Luigi
Speranza -- Grice e Damocle: la ragione
conversazionale e la spada e la setta di Crotone -- Roma – filosofia italiana –
Luigi Speranza
(Crotone). Filosofo italiano. According to Giamblico di Calcide,
a Pythagorean. Grice: “Not to the confused with the infamous one with the
sword.” Damocle.
Luigi
Speranza -- Grice e Damone: la ragione conversazionale all’isola con Fintia -- Roma
– filosofia italiana – Luigi Speranza (Siracusa). Filosofo italiano. A Pythagorean. According to Giamblico di Calcide,
when Dionisio di Siracusa condemns D.’s friend, Fintia di Siracusa, to death,
Fintia asks for time to arrange his affairs, saying D. will stand hostage for
him while he is away. Dionisio is amazed when D. agrees to the arrangement, and
even more amazed when Fintia duly returns at the end of the day to accept his
punishment. Dionisio is so impressed that pardons Fintia, and asked the pair
join their sect – but they turned him down. Damone.
Luigi
Speranza -- Grice e Damostrato: la ragione conversazionale e i paradossi dei
filosofi -- Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. D., or Demostrato. Roman senator. A historian as well
as an authority on fish and fishing. Said to be, like Grice, particularly
interested in paradoxes and is regarded by some other philosophers as a
philosopher. Demostrato.
Damostrato. Keyword: paradox. Luigi Speranza, “Grice e Damostrato: le paradossi
dei filosofi” – per il gruppo di gioco di H. P. Grice, The Swimming-Pool
Library, Villa Speranza.
Luigi
Speranza -- Grice e Damotage: la ragione conversazionale e diaspora di Crotone -- Roma – filosofia
italiana – Luigi Speranza (Metaponto). Filosofo italiano. A Pythagorean according to Giamblico di Calcide. Grice:
“In the old days, surnames were not felt to be necessary; but then, with a
first name (if not Christian) like ‘Damotage’ – would YOU care?”. Luigi
Speranza, “Grice e Damotage” – per il gruppo di gioco di H. P. Grice, The
Swimming-Pool Library, Villa Speranza.
Luigi Speranza -- Grice e Dalmasso:
la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale della giustizia nel
discorso – scuola di Milano – filosofia milanese – filosofia lombarda -- filosofia
italiana – Luigi Speranza (Milano). Filosofo milanese. Filoofo
lombardo. Filosofo italiano. Milano, Lombardia. Grice: “Dalmasso is what at
Oxford we call a ‘derivative’ philosopher, and at Cambridge a ‘Derrideian’! But he’s written some original work too, mostly as editor, as in “La
passione della ragione” – he has also explored ‘discourse’ in terms of
‘rationality’ and ‘fairness’ – In my model, both conversationalists are
symmetrical, so questions of unfairness do not apply! I took the inspiration
from Chomsky!” – Si laurea a Milano. Insegna a Calabria, Roma, Pisa, e
Bergamo. Membro della Societa Italiana di Filosofia Teoretica. Studia Derrida, ha commentato “La voix et le phénomène” e “De la grammatologie
(Jaca Book). Comments
on “L’offerta obliqua” e “Passioni” --Dai problemi del soggetto del discorso e
della genesi del segno nel dibattito sul nichilismo i suoi interessi si sono
rivolti alla ragione in rapporto all'etica e Hegel. Pubbllica in Oltrecorrente,
di Magazzino di Filosofia. Altre opere: Hegel, probabilmente. Il movimento del
vero (Milano: Jaca).Hegel e l'Aufhebung del segno, Chi dice io. Chi dice noi
(duale). L’implicatura del noi duale. Razionalità e nichilismo, Jaca, Milano, La
passione della ragione. Il pensiero in gabbia. La politica dell’imaginario, la
verita in effetti. La sovranita in legame. Etica e ontologia: fatto, valore,
soggetto, l’interosoggetivo. Il tra noi. Di-segno – la giustizia nel discorso. Hegel
e l’Aufhebung del SEGNO. L'implicatura del noi duale. L’intreccio fra sapere
e ragione Il tema della filosofia di D. riguarda la domanda originaria.
Domanda e origine sono problemi del pensiero che, fin dall’inizio
della filosofia, non costituiscono un approccio di controllo e di dominio
dell’esistenza, quanto piuttosto un ripiegamento su sé stessi che
si interroga sulla propria genesi. In termini meno esistenziali e
più antichi tale questione occupa il posto dell’anima. Dalla consapevolezza
dell’incombere della morte nel primo stasimo dell’Antigone al costituirsi,
per così dire, di un’interiorità nella sofistica e in Platone, l’anima
(animatum) ha funzionato come principio originario in una forma diversa
che il dominio. Principio che annoda e che manifesta, secondo vie
non solo immediate e speculari, il logos (la ragione), il noein come conoscenza
e misura di un ordine. Quando il nous, attraverso Aristotele, acquista
tutto il suo sviluppo concettuale e strategico, nel pensiero
tardo-antico, a partire da Plotino, l’ anima rimane ed è ribadita
come il luogo e il venire a coscienza del rapporto con lo stesso “nous,”
cioè con il formularsi dell’originario (uno, bene o atto che
sia). Grice e D. scelgono di leggere Bradley e Hegel. Scelta motivata
da loro interessi di ricerca, ma anche, più ampiamente, dall’attualità
di un linguaggio che è in grado di riformulare questioni sull’assetto
moderno del sapere e sul soggetto – e l’intersoggetivo -- di tale sapere.
Su un ‘noi’ duale, che, nella esplicita strategia hegeliana, articola
e raddoppia il ruolo di due anime. Sapere su di un noi duale è comunque
per Hegel un sapere sulle strutture di un noi duale chi, che sono in grado
di formulare una domanda originaria. Il testo, di cui Bradley
propone alcune note essenziali di commento, riguarda i paragrafi
dalla “Psicologia razionale”della Filosofia dello Spirito contenuta
nella edizione dell’Enciclopedia. A differenza dell’“antropologia”,
in cui due anime sono considerate come l’aspetto immediato della
vita dello spirito (le due anime considerate come il sonno dello spirito,
problemi del rapporto delle due anime con I due corpori, questioni del
sonno, della veglia, delle sensazioni ecc.) la Psicologia non è scienza
delle due anima, ma scienza del sapere intorno alle due anime, cioè
scienza veramente tale, nella sua portata concettuale. Per Bradley e
Hegel, ‘scienza’, Wissenschaft, ogni scienza, e soprattutto quella
scienza massimamente rigorosa che è la filosofia (‘regina
scientiarum) è scienza sempre di secondo grado: scienza che controlla e
che ha come oggetto la sua stessa genesi. La filosofia e la regina
scientiarum, la scienza che misura il negativo rispetto al suo assunto
e al suo stesso metodo, scienza che è in grado di smarcarsi dal piano del
suo stesso sapere e di comprendere il rapporto dinamico, generativo
e mai astrattamente “speculare” o reflessivo delle due anime, in cui la inter-conoscenza
si costituisce. Così, nel caso del testo commentato da Bradley, i contenuti
della psicologia sono curiosamente tutti diversi da quelli che nell’assetto
della fine dell’Ottocento e del primo Novecento ci si aspetterebbe da
una psicologia del tipo elaborato a Oxford dai Wilde lecturer in ‘mental
philosophy”: Stout, -- cf. Prichard – cit. da Grice, “Intention and
dispositions”. La psicologia filosofica o razionale non è scienza delle
leggi delle anime o psichai, ma del movimento generativo delle leggi
delle anime o delle psichai. I testi che sono oggetto del commento di
Bradley sono, come Bradley nota, estremamente difficili. Prima di cominciare
Bradley fa qualche rilievo sul problema della difficoltà in generale
nella lettura del testo di Hegel. La questione si pone secondo tre punti
di vista. Innanzi tutto come questione della natura e della destinazione
del testo. Ad esempio l’ “Enciclopedia delle scienze filosofiche”, nel
nostro caso, è pensata come un riassunto delle lezioni per i ‘tuttee’.
In secondo luogo il problema del significato espresso, del voler dire
del discorso hegeliano. In terzo luogo, che è quello decisivo, la questione
del metodo di composizione del testo di Hegel, metodo che riguarda,
d’un colpo solo, due anime: mittente e recipiente. Questioni, dette altrimenti,
di sintonizzarsi con il testo che, per quanto riguarda il metodo
filosofico di Hegel, non può essere altro che ripercorrere l’elemento
generativo del significato di ciò che Hegel explicitamente communica.
Senza di questo incessante ripercorrimento a livello della genesi
del testo, il suo ‘segnato’ posse appare incomprensibile o appiattito.
Appiattito come su di una superficie, in modo che il gioco delle interpretazioni
del tutee, anche nel caso si tratti di studioso molto qualificato, tende
spesso a sbizzarrirsi in grovigli di ipotesi filologiche o di carattere
ideologico-metafisico. Il minimo comun denominatore è la perdita
del nesso fra il segnato di ciò che è detto nel testo con li movimento generativo
di tale segnato. Così si può separare perfino il concetto di negativo
dal concetto di generazione sovrapponendo l’uno sull’altro e rendendo
incomprensibili entrambi. Questione che si pone in modo non infrequente,
anzi malessere spesso diffuso anche nel commento di Bradley. Iniziamo
la lettura partendo dalle prime righe. Lo spirito si è determinato
divenendo la verità dell’anima e della coscienza, cioè la verità di
quella totalità semplice e immediata e di questo sapere. Adesso
il sapere, in quanto forma infinita, non è più limitato da quel contenuto,
non sta in rapporto con esso come con un oggetto, ma è sapere della
totalità sostanziale, né soggettiva né oggettiva, ma intersoggetiva. ll
problema del rapporto fra il sapere e la ragione inaugura qui il dibattito
sulla scienza della psiche. L’intreccio fra sapere e ragione inizia a
dipanarsi nel paragrafo seguente: L’anima è finita nella misura
in cui è determinata immediatamente, cioè determinata per natura.
La coscienza è finita nella misura in cui ha un oggetto. Lo spirito
è invece finito, “insofern ist endlich,” nella misura in cui esso, nel
suo sapere (in seinem Wissen) non ha più un oggetto, ma una determinatezza,
nel senso che è finito per via della sua immediatezza e — che è la stessa
cosa — perché è soggettivo, è cioè come il Concetto. Lo spirito è finito
nella misura in cui esso, nel suo sapere, non ha più un oggetto, ma una
determinatezza. Lo spirito sembra essere quell’attività in grado di
contenere e controllare l’intreccio fra la ragione e il sapere,
anche se ora solo nella forma dell’immediatezza. L’intreccio si organizza
su due poli: la ragione e il sapere. Essi si implicano reciprocamente.
A seconda che si consideri come concetto la ragione o il sapere.
Qui è indifferente ciò che viene determinato come concetto dello spirito
e ciò che viene invece determinato come realità o “Realität” di questo
concetto. Se infatti la ragione assolutamente infinita, oggettiva,
viene posta come concetto dello spirito, allora la realità è il sapere,
cioè l’intelligenza; se invece è il sapere a essere considerato
come il concetto, allora la realità del concetto è questa ragione e la
realizzazione (Realisierung) del sapere consiste nell’appropriarsi
della ragione. La finitezza dello spirito pertanto consiste in
ciò: il sapere non comprende l’Essere in-sé-e-per-sé della sua ragione.
In altri termini: la ragione non si è manifestata pienamente nel sapere.
C’è un dislivello dunque strutturale con la ragione che funziona nel
sapere. Dislivello strutturale che per i greci era invece costituito
dal rapporto fra il sapere e la verità. Comunque la realtà, considerata
come realtà del sapere o come realtà della ragione, si costituisce e funziona
per Hegel come un farsi che è un intreccio inestricabile. Una purità e
verginità dell’origine è introvabile. La questione di un sapere
dello/sullo spirito si articola ulteriormente nel paragrafo. Il procedere
dello spirito è sviluppo (“Entwicklung”) nella misura in cui la sua esistenza,
il sapere, ha entro se stessa l’essere — determinato in sé e per sé,
cioè ha per contenuto, “Gehalte,” e per fine, “Zweck” il razionale,
“Vernunftige.” L’attività di trasposizione è dunque puramente e soltanto
il passaggio formale nella manifestazione e, in questa, è ritorno
entro sé, “Rückkehr in sich.” Nella misura in cui il sapere, affetto
dalla sua prima determinatezza, è soltanto astratto, cioè formale, la
meta dello spirito è quella di produrre il ri-empimento oggettivo, “die
objective Erfüllung hervorzubringen,” e quindi, a un tempo, la libertà
del suo sapere. In questo testo il movimento del sapere e il suo saperne
si articola come questione della conoscenza dell’originario. Tale
questione, che ha la forma del ritorno, è pensabile come libertà. L’avventura
dello spirito che è sempre un appropriarsi, un far proprio, qui, e secondo
la radicalità della sua struttura, funziona come appropriarsi del sapere
e coincide con l’avventura della libertà. Il cammino dello spirito
consiste pertanto nell’essere spirito teoretico, cioè nell’avere
a che fare con il razionale nella sua determinatezza immediata, e di
porlo adesso come il suo. Il cammino consiste innanzi tutto nel liberare
il sapere dal presupposto e, con ciò, dalla sua astrazione, e rendere
soggettiva la determinatezza. Poiché in tal modo il sapere è in sé e
per sé determinato come sapere entro sé, e poiché la determinatezza
è posta come la sua, quindi come intelligenza libera, il sapere
è volontà, spirito pratico, il quale innanzi tutto è anch’esso
formale. Il sapere a un contenuto che è soltanto il suo. Esso vuole immediatamente,
e adesso libera la sua determinazione di volontà dalla soggettività e
l’intersoggetivita che la condiziona come forma unilaterale del proprio
contenuto. In tal modo gli spiriti divieneno come spiriti liberi,
nel quale è rimossa quella doppia unilateralità. Lo scorcio teorico fornito
in questo paragrafo merita una puntualizzazione. Abbiamo in precedenza
accennato alla cornice della psicologia filosofica o razionale come progetto
scientifico: scienza delle anime che si pone come scienza dei fattori generativi
delle anime. Il percorso dei spiriti che si sforzano di conoscere
se stessi, che tentano di comprendere l’esperienza della lor libertà,
che nella Fenomenologia dello spirito prende la via della morale come
storia, in queste pagine prende la via della psicologia come scienza
della libertà. Che il sapere possa afferrare se stesso, possa appropriarsi
di sé. La strategia hegeliana implica che l’originario, per i soggetti
(l’intersoggetivo) e per il sapere, funzioni e sia conoscibile come effetto
di questo appropriarsi che è etico, pratico. Se non si pensa il significato
del sapere e di suoi soggetti come etico, pratico, i soggetti del sapere
si dibatteno «in una bi-lateralità»: la rappresentazione che i soggetti
fano di sé come suoi e l’immediatezza di tale rappresentazione. Le
libertà dell’anime è pensabile come lo spiazzamento in cui i soggetti
del sapere conosceno il loro essere fatto, nonostante e attraverso
il loro co-fare (co-operare) impossibilitato a cogliere l’identità fra
sé e le loro immagini. Questa divisione e dislivello interno che è
l’impossibilità di cogliere l’origine del proprio costituirsi è per
Hegel l’Intelligenza (cf. H. L. A. Hart, su Holloway, “Language and
Intelligence” – Signs). Nel montaggio linguistico di questo testo tale divisione
e tale dislivello vanno ad occupare il posto della classica opposizione
fra il dentro e il fuori. L’intelligenza, in quanto è questa unità
concreta dei due momenti — vale a dire, immediatamente, di essere ricordata
entro sé in questo materiale esteriormente essente, e di essere immersa
nell’essere fuori-di-sé mentre entro sé si interiorizza col proprio
ricordo —, è intuizione. Il cammino dell’Intelligenza sta proprio
nel battere in breccia l’opposizione fra il dentro e il fuori. Le
intelligenza, quando ricordano inizialmente l’intuizione, poneno
il contenuto del sentimento nella propria interiorità, nel loro proprio
spazio e nel loro proprio tempo. In tal modo il contenuto è immagine,
liberata dalla sua prima immediatezza e dalla dualità astratta rispetto
all’altro soggetto, in quanto essa è accolta nella dualità del noi. Questo
battere in breccia, visto dal punto di vista dell’intelligenza, è l’immagine.
L’intelligenza possiede dunque le immagini. L’intelligenza è il
Quando e il Dove dell’immagine. L’immagine è per sé “trans-eunte”,
nomade, da una anima ad altra anima, e
l’intelligenza stessa, in quanto attenzione, è il tempo e anche lo spazio,
il Quando e il Dove, dell’immagine. L’intelligenza però non è
soltanto la co-scienza e l’esserci delle proprie determinazioni,
bensì, in quanto tale, ne è anche i soggetti e l’In-sé. Ricordata nell’intelligenza,
perciò, l’immagine non è più esistente, ma è conservata inconsciamente.
Nell’Anmerkung dello stesso paragrafo Hegel inaugura la metafora del
pozzo notturno per definire il funzionamento dell’intelligenza
come un luogo in cui sono conservate immagini e rappresentazioni che
l’intelligenza stessa non conosce. Hegel prosegue la sua indagine
attraverso una sorta di tiro incrociato fra intuizione ed immagine,
mettendo in azione uno stile agostiniano alla “De magistro” d’AGOSTINO.
Anche la nozione, classica, di “re-praesentatum,” il rappresentato, entra,
ricompresa e ripensata, come dall’interno, nel movimento produttivo
dell’intelligenza. La nozione di “memoria,” come stato
temporario totale, è anch’essa ripercorsa, nella sua struttura classica,
come movimento attivo e imprendibile, funzionante nell’intelligenza
e produttiva di essa, in una svolta decisiva del paragrafo. L’intelligenza
è la potenza che domina sulla riserva di immagini e IL RAPPRESENTATO che
le appartengono. Essa è quindi congiunzione e sussunzione libera
di questa riserva sotto il contenuto peculiare. L’intelligenza si
ricorda ed interiorizza in modo determinato entro quella riserva,
e la plasma immaginativamente secondo questo suo contenuto. Essa
è quindi fantasia, immaginazione SIMBOLIZZANTE, allegorizzante o
poetante. Questa formazione immaginativa più o meno concrete,
più o meno individualizzate, e ancora delle sintesi nella misura in
cui il materiale, in cui il contenuto inter-soggettivo conferisce
un esserci a IL RAPPRESENTATO, proviene dal trovato, “dem Gefundenen,”
dell’intuizione. Passività, evidenza, sorpresa di fonte al darsi originario
delle cose riguarda perciò per Hegel un movimento che ha come suo elemento
lo scenario dell’inte-rsoggetività. Il trovato dell’intuizione, incontro,
evidenza, accoglienza della realtà è pensabile in un registro che è
già una traduzione, un ‘trans-latum.” È nel registro di una traduzione (“trans-latum”)
che nel percorso di questo testo di Hegel, di una traduzione (trans-latum)
del fuori nel dentro e viceversa, che si può avvistare ciò in filosofia
si chiama realtà. Quando l’intelligenza, in quanto ragione,
parte dall’appropriazione dell’immediatezza trovata entro sé, cioè
la determina come un “universale”, ecco allora che la sua attività razionale
procede dal punto attuale, “dem nunmehrigen Punkte,” a determinare
come essente ciò che in essa si è sviluppato in auto-intuizione concreta,
procede cioè a rendere se stessa essere, cosa, il reale. L’intelligenza
stessa così si fa essente, si fa cosa, si fa il reale. Quando è attiva
in questa determinazione, l’intelligenza si estrinseca, “aussernd,”
produce, “produzierend,” intuizione. E fantasia che si esprime in un
“SEGNO” -- “ZIECHEN machende Phantasie,” token-making fantasy – fantasia
che fa SEGNO, fantasia che SEGNA.—L’intelligenza e fantasia che SIGNI-fica. L’intelligenza
esiste in quanto fantasi. Tesi non immediatamente prevedibile nel
dispositivo, intricato, di questo percorso hegeliano. Tesi cui
pure spinge, con rigorosa necessità, questa analisi scientifica delle
anime. Una anima, A, SEGNA, l’altra, B, passivamente CAPISCE. Questo testo di Hegel innesca consapevolmente
una polemica ed anche una ri-formulazione metodologica radicale
nei confronti della tradizione empirista, dei sensisti, di Condillac
e degli ideologues. Attraverso le scorribande dell’intelligenza
fra sapere e “SEGNO” (ZEICHEN – inglese ‘TOKEN’ --, la fantasia che fa SEGNO,
la fantasia che SEGNA –SIGNI-FICA), scienza e realtà, attraverso e al di là
della dialettica fra il positivo e il negativo, fra i soggetti e la
verità ecc, Hegel afferma che l’intelligenza è il suo atto. Esistere
non è l’immediatezza di un che rispetto a se stessi, ma è l’atto in
cui, in un contenuto determinato, l’intelligenza si rapporta a se
stessa. La fantasia è il punto centrale in cui l’universale e
l’essere, il proprio e il trovato, l’interno e l’esterno – cf. Bradley,
relazione interna, relazione esterna -- sono perfettamente unificati. Le
sintesi precedenti dell’intuizione, del ricordo ecc., sono unificazioni
del medesimo momento, tuttavia si tratta pur sempre di sintesi. Solo
nella fantasia l’intelligenza non è più come il POZZO indeterminato
e come l’universale, bensì è come singolare, cioè come inter-soggettività
CONCRETA nella quale l’relazione è determinata sia come essere sia
come universale.L’intelligenza è inte-rsoggettività concreta solo nella
fantasia con-divisa. Tale questione è chiarita dal seguito della stessa
Anmerkung. Tutti riconoscono che le immagini della fantasia costituiscono
tali unificazioni del proprio e dell’interno dello spirito con l’elemento
intuitivo. Il loro contenuto ulteriormente determinato appartiene
ad altri ambiti, mentre qui questa fucina interna va intesa soltanto
secondo quel momento astratto. In quanto attività di questa unione,
la fantasia è ragione, ma è ragione formale, solo nella misura in cui
il contenuto in quanto tale della fantasia è indifferente. La ragione
in quanto tale, invece, determina a verità anche il contenuto. Nell’ “Anmerkung”
successiva nello stesso paragrafo Hegel opera la svolta decisiva nel
percorso che qui ci interessa: In particolare bisogna ancora
rilevare questo fatto. Poiché la fantasia porta il contenuto interno
a immagine e a intuizione, e ciò viene espresso dicendo che essa lo determina
come essente, non deve sembrare sorprendente l’espressione secondo
cui l’intelligenza si fa essente, si fa cosa, si fa il reale. Il contenuto
dell’intelligenza, infatti, è l’intelligenza stessa, e lo è altrettanto
la determinazione che essa gli conferisce. L’immagine prodotta
dalla fantasia è inter-soggettivamente intuitiva, mentre è NEL SEGNO
(ZEICHEN, inglese‘token’) che la fantasia aggiunge a ciò l’autentica
intuibilità – “eigentliche Anschaulichkeit.” Nella memoria meccanica,
poi essa completa in sé questa forma dell’essere. L’immagine
solo nel “SEGNO” (Zeichen, token) è autentica intuibilità di ciò che è. L’essente
è coglibile come “SEGNO” (Zeichen, token), non come dato, come dono. Dato e
dono non sono pensabili. Ma neppure sperimentabili nella forma della
presenza, cioè in un darsi -- che, in termini hegeliani, è la materia
dell’intuizione. Essi sono già trascritti nel contenuto interno dell’intelligenza,
cioè come un SEGNO (Zeichen, token). L’elemento imprendibile, enigmatico
della conoscenza è IL SEGNO (Zeichen, token) e non il dato, il dono. Nella
struttura di questo testo Hegel afferma che il non proprio, il non nostro
sovrasta e spiazza nella forma di IL SEGNO (Zeichen, token), non nella forma
del dono. In questa unità, procedente dall’intelligenza, di una RA-PRESENTAZIONE
-- rappresentazione autonoma -- “selb-ständiger Vorstellung,” e di
una intuizione, la materia dell’intuizione è certo innanzitutto un
qualcosa di accolto, di immediato e di dato – “ein aufgenommenes,
etwas unmittelbares oder gegebenes” -- per esempio il colore della
coccarda e affini. In questa identità però l’intuizione non ha il valore
di RA-PRESENTARE -- rappresentare positivamente e di rappresentare
se stessa, bensì di rappresentare qualcos’altro. Essa è un’IMMAGINE che
ha ricevuto entro sé una RA-PRESENTAZIONE -- rappresentazione autonoma
dell’intelligenza come anima, che ha ricevuto, cioè, IL SUO SEGNATO. Questa
intuizione è il SEGNO (Zeichen, token). L’intuizione, rapportata scientificamente
alla sua origine, ha la forma del SEGNO (Zeichen, token). Tale forma ha una
struttura che coinvolge i termine stessi dell’intelligenza. L’intelligenza
sembra funzionare in una deriva di cui IL SEGNO (Zeichen, token) costituisce
una sorta di cerniera, snodo in cui l’intelligenza stessa è tolta-conservata.
L’intuizione che immediatamente e inizialmente è qualcosa di dato
e di spaziale -- “gegebenes und raumliches” -- una volta IMPIEGATA COME
SEGNO (Zeichen, token) riceve la determinazione essenziale di essere
soltanto come intuizione rimossa. Questa sua negatività è l’intelligenza. Perciò
la figura più autentica dell’intuizione, che è un SEGNO (Zeichen,
token), è di essere un esserci nel tempo: un dileguare -- “Verschwinden”
-- dell’esserci mentre l’esser ci è. Inoltre, secondo la sua ulteriore
determinatezza esteriore, psichica, la figura più vera dell’intuizione
è un essere-posta dall’intelligenza, esser-posta che viene fuori dalla
naturalità propria, antropologica, dell’intelligenza stessa: è il
tono, “Ton,” cioè l’estrinsecazione riempita dell’interiorità annunciantesi.
Il “tono” che si articola ulteriormente in vista del rappresentato determinate
è il dis-corso –dis-cursus – general principles of rational discourse -- e un
sistema del discorso è la communicazione – CO-MUNIO. In questo ambito il
“tono” conferisce a una sensazione, una intuizione e un rappresentato
un *secondo* (duale) esserci, più
elevato dell’esserci immediato. In generale conferisce loro un’esistenza
che ha valore nel regno dell’attività rappresentativa – che RA-PRESENTA.
Questo progetto hegeliano di una scienza della psiche tenta qui un ulteriore
radicale approccio alla genesi dell’intelligenza. L’intuizione,
in quanto funzionante come SEGNO (Zeichen, token), riceve la determinazione
essenziale di essere soltanto come intuizione rimossa – “ZU EINEM
ZEICHEN GEBRAUCHT WIRD, DIE WESENTLICHE BESTIMMUNG NUR ALS AUF-GEHOBENE ZU
ZEIN. In questo esser rimosso, tolto-conservato dell’intuizione sta
l’origine dell’intelligenza. La negatività di cui essa è fatta si intreccia
strutturalmente alla nozione di tempo. L’intuizione non è dominabile
da due soggetti se non nella forma del dopo, un dileguare dell’esserci
mentre esserci è. Quell’altro intreccio che costituisce l’intuizione,
l’intreccio fra il dentro e il fuori si esprime nel “tono,” suono articolato.
Il tono, visto in rapporto ad una rappresentazione determinata, è il
discorso --“Rede”, inglese ‘Read’ -- e il sistema del discorso è la lingua
-- Sprache, inglese ‘Speak’ -- e la communicazione – COM-MUNIO. A questo
punto del suo percorso la strategia di Hegel si incontra con il privilegio
greco e platonico accordato all’espressione, IL VERBUM – LA LOQUENZA --
la parola, al logos in quanto vivente pronunciato, DETTO -- dictum –
cf. indice, segnalato, segnato. Come nel “Cratilo” di Platone, anche in Hegel
l’espressione come SEGNO è centrale nella vita dell’intelligenza, ma di
una centralità che occupa il luogo di un movimento originario ed imprendibile. Per
un commento critico ed esplicativo dei paragrafi della «Psicologia»
nella sezione sullo «Spirito soggettivo», anche per ciò che concerne
le fonti di Hegel e la saggistica relativa, cfr. La «magia dello spirito»
e il «gioco del concetto». Considerazioni sulla filosofia dello spirito
soggettivo nell’Enciclopedia di Hegel, Milano, Guerini e Associati.
Uso la recente traduzione di Cicero (Enciclopedia delle scienze filosofiche
in compendio, Milano, Rusconi) che ritengo puntuale ed avvertita
delle questioni poste dal testo, nonostante la discutibilità di alcune
soluzioni su cui per altro pesa in certa misura la resistenza ad abbandonare
traduzioni familiari e consolidate. “Hegel e l’Aufhebung del segno.” L’intreccio
fra sapere e ragione Il tema di questo colloquio riguarda la domanda
originaria. Domanda e origine sono problemi del pensiero che, fin
dall’inizio della filosofia, non costituiscono un approccio di controllo
e di dominio dell’esistenza, quanto piuttosto un ripiegamento su
sé stessi che si interroga sulla propria genesi. In termini meno esistenziali
e più antichi tale questione occupa il posto dell’anima. Dalla consapevolezza
dell’incombere della morte nel primo stasimo dell’Antigone al costituirsi,
per così dire, di un’«interiorità» nella Sofistica e in Platone, l’anima
ha funzionato come principio originario in una forma diversa che il
dominio. Principio che annoda e che manifesta, secondo vie non solo
immediate e speculari, il logos, il noein come conoscenza e misura
di un ordine. Quando il nous, attraverso Aristotele, acquista tutto
il suo sviluppo concettuale e strategico, nel pensiero tardo-antico,
a partire da Plotino, l’ anima rimane ed è ribadita come il luogo e il
venire a coscienza del rapporto con lo stesso nous, cioè con il formularsi
dell’originario (Uno, Bene o Atto che sia). Scelgo di leggere
Hegel. Scelta motivata da miei interessi attuali di ricerca, ma
anche, più ampiamente, dall’attualità di un linguaggio che è in grado di
riformulare questioni sull’assetto moderno del sapere e sul soggetto
di tale sapere. Su un io, che, nella esplicita strategia hegeliana, articola
e raddoppia il ruolo dell’anima. Sapere su di un io è comunque per
Hegel un sapere sulle strutture di un chi, che è in grado di formulare
una domanda originaria. Il testo, di cui intendo proporre alcune
note essenziali di commento, riguarda i paragrafi della “Psicologia”,
sezione della “Filosofia dello Spirito” contenuta nella edizione
dell’ “Enciclopedia.” A differenza dell’ “Antropologia”, in cui l’anima
è considerata come l’aspetto immediato della vita dello spirito
(anima considerata come il sonno dello spirito, problemi del rapporto
dell’anima con il corpo, questioni del sonno, della veglia, delle sensazioni
ecc.), la Psicologia non è scienza dell’anima, ma scienza del sapere
intorno all’anima, cioè scienza veramente tale, nella sua portata
concettuale. Per Hegel scienza – “Wissenschaft” -- ogni scienza, e soprattutto
quella scienza massimamente rigorosa che è la filosofia, è scienza
sempre di secondo grado: scienza che controlla e che ha come oggetto la
sua stessa genesi. Scienza che misura il negativo rispetto al suo assunto
e al suo stesso metodo, scienza che è in grado di smarcarsi dal piano del
suo stesso sapere e di comprendere il rapporto dinamico, generativo
e mai astrattamente speculare, in cui la conoscenza si costituisce.
Così, nel caso del testo che stiamo per commentare, i contenuti della
psicologia hegeliana sono curiosamente tutti diversi da quelli che
nell’assetto della fine dell’Ottocento e del primo Novecento ci si
aspetterebbe da una psicologia in senso moderno e scientifico. La
psicologia non è scienza delle leggi della psiche, ma del movimento generativo
delle leggi della psiche. I testi che sono oggetto del mio commento
sono, come è noto, estremamente difficili. Prima di cominciare vorrei
fare qualche rilievo sul problema della difficoltà in generale nella
lettura del testo di Hegel. La questione si pone secondo tre punti di
vista. Innanzi tutto come questione della natura e della destinazione
del testo. Ad esempio l’ “Enciclopedia delle scienze filosofiche”,
nel nostro caso, è pensata come un riassunto delle lezioni per gli studenti.
In secondo luogo il problema del significato espresso, del voler dire
del discorso hegeliano. In terzo luogo, che è quello decisivo, la questione
del metodo di composizione del testo di Hegel, metodo che riguarda,
d’un colpo solo, autore e lettore. Questioni, dette altrimenti, di sintonizzarsi
con il testo che, per quanto riguarda il metodo di lavoro di Hegel, non
può essere altro che ripercorrere l’elemento generativo del significato
di ciò che Hegel dice. Senza di questo incessante ripercorrimento a livello
della genesi del testo, il suo significato risulta inevitabilmente
incomprensibile o appiattito. Appiattito come su di una superficie,
in modo che il gioco delle interpretazioni del lettore, anche nel caso
si tratti di studioso molto qualificato, tende spesso a sbizzarrirsi
in grovigli di ipotesi filologiche o di carattere ideologico-metafisico.
Il minimo comun denominatore è la perdita del nesso fra il significato
di ciò che è detto nel testo con li movimento generativo di tale significato..
Così si può separare perfino il concetto di negativo dal concetto
di generazione sovrapponendo l’uno sull’altro e rendendo incomprensibili
entrambi. Questione che si pone in modo non infrequente, anzi malessere
spesso diffuso anche nei commenti «professionali». Iniziamo la
lettura partendo dalle prime righe del par. 440. Lo spirito si è determinato
divenendo la verità dell’anima e della coscienza, cioè la verità di
quella totalità semplice e immediata e di questo sapere. Adesso
il sapere, in quanto forma infinita, non è più limitato da quel contenuto,
non sta in rapporto con esso come con un oggetto, ma è sapere della
totalità sostanziale, né soggettiva né oggettiva. ll problema del
rapporto fra il sapere e la ragione inaugura qui il dibattito sulla
scienza della psiche. L’intreccio fra sapere e ragione inizia a dipanarsi
nel paragrafo seguente: L’anima è finita nella misura in cui è
determinata immediatamente, cioè determinata per natura.
La coscienza è finita nella misura in cui ha un oggetto. Lo spirito
è invece finito (insofern ist endlich) nella misura in cui esso, nel
suo sapere (in seinem Wissen) non ha più un oggetto, ma una determinatezza,
nel senso che è finito per via della sua immediatezza e, che è la stessa
cosa, perché è soggettivo, è cioè come il Concetto. Lo spirito è finito
nella misura in cui esso, nel suo sapere, non ha più un oggetto, ma una
determinatezza. Lo spirito sembra essere quell’attività in grado di
contenere e controllare l’intreccio fra la ragione e il sapere,
anche se ora solo nella forma dell’immediatezza. L’intreccio si organizza
su due poli: la ragione e il sapere. Essi si implicano reciprocamente
. A seconda che si consideri come concetto la ragione o il sapere.
Qui è indifferente ciò che viene determinato come concetto dello spirito
e ciò che viene invece determinato come realità – “Realität” -- di questo
concetto. Se infatti la ragione assolutamente infinita, oggettiva,
viene posta come concetto dello spirito, allora la realità è il sapere,
cioè l’intelligenza; se invece è il sapere a essere considerato
come il concetto, allora la realità del concetto è questa ragione e la
realizzazione (Realisierung) del sapere consiste nell’appropriarsi
della ragione. La finitezza dello spirito pertanto consiste in
ciò: il sapere non comprende l’Essere in-sé-e-per-sé della sua ragione.
In altri termini: la ragione non si è manifestata pienamente nel sapere.
C’è un dislivello dunque strutturale con la ragione che funziona nel
sapere. Dislivello strutturale che per i greci è invece costituito
dal rapporto fra il sapere e la verità. Comunque la realtà, considerata
come realtà del sapere o come realtà della ragione, si costituisce e funziona
per Hegel come un farsi che è un intreccio inestricabile. Una purità e
verginità dell’origine è introvabile. La questione di un sapere
dello/sullo spirito si articola ulteriormente nel paragrafo. Il procedere
dello spirito è sviluppo – “Entwicklung” -- nella misura in cui la sua
esistenza, il sapere, ha entro se stessa l’essere, determinato in sé
e per sé, cioè ha per contenuto, “Gehalte”, e per fine, “Zweck -- il razionale.
“Vernunftige.” L’attività di trasposizione
è dunque puramente e soltanto il passaggio formale nella manifestazione
e, in questa, è ritorno entro sé – “Rückkehr in sich.” Nella misura
in cui il sapere, affetto dalla sua prima determinatezza, è soltanto
astratto, cioè formale, la meta dello spirito è quella di produrre il
riempimento oggettivo – “die objective Erfüllung hervorzubringen”
-- e quindi, a un tempo, la libertà del suo sapere. La via della psicologia
come scienza della libertà In questo testo il movimento del sapere e il
suo saperne si articola come questione della conoscenza dell’originario.
Tale questione, che ha la forma del ritorno, è pensabile come libertà.
L’avventura dello spirito che, hegelianamente, è sempre un appropriarsi,
un far proprio, qui, e secondo la radicalità della sua struttura, funziona
come appropriarsi del sapere e coincide con l’avventura della
libertà. Il cammino dello spirito consiste pertanto: nell’essere
spirito teoretico, cioè nell’avere a che fare con il Razionale nella
sua determinatezza immediata, e di porlo adesso come il Suo; in altre
parole: il cammino consiste innanzi tutto nel liberare il sapere
dal presupposto e, con ciò, dalla sua astrazione, e rendere soggettiva
la determinatezza. Poiché in tal modo il sapere è in sé e per sé determinato
come sapere entro sé, e poiché la determinatezza è posta come la sua,
quindi come intelligenza libera, il sapere è volontà, spirito
pratico, il quale innanzi tutto è anch’esso formale: ha un contenuto
che è soltanto il suo: esso vuole immediatamente, e adesso libera la
sua determinazione di volontà dalla soggettività che la condizionava
come forma unilaterale del proprio contenuto. In tal modo lo spirito
diviene come spirito libero, nel quale è rimossa quella doppia
unilateralità.6 Lo scorcio teorico fornito in questo paragrafo
merita una puntualizzazione. Abbiamo in precedenza accennato
alla cornice della Psicologia hegeliana come progetto scientifico:
scienza della psiche che si pone come scienza dei fattori generativi
della psiche. Il percorso dello spirito che si sforza di conoscere
se stesso, che tenta di comprendere l’esperienza della sua libertà, che
nella Fenomenologia dello spirito prende la via della morale come storia,
in queste pagine prende la via della psicologia come scienza della
libertà Che il sapere possa afferrare se stesso, possa appropriarsi di
sé: la strategia hegeliana implica che l’originario, per il soggetto
e per il sapere, funzioni e sia conoscibile come effetto di questo
appropriarsi che è etico, pratico. Se non si pensa il significato
del sapere e del suo soggetto come etico, pratico, il soggetto del sapere
si dibatte «in una doppia unilateralità»: la rappresentazione che il
soggetto fa di sé come suo e l’immediatezza di tale rappresentazione.
Anticipiamo. La libertà è pensabile come lo spiazzamento in cui il
soggetto del sapere conosce il suo essere fatto, nonostante e attraverso
il suo fare, impossibilitato a cogliere l’identità fra sé e la sua immagine.
Questa divisione e dislivello interno che è l’impossibilità di cogliere
l’origine del proprio costituirsi è per Hegel l’Intelligenza.
Nel montaggio linguistico di questo testo tale divisione e tale dislivello
vanno ad occupare il posto della classica opposizione fra il dentro e
il fuori. L’intelligenza, in quanto è questa unità concreta dei
due momenti — vale a dire, immediatamente, di essere ricordata
entro sé in questo materiale esteriormente essente, e di essere immersa
nell’essere fuori-di-sé mentre entro sé si interiorizza col proprio
ricordo —, è intuizione. La centralità della parola nella vita dell’intelligenza
Il cammino dell’Intelligenza sta proprio nel battere in breccia l’opposizione
fra il dentro e il fuori. L’intelligenza, quando ricorda inizialmente
l’intuizione, pone il contenuto del sentimento nella propria
interiorità, nel suo proprio spazio e nel suo proprio tempo In tal modo il
contenuto è immagine, liberata dalla sua prima immediatezza e
dalla singolarità astratta rispetto ad altro, in quanto essa è accolta
nella singolarità dell’Io in generale. Questo battere in breccia, visto
dal punto di vista dell’intelligenza, è ll’immagine. L’intelligenza
possiede dunque le immagini. L’intelligenza, dice Hegel, è il Quando
e il Dove dell’immagine. L’immagine è per sé transeunte, e l’intelligenza
stessa, in quanto attenzione, è il tempo e anche lo spazio — il Quando e
il Dove — dell’immagine. L’intelligenza però non è soltanto la
coscienza e l’Esserci delle proprie determinazioni, bensì, in quanto
tale, ne è anche il soggetto e l’In-sé. Ricordata nell’intelligenza,
perciò, l’immagine non è più esistente, ma è conservata inconsciamente.
Nell’Anmerkung dello stesso paragrafo Hegel inaugura la metafora del
POZZO notturno per definire il funzionamento dell’intelligenza
come un luogo in cui sono conservate immagini e rappresentazioni che
l’intelligenza stessa non conosce. Hegel prosegue la sua indagine
attraverso una sorta di tiro incrociato fra intuizione ed immagine,
mettendo in azione uno stile agostiniano alla “De magistro”. Anche la
nozione, classica, di rappresentazione entra, ricompresa e ripensata,
come dall’interno, nel movimento produttivo dell’intelligenza.
La nozione di memoria è anch’essa ripercorsa, nella sua struttura
classica, come movimento attivo e imprendibile, funzionante nell’intelligenza
e produttiva di essa, in una svolta decisiva del paragrafo 456.
L’intelligenza è la potenza che domina sulla riserva di immagini e
rappresentazioni che le appartengono; essa è quindi congiunzione e
sussunzione libera di questa riserva sotto il contenuto peculiare.
L’intelligenza si ricorda ed interiorizza in modo determinato
entro quella riserva, e la plasma immaginativamente secondo questo
suo contenuto: essa è quindi fantasia, immaginazione simbolizzante,
allegorizzante o poetante. Questa formazioni immaginative
più o meno concrete, più o meno individualizzate, sono ancora delle
sintesi nella misura in cui il materiale, in cui il contenuto soggettivo
conferisce un Esserci alla rappresentazione, proviene dal Trovato
(dem Gefundenen) dell’intuizione.Passività, evidenza, sorpresa di
fonte al darsi originario delle cose riguarda perciò per Hegel un movimento
che ha come suo elemento lo scenario dell’interiorità. Il trovato dell’intuizione,
incontro, evidenza, accoglienza della realtà è pensabile in un registro
che è già una traduzione. È nel registro di una traduzione che nel percorso
di questo testo di Hegel, di una traduzione del fuorinel dentro e viceversa,
che si può avvistare ciò in filosofia si chiama realtà. Quando
l’intelligenza, in quanto ragione, parte dall’appropriazione dell’immediatezza
trovata entro sé, cioè la determina come Universale, ecco allora che
la sua attività razionale procede dal punto attuale (dem nunmehrigen
Punkte) a determinare come essente ciò che in essa si è sviluppato in
autointuizione concreta, procede cioè a rendere se stessa Essere,
Cosa. L’intelligenza stessa così si fa essente, si fa Cosa. Quando
è attiva in questa determinazione, l’intelligenza si estrinseca
(aussernd), produce (produzierend) intuizione: è fantasia che si
esprime in segni (Zeichen machende Phantasie). L’intelligenza esiste
in quanto fantasia… Tesi non immediatamente prevedibile nel dispositivo,
intricato, di questo percorso hegeliano. Tesi cui pure spinge, con rigorosa
necessità, questa analisi «scientifica» della psiche. Questo testo di
Hegel innesca consapevolmente una polemica ed anche una riformulazione
metodologica radicale nei confronti della tradizione empirista,
dei sensisti, di Condillac e degli ideologues. Attraverso le
scorribande dell’intelligenza fra sapere e segno, scienza e realtà,
attraverso e al di là della dialettica fra il positivo e il negativo,
fra il soggetto e la verità ecc, Hegel afferma che l’intelligenza è il
suo atto. Esistere non è l’immediatezza di un che rispetto a se stessi,
ma è l’atto in cui, in un contenuto determinato, l’intelligenza si
rapporta a se stessa. La fantasia è il punto centrale in cui l’Universale
e l’Essere, il Proprio e il Trovato, l’Interno e l’Esterno, sono perfettamente
unificati. Le sintesi precedenti dell’intuizione, del ricordo
ecc., sono unificazioni del medesimo momento, tuttavia si tratta
pur sempre di sintesi. Solo nella fantasia l’intelligenza non è più
come il pozzo indeterminato e come l’Universale, bensì è come Singolare,
cioè come soggettività concreta nella quale l’autorelazione è determinata
sia come Essere sia come Universalità. L’intelligenza è intelligenza
di un individuo, di un singolo, è soggettività concreta solo nella fantasia.
Tale questione è chiarita dal seguito della stessa Anmerkung:
Tutti riconoscono che le immagini della fantasia costituiscono
tali unificazioni del Proprio e dell’Interno dello spirito con l’elemento
intuitivo. Il loro contenuto ulteriormente determinato appartiene
ad altri ambiti, mentre qui questa fucina interna va intesa soltanto
secondo quel momento astratto. In quanto attività di questa unione,
la fantasia è ragione, ma è ragione formale, solo nella misura in cui
il contenuto in quanto tale della fantasia è indifferente. La ragione
in quanto tale, invece, determia a verità anche il contenuto. Nell’Anmerkung
successiva nello stesso paragrafo Hegel opera la svolta decisiva nel
breve percorso che qui ci interessa: In particolare bisogna ancora
rilevare questo fatto. Poiché la fantasia porta il contenuto interno
a immagine e a intuizione — e ciò viene espresso dicendo che essa lo
determina come essente, non deve sembrare sorprendente l’espressione
secondo cui l’intelligenza si farebbe essente, si farebbe Cosa. Il
contenuto dell’intelligenza, infatti, è l’intelligenza stessa, e
lo è altrettanto la determinazione che essa gli conferisce.
L’immagine prodotta dalla fantasia è solo soggettivamente intuitiva,
mentre è nel segno che la fantasia aggiunge a ciò l’autentica
intuibilità (eigentliche Anschaulichkeit); nella memoria meccanica,
poi essa completa in sé questa forma dell’Essere. L’immagine
solo nel segno è autentica intuibilità di ciò che è. L’essente è coglibile
come segno, non come dato, come dono. Dato e dono non sono pensabili, ma neppure
sperimentabili nella forma della presenza, cioè in un darsi (che, in termini
hegeliani, è la materia dell’intuizione). Essi sono già trascritti
nel contenuto interno dell’intelligenza, cioè come segni. L’elemento
imprendibile, enigmatico della conoscenza è il segno e non il dato,
il dono. Nella struttura di questo testo Hegel afferma che il non proprio,
il non mio sovrasta e spiazza nella forma del segno, non nella forma del
dono. In questa unità, procedente dall’intelligenza, di una rappresentazione
autonoma (selbständiger Vorstellung) e di una intuizione, la materia
dell’intuizione è certo innanzitutto un qualcosa di accolto, di immediato
e di dato (ein aufgenommenes, etwas unmittelbares oder gegebenes)
(per esempio il colore della coccarda e affini). In questa
identità però l’intuizione non ha il valore di rappresentare positivamente
e di rappresentare se stessa, bensì di rappresentare qualcos’altro.
Essa è un’immagine che ha ricevuto entro sé una rappresentazione autonoma
dell’intelligenza come anima, che ha ricevuto, cioè, il suo significato.
Questa intuizione è il segno. L’intuizione, rapportata scientificamente
alla sua origine, ha la forma del SEGNO. Tale forma ha una struttura che
coinvolge i termine stessi dell’intelligenza. L’intelligenza sembra
funzionare in una deriva di cui il segno costituisce una sorta di cerniera,
snodo in cui l’intelligenza stessa è tolta-conservata. L’intuizione
che immediatamente e inizialmente è qualcosa di dato e di spaziale
(gegebenes und raumliches) una volta impiegata come segno riceve la
determinazione essenziale di essere soltanto come intuizione rimossa.
Questa sua negatività è l’intelligenza. Perciò la figura più autentica
dell’intuizione, che è un SEGNO, è di essere un Esserci nel tempo: un
dileguare (Verschwinden) dell’Esserci mentre l’esserci è.
Inoltre, secondo la sua ulteriore determinatezza esteriore, psichica,
la figura più vera dell’intuizione è un essere-posta dall’intelligenza,
esser-posta che viene fuori dalla naturalità propria (antropologica) dell’intelligenza
stessa: è il tono (Ton), cioè l’estrinsecazione riempita
dell’interiorità annunciantesi. Il tono che si articola ulteriormente
in vista della RAPPRESENTAZIONE determinata è il discorso, e il sistema
del discorso è la lingua. In questo ambito il tono conferisce a sensazioni,
intuizioni e rappresentazioni un secondo Esserci, più elevato dell’Esserci
immediato: in generale conferisce loro un’esistenza che ha valore
nel regno dell’attività rappresentativa. Questo progetto hegeliano
di una scienza della psiche tenta qui un ulteriore radicale approccio
alla genesi dell’intelligenza. L’intuizione, in quanto funzionante
come segno, «riceve la determinazione essenziale di essere soltanto
come intuizione rimossa (zu einem Zeichen gebraucht wird, die wesentliche
Bestimmung nur als aufgehobene zu sein). In questo esser rimosso,
tolto-conservato dell’intuizione sta l’origine dell’intelligenza.
La negatività di cui essa è fatta si intreccia strutturalmente alla nozione
di tempo. L’intuizione non è dominabile da un soggetto se non nella
forma del dopo: «un dileguare dell’Esserci mentre Esserci è».
Quell’altro intreccio che costituisce l’intuizione, l’intreccio fra
il dentro e il fuori si esprime nel tono, suono articolato, “Ton”. Il
tono, visto in rapporto ad una rappresentazione determinata, è il discorso
(Rede) e il sistema del discorso è la lingua (Sprache). A questo
punto del suo percorso la strategia di Hegel si incontra con il privilegio
greco e platonico accordato alla parola, al logosin quanto vivente
pronunciato, detto. Come in Platone, anche in Hegel la parola è centrale
nella vita dell’intelligenza, ma di una centralità che occupa il luogo
di un movimento originario ed imprendibile. Per un commento
critico ed esplicativo dei paragrafi della psicologia nella sezione
sullo spirito soggettivo, anche per ciò che concerne le fonti di Hegel e
la saggistica relativa, cfr. Rossella Bonito Oliva, La «magia dello
spirito» e il «gioco del concetto». Considerazioni sulla filosofia
dello spirito soggettivo nell’Enciclopedia di Hegel, Milano, Guerini
e Associati. Uso la recente traduzione di Vincenzo Cicero (Enciclopedia
delle scienze filosofiche in compendio, ed. 1830, Milano, Rusconi)
che ritengo puntuale ed avvertita delle questioni poste dal testo, nonostante
la discutibilità di alcune soluzioni su cui per altro pesa in certa misura
la resistenza ad abbandonare traduzioni familiari e consolidate.
Anmerkung. Anmerkung. Grice: “There’s something
otiose about the ‘faciendi signum’ of the Romans, why not just ‘signare’?” –
Who or what ‘makes’ the sign of a dark cloud (=> rain)?” “While it seems
natural enough to say that a dark cloud is a sign of rain,it or better, that a dark cloud signs *that* it
may rain, I wouldn’t say that the cloud “MAKES” anything --. Grice: “It’s sad
that Hegel’s Latin wasn’t that good – the Romans used ‘signare’ (Italian
‘segnare’) much more than they did use ‘significare’. “With all my love and
kisses” “You used to sign your letters ‘with all my love and kisses” – Sam
Browne --. Horatio
Nicholls – aka as something else. Gianfranco Dalmasso. Keywords: la giustizia nel
discorso, sign-make, fare segno, fare segno a se – zeichen Machen, to sign
versus to signify -- Bradley, Hegel, io, noi, intersoggetivo, Hegel on Zeichen,
zeichen-machende fantasie” – zeichen-interpretand fantasie” -- “l’implicatura
del noi duale” “il tra noi” – la prossimita del tra noi -- Refs.: Luigi
Speranza, “Grice e Dalmasso”, per il gruppo di gioco di H. P. Grice, The
Swimming-Pool Library, Villa Speranza. Dalmasso.
Luigi Speranza -- Grice e Dandolo: la
ragione conversazionale e ’implicatura conversazionale della Roma pagana,
filosofia romana – Carneade e compagnia – scuola di Varese – filosofia varesese
– filosofia lombarda -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Varese). Filosofo
varesese. Filosofo lombardo. Filosofo italiano. Varese, Lombardia. Grice: “I
love Dandolo; you know why? Because he was an amateur, not
a professional; I mean, he was a country gentleman and an earl, so if he
philosophised it wasn’t for the colour of the money! Plus, he owned a lovely
‘palazzo,’ which I would call ‘villa’! Neoguelfo. Figlio dal conte Vincenzo
e Mariana Grossi. Il padre era esponente della Municipalità di Venezia, ma dopo
il trattato di Campoformio, con il quale si sancì la fine della Repubblica,
dovette esulare in Francia. Venne in seguito nominato da Napoleone senatore del
Regno italico e conte. Fu anche governatore civile della Dalmazia. Passa quindi
un'infanzia assai agitata; fu cresciuto da una "cameriera disattenta"
e poi sballottato per vari collegi. Si laurea a Pavia. Passa alcuni anni girando
per l'Europa e conducendo una vita mondana. In questo periodo venne a contatto
con illustri personalità culturali politiche dell'epoca. Venne sospettato
dal governo austriaco di aver partecipato alle congiure degli anni precedenti,
e per questo fatto rientrare in modo coatto in Italia (senza tuttavia essere
perseguitato). In Italia, si dedica ampiamente alla filosofia, e sposa la
sorella di Bargnani; uno dei cospiratori mazziniani. Morta la sposa affida ad
un amico i figli. Sposa la contessa Ermellina Maselli, da cui ebbe altri due
figli. I primi due figli presero parte alle Cinque giornate e ad altre
operazioni belliche e lo stesso Tullio fu uno dei principali autori della
rivoluzione e capo della rivolta varesina (scoppiata in concomitanza con quella
di Milano), ma a Roma, durante la difesa della repubblica di Mazzini, Su figlio
muore e l’altro rimase gravemente ferito. Questo evento tocca molto Tullio che
tuttavia, pur dovendosi prendere cure molto onerose del superstite, continua
comunque i suoi studi di filosofia. Sui due figli raccolse un gran numero di
documenti, memorie e storie pubblicati in “Lo spirito della imitazione di Gesù
Cristo esposto e raccomandato da un padre ai suoi figli adolescent: corrispondenze
di lettere famigliari: riicordi biografici dell'adolescenza d'Enrico e d'Emilio
D., Milano). Un filosofo che fece delle critiche alla sua attività fu Tommaseo,
ma risultò essere piuttosto duro ed aspro, tanto da scrivere. “Fin da giovane
scarabocchiò librettucci compilati o piuttosto arruffati. Né di quelli che
scrisse dal venticinque al cinquantacinque sapresti quale sia il più decrepito
e il più puerile. Ma fece due opere buone, un figliolo che morì valentemente in
Roma assediata da Galli vendicatori delle oche; e un altro figliolo che scrisse
la storia, e direi quasi la vita della Legione Lombarda capitanata da Manara,
libro di senno virile e d'affetto pio.” I suoi saggi trattano gli argomenti più
vari: dalla pedagogia all'autobiografia, da quelli di carattere storico a
quelli religiosi. Molti di essi sono schizzi letterari e filosofici o
riguardano descrizioni di viaggi, città e munomenti. Inoltre, scrisse molto
intorno alla storia romana antica, alla nascita del Cristianesimo, al Medioevo
e al Rinascimento, pubblicando anche molti discorsi e documenti inediti. Più
che ad un contributo critico, mira a dare un'informazione non faziosa per una
migliore conoscenza del passato. Questi suoi scritti storici sono molto diversi
fra di loro. In alcuni predilige uno stile aulico, mentre in altri un tono
popolare e facile; trattando ora gli argomenti con approssimazione ed ora dando
al racconto la coinvolgenza di un romanzo. Altre opere: “Roma”; “Napoli”
(Milano); “Firenze”; “Torino”; “La Svizzera”; “Il Cantone de' Grigioni” (Milano);
“Prospetto della Svizzera, ossia ragionamenti da servire d'introduzione alle
lettere sulla Svizzera); “La Svizzera considerata nelle sue vaghezze
pittoresche, nella storia, nelle leggi e ne' costume”; “Venezia”; “Il secolo di
Pericle”; “Schizzi di costume”, “Il secolo d'Augusto”; “Semplicità” (o rapidi
cenni sulla letteratura e sulle arti”; “Album storico poetico morale, compilato
per cura di V. de Castro” (Padova); “Reminiscenze e fantasie. Schizzi
letterari, Peregrinazioni. Schizzi artistici e filosofici (Torino); Roma e
l'Impero sino a Marco Aurelio” (Milano); “Firenze sino alla caduta della
Repubblica”; “Il Medio Evo elvetico”; “Racconti e leggende”; “La Svizzera
pittoresca, o corse per le Alpi e pel Jura a commentario del Medio Evo
elvetico; “I secoli dei due sommi italiani Dante e Colombo; “Il Settentrione
dell'Europa e dell'America nel secolo passato; “L'Italia nel secolo passato; Il
Cristianesimo nascente; La Signora di Monza. Le streghe del Tirolo. Processi
famosi del secolo decimosettimo per la prima volta cavati dalle filze originali
(rist. anast., Milano); Il pensiero pagano ai giorni dell'Impero. Studii, Il
pensiero cristiano ai giorni dell'Impero. Studii; Il pensiero pagano e
cristiano ai giorni dell'Impero. Studii; “Monachesimo e leggende. Saggi storici;
“Roma e i papi. Studi storici, filosofici, letterari ed artistici, Il secolo di
Leone Decimo. Studii, Lo spirito della imitazione di Gesù Cristo esposto e
raccomandato da un padre ai suoi figli adolescenti (corrispondenza di lettere
famigliari). Ricordi biografici dell'adolescenza d'Enrico e d'Emilio Dandolo,
Milano); “La Francia nel secolo passato, “Corse estive nel Golfo della Spezia; Il
secolo decimosettimo, Ragionamenti preliminari ed indici ragionati degli studi
del conte Tullio Dandolo su Roma pagana e Roma cristiana pubblicati ad annunzio
e prospetto dell'opera, Assisi (estr. da
Stella dell'Umbria); “Ricordi di D.”; “Lettera a D. Sensi. Indice della
materia, Assisi); “Ricordi”; “Ricordi inediti di G. Morone gran cancelliere
dell'ultimo duca di Milano, a cura di D., Milano; Alcuni brani delle storie
patrie di Giuseppe Ripamonti per la prima volta tradotti dall'originale latino
dal conte T. Dandolo, Il potere politico cristiano. Discorsi pronunciati dal
Ventura di RaulicaR. P., a cura di Dandolo, Milano); “Vicende memorabili narrate
da Alessandro Verri precedute da una vita del medesimo di Maggi, a cura di D.,
A. F. Roselly de Lorgues. Ricordi, primo e secondo periodo, Assisi. di Guerri,
direttore delle Civiche raccolte storiche di Milano. Colloqui col Manzoni, T. Lodi (Firenze). Treccani,
Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiano. LA
FILOSOFIA ROMANA. Nei primi secoli della repubblica i romani non diedersi
pensiero di filosofia. Appena ne conobbero il nome. Intenti da principio a
difendersi, poi a consolidare la loro dominazione sui popoli vicini, la loro
saviezza fu figlia della sperienza e d'un ammirabile buon senso affinato dalle
difficoltà esteriori in mezzo a cui si trovarono collocati, e dal godimento di
un'interiore libertà, le cui procelle incessanti valevano ad elevare ed
afforzare gli animi. Volle taluno che le instituzioni del re Numa non andassero
digiune di pitagorismo. Gli è da credere piuttosto, avuto riguardo all'ordine
cronologico, che Pitagora attignesse nelle dottrine sacerdotali del secondo re
di Roma qualcuna delle sue teoriche intorno la religione. Allorchè i
romani strinsero i primi legami co' greci delle colonie italiche e siciliane,
non credettero di ravvisare che leggerezza mollezza e corruzione in que' popoli
i quali a ricambio qualificarono i romani di barbari. Sul finire della prima
guerra punica fu resa nota ai vincitori la letteratura drammatica de greci; e
vedemmo Livio Andronico ha per primo tradotto tragedie, le quali cacciarono di
scanno i versi fescennini, i giuochi scenici etruschi e le informi atellane.
Ennio, oltre ai componimenti poetici di cui facemmo menzione, voltò in latino
la storia sacra di Evemero, scritto ardito, inteso a dimostrare che gli dei
della Grecia altro non erano che antichi uomini dalla superstizione
divinizzati. I romani non videro nelle ipotesi del filosofo che un oggetto di
mera curiosità. Non erano ombrosi come gl’ateniesi, non avevano peranco
sperimentato qualc’azione efficace la filosofia esercitar potesse sulla
religione. Accolsero del pari con indifferenza la sposizione poetica che del
sistema dell’ORTO loro presenta LUCREZIO. Germi sono questi gettati in terreno
non preparato ancora à riceverli. La conquista non tardò a dischiudere
colla Grecia più facili mezzi di comunicazione. I conquistatori trasportarono
in patria schiavi tra’ quali vi avevano non filosofi, ma retori e grammatici; e
loro fidarono l'educazione de' proprii figli. L'introduzione degli studii
filosofici in Roma risale alla celebre ambasceria di Carneade accademico,
Critolao peripatetico, Diogene stoico. Avidi di brillare e lusingati
dall'ammirazione che destavano in un popolo non avvezzo a sottili investigazioni,
quei tre fecero pompa di tutta la profondità e desterità della loro dialettica
ad abbagliare la romana gioventù che loro s'affoltava intorno, incantata di
scovrire usi dianzi ignorati della parola. I magistrati s'adombrarono di
cotesto subitano commovimento. I vecchi Se. natori armaronsi di tutta
l'autorità delle prische costumanze per respingere studi speculativi, che teme
vano come pericolosi e disprezzavano come futili. CATONE il censore ottenne che
si allontanassero tosto dalla romana gioventù i retori che davano opera a
distruggere le più venerate tradizioni e a smovere le fondamenta della morale.
I sofismi di Carneade, il quale faceva pompa della spregevole arte di sostenere
a piacimento le opinioni più contraddittorie, forne a Catone plausibili
argomenti di vituperarlo. Sicchè i primordi della filosofia furono
contrassegnati in Roma da sfavorevoli apparenze. Il rigido censore non prevede
che, un secolo dopo, quella filosofia che aveva voluto proscrivere, meglio
approfondita e meglio conosciuta, sarebbe il solo rifugio del suo pronipote
contro le ingiurie della fortuna e la clemenza di GIULIO CESARE. Non possiamo
trattenerci dal simpatizzare con que’ vecchioni, i quali opponevano al torrente
da che avvisavano minacciata la patria lor capegli canuti e la loro antica
esperienza, evocando a respignere pericolose novatrici dottrine la religione
del passato e le tradizioni di seicent anni di vittorie di libertà
divirtù. Ma se a codesto spontaneo sentimento tien dietro la riflessione,
saremo costretti di riconoscere che a rintuzzare il progresso della
filosofia ed anco de sofismi di Grecia, il senato mal si appose con quel
suo violento procedere. Tutto ciò che è pericoloso racchiude in sè un principio
falso che è sempre facil cosa scovrire. Affermare il contrario sarebbe
muovere accusa al divino, quasi ch'ella con innestare il male nella
conoscenza del vero avesse teso un laccio all’umana intelligenza. Convien
dunque adoperarsi a dimostrare la falsità delle opinioni perniziose,
non proscriverle alla cieca, quasi rifuggendo esaminarle conscii
dell'impossibilità di confurtarle. Sì ardua impresa rispondere agli
ateniesi sofisti? o sì difficile dimostrare che quelle loro argomentazioni
pro e contra lo stesso principio di morale erano assurde? O sì
temerario lo appellarsene, ne' cuori romani, a’sentimenti innati del vero e del
giusto, il risvegliare in quelle anime ancor nuove sdegno e disprezzo per
teoriche, le quali, consistendo tutte in equivoci, dovevano vituperosamente
cadere dinanzi la più semplice analisi? Catone anda altero dell'ottenuta
vittoria. Gli ambasciadori ateniesi furono tosto rimandati. Per un secolo
ancora severi editti, frequentemente rinnovati, lottarono contro ogni nuova
dottrina. Ma l'impulso è dato, nè poteva fermarsi. I romani conservarono
impresse nella memoria le dottrine dei sofisti. Era poi e riguardarono la
dialettica di Carneade non tanto come un sistema che conveniva esaminare,
quanto come una proprietà che stava bene difendere. Giunti ad età provetta nel
bivio d'abbandonare ogni speculazione filosofica o di disobbedire alle leggi, sono
tratti a disobbedire dalla loro inclinazione per le lettere, passione la quale,
dacchè è nata, va crescendo ogni dì, siccome quella che ha riposte in sè medesima
le proprie soddisfazioni. Gl’uni tennero dietro alla filosofia nel suo esiglio
ad Atene. Altri mandarono colà i loro figli. I capitani degl’eserciti sono i
primi a lasciarsi vincere apertamente da questa tendenza generale degli
spiriti. L'accademico Antioco è compagno di Lucullo. Catone il censore cede
egli stesso, a malgrado delle sue declamazioni, alla seduzione dell'esempio, ed
assistè alle lezioni del peripatetico Nearco. SILLA fa trasportare in Roma la
biblioteca d'Apellico di Teo. CATONE d'Utica allorch'è tribuno militare in
Macedonia peregrino in Asia a solo oggetto d'ottenere che Atenodoro, filosofo del Portico, abbandonasse
il suo ritiro di Pergamo e si conducesse a dimorare con lui. Pure gl’spiriti
che con siffatto entusiasmo s'abbandonarono alle filosofiche investigazioni non
trovavansi da studii anteriori preparati ad astratte speculazioni. Ne avvenne
che la filosofia penetra in coteste menti dico come in massa e nel suo insieme.
Ma non s'indentifica col rimanente delle loro opinione. La sua efficacia è nel
tempo stesso più gagliarda e mento continua che in Grecia. Più gagliarda nelle circostanze
importanti nelle quali l'uomo trascinato fuori del circolo delle sue abitudini
cerca appoggi, motivi d'agire, conforti straordinarii. Meno continua perchè, se
niun evento tnrbava l'ordine abituale, ella ridiventava pe’ romani una scienza,
piuttostochè una regola di condotta applicata a tutti i casi della vita
sociale. Che se non iscorgiamo in Roma individui che a somiglianza dei sapienti
della Grecia consacrassero alla filosofia esclusivamente il loro tempo. Non ci
appare nè anche, ad eccezione di Socrate, che i greci abbiano saputo trarre
dalla filosofia quegli efficaci soccorsi che invigorivano gli illustri
cittadini di Roma in mezzo ai campi, nelle guerre civili, tra le proscrizioni,
allora suprema. I romani si divisero in sette. Effetto della maniera
d'insegnamento di cui i retori greci usavano con essi. Per la maggior parte
schiavi od affrancati, dovevano costoro, qualunque fosse il loro convincimento
o la loro preferenza per queste o quelle dottrine, studiarsi di piacere a'
padroni; ond'è che chiaritisi come una tale ipotesi respignesse colla sua
severità o stancasse colla sua sottigliezza, affrettavansi di sostituirne altra
più accetta. Tali sono i risultamenti della dipendenza. L’amore stesso del vero
non basta ad affrancare l'uomo dal giogo. S’egli non abjura le sue opinioni, ne
cangia le forme; se non rinnega i suoi principii, li sfigura. Allorchè a
questi retori schiavi succedettero i retori stipendiati, le dottrine diventarono
derrata di cui itanto per greci trafficarono, e della quale per
conseguenza lasciarono la scelta a' compratori. Le varie sette non trovarono
in Roma uguale favore. L'epicureismo benchè in bei versi esposto ed insegnato
da Lucrezio, vi fu dapprima respinto, non la sua morale di cui bene non si
conoscevano ancora i corollarii, quanto per la raccomandazione che faceva
d'attenersi ad una vita speculativa e ritirata, aliena non meno da fatiche che
da pericoli. Gli è questo difatti il principale rimprovero che fa Cicerone alla
filosofia epicurea. I cittadini d'uno stato libero non sanno concepire la
possibilità di porre in dimenticanza la patria, perciocchè ne posseggono una; e
considerano come colpevole debolezza quell'allontanamento da ogni carriera
attiva, che sotto il dispotismo diventa bisogno è virtù di tulli gli uomini
integri e generosi. L'epicureismo ebbesi per altro un illustre seguace; nè qui
vo' accennare d'Atlico, che senza principii senza opinioni fu bensì amico caldo
e fedele, ma cittadino indifferente e di funesto esempio, avvegnachè sotto
forme eleganti insegnò alla moltitudine ancora indecisa e vacillante come
chicchessia può accortamente isolarsi e tradire con decenza i proprii doveri
verso la patria. Il romano di cui intendo parlare è Cassio che fino
dall'infanzia si consacrò alla causa della libertà, e rinunziando ai piaceri
alle dolcezze della vita, non ebbe che un pensiero un interesse una passione,
la patria. Fu centro della cospirazione contro Cesare; e dolendosi di non potere
sperare in un'altra vita, muore dopo avere corso un arringo continuamente in
contraddizione colle sue dottrine. Le sette di Pitagora, di Aristotile, e
di Pirrone incontrarono a Roma ostacoli d'altra maniera. La prima, per una
naturale conseguenza del segreto in cui si avvolse fino dal suo nascere,
contrasse affinità con estranie superstizioni; perciocchè uno degli
inconvenienti del mistero, anche quando n'è pura l'intenzione primitiva, è di
fornire all' impostura facile mezzo d'impadronirsene. Nigido Figulo è il solo
pitagorico di qualche grido che abbia fiorito in Roma. L'oscurità aristotelica
ebbe poche attrattive per menti più curiose che meditative. L'esagerazione
pirronista per ultimo ripugna alla retta ragione de’ romani. Il platonismo che
ancor non era ciò che di. venne due secoli dopo per opera de' novelli
platonici. Lo scetticismo moderato della seconda accademia, e lo stoicismo
furono i sistemi adottati in Roma. Lucullo, Bruto, Varrone sono platonici. Cicerone,
a cui piacque porre a riscontro tutte le varie dottrine, inclina per
l'indecisione accademica. Lo stoicismo solo fu caro alla grand'anima di Catone
Uticense. “Non possum legere librum Ciceronis de Se. nectute, de
Amicitia, de Officiis, de Tusculanis Quæstionibus, quin aliquoties exosculer
codicem, ac venerer sanctum illud pectus aflatum celesti Qumine. ERASM. in
Conviv --. M. Tullio adotta egli per convinzione i sistemi filosofici della
nuova accademia, o diè loro la preferenza perchè più propizii all’oratore in
fornirgli arme con cui combattere i proprii avversarii! Corse grand' intervallo
tra un Cicerone ambizioso, e un Cicerone disingannato. Ciò che pel primo era
oggetto subordinato a speranze a divisamenti avvenire, diventa pel secondo un
bisogno del cuore, un'intensa occupazione della mente. Ei pose affetto alle
dottrine del platonismo riformato; e a quelle parti della morale in esse
contenuta di cui si tenne men soddisfatto, altre ne sostituì fornitegli dallo
stoicism. E propriamente ecclettico, od amatore del vero e del buono ovunque lo
riscontrava. Ad imitazione di Platone pose in dialoghi i suoi scritti
filosofici. Per eleganza di stile ed elevatezza di concetti non cede al
modello. Per chiarezza e per ordine lo vince. Ne cinque libri, De finibus,
intorno la natura del bene e del male si propose una meta sublime; la ricerca
cioè del bene supremo; in che cosa consista; come si consegna; ove dimori. Tu
cerchi però inutil mente in quelle pagine da cui traluce tanta sapienza
plausibile soluzione del quesito. Gli antichi ingolfandosi in cotali disamine
faceano ricerca di ciò che trovare non potevano; chè gli è impossibile che il
bene supremo rinvengasi in ordine di cose che necessariamente è imperfetto.Verità
che il Vangelo ci rese ovvia insegnandoci come la felicità sognata dai gentili
pel loro saggio non sia fatta per uomo mortale, essondechè stanza le è
riserbata imperibile sublime. In che cosa consiste il sommo bene? Ecco di
che venivano continuamente richiesti i filosofi. Epicuro ed Aristippo
rispondevano, nel piacere; Jeronimo, nell'assenza del dolore; Platone, nella
comprensione del vero, e nella virtù che ne è conseguenza; Aristotile, nel
vivere conformemente alla natura. Cicerone associa le sentenze di Platone e
d'Aristotile, e si appose meglio di quanti nell'arduo arringo l'avevano
preceduto. Dalle più elevate astrazioni sceso ad argomenti che si
collegano co' bisogni e co' vantaggi dell'uomo, M. Tullio si propose nelle
Tusculane di cercare i mezzi adducenti alla felicità. Cinque ne noverò; il
dispregio della morte; la pazienza ne' dolori; la fermezza nelle varie prove;
l'abitudine di combaltere le passioni, e finalmente la persuasione che la virtù
dee unicamente cercare premio in sè stessa: e la dimostrazione di cotesti
assiomi si fa vaga, sotto la penna del filosofo, di tutte le grazie
dell'eloquenza. All'Anima, egli scrive, tu cercheresti inutilmente un'origine
terrestre, perocchè nulla in sè accoglie di misto e concreto; non un atomo
d'aria d'acqua di fuoco. In cotesti elementi sapresti tu scorgere forza di
memoria d'intelligenza di pensiero, valevole a ricordare il passato a
provvedere al futuro ad abbracciare il presente? Prerogative divine sono queste,
nè troveresti mai da chi sieno state agli uomini largite, se non 'da Dio. È
l'anima pertanto informata di certa quale sua singolar forza e natura ben
diverse da quelle che reggono i corpi tutti a noi noti. Checchè dunque in noi
sia che sente intende vuole vive; divina cosa certo è cotesta; eterna quindi
necessariamente esser deve. Nè la divinità stessa, quale ce la figuriamo,
comprenderla in altra guisa possiamo, che come libera intelligenza scevra
d'ogni mortale contatto, che tutto sente e muove, d’eterno moto ella stessa
fornita. L’anima umana per genere e per natura somiglia a Dio. “Dubiterai
tu, a veder le meraviglie dell'universo, che tal opera stupenda non abbiasi (se
dal nulla fu tratta, come afferma Platone) un creatore; o se creata non fu,
come pensa Aristotile, che ad alcun possente moderatore non sia data in
custodia? Tu Dio non vedi; pur le opere sue tel rivelano: così ti si fa palese
dell'anima, comechè non vista, la divina vigoria, nelle operazioni della
memoria nel raziocinio nel santo amore della virtù.” I discepoli d'Epicuro,
commentando, esagerando ciò che vi avea d'incerto d'oscuro nei principii del
loro maestro. l'universo nato dal caso affermarono, negarono la provvidenza,
piegarono all'ateismo. Tullio si fa a combatterli nel suo libro Della natura
degli Dei. Le lettere antiche non inspiraronsi mai di più sublime
eloquenza. Vedi primamente la terra, collocata nel centro del mondo,
solida, rotonda, in sè stessa da ogni parte per interior forza ristrella; di
fiori d'erbe d'arbori di messi ammantarsi. Mira la perenne freschezza delle
fonti, le trasparenti acque de' fiumi, il verdeggiare vivacissimo delle rive,
la profondità delle cave spelonche, delle rupi l'asperità, delle strapiombanti
vette l’elevazione, delle pianure l'immensità, e quelle recon. dite vene d'oro
e d'argento, e quell' infinita possa di marmi. Quante svariate maniere
d'animali! quale aleggiare e gorgheggiar d'uccelli e pascere d'armenti, ed
inselvarsi di belve! E che cosa degli uomini dirò, che della terra costituiti
cultori non consentono alla ferina immanità di toruarla selvaggia, all’animalesca
stupidità di devastarla, sicchè per opera loro campi isole lidi mostransi vaghi
di case, popolati di città! Le quali cose se a quella guisa colla mente comprendere
potessimo, come le veggiamo cogli occhi; niune in gettare uno sguardo sulla
terra potrebbe dubitar più oltre che esista ia provvidenza divina. “Ed
infatti, come vago è il mare! come gioconda dell'universo la faccia! Qual
moltitudine e varietà d'isole é amenità di piani, e disparità d'animali,
sommersi gli uni nei gorghi, gnizzanti gli altri alla superficie, nati questi a
rapido moto, quelli all’imobi, lità delle loro conchiglie! E l'acre che col
mare con: fina qua diffuso e lieve s'innalza, là si condensa e accoglie in
nugoli, e la terra colle piove feconda; e ad ora ad ora pegli spazii
trascorrendo ingencra i vento ti, e fa che le stagioni subiscano dal freddo al
caldo loro consuete mutazioni, e le penne de' volatori sostiene, e gli animali
mantien vivi.” 5 Giace ultimo l'etere dalle nostre dimore disco. stissimo, che
il cielo e tutte cose ricigne, remoto confine del mondo; per entro al quale
ignei corpi con maravigliosa regolarità compiono il loro corso. Il sole, uno
d'essi, che per mole vince di gran volte la terra, intorno a questa s'aggira,
col sorgere e il tramontare segnando i confini del giorno e della notte;
coll'avvicinarsi e il discostarsi quelli delle stagioni; sicchè la terra,
allorehè il benefico astro s'allontana, da certa qual tristezza è conquisa;
pare che invece insieme col ciclo ši allegri allorchè torna. La luna, che a
dire de matemateci, è più che una mezza terra, trascorre pe' medesimi spazii
del sole, ed ora facendoglisi incontro; ora dipartendosi, que' raggi che da lui
riceve a noi trasmette; ed avvengonle mutazioni di luce; perciocchè talora
postasi innanzi al sole lo splendore ne oscura; talora nell'ombra della terra
s'immerge e d'improvviso scompare. Per quegli spazii medesimi le stelle che
denominiamo vaganti girano intorno a noi e sorgono e tramontano ad uno stessso
modo; il moto delle quali ora è affrettato ora s'allenta ora cessa;
spettacolo di cui altro avere non vi può più ammirando e più bello. Tiene
dietro la moltitudine delle non vaganti stelle, delle quali sì precisa è la
reciproca giacitura, che si poterono ad esse applicar nomi di determinate
figure. “E tanta magnificenza d'astri, tanta pompa di cielo, qual sano
intelletto mai potrà figurarsele surte dal raccozzarsi di corpi qua e là
fortuitamente? Chi potrà credere che forze d' intelligenza e di- ragione
sprovvedute fossero state capaci di dar compimento a tali opere delle quali,
senza somma intelligenza e robusta ragione, ci sforzeremmo inutilmente di
comprendere, non dirò come si sieno fatte, ma solo quali veramente sieno?” Dopo
d'avere additato virtù e religione siccome scaturigini del bene, maestre di
felicità, dopo d'avere spaziato pegli immensi campi d'un'alta e confortevole
metafisica, dopo di avere falto tesoro negli insegnamenti della greca filosofia
di ciò ch'essa mise in luce di più puro e sublime intorno l'anima e Dio;
argomento degno della gran mente di Cicerone era la felicità, non più studiata
e ricercata pegli individui, ma per le nazioni; ed a sì nobile soggetto
consacrò i suoi trattati, in gran parte perduti, Della repubblica e Delle
leggi. Nei frammenti che ce ne restano scorgiamo essersi il filosofo serbato
fedele al suo assioma favorito: - nella giustizia divina contenersi l'unica
sanzione dell'umana giustizia. u Fondamento primo d'ogni legislazione,
egli scrive, sia un generale convincimento che gli Dei sono di tutto
arbitri, di tutto moderatori; che benefattori del. l'uman genere scrutano che
cosa è in sè stesso ogni uomo, che cosa fa, che cosa pensa, con quale spirito
pratica il culto; sicchè i buoni sanno discernere dagli empii. Ecco di che gli
animi voglionsi compene. trati, onde abbiano la coscienza dell' utile e del
vero.” Ma se M. Tullio della virtù della felicità delle leggi ravvisava nella
religione le scaturiggini, la religione voleva che santa e pura fosse,
onninamente sgombra dalle supestizioni dalle credulità, da che vituperata
miravala. A tal uopo dettò l'aureo trattato De divinatione, nel quale usò d'un
argomentare nel tempo stesso seyero e faceto, con abbandonarsi in isferzare la
credulità e la sciocchezza a'voli più opposti della sua proteiforme
eloquenza. Capolavoro di Cicerone è il libro Degli Officii, ossia de'
doveri morali degli uomini in qualunque condizione si trovino essi collocati. I
Greci ebbero costume di spaziare troppo ne' campi delle filosofiche astrazioni;
le loro dottrine trovarono meno facile applicazione a' casi pratici della vita,
perchè sovraccaricate di vane disputazioni, oppurtune più spesso a trastullare
l'imaginazione, che ad illuminare l'intelletto. Tullio grande e saggio anche in
questo volle spoglia la sua filosofia di quell' ingombro, e ricondussela alla
più semplice e precisa espressione degli inculcati doveri. 6 Cicerone (scrive-
a proposito del libro degli Officii un critico tedesco) fu dotato di
luminosa intelligenza di rello giudizio di gran. de altività, doti
opportunissime a coltivare la ragione, a fornirle argomento d' incessanti
meditazioni. Ma Cicerone non possede lo spirito speculativo che si richiede a
poter ben addentrarsi ne' primi principii delle scienze: il tempo venivagli
meno a minute indagini, la sua indole stessa fare non gliele poteva famigliari.
Uomo di stato più che filosofo, le scienze morali lo interessavano per quel
tanto che gli servivano a rischiarare le proprie idee intorno ad argomenti
politici. Vissulo in mezzo a rivoluzioni, quali traversie non ebbe egli a
sopportare ! Niun politico si trovò mai in situazione più propizia per fare
tesoro d'osservazioni intorno l'indole della civile società, la diversità de'
caratteri, l'influenza delle passioni. Pure cotesta situazione sua stessa era
poco alla a fornirgli opportunità d’approfondire idec astralte o meditare sulla
natura delle forze invisibili, i cui visibili risultamenti s'appalesano nell'
umano consorzio. La situazione politica in cui M. Tullio si trovò
collocato improntò la sua morale d'un carattere speciale. Gli uomini dei quali
ed a’ quali ragiona sono quasi sempre della classe a cui spetla d'amministrare
la repubblica: talora, ma più di rado, rivolgesi agli studiosi delle lettere e
delle scienze. Per la moltitudine de cittadini hannovi bensì qua e là precetti
generali comuni applicabili agli uomini tutti; ma cercheresti inutilmente
l'applicazione di que' precelli alle circostanze d'una vita oscura e modestà.
Caso invero singolare! Mentre le forme del reggimento repubblicano
raumiliavano l'orgoglio politico con dargli a base il favore popolare, i
pregiudizii dell'antica società alimentavano l'orgoglio filosofico, con
accordare il privilegio dell'istruzione unicamente a coloro che per nascita o
per fortune erano destinati a governare i loro simili. In conseguenza di questo
modo di vedere i precetti morali di Cicerone degenerarono sovente in politici
insegnamenti. Coi trattati “Dell' amicizia” e “Della vecchiezza” M.
Tullio a confortevoli meditazioni ebbe ricorso onde ricreare la propria mente
dalla tensione di più ardui studii e dagli insulti della fortuna. E veramente
che cosa avere vi può sulla terra di più dolce e santo d'una fedele amicizia?
Che cosa vi ha di più dignitoso e simpatico d'una vecchiezza onorata e felice?
Cice, rone in descrivere quelle pure e nobili dilettazioni consulto il proprio
cuore: beato chi trova in sè stesso l' inspirazione e la coscienza della virtù!”
Ricerca Mitologia romana narrazioni mitologiche dell'antica Roma La mitologia
romana riguarda le narrazioni mitologiche della civiltà legata all'antica Roma,
e può essere suddivisa in tre parti: Periodo repubblicano: nata nei primi
anni della storia di Roma, si distingueva nettamente dalla tradizione greca ed
etrusca, soprattutto per quanto riguarda le modalità dei riti. Periodo
imperiale classico: spesso molto letteraria, consiste in estese adozioni della
mitologia greca ed etrusca. Periodo tardo-imperiale: consiste nell'assunzione
di molte divinità di origine orientale, tra le quali il Mitra persiano,
sincretizzato nel culto del Sol Invictus. Il mito di Romolo e Remo Natura
dei primi miti romaniModifica È possibile affermare che i primi romani avessero
miti. Detta in altro modo: finché i loro poeti non entrarono in contatto con
gli antichi greci verso la fine della Repubblica, i romani non ebbero storie
sulle loro divinità paragonabili al mito dei Titani o alla seduzione di Zeus da
parte di Era, ma ebbero miti propri come quelli di Marte e di Fauno. A
quell'epoca i romani già avevano: un sistema di rituali ed una gerarchia
sacerdotale ben definiti; un insieme molto ricco di leggende storiche sulla
fondazione e sviluppo della loro città che avevano per protagonisti degli umani
ma vedevano anche interventi divini. Prima mitologia sulle divinitàModifica Il
modello romano comportò un modo molto diverso di definire il concetto di
divinità rispetto a quello greco che ci è noto. Per esempio se avessimo chiesto
ad un antico greco chi fosse Demetra, avrebbe probabilmente risposto
raccontando la famosa leggenda del suo folle dolore per il rapimento della
figlia Persefone da parte di Ade. Al contrario un romano antico avrebbe
risposto che Cerere aveva un sacerdote ufficiale chiamato flamine, che era più
giovane dei flamini di Giove, Marte e Quirino (la Triade arcaica), ma più
anziano dei flamini di Flora e Pomona. Avrebbe anche potuto dire che era
inserita in una triade con altre due divinità agresti, Libero e Libera e
avrebbe anche potuto elencare tutte le divinità minori con funzioni specifiche
che la assistevano: Sarritor (il sarchiatore), Messor (il mietitore), Convector
(il carrista), Conditor (il magazziniere), Insitor (il seminatore) e altri
ancora. Così la mitologia romana arcaica, almeno per quello che riguardava gli
dei, era costituita non da storie, ma piuttosto da complesse interrelazioni
reciproche tra dei e uomini e all'interno della sfera umana, dall'una parte, e
della sfera divina dall'altra. La religione originaria dei primi romani
venne modificata in periodi successivi dall'aggiunta di numerose e conflittuali
credenze e dall'assimilazione di gran parte della mitologia greca. Quel poco
che sappiamo della religione romana arcaica lo conosciamo non attraverso fonti
contemporanee, ma grazie a scrittori tardi che cercarono di salvare le antiche
tradizioni dall'abbandono in cui erano cadute, come lo studioso del I secolo
a.C. Marco Terenzio Varrone. Altri scrittori classici, come il poeta Ovidio nei
suoi Fasti, furono fortemente influenzati dai modelli ellenistici e nei loro
lavori impiegarono spesso miti greci per riempire i vuoti della tradizione
romana. Prima mitologia sulla "storia" romanaModifica In
contrasto con la scarsità di materiale narrativo arrivatoci sugli dei, i Romani
avevano una ricca fornitura di leggende quasi storiche sulla fondazione e sulle
prime fasi dello sviluppo della loro città. I primi re di Roma come Romolo e
Numa avevano una natura quasi interamente mitica ed il materiale leggendario
può estendersi fino ai racconti della prima repubblica. In aggiunta a queste
tradizioni in gran parte indigene, fin dai tempi antichi materiale tratto da
leggende eroiche greche venne inserito in questo blocco originario, facendo
diventare, ad esempio, Enea un antenato di Romolo e Remo. L'Eneide e i primi
libri di Livio sono le migliori fonti esistenti per questa mitologia
umana. Divinità romaneModifica Ulteriori informazioni Si propone di
dividere questa pagina in due, creandone un'altra intitolata Divinità romane.
Dèi greci e romaniModifica La pratica rituale romana dei sacerdoti ufficiali
distingueva nettamente due classi di dèi, gli dèi indigeni (di indigetes) e i
nuovi dèi (di novensiles). Gli dei indigeni erano gli dèi originari dello
stato romano e i loro nomi e la loro natura erano rivelati dai titoli degli
antichi sacerdoti e dalle feste fissate sul calendario; trenta dèi di questo
tipo erano onorati con feste speciali. I nuovi dèi erano divinità più
tardi i cui culti vennero introdotti nella città in periodi storici, di solito
in una data conosciuta e in risposta a una specifica crisi o a una determinata
necessità. Le divinità romane arcaiche includevano, oltre agli dèi
indigeni, un insieme di dèi cosiddetti specialisti i cui nomi venivano invocati
nel corso di diverse attività, come la mietitura. Frammenti di antichi rituali
che accompagnano tali azioni come l'aratura o la semina rivelano che in ogni
fase delle operazioni veniva invocata una divinità specifica, il cui nome
derivava sempre dal verbo che identificava l'operazione stessa. Tali divinità possono
essere raggruppate sotto la definizione generale di dei assistenti o ausiliari,
che venivano invocati a fianco delle divinità più grandi. Il culto romano
arcaico, più che essere politeista, credeva a molte essenze di tipo divino:
degli esseri invocati i fedeli non conoscevano molto più che il nome e le
funzioni e il numen di questi esseri, ossia il loro potere, si manifestava in
modi altamente specializzati. Il carattere degli dèi indigeni e le loro
feste mostrano che i Romani arcaici non solo erano membri di una comunità
agreste, ma amavano anche combattere ed erano spesso impegnati in guerre. Gli
dei rappresentavano chiaramente le necessità pratiche della vita quotidiana,
secondo le esigenze della comunità romana a cui appartenevano. I loro riti
venivano celebrati scrupolosamente con offerte ritenute adatte. Così Giano e
Vesta custodivano la porta e il focolare, i Lari proteggevano i campi e la
casa, Pale il pascolo, Saturno la semina, Cerere la crescita del grano, Pomona
i frutti, Consus e Opi la mietitura. Tavola illustrata degli Acta
Eruditorum raffigurante divinità romane Anche Giove supremo, il signore degli
dèi, era onorato perché recasse assistenza alle fattorie e ai vigneti. In una
accezione più vasta egli era considerato, grazie all'arma del fulmine, il
direttore delle attività umane e, per mezzo del suo dominio incontrastato, il
protettore dei Romani durante le campagne militari oltre i confini della loro
comunità. Rilevanti nei tempi arcaici furono gli dei Marte e Quirino, che
venivano spesso identificati. Marte era il dio dei giovani e specialmente dei
soldati; veniva onorato a marzo e a ottobre. Gli studiosi moderni ritengono che
Quirino fosse il protettore della comunità in armi. A capo del pantheon
originario vi era la triade composta da Giove, Marte e Quirino (i cui tre
sacerdoti, o flamini, appartenevano all'ordine più elevato), insieme a Giano e
Vesta. Questi dèi nei tempi arcaici avevano una individualità molto ridotta e
le loro storie personali non conoscevano matrimoni e genealogie. Diversamente
dagli dei Greci, si riteneva che non agissero come i mortali e così non
esistono molti racconti sulle loro imprese. Questo culto arcaico era associato
a Numa Pompilio, il secondo re di Roma, che si credeva avesse avuto come
consorte e consigliera la dea romana delle fontane e del parto, Egeria, spesso
considerata una ninfa nelle fonti letterarie successive. Tuttavia, nuovi
elementi vengono aggiunti in un periodo relativamente tardo. Alla casa reale
dei Tarquini la leggenda ascrive l'introduzione della grande triade capitolina
di Giove, Giunone e Minerva, che occupò il primo posto nella religione romana.
Altre aggiunte furono il culto di Diana sull'Aventino e l'introduzione dei
libri sibillini, profezie di storia mondiale, che, secondo la leggenda, vennero
acquistate da Tarquinio alla fine del VI secolo a.C. dalla Sibilla
cumana. Divinità straniereModifica L'assorbimento degli dèi dei popoli
vicini avvenne quando lo stato romano conquistò il territorio circostante. I
Romani generalmente garantivano agli dèi locali dei territori conquistati gli
stessi onori degli dèi caratteristici dello stato romano. In molti casi le
divinità di recente acquisizione venivano formalmente invitate a trasferire la
propria dimora nei nuovi santuari di Roma. L’oggetto di culto rappresentante
Cibele venne trasferito da Pessinos in Frigia e accolto con le dovute cerimonie
a Roma. Inoltre, lo sviluppo della città attraeva stranieri, a cui era
consentito mantenere il culto dei propri dèi. In questo modo Mitra giunse a
Roma e la sua popolarità tra le legioni ne fece diffondere il culto fino in
Britannia. Oltre a Castore e Polluce, gli insediamenti greci in Italia, una
volta conquistati, sembra che abbiano introdotto nel pantheon romano Diana,
Minerva, Ercole, Venere e altre divinità di rango inferiore, alcune delle quali
erano divinità italiche, altre derivavano originariamente dalla cultura della
Magna Grecia. Le divinità romane importanti venivano alla fine identificate con
gli dei e le dee greche che erano più antropomorfiche e assumevano molti dei
loro attributi e miti. Principali divinità romane Animali Lupo Picchio
Sirena Strige Dèi e dee Abbondanza:
personificazione dell'abbondanza e della prosperità nonché la custode della
cornucopia Abeona: protettrice delle partenze, dei figli che lasciano per la
prima volta la casa dei genitori o che muovono i loro primi passi. Adeona:
protettrice del ritorno, in particolare di quello dei figli verso casa dei
genitori. Aequitas: l'origine, il principio ispiratore di matrice divina, del
diritto. Aeracura: dea ctonia e della fertilità Aesculanus: divinità romana protettrice
dei mercanti e preposta alla coniazione delle monete Aio Locuzio: dio
dell'avvertimento misterioso, avvisò Roma dell'invasione dei Galli Alemonia:
dea della fertilità per cui le si dedicavano dei sacrifici per avere figli, ma
era anche responsabile della salute del bimbo nel ventre materno. Era infatti
lei che si occupava del suo nutrimento mentre viveva nel corpo della madre,
garantendo quindi altresì la salute del corpo della madre Alma: colei che
portava la vita Angerona: dea del silenzio o dei piaceri, protettrice degli
amori segreti, guaritrice dalle malattie cardiache, dal dolore e dalla
tristezza Angizia: divinità ctonia adorata dai Marsi, dai Peligni e da altri
popoli osco-umbri, associata al culto dei serpenti Anguana: una creatura legata
all'acqua, dalle caratteristiche in parte simili a quelle di una ninfa Anna
Perenna: dea che presiedeva il perpetuo rinnovarsi dell'anno Annona: un'antica
dea italica, dea dell'abbondanza e degli approvvigionamenti Antevorta: dea del
futuro, presiede alla nascita dei bambini quando sono in posizione cefalica
Attis: paredro di Cibele, il servitore autoeviratosi, che guida il carro della
dea. Aquilone: dio del vento del nord Aurora: dea dell'aurora Auster: dio del
vento del sud Averna: una dea della morte Bacco: dio della follia, delle feste,
del vino, dell'uva, dell'ebrezza e della vendemmia Barbatus: dio a cui si
rivolgevano i ragazzi non solo perchè facesse crescere copiosa la barba, ma
anche per non tagliarsi quando ci si liberava di essa con una lama piuttosto
affilata Bellona: dea che incarna la guerra Bona Dea: antica divinità laziale,
il cui nome non poteva essere pronunciato, dea della fertilità, della
guarigione, della verginità e delle donne Bonus Eventus: una delle dodici
divinità che presiedevano all'agricoltura e concetto di successo Bubona: dea
protettrice dei buoi Candelifera: dea romana della nascita Caligine: dea della
nebbiosa oscurità primordiale, generò dapprima Caos, poi, Notte, Giorno, Erebo
ed Etere Caos: dio del caos primordiale Cardea: dea della salute, delle soglie
e cardini della porta e delle maniglie, associata anche al vento Carmenta: dea
protettrice della gravidanza e della nascita e patrona delle levatrici Carna:
dea con il compito di proteggere gli organi interni, in particolare dei
bambini, e più in generale di assicurare il benessere fisico all'uomo Cerere:
divinità materna della terra, dell'agricoltura, del grano, della fertilità, dei
raccolti e della carestia Cibele: dea della natura, degli animali e dei luoghi
selvatici. Clementia: dea della clemenza e della giustizia Cloacina: dea
protettrice della Cloaca Maxima, la parte più antica ed importante del sistema
fognario di Roma Concordia: spirito dell'armonia della comunità Conso: divinità
del seme del grano, dei depositi per la sua conservazione, dei granai e degli
approvvigionamenti Cupido: dio dell'amore divino, del desiderio sessuale,
dell'erotismo e della bellezza Cunina: dea della tenerezza, protettrice dei
lattanti, che veniva supplicata a lungo quando il pargolo era insonne e non
faceva dormire, o quando aveva la febbre, o male al pancino Cura: dea della
vita e dell'umanità Dea Tacita: dea degli inferi che personifica il silenzio
Devera: una delle tre divinità che insieme a Pilumnuse Intercidona proteggevano
le ostetriche e le donne in travaglio Diana: dea della Luna, delle selve, degli
animali selvatici, delle giovani fanciulle vergini e della caccia, custode
delle fonti e dei torrenti Disciplina: personificazione della disciplina
Discordia: dea della discordia, del caos e del male Dis Pater: dio del sottosuolo
Domidicus: dio che guida la casa sposa Domizio: dio che installa la sposa Dria:
dea che assicurava un buon flusso esente da dolori nelle mestruazioni Edulica:
dea spesso invocata perché alla madre non mancasse il latte Edusa: dea che
provvedeva a far provare al bambino il desiderio della semplice acqua Egeria:
dea romana delle fontane e del parto Epona: dea dei cavalli e dei muli Ercole:
dio del salvataggio Erebo: dio ancestrale dell'oscurità, le cui nebbie
circondavano il centro della Terra Esculapio: dio della medicina Etere: dio
dell'aria superiore che solo gli dei respirano Fabulinus: dio che insegna ai
bambini a parlare Falacer: dio del Cermalus (un'altura del Palatino) Fama:
personificazione della voce pubblica Fascinus: incarnazione del divino fallo
Fauno: dio dei pascoli, delle selve, delle foreste, della natura, dei campi,
dell'agricoltura, della campagna e della pastorizia Favonio: dio del vento
dell'ovest Febo o Apollo: dio del Sole, delle arti, della musica, della
profezia, della poesia, delle arti mediche, delle pestilenze e della scienza
Fecunditas: dea della fertilità Felicitas: divinità dell'abbondanza, della
ricchezza e del successo, presiedeva alla buona sorte Ferentina: dea dell'acqua
e della fertilità Feronia: una dea romana della fertilità di origine italica,
protettrice dei boschi e delle messi, celebrata dai malati e dagli schiavi
riusciti a liberarsi Febris: dea della Febbre, associata alla guarigione dalla
malaria Fides: personificazione della lealtà Flora: dea della primavera e dei
fiori Fontus o Fons: dio delle fonti Fornace: dea del forno in cui si cuoce il
pane Fortuna: dea del caso e del destino Furie: personificazioni femminili
della vendetta Furrina: dea delle acque Giano: dio dei bivi, delle scelte,
dell'inizio e della fine Giorno: dea del giorno Giove: re degli dei, dio del
fulmine e del tuono Giunone: regina degli dei, dea della donne e del matrimonio
Giustizia: personificazione della giustizia Giuturna: dea dei corsi d'acqua
dolce del Lazio Insitor: dio della protezione della semina e degli innesti
Inuus: dio del rapporto sessuale Iride: dea dell'arcobaleno e messaggera degli
dei Iuventas: dea della giovinezza Jugatinus: dio che unisce la coppia in
matrimonio Lari: spiriti protettori degli antenati defunti che, secondo le tradizioni
romane, vegliavano sul buon andamento della famiglia, della proprietà o delle
attività in generale Laverna: protettrice dei ladri e degli impostori Levana:
dea protettrice dei neonati riconosciuti dal padre Libero (Liber): dio italico
della fecondità, del vino e dei vizi Libertas: divinità romana della libertà
Libitina: divinità arcaica romana, incaricata di badare ai doveri ed ai riti
che si tributavano ai morti e che perciò presiedeva ai funerali Lua: dea a cui
erano consacrate le armi dei nemici sconfitti Lucina: dea del parto,
salvaguardava inoltre le donne nel lavoro Luna: personificazione della Luna
Luperco: dio protettore della fertilità Lympha: dea che influenzava
l'approvvigionamento idrico Maia: dea della fecondità e del risveglio della natura
in primavera Mani: anime dei defunti. Esse talvolta venivano identificate con
le divinità dell'oltretomba Manturna: dea che teneva la sposa a casa Marìca:
divinità italica. Ninfa dell'acqua e delle paludi, era signora degli animali e
protettrice dei neonati e della fecondità Marte: dio della guerra violenta
Matres: divinità femminili dell'abbondanza e della fertilità Mefite: dea delle
acque, invocata per la fertilità dei campi e per la fecondità femminile Mena
(21°figlia di Giove): dea della fertilità e delle mestruazioni Mors:
personificazione della morte Mercurio: messaggero degli dei, dio della
velocità, dell'astuzia, delle strade, del commercio, dei messaggi, dei
viaggiatori, dei ladri, dell'eloquenza, dell'atletica, delle trasformazioni di
ogni tipo, della destrezza e della farmacia, protettore dei messaggeri, dei
ladri e dei viaggiatori Minerva: dea dell'intelligenza, delle tattiche
militari, della tessitura e delle arti casalinghe Mitra (Mithra): dio delle
legioni e dei guerrieri Muse: 9 divinità delle arti Mutuno Tutuno: divinità
matrimoniale fallica Nemesi: dea della vendetta, dell'equilibrio e del castigo
Nettuno: dio del mare, dei terremoti, dei maremoti, delle piogge, del vento
marino, delle tempeste e della siccità Notte: dea della notte Numeria: dea
italica della matematica, preposta al conto dei mesi del parto Nundina: dea che
si occupava della purificazione dei nuovi nati Opi: dea della terra e
dispensatrice dell'abbondanza agraria Orco: dio degli Inferi Ore: dee delle ore
Ossilao: dio che si doveva occupare che le ossa dei bambini crescessero sane e
robuste Palatua: dea del Palatino Pale: dio degli allevatori e del bestiame
Partula: dea del parto, che determina la durata di ogni gravidanza Pax: dea
della pace Pavenzia: dea che si occupava di proteggere i bambini dagli spaventi
improvvisi Pellonia: divinità che faceva scappare i nemici Penati: spiriti
protettori di una famiglia e della sua casa ed anche dello Stato Pertuda: dea
che consente la penetrazione sessuale Picumnus: dio della fertilità, dell'agricoltura,
del matrimonio, dei neonati e dei bambini Pietas: dea del compimento del
proprio dovere nei confronti dello Stato, delle divinità e della famiglia
Pilunno: dio protettore dei neonati nelle case contro le malefatte di Silvano
Plutone: dio della morte e degli inferi Pomona: dea dei frutti Potina: dea che
si occupava di accompagnare il bimbo nello svezzamento Portuno: dio dei porti e
delle porte Postvorta: dea del passato, presiede la nascita dei bambini quando
essi sono in posizione podalica Prema: dea che tiene la sposa sul letto Priapo:
dio della fertilità maschile Proserpina: dea dei fiori e della primavera
Providentia: personificazione divina dell'abilità di prevedere il futuro
Psiche: dea delle anime, personificazione dell'Anima gemella, ossia l'amore
umano e protettrice delle fanciulle Pudicizia: dea romana della castità
coniugale Quirino: dio delle curie e protettore delle pacifiche attività degli
uomini liberi Robigus: dio romano della ruggine del grano Roma: dea della
patria e della città di Roma Rumina: dea delle donne allattanti Salacia: dea
dell'acqua salata e custode delle profondità dell'oceano Salus:
personificazione dello stare bene, della salute e della prosperità Sanco: dio
protettore dei giuramenti Saturno: titano del tempo e della fertilità
Securitas: personificazione della sicurezza Silvano: dio dei boschi Senectus:
dio della vecchiaia Sogno: dio dei sogni Sole: personificazione del Sole Sol
Indiges: antica divinità solare Sol Invictus: antica divinità solare Somnus:
dio del sonno e padre dei sogni Soranus: dio solare infero Speranza: dea della
speranza Statano: divinità che aiutava i bimbi ad avere forza sulle gambe e
quindi a camminare speditamente Statulino: dio che era accanto ai bambini nel
muovere i primi passi perché non cadessero donandogli la stabilità Sterculo:
dio inventore della concimazione dei campi e degli escrementi Stimula e Sentia:
dee che, negli adolescenti, affinavano i sensi ed i ragionamenti, curandone
l’intelligenza ed il raziocinio, li rendevano consapevoli e gli insegnavano da
un lato l’indipendenza e dall'altro l'onere dei loro doveri Strenia: simbolo
del nuovo anno, di prosperità e buona fortuna Subigus: dio che sottomette la
sposa alla volontà del marito Summano: dio dei tuoni e dei fenomeni atmosferici
notturni Terminus: dio dei confini dei poderi e delle pietre terminali Tellus:
dea romana della Terra e protettrice della fecondità, dei morti e contro i
terremoti Tiberino: dio delle sorgenti e del fiume Tevere Trivia: dea della
magia, degli incroci, degli incantesimi, degli spettri e protettrice degli
incroci di tre strade ed era la potente signora dell'oscurità, regnava sui
demoni malvagi, sulla notte, sulla Luna, sui fantasmi e sui morti, associata
anche ai cicli lunari rappresentava la Luna calante. Era invocata da chi
praticava la magia nera e la necromanzia Uterina: assistente alla puerpera nel
momento delle doglie che aiutava a superare il dolore delle doglie Vacuna:
patrona del riposo dopo i lavori della campagna. Divinità di ampio utilizzo, ma
soprattutto riconosciuta e invocata per la fertilità, legata alle fonti, alla
caccia, e al riposo Vaticano: dio la cui funzione era assistere i neonati nel
loro primo vagito Veiove: protettore dell'Asylum, il bosco sacro di rifugio che
si trovava nella sella del Campidoglio Venere: dea della bellezza, dell'amore e
del desiderio Verità: dea e personificazione della verità Vertumno: dio della
nozione del mutamento di stagione e presiedeva alla maturazione dei frutti
Vesta: dea del focolare, della casa e del cibo Vica Pota: dea della vittoria e
della conquista Victoria: dea della vittoria e dei giochi Viduus: dio minore,
deputato a separare l'anima dal corpo dopo la morte Virginiensis: dea che
scioglie la cintura della sposa Viriplaca: dea romana che "placa la rabbia
dell'uomo" Virtus: divinità del coraggio e della forza militare, la
personificazione della virtus (virtù, valore) romana Volturno: dio del fiume
Volturno e patrono del vento caldo di sud-est Volupta: personificazione del
piacere sensuale Vulcano: dio del fuoco, della metallurgia e dei vulcani,
protettore dei fabbri Festività Lo stesso argomento in dettaglio: Festività
romane. Consualia Fontinalia Fornacalia Lupercalia Nettunalia Parentalia
Saturnali Primavera sacra Floralia Località -- Averno (lat.Avernus) Campidoglio
Cariddi Lete Palatino Stige (lat.Styx) Personaggi, eroi e demoniModifica Almone
- eroe Anteo - eroe Ascanio - eroe Caca - demone Caco - demone Camene - demoni
Camerte - eroe Caronte - demone Cidone e Clizio - eroi Clauso - eroe Clelia - eroe
Curiazi - eroe Didone - personaggio Egeria - demone Enea - eroe Ercole - eroe
Eurialo e Niso - eroi Evandro - eroe Fauna - demone Fauno - demone Feziali -
eroe Flamini - personaggi Galatea - demone Lamiro e Lamo - eroi Laride e Timbro
- eroi Lavinia - personaggio Lica - eroe Luca - eroe Marica - demone Messapo -
eroe Murrano - eroe Numa Pompilio - eroe Orazi - eroi Pallante - eroe Pico -
demone Pontefice massimo - personaggio Publio Cornelio Scipione Psiche -
personaggio Ramnete - eroe Rea Silvia - personaggio Remo - eroe Reto - soldato
Romolo e Remo - eroi Salii - personaggi Salio - eroe Serrano - eroe Sibilla -
personaggio Tagete - demone Tarquito - eroe Terone - eroe Tirro - personaggio
Turno - eroe Ufente - eroe Umbrone - eroe Venulo - eroe Vestali - personaggi
Volcente - eroe PopoliModifica Aborigeni Equi Latini Marsi Messapi Rutuli
Sabini Troiani Volsci. Ferro e Monteleone, Miti romani. Il racconto, Torino,
Einaudi, 2010. Anna Ferrari, Dizionario di mitologia, Torino, Utet, Voci
correlate Religione romana Sacerdozio (religione romana) Numen Mitologia
Mitologia etrusca Mitologia greca Dodici dei (religione romana) Quirino
(divinità). Portale Antica Roma Portale Letteratura
Portale Mitologia Ultima modifica 5 ore fa di Pulciazzo PAGINE CORRELATE
Lista di divinità lista di un progetto Dèi Consenti dodici dèi principali della
mitologia romana Triade arcaica Wikipedia Il Conte Tullio Dandolo. Tullio
Dandolo. Dandolo. Keywords: storia della filosofia romana – ambasceria di
Carneade – e tutto il resto! -- “Il secolo di Augusto”; “Roma e l’impero fino a
Marc’Aurelio” “Corse estive nel Golfo della Spezia”; roma pagana “indici
ragionati degli studi del conte Tullio Dandolo su Roma pagana” -- -- Refs.:
Luigi Speranza, “Grice e Dandolo” – The Swimming-Pool Library.
Luigi Speranza -- Grice e Daniele: la ragione
conversazionale e l’implicatura conversazionale numismatica – scuola di San
Clemente – filosofia rimenese – filosofia emiliana -- filosofia italiana –
Luigi Speranza (San Clemente). Filosfo
san-clementino. Filosofo riminiano. Filosofo emiliano. Filosofo italiano. San
Clemente, Rimini, Emilia-Romagna. Grice: “Daniele is an interesting philosopher, if you
are into numismatics, his pet topic!” Figlio
di Domenico e Vittoria De Angelis, studia a Napoli, dove frequenta gli intellettuali
della città. Entra in amicizia con vari studiosi tra cui Genovesi, Cirillo, ed
Egizio. Cura un'edizione delle opere di A. Telesio, illustre filosofo
cosentino, lavoro che gli procurò l'interesse di intellettuali di giornali
letterari dell'epoca, specialmente per l’epistola dedicatoria e la vita del
Telesio filosofo in purgato latino. Cura la pubblicazione le “Opuscoli” di Mondo,
che era stato il suo primo maestro, premettendovi una dotta prefazione di tutte
le veneri e la grazie pellegrine dell’idioma toscano, che merita gli elogi di
Zanotti. Pubblica le nuove “Orazioni” latine di Vico, ch’erano state lette da
quest’altissimo ingengno mentre filosofava sull’eloquenze e la colloquenza alla
Regia Univerista. Publicca la l’aureo romanzo de Longo – que sembra dettato
dall’amore, reso in volgare da Caro, con deliziosa e spontanea gracia, faciendo
un dono preziossimimo agli ananti della toscana favella – corredandolo di una
dotta prefazione escritta con ammirabile purita di lingua. A San Clemente cura le
proprietà della famiglia. Si dedica al studio dell’antico e agli studi della
classicità acquisendo documentazioni – collezione epigrafica -- e creando una
collezione di oggetti antichi legati al territorio di San Clemente. Pubblica una
critica ad alcuni studi sulle storia di Caserta (“Crescenzo Espersi Sacerdote
Casertano al Signor Gennaro Ignazio Simeoni, un ufficiale di artiglieria
napoletano”). Il marchese Domenico Caracciolo lo fa richiamare a Napoli dove
entra nella segreteria di Stato. Riordina la raccolta delle leggi e dei diplomi
dell'imperatore Federico II. E nominato "regio istoriografo", carica
che era stata di VICO (si veda) e di Assemani. Alla carica era associato un
sussidio economico. Pubblicò Le Forche Caudine illustrate (Napoli), lavoro che
gli permise di entrare all'Accademia della Crusca. Ricoprì nella Reale
Accademia di Scienze e Belle Lettere, creata da Ferdinando IV, la carica di
censore per le memorie delle classi terza e quarta. Riceve l'incarico di
sistemare la biblioteca della Collezione Farnese, in seguito confluita nella
Biblioteca di Napoli. Divenne uno dei 15 soci dell'Accademia Ercolanese, dove
cura la pubblicazione degli studi su Ercolano e Pompei. Suo malgrado anzi fu
coinvolto, a causa della sua vicinanza con gli intellettuali vicini alla
repubblica, nei fatti che successero dopo la caduta della Repubblica
partenopea. Perse tutti gli incarichi e di conseguenza torna agli amati studi.
Pubblicò un saggio di numismatica, Monete antiche di Capua, con la descrizione
delle monete capuane di cui sei inedite. Sotto Bonaparte, riottenne le sue
cariche e l'anno dopo divenne segretario perpetuo dell’Accademia di storia e di
antichità e fu nominato direttore della Stamperia Reale. Fu anche socio
dell'accademia Cosentina, della Plautina di Napoli, e dell'Accademia Etrusca di
Cortona. Altre opere: “Antonii Thylesii Consentini Opera” (Napoli); “Crescenzo
Esperti Sacerdote Casertano al Signor Gennaro Ignazio Simeoni” (Napoli) – una
lettera sotto un falso nome in cui dimonstra la vera origine di Caserta --; “Le Forche Caudine illustrate” (Caserta) –
dove stabilisce il vero luogo ove furono piantati que’ gioghi sotto cui
passarono le vite legion romane, provando con compoisoa e ben adattata
erudizioone, chef u la Valle d’Arpaia, contro l’opinione di Cluvero, Olstenio,
e di altri eruditi di chiaro nome --; “I Regali Sepolcri del duomo di Palermo
riconosciuti et illustrate” (Napoli) – imprese anche ad illustrare le tombe de’
re di Sicilia. Rispende in questa la purita della lingua, e la ‘erudizione piu
estesa, che possa desiderarse tanto nella patria storia degli antichi tempi,,
quanto in quella del medio evo -- “Monete antiche di Capua” (Napoli) dove interpreta le antiche monete di Capua gia
pubblicate fino al numero di dodici, ne pubblica altre sei del tutto ignote
agli eruditi; e nel fine dell’opera tratta in un erudite discourse del culto di
Giove, di Diana, e di Ercole presso i Campani. Opera inedita: Ricerca storica,
diplomatica, e legalle sulla condizione feudale di Caserta; Vita e Legislazione
dell’Imperatore Federico II, “Codice Fridericiano” contenente tutta la
legislazione di Federico. Propurca l’onoro di iiverine region storiografico,
segretario perpetuo dell’accademia ercolanese e l’accademia della Crusca.– che
le merita membro della Crusca – Vita ed opuscoli di Camilo Pellegrino il
giovane; Topografia dell’antica Capua illustrate con antichi monumenti; Il
Museo Casertano. “Cronologia della famiglia Caracciolo di Francesco de Pietri”
(Napoli). Dizionario biografico degli italiani, Roma, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana. Danilele epigrafista e l’epigrafe probabilmente sua
per la Reggia di Caserta,La collezione epigrafica del Daniele a Caserta; Una
pagina di storia dell’Anfiteatro Campano, Francesco Daniele: un itinerario
emblematico, in classica a Napoli, La famiglia Daniele e i suoi due palazzi in
San Clemente di Caserta: note genealogiche ed araldiche, descrizione degli
edifici superstiti e ipotesi e proposte per la loro corretta attribuzione”; Daniele
e lo studio del mondo antico” -- Lettere di Francesco Daniele al principe di
Torremuzza”; “Lettera di Francesco Daniele a Giovanni Paolo Schultesius, Lettere
di Francesco Daniele al dottor Giovanni Bianchi di Rimini” Pseudonym:
‘Crescenzo Esperti’. Francesco Daniele.
Keywords: filosofia antica, roma antica, filosofia romana, l’antico in Roma
antica, l’antico, idea dell’antico, ercolano, pompei, collezione farnese,
palazzo Daniele, San Clemente, Caserta. Opera di Mondo, A. Telesio. “Regio
Istoriografo,” carica cheera state di Divo e di Assemani, Giove, Diana, Ercole,
Campania, le vinte legion legion romane, l’origine di Caserta, A. Telesio,
filosofo. Mondo, filosofo, opuscoli. Romanzo di Longo reso in volgare da Caro,
vita di Talesio, orazioni sull’eloquenza di Vico, valle d’Arpaia, gioghi, re di
Sicilia. Numismatica romana studio della monetazione romana Lingua Segui
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sinottico {{Coin image box 1 double}} La numismatica romana studia la
monetazione romana, cioè l'insieme delle monete emesse da Romae dal suo Impero
dalla prime emissioni di monete fuse, delle monete romano-campane sino alla
fine dell'Impero Romano. Articolazione della materiaModifica monetazione
romana repubblicana monetazione imperatoriale monetazione imperiale monetazione
provinciale La monetazione repubblicana comprende monete dalle prime emesse da
Roma sino alla guerra civile. La monetazione imperatoriale comprende
monete emesse nel periodo delle guerre civili, dai vari generali in lotta in
virtù dell'imperium posseduto. Alcuni studiosi non accettano questa categoria
ed includono queste monete in quelle repubblicane. La monetazione
imperiale romana comprende monete emesse dalla nascita del principato fino alla
fine dell'Impero romano. La monetazione provinciale invece tratta di
quelle monete che sono state emesse da colonie ed alleati di Roma. Si tratta
principalmente di monete sussidiarie o di monete emesse dagli imperatori romani
utilizzando tipi che fossero meglio compresi da popolazioni di lingua greca.
Spesso queste monete sono indicate col termine di coloniali. Una volta erano
anche chiamate Greche imperiali. I punti più rilevanti nella monetazione
romana sono l'emissione del denario nel III secolo a.C., l'emissione
dell'antoniniano da parte di Caracalla nonché lo studio del sesterzio vero e
proprio veicolo di propaganda dell'antichità. Sono anche fondamentali le
riforme monetarie di Augusto, Caracalla, Aureliano e Diocleziano.
Classificazione delle monete romane repubblicaneModifica Antonia 1; Syd.
Craw. 364/1b Pompeia 1; Syd.; Craw. 235/1a Per le monete repubblicane uno
dei riferimenti più usati è il testo di Babelon (Description historique et
chronologique des monnaies de la république romaine vulgairement appelées
monnaies consulaires) pubblicato in due volumi nel 1885-1886. Nel testo viene
utilizzata la suddivisione proposta da Eckhel: monete fuse monete
romano-campane monete anonime, senza cioè l'indicazione del magistrato
responsabile dell'emissione monete divise per gens. All'interno della gens le
monete sono catalogate in ordine cronologico. Le monete vengono quindi indicate
con l'indicazione delle gens ed un numero progressivo: ad es. Claudia 6,
Pomponia 1. La Description di Babelon è stata ristampata. Altri lavori
più moderni sono quello di Sydenham e quello di Michael H. Crawford, che
elencano le monete in ordine cronologico. Il lavoro di Crawford è il più
recente sulla monetazione repubblicana. Nell'elenco delle monete il primo
numero indica il monetario mentre il secondo numero indica la singola
moneta. Sydenham, E.A.:
Coinage of the Roman Republic Crawford, Roman Republican Coinage. Quest'ultimo lavoro è considerato il migliore
attualmente esistente Bisogna anche citare due studi particolari:
Campana, La monetazione degli insorti durante la guerra sociale, l'unico studio
approfondito su questo tema, che riporta anche il corpus completo e lo studio
dei coni. Thurlow, B. - Vecchi I.: Italian Aes Grave and Italian Aes Rude,
Signatum, and the Aes Grave of Sicily, sulla monetazione fusa in Italia e
Sicilia. Classificazione delle monete romane imperiatorialiModifica Non
esistono pubblicazioni specifiche che classifichino le monete di questo
periodo. Si usano sia testi sulle monete repubblicane che testi sulle monete
imperiali. Alcuni dei testi sono già stati analizzati per le monete
repubblicane e sono: Babelon, E.: Monnaies de la République Romaine, che
usa la divisione per gens. Sydenham, E.A.: The Coinage of the Roman Republic,
che usa una suddivisione cronologica e si ferma grosso modo al 36 a.C.
Crawford, M. H.: Roman Republican Coinage. Altri testi, che riguardano anche la
monetazione imperiale sono: Cohen H. Déscription Historique, un testo che
riguarda le monete dell'Impero Romano e che il più usato per classificare le monete
imperiali Roman Imperial Coinage (a cura di Mattingly e Sydenham).
Classificazione delle monete romane imperialiModifica I testi di riferimento
per la monetazione imperiale sono i "Cohen" ed il RIC. Cohen: Déscription Historique
des Monnaie frappées sous L'Empire Romain, comunemént appelées Médailles
Imperiales. Riguarda le monete dell'Impero Romano e
che il più usato per classificare le monete imperiali. Ovviamente ormai molte
delle informazioni contenute sono diventate obsolete. Copre le monete emesse Le
monete sono ordinate prima cronologicamente per Imperatore, poi per l'ordine
alfabetico della scritta al rovescio. Questo ordine, certamente poco
scientifico, comunque permette di identificare abbastanza rapidamente la
moneta. Roman Imperial Coinage, Nove volumi a cura di Mattingly e Sydenham -- è
lo standard di riferimento per le centinaia di libri e cataloghi di collezioni
su questo periodo. Mommsen: Die Geschichte des römische Münzwesen - Berlin Tr. fr.: Histoire
de la monnaie romain. Paris (Ristampa Graz
Ristampa Forni) Burnett: Coinage in the Roman World,London: Seaby,
Sutherland, Roman Coins Harl: Coinage in the Roman Economy Thomsen, Early
Roman Coinage: a Study of the Chronology, 3 voll., Copenaghen, Repubblica Babelon,
Description historique et chronologique des monnaies de la République Romaine
vulgairement appelées monnaies consulaires, 2 voll., Paris, Rollin et Feuardent
(ristampato da Forni). Alberto Banti,
Corpus Nummorum Romanorum. Monetazione repubblicana, Firenze, Banti editore,
Gian Guido Belloni, La moneta romana. Società, politica, cultura, Firenze, NIS,
1993. Gian Guido Belloni (a cura di), Le monete romane dell'età repubblicana.
Catalogo delle raccolte numismatiche, Milano, Comune di Milano, Crawford, Roman
Republican Coinage, London, Cambridge, Crawford, Roman Republican Coin Hoards,
London, Royal Numismatic Society, Sydenham, The Coinage of the Roman Republic,
New York (Durst). ImperoModifica Alberto Banti, I grandi bronzi imperiali,
Firenze, Banti, Cohen, Description des Monnaies frappées sous l'Empire Romain,
II ed. Paris, H. Mattingly - E.A.
Sydenham (et al.), Roman Imperial Coinage, Londra, Montenegro, Monete imperiali
romane, Con valutazione e grado di rarità, Torino, Montenegro edizioni
numismatiche, Seaby, Roman Silver Coins, Second edition, 4 voll., London, B.A.
Seaby, 1967-71. David R. Sear, Roman Coins and their Values, Millennium edition,
3 voll., London, Spinx, Monetazione romana Monetazione romana Monetazione fusa
Monetazione romano-campana Monetazione romana repubblicana Monetazione
imperatoriale Monetazione imperiale Monetazione provinciale Monetazione
bizantina Monetazione italiana antica Collegamenti esterniModifica Sito con le
immagini delle monete repubblicane ed imperiali, su wildwinds.com. Introduction
to Roman Coins by The Museum of Antiquities on the University of Saskatchewan,
su usask.ca. Risorse numismatiche on line. Università di Bologna, su
numismatica.unibo. Rassegna degli Strumenti Informatici per lo Studio
dell'Antichità Classica: Fonti numismatiche, su rassegna.unibo.it.
Portale Antica Roma Portale Numismatica Ultima modifica 2
anni fa di Messbot PAGINE CORRELATE Numismatica studio della moneta e della sua
storia Monetazione romana repubblicana monetazione di Roma
repubblicana Roman Imperial Coinage catalogo britannico delle monete
romane di età imperiale Wikipedia Il Daniele. Keywords: implicatura
numismatica. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Daniele” – The Swimming-Pool
Library.
Luigi Speranza – GRICE ITALO!; ossia, Grice e Dati: la
ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale dell’ELEGANTIOLÆ – scuol
di Siena – filosofia sienese – filosofia toscana -- filosofia italiana – Luigi
Speranza (Siena). Filosofo sienese. Filosofo toscano. Filosofo italiano.
Siena, Toscana. Grice: “Dati is a good one if you are into Ciceronian rhetoric
as given a running commentary by an unknown philosopher from Siena! – But mind,
he also wrote, like Shropshire, on the immortality of the soul!” Noto per il suo manuale di grammatica Elegantiolae. Erasmo
lo loda come uno dei maestri italiani di eloquenza. Nato da una agiata famiglia
senese, passò la maggior parte della sua vita a Siena. Studia con Filelfo. Dopo
aver insegnato per qualche tempo a Urbino, torna in patria e insegna retorica.
E nominato segretario di Siena. Altre opere: Elegantiolae. L'Isagogicus
libellus pro conficiendis epistolis et orationibus fu stampato per la prima
volta a Ferrara da Andrea Belfortis. Elegantiae minores; “Opusculum in
elegantiarum precepta cum Jodoci Clicthovei Neoportunensis et Jodoci Badii
Ascensii commentariis; “Ascensii in epistolarum compositionem compendium”;
“Sulpitii de epistolis componendis opusculum”; “Tabule in Augustino Datto
contentorum index”; “Francisci Nigri elegantie regularum elucidatio”;
“Magistratum Romanorum nominum declaratio”; “Ortographie regularum Ascensiana
traditio. De grecis dictionibus apex ex Tortellio depromptus.” “Augustini
Datii Senensis opera (Siena) – include diciassetteopusculi: I piu importanti
sono: “Oratium libri septem”, “Fragmenta senensium historiarium libris tribus;
“Isagogicus libellus pro conficiendis epistolis et orationibus” ristampato
“Elegantiarum libellus”. Le Elegantiolae, ristampato ocon cari titoli, era
considerato "il manuale par excellence". Sirve da base per i “Rudimenta
grammatices” di Perotti. Dizionario biografico degli italiani, Roma, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana, “Plumbinensis Historia”, Firenze, Sismel Edizioni
del Galluzzo. Vedi Bandiera, “De laudibus eloquentiae”. BOpSTr
. JULLgi I et o=w zxt ri (yauM^ -zn j r J *
cm (jflV<3 VSTINI DttTI Senensis Ifagogi? cus libellus in
ELOQUENTIAE PRECEPTA ab JPvnbrea b«= mini ctyriftof eri filium f eliciter
incipit/ 8 Rebimu giam bufeumaplcnfcKviiris i etiam bifertiflimis
perfuafiitum be- v ', t v tvr, mum artem quepiam in bicebo non .
^«,'<$•/ J nuliam abipifcu y fi veteru fectatu vef 6 tigia/optia fibi
quifcp feper ab imita bum propofueriFTNecj^ eni qui biutius I.M» CICERONE
lectione veriatus fit,n5 m bicebo/et ornatus et copiosus esse poterit. Na et
fjorribiora cre= i,•.»>>brius cofectati l ipfi qucqp anbi ieiuni et
inculti fi ant neceffe eft. 4j Lectitati igitur micfyi CICERONE volumina Cque
ELOQUENTE parentem appellaueri) - j pauca anotatioe bigna vifa fut.
iquibus fi vtemur 41 vulctanufermoneaipernati/ab eloquetiamrroxi i
s i mius.accebemus/ v PRECEPTVM I varietati/comutati onio vt ftubeamus/
t d Seb cu ib i primis quirc| abmouebus fiti quob rfyetor
ille biligetittimus et inlignis abmobu orator sabius Quitilianus be oronis
partibus bicere cofueuit.J Meq; eni leges fut oratoru / quaba velu-
. tiiniu.atihj Kceflitdtecoltitute; ncc roaaiignibus < L
-v* GI-NEVIEVM; vt i&cm bicebat)plebifl ve fcitis.Tancta [vt ifta PRECEPTA.
feb vti in ftatuis picturis pozmatibus ccte= rif^ita quocgin exornaba
viri eloquentis oratione plurimum feper roboris ac vcnuftatis r;abuit
varietas . &tc$Cquob bici ibfet) tenenbu cauenbucj illub est antc omni
ainears vlla bicebi u fieri poteft fTe vibeatur. Hec igitur lex prima fit
comutafionis varietatiTaj/qua erubitoru aures nobiffi cile iubicet. ilHoc
iajtar iacto fubaireto /per pauca beitfps fcritan C 7>vnorea amicc
fuauilhme qae et fi ron femper^ vt plurimi m tamen l; is rationitus titi
feruar.ba erunt t fcb iam nofiri ialti' tuti ita nafcetur exorbium.
(JBecunbum preceptum be fitu fuppofiti/ verbi etappctti i oratione;
^Jplcrua; enim qui oratorie artis fforibussc faleratis. Vtaiu Ove ibis
ftufccntkotratnu vulgataci gramaticorum confuetubinem bamna= tcsi
quob in calce abiolute orationis locari cofue uitiib illi potms
coaptantinicioi quob oir.ne tibi exemplo erit manifeftms. £cis plena
orationer a conltaretribus partitus. qucb SUPPOSITVMCvteorum ipforum
vocabulis vtar)quob verbu/ quob APPOSITVM vocant. Diciit igitur nramatici
{SCIPIONE afiicanus telcu A l.aitf; £gin«ri, ciwticrie
vcro L r h
1 r l eloquii bemines couerfo potius vtuntur
orbine. Al-*— a liarttjacune lcipio africanus &eleuft.illi.'M/r.
CICERONE (si veda) vtitur famuiariter. p4cntulo.no8 vero.'p«le^ *f'**T
tulo. CICERONE farmliarir vtitur. Quib? tf^'J*t-r me exeplis patere
arbitror appofitum prirnu 1 owr^V^ * > tione/fuppofitu mebiul
nouiflmuiverolocu ver^^ bu tenere.([Seb et u quib Cpro graraaticor5 «•*.
A; re)poft appofitu fitum eriti ib iitio oratioms
poi^J^ L-Scncr^^. ras. Ligurgus conbibit fancttflimas legcs lacebc*
*~i awu^yfc. monis. Lacebemonis fanctillimasIecreB ligursr..^*- <*, e
~3 aus conbibit.mulfag; cofimili ratione* ~pao„tfi^c, i !*.l.*-«*«_i k igitur pieruncj
principioappomturi hppoiitutnf^/ mebiojline vei bum.vtanopagu folon.
fclammuBf™ primu coftituit vbi granwtici bicut j fol5 primus,
coltituitanopasum. {[Ceterum biueriis orttmcv feus i et iocis tollocabe
fut partes pro aunum iu*r7 " a ^ fW do j quob quibem folo vfu
coparatur ^ a*A PERCEPTUM III be
abuerbioru fitu |*r^ lam vero be abuerbiisC que funt veluti abiecjjftc verb?rum)5id
poteft pauW vbi uia lpci A effeivfei bemu aptius congruere vifa
tuerint«mos bo in principioJmobo in finelmobo intenecta m< ter
vti ucg.qua in re biligeti vtenbuin est conhho Seb prope verfcum
frequetius per venuftam rebbunt oratione. vt fabius maximus ante alios fortiter
atcj animofe pugnauit.C.lehus fcipioe fami hanfume vtebatur. Qementiflimus
ceiar l?umiti= teHcjngfcebat. Nunc vero ab rehqua . {jQuartu
preceptum be prepofitionu/et integrarum pferumaj
orationuiteriectioet inter NOMEN SUBSTANTIVVM et abiectiuum; PROPOSITIONES
pcrpulcf;rc intcr fobftafiua at q abiectiua nomina interiiciutur.vt
feraci in agro ornatiflimo in loco.maximas ab res.fyanc ob caufam. iuftis
be caufis . aliacji l;uiufmobi complura Ncc prcpofitionea folum (kb alia
pretcrea eiufc» mobi nuncfumemus eyempla. Maxima i rep. biligentia. magna
in parentes pietas increbibilis m omnes ciues obferuantw.fummain l;oftes
hbera PRECEPTVM V be fmedecticne genis fiuora iter buos
nominatiuos/et ecotra. 7Ktq etiarn pulcf;crriinu i iter buos cafus / puta
nominatiuo e buos/ahquib cotmue pomtur. Vt om »ia reip.iura coftates
miljtum ammi.macma fces < i» f
m leratorum fyominum flagitiaf Bcouerfo etia cofti tuta ac
trafpolita oratio piurimu exornah Vtl?u ius daritubo viri.fyuius
qmrites auctoritate locif Ci VI PRECEPTU beabiectiuorufituf Venufte
etiam pieruqj precebit abiectiuum nome fubft4tiuum. Vt tua bigmtas«optimavirtus»biui
»u igemuin.exquifitaboctrina*Magni ehirefert/ quo ioco quecg
bictio iita fit. quob teftatur BOEZIO (si veda) in iis comontariis l quos in
ariftotelis librum cofcripfit.vbi et CICERONE et VIRGILIO (si veda)
ponit exepla BOEZIO autem ipsius fyec verba fut Sfenim c£tum ab copositionem
orationis fpectaf/ maximum bif f ert l quo VERBA ET NOMINA predicationis sue
ordine proferantur. Multum enim itereft in eo quob f* A ait CICERONE^bb9ncteamctiamnaturapeperit-'volutas
exercuit/fortuna fcruauit ita bixiffe vt biz J ; ctum eft/an lta ab
Ijanc te amentjam peperit naf u +4 £ j ^
raiexercuitvoluntasiieruauitfortuna* jSicei'im>>' » minor elt fetentie magnitubo.
minuf^ in ealucet _^.^ v ib quob fi fic coponatur emmet i et fefe
vel nolentib«s i^ominum aunbus/aifqj patefacit « Rurius quoqi bicit
Virgduis pactqj iponere moremipo^ iuilfet feruaffe metrum li ita
bixifiet l moreq? imponere paciifeb elt bebilior fonus* nec eo lctu ver
fus ta preclare vt uhc compojitue oiceretur* quod ibera non eft apub
byalcticos . ljcc BOEZIO . Nuc aorciiqua; <J Septimu
preceptu bc fitu ncgatiue bictionisf Negatiua bictioapte i
calceoratioms ponitur» Vt preitanticrem te vibi nemi :em. Scipicne
clario= re m bellicis laubibus iuenies nemincm.Tua er=
ga me BENEVOLENTIA tuo in me aimo gratius e ni= cbil.gui tearoenti
js amet.' fyabes nemine (jfpctauu preceptu be pouellcns ante
pof= fefnonem fitu/ S8D et polleffor ate poifeffione. Vt opti
viri bi uitie. preftantis viri virtus.prubetifumi fyominis
confilium; dHonu prcceptu bc vlu gerunbiuorum
nominu pro gerunbus; CXVIQ vero pull?i-ms.'§ £i pro gerunbiis
que appellant vtamur gerubiuis nominibus. 7Kc trjs tu e
prifciani exempiu . Veni ca amabi virtutem/ vcni amabe virtutis caufa.gra
gerebi bella t geren= borum bellorum gratia.ab amplexaba virtute ma
gis.qi ab amplexabum virtute. Que vna preceps tio optima eft.crebraq?
cius apub.M.T.aLolqj cloquetes viros tuit cbleruatio; {fPecimu preceptu
be congruentia nominis relatiui $kruq, cum consequente/. Nunc aatem mu!ta
confkiam. quc li biligeter ab uertensmb pavu ornatus ktino cobucent
elo= quio.Seb ib micfci imprjmis aniabuertenbu vibe
tur,'vtquom tna luerint^antccebesJ cofeques/ et eorum mebiu
relatiuu nomeifr fitib confequens/ vel l?ominis / vel rci cuiulpiam
propriu nome.' re LATINV cofequeti femper cogruat.ftlioquin no LATINA
ORATIO fit ( fcb a boctiUimorum fyominu consuetubine longe ahena, frhas poteft
cum aiterutro conuenire fi ncn con cquatur propi ium
ncmen. Qua rem facile exempla beclaratiet prifcoru auctoritafes coplures.
CICERONE primo TVSCVLANARV quefhonum.btubio fapietie que pl ia bicitur. Et
fexto be rep. contilia - cetuigj fycmmu mre fcciati; que dujtates
appellantur. Mq lteru i cx illis lem= piternis ignibus/ que
vcsfytera etfteliasnucus ett.s.Saluftii quoq; llluo tritum cft,
Eftiocus in carcere quob tullianu appellatur/inuncrabilia h
netufiis cobicibus ib genus iucnias.Hcc ib e ara= maticeartis
vitiumiquobquibam Ljnari littcraru arbitrantur.Seb et nos ahquio
exemplorum af fe ramus predarum est CICERONE opus(qui cato ma
ior bicitur.nam quob CATONE MAGGIORE bicitur /non ia= tinc
profertur. Confiiniliter vrbis vifcenbus con ilcr.bu eft i qui iut
ciucs. pcrbiti vin cx vrbibus pellenbi funt /que eft ciuitatum pernities fentina
Sebecoris. Plerunq* igitur relatiuum nomen cura eo concors eft quob
fequitur/ CjVnbccimu preceptum be cogruentia in cafu ex
trib^/eoru buoru que proximius iugutur^ Illub quoqj fpectabum efttNam cum
tria exiftant qaorum vnum relatiuum lit nome;frequetihime coram buo
in eiufbem cafus exitu conuemut/ na vt exempli caula bicam aliquib Si
quis l?unc fer monem protulerit l liber in quo be virtutc
agitur preclarus eft .rectius atqj ornatiusbicitur;in quo hbro be
virtute agitur/predarus eft. Concorfcant nantj eobem cafu ex tnbus buo
llla que maion vi cinitatc iuncta funti ahub lterum exemplum ^u^
iulcemobi fit* Qaias mifif*i htteras ab mc locubc f jerunt. Sermoce
queaubifas no eftmeust Qua exiftirras bemoftI;eIs orationem /cfcJ^ms elt.
atq Ijuius fermonis crebru muenii e potens apub vetercs
vfum.M.T.officioru pricnoi quorum autcm offinorum precepta trabutur ea quancy p« tincant ab finem bonoriu
Virgihus Maro m ene ibc/ vrbcm quam ftatuo veftra elu Terentius in
i bna/poltl^ac quas faciet be integro comebi.s fpec tanbc an
exigenbe funt vobis prius.Ibem.populo vt placcrcnt quag f ecilfet fabulas*
Ibem, quaa t r creois cffc \)islno funt
vere nuptie. $tcj eiufrao bi fermo plurimum exornat;
(JDuobcc.mu preieplum t e auxefi potxti ucrum cum per; 3D c.ucxj
oigmlfimu cft annotatu. vt quom pofi= tiud€<auger^ velimus
normnaivtnsper prepofi f um aecebdt.Gcero m cpjftola ab cunonemkui z
cai us eque fisiet teriocunbus . Ibcm be oratore p r;m o.perboati quite
frater ilhviben folet.Tere. in eunucr;o. perpulc^ra irebo bona fyaub nof
tns fi miha.nam pergratum vaibegratum fignifrcatM in cratione
Jepibe p crfonat; (jTrebecimu PRECEPTVM XIII be fuperJatmis cum
multo/longe/et §; PST fupcrlatiuis /inulto/ioge/et qj abuerbia pre
ponimus ibqj fepenumero pei pulcl;ru viberi fo^ let. Vt longe amatilfnnus
veftri.mulfo ommu foituanllmus-St acjo tibi q-maxias gratias
(JJDerimumquai tum preceptum be com parati uis cum multo / aut longc
. GOMPAratmis vero vel multo vel fonge p poni Jblet. Vt mfticia
multo predarior eft ceteris vir tutibus.8t Socrates loge aliis pfyis fapientioi }
(jDecimuquitu preceptu be quibufba noibus quc agrecis
prpfecta/bccfinatiorie mutant, ({ILLVD nequacp omifc;'imus,'q> quom
nomina quepiam funt profccta a grecis tertie fiex.onis d obiiquos
cafus fjabentia qui rectum bperanttf» tini oratores rrequentifume calibus
ac.uf tiuis il= lorum quibufbam immutatis fmgunt ahamm be
dinationum nomina et genus feruant . qualiafut poematum EMTYMEMANTVM o
ELIPSIIM elegantus ctlampaba^aue a plerifg?tertia flettione pro ferutur
poema ENTYMEMA /beipbin/ ELIPSIS as lapas . fyanc tu obleruationem biligenter
manba memorie/ (TDecimu fextu preceptu vteleganferoftebemus
quippam nobis eife/iocubu/ vtilc/ vell) Onestus et
ettevaibgenus; JXuo aut volumus oftebere nobis aliquiD jocti
bu/^oneftum/vtile eftei batiuis cil verbo vtimur fum/es/elt fubltatiuoru/
quoru illa abiectiua fut Mi(ne ab exeplis bilceba^quib aiiub iignif icat
l?«e res raicfy locunbitati eft JcJ bec res eft micfy iocubVlbemc$ l lpfe
micfyitue littete fuerut gaubioquob elt ab gaubium vel gau&iu micfyi
attulerut. Predara vrbis ebificiaciuibusbecorifunt. Vitia bsbecon
ful viris Jibeft bebecus pariut viris beq ceteris colimriiratione; ([Decimufeptun
preceptu be af ricio et af Fiaor» <l k.
m «#"» Vevbum aftido Jet pulcfyru eft/et late
patet.nam afficio te voluptate ibciit tibi voluptate affero. M i
icio te fyonore lbeft facio tibi Ijonoi em et te fycno ro.aff <cio te
laubibus l&efi tc laubo. affkio te pro bro lbelt vitupero te .
afficio te comobis lbeit tibi ccnioba facio.afficio cabauera fepuftura
lbcft caba uera icpelio.T^if icio inimicos miuria tbeft facio i
iunam mimicis, 7\tq fimihter affiaor bolore lbe boleo.af ficior gaubio
ibeft gaubeo. aificior vere? cubia ibelt verecunbor. Latiilimacj eftlmius
ver= bi vlurpatio.Nec tum lateat tc/af f icerc bifponere
ficjmficare.Hinc eft plauti iflub/ viua vos magis arficit.Neq} cnim fme
optimis caufis ta l&ta / tao; bilfula fit eius verbi SIGNIFICATIO feb
be i?oc latis; Cj PRECEPTVM be tum vel et «jeminatis . (jxviii
> Non eit aute ignoranbu cp i\ ouo/ aut plura buotus Cquob perraro vfu
velt)paritcr fe l;abuennt.' vtri<$ tum bictiomm prepcnemus.Qoicb
Iiqueat exemplo.Par eftin.C. lelioboctrina/ ac virtus. qitacj dt
eius viri pvobitasitata quoc| ett eius fci= entia, tunc lf lenbibe / ac
rccte bixcrim . C. lcfius vir tum boitus e/t/ tum probus •Itibemcji
magna ineit.M.C.ieiiotum virtus/ tum etiam boctrina C« ivltus
p..uMnu tu iaute/tu reru icietia valet OTub iterum exemplum» tfyemiftocks tum
confilio polletin vrbams rebus/tui beliicss negociis viribus atcg animi
magnitubine f ioret . Stc eni tatum oftebit in rebus vrbatiis effe cofiiium
cjtj in beilicis magoif ubinem animi <$ tum geminatum pofitu
eft*Seb eanbem quoqj vim fyabet .jeminata et coiuctiua Virgiliusi
eneibe.MuItum xlle et ter tis iactatus et alto. ibe profecto
fignat.'eneas t tum pelagi /tum terrarum labores perpeffus
eft.7?vfri canus fuit figularis et vir et imper.ator l lbem Qy>
vult« africanus magnus extitit tum vir tuntfmpe i-ator ; (J Preceptu be
cu et tu (JxixQi fi buo contra nequaty
paria futi (eb aheru mi= bus complechtur /alteru vero magisiita
etficiens bum eft* vt quob leuius exiftit locemue pnus/at= cj ei
cum bictione preponamus.quob aute grauius valibmf$.'ib pofterius politum/ tu
bictio pre= cebat.Qoiob patefaciemus exemplis Gielius amat SCIPIONE
propterea <$ eu boctum cognouit fyominem/et fempzr virum optimum/ quob
poItremu vefyemSter ab amorem impellit. quare ita oratio eft inftituenba«
G. lelius amat lcipionem tu ob boctrina eius tu propter virtute. ita
virtus in fyac bemuoletia pius mometi fyabet. JPvtqj ibem lta
ubixerim.Gu oes. fortunati funj qui bene. viuwt» -I tum
perbeati qui omnia befetfit / et virtute iblaui coplectuntur, Ijos
na<$ pofteriores multo beatio= res elfe conltat.Si quis fuperius mo
aliatam preccptiorem intellexerit.l;ec. M. Ciccro lmpnmis i requeter
vfurpat.£x quo iiiub.'cum cmnibus co fulenbum eft/tum lllis qui armis
politis ab lmpe ratoris fibem conf ugiunt. SIGNIFICAT enim fumctibus ab
lmperatores/et lefe bebetibus multo ma= gis confulenbum elle.$ttc| m
catone maiorc nura ti fele aicbat Iceuola. CATONE MAGGIORE cum ceteraru
re= rum perfectam fapientiam/tum q> nug> fuerit jlli feneaus
gra uis . kb be f,flc re faiia/ (JVtquapia laubari aut vituperari
oporteat, xx lam vcro explicanbum clt qua ratione quapiam perfonam/
autlaubari/ aut vituperan oporteati quob ab bccorem iermoms pertineat
.riam it trj= f anam polfe f icri coperimus ex monumehs litte-'rarum.li
cnim velim oftenbere.M.catonem fjabe remagnamvirtutemicum verbofum/es/elti
ita comobiflime f iet,Marcus cato vir eft magna virtu te, M.cato
vir eft magne virtutis.M.cato vir cft magnua virtute»popuio pfyilofoptus
fuit preftas igemo/vel preftatis igemi.'vel preftanti ingenio.
mulier eclara morib^/claroru moru. 1 claris mori b^wregregiojaiibc
egregie, iaufys egrcgia laube Se* iliub prius magig poetaru eft. poftremu
ve~ ro fplenbibiffimum et perpolitum,ffiriltoteUs clt fcietie copia
pbiio Coplug^exquifita boctrinai vir a ctrimo isenio ! Quob qu.beCvt
bifertfcus pri fcianus inquit )hcjmficatariftotele fcbentem facntie
copiam* ac qui l?abeat esqaifitam ooctrmam cetcra cj confimiii ratione.
Cluob quibcm ttulus qelius confcntirc vibetur in noc, ac, bft erura
vjf fut befectio quebam ifeb ca ttifa / vforpat** ab elo
quentiffimis viris/ac darilhmis oratonbui. qut et vobis quocg vtenbum fit
; fTDc accufatiuis etablatmis participioru locum tenentibus infimtim
verbi. <[xxi. flT& VI participioru cum accufatim calus ie«
pe tum ablatiuilocum tenet mfmitiui verbi. J?wt feluftianum illub, nam et
priufc* iopias colulfott vbi coolulueris mature facto opus elt.bt tere»
tianu Mius gliceriumalioqueflamicam pamptjui lam iam inquit muentum tibi
curabo 1 ec abOujs* tumtoumpamlpilum.Omnian5c|iUay colulto/; facto inventuiabbuctu
cofulcreyfactre/ luemre/ aooucere befignat. veru frequeter l?is
ratiombus abltluoru cafibus vtutur l accuktiorum perraro? 4jDe ijoc
nomie opus cu variis cafibus. .xxiiv %quomam*eMa»ne quo>eft©ou8
•«»»«, i • v metione iiteHigen&um elt / opus
eft micfyi ^ac re i fignif icare me egere Ijac re.feb ib variis caubus
m cu folet Nam etiam opus cft micfy tua opera/nominabi cafu«'et tue
opere/et tuam operam/ et tua operaJeb ljoc poftrcmu ornatius eft 'z totum
ora torium.Cetens rationbus poete pctius / fyyftcris •grap^icj
vtuntur,tloa autem queca precip imus vt cocrncfcamus a veteribus vfurpata
eifoecg vtamur.quecam veroM cognofcamus lolum.i^am rpus eft miclpi l;anc
rcm/ nun§ oraior oicit i feb fcacre? (Jpe comutafione
abitctiui tt fubftantiuj' in vqcc geuere et calu. ijxxiiii O
uib illub.^ncne puldjerrirr.u cTt .' vt quom fcuo ncrowa alterum
abiectiuum /alterii lubftatiuu co bem cafus cxitu proferri cebenf)vtfrpe
crcberrimccfCquocarno tertia abiecfiui nominis voce que cli neutra i vim
iubitaf j'ui trafferamus/et fubftan tiuu iliub prius cafu collccemus
geitiuo.quob vt Irequts e ciubitis atqs bifertis vir;s. ita quog
erit excmplo manileitiuB. Mam quom muitam vir lu tem bicturus fum i
li «nultcm virtufis loco eius 9 taiionis pofuero / multo protukrim
vcouftius» «Multu pecunie eni fignificatmulta pccunia.pl ummi &nm t f
limmas vra»quife anmi tltt qiiis aimus quib rei que res quib cause.
que causa. ftlia quocp lta permulta. Seb amabuertenbum efl/q, fi
genitiuus ille casus singularis fuerit.toti itera orationem fiogulariter
exponere bebemus, Bi pluralisipmraliter. Naqi (exempli caufa)mul tu
pecunie ibcft multa pecunia / fingulari numero atconfcramultum pecuniarum
figmfieat multas pecuuias. Similis <* eft ct aliorum ratio. vt
muls tum roboris/fingularem^plurimum virium/plu rale quocj fabet
fignif ication€. Et abverbia quoc$ nonnulla eanbem vim retinenfc prefertim vero buo l?ec/parum et
fatis.Nam paru fepientie lbeft parua fapiifia.fatis virium ibett
fufficietes vires, 8t nifyil quog fiue nomen/ fiue abuerbium ht . m
canbem fepe obferuantiam eabit, Hec igitur ^ac^ Vt gemioanbum eft
epitl?eton fequentibus. substtantivis aut econtra» <£ Quonia aute
figula fyc fere iueftigamusiib quoa oignum cognitione ctti vt cum buo
meminen= nius nomina fubftantiua/ quorum vtrio; ibem epitfyeton
abicienbum efU vt abiectiuum ipfum pri cipiocollocemus<et fequentibue
fubftantiuis / vel tumgeminatum/velbuplicatum^tpreponamus
Bxempli vero caufa ef i erantur» CICERONE verba. $fricanus singularis
*t vir ct imperatori quob eft afrixanus ficujlaris vir z figularis
iperafor .ppter magoa el boctoris auctoritatem/et vrbis/ eft pro
pter magnam auctorif ate ooctoris et propf er ma= gna auctontafena
vrbis^predarus/etrailesyet ci= uis iliuftns/tu vir/tu pfyus optimus/tum
pafrie foefefor/tum gubernatcr/iuftus/etrex/ etiubex» Coniumliacj
eobcnmobo fe fyabeot. Seb et fepe= numcro contra co&em orbine vni
fubftatiuo pre ; pcfito buo aoiectiua/aut plura beferuiunt.8xcm=
pia funt que nunc conftituam. Vir tum bonus fu temperatus.imperator et
callibus etfortis, iubex etiteger et foflers. owamefa ciuifafis tum
mulfa tum predara. alia fu ipfe coniecta. Non nungj» ef buo lubftitiua
ita fe r^bent vt alterum vim fuam vbi$feruef actueaf ur/ alferum quafi
qugbam ofc tineat abiectiui nommis iocu/ ef eiusfugafur of=
ficio.&uale eft illub VIRGILIANOprimo eney, mo lemqi et montes
infuper altos impofuit. ac fi bicat molem montuoiam impofuit. Cauenbum
eftne ab fyoneftate naturacj oilcebamus.' ac ii bixerit ca
uenbum ne a naturali Ijoneftate bifcebamus. Scb tibi f)ec fatig
finf/ (jpe extremis fupinis/pro gerubiis accyfafjui eafus,
xxv. -.^iSzb m qotfi i;iftonam texens biceborum fenem nectami lta
quecg patefecerim vtlefemicfy forte quabam obtulennt. Ceterum no
ignoranbum effe vibetur,vt ipfc arbitror>xtrema fupina pleruncj
ornate/ac peruenuite fignif icare gerunbia accufatiui cafus ao bictione
prepofita, Vt res biii icilis crebitu ibeft ab crebenbum. miferabilis
vifuibeft ab vibenbum. iocunba aubitu ibeft ab aubienbum fuauis
guftu ibeft ab guftanbum .permulta fimili/ ac pari ratione fe
fyabent/ {£ De exafperatione orationis permutationem fuperlatiui cum
abiectione abuerbii fuperiafcjui ab mobum / vel in primis» (fNec ib
te amice lateatM quomfuerit fuperlas tiuum quobpiamburius/afperiufcj et
fuperiatiue fignificanbum fit l vt pro fuperlatiuo poutiuum
afferamus.' et ei aptum abuerbiuro fuperlatiuum apponamus.Nam
maxime memorabiie hciausi eft memorabiliffimufacinus» Maxime rarum genus
fyoimieft ranflimu genus fyominum» Seb ab mobum/et in primis / poiitiuis
abiucta vi fermc eabem retinet. Vt abmobu memorabile facinusi vel
inprimis rarum genus ^ominum i ^Txxvii . vt quepiam mebiocritet «ut
vetyementcr ia ubabimus/ I Jb aute nequaqj filetio preterierim. Vt
fi que qui virtutcro fyabeat v lim mebiocriter faubare i bica
(exempli caufe) perides virtute preftas princeps erat atfyenisfvelmulta
predara gelferat. Trjcmisftocles rebus geftisfloruit. Sin velim
vefycmenttr ac plurimu iaubare abiiuam gloria fiue faubem^z caufam
laubatiois calu genitiuo coftituta Perides (Vtibem exemplu aga)virtutis
gloria preftans a= tfyenis daruit.'tl)emiftodes geftarum rerum
laube emicuit. £ict{. M .antoniuS preffabat ELOQUENTIA mebiocriter
huoatur ac fere exditer. L . Craflus efoquetijgforia excelluit
ve^emetiffime laubatur Seb tu pro tui ingenii bcnitate oebucitof (C
Luotiens SINGULARIS ET PLURALIS numes rus connedutur* viciniori relpobebu
i ibecj Ht jn oiueriis generibus; QuotiesCquob ipfe
quot| teftatur gramaticus fer uius")Ggularis etpfuralis numerus
ccnnectutur/ refponbemus viciniori. Virgi.primo cnei,'r;ic il lius
arma V>ic currus fuit.no aute fuerut.Teren. in anbria J amatiu ire
amoris reintegratio e.xeno= pfyotis belitie mee fut.fyoftes eorucj
exercitus pro perabit.atcg ita frequlius obferuat*.ibe f it I biuer
fis gencribj.na fiue niafculinu"/ fiuc f eininu e. vici no refpoDgmus.
vt vir atcy mlier optia ab me venit Intelligitur naq? optimu effe
viru et optima mut here que vemnt. Verum fi plurali numero ve.'i=
mus vtiteb mafculinu trifire nece fe eft. vt vit et mulier leti
properant.T^vlexaber et olipias clari es
Ittterunt? TxxixToperepretium eft. Opereptetiu eftCquob
peruenuftum eJft)ficmif icat mo vtile efteimobo neceflanuimo locubu
i mobo laubabile.i^tq* is SIGNIFICATIONIBVS NOMINIS veteres
vlurpant/ {J»xx.v.frui. Frui quapiam reieft fructu/ fme
vtilitate veJ vc^ luptatem percipere ex ea. vt cum bixerit quis
ocio fruor, pre fe f erre. JPre f e f erre ahquib eft verbis
*ut ibiciif quibufba ib oftenbere/et quobamobo confiteri/vt. M. cato pre fe f art
gramatica.lelius pre le f ert hberalitate fyz vuit oftenbere <$ i f fe
fit iiberalis; Rat.one fyabere. tiaticncm babere eft refpectu
fyabere. feb(vt planius xpona)fyabere rationem alicuius rei eft rem
conliberare. vt fyabeo ratione temporum loci per fonaru eftea ratione oia
coplecti / et conhberve/ {JjTxxiii .Complector anuno» t Hanc r
em animo mcnteej complectcr l ibeft tflat rem conhbero et voluof
n animo esse. In animo est / SIGNIFICAT IN ANIMO IjabeQ.a
aimus mictyeft/ibeftvolojj . CeKtum micfyi efti Certum
eltmicf)i libelt beliberat»m ct oecrefum/ v«I bejjberaui et
becreui. Profequor? Profequor te fyonore ioeft te fconero»
Profequbr te laube ibeft te laubo • profequor te probro ibeff
vifupero f e.profequor te amore ifceff amo te/ Benemereri;
Eenemerltus [um be rep, ibeft beneficium i illam
confuli.benemereribearoicifl/eft cpnferrein arai cos beneficia*
«^sxxviu.eque» Eque pro ita.'ac pro vel/afc| pro vf vel quafi orni
tilfime ponutur.exemplum cft eque te laubo ac ci ceronemj
^xxxix .Haub lecus Haub pro
non/ fecu9 pro aliter venufte in eabem oratione continue fe Ijabet vt
feaub fecus fetio atcj f u ibeft fentio ita ficut tu/ (l*h9*
coparatioo Igcp pofitiui MdnficJ et pulcljre coparatiui prb pofitiuis
ponu tur. Vtalexanber macebo corpus babebat imbes cilliusiquob imbeciliufismficat.
Satiriinlcele» vefyemetius inuefyuntuWquob eft vefyemeter., Dar e rem
vitio / vel laubi . Do tibi fyanc rem vitio lbeft vitupero te be bac
re. bo laubi ibcft laubo. bo crimini ibelt crimmor; De fubiuctiuo
loco inbicatiui.'et illiua pro l)uius temporibus; Seb nec illub
quibem negligenbu elUfubiuctiuus mobus pro inbicauuoiz ujius tempora pro
i?uius temponbus interbu l?aub illepibe ponutur. vt ve Jim fepe pro
volo.et gercrem pro gerebam bilexe rim pro bilexi.feciuem pro feceram.
fuerit gratu pro gratum erit.feccris pro facies.Ib oim multo
ornatiffimui li cportunis locisagatur . quob vbi factitanbum fit. 7
peritorum aures facile ceiebunt. Quaobrem exercitatio abfybeba e non
mebiocris que omniu magiftroru precepta fuperat.Quob fi quis nouerit
grecas litterasiei quob mobo explis cauimus non bif f icile perfuabetur
; (fxliii . Partim l>ominu et eius abuerbii geminatione/
partim ^oruinu venerant perfepe bicitur.Et.^v. gelio tefte eft ibem quob
pars Ijominu ibeft quib» Ijomincs^nampartiminfyocloco abuerbiunj elt
neqj indinatur cafus fine.St cum partim fyominu bici poteft lbeft
cunVquifcuiba fyomimbus et quafi cum quabam parte fyominu.Seb l?oc tame
cft fple bibiuskum in oratione iterum fuerit abbitum vt eft
illub.M, T.in epiftolis.nam qui iftinc veniut pirtim te fuperbum effe
bicunt/quob nicfyl refpo teas/partim cotumehcfuyqj malerefponbeas. 8t qui ciuitatibus perfunt
partim nobiles funt/par^ tim populares.quob elt aliqui nobilesfunt
aliqui populares]> ^TxJiiii. Decimus quifc|; (f Xb
ett optimum eognitu/ g» becimufquifcj} eft vnus ex numero benario . ficut
millefimufquifqs elt vnus ex numero millenario.fyinc cft illub cefa
ris in commentariis eognofcit no becimuquec| ee reliquu militem fine
vulncre.quo exeplo vti per= pulcljru eft vt vix becimufquifc$ remafit fme
vul neremtaliconfjictuf ifxl v. Quotu fquifqj ;
Q.uorufcquifqf I;omo eft ibelt quot fyomines. Quotufquifcg rrnleB ibeft
quot milites; /Txlvi.PercJ cu positivo Per§ vna bictio
bumtaxat puleljerrime pottiuis abiucutur nominib^ vt percj> boctus
pr/ilofopfyus \t p per $ bonus amicuS/
^Jxlvii^lias geminatu locom tcnet mobo abuerbii» Cuibillub. nunquiblepibiffime
vfurpamus/vt i oratione eabem iterum alias vfurpatum /locu ops
tmeat mobo abuerbii.Quale pffet fi quis Dicat oes l^omines eobem ferme
nati fut ingenio alias qui bem ribet/alias vero lacrimatur. omes item
riues alias boni alias mali.nuq» eifbe fut monbuaf
{fxlviiulnire caftra. M. Tfaitrjonius iuit i caftra multifariam
bicitur.' M.Tfatfyonius caftra petiuit in caftra profecrus thik ab
caftra cotulit . fe in caftra recepitife ao ca« ftra perbuxit»
4jxftx7Vim'nti annos natus. Hic fyabet viginti annos. quob veteru
cofuetubine bicitur cotra pebagogam opinionem/aliiftg rationibus
bicitur.J;ic vixefimu anu attigit.agit /bec^it vicefimu anu etatis.
vigiti anos natus eft.3? ^oc
poftremu magis oratori couemtf {Q
£loquetia laborare CICERONE laborat eloquentia. CICERONE (si veda) in
eloquentia tera pus cofumit. tempus in eloquentia coterit. in eloquentia
operam pomt. ba^eloquentie operam. etate in eloquentia cdiumit. In ftubiu
incubit eloquetie. £t> alia oe&uc pro tuo iuUciof
{TIi«Habeo/teneo I?anc rem memoria. Habeo ^anc rem memoria non
minus vfit ate bici tur ' q> fyabeofiue teneo Ijancrem
memorie.teneo ^ac re memoria /f;uius rei memoria fyabeo;
fljii . Voluptatis me capit obliuio. Obliuiff or voluptatis vel
cuiufcun^ alterius rei» vcluptatis me capit oMiuio.St ibem verbu cu
ceteris iunctu nommibus fignificat biuerfa/cofimis h orbine vt capit me
facietas ciuitatis ibeft capit tne Jjoim obiu vel tebium;
dJui. Contineo me ruri/vel in vybe^ VIRGILIO (si veda) incolit
ciuitate l)cc perpulct)re bicitutcum teneo/ vel etiam cum cotineo verbo«vt
virgjtuxtfc continet. Virgi.tenet fefe
in vrbe; 41 liiii. Prefer et pre venufte oftentaf aliquam rcm aliam
anfeceifere. Si quis velit
offefare aliqua rem alia antecellere/ «t vltra illa valerc i venufte ib
bicitur / vei per actufatim prepofita preter / vel cu pre ablatiuo prc=
polita. Vt cefar preter ceteros rebus bellicis polje bat» vel pre cetcns
pollebat; IjIvXelius efacili igenig vcl facilff mis moribus
natus. Lejios ftabs faciles mmsj ; vd f acilcm naf uram/
I ornatius bicitur Jelius eftleui ingenio natus ( vel
faciiimusnatusmoribus . Scipio natus eftt rifti ingenio. Stbereliquiscofimiiitcr;
iTIvi. Valeo/polleo cu ablatiuis. Valeo et polleo verba et fplenbiba
fut.' et latiffime patcnti x ablatiuo iuguntur.fyoc pacto, ;
7>vureliu& auguftinus plurimuingenio valuit. ijypocrateai
ingenii bonitate poUebat.Mitnbates memoria cb ruit vel poUuit.M.cato in
ciuitate plurimu aucto ntate pollebat; (jlvii.Clareofpolfum.
Clareo et poffum verba eabe ferme r atione fe gabent. cHgo apub bominum cefarem
multum (iue poffum fiue clareotomate et IplenbiOe bicitur^ apub bominum
ceferem plurimum mea ciaret auctoritas.fyortenfius rhultum poteftin senatu
ornatius multum fyortenfii in fenatu poteit aurtori tas .que potj{fimu
jGgmficat eam opimonem que eftapub ijomines be alicuius viri preftantia .
que vulgo et trita cofuetubine reputatio nuncupatur* Sum batiuo
iunctfi tyabere SIGNIFICAT et quobamo poffibere; Geterum ib
perbelium eft.Sft rnidji apub te fibea ibeft tu abfyibes micfyi fibem.
quob eft accuratius abuertenbum.nam plerumtj foiet fum es e
verbil batiuo iuctu/u SIGNIFICARErjabere.' et quobammobo pollibere.
Vt e micfyi pecun/aiett cefari rnagna po teltas liue pietas^ilJub
befignatme pecuniam i^a= bere.fyoc rjabere cefare magna poteftate. Cuius
cq. Ititutiois crebra apub prifcos et bilertos viros ct«
leruatio cit. Recorbor fyanc rera.fyec res micbi in mentem
venit. Ejo recorbor r;ac rem potius § l)uius rei bicitur. Jst ibem
bicitur ljuius rei me fubit recorbatio.fyec res micr;i ln mentem venit
lbeft micr;i occurrit i vel mict)i fuccurrit/quobpoltteinum minus
vfi= tatebicitur? {T Ix.Prefto antecelio aliquabo cu accu?
fatiuo aliquanbo cum ablatiuo.' Prefto et anf ecelloCque venuftefonant
verba>li= quabo batiuo aliquabo acculatiuo perpulcfyre iun
guntur cum acceflione ablatiuoru eius rei cuius e preftatia. Vt ego
prefto tibi ingenii acumine.flo. preceilit petru acumine ingenii.equus
preltat afi= no velocitate curfus? flhi. De frequetatiuis
verbis loco primitiuorum/ £>cpe numero f requetatiua verba que
appellaf ur pnijuuuorw verboru a quibus traxerunt origine" SIGNIFICATIONE
retinet.prefertim fi prima illa afpe*riora f uerit. vt coiecto pro conutio.mafo
pro maaeo.imperito proimpero . amplexor proamplector. ct alia itcm pcnc
inumcrabilia fi quabo etia verbi arpcritas vlla cotingat,'quob erubitorum
iu bicio nunc berelinquimus? De et bis mutant» Dc jttepofitio
verbis abiccta pcrfepe cofraria mu<= tat fignificationem vt prccor ct
beprecor cotrana lut^ortor ct befyortor, Nonuno) lbcm bie eff icit
vt fuabeo biffuabeo Quauis in iifoem vtfbto nonu^ auget perpotius cj vim
coinutetj flixiii . Gx ct be aplificatSx ct 6e vejjementer
ampiiticat, Vt exoro .' quob ab ex ct oro bebuctu fignif uat ipetro ?
Tere.in a% gnatavtbetoro/vixc|ibexaro . iQxiiii.Suaoco
perfuabeotfacio perficio, Sic et fuabco fignificat oratoris off icium
quob I benebico,atc* perfuabco bencbixiffc fignif icat quii cft
oratoris f inis,ibeft impeteo atc$ obtineo, vnbe et crebro non folum
fuabeo/ feb etiam perfuabeo£ beb i acio etperficio explorata funt;
{fixv.De abuerfatiua bictionePfurimuetiam fermonem ac oratione exornat
ab uerfatiua bictio quag? ibicatiuo iucta, duob vbicj CICERONE
feruauit aliiqs fcocfiffimi* feb I; uwe cx cmplum fit.Qua§ tc ante I;ac
tiJigeba.' nuc tame cbfmgnkrem vir^ufem veI;emiterabmiror. J\)a tha
funt que quobam fibi orbine luicem iugutur. quoru prius ac leuius e
biligere i pcftremum ab^ mkotlqixob ve!?en.es^ac precipuuiet eoru
mebiu ofcleruo quoi> cft vencror /et colo . cx quo obfer uanfiam et
reuerentiam fignificat.Seb itcrum ali u5 exemplu quancp miclji fint omniu
amicoru io cunbe iittreitue tame iocubiflime fuerut.Seb ct pro Umen
polt §uis raro collocamus. Vt qu*n§ micfji anfe ^ac carus eras,'feb ct
nuc pi ofecto a riffimus^es; {jJxvuHonfolum y febetia*
verurnetia/ verumquoq?» 7Kb fjec jll* buo orationem pcruenufta
rebbut fibi inuiccm correfponfcentia.quoi n alteru eft non fo
lum/Cucnon mobo /fiue nontantu l alteru efebetiam/ vel veruetia/vel loco etia
pofito quoqj/ et aliquibusintenectis.quoru ommu exempla fub= necta*
fyec miciji res n^n folum grafa eft kb etiam iocubatMtAntonjus non rrtobo
ciceronis crat ini micus/vcruetiam Ijoftis patne*M Catoncn
folu ingenio pollebatifeb etiam vurtute florcbat pluri mu ftlexanber
no foium reliqua vrbem iubegiti is veruquo? ipf u romanii iperiu
cogitabat attigere. Tametcji. £t fic etiam tam et $ fibi correfponbe-f .
vt tam cara micfy patria efMcj tibi iocuba vita ( ieb facile ttt te
boc mteUijes r (Jlxviii.cgoipfe pro erjomet? Pro eoautem <$
ceteri exprimere cofueuere pros nominibu» abbentes vclteveimet
fyllabicasaoicctiones. CICERONE potius lbem eiiicitljoc pionomine
ipfe/ipfa/ipfum; quob illarum fcre abiectionu locu optinet. Vt egoipfe magis
q> egomet.tf Ieipfe 1 nosipfiivt nucp lecus fenSbo U, {Jlxix.De
mccum et mc cumf K\i* <ft abiectio puldjra. Vt m?cum ipfe
cogitafc fem.etfyoc vt mecum fit vna bictio. Item me cum
ipfeviccre.quombuefuntbictunes. Vt familiarinte couerlatione et (imiiw
ornateexprimemns; Seb fi tibibicebu «rt tu micfy familians
es.'orna tius oicit ego te vtor f aiiianter,Tu rnify amicus es .ego
te amico vtor. Tu micty es magifter iorna tius ego te vtor magiltro, 830
tecu f requeter ver for.frequeT mify tecu e cofuetubo.que fepe
couer= fatione SIGNIFICAT Tecu magna amicitia ljabeo . magnamicfy tecu est
amicitia, 8t ita aiia per murta.Vtfit inicfyi cu oib malis viris iimicitie.na
recti= us bixcrimus iimicitic pluraii numero/cp ficjfari.
(Jjxxi .£3id)iJ cii cdparatiuis. Seb neutra vox nid;il ac
potiffimii in comparati = uis nominibus tu femim rebbit oratione.tu
ma= lcuiina. Vt nici;il cft J>oc fyomie melius/f ere ibi | vt
nulius jtjomo eit l;oc fyomine melior. Kityii l;ac virgine eft formofius
.' quaft nulla virgo fyec virgi ne e formoficr,£t i ceteris aliquabo
confimiliter; iflxxii, Munus pro officio/et coumiliter partes;
Munus pro officio ornatiffime bicitur, V t l?oc e nmici munua ibdtamici
officiu,Funa;or boni viri munere^ferme ibi cft facio boni vin
offjciu.Seb et partes plurali numero confimilem l;abet SIGNIFICATIONEM,
vt mee partes lut lbeft officiu me vel perf inet ib rae;
(flxxiii»Caueo cum ablatiuo fignificaf pro uibeo»cu accusativo
vito ac f ugio. Caueo verbff etfi fepe fignifccat prouibeo. vt tu
eft lege perornate accuiatiuo iuctu pro vitol fugio vfurpant eloquentes
viri, vt turpis viri/ m genui cauent mores/ "% Memini cu
accufatiuo/ fttqui et memini rectius ac vfitatius iugitur accu
fatiuo § gcuitiuo vt inenani plaiocis fapiectiant» Virffi.inbuc. Stnumerosmemi
fimeteverbainer«m . nec miru f. in iis que funt potius folute orationis.
Vir.ma.ois aff eram teftimonium que" non folum poetam egregie
erubitum* ieb et rfceto hce artis vbic| obferuat.ffimu f mffe
conftat. Penitet ibeft parum vioetur. Penitet me qmcquib f igmf
icet notif umu" «f t l feb et paru vibetur vfarpat auctores et t
reftates boc= trina vin» t ^,, .. Vaco cum batiuo/attenbo cu
ablatiuo vacuumeffe.( Scb ibem perfepe verbum vanis
coftructiombus cofitum/baub eabem retinet SIGNIFICATIONIS vrau Vaco
buic rei.'eft attenbo l?uic tei.vaco r,ac re.'eft W re fum vacuus I et
ornatilfimu eft, vt bom vin 4nt opera vt perturbatiombus vaceut ibeft
Iiberi et vacui fintr. Deaiabuerto etaiabuerfio.
flmiabuerto ibeft fore vibeo/et quobamobo mtelIicto Ht aiabuerto
coftructu cu acculatiuo m presofita/ibemfibi vult <$ punio.Vt pleutippus
ai= abuertit in feruum platonis lbeft pumt platoms (cruum.cix quo
aiabuerfio pumtione quabam no nuq> llii: p c x<i fa Q c ^ oa
tiuo et accufatie n cm
mebiante ab. 7Ktc$ iterfi ref ero tibi l)ac rem ibfft
narro tibi fyac rem.feb refero ab fenatum/ refero ab popula Jtjac
rem ibeft pono f?anc rcm confultationem populi vel fenatus.Qui vfus verbi
eius apub fyyftoriaru fcriptores frequctiffime eft. Dare litteras
tibi/vel ab te. Quib varii quoq? cafus /eibem verbo fepe coniun=
tii/nom magnam aclonge biuerfam vim f>abeV Quale eft bo bibaculo ab
cefarem litteras . Nam bantur bibaculo beferenti / vt cefari rebbatab
que mittuntur littere.Sas igitur leQtt CeIar.Bibaca= fus quibem
velut tat Ilarius befert. Na qui fert Iras/confueuit tabellarius
appellari.Verum ne quib buius nunc ignores bare lras fignifkat
fcri= feerefeu mittere Jitteras/ <X Jx*x.
Vuas/binas/trinas/Iras/pro vna buabus t tribus ve epiftolis bicim
us/ Nec tef ugiat q> pro epiftola bicimus litteras plus rali
numero.Necobftatpoetarum cofuetubo £t pro vna epiftola bidmus vnas
litteras.Na ib no= me vnus.a.u -cu iis que pluralit' folu
Iflectuntnr plurale" quo<# retiet natura* Vt vne nuptie vne
bi geivaa menia .8tCvtabpropofitu rebea)pro bua bf epiltolis
bicitnus ite binas littcras ino aut buas pro tribus cpiftolis ternas i
non autem trcs. pro quatuor quaternas. £t que beinceps funt rehqua
cofimili ratione proferentur; (JJxkk i . inf mitiua oratio pro conc
iunctiua peruenufte ponitur. Inf initiua oratio pro
coiunctiua pergjpulcfyra eft, V t volo te ab me Icribere.cupio te
atfyeuas proh cilci . £t ib teretianu quib facere te in fyac re
velim ficmif icat eni quib velim quob tu in f;ac re
facias. velim ciues omes vnanimes efle ibclt q> vnanimes
fint et cocorbes.Seb fjoc tibi fit cocinnius vt nullum fit ambigui
iermonis bifcrimen, neq? eni omnino rcctum iit/fi quis oicatvoio te me amare «
g> uis pleruqi lb fuppofitionis lccum r;abcat l quob 1
i lmtiuum veibu mimebiatius precellent. vt puto pyrrfyu
romanos vmcere poffe ibilt crebo cp roma ni poffot vincere pyrrfjum,
kb ib pro viribus ca= ueat orator.St quob mobo prcceptum eratbe coniuctiua
atcg mf initiua oratione precipue in abfola tis verbis<vel vbi
alteri calui i uerit abiecta propositio feruanbum fit. vt vofo te amari a
ine; {£ l.\xxn.£x vel £ pro a vel ab. Ex vel e propofitiones
pro a vei ab/et fepe et pers ©rnate ponutur. vt aubiui ex maionbj nris
pro i maiqnb$ nris.accepi ex patre tuo vel e patre tuo Cluero ex te
et a te.'quob eft te confulo/et te intsr rogo. Quob abuerteiet vlui
trabe. De pro/Ioco in et fecunbujm Pro ornate ponitur loco in et fecunbii
. Vt pro ro ftris .ibeft in roftris.pro tribunali ibelt in
tribuna h. et alia . pro viribus tuis ib eft fecunbum tuas
vires.pro tui ingenii bonitate.pro virili tua. et similia/ Sub ia
compofitione aut dam/aut biminute fignificat/ Sub copofita aut clam
aut biminute fignif icat vt fubrnouit me permeno ibeftdam et
occulte.fubi^ rafcor tibi quob eft pauiulum irafcor. Mor emgererc
complacere obfequi SIGNIFICAT. Moremgerere perornatum verbum
complacere fignificat/atqj obfequi vnbe moriger a.um. quob a morofo
quob bif Lcilem fignificat i et a mojrato quob inftitutu fignificat
plurimu biff ert? Confequor pro exprimoj Confequor pro exprimo
pulcfyemmum eft.Non poflu ego verbia cofequi ibeft exprimere .
Iitferis cofequi ibeft per lras explicare. Metuo timeo multis cafibu3
coniunguntur. "V* Metuoettimeo verba aliquanbo tnultis cafibus
ab.unguntur, Metuit CICERONE a.p.dobio fibi extre mu
periculum,Tim«omicl?iabfternortem Ncn nun$ abfolute ponutur folo batiuo
liicta . vt me= tui papl?iIo- papfyili vite timeo, kb fyc eft poUus
poeticus^fus/ {]Txxxviii.8uabo pro fio/et efficior.
Suabo pro fio et ef i icior ornatum vfitatumcp eft, Vt dcero euafit
eloqu€tiffimus.ftriftoteles euafit fumus pf;ilofopr;uB, cefar vero euafit
inciitua imperator.St bz ahis quogj fimiliterf. Fore futurum cffe.
Fore f utura femper l?abet fignificationem . et eft ibem <$ futurum
ee.M.G. be eratore tertiolibro loquensbe fyortenfio, Que quibem eortfioo
omis bus iftia laubibusi quas tuaorationecomplexup es excelletiore
fore. 8tcraffusforebicisinquit/ ego vero effe iam mbico; {£xc
Quib Iter bimibiu z bimibiatu itereft Quib inter bimibium et inter
bimibiatum inter fit nofce perutile e.Cum enim bimibiatu fit quafi
in partes buas biuifumi nifiaiiquibbiuiuim fit/ bimibiatum non
poteftbici.&imibiu veroappella tur no q> ipfu biuifu fit/feb q ex
bimibiato pars al tera eft .Hd jgitur recte bixerit quis pco fetentta/
VARRONE Cvtait.ft.gelius I noc.ae)bimibiulJ fcrum Iegi.bioiibiam fabulam
aubiui. feb bimibia tu libru i bimibiata fabula recte quis bixerit.
quia &imi:<iatumCex caufa)bigitum appellamus. feb al
terufram parte bimibiu.Quob eft accurate bilige^ tercg afpicietibum. Interfum
et prefum quib bifferut; Plurimii aute cobucit vcbis itelligcre que fut
no= minu bif feretie/ac verborum bilcrimma 8a quoq res miru imobu
oratione exornabat. Vt fi quis nouent quib bifferut prefum/et ir terfum
interfe verba.'puJcfjerrime bicet.M.C.publicis negociis «on interf
uit folum .'fcb pref uit . quoru illub figni ficat comitem effe alicuius
rei.fjoc vero buce> ^[xcii.Confiteor profiteor gratulor gaubio
Egonon folum cofiteor/quob eft per vimifeb tti am profiteor quob qmbe eft
fpote.St apub Mar. Tulliu peifepe tibi gratulor micfyi gaubeo. gau
bemus nobis* gratulamur aliis cj> abepti funtali qua bona/;
-4jxcui*#vgo ref ero fyabeo bebeo; Bt tibi ago gratia quob quibem
eft verbis.Refero gratias quob eft re et factis. Habeo gratiam quob
efti animo. Debeo gratia'vbialiqua obligationis vis ceroitur.Etite alias
opiniones Jjis fimries? -rf {Jxciiii«Hec res mi\)i cobucit.bono tc
i;ac re. Optimu cft non ignorare nominu bii i erentias vt ct
vberior et ornatiot nra rebbatur oratio. l?cc res micfji conbucit* elt
lbcrn q> mic^i rcs fyec vtiiis eft St quob ceten pleruqj bicunt/ bono
tibi f>ac temi pulcfyrius bicitur ac Iplebibius bono tc I>ac re*
Vt miles nauali corona bonatus e!t«Sabinos romani
ciuitatebomuerut/quobeftciuesfecerunt quob ite bicut labinos romani I
ciuitate acceperuntf {£xcv* Prepofitio que iolet abiungi nomini
pulcfyrius vcrboabiungiturJnterbu vcro prepofitio/que nominj ac cafui
pre== ponitur l pulc^rius venuftiuicg vcrbu preceltent in quibufba
verbis. Ooiale cTt Ii quis bicat co ab Ul vt bicat potius abeo te.
etloquor ab te/ potius afioquqr te.Cebit bc vita.'becebit vita. ccbit ex
Iju manisrebus' excebit rebus fyumanis£t in aliis quibulbi
cofimihter. Minus abuerbium. Minus abuerbium quaq» fepc iiapii icat
nonnu^ tame cu pofitiuo iunctu cotrane SIGNIFICATIONIS comparatiuu bemostrat.
Vt Teretianu lllub p^ebria^ nemo fuitirinus incptus'pto prubentior.
etne^ aio elt tc minus formoius lbeft beformior 4 et fic be alus
coitmilibus; 2 o ^JxcviuQoiib inter becem annos et becem annis
intereft Quotiens multos aut bies autannos bicimus
per accufatiuuiitelligimusiuge teporis curriculu efife £ere cotinuu Seb
per ablatiuu SIGNIFICATVR annoru fiuebieruiteriectio intermifiioi. Quare(
vt ait marcellus^optates rectms acculatio vtibebent fiquibem ab
fecuba fortuna attineat, In fereft jgitur ita li quis bixmtJbece anos i re
militari verfa tus (uia ltaibece annis bebi opera rebus bdlicis ;
4jxcviii»Corbi eft, Corbi l?cmo etia flexibiliteir corbi l;ominu(vt
pri fcianus Iquit, Dgificat iocubus fci.bo ficut et fru= gi.Seb
iatiusUnca fetetia; Marcellus dpinatus e. Dicit eni corbi eft ibeft animo
febet* Nam fyec res mid^i corbi eft ibeft placet* Teren.in abria ^n
ti bi l?e nuptie fut corbi CICERONE be perfecto oratore flumealiis
verboru voiubihtas corbi eft . £t LUCILIO probe beclarat cu iquit.St quob tibi ma
gnopere corbi eft* y micl?i vefyemeter bifplicet^ {[xcix.De
Tatifpei:. Tantifper qucb quafi eft tambiu Qrnaf e poft
febepofcitbum» quobfermeeftfconec Vtillub Terentianum in ^eauto.Tantiiper
meum bici te yolo.'bum qucbtebignumefaqias. i 8gotantiIper
magna voluptate afficior/ bu apub te viuo? {jC.quib Iter Delecto et
oblecto itercft. Tu micl?i earus es.ego te amo.tu mil?i iocunbus
es.ego te bclecto.feb belecto ct oblecto non fimilis ter ffruuntur» Nam
bicimus belect.it me rjec res. feb oblecto me ac re. belectabat Socrate
vite intes gritas. Pitfyicus fefe virtute et loctnna obiecta=
baUego me oblecio ruri/ JGuFero banc re facuVmobefte moberate/equo
animo Fero fyacre pacietor feu patienti animo/fplebibiusr bicitur
.'ego f>ac ref acilepafior .et mobefte fero/z moberate/ct equo
almo.Ecotra SIGNIFICANTIA abuer bia grauiter/acerbe/egre/molefte/et
iiquoaimo. Ijec micfyi iocuba rcs e.fyec res placet micl;i,et que
molefta eft/bifplicet; <£C.ii.be Affero.et bolef micfjiffero
comunilTimu verbu ilet quo mulfis locig vti poffumus.Secuba fortuna
affert micf» vofup tate ibcft mc bclectat. Tsbuerfa f ortuna af f ert
mi= cf;i bolore ibeft bolet mitfyu Nabicimus z fyec res milji bolet
ibeft boleo fyac re.feb rebeo vnbe bigref fus fu. liftere tue afferut
micip abmiraeione lbeff eftitiut vt abmirer. affcrsteftioniu ibeft
teftifica= ris z ita bifperfa e z vaga fjuius verbi fignif icatio/Ciiibe
perinbe cu afcg vel ac poftpofitaPennbe omatiffime poftuiat poit fe ac / vel
atqj ct totu fimul perinbeae vei atqp fyabet eabem vnn quam vt
tanquam, vt CamiJlus perinbeatcp oim fapietiffimus.et cfjerea perinbeac foret
eunuci^us et be l?ac re fatis r;ec bicta fint fyactenusf
{7Ciiii.be Coco» Coeo nonlolum abfofutum cft/ feb nonnuqj
per= uenufte cafu fyabet accufatiuu . Coeo focietate tecu Et ijinc
cft lilub» 7K* gelii in noc aube pitagora/ beqf cius conforte ♦
quobouifcg familie pecunieq? Ijabebat / in mebium babant i et coibatur
focietas infepatabilts, Sebeobem cicero pacto aiiquanbo eft eo
verbo vfust. De Mille fyoim in finguiari numero NiHe fyominum fingulari
numcro SIGNIFICAT mifc le fyomines.mille militu interiit fyoc eft mille
milites interierunt» mille militu vulneratum eft ib cft millc vuinerati
funt milites.ibcg ornatu/vfita= tumqj eft}L_-Primis» Primas SIGNIFICAT
etia ordinem quob nome sequitur secundus et tertius .et beinceps alia eiufbem
or binis nomma.tame multociens fignificat pricipa le . vt fyic eft
noftre ciuitatis vnus omniu primus li t per
fe fignif icat optimu.,feb ib poftrenjij in caro e vfuora torum. De
interbicoInterbico fibi I?ac re; et non fjanc rem»vt int«-bi= co tibi
aqua et igni*plinius fecunbus in epiftolis caret rcge iure'quibus aqua et
igni iterbictu eft/ {1 GviihCXue noia ornate fincopanturHunc vero
ab reliqua neq; eni iuitus omiferim q que nomina ab numeru fpectat in
eoru plurahbs genitiuis lincopa efficiunt«ibqj cum vfitatum eft/
tum ab exornabam pertinet oronem»vt mille numum potius <$ mille numoru*mille
benariu mille aureum*et totmilia argentu . et ita be reliquia et in
ijenitruis omnium nom mu fecunbe beclmatj on>s frequenter eff iciunt IjGixyCitra
cgtenariu ef poft vigemriugi minor numerus maiorem eleganter
precebit/mebiante coniunctionef Ssb prokm fcribentes /et foluta orone in
nomini fcus lolu numeru et mefura [ignificanhbus l atqj in numeroru
nominibus eam plerunq; feruarnus cofuetubinem et citra cetenarrum
numeru ii qua bo poft vigenariu
buo numeri comemoranbi fut/ vt eoru minor precebat et maior fequatur vt
i)ic e vnu et virjinti annos natus»buos et tricjit^ anos iz
viximus. tres et quabraginta anos nauigaui . qua tuor et quiquagmta
annoru confurrfi etatem, ieb vltra ccntenariu/et citra vigenarium tritu
ac vul garem Jeruamus morem et SERMONEM. 4jGuob aute ficut buo be
viginti nonnuqj» bicimus/ et buo be triginta.'ita et buobeuigefimo >
et buobetrigefi= n;o nunif citu eit, feb no quibem eft in frequenti
oratorum vlu/ Inbies et inoiem . Quib inbiss i none pulcfyerrimus
fermo eV ac fig nificat per lingulos bies/et quotibie i feb cu quo=
bam incremento, vt tua inbies accrefcit virtus.in= bies fyomines fapiunt.ftultorum
fjominum mbies accrelcit mfamiatfeb Qum bicitur inbiem eft termi
nus beputatus/ {Mpxi . Vt in ve* bis actione aut PASSIONE SIGNIFICAT
ib^ vanetati ftubenbum. In vet bis tam actior.em q> PASSIONE
figmficatibus confiberare bcbemus varias vocum lnflectioncs / atcjj
exitus . et mcbo fyns mo illis vti pro auriu iu bicio.vt fuere pro
fuerut.amaruntproamauerut vibere pro viberiit.norim pro
nouenm.triupfya= rantpro triupfyauerant.et be aliis quocj! eobemo,
3eb ne quib fiat cotra gramatice artis preceptioes fyac via prpwbcnbum
eit; .oe Cluin. auin particula quomo increpet/ vel exortetur i
quom5 item confirmet et quomobo interroget iib fatis exploratum eft . feb
nos ea pulcfarrirne vtimur.'cum bi cimus.'nonpoffu quin gcftia.no pof fum
quin boleam.no poffum quin abmirer. figni f icat enim f ere me non pofle
continere* g> non &> leam,et ita be cetens confimiliter.
rftxiii.be Locus eft vel Multum aut nicljil loci eft ljuic rei
. Quib inWnone preelarum eft vfu.locus eft l?uic rei.multum loci
eft gaubio. plurimu loci eft trifc quillitati.et terencianus bauus.nicfyl
loci e fegni cie.'fignificant eni fyec omniai vel oportere nos le
tari/vel tranfqutflos effe* vel voluptatibus afficii vel oo negligetes ac
fegnes ee« et fic in i aliis fyuiulmobi<JOdiu.be Magnopere et fimmbus.
NonnucJ verobuo nominaCfiue prepofitione ab= bita/fiue non>nius
abuerbii vim retinet.vt mag nopere pro valbe. maximopere pro
plurimu.miorem lmobupromaximcmiruinmobu promi rabiliter.etjtem mirabu
inmobum. ^Jpxv .be In primis et fimilibus. Seb ablatiui cafus
/ fme cum comercio prepofitio nis fiue (tne eo vim Ijabent abuerbii vt in primis fignificat zm precipue ac
prefertim.et ib^vi gr cci bicut)ibuerbiu ipfum(fi lta appellabu eft)
perornate nomimbufiugitur.vf in primis fapiens.ipri «ijs erubitus.Seb nc
a propolito bifgrebiar^pau<is mterbu pro paucu/multis pro multumt Veru
J^ccaliojoco pportunius illoijCxvLbe ©ent cu noie magiffratus fiuc iperii
Ilic etiam rnobus optimus eft+vt li quis bicturus dt qucmpia homine
aliqucm ^abcrc magiftratunj vcJ i?qnore/feu ipcriu vt ex noie l;onoris
eiufmoi et gero geris verbo pulcljerrima coftituat ordne. ^oc
pactoi^ic eft rome cSfuLrome cofulem gerit. ita cofimiliter imperatorem
gerif . principem gewt.pKetorem gerit et alia cofimiliter ab ijofcc eni
viros remm cura et abminiftratio pertinet. Cxviitbz intcrlcg«nbumyet
fimilibus. Vfitata et perpulcijra eft fermois oratio/vt geru^
bioruaccufatiuis prcpofita lterfignificct tempus imperfectuinbicatiui vcl
fubiunctiui mobi vel al terius ct bu particulam vt interabuianbu
^oftes offenbi.'J?oc eltbum ambulaKcm interlcgcnbum vibebas t ibeft
bu legeres . £t fic pro varictate per [onarum ita cxponenbum cft vti mobo
explicaui mus.fcSicferuius in buc. vir. Interagenbum ib rft bum
agis.l;onefta locutip fi bicamus intercenabu \)oc fum locutus ib eft bum cenare
Ijoc locutus fu. 4jCxviii.De in pro erga vef cotra. In pro erga ct
c5tra pulcfyerrima e accufatio pree pofita. Vt meusinte animus.mea mte
beniuol.n tia.vbicj enim fignificat erga . luucnalis muefyt in
bomicianum. CICERONE ljabuit orationcm in CATILINA ibi eni contra SIGNIFICAT. Deappnme.?7ypprime
pro valbe recte apponitur noibus.que? abmobum be imprimis fupenus bictum
eft.vt VIRGILIO .apprime nobiha res.appnme vtilis.St ita
beaiusfimilibus. 4j_QiKf Vt res apte coi ungitur abiectiuis
polielliuis. Rec nomen latum / bif i ufumc| eft. feb eo pulcijer
rimcvtimur cum abiectiuis poffefliuis nomini' biis/ et prefertim
J?uiufmobi. vt cu bicitur res bel Iica, res bomeftica.refpublica. res
familiaris. re« nwlitaris.Et be fimilibus paritct. De preftolor. Vt
aliq veluti fignanba mftituam preftolor vei" bum plerumcj poete
accufatiuo iungunt. CICERONE connectit batiuo. Vt quem preftolariB.'*
preftoior iol?anni^. J^vffentior,tio . Impartior .tio
. 2V Multa funt verba quibus per eaoem SIGNIFICANTIA et pafliua
vtimur voce et actiua,et(vt omittam p e nc innumerabilia; ciceio
frequeter m r;is buobus mobo actiua mobo paffiua voccm vFurpat.
s£,enti or et affentioi vbicg eabem coftructicnis forma. et
impartior /et Ipartio.in ceteria autem ifc fii mult© unus. Vfu venif.
Vfu venit ornatiff ime pro contingit ponitur. VSVRPATIO ET VSVRPARE. VSVRPATIO ET
VSVRPARE VSVRPATIO ET VSVRPARE non lta intelligi bebentifis cut
mrifcofuJti vtunfur. fe6 VSVRPATIONEM orato?
rcs frequetem usum nominat/ et VSVRPARE in frequenti usu fyabere. Deficit cum
accufatiuo. Hec res me befirit ib eft beeft micr;i Ijec res» vi bc=
f icit me bies. vita cpprimum mortales beficit f ep beficio bac re magis
poetarum eft. Omnis pro omnes. Nunc aute ne ea que perutilia funty
i ornatiffima omittamus. intellicjenbu eft quoque nominatertie
bcclinationiB ta nominatiuu q> genitivu singulare fyabet fimiies i prefertim
Ji gewtiuus pluralis in ium esiuerit ecru frequtter accufatiuus
pluralis in is terminari folet raro in es . vt grnnis pro
oes mortalis promortaks.manispromancs, fimifc terCvt ipe quog?
teftatur priftianus Ji es et is ternu nantiareperiuntur. vt f ortis et i
ortes partiset partes pontis et pontes. io rebquis rarius ib fit que
est poetaru veniaf. De pofrnbie. CXucbam abucrbia funt que epiftolis
maxime con ctruut.ficut propebiem/ cjprimu/cito/cofeftim/ et
poftribie. quob multi ignari htttram / et grammatice artis expartes exponut
poft tres bies . ieb tuCnc eobcm bucaris errore)crebe poftribie
fignis fkare poftero bie/eteopacto. M.C.accepitto alii crubitiffimi
virij. Primu /beinbe / prctcr a£ ab /1)oc /poftrcmum fttfi quis
multa referre velit.'pro prima rt ponai erimu vcl primowtiuuj eni in vfu
eft, profecute oeinbe velfecunbo loco.protcrtia/ preterea. vel pro
tcrtio loco.pro quarto Cquob perraro accibit) ab hoc vr prcterea vcl
quarto loco.in calceipoltre mo/ vd poftrcmu/ vel bemum.at igitur
l?uiurce= mobi exemplu. tria fut que magna micin af i erut
voluctate.primuenicf optimuamicu nartuslu beibe aute cj> finguiare tua
crga mefepe tefohcans beiuoletia poftremu vero /q> tc icolume
mteliexir. be orbine fyaru coniu n= ctionumeni autem/vero» &ua
in re ib quocg abuertenou eft/g> fres inueni= nras coiuctiones recto
atcp vfiiato orbine.que funt eni/aute/et vero. feb tuipfe tyec oia ac
multo plu= ra raule cogncueris.^fi CICERONE Lriptai et in primis eius
epiftolas lect»tabis. Mcmorie pro s ifum eft. Memone prohtu ficmat fcnptu
eft. multa enita= lia ornatiffime vfurpantur vanis cu fignificatus,
vt memorie trabere.mabare fcriptis.mabare litteraru monumetis.quoru fermc
omniueabe vis eft feb manbare memorie aliub fibi vibetur velle. Falht me
bcc rcs. Fallo verbu tritu eft apub CICERONE f aliit mc r;ec rcs
bicimus.fallit te fpes.quob e fruftratur et beci p it. Miflu f acerc
. Miffu facere ib e bimitterc venuftu et ornatu eft, nam miffam
Ijanc rem f acio fignif icat bimitto xl= lam rem. Hc quibem» $bf;uc
et in eabem oratione buc f;ee particule/ne et quibem/pulcfyerrjme futifi
quis f uerit ilhs rec te vfus. nam cum ponuntur femper aut aliquib
bictum cit( aut mentc ib concipitur vt
ne aubmi cT quibem.fignificat euira Q exempli caufa) non
folu non vibi feb neqj ctiam aubiui . Item aliub exemplum pfylofopijie ftubia bemocritus n5 mobo n5 intermittit
;Ieb ne remittit quibem.reaiittere na<| pfyiam cft remiffius
pfyilofopfyari? .be orbine pluriu fine coiunctioc Scb ea quoq?
abljibeba biligetia elt q> li quabo plura ponimus preferti finecopulatioeCqui
articuius eft et fi ibi vibeatur fignificare quob vefyemetius
fonat magis coilocetur i calce.vttua virtus lauba ba probaba
e.na probaba eft rnagis q> fit ai mbicio Magitratus
biligere/amare/colere oebemus. pro bau3mios virosomnesf; omines
verentur./ obseruat abmiratur quc turpia / obfcena i tetra ; f cba
fut.'ea fugere et afpernari bebemua. virtutis offi= cju fuma
laus efr.na l?abet officiu accelfione actio nis. (JSeb i l?iis
quoq? orbo quibe fpectanbus eft q> fi tria quoru buo parte aliqua
ugnificenti tercis um lit communius^ib prof ecto plcrumoj bebet
in f ine collocariinili fe fyabuerit qucbam generis mo
bo.tunc enim ecotra fit quob nunc liquibo ac pers fpicuo
patcf accre exemp{is«ac prioris quibe excm plu cft.oms in
abipifcenba virtute cura/opera/bi- iigentiaiponenba e. eft eni cura
confilium animi, opera corporis i bihgentia vtrumqjcomplectitur. Item
inrepublica plurimum i&uftrie/laboris/ te poris ponen&u
eft,#smicos confilio I viribus opera abiuuare bebemue. Cylterius nof a
exemplafut l ion lunt per fc rcs comobe ex eten&e bjuicie/tjo
norcs/voluptates comobum eni generislocum beiinct cuius fpecies funt
multe.puta quas mobo nuirerauimus. Atg item animalia queqjV fyoines
Ieones;equi/bcnu vibetur appetere . feb vUamc| resfele fyabeat. Ii multa fint,'
quobpluriseft/ bc= bet poni m finc.iam ab alia prccebamus. Qanfquis,'
vtvt i vbiubi, Multocicns gcminatio in quibulbam tam verbis
infinitis q> abucrbiis tanti valet quati i& nome fel' ct cuncg. vt
quilquis pro quicuncg, quotquot prQ quotcug. quatufquatus pro
quantulcucj» qualif= qualis pro quaiifcuqj. vtut pro vtcuqj, vbiubi
pro vbicunq?. ct ib abucrte biligenter/ vi . ^vcccbit.
