruinenta ſunt tria. De verbo. Inftrumenta Organa vel inſtrumenta
Categoriaruin five In libro peri hermenias; De oratione, drogoriarum (rent tria,
/ci Prædicamentorum funtæquivoca, univoca, de- id eft, de interpretatio De
enunciatione. licet. nominativa. ne, prædictus philofo De affirmatione.
Æquivoca. ÆQVIVOCA dicuntur, quorú noinen folùm com- phusdehis tractat. DE
NEGATIONE mune eft, fecundùm nomen verò ſubſtantiæ ratio DE CONTRADICTIONE,
diversa -- ut “animal”, homo, et quod pingitur. Vniyoca, VNIVOCA dicuntur,
quorum et noinen com Nomen, est vVOX SIGNIFICATIVA SECVNDUM PLACITVM - quid
fitmoi mune eſt, et ſecunduin nomen discrepare eadem tum, sine tempore: cuius
nulla pars est significati substantiæ ratio non probatur – ut: “animal”, homo,
va separata – ut: “Socrates”. Verbum, est quod conſignificat tempus: cujus Quid
forver Denominati Dena ninativa, id eſt, derivativa, dicuntur pars nihil extra significat,
et est semper eorum bum, quæcuinque ab aliquo sola differentia casus ſe- quæ de
altero dïcuntur nota – ut: “ille cogitat”, dil cundum noinen habent
appellationem: ut å putat. grammatica gramınaticus, et à fortitudine fortis. ORATIO
est vox fignificativa, cujus partium Quid ſit örä aliquid separatim significativum
est; ut Socrates to Subſtantiaa sola, diſpucat. * MSS.lepa Quantitas, mosotas. ENUNTIATIVA
otàtio eſt vox ſignificativa deeo Quid fit Ad aliquid. ney's Fan quod eft
aliquid, vel non eſt – ut: “Socrates est.” So- Enuntiatid. Ariſtotelis
Ariſtotelis Catego Qualitas. TÓTUS. crates non eſt. Categorie riæ, vel
Prædicamen- į Facere. FOREV. AFFIRMATIO est
enuntiatio alicujas de aliquo: quid fit Af son decem. ra decem ſunt Pati.
PeoMHT – ut: “ Socrates est.” formatio. Situs. ευρώς. NEGATIO, eft alicujus de aliquo NEGATIO: ut: “Socrates non est.” So- luid
fitNe. Quando. done. crates non eſt. gatio. Ubi. CONTRADICTIO, eſt
afficmationis et negationis euid fitcom | Habere. (xar. oppoſitio – ut: “Socrates
disputat, Socrates non disputat.” Subſtantia est, quæ propriè, &t
principaliter Hæc omnia per librum ſuprà memoratum mi. Liber Pero Hermenias et maxiinè
dicitur; quæ neque de ſubjectopræ- nutiſſimè diviſa; et ſubdiviſa tractantur,
quæ BOEZIO feprem dicatur, neque in ſubjecto eſt – ut: “aliquis homo”, breviter
intimnaſſe ſuffciat, quando in ipfo com- libris expoſé vel aliquis equus.
Secundæ autem ſubftantiæ di- petens explanatio reperitur: maximè cùin eum tu.
cuntur, in quibus ſpeciebus, illæ quæ principa- Tex libris à BOEZIO viro
magnifico constet exposi liter substantia primò dicta sunt, insunt atque tum,
qui vobis inter alios codicese strelictus. Clauduntur -- ut in homine, CICERONE.
Nunc ad fyllogiſticas ſpecies formulaſque vea Quantitas Quantitas aur diſcreta
eſt, et habet partes ab nianus, in quibus nobilium Philofophorum ju aplex, aiſ
alterutrodiſcretas,nec eominunicantes, ſecun- giter exercetur ingenium, dum
aliquem communem terminum, velut nu merus, et ſerino quiprofertur; aut continua
eſt, De Formulis ſyllogifmorum. et habet partes quæ ſecundum aliquem coinmu*
nein terininuin adinvicem convertuntur; velut (in priina forinula modi no
linca, ſuperficies, corpus,locus, motus,tempus. Forinulæ Categori Ad aliquid
verò funt, quæcumque hoc ipſo coruin, id eſt, Præ-, In ſecunda formula modi
Formale ca quod ſunt, aliorum eſſe dicuntur; velur majus, dicativorum ſyllo
quatuor. duplum,habitus, difpofitio,ſcientia, ſeriſus, gilmorú ſunttres. | In
tertia formula modi politio. i ſex. Qualitas, eſt, fecundum quam aliqui quales
dicimur; ut bonus, malus. Modiformule prime ſunt novem. Facere eſt, ut
ſecare, vel urere, id eft, ali quid operari. Pati eſt, ut ſecari, vel uri. Primus modus eſt, quiconcludit, id eft, qui
Situs, eft, ut ftat, ſeder, jacet. Quando colligit ex univerſalibus dedicativis,
dedicati eft, ut hefterno, vel crás. vum univerſale directum; ut, omne juſtum
ho Ubi eſt: ut in Aſia, in Europa, in Lybia. neſtum, omne honeftum bonum, omne
igitur Habere eft: ut calccatum, velarmatum effe. juſtum bonum. Secundus ött.
tradictio, nos creta, con sinna, vem. tegoricum Syllogiſmorum funt tres. DE
DIALECTICA Ed, concler dit. per quæ ſubti Secundus moduscft, qui * conducit ex
univer- rivis particulari et univerfali dedicatvium parti ſalibus dedicativâ et
abdicativâ abdicativum uni- culare directum: ut quoddam juſtam honeſtum,
verſale directum: ut oinnejuſtum honeſtum, nul- omne juſtum bonum, quoddam
igitur honeſtuin lum honeſtum turpe, nullum igitur juſtum bonum. turpe. Tertius
modus eſt, quiconducit ex dedicativis Tertius modus eſt, qui conducir ex
dedicativis univerſali et particulari dedicativum particulare particulari et univerſali,dedicativum
particulare directum: ut, omne juſtum honeftuin, quod directum: ut quoddam
juftum eft honeſtum,om- dam juſtuin bonum, quoddam igitur honeſtum ne honeftuin
utile, quoddam igirur juftumn utile. bonum. IV modus eſt, qui conducitex
particulari Quartus modus eſt, quiconducit ex univerſa dedicativa,
&univerſali abdicativa, abdicativum libusdedicativa et abdicativa
abdicativum parti particulare directum: ut quoddam juſtum hone- culare directum:
utomne juſtuin honeſtuin, nul Itum, nullum honeftunı turpe, quoddam igitur lum
juſtum malum, quoddam igitur honeſtum juſtum non eft turpe. non eſt malum.
Quintus modus eſt, qui conducit ex univerſa Quintus modus eſt, qui conducit ex
dedicativa libus dedicativisparticulare dedicativum per re- particulari et abdicativa
univerſali abdicativum Mexionem: ut omne juftum honeſtum, omne ho- particulare
directum: ut, quoddam juſtum, ho neftum bonum, quoddam igitur bonum juſtum.
neſtum, omne honeſtum bonum,igitur quoddan Sextus modus eft, qui conducit ex
univerſali honeftum non eft malum. dedicativa, et univerſali abdicativa,
abdicativum Sextus modus eſt, qui conducit ex dedicativa univerſale per
reflexionem: ut omne juſtum ho- univerſali et abdicativa particulari
abdicativum neltuin, nulluin honeſtum turpe, nullum igitur particulare directum:
ut,omnejuſtum honeſtum, turpe juftum. quoddam juſtum non eſt malum, quoddam igi
Septimusmodus eſt,quiconducit ex particulari tur honeſtuin non eſt malum. et univerſali
dedicativis dedicativum particulare Has formulas Categoricorum ſyllogiſmorum
reflexionem: ut quoddamn juftum honeſtum, qui plenè nofſe deſiderat, librum
legat, quiin Liber Apa!e omne honeſtum utile,quoddam igitur utile juſtú.
fcribirur -Peri hermenias Apuleii, et qui inſcribi: Odavus modus eft, qui
conducirex univerfa- lias ſunt tractata, cognoſcet. Nec faſtidium no- tur Peri
her libus abdicativa et dedicativa particulare abdica- bis verba repetita
congeminent; diftin &ta enin, menias, le tivum per reflexionein: ut nullum
turpe hone- atque conſiderata, ad magnasintelligentiæ vias, gendus. ftum,
omnehoneſtum juſtum, quoddamn igitur præftante Domino,nosutiliter
introducent.Nunc juſtum non eft turpe. ad hypotheticos fyllogiſinos, ordine
currente, Nonas modus eit, qui conducit ex univerſali veniainus abdicativa,
&particulari dedicativa abdicativum particulareper reflexionem:velut
nullumturpe Modi Syllogiſmorim hypotheticorum, qui fiunt Modifyllogif morum
hyposs honeſtun, quoddam honeſtum juſtum, quoda cum aliqua conjunctione, Jeptem
funt. dam igitur juſtum non eſt turpe. funt feptem. Primus modus eſt, velut: Si
dies elt, lucer; eſt Modi formuleſecunda funt quatuor. autein dies; lucet
igitur. Secundusmodus eft ita: ſi dies eſt, lucet, non Primus modus eſt, qui
conducit ex univerſali- lucet; non eft igitur dies. bus dedicativa et abdicativa
abdicativum univer- Tertius modus eſt ita: non et dies eſt et nonlu fale
directum: velutomne juſtum honeſtum,nul- cet, atqui dies eft, lucèt igitur. lum
turpe honeftum,nullum igitur juſtum turpe. Quartus modus eft ita: aut nox, aut
dies eft, at Secundus modus eſt, quiconducit ex univerſa- qui dieseſt, non
igitur nox eſt. libus abdicativa et dedicativa abdicativum uni Quintus moduseſt
ita: aut dies eſt, aut nox, at-. verſale directuin: velut nullum turpe honeftum,
qui nox non eſt, dies igitur eſt. omne juſtum honeſtum, nullumigitur turpe
Sextus inodus eſt ica: non et dies eſt, et nonlu juftum cet, dies autem eſt,
nox igitur non eſt. Tertius modus eſt, quiconducit ex particulari. Septimus
modus eſt ita:non et djes eft et nox, dedicativa et univerfali abdicativa ab
licativum atqui nox non eſt, dies igitur eſt. particulare directum: veluc
quoddam juftum ho Modos autem hypotheticorum ſyllogiſinorum neſtum, nulluin
turpehoneftum, quoddam igi- fi quis pleniùs noſſe deſiderat, legat librum Marii
Marius Vi tur juſtum non eſt turpe. Victorini, qui inſcribitur de fyllogiſmis
hypo- &torinus librá Quartus r.odus eſt, quiconducit ex particu- thericis.
Sciendum quoque, quoniam Tullius de hypotheti: lari abdicativa et univerfali
dedicativa abdicati- Marcellus Carthaginenſisde categoricis et hy- edidit. vum
particulare directum: velut quoddamn juftum potheticis fyllogiſmis, quodà
diverfis philoſo: Tullius Mar non eſt turpe, omne malum turpe, quoddam
phislatiſſimè dictum eft, feptem libris breviter cellus igitur juſtuin non eft
malum, ſubtilitérque tractavit; ita ut priino libro de re: thag. de Syl gula,
ut ipſe dicit, colligentiarum artis Dialecticæ logiſmis Modi formula tertiæfunt
fex. diſputaret; &quod ab Ariſtotele de categoricis compofuit. ſyllogiſmis
multis libris editum eſt, ab ifto fecun Primus modus eſt, qui conducit 'ex
dedicativis do et tertio libro breviter expleretur; quod aut univerfàlibus
dedicativum particulare, tam dire- tem de hypotheticis ſyllogiſmis à Stoicis
innume Etuin, quàm reflexum: ut omne juſtum hone- ris voluminibus tractatum eſt,
ab iſto quarto et ftum, omne juſtum bonum, quoddam igitur ho- quinto libro
colligeretur. In fexto verò de inix neftum bonum vel quoddamn bonum ho- tis
fyllogiſinis, in ſeptimo autem de compoſitis neftuin. diſpucavit; quem codicem
vobis legendum re-, Secundus modus eſt, qui conducit ex dedica- liqui. cccc
theticorum Car Jeprem libros > Quid
las Depnilio. 1.1 1 longum viaticum: modò ut laudet, ut adolers De
Definitionibus. centia eſt Aos ætatis. Octava ſpecies definitionis eft, quain
Græci Hinc ad pulcherrimas definitionum ſpecies ac- x7 a paistoin rõ Evertix
vocant, Latini per pri Milanius, quæ tantà dignitate præcellunt, ut pof-
vantiam contrarii ejus quod definitur, dicunt; up ſont dici orationun maxiinuin
decus, et quædam bonum eſt, quod malum noneft: juftuin eſt, quod lumina
dictionuin. injuſtum non eft. Et his fimilia: quod fe ita na Definitio verò,
eſt oratio uniuſcujuſque rei turaliter ligat, ut neceſſariam cognitionem fibi
naturam à communione diviſam, propria ſignifi- unius comprehenſione connectat.
Hoc autem catione concludens: hæc multis modis, præce- genere definitionis uti
debemus, cùm contrarium priſque conficitur. notun eſt; nam certa ex incertis
nemo probat. Definitionum
prima eſt óvoradcas, Latinè ſub- Sub qua ſpecie ſunt hæ definitiones.
Subſtantia ftantialis, quæ propriè et verè dicitur definitio; eft, quod neque
qualitas eſt, neque quantitas, ne or eſt, homoanimalrationale mortale, ſenſus
dif- que aliqua accidentia: quo genere definitionis ciplinæque capax;llæc enim
definitio per fpecies Deus definiri poteſt; etenim cùm quid fit Deus, et differentiasdeſcendens,
venit ad proprium, et nullo modo comprehendere valeamus: ſublatio deſignat
plenillimè quid ſit homo. omniuin exiſtentium, quæ Græci örta appellant,
Sccunda eſt ſpecies definitionis, quæ Græcè cognitionem Dei nobis circumciſa et
ablata no ŽVYOMMA TIx ) dicitur, Latinè notio nuncupatur: tarum rerum
cognitione ſupponit; ut li dicamus, quam notionem communi,non proprio nomine
Deus eſt, quod neque corpus eſt, neque ullum poffumus dicere. Hæc iſto modo ſemper effici- elementum, neque animal, neque mens, neque cur:
Homo eſt, quod rationali conceptione et ſenſus, neque intellectus, neque
aliquid, quod exercitio præeſt animalibus cunctis. Non eniin ex his capipoteſt;
his enim ac talibus ſublatis, dixit, quid eſt homo, ſed quid agat, quaſi quodam
quid fit Deus, non poterit definiri. figno in notitiam denotato. In iſta enim
&in re Nona ſpecies definitionis eſt, quain Græci liquis notio rei
profertur: non ſubſtantialis, ut Kåtalnooi, Latini per quamdam imaginatio in
illa primariaexplanatione declaratur; et quia nem dicunt –ut: “ÆNEAS est
Veneris et Anchisæ illa subftantialis est.” -- definitionum omnium obti-
filius. Hæc ſemper in individuis verſatur, qux ner principatum. Græci aqua
appellant. Idem accidie in eo gene Tertia fpecies definitionis eſt, quæ Græcè
redictionis, ubialiquis pudor aut metus elt no Trolótus dicitur, Latinè
qualitativa. Hæc
dicendo minare – ut: CICERONE, cùm me videlicet ficarii illi quid quale lit, id
quod fit, evidenter oſtendit. deſcribant. Cujus exemplum tale eſt: homo eft,
qui ingenio Decima fpecies definitionis eft, quam Græci valet, artibus poller,
et cognitione rerum: aut as Tót, Latini, veluti, appellant; ut fi quæ quæ agere
debeat eligit:aut animadverſione quod ratur quid ſit aniinal, refpondearur,
homo: inutile fit contemnit; his enim qualitatibus ex non enim manifeftè
dicitur animal folum effe preſſus ac definitus homo eſt. hominem, cum fint alia
innumerabilia: ſed cuin IV ſpecies definitionis eſt, quæ Græcè dicitur homo,
veluti ipfum hominem animal de soggapixn, Latinè deſcriptionalis nuncupatur:
fignat: cùm tamen huic nomini multa ſubja quæ adhibitâ circuitione dictorum
factorúmque, ceant. Rem enim quæfitam prædictum declata rem, quid fit
deſcriptione declarat;ut ſi lu- vit exemplum. Hoc eſt autem proprium defini
xuriofum volumus definire, dicimus: Luxurio- tionis, quid fit illud, quod
quæritur, declarare. fus, eſt victus non neceffarii et fumptuoli et one XI
ſpecies definitionis eft, quam Græ rofi appetens,in deliciis affluens,in
libidine pron- ci rece tead the matter, Latini per iudigentiain ptus; hæc et talia
definiunt luxuriofum. Que pleni ex eodem genere vocant: ut ſi quæratur ſpecies
definitionis, oratoribus magis apta eſt, quid fit triens, refpondeatur, cui
dodrans deeft, quàm dialecticis, quia latitudines habet; hæc ut lit aſlis.