^ccebit proabbitur/§ vfitatum cfttam pulcfyer= rimum vibcri bcbet. vnbe
et acceffio abbitioncm fignat. vf ab meas miferias mictji acccbit bolor
ib eft abbitur. Conf ibo, Cofibo non ficut quiba arbitraf ur( nefcio
quo pac to)ftruit J,13 iugitur aiias catio ahas ablatio cafui
n et in fyiis potiffimu verfatur que ab animum fpertant. vt confibotua
virtute/ tuafyumanuatef tuo confilio. et lbem be aliis fyuiufmobi. Crebo
pro cornitto. Crebo quocg pro comirto ornatiffimum eft. vt crc bo
tibi confiLa mea. crebo tibi granbem pecumam et fic be aliisr/
C^rahbismaior vel minornaftu 0ranbe abiectiuu nomen pvoh vel etati
conuemt vel pecunie. pecunie exepla fupra pofuimus. leb l?ic
grabior neftorc vibetur ib § vibetur qi ncltore vincat etate et atecebat. r;ic
tit graoisnatu/ajrabife fimus natu SIGNIFICATIO geuu fjonine / atcj
atmo--bu fene.St quia be natu facta meeioi maior natu otnatifiie
ficmif lcat feniore ficut mior natu ib eft, be Parentfyefi. {J.
iuniore/ Infuper^aubi Hepiba fit interposita nonnuncp in oratione /atcpinteriecta
parentljefis . vtbebifti ab meCque mea eft fumma voluptas fuam fimas
lits teras. omnes amicos (nifi ialloOpJurimum abmi ror.fcire velim
exte (ea nacg eftamicorum cofuetubo) quib nuperin caufa.M. Tfaitoniiegeris et iti
bemum (repostulante) noftraram Jjuiufmobi oratione interpositionibus
alpergatrtus. be Incrcbuit, Hecres apub me lerebuit/et fere %nif
icat ab au res perueit^et REI NOTITIA SIGNAT. Vt nos nefcire quib
feicemus» Nefcio t)ac re.ignoro/ preferif me f ugif me. la= tet me. fyuius rei
nefcius fum.ignarus fu.jpec res fcietiam meam f ugitf. Reliquu eft^pro
reff at. Hoc refiquu e i& eft reftaf /perpulcfyre / et magno
euornatu lbem fignificaf /exemplu eft.omnia tibi ctnatura et fortuna
tribuitreliquii eff t vt bene et iaubabmter viu?S/. Vulgo ib e
vbiql Rumor e vulgo/ibeft vbiql et comunifer&icifur et
ornatus fermo eftf {J^Cxlv.^vccipere pro au&ire et
cognofcere ccipere pro au&ire et cognofcere peruenufte bititur. Vtacccpirumoribus
quor uel certus auctor acccpi ljolm fama/ que certoauctore
cotietur.acce pi nuciis it enuciatioibus.quos nutios z qui mit ti
affert.accepi litterisquas plerucj abaicis accipi mus.et I aliis
cofimilibus lodsf (ffjxlvuHike Ijofce })*keProno% articularib|
bemoftratis cofucuerut ora tores abbere ce a&jectione i iis cafib^
qui i f.bcfiuut tupljonie ca\vtl?iice fyofce tafce pro jjis fycs
feas/ mn V-' CfCxlviibe tranftatione
fyuius pi-epofitiomscum cp* PREPOSITIO que preponi fofet /
poftponitur ecum fi fi jnif icantia eabem manet . et in quibufc bam
juibem femper. que funt mecum tecu fecum nobifcum vobilcum . in quibufbam
qupqj non feper, vt qui cum/quo cumV quibus cu/ te proptet ac etiam propter
te lbem fignificant. et fic quibus cum « t cun quibus • et in iis
potiffimum ea prepofmonum tnnflatio fit que wb enumeramus. Clam
prepolitio potius cp abuerbium» Clam plerumq? prepofitio eft.et
nonnuncj abuerbium* (eboratores PREPOSITIONEM potius accipiunt ;fiue iugatur
ablatiuo vt prifcianusfetiti i;ue accufatiuo/ quobopinatur bonatus*
vtclamme prcfectus eft ib dt me nelciente/ iJjCxlix.Cora et
prepofitio et abuerbium» Coram cum accetu in prima lillaba prepofttio
eft et quib fignif lcet nemo eft qui nclciat.cum accetu vero in
vltima fillaba abuerbium pulcfyerrimum eft SIGNIFICAT vt ita
bicam)prefentialiter. quo frequentiflime viriboctivtuntur – vt apud CICERONE .cupio
tecum coram iocari ib eit prefentiali ter.etiam coram tecum loquor. De abuerbusin.
I. et. V.befinetib. Multa abuerbia in.I.exiftetia etiam I ipfis epifto
lis pulefyerrima funt.feb i;ec imprimis ruri vefpe ri/bomiybelli. Multaitem
ino fero/ Icrio/ conlulto poftremo/falfo/merito.precario. Cetera
vero in eobem exitu beunentia ljaub in frequenti funt
vfu oratoru» i n v vero non multa funt biuicuius SIGNIFICATIO
MANIFESTA EST. Ioterbiu/quob eft quafi infra mebii bid temcus.£t
noctu pto nocte.quob magis nome e. Vnbe biu noctucg bicimus;
(jXluNullus pro nom Hullus «li.um.n6nu§ pro non.prefertim fum
/es cft verbo abiuncto.vt nullus fum.ibefi interii. ref
pu.nulla eft (quau non eft lbeft extmcta eft. Ibc|
ornatiffimu f uerit. Preftofum.ib e affum vel
appareo. Preftomm SIGNIFICAT affum. et f ere appareo . et Dc
ibem abuerbiuj eiufbem verbi moois omnibus ac temponbus peruenufte
conuectitur i m eabem qua mobo pofuimus SIGNIFICANTIA vt prefto
micfyi fuit feruus tuus vrbe ingrebienti / lb eft affuit.
([Cliii.Licet micfyi bono vito efleivel bonum viriun.
Licet micfyi bonu virum effe et licet micfy bono vi ro elfe
vtrumcj latine atcj vf ltate bicitur. Seb
goftering magis oratoriu est. Pcirpetuu et Iperpetuu aouerbia?
Perpetuu et imperpetuum abuerbia pro eobe po s niitur ' et eis f requeter
vtimur. Deuindo proobligo» Deuincio verbum cum pulcfyerrimum e.tum
pre cipue eplis congruit SIGNIFICAT et beuincio oblis go / et
bevinctus obligatus / ficut et fepe obnos xius
quobnonloiumtritomore SIGNIFICAT tquoo notu eft. febetiam beuincturm. Collocare
apub aliqui beneficiu. Collocare apub alique benef irium eft alicui
benefi cium facere, vt apub gratos viros beneficium col
iocafti (IClvii.Gratificor» <5ratif icor libi fyanc rem
predare vfurpaf ur / prp gratumfacjo» ([Clviii.De
"inbulgeo et ignofco. Jnbulgeo fane verbum eft aptiffimum et
fplenbis bi ornatus. quob et batiuo iungitur t et f erme \ignificat bo
operam, at(j ita reponitur ♦ vt fyie nis mio fomno inbulget. ib eft nimis
bormit mmio d bo inbulget / lb eft nimis comeoit . be aliis con fimili
pacto. H Inbulgere quafi concebere eff verbum luxurielam quanbam Mignans
clemetia tt in&uicjentem paretem appelfamus/ leniore er=
ga Iiberos mgenio.quare z ab ignofco piurimum biffert.eft enim ignofco
parco.ibeit bo venia.fme excufatum fcbeo.ignofco tibiifiquibCexepu
cauz faJabmifens lceleris . inbulgeo vero i vt multa a= cpre impune
queas. quorum verbgrum bifcrime i>il ^entifFime conliberabum
eft/ TANTVS QVANTVS Tantus. ta.tum. et quantus eobemobo fefyas bent
in 01 atione vt raro alterum abfgaltero pona tur. vt cor.cio l?ec tanta
eftiquata ante^ac vn§ fu it.tnbuis micl?i tantu quantum necagnofco /
nec postulo tdntum in te eft bocfrine quantum 1 boc= tilfimo fo 7
et effe viro; iI_Clx T a»a qualis? Taliff et qualis alterutru
creberrime ponitur* ra ro vtrucj. vt teie iolemus fentire bonu viru/et
fub Bitelligimuf quale biximus.z ecotra.orator eilfu ftris qualis
alter nuilus reperitur. veru l?ec be f)is htiBt ^LClxi. Vel pro
eciam, tVel pro etiam particula I multis locis rectiffime
congruit.vtfyambal fuit imperator velomnium primus.tua eximia
virtua vt tearoem velmaxie impeliit. ([CytVfrforj
» Verfor verbfi ifl f requetiffio e vTtt veteru ac oifer toiu
foofni . perbif f nlaqj e eius verbi fignif icatia ac beno variis
poteftrationib? expoi.vt ego verfori Iraru ftubio ib l bo opera
lraru ftubio. virt us circa bifficile versatur ib e virtus i bifficiii
cofiftit. ver famur in tenebris ib est f ere fumus ac viuimus et quasi
stamus in tenebris etCquob est exemplis superioribus beciaratum) buos fibi
plerumq? ac fre qnetius casus postulat. nam aut accusativo vingi tur/precoata
circai aut ablatiuo in precebete. na cu acanatiuo vt ante f unbu
verlari.ab porta ver= fabatur pcrraro bicta funt. fcb queabmobu
cetens rebus oibus { ita buie f uma abfybenba e
biiigetia, ^QQUiii . 8niuer o Sinaute HonnuS oue particule ornatiOime
coiunguntur, quarum eabem fit vtriul* f ignificatio. vt enmero nam
pro explenba SENTENTIA altera bumtaxat Juffi cere poterat et similiter
finautem cauia conplenbe fentencie. eo in loco aute patticula nullam omnino vim
l?abet. 1m eni per le iignif icat feb h/ trClxiiii.&ttoab.
auoabypro quoufq;/et pro quabo/no minus ornate ponnur^ latine.vt volo in
vrbe effe/ quoab tu rebeasa . ita in plenfc* locis conlimihter
accipi poteft. Sufci pere. Sufcipere no folum(quob
tritug vulgatufcg vfus fyabeOfignificat quob eft fuper fe accipere et
quo= bamobo abbucere aliquibi feb etiam perornate po= fitum in
epiftolis cemmenbatum Ipabere. vt fu£ci= pit cicercnem cefar in fuis
rebus abuerfis . que vticj poftremaugnificatio /r/aub^quaqKfi
quisin= fpiciat accuratius)a priore illa afiena eft. Positivo abiucta
negatio cotrarii politiui pleruqj vim tenet. Optima quocj ratio eft
vt pofitio cuipiam abiun = cta negatio cotrarii poifiui virn ac SIGNIFICATIONEM twneat. feb non ita plene /
tamen et accurate lilam expleat.cuius rei exempla fubiciamus . r;ic vir
eft J;aut improbus. SIGNIFICAT enim i ere fyuc lpomine prolum
potius q> imprcbum effe jfyabenbum . et pr;us ^aub igncbilis.r;iftrio
non illepibus.miles co inftrenuus.ciuis fjaub malus.Nam in iis/eo=
rumc| fimilibus rectius atcjj vlitatius bicitur qua bo vis laubis
cuiufbam eit. feb quafi biminute/ et quafi btf raubate laubis. Peto r;anc
rem a te CLuob gramatici bicunt peto te r; ac rem /ornatius nec minus
latir. e bici queat * peto banc rem a te et ibplutimum ciceip m epiftoJis
cofueuit. ConHdoY pro pereo. Conficior paffiua voce crebro vfitatu
e pro eo f e= re quoo e pereo.vt confectus fu ibeft columtus vt vir
lops ac mifer .'fame/fricjore/bolore coficitor. fic anis etate et ftubio
conficitur, ac merore Jbbo? re/fenio cofectus.et be aliis fic per mulf
is? ^JOxix ftblatmi tu participioru tfl alioru peruenuftam rebbut
orationS ftblatiui cafus no participioru folu/veruecia om niu
alioru in orone percodne ponutur.prcfet tjm fi qua f uerit fignificatio
teporis » et be participiis quibe mariif eftu eft, vtregnante octauiano
cefaref parta eft vniuerfo orbi pax * quafi qua tempeftate regnabat
octauianus cefar et aliub bioniiio firas cufis tyranum gerente/grauifuma
inficilia bella fut gefta.ibeft jn quotepore fyracufanoru bionifc?
us tyranus erat* ([Beb eobe quocj rao alia que bam fe babet nomitaa
.maxime fi bignitatu ct 1)0noru extiterit. vtcornelio et galba cbilibus
curilibp acte fut in tfyeatro f abule. Quiba abbut partid pium
exiftenubus.IeO nos profybemus l quob ab vcnuftate oratiois n5 pertiet
abbi oportere . et iU fcipionc conlule peni beuicti funt. Icipione
imperatore euerfa eft numantia . jpt reliqua eiufmobi panter. (JCIxx.be
geitiuis cu pofieffiuis pronoibus Licetetia ta Ljramatice q> oratorie
genitiuos quo rumcuqt cafualm cu pcffeffiuis quocuq; cafu proJa tis
coiugere. qucb ct priftianus trabit . vf mea ca venit/rt celeroru
amicorum.meuagrum et mar ci anfonii populati funt.tuo amico ac fratris gra=
•iificare.tuu.r; imperatorem fectare et coriolanum p ncfter ac frains
amice. fua ille confibit et ciuiu pruoentia./C tqj lta figuratur
conftrucfio in omnibus pdifeff:ui3.pinc terentianum illub meo prefi
bjoatq^ofp.ti. ^e nominatiuo poffeffiuo cu gemtiuo poffefibris.Ibq? penitus
mfpidenbu fit/quaboqj etiam bifcre=. tioms leu abubancie cuiufbam caufa
folet abbicu genitiao poffefforis et nominatiuus pofieffiuus vt
fuus eft.C.cefaris mcs ib tlt eius et no alterius fuus ticiifilius fjeres
teftamento conftitutus eft. fuus( vt ipfe quocj pnftianus exponit>b
bifcrctio ne eius pertinet qui fecubum leges fuus non ciU ib eft
fub poteftate patris legittimi non eft . fuus autem pro vnius cuiufq?
proprie accipitur, quob ipfum apub viros eloquentiffimos freques eft. Quibbiftatbie
quartoetbie.quatfa. Qit quartaC vt nonius marcellus eciam
teftis eft) et bie quarto non ibem fignificant . feb mafculino
genere preter itu tempus befignatur f eminino f ututum . quob vef uftiffimi
tamen aliter protuleriit vt fic bit quarto pro eo e quob aliter
nubiufqrtus bicifur .'nubiuftertius.^et ltibe be aliis. Qm ib infere
inter tua ca et tui ca feci» Tua caufa fcci/et tui caufa feci ( ne pretei
veteru et boctorem cofuetubinem aliquib ef f iciamus ine ter fefe
fyaub mebiociiter bifcernutur . nam tui ca bicimus/fiquib eiabquem
fermonem vertimus preftiterimus. vt tui caufa a& antonii caftra prof
e ctus quob eft tuenbi tui gratia. kb tua caufai cum tuaQ vt ita
bixerim) contemplatione aliquib alteri preftiterimus vt tua ca»fratris
tui caufa egi/ ^JXHxxiiii,be bif f erentia intcr gcnis tiuos
primitiui et pofieffiui . £t quia aliquib be lis que ab poffeffionem
fpectant locuti lumus i fyaub ab re f uer it bif f erentia illam
ptof erre in mebium .que intcr genmuos priuKi= ui eft ct poffelliui. vt
mei tui fui noltri et veftri. qua tibem pulcfyerrime pnfcianus exponit .
vox na<$ eft eabem .at vis ipfa longe biuerfa.cu genitP uus
pnmitiui fimplicem fignificat poffeifionem. potfeffiui vero bupliccm» vt
mci amicus ibe meu3 amicus . feb mei filii amicus bupjicem
poifefiione continet alteram meam in f ilio alteram filii i ami co.
quo cc fubiecimus/ne cum ornafum requiri= mus4 verboru vim icjncremus
ipfam/atq? in errorem quepiam iguorater incibamus feb nunc institutum prosequamur.
C|xi.v. in mentem venit. Hcc res mic*?i in mttem venitbicitur. et cum
ge= nitiuo l;uius rei mid?i m mttem venit. nec micfyi curc eft an
j:ro nominatiuo geriitiuus pofitus eft, vt uq; veto ncn iolum poete feb
etiam. M. ricero vfurpauit; fJClxxvi.be teporu c6mufatione t
Oratcr;s(f:cut et poete^perfepe prefentibus tepo ribus vtuntur pro
pretetitis . nonnucj et pro f u= turis. veru lb quioe muitorarius . feD
cotra fyaub crebro fit.nifi forte incp verbum/ quob fufuri temporis eft /
preteriti foco vel prefentis accipiamus. Seb muita que fuper fyiis bici
polfut/in aliub quo 9 tempus ieruamus; 4j0xxvii.>3imilis
genitiuo et plenus batiuo. Similis et plenus nomina Cquorum prius
batiuo iugitur 4 postrerius etia ablatiuo)oratores vt pluri mu/ac
fere femper genitiuo iugunt. vtfimilis'es !"uoru
maioru.bignitatis et of ficii es plenus» no» nuq» vero(feb
perraro)pr«feruntur cu superioribus cafibusj. Vt fubiuctiuis imprdtiua verba
iunguntur. Sepenumero ctia maioris SIGNIFICANTIE causa vel ornatissime
imperativis subiunctiua verba iugutur quob CICERONE fepe ef ficere
folebat. quale e iliuO cu = va vt vir fis. et aliojoco fcrxbens ab f
ilium eff ict etiaboravtexcellas. Curri WcenatuWprabetur.
Decurritur fpaciu/cenatur rijombus l pranbetutultu Wcoftmilj aq?
pulcf;errime bicuntur/ <£ixxx. Vt trafitiua verba abfokte
prof cruntur» fltqf vt abfoluta iterbu vcrba obliquis cafibus iun
gutuWita trafitiua quocp iicet nonunqua non folu pro gramaticoru more/feb
etia pro oratoru cofue tubie abfolute prof eratur .preferti vcro ili qua
fu passio cu ACTIONE IPSA SIGNIFICATVR qualia illa fat. Lugeoinbeo metuo.
que cum transitiva funt inunc abolute proferutur. Dc terminatis m
bunbus. due I bubus excut noia ; no ta fimilitubine significat Cquob
pleng arbitratur) § abubatia quabam potius ac vefyemetius.vt
gliabubus no ta cjioriati fimilisiq» abunbe feie vefjementerqi ef
feres.Qua opinione eloquetiu ateji qSerubitifumoru fcominu vbicg
teftimoniis coprobata/tu quoqj firmiter ara pfectere.na(vtalios
omitta)7?vulus gelius auctor probatiffimuf ex fnla quotj boctiffimi
appoftinaris letabu5us bicitur^qui logo atcg sbubati errore efu et
tu quocj eiftem vtere nominibus. De Fretus Fretus.ta.ui.icerte originis ablatlo iuctu
pultfyer nmu eft.'et ugmficat fere confilu atej munitu. vt vra
fyuanitate f rcius . vra fapieuU J i:on mea vir tute fretus. Certicrefacere
Certiore facere vfitate atcj frequenter in epistolis vsurpatur. na facio
te be i$ac re certioremUb e tibi figmfico l;ac re.et fepilfime velim me
be tua vali tubine facias certiorem; Habeo. Habeo varia coftructione figuratu
plurimu orna tus Ipet.vt bene fyec res fc l)et.'qucb e fere vt ita
bi ca\'ftat bene fyec res.et ita bene fyeo me . et cu participiis bene me
fyabes rebeo rure et cotrariu ab uerbiu similiter ei verbo iugitur quob eft
maie; /plxxxv.be participiis f uturi temporis. Participia fepenumetQ i
uturi temppris ornatiffime vfurpantur vt scripturus fum ab SCIPIONE (si veda) litteraa. quoo eft fere bebeo scribere .
etaliub.' tu ab ebes cras iturus eslquafi ire bebes. CICERONE (si veda) e
atfyeas profecturus ib e bebet atfyenas proficifci. plautua in
ciprum traiecturus eft ( fere eftnauigarebcbet in cipru.quob ibcirco ita
expofuimus quoniam is pi-opne nauigare / is tranfmittere t is folucre
ei» locum fignificat vnbe prof icifcimur is bemu tra= iicere
biciturl g> eubem befignat qui rate vebitur. vt CICERONE (si veda) soluit
atfjemsiet in afiam traiccitt(f/e= ru ab propofitu rebeubum eft . illa
igitur particis pia quc a verbis manant palliuis et naffiue
quoqj cxponi bebent vt cuius infons animus e/mulctaa bus non cft ib e
mulctari et puniri non bebct . fon tes accufanbi funt ib e accufari
bebent.vir flagicio fusefttrubebus incarccremibe coiicienbus jn vi
cula . 8t alia reliqua exponatur / vt fupra biximus{JjMec tame negauerim qui
eorunbem participi oru alia quoqj ratio fit feb ea nos mobo
profequi mur iprefetiaru/que venuftius eloquiu rebbant/ Repeto Qoiib
repeto ^none perpulcfyre ponitur.fi quib ei accefferikneq; batiuus
foluscafus/feb etiam abla= tinus.vt jepeto fjanc rem memoria/ quobnon
te neo memoria figaifieat. vt permulti extimat feb *<
H •podus meoria voluto^t rcmifcor /et quasi oblmi oni trabitu rurlu
lueftigo meoria»l;oc nos vii vei bo ornatiffie poterimusiquonia ecbe z
veteres eic quetiffimi f requeter vfi iut* l;k illub be ORATORE CICERONE
(si veda) libro. cogitanti mkl)i /ac memoria repete ti et africanus a
neuio accufatus / tnbuno plebis <% ab antfyioctjo pccunia accepilfet /
comcbiffimc to verbo vsus rnemoria (mquit) quintes repeto ^unc bie
fyobiernu effe*'quo Ijanibale penu iimitif tmu fyuic imperio vici in
africa l et perpetua pace vobis/ac victoriam peperi infeparabile» veiu
cap= tus ingenti voluptate longius in af rica verbis re f erebis
progrelfus furcuquaobrem «b veltru inititutura ref erat k oratiof. Promori; bieobireymorte
oppe tereet fimilia,' pro viaere aute vita agere/ be gere ctatetn /
etfimilia ornatebicimus/ Optimu factii fuerit l ne eifbe aut mobis
oratiosis/aut verbis vtamur* eKquob inicio bicimus) varia plurimu probat
oratio et ti veluti quibufba fiofculis afpergitur vt pro morivbie obire
/mort«m oppcterc anima expirare / vitabecebere] ani ma efflare/ vita
befugi^ rebus fyumaqis excebere ex vita migrare/res beferere fyuanas i
exii e be vitalnwtc? pbireiextremum claubere bie;
interire i i occibere cdfimiliacg* et iteru pro viuere
vitam age re begereetatem/ Vtlu&oluou.Ticet
viuo vita &icimus et coniimilia» St(ne figillatim cucta
coplectar)illu& fcoc loco ani mabuertenbum iitiq ficut fepe
bicimus lubo lubu pugno pugnaiferuio feraitutemiboleoy &olore^et
fimilia.' ita et inter&u viuo vitamVviuo miferam feu
felixe vitam, vt fi quis bixerit qui expe&ita fu«= erint
virtuteconfecuti, / ii viuentbeatam/ etimor = talem vitam.et qui predaru
certamen certaucrit/ a mphffimis bonabitur muueribus . £t quob &e
va riis bicimus orationis mobis l i& ipfu be fingulis
partibus intelligebu lit, vt pro oro rogo/ precor obfecro/
pro quafi pene ferme.reliqua tuipe coiec U} <JClxxxix, Ib
genus, Ib genus pro eius generis C quo& fere simile nomen
expnmiOpulcfyre et vfitate bicitur vt multa funt ib genus monftra. be
multis ib genus rebus locutus eft.'quob e fimilibus.et ita in
alns^ {JClxc, Sx fcntencia, 8x fentencia quafi fecunbum votuntaf em
et prof= perc • vt gefta rcs eft cx fcntentia . quob eft
prout optabamus.et tibi i& vecit
sententiat et muftis iuiocis confirniliter. “Inferre”. Inferre
iiurii quali iniuria facere . manus iferre alicui eft alique pulfare, impetu
j quepia facere iit quepia cu ipctu et quafi vi aboriniet jrruere. “Dare
veniam. “Dare veniam” pulcfyerrimu efticrnofcerectlicetia
coneebere; 3°vt> 'nicio ctatis Ijabui te amicu.amicicia micr;i tc
cum eft a teneris annis/a paruulote primis ctatis temporibue* a
tenerisCvt greci bicut) vnguiculis abincunabilisipfis.etijuiutmobi.
{jQtuuei etaspuicfyerrime abolefccnciam SIGNIFICAT. F«.rire f ebus.
Fcrire f ebus opfame atcp optimis caufis ex feriali um cofuetubine
fignificat f ebus coponere vt per= fepe ictum fcu pcrcuffufcbus/eft
conftitutum/ ct compo fitum. Hft micbi nomc fcipioni £ft miclji
nomefcipioni.fcipioni cognome africa= no f uit.cui paojo troiano nome c
ct lic be reliquig batio cafu perulitate ac puldjerrime bicitur
.que eabe z aliis quoij mois bicutur.£ frequetius m6s fueeriores
apub eloquetiffimos et boctiffimos vi= rosioucnies. ^iunt t f ertur
bicitur. i» Cum tritum vcrbu volumus ©ftenbere Aet quob in ore
populo e.' vtimur vel iperfonali fertur / vel perfonali verbo aiunt Jet
nonuncj biritur . et eis fi gulis/ vt preponimus.' etraro ita.' feb
interoii. q> exempla fcuiufmobi lut . nam firenesCvt aiui)fur bi
bwbemus aure tranf ire. et item na ita f ertur vt nulcfc tuta ut fibes.
item fyaub turpe e( vt biutur) tum ultuanbi be grabu beiici. Mebiam fuper
noctem, onuq> ita bicimus nocte luper mebiam vigilaui rous quob e
vltra mebia nocte vigilauinius. ibcj z f taias ipfeteftatuWetquorubam
vetcrumpro= fcut auctoritis. Tenbo. Contra sermone tuu tebo lb e
reiponbeo tibi. y licut et tenbo cotra iter iib e tibi occurro feb fyc
fyaub i frequenti vfu oratorum inuenies. Aacte. Macte /magis
aucte.et eft glorie et laubis fermo,' et plerucj ablatio iiigitur.vt
macte virtute elto.ib 9 et poete vfurpat/et fcriptores fyiftoriara*
etbe= mu oratores ipfi. qui lermo C vt multi erubitilu= rai trabunt)a
facris bebuctus elt. 7Kb expiicanbu locum tue genus gentile ac patnum
effingimus. duoties alicuius explicaturi fuaius/iiue
genus/ I sive locu/getuWc patriu nome effingimue. qucb
quifecuBeffccerit/fortaffelatine locutus fit;febil lepibe penitus/atc|
Ibecore. vt qui fuent a firacu= fis oriubus/no be ciracufis bicebul J?
firacufanus no be atl;els<f? atfjemefis.et fic be aliis. atcj i
gc= nerifc^ /ac familiis nos no be cu abltio vtimur(vt muiti l feb
ibc nome effidmus vt no bc ftauris f$ luurus . r 6 ite be grecis fcb
grccus non bc catufis feb catulus.non be batis feb batus . Qua qmbe
a reib mento afferebu fitl quob pliniusipfeaiebat/ q>
beriuationes no fyabet firmas regulas . fcb exeunt/tcrminaturc| vti ipfis
autonbus placet fic a tfyaurotfyauru/tfyaureu^ttfyaurinu bjcimus»
et quoe nos romanos bicimus^ bicut greci romeos» guos nos
cartfyaginefes ^iUi cartfyiboneos vocantt &qb in enfis valatq as fi
ab loca pertinent frequetiores terminationes sunt. vt albanenfis vero
nenfis dufiuua .' taretinus /lacebcmonus .'eiracutas nus^arpinas.iftlii
quoc| funt eorube nominu exitus.feb 11 frequetiori vfu celebratur.quob ibe ct
in quibufba aliis fit«que mq a generis noibj fluxcre neqj loci vllius. vt
tcrecianus cremes/ platoicuB gigesifocraticus gorgias.queoia a propriis
profecta lunt/atcj origine traxerc. feb que alia fyac bc re^ici
pQiTuUtuipe coQitatione coplectere. Conoi\ Conorrjanc rcm optimc ac
peruenufte oirimuB, prefertim fi bifficilior fit.'et arbua. quo pacto
cice ro fepe vtebatur. vt oe pcrfecto oratorci maguum opus ct
arbuum brute ccnamurf {[ CCi«{3tubco» Et ftubeo fi quib
ftubiofius effecturi fumus coiam accufatiuopulc^crrimc iuncjitur. “Defibero”.
Dcfibero vcrbu pulcfyerrime pofitfi e . na cu befis beriu fit abfetiu
reru perfepc bicimuf befibcro amo re tuu quafi tu no mc amas.bcfibcro tua
prubetis anWquafifis iiipies.et ltem bc alns; ijCCiii .
complector C5plcctor perbiff ufu e/atcj ornatu verbu.prefer= ti vcro
aiiquibus abiecus/ Jjac roe.vt te amore/at q beiuof ecia coplector /pro
te amo» cogitatione co plecfcr .'qucb e cogito.z lb e aiificut
facultatecofe quor/eft rei ipfius; Degerubjuiflf Illub ignoranbu
non tltiq gcrubiuuar mobus ab omni verbo fimili procratur / fi quanbo
nobis fo ret eo opus . vt cantanbo rumpitur anguia ib eft bum
cantatur l vt ait feruius et alio in loco acti^ uc bictum eft* cantanbo
tu illum it> cit bum canis. ib efficere atqj vfurpare oratores
queunt/ (] CCv^be quarto p retoriet quartu pretor Putat
nonulli nicfjil itereifeiu quis bixent quarto pretor / ct quartum prefor / et
(ic be aliis. feb magna e certe bra/vt.M.varro teltis e.na quarto
pretor locu figmficat/et tres anteactos. quartum vero befignat tpus .Caue
igitur biligenter ne per= pera fjifce vtaris ronibj.ne ofuib eotra
veteru/ at cp eloquetiu roore/cofuetubinecj faciamus. quare
terciu coful/ac tertio cdlulno ibefignificatt {JCCvi.Kuri
effe» £eb ne plura iH f equar(na infinita pene «iu fmob
precipi poflut)ib tene memoria q? no irure effe/feb ruri ee
bicimus.quob cu f eftus popeius affirmat tum terecius cdprobat.aif
ei ruri fe cotinebat/ Quaobrem u qua reliqua fut.'paucis ex^
e^.amus Nam cu pro coficiebis epiJfoIis I)ee potissimu atligerimus si salutatioms
formuia/ ac regula ibu um nonaruqj obferuatione patef eceri .' iure
l;uic p aruo inftituto fine ac mobum ftatuerini/ 4/C
Cvii.Vale Salue» Vale igitur ac falue verba pro VARRONE /et omnium
boctiifimorum virorum (entencia ibem fignif icare vibentur, Quibus
nos alias in faluta0 aiias in execranbo vtimur ex quo terenciann iliuc» 2.
valeant qui inter nos bifdbiu volut /ac cu= piunt mortuis quoqj et qui
mortaliu vita beccffes runt^ quibus nullam fyuiufce Iucis optare
lalu.e polfumus,'nonuncj vale bicimus. CE?t veterea quobam eifoe
ibem verbu pro mori bicebat^quafi nicfyil araplius viuentibus fibi cu
mortuis futuru elfet t et imperpetuu iam ab eoru afpectu bifcebes
rent.Nam neg? valet llli nec| falui effe polfunt ob eabem rem abbut
nonulii bene f eliciteng abuerbta aut fi qua alia funt euumobi
fiemihcatie. Veruta= meninepiftolisipfisvaiein finebicere cofueuis
mus ab^ vlla abuerbii acceflione^ perinbe ac amicis vite falute ac f eligitate
exoptemuf. Quib igitur vale fibi querat.' quo ve illo pacto vtebu fit
nofcef Ct G Gviii.bico tibi lalute iubeo te faluere, Pro falute
aute piemc| nos bicimus falutem bico et fi quefalutare cupimus 4 batiuo
cafu aptifume appofucnmus» vt vaie et cefari bic falutem . T^lia
quo(j erit faiutanbi ratio.vt iube fcipioncm faluere quob eft fcipionem faiuta
. iSiam ille mobus vi quabam befiberii cotinet . ct pro antiquoru
more et confaetubine inf initiuus mobus in alium tranf mutatur vt iubeo te faluerc ib eft lalue . iubeo
te gaubere pro gaube; ^JCCw.Meo noie vel meis
vcrbis, t {Tp ro mea ex paif e. Quob vero alii ex mea parte
bicuntl mulfo quibe ornatius bicitur vel meo noie vel meis
verbis/ calebis/nonis/et ibibus» Quota aute cuiuicuqj mefis biem
velimus mtellr gereicalebis/ nonis/ibibus ve notamus.necj quib illi
fibi velitinuc expiicare cofiliii eft.feb quo pacto bicamus figulorum mefium
bies.' et quomofco ab eis nominatione fufcipiat . cpobrem
intelligebu elti primis/ primu cuiufqi mt fis biem/ calenbaru
appellatione vocari . fecunbu quas nonarum bies coftituitur . ef in aliis
quibe mefibus feptima luce Marcio/Maio lulio/Octobri.in aliis autem
qui» ta/Ianuario/ Februario/yvpnli lunio / 7\ugus fto/ Septembri/ nouebri
/Decembri. J^tc| omne« ii bies qui cdlenbas et nonas intercefferint*'
nonarum cognominatione cefentur. vbi et numerum meminenmus ac nonas
ipfas.et ille ablatiuo con ftruuntur. fjee accufatiuo. Seb
internumeranbu etprepoftero vtemur orbine^et nonarum biem conumerabimus
.' atnonisexactis/ proximosocio bies . ib quocjt in quolibet menfe ibuum
umiitter cognominatione fignincabimus* fcb pari rone tu orbis/tu
anumerationis.reliquos veroeius mefi» (quotquot fuperf ueriObies calebaru
appeliatione notabimus. que hxturiJacpYcximi fut mefisi neeg
orbinis/necp numeratiois roeimutate. 7>vt ib om nc exeplo iiluftrabu
iSitqf martius nobis exeplo. cuius curriculu vno ac trigefimo bit
coficitur .pri tna ltaqj bies halenbe erut mahi.fecunba fexto no
nas marcii tercia quito nonas. quarta qnartono nas . quita ttrcio nonas .
fe.\ta no bicitur fecunba nonasifeb pribie nonas.et lta be lbibus at^
fcalcn lsfeptima bieg none erunt marcii . octaua octavo ibus marcii .nona
feptio ibus mattii becima fex to ibus marcii.vnbecima quito lbus .
ouobeum quarto ibus. tribecima terno ibus . quartabeciina pribie ibus
quitabecima ibus erunt marcii.febecia bccimo leptimo halenbas aprihs.
quoniam is me fis proximum fequitar.beamafepnma beamofrx to
halenbas april.g. becima octava bccimcquinto halerbas/becima nona becimo
quarto halebas. vi ccfuna becimotertio kalcbas. vicefimapt ia
buobe* cimo calenbas. vicefimaiecunba vnbecimo calebas
viceiimatertia becimo calenbas, vicefima quarta nono calenbas vicefima
quinta / octauo calenbas. Viceuma fexta feptimo caienbas . Vicefima
fepn= ma lexto cahnbas. Viceiima octaua quinto ca« lenbas. Vicelima
nona quarto calenbas . Trice frnia tertio calebas. Tricefima prima et
nouifiim/i i J pribie fcalebas aprilis.In ceteris
omibus eabefer 3 uaoa eit ratio bieru, Dieru autem numerus f;aub fe
lateatgui in propmtu eft cmnibus/ 4jCCsi ♦ P^ibie kaienbas,'pribie,
nonas,'pribie ibus. Pribie aute fcalenbas/pnbie nonas/pribie ibus
et «t fignificat quob vetuftiffimi bicebant biepriftini pro abuei
bio quob fignif icat bk priftino. et iic per vetuitomore biecraf tini /
et biequitiet biequinto umiliter pto abuerbio, Veru nos prifcam
nimis et Ipombiore vetuftate vbicf f ugere ac vifere bebt mus, #vc
bene et preclare cefar preciperc Folebat/ ta§ fcopulu fic f ugienbu ee
iaubitu /atq ifoles ver fcum; <L Pro genitis aate ihenfiu rectius
pof= felfiua nomina finxerimus. vt pto ijalebis marcii fic
uenuftxus bixerimus halebas martiaf z ita apri les/maias / lunias /iulias
/ac quitiles auguffas feu fextiks/ieptembrias, et itaianuarias/ fcbruarias
g> autem m haknbis/nonis ibibuiq abiatiuo cafu iugimus.' jbcm poifimus
in accufatiuu tranfferre et ab preponer e feb ib iignificst tempus fere
biu= turnu, vt ab bccimu kalenbas februarii bebiiti ab me litteras
. ego vero ab ocfauu ibus lanuarias ao te fcripferam^abet enim vim
tejs»f»e*4^vel:;emen twem fyocpofterjus; fc> J 4 1
Operis peroratio. Me «Sor pl«» fcribamdpc micfy Etic imprefen*
tiarum obtulerut ! quc anotatu bigniora vila funt{ nuc« tibi multo plus
ferfafe conbucent ; cj eoru preceptioncs i
quieafbemetepiftohsetoratiQm; bus tribuunt partes.quorum penitus
enpient.ua eb error .afa* ita fentienbui vti littens ipbs ab te
concinnc bilucibc^ perfcribamus .'ac noitram len» tcntia afc» mente
^comobiffime apenamus . cj? cu bec bili S cnter tenueiis < ck in£inito
pene fcrum r« La numcro;alia qucbam no mmus taaife vtt< ha,'feb
multa grauiora (ubnectam.auaobremCvt facis ) cupibiwme ftubia htteraru
complectere at L ea queinbiesaffequerisabcxeraUttommawo moba?
IVale? f/fluguftini bati fenenfis oratoris primaru
liajjocjicus libellua octttioniB precepta finitf oc Kt
e^a rAficm ^•S. "atriftcr mM^urinxx^j^iit^Scnom^m
ttyAnne* ie fUmati* ^d{' Llmulas kriwor frpi » Grice: “Dati is
into ‘elegance’ but he is also into ‘regulae’, which are a bit like my maxims –
my maxims can be exploited for ‘effect’ – and those are the types of rules that
Dati is interested. Sadly, his philosophy has been interpreted as that of a
mere linguist or grammarian prescribing on how to write letters! But he surely
was a pre-Griceian who is looking for ‘rational’ pragmatic reasons to the
effect of a most effective, yet ‘elegant,’ communication. Many examples can be
philosophical: ‘women are women’, ‘war is war’. ‘Women are women’ is not meant
as a substitutation for Parmenides’s law, x = x. Such an utterance would be,
“Every thing is identical with itself.” “War is war” is different in that ‘war’
is uncountable, and we can keep the singular ‘is’ of Parmenides’s law, x = x.
But why do we consider ‘War is war’ a tautology? Because it is the
exemplification of ‘x = x” – Now, some philosophers claim that ‘war is war’ –
or Parmenides law, for that matter, isn’t not a ‘patent tautology’, since it
needs to be formalized in the predicate calculus, and the predicate calculus is
not decidable, i.e. there is no algorithm for its interpretations which render
its formulae tautologous. Augustinus Datus. Augustinus Dathus. Agostino Dati. Keywords:
ELEGANTIOLÆ, retorica, grammatica. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Dati” – The
Swimming Pool Library. Dati.
Luigi Speranza --
Grice e Deciano: la ragione conversazionale al portico a Roma – filosofia italiana – Luigi
Speranza (Roma). Filosofo italiano. A philosopher of the Porch, and
friend of the poet Marziale.
Luigi
Speranza -- Grice e Deinarco: la ragione conversazionale e la setta di Crotone
-- Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Crotone). Filosofo
italiano. A follower of Pythagoras. He is one of those who fled Crotona when
the local people became hostile towards the sect. Giamblico talks about his
followers being killed in a battle years later, which suggests that he may have
established some kind of sectd of his own. Deinarco.
Luigi
Speranza -- Grice e Deinocrate: la ragione conversazionale e la diaspora di
Crotone -- Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Taranto). Filosofo italiano. A
Pythagorean, according to Giamblico. Deinocrate.
Luigi Speranza -- Grice e Delfino: la ragione
conversazionale e l’implicatura conversazionale della musica delle sfere -- l’ottava
sfera – scuola di Padova – filosofia padovana – filosofia veneta -- filosofia
italiana – Luigi Speranza
(Padova). Filosofo
padovano. Filosofo veneto. Filosofo italiano. Padova, Veneto. Grice: “Delfino
is what we at Oxford would call a ‘philosophical mathematician,’ and in Italy,
an astrologer – his specialty was the ‘motum’ of the ‘ocatva sphaera’!” “But he also wrote on algorithms!” Ensegna a Padova. Erudito
dalle multiformi attività, fu attivo a Padova nel filone dell'aristotelismo
padovano rinascimentale: sicuramente studioso di logica e matematica, ebbe
chiara fama di matematico e di astronomo. Altre opere: “De fluxu et refluxu
aquae maris” (Venezia); “De holometri fabrica et usu in instrumento geometrico,
olim ab Abele Fullonio invento: Acc.); “Disputatio de aestu maris et motu
octava sphaera, Stupanus, Foullon, Padova, In Accademia Veneta Paulus Manutius.
Dizionario biografico degli italiani. Musica
delle sfere Lingua Segui Modifica La musica o armonia delle sfere, detta anche
musica universale, è un antico concetto filosoficoche considerava l'universo
come un enorme sistema di proporzioni numeriche. I movimenti dei corpi
celesti(Sole, Luna e pianeti), ritenuti collocati su sfere ruotanti, avrebbero
prodotto una sorta di musica, udibile solo dall'orecchio dei veggenti, e
consistente in formule armonico-matematiche. Incisione di Franchino
Gaffurio (Practica musice, 1496) che raffigura Apollo, le Muse, le sfere
planetarie e i rapporti musicali. La teoria della musica delle sfere ebbe
origine nell'antichità e continuò a essere seguita almeno fino al XVII secolo,
suscitando l'interesse di filosofi, musicologi e musicisti.
StoriaModifica La musica delle sfere incorpora il principio metafisicosecondo
il quale le relazioni matematiche esprimono non solo rapporti quantitativi, ma
anche qualità che si manifestano in numeri, forme e suoni, tutto connesso in un
enorme modello di proporzioni. AntichitàModifica Pitagora, per primo,
capì che l'altezza di una nota è proporzionale alla lunghezza della corda che
la produce, e che gli intervalli fra le frequenze sonore sono semplici rapporti
numerici. Secondo Pitagora, il Sole, la Luna e i pianeti del sistema solare,
per effetto dei loro movimenti di rotazione e rivoluzione, produrrebbero un
suono continuo, impercettibile dall'orecchio umano, formando tutti insieme
un'armonia. Di conseguenza, la qualità della vita sulla Terra sarebbe
influenzata da questi suoni celesti. Nel mondo greco il cosmo era paragonato a
una scala musicale, nella quale i suoni più acuti erano assegnati a Saturno e
alle stelle fisse. Il Sole era indispensabile per la realizzazione dell'armonia
in quanto, secondo i greci, corrispondeva alla nota centrale che congiunge due
tetracordi. Per FILOLAO, matematico e astronomo pitagorico, il mondo è armonia
e numero, e tutto è ordinato secondo proporzioni che corrispondono ai tre
intervalli fondamentali della musica: 2:1 (ottava), 3:2 (quinta) e 4:3
(quarta). In seguito, Platone descrisse l'astronomia e la musicacome studi
gemellati per le percezioni sensoriali: astronomia per gli occhi, musica per le
orecchie, ma entrambe riguardanti proporzioni numeriche. Egli, inoltre,
appoggiò l'idea di una musica delle sfere nel dialogo La Repubblica, nel quale
descriveva un sistema di otto cerchi, ovvero orbite, per i corpi celesti:
stelle fisse, Saturno, Giove, Marte, Mercurio, Venere, Sole e Luna, che si
distinguono in base alle loro distanze, al colore, e alle velocità di
rivoluzione. La visione di un universo strutturato in cerchi concentrici,
aventi come centro la Terra, era del resto comune a tutta l'antichità: si
trattava di sfere intese come ambiti di pertinenza, ognuna delle quali
contenente un pianeta che esse trascinavano con sé, muovendosi in maniera
circolare. Era questo loro movimento a generare il suono, come affermava anche
CICERONE (si veda) Movimenti così grandiosi non potrebbero svolgersi in
silenzio, e la natura richiede che le due estremità risuonino, di toni gravi
l'una, acuti l'altra. Ecco perché l'orbita stellare suprema, la cui rotazione è
la più rapida, si muove con suono più acuto e concitato, mentre questa sfera
lunare, la più bassa, emette un suono estremamente grave; la Terra infatti,
nona, poiché resta immobile, rimane sempre fissa in un'unica sede, racchiudendo
in sé il centro dell'universo. Le otto orbite, poi, all'interno delle quali due
hanno la stessa velocità, producono sette suoni distinti da intervalli, il cui
numero è, possiamo dire, il nodo di tutte le cose; imitandolo, gli uomini
esperti di strumenti a corde e di canto si sono aperti la via per ritornare
qui, come gli altri che grazie all'eccellenza dei loro ingegni, durante la loro
esistenza terrena, hanno coltivato gli studi divini. Le orecchie degli uomini,
riempite di questo suono, diventarono sorde, né infatti vi è in voi un altro
senso più debole. CICERONE (si veda), Somnium Scipionis, De re publica. Più
tardi i filosofi, fra i quali Tolomeo, mantennero la stretta correlazione fra
astronomia, ottica, musica e astrologia. L’'astronomo arabo al-Kindisviluppò le
idee di Tolomeo nel suo De Aspectibus, che associa anch'esso astronomia e
musica. MedioevoModifica Angelo musicante, affresco di Melozzo da
Forlì, Musei Vaticani. L'antica concezione cosmologica della musica delle sfere
passò nel Cristianesimo, dal quale venne ulteriormente meditata e approfondita,
costituendo la base di numerose raffigurazioni di angeli musicanti, suddivisi
in cori angelici gerarchicamente ordinati, identificati con le orbite celesti
di astri e pianeti: nella musica delle sfere si udiva cantare cioè il corodegli
angeli, che accompagnava gli eventi principali che avvenivano in Cielo, quali
la Trinità, l'Ascensione, l'Incoronazione di Maria. Già Agostino d'Ippona, nel
De Musica e nelle Confessioni, vedeva nei suoni il riflesso di un'armonia
primordiale dell'anima.Furono poi soprattutto Macrobio e Boezio a fare da
tramite fra il pensiero pitagorico, basato sul simbolismo dei numeri, e la
nuova teologia cristiana. La Via Lattea, intersecando lo Zodiaco, forniva per MACROBIO
il «latte», ossia il nutrimento alle anime dimoranti nei cieli, in attesa di
incarnarsi. Tutto l'universo è per lui fondato su rapporti numerici, nei quali
si riflette il progetto creativo di Dio, esprimibili secondo accordi musicali
basati sulla tetraktys pitagorica. BOEZIO (si veda), ponendo le basi del
quadrivium scolastico, ossia il complesso delle materie scientifiche che
verranno insegnate nelle scholae medievali (aritmetica, musica, geometria e
astrologia), spiegava l'ordine del cosmo secondo la rinuncia da parte dei
quattro elementi agli aspetti discordanti. Egli introdusse inoltre nel De
Institutione musicae una distinzione fondamentale, destinata ad avere grande
fortuna nel Medioevo, tra musica mundana, propria delle sfere celesti, musica
humana, quale si riflette nell'interiorità umana, e musica instrumentalis,
fatta dagli uomini a imitazione di quelle. ALIGHIERI (si veda) allude in più
occasioni all'armonia delle sfere, in particolare nel primo canto del Paradiso
della Divina Commedia, quando si rivolge all'Amore che governa le Sfere dei
Cieli, il cui movimento rotatorio, reso eterno dal desiderio che esso accende
in loro, desta la sua attenzione («mi fece atteso»): «Quando la rota, che
Tu sempiterni desiderato, a sé mi fece atteso, con l'armonia che temperi e
discerni, parvemi tanto, allor, del cielo acceso de la fiamma del sol, che
pioggia o fiume lago non fece mai tanto disteso.» (ALIGHIERI (si veda),
Paradiso) Dal Rinascimento all'età modernaModifica L'armonica nascita del
mondo rappresentata da un organocosmico, in Musurgia Universalis di Kircher.
Nel Rinascimento, a fianco della teoria pitagorica si sviluppò la visione
magico-ermetica dell'armonia, espressa dalla concezione del monocordo di Fludd,
nel quale le sfere dei quattro elementi, dei pianeti e degli angeli sono
disposte verticalmente sul monocordo, accordato dalla mano divina. Dio, dunque,
è architetto e musicista supremo del creato. Un modello analogo era stato
delineato da Franchino Gaffurio, il quale aveva collocato i pianeti attorno a
un'ideale corda musicale, secondo una scala eseguita dalle nove Muse,
accompagnata dalle tre Grazie e diretta da Apollo. Keplero, influenzato dagli
argomenti di Tolomeo, scrisse il libro Harmonices Mundi, nel quale vengono
descritte le consonanze fra percezioni ottiche, forme geometriche, musica e
armonie planetarie. Secondo Keplero, il punto d'incontro fra geometria,
cosmologia, astrologia e musica è rappresentato dalla musica delle
sfere.[14]Keplero, però, superò il modello statico delle sfere di concezione copernicana
in favore di un modello dinamico, trasformando le orbite da circolari a
ellittiche, che i pianeti percorrono a velocità variabili (seconda legge di
Keplero). Inoltre, Keplero attribuì a ogni pianeta non un singolo suono, ma un
intervallo di suoni, in cui la nota più grave corrispondeva alla velocità
minima che il pianeta teneva durante la rivoluzione (in corrispondenza
dell'afelio), e quella più acuta alla velocità massima, raggiunta nel perielio.
Spinoza, nella sua Etica dimostrata secondo il metodo geometrico, criticò con
fermezza tale concetto filosofico, indicandolo come idea priva di fondamento
scientifico, frutto dell'immaginazione umana: «la follia degli umani è arrivata
al punto di credere che dell'armonia si diletti anche Dio; e nemmeno mancano
filosofi profondamente convinti che i movimenti dei corpi celesti producano
un'armonia, Il Sole e i corpi celesti. L'immagine ritorna in Goethe, che nel
Faust apre il Prologo in Cielo con le parole dell'arcangelo Raffaele, intento a
contemplare la «melodica» armonia vigente tra il Sole e i corpi celesti. Die
Sonne tönt nach alter Weise in Brudersphären Wettgesang, und ihre
vorgeschriebne Reise vollendet sie mit Donnergang. Intonando l'antica melodia,
a gara con gli astri fratelli, percorre il corso prescritto il Sole con passo
di tuono. Goethe, Faust, primi quattro versi del Prologo in Cielo. Nel primo
Novecento, nell'ambito delle concezioni esoteriche elaborate dalla scuola
antroposofica, l'esoterista Rudolf Steiner sosteneva l'esigenza di recuperare
la capacità sovrasensibile, propria dei pitagorici e di epoche ancora più
remote dell'umanità, di percepire la musica delle sfere. Solo inconsciamente,
durante il sonno, l'uomo riuscirebbe ad attingere dal mondo astrale e
spirituale quell'armonia che gli consente di fornire un sostegno alla sua anima
razionale, e ricomporne gli aspetti dissonanti. Tale armonia celeste secondo
Steiner, diffusa attraverso gli spazi cosmici per mezzo del cosiddetto
«etere-chimico», ha effetto principalmente sul ritmo della respirazione. Il
musicista compositore trasforma incoscientemente in suoni fisici, il ritmo, le
armonie e le melodie che, durante la notte, egli ha percepito nel devachan, le
quali sono rimaste impresse nel suo corpo eterico. Questo è il misterioso
rapporto tra la musica che risuona nel fisico e l'ascolto della musica
spirituale durante la notte. La musica fisica non è che la copia della realtà
spirituale. Come l'ombra sbiadita sta in confronto all'uomo vivo, così la
musica-ombra fisica sta alla vera musica-luce spirituale. Steiner, L'essenza
della musica, conferenza di Colonia) Steiner si propose di ricreare nel
microcosmo umano l'armonia stellare attraverso l'arte da lui stesso fondata,
denominata euritmia, dell'equilibrio tra parole, gesti e movimenti. Hazrat
Inayat Khan, Il misticismo del suono( PDF ), traduzione di Hasan Signora,
Weiss, Plinio il Vecchio. Houlding, a cura di Fabbri, L'armonia delle sfere, su
brunelleschi.imss.fi.it, Museo Galileo. Kahn, Davis, Smith, Affresco
appartenente a un gruppo di altri angeli musicanti dipinti a Roma da Melozzo
nell'abside della chiesa dei Santi Apostoli, successivamente trasferiti in
forma di frammenti nella Pinacoteca Vaticanam Atti. Classe di scienze morali,
lettere ed arti, Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti, Pasi, Storia
della musica, Jaca, Gaugier, Pitagora e il suo influsso sul pensiero e
sull'arte, pag. 140, Arkeios, ALIGHIERI (si veda) e la musica delle sfere.
Kepler et the Music of the Spheres, su skyscript.co.uk. URL consultato il 29
Spinoza, Ethica ordine geometrico demonstrata, Trad. it. a cura di Patrizio
Sanasi. Tiziano Bellucci, L'armonia delle sfere planetarie, lo zodiaco musicale
e i colori, su coscienzeinrete.net. ^ Stefano Centonze, Manuale di Arti
Terapie, pag. 234, ed. C. Virtuoso. Articolo
su Rudolf Steiner e l'euritmia, su italiadonna.it. Weiss e Richard Taruskin,
Music in the Western World: a history in documents, Cengage Learning, Plinio il
Vecchio, Storia Naturale (tradotto da Rackham, Harvard, Houlding, The
Traditional Astrologer, Ascella, Davis, The Republic, The Statesman of Plato,
Nabu Press, Smith, Ptolemy's theory of visual perception: an English
translation of the Optics, American Philosophical Society. Kahn, Pythagoras and the Pythagoreans, Hackett
Publishing Company, 2Armonia Harmonices Mundi De Institutione musica Gerarchia
degli angeli Sfere celesti Temperamento (musica) Filmato audio L'Armonia delle Sfere -
i Portale Astrologia Portale Filosofia Portale
Matematica Portale Musica Harmonices Mundi Sfere celesti Hans
Kayser musicologo tedesco Federicus Dolphinus. Federicus Delphinus.
Federico Dolfin. Federico Delfino. Delfino. Keywords: l’ottava sfera, first
sphere, second sphere, third sphere, fourth sphere, fifth sphere, sixth sphere,
seventh sphere, eighth sphere – prima sphaera, seconda sphaera, tertia sphaera,
quarta sphaera, quinta sphaera, sexta sphaera, septima sphaera, octava sphaera,
holometria, fabrica holometri, aristotelismo padovano vs. platonismo fiorentino
– aristotele – platone – padova naturalism – Firenze idealism – filosofia della
percezione – prospettiva -- Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Delfino” – The
Swimming-Pool Library.
Luigi Speranza --
Grice e Delia: la ragione conversazionale – Luigi
Speranza (Roma). Filosofo italiano.
Luigi Speranza --
Grice e Deliminio: la ragione conversazionale – Luigi Speranza (Roma).
FIlosofo italiano.
Luigi Speranza --
Grice e Delogu: la ragione conversazionale all’isola -- l’implicatura
conversazionale -- semiotica romana – implicatura sarda – scuola di Nuoro
–filosofia nuorese -- filosofia sarda -- filosofia italiana --- Luigi Speranza (Nuoro). Filosofo nuorese. Filosofo sardo. Filosofo italiano. Nuoro,
Sardegna. Grice: “We can call Delogu a Griceian; at least he has written a
little tract that he entitled ‘questioni di senso’ – which is all that my
philosophy is about!” Si laurea a Sassari e, come vincitore di una borsa di studio
regionale di perfezionamento in Dottrina dello Stato, ha collaborato
all’attività didattica e di ricerca con Pigliaru. È stato redattore del
periodico del seminario di Dottrina dello Stato Il Trasimaco, fondato e diretto
da Pigliaru. Come vincitore di concorso ha insegnato Filosofia e Storia
nei licei. Ha preso servizio a Sassari in qualità di ricercatore. Come
vincitore di concorso ordinario, è prof. associato e prof. ordinario di Filosofia morale presso la
Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università degli Studi di Sassari. Cofonda
i Quaderni sardi di filosofia e scienze umane. Fonda e diretto i Quaderni sardi
di filosofia letteratura e scienze umane. Fa parte del comitato
scientifico della rivista “Segni e comprensione” -- dell’Lecce. È stato
direttore del Centro studi fenomenologici a Sassari, fonda e diretto la sezione
sassarese della Società Filosofica Italiana. È stato direttore della
Scuola di specializzazione per la formazione degli insegnanti a Sassari. Gli è
stato conferito il Premio Sardegna-Cultura e il Premio Giuseppe Capograssi,
dalla giuria presieduta da Giovanni Conso, presidente dell’Accademia dei
Lincei. Organizza numerosi convegni, tenutisi in Sardegna, generalmente a
Sassari. Tra questi: Realtà impegno progetto in Pigliaru, Libertà e
liberazione; Etica e politica in Capograssi; Tuveri filosofo, Dettori filosofo,
Esperienza religiosa e cultura contemporanea, Le nuove frontiere della medicina
tra etica e scienza, Vasa filosofo, Nella scrittura di Satta,; Filosofia e
letteratura in Karol Wojtyla; Attualità di Noce; Scrittura e memoria della
Grande Guerra. Ha partecipato in qualità di relatore ai convegni su
Merleau-Ponty (Lecce), Mounier (centro E. Mounier Reggio Emilia), Sartre (Bari,
Università Roma TRE, La Sorbona di Parigi), Gramsci (Cagliari), Intellettuali e
società in Sardegna nell’Ottocento (Cagliari), Capograssi (Roma), Noce (Roma); Tuveri (Cagliari), Satta,
(Trieste); su Corpo e psiche: l’invecchiamento (Chiavari), su I vissuti: tempo
e spazio (Chiavari); è stato relatore al Corso di formazione su Fenomenologia e
psico-patologia promosso dal Dipartimento di salute mentale di Massa
Carrara. Ha tenuto lezioni seminariali sul pensiero fenomenologico di Wojtyla
a Lublino; Capograssi, sul Diritto penale internazionale a Ginevra, sul
pensiero filosofico politico nella Sardegna dell’Ottocento a Zurigo. È
stato responsabile del gruppo di ricerca dell’Ateneo sassarese su L’etica nella
filosofia italiana e francese contemporanea, PRIN. Collabora alle riviste
Annuario filosofico, Rivista internazionale di Filosofia del diritto, Nouvelle
Revue théologique; al Dizionario storico del movimento cattolico in Italia, alla
Enciclopedia Filosofica edita da Bompiani. Ha diretto il Master Mundis per la
Dirigenza Scolastica promosso da Sassari in collaborazione con la conferenza
nazionale dei Rettori. Premio "Sardegna-Cultura" Premio
Capograssi Altre saggi: “Insegnamento e implicamento empiegamento della
filosofia nella scuola secondaria, Tipografia editoriale moderna, Sassari); “La
critica di Merleau-Ponty alla concezione tomista dell’uomo e della libertà in
S. Tommaso nella storia del pensiero, Teoria
e prassi in A. Pigliaru, Quaderni sardi di filosofia e scienze umane, La
Filosofia Cattolica in Italia, Quaderni Sardi di filosofia e scienze Umane); “Pluralismo
culturale ed educazione in Colloquio interideologico,“ Orientamenti
Pedagogici", La Filosofia dell’educazione in A. Pigliaru; in Quaderni
Sardi di filosofia e scienze umane, Se la corrente calda… Un itinerario
filosofico: Péguy, Sorel, Mounier, Sartre, Quaderni Sardi di filosofia e
scienze umane, M. Ponty, Esistenzialismo, Marxismo, Cristianesimo,, Editrice La
Scuola, Brescia); Né rivolta né rassegnazione: saggio Su Merleau-Ponty, Ets,
Pisa); “Le corpori nell’esperienza morale” Quaderni Sardi di filosofia e
scienze umane, Non vi è terza (né altra via) nell’ “Esprit” di Mounier, Quaderno
Filosofico, “Temporalità e prassi” in S. Weil, Progetto, Temporalità e prassi
in Sartre in Sartre, teoria scrittura
impegno, V. Carofiglio e G. Semerari, Ed. Dedalo, Bari, Una filosofia disarmata
Merleau- Ponty in Esistenza impegno progetto in Merleau-Ponty, G. Invitto,
Guida, Napoli); “Storia e prassi” in La ragione della democrazia, Ed.
Dell'oleandro, Roma, Giuseppe Capograssi e la cultura filosofico-giuridica in
Sardegna, Quaderni sardi di filosofia e scienze umane, Note per una
fenomenologia della esperienza religiosa; in Chi è Dio. Università Lateranense,
Herder, Roma, Storia della cultura filosofico-giuridica, Enciclopedia della
Sardegna, La Filosofia etico-politica di Dettori e la cultura sardo-piemontese
tra Settecento e Ottocento, Quaderni Sardi di Filosofia e Scienze Umane, Il nucleo
di vita e di luce del Rousseau capograssiano in Due convegni su Capograssi, F.
Mercadante, Giuffè, Milano, Filosofia e società in Sardegna tra Settecento e
Ottocento in “La Sardegna e la rivoluzione francese” M. Pinna, Editore, La
Filosofia giuridica e etico-politica negli intellettuali sardi della prima metà
dell’Ottocento: Azuni, D. FoisTola, G. Manno in Intellettuali e società in
Sardegna tra Restaurazione e Unità d’Italia, Editore, Le Radici
fenomenologico-capograssiane di S. Satta giurista-scrittore; in Salvatore Satta
giurista-scrittore, U. Collu, Edizioni, Nuoro); “Soggetto debole, etica forte:
da S. Weil a E. Levinas; in Le Rivoluzioni di S. Weil, G. Invitto, Capone
Editore, Lecce, Pigliaru e Gramsci in Socialismo e democrazia, Archivio sardo
del movimento operaio contadino e autonomistico, Tracce del postmoderno in Weil,
in Moderno e postmoderno nella filosofia italiana oggi, U. Collu, Consorzio per
la pubblica lettura S. Satta, Nuoro, Società e filosofia in Sardegna Tuveri,
FrancoAngeli, Milano, Cultura barbaricina e banditismo in Pigliaru e M.Pira in
L’Europa delle diversità, FrancoAngeli, Milano, Prospettive fenomenologiche
nella cultura contemporanea; in Quaderni sardi di filosofia letteratura e
scienze umane, Asproni e i filosofi sardi contemporanei in Giorgio Asproni e il
suo ‘Diario Politico’, Cuec, Cagliari, Domenico
Azuni, Elogio della pace, a cura di, Assessorato Regionale alla Pubblica
Istruzione, Cagliari, Multi-dimensionalità della esistenza, in Quaderni sardi
di filosofia, letteratura e scienze umane, D.A. Azuni filosofo della pace, in
Francia e Italia negli anni della rivoluzione, Laterza, Bari); “La Preghiera in
J.Sartre in Esperienza religiosa e cultura contemporanea, a cura di, Diabasis,
Reggio Emilia); Note su “Etica comunitaria” e etica planetaria, in Quaderni sardi
di filosofia, letteratura e scienze umane, Temporalità esistenza sofferenza, in
Esistenza e i vissuti Tempo» e Spazio, A. Dentone, Bastogi, Foggia); Le
Relazioni Intermediterranee e il pensiero di D.A. Azuni, in Il regionalismo
internazionale mediterraneo nell’Anniversario delle Nazioni Unite, Consiglio
Regionale della Sardegna, Cagliari, La Festa e la via: una lettura
fenomenologica, in Quaderni sardi di filosofia, letteratura e scienze umane, Corpo
e psiche: l’invecchiamento in Minkoswski, in Corpo e psiche, A. Dentone,
L’invecchiamento, Bastogi, Foggia, Cosmopolitismo e federalismo nel pensiero
politico sardo dell’Ottocento, in Il federalismo tra filosofia e politica.
Edizioni, Questioni Morali); La prospettiva fenomenologica, Istituto Italiano
Di Bio-etica, Macroedizioni, Cesena, L’etica della mediazione, in Il problema
della pena minorile, FrancoAngeli, Milano, La filosofia in Sardegna, Etica
Diritto Politica, Condaghes, Cagliari, Antonio Pigliaru, La lezione di
Capograssi, a cura di, Edizioni Spes, Roma); Note su Del Noce e il nichilismo;
in Quaderni sardi di filosofia, letteratura e scienze umane, Repubblica e
civiche virtù, in Lezioni per la repubblica. La festa è tornata in città,
Diabasis, Reggio Emilia, K. Wojtyla, L’uomo nel campo della responsabilità, a cura
di, Bompiani, Milano, Federalismo e progettualità politico-sociale in Cattaneo
e Tuveri, in Quaderni sardi di filosofia, letteratura e scienze umane); Cattaneo
e Tuveri in Cattaneo temi e interpretazioni, Corona, Centro Editoriale Toscano,
Firenze, Al confine ed oltre. La sofferenza tra normalità e patologia, Edizioni
Universitarie, Roma); J. Sartre, Barionà
o il figlio del tuono, a cura di, Marinotti, Milano, Due Filosofi militanti:
Carlo Cattaneo e Giovanni Battista Tuveri in Cattaneo e Garibaldi. Federalismo
e Mezzogiorno, A. Trova, G. Zichi, Carocci, Roma, Esperienza e pena in Satta in
Nella scrittura di Salvatore Satta, Magnum, Sassari, Note Introduttive alla
filosofia di Wojtyla, Orientamenti Sociali Sardi); Note sul cristianesimo di Pigliaru,
Orientamenti Sociali Sardi, Nov-Dic., Etica e santità in Simone Weil; in Etica
contemporanea e santità, Edizioni Rosminiane, Stresa); Legge morale e legge
civile in Natura umana, evoluzione ed etica. Annuario di Filosofia, Guerini e
Associati, Milano, V. Jankélévitch, Corso di filosofia morale, a cura di, Raffaello
Cortina, Milano); Filosofia e letteratura in Karol Wojtyla, Urbaniana
University Press, Roma, La phénoménologie de l’agir moral selon Wojtyla, in Nouvelle
Revue Theologique, Prefazione
all’analisi dell’esperienza comune in Capograssi, in La vita etica, F. Mercadante,
Bompiani Milano, La noia in Jankélévich, in In Dialogo con Vladimir
Jankélévich., Petrini, Mimesis, Milano); La filosofia di Capograssi in
Esperienza e verità- Capograssi filosofo
oltre il nostro tempo, Il Mulino, Bologna, L’eredità di Capograssi nel pensiero
di Pigliaru, in Antonio Pigliaru. Saggi Capograssiani, a cura di, Edizioni
Spes, Roma, Ragione e mistero, in
Orientamenti Sociali Sardi, XV,. Il pensiero di Noce sul Magistero della
Chiesa, in Attualità del pensiero di Augusto Del Noce,, Cantagalli, Siena, Contro
lo scientismo. Una esperienza di vita, in Gesù Di Nazareth
all’UniversitàAzzaro, Libreria Editrice Vaticana, Roma,. Libertà di coscienza e
religione, in Martha C. Nussbaum, in Nel mondo della coscienza: verità,
libertà, santità, Centro Internazionale di Studi Rosminiani, Stresa, Individuo
Stato e comunità in Pigliaru, in Le radici del pensiero sociologico-giuridico,
A. Febbrajo, Giuffré, Milano,. La pace e la guerra nel pensiero di Cimbali e Vecchio
docenti nell’Sassari in Scrittura e memoria della Grande Guerra, A. Delogu e
A.M. Morace, Pisa, ETS, Questioni di
senso- Breviario filosofico, Donzelli, Roma,. La vita e il diritto nell’opera
di Satta, Nuoro, Lezione di commiato di Antonio Delogu, La Nuova Sardegna, 02
marzo, su lanuovasardegna.gelocal. Remo BodeiAntonio Delogu, su youtube.com.
Festival di filosofia. Wikipedia Ricerca Sardegna e Corsica provincia
romana Lingua Segui Modifica Sardegna e Corsica Sardegna e Corsica Un
pavimento a mosaico proveniente da Nora (in alto a destra), le rovine romane di
Aleria (in basso a destra), le terme romane di Fordongianus (in basso a
sinistra), e le rovine dell'anfiteatro romano di Cagliari (in alto a sinistra).
Informazioni generali Nome ufficialeSardinia et Corsica CapoluogoCaralis
Dipendente daRepubblica romana, Impero romano Amministrazione Forma
amministrativa Provincia romana GovernatoriGovernatori romani di Sardegna e
Corsica Evoluzione storica Inizio237 a.C. CausaPrima guerra punica Fine456
CausaInvasione dei Vandali Preceduto daSucceduto da Domini cartaginesiRegno dei
Vandali Cartografia Corsica et Sardinia SPQR.png La provincia nell'anno 120 La
Sardegna e Corsica (in latino: Sardinia et Corsica) fu una provincia romana di
età repubblicana e imperiale. La Sardegna entrò nella sfera d'influenza romana
dal 238 a.C. La Corsica due anni più tardi ed entrambe vi rimasero fino
all'invasione dei Vandali del 456. Roma occupò la Sardegna nell'intervallo fra
la prima e la seconda guerra punica. Già nei primi anni del grande conflitto,
precisamente nel 259 a.C., il suo esercito aveva tentato la conquista
dell'isola, giungendovi dalla Corsica, ma il console Lucio Cornelio Scipione,
dopo essersi impadronito di Olbia, aveva dovuto ritirarsi. Statuto
Magnifying glass icon mgx2.svgLo stesso argomento in dettaglio: Province romane
e Lista dei pretori di Sardegna e Corsica. La Sardegna (in greco Σαρδώ, Sardò)
e la Corsica (Κύρνος, Kýrnos),[1] furono annesse, sottraendole alla dominazione
punica. I buoni rapporti che intercorrevano tra le popolazioni locali e i
Cartaginesi, contrapposti ad un regime di conquista introdotto dai Romani,
determinarono una serie di rivolte (in Sardegna. in Corsica) e un'incompleta
pacificazione in particolare delle tribù dell'interno, con continue azioni,
considerate brigantaggio dai Romani. L'intera provincia era governata da
un pretore(attestato a partire dal 227 a.C.), con capoluogo a Carales
(Cagliari), in Sardegna. Probabilmente l'intero territorio della Sardegna
fu considerato ager publicus populi Romani e sottoposto all'esazione di una
decima, a cui potevano aggiungersi altre requisizioni e si ritiene che ad un
regime simile sia stata sottoposta anche la Corsica. Di una certa importanza
era la produzione di grano della Sardegna mentre altre esportazioni erano
costituite dal sugheroe da prodotti della pastorizia e dalle saline. La
proprietà terriera mantenne in Sardegna il carattere di latifondo, già
impostato sotto la dominazione punica. La situazione della provincia
rimase marginale con una scarsa romanizzazione, soprattutto dovuta alla
presenza dei reparti militari, e con una forte permanenza della cultura locale.
Una prima consistente immigrazione si ebbe nel I secolo a.C. in seguito alle
proscrizioni delle guerre civili. Durante il periodo della guerra civile tra
Mario e Silla vi vennero dedotte in Corsica le colonie di Mariana (presso
Biguglia) e di Aleria. Dopo la morte di Silla, vi riparò Marco Emilio Lepido, che
in seguito, sconfitto dal governatore Gaio Valerio Triario, si spostò in Spagna
con alcuni seguaci. Durante la guerra civile tra Cesare e Pompeo la provincia
fu abbandonata dai pompeiani, ma le diverse città accolsero diversamente le
truppe cesariane e furono di conseguenza punite o ricompensate. Cesare fondò la
colonia di Turris Libisonis (Porto Torres, sulla costa settentrionale) e
attribuì a Carales lo stato di municipio. Parallelamente, in funzione del loro
appoggio, a diversi influenti personaggi locali era stata concessa la
cittadinanza romana. La romanizzazione non si estese tuttavia mai del tutto
nell'interno delle due isole. Con la riforma augustea nel 27 a.C. la
provincia divenne senatoria, ma nel 6 d.C., la necessità di mantenervi un presidio
armato contro il persistere del brigantaggio indusse lo stesso Augusto a
passarla a provincia imperiale. Fu amministrata sempre da un praefectus
Sardiniae a partire da Tiberio, e da Claudio al titolo principale di praefectus
Sardiniae fu aggiunto l'attributo procurator Augusti. Passò a varie riprese da
senatoria, governata da un propretore, a imperiale, a seconda delle necessità
contingenti. La provincia fu occupata da alcuni latifondi di proprietà
imperiale e interessata dallo sfruttamento delle minieree fu spesso utilizzata
come luogo di confino (per esempio per Seneca). Storia delle due isole
romaneModifica Il Mediterraneo occidentale nel 348 a.C. al tempo del
secondo trattato tra Roma e Cartagine. Frattanto gli Etruschi subiscono
l'attacco dei Galli e di Roma Lo stesso argomento in dettaglio: Storia della
Sardegna, Storia della Corsica e Trattati Roma-Cartagine. Sembra che il primo
serio interessamento di Roma alla Corsica si ricavi da un testo di argomento
insospettabile: è infatti in Teofrasto, il botanico greco, che si legge di una
spedizione romana in Corsica finalizzata alla fondazione di una città. Le 25
navi della spedizione incorsero però in un inatteso inconveniente, rovinandosi
le vele con la selvaggia e gigantesca vegetazione, i cui rami crescevano e si
sporgevano dai golfi e dalle insenature dell'isola sino a lacerarle
irrimediabilmente; e, per completare il disastro, la zattera che caricava 50
vele di ricambio affondò con tutto il carico. La spedizione sarebbe avvenuta
intorno al IV secolo a.C., a questo periodo infatti diversi studiosi, fra i
quali Pais, riferiscono il brano del botanico. Fallita la prima
spedizione, non era cessata l'attenzione dell'Urbe per il mare e le due isole.
Per questo interesse giunse anche, a stipulare due trattati con Cartagine,
entrambi riguardanti Sardegna e Corsica; ma se rispetto alla prima isola i
passaggi dei trattati sono ben chiari[8], i patti sulla seconda sono tutt'altro
che nitidi, al punto che Servio osserva che in foederibus cautum est ut Corsica
esset medio inter Romanos et Carthaginienses. Anche Polibio, narrando dei
trattati, non menziona la Corsica e da questo silenzio, insieme al fatto che
l'isola non figurava nemmeno nelle descrizioni dei territori a controllo
cartaginese, il Pais ed altri dedussero che la facoltà di controllarla che
tempo prima Cartagine aveva pattuito con gli Etruschi, si fosse da questi
trasmessa a Roma. Tuttavia lo stesso Pais ricorda, per converso, che Cartagine
non aveva mai rinunziato a mire sull'intero Mediterraneo, e che riponeva nella
Corsica un interesse specifico, giacché ne assoldava periodicamente fidati
mercenari; questa circostanza, unita ad una facile riflessione sull'importanza
strategica di un'isola a vista, anzi dirimpettaia delle rive liguri, toscane e
laziali, punto quindi di osservazione e di attacco, parrebbe smentire l'ipotesi
di un disinteressamento di Cartagine come causa del silenzio dei
trattati. L'occupazione Lo stesso argomento in dettaglio: Prima guerra
punica. Dopo lo scoppio della prima guerra punica, il console romano Lucio
Cornelio Scipione sbarcò in Corsica presso lo stagno di Diana, a circa 3 km da
Aleria, e assediò la città; sebbene l'invasore contasse sull'effetto sorpresa,
Aleriaresistette a lungo e dopo la capitolazione Scipione la fece saccheggiare
con ferocia, ciò che secondo Floroavrebbe diffuso lo sgomento fra le
popolazioni corse. Prima di aver consolidato l'occupazione della Corsica,
Scipione passò in Sardegna dove secondo Giovanni Zonara i locali erano in
rivolta contro Roma in quanto sobillati dal generale cartaginese Annone. Sulla
rivolta non vi sono dubbi, ma sono state espresse perplessità a proposito
dell'asserita fomentazione cartaginese, ad esempio il Dyson definì l'asserzione
di Zonara a cryptic passage. A ogni buon conto, Scipione uccise Annone e ne
organizzò il funerale. Al suo rientro a Roma, il console celebrò il trionfo per
la vittoria su Cartaginesi, Sardi e Corsi. Le Bocche di Bonifacio
che separano le due isole Gaio Sulpicio Patercolo sbarcò nella zona di Sulci in
Sardegna, ma nei venti anni che seguirono non sono riportate attività
dell'esercito Romano in Sardegna. La pace lasciò così l'isola sotto l'egemonia
di Cartagine, anche perché la suddivisione del Mediterraneo in sfere
d'influenza aveva portato i Cartaginesi, una volta persa la Sicilia, a spostare
la propria attenzione verso altre zone al di fuori della sfera d'influenza
Romana. Ma in quello stesso anno, seguendo l'esempio dei commilitoni d'Africa,
i mercenari stanziati da Cartagine in Sardegna si ribellarono e s'impadronirono
del potere nell'isola, compiendovi ogni sorta di efferatezze finché i Sardi,
esasperati, insorsero e li cacciarono dalla loro terra. L'orda dei sanguinari
invasori si rifugiò allora in Italia dove invitò i Romani a prendere possesso
della Sardegna, momentaneamente indifesa. L'invito fu accolto: Roma, cogliendo
l'occasione dei preparativi punici per la rioccupazione dell'isola, accusò
Cartagine di preparare l'invasione del Lazio e inviò le sue legioni in
Sardegna. Cartagine, che non era allora in condizioni di intraprendere una
nuova guerra contro Roma, subì il sopruso. Il senato romano dichiarò
guerra ai Corsi ed inviò una spedizione di conquista guidata da Licinio Varo,
non coerente con l'avvenuta occupazione dell'isola attestata in alcuni storici
romani. Il comandante Varo, comunque, conscio dell'esiguità della flotta
assegnatagli, fece precedere l'attacco principale da un'operazione decentrata
meno impegnativa, onde fiaccare le difese corse, facendo sbarcare sull'isola un
corpo separato di spedizione al comando dell'ex console Marco Claudio Clinea.
Prima di questa operazione, Clinea aveva già compromesso la sua reputazione
presso i Romani, avendo osato andare in battaglia contro l'avviso degli àuguri
e avendo pure commesso un sacrilegio consistente nell'avere (o aver fatto)
strangolare dei galli sacri; ansioso di riguadagnare prestigio, egli mosse da
solo contro il nemico e ne fu sconfitto.I Focei lo obbligarono a siglare un
umiliante trattato presto sconfessato da Varo, che lo ignorò o lo infranse, a
seconda dei punti di osservazione, e attaccò quando gli avversari, i quali dopo
la firma del trattato non si attendevano un attacco e avevano quindi
smobilitato. Varo li vinse facilmente e conquistò territori nella parte
meridionale dell'isola; poi tornò a Roma dove chiese la celebrazione del
trionfo, che gli fu però negato. Quanto allo strangolatore di galli, Clinea,
Roma decise di lasciarlo in mano ai Corsi presumendo che lo avrebbero ucciso
per esser in qualche modo venuto meno (con l'attacco guidato da Varo) al
trattato sottoscritto, ma questi lo liberarono ed anzi lo rinviarono a Roma
indenne; il Senato tuttavia non cambiò idea e, dopo averlo riportato in città,
lo condannò a morte, inducendo Valerio Massimo a chiosare che hic quidem Senatus
animadversionem meruerat. Le tribù Nuragiche. Le prime rivolte Così
come i Corsi, anche le popolazioni sarde che se in precedenza avevano finito
con l'accettare la presenza dei Cartaginesi collaborando parzialmente con loro,
ora non erano affatto disposte a subire il dominio di questa nuova gente,
anch'essa venuta d'oltremare con le armi in pugno, ed intrapresero subito
un'accanita resistenza all'invasore nei modi di una ostinata e persistente
guerriglia. Essi infatti erano armati alla leggera: utilizzavano le pelli di
muflonecome corazze naturali, oltre ad un piccolo scudo ed una piccola spada. Già
nel 236 infatti, due anni dopo la conquista da parte romana del centro
sardo-punico della Sardegna, i Romani condussero varie operazioni militari
contro i Sardi che rifiutavano di sottomettersi. Sobillati dai Cartaginesi che
"agivano segretamente", i Sardi si ribellarono, ma la rivolta fu
soffocata nel sangue da Manlio Torquato, che avrebbe celebrato il trionfo sui
Sardi. Altre rivolte furono sanguinosamente represse dal Console Carvilio
Massimo, il cui trionfo sarebbe stato celebrato il 1º aprile dello stesso anno.
Fu il console Manio Pomponio a sconfiggere i Sardi ed a ricevere gli onori del
trionfo. La resistenza, però, era ben lungi dall'essere stata sedata ed anzi il
clima si fece rovente. I consoli Marco Emilio Lepido e Publicio Malleolo, di
ritorno da una spedizione in Sardegna in cui avevano razziato dei villaggi,
furono costretti da una tempesta a prendere terra in Corsica; gli abitanti li
assalirono, massacrarono i soldati e li depredarono del bottino sardo. Il
Senato di Roma inviò allora nell'isola il console Caio Papirio Maso, il quale
dopo una serie di buoni successi nelle zone costiere, si diede ad inseguire i
corsi (per Roma "i ribelli") sulle montagne. Qui i padroni di casa
ebbero facilmente la meglio, dovendo il romano fare i conti anche con la
scarsità di rifornimenti e perdendo uomini, oltre che per le azioni militari,
anche per la denutrizione delle sue truppe. Papirio fu costretto ad una resa e sottoscrisse
un altro trattato i cui dettagli non sono noti, ma che assicurò un buon periodo
di pace. In seguito Roma completò l'occupazione della Corsica durante la prima
guerra punica, dando l'avvio ad una fase di dominazione che durò ininterrotta
per circa sette secoli. Data la grave situazione di pericolo, furono
inviati addirittura due eserciti consolari: uno contro i Corsi, comandato da
Papirio Masone, e uno, guidato da Marco Pomponio Matone, contro i Sardi. I
consoli non ottennero il trionfo, dati i risultati fallimentari conseguiti. E a
poco valse a Papirio Masone celebrare di sua iniziativa il trionfo, negatogli
dal senato, sul monte Albano anziché sul Campidoglio e con una corona di mirto
anziché di alloro. La provincia di Sardegna e Corsica Lo stesso argomento
in dettaglio: Lista dei pretori di Sardegna e Corsica. Si verificò una
recrudescenza dei moti, ma ormai Roma era fortemente intenzionata ad
assicurarsi il dominio del Mar Mediterraneo, e dunque il possesso della
Sardegna e della Corsica, che continuavano ad essere di decisiva importanza;
così, le due isole (perlomeno le parti controllate da Roma) ottennero la forma
giuridica ed il rango di Provincia - la seconda dopo la Sicilia - e vi fu
inviato il pretore Marco Valerio Levino per governarla. Per domare gli ultimi
focolai, stavolta fu inviato l'esperto Console Gaio Atilio Regolo, con 2
legioni. La rivolta sarda di Ampsicora e gli anni della guerra Annibalica Lo
stesso argomento in dettaglio: Seconda guerra punica. Mappa della rivolta
di Ampsicora in Sardegna Giunse a Roma una lettera del propretore Aulo Cornelio
Mammula, il quale si lamentava del fatto che non erano stati corrisposti gli
stipendia ai suoi soldati di stanza nell'isola, e che vi erano gravi carenze di
approvvigionamenti di grano. Allo stesso fu risposto di dover provvedere con i
propri mezzi, poiché al momento non vi era alcuna possibilità di soddisfare
tali richieste. In assoluto, la più
importante rivolta dei Sardi fu quella scoppiata all'indomani delle grandi
vittorie di Annibale in Italia. Livio sostiene che: «l'animo dei Sardi
era stanco della lunga durata del dominio romano, spietato ed avido; erano
stati oppressi da pesanti tributi e con ingiuste imposizioni di rifornimenti di
frumento.» (Livio) Il nuovo pretore inviato nell'isola, Quinto Mucio
Scevola, si ammalò probabilmente di malaria dalla descrizione che ne fece
Livio. E quando si venne a sapere della sua malattia a Roma, gli vennero
inviati dei rinforzi (pari a 5.000 fanti e 400 cavalieri), posti sotto il
comando di Tito Manlio Torquato. Un autorevole esponente dell'aristocrazia
terriera sardo-punica, quell'Amsicora (o Ampsicora) che Tito Livio definì: «qui
tum auctoritate atque opibus longe primis erat» (colui il quale in quel tempo
era largamente primo per autorità e per ricchezze), era infatti riuscito non
solo a mettere in campo un esercito sardo abbastanza consistente, ma anche ad
ottenere rinforzi militari da Cartagine, inviandovi ambasciatori in segreto.
Secondo alcune fonti insieme ad Amsicora a condurre la rivolta si trovava pure
Annone, un ricco cittadino punico di Tharros. Cartagine sostenne la rivolta
inviando una flotta forte di 15.000 armati, sotto il comando di Asdrubale il
Calvo. Il piano di Amsicora era quello di dare battaglia solo quando tutte le
forze disponibili si fossero riunite. Per continuare il reclutamento tra i
sardi dell'interno, lasciò il comando al figlio Iosto a Cornus con una parte
dell'esercito. I rinforzi di Cartagine però non arrivarono in tempo per colpa
di una tempesta che dirottò le navi sulle isole Baleari dove rimase per molto
tempo per essere riparata;e i Sardi dell'interno indugiarono troppo prima di
unirsi al suo gruppo. Iosto accettò imprudentemente la battaglia offerta dal
comandante Manlio Torquato. L'esercito sardo fu sconfitto subendo la perdita di
3.000 soldati, 800 furono fatti prigionieri[28]. Asdrubale il Calvo
intanto raggiunse la Sardegna, sbarcò a Tharros e respinse i Romani verso Caralis.
A loro si unì Amsicora con il resto dell'esercito sardo. Lo scontro con i
Romani avvenne nella piana del Campidano meridionale, tra Decimomannu e Sestu.
Dopo una cruenta battaglia la coalizione sardo-punica fu duramente sconfitta,
morirono 12.000 tra Sardi e Cartaginesi e 3.700 furono fatti prigionieri fra i
quali Asdrubale il Calvo ed Annone. Iosto morì in battaglia. Amsicora affranto
dal dolore per la morte del figlio, non volendo finire nelle mani dei Romani si
uccise. Una flotta cartaginesedi 40 navi, comandata da Amilcare apparve
davanti alla città di Olbia, situata nella costa nordest della Sardegna e la
devastò; poi quando apparve il pretore Manlio Vulsone con l'esercito, il
comandante cartaginese si affrettò ad allontanarsi fino a raggiungere Caralis
(Cagliari), che saccheggiò e da lì fece ritorno in Africa con un ingente
bottino. Le rivolte del II secolo Romania e Barbaria Il II secolo a.C.
fu, specialmente nella sua prima parte, un periodo di importanti fermenti
insurrezionali. Nel 181 a.C. ci fu una rivolta dei Corsi, sedata nel sangue dal
pretore Marco Pinario Posca, che ne uccise circa 2.000 e fece un certo numero
di schiavi. Una nuova rivolta fece intervenire Attilio Servato, pretore in
Sardegna, che fu battuto e costretto a ripararsi sull'altra isola; Attilio
chiese rinforzi a Roma, questa inviò Caio Cicerio che, dopo aver fatto voto a
Giunone Moneta di erigerle un tempio in caso di successo, ottenne un nuovo
sanguinoso successo, con 7.000 corsi uccisi e 1.700 fatti schiavi. A domare una
nuova rivolta fu invece Marcus Juventhius Thalna, delle cui gesta non è stato
tramandato. Oltre al silenzio letterario sulla spedizione, colpiscono due
aspetti anche più singolari del poco che ne è stato tramandato: il primo è che
dopo aver avuto notizia del successo il senato romano indisse delle preghiere
pubbliche, il secondo è che saputo a sua volta di quanto importante fosse stato
considerato il suo successo, Thalna ne trasse tanta emozione da addirittura
morirne. Morto Thalna, la ribellione dovette riprendere immediatamente,
sostiene Colonna, poiché Valerio Massimo, pur senza parlare di altre rivolte,
segnala che dalla Sardegna dovette allungarsi sull'isola corsa anche Scipione
Nasica a completare la pacificazione; circa la complessiva azione romana di
repressione delle insurrezioni, lo stesso Colonna suggerisce inoltre che in
nessun caso debba essersi trattato di successi pieni poiché, oltre che al
primo, a nessun altro condottiero fu poi più concesso il trionfo. La
resistenza dei Sardi si protrasse ancora nel II secolo a.C. Per sedare la
ribellione dei Balari e degli Iliesi, il Senato inviò il console Tiberio
Sempronio Gracco al comando di due legioni di 5.200 fanti ciascuna, più 300
cavalieri, cui si associarono altri 1.200 fanti e 600 cavalieri fra alleati e
Latini. In questa rivolta persero la vita 27.000 sardi; in seguito alla
sconfitta, a queste comunità fu raddoppiato il gravame delle tasse, mentre
Gracco ottenne il trionfo. Tito Livio documenta l'iscrizione nel tempio della
dea Mater Matuta, a Roma, dove i vincitori esposero una lapide celebrativa che
diceva:« Sotto il comando e gli auspici del console Tiberio Sempronio Gracco,
la legione e l'esercito del popolo romano sottomisero la Sardegna. In questa
provincia furono uccisi o catturati più di 80.000 nemici. Condotte le cose nel
modo più felice per lo Stato romano, liberati gli amici, restaurate le rendite,
egli riportò indietro l'esercito sano e salvo e ricco di bottino; per la
seconda volta entrò a Roma trionfando. In ricordo di questi avvenimenti ha
dedicato questa tavola a Giove.» La Sardegna in epoca romana aveva appena 1/5
dei suoi abitanti attuali (300.000 contro 1.600.000 attuali) e la Barbagia (più
o meno la provincia di Nuoro) poteva avere allora appena 55 000 abitanti (1/5
dei suoi attuali 280.000). Se l'epigrafe raccontava il vero, i Romani avevano
ucciso la metà degli abitanti, per di più tutti maschi e adulti. Le
rivolte dei Sardi non si erano concluse, ma bisognò attendere gli anni 163 e
162 a.C. per vederne di nuove dopo lo sterminio compiuto da Sempronio Gracco.
Non si sa molto su queste rivolte poiché andarono perduti i testi di Livio. Si
sa però da altre fonti che le sollevazioni causate dall'eccessiva pressione
fiscale dei pretori romani continuarono e gli eserciti e i generali romani che
si susseguirono nel compito di domare questa terra utilizzarono sempre la
stessa strategia: eliminare il maggior numero di Sardi possibile. Tra le
ultime rivolte di una qualche importanza vanno citate quelle del 126 e del 122:
quest'ultima permise a Lucio Aurelio di celebrare l'8 dicembre il penultimo
trionfo romano sui Sardi. L'onore però dell'ultimo fu dato dal Senato al
console Marco Cecilio Metello che sconfisse l'ultima resistenza dei Sardi uniti
(quelli delle coste e dell'interno). Da questo momento, i Sardi delle zone
costiere e delle pianure dell'Isola smisero di ribellarsi e col passare del
tempo si romanizzarono. Continuarono invece le ribellioni delle seguenti tribù
dell'interno che costrinsero le guarnigioni romane a estenuanti campagne
militari. Ilienses (siti tra il Marghine ed il Goceano) Balari (abitanti
il Monteacuto e parte della Gallurameridionale) Corsi (ubicati nella estremità
settentrionale della Sardegna) Olea - "Sardi Pelliti" o Aichilensens
(così definiti dall'erudito geografo Tolomeo, dal greco aix, aigòsovvero
vestiti di pelli di capra), abitanti la regione del Montiferru: arroccati nelle
fortezze di sa Pattada Cunzada (959 m) - Scano di Montiferro -, Badde Urbara
(900 m) - Santu Lussurgiu -, nei nuraghi di Leari (850 m), su Crastu de sa
Chessa (745 m), Funtana de Giannas (690 m) - Scano di Montiferro -, Silbanis e
Monte Urtigu (1050 m) - Santu Lussurgiu Celsitani, Nurritani, Cunusitani,
Galillensi (odierna Barbagia), Parati, Sossinati e Acconiti (nel Monte Albo e
nei Monti Remule) costituenti la cosiddette Civitates Barbariae, dimoranti
nell'area chiamata Barbària e probabilmente facenti parte dell'etnia degli
Ilienses. In queste epoche, un gran numero di Sardi che erano stati fatti
prigionieri furono venduti come schiavi nei mercati di Roma, al punto che
divenne proverbiale la frase di Livio: "sardi venales" (sardi a basso
costo). Mario fondò in Corsica la città di Mariana (Colonia Mariana a
Caio Mario deducta), sita presso l'attuale comune di Lucciana verso la foce del
Golo. Da questo momento iniziò la colonizzazione vera e propria e sull'isola
fiorirono ville rustiche e suburbane, villaggi e insediamenti di ogni tipo,
incluse le terme di Orezza e Guagno. Le Guerre SocialiModifica Durante le
guerre civili romane la Sardegna fu dapprima spinta verso la fazione mariana
dal suo governatore Quinto Antonio e poco dopo indotta a schierarsi nel campo
opposto dal sopraggiungere del rappresentante di Silla. Sono i legionari di
Silla a trovare in Corsica il luogo di pensionamento, stavolta presso
Aleria. Morto Silla, il pretore Caio Valerio Triario mantenne la Sardegna
fedele al partito senatorio capeggiato da Pompeo (l'isola pagò a quest'ultimo
un enorme tributo in acciaio per le armi del suo esercito), finché Carales
(Cagliari) non si schierò con Cesare, imitata poco dopo da tutto il resto
dell'isola. Fu scacciato il luogotenente di Pompeo, Marco Cotta, e fu accolto
favorevolmente quello di Cesare, Quinto Valerio Orca. I pompeiani non si
diedero per vinti e iniziarono una serie di azioni guerresche intese alla
riconquista delle città costiere. Sulci si arrese mentre Carales resistette:
per questo motivo, Cesare punì la prima e premiò la seconda. La situazione si
capovolse di nuovo quando la Sardegna, assegnata ad Ottaviano, e invece
occupata da SESTO POMPEO MAGNO che la tenne come preziosa base per la sua lotta
contro i cesariani, quando, tradito dal suo luogotenente, fu definitivamente
soppiantato da Ottaviano nel possesso dell'isola. Con quella data
finalmente ebbe termine per la Sardegna il periodo delle lotte violente e dei
bruschi sovvertimenti politici, con le loro funeste conseguenze economiche,
durato esattamente duecento anni. Diodoro Siculo visitò la Corsica e notò
che i còrsi osservavano tra loro regole di giustizia e di umanità che valutò
più evolute di quelle di altri popoli barbari; ne stimò il numero in circa
30.000 e riferì che essi erano dediti alla pastorizia e che marchiavano le
greggi lasciate libere al pascolo. La tradizione della proprietà comune delle
terre comunali non fu eradicata del tutto. I primi due secoli
dell'ImperoModifica Busto di Augusto, museo archeologico nazionale di
Cagliari Le province dell'Impero romano furono ripartite tra le province
affidate all'Imperatore Augusto, governate da legati di rango senatorio, e
province affidate al senato, tra cui la Sardegna e Corsica, governate da
proconsoli (proconsules) di rango senatorio . Anche nelle province senatorie
l'Imperatore aveva suoi rappresentanti di rango equestre detti procuratori
(procuratores) Presso Aleria e Mariana si approntarono basi secondarie
della flotta imperiale di Miseno. I marinai còrsi arruolati presso i porti
dell'isola furono tra i primi a ottenere la cittadinanza romana (sotto
Vespasiano). Analogamente a quanto avveniva in altre province, i Romani si
guadagnarono il rispetto e la collaborazione dei capi locali (a cominciare dai
Venacini, tribù del Capo Corso), riconoscendo loro funzioni di governo locale
ed apportando ricchezza con la messa a profitto delle terre sfruttabili in
collina e lungo le coste. I sardi si ribellarono, non solo all'interno ma
anche nelle pianure, e manifestarono il loro malcontento unendosi ai pirati del
Tirreno. La violenza di questa rivolta costrinse Augusto a rimuovere i senatori
dal comando della Sardegna ed a prenderne lui stesso il controllo diretto. Fu
inviato un distaccamento di legionari, comandati da un prolegato (al posto del
legato) di rango equestre o da un prefetto, a rinforzare la presenza militare
sull'isola che prima era affidata solo ad alcune coorti ausiliarie. La rivolta
fu così violenta che alcuni storici hanno ipotizzato che la Sardegna e la
Corsica fossero state divise e affidate a 2 governatori di pari grado
indipendenti l'uno dall'altro; è infatti attestata l'esistenza di un praefectus
corsicae. Più accreditata è però l'ipotesi che vuole che questo prefetto di
Corsica fosse un subordinato del governatore della Sardegna. Svetonio ci
dice che Augusto visitò tutte le province tranne la Sardegna e l'Africa poiché
le condizioni del mare non glielo permisero, mentre quando il mare non glielo
impediva non c'era bisogno che partisse: questo fa capire che la rivolta pur
essendo violenta non durò molto. Infatti nel 19 Tiberio sostituì il
distaccamento di legionari con 4000 liberti (o figli di liberti) ebrei. La
situazione ritornò tranquilla e Claudio ridette il comando al senato.
Nerone mandò in esilio in Sardegna Aniceto, ex precettore dell'imperatore ed ex
prefetto della flotta di Miseno. Aniceto, su istigazione di Nerone ne aveva
ucciso la madre, Agrippina e qualche anno dopo, per spianare la strada a Poppea
"confessò" una relazione con Claudia Ottavia moglie legittima di
Nerone e fanciulla di specchiata virtù. La Tavola di Esterzili
risalente al regno di Otone, e riportante un decreto del Proconsole della
Sardegna Lucio Elvio Agrippa atto a dirimere una controversia tra i Gallilensi
e i coloni Patulcenses Campani Probabilmente per evitare fughe di notizie o
ricatti Aniceto fu spedito in Sardegna dove visse fra gli agi al sicuro anche
da eventuali sicari dell'imperatore. Seneca, il tutore di Nerone, passò dieci
anni in esilio in Corsica. Vespasiano, tolse al senato il controllo della
Sardegna - forse di nuovo in fermento - e la affidò a un procuratore.
L'imperatore Traiano ristrutturò e potenziò il centro di Aquae Hypsitanaeche
assunse in suo onore il nome di Forum Traiani. Il II secolo fu un momento
di sviluppo e di prosperità anche per la Sardegna: tutti gli abitanti, anche i
barbaricini, si mostravano contenti della politica romana (almeno secondo la
storiografia ufficiale) e ben presto tutta l'isola avrebbe parlato latino (la
lingua dei Cartaginesi è attestata fino al principato di Marco Aurelio). In
questo periodo non ci furono rivolte ed i Romani ebbero la possibilità di ricostruire
e migliorare la rete stradale punica spingendola anche all'interno, costruirono
terme, anfiteatri, ponti, acquedotti, colonie e monumenti. La ricchezza
della Sardegna era dovuta ad uno sfruttamento agricolo e minerario senza
precedenti: l'isola infatti esportava piombo, ferro, acciaio e argento grazie
alle sue miniere, e grano per 250.000 persone. Ma nonostante tutto la Sardegna
venne sempre considerata, e non solo sotto i Romani, come una terra lontana e
utile solo per isolare prigionieri e nemici dell'impero. Tra le varie persone
che giunsero in Sardegna dal mare vi erano numerosi criminali, rivoluzionari ma
anche tantissimi cristiani tra cui anche i papi Callisto e papa Ponziano e il
famoso prete Ippolito. I governatori, in questa fase, sembravano di fatto
dei coordinatori manageriali, con esperienza nel rifornimento e nel trasporto
del grano, più che uomini d'arme. Sappiamo ora con certezza che, nel 170, la
Sardegna era sotto il controllo senatoriale. Se Ippolito è preciso nella sua
terminologia, il governatore della provincia era chiamato procurator. Questi
governatori (procuratori) gestirono il territorio in modo pacifico ma dopo,
come del resto in tutto l'impero, riprese il malcontento della popolazione, che
costrinse i governatori a reprimere le rivolte con l'uso della forza, nei casi
più gravi. Gli ultimi tre secoli dell'ImperoModifica La situazione era
cambiata rispetto a quella del secolo precedente; i governatori erano quasi
tutti militari ed alcuni, come Tizio Licinio Hierocle e Publio Sallustio
Sempronio, erano anche uomini con esperienze di guerra. Il malcontento andò
aumentando poiché le tasse erano alte, il latifondo si diffondeva e gli
agricoltori erano sempre più legati alla terra. Il fatto che grazie a Caracalla
i Sardi e i Corsi, come tutti gli abitanti dell'Impero, avessero ottenuto la
cittadinanza romana, passò in secondo piano poiché questo onore era in concreto
legato a tasse aggiuntive. durante il regno di Filippo l'Arabo, fu
intrapresa la ristrutturazione e risistemazione dell'impianto viario della
provincia che cominciò con Publio Elio Valente e continuò anche durante il
breve regno di Emiliano. Ricordiamo, inoltre, di numerosi martiri del
periodo. San Simplicio, San Gavino, San Saturnino, San Lussorio e Sant'Efisio
in Sardegna mentre Santa Devota (martire attorno, persecuzione di Settimio
Severo, o persecuzione di Diocleziano) è, assieme a santa Giulia, una delle
prime sante còrse di cui si sia avuta notizia. Secondo la leggenda, la nave che
ne trasportava il feretro verso l'Africa fu gettata da una tempesta sul
litorale monegasco. Per questo sarebbe divenuta la patrona del Principato di
Monaco e della famiglia Grimaldi. Santa Giulia (martire durante la persecuzione
di Decio, o quella di Diocleziano), è la patrona di Corsica e di Brescia, città
dove riposano le sue reliquie dopo che vi fu fatta trasportare da Ansa, moglie
del re longobardo Desiderio. Santa Giulia è patrona anche di Livorno, dove le
spoglie della santa avrebbero fatto tappa provenendo dalla Corsica. A queste
martiri se ne aggiunge un'intera schiera, tra i quali san Parteo, che fu forse
il primo vescovo di Corsica. Il primo vescovo còrso di cui si abbia notizia
certa è Catonus Corsicanus, che partecipò, così come il vescovo di Caralis
Quintinasio, al Concilio di Arlesindetto da Costantino I. I domini
dei Vandali attorno al 456, dopo la conquista di Sardegna e Corsica.
Diocleziano unì la provincia alla Dioecesis Italiciana Dopo la divisione della
diocesi attuata da Costantino, venne compresa nell'Italia Suburbicaria. Sardegna
e Corsica rimasero sotto Roma per tutto il convulso IV secolo e i primi decenni
del V (nell'impero romano d'Occidente), fino a quando nel 456 i Vandali, di
ritorno dalla penisola, dove avevano saccheggiato Roma, en passant le
conquistarono e le annessero al loro regno. Ma vinsero solo sulle coste, poiché
i Sardi dell'interno, ormai pratici, immediatamente si ribellarono ai Vandali
impedendo loro di entrare nella loro zona. Aleria, in Corsica, fu saccheggiata
e, abbandonata, finì in rovina, lo stesso destino toccò ad Olbia. La
parte romanizzata della Sardegna, grazie ad un certo Goda, che era un
governatore vandalo dell'isola di origine gotica, dopo essersi ribellato al
potere centrale resistette per un certo periodo ai Vandali assumendo il titolo
di "Rex". Difesa ed esercito I Sardi entrarono anche a far
parte dell'esercito romano dando il loro modesto contributo ovunque vi fossero
truppe; infatti, per quanto riguarda i legionari, non essendo un'isola molto
popolata, e dato che i cittadini non avevano avuto la cittadinanza (ottenuta
dopo la riforma di Caracalla), il numero fu sempre bassissimo ed entra nelle
statistiche solo nell'epoca successiva ad Adriano. Per quanto riguarda
gli ausiliari, i Sardi fornirono (come isola Sardegna) 3 coorti, mentre come
provincia (Sardegna e Corsica) 6 coorti, 3 per ciascuna isola con un numero
maggiore dei Sardi sui Corsi. La "Cohors I Sardorum" era
probabilmente stanziata a Cagliari nei primi tre secoli d.C., mentre la
"Cohors II Sardorum" fondata al tempo di Adriano, era stanziata a Sur
Djuab, a circa 100 km a sud di Algeri. Il riscatto della Sardegna avvenne
con la flotta; infatti i Sardi erano la prima fonte di reclutamento occidentale
della flotta di Miseno. Considerando invece tutto l'impero, l'isola diventa la
quarta fonte di reclutamento della stessa flotta, battuta soltanto dalle
province d'Egitto, d'Asia e della Tracia che avevano una popolazione molto più
grande. Geografia politica ed economicaModifica Corsica Strabone, che
scrisse durante il principato di Augustoe Tiberio, descriveva la Corsica come
un'isola scarsamente abitata, con un territorio sassoso e per lo più
impraticabile. I suoi abitanti risultavano ancora dei selvaggi che vivevano di
rapine.[1] «Quando i generali romani vi fanno incursioni e prendono una
gran parte della popolazione, rendendola schiava, che poi la si trova a Roma,
fa meraviglia per quanto in loro vi sia di bestiale e selvaggio. E questi o non
riescono a sopravvivere, o se rimangono in vita, logorano talmente i loro proprietari
per la loro apatia, che questi si pentono [di averli acquistati], anche se li
hanno pagati poco.» (Strabone, Geografia) Sardegna Strabone descrive la
Sardegna come un territorio roccioso e non ancora del tutto pacificato. Essa
possiede un territorio interno molto fertile di ogni prodotto, in particolare
di grano.[1] Purtuttavia, così come nei confronti delle popolazioni corse,
anche di quelle sarde le fonti romane (a differenza dei miti greci) non
riportano generalmente una buona opinione. A Poenis admixto Afrorum genere
Sardi non deducti in Sardiniam atque ibi constituti, sed amandati et repudiati
coloni. Dai Punici, mescolati con la stirpe africana, sorsero i Sardi che non
furono dei coloni liberamente recatisi e stabilitisi in Sardegna, ma solo il
rifiuto di cui ci si sbarazza. CICERONE (si veda), Pro M. Scauro) Il passaggio
dei Romani lasciò numerose tracce nella geografia della Sardegna per
l'importante opera di mappatura del territorio, del quale si ebbero le prime
serie catalogazioni, ed ovviamente nella toponomastica, di cui parte non è
stata ancora soppiantata nonostante il tempo trascorso. Le Bocche di Bonifacio,
che separano la Sardegna dalla Corsica, erano un tratto di mare molto temuto
dai romani per via delle correnti che potevano far affondare le loro navi ed
erano dette Fretum Gallicum. L'isola dell'Asinara, famosa per il carcere chiuso
solo pochi anni fa, era detta Herculis mentre le isole di San Pietroe di
Sant'Antioco erano dette rispettivamente Accipitrum la prima e Plumbaria la
seconda; Capo Teulada, la punta meridionale dell'isola era chiamata Chersonesum
Promontorium mentre Punta Falcone, l'opposto settentrionale di Capo Teulada,
era detta Gorditanum Promontorium; l'attuale fiume Tirso era chiamato
Thyrsus. Le antiche tribù còrse e le principali città e strade in
epoca Romana. Maggiori centri provinciali e tribù autoctoneModifica Corsica
Prima Strabone[1] e poi, intorno al 150, il geografoClaudio Tolomeo, nella sua
opera cartografica, offrì una descrizione piuttosto accurata della Corsica
preromana, elencando: 8 fiumi principali, tra i quali il Govola-Golo e il
Rhotamus-Tavignano; 32 centri abitati e porti, tra i quali
Blesino,[1]Centurinon (Centuri), Charax,[1] Canelate (Punta di Cannelle),
Clunion (Meria), Enicomiae,[1] Marianon(Bonifacio), Portus Syracusanus (Porto
Vecchio), Alista (Santa Lucia di Porto Vecchio), Philonios(Favone), Mariana,
Vapanes e Aleria; 12 tribù autoctone (in greco, latino e loro localizzazione):
Kerouinoi (Cervini, Balagna); Tarabenoi (Tarabeni, Cinarca); Titianoi (Titiani,
Valinco); Belatonoi (Belatoni, Sartenese); Ouanakinoi (Venacini, Capo Corso);
Kilebensioi (Cilebensi, Nebbio); Likninoi (Licinini, Niolo); Opinoi (Opini,
Castagniccia, Bozio); Simbroi (Sumbri, Venaco); Koumanesoi (Cumanesi,
Fiumorbo); Soubasanoi (Subasani, Carbini e Levie); Makrinoi (Macrini, Casinca).
Sardegna Plinio ci informa che "In essa (la Sardegna), i più celebri
(sono): tra i popoli, gli Iliei, i Balari e i Corsi"; vengono inoltre
menzionati più volte altri popoli minori come i Parati, i Sossinati e gli
Aconiti, che secondo gli storici romani abitavano nelle caverne e depredavano i
prodotti degli altri Sardi che lavoravano la terra e che con le loro navi si
spingevano fino alle coste dell'Etruria per depredarla. Tuttavia bisogna tener
presente che i luoghi abitati da questi popoli minori videro molti secoli prima
dell'arrivo dei Romani il fiorire della civiltà Nuragica, come in tutto il
resto della Sardegna, l'apparente arretratezza di tali popoli fu probabilmente
dovuta alle grosse perdite subite contro Cartaginesi e soprattutto contro i
Romani, che portarono alla relegazione di alcune popolazioni ribelli nei monti
interni, creando una divisione tra i Sardi abitatori di città e di villaggi
nelle pianure e nelle coste e i Sardi montanari che in gran parte si
"imbarbarirono" e si diedero al banditismo. Sempre i Romani,
nei secoli in cui dominarono la Sardegna, fondarono alcune nuove città come
Turris Libisonis (oggi Porto Torres) e fecero sviluppare molti centri abitati soprattutto
nelle coste, come Carales, Olbia, Fanum Carisii (oggi Orosei), Nora e Tharros,
ma anche nell'interno, come Forum Traiani (oggi Fordongianus), Forum Augusti
(oggi Austis), Valentia (oggi Nuragus),Colonia Julia Uselis (oggi Usellus), ed
infine elevarono diverse città al rango di municipio. BithiaModifica
Magnifying glass icon mgx2.svgLo stesso argomento in dettaglio: Bithia (sito
archeologico). BonorvaModifica Magnifying glass icon mgx2.svgLo stesso
argomento in dettaglio: Bonorva. Il generale sabaudo Alberto La Marmora, in
esplorazione presso San Simeone di Bonorva, aveva identificato un forte romano
che era stato dimenticato per tutto questo tempo. Il Tetti indica in realtà che
si trattava di una fortificazione punica, che era stata occupata dai romani.
Nulla però dimostra una presenza militare in questo luogo per i primi secoli
dell'Impero romano. BosaModifica Magnifying glass icon mgx2.svgLo stesso
argomento in dettaglio: Bosa. L'anfiteatro romano di Cagliari.
Colonna nella Villa di Tigellio. CagliariModifica Magnifying glass icon
mgx2.svgLo stesso argomento in dettaglio: Storia di Cagliari. Cagliari (Carales
o Karalis) era la città più importante della Sardegna. Il fatto che da qui
partissero ben quattro strade che attraversavano l'intera isola dal sud al nord,
la circostanza che il suo porto fosse un centro strategico importante per le
rotte commerciali del Mediterraneo occidentale (che oltretutto ospitava un
distaccamento della flotta di Miseno ed era il porto dal quale partiva il grano
per l'approvvigionamento di Roma) e che la sua popolazione fosse all'incirca di
20.000 abitanti, rendeva Carales una tra le più importanti città marittime
della zona occidentale dell'Impero romano. La zona abitata si sviluppava
sulla costa per circa 300 ettari, il centro di questa città era il foro, dove
sorgevano numerosi edifici come la curia municipale, l'archivio provinciale, la
sede del governatore, la basilica, il tempio di Giove Capitolino. La città fu
interessata da una serie di interventi edilizi di pubblica utilità come la
realizzazione di una complessa rete fognaria e la pavimentazione di strade e
piazze, la costruzione di un acquedotto che molto probabilmente prendeva
l'acqua dalla sorgente di Villamassargia e, attraverso Siliqua, Decimo,
Assemini, Elmas, arrivava in città passando per il quartiere di Stampace.
Nel I secolo d.C. la città fu dotata di eleganti passeggiate coperte da portici
mentre nel II secolod.C. fu costruito l'anfiteatro, ancora utilizzato per gli
spettacoli al giorno d'oggi, semi-scavato nella roccia, che poteva ospitare
fino a 10.000 persone. Il titolo di municipium fu ottenuto solo sul finire del
I secolo a.C.; era un titolo importante perché le consentiva di essere una
città autonoma con cittadinanza romana. Per quanto riguarda le differenze
tra i vari quartieri, quelli signorili sorgevano nel territorio a nord di
Sant'Avendrace e nell'area di San Lucifero; al loro interno sorgevano le terme,
i templi, alcuni teatri e numerose ricche abitazioni; i quartieri mercantili si
trovavano nella zona della Marina e i quartieri popolari vicino al porto, fra
l'odierna via Roma e il Corso Vittorio Emanuele. Claudio Claudiano, nel
IV secolo, descrisse così la città di Caralis. Caralis, si distende in
lunghezza ed insinua fra le onde un piccolo colle che frange i venti opposti.
Nel mezzo del mare si forma un porto ed in un ampio riparo, protetto da tutti i
venti, si placano le acque lagunari» (Claudio Claudiano) Calangianus Lo
stesso argomento in dettaglio: Calangiani. Nell'attuale Calangianus è
identificato l'oppidum di Calangiani o Calonianus, citato nella Geographia del
Fara. Oltre alle diverse tracce di strada romana per Olbia e Tibula, sono state
ritrovate rovine dell'oppidum nei pressi di Monti Biancu e della località Santa
Margherita, un busto di Demetra a Monti di Deu ed un'anfora all'interno del
nuraghe Agnu. Inoltre, il toponimo deriverebbe dalla divinità Giano, il cui
culto era molto diffuso in Sardegna. CornusModifica Magnifying glass icon
mgx2.svgLo stesso argomento in dettaglio: Cornus (Sardegna).
FordongianusModifica Magnifying glass icon mgx2.svgLo stesso argomento in
dettaglio: Fordongianus. Fordongianus, Forum Traiani, si trova oggi in
provincia di Oristano ed è particolarmente importante per la sua posizione
geografica che lo vede incuneato tra i monti della Valle del Tirso, naturale
via di penetrazione dalla pianura all'entroterra e punto di contatto tra i due
diversi mondi. Fin dalla sua fondazione fu un centro rinomato per le sue terme,
che sfruttavano una fonte naturale di acqua calda e curativa. Qui si
trova un'iscrizione che testimonia come l'attività delle genti della Barbaria
fosse ancora viva nel I secolod.C. poiché furono queste a dedicare
un'iscrizione ad un imperatore, probabilmente Tiberio, rinvenuta nel Forum
Traiani. Terme del Forum Traiani Come già accennato in precedenza,
tra le motivazioni originarie dell'insediamento, si pone la presenza di una
fonte d'acqua naturalmente calda e curativa. Sfruttando la fonte sorse, proprio
presso il fiume, un vasto edificio termale (che costituisce oggi il nucleo
dell'attuale area archeologica) caratterizzato da una grande piscina, in
origine coperta, in cui giungono le acque calde temperate con un'aggiunta di
acqua fredda. L'aspetto curativo delle terme è sottolineato dal rinvenimento di
due statue del dio Bes, divinità legata ai culti salutiferi, e la loro
importanza è messa in evidenza dalla recente scoperta di un piccolo spazio
sacro dedicato alle ninfe, divinità delle acque. In un'area vicina
all'attuale centro abitato è stato rinvenuto l'anfiteatro, vicino alla
necropoli tardo-antica sulla quale fu edificata la chiesa di San
Lussorio. Mamoiada Lo stesso argomento in dettaglio: Mamoiada. Mamoiada
(o Mamujada) era probabilmente uno stanziamento militare romano nell'isola,
infatti diversi studiosi moderni sono propensi a far derivare il suo nome da
mansio manubiata (stazione vigilata, sorvegliata). Altra prova a favore di
questa ipotesi è il nome del quartiere più antico della città "su
Qastru" (dal lat. castrum, campo fortificato, accampamento
militare). Mamoiada in effetti si trova in una zona centrale e quindi
strategica della Barbagia, e precisamente al centro della cerchia dei seguenti
villaggi: Orgosolo, Fonni, Gavoi, Lodine, Ollolai, Olzai, Sarule ed Orani, e
dunque questa sua posizione strategica non poteva non essere sfruttata dalle
truppe romane nelle loro azioni di sorveglianza e di repressione.
MacomerModifica Magnifying glass icon mgx2.svgLo stesso argomento in dettaglio:
Macomer. Fondata dai Punici Macopsissa costituiva un importante centro per il
controllo del territorio. La sua importanza aumentò durante il periodo romano,
divenendo un importante snodo fra Calares e Turris Libisonis. Macomer era un
importante nodo della rete viaria creata dai Romani sull'Isola. Meana
Sardo Anche Meana Sardo, villaggio della Barbagia, era probabilmente un
presidio romano poiché il suo nome potrebbe derivare da mansio mediana
(stazione mediana o intermedia) di una tra le più importanti arterie stradali
romani nell'isola quella che da Carales porta a Olbia. Meana si trova
esattamente a metà strada di quel lungo tracciato ed anche a metà strada tra la
costa orientale e quella occidentale della Sardegna. Metalla Lo stesso
argomento in dettaglio: Metalla. Neapolis: Neapolis (Sardegna).
NoraModifica Rovine di Nora Magnifying glass icon mgx2.svgLo stesso
argomento in dettaglio: Nora (Italia). Il preesistente abitato punico non ha
condizionato in maniera particolare l'assetto urbano di epoca romana. I Romani
hanno effettuato infatti pesanti interventi per la costruzione di strade,
edifici e aree pubbliche come il teatro e il foro, demolendo i precedenti
edifici, in un piano di forte rinnovamento urbanistico. I Romani modificarono a
tal punto la città probabilmente perché Nora fu la prima sede del governatore
della provincia. Numerose erano le ville e le case dei nobili e della
plebe; degli edifici non rimane molto poiché erano costruiti con zoccolo in
pietra e l'elevato in mattoni crudi. A differenza delle case e delle ville le
strutture pubbliche erano costruite col cemento e rivestite di laterizi o
grossi blocchi di pietra. Le più importanti opere della città erano: il teatro,
costruito in età augustea, e le terme a mare, edificate tra la fine del II e
gli inizi del III secolo d.C. NuoroModifica Sono scarne le notizie sulla
città di Nuoro in epoca romana. Secondo alcuni proprio all'inizio della
dominazione romana la città fu fondata con l'unione di vari gruppi nuragici,
inizialmente legati contro il nemico comunque, successivamente spinti all'unione
dalla possibilità di arricchirsi col commercio dei prodotti locali.
Furono due i primi nuclei cittadini, infatti i primi due gruppi si insediarono
in parti diverse: un gruppo si stanziò nel monte Ortobene, l'altro nel
quartiere di Seuna, l'altro nel quartiere di San Pietro. In seguito i due
gruppi si riunirono dando origine alla vera e propria città. Importante è anche
il fatto che a Nuoro nella zona più ricca dal punto di vista agricolo, oltre
Badu e'Carros, ci fosse un presidio militare. Questa zona infatti si chiama
"Corte", e ricorda molto la Coorte, che nel periodo romano era un
gruppo di soldati. La città ha avuto una grande importanza strategica
poiché è situata proprio al centro della Barbagia, i cui abitanti per secoli si
ribellarono ai Romani prima di essere romanizzati parzialmente. Nuoro sorge
infatti lungo l'antico percorso principale (asse nord-sud) della a
Olbia-Karales per Mediterranea, nello snodo con la via Transversae (la
trasversale mediana) che attraversava la Sardegna lungo un asse est-ovest (con
quattro stazioni nodali negli incroci con le 4 principales: Cornus - Macopsissa
- Nuoro - Dorgali/Orosei). La Trasversale mediana era utilizzata anche per il
trasporto del grano della valle del Tirso verso la costa di Dorgali e Orosei,
per l'imbarco del prodotto destinato al porto di Ostia. Sempre a Nuoro
terminava anche una strada vicinale per l'odierna Benetutti. NureModifica
Magnifying glass icon mgx2.svgLo stesso argomento in dettaglio: Nure (città).
OlbiaModifica Busto di Nerone del 54/55-59 d.C. da Olbia, (museo
archeologico nazionale di Cagliari). Olbia occupò in età romana gli stessi
spazi della città punica fino alle soglie dell'età imperiale. Infatti non pare
che durante la repubblica si siano verificati sostanziali mutamenti nell'assetto
urbanistico che continuò a mantenere, intatto, il primitivo impianto ortogonale
dei fondatori cartaginesi. Successivamente la città si arricchì di opere
pubbliche: vennero lastricate le strade, si edificarono due impianti termali e
un acquedotto, i cui resti sono tuttora visibili a nord della città, e si
rinnovarono alcune strutture templari. Una concubina di Nerone di nome
Atte fece erigere ad Olbia un tempio a Cerere, e grazie all'imperatore ebbe
latifondi nell'agro e fu anche proprietaria di un'officina che fabbricava
laterizi. Busto di Traiano da Olbia, (museo archeologico nazionale
di Cagliari) Il porto, in contatto con i principali scali del Mediterraneo, fu
di primaria importanza nell'ambito della Sardegna settentrionale poiché da qui
partivano per Roma buona parte dei prodotti, soprattutto cerealicoli, del nord
dell'isola che confluivano nella città grazie a tre grandi strade. Per questo
motivo nel 56 a.C., soggiornò nella città Quinto, fratello di Marco Tullio
Cicerone, che controllava i commerci per ordine di Pompeo. La necropoli,
che si estese uniformemente oltre la cinta urbana a occidente della città,
restituì ricchi corredi funerari. In particolare, nell'area della collina oggi
occupata dalla chiesa di San Simplicio (santo qui martirizzato, secondo la
tradizione locale, durante le persecuzioni di Diocleziano), l'utilizzo per le
sepolture avvenne fino a età medioevale e vi si rinvennero preziose oreficerie,
sarcofagi istoriati e iscrizioni. Intorno alla metà del V secolo Olbia fu
saccheggiata dai Vandali come dimostrano gli straordinari ritrovamenti avvenuti
nell'area del porto vecchio. Furono infatti ritrovati 24 relitti di navi romane
e medievali e da questo scavo è stato possibile accertare l'attacco dei Vandali
e il crollo della città anche se l'abitato non fu abbandonato e rifiorì in età
medievale. OschiriModifica Una mattonella o un mattone trovata a Oschiri
porta l'iscrizione COHR P S per "coh(o)r(tis) p(rimae)" o
"p(raetoriae) S(ardorum)", ma non è impossibile che provenga da
Nostra Signora di Castro poiché non è conosciuto bene il modo in cui è stato
scoperto questo mattone. Per il resto il luogo non ha nulla che faccia pensare
ad una presenza militare romana. OthocaModifica Magnifying glass icon
mgx2.svgLo stesso argomento in dettaglio: Santa Giusta (Italia). Porto
TorresModifica Magnifying glass icon mgx2.svgLo stesso argomento in dettaglio:
Colonia Iulia Turris Libisonis. Mosaico dell'Orfeo Presumibilmente il
sostantivo con cui veniva identificata la città, in epoca romana, era Turris
Libysonis. Questo lo si deduce grazie a Plinio il Vecchio, il quale, nella sua
Naturalis Historia(nel I secolo d.C.) cita "Colonia autem una que vocatur
ad turrem libisonis", letteralmente; "mentre v'è (in Sardegna) una
sola colonia romana, presso la torre di libiso". Tale scrittura fa pensare
ad un riferimento artificiale, probabilmente una torre nuragica (Nuraghe). È
invece grazie all'anonimo Ravennate che si evince lo status dell'insediamento,
il quale sostiene; "Turris Librisonis colonia Iulia", da che si nota
l'aggettivo Iulia, dovuto verosimilmente a Giulio Cesare, probabile fondatore
della colonia, durante il viaggio di ritorno dall'Africa o ad Ottaviano
delegatore di un tale, Marco Lurio, che potrebbe aver fondato la colonia Statua
romana da Porto Torres Oltre a ciò l'importanza del centro, nell'isola, era
notevole, paragonabile solo a quella di Carales. L'importanza politica è
deducibile dalla "Passio Sanctorum Martyrum Gavini Proti et
Jianuarii", nel quale si esterna la presenza di una residenza del
governatore della provincia romana, tale Barbaro. L'importanza economica
invece è palese dalle rovine restanti, terme imponenti è una impressionante
maglia urbana, il centro per altro era in comunicazione diretta con Roma, tant'è
vero che nella Ostia antica, si trova un mosaico che riporta "Naviculari
Turritani", riconducibile ai commercianti di Turris. Infatti le
esportazioni di cereali erano notevoli, grazie alla grande pianura della Nurra,
in diretta comunicazione con la colonia mediante il "ponte romano"
(costruzione più imponente del suo genere nell'intera provincia), sovrastante
il fiume Riu Mannu, che tra le altre cose era utilizzato come via alternativa
per i traffici con l'interno dell'isola, si ipotizza la presenza di un porto
fluviale, oltre a quello marittimo. Ma oltre alle esportazioni cerealicole,
erano massicce anche quelle minerali, e salini, provenienti dai vicini siti.
cosa particolare era la presenza del culto di Iside. Altre prove storiche
sono dovute a Cicerone in una sua lettera la chiama "Collina" ma,
visti i ritrovamenti archeologici trovati, possiamo affermare con sicurezza che
Turris Libisonis non fu per Roma solo una collina. Non è un caso che la città
continuò ad esistere nei secoli successivi tenendo inalterata la sua importanza
strategica al centro del mediterraneo. Di importante interesse non
architettonico non fu solo il ponte romano e le terme fortemente mosaicate ma
anche le strade: in alcuni tratti l'attuale Strada statale 131 Carlo Felice
risulta affiancata dalla vecchia strada romana, che seguiva il medesimo
percorso fra i due poli dell'isola. Quartu Sant'ElenaModifica Il termine
Quarto, ai tempi dei romani, stava a indicare la distanza in miglia che
separava l'antico insediamento quartese da Cagliari. Infatti distava 4 miglia
romane da Carales. È stata da sempre una meta ambita, viste le possibilità che
offriva, grazie ad un'economia agricola stabile e fruttuosa integrata alla
pesca e alla caccia. Sarcapos Lo stesso argomento in dettaglio: Sarcapos.
SassariModifica Nonostante la città di Sassari sia stata fondata in periodo
Medioevale, il suo territorio conserva ricche testimonianze d'epoca romana, a
partire da opere infrastrutturali di rilievo come i resti della strada che
collegava Cagliari a Porto Torres e le rovine dell'acquedotto romano che
serviva la colonia romana di Turris. L'area ricca di vegetazione e
sorgenti, era un luogo amato dalle famiglie patrizie della vicina colonia di
Porto Torres, per cui oggi sono presenti nel territorio le rovine di alcune
residenze d'epoca romana, la più famosa delle quali situata nei sotterranei
della cattedrale di San Nicola, molti edifici medioevali sono stati costruiti
riutilizzando materiali provenienti da abitazioni romane, le colonne presenti
nel piazzale del santuario di San Pietro di Silki, provengono da un tempio
romano smantellato che sorgeva nella zona. Sulci (Sant'Antioco)Modifica
Magnifying glass icon mgx2.svgLo stesso argomento in dettaglio: Sulki.
Statua di Druso minore da Sulci del I secolo d.C. Tharros In epoca romana
Sulci continuò a fiorire sino a diventare, a detta del geografo greco Strabone,
la città più florida della Sardegna romana insieme a Caralis. Lo sfruttamento
dei bacini minerari dell'Iglesiente, dove pare sorgesse l'insediamento di
Metalla[53], non era infatti cessato, e con esso l'intenso traffico nel porto
sulcitano: di qui l'appellativo dell'antica Sulci "Insula plumbea".
La città dovette disporre di ingenti risorse finanziarie se all'epoca della
guerra civile tra Cesare e Pompeo poté pagare una multa di circa 10 milioni di
sesterzi inflittale da parte di Cesare, giunto nel frattempo nell'antipompeiana
Caralis. Sulci si riprese ben presto dallo smacco subito, forte anche
della floridezza del suo porto e dunque della sua economia, sino quando,
intorno al I sec. d.C., sotto Claudio, fu riabilitata sul piano politico e
elevata al rango di Municipium. Secondo Bellieni, la città tra tarda
Repubblica e prima fase imperiale doveva essere popolata da circa 10.000
persone, cifra effettivamente plausibile se si tiene conto della popolazione
media nei centri italiani di età augustea calcolata dal Beloch. L'antico
centro romano sorgeva, come si può desumere facilmente ancora oggi prestando
attenzione alla disposizione degli assi viari maggiori e minori, nell'area
comprendente le attuali vie Garibaldi, XX Settembre, Mazzini, Eleonora
d'Arborea, Cavour, in località detta "Su Narboni". Qui, e
precisamente all'incrocio tra le attuali via XX Settembre e Eleonora d'Arborea
(presumibilmente nell'area dove sorgeva il foro, non ancora localizzato), si
trova un mausoleo noto come Sa Presonedda o Sa Tribuna databile al I sec. a.C.,
grosso modo coevo al ponte romano, situato in corrispondenza dell'istmo, e al
tempio d'Iside e Serapide le cui rovine non sono oggi più apprezzabili.
Tharros Lo stesso argomento in dettaglio: Tharros. Tibula Lo stesso argomento
in dettaglio: Tibula. UsellusModifica Usellus godette di grande splendore
soprattutto nel periodo romano. Fu nel II secolo a.C. che venne fondata
l'antica "Colonia Julia Uselis" il cui centro si trovava molto
probabilmente sopra al colle di Donigala (Santa Reparata) non lontano da quello
attuale. Venne fondata soprattutto come baluardo militare per contrastare
le continue incursioni dei mai domi barbaricini dell'interno dell'isola. Poté
usufruire dello splendore di Roma che la innalzò dapprima a municipium e poi la
elesse Colonia Julia Augusta sotto l'Imperatore Cesare Augusto, in onore della
propria figlia Giulia ed eleggendo nel contempo i propri abitanti a
"cives". Quinto Cicerone, fratello di Marco Tullio, vi fu
Pretore. Quest'ultimo stato giuridico è accertato nella Geografia di Tolomeo ed
in una preziosissima tavola di bronzo dell'anno 158 d.C., come si desume dal
nome dei consoli, contenente un decreto d'ospitalità e clientela, riguardante
l'antica Usellus. La città doveva estendersi per circa sette ettari ed i
suoi fertili terreni vennero assegnati ai veterani delle guerre. In questo
periodo Uselis sfruttando la sua favorevole posizione geografica subì
un'importante evoluzione economica e militare divenendo centro nevralgico di
un'intensa attività economica e crocevia dell'importante rete viaria che la
metteva in comunicazione a sud con Aquae Neapolitanae (terme di Sardara), a
nord con Forum Traiani e una terza via la univa a Neapolis, vicino alla costa
occidentale. Nel suo territorio sono ancora presenti due ponti romani, ci
cui uno in ottimo stato di conservazione, lunghi tratti dell'importante via di
comunicazione e resti delle imponenti mura che la cingevano. Risorse
economiche provincialiModifica Mosaici concernenti i
"Navicularii et negotiantes Karalitani" e i "Navicularii
Turritani" dal piazzale delle corporazioni di Ostia antica. Il
commercioModifica La Sardegna si integrò nel sistema economico e commerciale
dell'Impero soprattutto per quanto riguarda il commercio del grano, del sale,
del legname e dei metalli grazie ad ottimi porti quali Olbia, Tibula, Turris
Libisonis (Porto Torres), Cornus, Tharros, Sulci (Sant'Antioco) e
Carales. L'importanza di questi porti è testimoniata da due mosaici
trovati ad Ostia con la menzione dei "navicularii Turritani e
Calaritani", mercanti marittimi di Porto Torres e Cagliari. Soprattutto in
età imperiale la Sardegna divenne una tappa obbligatoria per i viaggi dalla
penisola all'Africa e alle Mauretanie. L'agricolturaModifica
L'agricoltura era diffusa nell'isola soprattutto nelle aree pianeggianti e in
particolar modo nella pianura del Campidano nella parte meridionale della
Sardegna. Il grano era prodotto in quantità tali che solo quello che si
esportava bastava a sfamare 250.000 persone. Per questo motivo la Sardegna,
durante la repubblica, assunse il titolo di "granaio di Roma".
Si dice che la quantità di grano preso dai Romani dalla Sardegna non solo bastò
per riempire tutti i granai dell'Urbe, ma per contenerlo tutto se ne dovettero
costruire di nuovi. La coltivazione di cereali era sviluppata in particolar
modo nella parte settentrionale, mentre quella dell'ulivo e della vite era diffusa
in tutta l'isola. L'allevamentoModifica L'allevamento per esportazioni
era un'attività economica diffusa in tutta la Sardegna. Tra suini, bovini e
ovini (in particolare i mufloni) solo i primi erano venduti in buone quantità
al resto dell'impero. Gli ovini erano importanti per la lana e i latticini che
i sardi pelliti dell'interno vendevano a Roma; infatti la pastorizia era una
pratica molto diffusa nella parte centrale della Sardegna. Sappiamo con
certezza che i popoli dell'interno, grazie a questa pratica, furono in grado di
arricchirsi trasformando la pastorizia da attività di sussistenza ad attività
d'esportazione. L'estrazione minerariaModifica (LA) «India ebore,
argento Sardinia, Attica melle» (IT) «L'India è famosa per
l'avorio, la Sardegna per l'argento, l'Attica per il miele.» (Archita)
Importante era anche l'estrazione mineraria, diffusa in tutta la Sardegna.
Argento e piombo erano estratti nelle miniere dell'Iglesiente in quantità tali
da far scendere il costo di questi metalli in tutto l'impero; veniva cavato
anche il ferro e il rame, quest'ultimo dai giacimenti nei pressi di Gadoni[53].
Per l'estrazione non erano usati solo schiavi di guerra ma anche personaggi
scomodi nel campo della politica o per la religione da essi professata.
La pietra e il granito erano invece estratti nell'interno e lungo le coste. La
pietra che gli isolani avevano sempre utilizzato per la costruzione dei nuraghi
e dei loro templi megalitici era ora destinata ad arricchire gli edifici dei
ricchi Romani. Ancora oggi, sulle isole della Marmorata e lungo le spiagge di
Santa Teresa di Gallura, nella parte nord-orientale dell'isola, non è difficile
imbattersi in blocchi "tagliati" con regolarità oppure in frammenti
di colonne, sfuggiti ai numerosi carichi fatti dai Romani durante tutto il
periodo della loro dominazione, durato quasi settecento anni. Non era facile
infatti imbarcare sulle navi da carico i blocchi di pietra nei tratti di mare
antistanti i promontori rocciosi. Le correnti e le condizioni atmosferiche
provocavano spesso dei naufragi o costringevano i marinai a liberarsi dei
pesanti carichi per evitare che le imbarcazioni affondassero. Principali
vie di comunicazioneModifica Le principali città e strade della Sardegna
in epoca Romana. Quando i Romani iniziarono la conquista della Sardegna vi
trovarono già una rete stradale punica; questa però collegava tra loro solo
alcuni centri costieri, tralasciando completamente la parte interna; d'inverno
era impraticabile a causa delle piogge e i Romani furono quindi costretti a
costruirne una nuova che si sovrapponeva a quella precedente solo
parzialmente. Antica strada romana Nora-Bithiae I Romani
costruirono 4 grandi arterie stradali: 2 lungo le coste e 2 interne. Le viae
principales erano le cosiddette strade antoniniane, tutte con direzione
nord-sud. Ricordandole in ordine da est a ovest: la litoranea occidentale (a
Tibulas-Karales), da Carales (Cagliari) a Turris Libisonis (Porto Torres); la
interna occidentale (a Turre-Karales); la interna orientale (a Olbia-Karales
per Mediterranea); la litoranea orientale (a Tibulas-Karales), da Carales a
Olbia. A questa ossatura longitudinale si congiungevano sia le "Viae
Transversae" come la Cornus-Macopsissa-Nuoro-Orosei e molte altre strade
più modeste (vicinali) che collegavano i piccoli centri dell'interno tra loro e
con le più grandi città costiere. Questo sistema di comunicazione era molto
efficiente e creò le condizioni favorevoli alla penetrazione culturale romana
presso le popolazioni locali. La rete stradale, inizialmente costruita
per motivi militari, fu poi mantenuta e continuamente restaurata per motivi
economici; grazie a questa, infatti, i Sardi dell'interno vendevano i loro
prodotti ai commercianti romani che provvedevano poi a spedirli nei più grandi
porti del mediterraneo occidentale. La rete stradale romana è stata talmente
efficace e costruita in zone strategiche che alcune strade sono utilizzate
ancora oggi; ne è un esempio la statale Carlo Felice. In epoca Antonina
si perfezionarono le vie di comunicazione interne della Corsica (strada
Aleria-Aiacium e, sulla costa Est, Aleria-Mantinum - poi Bastia - a Nord e
Aleria-Marianum - poi Bonifacio - a Sud): l'isola era pressoché completamente
latinizzata, salvo qualche enclave montana. Arte e architettura
provincialeModifica Magnifying glass icon mgx2.svgLo stesso argomento in
dettaglio: Arte provinciale romana. La religioneModifica Il tempio di
Antas, nei pressi di Fluminimaggiore I Romani, come è noto, permettevano una
certa libertà di culto; questo consentì alle popolazioni interne di continuare
a praticare le loro religioni preistoriche di ispirazione naturalistica, ed a
quelle delle coste la religione punica con tutti i suoi dei (Tanit, Demetra e
Sid, ribattezzato Sardus Pater dai Romani, venerato nel Tempio di Antas); ma
col passare del tempo trovarono spazio anche i culti di Giove e Giunone poi
soppiantati dal Cristianesimo. Sappiamo che alcune divinità, come un
demone brutto ma benefico rappresentato come il Dio Bes (divinità egiziana
assimilata nel pantheon cartaginese), vennero associate ad alcuni Dei Romani
(in questo caso ad Esculapio, divinità salutare romana). In età romana
era diffuso a Carales, Sulci e Turris Libisonis il Culto di Iside,
costantemente associato ad una cospicua presenza mercantile. Lingua e
romanizzazioneModifica Magnifying glass icon mgx2.svgLo stesso argomento in
dettaglio: Lingua paleosarda, Lingua sarda, Lingua paleocorsa, Lingua corsa e
Romanizzazione (storia). La Sardegna, fortemente punicizzata, fu interessata da
un processo di latinizzazione, ma le zone interne restarono a lungo ostili ai
nuovi dominatori, come d'altronde lo furono in passato nei confronti dei
cartaginesi. L'opera di romanizzazione, affidata al latino, fu completata con
l'introduzione delle divinità, dei sacerdozi, e dei culti tipicamente romani.
Le aree più intensamente romanizzate furono quelle costiere dedite alla coltura
dei cereali (Romània), mentre nell'interno montuoso rimase fortemente radicata
la cultura indigena (Barbària). La lingua delle genti sarde, così, subì profonde
trasformazioni con l'introduzione del latino che, soprattutto nelle zone
interne, penetrò lentamente ma, alla fine, si radicò a tal punto che il sardo è
quella cui più aderisce; in particolare, si ritiene che nella zona
centro-settentrionale la variante parlatasia quella maggiormente affine per la
pronuncia. Nonostante questo, c'è da dire che il latino non si diffuse subito:
è ancora presente un'iscrizione risalente al regno di Marco Aurelio (fine II
secolo) in punico e, se questa era la situazione quando si scriveva, è
possibile che nell'ambito familiare la lingua dei Cartaginesi fosse ancora
abbastanza diffusa. Interessante è il fatto che, a volte, si trovino delle
ceramiche riportanti il nome del proprietario in latino scritto con caratteri
punici. Sembra accertato che la Corsica fu anch'essa romanizzata e
colonizzata dai Romani soprattutto per mezzo delle distribuzioni di terre a
veterani provenienti dall'Italia meridionale - o dai soldati provenienti dagli
stessi strati sociali ed etnici cui furono similmente assegnate terre
soprattutto in Sicilia - il che aiuterebbe a spiegare alcune affinità
linguistiche riscontrabili ancor oggi tra còrso meridionale e dialetti
siculo-calabri. Secondo altre ipotesi, più recenti, gli influssi linguistici
potrebbero essere dovuti a migrazioni più tarde, risalenti all'arrivo di
profughi dall'Africa tra il VII e l'VIII secolo. La stessa ondata migratoria
sarebbe approdata anche in Sicilia e in Calabria. Strabone, Geografia, AE;
AE dell'epoca di Massimino Trace. AE di epoca Traianea o Adrianea; AE forse di
epoca Antonina; AE sotto gli Imperatori Caracalla e Geta; AE, al tempo di
Filippo l'Arabo. AE Teofrasto, Hist. plant., Pais, Storia della Sardegna e
della Corsica durante il dominio romano, Nardecchia editore, 1923 ^ Datazione
approssimata secondo le cronologie di Tito Livio e Diodoro Siculo ^ Ad esempio
sull'espresso divieto imposto ai Romani di fondare città in Sardegna ed in
Africa, Servio, Ad Aen., Polibio, questo era l'antico porto della cittadina,
citato da Tolomeo, Florus, Epist. Liv., Zonara, Epitome, Dyson, Comparative Studies in
the Archaeology of Colonialism; anche, dello stesso autore, The Creation of the
Roman Frontier, Oros hostibus se immiscuit ibique interfectus est. ^ Valerio Massimo, Sil. Ital., Scipione eresse
inoltre un tempio di ringraziamento alla dea Tempestas, che Ovidio (Fasti)
celebra così: Te quoque, Tempestas merita delubra fatemur cum paene est Corsis
obruta classis aquis ^ Fra le numerose fonti, Valerio Massimo, Tito Livio,
Ammiano Marcellino e poi Zonara. ^ Nei Fasti trionfali si registra il trionfo
di Scipione come L. CORNELIVS L.F. CN.N. SCIPIO COS. DE POENEIS ET SARDIN[IA],
CORSICA V ID. MART. AN. CDXCIV Il
risultato della battaglia non è noto Rocca, Histoire de la Corse, Boyle,
Valerio Massimo, Anche in Plinio, Nat.Hist., Pais, Livio, Livio, Livio, Casùla,
Livio, Livio, Casùla, Livio, Livio, Livio, Livio, Livio, Vaerio Massimo,
Plinio, Nat.Hist., Pais, Zucca, Le Civitates Barbariae e l'occupazione militare
della Sardegna: aspetti e confronti con l'Africa ^ Francesco Cesare Casùla,
p.108. ^ a b c d e f Ettore Pais, pp. 76-77. ^ cfr.Tacito, Annali, XIII, BUR,
Milano, 1994. trad.: B. Ceva. Casula, Pais, Mastino, Cronologia della Sardegna
Romana Casula, Pais, Pais, Mastino, Storia della Sardegna antica, Il Maestrale,
Mastino, Storia della Sardegna antica, Il Maestrale, Mastino, Natione Sardus:
una mens, unus color, una vox, una natio ( PDF ), su eprints.uniss.it, Rivista
Internazionale di Scienze Giuridiche e Tradizioni Romane, Plinio, Naturalis Historia,
III, 7, 85. ^ a b Francesco Cesare Casùla cfr. per es. F.Cenerini, Sulci
romana, in: Sant'Antioco, annali Zaccagnini, L'isola di Sant'Antioco: ricerche
di geografia umana, Fossataro, Cagliari 1972 (integraz. M.T.) Iscrizione M
Sardegna; MELONI P., La Sardegna romana, Chiarella, Sassari, Casùla, Appiano di
Alessandria, Historia Romana (Ῥωμαϊκά). (traduzione inglese), Eutropio,
Breviarium ab Urbe condita (testo latino e traduzione inglese). Livio, Ab Urbe
condita libri. (testo latino). Polibio, Storie Ἰστορίαι. (traduzione in
inglese). Strabone, Geografia. (traduzione inglese). Fonti storiografiche
moderne Francesco Cesare Casula La storia di SardegnaDelfino Editore, Sassari,
Storia dei Sardi e della Sardegna, Milano, La Sardegna romana e altomedievale.
Storia e materiali. Sassari, Carlo Delfino, Il tempo dei Romani. La Sardegna
dal III secolo a.C. al V secolo d.C., Nuoro, Ilisso, Lilliu, La civiltà dei
Sardi, Torino, Edizioni ERI, Pais, Storia della Sardegna e della Corsica
durante il periodo romano Edizioni Ilisso, Nuoro. Raimondo Carta Raspi, Storia
della Sardegna, Milano. Attilio Mastino,
Storia della Sardegna antica, Il Maestrale, Piero Meloni, La Sardegna romana,
Ed Chiarella,Taramelli, La Sardegna romana, Istituto di studi romani, Portale
Antica Roma Portale Corsica Portale Sardegna Battaglia
di Sulci battaglia della prima guerra punica Espansione cartaginese in
Italia tentativi espansionistici di Cartagine nelle isole mediterranee di
Sicilia e Sardegna Battaglia di Decimomannu Antonio Delogu. Delogu. Grice: “I wouldn’t
consider Sardegna part of Italy, as Sicily isn’t – they are part of the Italian
republic – the ‘stato’ – but geographically, they are not part of the peninsula
– the Greeks are especially precise about that: “Graecia magna” EXCLUDED Sicily!”
The logo of his review, “Segni e comprensione” is a rebus, in that a few
letters are missing. The idea is that the thing STILL SEGNA the proposition
that this is about signs and comprehension. Keywords: semiotica romana, “segno e comprensione” s_gn_
e c_mp-rension-“ “segni e comprensioni” le corpori nella perizia morale, etica
comunitaria, etica universale, universalita, universabilisabile -- -- Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Delogu”
– The Swimming-Pool Library. Delogu
Luigi Speranza -- Grice e Demaria: la ragione
conversazionale e l’implicatura conversazionale degl’organismi – implicatura
dinantorganica – scuola di Vezza d’Alba – filosofia cunese – filosofia
piemontese -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Vezza d’Alba). Filosofo vezzese. Filosofo cunese.
Filosofo piemontese. Filosofo italiano. Vezza d’Alba, Cuneo, Piemonte. Grice: “Demaria is what we at
Oxford would call a philosophical theologian! And a dynamically realist at that!” Famoso per
numerosi studi sulla tomistica. Frequenta il seminario di Alba, entrò
come aspirante presso i salesiani di Penango Monferrato (Asti). Continua gli
studi nel liceo di Valsalice (Torino). Studia a Roma. Insegna a Torino e a
Roma. Nel corso della sua carriera fu docente di: Storia delle religioni,
Missionologia, Filosofia dell’educazione, Teologia Fondamentale, Teologia
Dogmatica, Dottrina sociale della Chiesa, Sociologia dell’Educazione.
Negli anni cinquanta avviò una feconda condivisione spirituale, teologica e
filosofica con don Paolo Arnaboldi, fondatore del Fraterno Aiuto Cristiano FAC
con l'attivo incoraggiamento di San Giovanni Calabria. Frequentò assiduamente
le sedi del FAC sia a Vezza D'Alba sia a Roma. Strutturò la sua metafisica
realistico organico dinamica. Negli anni sessanta fonda con Costa il
Movimento Ideoprassico Dinontorganico M.I.D., oggi divenuto l'associazione
Nuova Costruttività. Insieme con Arnaboldi fecero opera di formazione e
divulgazione del realismo organico dinamico presso ambienti imprenditoriali
collegati all'U.C.I.D.. Costa strutturò volutamente la grande e innovativa
impresa dell'Interporto di Scrivia (il così detto "porto secco" di
Genova) come applicazione dell'"organico dinamico" differenziandola
dalle imprese tipicamente liberiste. Negli anni settanta fu il referente
culturale delle "Libere Acli" movimento dei lavoratori cattolici
fuoriusciti dalle Acli a seguito della "ipotesi socialista" che portò
alla "sconfessione di Paolo VI" e alla frattura del movimento.
Continuò nell'ambiente dei lavoratori cattolici con la formazione e la
diffusione della "ideoprassi" (modello di sviluppo) "organico
dinamica", una vera ideologia cristiana alternativa a quella liberal
capitalista e a quella marxista comunista. Tommaso Demaria tiene un
seminario sul realismo Dinamico a Verona presso il Centro Toniolo. Intensamente
attivo nella formazione alla nuova cultura cristiana organico dinamica a
Torino, Verona, Vicenza, Roma con corsi, seminari e numerose pubblicazioni. Tra
tutti i corsi tenuti merita una specifica menzione per la testimonianza
documentale completa tramite registrazione video, presso il Centro Toniolo di
Verona su invito di don Gino Oliosi. Proseguì il lavoro di AQUINO (si
veda) e affermava l'incompletezza del tomismo, incapace di cogliere l'organismo
come categoria ontologica a sé stante. L'integrazione della metafisica realista
con l'organismo alla metafisica realistica integrale, strumento di
straordinaria importanza per la vita quotidiana. Lo studio dell'organismo in
quanto tale, in particolare nella sua dimensione di "struttura organica
funzionale", si rivelerà infatti importantissimo per lo studio e lo
sviluppo della società in generale ma in particolare per quella prassi
economica nota col nome di "Sistemi di Qualità" che fa appunto
dell'organicità il proprio fondamento. La possibilità di percepire l'organismo
in quanto tale entità diversa dall'organismo fisico, specifica D., passa
attraverso la percezione dell'ente dinamico. Grande importanza assume
l'organicità nella gestione del sociale perché esso consente di definire con
precisione il bisogno di razionalità dell'umanità che supera le possibilità
dell'essenza della persona. Questa necessaria unità dell'agire della persona
nell'umanità che ne perpetua la presenza, in campo politico/ideoprassico egli
stesso la definisce come comunitarismo all'interno del suo testo "La
società alternativa". L'indagine sui dinamismi profondi della
società industriale e l'osservazione con metodo realistico oggettivo della
realtà storica globale nella sua consistenza ontologica portano Demaria a
sviluppare una metafisica per molti aspetti nuova ed originale. Aderisce
al tomismo e conferma la validità del realismo di Aquino per tutto ciò che è in
“rerum naturae” quindi per gli enti che esistono già in natura. Coglie la
necessità di innestare sul realismo tomista nuovi strumenti metafisici per
comprendere la realtà degli enti che non esistono in natura perché costruiti o
generati dall'uomo, le trasformazioni dell’essenza della persona operata dalla
liberà delle sue scelte, la natura profonda degli enti interumani (famiglia,
azienda, stato, …), l'interpretazione della realtà storica e il suo
indirizzamento. Il cambio d’epoca Individua un cambiamento d’epoca
con valore ontologico (che cambia l’essere, la forma della società) nella
rivoluzione industriale che con l’apporto della energia meccanica a
integrazione e sostituzione del lavoro umano dinamizza la società oltre una
soglia mai varcata prima nella storia. La società dinamizzata dalla rivoluzione
industriale giunge a una radicale trasformazione da “statico sacrale” a
“dinamico secolare”. Si tratta di una trasformazione qualitativa e non solo
quantitativa dei cambiamenti sociali che coinvolge l’”essere” della società. La
differenza fondamentale sta in questo: la società preindustriale (statico
sacrale) era dominata dalla natura e in questo modo ripeteva sempre sé stessa
nonostante i cambiamenti fenomenici (la vita di un romano non era così diversa
da quella di un medievale), la società industriale invece si è in larga parte
sganciata dal condizionamento della natura ed è obbligata a progettare e
costruire continuamente il proprio futuro…. Ma con quali criteri? È a questo
livello che interviene l’indagine metafisica della realtà storica il cui scopo
è proprio scoprire l’essenza profonda della realtà storica appunto. Il
realismo dinamico ontologico Riconosce nel tomismo e nella metafisica di San
Tommaso la validità nel contesto “statico sacrale” ma limiti nella
interpretazione della nuova realtà storica “dinamico secolare”. Osserva che
l’interpretazione data alla storia da Hegel prima e da Marx dopo, sono entrambe
errate e ne critica il fondamento soggettivista e la natura ateo
materialista. Integra quindi il tomismo tradizionale inaugurando la nuova
metafisica dinamica ontologica organica fondata sulla scoperta dell’ente
dinamico o anche ente di secondo grado. Dalla osservazione di ciò che
nasce di una relazione umana (entre uomo 1 e uomo 2) scopre che oltre agli
“enti di primo grado”, gli enti la cui
essenza già è (tutti quelli che già sono in natura – uomo 1 e uomo 2), esistono
altri “enti di secondo grado”, gli enti la cui essenza non è, ma si fa
attivisticamente nello spazio e nel tempo, e la cui nascita, vita e morte sono
costituite dalla esistenza di una relazione tra le persone (ad esempio il
concetto colletivo di ‘diada’ conversazionale, la famiglia, l’azienda sono enti
inter-umani. Una diada e un “ente dinamico” il cui comportamento è simile a
quello della monada – l’uomo, il soggeto,
un organism – ma la diada non e un ente fisico, ma costituito
dall’insieme di cose e di persone. Una diada e ugualmente animato da un
principio vitale, in cui le due parti (soggeto S1 e soggeto S2) e il tutto (la
diada) sono in reciproco equilibrio che ne genera e ne conserva la vitalità.
Quando viene meno questo reciproco equilibrio tra l’organismo di secondo grado
(la diada) tutto e le sue parti (le membra, gli organi, le cellule – uomo 1 e
uomo 2 – le monade) l’organismo perde la sua vitalità, si ammala e può arrivare
alla morte (e così avviene per la diada, la famiglia, l’azienda, la
comunità). Indaga osservando la realtà con metodo metafisico, realistico,
oggettivo sulle “regole”, sulla “razionalità”, o il razzionale, che sottende la
vita e la vitalità di un “ente dinamico” individuando cinque “trascendentali
dinamici” che sono le caratteristiche necessarie e sufficienti in un “ente
dinamico” per restare vivo e vitalmente operante. Sul fronte della
interpretazione della “storia” osserva che la sua complessità non può essere
indagata con un metodi analitico partendo dalla suddivisione del tutto della
diada nelle sue monade. Serve il metodo della “sintesi” e quindi dalla
sommatoria, aggregazione, integrazione dei singoli “enti dinamici” in realtà e
altri organismi via via più complessi e ampi, giunge al tutto che definisce
come “un ente universale dinamico concreto” senza il quale il singolo ente
dinamico non avrebbe né senso né valore metafisico. Del resto è abbastanza
intuitivo comprendere che nessun ente storico può esistere fuori dal contesto
che l’ha generato. Per esempio una semplice azienda di scarpe non può esistere
nel deserto separata da tutte le vie di comunicazione, dagli operai, dai
clienti, dalle fonti di energia eccetera. Raccoglie e coordina le sue
scoperte nella nuova metafisica realistico-dinamica che aggregata alla
metafisica eealistico-statica di Aquinocostituisce nell’insieme delle due
componenti, la statica e la dinamica, la metafisica realistico-integrale.
Con il nuovo strumento della metafisica realistico-integrale individua la
giusta forma della società che definisce organico dinamica – o “dinontorganica”
-- come vera alternativa alle due forme di società “false”, la capitalista e la
marxista di cui stende una dettagliata critica. Comprende che la nuova
società dinamica secolare avviatasi per l’effetto della rivoluzione industriale,
è costruita in vero dalla ideo-prassi, ossia dalla ideologia come prassi
razionalizzata. Una definizione corrente che sia avvicina al concetto di ideo-prassi
è modello di sviluppo, intendendo con questo la necessità di un cambio di
paradigma strutturale nella costruzione della società. Precisa meglio questa
terminologia chiarendo che il tipo di sviluppo riguarda il cambiamento di
essenza profonda di una società mentre invece il modello riguarda le
innumerevoli e forse infinite varianti all’interno del medesimo tipo che si
devono calare nei concreti ambiti temporali e geografici. Le “ideoprassi”,
cioè i tipi di società, riconosciute da Tommaso Demaria sono tre: capitalista,
marxista, e dinontorganica, e queste sono costruite secondo i rispettivi
modelli. Perciò all’interno della società di tipo capitalista avremo molteplici
modelli anche molto diversi tra loro dal punto di vista fenomenico ma identici
dal punto di vista dell’assoluto di riferimento (cioè del tipo), in questo caso
il denaro con la relativa competitività necessaria per conquistarlo.
Analogamente avviene per le altre due ideoprassi: la ideoprassi o società di
tipo marxista, con l’assoluto della dialettica oppresso/oppressore (la vecchia
lotta di classe) e la ideoprassi o società di tipo dinontorganico con il
proprio assoluto costruttivo radicato nella dialettica della sintesi in
funzione della vita. Nella società dinamica secolare, che è laica e
profana, la religione non è più accettata come fondamento. Così anche la persona
libera e sovrana che ha il suo posto nella società statico sacrale non può esistere
in quanto nella società dinamica secolare fin dalla nascita la persona umana
viene continuamente ri-manipolata dalla ideo-prassi corrente (capitalista o
marxista). La persona umana trova la sua giusta collocazione nella società se
riconosce la sua nuova natura di persona cellula, componente libera in un
organismo sociale più grande. Come persona cellula rimane sempre persona umana
libera ma al contempo svincolata dalle logiche servo/padrone, oppresso/oppressore
del marxismo. L’Economia e un tema ampiamente trattato dal Demaria che
individua tre tipi di economia: la capitalista, la marxista/comunista, la economia
dinontorganica. Dopo aver profondamente analizzato e criticato le prime
descrive in dettaglio i fondamenti della economia dinontorganica. Per brevità
riportiamo qui la differenza del concetto di impresa capitalista ed impresa dinontorganica.
L’impresa capitalista è un'attività economica professionalmente organizzata al
fine della produzione o dello scambio di beni o servizi. Si avvale di un complesso
di beni strumentali, il mezzo concreto (l’azienda): immobili, sedi,
attrezzature, impianti, personale, metodi, procedure, risorse. Si tratta di
“cose” e tra queste anche il personale/forza lavoro. Anima suprema dell’impresa
capitalista è il profitto e secondariamente la creatività imprenditoriale a
servizio del profitto. La socialità dell’impresa diviene un fatto ambientale ed
incidentale innegabile ma secondario. Quindi l’impresa (con la relativa
azienda) capitalista sè una “cosa” ridotta a capitale e lavoro. L’impresa
dinontorganica, la vera natura profonda dell’impresa, è organismo dinamico
economico di base dell’attuale società industriale o postindustriale. E’un vero
organismo dinamico, una realtà complessa, non fisica ma prodotta dall'uomo,
costituita dalla sintesi di cose e di persone autonome e cellule dell’organismo
impresa, animata da un proprio principio vitale e perciò capace di vivere ed
agire a titolo proprio. E’quindi impresa umanissima, affrancata dal
materialismo capitalista. Anima dell’impresa è la costruttività nel suo
triplice aspetto economico, sociale e “ideo-prassico”, che eleva la creatività
al di sopra del solo profitto e che soddisfa ad un tempo la le esigenze della società
globale e della impresa, quali il profitto, comunque necessario ma non
sufficiente. In ambito ecclesiologico le scoperte come da sua frequente
dichiarazione, si collocano nel solco del Magistero della Chiesa Romana
Cattolica. Cinque delle sue saggi, che contengono nell’insieme il corpo della
sua opera, portano impresso l’imprimatur che attesta l’assenza di errori in
ambito di fede e morale cattolica. La scoperta dell’“ente di secondo
grado” (ente generati dalle relazioni tra le persone) e della persona “cellula”
(individuo libero che riconosce di essere parte di un organismo più grande)
sono in analogia scaturite dalla riflessione sull’essere della Chiesa
(l’insieme dei cristiani) in comunione con il corpo mistico di Cristo. Il
cristiano con il battesimo cambia il suo essere e diviene uomo nuovo. Quindi la
persona umana (in questo caso il cristiano) è contemporaneamente “ente di primo
grado (“in rerum naturae”) che ente di secondo grado (ente dinamico) come
membro della Chiesa che costituisce il corpo mistico di Cristo. La Chiesa così
concepita è il primo ente dinamico sacro della storia. Mentre il primo ente
dinamico laico e profano dell’epoca dinamico secolare post rivoluzione
industriale è l’azienda industriale. Pur accogliendo nella sua
“metafisica realistica integrale” (la metafisica realistica “statica” più la
“dinamica”) il tomismo in toto, il suo pensiero genera dispute con i tomisti
classici del tempo che non riconoscono alla Chiesa (e nemmeno alla azienda
industriale ) la natura di “ente di secondo grado” ma unicamente la
caratteristica di “ente di relazione” che per Demaria è insufficiente per
interpretare la complessità della realtà storica industriale e la relativa
mobilitazione. La Dottrina Sociale della Chiesa e L’Ideoprassi
Dinontorganica Alla Dottrina Sociale Della Chiesa riconosce ogni validità. Ne
segnala tuttavia la incompletezza in quanto costituita da norme etiche e morali
rivolte principalmente alla persona libera e sovrana ed atte ad incidere sul
suo comportamento come singolo per migliorare in senso cristiano la società.
Rileva che la società non è più solo costruita dalle norme morali di persone
libere e sovrane ma anche e soprattutto dalla “ideoprassi” (ideologia come
prassi razionalizzata sintesi di persone e strutture) corrente, dal suo
dinamismo e dalle sue razionalità interne autocostruttive proprie della società
“dinamica secolare”. Pertanto per incidere sulla società contemporanea che è
“dinamica secolare”, laica e profana, serve una vera e propria nuova e completa
“ideoprassi”, certamente laica e profana ma compatibile con i valori cristiani
cardinali. All'interno di questa nuova “ideoprassi” Demaria vede inseriti tutti
gli insegnamenti della Dottrina Sociale Cristiana. Da soli e senza una propria
“ideoprassi” tali insegnamenti tendono a generare delle “para-ideologie” che
hanno effetti locali e temporanei. Per ottenere effetti di trasformazione
duraturi ed è necessario avviare azioni che contengano la giusta razionalità e
caratteristiche (i 5 trascendentali dinamici) capaci di innescare cicli
autocostruttivi. Altre opere: “Catechismo missionario” (Torino, SEI, La
Religione, Colle Don Bosco, Elledici); “Il fiume senza ritorno. Dramma
missionario, Colle Don Bosco, Elledici, La pedagogia come scienza dell'azione,
Salesianum, Sintesi sociale cristiana. Metafisica della realtà sociale
(presentazione di Aldo Ellena), Torino, Pontificio Ateneo Salesiano, Senso
cristiano della rivoluzione industriale, Torino, CESPCentro Studi don Minzoni, ca.
Strumento ideologico e rapporto fede-politica nella civiltà industriale,
Torino, CESP Centro Studi don Minzoni, ca. Presupposti dottrinali per la
pastorale e l'apostolato, Velate di Varese, Edizioni Villa Sorriso di Maria, Cristianesimo
e realtà sociale, Velate di Varese, Edizioni Villa Sorriso di Maria, Realismo
dinamico, Torino, Istituto Internazionale Superiore di Pedagogia e Scienze
Religiose, Il Decreto sull'apostolato dei laici: genesi storico-dottrinale,
testo latino e traduzione italiana, esposizione e commento, Torino, Leumann
Elle Di Ci, Catechismo del cristiano apostolo: la Salvezza cristiana, Torino,
Istituto Internazionale Superiore di Pedagogia e Scienze Religiose, Punti
orientativi ideologico-sociali (a cura del Movimento Ideologico Cristiano
Lavoratori), Bologna, Parma, Pensare e agire organico-dinamico, Milano, Centro
Studi Sociali); “Ontologia realistico-dinamica” (Bologna, Costruire); “Metafisica
della realtà storica. La realtà storica come ente dinamico” Bologna, Costruire,
La realtà storica come superorganismo dinamico: dinontorganismo e dinontorganicismo,
Bologna, Costruire, L'edizione Realismo dinamico, Bologna, Costruire, L'ideologia cristiana, Bologna, Costruire, Sintesi
sociale cristiana. Riflessioni sulla realtà sociale, Bologna, Costruire); “La
questione democristiana, Bologna, Costruire, Il Marxismo, Verona, Nuova Presenza
cristiana, Ideologia come prassi razionalizzata, Arbizzano, Il Segno, Per una
nuova cultura, Verona, Nuova Presenza cristiana, La società alternativa,
Verona, Nuova Presenza cristiana, Verso il duemila: per una mobilitazione
giovanile religiosa e ideologica, Verona, Nuova Presenza cristiana, Un tema
complesso sullo sfondo dell'ideologia come strumento ideologico, Verona, Nuova
Presenza cristiana, Confronto sinottico delle tre ideologie. Quarta serie, Roma,
Centro Nazareth, Scritti teologici inediti. Roma, Editrice LAS. Letteratura su
Tommaso Demaria Ugo Sciascia, Per una società nuova:inizio di una ricerca
partecipata., Bologna, L. Parma, Sciascia, Crescere insieme oltre capitalismi e
socialismi: rifondazione culturale dall'Italia, per l'Europa, al mondo. Napoli,
Edizioni Dehoniane, Mario Occhiena, Riscoperta della realtà: un itinerario
filosofico esistenziale, Torino, Gribaudi, Pizzetti Luigi, Culture a confronto.
Sussidio per l’educazione religiosa e civica nelle scuole medie superiori, La
voce del popolo edizioni, Brescia, Fontana, Apertura a “tutto” l’essere, in
Nuove Prospettive, Palmisano, Nicola, Quanto resta della notte?: analisi e
sintesi del medioevo novecentesco all'alba del Duemila, Roma, LAS, Tacconi, La
persona e oltre: soggettività personale e soggettività ecclesiale nel contesto
del pensiero di Tommaso Demaria, Roma, Libreria Ateneo Salesiano, Gruppo studio
scienza cristiano-dinontorganica di Vicenza, Realismo dinamico: il problema
metafisico della realtà storica come superorganismo dinamico cristiano
riduzione dell'opera di D., Altavilla (Vicenza), Publigrafica, Gruppo studio
scienza cristiano-dinontorganica di Vicenza,L'ideo-prassi dinontorganica: la
costruzione dinamica realistico-oggettiva della nuova realtà storica: revisione
del saggio L'ideologia Cristiana, Altavilla (Vicenza), Publigrafica, Mauro
Mantovani, Sulle vie del tempo. Un confronto filosofico sulla storia e sulla
libertà, Roma, Libreria Ateneo Salesiano, Cretti, La quarta navigazione: realtà
storica e metafisica organico-dinamica, Associazione Nuova Costruttività
-Tipografia Novastampa, Verona, Bagnardi, Costruttori di una Umanità Nuova.
Globalizzazione e metafisica, Bari, Edizioni Levante, Riggi, L'ideoprassi
cristiana per una società alternativa; implicanze filosofiche, Roma, Università
Pontificia Salesiana, Pirovano, Roggero, Uniti nella diversità, UK, Lulu
Enterprise, Mantovani, Pessa e Riggi, Oltre la crisi; prospettive per un nuovo
modello di sviluppo. Il contributo del pensiero realistico dinamico (atti
dell'omonimo convegno tenuto a Roma), Roma, Libreria Ateneo Salesiano, Stefano
Fontana, Filosofia per tutti: una breve storia del pensiero da Socrate a
Ratzingher, Verona, Fede et Cultura. Nuova Costruttività, La Vita, su
dinontorganico. Scritti teologici
inediti, Roma, Editrice LAS, Mario Gadili, San Giovanni Calabria: biografia
ufficiale, Cinisello Balsamo, San Paolo, Per la ri-educazione all'amore
cristiano nel campo economico-sociale: per una valida teoria della pratica e
una adeguata pratica della teoria; Genova: Crovetto, Atti del convegno: Per la
ri-educaziaone all'amore cristiano tra le aziende, tenustosi a Rapallo e atti
del convegno: Programmazione economico-sociale e amore cristiano, tenutosi a
Rapallo, Massaro, I problemi dell'economia ligure: un'unica iniziativa ma
buona. A Rivalta Scrivia la succursale del pletorico porto di Genova., in LA
STAMPA, C.G.N., Il ministro Andreotti inaugura il nuovo complesso della
Rivalta, in Sette Giorni a Tortona, LIBERE A. C.L.I., Sette domande sulle
A.C.L.I. e la svolta di Vallombrosa e sette risposte delle Libere A.C.L.I.,
Milano, Centro Studi, Acli "federacliste", Per un impegno ideologico Cristiano,
Torino, ALC-FEDERACL, Tacconi, La persona e oltre: soggettività personale e
soggettività ecclesiale, LAS, Realismo dinamico, Bologna, Costruire, Il
Marxismo, Verona, Nuova Presenza cristiana, Confronto sinottico delle tre
ideologie. Roma, Centro Nazareth, La società alternativa, Verona, Nuova
Presenza Cristiana, Sintesi sociale cristiana. Metafisica della realtà sociale
(presentazione di Ellena), Torino, Pontificio Ateneo Salesiano, Presupposti
dottrinali per la pastorale e l'apostolato., Velate di Varese, Edizioni Villa
Sorriso di Maria, Cristianesimo e realtà sociale., Velate di Varese, Edizioni
Villa Sorriso di Maria, Paolo Arnaboldi, Demaria e Morini, I consigli
pastorali, diocesani e parrocchiali alla luce di una pastorale
organico-dinamica, Velate di Varese, FAC-Villa Sorriso di Maria, Luigi Bogliolo
e Stefano Fontana, Prospettive del Realismo Integrale. Pensare il trascentente.
La questione metafisica dell'ente dinamico. Dialogo con Bogliolo. Apertura a
tutto l’essere in Nuove Prospettive, Realismo
dinamico Giacomino Costa Realismo Tomismo Neotomismo Comunitarismo, Vita, opere
e ragionata a cura dell'Associazione
Nuova Costruttività., su dinont-organico. Opere di Tommaso Demaria
L’opera fondamentale di T. Demaria è la Trilogia del Realismo Dinamico, si
tratta di tre volumi in cui l’autore spiega in modo completo e preciso la
metafisica realistico dinamica. Se vuoi farti un’idea di quello che ha
scritto T. Demaria, di seguito trovi tutta la sua bibliografia, per
scaricare invece alcuni dei suoi testi devi andare sul nostro blog
Trilogia del Realismo Dinamico: Volume 1: Ontologia
realistico-dinamica = Collana Spid – Realismo dinamico Ed. “Costruire”, Bologna (di questo testo è
stata redatta anche la traduzione in lingua spagnola, vedi sezione di questa
bibliografia.) Metafisica della realtà storica. La realtà storica come ente
dinamico = Collana Spid – Realismo dinamico, Ed. “Costruire”, Bologna: La
realtà storica come Superorganismo Dinamico. Dinontorganismo e
Dinontorganicismo = Collana Spid – Realismo dinamico Ed. “Costruire”, Bologna, Altri
due volumi integrano la Collana Spid. L’ideologia cristiana, Collana Spid
– Ed. “Costruire”, Bologna, Sintesi sociale cristiana. Riflessioni sulla realtà
sociale, Collana Spid – Ed. “Costruire”, Bologna, Gli altri scritti di T.
Demaria non aggiungono nulla di fondamentale rispetto ai volumi principali ma
sono importanti perchè ne esplicitano alcuni aspetti. La sequenza dei testi è
in ordine temporale. Sintesi sociale cristiana. Metafisica della realtà
sociale, «Quaderni di Cultura e Formazione Sociale», a cura dell’Istituto di
Scienze Sociali del Pontificio Ateneo Salesiano, Torino Cristianesimo e realtà
sociale, Edizioni FAC – Villa Sorriso di Maria, Velate di Varese. I Consigli
Pastorali Diocesani e Parrocchiali alla luce di una Pastorale organico-dinamica
Arnaboldi, Paolo Maria – D. – Morini,
Bruno, edizioni FAC – Villa Sorriso di Maria, Velate di Varese. “L’impegno
morale del cristiano” documento pastorale dell’episcopato italiano. Premessa
illustrativa dedicata agli operatori cristiani in campo sociale = Centro Fanin
– Collana La fonte, Vicenza Pensare e agire “organico-dinamico”, Varese s.d,
Punti orientativi ideologico-sociali = a cura del MICL, Ed. Luigi Parma,
Bologna. La “questione democristiana”, Ed. “Costruire”, Bologna Ideologia come
prassi razionalizzata, Il Segno Ed. = NPC, Verona Per una nuova cultura, NPC
Ed.,Verona (di questo testo è stata
redatta anche la traduzione in lingua inglese, vedi sezione 2.1 di questa
bibliografia.) La società alternativa, NPC Ed., Verona Verso il Duemila. Per
una mobilitazione giovanile religiosa e ideologica, NPC Ed., Verona, Un tema
complesso sullo sfondo dell’ideologia come strumento ideologico, NPC Ed.,
Verona Strumento ideologico e rapporto fede-politica nella civiltà industriale
= Minidossier culturali per una nuova presenza cristiana I, Vicenza s.d.,
Rivoluzione Industriale e Cristianesimo = Minidossier culturali per una nuova
presenza cristiana II, Vicenza s.d., Riflessioni spirituali. Tipografia Unione,
Vicenza (pubblicazione postume che raccoglie alcune riflessioni spirituali di
don Tommaso Demaria, ricavate da lettere inviate a suor G.A. di cui era
direttore spirituale.) Scritti Teologici Inediti a cura di M. Mantovani e
R. Roggero. Las – Roma. Atti Convegni di Rapallo Per la rieducazione all’amore
cristiano tra le aziende. Ed. FAC Villa Sorriso, Velate di Varese Atti Convegni
di Rapallo. Visioni chiave di questo nostro mondo dinamico. Ed. FAC Villa
Sorriso, Velate di Varese. Atti Convegni di Rapallo. Il mondo di oggi come
questione sociale. Ed. FAC Villa Sorriso, Velate di Varese Atti Convegni
di Rapallo, Democrazia nuova per una nuova società.Ed. FAC Villa Sorriso,
Velate di Varese. Riportiamo anche i titoli di una serie di articoli sulla
rivista quadrimestrale veronese «Nuove Prospettive» (in ordine cronologico:
1988-1991) La metafisica aristotelico-tomista come sistema metafisico
realistico oggettivo; sua crisi e suo rifiuto, in NP I. Metafisica e metodo, in
NP Metafisica realistica integrale, in NP Valore della dottrina sociale
cristiana nell’attuale contesto storico dinamico secolare, in NP. Integrazione
della dottrina sociale cristiana con l’ideoprassi organico-dinamica. Dottrina
sociale cristiana e progetto organico-dinamico di società, in NP Sapienzialità,
in NP La “nuova creatura”: un problema teologico-ecclesiologico risolto solo a
metà, in NP I trascendentali, in NP Metafisica dell’azienda industriale, in NP
Dinontorganicità, in NP La famiglia oggi in una visione organico-dinamica, in
NP Articoli su altre riviste o su miscellanee (in ordine cronologico) La
pedagogia come scienza dell’azione. Appunti per una epistemologia pedagogica,
in Salesianum Sociologia positiva o positivo-razionale? A proposito di una
introduzione alla sociologia, in SalesianumPer una Ecclesiologia organica, in
AA.VV., De Ecclesia, PAS, Torino Concezione religiosa dell’educazione, in
Rivista di Pedagogia e Scienze Religiose, Dio e la Religione, in AA.VV. De Deo,
PAS, Torino Il posto e il compito dei laici nella Chiesa. Per la rieducazione
all’amore cristiano nel campo economico-sociale. Per una valida teoria della
pratica e una adeguata pratica della teoria = Raccolta degli Atti dei Convegni
di Rapallo per Industriali e Dirigenti Velate di Varese 1965, Prima parte
29-40. Dalla Sociologia cristiana normativa alla Sociologia cristiana
costruttiva, ibid., Parte seconda 23-38. Aspetti sociologici, religiosi e
morali della programmazione economico-sociale,
La formazione all’apostolato, in AA.VV., Il Decreto sull’Apostolato dei
Laici (Apostolicam actuositatem). Genesi storico-dottrinale. Testo latino e
traduzione italiana. Esposizione e commento = Collana Magistero Conciliare LDC
4, Torino Le leve segrete che dominano il mondo. I – Leve dinamiche per un mondo
dinamico, in AA.VV., Visioni chiave di questo nostro mondo dinamico. Per una
valida teoria della pratica e una adeguata pratica della teoria = Raccolta
degli Atti dei Convegni di Rapallo per Imprenditori e Dirigenti Velate di
Varese Le leve – non più segrete – che dominano il mondo. Leve cristiane per un mondo cristiano,
Vengono trattati, nelle relazioni 10 e 11, i trascendentali dinamici della
religiosità, socialità, moralità, educatività e missionarietà. Società e
persona umana in un mondo dinamico. Mondo dinamico e società, Società e persona
umana in un mondo dinamico. Mondo dinamico e persona umana, Fede e vita
spirituale, in Giornate di studio per predicatori di Esercizi Spirituali.
Approfondimenti teologico-pastorali, Roma – S.Cuore, Società in trasformazione
e trasformazione dell’uomo I. Società nuova in un mondo nuovo, Il mondo di oggi
come questione sociale. Per una valida teoria della pratica e una adeguata
pratica della teoria = Raccolta degli Atti dei Convegni di Rapallo per
Imprenditori e Dirigenti del 7-10 Marzo Velate di Varese 1970, Parte prima.
Società in trasformazione e trasformazione dell’uomo II. Uomo nuovo in una
società nuova, Mondo dinamico e questione sociale I. La questione sociale e le
sue vicende, ibid., Parte seconda, 33-50. Mondo dinamico e questione sociale
II. La questione sociale e la sua soluzione, Democrazia e mondo dinamico, in
Democrazia nuova per una nuova società = Raccolta degli Atti dei Convegni di
Rapallo per Imprenditori e Dirigenti,Velate di Varese, Impresa e società, Studio sul piano teologico
essenziale, in Arnaboldi Paolo Maria – Demaria Tommaso – Morini Bruno, I
Consigli Pastorali Diocesani e Parrocchiali alla luce di una Pastorale
organico-dinamica, Edizioni FAC – Villa Sorriso di Maria, Velate di Varese Testi
ciclostilati a) Relazioni ai Corsi Mid di sviluppo Per
una autentica società giusta: una concreta nuova presenza cristiana = Atti del
corso di studio Mid di Roma – Centro Nazareth, Roma (testi dattiloscritti). La famiglia oggi in
una visione organico-dinamica. La scuola oggi in una visione organico-dinamica
della società. L’impresa organico-dinamica. Sindacato organico-dinamico. Stato
e società. Ideologia organico-dinamica ed Unione Europea Le tre
ideologie. Confronto sinottico = Atti del corso di studio Mid di Roma – Centro
Nazareth, Roma L’Assoluto ideologico primario. L’Assoluto ideologico derivato. La
religione. Uomo e società. L’economia. La politica. Etica a matrice
ideologica Le tre ideologie. Confronto sinottico. Seconda serie = Atti
del corso di studio Mid di Roma – Centro Nazareth, Roma Stato e società. La
democrazia. La libertà. La socialità. La cultura. I valori. Scienza e
tecnica Confronto sinottico delle tre ideologie. Terza serie = Atti del
Corso di studio Mid di Roma Centro
Nazareth, Roma (Quaderno poligrafato). Richiamo orientativo. La sapienza umano
storica ideoprassica. La scelta energetica. Lo sviluppo. Il futuro del
pianeta Confronto sinottico delle tre ideologie. Quarta serie = Atti del
Corso di studio Mid di Roma – Centro Nazareth, Roma Quaderno poligrafato),
Guerra e pace. Cultura come civiltà. La civiltà dell’amore Confronto
sinottico delle tre ideologie. I trascendentali dinamici Atti del Corso di studio Mid di Roma – Centro
Nazareth, Roma (Quaderno poligrafato) EDUCazione e formazione oggi = Atti del
Corso di studio Mid di Roma – Centro Nazareth, Roma Relazioni a Corsi di
esercizi o di studio promossi dal FAC La parrocchia). “Su questa pietra…”
– Il nostro sacerdozio: donde veniamo? Chi siamo? Dove andiamo? (Corso Fac –
esercizi spirituali per sacerdoti). Chiesa e mondo Fede – Speranza – Carità
Rimessa a punto teorico-pratica dei Consigli pastorali La Chiesa localeI
Consigli pastorali in se stessi e nella loro articolazione e rapporti (Corso
Fac). La fede cristiana; Il problema ecclesiologico e le anime; La Chiesa e la
persona-cellula; Costruire la Chiesa; La parrocchia nella Chiesa universale; La
Chiesa come anima del mondo; Parrocchia in trasformazione I. Dalla parrocchia
statico-sacrale alla parrocchia dinontorganica religiosa; Parrocchia in
trasformazione II. La parrocchia dinontorganica religiosa; Conoscere la Chiesa
= Corso Fac di Esercizi-Studio di tipo C, Roma – Centro Nazareth, Come
programmare la costruzione di una parrocchia “Famiglia di Dio” oggi, in una
visione ecclesiale profonda = Corso Fac di Esercizi-Studio di tipo C, Roma –
Centro Nazareth, Altri testi ciclostilati Realismo dinamico, Istituto
Superiore di Scienze Religiose, Torino (Dispense), La Chiesa cattolica in stato
di missione, Le tesi delle Libere ACLI = a cura delle L.A.C.L.I. Italia
Settentrionale, Milano, Per una nuova cultura religiosa e sociale = a cura di
Nuova Presenza Cristiana – Centro culturale “G. Toniolo”, Verona, Il Marxismo =
Quaderni di Nuova Presenza Cristiana – Centro culturale “G. Toniolo”, Verona. Tommaso
Demaria. Demaria. Keywords: organismo, organismi, super-organismo, Tuomela,
we-thinking, cooperation and authority -- Luigi Cipriani, communicazione e
cultura, dynontorganico – o dinontorganico -- dinamico ontico organico -- l’implicanza
di Speranza, implicanza, implicatura, implicazione. Refs.: Luigi Speranza,
“Grice e Demaria” – The Swimming-Pool Library.
Luigi Speranza --
Grice e Demetrio: la ragione conversazionale al Lizio a Roma – filosofia italiana
– Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. A lizio, a
friend of Catone Minore and was with him in his final days. Demetrio.
Luigi Speranza --
Grice e Demetrio: la ragione conversazionale al portico a Roma – filosofia italiana
– Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. Friend of
Seneca, Trasea and Apollonio. Banished from Rome at least once. He defends the
Porch philosopher Publio Egnazio Celer against another one, Musonio Rufo. Demetrio.
Luigi Speranza --
Grice e Demetrio: la ragione conversazionale all’accademia a Roma – filosofia
italiana – Luigi Speranza
(Roma). Filosofo italiano. Member of the Accademia, cited by Antonino.
Luigi Speranza --
Grice e Demetrio: la ragione conversazionale all’orto a Roma – filosofia
italiana – Luigi Speranza
(Roma). Filosofo
italiano. A notable Gardener. Writes a number of essays on various aspects of
the school’s teachings. Fragments of his writings at Herculaneum reveal a
concern that some teachers were oversimplifying the philosophy in order to make
it easier for their pupils to understand. Demetrio Lacone. Demetrio.
Luigi Speranza -- Grice e Demetrio: la ragione
conversazionale e l’implicatura conversazionale del culto di marte, la
mascolinità, ed
il sentimento taciuto – scuola di Milano – filosofia milanese – filosofia
lombarda --filosofia italiana – Luigi Speranza (Milano). Filosofo milanese.
Filosofo lombardo. Filosofo italiano. Milano, Lombardia. Grice: “Demetrio and
the semiotic tacit’ – “Grice: “Demetrio philosophises, in a Grecian, way, on
the ‘tacit’ – literally, the unuttered --.” Grice: “While ‘tacit’ may implicate that the vehicle
is phonic, it need not be – any non-expression is a tacit act --.” “And like
me, Demetrio holds that there is a whole communication involving the
un-expressed, or tacit – or ‘suprressed’ as the scholastics preferred. Grice:
“I like Demetrio. You see, Demetrio is sa good one. – and he enriches the
Griceian vocabulary. I use ‘imply’ for implicatum and implicitum; but Demetrio,
due to the richness of the Italian language, can play with the ‘tac’ root. I
often refer to the implicit as the tacit – and the tacit is nothing but the
‘silent’ –Demetrio has this brilliant essay on the ‘sentiments’ wich are
‘taciuti’. A ‘sentimento’ is taciuto’ when it is tacit, implicit, not explicit
– his favourite scenario is a loving couple – the silence of love – he has also
played with the ‘senses’ of ‘silent,’ but it is the ‘tacit’ root that he
explores most and relates to my explicit/implicit, tacit/non-tacit
distinction!” – Le sue ricerche promuovono la scrittura di se stessi, sia per
lo sviluppo del pensiero interiore e auto-analitico, sia come pratica
filosofica. Insegna a Milano, è ora direttore
scientifico del Centro Nazionale Ricerche e studi autobiografici della Libera
università dell'Autobiografia di Anghiari e dei “Silenziosi”. Altre opere: “Educatori
di professione. Pedagogia e didattiche del cambiamento nei servizi
extra-scolastici” (Scandicci, La Nuova Italia, Tornare a crescere); “L'età
adulta tra persistenze e cambiamenti” (Milano, Guerini, La ricerca qualitativa
in educazione” (Scandicci, La Nuova Italia); Apprendere nelle organizzazioni.
Proposte per la crescita cognitiva in età adulta, Roma, NIS); “Immigrazione e
pedagogia interculturale. Bambini, adulti, comunità nel percorso di integrazione,
Firenze, La Nuova Italia); “L'educazione nella vita adulta. Per una teoria
fenomenologica dei vissuti e delle origini, Roma, NIS, Raccontarsi); “L'autobiografia
come cura di sé, Milano, Cortina, Educazione degli adulti: gli eventi e i
simboli, Milano, C.U.E.M., Viaggio e racconti di viaggio. Nell'esperienza di
giovani e adulti, Milano, C.U.E.M.); “Bambini stranieri a scuola. Accoglienza e
didattica interculturale nella scuola dell'infanzia e nella scuola elementare,
Scandicci, La Nuova Italia, Agenda interculturale. Quotidianità e immigrazione
a scuola. Idee per chi inizia, Roma, Meltemi, Il gioco della vita. Kit autobiografico.
Trenta proposte per il piacere di raccontarsi, Milano, Guerini); Pedagogia
della memoria. Per se stessi, con gli altri, Roma, Meltemi); “Elogio
dell'immaturità. Poetica dell'età irraggiungibile, Milano, Cortina, Una nuova
identità docente. Come eravamo, come siamo, Milano, Mursia); “L'educazione interiore.
Introduzione alla pedagogia introspettiva, Scandicci, La Nuova Italia, Di che
giardino sei? Conoscersi attraverso un simbolo” (Roma, Meltemi); “Preparare e
scrivere la tesi in Scienze dell'Educazione, Milano, Sansoni); “Istituzioni di
educazione degli adulti. Il metodo autobiografico” (Milano, Guerini); “Istituzioni
di educazione degli adulti” (Milano, Guerini); Album di famiglia. Scrivere i
ricordi di casa, Roma, Meltemi, Scritture erranti. L'autobiografia come viaggio
del se nel mondo, Roma, EDUP, Ricordare a scuola. Fare memoria e didattica
autobiografica, Roma, Laterza, Manuale di educazione degli adulti, Roma,
Laterza, Filosofia dell'educazione ed età adulta. Simbologie, miti e immagini
di sé, Torino, POMBA Liberia, L'età adulta. Teorie dell'identità e pedagogie
dello sviluppo, Roma, Carocci, Autoanalisi per non pazienti. Inquietudine e
scrittura di sé, Milano, Cortina); “Istituzioni di educazione degli
adulti. Saperi, competenze e
apprendimento permanente, Milano, Guerini, Didattica interculturale. Nuovi
sguardi, competenze, percorsi, Milano, Angeli, In età adulta. Le mutevoli
fisionomie, Milano, Guerini, Filosofia del camminare. Esercizi di meditazione
mediterranea, Milano, Cortina, La vita schiva. Il sentimento e le virtù della
timidezza” (Milano, Cortina, La scrittura clinica. Consulenza autobiografica e
fragilità esistenziali, Milano, Cortina, L'educazione non è finita. Idee per
difenderla, Milano, Cortina); “Ascetismo metropolitano. L'inquieta religiosità
dei non credenti, Milano, Ponte alle Grazie); “L'interiorità maschile. Le
solitudini degli uomini” (Milano, Cortina, La religiosità degli increduli. Per
incontrare i «gentili», Padova, Messaggero, Perché amiamo scrivere. Filosofia e miti di
una passione, Milano, Cortina, Senza figli. Una condizione umana, Milano,
Cortina,,Educare è narrare. Le teorie, le pratiche, la cura, Milano, Mimesis);
“Beati i misericordiosi. Perché troveranno misericordia, Torino, Lindau); “I
sensi del silenzio. Quando la scrittura si fa dimora, Milano, Mimesis, La
religiosità della terra. Una fede civile per la cura del mondo, Milano,
Cortina, Silenzio, Padova, Messaggero, Green autobiography. La natura è un
racconto interiore, Anghiari, Booksalad, Ingratitudine. La memoria breve della
riconoscenza, Milano, Cortina, Scrivi, frate Francesco. Una guida per narrare
di sè, Padova, Messaggero, La vita si cerca dentro di sé. Lessico
autobiografico, Milano, Mimesis, Terra, Milano, Dialogos, Foliage. Vagabondare
in autunno, Milano, Cortina. Wikipedia Ricerca Marte (divinità) dio
romano della guerra e dei duelli Lingua Segui Modifica Marte (in latino:
Mars[1]) è, nella religione romana e italica[2], il dio della guerra e dei
duelli e, secondo la mitologia più arcaica, anche del tuono, della pioggia e
della fertilità. Simile alla divinità greca Ares, col tempo ne ha assorbito
tutti gli attributi, fino a venire completamente identificato con esso.
Statua colossale di Marte: "Pirro" nei Musei capitolini a Roma.
Fine del I secolo d.C. CultoModifica Venere e Marte, affresco romano da
Pompei, 1 secolo d. C. È una divinità sia etrusca[4] che italica (Mamers nei
dialetti sabellici[5]); nella religione romana (dove era considerato padre del
primo re Romolo) era il dio guerriero per eccellenza, in parte associato a fenomeni
atmosferici come la tempesta e il fulmine. Assieme a Quirino e Giove, faceva
parte della cosiddetta "Triade arcaica", che in seguito, su influsso
della cultura etrusca, sarà invece costituita da Giove, Giunone e Minerva. Più
tardi, identificandolo con il greco Ares, venne detto figlio di Giunone e Giove
e inserito in un contesto mitologico ellenizzato. Alcuni studiosi del
passato (Wilhelm Roscher, Hermann Usner, e soprattutto Alfred von Domaszewski)
hanno parlato di Marte anche nei termini di divinità "agraria",
legata all'agricoltura, soprattutto sulla scorta del testo di una preghiera
rimastaci nel De agri cultura di Catone, che lo invoca per proteggere i campi
da ogni tipo di sciagura e malattia. Secondo Georges Dumézil tuttavia il
collegamento fra Marte e l'ambito campestre non farebbe di lui una divinità
legata alla terra, in quanto il suo ruolo sarebbe esclusivamente di difensore
armato dei campi da mali umani e soprannaturali, senza diversificazione dalla
sua natura intrinsecamente guerresca. Il dio, inoltre, rappresentava la
virtù e la forza della natura e della gioventù, che nei tempi antichi era
dedita alla pratica militare. In questo senso era posto in relazione con
l'antica pratica italica del uer sacrum, la Primavera Sacra: in una situazione
difficile, i cittadini prendevano la decisione sacra di allontanare dal
territorio la nuova generazione, non appena fosse divenuta adulta. Giunto il
momento, Marte prendeva sotto la sua tutela i giovani espulsi, che formavano
solo una banda, e li proteggeva finché non avessero fondato una nuova comunità
sedentaria espellendo o sottomettendo altri occupanti; accadeva talvolta che
gli animali consacrati a Marte guidassero i sacrani e divenissero loro eponimi:
un lupo (hirpus) aveva guidato gli Irpini, un picchio (picus) i Piceni, mentre
i Mamertini derivano il loro nome direttamente da quello del dio. Sempre a
Marte è dedicata la legio sacrata, cioè la legione Sannita, detta anche
linteata, poiché è bianca. Marte, nella società romana, assunse un ruolo molto
più importante della sua controparte greca (Ares), probabilmente perché
considerato il padre del popolo romano e di tutti gli Italici in generale:
Marte, accoppiatosi con la vestale Rea Silvia generò Romolo e Remo, che
fondarono Roma. Di conseguenza Marte era considerato il padre del popolo romano
e i romani si chiamavano tra loro Figli di Marte. I suoi più importanti
discendenti, oltre a Romolo e Remo, furono Pico e Fauno. Marte comparve
spesso sulla monetazione romana, sia repubblicana che imperiale, con vari
titoli: Marti conservatori (protettore), Marti patri (padre), Mars ultor
(vendicatore), Marti pacifero (portatore di pace), Marti propugnatori
(difensore), Mars victor (vincitore). Il mese di marzo, il giorno di
martedì, i nomi Marco, Marcello, Martino, il pianeta Marte, il popolo dei
Marsie il loro territorio Martia Antica (la contemporanea Marsica) devono a lui
il loro nome. Leggenda sulla nascita di MarteModifica Secondo il mito,
Giunone era invidiosa del fatto che Giove avesse concepito da solo Minerva
senza la sua partecipazione. Chiese quindi aiuto a Flora che le indicò un fiore
che cresceva nelle campagne in Etoliache permetteva di concepire al solo
contatto. Così diventò madre di Marte, che fece allevare da Priapo, il quale
gli insegnò l'arte della guerra. La leggenda è di tradizione tarda come
dimostra la discendenza di Minerva da Giove, che ricalca il mito greco. Flora,
al contrario, testimonia una tradizione più antica: l'equivalente norreno Thor
nasce dalla terra, Jǫrð e così le molte divinità elleniche.
NomiModifica Statua di Marte nudo in un affrescodi Pompei. Marte era
venerato con numerosi nomi dagli stessi latini, dagli Etruschi e da altri
popoli italici: Maris, nome Etrusco da cui deriva il nome del Dio Romano;
Mars, nome Romano; Marmar; Marmor; Mamers, nome con cui era venerato dai popoli
italicidi stirpe osca; Marpiter; Marspiter; Mavors. EpitetiModifica Diuum deus:
'dio degli dei', nome con cui viene designato nel Carmen Saliare. Gradivus:
'colui che va', con valore spesso di 'colui che va in battaglia', ma può essere
collegato anche al ver sacrum, quindi 'colui che guida, che va'. Leucesios:
epiteto del Carmen Saliare che significa 'lucente', 'dio della luce', questo
epiteto può essere anche legato alla sua caratteristica di dio del tuono e del
lampo. Silvanus: in Catone, nel libro De agricultura, 83 Marte viene
soprannominato Silvanus in riferimento ai suoi aspetti legati alla natura e
collegandolo con Fauno. Ultor: epiteto tardo, dato da Augusto in onore della
vendetta per i cesaricidi (da ultor, -oris: vendicatore).
RappresentazioniModifica Gli antichi monumenti rappresentano il dio Marte in
maniera piuttosto uniforme; quasi sempre Marte è raffigurato con indosso
l'elmo, la lancia o la spada e lo scudo, raramente con uno scettro talvolta è
ritratto nudo, altre volte con l'armatura e spesso ha un mantello sulle spalle.
A volte è rappresentato con la barba ma, nella maggior parte dei casi, è
sbarbato. È raffigurato a piedi o su un carro trainato da due cavalli
imbizzarriti, ma ha sempre un aspetto combattivo. Gli antichi Sabini lo
adoravano sotto l'effigie di una lancia chiamata "Quiris" da cui si
racconta derivi il nome del dio Quirino, spesso identificato con Romolo.
Bisogna dire che il nome Quirinus, come il nome Quirites, deriva da *co-uiria,
cioè assemblea del popolo e indicava il popolo in quanto corpus di cittadini,
da distinguere con Populus (dal verbo populari = devastare), che indica il
popolo in armi. Il ruolo di Marte a RomaModifica Venere e Marte,
affresco romano da Pompei. A Roma Marte era onorato in modo particolare. A
partire dal regno di Numa Pompilio, venne istituito un consiglio di sacerdoti,
scelti tra i patrizi, chiamati Salii, chiamati a vigilare su dodici scudi
sacri, gli Ancilia, di cui si dice che uno sia caduto dal cielo. Questi
sacerdoti erano riconoscibili dal resto del popolo per la loro tunica purpurea.