fimili modo in bonis rebus ponitur, et in XII ſpecies definitionis eſt, quam
Græ malis. ci, Kata imesvov, Latini per laudem dicunt; ut Quinta ſpecies definitionis
eft, quam Græcè Tullius pro Cluentio: Lex eſt mens, et animus, AT nikov: Latinè
ad verbum dicimus: hæc vo- et confilium, et fententia civitatis. Et aliter pax
cem illam, de qua requiritur, alio ſermonedeſi- eſt tranquilla libertas. Fit et
pervituperationem, gnat uno ac ſingulari, et quodammodo quid il- quam Græci
tózer vocant: ſervitus eſt poſtre lud ſit in uno verbo pofitum, uno verbo alio
de- mum malorum omnium, non modò bello, ſed clarat; ut conticefcere eſt tacere:
item cùm ter- morte quoque repellenda. minum dicimus finem, aut terras
populatas inter Tertiadecima eſt ſpecies definitionis, quam pretemur effe
vaſtatas. Greci κατ'αναλογίαν,Latini juxta rationem dicunt: Sexta ſpecies
definitionis eſt, quam Græci x fed hoc contingit, cum majoris ire nomine, res
Thu nepoege, per differentiam dicimus; id eft, definitur inferior: ur eſt illud,
homo ininor mun cùm quæritur, quid interſit inter regem et ty- dus. Cicero hac
definitione ſiculus eſt:Edictum, rannum, adjecta differentia quid uterque fit,
de- legem annuam dicunt eſſe. finitur: id eſt, rex eſt modeftus et temperans,
ty XIV eſt ſpecies definitionis, quam rannus verò impius et immitis. Græci sess,
Latini ad aliquid vocant: ur eſt Septima eft fpecies definitionis, quam Græci
illud, pater eft, cui eſt filius:dominus eſt, cui eft el ustápoegr. Latini per tranſlationein dicunt: fervus: et CICERONE in Rhetoricis, genus
eſt, quod ut Cicero in Topicis, Lictus eſt, quà Auctus elu- plures partes
amplectitur: item pars eſt, quod lu dit. Hoc variè tractari poreſt: modò enim
ut beſt generi. moveat, ficut illud, caput eſt arx corporis: modò Quintadecima
eſt ſpecies definitionis, quam ut vituperet, ut illud, divitiæ ſunt brevis vitæ
Græci koste BiTiongear, Latini fecundum rei fa ! DE DIALECTICA tionuom. 5 rationem vocant: ut dies eſtrol
fuprà terras:nox, dicativus atque ſubjectus. Terminos autem voco
elſolſubterris. Scire autem debemus prædictas verba &nonina, quibus propoſitio
nectitur;ut niquifuntper propoſe ſpecies definitionum, Topicis meritò eſſe
ſocia- in ea propoſitione qua dicimus:Homojuſtus eſt: tas, quoniaminter quædam
argumenta funtpoſi- hæc duo nomina, id eſt, homo et juftus, propo tæ, et nonnullis
locis commemoranturin Topi- fitionis partes vocantur. Eoſdem etiam terminos
cis. Nunc ad Topica veniamus, quæ ſunt argu- dicimus: quorum quidem alter
ſubjectuseſt, al mentorum fedes, fontes ſenſuu, origines di- ter verò prædicativus,
Subjectus eſt terminus, &tionum: de quibus breviter aliqua dicenda ſunt,
qui minor eſt: prædicativus verò, qui major: ut ut &dialecticos locos, et rhetoricos,
ſive corum in ea propolitione, qua dicitur, Homo juſtus, differentias agnofcere
debeamus: ac prius dedia- homo quidem minus eſt, quàm juſtus. Non Iceticis
dicendum eft. enim in folo homine juſtitia eſſe poteft, verùm etiam in
corporeis diviníſque ſubſtantiis: atque De Dialecticis locis. ideo major eſt
terminus, juſtus: homo verò, mi nor; quò fit, ut homo quidem ſubjectus fit ter
Quid die Propoſitio, eft oratio verum - falfúmveſignifi- minus, juſtus verò
prædicativus. PROPOSITIO cans, utſiquis dicat, cælum eſſe volubile: hæc Quoniam
verò hujuſmodi (implices propolis enuntiatio et proloquiun nuncupatur: quæſtio
tiones alterum habentprædicativum terminum, verò eft, in dubitationem
ambiguitatémque ad- alterum verò ſubje& um, à majoris privilegio par ducta
propofitio; utſiqui quærant, an fit cælum tis propoſitio prædicativa vocata
eft.Sæpe autem Quid Concli- volubile. Concluſio, eft argumentis approbara
evenit, ut hi termini ſibimet inveniantur æqua 330. propoſitio; ut fi quis
exaliis rebus probetcælum les, hocinodo, homoriſibilis eſt; homo namque effe
volubile.Enuntiatio quippe live ſui tantum et riſibilis uterque ſibi æquus eſt
terminus. Nam caufa dicitur,five ad alios ad ferturad probandum, ncque riſibile
ultra hominem, nec ultra riſibile propofitio eft: cùm de ipſa quæritur,
quæſtio: homo porrigitur: ſed in luis hoc evenire neceſſe lipſa eſt approbáta,
conclufio. Idem igitur pro- eſt, utſi quidam inæquales termini ſunt, major
politio,quæſtio, et conclufio, fed differuntinodo, ſemper de
ſubjectoprædicetur: fi verò æquales Quid fit Ar Argumentum eſt oratio rei dubiæ
faciens fi= utrique, converſa de fe prædicatione dicantur. gumentum. dem. Non
verò idem eſt argumentum, quod et Ut verò minor demajore prædicetur, in nulla
arguinentatio. Nam vis ſententiæ ratióque ea, propoſitione contingit. Fieri
autein poteft, ut quæ clauditur oratione, cùm aliquid probatur propoſitionum
partes, quas terminos dicimus, ambiguum, argumentum vocatur: ipfa verò ar- non
ſolum in nominibus, verum etiain in oratio gumenti elocutio, argulhentatio
dicitur; quò fit, nibus inveniamus. Nam ſæpe oratio deoratione ut argumentum
quidem mens argumentationis prædicatur hoc modo: Socrates cum Placone so Git
atque ſententia: argumentatio verò argument diſcipulis de philoſophiæ ratione
pertractat; hæc per orationem explicatio. quippe oratio, quæ eft, Socratesçum
Platone et Quid fit LOCVS verò eſt argumenti fedes, vel unde ad diſcipulis,
ſubjecta eſt: illa verò, quæ eft, de propoſitain quæſtionein conveniens
trahitur ar- philofophiæ ratione petractat, prædicatur. Rur gumentum. Quæ cùm
ita fint, ſingulorum dili- ſus aliquando nomenſubjectum eſt, oratio præ ='
gentiùs nătura tractanda eſt, eorumque per fpe- dicaruin, hocmodo: Socrates de
philoſophiæ ra-. cies ac membra figuraſque facienda diviſio. cione pertractat;
hic eniin Socrates ſolus ſubje Acpriùsde propoſitione eſt diſſerendum: hanc
ctus eſt:oratio verò, quàm dicimus, de philoſo eſſe diximus orationein,
veritatem, vel menda- phiæratione pertractat,prædicatur.Evenir etiam,
Duæſuntpro- cium continentem. Hujus duæ ſunt ſpecies: una ut fupponatur oratio,
et fimplex vocabulum pofitionum affirmatio, altera verò negatio. Affirmatio
eſt, prædicetur hoc inodo: Similicudo cum ſupernis fpecies ſub,, fi qui ſic
efferat, Caluin volubile eſt:negatio, li diviníſque ſubſtantiis, juſtitia eſt;
hic enim ora quis ita pronuntiet, cælum volubile non eſt. rio per quam
profertur fimilitudo, cum ſupernis alie. Harumverò aliæ ſunt univerſales, aliæ
ſunt par- diviníſque ſubſtantiis fubjicitur:juſtitia verò pre ticulares, aliæ
indefinicæ, aliæ ſingulares. Uni- dicatur. Sed de hujuſmodipropoſitionibusin
his verſales quidem, ut ſi quis ita proponat: Oin- commentariis, quos in Peri
hermenias Ariſtotelis nis homo juftuseft, nullus homo juſtus eft. Par- libros
ſcripſimus, diligentiùs differuimus. ticulares verò, fi quis hoc modo:Quidamn
homo Arguinentum, eft oratio rei dubiæ faciens fi- Quid fit an juftus eft,
quidam homo juſtus non eſt. Inde- dem:hanc femper notiorem quæſtione elſe nez
gumentum, finitæ fic:Homojuſtus eſt, homo juſtusnon eſt. ceſſe eſt. Nain
liignora nobis probantur, argu Singulares verò sunt, quæ de individuo aliquid
mentum verò rem dubiam probat: necesse est, ut singularique proponunt: -- ut: “Cato
iustus est.”, CATONE quod ad fidem quæstionis assertur, sit ipsa notius justus
non est; etenim CATONE individuus est, ac quæstione. Argumentorum verò oinnium
alia Multiplicito fingularis. ſun tprobabilia et neceſſaria:alia veròprobabilia
Juris Argan Harum verò alias prædicativas, alias conditio. quidem, ſed non
neceſſaria: alia neceffaria; ſed nales vocainus. Prædicativæ funt,
quæ fimpli- non probabilia:alia nec probabilia, nec neceffaria. Quid forProm
citer proponuntur, id eſt, quibus nulla vis con- Probabile verò eſt, quod
videturvelomnibus, vel bavile Argu ditionis adjungitur: ut fi quis fimpliciter
dicat, pluribus, velfapientibus, et his vel omnibus, vel mensun. Cælum eſſe
volubile. At, li huic conditio copu- pluribus, vel maximè notis, atque
præcipuis, letur, fit ex duabus propoſitionibus una condi- vel unicuique
artifici fecundum propriam facul tionalis, hocmodo: Cælum (irotundum ſit, efle
càtem; ut de medecinamedico, gubernatori de volubile; hîc enim conditio id
efficit, ut ita de- navibus gubernandis: et præterea quod ei vides mum cælum
volubile eſſe intelligatur, ſit ro- tur cuin quo fermo conſeritur, vel ipſi qui
judi tundum. Quoniam igitur aliæ propofitiones præ- cat. In quo nihil artiner
verum falfùmvelit árgưr dicativæ ſunt, aliæ conditionales: prædicativa- mentum,
fi tantùm veriſimilitudinem tenet. rum partes, terminos appellamus. Hi ſunt præ
Neceffariun vero eft, quod ut dicitar, ita eſt, Quidfor Ne cearium. Сccc ij
Locis. quibus multe mentorum genera. B. rium. atque aliter eſſe non poteft: et probabile
quidein, fpeciebusutiturargumentis, quæfunt probabi ac neceflarium eſt; ut hoc
ſi quid cuilibet rei ſic le ac neceſſarium, neceſſariuin ac non probabile.
additum, totum majus efficitur. Neque enim Patet igitur, in quo philoſophus ab
oratore, ac quifquam ab hąc propoſitione diffentiet, et ita ſe dialectico in
propria confideratione diſſideat; in Quid fit le habere neceſſe eſt. Probabilia
verò acnon ne- co ſcilicet, quod illis probabilitatem, huic veri provabile ac
ceffaria, quibus facilè quidem animus acquief- tatem conſtat elle propofitam.
Quarta yerò fpe non neceffa- cit, fed veritatis non tenet firmitatem; ut cies
argumenti, quain ne arguinentun quiden học, ſi mater eſt, diligit. Neceſſaria
verò funt, rectè dici ſupràmonſtravimus, fophiftis Tola eſt Quid fit ne
cilarium,ac ac non probabilia, quæ ita quidein eſſe, ut dicun- attributa.
Topicorum verò intentio eft, verili non probabile tur ſe habere, necefle eft,
ſed his facilè non con- milium argumentorum copiam demonſtrares de ſentit
auditor:ut ob objectum Lunaris corporis, fignatis enim locis,è quibus
probabilia arguinen bredamſunt Solis evenire defectunt. Neque neceſſaria verd
ta ducuntur, abundans.& copiofa neceſſe fiat nec neceffa- peque probabilia
funt, quæ neque in opinione materia differendi. ria,necpro- hominum, neque in
veritate confiftunt, ut hoc, Sed quoniam, ut fuprà dictum eſt, proba babilia
habere quæ non perdiderit cornua Diogenem, bilium argumentorum alia funt
neceffaria, quoniam habcatid quiſque quod non perdiderit; alia non neceſſaria:
cùm loci probabilium ar quæ quidem nec argumenta dici poſſunt: argu-
guntentorum dicuntur, evenit, ut neceſſario mentaenim rei dubiæ faciunt fidem. Ex his au- ruin quoque doceantur, quo fit, ut oratoribus tem nulla fides
eſt, quæ neque in opinione, ne- quidem ac dialecticis hæc principaliter
facultas que in veritate ſunt conſtitutą. Dici tamen poo parecur, ſecundo verò
loco FILOSOFI. Nam teſt, ne illa quidem eſſe argumenta, quæ cùm fint in quo
probabilia quidem omnia conquiruntur, neceffaria, minimè tamen audientibus
appro- dialectici atque oratores javanțur: in quibus verò bantur. Nam ſi rei
dubiæ fit fides, cogendus eft probabilia ac neceffaria docentur, philoſophic.e
animus auditoris, per ea quibus ipſe adquieſcit, demonſtrationi miniſtratar
ubertas. Non modò u concluſioni quoque, quam nondum probar, igitur dialecticus
atqueorator, verùm etiam de poſlit accedere. Quod fi quæ tantùm neceffaria
monſtrator, ac veræ argumentationis effector, (unt, ac non probabilia, non
probat ille qui ju- babetquod ex propoſitislocis libi poſſit adſuine
dicat,eltneceſſe, utneillud quidein probet,quod re. Cùm inter argumentorum
probabilium focos, ex hujuſcemodi ratione conficitur. Itaque evenit neceſſariorum
quoque principia traditio mixta ex hujufmodi ratiocinatione, ea, quæ tantùm
contineat. Illa
verò argumenta, quæ neceſſaria neceffaria ſunt, ac non probabilia, non efle ar-
quidein ſunt, ſed non probabilia; atque illud gumenta. Sed non ita eſt, atque
hæc interpreta- ultimum genus; fcilicet ilec probabile,nec ne tio non rectæ
probabilitatis intelligentiam tenet. ceſſarium,à propofiti operisconſideratione
fem Ea funt enimprobabilia, quibusſponte, atque jundum eſt. Nili quod interdum
quidam ſophi ultrò conſenſus adjungitur; ſcilicet ut moxaudi- ſtici loci
exercendi gratia lectoris ab hibentura ta fint, approbentur. Quocirca Topicorum
pariterutilitas intencióque de fint ar Quæ verò nec effaria funt, ac non probabilia,aliis
patefacta eft; his enim et dicendi facultas, &in gamenta pro babilia.
probabilibus ac neceſſariis argumentisantea de veſtigatio veritatis augetur.
monſtrátur,cognitáque &credita, ad alterius rei, Nam quid dialecticos atque
Oratores locorum locorum ** de qua dubitatur, fidem trahuntur;ut ſuntfpecu-
juvát agnitio? Orationi per inventionem co micos arque lationes,id
cft,cheoremata, quæ in Geometriacon- piampræftant. Quid verò neceffariorum
doctri- Oratoresmus fiderantut. Nam quæ illic proponuntur, non funt nam locorum
philoſophis tradit? viam quodam- sum juvas. talia, ut in his fponte animus diſçentis
accedar: modo veritatis illuftrat. Quò magis perveſtis ſed quoniam
demonſtrantur aliis argumentis, illa ganda eft rimandâque ulterius diſciplina
ea, quæ quoque ſçita et cognita ad aliarum fpeculatio- cùm cognitione percepra
uſu atque exer pumargumenta ducuntur.Itaque probabilia non citatione firmanda.
Magnum enim aliquid lo Cunt, ſed ſunt neceſſaria his quidem auditoribus, corum
conſideratio pollicetur, fcilicetinvenien quibus nondum demonſtrata funt: ad
aliud ali- di vias; quod quidem hi, qui ſunt hujus rationis quid probandum,
argumenta effe non poffunt; expertes,ſoliprorſus ingenio deputantur: neque hi
autem qui peioribus rationibus eorum, qui- intelligunt, quantun hac
conſiderationequærat bus non adquieſcebant, fidem cceperunt, poffunt, cur, quæ
in artem redigit vim poteſtatemque na cas quæ non ambigunt, ad argumentuin
vocare. turæ. Sed de his hactenus: nunc de reliquis ex Sed quia quatuor
facultatibus differendi omne plicemus. artificium continetur, dicendum eſt qux
quibus uti noverit argumentis; ut, cui potiſſimum diſci De Syllogiſmise plinæ
locorum atque argjinentorum paritur u Diale &tice, bertas,
evidenterappareat. Quatuorigitur fa Syllogiſmorum verò aliiſuntprædicativi,
qut" Syllogiſmialii Oratori, Phi- cultatibus,earúmque
velutopificibus,differendi categorici vocantur,aliiconditionales,quos hy-
predication Dolopho, so omnis ratio ſubjecta eft, id eſt, dialectico, ora,
potheticos dicimus. Et prædicativiquidem funt, males,
com phifte dife rendiomnis tori, philofopho, sophistæ. Quorum quidem qui ex
omnibus prædicativis propoſitionibus quid fins. ratio fobjekta dialecticus
atque orator in communi argumen- connectuntur sur is, quem exempli gratiafupes,
torummateria verſautur; uterque enim,five ne- riùs adnotavi, omnibus enim
propoſitionibus cellaria, kve minimè, probabilia tamen ſequitur prædicativis
texitur.Hypothetici verò funt,quo Quefit diffe ventia inter argumenta. His
igitur illæ duæ fpecies argu- ium propofitiones conditione nituntur, ut hics
Dialecticum, menti famulantur,quæ funt probabile ac non si dies eft, lux eſt
zett autem dies, lux igitur eſte Oratorent et neceffarium: philoſophus vero ac
demonftrator Propofitia enim prima conditionem tenet hanc, Philoſuphum. de ſela
tantum veritate pertractant: Asque ideo quoniam ita demum lux eft, fi dies eft.
Atque ſive liņt probabilia, five non fint, nihil referi,' idea fyllagiſmus hic,
hypochericus, id eſt condi modo duin ſine peceſlaria: bic quoque his duabus
tiopalis vocatur. Inductio
verò eft oratio, per i i Onid fais duftio. DE DIALECTICA Tuniwy. $ niio. 0 10
OS 2712 quam fitàparticularibus ad univerfale progreflio, plumvocamus:quoniam
vero non pluresquibus hoc modo: Siin regendis navibusnan forte, ſed id efficiat
colligit partes, ab inductione diſcedit. arte legitur gubernator: fi regendis
equis auriga Ita igitur duæ quidem ſunt argumentandiſpecies non fortis eventu,
ſed commendatione artis ad- principales: una, quæ dicitur fyllogiſmus, alte
ſumitur: fi in adminiftranda republica non ſorsra que vocaturinductio; ſub his
aurem, &veluc principem facit,ſed peritía moderandi; et fimi- ex his
manantia, enthymema atque exemplum, Ed. infe- lia, quæ in pluribus conquiruntur,
quibus * im- Quæquidem omnia ex syllogiſmo ducuntur, et pertitur: et in omni
quoque re, quam quiſque ex fyllogifino vires accipiunt: live enim ſit enthy
regi atque adminiſtrari gnaviter volet, qui non 'mena, liveinductio, live etiam
exemplum, ex forte accommodat, ſed arte, rectorem, fyllogiſmo quàm maximè fidem
capit; quod in Vides igitur quemadmodum per fingulas res prioribus
reſolutoriis, quæ ab Ariſtotele tranftu currat oratio,ur ad univerſale
perveniat.Nam cùm linus, denonſtratumeft. Quocirca fatis eſt de non forte regi,
ſed arte navim, currum, rempubli- fyllogilino differere, quaſi principali, et cæte
cam collegiffet, quali in cæteris ſeſe quoque ita ras argumentandiſpecies
continente. habeat, quod erat univerſale concluſit: in omni Reſtat nunc quid
fit locus, aperiçe. Locus nam- Quid forlocais bus quoque rebus, non ſorte
ductum, fed arte, que eſt, ut* Marco Tullio placet, argumentife a Dialectico. MSS.Man
præcipuum debere præponi. Sæpe autem multo, des; cujus definitionis quæ fitvis,
paucis abſol rum collecta particularitas aliud quiddam parti- vam, Argunventi
enim fedes partin maxinia culare demonſtrat; ut fi quis fic dicat: Si neque
propoſitio intelligi poteft, partim propofitionis navibus, ncque curribus,
neque agris ſorte præ- inaximè differentia. Nam cùm fint alize propoli ponuntur;
nec rebus quidein publicis rectores tiones, quæ cùin per ſe notæ lint, cùm
nihil ul eſſe ſorte ducendi funt. Quod argumentationis teriùs habeant, quo
demonftrentur, atque hæ genus maxiinè folet eſſe probabile, etſi non maxinæ et principales
vocentur, funtque aliæ æquam ſyllogyſmi habeat firinitatem. Syllogif- quarum
fidem primæ ac maximæ, fuppleant mus namqueabuniverfalibus ad particularia de-
propofitiones: neceffe eft, ut omnium quæ curret. Eftque in eo, fi veris
propoſitionibus dubitantur, illæ antiquiſſimam teneant pro+ contexatur, firma
atque immutabilis veritas. bationein; quæ ira aliis fidem facere poffunt, Ut
inductio habet quidem maximam probabi- ut ipſis nihil queat notius inveniri.
Nam li litatem, ſed interdum veritate deficitur; ut in argumentum eſt, quod rei
dubiæ faciat fidem, hac: Qui fcir canere, cantor eſt: et qui luctari ídque
notius ac probabilius eſſe oportet, quàm luctaror: quique ædificare, ædificator;
quibus illud quodprobatur: neceſſe eſt, utargumentis multis fimili jatione
collectis, inferri poteſt: omnibus illa maximam fidem tribuant, quæ ita Qui
fcit igitur malum,malus eſt, quod non pro- per ſe nota ſunt, at alienâ
probationenon egeant: cedit;mali quippe notitia deeſſe non poteſt bonoš Sed
hujulinodi propoſitio aliquotiens quidem virtusenim ſeſe diligit, aſpernatúrque
contraria, intra argumenti ambitum continetur: aliquotiens nec vitare vitium
niſi cognitum queat. yerò extra polita, argumenti vires ſupplet ac per His
igitur duobus velut principiis, &generibus fices, Duo funt alii
argumentandi, duo quidem alii deprehenduntur Cinnes igitur loci, id eft;
maximarum diffe, Omnes loci à argumentori argumentationis modi: unusquidem
fyllogiſmo, rentiæ propoſitionum, aut ab his ducantur ne quibus ternii modi,
Enthy alter verò inductioni ſuppoſitus. In quibus qui- ceſſe eſt terminis, qui
in quæſtione ſunt propo memaſciet exemplum, ea dempromptumſit conſiderarequod,
ille quidem fiti, prædicato ſcilicețarquefubjeéto: aut extrin qaid (ma à
fyllogiſmo, ille verò ab indu et ione ducat exor- ſecus adfumantur:auc horum
medii acque inter dium: non tamen,aut hicfyllogiſmum, aut ille utrofque
verſentur. Eorun verò locoruin, qui impleat inductionem; hæc autem ſunt
enthyine ab hisducuntur terininis, de quibus in quæſtione ma, atque exemplum,
Euthymema quippe eft dubitatur, duplex modus eſt: unus quidem ab imperfectus
fyllogiſmus, id eſt oratio, in qua non corum fubftantia, aker verò ab his, quæ
eoruin omnibus antea propoſitionibus conftitutis,inter ſubſtantiam conſequuntur
shi verò quià ſubftária tur feſtinata conclufiosut fi quis ſic dicat: homo
funt, inſola definitione conliſtunt.Definitio enim animal eſt, ſubſtantiaigicur
eſt; præterınjſic eniin ſubſtantiammónftrát; et fubſtaạtiæ integra det alteram
propofitionem, quâ proponitur omne monſtratio, definitio eſt. Sed, id quod
dicimus, aniinal elle fubftantiam. Ergo cùm enthymema patefaciamus exemplis;ut
omnis vel quæftionum, ab univerſalibus ad particularia probanda con- vel
arguinentationum, vel locoruin ratio con tendit, quali ſimile Jyllogiſmo eft.
Quod vero quieſcat. Age enim quæratur; an arkores ani non omnibus, qu:e
conveniunt fyllogiſmo,propor malialint, řátque hujuſmodifyllogiſmus: ani+
ſitionibus utitur, à fyllogiſmi ratione difcet mal eftfubftantia animata
ſenſibilis:non eft arbor dit, atque ideò imperfectus vocatuseft fyllogif-
fubftantia animata fenfibilis; igitur arbor animal mus, non eft. Hic quæſtio de
genere eft; utrùm enim Exemplum quoque inductioni fimili ràtionę arboresfub
aniinaliumgenere panendæ fint,qux et copulatur, et ab ea diſcedit. Eft enim
exem- ritur: locus qui in univerſali propofitione con, plum, quod
perparticulare propoſitum,particu- filtit, huic generis definitio non convenit,
id lare quoddam contendit oſtendere, hoc modo; ejus, cujus ea definitio eft,
fpecies non eſt loci Oportet à Tullio consule necari CATILINA, cum superioris
differentia: qui locus nihilominus à Scipione Gracchus fueritinteremptus; appro,
nuncupatur à definitione. batum eſt enim CATILINA à CICERONE debere pe Vides
igitur ut çora dubitatio quæftionis fyllo rimi, quod â Scipione Gracehus fuerit
occiſus: giſmi argumentatione* tracta (it per convenien: Ed.sracht quæ utraque
particularia effe, ac non univerſalià tes et congruas propoſitiones,quæ vim
ſuam ex "4. lingularum deſignat interpoſitio perſonarum prima &maxima
propofitionecuftodiunt; ex ea Quoniamigiturex parte pars approbatur, quafi
{cilicet, quænegat effe fpeciem, cui ñnon conve: inductionis fimilitudinem
tenet id, quodexem- niat generis definitio, Acque ipſa univerſalis pro nis
ducantur: B. ftantia du tem. poſitio à ſubſtantia tracta eſt unius eorum termi-
eſt, hoc modo fæpe quæſtionibus argumenta ni, qui in quæſtione locati ſunt; ut
animalis,id fuppeditat; ut fi fit quæſtio, an juſtitia utilis fit, eſt, ab
ejusdefinitione,quæ eſt ſubſtantia anima- fit fyllogiſmus: Omnis virtus utilis
elt, juſtitia ra ſenſibilis. Igitur in cæteris quæftionibus ſtri- autem virtus
eſt, ergo juſtitia utilis eſt. Quæſtio ctim ac breviter locorum differentiis
coinmemo- de accidenti, id eſt, an accidat juftitiæ utilitas. fatis, oportet
uniuſcujuſque proprietatem vigi- Locus is, qui in maxima propoſitione
conſiſtir. lantis animi alacritate percipere. Quæ generi adfunt, et fpeciei.
Hujus ſuperior Locus ex ſub Hujus aureinloci, qui ex fuſtſtantia ducitur, locus
à toto, id eſt, à genere, virtute ſcilicet, quæ ftus, duplex duplex modus eſt;
partim namquc à definitione, juſtitiæ genus eſt. Rurſus fit quæſtio, an huma eft. partim à deſcriptione argumenta ducuntur.
næ res providentiâ,regantur. Cùm dicimus, li Differt autem definitio à
deſcriptione, quòd mundus, providentiâ regitur: homines autem Que fit dif-
definitio genus ac differentias affumic: def- pars mundi funt: humanæ igitur
res providen ferentia inter criptio verò ſubjectain intelligentiam - claudit,
tia reguntur. Quæſtio de accidenti, Locus quod defcriptiq quibuſdam vel
accidentibus unam efficientibus toti evenit, id congruit etiam parti. Supremus
proprietatein, vel ſubſtantialibus præter genus locus à toro, id eſt, ab
integro. Quod partibus conveniens aggregatis. Sed definitiones, quæ ab conftat,
id verò eft mundus, qui hominum to accidentibus fiunt, tamen videntur nullo
modo tum eſt. ſubſtantiam demonftrare: tamen quoniam fæpe A partibus etiain
duobus modis argumenta naf- A partibus veræ definitionesita ponuntur, quæ
ſubſtantiam cuntur: aut enim à generis partibus, quæ ſunt, duobus modis
monſtrant: illæ etiam propofitiones,quæ à deſcri- fpecies:aut ab integri, id
eſt, torius; quæ par- azamente ptione fumuntur,à fubftantiæ loco videntur affu-
tes tantum proprio vocabulo nuncupantur. Et Mojcanine. mi. Hujus verò tale fit
exemplum; quæratur de his quidem partibus, quæ ſpecies funt, hoc enim, an
albedo ſubſtantia fit: hic quæritur, an modo fit quæſtio, an virtus mentis benè
conſti albedo ſubftantiæ, velut generi ſupponatur. Di- tutæ fic habitus:
quæſtio de definitione, id eft, cimus igitur: ſubſtantia elt, quod omnibusacci-
an habitus benè conſtitutæmentis,virtutis lit de dentibus poſſit eſſe ſubjectum:
albedo verò nul- finitio. Facieinus itaque ab ſpeciebus argumen dis
accidentibus fubjacet, albedo igitur fubſtan- tationem lic: Si juftitia,
fortitudo, inoderatio, tia non eſt. Locus, id eſt, maxima propoſitio, atque
prudentia, habitus benè conftituræ mentis eadem quæ fuperiùs. Cujus
enimdefinitio vel funt: hæc autem quatuorunivirtuti velut generi deſcriptio
ei,quod dicitur,ſpecies effe non conve- ſubjiciuntur: virtus igitur benè
conſtitutæ men nit, id ejus quod eſſe ſpecies perhibetur, genus tis eſt habitus.
Maxima propoſitio; quod enin noneſt. Deſcriptio verò fubftantiæ albedini non
ſingulis partibus ineſt, id toti inefTe neceffe eft. convenitalbedo: igitur
ſubſtantia non eſt. Argumentum verò à partibus, id eſt, à generis Locus
differentia ſuperior à deſcriptione; quam partibus, quæ ſpecies nuncupantur;
juſtitia enim, duduin locavimus in ratione ſubſtantiæ. Sunt fortitudo, modeſtia
et prudentia, virtutis fpe etiam definitiones, quæ non à rei ſubſtantia, ſed
cies ſunt. à nominis ſignificatione ducuntur, atque itą rei, Item ab his
partibus, quæ integri partes eſſe di de qua quæritur, applicantur; ut ſi ſît
quæicio, cuncur, fit quæſtio, an fit utilismedicina. Hæc utrumne philoſophiæ
ſtudendum fit, erit argu: in accidentis dubitatione conftituta eſt. Dicimus
mentatio talis: Philofophia ſapientiæ amor eſt, igitur, ſi depelli morbos,
ſalurémque fervari, huic ſtudendum nemo dubitat: Itudendum igitut mederique
vulneribus utile eft: igitur medicina eſt philofophiæ. Hic enim non definitio
rei, ſed eſt utilis. Sæpe autem et una quælibet pars valer, nominis
interpretatio argumentum dedit. Quod ut argumentationis firmitas conſtet, hoc
inodo; etiam Tullius in oſtenſione ejuſdem philofophiæ ut fi de aliquo dubitetur,
an fit liber: ficum vel uſus eſt defenfione, et vocatur Græcè quidem cenſu,
velteſtamento, vel vindictâ manumiſ ovouzOtong, Latinè autem nominis definitio.
fum eſſe monſtremus, liber oſtenſus eſt: atque Hæc de his quidem argumentis,
quæ ex ſubſtan- aliæ partes erantdandæ libertatis. Vel rurſus, fi cia
terminorum in quæſtione politorun fumun- dubitetur, an ſir domus quod eminus
conſpici tur, claris,ut arbitror,patefecimus exemplis: nunc tur: dicimus
quoniam non eſt; nam vel rečtun de his dicendum eſt, qui terminorum ſubſtana
ei, vel parietes, vel fundamenta defunt, ab una tiam conſequuntur. rurſus parte
factum eſt arguinentum. Divifio loco Horum verò multifaria diviſio eſt; plura
enim Oportet autem non folùm in ſubſtantiis, ve Tum qui(ubu funt, quæ ſingulis
ſubſtantiis adhæreſcunt: ab růın etiam in modo, temporibus, quantitatibus,
franciam com his igitur, quæcujuſlibet ſubſtantiam comitan- torum, partéfque
reſpicere. Id enim quod dici fequantur. tur, argumenta duci folent, aut ex toto,
aut ex mus aliquando in teinpore, pars': rurſus li fim partibus, aut ex caufis,
vel efficientibus,vel ma- pliciter aliquid proponamus,in modo totum eſt: teria,
vel fine. Er eſt efficiens quidem cauſa, li cum adječtione aliqua, pars fit in
modo. Item quæ inover atque operatur, ut aliquid explice- fi omnia dicamusin
quantitate, tòrum dicimus: tur: materia verò, ex qua fit aliquid,vel in quafit:
fialiquid quantitatisexcerpimus, quantitatis po, propter quod fit. Sunt etiam inter
eos lo- nimus partem. Eodem modo &in loco: quod cos, qui ex his ſumuntur,
quæ ſubſtantiain con- ubique eſt, totum eſt: quod alicubi, pars. How ſequuntur,
aut ab effectibus, aut à corruptioni- ruin autem omnium communiter dentur exem
bus', aut ab uſibus, aut præter hos omnes ex pla. A toto ad partem fecundum
tempus: fi communiter accidentibus. Quæ cùm ita fint, Deus ſemper eſt,
&nunc eſt. A parte ad totum cum priùs locum, qui à toto fumitur, inſpicia-
ſecundum modum:ſi *anima aliquo modo niové» MSS. amie tur, et fimpliciter
movetur; movetur autem cum mal. Totum duobus modis dici folet: aut ut genus,
irafcitur;univerſaliter igitur et fimpliciter mo bus modisdi- aut ut idquod ex
pluribus integrum partibus vetur. Rurfus à toro ad partes in quantitate: fi
conſtat. Er illud quidem quod ut genus, totum finis mus. Totum duo citur. 1 1 DE
DIALECTICA 3 teria, fi jori. TA A. > verus in omnibus Apollo vatės eſt;
verum erit oppoſitis, vel ex tranffuinptione. Et ille quidem Pyrrhum Romanos
ſuperare. Rurſus in loco, fi locus, qui rei judiciuin tenet, hujuſmodi eft; ut
Locus à rei Deus ubique eft, et hîc igitur eſt. id dicamus effe, vel quod omnes
judicant, vel judicio. Locusà came "Sequitur locus, quinuncupaturà cauſis.