I sacerdoti Salii, in realtà erano un'istituzione ben più antica di Numa
Pompilio, risalivano addirittura al re-dio Fauno, che li creò in onore di Marte,
costituendo così i primi culti iniziatici latini. Nella capitale
dell'impero, vi era anche una fontana consacrata al dio Marte e venerata dai
cittadini. L'imperatore Nerone, una volta, si bagnò in quella fontana, gesto
che fu interpretato dal popolo come un sacrilegio e che gli alienò la simpatia
popolare. A partire da quel giorno, l'imperatore iniziò ad avere problemi di
salute, secondo la gente dovuta alla vendetta del dio. FestivitàModifica
Era venerato fastosamente in marzo, il primo mese dell'anno nel calendario
romano, che segnava la ripresa delle attività militari dopo l'inverno e che
portava il suo nome, con le feriae Martis, Equirria, agonium martiale,
Quinquatrus e tubilustrum. Altre cerimonie importanti avvenivano in febbraio e
in ottobre. Gli Equirria si tenevano. Erano giorni sacri con significato
religioso e militare; i romani vi mettevano molta enfasi per sostenere
l'esercito e rafforzare la morale pubblica. I sacerdoti tenevano riti di
purificazione dell'esercito. Si tenevano corse di cavalli nel Campo
Marzio. Si tienneno le feriæ Martis. Durante le feriæ Martis i dodici
Salii Palatinipercorrevano la città in processione, portando ciascuno un
Ancile, uno dei dodici scudi sacri, e fermandosi ogni notte ad una stazione
diversa (mansio). Nel percorso i Salii eseguivano una danza con un ritmo di tre
tempi (tripudium) e cantavano l'antico e misterioso Carmen Saliare. Si tienne
il Quinquatrus, durante il quale gli scudi venivano ripuliti. Si tene il
Tubilustrium, dedicato alla purificazione delle trombe usate dai Saliie alla
preparazione delle armi dopo la pausa invernale. Gl’ancilia venivano riposti
nel sacrario della Regia. L'October Equus si teneva alle idi di ottobre.
Si svolgeva una corsa di bighe e veniva sacrificato a Marte il cavallo di
destra del trio vincente tramite un colpo di lancia del Flamine marziale. La
coda veniva tagliata e il suo sangue sparso nel cortile della Regia. C'era una
battaglia tradizionale tra gli abitanti della Suburra che volevano la coda per
portarla alla Turris Mamilia e quelli della Via Sacra che la volevano per la
Regia. Si tienne l'Armilustrium, dedicato alla purificazione delle armi e
alla loro conservazione per l'inverno. Ogni cinque anni si tenevano in
Campo Marzio le Suovetaurilia, dove davanti all'altare di Marte il censo vienne
accompagnato da un rito di purificazione tramite il sacrificio di un bue, un
maiale e una pecora. Luoghi di cultoModifica Marte e Venere, copia
settecentesca da I Modi di Marcantonio Raimondi Tra le popolazioni italiche, si
sa di un antico tempio dedicato al dio Marte a Suna, antica città degli
Aborigeni, e di un oracolo del dio, nella città aborigena di Tiora. Animali e
oggetti sacri Lupo: si ricorda il nipote Fauno, il lupo per eccellenza è la
lupa che ha allattato Romolo e Remo Picchio: il picchio è l'uccello del tuono e
della pioggia oracolare, ha nutrito Romolo e Remo insieme alla lupa Cavallo:
simbolo della guerra (si ricorda Nettuno e gli’equirria) Toro: altro animale
molto importante per il ver sacrum e per tutti i popoli italici Hastae Martiae:
sono le lance di Marte che si scuotevano in caso di gravi pericoli, tenute nel
sacrario della Regia Lapis manalis: la pietra della pioggia, in quanto dio
della pioggia OfferteModifica A Marte si offrivano come vittime sacrificali vari
tipi di animali: dei tori, dei maiali, delle pecore e, più raramente, cavalli,
galli, lupi e picchi verdi, molti dei quali gli erano consacrati. Le matrone
romane gli sacrificavano un gallo il primo giorno del mese a lui dedicato che,
fino al tempo di Gaio GIULIO (si veda) Cesare, era anche il primo
dell'anno. Identificazioni con dei celtici Mars Alator: Fusione con il
dio celtico Alator Mars Albiorix, Mars Caturix o Mars Teutates: Fusione con il
dio celtico Toutatis Mars Barrex: Fusione con il dio celtico Barrex, di cui si
ha notizia solo da un'iscrizione a Carlisle Mars Belatucadrus: Fusione con il
dio celtico Belatu-Cadros. Questo epiteto è stato trovato in cinque iscrizioni
nell'area del Vallo di Adriano Mars Braciaca: Fusione con il dio celtico Braciaca,
trovato in un'iscrizione a Bakewell Mars Camulos: Fusione con il dio della
guerra celtico Camulo Mars Capriociegus: Fusione con il dio celtico gallaico
Capriociegus, trovato in due iscrizioni a Pontevedra Mars Cocidius: Fusione con
il dio celtico Cocidio Mars Condatis: Fusione con il dio celtico Condatis Mars
Lenus: Fusione con il dio celtico Leno Mars Loucetius: Fusione con il dio
celtico Leucezio Mars Mullo: Fusione con il dio celtico Mullo Mars Nodens:
Fusione con il dio celtico Nodens Mars Ocelus: Fusione con il dio celtico
Ocelus Mars Olloudius: Fusione con il dio celtico Olloudio Mars Segomo: Fusione
con il dio celtico Segomo Mars Visucius: Fusione con il dio celtico Visucio
Marte nell'arteModifica Pittura Marte, di Velázquez Marte che spoglia Venere
con amorino e cane, di Paolo Veronese Marte e Venere sorpresi da Vulcano, di
Boucher Minerva protegge la Pace da Marte, di Rubens Venere e Marte, di Sandro
Botticelli MARTE su Treccani, enciclopedia ^ MARTE su Treccani, enciclopedia
MARTE su Treccani, enciclopedia Pallotino; Wagenvoort, "The Origin of the
Ludi Saeculares, in Studies in Roman Literature, Culture and Religion (Brill;
Hall, "The Saeculum Novum of Augustus and its Etruscan Antecedents,"
Aufstieg und Niedergang der römischen Welt; MARTE su Treccani, enciclopedia
Strabone, Geografia, Nota sul dio Mamerte (o Mamers), in Treccani.it
Enciclopedie Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Dionigi di Alicarnasso,
Antichità romane Dionigi di Alicarnasso, Antichità romane, Carandini, La
nascita di Roma, Torino, Einaudi, Carandini dà la definitiva rivalutazione del
dio Marte). Renato Del Ponte, Dei e miti italici, Genova, ECIG, Dumézil, La
religione romana arcaica, Milano, Rizzoli, Libro del grande storico delle
religioni, che per primo rivalutò Marte da feroce dio emulo di Ares a divinità
più originale e importante). James Hillman, Un terribile amore per la guerra,
Milano, Adelphi, Un libro che dimostra come questo dio sia presente nelle
guerre contemporanee). Jacqueline Champeux, La religione dei romani, Bologna,
Il Mulino, Ares Divinità della guerra Flamine marziale Fauno Marte (astronomia)
Mamerte Pico (mitologia) Hachiman, Fano di Marmar, su latinae. altervista. Portale
Antica Roma Portale Mitologia PAGINE CORRELATE Salii collegio
sacerdotale romano per il culto di Marte Mamuralia festività Triade
arcaica, Duccio Demetrio. Demetrio. Keywords:il
sentimento taciuto, maschile, omossesuale, perseo, medusa, solitudine,
filosofia del maschile, il maschile, homo-socialite, lo sguardo maschile,
virilita, virus, virtu, il concetto del maschile nella roma antica. Refs.:
Luigi Speranza, “Grice e Demetrio” – The Swimming-Pool Library.
Luigi Speranza --
Grice e Democede: la ragione conversazionale e la setta di Crotone -- Roma –
filosofia italiana – Luigi Speranza
(Crotone). Filosofo
italiano. Captured by the Persians, helps to cure an ankle injury that is
plaguing Dario. He eventually escapes and returns to Crotone. Giamblico says he
has a Pythagorean, one of those who fled Crotone during an uprising against the
sect. If this is true, if presumably happens after his return from Persia. Democede.
Luigi Speranza --
Grice e Demostene: la ragione conversazionale a Roma – filosofia italiana –
Luigi Speranza (Reggio). Filosofo italiano. A
pythagorean according to Giamblico di Calcide.
Luigi Speranza – GRICE ITALO!; ossia, Grice e Desideri:
la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale dei consenzienti – filosofia
romana – filosofia laziale -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo romano. Filosofo Lazio. Filosofo Italiano.
Roma, Lazio. Grice: “I like Desideri; he
would be what we at Oxford call a ‘philosopher of perception,’ and therefore
his keywords have been aisthetsis, sensation, and the rest – he has also played
with some Latinate, like ‘imaggine dell’imagine’ and with ‘empathy.’ He
endorses a Griceian sort of empathetic theory, as evidenced in the idea of
‘comprehension,’ a latinate term for English ‘understanding.’ “He has beautiful
handwriting,’ while there is a hygienic interval between I and thou, thou
getest what I mean! That he is HOPELESS at philosophy.” Insegna a Firenze. Cura
Nietzsche, Kant, Benjamin, Kafka. Altre
opere: “Il tempo e la forma” (Roma, Editori riuniti); “Il fine del tempo”
(Genova, Marietti); “La scala della giustizia” (Bologna, Pendragon); “Il velo
di Iside: coscienza, messianismo e natura nel pensiero romantico” (Bologna,
Pendragon); “L'ascolto della coscienza” (Milano, Feltrinelli); “Aporia del
sensibile” (Genova, Il melangolo); “Il passaggio estetico” (Genova, Il
melangolo); “Forme dell'estetica: dall'esperienza del bello al problema
dell'arte” – “L’esperienza del bello”
(Roma-Bari, Laterza); “L’ esperienza e la percezione riflessa: estetica e
filosofia psicologia (Milano, Raffaello Cortina); “La misura del sentire: per
una ri-configurazione dell'estetica” (Milano-Udine, Mimesis); “Origine
dell'estetico: dall’emozione al giudizio” (Roma, Carocci); “Percezione ed estetica” (Brescia,
Morcelliana). A Francesco e Nicola Il fascismo e il
consenso degl’intellettuali Il Mulino, Bologna. Quando ho iniziato
le ricerche condensate in questo saggio, testimonianze e giudizi storiografici
erano unanimi nel riflettere la nota negazione crociana dell’esistenza di
una cultura o filosofia fascista: un giudizio che trova ancora oggi il suo
principale e più autorevole sostenitore in Bobbio, ma che ritorna anche in
protagonisti della lotta anti-fascista e in studiosi di altre aree
politiche e culturali, come Amendola e Rosa. I motivi del persistere
di questa negazione, in chi pur si è dedicato da tempo a indagare con
severo impegno civile sulla funzione politica della cultura, richiederebbero
una ricerca apposita, che metterebbe probabilmente in luce, accanto alla
fortuna del crocianesimo e alla diffidenza verso
l’intellettuale-funzionario di supposta matrice fascista, o all’originaria
riduttiva lettura di Gramsci, una decisa sottovalutazione, su un piano
pit generale, del peso del fenomeno della filosofia fascista nella storia
italiana. È forse quest’ultimo l’elemento che continua a opporre maggiore
resistenza alla corretta impostazione di un’indagine su una stagione
culturale che non si esauri nel ventennio, ma proietta le sue ombre anche
sul periodo postfascista: con un bilancio, si badi bene, che non
può ridursi a distinguere vera e falsa filosofia o cultura, o a chiedersi
quali prodotti di vera filosofia o cultura promosse il fascismo. Per affermare
che il fascismo non ha legami colla filosofia è necessario adoperare il termine
in modo puramente valutativo, escludendo dal suo ambito tutto ciò che
viene giudicato dannoso, oppure minimizzare sistema. Su alcuni di questi temi
un primo spunto di ricerca è stato fornito da E. Galli della Loggia,
Ideologie, classi e costume, Castronovo, Torino, Einaudi. ) ticamente il numero
di punti di contatto esistenti tra il regime e la filosofia, opportunamente
osserva Lyttelton, e la notazione potrebbe essere estesa ad altre
discipline, come quelle giuridiche ed economiche, per considerare, accanto a
ciò che di non caduco fu prodotto nel campo dell’alta cultura, oltre che
nel terreno inesplorato della mentalità dei diversi strati sociali ,
anche i pensieri che non furono pit
pensati. Ma a una valutazione complessiva di questa tematica è di
ostacolo un giudizio simmetrico a quello crociano, teso a mettere in
dubbio l’esistenza di ur fascismo italiano: in questo senso Felice ha
fatto veramente scuola presso quanti hanno avallato la tesi propria del
fascismo, di possedere una ideologia non reazionaria, o hanno tratto spunto
dalle doti intellettuali di Bottai per presentarlo come filosofo fascista critico.
Solo pochi studiosi hanno cominciato, in questi ultimi anni, a presentare
un diverso approccio al problema, tenendo presenti i nessi tra la cultura,
l’ideologia e gli obiettivi politici del fascismo, e sfuggendo quindi al
rischio di esaminare le idee dei singoli intellettuali in modo
separato dal contesto in cui operarono: rischio di un genere
bioLyttelton, La conquista del potere. Il fascismo, Bari, Laterza, A.
Momigliano, Gli studi italiani di storia greca e romana, in La vita intellettuale
italiana, scritti in onore di Croce, a cura di Antoni e Mattioli, Napoli,
Edizioni scientifiche italiane. E. Gentile, Le origini dell’ideologia
fascista, Bari, Laterza, e Guerri, Giuseppe Bottai, un fascista critico,
prefazione di U. Alfassio Grimaldi, Milano, Feltrinelli, Cosî L. Mangoni,
L’interventismo della cultura. Intellettuali e riviste del fascismo,
Bari, Laterza, Montenegro, Politica estera e organizzazione del consenso.
Note sull’Istituto per gli studi di politica internazionale, in Studi
storici; M. Isnenghi, Intellettuali militanti e intellettuali funzionari.
Appunti sulla cultura fascista, Torino, Einaudi. Né più produttiva appare
una lettura solo apparentemente rovesciata, come quella di un Cantimori tutto
politico che niente ci dice sul suo
mestiere di storico: M. Ciliberto, Intellettuali e fascismo.
Saggio su Delio Cantimori, Bari, De Donato,
e le puntuali osser grafico che
pur sempre utile e auspicabile
anche nei suoi esempi migliori tende a eroicizzare
alcune personalità anticipando spesso nel tempo gli esiti della loro
ricerca culturale e politica. Abbiamo quindi ritenuto necessario ai fini di una
lettura politica , per quanto possibile,
della cultura e degli orientamenti dei suoi produttori nel ventennio
porre al centro dell’indagine le istituzioni culturali del regime, di cui
l’Enciclopedia italiana è, per l’alta cultura, l’espressione pit
significativa, in quanto momenti di aggregazione degli intellettuali di
cui il fascismo voleva acquisire il consenso. Istituzioni culturali che
non si limitano a una gestione puramente esterna della cultura
preesistente , ma producono anche contenuti nuovi, mettendo in circolazione
modi di pensare o temi di studio funzionali all’ideologia dominante. Con
ciò non vogliamo negare che il fascismo recuperi motivi già presenti
nell’Italia liberale come il nazionalismo o le tendenze corporative , secondo
l’ ideologia eclettica del Pnf,
prima organizzazione politica
unificata della borghesia italiana,
pronta a raccogliere ogni prestito capace di rafforzarla : motivi che tuttavia
la borghesia prefascista a meno di non
darle credito di una coerenza e di una
preveggenza che non ci pare abbia
av uto nel suo complesso ® non era riuscita a connettere saldamente
insieme in quella sorta di koiné che nel periodo fascista, se pur
si avvale di apporti diversi, non è meno omogenea per gli obiettivi che
si pone e per la continua interscambiabilità tra cultura e ideologia. Un
linguaggio alla cui formula
vazioni di G. Santomassimo in Italia
contemporanea ,In questo senso si esprime, oltre ad Asor Rosa (citato nel
testo), A.L. de Castris, Gramsci e il problema dell’egemonia negli anni
trenta, in Lavoro critico (il
numero è dedicato a Le culture del
fascismo ). 8Togliatti, Lezioni sul fascismo, prefazione di E.
Ragionieri, Roma, Editori Riuniti Su questo collegamento tra Italia
liberale e fascismo insiste Lanaro, Nazione e lavoro. Saggio sulla cultura
borghese in Italia, Padova, Marsilio (su cui gli interventi di R. Romanelli, M.L. o
Toniolo in Quaderni storici zione contribuiscono, in misura e con capacità di
manovra insusitate, i cattolici. È appunto considerandone la
partecipazione massiccia alle istituzioni del regime dove i collaboratori si
confondono con i critici dell’idealismo e, qualche volta, del fascismo
stes80 , che è possibile cogliere un aspetto non secondario della trasformazione della presenza cattolica in
Italia, non più caratterizzata, come nel prefascismo, da un
rapporto preminente col mondo contadino, ma profondamente inserita a
tutti i livelli nella moderna società industriale !° con un insieme di scambi
culturali che, anche in una prospettiva di lungo periodo, ha un
peso ben maggiore della riflessione più propriamente religiosa di quei
gruppi élitari nei quali si è voluto cogliere il nucleo della classe
dirigente democristiana " Un'indagine approfondita sulla
politica culturale del regime ci pare preliminare anche per valutare
quelli che .abbiamo chiamato i
limiti del consenso . Solo partendo dalla considerazione
dell’esistenza di una vasta rete di istituzioni fasciste che producono e
trasmettono cultura contro la quale si
infrangono i sogni di una cultura al
di sopra della mischia propri di
un Formiggini è possibile impostare un discorso sulla cultura sommersa
durante il ventennio e sui suoi sbocchi nel 1945 e anche in questo
caso, più che affidarci ai lunghi
viaggi dei singoli, che rischiano
di ridursi a personali esami di coscienza senza grande risonanza, abbiamo rivolto
l’attenzione ad altri centri di aggregazione degli intellettuali e di
diffusione della cultura, le case editrici, pur senza essere stati in
grado di fornite quei preziosi dati
materiali Rossi, La Chiesa e le organizzazioni religiose, in La
Toscana nel regime fascista, Firenze, Olschki, Come ha fatto, analizzando la Fuci
e il Movimento laureati cattolici, Moro, La formazione della classe dirigente Cattolica,
Bologna, il Mulino; contro una prima formulazione di questa tesi ha
polemizzato Pietro Scoppola che però, per esaltare l’impronta di rinnovamento
impressa da De Gasperi alla DC, ha ribaltato la sua tesi originaria
sostenendo il sostanziale consenso al
regime , senza incrinature, dei cattolici (Le proposta politica di De
Gasperi, Bologna, il Mulino, dell’azienda editoriale che sono stati
pionieristicamente fatti oggetto di studio, per un altro periodo, da
Marino Berengo !. Il mancato riferimento alla forza condizionante delle
istituzioni del regime è infatti all'origine sia di facili assoluzioni di una
cultura che sarebbe passata indenne
attra verso il fascismo,
sia di altrettanto gratuite reprimende contro l’incapacità di
rinnovamento delle forze di sinistra. Fra l’accusa al PCI di essersi fatto
carico dell’ ideologia della ricostruzione
per cui si sopravva-' luta il significato dell’ inquietudine
politica de Il Politecnico , e la riproposizione crociana di una
cultura che, sotto il fascismo, si era chiusa su se stessa, rivendicando
la propria autonomia: e da una tacita contrattazione col potere aveva ottenuto
il permesso di vivere e di svilupparsi nella sua (pseudo) separatezza, vi
è infattiuno iato profondo che non permette di spiegare storicamente gli
indubitabili ritardi registrabili
nel rinnovamento culturale. Il processo di affrancamento
degli intellettuali dalla cultura del regime fu in realtà assai
complesso, anche quando passò attraverso la difesa dell'autonomia della
cultura. Vi può essere stata, da un lato, l’indifferenza di fronte
alla politica di molti intellettuali che è all’origine sia di un loro
acritico allineamento al fascismo, sia di un arroccamento attorno alla
tradizione accademica, che nelle Università trovò alcuni spazi per mantenersi
separata dalla militanza politica richiesta dal fascismo, anche se col
rischio di un progressivo inaridimento. D'altro canto, in
un Berengo, Intellettuali e librai nella Milano della Restaurazione,
Torino, Einaudi Cosi Luperini, Gl’intellettuali di sinistra e l'ideologia della
ricostruzione nel dopoguerra, Roma, edizioni di
Ideologie. Ne ha parlato Tranfaglia, Intellettuali e fascismo. Appunti
per una storia da scrivere, ora in Id., Dallo stato liberale al
regime fascista. Problemi e ricerche, Milano, Feltrinelli; G. Turi, Le istituzioni culturali del regime
fascista durante la seconda guerra mondiale, in Italia contemporanea, e,
con ottica diversa, Bongiovanni - Levi, L’università di Torino durante il
fascismo. Le Facoltà umanistiche e il Politecnico, Torino,
Giappichelli. periodo in cui, e la soppressione completa della
dialettica politica, il terreno culturale divenne nel paese un importante
termine di confronto per verificare anche l’esistenza di schieramenti
tendenzialmente politici, la rivendicazione dell’autonomia della cultura
costituî negli intellettuali più consapevoli uno strumento per segnare
una rottura nei confronti del regime, in vista della ricostituzione di un
rapporto nuovo fra politica e cultura: fu questo il senso della battaglia
di Croce, di alcuni dei principali collaboratori di Einaudi in un
primo luogo Ginzburg, e di alcuni settori di ascendenza
democratica, socialista e positivista per altro ancora da indagare in
tutte le loro ramificazioni, che abbiamo esemplificato nel gruppo raccolto
attorno alla casa editrice Formiggini. Non bisogna tuttavia dimenticare
che la cultura elaborata dagli intellettuali del fascismo impose un
arretramento del punto di partenza di una battaglia culturale e politica
che nel campo degl’avversari fu necessariamente sfumata, ma anche non priva di
oscillazioni, contraddizioni e riflussi tanto che poté apparire anticonformista
la ripresa di motivi sostanzialmente non antitetici al fascismo, come nel caso
del liberismo di Einaudi, e che perciò non può essere immediatamente
classificata nella categoria dell’antifascismo. Se è quindi possibile
constatare come tanta parte della intelligenza italiana sboccasse nell’Italia
postfascista senza che le trasformazioni di superficie corrispondessero a reali
rinnovamenti di fondo, ciò è addebitabile, più che a uno zdanovismo che in
realtà non conculcò alcuna esistente
cultura rivoluzionaria!, al ben più drastico condizionamento
Garin, Intellettuali italiani, Roma, Riuniti. Elementi contraddittori si
mescolano a interessanti suggerimenti di ricerca nella testimonianza di
Franco Fortini: Quando si farà la
storia dello stalinismo italiano e si documenterà la repressione avvenuta
ai danni di una cultura rivoluzionaria non conformista che, incerta e
confusa, pur si veniva formando; e quando si chiarirà fino a qual punto
la debolezza intellettuale degli usciti dal fascismo, cioè di noi stessi,
abbia cospirato obiettivamente con talune debolezze morali e con operato
da tempo dal fascismo: con il risultato che il processo di rinnovamento degli
intellettuali italiani si presenterà assai più lento delle trasformazioni
politiche del paese. Non ci sentiamo tuttavia in grado di dare giudizi
definitivi sulla controversa questione, anche in questo campo, relativa
alle continuità o alle rotture nella storia d’Italia. Ci preme aver
indicato un approccio di ricerca che ci sembra fruttuoso, e auspicare che
i risultati raggiunti stimolino ulteriori indagini e riflessioni.
Primo a seguire e incoraggiare questa ricerca è stato Ragionieri,
il cui ricordo è difficilmente cancellabile in chi ne ha conosciute e
apprezzate le doti umane, intellettuali, politiche: a lui va il mio
principale debito di riconoscenza, nella speranza di essere rimasto
fedele, almeno in parte, alla sua eccezionale lezione di rigore
scientifico. Fra quanti hanno letto interamente o in parte il
dattiloscritto, ‘aiutandomi con correzioni e suggerimenti, ringrazio in
particolare Garin, Mori, Palla, Ranchetti,
Soldani e Torrini; e, con loro, i numerosi studenti e amici che
hanno discusso la tematica di questa ricerca nei seminari tenuti
presso l’Istituto di storia della Facoltà di Lettere e Filosofia di Firenze. Né
posso dimenticare chi, regalandomi una stagione felice, ha reso più
leggera la mia fatica. Il lavoro non sarebbe stato possibile senza
la preziosa collaborazione del personale della Biblioteca nazionale
di Firenze e di quanti mi hanno facilitato la consultazione di
fondi archivistici: Cappelletti per l’Archivio dell’Istituto dell’Enciclopedia
italiana; Milano e Selmi per l'Archivio Formiggini presso la Biblioteca estense
di Modena; la politica culturale stalinista, polemizzando contro
quest’ultima da destra e cioè da posizioni radical-liberali invece che da
posizioni marziste, allora sarà possibile farsi un’idea meno mitica di
certi tentativi, come quelli del neorealismo cinematografico, del
Politecnico, ecc. (Verifica dei poteri. Scritti di critica e di
istituzioni letterarie, Milano, Garzanti. il personale della Fondazione
Einaudi; Einaudi, Vivanti e l’archivista Gava per. i documenti della casa
editrice Einaudi; Balbo che mi ha concesso la visione delle carte di Balbo da
lei tanto amorevolmente custodite, e Bobbio che ha messo a mia disposizione il
suo archivio personale. Non è stata invece possibile la
consultazione dell’Archivio Gentile, ancora in attesa di una sistemazione che
permetta l’accesso agli studiosi. In questo volume si riproducono, con
alcune modifiche, i seguenti saggi: Il progetto dell’Enciclopedia italiana:
l’organizzazione del consenso fra gli intellettuali, in Studi storici (si limita a riprodurre la tematica di
questo articolo, senza nulla aggiungere, la maggior parte del volumetto
di Lazzari, L’Enciclopedia Treccani. Intellettuali e potere durante il
fascismo, Napoli, Liguori, tributario del mio saggio anche per le fonti);
Ideologia e cultura del fascismo nello specchio dell’Enciclopedia
italiana, in Stu-di storici;
l'introduzione alla ristampa non integrale di Formiggini, Storia della
mia casa editrice, Modena, Levi. Il saggio I limiti del consenso: le
origini della casa editrice Einaudi è inedito: per questo ho potuto utilizzare
il contributo CNR Ideologia e cultura del fascismo: l’ Enciclopedia
italiana. Opere come l’Ernciclopedia, cui Gentile da cosi valido impulso, hanno
nella vita di un tempo un peso singolare. E innanzi ad esse, e alla loro
penetrazione profonda, conviene chiedersi se, per avventura, taluni
giudizi correnti non debbano essere rivisti e corretti. L’osservazione di
Garin, fatta per inciso in una ricostruzione generale di LA FILOSOFIA ITALIANA,
comport una verifica dell'equazione crociana fascismo-anticultura e
cultura-antifascismo, e quindi quel più attento riesame delle vicende
culturali fra le due guerre, in stretto rapporto con l’obiettivo del
regime di organizzare il consenso dei FILOSOFI, che attende ancora di essere
compiuto sistematicamente. Cosi non solo l’Enciclopedia italiana, utilizzata
da studiosi stranieri come fonte sulla dottrina filosofica del
fascismo o come espressione dell’orientamento prevalente nella cultura italiana
-- ma anche l’opera di Gentile teorico del periodo di consolidamento del
fascismo, come lo ha definito Lukàcs, con espressione ben piu corretta
della generica formula di filosofo del fascismo, sono rimaste avvolte in
un silenzio che è già per se stesso elemento di riflessione sui profondi
condizionamenti subiti a lungo dalla cultura italiana del secondo (Garin, CRONACHE
DI FILOSOFIA ITALIANA. Bari, Laterza, Efirov, La filosofia borghese italiana,
Firenze, Sansoni, Hobsbawm, Il contributo di Marx alla storiografia, in Marx
vivo. La presenza di Marx nel pensiero contemporaneo, Milano, Mondadori, Lukàcs,
La distruzione della ragione, Tortino, Einaudi] dopoguerra, che negli anni
venti e nel fascismo, e nel giudizio che ne da Croce, hanno la loro origine. Il
discorso sulla FILOSOFIA di Gentile, condotto in prevalenza da suoi allievi nel
Giornale critico della filosofia italianacon particolare lucidità da SPIRITO, che
ha ricostruito le tappe del suo distacco dal maestro come sviluppo degli stessi
principi attualisti, è rimasto limitato a un recupero agiografico o a un
anacronistico rilancio, privo di prospettive storiografiche perché
astratto dall’analisi del fascismo, in cui SPIRITO ha voluto individuare,
con un giudizio che richiede di essere specificato, pensiamo in
particolare al peso che ha anche sul piano culturale il connubio regime/culto
la ragione effettiva della crisi dell’idealismo italiano tale, quindi, da
non consentire quell’esame della personalità di GENTILE come promotore e
organizzatore di alta cultura sul piano nazionale cui pur richiama
il gentiliano Bellezza. Le stesse CRONACHE DI FILOSOFIA ITALIANA, di
Garin, mosse dall’intento di considerare uomini e dottrine come
espressioni di un tempo e, insieme, come forze che in un tempo agirono, e
attente a non cadere nella troppo sche- [Il primo studio moderno con
intenti di completezza è quello di Harris, La filosofia di Gentile (Roma,
Armando), condotto però nella costante preoccupazione, come afferma Harris
nella prefazione all’edizione originale di vedere how far his actual idealism may
be disentangled from its fascist connections, or implicatures
[entanglement, Lewis/Short, ‘in-plicatura’]--, da cui discende il giudizio
sull’oggettività dell’Enciclopedia italiana. Per una confutazione
della critica a Gentile sulla linea liberale condotta da Harris Cerroni, La filosofia politica di
Gentile, Società. Per una ricostruzione storica della figura di GENTILE sono di grande utilità gli accenni, non
tanto incidentali, di Colapietra, Croce e la politica italiana (Bari,
Santo Spirito, Edizioni del centro librario, le osservazioni di Schiavo, La
filosofia politica di Gentile (Roma, Armando), e, pur con alcuni accenti
apologetici, Lalla, Gentile (Firenze, Sansoni). Spirito, Gentile (Firenze,
Sansoni), in particolare l'articolo qui raccolto su Gentile nella
prospettiva storica di oggi. Di Spirito
anche Memorie di un incosciente (Milano, Rusconi). Bellezza, Rassegna
degli studi gentiliani più recenti, Giornale di metafisica. L’Enciclopedia
italiana] matida antitesi Gentile-fascismo e Croce-antifascismo,
non colgono compiutamente la funzione mediatrice dei filosofilasciando
spesso indeterminato il tempo nel quale operarono, come nota Cantimori
auspicandoneluna specificazione. La società, le classi, le università, le
istituzioni in generale, i partiti, le tradizioni culturali locali oltre
che quelle nazionali, ecc. Ccsi che, anche nel periodo da noi considerato,
in cui quella funzione e particolarmente valorizzata dal fascismo, lasciano
imprecisati i condizionamenti del potere politico e gli stessi debiti dei filosofi. Per
chiarire non solo l’utilizzazione ideologica di diverse correnti culturali da
parte del regime in vista della creazione de l consenso, ma anche in
che misura e perché mutarono nel ventennio i contenuti culturali della
filosofia, accolti o tenuti ai margini o respinti dal fascismo anche in questo
campo l’Italia non si trova nelle stesse condizioni del periodo liberale,
lo studio dell’ Enciclopedia italiana può essere particolarmente fruttuoso. Per
il momento in cui e ideate, preparate, e realizzata quello dello stato
totalitario, l’autorità dei suoi promotori, basti pensare a GENTILE o
a VOLPE, l’ampio ventaglio di collaboratori qualificati e
il carattere ufficiale che le e impresso fin dall’inizio, rappresenta lo
strumento forse più importante, accanto alla scuola, della politica
culturale del fascismo, e quindi un test assai significativo per valutarne
gl’effetti di lungo periodo, non riducibili all’ideologia o alla propaganda del
regime, anche se con queste connessi. Ma solo tenendo presenti gli obiettivi
politici del governo di MUSSOLINI e la
decisa sconfitta, anche sul piano culturale, degli avversari
liberali e socialisti, è possibile spiegare come a GENTILE e
possibile dare avvio alla colossale impresa enciclopedica, e
l'ampiezza dell’adesioni da lui raccolte anche da parte di FILOSOFI non
fascisti. Se ancora nell’articolo Forza e consenso, Mussolini puo porre
l'accento unicamente sul primo termine poiché il consenso è mutevole core
le formazioni della sabbia in riva al mare. Non ci può essere
sempre. Né mai può essere totale, si fa strada una linea politica più
articolata e di più lunga durata che, se affida a FARINACCI l’esecuzione
del momento della forza e della co-ercizione mantenendolo come necessario
presupposto del consenso, punta, dopo la sconfitta delle forze politiche avversarie,
ad acquisire l'adesione, non solo passiva, di quegli FILOSOFI ormai senza
partito, o incerti, la FILOSOFIA dei quali avrebbe potuto costituire,
in assenza di alternative politiche, un fronte di resistenza
al regime. Non è un caso che uno degli esponenti del fascismo che
più si impegneranno nel tentativo di formare una nuova classe dirigente, BOTTAI,
dichiara su Critica fascista che il Pnf dove rivedere la sua azione per
conquistare il consenso, e, se pure la crisi conseguente al delitto
Matteotti vede le prime incrinature fra quegli FILOSOFI che non hanno ancora
preso le distanze dal fascismo in quanto vedeno nella collaborazione di GENTILE
una garanzia non solo per le sorti della riforma della scuola, ma anche
per quelle del paese basti pensare al pessimismo che si fa strada
in OMODEO, o a quello che è stato chiamato l’aventino di Radice, la
situazione si presenta favorevole al fascismo per il disorientamento FILOSOFICO
che permea le file dei FILOSOFI liberali e socialisti. Quando si apri fra questi
FILOSOFI un vasto dibattito sulla sconfitta dello stato liberale e del
movimento operaio, mentre GRAMSCI accusa il socialismo di non avere avuto una
ideologia, non averla diffusa [Mussolini, Scritti e discorsi (Milano,
Hoepli). Bottai, Arzo nuovo: il partito e la sua funzione Critica
fascista- [Cantimori, Studi di storia, Torino, Einaudi]. ad esempio la lettera di OMODEO a Gentile
in Gentile-Omodeo, Carteggio, a cura di
Giannantoni (Firenze, Sansoni). Margiotta, Radice: tra attualità ed irrisoluzione
storica (Reggio Calabria, Edizioni parallelo). L'Enciclopedia italiana
tra le masse , quasi con le stesse parole GOBETTI afferma che i partiti
d’opposizione non hanno alimentato alcuna grande ideologia. Il socialismo
non ha trapiantato Marx in Italia, per cui il trionfo fascista si connette
a queste condizioni di impreparazione. Mondolfo sostene che da una ripresa di
idealismo il nostro movimento non può che trarre nuova forza e nuovo
impulso, o cerca di dimostrare che poteva essere morale e vantaggiosa
quella che si chiama la collaborazione di classe. Più in generale, la
discussione sul marxismo che si svolse su Critica sociale,
Rivoluzione liberale e Quarto stato, rimane condizionata più che mai
dall’IDEALISMO HEGELIANO dominante, e non poco ancora, da quello più
accentratamente soggettivistico, l’attualismo gentiliano. Cosi, se ancora Il
Mondo, dopo aver negato l’esistenza di un nesso tra le riforme gentiliane
e le ideologie fasciste, puo registrare il fallimento del fascismo nel tentativo
d’attrarre nella sua orbita FILOSOFI di studio e di dottrina, di
circondarsi della sua classe, dopo il Manifesto degli FILOSOFI fascisti, Croce,
pur osservando che il fascismo non solo è indifferente alla filosofia, ma
intimamente ostile, sentendo che dalla filosofia sono venuti i
pericoli all'ordine sociale, era costretto a notare gl’afaccendamenti
inutili e mal graditi di un certo numero di filosofi e fra questi parecchi
nostri ex-compagni di studi ed ex-amici che si sono messi al servizio del
fascismo in una situazione d’assoggettamento [Gramsci, Che fare? Per la
verità, Scritti, Martinelli (Roma, Editori Riuniti). Gobetti, La mostra cultura
politica, in Scritti politici, Spriano (Torino, Einaudi). Mondolfo, Una
battaglia per il socialismo, Bassi (Bologna, Tamari). Luporini, Il marxismo e
la cultura italiana, in Storia d’Italia, Torino, Einaudi. Il fascismo e
la cultura, in Il Mondo ] a ferrea
disciplina. A Croce sfugge tuttavia l'ampiezza e la qualità del fenomeno,
in quanto rimane convinto che tra fascismo e FILOSOFIA ci fosse un’opposizione
in termini. Come partito medio, come idealità che richiede
esperienze e meditazione, senso storico e senso delle cose complesse e
complicate, e insomma finezza mentale e morale, il liberalismo, è il
partito della cultura; e liberale e il nostro Risorgimento, nel quale cultura e
amor di patria confluirono. Socialismo e autoritarismo, invece, in quanto
partiti estremi, ritengono non poco di astratto e di semplicistico, e
perciò, come sono facilmente ricevuti dagl’animi e dalle menti dei
pupilli, cosi presentano i segni caratteristici della scarsa o unilaterale
cultura, osserva Croce in un articolo che gli era valso da parte di GENTILE,
teso a presentare il fascismo come vero liberalismo, l’appellativo di
schietto fascista senza camicia nera. Si era alla vigilia della rottura
politica tra Croce e Gentile, e il partito della cultura del primo e
destinato a rimanere un programma per il future. Le sue preoccupazioni sono
tutte volte al future, osserva Gobetti esaltandone l’antifascismo
identificato con la ribellione dell’europeo e dell’uomo di cultura, e
sottolineando la differenza tra GENTILE DOMMATICO, autoritario, dittatore di
provinciale infallibilità e Croce politico, capace di riflessione e di
dubbio, detentore di una chiara idea dello stato, che è forza soltanto in
quanto è consenso. Ma, se giustamente venne colta in Croce
la separazione impossibile tra filosofia e politica, due elementi sfuggeno
agl’osservatori contemporanei: la capacità dimostrata dal fascismo, e in
particolare da Gentile, proprio [Di Croce, Pagine sparse, Bari,
Laterza, Croce, Liberalismo, in Cultura
e vita morale. Intermezzi polemici, Bari, Laterza. Gentile, Il liberalismo di
Croce in Che cosa è il fascismo, Discorsi e polemiche, Firenze, Vallecchi.
Gobetti, Croce oppositore in Scritti politici, cli RUN (Garin,
Croce o della separazione impossibile fra filosofia e politica in Filosofi
italiani (Roma, Editori uniti)] di combinare forza e CONSENSO nel dar vita
a istituzioni tendenti a centralizzare e organizzare le più diverse
energie FILOSOFICHE, e la tendenza di molti FILOSOFI che facilita l’opera di
Gentile a separare (a differenza di Croce) filosofia e politica, nell’illusione
di poter continuare a coltivare la prima, anche all’interno delle
istituzioni del regime, senza contaminarla politicamente. Esemplare in
questo senso appare la vicenda dell’Enciclopedia italiana: opera di FILOSOFI
non alla opposizione, come gl’enciclopedisti francesi, ma ceto dirigente
al governo, nata subito sulla base di uno stretto rapporto di
compenetrazione fra FILOSOFI e potere politico, pur senza rompere
immediatamente, secondo l’impostazione gentiliana, con alcuni esponenti
dello stato liberale, la SUMMA PHILOSOPHIAE del fascismo riusci a convogliare
verso un unico fine con la parziale eccezione dei cattolici, al
tempo stesso collaboratori e critici anche FILOSOFI che non si
riconoscevano nel fascismo. Per questo è possibile individuare nell’ Enciclopedia
italiana, oltre che nella riforma della scuola, un eccezionale strumento
di diffusione della ricostruzione gentiliana della tradizione filosofica
italiana, di una storia della filosofia italiana che è capace di
penetrare dovunque, che è presente nei luoghi più impensati, presso gli
avversari più acerbi, raggiungendo sottilmente una egemonia non esaurita,
capace di sopravvivere al fascismo. La prima idea concreta di una grande
enciclopedia [Cosi Garin nell’introduzione a Gentile, STORIA DELLA
FILOSOFIA ITALIANA, Firenze, Sansoni. L'idea era in tantissimi e si agitava da
un trentennio negli ambienti editoriali italiani, ricorda Formiggini
rispondendo all’ex ministro della P.I. Anile che gli aveva attribuito la
paternità del progetto ( L’Italia che scrive ). Un accenno a un non
lontano tentativo di Treves, Demarsico e Barbèra, in Formiggini, La FICOZZA
FILOSOFICA del fascismo e la marcia sulla Leonardo. Libro edificante e
sollazzevole, Roma, Formiggini] nazionale italiana e concepita
nell'immediato dopoguerra, in ambienti di interventisti culturalmente
estranei all’idealismo imperante. Comincia a prospettarla Martini, coadiuvato
da Menghini, l’appassionato
curatore dell’edizione nazionale degli Scritti mazziniani. Ad essi si
associerà in un estremo tentativo di attuare il progetto, l’editore
Formiggini, attivissimo nell’organizzazione e nella propaganda della cultura
italiana. l progetto, riconosciuto pi tardi punto di partenza per
l’enciclopedia gentiliana, non e cosa modesta come tutto ciò che si
poteva concepire in quel tempo di smarrimento politico, come cerca di far
credere TRECCANI alludendo alla crisi della democrazia liberale precedente la
marcia su Roma e all’incertezza dei primi tempi del fascismo. Il momento
in cui nacque e la personalità del promotore ne testimoniano l’ampiezza
delle prospettive, anche se falli per essere rimasto su un piano
puramente editoriale, privo di un generale criterio informatore dal
punto di vista culturale ed esposto a quelle difficoltà finanziarie e
politiche che TRECCANI e il fascismo faranno superare a Gentile. Si
tratta di dare all’Italia, che non l’ha, una Enciclopedia nazionale come
l’hanno la Francia, l'Inghilterra, e la Germania, scrive Martini al fedele
Donati, appena insediato il ministero di Giolitti, suo principale
obiettivo polemico assieme a Nitti e ai socialisti. Facciamo, per
consolarci, qualcosa che vada al di là dei giorni che viviamo tristissimi
giorni. Dalla constatazione della inferiorità italiana . Biblioteca nazionale centrale di Firenze
(d’ora in avanti BNF), Fondo Martini, lettere di Menghini, e G. Treccani,
Enciclopedia italiana. Treccani. Idea esecuzione compimento, Milano, Bestetti. Discorso
in occasione della presentazione al duce dell’Enciclopedia italiana -- d’ora in
avanti E.I., Treccani, Enciclopedia italiana Treccani. Idea esecuzione
compimento, Martini, Lettere, Milano, Mondadori. Su Martini , per un
parziale tentativo d’interpretazione, la prefazione di Rosa a Martini,
Digrio, Milano, Mondadori. L’Enciclopedia italiana] nel campo
dell’organizzazione della cultura rispetto ai maggiori paesi europei,
scaturisce la necessità, e la possibilità, di ovviarvi dopo la guerra
vittoriosa. Necessità che non è solo espressione dell’orgoglio per la
forza politica recentemente acquistata dal paese, da tradursi
nell’affermazione della filosofia italiana davanti al resto d’Europa. Essa
indica anche un’opera preliminare ancora da compiere, indispensabile
alla conservazione di quella forza. Combattere i contrasti interni
costruendo, come strumento unificante di egemonia, una cultura razionale.
La fierezza per l’unità, indipendenza e sicurezza finalmente conseguite, e
la coscienza che l’Italia e arrivata, dopo secoli di asservimento, ad
eguagliare le grandi potenze europee, si une nel dopoguerra al tentativo
della disgregata classe dirigente liberale timorosa di perdere le sue
conquiste con l'avanzata delle masse popolari organizzate e d’ispirazione
neutralista, socialiste e cattoliche di rafforzarsi egemonicamente; di qui
l’importanza che la battaglia culturale, prescelta anche dalle nuove forze
antagoniste, rappresentò per la borghesia: l’insistenza sul significato
nazionale o italiano della cultura
tradizionale, esaltato dalla guerra, mira a unificare e
controllare, a difesa dell’ordine costituito, i filosofi in gran parte
già individualmente politicizzati, spesso in senso conservatore, dal
clima bellico. Il programma di rivolgimento spirituale sotto il segno
dell’ordine e della disciplina gerarchica, su cui insiste Gentile di
Guerra e fede, di Dopo la vittoria e dei Discorsi di religione, e
sostenuto da pi voci nelle pagine di
Politica , programma critico del giobittismo come malattia italiana, e
in questo senso solo la espressione piu articolata e coerente della borghesia
reazionaria che si riconosce nel fascismo, definito sforzo rivoluzionario da VOLPE
che lo contrapporta polemicamente a un'immagine di comodo del socialismo.
Muove dalla % Ci limitiamo a segnalare Garin, Cronache, e, per un
quadro europeo, Hughes, Coscienza e società: storia della filosofia in Italia (Torino,
Einaudi). Per un settore particolare
Simonetti, Storici italiani e rivoluzionari in Russia, in Il movimento di liberazione in Italia ] accettazione
della guerra, anzi dall’esaltazione di quella guerra, e si alimenta di
quelle energie morali, di quel senso di disciplina, di quella capacità di
iniziativa, di quel coraggio e spirito combattivo che la guerra ha educato negl’italiani,
nella borghesia italiana. Accetta ben presto i valori tradizionali della
nazione italiana, cioè si nutre di sostanza italiana: condizione
necessaria per poter far presa su di essa, per poter avere la collaborazione o
anche solo la benevola neutralità delle forze migliori del paese. L’idea
di una grande Enciclopedia nazionale, non semplice opera compilativa e
divulgativa come le enciclopedie popolari
prebelliche, rientra in questo programma di rafforzamento della
borghesia italiana, in linea con la ten: denza degli Stati moderni a
darsi, dopo crisi di crescita e di ricostruzione, una rinnovata
organizzazione culturale (si pensi, per fare un esempio contemporaneo
anche se riferito ad un’esperienza opposta a quella italiana, alla Grande
enciclopedia sovietica iniziata a Mosca nell’anno stesso in cui il
dibattito sui caratteri della cultura socialista vide prevalere i
sostenitori della tesi della cultura
proletaria). La disponibilità di Martini a questo programma VOLPE, Storia
del movimento fascista, Milano, Ispi, Come l’Enciclopedia popolare illustrate e
la Grande enciclopedia popolare, entrambe di Sonzogno. Se la
Britannica fu l’enciclopedia da emulare, modello du seguire per un’opera
nazionale e piuttosto il Touring Club Italiano, giudicato dall’E. I. nettamente
nazionale per la sua vasta penetrazione in tutte le classi sociali (44 vocerm): il suo Atlante Internazionale e
utilizzato dall’E. I. in seguito ad apposito accordo editoriale ( anche R.
Almagià, Una grande opera italiana di cultura, in Educazione fascista . AIUT.C.I, si
richiamarono Formiggini e Martini come modello per la Fondazione Leonardo
( L’Italia che scrive e A.I°. Formiggini). Al carattere essenzialmente
nazionale, del ‘T.C.I. accenna Gramsci, Quaderni del carcere, edizione
critica dell'Istituto Gramsci a cura di V. Gerratana, Torino, Einaudi,
Sui caratteri generali del dibattito sulla cultura svoltosi in U.R.S.S.
l’introduzione di V. Strada a Rivoluzione e lettera tura. Il dibattito al
Congresso degli scrittori sovietici, Bari, Iuterza. La storia dimostra che ogni classe ha
creato la sua enciclopedia, aveva affermato Bogdanov proclamando la necessità: di preparare
una Enciclopedia operaia ( Fitzpatrick, Rivoluzione e cultura in Russia.
Lunabarskij e il Commissariato del popolo L’Enciclopedia italiana
sarà testimoniata dalla sua presenza nel consiglio direttivo
dell’Istituto Treccani che ne riprenderà l’idea, ma è rintracciabile anche
in tutta la sua attività di uomo politico e di cultura: auspice della
impresa libica cui attribuiva questo inapprezzabile rinnovamento nostro,
questa concordia di popolo di cui l’Italia non ha esempio nella sua
storia, la sua azione per l’intervento era stata determinante tanto da
guadagnargli l'appellativo di grande apostolo di italianità , come lo
chiamò Treccani in occasione della fondazione del suo Istituto. Nel corso
della guerra aveva però saputo cogliere la profonda spaccatura tra la
classe dirigente liberale e le masse popolati affette dalla tabe del materialismo, il popolo minuto
non ha capito il perché della guerra: della patria sente più poco,
tormentato com’è dalle aspirazioni a migliori condizioni sociali, annotava nel
Diario, che, a suo giudizio. Nitti e Giolitti non erano riusciti a
colmare per debolezza verso gl’elementi torbidi socialisti. Nel dopoguerra si
ripresentava il pericolo che di fronte ai primi passi del movimento
operaio organizzato, aveva spinto l’ex ministro della Pubblica Istruzione a
manifestare a Carducci i suoi dubbi sugli effetti del laicismo liberale:
per l’istruzione, Roma, Riuniti). L’E. I. giudica la Grande enciclopedia
sovietica condotta secondo un criterio
rigorosamente bolscevico, e particolarmente curata nella. parte
scientifica e tecnologica (alla voce Enciclopedia). Nella prefazione al vol. I
dell’E. I., Gentile sottolineerà il
pregio delle vaste opere collettive, che danno disciplina
agl'ingegni e forma concreta e definita al pensiero di un popolo.
fr. il brano del discorso citato in Croce, dhe d’Italia, Bari,
Laterza. Martini, Diarioe Gifuni, Lettere inedite di Martini a Salandra, in
L'osservatore politico letterario.Treccani. Kirk del Diario,Giustamente
Isnenghi giudica Martini, fra i protagonisti politici, uno dei più
franchi o meno reticenti nel collezionare gli indizi di insubordinazione
nel paese e di messa in crisi del rapporto tradizionale d’autorità (Il mito della grande guerra da
Marinetti a Malaparte, Bari, Laterza). Martini, Lettere,di ciò che
il Quinet dice con grande efficacia di parole e dimostra con grande
autorità di esempi, che cioè le rivoluzioni politiche, le quali non
accompagnino un rinnovamento religioso, perdono di vista l’origine loro e
i primi intenti e finiscono a scatenare ogni cattivo istinto delle plebi;
di ciò io sono convinto da un pezzo. Ma dopo il male che woî, tutti noi,
caro Giosuè, abbiamo fatto, siamo in grado di provvedere a’ rimedi? A chi
predichiamo? Noi, borghesia volteriana, siam noi che abbiam fatto i
miscredenti, intanto che il Papa custodiva i male credenti; ora alle
plebi che chiedono la poule au pot, perché non credono più al di lè,
ritorneremo fuori a parlare di Dio, che ieri abbiamo negato? Non ci
prestano fede... abbiam voluto distruggere e non abbiamo saputo nulla
edificare. La scuola doveva, nelle chiacchiere de’ pedagoghi, sostituire
la chiesa. Una bella sostituzione! La sua estromissione dal parlamento dopo
quaranta-cinque anni in seguito alle elezioni, e le agitazioni sociali
culminate nell’occupazione delle fabbriche, convinsero Martini
dell’impotenza del me- (Chabod, Storia della politica estera italiana, Bari,
Laterza, da integrare però col discorso di Martini alla Camera, contro
l’introduzione dell'insegnamento religioso nelle scuole elementari ( opporre
una religione di classe alla lotta di classe, come vorrebbe una borghesia
sgomentata dalle minacce del proletariato, sarebbe come trattenere coi fuscelli
la corsa delle locomotive : citato da S. Cilibrizzi, Storia parla mentare
politica e diplomatica d’Italia da Novara a Vittorio Veneto,
Milano-Genova-Roma-Napoli, Società editrice Dante Alighieri). Ma sarebbe da
studiare tutta la sua posizione sulla scuola, da prima quando fu ministro
della P.I. nel primo gabinetto Giolitti (su cui Bertoni Jovine, La scuola italiana, Roma,
Editori Riuniti), a quando dichiarò a Crispolti di essere favorevole all'esame
di stato per le scuole medie (Lettere). Né è da trascurare, nello
scrittore, l’aristocratica toscanità della prosa, guidata da un
provinciale buon senso, che si attirò i giudizi negativi di Croce (ora in
La letteratura della nuova Italia. Saggi critici, Bari, Laterza) e
di Gobetti (ora in Scritti storici, letterari e filosofici, a cura
diSpriano, Torino, Einaudi), da approfondire nel senso indicato da
Asor Rosa (Scrittori e popolo. Il populismo nella letteratura contemporanea,
Roma, Samonà e Savelli) che ha incluso Martini fra i rappresentanti di
una fase regionale , ma non per questo meno nazionale, del populismo;
tenendo tuttavia presente la vicinanza di Martini ad Ojetti, il cui libro Mio figlio
ferroviere (Milano, Treves) fu giudicato dall’amico la vera storia
d’Italia, dalle ultime fucilate dei combattenti alle prime bastonate dei
fascisti (Lettere), e da
Prezzolini uno dei segni precursori
della reazione al disordine e alla debolezza dei governi italiani
parlamentari del dopoguerra (La
cultura italiana, Milano, Corbaccio). L’Enciclopedia italiana
todo liberale a risolvere i problemi che il paese aveva ereditato dalla
guerra, e lo spinsero a seguire Salandra nel cammino che lo porta ad
aderire al fascismo. Lo spirito di riscossa nazionale da cui si senti
animata la borghesia liberale interventista nell’immediato dopoguerra e,
insieme, i pericoli oggettivi per i suoi propositi e la sua stessa
posizione, condizionarono anche l’Ewciclopedia nazionale, nelle
aspirazioni come nel fallimento. Per il suo progetto quello di Treccani
ne prevederà all’inizio 32, diventati poi 36 Martini ottenne il
patrocinio della Società italiana per il progresso delle scienze
(S.I.P.S.), la maggiore organizzazione scientifica del paese che univa
alla diffidenza per il neoidealismo una decisa impronta nazionale
‘; ma per quattro anni cercò invano di assicurargli un’adeguata
copertura finanziaria. Menghini interventista e antigiolittiano, non
nuovo ad imprese enciclopediche, che a Roma tenne i contatti con
Volterra, Bonfante e Almagià membri del consiglio direttivo della
S.I.P.S., inizia trattative con Bonaldo Stringher, direttore della Banca
d’Italia e amministratore della S.I.P.S. fin dalla fondazione. Nel
Martini, Lettere, (per le elezioni). Per la sua concordanza con Salandra
nel giudizio sul fascismo anche R.
De Felice, Mussolini il fascista, I. La conquista del potere La, Torino,
Einaudi e Gifuni ._ % F. Martini,
Leztere, cSulla S.I.P.S. R.
Almagià, La società italiana per il progetto delle scienze, in L’Italia che scrive, e il breve cenno di L.
Bulferetti, Gli studi di storia della scienza e della tecnica in Italia,
in Nuove questioni di storia contemporanea, Milano, Matzorati. Scriveva a
Martini: Il popolo, pur troppo, agisce male: ma come agir bene con
l’esempio che ha di tanti malgoverni? Cosa debbono pensare le madri dei
cinquecentomila figli morti, quando sentono che la guerra si doveva
evitare? ; anche, contro Giolitti,
la lettera. Sulle stesse posizioni era Alessandro Donati, ad es. nelle lettere
a Martini (BNF, Fondo Martini). Aveva diretto l’Enciclopedia contemporanea
illustrata edita da Vallardi, Milano (fra i collaboratori, Emilio Bodrero e
Roberto Paribeni). % Per l’elenco
delle cariche sociali della S.I.P.S. dal 1907
ad es. Atti della Società italiana per il progresso delle scienze.
Undicesima riunione, Trieste, Roma, Società italiana per il progresso,
attenuatesi le difficoltà economiche dell’anno precedente, Stringher che aveva
cointeressato anche Pogliani della Banca Italiana di Sconto, Fenoglio
della Commerciale e il finanziere Della Torre che controllava un’imponente
catena editoriale promise il suo appoggio; fu incaricato della
realizzazione l’editore Bemporad, mentre Menghini cominciò ad
interpellare gli eventuali direttori dell'impresa fra cui, sembra,
Gentile. Ma le incertezze delle banche non erano ancora vinte anche dopo la presentazione da parte di
Bemporad di un progetto molto ridotto rispetto a quello originario ,
per cui Martini accettò il consiglio di Stringher di affidare la
realizzazione dell’enciclopedia a un gruppo editoriale da promuoversi
attorno a un editore di prima grandezza
. La scelta cadde su Angelo Fortunato Formiggini e sulla Fondazione
Leonardo da lui creata: fu questa la via per la quale l’idea passerà a
Gentile. I propositi culturali nazionali della Leonardo,
analoghi a quelli di Martini che ne fu il primo presidente, si
affiancavano a quelli dei numerosi istituti di propaganda culturale nati
o nuovamente sviluppati nel dopoguerra, ma con un'impronta originaria
prima dei condizionamenti governativi e dell’intervento di Gentile
nettamente diversa dal deciso accento politico e nazionalistico che
fin dall’inizio aveva avuto, ad esempio, la Alighieri ‘
delle scienze. Si profilò il pericolo di una concorrenza al progetto di
Martini, da parte di un editore di Bergamo, che sembra si fosse
assicurata la collaborazione di Gentile, Chiovenda, Paribeni (BNF, Fondo
Martini, lettere di Menghini, e di Donati). Per tutto l'andamento
delle trattative le lettere di Menghini
a Martini. Sulle compartecipazioni editoriali di Pogliani, Fenoglio
e Della Torre, utili notizie in V. Castronovo, La stampa italiana
dall'Unità al fascismo, Bari, Laterza. Menghini a Martini. Passando per
Firenze non potrebbe interrogare il Cadorna? Io potrei incaricarmi del
Gentile: Martini, Stringher, Volterra son già de’ nostri. Come fare per
Marconi, Luzzatti, Ciamician e Murri?
(BNF, Fondo Martini). Su Bemporad editore negli anni venti di Critica sociale , A. Gramsci, Quaderni del carcere, e
l'intervento di Piero Treves in La Toscana nel regime fascista, Firenze,
Olschki, Sulla funzione di grande
milizia civile svolta dalla Dante
Alighieri, fondata da Ruggero Bonghi, Barbèra, La Dante. L’Enciclopedia
italiana l'opera di Formiggini si rivolgeva soprattutto all’interno,
in un tentativo di unificazione culturale che con la rivista bibliografica L’Italia che scrive , trovava in tutta
la sua attività prebellica i motivi della sua estraneità all’idealismo e dell’avversione
per la setta filosofica gentiliana giudicata tirannide dottrinale
contraria alla manifestazione delle diverse correnti culturali
L’intento di sviluppare all’estero la conoscenza della cultura
italiana aveva portato. Formiggini ad un incontro con le prospettive
nazionalistiche degli organi statali preposti alla stampa e alla
propaganda e, su queste basi, alla
creazione dell’Istituto per la propaganda della cultura italiana che, dopo aver
ottenuto un sostegno anche da parte degli industriali, fu inaugurato
ufficialmente a Roma ed eretto in ente morale, col nome di Fondazione Leonardo,
nel novembre dello stesso anno, con Alighieri, relazione storica al Congresso
(Trieste-Trento), Roma, Società nazionale Alighieri, e Id., Quaderni di
memorie stampati ad usum delphini, Firenze, Barbèra, dove è anche una
professione di fede di Barbèra, segretario del Consiglio centrale della Dante (
non son socialista, perché credo la essenza di tal dottrina contraria a
natura e giustizia, e poiché essendo essa necessariamente internazionale
è contraria al principio di nazionalità che è anch'esso legge di natura),
conforme ai fini della Dante, nata a rinnovare il pensiero della Patria negli emigrati e nel proletariato che, ansioso di migliorare le sue penose
condizioni, sentî il bisogno di organizzarsi per le rivendicazioni dei
suoi diritti e di allearsi al proletariato degli altri paesi con vincoli internazionali (Barbèra, L’Alighieri). E consigliere della
Società anche Martini. Formiggini, La ficozza filosofica del
fascismo. Sulla figura e l’opera di Formiggini. Formiggini ottenne
per le Guide bibliografiche il patrocinio della Commissione per la propaganda
del libro italiano all’estero, presieduta dal nazionalista Gallenga
Stuart (L'Italia che scrive), suscitando i dubbi di Gobetti sull’efficacia e
l’imparzialità culturale dell’iniziativa (ora in Scritti politici);
anche L. Tosi, Romeo A. Gallenga Stuart e la propaganda di guerra all’estero,
in Storia contemporanea . E annunciata
la costituzione dell’Istituto per la propaganda della cultura italiana sotto
la presidenza di Martini e Comandini (commissario per la propaganda
all’Interno) e, fra i consiglieri, il direttore del Giornale d’Italia
Bergamini, Buonaiuti, Formiggini, Croce, Einaudi, Prezzolini (L’Italia
che scrive; anche il
frontespizio). Martini presidente, Orso M. Corbino vice-presidente,
Gentile e Amedeo Giannini delegati rispettivamente del ministro della Pubblica
istruzione e di quello degli Esteri, Almagià e Chiovenda consiglieri,
Formiggini consigliere delegato alle pubblicazioni. I nuovi accordi e le
nuove compagnie si dimostrarono subito pericolosi e condizionanti, tali
da non permettere che l’ente svolgesse quel compito di equilibrata
armonizzazione di correnti opposte che Formiggini sperava ereditasse
dalla sua rivista. Il suo ideale di imparzialità si rivelò un’arma a
doppio taglio, permettendo in questa fase che altri utilizzasse
l’iniziativa per i propri fini. Il consiglio direttivo della Leonardo,
dicendosi convinto che la forza di espansione necessaria alla cultura
italiana non possa derivare da artificiali argomenti di propaganda,
ma soltanto dal valore stesso della nostra cultura, affermava con
linguaggio trasparentemente gentiliano che creare la cultura è la prima
condizione della sua propaganda; ma la cultura non esiste se non nello
spirito che l’alimenta accogliendola e sentendola ; considerava quindi
necessario organizzare un lavoro di propaganda interna diretto a
ravvivare negli animi il concetto di quanto nella cultura italiana fu
veramente originale e arrecò un contributo incontestabile al patrimonio
spirituale dell'umanità, e affidava questo compito a una serie di
conferenze tenute da Gentile, Croce, Scialoia, Farinelli, Rossi, Ricci.
Era un chiaro rifiuto del programma culturale di Formiggini e della sua casa
editrice. L’iniziativa di quest’ultimo divenne impersonale , cioè nazionale , come egli stesso dichiarò, e la
Fondazione si propose, secondo le dichiarazioni di Martini, di propagare il pensiero nazionale fra i popoli
civili e ciò non con intenti imperialistici, ma unicamente col proposito
di far sapere chi siamo e che cosa facciamo . Ma in breve tempo
Gentile, forte dell’appoggio governativo, riusci ad assumere il controllo della
Fondazione presieduta da Bonomi, separandola progressivamente da L'Italia che scrive , sull’esempio della
quale e utilizzando molti dei suoi
collaboratori modellerà L’Enciclopedia italiana più tardi
il Leonardo affidato a Prezzolini e poi a Russo. L'assemblea
sociale della Fondazione, manipolata da Gentile promotore della marcia sulla Leonardo, stando alle
accuse di Formiggini®, rovesciò il consiglio direttivo, che fu
ristrutturato sotto la presidenza del nuovo ministro della Pubblica
istruzione del primo gabinetto Mussolini
L’ente e il suo patrimonio saranno assorbiti nel ’25 dall’Istituto
nazionale fascista di cultura, mentre Formiggini continuerà ne L'Italia
che scrive a inseguire ingenuamente il suo sogno di rispecchiare, in una Italia
in cui molte voci andavano ormai spengendosi, tutte le correnti della cultura
nazionale, senza comprendere come fosse ben diversa dall’opera di
armonizzazione da lui auspicata la volontà esplicita del Governo di
assumere la diretta gestione di tutti gli organismi di propaganda
nazionale. La parabola della Leonardo segna il destino dell’Enciclopedia
nazionale progettata da Martini: proprio nella seduta che sanzionò ad
opera di Gentile il definitivo distacco dell’Istituto da L’Italia che scrive , Formiggini
comunicò al consiglio direttivo della Leonardo di essere stato incaricato
da un gruppo di amici che facevano
capo a Martini , rimasto presidente onorario della Fondazione, di realizzare
una Grande Enciclopedia Italica per sodisfare la lunga attesa della
Nazione e dar vita ad un’opera che, mercé una larga diffusione in Italia
e nei centri culturali stranieri, giovi gagliardamente al progresso
intellettuale del nostro Paese
L'Italia che scrive. Formiggini. Con Gentile presidente e A. Giannini
vice-presidente, erano consiglieri R. Bottacchiari, G. Calabi, Codignola,
Giglioli, F. I Massuero, Radice, V. Rossi (Leonardo). Cosî afferma
Formiggini, ancora in epoca fascista (Venticinque anni dopo, Roma,
Formiggini; anche Trent'anni dopo.
Storia di una casa editrice, Amatrice, Formiggini). Ancora come attesta
Salvemini, Scritti sul fascismo, Milano, Feltrinelli.
Formiggini, La ficozza filosofica del fascismo. e al buon nome dell’Italia nel mondo .
Ritenendo impossibile ricalcare le orme della Britannica, Formiggini
ridusse, come già aveva fatto Bemporad, il progetto originario di
Martini 18 invece di 24 volumi, e ne affidò la realizzazione a un costituendo
consorzio editoriale librario (con la partecipazione anche dei maggiori
periodici italiani), sempre sotto il patrocinio della Società italiana
per il progresso delle scienze. I redattori sarebbero stati scelti fra i
membri di quest’ultima, dell’Accademia dei Lincei e della Leonardo, che
avrebbero lavorato sotto la direzione non di un filosofo o di uno
scienziato, ma di un tecnico, un bibliografo e bibliotecario, per rendere la
Grande Enciclopedia Italica, come voleva Formiggini, specchio completo e
obiettivo dello stato presente della nostra cultura, opera espositiva e
di coordinamento delle varie dottrine : era respinto il consiglio di Croce di
non fare opera eclettica, perché
una Enciclopedia deve avere un’anima sua, una sua coerenza, condiviso
anche da Gentile Ma la marcia sulla Leonardo travolse Formiggini,
che fu abbandonato da Martini; questi continuerà a coltivare la speranza di
attuare l’enciclopedia, finché non confluî nell’iniziativa gentiliana, mentre
Formiggini, abbandonato il vecchio progetto , riuscirà a dare inizio a
una nuova Enciclopedia delle Enciclopedie divisa per sog- [All'annuncio
dell’E.I., Formiggini scriverà che il Gentile di oggi (l’ho detto) non è più
quello di ieri. Egli allora era in piena armonia con Croce, il quale
avrebbe voluto una enciclopedia, tutte le ‘pagine della quale
concorressero ad uno stesso fine concettuale
( L'Italia che scrive ). Menghini scriveva a Martini
che il trionfo della tesi del Formiggini fu quello di Bemporad, e che non
si tratta pit di una enciclopedia scientifica, ma di una a base Larousse
, e concludeva: appena potrò, vedrò il
Gentile, a cui narrerò tutto: e spero interessare il Governo alla impresa (BNF,
Fondo Martini). Martini, Lettere (a Formiggini). Formiggini,
Programma editoriale della collezione e L'Enciclopedia Italica, in
L'Italia che scrive. L’Enciclopedia italiana getti ®: ma quando
ormai l’idea della Enciclopedia italiana, ereditata da Gentile assieme
alla Leonardo, era stata rilanciata dall’Istituto Treccani. L'intervento
di Treccani e Gentile Il progetto di Martini fu realizzato fuori del
ristretto ambito editoriale in cui era stato confinato da
Formiggini e con la forte impronta culturale di Gentile; ma il
rapido successo dell’iniziativa privata di Treccani e Gentile fu
reso possibile soprattutto dalla nuova realtà creata dal fascismo, che favori
una stretta compenetrazione tra interessi politici industriali culturali,
e fece sentire l’opera utile, anzi necessaria © alla cultura e alla forza
dello Stato nel quadro di una più generale riorganizzazione del potere:
il carattere nazionale dell’enciclopedia non si presentò più
solo come aspirazione da raggiungere espressione di italianità frutto di
tutte le forze intellettuali del paese , ma anche come conseguenza
del nuovo ordine che si autodefiniva nazionale. Gentile, presidente della Leonardo
e, fino al giugno di quell’anno, ministro della Pubblica istruzione,
riprese e sviluppò il progetto di Martini, trovando un pronto aiuto
economico nel senatore Giovanni Treccani, la cui figura Cosî
annunciata ne L'Italia che scrive. È noto che avevo studiato il piano di una
Grande Enciclopedia Italica e che altri sta realizzando con grande
abbondanza di mezzi quello che era stato il mio proposito. Mi si
rimproverava allora di voler dare uno specchio fedele di tutte le
correnti del pensiero degne di considerazione senza asservire l’opera ad
una particolare tendenza: oggi ho la giusta soddisfazione di vedere che
quel mio concetto è stato pienamente accolto. Le mutate condizioni
della vita culturale italiana mi fanno però rimeditare su quanto Croce ebbe a
dirmi in proposito: egli affermava che una Enciclopedia deve assolutamente
avere un’anima sua propria, ed io allora non vedevo quale delle tendenze spirituali
avrebbe potuto imporsi come perno di tutto lo scibile: oggi mi apparisce
ben chiaro e non dubbio quale debba essere il nucleo ideale di una
simile impresa. L’E.I. è qualificata necessaria in tutti i discorsi di Treccani
(Enciclopedia Italiana Treccani. Idea esecuzione compimento).
Entrato io in Senato, il sen. Gentile (al quale mi legavano rapporti di
cordialità per la parte da lui avuta come Ministro della di
industriale-mecenate rappresenta il più ampio e politicamente nuovo intervento
dei grandi gruppi economici nell’attività editoriale. Alla morte di
Rossi, il protezionista considerato precursore dell’ideologia
corporativa, cui Treccani dedicherà un significativo ritratto
nell’Enciclopedia, era entrato nel Rossi di cui divenne presidente, e opera
come amministratore delegato il salvataggio del Cotonificio Valle
Ticino, intorno al quale sorsero
altre aziende tessili, tutte basate sui principi, cari al Treccani, della
divisione del lavoro e dell’indipendenza della funzione industriale, a
tutti gli effetti giuridici ed economici, da quella commerciale, anche
allo scopo di mettere le maestranze al riparo dai disastri eventuali
della speculazione, ma soprattutto, come Treccani dichiarò di
fronte allo spettro della rivoluzione leninista apparso con l'occupazione
delle fabbriche allo scopo di
raggiungere la conciliazione sociale spoliticizzando
gli operai, cooptati nella direzione di aziende puramente industriali di tipo
corporativistico, private dei più vasti poteri decisionali delle
aziende puramente commerciali ©. Presidente di numerose società tes
Pubblica Istruzione, allora si diceva cost al recupero della Bibbia di
Borso d’Este) mi segnalò quel naufragato progetto, affinché io vedessi se
avevo la possibilità di attuarlo , ricorda Treccani. Il progetto prevedeva 32
volumi, diventati poi 36, e un Dizionario biografico degl’italiani; furono
spesi circa 15 milioni per i soli collaboratori, e 100 per tutta l’opera
di 25.000 copie. Lanaro, Nazionalismo e ideologia del blocco
corporativo-protezionista in Italia, in Ideologie. Nazione e lavoro. Saggio
sulla cultura borghese in Italia, Padova, Marsilio. Di Rossi Treccani
scriverà nell’E.I. che considerava
primo elemento di potenza e di ricchezza nazionale il capitale uomo,
preparato con sentimenti cristiani alla collaborazione fra le classi
sociali. Ebbe vivissima la coscienza dei doveri degl’imprenditori verso i
dipendenti e considerò l’interesse dei proprietarî non disgiunto da
quello degli operai e da quello della nazione : dove, pur fatte le dovute
concessioni alla data di stesura della voce, sono accennate le origini
nazionaliste e cattoliche del corporativismo. % l’anonima voce Treccani in E.I., eRossi,
Dall’Olona ai Ticino. Centocinquant’anni di vita cotoniera, Varese, La
tipografica Varese. In modo che l’operaio industrializzato perderebbe l’abito
di far L’Enciclopedia italiana sili,
chimico-meccaniche, agricole membro fondatore della società agricola
italo-somala ed editoriali, Treccani si prodigò in quell’opera di
mecenatismo che, soprattutto con l’acquisto e il dono allo Stato della Bibbia
di Borso d’Este, gli valse a nomina a senatore. Il mecenatismo di
Treccani, e di altri industriali o finanzieri quali Gualino, non
era, come osservava Gramsci, disinteressato: le loro iniziative
culturali erano illuminate autoprotezioni che, dichiarando
paternalisticamente di favorire l’interesse generale nazionale, aiutavano di
fatto quello delle classi dirigenti e l'ordine sociale costituito. A
Enciclopedia compiuta Treccani affermerà che si può contribuire al
progresso delle lettere, delle scienze e delle arti, anche senza essere
letterati, scienziati o artisti, proteggendo quelle e aiutando questi; e
spetta specialmente a coloro che, in un determinato momento, detengono la ricchezza
promuovere atti di gene rosità e di rischio, perché solo facendo compiere
al capitale un'alta del lavoro una funzione politica, e questa
eserciterebbe soltanto come cittadino e cioè all'infuori e al di sopra di
quella che sarebbe la lotta economica. Tanto all’infuori e al di sopra,
che un qualunque movente politico, in una eventuale lotta, non sarebbe
possibile concepire se non attraverso a un tentativo criminale di
sovvertimento sociale, o meglio a una aberrazione della coscienza
operaia, la quale vorrebbe allora precipitare nel baratro di una eclissi
storica la nazione e la società. Treccani, Capitale e lavoro, in Risorgimento . Il diritto nuovo. La
rivista Risorgimento , fondata da
Treccani e diretta da Arrivabene, e su cui scrisse anche Corradini, è definita
dall'E.I. di spiriti nettamente nazionali
(alla voce Treccani). Per tutta la sua attività culturale e
benefica Treccani, Enciclopedia
Italiana Treccani. Come e da chi è stata fatta, Milano, Bestetti, (tutto il volume è concepito come difesa
dalle accuse di fascismo rivolte all’E.I. dopo la Liberazione). La nomina
di Treccani a senatore, avvenuta nella
infornata ( Rossi, Padroni del vapore e fascismo, Bari, Laterza), era
stata raccomandata da GENTILE a MUSSOLINI (Archivio centrale dello Stato, Roma
(d’ora in avanti ACS), Segreteria particolare del Duce, CARTEGGIO
RISERVATO). Quaderni del carcere. Accenni a Gualino il fondatore della Snia-Viscosa e
vice-presidente della Fiat che finanziò le ricerche di Egidi e Chabod a
Simancas in AA.VV., ln memoria di Pietro Egidi, Pinerolo, Unitipografica
pinerolese, Volpe, Storici e maestri, Firenze, Sansoni. funzione sociale, esso
può essere benedetto anziché odiato. Gli industriali poi devono riconoscere che
l’industria è debitrice di tutto alla scienza: del suo fondamento, del
suo progresso, del suo divenire; e che la scienza, alimentando le
applicazioni pratiche cioè in definitiva l’industria e l’agricoltura è
largitrice di beni morali ed economici, che elevano la dignità del popolo
e il suo tenore di vita. Frutto del rafforzamento e della
concentrazione dell’industria accelerati dalla guerra e dal fascismo ,
l’impresa della Enciclopedia testimonia la stretta compenetrazione
dei gruppi di pressione economici Treccani vi interessò anche il
segretario dell’Associazione cotoniera Riva, e per la realizzazione dell’opera
diverrà socio di Rizzoli, quindi di Tumminelli e Treves? con
interessi politici e culturali, affermatasi su larga scala in Italia
per la prima volta dopo la grande guerra, condizionando in modo
mediato l’editoria divenuta, come la definî Vallecchi, industria delle
industrie, e immediato la stampa quotidiana. La libera iniziativa di
Treccani poté cosî realizzare ciò che non era riuscito alla Banca
d’Italia di Stringher. Altrettanto decisiva per la ripresa e
l'ampliamento del vecchio progetto di Martini fu la coerente opera di organizzazione
culturale promossa da Gentile, che dopo l’esperienza bellica era venuto
accentuando il valore politico della Enciclopedia Italiana Treccani. Idea
esecuzione compimento. Mori, Per una storia dell’industria italiana durante il
fascismo, ora in Il capitalismo industriale in Italia. Processo
d'industrializzazione e storia d’Italia, Roma, Editori Riuniti. L’E.I. fu
realizzata con grande fede nella
disciplina e produttività delle forze intellettuali italiane nonché nella
resistenza dell'economia nazionale , affermò anche dopo la grande crisi Gentile
(Tribolazioni di un enciclopedista. Come si distribuisce l'immortalità,
in Il Corriere della sera). Enciclopedia Italiana Treccani. Idea
esecuzione compimento, e U. Ojetti, I taccuini.
Firenze, Sansoni, che parla anche di trattative tra Fracchia e Treccani
su un nuovo giornale letterario, probabilmente
La fiera letteraria .Vallecchi, Ricordi e idee di un editore vivente,
Firenze, Vallecchi. L’Enciclopedia italiana cultura, la critica alla
scienza spettatrice della vita e all’arcadia, in vista della formazione
di una nuova classe dirigente. La direzione gentiliana di Accademie e
Istituti, di riviste e collane editoriali, il controllo di case
editrici, affermatisi nel periodo fascista, ebbero nel campo
dell’alta cultura un’incidenza pari se non superiore, perché
stabili per un quindicennio, alla stessa riforma della scuola nel
settore educativo. Quando questa comincia ad essere svuotata dei suoi
caratteri originari, GENTILE inizia proprio con l’Exciclopedia e per
mezzo del vasto potere di controllo su un gran numero di intellettuali da
essa conferitogli ad esercitare una vasta egemonia culturale che induce a
riconsiderare, nel quadro di tutta LA FILOSOFIA ITALIANA del ventennio e del
secondo dopoguerra, l’opera svolta da Croce attraverso La Critica
e la Casa Laterza, opera su cui finora si è insistito in modo
esclusivo e spesso pregiudiziale, identificando polemicamente la cultura con
l’antifascismo. Se la semplice somma numerica delle organizzazioni e degli FILOSOFI
controllati materialmente da GENTILE non è sufficiente, allo stato
attuale degli studi, a Fra gli innumerevoli esempi possibili, basti
ricordare La moralità della scienza, in Scritti pedagogici, La riforma
della scuola in Italia, Milano-Roma, Treves-Treccani-Tumminelli;
Che cosa è il fascismo, cit.; Fascismo e cultura, Milano, Treves; Origini
e dottrina del fascismo, Roma, Istituto nazionale fascista di cultura. Quello
del contatto organico tra l’intelligenza e le classi dirigenti era allora
il problema sostanziale di LA FILOSOFIA ITALIANA posto fin dall’inizio della
rinascita idealistica, ma rimasto insoluto per la vittoria della vecchia
Italia, osservava Togliatti a proposito de coltura italiana di Prezzolini
(Opere, a cura di E. Ragionieri, Roma, Editori Riuniti). Ricordiamo solo
la Commissione Vinciana, la Leonardo e l’Istituto nazionale fascista di
cultura, la Scuola Normale Superiore di Pisa, l’Istituto italiano di studi
germanici, l'Istituto italiano per il medio ed estremo Oriente, la
casa editrice Sansoni, le collane di Le Monnier, il GIORNALE CRITICO
DELLA FILOSOFIA ITALIANA, Educazione fascista. ACS, Segreteria
particolare del Duce, Carteggio riservato. Bellezza, Bibliografia degli
scritti di GENTILE – LA FILOSOFIA DI GENTILE -- Firenze, Sansoni, Lalla, GENTILE,
Firenze, Sansoni). Cosi Garin, La Casa Editrice Laterza la
filosofia italiana, ora in LA FILOSOFIA ITALIANA, Bari, Laterza, che pur
avverte sempre la larga interdipendenza delle filosofie crociana e gentiliana.
spodestare Croce dal suo trono di papalaico ciò implicherebbe
negare la persistenza dell’influenza crociana, è da tener presente almeno
l’importanza pratica delle iniziative gentiliane: esse mirarono a
coagulare attorno a un nucleo di tradizione nazionale e fascista e quindi
contribuirono a far sopravvivere nel quadro dell’ideologia eclettica del regime
forze intellettuali operanti in campo filosofico. È significativo
chequando le revisioni interne e gli attacchi contro il ATTUALISMO si erano in
gran parte già consumati, un rapporto anonimo inviato a MUSSOLINI
presentasse GENTILE come pericoloso inquisitore nel campo dell’organizzazione della
filosofia. Si va determinando nel campo dell’Editotia Italiana, specialmente
attraverso le sovvenzioni dell’I.R.I., un accaparramento sempre più
sensibile di case editrici da parte del Senatore GENTILE. Egli già
dirige direttamente o indirettamente le Case Editrici Lemonnier e Sansoni: le
quali, a loro volta, dispongono delle case dell'Arte della Stampa e di
Ariani in Firenze. Dirige l’Enciclopedia Italiana e controlla, perciò, un
esercito di FILOSOFI collaboratori che debbono per forza di cose
obbedirgli. Sono note le vicende delle case Treves e Tumminelli in cui
Gentile era grande parte. Sano noti i rapporti con le altre case
attraverso i contatti con allievi o amici, quali CARLINI e CODIGNOLA. Può dirsi quindi che oggi è
molto difficile fare uscire un saggio di FILOSOFIA in Italia senza il visto di
questo nuovo Sant’Ufficio di nuovo tipo. Si dice, inoltre,
che presto la casa Bemporad e diretta da GENTILE, venendo cosî ad aumentare il
numero delle case affiancate o asservite. Occorrerebbe
vedere, con opportuni e delicati approcci, se non fosse il caso di
studiare il modo di immettere nella vita della filosofia fascista la Casa
Laterza di Bari che per la sua reputazione potrebbe, una volta immessa
nella vita del Regime, rappresentate un certo contrappeso all’attuale
disquilibrdio di forze editoriali
Rapporto anonimo pervenuto a MUSSOLINI, in ACS, Segreteria
particolare del Duce, Carteggio riservato; per l’accusa a GENTILE di estendere
la sua EGEMONIA FILOSOFICA attraverso l’E. I. GENTILE forma, più di CROCE, una SCUOLA
FILOSOFICA. Ed ha FILOSOFI discepoli entusiastici e fedeli, forse anche troppo;
ed appare un animatore e Documento di parte, certo, ma che accanto ai
limiti della opposizione crociana e alla spregiudicatezza
ideologica del regime pronto a strumentalizzarla indica solo per
difetto i canali differenziati di diffusione culturale di GENTILE e di I
GENTILIANI. Nei primi anni del fascismo l’opera di GENTILE e funzionale alla
necessità politica del regime di unificare e organizzare le disperse forze
della FILOSOFIA della borghesia liberale. Soprattutto dopo l’unificazione col
nazionalismo pit attento ai problemi di politica FILOSOFICA proprio
perché da una tradizione filosofica nazionale vuole trarre i motivi della
sua collocazione nella storia della filosofia italiana, il fascismo
accompagna l’azione repressiva dello squadrismo con quell’opera di
graduale allargamento del consenso, fatta di concessioni ai gruppi
capitalistici e alle forze culturalmente egemoni che gli permette di
schiacciare le opposizioni. Valido strumento e dapprima la gentiliana riforma
della scuola con FEDELE resa p DIS
conforme alle istanze della borghesia, poi, superata la crisi Matteotti e
instaurata la dittatura, l’opera di appropriazione di correnti filosofiche diverse
assegnata a GENTILE, parallela a quella svolta contemporaneamente sul
piano politico verso i fiancheggiatori, e dopo sostituita dalla ricerca
dell’appoggio dei borghesi. Non è un caso che Treccani per la
pubblicazione dell’Enciclopedia Italiana e costituito. Salutato con
entusiasmo da GENTILE, segna la fine dei governi di coalizione. FARINACCI divenne
segretario del Pnf, carica che terrà fino al marzo direttore
spirituale. Sostiene le sorti della sua scuola e dei suoi scolari con la
fede di un uomo di parte, ricorda ancora PREZZOLINI (La filosofia
italiana). Tomasi, Idealismo e. fascismo nella scuola italiana,
Firenze, È Nuova Italia. Gentile a Mussolini. Eccellente il discorso di
ieri. Il paese tutto si sveglia e torna a Lei. La prego poi di ricordarsi
che in questi giorni bisognerebbe dar forza ai Quindici, emanando il
Decreto Reale -- copia in ACS, Segreteria particolare del Duce, Carteggio
riservato. Sebbene l’opera si assicurasse l’alto patronato del re e le dichiarazioni ufficiali di Treccani e
Gentile non facessero quasi parola del fascismo, la sua data di nascita
indica il peso determinante che nella sua realizzazione ebbe l’avvento della
dittatura. La segreteria Farinacci sembrerebbe contrastare con lo spirito
informatore dell’impresa; in realtà la linea estremista del fascismo, pur
polemizzando con l’iniziativa gentiliana, non riusci a condizionarla. Anche
in campo filosofico le due anime del fascismo, tradizionale e
rivoluzionaria, trovarono ciascuna un proprio spazio e una propria
funzione. Che la nascita dell’Enciclopedia e l’indirizzo da essa rappresentato
non fossero casuali, frutto esclusivo di un’iniziativa individuale, ma
rientrassero in un più vasto programma di politica culturale del
regime, è dimostrato anche dal sorgere accanto ad essa di numerosi altri
istituti di alta cultura, quali l’ISTITUTO DI STUDI ROMANI di Paluzzi,
l’ISTITUTO NAZIONALE FASCISTA DI CULTURA Istituto nazionale fascista erede
materialmente della Leonardo di Formiggini o delle varie Università
popolari e affidato a GENTILE, la SCUOLA DI STORIA di VOLPE e L’ACCADEMIA
D’ITALIA, tutte istituzioni rivolte, con programma e su piano filosofico,
a promuovere studi e ricerche ispirati sempre ad IL PRIMATO DELLA CIVILTA
ROMANA nel mondo, con una funzione
interna analoga a quella svolta, all’estero, da appositi organismi
culturali che, in modo graduale e illuminato, miravano a orientare
favorevolmente verso il fascismo l’opinione pubblica, Come appare dal Manifesto
al pubblico (in Treccani, Enciclopedia Italiana Treccani. Idea esecuzione
compimento). Ministero dell'Educazione Nazionale, Accademie e
Istituti di cultura. Cenni storici, Roma, Palombi, Una prima ricerca è
quella sul CNR di Maiocchi, Scienza, industria e fascismo, in Società e storia . Sulla figura di VOLPE v. Cervelli,
VOLPE, Napoli, Guida, e, per qualche cenno sulla sua vasta opera di
organizzazione degli studi storici nel periodo fascista, ancora da
studiare, Turi, Il problema VOLPE, Studi storici. Frezza Bicocchi, Propaganda
fascista e comunità italiane in Lo
specchio fedele e completo della cultura scientifica italiana. Il
governo facilita economicamente la realizzazione della Enciclopedia,
intervenendo su sollecitazione di GENTILE per l’accordo editoriale fra
l’Istituto Treccani e il Touring Club Italiano che fornisce il corredo
cartografico dell’opera, e costituendo l’ente nazionale ISTITUTO
DELL’ENCICLOPEDIA ITALIANA. E sempre il regime condiziona direttamente
l’impresa, garantendone il controllo ecclesiastico, e utilizzandola poi come
canale di diffusione della sua ideologia, come nella voce Fascismzo. Ma
l’Enciclopedia si presenta come opera nazionale, testimonianza di un primato
italiano da rivendicare di fronte agli altri paesi, nel senso già
indicato da MARTINI. Solo con l’uscita e in una diversa situazione
politica, il suo carattere nazionale e precisato con l’istituzione del rapporto
di continuità risorgimento/grande-guerra-fascismo. La Casa Italiana, Columbia,
Studi storici. La prefazione alla E.I. ricorda come il maggior tentativo di una
enciclopedia italiana e stato fatto in Italia negli anni forieri del
Quarantotto, nel più vivo fermento della ridesta coscienza nazionale del
popolo italiano, come il disegno e il proposito dell’Enciclopedia siano
maturati dopo la grande guerra in cui gl’italiani, per la prima volta dacché
raccolti in unità nazionale, fecero esperimento di tutte le loro forze
materiali e morali, e superarono la prova con una grande vittoria, e che
il clima che rende possibile un'opera come questa è il nuovo spirito
esploso con l'avvento del Fascismo. E Treccani. Ad ogni movimento nazionale
concluso, si è sempre sentito il bisogno di questo esame delle proprie
possibilità filosofica. Anche Filiberto, restaurato lo stato, idea
un’Enciclopedia col nome di Teatro Universale, rimasta però allo stato di
Progetto. Ed altrettanto fanno gl’uomini del nostro Risorgimento, che ci
diedero l’Enciclopedia Popolare Pomba, chiamata l’Enciclopedia del
Risorgimento, opera lodevole. Il grandioso movimento spirituale prodotto
dalla guerra vittoriosa e dal fascismo, non puo rimanere sterile in
questo campo. Negli stessi termini Bosco, Enciclopedia Italiana, in Panorami di
realizzazioni del fascismo. Gl’Istituti del Regime, Roma, Panorami di
realizzazioni del fascismo. Già il Manifesto ricorda, oltre al clima
della vittoria, il tentativo fatto in Torino negli anni più maturi
L’insistenza sul significato nazionale dell’impresa di cui solo pochi
colsero gli equivoci, e il pericolo di una riduzione nazionalistica della
filosofia si dissolve presso gl’incerti o gl’oppositori del fascismo o di
Gentile il dubbio che l’opera e politicamente e FILOSOFICAMENTE di
parte. Tutte le dichiarazioni di Treccani e Gentile rispettivamente PRESIDENTE DELL’ISTITUTO e DIRETTORE
dell’Enciclopedia sono ispirate a questa preoccupazione. L’atto costitutivo
dell’Istituto auspicava che l’opera e scritta con la collaborazione di quanti filosofi
sono in Italia competenti in ogni ordine di scuole, e governata da
un alto concetto di quello che è stato ed è il carattere ed il valore
della civiltà italiana nel mondo, nonché dal desiderio e proposito che
tutte le forze filosofiche della nazione siano, per questo lavoro che
interessa tutta la nazione, messe a profitto, in modo che riuscisse
opera, cosî dal rispetto filosofico, come da quello nazionale, degna delle più
nobili tradizioni del popolo italiano. L’art. 4 si preoccupa di specificare che
l’Istituto s’inspira bensi alla coscienza del glorioso passato del popolo italiano
e degl’alti destini a cui esso può e deve aspirare. Ma è a-politico nel senso
assoluto della parola. Anche il del Risorgimento nazionale, quando
tutto lo spirito italiano senti piu urgente il bisogno del suo rinnovamento e
di una vita più intense. Treccani, Enciclopedia Italiana Treccani. Idea
esecuzione compimento. Sulla Nuova enciclopedia popolare del Pomba Bottasso, Le edizioni Pomba, Torino,
Biblioteca civica, Cfr l’articolo Nel mondo della coltura borghese. Una
Enciclopedia, in L'Unità (lo pseudonimo dell’autore non è
completamente leggibile. Gl’uomini della dominante borghesia italiana vorrebbero
adesso nazionalizzare la internazionale della filosofia, facendo un grande
monumento di dottrina filosofica INDIGENA, mentre una enciclopedia, per servire
degnamente alla filosofia, deve essere opera vastissima di filosofia
universale, enorme massa di parole e di voci che vanno distribuite fra
quanti filosofi dotti possono più sicuramente parlare su ciascuna di esse.
Se si farà, sarà, pur troppo, un documento di fragorose chiacchiere e di
malfatte compilazioni, conclude l’articolista esprimendo il dubbio sulla
capacità del fascismo di realizzare un’opera di tanta mole e di cosi universale
sapete. Treccani, Exciclopedia Italiana Treccani. Idea esecuzione
compimento. Treccani dichiara: La
politica qui non c'entra, né deve entrarci. E il caso anzi di dire che se
la politica può dividere gl’uomini, LA FILOSOFIA li deve tutti unire -- parole
che ricordano quelle di GENTILE nell’articolo Contro Manifesto al
pubblico dichiarava l’IMPARZIALITA filosofica e politica dell’Enciclopedia,
quasi con gli stessi termini già usati da FORMIGGIN. A questa ENCICLOPEDIA che e
specchio fedele e completo della filosofia italiana, sono chiamati
a collaborare tutti i FILOSOFI d’Italia; e dove sia opportuno non
si tralascerà di invitare a fraterna collaborazione i filosofi d’altri
paesi, come la GERMANIA, più particolarmente versati, com’è naturale, nelle
materie – e. g. HEGEL -riguardanti le rispettive loro nazioni. Ma di quanti
sono in Italia che abbiano in una disciplina e in uno speciale argomento
una loro competenza, l’Istituto confida che nessuno vuole negare il
proprio contributo e il proprio nome a questo lavoro, che vuol essere
opera nazionale superiore a tutti i partiti politici come a tutte le
scuole filosofiche, e puo riuscire, per la sua complessità, la maggior
prova filosofica dell’Italia nuova Le dichiarazioni di imparzialità convinsero FORMIGGINI
che giudica l’ATTUALISMO ormai privo di aggressività per aver esaurito la
sua funzione, non chi vede, l’agnosticismo della scuola: la politica
divide, e la filosofia unire (Che cosa è il fascismo). Treccani,
Enciclopedia Italiana Treccani. Idea esecuzione compimento. Cosi VOLPE
cerca di sostenere l’obiettività dell’E.I.: Se per Enciclopedia fascista si
intende un’opera in cui ogni articolo, pagina, rigo sia coordinato e SUBORDINATO
AD UNA DETERMINATA VEDUTA FILOSOFICA e politica, questa nostra non è
l’Enciclopedia del Fascismo. Non è, come la Enciclopedia FRANCESE, la
Enciclopedia dell’ILLUMINISMO. La Enciclopedia italiana neppure se lo è
proposto. Né e forse possibile proporselo. Ma l’Enciclopedia presenta un
quadro PERFETTO della filosofia. E questo ha il suo valore per il Fascismo. L’Enciclopedia
italiana, per quel tanto che può avere una veduta filosofica, ha una
veduta che perfettamente ingrana col Fascismo: la filosofia come
movimento e divenire, come lotta e, insieme, solidarietà di forze. L’Enciclopedia
è un monumento all’Italia, in piena rispondenza al pensiero e all'anima del
Fascismo. L’Enciclopedia italiana. Nuova Antologia -- articolo rifuso,
accentuando l’apoliticità dell’E.I., col titolo Giovanni Gentile e
l’Enciclopedia Italiana, in Giovanni Gentile. La vita e il pensiero,
Firenze, Sansoni. Ciò che IL SENATORE TRECCANI E IL SENATORE
GENTILE hanno detto circa gli spiriti filosofici che dovranno animare la
grande impresa, pienamente mi soddisfa. I nomi dei filosofi collaboratori
scelti sono gli stessi che io avrei scelto. Gentile d’oggi ha fatta sua la
concezione formigginiana che una enciclopedia nazionale deve essere il quadro
completo dello spirito filosofico della nazione – come a Bologna -- e non
la espressione di una particolare tendenza. L'Italia che scrive. al contrario, aumentare il pericolo di
un’egemonia gentiliana. TILGHER sulle pagine de
Il Mondo svolge in quei mesi una serrata polemica anti-attualista,
mise in guardia senza tuttavia tener conto del complesso gioco politico e
culturale condotto dal fascismo contro
l’ IMPERIALISMO filosofico dell’ATTUALISMO
di Gentile: spirito chiuso, violento e SETTARIO, pontificale e teologale,
tabula rasa all’infuori di argomenti rinascimentali e risorgimentali, cui
avrebbe preferito, alla direzione dell’opera, CROCE, o CHIAPPELLI,
FARINELLI, OJETTI. L’Enciclopedia che usce dalle mani del senatore Gentile
non e una Enciclopedia, ma un Index librorum et virorum ad majorem
Actus Puri gloriam. Il senatore Gentile specula un po’ troppo sulla
vigliaccheria filosofica del nostro bel paese se crede che gli si lascia compiere
tranquillamente una simile impresa di annessione filosofica. Se no, se
l'Enciclopedia dovesse rimanere affidata a Gentile, credo che non trova FILOSOFI
collaboratori disposti ad aiutarlo nella sua opera d’imperialismo
intellettuale. E già so che più d’un FILOSOFO, RICHIESTO, RIFIUTA di
collaborare. Le previsioni di TILGHER di un’energica reazione contro l'impresa
gentiliana da parte della corrente filosofica, gli indirizzi, i movimenti, le
scuole, i filosofi massacrati dalla ignoranza e dalla faziosità settaria
di Gentile, non si realizzarono. A critiche del genere limitate a una
polemica culturale scadente spesso sul piano personale, Treccani puo
facilmente opporre la diversità di indirizzi rappresentata dai direttori
di sezione dell’Enciclopedia. In occasione della loro prima
riunione, il presidente dell’Istituto si preoccupa di confutare
attacchi esterni e diffidenze interne sull’opera ritenuta dogmatica,
settaria, faziosa, asserendo che Gentile è uomo di partito e di idee
sf, ma è uomo leale e di fede. Tra lui e l’Istituto sono poi stati stabiliti
patti ben chiari ed egli ha già dato prova, nella indicazione dei
FILOSOFI, di aver tenuto fede a tali patti: basta uno sguardo alle
persone qui presenti per convincersi dell’infondatezza di ogni
accusa. Tilgher, Giovanni Gentile e l'enciclopedia italiana, in Il
Mondo. Del resto, Vi assicuro che io, che ho dato il mio nome a quest’impresa,
non permetto mai ad alcuno di venir meno al concetto fondamentale, che
molto chiaramente è espresso nell’atto costitutivo. Ma io ho fede nel
Sen. Gentile. Lo stesso suo carattere energico è garanzia di successo. La
campagna ingiusta, iniziata contro di lui a proposito dell’Enciclopedia,
cade non appena pubblicammo i nomi dei FILOSOFI collaboratori, i quali,
italiani di sicura fede, rappresentano la idea, la scuola, e la tendenza
filosofica. Tutti gl’interpellati finora hanno aderito con parole confortanti e
lusinghiere. Se qualcuno fosse tentennante, bisogna illuminarlo,
persuaderlo dell’obiettività del lavoro e convincerlo a dare il suo nome, sia
pure per una sola voce. Nessun nome di insigne FILOSOFO italiano
deve mancare nell’Enciclopedia, anche perché, dato il duplice scopo che io miro
a raggiungere Enciclopedia come opera di valorizzazione della filosofia nazionale
e Fondazione per l'incremento della filosofia con gli eventuali profitti non
sarebbe simpatica la voluta assenza da parte di qualcuno A Bologna si era
appena chiuso il convegno sulle istituzioni fasciste di cultura in cui
Gentile presenta il fascismo come erede di tutta la storia italiana,
rivolgendo un appello all’unità e alla conciliazione che avrebbe dovuto
rafforzare, sul piano del consenso, la drastica conclusione della crisi
Matteotti. Anche l’Enciclopedia viene indicata con insistenza come opera
nazionale, in cui ogni filosofo italiano di sicura fede conserva la sua opinione
filosofica – e politica. Alcuni degl’avversari del regime riconosceno il
suo sforzo, ma anche la difficoltà, di acquisire l’appoggio di ogni
filosofo. Cosi l’Avanti!, per il quale, anche se il mondo filosofico
italiano si è fascistizzato molto presto, antifascista è la filosofia, la
vera filosofia, quella disinteressata, quella cioè che ha sempre odiato l’accademia,
la chiacchiere, la rettorica, gl’alalà. L'Unità invece, ritenendo che anche
ideologicamente gl’intendimenti fa Treccani, Enciclopedia Italiana
Treccani. Idea esecuzione compimento. Da Ireneo ad Arpinati..., in Avanti! , a proposito del discorso bolognese di
Gentile; anche I filosofi e Farinacci,
in Avanti! Fra il manifesto dei filosofi del fascismo, leggi Gentile, e i
discorsi di Farinacci, bisogna confessare che c’è piu intelligenza nei
discorsi di Farinacci. scisti di fascistizzare gli altri partiti
social-democratici possono col tempo realizzarsi come afferma esaminando
il Manifesto dei filosofi del fascismo, coglie proprio nell’Enciclopedia
la capacità del regime di ottenere consensi fra i filosofi. Conosciamo
bene quel che sia la spregiudicatezza scientifica dei sapienti del
fascismo e quel che sia l’antifascismo della gente accademica. In tempi
calamitosi per le pubbliche libertà uomini di scienza hanno talora
opposto le loro proteste, gravi e sensibili, se anche rare o taciturne. Oggi
non abbiamo di questi esempi in Italia, fra tanti uomini di dottrina che
pure fanno professione di indipendenza o di avversione ai poteri
dominanti "; dove però, più che
l'individuazione della forza del fascismo che stava proprio allora
organizzandosi come regime reazionario di massa, vi è quella polemica
contro gli aventiniani, che porterà ancora a negare ogni differenza fra
le varie componenti della borghesia. L’imparzialità che l’Enciclopedia tendeva
ad accreditare sotto l’etichetta
nazionale era comunque
strettamente condizionata dalla situazione reale del paese, e si traduceva
in una passività di stampo prezzoliniano: nello %
Sintomi di decadenza. Un manifesto degli intellettuali fascisti, in L'Unità . .Nel mondo della
coltura borghese. Una Enciclopedia, in
L'Unità. Divagazioni sull'ideologia del fascismo, in L'Unità, a proposito della polemica
Gentile-Interlandi sull’E.I., che esamineremo. Evidentemente differenze fra i
gruppi borghesi non esistono nelle idee fondamentali, ma nel modo di
fare. Il fascismo ha in tutti i modi l’energia di attrarre l’attuale
borghesia: ecco i confini tecnici fra pensiero ed azione . Nell’organo
della gentiliana Fondazione Leonardo, Prezzolini annunciò l’E.I. come l’esame
di stato della coltura italiana e lo
sforzo dell’Italia nuova, in paragone degli altri paesi. Il programma è
ottimo. Lo sforzo è il più nazionale che si sia tentato dopo l'unità
italiana, ma l’Enciclopedia non sarà nazionalistica ; si sarebbero
superate le enciclopedie straniere se la scelta dei collaboratori, com'è stata
quella dei direttori delle singole sezioni, sarà severa e non dipendente
da criteri politici o di meno che serena volontà scientifica. Sarà un
altro dei meriti di Gentile verso la cultura italiana (Leonardo, redazionale); e, pubblicando le
Avvertenze ai collaboratori dell’E.I.:
meglio di ogni altro documento, varranno a fare scompatire nel pubblico
ogni ombra di dubbio sul valore scientifico che l’Enciclopedia avrà, e a
dissipare le voci malevoli che pretendevano l’Enciclopedia fosse
poteva riflettersi solo, la cultura e l'ideologia del blocco borghese chiamato
a collaborare col regime nel momento in cui questo schiacciava le opposizioni.
Era significativa, del resto, la presentazione
ufficiale che dell’Enciclopedia
dava la rivista di Mussolini, Gerarchia. Dopo aver affermato la necessità
di un’affermazione di
intellettualità collettiva che rivelasse al mondo ciò che l’Italia era
nel dominio del sapere universale , e che
in Italia non possediamo ancora la nozione di quel sapere nazionale che
invece posseggono e da secoli altre nazioni , l’autore dell’articolo auspicava
che l’Enciclopedia, libro di un popolo
, fosse libro politico, ma
soprattutto libro di conquista , espressione dell’ intelligenza
dominante della collettività;
essendo giunta l’ora che il mondo la
pensi anche all’italiana , compito dell’opera avrebbe dovuto essere quello
di chiamare a raccolta tutto
quanto l’anima italiana ha in questo momento di lume e di ardimento e
farlo collaborare a questa grande azione che se ben mossa può segnare il
primo passo verso quel dominio intellettuale del mondo che noi da tanti
secoli abbiamo perduto e può segnare, prima ancora, il definitivo
sfrancamento italiano dalla coltura straniera. La politica di
conciliazione di Gentile La
componente tradizionalista del fascismo, rappresentata in primo luogo dai
nazionalisti, cercò come ricorderà Bottai che della necessità di
conferire al regime una sua dignità culturale fu il principale
sostenitore dalle pagine di
Critica fascista e poi di Primato
di opera di parte, concepita con angusti criteri di scuola.
Nella seconda ediz. de La cultura italiana si limiterà a dire che V’E.I.
dovrà rappresentare la capacità della coltura italiana del dopo-guerra.
Venturini, La nuova e mirabile fatica italiana. L'Enciclopedia Nazionale,
in Gerarchia , costruirsi una sua
Weltanschauung che fosse, da un lato, frutto della mediazione e del
superamento delle diverse correnti di pensiero dalle quali o contro le
quali il movimento fascista era sorto non rollandianamente 4% dessus de
la mélée, ma con un suo impegno autonomo d’arbitro tra due mondi in lotta,
dall’altro, valorizzazione del primato storico-culturale italiano ®. Per
questo era necessario, inizialmente, fare appello a tutti quanti
erano disposti a collaborare con un regime che cercava di mostrarsi erede
di una tradizione nazionale : si
pensi alla presentazione di Croce precursore del fascismo, o ai
tentativi, non ultimo quello dell’Enciclopedia, di accaparrarsene l'appoggio.
In quest'opera di assorbimento di intellettuali incerti, fiancheggiatori
od oppositori, analoga a quella attuata in campo politico dagli ex nazionalisti
Rocco e Federzoni, artefici della simbiosi organica del Pnf col vecchio
Stato monarchico, il regime si rivesti
piuttosto dei panni del moderatore che dell’eversore per usare le parole di Bottai riferite
a Mussolini, evitando i vuoti paurosi, e poté quindi trovare uno
strumento adatto in Gentile, la cui concezione dello Stato e della storia
italiani ne sottolineavano con motivazioni antitetiche a quelle che egli
riteneva il naturalismo deterministico, conservatore e illiberale dei nazionalisti alcuni presunti elementi di continuità
e sviluppo che facevano del fascismo il
vero liberalismo . G. BOTTAI, Vent'anni e un giorno, Milano,
Garzanti. Di Bottai è da vedere tutta l’antologia di Scritti, Bologna, Cappelli
(dove è riportata, ad es., la conferenza nella quale notò come attraverso il
Nazionalismo si avviasse il Fascismo a compiere il primo passo della sua
rivoluzione intellettuale, inserendosi in una tradizione politica, che
potrà essere discussa, ma non negata ). Di uno sforzo intellettualistico
di tipo e di gusto crociano da
parte del gruppo di Bottai parla R. Colapietra, Benedetto Croce e la
politica italiana, Bari-Santo Spirito, Edizioni del Centro librario. Sul revisionismo
di Bottai, ma con una inaccettabile sopravvalutazione del suo ruolo
critico all’interno del regime, G.B. Guerri, Giuseppe Bottai un fascista
critico, Milano, Feltrinellie A.J. De Grand, Bottai e la cultura fascista,
Bari, Laterza. Gentile, Origini e dottrina del fascismo, L’Enciclopedia
italiana Nei numerosi interventi compiuti da Gentile sui rapporti
tra fascismo e cultura non vi sono né le contraddizioni che vi ravvisò
Formiggini, né la difesa dell’autonomia della cultura vista da Harris
nella gentiliana politica di
conciliazione !: comune a tutti è
la necessità già sostenuta a proposito del problema scolastico!di
organizzare e legare al nuovo
ordine, indirizzandole se possibile verso esiti attualisti, tutte
le forze culturali del paese, con la consapevolezza che ciò è
possibile solo con la forza politica del fascismo. A Firenze, di fronte a
un uditorio politicamente composito, Gentile sostenne la possibilità che
ognuno intendesse il fascismo a suo modo:
L’unità risulta da questa molteplicità, da questa infinità di
temperamenti e psicologie e sistemi di cultura e concezioni della vita.
La forza del fascismo deriva da questa ricchissima inesauribile
fonte d’ispirazioni e connessi bisogni ed energie spirituali. Ed
esso si essiccherebbe e inaridirebbe nella monotonia meccanica delle formule
vuote se potesse definirsi e restringersi negli articoli di un credo
determinato!. Il giorno dopo, parlando all’Università fascista di Bologna
di prossima inaugurazione, ribadî il suo concetto di libertà che si attua
nello Stato come negazione dell’individualismo egoistico, e di fascismo
come ultima e più matura forma del
nuovo concetto della libertà, figlia. Un appello ai liberali e uno ai
fascisti, per far tutti partecipi di un unico processo storico sfociante
nello Stato etico, ritenuto la forma
suprema e la unità cosciente e possente di tutte le forze nazionali nel
loro maggiore sviluppo successivo , che
deve rampollare dalla stessa realtà e perciò Gentile ha
contraddetto a Roma ciò che aveva detto a Bologna, perché, affrontando
qui un grande problema culturale, quello della Enciclopedia, ha dichiarato che
intende di affratellare, formigginianamente, nella grande impresa tutti i
competenti senza distinzione di scuole e di partiti ( L'Italia che scrive . Gentile, Scritti
pedagogici, La riforma della
scuola in Italia,Che cosa è il fascismo, in Che cosa è il fascismo, Libertà e
liberalismo, aderirvi; e da questa aderenza derivare la sua forza e la
sua potenza ! sebbene criticato da
Treccani per le pubbliche dichiarazioni di fascismo che avrebbero potuto
pregiudicare l’impresa cui si erano accinti, Gentile svolgeva anche se in
maniera più scoperta riguardo al fine le
stesse idee poste a base dell’Enciclopedia. Cosî nel discorso di chiusura
del convegno per le istituzioni fasciste di cultura col quale Croce
motivò il suo rifiuto di collaborare all’Enciclopedia, Gentile obiettò a PANUNZIO
che il Partito fascista ha un suo
vasto contenuto ideale, senza bisogno di definire la sua dottrina e di
fissare il suo sillabo , e sostenne la necessità di immettere il fascismo
(critico degli intellettuali che stanno alla finestra) nella filosofia,
senza bisogno di promuovere una filosofia
del fascismo, poiché il nostro partito
non è SETTA, né chiesuola. Il nostro partito vuol essere ... il popolo
italiano; nell’attesa, tanta parte del passato doveva essere rispettata e
utilizzata: oggi nelle università dello Stato insegnano tanti
vecchi uomini, a cui molto la nazione deve: tanti, che formarono la loro
mente e l’animo loro quando nel cuore degl’italiani, degl’italiani
giovani e della guerra, non s'era accesa la scintilla della nuova fede; e
non c’intendono, e noi guardiamo ad essi con sospetto, ed essi verso di noi
con un sorriso sulle labbra, con l’anima chiusa. Ebbene, questa è
l’università italiana in gran parte: questa è la vecchia Italia, che noi
non possiamo cancellare; che anzi dobbiamo pur rispettare 1°. Che cosa è
il fascismo. Treccani a Tumminelli. Non condivido il Suo ottimismo. La
macchina v4 scossa affinché funzioni rapidamente. Vengo a sapere che non
una delle lettere ai collaboratori è partita. Ma vi è di più: Ojetti ha
scritto più volte a Gentile chiedendo schiarimenti e non ha mai avuto
nemmeno un rigo di risposta. Ma che razza di modo di fare è questo? ...
Le devo dire il vero che a me spiacciono le conferenze che Gentile va a
tenere sul fascismo nelle varie città: l'enciclopedia non è, e non deve
essere, di marca fascista... Mi sbaglierò, ma con Gentile non
incominciamo bene: egli non si rende conto dell’enorme sacrificio e
rischio mio e prende la cosa alla leggera. Dovrebbe aver capito, indipendentemente
dal contratto che ho firmato, che io non mi sono cacciato nell’impresa per il
gusto di buttar via quattrini (ACS,
Segreteria particolare del Duce, CARTEGGIO RISERVATO). Il fascismo
nella cultura, in Che cosa è il fascismo. Nessuna concessione alla barbarie
dell’estremismo fascista. Anche il Manifesto degli intellettuali
del fascismo, frutto di quel convegno, ebbe valore di documento politico
anche perché fu, da parte di Gentile,
un ennesimo tentativo di aggancio all’idealismo, a tutto
l’idealismo , compreso quello crociano, come ha osservato Colapietra !, e
presentò il fascismo come riconsacrazione delle tradizioni e degli istituti che
sono la costanza della civiltà, nel flusso e nella perennità delle tradizioni. Anche
in seguito Gentile riaffermerà la sua concezione dei rapporti
fascismo-cultura. Nel DISCORSO TENUTO IN CAMPIDOGLIO PER L’INAUGURAZIONE
DELL’ISTITUTO NAZIONALE FASCISTA DI CULTURA, in cui ricorda ai liberali
la ben più drastica opera riformatrice attuata dal liberale Sanctis a Napoli
(documentata da Russo), riprese e sviluppò motivi già affermati ', invitando a non disconoscere una certa cultura strumentale, a norma della
quale due più due farà sempre quattro, sia che si sommino carezze sia che
si sommino bastonate. E di questa cultura strumentale, che è mero sapere,
organizzazione di cognizioni bene accertate, critica, erudizione,
dottrina, non può essere il fascista a volersi disfare!, Concetti ripetuti.
Papa, Storia di due manifesti. Il fascismo e la cultura italiana, Milano,
Feltrinelli. Possiamo spogliarci di certe passioni della prima ora, e
riconoscere pertanto il valore nazionale cosi di certe forme di cultura, che
a noi riescono false in quanto insufficienti, come di tanti uomini che
non ebbero occhi né cuore per vedere in alto il segno a cui avrebbero
dovuto guardare e trarre gl’italiani, ma lavorarono pur seriamente,
onestamente, a recare in campo quelle pietre, con cui la giovane Italia
ha cominciato a costruire il suo grande edifizio. Noi a quelle pietre, i
non dirlo?, non possiamo, non vogliamo rinunziare ; ma il senso di questa
apertura che Gentile raccomandava era chiarito più avanti. Transigenza che
diverrà ogni giorno più facile, via via che, adempiuto il secondo
termine, apparirà sempre più opportuno e più giusto il primo termine del
grande monito romano: parcere subiectis et debellare superbos. Poiché non
è lontano, se io non m’inganno, il giorno, in cui tutta l’Italia sarà
fascista (Discorso inaugurale dell'Istituto Nazionale Fascista di
cultura, in Fascismo e cultura. al Senato a proposito
dell’Accademia d’Italia nata a
promuovere e coordinare il movimento intellettuale italiano (nessuna dittatura, assicurò!', come fa
MUSSOLINI quando l'ACCADEMIA D’ITALIA iniziò i suoi lavori !); ad essi
Gentile rimarrà sempre fedele, indicando come forza del fascismo fosse la
sua capacità di assorbire e superare la tradizione !5: lo stesso criterio
seguito dalla Commissione dei Diciotto per lo studio delle riforme
costituzionali, da lui presieduta !‘. Rispettare, utilizzare e organizzare
intellettuali di vario orientamento politico e culturale era più
difficile che inquadrare nell’apparato amministrativo dello Stato
fascista la burocrazia di estrazione liberale; ma era opera [Per
l'Accademia d'Italia Mussolini indicava fra i filosofi uomini di origini, di temperamenti, di
scuole diverse; uomini rappresentativi di un dato momento sono al lato di
uomini rappresentativi di un momento successivo, o attuale, o
futuro. L’Accademia è necessariamente eclettica, perché non può essere
monocorde... Nell’Accademia è l’Italia con tutte le tradizioni del suo
passato, le certezze del suo presente, le anticipazioni del suo avvenire (in
Mussolini, Scritti e discorsi, Milano, Hoepli. Scriveva che il Regime si viene
pacificamente guadagnando gli animi nelle scuole, nelle università, nelle
accademie, e in ogni libero campo di attività letteraria od artistica.
Cresce insieme spontaneamente l’interesse di esso per ogni forma di cultura nazionale,
e si fa sempre più profonda la sua consapevolezza, che la sua forza, che
è la forza e la potenza del popolo italiano, non si può consolidare senza
l’adesione e la libera collaborazione delle più rappresentative intelligenze e
di tutte le forze morali del Paese
(Il fascismo e gli intellettuali, ora in Origini e dottrina del
fascismo). Afferma che il fascismo è progresso in quanto è restaurazione:
consolidamento delle basi per edificarvi su un solido edifizio, alto,
nella luce. Ogni originalità senza tradizione, come ogni spontaneità senza
disciplina, è velleità sterile, non VOLONTÀ VIRILE (Risorgimento e
fascismo, ora in Memorie To e problemi della filosofia e della vita,
Firenze, Sansoni. Nella relazione presentata da Gentile a Mussolini, si
affermava che la commissione non ha pensato un solo momento che fosse da
sovvertire lo Stato italiano sorto dalla rivoluzione del Risorgimento. E cosî
ha creduto di rendersi fedele interprete dello spirito del fascismo, nato
a costruire, non a distruggere
(Relazioni e proposte della Commissione per lo studio delle
riforme costituzionali, Firenze, Le Monnier. Sul significato non eversore delle
proposte della Commissione dei Diciotto, Aquarone, L'organizzazione dello Stato
totalitario, Torino, Einaudi. necessaria, non esistendo una cultura del fascismo . Né Volpe alla Scuola
di storia moderna e contemporanea, né Gentile all’Enciclopedia, quindi,
chiesero tessere di partito. Dopo la costituzione dell’Istituto Treccani,
la prefazione all’ Enciclopedia in cui è evidente la mano di Gentile poteva già vantare i risultati raggiunti,
smentendo le previsioni degli oppositori: Il clima che ha reso possibile
un’opera come questa, alla quale non parve in passato possibile in Italia
pensare, è il nuovo spirito esploso con l'avvento del Fascismo, che
scosse idee e sentimenti e accese una passione inestinguibile di
rinnovamento e di affermazione della potenza dell’Italia nel mondo... Il primo
segno di questa crisi gagliarda di rinnovamento fu la radicale riforma
della scuola compiuta; alla quale seguirono molte altre riforme
organiche, onde si venne trasformando la struttura dello Stato e si gettarono
le basi di una nuova vita nazionale demografica, economica, morale e
religiosa. Mai, per nessuna opera, in Italia si unirono come per
l’Enciclopedia Italiana migliaia di scrittori a collaborare con un
disegno prestabilito, sotto una costante disciplina E il fatto che tanti
e si può quasi dire tutti gli studiosi d’ogni scuola e indirizzo, letterati,
scienziati ed artisti, si siano per la prima volta accordati non in
un’idea da vagheggiare, ma in un lavoro da eseguire, e che a tutti chiedeva
disinteresse e sacrificio, per lo meno d’altri lavori di maggior
soddisfazione personale, questa grande morale concordia degli scrittori
italiani è il primo e il non meno importante frutto che in vantaggio
dell’alta educazione nazionale l’Enciclopedia potesse produrre. Affinché
fosse possibile tale concordia fin da principio la Direzione
dell’Enciclopedia riconobbe l’opportunità di un ragionevole eclettismo e di una
scrupolosa imparzialità. Un’opera non di rapida consultazione e
volgarizzamento, come il LAROUSSE, ma a carattere monografico come LA
BRITANNICA, non avrebbe potuto avere carattere impersonale, come vuole
Treccani: l’ampiezza di una voce monografica Formiggini osserva che l’E.I.
riusce la più antifascista delle enciclopedie fasciste, e ciò non per
mancanza di buona volontà di render servizio al partito che gli ha dato
ricchezze ed onori, ma perché Gentile si è accorto che se avesse voluto
fare una Enciclopedia fascista avrebbe trovato come unico collaboratore
volontario (e lo ammettiamo per pura e generosa ipotesi) l’on. Farinacci
( L'Italia che scrive implica una
presa di posizione scientifica da parte di ogni autore. Ma la
molteplicità e diversità di giudizi che ne derivava avrebbe dovuto essere
ridotta a unità: l’unità che è il principio vitale di ogni libro vivo,
pare esclusa per definizione da un'enciclopedia, che, per essere cosa
seria, è di necessità opera a molte mani, e ognuno vi mette il suo
pensiero, il suo stile, la sua anima. Ed è bene che cosî sia; e noi, per
parte nostra, ci siamo studiati di fare che ognuno, entro certi
limiti, restasse, come scrittore dell’Enciclopedia, lo scrittore che egli
era. Il che per altro non abbiamo creduto che fosse per produrre
l’effetto d’un coro selvaggio di voci stonate e discordi. Non c’è
solamente l’anima del singolo. Nello stesso individuo c’è anche
l’anima della sua famiglia, del suo popolo, del suo tempo; c’è il
punto di vista e l'interesse spirituale che è suo come dei connazionali e
dei coetanei che vivono la stessa vita e si sono formati nello stesso
mondo spirituale. Da quest’anima più vasta, non meno reale dell’altra che
varia da individuo a individuo, scaturisce l’unità di una scuola ben
organizzata e diretta, e scaturisce l’unità di un’enciclopedia ben
disegnata e condotta. Un’enciclopedia è infatti l’espressione del pensiero
di un popolo e di un’epoca; e propriamente degli elementi positivi, vitali
ed attivi di questo pensiero. Il quale evidentemente non consta della
somma di tutte le idee di tutti gl’individui, dotti e indotti,
consapevoli e ignari degl’ideali della nazione a cui appartengono e a cui
sono indissolubilmente congiunti; ma si raccoglie in sistema dalle
menti che dirigono e perciò rappresentano tutti. E il loro pensiero,
presso ogni popolo, sbocca e si fonde nella coscienza nazionale, e in
ogni periodo storico ha una forma e certi caratteri, ha
un’individualità, in cui mille e mille voci si adunano in un grande
concento. Concordia discors [Concordia non facilmente raggiungibile anche nel
nuovo clima del fascismo, come ricorderà Gentile in termini meno
idillici! Mezzo per attuarla, per ridurre a unità argomenti E.I. Ricorderà prime difficoltà e diffidenze, ostilità
coperte e palesi (Tribolazioni di un enciclopedista, cit.), e battaglie
concluse con la vittoria sempre della Direzione, ossia dell’Enciclopedia,
e cioè di tutti. Ma, evidentemente, vittoria difficile (Ancora delle
tribolazioni di un enciclopedista. Come si taglia e si cuce il libro per
tutti, Il Corriere della sera ). Pincherle osserva: differenze di
opinioni e di scuola, che spesso esplodono in battute polemiche, ora più
ora meno abilmente dissimulate
(L’Enciclopedia italiana, in La
Cultura; e Bosco, redattore capo dell’E.I., ricorda. Il primo compito fu
quello della raccolta delle voci: diversi e autori di vario orientamento
filosofico, e il criterio storico: affinché tale discorde concordia si
stabilisca e conservi, occorre una regola che tutti gli scrittori capaci
di contribuirvi mantenga nei limiti ciascuno del proprio carattere, non
pure per la materia che coltivano, ma anche per l’indirizzo mentale con
cui la coltivano, in guisa che tutti gli aspetti della cultura vengano a
comporsi armonicamente in un quadro coerente, com'è nelle sue note
principali il pensiero di un popolo e di un’epoca... Nessuna
intolleranza, nessuna ombrost angustia di mente. A ogni avvenimento, a
ogni dottrina, a ogni persona il suo merito e il posto in cui ciascuno
per sua virtà s'è collocato. Perciò non dottrine esclusive, come sono per
lo pi tutte le dottrine nelle menti di singoli; ma l’ordine piuttosto in
cui le varie dottrine sono possibili, malgrado le loro divergenze,
ciascuna con i suoi motivi, La stessa grande imparzialità della storia,
in cui non c'è nulla che non abbia la sua ragion d’essere. La
storia, in verità, suggerisce il metodo della trattazione che si conviene
a una enciclopedia: la storia con la sua sovrana potenza conciliatrice
delle più contrastanti esigenze dello spirito e degli aspetti più diversi
del vero. Ogni concetto o istituto, ogni religione o dottrina, ogni mito
o teoria, ogni popolo o schiatta esiste e vive nella sua storia, con la
sua origine e col suo sviluppo. E nella storia si spezza ogni dommatismo.
II metodo pertanto dell’Enciclopedia Italiana è il più largo metodo storico,
cosi in ogni singolo articolo come nel sistema generale. Grazie a questo
metodo, la Direzione ha ambito di raccogliere intorno a sé, assegnando a
ciascuno la parte sua, gli scrittori della più varia mentalità.] compito
dei più delicati, perché era in questa fase che si potevano concretare le
fondamenta dell’edificio, e che si doveva decidere il carattere
dell’Enciclopedia: dizionario di cose, o raccolta di monografie, o
qualche cosa di mezzo? Non sono infatti mancate le divergenze: chi
consultasse oggi i primi elenchi delle voci proposte da ognuno dei
direttori di sezione e, poi stampati in forma di bozze, diffusi tra gli
studiosi per raccogliere suggerimenti, troverebbe che molto è stato
cambiato Già nelle Avvertenze ai filosofi collaboratori, (Treccani,
Enciclopedia Italiana Treccani. Idea esecuzione compimento), si diceva: I
- Nella compilazione degli articoli, anche se teorici e dottrinali filosofici,
si avrà cura di attenersi a un’esposizione storica di quello che è stato
pensato o si pensa dagli scrittori della materia meritevoli di
considerazione; evitando al possibile ogni forma subbiettiva che dia
rilievo alla persona di chi scrive e adoperando uno stile semplice e sobrio.
ISono dall’Enciclopedia BANDITE LE POLEMICHE. Ogni discussione vi dev'essere
mantenuta nei termini di un dibattito di valori puramente ideali, con la
cura più scrupolosa di mettere in luce anche le ragioni delle dottrine,
che lo scrittore stimi più deboli. Il metodo seguito nella trattazione
dell’Enciclopedia è quello storico, cosî in ogni singolo articolo come
nel sistema generale. I filosofi collaboratori, aggiungeva Gentile, operando
anch’essi nella cultura dell’epoca, hanno nella loro stessa formazione
spirituale la misura del giudizio ; ma avrebbero dovuto elaborare gli
elementi vivi e vitali della cultura propria della classe elevata e dirigente, la quale
s'incontra e s’intende, in un dato tempo, sullo stesso terreno, in
una comune vita intellettuale e morale
!’. Enciclopedia, quindi, figlia del proprio tempo !?, che come
tale avverte Gentile avrebbe
rispecchiato i progressi della scienza e i cambiamenti storici avvenuti
nel corso della sua realizzazione!!. L’asserita imparzialità dell’opera
corrispondente ad uno stretto legame con
un dato tempo comportava,
accanto al clima del fascismo, il ricorso all’opera di intellettuali di
varia estrazione culturale e, anche, di diverso orientamento politico:
una sapiente azione di assorbimento, testimoniata dall’ampia scelta dei
direttori di sezione e dei collaboratori, che spingerà Salvemini incapace di comprendere i motivi se non
addirittura le manifestazioni della politica articolata del regime a
giudicare l’Enciclopedia quasi
esclusivamente opera di uomini appartenenti alla generazione maturata prima che
il fascismo giungesse al potere , di cui Mussolini aggiungeva
semplicisticamente si era attribuita la maggior parte dei meriti avverte l'opuscolo di propaganda Enciclopedia
Italiana pubblicata sotto l’alto patronato di S. M. il Re d’Italia
Imperatore d'Etiopia, Roma. Già nel vol. I CALOGERO osserva il carattere
essenzialmente storicistico delle voci giuridiche, economiche e politiche
(Nuovi studi di diritto, economia e politica). L’Enciclopedia sarà
il monumento della cultura dell’Italia di Mussolini, afferma Treccani
(Enciclopedia Italiana Treccani. Idea esecuzione compimento; e l'opuscolo di
propaganda sopra citato. L’Enciclopedia è al tempo stesso documento fedele del
periodo storico in cui è nata e contributo certo non ultimo alla
formazione di quella cultura intensa, vitale, capace di espandersi e
d’imporsi che dovrà essere la cultura italiana di domani. E.I., Appendice,
ma già apparsa: Bellezza,
Bibliografia. L’Enciclopedia Italiana, che è senza dubbio superiore a
tutte le [ L’Enciclopedia italiana I collaboratori e le
proteste del fascismo estremista Il consiglio direttivo
dell’Enciclopedia costituiva una specie di fronte nazionale, unendo, sotto
la giunta di direzione composta da Treccani, Gentile e Tumminelli, il
primo ideatore dell’opera, Martini; glorie (diversamente fortunate) della
grande guerra come Cadorna e Thaon di REVEL quest’ultimo ministro della
Marina, e STEFANI, ministro della Finanze; rappresentanti della
tradizione liberale lontani dal fascismo quali Einaudi e Ruffini che non
parteciparono più all'opera, o cattolici come Sanctis; e, ancora,
Bonfante, Ojetti e Salata, accanto a
Grassi, Longhi, Marchiafava !. Nel comitato tecnico composto dai
direttori delle 48 sezioni e già formato
vi erano i maggiori rappresentanti della cultura italiana, da
Sanctis (Antichità classiche) a Pettazzoni (Storia delle enciclopedie
pubblicate dall’inizio di questo secolo, è opera di studiosi italiani la
cui formazione aveva avuto luogo già prima dell’avvento di Mussolini.
Poiché essa cominciò ad essere pubblicata, Mussolini se ne è attribuita la
maggior parte dei meriti. In realtà, essa fu progettata quando, secondo la
leggenda fascista, l’Italia era alle prese col bolscevismo. È il più gran
monumento che si sia potuto erigere durante il regime fascista alle due
generazioni di uomini che ricostruirono la cultura italiana durante il regime
prefascista (G. Salvemini, Il
futuro degli intellettuali in Italia, Scritti sul fascismo, Milano,
Feltrinelli, Treccani, Enciclopedia Italiana Treccani. Idea esecuzione
compimento, Einaudi (che era stato consigliere dell’Istituto di
Formiggini) appare nel Manifesto e nel Primo elenco di collaboratori;
Ruffini solo in quest’ultimo, anche come direttore, con Santi Romano,
della sezione Diritto pubblico . Sulla
partecipazione puramente decorativa di Martini le lettere di Gentile a lui, (BNF, Fondo Martini); per la diffidenza
sua e dei suoi amici verso l’opera nella cui preparazione non furono
ascoltati, la lettera di Menghini e tutte quelle di Donati, che giudicava Gentile spirito dogmatico
e profondamente ztiscientifico ,
dubitando che la scienza italiana possa subordinarsi a quel vaniloquio
sciagurato ch’egli chiama la sua filosofia, ma riconoscendo che l’idealismo è
tanto attualista da trovar milioni che i positivisti non sapevano mettere
assieme religioni), da Federico Enriques
(Matematica) a Nicola Pende (Medicina), da Carlo Nallino (Letterature e
civiltà orientali) a Santi Romano (Diritto pubblico) a Gioacchino
Volpe (Storia medioevale e moderna). Ad essi era demandata la scelta dei
collaboratori e delle voci ! La consultazione dei collaboratori previsti iniziò
subito dopo la costituzione dell’Istituto; nonostante la sua ampiezza,
Treccani poteva già annunciare che
gli uomini migliori che l’Italia vanta in tutti i campi del sapere
hanno aderito con entusiasmo; i collaboratori sono già circa 1200 !. In realtà, i rifiuti che possiamo
documentare ma significativi per le motivazioni politiche sono solo quelli di
Croce e Silva. Il primo, interpellato, tramite Alessandro Casati, da Volpe la
cui funzione all’interno dell’Erciclopedia fu all’inizio probabilmente più
vasta di quella di direttore di una sezione storica, in linea con la
funzione di primo piano da lui svolta, accanto a Gentile, nell’organizzazione
della cultura durante il fascismo, nella risposta preannunciò quel
distacco da Gentile e dal regime che un mese dopo sarà reso
definitivo dalla protesta contro il manifesto degli intellettuali
fascisti: come volete scrive a Volpe che io collabori a una
Enciclopedia diretta da chi ha pur testé, a Bologna, osato proclamare che
la cultura deve essere fascista? !
Motivi politici furone alla base anche del [Treccani, Enciclopedia
Italiana Treccani. Idea esecuzione compimento, e Primo elenco, Tutto il
lavoro di preparazione (scelta dei collaboratori e formazione dello
schedario) terminò. Treccani, Racelonone Italiana Treccani. Come e
da chi è stata fatta). Su una riunione di alcuni direttori di sezione per
impostare il lavoro, la testimonianza di
Ojetti (I taccuini, Gentile non conclude
mai, chiede che i direttori si accordino, Per i successivi rapporti di
Ojetti con la Società Treves-Treccani-Tumminelli, editrice di Pègaso
e Dedalo, ACS, Segreteria particolare
del Duce, CARTEGGIO RISERVATO. Treccani, Enciclopedia Italiana Treccani. Idea
esecuzione comDincato. Croce, Epistolario, Napoli, Istituto italiano per gli
studi storici, E a Casati, Dopo il discorso di Gentile a Bologna,
credo che mi avrai dato ragione nel rifiuto che opposi a partecipare
all’Enciclopedia. Come sarei potuto stare alla dipenrifiuto di Silva che, dopo
aver inizialmente accettato di collaborare cinque giorni dopo l’arresto
del maestro SALVEMINI scrisse a Gentile una lettera che rappresenta, come
per l’autore che solo un anno dopo accetterà la redazione di voci
importanti dell’Enciclopedia, le illusioni, le incertezze, le conversioni
di tanti. Voglia consentirmi di ritirarmi dal gruppo dei
collaboratori dell’ Enciclopedia. Nell’appello che Ella rivolse ai
filosofi, quando la grande impresa fu decisa, suonava alta e nobile la
parola della conciliazione degli spiriti nel campo degli studi e della
scienza. E tale parola, che acquistava anche maggior valore perché
pronunciata da Lei, mi persuase. Ma ora, purtroppo, la mia fiducia
nella possibilità di tutte le forze in una impresa di scienza, è molto
scossa per i fatti che stanno accadendo. Vedo arrestato SALVEMINI, il che
significa l’inizio di persecuzioni ai filosofi non fascisti. Vedo presentata
una legge per la dispensa dei funzionari, che mira, come hanno rilevato
l’on. SALANDRA e l’on. VOLPE, a colpire la libertà di pensiero e
l’integrità delle coscienze, anche in quel campo che Ella, nel Suo
memorabile discorso inaugurale, voleva rimanesse libero a tutte le
opinioni: il campo dell’insegnamento superiore. In tali condizioni,
noi che da quella legge verremo colpiti, come possiamo rimanere a
collaborare a un’opera di scienza, come possiamo continuare a credere che
in tale opera le divergenze di pensiero e di partito verranno superate?
Ecco perché le chiedo di rinunziare alla mia modesta opera. Son
certo che Ella apprezzerà al giusto valore questo mio atto...1? GENTILE
dovette apprezzare piuttosto le pronte e numerose adesioni che assicurarono
all'impresa l’appoggio dei principali rappresentanti della cultura
italiana. Il Prizzo elenco di collaboratori dell’Enciclopedia Italiana,
pubblicato, ne annoverava 1.410, quasi la metà dei 3.266 che daranno il
loro contributo a tutta l’opera ! Non appaiono ancora alcuni dei
denza di un direttore, che ha quelle idee sulla cultura? (Epistolario, Napoli, Istituto italiano
per gli studi storici, Archivio dell'Istituto dell’Enciclopedia Italiana, Roma
[d'ora in avanti AEI], Lettere, Silva. Su Silva storico e sui suoi
rapporti col fascismo il ritratto che ne
ha fatto nel 1954 Volpe (Storici e maestri, Firenze, Sansoni, La data di
pubblicazione del Prizzo elenco (non. indicata) si deduce dalle polemiche
giornalistiche che suscitò, futuri pilastri dell’Erciclopedia, come Pincherle,
Pagliaro, Enriques. Si leggono già, invece, i nomi di Aliotta e
Carlini, Calò e Codignola, o di Caggese, Ciasca, Chabod, Banfi,
Calamandrei, Mondolfo, Allmayer, Augusto Guzzo, e ancora tanti, da JEMOLO a Russo,
da Cortese a Schipa, oltre a Venturi e Rosa, e Gemelli. Il Primo
elenco registra anche il nome di quanti, dopo essere stati invitati e
aver accettato, non collaboreranno all'opera. La maggioranza di essi è
costituita da persone culturalmente poco rappresentative. Accanto a professori
di scuola media superiore o scarsamente noti professori universitari,
troviamo militari, professionisti, o non qualificati cultori della filosofia.
La loro cospicua scomparsa ( sui 1.410 annunciati) dall’elenco finale degli
effettivi filosofi collaboratori, per essere sostituiti da studiosi pit
qualificati, potrebbe indicare, da un lato, un aumento reale dei
settori accademico e di ricerca, dall’altro, una maggiore progressiva
adesione da parte degli esponenti dell’alta cultura, dapprima diffidenti
verso l’iniziativa gentiliana. Vi sono tuttavia, fra i collaboratori
previsti dal Primzo elenco che poi non parteciperanno all’opera, anche
personaggi la cui iniziale accettazione val la pena di essere sotto Caggese
scriveva a Volpe, che lo aveva invitato a collaborare. Niente
pregiudiziali politiche, anche perché io sono completamente fuori di ogni
attività politica, ben sicuro come sono che è nostro primo dovere
d’italiani non complicare in alcun modo una situazione non lieta. Vivo nella
solitudine pivi assoluta, lavoro molto e, in confidenza, non potrei in
alcun modo partecipare alle vicende politiche perché sono troppo
indulgente e, ahimè!, ancor troppo sentimentale e bonario. Passare con i
forti non posso perché non è lecito a noi, uomini di studio, dare lo
spettacolo di voler profittare comunque; esaltare i cosi detti deboli non
posso, perché moralmente sono proprio essi quelli che nell’immediato
dopo-guerra hanno scatenata la guerra civile. Non mi resta che fare il
buon cittadino che rispetta tutte le leggi del suo paese, e augurare che
presto ritornino i saturnia regna!, e che i deputati si somiglino. Dunque,
collaborerò volentieri, anche perché non vorrei dire di no proprio a te. AEI,
Lettere, Caggese. L'Enciclopedia italiana lineata: non tanto le
personalità politiche chiamate a dar lustro all’impresa, la cui adesione
è una riprova assieme alla presenza di uomini poco rappresentativi nel
campo scientifico del significato non strettamente culturale che
l’Enciclopedia voleva avere !, quanto liberali come Casati e Malagodi, o uomini
come Baratono, Berenson, Caramella, Limentani. Pochissimi fin d’ora
gli stranieri, conforme al criterio ispiratore dell’opera. La
pubblicazione del Primo elenco di collaboratori provoca le proteste del
fascismo estremista. Su Il Tevere da lui diretto Interlandi, dopo aver approvato le
dichiarazioni di imparzialità e apoliticità dell’Enciclopedia,
affermava: Prima che l'Istituto Treccani, superiore a tutti i partiti
politici s'è dichiarato il Fascismo, che è superiore allo stesso partito
che fascista si intitola; appunto perché il partito fascista ha una
funzione tattica contingente e mutevole, laddove il Fascismo è quella
tale coscienza nazionale di cui più su si parla. Cosî stando le cose,
l'onorevole Consiglio direttivo dell’Istituto ha fatto bene ad espellere
i partiti politici dall’Enciclopedia, ma benissimo avrebbe fatto ad
accogliervi il Fascismo. È stato accolto il Fascismo, in un’opera che
vuole essere il monumento culturale dell’età nostra e. alla quale
attingeranno per i loro bisogni spirituali molte e molte generazioni di
italiani e di stranieri?; vi erano ugualmente rappresentati, continuava
Interlandi, fascismo e antifascismo, impersonato quest’ultimo da almeno
90 firmatari del Manifesto degli intellettuali antifascisti, come
Einaudi, o Caramella in procinto di essere allontanato dalla scuola per le sue prodezze al congresso dei
filosofi: era necessario fare a meno di simili collaboratori, per evitare
un’enciclopedia imparziale in cui avrà posto l’esaltazione delle
categorie democratiche e di quelle fasciste! Belluzzo, Boselli, Ciccotti,
Giuliano, Giuriati, Loria, Mosca, Salandra, Stringher, ecc.
Considerazioni sopra un elenco di enciclopedici, in Il Tevere
, (editoriale). L’articolo di
Interlandi, parzialmente ripreso da La Tribuna che da poco si era fusa
con L’Idea Nazionale ed era passata sotto la direzione del
nazionalista Forges Davanzati, dette modo a Gentile di precisare le
sue idee sul rapporto cultura-fascismo: in una lettera aperta inviata al
direttore de La Tribuna affermò
che, su questo problema, il Pnf aveva
ormai direttive precise, come dimostrava l’approvazione, da
parte del duce e de L’Idea Nazionale, del discorso gentiliano tenuto per
l’inaugurazione dell’Istituto nazionale fascista di cultura. Il fascismo,
obiettava a Interlandi, non è venuto a distruggere, ma a edificare. Intende
bensî animare tutta la vita nazionale di un’ardente passione politica,
che è passione morale e religiosa di creazione di superiori valori;
ma non tollera, non può tollerare che questa passione abbia a
disperdersi e inaridire in vuote formule superstiziose, e in gare ein
cacce di persone od esibizioni di tessere tante volte, ahimé, turpemente
abusate e sfruttate! Quasi che l’Italia fascista da noi vagheggiata
potesse essere quella che si avrebbe il giorno in cui i famosi quaranta
milioni d’ogni sesso od età fossero iscritti tutti nel Partito. Gli
uomini da adoperare , quindi, dovevano essere quelli che per attitudini e preparazione
potranno più utilmente aiutarci nella realizzazione della nostra
idea. Cosî ha fatto sempre MUSSOLINI con la sua sicura volontà
realizzatrice. E chi fa della politica dove c’è da risolvere un problema
tecnico, non fa politica, ma spropositi; io continuava Gentile
facendosi forte della sua posizione politica mi riterrei indegno della
tessera che il Partito Fascista mi offri [Polemizzando con Forges
Davanzati critico del culturalismo ( il suo Fascismo e cultura, Firenze,
Bemporad), Vita nova la rivista di
Arpinati molto vicina a Gentile affermava le carenze del nazionalismo in
campo culturale, mentre per fare della
cultura bisogna sul serio mettersi al lavoro, e quindi in vece di parlare
di essa da un punto di vista strettamente politico, cosa più saggia
sarebbe indicare i mezzi valevoli per promuovere efficacemente un vero
rinnovamento culturale , perché la cultura
deve essere la più grande forza del nostro regime (Rusticus [SAITTA], Politica e cultura,
in Vita nova ). quando ravvisò in me uno
dei precursori e un fascista che faceva sempre sul serio, se scoprissi in
me una mentalità cosi gretta da non distinguere la politica dalla tecnica
in un’opera che riuscirà un grande esame sostenuto dal pensiero e dal
carattere degl’ Italiani innanzi a tutte le nazioni civili, la maggior
parte delle quali ci precedette in questo arringo: se per gusto
inopportuno di chiudermi nella rocca forte dei miei camerati, trascurassi di
adoperare tutti gli elementi e tutte le forze che l’Italia può fornirmi
alla costruzione di questo gran monumento nazionale Questo, per me, è
fascismo. È quel fascismo che può affermare con giusto orgoglio: ic non
sono partito, ma sono l’Italia, È il fascismo che può e deve chiamare a
raccolta per ogni impresa nazionale tutti gl’Italiani: anche quelli
dell’anzizzazifesto. I quali, se risponderanno all’appello, non verranno
(stia pur tranquillo Interlandi) per fare dell’antifascismo: verranno, almeno
nell’Enciclopedia, a portare il contributo della loro competenza: a far
della matematica o della chimica o della fisica, e insomma della scienza [La
distinzione gentiliana di scienza e politica non convinse Croce !, né, per
ragioni opposte, Interlandi, il quale replicando a Gentile affermò che in
nome della competenza oggi si affida a
molti, a troppi competenti antifascisti, la compilazione d’un’opera che a
parer nostro non dovrà essere solamente un monumento di tecnica, ma
L’Enciclopedia italiana e il fascismo, ora in Fascismo e cultura. Croce
scrive a Casati. Hai visto come Gentile tratta i filosofi collaboratori
non fascisti? Hai visto che li considera apportatori di pietre al
monumento culturale del fascismo? Io previdi chiaramente quello che
sarebbe avvenuto, quando rifiutai l’adesione, che tu mi chiedevi,
all’Enciclopedia. Epistolario. E in una recensione critica di un articolo
di Ruiz su L'individuo e lo Stato, osservò come, anche chi, in questi
tempi, è andato incautamente predicando che scienza e politica sono tutt'uno e
che la cultura dev'essere asservita a un partito o a una frazione, debba
in fretta e furia, per salvare le proprie intraprese, tentar di ristabilire
la differenza, come si è visto nei giorni scorsi, nelle discussioni
levatesi a proposito di una certa enciclopedia. La Critica. In
risposta a Croce, Vita nova difese tutta la concezione di Gentile sui
rapporti scienza-politica, concludendo con l’identificazione gentiliana e
fascista del partito con lo stato. Si dice che l’intento dell’enciclopedia
italiana è politico perché la filosofia, lî, vuol riuscire a un monumento
nazionale, e il nazionalismo del Gentile è il fascismo? Ebbene Croce,
lui, ch’è cosî fino nelle distinzioni quando gli fanno buon giuoco, sa
benissimo che questo fascismo non è più un partito o una fazione. Egli sa
benissimo, dunque, che è del tutto erroneo affermare che il Gentile sia
andato predicando che la filosofia debba essere asservita al fascismo inteso in
quel senso (Urbanus, Piccolezze di
un grand’uomo, in Vita nova . un
monumento del nostro tempo che, se non erriamo, è tempo fascista Se l’Enciclopedia i fascisti non la
sanno fare, perché non sono competenti, ebbene, non la facciano; ne
faremo a meno. Non perirà per questo né il Fascismo, né l’Italia Affermazione
decisamente contestata da La fiera letteraria che pur assicurando
sulla scarsa libertà di movimento dei 90 firmatari dell’antimanifesto,
sottoposti come tutti i collaboratori al controllo dei direttori di sezione, e
quindi dei loro capi
gerarchici Treccani e Gentile, che rispondono del loro operato dinanzi
alla Nazione e al mondo difese la
posizione gentiliana e la necessità di una vasta politica culturale da
parte del fascismo: nessun Governo come l’attuale ha fatto dei problemi
della cultura nazionale oggetto di tanti progetti e di cosî evidenti
preoccupazioni. Una cosa è dunque polemizzare e altra cosa è agire. Cosi
una cosa è criticare l’operato degli Enciclopedisti, e altra cosa è fare
una Enciclopedia. Da questa specie di dilemma non si esce se non
dichiarando, come qualcuno ha fatto, che qualora l’Enciclopediu Italiana
non possa farsi senza il concorso dei novanta reprobi, è meglio che non
si faccia. Ma non può sussistere una politica intellettuale o culturale di un
grande partito fondata sopra simili paradossi 1%, La polemica tra
Interlandi e Gentile, tra il fascismo
rivoluzionario e quello tradizionalista, si concluse a favore
di quest’ultimo. La lettera provocata probabilmente dal primo articolo de Il
Tevere inviata il 7 maggio dal segretario particolare del duce,
Chiavolini, al segretario del Pnf Turati, con un elenco dei collabo [} senso del
Fascismo e l’Enciclopedia, in Il Tevere Gli attacchi contro l'Enciclopedia. Politica e
Cultura, in La fiera letteraria ,
Gli attacchi dovettero continuare, se Codignola avvertiva Gentile che i
suoi avversari, ostili alla sua permanenza nel Consiglio superiore della
Pubblica istruzione, potrebbero forse
chiedere e ottenere anche il tuo ‘allontanamento dall’Istituto di Cultura
e dall’Enciclopedia. Tutto questo sarebbe molto grave per te e per le
nostre idealità comuni, ma sarebbe ‘ancora più grave per le ripercussioni
che avrebbe nel paese, già troppo po Vem e perplesso in questo
momento (Archivio Codignola,
Firenze). L’Enciclopedia italiana ratori
dell’Enciclopedia Treccani già firmatari del noto manifesto degli
intellettuali aventiniani , non ebbe grande effetto, anche se ad essa e
non a un ripensamento dei collaboratori previsti fosse da attribuire
l’abbandono dell’Enciclopedia da parte di 23 (fra cui Einaudi e Ruffini)
degli 85 intellettuali nominati '. I principali filosofi collaboratori non
fascisti annunciati cui altri se ne aggiunsero, firmatari o meno del
contromanifesto crociano, parteciperanno all’opera, e tre firmatari,
Carrara, De Sanctis e Levi della Vida, vi rimarranno anche dopo il
rifiuto del giuramento fascista richiesto nel ’31 ai professori
universitari !, Le polemiche del fascismo estremista contro l’Enciclopedia
cessarono nel 1926, quando proteste come quelle del contromanifesto o del
CONGRESSO NAZIONALE DI FILOSOFIA non ebbero più possibilità di sbocchi
politici; non c'è più
un’opposizione antifascista; e tutti son pronti a servire il Regime, che
è lo Stato , affermerà Gentile invitando gli iscritti al Pnf ad accettare la collaborazione degli italiani
capaci ed onesti, anche non fascisti : Anche l’Italia intellettuale ha
fatto molto cammino, e l’antifascismo va buttato, finalmente, in
soffitta ! Tuttavia, se l’opposizione
politica era schiacciata, la stessa opera gentiliana di conciliazione sta
diventando meno necessaria con l’inizio della costruzione dello Stato
totalitario. Ma l’Enciclopedia era ormai avviata, e poté continuare con
la collaborazione di quanti seppure in alcuni casi critici verso il suo
direttore o verso il regime avevano aderito all’impostazione nazionale
che Gentile aveva dato all'opera nel ’25!. ACS, Segreteria
particolare del Duce, CARTEGGIO RISERVATO. Per i rapporti di De Sanctis e Levi
Della Vida con Gentile e YE.I. G.
De Sanctis, Ricordi della mia vita, Firenze, Le Monnier, e G. Levi Della Vida,
Fantasmi ritrovati, Venezia, Neri Pozza. Gentile, Fascismo e Università,
in Educazione fascista , Volpe nega
l’esistenza di contrasti politici fra i collaboratori, che erano di ogni
colore politico (Giovanni Gentile,p. 359); cosî Pintor (che fu direttore
della sezione Biblioteche ), per
il quale Gentile raccolse intorno
a sé e indirizzò ad un concorde e disciDiscussioni o contrasti si trasferirono
per il momento all’interno dell’Enciclopedia, nell’ambito delle scelte
culturali: il punto di maggior frizione su cui ci soffermiamo perché
essenziale alla comprensione dei condizionamenti esterni dell’opera fu il
settore religioso, dove Gentile dove fronteggiare la pressione del
mondo cattolico, che per acquistare un ruolo egemonico nella
cultura italiana fu pronto a sfruttare la politica di riavvicinamento alla
Chiesa promossa da Mussolini. Le dichiarazioni di imparzialità di Treccani
e Gentile avevano trovato subito un esplicito correttivo
nell’accettazione del controllo ecclesiastico. Nella prima riunione del
consiglio direttivo dell’Istituto, Treccani dopo aver ricordato le
incomprensioni e le critiche con cui l’iniziativa era stata accolta aveva
precisato: L’Enciclopedia nostra deve corrispondere ai sentimenti
tradizionali degli Italiani e perciò, deve essere non solo patriottica,
ma anche bene accetta alla Chiesa. Per raggiungere questo scopo, un
accordo è già intervenuto; Venturi dirige la sezione per le materie
ecclesiastiche e sotto la sua guida collaboreranno altri ecclesiastici,
tra i quali Gramatica e Rosa !4%. plinato lavoro migliaia di studiosi
italiani e stranieri, di ogni credenza e di ogni scuola: accolti con
uguale fiducia i dissenzienti dalla sua filosofia, gli avversari delle
sue idee politiche Gentile negli studi
storici e letterari, in Giovanni Gentile. La vita e il pensiero, Firenze,
Sansoni. Più sfumata la testimonianza di Momigliano: se Giglioli, Fedele, Volpe
e Gentile non chiedevano, e
nemmeno desideravano, che si diventasse fascisti per lo stesso fatto di
entrare nelle Università, nelle Scuole storiche e nella Enciclopedia, ci
si inseriva in organismi fascisti, dove l'imbarazzo era costante e la cautela
diventava abito. Il motto che Croce ci dava il pane spirituale e Gentile
ci dava il pane materiale ricorse allora più di una volta in conversazione. Una
solidarietà implicita si stabiliva tra coloro che erano di sentimenti
antifascisti alla Università o alla Enciclopedia (Appunti su F. Chabod storico, in
Rivista storica italiana. Treccani, Enciclopedia Italiana Treccani. Idea
esecuzione compimento. Le Avvertenze ai collaboratori assegnavano agli
argo- [La presenza stessa di ecclesiastici de La Civiltà cattolica, in posizione
privilegiata e non in nome del tanto invocato criterio della competenza,
indica prima ancora di poter esprimere un giudizio sulla sua efficacia
una forte incrinatura nell’impostazione gentiliana dell’opera.
L’accordo di Treccani corrispondeva al processo di avvicinamento in atto fra
Stato e Chiesa il gesuita Tacchi Venturi fu in quel periodo
trait-d’urzion fra Mussolini e il Vaticano !', ma contrastava con la
concezione agonistica dei rapporti fra i
due poteri propria di Gentile, fedele alla formula cavouriana e contrario
alla conciliazione di diritto . L’ingerenza della Chiesa, che proprio
scagliò la sua offensiva in campo culturale contro l’idealismo come
principale obiettivo da colpire, fu contrastata ma, soprattutto dopo il ’29,
sempre più subîta da Gentile. L'impostazione iniziale data
all’Enciclopedia, per cui avrebbe dovuto registrare tutti gli indirizzi
culturali e affidarsi ai competenti di ogni materia, fu unita all’accordo
di Treccani un’arma a doppio taglio di fronte alla organizzazione vasta e
articolata della cultura cattolica che sotto la protezione politica dei gesuiti poteva ora utilizzare la
capacità di penetrazione della neoscolastica, istituzionalmente
rafforzata col riconoscimento statale della Cattolica di Gemelli. Ma è
anche menti religiosi il primo posto nel punto III: Delle materie religiose e filosofiche,
morali e politiche gli scrittori dell’Enciclopedia avran cura di parlare
con rispetto assoluto dell’altrui pensiero e coscienza, in modo da
consentire che all’Enciclopedia insieme collaborino uomini di ogni fede e
di ogni dottrina che abbia un suo valore. A tutti i collaboratori
dev’esser possibile incontrarsi sopra un medesimo terreno, dove ognuno,
pur mantenendo, com'è necessario, i propri convincimenti, usi tuttavia un
linguaggio che gli altri possano ascoltare. Tutti i collaboratori
sentiranno che soltanto cosî l’Enciclopedia Italiana potrà riuscire,
com'è suo proposito, un lavoro a cui partecipano tutte le forze vive della
scienza e dell’ingegno italiano. Broglio, Italia e Santa Sede dalla
grande guerra alla Conciliazione, Bari, Laterza, e Scaduto]., Venturi. La
Civiltà Cattolica. Felice, Mussolini il fascista, II. L'organizzazione
dello Stato fascista, Torino, Einaudi, Vasoli, I neoscolastici e la
cultura italiana, ora in Tra cultura e ideologia, Milano, Lerici, e Rossi, La
filosofia vero che, nonostante le polemiche molto accese proprio
con i neoscolastici, il
laicismo gentiliano conteneva molte
falle: l’importanza crescente assunta nella filosofia di Gentile da una
religione ambiguamente intesa, dai Discorsi su fino alla voce enciclopedica e
alla conferenza su La mia religione; la coscienza, maturata dopo la guerra,
del problema politico della religione necessaria al
rinnovamento della cultura da parte di uno Stato non più agnostico
che, senza combattere in nessun
modo nessuna particolare forma religiosa, riconosca ed affermi il valore
della religione com’essa vive attraverso tutte le forme !9; il generico spirito religioso attribuito
ai profeti del Risorgimento (non solo Mazzini e Gioberti), sottolineando
però come per Capponi l'impossibilità di
astrarre una indeterminata e vaga religiosità mistica dal complesso concreto
della vita storica italiana, intimamente cattolica !f: tutto ciò favoriva la trattazione
di temi religiosi in un’opera rivolta a valorizzare la civiltà romana e
italiana, e costituiva almeno la premessa per uno scontro duro e incerto
nei risultati, fra l’attualismo che si considerava vera religione , e le forze cattoliche
chiamate a dare il loro contributo. Ma l’accordo citato da Treccani era
destinato a far pendere la bilancia a favore di queste ultime, per cui è
probabile che l’Enciclopedia abbia assolto, nel campo dell’alta cultura, la
stessa funzione favoreggiatrice del pensiero confessionale svolta
dalla riforma scolastica nel settore dell’educazione elementare (e poi
media). neoscolastica e i suoi orientamenti storiografici, ora in
Storia e filosofia. Saggi sulla storiografia filosofica, Torino, Einaudi,
Discorsi di religione, ora in La religione, Firenze, Sansoni, Si pensi agli
interventi di Gentile a difesa della riforma scolastica (Scritti
pedagogici, La riforma della scuola in Italia, cit.), nei quali prevale,
sull’idea del confronto fra pensiero laico e cattolico, il concetto dello
Stato non agnostico ma educatore, per concludere che in Italia, se lo
Stato è coscienza attiva nazionale, coscienza dell’avvenire in funzione del
passato, coscienza storica, esso è coscienza religiosa cattolica Sul
laicismo e la concezione gentiliana come elemento essenziale della tradizione
nazionale italiana, L'Enciclopedia italiana Gentile cercò di
contrastare l’offensiva cattolica, come dimostrano l’organizzazione
iniziale delle sezioni di argomento religioso e i loro successivi cambiamenti.
La sezione materie ecclesiastiche affidata a Tacchi Venturi, di cui
aveva parlato Treccani, non compare nel Primo elenco di collaboratori
dell'inizio quando le trattative col Vaticano segnavano il passo;
appaiono invece quella di
Filosofia, Educazione e Religione
sotto la direzione di Gentile, conforme alla concezione per cui la religione solo idealmente è distinta da LA
FILOSOFIA, laddove in realtà ogni religione è sempre una filosofia, e
ogni filosofia, se degna del suo nome, è una religione !, la sezione Geografia sacra sotto la guida di Gramatica, e quella di Storia delle Religioni con Pettazzoni, che fra i primi aveva
introdotto stabilmente in Italia la corrispondente disciplina, cui
Gentile riconosceva, sia pur con alcune cautele, validità scientifica. Nel
primo volume dell’Enciclopedia invece, uscito subito dopo i Patti Lateranensi,
la generica sezione Materie ecclesiastiche diretta da Venturi
(probabilmente non limitata all’agiografia sacra o alla liturgia) si
affianca a quelle già citate di Gramatica e Pettazzoni, alla sezione diretta da
Gentile che assunse il titolo
Storia della Filosofia e Storia del Cristianesimo dove, accanto alla significativa
scomparsa della Pedagogia e della
Religione (non sappiamo se come
la prima assortbita dalla Filosofia o dalle
Materie ecclesiastiche ), si registra il tentativo gentiliano di
controllare tramite Omodeo, come vedremo la Storia del Cristianesimo . Filosofia e pedagogia e
Storia del cristianesimo
risultano distinte, entrambe sempre dirette da Gentile; ma poco
dopo, nei primi mesi del 1931 (vol. XI),
Storia del cristianesimo è
scom le osservazioni di A. Lo Schiavo, La religione nel pensiero di
Giovanni Gentile, in La Cultura. Il
carattere religioso dell’idealismo italiano, ora in La religione, la
recensione alla Storia delle religioni di G. Foot Moore. parsa:
assieme al ritiro di Omodeo, ciò può essere interpretato come un indebolimento
della posizione gentiliana in questo settore, e un rafforzamento
delle Materie ecclesiastiche di Tacchi Venturi. L'offensiva
ecclesiastica è evidente anche nel campo dei collaboratori: mentre nel
Prizzo elenco gli ecclesiastici sono 34 (pari al 2,4% del totale dei
collaboratori), di cui solo 5 gesuiti (di fronte a 13 francescani), nell’Enciclopedia
sono già nella percentuale in cui parteciperanno a tutta l’opera oltre il
4%, di cui il 27% è formato di gesuiti che costituiscono il gruppo più
numeroso; appaiono fin da ora i più eminenti: oltre a Venturi,
Bricarelli, Rosa e Vaccari e, se si eccettuano Omodeo e Pincherle (storia
del cristianesimo), egemonizzano gli argomenti religiosi (agiografia e
storia della chiesa in particolare); accanto agli ecclesiastici,
nel I volume appaiono anche professori di Istituti cattolici romani
e della Cattolica questi ultimi in numero di 6
che, osservava La Civiltà cattolica, per sincerità di fede affidano chi
consulti quest’opera 1°,
L'assalto cattolico all’Enciclopedia era cominciato meno di un mese
dopo la costituzione dell’Istituto Treccani e prima ancora che fosse
annunciato l’accordo intervenuto con le autorità ecclesiastiche: Gemelli
fondatore della Cattolica e paladino della neoscolastica, e uno dei
maggiori critici dell’attualismo aveva
offerto il contributo suo (gratuito) e dei suoi
amici proponedo per sé temi di psicologia !, di cui si occuperà
nell’Exciclopedia assieme all’altro argomento in cui era competente , la Neoscolastica,' voce tutta
impostata in senso anti-idealistico, confutando coi fatti il
giudizio negativo espresso politicamente su di lui e su tutta la cultura
cattolica dal gentiliano Giuseppe SAITTA!. Busnelli], L’
Enciclopedia Italiana , in La Civiltà cattolica. AEI, Lettere, Gemelli.
152 Rusticus [Saitta], L’Enciclopedia cattolica, in Vita nova . L’infaticabile
Gemelli ha lanciato Gentile accetta la collaborazione di Gemelli e
del gruppo neoscolastico, seguendo il criterio per cui l’opera
doveva essere specchio fedele di tutte le correnti intellettuali del paese. A
questo criterio si ispirò anche Omodeo, cui Gentile affidò fin dall’inizio
l’organizzazione del settore religioso da lui diretto. Lo storico del
cristianesimo, le cui lettere e la cui nota vicenda personale sono guida
illuminante per seguire il peso crescente assunto all’ interno
dell’Enciclopedia da Venturi e dagli ecclesia stici (soprattutto
gesuiti), preparò elenchi di voci sull’esempio della Britannica cercando di
impedire, con una trattazione storica degli argomenti, gli interventi
dogmatici dei collaboratori cattolici, e assicurò il contributo di
esponenti dei diversi indirizzi religiosi: gli allievi di Buoniaiuti con
in testa Pincherle !, e il gruppo l’idea di contrapporre alla enciclopedia
Treccani diretta dal Gentile una enciclopedia cattolica. L’idea è buona,
anzi ottima, e noi l’approviamo, perché cosi l’illustre frate che ha il
merito di aver fondato un Istituto Universitario del Sacro Cuore, di cui
ancora ignoriamo i risultati, dimostrerà per l'ennesima volta che il pensiero
cattolico nulla ha da dire di veramente nuovo nel dominio scientifico. Si
fa presto a trovare i milioni, ma ciò che è difficile, difficile assai, è
trovare le teste, e di teste colte, sapienti, con tutta la buona volontà,
non ne scopriamo molte nel campo cattolico . Scrive a Gentile: Non sono riuscito a intendere bene il
criterio secondo cui è stabilito lo sviluppo da dare alle singole voci.
Noto che anche gli argomenti cattolici sono contenuti entro limiti molto
pi ristretti che nell’Enciclopedia Britannica. Ciò non può dipendere dal
fatto che sono aumentate le voci. Le voci aggiunte non mi pare che
superino i nomi di teologi e pastori protestanti da me depennati l’anno
scorso dagli elenchi dell’Enciclopedia Britannica. Può darsi che questo
sia un criterio già fissato (di restringere gli argomenti di storia
cristiana ed ecclesiastica). Badi però che c’è un pericolo, specialmente
con la collaborazione dei cattolici: di rendere questa parte dell’Enciclopedia completamente
insignificante come i trattati e i manuali correnti nei seminari, che
nessuno consulta. Massima obbiettività e pura esposizione dei problemi:
sta bene. Ma quella gente non si contenta di questo. Vuole che i problemi
siano ignorati, il che significa tradire lo scopo principale
dell’Enciclopedia. È di ieri la condanna d’un manuale ortodossissimo di
storia ecclesiastica corrente nei seminari, pel solo fatto che
onestamente informava dei punti + Ag dei non ortodossi (Gentile-Omodeo,
Carteggio). A Gentile: Ognuno del loro gruppo sceglierà le voci che
meglio rispondono alla loro preparazione e le tratterà. Ciò non vincola
menomamente l’atteggiamento che noi o essi crederemo o crede ranno di
prendere in altre opere, negli apprezzamenti reciproci. L’Encidi Bilychnis per la storia del protestantesimo. Ma
le sue lettere a Gentile rivelano le pressioni e poi il deciso intervento
censorio degli ecclesiastici, che forti degli accordi, costringeranno
Omodeo ad abbandonare il lavoro all’Enciclopedia, dove sarà sostituito da
Pincherle ', Da questo momento i gesuiti predomineranno nel
settore, e La Civiltà cattolica ,
stendendo un bilancio dei primi tre volumi dell’opera, poteva profondersi
in lodi, pur lamentando che parecchie voci fossero state affidate a
laici non solo, ma di sensi non cattolici, quali il Pincherle e l’Omodeo.
Una particolare menzione merita il saggio consiglio preso dall’Istituto
Treccani di affidare in avvenire la direzione della Sezione Materie
ecclesiastiche e la compilazione degli articoli nei quali più facilmente
possono trascorrere abbagli ed errori, ad ecclesiastici dell’uno e
dell’altro clero, italiani e stranieri, uomini tutti di sicura dottrina
nel campo della sacra letteratura. C'è dunque ragione di stare a
buona speranza che per quel che riguarda direttamente la Chiesa, il
dogma, la storia ecclesiastica, la liturgia e le altre parti della
dottrina e della scienza cattolica, non s'incontreranno quei difetti,
talora gravissimi, che scemano il valore e la stima di altre
enciclopedie, compilate con troppa assoluta indipendenza, ignoranza o anche
disprezzo del pensiero cristiano e cattolico. Oltracciò convien
notare come i Direttori dell’Enciclopedia, Gentile e Tumminelli, insieme col Consiglio
direttivo dell’Istituto Treccani, mentre lasciano agli scrittori la piena
libertà d’esprimere il concetto cristiano e cattolico e il giudizio dei
fatti secondo il criterio della soda indagine ecclesiastica, promettono
di invigilare che anche in altri articoli indirettamente attinentisi
alla religione cattolica e alle materie ecclesiastiche non vengano
sostenute o insinuate sentenze o critiche contrarie o malfondate !9?. Il
giudizio dell’autorevole rivista suonava monito per il futuro, non solo
per le voci di argomento religioso. L’enciclopedia rifletterà obiettivamente la
situazione presente della cultura italiana. A Gentile. ibidem, ed Omodeo, Lettere, Torino,
Einaudi, in particolare la lettera a Gentile [G. Busnelli],
L’Enciclopedia italiana cacia del controllo ecclesiastico, su cui
esistono testimonianze di contemporanei e che sarà verificata più avanti,
poggiava ormai sulla nuova situazione politica e culturale creata dalla
Conciliazione. Con il contrasto fra cattolici e idealisti si
trasformò in aperta frattura, registrata immediatamente dal CONGRESSO DI
FILOSOFIA che vide lo scontro fra Gentile e Gemelli. Il pericolo
dell’ingerenza cattolica fu avvertito subito da Gentile, che cercò di
reagire attaccando il dogmatismo neotomistico '? e sottolineando
il carattere religioso dell’attualismo, La funzione da lui svolta
era tuttavia destinata a indebolirsi con la nuova alleanza stabilita dal
regime, e l’Enciclopedia diverrà luogo di uno scontro sempre più duro con
i cattolici apertamente incoraggiati dalla messa all’indice delle opere
di Croce e Gentile. Il quadro storico generale in cui nacque e fu
realizzata l’idea dell’Enciclopedia fin qui tracciato ha contribuito a
spiegare le sue origini nel clima di riscossa nazionale del dopoguerra, e
la funzione di assorbimento di intellettuali di diversa formazione da essa
svolta, e in vista della creazione dello Stato totalitario; cercheremo
ora, attraverso la lettura interna dell’opera, di chiarire le scelte
culturali operate, che non possono essere dedotte Minimizzato da Volpe,
il controllo ecclesiastico è invece ritenuto esteso a tutti gli argomenti da
Calogero, Mussolini, la Conciliazione e il congresso filosofico in La Cultura , e testimoniato da
Vida, ad es. le dichiarazioni di
Gentile riportate in Educazione
fascista Alla lettera con cui Salvadori
rifiutò l’invito gentiliano di collaborare all’E.I., opera dove la
filosofia dominante nega Dio vivo e vero per adorare la divinità dell'uomo (pubblicata postuma da A. Frateili,
Vita e poesia di Salvadori, in Pègaso ;
ora in Lettere di Salvadori scelte e ordinate da Trompeo e Vian, Firenze,
Le Monnier), Gentile rispose qualificando
giudizi temerari: 1) che nella detta Enciclcpedia domini una filosofia
(che non è vero); 2) che la mia filosofia neghi il divino vivo e vero
(che è falso); 3) che adori il divino dell’uomo (che è un equivoco molto
grosso) (Giornale critico della filosofia italiana). meccanicamente dal
rapporto col clima politico in cui vennero attuate, anche se di questo dovremo
tenere conto. Centro di raccolta dei maggiori studiosi italiani,
rappresentanti non solo quando li uni la politica di conciliazione
di Gentile differenti indirizzi di pensiero !, l’Enciclopedia fu
considerata allora come uno strumento capace di promuovere studi e
ricerche in campi fin allora inesplorati dalla scienza italiana. Nell’impossibilità
di controllare questa affermazione, ci limiteremo a verificare il
giudizio di quanti vi hanno visto l’espressione di una cultura accademica
impermeabile al fascismo, positiva ,
costituita di fatti e di informazioni, contro la quale polemizzeranno, in
un ambiente sempre più chiuso alle moderne esperienze
contemporanee, i nuovi mistici della fede cattolica o della dottrina fascista . Sarebbe tuttavia da
verificare l’accenno di Volpe alla diminuzione del numero dei collaboratori per
volume, che potrebbe indicare una maggiore progressiva uniformità di
voci. ad es. Pincherle, per il quale l’E.I. riproduce in sostanza
lo stato odierno della cultura italiana, con i suoi pregi e anche, è
naturale, con le sue deficienze: a riparare alle quali la preparazione di
un'Enciclopedia è appunto stimolo efficace più di tanti discorsi, e
Gentile: è già interessante vedere come quest’alta cultura italiana abbia
avuto dall’Enciclopedia uno sprone e uno stimolo a misurarsi in campi
finora trascurati. L’Enciclopedia ha fatto sî che, p. es., ci siano ora
degli storici italiani (e questo è un fatto nuovo) che si occupano di
proposito di storia delle altre nazioni, dall'Europa all’Estremo Oriente.
Non uno o due specialisti, ma parecchi, e, quel che più importa, giovani
(L’Enciclopedia Italiana, in Rassegna
italiana politica e letteraria . Tanto che Volpe potrà dire che l’E.I. fu, per
dieci anni, un gran porto di mare; fu la vera Universitas studiorum non
di Roma o d'altra città ma di tutta Italia e, un poco, di tutta Europa. E
un uomo di nome europeo, e pit che europeo, Gentile, ne era il
Rector Magnificus, sempre presente, anche se non ingombrantemente
presente. Di voci partigiane ma dignitose
ha parlato G. Devoto (Ur ricordo, in Il Corriere della sera).
Significativi il giudizio di Speranza [Luca, uno dei principali
collaboratori ecclesiastici dell’enciclopedia], Temzpo d'Enciclopedia?, in Il
Frontespizio, Chi domanda all’Enciclopedia il corso dei propri giorni e
la regola della vita terrestre ed eterna? L’Enciclopedia è ormai cosa da
positivisti ), e il modo in cui venne annunciato dalla stessa Critica fascista il Dizionario di politica del Pnf che
sarà pubblicato : prezioso repertorio dottrinale, a base del quale non
sarà tanto l'informazione quanto la valutazione di idee e fatti dal punto di
vista fascista: opera, cioè, come ben A molti dei filosofi che
hanno valutato complessivamente i contenuti dell’Enciclopedia, emblematica
delle vicende culturali del periodo fascista, è parso che in essa
permanessero i valori di una cultura impermeabile al fascismo, sia per la
presenza di eminenti personalità antifasciste, come SOLARI e MONDOLFO, sia per
l’ampiezza di settori ritenuti difficilmente influenzabili dall’ideologia
del fascismo, e dal carattere puramente espositivo, come quelli geografico e
artistico. È il caso di BOBBIO, per il quale l’opera è indiscutibilmente
la più grande rassegna che sia mai stata tentata sino ad oggi della
cultura accademica del nostro paese, e non è, se non in qualche frangia
marginale, che appare una stonatura, un’opera fascista, in quanto tutto
ciò. che vi fu di fascistico, anzi disquisitamente fascistico, nei
trentasei volumi, fu concentrato nella voce Fascismo: un’interpretazione
che, mentre coglie nell’impresa la presenza di tutto o quasi tutto lo stato
maggiore della cultura. accademica post-fascista, tende a negare qualsiasi
influenza dell’ideologia del fascismo sulla cultura, secondo la
nota tesi crociana. Né si discosta molto dalla sostanza di questa
interpretazione, pur con giudizio di valore rovesciato, Rosa, che,
attento a sottolineare la continuità del carattere di classe della
cultura borghese prima e durante il fascismo, si limita con Momigliano a
rimproverare agli intellettuali che parteciparono all’impresa che, collaborando, si collaborava inequivocabilmente
ad un’opera del regime , osservando tuttavia che in questo caso la fascistizzazione della cultura non
comportò neanche un’appropriazione ideologica, come quella verificatasi nel
campo della scuola, ma soltanto la gestione istituzionale di ampi settori
d’intellet sanno i collaboratori che vi attendono fervidamente, di
impostazione e di finalità politiche, e non di una pura e semplice
enciclopedia cultu rale (Mattei,
Cultura fascista e cultura dei fascisti. Bobbio, La cultura e il fascismo, in
AA.VV., Fascismo e società italiana, a cura di Quazza, Torino, Einaudi,
tuali di tendenze e opinioni diverse. Solo Badaloni, cogliendo la
novità rappresentata dal fascismo anche in campo culturale, ha avanzato
l’ipotesi di un legame fra l’ideologia del regime reazionario di massa e la
cultura di cui l’opera fu espressione, pur affermando che l’Enciclopedia si caratterizza certamente per l’aspetto
della continuità rispetto alla tradizione precedente, assicurata dal
ruolo svolto da Gentile, Un esame ravvicinato dell’opera permette in
realtà di individuare, accanto ai forti condizionamenti politici
del regime divenuti espliciti con il riconoscimento ufficiale
dell’iniziativa di Treccani e alla elaborazione di una cultura propria
del fascismo ', l'impossibilità dei non molti intellettuali non allineati
al regime di mantenersi autonomi all’interno di una istituzione fascista;
e, infine, il carattere non univocamente gentiliano dell’opera, non
tanto perché, come ha affermato Momigliano, Gentile si limitava in alcuni
casi a dare ai collaboratori il pane materiale mentre Croce forniva quello
spirituale, quanto perché, più in generale, l'impresa enciclopedica si
pose come coronamento di quel processo di selezione di una cultura di destra
su cui ha insistito Amendola che si era venuta rafforzando a partire
dall’età giolittiana, e, se vi fu un elemento non completamente omogeneo
a questa cultura, esso non fu rappresentato dal liberalismo di Croce,
bensî dalla componente cattolica che, Rosa, La cultura, in Storia d'Italia,
Dall'Unità a oggi, Torino, Einaudi, Badaloni-C. Muscetta, LABRIOLA,
Croce, Gentile, Bari, Laterza, Sulla cultura del fascismo. l’introduzione di Garin a Intellettuali
italiani del XX secolo, Roma, Editori Riuniti, e la recensione di Amendola al
volume di Garin (ora in Fascismzo e movimento operaio, Roma, Editori
Riuniti). Amendola, che ha tuttavia negato l’esistenza di una
cultura fascista. Non c’è stata una cultura fascista. C'è stata una
adesione politica degli intellettuali al fascismo, una accettazione del
regime sulla base di posizioni culturali molto diverse. Al fascismo
aderiscono positivisti e idealisti. Uomini di varie e contrastanti correnti
artistiche mantengono, nel quadro politico fornito dal regime, le proprie
posizioni culturali, e il regime lasciava correre (Id., Intervista
sull’antifascismo, a cura di Melograni, Bari, Laterza, mirò a sostituirsi
all’attualismo e al debole laicismo di Gentile. Definire idealistica
l’Enciclopedia, come da più parti è stato fatto !’, è insufficiente a
comprenderne la complessità e, probabilmente, la stessa capacità di durata
nella cultura italiana. Per far ciò è necessario ricordare
che l’opera di organizzazione del consenso intrapresa da Gentile e integrata,
non senza forti contrasti, dall'intervento cattolico: la constatazione
acquista tutto il suo valore, ove si pensi che all’impresa furono
interessati 3.266 collaboratori quel piccolo e rissoso e indisciplinato
mondo dei filosofi il più riottoso, individualista, disgregato ha dato e dà da
anni un esempio di adattamento al lavoro collettivo, ricorderà il
revisore-capo Bosco, e che, ad avvalorare (in positivo e in negativo) il
giudizio di alcuni studiosi sulla continuità tra fascismo e postfascismo,
l’Enciclopedia ha attraversato impunemente la caduta del regime per
presentarsi ancora oggi, immutata nei contenuti dopo cinquanta anni dalla
sua apparizione, come strumento di lavoro di studiosi e di studenti. Le
Appendici che sono cominciate a uscire non hanno potuto modificare i
contenuti generali dell’opera che, ristampata fotoliticamente mentre PRESIDENTE
dell’Istituto era diventato Sanctis, non ha sentito il bisogno, a
differenza dell’Enciclopedia britannica, di rinnovarsi col mutare
della società, degli orientamenti politici e delle prospettive culturali,
attuando cosî, molto al di là delle sorti del regime al quale è legata la
sua nascita, l’auspicio, formulato da Gentile, di veder prolungare la
nostra vita in un’opera che continuerà ad essere ricercata e apprezzata
dagl’Italiani per cui essa è stata specialmente pensata e compilata e per
gli stranieri che noi ci lusinghiamo di Essa fu qualificata un
enorme e informe cibreo idealistico-fascista
da Togliatti, Gramsci e don Benedetto, ora in I corsivi di
Roderigo, Bari, De Donato. Di enciclopedia dell’idealismo parlano Piovani, Il
pensiero idealistico, in Storia d’Italia, V.I documenti, 2, Torino,
Einaudi, Spirito, Memzorie di un incosciente, Milano, Rusconi (dove
l’opera è considerata una prosecuzione
del fascismo), Bosco, Enciclopedia Italiana,
aver legati all'Italia con nuovi vincoli di simpatia e di stima,
mentre l’Italia per l’azione potente d’un grande Uomo e d’una grande
Idea risorgeva per la terza volta a imperiale potenza e riafferma nel
mondo la sua missione. Il regime non si era limitato a condizionare
dall’esterno l’opera, ma ne aveva facilitato la realizzazione facendo
propria l’iniziativa di Treccani. Le difficoltà economiche dell’Istituto
originario insorte e aggravatesi con la grande crisi portarono ad una sua
fusione nell’ente editoriale Treves-Treccani-Tumminelli, e infine all’intervento
in prima persona del governo che, riconoscendo l’opera di interesse
nazionale, con d.l. costituî, con il finanziamento di banche parastatali,
l’Istituto della Enciclopedia Italiana fondata da Treccani, sotto
la presidenza di Marconi. A queste vicende editoriali si accompagnò un pit
stretto controllo da parte del regime e l’abbandono della politica di conciliazione perseguita da Gentile; cosî, se ancora
Gentile poteva riconoscere, nella prefazione al primo volume dell’opera,
l'opportunità di un ragionevole eclettismo e di una scrupolosa
imparzialità , spentesi le battaglie che
si erano svolte nella fase preparatoria e di cui la vicenda di Omodeo
è l'esempio più significativo, il direttore dell’Enciclopedia
notava che, perduta per via qualche forza anche ingente, non fatta per
questa disciplina indispensabile a un lavoro di questo genere, e formata
ormai la famiglia, quale io la sento intorno a me, dei direttori e
redattori, si tratta piuttosto di scaramucce e di semplici avvisaglie !?. Due
anni dopo, intervistato all’indomani del d.l., Gentile marcava la
differenza fra la situazione attuale e quella di otto anni prima,
ricordando che nel 1925 WI E.I., Appendice, ACS, Presidenza del
Consiglio dei Ministri, Ministero della cultura popolare, Treccani,
Enciclopedia Italiana Treccani. Come e da chi è stata fatta, ciGentile,
Ancora delle tribolazioni di un enciclopedista. Come d Dee e si cuce îl
libro per tutti, in Il Corriere della
sera , la collaborazione alla Enciclopedia venne aperta a quanti avevano
una fama sicura ed una competenza accertata nei vari rami delle lettere,
delle arti e delle scienze. Forse fu un errore. Ma allora, mentre
vivevano ancora i vecchi partiti, si pensava che la nostra Enciclopedia
potesse fare opera di concordia, accogliendo uomini che, benché non
fascisti, avevano accettato il programma dell’Istituto che si inspirava alla
coscienza del glorioso passato del popolo italiano e a quegli alti
destini cui esso può e deve aspirare; seguiremo fedelmente le direttive
che il Duce ci ha impartito, concludeva rispondendo a una domanda sui propositi
per l’avvenire !. È naturale che Il
Tevere non riprendesse le
polemiche, ma si limitasse a notare come l’opera per l'ampiezza del testo
e per la profonda dottrina della compilazione avesse assunto il carattere di grande Enciclopedia nazionale.
Tanto pi che, a convalidarne l’aderenza al regime agli occhi di quanti vi
avevano criticato uno spirito quanto meno afascista, meno di un anno
prima della costituzione del nuovo Istituto sull’Enciclopedia era stata
pubblicata la voce Fascismo firmata da Mussolini, subito presentata come
la massima espressione della dottrina del fascismo. Non mancarono
tuttavia, anche in questa fase, feroci attacchi all'opera da parte
de La Vita italiana di PREZIOSI e de Il Secolo fascista di Fanelli ‘, l’anti-gentiliano ben visto
negli ambienti cattolici ‘ e autore del pamphlet Contra Gentiles nel quale
sosteneva che nell’Exciclopedia i gentiliani Origini e finalità della monumentale
opera, in La Stampa Il nuovo atto costitutivo dell'Istituto dell’Enciclopedia
italiana firmato alla presenza del Duce, in Il Tevere All’apparizione dell’enciclopedia il giornale
aveva commentato: quanto ai gesuiti, si può star tranquilli: giacché a
curare, dell’Enciclopedia, la parte di cultura religiosa è stato
propriamente Venturi. Nel cantiere dell’Enciclopedia, in Il Tevere. La Vita italiana IT? Il
Secolo fascista ad es. la recensione di Bobbio a Contra Gentiles di Fanelli. Studium.. hanno
organizzato con una perfidia senza precedenti, la controrivoluzione, demolendo
sistematicamente tutti i valori esaltati dal fascismo, mistificando e
stravolgendo il significato delle sue istituzioni. Ma furono voci
minoritarie, espressione di divergenze ideologiche e culturali, non
politiche. Dubbi di natura politica, probabilmente collegati a lotte di potere
scatenatesi per il controllo dell’Istituto, furono avanzate solo in un
rapporto anonimo a MUSSOLINI, secondo il quale fra i collaboratori dell’opera
vi erano parecchi anti-fascisti, e veniva lasciata troppo mano libera ai
compilatori di cui son note le idee antifasciste. Ma Gentile poté
replicare di essere stato autorizzato esplicitamente da Mussolini a
mantenere le collaborazioni di Sanctis e di Vida, che avevano rifiutato il
giuramento imposto ai professori universitari, e di esercitare un ferreo
controllo sulla redazione e sull’esecuzione di tutta l’opera. Nella
scelta dei collaboratori esterni posso assicurare che si tiene il massimo
conto delle tendenze politiche degli scrittori scartando tutti gli
antifascisti. Come posso altresi assicurare che nessun collaboratore, in
nessuna materia, ha mano libera; e tutti gli articoli sono soggetti
a rigorosa revisione, Nelle sue memorie, del resto, Sanctis non si mostra
cosciente del significato politico dell’Enciclopedia e quindi della sua
partecipazione !, mentre Levi Della Vida ricorderà di essere stato
convinto a collaborare dopo un primo rifiuto dalla promessa di non
politicità dell’opera fatta da Gentile, pur riconoscendo che senza dubbio
non può non avvertirsi in alquante voci delFanelli, Contra Gentiles.
Mistificazioni dell’idealismo attuale nella rivoluzione fascista, Roma,
Biblioteca del Secolo fascista, anche,
per l’accusa mossa all’E.I. di aver
massacrato la storia di Roma, Bortone, Mito e storia di Roma
durante il fascismo, in
Palatino Felice, Mussolini il
duce, I, Gli anni del consenso Torino, Einaudi, Sanctis, Ricordi della
mia vita. Scrivendo a Ricciotti, in qualità di presidente dell’Istituto,
Sanctis dirà di voler continuare l’Ernciclopedia evitando peraltro,
grazie al nuovo clima di libertà, quelle sia pur lievi concessioni che la
prima edizione ha dovuto fare ai tempi
(AEI, Lettere, Ricciotti). l’Enciclopedia il clima peculiare
all’Italia di quel tempo, ma direi che ciò è fatto con una tal
discrezione, colla preoccupazione, si direbbe, di non dar troppo nell’occhio: a
ogni modo confesso che mi sentirei forse più in pace colla mia
coscienza se avessi persistito nel rifiuto. Ciò che emerge con chiarezza
dalla vicenda dell’Enciclopedia è lo sforzo del regime, che appare in larga
parte riuscito, di organizzare il consenso degli intellettuali. Questa
novità del fascismo era colta con difficoltà dagli antifascisti; più attenti ai
problemi della cultura e degli intellettuali furono gli esponenti di
Giustizia e Libertà, fra i quali Venturi, che afferma: Sono
abbastanza noti i provvedimenti presi dal fascismo per organizzare i corpi
armati contro gli italiani oltre che contro gli stranieri, e gl’istituti
finanziari ed economici a favore di pochi arrivati al potere. Ma non è ancora
stato analizzato il successo del fascismo nel promuovere la cultura in
Italia. Mussolini ha compreso l’importanza di una cultura foggiata a
sostegno del regime, e, privo di ogni ideale da offrire come meta
all’intelligenza, convinto che solo il denaro può interessare gli uomini,
ha largheggiato di mezzi verso gl’intellettuali in un modo inconsueto in Italia.
Ma anche gli esponenti di Giustizia e Libertà non coglievano il contenuto
di classe di questa nuova cultura, e la capacità del regime e poi dei cattolici
di improntarla delle proprie ideologie. Può quindi essere utile un
sondaggio che, pur limitandosi a tre settori di voci dell’Enciclopedia
politiche, storiche, religiose, cerchi di valutare i contenuti culturali
dell’opera nel più generale contesto politico in cui fu realizzata: non
tanto per rilasciare patenti di fascismo e di antifascismo a singoli
collaboratori, quanto per vedere se nei loro contributi emergessero o meno
elementi funzionali all’ideologia che il fascismo veniva elaborando. Con
ciò non si potrà ritenere esaurito, del resto, l’esame dell’opera, in cui
ampio è l’apparato di voci illustrative (tecniche, geografiche e
artistiche); anche Vida, Fantasmi ritrovati, Travi (Venturi), La cultura
italiana sotto il fascismo, in Quaderni di Giustizia e Libertà, se un
ulteriore approfondimento dovrà valutare fino a qual punto queste ultime possano
essere considerate esposizioni asettiche, dal momento che, ad esempio, un
geografo come Almagià, ben inserito nelle istituzioni culturali e
negli organismi politici del regime e direttore, con Biasutti, della
sezione Geografia dell’Enciclopedia, poteva affermare che le
trenta pagine dedicate alla geografia dell'Albania costituivano uno spazio non certo soverchio,
relativamente alla importanza che questo paese ha oggi per l’Italia. Resteranno
fuori dalla nostra analisi, fra gli altri, due settori molto
importanti, quello filosofico e quello scientifico. Il primo, com'è
naturale, fu più direttamente controllato da Gentile, la cui influenza è
facilmente avvertibile; ma può essere interessante notare come in esso
non manchino anche riferimenti all’attualità politica: la trattazione
dell’Idealismzo offre ad esempio a Calogero l’occasione per osservare
che dalla sinistra hegeliana muovevano quei pensatori che, come
Marx, Engels e Lassalle, tradussero il dialettismo genetico
dell’idealismo in un evoluzionismo naturalistico, condannando ogni
spiegazione delle cose che non si riferisse nudamente alle ferree leggi della
natura e tramandando tale fiero odio per ogni ideologia e idealismo fino ai
giorni nostri, in quei paesi, come la Russia, che da essi hanno mutuato
la concezione politica. D'altro lato, Spirito considera come filosofia del
fascismo, sia pur allusivamente, l’Attualismo, che ha condotto alla definitiva negazione
della filosofia come metafisica e alla sua identificazione con la storia
e con la vita. Questo spiega come l’attualismo non sia rimasto un puro
sistema filosofico, ma sia penetrato in tutti i campi della cultura e
della vita politica, e abbia condotto a un profondo rinnovamento
della coscienza nazionale. Almagià, La geografia nella Enciclopedia
Italiana, in Bollettino della R. Società geografica italiana. Biasutti-Almagià,
Le geografia nella nuova Enciclopedia italiana, in Atti del X congresso
geografico italiano, Milano, Capriolo e Massimino. Particolari cure sono
rivolte all’Italia, alle sue colonie, ed ai paesi che sono in più stretti
rapporti col nostro. Nel settore scientifico, in particolare per quanto
riguarda la storia della scienza dove fu dato largo spazio al genio
italiano, si assiste invece a una divisione del lavoro tra studiosi non
attualisti e gentiliani. Spirito aveva sostenuto, al CONGRESO DI FILOSOFIA,
l’identificazione di filosofia e scienza, spingendo Gentile a riconoscere
l’importanza della storia della scienza per la stessa ricerca
scientifica; ed è proprio Spirito l’autore della voce Scienza nella
quale, dopo aver tratteggiato storicamente il problema dell’unità o della
distinzione tra scienza e filosofia, oppone a CROCE, teorico del
dualismo, il Gentile negatore di ogni distinzione tra concetti puri e
concetti empirici, e rivendica a se stesso e ad Volpicelli il merito di aver
tentato di dimostrare che la distinzione dialettica dei momenti, essendo
implicita in ogni procedimento logico non può caratterizzare in concreto
la differenza di determinate scienze empiriche e filosofiche, e che la
distinzione di diversi gradi filosofici, naturalistico e idealistico, deve
essere superata anche nel campo delle scienze particolari. Il dualismo fu
allora superato solo apparentemente, nonostante la volontà degli
attualisti di impadronirsi della tematica scientifica da un punto di
vista filosofico. Enriques, lo storico della scienza che dirigeva la
sezione Matematica, concludeva
significativamente cosî una lettera a Gentile in cui illustrava le
proprie idee sulla redazione della voce Scienza: niente impedisce se
l’articolo Le apparirà manchevole che sia integrato da un successivo
articolo filosofico, nel senso che la parola ha per Lei, diverso
dal mio. Fu questo il criterio che, se non fu adottato per questa
voce, guidò la redazione di molte altre di carattere storico-scientifico,
che vennero suddivise in due parti: una Gentile, Introduzione alla
filosofia, Milano-Roma, Treves-Treccani-Tumminelli, A1 fatto che Gentile
dette una certa estensione alle
voci di storia della scienza nell’Enciclopedia accenna Bulferetti, Gli
studi di storia della scienza e della tecnica in Italia, in Nuove
questioni di storia contemporanea, Milano, Marzorati, AEI, Lettere,
Enriques. più propriamente scientifica, riservata a studiosi di formazione
positivistica, e una filosofica, affidata ad attualisti, come nel caso di
GALILEO, scritta da Marcolongo e Allmayer, o di VINCI, dove accanto ai
vari specialisti della multiforme attività dello scienziato volle
apporre la sua firma lo stesso Gentile. L’esame delle principali voci di
carattere politico conferma pienamente l’esistenza non solo di una
ideologia, ma anche di una cultura fascista, attraverso la quale il
regime cerca di costruirsi una legittimazione storica. Resta ancora da
compiere una ricognizione degli studi di scienze politiche che si vennero
elaborando in Italia tra le due guerre mondiali e che, non limitandosi a
ricostruire le discussioni metodologiche sulla storia delle dottrine politiche,
sia attenta al legame con la tradizione inaugurata da Mosca, Pareto e
Michels, e a quello tra elaborazione teorica e ricostruzione storica, al
rapporto con la politica sviluppata dallo Stato fascista e alle istituzioni in
cui questi studi si concretizzarono, in un momento in cui, proprio
a partire dal 1924, furono create le prime Facoltà di scienze
politiche dalle quasi ci si attendeva la formazione di una nuova classe
dirigente. Le voci enciclopediche sono solo una spia della estrema
ideologizzazione cui era soggetta questa tematica, e della fortuna della
concezione gentiliana dello Stato, che più di quella di Croce cercò di
affrontare il problema dell’emergere delle masse sulla scena
politica nazionale, Non ci sembra di poter condividere
l’opinione di Bob ad es. Testoni, La storia delle dottrine politiche in
un dibattito ancora attuale, in Il Pensiero politico Un interessante tema di ricerca suggerisce in
questo senso Montenegro, Politica estera e organizzazione del consenso. Note
sull’Istituto per gli studi di politica internazionale., in Studi Storici le
osservazioni di Racinaro, Intellettuali e fascismo, in Critica marxista--
Bob bio che la presenza dell’ideologia fascista nell’Enciclopedia sia
avvertibile solo nella voce Fascismo. Anche se gia Treccani aveva potuto
affermare, ringraziando Mussolini per la promessa fatta a Gentile di
collaborare per questa voce, che
l’Enciclopedia non poteva ottenere pit importante e significativo
suggello del carattere suo, di opera italiana del regime !, la voce, scritta frettolosamente da
Gentile per la prima parte ( Idee fondamentali ) e da Mussolini per la
seconda (Dottrina politica e sociale) !", non è, all’interno
dell’opera, l’unica né, forse, la più articolata espressione dell'ideologia e
della cultura politica del regime. Uscita nello stesso anno in cui Croce
pubblicava il manifesto del liberalismo, la Storia d’Europa, quella che i
contemporanei considerarono la summa dottrinale del fascismo colpisce
infatti per la sua genericità, dovuta probabilmente anche alla volontà di
non dare appigli a quanti, all’interno del regime, cercavano di
appropriarsene la dottrina. Se la
mano di Gentile è
indubitabile, come rilevarono subito i commenti degli antifascisti La
Libertà sottolineò nella voce la concezione dello Stato propria del
filosofo della Enciclopedia Treccani, mentre Lo Stato operaio colse nella
prima parte dello scritto la marca di
fabbrica della ditta intitolata a Gentile
!, non è meno significativo il fatto che i commentatori di parte
fascista non dessero un particolare rilievo alla influenza attualista, e ciò
non solo per piaggeria verso Mussolini, che aveva firmato tutta la
voce. Un accenno, sia pure sfumato, vi è solo in Bottai più vicino al filosofo siciliano il quale
osservò che con la Dottrina del fascismo la cultura moderna era
giunta a Treccani a Mussolini (ACS,
Segreteria particolare del Duce, Carteggio riservato). Segreteria particolare del Duce,
Carteggio ordinario, e la testimonianza di A. Iraci, Arpinati
l'oppositore di Mussolini, Roma, Bulzoni. A parte questo caso,
l’attribuzione di alcune voci non firmate si basa sulle lettere e sullo
schedario per autori conservati presso l'Archivio dell’Enciclopedia
italiana. IL DUCE-FILOSOFO E LO STATO FASCISTA, in La Libertà; Donini, Il
fascismo secondo Mussolini, in Lo Stato operaio quella critica del
socialismo e del liberalismo, a quel senso realistico della storia e a
quel pensiero idealistico, che sono stati, prima oscuramente ora
chiaramente, i caposaldi del pensiero mussoliniano. Gli anti-gentiliani
furono invece assai espliciti nel distinguere la dottrina del fascismo
dall’attualismo: non solo, naturalmente, Fanelli, ma anche Carlo
Costamagna, autore di parte della voce Corporazione: dopo aver affermato che il
fascismo, pur possedendo una dottrina, non può e non deve possedere una
filosofia, perché non esistono verità
assolute, eterne e universali, fuori del dogma religioso per il credente,
nota che l’attivismo fascista è lo
sforzo ad impadronirsi della realtà e a dominarla, e nulla ha di comune
con quell’attualismo neo-hegeliano che, nell’illusione di assorbire e
superare il razionalismo e il materialismo, coi soliti espedienti
dell’astrazione, non ha saputo apprestare se non una esercitazione di
parole, buona a giustificare qualsiasi comportamento pratico, ricadendo negli
eccessi dialettici propri ad ogni filosofia delle epoche di decadenza ! E particolare significato assume il
commento della rivista ufficiale di Mussolini, Gerarchia, che sembra
attaccare, oltre a Gentile, gli esiti di sinistra del gentiliano Spirito
quali si erano manifestati, nel maggio [ II secolo di Mussolini, in
Critica fascista. Bottai insisteva su una presentazione di sinistra
della dottrina del fascismo: nega l’ideologia marxista, ma
accoglie il movimento operaio, dandogli un posto giuridico-politico nello
Stato; nega l'ideologia democratica, ma non intende restituire gli individui
alla condizione di bruti privi di dignità spirituale, come sarebbe in uno
Stato di polizia ; La dottrina del
fascismo, che non ignora né l’esperienza democratica né quella
socialista, concepisce lo Stato come il sistema dei diritti-doveri degli
individui organizzati per raggiungere i più alti fini etici della
personalità umana (nella sua concretezza nazionale), e non può fare a
meno di tendere verso una giustizia sociale che, in regime liberale, non
poteva non essere calpestata. In questo senso se il nostro secolo, come
dice Mussolini, sarà un secolo di destra, esso, proprio perché è il
secolo dello Stato (se lo Stato non è, e non dev'essere, strumento della
prepotenza dei pi forti), sarà un secolo di sinistra. E l’organizzazione
corporativa italiana ne è una prova . Bottai sarà autore della voce
Corporativismo nell’Appendice. Fanelli, Contra Gentiles. Costamagna,
Pensiero ed azione, in Lo Stato, precedente, al II Convegno di studi
corporativi di Ferrara: la parola di Mussolini poneva fine, secondo la
rivista, al tentativo delle varie correnti culturali italiane di
monopolizzare la dottrina del fascismo, la quale fu identificata anche con
il benedetto, onnipresente liberalismo: sia con quello vero, che,
partendo dal mito delle intangibili libertà individuali, si ferma allo
stato come complesso di servizi utili e giungeva, al massimo, ad accettare
un forte stato di polizia, guardiano notturno dell’ordine pubblico; sia col
liberalismo ancora pié vero, che dalla base della fantastica acrobazia
dialettica della identità assoluta fra stato e individuo, finiva,
logicamente, con l’identificare la dottrina fascista con l’utopia comunista. Colpisce
infatti, soprattutto nella parte sulla
Dottrina politica e sociale, che alle istituzioni corporative
sia fatto solo un cenno assai rapido, nonostante che l’elaborazione della
dottrina corporativa fosse andata molto avanti, e nella voce si insista sul
fatto che proprio dopo la crisi
chi può risolvere le drammatiche contraddizioni del capitalismo è lo
Stato . Il motivo, suggerito da Gerarchia, è reso esplicito da Vita nova,
la rivista del gentiliano Saitta, per il quale dopo il mirabile articolo
del Duce sulla dottrina del fascismo, pubblicato nell’Enciclopedia
Treccani, discutere sulla struttura filosofica e politica della relazione
Spirito al Convegno di studi corporativi, è non solo vano ma temerario,
in quanto la corporazione proprietaria ci riporterebbe pari pari
all'esperienza bolscevica. Nonostante queste prese di distanza ma è da
ricordare che anche Gentile precisò il suo pensiero rispetto a quello di
Spirito, risulta evidente la marca di fabbrica gentiliana della voce, anche se
alcuni passi possono ricordare formulazioni di Rocco: cosî nella dichiara[Caparelli,
La dottrina fascista nel decennale, in Gerarchia Aquarone, L'organizzazione
dello Stato totalitario, Noi, La corporazione proprietaria, in Vita nova, ad
es. il discorso di Rocco, La dottrina zione del carattere assoluto
dello Stato e nell’affermazione della preminenza dello Stato sulla nazione
fatta in implicita polemica con i nazionalisti, che sarà ripetuta da
Battaglia in Nazione, e non sarà negata nella voce Nazionalismo di
D'Andrea e Federzoni, preoccupati solo di dimostrare le origini
antidemocratiche del nazionalismo europeo, e contestare la primogenitura
francese sul nazionalismo italiano di Corradini; o nel paragrafo sulla
religione cattolica, in cui si dice che
il fascismo rispetta il Dio degli asceti, dei santi, degli eroi e
anche il Dio cosi com'è visto e pregato dal cuore ingenuo e primitivo
del popolo . Pi accentuata che non in Gentile è invece la negazione
del secolo del liberalismo, che vide, al contrario, la vittoria di
Napoleone III e di Bismarck il quale non seppe mai dove stesse di casa la
religione della libertà e di quali profeti si servisse, e, nel
Risorgimento italiano, l’apporto decisivo di Mazzini e Garibaldi, che
liberali non furono. Ciò che comunque interessa rilevare, al di là della
ricerca delle sue fonti teoriche, è il fatto che la voce, pur nella sua
genericità, condensa quei capisaldi dell’ideologia del fascismo che
circolarono ampiamente negli scritti di studiosi di scienze politiche, di
giuristi, storici, economisti; né sarà da dimenticare che, oltre a essere
diffusa e commentata in numerosissime edizioni, essa nella sua parte
propriamente mussoliniana (Dottrina politica e sociale), fu premessa allo
statuto del Pnf. Non vanno quindi considerate semplici enunciazioni
propagandistiche la.negazione del materialismo storico e della lotta di
classe con espressioni in cui Gramsci coglieva l’in-flusso di Loria, o quella
del pacifismo ribadita in Pacifismo di Vecchio, l’affermazione
della vocazione impetrialistica dell’Italia fascista, e la pretesa
del fascismo di presentarsi come il superatore, e
l’inveratore, politica del fascismo, in Scritti e discorsi politici, La
formazione dello Stato fascista, Milano, Giuffrè, Per una polemica
esplicita Gentile, Origini e dottrina
del fascismo, Gramsci, Quaderni del carcere, del liberalismo classico e
del socialismo: un punto, quest’ultimo, sul quale insisterà anche Volpe nella
parte della voce dedicata alla storia del movimento fascista, in
cui cercherà di dimostrare che, nell’età della politica delle
masse, il fascismo era l’erede genuino del socialismo: come il socialismo
di MUSSOLINI che era specialmente una posizione di lotta si aprî
all’accettazione piena dei valori nazionali, cosf questi valori non
misero troppo nell’ombra quel socialismo: il quale, respinto energicamente
come partito, respinto anche come dottrina e come filosofia a fondo
materialistico, rimase come sentimento, rimase come simpatia per il mondo del
lavoro, come aspirazione a liberare le masse dal giogo del partito e dalla
corruzione della politica, allo scopo di promuoverne l’autoeducazione,
farne l'artefice diretto della propria fortuna, come del resto era nella
concezione dei sindacalisti. Con questa mistificazione si completava cosî
quella soprastruttura ideologica della borghesia italiana che,
osservò Lo Stato operaio, usa ora nuovi e pit raffinati mezzi di oppressione e
di sfruttamento per consolidare il proprio dominio e prolungare la propria
esistenza, Alle formulazioni di Fascismo si fa un rinvio non
solo formale nelle principali voci politiche e politico-economiche
affidate a esponenti dell’attualismo come Battaglia e Spirito. Battaglia, che
fu uno degli animatori del dibattito sulla storia delle dottrine
politiche sviluppando la distinzione crociana fra teoria e prassi
politica, tanto da ritenere che la storia delle dottrine politiche non
debba direttamente servire alle nostre attuali finalità, dimostra in
realtà, in voci come Democrazia, Partito, Stato, una stretta dipendenza
dall’elaborazione gentiliana e una precisa strumentalizzazione di questi
concetti in funzione dell’ideologia fascista. Occupandosi della
Demzocrazia nel periodo medievale e moderno, dopo aver sostenuto, sulla
traccia degli studi di Ercole sui Testoni, Battaglia, Oggetto e
metodo della storia delle dottrine politiche, in Rivista storica
italiana, comuni e sulle signorie venete che, come osserverà Chabod,
anch'egli debitore di Ercole, influirono largamente sul pensiero
storiografico fra le due guerre, con il loro assillo di cercare, ad ogni
costo, lo stato moderno già nel passato italiano, che la signoria non
è negazione sic et simpliciter del
principato popolare, ché anzi le sue origini in Italia derivano proprio
dal popolo, di cui il tiranno si atteggia difensore contro le classi privilegiate,
e dopo ‘aver osservato che l'ideale di piena democrazia vagheggiato dal
Rousseau era inattuabile, un regime di dei più che di uomini , Battaglia
nota che anche nelle società moderne la democrazia ha bisogno di alcuni
presupposti senza i quali non solo non fiorisce, bensî decade e
conrrompe i popoli. Facendo sue le tesi espresse dal liberale Bryce in
Democrazie moderne un’opera tradotta in italiano da Occhi, e che è nella
sostanza una critica da secondo le quali
la democrazia si sviluppa su un sostrato di diffuso benessere
collettivo e fiorisce solo nei paesi abituati al governo locale , pur
essendo in crisi anche in paesi evoluti come la Francia, Battaglia
conclude che in Italia la democrazia intesa come pratica di
autogoverno non ha avuto una tradizione e una linea. Lo stesso processo
unitario ci spiega ciò. L’unificazione amministrativa imposta da Torino tolse
in fondo la possibilità di quell’autogoverno locale che costituisce il
fondamento della vera democrazia e inutile fu anche l’allargamento del
suffragio, perché Chabod, Gli studi di storia del Rinascimento, Cinuant'anni
di vita intellettuale italiana, Scritti in onore di Croce per a cura di
Antoni e Mattioli, Napoli, Edizioni scientifiche italiane, Per
l’influenza di Ercole su Chabod, all’inizio della sua attività, Pizzetti, Chabod storico delle Signorie, in
Nuova rivista storica, Lu Sebbene la democrazia si sia diffusa, e quantunque
nessun paese, che ha provata, dia dei segni di abbandonarla, noi non
siamo autorizzati a ritenere, cogli uomini, che essa sia la forma di
governo naturale, e, perciò, a lungo andare inevitabile (Bryce, Democrazie moderne, Milano. L'opera
sarà ristampata da Mondadori, sempre a cura di Occhi, c’è rappresentanza
vera solo dove c’è coscienza, ciò che in Italia mancava [...; cosi] la
democrazia italiana continuò la sua vita stentata e in fondo illiberale
nel trasformismo, che palliava conati di dittature singole, finché si
dimostrò impotente ad arginare un moto come il fascismo, in parte
espresso da quelle stesse forze sindacalistiche che essa aveva
ignorato. Parallela a questa svalutazione della democrazia
condotta sul piano storico, è la negazione dell’esistenza di una vera e
propria tirannia nelle moderne società di massa (Tirannia e tirannicidio; da
notare che nell’Exciclopedia manca la voce Dittatura: c’è solo Dittatore
per l’età romana): infatti, spiega Battaglia, a parte che la pratica
possibilità della tirannia è ognora più ridotta, oggi il sistema dei
controlli giuridici e politici e la pressione dell’opinione pubblica sono tali
che la figura del despota exercitio appare affatto letteraria, Le moderne
dittature facendo appello al popolo, non solo per costituirsi attraverso
i plebisciti i titoli giuridici del potere o per sanarli se difettosi,
bensi anche per suffnagare del consenso nazionale ogni loro attività,
appaiono poggiare sulle masse più che le stesse democrazie. Insomma i
fenomeni e le teorie accennate a proposito della tirannia hanno significato con
riferimento a piccole società politiche e non agli enormi aggregati
statali moderni. Mentre Ghisalberti svaluta la funzione svolta dal
Parlamento nella storia dell’Italia liberale col fascismo invece il parlamento, che si avvia a
un'ulteriore riforma in senso corporativo, superiore alle piccole lotte d’un
tempo, restituito alla sua naturale funzione, ha svolto attiva, proficua
opera legislativa , e Volpicelli sviluppa una dura critica del concetto di
rappresentanza (Rappresentanza
politica), che nella esposizione della storia del principio maggioritario
Ruffini non è in grado di controbilanciare, Battaglia Lo Stato in
quanto organizzazione totalitaria del
corpo sociale, non può né deve agire iure repraesentationis, ma iure
proprio ; solo lo Stato corporativo fascista si afferma e si attua sempre
più come uno stato coincidente con la stessa e intera collettività
nazionale corporativamente organizzata ,
perciò appunto sarà davvero libero e generale. Anche la prima parte
della voce, scritta da Luigi Rossi, critica i vari sistemi di
rappresentanza politica. Nella voce Maggioranza Ruffini, autore svolge
(Partito) la concezione del partito unico, che sembra legarsi in parte
alla tendenza oligarchica rilevata dalla scienza come necessaria nel
partito. Non rinnegando l’ampio fondamento democratico, esalta
l’aristocrazia militante dei primi confessori dell’idea e sublima
religiosamente il capo (Duce, Fiihrer). Il partito divien stato; acquista
rilievo giuridico, assurge personalità morale; è cosî composto,
gentilianamente, il contrasto individuoStato: l’esperienza del fascismo e del
nazismo non elimina la dialettica delle tendenze, sempre operosa
nel gruppo nazionale unitariamente inteso. Appunto perché il partito
unico s'identifica con lo stato, la dialettica non è fuori dallo stato e
questo sopra di essa, indifferente, ma nello stato in quanto formazione
etica, quindi nel partito in quanto, spiritualmente viva, si svolga, si
trasformi arricchendo i suoi strumenti, i suoi organi, le sue funzioni.