Sunt plures, et hivel ſapientes, vel ſecundam unam fis multiplex. verò plures
cauſa, id eft, quæ vel principium quanque artem penitus eruditi.Hujus exempluin
præſtantmotusatque efficiunt: vel ſpecierum for- eft, cælum eſſe volubile: quòd
ita fapientes, atque mas ſubjectæ ſuſcipiunt: vel propter eas aliquid, in
Aſtronoinia do et illimi diſudicaverint. Quæ vel quæ cujuſlibet forma eſt. ſtio
de accidente. Propofitio, quod omnibus,vel Zocus ab effi- Argumentum igitur ab
eficiente cauſa; ut fi pluribus, veldoctis videtur hominibus,ei contra ciense
cauſa. quis juſtitiam naturalemn velit oſtendere, dicat: dici non poſſe. Locus
à rei judicio. congregatio hominum naturalis eſt: juſtitiam A fimilibus verò
hoc modo, fi dubitetur, an verò congregatio hominum fecit: juſtitia igitur
hominis proprium fit eſſe bipedem, dicimus fi naturalis eſt. Quæſtio de
accidente. Maximapro- militer: ineſt equo quadrupes, et homini bipes; poſitio:
quorum effacientescauſæ naturales ſunt, non eft autem equi quadrupes proprium;
non eft apſa quoque ſunt naturalia. Locus ab efficienti igitur hominis
propriuin bipes. Quæſtio de pro bus; quodenim uniuſcujuſque cauſa eſt,id
efficit prio. Maxiina propoſitio. Si quod limiliterineſt, can rem, cujus caufa
eft, non eſt proprium, ne id quidem de quo quæritur, Locus à ma Rurſus, ſi quis
Mauros arima non habere con- eſſe propriuin poteſt. tendat, dicit idcirco eos
minimè armis uti, quia Locus à fimilibus: hic verò in gemina dividitur. Locus
àfomi libus duplex. his ferrum deſit. Maxima propoſitio, ubi materia Hæc enim
fimilitudo, aut in qualitate, aut in deeſt, et quod ex materia efficitur, defit
locus à quantitate conſiſtit: ſed in quantitate paritas mareria: utrumque verò,
ideft, ex efficientibus nuncupatur, id eſtæqualitas. atque materia,uno nomine à
cauſa dicitur. Æquè Rurfus ab eo quod eſt majus, fi an fit animalis Locais à
Ma. enim id quod efficit, atque id quod operantis definitio, quod ex ſe moveri
poffit, dicimus, actum ſuſcipit, ejus rei, quæ efficitur, cauſæ magis oportet
eſſe animalis definitionem, quòd funt. naturaliter vivat, quàm quòd ex ſemoveri
poffit Locais à fine. Rurſus à fine fit propofitum, an juftitia bona Non eft
autem hæc definitio animalis, quòd natu fit, fiet argumenratio talis. Si beatum
eſſe, bo- raliter vivat: ne hæc quidem, quæ minùs vide num eſt, et juſtitia
bona eſt; hic eſt enim juſtitiæ tur effe definitio, quod ex ſe inoveripoſſit,
ani finis, ut qui ſecundum juſtitiam vivit, ad beati- malis definitio eſſe
paranda eſt. Quæſtio de defi rudinem perducatur. Maxima propoſitio, cujus
nitione. Propoſitio maxima. Si id quod magis finis bonus eft, ipſum quoque
bonum eft. Locus videbitur ineſſe non ineſt, ne illud quidem à fine. quod minus
ineffe videtur, inerit. Locus ab eo Loctus a for Ab eo verò, quæcujuſque forma
eſt,ità non po- quod eſt inajus. tuiſſe volare Dædalum, quoniam nullasnaturalis
A minoribus verò converſo modo. Nam fi eft locus à formæ pennas
habuiſſet.Maxima propoſitio, tan- hominis definitio, animal grellibile bipes:
cúm- mori. tìm quemque poffe, quantùın formapermiſerit. que id bipes videatur
effe definitio hominis mi Locus à forma, nus. quàm animal rationale mortalc;
fitque defi Loc tus ab effe, Ab'effectibus verò, et corruptionibus, &uſibus
nitio ea hominis, quæ dicit animal grellibile bi Etibus, corrm- hoc modo: namn
ti bonum eſt,domus, conſtru- pes, erit definitio hominis, animal rationale -
ptionibus, &io bonum eſt, bonum eſt domus. Rurfus fi mortale. Quæſtio de
definitione. Maxima propo ufibus., maluin eſt, deſtructio domus: bona eſt
domus,& ficio: Si id quod minus videtur ineffe, ineſt: et fi bona eſt domus,
mala eſt deſtructio domus. id quod magis videtur inefle, inerit. Multæ au Item
ſi bonum eſt equitare, bonum eſt equus: et tem diverfitates locorum ſunt, ab eo
quod eſſe fi bonum eſt equus, bonum eſt equitare. Eſt au- magis acminùs,
argumenta miniſtrantium: quos tein primum quidem exemplum à generationi- in
expoſitione Topicorum Ariſtotelis diligentius bus, quodidem ab effectibus
vocari poteft. Sea perſequuti fumus. cunduin à corruptionibus, tertium ab
ufibus. Item ex proportione: ut fi quæràtur, an ſorte Lucus ex pro Omnium autem
maximæ propofitiones: cujus fint legendi in civitatibus magiſtratus, dicamus
portione. effectio bonaeſt, ipfum quoque bonum eſt, et è minimè: quia ne in
navibus quidem gubernator converfo: et cujus corruptio mala eſt, ipſum bo-
forte præficitur: eſt eniin proportio, nain ut fele nuin eſt, et è converſo:
&cujus uſus bonuseſt, habet gubernatorad navem, itamagiſtratus adci ipfum
bonum eft, et è converſo. vitatem. Hic autem locus diftat ab eo, quod ex ſi
Locus à com A coinmuniter autem accidentibus argumenta milibus ducitur. Ibi
enim una res quæ cuilibet muniteracci- funt, quotiens ea ſumuntur accidentia,
quæ re- et alii comparatur: in proporcione verò non eſt linquere ſubjectum,vel
non poffunt, vel non ſo. limilitudo rerum, fed quædam habitudinis coin lent;
utſi quis hoc inodo dicat: ſapiens non pa paratio. Quæſtio de accidenti
proportione.Quod nitebit; pænitentia enim malum factum comita- in
quaquereevenit, id in ejus proportionali eve tur: quod quia in ſapiente non
convenit, ne poe- nire neceſſe eſt. Locus à proportione. nitentia
quidein.Quæſtio de accidentibus.Propo Ex oppoſitis verò multiplexlocus eft.
Quatuor Locus ex op fitio maxima: cui non ineft aliquid,ei neillud qui- enim
libimet opponuntur modis; aut enim ut pofo ismulti dein, quod ejus eſt conſequens,
ineffe poteſt. contraria adverfo ſeſe loco conſtituta refpiciunt: plex. Locus à coinmuniter accidentibus. aut ut privatio, et habitus: aut relatio:
aut affir De lo cis ex Expeditisigitur locis his, qui ab ipſis terminis inatio
&négatio. Quorum diſcretiones in co li srinfecus. in propofitfone poſitis,
affumuntur: nunc de his bro qui de decem prædicamentis fcripruscſt,com dicendum
eft, qui licet extrinfecuspoſiti, argu- meinoratæ ſunt; ab his
hocmodoargumentanaſ menta tamen quæſtionibus fubminiftrant: hi ve ro ſunt vel
ex rei judicio, vel ex ſimilibus, vel à A contrariis fi quæratur, an lit
virtutis pro- Locus à con majore, vel à minore, velà proportione, velex prium
laudari, dicam minimè: quoniam ne vitii trariis.; D cuntur. B. Jocentu. habits.
sione. Locus ex. ne. quidem vituperari. Quæſtio de proprio. Maxi- ſecundum
proprii nominis fimilitudinem corr ma propoſitio: quoniam contrariis contraria
fequuntur. conveniunt. Locus ab oppoſitis, id eft, ex con Mixti verò loci
appellantur: quoniam ſi de ju- Qui mirtilo. ' trario. ſtitia quæritur, et à
caſu, vel à conjugatis argu Locuus à pri Rurſus ſit in quæſtione pofitum: An
ſit pro- menta ducuntui; neque ab ipſa propriè atque vatione prium oculos
habentium videre, dicam miniinè: conjunctè, neque ab his quæ ſunt extrinſecus
eos namque qui vident, aliàs etiam cæcos eſſe polica videntur trahi, fed ex
ipſoruin calibus, id contingit. Nain in quibus eſt habitus,in eiſdem eſt,
quadam ab iplis levi immutatione deductis: poteriteſſe privatio; et quod eſt
proprium, non Jure igitur hi loci medii inter eos, qui ab iplis, poreſt
àſubjecto diſcedere. Etquoniam venien- et eosquiſunt extrinfecus, collocantur.
te cæcitate viſus abfcedit:non effe proprium ocu Reſtat locus à diviſione, qui
tractatur hoc mo- Locus è divi. los habentium videre convincitur. Quæſtio de
de. Omnis diviſio vel negatione fit, vel parti- fione fisvel proprio.
Propofitio, ubi PRIVATIO adetle poteft tione; ut ſi quis ita pronuntiet: omne
animal negatione,vel Partitione et habitus, proprium nonelt. Locus ab oppofi- aut habet pedes, autnon haber. Partitione verò, tis,
ſecunduin habitum ac privationein. velut ſi quis dividat: omnis hoino aut ſanus,
aut Zocus à rela. Rurſus ſit in quxſtione pofitum, an patris fit æger
eft. Fit autem univerfa divifio, vel, ut ge proprium procreatorem eſſe, dicain
rectè videri: neris in ſpecies, vel.totius in partes, vel vocis in quia filii
eſt propriuin procrcatum efle; ut enim proprias ſignificationes, vel accidentis
in ſubje ſeſe habet pater ad filium, ita procreatus ad pro- cta, velſubjecti in
accidentia, vel accidentis in Creatorem. Quæſtio de proprio. Propofitiomaxi-
accidentia. Quorum omnium rationemin meo ma: ad ſe relatorum propria, et ipſa
ad ſe refe- libro diligentius explicavi, quem de diviſione Libram dedi runtur.
Locus à relativis oppofitis. Locus ab af compoſui:atque idcircoad horuin
cognitionem vifione com pour celſis formatione e Item fit in quæſtione politum,
an lit ani- congrua petantur exempla. Fiunt verò argumen - dow negatione. malis
proprium moveri, negem: quia nec tationes per diviſionem, tun ea
ſegregatione, Ed. in ani- inaniinati
quidein eſt proprium non moveri. qux per negationem fit, cum ea quæ per parti
mali. Quæſtio de proprio. Propofitio inaxiina: op- tionem. Sed qui his
diviſionibus utuntur, aut di politorum oppoſitaeſſe propria oportere. Ló-
re& tâ ratiocinatione contendunt: aut in aliquid cus ab ppolitis, ſecundum
affirmationem ac impoſibile atque inconveniens ducunt, atque negationem; moveri
enim et non moveri, ſe- ita id quod reliquerant, rurſus adſumunt. cundum
affirmationem negationémque fibimmer Quæ faciliùs quiſque cognoſcer, li
prioribus opponuntur. Analiticis operam dederit: horum tamen in præ Ex
tranſſumptione verò hoc modo fit: cùm ex fentitalia præftabunt exempla
notitiain. Sit in transJumptio. histerminis in quibus quæſtio conſtituta eft,ad
quæſtionepropoſituin, an ulaorigo fit temporis: aliud quidem notius dubitatio
transfertur; atque quod qui negare volet, id nimirum ratiocinatio ex ejus
probationeea, quse in quæſtione ſunt po- ne firmabit mallo, modo effe ortum:ídque
dire ſita, confirmantur; ut Socrates, cùin quid pof- &tâ ratiocinatione
monftrabit, hocmodo: quo ſet in unoquoque juſtitia, quæreret; omnein niain
mundusærernus eſt (id enim pauliſper ar tractatum ad reipublicæ tranſtulit
inagnitudi- guinenti gratiâ concedatur ) mundus verò fine nem; atque ex co
quodilla efficeret infingulis, tempore effe non potuit, teinpus quoque eſt æter
etiani valere fitinavit. Qui locus à roro forſican num: ſed quod æternum eſt,
carerorigine: tem eſſe videretur: ſed quoniam non inhæret in his, pus igitur
orignem non habet. Atſi per impolli de quibus proponitur terminis, fed extra
poſita bilitatein idem deſideretur oſtendi, dicetur hoc res, hoc tantum
quianotior videtur, affumitur; modo. Sitempus habet origineni,non fuit ſemper
idcirco ex tranſfumptione locus id convenienti teinpus: fuit igitur, quando non
fuit rempus, ſed vocabulo nuncupatus eft. Fit verò hæc tranſlum- fuiffe SIGNIFICATIO
eſt temporis; fuit igitur tein prio &in nomine, quoties ab obfcuro vocabulo
pus, quando non fuittempus: quod fieri non ad notius transfertur argumentatio,
hoc modo; poteft; non igitur eſt ulluin temporisprincipiuin ut ſi quæratur, an
philoſophus invideat, fitque pofitum. Namque, ut ab ullo principio cæpe ignotum
quid philoſophi ſignificet nomen, dice- rit, inconveniens quiddam atque
impoffibile mus ad vocabulum notius transferentes, non in- contingit fuiſſe
teinpus, quando non fuerit videre qui ſapiens ſit; notius enim eſt fapientis
tempus. Reditur igitur ad alterain partein, vocabuluin, quàm philofophi. Ac de
his qui- quod origine careat: fed hæc quæ ex negatio dem locis qui extrinfecus
aſſumuntur, idoncè di- ne diviſio eſt, cùm per eam quælibet argu ctuin eſt:
nunc de mediis diſputabitur. menta ſumuntur, nequit fieri, ut utrumque fit,,
quod affirinatione et negatione dividi De Mediis. tur: itaque ſublato uno, alterum
manet; pofi tóque altero reliquum tollitur: vocaturque hic à Ex quibus Medii
enim loci ſumuntur vel ex calu, vel ex diviſione locus, medius inter eos qui ab
ipfis conjugatis, vel ex diviſione naſcentes. Caſus duci folent, atque eos qui extrinſecus adſumun Sumantur. Quid fit eſt
alicujus nominis principalis inflexio in adver- tur. Cùm enim quæritur, an ulla
temporis lit bium: uràjuſtitia inflectitur juſtè, cafus igitur origo, ſumit
quidem eſſe originem; et ex eo pet Quid Conju- eſt juſtitia,id quod dicimus
juftè, adverbium. propriamconſequentiam à re ipſa,quæ quæritur, Conjugata verò
dicuntur, qux abeodein diver- htimpoſſibilitatis et mendacii fyllogiſmus;quo fo
modo ducta Auxerunt:ut à juſtitia, juftum; concluſo reditur ad prius, quod
verum eſſe ne hæc igitur inter ſe et cum ipſa juſtitia conjugara ceſſe eſt;
fiquidem ad quod eioppofitum eſt, ad dicuntur, ex quibus omnibus in promptu
lunt impoſſibile aliquid inconvenienſque perducit. argumenta. Namfi id quod
juftum eft, bonum Itaque quoniam ex ipfa re, de qua quæritur, fieri eſt; et id
quod juſtè eſt, benè eſt; et qui juftus fyllogiſmus folet, et quali ab iplis
locus eft du eft, bonus cft, et juftitia bona eſt; hæc igitur cus: quoniam verò
non in eo permanet, fed ad locis Medii Calus. gaid. politum DE DIALECTICA BA
tis li 1. nd 20 je 18 19 100. TOR: OK parti 17 10.3. pofitam redit, quafi
extrinſecus fumitur: idcirco Quibus ita popofitis inſpiciatRus nunc cos lo:
igitur hic à diviſione locus inter utrumque me cos', quos duduin
extrinfecuspronuntiabamus Delocis eta dius collocatur. affuini; ea enim, quæ
extrinſecus affumuntur, frempris,, of Loci ex par Ac verò hi qui ex partitione
funiuntur, multi- non ſunt ita ſeparata atquedisjuncta, ut non ali nitione fum-
plici funt modo. Aliquotiens
enim quæ divi quandoquali è regione quadam, ca quæ quærun qua dintre
pri,maisiplici duntur, fimul effe poffunt; ut fi vocem in figni- tar,
afpiciant. Nam et funilitudines et oppofita frunt modo. ficationes dividamus,
oinnes fimul eſſe poſſunt: ad ea lme dubio referuntur, quibus ſimilia vel op
veluti cum dicimus amplector, aut actionein li polica funt, licet jure
atqueordine videantur ex gnificat, aut paffionem; utrumque finul lignifi
trinſecus collocata. Sunt autem hæc, ſimilitudo, care poteft. Aliquotiens velut
in negationis mo- oppoſitio, magis,ac minus, rei judicium. In ſimi do, quæ
dividuntur fimul eſſe non poffunt; ut litudine enimcum rei fimilitudo, tum
propor fanus eſt, aut æger. Fitautein raciocinatio in tionis ratio continetur.