Elidere ogni varietà di motivi in un’instaurazione dogmatica di principi rigidi
è vano sogno, ché oltre gli schemi irrompe la vita e il contrasto. Ciò
non esclude che questa debba ricondursi nell’ambito totalitario dello
stato, nell’unicità etica che questo rappresenta, Dove più esplicito e
dispiegato è il debito di Battaglia verso Gentile, è nella voce Stato,
riprodotta negli Scritti di teoria dello Stato, a testimonianza che
l’influenza gentiliana non fu limitata entro i confini dell’Enciclopedia. La
storia dell'idea di Stato è ricostruita de Il principio maggioritario, si
limita ad affermare che il principio maggioritario ha avuto contro di sé
nel secolo scorso tutti gli avversari delle istituzioni democratiche, i
quali spesso commisero l'errore di colpire il concetto tecnico giuridico di
maggioranza quando volevano colpire quello generico politico di
moltitudine, di massa, dal punto di vista aristocratico . Questa voce ci
sembra sopravvalutata in senso antifascista da S. Caprioli nella
riproposizione di Ruffini, Il principio maggioritario, Milano, Adelphi. Nei
termini della concezione dello Stato assoluto è condotta anche la voce
Reazione politica, in cui Battaglia afferma che sia la rivoluzione sia la
reazione hanno un motivo di verità. I! loro contrasto è la vita dello
stato, che ha sempre in sé rivoluzione e reazione come libertà e
autorità, diritto ideale e diritto positivo da riaffermare. Sempre di
Battaglia, ma più espositiva e con una nota polemica contro gli assurdi
del superuomo e il razzismo affermatisi
nella Germania nazista, è Politica, rifusa in F. Battaglia, Lineamenti di
storia delle dottrine politiche, Roma, Foro italiano, dove però la nota polemica
ora accennata viene attenuata In una lettera a Bosco Battaglia dichiarava
in funzione della concezione attualista, difesa da Gentile, contro le critiche
dei cattolici, come una delle poche dottrine o miti elaborati dal
fascismo. Cosi, all'affermazione che senza l’inversione di valori, non si
sarebbe mai potuto addivenire all’idea di uno stato interiore ai
soggetti, quale l’età moderna esige e svolge, segue la critica del
giusnaturalismo, che conosce l’individuo, astrazion fatta dai gruppi nei quali
pur vive. La società nelle sue forme molteplici gli è estranea. Si spiega
quindi come esso, liberale e indifferente, ritenendo nella tutela
giuridica esaurito il suo compito, finisca per rivelarsi impotente a
disciplinare la vita delle classi inferiori, allorquando queste nel sec.
XIX cominciarono ad acquistare il senso della propria importanza. Donde
ciò che si è detto crisi dello stato , come l’esigenza di
un'ulteriore integrazione, che, se nell’ordine pratico ha trovato la sua
realtà solo di recente con il fascismo, nell’ordine teorico già era
stata proclamata necessaria da più di un autore come Fichte e Hegel (
avere riconosciuto la spiritualità dello stato è il suo grande merito. I
suoi problemi riprenderà al principio del secolo presente il neoidealismo
italiano, rivivendoli in una esperienza affatto nuova ). Assai
estesa è l’esposizione della concezione gentiliana dello Stato
etico, tanto che Carlini accusa Battaglia di aver voluto
accreditare la filosofia di Gentile come filosofia del Pnf, rivendicando
invece l’originalità della dottrina fascista, non solo integrazione
pratica di quella gentiliana; di avervi messo le mani due volte come la Direzione
desiderava (AEI, Lettere,
Battaglia). Gentile, Ideologie
correnti e critiche facili, in Politica
sociale. Ci dicono statolatri. Dacché è venuta la moda del fascismo
cattolico, frazione più o meno peticolosa ed eretica in seno al fascismo,
taluno ci parla con grande compunzione della necessità di non lasciarsi
attrarre dalla diabolica filosofia dello Stato etico. Uno spunto in questo
senso era stato fornito da Gentile, I fondamenti della filosofia del diritto,
Firenze, Sansoni, anche F. Battaglia, I/
corporativismo come essenza assoluta dello Stato, in Archivio di studi corporativi, che
rinvia al capitolo sulla concezione dello Stato di Solari, Ts etica e
filosofica dello Stato moderno, Torino, L'Erma, Carlini-Battaglia,
Orientamenti, in Critica fascista, mai come ora, specialmente in Italia, lo
stato è reale nell’intendimento speculativo. La filosofia non solo ne ha
approfondito l’essenza ideale ma ha contribuito a potenziarlo nella sua
funzione storica, promuovendone il sentimento nel popolo e l’uomo
sociale, che la sua socialità dispiega nello stato, è vicino a Dio, certo
di Dio ha l’animo preso e i divini comandamenti fa suoi per
celebrarli ogni giorno; e Battaglia conclude la voce con
l’esposizione della dottrina fascista continui sono i rinvii a Fasciszzo,
nell’intento di dimostrare che lo Stato fascista non è teocratico o
assolutista, che, opponendosi a due
posizioni tradizionali del pensiero politico, il giusnaturalismo liberale
e il socialismo, da questi rileva i motivi non perituri e li trasvaluta, e
che la corporatività è la nota dominante dello stato
fascista , nel quale cittadino lavoratore e soldato si convertono
assolutamente. Nella delineazione di aspetti essenziali dell’ideologia
e della cultura del fascismo spiccano, per alcuni accenti personali, le
voci di Ugo Spirito Economia politica e Liberalismo, scritte nel periodo
in cui più intensa fu la sua partecipazione al dibattito sul
corporativismo, che si collegò strettamente con la direzione,
assieme ad Arnaldo Volpicelli, dei Nuovi
studi di diritto, economia e politica. L’importanza di queste voci è
evidenziata anche dal ruolo centrale avuto da Spirito nell’Enciclopedia,
nella quale fu redattore per ben otto materie (filosofia, economia,
statistica, finanza, diritto, storia del diritto, materie ecclesiastiche e,
storia del culto), finché divenne segretario generale dell’opera, sempre
in un rapporto strettissimo con Gentile, ciò che dovette costituire
un motivo di preoccupazione per quanti temevano che la sua concezione del
corporativismo, quale si era espressa al convegno di Ferrara,
influenzasse Sulla collaborazione di Spirito all’Enciclopedia Santomassimo, Spirito e il corporativismo, in
Studi storici. U. Spirito, Memorie. gran
parte dell’opera. Echi della sua posizione si avvertono in effetti in queste
due voci, in cui Spirito, pur senza riprendere la proposta della corporazione proprietaria , rivendica
il carattere pubblicistico della
proprietà privata. Nella parte storica delle voci l’autore svolge, più
che una descrizione delle concezioni precedenti quella fascista,
una serrata discussione con queste, diretta a condannare l’individualismo
delle teorie fisiocratiche, liberali e socialiste. Come quella fisiocratica si
dice in Economia politica, la scuola classica rimase tutta informata dal principio
individualistico e liberistico proprio dell’illuminismo, e anche quando l’economia nazionale o il socialismo
affermavano la superiorità dell’ente nazione o classe o società su quello
d’individuo, muovevano tuttavia dal presupposto illuministico e liberale
che l’individuo particolare in qualche modo esistesse e avesse una realtà
propria diversa da quella dell’organismo di cui faceva parte, affermavano
cioè una superiorità della nazione o della società sull’individuo o una
subordinazione di questo a quelle, ma non giungevano a riconoscerne
l’essenziale identità dialettica. Solo in Italia il rinnovamento dell’economia
politica ha raggiunto politicamente e
scientificamente uno sviluppo d’importanza fondamentale. Proprio in
Italia, infatti, la critica del pensiero illuministico era stata più
perentoriamente condotta e i suoi risultati erano stati più decisivi. Né le
nuove affermazioni idealistiche erano state al margine della vita
politica, ché anzi questa ne ha risentito fortemente l’influsso, giungendo ad
affermazioni pra [Cosf Preziosi, Spirito, in La Vita italiana, È da
ricordare che nel corso dei lavori preparatori del Codice civile
vastissimo fu il dibattito sulla
funzione sociale della
proprietà: uno dei suoi partecipanti più insigni e Pugliatti, di cui ad es. la raccolta di saggi La proprietà nel
nuovo diritto, Milano, Giuffrè. Gl’economisti italiani come Galiani,
aveva notato Spirito, anche quando più
si discostano dalle teorie mercantilistiche e più decisamente concordano
con i fisiocrati, non accettano senza riserva il dogmatismo
individualistico e liberistico di questi ultimi e spesso fanno posto a
considerazioni di carattere che potremmo già definire storicistico .tiche
addirittura rivoluzionarie : con la Carta del lavoro, ad esempio, si dava il colpo di grazia al tradizionale
liberismo individualistico. Affermato il carattere pubblicistico della
proprietà privata, cadeva il fondamento dell’economia liberale -- l’homo
oeconomicus guidato dall’ofelimità --, e ragione della vita economica diventava
l’identità del fine statale e del fine individuale. In questa ultima
formulazione si riflette il ripiegamento di Spirito rispetto alla sua
primitiva proposta, che era decisamente accantonata, anche se in
Mussolini continuò a manifestarsi una
comprensione dei vantaggi che il regime poteva trarre dal vigilato
dispiegarsi di tendenze come quella impersonata da Spirito, presentando
Capitalismo e corporativismo, Spirito affermava che nessuno più ardisce
di scandalizzarsi se si parla di crisi del capitalismo e di trasformazione in
senso pubblicistico della proprietà. Quell’economia programmatica, che allora
non si sapeva scindere dal sistema bolscevico, è ormai accettata
come propria dal corporativismo . La fondazione dell’Iri dimostrava che l'iniziativa
privata non è più l’idolo intangibile; rimarrebbe la terribile formula della
corporazione proprietaria, quella che ha generato tanto putiferio.
Ebbene, lasciamola pure da parte e non ci pensiamo pit. Io per conto mio
ci ho pensato su fino ad oggi e mi son convinto che, se si accetta tutto
il resto, la corporazione proprietaria può addirittura sembrare
sorpassata. Analoga a quella della voce, e tutta interna alla tematica
gentiliana di individuo e Stato, è la conclusione di Liberalismo, di cui è
posto fin dall’inizio il problema del suo sbocco nel corporativismo. La
concezione che colloca l’individuo al centro dell’universo è seguita attraverso
il Rinascimento e la Riforma, il razionalismo cartesiano che è già il
principio della demo[Santomassimo, Spirito, Capitalismo e corporativismo, terza
edizione riveduta ed ampliata, Firenze, Sansoni, La voce era già stata pubblicata in Nuovi
studi di diritto, eco nomia e politica, Nella nota bibliografica Spirito
giudica libri sbagliati la Storia del liberalismo europeo di Ruggiero e la
Storie d’Europa di Croce.] crazia del pensiero, la Dichiarazione dei diritti
dell’uomo e del cittadino dove è
il nucleo dell’individualismo liberale e insieme il limite che il liberalismo
non riuscirà mai a superare davvero, con l’affermazione dell’ANTI-STATALISMO
e della proprietà privata. Conseguenza del liberalismo sono considerati
il dualismo tra governanti e governati, che si manifesta attraverso
l’istituto della rappresentanza, trionfo materialistico del numero, e la
democrazia, che in Rousseau mostra i suoi aspetti deteriori, convertendosi nel
suo contrario e generando, nella sete della libertà, la peggiore
schiavità . Le contraddizioni del liberalismo, sorte col riconoscimento
della necessità di uno Stato e di un suo intervento soprattutto nel
campo economico, impongono secondo Spirito una revisione radicale del problema, e
questa è individuata nella tradizione italiana di pensiero, ricostruita secondo
l’ottica gentiliana, e nel corporativismo: I precedenti di tale
revisione vanno ricercati nel pensiero idealistico, che comincia a contrapporsi
all’affermazione del pensiero illuministico, razionalistico ed emiristico. Il
pensiero del Rinascimento italiano, di un individualismo n più profondo e
spirituale, per cui l’individuo stesso coincide con l’universale e
l’universale in esso s’incentra, comincia a dare i suoi frutti migliori,
in contrasto con l’astrattismo del pensiero franco-inglese. Nei pubblicisti
della nostra tradizione vichiana, nei filosofi dell’idealismo tedesco,
negli spiritualisti italiani della prima metà dell'Ottocento, comincia a
farsi strada un concetto di libertà politica, in cui il dualismo di
libertà e autorità, e quindi di individuo e stato, è riconosciuto come il
fondamento necessario della superiore sintesi in cui consiste la vera
libertà. In particolare, da Spaventa a Gentile, la tradizione del
pensiero italiano ed europeo viene determinata nelle sue linee
essenziali, e in essa si ritrovano gli elementi della nuova e più
profonda fede nella libertà, che avrà poi il suo sbocco nella rivoluzione
fascista. Con il corporativismo integrale il fascismo si avvia
infatti a risolvere, afferma Spirito, le antinomie del liberalismo: l’individuo
deve realizzare la sua libertà e la sua iniziativa nella collaborazione, e
riconoscere il carattere pubblicistico della proprietà, mentre si
svuotano cosî di contenuto tutti i concetti tradizionali del
liberalismo individualistico e della democrazia, da quello di
rappresentanza a quello di maggioranza, da quello di eguaglianza a quello
di elettoralismo; iniziativa privata e intervento statale, e in
conseguenza il problema dei rispettivi limiti, diventano termini e
problema senza significato. Il corporativismo di Spirito sposta cosî l’accento
sulla costruzione gerarchica dello Stato, e negli anni seguenti,
dopo la chiusura dei Nuovi studi, si ridurrà, in campo economico, alla
difesa della economia programmatica, in cui l'affermazione del carattere pubblicistico della
proprietà che come la proposta della
corporazione proprietaria mostra di non
collocarsi al di fuori della logica capitalistica si precisa nella
richiesta dell’intervento statale reso necessario dalla crisi, A scanso
di equivoci, comunque, Maroi ricordò
nella voce Proprietà che alcuni filosofi
(Spirito, A. Volpicelli) hanno sostenuto che in regime fascista il
lavoro non può produrre una proprietà privata perché l’individuo, come tale, in
regime corporativo non esiste, e che il sistema corporativo sboccherà
nella corporazione proprietaria: questa concezione è però autorevolmente
combattuta , concludeva, rinviando alla nota su Individuo e Stato nella
quale Gentile allora impegnato a redigere le Idee fondamentali della voce
Fascismo, a commento della posizione assunta da Spirito a Ferrara
precisava che la socializzazione e statizzazione corporativa importa
sempre un margine individualistico, in cui il processo corporativo deve
operare. In , nell’Appendice,
Autarchia, Capitalismo (tutta la voce è dedicata alla crisi del
capitalismo), Economia programmatica. I precedenti delle nuove teorie
scrive Spirito in quest’ultima voce
vanno ritrovati per una parte nei postulati del socialismo e per l’altra
nelle indagini circa l’organizzazione scientifica del lavoro. Sul fordismo di
Spirito Lanaro, Appunti sul fascismo di
sinistra. La ASA, corporativa di Spirito, in Belfagor questo margine,
ineliminabile, il rispetto dell’individuo è lo stesso rispetto della
corporazione: l’autolimitazione conseguente dello Stato è la sua effettiva
autorealizzazione. Lo Stato che inghiottisse davvero l'individuo,
riuscirebbe un pallone destinato subito a sgonfiarsi. Il corporativismo,
sente, sia pure confusamente, questo pericolo, anzi questo destino del
comunismo; e se ne vuol distinguere non annullando quella sorgente di vita
economica e morale che è nell’individuo. Il timore che la posizione di
sinistra di Spirito influenzasse la trattazione delle materie economiche dell’Enciclopedia,
non aveva quindi ragion d’essere, come dimostrano del resto le voci di Graziani
fra cui Bisogni, Capitale, Lavoro, Salario, il quale aveva sostenuto che
il Capitalismo e nel rispetto della produzione e in quello della
distribuzione, manifesta superiorità spiccata sugli altri sistemi che lo
precedettero, e su tutti i sistemi imperniantisi sulla collettivizzazione
dei mezzi produttivi, nei quali si urterebbe contro la fondamentale difficoltà
dell’assegnazione rispettiva dei compiti e si dovrebbe ad ogni modo
attuare una distribuzione che toglierebbe i maggiori impulsi all’operosità
e all’accumulazione; se si aggiunge la forte coercizione, intollerabile
in paesi avanzati di civiltà, si scorge come essi necessariamente
addurrebbero a decremento enorme di produzione e ad arresto di progresso
economico e sociale. Può essere infine interessante notare come, almeno
nell’Enciclopedia, vi fosse negli anni 30 un’intensa corrispondenza fra le
formulazioni di questi studiosi di scienze politiche e storico-economiche, e
quelle di alcuni storici. Mentre ad esempio Spirito svolgeva una critica a
fondo del liberalismo, nella voce Borghesia Chabod avvalorava la pretesa
del fascismo di presentarsi antiborghese, negando l’esistenza, nell’età
contemporanea, di quella classe che del liberalismo aveva fatto la
propria bandiera politica. Come il primo utilizza Gentile, il secondo
riprende, con alcune correzioni, le osservazioni di Croce intese a
distinguere la borghesia in
significato spirituale, la borghesia che è detta cosîf per metafora (e per
non felice metafora) dalla bor- [Gentile, Individuo e Stato, in Giornale critico della filosofia
italiana ghesia in senso economico, con
la quale la prima si suole scambiare, e, peggio ancora, deplorevolmente
contaminare, con danno non solo della storiografia ma del sano
giudizio morale e politico. Mentre Croce respinge i termini borghese e borghesia per indicare
una personalità spirituale intera, e, correlativamente, un’epoca storica,
in cui tale formazione spirituale domini o predomini, Chabod che in
quegli anni fa sua la negazione ottokariana del criterio di classe nella
storiografia, e partecipa del largo interesse che circondò nell’Italia
fra le due guerre, non solo fra gli studiosi cattolici, l’opera di
sociologi come Weber e Sombart che in opposizione al marxismo
avevano dato la dimostrazione
scientifica della priorità dello spirituale sul materiale, della religione
sulla economia ritiene che storia dello
spirito borghese non è altro se non storia dello spirito moderno, che ha
certo permeato di sé dapprima un certo ceto sociale, gli bomzines
novi, contrapposti alla feudalità e ai chierici, e con ciò alle
concezioni medievali; ma non è più oggi identificabile, sic et
simpliciter, con un solo, determinato gruppo sociale. E se oggi ancora
certi atteggiamenti spirituali e morali fondamentali paiono più strettamente
connessi con la borghesia, classe sociale; in effetto sfuggono al dominio
di un’etichetta sociologica, e sono atteggiamenti anche di molti di
coloro che combattono la borghesia in quanto ceto sociale . A differenza
di Croce, e pur distinguendo fra borghesia e capitalismo rimane, mal[Croce, Di un equivoco concetto
storico. La borghesia , ora in
Etica e politica, Bari, Laterza, Garosci, Sul concetto di borghesia.
Verifica storica di un saggio crociano, in Miscellanea Walter Maturi,
Torino, Giappichelli, Croce. Pizzetti, Federico Chabod storico delle Signorie. ZI
È un'osservazione riferita a Weber da D. Cantimori (ora in Storici e
storia, Torino, Einaudi. L'etica protestante e lo spirito del capitalismo
di Weber fu presentata nei Nuovi
studi di Spirito e Volpicelli da Sestan,
che vi notava una reazione al marxismo ( l’introduzione di Sestan alla
nuova edizione, Firenze, Sansoni, Chabod recensi Der Bowrgeois di Sombart
in Rivista storica italiana grado tutto, l’ideale della vita ordinata e
scevra di troppo gravi turbamenti: onde i borghesi si trovarono fuori
del trionfo pieno di quella stessa mentalità capitalistica, di cui
pure avevano nei secoli precedenti costituito il prodromo, Chabod ammette
quindi per l’età moderna l’esistenza di una
mentalità borghese , proiezione spirituale della borghesia come
classe (idee di tolleranza religiosa e di libertà civile, ma anche, nel
periodo della rivoluzione francese, idee astratte, antistoriche talora
anche puerili ), ma ribadisce che di essa non è più possibile parlare
nell’età contemporanea, nella quale siffatta mentalità non è più
esclusiva della borghesia, come ceto sociale. Ché, anzi, proprio per
l’influsso della borghesia cioè del ceto socialmente, politicamente,
culturalmente dominante nell’Europa tale
mentalità ha permeato largamente di sé parte della vecchia nobiltà, e
specialmente gran parte degli strati inferiori della popolazione. Il
lavoratore si è contrapposto al borghese, nell’Europa: ma quanti punti di
contatto tra la mentalità dell’uno e quella dell’altro: quale influsso del
secondo sul primo! I miti di progresso e d’umanità, di fratellanza e
d’uguaglianza, che ai borghesi avevano servito di arma contro le
vecchie classi privilegiate, sono ritorti dagli agitatori socialisti contro la
borghesia stessa e divengono ancora arma di lotta, con altro bersaglio.
Ma per ciò appunto quanta affinità tra gli uni e gli altri! La forma
mentis del borghese ha permeato di sé assai pit ampio strato sociale; si
è imposta, anche quando pareva combattuta; e, se prima aveva potuto
costituire veramente la forma mentis caratteristica d’un determinato ceto
sociale, ora si dissolve come tale, perde le sue peculiarità classiste . Dove si evidenzia
l’affinità con la conclusione della voce Borghesia scritta per il
Dizionario di politica del Pnf da Salvatore Valitutti: La società fascista che nello Stato
totalitario ha la sua espressione ignora l’esistenza di ceti o classi a
sé stanti e pertanto la parola borghesia è destituita di ogni significato
attuale. La voce di Chabod dimostra quindi come la mistificazione
arrivasse, per forza di cose, fino alle sfere più rarefatte di quella cultura
che pure, soggettivamente, si ritene del tutto indipendente dai volgari
messaggi rivolti alla massa, secondo quanto ha osservato Badaloni,
e indica come molteplici fossero in questo caso Weber e Sombart, e
la stessa riflessione crociana i contributi utilizzati per definire
un’ideologia e una cultura del fascismo. Sempre nell’ambito delle voci
politiche incontriamo due casi particolari, quelli degli antifascisti
Solari e Mondolfo, utilizzati per le loro competenze specifiche argomenti di filosofia del
diritto, connessi con la tematica della libertà, il primo; storia del
socialismo e del movimento operaio, il secondo, e la cui presenza
potrebbe confermare il giudizio di quanti hanno negato la connessione fra
la vera cultura e il fascismo, ricavandone, in particolare, una
valutazione assolutoria nei confronti dell’Enciclopedia. Ci
sembra tuttavia azzardato dedurre dalla presenza di antifascisti in
un’opera collettiva il carattere oggettivamente antifascista della loro
collaborazione scritta, senza cercare di cogliere lo spazio dei loro
contributi rispetto ad altri, e di approfondire gli eventuali punti di
convergenza o di non contraddizione fra la loro produzione scientifica e
quanto probabilmente lo stesso Gentile, in assenza di una specifica
sezione dedicata alla Politica, chiede loro. [La partecipazione di Solari,
il quale aveva accettato con entusiasmo di collaborare
all’Enciclopedia, che vuol essere espressione del pensiero italiano nei
suoi più alti esponenti e nelle sue più alte manifestazioni, pone forse
più problemi di quella di MONDOLFO. Solari è infatti impegnato, in quegli
stessi anni, in un’importante ed equilibrata opera di delucidazione della
concezione liberale dello Stato e dei concetti di liberalismo,
costituzionalismo, Badaloni -Muscetta, Labriola, Croce, Gentile,
Solari a Gentile,(AEI, Leztere, Solari. democrazia nelle dottrine
politiche, che contrasta col metodo inquisitorio con cui questi erano
esaminati ad esempio da Spirito nell’Enciclopedia non è giusto fare il
Rousseau responsabile della degenerazione in senso realistico e
materialistico dell'ideale democratico, sembra rispondergli Solari ; egli
oppone nel 1931, alla valorizzazione de I/ concetto dello Stato in Hegel
fatta da Gentile, la scoperta hegeliana della società civile la
scoperta della società civile come concetto autonomo fu il grande merito
di Hegel, maggiore di quello che solitamente gli si attribuisce di aver
rinnovato il sentimento e la dignità dello Stato ?!, e confutando la concezione dello
Stato corporativo espressa da Volpicelli osserva che il
neoidealismo ha deviato dalla tradizione hegeliana (almeno quale
io la intendo) circa la natura e i fini dello Stato. Il neo-hegelismo
tende, a mio credete, verso un individualismo idealistico quando
concepisce lo Stato non in sé e per sé, ma nelle forme e nei limiti
dell’individuo concreto, singolo o associato che sia. Lo Stato è etico
non perché vive in interiore homine, ma perché è esso stesso realtà e sostanza
etica che non si concreta solo negli individui, ma progressivamente nella
famiglia, nelle associazioni, nella nazione, nell’umanità. E tuttavia
sarebbe necessario valutare come poté inse Solari, La formazione storica e
filosofica dello Stato moderno, Torino, Giappichelli, DI Solari, Il
concetto di società civile in Hegel, in Rivista di filosofia , ora in La
filosofia politica, a cura di Firpo, Bari, Laterza, anche Solari, Lo Stato conse libertà,
in Rivista di filosofia : come organo di valori universali e non solo di
interessi nazionali o corporativi, lo Stato può dirsi anche storicamente
etico, purché sia ben fermo che esso non è valore supremo e neppure
esclusivo, che la sua eticità è misurata dal grado con cui realizza
esteriormente, cioè coi mezzi imperfetti e limitati dal diritto, la
socialità che è la forma concreta nella quale individui e popoli
affermano la loro libertà. Per una riflessione sulla società civile
parallela a quella di Solari Zaccaria,
L'itinerario politico di Capograssi. Il problema del rapporto tra la società e
lo Stato, in da Pensinto politico, Solari, Stato corporativo e Stato
etico (Lettera aperta al prof. A. Volpicelti in Nuovi studi di diritto,
economia e politica; anche la Risposta
dl prof. Solari di Volpicelli. rirsi nell'impresa diretta da Gentile la sua
ricerca di una filosofia sociale del diritto, fermissima sempre nel respingere l'egoismo
implicito nelle varie dottrine individuali stiche, germogliate dal
giusnaturalismo e dall’utilitarismo, ma impenetrabile altresi al
materialismo dialettico marxiano, e vedere se ciò fu possibile solo per
l’esistenza di comuni negazioni l’individualismo e il marxismo, o
anche perché la sua riflessione, dopo aver abbandonato, all’inizio del
secolo, i suoi presupposti positivistici (e tendenzialmente filosocialisti),
sviluppandosi come idealismo sociale trova più che un semplice
correttivo nel neoidealismo italiano. In
questa sede si può solo propendere per la prima ipotesi, constatando come
nella maggior parte delle voci di Solari vi siano con la messa in sordina
del tema della società civile forti scarti rispetto a quanto
scriveva contemporaneamente fuori dell’Ewciclopedia, per cui esse non
turbano l’immagine generale dello Stato fornita dall'opera, anche se esprimono
in maniera più equilibrata e problematica di quanto non facciano gli
attualisti il problema dei rapporti fra diritti individuali, società
e Stato. Una esplicita distinzione fra il proprio idealismo
sociale e quello di Croce e di Gentile si ha solo in una delle prime
voci, Filosofia del diritto, sottovoce di Diritto. L’idealismo del Croce e del
Gentile, fondandosi su una dialettica dello spirito individuale, portava
logicamente a risolvere il diritto nell’attività utilitaria o in quella
etica dello spirito. Legittima pertanto deve apparire l’esigenza di cercare al
diritto un fondamento suo proprio, d’intendere l’attività giuridica come
attività autonoma dello spirito. Come espressione di questa esigenza fu
in ogni tempo il diritto inteso come attività dell'uomo storico e
sociale, come rela- [Cosî Firpo nella Introduzione a Solari, La filosofia
politica, Bobbio non vede nel passaggio di Solari all’idealismo un rivolgimento
dei suoi principi (L'insegnamento di Solari, ora in Italia civile,
Manduria-Bari-Perugia, Lacaita). Per una valutazione complessiva
dell’opera di Solari anche AA.VV.,
Solari Testimonianze e bibliografia nel centenario della nascita, Torino,
Memorie dell’Accademia delle scienze, in particolare il saggio di Bobbio
su Lo studio di Hegel. L'Enciclopedia italiana] zione, come proporzione
personale e reale, come manifestazione della coscienza collettiva. In
Italia la scuola giobertiana, rivissuta dal CARLE nelle sue applicazioni al
diritto, sostiene che in tal senso si affermò la costante tradizione della
filosofia italiana. Il dogma della nazionalità e socialità del diritto è
incompatibile con l’idealismo economico e morale, l’uno e l’altro fondati
sul presupposto che il diritto è attività dello spirito individuale. Ma a
liberare l’idealismo nazionale e sociale dagli elementi empirici e
contingenti con i quali va congiunto, è necessario elaborare una
dialettica dello spirito collettivo e riprendere la tradizione
storico-romantica del periodo post-kantiano, la quale pose le condizioni
di una concezione idealistica del diritto come espressione dell’Io
sociale. Ma la posizione di Solari non ebbe poi modo di dispiegarsi. In
alcune voci l’accento cade, come in quelle di Battaglia e di Spirito, sulla
condanna delle teorie individualistiche cui viene opposto il valore supremo
dello Stato: mentre il contrattualismo tende logicamente a una teorica
individualista dello stato, in modo da
giustificare cost l’estremo assolutismo, come l’estremo
liberalismo, in Giustizia ci si sofferma sulla concezione di Hegel, per
dire che in lui la giustizia è libertà ma questa non esclude, anzi
postula la necessità e la naturalità; essa si attua astrattamente
nell’individuo e nei rapporti interindividuali, ma solo nello stato si
afferma in forma concreta e universale ; in modo altrettanto conciso si
sostiene che eticità per Hegel è sinonimo di socialità, e questa è il
risultato di un processo dialettico che culmina nello stato
(Naturale, diritto). Ma anche per Diritti di libertà, citata da
Bobbio come esempio di antifascismo, è da notare che è solo una
sottovoce di Libertà affidata nei suoi termini generali, ed
esclusivamente filosofici (per la bibliografia si rinvia a Etica), ad
Guzzo, un attualista mosso da una forte esigenza religiosa, per il quale la libertà è oggi considerata come la
spiritualità stessa , e che in essa Solari non esprime un’opinione
personale: pur partendo dall’affermazione che condizione di sviluppo
della personalità è la libertà, vi espone infatti la teorica dei diritti
di libertà elaborata da Locke e da Kant, e quindi la reazione Bobbio, Le
cultura e il fascismo. da essa suscitata, prima con Hobbes, Spinoza e
Rousseau, poi nel periodo postkantiano, fra gli altri da Hegel,
che poneva in rilievo il processo dialettico per cui la libertà
astratta dell’individuo diventa reale nello stato. Un discorso per certi versi
analogo a quello di Solari può essere fatto per la collaborazione di
Mondolfo, autore delle voci principali relative alla storia del
socialismo e del movimento operaio. La scelta di quello che era
stato l’animatore del dibattito sul marxismo riapertosi in Italia, dopo
la sconfitta del movimento operaio ad opera del fascismo, corrisponde
anche in questo caso al criterio della
competenza , ma non appare in contraddizione con i motivi ispiratori
dell’Enciclopedia: era lo stesso criterio che aveva suggerito a Bevione e
a Salata di affidare a Bonomi la biografia di Bissolati, poi redatta
dall’ex bissolatiano Cabrini, che aveva messo in risalto l'orientamento
nazionale pit che quello socialista del biografato. Le voci di Mondolfo,
che non sembra abbiano subîto censure, sono lontane dal taglio anonimo,
anche se cor[Luporini, Il marxismo e la cultura italiana del Novecento,
in Storia d’Italia, V,I documenti, 2, Torino, Einaudi. Bevione scrive a
Salata, che dirigeva allora la sezione
Storia contemporanea : penso che qualcuno può scrivere l’articolo
con ben maggiore ricchezza di dati e intima conoscenza del tema: ed è
Bonomi né obbiezioni potranno venire alla Direzione dell’E.[nciclopedia] da alcuno
per questo incarico, data la purezza e la serenità di Bonomi, da tutti
riconosciuta. A Bonomi avevo pensato anch'io, fin da principio scriveva Salata
a Menghini. Ma allora mi era parso di dover evitare la scelta di un uomo
cosî in vista nelle vicende politiche post-belliche. Ora il giudizio su
Bonomi è credo anche nelle altissime
gerarchie del partito fascista più calmo (AFI, Lettere, Salata). Cabrini
era stato cancellato nel 1929 dall’elenco dei sovversivi ( la voce di A. Rosada in F.
Andreucci - T. Detti, Il movimento operaio italiano. Dizionario biografico,
Roma, Editori Riuniti). Mondolfo, da me interpellato sulla sua
partecipazione all’Enciclopedia, risponde.Per la mia collaborazione ho
avuto solo rapporti diretti con Gentile, che era mio amico personale, come
antico condiscepolo a Firenze, e che sempre rimase tale benché io
polemizzassi con lui a proposito di Feuerbach e Marx e di Bruno e Tocco. Ciò
non impedî che egli m'’invitasse a collaborare alla Enciclopedia proprio
su un tema (Bruno) che e oggetto di una nostra polemica.] retto, di
voci come Exgels scritta da Manfredi Gravina, alto commissario per la
Società delle Nazioni a Danzica, o da quello polemico del Marx di
Graziani, che mette in rilievo le censure gravi cui andrebbe incontro
ad esempio la teoria marxiana del valore; esse invece, mentre
ambiscono ad avere un andamento espositivo ed obiettivo, riflettono al
tempo stesso la concezione dell’autore de I/ materialismo storico in
Engels e di Sulle orme di Marx, per cui evidenziano, al di là della competenza, la profonda consonanza di
Mondolfo con l’impostazione idealistica e gentiliana. Anche se queste voci
rappresentano dopo la biografia di Labriola di Dal Pane e l'edizione
Croce de La concezione materialistica della storia di Labriola,
l’esposizione più ampia della teoria e della prassi del socialismo e del
comunismo, è quindi difficile convenire con l’opinione di chi ha affermato che
esse erano le fonti più
accessibili, senza suscitare sospetti, alle quali i giovani, che
studiavano sul serio, potevano attingere per cercare una spiegazione e
una giustificazione alle continue denigrazioni che il fascismo faceva di quelle
idee e dei loro movimenti. Per chi studiava sul serio dovette.
avere maggiore efficacia la diretta riproposizione crociana di Labriola,
che non la valutazione mondolfiana della concezione marxista e socialista,
profondamente influenzata dalla lettura di Gentile, e scissa da una
positiva considerazione dei movimenti reali. Parlando dell’influenza di LABRIOLA
(si veda) su Mondolfo, Garin ha
osservato che in quest’ultimo. l’equilibrio della filosofia della prassi
è tanto insidiato in E debbo dire che né per questa né per le altre voci
si limitò affatto la mia assoluta libertà di trattazione (unico limite fu
quello dello spazio disponibile), di giudizio e di espressione; né mai mi
chiese o propose il minimo cambiamento, neppure di una virgola. Credo
pertanto di dover riconoscere che Gentile si mantenne con me al di sopra dei
dissensi politici e filosofici che ci dividevano, e credo che ispirò a
criteri ed esigenze di carattere scientifico i rappotti con i
collaboratori, nella sua direzione dell’impresa dell’Enciclopedia Bassi, Mondolfo
nella vita e nel pensiero socialista, Bologna, Tamari Suggerimenti per
una corretta lettura delle voci di Mondolfo ha fornito Garin, Mondolfo e
la cultura italiana, in Filosofia e marxismo nell'opera di Mondolfo,
Firenze, La Nuova Italia, direzione idealistica, da suscitare in lui una
sintomatica interpretazione in senso deterministico della concezione
dell’autocritica delle cose, che, a parte l’espressione verbale, aveva
ben altro valore. E non a caso, riproponendo sulle pagine della Rivista di
filosofia la lettura mondolfiana del materialismo storico, Levi osserva
che la gnoseologia del calunniato
materialismo storico coincide in alcuni punti fondamentali con
quella di una delle più celebrate correnti dell’idealismo storico,
cioè con la gnoseologia di VICO (si veda), e, infine, che il concetto
marxistico della umwélzende Praxis sembra convenire con quella, che io
chiamerei l’orientazione storicistica del liberalismo. Come non si
conosce e non s’intende se non facendo (ripete Marx con VICO), cosi
non si mutano le condizioni esteriori se non mutando se stessi, e
reciprocamente non si muta se stessi se non mutando le condizioni del proprio
vivere, afferma Mondolfo trattando del Muaterialismo storico sottovoce di
Materialismo di Allmayer, ribattezzato
concezione critico-pratica della storia. Dopo aver opposto alle
interpretazioni economicistiche quella di Man, Mondolfo sottolinea infatti il
carattere soggettivistico, e quasi vitalistico, ma non per questo meno
deterministico, del materialismo storico:
Vita che è lotta, in cui né le forme e condizioni esistenti
possono arrestare le forze vive che si volgono contro di esse, né le
forze innovatrici possono operare se non tenendo conto delle forme e
condizioni esistenti, sia pure per rovesciarle e superarle . Ne risulta
un’ accentuazione gradualistica del processo storico, che si riassume
nella definizione di Sorel del materialismo storico come consiglio di prudenza ai rivoluzionari
. Manifestazione della continuità della storia, che non A,
Labriola, La concezione materialistica della storia, a cura e con
un'introduzione di E. Garin, Bari, Laterza, Nella voce Labriola Mondolfo
scriveva: C'è una dialettica della storia e autocritica delle cose; ma le
cose sono la praxis stessa umana Levi,
Um'interpretazione del materialismo storico, in Rivista di filosofia . Anche
Levi aveva considerato sbagliato il termine
materialismo storico.] conosce fratture rivoluzionarie nel progresso,
che è incremento, non è il caso di andar cercando assoluti cangiamenti
qualitativi ossia creazioni di novità assolute e senza precedenti, aveva
affermato Mondolfo sulla base del pensiero di Bruno, in discussione con
Barbagallo, è la stessa storia del comunismo e del socialismo: i due
termini sono dilatati cronologicamente fino a comprendere l’antichità.
Ciò vale in primo luogo per il comunismo, che non è soltanto
programma di rivendicazione e d’azione di una classe proletaria, ma si
presenta nella storia anche come stato di fatto, dovuto sia alla
primordialità indifferenziata della società umana, sia a necessità
belliche (Lipari), sia ad ascetismo religioso che svaluta i beni terreni
e reprime il desiderio del possesso individuale (es., comunità
monastiche), e può anche essere un ideale etico-politico di società, che
voglia eliminati gli interessi particolari fonte di conflitti, per la
solidale ricerca del bene comune (come in utopie antiche e moderne)
(Socialismo). Il comunismo, mentre è in certe forme storiche estraneo alle
esigenze socialistiche di elevazione ed emancipazione di classi, nella società
contemporanea rappresenta la forma estrema del socialismo, che alle altre
si oppone per il radicalismo dogmatico del suo programma, per la
fede nell’efficacia risolutiva della violenza, per la decisione
rivoluzionaria della sua azione, e trova espressione nella dottrina più
mista di bakuninismo, blanquismo e sindacalismo, che aderente al marxismo
professata dai socialisti maggioritari (Comunismo).Ma anche per [Mondolfo,
Razionalità e irrazionalità della storia. Per una visione realistica del
problema del progresso, in Nuova rivista storica A proposito di BRUNO (si veda)
Mondolfo scrivea Gentile. Vedrai dal manoscritto che le mie opinioni
sulla distinzione delle fasi del pensiero bruniano, fatta da TOCCO, si
sono modificate per cedere il posto allo sforzo di coglierne l’unità e
continuità, pur fra le contraddizioni ed oscillazioni (AEI, Lettere,
Mondolfo). La concezione critico-pratica del marxismo conclude la
voce, che per ogni esperimento storico domanda la maturità delle condizioni
oggettive e soggettive, non risulta per ora smentita dall’esperienza, in
favore della concezione blanquistica, che tutto riduceva alla conquista
del potere. E le difficoltà, che rendono tempestoso il cammino della
rivoluzione bolscevica, non lasciano prevedere ancora a quale porto essa
sia destinata ad approdare . Per i giudizi di Mondolfo sulla
Rivoluzione d’ottobre Studi sulla
rivoluzione russa, Napoli, Morano, il socialismo è necessario risalire all’antichità
classica e al cristianesimo,
contro l'opinione dei non pochi studiosi che dichiarano il
socialismo sviluppo esclusivamente moderno, prodotto della doppia rivoluzione
politica e industriale con cui si passa dalla società feudale alla
capitalistica (Socialismo). Già prima
della duplice rivoluzione una tappa decisiva per lo sviluppo del
socialismo e del comunismo moderni è costituita dal pensiero degli illuministi,
Montesquieu e Turgot in primo luogo. E l’elemento costitutivo del
socialismo era individuato da Mondolfo nella buzzanitas, cioè nella affermazione storica più vasta e universale
di quella coscienza e dignità della persona umana in quanto tale,
che è l’essenziale concetto di Rousseau, inspiratore degli immortali
principi della rivoluzione francese 2%, ora la sua essenza è vista in
quella esigenza morale di libertà, di affermazione e sviluppo della
personalità umana nel lavoratore, che costituisce la forza viva e il valore
etico del socialismo moderno, con le sue rivendicazioni di
autonomia dei lavoratori e di eliminazione delle differenze di classe
(Socialismo). Scissa da una precisa identificazione con un
movimento reale, la concezione socialista consiste in ultima analisi
in una generica aspirazione alla giustizia che percorre, in forme
diverse, tutta la storia dell'umanità: era una presentazione che,
indipendentemente dalle intenzioni dell’autore, poteva trovare punti di
convergenza, o quanto meno di confusione, con quella fatta dalla voce
Fascismo, secondo la quale, colpito il socialismo nei suoi due capisaldi del
materialismo storico e della lotta di classe, di esso non resta allora che Sul
rapporto di continuità-rottura fra illuminismo e storicismo quanto
Mondolfo scrive nella voce Helvétius. Osserverà Marx contro Owen,
discepolo di Helvétius: l’educatore stesso deve venire educato. Il coincidere
del variare dell'ambiente e dell’attività umana può essere inteso
razionalmente solo come praxis che si rovescia, ossia come concreto processo
dialettico della storia, in cui di continuo l’effetto si converte in causa e
l’uomo non è prodotto passivo, ma antitesi operosa alle condizioni
esistenti. La contraddizione in cui Helvétius resta impigliato si risolve
nello storicismo. Mondolfo, Umanismo di Marx. Studi filosofici,
introduzione di Bobbio, Torino, Einaudi l'aspirazione sentimentale antica come
l’umanità a una convivenza sociale nella quale siano alleviate le
sofferenze e i dolori della più umile gente. Il socialismo come umanesimo universalistico,
già affermato in polemica con Rosselli, fino ad accettare la
trasformazione della lotta di classe in collaborazione di classe, trova
nell’Enciclopedia una delineazione concreta nella trattazione del
movimento operaio italiano. Lo smarrimento e la confusione sorgono più gravi
nell'immediato dopoguerra, per l’irruzione improvvisa di masse caotiche
nelle organizzazioni a portarvi l’ondata dei malcontenti incomposti e la
suggestione del mito russo: il rivoluzionarismo delle nuove reclute
sopraffà d’un tratto i vecchi cauti condottieri. Ma questo sindacalismo
rivoluzionario è presto sgominato dall'insorgente sindacalismo fascista; la
nuova legislazione si avvia grado a grado a convertire il sindacalismo in
corporativismo, che al principio della lotta di classe sostituisce quello
della solidarietà nazionale. Con la Carta del lavoro il corporativismo
fascista afferma recisamente la dignità e la nobiltà del lavoro e
l’importanza e i diritti della classe operaia. I fini universali del movimento
operaio si realizzano nel potenziamento della nazione: La stessa lotta
contro il capitalismo avido di profitti è affermazione di un più alto concetto
della ricchezza: non privilegio e dominio, rientrante nella sfera dell’arbitrio
individuale, ma bene sociale che deve essere usato e volto a fini di
utilità nazionale. E nell’atto stesso che le rivendicazioni operaie hanno
portato a una limitazione dei profitti capitalistici, hanno anche
impresso all’industria e all’agricoltura un fecondo impulso di rinnovamento,
che ha significato un accrescimento della produzione e, quindi, un
elevamento generale Mondolfo, Ursanismo di Marx, Sulla base
di un ampio esame degli scritti di Mondolfo, Marramao ha affermato
che saranno proprio le categorie di
coscienza di classe e di rovesciamento della prassi i cardini teoretici della
difesa ad oltranza della collaborazione, e che è sintomatico come il nostro
autore trascorra dal concetto di totalità della classe a quello di collaborazione,
logica conseguenza politica dell’universalismo che si realizza
progressivamente nella coscienza di classe (Marxismo e revisionismo in Italia,
dalla Critica sociale al dibattito sul leninismo, Bari, De Donato,
delle possibilità e dei tenori di vita nazionali (Operaio movimento, In
questo modo le contraddizioni sociali si annullano, e ai fini della
produzione e della distribuzione della ricchezza nazionale il movimento operaio
viene a svolgere una funzione analoga a quella delineata da Michels
per Li LI, di equilibrato rafforzamento di tutte e classi:
È evidente, in realtà, che dall’impetialismo economico possono
nascere, per le classi inferiori, vantaggi effettivi anche dal lato del
consumo, qualora esso abbia per effetto l’incremento dell’importazione di
materie di prima necessità il cui buon mercato faccia calare i prezzi
locali aumentando correlativamente la capacità d’acquisto dei salari e dei
piccoli redditi. Gentile, Volpe e il nazionalismo storiografico Se
operiamo un’altra verifica nel settore storico, con particolare riguardo
alla storia italiana moderna e contemporanea, troviamo confermata l’impressione
che il rapporto fra gli intellettuali e le scelte politiche o
politico-culturali del periodo fascista sia stato assai stretto e
passasse attraverso mediazioni culturali che sono precedenti al fascismo
ma che col fascismo si chiariscono, come nel caso di Volpe; e ciò vale
anche per quegli intellettuali che, per abito scientifico o per temi
studiati, sono stati considerati più lontani da una compromissione con
l’ideologia del fascismo. Lo stesso Momigliano, che alle voci sto- [In Sindacalismo
Mondolfo afferma: Del sindacalismo rivoluzionario parve per un momento
allo stesso Sorel figlia la rivoluzione dei Sovieti, coi consigli degli
operai e contadini; ma ben presto è apparso evidente che tutto quanto il
sistema sindacale è posto in essa sotto la ferrea direzione e dominazione
dello stato. E nell’affermazione del valore supremo dello stato è agli
antipodi del sindacalismo rivoluzionario anche il sindacalismo fascista,
imitato poi dal socialnazionalismo tedesco. Nel concetto fascista rivive
l’esigenza dei valori eroici, rivive il concetto di una società di
produttori, in cui l’uomo è cittadino in quanto produttore; ma è respinta
la lotta di classe: i sindacati di datori e prestatori di lavoro sono
unificati nella corporazione, tutte le corporazioni nella nazione, la cui
personalità morale si riassume nello stato.] riche dell’Exciclopedia dette un
larghissimo contributo e fu in stretto contatto con gli storici che vi
lavoravano, ha parlato di un bilancio in perdita per tutto quel gruppo di storici, fatta
eccezione per Cantimori e Chabod?: osservazione probabilmente troppo drastica,
ma che invita ad un approccio alla storiografia del periodo fascista non
solo in termini di pura storia delle idee; anche attenendosi a
questo solo piano, comunque, da un esame di alcune voci vedremo che
molteplici sono le influenze che agiscono su storici come Chabod e
Maturi, per i quali le testimonianze e gli studi hanno finora valorizzato
esclusivamente l’insegnamento di Croce. Non è infatti possibile non
tener conto del quadro complessivo di cui fa parte lo stesso settore storico
dell’Erciclopedia, cioè di quella vasta opera di organizzazione della
cultura storica che si ebbe durante il fascismo e che attende ancora di
essere studiata. Protagonista ne fu, per la storia moderna e
contemporanea, Gioacchino Volpe, che riuscî a coinvolgere pienamente nei
suoi programmi di lavoro anche storici che, come Morandi, avevano già
manifestato un diverso e autonomo orientamento culturale, e che sotto la sua
guida, o negli istituti, nelle riviste e nelle collane da lui diretti, si
dedicarono a una intensa attività di ricerca in campi diversi per
poi concentrarsi attorno alla storia della politica estera
italiana, in un momento in cui l’imperialismo fascista esaltava la
politica di potenza dello stato , risentendo in varia misura dell’
eclettismo storiografico e di singoli
giudizi di Volpe. Negando contro l’opinione di Maturi l’esistenza
di una svolta nella storiografia italiana, Ottokar lamenta la persistenza dei vecchi
preconcetti della scuola giuridico-economica (È illusione credere
che la formula del materialismo storico sia superata nella produzione
storiografica odierna), e indicava a modello Volpe, fin dall’inizio del
secolo sostanzialmente immune
Momigliano, Appunti su Chabod storico,
le osservazioni di E. Ragionieri, Carlo Morandi, in Belfagor, da questi semplicismi
materialistici, perché sembra che nel marxismo egli abbia soprattutto
sentito la parte più profonda e pit feconda, vale a dire l’idea
dell’unità e dell’interdipendenza, e non l’esagerazione delle antitesi e dei
contrasti che porta ad una visione isolatrice e materializzatrice. Comunque si
voglia giudicare la storiografia di Volpe, nel segno della continuità o
del cambiamento, nel periodo fascista essa si propose effettivamente come
modello di una storiografia politica di impronta nazionalistica ed esaltatrice
dello Stato-potenza, pur mantenendo alcuni residui
del precedente interesse per la storia sociale. Essa ebbe modo di
imporsi attraverso gli istituti storici di cui magna pars fu Volpe,
impegnato fra l’altro a dissolvere anche istituzionalmente la storia del
Risorgimento nella storia secolare della nazione italiana sorta col
Medioevo, pur se a questo programma fece resistenza la Società nazionale
per la storia del Risorgimento: la Scuola di storia moderna e
contemporanea, collegata fin dalle origini con il COMITATO NAZIONALE PER
LA STORIA DEL RISORGIMENTO, si propose infatti la pubblicazione delle
fonti di storia italiana, programma che fu fatto proprio dal Comitato
sotto la direzione di Gentile, per poi passare all’Istituto storico
italiano per l’età moderna e contemporanea che assorbi il Comitato. Oggi
infatti scrive Gentile riecheggiando Volpe
il quadro della storia del Risorgimento italiano, malgrado la superstite
specializzazione di alcuni suoi cultori, si slarga; e comprende non solo
gli immediati antecedenti del secolo delle riforme, ma tutta la storia
moderna d’Italia dal declinare di quella frammentaria vita comunale, che
è il primo erompere della vita nazionale ancora in- [Ottokar, Osservazioni
sulle condizioni presenti della storiografia in Italia, in Civiltà moderna , Interessanti notazioni sul
rapporto Volpe-materialismo storico anche in Volpicelli, Volpe, in La Fiera
letteraria. Cervelli, Volpe, e le mie
osservazioni in Il problema Volpe, Una prima riflessione su questa
complessa rete organizzativa è stata fornita da S. Soldani, Risorgimento,
ne Il mondo contemporaneo, Storia d’Italia, Firenze, La Nuova Italia,
conscia e incurante della propria unità e ignara di ogni esigenza di
organizzazione, fino alla formazione del regno d’Italia e alla prima
grande prova della sua volontà e della sua potenza nella guerra mondiale.
Le sezioni enciclopediche su alcune delle cui voci ci soffermeremo, quella di
Storia medievale e moderna diretta da Volpe, e quella di Storia del
Risorgimento diretta da Menghini legato a Gentile anche per altre
iniziative editoriali, come la collana
Studi e documenti di storia del Risorgimento di Le Monnier, si
presentano come uno dei frutti di questa vasta opera di
organizzazione culturale, e videro impegnati quasi tutti gli storici
che prestavano la loro opera negli istituti di ricerca del regime.
Con ciò non si vuol dire che questi intellettuali si ridussero a funzionari
del regime, ma solo indicare la loro relativa omogeneità raggiunta
negli anni ’30 e la permeabilità di molti di loro all’ideologia nazionalistica
propagandata dal fascismo e che nell’Enciclopedia si manifestò nel
larghissimo spazio concesso alla storia di Roma e a quella d’Italia, pur
nella varietà delle influenze sul piano del metodo e dei giudizi: per cui
la presenza della lezione crociana non è di per sé un segno, in molti
casi, di differenziazione ideologica dall’orientamento
nazionalistico. Sul piano metodologico nell’Enciclopedia, come in
quasi tutta la storiografia italiana del periodo, trionfa quella
concezione idealistica, sia etico-politica alla Croce sia realistica alla Volpe, che aveva trovato
un elemento unificatore nel concetto di classe politica . Sul concetto di classe politica osserva
Maturi, inteso eticamente o realisticamente, sono tutti d’accordo: Croce
e Gentile, Salvemini e Ottokar. Ad esso si riduce in fondo anche il
concetto di nazione nel Volpe, Prefazione di Gentile all’Annuario
del Comitato nazionale per la storia del Risorgimento, Bologna,
Zanichelli. anche G. Gentile, Dal
Comitato nazionale per la storia del Risorgimento dl R. Istituto storico
italiano per l’età moderna e contemporanea. Relazione a S.E. il Ministro
della Educazione nazionale, Sancasciano Val di Pesa, Stianti, Secondo
quanto afferma invece M. Ciliberto, Intellettuali e fascismo. Saggio su Delio
Cantimori, Bari, De Donato, ad es. a15. come si vede dal suo libro L'Italia in
cammino, ove, al centro della narrazione, è l’analisi dei ceti dirigenti del
Risorgimento e della nuova Italia, Non a caso alcuni anni dopo nella voce
Storia Antoni annoverava fra i rinnovatori della storiografia italiana,
accanto a Croce e Gentile, Mosca e Volpe. È indubitabile dunque che, al
di là di scuole o di parti politiche, agli storici
dell’Erciclopedia fosse ben presente anche la lezione di Croce, come
testimonia il fatto che Nicolini, incaricato di predisporre un piano di
voci di storia della storiografia, si sentisse autorizzato a chiedere
consiglio a Croce, che nell’argomento è forse lo studioso più competente di
Europa , e a proporre per sé una sottosezione di storia della
storiografia, in modo che le voci passerebbero sotto gli occhi di
Benedetto. Ma non permette di cogliere la complessità delle influenze che
si esercitarono sui maggiori storici operanti fra le due guerre, ridurre tutto
il problema alla questione del metodo e privilegiare quindi l’insegnamento
di Croce, per affermare che l’attualismo gentiliano nel campo degli studi storici non
esercitava che un’influenza limitata, e in nessun modo tale da far sf che
esso fosse accolto in prima persona dagli storici migliori della nuova
generazione idealistica #. Se
spesso, come nel caso di Maturi cui in particolare si ‘riferisce questa
osservazione, il metodo è quello di Croce, scelte tematiche e singoli
giudizi nad fonti diverse e talvolta contrastanti, e rinviano in
molti casi, come vedremo, a Volpe e a Gentile. Volpe aveva del resto
cercato di orientare il lavoro dei collaboratori della sua sezione
suggerendo delle Norme e criteri per la redazione degli articoli di
storia medioevale e moderna, in cui invitava alla valorizzazione della
storia italiana, ma richiamava anche la necessità come già
Maturi, La crisi della storiografia politica italiana, in Rivista storica
italiana. AEI, Lettere, Nicolini. Cosî Salvadori, Maturi, in Nuova
rivista storica. Per alcune considerazioni sugli interventi storiografici
di Gentile A. Negri, L’interpretazione
del Risorgimento di Gentile, in Critica storica. Non apologie, né
propaganda, né polemiche. Tuttavia, poiché aveva fatto nel Programma per
una storia d’Italia di combinare storia politica e storia sociale, attenzione
per lo Stato e per la vita economica, e avvertiva ditener conto delle
implicazioni politiche ed economiche della storia della Chiesa. Sembra che
a queste indicazioni, in cui si intrecciavano le varie componenti della
storiografia volpiana se pur spicca l’accento posto sulla ricerca
dello Stato anche nell’età comunale, ci si sia attenuti in molti
casi, ad esempio in alcune voci giudicate esemplari da Chabod nei primi volumi,
come Amburgo di Luzzatto, attento alla vita economica della città, o la
Storia dell’America di Doria, dove l’autore si sofferma sulle
caratteristiche della colonizzazione e sulla riduzione in schiaviti degli
indios, senza nascondersi gli interessi economici dei missionari, che in
taluni casi furono piu spietati
dei conquistatori . Pi in generale, nelle voci dedicate agli Stati
non italiani che costituirono un banco di prova si tratta di una
Enciclopedia Italiana, ai collaboratori incaricati di trattare la storia
degli altri paesi si chiede che si compiacciano di dar rilievo a quella
che può essere stata la ripercussione di avvenimenti e personaggi
italiani su la vita dei paesi stessi . Le Norme sono riprodotte in Le
predisposizione del lavoro in una grande impresa scientifico-editoriale.
L'Enciclopedia italiana dell'Istituto Treccani, in L'organizza-zione
scientifica del lavoro, Gli articoli sugli Stati, piccoli o grandi, medioevali
e moderni, non siano il quadro delle vicende dinastiche (apposite voci
sono dedicate alle dinastie e famiglie regnanti), né il mero racconto
degli avvenimenti politico-militari, ma presentino la storia politica,
largamente intesa, di una nazione o popolo, ne mettano in luce la
struttura economica e sociale e le vicende demografiche. Un posto
maggiore che non le altre opere simili l’Enciclopedia Italiana darà alla
storia delle città, e in particolare di quelle italiane, specialmente
nell’epoca in cui le città furono centri autonomi di energica vita,
piccoli Stati di fatto, se anche giuridicamente limitati. Quindi si devono
presentare queste città nel loro nascere o rinascere medioevale e anche
moderno, le forze sociali che in esse si raccolgono, la loro vita
economica, le loro istituzioni, i personaggi più notevoli, Negli articoli
di Storia della Chiesa, che è quasi sempre anche storia civile e
politica, sarà da tener conto dell’uno e dell’altro elemento, salvo i
casi speciali in cui sarà espressamente avvertito che dell’elemento
religioso debba trattare a parte un altro scrittore. Discorrendo di missionari,
non si trascurino le finalità, i moventi e i riflessi culturali, economici,
spesso politici e nazionali della loro azione. Degli ordini monastici si
metta in luce l’importanza civile ed economica. Archivio storico italiano, completamente nuovo per gli storici
dell’Enciclopedia si può osservare
un’attenzione per i molteplici aspetti della loro storia e un notevole
equilibrio di giudizio come in Stati Uniti di Sestan e in URSS (anonima),
anche se, quando ci si avvicina alle vicende contemporanee (e
quindi soprattutto nell’Apperndice), si avverte l'influenza della
propaganda politica del fascismo: ad esempio occupandosi della Francia di Morandi
che faceva cosî la sua prima esperienza di commentatore politico,
nelle cui vesti sarà particolarmente attivo sulle pagine de Il
Mondo minimizzerà il significato
dell’esperienza del Fronte popolare. Quando invece si tratta di valutare i
momenti rivoluzionari o i punti cruciali del dibattito storiografico, si
tende a tacere è il caso della Comune di Parigi, cui è dedicato appena un
accenno da Georges Bourgin ( governo municipale di radicali e socialisti )
sotto la voce Parigi, storia, o a evidenziare i motivi ideologici nella
ricostruzione storica, come nelle voci dedicate alla Rivoluzione francese
e alla storia italiana. Appare naturale che il significato della
Rivoluzione francese sia sottoposto a severa critica
nell’Enciclopedia, data la diffusa polemica, da Croce al fascismo, contro
i principi. Né stupisce, pur apparendo in un’opera scientifica, la rozzezza con
la quale Francesco Ercole tratteggia la figura di Danton (La sua
crescente influenza sugli elementi più torbidi e inquieti del popolo parigino
era dovuta, non meno alle sue qualità fisiche, alla massiccia
vigoria della persona, alla bruttezza suggestiva del volto butterato dal
vaiolo, alla voce stentorea, che alla suggestione morale esercitata dalla sua
consueta audacia di parole e di gesti. Ciò che interessa notare è invece,
da un lato, Chabod giudicò l’Enciclopedia mezzo e incentivo ad
arricchire gli interessi della nostra cultura, ad ampliare lo sguardo dei
nostri studiosi a determinare sia pure in pochi uomini volontà e
proposito di affrontare, finalmente, problemi che non siano quelli
soliti, cari alla nostra storiografia.
anche Gentile, L'Enciclopedia Italiana, Eppure Bourgin era autore
di vari studi sulla Comune, dall’Histoire de la Commune a Les premières
journées de la Commune l'ampiezza dei giudizi negativi su di essa che sono
fatti propri anche da Chabod Ma le
idee, una volta messe in circolazione, sfuggono al controllo di chi le
crea: e cosî fu che all’illuminismo, alienissimo dalle violente e aperte
rivoluzioni politiche e sociali, s’appellassero quelli che, poco più
tardi, dovevano far sorgere il novus ordo: alquanto diverso, in verità,
da quello auspicato dai filosofi, e grondante di sangue (Illuminismo); e, dall’altro, la
stretta interscambiabilità fra posizioni scientifiche e ideologiche,
per cui tornano alla mente i contenuti di alcune voci politiche. L'importanza
della Rivoluzione francese nella storia europea non è certo disconosciuta
da Ghisalberti che, dopo aver analizzato le differenti posizioni delle
varie classi sociali nell’89, afferma che essa recò a termine con la sua
violenza l’opera condotta nei secoli dalla monarchia dell’antico regime e
abbatté le sopravvivenze feudali e le disparità sociali, consacrò
l’importanza e la forza della borghesia, accentuò e unificò il governo e
l’amministrazione, accelerò il già iniziato trapasso della proprietà,
rese uguali gli uomini davanti alla legge (Francese, rivoluzione). Anche nella
voce Rivoluzione Crosa cita del resto la Rivoluzione francese accanto
alla rivoluzione fascista come
rinnovamento essenziale d’idee e di principi per cui, o
direttamente o indirettamente, si produssero trasformazioni politiche di
suprema importanza. Ma, come in Fascismo si era detto che il fascismo è contro tutte le
astrazioni individualistiche, a base materialistica; ed è contro tutte le
utopie e le innovazioni giacobine, cosf Ghisalberti precisa subito la sua
valutazione della Rivoluzione francese affermando che mezzo secolo di
dogmatismo ideologico prepara il dogmatismo democratico dei giacobini ;
e, mentre alle critiche all’ordinamento sociale fondato sulla proprietà mosse
da Morelly o Brissot contrappone, come
più rivoluzionarie, le proposte dei fisiocratici, coglie il difetto
della Dichiarazione dei diritti nel fatto che l’umanità è anteposta alla
Francia, l’individuo alla società: un giudizio che ricorda quello
espresso da Spirito in Liberaliszzo, e che Ghisalberti ribadisce quando
afferma che con la costituzione figlia della paura , la rivoluzione ha trovato
la sua soluzione borghese e alla disuguaglianza del privilegio ha
sostituito quella del censo, gettando cosi i germi di futuri conflitti
sociali S, Il giudizio
limitativo dei principi coinvolge naturalmente l’illuminismo e i suoi
esponenti, affacciandosi anche in Illuminismo di Chabod, che pur ne
riconosce tutta l’importanza per la storia del progresso umano: quello
che non andò perduto cosî conclude la voce
fu il nocciolo stesso dell’illuminismo e cioè l’aver fissato su
basi puramente umane e razionali la vita dell’uomo e dell’umanità. In questa
concezione d’insieme che corona e completa e sistema definitivamente le
prime conquiste del Rinascimento italiano è il valore ideale
dell’illuminismo . Eppure Chabod insiste anche in altri passi sul collegamento
col Rinascimento italiano e, mentre sulla traccia di Philosophie der Aufklirung
di Cassirer trascura l’opera dei pensatori sensisti, non nasconde la sua
diffidenza per l’elemento che distinguerebbe l’illuminismo dal
Rinascimento, cioè l’interesse dei philosophes per la diffusione universale
della cultura, anche presso quella moltitudine che doveva sentirsi
facilmente e pienamente appagata dalla chiarezza e linearità delle idee
che le venivano poste innanzi, da una filosofia che s’appellava alle
leggi di una ragione molte volte identificabile col buon senso comune, e
quindi di facilissima recezione, e che in nome di questa ragione-buon
senso bandiva le sue crociate contro certa storia, vicina o remota:
proprio come piace alle moltitudini, per le quali il senso storico
rappresenta il più difficile e complicato del misteri, e proprio com’era
necessario allora, dato il clima storico di quell’età, Ancora più
evidente è il carattere ideologico della ricostruzione storiografica per cui
quest’ultima si trasforma nell’ apologia
che Volpe aveva invitato ad evitare
Per trovare una valutazione complessiva della politica di Robe
spierre bisogna ricorrere non alla voce dedicatagli da Francesco Lemmi,
e ne fa il responsabile del carnaio, ma a Terrore di Maturi.
Anche l’opera di Federico II di Prussia è opposta da Chabod al dottrinarismo astratto di un Giuseppe II
. nella voce Italia, scritta proprio da Volpe, da Rodolico, e
Ghisalberti. La voce non affronta esplicitamente, come è stato osservato,
il problema dell’unità della storia d’Italia, ma riproduce tuttavia la
periodizzazione posta a base del Programma, che vedeva profilarsi la
nazione italiana fin dall’alto Medioevo. In essa assai più marcato è però
il motivo della continuità con la storia romana alla quale, con la
preistoria, è dedicata la prima parte della voce, in modo da far
risaltare come l’Italia, culla della civiltà latina e sede della Chiesa
cattolica, abbia avuto fin dall’antichità il privilegio di essere il centro del
mondo: è lo stesso Momigliano ad affermare che con la dissoluzione di L’IMPERO
ROMANO l’Italia si avviò a una nuova sua storia. La quale continua bensi
e non dimentica quella di Roma e del suo impero, anzi, con la
Chiesa, che continua l’universalità dell'impero, mantiene la sua funzione
di primato spirituale; ma solo dalla caduta dell'impero la storia
italiana si svolge autonoma e con propri destini: la faticosa conquista
d’una forma politica per l’unità nazionale del popolo
italiano. L’anticipazione dell’esistenza di una coscienza nazionale
e di una tradizione politica unitaria è in Volpe assai netta, anche
rispetto a suoi giudizi precedenti:nella prefazione al Medioevo italiano, egli
coglieva nell’età comunale uno dei
momenti di più energica fecondità della storia d’Italia, anzi come
l’inizio ricco e promettente di questa storia, segnato appunto dal
sorgere dello Stato (Stato di città nel Nord e nel centro d’Italia, Stato
monarchico e territoriale nel sud) e della borghesia italiana, e dal
delineatsi di un popolo italiano che è creatura nuova e pur sente lo stimolo
a crearsi una tradizione e trovarla in Roma, nella voce enciclopedica,
dopo aver affermato che già con Odoacre, si ha il restringersi alla sola
penisola del senso politico della parola Italia , Volpe insiste più
Sestan, Per la storia di un'idea storiografica: l'idea di una
unità della storia italiana, in
Rivista storica italiana, Ora in
Volpe, Storici e maestri, di quanto non avesse fatto Solmi sull’importanza del dominio longobardo
che fondò in Italia una tradizione
politica di unità . Tutta la storia successiva gli appare un progressivo
disvelamento della coscienza nazionale, soprattutto a partire dal secolo
XI c dalla nascita dei Comuni, e quindi con ALIGHERI e Cola di RIENZO,
con la crescente unificazione dello
spirito ita- liano promossa dall’Umanesimo, visto come un momento del Risorgimento,
che è cosa del pasato ed è cosa presente e immanente a tutta la storia
italiana, dalla caduta di Roma e dalle invasioni in poi afferma Volpe che tendeva appunto a una
d ilatazione e dissoluzione del concetto di Risorgimento, finché a
Vittorio Amedeo II appare chiaro il
fine ultimo della politica sabauda: che era quello di chiudere le
porte d’Italia a francesi e tedeschi e rendersi signori col tempo di gran
parte della penisola . Accanto alla precoce affermazione di una coscienza
nazionale, Volpe individua nel Comune e nel podestà il delinearsi più netto di un ente, lo
stato che nasce , e sottolinea in più punti, come aveva avvertito nel
Programma per una storia d’Italia, la
funzione italiana e quasi nazionale che assolve il papato: questa
comincia ad apparire già al tempo di Carlo Magno, ritorna all’epoca di
Federico II, per poi affermarsi con la Controriforma quando il pontificato romano, nella lotta al
protestantesimo, si mosse nella direzione segnata dallo spirito del
popolo italiano, e l’Italia,
politicamente divisa, ma unita nella cultura, priva ancora come è
di più intimi e propri centri, si appoggia, nel lento maturare della
sua coscienza nazionale, al papato. Come aveva tratto nel suo cerchio
ideale Roma antica, cosi ora Roma papale, nella quale vedeva, accanto a
una funzione cattolica, anche una funzione nazionale e italiana. Molti
altri aspetti potrebbero essere sottolineati nella ricostruzione volpiana
come l’ampio rilievo dato alla rivolta antispagnola , mentre non mette
conto Solmi, Discorsi sulla storia d’Italia, Firenze, La
Nuova Italia, soffermarsi sulle parti della voce redatte da Rodolico
e Ghisalberti improntate a una storiografia puramente
événémentielle e aproblematica, in cui le preoccupazioni ideologiche si
fanno via via prevalenti, se non per rilevare, nel primo, l’esaltazione del
sanfedismo ( pagine di fierezza di popolo) e della missione nazionale
assolta da Carlo Alberto ancor prima del 1848, e, nel secondo, la
caricatura del peggior Volpe de L'Italia in cammino che si conclude con
una apologia del fascismo. Due contributi, questi, che non reggono il
confronto con la narrazione volpiana, capace in alcuni momenti di presentare la
complessità del processo storico e di aprirsi alla considerazione di
aspetti economici e sociali: con più forza nella connotazione delle origini del
Comune già Ottokar aveva rilevato come esso fosse composto di elementi economicamente e
socialmente assai eterogenei (Comune),
ma anche nella valutazione delle basi sociali della Signoria, per cui
Volpe accetta nelle linee generali la tesi di Ercole della sua
origine popolare anche se poi opera delle differenziazioni fra
Venezia e Firenze e tra le vatie fasi della storia fiorentina; ma sempre
con un certo interesse per la correlazione tra storia politica e storia
sociale, che manca invece in Giorgio Falco, il quale nella Signoria un
tema su cui si concentrò l’attenzione di gran parte della storiografia
italiana tra le due guerre, in cerca dell’origine dello Stato moderno e
di una nuova classe dirigente sottolinea
la tendenza all’affermazione di potenti individualità e la prefigurazione della futura storia
d’Italia: il Principe di MACHIAVELLI, infatti, con la sua esaltazione della sovrana
virt4 fondatrice di stato, liberatrice d’Italia, riassume i due motivi
dell’età delle signorie: ciò che essa aveva prodotto, lo stato creazione
dell’uomo; ciò che essa aveva invocato, la nazione, ed era il compito
dell’avvenire Pizzetti, Chabod storico
delle Signorie, Se alla radice delle signorie sta, non di rado afferma Falco,
un conflitto di natura sociale ed economica e se, com'è ovvio,
gl’interessi economici hanno parte in maniera generica nell’origine e
nello svolgi Se infine, in questo assai rapido e incompleto esame
del settore di storia moderna e contemporanea, prendiamo in
considerazione alcuni contributi di storia italiana di due intellettuali,
come Chabod e Maturi, per i quali più spesso si è sottolineata
l’ascendenza crociana, possiamo notare che nei loro giudizi essi sono
largamente debitori di Volpe e di Gentile e quindi, almeno indirettamente,
dell’impronta nazionalistica di questi ultimi; con ciò non si vuole
esprimere, com’è naturale, un giudizio generale sull’opera di Chabod e di
Maturi nel periodo fascista che dovrebbe tener conto ad esempio, per il
primo, e per limitarsi all’Exciclopedia, anche del contributo su Machiavelli,
che nel suo rigore scientifico si contrappone alla presentazione
decisamente nazionalistica che ne aveva fatto Ercole, ma solo contribuire a
chiarire le caratteristiche complessive dell’Enciclopedia come
manifestazione culturale del fascismo. Accenti nazionalistici sono
presenti, infatti, in Rimascimento di Chabod, che pur qui (come nella
comunicazione su Il Rinascimento nelle recenti interpretazioni) si preoccupa di
negare in un periodo in cui assai accese, e non immuni da preconcetti
ideologici, erano le controversie sulla periodizzazione la continuità
col Medioevo, contestando la tesi di quanti, come Thode e Burdach,
hanno messo in luce gli elementi
storico-ideologici che ricollegano il trionfante movimento dei secoli XIV
e XV ad aspirazioni, credenze, idee dell’età precedente, e di quanti, come
Volpe, hanno operato un analogo allargamento del quadro cronologico
mettendo in rilievomento della nuova istituzione, caratteristica di essa,
quando riesce a mettere radice, è essenzialmente l’affermazione e il
trionfo di una volontà politica, una dissociazione dell’esercizio del
potere dalle attività della produzione e dello scambio, dalle
organizzazioni di arte e di classe, una soggezione lenta e progressiva di
queste e di quelle agli scopi dell’uomo di governo, infine, dello
stato (Signorie e Principati,Per alcune
indicazioni sul dibattito su Machiavelli nel periodo fascista M. Ciliberto, Appunti per una storia della
fortuna di Macbhiavelli in Italia: Ercole e Russo, in Studi storici, Ora in
Chabod, Scritti sul Rinascimento, Torino, Einaudi, gli elementi storico-pratici che collegano
età dei comuni e Rinascimento tradizionale, e hanno prospettato il
Rinascimento come il moto stesso di ascesa del popolo italiano, nella sua
coscienza di nazione, nella sua attività politica ed economica oltre che
culturale e artistica, e hanno pertanto fatto tutt'uno fra Rinascimento e
storia del popolo italiano a partire dal sec. XI . In realtà il distacco
da Volpe si manifesta soprattutto nella sostanziale esclusione
degli aspetti politici ed economici rilevati da Volpe già in Bizantinismo
e Rinascenza, e ancora nella voce Italia, e nella caratterizzazione
kulturgeschichtlich del periodo, per cui se il Rinascimento è divenuto
una categoria storica, lo è al pari degli altri e simili concetti di
Illuminismo e Romanticismo nell’unico significato possibile, e cioè
di un momento storico della vita spirituale europea, di un periodo
filosofico, letterario, artistico, che si origina certo da una
determinata realtà politica e sociale nuova, ma che, ad un certo momento,
si dispiega per cosî dire in modo autonomo e, tratto da quella realtà il
succo vivo di cui alimentarsi, lo elabora poi concettualmente e immaginativamente,
ne fa un mondo a sé, mondo di idee di dottrine di creazioni artistiche che
si dispiega sino ad esaurimento della sua interiore virtà. Ma nella voce
enciclopedica, a differenza della comunicazione, la distinzione
iniziale tra il Rinascimento e il periodo precedente, affermata nell’analisi
delle interpretazioni, è contraddetta quando Chabod passa a enucleare gli
elementi costitutivi dell’ epoca. Mentre nega la tesi di un rinnovamento spirituale europeo che si sarebbe verificato in Francia e nei
Paesi Bassi, riprende il motivo della continuità e insiste sul
carattere esclusivamente italiano e perfino nazionale del Rinascimento,
preparato lentamente, che vide in Italia lo sviluppo dei Comuni e della
borghesia: Nel Rinascimento, afferma Volpe, è come se la società
italiana, la borghesia italiana nata dalle città, celebri se stessa
riuscita a essere, da nulla che era, tutto o quasi tutto; come se celebri
la signoria e il signore, che era pur egli, a modo suo, creatura di
quella borghesia e, a modo suo, attuava quell’ideale dell’uomo che si fa
da sé (Italia). E la graduale
conquista di un proprio mondo spirituale da parte di chi aveva, già
prima, dato nuove basi alla propria attività pratica e alla propria vita
quotidiana. Era infatti una società nuova, quella ch’era venuta
affermandosi nell’Italia, e specialmente nell’Italia settentrionale e
centrale. Come ceio sociale, era già ben robusto e capace quello che, con
termine moderno, chiameremmo borghesia, ormai differenziato nettamente
dai chierici e dai feudatari. Questo gagliardo e irrompente fiotto
di vita nuova trovava presso che subito una sua prima, grande espressione
morale e spirituale, ma non sul terreno della cultura cosiddetta laica,
bensf su terreno prettamente religioso.] ora, all’inizio del secolo XIII,
era la società italiana tutta quanta che appalesava le sue rinnovate
esigenze di vita morale nel movimento francescano. Che era il grande
apporto della nuova nazione italiana alla storia della religiosità
europea. In questo recupero dell’interpretazione volpiana anche Cantimori, sul Dizionario di politica,
aveva individuato nel Rinascimento la presenza di un sentimento nazionale unitario italiano il
trasferimento nell’ambito prettamente umano di idee che prima
avevano trovato la loro ragion d’essere nella fede in Dio è seguito
nel suo lento cammino, che dal francescanesimo porta a Dante, a Cola di
Rienzo, a Petrarca e infine a Machiavelli, cioè attraverso l’erompere delle
nuove, giovani forze che danno vita alla nazione italiana, con una
genealogia che richiama quella proposta da Gentile nella sua
ricerca della nazionalità della filosofia. Per converso, il tramonto del
Rinascimento si ha, afferma Chabod in un passo finale della voce in cui
già Cantimori ha colto il ripiegare sul piano della storia nazionale
dell’interesse precipuo dello storico valdostano per il fenomeno europeo
e cosmopolitico del Rinascimento, Cola di Rienzo e oggetto di grande
attenzione nel periodo fascista in quanto espressione come afferma Falco
nella voce a lui dedicata
lella coscienza italiana. le osservazioni di Garin in Gentile, Storia
della filosofia italiana, Firenze, Sansoni, Cantimori, Chabod storico
della vita religiosa italiana, ora in Storici e storia, Analizza la voce,
come caratterizzazione spirituale del
Rinascimento, E. Sestan, Rinascimento e crisi italiana del Cinquecento nel
pensiero di Chabod, in Rivista storica italiana, in stretta connessione
con l’infiacchimento della vita italiana, con la iniziantesi decadenza
politica ed economica, con il venir meno delle grandi speranze e della
volontà d’azione, in una parola con il tramonto delle forze creatrici che avevano
dato alimento ed essere alla muova civiltà e ne avevano fatto
l’espressione piena del vigoroso sorgere della nazione italiana.
Pit precisa ancora è l’influenza di Volpe e di Gentile che accanto
a una forte sensibilità per il conflitto tra ethos e kratos su cui aveva
attirato l’attenzione Meinecke , si può riscontrare in alcune voci
risorgimentali di Maturi, che pur Volpe giudicherà liberale, liberalissimo, come in
politica, cosi in storiografia, assai aperto alle influenze di Benedetto Croce
, e tra i suoi allievi forse il
più distaccato, nell’intimo, dal mondo del fascismo, Tornando a valutare la sua
celebre voce Risorgimento, Maturi la presentò come una decisa risposta alla
tesi nazionalistica ?; tuttavia, se è vero che in essa l’autore si
opponeva alla dissoluzione del Risorgimento nella secolare storia
italiana, non è sufficiente limitarsi a definirla una
interpretazione rigorosamente
etico-politica senza precisarne le fonti
?. Assai netta appare infatti la sottolineatura delle origini autoctone
del Risorgimento, L’idea della ragion di Stato di Meinecke era stata
fatta conoscere da Chabod in un articolo (ora in Lezioni di metodo
storico, a cura di L. Firpo, Bari, Laterza), mentre Cosmopolitismo
e Stato nazionale era stato tradotto da La Nuova Italia : sono testi
probabilmente presenti a Maturi, che anche nelle voci enciclopediche
avverte il contrasto tra politica e morale, tra Stato e idea di
nazionalità, soprattutto nella Restaurazione, nella quale si elaborano da
un lato i concetti di stato forte e di potenza, dall'altro quelli di
libertà e di civiltà (Restaurazione).
L’opera degli Svizzeri e dei Tedeschi fu immensa per la formazione delle
coscienze nazionali europee, ma fu opera essenzialmente culturale: per fare
trionfare in pratica il principio ci volevano diplomatici e
rivoluzionari. Alessandro fu il primo ad agitare l’idea della
nazionalità (Storia del principio di
nazionalità, sottovoce di Nazione di Battaglia). Volpe, Storici e
maestri, Maturi, Gli studi di storia moderna e contemporanea, in
Cinquanta anni di vita intellettuale italiana, La sua interpretazione è stata
fatta propria da E. Sestan, Maturi, in
Rivista storica italiana,
(l’articolo esamina anche le altre voci di Maturi), e da Salvadori,
Maturi, cSalvadori, Walter Maturi, sganciato da ogni rapporto con la
Rivoluzione francese. Ma, allora, avrebbero ragione gli storici francesi,
che fanno ancora risalire alla rivoluzione francese il nostro
Risorgimento, si chiede Maturi una volta confutate le tesi sabaudista e
diplomatica delle origini del Risorgimento: Ciò che distingue la nostra
tesi da quella francese, rappresentata ancora dal Bourgin, è il valore
che noi diamo all’epoca del dispotismo illuminato e al principio della
lotta delle nazioni. Senza le riforme del Settecento, senza
l’insoddisfazione dei nostri elementi regionali pit intelligenti verso lo
stato regionale, senza lo stacco che l’opera riformatrice aveva posto in Italia
tra minoranze sovvettitrici di vecchi ordini statali e masse
meccanicamente attaccate a quegli istituti, la rivoluzione francese non
si sarebbe potuta inserire tra le lotte politiche e sociali italiane e non
avrebbe trovato il germe fertile, il terreno fecondo. D'altro canto le
grandi lotte settecentesche tra Francia e Inghilterra avevano insegnato
agl’Italiani la fecondità delle lotte nazionali. Diversamente
da quanto dirà nel saggio su Partiti politici e correnti di pensiero nel
Risorgimento, Maturi considera quindi il Risorgimento un movimento
che affonda le sue radici nell’età delle riforme. Anche Volpe aveva
sottolineato i Principi di Risorgimento italiano; ma il richiamo a Volpe si
fa ancora più preciso quando Maturi coglie l'elemento propulsore del
Risorgimento in un piemontese non conformista, Alfieri col quale si afferma il primo presupposto d’una
nazionalità: la volontà di essere uno stato-nazione. In Problemi storici e
orientamenti storiografici, raccolta di studi ‘a cura di Rota, Como,
Cavalleri, Romeo ha invece scritto: Fermissimo, anzitutto, nel Maturi, il
rifiuto delle posizioni nazionalistiche e, dunque, di ogni tesi sul carattere
pre-risorgimentale del Settecento o peggio, sulla funzione risorgimentale dei
Savoia; e nessuna adesione, di conseguenza, al tentativo di negare il
nesso Rivoluzione francese-Risorgimento (Maturi storico della storiografia ora
in L'Italia unita e la prima guerra mondiale, Bari, Laterza. Il pensiero
riformatore fu giudicato astratto da Rota, fuorché in Italia, dove
avrebbe avuto carattere autonomo e nazionale (Riforme, età delle, Rivista
storica italiana (il tema dell'articolo era stato anticipato da Volpe al
Congresso per la storia del Risorgimento sulla base del celebre passo di
Del principe e delle lettere in cui si auspica che l’Italia, inerme, divisa,
avvilita, non libera, impotente, possa risorgere virtuosa, magnanima, libera e una: lo stesso
passo parafrasato da Volpe per dimostre che con Alfieri il lento processo storico che da secoli
veniva costruendo l’Italia diventa veramente coscienza e volontà. È
questo un tema, del resto, che nell’Enciclopedia circola ampiamente, da
Rodolico, che vede in Alfieri i
primi albori del Risorgimento nazionale (Italia), a Manfredi Porena, per
il quale il letterato piemontese ebbe con maggior chiarezza di ogni altro suo
precursore il concetto dell’unità politica d’Italia fondata sull’indipendenza e
sulla libertà, e con maggior ardore e fiducia la profetò (Alfieri).
Ma le date e il linguaggio di queste voci ci suggeriscono che all’origine
dell’interpretazione di Maturi non c’è soltanto Volpe; e se pensiamo
alle: altre tappe della creazione del mito risorgimentale, tutte
segnate da letterati, da Foscolo a Cuoco, ci accorgiamo che la matrice è
il Gentile de L'eredità di Alfieri, I profeti del Risorgimento italiano,
Vincenzo Cuoco. Cuoco scrive Maturi riprendendo la genealogia gentiliana
della nuova Italia accolse tutto
l'insegnamento che si poteva cogliere dalla rivolta delle plebi italiane
e predicò come dovere morale l’opera di colmare l’abisso tra popolo e minoranze
intellettuali. E un altro grande contributo portò il Cuoco al concetto di
Risorgimento: il culto del VICO (si veda). Se Alfieri insegnò agl’Italiani ad
agire in grande, Vico insegnò loro a pensare in grande; se con l’Alfieri
l’Italia s’individuò come volontà di essere stato tra gli stati europei,
col Vico acquistò coscienza di avere una propria personalità nella
cultura europea. Dalla fusione delle dottrine di questi due grandi nacque
la nuova Italia, pensante e operante con una sua particolare
fisionomia. nel seno dell'Europa. Può essere curioso notare che, pur
polemizzando con l’interpretazione autoctona di Gentile, anche Gobetti
aveva visto in Alferi l’iniziatore di un Risorgimento e un liberalismo
che ben si può dire originale, e in cui si trovano le premesse della
nuova cultura politica italiana (La
filosofia politica di Vittorio Alfieri, tesi di laurea in filosofia del
diritto discussa con Solari, ora inGobetti, Scritti storici, letterari e
filosofici, a cura di Spriano, con due note di Venturi e Strada, Torino,
Einaudi). Anche per Battaglia Cuoco aveva avuto il merito di mettere
in circolazione Vico, in particolare quella posizione storicistica, che
in Se quindi Maturi rifiuta la tesi sabaudistica e quella
diplomatica delle origini del Risorgimento, è per costruirne un’immagine
etico-politica che rinvia a Gentile, ma anche a Volpe. Non è del resto
possibile dimenticare che non di vero e proprio antisabaudismo si tratta
nel caso di Maturi, uno dei
patiti del Piemonte ?. Nell’ampia
voce Savoia, il giudizio positivo sull’opera di riorganizzazione dello Stato di
Filiberto e di Emanuele I diventa entusiastico per il ’700 ( Da molteplici
punti di vista lo stato sabaudo nel Settecento appariva uno stato perfetto ),
mentre Carlo Alberto è definito un
principe paterno modello e la sua opera
prima del 1848 è qualificata come nazionale; per cui sembra
corretta la critica che di lf a poco Cortese muoverà a Risorgimento
di Maturi ( non crediamo che ci siano elementi che ci autorizzino a fare della
classe politica piemontese della fine del Settecento la creatrice del mito del
Risorgimento nazionale. Un altro motivo che torna anche in alcune
voci enciclopediche di Maturi, laureatosi in filosofia con Gentile con
una tesi su De Maistre, è quello della religione e dei suoi rapporti col
potere politico. Proprio nell’opera di De Muistre egli coglie i primi germi di alcune eresie: del
modernismo con i suoi accenni all’evoluzione dei dogmi e delle credenze
religiose; del nazionalismo francese di Ch. Maurras con la sua eccessiva
Politisierung della Chiesa nel Du a , e, più in generale, in
Restaurazione nota che per rendere più docili le nuove
generazioni e amalgamarle con le vecchie non si seppe pensare ad altro
mezzo che all’educazione ecclesiastica e si commise l’errore di abbassare la
Chiesa a instrumzentum regni in un’età di delicatissima sensibilità
etico-religiosa, con l’unico parte si fonde con la filosofia
antilluministica , e aggiungeva che
l’opera sua resta nei limiti della tradizione nazionale, che egli
riconquistò alla filosofia ed elaborò con alta coscienza, tanto che al suo
insegnamento si ricollegarono gli uomini del Risorgimento: Mazzini e Gioberti
stesso Cantimori, Studi di storia, Torino, Einaudi, Cortese, Orientamenti
storiografici intorno alle origini del Risorgimento, in Problemi storici e
orientamenti storiografici, frutto di
provocare per reazione la genesi del cattolicesimo liberale e d’insinuare
con esso il nemico nella cittadella religiosa del passato. Queste
affermazioni non sono tuttavia univoche, come dimostra oltre alla
valutazione positiva dei Patti lateranensi (Romana questione) il giudizio sul
Neoguelfismo, che trasformò in sentimento politico nazionale il
sentimento politico locale, facendo confluire nella cultura nazionale le
culture regionali, e quindi compî, sotto certi aspetti, un’opera
d’educazione nazionale maggiore di quella di Mazzini, perché operava dal
seno stesso delle vecchie formazioni statali italiane e ne produceva la
crisi morale. Del neoguelfismo, restò, trasformandosi ed evolvendosi, il
liberalismo nazionale o partito moderato col nuovo ideale d’Italia e casa
Savoia, elaborato dalla storiografia piemontese; restò il cattolicesimo
nazicnale, che abbandonò le idee di riforma cattolica, si restrinse ad aspirare
alla conciliazione tra il papato e la patria italiana e ha visto realizzato
il suo sogno dalla nuova politica ecclesiastica di B. Mussolini; restò l’ideale
del primato, che è stato ripreso dal fascismo
Dove in quel si restrinse traspare comunque una posizione laica,
alla quale fa riscontro per alcuni aspetti il giudizio su Gioberti di
Saitta, il direttore di Vita nova che ospitò, come vedremo, alcune
critiche alle voci religiose dell’Enciclopedia: un Gioberti a proposito
del quale, in linea con l’interpretazione gentiliana ?°, non si cita mai
la funzione da lui assegnata al pontefice, ma è visto come l’esponente di
una visione laica e democratica e il
maggior teorico del liberalismo, che è in antitesi col mazzinianesimo antimonarchico
e col guelfismo dei conservatori che consigliavano il re ad una politica
di mode Di Sanctis Maturi evidenziò gentilianamente il fatto
che, vichiano, senti il valore
della religione per il popolo, ma criticò fino in fondo il principio
della libertà ecclesiastica e molto si adoperò, di conserva col Mancini, per
far mantenere nel sistema separatista italiano alcune cautele
giurisdizionaliste. Comprese, invece, la funzione dialettica, altamente
educativa per ambo le parti, d'un insegnamento religioso coesistente con quello
laico.] Gentile parla di un incessante svolgimento del programma giobertiano
verso quella concezione nettamente laica e democtatica, o in una parola,
liberale dello Stato, innanzi alla quale i neoguelfi ricalcitrano (I
profeti del Risorgimento italiano, Firenze, Vallecchi.] razione e di prudenza,
la quale si risolveva nella diserzione dalla causa nazionale , ed è
esaltato per il suo tentativo di
conciliare la spiritualità dello stato con la spiritualità della chiesa . Busnelli,
un critico severo dell’ attualismo che troviamo fra i collaboratori
dell’Enciclopedia, recensendo su La
Civiltà cattolica i primi volumi
dell’opera notava con compiacimento, come abbiamo visto, che i suoi
direttori, mentre lasciano agli
scrittori la piena libertà d’esprimere il concetto cristiano e cattolico
e il giudizio dei fatti secondo il criterio della soda indagine ecclesiastica,
promettono di invigilare che anche in altri articoli indirettamente attinentisi
alla religione cattolica e alle materie ecclesiastiche non vengano
sostenute o insinuate sentenze o critiche contrarie o malfondate. Il
giudizio rispecchiava il posto privilegiato riservato nell’Enciclopedia
ai cattolici, l’unica voce organizzata non completamente omogenea
con la cultura del fascismo quale era auspicata da Gentile, ma
tale, per ampiezza e incisività, da caratterizzare nettamente l’opera nel
suo complesso, che non può perciò essere qualificata solo come idealista o
attualista. Questo aspetto non è stato messo nel dovuto rilievo dai
testimoni di allora, nemmeno da quanti hanno ammesso la presenza
della censura ecclesiastica ??; del resto nelle stesse
ricostruzioni generali della cultura nel periodo fascista solo di
recente se prescindiamo dalle Cronache
di Garin è stato messo l'accento sull’intervento dei cattolici come
componente es Busnelli], L’
Enciclopedia Italiana , in La Civiltà cattolica. Busnelli aveva pubblicato.
I fondamenti dell’idealismo attuale esaminati. Cosî Vida,
Fantasmi ritrovati, e Calogero, Mussolini, la Conciliazione e il congresso
filosofico in La Cultura. Sulla tematica affrontata in per pagine M. De Cristofaro, Le voci di argomento
religioso nel°Enciclopedia italiana, tesi di laurea presso la Facoltà di
Lettere e Filo sofia di Firenze, anno acc. senziale del regime, anche se
in concorrenza con l’attualismo. Ma l’esistenza di una loro vasta
organizzazione intellettuale e il loro incontro con altri settori
conservatori della cultura laica sono forse ravvisabili già prima del
Concordato. Proprio le vicende dell’Enciclopedia suggeriscono infatti una
prospettiva di più lungo periodo, capace di individuare le tappe decisive
della riconquista cattolica anche in campo culturale in un
confronto continuo con la cultura laica contemporanea nell’iniziativa
neoscolastica all’indomani della sconfitta del modernismo, nella prima
guerra mondiale che offri ai cattolici numerosi spazi di intervento in
tutti i settori della società, e nella soluzione della crisi
Matteotti, in cui anche Pietro Scoppola ha visto l’origine di un
regime clerico-fascista Le osservazioni sul Concordato e sui neoscolastici
svolte da Gramsci nel breve periodo che intercorre fin allal messa
all'indice delle opere di Croce e di Gentile, possono probabilmente essere
anticipate di alcuni anni, al momento in cui, nell'immediato dopoguerra,
il celebre appello di Gemelli al
medioevalismo Noi siamo
medioevalisti; lo siamo perché riconosciamo che la cosî detta cultura
moderna è il nemico pit fiero del Cristianesimo e perché riconosciamo che è
vano parlare di adattamenti, di penetrazione
?° diventa prospettiva concreta di attacco in tanti interventi di
cattolici, fra cui spicca per L. Mangoni, Aspetti della cultura
cattolica sotto il fascismo: la rivista
Il Frontespizio , in Modernismo, fascismo, comunismo, a cura di Rossini,
Bologna, Il Mulino. L’interventismo della cultura. Intellettuali e riviste del
fascismo, Bari, Laterza, e Ranfagni, I clerico fascisti. Le riviste
dell'Università Cattolica negli anni del regime, Firenze, Cooperativa
editrice universitaria. Su un altro aspetto, non meno importante, S. Pivato, L’organizzazione cattolica della
cultura di massa durante il fascismo , in
Italia contemporanea. Scoppola, Sviluppi e differenti modalità
della presenza culturale e politica dei cattolici nelle vicende italiane,
in Quaderni di azione sociale
Gramsci, Quaderni del carcere. L'articolo è riprodotto in A. Gemelli,
Idee e battaglie per la cultura cattolica, Milano, Vita e pensiero] chiarezza
l’invito rivolto da don Giuseppe De Luca allo stesso Gemelli:
Nelle nostre file s'è troppo indugiato sulla difesa. Che fanno
oggi i cattolici studiosi se non difendere dagli attacchi dei nostri
nemici? Perché non occupare noi primi le scienze, le lettere? Perché
non dar neppure il motivo agli avversari? Pigliamo la cultura, e
studiamola e facciamola nostra: quali timori? Una università cattolica, non una
chiesuola; o meglio ancora dare degli elementi vigorosi e inserirli negli
istituti laici. Si assiste infatti a uno sforzo cospicuo dei cattolici di
organizzare una propria cultura per il clero e per il laicato: dal
rilancio del tomismo prospettato dall’enciclica Studiorum ducem che troverà
una espressione organizzativa nella costituzione Deus scientiarum dominus,
alle tante iniziative che come l’Università cattolica o la fondazione
della casa editrice Morcelliana si ispirano al suggerimento di Gemelli,
secondo il quale perché i cattolici
italiani abbiano da esercitare una influenza culturale, quale la
tradizione cattolica in Italia rende possibile, è necessario
innanzitutto che i cattolici non siano reclutati solo nelle classi
popolari, ma anche nelle classi elevate. Gentile aveva cominciato ad
avvertire il pericolo della concorrenza cattolica’, che diventerà
sua preoccupazione costante. Eppure proprio nell’Enciclopedia da lui
diretta egli aveva dovuto accettare fin dall’inizio la presenza
condizionante dei cattolici, fino a perdere ogni controllo sulle
sezioni Religione e Storia del cristianesimo, e a
conferire uno spazio larghissimo a
Materie ecclesiastiche di Tacchi
Venturi e a Geografia sacra di Luigi Gramatica. La vicenda di Omodeo,
cui Luca et l’abbé dr Bremond, Roma, Edizioni di storia e
letteratura, Gemelli, I/ compito colturale dei SE, in Idee e battaglie, Le
università cattoliche dovrebbero, secondo loro, col tempo e col favore di
Dio, sostituirsi interamente alle università laiche dello Stato (discorso al Congresso di cultura fascista di
Bologna, in Gentile, Che cosa è il fascismo. Gramatica, direttore della
Rivi L’Enciclopedia italiana inizialmente era stata affidata la Storia
del cristianesimo, è indicativa del tentativo di Gentile affiancato da
altri direttori di sezione di contrastare l’offensiva ecclesiastica, ma
anche della sua sconfitta. La scelta di Omodeo da parte di Gentile
era coerente all'impostazione critico-storica che la direzione
avrebbe voluto dare alla trattazione di tutte le voci; ben note
erano del resto le aspre critiche che da parte cattolica avevano
accompagnato gli studi di Omodeo sul cristianesimo antico, come il Paolo
di Tarso, giudicato dalla Civiltà.
cattolica opera di un compilatore di seconda o terza mano. La
sua rivendicazione della storia del cristianesimo e in genere della vita
religiosa come storia etico-civile, come storia della società umana, da
studiare, ricercare e ricostruire prescindendo da preoccupazioni confessionali
di ogni genere %, non era infatti tale
da accattivargli le simpatie degli studiosi cattolici; la sua impostazione
idealistica e storicistica era avversata anche da Buonaiuti che, pur giudicando
la Mistica giovannea un sensibile progresso sulla precedente produzione
dell’Omodeo , la considerava tuttavia una mal digesta sta
illustrata della esposizione missionaria vaticana , aveva chiesto a
Gentile di affidargli la Geografia sacra: Per Geografia Santa o Sacra io
non intendo solo la Geografia Biblica o la descrizione dei paesi che
immediatamente o mediatamente prepararono la diffusione del Cristianesimo; ma
intendo parlare altresi di tutte le regioni o località del mondo in
rapporto al governo della Chiesa e in quanto sono assegnate alla
cosiddetta geografia sacra (AEI,
Lettere, Gramatica). Sanctis scrivendo ad Antonino Pagliaro, redattore
della sezione Antichità classiche, si dichiarava deluso dell’elenco di
voci di Geografia sacra : mi pare che non si tratti se non di geografia
ecclesiastica, cioè l’indicare Stato per Stato le circoscrizioni
ecclesiastiche, il numero dei preti e dei fedeli ecc. Invece sarebbe
stato bene che la geografia sacra registrasse i centri importanti di
culto, i luoghi di pelle grinaggio, i luoghi famosi nella storia
evangelica o nella storia della Chiesa
(AEI, Lettere, De Sanctis. Intorno a un libro su S. Paolo del prof. A.
Omodeo, in La Civiltà. Cattolica. Di retorica romanzesca era tacciato anche il volume di Omodeo
su L’età moderna e contemporanea (Storicismo socialista e fantasie
retoriche e modernistiche, in La Civiltà
cattolica , Cantimori, Commemorazione di Omodeo, ora in Storici e storia,
accozzaglia di elementi eterogenei ed avventizi. Le preoccupazioni
cattoliche erano giustificate anche dall’orientamento che Omodeo avrebbe voluto
dare alla sezione enciclopedica, puntando essenzialmente su collaboratori laici
in modo da salvaguardare un approccio critico-storico ai problemi. Egli
scriveva a Gentile che molte voci,
anche quelle di sapore strettamente ecclesiastico non si possono neanche
affidare a preti, senza il pericolo di perdere l’informazione sugli studi
critici e protestanti, e per converso non si possono affidare neppure a
protestanti sia italiani che stranieri , pur aggiungendo che si sarebbe
rivolto al gruppo di Bilychnis per la storia protestante e a Loisy per
la storia della critica e la storia del canone Gentile approvava, ma lo
avvertiva che, mentre la trattazione dei papi sarebbe spettata alla sezione
diretta da Volpe, dei Sanzi, salvo
contrario avviso, penserei dare la cura ad ecclesiastici, con cui sono in
trattative. Largo restava comunque l’intervento dei laci nelle voci di
storia religiosa ®; le stesse voci riguardanti dottrine teologiche,
riti e culti, aggiungeva Omodeo avrebbero bisogno d’una trattazione laica anche
quando pare si riferiscano a concetti teologali o liturgici, pur,
ben inteso, rispettando quelle norme di prudenza ed obiettività di
cui abbiamo parlato. Il piano delle voci e dei collaboratori era completato, Omodeo
poteva già presentare un abbozzo della voce Apostoli, che poi corresse
seguendo il consiglio di Gentile Ricerche religiose. Gentile-A. Omodeo,
Carteggio. Gentile scrive che l’altera pars [gli ecclesiastici] mi
consegna in questi giorni tutte le sue proposte sulle materie
ecclesiastiche. Omodeo prevedeva ad es. la partecipazione di Marchesi per
la patristica latina, di Pasquali per quella greca, di Cognasso per la storia
religiosa bizantina, L. F. Benedetto per il giansenismo francese, Rota e
Rodolico per quello italiano, Macchioro per Lutero e la Riforma,
Spampanato e Capasso per la Controriforma, e inoltre la partecipazione
dei collaboratori di Bilychnis, di Caramella e Minocchi. L’Enciclopedia
italiana di lasciare aperte alcune questioni; quantunque sia
già molta la prudenza da te adoperata: cautele che non impediranno, una
volta pubblicata, le critiche de La
Civiltà cattolica. Ma, in coincidenza con la pubblicazione del Primo
elenco di collaboratori, a Omodeo era giunta voce di un veto del
Vaticano alla sua partecipazione, tanto da suggerirgli il
proposito di tirarsi da parte. Gentile
continuò tuttavia a ricercare la collaborazione di Omodeo solo tre giorni
dopo il Concordato, intervenne per criticare varie voci, fra cui
Apocalisse e Apocalittica, letteratura, perché
alcune frasi danno come risolte definitivamente in senso che i
cattolici non approvano, alcune questioni critiche, a proposito delle
quali occorrerebbero almeno delle delucidazioni. La risposta di Omodeo, del 16
febbraio, è articolata nella difesa delle sue ragioni scientifiche, ma
intransigente: L’obiettività d’un’enciclopedia, è una forma di buona
creanza, ma non può offendere l’intima sostanza della scienza. Metter
d’accordo indirizzo critico e tesi cattolica è impresa disperata, come
conciliare sistema tolemaico e sistema copernicano. La scienza ha il suo
cursus, e un’enciclopedia deve riconoscerlo ed affermarlo. Io per conto
mio nella scienza sono intransigente e non mi sento l’animo per
concordati e compromessi. Mi creda, professore, a dar retta ai preti si
finisce a impazzire. Nella scienza erano sono e saranno capita mortua Per
la Storia delle religioni Gentile aveva fatto preparare da Pincherle le
proposte dei collaboratori da incaricare per le voci, che non conviene affidare
alla redazione degli ecclesiastici. Escluso solo Buonaiuti. Busnelli]. Gentile-A.
Omodeo, Carteggio,365. Nel giugno 1927 anche Pincherle minacciò di
abbandonare l’impresa facendo cosî, osservava Omodeo, con un’impulsiva
rinuncia, il gioco dei gesuiti che lui mostra di temere. Apocalittica
letteratura di Omodeo non fu pubblicata, e apparve a firma di padre Giuseppe
Ricciotti, redattore di Materie
ecclesiastiche . Omodeo pubblicherà due voci su Civiltà moderna. Le
lettere dell’Apostolo Paolo alla Chiesa di Corinto e La lettera
dell’Apostolo Paolo ai Colossesi). Sulla
mutilazione di cui furono oggetto
altre voci A. Omodeo,
Lettere Gentile-A. Omodeo, Carzeggio, Gentile cercò di dirottarlo su
argomenti di storia civile, ma Omodeo dichiarava che non avrebbe
continuato la collaborazione: Son sicuro
che anche nella storia civile non avrei maggior libertà che in quella
religiosa, una volta ammesso il principio del controllo di una parte sul
lavoro dell’altra ; se fosse stato possibile accordarsi su un principio di completa libertà , io avrei lasciato liberi i preti di
gabellare, come han fatto, Abramo quale personaggio storico, o di far
l’apologia, se crederanno, del miracolo di S. Gennaro: a condizione che
essi non avessero inquisito nei miei lavori. L’enciclopedia avrebbe
fotografato la cultura italiana, in cui c'èVaccari, e c'è A. Omodeo ?!. Cosî le voci di Omodeo
restano una delle poche testimonianze di trattazione critica dei problemi
religiosi nell’Enciclopedia, in genere appiattiti dall’impostazione ‘dogmatica
e apologetica degli autori cattolici. Ammiratore della scuola storica di
Tubinga fondata da Ferdinand Christian Baur la cui opera era definita uno dei maggiori monumenti dello
storicismo hegeliano , Omodeo cercò di attenersi ad una esposizione
obiettiva dei fatti e delle diverse interpretazioni, ma senza riuscire a
nascondere la sua preferenza per i risultati dell’indagine critica
rispetto alle affermazioni aproblematiche degli studiosi cattolici:
in Apocalisse, ad esempio, dopo aver esposto l’opinione di quanti
negavano l’apostolicità dello scritto concludeva che in opposizione a questi indirizzi critici, il
cattolicesimo si mantiene saldo nell’affermare l’apostolicità
dell’opera ormai abbandonata quasi da
tutti nell’altro campo e nel ribadirne l’ispirazione divina, e l’esegesi
spiritualizzante . Rispetto a un giudizio del genere, si può notare un
vero e proprio capovolgimento di segno nella voce, esecrata da Omodeo, in
cui padre Eerembeemt aveva sostenuto la storicità della figura di Abrarzo
affermando la insussistenza delle
teorie di chi la negava, o in Abramo è un personaggio storico? Pei
credenti, si; e sotto Abramo trovi un paragrafo dove sono oggettivamente
esposti gli argomenti per la storicità di Abramo, osservò Ugo Ojetti, I
primzi ser volumi del- L’Enciclopedia italiana Deuteronomio voce
prima affidata a Omodeo e poi respinta dalla direzione dell’Enciclopedia,
in cui il. gesuita Tramontano avvalorava le tesi degli studiosi cattolici
che attribuivano l’ultimo libro del Pentateuco a Mosè, confutando
recisamente quelle dei critici
acattolici. Omodeo avrebbe dovuto trattare anche la storia della
Chiesa dalle origini al concilio di Nicea, ma il 29 giugno 1929 egli
aveva avanzato delle riserve per i limiti, molto ristretti, di
libertà di parola che consente l’enciclopedia, Se per le voci bibliche io
arrivo spesso a cavarmi d’impaccio esponendone il contenuto e narrando la
storia della critica, per [questa] voce non è cosî. Non posso narrar la
storia della chiesa, senza prender posizione, altrimenti la narrazione
non procede. Nelle questioni spinose dell’origine dell’episcopato, del
primato romano, della struttura dogmatico-disciplinare della chiesa,
della prassi penitenziale, dei sacramenti ecc. non potrei non dare scandalo ai
preti, divenuti cosî intolleranti, Subito dopo Gentile lo cavava
d’ impaccio affidandone la stesura a don
Giuseppe De Luca, che senza troppe preoccupazioni spiegava la rapida
diffusione del cristianesimo con i caratteri della dottrina stessa ( per tutti
che sentissero lo stimolo di una vita non solamente animale, [la
dottrina cristiana significava] la formula risolutiva della propria
umanità in ciò che ha di buono e di cattivo, con la tecnica della propria
cultura interiore ), giustificava l’impiantarsi della gerarchia e del primato
romano, e spiegava come da
contaminazioni e compromissioni della dottrina cristiana, consumate per
opera di menti ansiose e irrequiete, nacquero le prime eresie. Alla luce
della vicenda di Omodeo è facile presumere che l’ingerenza degli
ecclesiastici si sia estesa ben presto a l’Enciclopedia italiana,
in Il Corriere della sera. In Pentateuco
il gesuita Alberto Vaccari espose i motivi per cui la scienza [può]
trovare nel Pentateuco un buon nucleo autenticamente mosaico frammezzo ad
accrescimenti d’età posteriore. Né pi sembra domandare la fede cattolica,
quando vuol salva la sostanziale autenticità e integrità del Pentateuco,
e lascia passare aggiunte, purché ispirate, e mutazioni accidentali
posteriori a Mosé (v. il decr. della Commissione biblica. Gentile-A. Omodeo,
Carteggio, c tutti i settori in cui erano presenti voci o riferimenti
religiosi, vanificando l’impronta laicista che non solo Gentile e Volpe,
ma anche, con particolare forza, Francesco Salata avrebbe voluto dare
alla sezione Storia contemporanea
, di cui perderà la direzione nel corso della preparazione
dell’opera: senza invadere il campo
riservato alle sezioni Filosofia, educazione, religione e Storia delle
religioni , scriveva Salata in un promemoria, ritengo che la parte
prevalentemente politica della storia contemporanea delle religioni e
specialmente della Chiesa cattolica, e quindi, ad esempio le voci
personali dei papi, dei cardinali segretari di Stato, dei nunzi, quelle
dei concili, di alcune istituzioni amministrative della Chiesa, di alcune
dottrine politico-religiose ecc. trovino posto più proprio nella mia
sezione. Per alcune voci relative alla Chiesa cattolica ciò non può
mettersi in dubbio per il periodo precedente, ma anche per il periodo
successivo è troppo chiara l’importanza politica del papato non solo per
l’Italia ma anche in tutta la politica internazionale, perché tali voci
siano sottratte alla sezione che ha cura e responsabilità della storia
politica di questo periodo Ma, quando Salata avanzava queste pretese, la
presenza dei cattolici tendeva già a dilatarsi all’interno
dell’Enciclopedia, favorita dalla singolare concezione dell’obiettività
propria di Gentile, consistente nel rivolgersi ai competenti , ma in ultima istanza ai diretti
interessati , Cosi le voci sui gesuiti furono attribuite prevalentemente
a esponenti dell’ordine con un cospicuo intervento di Tacchi Venturi,
Rosmini al rosminiano Caviglione, con l’interpretazione del quale Gentile aveva
polemizzato, Scolastica e S. Tommaso ai neoscolastici Francesco
Pelster e Martin Grabmann, Neoscolastica a Gemelli, e a Niccoli,
allievo di Buonaiuti, voci come Gioacchino da Fiore e Modernismo. Il fatto che
queste voci di storia religiosa fossero affidate a rappresentanti di vari
indirizzi di pensiero AFI, Lettere, Salata. Da Barnabiti particolarmente
desidererei gli articoli relativi ai Barnabiti , aveva scritto il 18
aprile 1925 Gentile a padre Semeria (AEI, Lettere, Semeria).
39 G. Gentile, Storia della filosofia italiana, La voce fu riprodotta,
assieme a quella Rosminiani, congregazione dei di Bozzetti, in Rivista rosminiana comportò l’esistenza di
inflessioni diverse nel giudizio e nel taglio metodologico: ad esempio,
presentando la figura di Gioacchino da FIORE (si veda) Niccoli non solo
riprese l’interpretazione che ne dava Buonaiuti in quegli stessi anni
°° una delle figure più notevoli
della spiritualità cristiana durante il Medioevo , la cui opera ha
un contenuto intimamente sovversivo nei
riguardi della Chiesa ufficiale , ma si differenziò anche da altri autori
spiegando in termini economici e politici la genesi della sua profezia
sull’avvento della Chiesa della realtà spirituale sostituita a quella
della gerarchia e dei simboli. Tuttavia, al di là di queste distinzioni
interne, l'intervento dei cattolici comportò, da un lato, la dilatazione
dello spazio concesso alle voci religiose
come dimostra anche un rapido confronto tra l’Enciclopedia
britannica e l’opera diretta da Gentile, in cui voci specifiche sono
attribuite, ad esempio, a Concezione immacolata o a Comunione dei santi ;
e, dall’altro, l’apologia del cattolicesimo più tradizionale, che non investe
solo la storia della Chiesa medievale sulla quale la cultura cattolica
vantava anche allora una ricca tradizione di studi il fascismo inquinò anche la storiografia
medievalistica con un clericalismo nauseante nell’esaltazione in blocco di
tutta la storia della Chiesa medievale (tutti i papi medievali
vengono esaltati nell’Enciclopedia italiana) , ha osservato
Gabriele Pepe , ma riguarda tutti i periodi storici. Basti pensare
alla voce su S. Gerzaro in cui il gesuita Romano Fausti sostiene la
veridicità del miracolo, secondo quanto aveva La voce ha molte assonanze,
ad es., con E. Buonaiuti, Gioacchino da Fiore, in Rivista storica italiana , Gioacchino, con
tutta probabilità servo della gleba per nascita, è giunto al suo riscatto
e alla formulazione del suo messaggio attraverso l'iniziazione in una
riforma monastica, quella cisterciense, di origine e caratteristiche
squisitamente latine, la cui importanza sul terreno sociale come fattore
di disgregazione dei superstiti istituti feudali anche nell'Italia
Meridionale si palesa oggi sempre più evidente. Sarà infine necessario
tener presente che il ciclo fattivo della vita di Gioacchino coincide con
quello della maggior fortuna del regno normanno in Italia: tendenze,
aspirazioni e crisi del quale, studi recenti hanno mostrato riflettentisi
sulla complessa esperienza di Gioacchino. Pepe, Gli studi di storia medioevale,
in Cinquant'anni di vita intellettuale italiana, cprevisto Omodeo, o allo
sconcertante giudizio con cui Palmarocchi minimizza il ruolo di un
personaggio scomodo come Savonarola, spiegandone la
condanna: secondo alcuni essa ricade sui fiorentini, secondo altri
sulla corte di Roma. È certo che il Savonarola stesso diede ai suoi
nemici l’occasione di abbatterlo, immischiandosi e invischiandosi nelia
politica e avallando con la sua autorità morale i fatti e i misfatti di
una fazione. Ma la causa più profonda della sua caduta fu la sua
illusione di arrestare il cammino dei tempi, il suo sforzo d’impotre
agl’italiani del quattrocento una concezione di vita ormai
superata. In questo quadro non mancano tuttavia delle
eccezioni, costituite non solo dagli interventi di Chabod e di Cantimori
su figure di protestanti e di eretici, ma anche da alcune voci di
Pincherle e di Jemolo che affrontano tematiche più ampie di storia della
Chiesa, con un’attenzione particolare ai collegamenti fra storia
religiosa e storia politica. Questi evitano infatti di pronunciarsi sulle
questioni propriamente teologiche seguendo la via proposta da Gentile
quando, inviando a Jemolo delle istruzioni per la compilazione di
voci di storia della Chiesa, osservava che
anche delle singole controversie teologiche sarà da rilevare il
significato intimo, le azioni e reazioni sulla politica anche degli
Stati, sull’organizzazione gerarchica, sulla pietà e le manifestazioni del
sentimento religioso, pit che non l’aspetto tecnicamente teologico e le
singole fasi della disputa?. A un ambito di intervento laico sono infatti
riconducibili le voci di Jemolo che, pur esprimendo un giudizio
severo sul carattere malevolo o petsecutore del liberalismo
ottocentesco che non tollera i conventi,
vuol spogliare la Chiesa dei suoi beni e sottometterne tutta la vita a un
regime di polizia (Chiesa), forni
un’interpretazione del Ga/-licanismo che lo espose a interventi censori, Gentile
a Jemolo (AEI, Lettere, Jemolo). 34 Lamentandosi con la direzione
per le varianti apportate alla sua voce, il 22 giugno 1932 Jemolo
osservava che a mio avviso non
risponde al vero nascondere la decadenza del gallicanismo nel settecento,
e dargli parte prevalente in quel complesso fatto europeo che fu la
soppressione della Compagnia di Gesti
(ibidem). E la decadenza del gallicanismo è riaffermata nella
voce. cercò di distinguere aspetti religiosi e aspetti politico-culturali
nella valutazione della Controriforma: Chi da un punto di vista
strettamente religioso instauri raffronti tra lo spirito dei primi secoli
del cristianesimo, quello della cristianità medievale, e quello della
controriforma, potrà pur non preferire quest’ultima età alle due precedenti. Ma
è certo che la controriforma ebbe, accanto alle sue pagine sanguinose, pagine
bellissime segnate dal rapido miglioramento del costume cattolico; fu
una ricca sorgente d’iniziative religiose, di opere di carità e
d’intraprese culturali, che a quasi quattro secoli di distanza sono
ancora lungi dall’esaurirsi; soprattutto diede alla Chiesa un’intima
struttura che, da quasi quattrocento anni, si palesa sempre meglio adatta
a difenderla contro ogni tentativo, esterno e interno, di disgregazione, contro
ogni influenza perturbatrice che miri a deviarla dal suo cammino.
Complesso e articolato appare anche il giudizio di Pincherle sulla Riforzz4,
che su un piano religioso è in assoluta
antitesi con la teologia umanistica
nulla più della libera critica è alieno dallo spirito di un Lutero
; Lutero è un uomo nettamente di
tipo medievale, mentre sul piano della storia politica e culturale
essa preannuncia veramente il
mondo moderno perché rafforza
l’assolutismo dei principi e costituisce, con il calvinismo, il mondo ideale entro cui nacque e si
sviluppò lo spirito capitalistico e, pertanto, il capitalismo moderno
. E assai distante da toni apologetici e dogmatici si dimostra
Pincherle accomunato da Civiltà
cattolica a Omodeo come ugualmente di sensi non cattolicinella voce
Cristianesimo, in cui giudica con simpatia l’opera dello storicismo che
aveva considerato il cristianesimo come fatto storico, osservando che la mentalità storicistica ha nello
stesso tempo distolto lo scienziato dall’identificare senz'altro il
cosiddetto cristianesimo di Ges con quello praticato nel seno della sua
particolare confessione e dal giudicare e condannare dogmaticamente; in
questo stesso Busnelli], aMussolini si lamentò che alla voce
Cristianesimo fossero dedicate solo 3 pagine, contro le 66 di Cotone
(appunto ms., s.d., in ACS, Segreteria particolare del Duce, Carteggio
riservato, senso agiva il nuovo clima culturale, con la larga diffusione
delle idee di tolleranza e di libertà religiosa . Accanto a questi
interventi, il tentativo di Gentile di salvaguardare la pretesa di obiettività
dell’Enciclopedia è ravvisabile anche nella suddivisione di alcune delle
voci maggiori tra autori cattolici da un lato, laici o attualisti
dall’altro: è il caso ad esempio di Dio, dove la dottrina cattolica è
esposta dal gesuita Giuseppe Filograssi mentre Dio nelle varie concezioni filosofiche è opera di Banfi per il quale la pit totalitaria trasposizione in
senso razionale dell’idea di Dio è quella compiuta da Hegel, per cui Dio
è il processo eterno in cui l’idea come principio razionale del mondo giunge a
coscienza della sua assoluta universalità e autonomia ; e di
Religione in cui il gesuita Enrico Rosa analizza il concetto cattolico che
raccoglie in sintesi, integra e chiarisce gli elementi di verità
che si possono trovare sparsamente confusi anche nei concetti pagani o
eterodossi , e Gentile in persona ne esamina l’aspetto filosofico per
affermare la universalità e
indefettibilità della religione la
necessità e l'universalità della religione sono la più efficace convalidazione
del suo valore, e cioè della sua verità
e per ribadire, contro materialisti e mistici, che l’uomo che non si può concepire senza
concepire Dio è l’uomo che attua l’esperienza della sua umanità,
realizzando nella vita spirituale quella coscienza di sé ond’egli in
fatti si distingue dalle cose . Significativa è, già nel primo
volume, anche la voce Agostino il santo al quale saranno dedicati vari
studi riservata all’agostiniano
Casamassa per la vita e le opere (e
La Civiltà cattolica si esprimeva
positivamente per questa parte), ad Guzzo per lo sviluppo del pensiero e ad Alberto Pincherle per la critica e le
edizioni. Su di essa si soffermava la
Rivista di filosofia , che coglieva la
notevole sproporzione tra la parte che riguarda la vita e le opere
(esattissima di certo, ma utile solo allo specialista) estesissima, e
quella che riguarda il pensiero e le controversie critiche sui testi
agostiniani, di interesse più universale, ma molto più breve, e
soprattutto alquanto disordinata e incompleta . Dopo aver notato che la
voce iniziava con la strana dizione Agostino Aurelio, santo , l’autore
dell’articolo sosteneva che manca
del tutto la filosofia di Agostino, come manca la considerazione filosofica
della teologia agostiniana , e accusava di illecita lettura attualistica
un passo in cui Guzzo affermava che nel De vera religione si legge quel celebre appello: Noli
foras ire; in te redi, in interiore bomine habitat veritas (De vera
religione), che non sarà più dimenticato né dalla mistica medievale e
moderna, né da quante filosofie, nell’età moderna e contemporanea,
riterranno di dover richiamare l’uomo dalla dispersione del mondo esterno al
raccoglimento dell’analisi interiore . Accusa non immotivata, se pensiamo
che anche in Pedagogia Codignola, trattando di Agostino, riprenderà lo
stesso concetto, che Gentile stesso aveva contribuito a diffondere:
L’intuizione religiosa della filiazione divina, approfondendosi e
interiorizzandosi, diventa in Agostino un concetto speculativo, la prima
affermazione filosofico-teologica della soggettività e immanenza del
vero, con cui il cristianesimo tentava di svincolarsi, anche nell'ambito della
speculazione, dall’antinomia che aveva alimentato lo scetticismo del
tardo pensiero classico: ineliminabile individualità di ogni atto di
conoscenza, ultra-individuale oggettività del vero. Noli foras ire, in te
ipsum redi, in interiore bomine habitat veritas.
Un’interpretazione alla quale la Rivista
di filosofia poteva opporre che
per Agostino la veritas presente all’io è Dio stesso, oggetto rel
soggetto, mentre ciò è alieno essenzialmente dalla dottrina idealistica. Tuttavia,
nonostante questi accorgimenti, Gentile non poté impedire che
nell’Enciclopedia fosse assai marcata l'impronta del cattolicesimo
ortodosso e che, addirittura, in alcune voci i cattolici operassero un
forte ridimensionamento, o una critica aperta, del neoidealismo italiano.
Gemelli, dopo aver definito la Neoscolastica la restaurazione del
pensiero medievale nell’ambito della civiltà moderna, considerando il pensiero
medievale non Firenzi, Note sulla storia della filosofia
medioevale, in Rivista di
filosofia , come espressione transitoria di una civiltà, ma, quanto alla
sostanza, come definitiva conquista della ragione umana nel campo della
metafisica , ne accentuava il carattere antiidealistico: La restaurazione scolastica doveva in Italia
affermarsi non tanto in relazione al positivismo, quanto in relazione
all’idealismo, che in Italia maturava con Croce e con Gentile. Ne sarà
criticata la metafisica (immanentistica) e accettata invece quella
valorizzazione della storia, che è caratteristica dell’idealismo stesso:
non però come filosofia, sibbene come storia. Niccoli difendeva il
Modernismo contro i suoi critici, in primo luogo i rappresentanti di
quella filosofia che, negando
possa conoscersi un reale fuori dell’uomo e del pensiero, non solo si è
iscritta in falso contro quelli che erano stati in passato i cardini di
ogni metafisica, ma ha scrollato le basi stesse della fede religiosa; e
l’allievo di Buonaiuti cercava di rafforzare la sua difesa opponendo il
movimento modernista al socialismo e all’idealismo: Chi
avesse accettato come dati di fatto incontrovertibili i risultati negativi ai
quali la critica storica, filosofica e sociale affermava di essere
giunta, non poteva avere che due alternative: o ripudiare nettamente tutto il
patrimonio religioso cattolico e cristiano, sia affermando di contro ai valori
cristiani i nuovi valori sociali, sia conside rando il cristianesimo e il
fatto religioso in genere come un momento ormai superato della vita dello
spirito (fu questo in sostanza il punto di vista difeso dall’idealismo
italiano); o affermare che il cattolicesimo si raccomanda a valori più alti,
non toccati dai colpi portati dalla critica moderna all’interpretazione
scolastica del cattolicesimo e quindi costruire su di essi una nuova
apologetica, che mantenesse al cattolicesimo la sua efficacia fra gli
uomini. E fu questo l’atteggiamento assunto dal movimento modernista.
Nel complesso, e tenuto conto di alcune assenze significative come
Clericalismo, che Carlo Morandi non accettò, o Laicismo, voce che è invece
presente, a firma di Maturi, nel Dizionario di politica, si
comprende quindi la soddisfazione dimostrata per il settore
religioso la lettera di Morandi (AEI, Lettere,
Morandi). da Civiltà cattolica quando pit forte era l’influenza di
Gentile e di Omodeo, e, per converso, la preoccupazione di Vita nova
del gentiliano Giuseppe Saitta che, prendendo spunto dalla critica
della voce Adazzo di Ricciotti, allargava il discorso per
lamentare la intrusione
nell’Enciclopedia di questa pseudo-scienza teologica. I gesuiti sanno
troppo bene a che cosa mirano, e qual forma ed estensione assumerà, nel
loro campo, la sezione di materie ecclesiastiche. La Bibbia intera e
specialmente il Nuovo Testamento, le origini del cristianesimo, la storia dei
dogmi e della Chiesa, anzi dell: Chiese, tutto vi dovrà essere mostrato e
rappresentato dal punto di vista cosiddetto cattolico, cioè teologico, in
contrasto e negazione con la vera scienza storica del cristianesimo,
quale si insegna nelle nostre scuole universitarie. È la teologia esclusa
dalle università definitivamente con la legge del Concordato, che
rientra, come unica scienza della religione, nella nostra coltura
nazionale. L’Enciclopedia avrebbe tutelato meglio i diritti della scienza e
quelli della nazione, rimanendo italiana, come è il titolo semplicemente,
senza resumer di voler anch’essere cattolica nel senso della
Civiltà cattolica. Le voci di carattere propriamente religioso, oggi svolte con
diffusione anche eccessiva, potevano ridursi al puro necessario; ed entra
quei limiti, avrebbero dovuto essere redatte da un punto di vista. EE
scientifico, evitando di accettare i presupposti della teologia. Non solo i
timori di Vita nova non erano infondati,. come abbiamo
visto, ma possiamo supporre che molte altre sezioni, oltre quelle
direttamente interessate alle questioni religiose, furono oggetto del controllo
ecclesiastico. Per la Questione
Romana informati scriveva Maturi a Morghen, perché la mia polizia segreta
mi ha avvertito: che essa con tutto il gruppo di voci romane è stata
sottratta. alla giurisdizione della sezione storica. E Nicolini scriveva a Gentile, a proposito
della voce Giannone, che si sarebbe posto da Anche Gemelli
notava nel 1930 che Gentile ha chiamato
a collaborare all’Enciclopedia studiosi cattolici ed ha affidato loro la
trattazione di delicati problemi religiosi (L'Università cattolica e l’idealismo,
in Idee e battaglie,391). . Rensis, Ancora dell’Enciclopedia
Italiana, in Vita nova. AEI, Lettere, Maturi. un punto di vista che non
potrà piacere al certo a chi, nell’Enciclopedia, soprintende alle materie
ecclesiastiche. Se dunque mi si promette formalmente piena libertà di parola, e
sopra tutto che la mia prosa, quale che essa sia, non sarà riveduta,
corretta o attenuata in senso clericale, sono prontissimo a fare
l’articolo. Ma se codesta promessa formale non mi può essere fatta e
mantenuta, anziché sottopormi all’alea di trovare (come accadde a Omodeo)
stravolto e mutilato il mio pensiero, preferisco rinunziare a scrivere
l’articolo. Tu, che mi conosci, sai bene che non sono uomo da porti
nell’imbarazzo facendo dell’anticlericalismo intempestivo. Ma, alla fin
dei conti, debbo pur dire pane al pane e vino al vino, e presentare
il Giannone quale egli fu, cioè quale un martire
dell’anticurialismo. Non posso elogiare l'agguato di Vesnà come un’azione
pulita o l’imposta abiura e la dodicenne prigionia come atti di carità
cristiana Questi propositi non sembrano
tuttavia essersi tradotti in pratica nella stesura della voce, dove le
ultime vicissitudini di Giannone sono presentate in maniera anodina e,
pur riconoscendo che l’Istoria civile del Regno di Napoli è stata
per decenni la bibbia
dell’anticurialismo un anti-curialismo
lontano, nella lettera, dall’eterodossia, ma già volterriano nello
spirito , si coglie in essa una astratta
e fantastica configurazione dello stato come bene assoluto, progresso,
civiltà, forza generosa, e della chiesa come male, regresso,
oscurantismo, malizia frodolenta . Analogamente nella voce Romana
questione Maturi, pur valutando assai positivamente la Legge delle
guarentigie, concludeva l’esame dei rapporti tra Stato italiano e Chiesa
elogiando i patti: Mussolini coronava con un concordato la
sua nuova politica ecclesiastica, con l’ininzio della quale aveva scompigliato
le file del partito popolare e assorbito nel fascismo il cattolicesimo
nazionale; d’altra parte, nella politica estera egli tolse all’Italia una
passività diplomatica. Da parte della Chiesa il riconoscimento dello stato
nazionale italiano s’inquadra nel riconoscimento di molti stati nazionali
europei avvenuto coi concordati postbellici. Dove sono ripresi
alcuni dei giudizi più favorevoli di parte fascista anche per
Volpe i patti erano tesi, per il fascismo, a togliere una non piccola causa di nostra
debo AEI, Lettere, Nicolini. lezza internazionale, senza tuttavia i
timori, pur assai diffusi, che lo Stato potesse abdicare al suo
spirito laico. I patti lateranensi dovettero del resto
riflettersi pesantemente sull’Enciclopedia, rafforzando il controllo
ecclesiastico e arrivando fino a minacciare l’esistenza di singole voci:
Angelo Sraffa, che curava con Mariano D’Amelio la sottosezione Diritto privato , giunse infatti a
proporre la soppressione della voce Divorzio, già in bozze, perché
era cosa estremamente delicata trattarla oggi a parte, date le
interferenze con l'annullamento del matrimonio, che è diventato di fondamentale
importanza di fronte al trattato del Laterano, ed alla estensione che
dinanzi ai Tribunali ecclesiastici l'annullamento sta prendendo. La sua
proposta non fu accolta e la voce rimase, a sostenere però la particolarità
dell’ordinamento italiano e a riconoscere che
gli stessi contrattualisti a oltranza , cioè quanti erano
favorevoli al divorzio, compresi della
serietà delle contrarie obiezioni, sono d’accordo nel ridurre a un
piccolo numero di casi la facoltà di ricorrere al divorzio. Dove non arrivò il
diretto intervento ecclesiastico padre
Gemelli non scrisse la voce Psicanalisi, che si era offerto di fare e che a sua
firma apparirà invece nel Dizionario di politica ( Distruttiva della religione,
della quale nega ogni valore, nel dominio politico la psicoanalisi
orienta le sue speranze verso il comunismo ), giunsero puntuali le
critiche dell’organo dei gesuiti. Carlo Bricarelli, collaboratore della sezione
artistica dell’Enciclopedia, intervenne sull’esposizione dell’arte
medievale e moderna fatta in Arte da Schlosser, al quale Gentile aveva
suggerito di parlare dell’arte come conseguenza
di bisogni materiali e spirituali delle varie fasi di civiltà, e quindi
dei compiti e delle forme dell’arte in relazione alle mutate condizioni
sociali, similmente, in un certo senso, a quanto ha fatto il Dvorak nel
suo saggio sull’idealismo e Volpe, Il patto di S. Giovanni în
Laterano, in Gerarchia), ora in Pagine
risorgimentali, Roma, Volpe, SRAFFA (si veda) a Spirito (AEFI, Lettere,
Sraffa). naturalismo nell’arte gotica. La tendenza di tutto
ridurre all’umano, e nell’opera della Chiesa interpretare ogni cosa a uso
d’intenti terreni propri, oppure a lei imposti per forza, è un altro
preconcetto che turba anzi sconvolge addirittura il giudizio storico , osservava
Bricarelli appuntando la sua critica, fra l’altro, su di un passo in
cui Schlosser affermava che la crisi di questo cristianesimo
primitivo cominciò nel secolo IV col suo riconoscimento ufficiale come
religione di stato, sotto la forma universale del cattolicismo . L’al di qua reclamava oramai i
suoi diritti. Il vecchio Impero, divenuto cristiano, rivestito di tutta
la pompa della sua missione divina e di tutto il suo fasto, nella
sua qualità di potenza protettrice della Chiesa, determinò anche il
contenuto iconografico dell’arte che si rivela nei fastosi musaici
parietali delle grandi basiliche post-costantiniane Cosî Busnelli
criticava il giudizio su Leonardo dello storico della medicina Giuseppe
Favaro secondo il quale di fronte alla rigida concezione
teologica dell’origine del mondo, Leonardo non si peritava di confutare
il racconto biblico della genesi, la storia della terra creata da seimila
anni e la leggenda del diluvio universale, sostenendo invece che la fede e dottrina cattolica di
Leonardo è fuori d’ogni dubbio e accusa, chi voglia scandagliarne senza
preconcetti le espressioni ; e, passando a esaminare la parte della voce
su Leonardo ‘filosofo che Gentile considerava figlio dell’umanesimo e
negava fosse un antesignano della filosofia sperimentale, perché in
lui il pensiero comincia dall’esperienza,
ma per affrancarsene e tornare alla ragione , Busnelli affermava che in
Leonardo l’appello all’esperienza sensibile era il frutto dell’insegnamento dei
peripatetici e degli scolastici, e che la ragione che infusamente vive
nella natura, come attuante la sua efficacia, non è, conforme alla
dottrina dell’Aquinate, Gentile a Schlosser, (AEI, Lettere,
Schlosser). La voce era introdotta da una parte redatta da Gentile (su
cui le osservazioni di Croce in La
Critica , Bricarelli, L'arte nell’Enciclopedia Treccani, in La Civiltà
cattolica , la ragione umana, ma la
divina. Infine La Civiltà
cattolica , affermando recisamente che
ogni altra pedagogia, fuori della cattolica, è ampiamente
divergente e dispersiva nei sistemi fino alla confusione babelica, e
nei metodi è angusta, ristretta ed unilaterale , criticava che
nella voce Pedagogia Codignola avesse interpretato idealisticamente, come
evolutiva, la pedagogia cristiana, e all’unitarietà di questa opponeva la babilonia di antitesi e contrasti, di ideali
e sistemi , imperante nel campo idealistico esaltato da Codignola, per il
quale le opere di Gentile sull'educazione,
accanto a quelle del Croce sui problemi dell'estetica e della
storiografia, segnano il culmine cui si è sollevata la speculazione contemporanea . La durezza dell’attacco, e l’ampiezza della
difesa di Codignola comprendente Croce, non necessaria per l'argomento
trattato, possono forse spiegarsi con la condanna da parte del S. Ufficio,
avvenuta l’anno precedente, delle opere di Croce e di Gentile. Un
documento anonimo osserva come, secondo gli ambienti ecclesiastici, obiettivo
principale da colpire fosse Gentile: Si nota che la condanna in ordine
cronologico è stata fatta prima per la opera del noto antifascista Croce,
per poter poi giustificare anche la condanna delle opere del Gentile. Si
aggiunge che oramai era inutile la condanna del Croce , cui la gioventii
italiana è ben lungi dal ricorrere come un tempo, come ad un oracolo
indiscutibile. Oggi la gioventù italiana ha altro da fare e, c’è da
scommettere, che moltissimi giovani, delle classi più acerbe ignorano
l’uomo, o, se non l’uomo, almeno la quasi totalità delle sue opere. Anche
questa volta la Chiesa, volendo colpire uno cioè il Gentile è
andata alla ricerca di un cadavere per poter avere un alibi, nel quale
nessuno crede. Pi grave è la condanna di Giovanni Gentile, che in
qualche centro è giudicata come una mossa contro le teoriche accettate
dallo Stato fascista. Si indica come il principale postilatore di questa
condanna padre Gemelli Busnelli, Leonardo da Vinci nel vol. XX dell’
Enciclopedia italiana , in La
Civiltà cattolica Barbera], Intorso dl
concetto della pedagogia cattolica, in
La Civiltà cattolica , ACS, Segreteria particolare del Duce, Carteggio
riservato. Anche Giustizia e Libertà , dopo aver individuato in padre
Gemelli l’ispiratore della condanna di Gentile, aggiungeva: bisoMolte osservazioni potrebbero farsi a
questi giudizi, riprendendo le notazioni di Gramsci sulla diversa popolarità
delle filosofie di Croce e di Gentile. Appare probabile comunque che la
condanna del 1934 colpisse più duramente Gentile, che in qualche caso aveva
cercato un accordo con i cattolici, coronando l’indebolimento della sua
posizione interna al fascismo iniziato nel 1929. Consapevole di questo fatto di
cui gli scontri avvenuti nell’Enciclopedia erano stati una riprova, nel 1936
Gentile concludeva un articolo su L’ideale della cultura e l’Italia presente
mettendo in guardia contro il
pericolo che può derivare
dalla restaurazione religiosa desiderata e promossa dal fascismo come
corroboratrice della coscienza civile e delle morali istituzioni.
Restaurazione, che in massima parte non poteva essere che un ritorno alle
tradizioni cattoliche del popolo italiano, col rischio di riassoggettare
la cultura nazionale a forme praticistiche e meccaniche d’una religiosità
esteriore, e a conseguenti limitazioni dell’interna libertà spirituale,
dalle quali gl’italiani avevan durato secoli a riscattarsi. gna
vendicarsi e fingere l’equità: sono messi all’Indice i libri non di
Gentile soltanto ma anche di Croce. Croce sorride e Gentile si spaventa
(Preti e fascisti. Gentile, Mezzorie italiane e problemi della filosofia e
della vita. Formiggini: un editore tra socialismo e fascismo
La parola, veicolo di fraternità
universale Né ferro, né
piombo, né fuoco / posson salvare la Libertà, / ma la parola soltanto. / Questa
il tiranno spegne per prima, / ma il silenzio dei morti / rimbomba nel
cuore dei vivi !. Cosî scrive, fra tante altre epigrafi
messe a suggello della propria vita e a testimonianza degli ideali
che l’avevano ispirata, Angelo Fortunato Formiggini, lucidamente deciso a
chiudere con un sacrificio personale che servisse a dimostrare l’assurdità malvagia dei
provvedimenti razzisti come
scriveva alla moglie? un’esistenza dedicata a perseguire, primo fra
tutti, l’ideale della fratellanza universale attraverso la forza di
convinzione della parola. Se la stampa del regime mantenne il più
rigoroso silenzio sul suicidio dell’editore modenese, gettatosi dall’alto
della Ghirlandina il 29 novembre 1938, impedendo cosî che Formiggini potesse
raggiungere lo scopo di richiamare l’attenzione dell’opinione pubblica
sulle leggi razziali, il suo gesto fu sottolineato dagli ambienti
dell’antifascismo, non solo ebraico, che ne dettero l’annuncio: Molti italiani d’Italia, costretti purtroppo
a mantenere l’incognito, amici e ammiratori di A. F. Formiggini Maestro
Editore annunciano, straziati ma fieri, il Suo sublime sacrificio. Questo
annuncio non ha potuto comparire sui giornali italiani, ove le leggi
razziste impediscono persino di dar notizia dei decessi degli ebrei . E
Giustizia e Libertà annunciava in
una corrispondenza dall’Italia l’atto di protesta di Formiggini,
Formiggini, Parole în libertà, Roma, Edizioni Roma, ricordando che
egli non era mai stato un
conformista e che ogni suo piano, tendente alla difesa e alla
elevazione della cultura italiana, aveva trovato nel fascismo una
opposizione aperta o una resistenza insidiosa. E ai posteri ,
perché gli orrori e le iniquità di oggi non abbiano a rinnovarsi
mai più nel più lontano avvenire , Formiggini volle lasciare in eredità
alcune sue Parole in libertà, testamenti spirituali indirizzati ai familiari,
ai concittadini modenesi, agli ebrei
d’Italia e al tiranno in persona,
tutti ispirati, più che da una chiara presa di coscienza politica,
da una fede quasi religiosa nell’amore fra tutti gli uomini, secondo
quella visione del mondo che egli aveva condensato nel motto arzor et labor
vitast. Fra i testamenti
possiamo annoverare anche il bilancio del suo lavoro editoriale, Trenta anni
dopo, che, seppur scritto pensando alla pubblicazione, è
significativamente considerato dall’autore il suo canto del cigno , steso a giuoco finito , quando un motivo di
speranza può essere visto solo al di là
della tormenta . Accanto alla testimonianza delle proprie idee non poteva
mancare quella della propria fatica, in un uomo in cui la scelta
dell’attività editoriale si era saldata fin dall’inizio con il perseguimento di
obiettivi che non esiteremmo a definire etici prima ancora che culturali
o politici, ma tali da divenire punto di riferimento di indirizzi di
pensiero determinati ‘. A scrivere il bilancio dei trenta anni
della casa editrice e di sessanta anni della sua vita Formiggini aveva pensato
da tempo, fornendo via via parziali anticipazioni. Convinto che
anche lo scrit 3 L'editore
Formiggini si uccide a Modena per protestare contro il razzismo, in Giustizia e Libertà (e, per l’annuncio di morte); anche Felice, Storia degli ebrei
italiani sotto il fascismo, Torino, Einaudi] censura fascista colpirà con
particolare accanimento la produzione dell’editore modenese ed anche i libri
della Biblioteca circolante da lui fondata a Roma, di cui qualche volume
è escluso dalla lettura per motivi politici come il Capitale ; ma si
atrivò perfino a impedire la diffusione di molti testi dei Classici del ridere , come il
Decamerone, o L'arte di amare di Ovidio (come si ricava dall’esemplare,
conservato in BNF, della terza edizione del Catalogo della biblioteca
circolante Formiggini, Roma, Formiggini,
Formiggini: un editore tra socialismo e fascismo tore più
mediocre e più oscuro farà sempre cosa interessante scrivendo la propria
autobiografia, specie se questa, anziché circoscriversi a fatti puramente
personali (che avrebbero pur sempre un interesse umano e psicologico)
si innesterà nella storia viva del suo tempo era stato spinto dal contrasto con Gentile a
scrivere una parte dell’opera in un curioso volume che, oltre a presentarci
alcune fra le più interessanti iniziative dell’editore e il suo carattere
caustico seppur non intransigente, costituisce un efficace documento della marcia
del fascismo alla conquista delle istituzioni culturali: da quando iniziai la mia attività editoriale
scriveva proprio allora Formiggini non ho mancato di raccogliere
materiale per una autobiografia che avrebbe dovuto riuscire qualche
cosa di mezzo fra le Memorie di un editore di Gaspero Barbèra e il
Catalogo ragionato delle edizioni Barbèra, fusi insieme i. Nel modello indicato e al
quale Formiggini cercherà di mantenersi fedele in Trenta anni dopo come
già in un precedente, più conciso bilancio della sua attività editoriale non vi era certo la presunzione di avere
svolto un’opera di promozione della cultura nazionale paragonabile a
quella dei maggiori editori ottocenteschi, da Vieusseux a Pomba, da
Barbèra a Le Monnier, ma pur sempre la consapevolezza di aver reso
un servizio alla cultura del proprio paese, e di
essere fra i pochi editori del suo tempo che, come i grandi
dell’ottocento, riunissero nella propria persona le qualità
dell’imprenditore e del principale animatore delle iniziative culturali
della casa editrice. Quello che fu caratterizzato, poco dopo aver tratteggiato
i primi venticinque anni della sua attività, come un editore che scrive 7, non avrebbe condiviso l’opinione di
un Luigi Russo, che Formiggini, La ficozza filosofica del fascismo
e la marcia sulla Leonardo. Libro edificante e sollazzevole, Roma,
Formiggini, Formiggini, Venticinque anni dopo., seconda edizione con prefazione
di Giulio Bertoni, Roma, Formiggini, . Costantino, Smorfe e sorrisi.
Scritti critici, Catania, Casa del libro, di una casa editrice non si fa
storia. Da uomo positivo che
vuole documentare il duro e contrastato lavoro da lui compiuto,
Formiggini ci ha lasciato con i Trenta anni dopo una testimonianza
d’eccezione, la cui lettura può risultare utile non solo per precisare il
giudizio sulla cultura italiana del primo novecento alla luce anche di
vicende individuali minori, ma anche per riproporre il problema della
storia delle case editrici, spesso disattesa perché considerata una
classificazione forzata di prodotti culturali il cui marchio di fabbrica sarebbe dato solo dalla collocazione
intellettuale dei singoli autori, uniti o in maniera casuale o da vincoli
ideologici tanto stretti da vanificarne le differenze. Ma, come è stato
giustamente osservato, proprio perché luogo organizzato d’incontro di più
generi di collaboratori, e di più fattori e interessi, una casa editrice
di tipo ancora tradizionale rispecchia orientamenti e programmi di gruppi
di intellettuali che verificano sul piano dell’azione pubblica la loro
consistenza, e dichiarano tutti i loro sottintesi nel punto in cui,
mettendo in circolazione strumenti concreti come libri e riviste, si
scontrano con poteri reali, economici e politici, in situazioni di fatto,
per modificarle (o per accettarle e conservarle). Per questo la
responsabilità di una casa editrice di cultura, a qualsiasi livello essa
operi, è grandissima. Inserita in un tessuto sociale ed economico definito, è
legata ad ambienti e istituti di istruzione, e di ricerca, per attingervi,
ma anche per reagire su di essi, in una trama di rapporti la cui dialettica
è necessario mettere in luce quando si voglia ricostruire il corso
degli eventi di un determinato periodo storico
5. È un campo, questo, per il quale assai scarse sono le
nostre conoscenze, e non solo per la difficoltà a scendere concretamente
su un terreno per tanti versi accidentato. In realtà, se in linea di
massima può essere accettato il giudizio di Russo, che significato e
valore di una casa editrice sono consegnati nei suoi cataloghi, e che in alcuni
casi, come in Garin, Un capitolo di rilievo singolare, in 50 anni
di attività editoriale (Venezia Firenze): La Nuova Italia, Firenze,
La Nuova Italia, Formiggini: un editore tra socialismo e fascismo
quello della Laterza, se ne può seguire la storia ripercorrendo l’opera
di organizzazione della cultura sviluppata da una personalità come Croce,
è da respingere quel pregiudizio idealistico che, considerando il processo
storico come germinazione di idee da idee o proclamando in astratto
la separazione tra cultura e politica fino a vedere la propria
produzione culturale come un sistema chiuso e perfetto, per cui la
storia reale può confondersi con una
critica di se stessi esclude dall’oggetto privilegiato del suo
interesse le istituzioni culturali. Non è un caso che proprio
un’analisi che come oggi si comincia a fare abbia al suo centro il tema
dell’organizzazione della cultura e della sua diffusione, permette di
articolare meglio nei tempi e nei modi, per quanto riguarda il novecento,
il giudizio che il neoidealismo italiano dette di sé, e che ritroviamo
facilmente ripetuto come un canone interpretativo indiscusso ’, sulla
rottura netta da esso operata all’inizio del secolo nei confronti delle vecchie correnti di pensiero, e sul suo
deciso trionfo che non avrebbe lasciato spazio ad alcuna sacca di resistenza che non si ponesse in termini di superamento
dell’idealismo stesso. In realtà ci sembra estremamente valida, tanto più
ove la si riferisca non solo alla cultura di élite, ma anche al più
vasto e intricato substrato ideale che percorre nei primi decenni di
questo secolo tutti i settori della cultura italiana riflettendo la disgregazione sociale del paese e, insieme, le contraddizioni
o le resistenze che accompagnano la
rifondazione dell’egemonia
borghese, l’osservazione di Garin, per il quale una delle
deformazioni prospettiche più diffuse, e più dannose per un’esatta
comprensione delle vicende culturali italiane di questo secolo, è quella
che proietta alle origini il risultato di una battaglia non solo ideale
che si concluse, almeno in una sua fase, intorno agli anni venti,
dopo la prima guerra mondiale, con l’ascesa del fascismo. L’egemonia
idealistica, piuttosto gentiliana che crociana, non era affatto
affermata, e tanto meno scontata, prima della guerra libica. Solo se ci si liberi fino in fondo
dell’eredità 9 Cosî ancora A. Asor Rosa, La cultura, in Storia
d’Italia, Torino, Einaudi, 1 del provvidenzialismo idealistico, col suo
trionfalismo storiografico, sarà possibile evitare l’appiattimento
uniforme di posizioni contrastanti, e insieme una polemica sterile, forse
interessata soltanto a simmetrici rovesciamenti !°, Per il
periodo che dalla svolta del nuovo secolo arriva al fascismo le
vicende delle case editrici, anche di quelle minori o comunque non in
grado di rappresentare un intero
movimento d’idee come appariva a
Gobetti la Treves, simbolo di tutta la vuotezza italiana per il suo eclettismo positivistico di cosî lunga e
infausta durata e memoria !",
possono costituire una guida assai utile per disaggregare e ricomporre
una trama culturale complessa, per stabilire accostamenti o distinzioni
ideali o politiche altrimenti non sempre evidenti o per valutare la
capacità di penetrazione e di orientamento di correnti di pensiero non
necessariamente lineari in un pubblico colto che proprio nell’età
giolittiana cresce enormemente e in parte si rinnova diversificandosi dal punto
di vista sociale, con l’apparizione sulla scena di una opinione pubblica alla quale si richiede sempre più un
consenso agli obiettivi politici perseguiti dalla classe dirigente.
Aumentano per numero e tiratura i quotidiani, ci si rivolge a un più
vasto pubblico popolare attraverso la
scuola, i corsi organizzati dalle università popolari o le
biblioteche circolanti, ma si assiste anche all’espandersi di una classe media colta che desidera legittimare sul piano culturale
il peso politico cui aspira, o al tentativo della borghesia di
affinare gli strumenti del suo dominio. Fra questi piani diversi esistono
connessioni e influenze, nel quadro di una lotta per l’egemonia che vede
un’ampia mobilitazione di forze; ed è ora, dopo la crisi
di fine secolo e la svolta
giolittiana, che alle case editrici accademiche e a quelle di
orientamento popolare o dichiaratamente socialista come Sonzogno e Nerbini !! se ne affiancano
nuove e pi Garin, Intellettuali italiani, Roma, Editori Riuniti. Gobetti,
La cultura e gli editori, in Scritti storici, letterari e filosofici, a
cura diSpriano, Torino, Einaudi. Tortorelli, Una casa editrice socialista
nell'età giolittiana: agguerrite, il cui interlocutore privilegiato è un
pubblico colto e medio-colto in grado di acquistare libri e riviste:
da Laterza a Ricciardi a Rizzoli a Mondadori a Vallecchi editore di Lacerba . In assenza di ricerche
specifiche si comprende quindi l’importanza di testimonianze come quella
di Formiggini che illustra, anche se solo parzialmente, le vicende di
una casa editrice fondata negli stessi anni in cui videro la luce
altre destinate ad acquistare un peso ben maggiore, ma allora di
dimensioni ancora ridotte. L’unico testo a cui si possa in qualche modo
avvicinare sono i Ricordi e idee di un editore vivente scritti da
Vallecchi, che tuttavia, pur trovando concordanze significative
nella difesa di una cultura italiana intesa come strumento di rinnovamento nazionale , ripercorre lo stesso
arco cronologico con l’ottica del protagonista precursore vittorioso
dell’ideologia fascista in cui l’editore fiorentino si vanta di aver
contribuito a convogliare nazionalisti, sindacalisti rivoluzionari, futuristi,
vociani, cattolici. Secondo il proposito dell’autore, i Trenta anni
dopo si presentano invece come una sorta di catalogo ragionato, in
cui la personalità dell’editore è ridotta al minimo, e, a differenza del
pamphlet, restano sullo sfondo anche i
tempi in cui ha operato: spentasi
la carica polemica di quindici anni prima suscitata dalle vicende della
Leonardo e che si era manifestata in feroci attacchi antiattualisti
(con alcuni spunti antifascisti), escluse espressamente le testimonianze
morali che Formiggini veniva consegnando ai suoi scritti privati, nel
volume non appaiono nemmeno - se non incidentalmente i nomi dei numi tutelari della cultura italiana
del primo novecento. Accanto alla difficoltà, ma anche al rifiuto di
prendere nettamente posizione !, in questo silenzio si riflettono, più che i
risultati di una parabola politica, alcuni limiti di fondo di un
editore la Nerbini, in
Movimento operaio e socialista , Una testimonianza in questo senso in Trevisani,
Le fucine dei libri. Gli editori italiani, Bologna, Barulli. che i
contemporanei Prezzolini in testa! giudicarono non tanto un uomo di cultura
quanto un grande arti giano e propagandista del libro, e che per primo
amava presentarsi come il sostenitore dei valori universali di
una cultura senza ulteriori determinazioni, quasi al di
sopra della mischia, ideale morale e religioso, più che
politico. Riconosco di avere avuto
certe qualità che sono essenziali per rappresentare efficacemente un indirizzo,
un pensiero, per portare nella fucina intellettuale del paese un non
inutile soffio di ossigeno , scrive Formiggini, ma sarebbe vano cercare di
identificare questo indirizzo nell’ambito della classificazione usuale delle
correnti culturali italiane all’inizio del secolo. Per comprendere cosa
questo fosse concretamente, o come fosse possibile che determinati
indirizzi di pensiero, spesso confusi e intersecantisi tra loro,
confluissero e si riconoscessero nella sua casa editrice, bisogna
risalire ancora una volta ai motivi ispiratori della sua vita. Il libro mi apparve allora, e mi è apparso
poi sempre scrive ricordando gli inizi della sua attività, il
vincolo delle intese, il vincolo del parallelo cammino verso mete elevate
e concordi. Questa mia fede di fraternità universale, alla quale s’ispirò
fin dagli inizi la mia attività editoriale, era già trionfante nel mio
animo fin dalla prima giovinezza
5, ed era una fede religiosamente sentita, se teneva a
riaffermare ponendo a coronamento
della sua fatica la collana delle
Apologie delle religioni che suo intento era stato non di insidiare le fedi sentitamente
professate, ma soltanto di divulgare l’intima essenza delle varie
religioni, per affrettare quel mutuo rispetto e quella mutua comprensione
fra gli uomini che condurranno l’umanità a quell’affratellamento
universale che fu il cardine massimo della dottrina del Cristo e che mi ostino
a credere che sia la più alta e la più benefica di tutte le
aspi Prezzolini, La cultura italiana, Milano, Corbaccio. Formiggini ha particolarmente sviluppato, oltre le sue
collezioni, il lato direi tecnico della propaganda libraria. Formiggini,
Trenta anni dopo. Storia di una casa editrice, Amatrice, Formiggini,
razioni umane !. Ma questo ideale di
fratellanza non dovette essere poi tanto anonimo o neutrale, se nel
periodo che dall’affermarsi del neoidealismo e dalla nascita de La Voce
arriva fino al fascismo e alla
dittatura gentiliana la
casa editrice Formiggini poté rappresentare riunendo soprattutto quanti
nell’idealismo non si riconoscevano un
capitolo significativo e abbastanza determinato, anche se minore, della
cultura italiana. Nato a Modena, dove contrasse affetti e
amicizie che come quella con il futuro ministro della giustizia di
Mussolini, Solmi lo accompagneranno nei successivi spostamenti della casa
editrice, da Bologna a Modena, quindi a Genova e infine a Roma,
Formiggini apparteneva a una famiglia ebraica di cui molti rami erano
cattolici da generazioni remote; e in questa origine è forse da ricercarsi
uno dei motivi della sua insistenza sulla necessaria unità tra
ariani e semiti e sul tema della fratellanza universale. In gioventi
aveva compiuto indagini di storia delle religioni, le quali ricorderà con
parole certo immodeste, ma che testimoniano di un clima culturale
intensamente vissuto mi portarono ad
affermare, su dati puramente giuridici ed etici, quella identità di
origine degli ariani e dei semiti che l'Ascoli aveva già riconosciuto
nello stretto campo della filologia e che gli scritti del Delitzsch, in
Germania, sei anni dopo di me, con grande autorità confermarono. Il
suo interesse per questo campo di studi è infatti attestato dalla
tesi di laurea in legge discussa a Modena, dal titolo programmatico (La
donna nella Thorà in raffronto col Mandva-Dbarma-Séstra. Contributo
storico-giuridico ad un riavvicinamento tra la razza ariana e la semita),
e da un intervento del 1902 nel quale Formiggini lamentava l’assenza nel
nostro paese di un insegnamento
critico delle religioni nonostante
gli sforzi di Gaetano Negri, David Castelli, Raffaele Mariano, Alessandro
Chiappelli e, soprattutto, di Baldassarre Labanca, pur avvertendo che il
desiFormiggini, Parole in libertà, Formiggini, Parole in libertà, derio di una
ripresa degli studi storico-religiosi non deve essere interpretato come
l’efflorescenza di un sentimento nostalgico verso un passato mistico per
me e per altri molti ‘ormai superato. Richiamandosi cosî alla
concretezza degli ideali terreni aliena, più che in uomini a lui
vicini, come Buonaiuti o Quadrotta, da ascetismi medievali e da ogni
forma di spiritualismo, Formiggini seguîf con interesse quel parziale sviluppo
di una scienza delle religioni che si ebbe in Italia fra la fine
dell’ottocento e l’inizio del nuovo secolo, ad opera inizialmente di studiosi
non cattolici e sulla base di quella identificazione fra idee teologiche e
religiose e pensieroche divenne
tradizionale negli studi storici italiani dai tempi del Tocco e
del Labanca in poi. Frequentando i corsi di lettere e filosofia
dell’università di Roma (conseguirà poi la seconda laurea in
filosofia morale a Bologna), Formiggini e infatti attento soprattutto
alle lezioni di storia del cristianesimo di Labanca, critico di ogni dogmatismo
e almeno nelle intenzioni del misticismo, in nome di un Dio concepito
come ragione e coscienza. Meno avvertibile risulta la traccia
dell’insegnamento romano di Labriola, anche se proprio alla trascrizione
di Formiggini dobbiamo la conoscenza del suo corso di filosofia della
storia Sul materialismo storico, e se fu proprio il futuro editore a portare il
saluto degli universitari italiani alla salma del buon Maestro La coltura religiosa in Italia,
Modena, Forghieri e Pellequi, Cantimori, Storici e storia, Torino, Einaudi;
un ‘accenno ai legami di Formiggini con Labanca e Quadrotta
inScoppola, Crisi modernista e rinnovamento cattolico in Italia, Bologna,
il Mulino, le notazioni di G.
Gentile, Storia della filosofia italiana, a cura di E. Garin, Firenze,
Sansoni, Tu, buon Maestro, ti servivi della mia voce per trasmettere il
tuo pensiero alla scuola ( Corda Fratres
Allieva di Labriola fu anche la moglie di Formiggini, Emilia Santamaria, la cui
tesi di laurea su Le idee pedagogiche di Leone Tolstoi fu pubblicata nel
1904 da Laterza con una breve prefazione di Labriola (ora in Labriola,
Scritti politici, a cura di V. Gerratana, Bari, Laterza, A.F. Formiggini:
un editore tra socialismo e fascismo suoi maestri
dell’università di Roma dovettero comunque contribuire a rinsaldare
quello spirito democratico di matrice,
ripetiamo, pit etico-religiosa che politica al quale è improntata
l’attività svolta da Formiggini, come console e poi presidente della sezione
italiana dell’associazione internazionale studentesca Corda Fratres, di
stampo radical-massonico, che si proponeva di raggiungere amore e
fratellanza fra tutti i popoli e le classi prescindendo dalla politica .
All’interno dell’associazione Formiggini si batté infatti contro le
tendenze che ne interpretavano le finalità in chiave nazionalistica,
sviluppando le sue convinzioni soprattutto a proposito del movimento
sionista: secondo me, e vorrei che cosî
fosse scrive a commento del sesto
congresso sionista di Basilea, molti di quelli che in Italia hanno aderito al
sionismo, non furono spinti dal sentimento di solidarietà di razza, ma da
quello molto più ampio e liberale di solidarietà umana. Per costoro non
dovrebbero aderire al sionismo gli ebrei soltanto, ma anche tutti quelli
che hanno il pensiero sufficientemente evoluto per riconoscere che ad
ogni uomo, indipendentemente dalla razza cui appartenga e dalla
fede che professi, deve esser riconosciuto il diritto alla vita ed
alla dignità umana ?. Concetti che
saranno letteralmente ripresi per negare ogni fondamento
all’antisemitismo, che avrebbe potuto essere meglio combattuto e vinto
ove il sionismo fosse rimasto una corrente umanitaria, senza trasformarsi
in un movimento nazionalista inteso a
ricostruire la potenza politica d’Israele. Questo ideale
etico-umanitario veniva ribadito da Formiggini, assieme a preoccupazioni per
l’insorgere delle correnti irrazionalistiche e idealiste, in una
recensione a L’anarchia del modenese
Ettore Zoccoli nella quale, dopo aver condiviso il giudizio dell’autore
sulle teorie immorali e
antigiuridiche degli anarchici, lo
rimproverava di Non era ancora un'associazione puramente corpotativa , come apparirà negli anni
venti a Giorgio Amendola (Una scelta di vita, Milano,
Rizzoli). Corda Fratres Formiggini, Parole in libertà, non aver
mostrato la efficacia, per quanto
indiretta e non voluta, che ha avuto l’anarchia per sospingere
l’umanità verso un’era di giustizia sociale, di libertà politica e
religiosa e di universale affratellamento , e aggiungeva: Dobbiamo
ad ogni modo auguratci che la crisi che sta attraversando il pensiero
filosofico contemporaneo, il quale, mosso appunto dalla preoccupazione
etica, si è già annunciato come una vivace reazione contro la filosofia della
seconda metà del secolo XIX, si possa risolvere, non in un ritorno a
forme mistiche, la cui inconsistenza è già stata provata dall’esperienza
storica, ma in una confortante e serena consacrazione di una morale
intesa come necessità imprescindibile della vita: necessità non d’ordine logico
né d’ordine fisico, ma però tale da avere rispetto alla vita delle
coscienze: quello stesso imperio assoluto che hanno le necessità logiche
per il pensiero e le necessità fisiche per tutto l’ordine meraviglioso
della natura Dove sono espressi sinteticamente non solo la concezione
ottimistica del progresso e l’ideale di conciliazione di quei positivisti in crisi che graviteranno attorno alla casa
editrice di Formiggini, ma anche il senso di un assedio che si andava
stringendo da parte degli idealisti. Ben diverso, quasi contrapposto, era il
giudizio sull'opera di Zoccoli formulato da Croce, che la
considerava moralistica (mentre una teoria filosofica sarà esatta o
sbagliata, ma non mai morale o immorale ) e, da osservatore
apparentemente distaccato, ne traeva spunto per notare nell’affermarsi di
tendenze sindacaliste rivoluzionarie contro il riformismo socialista
l’influenza dell’anarchismo, che forse, considerato nel suo insieme, giova
a mantenere quel sentimento di scissione tra il proletariato e la
borghesia, che i teorici del sindacalismo stimano indispensabile al progresso
sociale ; lo stesso Croce che in un
momento decisivo dello scontro col positivismo, bandiva dal vocabolario di coloro i quali anelano a un risveglio
della filosofia e della cultura, salutare alla patria italiana , i
termini di tolleranza e
temperanza , sinonimo, quest’ultimo, di
debolezza, incapacità di 3
Rivista italiana di sociologia, La Critica , Formiggini: un editore tra
socialismo e fascismo sintesi, tendenza alla combinazione e
conciliazione estrinseca, che porta ad affermare cose tra loro ripugnanti,
ha paura delle opinioni della gente volgare, cerca di non svegliare
opposizioni, e rifugge dai partiti che richiedono risolutezza e responsabilità
Positivisti, modernisti, socialisti La fisionomia alla quale la
casa editrice rimarrà sempre fedele venne definendosi nel giro di pochi anni,
tanto che Serra, tracciando i caratteri distintivi dei due editori-tipo
italiani, Laterza e Treves, espressione il primo del libro di cultura e, il secondo, di quello di bella
letteratura, ma con la tendenza sempre più marcata a entrar nel campo della cultura , poteva
annoverare in quest’ultima categoria le edizioni Formiggini, di cui
metteva in evidenza le intenzioni
brillanti e un certo decoro . Notevole rilievo ebbero infatti
anche le collane letterarie, significative di una scelta e di un gusto: i Poeti italiani si apre nel 1910 con le Odi di Massimo
Bontempelli uno degli autori pi cari a Formiggini, fino alla rottura ,
proprio in quell’anno schieratosi nella
polemica carducciana con Ettore
Romagnoli contro Croce e Prezzolini in difesa della critica di tipo letterario
contro quella di impianto filosofico, e annovera altri poeti che
inseguono il modello del grande
artiere di Carducci con accenti
tenui ed eleganti, come Francesco Chiesa, Francesco Pastonchi e Severino
Ferrari (ma c’è anche Pirandello, che ritornerà con Liolà); e
grandissima fortuna ebbero i
Classici del ridere cui
Formiggini affiancò la raccolta Casa del
ridere , che raccogliendo
Croce, Il risveglio filosofico e la cultura italiana, in Cultura e
vita morale, Bari, Laterza, Serra, Le lettere, in Scritti letterari, morali e
politici, a cura di M. Isnenghi, Torino, Einaudi, Bontempelleide, con interventi di Formiggini
e Fernando Pa. lazzi, in L’Italia che scrive, gli interventi di E. Manzini ed E. Milano in
Formiggini testi italiani e stranieri, riflettono l’utopistica
speranza dell’editore che l’ universale fusione di spiriti che deve
essere la meta costante di ogni più alta manifestazione di civiltà,
sarà affrettata di altrettanto di quanto l’affrettarono la macchina a vapore e
il telegrafo ®. L’impronta culturale e
civile della casa editrice è data tuttavia dal largo spazio accordato ad
argomenti filosofici, pedagogici e religiosi, con un orientamento che, se
difficilmente può essere definito in positivo, può essere considerato
schematicamente come espressione di gruppi non-idealisti.
Positivisti e modernisti di varie venature, e spesso di
orientamento politico socialista e socialisteggiante, contraddistinsero le
origini della casa editrice, che continuerà ad annoverarli tra i suoi
collaboratori anche quando le convinzioni di alcuni si vennero modificando
sensibilmente (ma altri si aggiunsero, come Giuseppe Rensi e Adriano
Tilgher, nel momento del loro distacco dall’idealismo). I nomi di
Achille Loria e Alessandro Levi, di Emilia Formiggini Santamaria e Giuseppe
Tarozzi, di Ernesto Buonaiuti e Felice Momigliano, ricorrono con
frequenza, anche per l’intero trentennio di vita delle edizioni Formiggini,
a conferma di una scelta e di una adesione non casuali. Sui
gruppi positivisti di questi anni, di filosofi e pedagogisti in particolare,
come sui vari filoni modernisti e sui loro esiti, sono state scritte
pagine illuminanti che hanno colto gli itinerari di ciascuno sotto
l'impatto del neoidealismo. Restano tuttavia da verificare le convergenze e
le alleanze che, contro lo stesso nemico, si stabilirono tra correnti e
uomini per vari aspetti spesso culturalmente e politicamente diversi e
distanti, e che videro seguaci di Ardigò, neokantiani e fautori di
un rinnovamento della chiesa laici e
religiosi, mistici e razionalisti confluire insieme a combattere per la
loro sopravvivenza, uniti solo, nel comune disorientamento, da condanne
idealiste o pontificie. Editore. Mostra documentaria, Modena,
S.T.EM. Mucchi, Formiggini, Trenta anni dopo, Garin, Cronache di
filosofia Sialiona Bari, Laterza, Formiggini: un editore tra socialismo e
fascismo Di questi e altri accostamenti, come quello tra
socialismo e religione in cui si impegnarono ad esempio Alfredo
Poggi e Felice Momigliano, sono documento evidente proprio le
edizioni Formiggini. E forse a molti collaboratori della casa editrice
può essere esteso il giudizio che è stato espresso per Momigliano: Profetismo, Mazzini, socialismo rimasero per
Felice tre nozioni difficilmente separabili. La purificazione dell’ebraismo, il
rinnovamento spirituale d’Italia e lo stabilimento della giustizia
sociale in Europa erano nella sua mente tre aspetti di un problema solo. Un
vivo senso della nazionalità e un vago socialismo sconfinante nel populismo
borghese e inteso come prosecuzione della democrazia risorgimentale sono
infatti le caratteristi-. che di uno dei più assidui collaboratori di
Formiggini, Alessandro Levi , e si ritrovano in molte delle iniziative
dell’editore modenese. Nelle collane di saggistica si possono
comunque individuare tre filoni principali di interesse: quello religioso,
presente ovunque ma che per un certo periodo ebbe il suo posto
privilegiato nella Biblioteca di varia
coltura dove usci il Mosé e i
libri mosaici dell’ex prete modernista Salvatori Minocchi in questo momento
convinto che il futuro
cristianesimo ha da cercarsi nelle vie del socialismo ; quello pedagogico, che vide l’intervento
assiduo di Emilia Formiggini Santamaria con studi storici è didattici
ispirati alle teorie di Fròbel ed ebbe un punto di riferimento costante
non quando. fu pubblicata dall’editore modenese nella Rivista pedagogica , l’organo
dell’Associazione nazionale per gli studi pedagogici fondato nel 1908 da
Luigi Credaro e che, Momigliano, Momigliano, ora in Terzo
contributo alla storia degli studi classici e del mondo antico, Roma, Edizioni
di storia e letteratura, Poggi
Socialismo e religione. Modena, Formiggini, 1911, e, sull’autore,
la voce di M. Torrini in F. Andreucci - T. Detti, Il movimento operaio
italiano. Dizionario biografico, Roma, Editori Riuniti, le osservazioni di
Piero Treves nel numero speciale di
Critica sociale dedicato a Levi Cit.
da A. Agnoletto, Minocchi, vita e opera; Brescia, Morcelliana, seppur
influenzato dall’herbartismo del futuro ministro della pubblica
istruzione, fu aperto ai collaboratori delle più varie tendenze (da
Colozza a Calò, da Varisco alla Formiggini Santamaria) . Il terzo filone, e
forse il più significativo perché comune denominatore anche degli altri,
fu rappresentato da un generico interesse per i temi filosofici, mutuato dalla
Società filosofica italiana e dalla
Rivista di filosofia
attenta, del resto, anche alle problematiche religiose e
pedagogiche. L’inizio dell’attività di Formiggini è infatti
strettamente connesso con la fase di riorganizzazione della Società
filosofica italiana, di orientamento prevalentemente (anche se vagamente)
positivista, apertasi in concomitanza con l’intensificarsi del programma
culturale di Croce e di Gentile attorno alla casa editrice Laterza con il congresso di Parma della società. In
questa sede fu deliberata in vista di
una degna affermazione dell’attività filosofica italiana al terzo congresso internazionale di
filosofia di Heidelberg la preparazione di quel Saggio di una
bibliografia filosofica italiana che, compilato da Alessandro Levi con la
collaborazione di Bernardino Varisco e, per la parte pedagogica, di
Emilia Formiggini Santamaria, apparve nel 1908 per i tipi di Formiggini e
fu giudicato da Gentile la prima manifestazione di qualche cosa di concreto e di utile agli
studi di filosofia da parte della
Società filosofica ’. Il Saggio inaugurò la Biblioteca di filosofia e di
pedagogia che accolse, oltre agli atti
dei congressi della società, scritti della Formiggini Santamaria, I/
materialismo storico in Federico Engels di Rodolfo Mondolfo di cui
è possibile cogliere l'origine tormentata nelle lettere dell’autore
all’editore , e altri testi in cui l'impronta antiidea D. Bertoni Jovine,
La scuola italiana, Roma, Editori Riuniti, La Critica Attendo presentemente a un lavoro su La
filosofia del comunismo critico. Una parte di questo, I/ materialismo
dialettico e il materialismo storico di F. Engels spero averla pronta
entro brevissimo tempo , scrive Mondolfo proponendone la pubblicazione.
Ma ancora confessava: La parte che
ancora rimane per il termine del lavoro io l’avevo molto tempo addietro
abbozzata e in Formiggini: un editore tra socialismo e
fascismo lista è, almeno prima della guerra, ben documentabile.
Se meno precisamente definibile è la posizione di Ludovico
Limentani, assertore del metodo positivo ma aperto alle istanze
idealistiche, che pubblica due volumi (I presupposti formali
dell'indagine etica, e La morale della simpatia) in cui, come in tutta la sua
opera, è filosoficamente argomentato e approfondito l’ideale stesso di
Formiggini, in quanto l’autore fa l’ esaltazione, sul piano politico-sociale,
del diritto ad esistere di ogni spinta ideale, che scenda a collaborare
sul piano della concreta discussione con le altre idealità ; assai netta è, nel 1913, la posizione
di Erminio Troilo, seguace del pensiero ardigoiano e uno dei più continui
collaboratori della casa editrice, che presentando le Pagine scelte di Ardigò
lancia un violento atto d’accusa contro idealisti e pragmatisti, in una
difesa patetica di quella cultura positivista che stava scomparendo: Sinceramente, scriveva chi scorra senza
spirito di parte o di setta e senza quel vanissimo orgoglio di
superfilosofismo che è oggi venuto di moda, e che infuria, talora con
veri accessi di epilessia metafisica e pit spesso con inqualificabile volgarità,
specialmente, si capisce, contro il positivismo, le pagine che il Gentile e
l’Orano, il Papini e, ultimo venuto, il De Ruggiero hanno, bontà loro,
dedicato a Roberto Ardigò, dovrà convenire che non mai parzialità e
superficialità, trivialità e accanimento hanno intessuto una trama di più
fatue leggerezze e di più dolorose malizie, intorno ad un uomo e ad un
pensatore che ha pur il diritto di vivere e di pensare; mentre quei
critici stessi si svociano parte stesa in una forma però che, essendo
stato poi da me modificato tutto il piano del lavoro, non può più affatto
andare. È dunque da rifar da capo bisogna che torni a rivivere il mio
tema . Finalmente 1°11 ottobre dello stesso anno poteva annunciare: Ho
scritto l’ultima cartella ; ma i dubbi non erano finiti, se,
approfittando della necessità di cambiare il frontespizio del volume per
il trasferimento dell'editore da Modena a Genova, Mondolfo suggeriva di
togliere dal titolo Il
materialismo dialettico lasciando le parole
Il materialismo storico, che costituiscono la parte più importante
e interessante del titolo. Archivio editoriale Formiggini presso la
Biblioteca Estense di Modena [dora in avanti AF], Mondolfo Garin, I/
pensiero di Ludovico Limentani, in
Rivista di filosofia. In/ e si sbracciano ad osannare i
pretenziosi ma altrettanto inconcludenti fra professori e conferenzieri
di marca tedesca e anglo-americana, e francese, i cui nomi sono ormai
sulle bocche di tutti; o i più ciarlatani, tipo Sorel; o pit
insulsi tra gli affiliati nostrani della congrega hegelianoide Fuori
collana apparvero altri testi filosofici, di particolare rilievo i primi
due volumi degli Scritti di Michaelstidter; non andò in porto, invece, la
proposta di Levi di pubblicare gli scritti di Vailati, avanzata subito
dopo la morte di questi. Questi contributi erano il frutto di un rapporto
diretto con la Rivista di
filosofia, l’organo della Società filosofica italiana, per i tipi di
Formiggini, dalla fusione della Rivista
di filosofia e scienze affini di
Giovanni Marchesini con la Rivista
filosofica fondata da Carlo Cantoni; e che non si trattasse di un
rapporto puramente tecnico o commerciale, è dimostrato dalla notevole
consonanza di accenti tra la rivista e tutta l’attività della casa
editrice. Non costituiamo una scuola; siamo una collezione d’uomini,
unit: dal comune amore della verità, ma che non abbiamo tutti lo
stesso concetto di quello che la verità sia Ma tutti siamo persuasi
che, per arrivare a conoscere la verità
e a farla trionfare, la discussione seria de’ problemi, sotto ciascuno
de’ loro aspetti, sia l’unico mezzo possibile: un mezzo che, prima o poi,
ci farà conseguire il fine desiderato £: cosi dichiaravano
nel 1909 i redattori della rivista criticando il programma della Rivista di filosofia neo-scolastica che si diceva
espressione dei pensamenti di una scuola determinata . Questo
vago amore della verità era il
segno, più che della temperanza combattuta da Croce e dai
neoscolastici, di uno sbandamento e di una debolezza di fondo, appena
mascherati da un ottimismo ingenuo e perdente, data l’indeterminatezza del
fine da rag Ardigò, Pagine scelte,
a cura di E. Troilo, Genova, Formiggini, PED 4 AF, n di
filosofia, Formiggini: un editore tra socialismo e fascismo
giungere: un amore della verità tale non solo da provocare il rapido
manifestarsi di contrasti interni alla redazione tra i due gruppi di
Pavia e di Padova, ma anche da permettere che già nel 1910 padre Gemelli
venisse accolto fra i membri della società. E tuttavia il programma dei
fondatori, inteso a dare all’Italia una
rivista autorevole aperta ugualmente a tutte le opinioni e perciò adatta
a chiarire le profonde ragioni ideali, da cui le scuole filosofiche
traggono origine , introduceva subito sintomatiche puntualizzazioni:
la patria nostra, risorta da cinquanta anni ad unità di nazione,
vuole rivendicare le alte tradizioni del suo pensiero che informa tutta
la cultura e la vita moderna. Infatti, dobbiamo costantemente
ricordare che naturalismo ed umanismo, i due atteggiamenti fondamentali
della speculazione europea, sorgono ugualmente col rinascere degli studii per
opera del genio italiano, universale e concreto; sicché tutta la
filosofia posteriore può rannodarsi ai nomi di Galileo e di Vico, che ne
simboleggiano gli spiriti. Da questi eroi tragga incitamento
ed auspicio la nuova filosofia che deve ravvivare l’opera e la coscienza
ideale degli italiani! In realtà, nonostante l’auspicio che sulle
sue pagine tutti gli indirizzi del
pensiero filosofico trovassero libera espressione ‘, e i passi compiuti in questo senso verso
i circoli di filosofia di Roma e di Firenze di tendenze prevalentemente
idealistiche , la rivista diretta da Faggi, Juvalta, Levi, Marchesini, Vailati
(sostituito dopo la morte da Calderoni e Troilo), Valli e Varisco
ai quali si aggiungeranno in seguito Pastore e Buonaiutirisultò voce di positivisti
il cui eclettismo trovò un limite di fronte all’idealismo. Ci
sembra assai valido ed estensibile alla casa editrice il giudizio
di Santino Caramella, per il quale la rivista accoglieva I
due circoli aderirono alla Società filosofica nel corso, ma quello di
Firenze ritirò la propria adesione tramite il suo segretario Giovanni
Amendola: fra il Circolo e la Società, dichiarava, non esiste affinità alcuna, né di scopo, né
di tendenze, né di metodi d’azione (
Rivista di filosofia , I tutti, dal
neopositivismo del Troilo all’hegelismo del Losacco, dal misticismo del
Rensi al fichtismo del Til gher e del Ravà, dall’ardigioianesimo al
neokantismo e chi più ne ha più ne metta, ogni indirizzo poté salire in
tribuna. Ma non per questo cessava la intolleranza verso gli intolleranti
di questa amorfa tolleranza: il Croce, Gentile restarono sempre i maligni
avversari che avevano guastato l’Eden filosofico: e specialmente i positivisti
ebbero cura di non lasciar mai spegnere il fuoco della battaglia . Possiamo aggiungere, a integrazione
del quadro solo in negativo fornito da Caramella, l’esplicita connessione
di interessi filosofici e religiosi ne è testimonianza anche l’ingresso nella
redazione di Buonaiuti, subito impegnato a confutare sulle pagine della
rivista la pretesa gentiliana di individuare in Vico un precursore
dell’attualismo 4 e l'insistenza sul
genio italiano che, pur senza
assumere fin dall’inizio precisi connotati nazionalistici come cercherà
invece di far intendere Troilo, era indice di una chiusura nei confronti
del pensiero contemporaneo non italiano. È un aspetto, questo, che
risalta con forza ove si confrontino i
Classici della filosofia moderna
che Croce iniziò per Laterza con
l’Enciclopedia di Hegel, e l’iniziativa formigginiana dei Filosofi italiani , la collezione promossa
dalla Società filosofica italiana e diretta da Felice Tocco. Le
differenze, naturalmente, non sono segnate solo da confini geografici,
pur importanti. Il fatto è che, come riconosceva e paventava la
stessa Rivista di filosofia , il programma crociano si proponeva la
valorizza Caramella, Le riviste filosofiche italiane nell'ultimo quarto
di secolo, La Cultura Buonaiuti,
Il carattere storico della filosofia italiana, in Rivista di filosofia In L'Italia che scrive Recensendo positivamente
per l’accesso diretto alle fonti che offrivano i Classici della filosofia moderna , Michele
Losacco osservava: È ben difficile
creare un movimento speculativo che lasci tracce profonde, se l’ambiente
in cui si lavora non è sufficientemente preparato ad intenderlo; ne fu
prova non dubbia l'indirizzo idealistico, promosso a Napoli da Bertrando
Spaventa, e che non trovò il meritato seguito, perché si concentrò in
alcuni pochi spiriti, solitari e incompresi. Ora ogni nuovo Formiggini: un
editore tra socialismo e fascismo zione di una linea di pensiero
che assegnava all’Italia un ruolo centrale con Spaventa, De Sanctis,
Labriola e Croce, ma era tanto pi forte in quanto riproposta attraverso
una determinata lettura di Vico, di Kant e di Hegel, mentre Tocco si
preoccupava di riportare alla luce soprattutto la filosofia della
Rinascita che è nella maggior parte italiana, come italiano è quel
movimento umanistico che la promosse. E questo periodo cosi arruffato
della speculazione, che in mezzo al rifiorire della scienza e della medicina
antica, in mezzo al ripullulare dell’antica magia alchimia ed astrologia
prepara l’avvento della nuova scienza e della coscienza nuova, merita di
essere studiato . Ben diversa da quella di Croce e Gentile fu
anche la capacità di promozione della Società filosofica italiana:
bastò la morte di Tocco a impedire che avesse seguito, dopo i primi due
volumi del De rerum natura di Telesio curati da Vincenzo Spampanato la
proposta avanzata in prima persona dall’editore modenese al terzo congresso
della società (Roma, ottobre 1909), e da questa assunta in proprio con
l’impegno del suo presidente di
dare ogni aiuto possibile , di
raccogliere in una accuratissima edizione i testi critici dei maggiori
filosofi italiani, per rendere accessibili a tutti le opere meno agevolmente
ostili e più importanti per la storia del pensiero nazionale , e serio conato speculativo,
come fu, per esempio, quello della Rinascenza, presuppone sempre lo
studio e il riconoscimento delle migliori tradizioni filosofiche, e
nazionali e straniere, da cui deve trarre la ragion d’essere e
l’ispirazione ( Rivista di filosofia ,
Prefazione di Tocco al vol. I del De rerum natura di Telesio (Modena,
Formiggini, anche E. Garin, Per
un'edizione dei filosofi italiani, in
Bollettino della Società filosofica italiana Perché la direzione
dei Filosofi italiani fosse affidata a Tocco intervenne
Croce, come si ricava dalle sue lettere a Formiggini e dal suo commento
al congresso di Roma, in cui dichiarò in
piena liquidazione il positivismo (ora in Pagine sparse, Bari, Laterza,
Contro le fauci ingorde di Formiggini, che per l’edizione di
Telesio avrebbe cumulato i contributi finanziari del Comitato telesiano
di Cosenza e dello Stato, lo sfogo
di Gentile nella lettera a Croce (G. Gentile, Lettere 4 Croce, a cura di S.
Giannantoni, Firenze, Sansoni Gentile scriveva a Croce degli spropositi vergognosi presenti nella prefazione di Spampanato
Accanto a una cultura in varia misura positivista che si organizza sul piano
accademico che è proprio della
Rivista di filosofia e anche su
questo terreno sarebbe da valutare la
resistenza opposta dai
positivisti al neoidealismo, testimoniata dalle lagnanze ricorrenti nelle
lettere di Croce, Gentile, Omodeo, è da segnalare la vocazione
illuministica di questi gruppi a farsi educatori di masse le più larghe
possibili. Se l’idealismo incontrò forti limiti ad una sua penetrazione
o traduzione popolare, ciò non si dovette solo a sue
carenze originarie o élitari rifiuti, ma anche all’esistenza di una cultura
media o popolare resa impermeabile alla sua influenza da
precedenti incrostazioni di segno diverso o contrario, depositate
lentamente attraverso periodici, università popolari o certe collane, non
solo di istruzione tecnica o di letteratura d’appendice ad opera dei
positivisti che avvertivano il dovere di
divulgare tra il popolo quella scienza che consideravano parte integrante
della realtà , fiduciosi che individui
appartenenti a ogni strato sociale potessero rispondere al richiamo
illuminante e liberatore della verità, la stessa verità in cui essi
credevano Alla divulgazione erano appunto rivolti, come altre iniziative
contemporanee e sulle orme della
Biblioteca del popolo di
Sonzogno, i Profili di Formiggini, nati nel 1909 con l’intento
di soddisfare il più nobilmente possibile alla esigenza caratteristica del
nostro tempo, di voler molto apprendere col minimo sforzo . E non a caso Critica sociale la giudica una utilissima collezione Alla tendenza allora
predominante di dare una immagine del passato o del presente attraverso
singole figure di protagonisti gli
eroi di cui parlava la Rivista di filosofia nella sua pagina d’apertura, gli uomini
simboli di un’epoca su cui era costruita la prima storia del
Rosada, Le università popolari in Italia, Roma, Editori Riuniti,
A.F.F, Trenta anni dopo, 53 V. Osimo, ‘arlo Porta, in Critica Formiggini: un editore tra socialismo
e fascismo socialismo tentata da Angiolini e Ciacchi si
ispirarono numerose collezioni, la più nota ed aulica di tutte, ma
di breve durata, quella dei
Contemporanei d’Italia intrapresa
da Ricciardi sotto la direzione di Prezzolini; ma fu soprattutto Formiggini
a preoccuparsi di divulgare i suoi
Profili attraverso le biblioteche
popolari, queste istituzioni
scriveva presentando la collana che stanno ora sorgendo e moltiplicandosi
e che saranno i focolai donde uscirà la dignità nuova e la nuova fortuna
della patria , rivolgendosi in particolare al mondo della scuola. E
i Profili raggiunsero un pubblico per quei tempi molto
vasto: uno dei primi titoli, il Ges di Labanca, di cui nel 1918 fu
stampata la terza edizione, solo nella prima ebbe una tiratura di 2.500 copie Nel
capitolo de Le lettere dedicato alla
critica letteraria , Serra faceva un bilancio delle collane
comprendenti l’essaî dedicato a
una questione o a una figura , e annotava: Ne abbiamo parecchie: i
Profili, i Contemporanei, gli Uomini d’Italia, i moderni, gli antichi e
che so io. Ma o si sono arrestate, 0 han dato la solita roba; conferenze
da una parte, e dall’altra tesi e avanzi di corsi scolastici, che non
riescono a fare il libro. L’unica serie che va avanti bene è quella dei
Profili; appunto perché il suo modulo, anche materialmente, modesto e
facile da riempire, si impone alla personalità degli autori con una certa
economia necessaria di notizie e di disegno, che non lascia posto a
digressioni o erudizioni o analisi, come dicono, originali. Potrebbe parere un
difetto; ed è, tra noi, una fortuna. Senza dire che anche in quei limiti
si possono ottenere cosette buone; per un esempio, l’Esiodo del Setti o
il Bodoni del Barbera . La mancanza di originalità di questa
produzione non impediva tuttavia che essa avesse un taglio preciso per
gli autori o i biografati prescelti. Anche se il criterio della
% Illustrando sulla Rivista di
filosofia un suo progetto
sull’istituzione di biblioteche per gli studenti delle scuole medie, già
accennato al congresso per le biblioteche popolati di Roma nel dicembre
1908, Giovanni Crocioni affermava: Non vi mancheranno le opere d’arte, le
vite di uomini insigni, le edizioni popolari; vi troveranno, ad esempio,
luogo opportuno i Profili che il nostro coraggioso e geniale editore vien
pubblicando con fine gusto di arteAF, Labanca. 5% Serra, competenza
suggeri in un primo tempo a Formiggini di rivolgersi a Croce e poi a
Gentile per il ritratto di Hegel, a Papini per quello di Sarpi o a
Prezzolini per Baretti contatti che non
ebbero poi esito positivo, gli autori dei Profili furono e rimarranno in
maggioranza esponenti di ambienti positivisti o modernisti, e spesso toccati
dal materialismo storico. Per i personaggi-chiave, dove le digressioni
erano pit facili e significative, troviamo Achille Loria autore
del Malthus uno dei più ricercati della
mia fortunata collezione , gli scriveva Formiggini che raggiunse la quarta
edizione, dei ritratti di Marx e Ricardo; Tarozzi con Rousseau, Ardigò e
Socrate ed Troilo con TELESIO (si veda), Bruzo e Kaxt; Labanca con Ges#
di Nazareth, Momigliano con Tolstoi e Buonaiuti con una lunga serie
di ritratti: Sant'Agostino, San Girolamo, Sant'Ambrogio, AQUINO (si veda),
San Paolo, Gest il Cristo (che sostituî il profilo di Labanca) e San
Francesco; Barbagallo tracciò i profili di Giuliano l’Apostata e
Tiberio, mentre Concetto Marchesi delineò quelli di Marziale, Giovenale e
Petronio. Alcune, poche
concessioni del periodo fascista
non alterarono le caratteristiche originarie della collezione, che
accanto alle figure principali della letteratura italiana e straniera dava
largo spazio più di quanto ne concedessero la Collana biografica universale delle edizioni Quattrini di Firenze o
i Pensatori celebri e i
Pensatori d’oggi della milanese
Athena ad esponenti del pensiero filosoficoscientifico (Telesio, Bruno,
Galileo, Newton, Lavoisier, Morgagni) e ai pensatori dell’ottocento cari
alla genealogia positivistica e socialista (Malthus, Darwin, Marx,
Lombroso, Ardigò). Mentre per meglio esaltare la dottrina di Darwin
l’autore del suo ritratto, il naturalista Alberto Alberti, riteneva necessario
fissare fin dall’inizio le fattezze del biograAF, Loria. Formiggini: un
editore tra socialismo e fascismo fato ( cupola immensa il cranio.
Dentro, un cervello che come quello di Volta e forse come quello di
Leonardo, non pesava meno di due mila grammi), convinto, in base a
un ingenuo positivismo, che i tratti fisici giovano a far intendere come
per la larga, possente grandiosità del lavoro intellettuale compiuto da
Darwin ben occorresse anche una struttura fisica non diversa ma più
vigorosa di quella onde è congegnata la moltitudine degli uomini ; l’autorevolezza delle biografie di Malthus
e di Marx è affidata al loro autore, quell’Achille Loria tanto
disprezzato da Labriola e da Gramsci, ma che rimane pur sempre, come è
stato sottolineato di recente, una
figura rappresentativa dell’età del positivismo evoluzionistico e del
nascente movimento socialista alla quale
si deve la diffusione in Italia della
nozione di un’economia non immutabile, non governata da leggi esterne, ma mossa
dalla lotta delle classi sociali e perciò suscettibile di evoluzione al di
là dello stadio proprietario e capitalistico . I giudizi e gli accostamenti di Loria
non sono per questo meno disinvolti: la teoria della popolazione di
Malthus, sorta quale teoria di regresso
, se debitamente svolta ed ampliata, si
torce invece nella più radicale fra le teorie sociali. Dacché essa insegna che
il flutto incessante della popolazione è il fermento irresistibile
di distruzione delle forme sociali successive 9; invece Marx, nonostante la grandiosità michelangiolesca del suo pensiero, sta di molto al disotto dei grandi maestri
della scienza positiva : Se invero
è mirabile e enorme questtuomo notava Loria, il quale riesce a contenere
tutto un mondo fra le pieghe di un semplicissimo principio iniziale, e la
cui vita non è pi che lo sviluppo di una equazione, che egli ha posta agli
esordi quanto più onesto, più leale, più scientifico il procedere di
Darwin, il quale non pone principj aprioristici, ma accoglie senza
preconcetti 5 A. Alberti, Darwin, Modena, Formiggini, Faucci,
Revisione del marxismo e teoria economica della proprietà in Italia, Loria (e
gli altri), in Quaderni fiorentini, Loria,
Malthus, Roma, Formiggini, i fenomeni
nell’ordine di complessità progressiva che la vita stessa gli affaccia! La
storia italiana recente era illustrata con un forte senso della
nazionalità, accentuato dalla grande guerra, ma con tonalità
democratiche: al ritratto dei fratelli Bandiera seguivano -16 quello di
Abba, e un Cavour di Murri che presentato da una Lettera ai combattenti
del capitano Formiggini come
una potentissima sintesi non solo
delle concezioni dello statista piemontese,
ma di tutte le correnti del pensiero collettivo che portarono al
trionfo della idea nazionale si
preoccupava di definire valore e limiti del realismo politico del
biografato per dare sbalzo alla fede mazziniana ( sollecitando, con il suo
titanico ardimento, la storia ed i fatti, [Cavour] disperse, in parte,
quel tesoro di energie spirituali che Mazzini aveva preparato per pi lunga e
profonda e dolorosa opera Cavour ha avuto ragione per il suo tempo, Mazzini
torna ad aver ragione oggi. Elemento caratteristico della
collezione formigginiana resta comunque l’ampio interesse per la storia
religiosa, toccata sia attraverso le figure di Ges, di Savonarola £
e dei santi, sia per inciso nei profili degli imperatori romani che
videro l’affermarsi del cristianesimo o nel ritratto dedicato a Tolstoj da
Felice Momigliano. Pi che l’editore,
tu sei il critico degli autori tuoi , scrive Marchesi a Formiggini
: e il rapporto dell’editore con gli autori di profili religiosi si
rivela particolarmente stretto e franco, come nel caso di Labanca e di
Buonaiuti; indice della sua diretta partecipazione è ad esempio
l’affettuoso rimpro A, Loria, Marx, Genova, Formiggini, Murri, Camillo di
Cavour, Genova, Formiggini, Rispetto al giudizio minimizzatore di cui sarà
oggetto nell’Enciclopedia italiana, come abbiamo visto, Savonarola era
eroicizzato da Galletti come colui
che riconciliò la libertà colla religione, ravvivò negli animi il
sentimento cristiano offuscato o pervertito, ordinò un governo libero e
onesto sul fondamento della dignità morale , dimostrandosi, con tutto ciò, veramente italiano (Savonarola, Roma, Formiggini, AF,
Marchesi. Formiggini: un editore tra socialismo e fascismo
vero mosso a quest’ultimo, che aveva sottolineato la continuità tra ebraismo e
cristianesimo: Mi sono letto il profilo del Cristo gli scrive,
contemporaneamente all’uscita di Gesz il Cristo di Buonaiuti,. un titolo
che Labanca aveva esplicitamente rifiutato per il suo Gesg di Nazareth e
ti confesso che non mi è piaciuto e che non piacerà. Non è il profilo del
Cristo rispetto ai Farisei ma il profilo tuo rispetto a padre Gemelli e hai
fatto senza volere un’apologia del fariseismo che non la meritava e hai fatto
del povero Cristo uno scocciatore e tale forse non fu. Ho rimorso
di aver fatto un corno al povero mio maestro Baldassarre Labanca, tu sai
scrivere in modo meraviglioso, egli non sapeva scrivere ma nel suo ruvido
libretto c’era pur qualche cosa che restava. in tasca a chi lo
leggeva. Insomma se vieni ti parlerò di Dio, perché mi sento di
poterti dare qualche utile consiglio ©. Per la loro
destinazione e per lo stretto rapporto editore-autori che rivelano, i Profili
risultano quindi una guida utilissima per seguire le tematiche
allora più largamente diffuse e gli orientamenti politici e culturali della
casa editrice: dal giudizio formulato da Felice Momigliano su Tolstoj
subito dopo la sua morte che corrisponde a una diffusa lettura
del romanziere e pensatore russo ( un distruttore ben pit radicale
di Marx 4), a quello di FrLosini,
che al presunto carattere della rivoluzione d’ottobre suppellettile d’importazione senza
radici nella tradizione russa oppone l’ammonimento del suo biografato,
Turgenev, a non prescindere: dalla
nazionalità nella preparazione dell'avvenire della Russia ‘, fino ai mutamenti significativi che, da
un’edizione all’altra, possono registrarsi nello stesso profilo. Come
nel Telesio di Troilo, che nella prima edizione si conclude con il
rimprovero alla filosofia contemporanea di dare espressione al suo
antiintellettualismo ricorrendo al pragmatismo che è solo un getto, un po’ morbido, del saldo
profondo tronco antico del radicale empirismo Buonaiuti. 6
F. Momigliano, Leone Tolstoi, Modena, Formiggini, Losini, Ivan Turghenieff,
Roma, Formiggini, presocratico , laddove nella seconda edizione del 1924
termina affermando che vedere nel pensiero del cosentino l’avvio del
processo che sfocierà nella dialettica trascendentale kantiana è più legittimo che non fare di
Bernardino Telesio qualché di simile ad un idealista assoluto £. Anche in periodo fascista la
collana cercò di mantenersi fedele all’ideale di equilibrio
e di conciliazione di Formiggini: e se non mancarono
concessioni alla retorica fascista, come nell’esaltazione del ricostruttore
dello Stato sabaudo, Filiberto, fatta da Silva, Levi traccia un
profilo di Romagnosi, il severo giudice dell’assolutismo il quale nella
Scienza delle costituzioni ricordava Levi in pieno regime aveva affermato che la luce del vero e del giusto
appartiene al genio onnipossente e beatificante della libertà, le tenebre
dell’ignoranza appartengono al dèmone della tirannia, d’onde sorge la
discordia e la distruzione degli Stati. Una cultura al di sopra della mischia Il
breve e tormentato periodo del dopoguerra, fino al pieno affermarsi del
fascismo, vide il massimo sviluppo dell’iniziativa di Formiggini, e il suo
tentativo di allargare l’ambito di intervento dall’editoria a più
ambiziosi programmi di organizzazione della cultura. Ma è proprio nel
clima teso di questi anni, fortemente condizionato dal nazionalismo e poi dal
fascismo, che egli subirà la più cocente delle sconfitte, la sconfitta di
una utopia, di un ideale non ancorato a un preciso orientamento politico.
Il capitano Formiggini aveva partecipato con entusiasmo alla guerra,
momento di doveroso lavoro per tutti, ricorderà la moglie. Troilo,
Bernardino Telesio, Modena, Formiggini; seconda edizione, Roma,
Formiggini, Levi, Romagnosi, Roma, Formiggini, Formiggini Santamaria, La mia
guerra, Roma, Formiggini, Formiggini: un editore tra socialismo e
fascismo E la guerra non fece che rafforzare l’ideale di
Formiggini di una Europa nuova , civile e fraterna , fondata sulla comunione di cultura tra i popoli, ma
come presupposto per la sua piena realizzazione si fece sempre pit
frequente in lui come in tanti altri intellettuali di fronte alla prima grande
vittoria dello stato italiano la rivendicazione dei valori nazionali e
patriottici (simboleggiati dai fregi classicheggianti di Adolfo De
Karolis, già illustratore di
Leonardo ed Hermes, contro il quale si scaglieranno in
nome dello spirito popolaresco i giovani del
Selvaggio ). L’insistenza su questi ultimi farà ben presto
relegare in secondo piano l’ideale originario, e si tradurrà in un
servizio reso alle forze che con maggiore coerenza puntavano ad una riscossa nazionale della borghesia italiana. Un eclettismo culturale
fiduciosamente perseguito (ma di rado realizzato) e la mancanza di un netto
orientamento politico furono infatti i motivi della sostanziale debolezza
nonostante i successi iniziali delle ambiziose iniziative concepite da
Formiggini al termine della guerra. Il suo sarà un destino analogo a
quello della Rivista di filosofia , che
si apriva con un Programma di lavoro in cui Bernardino Varisco rincorreva
l’ideale di una suprema armonia tra gli stati le classi e le
singole culture , fino a incontrare, per
la sua genericità, il consenso di quel Gentile ? che poche pagine
dopo, sulla stessa rivista, era duramente attaccato da Buonaiuti.
Frutto del modo col quale Formiggini avverti le lacerazioni prodotte
dalla guerra in campo internazionale, e della volontà di difendere e
rafforzare anche sul piano spirituale l’unità nazionale pienamente conseguita
sul terreno politico, sono il progetto, poi non attuato, di una
collezione italiana di classici greci e latini
i mostri classici Formiggini, Trenta anni dopo. Era una speranza
formulata confusamente anche da Troilo, che pur non tralasciava
l’occasione per lanciare una nuova accusa contro l’ idealismo assoluto,
una vera e propria Metafisica di guerra
(La conflagrazione. E storia dello spirito contemporaneo, Roma,
Formiggini, G. Gentile, Guerra e
fede, Napoli, Ricciardi, per i quali doveva finire il vassallaggio
nei confronti della Germania e, soprattutto, il mensile L’Italia che scrive , forse la creatura
più cara a Formiggini. Uscito nell’aprile 1918, agli albori di una età nuova , il periodico
nutriva, sotto le vesti di una semplice rivista bibliografica, ambizioni
culturali più ampie, riproponendosi di
registrare nelle sue colonne un magnifico rifiorire degli studi
nel nostro paese e di farsene eco diligente e fedele, a vantaggio di
quanti, in Italia o fuori, apprezzano e vogliono conoscere il lavoro
intellettuale degli italiani . La
struttura agile e articolata che sarà presa a modello dal Leonardo
e da La Nuova Italia editoriale, profilo di un
contemporaneo, inchieste su istituzioni culturali, recensioni, confidenze degli
autori, spoglio di libri e articoli per argomento, libri da fare , eccetera fece ben
presto affermare il mensile (che nei primi anni ebbe una tiratura
non inferiore alle 10.000 copie, giungendo a toccare le 30.000 ) come un
esempio di quelle riviste-tipo che Gramsci catalogherà nel genere critico-storico-bibliografico : legata
all’attualità e a carattere divulgativo, rivolta a quel lettore comune al quale non basta dare concetti storici, ma occorre
fornire serie intiere di fatti specifici,
molto individualizzati ?. E proprio Il grido del popolo segnalò la
vivace, varia rivista di
Formiggini uno dei più giovani ed
intelligenti industriali italiani del libro come quella che prometteva di diventare un ottimo ed
utilissimo strumento di cultura, quale in Italia non esisteva ancora, e
la cui mancanza era uno dei segni delle manchevolezze intellettuali del
nostro paese, della Formiggini, Trenta anni dopo Sulla funzione
attribuita ai classici di mantenere vivo
il senso di continuità col passato e nello stesso tempo contribuire a un
compito di rinnovamento nazionale , richiama l’attenzione A. La Penna a
proposito di una successiva iniziativa sansoniana (La Sansoni e gli studi
sulle letterature classiche in Italia, Testimonianze per un centenario.
Contributi a una storia della cultura italiana, Firenze, Sansoni,
Formiggini, Trenta anni dopo, Formiggini, La ficozza filosofica del fascismo,
Gramsci, Quaderni del carcere, edizione critica dell'Istituto Gramsci a
cura di V. Gerratana, Torino, Einaudi, Formiggini: un editore tra socialismo e
fascismo poca diffusione dei libri e quindi delle idee, della
nostra spaventosa impreparazione spirituale . Prefiggendosi il compito di armonizzar le varie correnti della cultura
nazionale perché potessero concorrere al
fine comune della valorizzazione nel
mondo dell’attività intellettuale italiana , Formiggini sostenne anche
nel momento della sua sconfitta che un
giornale editoriale nazionale non può essere che un giornale eclettico ,
contro il consiglio di Ettore Romagnoli di
avere un partito, essere con qualcuno o contro qualcuno . Ma, nonostante l’idealizzazione della
capacità unificante di una cultura al di sopra delle parti nel marzo 1917
Formiggini aveva offerto la condirezione della rivista a Prezzolini che
stava per assumere un'iniziativa analoga, ma che rifiutò l'invito perché,
rispondeva le nostre concezioni
differiscono ancora troppo , le
scelte de L’Italia che scrive furono fin dall’inizio precise:
pedagogia con Emilia Formiggini Santamaria e filosofia con Tarozzi e
Troilo, il quale dedica un ritratto ad Ardigò in cui riafferma la funzione storica, tutt'altro che
esaurita, del positivismo con maggior
convinzione di quanto non facesse nello stesso momento sulle pagine
della Rivista di filosofia ;
storia con Pietro Silva autore di un commosso ritratto di Salvemini mazziniano per l’alto idealismo che
informa la sua propaganda, e per la sua fede nel progressivo cammino
dell’umanità verso la giustizia, con Barbagallo che traccia i profili di
Ferrero e di Ciccotti e informa
sulla Nuova rivista storica da lui diretta, Falco ed Michel. Un largo spazio è accordato agli
argomenti scientifici trattati da Mieli,
Almagià, Timpanaro, Vacca, e soprattutto ai problemi
religiosi, ove l'intervento di Formiggini è spesso Il grido del popolo. A.F. FOGnIEziol, La ficozza filosofica del
fascismo, cdiretto ®, e di cui si occupano Turchi, Pincherle e con particolare
frequenza, fino al 1926, Ernesto Buonaiuti, autore di rassegne su riviste
di cultura religiosa e di inchieste su istituzioni culturali, di articoli
sul neotomismo o sull’insegnamento della religione nella nuova scuola, e di recensioni tanto
sferzanti da essere richiamato all'ordine dal direttore della rivista @. Ma è
da notare anche, nel settore politico-culturale, la presenza
dell’antigentiliano Tilgher e di un altro collaboratore de Il Mondo
oltre che de La Rivoluzione
liberale , Mario Ferrara, autore dei ritratti di Turati, Treves e Salandra, e
quella di Prezzolini, che si segnala per la tempestività dei suoi
interventi: nel maggio del 1920 illustra la grandezza di Croce e nel
dicembre del 1922 vede in Gentile il creatore della filosofia delle filosofie e colui che
ha immedesimato lo sviluppo della coscienza nazionale con lo sviluppo
della speculazione nazionale . Ma questa
che Formiggini defini l’apologia di
Gentile che ha avuto più larga eco in tutto il mondo , non salverà l’editore modenese dall’attacco
del nuovo ministro della pubblica istruzione, verso il quale la rivista aveva
mantenuto fino ad allora un critico distacco. 81 Presentando
sul primo numero della rivista le recensioni alle discipline critico religiose ,
affermava: poiché la terribile prova
spirituale che stiamo traversando impotrà, dopo la bufera [della guerra],
una revisione immancabile dei valori su cui era poggiata la nostra vecchia
vita etica, noi possiamo essere sicuri che le indagini consacrate a
rintracciare il corso storico della vita cristiana nel mondo avranno una
fioritura insperata e diverranno fattore notevolissimo di una coltura veramente
nazionale ( L'Italia che scrive Formiggini faceva rilevare a Buonaiuti
che alcune sue recensioni non
rispondevano né per misura né per intonazione a quell’ideale sereno a cui
vorrei che si ispirasse L’Italia che scrive. Dovresti perciò, per non
mettermi in un imbroglio spirituale, recensire quelle opere che si
riferiscono alla storia del cristianesimo come scienza e tralasciare
quelle che possono darti adito a sfogare i tuoi sentimenti politici o la tua
passionalità religiosa (AF,
Buonaiuti). L'Italia che scrive Formiggini, La ficozza filosofica del
fascismo, Formiggini: un editore tra socialismo e fascismo La
sconfitta di un'illusione e una tenue
resistenza Il programma de
L’Italia che scrive di essere specchio fedele della intellettualità
italiana si scontrò infatti con l’
intolleranza gentiliana quando
Formiggini cercò di fare della sua rivista il nucleo di un Istituto per
la diffusione della cultura italiana. I suoi propositi si erano saldati con le
prospettive nazionalistiche del sottosegretariato per la propaganda
all’estero e la stampa presieduto da Romeo Gallenga Stuart: chiamato a
far parte della commissione per la proganda del libro italiano all’estero
nell’ambito della quale propose la pubblicazione di Guide bibliografiche
per materie dove uscirono, fra l’altro, la Geografia di Roberto Almagià e
i Narratori di Luigi Russo, Formiggini stabili i contatti politici
necessari a lanciare un’impresa l’Istituto per la propaganda della
cultura italiana, poi Fondazione Leonardo che doveva rappresentare non l’ultimo atto dell’Italia in guerra,
ma il primo dell’Italia che dopo una lunga guerra combattuta con
onore vorrà, senza invidia delle altre nazioni, mettere in valore
equamente il contributo non trascurabile e finora trascurato che essa ha
portato, anche negli ultimi decenni, al progresso del sapere Abbiamo
visto come l’iniziativa passasse nelle mani di Gentile. Invano Formiggini
lodò Croce per aver denunciato la
balordaggine di chi vorrebbe istituire una filosofia di stato e denunciò
la marcia sulla Leonardo di
Gentile, che assieme alla fondazione gli aveva sottratto l’idea di una
Grande enciclopedia italica l'editore modenese cercherà di realizzarla per suo
conto con l’aiuto dei suoi collaboratori abituali e, in particolare, di
Ernesto Buonaiuti . Mentre l’ente e il suo patrimonio erano desti
Formiggini, Trenta anni dopo, L’Italia che scrive , Dalle lettere Buonaiuti
appare impegnato a redigere il piano generale della formigginiana Enciclopedia
delle enciclopedie; ne usciranno soltanto i volumi I, Economia
domestica; turismo-sport-giuochi e passatempi, Modena, Formiggini e II,
Pedagogia, Modena, Formiggini, quest’ultimo coordinato da Fornati ad essere
assorbiti, nell’Istituto nazionale fascista di cultura, rassegna mensile della coltura italiana
pubblicata sotto gli auspici della Fondazione Leonardo diventava,
il Leonardo diretto da Prezzolini al quale l’anno
successivo subentrerà Luigi Russo ed esemplato su L’Italia che scrive con un contornetto (si capisce) di 4ff0
puro, se no il cataclisma non avrebbe avuto ragion d’essere , osservava
Formiggini che ruppe con Prezzolini riaffermando in pubblico, e in
una lettera privata a lui i
propri ideali: Voialtri attualisti avete innegabile
dottrina, robusto ingegno, e disponete della forza formidabile di quel
partito che giudicaste cosî aspramente prima che esso subisse in pieno la
vostra influenza nefasta. Voi godete ormai persino di una insperata agiatezza
che non vi invidio. Io non ho né dottrina, né ingegno, né
forza politica. Lavoro per passione e per una esasperata volontà di bene
e il lavoro mi costa tutta la sostanza e mi costringe ad una vita
sobria. Ma ho qualche cosina che voi non avete: il cuore. La
parola umanità vi fa ridere, e sarà l’umanità a fregarvi®9.
Dove, accanto a una profonda amarezza, è espressa tutta la carica
etica di una battaglia culturale ma anche, nella confusione del giudizio
sul fascismo, i limiti di una sua traduzione sul terreno politico. Tracciando
un doloroso bilancio della sua sconfitta, Formiggini insisterà tuttavia
in un invito alla conciliazione, con parole che richiamano l’insegnamento
morale di Limentani: soprattutto di pace
c’è bisogno oggi. Occorre che l’uomo ritrovi nell’uomo il proprio simile
e che ciascuno rispetti nell’altrui dignità la propria. Quella di
Formiggini può essere considerata una vicenda esemplare, da un lato, dei modi e
dei tempi con i quali il fascismo procedette all’accaparramento delle
istitu miggini Santamaria (fra i collaboratori, che gli conferirono
un'impronta antiattualista, Calò, Credaro, R. Mondolfo, Tarozzi, Vartisco
L’Italia che scrive AF, Prezzolini. L'Italia che scrive , Formiggini:
un editore tra socialismo e fascismo zioni culturali esistenti per
acquisire un consenso sempre più vasto e, dall’altro, delle reazioni
degli intellettuali di fronte al tentativo fascista di utilizzarli. L’insidiosa politica di conciliazione affidata dal fascismo a Gentile, e la stessa
dichiarata assenza di una cultura
fascista , aprirono facili varchi al consenso presso molti intellettuali
senza precisa collocazione politica o portati a distinguere nettamente la
politica dalla cultura e, spesso, a privilegiare quest’ultima per le loro
scelte. Ma, proprio per questi stessi motivi, non sarebbe nemmeno
corretto considerare come incondizionato il consenso cosî estorto, o
vederlo come un blocco uniforme senza incrinature fin dall’inizio, al cui
interno non permanessero adesioni esteriori o ambigue capaci di
ribaltarsi, attraverso maturazioni personali, dove il comportamento
politico immediato era contraddetto dal legame con una cultura che voleva
mantenersi in qualche modo autonoma. In questo quadro sono
collocabili molti collaboratori della casa editrice e lo stesso
Formiggini, che in nome del suo antico ideale di fratellanza pubblica un
pungente pamphlet antigentiliano nel quale il giovane cattolico Carlo
Morandi riconosceva il coraggio e la
schiettezza di una difesa . Giustificando il proprio intervento polemico
contro la marcia sulla Leonardo ,
Formiggini scriveva ne La ficozza filosofica del fascismo di avere reagito per legittima ritorsione e per il
pericolo d’ordine generale che ci sarebbe per la cultura italiana se l’assurdo
di una dittatura e di una tirannide dottrinale dovesse farsi piede
nel nostro paese . Ma i limiti della sua impostazione non si rivelano
soltanto nella contrapposizione fra il ruolo di armonizzatore
di varie correnti culturali, da lui impersonato, e quello di
Gentile capo partito o nella riduzione dell’attualismo a una
semplice moda filosofica dai larghi consensi e di Gentile a un giocoliere di idee , bensi anche nel
giudizio sulla filosofia gentiliana vista come una fortuita e non felice escrescenza
[ficozza in roma 9 Studium nesco] del fascismo . La distinzione operata da Formiggini è
netta: da un lato gli attualisti,
sostanzialmente estranei ed equidistanti sia dal fascismo che dal
nazionalismo che si sono assunti ix foto
il problema culturale di un movimento puramente politico ,
dall’altro il fascismo che, come scriverà anche in seguito, nelle sue prime manifestazioni, non
negò affatto i diritti dell’uomo. Si annunciò come un ristabilimento
energico dell’ordine sociale che era stato scosso. Nulla di strano che
dei cittadini liberi vedessero questo movimento con simpatia. Il mescolare il
sapere con la politica è per noi cosa delittuosa , affermò Formiggini motivando
il suo rifiuto di sottoscrivere il manifesto Croce, pur firmato da molti
collaboratori della casa editrice ; l’unica condanna esplicita di
fascismo e attualismo, uniti sul piano morale, fu formulata sulle pagine de L’Italia che scrive in occasione della crisi Matteotti, in
un articolo significativamente intitolato La filosofia del manganello in
cui, dopo aver ironizzato su Mussolini
egli sa di filosofia e di pedagogia qualche cosa meno di una vacca
spagnuola Formiggini affermava che per il fascismo la delusione più amara fu quella di non
aver potuto trovare una teoria morale che ne giustificasse i metodi e si
comprende quanta riconoscenza sentisse per il moralista di professione che,
applicando il suo visto: si manganelli agli atti violenti del fascismo,
dava a questi una sanatoria di incalcolabile valore . In realtà, una sia pur tenue
difesa dalla scaltra politica di
conciliazione di Gentile e del fascismo
verso gli intellettuali poteva essere consentita da iniziative che si
propoFormiggini, La ficozza filosofica del fascismo, Il libro non ci sembra
quindi, per la sua distinzione tra politica e cultura, uno dei primi e più caustici pamphlets
contro il fascismo , come è apparso a R. De Felice (Storia degli ebrei
italiani sotto il fascismo, c L’Italia che scrive , Formiggini, Parole in
libertà, cCome è falso che gli ebrei costituiscano una razza, è anche
falso che abbiano una loro forma
mentis che li renderebbe ostili congenitamente e irriducibil mente alle
forme politiche cosi dette totalitarie. L'Italia che scrive , L’Italia che
scrive Formiggini: un editore tra socialismo e fascismo nessero
come apolitiche, ma fossero aperte a intellettuali accomunati
dall’opposizione alla filosofia del
manganello . Fu questo il caso, denso di compromissioni e contraddizioni
profonde, di Formiggini, che dopo la polemica antigentiliana sembra non
desiderasse discostarsi dall’ideale di equidistanza e di armonia
perseguito in passato. Cominciano ad apparire le Apologie
che al posto delle religioni costituite intendevano
valorizzare il sentimento religioso in
astratto, come quello che può fare l’umanità migliore e più fraterna , e che annoverarono, accanto a quelle
dell’ebraismo di Dante Lattes e del cattolicesimo di Buonaiuti (provvista
ancora dell’imprimatur ecclesiastico nella seconda edizione poco prima
della scomunica del marzo, quelle dell’ateismo di Giuseppe Rensi e
del positivismo di Tarozzi, il quale affermava che la posterità prossima e lontana non vedrà fra
l’idealismo e il positivismo, specialmente italiani, quella divergenza assoluta
e totale che oggi apparisce per la violenza della polemica. Nella collana
delle Medaglie , brevi profili di
contemporanei all’elogio di Mussolini ( una forza venuta nel momento storico
opportuno ) scritto da Prezzolini , Levi opponeva quello di Turati,
esaltato nonostante l’autore dichiarasse
all’editore di essere stato molto
sobrio negli accenni all’ora presente
per la probità della sua
coerenza, la coerenza della sua probità Con questa forza, che ignora, che
sdegna i funambolismi di tutte le demagogie, ma ha il coraggio e la
pazienza delle lunghe vigilie, non s’improvvisano più o meno effimere
fortune o dittature personali, ma si squadra almen qualche pietra per
costruzioni destinate alla storia !°,
Co Formiggini, Trenta anni dopo,124.
anche il giudizio di Vida, Apologie religiose, in La Cultura , ITarozzi, Apologia del
positivismo, Roma, Formiggini, Prezzolini, Benito Mussolini, Roma, Formiggini,
Levi, Turati, Roma, Formiggini, Levi si
adoperò anche per la diffusione del volumetto:
duecento ne hanno prese di copie,
in attesa delle immancabili bastonature gli eroici lavoratori di Molinella, che
riscattano col loro contegno di fierezza la vile acquie si, accanto al
D'Annunzio di Antonio Bruers e allo Sturzo di Mario Ferrara, Prezzolini
dedicava nel 1925 un ritratto ad Amendola che, nonostante l’elogio del
suo coraggio fino al rischio della
vita e le successive proteste di
equanimità dell’autore !, si rivelava impietoso e cinico: costringendolo a tacere nel parlamento,
restituendolo al giornalismo militante e all’opposizione attiva [il
fascismo] gli ruppe quella specie di ingessamento parlamentare, che
pareva averlo stretto e immobilizzato entro le formule e gli interessi di
Montecitorio !. E la collana Polemiche
presentava insieme alle Battaglie giornalisti che del teorico del governo dei migliori , Mussolini,
Je Invettive di Marat, il teorico
del governo dei molti . Con questa sorta di do uf des si parlava
comunque di uomini politici e personaggi storici invisi al fascismo,
pur con quell’ambiguità che è la nota caratteristica anche di molti
giudizi apparsi ne L’Italia che scrive .
È sintomatico ad esempio che La libertà di Stuart Mill pubblicata da
Gobetti con la prefazione di Luigi Einaudi sia segnalata come opportuna non solo per gli avversari
della libertà, ma per moltissimi dei suoi ditensori di oggi , o che,
mentre La rivoluzione liberale era
giudicata programma di ardimento morale
della borghesia , come un violento
spalancar d’usci all’irrompere di una nuova coscienza proletaria e il ritratto di Matteotti una vita esemplare della Rivoluzione
liberale , nell’annuncio della morte di Gobetti il giudizio sul suo anelito di ritrovare e d’imporre un
fondamento etico al pensiero in tutte le sue espressioni sia limitato da quello sulla sua cultura,
costruita su basi filosofiche e
storicistiche un po’ astratte, per quanto profonde, che lo allontanarono
dal veder la vita scenza del popolo italiano , scriveva a
Formiggini (AF, Levi). Prezzolini affermerà di aver scritto la
biografia di Mussolini solo a patto che il Formiggini ne pubblicasse
anche una dell’Amendola. Prezzolini, Amendola e
La Voce , Firenze, Sansoni,Prezzolini, Giovanni Amendola, Roma,
Formiggini, Formiggini: un editore tra socialismo e fascismo nella
sua complessa realtà effettiva e gliela fecero giudicare per schemi e
teorie . E in settori più strettamente culturali, mentre Finzi divenuto
collaboratore assiduo del periodico considerava interessante
l’interpretazione marxista del marinismo fornita da Zino Zini in Poesia e
verità, dal Mazzini e Bakunin di Nello Rosselli col quale finalmente anche in Italia si comincia a
studiare seriamente il movimento operaio come fatto storico, all’infuori
di ogni preoccupazione di propaganda politica si traeva motivo per mettere in luce l’azione insidiosa di Carlo Marx che si sarebbe servito dell’anarchico russo
per gettare i primi germi malsani onde
poi in Italia, unica tra le grandi nazioni, il socialismo nasceva e
cresceva colorito di quell’antipatriottismo che doveva essergli fatale durante
e dopo la grande guerra !°.
Analoga ambiguità è riscontrabile negli interventi che richiederebbero
tuttavia un discorso a parte di alcuni collaboratori della rivista provenienti
dalle file del socialismo.
Bisognerebbe poter seguire tutte queste recensioni di simili
libri, specialmente se dovute a ex socialisti come l’Andriulli , notava
Gramsci ' a proposito della recensione di quest’ultimo al volume di Bonomi su
Bissolati, uscito a Milano presso ere ma originariamente proposto
dall’autore a Formiggini Ora la grande maggioranza dei giovani è sotto
l’impressione recente della disfatta prima morale che politica del socialismo
italiano scriveva l’ex collaboratore de
La Difesa Andriulli, e con
semplicistica generalizzazione pensa ad esso come ad una delle forme di
maggiore aberrazione della vecchia Italia prebellica. Eppure,
L'Italia che scrive , Gramsci. ts Il libro è... purgatissimo
scriveva Bonomi Il fascismo non esisteva ancora durante l’attività politica
di Bissolati, il quale gode non so se goda veramente...! le simpatie
fervidissime dei fascisti cremonesi e anche quelle del Duce che inaugurò
con un discorso nel 1923 una lapide in memoria di lui . Ma Formiggini,
che già nel ’24 era stato l’editore di Ddl socialismo al fascismo di
Bonomi, non aveva potuto accettare l'offerta anche se gli scriveva
un libro scritto da lei non può essere che interessantissimo e tale da
non procurare fastidi a chi lo pubblicasse (AF, Bonomi).solo che si pensi come il
socialismo italiano è stato la grande matrice di tutti i movimenti
rinnovatori del tempo nostro non esclusi né il nazionalismo né il
fascismo si sarà tratti a sospettare che ben altro fenomeno che non
quello apparso nell’ultimo ventennio deve essere stato il partito
socialista italiano, e che soprattutto esso deve essere stato una grande
forza ideale se ebbe tanta virtà espansiva da diffondersi rapidamente non
solo nelle classi operaie ma in una gioventù intellettuale generosa e
disinteressata e da permeare di sé per un quarto di secolo la vita
italiana. Dove l’antica milizia politica del recensore, approdato
ciecamente alla rivoluzione fascista, è rivelata dal richiamo alla forza ideale
del partito e non solo all’efficacia pratica del movimento socialista,
come nell’interpretazione di un Gioacchino Volpe e dalla considerazione
finale sul fatto che avrebbero letto il libro
con un senso di soddisfazione specialmente coloro che, avendo a
quel socialismo consacrato i primi entusiasmi giovanili, anche dopo
aver seguito opposte vie non sanno rinnegare la loro disinteressata
giovinezza. Apparentemente pit distaccate, ma sempre puntuali e pronte a
sottolineare il valore della persona umana, sono le recensioni di
argomento filosofico e giuridico con un interesse precipuo per i rapporti
Stato:chiesa di un altro socialista, Alfredo Poggi, che da Critica sociale e dalla
Rivista di filosofia passa in questi anni al gruppo di Pietre , per poi rispuntare come responsabile
del partito socialista subito dopo 1°’8 settembre, e che collabora
assiduamente a L’Italia che
scrive fino all’ anno in cui fu
denunciato e arrestato per antifascismo. E mentre Rensi, al termine del
viaggio dal socialismo idealista
allo scetticismo, insiste in un profilo di Spinoza sui limiti dello stato di
fronte alla libertà di pensiero dei cittadini, sul suo dovere di non comandare cose che urtino
le leggi della natura umana al coordinamento perfetto di autorità e libertà,
alla determinazione cioè della misura di libertà che l’autorità deve
concedere appunto per poter essere e conservarsi autorità quale indicata da Spinoza, anche oggi potrebbe forse essere rivolto
util L'Italia che scrive Formiggini: un editore tra socialismo e fascismo
mente lo sguardo !, sulla rivista
faceva una fugace ma incisiva apparizione Paolo Milano con una
recensione, giudicata notevole e
acuta da Gramsci, che costitui una
delle poche stroncature del Superamento del marxismo di De Man pubblicato
da Laterza, di cui si metteva in luce lo psicologismo incapace di
contrastare realmente il marxismo e di spiegare i fatti storici. Sono pochi
esempi che sarebbe errato sopravvalutare, considerata anche la sempre
minore incisività della casa editrice, che di lî a poco accuserà duramente i
contraccolpi della grande crisi. Essi indicano tuttavia, accanto a
un’estrema confusione, la esistenza di dubbi e di una prima presa di
distanza non solo culturale, nella quale certezze sempre coltivate si
incontrano con altre maturate di recente. Attorno a Formiggini troviamo uomini
emarginati dal fascismo, come prima erano stati emarginati
dall’idealismo: anche attraverso questo canale passa quindi una
cultura, seppure minore, che non si riconosce in quella ufficiale
del regime. Le scelte di venti anni prima dimostrano una loro
tenuta anche dopo l’avvento del
fascismo, pur dovendo nascondersi tra le righe di una rivista
bibliografica o sotto il più antico degli espedienti mimetici. Al
linguaggio degli animali ricorre infatti un amico di vecchia data
dell’editore modenese, forse il più caro, Concetto Marchesi.
Conosco le tue vicende: e perciò ti ho voluto bene , gli scrive Marchesi.
Le lettere dell’intellettuale comunista all'editore che ha sempre aborrito
la politica gettano luce sull’antifascismo del primo e sull’ironico
distacco dalla realtà del secondo, non alieno tuttavia dal gioco dell’allusione
politica. Le Favole esopiche il tuo più
che mio, Esopo , scrive il curatore escono con una prefazione in cui
Marchesi si sbizzarrisce a capriccio; e
non ci sarà niente da ridire perché siamo nel mondo fantastico delle
bestie !, inserendovi un ri Rensi,
Spinoza, Roma, Formiggini, L’Italia che
scrive , Gramsci, Marchesi. Per la figura politica di Marchesi la mia voce in F. Andreucci - T. Detti, Il
movi cordo autobiografico sul periodo del primo arresto, studente
socialista: ‘odiavo la macchina, l’ornamento civile del nostro
tempo. La macchina era per me, allora, lo strumento maledetto onde la
ricchezza dei pochi si era impadronita di tutte le povere braccia della
terra: era il vortice metallico in cui la miseria del mondo precipitava
per farne uscire torrenti di oro e di sangue, a ristoro della superbia
e dell’avarizia. Si chiariscono cosi in tutta la loro
ironia, per acquistare valore di impegno civile, le parole con le quali
Formiggini si rivolgeva al lettore nella nota che apre il volume: se tu leggerai questa versione del
magnifico Marchesi col sospetto che egli, nelle scabre sinuosità della
sua prosa asciutta, vi abbia nascosto dentro se stesso, ti parrà
di aver fra le mani un libro pericoloso e rivoluzionario !°. mento operaio italiano.
Dizionario biografico, Roma, Editori Riuniti, ed E. Franceschini,
Concetto Marchesi. Linee per l’interpretazione di un uomo inquieto,
Padova, Antenore, In una lettera Rossi commentava dalla galera fascista
la notizia del suicidio di Formiggini, con parole che ci sembra possano
riassumere tutta la sua esperienza: Pare
ci sia una vera epidemia di suicidi. Quello che a me ha fatto più
impressione è stato il suicidio del vecchio Formiggini. Aveva fatto per
l’incremento della cultura italiana più di quanto hanno fatto molti
illustri personaggi, che si danno l’aria di Padri Eterni. Lui non aveva
mai posato a Padre Eterno, ma le sue iniziative editoriali eran sempre
intelligenti e di buon gusto. La collezione dei Classici del ridere era
la migliore espressione della sua mentalità umanistica, europea, della
sua serena saggezza sempre spumante di fine umorismo. M'era spiaciuto
molto che, anche lui, si fosse adattato alle circostanze piiî di quanto
gliel’avrebbero dovuto permettere la sua dignità e la sua condizione di
chierico della cultura. Ma, insomma, non si può pretender troppo dagli
uomini quando non trovan più in alcun luogo un po’ di terreno saldo su
cui poggiare i piedi. E lui era vecchio
ed era sempre rimasto estraneo il più possibile alle lotte della
politica, vivendo solo fra i suoi libri e per i suoi libri (E. Rossi, Elogio Ft ia Lettere, a cura
di M. Magini, Bari, Laterza, I limiti del consenso: le origini della casa
editrice Einaudi Il futuro verrà da un lungo dolore e un
lungo silenzio. Presuppone uno stato di tale ignoranza e
smarrimento che sia umiltà, la scoperta insomma di nuovi valori, un nuovo
mondo (Cesare Pavese, Il mestiere di vivere)
1. Iniziative editoriali negli anni 30 Il problema della
formazione della cultura post-fascista, quale si venne elaborando non
nell’antifascismo dell'emigrazione, ma nell’Italia degli anni ’30 e a cavallo
della seconda guerra mondiale, non è stato ancora affrontato con
puntualità nell’ambito storiografico: siamo infatti in presenza di uno
iato assai profondo fra le ricerche su intellettuali o riviste del ventennio,
che culminano nell’esperienza di Primato
, e alcuni sondaggi sulla cosiddetta
ideologia della ricostruzione del
dopoguerra. Il mancato collegamento fra i due momenti si traduce, ovviamente,
in carenze interpretative, che si manifestano in tesi troppo
rigidamente contrapposte, sia che insistano ma con sempre minore frequenza
sugli elementi di rottura , sia
che sottolineino, in negativo o in positivo, quelli di continuità
tra fascismo e post-fascismo. La questione è certo assai
complessa, ma non può essere risolta dando credito a improvvise conversioni
di coscienze indivi. duali, né applicando ad esempio a Cantimori
il nicodemismo da lui studiato negli eretici del ’500, né ricorrendo alle
categorie del trasformismo o del
populismo degli intellettuali,
senza tener conto, in tutti questi casi, del rapporto dialettico fra la
posizione degli intellettuali e le trasformazioni sociali e politiche del
paese. La complessità del problema storiografico, è
necessario riconoscerlo, corrisponde alla complessità del processo
storico reale, a un aspro scontro politico e culturale insieme che non
solo oppose fascisti e antifascisti, ma divise anche le varie correnti
dell’antifascismo italiano, con quegli elementi di incertezza e di
contraddizione di fronte all’idealismo che ricorderà anche Togliatti !. E, pur ammettendo l’esistenza di
differenziazioni culturali che si vanno manifestando in particolare con
l’inizio della guerra di Spagna, non possiamo prescindere dal forte
condizionamento, culturale e politico, esercitato dalle istituzioni del
regime, che raggiunsero il punto pit alto di consenso, almeno
formalmente, nei primi anni di guerra, quando vediamo Salvatorelli e
Omodeo collaborare all’ISPI, o Cantimori al Dizionario di politica del
Pnf ?. Se queste collaborazioni non significavano automaticamente, da
un punto di vista soggettivo, adesione alla politica del regime,
non bisogna tuttavia dimenticare che come aveva osservato Volpe il loro colore
era dato, agli occhi dei lettori e indipendentemente dai riposti
pensieri degli intellettuali, non tanto dai contenuti, quanto dalla veste
ufficiale in cui questi apparivano . Spesso, inoltre, collaborare alle
iniziative del regime poteva spiegarsi con l'illusione di una apoliticità della
cultura, la cui difesa può aver costituito per alcuni intellettuali una
tappa importante per cominciare ad allontanarsi dal fascismo, senza
essere, per questo, indice di un antifascismo già maturo politicamente. È
infatti solo sotto la veste culturale che è possibile rinvenire,
nell’Italia, il tentativo di differenziarsi dall’ideologia del regime,
anche se con il rischio, come osservò Marchesi a proposito dell’università, di
chiudersi nella indifferenza poli
1 il suo intervento alla commissione
culturale nazionale inTogliatti, Le politica culturale, a cura di L.
Gruppi, Roma, Editori Riuniti, Turi, Le istituzioni culturali del regime
fascista durante la seconda guerra mondiale, in Italia contemporanea ,Volpe rispose in fatti
a Rosselli, a proposito dei collaboratori della
Rivista di storia europea
vagheggiata da quest’ultimo, che bisognava essere ben certi che è
la rivista a dar loro il colore desiderato, e non viceversa (cit. in Rosselli. Uno storico sotto il
fascismo. Lettere e scritti vari, a cura di Z. Ciuffoletti, Firenze, La Nuova
Italia, Le origini della casa editrice Einaudi tica e morale ‘. Il significato politico di una scelta
culturale va quindi verificato caso per caso, guardandosi dal
tradurre immediatamente in consapevolezza politica una cultura che
non si riconosce in quella ufficiale del fascismo. Per questo preferiamo
parlare di limiti del consenso piuttosto che di antifascismo : termine e categotia che non
è certo da escludere e allora occorrerà precisarne meglio le
caratteristiche, ma che per singoli intellettuali o per imprese culturali
collettive costrette a muoversi, come le case editrici, con estrema
cautela sotto il regime, può prestarsi a frettolose retrodatazioni di prese di
coscienza che acquistarono spesso peso politico solo con la guerra o
dopo il 25 luglio 1943, e che può comportare un giudizio altrettanto
generico del termine avalutativo di
afascista troppo frequentemente usato per qualificare, come
fosse una razza privilegiata, alcuni nuclei di cattolici.
Queste cautele ci paiono necessarie anche nello studio di una casa
editrice come quella di Giulio Einaudi che, centro di attrazione di
aderenti a Giustizia e Libertà, di azionisti e poi di comunisti,
all’indomani della Liberazione potrà vantare i maggiori meriti
antifascisti, tanto da fiancheggiare la politica del PCI che le affiderà la
pubblicazione dei Quaderni gramsciani. È proprio per queste sue
caratteristiche di punta , comunemente
accettate tanto da farne ritenere meno interessante l’analisi, in
quanto anticonformista e
antifascista fin dalla nascita,
per la presenza di Pavese e di Ginzburg, che la scelta di studiare questa
casa editrice ci è parsa
particolarmente significativa per verificare
al massimo , nei punti più alti, i limiti del consenso al regime,
e gli elementi di continuità o di rottura tra fascismo e postfascismo.
Un'indagine del genere dovrebbe tener conto, oltre che dei condizionamenti
oggettivi propri di un’azienda economica e di un’iniziativa culturale
rivolta al pubblico 4 C. Marchesi, Fascismo e università (1945),
ora in Umanesimo e comunismo, a cura di M. Todaro-Faronda, Roma, Editori
Riuniti, Cosî Isnenghi, Intellettuali militanti e intellettuali
funzionari. Appunti sulla cultura fascista, Torino, Einaudi, sotto il
regime fascista, e ai reali obiettivi che la casa editrice si riproponeva,
anche del pubblico dei lettori, di cui purtroppo conosciamo solo la
ristretta élite dei recensori, pur assai significativa, se pensiamo che
fra i giudizi favorevoli alla produzione storiografica meno conformista
di Einaudi spiccano quelli della
Nuova rivista storica che
negli anni ’30, sotto la direzione di Luzzatto, veniva anch’essa
configurandosi come centro di aggregazione di intellettuali operanti ai
margini del regime. Gli obiettivi dell’editore torinese sono ricavabili,
ma solo parzialmente, dal carteggio con i collaboratori, a differenza di
Formiggini, che fino al 1925 poteva esporre pubblicamente i suoi
programmi e le sue proteste; per le testimonianze esterne le carenze sono
invece comuni, anche se su Einaudi il ricordo di Ambrogio Donini la sua
attività editoriale, appena agli
inizi, si andava già orientando, tra difficoltà e persecuzioni di ogni
genere, verso temi nazionali e interna. zionali atti a staccare l’Italia
dal disastroso clima di provincialismo in cui si esaurivano le energie dei suoi
giovani studiosi concorda con il
giudizio di Cantimori, che in lui vedrà l’inventore dell’editore come educatore.
In assenza di un campione di lettori, bisognerà chiedersi, almeno
fino alla caduta del fascismo, come un eventuale lettore poteva
accogliere i messaggi culturali forniti dalla casa editrice, e se questi erano
traducibili politi. camente; tenere presente, inoltre, il panorama pi
generale dell’editoria italiana, o almeno delle case editrici meno
aderenti alla cultura ufficiale del regime, ove ciò sia possibile, data la
mancanza quasi assoluta di studi, oltre che di testimonianze. Pur nella
loro parzialità, anche queste ultime possono essere indicative di alcune
linee di tendenza. Aldo Capitini ricorderà come, contrario a stabilire un
difficile e pericoloso collegamento con gli antifascisti all’estero, egli
6 Sulla Nuova rivista
storica A. Casali, Storici italiani tra
le due guerre. La Nuova rivista
storica Napoli, Guida, Prefazione
aRobotti, La prova, Bari, Leonardo da Vinci, Cantimori, Conversando di storia,
Bari, Laterza, avesse sostenuto la
necessità di alimentare la formazione ideologica dei giovani con i libri disponibili in Italia, e indicherà le case editrici
più utili a questo scopo in Laterza, Einaudi e Guanda: e l’autore degli
Elementi di un'esperienza religiosa (editi da Laterza), che fu in con-.
tatto anche con Einaudi, citava fra i testi di Guanda un editore
particolarmente attento alla tematica religiosa
quelli di Martinetti, Tilgher e Rensi, espressione di un filone
spiritualista, critico dell’ottimismo storicistico, che si ritagliò un ampio
spazio editoriale nella crisi di valori. Le iniziative a carattere
religioso ebbero certo una maggiore libertà di azione, come testimonia la
fondazione della Morcelliana !°,
ma probabilmente, a differenza della politica di stretto controllo usata
nei confronti della stampa periodica, il fascismo lasciò un certo grado
di autonomia a tutto il settore editoriale che si rivolgeva a un
pubblico più ristretto di quello dei lettori di quotidiani, e comportava
quindi minori pericoli, anche se nel 1926 fu costi-. tuita la Federazione
nazionale fascista dell’industria editoriale, il cui presidente, Franco
Ciarlantini, lamentando la crisi del libro, inviterà il governo a misure di
controllo sulle piccole iniziative private, e a un’opera di promozione
economica e morale ; ma la censura dei
libri non fu condotta con criteri precisi, e rimase affidata alla
discrezionalità dei prefetti anche quando essa passò, nel 1935, dalla
competenza del ministero dell’Interno a quella del ministero per la
Stampa e la propaganda, mentre la Commissione per la bonifica libraria,
concentrò la sua attenzione sui testi di autori ebrei !!. Ed è forse
questa parziale autonomia che spiega come nel corso degli Capitini,
Antifascismo tra î giovani, Trapani, Célèbes, 1 Morcelliana Humanitas
Brescia, Morcelliana, BaroneA. Petrucci, Primo: non leggere. Biblioteche
e pubblica lettura in Italia, Milano, Mazzotta, Ciarlantini, Vicende di libri e
di autori, Milano, Ceschina, Cannistraro, Le fabbrica del consenso.
Fascismo e mass media, prefazione di R. De Felice, Bari, Laterza, tanti
intellettuali tendano a divenire organizzatori di cultura attraverso
l’editoria: accanto alle edizioni collegate a riviste, e agli effimeri
tentativi di Domenico Petrini con la Bibliotheca editrice di Rieti o di
Carlo Pellegrini con la Taddei di Ferrara, vediamo che nel 1926 viene
fondata da Elda Bossi e Giuseppe Maranini La Nuova Italia, che nel 1930 passerà
a Firenze sotto la direzione di Codignola, nel 1927 la Slavia dell’ex sindacalista
rivoluzionario Alfredo Polledro, nel 1929 la casa editrice di Valentino
Bompiani, formatosi alla Mondadori; e, mentre Gentile, già direttore di due
collane, filosofica e storica, presso Le Monnier, assume la direzione
della Sansoni trasformandone rapidamente il catalogo secondo il proprio
orientamento culturale e politico !?, due intellettuali antifascisti di diversa
matrice ideologica, Franco Antonicelli e Rodolfo Morandi, trovano
nell’editoria uno strumento per tentare di allargare i sempre più stretti
confini culturali del paese: il primo si associa con il tipografo Carlo
Frassinelli per proporre testi della letteratura straniera contemporanea,
il secondo con l’editore Corticelli per far conoscere La rivoluzione
francese di Mathiez o il Napoleone di Tarlè, e far riflettere sulle
esperienze di nuove realtà politiche, come la Cina e l’Unione Sovietica .
È in questo contesto che si colloca, alla fine del 1933, la fondazione
della Einaudi da parte di un nucleo originariamente ben definito di
intellettuali, molti dei quali aderenti a Giustizia e Libertà, la cui
opera culturale ha quindi larvati risvolti politici, che imporrebbero un
confronto puntuale con alcune delle case editrici che si sono presentate,
all'indomani della Liberazione, con una patente antifascista.
Testimonianze per un centenario. Contributi a una storia della
cultura italiana, Firenze, Sansoni, Su Antonicelli editore che nel 1942 fonderà
la casa editrice De Silva ( la sua testimonianza in Rinascita, Bobbio, Trent'anni di storia della
cultura a Torino, Torino, Cassa di Risparmio, Fubini, Il mestiere del
letterato, in AA.VV., Su Antonicelli, Torino, Centro Studi Piero Gobetti; un
cenno all’attività editoriale di Rodolfo Morandi in A. Agosti, Rodolfo
Morandi. Il pensiero e l’azione politica, Bari, Laterza, Le origini della
casa editrice Einaudi Le notizie di cui disponiamo sono però assai
scarse e promosse da occasioni
celebrative o fornite dai diretti interessati, pur offrendo utili spunti
interpretativi, avrebbero bisogno di ulteriori approfondimenti. È il caso,
ad esempio, di Laterza, de La Nuova Italia e di Bompiani. ‘ Nella
casa editrice barese, durante il periodo della
difesa eroica, Croce è stato scritto accolse anche chi era da lui lontano, e
contribuf a preparare non pochi che, poi, scelsero posizioni a lui
avverse. Sui libri che fece leggere agli italiani, con la collaborazione
di Giovanni Laterza, si formarono cosi liberali come socialisti e
comunisti, cosî idealisti come materialisti ; e, riprendendo il discorso,
Garin ha individuato nelle opere uscite nel ventennio nella Biblioteca di cultura moderna
l’accorta opera d’informazione unita alla difesa di una vocazione umana
anteriore a ogni lotta o differenza di parte. Nei libri, a volte assai
mediocri, di storici, filosofi, critici, economisti, offerti con una
apertura eccezionale , c'è sotteso l’invito a non dimenticare mai quella
dimensione umana che, pur nel divenire temporale e nelle dislocazioni
spaziali, è capace di comprendere anche l’avversario. Che fu il valore di
uno storicismo e di un umanismo tutt’affatto particolari, di una difesa
della razionalità e della libertà, che in un’epoca intesa a celebrare
l’hbomo bomini lupus ricordò costantemente il senso dell’homo homini deus
!8. Giudizio che andrebbe, a nostro parere, sfumato, in
quanto, se accanto a Omodeo, Russo o De Ruggiero, Croce accolse un
Rodolfo Morandi, la linea generale della casa editrice fu orientata in un
senso ben determinato che non si apriva a tutti gli avversari , come testimonia nel 1938 il
commento crociano alla ristampa dei saggi di Labriola, 0, nel 1929-31,
l'edizione de Il superamento del marxismo e La gioia del lavoro di De
Man. Un discorso analogo può essere fatto per La Nuova Italia
di Codignola: se è vero che fu centro di aggregazione di esponenti di
rilievo del Partito d'Azione e che, col suo 14 E. Garin, La Casa
editrice Laterza e mezzo secolo di cultura italiana (1961), ora in Id.,
La cultura italiana tra ‘800 e ’900. Studi e ricerche, Bari, Laterza,
1963,170, e Id., Il mestiere di editore, prefazione al Catalogo generale
delle edizioni Laterza impegno, insieme, di socialismo, di liberalismo
rivoluzionario, di laicismo intransigente , contributi all’organizzazione del dissenso !, è necessario tuttavia non anticipare un
orientamento politico che si venne delineando, e manifestando, a fatica e
non senza contraddizioni, se pensiamo al persistente legame, ancora negli anni
’30, di Codignola con Vallecchi e con Gentile, o al settore pedagogico configurato
in senso attualista e comunque condizionato dalla politica scolastica del
regime '‘. Cosi Valentino Bompiani, ripercorrendo la storia
della propria casa editrice, pur riconoscendo il suo iniziale disimpegno ideologico , valorizza giustamente
la scoperta, alla fine degli anni ’30, della letteratura americana,
con Uomini e topi di Steinbeck e Piccolo campo di Caldwell,
tradotti rispettivamente da Pavese e Vittorini, due libri che parlavano dell’uomo, della sua condizione e
miserià, con diretto impegno sociale e politico . Ma come non riflettere di fronte al fatto
che, mentre la censura interveniva duramente e con particolare ottusità
'" come testimonia l'editore, lo stesso Bompiani proponeva nel 1940
al Ministero della cultura popolare un accordo per lanciare
una Biblioteca essenziale dell’italiano
, incentrata sui temi patria, religione, cultura, famiglia, fra i cui
autori dovevano comparire Bottai, Bargellini e De Luca, costituita
15 E. Garin, Un capitolo di rilievo singolare, in 50 anni di
attività editoriale (Venezia 1926-Firenze 1976): La Nuova Italia,
Firenze, La Nuova Italia, 1976,XII;
anche, oltre al ritratto di Ernesto Codignola tracciato da Garin,
Intellettuali italiani del XX. secolo, Roma, Editori Riuniti, 1974,137-169, gli
interventi di E. Garin, N. Bobbio e T. Codignola in occasione del
cinquantenario della casa editrice, ne Il Ponte Questi elementi sono ben messi in luce da S.
Giusti, La ‘casa editrice La Nuova Italia 1926-1943, di prossima
pubblicazione. . 17 V. Bompiani, Via privata, Milano, Mondadori,
1973,43, 143. 18 In un rapporto anonimo al duce del 26 giugno 1943
si diceva: Proprio nei giorni dei
massacri di Grosseto, di Sardegna e Sicilia, l’editore Bompiani mette
sfacciatamente fuori un mattonissimo intitolato Americana, antologia di
scarso valore con prefazione di un accademico e traduzione di Vittorini;
antologia condotta sui modelli dell’ebreo Lewis. E lo stesso Bompiani
continua nelle stampe e ristampe di Cronin, Stein‘beck, ed altri, bolscevichi
puri e in ogni caso perniciosissimi
(AGS, Ministero della cultura popolare, b. 27, fasc. da alcune centinaia di migliaia di volumetti da diffondere nei centri con popolazione
minore a 10.000 abitanti, distribuendoli ad esempio, a partire dal Natale di Roma , a tutti coloro che si sposano nel corso
dell’anno, affermando cost il principio che non si deve costituire una famiglia
senza avere in casa quei pochi libri che diano a un cittadino italiano la
conoscenza e la coscienza della sua Patria ? ! Condizionamenti
politici, autocensure, necessità economiche proprie di ogni casa editrice in
quanto azienda industriale, costituiscono quindi il quadro entro il quale
deve essere valutata anche l’opera della Einaudi, verificando
puntualmente senza stabilire schematiche equivalenze la traducibilità politica dei suoi messaggi
culturali. Con ciò non vogliamo disconoscere, in linea generale, quanto
ha ricordato Giulio Einaudi il
primo modo di sfidare il fascismo era quello di non parlarne mai, di fare
come se non esistesse ?, anche se in qualche caso il fascismo si
affaccia nella produzione della casa, né, quindi, negare la prospettiva
in cui si muoveva l’editore, che era, come ha osservato Bobbio, quella di offrire alla giovane cultura
torinese lo strumento più adatto e meno pericoloso dati i tempi per
esprimere la propria voce, e di non lasciare svanire nel nulla la grande
esperienza gobettiana ?. Si tratta
piuttosto di misurare la possibilità o capacità di attuazione di questi
propositi, di vedere se sono univoci o differenziati e contraddittori e, in
questo caso, quali voci culturali politicamente significative
predominano, e in quale periodo; verificare, infine, quali elementi di
continuità o di rinnovamento si manifestano fra gli anni ’30 e il periodo
postbellico. La decisione di Giulio Einaudi di fondare la casa
editrice non è comprensibile se prescindiamo dall’ambiente torinese, sia
quello rappresentato dalla Slavia di Alfredo 19 Ibidem. Alcuni
testi furono pubblicati, come, nel 1941, la Storia della patria di Piero
Operti. 2 Testimonianza scritta di Giulio Einaudi (Archivio della
casa editrice Einaudi (d’ora in avanti AE), G. Einaudi). © N.
Bobbio, Trent'anni di storia della cultura a Torino, Polledro, che nella
collana Il genio russo presentò per la prima volta in Italia
traduzioni integrali alcune opera di Leone Ginzburg di Turgheniev, Gogol,
Dostoevskij, Tolstoj e Cechov, da cui attingerà in parte la collana
einaudiana dei Narratori stranieri
tradotti ; sia quello dei gobettiani, con in primo piano l’opera di
educatore di Augusto Monti, ma anche con le iniziative culturali di
Antonicelli, Ginzburg e Pavese, o con la pubblicazione de La Cultura passata sotto la direzione di Arrigo Cajumi.
Un modello che Einaudi terrà presente fu la Biblioteca europea , diretta da Antonicelli,
presso il tipografo Frassinelli, dal 1932 al 1935 quando fu arrestato,
dove uscirono L’armata a cavallo di Babel, e, tradotti da Pavese,
Moby Dick di Melville, Riso mero di Anderson e Dedalus di Joyce 2.
Ispirandosi a Gobetti, l’editore
ideale #, Antonicelli raccolse per primo
le forze intellettuali torinesi che si erano formate sotto il magistero
di Monti, ma in una prospettiva ancora liberale: Al di là di Croce non vedevo. I
marxisti non sapevo cosa fossero , ricorderà più tardi, riconoscendo che le
proprie convinzioni politiche erano maturate solo dopo la Liberazione .
Da un innesto tra crociana
religione della libertà e
tradizione gobettiana partiva anche Ginzburg, il quale ebbe gran parte
nella fondazione della casa editrice Einaudi . Ai numerosi interessi
culturali dalla letteratura russa alla storia egli univa, a differenza di
Antonicelli, un saldo impegno politico da quando aveva aderito, nel 1932,
a Giustizia e Libertà. Noi non
crediamo utile ai fini della lotta antifascista che ci si debba
sottoporre a una specie di rinuncia intellettuale , scriveva sul
periodico del movimento clandestino, dove invitò ad approfondire la proGobetti, L’editore ideale. Frammenti autobiografici
con icoRO ehe; a cura e con prefazione di F. Antonicelli, Milano,
Scheiwiller, 24 F. Antonicelli, Le pratica della libertà.
Documenti, discorsi, scritti politici 1929-1974. Con un ritratto critico
di C. Stajano, Torino, Einaudi, 1976,X-XI. 25 l'importante introduzione di N. Bobbio a L.
Ginzburg, Scritti, Torino, Einaudi pria coscienza rivoluzionaria con la
meditazione, lo studio, l’attività clandestina , a riflettere sulla
visione gobettiana della rivoluzione russa e a studiare Cattaneo, scrisse
assieme a Croce il famoso articolo contro la centralizzazione delle
istituzioni culturali operata dal ministro dell’Educazione nazionale
Francesco Ercole, e rivendicò come
principale ragion di vita
di Giustizia e Libertà il lavoro,
d’organizzazione e di pensiero, che si compie in Italia sotto i suoi
auspici #. E della sua capacità di
mobilitare altre intelligenze dette atto nel dicembre 1934, pochi giorni dopo
il suo arresto, Giustizia e
Libertà : È uno dei pochi, anzi
dei pochissimi, che in regime legale di fascismo riescono ad avere un pensiero
e un'influenza sul pensiero degli altri
7. Mentre già nel 1930 Cajumi aveva pensato a una casa editrice
espressione de La Cultura # alla quale Ginzburg collaborava dal
1929, nel 1933 Ginzburg tenne contatti fra l’ambiente torinese ed
esponenti dell’ambiente fiorentino tra loro vicini, Nello Rosselli e il
gruppo di Solaria . Rosselli, che
stava cercando di varare una
Rivista di storia europea di cui
Ginzburg avrebbe dovuto essere gerente responsabile e coredattore, fu
contattato per preparare un volume su Mazzini per la progettata Biblioteca di cultura storica ?; Alberto Carocci, il direttore di Solaria
che per le difficili condizioni finanziarie della rivista stava
già cercando l’appoggio di un editore per questa e le sue edizioni, entrò
in rapporto, tramite Ginzburg, con Giulio Einaudi che alla fine di novembre
del 1933 quando già, il 15 del mese, si era iscritto alla Camera di
commercio di Torino come editore, pur rifiu 26 Ibidem, in particolare5,
16, 29. © Leone Ginzburg,
Giustizia e Libertà , 16 novembre 1934. ll Tribunale speciale che
il 6 novembre 1934 lo condannò a quattro anni di reclusione, lo qualificò
come l’anima di GL a Torino (ACS, Ministero della
giustizia e degli affari di culto. Direzione generale per gli istituti di
prevenzione e di pena, fasc. 46489). 2 Ginzburg mi ha accennato a
una Sua intenzione di formare una casa editrice la Cultura , scriveva
Pavese a Cajumi il 27 settembre 1930 (C. Pavese, Lettere 1924-1944, a
cura di L. Mondo, Torino, Einaudi, 1966,241). 2 Nello Rosselli. Uno storico sotto il
fascismo, in partico lare139 e 143-45, e AE, N. Rosselli TI fascismo e il
consenso degli intellettuali tando la proposta di Carocci di
trasformare Solaria in casa editrice, fece l’offerta, poi
caduta, di rilevare la sola rivista, osservando che qualche volta sarebbe bene trattare qualche
argomento non puramente letterario, ma che presenti interesse dal punto
di vista sociale contemporaneo °:
un’indicazione di lavoro che darà anche per
La Cultura , e che testimonia quella volontà di impegno
civile che in quello stesso anno era avvertita anche da Carocci.
La casa editrice Einaudi nasceva infatti proprio quando un decreto
prefettizio del 1934 metteva fine a
Solaria , accusata di contenuto contrario alla morale per un
numero che pubblicava una puntata de I garofano rosso di Vittorini: la
rivista che si era rifugiata nella
repubblica delle lettere
accettando di convivere col fascismo,
nell’illusione di conservare intatta l’autentica superiorità
dell’intelligenza borghese, l’eredità lasciata dall’attivismo barettiano
e dall’attendismo rondiano , terminava la sua vita proprio quando
cercava, nel 1933-34, di impegnarsi ideologicamente, trasformandosi, come era
nelle intenzioni di Carocci, in
rivista d’idee , e quindi di
discussione anche col fascismo
. Forse non fu solo una coincidenza, se si pensa che gli
intellettuali fiorentini si dimostrarono per il momento incapaci, come gruppo,
di trasformare la letteratura in impegno. Sarà quanto tenterà di fare
quella che un rapporto della polizia del marzo 1934 definiva una nuova casa editrice torinese la
quale avrà il compito di diffondere pubblicazioni antifasciste abilmente
compilate e attorno alle quali da ora in avanti si andranno raggruppando
gli elementi antifascisti del mondo intellettuale , fra i quali si
indicavano i senatori Francesco Ruffini e Luigi Della Torre, Luigi
Einaudi e Nello Rosselli . Che fisionomia ha que 30 Lettere a
Solaria, a cura di Giuliano Manacorda, Roma, Editori Riuniti, 1979,
passizz, e, per la lettera di Einaudi a Carocci del 30 novembre 1933,461.
31 G. Luti, Cronache letterarie tra le due guerre 1920-1940, Bari,
TARA: 1966, in particolare96 e 127, e Lettere a Solaria Cit. in R. De Felice,
Mussolini il duce, I. Gli anni del consenso Torino, Einaudi, 1974,115 n.
Bottai, che durante la guerra 204 Le origini della
casa editrice Einaudi sta Casa editrice? Quale programma si propone
di svolgere? Quali sono le sue basi finanziarie? E tu fino a che
punto ci sei interessato? , scriveva Rosselli a Ginzburg : ad
alcune di queste domande non saremo in grado di rispondere, in
particolare a quella relativa al finanziamento della casa editrice, che
provenne probabilmente da Luigi Einaudi, al quale è forse da attribuire
anche una funzione di copertura politica all’iniziativa del figlio, come
si può dedurre dalla marcata impronta conservatrice della prima
collana, Problemi contemporanei . Ci
limiteremo perciò, anche in assenza, prima del 1945, di dati sulle
tirature e sulle vendite, a una storia prevalentemente interna della casa
editrice, dedicando tuttavia particolare attenzione alle collane, ai volumi e
ai temi culturali nei quali sia più facilmente ravvisabile un
orientamento politico, nell’intento, indicato all’inizio, di verificare, oltre
ai limiti del consenso al fascismo, se negli anni ’30 sono
rinvenibili alcune delle matrici della cultura del dopoguerra.
2. L'ideologia conservatrice di Luigi Einaudi Le prime,
cospicue forze della casa editrice furono raccolte tramite le due riviste
di grande prestigio rilevate da Giulio Einaudi nel 1934, La Riforma sociale e
La Cultura mentre resta
eccentrica rispetto al nostro discorso
La Rassegna musicale , che pur testimonia come fin dall’inizio
l’editore cercasse spazi culturali differenziati. La Cultura , da cui la nuova impresa
editoriale riprese come proprio segno distintivo il simbolo dello struzzo,
costitui nella sua pur breve esistenza in veste einaudiana, il
collegamento dei giovani sarà in stretto contatto con l’ambiente
della casa editrice, giudicando antifascista la posizione espressa
dal crociano Francesco Flora in Civiltà del Novecento pubblicato da
Laterza nel 1933, osservava che Laterza è, insieme con Giulio
Finaudi della Riforma sociale, uno degli editori italiani, che
ignora che siamo nell’anno XII dell’Era Fascista (G. Bottai,
Appelli all'uomo, in Critica fascista ,
XII (1934), n. 1,4). Rosselli. Uno storico sotto il
fascismo,150. allievi di Monti fra
cui Giulio Einaudi con la tradizione gobettiana, ma solo in una più lunga
prospettiva i suoi collaboratori e le sue curiosità culturali diverranno
punto di riferimento per gli orientamenti della casa. In questa maggiore
peso politico ebbe all’inizio, con La Riforma sociale , il gruppo di
liberisti che si raccoglievano attorno a Luigi Einaudi, nel quale si può
forse ravvisare, se non l’ideatore, la forza decisiva per la nascita
della casa editrice. È questo un elemento di conoscenza che pare
confortato da alcuni documenti e anche da un semplice esame del catalogo
editoriale, e che, finora trascurato dalle testimonianze, fornisce una
caratterizzazione meno
provvidenzialistica , in senso progressivo, dei primi passi della
casa editrice. La rivista
La Riforma sociale suona un
avviso di Luigi Einaudi databile al 1933 allo scopo di contribuire alla
illustrazione dei problemi sociali ed economici e specialmente di quelli
determinati dallo stato presente di crisi e dai piani di ricostruzione e
di regolazione sia nei rapporti nazionali che internazionali, pubblicherà
accanto ai fascicoli bimestrali, destinati ad ospitare studi di mole
relativamente tenue, volumi atti a trattazioni più larghe, di circa 150
pagine e con una tiratura di 1.000 copie, dal carattere rigorosamente
scientifico , tuttavia accessibile al pubblico colto in generale .
Votrei preparare un piano di
collaborazioni , scriveva il 31 ottobre 1933, poco prima della fondazione
della casa editrice, Luigi Einaudi ad Attilio Cabiati, l’amico
fidato che inaugurerà nel 1934 la collana
Problemi contemporanei e che si
dimostrerà particolarmente attivo nel suggerire all'editore proposte di
traduzioni . Problemi con 3
L'avviso dattiloscritto si trova nell’Archivio della Fondazione Luigi
Einaudi di Torino, sezione 2 (d’ora in avanti AFE), nel fasc. Croce.
L’intervento di Luigi Einaudi nella casa editrice è testimoniato anche da
una lettera che il figlio gli scrisse il 17 novembre 1942, inviandogli il
progetto di un volume di Sismondi:
Per altri classici dell'economia, che possono avere un interesse vivo
anche in avvenire, ti sarò grato se mi vorrai favorire i testi originali
con un breve giudizio (AE, L.
Einaudi). 35 AE, Cabiati. Sui suoi interessi, prevalentemente
rivolti al mondo anglosassone, A.
Cajumi, Ricordo di Attilio Cabiati, in
L'Industria Allorché capitò la faccenda del giuramento, si
consultò con Francesco Ruffini e con Einaudi, e salvò il salvabile, ossia
206 Le origini della casa editrice Einaudi
temporanei nasce infatti come Biblioteca della rivista La Riforma
sociale , controllata e orientata personal mente da Luigi Einaudi fino al
1944, come la Collezione di
scritti inediti o rari di economisti
(1934), le Opere di Luigi
Einaudi , la Collezione di opere
scientifiche di economia e finanza
(1934) e la Biblioteca di cultura
economica (1939); e, nel magro bilancio
dei volumi pubblicati nei primi anni solo con la guetra la casa editrice
assumerà proporzioni ragguardevoli, tutti i 9 titoli del 1934, e 9 su 11
nel 1935, sono testi economici di queste collezioni, che nel periodo
1934-44 rappresenteranno sempre un quarto di tutte le pubblicazioni 55 su 212
titoli , in cui spiccano, per il peso del loro messaggio cultutale e
politico, i 35 volumi di Problemi
contemporanei . La presenza di Luigi Einaudi aveva un altro punto di
forza nella direzione della
Rivista di storia economica , pubblicata per i tipi della casa editrice,
cui fu permesso di continuare sotto un titolo apparentemente accademico e
asettico la battaglia liberista de La
Riforma sociale , soppressa nel 1935 perché coinvolta, solo
editorialmente, negli arresti di Giulio Einaudi e dei suoi amici e
collaboratori appartenenti a GL, alcuni dei quali animatori de La Cultura , alla quale la censura
fascista non concesse possibilità di reincarnazione, sotto nessuna veste
. Appare quindi necessario analizzare l’ideologia del gruppo
liberista quale si manifesta non solo nelle collane, ma anche nelle
riviste dirette da Luigi Einaudi e, in parte, ne La Cultura , alla cui influenza è forse da
attribuire lo stesso orientamento anglofilo di altre collane storiche
o letterarie; non bisogna dimenticare, del resto, la profonda
conoscenza del mondo britannico di colui che durante il difese in
extremis le cattedre non ancora infestate dall’economia corpo rativa (ibidem,407). 36 Secondo
Francesco A. Repaci, stretto collaboratore di Einaudi, la soppressione de
La Riforma sociale sarebbe invece da
addebitarsi alla sua battaglia anticorporativista (Ricordo di Luigi
Einaudi attraverso alcune lettere,
Giornale degli economisti e annali di economia ; in realtà, come
vedremo, la Rivista di storia economica
non farà che riprendere la linea de
La Riforma sociale , senza per questo essere soppressa. ventennio
fu collaboratore stabile dell’ Economist . La funzione culturale e
politica svolta da Luigi Einaudi durante il periodo fascista resta ancora
da studiare, e il tema non è di poco conto se si pensa che il partito dei liberisti , dopo aver conosciuto dalla fine
dell’Ottocento una serie di sconfitte micidiali da cui sembrava non
potesse pit risollevarsi, riusci nel secondo dopoguerra a prendersi una
cosî piena rivincita , riuscendo a
influenzare in misura determinante i programmi di ricostruzione e
l’impostazione generale della politica economica italiana dei governi di
coalizione successivi alla Liberazione
’’. Funzione che Einaudi si ascriverà a merito nei suoi risvolti
anticorporativisti , ma che ebbe, più in generale, i suoi obiettivi
polemici in tutte le ipotesi programmatrici o keynesiane che
presero piede con la grande crisi non è un caso che a tutto ciò
egli facesse riferimento prospettando la pubblicazione di una biblioteca
de La Riforma sociale , e lo vide
chiuso in una difesa ostinata della sua
quasi religiosa fede nel liberismo, che gli impedî di
individuare la crisi economica del
ventennio tra le guerre come una prova delle fallacie neoclassiche , le quali saranno invece da lui ri 37
Cosîf V. Castronovo nell'intervento in occasione della commemorazione di Luigi
Einaudi in occasione del centenario della nascita, in Annali della
Fondazione Luigi Einaudi, vol. VIII, 1974, Torino, Fondazione Luigi Einaudi La
scienza economica italiana non ha da vergognarsi di quel che fece durante
il cinquantennio crociano. Carità di patria vuole si dimentichi quel che
fu scritto di falso e di consapevolmente falso intorno al cosidetto
corporativismo. Quegli errori sono riscattati dalla resistenza dei più ,
affermerà Einaudi ricordando La Riforma
sociale e il Giornale degli economisti (La scienza economica. Reminiscenze, in
Cinquant'anni di vita intellettuale italiana 1896-1946, vol. II,313). E
ancora: la Rivista di storia
economica forse parve ai governanti del
tempo meno fastidiosa a cagione della sua limitazione a cose passate. Ma
già il Sismondi, in una lettera del 1835 al Brofferio aveva avvertito i
vantaggi che la censura offre agli scrittori costringendoli ad essere
avveduti nel dichiarare la verità invisa ai tiranni . 1 saggi datati dal
1936 al 1941 agevolmente persuadono che il forzato velo storico non vietò
mai a chi scrive di discutere problemi contemporanei (L. Einaudi, Saggi bibliografici e storici
intorno alle dottrine economiche, Roma, Edizioni di storia e letteratura,
1953,VII). 39 M. De Cecco, La politica economica durante la
ricostruzione 19451951, in Italia 1943-1950. La ricostruzione, a cura di Stuart
J. Woolf, Bari, Laterza, 1974,291. 208 Le
origini della casa editrice Einaudi prese e attuate dopo il 1945,
come governatore della Banca d’Italia e come ministro del bilancio nel
quarto e quinto governo De Gasperi nel 1947-48. Gli unici
studi che hanno affrontato l’opera di Luigi Einaudi anche nel periodo
fascista, compiuti in occasione del centenario della nascita, si sono
preoccupati di ridurre la sua iniziale adesione al fascismo, fino al
1925, ad un equivoco destinato a dissiparsi quando la politica liberistica
di De Stefani sfociò nel vincolismo e nel corporativismo ‘, o si sono
limitati ad analizzarne le indicazioni per lo studio delle dottrine e dei
fatti economici, senza cogliere i presupposti ideologici della sua
posizione metodologica, o arrivando ad espungere volutamente dall’analisi
le sue concezioni antisocialiste e antistataliste, in quanto: non
sarebbero mai state da lui proposte come formule ‘. Per meglio
comprendere la linea interpretativa della collana Problemi contemporanei è invece opportuno soffermarci su questi
presupposti ideologici, per i quali l’attività di Einaudi durante il fascismo
ha punti di contatto, ma anche di differenziazione, con quella di Croce.
Seguiremo i motivi di questa riflessione sulla storia e la politica
economica fino al 1944, data l'omogeneità di questa tematica, che corre
parallela con gli altri filoni di pensiero della casa editrice.
È da rilevare in primo luogo che le indicazioni di Luigi Einaudi
sul modo di fare storia economica sono esplicitamente basate sulla
preoccupazione di non privilegiare il fattore economico nella
ricostruzione storica. Discutendo il programma di lavoro della Rivista di storia economica con Gino
Luzzatto il direttore della Nuova
rivista storica che ribadiva
ancora in quegli anni la validità della storiografia economico-giuridica,
egli sosteneva che allo 4 Cosî R. Romano nell’Introduzione a L.
Einaudi, Scritti econormici,. storici e civili, a cura di R. Romano,
Milano, Mondadori, 1973, XXXILIOXVII. 4 , per il primo appunto, R.
Romeo, Luigi Einaudi e la storia delle dottrine e dei fatti economici, e
M. Abrate, Luigi Einaudi rivisitato, e, per il secondo, F. Caffè, Luigi
Einaudi nel centenario della nascita, in Annali della Fondazione Luigi Einaudi,121-141,
151-163, 39-51 (in particolare, per l’affermazione di Caffè storico era
necessario solo il punto di vista economico: Punto di vista e non prevalenza né
specializzazio e. Non si diventa storici dell'economia dando, come
fecero molti nel tempo verso il 1900, rilievo a certi fatti detti
economici e mettendoli a fondamento delle spiegazioni da essi date di
certe passate vicende umane. Cosi scrivendo, si fa buona (esistono,
nonostante la cosa tenga del miracoloso, persino buoni libri di storia
informati al concetto materialistico della storia!) o cattiva storia
politica, non storia economica .
La storia economica non deve supporte che il fattore economico sia più
importante degli altri, né accettare la tesi che le teorie economiche
siano un mutevole frutto dei tempi, affermava, concludendo che per
scrivere storia economica fa d’uopo che
lo scrittore abbia l’occhio od il senso economico ‘. Di qui l'apprezzamento per la Storia
economica e sociale dell'impero romano © Città carovaniere di Rostovzev
pubblicate rispettivamente da La Nuova Italia e da Laterza, in quanto
l’autore ha visto che alla radice della
storia non si trovano l'economia, la macchina, lo strumento tecnico, la
terra arida o feconda, il denaro e simiglianti cose morte, si invece le
4 G. Luzzatto - L. Einaudi, Per un programma di lavoro, in Rivista di storia economica , I
(1936),201. Luzzatto, che in una lettera a Einaudi del 5 novembre 1936
accettò in sostanza la sua opinione (AFE, Luzzatto), salutò con
entusiasmo la nascita della Rivista di storia economica , perché può rappresentare per i giovani studiosi
italiani di storia economica una guida ed uno stimolo, di cui si sentiva
estremamente il bisogno, indirizzandoli nella scelta degli argomenti di
ricerca, raddrizzando idee tradizionali errate, chiarendo idee confuse,
creando soprattutto quel contatto fra scienza economica e ricerca
storica, che finora è in gran parte mancato
( Nuova rivista storica , XX (1936),282). A Luigi Dal Pane dal
quale non riuscirà tuttavia ad ottenere una collaborazione Luigi Einaudi
spiegò il 4 luglio 1936 il tipo di articoli desiderati: 1) un problema teorico importante studiato da
un economista passato; 2) un problema di fatto interessante in sé,
interessante per qualche attacco al presente, su cui l’esperienza di un
tempo passato dice qualcosa di rilevante
(L. Dal Pane, Il mio carteggio con Luigi Einaudi, in Annali della
Fondazione Einaudi, vol. VI, 1972, Torino, Fondazione Luigi Finaudi Einaudi,
Lo strumento economico nella interpretazione della storia, in Rivista di storia economica (in discussione
con Lucien Febvre}. Nello stesso senso
T. Codignola, Esiste una storia economica ?, in Rivista di storia economica , idee che la
classe politica si è fatta #: dove è
evidente la polemica contro quella
vulgatio del materialismo storico
in cui Gramsci rinveniva uno specifico influsso loriano, presente anche
nel commento a Economic planning and international order di Lionel
Robbins, un autore quanto mai caro a Einaudi e alla casa editrice, lodato
per la tesi che la continuità
della coesistenza di diverse nazioni del mondo è incompatibile con
qualunque piano diverso da quello economico liberale , e che un piano è
un fatto politico: È un capovolgere la
storia cercare nell’economia la spiegazione degli avvenimenti politici,
sociali, intellettuali. Bisogna invece cercare nella politica la
spiegazione degli avvenimenti economici
4. Gli esempi potrebbero moltiplicarsi, a testimoniare come l’assai vaga
asserzione che allo storico economico necessiti, e sia sufficiente, l’occhio od il senso economico , si
connetta con la fede nel carattere assoluto ed eterno delle leggi
economiche, con la polemica nei confronti del materialismo storico e del
socialismo, e con la difesa del liberismo come vero liberalismo.
Rispondendo a quanti parlavano di superamento delle teorie economiche, di
quella ricardiana in particolare, Einaudi affermava che una ideale storia delle dottrine
economiche potrebbe semplicemente consistere nel ricordo che si facesse,
nel trattare sistematicamente la dottrina oggi ricevuta, del debito da
questa contratto verso le precedenti meno perfette formulazioni che via
via la precedettero. Il legittimo uso della parola superamento implica
l’accoglimento contemporaneo dell’idea che nulla è superato, nulla è fuor
del tempo presente ed ogni teoria che visse vive 4 L. Einaudi, Il
valore economico del libro del Rostovzev, in La Riforma sociale Sulla
conoscenza da orecchiante del
materialismo storico da parte di Einaudi mediata da Croce e Loria, A. Gramsci, Quaderni del carcere, vol.
II,1289-1290. 45 L. Einaudi, Delle origini economiche della grande
guerra, della crisi e delle diverse specie di piani, in Rivista di storia
economica, II (1937),278. Il 30 novembre 1946 Giulio Einaudi scriverà a
Robbins: se durante la deprecabile ultima guerra Voi ricordavate con
simpatia l’ambiente che faceva capo a mio padre, noi altri giovani
durante quegli anni terribili non cessammo mai di guardare con
venerazione e speranza alla Vostra Patria e ai suoi uomini più
rappresentativi (AE,
Robbins). ancora perfezionata ed affinata nella teoria attuale ‘. L’insistente difesa di Ricardo, di Smith,
di Francesco Ferrara o della massima di D’Argenson pour mieux gouverner, il faudrait
gouverner moins , si accompagna a uno sprezzante giudizio su
Keynes, nelle cui pagine si può trovare
la esposizione pi ingegnosa e raffinata che immaginar si possa di quella
qualunque tesi egli, con pieno provvisorio convincimento, sostenga in un dato
momento £ all’assunzione a modello
dei discorsi di Cavour, in quanto
mutano i problemi; ma l’arte dell’analizzarli criticamente con spirito
non preoccupato damiti e da formule verbali, non muta ‘; o, in polemica col corporativismo fascista non molto frequente, tuttavia, sulla Rivista di storia economica , all’esaltazione
delle corporazioni medievali mai configuratesi come caste chiuse : La lotta, il tumulto, le inimicizie, le
cacciate e l’esilio sono i segni distintivi di quell’epoca che poi fu voluta
idealizzare come tesa verso la pace sociale. Ma, perché lottava, amava ed
odiava, quell’epoca partori credenti artisti e poeti grandi; ma
perché era un’epoca di rivolgimenti politici economici e sociali,
essa creò ricchezza potenza arte e poesia . Una difesa della necessità
della lotta e del contrasto che non si traduce mai, però, nella
comprensione delle novità del processo storico, cui l’ottuso
conservatorismo di Einaudi oppone un’immagine statica della vita sociale, assai
distante dalla stessa concezione crociana della storia etico-politica
L. Einaudi, Superamento,
in La Riforma sociale, Einaudi, Una
disputa a torto dimenticata fra autarcisti e liberisti, in Rivista di
storia economica. 4 Si riferisce ai s aggi di Keynes La fine
del laisser faire e L’autarchia economica tradotti nella Nuova collana di economisti stranieri ed
italiani diretta da G. Bottai e C. Arena
( Rivista di storia economica , II (1937),374). Per una critica agli
Essays in Bibliography di Keynes
anche L. Einaudi, Della teoria dei lavori pubblici in Maltbus e
del tipo delle sue profezie, in La
Riforma sociale Einaudi, Una nuova edizione dei discorsi del conte di
Cavour, in La Riforma sociale ,(a proposito dei Discorsi
parlamentari di Cavour curati da Omodeo e Russo per La Nuova Italia).
5 L. Einaudi, Alba e tramonto delle corporazioni d'arti e mestieri,
in Rivista di storia economica ,
VI (1941),96-97. Einaudi non riusciva ad
afferrare i motivi del movimento storico , ha affermato L. Dal
212 Le origini della casa editrice Einaudi È del
resto noto come, sul piano politico, il liberalismo di Einaudi non sia
assimilabile a quello di Croce, tanto da spiegare come vedremo
dall’analisi di alcuni volumi della collana Problemi contemporanei un maggior possibilismo
del primo nei confronti del fascismo. E ciò, nonostante il
rapporto personale e gli elementi di convergenza che legano i due intellettuali
durante il regime. Ne è testimonianza la segnalazione simpatetica che
sulla Rivista di storia
economica Einaudi fa, in due occasioni,
delle edizioni Laterza: valorizza ad esempio l’opera dei meridionalisti
conservatori Jacini, Turiello, Villari, Franchetti, Sonnino e Fortunato
analizzati da Enzo Tagliacozzo in Voci di realismo politico dopo il 1870;
apprezza incondizionatamente a differenza di Ginzburg l’immagine fornita
da Nicola Ottokar nella Breve storia della Russia, un paese la cui tragedia
sarebbe stata quella di non aver mai avuto un ceto intermedio
numeroso, ma solo padroni e servi, dove i primi erano una volta i
nobili, ora la burocrazia sovietica . Sempre per rendere testimonianza di onore
all’editore colto e tenace, il quale in tempi volti ad altri problemi
persegue un alto ideale di cultura , Einaudi segnala La concezione romana
dell’impero di Ernest Barker, accogliendone la distinzione fra la
rivoluzione francese, da cui discendono
lo stato napoleonico ed il comunismo economico , e la rivoluzione puritana inglese,
da cui derivano la libertà di coscienza
e di Pane, Commemorazione di Luigi Einaudi, in Memorie
dell’Accademia delle scienze dell’Istituto di Bologna, classe di scienze
morali, e Franco Venturi ha osservato che
la storia economica, quale egli fa concepî, non produsse in Italia
quel rivolgimento, quella trasformazione profonda che compirono in varie
forme altrove il marxismo, la scuola delle Annales, le moderne teorie
dello sviluppo e la cliometria. Personalmente sono convinto che
l’elemento conservatore presente nel pensiero di Einaudi agi da freno, da
remora a questa rivoluzione storiografica. Riproporre a modello Le Play nel
secolo XX era un paradosso (in Annali della Fondazione Luigi Einaudi,
vol. VIII,180). 51 Le osservazioni di Ottokar sono giustapposte, e non concatenate, sf
che l'avvento del bolscevismo può configurarglisi come una specie di
cataclisma, che interrompa la continuità storica , notava ad esempio
Ginzburg ( Nuova rivista storica (1937),
ora in Scritti,111). 5 L.E., Edizioni Laterza, in Rivista di storia economica , II
(1937), 196-198. pensiero, la società economica a tipo di
concorrenza, l’unionismo operaio, il regime di discussione ; ma la lettura più vantaggiosa è per Einaudi la Storia d’Europa di
Fisher, nella quale egli vede la dimostrazione dell’assenza di basi
economiche nei diversi ordinamenti politici. Prende invece nettamente le
distanze da un libro laterziano allora famoso in quanto espressione della
crisi dei valori borghesi, Democrazia in crisi del laburista Harold J.
Laski un autore che la casa editrice accoglierà solo nel dopoguerra, mentre nel
1936 Mario Einaudi lo aveva accusato di marxismo per l’opera The Rise of
Liberalism, in quanto dalla
parificazione laskiana di democrazia ad uguaglianza vien fuori
un’economia comunistica a tipo termitario
. Il liberalismo di Einaudi aveva infatti un minor
respiro ideale di quello di Croce, come dimostra la discussione tra
loro intercorsa negli anni ’30 e ’40 sui rapporti tra liberismo e liberalismo:
mentre Croce, pur nella comune ripulsa del comunismo, negava la necessaria
identità dei due termini, Einaudi sosteneva la loro inseparabilità, in
quanto l’idea della libertà vive,
si, indipendente da quella norma pratica contingente che si chiamò
liberismo economico; ma non si attua, non informa di sé la vita dei molti
e dei più se non quando gli uomini, per la stessa ragione per cui
vollero essere moralmente liberi, siano riusciti a creare tipi di
organizzazione economica adatti a quella vita libera . Data questa rigida identificazione
per cui la presa di distanza di Einaudi dal fascismo ha il suo motivo di
fondo nella politica protezionista e corporativa del regime, si comprende
come più numerosi e acri che ne La
Critica siano gli attacchi antisocialisti nella Rivista di storia economica , condotti
in primo luogo dal suo direttore con accenti che dimostrano la carica
politica, prima ancora 53 L. Einaudi, Ancora a proposito di
edizioni e di alcuni libri editi da Giuseppe Laterza in Bari, in Rivista di storia economica , III
(1938), 349-354; M. Einaudi, Di una interpretazione puramente
economica del liberalismo, in
Rivista di storia economica , Einaudi, Tema per gli storici
dell'economia: dell’anacoretismo economico, in Rivista di storia economica , II (1937),195.
I testi del dibattito sono raccolti in B. Croce, L. Einaudi, Liberismo e
liberalismo, a cura diSolari, Milano-Napoli, Ricciardi, 1957. Le origini
della casa editrice Einaudî che scientifica, dei suoi obiettivi.
Ne è documento esemplare, nel 1934, la recensione a Socialism's New Start,
traduzione di un’opera di socialisti tedeschi nascosti dall’anonimato, critici
dei partiti tedeschi socialdemocratico e comunista accusati di aver consegnato
le masse operaie al nazismo; con le minacce di simili untorelli , scrive Einaudi, il regime
hitleriano può dormire sonni tranquilli: I socialisti del
continente europeo, sia quelli dei paesi come l’Italia, la Germania e
l’Austria, nei quali essi sono stati spazzati via, sia quelli dei paesi come
la Francia, nei quali si danno un gran da fare per farsi mandare a
spasso, non hanno ancora capito che
il capitalismo è una
irrealtà, uno schema partorito dalla loro scarsa cultura storica e dalle
loro rudimentali attitudini psicologiche; e quindi, essendo un meccanismo
tecnico, una costruzione meramente amministrativa e contabile, può essere
rivoluzionato o riplasmato pit o meno in meglio od in peggio, senza
grandissime difficoltà. La società tollera chiacchiere socialistiche più
o meno interessanti e consente talvolta che in nome di ideali
socialistici si compiano ai margini sperimenti più o meno costosi intesi
a tener quiete le moltitudini. Ma le chiacchiere e gli sperimenti non devono
andare oltre un certo segno; non devono toccare istituti che hanno
nell’animo umano radici ben più profonde del capitalismo: la proprietà
della terra, della casa, dell’opificio, il risparmio, la famiglia, la
eredità, la tradizione, la religione. Responsabili della
nascita dei regimi totalitari sarebbero stati i socialisti, in quanto Blum in
Francia, Cripps e Laski in Inghilterra appaiono a Einaudi magnifici alleati e profeti e sostenitori di
nuovi regimi che, sorti in Italia si vanno estendendo, sotto forme variabilmente
adattate alle diverse contrade, un po’ dappertutto 5. Proprio riferendosi a questa
recensione, e alla raccolta dei Nuovi saggi di Einaudi pubblicata nel
1937 dal figlio, Giustizia e
Libertà espressione del movimento
nel quale si riconoscevano vari collaboratori della casa editrice critica
violentemente l’esponente liberista, nella cui opera non ravvisa né
antifascismo, né liberalismo, né scienza, ma solo i frutti di un liberale è /a page , lealista 55
L. Einaudi, Afforno ad una spiegazione della disfatta dei partiti
socialistici, in La Riforma sociale ,
XLI (1934),713-714. verso il regime, mosso da una meschina preoccupazione di
antisocialismo, che non ha a che vedere con il bisogno di libertà che
ogni uomo prova, ma semplicemente con un sentimento originario, più forte
di qualunque ragionamento, di disprezzo per il salariato e per il
lavoratore manuale che aspiri a dirigersi da solo . Ispirato da un velenoso
odio di classe continua articolista, Einaudi arriva a sostenere la legittimità della
reazione fascista, che non sarebbe l’avventura di un gruppo di spostati
né reazione di privilegiati, ma la reazione legittima della società contro quei
faccendoni dei socialisti che le impedivano di lavorare ; il suo cieco
conservatorismo si spiega con la
sua sfiducia totale in qualunque
tentativo di miglioramento, che tolga gli individui alla classe in
cui essi sono costretti a vivere
. È del resto raro trovare nella seconda metà degli
anni ’30, nella Rivista di storia
economica o nei volumi della casa
editrice ispirati da Luigi Einaudi, una coerente polemica nei confronti della
politica economica del regime o dei testi economici proposti dal
fascismo. La critica all’antiindividualismo della Breve storia delle teorie
economiche di Othmar Spann edita da Sansoni nel 1936 resta un caso
isolato , mentre già nel 1934 Einaudi trova modo di lodare Bottai promotore di iniziative feconde: come quella
dei buoni libri informativi editi dalla scuola corporativa di Pisa
, o la Nuova collana di economisti curata da Bottai e Arena, in cui apprezza
in particolare la pubblicazione dell’Economia del benessere di Arthur C.
Pigou non conosco lettura più adatta a
moltiplicar dubbi su qualsiasi provvedimento di politica sociale e gli scritti $% Magrini [Aldo
Garosci], Liberalismo?, in Giustizia e Libertà , 5 marzo 1937; per un
altro attacco al fascismo di Luigi Einaudi La concezione
filosofica del mondo. Di rado
compaiono operai notava il corporativista Giuseppe Bruguier recensendo i Nuovi
saggi . Gli è che l’Finaudi, man mano che gli anni passano, mi pare si
faccia sentimentalmente sempre più vicino, piuttosto che ai lavoratori
delle calate del porto di Genova o alle maestranze delle officine di
Torino, ai contadini delle sue belle terre piemontesi , osservati con senso patriarcale ( Leonardo Einaudi, Una storia
universalistica dell'economia, in
Rivista di storia economica sulla tassazione di Wicksell, col
quale Einaudi dichiara di trovarsi
in ottima compagnia nella tendenza a non prendere sul serio certi
cosiddetti principî di ripartizione delle imposte chiamati dell’uguale,
proporzionale o minimo sacrificio ovverosia della capacità contributiva e
simiglianti vacuità senza contenuto : la
conquista definitiva teorica di
Wicksell è infatti che non esiste un
principio di giustizia tributaria
. In una discussione in cui, accanto a nette differenziazioni,
c’era posto per posizioni intermedie fra corporativismo e liberismo
tipica è la figura di Marco Fanno, collaboratore al tempo stesso
della Nuova collana di economisti e della casa editrice Einaudi, ma anche
per significativi incontri su questioni economiche di nodale importanza,
Luigi Einaudi poteva tranquillamente combattere la teoria dell’imposta
progressiva: cosî nel 1934 con la pubblicazione preceduta da una sua
prefazione ‘elogiativa dell’autore e dell’opera svolta dai liberisti
italiani nel 1880-90 dei Principi di economia finanziaria di De
Viti De Marco, dalla quale Edoardo Giretti traeva spunto per un giudizio
politico il cui elemento di distinzione dal fascismo era rappresentato da
una /audatio temporis acti, Einaudi, Del principio della ripartizione delle
imposte (a proposito di una nuova collana di economisti), in La Riforma sociale , Macchioro, Studi
di storia del pensiero economico e altri saggi, Milano, Feltrinelli, e il
carteggio Fanno-Finaudi in AFE, Fanno.Lo storico che potrà un giorno,
all’infuori delle passioni e dei rancori dell’età contemporanea,
discutere ed esaminare a fondo oggettivamente e serenamente le cause che
determinarono la crisi del 1922 e la caduta di un regime
politico-parlamentare che del liberalismo cavourriano aveva conservato soltanto
il nome, ma non l’idea e la sostanza, dovrà riconoscere che l’unico
tentativo serio e coerente, che si era fatto in Italia, allo scopo di
prevenire la catastrofe di quel regime, da gran tempo preveduta, fu
proprio quello del gruppo liberista, del quale il De Viti fu il capo e
l’ispiratore più autorevole e più tenace , colui che aveva osservato che
i liberisti, avendo pur sempre di mira
la difesa e il consolidamento dello Stato liberale democratico, avevano
esercitato una critica intesa a creare nel paese una più elevata
coscienza pubblica contro tutte le forme degenerative delle libertà
individuali e del sistema rappresentativo
(E. Giretti, Un uomo e un gruppo, in La Cultura , XIII
(1934),28-29). Con quest'opera De Viti De Marco
aveva dimostrato la natura autofaga dell’imposta progressiva ,
dità Einaudi, Miti e paradossi della giustizia tributaria, Torino,
Einaudi e, con particolare forza, nei Miti e paradossi della giustizia
tributaria, dove il richiamo agli economisti classici si accompagna ad accenti
moralistici che mal nascondono la sostanza antidemocratica del
discorso: Giova si chiedeva Einaudi togliere coll’imposta differenziata a questi
pochi [monopolisti] il guadagno di eccezione che essi temporaneamente
lucrano? No; poiché è vero che quel lucro è ottenuto col vendere a più
basso non a più alto prezzo dei concorrenti. Se si vuole accaparrare quel lucro
a vantaggio della collettività non bisogna adoperare l’imposta, strumento
stupidamente repressivo, ma l’emulazione gli onori la lode. Giova creare
l'atmosfera nella quale il ricco giudichi se stesso disonorato e sia
dall'opinione pubblica considerato con spregio se non consacri in vita e in
morte parte rilevante dei suoi redditi a scopi di pubblica utilità: a
fondare e dotare scuole ospedali parchi stadi. Come ammoniva
Adam Smith, un grado assai considerevole
di disuguaglianza sembra essere, ove si giudichi secondo l’esperienza
universale dei popoli, un danno di pochissimo conto in paragone con un
piccolissimo grado di incertezza . La preferenza accordata alla certezza rispetto alla giustizia
per cui si richiamano anche gli scritti economici di Cattaneo
trova infine il suo naturale corrispettivo, sul piano politico, nella critica
alla democrazia: Chi, salvo gli
egualitari, intenti ad aprire la via al governo dei plutocrati, mai seppe
che lo stato ideale si confondesse con il governo del demo? Anche il governo
di una minoranza può essere una approssimazione all’ideale, se la
minoranza ha lo sguardo volto verso l’alto
©; dove l’individualismo economico e l’antisocialismo ricordano
gli aspetti più propagandistici dell’opera di Pareto, il cui Corso
di economia politica apparirà nel 1943 nella
Collezione di opere scientifiche di economia e finanza .
Anche il richiamo a Cattaneo, sopra citato, si presenta in Luigi
Einaudi nella linea di un discorso conservatore, difficilmente
assimilabile all’interpretazione
illuministi ca di un
Salvemini o di un Gobetti e ben distante dalla caratterizzazione
democratica che come vedremo ne ®! L. Einaudi, Miti e paradossi,95,
239, 255. 218 Le origini della casa editrice
Einaudi darà Spellanzon nel 1942. La raccolta dei Saggi di
economia rurale curata nel 1939 da Luigi Einaudi per la Biblioteca di cultura economica ebbe tuttavia il merito di rinnovare
l’interesse attorno a una figura di cui l’idealismo si era sbarazzato
rapidamente. Corrente di vita giovanile
, la rivista di fronda di Ernesto Treccani che prima dell’entrata
in guerra dell’Italia pubblicherà il brano cattaneano Della milizia
antica e moderna in cui la guerra ingiusta era considerata preludio di
sconfitta, colse in Cattaneo un modello di serietà e di impegno ©, mentre
su Primato Giansiro Ferrata, dopo aver ricordato
che la lotta politica fino al ’24
ha insistito su questo nome in tutti i toni possibili, cogliendone ogni
impulso all’azione , oppose 1’ idealismo operativo di Cattaneo a quello descrittivo
di Vico privilegiato da Croce:
se in questi anni concludeva all’inizio del 1940, come sembra vero
e necessario, alcuni pregiudizi politici ed ideologici vanno
scomparendo, dovremmo acquistare alla coltura d’oggi questo nome £. La riproposizione che ne faceva
Einaudi era però, anche se più puntuale, pit restrittiva, tesa a
raccogliere da Cattaneo l'invito al sacrificio, alla edificazione della terra coltivata , e
soprattutto il richiamo alla certezza
che gli uomini debbono possedere di godere essi i frutti del
proprio lavoro , attuabile attraverso i
mirabili effetti del
catasto: Mentre troppi dottrinari
corrono dietro a false teoriche di cosidetta giustizia tributaria e vorrebbero
distruggere le più belle tradizioni finanziarie italiane, fa d’uopo
62 S. Pozzani, Quasi una introduzione, in Corrente di vita giovanile ,
31 ottobre 1939: al fondo della sua concezione politica ed economica
stava il convincimento che solo a prezzo di fatiche e di sacrifici l’uomo
può giungere a risultati positivi e fecondi {...] dalle pagine del
Cattaneo emana l’incitamento a meditate preparazioni come base necessaria
per affrontare la paziente e scrupolosa disamina dei problemi grossi e
minuti della nostra vita nazionale . Il passo di Cattaneo riportato si
concludeva cosî: Ma la vittoria stessa, destando la meraviglia delle genti e
l'imitazione, nel decorso eguaglia le sorti, e riduce il popolo stesso
che aveva trascese le condizioni dell’equilibrio (ibidem, 31 maggio 1940). Sulla
rivista l'introduzione di Alfredo Luzi a
Corrente di vita giovanile (1938-1940), Roma, Edizioni dell’Ateneo, 1975.
63 G. Ferrata, Immagine di Cattaneo, in
Primato , I (1940),27, 29;
anche Id., Caztareo, in Oggi ,
insistere energicamente sulla virti della imposta ripartita su basi
destinate a non mutare per lungo tratto di tempo Il Cattaneo einaudiano diventa
quindi un’altra arma contro gli
egualitari e i socialisti, contro
i quali si schierano anche altri collaboratori della Rivista di storia economica . Si distingue
fra questi il giovane allievo di Luigi Einaudi e Gioele Solari, Aldo
Mautino, che nello studio su La formazione della filosofia politica di
Benedetto Croce pubblicato postumo da
Einaudi nel 1941 dopo una accurata
revisione dello stesso Croce si farà
partecipe espositore della critica crociana al materialismo storico di Labriola
e si schiererà con Luigi Einaudi nel sostenere l’identità fra liberismo e
liberalismo 9. Commentando la monografia di Dal Pane su Labriola e i Saggi
labrioliani riproposti da Croce nel 1938, Mautino osservava che la grandezza
del cassinate non si deve ricercare nel
campo speculativo, bensi piuttosto in quello politico , in quanto gli
sembrava che i Saggi tendessero ad una svalutazione progressiva di quella
medesima dottrina di cui si presentano come interpretazione e commento : una costante linea spirituale di
svolgimento conduce in effetti a risolvere l’opposizione persistente tra la
necessità escatologica del comunismo e la libera volontà rivoluzionaria
e, lasciando da un canto la trascendenza economica, la dialettica della
storia e la conseguente apocalissi comunistica, a far luogo all’azione,
diretta ad instaurare per convincimento 4 C. Cattaneo, Saggi di
economia rurale, a cura di L. Einaudi, Torino, Einaudi, 1939,31; anche L.E., La terra è un edificio ed un
arti: ficio, in Rivista di storia
economica , IV (1939),246. Il richiamo di Einaudi a Cattaneo appare
invece illuminista a N. Bobbio,
Una flosofia militante. Studi su Carlo Cattaneo, Torino, Einaudi le
lettere di Giulio Einaudi a Croce del 16 e 23 dicembre 1940 (AF,
Croce). A suo agio il Mautino avrebbe
potuto maggiormente far risaltare gli elementi della dottrina creduta
morta da Croce in se stesso e rimasti al contrario vivi e fecondi. Se ciò
non ha fatto gli è perché non aveva del materialismo storico, nelle sue
affermazioni originali, e nei suoi più vitali ripensamenti, quella
conoscenza che sarebbe stata necessaria , osservò F. D'Antonio, A
proposito della filosofia politica
crociana, in Nuova rivista
storica , XXV (1941),333. 220 Le origini della casa
editrice Einaudi morale, fuori da ogni attesa fatalistica, una
nuova forma di vita più umana. Onde la conclusione ideale, a cui i
Saggi medesimi sembrano rivolgersi, finisce per rinnegare quelle
stesse strutture intellettuali di cui la passione politica aveva tentato
di rivestirsi . Fatta propria la negazione crociana del materialismo
storico come filosofia, e affermato che nel campo speculativo il marxismo
era stato superato da Croce e Sorel, Mautino notava tuttavia la comprensione, profonda nel Labriola,
del valore nazionale rappresentato dal movimento operaio. Questo rigido
socialista sognava un’Italia attraverso di quello rigenerata e fatta più
civile . In questo augurio di una Italia nuova consiste una delle
ragioni, e sicuramente non la minore, della
perpetua giovinezza che l’antico e recentissimo editore
riconosce nell’opera del Labriola
£. Se in quest’ultima affermazione può apparire un’acquisizione di
stampo nazionalistico del pensiero di Labriola, analoga a quella compiuta
da Volpe nella prefazione alla monografia di Dal Pane, decisamente
liquidatorio era il giudizio sul socialismo espresso da Mautino nella recensione
delle memorie di organizzatori operai pubblicate da Laterza (Zibordi,
Rigola, Riguzzi) e dalla collana dei
Problemi del lavoro (Azimonti,
Zanella, Bettinotti, Anzi, Rigola): staccato dal marxismo
scientifico, il socialismo fu
soprattutto una convinzione morale , ma anche cosî le memorie dei suoi
militanti, annotava Mautino, lasciano trasparire del
grigiore spirituale. Pare che dopo tanto trepidar di speranze e divampare di
passioni e avvicendarsi di illusioni e delusioni e travagliarsi e
lottare, l’animo tendesse a volgersi di preferenza a faccende
organizzative, e di miglioramenti economici, e di compromessi politici .
Ormai il vecchio socialismo moriva senza gloria; e anche questi suoi
ultimi fedeli, guardando oggi al futuro, non sanno più ritrovare nei miti
troppo facili della loro gioventi motivi capaci di animarli e correggerli
ancora, 6 A. Mautino, Intorno a un teorico del materialismo
storico, in Rivista di storia economica
Mautino, Memorie di organizzatori operai italiani, in Rivista di storia economica , IV
(1939),76. Recensendo il Concezto cristiano della proprietà di J. M.
Palacio curato da Fanfani per le edizioni di Vita e pensiero, Mautino
trovava modo di condannare anche il cattoliA sottolineare le carenze del
socialismo e il primato del liberismo interveniva autorevolmente, nel
1940, Attilio Cabiati: notando come
da parecchi anni a questa parte il socialismo, che pareva relegato
in soffitta , fosse venuto attirando l’attenzione di studiosi tedeschi ed
anglo-americani, rivolti a vagliare la
possibilità teorica di un governo economico collettivista , affermava che
tutti arrivavano alla conclusione che
qualunque sistema economico si adotti, ove esso miri a procurare
col minimo dispendio di forze il massimo benessere della collettività,
deve soddisfare a quello stesso sistema di equazioni, che in libera
concorrenza garantiscono l’utilità massima ai singoli operatori sul mercato ;
perciò solo lottando contro l’interventismo statale, concludeva Cabiati, l'economia potrà rifiorire, dimostrando coi
fatti che l’azione privata, malgrado i propri difetti innegabili, supera
senza paragone possibile qualsiasi forma di costituzione socialistica
della società, che costituirebbe l’iperbole del burocratismo, coi suoi
insostenibili difetti e con la formazione della peggiore oligarchia
arrivista £. La battaglia
antiprotezionistica dei liberisti raccolti attorno a Luigi Einaudi, quale si
rispecchia non solo nelle sue riviste, ma anche nei volumi di economia
della casa editrice che ora esamineremo, aveva quindi un’impronta
ideologica conservatrice e antisocialista che, se rappresenta solo
una faccia dell’iniziativa culturale di Giulio Einaudi, è forse
quella che meglio spiega la capacità di quest’ultimo di aprirsi degli
spazi di manovra nelle maglie del regime. cesimo sociale in
quanto, al pari del socialismo democratico, la politica cattolica si volge alla
plebe con le lusinghe della benedizione pubblica e la promessa d’un
paradiso nel cielo , facendosi sostenitrice dell’interventismo statale
(Cattolicesimo e questione sociale, in
Rivista di storia economica , III (1938),79-80). 6 A.
Cabiati, Intorno ad alcune recenti indagini sulla teoria pura del
collettivismo, in Rivista di storia
economica ,{prendeva in esame, fra gli altri, saggi di R. L. Hall e M.
Dobb). Di notevole interesse per valutare, non solo sul piano
ideologico, il rapporto fra il gruppo di Luigi Einaudi e il regime è la
collana Problemi contemporanei , che
per dieci anni dalla fondazione della casa editrice al 1944 riflette l'opinione dei liberisti sulla
politica economica italiana e internazionale, con delle valutazioni che,
passando quasi sotto silenzio gli indirizzi corporativi del
fascismo, non sono tali da costituire, nella maggior parte dei casi,
un terreno di scontro con gli economisti del regime. Il tema di
maggior rilievo della collana è la crisi del 1929 e il New Deal
rooseveltiano: un punto sul quale l’attenzione dedicata ai problemi
monetari anche dai liberisti permette
loro di trovare un terreno di incontro con i corporativisti, dati gli indirizzi
della politica del regime in questo settore ©, anche se, ovviamente, da parte fascista si
cerca di assimilare l’esperimento di Roosevelt in quanto interventista al
corporativismo e di ricavarne quindi un’ulteriore giustificazione di
quest’ultimo come terza via tra capitalismo e socialismo; mentre l’entourage di
Luigi Einaudi, nonostante uno sforzo di documentazione, manifesta
dure critiche nei confronti delle analisi catastrofiche della crisi
e della politica del presidente americano. La posizione dei
liberisti accanto al gruppo einaudiano è da annoverare anche quello che
si raccoglie attorno al Giornale
degli economisti giustifica un giudizio di incomprensione e di
mancanza di attrezzatura teorica idonea da parte di questi economisti
rispetto ai problemi posti dalla crisi americana. È assente la coscienza del
dramma di milioni di disoccupati e non esiste quel travaglio
sull’adeguatezza dei propri strumenti teorici che caratterizza vari
economisti americani. Vi è, soprattutto, una difesa della scienza
economica e delle leggi economiche contro la politica economica e la politica
in generale . Mentre il governo
® M. Vaudagna, New Deal e corporativismo nelle riviste politiche
ed economiche italiane, in G. Spini, G. G. Migone, M. Teodori,
Italia e sno dalla grande guerra a oggi, Padova, Marsilio,
1976,108. idem. fascista accentuava l’intervento dello Stato
nell’economia, i liberisti cercarono di ridimensionare la portata della
crisi e di attribuirne le cause, in ultima istanza, alla politica
protezionistica promossa dai vari Stati dopo la prima guerra mondiale e,
quindi, a errori di uomini allontanatisi dalle leggi economiche . Già nel 1931
Luigi Einaudi, svolgendo su La
Riforma sociale delle riflessioni in disordine sulla crisi, aveva individuato nel
crack del 1929 la manifestazione di quei
cicli brevi che sono dominati dagli errori degli uomini e, in quanto tali, facilmente superabili.
L’insorgere di uno squilibrio fra domanda e offerta, una delle cause
della crisi, era imputato moralisticamente a una deviazione dai
modelli tradizionali di vita delle classi inferiori aspiranti a salire
nella scala sociale. Se in Russia, osservava,
non è concepibile crisi in
quanto domanda e offerta coincidevano
forzatamente per l’intervento
dello Stato soffocatore della libertà e delle aspirazioni individuali, il modello
americano, che faceva tendere ad un alto tenore di vita tutte le
classi, era un elemento perturbatore dell’equilibrio fra produzione e
distribuzione del reddito: di qui la convinzione che la crisi via via si attenuerà a mano a
mano che i nuovi ceti diventeranno vecchi e che il mare sociale in
tempesta si acqueterà. Ogni classe ed ogni ceto ritornerà a poco a poco a
pregiar se stesso, a vivere secondo i propri gusti fondamentali e
tradizionali , in modo che
l’industria potrà assai meglio prevedere la domanda di beni da
parte di una società meno fluida, meno
commossa da mutazioni e commistioni di ceti inetti a comprendersi a
vicenda e furiosamente spinti ad imitare gli aspetti più appariscenti della
vita di ognuno di essi . E, mentre negava la novità della crisi presente e confutava i
suggerimenti di Keynes cosî come l’utilità di ogni piano economico,
mosso dal terrore per il gigantismo industriale ribadiva il suo arcaico
ideale di un mondo economico dominato dai piccoli produttori, che si
illudeva di veder realizzato in Italia, dove probabilmente il peso relativo della
piccola impresa famigliare, pudicamente condotta fuori degli occhi
curiosi degli statistici, è grandissimo, superiore a quanto si immagina
dai più. Forse quel peso è crescente. Contro i piani internazionali,
contro i consigli dei periti, la sanità fondamentale italiana ha reagito
concentrandosi nella infrangibile unità famigliare : un ideale, il suo, che
poteva incontrarsi con alcuni aspetti della dottrina sociale cattolica e
della propaganda ruralistica del regime . Analoga era la posizione
di Attilio Cabiati, che in Crisi del liberismo o errori di uomini?
accompagnava l’analisi dei fenomeni economici, sufficientemente
articolata, con un ferreo dogmatismo, affermando che l’abbandono dei principi economici, messi in
disparte in omaggio a vere o presunte necessità politico-sociali, ha sviluppato
nel mondo intero, come naturale conseguenza, una serie di disastri
economici ; l’economia, aggiungeva ricordando Pareto e Barone, è una scienza precisa la quale obbedisce a
leggi naturali. Per cui sia che l’organizzazione economica resti
abbandonata al self interest dei singoli, sia che venga data nelle mani
dello stato sotto una forma qualsiasi, una condizione è necessaria: che i
privati o il ministro della produzione agiscano secondo le leggi nazurali della
scienza economica . Si comprende quindi
come la domanda formulata nel titolo del volume fosse puramente retorica, e
come Cabiati considerasse la crisi, e i mezzi messi in atto da
Roosevelt per superarla, come errori di
uomini , frutto cioè dell’indebita ingerenza della politica
nell’economia. A sostegno di questa tesi viene proposta l’opera di uno
dei più ‘autorevoli esponenti neo-classici della London School of
Economics, Lionel Robbins, che agli insegnamenti di Mar- Einaudi, Saggi,
Torino, La Riforma sociale, 1933, parte II, 228, 373, 377, 405-410, 515.
Il 17 marzo 1939 Einaudi inviava a Mussolini una lettera in cui
considerava la proposta di introdurre nel codice civile l’ indivisibilità
dei fondi rustici un freno alla piccola proprietà e allo sviluppo
demografico del paese (ACS, Segreteria particolare del Duce, Carteggio
ordinario, fasc. 528771, sottofasc. 2). 7 A. Cabiati, Crisi del
liberismo o errori di uomini?, Torino, Einaudi, 1934,9-11. Contro il
ricorso all’immutabilità delle cosf dette leggi economiche, ripiego in
cui si annida il falso presupposto della naturale armonia degli interessi
, espresso in un altro volume di Cabiati (Il finanziamento di una grande
guerra, Torino, Einaudi, 1941), si schierava A. Brucculeri, Ecomozzia
bellica, in La Civiltà cattolica , shall cui si rifacevano, a Cambridge, pur
con posizioni diverse, Pigou e Keynes anteponeva quelli di Pareto,
von Mises e Wicksteed. In Di chi la colpa della grande crisi? E la via di
uscita Robbins, nei cui riguardi i liberisti italiani dimostravano una
speciale venerazione, affermava che dopo la guerra il raggruppamento delle imprese industriali
in consorzi, l’accresciuta forza dei sindacati operai, il moltiplicarsi
dei controlli governativi hanno creato una struttura economica che, quale
che possa essere la sua superiorità etica od estetica, è certo assai meno
capace di rapidi riadattamenti di quanto lo fosse il vecchio sistema
pit aperto alla concorrenza . E analizzando i provvedimenti dei
vari governi moneta manovrata e protezionismo
scorgeva il pericolo di uno scivolamento verso il socialismo, in
parte già in via di realizzazione: Il carattere nettamente
socialistico della politica economica in Inghilterra, e in tutto il mondo
moderno, non è determinato dagli elementi obbiettivi della situazione, o
dal fatto che le masse abbian deciso di riorganizzare socialisticamente
la produzione. Se la politica economica ha questo carattere è perché
uomini d’intelletto e di cultura hanno creato la teoria socialistica e hanno
gradualmente convertito alle loro idee le masse ?3. Le stesse
preoccupazioni per il socialismo di
Stato paventato dai liberisti italiani
sono avvertibili nella rac 7 L. Robbins, Di chi la colpa della
grande crisi? E la via di uscita, prefazione di L. Einaudi, traduzione di
S. Fenoaltea, Torino, Einaudi, 1935 (ediz. originale 1934, col titolo The
Great Depression),10, 80, 219. Fenoaltea scriveva all’editore di aver
fatto rivedere la traduzione da Luigi Einaudi, e di aver proposto
l’opera per il desiderio, e quasi
per il dovere morale, che sentivo di far conoscere agli italiani questo
libro cosi bello, cosî coraggioso, e così necessario (AE, Fenoaltea). Su Robbins in italiano C. Napoleoni, I/ pensiero
economico del ’900, Torino, Einaudi, 1976,35-43, e l’introduzione di V.
Malagola Anziani a L. Robbins, La base economica dei conflitti di classe,
Firenze, La Nuova Italia, 1980. 74 Il 13 aprile 1934 Vittorio
Racca scriveva dagli Stati Uniti a Luigi Einaudi che nelle riforme rivoluzionarie presidenziali
americane si fa macchina indietro a tutto spiano; il paese, sia perchè
vede che la recovery sta venendo in modo indiscutibile, sia perchè, come
conseguenza di ciò, si rifà coraggio, sia perchè si vede che quelle
riforme ritardano, invece di favorire il ritorno della vita normale, non
ne vuole più sapere di socialismo di Stato (AFE, Racca). Già il discorso del 1°
226 Le origini della casa editrice Einaudi
colta di saggi degli economisti di Harvard su I/ piano Roosevelt: gli autori,
pur dichiarandosi ben lungi dal
credere che l’individualismo del secolo decimonono rappresenti
l’apice della perfezione per tutti i tempi , si mostrano contrari all’ingerenza
della politica nell'economia e favorevoli a un laissez faire corretto in
modo tale da impedire lo sfruttamento dell’uomo sull’uomo senza cadere nella
soluzione socialista. Mentre per Joseph A. Schumpeter l’unico carattere distintivo della presente
crisi mondiale è il fatto che i
motivi extra-economici recitano la parte principale del dramma , Overton
H. Taylor, trattando esplicitamente del
conflitto fra economia e politica , sostiene che l’interesse economico effettivo di ogni
gruppo o frazione di popolo dev'essere riposto in una generale rinunzia o
severissima limitazione della legislazione di classe e della lotta per il
potere e l’avvantaggiamento relativo, che vi sta alla base, salvo che
qualche gruppo o classe possa realmente sperare di condurre a compimento
una soluzione sociale secondo il modello marzistico ; tutto il suo
ragionamento è cosi indirizzato a chiedere il ristabilimento
dell’economia di mercato e a confutare i
nuovi radicali , privi di quel
realismo economico il quale deve riconoscere che, nella nostra
presente situazione, l’interesse comune a una generale ripresa degli
affari onesti, dell’agricoltura e dell’occupazione operaia è massimamente
minacciato dalla strategia del potere e delle illusioni economiche delle classi
malcontente Il giudizio sul
New Deal non è sostanzialmente modificato da alcune note informative sulle
riviste einaudiane o dal reportage giornalistico di Amerigo Ruggiero , né
dalla novembre 1934 in cui il segretario di Stato Cordell Hull si
dichiarava disposto ad abbassare i dazi doganali, era salutato come
L'atto di contrizione degli Stati Uniti ( La Riforma sociale). 7 J.A. Schumpeter, E.
Chamberin, E. S. Mason, D. V. Brown, S.E. Harris, W.W. Leontiefi, O.H. Taylor, Il piano
Roosevelt, traduzione di Mario De Bernardi, Torino, Einaudi, M. Einaudi, Dopo un anno di governo di
Roosevelt, La Cultura Racca, Il New Deal rooseveltiano: in che consiste,
e Il New Dedl rooseveltiano: gli effetti, in La Riforma sociale , A.
Rug stessa pubblicazione di due opere di Henry A. Wallace, ministro
dell’agricoltura dell’amministrazione Roosevelt, che pur dimostrano un
intento informativo da parte della casa editrice. Presentando Che cosa
vuole l'America? libro nel quale
Mussolini vide la conferma che anche gli Stati Uniti andavano verso l’economia corporativa , Luigi
Einaudi riconosceva per la prima volta che
il New Deal in fondo è un nobile tentativo di far qualcosa,
non perché si sappia che quel qualcosa sarà fecondo di risultati
vantaggiosi, ma perché urge il dovere di lottare contro la disperazione,
di infondere coraggio, di impedire che milioni di uomini si rivoltino
contro la società e distruggano, nell’impeto dell’ira, il risultato di tre
secoli di sforzo laborioso ; ma si premurava al tempo stesso di mettere in
evidenza la grande illusione di Wallace 7, un liberista costretto dalla realtà della
crisi ad ammettere il controllo statale sull'economia, nella speranza che
la nuova epoca si persuadesse che
l’umanità possiede oggi tanta potenza mentale e spirituale e tanto
dominio sulla natura da togliere per sempre ogni valore alla teoria della
lotta per la vita e sostituirla con la legge più alta della cooperazione
. Wal. lace appariva infatti combattuto fra le necessità del momento e le
prospettive di più lungo periodo, prestandosi quindi anche a una lettura
non distante dalla posizione dei liberisti italiani, preoccupati pur
sempre delle tendenze monopolistiche del capitalismo contemporaneo:
poiché l’antico sistema, affermava Wallace,
era il prodotto di un’avidità e di un opportunismo sfrenati ,
siamo stati costretti per forza a pensare in termini non di produzione e
di commercio liberi, ma di produzione e di commercio programmati dentro e tra
le nazioni. Il rifiuto di Adam Smith a tracciare meschine piccole linee locali
di confine attorno ai concetti di giero, L’America al bivio,
Torino, Einaudi, 1934. Ruggiero pubblicherà nel 1937 presso Treves un
volume sugli Italiani in America, lodato da Gerarchia perchè metteva in risalto la grandiosa opera
di valorizzazione dell’Italia intrapresa dal Fascismo Wallace, Che cosa vuole l’America?,
introduzione di L. Einaudi, Torino, Einaudi, 1934 (ediz. originale
1934),25 (Einaudi dichiara di averlo tradotto lui stesso:12); L. Einaudi,
La grande illusione di Wallace, in La Cultura , commercio e di civiltà può
tuttavia ancora adesso giustamente incoraggiare le menti ed i cuori a compiere
sforzi più grandi. Un popolo libero sente vivacemente il dolore del
nazionalismo, cioè del protezionismo e dell’isolamento economico .
Anche in Nuovi orizzonti, in cui pur si vide la proposizione di un
programma sostanzialmente identico al
sistema corporativo italiano ?, Wallace
osservava la necessità di controliare
quella parte del nostro individualismo che produce l’anarchia e la
miseria diffusa , assicurando che affidarsi
a simili espedienti di redistribuzione del reddito e delle possibilità,
non ci fa cadere nel socialismo e nel comunismo. E nemmeno costituisce il
metodo dei pirati capitalistici della scuola economica neomanchesteriana
; ma affermava anche la temporaneità dei centrolli statali
sull'economia, per concludere con una proposta conforme agli ideali
del New Deal, ma difficilmente assimilabile a quelli del
corporativismo: La democrazia economica dovrebbe forse create i
freni e i mezzi d’equilibrio che caratterizzano la democrazia politica,
ma essa deve anche porre l’accento su un pronto ed attivo apprezzamento
delle relazioni economiche mutevoli. La democrazia economica deve
trovarsi in posizione tale da resistere a sconsiderate pressioni
politiche. Al tempo stesso, essa deve effettivamente rispondere ed essere
prontamente ben disposta verso le necessità urgenti del popolo da cui
sgorga il potere. La proposta da parte di Luigi Einaudi che pur
si preoccupava di premettervi sue
avvertenze di testi che non
riflettevano soltanto le opinioni di liberisti, ma erano passibili anche
di una lettura in senso corporativista, 78 H.A. Wallace, Che cosa
vuole l’America?,Gazzetti osservava che il lettore fascista avrà modo leggendo
il libro di vedere che le più indovinate istituzioni americane sono state
imitate da analoghe iniziative del Regime, persino le migrazioni
interne! { Bibliografia fascista , X (1935),495). 79 la recensione di E. Corbino in Nuova rivista
storica , Wallace, Nuovi orizzonti, traduzione di M. De Bernardi,
Torino, Einaudi, 1935 (ediz. originale 1934, col titolo New Frontiers è indice
della consapevolezza che il dibattito mondiale sulla crisi stava
assumendo negli anni ’30 tendenze sempre pit decisamente
anticapitalistiche, che in Italia avevano un qualche riscontro nelle tesi
del corporativismo di sinistra e dell’ economia programmatica , che ai suoi
occhi apparivano, in quanto statalistiche, pericolosamente otientate
verso il socialismo . Di qui la presentazione, accanto a Wallace, di un
autore moderato come Arthur C. Pigou, che quanto meno
salvasse l’essenza del capitalismo e desse garanzie in senso
antisocialista. In Capitalismo e socialismo il successore di Marshall
nella cattedra di Cambridge, al termine dell’analisi di pregi e difetti dei
due sistemi economici, proponeva di mantenere la struttura generale del
capitalismo modificandola però
gradualmente con interventi statali al fine di ridurre le diseguaglianze più gravi
nelle fortune e nelle occasioni di avanzamento che offendono la nostra
presente civiltà : la proposta non
era certo tale da riscuotere pienamente le simpatie di Einaudi, per
il quale Pigou oggi sarebbe un New
Dealer rooseveltiano negli Stati Uniti o un corporativista in Italia , e
appariva ingenuo nell’assumere come
verità sacrosante le favole raccontate e rammostrate dai comunisti russi,
consumatissimi mistificatori, ai coniugi Webb, che sono forse stati nel
campo scientifico la conquista più preziosa dei bolscevichi l’allusione era alla celebre opera
sull’URSS che nel 1938 la casa editrice si rifiutò di tradurre ; ma
l'intervento dell’economista inglese si giustificava come solido argine
nei confronti dei detrattori del capitalismo: gli studenti di Cambridge affermava infatti
Einaudi -, sceltissimo fiore del paese reputato il più
aristocratico del mondo, affettano oggi quasi tutti di essere comunisti.
Il libretto di Pigou è una doccia fredda per codesti puri
consequenziarii ®. 81 L. Dal Pane, Commemorazione di Luigi
Finaudi,312. 82 A.C. Pigou, Capitalismo e socialismo. Critica dei
due sistemi, traduzione di G. Borsa, Torino, Einaudi, 1939 (ediz. originale
1937), 137-138. 83 Ibidem,2-4 (Avvertenza di L. Einaudi). La
traduzione dell’ opera dei Webb, lodata da Umberto Calosso su Giustizia e Libertà 230
Le origini della casa editrice Einaudi Destinata a una
maggiore risonanza e a ricevere il plauso dei recensori fascisti era la
critica severa della società sovietica svolta da William H. Chamberlin in L'età
del ferro della Russia, dove il titolo stava a indicare il periodo
del primo piano quinquennale ma anche i metodi ferrei con cui era
stato condotto. Il libro è stato scritto
prima delle recenti manifestazioni di terrorismo all’interno e di
aiuto dato all’estero ai movimenti sovvertitori dell’ordine sociale
avvertiva nel 1937, nel corso della guerra di Spagna, l'editore italiano . Ma
la potente analisi, tanto più spietata quanto più obbiettivamente
contenuta, dell’abbrutimento spirituale della Russia comunista, giustifica
la resistenza che l'Europa oppone vittoriosamente alla propagazione del
bolscevismo . Con uno stile vivacissimo e con frequenti ma scontati e
logori raffronti fra Stalin e Pietro il Grande, l’autore non si limitava
a illustrare il processo di industrializzazione dell'URSS, ma dedicava
ampio spazio al soffocamento delle libertà personali, civili e religiose,
da parte dell’ autocrate della repubblica rossa , un paese in cui si
poteva notare il realizzarsi di una
teoria fanatica che arreca grandi mutamenti di vita e di pensiero
ed al tempo stesso condanna alla distruzione milioni di avversari ,
0 il risorgere in nuove forme, e sotto
la maschera di frasi nuove, di tipiche antiche concezioni russe come il
diritto assoluto dello stato a servirsi degli individui e distruggerli,
se cosî vuole, per il raggiungimento dei suoi scopi . E ciò senza che si
fossero raggiunti apprezzabili risultati dal punto di vista economico,
perché, se con il grano, il caffè
e il cotone distrutti si potrebbe idealmente formare una montagna come
monumento alle follie e alle debolezze del capitalismo, una montagna non
meno grande si potrebbe innalzare nell’URSS con tutte le merci che
sono state sprecate e distrutte non volontariamente, ma per effetto
di incuria e di inefficienza proprio quando la mancanza di viveri si faceva più
acutamente sentire . Di qui (7 febbraio 1936), era stata
consigliata da Alessandro Schiavi a Giulio Finaudi, che il 18 febbraio
1938 gli rispondeva: Ma non Le pare
che gli Autori prendano troppo sul serio l’economia programmatica
dei Sovieti? (AE, Schiavi).
l'insegnamento di carattere generale che da questo, come da altri volumi
della collana, poteva trarre il lettore:
L’esperimento russo ha dimostrato all’evidenza che l’economia
programmatica non è una panacea, che nel funzionamento di un sistema economico
strettamente centralizzato e controllato dallo stato possono verificarsi
errori non meno disastrosi delle deficienze e degli attriti di un sistema
che funzioni senza il beneficio di un piano . Un giudizio che, se non poteva
incontrare la piena approvazione dei liberisti, poneva sul tappeto un
quesito al quale i corporativisti affermavano di aver già risposto, ma che al
tempo stesso era riformulato come ancora irrisolto dalla rivista di
Codignola Civiltà moderna ,
secondo la quale resta uno dei problemi
fondamentali del regime sovietico quello di trovare quanto individualismo
sia necessario pel funzionamento d’un sistema collettivista, cosî come in
altri paesi il problema è quello di trovare quanto controllo collettivo
debba istituirsi per far bene funzionare un sistema individualista! ®. i Il quesito verrà riproposto,
addirittura con alcuni arretramenti teorici in senso liberista, nei volumi di
economia pubblicati dalla casa editrice nel 1945-46. Non è quindi
da stupirsi che nel 1944, dopo la caduta di Mussolini, apparisse come
ultimo titolo dei Problemi contemporanei
curati da Luigi Einaudi un altro volume di Robbins, Le cause
economiche della guerra, dove, più che la critica 3 W.H.
Chamberlin, L'età del ferro in Russia, traduzione di S. Fenoaltea,
Torino, Einaudi, 1937 (ediz. originale 1934),11-12, 21, 74, 76. L'entusiasmo è un po’ gonfiato a causa delle
circostanze, ma in fondo il libro si meritava una buona accoglienza ,
scriveva l’editore a Fenoaltea il 16 febbraio 1937 (AE, Fenoaltea).
Chamberlin pubblicò anche, nel 1937, Collectivism, a False Utopia.
85 Recensione di A. Rapisardi Mirabelli, in Civiltà moderna , Per
Felice Battaglia il libro mostrava
l’organizzazione concreta, in atto, del regime, la vita dolorosa di un
popolo, che ignora ogni attributo della persona e si consuma in un tono
assai basso di esistenza economica e morale, senza neppure supporre
che altri possa realizzare forme più soddisfacenti ( Rivista storica italiana , s. V, I
(1936),103); libro di informazione onesta, spassionata , retto dall'idea
che alla dinastia degli zar sia
subentrata una dinastia di fanatici sacerdoti marxisti, appariva al
Meridiano di Roma (II, 24 gennaio 1937). . 232
Le origini della casa editrice Einaudi svolta dall’autore nei
confronti della teoria leninista dell’imperialismo e la sua proposta degli
Stati Uniti d'Europa in quanto non
il capitalismo, ma l’organizzazione politica anarchica del mondo è il
male principale della nostra civiltà , interessa l’avvertenza dell’editore, che
in Robbins vedeva l’esponente di quelle forze politiche e
culturali che intendono superare
gli inconvenienti e le deficienze della moderna civiltà capitalistica
senza apportare nessuna vera trasformazione strutturale, nessuna
modificazione profonda e rivoluzionaria all’attuale organizzazione sociale
; e, nella preoccupazione per il futuro, il lettore era invitato
a giudicare ogni forma di riformismo e
la validità degli apporti, che possono ancora offrire le forze
conservatrici nel nuovo mondo che si prepara Mentre, nonostante questi limiti, nei testi
dedicati agli aspetti internazionali della crisi poteva passare una polemica
indiretta nei confronti della politica economica del regime, nei volumi
della collana che affrontano i problemi economici italiani è avvertibile, nel
migliore dei casi, una cautela dettata dal timore della censura fascista.
Già il 28 marzo 1931, scrivendo a Luigi Einaudi a proposito dei tagli
ritenuti necessari per un suo articolo, Edoardo Giretti affermava che è molto mortificante di non sapere più
quello che si può dire e quello che invece bisogna tacere; ma d’altra
parte è anche giustissima la preoccupazione di conservarci il mezzo di poter
dire alcune delle cose che si pensano e che, forse, è ancora utile di far
conoscere intorno a noi . Sempre Giretti, parlando del volume scritto in
collaborazione col nipote Luciano su Il protezionismo e la crisi, che
esprimeva giudizi sulla politica economica del regime, scriveva di
aver già fatto il possibile per non dire
niente di più di quello che oggi si può dire, ma vi è sempre il peri
86 L. Robbins, Le cause economiche della guerra, traduzione di E. Rossi,
Torino, Einaudi, 1944 (ediz. originale 1939),95. Il libro era stato
proposto all’editore da Ernesto Rossi il 1° luglio 1942 (AE, Rossi). È
meraviglioso vedere come le menti degli economisti liberali inglesi siano
aperte alle idee fondamentali del fascismo , come il corporativismo e il
concetto dell’ ordine nuovo europeo antisovietico , affermerà f. p.[Felice
Platone] recensendo il libro su
Rinascita colo di non dimostrarsi abbastanza... reticenti . Tuttavia, proprio questo volume è fra i più
coraggiosi nella polemica: svolgeva, con frequenti citazioni da La condotta e
gli effetti sociali della guerra italiana di Luigi Einaudi, una
dura critica dei provvedimenti protezionistici, lodando le coraggiose riforme in senso liberista di De Stefani, il
cui abbandono veniva giustificato con le
difficoltà inerenti al generale disordine delle relazioni internazionali,
ed ai contrasti tosto abilmente suscitati dai gruppi organizzati per la
difesa dei loro particolari interessi minacciati . Ma osservava che
l’isolamento economico, se poteva non danneggiare paesi con ampio mercato
interno, era un assurdo per
l’Italia; in particolare Luciano Giretti, dopo aver affermato che il raggiungimento dell’autarchia, portando
naturalmente con sé la riduzione a zero delle esportazioni, farebbe incontrare
enormi perdite agli interessi produttivi dipendenti dai mercati mondiali
, sosteneva la necessità di tornare al liberismo, pur con tutti i suoi
limiti . Polemico era anche il volume di De Viti De Marco che
sosteneva l’erroneità della teoria secondo la quale la banca crea
credito, lodato da Einaudi che notava come
su questa teoria, se ben si rifletta, riposano quasi tutte le
modernissime proposte le quali vorrebbero che la banca fosse la
suprema regolatrice del credito e della attività industriale, la
leva necessaria per risanare le crisi e far uscire il mondo dalla
depressione ® In altri
volumi, invece, il giudizio sulla politica econo 87 AFE, E. Giretti
(lettere del 28 marzo 1931 e del 14 ottobre 1934). 88 E. e L.
Giretti, Il protezionismo e la crisi, Torino, Einaudi, 1935, 54-55, 77,
143; era necessario, si afferma, tornare
a quel libero scambio che, se non rende possibile un alto tenor di vita in un
paese, dove le risorse naturali sono misere, il lavoro poco produttivo e
gli imprenditori poco geniali; se non impedisce il triste fenomeno della
disoccupazione dovuta alle oscillazioni del ciclo economico; se non porta
infine alla prosperità un popolo che per varie ragioni non può ottenerla,
va almeno esente da tutti i mali che della protezione sono
caratteristici, ed ha tuttavia influsso benefico nel far sf che ognuno
sfrutti nel migliore dei modi il proprio lavoro, ottenendo la massima
quantità di beni in cambio di quelli che egli stesso ha prodotto (pp.
163-164). 8 A. De Viti De Marco, La funzione della banca.
Introduzione allo studio dei problemi monetari e bancari contemporanei,
Torino, Einaudi, 1934; recensione di L. Einaudi ne La Cultura , XIII
(1934),136. 234 Le origini della casa editrice
Einaudî mica del regime risulta più favorevole di quanto ci si
sarebbe immaginato sulla base dell’impostazione liberista della collana.
Alcuni si presentano come contributi alla soluzione di problemi economici
concreti, come La questione petrolifera italiana (1937) di Cesare
Alimenti, che pur sostiene l’insufficienza dell’autarchia basata sull’uso dei
succedanei del petrolio, o L'agricoltura italiana e l’autarchia (1938) il
cui autore, il senatore Arturo Marescalchi, già sottosegretario
all’agricoltura dal 1929 al 1935, espone una serie di consigli pratici
per obbedire all’invito all’autarchia alimentare rivolto da Mussolini nel
discorso alle Corporazioni del 15 maggio 1937 . Meritevole di un premio
dell’Accademia d’Italia è il volume sulle Sanzioni di Luigi Federici,
teso a dimostrare che la unità di
spirito di idee di volontà che oggi noi possiamo vantare è assieme
all’ordinamento corporativo la migliore forza posta al servizio del paese per
realizzare l’unità di azione necessaria per resistere e per spezzare il
blocco . Comprensivo verso i
provvedimenti governativi culminati nella istituzione dell’IRI si dimostra lo
stesso Cabiati, osservando che
quando le classi industriali agricole e finanziarie di un paese
reclamano ad ogni difficoltà l’aiuto dello stato, è logico che questo, per ben
amministrare il danaro pubblico, imponga loro la sua tutela e la sua
sorveglianza . E fino ad un’esalta
% Il 10 febbraio 1938 l’editore, annunciando a Marescalchi che il suo
volume era pronto, scriveva: Ho pensato
che il volume potrebbe essere distribuito, a cura del Ministero
dell’Agricoltura, alle Cattedre Ambulanti, Scuole agricole, biblioteche
provinciali, ecc. (AE, Marescalchi). 91 L. Federici, Sanzioni,
Torino, Einaudi, 1935 (II ediz. 1936), 12; il 19 ottobre 1935 l’autore
scriveva a Luigi Einaudi che avrebbe redatto il volumetto secondo lo
schema da Lei suggeritomi (AFE, Federici). Federici, già allievo di
Einaudi, era responsabile della pagina finanziaria de L’Ambrosiano . 9 A. Cabiati,
Crisi del liberismo o errori di uomini?,173; dando notizia di un altro
lavoro di Cabiati (Il finanziamento di una grande guerra, cit.), Luigi
Einaudi affermava che l’autore ammira la teoria germanica odierna, per
cui la finanza è subordinata alla guerra ed il ministro delle finanze non
fa neppure più parte del Comitato della politica economica; ma pone le
condizioni ed i limiti dello sforzo che il paese può sostenere per la
condotta della guerra. La teoria cosî continuamente si rinnova, ma non rinnega,
pure perfezionandole e adattandole alle nuove esperienze, le verità
antiche ( Rivista di storia economica
zione retorica della politica economica del regime si spingeva Franco
Ballarini, che non si limitava a lodare il discorso di Pesaro e tutta la
politica monetaria del governo o l’istituzione dell’IRI, ma arrivava ad
affermare che in un mondo
brancolante fra puro comunismo alla russa, supercapitalismo dei trusts o
cartelli privati e capitalismo di Stato, la luce venne dall’Italia. Si chiamò
corporativismo . Ancora più concretamente Francesco Repaci, uno dei più
fedeli collaboratori di Luigi Einaudi, lodava il riordinamento della finanza
locale attuato con il testo unico del 1931 e con la legge comunale e
provinciale del 3 marzo 1934, specificando che la riduzione del 12% sulle
retribuzioni del personale era stato
elemento idoneo a migliorare la situazione finanziaria degli enti
locali . La collana non si
limitò quindi a una funzione di orientamento teorico generale, ma svolse
anche una serie di interventi su temi concreti, negando quello che era
stato un presupposto originario del suo ispiratore. Nel 1942,
presentando l’Introduzione alla politica economica di Costantino Bresciani
Turroni che dopo la Liberazione avrà anch’egli un ruolo rilevante, come
presidente del Banco di Roma, Luigi Einaudi riconoscerà infatti
che, dopo avere lungamente creduto anch’io che ufficio
dell’economista non fosse di porre i fini al legislatore, bensi quello di
ricordare, come lo schiavo assiso sul carro del trionfatore, che la Rupe
Tarpea è vicina al Campidoglio, che cioè, qualunque sia il fine
perseguito dal politico, i mezzi adoperati debbono essere sufficienti e
congrui; oggi dubito e forse finirò col concludere che l'economista non
possa distinguere il suo ufficio di critico dei mezzi da quello di
dichiara 9 F. Ballarini, Dal liberalismo al corporativismo, Torino,
Einaudi, 1935,131. A Marco Fanno, giudicato da Giuseppe Bruguier
molto vicino all’ideologia corporativa (I/ corporativismo e gli
economisti italiani, Firenze, Sansoni, 1936,57-59), e autore de I
trasferimenti anormali dei capitali e le crisi (Torino, Einaudi, 1935),
Luigi Einaudi chiese di scrivere un volumetto di Economia Corporativa (AFE, Fanno, 30 luglio 1934).
% F.A. Repaci, Le finanze dei comuni, delle provincie e degli enti
corporativi, Torino, Einaudi, 1936,61. Come giustificazione dell’intervento
italiano in guerra fu apprezzato dalla stampa fascista B. Minoletti, la
marina mercantile e la seconda guerra mondiale, Torino, Einaudi, (na i
Venta fascista , XIX (1940),14, e Leonardo tore di fini; che lo studio dei fini
faccia parte della scienza allo stesso titolo dello studio dei
mezzi, al quale gli economisti si restrin5 gono 9. La
collana da lui diretta fino al 1944, se non giunse a porte i fini al legislatore , in alcuni casi
si fece portavoce di quest’ultimo. Ma la situazione cambierà
drasticamente un anno dopo. Nell’ottobre del 1945, dal suo posto di
governatore della Banca d’Italia, Luigi Einaudi proporrà al figlio di
pubblicare una serie di volumi sui
Problemi italiani scritti nel modo pi oggettivo possibile con l’aiuto, per la raccolta dei dati,
dell'Ufficio Studi della Banca da autori di orientamento liberista, sotto
la supervisione di Bresciani Turroni. Ma il nuovo indirizzo della casa
editrice, che pur dimostrerà una certa fatica a superare l'impostazione
originaria sui problemi economici, non poteva più accettare le proposte
di Luigi Einaudi: trincerandosi dietro il rifiuto dell’ obiettività che i liberisti non avevano certo
rispettato il consiglio editoriale gli rispose che intendeva presentare al pubblico italiano non
soltanto un materiale di studio e di lavoro, ma anche un’opinione ben definita,
un orientamento costruttivo. Vogliamo quindi che l’aspetto strettamente
economico di un problema non sia scisso dal suo aspetto politico: perciò, se
chiediamo all’autore serietà e obiettività di documentazione, gli
chiediamo anche di indicare la sua soluzione politica, che sarà proposta
alla libera discussione del pubblico
. E nella collana Problemi
italiani appariranno i volumi di
Dorso, Grifone, Sereni e Grieco. # C. Bresciani-Turroni,
Introduzione alla politica economica, prefazione di L. Einaudi, Torino,
Einaudi, 1942,15-16. A difesa del liberismo di Bresciani Turroni, e in
polemica con un articolo di Guido Carli su Civiltà fascista , anche L. Einaudi, Economia di mercato e
capitalista servo sciocco, in Rivista di storia economica Su Bresciani
Turroni la voce di Amedeo Gambino
in Dizionario biografico degli italiani, vol. XIV, Roma, Istituto della
Enciclopedia Italiana, 1972. 9% Lettera di Luigi Einaudi a Giulio
del 31 ottobre 1945, e risposta a Luigi Einaudi del 7 novembre 1945 (AE,
L. Einaudi). Le firme dei liberisti da Luigi a Mario Einaudi, a
Cabiati, Giretti e De Bernardi compaiono anche su La Cultura , a segnalare i volumi della
collana Problemi contemporanei , ma non
sono tali da caratterizzare la rivista, centro di esperienze culturali
più avanzate, che ritroveremo in altre collane della casa editrice.
Quando appare nel 1934 per i tipi di Giulio Einaudi, La Cultura si presenta completamente
rinnovata rispetto alla serie di Cesare De Lollis e a quella che le era
succeduta dal 1929 al 1933, con Ferdinando Neri e Arrigo Cajumi: nuova
nella veste tipografica, vede alternarsi nel suo comitato
direttivo, accanto a Cajumi e Pavese, Sergio Solmi, Franco Antonicelli,
Bruno Migliorini, Pietro Paolo Trompeo, Vittorio Santoli e Norberto
Bobbio, a dimostrazione di un legame anche fisico con la precedente
tradizione della rivista ma, al tempo stesso, della volontà di un
cambiamento non solo generazionale. Mentre scompaiono molti collaboratori
di De Lollis, assorbiti dalle iniziative culturali del regime pensiamo ad esempio ad Alberto Pincherle,
Giorgio Levi Della Vida, Guido Calogero, Umberto Bosco o Felice
Battaglia, impegnati da Gentile nell’Enciclopedia italiana, fra i nuovi
appaiono vari allievi, al liceo D'Azeglio, di Augusto Monti, Zino Zini e
Umberto Cosmo, che si riallacciano per questa via alla tradizione gobettiana,
rivissuta politicamente, da alcuni, nella militanza tra le file di
Giustizia e Libertà. Novità si registrano anche nei contenuti non
più % Il 27 luglio 1935, riferendo al Ministero dell’interno sugli
arresti del gruppo einaudiano come aderente a Giustizia e Libertà, il
prefetto di Torino scriveva: Detta setta si serviva a Torino
dell’attività della Casa Editrice Einaudi la quale segnatamente con la
pubblicazione della rivista pseudo letteraria La Cultura era riuscita a
riunire una cerchia di intellettuali e di antifascisti ed a servirsi di
redattori e collabotatori in maggior parte ostili al Regime Fascista e
noti per aver svolto in passato attiva propaganda contro il Fascismo ; e
aggiungeva che Giulio Einaudi,
all’atto del suo arresto, non esitò a riconoscere la polarizzazione
intorno alla rivista ‘La Cultura’ di tutto il cosidetto ambiente
antifascista torinese (ACS, Casellario politico centrale, b. 1877, fasc.
52997). dibattiti sulla scuola o sulla religione, meno filosofia e
più storia, interesse per i problemi contemporanei , pur nella
continuità col passato, quale si manifesta nell’apertura europea con una
particolare attenzione per la cultura francese e in una certa
oscillazione fra crocianesimo e anticrocianesimo, anche se quest’ultimo
fu presente in misura maggiore. L’idealismo dei collaboratori della
rivista einaudiana, infatti,
conobbe sfumature molto particolari, si atteggiò in forme proprie,
cercò sempre, pit o meno lucidamente, il contatto con esperienze diverse . Pi accentuata che nella critica estetica di
De Lollis è, ad esempio, l’attenzione per il metodo filologico e per la
collocazione del letterato nel suo tempo, come risulta dalle recensioni
di Cajumi, di Santoli o di Piero Treves !®. E decisamente
anticrociano è il direttore effettivo della rivista, Cajumi, che nel 1934
si scaglia con virulenza contro la critica idealistica rappresentata dai
volumi laterziani di Luigi Russo, Elogio della polemica e Giovanni Verga,
richiamandosi alla battaglia contro la
critica filosofica già condotta
nel 1910 da erra: Fierissimi avversari del cattolicesimo
temporale e delle sue pretese (tanto da assumere lo stesso tono stizzoso dei
contradditori), ma conservatori con un soupgon di nazionalismo;
riformatori per inse diar la loro filosofia nella scuola, ma poi
estraniati dalla rivoluzione 98 Mario Praz, fedele agli interessi
prevalentemente letterari della vecchia serie della rivista, il 1° febbraio
1934 annunciava le sue dimissioni da condirettore a Cajumi, che gli aveva
indicato le novità della serie einaudiana: Rivista mensile su due
colonne, tipo Economist, articoli brevi ed attuali (AE, Praz). Il 23 gennaio 1935 l’editore
scriveva a Cabiati: mi permetto di ricordarLe l’articolo sul piano
Roosevelt. E cosi ci tireremmo un po’ fuori ogni tanto dalla solita zuppa
di critica rita ed estetica di cui il pubblico non vuol più saperne (AE, abiati). Sasso,
La Cultura nella storia della cultura italiana, in
La Cultura , XIV (1976) (numero speciale
Per i 70 anni di Guido Calogero ),82. Un accenno a Cajumi e ai
collaboratori de La Cultura come
un gruppo di intellettuali ben definito nella vita culturale italiana , in A.
Gramsci, Quaderni del carcere Recensendo Saffo e Pindaro di Gennaro Perrotta
pubblicato da Laterza, Piero Treves riteneva necessario inquadrare i
poeti nel loro tempo: Qualcosa, dunque, vi è, in un poeta, oltre la sua
poesia, che vale e che dura quanto e come la sua poesia (Storia e poesia nella Grecia arcaica,
in La Cultura , in cammino; nemici tanto
del letterato puro quanto di quello politicante, i seguaci dell’indirizzo
propugnato dal Russo appaiono a un osservatore imparziale un curioso
impasto di contraddizioni 10, Sul piano filosofico comincia a
muoversi contro l’idealismo Eugenio Colorni, pur allievo del mistico
Martinetti e collaboratore della
Rivista di filosofia , già orientato politicamente verso il socialismo
di Lelio Basso e di Rodolfo Morandi; la sua ricerca, incentrata intorno
all’analisi del pensiero leibniziano, ha modo di esprimersi sulla rivista
in discussione con La spiritualità dell’essere e Leibniz del cattolico
Giovanni Emanuele Bariè il quale, notava Colorni, si serviva di
Leibniz a scopi postkantiani e
idealistici , accentuando la concezione
dell’essere come spiritualità : era invece una violenza che il
pensiero postkantiano fa sul nostro potere d’interpretazione e di
sviluppo, di considerare tutto ciò che non è materiale nel senso comune
della parola, come necessariamente svolgentesi in forma di soggettività e di
pensiero. Ora, proprio la novità di Leibniz consiste nell’escludere
questa costrizione e nell’additare altre direzioni, diverse da quella
gnoseologica !2, Si manifestava cosi in
Colorni, come è stato osservato, un
consapevole atto di rottura [....] nei riguardi di una tradizione
spiritualistica di cui l’idealismo fu l’ultima incarnazione !°, Non mancano, talvolta, anche
dirette confutazioni della 101 A. Cajumi, La colpa è della
critica?, in La Cultura , XIII
(1934), 45-47; di questo articolo, dove vedeva la condanna sommaria
di tutto quello che si è fatto negli ultimi trent'anni , si lamentava
Russo con Finaudi il 31 maggio 1934 (AE, Russo). Sull’insufficienza
del fiuto filosofico per separare la
poesia dalla non poesia , dello
stesso Cajumi, Gustave Lanson, in La Cultura , XIV (1935),19; contrario
alla sostituzione della critica
filosofica alla storica si dimostra
anche Enrico Carrara recensendo Il! Quattrocento di Vittorio Rossi ( La
Cultura). 102 E. Colorni, Leibniz e una sua recente
interpretazione, in La Cultura Cosî
N. Bobbio nell’Introduzione a E. Colorni, Scritti, Firenze, La Nuova
Italia, 1975,VI. Per l’attività politica di Colorni la voce di E. Gencarelli in F.
Andreucci - T. Detti, Il movimento operaio italiano. Dizionario
biografico 1853-1943, vol. II, Roma, Editori Riuniti, 1976, e il profilo,
non privo di accenti agiografici, che gli ha dedicato Leo Solari, Eugenio
Colorni. Ieri e oggi, Padova, Marsilio. 1980. 240 Le
origini della casa editrice Einaud? cultura ufficiale, come
quando, di fronte al metodo attualizzante proposto da Gentile ne La profezia di
Dante, Umberto Cosmo il docente torinese che nel 1926 era stato costretto
a dimettersi dall’insegnamento per l’ incompatibilità fra il suo pensiero e la politica del regime
osservava che chi voglia comprendere
Dante nella sua interezza discorderà probabilmente da cotesti criteri ,
perché l’infinità dello Stato, la
potenza sua illimitata mi paiono concetti moderni che il teologo Dante
non poteva formulare a se stesso
!. Ma la più evidente linea distintiva della rivista dalla cultura
del regime, cosi come da Croce, è ravvisabile nel netto richiamo ai valori
dell’illuminismo negati dal pensiero idealistico, e rimasti ai margini
anche dell’interesse de La Cultura di De Lollis. Se ne fanno interpreti
soprattutto, oltre al Antonello Gerbi !5, Cajumi e Salvatorelli, anche se con
accenti molto diversi. Per Cajumi la rivalutazione del ’700 doveva essere
fatta a spese dell’hegelismo e dei suoi seguaci, e ricollegando l’illuminismo
all’individualismo del Rinascimento secondo la linea interpretativa esposta da
Chabod nella voce IMuminismo dell’Enciclopedia italiana, attraverso il tramite
del libertinismo: La nuova filosofia, sorta con facilità a
cavalcioni di un positivismo sfiatato e vaniloquente, giudicava e mandava
dall’alto del suo tedescheggiante idealismo, ed estranea alla cultura
francese ed inglese, contribuiva al vituperio. Marxisteggiando, i nostri
filosofi prendevano sotto le ali il Sorel, e covavano Bergson e Blondel. Per
quei poveri sensisti ed illuministi, che disprezzo! . Il male è che
un ritorno al Settecento non può farsi senza rimandar prima in
soffitta Marx, Hegel e compagnia, castigare la democrazia, dissipar
l’equivoco di certo neoliberalismo, non aver paura di passare per dei
conservatori e miscredenti vecchio stampo. 14 u.c. [U. Cosmo], Le
profezia di Dante, in La Cultura, XIV (1935),16. Sulla sua figura la testimonianza di F. Antonicelli, Un
professore antifascista: Umberto Cosmo, in AA.VV., Trent'anni di storia
italiana (1915-1945). Lezioni con testimonianze presentate da F. Antonicelli,
Torino, Einaudi, 1975?,87-90. 105
L'entusiasmo, la buona fede, lo zelo gioioso di quel tempo calunniato ci
investono e sollevano , osservava Gerbi recensendo Les origines:
intellectuelles de la Révolution Frangaise di Daniel Mornet (Idee del
Settecento, in La Cultura , XIII
(1934),41). Ma i suoi accenti élitari si riscattavano in un sentito
laicismo: per salvare l'Europa malata,
non solo politicamente ed economicamente, ma, ciò ch'è più grave, nella
sua cultura , era necessario identificare le origini della sua civiltà,
che erano colte, alla luce de La crise de la conscience européenne di Paul
Hazard il volume sarà tradotto dalla casa editrice nel 1946, nell’Umanesimo
e aggiungeva Cajumi riecheggiando forse
Gobetti nella Riforma, dalla quale erano sorte la libertà di coscienza, la discussione
del cristianesimo, delle affermazioni ateistiche. Il peccato originale,
l’origine unica delle razze sono battuti in breccia; s’affaccia l’idea di
progresso. La politica si laicizza, e si democratizza, l’idea di Stato si
disgiunge da quella feudalisticamente monarchica. Nasce una nuova
economia, mercantile, capitalista
!. Pi esplicita e avanzata che in Cajumi risulta, a
proposito dell'Illuminismo, la coniugazione di giudizio storico e impegno
civile in Salvatorelli: recensendo nel 1934 La polemica sul Medio Evo di
Giorgio Falco ma richiamando anche la Philosophie der Aufklirung di Cassirer,
egli osservava che la valorizzazione del ’700 operata da Falco si
inseriva in un processo di pensiero in
pieno corso e di importanza capitale, da cui usciranno ben altro
che semplici revisioni storiografiche e storico-filosofiche, come
ben altro che queste revisioni è uscito dalla svalutazione del ’700
proseguita dal Romanticismo in poi . E, dopo aver ridimensionato la
funzione del Papato e dell’Impero nella storia della società medievale,
con accenti antinazisti ci si aggiungono, adesso, le strimpellature
misti- cheggianti del Sacrum Imperium (vedano, gli strimpellatori
teutonici, di accordarsi ora con l’altro misticismo razzista, quello che
fa capo a Vitichindo e a Wotan) , Salvato 106 A. Cajumi, La nascita della
civiltà europea e I libertini del Seicento, in La Cultura, XIV
(1935),41-43 e 63-67. Negli stessi anni l’opera di Hazard era accostata
da E. Cione alla Storia dell'età barocca di Croce, anche per il suo
taglio etico-politico ( La Nuova Italia , VIII (1937),121-123). Sul
significato dell’opera di Hazard, che insiste sul tema della crisi anche
per il momento in cui fu scritta,
G. Ricuperati, Paul Hazard, in
Belfagor , relli indicava
lucidamente quello che poteva essere l’insegnamento dell’illuminismo:
chi volesse con un solo termine riassumere le caratteristiche del
per siero settecentesco, non potrebbe trovarne altro più adatto che
quello di umanità . Ed ecco
perché, nella necessità di un nuovo umanesimo per risolvere la crisi in cui il
mondo civile si dibatte, il pensiero del Settecento ritorna oggi a splendere
più vivo che mai. Per fare, e non subire, la storia futura occorre
giudicare quella passata e non stenderci sopra il polverino 19.
Non meno significativo è in Salvatorelli il legame istituito fra
Risorgimento e Rivoluzione francese analogo all’interpretazione espressa
negli stessi anni da Aldo Ferrari o da Baldo Peroni sulla Nuova rivista storica , e la
demistificazione della leggenda di Carlo Alberto !: temi e giudizi che
ritroveremo in alcune opere dello stesso Salvatorelli e di altri
collaboratori di Giulio Einaudi. Attraverso il discorso culturale
filtrava spesso anche un messaggio politico, che si fa talvolta esplicito
sulle pagine della rivista, ma i cui toni pi avanzati sono di
stampo liberale. Bobbio ha dato rilievo a due articoli ferocemente antisoreliani di Salvatorelli, ricordando come Sorel
fosse uno dei numi tutelari del
fascismo !’; ma, mentre in uno
l’autore rimane sul terreno puramente culturale della difesa
dell’Illuminismo !, solo nell’altro Salvatorelli espri 107 L.
Salvatorelli, Storiografia del Settecento, in La Cultura Salvatorelli,
Napoleone, in La Cultura, e la sua
recensione a G. F.H. Berkeley, Italy in the making 18151846, in cui
Salvatorelli nega l’esistenza di una politica antiaustriaca di Carlo
Alberto prima del 1845 ( La Cultura , XIII (1934),131). Contrario alla
tesi autoctona delle origini del Risorgimento, ma anche a quella che ne
legava la nascita alla Rivoluzione francese, si dimostra invece Cajumi
nella recensione a H. Bédarida -Hazard, L’influence francaise en Italie
au dix-buitième siècle (La Cultura, Bobbio, Trent'anni di storia della cultura
a Torino,69. 110 Sorel è lo
Spengler dell’anteguerra, e Spengler il Sorel del dopoguerra . L'opposizione di
Spengler al secolo XVIII, reo di aver iniziato l’epoca del razionalismo,
è tale e quale quella del Sorel, per cui la dottrina del progresso,
fondamentale nell’epoca dell’enciclopedismo c dell’Aufklirung, non era se
non la giustificazione ideale di una socictà datasi tutta alla gioia di
vivere, e Diderot, Voltaire e simili non erano me un giudizio politico
attaccando Sorel in nome di quel mondo prefascista verso il quale abbiamo
visto volgersi il rimpianto dei liberisti: Sorel infatti non si rese mai conto delle realtà di
primaria importanza su cui giocava, degli interessi sociali che rischiava
di danneggiare, dei valori umani fondamentali che vilipendeva. Tutto
questo, in un periodo storico che richiedeva la massima cautela per
non contribuire, sia pure involontariamente, a scuotere le fondamenta di
una civiltà grandiosa, ma tutt’altro che consolidata !!!. Un atteggiamento più arretrato,
decisamente aristocratico, manifesta Cajumi che nel 1934, in polemica
con un uomo politico non certo progressista come André Tardieu, notava in
Francia la progressiva e trionfante sostituzione della massa
all’individuo, mediante la realizzazione di democrazie nazionaliste, che
tendono a mettersi ognora più nelle mani dello stato, contro la garanzia
di un’assistenza economica e sociale sempre maggiore !. Una posizione, questa, in linea con
quella già esaminata dei liberisti; anche su La Cultura , del resto, recensendo gli
Orientamenti di Croce del 1934 Luigi Einaudi ne accoglieva pienamente la stroncatura da filosofi veri nei confronti di Spengler e della teoria
marxiana della base economica della società !5; e lo stesso ex ordinovista Zino
Zini, discutendo La crise européenne et la grande guerre di Pierre
Renouvin, osservava che nell’esame delle
cause è messa abilmente in luce la sopravalutazione diventata ormai
quasi un luogo comune che si ha l’abitudine di fare di quelle
economiche !. Né era segno di
distinzione dal fascismo, nel 1934, la critica dell’ideologia
nazionalsocialista, assai diffusa nelle riviste del regime, e che ne La Cultura si manifesta nella stroncatura del Mein
Karzpf stati che dei buffoni della aristocrazia (L. Salvatorelli, Spengler e Sorel, in
La Cultura a proposito di Anzi decisivi di Spengler pubblicato da
Bompiani). Ul L. Salvatorelli, I/ mito Sorel, in La Cultura , XIII (1934),63. 112 A.
Cajumi, In punta di penna, in La Cultura
, XIII (1934),30. 113 La Cultura ,
Zini, In margine a una storia della grande guerra, in La Cultura. Su di
lui , fra i vari interventi di G. Bergami, il suo ritratto in Belfagor di Hitler tradotto da Bompiani libro
pieno di contraddizioni e caratterizzato da una
spiccata innocenza intellettuale , scriveva Salvatorelli 5, o nella
recensione di Luigi Emery a Friedrich der Grosse und die geistige
Welt Frankreichs di Werner Langer, in cui si metteva in evidenza come
l’autore dimostrasse l’influenza francese su Federico II di Prussia contro l’aureola di santone del germanesimo
della quale tardi agiografi vogliono citcondare lo spregiudicato Gran Re di
Prussia. Dalla sua tomba nella Garnisonkirche di Potsdam trasse gli
auspici con rito solenne il regime che presiede oggi alla vita della
Germania 1°, Non sarebbe
comunque produttivo ricercare in riviste o volumi pubblicati sotto il
fascismo segni politici troppo discordanti dagli
indirizzi del regime. L’analisi deve rimanere aderente ai temi culturali,
per cogliere la manifestazione di eventuali dissonanze o contraddizioni,
aperture ideali o non meno significativi silenzi. Per questo ci
sembra necessario soffermarci, sia pur brevemente, sul letterato Pavese, che con Ginzburg fu
il principale collaboratore di Giulio Einaudi nei primi anni della sua
attività editoriale e il legame pit consistente fra La Cultura
e le iniziative della casa editrice. Nota è, come abbiamo visto,
la militanza politica di Ginzburg, che gli costò dapprima il carcere dal marzo
1934 al marzo 1936 e, dall’11 giugno 1940 al 25 luglio 1943, il confino a
Pizzoli presso L'Aquila; nonostante ciò, egli poté dedicare le sue cure,
assieme a Pavese, alla Biblioteca
di cultura storica , ai Narratori
stranieri tradotti e alla Nuova raccolta di classici 115
La Cultura Emety, Gallicanismo di Federico il Grande, in La Cultura ,
XIII (1934),58-59; la tesi di Langer era del resto condivisa anche da
Luigi Negri sulla Rivista storica
italiana , LII (1935),238-240. Recensendo Le civiltà d’Italia di Giovanni
Vidari, Enrico De Michelis vi notava un eccesso di sentimento
nazionalistico , pur aggiungendo che l’opera era ben lontana
da quelle fantasie di metafisica antropo-etnica che, dopo un periodo di
stasi apparente, son tornate oggi a predominare nella Germania di Hitler
e che purtroppo costituiscono un pericolo non lieve per la pace e per la
civiltà dell’Europa e del mondo ( La Cultura italiani annotati !. Non ci restano tuttavia, al di là
delle testimonianze, tracce consistenti della sua attività editoriale,
che invece è maggiormente documentabile e fu probabilmente pi continua
per Pavese, confinato per più breve tempo, circa un anno, a Brancaleone
Calabro. Parlare di Pavese, all’inizio degli anni ’30, significa
soprattutto affrontare il suo interesse per la letteratura americana
contemporanea, individuabile nelle traduzioni per Frassinelli e negli
articoli su La Cultura soprattutto prima del 1934, e destinato a
esprimersi in nuove proposte di traduzione per la Einaudi. Il tema è
stato affrontato più volte, ma spesso con forzature ideologiche o con una
insufficiente storicizzazione, tali da fornire un’immagine deformata, e in
genere riduttiva, della figura di Pavese !. La differenza tra lui e
Ginzburg, sul piano politico, è marcata, e lo stesso Pavese ne era cosciente
quando, coinvolto negli arresti del 1935, preparò il suo memoriale
difensivo o scrisse dal confino ad Alberto Carocci Unico mio disinteresse 4 aeterno e parlo
colla mano sul cuore la letteratura politica !. Questa affermazione, tuttavia, non
può essere assolutizzata, anche se trova conferma nelle più segrete pagine del
diario, in cui la politica o è assente o è rifiutata. Infatti, pur non
essendo uomo d’azione ‘°, già nei primi anni ’30 il suo impegno
letterario, di traduttore commentatore poeta, ha una trasparente carica
civile, se non propriamente politica. La scoperta della politica avverrà
in lui, come in Giaime Pintor, solo con la Resistenza, ma l’attenzione
per la narrativa americana indica da tempo il suo tentativo di uscire
dagli angusti 117 Pavese appare revisore dei Narratori stranieri
tradotti e dei libri di carattere
storico-letterario , nella lettera di Giulio Einaudi a lui del 27 aprile
1938 (C. Pavese, Lettere 1924-1944, a cura di L. Mondo, Torino, Einaudi,
1966,537). 118 Tali caratteristiche hanno, rispettivamente, i
lavoti di N. Catducci, Gli intellettuali e l'ideologia americana
nell’Italia letteraria degli anni trenta, Manduria, Lacaita, 1973, e di
A. Guiducci, I{ mito Pavese, Firenze, Vallecchi, 1967. 119
Lettera del 24 ottobre 1935; anche la
lettera alla sorella del 26 luglio 1935 (C. Pavese, Lettere Lajolo,
Il vizio assurdo . Storia di Cesare
Pavese, Milano, Mondadori, Le origini della casa editrice Einaudi
limiti di una cultura nazionale provinciale e soffocante, spinto
da un’ ansia di oggettività che è stata
messa giustamente in evidenza, e che lo allontana dall’ermetismo per
sostanziare le poesie di Lavorare stanca della realtà popolare e
contadina delle sue valli piemontesi !!, Come ricorderà dopo la
Liberazione, la cultura americana divenne per noi qualcosa di
molto serio e prezioso, divenne una sorta di grande laboratorio dove con
altra libertà e altri mezzi si perseguiva lo stesso compito di creare
un gusto uno stile un mondo moderni che, forse con minore immediatezza ma
con altrettanta caparbia volontà, i migliori tra noi perseguivano. Ci si
accorse, durante quegli anni di studio, che l’America non era un altro paese,
un z%ovo inizio della storia, ma soltanto il gigantesco teatro dove con
maggiore franchezza che altrove veniva recitato il dramma di tutti
!2. Nel modo in cui, già nel 1930, Pavese parlava degli
scrittori americani in una lettera all'amico Chiuminatto, vi era una
sorta di rovesciamento dell’ottica nazionalistica con la quale Prezzolini
spiegava Come gli americani scopr:rono l’Italia, e l'individuazione degli
elementi del dramma comune ', In Sherwood Anderson Pavese
coglieva quella realtà industriale che intimoriva Luigi Einaudi, i
centri fumosi e fragorosi, fattivi e ottimisti che il mondo conosce:
Cleveland, Springfield, Detroit, Akron, Pittsburg, e, su tutti,
gigantesca, la metropoli, Chicago. Le fabbriche inghiottono tutto . Dos
Passos presenta le contraddizioni e gli aspetti di quotidiana tragedia di questa società, 121 E. Catalano, Cesare Pavese fra politica e
ideologia, Bari, De Donato Pavese, Ieri e oggi (1947), ora in La
letteratura americana e altri saggi, Milano, Il Saggiatore, 1971,188-189.
Sugli aspetti sociali del romanzo americano cui si rivolgeva l’attenzione
di Pavese S. Perosa, Vie della
narrativa americana. La tradizione del nuovo
dall’Ottocento a oggi, Torino, Einaudi,
la recensione di Pavese a Prezzolini ne
La Cultura , XIII (1934),14 e la lettera di Pavese ad Antonio
Chiuminatto del 5 aprile 1930: un buon libro europeo d’oggi è, in genere,
interessante e vitale solo per la nazione che l’ha prodotto, laddove un
buon libro americano parla a una folla più vasta, scaturendo, come
scaturisce, da necessità più profonde e dicendo cose veramente nuove e
non soltanto originali, come quelle che nel migliore dei casi produciamo
noi (C. Pavese, Lettere la lotta
ch’egli vede combattersi con coscienza di classe, nel nostro secolo, tra
lavoro e capitale . Attraverso Walt Whitman, un gigante dalla camicia d’operaio aperta
al collo e dalla barba dura , un poeta che tanta fortuna aveva
avuto nei circoli socialisti, Pavese scopre che mentre un artista
europeo, un antico, sosterrà che il segreto dell’arte è di costruire un
mondo più o meno fantastico, di negare la realtà per sostituirla con
un’altra magari più significativa, un americano delle generazioni recenti
vi dirà che la sua aspirazione è tutta d' giungere alla natura vera delle
cose, di vedere le cose con occhi vergini, di arrivare a quell’ultimzate grip of
reality che solo è degno di esser conosciuto !%, Cost,
attraverso l'America, è possibile la riscoperta della realtà della
propria terra, espressa nel 1936 nelle poesie di Lavorare stanca. Dove
era contenuto un messaggio di speranza immediatamente colto da una comunista
torinese, con due figli comunisti operanti nella clandestinità, Elvira
Pajetta: Credevo che la poesia fosse morta scriveva nel 1936 al
maestro severo di Pavese, Augusto Monti, allora in galera . Cosî siamo
noi vecchi: quando non sappiamo più godere pensiamo volentieri che la
gioia di vivere se ne sia partita dal mondo e quando la prosa quotidiana
ha avuto ragione di noi giuriamo tranquillamente che la poesia è defunta.
Ma se il Signor Pavese scrive dei versi, se li crede pi belli del mondo,
se li stampa e li fa leggere è certo che ho avuto torto e son felice di
ricredermi 15. 5. Storiografia e impegno civile
Giulio Einaudi seppe riprendersi abbastanza rapidamente, non solo attraverso le
iniziative del padre, dai duri colpi inferti dal regime, nei primi due anni
di attività della casa editrice, ai suoi collaboratori e alle sue
riviste. Prima della guerra, anche se i titoli pubblicati furono
124 C. Pavese, La letteratura
americana, ACS, Casellario politico centrale (Pavese). Le origini della casa editrice
Einaudi pochi ancora 8 nel 1937, arriveranno a 16 nel 1938 e
a 24 nel 1939, egli riusci infatti a impostare quasi tutte le
collane più importanti, che caratterizzeranno le sue edizioni fin dopo la
Liberazione: la Biblioteca di
cultura storica (1935), i Saggi, i
Narratori stranieri tradotti
e la Biblioteca di cultura
scientifica (1938), i Poeti
e la Nuova raccolta di classici
italiani annotati la rivista La Nuova Italia , espressione della
casa editrice di Ernesto Codignola che stava prendendo sempre più le
distanze dal fascismo, poteva lodare la consorella torinese che
nel giro di pochi anni ha messo
fronde e radici, e saldamente stabilita nel mercato e nel pubblico, vanta
ora una varietà e una ricchezza di iniziative (opere di scienza, classici della
nostra letteratura, una collezione storica, una di romanzi stranieri
ecc.) che tutte concorrono ad attuare il proposito orgoglioso di riuscire
centro animatore di raccolta della più viva giovane e consapevole cultura
italiana 12%. Già prima del 1940, infatti, le pubblicazioni
dell’editore torinese sono tali da richiamare l’attenzione di
intellettuali di rilievo, e da provocare in questi significative
divisioni nei giudizi, nei quali è possibile intravedere
schieramenti contrapposti non solo sul piano culturale; ed è per
questo che ci sembra opportuno dedicare largo spazio alle numerose
recensioni ai volumi della casa editrice. Nonostante la varietà dei temi
affrontati dimostri una ricerca di sempre nuovi spazi culturali che può
apparire talvolta confusa e tale da rischiare il pericolo
dell’eclettismo, attraverso le collane in cui è pi facilmente ravvisabile
un impegno civile quella storica e i
Saggi è possibile seguire
gli elementi di differenziazione dall’ideologia dei liberisti e il lento,
faticoso distacco dalla cultura del regime. La Biblioteca di cultura storica è la collana i cui orientamenti
appaiono pit definiti fin dall’inizio, nella ricerca di una valutazione della
storia italiana che si differenziasse da quella nazionalistica di Volpe e della
sua scuola o dagli accenti sabaudistici presenti negli Studi e docu 126 La Nuova Italia ,
Xmenti di storia del Risorgimento curati
da Gentile e Menghini per Le Monnier, e nel tentativo, in un
secondo tempo, di aprirsi alla storiografia straniera, in
particolare quella anglosassone. Né è ravvisabile in questi anni,
nel quadro della cultura storiografica che non si richiama direttamente o
esclusivamente alle impostazioni di Volpe e di Gentile, un’altra collana
storica che abbia la stessa consistenza e un uguale prestigio di quella
einaudiana: questa ha alcuni punti di contatto con la Biblioteca di cultura moderna di Laterza e con i Documenti di storia italiana de La Nuova Italia dove apparvero i Discorsi
parlamentari di Cavour a cura di Adolfo Omodeo e Luigi Russo, ma una ben
maggiore capacità di svolgere una funzione civile, in quanto si
indirizzava a un pubblico più ampio di quello degli specialisti,
tenendo la via di mezzo tra la
dissertazione storica meramente accademica ed erudita e la storia romanzata ,
ciò che costituiva una novità per l’Italia !. Dell’impostazione
della Biblioteca di cultura storica si era occupato, prima dell’arresto,
Ginzburg, che, come abbiamo visto, era in contatto con Nello Rosselli; a
questo si rivolgeva il 4 gennaio 1934 l'editore, chiedendogli un volume
su Mazzini per la collana, dedicata per
ora ad illustrare uomini ed avvenimenti di storia italiana moderna , e
che avrebbe dovuto essere inaugurata da uno studio su Cavour di
Salvatorelli. In un primo tempo Rosselli accettò mi sorride che un mio
libro esca sotto l’insegna di un nome che tengo in cosî alta stima
, scriveva a Giulio Einaudi nel febbraio 1934, lasciando poi cadere
la proposta, cosî come quella, avanzata dall’editore nel 1935, di riprendere
sia pur ridimensionandolo il suo progetto di una rivista storica, che
Rosselli giudicò impraticabile per la difficoltà dei tempi":
il 127 Cosi Enzo Tagliacozzo nella recensione al Mazzizi di
Bonomi, in Nuova rivista storica ,
XX (1936),430. 128 Il 16 aprile 1935 Rosselli scriveva all’editore
che molte delle ragioni che
m’indussero a rinunziare al progetto in grande della rivista sussistono
anche per questo progetto minore; metto in primo piano la mia personale
situazione e la fifa generale. Anche metto in linea di conto la tendenza
che oggi prevale, in alto, di dichiarare guerra a coltello alle riviste
indipendenti (almeno a quelle storiche), per concentrare mezzi Le origini
della casa editrice Einaudi regime aveva infatti provveduto da
poco a un rigido controllo degli istituti storici, mentre si annunciava, anche
in questo campo, la bonifica della
cultura di De Vecchi. La collana
si inaugurò quindi con un’opera dell’ autore
per eccellenza di Einaudi in campo storico, Luigi Salvatorelli ‘’. Ne Il
pensiero politico italiano che ebbe molta fortuna, testimoniata dalle numerose
edizioni Salvatorelli riprendeva una tematica già affrontata su La Cultura , per dimostrare come il pensiero
politico italiano fosse nato nel 700, con quello spirito di umanità già presente in Muratori, nel quale troviamo la nuova tavola di valori
settecenteschi, tavola che ignora la grandezza e la trascendenza dello
stato dominanti nella trattatistica anteriore, e destinata a risorgere
con l’idealismo hegeliano ; sulla stessa linea si muove Beccaria,
che nega ogni concetto di un interesse,
di un valore statale distinto e superiore all'interesse e al valore degli
e appoggi su poche rivistone ufficiali. Sa che in questi giorni anche
la torinese Rivista storica ha subito una radicale trasformazione
(imposta) ed è passata al Volpe? Rebus sic stantibus, ho paura che la
nostra rivista raccoglierebbe tutti nomi ingrati, e ben presto
puzzerebbe. Inoltre per fare una rivista occorre un gruppo omogeneo di
collaboratori abituali, 1) meglio di redattori. Intorno a me questo
gruppo, ora come ora, non c'è; né io mi sentirei di far tutto da me. Le
assicuro che questa mia riluttanza a imbarcarmi nell’i impresa deriva non
già da scarso entusiasmo: l’entusiasmo in questo caso non mi difetterebbe
davvero. Ma proprio perché sogno, un giorno, di dar vita a una bella e
viva rivista di studi storici, esito a realizzare questo sogno in un momento cosî
poco favorevole. Del resto, dovrò recarmi a Roma, fra poco; e lf tasterò
di nuovo il terreno coi miei amici. Senza illusioni, però. Debbo proprio
dirle che questa rinuncia tanto più mi costa da quando ho capito di poter
contare su di Lei come editore? . Il 3 aprile 1935 gli aveva scritto di
aver parlato della rivista con Salvatorelli, che vede molto di buon occhio il progetto .
Ancora nel 1937 Rosselli proporrà a Einaudi un volume su Montanelli (AE,
Rosselli). Il 4 gennaio 1934 l’editore aveva scritto anche a Luigi Russo
proponendogli, per la collana storica,
un volume di carattere sintetico sulle origini storiche e psicologiche
della nostra guerra (AE, Russo).
29 In contatto con Giustizia e Libertà, il 16 giugno 1937
Salvatorelli scrisse ad Amelia Rosselli che i suoi figli vissero nobilmente dediti ad alti
ideali, e sono caduti combattendo come il fratello che li precedette. La
loro memoria rimarrà viva e alta in molti cuori (ACS, Casellario politico
centrale, b. 4549, fasc. 89789). Nel 1938-39 l’editore fu in contatto
con un altro storico di formazione liberale, Nino Valeri, e ancora
nell’agosto 1945 si dimostrerà interessato alla sua proposta di un volume
su Filippo Maria Visconti (AE, Valeri). individui componenti l’aggregato
sociale , o Pietro Verri, per il quale
stati forti sono quelli in cui vi è libertà individuale, stati deboli
quelli dispotici . E, mentre si accenna all'influenza della Rivoluzione
francese sull’Italia anche se l’unico
giacobino preso in considerazione
è Melchiorre Gioia, la genealogia gentiliana dei profeti del Risorgimento è fortemente ridimensionata e corretta
nei giudizi: in Alfieri si coglie, accanto all’anelito alla libertà
politica, un chiaro individualismo
idealistico , e in Mazzini l’importanza del problema sociale; si mette in
risalto, prima del ’48, la superiorità politica di moderati come
Balbo rispetto a Gioberti, e, in Cavour, il suo debito verso la
Rivoluzione francese che ha fondato le libertà costituzionali e la
teorizzazione della separazione Stato-Chiesa che lo statista piemontese
profetizzava si sarebbe sempre più radicata mentre l’era del dopoguerra ha segnato finora
una smentita alla profezia cavouriana . Infine, dopo aver rilevato come
le antinomie di Giuseppe Ferrari fra libertà e autorità e il suo abbozzo
socialisteggiante di società futura fossero miscele confuse ed informi , ma rispondessero
a bisogni reali e conservano quindi
ancora oggi il loro valore , il lavoro di Salvatorelli terminava
coerentemente con l’inizio, con la figura di un autore caro agli
einaudiani, Cattaneo, che concludeva il
ciclo del pensiero politico italiano del Risorgimento. Lo concludeva
ricongiungendosi alle idealità che avevano ispirato la coscienza storica del
Muratori, il riformismo giuridico del Beccaria e del Filangieri, la critica
economico-politica del Verri; lo concludeva riaffermando con meditata
coscienza i valori di umanità e di progresso esaltati dal pensiero
del Settecento, italiano ed europeo Salvatorelli, I/ pensiero
politico italiano dal 1700 al 1870, Torino, Einaudi, 1935,6, 11, 40, 67,
88, 130, 200, 217, 265, 303, 320, 350, 354. Giustamente Alessandro
Galante Garrone ha osservato che,
nella complessiva valutazione salvatorelliana del Risorgimento, è
data una preponderanza forse eccessiva agli aspetti dottrinali del pensiero
politico (Risorgimento e
Antirisorgimento negli scritti di Luigi Salvatorelli, in Rivista storica
italiana , LXXVIII (1966),534). Sulla riscoperta dell’illuminismo
italiano ne I/ pensiero politico concordano comunque Walter Maturi
(Interpretazioni del Risorgimento. Lezioni 252 Le
origini della casa editrice Einaudî Ingiusto appare quindi il
commento di chi valutò crocianamente l’opera come un tipico esempio di storiografia senza
problema storico ‘". Indicativi
dell’esistenza di una precisa tesi interpretativa nel lavoro di
Salvatorelli sono infatti, da un lato, i silenzi della Rivista storica italiana di Volpe e della Rassegna storica del Risorgimento di De Vecchi, cosi come la distorsione del
ragionamento dell’autore che appare sulla gentiliana Leonardo
!, e, dall’altro, il tono dei commenti suscitati nelle riviste
meno conformiste. Sulla Nuova rivista
storica si nota che Salvatorelli
contrappone alla storia della ragion di Stato la storia
dell’individualismo, e che notevole è
la ricostruzione del pensiero politico del Cavour, cosa che
raramente suole esser fatta; preziose le notizie sull’illuminismo giovanile del
Mazzini; il Cuoco ne guadagna e diventa più modesto per la interpretazione
riformistico-illuministica che di lui si fa (disincagliarsi dalle
esumazioni idealistico-gentiliane è già un bel vantaggio!) !. Più cauti, ma improntati a simpatia
per le idee dell’autore, sono i giudizi che compaiono sulle riviste di
Codignola: Enzo Tagliacozzo si chiedeva, rilevando un limite messo in
luce di storia della storiografia, prefazione di E. Sestan,
Torino, Einaudi, 1962, 554) e Leo Valiani (Salvatorelli storico dell'Unità
d’Italia e del fascismo, in Rivista
storica italiana Venturi scriveva invece a Salvatorelli il 26 aprile 1935: I
capitoli sul tardo Gioberti e su Cavour naturalmente mi hanno preso di
pit, come quelli dove il pensiero ha più rapporti con la politica
concreta . Ma anche per Alfieri, il suo atteggiamento verso la
rivoluzione, è cosf chiaro e mi era affatto sconosciuto . Noto la tua
convinzione sulla inferiorità del pensiero settecentesco. Hai ragione?
Questo non so. Io sento diversamente
(ACS, Casellario politico centrale, b. 4549, fasc. 89789). Su
Salvatorelli educatore antifascista nella Torino degli anni ?30 la testimonianza di Norberto Bobbio in G.
Spadolini, Il mondo di Luigi Salvatorelli, con un’antologia di scritti di
Salvatorelli e testimonianze di N. Bobbio, L. Valiani, A. Galante Garrone, L.
Compagna, Firenze, Le Monnier, 1980,65-72. 131 Cosf Ezio
Chichiarelli nella recensione alla seconda edizione ( La Nuova Italia
Troviamo i segni del nostro moderno concetto totalitario di politica proprio in
quel di solito disprezzato settecento , scriveva Raffaello Ramat (
Leonardo da VINCI Polese in Nuova
rivista storica , XX (1936),449. Cri. tica è invece la recensione alla
seconda edizione dell’opera di Enrico Guglielmino, sempre in Nuova rivista storica anche dalla
storiografia, se sia veramente possibile
cogliere il senso delle dottrine politiche isolandole dal clima storico
che determina il loro sorgere , ma approvava le notazioni di Salvatorelli sul fondo reazionario dell’ottimismo
storicistico e sulla necessità di rivedere alcuni giudizi
idealistici passati in giudicato e non più rimessi in discussione ‘4; Paolo Treves invece, dopo aver notato
che è un certo vezzo attuale
tentar di sminuire l’importanza del contributo francese pre e
post-rivoluzionario alla speculazione filosofico-politica italiana , affermava
che il saggio dimostrava quanto
sia inutile la disputa recente sull’indipendenza o meno del pensiero italiano
in quest'epoca, perché non si tratta di stabilire primati, che non esistono
nella storia delle ideologie, ma di dimostrare invece come le idee
prime tolte dal lavoro degli illuministi oltremontani fossero rivissute e
concretate con la positiva esigenza della vita italiana, in una pit
solida e netta visione storicistica !°.
L’impegno civile dimostrato da Salvatorelli ne Il pensiero politico
italiano e riaffermato nella seconda edizione del 1941, in cui l’inclusione
degli esponenti del pensiero cattolico non modifica la mentalità liberale dell’autore, come notava La Civiltà cattolica evidenziando il giudizio troppo severo
su Monaldo Leopardi, Solaro della Margherita, il principe di Canosa e
Spedalieri, sembra attenuarsi nel Sommario della storia d’Italia. In esso
Salvatorelli sviluppa quella personale interpretazione dell’unità della
storia italiana che aveva espresso sinteticamente nel 1934, criticando la
concezione politico-statuale di Croce e quella di Volpe che indicava
nell’alto Medioevo il sorgere della nazione italiana proprio al momento in cui l’Italia si risolve in una
molteplicità di organismi autonomi , notava Salvatorelli, per avvicinarsi
alla tesi di Arrigo Solmi nell’individuazione di una linea italica
presente nella penisola già prima della conquista romana, pur
vedendo, a differenza di Solmi, delle soluzioni di continuità
nell’affermarsi di quel piano statale
tendenzialmente uni 134 La Nuova
Italia Civiltà moderna , La Civiltà cattolica Le origini della casa editrice
Einaudi tario che,
interrotto dalle dominazioni longobarda e bizantina, riprende slancio fra il IX
e l'XI secolo !. La sua attenzione più
allo scomporsi e ricomporsi di un’unità politicoamministrativa che a una
storia del popolo italiano , come notava Gabriele Pepe !, si riflette
anche nel Somzzario, nel quale comunque è difficile cogliere, dietro la
fitta cronistoria dei fatti, dei giudizi caratterizzanti; questi si
limitano ad alcune notazioni sulla diffusione popolare delle idee
della Riforma o sull’influenza dell’Illuminismo francese, cui non
segue però un collegamento tra la rivoluzione dell’89 e il Risorgimento;
alla valutazione positiva sulla epidemia
di scioperi del primo ’900,
che fu nell’insieme un fatto
fisiologico e benefico, poiché una elevazione del tenor di vita delle
classi operaie era urgente, e perfettamente possibile dato il grande incremento
delle condizioni economiche ; per terminare con una visione
sorprendentemente limitativa dell’età giolittiana l’indirizzo di governo
giolittiano fu, pur con empirismo opportunistico, sostanzialmente liberale; ma
non promosse una formazione organica di partito, e venne a favorire in una
certa misura la svalutazione del parlamento e l’autoritarismo personale
, e con una forzata sospensione di giudizio sul fascismo !. Eppure
il Sormzzzario, forse proprio per il suo taglio manualistico e asettico, poteva
presentarsi assai distante dalle retoriche deformazioni storiografiche
del fascismo, e spingere Mario Vinciguerra un intellettuale liberale già
vicino a Gobetti e quindi a Luigi Einaudi a vedere in Salvatorelli l’uomo che potrebbe benissimo disegnare,
se volesse, anche un programma politico
come Cesare Balbo nel suo Sormzzzario, ma che, vivendo in un’epoca non di Salvatorelli,
L’unità della storia italiana, in
Pan. 138 La Nuova Italia , Di importanza data da
Salvatorelli al popolo parla invece A. Galante Garrone, Risorgimento
e Antirisorgimento negli scritti di Luigi Salvatorelli,529. 139 L.
Salvatorelli, Sommario della storia d'Italia dai tempi preistorici ai
nostri giorni, Torino, Einaudi, 1938,635, 641. Nel 1940 il Sommario fu tradotto
in inglese, e nel 1941 in tedesco dalla casa editrice Junker di Berlino
(ACS, Segreteria particolare del Duce, Carteggio ordinario, n. 527470).
aspettative, ma di travaglio mondiale, porta necessariamente nella storia uno
spirito di revisione e di nuova sistemazione
!9. Accoglienze analoghe non mancheranno nel 1942,
come vedremo, a un’opera dalle caratteristiche simili a quelle del
Sommario, il Profilo della storia d'Europa. Frattanto l’attivissimo
Salvatorelli, che nel 1937 aveva pubblicato per l’ISPI La politica della
Santa Sede dopo la guerra lodata da
Gerarchia per la larga e seria preparazione dell’autore !!, alla morte di Pio XI fa
seguire immediatamente, nel 1939, un primo bilancio del suo pontificato,
ricco di penetranti osservazioni personali e ciò nonostante giudicato
da La Civiltà cattolica , pur con alcune
riserve, fra tutti i libri su Pio XI
uno dei pit seri per copia di informazioni e per sufficiente
oggettività di presentazione !£. In esso
Salvatorelli, attento, come Omodeo, alle connessioni fra storia religiosa
e storia politica, notava che nel dopoguerra erano stati i turbamenti
sociali, con il pericolo bolscevico, a rimettere in valore presso
larghi ceti europei la Chiesa cattolica quale fattore di ordine e di
conservazione sociale , con la conseguente tendenza degli Stati a cercare
l'appoggio della Chiesa. È in questo clima che si sviluppa l’azione
politica, non solo concordataria, di Pio XI, Segretario di Stato di sé medesimo , che ebbe come criterio direttivo di mettere
al primo posto il rafforzamento dell’influenza ecclesiastico-religiosa sulla
società facendo addirittura, come
Bonifacio VIII, della regalità di Cristo
il titolo giuridico per il governo della Chiesa sul mondo e qui
La Civiltà cattolica
replicava 140 Nuova
rivista storica anche E. Camurani, La Repubblica pene nelle lettere di
Einaudi e Vinciguerra (Contributo alla bibliografia di Vinciguerra), in Annali
della Fondazione Luigi Einaudi, vol. XII, 1978, Torino, Fondazione Luigi
Einaudi Invece per Bruno Brunello, mentre il Sommario di Balbo era tutto
animato da una fede nei destini della patria , quello di Salvatorelli
appariva più un’esercitazione letteraria
che il risultato di un’indagine appassionata ( Rassegna storica del Risorgimento , Il
lavoro di Salvatorelli sarà considerato su
Primato molto preciso e
concettoso Gerarchia La Civiltà cattolica Le origini della casa editrice
Einaudi che, al contrario, la politica concordataria aveva visto
il pontefice pronto a cessioni e a
sacrifici, pur di tener gli Stati almeno in qualche modo uniti alla
Chiesa ! ; e, molto nettamente,
Salvatorelli metteva in luce l’antisocialismo, il legame col fascismo, la lotta
contro il Fronte popolare francese, l'appoggio alla guerra etiopica e a
Franco, il possibilismo nei confronti della Germania nazista, come
elementi caratterizzanti l’attività del papa, per concludere con
l’appello a un nuovo umanesimo cristiano cui avrebbero dovuto ispirarsi
anche i laici !4. Il nome di Salvatorelli tornerà ancora nelle
edizioni Einaudi, sempre con grande risonanza, durante la guerra.