Omnia enim fimilitudi priore quidem mododivilionis, tum quia omni- nem tenent.
bus adeſt quodquæritur, vel non eft: tum verò Oppolica verò in concrariis, in
privationibus; idcirco alicui adeſſe, vel non adeffe quod aliis ad in
relationibus, in negationibus conſtant. Com ſit, vel minimè. paratio verò
majoris ad minus quædam quali ſi Nec in his explicandis diutiùs laboramus, fi
miliuin diffimilitudo eft; rerum enim per fe finni prioresReſolutorii, vel
Topica diligentiùs inge- lium in quantitate diſcretio majus fecit ac minus,
nium le& oris inftruxerint. Nam fi quæratur, Quod enim omni qualitate,
omnique ratione utrum canis fubftantia fit, atque hæc divifio fiar: disjunctum
eſt, id nullo modo poterit compara canis vel latrabilis animalis eſt velmasinx
belluæ, ri. Exrei verò judicio quæ ſunt argumenta, quaſi vel cæleftis lideris
nomen e demonftraretque per teſtinionium præbent, et ſunt inartificiales loci
ſingula et canem latrabilem fubftantiam eflc,ma- atque omnino disjuncti; nec
rem potius, quàm rinam quoquebelluam, et cælefte fidus ſubſtantiæ opinionem
judiciúmque fectantes. Tranſſum poffe fupponi,nonftravit canem eſſe fubftantiam.
ptionis verò locus nunc quidem in'æqualitate, Acque hic quidem ex ipfis in
quæſtione propoſi- nunc verò in majoris minoriſve.comparatione tis; videbitur
argumenta traxiſſe. At in talibus conſiſtit; aut enim adid quod eſt finile, aut
ad id syllogiſmis, aut fanus eſt aut æger: ſed fanus eft, quod eſt majus aut
minus, fit arguinentorum raa non eft igitur ager: ſed fanus non eft, rgerigi-
fionumque tranſſumptio. cur eſt; velica: liæger eft, fanus igitur non eſt; Hi
verò loci quos mixtos eſſe prædiximus, aut De locismist velita: fi æger noneft,
fanus igitureſt. Ab his ex caſibus, autex conjugatis, aut ex diviſionenaſ- sis.
* M5$. in- quæ funt* extrinſecusſumptus eſt ſyllogiſmus,id cuntur: in quibus
omnibus conſequentia, et re trinfecu. elt,ab oppoſitis. Idcirco ergo totus hic
àdiviſio- pugnantia cuſtoditur. Sed ea quidem,quæ ex defi ne locus inter
utrofque medius eſſe perhibetur: nitione, vel genere, vel differentia, vel
caufis quia ſi negatione fit conftitutus, aliquo inodo arguinenta ducuntur,
demonftratione maxiinè quidem ex ipfis fumitur, aliquo modo ab exte-
fyllogiſinis vires atque ordinem ſubminiſtrant: tioribus venit. Si verò à
particioneargumenta reliqua verò verifimilibus ex dialecticis. Atque ducuntur;
nunc quidem ab ipfis, nunc verò ab hi loci maximè, qui in corum fubftantia
ſunt, de exterioribus copiam præſtant: quibus in quæſtione dubitatur, ad
prædicativos Etca Græci quidem Themiſtii diligentiſſimi ac fimplices:reliqui
verò ad hypotheticos et con ſcriptoris ac lucidi, et omnia ad facultatem intel-
ditionalesreſpiciuntfyllogiſmos. Partitio locou ligentiæ revocantis, talis
locorum videtur effe Expeditis igitur locis,& diligenter tam defini
partitio. Quæcùm ita fint, breviter mihi loca- tione, quàm exemplorum etiam
luce parefactis, rum divifio coinmemoranda eſt, ut nihil præte- dicendum
videtur, quomodohiloci maximarum rea relictum eſſe monftretur, quod non intra
cam ſint differentiæ propoſitionum, idque brevi; ne probetur effe inclufum. De
quo enim in quali- que enim longå diſputatione res eget. Omnes bet quæſtione
dubitatur, id ita firınabitur argu- enimmaxiinæ propoſaiones,vel definitiones,
in mentis; ut ea vel ex his ipfis fumantur, quæ in eo quòd ſunt maximæ, non
differunt: ſed in ed quæſtione ſunt conſtirura, vel extrinfecus ducan- quòd hæ
quidein à definitione, illæ verò à genere, tur vel quaſi in confinio horum
pofita veſtigen- vel aliæ veniant ab aliis locis, et his jure differre; tur. Ac
præter hanc quidem diviſionein nihil ex- hæque earum differentiæ eſſe dicuntur.
tra inveniri poteſt: ſed ſi ab ipſis fumitur argu mentum, aut ab ipſoruin
neceffe eſt ſubſtantia De Topicis. fumatur, aut ab his quæ ea conſequuntur, aut
abhis quæinſeparabiliter accidunt,veleis adhæ- Topica ſunt argumentorum ſedes,
fontes fen- Quid fire ſubſtantia ſeparari ſejungique fuum, origines dictionum.
Itaque licet definire Topica. vel non poffunt, vel non folent. Quæ verò ab
locum eſſe argumentiſedem: argumentum aucem corum fubftantiaducuntur, ca aut in
deſcriptio- rationem, quæ reidubiæ faciat ħdem. Et funt ar- Quibus ex aut in definitione ſunt; et præter hæc, à no- gumenta
aut in ipfo negotio, dequo agitur: aut rebus argi minis interpretatione. Quæ
verò eavelur ſub- ducuntur exhis rebus, quæquodanmodoaffectæ menta ernano
ftantias continentia conſequuntur, alia ſunt, vel ſunt ad id,de quo quæritur;
et ex rebus aliis tra ut generis, vel differentiæ, vel integræ formæ, &tæ
nofcuntur: aut certè affumuntur extrinſecus. vel fpecierum, velpartiumloco
circaca, quæ in- Ergo hærentia loca argumentorum in eo ipfone- Ex locis han
quirantur, alliſtunt. Item, vel caufæ, vel fines, gotio funttria,id eſt, à toto,
à partibus, à nota. rentibus et vel effectus, vel corruptiones, vel uſus,vel
quan A toto eft argumentum etiam,cùm definitio ad- ſunt tria. ticas, vel tempus,
vel fubliſtendimodus. Quod hibetur adid, quod quæritur; sicut ait CICERO, * Ed.
exfc. verò propriè inſeparabile, vel adhærens, acci- GLORIA EST LAUS rectè fa
&torum, magnorúmque in dens nuncupatur, id in communiter accidentibus
rempublicam fama meritorum: ecce quia GLORIA numerabitur. Et præter hæc quid
aliud cuiquam totum eſt, per definitionem oſtendis, quid lis inelle pollit, non
poteft invenici. GLORIA. Dddd firs 218 - am Timr. B. tredecim. Argumentum à partibus ſic; utputa,
ſi oculus A repugnantibus arguinentum eſt, quando videt, non ideo totuin corpus
videt. illud quod objicitur,aliqua contrarietate deftrui A nota autem fic
ducitur argumentuin, quod tur -- ut CICERONE dicit: Is igitur non inodò à te
per Græcè Etymologia dicitur: Siconſul eſt,qui con- riculo liberatus, ſed etiam
honore ampliſſimodi ſulit reipublicæ, quid aliud Tullius fecit,cùm ad- tatus,
arguitur domi ſuæ te interficere voluiffe. fecit fupplicio conjuratos? A cauſis
argumentum eſt, quando ex conſuetu Exipfis rebus Gex rebus
Nuncducunturargumenta et ex his rebus, quae dine communi res quæ tractatur,
fieri potuiſſe aliis, e junt quodammodo affectæ ſunr adid, de quo quæri-
convincitur; ut in Terentio: Ego nonnihil veri et ex rebus aliis tra &tæ
nofcuntur: et funt tus ſuin dudum abs te Dave, ne faceres, quod loca tredecim,
id eſt, alia à conjugatis, alia à ge- vulgus fervorum folet, dolis ut ine
deluderes. nere, alia à forma generis, id eft, fpecie, alia à Ab effectibus
ducitur argumentum, cùm ex his Limilitudine, alia à differentia, alia ex
contrario, quæ facta ſunt, aliquid adprobatur; utin VIRGILIO alia à conjunctis,
alia ab antecedentibus, alia à lio: Degeneres animos timor arguit; nam timor
conſequentibus, alia à repugnantibus, alia à cau- eſt caula, ut degener (ic
animus, quod ciinoris fis, alia ab effectibus, alia à comparatione inino-
effectum eſt. rumi, majorum, aut parium. A comparatione argumentuin ducitur,
quando Primò ergo à conjugatis argumentum ducatur. per collationem perfonarum
live caufarum, fen Conjugata dicuntur, cùm declinatur à nomine, tentiæ ratio
confirmatur, et à majori ratione hoe et fit verbun; ut CICERONE Verrem dicit
everriſſe modo, ut in VIRGILIO: Tu potes unanimes arna provinciam: vel nomen à
verbo, cùmlatrocinari rein prælia fratres. Ergo qui hoc in fratribus po dicitur
latro: aut nomen à nomine; ut Terentius: teft, quanto magis in aliis?'A minorum
compa Inceptio eſt amentium, haud amantium, ratione; ſicut Publius Scipio
Pontificem maxi A genere argumentum eſt, quando à re gene- mum Tiberium
Gracchum non mediocriter labe rali ad ſpeciem aliquam deſcendit: ut illud VIRGILIO
- factantem ſtatum reipublicæ privatus interfecit. lii, Varium et mutabile
ſemper fumina: potuit A pariuin comparatione;lic CICERONE, in Piſone et Dido,
quod eſt ſpecies, varia et mutabilis nihil intereſſe, utrum ipſe conſul
improbis con eſſe. Velillud CICERONE, quod fecit argumen- cionibus, perniciofis
legibus rempublicam vexer, tum, deſcendens à genere ad ſpeciem:Nam cùm an alios
vexare pațiatur. omnium provinciarum ſociorúmque rationem Extrinſecus verò
affumentur argumenta hæc, De Argu diligenter habere debeatis, tuin præcipuè
Siciliæ, quæ Græci år give vocant, id eſt, inartificialia, meniis ex judices.
quod teitimonium ab aliqua externa re fumitur frin'ecus afa fumptis. Aſpecie
argumentumducitur, cùmgenerali ad faciendam fidem; et prius. quæſtioni fidem
fpecies facit; ut illud VIRGILIO: A perſona, utnon qualifcuinque lit, ſed illa
An non fic Phrygius penetrat Lacedæmonapa- quæ teitimonii pondus habet
adfaciendam fi ftor? quia Phrygius paſtorſpecies eſt; et fi iftud dem, fed et morum
probitate debet effe lauda ille unusfecis, et alii hoc Trojani generaliter fa-
bilis. tere poffunt. A natura auctoritas eſt, quæ maxima virtute A ſimili
argumentum eft, quando de rebus conſiſtit; et à tempore funt, quæ afferant
aucto aliquibus fimilia proferuntur; ut Virgilius. ritatem; ut ſunt ingenium,
opes, ætas, fortu Suggere tela inihi, nam nullum dextera fruftra na, ars, uſus,
necellitas, concurſio rerum for Torſerit in Rutulos, fteterintque in corporc
tuicaruin. Grajum A dictis fačtíſque majorum petitur fides: cùm Iliacis campis.
priſcorum dicta factáque memorantur. A differentia argumentum ducitur, quando
Et à tormentis fides probatur, poft quæ neme per differentiam aliquæ res
feparantur; VIRGILIO: creditur velle mentiri. Non Diomedis equos, nec curruin
cernis Achil lis. De Syllogiſmis. A contrariis argumentum ſumitur, quando res
diſcrepantes fibimet opponuntur; ut Teren Prima figura modos haber quatuor, qui
uni tius: Nam fi illum objurges, vitæ qui auxilium verfaliter vel
particulariter affirmativam vel ne tulit, quid facies illi qui dederit damnum
aut gativam concludent. malum? Secunda item quatuor modos, qui ab negativa A
conjunctis autem fides petitur argumenti; concludent, five univerſaliter live
particulariter. cùm quæ lingula infirma ſunt, fi conjungantur Tertia figura
haber ſex modos, qui affirmative vim veritatis affumunt; ut, quid accedit ur
tenuis vel negativè, ſed particulares facient copclufio ante fuerit, quid fi ut
avarus, quid fi ut audax, nes. quid fi ut ejus, quiocciſus eſt, inimicus?
Singula Ergo primæ figuræ modus primuseſt, qui con hæc quia non ſufficiunt,
idcirco congregata po- ficitur ex duabus univerſalibus affirmativis, ha nuntur,
ut ex multis junctis res aliqua confir- bens concluſionem univerfaliter
affirmativain, hoc modo. Ab antecedentibus argumentum eft, quando Omne bonumeft
amabile. aliqua ex his quæ priùs gefta funt, comproban Omne juftum eft bonum.
tur; ut CICERONE pro Milone:Cùm non dubitaverit Omne igitur juftum eft amabile.
aperire quid cogitaverit, vos poteſtis dubitare Secundus modus figuræ primæ
conficitur ex quid fecerit? præceſſit enim prædictio,ubi eft ar- univerſali
abnegativa, et univerfali affirmativa, gumentum, et fecutuin eſt factum. habens
concluſionem univerſaliter, hoc modo. A confequentibus verò arguinentum eſt,
quan Nullus rifibilis eft irrationalis. do pofitam rem aliquid inevitabiliter
conſequi Omnis homo eft riGbilis. tur; ut fi mulier peperit, cum viro
concubuit. Nullus igitur homo eſt irrationalise. metur.Tertius modus primæ
figuræ est, qui conficitur gationem particularem concludit, hoc modo. ex
univerſali affirinativa, et particulari affirma Quidam homo non eſt albus. tiva,
particularem affirmativam concludens, hoc Omnis homo eft animal. modo. Quoddam
igitur animal non eſt albumi Omne animal movetur. Sextus modus tertiæ figuræ
eſt, qui ex univer Quidam homo eſt animal. ſali negativa, et particulari
affirmativa particula Quidam igitur homo movetur. rem negativam concludir, hoc
modo. Quartusmodusprimæ figuræ eſt, qui confi Nallus homo eft lapis. citur ex
univerſali abnegativa, et particulari affir Quidain homo eſt albus. mativa,
particularem abnegativam concludens, Quoddam igitur album non eſt lapis. hoc
modo. Demonftrati ſunt omnes modi trium figuraru:n Nullum inſenſibile eſt
animatumi categorici fyllogiſmi, licet quidam primæ figuræ Quidam lapis eft
inſenſibilis. aliosquinque modos addiderint. Quidam igitur lapis non eſt
animatus. Secundæ verò figuræprimus inodus eſt, qui ex De Paralogiſmis.
univerſali abnegativa, et univerſali affirmativa Paralogiſmi verò primäe figuræ
ita fiunt,ex prio concludit hoc modo univerſale abnegativum. ri affirmativa
univerſáli, &fecunda negativa uni Nullum maluin eſt bonum. verfali. Omnis
homo eft animal: nullú animal eſt Omne juſtum eſt bonum. lapis: nullus igitur
homo lapis eſt. Et quiamuta Nullum igitur juftum eſt malum. to termino
&univerfale et particulare concludet Secundæ verò figuræ ſecundus modus eſt,
in et negativaļn et affirmativam: ob hoc eſt inutilis quo ex univerſalipriore
affirmativa, et pofteriore approbatus idem paralogiſmus,quiex duabus ne
univerſali abnegativa conficitur univerfalis abne- gativiş univerſalibus fit
hoc, modo. Nullus lapis gativa concluſio, hoc modo., animal eft: nullum animal
immobile eft: nullus Omne juftum eft æquum. igitur immobilis eft lapis. Nullum
malum eſt æquum, Idem paralogiſmus, qui ex duabus particulari Nullum igitur
malum eſt juſtum. bus affirmativis fit hocmodo: Quidam equus Tertius ſecundæ
figuræ modus, qui ex priore animal eſt: quoddam animal bipes eſt: quidam
univerſali negativa,& pofteriore particulari affir- igiturequusbipes eſt.