Prima di allora, un altro autore della casa che suscitò vasta eco fu
Ivanoe Bonomi, che abbiamo già trovato, nel 1924, nel catalogo di
Formiggini. Il suo Mazzini triumviro della Repubblica romana, pubblicato
nel 1936 e ristampato nel 1940, incontrò, per la sua esaltazione di un
personaggio storico eroicizzato dal fascismo, una favorevole
accoglienza nelle riviste
ortodosse !, ma poté prestarsi
anche ad una lettura diversa, come era nelle intenzioni
dell’autore: cosî Tagliacozzo mise in risalto, nell’opera, il fatto
che le preoccupazioni di politica
estera e di carattere militare non impedirono al Triumvirato di dimostrare
il suo interessamento per i problemi sociali
!#; Aldo Ferrari, lodando il lavoro, ricordava che la qualità di uomo
politico dell’autore, il teorico
pit chiaro equilibrato e sistematico della corrente riformista , era non un ostacolo bensî un 14
Ibidem. 14 L. Salvatorelli, Pio XI e la sua eredità pontificale,
Torino, Einaudi, ad esempio Rassegna storica del Risorgimento Leonardo Rivista
storica italiana; Meridiano di
Roma Nuova rivista storica; contemporaneamente ‘Tagliacozzo, recensendo
il Labriola di Dal Pane, richiamava l’insegnamento di Labriola come salutare
in un momento in cui si tendeva a
sopravvalutare quello che vien comunemente detto il fattore morale ( La Nuova Italia , VII
(1936),261; anche E. Tagliacozzo, In
memoria di Antonio Labriola nel trentennio della morte, in La Nuova
Italia , aiuto alla ricerca
storica !'; mentre il crociano Edmondo Cione opponeva l’esaltazione
degli autentici valori morali del
Risorgimento operata da Bonomi alla
tendenza, impersonata da Luzio, ad una
strana riabilitazione dei varii personaggi del mondo reazionario e
clericale e talora persino di quello poliziesco e brigantesco , e notava
che il dramma religioso dello
spirito moderno rende di perenne attualità il pensiero del Mazzini , nel
quale sono contenuti i fondamentali
principi della religiosità laica del presente e dell’avvenire: la fede nel
progresso storico, il valore educativo della libertà, l'esaltazione del
senso del dovere e dello spirito di sacrificio, il senso della missione e
della dignità personali ‘4: un
giudizio che assumeva tutto il suo significato se confrontato con quello
de La Civiltà cattolica , che coglieva
nell’opera un profondo
anticristianesimo spiegabile con la mentalità di antico socialista
dell’autore !9, I contatti dell’editore con l’ex esponente del
Partito Socialista Riformista continuarono, ma gli umori della censura
fascista, come quelli dei recensori, si dimostrarono mutevoli. L’idea di avere un altro libro Suo, sulla
storia politica del cinquantennio che precede la guerra mondiale,
mi ha entusiasmato , scriveva Einaudi a Bonomi nel novembre 1938; il volume era
pronto nel dicembre 1940 e, affermava l’autore, esso non tocca periodi... pericolosi,
ma certo illustra l’età liberale di cui ricorda le benemerenze ed i pregi
. Tuttavia, sebbene giudicata dall’editore opera tutta permeata di patriottismo e basata su
dati inoppugnabili , La politica italiana da Porta Pia a Vittorio Veneto
non ottenne nel 1941 il visto della censura, e potrà essere pubblicata
nella collana solo nel 1944, quando l’autore sarà presidente del
consiglio. Sempre a Bonomi si rivolgeva Einaudi nel dicembre 1937,
affermando che alcune circostanze
recenti mi pare abbiano reso nuovamente di attualità il Diario di guerra
di Bissolati !. Il volume,
pubblicato 147 La Nuova
Italia La Nuova Italia La Civiltà cattolica AE, Bonomi. Da notare che, dopo una
seconda edizione Le origini della casa editrice Einaudi nel 1935
in una collana subito abortita, Ricordi
e documenti di guerra , era stato in un primo tempo sequestrato !, ma non
incontrò nemmeno le simpatie che
La Nuova Italia aveva
riservato a Bonomi: il recensore della rivista presentava infatti
Bissolati come uno spirito rivolto al passato, anziché un veggente delle
mete future , preso da una visione
umanitaristica della guerra che rendeva
il Diario animato dall’innegabile
patriottismo dell’autore, ma anche da idee che compromisero la condotta.
della guerra nei momenti decisivi
!. Il tono della collana conobbe del resto anche aspre
cadute, veri e propri compromessi col fascismo, come ne I rovesci più
caratteristici degli eserciti nella guerra mondiale 1914-18 teso ad esaltare la
capacità di ripresa delle forze militari italiane del generale Ambrogio
Bollati, direttore della Rivista
coloniale , autore anche, per la casa editrice, della Enciclopedia dei
nostri combattimenti coloniali, e, assieme al generale Giulio Del Bono, della
Guerra di Spagna sino alla liberazione di Gijon, i cui toni anticomunisti
furono apprezzati, fra gli altri, da Eugenio Passamonti '. Di impronta
nettamente antidemocratica è anche il Massimo D'Azeglio politico e
moralista di Paolo Ettore Santangelo, autore di altri mediocri studi
risorgimentali: un volume che, accompagnato da un giudizio favorevole
dell’Accademia d’Italia, presenta fin dall’inizio le sue creden Bonomi
chiederà a Einaudi, nell'ottobre 1945, una terza edizione del Mazzini,
perché il libro usci in periodo fascista
quando la sua diffusione trovava ostacoli d’ogni genere. Io poi terrei
molto a diffondere quel mio libro che, in questa ora, avrebbe un
significato di attualità Il Diario fu sequestrato nel giugno 1934 per le sue
critiche all’operato dei comandi militari (ACS, Segreteria particolare del
Duce, Carteggio ordinario n. 528771, sottofasc. 1). Il 2 luglio 1934
Luigi Einaudi, dopo aver detto di essere stato lui a consegnare il
manoscritto del Diario al figlio, chiese udienza a Mussolini (ACS,
Segreteria particolare del Duce, Carteggio riservato, b. 70).
152 Carmelo Sgroi ne La Nuova
Italia Rassegna storica del Risorgimento anche
Leonardo da VINCI. Il 25 gennaio 1938 l’editore scriveva a Del
Bono di essere lieto che il volume sarebbe stato tradotto in tedesco (AE,
Del Bono). Bollati e Del Bono saranno autori de La campagna germanica în
Polonia, Roma, Unione editoriale d’Italia, 1940, e Bollati de L'Europa
contro il bolscevismo, Roma, La Verità ziali metodologiche con la difesa della
teoria élitaria sono le aristocrazie
che dappertutto nella storia hanno fondato l’ordine nuovo, lo stato
saldamente costruito e con la negazione
di qualsiasi influenza del fattore economico nel processo storico, sostenendo
che l’idea di nazione nasce molte
volte come creatura puramente spirituale, non solo indipendentemente, ma
anche in contrasto con precisi interessi materiali . E mentre cerca di
giustificare l’ intermittenza di temperamento di Carlo Alberto, alla politica
mazziniana astratta l’autore contrappone quella di
D'Azeglio, del cui carattere
democratico presenta
un’immagine quanto mai singolare: L’Azeglio dunque respinge l’idea
democratica, non solo nei casi di urgenza , ma anche come dottrina
assoluta, che sarebbe assurda in teoria e inattuabile in pratica. Egli è
democratico in un senso superiore e più generale, in quanto non crede a
privilegi di nascita e dà per compito allo stato di venir incontro ai
bisogni del popolo, trattando tutti i cittadini su un piede di
uguaglianza; è dunque democratico nel senso costituzionale, più nello
spirito che nella lettera: la prassi democratica, essendo una specie di
materialismo e prestandosi facilmente alle mistificazioni, gli è in
genere sospetta 1%, Tuttavia, con l’apertura a tematiche non
italiane affrontate sempre con quel
taglio narrativo che poteva renderne agevole la lettura anche ai non
specialisti, già prima della guerra la collana acquista un maggior peso
culturale e civile. Se solo con l’opera di Louis Villat su La Rivoluzione
francese e l’Impero napoleonico (1940) si raggiunge un solido impianto
storiografico che sostanzia la narrazione dei fatti e in cui hanno largo
posto, soprattutto nelle appendici sullo
stato attuale delle questioni , temi 15 P.E. Santangelo,
Massimo D'Azeglio politico e moralista, Torino, Einaudi. Santangelo
chiedeva all'editore di poter apportare alcune correzioni al lavoro, dietro amichevole suggerimento di un
alto personaggio dell’Accademia d’Italia (AE, Santangelo). Luigi
Bulferetti criticò la distinzione operata dall’autore nel Risorgimento,
tra idea astratta di Mazzini e azione
politica dei moderati ( Rivista storica italiana , s. V, III (1938),
fasc. II, n e Rassegna storica del
Risorgimento , XXV (1938),1584economico-sociali tanto che Carlo Morandi vi vede
dominare, e talvolta in modo troppo esclusivo , le tesi di Albert Mathiez
', si fa ricorso anche a storici non professionali, in grado tuttavia di
esprimere un orientamentò politico. È il caso del Talleyrand di Alfred
Duff Cooper, già ministro della guerra del gabinetto britannico, e
quindi Primo Lord dell’Ammiragliato dal maggio 1937 all’ottobre
1938, quando, dopo Monaco, presentò le dimissioni per là sua politica
contraria all’appeasemzent, ed esponente del gruppo dei giovani conservatori nella cui mentalità avvertiva l’editore italiano si bilanciano una certa spre:
giudicatezza d’idee e una tendenza al positivo e al concreto
nell’applicazione alla vita vissuta . Egli svolge, sotto le vesti di una
biografia romanzata in cui peraltro si preoccupa di affermare la necessità che
i cambiamenti nel metodo di governo siano graduali , e di notare che gli uomini di estrema, a qualsiasi
partito appartengano, divengono sempre germi di dissoluzione in un organismo
politico , un elogio della coerenza di Talleyrand nel porre la nazione francese al di sopra
degl’interessi particolari dei regimi che in un certo momento la
governano , e presenta il diplomatico francese assertore di una politica
di alleanze fra le potenze capace di portare all’unificazione
europea: lo considera infatti, per usare le parole dell’editore che fa
propria la tesi di Cooper, come un uomo
moderno, fors’anche come un nostro contemporaneo , poiché le sue
idee si riportano al problema della
pacifica organizzazione dell’Europa che attende ancora una vera e sicura
soluzione !. Vinciguerra che pur aveva
curato l’opera poteva affermare, da un
punto di vista strettamente storiografico, che
non si può accettare neanche con riserve
la tesi della modernità
democratica e pacifista nella politica estera di Talleyrand ', ma dimostrava di non
cogliere il 155 Primato , I
(1940), n. 5,24 (siglato CM.). 15% A.D. Cooper, Talleyrand, a cura
di M. Vinciguerra, Torino, Einaudi. Cooper fu autore di Ceux qui osent répondre è
Hitler, après Munich, Paris, Édinions Nantal, 1938. 157 Nuova
rivista storica significato politico di un’opera apparsa in italiano in
un anno cruciale per le sorti dell'Europa: messaggio che era assai
esplicito, se da un’altra ottica ideologica il commentatore di Leonardo
osservava che la vita del
grande diplomatico è pretesto a ribadire la concezione diremo cosi
ufficiale della politica britannica improntata ad un conservatorismo pacifista
di cui sarebbe garanzia imprescindibile una stretta intesa
anglo-francese !. E ancora
nel corso della guerra poteva essere accolto il messaggio di pace
affidato al romanzo sul conflitto russogiapponese di Frank Thiess, Tsushimza,
tradotto nel 1938 sotto gli auspici dell'Ufficio storico della Marina e
giunto nel 1945 all’ottava edizione, che prima dell’attacco all’
URSS suscitò accenti di umana comprensione anche sulle pagine di Critica fascista : 7 Fra quel popolo russo di
martiri grigi, nel cui seno covava la rivoluzione, e questo popolo
giapponese di tenaci e sorridenti lavoratori, la simpatia umana del lettore, e
fors’anche dell’autore, finisce col bilanciarsi: e non è forse senza un
presago significato che il libro si chiuda con la visione luminosa del
porto di Jokohama, in cui centinaia di piccoli russi e di bimbi
giapponesi giocosamente s’incontrano e si sorridono pur senza capirsi
ancora!, 6. Cultura della
crisi e spiritualismo Nella
seconda metà degli anni ’30 uno dei messaggi più consistenti di cui
comincia a farsi portatrice la casa editrice è tuttavia di altro tipo, e
tale da prestarsi a letture diverse sul piano ideologico e politico. Si
tratta di quel filone spiritualista che si riallaccia alla cultura della crisi sviluppatasi in Europa dopo il 1929 con
svariate manifestazioni, da quelle politiche dei non conformisti francesi che potevano giocare un ruolo oggettivamente pro fa 158
Sergio Martinelli in Leonardo da VINCI;
come biografia romanzesca l’opera era liquidata da Luigi Bulferetti (
Rassegna storica del Risorgimento , XXV (1938),1437). " ; LONGO (si
veda), CRITICA FASCISTA. Le origini della casa editrice Einaudi
scista ‘9, a quelle del mondo cattolico,
assai più ambigue perché difficilmente si concretizzavano sul terreno
politico, ma comunque decisamente anticomuniste e antidemocratiche più
ancora che antinaziste, come nel caso dei cattolici italiani che
individuavano nella Chiesa l’ultimo baluardo della civiltà, pur senza
mettere in discussione il fascismo !. Anche in Italia questa ondata
irrazionalistica, tesa a mettere in discussione i valori materiali della civiltà contemporanea, fu
alimentata in particolare dagli ambienti cattolici, ma investî anche
quelli laici, a indicare la presenza di un profondo disorientamento e la
ricerca di nuove o antiche certezze: e l’insofferenza per l'ordine
costituito poteva seminare dubbi in un mondo politico, come quello
italiano, in cui il fascismo sbandierava le sue inoppugnabili verità. Il
pericolo era avvertito dal regime, se nel suo ambito si poteva parlare, a
proposito della Kulturkrisis, di manifestazioni patologiche
della cultura contemporanea, augurandosi che allo storico futuro non abbiano a
sfuggire le varie e numerose manifestazioni del genere: perderebbe con esse
una delle più eloquenti testimonianze di quel singolare squilibrio logico
e morale che imperversò in questi anni !. Motivi spiritualeggianti,
talvolta a sfondo religioso, sono presenti anche nelle edizioni di
Giulio Einaudi, che fra gli scopi della sua iniziativa nel periodo
fascista annovererà anche quello di
contrapporre all’ottimismo ufficiale un senso profondo e inquieto
dei problemi del momento !; ed è
significativo che negli stessi anni Guanda inaugurasse una collana
di Testi per una religione
universale , e che perfino Laterza ne dedicasse una agli Studi religiosi, iniziatici ed esoterici ,
dove 10 R. De Felice,
Mussolini il duce, I. Gli anni del consenso 1929-1936, Torino, Einaudi,
1974,545-549. 161 R. Moro,
La formazione della classe dirigente cattolica (19291937), Bologna, il Mulino,
1979, cap. IX. 1@ Cosi il
Meridiano di Roma del 10 gennaio
1937, nella recensione a René Guénon, La crisi del mondo moderno, Milano,
Hoepli, 1937 (con prefazione di J. Evola). Sui precedenti italiani di
questa tematica E. Garin, Gli italiani e la crisi europea, in Terzo programma (1962), n. 3,168-176. 163
AE, G. Einaudi. circolò il pensiero antroposofico di Rudolf Steiner che
tanto colpi il giovane Eugenio Curiel '#,
Che il mondo attraversi al presente un periodo di grave scompiglio,
foriero di più fosche vicende per l’avvenire, non c’è alcun dubbio
fra quanti hanno un uso passibilmente normale delle proprie
‘facoltà intellettuali , osservava nel 1938 padre Brucculeri su La Civiltà cattolica passando in rassegna alcuni libri
.sulla crisi odierna !9: fra questi, La
crisi della civiltà di: Johan Huizinga tradotto da Einaudi nel 1937, che
ebbe una seconda edizione già l’anno successivo. Il pampblet dello
storico olandese, dal titolo originario Nelle ombre del domani, faceva
esplicito riferimento alla crisi del ’29 cui era attribuita la sensazione della minaccia di. un
tramonto e del progressivo dissolversi della civiltà icome mai si era
avuta nel recente passato, se non all’inizio del secolo con il pericolo di una rivoluzione sociale
che il marxismo faceva balenare di tanto in tanto . Vediamo distintamente come quasi tutte le
cose, che altra volta ci apparivano salde e sacre, si siano messe a
vacillare: verità e. umanità, ragione e diritto , affermava
accoratamente Huizinga, la cui analisi della crisi, cosî come le
soluzioni indicate, presentano elementi di ambiguità che danno ra:gione
delle letture diverse cui dette luogo. Da un lato si :scaglia contro il
razzismo, contro Sorel padre
spirituale degli odierni regimi totalitari , contro le filosofie
vitalistiche, la dottrina della
autonomia morale dello stato
e quella dello stato-potenza
privo d’ogni freno ; dall’altro la sua critica non è meno dura nei
confronti del marxismo, in quanto osserva che né il secolo XVI né il principio
dell'Ottocento vide mai minare con sistematica coerenza l’ordine e
l’unità sociale mediante una dottrina quale quella dell’odio di classe e
della lotta di classe , e a questa accomuna
la dottrina della relatività della morale, insegnata ora N.
Briamonte, La vita e il pensiero di Eugenio Curiel, Milano, Feltrinelli,
1979,20-24. IS A, Brucculeri, La crisi odierna, in La Civiltà
cattolica , 89 (1938) vol. I,326: accanto a Guénon e Huizinga esaminava
Quel che o e quel che nasce del cattolico Daniel Rops (Brescia, Morcelliana,
‘264 Le origini della casa editrice Einaudi
sia dal sistema scientifico del materialismo storico, come: dai sistemi
psicologici che derivano da Freud ; accuse altrettanto dure sono lanciate
contro il superficiale razio:'
nalismo del secolo XVIII , il cui
disastroso effetto fu
di sradicare il concetto del servire
dalla coscienza popolare , e contro il progresso in generale,
aristocraticamente giudicato una ingenua
illusione dell’800. Da questa analisi scaturiva la proposta di un nuovo ascetismo di cui forse era un’eco parziale il nuovo umanesimo auspicato da
Salvatorelli, che non sarà un
ascetismo: della negazione del mondo per amore della salvezza
celeste, ma del dominio di sé e di un’attenuata stima del potere e
del godimento !: un invito che non
poteva trovare d’accordo La Civiltà
cattolica che, pur approvando
nelle linee generali la parte analitica del lavoro di Huizinga,
obiettava come la ricerca di certe
verità eterne non potesse fare a
meno di chi ne era il depositario naturale; il papato, che con Pio XI si
era dedicato alla difesa della.
nostra civiltà; quindi le sue proteste contro il bolscevismo, contro il
nazismo, contro il governo tirannico del Messico, contro le nefandezze
dei rossi nella Spagna !.
Critiche globali al volumetto dello storico olandese provennero da
ambienti culturali diversi: recensendone su: Leonardo
l’edizione tedesca, Cantimori, forse già
semi-marxista come si dichiarerà
più tardi, ma comunque attivamente impegnato nella difesa degli orientamenti
politici del regime, lo considerò lo
sfogo di uno: spirito d’artista individualistico, liberaleggiante,
contro questo mondo moderno, che non gli va , aggiungendo :
16 J. Huizinga, La crisi della civiltà, Torino, Einaudi, 1937 (ediz.
originale 1935), in particolare (citiamo dall’edizione einaudiana del
1962). Gherardo Casini, direttore generale per la stampa italiana,
assicurava Luigi Einaudi di aver già provveduto ad assicurare la
diffusione del saggio di Huizinga (AFE, Casini). Enzo Paci ha osservato
che l’ideale di salvezza che Huizinga propone alla civiltà contemporanea
è un ideale etico-razionale nel quale rinascono in una specie di
neogiusnaturalismo le vecchie idee di Grozio. Quest’ideale finisce per
fondersi con una concezione cristiana del fine della vita (Johan Huizinga, in Terzo programma Brucculeri, La crisi odierna, ma il passo sarà
espunto dalla riproduzione di questo giudizio nell’introduzione che Cantimori
farà alla nuova edizione einaudiana del 1962 che questa patetica laudatio temporis acti
potrebbe anche interessarci, potrebbe essere utile a chi volesse rendersi
conto dello stato d’animo di tanta parte della odierna cultura europea di
fronte alla rivoluzione sociale che in Europa si va compiendo, se non si
mischiasse di politica, e a questo modo non irritasse il lettore di un
paese cosî impegnato nella lotta politica e sociale di oggi come questa
nostra Italia '#. Analogo il
giudizio espresso sulla Nuova rivista
storica da Mario M. Rossi, che lo
defini lo sfogo pit o meno poetico di
un laudator temporis acti, come in mille epoche già ne abbiamo
uditi , e lo avvicinò a Dawson, ad Huxley e alle ultime teorie sulla
morale di Bergson !. Anche i giovani di
Corrente dichiararono di non
consentire con la speranza che la
scienza possa divenire saggezza , in quanto
non dal sapere, ma dal concreto tumulto della vita nascono i
problemi e le soluzioni ‘, e quelli
de La Ruota , pur vedendo nel
libro il prodotto spontaneo di un cuore
sincero , vi colsero opinioni superate e
irrigidimenti dottrinari tutt'altro che accettabili !, D'altro lato è interessante notare
come, nell’ambito di un giudizio sostanzialmente positivo, in ambienti
culturali opposti si cogliesse l’occasione per polemizzare con l’idealismo e lo
storicismo crociano: La Civiltà
cattolica criticò infatti il plauso della filosofia tedesca fatto da Huizinga, che invece avrebbe potuto rintracciare nelle costruzioni
filosofiche alemanne, nel kantismo particolarmente e nell’hegelianismo,
le scaturigini principali e remote della decadenza del pensiero, dello
scetticismo morale, della autonomia della politica e della statolatria e
di altrettali degenerazioni, contro le quali egli scrive delle pagine
brillanti e quanto 168
Leonardo Nuova rivista storica Bertin, La crisi della cultura e il
problema della scienza, in
Corrente di vita giovanile , 15 febbraio 1940. I7l M.
Cesarini ne La Ruota , II (1938), n.
1,100 (era esaminato anche H. Keyserling, La rivoluzione mondiale e la
responsabilità dello spirito, Milano, Hoepli, mai proficue
!; e su La Nuova Italia Alfredo Parente, dopo aver giudicato il
libro altamente pregevole come
sincera espressione di un vivo travaglio e di preoccupazioni e turbamenti
che sono preoccupazioni e turbamenti dell’intera umanità presente , ne traeva
spunto per affermare che la ormai
diffusa concezione idealistica, che il male e l’errore giustifica e redime
nell’ordine della vita spirituale, e il congiunto ottimismo, che non
indulge alla disperazione e ispira la più estrema fiducia nella vittoria
definitiva del bene, possono essere un pretesto di fatalistica
inoperosità nella coscienza degl’imbecilli e dei neghittosi, e un
istrumento di malizia nelle mani dei disonesti che da quella concezione
filosofica credono di poter trarre la giustificazione e l’approvazione del loro
qualsiasi operare ; e, dichiarandosi d’accordo con Huizinga nel veder
conculcati i valori morali, si spingeva in un invito all’azione
assai distante dalla proposta di un
nuovo ascetismo : sappiamo che gli animi dotati della
sensibilità morale dello scrittore olandese, silenziosi custodi pure in
tempo di burrasca e di travolgimenti dei valori dello spirito, son molti,
nonostante le loro voci siano sommerse da un assai crudo e talora
bestiale clamore dei popoli. Soltanto non bisogna adagiarsi e cullarsi in
quella certezza, col rischio che il ritorno della serenità e della luce
sia ritardato dall’opera di coloro, cui quella speranza non lusinga e altri meno
eletti ideali stimolano o imbestialiscono !?3, Ma l’autore non è né uno storico, né un
politico, né filosofo: è, mi pare, un buon cattolico che sorvola sui problemi della politica
e dello Stato, scriveva a Giulio Finaudi, dopo aver letto Huizinga, il
meridionalista di tradizione salveminiana Tommaso Fiore, invitando
l’editore a pubblicare storia in concreto
!. Accenti spiritualiBrucculeri, La crisi odierna,330.
173 La Nuova Italia AE, Fiore, 6
gennaio 1938; come esempio di storia in
concreto il 26 dicembre 1937 Fiore aveva proposto la traduzione di
Richard Freund, Watch Czechoslovakia! (1937): Non è un libro antifascista
e non si ‘può dire una difesa della democrazia (molto meno della
Cecoslovacchia), ma si capisce che la difesa della democrazia è un sottinteso e
le simpatie per la borghesia ceca e pel Socrate di Praga sono naturali
e profonde . Fiore, nel ’38, auspicava anche manuali di geografia politica, fatti senza
aridezza, in cui il senso politico sia profondo stici, di chiaro stampo
cattolico, riappaiono invece ne La formazione dell’unità europea di
Christopher Dawson. L’autore di Progress and Religion (1929), di cui La Civiltà cattolica aveva fatta propria l'impressione di vedere già sorgere una
nuova società, che disconoscerà ogni gerarchia di valori, ogni disciplina
intellettuale, ogni tradizione sociale e religiosa, ma che vivrà per
l’attimo presente in un caos fatto unicamente di sensazioni !, era stato già indicato da Mario M.
Rossi, sulle pagine della Nuova rivista
storica , come uno degli artefici di quelle sintesi storiche , fondate su una determinata dottrina
filosofica o religiosa , che, sempre più frequenti a mano a mano che l’Europa va
dissolvendosi nel caos , sono un
prodotto di crisi e non dell’esame di una situazione solida e delineata !. Oppositore del progresso scientifico
che gli appariva una religione laica
che ha voluto sostituire la vera unità culturale europea il
Cristianesimo , anche nel volume einaudiano Dawson considera la Chiesa elemento
unificante della storia europea fra V e XI secolo, in linea con tutta
la componente cattolica della
cultura della crisi , intenta a costruire una filosofia della storia che tendeva a
gettare ponti tra i secoli, ridotti ad attimi di un fluire storico
di smisurato respiro attorno alla vita della Chiesa !7. Dopo aver dichiarato, con
toni spengleriani, che Azio, come
Maratona e Salamina, fu uno scontro dell’Oriente e dell’Occidente, una
finale vittoria degli ideali europei di ordine e di libertà sopra il
despotismo orientale un’affermazione che
ritroveremo nelle pagine iniziali del Profilo della storia d’Europa di
Salvatorelli e, ancora più puntualmente, nel corso sulla Storia dell’idea di
Europa tenuto da Chabod, Dawson faceva una professione di fede
storiografica e ideologica insieme, sostenendo che l'influsso del cristianesimo sulla formazione
dell’unità europea è un notevole esempio del modo come il corso
dello sviluppo storico viene modificato e determinato
dall’inter- Brucculeri, La civiltà e le sue moderne involuzioni, in
La Civiltà cattolica Nuova rivista storica Moro, La formazione della classe dirigente
cattolica Le origini della casa editrice Einaudi vento di nuovi
influssi spirituali , in quanto esiste sempre nella storia un elemento misterioso e inspiegabile,
dovuto non solo all’influsso del caso o all’iniziativa del genio
individuale, ma anche alla potenza creatrice delle forze spirituali . Su questa
base l’autore sviluppa il suo ragionamento, teso a dimostrare che la Chiesa non
fu coinvolta nella caduta dell'impero di Occidente perché era diventata una istituzione autonoma che
possedeva il suo principio d’unità e i suoi propri organi d’autorità sociale.
Essa era in grado di diventare contemporaneamente l’erede e
rappresentante dell’antica cultura romana, e la maestra e la guida dei
nuovi popoli barbarici ; cosi all’inizio del secolo VIII, quando
l’invasione musulmana aprî un’ epoca di universale rovina e distruzione
, vennero gettate le fondamenta della
nuova Europa, da uomini come San Gregorio, che non avevano idea di
edificare un nuovo ordine sociale, ma siccome il tempo stringeva, si
travagliavano per la salvezza degli uomini in un mondo moribondo. E fu
proprio quest’indifferenza per i risultati temporali che diede al
papato l’energia di diventare, nella decadenza generale della civiltà
europea, un centro di riorganizzazione delle forze della vita . Al
termine di questo processo, il secolo XI vide l’incorporazione di tutta l’Europa
occidentale nella cristianità , e l’inizio di un moto di progresso che dura poi quasi
senza interruzione fino ai tempi moderni ; la logica conclusione del
volume era perciò un invito a proiettare nel futuro la tradizione
culturale ricostruita in sede storica: Ai nostri giorni
l'Europa è minacciata del crollo della cultura aristocratica e laica su
cui era fondata la seconda fase della sua unità. Sentiamo di nuovo il
bisogno di un'unità spirituale o almeno morale. Ma è bene ricordare che l’unità
della nostra civiltà non poggia soltanto sulla cultura laica e sul
progresso materiale degli ultimi quattro secoli. Ci sono in Europa
tradizioni più profonde di queste, e dobbiamo risalire oltre l’umanesimo
e oltre i trionfi superficiali della civiltà moderna, se vogliamo scoprire le
fondamentali forze sociali e spirituali che hanno lavorato alla
formazione del l’Europa Dawson, La formazione dell’unità europea dal
secolo V all'XI, Non ci manca
che la preghiera a Notre-Dame de Lourdes, perché il Dawson ci appaia come
un maresciallo Pétain della cultura , osservava sarcasticamente, nel
1940, il libertino Arrigo Cajumi, ormai distaccato dall’ambiente della
casa editrice ‘, Ma sempre nel 1940, quando anche l’Italia era entrata in
guerra, Mario Delle Piane riconosceva a Dawson il merito di aver fatto
rivivere un’epoca lontana ed
oscura e, pur tuttavia, attualissima, oggi che si assiste, pare, alla
lotta di due civiltà ed alla fine di una di esse, anche se aggiungeva,
idealisticamente, che la civiltà è
una e imperitura, non essendo altro che il concretarsi dello sviluppo del
libero spirito umano: cioè storia
!®. Più nettamente si esprimeva, pur mantenendosi sul piano della
discussione storiografica, Gino Luzzatto, che alla storia delle idee di
Dawson contrapponeva il Maometto e Carlomagno di Henry Pirenne uscito da
Laterza nel 1939, mosso
dall’osservazione di un fatto economico , e, giudicando alquanto azzardato il ragionamento dello storico inglese, si
chiedeva se la mirabile fioritura
della vita cittadina fra il XII ed il XV secolo non abbia avuto per la
formazione della moderna civiltà europea un’importanza assai maggiore dei
rapporti fra Chiesa ed Impero
15. Il tema del contrasto fra civiltà materiale e
aspirazioni spirituali, presente in Huizinga e Dawson, circola
problematicamente anche nei romanzi dei
Narratori stranieri tradotti , in particolare in quelli di autori
inglesi dell’età traduzione di C. Pavese, Torino, Einaudi. Anche
per Chabod ad opera del pensiero greco si era formata una Europa che rappresenta lo spirito
di libertà, contro il dispotismo asiatico
(Storia dell’idea d'Europa, a cura di E. Sestan ed A. Saitta,
Bari, Laterza Cajumi, Pensieri di un libertino, presentazione di V.
Santoli, Torino, Einaudi, 1970,183. 180 Rivista storica italiana , s. V, V
(1940),425. Secondo Gabriele Pepe, per Dawson il mondo europeo sente più vivo il bisogno di un ordine
culturale nuovo, fondato su un pivi intimo contatto con le civiltà dei
popoli dell’Oriente e di tutto il restante mondo, che non rientrano nei quadri
della nostra tradizione culturale (La
nascita dell'Europa, in Oggi , 24
febbraio 1940). 181 Nuova
rivista storica , XXIV (1940),262-264 (siglato G.). 270
Le origini della casa editrice Einaudi vittoriana la cui
funzione, in questi anni di crisi di valori, può apparire analoga a
quella svolta a cavallo del secolo dal Tolstoj fustigatore del progresso meccanico !. Di Pater, fin allora conosciuto in
Italia solo come caposcuola di un estetismo immoralistico che sarebbe emerso dai suoi studi sul
Rinascimento, Einaudi presenta il romanzo del 1885 MARIO DEL GIARDINO l’epicureo,
in cui l’autore intende to show the
necessity of religion , in un senso assai diverso dalla difesa della religione laica fatta nel 1882 dal Marc Aurèle di
Renan. Il protagonista, la cui vicenda è ambientata ai tempi di Marco Aurelio
espressione di una civiltà arida paragonata da Pater a quella
materialistica dell’800, abbraccia dapprima
un epicureismo elevato a disciplina morale, che ha per suo fine
non il godimento, sia pure raffinato, ma la perfezione dell’essere
intimo, culto reso alla luce dell’intelletto , per approdare infine al
cristianesimo, come scrive la curatrice del volume: Il cristianesimo fervido e sereno di
quei primi tempi eroici, scevri di fanatismo, l’esultanza invulnerabile
dei credenti, la loro speranza serena, gli mostrano il sorgere di
un’umanità dotata di quelle qualità morali di cui il mondo pagano è
privo, ma che pure non rinnega l’amore alla vita e alla bellezza !.
Romanzo filosofico , lo qualificherà Beniamino Dal Fabbro
recensendolo positivamente su Primato ,
in cui tuttavia il significato dottrinario sembra soverchiato da un senso
religioso inteso liricamente . Lo stesso Dal Fabbro citava le edizioni
einaudiane, entrambe del 1939, de La storia di Henry Esmond di Thackeray
e del David Copperfield di Dickens tradotto da Pavese, per coglierne la contemporaneità in ciò che fu
chiamato il compromesso vittoriano, saggia mistura di borghesia e di
cristianesimo, di calcolate ribellioni e di più comode acquiescenze !. Materia e spirito si oppongono
e si confondono anche 182
G. Turi, Aspetti dell’ideologia del Psi (1890-1910), in Studi storici , XXI (1980),85 n.
102. 183 W. Pater, Mario l’epicureo, traduzione di L. Storoni
Mazzolani, Torino, Einaudi Primato , I (1940), n. 1,14, e Oggi in Cosi muore la carne di Samuel Butler, un
romanzo in gran parte autobiografico ambientato nell’età vittoriana,
in cui il curatore notava la
ricerca continua e affannosa di una fede, in grado di sostituire la
religione tradizionale , e
l’ingenua fiducia accordata a ogni nuova teoria, la quale non
tardava ad abbandonare i precisi limiti scientifici per confondersi in un
alone religioso , la ribellione di Butler al positivismo e il suo invito
agli uomini di liberarsi dal peccato e dal dolore amando il vero dio
!. Dal romanzo traeva spunto il liberalsocialista Vittorio
Gabrieli per presentare la figura dell’autore su Civiltà moderna , e mettere in luce che
nell’età vittoriana, in un momento in cui
si accentua e si propaga il dissidio tra sentimento religioso e
spirito scientifico, misticismo e razionalismo , nasceva in Butler, cosî
come nel protagonista del romanzo, la satira della società, della scuola,
della famiglia, della religione tradizionale, e il suo tentativo di
conciliare la scienza con la religione: di qui, in lui, una curiosa
mescolanza di immanenza razionalistica e di spiritualità profonda e
fantasia suggestiva , e, in contrasto con la visione materialistica
dell’universo fornita da Darwin,
l’affermazione dell’attività dello spirito sulla materia, della
libertà umana, del progressivo scoprirsi d’un ordine nell’universo, un principio
vitalistico ed una forza creativa, sostituendo cosî al meccanismo della
selezione naturale una finalità, un divenire teleologico, che effettivamente
collima con una concezione religiosa
!, In questo contesto si spiega come nel 1938 Aldo Capitini,
esponente di un liberalsocialismo dalle forti venature religiose, si
rivolgesse a Einaudi per proporgli la pubblicazione dell’epistolario di
Michelstaedter, un autore che Capitini
scopri negli anni ’30 e che tanta
influenza ebbe sui suoi Elementi di esperienza religiosa, cosi come
185 S. Butler, Cost more la carne, prefazione e traduzione di E. GiaDio,
Torino, Einaudi, 1939,VII, IX (citiamo dalla seconda edizione el
1943). 186 V. Gabrieli, Presentazione italiana di S. Butler, in Civiltà moderna. Landolfi coglieva invece
nel romanzo un'impressione di
triste aridità ( Oggi Le origini della
casa editrice Einaudî su altri intellettuali che negli anni fra le
due guerre ne. ripresero la riflessione sulla situazione
umana, sui valori della morale e della fratellanza; di lui,
ricorderà Capitini, lo aveva colpito
l’antiretorica, quel tipo di esistenzialismo, che poteva divenire
supremo impegno pratico, come poi mi è stato confermato dall’esame
dell’epistolario manoscritto, dall’interesse che egli ebbe negli ultimi
suoi anni per i Vangeli; insomma mi pareva esatto considerarlo.
come la premessa di una tensione pratica etico-religiosa !. Carlo Michelstaedter scriveva
infatti a Einaudi ha portato. nella cultura italiana un rigore insolito
nell’esigenza dell’assoluto. Egli spicca in confronto di molti suoi
coetanei della Voce che furono morbidi e, prima o poi,
arrendevoli. L'elemento intransigente e tragico difetta troppo nella
nostra spiritualità perché non ne sia desiderabile l’innesto. Le riserve
sul pensiero e sulla decisione del Michelstaedter [morto suicida nel
1910] non spengono l’importanza che egli ha per quelli che oggi ascoltano
voci perentorie e disperate per vincere la faciloneria. Cresce
l’interesse per lui; sta diventando un punto di riferimento, anche per
chi comprende che si deve andare oltre e ricostruire ma su serie rovine
!88, Dubbi o disorientamenti, tendenze spiritualistiche ed
esperienze religiose, anche se non univocamente contraddistinte, o recepite,
sul piano civile, venivano cosî conferendo alla casa editrice la funzione di
stimolo alla riflessione, a non affidarsi alle
certezze del regime proprio
nel momento in cui ci si avvicinava alla guerra. Una cultura eclettica:
i Saggi Dubbi e inviti
alla riflessione si accompagnano tuttavia, ancora in questi anni, alla
difficoltà di attestarsi su una linea culturale ben definita, che si
manifesta in una 187 A. Capitini, Antifascismo tra i giovani,53.
Sulla fortuna di Michelstaedter tra le due guerre E. Garin, Intellettuali italiani del XX
secolo,102-103. 18 AE, Capitini. L'editore propose invece a
Capitini di scrivere un libro su Michelstaedter; nel 1938 Capitini
propose anche Ends and means di Aldous Huxley inquieta ricerca di novità : ne è testimonianza precipua la
collana dei Saggi , quella di maggiore
diffusione, che affronta temi disparati secondo ottiche diverse,
dimostrando talvolta l’insofferenza verso i canoni della cultura
fascista ma, al tempo stesso, il persistere di un eclettismo che
smorza i tentativi innovatori della casa editrice. I Saggi
erano stati inaugurati nel 1937 da Voltaire politico
dell’illuminismo di Raimondo Craveri, severamente giudicato da Giustizia e Libertà !° incapace di cogliere gli elementi
caratteristici di un’opera che, in linea con l’interesse per il pensiero
settecentesco de La Cultura e di
Salvatorelli, si richiamava agli studi più recenti, in particolare a
quelli di Dilthey e di Cassirer negatori della taccia di antistoricismo
mossa al secolo XVIII, per svolgere una critica trasparente dell’idealismo e
della concezione attualista dello Stato: Le idées claires che
l’illuminismo ha amato osservava infatti l’autore, giovano forse a
riportatci in più spirabil aere di quello saturo di aberrazioni mentali
mascherate di hegelismo ed ammantate di dialettica d’oggigiorno . Il
teorico del dispotismo illuminato diverrebbe ora il nemico d’ogni
statolatria e d’ogni anarchia ed, in quanto fautore della tolleranza,
l’avversario principe dello Stato provvidenzialmente onnipresente ed
onniagente. Sul terreno teorico Voltaire scende in campo contro gli
epigoni dell’hegelianismo L’anno successivo appariva il Profilo di
Augusto di Ettore Ciccotti, dove il rifiuto di ogni glorificazione e
attualizzazione del personaggio biografato, proprio quando la sua figura
era ufficialmente celebrata dal fascismo alla ricerca di legittimazioni
imperiali in occasione del bimillenario della nascita dell’imperatore romano,
appariva evidente fin dalle dichiarazioni metodologiche iniziali in
189 Libro di eccellenti
intenzioni, ma di esito abbastanza infelice [....] l’abuso di filosofia
del Craveri lo porta a dedicare l’intero suo libro al sistema filosofico
di Voltaire, che era cosa da trattare in quattro pagine . Le sole cose
sensate ci paiono essere le riflessioni sul despotismo illuminato, e il
suo carattere apolitico, la indifferenza di Voltaire per lo Stato e il
suo ottimismo per la libera attività nella società esistente ( Giustizia
e Libertà , 23 aprile 1937). 190 R. Craveri, Voltaire politico
dell'illuminismo, Torino, Einaudi Le origini della casa editrice Einaudî
cui l’autore, riecheggiando, anche se in forma più blanda, gli
interessi economico-sociali che ne avevano caratterizzato la produzione a
cavallo del secolo, affermava che gli uomini dovevano essere
collocati in relazione all'ambiente e
al tempo , onde non si tratta di
apoteosi o condanne, di glorificazioni od esecrazioni; e piuttosto, o
meglio, di cercare di comprendere come e per quali vie e tra quale
varia cooperazione e con quali effetti sociali gli eventi si svolsero e
si conclusero, e con quali prospettive e significato ; ma si limitava in realtà
ad una narrazione puramente cronachistica, in cui spicca un solo giudizio
dal trasparente significato politico, che, ancora una volta, la Nuova rivista storica non mancava di rilevare: Gli autocrati, d’ordinario, dovendo
farsi perdonare la confiscata libertà e il potere assoluto, ricorrono a
miraggi di conquiste, onde lampeggiano a’ soggetti beneficii spesso
sognati od effimeri e al dominatore ancor più effimero prestigio: quindi
la guerra !. Distante dalla
cultura idealistica era anche l’interpretazione psicanalitica proposta dallo
psichiatra spagnolo Gregorio Marafion, che intendeva mettere in luce le
qualità umane dello scrittore ginevrino Henry Amiel sulla base di una
concezione relativistica della morale, secondo la quale le cose non sono quasi mai assolutamente
buone o cattive, e l’efficacia loro, positiva o negativa, dipende pi
dall’orecchio di chi le ascolta che dal labbro di chi le pronuncia !, Una linea diversa prevale
invece nei saggi dedicati alla letteratura italiana, nonostante la
presentazione della figura inquieta e non conformista di Tommaseo, di
cui Raffaele Ciampini mette in luce, nel Diario intimo, il lace 191
E, Ciccotti, Profilo di Augusto, Torino, Einaudi la recensione di Giovanni
Costa in Nuova rivista storica anche M.
Cagnetta, Antichisti e impero fascista, Bari, Dedalo, 1979,133. Nel
giugno 1938 Ciccotti propose all’editore la ristampa de La guerra e la
pace nel mondo antico del 1901, ma Einaudi gli contropropose un saggio
sui Gracchi (AE, Ciccotti). 192. G. Marafion, Arziel, o della
timidezza, traduzione di M. F. Canella, Torino, Einaudi, 1938, (ediz.
originale 1932),XV; Ferrata osservò che il libro manca, del tutto, di sensibilità poetica e
psicologica ( Oggi rante contrasto fra il richiamo dei sensi e
quello della religione, mentre, presentando la Cronichetta del
Sessantasei dello scrittore dalmata, ne sottolinea, accanto
all’attaccamento alla Chiesa, la convinzione federalista, all’origine di
quella critica troppo spesso genialmente e perfida mente malevola che investe in primo luogo i
protagonisti piemontesi del processo di unificazione, Cavour e
Vittorio Emanuele ‘, suscitando ovviamente lo sdegno della Rassegna storica del Risorgimento che giova il conoscere tanta ombra,
quando alla storia si deve piuttosto chiedere tanta luce? !. Preoccupazione precipua dell’editore
appare comunque la difesa del crocianesimo, testimoniata anche dal suo fitto
carteggio con quel Luigi Russo che su
La Cultura Cajumi aveva duramente
stroncato ! Nella raccolta di saggi su Carducci di Tommaso Parodi,
Antonicelli mette in evidenza la vicinanza dei giudizi espressi dall’autore e
da Croce, entrambi mossi dalla preoccupazione di distinguere l’uomo
dall’artista, che in Parodi si esprime nella sufficienza con cui tratta
l’interesse del poeta per la tecnica filologica, cosî come la sua
fase socialista e anticlericale,
per concludere che Carducci è poco
felice quando cerca argomento nella
storia più recente, ove facilmente soverchiano in lui le passioni
pratiche, e allora gli s’intorbida la serenità lirica, mancandogli
lo sfondo epico della lontananza
!. Il timore di non con 19 N. Tommaseo, Diario intimo, a cura di
R. Ciampini, Torino, Einaudi, 1938, e Id., Cronichetta del Sessantasei, a
cura di R. Ciampini, Torino, Einaudi, 1939,49-50, 78: Tommaseo, osservava
Ciampini, vedeva e concepiva
l’unità come una oppressione dal forte esercitata sul debole, come un
soffocamento dei vari germi locali. Il Piemonte vincitore in Italia, gli
appariva un arrogante dominatore: per lui, il Piemonte non vuole fare
l’Italia, ma vuole conquistare a proprio profitto l’Italia . 19
Piero Zama, in Rassegna storica del Risorgimento Russo proponeva una serie di
volumi miscellanei sugli studi italiani del ’900: due sulla storia e la
filologia (curati da lui), due sugli studi filosofici, giuridici ed economici
(curati da De Ruggiero e Luigi Einaudi), uno sulle scienze naturali e
matematiche (curato da Enriques); nel giugno 1937 accettava di scrivere
un volume sul Persiero politico di Vittorio Alfieri (AE, Russo). 1%
T. Parodi, Giosue Carducci e la letteratura della nuova Italia, saggi
raccolti da F. Antonicelli, Torino, Einaudi; recensendo il volume Enrico Falqui
osservava che un Le origini della
casa editrice Einaudi traddire Croce è ancora pit esplicito nella
vicenda della pubblicazione dei saggi sugli Scrittori francesi dell’Ottocento
di De Lollis, un debito dovuto alla tradizione sulla quale si era formato
il primo nucleo della casa editrice: Giulio Einaudi ne aveva inizialmente
affidata la cura a Cajumi, raccomandandogli di evitare toni anticrociani
tali da provocare una stroncatura da parte della Critica ; ma l’ex direttore de La Cultura
aveva dichiarato di non poter accettare la censura crociana , aggiungendo che le
colpe e le ipocrisie crociane verso De Lollis (e non è solo parer mio, ma
anche dei vecchi delollisiani come Trompeo) devono a/fine venire
documentatamente in luce . Dopo aver inutilmente proposto dei tagli alla
prefazione di Cajumi per togliere gli
accenni più violenti all’idealismo e alla filosofia in genere ,
l’editore ne affidò quindi la cura al pi fidato Vittorio Santoli ', che
nell’introduzione dichiarava
decisivo l’incontro di De Lollis
con Croce, mettendo in luce, nel primo, il riconoscimento
dell’insufficienza dell’indagine filologica secondo la quale ogni poeta è l’età sua più qualche cosa che è
tutto suo ; ‘e concludeva estendendo i legami fra Croce e De Lollis
alle riviste da loro dirette:
della Cultura si può tranquillamente dire ch’essa, insieme alla Critica,
è stata la rivista che più ha contribuito ad avviare la mentalità
universitaria italiana dal tecnicismo all’umanesimo, da certe angustie
paesane ad una universalità di sguardo nella quale era però sempre
riconoscibile il tranquillo orgoglio d’essere ah si! di gran signori !. Ma, a testimoniare l’intersecarsi di
linee diverse, nel 1939 la Nuova
raccolta di classici italiani annotati
diretta da Santorre Debenedetti costretto dalle leggi razziali ad
abbandonare l’insegnamento universitario po’ pit di peso dato alla
filologia nel giudizio sur un’opera letteraria e poetica conferirebbe
alla critica idealistica quella aderenza al fatto artistico la quale, da
ultimo, si risolve in una maggior comprensione dell’opera stessa (Oggi , 17 giugno 1939). Nel ’39 Antonicelli
accettava din Einaudi l’incarico di curare un'antologia della letteratura
italiana in otto volumi (AE, Antonicelli). 197 AE,
Cajumi. 1% C. De Lollis, Scrittori francesi dell'Ottocento, con un
saggio biogra fico di V. Santoli, Torino, Einaudi si inaugurava con le
Rizze di Dante commentate, in senso non certo crociano, da Gianfranco
Contini, e che pur Luigi Russo giudicò
opera fondamentale che segna una data nella storia degli studi e
delle interpretazioni dantesche
!°. Al tempo stesso, l’opera di sprovincializzazione
della cultura italiana cui abbiamo già accennato a proposito
della Biblioteca di cultura
storica , iniziava nel 1938 anche nei
Saggi : l’Autobiografia di Alice Toklas di Gertrude Stein un
vivace affresco della cultura d’avanguardia europea dell’inizio del
secolo, da Picasso a Matisse, da Henry James a Hemingway, permetteva al
traduttore, Pavese, di cogliere i debiti dell’autrice verso Walt
Whitman nella contemplazione
ironica e insieme intenerita di un mondo reale, fuori d’ogni troppo
compiaciuto interesse per i procedimenti dell’arte e in
quel conturbante realismo della vita subconscia che resta a
tutt’oggi il pit vitale contributo dell'America alla cultura ?°, motivi non estranei alla ricerca
stilistica dello scrittore piemontese. Nello stesso anno era inaugurata
la collana Narratori stranieri
tradotti in cui, scriveva
l’editore, dovrebbero entrare,
oltre ai classici, solo scrittori universalmente riconosciuti come
eccellenti ?". Nata per impulso di
Ginzburg che con estremo puntiglio
filologico ne seguirà le edizioni anche dal confino di Pizzoli e con
l’apporto di Pavese, la celebre collana dalla copertina azzurra offrî,
sulle tracce della Slavia da cui riprese alcuni titoli russi ,
traduzioni integrali di testi molti dei quali mai fin allora conosciuti
in Italia nella loro completezza, ad opera di traduttori d’eccezione:
accanto a Ginzburg e a Pavese, Ettore Lo Gatto, Alberto Spaini, Pietro
Paolo Trompeo, Piero Jahier, Massimo Mila, Camillo Sbarbaro, per
arrivare, nel 1946, alla prima traduzione di Proust a cura di 19
Russo a Einaudi, 11 dicembre 1939 (AE, Russo). Sul direttore della
collana ora L. De Vendittis, Santorre
Debenedetti tra positivismo e idealismo, in Studi piemontesi , VIII (1979),3-25.
20 Ora in C. Pavese, La /etteratura americana Einaudi a Umberto Morra, 8
maggio 1939 (AE, Morra). 2
AE, Polledro. Le origini della casa editrice Einaudi
Natalia Ginzburg. Il lettore italiano venne cosî a contatto soprattutto con
i capolavori del romanzo psicologico ottocentesco, stimolo a riflessioni su
vicende e passioni al di sopra delle contingenze storiche, non senza
talvolta, attraverso la guida delle introduzioni, riferimenti indiretti
all'attualità. Gli interessi e i suggerimenti dei curatori sono
ovviamente diversi: mentre Lo Gatto antepone nell’Oblòmov di Gonciaròv il
valore artistico rispetto a quello sociale ?%, Pavese coglie in Tre
esistenze della Stein un primo esempio
perfetto di quella che sarà ricerca costante della narrativa americana del
nuovo secolo: un mondo fantastico che sia la realtà stessa, colta nel suo
farsi espressivo , un giudizio non solo estetico che Mario Alicata
puntualizzerà evidenziando la descrizione della provincia americana nella sua grama miseria, nella sua disperata
solitudine , per cui il realismo
metafisico della Stein sempre volutamente si nega ad ogni illuso
sentimentalismo ?. Nei romanzi di
Dostojevskij pubblicati durante la guerra Ginzburg mette invece in
evidenza, pur accanto alle contraddizioni della filosofia
dell’autore, il messaggio umano del principe Myskin, assolutamente buono e non per questo vinto, la cui figura
anima un libro consolante e vivificatore
come pochi altri libri venuti dopo il Vangelo , e, nei Demoni, la critica
di Dostoevskij che restò tuttavia
lontano da ogni apologia dell’ordine esistente verso i risultati, e non verso le ragioni
dei rivoluzionari contro la società, e, come tema dominante,
l’inquieta ricerca della fede ?. E, mentre nel 1942 è presentato come la
tragedia d’un Amleto americano e una
sofferta polemica contro
l'umanità il Pierre o delle ambiguità di
Melville, che Pratolini considera precursore di Meredith, James e
Conrad, una filza di nomi che potrebbe
continuare, prove alla mano, fino a comprendere autori che respirano
l’aria 23 I. Gonciaròv, Oblòmov, prefazione e traduzione di E. Lo
Gatto, Torino, Einaudi, 1938 (II ediz. 1941),VII. 2% C.
Pavese, La letteratura americana,169; recensione di Mario Alicata in Leonardo , XI (1940),174. 25 Ora
in L. Ginzburg, Scritti, di questa lunga giornata di guerra, da una parte e
dall’altra delle trincee ?, la
difesa dei valori dell’uomo che trascendono sistemi politici o contingenze
belliche, e la speranza di una fratellanza universale, traspaiono, sempre
nel 1942, da Guerra e pace, dove
guerra è il mondo storico, pace il mondo umano , osserva Ginzburg,
quel mondo umano che interessa ed
attrae particolarmente Tolstoj soprattutto perché egli è convinto che ogni uomo
di ieri, di oggi, di domani valga un altro uomo , e che trova la
sua esaltazione nel finale intimistico e famigliare del romanzo, dove è
descritta quella felicità che può far
distogliere lo sguardo di un giusto da un uomo ucciso ingiustamente 2.
L’amore per la natura, i diritti del cuore, la gloria del
sentimento , contrapposti alla falsità
della vita sociale , erano stati messi in luce nel primo volume
della collana, I dolori del giovane Werther ®; da Goethe si passa, con la
caduta del fascismo, a Diderot, a Jacques il fatalista in cui Glauco
Natoli identifica nel protagonista e nel padrone dei personaggi reali, nei quali s’incarna
la mortale polemica fra due classi destinate ad affrontarsi, nel fatale
declino l’una, nell’irresistibile ascesa l’altra, che s’affrancherà
sempre più d’ogni servile retaggio per reclamare e raggiungere quella dignità
umana, che troverà fra non molto la sua piena espressione nella
dichiarazione dei diritti dell’uomo
°°. Il commento si farà infine ancora più esplicito nel 1945,
sempre attraverso Diderot, di cui Fernanda Pivano sottolineerà la passione politica dell’uomo che si pone di
fronte a leggi costituite da un’autorità non riconosciuta e a norme
imposte da una tradizione isterilita per abbatterle ed eliminare gli ostacoli
al libero pen 26 H. Melville, Pierre o delle ambiguità, prefazione e
traduzione di L. Berti, Torino, Einaudi, 1941,VII, IX; la recensione di
Pratolini in Primato , III
(1942),287-288. 20 L. Ginzburg, Scritti,285, 287. 28 W.
Goethe, I dolori del giovane Werther, prefazione e traduzione di A.
Spaini, Torino, Einaudi Diderot, Jacques il fatalista e îl suo padrone,
traduzione di G. Natoli, Torino, Einaudi, 1944,XV. 280
Le origini della casa editrice Einaudi siero, alla libera
parola, alla libera morale, alla libera scienza 7°, Attraverso i classici della
letteratura universale potevano cosi passare messaggi emotivi capaci di distrarre il lettore dalla realtà
della vita quotidiana, e sollecitarne la fantasia, la riflessione, la
critica. Un raggio d’influenza più limitato ebbe ovviamente un’altra
iniziativa della casa editrice, la
Biblioteca di cultura scientifica
avviata nel 1938, che trovò probabilmente un terreno di coltura
già preparato nella Torino di Giuseppe Peano, e un animatore in
Ludovico Geymonat: una collana che con i testi di De Broglie, Pavlov o
Planck, riuscf a presentare, non senza contrasti ?!, una tematica che era
rimasta estranea alla cultura idealistica, ma che ciò nonostante gli
epigoni del positivismo avevano tenuto in vita; ad essa si affiancò, a
partire dal 1940, la rivista Il
Saggiatore , dedicata alla divulgazione dell’attualità scientifica nei
campi della matematica, della biologia, della fisica fino ai problemi
dello sfruttamento dell’energia nucleare e delle loro applicazioni
tecniche, ma che solo in casi isolati si occupò dell’utilizzazione delle
scoperte scientifiche a fini bellici, dimostrandosi severa custode
dell’autonomia della scienza, fino a definire ridicola
la condanna papale di Galileo Diderot, La religiosa, prefazione di F.
Pivano, Torino, Einaudi Ad esempio il 14 novembre 1942 Geymonat inviò a
Francesco Severi e Armando Carlini un memoriale per protestare contro il
parere negativo dell’Accademia d’Italia alla traduzione di Die Grundlagen
der Arithmetik di Gottlob Frege (AE, Geymonat). Dedica un breve
cenno all'ambiente torinese di Peano C. Pogliano, Mondo accademico,
intellettuali, professione sociale dall'Unità alla guerra mondiale, in Storia
del movimento operaio, del socialismo e delle lotte sociali in Pie monte,
diretta da A. Agosti e G.M. Bravo, vol. I. Dall'età preindustriale alla
fine dell'Ottocento, Bari, De Donato. 212 M.G. Fracastoro, Nel 3°
centenario della morte di Galileo Galilei, in Il Saggiatore. La rivista era diretta da C.
Frugoni, F.Mazza, A. M. Olivo, F. Tricomi, G.C. Wick. 281
8. La svolta della guerra e i collaboratori romani La seconda guerra
mondiale rappresenta, per l’itinerario culturale e politico di molti giovani
intellettuali formatisi negli anni ’30, quella
svolta in senso antifascista
che spinse Bottai a tentare con
Primato di recuperarne il
consenso attorno alla guerra italiana . Il 1940 è una data periodizzante
anche per la casa editrice, i cui interventi se prescindiamo dalla
continuazione della battaglia conservatrice dei liberisti si modificano
sensibilmente: si accentuano i contatti con la cultura europea e si
raccoglie attorno alla casa un numero crescente di intellettuali progressisti,
cos che negli anni intercorrenti tra l’entrata in guerra dell’Italia e il
25 luglio 1943 si pongono concretamente, nelle realizzazioni o anche solo nei
progetti alcuni dei quali molto coraggiosi per allora le premesse di gran parte delle
iniziative editoriali del periodo postbellico. Uno dei punti nodali
che è necessario mettere in luce, in questi anni, è il rapporto della
casa editrice con Bottai e con l’operazione che questi si proponeva di
svolgere attraverso Primato . Giulio
Einaudi ha ricordato che il nostro gruppo non solo non agî
all’interno dello schieramento fascista, ma tentò di fare in proprio e
spesso con successo quella stessa
politica che il fascismo intendeva attuare con strumenti come Primato . Forme indirette di opposizione sf,
com’era inevitabile a chi, producendo libri, doveva agire alla luce del giorno,
e assumere di volta in volta una maschera, che fosse la più
trasparente possibile; concessioni ideologiche al fascismo, o discussioni
alla pari, mai 215, Queste parole rivelano una
sopravvalutazione del ruolo di
opposizione che sarebbe stato
svolto da Bottai, e di conseguenza potrebbero essere assunte come prova
di un pieno coinvolgimento della linea editoriale einaudiana nella
fagocitante, proprio perché spregiudicata, prospettiva politica del ministro
fascista, diretta in realtà a imbrigliare ogni opposizione. Infatti,
se Primato non può essere tutto 213 AE, G.
Einaudi. 282 Le origini della casa editrice Einaudi
risolto nella categoria
fascismo ?!, e se è necessaria
una sua lettura non univoca, che ne colga gli sviluppi nel corso
della guerra #5, la rivista non poteva essere considerata, né dal
fondatore né dai collaboratori, solo come il luogo della difesa della cultura , essendo ben marcato il
suo carattere militante e ben netto l’obiettivo di Bottai come
risulta anche dai suoi ricordi e dalle sue note di diario di far sopravvivere il fascismo al mussolinismo . Non è quindi privo
di ambiguità il fatto che, dopo essere entrato in contatto con Bottai
proprio nel 1940, ancora nel 1942 Einaudi si rivolgesse a lui per
proporgli di pubblicare presso la casa editrice una raccolta dei
suoi interventi sull’arte e la cultura
non può mancare tra i miei Saggi una presa di posizione nella
polemica che ferve per l’intelligente modernità dell’arte italiana; e chi
meglio di Voi può difendere questo partito in un libro? , e che
nello stesso anno fosse in contatto con il redattore capo della rivista
Giorgio Cabella, di cui pubblica il racconto Alloggio sul golfo (1942),
oltre ad affidare la cura delle Memorie di Metternich al bottaiano Gherardo
Casini, direttore generale per la stampa italiana ?!9. Tuttavia,
nonostante la presenza di elementi contraddittori, proprio nel rapporto
con la casa editrice è possibile misurare lo scarto fra le intenzioni di
Bottai e i risultati della sua politica, in quanto, soprattutto a partire
dal 1941, alcuni dei nuovi collaboratori
romani di Einaudi che scrivono
su Primato hanno già compiuto la scelta antifascista, e
sollecitano l’editore a iniziative più avanzate che reclamizzano
214 E. Garin, Cronache di filosofia italiana,527. %5 le osservazioni di Luisa Mangoni premesse
all’antologia Primato 1940-1943, Bari, De Donato, Bottai. Il 24
febbraio 1942 Alicata scriveva all'editore: Vedrò domani Bottai per Primato, e gli
chiederò ancora il suo volume di scritti culturali (AE, Alicata). Già il 6 ottobre 1940
l'editore aveva chiesto a Bottai di segnalare
Il Saggiatore all’apposita
commissione ministeriale affinché vengano sottoscritti alcuni abbonamenti per
le Biblioteche degli Istituti di Istruzione tecnica ; 1°11 giugno 1942
ringraziava il ministro per
l’interessamento dimostrato a mio favore in merito alla carta . anche le lettere dell’editore a Cabella del
5 si 1942, e di Casini all’editore dell’8 giugno 1942 (AE, Cabella,
asini). sulla
rivista, usata come strumento di discussione e di apertura culturale,
consentendo cosî alla casa editrice di attestarsi su posizioni che superano i
confini del progetto bottaiano. A dare nuova linfa vitale alla casa
editrice contribuî infatti nel 1941, con l’apertura della sede romana,
l’incontro dell’originario nucleo torinese con quello romano di Mario
Alicata, Giaime Pintor e Carlo Muscetta, tre giovani intellettuali che, pur con
diversi orientamenti, avevano già tradotto politicamente, in senso
antifascista, la loro rapida maturazione culturale; con i loro contatti,
inoltre, essi allargarono il numero dei collaboratori di Einaudi,
fra i quali comparvero, i che rimasero ancora i più numerosi,
intellettuali già aderenti al partito comunista o che si venivano
orientando verso di esso, ma tutti uniti nella comune lotta al fascismo,
senza che si manifestassero fra di loro, almeno fino al 25 luglio
1943, contrasti di rilievo. Nell’aprile 1940 Alicata e Muscetta avevano contribuito
a inaugurare la nuova serie de La
Ruota cui collaboravano anche Pintor e
Pavese , la rivista diretta da Mario Alberto Meschini che, sostituendo il
sottotitolo mensile di politica e
letteratura con quello apparentemente più disimpegnato di rivista mensile di letteratura e arte ,
assumeva in realtà la prospettiva di un’azione politica a più largo respiro ?,
nella convinzione, comune a tanti giovani intellettuali che davano
vita o partecipavano a iniziative di fronda, di potersi salvare ricorderà
Pavese con un tuffo nella folla, un febbrone improvviso d’esperienze e
d’interessi proletari e contadini, per cui la speciale e raffinata
malattia che il fascismo c’iniettava, si risolvesse finalmente nell’umile
e pratica salute di tutti
?!". Mentre Muscetta era attestato su posizioni
liberalsocialiste, già nel 1940 Alicata aveva superato l’originaria
formazione crociana per abbracciare 2
la testimonianza di Antonello Trombadori in M. Alicata, Lettere e
taccuini di Regina Coeli, prefazione di G. Amendola, introduzione di A.
Vittoria, Torino, Einaudi, Pavese, IÙ fascismo e la cultura 1945), ora in La
letteratura americana Le origini della casa editrice Einaudî
uno storicismo pit concreto maturato sulla conoscenza di De Sanctis e di
Fortunato e sulle prime letture marziste, e aveva aderito al partito
comunista segnalandosi subito per quell’intensa attività politica tesa ad
allacciare rapporti con i liberalsocialisti e i cattolici comunisti che
ne provocò l’arresto alla fine del 1942 ?. Ancora tutto letterato
alto-borghese era invece Pintor, che tuttavia viene in contatto,
nell'ambiente einaudiano, con il cattolico Felice Balbo il cui influsso sul mio modo di pensare è
stato decisivo , annoterà, e viene maturando politicamente di fronte alla
drammatica realtà della guerra: senza la guerra ricorderà
nell’ultima lettera al fratello io sarei rimasto un intellettuale con
interessi prevalentemente letterari [... .J: c’era in me un fondo troppo
forte di gusti individuali, d’indifferenza e di spirito critico per
sacrificare tutto questo a una fede collettiva. Soltanto la guerra ha
risolto la situazione, travolgendo certi ostacoli, sgombrando il terreno
da molti comodi ripari e mettendomi brutalmente a contatto con un mondo
inconciliabile 2° Pur avendo interessi ancora prevalentemente
letterari, i tre romani parteciparono alla diverse iniziative di
Einaudi: mentre alla fine del 1941 Pintor diviene agente volante della casa editrice, con il compito di leggere libri, dare
consigli, e girare in Italia £ soprattutto all’estero come rappresentante
dell’editore ?!, Alicata tiene i
contatti col Ministero della cultura popolare per ottenere le
autorizzazioni della censura, e arriva ad occuparsi di un problema che
acquista importanza decisiva nel corso della guerra, quello dell’acquisto
della carta. Inoltre, Alicata e l'introduzione di R. Martinelli a M.
Alicata, Intellettuali e azione politica, a cura di R. Martinelli e R.
Maini, Roma, Editori Riuniti, e C. Salinari-A. Reichlin-A. Tortorella-G.
Amendola, Mario Alicata intellettuale e dirigente politico, Roma, Editori
Riuniti, 1978. 290 G.
Pintor, Doppio diario, a cura di M. Serri, Torino, Einaudi, e Id., Il sangue
d'Europa (1939-1943), a cura di V. Gerratana, Torino, Einaudi, 1965,186.
Di ambiguità di Pintor ha parlato F. ‘Fortini,
"Vicini e distanti. A proposito del
Doppio diario È Cine Pintor, in Quaderni piacentini , Pintor,
Doppio diario,161. Muscetta aiutano anche dall’esterno l’attività
di Einaudi collaborando a Primato
, su cui entrambi, con lo pseudonimo rispettivamente di Don Ferrante e di Don
Santigliano, segnalano con continuità le iniziative della casa editrice,
coinvolgendo in questa opera di
propaganda altri intellettuali, come Beniamino Dal Fabbro. Cosi
nel 1941 Alicata, mentre si impegna con Einaudi per un saggio sulla
letteratura contemporanea, assicura l’editore che ne segnalerà i
volumi tutti, via via, più o meno
largamente, nel mio Cotriere delle Lettere su Primato, dove cercherò di
far fare puntualmente anche le recensioni , e nello stesso anno elogia
sulla rivista di Bottai la ricercata
collana di narratori stranieri che Einaudi viene con grande accortezza
riunendo. Poche opere, ma tutte eccezionali, tutte illuminatrici d’una
personalità o d’un costume 2.
Analogamente Muscetta, rispondendo all’invito di Einaudi di fare
pubblicità ai suoi volumi su La Ruota
cosa che farà regolarmente su
Primato , affermava di aver
seguito la sua attività editoriale con interesse affettuoso, e ogni libro
pubblicato mi ha recato un nuovo conforto a credere nei valori della
cultura che non sono da difendere soltanto nel chiuso del nostro
pensatoio 2, Con la collaborazione di
questi tre intellettuali le tappe di sviluppo della casa editrice si
accelerano, nelle vecchie e nelle nuove collane o nei progetti che non
trovano attuazione immediata. Assieme a Pavese Alicata fu
incaricato di curare la Biblioteca dello
Struzzo , la collana di narratori contemporanei che puntava soprattutto alla
scoperta dei giovani: Dopo molte riflessioni scriveva Einaudi ad
Alicata all’inizio del 1941 si è deliberato e si attende la tua
approvazione AE, Alicata (23 febbraio, 17 aprile e 1 giugno 1941); il 22 ottobre
1941 Alicata diviene collaboratore fisso, a 1.000 lire mensili; il 21 febbraio
1942 informa l’editore di aver acquistato 248 risme di carta.
inoltre Primato AE, Muscetta (s.d.); io
e Alicata scriveva Muscetta all’editore il 20 febbraio 1941 ci auguriamo
di poter collaborare attivamente ‘all’ardita opera di cultura che la tua
casa svolge con spirito giovanile e con tenacia . 286
Le origini della casa editrice Einaudî che la collezione
debba accogliere romanzi brevi italiani e stranieri, di scrittori
contemporanei e in genere scoperti da noi, dove, in via d’eccezione, e per
alimentare la scarsa produzione italiana contemporanea, si accoglierebbero
libri dimenticati o rari, di indiscusso valore artistico, tipo Mio Carso
di Slataper. Quanto agli stranieri... questo è il problema, ché escludendo
gli americani e gli inglesi dobbiamo per ora limitare praticamente la scelta ai
russi e ai tedeschi 24. In realtà fino al 1945, venuta meno con
l’attacco all’URSS anche la possibilità di presentare la narrativa
russa contemporanea, la collana si limitò a pubblicare testi
italiani tesi tuttavia a quell’originale ricerca della realtà, sia
pur non veristica, che contrassegna il primo volume apparso nel
1941, Paesi tuoi di Pavese. Pavese sollecitava infatti Alicata a predicare l’arte narrativa, e soprattutto
quella narrativa come vita morale che a voialtri ruotai deve essere
in votis 5: un invito cui Alicata, per i
gusti già dimostrati nella sua intensa attività di recensore letterario
?, era particolarmente sensibile, e che, preoccupato di tenersi lontano dalle piccole chiesuole di marca fiorentina ,
raccolse assicurando alla casa editrice Le trincee di Quarantotti
Gambini, Le donne fantastiche di Arrigo Benedetti e proponendo, fra gli
altri titoli, Una città dî pianura di Giorgio Bassani, da lui già
recensito su La Ruota quando era uscito in edizione privata di
pochi esemplari sotto lo pseudonimo di Giacomo Marchi, e che
era passato per molte ragioni quasi
sotto silenzio dalla critica , scriveva Alicata alludendo alle leggi
razziali ??. 24 AE, Alicata. 225 C. Pavese, Lettere
1924-1944,588 (28 aprile 1941). 226
G. Tortorelli, Le formazione politica di un intellettuale comunista:
Mario Alicata 1937-1945, tesi di laurea discussa presso la Facoltà di
Lettere e Filosofia di Firenze nell’anno accademico 1976-77, e Id.,
Contributi alla formazione culturale e politica di Alicata, in Italia contemporanea Pavese, Lettere
1924-1944,589 (9 maggio 1941); il 21 novembre 1941 Alicata suggeriva a
Einaudi la possibilità di rilevare alcuni volumi della casa editrice
Ribet Buratti di Torino (Comisso, Arturo Loria, Stuparich, Sbarbaro,
Slataper), e l'11 novembre 1942 la necessità di ristampare l’Ibsex di
Slataper, che non solo è interessante per la personalità tutta
dell’autore, del cui acuto problema morale risente, ma rimane per se
stesso un documento critico prezioso sull'opera ibseniana (AE,
Alicata). I toni fortemente elogiativi anche se attenuati in una
lettera a Einaudi ? della recensione che di Paesi tuoi fece Alicata
su Oggi
’, la vivace rivista di Arrigo Benedetti e Mario Panunzio, furono
ripresi da Eugenio Galvano su
Primato ogni lettore può
ritrovarvi gli accenti di una sua esperienza passata e perduta, e
il senso di un paese ritrovato °°
; e intensi furono i legami fra l’ambiente della rivista di Bottai, cui
collaborava anche Pavese, e la casa editrice, esemplificati dalla
pubblicazione in volume, presso Einaudi, de L’isola di Stuparich (1942), già
apparsa su Primato . Rimase un
caso isolato il giudizio negativo riservato da Alfonso Gatto a La
strada che va in città di Alessandra Tornimparte #! pseudonimo di Natalia Ginzburg, e non tale
comunque da essere paragonato alle forti riserve di carattere
morale avanzate da La Civiltà
cattolica nei confronti di Pavese
e della Ginzburg, i cui racconti, osservava Einaudi, riscossero i più vivi
consensi e dissensi proprio per la
novità di stile e di contenuto ?: mentre in Paesi tuoi l’organo dei gesuiti
vedeva ritratta una gente di campagna Ho
apprezzato molto il libro di Pavese, che mi sembra soprattutto un racconto e
per questo merita grandi lodi. Quantunque risenta, è chiaro, l’influenza
a volte eccessiva di certi americani e nel gusto d’usare la lingua e la
sintassi, e nel sapore e tono che attribuisce agli uomini e ai loro
gesti (AE, Alicata, 1 giugno
1941). 29 Ora in M. Alicata, Scritti letterari, introduzione di N.
Sapegno, Milano, Il Saggiatore, 1968,84-88. anche la notizia che Alicata ne dava su
Primato, affermando che Pavese rompe un silenzio lungo e fruttuoso durante
il quale egli sembra essere scampato alla retorica, agli schemi che affliggono
certa narrativa italiana contemporanea: come prima sensazione d’una
lettura che almeno prende e allaccia in un suo tempo libero e prepotente (II (1941), n. 11,16, nel Corriere delle lettere di Don Ferrante). 230 Primato; pur osservando che le reazioni
psicologiche del personaggio narratore rimangono moralmente fiacche , Luigi
Vigliani trovava felicissima l’utilizzazione del dialetto piemontese (
Leonardo Nel volume la realtà osservata è ferma alla crisi di una società
‘confusa. Forse questo racconto piacerà, disposti come sono oggi molti
letterati, giunti in ritardo al ripensamento di un proprio compito umano,
a vedersi duri e manuali. Il racconto della Tornimparte è fradicio di
quest’enfasi moderna, semplicistico e blando altresi nella sua stessa
‘acrisia , osservava Gatto ( Primato). 232 Einaudi a Ginzburg (AE,
Ginzburg). Le origini della casa editrice Einaudi che non è quella che noi generalmente conosciamo.
Qui sembra piuttosto gente di malavita, dove predominano tendenze
istintive e animalesche , nella
dura prosa della Ginzburg
coglieva un indice di ciò che si è
cominciato a raccogliere anche in Italia dall’abbondante seminagione d’una
sfrontata romanzeria straniera, e specialmente americana . Alla ricerca di valori umani, laici e
religiosi, si muovevano anche i nuovi titoli della collana dei Poeti , già avviata nel 1939 con la
riedizione degli Ossi di seppia e la nuova raccolta de Le occasioni di
Montale : accanto a una nuova edizione di Lavorare stanca di Pavese
apparvero infatti Con me e con gli alpini di Jahier la cui fortuna fra i
soldati era testimoniata dai reduci dalla Russia l'hanno aperto per caso e non se ne
staccano più. Fare il bene con disperazione è diventato il loro
motto 5, e le Poesie di Rilke nella
traduzione di Pintor, in cui Giansiro Ferrata, occupandosene su Primato , vedeva l’opera di un poeta da difendere contro la sua stessa generosità
di vita e contro un frequente estetismo per seguirne la grande voce
umana, semplice infine come un grido ma dal fondo d’una religiosità
vissuta nei suoi slanci e nelle sue ferite ?. In questi stessi anni gli
aspetti emotivi presenti nella produzione letteraria
trovano modo, come vedremo, di tradursi in un più marcato impegno civile
nei volumi della Biblioteca di
cultura storica e in quelli della
nuova collana Universale .
Persistono tuttavia, almeno fino al 1942, e in particolare nei Saggi
dove pur appaiono le Memorie di madame de Rémusat, la cui critica
a Napoleone era leggibile in senso antitirannico, molti dei motivi
spiritualistici d’anteguerra non disgiunti da elementi contraddittori,
che trovarono forse nel cattolico Felice Balbo un sostenitore: Balbo è stato ricordato non aveva difese contro le proposte e le
idee. Tutte le 233 La Civiltà cattolica , 93 Per le vicende di
queste edizioni E. Ferrero, Come
nacquero Le occasioni , in Libri nuovi Einaudi AE, dalla redazione
romana a Jahier (9 luglio 1943). 236 Primato proposte e tutte le idee gli
piacevano, lo sollecitavano, lo mettevano in fermento ?. Se non ha luogo la proposta di Balbo
di tradurre The mystical elements of religion di von Hiigel, il
modernista lodato da Loisy pur
essendo rimasto cattolico , e Bobbio non accetta La preghiera
dell’uomo di Alfredo Poggi per il suo insufficiente approfondimento teorico,
pur considerando che il saggio sia
ispirato ad un alto senso religioso e morale, e sviluppi una concezione
razionale della vita religiosa, rifuggendo dal dilagante irrazionalismo ;
o mentre resta inedito, per le vicende legate alla caduta del fascismo,
L'infinito e il divino terminato da Giuseppe Tarozzi nell’aprile 1943 ?,
Einaudi pubblica nel 1942 Le origini del cristianesimo di Loisy che giungerà alla terza edizione l’anno
successivo e, su suggerimento di Gioele Solari, Ragione e fede di
Piero Martinetti: con ciò la casa editrice si faceva banditrice di
una religione della libertà che, se potè essere accostata a quella
crociana, se ne differenziava nettamente per l’importanza che l’animatore
della Rivista di filosofia attribuiva all'elemento religioso, cui
Martinetti aggiungeva negli ultimi anni di vita, di fronte allo
spettacolo della guerra e della
barbarie , la riflessione sul pessimismo di Schopenhauer tesa ad
accettare la realtà del male come
principio radicale, autonomo, forse non riducibile ad altri 2°. Accanto a Martinetti, nel 1941 Einaudi
ripropone Huizinga con la monografia del 1924 su Erasmo che aveva
già provocato forti riserve, non solo storiografiche, da parte di
Cantimori, per la troppo evidente
tendenza a mostrare in Erasmo il tipo classico del dotto-gentiluomo,
moralista e umorista, lontano dagli interessi politici e religiosi
che possono scuotere e commuovere
°°; ma forse proprio per questo, per la presentazione
dell’umanesimo erasmiano 23 N. Ginzburg, Lessico famigliare,
Milano, Mondadori, Balbo a Bobbio, e
Bobbio a Finaudi (AE, Bobbio), e il carteggio Tarozzi-Einaudi del 1942-43
(AE, Tarozzi). 239 Bobbio a
Finaudi, 21 maggio 1943 (AE, Bobbio}; E. Garin, Cronache di filosofia
italiana,387-391; e la testimonianza di G. Mita, dee prefazione di L.
Salvatorelli, Vicenza, Neri Pozza Rivista storica italiana Le origini della
casa editrice Einaudî come
un raffinato giuoco intellettuale entro le mura di un nobile castello
oltre le tempeste del mondo e le vicende del tempo ?,
Civiltà moderna poteva accogliere
nel lavoro l’indicazione della
originalità umanistica rispetto
al Medioevo, ma con l’accordo fra
l'esigenza del risorto classicismo e quella del rigenerato cristianesimo
; mentre il recensore della Rivista
storica italiana , opponendo all’umanesimo
negativo di Erasmo quello costruttivo
del Rinascimento italiano impersonato da Giordano Bruno, prendeva le
distanze dall’autore per quella
tipica mentalità pacifista che, per contingenze storiche facilmente
individuabili, tende a fare dell’equilibrio e della moderazione la
massima espressione della civiltà umana
dii x Alle immagini catastrofiche de La crisi della
civiltà sembra invece richiamarsi, pur senza citare Huizinga, Uomo
e valore di Luigi Bandini un allievo di Limentani che aveva pubblicato
presso Laterza un saggio su Shaftesbury, che sviluppa il tema del contrasto fra
progresso economico e libertà individuale con accenti indubbiamente
retrivi. Il volume che sarà ristampato nel 1949 con una introduzione in
cui l’autore manifesterà un atteggiamento paternalistico verso le masse
popolari è un atto di accusa nei confronti del liberismo e del
liberalismo dell’800 che avrebbero portato ad uno stato di cose risolventesi
proprio in un massimo di serviti per una gran quantità di soggetti umani:
il caso, precisamente, dell’industrialismo moderno , per cui si era avuto
il rovesciamento del rapporto fra uomo e
cosa , con l’ innalzamento ad ideale supremo della realtà economica . Ma
la condanna del progresso si traduce nella istituzione di un preciso
rapporto tra la morte del cristianesimo, la religione 2 l'introduzione di E. Garin a J. Huizinga,
L'autunno del Medio evo, Firenze, Sansoni A. Corsano in Civiltà moderna,
ed E. Guglielmino in Rivista
storica italiana. Rossi coglieva invece in Huizinga la disapprovazione per Erasmo , e
giudicava l’Encbiridion militis christiani
opera d’un banale bigotto (
Nuova rivista storica , della esaltazione dell’individuo , la enorme avidità di possesso e di
successo che caratterizza l'umanità moderna e, soprattutto, lo sviluppo
del marxismo: una tale dottrina della necessità radicale ed
ineliminabile dell’odio di classe si sostituisce bruscamente e senza
passaggi intermedi proprio alla concezione cristiana nell'animo degli
appartenenti ai ceti sociali più umili, trovando d’altronde nelle
effettive condizioni della società moderna, nel suo sempre più esasperato
affarismo, gli elementi suggestivi più adatti a conferire ad essa la
massima efficacia di persuasione 28, Si comprende quindi
come il ragionamento di Bandini incontrasse le simpatie de La Civiltà cattolica 24, mentre offriva a Luigi Einaudi
l’occasione per attribuire al capitalismo
storico dell’800 la
responsabilità della tendenza verso i monopoli, verso ciò che incatena ed asserve gli
uomini e di cui l’ultima e più perfetta e diabolica espressione è il comunismo
russo , ma anche per dissociarsi dalla tesi che la tendenza verso il colossale,
distruttivo dell’uomo, come persona autonoma, sia propria dell’economia
contemporanea, capitalistica o trafficante , poiché la liberazione
dell’uomo dalle cose era frutto precipuo dell'economia di concorrenza’.
Tesa a dimostrare la necessità della religione contro il materialismo
contemporaneo è anche un’opera di Bernhard Bavink che raccoglieva alcune
conferenze tenute in Germania prima della
rivoluzione del 1933, la cui
traduzione, uscita nel i Bandini, Uomo e valore, Torino,
Einaudi, La Civiltà cattolica , Einaudi,
Dell’uomo, fine o mezzo, e dei beni d’ozio, in
Rivista di storia economica. Pur riconoscendo la tendenza monopolistica
rilevata da Bandini, Mario Dal Pra osservava: Ciò non toglie tuttavia che i diritti e le pi
profonde esigenze dell’individualità non possano essere salvaguardate, ad
esempio, mediante l’attuazione di quella terza via che lo stesso Luigi Einaudi
propone, fra l’individualismo da una parte e il collettivismo dall’altra ( La Nuova Italia. Nel 1946 Antonio Giolitti
allora collaboratore della casa editrice criticherà Bandini per non aver
saputo vedere che il problema dell’individuo è problema politico e
sociale, risolvibile sul piano di quella lotta di classe che l’autore
negava recisamente ( Studi filosofici , VII (1946),81-84).
292 Le origini della casa editrice Einaudi 1944, era
già stata messa in cantiere nel 1942. In essa l’autore sosteneva che da
scienziati assai religiosi come Galileo, Keplero e Newton, si era
sviluppata una tendenza culturale approdata ad un materialismo e ad un ateismo
completo ed aperto, quale è attualmente la concezione ufficiale del mondo nella
Russia bolscevica alla quale era
contrapposto l’esempio positivo della concezione sociale e statale fascista e
nazista ; la fisica moderna, con Bohr e Planck, aveva invece definitivamente distrutto certe troppo
frettolose obbiezioni contro la fede , abolendo il concetto classico di
sostanza , e quindi ogni meccanicismo, per cui si poteva concludere che
ormai fare della fisica non
significa, in fondo, far altro che ricapitolare gli atti elementari
compiuti da Dio ?4 Un
richiamo ai valori dello spirito poteva comunque passare anche da altre
vie meno sospette, dai grandi romanzieri ottocenteschi o da I/ problema
dell’inconscio di Jung, tradotto nel 1942: l’opera infatti trova
favorevole accoglienza su Primato
, dove Muscetta considera merito
fondamentale di Jung aver
ricordato che la psicologia è scienza dell’anima e che nessuna
indagine fisiopatologica potrà mai risolvere lo spirito nella materia, la sua
misteriosa e libera spontaneità, nell’evidente e misurabile rigore delle
leggi fisiche . Pagine di vent’anni fa, che per vie assai lontane dalla
nostra cultura ci portano affascinanti conferme a quella fede nei valori
spirituali da cui non potremo mai aberrare senza recidere le radici
dell’essere nostro Bavink, La scienza naturale sulla via della religione,
Torino, Einaudi; contro il bolscevismo, questa terribile filosofia sociale e storica,
che distrugge ogni esistenza degna dell’uomo, il fascismo yitaliano e
tedesco propugna una concezione sociale e statale " organica per la quale
lo Stato non è una costruzione artificiale, razionale, ma anzi la forma matura
di una vera vita, della vita del proprio popolo (p. 24). Il 30 marzo 1942 Einaudi aveva
chiesto ad Alicata di sottoporre il volume di Bavink all’approvazione del
Ministero della cultura popolare (AE, Alicata). 21 Primato , III (1942),381; la psicologia è una
scienza cretina , osservava invece Pintor dopo aver letto Jung nell’ottobre 1941
(Doppio diario Alicata aveva fatto presente all’editore l’esistenza di
difficoltà per l’autorizzazione della stampa di Jung, per certe idee morali e sociali dello Jung non
completamente conformiste (AE,
Alicata). Lo stesso Ernesto De Martino vedeva nello teoria jungiana che
riteneva suscettibile di una traduzione
in termini storicistici una
tipica espressione del travaglio spirituale, dei bisogni e delle aspirazioni della
nostra epoca. Noi siamo giunti a un punto in cui sentiamo viva la
necessità di riprendere possesso della nostra anima, e di esplorarne le
sue profondità sconosciute . Diverso,
sia pure ambiguo, era il messaggio che si poteva ricavare dal pensiero degli
eretici e degli utopisti, attorno al quale si assiste, durante la guerra,
a un risveglio d’interesse in vari settori dell’intellettualità italiana,
di cui sono testimonianza esemplare gli studi di Cantimori e la Collana degli utopisti dell’editore Colombo. Nel 1941 esce,
come secondo volume della Nuova
raccolta di classici italiani annotati , La città del sole di Campanella,
un’edizione critica condotta sul testo italiano del 1602, quella più
decisa in senso ereticale, da Norberto Bobbio: respinte come fittizie le
visioni di un Campanella precursore del socialismo o dello Stato
totalitario, in discussione con i recenti tentativi di rivalutazione
cattolica Bobbio ricorre all’ idea della simulazione per spiegare la conversione del frate
all’ortodossia, provocando le riserve de
La Civiltà cattolica , che si appuntano anche sulle frasi di
Bobbio che accennano con un velo di
simpatia alle menti stanche ma non
asservite, agli animi sfiduciati ma non vinti degli eretici isolati °. A queste si potrebbe aggiungere un accenno
contro la morale della potenza ;
ma il discorso di Bobbio si mantiene volutamente generico, nel
sottolineare il fondamentale
antistoricismo del pensiero di
Campanella, per cui c'è in quell’utopia
qualcosa di selvaggiamente primitivo, che richiama alla mente le comunità
degli indigeni delle Nuove Indie; e c’è nello stesso tempo qualcosa di
lucidamente attuale, che fa pensare ad una città operaia dell'America moderna
Primato La Civiltà cattolica. CAMPANELLA (si veda), La città del sole, testo
italiano e testo latino a cura di Bobbio, Torino, Einaudi. Ginzburg
avvertiva Einaudi che Tommaso Fiore stava curando l’edizione de L'utopia
294 Le origini della casa editrice Einaudi
Luigi Einaudi poteva trarne spunto per sostenere che una storia delle
utopie non doveva analizzare i tipi di
società comunistiche immaginati dagli utopisti sulla base di una problematica
economica, ma rigettare nel limbo delle cose che non furono mai scritte
le esercitazioni frigide di letterati in cerca d’argomento in apparenza
nuovo e mettere in luce le poche le quali risposero veramente ad un’esigenza
dello spirito ?!: un modo, ancora una
volta, per esorcizzare il pericolo di un richiamo eterodosso, sia
pur utopistico , ai problemi
concreti della società contemporanea. 9. L’anticonformismo
storiografico e l’ Universale Il settore che, ancora una volta,
dimostra meglio di altri e sempre più l’anticonformismo della casa
editrice, è quello storico, dove troviamo ora impegnati anche
due laici , in diversa maniera
crociani, come Giorgio Falco e Adolfo Omodeo. Il primo che, costretto
dalle leggi razziali a nascondersi dietro pseudonimo, era venuto
affiancando agli originari interessi medievalistici o a quelli per
l’illuminismo, dopo la definitiva sconfitta dello Stato liberale,
un’attenzione a figure significative del Risorgimento, come Pisacane si occupò
in particolare fin dal 1941, assieme ad Alicata, Morra, Ginzburg,
Giolitti, Benedetti e Venturi, di quel progetto della collana Scrittori di storia che avrà attuazione solo negli anni
’50, anche per le difficoltà allora opposte dalla censura la
Histoire de la conquéte d’Angleterre di Thierry, ad esempio, fu bocciata
come inopportuna nel 1942 ?. Omo di Moro che uscirà nel
1942 presso Laterza (AE, Ginzburg). 21 L. Einaudi, Delle utopie: a
proposito della Città del sole, in R+ vista di storia economica , VI
(1941),126-127. Luigi Bulferetti invitava invece a collocare l’opera di
Campanella nella realtà culturale e politica del Mezzogiorno (Rivista storica
italiana , LVIII (1941), 400-401). 252 Su Falco le osservazioni di A. Garosci, Una cosa non
ancora del tutto chiara..., in
Rivista storica italiana , Lettera di Alicata all’editore, 24 giugno
1942 (AE, Alicata). deo, contattato nel 1939 da Ginzburg, fu prodigo di
suggerimenti da testi di antichistica o di religione a I/ medioevo
barbarico di Gabriele Pepe o il Murat di Angela Valente, e si era assunto
anche l’impegno, come ricorderà ad Einaudi, di trovare per la casa
editrice collaboratori italiani, per
equilibrare le traduzioni da lingue estere: dovevo formare un complesso
di collaboratori giovani, perché nella situazione presente, con i
valvassori avviliti e rimbecilliti dalla speranza della feluca
accademica, non c’è nulla da fare 4. Un
contrasto con Falco lo spinse tuttavia a passare nel 1941, con i
suoi progetti di lavoro, all’ISPI5; ma aveva frattanto assicurato alla
casa editrice due suoi lavori caratterizzati da una dura polemica, da un
punto di vista liberale, nei confronti della corrente storiografia
fascista sul Risorgimento. La leggenda di Carlo Alberto, che
raccoglieva saggi già apparsi sulla
Critica , viene ad affiancare la revisione della figura del
sovrano piemontese condotta con spietato
rigore da Guido Porzio sulla Nuova rivista storica , ed è una requisitoria
feroce contro la storiografia sabaudista espressa da Alessandro Luzio, di
cui è messo in luce il semplicismo
del giudizio moralistico e. l’indistinzione dei valori storici , per investire
anche Rodolico, rappresentante di
una nuova sofistica che vuol confondere il moralismo casistico con
l’intellezione etico-politica del processo umano . Tributato un caldo
riconoscimento alla Storia del Risorgimento e dell'Unità d’Italia
intrapresa 254 le lettere a
Einaudi del 25 agosto 1939, 28 ottobre e 24 novembre 1940, 3 gennaio, 13
febbraio, 8 marzo, 22° maggio, 2 e 17 giugno, 2 luglio 1941 (A. Omodeo,
Lettere 1910-1946, Torino, Einaudi, 1963,612, 629-631, 635-636, 638-641,
644-651). 255 la lettera a
Einaudi del 9 settembre 1941 (ibidem,655656) e varie lettere in AE, Falco,
Pepe: il contrasto riguardava rà ntroduzione agli studi storici medievali di
Pepe proposto da Omodeo; Muscetta a Einaudi, 29 dicembre 1941 (AE,
Muscetta); Ginzburg a Finaudi, 21 novembre 1941: Ho visto il programma della nuova Biblioteca
storica dell’ISPI, che non solo nel nome, ma anche nelle opere mi sembra
derivi dalla Vostra, dato che i volumi annunciati sono tutte opere
rifiutate da Voi, se ben ricordo
(AE, Ginzburg); Carteggio Croce-Omodeo, a cura di M. Gigante,
Napoli, Istituto italiano per gli studi storici, 1978, passize.
296 Le origini della casa editrice Einaudi da Cesare
Spellanzon opera che da sola riabilita
i recenti studi risorgimentali, che in genere non brillano per doti
superiori , Omodeo nega recisamente, contro gli apologeti di Carlo
Alberto, l’esistenza di una profonda opera riformatrice nel primo
decennio di regno e di un preciso e segreto disegno politico nazionale
prima del 1848, e fa del sovrano
il discepolo ideale di Giuseppe de Maistre , un convinto cattolico-legittimista , accusando lo
stravolgimento dei veri valori del Risorgimento operato da quegli storici
che non condannavano le repressioni del 1833, pur cogliendo l’occasione,
da buon liberale, per una non necessaria puntata antisovietica . La forza
delle argomentazioni critiche di Omodeo è tale da ottenere un riconoscimento
anche sulla codina Rassegna storica del
Risorgimento , ma il significato civile e politico del suo lavoro provoca
subito sulla stessa rivista un duro intervento di De Vecchi ?. Tuttavia
l’invito rivolto a Luigi Russo da Omodeo ferito da questa e da altre critiche,
che si 25% A. Omodeo, La leggenda di Carlo Alberto nella recente
storiografia, Torino, Einaudi; e a16, criticando lo scarso peso dato
dagli storici di tendenza nazionalista ai processi del 1833: È vero che gli
odierni processi di polizia di cui è maestra la Russia di oggi hanno
ottuso la nostra sensibilità morale, e che al confronto i processi del
’33 possono apparire cosa mitissima... . Dell’importanza di questo
volume, come del Gioberti, non tiene conto A. Garosci, Adolfo Omodeo.
III. Guida morale e guida politica, in
Rivista storica italiana. la recensione di Paolo Romano (Paolo Alatri)
in Rassegna storica del
Risorgimento; ma C.M. De Vecchi di Val Cismon, Ancora di Carlo Alberto:
Questo cercare di attaccarsi a forme razionalistiche della storia
affermando o demolendo uomini la cui azione può avere riflessi sulla vita
presente, è da una parte errore di storico ma è, peggio, mancanza al
dovere di uno storico in quanto cittadino
rilevando le cattive intenzioni politiche di codesti ingiusti
giustizieri [di Carlo Alberto] e non rinunziando a definirli secondo i
loro meriti, vogliamo astenerci dal scendere nel campo della politica cui
pure saremmo chiamati dal contegno loro
( Rassegna storica del Risorgimento). Negativo il giudizio di G.
Ferretti (La leggenda di Carlo Alberto, in
Primato, mentre Luigi Bulferetti, pur prendendo le distanze da
alcune affermazioni di Omodeo, riteneva, a proposito dello Statuto, che
si avvicinasse molto più alle dottrine di Carlo Alberto (e fosse quindi
più nel vero) l’interpretazione datane nel decennio dai reazionari, che
non quella dei liberali di sinistra (
Rivista storica italiana prendesse da
parte di persone di buona volontà posizione nelle riviste di Codignola e
in qualche altra che ci fosse aperta
2, fu subito raccolto, a testimonianza dell’eco non solo
storiografica suscitata dall'opera: cosi non solo La Nuova Italia con Vinciguerra o Civiltà moderna con Pieri, ma anche
altre riviste ormai di fronda come
Oggi , con Umberto Morra tutti intellettuali legat. in vario modo
alla casa editrice, si lanciano in lodi incondizionate al volume, fino ad
arrivare a una vera e propria difesa politica dell’autore sulla Nuova rivista storica , sempre ad opera
di Pieri: dopo aver affermato
riecheggiando la recensione di Edmondo Cione al Mazzini di Bonomi
che certa storiografia del Risorgimento pare tenda a risolversi in un
capovolgimento di valori, nell’apologia di reazionari, di capibanda, di
aguzzini, e nella diffamazione dei nostri cospiratori e dei nostri
martiri , Pieri ricordava come Omodeo, che ha vissuto sul
Carso e sul Piave, prima che negli archivi e nelle biblioteche, la
passione del Risorgimento italiano, e che fin da allora rinunziò agli agi
e alle prebende delle retrovie, può a buon diritto assumersi il nuovo
onere e il nuovo onore. Quanto grande del resto sia oggi l’influenza
dell’Omodeo, negli studi del nostro Risorgimento, presso ogni categoria
di studiosi, non esclusi i suoi più illustri avversari, è ormai a tutti
manifesto. Questo è il premio maggiore, per il chiaro studioso, e la
migliore prova del generale consenso che le sue vedute vanno acquistando,
nonché del posto preminente che oggi a lui compete nel campo della nostra
cultura storica 299. Analoga risonanza ha, nelle riviste di
fronda, il volumetto su Gioberti, che sfata l’immagine gentiliana
del profeta del Risorgimento dal pensiero in sommo grado speculativo
insieme e realistico , per mettere in rilievo, accanto alle continue
oscillazioni politiche, le carenze filosofiche e il sacrificio giobertiano dell’idea liberale al cattolicismo ,
contrapponendogli il liberalismo
laico di Cavour che, ben lungi dall’essere agnostico,
258 Lettera del 7 ottobre 1940 (A. Omodeo, Lettere,628). 259 La Nuova Italia; Civiltà moderna; Oggi; Nuova rivista
storica. Le origini della casa editrice Finaudi garantiva lo
svolgimento autonomo delle fedi intrinseche alla cultura . E mentre
Gentile vedeva nell’azione popolare di Gioberti
uno degli ammonimenti tuttora più vivi della sua politica
nazionale , Omodeo dichiarava la
necessità di insistere sui suoi
difetti ed errori
per ricordare a certo neoguelfismo di cattiva lega, che va
risorgendo, a certo neogiobertismo che ammicca vantandosi furbo,
che l’esperienza giobertiana è irriproducibile, non ha possibilità
di sviluppi in linea retta; il suo retaggio attivo fu assorbito nella sana
politica del Cavour 2°.
Un’interpretazione laica, questa, che proveniva dall'ambiente crociano,
il cui legame con la casa editrice è attestato anche
dall’attenzione che alla produzione storiografica di Einaudi riserva La Critica . Spicca in particolare la
recensione al Medioevo barbarico d’Italia di Gabriele Pepe (1941) che
era stato stroncato dai giudici dell’Accademia d’Italia!, ritenuto
invece da Croce una delle opere più
pregevoli della nuova
storiografia cresciuta in Italia negli
ultimi quindici anni, non cronachistica o filologica,
materialistica, economica, nazionalista ed etnologica, ma semplicemente e puramente umana,
cioè etica (il che non vuol dire moralistica) , trovando in ciò concorde il
giudizio di Luigi Einaudi; e, con evidente allusione all’alleanza del
fascismo con la Chiesa e col nazismo, Croce faceva sue le tesi principali
del volume giudicate con perplessità o come troppo tendenziose da altri
recensori, secondo le quali i Longobardi
furono sostanzialmente un elemento negativo nella storia d’Italia, cosî come il potere
temporale della Chiesa non solo fu
dannoso alla moralità e alla civiltà, sî anche dannoso alla stessa
azione, quale che sia, 260 A. Omodeo, Vincenzo Gioberti e la sua
evoluzione politica, Torino, Einaudi; per i giudizi di Gentile, quali
si erano venuti configurando fin dal 1919, ora G. Gentile, I profeti del
Risorgimento italiano, terza edizione accresciuta, Firenze, Sansoni,
1944, 69, 125. L’anonimo recensore della
Nuova rivista storica
notava che il carattere di Gioberti fu piuttosto di teorico e di sognatore,
anziché di politico mirante alla realtà dei fenomeni politici e nazionali ;
analogo il giudizio di U. Morra, Gioberti e Garibaldi, Oggi. 261 G. Turi, Le istituzioni culturali del regime
fascista durante la seconda guerra mondiale, cdella Chiesa in quanto
istituto religioso perché il potere temporale non le dava ma le toglieva
forza, non le accresceva o garantiva libertà, ma la legava. Né è detto
che anche ai nostri giorni essa non abbia sollecitato e accettato
un dono, un piccolo dono, di Danai
?°. Sulla linea di una continuità di intervento
liberale compare ancora una volta Salvatorelli col Profilo della
storia d'Europa, in cui è sempre presente l’interpretazione multisecolare
dell’unità della storia italiana, e torna un motivo che abbiamo già
trovato in Dawson, quello di una
civiltà unitaria europea la cui
otigine è retrodatata rispetto all'opera dello storico inglese, con forti
e attualizzati elementi di differenziazione dall’Oriente, in quanto la
civiltà europea sarebbe stata preparata
dai caratteri comuni che i popoli europei già all’inizio dell’età
storica presentavano rispetto all’Oriente. Fin da adesso, insomma,
l'Europa di fronte all’Asia rappresenta l’individualità di fronte al
collettivismo, la libertà di fronte al dispotismo, il progresso di fronte
all’immobilità 2°. Espressione,
come il Sommario della storia d’Italia, di quel nervoso e moderno enciclopedismo di cui ha parlato Sasso °, il Profilo
non esprime particolari valutazioni sulle vicende della storia europea,
se non nell’unificazione, tipicamente liberale, dell’esperienza della Russia
bolscevica e dei regimi fascista e nazista sotto la stessa etichetta
di Europa autoritaria , e ciò
nonostante nel volume appaiano, come novità nella storiografia di Salvatorelli,
frequenti accenni alla storia economico-sociale, anche se in prevalenza
relativi alla storia antica, e non senza imptoprie attualizzazioni °°. Ma,
forse proprio per avere le stesse 22 La Critica Einaudi, Sui fattori (economici morali
ecc.) delle variazioni storiche, in Rivista di storia economica. Una
certa tendenziosità di Pepe era colta da E. Chichiarelli (
Nuova rivista storica) ed E. Farneti ( Oggi Salvatorelli, Profilo della storia d'Europa,
Torino, Einaudi Ri Sasso, La Cultura nella storia della cultura italiana
Ad esempio, a proposito di Atene nel VI secolo a.C.: È da
300 Le origini della casa editrice Einaudi
caratteristiche del Somzzario, la fortuna dell’opera fu notevole, secondo la
profezia di Ginzburg per il quale il Profilo, scriveva dal confino il 5
marzo 1942, di sicuro aumenterà
considerevolmente la diffusione della vostra collezione storica #4, e non certo indifferenziata, se nel
concedere il nulla osta ai volumi della casa editrice da introdurre in
Germania il Ministero della cultura popolare suggeri di levar via il
Salvatorelli , Infatti, pur
lasciando scontenti i cattolici e i crociani lamentandosi, i primi,
delle due pagine striminzite dedicate
all’avvento del cristianesimo , e, i secondi, della mancanza di
una superiore giustificazione
ideale delle notizie raccolte a differenza della Storia d'Europa di
Croce ?, il volume riscuoterà nel 1943 l’elogio appassionato di Giovanni
Mira, ospitato anch'egli, già aderente al Partito d'Azione, sulle
pagine della Nuova rivista storica
: Nella nostra età tempestosa egli scriveva, lontani come
siamo dal dogmatismo della storiografia cattolica, dall’orgoglio razionale
della volteriana, dall’ottimismo progressista della ottocentesca, questo
sforzo compiuto dal Salvatorelli per stringere in breve la storia del
nostro continente, per far capire anche agli ignari come i fatti si sono
svolti, con una narrazione cosi lucida da non aver bisogno di commento,
con una parola cosî piana da essere intesa da tutti, col solo interesse
di stimolare in sé e negli altri il riesame del passato, con la sola
morale di ritrovare nei fatti umani il lume dell’umanità: quest’opera è forse
il più sano cominciamento che si possa dare alla storiografia di domani
?9. notare come tra i grandi proprietari ed i piccoli agricoltori
si fosse formato un partito medio, che potremmo chiamare della borghesia (Profilo della storia
d'Europa,39). #6 AE, Ginzburg. 26 Alicata a Einaudi, 30
maggio 1942 (AE, Alicata). 268
La Civiltà cattolica , 94 (1943), vol. II,52, e la recensione di E.
Chichiarelli ne La Nuova Italia. 26
Nuova rivista storica,123. L'opera di Salvatorelli era presentata da
Pietro Amendola al fratello Antonio, in una lettera del 28 aprile 1941,
come una cronaca , tranne che per quanto concerne le
questioni religiose o dei rapporti tra gli Stati e la Chiesa, che è come
sai il cavallo di battaglia del Salvatorelli: allora abbiamo della storia
vera e propria (in Lettere di
antifascisti dal carcere e dal SEO, peo di Giancarlo Pajetta, Roma,
Editori Riuniti, Il volume di Salvatorelli testimonia la necessità, avvertita
dalla casa editrice nel corso della guerra, di confrontarsi con le vicende
degli altri paesi e di ripensare grandi momenti o figure del passato, in
saggi che, se si eccettua la cattiva cronaca del Cavour e Napoleone III
di Bono, accoppiano sempre alla dignità scientifica una notevole capacità
narrativa, e quasi sempre si fanno portatori di un messaggio politico.
Nel 1941 appaiono due studi di George Macaulay Trevelyan: la Storia
dell’Inghilterra nel secolo XIX, tradotta da Umberto Morra, riscosse il
plauso di intellettuali di diverso orientamento, come Curiel, che la
giudicò uno dei pit bei libri di
storia usciti in questi ultimi tempi per
l’ acutissima indagine sociale , ed Ernesto Rossi, che la riteneva fruttuosa, per la formazione della educazione
politica. Contro l’irrazionalismo, oggi tanto diffuso, mostrare gli
sforzi coronati dal successo di tanti uomini egregi del secolo scorso,
che si proposero di modificare l'ordinamento esistente per renderlo
più adeguato ad un ideale di superiore civiltà significa fare una iniezione di ottimismo, e
stimolare all’azione consapevolmente diretta al pubblico bene ?!. La rivoluzione inglese del 1688-89
era presentata da Ginzburg come quella che aveva improntato del proprio
formalismo e conservatorismo tutta la vita pubblica nazionale fino ad allora, tramandando tuttavia anche il
principio della tolleranza politica e religiosa e Ginzburg invitava il
lettore italiano a leggere le conclusioni di Trevelyan, che vedeva nella
rivoluzione una vittoria della
moderazione , e valorizzava il sistema parlamentare in- Giudicato
dall’editore libro magistralmente
condotto (lettera del 21 ottobre 1941, in AE, Del Bono), il lavoro era
negativamente recensito sulla Rassegna
storica del Risorgimento (XXX
(1943),511-512) da Paolo Romano (Alatri), che gli contrapponeva
l’interpretazione omodeiana di Cavour. 21 CURIEL (si veda) Scritti, a cura di Frassati,
Roma, Editori Riuniti (segnalazione apparsa nel Bollettino del Fronte della
gioventii del febbraio 1944), e la
lettera di Ernesto Rossi a Luigi Einaudi del 18 novembre 1941 (AFE,
Rossi). Salvatorelli apprezzò l’opera in quanto correggeva l’immagine
stereotipa della vita politica inglese come semplice contrapposizione di
due partiti ( Nuova rivista storica. Le origini della casa editrice
Einaudi glese nei confronti di
poteri accentrati di un nuovo tipo e ben più formidabile che non
quelli dell'Europa dell’ ancien régime , quali quelli instauratisi in
Europa nel dopoguerra 7°. Il significato politico dell’opera è confermato
dai giudizi negativi di Carlo Morandi, per il quale, di fronte alle
novità del secolo XX, l'Inghilterra non era stata in grado di rivedere le
sue posizioni, preferendo
rinchiudersi nella difesa del passato
Ora, veramente, i motivi fecondi della rivoluzione liberale del
1688 possono dirsi esauriti ??, e
di Cantimori, pur già in contatto con la casa editrice, che la
giudicava un saggio di apologetica
costituzionale dalla visione conservatrice,
dato l’ insistente paragone, a tutto detrimento di quest’ultima,
con la Rivoluzione francese , e un documento
della mentalità degli ambienti universitari più vicini alla classe
politica attualmente dominante in Inghilterra
?. Sempre nel 1941 appare non sappiamo se prima della
guerra all’URSS la Storia della rivoluzione russa di William H.
Chamberlin, un’opera che l’editore aveva in preparazione fin dal 1938
opponendola, come obiettiva , a quella
degli Webb proposta da Schiavi ?°, e tradotta da Mario Vinciguerra: un
lavoro in cui l’autore dell’Età del ferro, pur attenuando gli accenti
apocalittici della prima opera per tentare una esposizione narrativa degli avvenimenti russi dal
1917 al 1921, si presta a una lettura fortemente antisovietica da parte
di Omodeo, il quale osservava che,
per quanto in vari punti l’autore indulga a correnti punti di
vista materialistico-storici e a connessi schemi classistici , sfuggiva
in realtà agli schemi generici e
vuoti del marxismo , per presentare come deus ex machina della
rivoluzione la non amabile persona
di Vladimir Ulianov detto Lenin , uomo spregiudicato, con Trevelyan,
La rivoluzione inglese, traduzione di Pavese, Torino, Einaudi Pia di L.
Ginzburg. 2733 Primato , I
(1940), n. 15,20 (siglato CM.). Leonardo DA VINCI (si veda); analogo il
giudizio di Tullio Vecchietti { Rivista storica italiana).
215 Finaudi a Schiavi, (AE, Schiavi). UA) un legame
scarsissimo col mondo circostante , caratterizzato dal doppio aspetto del fanatismo implacabile e
della scaltrezza opportunistica , forgiatore di un partito che ricorda insieme il primitivo Islìm e la
Compagnia di Gesù e concepisce la dittatura sugli schemi del
regime zaristico: dispotismo di polizia
?°. Analoghi motivi di discussione politica sono
suscitati anche dalla presentazione di grandi individualità
storiche di un più lontano passato, e provocano ora incrinature
all’ interno della casa editrice, e fra questa e l’ambiente di Primato
o de La Critica . Il Richelieu di
Carl J. Burckhardt è visto dal curatore dell’opera Bruno Revel,
sulla traccia dell’interpretazione di Belloc contestata da Salvatorelli,
come fondatore dell'Europa moderna e del nazionalismo,
artefice di quell’ordine, che proprio ora ci sta crollando davanti cosi
spettacolosamente, fino a incidere anche nell’ambito della sfera privata.
Tanto più se una quasi ironica coincidenza di suoni confonda due nomi cosî
ambigui come Versaglia e Vesfaglia; sf che nou sai se la travolgente e
frastuonante insurrezione contro alla pace di Versaglia non travalichi
ora tali limiti, e non si spinga per avventura più addietro nei secoli,
scalzando dalle basi precisamente l’intero ordinamento europeo, quale era
stato introdotto e legalizzato nella storia dalla pace di Vesfaglia
27. E contrastanti sono, nel 1942, due opere che presentano
la differente concezione dello Stato di rilevanti personalità della Grecia
antica: da un lato l’ Alessandro il grande di Georges Radet, che percorre
le vicende del biografato alla 2î6 La recensione, apparsa su La
Critica del 1943, è ora in A. Omodeo, I/ senso della storia, a cura di L.
Russo, Torino, Einaudi, Burckhardt, Richelieu, traduzione di B. Revel, Torino,
Einaudi, 1941 (ediz. originale 1900),9. Oltre a contestare la tesi di
Belloc, Salvatorelli sosteneva anche l’esistenza di contrasti fra poteri
temporale e spirituale nel Medioevo: Fa della mitologia, o della
fantasia, il Revel quando ci parla nella sua prefazione di quella felice
coincidenza di una cattedra sovrumana e di un ordinamento terreno che
sarebbe esistita prima dell’età moderna
(Assolutismo del Richelieu, in Primato. Notava l’analogia con la tesi
di oc anche Mario M. Rossi nella recensione all’edizione tedesca
del 1937 (Nuova rivista storica). Le origini della casa editrice
Einaudî luce della sua ispirazione religiosa suscitando la
critica di Omodeo che invitava a una più concreta analisi storicopolitica,
fa dire al curatore che nell’opera di Radet si vede sorgere e
progressivamente attuarsi il generoso ideale dell’eguaglianza di tutte le genti
in un mondo pacificato e concorde ?;
dall’altro Werner Jaeger contro gli storici tedeschi dell’800 che, come
Droysen, avevano esaltato l’opera di unificazione nazionale
di Filippo il Macedone e di Alessandro, visti come precutsori di
Guglielmo I difende il martire della libertà greca ,
Demostene: ed è significativo che mentre su
Primato Gennaro Perrotta
valorizza la politica egemonica di Filippo e di Alessandro contro l’
angusta difesa della libertà di
Atene fatta da Demostene ch'era
libertà comunale, municipale , più tardi, sulla Nuova rivista storica , Giovanni Costa
sosterrà la tesi di Jaeger facendone proprie le parole la lotta di Demostene è
immortale, per mortale che sia stata la nazione per cui combatté . Una tesi che
già dieci anni prima la stessa rivista aveva fatto propria, prendendo
spunto dal Demostene e la libertà greca pubblicato nel 1933 da Piero
Treves presso Laterza. Non mancano quindi elementi di
contraddizione all’interno della casa editrice, al di là dei limiti posti
dalla censura che non permettevano di superare la linea liberale di
Omodeo o quella moderata di Trevelyan. Sembra tuttavia di avvertire, al
tempo stesso, una maggiore cautela verso la casa editrice da parte
dell'ambiente crociano come nel caso di Chamberlin e di Primato
che, con l’inasprirsi 8 G. Radet, Alessandro il Grande,
traduzione di M. Mazziotti, Torino, Einaudi, 1942 (ediz. originale 1931),XII.
La recensione di Omodeo, apparsa su La Critica , è ora in A. Omodeo, Il
senso della storia. Secondo Giovanni Costa Radet operava una esagerazione magnificatrice dell’opera di Alessandro, nel quale
invece si sente l’autocrate, pi
che l’uomo di genio ( Nuova rivista
storica , Jaeger, Demostene, traduzione di A. D'Andrea, Torino, Fina
di, 1942 (ediz. originale 1938); G. Perrotta, Demostene, gli antichi © i
moderni, in Primato , ICosta in
Nuova rivista storica, XXVIII-XXIX (1944-45),335-337; E. Cione
in Nuova rivista storica , della guerra, si arrocca in una posizione di
minore apertura culturale, accompagnata, alla fine del ’42,
dalla cessazione della collaborazione di Alicata e dal diradarsi di
quella di Muscetta. Uno sguardo ai progetti della casa editrice in questo
periodo, che riguardano in particolare il settore storico, può aiutarci a
spiegare questa iniziale presa di distanza. Alcune proposte, in questo
campo, tendono infatti a ricostruire una tradizione democratica nel
pensiero politico italiano a partire dalla Rivoluzione francese, e non
perdono il loro significato per il fatto di cadere nel nulla anche per le
traversie della casa editrice dopo il 25 luglio, o di essere realizzate,
in gran parte, dopo la Liberazione. Si comprende come, in
questo quadro, non abbiano esito le proposte avanzate da Maturi nel 1942
?, scarsamente innovative nella tematica e, forse, ritenute poco attraenti
pet i legami di Maturi con Volpe, o quella di Vittorio Gorresio, che nel
1941 aveva terminato un saggio sulla
storia del bolscevismo in Italia in cui sottolineava l’isolamento del partito comunista dal
grande tronco del socialismo , ma che fu sottoposto al giudizio di Pavese
che lo ritenne superficiale. Pieri, che
nella Nuova rivista storica aveva segnalato con simpatia alcuni dei
titoli più innovativi di Einaudi, propose una raccolta di saggi di storia
militare che non furono terminati
per il Volpe, perché io non volli più sottostare alle osservazioni e
mutilazioni di due militari di professione messi alle costole all’Accademico
, tanto da dover subire le sue
basse vendette 2; e mentre
Cantimori, fra gli altri progetti, avanza quello di una riedizione de La
repubblica romana del 1849 del mazziniano ministro degli esteri della
repubblica Carlo Rusconi ? 280 Maturi propose volumi su Lord
Bentinck e i Borboni di Sicilia, Nigra, e Le interpretazioni del
Risorgimento, frutto del corso pisano del 1942-43 (AE, Maturi).
281 Gorresio a Einaudi, 20 novembre 1941 (AE, Gorresio}; Einaudi ad
Alicata, (AE, Alicata). Pieri a Einaudi, 6 luglio 1941 (AE, Pieri).
283 Nel 1941-42 l’editore si dimostrava interessato a questa e ad
altre 306 Le origini della casa editrice
Einaudi Falco propone, pur con riserve legate alla tendenza materialistica dell’autore, il volume di Domenico Dematco
su Il tramonto dello Stato pontificio che sarà pubblicato nel 1949,
e una scelta di scritti di Giuseppe Montanelli in cui, osservava, andrebbe conservato quanto riguarda la
coltura del tempo, problemi vivi anche ai nostri giorni, come la
democrazia, il socialismo, la personalità del Montanelli, soprattutto in
relazione coi pensatori e politici contemporanei ‘4. Alessandro Schiavi, che aveva già
promosso presso Laterza la pubblicazione di alcune memorie di esponenti
socialisti, con la speranza di poter continuare una battaglia politica ,
propone senza successo per il timore
dell’editore di incorrere nella censura un saggio di Zibordi sulla Storia
del partito socialista italiano nei suoi congressi, e nel 1942 un proprio
volume su I contadini e i socialisti italiani che si sarebbe
giovato di note stese da Nullo Baldini. Il 1° settembre 1942,
infine, Schiavi inviava a Einaudi tre cartelle di un suo Proezzio
al carteggio Turati-Kuliscioff, suscitando l’interesse dell’ editore, che
cercherà di avviare la pubblicazione nell'agosto 1943 perché il libro scriveva potrà riuscire sommamente
opportuno e formativo, nelle prossime lotte sociali ; gli scopi politici dell’edizione
erano ben chiari anche a Schiavi, per il quale la giovane
generazione, che non ha avuto modo di conoscere i pionieri e gli
artieri del movimento sociale in Italia trascinati via dalla morte e
dall’esilio, inibita di leggerne la vita e l’opera nei libri perché arsi
e sequestrati come apportatori di veleni, ignara del senso di libertà che
tien deste e aperte le menti alle varie correnti del pensiero e
dell’opinione e della critica che le scerne e le affina, e che non è
quindi in grado di giudicare di quel movimento che fece di una plebe un
popolo, proposte di Cantimori, come la traduzione di Politik als
Beruf e Wissenschaft als Beruf di Max Weber (AE, Cantimori). 284
AE, Falco. Significativa la lettera inviata da Schiavi a Anzi per
incoraggiarlo a scrivere le sue memorie: Non tutto sparisce colla inerzia
imposta, oltreché dalle circostanze, dagli anni, e un po’ della semente
gettata germoglierà, e il nostro spirito rinascerà in quelle particelle
che andranno a formare la società quale noi l’abbiamo sognata. Ed in tal
senso il nostro io non morirà (ACS,
Casellario politico centrale, b. 4689, fasc. 6133). attraverso
lotte, errori, cadute, e sforzi innumerevoli, se non nelle leggende
sconce e vituperose di avversari senza fede in un ideale, senza rispetti
umani, e sol gonfi di sé medesimi, potrà imparare da queste lettere di
che ‘lagrime e di che sangue l’ascensione delle classi lavoratrici
italiane voluta, preparata ed avviata da un pugno di uomini colla sola
forza della persuasione e della comprensione, della solidarietà e della
educazione [sic]. Alicata, mentre rifiuta la proposta di tradurre
Qu'est-ce que la proprieté? di Proudhon, perché a parte il coraggio di
certe formule diventate famose, è un po’ fiacco nell’analisi dialettica ,
si faceva portatore della proposta di Gastone Manacorda il quale
nell’ottobre dichiarava di averne già terminato la traduzione di pubblicare la Storia della congiura degli
uguali di Filippo Buonarroti indicato da Venturi, su Giustizia e Libertà , come il primo egualitario italiano, e del Sistemza
politico degli uguali di Babeuf. Il primo testo che sarà pubblicato nel
1946 incontrò l’approvazione di Einaudi ?, che nello stesso anno
pubblicò il Saggio su la Rivoluzione di Pisacane. Dai progetti si
era ormai passati alle prime realizzazioni; e la storia di questa
edizione non è meno significativa delle pagine di prefazione scritte da Pintor
e dell’eco che essa suscitò. Nell’estate del 1941 Aldo Romano, che nel corso
degli anni ’30 si era già occupato della figura di Pisacane, aveva
proposto a Einaudi una scelta di suoi scritti, che in un primo
tempo avrebbe dovuto curare per la collana Studi e documenti di storia del
Risorgimento diretta da Gentile e
Menghini presso Le Monnier, e che non prevedeva il saggio sulla
286 Schiavi a Einaudi, ed Einaudi a Schiavi (AE, Schiavi).
281 Gianfranchi [F. Venturi], F. Buonarroti, primo egualitario italiano,
in Giustizia e Libertà. 288
Per Proudhon Alicata a Einaudi, 18
giugno 1942 (AE, Alicata); per Babeuf e Buonarroti, Alicata a Einaudi, 11
maggio 1942 (AE, Alicata); Onofri scriveva all'editore di avere
esaminato assieme ad Alicata una scelta di scritti di Babeuf (AE,
Onofri); nel marzo 1943 Alessandro Galante Garrone inviava lo schema di
un suo volume su Mazzini e Buonarroti, mentre l’editore lo avvertiva che
dal giugno 1942 Gastone Manacorda era stato incaricato di tradurre la
Conspiration pour l’égalité di Buonarroti (AE, Galante Garrone). Le
origini della casa editrice Einaudi Rivoluzione. Alle obiezioni
dell'editore, che chiedeva solo quest’ultimo, Romano rispondeva che il
terzo saggio era solo una parte
dell’opera di Pisacane, ma non certo la più importante. Staccata dalle
altre rappresenta un frammento che ora non vale la pena di pubblicare. Il
terzo saggio contiene, nelle sue pagine migliori, il pensiero sulla
quistione sociale, ma non certo tutto il pensiero poli- tico del
Pisacane: le pagine migliori si trovano nel IV saggio che, collegate a
quelle poche del secondo, rappre- sentano il pensiero del Pisacane sulla
guerra, la sua filosofia della guerra come creatrice di eventi ; ma il 2
settembre 1942 Einaudi gli rispondeva di aver affidato la
Rivoluzione a un suo collaboratore’. Non è probabilmente senza
motivo o motivi che il nome del democratico meri- dionale, annoverato
alla fine dell’800 fra i precursori del socialismo, ma di cui nel 1932
Nello Rosselli aveva messo in luce le contraddizioni del pensiero sociale
per ricavarne l’ammonimento che il
riscatto di un popolo dalla tirannia, dalla serviti, dalla cronica fiacchezza
politica, è anzitutto problema morale
e Ferruccio Parri non mancò di rilevare la riduttività del
giudizio di Rosselli ?°, tornasse a circolare con lo scoppio della
guerra: con patticolare riferimento alla Guerra combattuta ne parlarono
Giansiro Ferrata su Primato e, su
Argomenti , Raffaello Ra- mat, che pose però l’accento anche sul
pensiero politico e sociale di Pisacane ?!. In questo contesto, la scelta
einau- diana trovava già predisposto uno spazio di intervento, ma
assumeva anche particolare rilievo, come ha ricordato Gerratana
affermando che essa fu in quel periodo
uno 289 AE, Romano. 29
N. Rosselli, Carlo Pisacane nel Risorgimento italiano, con un
saggio di W. Maturi, Torino, Einaudi, 1977,IX, e la recensione di Parri
(siglata F. Pr.) al volume di Rosselli, che notava in Pisacane delle rigide postulazioni di comunismo autoritario
e spregiudicato, le quali sono sembra a me in qualche dissenso da
Rosselli più che fredde e formali e provvisorie acquisizioni ideologiche
, e suggeriva di dare maggiore spazio all’influenza di Marx su Pisacane {
Nuova rivista storica). DI G. Ferrata, Strategia di
Pisacane, Primato; Ramat], Per
un'antologia di scritti del Pisacane, in
Argomenti. dei più importanti contributi alla cultura antifascista
della nostra generazione ??,
Infatti nella presentazione del Saggio Pintor operava una netta rottura
con l’interpreta- zione di Rosselli: pur mettendo in luce i limiti
teorici e politici di Pisacane, coglieva in lui l’intreccio di motivi maz-
ziniani e marxiani e, soprattutto, lo indicava come l’unico socialista intransigente
dell’Italia pre-unitaria, e un socia- lista per temperamento e per metodi
assai più vicino ai moderni teorici che ai vecchi dottrinari di un’utopia
collettivista , in quanto l’affermazione
cosi frequente in Pisacane che le idee derivano dai fatti, e non questi da
quelle, corrisponde nella sua sommaria enunciazione al cosiddetto
rovesciamento della dialettica hegeliana operato da Marx ?3, Era un’affermazione che, al di là della
sua correttezza interpretativa, ebbe un’eco significativa: alcuni la
passarono sotto silenzio, come il recensore di
Critica fascista che si
limitò a sottolineare l’autonomia di pensiero e l'imperativo morale del
patriota, o la contestarono, come Gabriele Pepe, che dopo aver messo in
luce l’astrattezza di pensiero e la lontananza dal marxismo di Pisacane,
assegnò al Saggio un significato
esclusivamente patriottico ; ma subito, nel 1942, Muscetta salutò
su Primato la ristampa di un classico della pix schietta
tradizione rivoluzionaria italiana , mentre sulla Rivista storica italiana Armando Saitta difese il valore teorico del
suo pensiero, in particolare l’intuizione, a suo parere marxista e
sociologica insieme, del popolo come
classe politica , e più tardi, nell’inverno 1943, Paolo Alatri
potrà affermare che alla base di
tutto il Saggio è una convinzione che difficilmente anche oggi, a circa un
secolo di distanza nel tempo da quando esso fu scritto, ci si sentirebbe
di rifiutare: che cioè una rivoluzione, per mutare veramente un mondo,
deve Introduzione a G. Pintor, I/ sangue d'Europa,la prefazione al
Saggio, del 1942, ora in G. Pintor, I/ sangue d'Europa. Nonostante la
conclusione della vicenda editoriale, il 16 febbraio 1943 Pintor ammoniva
Einaudi: ti ricordo l'opportunità di non buttare a mare completamente i
collaboratori che ti sono antipatici: i calci in faccia dati a Romano e
la distruzione del suo volume risultano ora piuttosto dannosi giacché una
scelta degli scritti di Pisacane non si improvvisa e il volume è
rarissimo (AE, Pintor). Le origini
della casa editrice Einaudi essere sovvertimento di un ordine
costituito non soltanto politico ma anche e soprattutto sociale ?. Resta l’interrogativo di come,
nello stesso tempo, Pintor potesse consigliare a Einaudi la
pubblicazione, avvenuta nel 1943, de I proscritti di Ernst von Salomon,
uno degli assassini di Rathenau, un volume che l’editore propagandò
perché vi era rievocata la guerriglia
per strappare le regioni baltiche alla minaccia bolscevica , e al quale
già nel 41 aveva dichiarato di tenere molto, assieme a Volk obne
Raum del pangermanista Hans Grimm,
per il loro tono documentario nazionalsocialista ?5; una proposta che Pin tor cercherà
di riscattare nella recensione al volume pubblicata postuma, tesa ad analizzare, con
moduli cantimoriani, anche se concettualmente assai più fragili, la vicenda
dei reazionari di sinistra tedeschi del primo dopoguerra, vista come
testimonianza del destino di
un'epoca in cui la tolleranza doveva diventare una colpa e la morte
fisica scendere con inaudita violenza su intere generazio ni
2, L’interrogativo posto per Pintor ci sembra valido anche
per l’editore, che nel 1939 aveva consigliato cautela a SUCCI (si veda),
CRITICA FASCISTA; Pepe ne La Nuova
Italia , Don Santigliano [Muscetta] in
Primato; A. Saitta in Rivista
storica italiana;Romano [Alatri], in
Leonardo, XIV (1943),247. 295 Attività Einaudi anno XXI (ACS, Segreteria
particolare del duce, Carteggio ordinario, n. 528771, sottofasc. 1);
Einaudi ad Alicata, (AE, Alicata); G.
Pintor, Doppio diario, Pintor, Il sangue d’Europa,162, 164. Recensendo
più tardi il volume Croce, dopo aver ricordato la nobile figura di
Rathenau e la radicale negazione della moralità dei
mistici tedeschi, in questo
simili ai fascisti italiani, concludeva con velata ironia: La traduzione
italiana del libro del Salomon, è stata pubblicata nel marzo 1943, nel
tempo dell’ancora imperante fascismo, e dovette perciò avere il lasciapassare
di quel regime: al quale è da credere che tale libro sembrasse
edificante, confortante, educativo, persuasivo per gli italiani, perché
dettato nello stesso spirito di talune delle nobili sentenze che allora
si facevano imprimere dappertutto sui muri delle case urbane e rurali. Ma
l’accorto editore, provvedendo a quella traduzione, avrà avuto di mira,
crediamo, l’intento opposto (Misticismo politico tedesco (La Critica ,
1944), ora in B. Croce, Pagine politiche (luglio-dicembre 1944), Bari,
Laterza, Spellanzon nella cura delle Considerazioni sulle cose d’Italia
nel 1848 di Cattaneo: poiché la materia
è, a novant'anni di distanza, ancora cosi incandescente , scriveva
Einaudi, era indispensabile far
precedere il testo di Cattaneo da un’introduzione, che serva un po’ da
antidoto, un’introduzione che non sia naturalmente di piaggeria
carlalbertina, ma renda equilibratamente ragione dell’occasione e
dell’intonazione dell'Archivio triennale e di questi scritti che ne
formano l’ossatura . Ma all’editore di Omodeo, spietato critico
della leggenda di Carlo Alberto, Spellanzon aveva
risposto di non essere sicuro di poter scrivere una introduzione-
antidoto , perché si sentiva meno
caldo di furore di quell’uomo inesorabile e severo, vero Farinata
del secolo decimonono. Ma all’infuori del toro, e all’infuori di qualche
sua deduzione troppo consequenziaria, io condivido molta parte dei
giudizi del fiero lombardo! ?.
Infatti nella presentazione dell’opera pubblicata nel 1942 che nella
ristampa del 1949 sarà dedicata a Salvemini, Spellanzon faceva sue le critiche
del democratico milanese alla politica di Carlo Alberto, e coglieva negli
scritti dell’ Archivio triennale
un acerbo disdegno per i subdoli maneggi di servi cortigiani e
gesuitanti, un caldo amore di libertà inseparabile da ogni impresa di
civile progresso. Anche in queste pagine, il Cattaneo ci appare
quel che fu durante l’epico momento delle Cinque Giornate: il Farinata della
rivoluzione nazionale italiana ?.
Scontate appaiono quindi, da un lato, le critiche de La Civiltà cattolica e, dall’altro, la favorevole accoglienza
di Pieri, per il quale con questo volume
la tanto auspicata ricostruzione della storia del nostro
Risorgimento è finalmente in atto, nelle sue correnti ideali, nel suo
travaglio politico, nello sforzo d’elevazione morale di tutta la
vita italiana ; ma anche Carlo Morandi, su Primato , invitava ad una lettura del
Cattaneo democratico ben diversa da quella proposta nel ’39 da Luigi
Einaudi: Nella storia, Einaudi a
Spellanzon, e Spellanzon a Einaudi, 7 luglio 1939 (AE, Spellanzon).
28 C. Cattaneo, Considerazioni sulle cose d’Italia nel 1848, a cura
di C. Spellanzon, Torino, Einaudi, 1942,XCII. 312 Le
origini della casa editrice Einaudi se l’obbiettività è un’utopia,
la probità è un dovere. Sarebbe eccessivo affermare che la probità del
Cattaneo, anche in queste pagine, non è inferiore a quella degli
scrittori suoi contemporanei di parte avversa? Crediamo di no ? Ma poco prima del 25 luglio,
alla vigilia di una nuova fase nella vita della casa editrice, Einaudi
cercava un punto di equilibrio affidando ancora una volta a Salvatorelli
il compito di riassumere in rapida sintesi una riflessione del
Risorgimento che unificasse la concezione liberal-moderata di Omodeo e
quella democratica di Spellanzon, pur in una visione sempre
etico-politica della storia. In Pensiero e azione del Risorgimento,
individuata nella circolazione delle idee del '700 europeo la matrice del
processo risorgimentale, Salvatorelli superava sue precedenti incertezze
interpretative ripercorrendone le tappe attorno al nesso di pensiero e azione , che vedeva per la prima
volta incarnato dai giacobini italiani, per passare poi nell’insegnamento di
Mazzini e spiegare la funzione capitale
svolta dal Partito d’Azione. Pur contestando la sottovalutazione di
Cavour e l’unico punto relativo alla rivoluzione in cui l’autore accennava al problema
sociale e il recensore sottolineava la difettosa
impostazione etico-giutidica di tutti i moti socialistici , Omodeo poteva
salutare, su La Critica del 20 luglio 1943, un’opera meritoria nella dura polemica contro certi indirizzi semi-camorristici che con la
prepotenza han preteso imporre risultati prestabiliti alla ricerca
storica ; e Curiel inviterà a leggere il volume, perché metteva in
luce le forze progressive della
democrazia, indicandone le insufficienze per cui il moto rivoluzionario
per l’unità d’Italia sboccò nel compromesso monarchico e nel
pseudoliberalismo antidemocratico .
Infatti dalla ricostruzione La Civiltà cattolica; Pieri in Nuova rivista storica , XXVII (1943),143;
Morandi in Primato , III
(1942),179. anche, più tardi, la
recensione di Bianca Ceva ne La
Nuova Italia. La Critica; E. Curiel, Scritti (segnalazione sul Bollettino del Fronte della
gioventd del febbraio 1944). Anche Carlo
Morandi, pur non condividendo alcune osservazioni particolari di Salvatorelli,
ne sposava comple storiografica che arrivava ad accennare alla crisi
del dopoguerra, pur senza nominare il fascismo Salvatorelli faceva
scaturire nella pagina conclusiva un chiaro messaggio politico, invitando
a non subire le deformazioni e i
traviamenti delle visuali nazionalistiche ; ma a preservare la libertà di pensiero e d’azione,
guardare dall’alto e lontano, ascoltare e riflettere, preparare e
costruire, secondo le direttive di principio espresse dalla coscienza
storico-morale dell’umanità, in cammino verso la sua meta divina: la pienezza
di vita dello spirito nella fraternità universale ! A valori umani e civili non
confinabili in un ambito nazionalistico intendeva ispirarsi anche la
nuova collana Universale che cominciò a uscire nel 1942 sotto la
direzione di Muscetta, invitato dall’editore ad accelerarne i tempi di
pubblicazione di fronte alle minacce di
concorrenza che si annunziano da varie parti
®, Infatti, Primato presentava con soddisfazione l'uscita
di due collane universali ritenute necessarie, in quanto fra le caratteristiche di questa guerra, gli
storici ricorderanno anche la fede nei valori della cultura, l'ardente
bisogno di dissetarsi alle sorgenti di vita eterna ®: la
Corona di Bompiani e la collana
einaudiana, cui avrebbe fatto seguito, nel 1943, la Meridiana di Sansoni, con volumi il
cui piccolo formato era imposto tamente la tesi generale sulle
origini non autoctone del Risorgimento, legate alla Rivoluzione francese
(La polemica sul Risorgimento, in
Primato). %! L. Salvatorelli, Pensiero e azione del
Risorgimento, Torino, Einaudi Einaudi a Muscetta, 23 marzo 1942 (AE, Muscetta).
La discussione sulle caratteristiche della nuova collana fu assai vivace quando
l’editore pensava di suddividerla in due sezioni, una Biblioteca classica universale , dove avrebbe
potuto apparire l'Aesthetica in nuce di Croce, e una Biblioteca moderna universale : G. Pintor, Doppio diario,157, 163;
Muscetta a Einaudi, 29 ottobre 1941 (AE, Muscetta); Einaudi ad
Alicata, (AE, Alicata). Vice, Il
problema delle Universali , in Primato. A proposito della nuova collana, il
redattore capo della rivista, Giorgio Cabella, il 20 maggio 1942 scriveva
a Einaudi: Non mancherò di farne
parlare su Primato con quella cura e attenzione che abbiamo sempre usato
per le Vostre pubblicazioni e che questa collezione merita (AE,
Cabella). Le origini della casa editrice Einaudi anche da un
dato oggettivo, la carenza di carta. Da parte fascista si cercò di
cogliere in queste iniziative la prova di un sostegno della cultura
alla guerra italiana , come se lo spirito affermava Lorenzo
Gigli in un articolo della
Gazzetta del popolo fatto proprio
da Primato voglia in pieno
conflitto proclamare e dimostrare il raggiunto grado della sua emancipazione e
sottintendere fin d’ora un impegno fondamentale nel processo
ricostruttivo di tutti i valori morali e materiali che seguirà alla
conquistata indipendenza politica ed economica della Nazione come frutto
della guerra vinta ®. La nuova collana
di Einaudi si presentò tuttavia, fin dall’inizio, come espressione di un
rinnovamento culturale della casa editrice, che intendeva ora allargare
il suo pubblico con volumi agili e a basso prezzo non è un caso che dai
29 volumi si balzasse ai 53, per attestarsi sui 41 nel 1943. Anche se
l’annuncio editoriale era necessariamente ambiguo la collana non vuole assecondare diffuse abitudini
culturali, ma orientare il pubblico secondo un gusto italiano, aperto
alle esperienze moderne, ma sempre vivamente sensibile alla nostra secolare
tradizione umanistica , il giudizio espresso nel dopoguerra, nella fase
di preparazione di Politecnico
biblioteca , da Vittorini, al quale la vecchia
Universale appariva compromessa dalle inclusioni di opere
esplicitamente reazionarie , non solo
prescinde dalla necessaria collocazione storica dell’iniziativa, ma
risulta anche inesatto, e opportunamente contraddetto da Concetto Marchesi che,
all’u 30 Vice, Calendario, in
Primato. 305 Cit. da C. Cordiè in Leonardo da VINCI (si veda). Vittorini a
Einaudi, in E. Vittorini, Gli anni del
Politecnico . Lettere 1945-1951, a cura di C. Minoia, Torino,
Einaudi, 1977,8. Nella comunicazione a Einaudi di un colloquio avvenuto
il 4 luglio 1945 tra Vittorini e Pavese a proposito dell’ Universale ,
si dirà che Vittorini intende aprire la collezione a moderna
letteratura progressiva sia creativa sia polemica la quale escluderebbe
naturalmente molti titoli che in passato entrarono nella collezione. Treifschke
e Novalis non possono sopravvivere quando entri, cosî per dite, il
teatro di Saroyan, la poesia di Toller, la polemica di un oratore
sovietico. A Pavese pare che possano
(AE, Corrispondenza editoriale Torino-Roma scita dei primi volumi
della collana, lodava Einaudi per aver
fatto entrare la sua attività editoriale nella storia della nostra
cultura italiana che tanti maltrattamenti e oscuramenti ha dovuto
sopportare Ciò non
significa che non siano numerosi titoli puramente letterari non inquadrabili
nelle finalità di un orientamento politico, prima e dopo il 25 luglio, o che
non fossero scartate proposte di testi più incisivi da questo punto
di vista . Ma è bene ricordare che alcune esclusioni sono da attribuirsi
alla necessità di un compromesso con la censura: Bottai potrebbe dire una parola a
Pavolini scriveva l’editore a Muscetta l’8 aprile 1942, rivelando
un rapporto privilegiato con il ministro dell’Educazione nazionale . Noi
faremo molti italiani e quindi anche qualche straniero . Accetteremo
nello svolgimento del piano i loro consigli, e sospenderemo nel caso
qualche volume che può essere inopportuno. Ma occorre che anche loro
collaborino con noi °. E tuttavia
Einaudi poteva a buon diritto scrivere ad Arrigo Benedetti che con l’
Universale gli pareva di venire
incontro a un vero bisogno della
nostra cultura nazionale. Tengo molto a che questa collezione non passi
per un tentativo di volgarizzamento di cui non si sentiva affatto la
necessità, ma per un contributo fattivo a un riesame serio e consapevole del
patrimonio culturale universale. In quest'ultimo senso vorrei appunto che
fosse inteso l’attributo della mia collezio 30? Marchesi a Einaudi, (AE,
Marchesi). 308 Per i vari progetti di pubblicazione AE, Muscetta. Fra i testi non
realizzati figurano: La rivoluzione e i rivoluzionari in Italia di
Ferrari, affidato nel giugno 1942 a Mario Ceva e poi, nell’ottobre, a
Cantimori AE, M. Ceva, Cantimori); i Pensieri politici di Vincenzo Russo
scartati dall’editore che, d'accordo con Alicata, accantonò anche il
progetto di pubblicazione del saggio sulla libertà di Labriola non
sappiamo se quello Della libertà morale del 1873 o quello Del concetto
della libertà del 1878, in quanto le osservazioni interessanti per lo
sviluppo futuro del suo pensiero sono appena marginali; siamo ancora in
piena disquisizione psicologistica herbartiana, priva di interesse per noi
(lettere a Muscetta del 24 agosto 1942 e ad Alicata, in AE,
Muscetta, Alicata). Il 25 giugno 1943 Ginzburg inviava il sommario di
un’antologia di scritti di Cattaneo (AE, Ginzburg). 39 AE,
Muscetta. 316 Le origini della casa editrice
Einaudi ne °. In effetti,
le finalità di apertura cosmopolitica della collana vennero rispettate,
se dal 1942 al 1946 i titoli italiani risultano solo 17 su un totale di 69, di
cui 5 su 10 nel 1942 e 7 su 19 nel 1943; e le prefazioni, stringate
ma spesso assai incisive, furono affidate in molti casi a intellettuali
antifascisti, anche se non tutti quelli contattati, come Marchesi,
poterono rispondere all’appello. Cosi, mentre i Canti del popolo
greco di Tommaseo assumono oggettivamente, all’inizio del 1943, un
significato politico, l’Antologia di Spoon River di Edgar Lee Masters, da
tempo segnalata da Pavese che vi vedeva
un meraviglioso mondo che ci parve qualcosa di più che una
cultura: una promessa di vita, un richiamo del destino , suggerisce alla
curatrice, Fernanda Pivano, l’osservazione che solo le anime semplici riescono a trionfare
nella vita !, E Ginzburg, se ne La
sonata a Kreutzer di Tolstoj indicava i motivi artistici come prevalenti su
quelli sociali, terminava la prefazione a La figlia del capitano
ricordando l’epigrafe di Puskin tieni da
conto l’onore fin da giovane ?,
mentre presentando Cristianità 0 Europa di Novalis Mario Manacorda
metteva in luce la statolatria
reazionaria dell’autore, che
trasferisce allo stato etico ,
nazionale e monarchico, quei compiti ideali di civiltà che l’illuminismo
assegnava allo stato razionale e cosmopolitico, e, confondendo
evidentemente stato e società, dà una cattiva versione romantica
dell’esser cive quando afferma che il
più umano dei bisogni è quello di uno stato e predica la necessità che lo stato sia
dovunque visibile anche nei distintivi e nelle uniformi 313. 310
Einaudi a Benedetti, (AE, Benedetti). La
scelta delle novelle di Maupassant fatta da Benedetti non ottenne il
nulla osta della censura per l’inclusione di quelle riguardanti la guerra
del 1870 (Alicata all'editore, 30 marzo e 24 giugno 1942, in AE,
Alicata); il 30 luglio 1943 l’editore scriveva a Benedetti: Facciamo
subito il Maupassant. Dovresti tradurre le novelle di guerra escluse in un
primo tempo (AE, Benedetti).
311 E. Lee Masters, Antologia di Spoon River, a cura di F. Pivano,
Torino, Einaudi, 1943,XII; C. Pavese, La letteratura americana, 64.
32 Ora in L. Ginzburg, Scritti,153, 289. 313 Novalis,
Cristianità o Europa, a cura di M. Manacorda, Torino, Einaudi, Accenti
anti-gentiliani, non privi talvolta di risvolti politici, sono
avvertibili anche nella presentazione di molti letterati e uomini
politici italiani dell’800: accanto alla valorizzazione del cristianesimo
di Capponi, ritenuto da Umberto Morra
più vivo di quello manzoniano !,
o all’inclusione di esponenti moderati del Risorgimento cari alla
concezione liberale di un Luigi Einaudi o di un Omodeo, come Cavour di cui
Cantimori cura una scelta dei Discorsi parlamentari sottolineandone il
realismo politico °, appaiono autori propri della genealogia risorgimentale di
Gentile Cuoco, Foscolo o Alfieri, ma profondamente rivisitati.
Significativo non solo in questo senso, ma anche come una sorta di
manifesto di tutta la collana, è il primo titolo pubblicato, le Ultizze
lettere di Jacopo Ortis, che offriva a Muscetta l’opportunità di
far proprie le affermazioni pacifiste di un commentatore di
Foscolo Un popolo non deve snudare la
spada se non per difendere o conquistare la propria indipendenza.
Se attacca i vicini per aggiogarli, si disonora; se invade il loro
territorio col pretesto di fondarvi la libertà, o è ingannato o s’inganna
, e di riproporre la concezione democratica e antitirannica espressa
in pagine dimenticatissime da Cattaneo, per il quale Foscolo fu
il primo a gettare in Italia quella vanissima sentenza, che il rimedio vero sta nel riunire in una
sola opinione tutte le sètte . È idea chinese, idea bizantina; e per essa
la Grecia, sf feconda quand'era piena di sètte, giacque per mille anni
nel letargo della sepolcrale ortodossia bizantina. Ogni setta che invoca
questo sofisma intende solo imporre silenzio alle altre tutte, fuorché a
se stessa, e regnare unica e sola3!. 314 G. Capponi, Ricordi
e pensieri, a cura di U. Morra, Torino, Einaudi Benso di Cavour, Discorsi
parlamentari, a cura di D. Cantimoti, Torino, Einaudi, 1942,XII.
Scrivendo a Finaudi, Ragghianti giudicava alcune note di Cantimori tendenziose, con un profumino di marxismo aggiornato,
che dà noia (AE,
Ragghianti). Foscolo, Ultime lettere di Jacopo Ortis, a cura di C.
Muscetta, Torino, Einaudi, 1942,XIV-XV. La Civiltà cattolica noterà che l’opera di Foscolo era posta
all'Indice. Mazziotti presentava Il Congresso di Vienna di Treitschke
affermando che per l’autore lo Stato era forza, 318
Le origini della casa editrice Einaudî 10. I quarantacinque
giorni, la Liberazione e il Fronte della cultura Entusiasmo
e frenesia di iniziative contraddistinguono il periodo immediatamente
successivo alla caduta di Mussolini, quando ai tentativi di acquisire il
controllo su un giornale, quando
Roma vive il primo giorno di libertà , Muscetta invitava Einaudi
a metter le mani su
Primato si aggiungono a
ritmo serrato, fino all’8 settembre, proposte di nuovi volumi e collane,
destinate per la maggior parte ad essere definitivamente accantonate o
sospese fino alla Liberazione, non solo per l’incertezza della situazione
politica generale. Inizia infatti un processo di riassestamento della
casa editrice di non facile soluzione tanto che si ripresenterà,
aggravato, , dove ai problemi ma che una forza che calpesta ogni
diritto deve finalmente andare in rovina, perché nel mondo morale nulla
si regge che non abbia virtî di resistere AE, Muscetta. Intense furono le
trattative per l'acquisto di altri Genta Si pensò, da parte di Muscetta e
Ginzburg, a La Ruota da trasformare in settimanale sotto la
direzione di Mario Vinciguerra (AE, Vinciguerra; Muscetta), anche se
Pintor affermava: Resta da
decidere se l’acquisto di una rivista in questo momento e con le prospettive
oscure che ci attendono sia un gesto opportuno e resta da fissare l’indirizzo
politico della rivista. Un uomo come Vinciguerra, degnissimo ma
ufficialmente legato a un partito, non mi pare il più adatto per la
direzione (AE, Pintor). Vi furono
trattative anche per Il Lavoro italiano
, per cui Pintor entrò in contatto con Piccardi che non voleva scriveva
Pintor a Einaudi affidarlo a elementi
troppo di destra, dato che si tratta del Quotidiano dei Lavoratori.
Temeva che tu avessi le idee di tuo padre (AE, Pintor, 30 luglio 1943;
Muscetta. Per la Gazzetta del popolo
, che Einaudi avrebbe voluto affidare alla direzione di Felice Balbo,
si chiese l'appoggio di Bonomi presso l’IRI, ma Pintor non riuscî a
convincere Menichella che comunicava all’editore vede nerissimo, prevede il regno dei grossi
capitalisti e un attacco in grande stile contro l’IRI. La Gazzetta del
popolo come la faremmo noi costituirebbe una provocazione contro i
pescicani e affretterebbe la catastrofe
(AE, Pintor; Bonomi). Il 18 agosto 1943 Einaudi scriveva ad
Alicata: Il periodico di educazione popolare che saluterei con simpatia,
sarebbe quello che votrei faceste tu e Vittorini questo dovrebbe essere
il giornale spregiudicato e vivo, dei tempi nuovi qui tutte le manifestazioni
della vita, politiche ma sovratutto di costume dovrebbero essere
rappresentate (AE, Alicata). organizzativi
si intrecciano le divergenze fra i collaboratori, che acquistano ora rilevanza
politica. Einaudi riteneva necessario
l’accentramento in Piemonte dei servizi relativi al funzionamento
worzzale della casa editrice , mentre nell’agosto incaricava Ginzburg,
liberato dal confino, di dirigere la sede romana : ed è da questa, dove
nell’agosto è presente anche Franco Venturi, che scaturisce una forte
pressione degli azionisti nelle loro diverse componenti, dai
liberalsocialisti ai crociani che cercano di condizionare a loro favore
le scelte editoriali. Il senato romano (presenti Ginzburg,
Muscetta, Pintor, Giolitti, Venturi) scriveva Muscetta a Einaudi il 7
agosto 1943 ha discusso e progettato, ad unanimità, una collezione di
attualità politica, a cui si darebbe il nome di
Orientamenti . Suggerisce di pubblicare, preferibilmente a Roma,
per ovvi motivi, una serie di volumetti formato universale. Come è chiaro dalla
parola Orientamento la collana dovrebbe accogliere scritti delle
pi serie tendenze odierne per illuminare il pubblico sulle
condizioni reali dell’Italia e dell'Europa, per disegnare delle
prospettive di concreta ricostruzione politica, per offrire dei
contributi al chiarimento dei più urgenti problemi, non esclusi quelli
ideologici, Ma le proposte concrete privilegiavano un
indirizzo azionista della collana, prevedendo i saggi di Guido Calogero
su Giustizia e Libertà dall’ambizioso sottotitolo breviario di politica , di Spinelli
sull’unità europea, di Manlio Rossi Doria sul problema agrario in
Italia, quello sul Risorgimento che Ginzburg stava preparando, e una storia del
socialismo di Franco Venturi. Queste proposte di cui si fece portatore,
pur con riserve su Calogero, anche Pintor? Disposizioni di Finaudi per la sede
romana (AE, Corrispondenza editoriale Roma-Torino). AE, Muscetta.
AE, Pintor. Fra le altre proposte romane
, Dal socialismo al fascismo di Bonomi (già edito da Formiggini),
Synthèse de l'Europe di Sforza, La terreur fasciste di Salvemini, il
Pisacane di Rosselli e la traduzione da
affidare a Rodano de Les sources et le sens du communisme russe del
pensatore religioso, ex-marxista e ora antisovietico, Nikolaj A. Berdjaev
(AE, Corrispondenza editoriale Roma-Torino), un’opera che sarà Le
origini della casa editrice Einaudi furono respinte dal gruppo
torinese, che invece approvò la ristampa di Nazionalfascismo di
Salvatorelli, un’antologia di scritti di Gobetti che avrebbe dovuto curare
Carlo Levi, un volume di Mario Vinciguerra Storia di cento anni
(1848-1948), e la richiesta a Guido Dorso di preparare una biografia di
Mussolini . Un netto e significativo rifiuto riceve invece, a Torino, la
proposta di raccogliere gli scritti politici di De Sanctis il
suggerimento, tramite Muscetta, era arrivato da Croce #, mentre
viene lasciata aperta la possibilità di pubblicare Guerra e dopoguerra di
Giacomo Perticone, una storia della
crisi della coscienza politica italiana ritenuta interessante da Giolitti, che
suggeriva l’eventuale opportunità di una collezione specifica che
potrebbe presentarsi come Contributi
alla storia del fascismo , intendendo naturalmente il fascismo in senso
lato, come crisi, per dir cosî, della democrazia nazionale italiana; e
allora rientrerebbero in quei contributi anche le indagini sulla storia
dell’Italia dopo il 1870 le quali sappiano vedere il fascismo già latente
in certi aspetti della vita politica dello Stato italiano, e non lo
considerino soltanto come un mostro emerso improvvisamente da chissà
quali profondità, o come la criminosa avventura di un gruppetto di
sopraffattori: un’indicazione di ricerca che superava la visione
crociana della parentesi , ma che
sarebbe stata raccolta molto tardi dalla cultura storiografica italiana,
anche se Einaudi si dimostrò interessato alla proposta, cui cercherà di
dar seguito dopo il 1945 ®. Di fronte alle posizioni del senato romano
di tradotta nel 1944 da Giacomo Perticone (Roma, Edizioni Roma);
di Berdjaev Laterza aveva tradotto Il cristianesimo e la vita
sociale, mentre Finaudi pubblicherà La concezione di Dostojevskij.
321 C. Pavese, Lettere; AE,
Pavese, Vinciguerra. Muscetta a Pavese, 19 agosto 1943 (AE, Pavese); Qui
ognuno di noi si infischia sia del Perticone, sia degli scritti politici
di De Sanctis , si rispose da Torino
(AE, Muscetta). Giolitti a Einaudi (AE, Giolitti); si potrà
discutere la proposta di Giolitti in merito a una collezione critica sul
fascismo , scriveva Einaudi a Pintor
(AE, Pintor); e Pintor era favorevole: la lettera del 24 agosto a Pavese (in C.
Pavese, Lettere viso al suo interno tra azionisti da un lato, Pintor e
Giolitti dall’altro e di un Pavese,
nauseato dall’indaffaramento politico della casa editrice ’, Pintor si dimostrava preoccupato
dell’unità dell’indirizzo editoriale: scriveva a Einaudi che le possibilità di rottura si accentuano e che
la crisi può intervenire da un momento all’altro , occasionata
originariamente dal breviario
politico di Calogero; le varie discussioni aggiunge hanno messo in evidenza un problema che
doveva inevitabilmente maturare. Non si tratta pit cioè di dissensi
personali che hanno sempre alimentato l’attività della casa, ma di un
contrasto di posizioni, che secondo me non è insanabile, ma che deve
essere chiarito se non vogliamo che diventi un elemento pericoloso di
erosione ?5, Da queste preoccupazioni
scaturisce il deciso intervento di Einaudi che provoca il naufragio della
collana Orientamenti considerata la provvisorietà dell’iniziativa , e punta su Ginzburg liberato il 26 luglio
dal confino e Alicata uscito dal carcere
come elementi moderatori delle diverse posizioni: tu avrai
di fronte scriveva ad Alicata una
persona che ha dato prova di grande serietà morale, e di w245sima comprensione
per tutte le idealità politiche degne di questo nome. Ritengo che tu
possa lavorare con Ginzburg amichevolmente Pavese a Pintor, (C. Pavese, Lettere). In particolare aggiungeva Pintor, per
Orientamenti, nonostante l’unanimità proclamata da Muscetta, io avrei
diverse riserve: vorrei che si tenesse conto del programma originario di
Balbo e vorrei che fosse consultato Vittorini ; e il 16 agosto scriveva a
Einaudi: Il mio atteggiamento
personale è molto conciliante: il clima di lotta parlamentare che si è
creato a Roma mi dà parecchio fastidio e non vorrei assolutamente che si
riproducesse nel lavoro della casa (AE,
Pintor). 32% Einaudi ad Alicata, 18 agosto 1943 (AE, Alicata). La
decisione di Einaudi parve discutibile
a Pintor: In questo modo si sfugge al primo problema posto dal
coesistere delle diverse tendenze: l’accordo deve essere ottenuto
attraverso una rigorosa selezione delle proposte, ma è indispensabile che
la casa editrice segni il passaggio a una nuova fase uscendo dagli schemi
delle vecchie collezioni e affrontando coraggiosamente l’attualità. A questo
non bastano i progetti di giornali e riviste che cominciano a diventare
invadenti ma occorre che si faccia qualcosa di nuovo anche nel campo
editoriale (a Einaudi, 19 agosto 1943,
in AE, Pintor). Le origini della casa editrice Einaudi
e con rapidità di decisione . Comunque la funzione di Ginzburg, in quanto
collaboratore della casa, più che di difensore di principi diversi è
quella di moderatore, anche nei riguardi della corrente che a lui può
sembrare faccia capo. Tu usa con lui, collaborando alla casa, altrettanta
moderazione, sia pure con intransigenza, in modo da arrivare nel nostro
Senato anziché alla disgregazione temuta da Pintor, alla collaborazione spontanea
?7, In questa situazione, fatta di contrasti e di
incertezze, cui si aggiungerà dopo 1’8 settembre la dispersione dei
collaboratori e la sostituzione di Giulio Einaudi che si rifugerà in
Svizzera con il direttore dell’ISPI Pierfranco Gaslini e il commissario
prefettizio Paolo Zappa, con i quali resta in contatto Muscetta,
l’attività della casa editrice conosce, nel 1943-44, una stasi, anche se viene
dato esito ad alcuni progetti precedenti. Non vengono pubblicati,
ovviamente, i testi più politicizzati suggeriti dalla sede romana e accettati
a Torino, cosi come resta inedito E il gallo cantò di Augusto Monti che,
scriveva l’autore, pur trattando di casi
relativamente remoti, è della più viva attualità, tanto che potrebbe avere per
sottotitolo: origini del fascismo e dell’antifascismo. Nella Biblioteca di cultura storica esce solo, nel 1944, La politica
italiana da Porta Pia a Vittorio Veneto di Bonomi ’, mentre nei Saggi
alle Riflessioni di Montesquieu curate da Leone e Natalia Ginzburg
per venire incontro a un rinnovato
interessamento per certi valori umani, proclamati dagli uomini del Settecento,
e poi a lungo negletti 3 AE, Alicata. Ma era necessario tener
conto, scriveva Pintor a Einaudi il 31 agosto 1943, che Alicata è preso
da un'attività quanto mai turbinosa e che negli ultimi giorni si è
occupato quasi esclusivamente di fare arrestare fascisti sediziosi (AE, Pintor); perciò l’editore scriveva
a Ginzburg il 4 settembre: La sua richiesta di sostituire Giolitti ad
Alicata nel Comitato Politico mi pare utile. Giolitti dovrebbe essere una
specie di supplente al quale Alicata delega, quando è impossibilitato a
partecipare alle riunioni, il mandato di voto
(AE, Ginzburg). 328 Monti a Einaudi, 15 agosto 1943 (AE,
Monti). 329 Di Bonomi non fu invece pubblicato Dd/ socialismo al
fascismo, cui si dichiararono contrari Pavese, Balbo, Venturi e Ginzburg,
favorevoli Pintor e Giolitti:
Pavese a Muscetta (C. Pavese, Lettere, e Muscetta a Pavese, (AE,
Pavese). da un troppo unilaterale storicismo °, fa da contrappunto, nel 1943, la
pubblicazione delle Memorie di Metternich in cui Casini sottolinea l’
orrore del cancelliere austriaco
per la Rivoluzione francese e la sua testimonianza sul sangue che è corso per le piazze di
Francia, sulle violenze che hanno reso esecrabile questo evento, sulla
brutalità con cui sono stati incrinati e calpestati i fondamenti
dell’ordine !, Nell’unica collana
che conserva una certa vitalità, anche per il minor costo che
richiedeva, 1’ Universale , accanto a numerosi testi più propriamente
letterari ne appaiono altri segnati da un chiaro, anche se non univoco,
impegno civile: alla presentazione simpatetica del buon senso
che traspare dagli Opuscoli politici di D’Azeglio fatta da
Vittorio Gorresio , si accompagna il Manoscritto di un prigioniero del
mazziniano Carlo Bini, di cui Goffredo Bellonci illustra la concezione del
Risorgimento come rivoluzione sociale capace di eliminare le ineguaglianze materiali ; nel Della tirannide di Alfieri Massimo Rago
coglie uno spirito veramente
rivoluzionario che cerca di dar risalto alle forze che ostacolano
l'affermazione della libertà, e questo chiarimento suona come un invito
ad una più accurata osservazione delle esperienze sociali 4; mentre presentando Conquista e
usurpazione di Benjamin Constant Franco Venturi osserva come soltanto
Jaurès e Mathiez avessero insegnato a vedere nella Rivoluzione
francese il nostro moderno problema
di una rivoluzione sociale alle sue origini , come tale non
compreso da Constant, di cui per altro è esaltato il liberalismo che si
manifesta nel chiudere la
rivoluzione, ma non per negarla: per salvarne i principi rinati
dall’espeCh. De Montesquieu, Riflessioni e pensieri inediti, a cura di
Leone e Natalia Ginzburg, Torino, Einaudi, Metternich, Merzorie, a cura di G.
Casini, Torino, Einaudi Azeglio, Opuscoli politici, a cura di V. Gortresio,
Torino, Einaudi, Bini, Manoscritto di un prigioniero, prefazione di G.
Bellonci, Torino, Einaudi, Alfieri, Della tirannide, a cura di M. Rago,
Torino, Einaudi, Le origini della casa editrice Einaudi
rienza delle assemblee e del terrore. L’unico elemento di novità,
n@, è. È Collana di cultura
giuridica ‘diretta da Bobbio uno dei
primi collaboratori di Einaudi, la cui firma era apparsa anche ne La
Cultura, che già era venuta configurandosi come distinta dal progetto di
una collana filosofica. Pavese gli comunicò la proposta di Manlio Mazziotti di
una collezione di classici del diritto,
la quale servirebbe a svegliare il sonno dogmatico dei giuristi italiani,
i quali credono che la loro scienza consista nell’interpretazione e non nella
creazione della legge , e Bobbio rispose di essere anch’egli convinto
che nel campo degli studi giuridici ci
sia molto da fare per la diffusione di. una cultura seria e creatrice:
dalla scuola del diritto naturale ai grandi giuristi tedeschi del secolo
scorso; dalla moderna sociologia giuridica alla dottrina pura del
Kelsen. Che io sappia non è stata mai tentata in Italia un ‘impresa
del genere, che raccolga con un certo ordine e con intendimenti culturali, e
non tecnici, opere d’argomento giuridico , a parte i Classici del diritto di Formiggini, fermatisi tuttavia nel 1933 al
primo volume, I difetti della giurisprudenza di Muratori
Coadiuvato da Antonio Giolitti, Bobbio cercò di dar vita alla
collana con due opere già da lui preparate per la Biblioteca di cultura filosofica #’: nel 1943 appare il Giovazni
Althusius di Gierke, il continuatore della scuola storica di Savigny che
considerava il Constant, Conquista e usurpazione, prefazione di F.
Venturi, Torino, Einaudi. Già proiettato esplicitamente nel futuro
è il commento a E. Quinet, La repubblica, a cura di E. Lussu, Torino,
Einaudi, 1944, dove si afferma che gli italiani sono arretrati d’un
secolo, ché tutti i fondamentali problemi di democrazia che il Risorgimento
poneva sono rimasti insoluti , e che in Italia, dopo la disfatta, che ha in
comune con quella francese del 1848 solo l’immaturità politica e non l’epopea,
la classe operaia va lentamente ricomponendo le sue forze e maturando
l’esperienza del passato, conscia del compito ch’essa è chiamata ad
assolvere. Pavese a Bobbio, e Bobbio a Einaudi, (AE, Bobbio). Bobbio a Einaudi,
15 novembre 1942 (AE, Bobbio). diritto come espressione della coscienza del popolo ,
e con lo studio del giurista Althusius aveva seguito la via attraverso cui il pensiero
moderno è passato per elaborare quei concetti da cui è uscita la
concezione dello Stato di diritto, tanto più oggi preziosa scrive Bobbio,
quanto più minacciata, e tanto più viva quanto più condannata dagl’impazienti,
dai fanatici, dagli indotti di tutte le fazioni . Nel 1945 seguirà La fondazione della
filosofia del diritto di Julius Binder,
il più intransigente e fortunato assertore della rinascita hegeliana in
Germania , la cui opera, osservava Bobbio, serviva a scagionare la
filosofia italiana recente dall’accusa di provincialismo, qualunque sia poi il giudizio che si voglia
formulare sul neohegelismo italiano, al quale peraltro non si potrà disconoscere
il merito di aver tenuto il pensiero italiano lontano da quegli stessi
estremi dell’intellettualismo e dell’intuizionismo contro cui combatté Binder ’, Ma dopo questi
due titoli che venivano ad allargare ulteriormente i già numetosi
interessi della casa editrice la collana
perderà i suoi connotati per trasformarsi nel 1950 in Biblioteca di cultura politica e
giuridica , nonostante gli sforzi di Bobbio di mantenerle l’identità
originaria, convinto, come scriveva nel 1945, che in un momento in cui è diventato argomento di
pubbliche e private discussioni il rinnovamento delle istituzioni
giuridiche tradizionali, dalla proprietà allo stato, dall’eredità al
sistema penale, si ridesta l’interesse per i problemi del diritto e nello
stesso tempo si rivela la ignoranza degli stessi da parte dei più , per
cui la collana poteva giovare
anche agli specialisti, i quali, abituati a ripetere le solite
formule senza ripensarle, ignari per lo più 338 O. von Gierke,
Giovanni Altbusius e lo sviluppo storico delle teorie politiche
giusnaturalistiche. Contributo alla storia della sistematica del diritto,
a cura di A. Giolitti, Torino, Einaudi, Binder, La fondazione della filosofia
del diritto, traduzione di A. Giolitti, Torino, Einaudi. In Società si
nota comunque che Binder finisce, come Hegel, col fondare una metafisica dello Stato e della
storia , e si ricorda che in altre sue opere
lo Stato nazionalsocialista viene presentato come la pit rilevante
incarnazione delTOR a etico (V. Palazzolo, in Società. Le origini della casa
editrice Einaudi dei grandi movimenti giuridici stranieri, sono
incapaci di cogliere il significato universale di una tecnica, di
vedere in una formula il risultato di un determinato orientamento
del pensiero. La breve, intensa ma caotica esperienza dei quarantacinque giorni
non aveva comunque permesso di definire con precisione quella nuova
collocazione culturale e politica della casa editrice sulla quale
gli azionisti avevano cercato di mettere un’ipoteca. Il problema si
ripresenta quindi all'indomani della Liberazione, con una intensità
acuita dalla necessità di individuare una prospettiva di pit lungo
periodo, non più resa precaria dalle contingenze belliche #. Il dibattito
politico interno acquista ora rilevanza maggiore in quanto si intreccia con il
confronto aperto e aspro fra i partiti ai quali aderiscono vari
collaboratori di primo piano della casa editrice, e risente delle spinte
diverse provenienti dai vari centri culturali, la cui collocazione geografica
rispecchia la variegata situazione politica creata nel paese dalla lotta
di Resistenza. A quelle di Torino e di Roma si aggiunge nel 1945 la nuova
sede di Milano con Elio Vittorini, l’intellettuale che aderisce al
partito comunista assieme a Pavese, col quale aveva condiviso l’interesse per
la letteratura americana contemporanea, cogliendovi tuttavia a differenza di Pavese soprattutto
quegli elementi positivi di un popolo
nuovo e quella conferma della
superiorità della cultura sulla politica che trasferirà ne Il Politecnico e in alcune iniziative della casa
editrice. Grava sulla civiltà americana la stupidità di una frase:
civiltà Appunto sulla Collana di
cultura giuridica , cui seguono, numerose proposte di pubblicazione (AE,
Bobbio). 31 Questa necessità era ben chiara, oltre che a Balbo, a
Bobbio, che ammoniva Einaudi: Mi
pare che ci stiamo lasciando tutti quanti tentare dalla seduzione
dell’attualità. Ti ripeto una frase memorabile: le case editrici si
misurano a decenni, non a mesi
(Archivio privato Bobbio). #2 le osservazioni di Garin, CRONACHE DI
FILOSOFIA ITALIANA. E. Catalano, La
forma della coscienza. L'ideologia letteraria del primo Vittorini, Bari,
Dedalo, materialistica. Civiltà di produttori: questo è l’orgoglio di una
razza che non ha sacrificato le proprie forze a velleità ideologiche e
non è caduta nel facile trabocchetto dei
valori spirituali. Questa America non ha bisogno di Colombo, essa
è scoperta dentro di noi, è la terra a cui si tende con la stessa speranza
e la stessa fiducia dei primi emigranti e di chiunque sia deciso a
difendere a prezzo di fatiche e di errori la dignità della condizione
umana, aveva scritto Pintor cogliendo il messaggio di
Americana di Vittorini . Caduti nella lotta di Resistenza Pintor e
Ginzburg, mentre Alicata si trova assorbito dall’attività politica,
accanto a Vittorini e Pavese emergono fra i collaboratori della casa editrice
altri intellettuali comunisti, come Antonio Giolitti e Delio Cantimori, o
l’esponente del movimento cattolico-comunista Felice Balbo.
Nonostante la matrice comunista di questi intellettuali sia tutt'altro
che omogenea, tale da non impedire l’insorgere di contrasti, i
rapporti di forza interni tendono a spostarsi verso il PCI che, privo
all’inizio di propri centri editoriali, individua in Einaudi un
interlocutore privilegiato: ed è attorno al tema dell’orientamento
politico della casa editrice che nelle pagine seguenti concentreremo
l’attenzione, per cercare di coglierne alcune linee di tendenza
nell’immediato dopoguerra, utili, nell’ambito di una ricerca che ha il suo
centro nel periodo fascista, a verificarne ulteriormente caratteristiche
originarie e capacità di rinnovamento. Balbo, da Torino, scriveva
preoccupato a Einaudi che anche per la
Casa vale quello che vale per i partiti politici: qui la situazione è
attualmente molto spostata a sinistra e molto fluida specie negli
ambienti intellettuali per gran parte disorientati ed in attesa di
politica concreta, di costume, di tecnica. Non dobbiamo lasciarci
sfuggire l’occasione favorevole perché poi le posizioni reazionarie potrebbero
fissarsi nuovamente #5. Ma
proposte concrete arrivavano contemporaneamente da Milano: Il
nostro programma editoriale milanese si scriveva sempre il 10 maggio a
Einaudi risponde ai criteri da te stabiliti: iniziare Pintor, I/ sangue
d’Europa. AE, Corrispondenza editoriale Torino-Roma Le origini della casa
editrice Einaudi la pubblicazione di una rivista di punta che
dovrebbe essere quella dal titolo
Il nuovo politecnico , organo centrale del Fronte della Cultura,
iniziativa di carattere nazionale sorta da Curiel, Banfi, Vittorini che ne
costituiscono il comitato d’iniziativa nazionale, il quale a sua volta si
appoggerà ai vari comitati regionali che saranno creati successivamente.
Questo Fronte della Cultura è destinato a interessarsi a tutti i problemi di
cultura, artistici e scientifici, per una loro rivalutazione, o
superamento, da elementi appartenenti a qualsiasi ideologia o partito ma
sinceramente orientati su un piano progressista: è un fronte quindi aperto a
tutto il popolo italiano. Ma subito dopo si precisava che il
bollettino del Fronte si sarebbe occupato dello studio alla luce del marxismo di tutti
i fenomeni e le situazioni politico-culturali, avvalendosi delle collaborazioni
di Vittorini, Banfi, Remo Cantoni, Giansiro Ferrata, Pietro Zveteremich,
e si accennava all’iniziativa di una
collana marxista. L’estrazione politica dei membri del Comitato
nazionale del Fronte della Cultura ne esprimeva del resto chiaramente
l’orientamento: due esponenti del partito comunista (Banfi e Vittorini),
due rispettivamente di quello socialista e del partito d’azione,
uno (Mario Motta) per i Lavoratori cattolici ’. Einaudi, pur convinto
che a Milano si giuoca una grande
partita per noi, si preoccupava tuttavia dell’insorgere di attriti
fra i responsabili delle varie sedi, e suggeriva una diversificazione di funzioni
fra di esse. Perciò, mentre raccomandava la necessità di una fraterna intesa fra Torino, Milano e Roma, in
modo da costituire un unico fronte progressivo di cultura senza settarismi,
aperto alla collaborazione di ogni sincero democratico , nell’impostare il
programma delle riviste del Fronte proponeva, per Roma, Risorgimento
e Cultura sovietica dal carattere, soprattutto la prima,
pit aperto, una rivista di studi
meridionali per Napoli, un settimanale politico-culturale per Milano Il Politecnico e, per Torino, un periodico economico, sui problemi della ricostruzione : in Aldrovandi a Einaudi (AE, Corrispondenza
editoriale Torino-Roma). Einaudi a Renata Aldrovandi, tal modo osservava alle diverse sedi si darebbe
un significato concreto di legame tra gli intellettuali e i problemi che
più interessano le masse immediatamente circostanti, dando un pieno significato
nazionale ai problemi che più sono sentiti nelle diverse regioni . Al tempo stesso, tuttavia, il
contatto con l’ambiente politico romano gli suggeriva di correggere
l'orientamento che si intendeva dare a Milano al Fronte della
Cultura: su un piano più generale
politico di lavoro scriveva a Vittorini
tra gli intellettuali la linea attuale come si va definendo a Roma
è quella di fronte contro i residui del fascismo, fronte nel quale si
possono accogliere elementi di partiti cosiddetti conservatori, che
siano però sinceramente antifascisti e quindi sostanzialmente progressivi.
Questa linea è meno settaria di quella definita nell’ultima nota riunione
di Milano, dove si pensava in sostanza di fare un fronte delle sinistre, Era
la linea cui si ispirava il PCI, e che sarà espressa pochi giorni dopo la costituzione del
primo governo De Gasperi al suo congresso,
dove Togliatti rivolse un appello all’unità di tutte le forze
democratiche aprendo le porte del partito a quanti ne condividessero la
linea politica, indipendentemente
dalla convinzione religiosa e filosofica , anche se Alicata si premurava
di precisare che compito degli intellettuali doveva essere la battaglia
contro l’idealismo, espressione della
cristallizzazione del provincialismo della cultura italiana !, L'indirizzo sostenuto da
Einaudi è rispecchiato fedelmente dalle riviste edite a Roma, in patticolare
da Risorgimento , ma anche da La cultura sovietica . Questa ultima,
rivista trimestrale dell’Associazione italiana per i rapporti culturali
con l'Unione Sovietica, diretta nel 1945Einaudi a Renata Aldrovandi (e, per
conoscenza, a Balbo e Vittorini), 16 maggio 1945 (ibidem). 350 AE,
Corrispondenza editoriale Torino-Roma Togliatti, Opere scelte, a cura di G.
Santomassimo, Roma, Editori Riuniti, Ajello, Intellettuali e Pci
1944-1958, Bari, Laterza, Le origini della casa editrice Einaudi da
Gastone Manacorda, si proponeva di mettere in circolazione quegli elementi di
conoscenza della realtà sovietica che erano stati impediti dal fascismo, il
quale si ricorda nella
Presentazione, alludendo anche all’ opposizione
liberale durante il regime andò
oltre la grossolana propaganda calunniatrice e, studiandosi di fuorviare gli
intelletti dalla conoscenza del vero con tutti i mezzi pit subdoli, diede
diritto di cittadinanza, con benevola tolleranza, a tutto ciò che fosse
antisovietico anche se fuori dell’ortodossia reazionaria. E, pur svolgendo
un’opera di acritica esaltazione delle realizzazioni sovietiche
pubblicando ad esempio alcune pagine de I/ sistema finanziario dell’URSS
di Michail Bogolepov che appare nelle edizioni Einaudi, o di passiva
presentazione di opere come la Storia del partito comunista (bolscevico)
dell'URSS, della quale Manacorda faceva proprio anche il giudizio
sui germi controrivoluzionari presenti in Trotzki anche quando egli
era apparentemente rivoluzionario ®,
La cultura sovietica si
preoccupò soprattutto di mettere in circolazione, tramite Ettore Lo Gatto
e Angelo Maria Ripellino, la letteratura russa contemporanea. Né è senza
significato che l’articolo di apertura della rivista fosse affidato a un
intellettuale azionista, la cui recente polemica con lo storicismo
crociano non era priva di elementi retorici, come Guido De Ruggiero, teso
a dimostrare la necessità di elevare la
politica alla cultura per superare ogni
chiusura nazionalistica, e pronto a riconoscere che nell’Unione
Sovietica s'è compiuta nell’ultimo
trentennio la più profonda trasformazione che la storia ricordi, e dal
cui contatto con Ma, si continuava, il tentativo non riusci: ognuno ricorda quale interesse quel
mondo abbia sempre suscitato da noi; come avidamente si leggesse fra le
righe di testimonianze settarie e antisovietiche, le sole cui fosse
concesso il privilegio della pubblicazione o della traduzione; come
rapidamente si esaurissero quelle poche opere, generalmente tradotte
dalla produzione di altri paesi, ispirate ad obiettività d’informazione e
a serenità di giudizio, che qualche editore coraggioso riusciva di tanto
in so) a mettere in circolazione (
La Cultura sovietica , I (1945), La
Cultura sovietica. la civiltà occidentale potranno scaturire altri
mutamenti non meno profondi
Sempre con l’intento di combattere la pretesa neutralità
della cultura, in quanto tale ritenuta anch’essa responsabile della
nascita e dello sviluppo del fascismo, usciva il 15 aprile 1945, sotto la
direzione di Carlo Salinari,
Risorgimento : decisa a operare
dentro la mischia , la rivista voleva essere organo non di un
gruppo, ma di una tendenza, organo
di cultura di una società aperta e progressiva , unificante intellettuali
di fedi diverse che si erano trovati uniti nella lotta antifascista
°°. Risorgimento , scriveva
Salinari a Vittorini il 25 maggio, vuol
essere una rivista d’incontro delle correnti progressive della cultura
italiana: ma, sorta fra un cumulo di diffidenze ed energicamente
sabotata dal PdA, deve naturalmente nei primi numeri avere un carattere
un po’ vago, se vuol mantenere la sua linea e non diventare una rivista
di partito. Noi qui a Roma ci troviamo di fronte a difficoltà che voi
forse neppure concepite! ; e, nonostante Vittorini fosse invitato a iniettare nella rivista del buon sangue del
Nord, queRuggiero, Cultura e politica, in La Cultura sovietica. Su De
Ruggiero, fra le pit caratteristiche
espressioni delle ambiguità e delle incertezze degli intellettuali
italiani della prima metà del secolo ,
E. Garin, Intellettuali italiani. È un fatto si aggiunge che non s'è avuta in Italia una cultura
dichiaratamente fascista e c'è chi si vanta di questa impermeabilità come
di un’anticipata condanna del fascismo. Ma la verità è che di fronte al
fascismo non bastava assumere un atteggiamento di distacco fra sdegnoso e
prudente ma bisognava lottare apertamente in difesa di una collettività spinta
sempre più verso la schiaviti e la rovina
(Presentazione, in
Risorgimento. AE, Vittorini: Non appena potrà prendere la sua reale
figura , continuava Salinari, la rivista avrebbe dovuto, fra l’altro,
sostenere la - democrazia progressiva
e l’ antinazionalismo, e
promuovere, per quanto è possibile, una letteratura maggiormente
legata alle aspirazioni delle masse popolari. Salinari scriveva a
Vittorini di essere stato incaricato da Einaudi di raccogliere il
materiale per il Politecnico
utilizzando l’organizzazione di
Risorgimento , e faceva proposte di collaboratori anche se,
aggiungeva, dubito che vi sia oggi in Italia un numero d'’intellettuali
tanto progressivi da poter alimentare una rivista del genere. Per lo meno
nell’Italia centro-meridionale. In un verbale del 6 giugno 1945 relativo ad una
riunione per Risorgimento , si
dice: Onofri vorrebbe che la rivista si
decidesse ad Le origini della casa editrice Einaudi sta
mantenne il suo carattere vago ed eclettico che la espose alle
critiche di Società : condizionata dalla realtà della lotta
politica, che rendeva sempre meno efficaci gli appelli all’unità della
Resistenza, la rivista finî senza poter realizzare il programma previsto per il
momento in cui essa avrebbe potuto
prendere la sua reale figura . Cosi, all’articolo di apertura su
L'Italia e la democrazia di Sturzo, per il quale chi potrà operare la rinascita e la
redenzione del proprio paese non sarà né un uomo né una classe, ma tutto
il popolo animato dal soffio di un ideale e dalla forza di una volontà , seguiva l’Esperienza di Spagna di
Togliatti; assieme alle testimonianze sul fascismo e sulla Resistenza,
apparvero articoli di Salvatorelli sui rapporti Italia-Jugoslavia o su
Weimar, come di Grifone sul problema bancario. Tuttavia nelle note
e nelle recensioni di Salinari,
Cantimori o Giolitti le prese di
posizione erano più omogenee: a proposito del dibattito sui rapporti fra
liberismo e liberalismo veniva negata l’identificazione operata da
Einaudi, per affermare che la libertà
politica può essere garantita anche da una economia pianificata e
collettivistica °, mentre nella
polemica fra De Ruggiero e Croce sullo storicismo si inter assumere un
tono più polemico nei confronti delle altre tendenze e delle altre
riviste (AE, Corrispondenza editoriale
Torino-Roma Risorgimento ha un carattere
antologico, affermavano G. Pieraccini e R. Bilenchi: manca appunto quello
sforzo collettivo unitario che forma lo spirito di una rivista. Anche il
carattere progressista di questo periodico non riesce ad affermarsi con
un serio contributo ( Società ). Nell’Archivio
privato di Felice Balbo si trovano degli
Appunti per Risorgimento , senza data e non firmati, ma dove è
rilevabile la mano dell’esponente cattolico-comunista: Concetto informatore: dopo l'oppressione
della tirannia fascista il Risorgimento riprende il suo cammino nazionale
nelle nuove condizioni obiettive sociali, cioè avendo come spina dorsale,
la classe operaia nella sua storica funzione di classe di governo e
classe nazionale; il Risorgimento continua veramente solo su questa strada.
Funzione della nuova classe dirigente rispetto agli intellettuali ed ai
tecnici. Funzione degli intellettuali con la nuova classe dirigente nella
costruzione della democrazia progressiva post-fascista. In una frase il
concetto è: pianificare e articolare la rivoluzione come è pianificata e
articolata la reazione . Segue una esemplificazione assai puntuale del
contenuto ideale della rivista. Risorgimento. Salinari],
Libertà politica e liberismo economico, in Risorgimento , veniva per sostenere la
necessità che la filosofia crociana fosse
superata da uno storicismo che affondi le radici più profondamente
nel movimento dialettico della storia degli uomini, da uno storicismo che
non sia appannaggio del conservatorismo, ma potente leva di una società
nuova. Ma che sia sempre storicismo, immanentismo assoluto ° E sulle pagine di Risorgimento, con la Lettera a un
intellettuale del Nord Fabrizio Onofri preannunciava i termini del
dibattito sulla nuova cultura che si aprirà su Il Politecnico il 29 settembre, rivolgendosi a Vittorini
per affermare la necessità che un intellettuale veramente
progressivo, e perciò in primo luogo antifascista, oggi come ieri debba
necessariamente militare, se non in questo o in quel partito, certo al
fianco di quelle forze sociali organizzate che più e meglio garantiscono
l’abolizione dalla vita nazionale di tutte le forme di oppressione
fascista; debba cioè necessariamente
occuparsi di politica , che è ora il modo migliore di occuparsi
della propria sorte di intellettuale, ossia badare a che non si ricreino
sulla sua terra le condizioni di schiavità in tutti i campi che
contrassegnavano il fascismo, e che si creino invece le condizioni
politiche e sociali di quella libertà di cui egli ha bisogno anche e
proprio come intellettuale ?9, Ci è parso opportuno accennare alle
riviste meno conosciute del Fronte della cultura, per rilevare l’ampiezza
delle iniziative della casa editrice tese, in accordo col PCI, a
mantenere aperto, nel primo biennio post-bellico, un dialogo con tutte le forze
democratiche, anche a prezzo di dissonanze e di polemiche interne; ciò vale pur
con una sfasatura cronologica anche per le più note e discusse riviste
edite in quel periodo da Einaudi:
Società , nata con una propria fisionomia autonoma e critica tanto che l’intransigenza di Luporini o
di Cantimori verso il crocianesimo creò motivi di frizione con Rinascita, e solo alla fine del 1946
sottoposta a un pi rigido controllo del partito ; e Il Politecnico che, invece, solo con la
nuova Salinari], Lo storicismo. Onofri, Lettera a un intellettuale del
Nord. ora, pur senza i necessari
approfondimenti, Domenico, Saggio su
Società . Marxismo e politica culturale nel dopoguerra e negli Le
origini della casa editrice Einaudi serie mensile passerà
dall’ingenuo dogmatismo del direttore a quella rivendicazione di
indipendenza e apertura che fu criticata da Togliatti come ricerca astratta del nuovo, del diverso, del
sorprendente #. Ma al nostro discorso
interessa soprattutto notare che motivi di polemica antivittoriniana
erano presenti all’interno della stessa casa editrice, tali da investirne
l'orientamento complessivo nei suoi rapporti col partito comunista.
Pavese scrive a Einaudi, anche a nome di Balbo, che Vittorini e
Ferrata avevano radici troppo fonde in Milano per poterli
einaudizzare, cioè piemontesizzare. Vittorini sarà l’uomo del Nuovo
Politecnico, edizione Einaudi, organo del Fronte della Cultura, e del
relativo bollettino, stampati entrambi a Milano; Ferrata darà consigli
specialmente sui libri marxisti in cui è ferratissimo. Io invece, sino a
nuovo ordine, approvo l’eclettismo politico che la Casa conserva. Se
mai, sulla purezza d'orientamento giudichi uno solo (per esempio
Balbo, incorruttibile) non tutti i cani e porci che, muniti di tessera,
salteranno fuori, anni cinquanta, Napoli, Liguori, 1979. Nello
stesso senso la testimonianza di Cesare Luporini riportata da N. Ajello,
Intellettuali e Pci, A Einaudi, che il 3 maggio ’45 si era offerto di
diffondere Società a Roma e
nell’Italia centro-settentrionale, il 22 maggio Luporini rispondeva accettando,
e affermava che la rivista aveva carattere di alta cultura, anche se non
strettamente tecnico, organica e decisa nella tendenza, ma del tutto
aperta quanto ai problemi e agli argomenti presi in considerazione (AE, Luporini). Nelle condizioni poste da Einaudi, si diceva al punto 3:
La Casa propone di stabilire un collegamento redazionale tra Società e gli
altri periodici della Casa, attraverso Carlo Salinari, responsabile
editoriale delle riviste della Casa (l'editore a Bianchi Bandinelli, in
AE, Bianchi Bandinelli). Ora inTogliatti, La politica culturale. Su Il Politecnico come rivista del Fronte della cultura M. Zancan,
Il Politecnico e il Pci tra
Resistenza e dopoguerra, in Il Ponte. All’inizio Vittorini si era preoccupato
di far apparire la rivista legata al PCI: Bisogna che la Casa Einaudi si
faccia conoscere come casa legata al P.C., che Il Politecnico sia
riconosciuto come settimanale di cultura legato al P.C., scriveva a
Einaudi il 6 luglio 1945 (E. Vittorini, Gli cuni del Politecnico);
si comprende come una collaboratrice di Einaudi, Garufi, cercando
di diffondere le riviste della casa editrice, e in particolare Il Politecnico ,
in ambiente azionista, si fosse sentita rispondere che è assurdo pensare
ad un interessamento anche minimo del Partito d’Azione per un giornale
cosî evidentemente comunista (a Einaudi,
in AE, Corrispondenza editoriale Milano-Roma.concludeva duramente Pavese dopo
aver riferito il malcontento dei milanesi per la pubblicazione di Ore decisive,
le memorie dell’ex sottosegretario di Stato di Roosevelt Sumner Welles
che nel marzo 1940 aveva cercato un accordo con Mussolini. Einaudi, pur
prendendo le difese di Vittorini e Ferrata
È appunto perché essi hanno radici fonde a Milano che a noi
interessano, ribadiva la sua concezione non partitica del fronte
culturale: La Casa ormai si è acquistata la fiducia più assoluta
negli ambienti che ci interessano, la nostra linea di attività è stata
ampiamente discussa e trovata la migliore, ed è cosa voluta l’assenza di
ogni settarismo, per concorrere col nostro lavoro all’affermazione di
quel fronte progressivo aperto, di quella unità, che è indispensabile
raggiungere per ragioni politiche, morali e culturali. Questo fronte,
ditelo anche a Milano, ove forse c’è ancora un po’ di settarismo,
comporta l’iriclusione, sul piano internazionale, anche dei Sumner Welles
quando tutti non sono dei Wallace ##, affermava evocando il nome
di quello che si stava dimostrando uno dei più aperti esponenti democratici
statunitensi. Ma a mettere in crisi il settarismo
dei milanesi contribu probabilmente un intervento di Balbo, in
questo momento forse il più lucido consigliere di Einaudi, interlocutore
autorevole sia di Pavese che di Vittorini, e l’unico a quanto risulta
capace di formulare una visione e un programma complessivi della casa
editrice, non senza, tuttavia, elementi di utopia e di contraddittorietà.
Riferendosi in particolare all’articolo di Remo Cantoni su Che cosa è il
materialismo storico, apparso sui nu- AE, Corrispondenza editoriale
Torino-Roma 1945; Einaudi a Balbo. Balbo aveva scritto a Finaudi: attento a prendere delle decisioni per il
Nord senza esservi presente. A Milano bisogna andare con piedi veloci ma di
piombo. Vittorini è tutt'altro che acquisito
(ibidem). Su di lui il
saggio, assai interno e discutibile, di G. Invitto, Le idee
di Balbo. Una filosofia pragmatica dello sviluppo, Bologna, il Mulino,
1979; sul movimento cattolico-comunista, cui parteciparono alcuni collaboratori
della casa editrice come Motta e Rodano, Casula, Cattolici-comunisti e sinistra
cristiana, Bologna, il Mulino. Le origini della casa editrice Einaudi
meri 2 e 3 de Il Politecnico ,
Balbo scriveva a Einaudi che il tutto rappresenta un
tentativo un poco mistico, un tentativo di sostituire un mito vecchio con
un mito nuovo e quindi è in fondo. antieducativo. Si dovrebbe, mi pare,
tendere a formare in tutti i lettori quella mentalità nuova che è
scientifica, critica, sperimentale e aperta mentre Politecnico presenta
il materialismo storico troppo come una pietra filosofale. Se si deve
fare un giornale di cultura e non di propaganda, come credo debba essere
anche se prima d’ora lo era solo in parte, è necessario, proprio sui
piani di cultura in senso stretto (e in questo caso del materialismo
storico), affrontare le critiche, non eluderle dogmaticamente attraverso
impostazioni che ripetano le formule in cui il materialismo storico è
sorto. Un materialismo storico cosî
affettivo soffoca ed elude lo
stesso sforzo di apertura di Cantoni. A conferma
dell’autorevolezza del suo intervento, queste critiche saranno fatte proprie
dall’editoriale che concludeva, Il
Politecnico settimanale: Noi non
abbiamo avuto, col settimanale, una funzione propriamente creativa, o,
comunque, formativa. L'altra funzione, la divulgativa, ci ha preso, a poco a
poco, e sempre di più, la mano. Ci siamo lasciati andare ad essa. Abbiamo
compilato, abbiamo tradotto, abbiamo esposto, abbiamo informato, abbiamo
anche polemizzato, ma abbiamo detto ben poco di nuovo. In quasi tutte le
posizioni che abbiamo prese, pur senza mai sbagliare indirizzo, ci siamo
limitati a gridare mentre avremmo dovuto dimostrare. E troppo spesso
abbiamo dato sotto forma di manifesto quello che avremmo dovuto dare
sotto forma di studio. Ci siamo trovati cosî a divulgare delle verità già
conquistate mentre avremmo dovuto cooperare alla ricerca della
verità. Nella stessa lettera del 20 ottobre Balbo allargava
il discorso all’attività complessiva della casa editrice, individuandone
la carenza di fondo nella mancanza di una precisa strategia di politica
culturale: L’ottimismo non è sufficiente alla lotta. Ci vuole
positività e 36 AE, Corrispondenza editoriale Milano-Roma. Remo
Cantoni propose un Dizionario marxista per aggiornare il lettore su quel sapere: che è stato oggetto di
ricerca e di analisi specifica da parte dei marxisti (AE, Cantoni). quindi
contatto continuo con i dati veri della totale situazione italiana. Tra l’altro,
Milano, ricordiamolo, è di natura troppo euforica: a Milano, come
osservava Gobetti, è possibile ogni avventura, da quella di Marinetti a
quella del Popolo d’Italia. Il punto di vista è, malgrado tutto, Roma. In
noi c'è ancora troppa mentalità insurrezionalistica e cioè: a) precipitazione;
b) estremismo anzi piuttosto
avanzatismo ; c) visione asfittica o almeno semplicistica di tutti i
problemi sia culturali che politici; d) mancato approfondimento del a che punto siamo sia politicamente sia, per noi,
soprattutto culturalmente. Come conseguenza di una maturazione mancata o non
avvenuta, si scivola, sembra impossibile ma è cosf, su modi e
impostazioni ancora fascisti o almeno vecchi. Insomma Einaudi 1945 è in fondo,
capiscimi, pit fascista di Einaudi 1940. Proporzionalmente siamo calati
di tono invece di crescere; e concludeva individuando un
arretramento di posizioni rispetto agli avversari e l’incapacità di sfruttare
appieno le grandissime possibilità
che abbiamo, in uomini e in possibile chiarezza di idee . Le
critiche e l’apparente paradosso di Balbo avevano la loro ragion d’essere non
solo in rapporto al suo ideale di cultura e al suo modello di una casa
editrice criticamente progressista, ma anche, come vedremo,
rispetto alle concrete iniziative di Einaudi, che riflettono, in molti
casi, un'eredità difficile da superare. Ma in queste ebbe probabilmente
un'influenza lo stesso Balbo, che cercava di coniugare un’analisi
ispirata al marxismo con soluzioni di stampo cattolico. Il suo concetto
dinamico di cultura, che ne vedeva il mutamento col mutare dei rapporti
di produzione, e coglieva gramscianamente la lentezza del processo di
adeguamento degli intellettuali ai nuovi stadi via via raggiunti dalla
società, invitava senza i toni ingenui di un Vittorini a quell’avvicinamento fra cultura e realtà
che tuttavia contraddittoriamente il cattolico Balbo riteneva raggiunto in modo
esemplare nel medioevo, perché nella sua
produzione, sia agricola che artigiana, architettonica o scientifica,
nelle ideologie politiche come in quelle religiose, si rivela una
singolare unità, superiore ai contrasti, che è quella del concetto
feudale della proprietà o del nascente diritto comunale . Al contrario,
la cultura contemporanea, gelosa della propria indipendenza e irresponsabilità di fronte alla classe dominante e ai
processi produttivi dell’epoca industriale, aveva dato luogo, tra le due
guerre, a quell’irrazionalismo che
rese possibili tutte le mitologie disumane che hanno vagato e forse
vagano ancora, paurose, sui continenti , mettendosi di fatto al servizio
dei privilegiati , per cui la cultura del capitalismo è scritta sulle
facciate delle metropoli moderne, è la grande officina, la produzione
cronometrata, l’esercito motorizzato, la grande stampa, il cinema . Con un
rigore e una violenza intellettuali ben maggiori dell’editoriale con cui
Vittorini apri Il Politecnico e per il quale questo scritto avrebbe forse
dovuto servire da traccia, l’esponente cattolico-comunista continuava: Rimproveriamo
dunque all’idealismo di Croce, all’umanesimo di Thomas Mann e allo
spirito non prevenuto di Gide, o meglio agli idealismi,
umanesimi, cristianesimi, spiritualismi, esistenzialismi ecc. che da
quelli provengono (e per quella parte almeno d’essi e dei loro discepoli
che vorrebbe farci credere d’aver trionfato con la Carta Atlantica e la
bomba atomica) d’essere insufficientemente critica con se stessa e perciò
sterile, imbalsamata, defunta regressiva. Lottare per una nuova cultura intellettuale
equivale a lottare per una nuova società e ad affermare
concludeva in conformità con la propria concezione
filosofico-religiosa il concetto di
persona umana o di uomo obbiettivo e origine d’ogni cultura, inteso
come l'individuo nella coscienza della propria correlazione col prossimo
e delle proprie determinazioni storiche. Nel quadro di questo discorso,
nel quale appare decisamente superato ogni residuo crociano della sua
formazione originaria , Balbo presentava un abbozzo di teoria generale di una casa
editrice culturale in senso stretto , in cui il notevole sforzo di
chiarificazione teorica era finalizzato a Balbo, Una nuova cultura,
dattiloscritto senza data ma con l'indicazione per servire alla
elaborazione dell’editoriale. Si chiede da 3 lo stile con baffi e
favoriti, da falso-Cattaneo (Archivio
privato). Diversamente da quanto sostiene G. Invitto, Le idee di
Felice Balbo, in particolare29.trovare i mezzi necessari alla promozione
degli essenziali valori dell’uomo.