Rurſum ex duabus parti inativa, negationem colligit particularem, hoc cularibus
negativis họcmodo: Quidam homo al modo. bus non eft: quoddam album non movetur:
qui Nullus lapis eſt animal. dam igitur homo non movetur. Quædam ſubſtantia eſt
animal. Dein, fi prior affirmativa particularis, et ſecun Quædá igitur
ſubſtantia non eſt lapis. da negativa particularis fuerit, hoc modo: Qui
Quartus moduseſt ſecundæ figuræ, qui ex affir- dam equus animal eſt: quoddam
animal quadru mativa priore univerſali, et pofteriore particu- pesnon eſt:
quidam igitur equus quadrupes non lari negativa, particularem negationem
conclu- elt. dit, hoc modo. Idem,li prior negativa particularis, ſecunda Omne
juſtum eſt rectum. affirmativa fuerit particularis,hoc modo: Quidam Quidam homo
non eft rectus. homo equus non eſt, quidam equus immobilis Quidam igitur homo
non eſt juſtus. eſt; quidam igitur homo immobilis eſt. Primus modus tertiæ
figuræ eſt, qui ex duabus Idem, fi major propofitio affirmativa fuerit uni
univerſalibusaffirmativis, particularem affirmati- verſalis, et minor
propoſitio negativa fuerit par vam concludit: quia univerſalem affirmativam
ticularis, paralogiſmus erit, hoc modo: Omnis licet in particularem
affirmativam converti, hoc homo animal elt, quoddam animal rationabile modo.
non eít, quidam igitur homo rationabilis non eft: Omnis homo eſt animal. At
verò ſi major fuerit propoſitio univerſalis Omnis homo eſt ſubſtantia.
negativa, et minor particularis fuerit negativa; Quædain igitur ſubſtantia eſt
animal. nullus poterit eſſe fyllogiſmus, hocmodo: Nuli Item ſecundus modus
tertiæ figuræ eft, in quo lus lapis animal eſt, quoddam animal pinnatum ex
univerſalinegatione et univerfali affirmacione eft, nullus igitur lapis
pinnatuseſt. fit particularis negativa concluſio. Rurſus, li primafuerit
particularis, ſecunda Nullus hoino eſt equus. verò univerſalis, et utræque
affirmativæ propofi Omnis homo eſt ſubſtantia. tiones, non erit syllogiſmus,
hoc modo: Qui Quædá igitur fubftantia non eft equus. dam lapis corpus eſt, omne
corpus menfurabile Tertius modus člttertiæ figuræ, qui ex particu- eſt, quidam
igitur lapis inenfurabilis eſt. lari et univerſali aftırmativis parcicularem
affir Idem,liprima fuerit particularis propoſitione mativam concludit, hoc
modo. gativa, et fecundauniverſalis negativa, non erit Quidam hoino eſt albus.
fyllogiſmus, hoc modo: Quoddam animal bipes Omnis homo eſt animal. non eft,
nullum bipes hinnibile eſt, quoddam -Quoddam igitur animal eſt album. igitur
animal hinnibile non eſt; Quartus verò modus tertiæ figuræ eft, qui ex Idem, ſi
prior affirmativa particularis, ſecunda univerſali &particulari
affirmativis, particulare negativa univerſalis propolițio fuerit; ſyllogif,
affirmativum concludit, hoc modo. mum non facit; hocmodo: Quidamn lapis inſen
Omnis homo eſt animal. farus eſt, nullum inſenſatuin vivit, quidam igi Quidam
homo eſt albus. tur lapis non vivit. Quoddam igitur album eſt animal. Idem, li
prior negativa particularis propoſitio Quintus verò modus tertiæ figuræ eſt,
qui ex faerit, et fecunda attirnativa univerſalis, para „particulari negativa,
et univerſali affirınativa ne- logiſinus erit, hoc modo: Quoddam nigrunani.
Dddd ij M cha 1 Caffiodorus non cſt. lis eft. anarum non eſt, omne animatum
movetur, quod- Confirmationem, Reprehenſionem, Per oratio dam igitur nigrum non
movetur. Et de finitis nem. Quæ partes inſtrumenta ſunt Rhetoricæ fa
propolitionibus fyllogiſmus non fit, quia parti- cultatis: quoniam Rhetorica in
omnibusſuisſpe culares fimiles ſunt. ciebus ineft, et ſpecies eidem inerunt.
Nec po tiùs inerunt, quàm eiſdem ea, quæ peragunt, ad Omnes propofitiones his
modis conftant. miniſtrabunt. Itaque et inJudiciali genere cau faruin
neceffarius eft ordo Proemii, et Narra Id eſt, Simplices, ita. Contraria.
tionis, atque cæteroru: n; et in Demonſtrativo, Omnis homo juſtuseſt. Nullus
homojuſtus eſt. Deliberativóque neceſſaria ſunt. Opus auté Rhe- o "uis
Rhero Quidam homo juſtus Quidam homo juſtus toricæ facultatis,docere et movere:
quod nihilo- rice of move. eſt. minus iiſdem ferè rex inftrumentis, id eft
oratio- re docere, Contradictoria. nis partibus, adıniniftratur. Partes autem
Rho Omnis homo rationalis Nullus homo rationa- toricæ, quoniam partes ſunt
facultatis, ipfæ quo eſt. que ſunt facultates; quocirca ipfæ quoque ora Quidam
homorationa- Quidam hoino ratio- tionis partibus, quali inſtrumentis utentur.
lis eft. halis non eft. Atque ut his operentur, eiſdem inerunt. Nam Ex utriſque
terminis infinitis. Omnis non in exordiis niſi quinque ſint ſupradictæ Rhetori
homo non rationalis eſt. Nullus non homo non cæ partes; utinveniat, eloquatur,
diſponat, me rationalis eſt. Quidam non hoino non rationa- minerit, pronuntiet,
nihil agit orator. Eoden lis eſt. Quidam non hoino non rationalis non eſt.
quoque modo et reliquæ ferè partes inſtrumenti, Item ex infinito ſubjecto:Omnis
non homo nili habeant omnes Rhetoricæ partes, fruſtra. Tationalis eft. Nullus
non homo rationalis eſt. funt. Hujus autem facultatis effector, orator eſt:
Quidam non homo rationalis eſt. Quidaın non cujus eft officium dicere
appoſitè ad perſuaſio hoino rationalis non cft. nein: finis tum in ipſo quidem
bene dixiſſe, id Item ex infinito prædicato: Omnis homo non eſt, dixiſſe
appolitè ad perſuaſionem: altera rationalis eſt. Nullus hoino non rationalis
eft. verò perſualifie. Neque enim fi qua impediant Quidam homo non rationalis
eſt. Quidam homo oratorem, quominus perfuadear, facto officio, non rationalis
non eſt. finem non elt confequutus:ſed is quidem, qui Item quæ conveniunt:
Omnis homo rationalis officio fuit contiguus et cognatus, conſequitur, eſt.
Nullus hoino non rationaliseſt. Onnis ho- facto officio. Is verò, qui extrà
eſt, ſæpe non mo non rationalis eſt. Nullus homo non ratio- confequitur: neque
tamen Rhetoricam ſuo fine nalis eit. Quidam homorationalis eſt. Quidam
contentam,honore vacuavit. Hæc quidem ita ſunt homo non rationalisnon eſt.
Quidam homo non mixta, ut Rhetorica infit fpeciebus, ſpecies verò rationalis
eft. Quidam homo non rationalis non infint cauſis. eſt.
Cauſarum verò partes ſtatus effe dicuntur: quos Canlari Item. Omne non animal
non homo eſt. Nul- 'etia: aliis nominibus cum conſtitutiones, tum partes flares
dicuntár, lum non animal non homo eſt. Quiddam non quæftiones nominare licet:qui
quidem dividun animal non homo eſt. Quiddam non animalnon tur ita, ut rerum
quoque natura diviſa eſt. Sedà fiones. homo non eſt. principio
quæſtionum differentias ordiamur: Item converfæ ex prædicato infinito. Omne
quoniain Rhetoricæ quæſtiones circunſtanciis non animal homo eſt. Nullum non
animal homo involutæ ſunt omnes, aut in fcripti alicujus con eit. Quoddain non
aniinal homo eſt. Quoddamn troverſia verfantur, aut præter fcriprum ex re
ipſa... non animal hoino non eſt. fumunt contentionis exordium, Item converfæ
ex infinitoſubjecto. Omne ani Et illæ quidem quæſtiones,quæ in ſcripro ſunt,
Queflionesia pro quin mal non homo eſt. Nullum animal non homo quinque inodis
fieri poffunt. Unoquidem, cùng eft. Quiddam animal non homo eſt. Quoddam hic
ſcriptoris verba defendit, et ille ſententiains i polliams. aniinalnonhomo non
eft. atque hic appellatur ſcriptum, et voluntas, Item propoſitiones indefinitæ.
Homo juſtus Alio verò, fi inter fe leges quadain contrarieta eſt. Hoino juſtus
non eſt. te diffentiunt, quarum ex adverſa parte aliæ de Indefinitarum
propoſitiones cum ſubje& o in- fendunt, aliæ faciunt controverſiam; atque
hic finito. Non hono juſtus eſt: Non homo juſtus vocatur ftatus legis contrariæ.
non eſt. Tertio, cùin fcriptum, de quo contenditur, Ex prædicato infinito. Homo juſtus non eſt. fententiam claudit ambiguam: ambiguitas ex ſuo Homonon
juſtus non eft. nomine nuncupatur. Ex utriſque terminis infinitis. Non homo
Quarto verò, cùm in eo quod ſcriptum eſt,aliud non juſtus eſt. Non homo non
juſtus non eſt. non fcriptum intelligirur; quodquia per ratioci Propoſiriones
ſingulares vel individuæ. Plato nationein et quamdam ſyllogiſmiconſequentiam
juſtus eſt. “PLATONE iustus non est.” veſtigatur, ratiocinativus vel
fyllogiſmnus di Ex infinito ſubjecto. Non Plato juſtus eſt. citur. Non Plaro
juſtus non eſt. V, cùm ſermo ſcriptuseſt, cujus non fa Ex infinito prædicato.
Plato non juſtus eſt. cilè vis ac natura clareſcat,niſidefinitione detecta
Platonon juſtus non eſt. lit; hic vocatur finis in ſcripro; quos omnes à ſe Ex
utriſque terminis infinitis. Non Plato non differre, non eſt noſtri, operiſve
rhetorici demon juftus eſt. Non Plato non juſtus non eſt. ftrare. Hæcautem
ſpeculanda doctis, non rudi bus diſcenda proponiinus: quamvis de eorum De locis
Rhetoricis. differentia in Topicorum commentis per tranſi- Quationes Rhetorice
tum differuerimus. Rhetorica oratio habet partes ſex, Procinium, Earum autem
conſtitutionum, quæ præter fcri- prin masina plices, fex. quod Exordiumcft,
Nacrationein, Partitionem, ptum in ipfaruin rerum contentione lunt politæ,
corum dinzi modis fica præter fcri habet partes 1 ses. riaicialis ita
differentiæ ſegregantur,ut rerum quoque ip- lem partem vergant, defenfionis
copiam non mi farum natura divila lit. In oinni enim Rhetorica niftrant; ex
eiſdem enim locis accalatio defenſió. quæſtione dubitatur, an ſit, quid ſit,
quale fit; et que confiftit. propterhæc,an jure, vel more poſſit exerceri judi
Si igitur perſona in judiciam vocatur, neque ciuin. Sed li factum; velres quæ
intenditur ab facta:n, dictúmve ulluin reprehenditur, cauſa eſte
adverſario,negatur, quæſtio eſt utrùm fit ea; quæ non poteſt. Nec verò factum,
dictúinve aliquod conjecturalis conſtirutio nominatur. Quod fi in judicium
proferri poteſt, li perſona non exi factum quidem eſſe conſtiterit, ſed
quidnain ſit id ftet. Itaque in his duobus omnis judiciorum ra quod factum eſt,
ignoretur: quoniam vis ejus tioverſatur, in perfona ſcilicet, atque negotia
definitione monftranda eſt, finitiva dicitur con- Sed, ut dictum eft, perſona
eſt, quæ in judicium ftitutio. Ac fi &effe conftiterit, et de rei defini-
vocatur: negotium, factum, dictúmveperſone, tione conveniat, fed quale fit
inquiratur: tunc propter quod reus ftatuitur. Perſona igitur et ne quia cui
generi ſubjici debet ambigitur, genera- gotiam ſuggerere arguinenta non
poſſunt;de ipſis lis qualitas nuncupatur. In hac verò quæſtione enim quæſtio eſt: de quibus autem dubitatur, ea et qualitatis,
et quantitatis, et compatationis dubitationi fidem facere nequeunt Argumen
ratio verſatur. Sed quoniam de gènere quæſtio tum verò erit ratio rei
dubiæfaciens fidem. Fa, eſt, ſecundum generis formam in plura neceffe ciunt
autem negotio fidem ea, quæ ſunt perſo eſt hujusconſtitutionis membra
diſtribui. nis ac negotiis attributa. Ac fi quando perſona Omniis quito Omnis
eniin quæftio generalis, id eſt, cùm de 'negotio faciat fidem,velutſi credatur
contra rem ftio generalis in duas difiri genere, et qualitate,vel
quantitatequæritut facti, publicam fenfifle Catilinam,quoniam perſona bnisur
par in duas tribuitur partes. Nam aut in præcerito eſt vitiorum
turpitudine denotata: tunc non iiz quæritur de qualitate propoſiti, aut in
præſenti, eo quod perſona eſt, et in judicium vocatur, fia aut in futuro. Si in
præterito, juridicialis con dem negorio facit, ſed in eo quod ex attributis
Ititutio nuncupatur: fi præſentis vel futuri tem- perſonæ quandam ſuſcipit
qualitatem. Sed ut re poris teneat quæſtionem,negotialis dicitur. rúin ordo
clariùs colliquefcat, de circumſtantiis Quæftio Fun Juridicialis verò, cujus
inquiſitio præteritum arbitror eſſe dicendum. refpicit, duabuspartibus
fegregatur. Aut enim De Circumftantiis. duabus parti. in ipfo facto vis
defenfionis ineft, et abſolurà Circunſtantiæ ſunt, quæ convenientis fubftan.
Detircnm. buslegrégie qualitas nuncupatur: Aut extrinfecus affumitur, tiam
quæſtionisefficiunt. Nifienim fit qui fece Gancias para et affumptiva dicitur
conſtitutio. rit, et quod fecerit, cauſáque cur fecerit, locus, situr CICERONE.
Sed hæc in partesquatuor derivatur: aut enim tempúſque quo fecerit,modus,
etiain facultas; conceditur criinen, aur removetur, aut refertur, que li
delint,cauſa non ſtabit. Has igitur circum aur, quod eſtultimum, comparatur.
Conceditur ftantias in geinina Cicero partitur, ut eam quæ crinen, cùm nulla
inducitur facti defenſio, ſed eſt, quis, circumſtantiam in attributis perſone
venia poſtulatur. Id fieri duobus modis poreſt, ponat: reliquas verò
circumſtantias in attributis circumftan fi depreceris, aut purges.
Deprecaris,cùm nihil negotio conititaat. Et primùın quidem ex cir excufationis
attuleris. Purgas, cùım facti culpa cumftantiis, eam quæ eft, quis, quam
perfonæ tia titur, Quispada cicina his adſcribitur'; quibus obliſti obviarique
non attribuit, ſecar in undecim partes. Nomen, ut in XI poffit, neque tamen
perſona ſint; id enim in Verres, natura ut barbarus, victus utamicusno- partes.
aliam conſtitutionem cadit. Sunt autem hæc, im- biliuin, perſona ut dives,
ſtudium ut Geometra, prudentia, caſus, atque necellitas. cafus ut exul,
affectio ut amans, habitus ut ſa Removeturverd criinen, cùm ab eo, qui in-
piens, conſilium, facta, et orationes. Eáque cellitur, transfertur in alium.