La ricerca di un nuovo orientamento e l’eredità del passato
Le critiche e le proposte di Balbo che ritornerà su questi temi
insistentemente, fino al suo distacco dal marxismo e dalla casa editrice
miravano ad un fronte critico della cultura che lasciava tuttavia ampi
spazi per ritorni mistici o più propriamente tomistici, come
avvertirà più tardi Bobbio. Ma, nonostante alcuni testi pubblicati
portino il segno esplicito o implicito della sua presenza, fra il suo modello
di casa editrice di cultura e gli indirizzi editoriali effettivamente
attuati esiste un notevole scarto, non attribuibile soltanto ad una sordità
dei suoi interlocutori o ad un loro consapevole rifiuto delle
sue proposte, ma, soprattutto, alla situazione oggettiva. Il suo
progetto editoriale si affidava infatti ai tempi lunghi e non teneva
sufficientemente conto come riconoscerà alcuni anni dopo lo stesso Balbo
dei contrasti ideologici e politici all’interno della casa editrice, del peso
della tradizione che questa si era formata nel decennio precedente di
cui Balbo contribui a tenere in vita alcuni aspetti, e dei reali
rapporti di forza esistenti nella vita politica italiana, o del loro
rapido mutamento, che portò nel giro di due anni I compiti della casa
editrice erano individuati nel puntare
alla egemonia editoriale nel suo genere , e nello scegliere quelle opere
che in se stesse ed in riferimento alla situazione storica che si svolge,
siano realmente necessarie o utili a far maturare e sviluppare il
potenziale culturale dell’intero pubblico colto ; la capacità di scelta della casa editrice si doveva misurare
sul piano filosofico e su quello scientifico: La capacità filosofica significa essere in
grado di giudicare i valori culturali in sé, secondo la nozione di valore e
disvalore, e quindi il saper riconoscere tutti gli essenziali valori
dell’uomo, ossia l’essenziale di ciò che è indispensabile alla sua
pienezza. La capacità scientifica significa essere in grado di giudicare
i valori culturali per riferimento al movimento storico în cui ci si
trova, significa quindi comprendere le necessità della rivoluzione (Appunti sulla casa editrice, dattiloscritto
senza data in Archivio privato Balbo). Le origini della casa
editrice Einaudi alla rottura dell’unità antifascista e alla
guerra fredda, con pesanti riflessi non certo favorevoli a visioni
critiche o problematiche anche negli schieramenti culturali. Oltre
al difficile equilibrio politico fra le varie sedi e fra i direttori delle
collane °, all’organico orientamento della casa editrice richiesto da
Balbo si opponeva la sua stessa multiforme attività rilevata da Pavese e da
Giolitti, per i quali essa manteneva la caratteristica originaria di eclettica officina di culturanon c'è
altro editore in Italia che copra un campo cosi vasto, moltiplicando
contrasti e contraddizioni: ad esempio, mentre la redazione
romana si oppone energicamente e con successo alla pubblicazione dei
Cinquant'anni di vita intellettuale italiana in onore di Croce proposta
da Carlo Antoni, l'edizione delle Lezioni di filosofia di Guido Calogero
vede la netta opposizione di Pavese, Balbo e Giolitti, ma l'approvazione
vincente di Bobbio. Nei volumi pubblicati nell’immediato dopoguerra possiamo
del resto constatare, accanto ad una notevole opera di
sprovincializzazione della cultura itaEinaudi invia a Pavese un Pro-memoria
della Direzione inteso a
riorganizzare il lavoro editoriale: Pavese e Vittorini consulenti, Natalia
Ginzburg vice-consulente per Poeti, Narratori contemporanei, Giganti, Narratori stranieri tradotti ; Pavese e
Vittorini consulenti, Balbo vice-consulente per la progettata collana Corrente ; Mila consulente, Pavese e Balbo
vice-consulenti per i Saggi;
Chabod consulente esterno, Manacorda e Giolitti vice-consulenti per Biblioteca di cultura storica e
Scrittori di storia ; Bobbio consulente esterno, Balbo
vice-consulente per Biblioteca di
cultura filosofica ; Ceriani consulente esterno, Giolitti vice-consulente per Biblioteca di cultura economica e Problemi
contemporanei ; Cantimori consulente esterno, Manacorda vice-consulente
per Biblioteca marxista ; Balbo e
Rodano consulenti, Giolitti vice-consulente per Problemi italiani ; Giolitti e Vittorini
consulenti, Salinari vice-consulente per Testimonianze ; Vittorini consulente,
Pavese e Balbo vice-consulenti per la Vittoriniana che avrebbe dovuto
sostituire l’ Universale ; Aloisi consulente esterno, Manacorda relatore al
consiglio per Biblioteca di cultura
scientifica ; Ragghianti direttore della
Biblioteca d’arte ; Debenedetti direttore della Nuova raccolta di classici italiani
annotati (AE, Pavese: dove ci sono
altre proposte di Einaudi e la risposta di Pavese del 7 settembre, con
alcune osservazioni critiche.Pavese e Giolitti alla Direzione di sede di
Roma (AE, Corrispondenza editoriale Milano-Roma). Pro-memoria per la
Direzione Generale della redazione
romana, sulla proposta di Antoni, e sulla proposta di Calogero liana,
motivi di disorientamento, schematiche attualizzazioni politiche di problemi
storiografici, assieme ad eccessive cautele e perfino a tendenze conservatrici
se misurate sul metro dei propositi enunciati da Einaudi nel 1945 che i
giudizi delle stesse riviste einaudiane, cosi come di Rinascita , non mancano di mettere in
evidenza. Senza ripetere, come in precedenza, quell’analisi a
tappeto dei volumi, e delle relative recensioni, che era indispensabile per la
produzione del periodo fascista, quando era importante sottolineare anche
singole affermazioni sfuggite alle maglie della censura, ci soffermeremo
soltanto sui testi di alcune collane i
Saggi , la Biblioteca di cultura
economica , la nuova serie dei Problemi
contemporanei , i Problemi italiani e la
Biblioteca di cultura filosofica
che permettono di individuare l’orientamento generale, culturale e
politico, della casa editrice all’indomani del 1945. Ciò non ci esime,
tuttavia, dall’accennare al significato di alcuni titoli delle collane
letterarie o storiche: nei Narratori
stranieri tradotti apparvero, accanto
ai classici, Kafka e Proust, mentre i
Narratori contemporanei si
aprirono alla produzione straniera con I/ muro di Sartre non senza
contrasti e con Fiesta e Avere e
non avere di Hemingway, il cui carattere rivoluzionario, rivendicato da
Vittorini, era sprezzantemente negato e ridotto ad una somma di sensazioni elementari
ed egoistiche da Alicata, che giudicò superficiale
anche i Dieci giorni che sconvolsero il mondo di Reed con cui
si 393 Il libro è indubbiamente molto bello e anche l’ultimo
racconto, però può capitare che un pubblico non molto preparato caschi
facilmente in equivoco. Forse libro e autore andrebbero presentati. Resta
da vedere cosa ha fatto Sartre durante l'occupazione nazista pare che due
o tre suoi libri siano stati pubblicati dalla N.R.F. in questo periodo ,
si scriveva da Roma all’editore il 4 giugno 1945 (AE, Corrispondenza
editoriale Torino-Roma). Il libro era già stato suggerito da Pintor in
una lettera a Pavese del 21 aprile 1943 (in C. Pavese, Lettere. Il muro fu
denunciato per oltraggio al pudore; il 4 aprile 1947 Pavese ne dava
notizia a Corrado Alvaro il quale, in veste di presidente del sindacato
nazionale scrittori, con lettera a Pavese si metteva a disposizione della casa
editrice: se non ci difendiamo, si preparano per noi giorni assai peggiori di
quelli sotto il paterno Ministero della cultura popolare (AE, Alvaro). Le origini della casa
editrice Einaudi inaugurò nel 1946 la vittoriniana Politecnico biblioteca.La Biblioteca di cultura storica , posta sotto
la direzione di Chabod e con l’attenta consulenza di Franco Venturi,
sensibile in particolare alla produzione storiografica francese e russa ,
riprese le pubblicazioni con i Saggi sul Risorgimento di Nello Rosselli
con la prefazione di Salvemini per continuare, a testimonianza di un
interesse più generale della casa editrice per la democrazia
americana, con America. La storia di un popolo libero di Allan
Nevins e Henry S. Commager, e aprirsi quindi alle opere di Mathiez e
Lefebvre sulla Rivoluzione francese o, più tardi, alla scuola delle Annales
con Bloch e Braudel, nonostante l’opposizione di Cantimori
7%, Non possono tuttavia essere sottaciute alcune iniziali cadute
di tono della collana, rappresentate dalla ripresa dell’oria 374 La
corrente Politecnico (1946), ora in M. Alicata,
Intellettuali e azione politica,63. Sempre con Hemingway si apri nel 1947
la collana I Millenni , dove nel 1948 apparirà Le mille e una notte
a cura di Francesco Gabrieli, di cui si suggeriva, per la pubblicità,
di mettere in luce il carattere sociale : il libro è sempre stato
frainteso come mondo delle fate e delle meraviglie, mentre, adesso che lo
facciamo noi, è ora di vederlo nel suo vero carattere di straordinario
documento su una medioevale società agreste, con naturale democrazia tra
gli umili (fornai, mendicanti, pellegrini, mercanti, schiavi, donne
conculcate ecc.) (da Roma a Renata
Aldrovandi, 14 novembre 1945, in AE, Corrispondenza editoriale
Milano-Roma. Numerose sono le proposte in AE, Chabod, Venturi. Chabod scriveva
a Einaudi di assumersi la direzione della
Biblioteca di cultura storica e degli Scrittori di storia , annunciando,
per le traduzioni, un piano di lavoro
che contemperi opportunamente biografie e studi monografici, lavori di grossa
mole e studi assai più smilzi , in modo da toccare un po’ tutti i principali problemi
della storia europea e nord-americana
(AE, Corrispondenza editoriale TorinoRoma 1945). Parte del giudizio
di Cantimori su La Méditerranée di Braudel è riportato da G. Miccoli,
Delio Cantimori. La ricerca di una nuova critica storiografica, Torino,
Einaudi, che ricostruisce puntualmente la collaborazione dello storico con la
casa editrice; nello stesso giudizio, del 1949, Cantimori investiva tutta
la scuola delle Annales : non ritengo utile, anzi dannoso,
diffondere, per mezzo della traduzione di un’opera cosi ben scritta brillante, affascinante anche per la
sua facilità ed evasività e superficialità di riflessione e di concetti il
metodo, o il sistema, o il regime o l’arte o la retorica, chiamateli come
credete, del gruppo di L. Febvre, Morazé, Braudel (AE, Cantimori). nesimo nell’Axzistoria
d’Italia di Fabio Cusin ? e da Robespierre e il quarto stato di Ralph Korngold
dove, come in altre opere dedicate al giacobinismo, l’intento di
rivalutare un movimento politico dimenticato o disprezzato dall’idealismo
e dal fascismo si accompagna a schematiche e ambigue attualizzazioni Si
può dire che tanto la dittatura fascista quanto quella comunista si siano
servite di un metodo giacobino perfezionato , affermava Korngold,
La concezione della storia come elemento costitutivo
dell’educazione civile continuerà tuttavia a caratterizzare la collana:
assai significativa in questo senso e degna di essere citata per esteso è
l'offerta a Cantimori di scrivere una storia d’Italia dal punto di vista
marxista. E altrettanto significativo è che portatore e ispiratore,
assieme ad Einaudi della proposta fosse proprio quel Balbo che
abbiamo visto tanto cauto rispetto a pericolose fughe in avanti:
L'Italia manca fino ad oggi di un’opera storica marxista nel senso
più profondo ed esatto che dia la reale fisionomia della sua storia
dall’indipendenza ai giorni nostri scriveva Balbo a Cantimori . Questa mancanza si fa duramente sentire
oggi non solo nel campo degli studiosi ma soprattutto nella scuola e
addirittura nella vita politica. Non è esagerato affermare infatti che
questa mancanza è in qualche modo determinante dello stesso sviluppo
democratico del nostro paese. L'azione concretamente ideologica da parte delle
forze progressive sta diventando sempre più necessaria: il proletariato
non ha di fronte a sé soltanto, ad esempio, il problema meridionale, ma anche
il problema cattolico e il problema crociano che sono poi aspetti dello
stesso problema meridionale. La proposta è questa: non sarebbe possibile
rispondere ai bisogni rivoluzionari in questo campo? non sarebbe possi.
bile cominciare con una Storia dell’Italia moderna o anche solo
contemporanea? Potrebbe essere un nutrito Somzzario che desse l’avvio a
tutti gli studi particolari e per intanto rappresentasse il la recensione
di Zangheri in Società. Perplessità
sulla pubblicazione del volume avanzarono sia Chabod (lettera a Giolitti,
in AE, Corrispondenza editoriale Torino-Roma), sia Salinari (a Giolitti, s.d.,
in AE, Cusin). Korngold, Robespierre e il quarto stato, trad. di
Papa, Torino, Einaudi. Una volta stampato il libro, ci si rese conto
dell’ incongruenza storica e critica di
questa e di altre affermazioni (Balbo a Giolitti, in AE,
Giolitti). canovaccio, la direttiva generale per un rinnovamento dei
manuali scolastici. Potrebbe essere invece una grande Storia, a largo
respiro, da concretarsi attraverso un lavoro collettivo. Se pensi cosa
ha rappresentato il Sommario di storia della filosofia del De
Ruggiero nel senso della egemonizzazione borghese della cultura italiana,
puoi pensare cosa rappresenterebbe un Sommario storico fatto da te!
Ma anche qui non credo che proprio io debba sottolineare a te
l’importanza di questo lavoro. Voglio solo confermarti che c’è in tutti i
compagni, anzi in tutta la cultura italiana, una profonda aspettativa in
tal senso??, Nell'ambito della casa editrice il marxista Cantimori
avrebbe dovuto sostituire il liberale Salvatorelli, ma lo scrupolo scientifico
del primo impedî quello che ancora ricordando un’analoga proposta di Alicata,
considerata un preannuncio di Zdanovismo
Cantimori titerrà un rovesciamento solo ideologico
dell’interpretazione crociana, in assenza di studi preparatori. A un
intento educativo immediato risponde invece prima delle altre, anche per
la sua maggiore flessibilità, la collana-cardine di Einaudi, i Saggi , che assieme alla nuova
collana Testimonianze affronta temi di
attualità politica, da Marcia su Roma e dintorni di Lussu a Leningrado di
Werth a Fascismo e anticomunismo di Radice, che inizia la riflessione su
una tematica ripresa dal Lurgo viaggio di Zangrandi, e presenta uno dei best
sellers del tempo, Cristo AE, Cantimori (Balbo parlava anche a nome di
Einaudi); Einaudi scrive a Giolitti di una Storia d'Italia degli ultimi
cento anni che noi vorremmo far fare a Cantimori inchiodandolo per uno,
due, tre, dieci anni a tavolino per costruire il monumento più importante
che in questo momento gli studiosi devono impostare: quello IR ST della
storia d’Italia, soprattutto di quella ultima
(AE, jolitti). Pro e contra, in Movimento operaio. In questo quadro Balbo
propose trovando favorevoli Giolitti, Salinari, Manacorda e Pavese
un’opera collettanea su La guerra di liberazione in Italia, con
documenti, testimonianze, biografie ecc., che sarebbe servita alla nazione italiana per una migliore
conoscenza del pi grande moto popolare che la sua storia ha fino ad oggi
avuto; e per una esatta valutazione di quelle che sono state le vere
forze della liberazione popolare e che sono le vere forze del suo
avvenire (si vedranno finalmente quelli che hanno lottato e quelli che
sono compatsi solo a oa alla consulta)
(AE, Corrispondenza editoriale Milano-Roma si è fermato a Eboli di
Levi, denuncia efficace nonostante le
riserve di Società di quella realtà che
contemporaneamente, nei Problemi
italiani , era argomento della Rivoluzione meridionale di Dorso, già
apparsa nelle edizioni Gobetti. E mentre un volume molto caro a Cajumi, La
crisi della coscienza europea di Hazard, rientra nell’interesse per
l’illuminismo manifestato dalla casa editrice fin dai suoi esordi, il nuovo
clima di libertà permette la realizzazione di progetti già in cantiere
negli anni del fascismo, come la Congiura per l’egua glianza o di Babeuf di
Filippo BUONARROTTI (Filippo, si veda), il primo, secondo Gastone
Manacorda, a fornire una interpretazione
classista della grande Rivoluzione , nonostante la persistenza di quegli
elementi utopistici che non erano invece
tenuti presenti da Giuseppe Berti nella presentazione del Filippo
Buonarroti di Samuel Bernstein: tesi entrambi, autore e prefatore, ad
attualizzare oltre il lecito il significato del giacobinismo Buonarroti è,
con Babeuf, uno dei grandi precursori di Marx e di Engels. Ma un
motivo che ci preme segnalare a testimonianza di un’altra e più profonda
continuità col decennio prece- Piazzesi, pur affermando che era uno dei
pochi libri dove abbiamo potuto apprendere qualcosa sulla questione
meridionale , nota che Levi resta sempre
spettatore, intelligente quanto volete, ma di un’altra classe, rispetto a
questi contadini, e non sa mai trovare il modo di farli parlare
sinceramente, come si parla da pati a pari, perché manifestino le loro
riposte esigenze ( Società, F. Buonarroti, Congiura per l'eguaglianza o di
Babeuf, introduzione e traduzione di G. Manacorda, Torino, Einaudi. La proposta
di pubblicare Buonarroti e Babeuf era stata rilanciata anche da Vittorini
nella prospettiva di un rinnovamento dell’ Universale dove scrive a Einaudi potremmo includere anche autori antichi ma
che segnino un punto nella evoluzione del pensiero progressista (E. Vittorini, Gli anni del Politecnico. È
Bernstein, Filippo Buonarroti, traduzione e prefazione di G. Berti,
Torino, Einaudi; il saggio era apparso ne
Lo Stato operaio . le critiche di
Sergio Romagnoli in Annali della
Scuola Normale Superiore di Pisa, lettere, storia e filosofia. Ancora Bernstein
pubblicò su Società un articolo su
Buonarroti storico e teorico comunista, affermando che il giacobino italiano si
avvicina di molto al socialismo scientifico
(Società. Le origini della casa editrice Einaudi dente
è la permanenza dell’interesse per la tematica religiosa, sostenuto ora
da nuovi collaboratori cattolici della casa editrice che affiancano
Balbo, come Franco Rodano e Mario Motta. Questo interesse ha varie
manifestazioni: supera ogni misticismo nella riflessione di Balbo
L’uomo senza miti e Il laboratorio dell’uomo, teso a indicare, in
un altro momento di profonda crisi di valori, il fallimento della
filosofia tradizionale e la necessità di nuove
formule di liberazione
dell’uomo, che non lo isolino dal contesto storico-sociale °; ha
un’intonazione nettamente spiritualista in Che cos'è il personalismo? di
Emmanuel Mounier; si presenta a sostegno di un vasto e generico affresco alla Huizinga , in cui la realtà storica è
piegata alla dimostrazione di una tesi secondo la quale, nella deprecata
età del progresso tecnico, il cammino
della secolarizzazione della cultura non può essere percorso sino all’estremo nel Profilo d’un umanesimo cristiano di
Riissel, che invitava a ricucire la frattura fra umanesimo e cristianesimo
operata dalla Riforma, facendo propria quella che gli pareva la grande verità della teologia umanistica ,
la non antiteticità della filosofia greca e del cristianesimo: tesi non
condivisa nella prefazione postuma di un intellettuale dalla tormentata
vicenda culturale e politica come Rensi che pur aveva proposto e curato il
volume, mentre Bobbio riconosceva la necessità e la perennità di un
umanesimo cristiano per combattere
la filosofia della crisi originata da Kirkegaard. Pur riconoscendo ne
L’uomzo senza miti il tentativo di liberarsi dalla spiritualità dello
storicismo immanentistico di Croce, Geymonat riteneva dogmatico il metodo di
ricerca di Balbo ( Rivista di filosofia , terza serie, I (1946),86-88); anche le critiche di Croce, ora in
Nuove pagine sparse, serie seconda, Napoli, Ricciardi. Riissel, Profilo d’un
umanesimo cristiano, traduzione di G. Rensi, Torino, Einaudi. La
pubblicazione del volume è impedita dalla censura. Rensi propone anche la
traduzione di Platonismus und Christentum di Ritter (AE, Rensi). La
recensione di Bobbio è in Rivista di
filosofia. Cantimoti, in un parere editoriale su Erasmo e il Rinascimento
di Siro A. Nulli che sarà pubblicato da Einaudi, dichiara di condividerne
le idee, tanto per quel che
riguarda le interpretazioni del pensiero e della attività di Erasmo, Alla
tematica religiosa si volge anche l’interesse dei laici : è del 1949 la proposta di Remo
Cantoni accettata da Balbo ma poi non realizzata del volume Critiche allo
spiritualismo; Nuova socialità e riforma religiosa di Capitini il cui
liberalsocialismo era presentato come una concezione sociale e religiosa postcomunista, proposto da Cantimori
come opera importante per la
storia religiosa-politica e culturale del periodo 19261944 e oltre: come
cronaca, documentazione, e storia dell’unico movimento antifascista e
anticlericale autoctono espontaneo nel terreno italiano dopo il fascismo,
consapevolmente diverso dal comunismo, ma mai anticomunista. Antonio Banfi,
formatosi alla scuola di Martinetti, presentò inoltre il progetto di
una Collana di studi religiosi , che si
sarebbe proposta di far conoscere in Italia a un pubblico più
vasto dei consueti centri di cultura religiosa, sia cattolici che di
altre confessioni, quelle opere, per lo pi recenti, che testimonino di
una problematica viva e nuova nel campo del pensiero religioso; opere che
si propongono tutte un mutamento sensibile nella considerazione del rapporto
fra singolo e collettività appunto in relazione con una differente valutazione
dei principi della confessione di fede; opere che propongono
infine, quanto per quel che riguarda la severa critica allo
Huizinga, al Toffanin, al Riissel, e compagnia. Si tratta di un energico
richiamo alla realtà storica di quel che furono, in quanto affermazione
di idee nuove e critica di una Fiserggi storica culturale, l’'Umanesimo e
il Rinascimento (AE, Cantimori).
Cantoni a Balbo: La critica allo spiritualismo teologico e
metafisico è il grande tema culturale degli ultimi cento anni. Vorrei
presentare criticamente tutte le variazioni storiche sul tema, da
Feuerbach a Marx, da Kirkegaard a Stirner, arrivando fino alla filosofia
contemporanea. E si tratta di ricostruire le ragioni sociali per le quali
muta la sensibilità metafisica (AE,
Cantoni). Capitini, Nuova socialità e riforma religiosa, Torino, Einaudi;
Cantimori a Einaudi, 12 gennaio 1949 (AE, Cantimori). Capitini aveva
proposto un volume quasi pronto su
Antifascismo della non violenza e della non menzogna a Pisa nel ’32 ed
uno, già terminato, dal titolo Saggio sul soggetto della storia anche
questo non accettato, ma preso in visione per consiglio di Cantimori,
in cui conduceva un'indagine oltre lo storicismo crociano per
accertare l’autentico soggetto, collettivo e corale, della storia, per
fondare quella che io chiamo la compresenza di tutti alla produzione del
valore; problema nel quale rientra quello sociale e quello religioso (Capitini a Giolitti, e a Einaudi, in
AE, Capitini). Le origini della casa editrice Einaudi tutte,
una precisa presa di posizione per il credente, in ordine alla vita
politica: opere ispirate allo storicismo e si facevano i nomi
di Newman, Blondel, Barth, Jiger, Troeltsch, Weber e che, si
specificava, prevedono una rottura con le forme tradizionali di
direzione politica definite dalla autorità della Chiesa come le sole
possibili e conseguenti ed anzi prevedono un mutamento radicale di prospettiva
in tal senso consentendo al credente la più ampia libertà di
ricerca della propria prospettiva politica e la possibilità di affiancare
la propria azione a quella di forze politiche progressive di ideologia
differente, La presenza di queste riflessioni e di queste proposte
relative a tematiche religiose, se da un lato si collegano a un filone
già presente nella casa editrice, dall’altro testimoniano l’attenzione che in
questo periodo i comunisti dedicano al problema cattolico. Non bisogna tuttavia
dimenticare che, contemporaneamente, una visione tradizionale del
cristianesimo è il punto di riferimento obbligato di quegli intellettuali
che sulla falsariga di Huizinga
lamentano le degenerazioni della politica e del progresso contemporanei
per riproporre un assetto conservatore della società. È il caso de Le
democrazie alla prova di Benda un saggio la cui edizione francese era
positivamente recensita su Società
, con qualche appunto sul tono aristocratico e moralistico dell’esponente
della letteratura della crisi: se nel
momento in cui fu scritto si giustificava nel suo assunto principale,
sostenendo che le democrazie, più deboli in guerra dei totalitarismi, debbono
difendersi anche a costo di limitare le libertà un popolo veramente
libero è tanto più grande quanto più sa ridurre le sue libertà, si faceva
poi forte delle argomentazioni di Constant, Kant e Spencer contro quelle
di Bonald, De Maistre, Hegel, Nietzsche e Marx tutti accomunati
come A Banfi, che accettò, Balbo chiede di fare la prefazione agli
Scritti teologici giovanili di Hegel previsti per la collana filosofica (AE,
Banfi). Recensione di Vezio Crisafulli, in
Società antidemocratici per
affermare che i principi democratici
sono dei comandamenti della coscienza, e non già degli insegnamenti
dell’esperienza e del costume ; di origine socratico-cristiana, la
democrazia era realizzata solo in Svizzera e negli Stati Uniti, e non
sopportava abusi del principio egualitario come il suffragio
universale, osservava Benda, per concludere che lo sviluppo di qualsiasi organizzazione
terrena importa sempre qualche violenza contro i comandamenti divini di
giustizia e di libertà: il filosofo non
può riporre le sue speranze se non in quei sistemi, come il
cristianesimo, omogeneo in questo alla democrazia, i quali dell’uomo non
glorificano altro che la sua natura divina ?!, A fini decisamente reazionari
il cristianesimo era utilizzato ne La crisi sociale del nostro tempo di Wilhelm
Ropke, l'economista teorico della
terza via , in tante cose
affine al Croce e dal Croce assai pregiato
per il rifiuto del concetto e del termine capitalismo , come osservava Cantimori
. Nel volume, uscito originariamente e
già in traduzione presso Einaudi, l’autore criticava le incomparabili conquiste
meccanicoquantitative della civiltà tecnica
per lamentare, in una società caratterizzata dalla grande
industria e dalla concentrazione delle proprietà, la decadenza del
cristianesimo una delle più
formidabili forze costruttrici della nostra civiltà, da essa inseparabile
e della famiglia, oppure la diserzione
delle comunità rurali e la decadenza del vil. laggio a favore della città
e dell’urbanizzazione e commercializzazione della campagna stessa . Una critica
che ricorda il leit motiv di Einaudi difesa della piccola pro-J. Benda,
Le democrazie alla prova. Saggio sui principi democratici, traduzione di Crescenzi,
Torino, Einaudi, 1Cantimori, Studi sulle origini e lo spirito del capitalismo,
pubblicato su Società, ora in Studi di
storia, Torino, Einaudi. In una lettera alla sede romana, l’editore scriveva di
iniziare la traduzione del volume di Répke, affidandola a Ernesto Rossi
(AE, Corrispondenza editoriale Torino-Roma); scrivendo a Pavese il 9
agosto 1943, Pintor giudicava il volume di grande attualità (AE, Pintor). Le origini della casa
editrice Einaudî prietà contadina e condanna del gigantismo
economico, e da cui Ropke partiva per indicare una terza via o umanesimo economico il modello era individuato nella
Svizzera, che si risolveva in pratica nella riproposta del liberismo classico
in opposizione al socialismo: era quanto notava Cantimori, ricordando che
le lodi rivolte all'autore da Luigi Einaudi e da Croce furono uno degli ultimi episodi più
notevoli, data la personalità degli autori, della lotta intellettuale
condotta sotto il dominio del fascismo dal gruppo crociano e diretta da
una parte contro il fascismo e dall’altra contro il comunismo °?. Un liberalismo, quello del futuro
collaboratore de Il Mondo , che
sarà messo in dubbio da Togliatti, per il quale era solo una mascheratura
dello sconcio ghigno
hitleriano. Del resto, se consideriamo i volumi pubblicati fino al
1946 nella nuova serie dei Problemi
contemporanei nella quale non aveva più diretta influenza Luigi
Einaudi e nella Biblioteca di
cultura economica che secondo Balbo e Giolitti avrebbe dovuto avere un
carattere non istituzionale e
teorico, ma storico-informativo, posRopke, La crisi sociale del nostro tempo,
traduzione di E. Bassan, Roma, Einaudi, Nella recensione a Civitas Humana
di Répke, pubblicata su Società, ora in Studi di storia. Einaudi aveva
visto rispecchiate le proprie idee di politica economica nel volume di
Ropke, mosso dall’intento di salvare la
civiltà occidentale dall’avvento di una democrazia livellatrice e collettivistica (Economia di concorrenza e capitalismo
storico. La terza via, Rivista. di storia economica. Il giudizio di
Togliatti, è citato da N. Ajello, Intellettuali e Pci,259; già nel 1947,
in una recensione di Bilancio europeo del collettivismo pubblicato nei
Quaderni di Rinascita liberale , si osservava su Rinascita : se i
liberali tedeschi non sono mai stati altro che questo, si capisce
benissimo come la Germania sia sempre stato un paese reazionario e con
tanta facilità abbia potuto Hitler prendervi e tenere il potere ( Rinascita. Dell’ assidua
collaborazione di Ròpke a Il Mondo , che nei suoi primi anni si
ispirava al liberismo di Luigi Einaudi, parlaBonetti, I{ Mondo
1949-66. Ragione È illusione borghese, prefazione di V. Gorresio,
Bari, Laterza Balbo (anche a nome di
Giolitti) alla sede di Milano, (AE,
Corrispondenza editoriale Milano-Roma 1945). È da rilevare, tuttavia, che
la casa editrice assicurava Luigi Einaudi siamo notare che Ropke è
soltanto la punta estrema di un ‘orientamento che non si oppone
drasticamente alla linea liberista: la casa editrice non fa altro che
rispecchiare l’arretratezza della sinistra nel campo della cultura economica,
e la sua rinuncia, in questo momento, a porre in discussione il
ruolo dell’iniziativa privata nella ricostruzione. È infatti significativo, da
un lato, che nel primo biennio postbellico l’unica voce favorevole alla
pianificazione sia quella di Saraceno, e, dall’altro, che gli studiosi ai
quali si guarda con maggiore attenzione siano statunitensi, cosî
che il liberatorio mito americano di Pavese e di Vittorini temperato dalla critica dei liberisti
al New Deal rooseveltiano trova
ora una sua realistica traduzione nell’immagine che gli economisti e gli
uomini politici americani danno del loro paese, impegnato a superare con
la somma delle sue energie individuali la nuova frontiera posta
dall’eredità della guerra. Cosî, mentre l’opera collettanea di
Hayek, Pierson, Mises e Halm, Pianificazione economica collettivistica, è,
come annuncia il sottotitolo Studi critici sulle possibilità del
socialismo e il nome del prefatore,
Bresciani-Turroni, una decisa esaltazione del liberismo ‘, a incarnare il
nuovo mito riappareWallace, l’esponente democratico che aveva rotto
con Truman a proposito della della prossima pubblicazione poi non
avvenuta di The Road to Serfdom di Hayek: La nostra Casa, come Lei sa,
non persegue un indirizzo politico di partito, ma pubblica opere di varie
tendenze da Togliatti a Lippmann a Répke a Schumpeter secondo la linea già coraggiosamente seguita,
nei limiti del possibile, sotto il fascismo
(AE, L. Einaudi). È quanto osserva, anche in riferimento alle
edizioni Einaudi, G. Santomassimo, Il dibattito economico, in Italia
contemporanea. la prefazione di Saraceno
a Bienstock, Schwarz, Yugow, La
direzione delle aziende industriali e agricole nell'Unione Sovietica,
traduzione diSaraceno, Torino, Einaudi. Mises
tanto lodato, assieme a Robbins e Hayek, da ROSSI (si veda) nelle sue
lettere del periodo bellico a Einaudi (AE, Rossi) sarà giudicato da
Piero Sraffa un reazionario
antidiluviano (a Balbo, in AE,
Sraffa). Le origini della casa editrice Einaudi politica del
governo americano verso l’URSS ‘!: in un’operetta dall’accattivante titolo
Lavoro per tutti dichiarava che gli USA non avevano nulla da temere dal
comunismo se il nostro sistema di
libera iniziativa si dimostrerà all’altezza delle sue possibilità , e di fronte
all’aprirsi di nuovi mercati per l'economia statunitense si mostrava
fiducioso che la guida economica
americana potrà recare alla regione del Pacifico un grande vantaggio
materiale ed una grande benedizione al mondo ‘°; e l’esperimento di colonizzazione interna
nella valle del Tennessee che Wallace proponeva a modello per il mondo intero,
era puntualmente esaminato da Lilienthal in Democrazia in cammino. Un energico
richiamo al liberismo, contro i pianificatori di qualsiasi colore, fossero
fascisti, comunisti, o i sostenitori del collettivismo graduale degli Stati democratici, veniva da un altro
esponente democratico americano, Walter Lippmann: ne La giusta società egli si
dichiara debitore della critica a una economia razionalizzata svolta
da von Mises e von Hayek, ma anche da Keynes la cui opera è tutta volta a dimostrare
che l’economia moderna può essere regolata senza ricorrere alle dittature
ed è compatibile con istituzioni libere, e cerca di dimostrare che la
libertà dell'individuo era assicurata dai principi originari del liberismo
depurato di quelle degenerazioni che portano a processi di concentrazione
produttiva il principio basilare
del liberalismo è che il mercato deve essere lasciato libero di
funzionare, ed anzi perfezionato, come regolatore principe e primo della divisione
del lavoro, non senza usare toni apocalittici di sapore puritano che
ritroviamo in altri esponenti del mondo anglosassone. Gli uomini vivono in un
mondo torbido, dove non si guarda più con fiducia alla provvidenza
divina, quale ente regolatore delle cose umane, dove il costume ereditato
ha cessato d’essere di guida e la tradizione non pi , per l’attenzione di
cui era oggetto da parte comunista, Intervista con Wallace, in l’Unità. Wallace,
Lavoro per tutti, traduzione di G. Olivetti, Torino, Einaudi, santifica
le vie fino adesso battute. È lo stesso Lippmann che ne La politica estera
degli Stati Uniti e ne Gli scopi di guerra degli Stati Uniti manifesta la
sua tendenza democratica sostenendo la necessità di un accordo
USA-URSS per il mantenimento della pace mondiale, ma al tempo stesso
giustifica l’espansionismo americano e coglie l’occasione per ammonire
l’URSS che per quanto corrette
possano essere le nostre relazioni diplomatiche, esse non saranno quelle
relazioni veramente buone quali dovrebbero essere, finché nell'Unione
Sovietica non saranno state instaurate le fondamentali libertà politiche e
umane. La rottura dell’unità antifascista e il rapporto col PCI La
spaccatura politica che si ha nel paese
ha profonde ripercussioni sulla casa editrice, i cui legami col
PCI si stringono ulteriormente provocando un sensibile mutamento negli
indirizzi culturali. Anche dopo la fine dei governi di unità
antifascista, all’interno del PCI non scomparve completamente la
prospettiva di una alleanza con gli intellettuali democratici: se al VI
congresso Togliatti invitava a serrare le fila La nostra attività ideale non può non
avere, come l’attività pratica, l'impronta di partito, nel dicembre
dello stesso anno Alicata, pur notando che la borghesia del nostro
paese sta compiendo un tentativo estremo per riorganizzare in senso reazionario
la cultura italiana, per trasformarla ancora una volta in una efficiente
barriera ideologica contro il marxismo , con la collusione di cattolici e
liberali in un blocco antirazionalista ,
invitava a continuare a lavorare per
costituire un fronte della cultura il #3 W. Lippmann, La giusta
società, a cura di G. Cosmelli, Roma, Einaudi. Lippmann è autore anche di
A Preface to Morals. Lippmann, Gli scopi di guerra degli Stati
Uniti, Torino, Einaudi Rapporto al VI congresso del PCI del 5-, in
Togliatti, La politica culturale. Le origini della casa editrice Einaudi
più possibile ampio ‘. La
situazione oggettiva non rendeva tuttavia immediatamente praticabile questa
indicazione, e il rapporto privilegiato che si venne istituendo fra PCI
ed Einaudi provocò profonde lacerazioni di cui è esempio la vicenda de Il Politecnico e contrasti interni fra i collaboratori. La
casa editrice riuscf comunque a mantenere una sua sfera di
autonomia basti pensare ai settori letterario, storico e filosofico
che le permise di non essere isolata e, al tempo stesso, di non
istituzionalizzare il suo legame col partito. Proprio il carattere
non ufficiale del suo rapporto col PCI aveva permesso che questo
individuasse in Einaudi il canale più adatto, anche se non unico, per
diffondere la conoscenza del marxismo nella cultura italiana. La
decisione di affidare a Einaudi, piuttosto che all’editoria di partito, gli
scritti di Gramsci, si situa appunto in un quadro che vedeva la
pubblicazione, da parte della casa editrice, di testi di Monti, Sforza,
Sturzo, Nenni, Togliatti, Grifone e Sereni, e la proposta di edizione
delle opere di Salvemini o, su suggerimento anche di Togliatti, di quelle
di Dorso e dei Discorsi di Giovanni Giolitti . L’uscita, nel 1947,
delle Lettere di Gramsci che, come osservava 46 M. Alicata, Una
linea per l’unità degli intellettuali progressivi, ora in Inzellettuali e
azione politica, c In una lettera all’editore Muscetta avvertiva, a proposito
di Dorso di cui curerà le opere: Bada
che il Partito Comunista, appena Togliatti avrà visto i manoscritti
inediti, desidera farsi promotore dell’edizione ; scriveva che
Togliatti desiderava che fosse Einaudi a stampare Dorso ( anche
l'esplicita richiesta di Togliatti a Einaudi, in AE, Togliatti), e
il 1° dicembre si scusava per non aver inviato i manoscritti di
Dorso: Ma non era mica io a
tenermeli. Era Togliatti, e ce n'è voluto per riaverli ; Giolitti
avvertiva l’editore che Togliatti aveva approvato la prefazione alle
opere di Dorso (AE, Muscetta, Giolitti). Il contributo di Dorso dal marxismo può essere accettato per
essere sisterzato , affermò Rodano (Dorso, in Rinascita. Muscetta propone a Pavese i Discorsi di
Giolitti con prefazione di Salvatorelli, e il 16 marzo 1947 gli
scriveva: Giolitti è stato già da
tempo gradito dal Togliatti (AE,
Muscetta). Inoltre, Bobbio interpellava Dal Pane per una raccolta di scritti
rari o inediti di Labriola, magari
come inizio di una più ampia raccolta dell’opera filosofica e storica del
Labriola (Archivio privato
Bobbio). PLATONE (si veda), sono in buona parte come una introduzione
generale agli scritti che verranno dopo e ambienteranno il lettore meglio di
qualsiasi prefazione, costituî un inusitato successo editoriale, se nel
giugno 1949 la tiratura era arrivata a 43.526 copie, di cui 37.254 vendute
‘. Comincia la pubblicazione dei Quaderni del carcere, che è accompagnata
tuttavia, da parte della casa editrice, da impazienze e dubbi sulle reali
intenzioni del partito, se il Cantimori poteva scrivere a
Einaudi che con quelli della edizione di Gramsci bisognerebbe
usare mezzi feroci. Mi han fatto vedere il volume sulla storia degli
intellettuali, o com'è il titolo preciso, quello insomma dove si parla di
Croce, e dei problemi filosofici: è pronto (a meno di una revisione del
dattiloscritto pessimo), e chi sa perché non lo fanno uscire. Sembra che
qualcuno abbia scrupoli per le critiche al Croce che ci sono in quel
volume. Ho protestato contro questi scrupoli, con chi voleva sentire e
con chi non voleva, Ma che cosa aspettano, che Croce sia morto, per poi
farsi dire da qualche stupido che non si è avuto coraggio di pubblicare
le critiche Croce vivo? E lo stupido sembrerebbe aver ragione! Appena
tornerò a Roma mi butterò alla carica. E gli faceva eco Einaudi che,
protestando con Togliatti per il ritardo del
si stampi per i quaderni su
Gli intellettuali e l’organizzazione della cultura, invitava il dirigente
comunista a evitare una temporanea
battuta di arresto , essendo AE, Platone. Togliatti scrive a
Einaudi: siamo perfettamente
d’accordo sulle sue proposte riguardanti l’edizione completa delle opere
di Gramsci. Vogliamo solo porre due condizioni: 1) Eventuali prefazioni e
note di singoli volumi che Ella vorrà pubblicare in collane particolari,
debbono avere la nostra approvazione. 2) La Direzione del P.C.I., pur
concedendo a Lei tutti i diritti per questa edizione e le successive ristampe,
si riserva la proprietà letteraria dell’opera
(AE, Corrispondenza editoriale Torino-Roma 1945). 49
Cantimori a Einaudi, 15 maggio 1947; lo stesso giorno Cantimori scriveva
a Balbo: La Direzione del Partito farebbe meglio a spicciarsi a consegnarvi
le opere di Gramsci invece di farle conoscere a spizzico, o di avere
scrupoli perché si critica Croce ; il 30 settembre 1947 Balbo su
suggerimento di Einaudi inviava a Cantimori le bozze de // materialismo
storico e la filosofia di Benedetto Croce in via privatissima affinché tu
potessi, dando una scorsa veloce, segnalarci eventuali notevoli
lacune (AE, Cantimori). Le origini
della casa editrice Einaudi ormai chiaro a tutti che Gramsci serve
ai nostri compagni per rafforzarsi ideologicamente, per imparare a ragionare e
a porsi dei problemi, che Gramsci serve agli intellettuali non comunisti
per far loro misurare nella sua pienezza la nostra forza ideologica.
Non solo, ma è dimostrato che attraverso Gramsci molti intellettuali
si avvicinano al nostro partito e, sovratutto, si creano delle alleanze. L’operazione
che riusci con Gramsci non ebbe successo anche per la difficoltà di trovare i
testi originali e traduttori preparati per il progetto di una Collana marxista di cui Einaudi aveva parlato a Lucio
Lombardo Radice già il 5 gennaio 1945 ‘, e che nella fase di preparazione
occupò, fra gli altri, Manacorda, Cantimori, Emma Cantimori Mezzomonti,
Luporini, Massolo, Bobbio, Balbo e Giolitti. Su questo terreno si era già
impegnata, subito dopo la liberazione di Roma, l’editrice comunista
Nuova Biblioteca diretta da Carlo Bernari e per la quale Cantimori
era stato incaricato di dirigere la collana
Pensiero sociale moderno ‘;
l’iniziativa non ebbe tuttavia seguito e, prima che fosse ripresa dalle
edizioni Rinascita, alcuni dei curatori previsti confluirono nel progetto
einaudiano. Ma già la collana veniva definita minor
‘, e AE, Togliatti. Nell’intendimento di soddisfare
un’esigenza oggi largamente diffusa, la mia casa ha deciso la pubblicazione di
una Collana Marxista ; a Lombardo Radice Finaudi offriva la cura
dell’Indirizzo inaugurale di Marx
(AE, L. Lombardo Radice. G.
Manacorda, Lo storico e la politica. Delio Cantimori e il partito
comunista, in Storia e storiografia. Studi su Delio Cantimori. Atti del
convegno tenuto a Russi (Ravenna), a cura di Bandini, Roma, Editori
Riuniti. Manacorda a Bobbio; i testi già
in lavorazione , non esistendo più il pericolo di interferire con
la Nuova Biblioteca, che non fa praticamente nulla , erano: Manifesto e
scritti preparatori (Emma Cantimori), Guerra civile in Francia (Enzo
Lapiccirella), Lotte di classe in Francia (Mario Manacorda), Ideologia
tedesca (Arturo Massolo e Cesare Luporini), l’Imzperiglismo di Lenin (Bianca
Maria Luporini) (Archivio privato Bobbio). Aldrovandi scrive da
Milano a Einaudi che con Misha {Kamenetzki, che assumerà in seguito lo
pseudonimo di Ugo Stille] è stata discussa una collezione di civiltà
marxista raccolta di autori meno classici di quelli del tuo programma ma
imperniata sui problemi pit particolari e attuali (es. il libro di Sereni
sull’agricoltura in Italia, ecc.): questa collana sarebbe costituita in
parte con libri che ha Vittorini, e in parte con la critica di libri
italiani visti alla luce marxista (AE,
Corrispondenza editoriale Torino-Roma). una circolare editoriale
annunciava testi brevi di Marx; Engels, Lenin e Stalin, col sussidio di
un commento esplicativo, per orientare
il lettore verso certi punti fermi del marxismo, e di introdurre allo
studio del marxismo, evitando quegli accostamenti attraverso materiale di
seconda mano finora tanto frequenti e tanto nocivi ‘. Il progetto naufragò definitivamente
nel dicembre 1946, quando Balbo propose a Giolitti di inserire i vari
testi marxisti nelle collane esistenti e di farne una scelta accurata in modo
da mantenere le nostre
caratteristiche di Casa editrice rivolta a un pubblico abbastanza colto o
addirittura di studiosi ‘. Non
mancarono le proteste del PCI per il fallimento della collana, finché nel
1948, in coincidenza con la pubblicazione del primo testo, Le lotte di classe
in Francia di Marx nell’ Universale, Togliatti scrisse a Einaudi
che per i classici io non sarei
favorevole a passare a te l'iniziativa editoriale ‘. Si registrava cosî un pesante ritardo
nella diffusione del marxismo, reso evidente, ad esempio, dal fatto che
ancora nel 1947 Rinascita pubblicava elenchi di testi di Marx ed
Engels, in varie lingue e Circolare s.d. (ibidem). Balbo a Giolitti,
10 dicembre ’46; nella risposta, Giolitti si dichiarava d’accordo (AE,
Giolitti). Assai riduttiva era invece la proposta di Muscetta, che per il
Manifesto suggeriva la classica traduzione di Pompeo Bettini e una
prefazione di un tipo come Umberto Morra: proprio adatta al gran pubblico dei
non marxisti (all’editore, in AE, Muscetta). Einaudi scriveva a Cantimori
che, in seguito allo smistamento della ex-collana marxista , aveva proposto
a Chabod di includere il volume negli Scrittori di storia ;
Cantimori rispondeva di non essere d'accordo perché le Lotte di classe
costituivano un grande esempio di analisi critica politico-sociale,
economico-politica, ma non un libro di storia come invece può essere
considerato il 18 Brumaio che tratta lo stesso argomento ma a svolgimento
storico conchiuso ; il 13 settembre Chabod dichiarava a Einaudi di
condividere le ‘osservazioni di Cantimori, in quanto l’opera di Marx
era un'analisi politico-sociale,
che è al tempo stesso un programma d'azione. Sul genere, insomma, dei
Discorsi sopra la prima deca di Tito Livio del Machiavelli (AE, Cantimori, Chabod). . 4? AE,
Togliatti. Le proteste del PCI per il fallimento della Collana marxista sono registrate, ad esempio, da una lettera
di Giolitti all'editore del 16 aprile 1947: Togliatti, impazientito per i
ritardi di queste pubblicazioni, ha esortato le edizioni del Partito a
pubblicare senza indugi (AE, Giolitti). in vecchie edizioni, presenti
nelle biblioteche italiane. È in questo quadro, di disinformazione
e disorientamento, che si colloca il
caso di Gustavo Wetter,. il
gesuita austriaco professore al Pontificio Istituto Orientale in Roma, autore
de I/ materialismo dialettico sovietico. Il saggio è stato presentato da
Balbo come opera seria ed onesta, di carattere informativo,
filologicamente corretta e documentata, compiuta tutta su testi originali
non accessibili agli studiosi italiani per molto tempo. Le poche
osservazioni critiche, naturalmente condotte con metodo scolastico, sono
però sempre intelligenti e non settarie . Bobbio ne prendeva atto, pur
con qualche dubbio, e un anno dopo Cantimori particolarmente incline a
presentare come opere documentarie i testi di autori spiritualeggianti, come
Capitini o Toynbee esprimeva il suo parere positivo: è chiaro che è il libro d’un gesuita e
non di un comunista; è un libro utile, per le discussioni e
rettificazioni che provocherà ‘. Ma, se
Miccoli nota opportunamente che il libro fu pubblicato un anno dopo
questo parere, in un momento
infelicissimo per le discussioni e rettificazioni, evidentemente pacate,
alle quali pensava Cantimori ‘, è
difficile non cogliere l’atteggiamento pattigiano dell’autore, che dedicherà
su La Civiltà cattolica un ritratto a Giuseppe Stalin demone
dell’antireligione. Nonostante l'avvertenza editoriale che presentava l’opera
come informatissima e aggiornata dichiarando al tempo stesso un fondamentale dissenso dalle premesse e
dalle conclusioni dell'Autore, Wetter afferma infatti che per i sovietici
la filosofia era ancella della politica, coglieva una presunta affinità tra la filosofia di Lenin e la
filosofia religiosa russa nell’intuizione d’un nesso e d’un’unità reali in cui
fra loro si uni 418 Balbo a Bobbio, 17 ottobre 1945 (Archivio privato
Bobbio); Bobbio a Balbo, (Archivio
privato Balbo). Balbo scrive a Giolitti che il testo era stato revisionato da
Cantimori, mentre Giolitti, in una lettera a Serini, dice di aver preparato
l’avvertenza al volume (AE, Giolitti). G, Miccoli, Delio Cantimori, (anche per
il siind a Toynbee}. Su tutta la vicenda
anche G. Manacorda, Lo storico e la politica. Cantimori e il
partito comunista. scono tutte le cose del mondo, e concludeva che i
materialisti dialettici sovietici, per non esser costretti ad
assoggettarsi a Dio, si gettano nelle braccia d’un idolo. È forse altro,
invero, quella materia a cui, negato Iddio, vengono trasferite tutte le
prerogative divine? Sono quindi giustificate le lodi de La Civiltà cattolica e
la violenta stroncatura del volume da parte di Giuseppe Berti, che
ne sottolineava gli errori, la tendenziosità antisovietica, il
privilegiamento di sconosciuti intellettuali sovietici, e accusad’incredibile
leggerezza quei marxisti che ‘avevano consigliato la sua pubblicazione che fu un
errore , come riconoscerà più tardi lo stesso Cantimori Una riflessione
sul marxismo priva di preconcetti rimase quindi limitata, in questi anni,
a Ordine e vita del biologo Needham, un volume già proposto da
Alicata .che conclude la sua analisi scientifica con l’accettazione del
materialismo dialettico ‘4; mentre una conoscenza dell’Unione Sovietica
più equilibrata di quel. la fornita dagli studiosi statunitensi fu
avviata prima che fosse tradotta l’opera dei coniugi Webb respinta
da Einaudi con la traduzione di
saggi di altri autori inglesi, significativamente caratterizzati da
un acritico confronto con l’esperienza del cristianesimo primitivo. In Un
sesto del mondo è socialista l’alto prelato angli- Wetter, Il materialismo
dialettico sovietico, Torino, Einaudi, Brucculeri, Scientismo marxista,
in La Civiltà cattolica; anche, contro la critica di ‘ Voprosy
filosofii all’edizione tedesca del
volume, U.A. Floridi, Materialismo dialettico e critica sovietica, in La
Civiltà cattolica, vol. Rio Società, in G. Miccoli, Delio Cantimori, Alicata a Einaudi, (AE, Alicata), e la favorevole
recensione di Lucio Lombardo Radice in
Rinascita. Motta scrive a Einaudi: I sondaggi sul Webb sono stati
eseguiti. Tutto bene. Il libro non è mai stato attaccato nell'Unione.
Tanto Togliatti che Sereni sono d'accordo sulla sua diffusione anche
all’interno del Partito. Togliatti però pensa ‘che forse sarebbe bene
alleggerire l’opera di tutte quelle parti documentarie che non hanno più
un interesse attuale (per es. la costituzione sovietica ecc.) (AE. Motta). Le origini della casa editrice
Einaudi cano Hewlett Johnson partiva infatti dalla constatazione
dell’assenza di una base morale nel
sistema occidentale per
cogliere nell’organizzazione della società sovietica la possibilità di
sviluppo di quei valori umani che sono per chi scrive indissolubilmente
legati con la religione e la tradizione cristiana ‘9; un analogo afflato religioso percorre
Fede, ragione e civiltà del laburista Harold J. Laski, per il quale
è difficile vedere su quali basi possa essere ricostruita la tradizione
della civiltà; all’infuori di quelle su cui si fonda l’idea della rivoluzione
russa. Essa corrisponde, prescindendo dagli elementi soprannaturali, con
esattezza considerevole al clima spirituale nel quale il cristianesimo
divenne la religione ufficiale dell'Occidente. Ovunque si è affermata, l’idea
della rivoluzione russa ha suscitato nei suoi esponenti un’aspirazione
ardente alla salvezza spirituale I più stretti rapporti instaurati col PCI
trovano comunque espressione soprattutto nella pubblicazione di testi di
politica e di economia. Esce nel 1948 Il Mezzo-giorno all’opposizione (Dal
taccuino di un ministro în congedo) di Emilio Sereni che, sollecitato nel
febbraio dello stesso anno da Balbo a fornire un parere sulla
traduzione di The great conspiracy in cui Michael Sayers e Albert
E. Kahn analizzavano la
cospirazione antisovietica
dalla Rivoluzione d’ottobre al secondo dopoguerra un libro,
afferma Balbo, estremamente utile in se
stesso, e oggi, per la campagna elettorale, chiedeva, anche a nome
di Togliatti, di accelerarne la pubblicazione perché il volume tradotto in Politecnico biblioteca è ancor nuovo e di grande interesse per il
pubblico italiano e può avere ora una grande efficacia
propagandi- Johnson, Un sesto del mondo è socialista, a cura di A.
Tagliacozzo, Torino, Einaudi; la
recensione di Mario Montagnana i in
Rinascita. Laski, Fede, ragione e civiltà. Saggio di analisi
storica, traduzione di È. Bedetti Aloisi Torino, Einaudi, p.. Del leader
laburista fu pubblicato su l'Unità DE
sai l’articolo Ux popolo veramente libero
crea la nuova Cecoslovacchia.
H fascismo e il consenso degli intellettualistica. In un momento in cui
il problema della terra si era riacutizzato con le lotte contadine nel
Mezzogiorno, Balbo si rivolgeva ancora a Sereni per invitarlo a scrivere
quella storia dell’agricoltura italiana di cui si avvertiva il bisogno in
un paese che nella risoluzione del
problema agricolo ha uno degli aspetti più delicati dell’intero problema
politico del suo sviluppo legata all’attualità politica era anche
l’Introduzione alla riforma agraria pubblicata nel 1949 da Ruggero
Grieco, che nello stesso anno, di fronte a una palese offensiva contro la
costituzione delle Regioni da parte
della DC proponeva una raccolta di suoi scritti su Unità statale e
decentramento regionale in Italia®, E una più stretta collaborazione fra la
casa editrice e il partito veniva chiesta da Einaudi a Togliatti nel 1948 per
promuovere in Italia una maggiore conoscenza della cultura sovietica, che
avrebbe dovuto essere rappresentata non solo da I/ marxismo e la
questione nazionale e coloniale di Stalin (1948), ma anche da un’ampia scelta di scritti di Zdanov curata personalmente da Togliatti
‘!. È inoltre in questo periodo che si intensifica il ruolo
di Antonio Giolitti nell'esame e nella proposta di testi di economia, con
la consulenza, da Londra, di Piero Sraffa. Ebbe 48 Balbo a Sereni,
3 febbraio 1948, e Sereni a Einaudi, 12 febbraio 1948 8 (AE,
Sereni). Balbo a Sereni, e Sereni che accetta a Balbo; Sereni propone
anche un'antologia intitolata Bertoldo, i canti dell’oppressione, del
lavoro, della lotta (AE, Sereni). La nostra posizione
sull’ordinamento regionale e, quindi, a sostegno della creazione delle
Regioni, parte da due considerazioni fondamentali: dal fatto che noi
siamo sinceri fautori del decentramento amministrativo regionale
(l’ordinamento regionale cosi com’è stato sancito dalla Costituzione non
è dovuto al nostro concorso, se non in parte) e dal fatto che la
Costituzione deve essere applicata: se si comincia con il rivedere questo
o quel punto della Costituzione, si finirà col far crollare la Repubblica
, scriveva Grieco a Einaudi (AE, Grieco). 41 Einaudi a Togliatti,
15 ottobre 1948; il 19 ottobre Togliatti rispondeva di essere d’accordo
anche per la scelta di scritti di Zdanov: Quella che fa il partito non
uscirà dalla cerchia del partito. L'hanno cacciata in una collezione che
si intitola: Educazione comunista. E chi votrà farsi educare da noi? (AE,
Togliatti). Le origini della casa editrice Einaudi peso il
suo giudizio negativo sull’opportunità di tradurre il saggio di Sidney
Hook sul marxismo accusato di
trotskismo da Togliatti, cosî come la presentazione di Political economy and
capitalism di Maurice Dobb, che sarà tradotto: in un parere editoriale che
mette in evidenza il distacco dalla precedente produzione della casa editrice
in campo economico, Giolitti attribuiva a Dobb il merito di
cogliere il nesso tra Marx e l’economia classica, di cui sono
dimostrati ‘il vigore scientifico e il carattere progressivo, mentre le
successive teorie soggettive del valore (scuola austriaca, utilità marginale, ecc.) manifestano a un’indagine critica che sappia
situarle storicamente il loro
significato ideologico conservatore. La teoria marxista del valore è
convalidata sul terreno sperimentale, nella sua capacità di
interpretazione e di previsione di fronte ai fenomeni più moderni
dell’economia capitalistica (crisi, monopoli, ecc.). Un bellissimo capitolo
sull’imperialismo analizza le origini economiche del fascismo. L’ultimo
capitolo sulla validità delle leggi
economiche nell’economia socialista risponde efficacemente alle
obiezioni mosse da Hayek, von Mises e C. alla pianificazione economica
collettivistica: e dimostra la perfetta coerenza dell’economia
pianificata con le posizioni veramente valide e feconde dell’economia
classica {la scoperta di questo nesso costituisce forse l’elemento più
interessante di tutto il libro, che proprio per questo segna una data
nella scienza economica) 43, Si profila cosi un orientamento
che, sia pure con ritardo, pone fine all’ideologia liberista che aveva
fin allora caratterizzato la casa editrice. Mentre Dami, collaboratore di Società
per i problemi economici, mette a confronto in due testi del 1947 e del
1950 l’economia liberale con quella pianificata, con una chiara
preferenza per quest’ultima, la Relazione su l’impiego integrale del
lavoro G. Manacorda, Lo storico e la politica. Delio Cantimori e il
partito comunista. Anche Giolitti, scrivendo a Einaudi il 29 agosto 1946,
giudicava trotzkista l’autore: Ora tu sai che la tua casa è stata
accusata di zoppicare un po’ da questa gamba (Reed, Franklin, Hemingway);
perciò reputerei politicamente inopportuna la pubblicazione, da parte
tua, di un saggio di Hook (AE,
Giolitti). Si tratta, probabilmente, di From Hegel to Marx: studies in
the development of Marx. AE, Giolitti. 44 C. Dami, Economia
collettivista ed economia individualista (1947), ed Esperienze di
economia pianificata in una società libera di Beveridge e Gli
insegnamenti economici di Arndt suggeriscono l’intervento regolatore
dello Stato nell'economia, venendo incontro all’esigenza, espressa
da Giulio Einaudi, di fare libri che
tengano conto dell'economia dei paesi occidentali e ne facciano una
critica. Non trascurare certi filoni del laburismo inglese i quali
tengono conto dell’economia classica e la criticano continuamente al vaglio
delle riforme richieste dalla crisi dell’imperialismo , La realizzazione di questo
nuovo indirizzo apparve tuttavia insoddisfacente a chi, come Balbo, pur
consigliando testi come quello di Wetter, concepiva il lavoro
editoriale come continuo suggerimento di problemi, senza la pretesa
di orientare dall’alto, didatticamente, il lettore. Prendendo spunto
dalla pubblicazione de La teoria del diritto nell'Unione sovietica di Schlesinger,
Balbo si rivolgerà a Einaudi, in uno dei suoi ultimi interventi
prima del distacco dalla casa editrice, per affermare che
libri sulla linea di Schlesinger,
Cole, Webb, Hook prima maniera, Wallace ecc., insomma libri anglosassoni
progressivi e corretti verso URSS e comunismo sono libri utili, se
vuoi, ad una provvisoria propaganda ma non sono libri di vera
cultura. Paiono vicinissimi a capire; in realtà milioni di anni luce li
separano da una vera comprensione. Nel loro fondo, che non tutti
avvertono esplicitamente ma che tutti sentono subcoscientemente, quei
libri sono oppio sottile: fanno in maniera più inavvertibile e quindi
anche meno significativa culturalmente e più pericolosa, ciò che
fece Croce in modo scoperto, chiaro e cosciente ‘#. Intervenendo a una riunione editoriale
sulla Biblioteca di cultura
economica , egli aveva affermato che il PCI non deve prendere posizione, avallando
la collana; ma di volta in volta può consigliare o meno i volumi. La Casa
deve svolgere la funzione di Casa editrice e 435 AE, Verbali delle
riunioni editoriali 1949-1950 (riunione). 4% Pro-memoria per il dott.
Einaudi (AE, Balbo). Le origini della casa editrice Einaudi non può
fare biblioteche di partito. È una critica impietosa nel paragone con Croce e
forse anacronistica, in quanto non teneva conto dei
condizionamenti imposti dall’imperante clima di guerra fredda: una
critica alla propaganda e al monolitismo culturale che vienne in
parte a contraddire il positivo accoglimento, da parte di Balbo, del nuovo
orientamento assunto dalla casa editrice. La fine dell’eclettismo e delle incertezze
proprie della produzione editoriale è stata anzi auspicata da Balbo, che
aveva accolto la svolta non come indice di una subordinazione al PCI, ma
come l’inizio di una politica d’intervento più organica e avanzata.
Già nel dicembre 1946, informando Rodano di un suo ooqui con
l’editore, affermava che Einaudi aveva deciso i mettersi a fare
l’editore sul serio, cioè di affidare la fabbricazione dei libri
specialmente di tema politico-economico e strutturale (mi capisci!) ecc.
alle forze migliori che oggi sono inserite nel processo democratico del
paese. A farla breve si tratta di creare tutta una rosa di libri seri,
impegnativi e urgenti sui problemi che possono concretare sul serio il nuovo
corso: capitalismo di stato in concreto, permanenza amministrativa del
fascismo, situazione culturale generale da un punto di vista direi di
geografia culturale, problema igienico nazionale, problema agrario ecc.
Si tratta naturalmente anche di dare inizio finalmente a certi temi di
marxismo teorico consoni alle esigenze attuali, conclude proprio nello
stesso momento in cui anche col
suo avallo naufraga il progetto di una vollana
marxista. Il nuovo corso della casa editrice suggerî a Balbo una
serie di scritti programmatici che si collocano nel periodo immediatamente
successivo alla crisi, e che hanno il loro principale obiettivo polemico
nell’idealismo crociano. Egli invia a Einaudi una serie di proposte,
accomunate dal titolo significativo L’Anticroce, che Giolitti fa pro- AE,
Verbali delle riunioni editoriali. AE, Rodano. prie, relative al
rinnovamento delle varie collane
prevedendone una nuova di cultura sociale-politica, partendo dalla
considerazione che la cultura idealistica,
invalidando per principio le possibilità stesse degli studi sociologici
e in genere degli studi umanistici condotti con metodi scientifici o
fenomenologici , aveva soffocato una nascita autonoma di questi studi in
Italia. Poco dopo, in un articolo di risposta alla recensione fatta da
Croce alle Lettere di Gramsci, prende spunto da una frase di Croce gli
odierni intellettuali comunisti italiani troppo si discostano dall’esempio del
Gramsci, dalla sua apertura verso la verità da qualsiasi parte gli
giunge per affermare: Riconosciamo
che in ciò vi è del vero, che molti di noi si mantengono al di sotto di quel
livello sia nelle intenzioni, sia nelle realizzazioni. Ma dobbiamo anche
ricordare a Croce che molti intellettuali comunisti cercano sul serio di
migliorarsi e di imparare e che comunque il livello degli altri intellettuali
italiani è forse ancora più basso del nostro, se non si vuole continuare
a scambiare per cultura l’arcadia, la raffinatezza fine a se stessa,
l’educazione ipocrita. Soprattutto dobbiamo ricordare a Croce la realtà che
egli più ha dimenticato nel suo pensiero e che ne è certo stata la ragione più
grave di debolezza: questa realtà è il popolo, il popolo oppresso,
spesso ignorante e violento, quel volgo che egli disprezza e che è
pur formato di uomini come noi e come lui. Forse allora comprende che
Gramsci non può essere diviso dal suo partito, che Gramsci appartiene a
tutta la cultura italiana, ma che il partito comunista italiano è parte
integrante della cultura e del pensiero di Gramsci, è parte integrante
della cultura italiana, Può quindi apparire tUn’ironia della storia che
l’intervento più organico del Balbo militante, sulla Cultura
antifascista, fosse nato come promemoria per Einaudi e che, al tempo
stesso, venisse pubblicato con alcune modifiche nel numero col quale Il
Politecnico, dopo le critiche di parte comunista, fu costretto a terminare
le pubblicazioni. E di AE, Balbo;
anche Giolitti a Einaudi,
(AE, iolitti). AE, Balbo (articolo per l'Unità ); la
recensione di Croce è ora in Due anni di vita politica italiana, Bari,
Laterza Oggi l’Italia è tutta piena di Benedetto Croce (e, nota, del
Croce deteriore) e ancora è tutta piena, contrariamente alle apparenze,
di Gentile scrive Balbo. La mentalità papiniana, giuliottesca,
prezzoliniana è rimasta come un substrato generalizzato e diffuso nel
retroterra culturale di ognuno. Le categorie di giudizio, sia culturale,
sia politico, si muovono ancora completamente su di un terreno che va da
quello di Mussolini stesso in persona a quello della Civiltà Cattolica, a
quello del più stracco spiritualismo cattolico di importazione francese e
di un esistenzialismo universitario ed estrinseco. Insomma in Italia si è
rimasti senza Gramsci, senza Dorso e senza Gobetti. E, rivolgendosi
in particolare a Einaudi, affermava che la casa editrice per la sua
struttura, per il suo passato, per i suoi quadri interni ed esterni,
attuali e possibili, può svolgere un compito fondamentale nel movimento
per l’abbattimento della vecchia egemonia culturale borghese e per la creazione
metodica e sensibile della nuova egemonia culturale proletaria e
finalmente moderna. Strumento e base per la ricerca qualificata e per la
socializzazione è oggi non tanto l’università o la scuola quanto
l’editoria; e, in armonia con una tradizione culturale cara
all’editore torinese, concludeva insistendo per la pubblicazione
delle opere di Gobetti, che avrebbero costituito uno specchio nel
quale la borghesia più intelligente potrebbe scorgere la sua vera faccia
e, per rivalsa, la falsa faccia di una borghesia che vuole a tutti i
costi illudersi di saper sopravvivere al fascismo. Cosî, proprio quando lo
scontro nel paese si faceva più duro, a Balbo sembrò giunto il
momento opportuno per realizzare il suo modello di casa editrice:
sotto la spinta dell’ottimismo maturarono nella sua fervida mente nuovi
progetti, da quello di una rivista di
ricerche e sviluppo storico-ideologico
per la quale aveva già impostato il lavoro assieme a Rodano, Motta,
Giolitti e Gerratana, a quello del
sostitu-tivo della rivista di una
collana Il nuovo politecnico assieme a Vittorini, fino alla proposta,
realizzata, di trasformare la Collana di cultura giuridica in
BiAE, Balbo. blioteca di cultura politica e giuridica . Ma il terreno sul quale Balbo
concentrò i suoi sforzi per realizzare una cultura critica , tale tuttavia da scontrarsi
duramente col laicismo di Bobbio, fu quello filosofico. Il primo
progetto di una BIBLIOTECA DI CULTURA FILOSOFICA è formulato da Bobbio, che prende
contatti con ABBAGNANO (si veda), dal quale vennero le proposte di tradurre la
Metapbysik di Jaspers e, sempre sull’esistenzialismo, L'illusione della
filosofia della Hersch, pubblicato nei Saggi. Dopo ulteriori contatti con
Della Volpe, Banfi, Levi e Garin, Bobbio ritenne giunto il momento di
annunciare l’uscita della COLLANA FILOSOFICA che, al di sopra di ogni
pregiudizio d’indirizzi e al di là di una visione tecnicamente angusta
della filosofia, raccoglie opere antiche e moderne, tanto più accette quanto
più trascurate dagli storici della filosofia, e considera come suo principale
fine e suo rigoroso dovere tener conto della infinita problematicità del
pensiero filosofico attraverso le sue inesauribili incarnazioni nei diversi
tempi e nei diversi campi del sapere. La collana, che si configura
come una via mediana tra i classici Laterza e la Cultura dell’anima
Carabba, prevede opere di Butler e di Hume per l’illuminismo, Avenarius e
i Principi di una filosofia dell'avvenire di Feuerbach, Kirkegaard
e Jaspers per l’esistenzialismo, JUVALTA (si veda) e MARTINETTI (si veda) come
rappresentanti della filosofia italiana contemporanea. L’inizio della collana
di cultura giuridica, con l’inclusione delle opere di Binder e Gierke
originariamente previste per la COLLANA FILOSOFICA, fa fallire per il
momento l’iniziativa, senza che per questo si fermasse l’attività di
Bobbio, che in una lettera a Banfi presentava la collana progettata come
una raccolta di saggi rappresentativi di quella filosofia costruttiva
(contrapposta alla filosofia spe- in
particolare, per questi e altri progetti, i documenti dell’Archivio privato
Balbo. in particolare le lettere di Bobbio a Einaudi (A E, Bobbio). Le
origini della casa editrice Einaud?] culativa) che la filosofia italiana
ufficiale, e la stessa storia. della filosofia scritta dagli scrittori
ufficiali quasi sempre ignora, e che è poi l’unica filosofia veramente perenne;
e cita, fra gli altri, saggi di CATTANEO (si veda) e di Frege, per rafforzare
la caratterizzazione neo-positivista della collana da lui voluta contro la
presenza, che pur non riuscirà a evitare, di un filone esistenzialista. Sono
affermazioni coraggiose nel clima culturale dell’epoca, rese più
esplicite quando Bobbio, nell’atto di dare finalmente: avvio alla
collana, parla di saggi rappresentativi di tutte: quelle correnti
filosofiche che nel MONDO FILOSOFICO-ACCADEMICO italiano diviso tra idealisti e neo-tomisti in
lotta. fra loro sono respinte con maggior o minor impeto come: filosofia
non ufficiale. La collana diretta da Bobbio e Balbo inizia in tono:
minore, con I limiti del razionalismo etico di JUVALTA (si eda), di cui
tuttavia GEYMONAT (si veda) che lo propone mette in luce il rifiuto per le
soluzioni puramente verbali, il valore impegnativo e profondo di
tutta l’attività politica, sociale ed economica, e la negazione del carattere
anti-individualistico del socialismo Continua con le Lezioni di filosofia di CALOGERO
(si veda), caldeggiate da Bobbio, e La mia filosofia di Jaspers, un testo
dal quale: Bobbio prende le distanze, ma che, afferma, puo servire ad
eliminare diffidenze preconcette e altrettanto inconsulti entusiasmi, e venire
incontro ad un’aspettativa talora eccessiva che è in molti. Senza
pretendere: AF, Banfi; Archivio privato Bobbio (Bobbio alla sede romana).
Bobbio si dichiarava d’accordo con Balbo per presentare le opere rappresentative dei principali
indirizzi di pensiero moderno, da Hegel in poi, senza correr dietro alla
moda (Archivio privato Balbo). JUVALTA (si veda), I limziti del
razionalismo etico, cur. di GEYMONAT (si veda), Torino, Einaudi. anche le lettere dell’editore alla
figlia di JUVALTA (si veda), (AE, Juvalta), e di GEYMONAT (si veda) a
Pavese, (AE, Geymonat).
Pro-memoria per la Direzione Generale
della redazione romana, in AE, Corrispondenza editoriale
Milano-Roma 1945. Sul
moralismo dell’opera di Calogero
cfr. le osservazioni di Nicola Badaloni in Società. Jaspers, La mia
filosofia, trad. Rosa, Torino,. Einaudi (avvertenza di N. B.). di
dare un giudizio complessivo sulla collana, ci sembra sufficiente
accennare al suo carattere articolato, non unitario, che riflette le
diverse preferenze dei suoi ispiratori. Sono ad esempio
significativi i giudizi espressi da Bobbio e da Balbo sui Principi della
filosofia dell’avvenire di Feuerbach: presentando la prima edizione
dell’opera, Bobbio osserva che la filosofia di Feuerbach si colloca
tra la crisi del romanticismo e la nascita del positivismo, e che dal secondo
accoglieva una netta aspirazione
antispeculativa, un’accettazione supina ed ingenua della realtà dei
sensi; ma accoglie pure, dal primo, un’invincibile ripugnanza a toccare
veramente il fondo del problema concreto, la tendenza ad un
sentimentalismo un po’ facile #. In
occasione della ristampa del 1948, invece, Balbo nota l’affinità tra
il nostro mondo attuale in particolare italiano, e quello in cui si formò
il pensiero di Feuerbach e in cui ebbe origine il grande movimento marxista. La
crisi culturale apertasi con la dissoluzione della filosofia di Hegel è
tutt’altro che chiusa, Ancora permangono sia pure in una diversa fase di
sviluppo i motivi sociali ed economici che l'hanno determinata. E, in
Italia, specialmente per via della filosofia di Croce e di Gentile e del
fascismo, c’è stato un ritardo ideologico nel prendere piena coscienza
della crisi. Croce e Gentile in questo senso sono stati veramente epigoni
hegeliani perché hanno mantenuto vivo di Hegel proprio ciò che di pit
teologico in senso feuerbacchiano
c’era nella filosofia di Hegel; e osservava che la passione,
il violento bisogno di aria e di luce reale,
sensibile , con cui Feuerbach rompe il sistema della Teologia razionale di Hegel, l’entusiasmo di Marx e di
Engels nel leggerlo, sono ancora cose nostre, sono esperienze di molti e
molti giovani studiosi e uomini di cultura, in Italia che ancora oggi
cercano di rompere l’idealismo e ritrovare il mondo, la realtà. Un
giudizio, questo, da cui è ricavabile non solo la divergenza con Bobbio che
sarà esplicita nel #8 L. Feuerbach, Principi della filosofia
dell'avvenire, a cura di Bobbio, Torino, Einaudi, Significato di una ristampa,
in Archivio privato Balbo. Le origini della casa editrice Einaudî
dibattito fra i due sulla Rivista di filosofia, e indica una
spaccatura all’interno della casa editrice, ma anche, nello stesso Balbo,
la tensione fra la necessità di proposte positive in questo caso,
Feuerbach in funzione anti-idealista e l’asserita problematicità del lavoro
editoriale. Mentre dimostrava con questo giudizio il suo settarismo per usare in senso non dispregiativo un
termine che egli respingeva, in alcuni Appunti per l’impostazione delle
pubblicazioni filosofiche Einaudi Balbo
lamentava il rinchiudersi del mondo accademico italiano in scuole e
sette, osservava che il giudizio sulle collane filosofiche dipende in primo
luogo dal decidere se si tratta di accettare,
riflettere e conservare la
situazione storico-sociale presente, o se si tratta di conoscerla,
criticarla e mutarla e, al tempo
stesso, che una casa editrice di opposizione culturale come la Einaudi manca al suo carattere se in
un momento storico in cui messuno ha la soluzione dei gravissimi problemi
dell’ora si schiera da una parte o partito o setta sia pure la pit intelligente
0 colta o ben educata o progressiva. Una casa editrice di
opposizione culturale è una casa editrice che chiede, in tutti i modi che
le sono propri, la soluzione ai problemi dell'ora attraverso alle
manifestazioni di bisogni, problemi aperti, prospettive nuove, fornitura
di servizi per la ricerca teoretica, sensibilità alle voci degli
oppressi, degli esclusi, dei dimenticati ecc. E aggiungeva, lasciando
aperta la possibilità di un recupero di forme differenziate di speculazione
filosofica: Se la situazione
culturale è di crisi radicale significa che nulla più della passata
filosofia ci serve per lo meno cosi come storicamente si è data.
Ma quando w%/la più serve o c’è la fine assoluta o tutto serve. Ora
in F. Balbo, Opere, con introduzione di Ranchetti, Torino, Boringhieri,
Archivio privato Balbo. Riflettendo ancora su Senso e funzione delle
pubblicazioni filosofiche Einaudi, Balbo affermava che una collana
filosofica andava concepita come un servizio da rendersi alla società
italiana, alle minoranze rivoluzionarie
(che innanzi tutto si formano con la filosofia), ma che l’idea di
servizio implica la concezione dei fruitori come totalità, ed esclude
quindi a priori una qualsivoglia tendenza a identificarsi con i blocchi
dominanti : la collana deve mirare a completare, ad allargare e a tenere
aperto, cioè a far progredire 7 va l’orizzonte problematico della
situazione filosofica italiana. Quando si passò alle scelte concrete, il
dissidio tra Bobbio e Balbo che intendeva riservare un settore
della collana al tomismo non poté essere che profondo. Il punto su cui
siamo d'accordo è questo: massima apertura gli scrive Bobbio. Il guaio è
che la tua parte di chiusura (le correnti empiristiche) coincide
perfettamente con la mia apertura, e la mia parte di chiusura (il
misticismo medioevale e medioevalizzante) coincide altrettanto decisamente con
la tua apertura. Ti dico francamente che la presenza di testi come
lo Pseudo-Dionigi e Bòhme, in una collana filosofica di una casa
editrice che si presenta come una casa di avanguardia culturale, mi ha
fatto rabbrividire. Doveva essere ben decaduta la filosofia nel medioevo
se lo Pseudo-Dionigi era destinato a diventare, come tu giustamente riconosci,
un fatto decisivo per il pensiero medioevale. La verità è che tutta la
tua impostazione, nonostante la pretesa di essere della massima apertura,
è guidata da una polemica molto chiara: la polemica contro il pensiero
moderno. La cultura universitaria, aggiunge Bobbio, soffre di
grande nostalgia per il pensiero teologico, perché sembra che le idee (e
anche le cattedre) siano meglio garantite dalla credenza nei cori
angelici di Pseudo-Dionigi che dal dubbio cartesiano. Credi, se oggi in
Italia c’è un lavoro culturale da fare, è per fermare lo zelo
antilluministico, non già per aiutare i zelatori della Contro-riforma a
chiuderci la bocca. Bada che a giudicare come vorresti tu massimamente insufficienti le
posizioni più avanzate , si rischia di fare cosa non tanto nuova
né tanto peregrina in Italia, dove se c'è una vecchia e persistente e
sempre contagiosa passione è la passione per le posizioni più reazionarie non
per quelle più avanzate, e dove le posizioni più avanzate hanno fatto di
solito la nota e tragica fine che sappiamo. Le parole di Bobbio erano
indice della difficoltà estrema in cui veniva a trovarsi la cultura
progressista ancora nell’anno della morte di Croce, quando anche
Togliatti Archivio privato Balbo. Bobbio gli aveva scritto che in un
ambiente filosofico come il nostro saturo di spiritualismo sedicente cristiano
(che è la filosofia della pigrizia mentale) un po’ di cultura empiristica
che abitui alla analisi rigorosa e paziente farebbe molto bene. Ma già tu hai
scritto contro l’empirismo e hai portato tanta acqua al mulino di tutti i
reazionari della filosofia, di tutti gli spiritualisti... (ibidem). Sul tomismo di Balbo cfr. G.
Invitto, Le idee di Balbo. Le origini della casa editrice Einaudi come
abbiamo visto riconosce nella politica culturale del partito comunista italiano
discontinuità, asprezze, capitolazioni non necessarie, oscillazioni tra
la pura propaganda e l’azione culturale di più ampia portata, e anche
contraddizioni. La Casa sta attraversando una crisi grossa, la più grossa
dopo quella quando restai letteralmente solo scrive Einaudi a Balbo
al fronte antifascista chiaro e compatto del periodo fascista, che è
tenuto da tutti gli strati sani della nazione, si è sostituito un fronte
anti-comunista che è tenuto da strati sani ed insani della borghesia, e
da irrequiete e intelligenti forze intellettuali. Ma il suo appello
all’unità contro il fronte anti-comunista non puo essere più raccolto da Balbo,
divenuto critico implacabile del settarismo del partito comunista italiano. Se
tu davvero presentassi la linea della casa come lotta contro la cultura
ufficiale insipida e decadente avresti presto o tardi attorno a te le
forze sane della cultura risponde Balbo all'editore. Ma come fai a presentarti
così se accetti di fatto direttamente o meno, la direzione culturale
comunista? Oggi non esiste cultura più ufficiale e insipida di quella
comunista: questo è un fatto. E le riflessioni amare stese da Balbo
sulla casa editrice una specie di sua
storia, che gli servirono per chiarire a se stesso il proprio distacco da
Einaudi, cercano di spiegarne la crisi alla luce di quelle che gli sembrano le
sue caratteristiche originarie: La casa editrice Einaudi è nata da
profonde esigenze di rinnovamento che si manifestarono in Italia dopo
l'affermarsi stabile del fascismo che rivelava il problema del male della
civiltà moderna. Non è stata perciò mai definita unicamente
dall’antifascismo ha sempre teso al postfascismo, alla vittoria
costruttiva sul fascismo. A questo si lega anche la sua adesione al
comunismo: in quanto il comunismo in Italia per opera di GRASCI (si veda)-Togliatti
si presentò come la più forte garanzia e promessa di un effettivo
rinnovamento, di una costruttiva vittoria sul fascismo. In tal senso era
più forte dell’arbitrio dei singoli il suo tendere a congiungersi al comunismo.
Togliatti, La politica culturale. Archivio privato Balbo. va anche da
sé che cosi si spiega come tale adesione non sia mai stata di soggezione né
di mitigazione del comunismo ma da potenza a potenza ossia da realtà a
realtà. Veramente era falso dire che la casa editrice Einaudi fosse una
casa editrice comunista ed era pure falso dire che fosse
paracomunista. Anzi, aggiungeva, l’elemento che aveva accomunato
Ginzburg, Pavese, Venturi, Muscetta, Pintor, Balbo, Giolitti, Bobbio, Alicata e
Vittorini, non è il laicismo, non è il razionalismo, non è il comunismo
core tale neanche per i comunisti. È la causa del rinnovamento, la causa
rivoluzionaria; ma l’incontro di questi intellettuali è soggetto a fatale
decomposizione su due fondamentali sollecitazioni: quella interna della
crescita organizzativa e quella esterna della situazione storica
generale. Con la morte di Pavese venne a mancare l’ultimo residuo
puntello dell’autonomia della casa editrice », la quale si era
quindi trasformata in terza forza para-comunista incapace di
costituire un servizio per la cultura italiana nel suo complesso. Il
giudizio di Balbosulla cui posizione ci siamo soffermati perché emblematica dei
problemi e dei difficili equilibri nei quali doveva muoversi la casa editrice
conteneva alcuni elementi di verità, ma anche profonde contraddizioni,
nell’individuare in un primo tempo, ad esempio, il rinnovamento col
comunismo, per poi mettere in netta contrapposizione i due termini. Esso
peccava inoltre, come quello di Einaudi, di una visione idillica delle
tendenze originarie della casa editrice, fosse il fronte antifascista chiaro e
compatto o la vittoria costruttiva sul fascismo. Senza voler nulla
togliere al peso delle intenzioni, le
concrete vicende della casa editrice non indicano infatti una univoca e
lineare direttiva culturale e politica. Alla cultura del regime essa non
rispose soltanto col silenzio nei riguardi del fascismo, ma in modi
differenziati, che accanto a coraggiose prese di posizione de La Cultura, Dattiloscritto;
ma nella lettera a Finaudi Balbo dice di aver preparato una specie di
storia della casa editrice (Archivio privato Balbo). Le origini
della casa editrice Einaudi vide a lungo la battaglia liberista di Luigi
Einaudi, assai più conservatrice di quella crociana, tanto da trovare
punti di convergenza con le scelte culturali e politiche dominanti,
anche al di là del comune antisocialismo; una forte presenza di
intellettuali aderenti a Giustizia e Libertà, al liberal-socialismo e quindi al
Partito d’Azione, il cui scontro con i comunisti non uniti al loro interno sarà assai duro nell'immediato
dopoguerra, proprio attorno al modo concreto di intendere il rinnovamento »; e
infine ma è un dato rilevante fino
alla decisa riaffermazione del laicismo da parte di Bobbio un filone
spiritualista o religioso e cattolico che, se poté avere una funzione di
stimolo alla riflessione e al dubbio di fronte alle certezze del regime,
conteneva in nuce notevoli elementi di ambiguità in quanto connotato, in molti
casi, da un potenziale ideologico reazionario, o, nelle voci più aperte, da una
tendenziale fuga dalla realtà: una tematica religiosa che confluirà
con ben altro respiro, nella Collezione di studi religiosi, etnologici e
psicologici voluta da Pavese e da MARTINO
(si veda). Può forse sorprendere che questi motivi permangano a caratterizzare
la casa editrice fino, almeno, al anno che costituisce la vera data
periodizzante della sua storia, tale da concluderne, a nostro avviso, il
capitolo delle origini. La battuta di Balbo, secondo la quale l’Einaudi è
più fascista di Einaudi, indica infatti la persistenza di un passato dal
quale era difficile sbarazzarsi rapidamente: una tradizione » di cui abbiamo
cercato di mettere in luce la complessità, e che la semplice categoria di
antifascismo è insufficiente a contenere e a spiegare in tutte le sue
articolazioni. Ideologia e cultura del fascismo: l’ Enciclopedia italiana
» La ricerca del consenso. Il progetto di Martini e Formiggini.
L’intervento di Treccani e Gentile. Lo « specchio fedele e completo della
cultura scientifica italiana ». La « politica di conciliazione » di Gentile.
I collaboratori e le proteste del fascismo estremista. L’ipoteca
cattolica. Il controllo del regime. Le voci politiche e l’ideologia del
fascismo. L’assimilazione dei « competenti »: Gioele Solari e Rodolfo Mondolfo.
Gentile, Volpe e il nazionalismo storiografico. Le voci religiose:
presenza e conflittualità dei cattolici. Formiggini: un editore tra
socialismo e fascismo. La parola, veicolo di « fraternità universale. Positivisti,
modernisti, socialisti. Intenti divulgativi. Una cultura al di sopra della
mischia. La sconfitta di un’illusione e una tenue resistenza. I limiti del
consenso: le origini della casa editrice Einaudi. Iniziative editoriali. L'ideologia
conservatrice di Einaudi. L’impronta liberista sulla casa editrice. La Cultura
e la tradizione gobettiana. Storiografia e impegno civile. Cultura
della crisi e spiritualismo. Una cultura eclettica: i Saggi. La svolta della
guerra e i collaboratori romani. L’anti-conformismo storiografico e l’Universale.
I quarantacinque giorni, la Liberazione e il Fronte della cultura.
La ricerca di un nuovo orientamento e l’eredità del passato. La rottura
dell’unità antifascista e il rapporto col PCI. Grafiche Galeati di Imola. Turi.
IL FASCISMO E.IL CONSENSO: DEGLI INTELLETTUALI. Questo volume offer un contributo
di grende interesse alla storia della cultura italiana, analizzando alcuni
momenti. di gregazione culturale particolarmente. rilevanti, ta' iat nascita e la
caduta del fascismo. La Fondazione dell’Enciclopedia-italiana. Pattività\edi‘origle
di A. Formiggini, la nascita della casa editrice. Einaudi chevpetmettonò i;
collegare significativamante gli Itinerar di’ singoli intellettuali con Je
vicende politiche ‘delipaese e di individuare, anche negli anni. del‘
regime, accanto «a condi: zionamenti;»autocensure e compromessi, il.
permanere oil inuscere di. «schieramenti » i! cui significato «non ‘è'
soltanto. culturale, ma anche: politico. L'« Encicloped'a italiana»;
fondata sotto la direzione di Gentile e con la collaborazione
dil'intetlettuali anche antirascisti, testimonia i esistenza di-una
cultura fascista; sia pur. eclettica e forlsmente condizionata dalla
‘presenza: cattolica MAttorno-alla casa. editrice. Formiggini si erano.
raccolti, intellettuali di formazione.
positivistache cercheranno di resisiere alla politica culturale del.
regime appellandosi ad una orma l’illùsori autonomia della cultura. Nella casa editrice
fondata da Einaudi, infine; ii liberalismo. Conservatore di Einaudi convive
con l'orientamento di intellettuali. legati a «{iustizis © libertà» e, vin
seguito, con orientamenti: di matrice azionista e comunista: che prevartranno.
nettamente nel'1945 con la presenza delle forti personalità di Pavese;
Vittorini, Cantimoti, Balbo, e Bobbio cercando’ di dar vita va un
ampios«fronte de:'atcultura +» destinato (a. dissoiversi con la rottura
dele l'unità-antifascista, Introduzione. -tIdeologia «e. cultura:
del fascismo:nl-Enciclopedia. Italiana. Formiggini» un editore tra socialismo
e fascismo. I limiti déell'consenso. Le origini: della casa editrice
Einaudi. GTuri insegna a Firenze. Storia dell'Italia’ contemporanea
nella Facoltà: di Lettere e Filosofia. Sudiato! periodo della riforme
‘setteceritesche e. dell'occupazione francese in, Italia; «pubblicanido il
volume Viva Maria, La reazione alle riforme leopoldine. Su occupa della cultura
italiana, ema sul auzls ha prbblicato diversi contributi. Gak labora alle
riviste Studi storicì..; « Movimento onsraio e socialista» e « [talia
contemtoranea (i.i.) ©0GO. Fabrizio Desideri.
Desideri. Keywords: consenzienti -- consentire, “i consenzienti del bello” –
perizia del bello – imago imaginis – il bello -- costellazione griceiana,
aporia, il riflessivo, l’esperienza del bello, il sentire, sensum, sentiens,
sensus, sentire e esperienza, esperimentare, esperienzare, emozione, giudizio,
giudicare, espressione dell’emozione, contenuto proposizionale, il volitum, il
co-sentire del bello, Grice, Sibley, meta-property, second-order property,
aesthetica, Sibley on Grice, Scruton on Sibley on Grice, aesthesis, sensus,
senso, consensus. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Desideri” – The Swimming-Pool
Library. Desideri.
Luigi Speranza – GRICE ITALO!; ossia, Grice e
Diacceto: la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale del
convito -- i tre libri d’amore – scuola di Firenze – filosofia fiorentina –
filosofia toscana --filosofia italiana – Luigi Speranza (Firenze). Filosofo fiorentino. Filosofo toscano. Filosofo
italiano. Firenze, Toscana. Grice: “I love Cattano – Amo Cattani – who
philosophised so avidly on ‘amore’ – in fact, he philosophised in three
different ‘symposia’: ‘primo simposio,’ ‘secondo simposio’ and ‘terzo simposio’
– and so outdoes Plato by far!” Figlio di Dionigi Cattani di Diacceto e Maria
di Guglielmo Martini. Suo padre era uno dei tredici figli del filosofo
Francesco Cattani da Diacceto, chiamato il Vecchio o il Pagonazzo per
distinguerlo dal nipote. Divenne un canonico della Cattedrale di Santa
Maria del Fiore a Firenze. Protonotario apostolico. Nominato vescovo di
Fiesole, dopo il ritiro dello zio Angelo Cattani da Diacceto. Durante la sua
carica, termina la costruzione del monastero di Santa Maria della Neve a
Pratovecchio, già iniziata da suo zio. Restaurò l'Oratorio di San Jacopo a
Fiesole e la Chiesa di Santa Maria in Campo a Firenze, e supervisa i lavori di
restauro del Duomo di Fiesole, progettando la forma dell'abside. Studiò diritto
continentale e frequentò l'accademia fiorentina. Filosofo prolifico. Pubblicò
le opere, in latino e in italiano, di suo nonno e incarica Varchi di scrivere
la sua biografia, che fu pubblicata assieme a Tre libri d’amore e un panegirico
all’amore del vecchio Cattani a Venezia. Altre opere” Gli uffici di S.
Ambruogio vescovo di Milano: in volgar fiorentino (Fiorenza: Lorenzo Torrentino);
“Sopra la sequenza del corpo di Christo” (Fiorenza,: appresso L. Torrentino); “L'Essamerone
di S. Ambruogio tradotto in volgar fiorentino” (Fiorenza: Lorenzo. Torrentino);
“L’autorità del Papa sopra 'l Concilio” (Fiorenza: appresso i Giunti); “Instituzione
spirituale utilissima a coloro che aspirano alla perfezzione della vita”
(Fiorenza: Giunti); “L'Essamerone” (Fiorenza: appresso Lorenzo Torrentino); “La
superstizzione dell'arte magica” (Fiorenza: appresso Valente Panizzi et Marco Peri).
I tre libri d'Amore, filosofo et gentil'hvomo fiorentino, con un Panegerico
all'Amore; et con la Vita del detto autore, fatta da M. Benedetto Varchi (In
Vinegia: appresso Gabriel Giolito de' Ferrari). Ricerche su Diacceto: Cultura
teologica e problemi formativi e pastorali. Firenze: Università degli Studi di
Firenze, Facoltà di Lettere e Filosofia. Dizionario biografico degli italiani. D.
In divinis PLATONE symposium Enarratio ad Clementem VII. Pont. Max. Amorem distinguit
atq, definit, antequam rei explicatio nem aggrediatur. Ntequam Symposi
enarrationem aggredia mur, operæprecium eſt uidere, quid perA morem ſitnobis
intelligendum. Secus enim fieri nequit, ut diuinú PLATONE de AMORE diſſereniem
intelligamus. Solec itaqduplici capite definiri. Autenim pingui Mineruade,
finitur, aut exacta quadam ratione. Siqui dem pinguiMinerua,omnis appetentia,
quæ cungilla sit,Amorrectèdici potest. Sinautē exacta ratione, AMOR EST
DESIDERIVM perfruendæ &effingendæ pulchritudinis. Quapro pter quot sunt
appetitus, totidem elle amores necesse est. Atqui ue rum efficiens propter
intimam fæcunditatem appetitextra fe effice re:appetit quoqz seruare
quodeffecerit. Vnde et diuinus Iohannes Omnia,inquit,per ipsum facta sunt, et feorfum
ab ipso nihil, quod factum est:significans,non solùm ex Deo, ideft,ex uero
efficiente res effe,uerumetiam easdem citra dei auspicia nihilfieri. Dionysius
quo que Areopagita splendor Christiane theologię, Amor, inquit,entiū auctor,
cùm lupereminenterin bono antecederet,minimèpaſſusest ipsum in seipso manere,
quasisterile lit: sed ipsum impulit ad opus se, cundùm excessum omnia
efficientem. Seruat autem propterea om nium causa,beneficio fupereminentis
amoris: quandoquidem non fimplici prouidentia extra se procedens singulis
entium immiscetur. Quapropter quidiuinorum peritiſunt, Želotem ipſum appellant,
quaſi uehementem entium amatorem. Acuerò &res ipfæ femper in auctorem
reſpiciunt&conuertuntur, proindeqz afiectantipſi adhæ rere: Adheſionem enim
ultima conſummatio fequitur.Huncautem appetitum ſiquis furorem amatorium dicat,
recte appellauerit. Non folùm uerò inferiora in auctorem femper propenſa ſunt,
uerume tiam quæ funt eiuſdem ordinis ſeipfa mutua quadam charitate com
plectuntur. Simile enim ſimili ſemper adhæret,utinuetere prouer bio eſt. Hoc
autem propterea euenit, quoniam fimilitudo ſeruat ab foluités,diſsimilicudo
uerò contrarium efficit, Quapropter diuinus Hierotheus in hymnis
amatoris,Amorem,inquit,fiue diuinum, li ueangelicum,fiue intellectualem, ſiue
animalem,ſiue naturalem dixe ris,unificam quandam conciliantem facultatem
intelligimus, qua fuperiora ad inferiorum prouidentiam:quæ ueró funt
eiuſdemordi nis, ad mutuam quandamcommunionem:inferiora uerò ad fuperio
rumconuerſionemmouentur. Verùm huncappetitum, qui poftre mòrebus
aduenit,aliuslongè antecedit, rebus adueniens inter exor dia.Principio quidem
diuina ſtatim quàm ab auctoreſunt; in partes proprietates eſſentiales procedere
concupiſcunt. Diuina enim a. &tusprimiſunt; horum uerò abſolutio ſua
functio eſt.Conftantenim diuina exagente potentia, ac ſua functione, quafi ex
calefaciendi fa cultate calefactione cipfumactu calefaciens. Atqz in huncſenſum
lo cutus eſt PLATONE in 10.Libro Reip.dicens,diuina feipfa efficere.Signi ficat
enim ex primo fecundoğactu diuina conftare. Quod etiam len fiſſe ARISTOTELE,ex
his quędicuntur in undecimo Rerumdiuinarū, perſpicuum
eſt.Intellectus,inquit,actus eſt. Actus autem per fe illius uita optima
&fempiterna. Dicimus autem Deum eſſe animal ſem. piternum optimum. Quare
uita &æuum continuum et æternum ineſtdeo. Ineft quod et materiæ primæ
appetitus ad formam: qui quidem amordici poteft, quando quidem merito formæ
boniipfius particeps fit.Eft et alius appetitus, quo res compoſitæ ſibiipfæ
cohæ reſcere amant, optimus eorum conciliator, quæ natura diſsident. Quemſagax
naturæ interpres ſedulò obſeruans, non dubitat capta to cæli fauore poſſe rerum
aſymmetriæ, quæfitex materia, mederi. Virenim naturæ ſtudioſus, quaſi Lunam è
cælo in terram carmini: bus trahens,uim animæ facilè ductilis,utinquitPlotinus,
per cælum generationi inſinuat. Quægeneratio ueluti excuſſo morboin fuam
integritatem farciri poteft.Dehis latius in ſequentibus agendum no biseſt. In
plenumappetitio omnis qua bonum ſibi res adeſſe cupi unt, amor dici
poteſt,ſiueappetitus inanima, ſiuealibiſit, ſiue artis, ſiue uirtutis,ſiue
ſapientiæ, ſiue cuiuſcunqz alterius. Hactenus de eo amore, quipinguiquadam
Minerua nuncupatur. Amor autem qui exacta ratione dicitur,primò quidem diuinæ
animæineft, fi Plotino credimus. Pulchritudo enim in intellectu primùm apparet.
Siigi tur amoror pulchritudinem ſequitur,reſtat utanimæ primò inſit: quæ quidem
intellectui deinceps eſt. Affectat autem anima diuinam pul. chritudinem uſqz
adeo impotenter, ut aliquid pulchrum in fe effi. ciaț. Sed nos longè aliter
diuinum Platonem interpretati, credimus primum amorem cum prima pulchritudine
maximè natura con iunctum eſſe. Quapropter cùm primapulchritudo intellectui
infit, eidem quoq ineſſe amorem; habere autem originem ex
intelligentia,quandoquidem appetentia omnis fequitur cognitionem. Atue rò
diuina anima gemino amore, nonaduentitio quidem& acciden tario, ſed
euidenti &intimo prædita eſt. Nam&perfrui pulchritudi ne,eandemớper
modumſeminis et naturæ in ſeipſa exprimerecon cupiſcit: et in
materiamtransferre affectat idearum participationes. Sed de his in primo
&fecundo libro de Amore ſatis abundèdiſſerui mus, &in ſequentibus
uberrimèdiſleremus. Animaquoquenoſtra præter hos amores dupliciter in pulchrum
aliquod uehementi deli derio inhæret,uelgratia pulchræ prolis procreandæ, quali
pulchrū in pulchro procreari oporteat (atąhicamoranimam in generatio nem
deorſumą trahit )uel gratia recuperandæ ueræ pulchritudinis, quamdeſcendens
nimia generationis cupiditate amiſerat. Quicun que igitur ſpectaculo ſenſibilis
pulchritudinis rectè utitur, is profe. étò facillimèrecuperat alas, quibus ad
diuinam pulchritudinem at collitur. Rectèigiturimmortales, ut inquit Homerus,
Amoremap pellarunt Alationem: quandoquidem amore in diuinum rapimur. Expoſitio
primifermonis,qui Phadrieft: Actenus declaratūeſt quid ſit amor, pingui
Minerua, quid fit exacta ratione nuncupatus. In præſentia uerò reftat uc Phædri
ſermonem aggrediamur, in quo FEDRO non de eo qui proprièeſt Amor, ſed deeo
potius appecitu, qui rebus adue nitinter exordia,principiò uerba facit.
Cornumèrans uerò ea com moda, quibus amoris beneficio participamus, in eum
tranſit amo rem, quiab umbratili, Auxaſ pulchritudine ad ueram pulchritudi
nemnos reuocat.Sedagèdum uideamus,quid Chaos, quid Terra, quid Amorfit,tum in
mundo intelligibili,tum in anima,tuminmun do ſenſibili,in quibus
hæcinueniuntur. Verumàmundo intelligibi liexordiendum eft,modò
priusconſter,Chaoseſſe ubiqellentiæru ditatem: Terramuerò effentiæ firmitatem:
Amorem autem eſſe Ap petitum. Plato in Philebo dicit,primòelle perſeunum ſiue
Deum, ab ii. lo fuere Terminum&Infinitum,quartum eſlemiſtumex his,quod
dicitur per fe ens. Ego uerò Plotinum ſequutus, non puto Termi num et Infinitumelleduas
ſoliditates ſuprà ens,quemadmodúcom miniſcitur Syrianus et Proclus:fed quod
àperfe uno primo profuit; quà eſtactusprimus,& aliquid in fe,dici
Terminuni, quoniam eſt quiddefinitum ac terminatum: quà uerò eſt actus primus,
habens po teſtatem agendi,acper actionem perfici debet,dici Infinitum: quate
nus utrung ſimul complectitur,diciEns. Quocirca rectè à Placone. er N 2
miſtumappellatur, quoniamtermini &infiniti naturaper fe habet.
Chaosigiturin mundointelligibili nihil eft aliud, quàm miſtumex termino ac
infinito, id eft, ipſum per feens,quod ratione poteſtatis dicitur, perfectioniobnoxium.
Poftchaos eſt Terra, quoniam ens ipfum, quodeftchaos,ſtatim fequitur ſtatus
deſignatus per Terram. NamutPlato docet in Sophiſte,mundusintelligibilis
conftat exel ſentia,ftatu,motu,eodem, diuerſo. Status autê nihil eft aliud,
quàm firmitas, per quam fingula manent idipſum quod funt. Quamo brem
autemfirmitas eſſentiæ deſigneturperterram, paulo poſt de. clarabitur. Poft
terrameft amor:nam ens ipſum cùm fit actus pri: mus, perficitur perintimam
actionem,quieſt primus &intimus mo tus,habens originem ab infinito ipſius
entis, ficuti ſtatus eſtà termi. no. Quapropterà Platone motus ponitur in
Sophiſte tertium ele. mentum,utprius ſitens, deindeftatus, deinde motus, id
eſt, interior actio ipſius entis,quæpropriè Vita dicitur. Vnde &Ariſtoteles
in undecimo Rerumdiuinarum actü per feipfius intellectus aſſeruiteſ ſe uitam
optimam &ſempiternam. Inter actionem ac potentiam a. gendi,medius eft
agendiappetitus,principium actionis.Namagen ti prius ineſtagendi facultas,deinde
agere affectat,deinde agit. Ecce igitur quomodo appetitus agendi mediumobtinet
locum inter po tentiam &actionem,cuius eſt principium.Nam potentia omnis,
quç cunc ſit,deſiderat appetitőz ſuum actum. Quod etiam euenitprimæ materiæ,ut
Ariſtoteles ait. Sed de his paulopoft. Rectè igitur dicta eſt, poſt Terram eſſe
Amorem, id eſt, poſt eſſentiæ firmitatem,qui propriè Status dicitur, efle
principium intimæ actionis, quæ Vita appellatur,cùm ſitprimus motus, cuius
beneficio ensin ideas diſtin Ctum eſt.Ex quo patet etiam quomodo
amoranteceditdeos omnes, utinquit Parmenides. Parmenides enim infueuit ſub
Deorum appel latione ideas intelligere. Nam ſiens diſtinguitur peruitam et motū
intimum, Vitæ autem appetituseſt principium, necefle eft appeci tumhuiuſmodi
ideis eſſe priorem. Recte igituramor,quieft appeti. tus,antecedit deos omnes,
ideft,ideas. Sedut ad terram redeamus,a nimaduertendum eft fecundùm
Pythagoricos,ab ideis fuere mathe mata, à mathematis uerò res naturalesnon:
quod uelint res natura les ſecundùm materiam &formameſſe à mathematis (licenim
ſunt abideis )ſed uoluntà mathematis eſſe figuras rerum naturalium, qui
busconftituuntur. Proinde mathemata appellantur à Platone ob ſcura
intelligibilia,quoniam pendent ab ideis, quæ funt clara intelli gibilia:ſicuti
corporum imagines et umbræ,quæ funt obſcura ſenſi bilia,à corporibusnaturalibus
pendent,quæſunt ſenſilia clara. Sed de his latius in fexto de Rep. Rectè igitur
ex proprijs figuris rerum natu. FC
naturalium Placo in Timæodeſignat earundemingenium. Propte: reaignem et terram
ac cæteraid genusex triangulis componit.Ari ſtoteliquoqs placet,naturalianon
ſine accidentibus quibuſdam de. finiri, quemadmodum patet in quinto Primæ
philofophiæ, quem iuniores fextum exiſtimant. Idem quoque aſſerit Plotinus. Sed
quorſum hæc: Nempeutintelligamus, per proprias rerum natura lium figuras
delignari rerum ipfarum naturam. Atqui palàm eſt, teſ ſeramelle propriam terræ
figuram, quæ ineptiſsimaeftad motum: quo fit,ut recta ratione terraſignificet
firmitatem. Quodetiamex eo conijcere poſſumus, quoniam terrà tanquam immobilis
eſt totius centrum. Vnde et PLATONE in FEDRO, Sola, inquit,in deorum æde manet
Veſta. Siigitur terræ ſuapte natura debeturteffera, terrauti que
ſtabiliserit.Vnde &Plato in Timæo componit folam teſſeram ex triangulisduum
æqualium laterum rectangulis, ut eius oftendat admotumineptitudinem. Verùm
dehis fufius in TIMEO. Terrai: gitur firmitatis prærogatiuamubiq præ ſe fert.
Hec quidem de mun do intelligibili. Animauerò ab intellectu primo prodit,
ſicuti intel: lectus ab ipſo perſeuno, fi Plotino crédimus,ńső,qui Plotinum ſe
cuciſunt, Porphyrio et Amelio, quanquam Syrianus et Proclus alio ter fenciant.
Dionyſius quoq et Origenes contendunt, ab ipfo per ſeuno eſſe cummentem,tum
animam,tum materiam, Chriſtianum dogma potius quam Platonem ſequuti. Anima
igitur cùm ſit ab in tellectu,ut inquit Plotinus,primofuzeproceſsionis momento
inſig. nis prodit idearum notis. Prodit quo® intelligendi prædita facul tate
Nam quemadmodum intellectus ab ipfo per feuno procedens inde fecum affert
unitatis participationem(quod ſummum eſtipſius intellectus, et quo ipſum per ſe
unum attingit) ſic et animam proce dens ab intellectu indeſecum affert
facultatis intellectualis idearum que participationem.Ergo anima primo ſuæ
proceſsionis momento habet idearum expreſsionem, habet et facultatem
intelligendi, qua non folùm intimasnotiones,uerumetiam ideas intueatur. Sic
enim intellectum auctorem exactè refert.Non continuò tamen perfecta a nimadici
poteſt,quandoquidem debet habere aliquid proprium ac ſuum.Atqui intellectus
etli primo ſuæproceſsionismomento per ſe unius participationeunum eft: per
intimam tamen ac primam actio. nem, quædicitur per ſe uita,cuius ope ſeipſum in
ideas diſtinguit, quaſi Geometria in ſua Theoremata,per ſe animal efficitur:per
in telligentiam uerò uitæ ſummum,përſe intellectus, ac mundusintel ligibilis.
Sic &in anima, quæ primo ſuæ proceſsionis momento fa cultate intelligendi
ideiső participac, quaſi cæra imprimentis ligno, intimailla prima ac ſua actio,
per quamfeipfam in rationes diſtinguit, ac per quam propriè animadicitur,uita
eſt participarò, mo. tus autemper fe.Cuiusſummumeſt ſecunda participatione
intelle, ctus, ratiocinatio autem perfe. Quo fit,ut inſtar intellectus ſit orbi
cularis. Intellectus enim circulus eft. Dicitur autem propriè motus, quoniam
fecum habet et tempus. Quemadmodum enim primus motus eft in anima, ſic et primum
tempus. Nec quenquam pertur bet in eadem eſſentia animæ idearum
participaciones, hoceſt, no tionesipfas,acrationes formisrationeqz diſtinctas
eſſe. Namintelle. ctus et ratiocinatio in eadem anima, quorum alter in
participacio. nesidearum,altera uerò in rationes dirigitur,formæ quoque ratio
nisis diſcrimen inter fe habent. Differunt autem notiones à rationi.
bus,quoniam notiones (ſicenim voipatæ præanguſtia linguæ appel. lamus: ſicuti
aéyous rationes ) tanquam impartibiles acfimpliccs latent in penetralibus
ipſius animæ, ſoliintellectui obuiæ. Rationes uerò multiplices explicatæớz ſuntſimiles
ratiocinationi, cum qua habenc affinitatem. VtræQ tamen ſunt tum ſibiipfis,tum
animæ ſubiecto i dem. Intellectum, quianimæ ſuus eſt, Ariſtoteles appellat
intelle. et tum agentem,ratiocinationem uerò intellectum potentiæ,quidiui.
duuseltacdiſcurſu agit.Omnes enim animæſuo quæqmodo intel lectu auctoreacprimo
participant,qui omnibuscomuniseft,in quo tanğzin centro lineæ
copulantur.Atqideft,quod rectè inquit The. miſtius,deſententia ARISTOTELE, unum
eſſeagentem intellectum illu minantem,illuminatos autem ac ſubinde illuminantes
complures. Vnum,inquam intellectum agentem,quoniam eſt unus,qui reuera acprimò
eſt:complures autem, qui ſunt animarū, illuminati quidē, quoniãprimi
intellectus particepes ſunt: illuminantes uerò, quoniã ex his principia
hauriunt potentiæ intellectus. Verùm de his alibi exquiſitius.Ergo anima primo
ſuæproceſsionis momento etli inſig. niseſt idearum participationibus,etliprædita
eftintelligendifaculta te,quoniam tamen nondūin eam actionem prorupit,quain
ſuas rati ones interius diſtinguitur,nondumin eam, quaeaſdem.proſequitur
perpetiambitu, quibus propriè anima cognominatur,Chaos dici poteft.Eftenim
Chaos,utdictum eſt,effentia rudis. HocautēChaos fequitur Terra.Nam animæ
eſſentia etſimotuieſt obnoxia (perpe tuò enim tum generatur,tum interit,ut in PARMENIDE
DI VELIA dictüeſt, quan doquidem motus repetita quadãuiciſsitudine conficitur)
ſemper ta menmanet,necmotudiſperditur. Amorautem eſtappetitus prorū. pendi in
motum: quo tum diſtinguitur in ſeipſa, tum etiam abſolui-. tur.AmoritaQ
cùmprincipium ſit racionā,rationes autem ſintidea rum ſimilitudines,meritò
dicitur deosantecedere.Hæc quidem dea. nima. In mundo autem ſenſibili Chaos
materia eſt,quam Plato in Timæo temere agitatam Auitantem
appellat:materia,inquam,omni no expers formæ,ſuapte natura, acſpuria quadam
ratione cognobi lis, ut in Timæo dictum eſt.Idautem nihil eft aliud, quàm
cognobi lemeſſe per comparationem ad formam,ut Ariſtoteles inquit. Hæc materia
abeſtab omniperfectione, omnino deo contraria, ut Plato ait, infimum ac fæx
totius proceſsionis, infra quam duntaxat ipſum nihil inuenias,principium omnis
aſymmetriæ. Vnde& Plotinusi, pſum per ſe malumappellauit. Huic nonnulli
putant ineſſe poten tiam,perquam formæ ſubijciatur.Sed mea quidem ſententia
mace ria eiuspotentiaomninoidem ſunt. Nam per defectum totius per fectionis
eftunum: ſicuti deus perexceſſum eſtunum.Ad hæc, condi tionis formalis aliquo
modo particeps foret. Cùm igitur ſit unum per defectum,eo quòd careat omni
perfectione: erit etiam obnoxi generis, cùm citra auſpicia formæ uel
extrinfecus aduenientismane renequeat. Profecto quaeſtunum per defectum, et cafus
abente, di citurmateria: quàuero eſt obnoxii generis,dicitur ſubiectum, pro
pterea quòd ſubeſſe debet. Vnde et Plato ueluti matrem appellauit in Timæo,eo
quòdrecipiat. Ariſtoteles quoçidem cognomentum materiæ tribuit, quando ſubeſt.
Sic fortèmelius, quàm ut Themiſtio uiſumeft: cui placet,materiam eſſe earum
rerum, quæ nondum faétæ aut ortæ ſunt:ſubiectum uerò earum, quæ iam ſunt actu:quo
fieri,ut materia fit cum priuatione, ſubiectum cum priuatione non ſit. Sub
iectum itaq dicit tum firmitatem, tum etiã potentiam priuationém que.Firmitatem
quidemdicit, quoniam ſubiectum generationis ma nes,contraria uerò abeunt, ut
Ariſtoteles inquit. Fitenimex aere ig. nis, non quà eſtaer, ſed quàaccidit ei
ut ſit aer. Potentiã autemdicit, quoniam performã perfici poteſt: non enim
fecus fit boni particeps: quo fit,ut formam uehementiſsimèappetat. Eſt enim
forma diuinū &bonum &appetibile,ut Ariſtoteles inquit. Hisita
perſpectis, patet materiam, quà eſtunum, per defectūtotius perfectionis eſſe
Cha. os.Eius autem firmitas deſeruiens generationi, Terraeſt. Appetitus autem
formæ recta ratione amordici poteſt.Rectèigiturdictum eſt, in mundo ſenſibili
uia generationis primoeſſe Chaos,deindeTerra, poſtea Amorem ſequi.Patetquocßex
his ſententia PARMENIDE DI VELIA. Nã uia generationis, priorineſtmateriæ appetitusformæ,
quàm forma. Forma autem ideæ participatio eſt in materia.Quapropter ſiidea de
usdicitur,fecundùm Parmenidem, idegutiớparticipatio,hoceft,for ma,dicetur
diuinum. Amorigitur,hoceft
formæ appetitus, Deosi plos,ideft,diuinas participacionesmeritò dicitur
antecedere. Dictú Auñ eft hactenus, quid Git Chaos,quid Terra,quomodo
amorſitantiquiſfimus; atqid tumin mundo intelligibili, tumin anima, tum in mun
do ſenſibili. Nunc uerò ea commoda uidenda ſunt, quæ ex
amore nobis eueniunt. Animaduertendumtamen eſt,uirtutes eſſe animæ noftræ
purificationes. Animaenim dumingenerationem delabitur,morta li hoc eđeno
inficitur, neglectis plerunq; diuinis, quorum cognata eft:quodin decimo de Rep.
diuinus Plato indicat, dicens, animas quæueniuntin generationem, ſumpto potu ex
Amelita flumine ad CampumLethæumdeſcendere. Significat enim ex materiæ com
mércio animis alioqui diuinis ineſſe negligentiam obliuionemére. tum diuinarum.
Reuocatur igitur anima tumin ſui ipſius curam, tumin memoriam diuinorum,miniſterio
uirtutum,quarumbenefi. cio maculas abñcit, quibus ueluti inuſta erat propter
materiæ for. des.Vnde &Ariſtotelesin ſeptimo libro de Naturali auditu
dicit, perturbationes in nobis fedari quandoque natura, utpueris euenit, quando
@ ex alñs, SIGNIFICANS uirtutes, quarum opè perturbationes excutiuntur.Ergo
amorcauſanobis eft uirtutumomnium,quarum beneficio maxima bona conſequiinur,
hoc eſt, ipſam ſapientiam. Namſapientia ex moribus ſuſcipit incrementum.Veritasenimpræ
ſtò animæ fit per uirtutes expurgatæ, inftarauri quod igne defæca tur. Quod et Ariſtoteles
quo et clara uoce afſeritin ſeptimo deNa turali auditu. Sedquamobrem amor
uirtutum nobis cauſa eſt: An prior nobis ſénſiliū cognitio ineſt approbatiocs,
perinde ac libona fint: quo euenit, ut fiant expetibilia: hanc fequitur
appetitus(fierie nim nequit,appetitum nonexpetere idipfum, quod ueluti bonum à
ſenſu comprobatur )hunc ſequitur proſequutio. Appetitus enim principiummotus
eſt. Vnde&Ariſtoteles in tertio libro de Ani ma progreſsioneni animalium
imaginationi appetituig acceptam refert. Voluptas autem profequutionis
conſequutionisfruitioniſą eft finis. Illa igitur uirtus,quæanimæ cum appécitu
conſentienti mo dum legemő indicit proſequendi expetibilis, Ciuilis appellatur.
Quæuerò ita confirmat animam,Pombaiam profequutionem abomi. netur, Purgatio.
Atquæita defæcat, ut ab expetibili uix commo ueatur, iure Sanctitas dicipoteſt.
hæc nos deò nonhabenti uirtu tem, (ut inquit Plotinus, alioquiflagits eſſet
obnoxius:quodeti. din fatetur Ariſtoteles, eiuső enarratorAlexander
Aphrodiſiæus) hæc inquam, nos deo fimiles facit. Vnde et Plato in Theäteto, Fu.
ga, inquit, hinc ad deum, iplius dei fimilitudo eft. Similitudi nem uerò
iuſticia et ſanctitas cum prudentia præſtant. His ita perſpectis, uidere
poſſumus; quomodo amor uirtutum cauſa. lit. Quod Phædrus adſtruere contendit.
Pudor, inquit, reuo cansnosà turpibus, præter hæc æmulátio ad honeſta inultans,
nobis fternit muniti uiam ad præclarè rectei uiuendum. Altera e nim dū in
honeſtis ſuperari neſcit, alter ueròeuitando extrema, ſem per habet ob oculos
mediocritatem.Quoeuenit, ut quicquid magni præclarię efficimus, horum ope
efficiamus. Quid aucem amore promptius aut in nobispudorem excitat, aut
ſuſcicatçmulacionem: Amorenimuel abiectiſsimum quemq, licgnauum reddit ad uirtu
tem conſequendam,ut numine percitus uideatur. Amorquoq; fica mans amatúmque
inſtruit, utnon æquè ſibi erubeſcendum ducant, quàmſialterum ab altero
ſcelerisacfocordiæ iure coargui poſsit. Ha ctenus adſtructumeſt, Amoremuirtutes
ciuiles efficere, atqz id fyl logiſmo &ratione. In præſentia uerò
adſtruendum,ex eodem quo que eſſe cum purgatiorias,tum etiam purgati animi
uirtutes: quarü beneficio ſapientiæ acfelicitatis participamus. Cuius quidem
rei Al ceſtidis atop Achillis fabula admonemur. Operæprecium uerò eſt noſſe
prius, animam trahi in generationem affectuuitæ ſenſibilis, cu ius lenocinis
impura redditur:aſcendere uerò ad diuina affectu uitæ intelligibilis, quæ
inprimisanimæpuritatê exigit. Vitæ quidem fen fibilis ſummumeſtopinabile, in
quo nihilconitantiæ, nihil firmitatis inuenias. Atuita intelligibilis
ubiqueritatem præſefert. Sed dehis latius agemus in fequentibus,ubi
declarabimus, quid aſcenſus deſcen ſusţzanimæ ſit, quid ſibi Plato uoluerit in
decimode Rep.dicens, a nimas in generationem deſcendere per Cancrum, per
Capricornum uerò ad diuina aſcendere. In præſentia uerò fatis ſitgeminum huncaf
fectum geminæquoquitæ nobis auctorem eſſe. Sed iam fabulæmy ſterium
aggrediamur. Alceſtis, inquit, Peliæ filia amans Admetum uirum,pro eo mori
uoluit. Dijuerò facinore delectati, eam ab infe ris in uicam reuocarunt.
Alceſtidem puto eſſe animam, quęiaminue ritatem incumbat. Admetum uerò credo
ipfas eſſe ſenſibilium notio nes, quibus anima ad uera intelligibilia
excitatur: impuritate uerò ſenſibilis uitæ impedita,eis rectèuti nequit.
Quapropter ſenſibilem uitam exuendam intelligit, quamfibi deſcendens in
generationem induerat, alioqui nunquam uoricompos euaſura. Hinceſt,quòd mo ri
Alceſtis dicitur.Dij uerò in uitā reuocarunt. Quandoquidem de. poſita ſenſibili
uita, in ſuam puritatem reſtituta eſt.Qua igitur mori tur, hoc eſt,quà exuit
ſenſibilem uitam, uirtutibus purgatorijsinniti tur. Namexuere uitam ſenſibilem,
nihileft aliud, quàm animam ita defæcari,ut ne ipfam quidem admittat
expetibilisproſequutionem. In quo uirtus purgatoria conſiſtit. Quà uerò in
puritatem reſtitu. ta eſt,prædita eſt uirtutibus animi iampurgati. Virtus
enimhuiu £ modinonin purificatione,fedpotius in ipfa puritate conſiſtit. Purifi
'catio enim motio quædameſt. Atpuritas motionis terminus. Con fummatio
igituruirtutis potius in termino motionis, quàmin ipſa motionecõliſtere debet.
Sititaqß puritas confummatio uirtutis, qua quidem diſcimus etiam abipfo
ſenſibili uix commoueri. Præclarum utic eſt &longèmaximū,& quod longo
uſuacdiuina quadam ſor teuix comparatur, neceſſariūtamen ad fapientiam
felicitatem con fequendam,ita paratuminſtructumós eſſe,ut corporeas tantùm fen
tias affectiones,cetera prorſusabiunctus.Longè uero errat,quicunos
Orpheumimitatus, exiſtimat, dum ſenſuum lenocinis delinitur, fim bi in
ueritatem patere aditum. Hicenim ſenſibilium notionibus,qua tenus
ducuntadueritatem,uti nequit, ſed quà ſunt duntaxat ſenſibi. lium. Quo euenit, utumbras,hoceft,fimulachrū
Eurydices captans, falſis opinionibus diſtrahatur.Iure igitur Orpheum
fürentibusfae minis dilaniandū irati di propterſcelus expofuerunt. Verùmquid
euenit animæin puritatem iamredactæ. An talem uiteſtatum ſapien tia
ſequituradhæſioc in deum, quod ſuum cuiusqz bonumeſt: Ani maenim adminiculo
utitur ſenſibilium ad ueritatem conſequendă. Nam ſenſibilia imagines ſunt rerum
diuinarum. Vnde et ACCADEMIA in TIMEO (si veda) idem fermètribuitanimæ diuinæ
ingeniū,quod priusin mun. di corporeexplorauerat, ut à Simulachro, tanſ ab
inſtrumentoad exemplarrectè fiat aſcenſus. Ergo ueritatemintelligibilem
plerungs accedimus adminiculo ſenſibilium: quorum notiones in ipſa intelli
gibilia excitantanimam.Dimittimusautem ſenſibiliūnotiones,ubi
primumintelligibilia conſecuti ſumus, ex quorum contactu fapien tiamreportamus.
Sapientiã uerò felicitas bonumo conſequuntur. Dehis uberrimèin Socratis
oratione agendum nobis eſt. Horumſa nè Achillis Patrocli (fabula nosadmonet.
Achilles, inquit,mortuo Patroclo amante mori uoluit: diuerò admirati facinus,
non ſolum in uitam reuocarunt,uerumetiam beatorum inſulas deſtinarunt illi
habitandas.Patroclum puto animamipſamaſcendentem ad uera itt telligibilia
adminiculo ſenſibilium. Achillem uerò ſenſibilium notio nes in anima. Mortuus
eft Patroclusamans, id eft, eò ufog proceſsit anima,ut non amplius ſenſilium
notionibus indigeat,quibus innita tür.Quo fit,ut ſenſilium notiones uſui
deſinantelle animæad intelli gentiam comparandā.Hinceſt quòd mori Achilles
dícitur. Dij uerò huncuolunt reuiuiſcere,quoniam animæ pro notionibus
ſenſibiliú fiuntobuia ipſa intelligibilia:unde fapientia comparatur. Ex ſapien tia ueròfelicitas
euenit et bonum,quod eſt beatorum inſulas Achilli habitãdas deſtinari. Sed quomodo dicitur amansamato pręſtantius eſſe: An
ſi comparetur uisintelligendi ad id quod intelligitur, longè I melius.
meliuseſt id quodintelligitur. Intelligibile enim mouet nõ motū, ut Ariſtoteles
inquit in undecimo Rerum diuinarum.Mouet enim tan quamamatū. At uerò
intellectus ab ipſo intelligibili mouetur. Vis enim intelligendi producit
actionem in ipſum intelligibile, quæ intel ligentia appellatur.Ex quo diuinus
Plato in ſexto deRep.dicit,ueri tatem intelligibili, ſcientiam uerò intellectui
ineſſe.Quodetiam uolu iſle Ariſtotelem alibi declarabimus. Licetin ſexto
inſtitutionū Mo ralium aliter ſentire uideatur. Sin uerò ſenſibilium notiones,
quibus anima in uera intelligibilia excitatur,comparentur ad eam facultatē, qua
intelligimus,quisambigat longè minoris eſſe æſtimandas: Pen dencenim à
ſenſibilibus, ſuntázanimæintelligenti aduentitiæ. ACCADEMIA igitur quando
dicitamatum eſſe deterius amante, non deipfo intel, ligibili
intelligit(quodreuera amatumeſt: id enim longè pręſtat)ue rum de notionibus
ſenſibilium inanima, quæ &ipfæ propterea ama tum dicuntur,quoniam uſui
ſuntanimæ ad uerum intelligibile con ſequendum.Hæfanè intelligente animalongè
ſunt deteriores. Cu ius rei indiciūeſt, quòd intelligens anima affinitate
coniuncta eſt cũ ipſo intelligibili.Intellectusenim,ut rectè inquit
Ariſtoteles, rerum intelligibiliumeft,eiuſdem @ eſt utrunca contemplari.
Quandoqui demeadem contemplatio eſtomnium ita coniunctorum, ſicuti etiã ſenſus,
&rei ſenſibilis. Quo euenit,ut deſiderio agatur ueritatis. Ato ideſtquod
inquit ACCADEMIA, AMANTE propterea amato præſtantius effe, quod diuino furore
agitur. Verùm quid ſibiuult Plato dicens, longe magis dijs cordi eſſe,ubi
amatum, in gratiam amantis moritur, quàm ubiamansin gratiam amatirAnmoriamansin
gratiam amati, nihil eſt aliud, quàm animam incumbentemin ucritatem, abijcere
uitam fenfibilem,ne ſenſilium notiones, quæ ſuntuſuiad ueritatem compa randam, irritæ
ſint: Amatumenim ſenſiliūnotiones SIGNIFICAT. Quod exeo aſſeritur, quoddictum
eſt,amatum amante eſſe deterius. Fiunt autem irritx, filieimpedimento
ſenſibilis uita. Amatū uerò moriin grati amamantis, SIGNIFICAT notiones
ſenſibiles uſui non eſſe amplius, quòd intelligens animain ipſam ueritatem
intueatur: quod re uera amatum eſt. Siigiturmulto plus eſt omnino negligere
notiones ſen lilium, intuente animaueritaté, quàm deporre uitam ſenſibilem, ut
notiones ſenſilium ad ueritatem uſui ſint:multo plus utiq; erit, a matū pro
amante, hoceſt, Achillem in gratia Patrocli: quàm amans pro amato,hoceſtAlceſtidē
in gratiam Admeti mori. Quapropter quid mirūgli Achilles ad maiorem honorē
cuectus eſt: Anima enim exuero intelligibili non ſolum ſapientia, uerumetiam
ipfam felicita temreportat. Quod quidem eſt, Achilliin uitam à dis reſtitu to
beatorum inſulas habitandas deſtinari: cùm Alceſtidi in uitam reuocari ſatis
fuerit.Vlo tur expoſitio. ) Voniamà Pausania dictum eſt, totidem eſſe AMORE,
quot ſunt Veneres:oportetexplicare in primis Vene rem, quideaſit: alioqui philoſophia
AMORE (quod qui dem in præfentia quærimus ) lateat nos neceſſe eſt. Plotinus
igitur putat, Venereineffe ipfam animam, proindecaulamamoris efficientem. Sunt
etiam et alij, qui aliter ſen. tiunt,magnialioqui uiri, ſed quos in præſentia
dimittere conſilium eſt. Vir enim fapientiæ ſtudioſus,ut inquit Dionyſius,
ſatis ſibi factu cenſere debet,ſinon alios laceſſendo,fed quàm ualidis poteſt
rationi bus,quam putateſfeueritatem,audacter aſſerat. Ego uerò Hermiæ libenter
aſſentior, qui credit per Venerem pulchritudinē ſignificari. Argumento, in
Phædro dictum eſſe furorem amatorium, et optimū effe furorum omnium, et ex
optimis. Exoptimis quidem, quoniam ſenſibilis pulchritudo,à qua amor excitatur,
optima ac præſtantiſsi ma eſtomnium, quæcunq ſenſui offeruntur: nam et exquiſiciſsima
diuinorum ſimilitudo eft, quæ optima ſunt, et ſenſui omnium perſpi caciſsimo
ficobuiam.Viſusenim alios ſenſus longè ſuperat. Cùm e. nim cæteri ſenſus,uel fi
nulliſint uſui,cognitionis gratia per fe expeti biles ſint,ut Ariſtoteles
inquit:præ ceteris tamen uidendi facultatein optamus, quippe qua exquiſitius
cognoſcimus. Quapropteruiden di facultatem ad intelligentiam traducere
folemus,ut etiam intellige reuidere ſit. Quod &Ariſtoteles indicauit. Nam
et in tertio uolumi ne eius libri,inquoadſtruendi deſtruendic locos docet, et in
primo de Moribus adNicomachum, Sicut,inquit,pupillain oculo,licintel lectus eſt
in anima.Patet igicuramorem ex optimis eſſe, cùm ex pul. chritudine ſenſibili
excitetur,quę optimaeſtomnium quæcunq hic ſunt. Optimum autem eſſe facile dabit
is, quem non latuerit intelligi bilem pulchritudinem, cuius eſt
Amor,indagancibus bonum obuia fieri: quippe quæ boni penetralia ingredientibus
in ueſtibulo occur rat.Siigiturfuroramatorius tumexoptimis eſt,quodexcitatur
ſen fibili pulchritudine:tum etiam opcimus, quoniam in pulchritudi nem
intelligibilem dirigitur, huius autem patrocinium Veneri cri butumeſt, ut PLATONE
inquit in FEDRO: quoniam dij alij alñs furori bus præſunt, Mulæpoetico, Apollo
uaticinio, Myſterijs autem Bac chus: ſicúz Amor, qui Veneremcomitatur, pulchrorum
dux puerorum, eorumſcilicet animorum, quos pulchriuehementer prouocat
{pectaculü: quotuſquiſpambigat, perVenerempulchritudinem in. dicari: Nuncuerò
quid ipſa ſit Pulchritudo uidendum eſt. Quod pulchritudo ſitex eorumnumero,
quæmodum habēt qualitatis,uni cuiqué palàm eſſe poteft. Quòdautemmodum habeat
eius qualita tis, quæ uidendifacultati obuia ſit,idquoqueperſpicuum puto.Nam
&pulchritudo ſenſibilis ueræpulchritudinis fimulachrum ab una uidendi
facultate percipitur. Ea uerò qualitasuiſibilis, quæ fecüdum ſuperficiemexcenta
eſt,Colordici poteft. Quæuerò nullam patitur extenſionem, ſed temporis puncto
ubiquediſcurrit, Lumen appella tur. Eft et alia qualitas uilibilis,quæ tanquam
imago acflos ellenti alis perfectionis allicit rapítque in borum.Id igitur
quodhabetmo dum eius qualitatis quæ uiſui obuia eſt, imago acfloseſſentialis
per fectionis,alliciens rapiens in bonum,reuera eſt Pulchritudo:quod que huius
particeps fit,Pulchrum appellatur. Cæterum pulchritudi nieuenit, ut delicata, utiucunda,utamabilis
ſit. Delicata,eo quodfe. quitur perfectionem eſſentialem.Iucunda,eo
quòddelectat. Amabi. lis,eo quòd allicit rapita.Hincpatet,quàm hallucinationis
coarguê dinon ſint, quiafferuntpulchrum à bono differre, tãquam extimum ab
intimo. Eſto pulchrum omnebonum eſſe: neque tamen uiciſsim. Quid tum poftea.Num
continuò ſequitur,bonum quidem genus ef ſe, pulchrūuerò ſpeciem? Alioqui&
ſapiens,& iuftum, et perfecta &cetera generis eiuſdé,boniquo ipfius
ſpecies eſset. Sapiensenim omnebonumeft, ficédecęteris: nõtamen
uiceuerſa.Nūcuerò neck perfectum, negiuſtum, ne s fapiens boni ſpecies ſunt, alioquieſſent
quoqſpecies unius. Simpliciſsimum enim optimúmg in idem cõſpi rant:non minúſą
Vnius participãt omnia; quàmboni. Atquotuſ quisqaſſeruerit,unum
eſſegenus,fiquidem genus totum eſt: totum uerò partibus obnoxium: Siigitur unum
eft genus,non utiqueerit citra partes. Atuerò unumomnino &undequaque
impartibile eſt, quemadmodum in Sophiſte declaratur. Sedagedum ſidetur bonum
eſſegenus, quídnam id poterit:Nónneperfectio eſsentialisactuseſt: Quodexeo
patere poteſt, quòdeſsentiæ beneficioomnia ſunt id ip ſumquod ſunt. Viuensuitæ
beneficio uiuens eſt. Quo euenit,utuita uiuentis actus ſit. Animabeneficio
motusanima eft: fed quocuſquif queambigat,motumeſse animæ actūł Ignis beneficio
formæ ignis eſt. Tuncenim reuera eſtignis,cùm primūignis formamactu habet. Quis
autem non uideat formam actum eſse ignis:Quoeuenit,utre Eta ratione dici
poſsit, perfectionem eſsențialem actum eſse. Actum autem omnemeſse bonum, neminem
inficias iturum puto, quando quidemi merito actus unicuiqz bonumineſt.
Nónneignieſseignem; bonumeſt:Atquis ambigat per formam,quieſt actus,
ignemeſſeig nēNónne quo anime eſſe animā,uiuęciéeſſe uiuens, bonüeſt: Ve
rùmalterūbeneficio uitæ,altera beneficio motus, quorūutergeſta ctus,id euenire
palàm eſt.Exñs patere puto, perfectionem eſſentialē bonüeſſe,uiciſsimo
bonüaliquodeffentialem eſſe perfectionê.Quii gitur affirmat, pulchrumàbono
differre, tanquam extimum ab inti mo,etſi nõibit inficias, fibonuminuniuerſum
accipiatur, pofſe dari, gracia diſſertationis, idipſumgenus effe:contender
tamen,fedebono uerba facere, non quatenus in uniuerſum ſimpliciter accipitur,
fed quatenus particulare definituma eſt,ſuam præſe ferens duntaxateſ ſentialem
rerum perfectionem. Atque id quidem affirmat recta ra. tione. Nampulchritudo
ingenium modumýzhabens accidentis,re uera extimaelt,quodab ipfa
rationeexploditur. Atperfectio eſfētia, lis, quam ſequitur pulchritudo, reuera
intima:quod ex co aſseritur, quoniam unum quod ąeſſentia conſtat. Hinc quidem
uidere poſlu. mus,primā pulchritudinem neğz efle ideas,necin ideis. Ideas enim
ab omniaccidentis ingenio procul eſſe perſpicuumeſt. Namipſum per ſeensin ideas
diſtinctumeſt: quaſi Geometria in ſua Theorema ta. Quemautem lateat Theoremata
non eſſe geometriæ accidentia: Sed ſubeft quærere, ubi nam&quo pacto
lintideæ. Vtrumânt in eo,in quo ſunt,uel tanquam forma in materia, uel
tanquamaccidés in ſubiecto, uel tanquam in caufa effectus, uel tanquam actus in
eo quod perfici debet,uel-tãquam totum in toto,uel totum in partibus, uel pars
in parte, uel parsiu toto.Fieri enim nequit,ut fecus in aliquo aliquid ſit.
Namgenus &ſpecies totius partium (habent ingenium. An ex diuiniPlatonis
fententia,ideas eſſe in ipfo perfe animalidicen dumeft:Namin Timäo aperta uoce
aſserit,Opificem munditot for mas mundo exhibere,quot ſpeciesmensuideratin ipfo
per ſeanima. li.ex quo patet, idearum diſcrimen in ipfo per ſeanimali primò
eſse. Reliquumeſtutuideamus, quo pacto in ipſo per feanimali ſintidex. Anueluti
forma inmateria eſse nequeunt. Non enim per fe animal materia eſt, quando
alterius beneficio noneſtactu. Sed neque tano accidens in ſubiecto. Quis enim
contendat ideas eſse accidentia, quando idearum ſimulachra foliditateseſse
perſpicuum eſt,utignis, et terra, et cætera generis eiuſdé:Non ſuntquoq
tanquãin caufa effe. ctus, quandoquidemeſsent poteſtate. Nücuerò ideæ acti
funt. Quo modo autem eſse poſsunt tanquam actus in eo quod perfici debet?
Namper feanimal uita ipfa,non ideis, tanquam actu animaleſt. At nequetanquam
totum in toto, neque tanquam totum in partibuseſ ſe dicendum eſt. Non enim
totum ſunt ideæ, quoniam multitudini ſunt obnoxiæ. Totumuerò unumeft. Nónneſi
tanquam partemin parte 1 parte eſſe conMilanius,
oportet quoque nos concedere, tam per ſea nimal,quàm ideas,alicuius totius
partes eſſe: Atcuiúſnam pars fu eritipſum per ſe animal:Reftatigitur, ideas
eſſe in ipfo per fe animali tanquamin toto partes. At id eft, quodin
Timæodiuinus Plato fi bi uoluit,dicens Opificēmundi tot formas mūdo èxhibere,
quot fpe cies mènsuideratin ipſo per ſeanimali. Quemadmodum enim forme quas
mundo exhibuit mundi Opifex, continentur in mundo, tano in toto partes:ficetiam
ſpecies, quas mundi Opifex eſt imitatus,in ip ſo per le animalicontineri
pareſt. Abipſo autem per ſèuno procedit primò ens: quodintima
functioneabfolutum, quæ uita dicitur,fit per ſeanimal. Vitaenim uiuentiseſt
actus. Ipſum autem per ſeanimalui tæ beneficio cùm totum ſit, in partes quoce
diſtribuatur neceſſe eſt. Totumenim& partes ſimul ſunt. Quapropteripſum per
ſe animal quemadmodum habet exuitauc totū ſit,ex eadem quoqhabet,ut ſe ipſum
diſtinguat in partes: partes aüt huiuſmodi ideæ ſunt. Ex quoli cetadmirari
nõnullos: quicõminiſcunturideas aduenire extrinfecus ei in quo funt,tãquam actü
informi naturæ. Quo genere peccarenul lummaius poſſunt, qui amant uideri
Platonisftudiofi.Hecdiximus, nõſtudio quempiã laceſſendi (quod à uiro
philoſopho alienum ſem per duximus) fed quoniam ſunt nonnulli, qui dum alteros
auidius quàm decetinfectantur, nõ cômittuntutipſiiurenõ poſsint coargui.
Nãduxnoſter Marſilius, etſi alicubi dicitideas excrinſecus accedere,
Chriſtianis fortè quibuſdam adftipulatus:ubi tamen exactèrem Pla tonicam tuetur,longè
aliter ſentit. Exhis quædicta ſunt patere arbitror, primā pulchritudinem non
efle ideas, quemadmodum non nulli ineptèaſſerunt. Sed neçetiam effe primò in
ideisin præſentia declarandumeſt. Plato in Timæo di cit mundum eſſe
pulcherrimum omniumquæcunq genita ſunt: eſse autemalicuius ſimulachrum,
quodratione ac fapientia ſola comprehendi poteſt: adhæcmundumpulcherrimum
natura opus optimum que eſſè: effe, inquam, animal animatum intelligens.Ex quo
intelli, gere poſſumus, de Platonis fententia,id exemplar quodmundi Opifex est
imitatus, tūanimal eſſe, tum etiã pulcherrimum. Quapropter pulchritudinem primò
eſſe ipſius per ſe animalis,non idearum: nam ipſum per fe animal ideas
antecedit. Adhæc, ſi pulchritudo exuberan tia quædamexterioreſtintimæ
perfectionis: intimauerò perfectio ne ipſum per ſe animal fit: quis non
uidet,ipſius per fe animalis prima pulchritudinēeſſe: Quomodo igitur idearu:
Dehis tum paulo poft diſſerendūnobiseſt, tūetiã in libro de amore ſatis
abūdediſſeruimus: Hactenus oſtenſum eſt, quid Venus SIGNIFICET, quid ſit
pulchritudo ubiſit. In præſentia uidendum eſt, nunquid pulchritudo materia
ſitamoris,an potins finis. Nonnulli ſunt, quidicantde Platonis fen tentia,pulchritudinemeſſe
materiam AMORE. Nampulchritudo cau fa eſt amoris,non tanquam principium
efficiens eius actus qui eſta mare, fed tanquam obiectum.AtueròſecundumPlatonicosactuum
animæ animaipſa eſtefficiens:obiecta uerò ſuntmateria, circaquam
actumillumproducit anima. Quaproptercum hacratione pulchri. tudo materia ſitamoris,propterea
Venusdicitur amoris mater.Nam materiam eſſe tanquammatrem,efficiensuerò tanquam
patrem,con tendunt Philoſophi. hæcilli ferèaduerbum. Sed non poſſum non
uehementer admirari, quihæcproferunt in medium, uiri alioquigra ues &magni,
&quos arbitror nihillatere potuiſſe, in his præſertim quæ pertinent
adintegram caſtamos Platonis Ariſtotelisęzintelli. gentiam. Non ſolum enim quæ
dicta ſunt,Platoni Ariſtotelicpug. nant, uerùm etiam pugnant &rationi,
pugnant quoque&his quæ ab eiſdem alibidicta ſunt.Primò quidem Plato in
ſextodeRep.libro dicit, fjs quæ intelliguntur inefleueritatem:intelligentiuerò
ineſſeſci entiam, ueritatemcz intellectu percipi. Quo euenit,ut ueritasannexa
ſit intelligibili:ſcientia uerò intellectui. Siigitur ita fehabet,quomo do
ueritas ſcientiæ materia erit fecundùm Platonem: Veritas enim ſci entiæ longè
præſtat:quod nulla ratione eueniret, fi materia eſſet. Ari ftoteles quomin
undecimoRerum diuinarum, Expetibile, inquit, et intelligibile mouetnonmotum,
quodalterumapparens, alterum reuerabonum eſt.Mouereautem nonmotūquotuſquiſque
materię tribuerit:Etpaulo poft,Intellectus,inquit, abintelligibili mouetur.
Intelligibile autemalter ordo fecüdum le. Addit&hoc: Mouet icaqz tanquamamatum. Ex quibusliquidò
patere poteſt, expetibile intel. ligibilegs finis ipſius habere ingenium.
Siitam expetibile &intelligi bile mouetut finis, pulchritudo autē
expetibilis intelligibilisőseſt: quomodo materia eſſe poterit: At prima pulchritudo
ſoli intellectui eſtobuia, quemadmodum oſtēſum eſt,cùm fitiplius per ſe
animalis: eftetiamexpetibilis, quandoquidébonum quoddam eſt,bonum au tem quà
bonum ſemperexpetibile. Poſſent &alia multa afferri in me dium,quibus
oftenderetur de Platonis Ariſtotelisés ſententia obie ctum nõ eſſe materiam
actuum animæ. Quæ quidem propterea omi fimus, quandoquidemijs, qui uel breuem
deambulatiunculam cum Platone Ariſtoteleđß fecerint,notiſsimaſunt.Atuerò
&rationi recla mat,obiectum ueluti materiãeſſe. Materia enim folet eſſe id
ex quo ali quid fit.Nó fiūtaūtex obiectis animæactus,ſed potius funt circa obie
éta. Quo euenit,ut obiecta materia eſſe nequeat. Adhæc bonüexpeti bileeſt,
quandoquid exeo appetimus quodbonãelt: nõuiciſsimeſt bonüpropterea
quòdexpetimus. Expetibile autē obiectõeſt, quo fit, ut bonum ut bonum obiectum ſit:
Gaddas, obiectüeſſemateriam, bonum quoqs materia fit neceſſe eſt. At quaratione
aſserendum, bonumipſummā teriam eſſe: Pugnantquoque fibiipſis.contenduntenim
pulchrum à bono ſeiungi, tanğſpeciem àgenere. Quo fit, ut pulchrum boni ſpecies
fit: bonum ueròde pulchro tanquamde ſpecie dicatur. Siigi tur pulchrum eſt
bonum,bonumuerò materiam eſſenequit,quo pa eto pulchrum materiam eſſe dicendum
eſt: Quapropter meaquidem ſententia aſſerendum non eſt, pulchritudinem eſſe
materiamamoris, fed potiusfinem.Cui quidem ſententiæ Plato Ariſtoteleső adſtipu
lătur. Verumfi pulchritudo ingenium habet illius, cuius gratia: quo pacto
Amorem exoriridicendum eſt: Anubi primumcognoſcendi facultas, pulchritudinem ut
delicatam, ut iucundam,utamabilem co probat,ſtatim uisappetēdiexcitatur.Appetitus
enim cognitionem fequaturneceſse eſt. Dumigitur appetens exoptat ſibi adeſse ac
per frui delicato, iucundo, AMABILE, utinde plenitudinem hauriat uolupta tis,eữactú
circa pulchritudinem producit, qui appetere dicitur.Qui quidemreuera AMORE eſtappellandus,
hoceft, appetitus et deſideriū perfruendæ pulchritudinis. Huius deſiderñ
efficiens cauſa,uiseſtap. petendi:pulchritudo illud,cuiusgratia. Quænam uerò
materia ſit, in Socratis oratione declarabimus, exponentes, quid nobis per
Peniam fit intelligendum, quam eſſematrem AMORE affirmat ACCADEMIA. Quod quidem
euidens argumentum uideri poteſt, pulchritudinem non ef ſe materiam AMORE. Nunquam
enim dicit Plato, Venerem (quæ pul chritudinem ſignificat ) matrem eſse amoris,
ſed potius amorem co, mitari ſequio Venerem, quippe quiVenerisipſius eſt, in
Venerēms dirigitur. Quæ quidem omnia finis ſuntipſius, non materiæ.
Nonnulliſunt, quidicant, quiſquis deſiderat, quodammodo poſsi dere id quod ab
eodeſideratur: idq eſse deſiderācis uirtutis propriū. Adſtruūt autē hocipſum
dupliciratione, tumquoniam deſiderium omne antecedête cognitione lubnititur (cognitio
autem, quædã pof ſeſsio eſt) tum quóniam inter deſideransacdeſideratum
congruentia ſemper ſimilitudo@intercidit.Fieri autem nequit, utidquod deſide.
ratur,à deſiderante quodammodonon participetur. Alioqui nulla eſſet inter
utrung congruentia, nulla ſimilitudo. Sed mea quidē ſen tentia cómentitiử
hoceſt.Nã deſideransomne,quà deſiderans, cogni tione priuatur. Cuius rei
indiciū eſt, quod ex antecedête cognitione deſideratquiſquis deſiderat. Quo
fit, ut recta ratione uis deſiderãdi di catur cęca eſse,quippe àqua cognitio
ſeiūcta fit,quæuiſio appellatur. Atfieri nequit,ut quicquid cognitione
priuatur,non priueturetiã ea poſſeſsione,quęmerito fitcognitonis. Sed fortè
dicent, nõ ficfeadui uum reſecare, ut uelint, deſiderãs,quàdeſiderans, merito
cognitionis cognit habere quodämodo poffefsionem illius,quod delideratur: fed
eadū taxatratione habere,qua cognofcit. Nosaūtenitemuroſtenderenec etiã
cognoſcésqua cognofcēs,habere ali zrei cognobilis poſſeſsionē dūcognoſcit. Vtrūuerò
id affequemur,alñ iudicabūt. Nobisſatis erit afferre in mediū,nõ quæ adeo premất
alios,eospræſertim, quosuelu tinaturæmiraculū ſoliti ſumusadmirari: fed quę
caſtūueritatis fecta torējaſsertoreo decere arbitramur. Quod quidem
ſignumoboculos ſibi ſemper proponere debet, quicũceſt fapientiæ ſtudioſus.Côten
dimus igitur,cognitionēnullo pacto eſſerei cognobilis poffefsionē.
Nãcognitionem eſſe per modumuiſionis, nemo eftomniū qui rectè poſsitambigere. Cognitio.n.inipſum
cognobile à cognoſcētedirigi tur, quafi in ipſum uilibile uifio.At poſſeſsio
nullā habet cumuiſione affinitatem. Non enimqui poſsidet quodãmodo intuetur,
ſedquali manu tenet,accöplectitur id ipſum quod poſsidetur. Quoeuenit, ut
poſſeſsio potius ingenium fapiat tactionis. Siigitur cognitio uifionis imitatur
naturam,poffefsio uerò non imitatur, quo pacto dicendum eft,cognitionem eſſe
poſſeſsionem. Adhæc, uerum et bonūnonidē funt.Quod ex eo patere
poteft,quòdnoneadē facultate percipiütur: In uerum dirigitur
cognofcendifacultas,in bonūuerò appetendi. Ex ueri perceptione aſseueratio
certitudoớa reportatur:exboni poſſeſsi onecóplexu (uoluptas. Si igitur
cognofcens, quà cognoſsēs quodā modopoſsideret, uoluptatisquo particeps fieret.
Voluptas enim boni poſseſsionêcomitatur.Atuoluptas facultaté cognoſcentem no
perficit,fed appetētem.Quapropterdiuinus Plato bonü noftrumin miſto quodã ex
lapiétia uoluptate coſtituit: quarüaltera, id eſt,ſapi entia intellectum:altera
uerò,hoceſtuoluptas, uoluntatem perficit. Sed de his infequentibus
comulatiſsime agemus. Hactenus often ſum eſt, quicūą deſiderat,huncipsūnon
poſsidere,necquà deſiderat, nec quà cognoſcit.In preſentia uerò
declarandûeft,neclimiltudinem quoos poſseſsionem aliquo modo auteſse autdici
debere. Quodreli quüerat ut adſtrueretur.Quæcun $ igitur fimilia ſunt,aut
propterea dicuntur ſimilia, quòdcerto quodã tertio participent (cuiuſmodico,
plura alba aut calida ſunt )aut quoniã alterü alteriſimileeſt,non tamé uiciſsim:quemadmodūuiuenti
Socrati pictus autæneus ſimilis eſt, quãdo uiuentem Socratem quodãmodo
imitatur. Nemo tamen pro pterea fanę mentis contendet,uiuentē picto auteneo
ſimilē eſse. Quo genere,homo
per uirtutes deo ſimilis fit,ut rectè inquit Plotinus. Sen lilia quoqhocpacto
intelligibilib. ſimilia ſunt, quæ nihil cum eisha bentcõmune,niſi nomen.
Quodquidem clara uoce diuinusPlatoin Parmenide Timæocz teftatur. Ex quo
Ariſtotelis ratio contra ideas de tertio hominefacilè diluitur. Quæcũçaūt
ſuntidonea,utrecipiãt, cuiuſmodi informis materia eſt, et cætera generis
eiuſdem, fimilia et ipſa dici poffunt, tū ijs quærecipiuntur,tumis quæ
efficiunt.Horum eniin be Inic enim poteſtas quædam ſimilitudo uidetur eſſe.
Dicitur quo &effi ciens finiſimile, quoniã efficiensomne à fine mouetur:
illius enim gra tia omnia ſunt. Vnde et ARISTOTELE in undecimo Rerūdiuiuarū,Ěx
petibile,inquit, et intelligibile mouētnon mota:quaſi efficiens motu moueat.
Quod paulo poſtexpreſsit,dicés: Intellectus ab intelligibili mouetur. lis itaq
expoſitis,uidendū eſt, quopacto deſiderãs, ei quod deſideratur fimile eſt,
cuius ſimilitudinem meritò fibi deſiderati inſit poſſeſsio.Non
eſtigiturdeſiderásſimile eiquod deſideratur, quoniã tertio quodamparticipent.
Alioquiutrunqz alteri pari ratione ſimile eſſet. Quod quidem ñseuenit, quæhoc
pacto ſimiliaſunt,quando in tertio cócurrunt. Atdeſideras &idquod
deſideraturita fe habent, ut idquod deſideraturno motūmoueat, deſiderãs uerò
moueatur:Quo euenit,ut ſecus id, quod deſideratur, deſiderāti: ſecus autem
deſiderás ei,quod deſideratur,ſimile ſit. Siigitur quæ cõcurruntin tertio, ſibi
in uicem ſimilia ſunt:deſiderans uerò &id quoddefideratur non ſimili
côditioneſimilia ſunt:quis ambigat,eadētertñ quoq nõ participare: Non ſunt
quoqz ſimilia,eo quòd alterü alteri duntaxat ſimile ſit:alio, quiaut alterum
alteriusſimulachrū imagóą eſſet,autfaltē imitaretur. Nuncuerò neutrūaut
alterũimitatur,aut alterius imago exmplumue eft.Sed nec quoqeo pacto ſimilia
ſunt, quo recipiensautei quodre cipitur,auteiunde eſt principiū motus ſimile
dicitur. Neutrumenim recipientis habet ingeniū,
quandoquidem alterum eſtran efficiens, alterútanſ illud cuiusgratia efficitur.
Reſtat igitur, si qua eft ſimilitu do,utdeſideras &id quod defideratur
propterea fimilia ſint, quoniã id quod deſideratur tãğexperibile
mouer:deſiderãs uerò eft efficiés. Quã quidē fimilitudinēnemoeſt omniã
quidiſsimulet. Quis enim ambigat, inter finem atoßea quæ in finĉprogrediãtur,
ſimilitudinem quandãaffinitatēc eſse: Quoenim pacto eo côtéderent, niſi aliquid
inde reportarent, quod in uſumbonūĝz ſuum uerteretur. Sed hæc ſimilitudo
cógruencia (znullădicit poſseſsionem. Nã propterea effici ens finiſimile eft,
quod efficiésmoueri poteſt, finis aūtmouere.Poſse aūtmoueriadfinem, nulla
finispoſseſsio eſt: finis enimpoſseſsio actu eft,poſse aūtmoueripotencia.
Quomodo igitur huiuſmodi ſimilitu: do poſseſsionēdicit. Adhæc
lidefideransratione ſimilitudinis ali quomodo poſsiderid quod deſideratur,id
quidē actu eſse neceſse eſt. Quod aūtactu pofsidetbonū,habet quogiãactu
&uoluptatē, quão doquidēactupfruitur. Quis aūt afseruerit, deſiderãs quà
deſiderãs iã bono gfrui,diliniriq uoluptate: Nãdeſideriūmotio quædã uidetur,
quãdo motionis pricipiūelt. Voluptasaŭt motionis terminus.Cõti getigitu ridē
ſimulmoueri, acno moueri.Quod fieri nulla ratione po teft:Ěxhis perſpicuñeſse
arbitror,deſiderãsminimèilliusparticipare ģddeſideratur.Verùmhæc paulo
altiusrepetëda sūt. Omnia quæcũ queſunt, poft primūingenita cupiditate urūtur
pociūdi illius: quip pe ex cuius poſseſsioneſuum cuique bonumineſt. Cupiunt
autem quam uehementiſsime ſingulaſibibonumadeſle. Quidenim eſlea maret,niſiid
fibi proforet: Appetentiauerò omnis ex cognitioneſus mit exordia. Fieri
enimnequit,ut alicuius cupiditas aliqua fit, cuius non fuerit &cognitio. Hæcquidem
cognitio no intelligencia eſt,non ratiocinatio,non opinio, ſiue cogitatio, nõ
ſenſus aliquis, ex his quos particulares uocamus,fed longèhæcomniaantecedit.
Singula enim ftatimquàmfunt, intimoquodamnatiuoç ſenſu præſentiunt, in au
Ctorem,unde uenerunt,libieſſeproperandum, indebonumuberri mèadfequutura. Hicquidem
ſenſus, quem Intimū Naturęgsappella mus, principiūeſt, quo mūdusintelligibilis
in uită intelligēciāõpro cedat. Nãuita intelligentiaõ progreſsioeftin
bonū.Progreſsio aūtin appecētiã reducitur. Quofit,utappetētiauitæ
intelligentiæis princi piūſit. At appetētia omnis cognitione fubnititur.
Quapropter cùm nulla prior cognitio fuerit, quàmea, quamūdus
intelligibilisſtatim, quàmeft,præféntit ex auctore ſibi bonūadfuturū (quem
ſenſumInci mum uocamus)ſequens eft,ut inhunceundem uitaintelligentiáque
reducatur.Pari pacto de animadicendum eſt. Namhic ſenſusperpe. tis illius
motionis ratiocinationis et ipſiusauctor eſt. Vnde& Iambli chus,cætera
quidēdiuinus, in hocaūtuerè diuiniſsimus. Effentie, in quit,animæ ipfius ingenita
quedam ineft deorum cognitio,omniiu dicio melior,antecedens electionem,ratiocinationem,
demonſtrati onem omnem: quæ quidem interexordia inhærens in propriam cau fam,coniúcta
eſt cumeo animæappetitu,qui ſubſtantificus bonieft: Plotinus quo @
aſserit,omnia naturæ opera eſſe Theoremata,quip pe quæex intima quadã naturæ
cognitione orta ſint.Hoc fenfu &ele menta in propria loca feruntur.Vnde
&illi, meaquidem ſententia, audiendinonſunt, qui ñſdem tribuunt appetitum
in ſua loca proce dendi,adimuntuerò cognitionem appetitus huiuſmodi principium,
quaſi abextima intelligentia dirigantur.Namfieri nequit,utextima fit
cognitio,appetitusuerò intimus. APPETITVS enim cognitionem fequitur, eiuſdemqz
rei eſt cognoſcere et appetere. Huncienſum ue. teres Magiobſeruauere, hincopera
ſuæ arcis feliciſsimè auſpicantes. Hunceundem in hymno naturæ Orpheus quietum
acline ſtrepitu appellauit. Quippe in quemnoncadaterror, quando nulla indiget
ope externorum, fed totus in boni quaſi uiſionem incumbat. Qua propter mea quidemfententia,
quemadmodum concupiſcendiira ſcendió cupiditas ſuã habet ſentiendi
facultatē,electio uerò ratiocinā dig atintelligédi facultatē uolūtas, quibus
nitătur (alioquin he quidé quod reuerabonüeſt,illęuerò qa bonūuidetur,nequico
deſiderio cöplecterentur) fic et cómunisrerü omniūappetitus,quo in bonum
dirigūrur, ſuāhaberecognitioné (quë nature ſensűrite nücupamus) ġd bonü
præſentiatur, neceſſe eſt. Hecquidē cognitio quéadmodūnā 1 eſtbonipoſſeſsio (alioqui
nunquam in bonum progreſsio fieret ) fed potius poſsidēdi principiū:pari
ratione neccæteras cognitiones,pof ſeſsiones eſſe dicendüeſt, ſedprincipia
uias@ potius in poſſeſsionem. Quo fit, ut recta rationedici
nequeat,AmoremPulchripoſſeſsionem habere,quòdantecedête cognitioneſubnicatur,
quaſicognitio ſitpof feſsio quædam. Quomodoautem NON SOLVM AMOR SED APPETENTIA omnis,media
ſitinter idquodbonum eſt, atquenonbonum: quidper Porum, quidper Peniam AMORE
parentes diuinus Plato ſibi uelit, in Socracis oratione uberrimèenitemur
oſtendere. Hactenus declarauimus Pulchritudiném eſle Amoris finem, non materiam:
declarauimus quoqs Amoremnullam habere pulchritu dinis poſſeſsionem,
quemadmodumnõnulli comminiſcuntur. In præſentia declarandum eſt,quænam,
qualésque pulchritudines ſint. Quoquidem declarato, uidebimus quinam, qualéſoamores
ſint. Fi eri enim nequit,utcitra pulchritudinem ſit AMORE. Vbiigitur fem per
pulchritudinem fequitur, non ſolùm totidem eſſe amores, quot ſunt
puichritudines, pareſt: uerùm etiam expulchritudinisingenio amoris eſſencia,uires,
opera ſuntæſtimanda. Sediamrem ipfamag grediamur. Rerum
genusunumintelligibileeſt, ſenſibile alterum. Rurſus intelligibile in partes
duas diuiditur, in clarum ſcilicet et obscurum. Intelligibile clarum dici
poteft, quod ſuapte natura obuiam fit intellectui,necalio adnititur; cuiuſmodi
funt ideæ fiuemundus in telligibilis, ac liquid aliud tale eſt, quod non
indiget adminiculout maneat. Obfcurumuerò intelligibile, quod nonnili in claro
intelligi bili apparet: cuiuſmodi mathemata ſunt, quæ habent in ideis quic quid
participant firmitatis.B, rõrinus Pythagoricus in eo libro, qui de Intellectu
cogitationem inſcribitur, Cogitatio, inquit, intellectu ma ioreſt,ſicut et cogitabilemaius
intelligibili. Intellectus enim ſimplex eft,citra compoſitionem, id quod primò intelligit:huiuſmodi
autem ſpeciem dicimus:eftenim citra partes, citra compoſitionem aliorum primum.
At cogitatio tummultiplex eſt, tum partibilis, id quod fe cũdo intelligit: ſcientia
enim demonſtrationeớ nititur. Simili ratio ne ſe habentipſa cogitabilia.
Hæcautē ſunt ſcibilia demonſtrabilia ipſac uniuerſalia, quę ab intelle &tu
per rationem comprehenduntur. Ex quibuscolligere poſſumus, intelligibile clarum
per illud ſignifi cari, quoddicitur, fine partibus,fine compoſitione aliorum
primum. Obſcurūuerò per illud, quod dictur, Scibile, demoſtrabile, uniuer ſale.
Nam cogitabilia omnia, cuiuſmodi ſunt obſcura intelligibilia, ipfacemathemata, non
attinguntur quafi recto quodamintuitu, quê admodum euenit claro intelligibili: fed
per rationem, et quandam,ut fic dixerim,ab ideis declinationem acdeſcenſum.
Suntautē mathematare uerafluxus eorum generum,quæcuque rèentiintellectuíçinfunt,
intelligibilium, idearum imagines, ex empla ſenſibilium,eandem habentia ad
ideas comparationem,quam habétumbræ et imagines in ſpeculis aduera corpora, quę&
àcorpo ribus profluunt, et in eiſdem,& beneficio eorundem, ſenſui fiuntob
uiam.Sicutig et mathemata funt ab ideis, &in ideis apparent, et i, dearum
beneficio habéntfirmitatem. Sicuti autemipſuminelligibile in clarumobſcurū <
diuiditur: eodempacto &ſenſibile in clarum ob ſcurūgs diuidendum eſt. Senſibile
clarūdicitur, quodprimò acrecto quodamtramite ſenſui fit obuiam, quodą ſuapte
natura opinabile eſt, utcælum,ut elementa, et reliqua corpora naturalia. Obſcurum uerò, quod,etſi ſub
ſenſum cadit,pendet tamen ex corporenaturali tū quatenus fit,tumetiamquatenusapparet.
Hæcſunt corporum natu ralium imagines ac ſimulachra, quæ et à corporibus
naturalibus pē dent, &citra eadem ſtatim dilabuntur, necſenſuifiuntobuiam.
Hu iuſmodi autemſunt umbræ in aquis, in ſpeculis ac imagines. Addunt Syneſius
et Proclus, eſſe quorundam corporum naturalium profu uia,ad certam
intercapedinem integrum feruantia characterem.Quę nõambigunt mirisquibuſdã
machinis à Magis impetiſolere, fiquã do quenquam perderein animo éſt.Hæc cùm et
ipſa ſimulachraquæ damſint ſub obſcuro illo fenſili collocari poſſunt. Architas
TARENTO (si veda) in eo libro, cuide intellectu et ſenſu titulus
eft,quæcunqdicütur eſſe, in pares ordines gradusi diſtinxit, afcenſum fieri
uoluitàde, terioribus ad meliora, quippe in quibus deteriora comprehenderē
tur.Diuinus quoạPlato in fexto de Rep. declarat,quatuoreſſererű gradus,
qualeſas ſintä animænoftræ uel habitus uel facultates, quibus uniuerfam illam
rerum diſtributionem cognoſcimus. Quæom
nia non erubuit ab Archita ad uerbum ferè mutuari. Quodquidem ös,qui aliquando
legerint Architæuerba, luce clarius patere poteſt. Sed magnacontrouerſia eſt,in
quonam rerum ordineanimaipſa col locari debeat, quicß de ea contempletur. Nam ſi
in mentemani mæ præſtantiſsimum intuemur, noneftcurhæſitemus intelligibilis
generiseſſe ac diuini.Contrà uerò ſi cæteras facultates penlitemus, rė rum
naturalium ordini adſcribemus. Sinuerò utrūos ſimul, necinter diuina
cõnumerabimus (quodomnino à motu materiaớ abhorrēt ) necinter ea,quæ naturalia
ſunt, quandoquidem ſupra fenfilia non af cendunt. Mensautem genus ſenlibile
longè ſuperat. Themiſtius in ter Peripatecicos nõ poſtremæ auctoritatis dat
manus extremeratio ni: proindecs contendit, animæ ipſius, quaſimedijgeneris
ſit, media quoơſciệtiã eſſe, cuiuſmodi ſuncdiſciplinæ. Anobisuerò lögè abeſt,
ut credamus, cã eſſe mentē Ariſtoteli, utnaturalis intellectü contēple tur.
Quid enim eo illuſtrius eſſe poteſt,quodin ſecüdo de Animadir ctum &umeft: Intellectus
fortè diuinum quiddameſt &impatibile. Quin etiam nihil
prohihet,inquit,partem animæ aliquam ſeparari:liquidē nullius corporis actus
eſt.Præterea et illud:deintellectu autemnon dumpalàmeſt,namuidetur aliud
genusanimæ eſſe időzſeparari, tan quamæternumà caduco. In primoautem de
partibus animaliumex erta uoce ait: Naturalem philoſophum non de anima
omnidiſſerere, quandoquidem non omnisanima natura eſt.Et in fecundo de Gene
ratione animalium,folam mentemextrinfecus accedere,eamąfolam diuinam eſſe, cùm
eiusactio no communicet cumactione corporali. Præterea in quinto Rerumdiuinarum
(quêpleriq falsò fextum au tumant, fi credimus Alexandro Aphrodiſixo)
Naturalis, inquit,ip. ſius eſtnon omnemanimam contemplari,ſed quandam,quæcunque
non ſine materia fit.Etinundecimo eiuſdem operis, cum de Deolo queretur:
Vita,inquit,poteſteſſe optimanobis,f ed breui. Sicenim femper illud: nobis
autem fieri nequit. Ex quibus intelligi poteft,ex fententia Ariſtotelis
contemplationem de intellectu ad facultatem naturalem non pertinere. Proinde
aliam quandamſcientiam eſſe, quæanimæ ingenium contempletur. Diuinusquoque
Plato anima ipſam, quando ſeparabilisæternacpeſt,ſub eflentia concludit.Proin
de intelligibilis generiseſſedubitandum non eſt.Quòdfiquis obříci at Timæum
Platonis,in quo multa de animeingenio differuntur,cui nihilominus de Natura
tituluseſt:nosutią quemadmodum non dif fitemur elle princeps eius dialogi
uotum, naturę opera contemplari: ficquoqzimusinficias,
quçcungibicótinentur,naturam effe.Multa enim præ ſe fertilledialogus, quæ
naturæ ingenium longè fuperant. Nectamen continuò commiſcerimateriasobrjciendum
eſt. Fuite nim operæ precium de iis etiam fieri meditationem, quorumopus, et organum
natura eſt. Huncautem eſſe diuinū opificem,diuinamą. animam, PLATONE afferit.Ex
his perſpicuum eſt,rationalem animam ge neris intelligibilis effe,non quidem
obſcuri, quemadmodummathe. mata ſunt:fed talis potius, cuiuſmodimūduseſtintelligibilis.Nãani
marationalis necalieno indiget adminiculo,utmaneat, et fuapte na tura
intellectui fit obuiã. Eftenimuera et abſoluta participacione, quicquid per
femūdusintelligibilis eſſe dicitur. Verūtamen animad uertendum eſt,animam
propterea à mente declinare, quòduergitin corpus. Quo fit,ut tumſui
ipſius,tumalterins dicatur eſſe, ut rectèin quit Proclus. Siquidem ipſius, quòd
eſſentia ſeparabilis æternáque eſt:alterius autem, quòdin corpus
propenſa,eſſentiam uitāçcorpo ri impartitur. Hinceuenit, utalteram quãdam animã
producat: cu ius ope molem agitetacregat. Hæcanima irrationalis appellatur,
quæſoligenerationi deſeruit, plena ſeminum earum rerum, quæ cunque cum materia
commnicandæ ſunt. Hæc in præſentia de animafatis ſint:Namin fequêtibus eius
philoſophiam uberrimècon. templabimur. Ergo animam rationalemègenere intelligibili,irratio
nalemuerò èſenſibilieſſe aſsèremus. Quod etiam PLATONE SIGNIFICAVIT IN TIMEO,
appellans animam irrationalem mortale animæ genus; mortale autem omneſenſui
obnoxium eſt. In plenum colligere poſſumus,ſub claro intelligibili
animamrationalem, ideasý, hoceſtin telligibilem mundum,quamprimam quoộmentem,primumens,ac
perſe animalappellant:ſub obſcuro uerò Mathemataconcludi.Cla rumuerò ſenſibile complectiir
rationalem animam, complecti et om nia corpora naturalia, cælum,elementa,
quæibexhis coaleſcunt,ani malia, plantas,& cætera generis eiufdem. Obſcurum
uerò imagines in fpeculis,umbrásque in aquis, et fiqua ſunt alia id genus.
Adhęc et ea profluuia corporum naturalium,de quibus paulo ante mencio
nemfecimus. His ita perſpectis,dicendumefttotidem eſlepulchri tudines, quot
rerum ordinės ſunt. Quapropter eſſe pulchritudinem intelligibilem, effe quoqj
et ſenſibilem. Rurſusa intelligibilempul chritudinem tumdarameſſe, tumobſcuram.
Claramquidem, tum quæ mundi intelligibilis eſt,tum etiam quæeſtanimæiplius.Obſcu
ram uerò eam effe, quam in mathematis contemplari poſſumus. At ſenſibilem
pulchritudinem cum animæ irrationalis fiue naturæ, tum etiam corporum
naturalium eſſe dicimus: quamquidem claram appellamus.Quęuerò imaginümumbrarumã
eft, et fiquaſuntalia id genus obſcuram appellari par eſt. Ergo pulchritudo
mundiintelli gibilis reuera cæleſtis acdiuiua eft appellanda, cuinihil non
elegans admiſcetur, nonconcionum, undequaqcompofita, undequaqfibi
ipficonfentiens. Anime quoq rationalis pulchritudo coeleſtis acdi. uinadici
poteft:quæ tantum abeft,utmateriæ ſordibus immiſceatur, ut etiam cumprima
pulchritudine ferè coniuncta ſit.Atueròpulchri tudo tumirrationalisanimæ,
tumetiam corporum naturalium,non fine materia eſſe poteſt. Anima enim
irrationalis ſuapte natura circa corpora diuiduaeft, ut Plato inquit:
undeuulgarisacplebeia pulchritudo meritò appellatur, quòdhabet cum
materiacommerci um. Siigitur duo pulchritudinisgenera funt, cæleſte
ſcilicetacplebe ium:coeleſtisautem pulchritudo uniuerſum intelligibile
complecti tur, ſiuemundi intelligibilis ſit, ſiue mathematum,ſiue animæratioria
lis: plebeia uerò univerſum ſenſibile: totidem quoq eſse amorumge nera neceſse
eſt. Quapropter amor,qui cæleſtis pulchritudinis eſt,& ipſequoc
cæleſtis:qui uerò plebeiæ pulchritudinis, plebeius et ipfe nuncupabitur. Sed
agedū, exquifitius uidédữelt,quomodo Àmorcircà pulchri tudinauerfetur.In
ſuperioribus declaratum eſt, Amoremeſse appe. 1 titum. titum deſideriumộ
pulchritudinis. Pulchritudo enim bonum quoddameſt:bonumautem omne expetibile.
Quo fic,ut pulchritu, do uim moueat appetendi.Huius autemactus circa
pulchritudinem amorappellatur.Primusigitur acperfectiſsimus amor, circa primam
pulchritudinem uerſatur:quæ in ipfo per feanimali primùm appa ret,ut pauloante
dictum eſt. Sedquomodo primus amor circa pri mampulchritudinem uerſatur:An non
ſolumin primam pulchritu dinem incumbit,ut inde particulam hauriat uoluptatis
(qua uis per ficitur appetendi)uerum etiam principium eſt, quo in eadem ellen
tia mundi intelligibilis aliquid pulchrūconcipiatur: Hoc autem ni hileft aliud,
quàm pulchritudinem mundiintelligibilis, quæ tano ſpectaculum intellectui
fitobuiam, in eodem concipi permodum ſe minis acnacuræ. Huiuſmodi autem
conceptus, eius facultatis uis eſt, per quammundusintelligibilis extra ſe
pulchritudinem poteft effi cereEx. quo perſpicuum eſt, Amoremeffe principium
producen di,quæcunq diuinam pulchritudinem imitantur. Nam fieri nequit,
utpulchritudinis ſemina producant extrinſecus pulchritudinem,ni. fi et ea
quoqproduxerit, in quibus apparet pulchritudo. Quapro pter integra abſolutacz
amoris definitio eſt,ut defiderium ſit non ſo lùm perfruendæ,uerum etiam
effingendæ pulchritudinis:ut in hoc quoqàquouisalio diſcrepet appetitu,quòd
cæteriduntaxaruolup tate contenti ſint, quam hauriantex boni poſſeſsione, hic
autem ada datetiam efficaciam.Pari ratione de anima dicendumeft, in qua cùm
fituera participacio pulchritudinis,uera quocß Amoris parcicipatio fit neceſſe
eſt. Amorigitur in anima, qua pulchritudine
perfrui con cupiſcit,eandem affectateffingere permodum ſeminis ac naturæ,cu,
ius eſt imago. Natura ueró animæ rationalis inſtrumentum (quam ſecundam animam
appellant)habetab anima ſuperiore pulchritudi nem:fed &ipſa per modum
feminis. Quandoquidemper hanc ani marationalis componit uerſatớp materiam, in
qua pulchritudo per modum ſpectaculi apparet.Meritò igitur in anima gemini
ſuntamo res:alter, qui eius pulchritudinis eft, quam anima à mundo intelligi
bili mutuatur:alter uerò qui in eam pulchritudinem dirigitur, quæ per modum
ſeminis in natura fecundamanima effulget. Hicquidem amoraffectans ſeminariam
pulchritudinem, transfert in materiam pulchritudinis illius participationem, quandopulchritudinis
ſpecta culum in ea anima effingerenequit. Exquo amorhuiuſmodi totius
generationis re uera principium eſt. In omniautem anima rationali geminus uiget
amor. Namubi ſecundùm eſſentiam æterna eſt, cor pus habet et ipſaſempiternum,
quod uita donec: in quo explicet fuæ pulchritudinis imaginem. Anima
enimquàanima,uicam alicui exhibere debet:quo fit, cùmfemper animafit,uitam quoc
alicui ſemper exhibeat. Idautem eſſe corpusneceſſeeſt.Cuienim alteri,nificorpo
ri,uitamexhiberepoteſt:Acid corpus,cui uita ſemper exhibetur, ce leſti
conditione participare dicendum eſt. Quapropter anima om nis rationalis,habet
corpus æternum, quod Vehiculum appellant, cuiſemper uitam
imparciatur.HæcquidēProcliſententia eſt. Quan quamPlotinus et lamblichus
credantpoſſefieri, utanima noftrae. tiam quandoơ ſine corpore fit. Sed dehis
alibi latius. ARISTOTELE quo in fecundo libro de Generatione animalium, Omnis,
inquit, animæ ſiueuirtus, ſiuepotentia, corpus aliquod participare uidetur, idő
magis diuinum,quàmea quæ elementa appellantur. Ex quibus uerbis colligere
poſſumus, Ariſtotelem cenſuille, cum animaradio nalialiquod effe corpus,quod
cælo proportione reſpondeat. Quod etiam Themiſtius in ea paraphraſi, quam in
primum librumde A nimaedidit, de mente Ariſtotelis affirmat. Quapropter in omni
ani. marationali geminus eft amor. Quorum alter pulchritudinemin telligibilem,alter
ueròſeminalem explicare in corpore materias af fectat. Quo euenit,utinanima
omnirationali,cæleftis ſit amor,lice tiam et plebeius. Habet et alia ratione
utrun amorem animano ſtra. Nam liquando ſenſibilis pulchri ſpecie excitata
præcipitatina moremexplicandorum feminum,proindeq pulchro illo potiri im
potenter affectat,ut pulchram ſobolem in eo progeneret,plebeio a
moreoccuparidicendumeft. Rapit enim deorſum implicatớ ani mamgenerationi
huiuſmodiamor. Quod quidemanimæ maximu malumeſt. Atuerò fieodem pulchro
nonadgenerationem, ſed ad contemplationem utatur,quaſihuius beneficiodiuinæ
pulchritudi nisreminiſcatur, quis ambigat,amore diuino incendir Quandoqui dem
in diuinam pulchritudinem reuocatur, unde facilis in bonum eítaſcenſus. Quo
fit, ut hic amor ſummopere laudandus extollen á dusclit: ille uerò ſummopere
uituperandus. Declaratumeft, quid Venusſignificet: declaratum quoque quid fit
pulchritudo, ubi fitprimò, ubi deinceps: quòdpulchritu do
noneſtamorismateria,fed finis: quòd nonelt idex, necin ideis: quòd amor nullam
habet pulchri poſſeſsionem, ſed potius mer dium tenet locum inter pulchrum
atque non pulchrum: quod to. tidem ſunt amorum genera, quot pulchritudinum:
quòd pul chritudo omnis ad cæleſtem plebeiámque reducitur, quo fit ut amor
partim plebeius, partim cæleſtis ſit: quòd in omni ani. ma rationali utrunque
amorem ſit inuenire, in noftra autem duplici ratione. In præſentia uerò reſtat, ut diuiniPlatonis fer e uc
uc monem interpretemur. Pauſanias apud ACCADEMIA laudaturus AMORE, improbat
FEDRO, quodliclaudarit,quali unus ſimplex (pa mor,atą is rectus
honeſtusõpeſſet. Quoniam uerò non unus ſim plexoelt, oportet,inquit, declarare
nos prius, quot ſunt Amores, quis laude dignus, quis minimé.Eftautem
laudedignus,qui bonus et àbono,& in bonum. Qui uerò necbonuseſt, neqz à
bono, neq; in bonum:tantum abeſtutlaudari debeat, ut etiam uituperatione ſit di
gnus. Qui uerò cauſa eſt maximorum bonorum,hunc ipſum bonū effe,nemoeſtomnium
qui ambigat. Contrà uerò, quimaximorum malorum cauſaeſt, nónne &ipfemalus
eſt putandus. Quapropter illé reuera laudanduseſt,quibonorumnobis auctor eſt.
Contrà ue rò ille uituperandus,à quo nobismala eueniunt. Videndum igitur primò,quot ſunt
amores. Amor, inquit, femper Venerem comita tur. Quapropterfi una eſfet
Venus,unus &Amor utique eſſet. At quoniam duo ſunt Veneres, altera cælo
nata, fine matre quę cæleſtis Venusdicitur: altera uerò,quæ Plebeia nuncupatur,
ex loueac Dio ne progenita: propterea duos eſfe Amores neceſſe eſt. Quorū alter.cæleftis
eft, illeſcilicet, qui cæleſtem Venerem: alter uero plebeius, qui plebeiam
comitatur. Dux,inquit, Veneres ſunt, hoceft,duo pul chritudinis genera: ut
Plotinum, alios omittamus. Nam Plotinus putat, Venerem eſleipſam animam.
Nosautem oſtendimus interex ordia ſermonis huius,ex his quæ à ACCADEMIA
dicuntur in Phædro, Venerem nihil aliud, præter pulchritudinem, SIGNIFICARE.
Cui quidem sententiæ Hermias Ammonius adftipulatur.Namin Phędro,ubiex ponit
illud Platonis, Furoris amatorñ patrociniū tributum eſſe Veneri, apertè dicit,Venerem
SIGNIFICARE pulchritudinem. Sed
Hermiæ auctoritas contra Plotinum afferendanoneſt. Satis autem mihi ſit, poſſe
ex Platonis ſententia probabiliratione defendere,Venerem ef ſe pulchritudinem.
Quod quidem etiam obnixè contenderem, ni magnus Plotinus meremoraretur. Tantum
enimei uiro tribuendű cenfeo,utexiſtimem, huncipſum primo longè eſſe propiorë
quàm tertio, fiue is ſitNumenius Pythagoræus, fiue lamblichus Chalcidæ us (quem
inter homines deum facit Iulianus Imperator) ſiueſitmag. nus Syrianus,quem
Proclus non ſecus acnumen colic. Ergo dug Veneres, hoceſt, duo pulchritudinis
genera ſint: quarum alteramdi cit Cælo natam finematre: alteram louis Dionesof stirpem.
Vetus est dogma (cui Plotinus, quiğz Plotinum ſequuti ſunt, Porphyrius, Amelius
Longinusadftipulantur) tria effe rerü omnium principia, Perſeunum,Mentem,
Animam. Aperſeuno eſſe Mentem, quam uocant Mundum intelligibilem, à Menteeſſe
Animam, ab Anima uerò uniuerſum ſenſibilem mundumprocedere. Per ſe unum rebus
elargiri unitatem: Mentemſiue mundum intelligibilem elargiricon ftantiam:Animamueròmotum.
Rurfus,per ſeunum quandoque Cælumappellari, Mentemuerò Satúrnum, Animam lovem.
His itaqz conſtitutis, poſſumus dicere, E Cælo,hoceft, ex primo rerum omnium
principio, quodper ſe unumdicitur,natameffe Venerem, ideſt, primam
pulchritudinem, quæprimò in ipſo perſe animali ef fulget. Natam,inquam,exipſo
per reuno, quoniam intellectus fiue ipfum perfe animal, in quoeſt prima
pulchritudo,ex ipſo perfe uno prodïjt. Natam porrò ſinematre,quoniam proceſsio
huiuſmodi nul Ioantecedente indiget fubiecto, quemadmodum rebus naturalibus
euenit. Prodit enim ſecundum à primo, per fimplicem quandam proceſsionem (ſicuti
lumen à Sole prodit ) eius potentia totaeft. in producentis uirtute. Quo pacto
dicimus &animam ab intelle ctu, et materiam ab anima prouenire. In toto
hocproceſſu concin git, ſex rerumordines obſeruare. Ipfum per fe unum, Mundumin
telligibilemn,Animam ipſam,Naturam animæ inſtrumentum, Cor pusMateriam,. Infra
autem noneſt deſcenſus. Vnde et Orpheus, In ſexta, inquit, progeniecantilenæ
ornatum finite. Quod ctiamin Philebo uſurpat diuinus Plato. Poteft &alia
ratione, acnondeteri ore fortaſſe, Venerem dici Cælifiliam eſſe. Namin CRATILO
dictum eſt,Cælum efle aſpectum in fuperiora intuentem: Saturnum purita tem
intellectus: Iouem uerò uiuentem, et perquemuita, ita ſcilicet, atis aſpectus,
quo mundusintelligibilis per fe unum intuetur, Cæ. lumappelletur: is uerò, quo
ſeipſum uidet, Saturnus, quali lit pura intelligentia, in ueritatem incumbens:
Iupiter uerò ſit Mundusin telligibilis,quatenus uidet feextra feipſum
participabilem eſſe.Qui quidem dicitur mundi opifex, quandoquidem mundi
principium eſt.Quo euenit, ut recta ratione tum uiuens dicatur, tum etiam per
quemuita. Viuens quidem, quoniamprincipium eſtefficiendi. Ac uero per quem uita,
quoniam fingula ſuum hinc habent efficiendi modum. Is igituraſpectus, qui in
ſuperiora intuetur, merito in eum ſenſum reduci poteft, quem naturæ paulo ante
appellauimus.Qui propterea Cælum recta ratione dicitur, quandoquidem principi
umeſt, quo per fe bonum ſingula præfentiant. Huius quidem Cæ li Venusfilia
dici poteſt: quoniam pulchritudo intelligibilis, quæ cæleſtis Venus eſt, hinc
habet originem. Nam hicſenſus
princi piumeftuitæ. Quo fit, ut etiam ſit principium pulchritudinis.
Pulchritudo ením uitam fequitur, ut dictumeft. Eft autem fine matre:
quoniamnondummateria erat, quæmaterappellatur: quando pri mapulchritudo longè
materiani antecedit. Plotinus uidetur àdi uino Platone diſſentire,qui dicit,
Veneremcæleftem Saturni ſtir pem, fo pemeſſe.Putat enim Veneremeſſe animam,quæ
àprimo intellectu procedit.Sed hęchactenus de cæleſti Venere. Nuncuerò de
plebeia agendűeft.Plato dicit,plebeia Venerem louis acDiones ſtirpē eſſe,
afferens habere matré, quã Cæleſtis Venusnon habebat. Iupiter SIGNIFICAT mundi animam,
quemadmodūpatet ex his,quædicútur in Phę dro.Magnus uciądux in Celo
lupiter,citans alatū currum,primus incedit,exornans cuncta,prouide diſponens.
Huncſequitur deorum dæmon umą exercitus, per undecim partes ordinatus. Solà
autem in deorumædemanec Veſta.Ex quibus uerbis palàm effe po teft, louem eſſemundi
animam. In Philæbo quoque dicit ACCADEMIA, In
magno loue eſſe regium intellectum, eſſe et regiam animam: lig. nificans,mundi
animam tumuninerſali intelligentia, tumetiam uni uerſaliuita præditameſſe. Ergo
Iupiter mundi anima eſt; ſecun, dùm Platonem. Dione autem Materia dici poteſt.
Anima enim quælupiter appellatur, mundumproducere debet. Mundusautem materia
indiget. Quo fit, ut mundo neceſſaria ſit, non quidem ſim pliciter,fed ex
ſuppoſitione.Námſidomus fieri debet, talis aut talis materia fit neceffe eft.
Vnde et Ariſtoteles materiam appellauit ner ceſsitatem ex ſuppoſitione. Plato
quoqiri Timæo dicit; mundum ex mente &neceſsitate,id eft, ex materia eſſe
conſtituium: quaſi ma teria neceſſaria fit. Si igituranima mundum producere
debet, mà. teriam quo producat neceſſeeſt. Quo euenit, ut Dionérectara tiónė
diči poſsit: quando quidemand trüdros, hoceſt, à loue trahit originem. Eft
itaque plebeia Venus, louis Dioneső filia:quoniam ſe minaria naturæ pulchritudo
tum pendet à mundi anima, cuius eſt inſtrumentum ad generationem, tum etiam
materiam mundo ne. ceſſariam reſpicit: quæ propterea amat eſſe mater, quòd
ſuopte ingenio gremium eſt formarum omnium. Dicitur autem plebeia;
quandoquidemi cūſenſu materias commercium habet. Quod enim àmateria
ſeiungiturubi, ueritatis participat, cæleftem diuinámque conditionem præ fe
ferre credendum eft. Ergo cùm duæ fint pul chritudines,diuina fcilicet,ac plebeia,
duo quoque Amores ſint ñes ceſſeeſt. Amor enim femper pulchritudinem ſequitur.
Diuinæ pulchritudinis Amor diuinuseſt: qui non folùm diuina pulchritudi: ne
perfrui affectat, uerùm etiam hanc candem exprimere per mo dum feminis. Plebeiæ
pulchritudinis amor&ipfe plebeius. Hic autem principium eſt generationis,
quando pulchritudinem ini materiaper modum ſpectaculi exprimere nequit, citra
formarum omniumexplicationem: Sed ambigi poteſt,quo pacto dictum ſic, quot ſunt
pulchritu dines, totidem efle Amores, Nónne pulchritudo finis Amoris eft: is At
vero quid prohibet, fi finiseſtunus,ea quæ ſuntgratia illius,mul taelle: Sicut
etiam nihil prohibet, exemplar unum eſſe, multa ue. rò quæreferuntexemplar.
Vnus enim Hercules eſt: Herculis autem imagines complures. Vnde&illud ACCADEMIA
in TIMEO (si veda) in contro uerliam trahitur, propterea, inquit, munduseft
unus, quoniamex emplar unumimitatur. Nam ſiunius exempli multæ imagines eſſe
poflunt,quomododictum eſt mundum propterea unum eſſe,quo. niam exemplar unum
imitetur: Ariſtoteles cùm uellet oftendere, Mundum eſſeunium, ex tota ſua
materia conſtitutum effedixit. Edli enimaliudmundus eft,aliud ſua mundo
eſſentia: non tamen conti nuo euenit,ut uel plures fintmundi,uel plures
contingat fore: qua. ſi ſpecies, quæ fit in materia, femper amet eſſe
uniuerfale. Suntau tem plura ſub eadem fpecie, quæcunque ſibi ſuæ materiæ
aſſumunt particulam: ut equus,utleo, et fi quaſuntalia generis eiuſdem. At uerò
quæcunqextota materia fua conſtant, hæc quidem ſingulain ſingulis
funt.Exhisautem mundus eſt. Dehisabundèin primo li brodeCælo agitAriſtoteles.
Vnde colligere poſsumus,materia copiam,multitudinemindicare ſingularium.Quod
etiam in undeci. Mo Rerumdiuinarum clara voce dictum eſt. Verumenimuero de
claremus primò diuinum Platonem rectè dixiſse, qui aſseruit in Ti.
mæo,mundumpropterea unumeſse, quòd exemplar unum imita. tur.Deinde declarandum
nobis eſt, totidem efse Amores, quotſune pulchritudines.Tametfi pulchritudo
finis eſt Amoris. Plato igitur oftenſurus,muudum eſse unum,non ex eo oftendit,
quòdmateria eſt una (quemadmodum LIZIO fecit ) nec exco, quòd mundi essentia in
corpus unum occurrat,ficut Stoicicomminiſcuntur. Aut enim ſolus,aut maximèuſus
eſt præcognofcente cauſa,quemadmo. dum inquit Theophraſtus.Nam mundum eſse unum,
acceptumre. fert exemplaricaufæ. Sienim exemplar unum, opifex unus,neceſse eft et mundum
eſseunum. Nam opifexunus dum perfectiſsimèexo primit exemplar unum, omnes
exprimendi numeros impleat ne ceſse eſt. Alioquinon
perfectiſsimèexprimeret. Huiuſmodi autem expreſsio nonniſi in uno perfectiſsima
eſt. Si enim multa eſsent, quæ perfectiſsimè exprimuntur, quid prohiberet, in
infinituma bire: At aſserere, ab uno opifice infinitos eſse mundos, ſtupidi
omnino mancipñ eſt. Non eft igitur dicendum, multa eſse quæ perfectiſsimè
exprimuntur. Sed neque etiam aliud alio eſse perfe ctius, quandoquidem
perfectiſsimum obuiam fieret. At fi uel plu. ra, uel exquiſitius in
perfectiſsimo continentur, nónne cætera fu perfluent: Quaproptermeaquidem
ſententia, rectè adſtructum eft. Si exemplareſt unum, opifex unus, neceſse eſt &mundum
eſseu num. Acexemplareſſeunum, opificem unum, facilè oftendi poteſta Sienim
multa exemplaria eſſent,autæquè perfecta dixeris,autaliud alio ex his
præſtantius. Fieri autem nequit, ut æquè perfecta fint, quandoquidem ſingula
ualerent idem. Quo euenit, ut unum fatis ſit. Sin autem aliud alio
perfectiuseft,nónne in id,quod eſt præſtan tius, ſemper opifex intuebitur unde
et cætera nulli uſui fuerint. Si. mili ratione de opifice adftruendum.
Quapropter recte dictumeſt à diuino PLATONE, Mundum propterea unum eſſe, quòd
exemplar unumimitetur. Quo fit, ut facillimè ea ratio refutari poſsit, quæ co
nabatur oſtendere,non continuòmundumeſfeunum, quòd exem plar unumimitaretur: quando
uidemus, exemplaris unius multa ſi mulachra eſſe. Namomnino fierinequit,
utmulta ſimulachra exem plarisſint unius, ſi ſit opifex unus, ifíp
perfectiſsimus: cuiuſmodi mundi opifex eſt.Nam multitudo fimulachrorum, autex
opificis de bilitate: autex multitudine uarietateof fic. Quòdfiobijcitur, ani
marum ideameſleunam, opificem unum, huncés perfectiſsimum: complures
tamenanimaseſſe. Adhæc,leonis autequi, et fiqua ſunt generis eiufdem, ideam
eſſe unam, complura tamen quæ ideam i plamimitentur. Nos ad hæcreſpondeamus,non
eſſe animarum om nium ideam unam, proinde nec exemplarunum. Sed fingulas ani
mas, ſingulas habere ideas. Vnde et animæ omnesrationales, de ACCADEMIA
fententia,fpecie differunt. Quodetiamſenliſſe Ariſtotelem non ambigimus. In
his,inquit,quæ ſunt ſeorſumà materia, idem res ipfaeft,& fuum rei eſſe. At
intellectum ſiue rationalem animam ſe orſum eſſe,ſecundùm Ariſtotelem facilè
dabuntij, qui multis in lo cis Ariſtocelis uerba attentè legerint. Themiſtius
in tertio libro de Anima dicit de mente LIZIO, intellectum illuminantem eſseu
num, illuminatosuerò aclubinde illuminantes complures. Quoe. uenit,uttum multi
ſint,tum etiam ſpecie differences. Quapropter et animarum diſcurſiones, et uitæ,
ſpecie differunt: ſicut etiam &cor pora. Sedde his alibi latius agendum
eſt. Satis eſt auteminpræſen tia declaraſſe,animarum omniumnon eſſeideam unam.
Soluitur et alia ratio.Nam propterealeoniseftidea una, exemplar unum, par
ticipatus uerò mulci:quoniam idquodexprimit in materia, non eſt unum ac
perfectum,ficutimundiopifex unus perfectusoz eſt. Con currunt enim dij mundani,
et cælum ac cauſæ particulares, ad i pfam rerum generationem. Quod etiam
Ariſtoteles clara vocete ſtatur,dicens, ab homine et ſole hominem generari,
Hactenusdeclaratum eft, liexemplareſtunū, quo pacto id, quod exemplarimitatur,unumeft,
quo pacto contingitmultitudinem in cidere. Nuncuerò reſtat, ut eirationi
reſiſtamus, qua adftruitur, non elle totidem Amores, quotpulchritudines,
propterea quòd concin git finemeſſeunum:complura uerò, quæ illius gratia ſunt.
Nampul chritudò finiseft amoris. Dicimusigitur, id quod habetrationemfi
nis,expetibile effe:atqzidquod reueraomnium finiseſt, reuera quo que acmaximè expetibile.
Qua propter quoniamper ſeunum &per febonnmomnium eſt finis,reuera et primòab
omnibus effe expe tibile. Vndeapud Ariſtotelem legas,bonumid efTe, quodomnia ap
petunt. Significatur enim idquodab omnibus, fed pro ſua cuiuſque facultate,expetitur,eſleid,quodreueraac
primò bonumeſt. Cum itaqs expetibile moueat appetitum,
ubi plura expetibilia ſunt, toti demeſſe appetitus generaneceſſe eſt. Appetitus
enim ſemper expeci bile ſequitur,eiuſdem eftutrunqß contemplari; quaſi natura
con iuncta lint. Vbiuerò unumexpetibile, appetendigenusunumquo. queſitoportet.
Quo fit,cùm unum idem's omnibus commune bo, numſit, unum quoqlıtomnibuscommuneappetendi
genus.Om nia enim ſibi bonumadeffe cupiunt:cuius gratia agunt, quicquida gunt.