Sed remotio cri- extra illud factum dictúmque ſunt, quæ nunc minis duobus fieri
modis poteft: fi aur cauſa re- in judicium devocantur. Reliquas verò cir
fertur, aut factum. Caufa refertur, cùm aliena cumſtantias, quæ funt, quid,
cur, quando,ubi, poteftare aliquid factum eſſe contenditur: faćtum quomodo,
quibus auxiliis, in attributis negocio verò, cumalius aut potuiffe, aut
debuiffe facere ponit. Quid, &cur, dicenscontinentia cum ipfo demonſtratur.
Atque hæc in his maximè valent, negotio: cur, in cauſa conſtituens; ea enim
cauſa fi ejus nominis in nos intendatur actio, quòd non eſt uniuſcujuſque fa
&ti, propter quam factaeſt
MSS.pottat fecerimus id, quod oportuit fieri. Refertur cri Quid verò,
ſecat in quatuor partes. În ſum- Quidfeceria men, cuin jultè in aliquem facinus
commiſlum iam tacti, ut parentis occifio. Exhac maximè quatuorpars MSS.com-
effe conceditur: quoniam is, in quem commif- locus fumitur amplificationis ante
factum; ut senditat. fum ſit, injuriofusfæpe fucrit, atque id quod in- concitus
rapuit gladium: duon fit; vehementer tenditur, meruit pati. percuſſit. Poſt
factum; in abdita fepelivit. Quæ Comparatio eft, cùin propter meliorem utilio-
omnia cùın lint facta, tamen quoniain ad geſtum réinve rem factum, quod
adverſarius arguit, negotiuin, de quo quæritur, pertinent, non ſunt commiffum
effe defenditur. Atque hæchactenus: eafacta, quæ in attributis perſonæ numerara
nunc de inventione tractandum eft. ſunt. Illa enim extra negorium, quòd extra
poſi ta perſonam informantia fidem ei negotio præ De Inventione ſtant, de quo
verſatur intentio: hæc verò facta, quæ continentia ſunt cum ipfo negotio,ad
ipſuni Etenim priùs quidem Diale et icos dedimus, negotium; de quo queritur,
pertinent. nunc Rhetoricos promimus locos, quos ex attri Poftreinas verò
quatuor circamftantias Cicero In perſona, butis perſonæ ac negotio venire
neceſſeeſt. Per- ponit in geſtione negotii, quæ eſt ſecunda pars et negotio
fona, quæ in judicium vocatur, cujus dictum ali- attributorum negotiis. Et eam
quidem circuin quod factúmve reprehenditur. Negotium; fa- ſtantiam, quæ eſt
quando, dividit in tempus, ut putCie to Cuando, dia conftitute of. cum
dictumveperfonæ, propter quod in judi- modò fecit; et in occaſionem,ut cunctis
dormien- in tempus, so cium vocatur. Itaque in his duobus omnis lo-
tibus. Eam verò circunftantiam quæ eſt ubi, lo- in occafionč.. MSS.excu- corum
ratio conſtituta eſt; quæ enim habent* re. cum dicit; ut in cubiculo fecir:
quomodo verò, ſarionis. prehenſionis occaſionem, eadem nili ad excuſabi ex
circuinftantiis inoduin ur clain fecit: omnis loco. tum ratio B. 1 mus. fed de vo 1 quibus auxiliis
circumftantiam, facultatem ap- ita adhærebant, ut ſeparari non poſſint;ut
locus, pellat, ut cuin multo exercitu. Quorum qui- tempus, et cætera, quæ
geſtum negotium non dem locorum et fiex circumſtantia rerum, natu- relinquunt.
tulis diſcretio clara eft:nos tarnen benevolentiùs Hæc verò, quæ ſunt adjuncta
negotio, non in faciemus, ſi uberiores ad ſe ditferentias oſtenda- kærent ipſi
negotio, ſed accedunt circuinitantiis, et tunc demum argumenta præſtant, cùm ad
com Nam cùm ex circumſtantiis alia M. Tullius parationem venerint: ſunant verò
argumenta propofuerit effe continentia cum ipfo negotio: non ex contrarietate,
fed ex contrario;& non alia verò in geſtione negorii, atque in continen- ex
ſimilitudine, ſed ex ſimili, ut appareat ex re tibus cuin ipſo negotiv: illum
adnurneraverit lo- latione ſumi arguinenta in adjunctis negotio; et cum quem
appellavit, duin fit sex ipſa prolatio- ea eſſe adjunéta negotio, quæ funt ad
ipſum, de nis SIGNIFICATIONE idem videtur elle locus hic, dum quo agitur,negotium
affccta. fit, cum eo, qui eſt in geſtionenegotii; ſed non Conſecutio verò, quæ
pars quarta eft eorum, ita sft: quia dum fit, illud eft, quod eo tempore quæ
negotiis attributa ſunt, neque in,iplis ſunt açimiſum eſt, dum facinus
perpetratur, ut per- rebus, neque rerum ſubſtantiam relinquunt,ne ouſſit.
Ingetione verò negotii, ca ſunt, quæ et que ex comparatione reperiuntur: ſed
rem geftam ante factum, et dum fit, et poft factum, quod vel antecedunt, vel
etiam conſequuntur. Atque eſtum eſt continent;in
omnibus enim tempus, hic locus extrinſecus eſt. Primum eniin in eo. locus,
occafio,modus, facultas inquiritur, Rur- quæritur id, quod factum eſt, quo
nomine ap ſus dum fit, factuin eft, quod adininiftratur, eft pellari conveniat:
in quo non de re, negotium:qux verò funt in geſtione negotii, non cabulo
laboratur. Qui deinde auctores ejus facti ſunt facta, fed facto adhærent; in
illis enim, teni- &inventores, comprobatores, atque æinuli, id pus,
occaſionem, locum, modum, facultatein, totum ex judicio, et quodam teſtimonio
extrin facta eſſe conſenſerit: fed, ur dictum eſt, qux ſecus políto, ad
ſublidium confluit argumenti. cuilibet facto adhærentia fint, atque in nullo
Deinde &quæ ejus rei ſit ex conſueto pactio, ju modo derelinquant: quia
quadam ratione ſubje- dicium, ſcientia, artificium. Deinde natura cta funt
ipſi, quod geſtum eſt, negotio. ejus, quid evenire vulgò ſoleat: an inſolenter
et Item ea quæ funt in geſtione negotii, finchis, rardhomines id ſuâ
auctoritate comprobare, an quæ funtcontinentia cum ipfoncgotio, eſſe poſ-
offendere in his conſueverint; &cætera quæ fas funt. Poteft eniin et locus,
et tempus, &oc- ctum aliquod fimiliter confeftim, aut intervallo cafio, et modus,
et facultas facti cujuſlibet intel- folent conſequi: quæ neceſſe eſt
extrinſecus po ligi, etiamſi nemo faciat, quod illo loco; vel fita ad
opinionein inagis tendere, quam ad ipfam, temporc, veloccaſione, vel modo, vel
facultate rerum naturam. fieri poſſet. Itaque ea quæfunt in geſtione nego
Itaque in hæcquatuor licet negotiis attributa, tii, line his quæ
ſuntcontinentia cum ipfo nego- dividere; ut fint partim continentia cum ipſo ne
tio, effe poffunt. Illa verò line his eſſe non pof- gotio, quæ facta eſſe
ſuperiùs dictum eſt: partim ſunt; facèum enim præter locum, tempus, occa- in
geſtionenegotii, quæ non effe facta, fed factis fionem, modum, facultatémque
efle non pote- adhærentia dudum monſtravimus: partim adjun rir. Atque hæcfunt,
quæ in attribucis perſona eta negotio; hæc, ut dictum eſt, in relatione ac
negotio confiftunt, velut in Dialecticis locis ponuntur: partim geſtum negotium
conſequun ea, quæ in ipfis cohærent, de quibus quæritur: tur; horum fides
extrinſecus fuinitur. Ac de reliqua verò quæ vel funt adjuncta negotio, vel
Rheroricis quidem locis ſatis dictum. negotium geſtuin conſequuntur, talia
ſunt, qua Nunc illud eſt explicandum, quæ ſit his ſimi-. Quid fat diain
Dialecticis locis ca, quæ ſecundum Themi- litudocum Dialecticis, quæ
veròdiverſitas;quod hobertura corean ſtium quidem partim rei ſubſtantiam
conſequun- cùm idoneè, convenientérque monſtravero,pro- Dialecticisfa tur,
partim funt extrinfecus, partim verſantur poſiti operis explicetur intentio.
Primò adeo ut militudo,que in mediis; ſecundum CICERONE verò inter affe- in
Dialecticis locis, ficut Themiſtio placet, alii verè diverfi &a numerara
ſunt, vel extrinſecus polita." funt, qui in ipſis hærent, de quibus
quæritur: tab. Sunt enim adjuncta negotio ipfa etiam quæ fi- alii verò
affumuntur extrinſecus, alii verò inedii quajiilem fa dem faciunt quæſtioni,
affecta quodammodo ad inter utroſque locati ſunt; ſic in Rhetoricis quo cinn
gafiio. id, de quo quæritur, reſpicientia negotium, de que locis, alii in
perſona atque negotio conſi quo agitur, hoc modo. Nam circumſtantix ſtunt, de
quibus ex adverſa parte certatur: alii feprem quæ in attributis perſonæ, vel
negotio, verò extrinfecus, ut hi qui geſtum negotium con numeratæ funt, hæc cum
cæperintcomparari,& fequuntur: alii verò medii. quafi in relationem venire,
fi quid ad ſe conti Quoruin proximi quidem negotio funt hi, qui nens referatur,
vel ad id quod continet, fit aut ex circumſtantiis: reliqui in geſtione negotii
ſpecies, aut genus: fi id referatur,quod ab eo lon- conſiderantur. Illi veròqui
in adjunctis negotio gillime diſtet, contrariun: at ſi ad finem ſuum
collocantur, ipſi quoque intermedios locos pos atque exitum referatur, tum
eventuscft. liti ſunt: quoniam negotium, de quo agitur, qua Eodem quoque modo
ad majora, et minora, dam affectione refpiciunt. Vel fi quis ea quidem et paria
comparantur. Atque omnino tales loci quæ perſonis attributa ſunt, vel quæ
continentia in his quæ funt ad aliquid conſiderantur. Namn ſunt cum ipfo
negotio, vel in geſtione negotii majus,autminus, alit lunile, aut æquèmagnum,
conſiderantur; his lumilia locis dicat, qui ab ipfis aut diſparatum, accedunt
circumſtantüs, quæ in in Dialectica trahuntur, de quibus in quæſtionc
attributis negotio atque perſonæ numeratæ ſunt; dubitatur. CONSEQUENTIA verò
negotio ponat ex ut dum ipfæ circumftantiæ aliis comparantur, fiat trinſecus.
Adjuncta verò inter utrumque conſti ex iis argumentum facti dictive, quod in
judi- tuat. cium trahitur. Diſtat autem à ſuperioribus, quòd Ciceronis verò
diviſioni hoc modo fic fimilis, ſuperiores loci, vel facta continebant, vel
factis Nam ea quæ continentia ſunt cum ipſo negocio, Sunt adjun Eta ucgorio,
ni, 1 De Dialectica. Dialecticus verò non ita velea quæ in geſtione negotii
conſidecantur, in do aliquid ſpecialiter probant, ad Rhetores, Poë ipſis
hærent, de quibus quæritur. Ea verò, quæ tas, Juriſperitóſque pertinent. Quando
verò ge adjuncta ſunt, inter affecta ponuntur. Sed ea quæ neraliter
diſputant,ad Dialecticosattinere manis geitum negotiuin conſequuntur,
extrinfecus feſtum eit. collocata ſunt. Vel Gi quis ea quidem, quæ con Mirabile
planè genusoperis, in unum potuiſſe tinentia ſunt cum ipfonegotio, in ipſis
hærere colligi, quicquid mobilitas ac varietas humanæ arbitretur:affecta verò
effe ea,quæ funt in geſtio- mentis in fenlîbus exquirendis per diverſas cauſas
ne negotii, vel adjuncta negotio: extrinfecus porerat invenire; concludi
liberuin ac volunta verò ea, quæ geftum negotium conſequuntur. riun intellectum.
Nam quocumque ſe verterit, Nam jam illæ perfpicuæ communitates", quod
quaſcumque cogitationes intraverir, in aliquid quidem ipſi penè in utriſque
facultatibus verſan- corum quæ prædicta ſunt, neceſſe eſt ut huma tur loci, ut
genus, ut pars, ut ſimilitudo, ut con- num cadat ingenium. trarium, ut majus,
ac minus. De communicati Illud autem competens judicavimus recapitu bus quidem
ſatis dictum. lare breviter, quorum labore in Latinum elo Differentiæ verò illæ
funt, quòd Dialectici quium res iftæ pervenerint; ut nec auctoribus etiam
thelibus apti funt: Rhetorici tantùm ad gloria ſua pereat, et nobis pleniffimè
reiveritas hypotheſes, id eft, quæftiones informatas circum- innoteſcat.
Iſagogen tranſtulit Patricius BOEZIO, ftantiis affumuntur. Nain ſicut ipfæ
facultates à commenta ejus gernina derelinquens. Cate femetipfis univerſalitate,
et particularitate di- gorias idem tranſtulit Patricius Boëtius, cujus ſtinctæ
ſunt: ita earum loci ambitu, et contra commenta tribus libris ipfe quoque
formavit. ctione diſcreti ſunt. Nam Dialecticorum loco-. Peri herinenias fuprà
inemoratus Patricius tran rum major eſt ainbitus; et quoniam præter cir- ftulit
in Latinum: cujus commenta ipſe duplicia cumſtantias funt quæ fingulares
faciunt cauſas, minutillimâ diſputatione tractavit.Apuleius verò non modò ad
theſes utilesſunt, verumetiam ad Madaurenſis ſyllogiſmos categoricos breviter
argumenta, quæ in hypothesibus polita sunt, eof- enodavit. Suprà memoratus verò
Patricius de que locos qui ex circumftantiis conſtanc,claudunt fyllogiſmis
hypotheticis lucidiflimè pertractavit. atque ambiunt. Itaque fit; ut ſeinper
egeat Rhe- Topica Ariftotelis,uno libro CICERONE tranſtulit in Hæcdefuitin tor
Dialecticis locis? Dialecticus verò fuis poflit Latinum, cujus commentaprofpe et
oratque ama- MSS. effe contentus. tor Latinorum Patricius BOEZIO (si veda) octo
libris expo Semper eget Rherorenim quoniam causas ex circumstantiis fuit. Nam et
prædictus BOEZIO (si veda) Patricius eadem Rhetor D4- tractat, ex iifdem
circumftantiis argumenta præ-Topica LIZIO octo libris in Latinum vertic
lecticislocis, fumit, quæ neceſſe eſt ab univerſalibus, et ſupli- eloquiun.
cioribus confirmari, qui ſunt Dialectici. Diale &ti Confiderandum eft autem,
quòd jam,quia lo cus verò, qui prior eft, polteriore non eget, nifi cus ſe
attulit in Rhetorica parte, libavimus quid aliquando incideritquæftio perfonæ;
ut cuin fit interſit inter artein et diſciplinain, ne ſe diver incidens Dialectico
ad probandam fuam theſim, fitasnominun permixta confundat. Interartem Que fa
diften Cáusam circumſtantiis inclufam, tunc demum et diſciplinai Plato, et
Ariſtoteles, opinabiles artem dif Rhetoricis utatur locis. Itaque in
Dialecticis lo- magiftri fæcularium litterarum, hanc differen- ciplinam ſee '
cis (fi ita contingit) à genere argumenta fumun- tiam eſſe voluerunt, dicentes:
Arrem cflc habitu- cundem Plaa tur,id eft, ab ipſa generis natura: fedin Rheto-
dinem operatricem contingentium, quæ fe et Sonem ricis ab eo generequod illi
genus eſt, de quo agi- aliter habere poffunt: Diſciplina verò elt, quæ Vide
prefer tur; nec ànatura generis, ſed à re fcilicet ipſa,quæ de his agit, quæ
aliter evenire non poffunt tionem Nunc ergo ad Mathematicæ veniamus initium.
Sed ut progrediatur ratio, ex eo pendet, quòd natura generis antè præcognita
eſt; ut fi dubite De Mathematica. tur, an fuerit aliquis ebrius, dicitur, fi
tefellere velimus, non fuifle: quoniam in eo nulla luxu- Mathematica, quam LATINE
poſſumus dicere luid fitMara ries antecefferit. Idcirco nimirum, quia cum ku-
doctrinalem, ſcientia eſt, qux abſtractam con- in quas para xuries ebrietaſis
quaſi quoddam genus fit, cui fiderat quantirarem. Abſtracta enim quantitas tes
dividalun luxuries nulla fuerit, ne ebrietas quidem fuit: dicitur, quâ
intellectus à materia ſeparátur, vel ſed hoc pender ex altero. Cur enim fi
luxuries ab aliis accidentibus; ut eſt par, impar, vel alia non fuit, ebrietas
eſſe non potuit, ex natura ge- hujuſcemodi, quæ in ſola ratiocinatione tracta
neris demonftratur, quod Dialectica ratio ſub- mus, hæc ita dividitur
miniſtrat. Unde enim genus abeft, inde etiain fpecies abelle necefle
eft:quoniam genus fpecics r Arithmeticain, non relinquit. Ec de fimilibus
quidem, et de contràriis, eo Muſicam. Diviſio Matheina dem modo, in quibus
maxima ſimilitudo eft in ticæ in ter Rhetoricos ac Dialecticos locos:
Dialectica Geometriam.. eniin ex ipſis qualitatibus, Rhetorica ex quali 1 tatem
ſuſcipentibus rebus argumentaveſtigat; ut Aſtronomian. Dialecticus ex genere,
id eft, ex ipfa generis na tura: Rhetor ex ea re, quæ genuseft. Dialecti
Arithmetica; eſt diſciplina quantitatis numera Quid fit cus ex ſimilitudine,
Rhetor ex funili, id eft, ex bilis fecuuduin ſe. Aruthinetica. ta re, quæ
fimilitudinem cepit. Eodem modo Mufia eſt diſciplina, quæ de numeris loqui-
QuidMufica. ille ex contrarietate, hic ex contrario. tur, qui ad aliquid ſunt
his, qui inveniuntur in Memoriæ quoque condendum eft, Topica Ora- ſonis.
toribus, Dialecticis, Poëtis, et Juriſperitiscom Gcometria, eſt diſciplina
magnitudinis immo- Quid Geomes muniter quidem argumentapræftare: fed quan-
bilis et fornarum. rentia inter genus eſt, trii B. 1 didit. Inns. Quid fis A.
Aſtronomia, eft diſciplina curſus cæleſtiain (i- tergunt, etad illam
inſpectivain contemplatio fronomia. derum, quæ figuras conteinplatur omnes, et
ha- nem, fi tamen ſanitas mentis arrideat, Domino bitudines ftellaruin circaſe,
et circa terram inda- largiente, perducunt.' gabili ratione percurrit. Quas ſuo
loco paulò la Scire autem debemus Joſephum Hebræorum Abraham ciùs exponemus, ut
commemoratarum rerum doctiſſimum, in libro primo Antiquitatum, ritu- primim
Aris virtus competenter poffit oftendi. Modò de dif- lo nono dicere,Arichinericain,
et Aſtronomiam ihmeticamen ciplinarum nomine differainus. Abrahain primùm
Ægyptiis tradidiffe; unde ſe Aftronomien Diſciplina Diſciplinæ ſunt, qux, licut
jam di et um eft, mina ſuſcipientes (utfunt hoinines acerrimi in Ægypainte
nunquam nunquam opinionibus deceptæ fallunt; et ideo genii) cxcoluiffe ſibi
reliquas latiùs diſciplinas. opinionibus cali nomine nuncupantur,quia
neceffariò ſuas re- Quasmeritò fan eti Patres noftei legendas ſtudio deceptæ
fal gulas ſervant. Hænec intentione creſcunt, nec fillinis perſuadent: quoniam
ex magna parte per Iubductione minuuntur, nec aliis varieratibus eas à
carnalibus rebus appetitus noſter abſtrahi permutantur: ſed in vi propria
permanentes, re- tur, et faciunt deſiderare, quæ, præftante Do gulas ſuas
inconvertibili firmitate cuſtodiunt. mino, ſolo possumus corde reſpicere.
Quocirca Has dum frcquenti meditatione revoluimus, fen- tempus est, ut deeis
ſingillatin ac breviter diſſe Cum noftruin acuunt, limúmque ignorantix de- rere
debeamus. De Arithmetica C49 Arith metica inter Scriptores fæculacium
litterarum interdiccipli- faru efleformata;attamennulla corum,prætet Mathemati
cas diſcipli metiiam eſſe volucrunt:propterea quòd Mufica, Credo trahens hoc
initium, ut multi philoſo mis prima ju. et Geometria, etAſtronomia, quæ
fequuntur, photum fecerunt, ab illa ſententia prophetali, Sam 11. 21. indigent
Arithmetica, ut virtutes ſuas valeant ex- quæ dicit: Omnia Deum menſura, numero,
et plicare. Verbi gratia,ſimplum ad duplum, quod pondere difpofuiſſe habet
Muſica, indiget Arithmetica: Geometria Hæc itaque confiftit ex quantitate
diſcreta, čHY Arish verò, quod habet trigonuin, quadrangulum,vel quæ parit
genera numerorum, nullo fibi com- metice conf his funilia, item indiget
Arithmeticas Aſtrono- munitermino ſociata. V. enim ad x. vi. ad iiii. vii. lidt
ex quar mia etiam, quòd habet in moru liderum nuineros ad iii. per nullam
coinmunein terminuin alteru- titate difcre punctorum, indiget Arithinetica.
Arithmetica trâ fibi focietate nectuntur. Arithmetica vecò di sa. Pithagora
verò, urlit, neque Muſica, neque Geometria, citur, co quòd numeris præeſt
Numerus verò, merica dica Arithmetia neque Aſtronomia egere cognoſcitur.
Propterca cft ex inonadibus multitudo compofita; ut iii. V. tur, et que
camlan.c. hisfons, et måter Arithmetica reperitur; quam X. xx. et cætera.
Intentio Arithmeticæ elt doce- fit ejusinsects diſciplinam Pythagoras fic
laudalle probatur; re nos naturam abſtracti numeri, et que ei acci- tio.
uromnia ſub numero, et menfura à Deo creata dunt; ut verbi gratia, parilitas,
impacilitas, et firatur. fuiſſe incinoret, dicens: Alia in motu, alia in
cætera. Cur Arith vit. Ed. mon s Paritei pat. Pariter impat. Impariter par
Prima diviſio numera Tvel par, qui eſt Numerus, qui congre gatio monaduneſt, ľ
Primuset ſimplex. vel iinper, qui eſt. Secundus et compoſitus. Tertius
mediocris, quiquodam modo primus, et incompoſitus, alio verò modo ſecundus, et (compofitus.
Quid fit Par Par numerus eft, qui in duas partes æquales verbi gratia, in bis
xii: xii, in bisyi:ſexo dividi poteft; ut ii. iii. vi.viii. x. et reliqui. in
bis tres, et ampliùs non procedit. Quid impar. Impar numerus eſt, qui in duas
partes æquales Primus et fimplex numerus eft, qui monadi- Quid primit dividi
nullatenus poteft, ut iii. v. vii. viiii. xi.et c cammenſuram ſolam recipere
poteſt; ut verbi et implex reliqui. gratia iii. v. vii. xis xiii. xvii. et his
finilias Quidpariter Pariter par numerus eſt, cujus diviſio in dua Secundus et
compoſitus numerus eft, qui non Quid fecur par bus æqualibus partibus fieri
poteſtuſque ad mo- folùm monadicam menſuram, ſed etarithmeti doto come nada; ut
verbi gratia lxiüi. dividitur in xxxii; cam recipere poteſt; ut verbi gratia,
viiii. xv. xxi. poftmo xxxii, in xvi: et xvi, in viji: viii in iii:üii, et his
ſimilia. in duo: ïi, verò in i. Mediocris numerus eſt, quiquodam modo fim Quid
pariter Pariter impar numerus eſt, qui fimiliter fo- plex et incompoſitus efle
videtur, alio verò ino- cris impar. lummodo in duas partes dividi poteft
æquales; do fecundus et compoſitus, ut verbi gratia, viiii. utx, in v: xiiii,
in vii: xviii, in viiii.et his fi- ad xxv. dum comparatus fuerit, primus eft et
milia. incompoſitus: quia non habet communem nu Quid impari. Impariter par
nuinerus eſt, qui plures diviſio- merum, niſi ſolum monadicum: ad xv. verò li
nes, ſecundùm æqualitatem partium dividere comparatus fuerit, ſecundus eft et
compofitus: poteft, non tamen uſque ad allem perveniat; ut quoniam ineſt illi
communis numerus præter monadi. Quid Media ter par De Arithmetica. mõnadicum,
id eſt, ternarius'numerus, qui no- fexta pars, duo:quarta pars,tria: tertia
pars,iii: vein menſurat terterni, et xv. ter quini. et duodecima pars unum; qui
oinnes aſſumpti fiunt xvi. Altera divifio, de paribios, do imparibues Indigens
nunerus eſt, qui et ipſe de paribus QuidIndigãs. numeris. deſcendit,
quantitatis fuæ ſummain partiuin in feriorem habet; ut viii. cujus medietas,
iiii: [ aut ſuperfluus. quarta pars, ii: octava pars, i; quæ fimul con gregatæ
partes fiunt vii. aut par eſt. < aut indigens.
Perfectus numerus eft, qui taten et ipfe de QuidPerfe Numerus. paribus
deſcendit: is dum par ſit, omnes partes aut impar. į aut perfectus. Taas ſimul
aſſumptas, æquales habet; ut vj. cu jus medietas, tria: tertia pars, ij: vj.
pars únum. Quid Sriper. Superfluus numerus eſt, qui deſcendit de pari- Qux
aſſumptæ partesfaciunt ipſum ſenariumnus fluis. bus, is dum par ſit, ſuperfluas
partes quantitatis merum fuæ habere videtur; ut xii, habetmedietatem vie. Geti
popolazione stanziata nella regione successivamente nota come Dacia, antica
Roma. 1leftarrow blue.svg Voce principale: Storia della Dacia. Geti era
il nome che veniva dato dagli scrittori pre-Romani alla popolazione stanziata
nella regione successivamente nota come Dacia, a centro nord dell'ultimo tratto
del Danubio, dove aveva gli inizi l’antica Bulgaria. I Geti erano parte
del gruppo di genti indoeuropee, forse parte della famiglia tracica; è
possibile che fossero tanto parte del popolo dei Daci o Tracchi, quanto che da
questi siano stati a un certo punto assorbiti. Per gli autori romani i termini
Daci e Gaetierano considerati in genere equivalenti, anche se Seneca indicava
Geti come gli abitanti delle pianure della Valacchia, mentre Stazio indicava i
Daci come gli abitanti dei territori montuosi e collinari della Transilvania;
inoltre distinguevano i Tyragetae, Geti stanziati vicino al fiume Nistro.
Storia Modifica Secondo Erodoto, i Geti erano "la più nobile e la più
giusta di tutte le tribù traciche". Quando i Persiani, guidati da Dario I,
attuarono una campagna contro gli Sciti, le varie popolazioni dei Balcani si
arresero al sovrano e lo lasciarono passare sui loro territori; solo i Geti
opposero resistenza. I Geti in seguito furono sconfitti da Alessandro Magno
sulle rive del Danubio, nel corso della sua campagna nei Balcani; in
quell'occasione, Alessandro per attraversare il Danubio si servì di zattere e
di piccole imbarcazioni di pescatori, sorprendendo circa 4000 Geti, attaccati
alle spalle, dopo aver attraversato il fiume. Religione Come ci tramanda
Erodoto, i Geti credevano nell'immortalità dell'anima e consideravano la morte
un mero cambio di paese: «Ecco in che consiste la loro fede
nell'immortalità. Essi credono di non morire, e che chi muore vada dal Demone
Salmoxis. Alcuni di essi chiamano questa stessa divinità Gebeleizi. Mandano
ogni cinque anni uno di loro tratto a sorte, come messo a Salmoxis, ogni volta
incaricandolo di recargli le loro richieste. Ed ecco come lo mandano. Alcuni,
che hanno quest'incarico, se ne stanno con tre giavellotti; mentre altri afferrano
le mani e i piedi dell'uomo che inviano, lo fanno ondeggiare, e lo scagliano in
alto verso le punte dei giavellotti. Se viene trafitto e muore, ritengono
propizia la Divinità; e se non muore, la colpa è del messo, che essi dichiarano
malvagio. Gli muovono quest'accusa, e ne mandano un altro, al quale danno,
mentre è ancora in vita, i loro incarichi.» (Erodoto, Storie) Erodoto
aggiunge anche che «Inoltre scagliano, questi stessi Traci, frecce
verso l'alto al cielo, contro il tuono e il fulmine, e minacciano quella
Divinità, perché ritengono che fuori del loro non vi sia alcun altro Dio.
(Erodoto, Storie) Accanto a Zalmoxis, un ruolo di rilievo tra le divinità gete
era attribuito a Gebeleixis. Il primo sacerdote godeva di una posizione
prominente in quanto rappresentante della divinità suprema, Zalmoxis, ed era
anche il consigliere del re. Giordane nella sua Getica, attribuiva a Deceneo il
titolo di sacerdote capo di Burebista. Seneca, Phedra. ^ Stazio, Silvae,
Giordane, Getica X, a cura di Mierow. Voci correlate Daci Dacia (regione
storica) Traci Geti, su Enciclopedia Britannica, Encyclopædia Britannica, Inc.
Portale Antica Roma: Storia della Dacia Daci popolazione indoeuropea
Dacia (regione storica) regione e regno dell'Europa orientale nel corso
dell'antichità classica. Then Cyrus, king of the Persians, after a long
interval of almost exactly six hundred and thirty years (as Pompeius Trogus
relates), waged an unsuccessful war against Tomyris, Queen of the Getae. Elated
by his victories in Asia, he strove to conquer the Getæ, whose queen, as I have
said, was Tomyris. Though she could have stopped the approach of Cyrus at the
river Araxes, yet she permitted him to cross, preferring to overcome him in
battle rather than to thwart him by advantage of position. And so she did.As
Cyrus approached, fortune at first so favored the Parthians that they slew the
son of Tomyris and most of the army. But when the battle was renewed, the Getae
and their queen defeated, conquered and overwhelmed the Parthians and took rich
plunder from them. There for the first time the race of the Goths saw silken
tents. After achieving this victory and winning so much booty from her enemies,
Queen Tomyris crossed over into that part of Moesia which is now called Lesser
Scythia--a name borrowed from great Scythia,--and built on the Moesian shore of
Pontus the city of Tomi, named after herself. Afterwards Darius, king of
the Persians, the son of Hystaspes, demanded in marriage the daughter of
Antyrus, king of the Goths, asking for her hand and at the same time making
threats in case they did not fulfil his wish. The Goths spurned this alliance
and brought his embassy to naught. Inflamed with anger because his offer had
been rejected, he led an army of seven hundred thousand armed men against them
and sought to avenge his wounded feelings by inflicting a public injury.
Crossing on boats covered with boards and joined like a bridge almost the whole
way from Chalcedon to Byzantium, he started for Thrace and Moesia. Later he
built a bridge over the Danube in like manner, but he was wearied by two brief
months of effort and lost eight thousand armed men among the Tapae. Then,
fearing the bridge over the Danube would be seized by his foes, he marched back
to Thrace in swift retreat, believing the land of Moesia would not be safe for
even a short sojourn there. After his death, his son Xerxes planned to avenge
his father's wrongs and so proceeded to undertake a war against the Goths with
seven hundred thousand of his own men and three hundred thousand armed
auxiliaries, twelve hundred ships of war and three thousand transports. But he
did not venture to try them in battle, being overawed by their unyielding
animosity. So he returned with his force just as he had come, and without
fighting a single battle. Then Philip, the father of Alexander the Great,
made alliance with the Goths and took to wife Medopa, the daughter of King
Gudila, so that he might render the kingdom of Macedon more secure by the help
of this marriage. It was at this time, as the historian Dio relates, that
Philip, suffering from need of money, determined to lead out his forces and
sack Odessus, a city of Moesia, which was then subject to the Goths by reason
of the neighboring city of Tomi. Thereupon those priests of the Goths that are
called the Holy Men suddenly opened the gates of Odessus and came forth to meet
them. They bore harps and were clad in snowy robes, and chanted in suppliant
strains to the gods of their fathers that they might be propitious and repel
the Macedonians. When the Macedonians saw them coming with such confidence to
meet them, they were astonished and, so to speak, the armed were terrified by
the unarmed. Straightway they broke the line they had formed for battle and not
only refrained from destroying the city, but even gave back those whom they had
captured outside by right of war. Then they made a truce and returned to their
own country. After a long time Sitalces, a famous leader of the Goths,
remembering this treacherous attempt, gathered a hundred and fifty thousand men
and made war upon the Athenians, fighting against Perdiccas, King of Macedon.
This Perdiccas had been left by Alexander as his successor to rule Athens by
hereditary right, when he drank his destruction at Babylon through the treachery
of an attendant. The Goths engaged in a great battle with him and proved
themselves to be the stronger. Thus in return for the wrong which the
Macedonians had long before committed in Moesia, the Goths overran Greece and
laid waste the whole of Macedonia.Cassiodoro. Cassiodoro Bruzi. Bruzi.
Keywords: dialettica, Squillace, i geti e i goti – teodorico, eteodorico, virtu
bellica, ardore guerriero, pagenesimo. Cassiodoro’s
surname was Bruzi, from Brutti – he wrote a story of the Goths, but he mistook
them for the Bulgarians (geti, gotti). Refs.: Luigi Speranza, “Grice e
Bruzi” – The Swimming-Pool Library. Bruzi.


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