Atqz ita in cunctis unum eſt. Præter autem id bonum,quod cùm primò bonum ſit, omnibusadeſt,
ſuntalia et bonorum genera, quorumſuus cuiuſeftappetitus: cuiuſmodi
pulchrumeft, cuiuſ modiiuſtī, et fi qua ſuntgeneris eiuſdem. Rectè igiturà
diuino Platone dičtum eſt,totidem effè AMORE, quot ſunt Veneres. Venus
énimpulchritudo eſt:amor autem pulchritudinis deſiderium. Cum igiturduæ ſint
pulchritudines,altera diuina accæleſtis,altera plebe. ia ac ſenſui obnoxia:
ſintóshæc genera duo expetibilium:neceffe eft, totidem quoq; effe
appetendigenera,qui duo ſunt AMORE. Atque ſicmea quidem fententia fortèmelius,
quàm quibus uiſumeft, pul chritudinem AMORE esse materiam. Ex his ratio illa
facilè diffolui tur. Adftruitenim polito appetibili uno, contingere, ut
complures illius fint appetitus. Cui quidem manus dandæ ſunt, non tamen
continuo pluraelle appetendi genera: quod quidem adſtruendum érat. Nam
pulchritudo fi unafit, etſi nihil prohibet inultos illius Amores efle, unum
tamen fuerit amandi genus. Quoniam uero duæ pulchritudines ſunt, duoquoq amandi
genera ſint neceffe eſt. Acą hanc ego exiſtimo ueriſsimam diuini Platonis
ſententiam èffe: arguimerito, quòd Amorum alterum cæleftem, alterum ple bcium
appellauit: quoniami altera pulchritudo diuina ſeparabiliság dicitur, altera
plebeia, accumimateria communićañs: quali ex inge nio appetibilis appetitus
ipſe ſitæſtimandus. Hactenus de his amoribus tranſegimus, quiomnibus animis
inſunt, ſiue hæ deorum ſint, fiue dæmonum, ſiue illius generis, quodcorpus
caducum ſibi induit, cuiuſmodi hominum animę funt. Nunc uerò ñ amores ſunt
expediendi, qui propriè hominum dici poſſunt,ſiuenos rapiant in generationem,
ſiue in diuinam pulchri tudinem reuocent. Atqui ſenſibilis mundi huius
pulchritudo, intel ligibilis exemplarisógillius eſt imago. Huius quàm ſimillima
eſtcu iufuis hominis pulchritudo. Anima enim omnis rationalis totius inanimati
curam habet: ut in Phædro dictum eſt. Quofit,utquaf: cung ſpecies ſortiatur,
ſiue deorum uitam uiuens, ſiue cæleſtem ac dæmonicam,fiuecorpus terrenum,
elementarech nacta, totius ſem per ingenium præ ſe ferant. Quapropter compacta mortali corpori, etſi
uideturanguſti carceris miniſterio detineri, omnem tamen in eo explicat
uniuerſi facultatem, quaſi ubicunqz ſit uniuerſum produs ctura. Ex quo ueteres
Theologi hominem paruum mundumap pellarunt. Fieri enim nequit,quando anima
omnis eft uniuerſum,. quin profuo efficiatingenio, ubicunq efficit. Hinc legas
apud Platonemin primo libro de Legibus, hominem eſſe miraculum quod. dam
diuinum,in animantium genere, fiue ludo ſeu ſtudio quodam à ſuperis conſtitutum.
In ſeptimo quoc eiuſdem operis, Deus, in quit, omni beato ſtudiodignus eſt:homo
uerò deiludo eſt fietus.Ex quibus uerbis colligi poteſt, hominem habereomnia in
numerato, quæcunqmundus ipfe habet. Nampropterea dicitur dei ludo con
ftitutus,quoniam ueluti Simia deum ipſum imitatus, fuo quodam modo fit
uniuerſum. Siigitur hæcitafe habent, quis ambigat, hominis pulchritudinem
ipſius mundi pulchritudinis quàm ſimillimarn effe: Quicuno itaq;
huiuſmodiſpectaculo delectatus, in Amorem declinat generationis, hic plebeio
amore detineri iure dicitur. None nim obaliud quæritaffectató pulchrum,niſi
quoniam credit ſepol fe in co generationem conſummare. Amator autem
talisaggreditur, quodcunqobtigit, ſiue mas ſit, ſeu fæmina. Fæminãquidem, quoni
amhocinſtrumentū neceſſariū eſt ad generationē.Fieri enim nequit, utcitra
fæminam generatio abſoluatur. Fæmina enim ſi credimus Ariſtoteli, materiçuicem
gerit:Eſtenim fæmina mas lęſus, utillein quit. Marē uerò,quoniã quandoquſą adeo
inſanit, uſą adeo impo tenti uoluptate delinitur, ut credat ſeibi generationé
conficere pofle, unde ſummum hauriat uoluptatis. Quofit,ut cecus omnino in
pudo. rem temere graſſecur. Amatautēcorpus magis quàm animữ. Quan.
doquidéanimus diuina res eſt,diuino amoreprofequenda. Ille uerò iã totusà
diuino abhorret. Quo fit,ut corpus magis probet uolupta tū miniſteria
exhibitură. Amatquo et potius
ſinementehomines, prudentes. Quoniam non facile est prudentes decipere, qui
mente ualentacnitunturratione. Non eft autem consilium, ea incommoda in præsentia
recensere, quod tales AMATORES suis AMATIS adeffe cupiunt. Quidenimaliuddiu
noctub cogitant, niſiquo pacto valeant voluptatem explere: Vndeſiamati pauperes
fuerint, sine necessarios, sine clientelis, lineamicis, adheline omnianimi
cultu, cuiusmodi sunt disciplinæ bonarum artium, sine quibus nemo VIR magnus esse
potest, deniam sine DIVINA PHILOSOPHIA, quæ homines facit prudentissimos,
miruminmodum gaudent, quasiex calamitatibus eorum suam felici tatem auspicaturi.
Qua propter improbandi, reiciendi, inſectandig ſunt, tanquam maximè pernicioſi ac
noxij, quippequi genus huma num maximis detrimentis, bonisuerò nullis
afficiant. Quid igitur mirum fi legibus cautum eſt, nullo pacto vulgares AMATORES
audiendos esse, quasi impudentissimi iniuſtissimiĝzlint: Huiusmodi igitur ac similium
affectuum auctores tilla SENSIBILIS PULCHRITUDO, quam Venerem plebeiam appellat
ACCADEMIA. Trahitenim, ut dictum eſt, rapitớs animam ad corpora (quod animæ maximum malum eſt) nisi optimi moreš diuini
acobftet PHILOSOPHIA, cuius beneficio veritatis partici pamus. Atverò si
PULCHRITUDO SENSIBILIS ſit instrumentum ad diuină pulchritudinem, Venus cælestis
VRANIA rectè dicitur: affectus õz ille, qui cir ca hanc uersatur, AMOR quoque
cælestis iure appellatur. Provocatau
tem ad diuinam pulchritudinem, non fæminæ pulchritudo, ſed maris. AMATOR enim
diuinus, cùm probè nofcat fæminam generationi deſeruire, in mare uero
generationem expediri non poſle, abhorreat autem penitusà generatione
(quandoquidem totus in diuinum in hæret) fit utiqz MASCVLÆ PVLCHRITUDINIS et
fectator adeò et admirator: quippe qui pulchro uti AMET, non tanquam in quo
explicet seminalem pulchritudinem (quemadmodum euenit plebeio AMATORI) fed
tanquam inſtrumento, quo in domeſticam pulchritudinem, ac tumdeinde in diuina mattollatur.
Probat autem non pueros adhuc mentis expertes, sed adoleſcentes, quimente valere
iam cceperint. In certum eſt enim, an pueri uirtute præditi futuri ſint. Ille
autem in primis VIRTVTEM, optimum (Banimi habitum admiratur. Ergo adolescens
ubi furentem amicum contemplatur, quàm omni uirtutum genere abundet, non minus
obferuare ac colere debet, in omne oble quium paratissimus, quàm deorum
immortalium statuas colendas cenfet. Scit enim cumeo divinum ad omnetempus
habitare: proin de nihil aliud fibi cogitandum efle, niſiquo pacto ualeat omne uirtu
tumgenus explicare, ut diuino AMATORE dignus AMATVS et uideatur et fit. Hactenus
Pausaniæ sermonem explicasse ſatis erit. Nam quæ dicunturde Aristogitonis et Harmodñjamicitia,
quæíz deuarijsa mandi legibus, tum apud græcos, tumetiam apud barbaros,
explicanda alijs relinquimus. Nobis enim ea duntaxat proſequi conſilium eft, quæ
uideantur ad Philoſophiam pertinere. Eros non è nato né immortale né
mortale, ma nello stesso giorno, ora fiorisce e vive, se vi riesce, ora
muore, per poi risuscitar, di nuovo. (Diotima a
Socrate) Sigmund Freud, nella creazione della psicoanalisi, dette
un rilievo assolutamen- te centrale alla sessualità; per essere più
esatti le pulsioni sessuali, o libido, poi eros, rappresentarono uno dei
cardini portanti sui quali ruotò la metapsicologia freudiana, nonché la
ricostruzione delle dinamiche intrapsichiche e relazionali nelle loro
manifestazioni patologiche e non. Tutto questo è risaputo. È anche noto
che al riguardo Freud si richiamò ripetutamente all'eros di Platone.
L'obbiettivo di questo contributo è di sondare brevemente in quali forme e
con quali significati egli si riallacciò alla concezione del filosofo
greco, se i richiami risultano giustificati sul piano storico e
filologico, e infine se fu la lettura dei te- sti platonici a suggerire a
Freud determinate valenze dell'eros; dunque se vi sia una
"paternità" platonica della rinomata concezione della sessualità
freudiana. Vi sono due indirizzi principali rispetto ai quali Freud si
appoggiò a Platone, che segnano al contempo due delle più importanti vie
della concettualizzazione della sessualità: l'una concerne la sua
estensione sul piano delle dinamiche psi- chiche; l'altra la sua
trasposizione sul piano biologico, a sua volta articolata in due filoni.
Seguiamo la partizione freudiana. Lo scudo della divina ACCADEMIA In
Massenpsychologie und Ich-Analyse, scritto e pubblicato, il concetto di libido,
e con esso l'estensione della sessualità in esso presupposta, è diret-
tamente ricondotto a tutto ciò che rientra nell'universo semantico della
parola Liebe\ ove Liebe va dal «Geschlechts-liebe mit dem Ziel der
geschlechtlichen Vereinigung» fino all'amore per le «abstrakte Ideen»
Freud, Massenpsychologie und Ich-Analyse, in Gesammelte Werke, Libido ist ein
Ausdruck aus der Affektivitatslehre. Wir heifien so die als quantitative
Gròfie betrachtete - wenn auch derzeit nicht meBbare - Energie solcher
Triebe, welche mit ali dem zu tun haben, was man als Liebe zusammenfassen
kann. Wir meinen also, dass die Spra- che mit dem Wort "Liebe"
in seinen vielfàltigen Anwendungen eine durchaus berechtigte Zusammenfassung
geschaffen hat, und dass wir nichts Besseres tun konnen, als dieselbe
auch SOLINAS Difendendo tale operazione dallo «Sturm von EntrUstung»
che sollevò, Freud si riallaccia direttamente a Platone: Und
doch hat die Psychoanalyse mit dieser "erweiterten" Auffassung der
Liebe nichts Originelles geschaffen. Der "Eros" des Philosophen
Plato zeigt in seiner Herkunft, Leistung und Beziehung zur
Geschlechtsliebe eine vollkommene Deckung mit der Liebeskraft, der Libido der
Psychoanalyse, wie Nachmansohn und Pfister im Einzelnen dargelegt haben. Diese
Liebestriebe werden nun in der Psychoanalyse a potiori und von ihrer
Herkunft her Sexualtriebe geheifien. Il tono essenzialmente difensivo del
richiamo a PLATONE emerge in modo ancor più esplicito nell'immediato
prosieguo: Wer die Sexualitat fllr etwas die menschliche Natur
Beschàmendes und Erniedrigendes halt, dem steht es ja frei, sich der
vornehmeren Ausdrucke Eros und Erotik zu bedienen. Ich kann nicht finden,
daB irgend ein Verdienst daran ist, sich der Sexualitat zu schamen; das
grìechische Wort Eros, das den Schimpf lindem soli, ist doch schliefllich
nichts anderes als die Obersetzung unseres deutschen Wortes Liebe. Considerazioni
analoghe, e con la stessa identica intenzione difensiva, aveva svolto del
resto Freud l'anno prima, nella nuova prefazione ai tanto celebri quanto
discussi Drei Abhandlugen zur Sexualtheorie, quando ricordava a tutti
coloro che lo accusavano, indignati, di "Pansexualismus": «wie nane
die erwei- terte Sexualitat der Psychoanalyse mit dem Eros des gSttlichen
Platon zusam- mentrifft» Per individuare i dialoghi platonici cui si
riferisce qua Freud vi sono due elementi principali: i suoi precedenti
richiami al Simposio e il rimando ai saggi di Nachmansohn e Pfister.
Quest'ultimo, nel suo brevissimo Plato als Vorlàufer der Psychoanalyse presenta
una panoramica complessiva dell'eros nel Simposio delineandone la convergenza
con la libido e la sublimazione freudiane Nachmansohn nel suo Freuds
Libidotheorie verglichen mit der Eroslehre Platos, pubblicato fin dal
1915, aveva del resto già mostrato che unseren wissenschaftliche
Erorterungen und Darstellungen zugrunde zu legen». Tutte le ope- re di
Freud sono citate dai Gesammelte Werke, Chronologisch geordnet, Frankfurt
am Main. Assoun, Freud, la filosofia e i filosofi, Roma [ed. or. Freud la Philosophie et les
Philosophes, Paris 1976] commenta: «L'Eros platonico è la forma
originaria di quella sintesi che la stessa psicoanalisi promuove attraverso il
suo con- cetto di libido, Freud, Vorwort zur vierten Auflage, Drei
Abhandlugen zur Sexualtheorie, GW, rimandando anche qui a Nachmansohn.
6 Cfr. O. Pfister, Plato als Vorlàufer der Psychoanlyse, «Internationale
Zeitschrift Air Psychoanalyse, qui p. 267 sg.: nell'ascesa erotica descrìtta da
Diotima si ritrova «ciò che Freud chiama sublimazione.nel Simposio, ma
anche nel Fedro e nella Repubblica, era contenuta una conce- zione
dell'eros equivalente a quella psicoanalitica, sia quanto all'estensione
se- mantica sia quanto al concetto di sublimazione 7. Le coordinate
testuali entro le quali si inscrivono i richiami freudiani sono dunque
rappresentate da questi tre dialoghi. Quanto al Fedro, Freud stesso
avrebbe di lì a poco adottato - tacitamente - la metafora del cavaliere
quale emblema dell'utilizzo da parte dell'Io dell'energia erotica dell'Es
8, rielaborando così l'immagine della biga alata richiamata da
Nachmansohn 9. Quanto alla Repubblica, citata da Freud in riferimento al sogno
10, è stato scritto molto rispetto alle affinità con la concezione
psicoanalitica (in parte intuite da Nachmansohn) 1 a cominciare dalla
idraulica dell' epithymia, alle modalità di gestione repressive e
sublimanti del desiderio, all'analisi dell'emersione onirica 12 ; tale
questione ci allontanerebbe però dal nostro tema perché più che di
paternità sembrerebbe qui trattarsi di anticipazioni; veniamo dunque al
Simposio e cerchiamo di capire se l'estensione freudiana vi trovi
effettiva corrispondenza. Nel discorso di Socrate-Diotima ove è
contenuta la concezione che può esser considerata rappresentare quella di
Platone, l'eros si configura anzitutto quale forza sessuale in senso
stretto, riproduttiva: è in virtù di eros che uomini e Cfr.Nachmansohn, Freuds
Libidotheorie verglichen mit der Eroslehre Platos, Zeitschrift filr Àrztliche
Psychoanalyse. L’ACCADEMIA anticipa la concezione della libido e la concezione
della sublimazione di Freud: l'eros copre infatti tutte quelle
manifestazioni che vanno dall'istinto di conservazione alI'amore per la scienza.
Freud, Das Ich und das Es, GW; Id., Nette Folge der Vorlesungen zur
Einflihrung in die Psychoanalyse, GW, voi. XV, p. 83. Sulla paternità platonica
dell'im- magine cfr. tra gli altri A. Kenny, Meritai Health in Plato 's
Republic, in Id., The Anatomy of the Soul, Bristol and Oxford Price,
Mental Conflict, London and New York Nachmansohn, si richiama alla
Vernunft quale Lenker der Seele rimandando direttamente a Fedro, ovvero
ai passi del mito della biga. Sui richiami a Repubblica, cfr. S. Freud,
Die Traumdeutung, GW, voi. II/III, p. 70 e p. 625, entrambi aggiunti nel
1914, e Id., Vorlesungen zur Einfuhrung in die Psychoanalyse, GW. Cfr. Nachmanoshn:
«Die Sublimierungstheorie Freuds fìndet sich schon ausfuhrlicher bei
Plato und "der Staat" bringt noch eine noch auszubeutende
padagogische Lehre, um die Sublimierung des Eros in die Wege zu
leiten». 12 Cfr. ad
esempio W. Jaeger, Paideia, voi. Ili, Berlin Popper, The Open Society and
its Enemies, London 1 966, voi. I, p. 313; C.H. Kahn, Plato's Theory of
Desire, «Review of Metaphysics; A. Kenny, Price, Plato and Freud, in C. Gill
(ed. by), The Person and the Human Mind, Oxford, soprattutto pp. 261-3;
J. Lear, Open Minded, Cambridge 1998, p. 10 sg. e p. 108; M. Stella,
Freud e la "Repubblica": l'anima, la società, la gerar- chia,
in M. Vegetti (a cura di), Platone, La Repubblica, Napoli 1998, voi. HI, pp. 287-336. Ho cercato di affrontare
alcune di tali questioni in M. Solinas, Unterdriickung, Traum und
Unbewusstes in Platons «Politeia» und bei Freud, «Philosophisches Jahrbuch»
111, 2004, pp. 90-112. animali «sentono il desiderio di generare
(yevvav è7tt0i)u/n,o-Tj)» (207 a). Il con- cetto viene quindi
"esteso", sì da risultare il fondamento di ogni tipo di amore,
come emerge nella celebre ascesa erotica: se il giovane all'inzio «deve
amare (èpfiv) un determinato corpo», poi «bisogna far sì che divenga
l'amante (èpaornv) di tutti i corpi belli, e che allenti la veemente passione
per uno solo», in modo da poter amare «la bellezza ch'è nelle psychai»,
esser «indotto a con- templare il bello che è nelle istituzioni e nelle
leggi», nelle scienze, fino alla contemplazione della bellezza in sé.
Così, il giovane che «è stato educato nell'eros (npòq xà èpamKà
naiSaycoYtiGfì) fino a questo punto» giungerà alla conoscenza; è perciò grazie
alla forza dell'eros che si può giun- gere alla philo-sophia. Platone si
riallaccia così alla precedente defini- zione della philosophia quale
desiderio (epithymia) erotico per la sapienza di cui si è privi (200
a-e). In sintesi, l'eros, volto originariamente alla procreazione
sessuale, grazie alle corrette modalità pedagogiche adottate a livello
extrapsichico, mostra di po- ter essere modellato, plasmato intrapsichicamente,
"sublimato" utilizzando il linguaggio freudiano, sì da
trasformarsi da forza sessuale in forza amorosa, in eros-philia o
Liebestrieb come potremmo dire 14. Da questo punto di vista la
vollkommene Deckung quanto a Herkunft, Leistung und Beziehung zur
Geschle- chtsliebe tra eros e libido individuata da Freud (come da
Nachmansohn, Pfister e più tardi da molti altri commentatori) si rivela
sostanzialmente corretta; sebbene la convergenza sul piano ontologico e
filosofico-antropologico - non debba essere spinta oltre i confini posti
dallo statuto di Eros quale «demone me- Seguo la traduzione di CALOGERO
(si veda), L’ACCADEMIA, Il Simposio, Bari. Freud attribuirà
paritariamente a Goethe e Platone una concezione aitine a quella della
sublimazione in Freud, Goethe-Preis, GW: Den Eros hat Goethe immer
hochgehalten, seine Macht nie zu verkleinern versucht, ist seinen primitiven
oder selbst mutwilligen Àufierungen nicht minder achtungsvoll gefolgt wie
seinen hochsublimier- ten und hat, wie mir scheint, seine Wesenseinheit
durch alle seine Erscheinungsformen nicht weniger entschieden vertreten
als vor Zeiten Plato». Già A.E. Taylor, Platone. L 'uomo e l'opera, trad.
it., Firenze, pur accostando l'eros all'amore cristiano ne ribadiva
l'originaria forma sessuale ed istintiva di «desiderio bramoso. Tra
i tanti crìtici si veda ad esempio Dodds I Greci e l'Irrazionale, Firenze [ed.
or. The Greeks And The Irrational, Berkeley/Los Angeles/London 1951] che
commentando il Simposio scrive: Platone qui si avvicina molto al concetto
freudiano di libido e sublimazione. Nello stesso senso va Tourney, Freud and the Greeks,
History of the Behavioral Sciences; H. Marcuse, Eros e civiltà, Torino
[ed. or. Eros and CMlisation. A Philosophical
Inquiry into Freud, Boston, scrive che l'ascesa rappresenta una «sublimazione
non repressiva; VEGETTI (si veda), L'etica degli antichi, Bari., senza
rimandare a Freud, scrive che nel Simposio si tratta di eros
sublimato. diatore, e dal legame, invero assai significativo, tra
desiderio erotico e bellezza, originario in Platone, derivato in Freud. In
conclusione, la paternità storica della concezione freudiana della libido
quale estensione o ampliamento della sessualità spetta di diritto a Platone.
Con paternità però in questo caso non si deve pensare ad una influenza
diretta del pensiero platonico su Freud; la teorìa della libido infatti,
sia quanto all'adozione del termine (latino), che rìsale ai primissimi
testi di Freud 17, sia quanto al modello di funzionamento che ne permette la
sublimazione, anch'esso di antica data 18, non sembra infatti esser stata
suggerita dalla lettura dei testi platonici. Resta invece il fatto che Freud
poteva legittimamente farsi scudo dell'autorità della divina ACCADEMIA, e
questa era in verità la sua primaria intenzione, di fronte
all'indignazione ed alle proteste sollevatesi da più parti contro la sua teoria
che attribuiva all'eros si grande rilievo pressoché a tutti i livelli
della vita psichica, rinvenendo nell'antico filosofo greco un precursore.
Platone levava ancora una volta alta la sua voce, questa volta a difender
però la potenza 'positiva' di un'energia psichica, l'eros, per tanti
secoli temuta quanto bistrattata, anche in suo nome. Il
discorso sulla "paternità" dell'eros assume invece un'altra direzione
ove si prenda in considerazione l'estensione della libido o dell'eros al
piano biologico; con ciò veniamo al secondo significato attribuito
all'eros. I due suggerimenti del Simposio Jenseits des Lustprinzips segna
una tappa fondamentale per la psicoanalisi perché in esso Freud inaugura la
nuova concezione dualistica delle pulsioni di vita e di morte (che qui
tralasciamo), attribuisce ad entrambe carattere regressivo, e adotta una
concezione per cui la pulsione sessuale, o libido, o meglio
Eros, riportato sul piano cellulare, viene identificato quale forza
che «alles Lebende erhalt», garantendone la potenziale immortalità. Quanto
al carattere regressivo o funzione di riprìstino attribuito (anche) alle
pulsioni sessuali, Freud richiama esplicitamente «die Theorie, die Plato
im Symposion durch Aristophanes entwickeln làBt»: l'ipotesi esposta nel
mito, scrive, «leitet nàmlich einen Trieb ab von dem Bedùrjhis nach
WiederherstelCfr. ad esempio Freud, Dos Unbehagen in der Kultur, GW:
Einzig die Ableitung aus dem Gebiet des Sexualempfìndens scheint
gesichert; es wàre ein vorbildliches Beispiel einer zielgehemmten Regung. Die "Schoneit" und
der "Reiz" sind ursprttnglich Eingeschaften des Sexualobjekts».
Cfr. Laplanche e Pontalis, Enciclopedia
della Psicoanalisi, trad. it., Bari. [ed. or. Vocabulaire de la psychanalyse,
Paris], per cui il termine «lo si incontra a più riprese nelle lettere e
nelle minute indirizzate a Fliess e per la prima volta nella Minuta
E. lung eines fruheren Zustandes»^ 9. Egli sintetizza il mito ricordando
che anticamente v'erano i tre generi del maschio, della femmina e
dell'androgino, in cui tutto era doppio finché Zeus non si decise a
tagliarli in due, per citare infine: Weil min das ganze Wesen
entzweigeschnitten war, trieb die Sehnsucht die beiden Halften zusammen:
sie umschlangen sich mit den Handen, verflochten sich ineinander im
Verlangen, zusammenzuwachsen. Freud rinviene dunque nel mito
arìstofaneo, legittimamente, un modello che soddisfa proprio quella
condizione che egli cerca di soddisfare, ovvero la funzione della pulsione
sessuale di ripristinare uno stato precedente, di raggiungere una meta
antica 21. Con ciò abbiamo una dichiarata ammissione di paternità storica
dell'eros quanto al suo carattere regressivo. Quanto all'eros "che
conserva", Freud, sempre discutendo il Simposio, non si richiama più
direttamente ad Aristofane bensì al Dichterphilosoph; questo sembra un
indizio della sua consapevolezza perlomeno del fatto che nel mito aristofaneo
il discorso sulla separazione originaria concerne esclusivamente la
natura umana, l'eros non ha la valenza biologico-universale attribuitagli
da Freud (che ora vedremo), concezione che si ritrova invece pienamente nel
discorso di Socrate-Diotima. Egli sembrerebbe dunque coniugare
parallelamente le sue due nuove concezioni attribuite all'eros e i due
discorsi del Simposio: il ripristino grazie al mito di Aristofane, la
funzione universale grazie al discorso socratico; operazione che, sebbene
contravvenga in parte al dettato platonico, mostra che Freud sembra
volersi riferire ad entrambi i discorsi, ed è ciò che qua conta Freud, Jenseìts
des Lustprinzips, GW. Cfr. ACCADEMIA, Simposio, traduz. Wilamowitz-Moellendorf.
Freud scrive che non citerebbe l'ipotesi contenuta nel mito «wenn sie nicht
gerade die eine Bedingung errullen wUrde, nach deren Erfullung wir
streben». Anche Gould, Platonic Love, London, riporta l'interpretazione
freudiana del mito esclusivamente alla questione del «carattere regressivo»;
cfr. anche P.L. Assoun, Finita la citazione prosegue Freud, Jenseits des
Lustprinzips, cit., p. 63: «Sollen wir, dem Wink des Dichterphilosophen
folgend, die Annahme wagen, dass die lebende Substanz bei ihrer Belebung
in Ideine Partikel zeirissen wurde, die seither durch die Sexualtrìebe
ihre Wiedervereinigung anstreben?». Ove la liceità agli occhi di
Freud di una coniugazione dei due discorsi verrebbe confermata
dall'osservazione per cui rispetto al mito, Platone «sich nicht zu eigen
gemacht, geschweige denn ihr eine so bedeutsame Stellung angewiesen natte,
hStte sie ihm nicht selbst als wahrheitshaltig eingeleuchtet», ivi, p. 63, nota
aggiunta; interpretazione che come sappiamo si scontra irrimediabilmente
con la negazione da parte di Socrate della concezione del ripristino
dell'unità originaria di Aristofane, cfr. Simposio. L'idea guida dell'eros
quale forza che alles Lebende erhàlt, assicurata dall'estensione delle
pulsioni sessuali alle singole cellule, è garantire una «potentielle
Unsterblichkeit» alla materia vivente (se si vuole: mortale): das
Wesentliche an den vom Sexualtrieb intendierten Vorgangen ist doch die
Verschmelzung zweier Zelleiber. Erst durch diese wird bei den hoheren Lebewesen die Unsterblichkeit der
lebenden Substanz gesichert. Così, con taleAusdehnung des Libidobegriffes
auf die einzelne Zelle wandelte sich uns der Sexualtrieb zum Eros, der
die Teile der lebenden Substanz zueinanderzudràngen und zusammenzuhalten sucht»
2 ^; la sessualità converge quindi con «den alles erhaltenden Eros», «mit
dem Eros der Dichter und Philosophen. Nel
corso degli anni tale concezione verrà conservata e ribadita per sempre
da Freud, di contro a quella del riprìstino più tardi abbandonata, e ricondotta
anche in seguito esplicitamente al Simposio: nel 1924 ad esempio scriverà che
«was die Psychoanalyse Sexualitat nannte, deckt sich mit dem allumfassenden und
alles erhaltenden Eros des Symposions P/atos», che le pulsioni sessuali vengono
chiamate «erotische, ganz im Sinne des Eros im Symposion Piatosi 1. So
wilrde also die Libido unserer Sexualtriebe mit dem Eros der Dichter und
Philosophen zusammenfallen, der alles Lebende zusammenhalt. Tale concezione era
esplicitamente compresa anche in Freud, Massenpsychologie und IchAnalyse, ove
Eros alles in der Welt zusammenhalt; si veda anche Freud, DAS ICH und das Es, GW; Id., Hemmung, SYMPTOM und
Angst, GW, voi. XIV, p. 152; Id., Das Unbehagen in der Kultur, GW; Id., Die
endliche und die unendlìche Analyse, GW, (ove è ripreso Empedocle di GIRGENTI
(si veda)); infine nel Abrifi der Psychoanalyse, GW, Freud ribadisce: meta
dell'Eros è «immer grofierere Einheiten herzustellen und so zu erhalten,
also Bindung» (Empedocle è ivi ripreso nella nota 2); egli abbandona
invece esplicitamene il carattere regressivo delle pulsioni erotiche:
quanto alla formula «dass ein Trieb die Rttckker zu einem fruheren
Zustand anstrebt», «Fttr den Eros (oder Liebestrìeb) kònnen wir eine
solche Ànwendung nicht durchfuhren». In nota chiarisce: «Dichter haben
Àhnliches phantasiert, aus der Geschichte der lebende Substanz ist uns nichts
Entsprechendes bekannt»; è scontato il rimando al mito
aristofaneo. Freud, Die Widerstande gegen die Psychoanalyse, GW: «was
die Psychoanalyse Sexualitat nannte, [deckt sich] keineswegs mit dem
Drang nach Vereinigung der geschiedenen Geschlechter oder nach Erzeugung
von Lustempfindung an den Genitalien, sondern weit eher mit dem
allumfassenden und alles erhaltenden Eros des Symposions Piatosi.Freud, Warum
Krieg?, GW: «Wir nehmen an, dass die Triebe des Menschen nur von zweierlei Art
sind, entweder solche, die erhalten und vereinigen wollen, -
wir Ora, l'attribuzione di Freud trova effettivamente riscontro nel
discorso di Socrate-Diotima. Ad un primo livello eros si configura quale causa
ultima che spinge gli uomini e «tutti gli animali della terra e del cielo
dapprima ad unirsi l'uno con l'altro (av\i\iiyr\\ai àXXi\\ov;) e poi a
curarsi dell'allevamento della prole» 32. Platone amplia quindi ancor più
il discorso: «la natura mortale cerca, per quanto può, di divenire eterna
ed athanatos. E può riuscirvi solo per questa via, la via della
generazione (xfj yevéoei), perché essa lascia sempre dietro di sé un
altro essere nuovo in luogo del vecchio» 33 ; ove «ogni singola creatura
vivente non conserva mai in sé le medesime cose, ma si rigenera di
continuo, deperendo in altra parte, nei capelli, nella carne, nelle ossa,
nel sangue e in tutto quanto il corpo» 34. Conclude Platone: in virtù di
tale incessante generazione «si conserva (oró^exai) tutto ciò che è
mortale, non col restare sempre assolutamente identico, come il divino, ma in
quanto ciò che invecchiando viene meno lascia al suo posto qualcosa di
nuovo e simile a sé. Con questo espediente, o Socrate, il mortale, sia
corpo sia ogni altra cosa (icori a&\ia icori zàXXa nàvxa), partecipa
dell'im-mortalità» 36. Eros viene dunque esteso a forza biologica
universale che "unisce" e "conserva" «ogni cosa»
mortale (se si vuole: vivente) garantendone la relativa e potenziale
immortalità grazie ad una sorta di macro-duplicazione, la generazione della
prole, e ad una micro-duplicazione, concernente ogni singolo elemento
dell'organismo; Platone dischiude così la via che nel XX secolo sarebbe stata
battuta dall'estensione biologico-cellulare freudiana dell'eros (che si
appoggiava anche sui risultati della giovane microbiologia di Weismann,
Woodruff etc, dunque sui processi di duplicazione»
cellulare). heiflen sie erotische, ganz im Sinne des Eros im Symposion
Platos, oder sexuelle mit bewuBter Oberdehnung des populàren Begriffs von
Sexualitat, - und andere, die zerstoren und tdten wollen. ;
esordisce qui Diotima: Quale credi, o Socrate, che sia la causa di questo amore
e di questo desiderio (ocinov et vai xornot) xoO epco-Eoi; Kai tt^
èjtiG'uu.iaq)?», per proseguire: «Non ti accorgi del tremendo stato di tutti
gli animali, della terra e del cielo, ogni volta che sentono il desiderio
di generare, ammalandosi tutti e assecondando l'impulso erotico
(èpatiKcòc, Siaxi8é|XEva), che li spinge dapprima ad unirsi l'uno con l'altro e
poi a curarsi dell'allevamento della prole?».: «fi 8vnxT| <pv>oic,
£nxeì icona tò 8waxòv àtei xe etvai icaì àOavaxoC;. StivaTal 8è xavun uóvov, xfj
•yevéaei, òxi òeì KaxaXeinei èxepov véov àvxi xoù naXaiov àXkò. véoc, àeì
yiyvónevoc,, xà 8è ànoKKòq, Kai Kaxà xàc, xpixac, sai oàpKa Kai òaxà Kai
atna Kai aonjiav xò oiòua», sull'apparente manchevolezza del testo cfr. PUCCI
(si veda), ACCADEMIA, Opere complete, Bari: «àXXà x$ xò àitiòv Kai
7taAxtiov)ievov exepov véov è^KaTaXelneiv otov ainò fjv. Sulla natura inconscia del
desiderio cfr. Comford, THE DIVISION OF THE SOUL [CF. H. P. GRICE, THE POWER
STRUCTURE OF THE SOUL] The Hibbert Journal; Price, Plato and Freud; t.
Gould. Cfr. Freud, Jenseits des Lustprinzips,
cit., pp. 46-61.Riepilogando, si deve attribuire al dialogo platonico, sia
quanto al ripristino arìstofaneo sia quanto all'eros che unisce e conserva, la
paternità della concezione adottata da Freud. In questi due casi però, rispetto
alla prima estensione del concetto di sessualità, si tratta di una
paternità in senso stretto, nel senso che Freud sembra aver ripreso
direttamente da Platone le due idee. Ad avvalorare tale ipotesi vi sono i
seguenti elementi. Rispetto al mito di Aristofane, va riconosciuto che esso,
citato già nel 1833 in una lettera all'allora fidanzata Bernays, è attestato
nel corpus fin dal lontano 1905, quando Freud vi accennava nei Drei Abhandlugen
zur Sexualtheorié 39 ; si tratta dunque di una presenza (scientifica) di antica
data che dopo circa quindici anni si sarebbe andata come a solidificare in una
delle teorie biologico-filosofiche più ardite dell'intero edificio
psicoanalitico. Quanto all'eros quale forza che conserva è degno di nota
sottolineare che fin dal 1910, nel suo Leonardo, Freud aveva assunto
quasi tacitamente una tale concezione ove scriveva di sfuggita che Eros «alles
Lebende erhalt» 40. Ora, fa pensare il fatto che circa tre mesi prima
dall'inzio di VINCI (si veda), Freud cita il Simposio nel saggio Sull
'uomo dei topi; discutendo del rapporto tra il fattore negativo
dell'amore e la componente sadica, in modo a dire il vero sorprendente
Freud citava in nota le parole pronunciate da Alcibiade nel dialogo
platonico: «"ja oft habe ich den Wunsch, ihn nicht mehr unter den
Lebenden zu sehen. Und doch wenn das je eintrafe, ich weiB, ich wtìrde
noch viel unglucklicher sein, so wehrlos, so ganz wehrlos bin ich gegen
ihn," sagt Alkibiades iiber den Sokrates im Symposion» 41. Se da questa
citazione, per l'appunto inaspettata ed estemporanea, è lecito presumere
che Freud avesse riletto o perlomeno ripreso in mano il Simposio, è altrettanto
lecito inferire che l'idea di Eros quale forza che «alles Lebende erhalt»
espressa appena tre mesi 38 Cfr. S Freud, Lettere alla
fidanzata e ad altri corrispondenti, Torino, lettera a Bemays, Vienna: «Ormai
non riesco più a sopportare la compagnia, tanto meno quella della famiglia,
sono soltanto un mezzo uomo come dice l'antica favola platonica che tu
certo conosci, e la mia sezione soffre non appena sto senza far niente. Freud,
Drei Abhandlugen zur Sexualtheorie, GW: «Der populàren Theorie des
Geschlechtstriebes entspricht am schònsten die poetisene Fabel von der Teilung
des Menschen in zwei Halften Mann und Weib -, die sich in der Liebe
wieder zu vereinigen streben». 40 S. Freud, Etne
Kindheitserinnerung des Leonardo da Vinci, GW, discutendo della castità degli
scritti postumi di VINCI (si veda) scrive che tali scritti weichen allem
Sexuellen so entschieden aus, als w8re allein der Eros, der alles Lebende
erhalt, kein wtlrdiger Stoff Air den Wissendrang des Forschers». Il termine
Eros era stato utilizzato da Breuer: cfr. Breuer e Freud, Studi sull'isteria,
in Opere Complete, Torino (la parte di Breuer è assente nell'edizione degli
Studien iiber Hysterie edita nelle Gesammelte Werke. Freud, Bemerkungen iiber
einen Fall von Zwangsneurose, GW; cfr. Simposio SOLINAS dopo gli
venne suggerita proprio dalla recente rilettura del dialogo platonico. In
questo caso si tratterebbe dunque di ben più di una solo eventuale
"Kryptomnesie" dovuta all'ampiezza delle sue lontane letture
giovanili, come quella tirata in gioco laddove Freud - rinunciando garbatamente
e felicemente all'originalità riconosceva ad Empedocle la paternità storica
della sua teoria dualistica 42. Sembra dunque che il Simposio, dalle sue
timide comparse del 1905, del 1909 e presumibilmente del 1910, abbia poi
più o meno silenziosamente, più o meno inconsciamente continuato a
lavorare nella mente di Freud per riemergere infine con l'ampia revisione
della concezione della sessualità di Jenseits des Lustprinzips del 1920. In
questo caso però, sia quanto al carattere regressivo sia quanto alla
funzione biologica, la "paternità dell'eros" non sarebbe più solo
storica, né si tratterebbe più dell'utilizzo dell'autorità della divina ACCADEMIA
quale scudo contro le proteste sollevate dal risalto dato alla
sessualità: sembrerebbe invece trattarsi di una paternità in senso
stretto, di un'influenza diretta esercitata dal Simposio, sviluppatasi e
sedimentatasi col lento trascorrere degli anni. Possiamo allora
concludere affermando che da una o verosimilmente più riletture del dialogo dell’ACCADEMIA
sia scaturita una decisiva rielaborazione di una delle concezioni della
sessualità, dell'eros, se non forse tra le più originali in assoluto, di certo
tra In Die endliche und die unendliche Analyse, GW, Freud scrive
della sua teoria pulsionale dualistica, che incontrava ancora resistenze:
«Umsomehr musste es mieti erfreuen, als ich unlàngst unsere Theorie bei
einem der groflen Denker der griechischen Frtthzeit wiederfand. Ich
opfere dieser Bestàtigung gern das Prestige der Originalitat, zumai da
ich bei dem Umfang meiner Lektiire in fruheren Jahren doch nie sicher werden
kann, ob meine angebliche Neuschòpfung nicht eine Leistung der
Kryptomnesie war». Freud procede quindi nell'accostamento: «Die beiden
Grundprinzipien des EmpedoMes - cpiAla und veìkck; - sind dem Namen wie
der Funktion nach das Gleiche wie unsere beiden Urtriebe Eros und
Destruktion", ove philia ed Eros (come rispetto all'eros del Simposio)
hanno in comune la tendenza «das Vorhandene zu immer grOfieren Einheiten
zusammenzuffassen». Empedocle è ripreso anche in Abrifi der
Psychoanalyse, GW. Sull'accostamento cfr. per esempio G. Tourney,
Empedocles and Freud, Heraclitus and Jung, «Boullettin of the History of
Medicine, e Id., Freud and the Greeks. le più discusse e significative
del XX secolo. Si rivela così, ancora una volta, la forza e la fecondità
di un passato antico, che, anche perché tanto amato, sembra morire solo
per poi rinascere, di nuovo. D. con un panegerico all’ more ET CON LA VITA
DEL DETTO filosofo,fatta daVarchi 07 ^ V H.I V I L E G IH
VINEGIA AP PRESSO G A fi A 1 1 R GIOLITO DE FERRARI. fa AMORE D.
O NON DVBITO douer’ eflere molti, e quali dannino me hauere IN
LINGUA VOLGARE trattato de profondi rmlteni deH’amore, opponendo il decreto de
gli antichi Pira» v- A ii gorici V fecondo il qua.
dè cito comunicare al uulgo, come alletto, Je cole diuine, non
ientendo d’effe rettamente ; il quale per non hauere feruato
Hippafo Pitagorico, fu morto. Noi rifpondiamo cffer di due nature
nomi: altri formati nell’animo da effe cofe, et interiori: altri fabricati
dall’artifìcio humano, &efteriori. Quelli effere a placito, et però
diuerfi, appreffc diuersè'nàtioni. Quelli per natura, et appreffo ciafcuno e
medefimi. De nomi interiori comporli lo eloquio interiore v Delli efteriori
formarli lo efteriore. Et quella crediamo effere la fententia del diuin
Platone conlèntientifsima ad Arillotele, come ajtroue dichiararemo. Sendo
adunque ilfermone/fteriore imagine, et « r s nota del
fermone interiore: nòti tjeggo, perche cagione fi debba (bt T
t’entrare a maggiore calunnia ^parlando, et fcriuendo delle cofe diuine
in lingua Tofcana, che in qualunque altra lingua. Crediamo piu.tpfto, che fia
da riguardare al modo del trattare. E però li Egitii fotto for me
di diuerfi animali nelle colonne di Mercurio, da chi et Pittagora,
de Platone imparorno la Filosofia, e Pitagorici fotto uelami
Matematici, et li antichi Theologi fotto moftruofi figmenti occultorono le cofe
diuine, et la natura. Noi, benché habbiamo trattato delle medefimecofe fuori di
uelami, et di figmenti, non di manco ci confidiamo non douere
efleregiuftamente dannati del peccato della profanatone. Tu adunque
leggerai quanto c'èoccorfo al prefente dire de mifterii del lo amore: et penferai
le cofe diuine tanto fuperarele menti noftre, che fpeffo ci fia
neceffario altrimenti par lare d’effe, altrimenti intendere I T"' C
A NATYRA corporale. nulla contenere 1 m fi dt aero, ma al
tut % toeJJìreimagmaria,Q urna, chiaramente diira la perpetua uarietà
s fp) m u t at iolacuale in ejfa appare. Imperoche U V 8 L I B Ti
0 uerita delle cofe fi dttermina una fermtZc za, ffi) una
permanenza. Per laquale efi fa fimpre flando ferma in uno ejfire quelte
medefime nel medefimo modo in natta uariate s'offerifiono,a chi le contempla,
la natura corporale per un filo momen tò di tempo non conferita l'ejfer
filo facendofi in ejja continua generatione, ff) cor ruttione. llche Her adito
non filo attrihuìfie a tutti i corpi, che fino fitto la Luna, ma ancora al
Cielo, ft) alle [Ielle: le quali fino tanto piu perfette, che gli altri
corpi y quanto piu fi apropinquono alla natura dell'anima. Onde come
uicini alla. rdiumitdyhanno meritato d’efier chiamati corpi diurni.
Et pero riguardando alcuni fittilmente affermorono tale openione ef
fire approuata dal diurno c Platone nelTi meo. Quafi ejfo uoglia non fi potere
attribuire al corpo l'effere, ma piutofto il M° fife
VT“1 T K I M:0. p flujjo, {fi la gener attorie. La cagione
di tal fluffi, e la mattria t della quale fino compofti tutti e
corpi co fi celefh come terreni. Laquale qualche uolta ci s'apprefin partecipe
dello flato, permanentia: Inquanto dalla forma, che fi riceue m effd in
un certo modo e contenti ta qualche
uolta come del moto: inquanto per fua natura fugge l'ejfere, {fi la
cognitione, hauendo firn prefica la contrarietà $ V infi abilità,
la uarietà Il che forfè fi gnu ficorno li antichi Theologt per la fauola
di 7 roteo: qua fi come Proteo fi mutaua in diuerfi forme, bora in
fiamma, bora in acqua, bora in leone, bora in forma di qualche
altro animale: cefi la materia fia atta, {fi pronta al rteeuert tutte le
forme f non fi partendo pero mai dalla fua natura. Et perogli antichi
Pitagorici,confiderato tal propor tione. hauer la materia 4 io L 1
2J ^ 0 corpi; quale ha la dualità a numeri non duhitorono chiamare
la materia dualità. Laquale fendo la prima diuifeone, ft) principio
d'ejja, ancora chiamorono l[ide, ffe Diana. 'Ter che come Diana, è
flerile y fecondo dice ‘Tlatone nel Thettheto, co(i ancora la prima
dualità, fendo principio della diuerfetà, della inequalitàydella
dtfsimilitudine, è priuata d'otri anione; oue confifie la fecondità di tutte le
cofe. Se adunque la natura corporale e partecipe di tanta imperfettione y chi
non uede effeer neceffario [opra ejja ejfere un'altro principio y ilquale
la regga, ffe la contenga: pendendo fempre l'imperfetto da quello y che e
perfetto ? Et però Democrito, ffe) glabri y che l'hanno feguitato y cioè
Leucippo y ffe) l Epicuro y fecondo il mio parere y meritano non ejjèr uditi. E
quali ponendo principucorporab tndiuifìbili, ma didiuerfe
> P £ 1 AÌ 0 7 /
di dtuerfe figure chiamati da loro Storni, vogliono tutte le cofe
efftr compofte d'unó fortuito concorfo d'e/si. "Dicono adunque
di quegli, che hanno figura circutare, e fi fer compofta l'anima: de gl'
altri Trian gulariy Quadrangulari, ft) fimilt efjtre compofta la uarietd
delle altre cofe: nferuando ciaftuna cofa la Natura la potentia fimile a quegli
atomi, di che effe fufsi compofta. Dicono ancora le cofe per tanto
ffatio di tempo conftruarfì in effere, per quanto m luogo di quelli atomi,
che continuamente fi partono y fàcce dono altri della medefima
Telatura. ISoi al prefente pretermetteremo dichiarare efftr' impo fi
ftbile il Cielo y gl' Elementi y gl' animali, le piante, ffij tutta la
‘Natura, o uuoi fecondo l'effere, o uuoi fecondo la confiruationc pendere
da alcuno fortuito concorfo ; firnpre apparendo mamfeft amente per
tutto 12 L IV Itoor dine y ffi ragione. Solo diremo noi uedere di tanto
maggiore potentia, ffi) di tanto maggiore efficacia ejfir le co fi,
quanto fino piu umte\ffi quelle effitre di mafsima poten tia,{fi di
mafiima efficacia y cbe fino mafsi inamente unite: onde per quefto ejjd
unità bauere infinita potentia y infinita ef ficacia: come autore, ft)
principio dogni unione. Sendo adunque la moltitudine infinita al tutto
oppofìtaalla fimplicifiima unità, ft) però pnuata dogni modo dat itone
come potrà dire rettamente Democrito l'infinita moltitudine delli atomi e
fi fir principio delle co fi: determinandofi infinita debilità: della
quale nulla y e piu oppofito alla ISlaturXdd principio t p'TOi M à.
ai C » * N \ M ' ' ' k* < ' rama E l numero
de corpi alca 1 1 m fi muouono f er ‘Vfytura} I j$J|^ Ì come
il fuoco, Varia, taci qua, ft) là terra ft) quegli, che fin compofh
d'efit, de quali il fuoco, ft) l'aria, come leggieri, fi muouono in
sùi dfioftandofi fimpre dal centro \V acquei, {fi la terra fi muouono in
giu cercando fimpre il centro. ^Alcuni altri non filo fi muouono
come quelli > ma ancora utuono ; ft) quefto per uirtù di un principio,
ilquale efii hanno dentro chiamato meritamene te anima. Fra t corpi, che
hanno Inulta, alcuni fin contenti della uirtù nutritiua, come fino
le piante, le quali non hanno bifogno della potentia del fintire, come ne
cefiaria alla loro filiate, ma fitte in terra colle radici, quali hanno
in luogo di bocca tirano il fro nutrimento ; alcuni fino dotati della
potentta del fintire, per la quale conofcono quello, che a fi e dilettabile,
o tnfitfico \ (fi della facultà, perche efii da un luogo a un'altro fi
tramutano. Imper oche hauendo a cercare l'alimento, è neceffario efii
hauere unauirtù: per laquale pofimo y o fuggire, o fi giure quello, thè
giudicono ejfire m fuo danno o falute. Sono ancora altri poflt in mezo
delle piante ; (fidi quelli y che hanno il /enfi, (fi la facultà del
tramutar fi come ricchi, (fi fimili chiamati Zoofiti y quafi fieno partecipi
della natura de gli animali, (fi delle piantf: tquali contenti filo del
[enfi del tatto ; fendo loro fimmintflrato competente nutrimento, Hanno
fempre, come immobili y in un mede fimo luogo. Oltre a tutti quefti
e thuomo grandifiimo miratolo, come dice ^Mercurio 9 animale atramente
. *s r amente degno d'efèr Inonorato, ft) adorato ; tlquale
aogmgne alle predette potenzile la fi acuità dell' intendere: per lacuale
ripieno di dtumità JpeJJò diuenta filmile 4 gli T>ij: ma, Jenoi
confedereremo rettamente, diremo wfeeme col diuin r L’ACCADEMIA il Cielo,
ft) le fttUe ejfeer donate della aita, fife dell'intelletto. Quefto
dtmoflra un perpetuo tenore di fare fimpre le medefeme cofe, ft)
nelmedefemo modo, già incominciato per gr andi fimo fpatio di tempo per
durare per l'auenir e fenza errore, fenza impedimento, quale e nel Cielo,
nelle flette; le quali col fio diurno moto, quafe un batto
magnificentifi. di tutti e batti, a tutti gli altri ammali donano la
generatone, l'ejfeentia>{t) la aita. Oltre a qucfio ancora 1 lo
dimoftra la marauighofa bellezza, ft) per fettone, laquale in efii
ueggiamo affermare l'huomo, il quale ha il corpo caduco, J -t6 L 1
® x 0 (p) fittopofto a infinite off e fé-, batter la uU ta y ft) lo
intelletto ; e'I [telo, le (Ielle, onde pendono gltaltri corpi effirne
pri» uo; e d'huomo al tutto ftohdo, mfinfato. Ma chi confiderà la
grandezza loro, chiaramente cono fie e fiere impofitbile efii
potere effère mofii pertanto tempo o dal cafi o da impeto alcuno
corporale o da cagione eftrmfica ft) uiolenta: anzi mouen. do fi tanto
efi/ufit amente, è necefidrto tal moto procedere dall'anima diurni fitma.
Onde ficur amente fi può affermare il Qelo, q) le [ielle efier compofie di
corpo, ft) d'anima ; ve da altri, che dall'anima il corpo loro
efier prodott, ft) gouernatp.St però giudicheremo efii douerfi
chiamare non filo cofe diurne 9 ma ancora T)ij.Ma fi noi pigliamo
filamente il corpo loro y fiparandolo dall'anima, affermeremo effere statue
degli Dij, fabricate da loro di materia PRIMO. n di
materia prtfìantifeima, ffe con mar auigliofe artificio, legnali per effer
polle in luoghi nobilifeimi fendo bellifeime, ripiene di uita.debbono
effere in maggiore ue ner adone, che qualunque altra featua come
efquifite imagini della diuimtà. Se adun eque il corpo animato è piu
perfetto, che quello y che non ha l'anima: perche quefeo non urne, quello
uiue, ffe) fra Rianimali qUello y che ha facultà di intendere è piu
preflante, che gli altri ; ffe quello, che intende mafeimamente è
prefìantisfimo: Viuendo, ffe intendendo il Cielo, le felle, l'huomo,
faremo coferetti confejfare efei efeer piu prefi anti, che chi non
uiue, ftf intende. Onde fe l'umuerfe è priua to della uita,{t) dello
intelletto,gh ammali uerranno ad effer piu nobili, che l'umuerfe ; di che
nulla può effere piu aJfordoSPer Lqual cofa come l'uniuerfe e
prefìantifei; 2 o mo di tutti i corpi non lafciando
fuori di fi corpo alcuno. Ma come fuoi membri con tenendoli tutti. Cofi è
nectjjario effo haue re nobilifiima anima > capo, ft) guida di tutte
le anime: per beneficio dettatale fta partecipe di prefantifima uita, q)
di prefiantisfima intelligentta. St pero li antichi Teologi di Fenicia
(come dice Iambkco, fp) Iultano Imperadore ) affermarono efjtr infufa per tutto
una ‘Natura lu cida y pura, calda % uehiculo dell'anima diuintj?ima:
per laquale dall'anima fta concejjo allo umuerfo il pretiofo dono
della aita y onde efjo meritamente fìa appellato uno animale^
laqual co fa ( benché o/curamente ) fgnifìca Timeo Tittagorico, ft) ' r
Fiatone nelTtmeo, ft) nel decimo della *Rtpubhca. alMa di cjuefto nella
concordia fra Platone, ftf zArifotile diffufifiima. mente par
laremoy ouc dimoieremo ch’ut v rumente 1 M 0. zip rumente fecondo
la mente d'oArifìotile il primo motore non effer e Dio, ma l'anima
diutmfeima dalla quale penda il Cielo, {0 tutta la natura. ^Adunque
infeeme col diuin alatone diremo ejjere il corpo, e [fere ancora,
{0 l'anima certamente molto differenti fra loro. L'anima hauer l'intelletto, il
corpo nodo hauer e. L'anima, come madonna, hauer e imperio fepra il corpo
; quefìo, come feruo, effer fuddtto >{0 retto. L'anima effer fontana
della ulta, {0 del fenfey {0 di tutte l' altre affettiom, quali noi
ueggiamo nel corpo: quefto per flanatura effer atto a riceuere, {0 patire,
di che pofeiamo conchiudere l anima, come di gran lunga piu perfetta,
hauere grado migliore nell' uniuerfo. L ^ o r E l’anima non
filamente dona la una, ma ancora contiene, ft) regge la natura corporale
( come difipra è dimofìrato ) e necejjario ejja battere una affinità naturale
col corpo, per lacuale naturalmente l'anima pofja dare la uita: e'I corpo
la pofja riceuere. L'anima pofia reggere, ft) contenere. Que fi a
non . e altro 3 che una naturale ine linat ione per lacuale noi
pofitamo dire l'anima ejjirt anima 3 ft) uer amente diftintada qualunque
altra cofa: Di che appare mariife fi amente nell'anima eJJir due
proprietà per TJatura ; una, per laquale ejjà inclini a produrre, ft)
reggere i corpi ( altrimenti non farebbe chiamata meritamente, anima ) l'altra,
per laquale effa non filo rp % 'iM o. it comprenda la natura,
che detta effer retta, ma ancora fi medcfima, ft) le cofi frperiori:quale
poco auàti fuchiamata Intelhgentia. Qutfìa intelligentia fe noi
rettamente confider eremo, uedremo effer nell'anima non per fra natura, ft)
inquanto anima ; ma piu tofto per benefìcio d'altri. Imperoche fi l'anima,
inquanto anima, ft) fecondo la natura fra haueffi l'in telhgentia, ogni anima
intenderebbe: come ogni fuoco fimpre e caldo: fendo la cahdità nel fuoco per
fra naturai ffjnot ueggiamo manififìamente non ogni anima hauere facultà
d'intendere. lmperoche chi direbbe gl' animali bruti hauere intelletto, equali
non per altro fono chiamati bruti: fi non per effer priuatì della
intelligentia? molto meno e da dire delle piante, lequali fono animate
d'anima molto più im perfet ta ; che i bruti ; iti L ^0 ' ff) però come il lume è molto
piu, per fettamente nel fole che nelle felle, fendo nel fòle per fua natura,
nelle fi elle per dono y ffe beneficio del Sole: co fi noi diciamo la
inteUigenda effer molto piu perfettamente y in cui effa fio per propria natura
y che nella anima, oue è per pardeipatione ; di che noi concludiamo ancora
quella fu(l arnia effer piu prefi ante che l’anima ; sendo in e (fa la fontana
dello intendere y principio y ft) Idea d'ogni cornicione, imperoche la
nobilifeima oper adone procede danobilifeima fubflanda, la inteL hgentia
fupera tanto Poltre oper adoni: al' manco quanto il lume Poltre qualità senJibili.
Quefla fuflantidnon è altro, che la datura Angelica, laquale
meritamente e denominata Intelletto, hauendo per propria oper adone P
intendere. Et per queflo noi concludiamo P anima effer e ordinata,
fri retta % / ; M 0. > natura ^Angelica,
cowie il corpo e ordinato, rmo dall'anima. Onde appartjce l'angelo
tanto piu effer preftante dell'anima, quanto l'anima è piu nobile,
/] corpo: ft) però l'anima non tenere il primo grado nell'uniuerfi
• adunque diremo ejjere due nature neL l'anima: una per laquale
rappreftnta la datura angelica > l'altra, perla quale inclina al
corpo. Onde e detta dal diuin Alatone nel Timeo,fu[ìantiamez&, come
quella, che pofta in mezo fra l'angelo, ft) il còrpo partecipa dell' una, {^
dell'altra natura. Quefta anima merttamen te chtamorona i ^Magi in parte
lucida, in parte oftura, come pofta in mezo di quello che è al tutto
lucido, e di quello che e al tutto ofeuro. L'Angelo è al tutto lucido,
perche fendo la prima ejjèntia; {R iapri-, ma effèntta fendo ejfa firmità,ftmpre
fi * Hij L 1 $ 7^0 mile a fi medefima e accompagnata da
e fi fa uentà, laquale e efifia luce intelligibile fi) pero
l'angela è tutto lucido. Il corpo findo oppofito ficondo la fua natura allo
angelo, è tutto ofiuro y l'anima pofta m mezzo fiala natura corporale, ffil'
angelo, inquanto partecipa dell’Angelo e ueramente lucida, inquanto
inclina al corpo, fi P uo dire ofiura.Chi adunque dubiterà fipr a l'anima
non effier l'angelo: fintana di ogni luce intelligibile? Aliti allo
fpìendore della uerità intelligibile, quale noi chiamiamo al
prefinte c, Angelo, for fi potremo cre^ dere hauer trouatoil padre
dell untuerfi. lmperoche quiui ogni coja è uera ; efinzet,
• fi s ogni co fa e ulta, ogni cofa e intelletto,
uerìta, ft) fiientia: fendo principio dell'efjere, ft) della mta a
qualunque altro fi dice ef fere,ft) utuere per quefto nella natura
contiene l'uniuerfità di tutte le cofe fendo il loro effir e per fitti fimo *
Imperoche, benché le cofì in effa fieno di flint e, ft) non con fufi,
come dtmoflrala intelligentia opera tion fua principale, laqualt definitamente
comprende tutte le cofi, nondimeno han no e fiere unitifiimo. Imperoche
nulla può effir e piu unito } che quello, in chi ciaf una parte m un
certo modo fia quel medefimo, cheti tutto, come e nelttAngelo\doue la uita,
benché inquanto uita è dtfffinu ta, nondimeno per partecipatone è
tutto lodimelo. L'intelletto ha il fuo proprio modo d' effir e:
perche è detto intelletto. Ld uent à il fuo modo d' effir e particolare:
per lo qual# è effa uentà: parimente adirne 26 L /2 0
ne in qualunque altra parte. FJondimanco quefto non fa che lo intelletto,
la uerità per fa, non Jia tutto t Angelo per par tecipatione: in modo che
nell’angelo non fi può trouar parte, laquale non conferui in fi la
natura del tutto. Quejìo credo hauereintefa Parmenide ; ft) Melijfo
antichi^ittagorici, quando ajfermorono tue • te le cofe effere un 'Ente: cioè,
ejfere una cofa, una fufiantia, quale notai pr e fante chiamiamo
Angeloinella quale tutte le cofi habbino il fùo primo ejfere, cioè
pcrfettifaimo ejfere. Come adunque nelle cofe artifictate fono due ejfaeri,
l'uno nella mente dell'artefice, manzi, chehabbia prodotto fuori la cofa
artificiata, l'altro in effa cofa artificiata ? Verbigratia la /tatua di
ifMinerua ha il primo ejfere nella mente di Fidia, l'altro m effe marmo:
de quali quello che è nettamente dello artefice, è ^RIMO. 27
ce, e primo cffere\{t) p ero molto piu nobile ; che quello, che è nel
marmo: co fi tutte le cofe hanno duoi ejjen: ; uno nella effen tta dell’angelo,
il quale, è primo, ft) perfettifimo effere ; l’altro in effe cofe ;
il quale, è participatione del uero ejfere. TDu co adunque fecondo
tl loro efftr primo per fettifimo,nonfolo confhtuire una Jufìantia ; ma ancora
ciafcuno d’effe efer tutta quella umuerfità ; ft) pero meritamente
fi può dire una fu fsifl ernia ; fff) quefia e la fintentia di
Parmenide, ft) di Mehffe della umtà dell’Ente, come io fimo. Qtie
fio Ente, o uuoi Angelo e chiamato da Hi* lottilo mondo intelligibile:
mondo, perche è pieno di elcgantia, hauendo tutte le cofe in effe il feto
e (fere uero ; lmperoche mondo fi gm fica ornamento ; intelligibile,
perche è comprefe felamente dall’intelletto, tlquale riguarda effa ucri •
28 L 1 ® ^ 0 tà. 7 ?^/ diuin Telatone e chiamato nel fi fio dilla
fypublica figliuolo di Dio. Ma di quello piu diffufamente in quello,
che figue y parleremo: 6. Nondtmanco fi noi con ftdereremo, che il primo
principio è firn pltctfiimo, ft) potentifiimo: altrimenti non farebbe
/opra ogni altra cofa: chiaramente conofieremo quefìo mondo intelligibile y o
uuoi (^Angelo non potere effir primo. lmperoche nell'Angelo fendo moltitudine,
ancora u'e compofitione ; ffi) per queflo imper fedone, imperoche ogni cofa
compofla ha in fi una parte, comcpotentia, ma parte, come atto: la
potentia ha fico imper fettone ; Patto la per fedone. Et
peroogmcofacompofìaha mefiolatoin fi l'imperfetto col per fitto. La
potentia non e altro, che quello, pel quale la cofa può effir e,
non fendo ancora. L'atto aggtugne l effir al potere ; fg) pero la
potentia è imperfetta, P % 1 M O. z 9 perfetta, lacuale gli
antichi 'Pitagorici chiamarono infinita, come per fìta natura
indeterminata. Inquanto adunque l'Angelo ha compofitione non è fimplicifitmo:
inquanto ha tmper fetione, non è potenti fi fimo. Imperoche qualunque
imperfetto uiene alla per fetione coll'aiuto et altri: però quello
è piu potente, per beneficio di { chi confeguita la fua per fettone. Ter
laqual coja fèndo l'cAngelo ne (empiici fimo, ne poterà fimo, non può
efièr ancora primo >ft) pero Tarmenide Pittagorico afi fermo il primo
Ente, qual noi al prefinte chiamiamo Angelo, efièr filmile a una sfe- '
ra » lì) P er o hauer parte, hauendo la sfera mezo, g) eftremi.
T>i che ne fi gutta ejfo non patere efièr la femphci (lima Vmtà, come
diurnamente dice tMeliffò ; laquale al tutto efclude ogni parte, (fi
ogni moltitudine,^) ogni imperfettione ;{t) però come ueramente capo
di tutte le coffe autore della per fettone dell' angelo; tignale me rit
amente e chiamato uniuerfi intelligibile. S s o Iddio findo
principio ff) autore d' ogni per fettione nelle cof, che fino, non
è capace d'imper fettone alcuna y di (jualuncjue natura ejfa fa. Et però
noi pofitamo dire fimile proportene battere alle cofe create ; eguale ha la
fimplicif fima unità a numeri Tutti t numeri hanno moltitudmeybanno
ancora unità. Moltitudine fecondo che noi diciamo il numero ternano hauere tre
unità; il quaternario hauer quattro unità, {fi eofi gli altri numeri nel
medefimo modo. Unità, perche il numero Ternario, è uno Ternario, q)
una P 1 A4 0. ft) una Trinità. Il quaternario è uno
quaternario, ft) una quatrinità: adunque tutti i numeri hanno moltitudine,han
no ancora Vmtà. La moltitudine dice imperfetto ne, ft) diuiftone. L'unità
dice coniandone ft) per fettone. Et pero tutti i numeri participano
della per fettone, f0 della imper fettone, Della per fettone >
inquanto ogni numero e un numero. Del l imperfettione y inquanto ogni
numero ha moltitudine. L'unità ancora de numeri non e acutamente perfetta,
cioè quella lenita, per laquale il numero Ternario è un Ternario i ft) il
numero Quaternario è un Quaternario. Imprima, perche tale unità ha
conuenientia, ft) affinità colla fua moltitudine ; come l'unità del
Ternario ha affinità con le parti del Ternario. altrimenti di efifa uita
3 ft) dcde parti fik non fi farebbe un tutto ; ft) quefta è
una frette et imper fettone. Dipoi perche l’unità d'ogni numero è
diffimta m modo, che l’unità del numero Ternario è dtuerfa de It
unità del Quaternario, ft) ciascuna di loro ha la fra potentia
determinata per laquale tfro produce U fro numero. Questa non e
propriamente imper fedone, Jènon perche l'unità del Ternano benché fecondo che
e unita del Ternario, fra perfetta, nondtmanco non contiene la per fettone, ft)
utrtù in fi delt altre unita: carne la perfetti firn a lujlitia, benché
inquanto Iujhtia non ha difetto al e uno ; nondimeno non contiene infila per
fi t ione della fapientia>{f) cofì la per fettone Ut terminata
ha fico in un certo modo la im per fettone* Adunq; lafimpliciftma unita
\n prima non ha moltitudine alcuna findo al tutto indtuiftbile. Oltre a
quefio non ha afflìtta con alcuna moltitudine numerale * non .
ss non potendo hauer fuo coniugio. 7/on e ancora dif finita,
ftfi particolare unità,ma fimphcifiima unità, eminente unità ; ft)
pero Pitt agora affermò effa contenere in fi la potentia, (tfi i fimi di
tutti i numeri. Riduciamo tl numero al proceffo delle co/i dal primo
principio, fecondo il coftume t ‘Ptttagorico. Nelle cofi create fi
truoua potentia ; trouafi ancora atto. La poten tia, inquanto potentia,
eimperfetta,l'au to, inquanto atto, e per fettone, adunque Imprima
imper fettone delle cofi,nafiedaU la potentia, della quale fono
partecipila fee ancora imper fettone in effe per cagione dell'atto.
Imper oche l'atto fi chiama atto, inquanto è per fettone di potentia, ff)
in queflo modo uiene a par deipare della imperfetto ne congiungendofi
fico. La forma è atto della materia, però facendofi della forma,
della materia un compo C 34 L I 2 0 fio: la
forma partecipa delle condizioni della materia.. Uoperat tont i atto
della potentia attiua, come la cale fattone è atto ft) per fettone
della potentia calefatttua: nondimanco ha conformità colla potentia
dipendendo da effa. Oltre a cjuefìo, fatto dice per fedone definita, ft)
terminata. La forma del fuoco dice una per fettone terminata: cioè effa
natura dclfuoco^La terra dice per fettone definita, cioè, effa
natura della terra, fp) cofìe proprio d' ogni altro atto. Et pero t
uno atto non include la per fittone dell'altro, adunque e [eludendo e fi
fi Iddio ogni imper fittone, efiludt f imperfetione, che fi troua per cagione
della potentia. Imper oche Iddio non ha potentia alcuna, fendo
fimplicifiimo: Efclude ancora f imper fettone, che e per cagion dell'atto. r
Ver che Iddio non ha conformità, ft) proporftone con alcuna potentia:
non fendo 1 M 0. 3 s fendo per fettone di
potentia attuta > nefe potendo d'effe, ff) della, potentia confettai %
re un compoflo. 'ISfon è ancora di per fedone definita, ffej particolare, come
ctafetì no atto, procedendo da lui ogni atto, ff) ogni potentia. c
Adunque in ‘ Dio, e ogni per fedone sjclufa ogni imper fettone^ pero in
lui ogni cofa, è per mododtVnità fìmplicifeima. e in lui diftinta la
fapientia dalla Inflitta, non è in lui diflmt a la bontà dall'efeèntia,
fjfe dalla aita. Ma è unicamente l' e fènda, la aita, la fapienda: Et
pero il dtuin L’ACCADEMIA dtfee nel Parmenide di VELIA (si veda) y non efeer di
Dio nome, non diffinidone y non fcienda, non fenfe, non opinione: come quelli,
che dicendo per fedone determinata, attribuir ebbono a TDio imper fettone,
dalla quale al tutto abborifee. Et pero *P lodino yft)gl altri c
Platonici niegono Iddio ejjer ejfentia, o intelletto: ma . ì. x v fj
t 7^0
tome molto piu prefilante, efifir contentò delle fue ricchezze ;
ricco della /ita fimpltttfiima lenità. Solamente noto a fe mede -, fimo,filo
amtratore, {fi cultore dellabtfi fi della fiua diumitd. Quefla è quella
diut na caligine, laquale tanto celebraDionifio zAreopagtta fplendore della
Cbrifhafia Theo logia,alla quale non dggiugne utr tu alcuna rat tonale, o
intellettuale. Imperochcy come il rationabile non può efjer penetrato dal finfi:
ne lo intelligibile dalla potentia rattonale: ne le cofe incorporee,
{fi femplict da t corpi, {fi dalle cofe compo[ìe m y cofi quello y
che eccede ogni modo d y e fiere, t (elude al tutto la intelligentia, o
qualunque altra cognittone, qua fi un Profano delle cofi fiacre. ^Ma è
nelle cofi create un Carattere, {fi una (ìmtlttudme di Dio, fiore,
{fi capo d'effe: per benefitto della yuale fi congtungono a Dio, quafi non
fila lecito i rp XI M o. r? lecito
aggiugnere al fuo creatore con parte alcuna di fe>mapm tofto con tutto
fi. On+ dell Profeta ratto daldiuin furore efe lama y o Signore la tua
laude, è tl felentiofigmfeando ognipotentiayO uuoi r attornierò uuoi
intellettuale, douer ceffare dalla fila operat ione,quado fi fa l'ultima
unione del le cofe create con effe Dio. Adunque molto piu
appropinqueremo a T)io procedendo per le negazioni ; che per
l'affermationiipur chefempre mediamo effer meglio ^che quel by che
noi neghiamo di lui. Nondimanco pofeiamo ufare ancora
l'ajfcrmatioMynon derogando alla fita diuinitàpur che intera diamo
effe hauere nfpetto, ft) comparatane alle cofe create. Come quando noi dittamo
T>io effer principio, mezo, fp) fine. Imper oche per il principio
intendiamo le Cofe da lui procedere ; per il mezo a lui conuertirfi:
per il fine effer da lui donato C iij L I 3 7^0 della ultima fùa per
fettone; lacuale confile nella uer a unione fico. Quefto fgntfcorono gli
antichi ‘Tittagorici quando difi fonoyla Trinità ejfer mifura di tutte le
co fi. Quefìo panifico ancora Orfeo quando dijfi Gioue ejfer Principio,
mezj), fine, ft) pero ( come dice Diontfio Ariopagita ) in quefto
modo Iddio e fplendore a gli illuminati, per fedone a perfetti ; a Tteificati
diumità, a /empiici fimplicità ; lenità a quelli y che partecipano dell'uno ;
uita de uiuenti \ejfentia di quelle cofi y che Jdno'ydi tutta
l'effintiaydi tutta la uita principio y ftj caujà. Et pero. ogni copi
creata, < o uuoi eterna, o uuoi mortale, o uuoi ra r
Rionale, o uuoi Angelica, può efilamare in: peme col \Profeta,Signore lo
fjlendore del la faccia tua, e fignato fipra noi. \ 1 M 0.
L i antichi Pitagorici chia morono e/fo Iddio per fe uno,
ffi) per fi bene > come autore della /Implicita alle co/e create,
quanto di e/fa po/fono ejfer capa et: aggiungono Siriano y ft) Troclo per
quefto nome efier fignificato y non efio Id- dio ; ma quanto noi di Dio
participia mo 3 quaf mi crediamo hauere efprejfi ef fi Dio, quando noi
efprimiamo Carattere della diurni à y col quale noi fiamo fignati. Ter fi bene,
perche non filo e (fi non niega a ciafiuno il fio grado di per fettone ;
ma ancora y perche, co.me fine, e de fiderato da tutte le cofi: ilquale
poi che hanno configmtoficondo il modo della /ùa natura, fi
quietano. c Adunque ctoche procede da lui fi fa partecipe della fua
firn ' C ni/ yo L ^0 p lìcita, ft) della
/ita per fettone. Ma perche qualunque cofa procede da altri, per
necefiità degenera dalla per fettone di colui, da chi procede ; altrimenti
l'effetto non farebbe di minore per fettone, chela cagione ; fendo
effo(come dicono e Pitagorici, ft) Plotino) uer amente uno: quello che
procede da lui, è non uno, ft) pero ha fico moltitudine. Onde habbiamo
adire hauere ancora imper fettone. Quella tmper fedone e per la
dtgrefitone, ft) partita da tffo TDio, meontrandofì fimpre
nell'imperfetto quello, che parte, ft) fi allontana dal perfetto: nondimanco
ritornando a quello, donde procedeua -, acqui fi a la per fedone.
Per laqual cofa rettamente fi dice, ogni cofa compofia ejfir compofta
di imperfetto, ft) di perfetto » Quefto intendono e Pitagorici, quado
dtffono per il prò ceffo dall'uno produrfiildua ; ilquale
ritornando P 1 Ad 0\ 4 tornando a l’uno, donde s’era
partito, conJìituifee il tre prima figura: l’effentia di cui contempliamo
nel triangolo, come dice Teone. Imperoche quello, che procede da
'Dio, partendo/! dalla infinita fua perfe tiene, cade nello imperfetto, quale è
la na tura del dua; ritornando a T>io per la fua interiore anione
participa del perfetto, quale é la natura del tre. Imperoche come
il tre è compofìo della progreditone dell’uno 9 ft) della rtgreftone a
l’uno, cofi quello 9 che procede da Dio, è compofio dell’ imperfetto,
inquanto da lui procede, ffe del perfetto inquanto a lui ritorna. In fomma
da Dio procede l’Angelo: ilquale nella prima mifura di fuo proceffo
e imperfetto. ^Ma come imperfetto ? certamente imperfetto, perche,
fendo l’angelo il primo uiuente, ft) il primo intelligente ; ffe ogni
uiuente, intelligente effendo compofìo della pò 4 2 L 1 <B
T^O tentia aitale, ft) della fùa operatone, cioè del uiuere ; ft)
della potentia intellettuale, ft) della fua operatane, cioè dello
intendere la potentia come antecedente- alla opera none fu prima prodotta,
la quale ha im per fettone, fecondo che noi intendiamo efjd ancora
non operare. L'angelo adunque nella prima mifura del fuo ejfere,
fendo una efentia con facultà di uiuere, ft) dt intendere ; ft) non
umendo, ft) non intendendo, ancora fi può dire imperfetto. £t perche la
potentia attiua riguarda La fa operattone; altrimenti farebbe uana,
fi non operaffiy ft) operando confeguita il fuo fine, ft) la fùa
per fettone, laquale per natura intenfamente de fiderà: è necejjario nell’angelo
essr naturalmente un'intentifiimo desìderio di vivere, ft) d'intendere. Que fio
desiderio nondimanco antecede una certa fermezza, ft) una certa
conftantia X / M 0. 4/ confi arnia, per uirtu
della quale mai Vangelo parte dafe dalla fua natura y ma fempre fi a quel
me de fimo. Quella ferme* z za dal dium ‘'Piatone nel Soffia e chiamata
fiato. L'operattone y che feguita quel defederiofe chiamata moto, di qui
poliamo uedere quello y chefegmfec a il dium Platone nel Simpofeo y
nell'oratione di Fedro, quando dice l y amore cjjcr del numero
degli Iddi/ antichifeimi ; affermando fecondo V opinione de Ih
antichi Teologi dopo il Chaos effer la terra, ft) l'amore, im per oc he
il Chaos non e altro y che la effentia dell'angelo fecondo, che e
confederata nella prima mifetra del feto effer e y come
imperfetta,^ come potentia y moltitudine y ft) infinito à chi
meritamente fi conuiene queflo nome Chaos y fignificando indige filone,
ff) confatone. L'amore non e altro, che quella ingenito defìderio y
principio del u\uace y fp) L 1 V Ilo dello intendere. La
terra fignifica la fermezza 3 ft) l* fi abilità, per uirtu della quale
l'angelo non mai parte dalla fìta natura. Tuttamente adunque e detto l'amore
ejfere antichifetmo, imperoche ejfo antecede ogni operatone fendo principio
d'effe s per uirtù delle quali, le cofe diurne meritano d'ejfere chiamate lddij. *
• '•[ V * \ V ; £/ni appetito, ft) ogni defiderio fi può chiamare
amo re in un certo modo benché pi ghandopropriamentei l'amo
re fìa felamente defiderio di bellezza > come dichiareremo tn quello, che
fegue. Onde non mmeritamente ildefìderio, tlquale muoue tutte le cofe al fuo
fine y ff) al fuo bene, e detto amorei ft) c Platone nel firnpofio
nell'orattone di Fedro per l'amore non intende altro, che l'appetito, che
e nell'angelo ; per ilquale fi muoue a con fegtiire la fua per fettone.
Si che pigliando in quefto modo amore, diciamo ejjere in ogni co/a
creata infino ad' ultima materia, nedaquale è ancora l'appetito alla
forma laquale è co fa diurna, fgf buona, ft) appetibile, come dichiara
^rifiot eie. Adunque l'amore e cagione, che l'angelo 3 ilqua le e prodotto
imperfetto, confeguiti la /ùa perfetione ma come diciamo l'amore
effir cagione di tale per fedone ? certamente perche quedo ingenito
appetito, quale al prefinte chiamiamo amore, quafi uno filmo lo, fpinge
l'angelo a l' operatone. Impero che qualunque co fa fubtto, che ha l' effir
e e inclinata adoperare, ft) quanto ha piu perfetto ejfire, tanto
ha maggiore inclina tione ad' operare, onde perche i' angelo
ha perfettifeimo ejfere, anzi è effe ejferefendo lo ejfere la prima
cofa creata ; per quefio ha grandtfiima incltnatione adoperare,
quefia oper adone fi chiama tuta: fendo la uita il primo moto interiore,
ft) primo atto, ft) per fedone dell' effe nda, come dice Plotino, ft) q u
^i che l'hanno feguitato, cioè r Porfirio, ft) Amelio: benché Si riano, Proclo
crediino altrimenti', tetta li al ùrefente dimetteremo. Sendoadun ~
que la uita la prima operatone dell'angelo, è manifefto efeere il primo feto
atto, ff) la prima per fettone. L'angelo adunque nella prima mifura
delfuo procefeo e detto tjfentia ; laquale è non uno procedendo da
Dio, che è perfatifeimamente uno: pero ha moltitudine, anzi in ejfa (
come di ce il dium c Platone nel r Parmenidefe efpli tata tutta la
natura de numeri, mediante iqualt procedendo nella ulta difttngue
fe medefima P 1 Ai 0. 47 ntedefima ne modi particolari
ffe dell' effe re ffe) come in piu efeentie, dando fecondo il feto
numero a ciafeuna effentia le fete prò prietà, come y fe tu pcnfafii la
Geometria per una atione interiore dtftinguere fe me defema ne Tbeoremt
particolari: lacuale e una in tutti e teoremi ; perche ciafeuno è
Cjeometria:nondtmanco è ancora moltitudine, fendo l'uno Theorema difemto
dal l'altro, (fe però Plotino dimoftr a diurnamente dopo l'uno, cioè Dio,
efJere l'efeentia ; dopo l'efeentia 1 numeri, dopo i numeri, e modi
particolari dt II' efeer e, cioè le efetntie. In fiomma l'angelo mediante
il numero come efattifeima regola per benefit io della feuaatione
interiore, quale fi chiama primo moto, (fe prima uita, diflingue, (fe
diffimjce fe me defimo in tutti 1 modi particolari dell'efeere, onde l'efeentia
de II' am gelo è come un tutto. L'efeentie particolari fino le parti,
non come il capo, o la mano è parte di Socrate: ma come il Leone, o
il cauallo è parte dell' animale di quefio piu diffujamente
habbiamo detto nel libro del *T utero: ft) diremo nella concordia
fra L’ACCADEMIA, ft) zA IL LIZIO. Di qui chiaro apparifie quello, che
uuolc il diuin Platone, quando dice le cofe diurne produrre fi me defime.
Imptroche non figni fica altro, che le cofe diurne efier compofte
dell'atto primo ft) del ficondo, cioè della potentia attiua, ft)
della fila operationeilaquale pende dal « la potentia attiua, come
l'angelo, ilquale e compofìo della potentia uttale, ft) della fua
operatone, ft) della potentia intellettuale, ft) della fua operatane ; per
benefico dellaquale l'angelo è attualmente uiuente, ft) intelligente. Onde è
chiamato il primo animale, ft) il primo intelletto ; ft) chi
intende altro atto, ft) altra potentia nelle cofi diurne, non intende la
fintentia di f L’ACCADEMIA, ne forfè la natura di effe nel modo del
procefo loro dal primo principio. Quelle e fentie, ffè quelli modi
particolari dell' ef tre di finiti nell'angelo dalla ulta fino
chiamati /fette, (g) Idee,lequali fino in tanto intelligibili, in quanto
hanno lo efèere uiuo, (t) la ulta. Onde ildiuin Platone dice nelTimeo,che
topefice del mondo fece tante forme nel mondo, quante tua telletto uide
neluiuente,fègnificando l' Idee efèer nel primo animale. Et pero io
mi marauiglio afai, come qualcuno habbia detto, che la forma, che
effo Dio da alla materia angelica, fino efe Idee, come fi l'angelo,
inquanto procede da Dio, fufii potentia pafiiua, laquale diuenti
ricettacolo delle Idee. forfè maggiore errore fi può commettere nelle
cofi diurne, che pen fare in efe eferpotentia pafiua fìmile al - io
L 1 5 X 0 ; la materia de corpi finfibtlt: perche cioche procede da
e fio Dìo immediate, procede piu fimtle a lui, fg) p M perfetto, che è
paf fibtle. Onde fendo molto piu perfetta la potentia attiua, che
la paffuta, ì conveniente immediate procedere da lui la po tentia attiua,
ft) non pafiiua. c Adunque noi diremo da 'Dio procedere immediate
un'atto primo: ilquale fi può chiamare efientia prima, fendo la prima
cofa, che ha l'efiere; lacuale inquanto efientia e per fettifiima:
ma bene nelfuo primo procefio ha fico congiunta potentia d'operare,
non operando ancora: q) fecondo, che ancora non opera, ha fico
Imperfetto: Et quello e quello, che dice il diuin Platone nel Filebo, da
‘Dioeffirt dua elementi, cioè l'infinito, ft) il Termino della
mtflione',de quali fi confi ituifia unaTerza natura, cioè
l'effintia.Imperoche quello, che pròcede, inquanto e atto, {fi diffinito fi
può dire hauer termino: inquanto ha fico congiunta la potentia, {fi
l'tmper fettone fi può dire infinito: e l'uno {fi l'altro infieme
fino la Telatura della prima ejjentia ; la per fettone y {fi atto,
dellaqualee la fua operatane interiore, {fi non Idee. Come dal
termino proceda lo Ciato, {fi la identità: da l'infinito, il moto, {fi la
diuerfitd ; Et come tutte le cofi fitto il primo fieno compofie
d'ejfintia,diftato,di moto. di Identità, di dtuerlìtà altroue h
abbiamo detto, {fi diremo diffufamente nella concordia fra Platone, {fi
Artftotile ; oue dimena l'opinione di Siriano, {fi di e Proclo
dichiareremo, come ciafiuno d'efii e elemento, {fi come e genere dell'Ente.
zAl prefinte fi conuiene piu tofto accennare, che efplicare fimilt
materie. sz L 13 Ito ' A# a d i particolari dell'tjjìre nell'zAngelo
di [Unti per beneficio della ulta al yprefinte chiameremo
ldee\ benché fecondo diuerfi confi derat iohi fi pofiino chiamare
per diuerfi nomi, come è dichiarato breuemente nel primo libro del
nofiro Palerò, ffi) altrotte piu dijfufamen. te fi dichiarerà. Onde fi
foluono facilmente tutte le obietioni contro a l'Jdee fatte da
ss4riflotile in diuerfi luoghi: ma principalmente nel primo libro dell'Etica,
ft) nel fifto delle co fi diurne, Uguale comunemente fi reputa il fittimo.
Quefla difìnbut ione fèndo con ordine, mi fura, proporzione, fi già
quello, che da l'ordine all' altre cofi non è d'effe priuato, come le
cofi diuine, le quali producono, ft) reggono, le inferiori, rp X i m
o„ j ì riori, e per necefittà accompagnate da una cenar
gratta-*; da un ceno splendore ;da un florido colore, tlquale fi può
chiamare rettamente efia bellezza* lmperoche ( come diurnamente dice
Plotino ) benché la prima bellezza non fia un'altra cofa dada ferie
d'ejfi Idee, come aduentitia, q) efiranea ; nondimanco quella gratta,
quello fplendore, quel fine,• che in fu la prima giunta apparifie
ad'afpettto di coloro, che raguar ciano tutta la ferie dell'ldee,
quafi come il colore neda fuperficie, è chiamata efia bellezza ;
laquale non feguita la natura di parte alcuna 9 ma piu toflo del tutto.
Onde è manifeflo la prima bedezza pròcedere dada per fedone interiore
dell'Angelo > quale duerno efjere fioatto. Et pero chi dice che' l
bedo e diflinto dal bene come l'eflrtnfeco dali'mtrinfico, fecondo il
mio parere dice rettamente, ft) chi lo riprende r ^ -> D
iij 34 l n x o fer quefto, merita ejfo piu tojlo effir
riprn fi, perche fi noi compariamo il hello al bene, affolutamtnte
confejjiremo il bello tjfire come fpetie ; il bene, come genere. 0
nero firfi piu rettamente, il bene ejfirt per fi, mparticipato,e'l bello
cffere una certa partictpatione del bene, ma fi noi non
compariamo il belìo al bene assolutamente, ma quello, che è proprio bene a eia
feuno, diciamo effer il bello differente dal bene, come l'eftrinfico
dall'intrinfico.Im per oche la Juftantia, diffinitione, è, il
proprio, primo bene di ciafiuno ; ft) neffuno dubita la Juftantia
ejfire mtrin fica. Il bello, findo per modo d'accidente, come esirinfico
feguita la fuftantia, e la diffinitione. Tuttamente adunque e A
dettoci bene effir fi parato dal bello, come I mtrin fico dall'eftrinftco.
Ma ( per tornare onde noi partimmo ) findo la prima bellezza
i ^ i / M 0: yr bellezza una gratta, uno
fplendore, uh fiore della per fettone interiore,lac/uale meritamente
chiamiamo bontà ; che mura T digita e fe nella potentta mtelletuak del
» l'Angelo eccita un'intenfi appetito, g / 1 dd Jìdertonon filo di
fruirla, d'ejfrimer la, per modo di fimi, di Telatura? On de
l'Angelo fi fa tutto bello. Que fio è l'amo te, ff) la Venere celtfìe,
celebrata nel fimpofio, neìloratione di Paufitnia. c Per c/0 /0 «0» poffo
non mi marauigltare di cer ti per altro h uomini, Sgrani ft) grandi
iquali dicono, che l'amore e cagione della per fettone della bellezza.
Imperoche, fi l'amore e appetito, fjfi defiderio ; la bellez? za, e
appetita, ft) defiderata,e necejfirio, che la bellezza anteceda all'amore,
ante tecedendo l'appetibile all'appetito. (orno adunque dona l'amore la
per fettone alla, bellezza dicono ancora co fioro, che la bef * ' 2
? tiij 6 L 1 *B X. 0 lez&a e cagione materiale
dell'amore y laqualcofa e piu marauighofaimperocbe la bellezza muoue,
come cofa amata, ff) defiderata, come ancora muoue l'appetibile, ft)
l'intelligibile, ft) fino cagione come fi ne, non come materia. llche
apertamente afferma zAnfiotile nel undecimo libro del le co fi
diurne, ft) il diuin Platone nelfiflo della %epublica. Tsle però fi può
dire ancora interamente perfetto l'angelo. Im -, Per oche l'ultima per
fedone di ciafiuno è la pofi fione di effo Dio, fecondo che a fi e
pofiibile: Uguale da neffuno e poffeduto con parte di fi-, ma con tutto
fi. Onde Iddio non può effer compre fi ne per l'intelletto, ne per la uolontà,
fendo l' tino, come l'altra, par te deli' Angelo, {fi non tutto l'Ange lo.
adunque l'ultima fùa per fettone, e la coniuntione di tutto fi con effo
Dio, allagale procede per necefsità uno intentai -u - mo P M 0.
si mo appetito. Quefìo è l'amore tanto e faitato nel Stmpo fio, nell' or
aitane di Agatone; llquale è beat if imo, fendo la cagione della
felicità,e ottimo, congiugnedo la creatura con Dio, che è ejfa bontà,e
gtouanijsimo di tutti gli altri Dtj ; perche è t ultima co fi, che
riafca nebtzAngelo. 'Ter la qual cosa Dionifio Areopagita dice, che
l'amore è un circolo fempiterno dal bene nel bene al bene,
fìgnificando tre fpetie d'appetiti, nell'angelo da noi dichiarati di fopra:
uno fùbito, che l'efentia dell' (^Angelo procede da Dio, pel quale
l'Angelo produce la prima operat ione, cioè, la ulta; tintali ro, che fi
gue nell'Angelo fubtto, che è difhnto nelle Idee,oue rifflende la prima
bellezz&*£t que fio e proprio Amore,cioè dtftdeno della bel
lezx&.Wl terzo è quello appetito, che con • duce l'zAngclo alla
comunione d'effo Dto> della cui pofftpone acquifìa la fua
felicità. O me l'Angelo proeede da effo Dio, co/i l'ani
feguito principalmente, cioè *7 orfino ft) zAmeho.Qutfìa incomincia
a riceuer mol mudine y tmper oche fèndo principio del moto come pruoua
tldiuin L’ACCADEMIA nel decimo libro delle leggi, fg) il moto
feguitando SS, ' «v l infinito, è neceffario in efjd
comma a regnare l'tn finito. A cjuejìo fieguita la moltitudme 9 come per fiua
natura inde terminata. Et però la prima molttplicatione di fiuHantta,
quafi fitto un medefimo penere 9 incomincia a effer nell'anima. Sono
adunque le anime, che procedono dallan gelo molte. Conctofia che l'Angelo non
fia finon uno 9 nondimeno fino tutte compre fi fiotto quella
commune anima, le qua li fi no differenti luna dall'altra, fecondo,che
piu fi appropinquano, o piu fono lontane da quello, da chi procedono: il
capo 9 guida di tutte è l'anima mondana t da chi procede tutto
quefto corpo utfìbile, che noi chiamiamo mondo, o uuoi ùniuerfò. Sot to
la prima anima fono dodici anime prtn cip ah, lequah finoprepofìe a
dodici parti principali dell'uniuerfe cioè, a otto sfere ce kfli 9
quattro elementi 9 ft) perche eia.
L 1 B 7^0 y cuna anima ha due parti, come dimoflra Platone
nel Timeo ; una, per lacuale è fimtle all'angelo, da chi procede ;
l'altra perche e fimile al corpo, tlquale produce ; per queflo ha
finito due nomi, per l y uno de quali e figmfìcat a la inclmatione al
produrre, (fi reggere d corpo ; per l'altro, la tnchnatione alle cofi
diurne. Orfeo adunque (fi i fuoi figuaci chiamano l'anima della terra,
Plutone, (fi r Profirpina:l'ani ma dell'acqua, Oceano, ffi Theti:
dell'aria, Cjioue fulminatore, ffi Giunone: del fuoco, Faneta, ffi Aurora:
della sfera Lunare ‘Bacco Lichinto, ffi Thalia ; del file, Bacco Sileno
ffi Euterpe ; di Mercurio, Bacco Lifio, ffi Prato: di Venere, Bacco
Trietarico, ffi Melpomeneidi Mar te, Bacco Bajjareo, ffi Cito: di Gtoue,
Bacco Sabafio, ffi Tberfìcore: di Saturno Bacco Anfiareo, ffi Polinnia: de
l'ultima 6i tima sfera Bacco Pcriciomo, g) Franta: Bacco
cnbromio g) Calliope di tutto l'uni uerfo. One, e da notare, che a
ciafiuna Mufa, è propoflo un Bacco per figmficare, che la parte dell'
anima, che melma al corpo, è retta da quella, che partecipa della
mtelligentia, inquanto per tale partici pationee fatta ehria del diurno dettare.
zAlle noue<iZMufi li antiqui Theologi prepofono un'Apollo,
lignificando le otto anime, d'otto sfere celcfii,g) l'anima dellumuerfo,
chiamata Calliope, ejjer minifi r a della diurna mtelligentia, laquale
efii chiamorono apollo ; noi al preferite chiamiamo Angelo. ^Non farà
forfè fluori di propofito riferire una maramghofit opinione circa il
numero, g) l'ordtne dell anime intellettuali, la quale fi può attribuire a gli
antichi Theologi. ( I^ot ueggiamo il numero duodenario batter grande
62 L r <B HO automa nell'uniuerfb, di che facciamo
coniettura per ejjtre dodici parti principali in ejfo, cioè dodici sfere. Oltre
a quefto 1 ueggiamo Uno bili filma sfera effir dtfìin - j ta
m dodici figni, onde ragionevolmente habbtamo a concludere ogni altra
sfera ef fer ordinata, ft) diftrtbuta nel mede fimo modo, mafiime e
(fendo in ogni sfera U natura del tutto, come accenna Platone nel Timeo:
ma di quefto altroue piu dijf ufimente parleremo, oue dimoieremo, che
tffendo l'uniucrfì compoflo, ft) retto dalla ragione Harmonica, e neceffirio,
che fa ordinato fecondo il numero duodenario, radice dell'armonia
di diapafon, fappiamo ancora, che'l numero fobico dice plenitudine, ff)
firmità ; ft) pero quando il m• mero procede nel fio Cubo,eJphca tutta la
ua per fettone • Il cubo, e quando un numero multiphcato m fe medefimo di
nuouo fi multi % 1 M 0. fimultiplica per
fi. V irbigratia noi chiamiamo il dua numero lineare, perche ha
fimilitudme con la linea. Se tu multiplichi tl dua in fi mede fimo,fi fa
il quattro, ti (juale ha fìmilit udine con la fuperficie. Se tu di
nuouo moltiplichi il quattro per dua fifa otto tlquale ha fimilitudme col
corpo, piu la non ua la multtp Ite ut ione, come contenta di tre termini
longitudine, latitudtne * {0 altitudine, ftf per ejuefio il cubo è ultimo
proce fio y per fettone de Inume rò. Quefi a procefiione e Pitagorici
diurnamente accommodano alle fufiantie cofifi par ate y ff) eterne, come
corporali, ff) caduche y come altrouemofir eremo, Adunque il duodenario,
tlquale e il primo nume ro fecondo, compofìo di dua finarij fiquale e tl
primo numero perfetto 9 procedendo nella fuperficie y ft) nel fuo cubo fa
il numero osìd. T>CC. XXVlll ilqual nume 64 1 ro contiene tutta la plenitudine, fp
firmila, c/tf procede dal duodenario. Qualcuno adunque fondato in fu quefto>
forfi potrà credere ejfiere dodici anime nell'umuerfo, quafi dodici principi),
come è detto • Sotto ciaf una ejfir e dodici altre anime, delle
quali ciaf una habbia /otto fi dodici legioni d'anime piu particolari. In
modo che il numero crefie fino alla fimma di A4. D C C. XXV III.
legioni, in ciafiuna delle quali fia tanto numero d'anime, quante
[Ielle fino nell' ultima sfera. 4 A£e debba parere frano tanto numero
d'anime y quando ff) T)aniel profeta dice migliaia delle migliaia erano fìioi
mini fri. fommunque e fia, tutta la moltitudine delle anime ha per
guida, ff) capo la anima del mondo prefantifiima, diuimf fima di
tutte le altre. c^nima degenerando dall' Angelo, da chi procede, inclina
alla natura del corpo y qual produce; nondtmanco non degenera dall'angelo
tanto che ejpt non rifirui delle condittoni divine; ne inclina tanto al
corpo, che effa al tutto partecipi delle [òr de matertaliSPer
laqual co/a pofta in mezzo dell' una, fp) dell altra natura y ncn
dimette la cura, ffi) il minifterio del corpo: q) gode le delilie del
mondo intelligibile, Onde meritamente è detta nodo dell'uniuerfi. Et per
quefto ilduttn Pia tone nel Timeo compofi l'anima di fitte nu meri,
in modo che pofta l'unità da ciafiuno de iati, ne fegutti tre numeri ; cioè
dall'uno de lati il proce fio infino al primo cubo de numeri pari. T>
alt altro ilprocefti in 4
E Vi *6.OLQ/^3! X 0 5L 4/ primo cubo de numeri impari.
Si 4/4 cg«/ /dta fino termini quattro, {fi tre inter uaìli, per
(lenificare nella natura dell'anima ejjer dua propietà: l' una, perche
effa fi congiugne fempre all'angelo, -{fi quefìa è denotata per gli
numeri impari: l'altra, perche ejfa produce il corpo, denotata per li
numeri pari, {fi tana, {fi l'altra è dif finita pel quattro. Et però
noi pofiiamo dire la quatrmità efjir uer amente l'Idea della perfetione ;
non filo perche marauigliofàmente contiene il dieci; ilquale fendo tutto
tl numerose Ptttagorici chiamorno Cielo, {fi umuerfi. Ilche ancora
fignificorono li antichi Theologi ofiuramen te,quando a noue mufe
prepofino un' Apoi -lo. *ZMa ancora perche quando fi procede nel
cubo fignificato pel quattro, fi mene ^all'ultimo termino della
proctfiione;ne fi può procedere piu oltre. Onde in ogni natu rapel
Cubo efignificata l'ultima perfettone di ciafi uno.‘Non e adunq; marauiglia,
fi e Pittagor tci(come dice Teone)giurauano per colute he dona all'anima noflra
la Quatrinità y fontana della natura, che e tmperpetuo flufjo ;
Imperoche quefto non è altroché giurare y per colui, cioè per Pittagora di
CROTONA; ilquale h abbia trouata L'anima e fere diffimta per la quatrinità,cioe
dalla po tenda dell' intendere, dalla ragionerai fin fi, dalla
ueget attua. Dalle quali potentie l'anima, che fi muouefimpre: fifa
perfetta. L'anima adunque produce il corpo ;ma pel mezo d'uno in frumento
proprio y ilqual chiama grande fiminario y o uuoi natura. o uuoi
anima feconda ; laquale dall'anima prima, è fatta grauida de fimi di tutte le
cofi y che hanno a effire prodotte nella materia. Da quefto grande
fiminario pen de tffa materia: laquale è imperfettifiima., ~ È ij L I 2
TfO di tutte le cofe fendo mafimamente diflan te da effo Dio autore
d'ogm per fettone ; laquale, Plotino chiama principio di tutti i mali,
co[t nell'umuerfi, come nell'anima noflra. "Pendono ancora dal
medefimo feminario procefiiom de femt qua fi razzi dal lume Squali non
mai fino fèp arate dalla materia, anzi fino fimpre congiunte fico. "Noi le
chiameremo e femi delle cofe. La prefintia de ' quali nella materia
affilue la generatone: quando accompagnati da lo affetto dell'anima
feconda, moffo dalla prima anima h fanno termine nel compofìo \
naturale. Imperoche il compofìo non e altro, che il fime, che pende dall'anima
feconda f q) la materia, in modo intra fi uniti, che defii fi faccia uno.
Quefto forfè e à Chaos dzAnaffdgora, di finto dall'affetto dell'anima feconda,
ilquale pende dalt anima prima, rat tonale f uer a pa drona
SECONDO. 69 drona della gener attorie. Di qui fi può uedere
il fondamento di coloro, che affermano tutte le cofe qualche uolta
tornare quelle mede (irne. Laquale opinione benché paia molto
aliena da zA riftottle: mafiime nel fine delfecodo libro della
Generazione 9 ft) corruzione ; nondimanco noi Jperiamo dimoftrare
ejfirhconfenttentifiima. Ma per tornare alla co fa noftrafendo nell'
anima fecondo efemi delle cofe, uere cjprefìont delle Idee, ft) per que
fio fendo accompagnati da una bellezza, che ìtale a fimi, quale e la
prima bellezza alle Idee, e necef fario s'accenda in effa uno appetito,ff)
uno defideriodi quella bellezza ; ilquale incominciando dalla cognitione,
ft) non potendo fare la fimilitudme di que da bellezza» di dentro a
fejransferifee nella materia la par ticipat ione delle Idee, alle quali
feguita quefea gratta, que fi a elegantia, quale noi E
lij io Litico V. Aleggiamo nel corpo mondano uer
amento •figliuola dell' timore. Et pero Plotino di ce, che tutte le co/e
fino teoremi >quafì protedino dalla contemplatine, hauendo prin tipio
dalla cognttione di quella anima. Quella bellezza, che e nell'anima
feconda, et quello appetito, che fi accende in e/fa e lo Amore la Zienere
uulgare nel fimpofio riferita da Pausama, laquale è detta figliuola di
(fioue, {fi di Dione; perche pende dall' anima prima,ffi rationale,
laquale è detta Gioue, dalla feconda, rationale, laquale ha commertio con
la materia i L Cielo, o uuoi tuniuerfi è uno, procedendo da una
anima, ft) fendo fatto a fimilitudme di un mondi) intelligibile -,
ilquale noi dtfipra habbiamo chiamato S E V P 2 \£ 27
0. chiamato Angelo ; ffi) pero Democrito ft) Leuctppo non meritano
d'effere uditi, ujuali pofono mondi infiniti. o^irtfiotik pruoua
che'l mondo è uno: perche egli è fot to di tutta la fua materia: ffi)
Alatone proua, che'l mondo è uno fendo fatto a fimtlitudine d'uno
efemplare. W<?i hab± btamo nella r Parafrafì noftra /opra il cielo
hreuemtnte dichiarato, ffi) altroue diffufamente dichiareremo in che modo
della unità del mondo fia la medefìma opinione dell'uno, ft)
dell'altro filo fio fo, e il mondo non filo uno, ma ancora ingenito, ft)
incor r unibile, fe noi crediamo ad Ariftotile. Al diuin Platone
piace il mondo fempr e effere fiato, et fempre douere effiere: nondimeno hauere
cagione da cui penda, cioè dall'anima diuimfitma, principio della natura
corporale. Et pero habbiamo da dire effer tre principali fu ftantie,
lecitali ueramente hanno natura di principio: cioè Idèo, l'Angelo, l'anima
diuinifiima. Iddio è autore dell'unità in tutte le cofi, l'Angelo
della permanenza, l'anima del moto: ft) quefia è la fintentia di Plotino,
ft) di Por fino; benché Siriano, ffi Proclo altrtmen ti procedmo.
Sono fiati ale unicorne ^lutar co, ft) Seuero, iquah hanno affermato,
fecondo Platone il mondo effere incomincia to qualche uolta, ft) qualche
uolta douere finire; ft) per quefto hanno detto filo effèr dua
prmcipij di tutte le cofi, cioè la mate ria, ft) Dio, non pendendo la materia
da *Dio, ne Dio dalla materia. In modo che Iddio fia al tutto finza
materia, ft) fimplice;la materia fia al tutto eterna, ft) fin zci
participatione di Dio, ma quefta oppinone (come è conueniente ) non è
ammejja dalli altri Platonici. Le parti principali del mondo fino
otto sfere celefii, ft) quat. tro eie. 7 ^ tro elementi. T>e!le quali
le sfere celefli fino nobihfiime. llche dmoflra la magnitudine loro e'I / ito,
l'ordine, e'I moto, il lume. Plotino uuole che il Cielo Jia fuoco, ffi) c.Piatone
nel Timeo uuole,che il mondo Jia compofto di quattro corpi, Fuoco, Terra
t Aere, ff) oAcqua, in modo, che da que: fio nome fuoco fino
comprefi i corpi celeftu os4riftottle s'ingegna dimofirare, che il
Cielo non e fuoco. lmperoche il fuoco, come ejjo dice, p muoue naturalmente in
uerfi la cir cunferentia,p artendofi dal centro. &l corpo celeftenon fi
muoue di moto retto partendofi dal centro, ma di moto anulare,
ilquale moto [i fa intorno al Centro, pero il Cielo non è fuoco,
altri menti bifignerebbe dire y che il Cielo barn fi fi dua moti
naturali ; uno per ilquale fi muoue intorno al centro, che e ilctr
calare: l'altro, per ilquale fi parte dal centro, ff) 74 L IV Z 0 -
" ua alla circunferentia, che è moto retto,Lacuale co fa pare habbia
per imponibile- Quefla ragione facilmente foluono Piotino, ‘Proclo. Ilche
breuemente nella no fra c Parafaf f opra il Qelo habbiamó tocco y
fé) altroue piu diffuf amente dichiareremo y mofìrando, che altro è muouerfi
nel proprio luogo, ft) fecondo la fua natura: altro e, fndo fuori del proprio
luogo, ritornare ad cjfo > ff) nella fua naturarono alcuni, che
dubitano y fe le felle hanno moto proprio. Platone dice nello Spinomide y
che le lidie fono animali ignei ; ft) nel Timeo y che le lidie fi muouono
intorno al proprto centro. È piu de Peripatetici oppongono zAriflotile
cjuafì uogliayche le jlel le fieno continue col Cielo ; ma piu denje
; ff) però non hauere altro moto, che quello della fua sfera. ^oi diciamo
z^riflottle non hauer mai quefo affermato. ^a '7f quando duce le
fteUee/Jere della medefima ] fuftantia, di che è il Cielo ; intendere
effe effire della medefima natura, cioè ignee ; fffi quando dice le
sielle effire mfijfie nella sfera ; non fignificare pero efftr continue,
ma che non mutano luogo fecondo il tutto ; ft) pero apparire effire
tnfiffi ; perche fi muouono circa il proprio centro. In fomma le sfere
celefh, ft) le Belle effire di natura ignea, hauere proprij moti, è ma
mfeflifiimo appreffio Platone. ‘Nelle sfere celefh fin due moti,
uno da Oriente 3 m occidente, tlquale ‘Platone chiama moto del la
fapientia, q) della identità. L'altro da Occidente in Oriente chiamato
moto della diuerfità. Quefio, è delle sfere erratiche: quello del
fermamento ; ilquale inulta la intclligentia dell'anima diuintfiima, di chi è
tmagtne. Quello, è chiamato deBro, e quello fimfiro. L'uno, 7 fi L I % 7^0
| .l'altro fanno la generatone, la cor rruttone;Quello del fermamente fa
che firn pre fia ejja generattone, ff) corrutione, come dichiara o
Ariflotik. Et pero t Pitta gorici affermarono ff) ildeflro, ft) il fini •
fìro efier nel numero de' principi] pendere « do dal moto del fermamente,
ffi) delle sfe - '] re erratiche tutta la generatone. L Moto
da Occidente in Oriente, chiamato da ‘ Platone moto di diuerfità
proprio delle sfere erratiche autore della generatone, come è detto,
è diuifiin fitte, Imper oche ogni sfera ha il fuo moto. di tutti è
uelocifiimo il mote della sfera di Saturno di tutti è tardifiimo il
mo to della Luna. Sono alcuni, uguali affermono IL LIZIO fintire il
contrario, quale 77 uogha il moto di Saturno e [fere tardiamo
determinando fi longhfimo tempo perla fiia fpeditione. ‘Ter contrario il
moto della Luna effer uelocftmo deter minandofi breuftmo tempo. Tsfoi
crediamo e far fententia d'o^lr ifìotile le sfere fàpertorimouerji piu
uelocemente,che le inferiori. Imperoche la magnitudine, che debba effer
trapaffata dalla sfera di Saturno s fuper a molto piu la magnitudine, che
debba effere trapaffata dalla sfera della Luna, che il tempo, che fi
dttermina Saturno per il fuo moto, non fitpera quello, che fi determina
la luna. Quello è uno de gli errori, che Platone imputa a greci (come è
detto ) nel fettimo delle leggi, cioè credere il moto di Saturno
effer tar difimo fra i pianeti, fendo ueloc fimo, può fi ancora r acorre
de comentarij di ‘Porfirio J opra il Timeo e Pittagorici affermare
il moto di Saturno 7S.L IV 7^0 \ effer ueloci filmo, ff)
riflotile ancora dice nelle quefiioni meteorologiche il moto
della Luna non fare accenfìone nell'aere fendo tardo, ft) pigro:
ilche fa il moto del file per la uelocità, ff) uicimtà. Credono i
Pitagorici, ff) Platone il Cielo fendo imagine dell'anima efjir e dige fio
fecondo la ragione armonica ; L'anima, fecondo che pia ce a Timeo
Pitagorico, pigliando le duple, ff) le triple con le fifquialtere, g)
fiper ter ite, fuper ottaue, ff) fimitomi è digefla in trcntafei
termini. Il primo di tutti è il numero trecento ottantaquattro. La fomma
di tutto il numero, e cento quattordici migliaia, ff) fecento nouanta cinque
unità. 'JSfelquat numero è contenuta tutta la ragione Armonica. Sendo
adunque le sfere celefh in modo coerenti fa fesche facilmen te
paiono piu tofio continue, che contigue tanto fono pulite, ftfi coequate
; ft) mo? uendofi uendofi uelocifiimamente non dubitano
af fermare ; da loro mandarfì fiora un fuono di tanta gratta, quale fta
conueniente a fi nobtl corpo y come e il cielo, Imperoche il fuono
fi genera del moto di dua corpi,, che uelocemente mouendofi f tocchino.
Il moto piu ueloce genera il Juono piu acuto ; e*l moto piu tardo
genera il fuono piu grane \ ff) pero il moto del fermamepto
generati fuono acutifeimoye'lmoto della Luna grauifeimo, ff} perche i
moti delle 6 fere fino digeftt, fecondo la medefìma ragione harmonica,
come fino ancora i loro interualli ; fecondo laqualcfe digefla l'anima: e
neceffario, che tali fuoni proc eden? do da moti armonici in modo
confinano fa fi, che di tutti fi confi itmfea una ar r montagna
melodia di gran lunga piu fua ue, che quella, che noi pofeiamo
compren? dere con le orechie elementari > Et perotl 80 L
1 <B 7{0 dtuin Platone nel decimo libro della 7{epti blica dice,
che ctafc una sftra celefte ha fico congiunta la fua Sirena, laquale
canta il fio tuono. Dequah fi fa una armonia. e Pittatomi
affermorno il Cielo eff re la li ra di T>io: a quali acconfentifcono
Aleffan dro eJ "Milefìo, ft) Eratoflene.* #vi v,.,r /r a
bi l e bellezza nafcc nel corpo modano dalla unto ne,
per laquale cofe tanto diuer(i,ff) fi contrarie, co me fono
nel mondo, fatte fra (e amiche, con ftitui fono un grande animale.
£ fegliè lecito comparare le cofe grandi alle piccole,
il mondo è ftmile a l'huomo ; Il fuoco, la terr a, l'aria,
l'acqua hanno fmilitudme con la collera y con la malinconia, col
fin gue,con sz gue,
conia flemma ; della retta mifttone, de quali fi fati temperamento radice
della finità y cofi a l'huomo, come al mondo. Il fermamento fi può
chiamare il capo di que fio grande animale, alquale un numero *
quafi innumer abile di fielle come occhi fui genttfiimi fino grandifitmo
ornamento. £ ‘Tittagorici affermano le fielle penetrare col fio lume nel
centro del mondo: dout pel concorfi di tanta moltitudine di raggi
uoghono accender fi unfuoco eterno quafi cele filale. c Al firmamento,
come capo, obbedtfiono i pianeti: in fi a quali il Sole ha
fimilitudine del cuore, e fontana della uita. ^Marauighofamente eccede il
Sole tutte l' altre fielle, non filo di magnitudine y ma ancora di
potentia, ff) di uirtu ; la qual cofi dtmoftra la copta del lume.
(fili antichi Theologi affcrmomo, laGiufiuta, laquaky come Regina,
ordmaydriz-82 JSlpXQ V qi, regge l'umuerjo, per tutto
procederi dal mezo del trono del Sole. zs4riftotile attrtbuifie tutta la
generatone al Sole, ft) atta Luna ; lacuale, come dice Hipparco è
neramente uno Jpecchio del Sole rifletten do a noi il lume, Uguale ejja
da lui pren - • de. (fiiambhco, {$) Giuliano Imperatore
confhtuifiano nel Sole tutti lifDij de (gentili. Et ^Plotino affermagli antichi
auere adorato il Sole > come Iddio. Confideri la muc chi dubita il
Sole effer preftantif fimo di tutte l 1 altre flette ; oue ancora
ciò che e di lume, e per beneficio del Sole. Gioueconla fita beneficentia,
peonia fua equità raprefinta il fegato, dal quale il nu
trimenioìfommmt firato a tutto il corpo ; onde da gliaftrologi, è
chiamato la principale dette grafie celefti ; da «J /Marte, quafi amaritudine
del fiele, e ridotta al temperamento la dulcedtne di (filone. V mere. 'I
T SECO X D 0. 83 ft) la Luna, fendo miniflre della genera tione per
cagione della uirtu humida, che regna in effe, hanno proportene col
feme, ft) con i membri genitali: chi confiderà la deferita, ft)
prontitudme di J Mercurio forfè non dubiterà a/fomigliarlo alla lingua:
per tu fido dellaquale noi facciamo note le intime noflre cogit adoni. èt
pero li antichi meritamente attribuirono a t jue fio Dio il patrocinio
dettelo (juentta. lAttribuifcono ancora a Saturno il dono del
lintelhgentia, ft) però chi ajfermaffe Saturno effer e in luogo di reni, forfè
non farebbe lontano daluero. lmperoche cjuefìi fendo aridiflimi,
efpurgano lo spirito di ogni cahgmofo uapore. Onde effo, e fatto
atttfimo mflrumento della inteUtgentta: non è dubbio ancora effere un
tenuifimo, ft) luddismo Vehtcolo della uita, fg) del fenfi corre
/fondente alt elemento delle fiel v.. o. f jj u L IB
\0 le: per Uguale, come per competente mezo y l'anima consunta al
corpo elementare y lo fa partecipe de doni della aita. zA queflo è Jtmile
quel fuoco dimmfitmo, il quale e fimpre per tutto diffufi ; ripieno
della uirtìi dell'anima regia, fecondo afferma Cjiambhco, ff) (giuliano Imperatore,
ilquale da ziatone nel Fedro e chiamato il carro alato del gran Cjioue.
Aderitamente adunque fendo l'huomo belhfitmo di tutte le cofe, che fino
in terra: ff) effendo fintile al mondo y tn modo che e fio e chia mato
piccolo mondoy h abbiamo affermare il mondo, quafi un grande huomo,
effr belhfitmo di tutte le cofi fenfibtlu *Noi hab • biamo
dichiarato fino a qui la bellezza efi fere una gratta, un fiore, uno
splendore della bontà ; ft) l'amore non ejjere altroy che uno
intenfi de fiderio di fruire, ft) di •fingere la bellezza. Riabbiamo
ancora dichiarato eftere àua bellezze: una prima, ft) diurna, laquale,
feguita all' Idee chiamata Venere celefte ; d'altra feconda, ft) naturale,
laquale e nell'anima feconda, o uuoi grande femmario detta Venere uolgare,
fé) commune, ft) pero eftere duoi amori. Vno circa la bellezza celefte,
ft) diurna: detto diurno e celefte: l'altro circa la bellezza
feconda, ft) naturale, detto amore commune yfft) uolgare.Sendo adunque
l'amore diurno circa la diurna btttezz za ; ft) effìngendo efta, è
necejjario ejjere in mezzo di due bellezze > una prima, ft)
impar.ticipata, laquale fendo appetibile, antecede all'appetito amat or
io)' altra non prima, ft) partictpata, cioè quella prole . bella y
laquale l'amore diurno effìngeneL l'angelo per modo feminale, ft) di
natura a ftmilittidine della prima bellezza s ft) imparticipata, ft)
quefta non antecede, > f $ SS L IH 2 io ma fegmta
all'amore. L'una, {0 l'altra chiameremo Venere celefle. Medeftmamente
quella bellezza, che è nel gran (eminario antecede all'amore uulgare. La
beL lezz&.* che e nel corpo mondano figuita ad tfio y in modo
che ancora lo amore uolga re yl collocato nel mezzo di dua bellezze,
dellequaltl'unae fine dell'amore uolgare, l'altra e prole ; {0 però
ancora ciafiuna di quelle può efier chiamata Venere uoL gare. Oue è
da notare la prima bellezza, che antecede all'amore ejfiere nell
Angelo per modo fpett abile ; la feconda cioè quella y che è prole
dell'amore efier per modo (eminale. TSJel grande fiminario per contrario,
perche la bellezza 9 che antecede all'amore uolgarey e meffo per modo di
fi-. mt:queUa y the figuita, cioè la bellezza che è nel corpo
mondano prole dell'amore, e per modoffett abile. Onde la prima, {0
ultima bellezza SECONDO, st bellezza fino in
quefto fimilt,che l'una,q} l'altra, è obietto della potentia utftuaiquefi
a della corporale ; quella incorporale, ft) intellettuale, ft) pero non è
mar auiglia, fi dalla bellezza finfibile fiamo eccitati alla
bellezza intelligibile. E ancora da intendere non filo la bellezza dell'angelo,
ma quella dell anima diuina efier lignificata per quefio nome
Venere cele fi e: parimente l'amore ; che nafie di tale fpett acolo, nel1
anima diurna effer figmficato per lo amore celefie. lmperocbe, fèndo nell anima
la uera participatione delle Idee, e neceffario ancora in ejfa fia
la uera participatione della bellezza, ft) dell amor e, come ancora
in ejfa è la uera participatione della uita, ftj dello intelletto.
adunque nell'anima diuina fino dua amori, fjfidua bellezzaVna uera
participatione della bellezzeIdeale detta V mere celefie. L'altra detta
a*v*V> ss: L 17t Jt o • V Venere uolgare
> hauendo commertio con la materia, zsélla bellezza uolgare e intento
l'amore uolgare. Alia bellezza celejle, è intento l'amore celcfìe, ffi)
fermezza deffa alla prima, ft) uera bellezza.!} aL la cui
contemplatone s'afiende al capo,{t) principio di tutto l'uniuerfo, la cut
bellezj za y filo per uaticinto fi può comprendere, trapalando
tutta la f acuità del conofcere d infinito inter uaRo. ^Qr.
ài- * L D l v in L’ACCADEMIA dice nel TIMEO (si veda) t anima nostra
essere Hata creata nel medefimo cratere, quale fu creata l'anima mondana delle
reliquie de medefimi generi; uokndo SIGNIFICARE l'anima nostra auere
proprietà, ft) potente simili alt anima mondana >{t) alt altre anu me
diurne } ma in un certo modo piu impera fetto. Quefto uuolefegntficare
che t anima nojlra, benché habbta le medefeme uirtà; nondimanconon
opera nel medefimo modo: perche intenta alla gener adone, ff) cura del
corpo caduco, dimette la contemplatane della uera bellezza. Per contrario
intenta alla uerità intelligibile dimette la cura della gener adone ; fp)
cjueflo aduiene ragioneuolmente. Imperoche non potendo adempire
infieme tuno, ff) l'altro uficio, enecefeario la efeedidone dell'uno
fìaac• compagnata dalla dtmefeione dell'altro, quando e intenta alla
gener adone, fi dice difeendere, quando e intenta alla contemplatane yfi
dice afeendere ; non perche l'anima afeenda, o difeenda fecondo il
cojìume de corpi. Imperoche fendo ejfentia fepara bile y ft) non
pardeipando dicondidone aU ?o cuna corporale, fecondo che piace a
tr L’ACCADEMIA, ffe) adzAnflotiU, ma di fuori ft andò, è al tutto afioluta
dalla natura del luogo, alcjuale filo è obligato il corpo ; di cui
è proprio il fetlire ff) lo feendere ; ma diciamo afcendere > ft)
difendere m quello modo. Le cofe diurne y feno prefenti fecondo y cheefee
oprano. lmperoche noi diciamo la dimnità ejfere in cielo, o in terra
fecondo che efea opera in cielo o in terra. £t altrimenti non puòefeere
determinata^ mente in luogo alcuno. Della operatone, e principio
l'affetto, corne e manifefeo\chi è quello 9 che operafei in alcun modo,
fe prima non fujfe moffo da uno a: ffetto antecedente? que fio affetto
non e altro che un defederio d'operare, tlquale pendendo dal’ la
fognatone e principio dell'operatione.Pri ma concepe Ftdia la forma della
fica ^Minerua, dipoi defederà di produrla, o nel marmo
S E C 0 TSfD 0. pi marmo, o mi ramo, dipoi la produce. Se non
haueffe defiderio di produrla y non mai la produrrebbe, ff) fi prima non
conce pejfi la fua forma, non mai dtftderebbe di produrla. ^Adunque la
cognttione è principio dell'affetto, ffi) l'affetto dell* operatane ; fff
pero alatone dice nel Timeo, che l'opefice del mondo fece tante
forme nel mondo, quante hauca uedute la mente nel trnente, per
lignificare la produzione del mondo pendere dalla cogmtione, in fra
lequali, come fra due efiremi y e mezz ZP tl defiderio di produrre. Sendo
adunque l'anima no fra nel numero delle cofi diurne, diremo effer e
prefinte oue effa opera ; ft) operare, oue effa e tratta dallo affetto, g •)
defiderio d'operare. llquale affetto pende dalla cognitione. Imperoche
glie impofiibile noi hauere defiderio d'operare quello, che al tutto c'è
nafioflo. ‘Ter 92 LIBICO lagnai co fa, quando l'anima nojlra con -
cepe la uita ftnfibde ; ft) la gener adone 5 ft) hauendo affetto a effa
la produce, ft) efphca ; noi diciamo l'anima dcfccndere.,
Jmperochela natura mortale oue effa opera, e V infimo dell' uniuerfò: Ada
quando <• effa concepe la tuta de gli T>ij, ft) la ulta
intelligibile lontana da ogni moleflia, ft) ùgnytriflitia, ft) con
l'affetto l'efplica, dir ciamo afendere, fèndo gli c Dij. il
fupremo \detl' unmtrfo. ‘Rettamente adunque dice ^Porfirio nel
primo libro. DeU'aftinentia de gl' ammali, f noi defi deri amo
ritorna rea quello, che è proprio nofìro, f) alla ulta degli
T>ij, effer di bifigno, noi al tutto diporre qualunque cofà habbiamo
pre/o dalla ^Natura mortale infieme con t affetto decimante ad effa,
quafi non per altro defeenda, 0 afenda l'anima no fra, che per Iq
affetto. ^Tiace al dtuin r 'Platone,ft) Plotino l'anima noftra,
quando uiue con la uita intelligibile, ffe) degli Dij: conferire tanto
grado di degnitd, che fatta collega dell'anima mondana infieme fico regga tutto
il fato, ffe) la generatone. Viue aUhora con la uita de gli Dij, quando
ridotta ne peniitfeimi tefeori della feua essentia, ft) di quindi nell
amemfeimo Tarato della uerità intelligibile, contempla effa luJìitia,
efea bellezza, effa bontà ; Oue intendendo tutta la TSjatura di quello,
che è uer amente, fp) non folo intende tutte le cofe, che di quindi
procedono, ffe) tutti e gradi della procefeione mfeno all'ultima
materia ; ma ancora confeguentemente ope ra fecondohe effa intende. Onde
merita mente è detta collega dell'anima mondana, laquale hauendo
mteUigentia^ffe) prò uidentta uniuerfale, e principio del cielo ; ffe) di
tutta la generatione. Onde Telato 94 L I V 7^0 rie nel Filebo dice
in Cjioue cffere intelletto ft) regia anima, fignifìcando come
nettuni ma mondana è intedigentia, ft) prouidentia mtuerfale ; cofi
ancora effer ulta ft) principio uniuerfale di produrr e, ma quando effa
declina adageneratione, ft) al corpo mortale, dimettendo la intedigentia
uni verfitle, ft) però fendo oppreffa dall' oblivione delle cofe diurne,
attende alla fabrica di quello, che offerendo fi adì occhi noflri)
chiamato da gli ignoranti huomo, fèndo piu tofto imagine, ft) ombra d’huomo;
che vero huomo. Queda dimeffione, ft) queda oblivione) lignificata
dal dtuin ‘Telatone, nel decimo libro deda 'Rgpub. quando dice 9
che l' anime, che difiendono nella generatone beono dell'acqua del fiume
Amelita ft) pervengono nel campo leteo. lmperoche Amelita fignifica
negligenza, ft) leteo lignifica oblivione. T^ondimeno non gli è negato la uta
di patere tornare alla ulta intelligibile,/e feparandoftdal {enfi eccita
il lume della ragione,per laquale finalmente tifando per inflr
amento la bellezza corporale, e reuocata in ejja uerità. In fomma l'anima
quando muendo con la aita intelligibile contempla la uerità atramente fi
può dire integra. Imperoche fatta collega dell'anima mondana regge ilfato
f {t) tutta la natura corporale noftra, quando intenta alla generatone
s'ingegna effingere nel caduco corpo la natura del mondo o dimettendo al
tutto la fpeculatione della uerità, gt) obltgandofi afenfì,
ueramente si può dire dimidtata. Laquale e ri/litui ta nella fua integrità,
quando s'accende in ejfa uno intentiamo amore, ilquale incominciando
dalla corporale, finalmente la reuoca nel marauigltofo fplendorc
della bellezza intelligibile. Di qui apparifce quel r V’1£>
v . òè L 1 X 0 lo y che e ìnclufi nel
portentofifìgmento di Ariftofane nel Simposio. lmperoche k da
principio ejjire thuomo di figura circolare, ffi) co’membri addoppiati ejjer
fato partito in dua >per reprenfitone del filo fafio, tentando di
combattere con gli T>ij, poiché gli e cofìdiuifi cercare della fila me
tàydefiderando intenfàmente ritornare nel primo flato ; Incontratolo,
quafi infuriato, non concedere per un breue momento di tempo mancare
d'ejfio ; onde ejjer nato l'zAmore conciliatore dell'antica forma,
medico, ft) curatore della generatione humana ; non mole altro fignificar e,
che da principio l'anima no fir a uiuere con la ulta intelligibile, la
cui contemplatone ha fico congiunta la cura della natura corpo tqle, ft)
meritamente è detta circolare, fendo la contemplatone un circolo:
Randella generatone dedita do crefiendo lo
ftimolo dedita al proprio opificio crede fi e fière ha \ fi ante, a
fimilitudme dell'anima celtfle, effingert il mondo in e fio, perde
la contem) piattone, {f) fiero uer amente come inalza « ta dalfiafto, è diuifa.
Cerca della fina metà perche ejja ottimamente conojce quello, che ha per
fi per la inclinatione, affetto al corpo mort alerone non trotta niente
di t verità', neiquale incontrando fi, cioè in qual che
imagine della divina bellezza, fubito co me da un profondo (inno
/vegliata, fi rtcor da della divina bellezza ; per l'amore della
quale e (purgata dalle (ordì materiali final mente recupera la perduta
metà. Merita. mente adunque (amore è detto medico, et curatore
dell'humanageneratione reftitu tndo l'anima alla vita diurna, laquale è
la fua integrità, QuefUfino forfè i uefìtgij per che uno filerte
inuefiigatore della uerità configura il fegreto (enfi d'iAristofane. Non
hauédo in animo al prefinte inter pre-, tare minutamente il dium L’ACCADEMIA,
a noi fa ra a bajìanza qua/ì col dito hauere accen nato il camino
in fi profonda mtelligentia. L’anim a nostr azoiche e difiefia nel
corpo mortale fe ufia per iftru mento la bellezza corpo rale
alla diurna belltZz Z&, guidata dall' amor celefle, recupera le
perdute delizi della aita intelligibile. Ma fi fatta ebbra, quafi
da focali di Qrce, precipita nella generai ione, ingannata dall'amore
uolgare, diuenta ferua di tutte quelle calamità, che ha feco
congiuntela datura corporale. Ma innanzi, che noi dichiariamo come
nafte, {fi quello, che opera l'uno, {fi l'altro c Amore, fuori di
propofìto dichiarare piu particolarmente la fua diffinitione\ come quelli
che di qui potremo piu facilmente conofiere gli accidenti, di chef amo
partecipe. E adunque L’amore desiderio DI FR V I R E, ET
GENERARE LA BELLEZZA NEL BELLO, fecondo che il diutn Platone
difnifte nel simposio. ‘Ter laquale diffinitione balliamo a intendere l'amore
essere l'appetito, {fi non, filo appetito, ma di bellezza, {fi di
generarla nel bello. Onde per quejìa ultima parte, come per propria
cùfferentia t l'amore, e difìinto da ghaltri appetiti, iejuali non fono
di bellezza. Chi adunque /apra che cofa è appetito, ft) che cofa è
bellezza ; faprà a fufficentia, che cofa e tumore. L'appetito q) la
cogmtione non effer quel mede fimo dimofira quello, circa ilquale è
tana, ff) l'altra potentia. La potentia del cono fiere è circa il nero.
La potentia dell' appetire è circa il bene. Sendo adunque diftmto il aero
dal bene, e ancora difintala potentia del conofiere, dalla potentia
dell'appetire. Il uero e quello, che è adequato a. fuoi principij. Come
il uero oro e quello, che per tutto corri fponde a principij, ft)
alla effèntia dell'oro, non am mettendo in fi alcuna cofa tftranea,
ft) auentitia. PI bene e quello, che per fua natura fa quiete, fp) voluttà.
Sendo adunque il uero, fecondo la fua diffinitione, difinto dal bene, è
necejfario, che U corninone •* < y. f . ioj
tione fiadifttnta, fecondo la fua dtffinitione, dall' appetito. Ter
laejualcofa la ' facoltà del conofiere e una potentia in ap r
prendere il aero. Lo appetito è una potente in fruire il bene. Della
apprenfìone del nero, fi fra nella corninone certit odine. ^Rel
fruire del bene t fi fra nell'appetito uoluttàsAriflotile nel fi fio libro
dell'Etica dice, il uero, ft) il falfò ejfir nell'intelletto ; tlbene;
fp) il male nelle cofi, lS[oi 3 che diciamo la corninone effer circa il
uero > affermiamo il uero y ft) il falfi effer nelle cofi fecondo notatone 9.
Uguale nel fi fio libro della Republica dice nell intelligibile effer e
la uer rità, nell intelletto la fiientia * llcbe non repugna ad
zAriftotile, come nella noflra concordia dichiareremo. Al uero, ft)
al falfò féguita il benc,fj} il male: imperoche nulla può efier
uero che non partecipi del bt ne ; nulla può effer falfò, che non
partecipa q tij ìo2 L 1 % 0 del male, ft)
però alla cogmtione,che e circa il aero yfeguita i appetito, che è circa il
bene. Prima conofiiamo, di poi appetiamo ; ft) appetiamo quello, che noi
appetiamo y perche crediamo ejfer buono, ft) utile per noi. Adunque l'appetito
appetifie quello, che la potentia del cono/cere giudica ejjer buono onde
è manifefto l'appetito figmtare la cogmtione. Sono diuerfi gradì di
uero nelle cofe: Sono ancora diuerfi gradi di bene, ft) pero fono diuerfi
cognitiont, ft) diuerfi appetiti ; onde et diuerfi certitudini, ft)
diuerfi uoluttà. £'l primo grado di uero è nella natura Angelica, oue
tutte le co fi fino adequate a fuot principìj y ft) però fino
partecipi uer amente della bontà. Circa ad effe è la prima potentia di
conofiere 3 laquale e chiamata intelletto ; ft) il primo appetito,
ilquale è chiamato uolon td nell' intelletto )e la pritna cer tit udine,ft)
TE \Z 0. 103 nella uolontà, la prima uoluttà. Il
fecondo grado del nero, ft) del bene e nell'anima: om il aero, benché non fia
affolutamente aero, come quello della natura Angelica ; ilqualee per fia natura
uero, e nondimeno aero, ft) bene r adottabile, circa ilquale è la feconda
potentia del cogno fiere, qual' e chiamata ragione,{t) il fecondo appetito
chiamato elettione, nella quale e la fia uoluttà, come nella ragione, e
la fua certitudme y laquale e detta propriamente fcientia i fendo la
certitudme intellettuale detta fàpienza. et l terzo grado di uero, ft) di
bene, è nel gran fimmario y circa ilquale è la fua cogmtione, quale noi
chiamiamo finfò intimo, ft) à fio appetito principio della bellezza
corporale ; la certitudme di quella cognitione ft può dir fede, ft)
quella uoluttà fi può dire tmaginaria. Il quarto grado è nella na. <3
«<j 104 L 1 3 ? \ O tura corporale, oue le cofi
astutamente fono ombra di utro,q) ombra di beneinon dimeno fino
uero>ft) bene fin fibile. Et pero la corninone, che è arca tal ucro s e
una ombra di cogmtione; noi la chiamiamo fin fi particolare,
nelquale è neceffaria certi t udrne y ma piutofto afimilitudtne 9 come,
dice il dtum ^Piatone nel fi fio libro della 2{epublica ft) lo appetito 9
che è circa tal bene e un'ombra del uero appetito, nel- quale è uolutta
al tutto ombratile: difcor -1 rendo adunque per tutti i gradi
dell'appetito y fimpre l'appetito è circa il bene ffi) confeguente alla
cogmtione. Et però io mi marauigho d'alcum che diuidendo l'appetito
dicono lo appetito diuiderfi in naturale, cogmttuo, (fuafì pojfi efiere
ap petito finza cogmtione 9 ile he al mio parere e afjordo: Imperoche
mjfuno può appetire, quello che è al tutto incognito 9 fi noi
TERZO. tot noi diciamo negli elementi efftr appetito del proprio
luogo s e neceffario concedere in tfii e (fere una cogmtione antecedente
allo appetito, lacuale è principio et appetire 4 tutte le cofe, che
appetifiono.Est a c va dichiarar che cofa e bellez&a, potremo
intendere chiaramente, che cofa e amore. La bellezza, come e detto
difoprafe una gratia y uno fplendore della bontà, che in fu la
prima giunta apparifce all'affetto, qua fi il colore nella fuper fiele*
Oue è da notare due cose. ‘Trimala bellezza efftr obietto della jotentia
uifuale: dtpoi ejìtre per modo d'oc adente, ft) eftrtnfeca. Le bellezze
fon molte ; perche altra i LA BELLEZZA DELL’ANGELO, quale chiamiamo
bellezza intelligibile, ftj diurna: altra la bellezza dell' anima rationale,
quale al prefènte chiamiamo animale ; altra la bellezza del grande femmario,
quale e detta feminarta; altra LA BELLEZZA DEL CORPO, quale è detta
corporale: a tutte nondimànco è com mune ejfer un fiore della bontà, ejjer
obietto della potentia uijuale, efier per modo d'accidente * Et per piu
piena wtelligen aia e da intendere ejjer piu potentie uifùali, fecondo che fino
piu obietti uijibili. La prima è efio intelletto, ilquale ragguarda
nella uerità intelligibile, ilquale è ueramente un'occhio eterno, che uede ogni
cojà Signore del mondo, temperatore delle co fi celejli, ft)
terrene. La feconda potentia uifuale, è nell'anima, effa ancorale-,
culatrice della uentà: Ma multipbce,ffi uaria, detta potentia rationale.
La terzi j ènei TERZO, r io7 è nel grande fiminario intenta
alla uarie ta de fuoi fimi. Onde nafte l'affetto, principio della
bellezza corporale. V ultima è ia potentta, dallaqual fin uedute le
corporali, preftanttfiima di tutte le poten tte finfualt particolari, come dice
tAru fiorile, aera imagtne dell'intelletto. Auendo dichiarato che cofa è
appetito, ff) che cofa, ecognitione, fffi che fino tanti modi di
cognitione, ff) d'appetiti, quanti fino e modi del uero, ff) del bene: battendo
ancora dichiarato, che cofa è bellezza, ft) e modi di effa, ft) che cofa
è potentia ut fiale, ft) i modi di effa pienamente pofiamo intenderebbe
cofa fia amo re, ft) la natura d'effo. É adunque l’amore desiderio
di fr vi RE, ET D’EFFINGERE LA BEL l e 2 7 / a nel bello.
Sendo l'amore, defiderio, ft) appetito pof tamo intendere effir circa il bene.
Sendo di bellezza, poliamo intendere effir circa quella partir
apatione di bene, che e detta bellezza ; laquale è efìrinfica, ftfi per modo
dacci dente obligata alla potentia uifuale, St pero h abbiamo ad intendere
l'amore effire m'appetito, che figuita la cognitione uifuale.Onde Plotino
dice rettamente l'amo re hauere acquifìato il nome dalla uifìone. E
detto appetito non folodi fruire la bellezza ma d' e f fingerla per lignificare
l amo re effir efficace. Imperoche non glie a ballante fruire la
bellezza, fi ancora affettuofifiimamente concependola non la effri me ;
ft) in chi ? nel bello ; cioè in chi fia di fpofto> ft) preparato a
riceuerfì tale effir e fi fione. Laqualcofia dichiara il diuin r Platone
nel Simpofìo: quando dice l'amore e fi fiere del parto della generatone
nel bello. £ modi dell'amore fon tanti, quanti fono e
modi 1 T E % Z 0. 109 e modi della bellezza, ùjuah fi
riducono a dua, cioè alla bellezza diurna, detta Venere celefte, ft) alla
bellezza finfibile 9 det ta Venere uulgare, ft) commune: ft) fero diremo e modi
dell'amore effir duot cele fte,{t) uulgare. L'amore celefte è
appetito intellettuale circa la bellezza intelligibile. L'amore
uulgare e appetito ftnjuale, circa alla bellezza finibile. L'uno, %t) l
altro fa la fua efprefiione nel bellori celefte nella natura diurna
per modo di fimi, ffi) di natura, come è detto ; il uulgare nella materia per
modo uifibtle, fgl d'imagine ; laquale per tjuefto fi dice bella, perche e
paratifiima a riceuere la ejprefitone della bel lezza fimmana, di qui fi
può intendere la fententia di Alatone, quando dice Poro figliuolo di
Metide ebbro di Tettare, ft) Pema hauer generato l'amore, ne natali di V
mere. ^Noi perche di quefta man o L I *B 7{0 teria h abbiamo
breuemtnte trattato nel primo libro del fulcro, (g) h abbiamo in
animo trattarne altrove pia diffufamen te, al prefente dimetteremo piu
particolare efpofitione contenti filo in queflo luogo hauere aperta la
uia a quelli,c he fino fìudtofi d'intendere i profondi, fg) fegrett mi * fterij
dell’ACCADEMIA > f • , « v* f ' /chiarata ladiffinitione
dell'amore, fg) come gl' amori fin dua,cwè celeftc ft) uulgare,
refterebbe a dichiarare m che modo nafia, fg) quello,c he operi in noi
l'uno, fg) l'altro amore, ma perche dell'amore cele [le a bastanza e
detto fi nel terzo libro del *7* utero, fi ancora nel panegirico nofiro
all'amore ; per quefio diremo filo ft) breuemente dell'amore mi
gare. TE % ZO. /// gare. Al pr e finte fuporremo
in effir noi uno cor puf colo diffufi per tutto, quafì unumcolo infra
l'anima, (g) il corpo elementari, detto spirito y mediante tlquale
dall'anima nel corpo piu terrefìre fia trans fufa la ulta. Quefio fendo
generato d 1 una fot tilifi fima efialatione di fangue, ha origine
dal cuore principio, g) fontana del fangue piu puro, fi) al cuore
prende la utrtu,per beneficio dellaquale noi fiamo partecipi della
uita, detta uirtù uitale. Dalcerebro procede la uirtù,mediante laquale
noi fintiamo, g) et mouiamo, detta uirtù unir male, dal fegato la uirtù,
per laquale fi fa il nutrimento. £t la generatone, g) altre operai
ioni f nuli detta uirtù naturale. Di tutte quefle operationi e mflrumento lo
fpirito, ilquale ( come e detto ) ha ori gine dal cuore. Laqual co fa
confidtrando zArifiotile, fecondo la mia opinione, diffi ÌÌ2
L / 2 % 0 il cuore eficr principio del uiuere, del fin W, ft) del mouerfi
} fé) pero tenere infra gl' altri membri il principato > Come quefio
non re pugni a Platone, ilquale afferma il capo effer prtnctpalfiimo di tutti
e membri, ajjoluendofi per e fio l'intelligen ita, laquale, è nobil filma
di tutte le nofire operationi, altroue a bafìanza dichiareremo, Stndo
aduncjue lo fpirito mHrumen to del finfo, mafiime della fantafia,
che marauigliaè fi con tanta affinità naturale infra loro fi congiungono,
che una potente alter atione dell'uno fa tran/ito nell'altro ? ‘Per lacjual co
fa lo fpirito potentemente alterato, e baflante a muouere la fantafia a
produrre l'immaginatione filmile a quella alteratane. llche apparifie in
quelli, che fino ueffati da ueemente fibre, oue tal moto dello fpirito fa tranfito
nella fantafia. Mede fimamtnt e fe la fantafia interi famente opera in qualche
petifiero: nello /finto fi fa una imprefiiom naturale, firmle a quella
operatone. La qual co fa dimofirano le fife tmagwationi delle donne
grauide, in cui ueggtamo non filo dalla fantafia far fi tmpref ione
nello fpirito y ma ancora mediante lo /pirico tra pa/farene teneri
cor pi del fio tenero portato. E n?ittagorici fferauano medicare le
malattie con certi modi d'armonie. Imperoche l'anima dell'armonia e fi erme
reuocata nella interiore, ff) naturale per grande predominio, che ha /
opra il corpo, produce fimtle armonia in e/fo, in età ftà la fita
finita. Ecco adunque, che dado [pirito nella imagmatione fi fa tranfito,
cogitando la fantafia fecondo che efio è affetto dall' imaginat ione.
niello fptrito parimente fi fa tranfito, fendo l'imagtne, come superiore,
Ufi ante a muouere la uirtù naturale. Oltre a quefto hab btamo a intendere da
ogni corpo generabile > ft) cor rutilale far fi una continua refi +
lattone, ft) un continuo fiuffo, come aftermano Sinefio, ffi ‘Troclo; rituale
pir certo /patio di tempo, ft) a certa dt/lantia si conserva integro, avendo
continuatane con quel corpo, da cui procede. E magi fi gliono ofteruare
cjuefto fìmulacro, per. e/Jo offendere lo fpirito, quando hanno
in animo perdere alcuno • ^Mafiimamentc fi fatalflu/Jb per gl'
occhi.quafi per piu aperte fineftre dell'anima, ft) dello spirito: ilche
afferma o^riftotile, quando dice l affetto ciana donna, che patifta il
menfiruo fpeffe uolte machiare uno Jpechio. È ancora da Jupporre nella
generazione delle cofi ejfir neceffaria una cagione, che produca
detta cagione efficiente, ft) una, in chi, ft) di chi fi produca detta
cagione necejjaria, TET^ZO. ns necejfaria, ft) materia.
Et pero Telatone nel Timeo dice, che'l mondo e fatto di niente y ft) di
necefiità, cioè dt materia, ft) Arift otite chiama la materia
necefiità nonjempltce, ma per fuppofitione. Impe. roche come (e fi
dee far ma cafa, ft) una fatua y è necejfaria tale, o tal materia y
coffe fi dee fare que fio ornamento, quale noi chiamiamo mondo, è necejfaria ta
le y ft) tale materia, di che effo fìa confiti tato; ft) però la materia
per fitppofitione f è necejfaria *. Oltre a (juefte due è ancora
necejfaria una cagione infìrumentariayme diante lacuale fia preparata,
ft) diffofta la materia a riceuere attamente il dono della cagione
efficiente. TSjoi pretermetteremo come a quattro cagioni della generatione
indotta da z LIZIO, cioè efficiente y fine y materia, ft) forma fieno da
Platonici aggiunte le cagioni eftmpìari, fg) ^ H ij ! n6
L I 3 ^ 0 l'organica. lmperocbe alerone s' appartiene determinare
di queft a materia.. Oue di chiararemo ti nero efficiente dilla
generatione ejjer la parte naturale dell'anima mondana,chiamatada noi di
{opra grande Seminario. Il fole, ff le fuflantie indiai due effer cagioni
inftrumentarie: questi co me inftrumentt particolari,quello come in
flrumeto uniuerfale. Al prefente ci bafli la generatione hauerc dibifogno
della cagione efficiente, della infìrumentaria,e della ma
tena.Pofìi qucfli tre fondamenti facilmen te pof iamo intender come nafea
in noi que fla affett ’ionc, quale e nominata amore. Ada f imamente
fe non et fiamo dimenticati eh quello, che è detto poco innanzi, l'amo '
re hauer confeguito tl nome dall'affetto. Quando adunque per lo affetto
ci s'apprefenta nella fantafia qualche ff et t acolo, il quale noi
appromamo, come bello ff) pieno,p ^ ' dtgratia di gratta; [àbito t anima
eccitata nella col gmtione della /ita bellezza interiore v defederà non
filo fruirla, ma e f finger la. Et. perche tale efirefiione ha dtbifigno
della materia, ft) del fubietto, atto a quell&rk cetttone ; per
quefto de fiderà ejpt merla in quello, che efid ha prouato, ft) da cui
è fiata eccitata a tale ejprefiione, come piu atto a riceuere la
participatione della bellezza, ft) perche quella ejprefiione non fi può
far nel bello, quantunque di fra no tura atto, fi prima non e frffiaentemente
preparato: per quefto mtenfamente defidera congiugner fi col bello ; Come
quello j che altrimenti non può efficr preparato ; che dalla uirtìt
del fime, ilquale è tnftrumento naturale ad efpr'tmer la bellezza fi
minarla dall'anima. *Di qui fi può uede ; re apertamente con l*amor
uulgare 3 effèr fimpre congiunto il defiderio dell'atto Zie H.
iij -ni LI 3 710 nereo, fecondo Platone, Imperoche
fendo l'amore defedeno defungere la bellezza nel bello, fj) non fi
potendo effìngere, non fendo preparato ; ne prepar andofi fe non
per quell' tnftr amento, quale ha deputato lunatura, cioè il feme y oue
fiala uirtù gener attua, Imperoche la generatione y o non fi
ejpcdifie fenza il seme, o per il seme piu commodamentefe necejjario fìa
accom pugnato naturalmente da quel defìdeno y • qual noi chiamiamo
Venereo, Et quefea c una commune difpofìtione dell 1 amor mi gare
circa ogni bello. Imperoche l'anima re focata nella bellezza interiore,
giudica ogni bello, degno ; in cui s'effinga il fimu lucro della bellezza.
Ma quando noi approuiamo piu un bello y che un'a\tro y come piu grato
apprefjo noi, penfando del continuo adejfe affettuofamente ; fi fa nello (f
irito ma certa difpofìtione confeguentea TE 2? Z 0. 4 W
quella cogitai ione. lmperoche y còme editto, dall' anima fi fa tranfito
nello fpiritq come tn proprio y $) naturale infìrumen to. Incontrati
adunque m quello, circa cui Jiamo affetti, ff) a una certa
diftantia appropmquati riceuiamo nello fpirito per tutto il corpo
quello efirementofilquale na u turalmente fi rifolue dal corpo dello
approuato fpettacolo ; Mafiimamente fi fa tale recettione, quando noi dtr
itti gli occhi nel uoltOyft) ne gli occhi dtUa co/a, che tanto ci piace,
per la marauighadiuentiamo fimili a gli ftupidi • Imperoche come per gli
occhi, quafi per piu patenti finefire, fi fa maggiore refolutione dello fpirito
y coli ancora per efii è parata piu la uia negl'intimi penetrali dello
(pirtto. Marauigliofamente opera l' efficiente È quantunque debile, nella
ma teria ben preparata fupplendo alla debilità della cagione, la dtfpòjitiòne
della materia, della qual co fa e mani fefto inditio in gran copta
di materta da una pìccola fcintilla fiufiitarfi grandi fimo
incendio. Lo Jptrito dallo affetto continuo della fifa cogttatione, quafi
formentato, come prima è tocco da quello efiremento,/uhito alterato -,
quafi fimu tavella natura di quello: Intanto che arriuando l'tnfettione al
cuore, fontana dello jpirito, fa che, ft) effi ancora parimente patifia. Onde
ft) il /angue,che in lui fi genera, ft) lo /finto, che è infi
aurato dalla continua efalatione del /angue, riten gono quella
medefima infettione. Di qui 'auiene, che quelli, che fino infermi
dalla graue malattia dell'amore, (intono dolore principalmente nel
cuor e. lmperoche la cofà amata fa uiolentta nello Jpirito', ft) per lo
//ir ito nel cuore, onde ha origine'. Meramente alla maggior parte de
malt(cò me dice r £ x z o. ni me dice tldium
Alatone) un certo demone ha mefcolàta la uoluttà dolcifrima e/ca,
l'anima inferma fi diletta dei diuin afpet -. to del fuo bello ffett
acolo ; ffr) in prima del lume de' rifflcndenti occhi ; Màinganriata
dalia uoluttà 3 non finte il mortifero uè ne no penetrare, per li occht entro
alle uu [cere ; dalquate il grauiftmo morbo prendendo nutrimento, d'hora
in bora merauigliofametiie crefce. c Adunque lo ffniito tutto infetto,
mouendo uiolentemente la fdntafraja coftrmge non mai ad altro pen
fare ch'ai fuo bello spettacolo ; rituale approuando l'anima, come foto derno
in cui effa poffa ottimamente cfprimere una bella prole y a fmtlitudtne
della bellezza interiore y eccita uno intenttfrimo dtfrder io di fruirlo.
Quefìa e la generatione dell a mor uulgarc per quanto i circa alla
hdlez&aparticolare d'uno, o d'm'altro. Cjli T22 L I 2
7{0 accidenti che l' accompagno™, in parte faranno dichiarati brevemente
da noi in quello che fiegue. f& al Omi l' anima èia aita del
corpo, co fi la cogitatone è la ulta dell' anima. £1 corpo fi dice
ejftre allbora infirmo, quando l'anima /eco non confinte. Ondo
l'arte della medicina non è circa altro, che in conciliare l'anima al
corpo-, in che sla la finità dell'animale. L'anima e infirma quando non
confinte con la fua cogitatane, ma difìratta dimenticataf, ff) « di
quello, che efia è, ffi) delfuo ufficio ; non cura, come è conueniente,
fi medefima. L'infermità principali dell'anima fon dua:l' una è
detta ignorantia-,1' altra e detta infanta ta infima ; le quali fin
unto piu gratti che le malattie del corpo, quanto i anima e piu
eccellente, ft) piu nobile, Ma a che fine tjuefto ? Certamente perche la
cogita tione dell'amante non mai fi parte per un filo momento di tempo
dall'amato. Et pero dimettendo il fuo uffitio naturale, non
confinte con l'anima di cui è ulta. Vani ma inferma, ft) affetta accompagna
la fua cogitatone: lmperoche nulla può uiuer lontano dalla ulta.
TDi cjui aduiene, che l'amante e detto uiuer finzlamma, untetido
nell'amato. Queflo fa, che'l corpo non riceue il defiato dono dell'anima:
onde, f) ejjo cerca dell' amato, q) trouatolo alcjuan to fi quieta
9 (juafi habbta trouato ìanima, ma perche ne all'anima e concejfit la
cogitatone, ne al corpo l'anima, cioè ne all'uno, ne all'altro la fua
ulta, è necefi fàrio, che ciafiuno incorra in grauifiime
iriJf L I 2? TfO malattie ; l'anima nell'ignorantia 3 fjf) nell'infima:
il corpo nella difcordia di tutte le fie parti fra fimedefime che è il
mafi J Imo di tutti i mali. Di qui fi può uedert quello 3 che uolfi
tl dtuin Telatone nel Simposìo 3 quando dice, l'amore ejjèr arido efier
macilento 3 effer e /quando co piedi nudi uolare per terra 3 finza cafi 3
finza letto, finza coperta alcuna dormire nella ma prejjò alle
porte ; ffi) quefìo per effir figliuolo della pouertà « Imperoche
l'aridità 3 la macilenta, lo fquallore che 3 e ne corpi degli amanti,
feguita la difcordia delle parti del corpo fi a fi) lequah non pomo
adempiere il fio officio naturale 3 non fèndo l'anima intenta aidehito
reggimento deleorpo. L'anima difir atta dalla potente cogitatane 3 opera
de talmente nel corpo: onde conuertita la maggior parte del cibo in
fiper fluita 3 fi genera poco fin gue 9 i2$ gue, ft) quello per
la mede/ima cagione fin do mdigefìoy e grofjo, ft) negro. El
difetto del [angue, di che fi fai alimento genera efiiccattone,
ffi) configuentemente eftenua tione mi corpo. La grofiez&a,{tf ba
negrez za genera affcrità, mifihiata col pallore. È adunque lamore arido,
perche e cagione y che e corpi delti amanti manchino della conuemente quantità
del [àngue, diche fi nutrifiono. E macilento perche il difetto del
nutrimento genera in efit efienuatio ne di tutti e membri. E [quaUido perche
fi nutrifiono di [àngue groffiy ntro y ilqua le genera [quallore.
Tutto quefto non uuole altro (tonificare, finon che e corpi degli
amanti principalmente fono obligati a ma li malinconici. Et quefto
inquanto a mali del corpo. 5 S[oi h abbiamo detto quando la
cogitatone y non confinte con l'animaygenerarfi in ejfà Tignorantia, t infanta
; onde hanno origine tutti glialtri fitoi ma-; li. Volendo adunque
ed diuin ^Platone figmficare la ulta degli amanti e fiere affati caia
dall'ignorantia, dall' infama, ff) configuentemente da glialtri
mali, che le figuitano: diffi l'amore effer co' piedi nudi, per che non
curando l'anima fi medefivna rettamente, come aduiene adamante, non
conofie quello, che effa è, anziché e di gran lunga peggio ) crede fi
effer altrimenti che effa fia. ~Di qui aduiene, che effa è priuata della
cognitione della uerttà. Et pero in ogni fua anione procede finza ragione
alcuna, e uer amente co' piedi nudi. Diffi uolare per terra, perche
l'amante fi fa firuo della bellezza corporale. Laqual cofa nafie
daefìrema tgnorantia, da cfìrema infama, fèndo l'anima noftra nel
numero delle cofe diurne, lequah hanno a dominare alle cofi corporee,
ffi) non fimire. Di ixà re. TDi qui naf ce, che l'amante e fòt
topofio a infinite offe fi, ne mai uer amente fi. quieta in cofa alcuna,
ne ancora nella cofa. amata, fendo fempre agitato da uant speranze, da
uani timori, i quali fino m modo potenti, che effo non ha fatuità di poterli in
alcun modo celare, quafi un fìupido, obhgato fempre alla bellezza
corporale, ma alla bellezza diurna, appoggiato a [enfi, iquali fino parte dell'
anu ma noflra ; mentre e congiunta col corpo mortale. 'Rittamente dunque
l'amore fi può dire finza cafa, finza letto, fintai coperta, dormire
all'aere nella uia appresole porte. Sendo adunque l'amante fottopoflo a
tanti mali per cagione dell'amato, qual pena fi potrà trouare con ueniente, fi
efio non riama ? Certamente chi priua il corpo della ulta e h omicida:
chi rapifie le cofi diurne èfacrilego.L'ama ì2S L 1 3 % 0 to
e fi ordendo la cogitattone all'aman. te rapifce l'anima sofà neramente
diurna. ‘Priua ancora tl corpo della aita, uiuendo effo per la
pre/entia dell'anima: Onde come homictda, ft) Jacrilegofe degno di cru
delifiima morte. <^Ma riamando l'amato marauighofamente reHituifce
l'anima all'amante. Imperoche, chi riama dona la fua cogitatone, ffi) la
fu a anima, nella quale urne l'anima dell'amante. £t pero donando
fe, refhtuifce all'amante la perduta anima ; ne per quefto pero abbandona fi
mede fimo, battendo fmpre fico congiunta l'anima dell'amante. Oitefh ffij
fi mili fono gbaccidenti, che feguitano all'amore per hauere origine
dalla pouertà, come madre. Chi uuol conofiere efijufitatnente ancora
quelli, che configuitano all'amore pereffer figlio di Poro, cioè della ma
alla copiai legga icomcntarij foprail Simpofio Smfojto del
Duca noftro ^Marfiho ; otte la natura dell'amore fecondo la intendane di
‘Platone è diurnamente ejplicata. Otrebbe alcuno dubitare > perche cagione
non fìa mo parimente affetti circa ogni hello. <JMa fi ne
trotta qualcuno, tlquale, henche giudichiamo efeer hello,
nondimanco non eccita in noi quello intenfò affetto, quale chiamiamo
amore. Qualcuno altro potentfiimamente ci commuoue ; anzi {che e di gran lunga
piu forte ) fpejfi fìamo affetti a quello, che ancora noi medefimi
giudichiamo effèr men hello in fa molti. Quella qui fi ione fecondo la
mia fintentia, fendo difi folle, ftj) anfia y fff) ha fi ante ad affati n
o L I S 7{ O care ogni buono ingegno habbtamo dedicata al fine di
quefta opera, della quale al preferite breuemente tratteremo. Qualcuno
forfè giudicherà la femilitudme, g) la congruente, perche noi fìamo piu.
affetti ad un bello, che ad un'altro: hauere origine dal padre, g) dalla
madre, quafi fia neceffariOy hauendonot di quindi l' effere, hauere
ancora da mede f mi tutu l' altre ajfettioni ; Qualcuno altro crederà
douerfi ridurre alla natura > g) al Cielo come autori di tutte le cofe
inferiori. Tfoi che fèguitiamo il dium Alatone, affer y miamo la
datura, g) il Cielo efeere indumenti della diurna inteUigentia, g) per
queflo operare nelle cofi inferion y quaii eoi loro ordinato di fòpra. ‘
Diremo dunque le cofe diurne ejjereinfra fi di flint e, fecondo che
s'appropinquano, o fino lontane da quel principio % onde procedono, i T B
'%'Z 0. ni fa per quefio fèndo l’anime rattonah nelnu W mero
delle co/e diurne, e neceffario altre efi fa fere ne primi gradi della
perfettione, al$ tre ne fecondi, altre ne tertij. Quefla di { ftributione ha
origine dal primo mtellet T tri to, ilquaìe difipra habbiamo apellato,
tjl fff Angelo, ft) mondo intelligibile, oue l tutte le cofè hanno il
loro efiere perfiettififimo. Sendo adunque l anime rattonali ì
difìribuite in tanti ordini, quanto è il nu-, mero delle stelle, come dice
ildiutnTlai tone nel Timeo, benché naturalmente tutte fieno in fra fi
confintientt, nondimeno infra quelle è maggior confinfi, in chi è piu
congruentta, ft) piu fìmihtudine: Onde l 1 anime di ciafiuno ordine piu
cónfintono fico medefìme, che con quelle, che fino di dtuerfi ordini,
hauendo infra fi maggior fimilitudme, ft) maggior a fi finità: fór
bigratta, t anime fitto l'ad l \ V t,; Vs» i3z LIVIDO tniniftr
attorie di Giove piu conuengono in fra loro ; che con quelle, che fino
ordinate fitto l'amminifìr adone di «J "Marte, o di Saturno:
fendo piu fìmili, ffi piu affini. et anime, che dt/cendono nella
generatione tratte dall'amore delle cofe terrene formandofi i corpi,
iquali reggono: in efii efprimono la natura fua per qudto la ma
teria ne può effir capace. lmperochejl corpo none altro y che una imagine dell
ani ma, ft) quanto i corpi fino piu perfetti tanto meglio rapprefintono l'anima.
Onde il corpo celefle perfettifiimo di tuttii corpi, fèndo tanto uicmo
all'anima, che tffi quafì fianon corpo, ottimamente la reprefenta:
HPer laqual cofà t anime, che difiendono nella generatone
sformandoli da principio un corpo di \ Natura fimileal corpo
celefle ( ilche hauere affermato Arifiotde ancora confinte Temifiio ) prima
in V • Jfi MI» mi ni j I
tuw wh ri- tti it
li fi i 9 fiin ejji fanno la fùa
participatione sfattamente, dipoi negl altri o meglio, o peggio, fecondo
che per la loro perfettione, o tmper fattone, fi prefi ano piu, o meno
obedienti. Tutti nondimanco ritengono il Carattere dell'anima Jua r fendo
adunque la bellezza corporale rnagine della bellezza dell anima,
{fi per queflo riducendofia medefìmi ordini, quel bello filo è
ajfettuofamente offeruato da noi., ilquale fi riduce al nojìro ordine, {fi
quello è innanzi a tutti offeruato, {fi adorato, che procede da anima nel
medefimo ordine di firnma preftantia, {fi di fimma degnità,{fi per queflo
fi V anima noftrà e intenta alla generatione, fubito, che ci
incontriamo in efja, quafì attoniti giudichiamo altro ue piu attamente
non potere ef fingere la diurna bellezza. * Onde a nullo altro peniamo, m
nulla altro tt udiamo >che adem I
/ tu fiere l'ardente defìderio nojìro. Quefta forfè
effir la cagione, come io fimo' affer merebbe uno ftudiofodeldiuin ‘Tlatone,
per laquale fiamo affetti pm ad uno, che ad un'altro bello. Queflo fìa
tifine, o buono Amore del nojìro cercare, della tua diurna origine. Dio
uolefii, che a me fufii tanto facile trouare le parole, quanto cofi
grandi, ft) marauighofi di te concepiamo. Imperoche e mi farebbe un piccolo
inditio, che la mia te nebricofa mente pof fa effire Ulu firata
" i. dalla chiarezza della tua di ; • £v; umifitma luce.
iL FIl j. Giof'^t'HX 1 conisi, e. PALLA B. VGELLA
I< V ?• fN *> 1. f\ I. % v ; j. « +4 R AVE
PECCATO è non fentire rettamente de gli D.ìj, molto piu grane
detrarre alla loro maie(ìà,ft) pero ca± r fórni amici, non uituper atelo
amore, cojà certamente diurna, acctoche nonni auenga come a
Steficoro Poeta, ilquale ef PATSfEG ITTICO fendo accecato per
hauer ne' fiuoi uerft pec tato contro a Helena,non mai recupero la
perduta uifia fi prima fatti e uerfi incontrario fenfe non placò la offefa
deità. Homero ancora perche non uolfe confejfare hauer peccato yUtffe
cieco infin nell'ultima vecchiezza. V n adunque non filo ui after
rete da tale uituperatione, ma celebrando ilfacratifiimo nome dello
amore,lefue mirabili uirtuti infieme meco predicante y fe non come e
conuemente a tanta maieftà, almeno fecondo le forzz del uofiro ingegno,
di che nulla piu uttle a uoi, nulla piu accetto a gli Uij fare pofiiamo.
Neffuna cofa e tanto grata quanto la bellezza, neffuna tanto mole fi a
quanto la deformità. La bellezza rapifie e diletta l'anima no lira,
per contrario la deformità l' affligge e la difeaccia. La cagione credo
fia, che la bellezza offendo fuori alle co fi cofi create
mofira la perfettione di drento % onde uiene, perche la perfettione dt
qualunque cofa e accompagnata da una certa gratta ejìeriore, laquale
dimoftra quella cofa non hauere di drento alcuno difetto, c pero
non e merautglta fi l'anima noftra e prouocata e rapita dalla bellezza;
impeto che effa naturalmente indoutna
per la bellezza douerfili aprire la uiaatla infinita perfettione della
diurna bontà, per laqual cofa li antichi Theologi affermano la bellezza
effiere portinaia alla habitatione ficrettfitma della diurna bontà, quafi
fia neceffarioa qualunque cerchi ladtuinità prima incontrar fi
nella beUezza. £per quefio la bellezza non è altro, che uno fiore, una
gratta, uno splendore della diurna bontà, laquale prouoca e rapifie tutte
le cofi che hanno facultà di cono fiere, accioche per fuo beneficio fi
faccino dteffa parte*PA^EGltTCO dpi y ou'èla aera q) ultima perfittione
di c taf imo. Onde fi cofi che hanno potentia di cono/cere, fino
piu perfette > che quelle che ne fino prrnate, ffi fra quelle che
condfiono chi ha miglior grado di cognitione ha maggior grado ancora di per
fettione, la ragione è, che chi ha miglior gra do di cogmttone, cono fendo piu
perfettamente la bellezza, e intromeffo a maggior grado della
participatione della diuimtà, doue conftfle la perfettione. Onde la
firnma cognìtione fi fa participe di fimma perfettione, conofcendo
ptrfettifiimamente la bellezza, Ma chi è al tutto priuato della
cognìtione yfendoli nafìofio lo fplendo re della bellezza y è priuato
ancora della ue ra participatione della diuinitdye pero meritamente fi
reputa imperfettifimo fra le cofi create. Chi negherà le cofe
inanimate effire piu imperfette che quelle ylequali han no
anima t 1 ALVA MOltJZ.no anima t ft) fa quelle, che hanno
anima molto piu imperfette e (fere le piante, e gli altri animali che
Ihuomo? Le cofe inanimate no battendo cogmtione alcuna nten te guftano
della bellezza, ft) pero hanno poca per fattone, perche per ft non pojjo
no aggiungere alla diurna bontà. Le piante ( come dicono e c ~Ptttagorici )
hanno co gnitione, ma Hupida, ft) quaft di huomo y ilquale fubito
fùeghato finte e non difierne. Gli animali irrationah fentono, e difeernono, e
nondimeno perche lo fplendore della uera bellezza troppo fupera la loro f
acuità del conofiere 9 e fi ancora hanno de bile perfettione. Solo
l'huomo fa quelli che habitano in terra e capace della bellezz za,
efiendo in lui ampli fimo grado di cognittone 9 onde efio arnua a non piccolo
grado di perfettione. Ma nella natura angelica ft contiene el fommo grado di
perfeitone, offendo da Dio principio, (fogni lume, in e (fa fitto infufo
uno lume> Uguale congiunge la cognittone uerifiima con la uerifiima
bellezza, e dalìacjuale la cogni itone è dertuata nell* alt re creature,
come dal Sole fontana d'ogni lume uifibilefe deriuato ogni altro lume
nelle cofi corporali. Chi dubita la bellezza fola rapprefentare la
diurna bontà t confideri il Sole effere belhftmOydi tutte le cofe che fi
tncontrono alti occhi nofìri, uer amente occhio eterno del mondo,
come dice Orfeo, ih/uale gli antichi Theo logi chiamorono figliuolo
utfibile di Dio 9 anzi diciamo effo effere nel mondo come in
facratifiimo Tempio merauigltofifiima ftatua di Dio. Onde apprefio gli
Sggitij ne i Tempij di Minerua fi legge ua fermo in lettere d'oro.Io
sonocio CHE £, CIO CHE È STATO, C/0 che faràyil uelo mio non
difìoptrfi alcuno, il fole il file futi frutto ch’io partorì di che
appare il Sole bell forno, fi a le co fi uifibili uer amente
rapprefintare la diurna bontà, come imagme di effa nel mondo..
Sfondo adunque la bellezza qual di /opra e dime firato,non è merauiglia
effa prouocare immo rapire a fi le nature conofienti, mafiimamente quelle che
hanno amplfomogra do di cognizione, c Anzi piu tofto diremo ejjè
hauere in fi mio ardentifiimo defiderio, per beneficio delquale non già rapite,
ma fpontaneamente cercono e configmfiono la bellezza, cagione della loro per
fettone. Quello defiderio non pofjede al tutto la bellezza allaquale fi
muoue, ne al tutto ne è priuato, perche fi fufii al tutto pnua to della
bellezza, non harebbe di effa alcuna cognttione, onde ne la potrebbe defiderare.
2 Spi figliamo defiderar do che noi defideriamo come cofa buona f utile
per i 4 z P AT^EGl^lCO noi, altrimenti mai defidereremmo mila.
Chi è colui che defiden il (ito male ( fi già al tutto non è infinfitto ),
fi adunque x noi fiamo priuatt della notiti a di co fa alcuna, non ci
ejfindo noto, fi tal cofite t come la pofiiamo defiderare come cofa
buo na ft) utile P er not • mn 6 dunque da dure che'l de fiderio della
bellezza, al tutto dt e JJa fia priuato. 7S[e ancora è da dire tale
defiderio pojfidere la plenitudine della, bellezza, perche chi poffide non fi
muoue alla cofa quale lui pojfide, ma piu tofiola fruifce. Chi non conofce che
la potenzia delmuouerfi e data alle cofe create per arriuare e configuire
quel termino y che tjfi non p affiggono 1 ilquale come
hanno pojfiduto fiibito ce ([ano dal mouerfu Onde elmoto e
connumerato da Filofifitra le co fi imperfette. Ma colui che de fiderà
fi muoue in un certo modo a quello che efio defidera,
i ALL* AAf07{£. i#j\ de fiderà, e pero non lo pofiiede
y percbe fi. 10 poffidefii, farebbe uano ildefiderarlo 9i
godendolo finza interna filone 9 per laqual cofa il defìderio della
bellezza > è poflo in mezo della pnmtione, e della pofiefiiont
di e[fa\ participando tutti dua lieflremi. Quefto defiderto fi noi
chiameremo amo-, re > non faremo da h h uomini ne etiam da
11 dij meritamente riprefi, perche in ogni, natura creata, o uuoi
angelica, o uuoi ratinale l'amore non e altro che uno ardentifiimo defiderio di
poffedere e di fruire la bellezza
quanto a fi e pofiibde. Perla qual cofa, li antichi Theologi non
collocarono lo amore nel numero delle cofè diurne come quelle che in fi
hanno la plenitudine della bellezza, ne ancora nel numero delle co
fi mortali, come quelle che in ueritàne fono [fogliate, ma nel numero di
quelle che, delle mortali e delle diurne fono partiALL'AMORE.
dpi, parimente, come e la natura demonica. Onde efit chiamorono lo amore
non Iddio, non mortale, ma grande demone, perche la natura
demonica, pofta m mezg fra gli huomini e li TDij quafì interprete,
conduce a li Dij li prieghi e fàcrificij degli huomtni,alh huominila
uolontà e comandamenti de Ili Dij. Qie per altro mezo li huomini,o
melanti o dormienti fino mfpirati dalla diurna bontà, che per la natura
demonica. Parimente lo amore pofto in mezo della cognttione, e
plenitudine della bellezza, non filo prepara, e difione ottimamente
alloinflufio della bellezc, le cofi che ne fino priuate, atte a participarla,
ma ancora traduce della bellezr za un lume, per ilquale effe fatte
belle, configuirono la loro felicità, Quefìofignificorono li antichi
Theologi quando difièno lo amore efiere figliuolo di c Toro, e di Penìa
gene ÀLVAMOXB. t+t nia generato ne natali di Venere, e pero e
fi fere fittatore e cultore di ejfi. lmperochc Venere figmfica la
bellezza, Poro [tonifica, meato e uia, Penta lignifica indigene ta, e
pouertà, E adunque generato lo amore della indtgentia,come madre laquale
è nel la natura,che ancora non ha participatione di belle zia, ma ha bene
una certa potentia e prontitudtne adhauerla, £del meato e uia alla
bellezza, come padre, cioè c imo influjfi ouuoirazp, ilquale procede
dalla bellezza, e conduce ad e (fi la natura indigente. Onde l'amore uiene a
par ticipare della tndtgentia,inquanto fi muoue alla bellezza, e dello influjfi
o uuoi ra zp, inquanto al tutto non e priuato della cognittone di efia.
Meritamente adunque lo amore è detto fittatore, e cultore di Venere;
imperoche lo amore fimpre figutta la bellezza,* lei bellezza fimpre
eccita la amo j ó P. A TfE G l'FJCO', ye. Sarebbe lungo a
dichiarare quello che intendono li antichi Theologi quando du cono
effer due V mere t una figliuola del eie lo finzetmadre^ e però effer detta
cclefte,. laquale nacque de genitali del cielo cafra % lo da
Saturno fuo figliuolo /àbito che fu nato. E da la fpuma del mare, oue
efit genitali caddero. L'altra figliuola di Cjioue e di Dione, detta
uulgaree comune. Et. pero al pre/ente ba fiera dire fidamente co*,
me fino due Venerefiioè due bellezze* Mia celefìe, l'altra uolgare, cofi
effer dui amoriyUno cele fi e fi altro uolgare. Lo amor ce le fi e
feguitare la bellezza celefte e diurna, e'iuolgar, la uolgare e comune.
<£\da forfè non farà fuori di propofito, incominciando fi da uno altro
principio dichiarare m che modo fono diuerfe bellezza > e diuerfi
amori, effendo fempre feguitata come è detto ciafcuna bellezza, del Juo ;
amore. f ^l'ordine rALL'AMO'RE.'H: '7S(e l' ordine delle
cofi il primo e capotti tutte e effi Dio infinita bontà, infinita
firn piletta y principio y mez.o, e fine d'ogni cofa y bene de bem y lume
de lumi. TDopo Dio ~ è lu natura angelica, laquale fi come è la
prima creatura che procede daTDiò, iCofi tiene il primo grado diperfettione
tra le cofi create. TDòpo l 'Angelo e la natura rationale, laquale
ancora è detta anima, tanto meno perfetta dello angelo, quanto è
piu lontana dal prtmo/lSfondimanco ha in fi tanto grado di perfezione,
che ejja pon filo intende la natura angelica, ma ancora a fende al
profondo abifio de la di uina luce. Quefla produce e regge tutte le
cofi corporali, e con la fua prefentia dona loro la ulta, ft) il moto.
lmperocbe qua T lunque uiue,in tanto urne, quanto dal' ani ma
riceue il pretiofi dono della ulta, dalla quale effa e origine e fontana.
Il quarto uogo tiene la natura corporale, lacuale al tutto digenera
dalle cofi diurne, perche in ejfa nulla è di uero, nulla di certo,
ma ogni co/a imagmaria e uana fimile a l'ombra de cor picche apari/ce nel
continuo fluf fi dell acquaylaquale continuamente fi genera e fi
corromperne mai (la ferma in uno ejfire. L'ultima ne l'uniuerfi, è la
ma teria y nella natura della quale non e ordine o perfettione alcuna,
molto piu uicina al non ejfire y che a l'efier e. Adunque fi può
dire ejfire ne l'uniuerfi cinque gradi di cofiyCioe T)to y l' Angeloyl' animaci
corpo, la materia ydequah dua ettremi fino in modo contrarijyche l’uno,
cioè Dio è auttore, e cagione di tutti t beni.L'altro y ctoè la ma
teria è cagione e auttore di tutti e mali. Iddio tanto eccede le cofi create,
che e fio non può ejfire pienaméte intefi da alcuna crea tura. La
materia ha in fi tanto difetto, che ALL* AMORFE i\
i+p che per fua natura, fi come fogge lo e (fere, cofi ancora
fogge la cognitione. Et per quefio ne la materia no è bellezza alcuna, anzi piu
toflo u'e fimma deformità, perche la bellez&a(come e detto)accompagna
firn pre la bontà, ne fi può trouar bellezza do* 'ue non fiabontà',e noi
hauiamo dichiarato nella materia non ejfire alcuno grado di bene,efiendo
la materia ejfo male, e prin cipio d' ogni male. 5SS? ancora in Dio e
bellezza alcuna, imperoche Dio e fimma firn plicità,ela fimma (implicita
non e capace di bellezza, ma caufit di ejfa, e fendo la bellezza nelle
cofi create. Onde in Dio e tan ta perfettione,che quando noi
diciamo, Dio è fapiente, Dio è uiuo, D io è gtufto e bello, noi
habbiamo a intendere in ‘Dio non ejfire, o uita, o fapientia,
ogiuflitia, o bellezza, nel modo che uedtamo nelle cofi create, ma Dio
ejfire cauja nelle creature, della fipientta, della uita,dtllagiuftu ia, della
bellezza, e però Dionifìo Ariopagitafikndore della Theo logia Ghriftta «rty
dice nel libro de nomi diuim, tutti e Homi che fino attribuiti a T)io,
fgmfìca^ re dóni da lui nella natura angelica concefi fi. #(efla
adunque la bellezza e fière nello àngelo,nella anima j nella natura cor
porti k. JMa come efiafia in quefle tre natureper le fiquente fimilttudme
fi potrà factU mente ( come io 'Spero ) comprendere. Fingi
liner ua dtfiendere di Cielo in, terra tra mortali, fingi una statua di
?ne rauigliofi artifitio fatta a fimilit udtne co-> me quella di
Ftdta, laquale facci la imagw ite fid iti uno Specchio', chi uedefit
quella imagine nello Jpeccbio,non uedendo la fi a-' tua -, di cui è
effavnagme, fi merauiglia rebbe affai della fia bellezza- Molto piu fi
1 merauigliarebbtfi ue defila Statua, ondc\. quella imagme d
erma sterno fcmdo in efia la merauighofa mduftrta dello artefice\
<£Ma fi uedefit gli occhi, jf) il uo!to,e l y al tro basito del corpo
di Minerua uiua.qua fi attonito tonfeffarebbe la fìat ua e la ima
gine nello fpecchio non e fiere degna di fti\ ma alcuna, la cui bellezza,
haueua poco manzi tanto commendato. Nondimanco direbbe e (fere tanto
meglio la fatua, che la imagine nello fpecchio y quanto e meno
lontano da Alinerua uera » 'Sfa milmentela prima, e uera bellezza è nello
angelo, laquale è mi fura ffi) origine db tutte l' altre bellezze
'L'anima ancora pofi fiede la bellezza, non già per (ita natura, ma
per dono dello ^Angelo, come la ceraha lempronte dal figlilo, ffi) pero fi
puòdir piu tofìo e (fere uera fimilit udtne di bellezza, che uera bellezza,
efiendo ne l'an fa ma, non per fua natura, ma per beneficio K ut)
isi PA^EGITUCO d'altri II terze grado di bellezza * ttel corpo,
neramente non fimtktudine, ma ombra dt bellezza, molto piu lontana dalla
bellezza dell 9 anima, che non e l'anima dal laidi ft abile, nulla
di certo,ma ogni cofi e fluffa e
mutabile, e pero la bellezza cor por a le, figurando la natura del corpo,
è Jempre di necefità me/colata con la deformità, fio contrario,
continuamente variando fi. Fra tutti e corpi, il mondo partteipa
amplifimo grado di bellezz&,percbe tl tutto è fimpre piu per fetto che le
parti. Imperoebe il tutto contiene e non è contenuto,. Le parti fino
contenute fjft non contengono, f0 nejfuno può dubitare ogni altro corpo ejfire
parte dello untuerfi/Dopo rimondo fino e corpi cele ft i, da quali fi può ha
uer mam fe fio te f limonio della bellezza de lecofi
Ti lo z, Angelo. Imperoche nella natura del cor po ( come
rettamente dece Her adito ) nuL f ALL' AMORE, iss le cofi dittine,
Olirà quefio grande nume ro de corpi, e quali alprefente faranno da noi
pretermefii. Solo diremo dello, buomo ilquale contiene tanta perfezione e
tanta bellezza > che h antichi Fdofofi non hanno dubitato
chiamarlo mondo piccolo, come quello che in fi piccolo loco come e il
corpo humano, ha congregate tutte le utrtu del i mondo. èjfindo
adunque la bellezza nello angelo, nell'anima, nella natura corpotale, noi
chiameremo la bellezza dell'angelo e dell’anima, Venere celefie e diurna.
Perche non può ejfire ueduta da altro oc chio che dello intelletto, cofa
neramente diurna. La bellezza del corpo chiameremo Venere uolgare.
Efiendo conofituta per mezo de lo occhio corporale, per laqual cofa,fe
ogni bellezza è accompagnata dal fuo amore, e lo amore non e altro che
uno ardente defiderto di bellezza fjnrituakdi - t m.'&rA2$E-G
Wmo remo efifireamore cele fi e e diurno, g ; )ìl dejìdeno
della bellezza corporale efiere amore uolgare e comune» Chi adunque
non conofce quanto fi ingannano quegli il cui amore fi dirizzi alla
bellezza corporale? fi già non lufino per inftrumento per /altre
alla diurna bellezza, mi al prefinte dimet teremo le incommodità di che fono
partecipi gli huomini, per figuire l'amore uolgare, come co fa molto aliena dal
propofito no u firo. Solamente dimoftr eremo il maggior dono che
fia dato a gli huomini da Uio, cffere quello amore che li conduce a
contem piare la diurna bellezze, ft) pero tal amatore e/fire
eccellentifiimo, e qua fi un miracolo infi a gli altrt huomini. U anima
no: ilra benché fia piena di diumità, anzi neramente figliuola di T>io,
nondimanco m > tanto è occupata dal corpo, alla cura e reggimento del
quale naturalmente ì propofia, che r AL V~AMÒ\E. V/V
fia y che rifiu delle uoltediuenta piu fiimitai tenebroso carcere dout e
indù fa, che allo amore d'onde procede. Et pero ' U antichi
Theologi chiamorono il corpo fifulcro de làmina y che quafi l'anima fia
piu fimile alle cofi morte che alle itine, meli tre che fta mi corpo,per
laquàl cofi dimen ttcata della natura fua^è della bellezza di urna e delufi
da grande, e uano numero di falfi fogni y' per tutto quello Jpatló
di tempo che'l cieco ft) ignorante uolgo chia > ma uita. E'
Incordar fi della diurna belléz^a poiché fi amo congiunti al corpo mortale, non
è facile a ogniuno y ma fino pochifitmi in chifia rima fio qualche
fintilla di diurno Jplendore y per laquale po fimo ef fere eccitati
à fi felice ricorranone. Quefli quando s'incontrono in qualche tmagU ne
della diurna bellezza > laquale piu ma nife fi amente che in altro loco 3
appare neh r is6 corpo inumano, e maxime nel uo Ito, quando e
partecipe di prettanttjsima forma in prima fono occupati da in [olita me
r aut glia, me folata injìeme con horror e, di poi alquanto afiicurati,
la giudicono cofa neramente diurna e degna, a cui fi conuen ga fare li
facnfìcij e uoti, non altrimenti che fi foglia fare alle ftatue de li Dei
immortali. Ma quando piu attentamente riguardando in ejfa, riceuono per
li occhi lo influfio della bellezza, [abito per tutto alterati,
fidano parimente ft) ardono. lmperoche in loro fi accende uno affetto, ilquale
mirabilmente gli eccita, e lifolleua. Dipoi aggrauati dal pefo della infettione
corporale in baffi ro umano, non altrimenti che fuole auenire a quegli
ucce\ $ » ec j ua k P er troppo defiderio di uolare, hanno ardire di
commettere inanzi al tem [o alle giouani ale il pefo del corpo
loro, ma non ALL'AMORE. in ma non effendo le penne
ancora ha fi unti a notare fono con ftr etti precipitare in terra y
perlaqualcofain un mede fimo tempo agitati da dua contrarijfintonograuifi
fima moleftia, lacuale fubito fi corner te inletitiache fiecchiatt di
mono nel bellifii mo mito, riceuono drento a l'anima, il tanto
defiderato fplendore. Ma quando fiparati dal diurno Jpettaculo,
mancono della loro confueta e fi a, afflitti e dolenti fi riuolgono
continuamente nella memoria, la imagine dello Jplendidifitmo uolto, onde
sforzati dallo ardentifiimo de fiderio, fimili alti infuriati non potendo
ne la notte dormire, ne' l giorno in alcun luoco quietar fi y per tutto
difiorrono cercando di uede re quello fpettaculofinza la cut ufi a
confumati dal dolore perirebbono, ilquale poi che hanno ueduto e rtprefi
il defiderato nu tnmentojibtrati dalli acuti [ìimuli egra rff$
j?A^sai%ico \ue ànguHte y fi fentono m tanto filettare ~fipra
le forzé loro confate, che dimenticandofì de padri, de fratelli, de
patrij honori -dequali fi filettano. gloriare Amentic andò fi ancora di
fi mede fimi, femore penfam in che modo pofimo fruire il \dmmfattaculo,
come quegli che reputar (fio ogni lor ualore, m quefia uita ffi} in
•quell 'altra hauere origine, ff) incremento da lui, come ottimo medico
delie humane infirmiti. In prima dalla- bellezza d'un corpo non
filo particulare, ma ancora caduco, falgono alla bellezza de corpi
celefii, e di tutto lumuerfo, Oue oltre alla luce di che efii fino
urna fontana utile cofi finfir bili y contemplano una.fuauifitma armonia
caufaa da lordine e proporzione de tnouimenti loro, per la
qualcofiiyapcrta ( Mete conofiono il cielo, ejfire la hr a di Dio,
come dicono. gli ant ichi ^Pit t hagorici, al fano T:
fuono ddlctcj naie tutte le cofe contenute da lui mtr abilmente
bullono, Uopo la bellezza de lo umuerfo truouono la bellezza ridi' anima.
Imperoche ejjendo il corpo una. fimilit udine de l'anima, ne ffuna
partecipa itone della diurna bontà può ejjcre in efjo + lacuale non
fia molto prima ft) in moltomiglior modo nell'anima, ejjendo origine e
principio della natura corporale, anzi non per altro la partictpattone
della diurna bel lezza e nel corpo, che per ilgrande domi hio ft)
imperio quale ha l'anima in affo. Onde e Filofofi affermono quafì come
coft imponibile non ejjere eccellentijsime dote m quegli, iquali
fino dotati di piu egregia forma che gli altri, come qua fi l'anima di coloro
fia piu predante e piu diurna, la cui forma del corpo uera fimiltt udine
de l'ani ina è piu bella, cofi di grado in grado prò • cadendo,
fubitofi difcuopre loro il prò fon» 160 ALL'AMORE. do
pelago della diurna bellezza nello fflendor dellaquale nella prima giunta
abagha ti, pojjhno fico medefimi in quefta maniera ragionare. Infino a
qui balliamo piu tofto una ombra ouero fimihtudine di bellezza che nera
bellezza ?Maal pr e finte o dolcifiimo amore, ilquale rtfialdi le cofi
fredde jilluftr ile ofiure, dai uita alle morte groppo hai filleuate
l'ale delle menti nofire, lequalt infiammafli alla chiar filma luce della
diurna bellezza, e le penne già rottegli fuptrchio amore delle cofi
mortali, non per fua natura, ma per tuo beneficio nnnouate,hai e fp
beatole noi Molando (òpra il cielo, guidati dal diurno furo re fiamo
ripieni di quelle merautghe,lequa li mai ne occhio uide,ne orecchio
udirne di fiefeno in cognitione di cuore alcuno. Onde neramente pofiiamo
efilamare, quefto e il di che ha fatto il Signore, rallegriamoci
ffje/ulALL* AMORE. i*r ft) ejukiamo in effo. Quefta ì la uia
retta; per laquale debba procedere il legittimo amatore, ilquale
quando comincia a contemplare la diurna bellezza, fi può dire e fi firc
uicino alfine, oue ciaf una co fa creata quietandoci acqui fi a la uera
felicità, * però qualunque riguarda la uera bellezza con t occhio della
mente, col quale filo può ejftre ueduta,non producendo imagtne e fi
milit udine di uirtù, ma uere uirtù, fatto a Dio amicOydimoftra
chiaramente ihuo mo efifere per beneficio dello amore ree ettoculo della
diuinnà, per laqual co fa qualunque non ùede il uero amatore douere e fi
firetnfia glihuomint in grandifitmo pregio, e mafitme appreffo della cofà amata
% non intende quanto le cofe diurne fino piu eccellenti \e degne di
piu ueneraimt che l y al tre, ne alcuno impetra maggior gratti, e
riporta maggior doni da U T)ei, che la coU2 P/A^EGJ^taV. fa amata, quando
ardentif imamente riamando èparata afitt omettere ogni per icn lo in
gratta del fuo amatore. Imperoche, con lo amatore habitano gli T>ij,
pero non meno accettono l'offcruanttae lattenerattone della cofa amata in
uerfo l'amatore, che e uotie fàcrifìcij fatti a fi. Onde in quefta
uita,{t) in quell' olir a, la ricompen fano di grandmimi premij. Ma
quando, la cofa amata ha in odio il fuo amatore f ; cimenta ricetto
di tanta mifiria e di tanta infelicità ; che molto meglio li farebbe
effe-, re, o bruto animale, o tnfenfto faffianzi piu tofto al tutto non
efjere nata.nefi fina cofa arreca maggiori incommodi a gli h uomini
che l'odio delle cofe diurne, dalle quali pende ogni bene, ogni mifura
nello untuerfo, perche efendo fondato in fu la difimUitudme di effe,
è nectffario che fa accompagnato da tutti e mali: chi adun
queha XLVAMOKZ. m que ha in odio lo amatore^ ejjendo. alieno t
rebelle dalla diurna bontà ft) amico delle cofi contrarie, m prima fi fa
firuo di quelle per tur bacioni y lequalt arreca Jtco l'imperio de
jen fi, quando la ragione e adormcntata, come fi a gufa delle piante
tenga il capo in terra, bauendo uolto e ' piedi uerfio il cielo. Z }opo
ne uiene un'alt r o male y perche non conofiendo alcuna cofa
rettamente, pieno di falfi opinioni diuen -, ta folto e bugiardo, non
altrimenti che auenga a quelli squali da continui fogni beffati in
mezp al fonno finfiono la lor uita.'Da quefie furie y mentre che e uiuo
dormendo, o ueghiando y fi gite da dire effo mai ueghiare y rimordendolo
la confeientia imperturbato. Ma dopo la morte JubitQ da
minifiri'della diurna giuftifia menato manzi al grande giudice ode l
borendo gtUr ditto, fi ejfire dato in potè fi à dicrudehfitmi demoni,
dequali una parte lo affligge còl rappreftntarli nella fantafìa ogni
horribtle fpecie dt paura. Vh' altra parte con intoL ler abili pene
corporali lo tormenta. Ma J opra tutti e mali, dua fino grandmimi.
V uno e una certa mole fi ia interiore laqua le procede dalla difeordia
dell'anima in fi medefima, (ìmile a quel dolore che ènei corpo y
quando per ladifiordta di tutti gli humort pefiim amente è dftofto.
L'altro di gran lungha piu graue y effiaè diuinità penetrante in
ogni luoco, la prefintia della quale per cagione della interiore
diffenfìoneaneffunmodo può j apportare. Imper oche yCome gli occhi cifpi perla
prefintia del lume fintono gran dolore i fimi fi co fortano y
cofi L'anima gtufta finte gaudio e dolcezjtt,La ingiufia finte una
moleftia che ninte ogni moleftia, perla prefintia della diuinità.
Da quefti mah ancora ALL'AMO'KE. ics molto maggiori per uolontà
diurna e afflitto chi ha in odio il (ito amatore, ilquale diuenta partecipe di
altrettanti beni, fedi meffa ogni altra cura, filo penfi notte e giorno
efircitarfi in ogni ffecie di uirtu,accioche fatto fimile a lui, fia degno
ricetto di tanto lume. Quefte e fimih fino le laudi o dtuinifitmo
amore,che noi inuolti nelle te nebre del cieco mondo di tepenfare e ragio
• nave pofiiamo. Alla cuigràdezga chi non rende il debito honore,no
conofie tutte le co fi cofi diurne e celefii,come terrene, per tuo
benefìcio non filo effere create ma ancora unir fi al fio creatore
in lui finalmente quie tarfi, piene v:. ciafi lina fecondo la
fia natura della gratia divina « iS JLL MOLTO MUG%ìtìCO E S^O
OS SERVANO ISSIMO BENEDETTO uandifsimoM. Bac~ do mio,che
a coloro, i quali di quella prelente uita partati fono, fi porta fare
beneficio maggiore, che tenere ùiua ? e frefca la loro memoria ; Perciò
che il cóli fare è fecóndo il parere d alcuni poco meno., che rifufcitargli, e
fecondo alcuni altri di piu perfetto giudicio, molto piu, dandoli loro
non una uita fola, e quella caduca, c mancheuole, ma molte, e
fempiterne,come altra uolta piu lun gamente dichiareremo. Onde fra
tutti gli Scrittori antichi meritò per giudicio nostro grandilsima lode
Plutarco. E quanti crediamo noi, che fuflero in tutti i fecoli, e per
tutti i paeli huomini eccellenti fsi mi coli ne’ gouerni politici, come ne
maneggi dell’arme, e ne gli ftudii delle lettere, de’ quali permancamento di
Scrittori non li fi pure, che eglino non che altro, nafeeflerogia
mai ?. La onde io ho A fempre giudicato gratiofo, e lodeuole
uncio P cr i6 9 ì..per coloro adoperarli, che le
uite fd icriuono di quegli huomini, iquali pio o collazioni, o colle
fcritture, o a to. le lor Patrie, o all’altre Genti furoHi no, o d’onore,
o d utilità cagione, e accio, che gli Altri huomini in efsi m
rifguardando, e i loro o fatti, o detti à imitando, pollano o la felicità
huma r na con Marta, o la beatitudine divina con Maria, o l’una e
l’altra infiememente confeguire. A quello fine piu, che peraltro
rifpettomi poli ( con animo di douere fe conceduto mi fuffe
comporne dell’altre ) a feriuere il meglio, e con piu chiarezza c brevità,
che io fapefsi, e potefsi, i • la uita di Mifer Francefco Cattani
da Diacceto, parendomi, che egli foffe quali come uno fpecchio non
lblamente della uitaciuile, ma etiandio, amzi molto piu della fpecofa^tiua, del
quale io, fé bene il uidi nc miei gioueriili anni piuuolte, non
Riebbi però, non che familiarità,© do meftichezza, conofcenza nefluna,
ima tutto quello, che io ho di lui fcrit to,l’ho fcritto parte per
relatione di iiuomini graui, e degni di fede,iqua 4i
domefticamente e lungo tempo con
lui praticarono, non eiTendo,da che egli di quefto Mondo parti, piu
che trentafette annipaffati;e parte •mediante gli fcritti fuói, de
quali -me flato hberalifsimo M. Francefco fuo nipote,
giouane(còmefapete),detà, ma di grauità,e di prudenza^ maturo, e di
quella bontà, e dottrina, che piu opere da lui Chriftianamente, come da huotno
facro, ecanonico compofte, e di già mandate in luce I
7 iti luce et aIfEccell. de! IlIuftrils. SigDuca Padron noftro indritte,
dimo Arare podono^Laqual uita (qualunche li lia ) ho uoluto donare a
Voi,£ che nel nome uoftro apparifca, non tanto per lo eder Voi
della nobilifAma famiglia de Valori, iquali funu no amati grandifsimamente,
e honorati daM. MarfilioFicini., econ*leguentemente dal Diacceto ; quanto
perche Voi fete degno della Nobiltà, e ne ritornate in luce il Valore de
uoftri Maggiori, daquali ancora edere uerifsimo conofcereli può quello,
che da me fu detto di fopra, pofcia, che Niccolo Auolo Voftro huomo
di tanta prudenza, e di coli grande ftimafcride non menocopiofamente, che
con ueritàla uita del Magn. Lorenzo Vecchio de Me w 2
dici, e anco per non negare il uero, tenendomi io buono della
fcambieuolebeniuolenza,euerilsima amiftà noftra, m’è paruto di douerne
dare, come un teftimonio, affine, che li fappia,che li come Voi per
uo lira cortelia amate, e honorate me, coli io altreli per giufto
debito amo, et ofleruo Voi. tCOMTOST^f D^£ VARCHI, B MANDATA
A BACCIO VALORI. fn. VITA DEL primo, che ( disfatte per le
parti guelfe, e ghibelline ) Diacceto, hebbe in Firenze i primi, e
fòprani honor ideila Città, fi chiamo Becco di Torre di (juidalotto,
tl quale fidette de' Tenori delt zArti, che cofi s'appdlauano in
quel tempo i Signori, tre uolte. La primardi mille dugento no nauta
quattro, diece anni, dopo che cotale Jopremo <JMagi(ìrato per abbattere
la troppa potenza, e tener e. in fieno la infipportabile fuperbia de'
grandi fu ordinato ; la feconda, nel mille dugento nou anta otto ; la
terza nel mille trecento cinque. Di 'Becco nacquero Porcello, e ^Mugnaio,
o neramente ^tignato, che cofi fatti nomi fi poneuano anticamente
nella Città di Firenze ; tqualtamenduni furono non filo de ' Priori piu
uolte, ma etiandio gonfalonieri di giufiitta, ilquale era il piu alto grado, e
piu {limato di quella Bfpublt ca y e f I) ita
ca, e T* or cello oltraglt altri uffici], e magiftrati, riccuette nel
mille trecento tren » ta noue per lo comune di Firenze la terra,
defila, e ne fu primo comme [fario c/wwé fi legge ancora nell' zArme, che
egli fecondo ilcoftume dicotalt Fattori ui la yc/à. JD/ indignalo nacque
il primo ‘Tagolo. T)el primo bagolo il primo Zanói?u T)el primo Zanobi il
fecondo ‘Tagolo. f>i coftui, ilquale fu per la grandezza delle
qualità fue fatto con molti priuilegij Conte da oAlfonfb 7{e di ‘Napoli,
firife la uita latinamente Ai. ‘Bartolomeo Font io, huomo di ottimi
coflumi, e nella fita età letterato, ffi eloquente molto. Di Pagolo
nacque il fecondo Zanobi, ilquale fu padre di Francefeo. La cui Vita
intendiamo al prefente di douere feriuere Noi, fi per al tre
cagioni honeflifiime, e fi perche fi conofea ancora a beneficio comune, che la
uu n la contemplatiti a può in uno huomo filo (il che non
credono ) coll' attuta unitamente congiugner fi, e lodeuolmente efercitarfi
% e di uero come egli non fi può negare s che la contemplattua non
fia la piu gioconda, e la piu degna di tutte l altre mte,cofi con fejjare
fi dee y cbe lattina e alle città e alle Comunanza de * popoli, come piu
necefjaria co fi etiandto piu utile. Dico dunque che di JZanobijdi
TP ugola Cattani da: Diacceto, e di mona Lionarda di Fracefio di
Iacopo Venturi, nacque in Firenze tra la piazzi del grano, e* l
canto agli cAlberti non lun ge dalla chic fa di San ‘Romeo, tanno della
(hrifhàna falute mille quattrocento fi fi finta fii,il fedicefimo giorno
di^ouem' bre un figliuolo mafchio, alqualt, o per rifare il fratello di
Pagolo fio zArcauolo paterno, ilquale s\ra morto ] enzA figliuoli > o
per.rinouare il nome del fuo Aiuolo materno % C ATT A ^10,.
m materno, o piu prefto per l'una cagione, e per l'altra
uoìlero,che fi ponejfi nome Fracefio.E perche egliinfino da (uoi piateneri anni
daua prefagio di (ingoiare tngegno, e di (pirito molto eleuato, uolle il padre
ancora, che per fina Idiota fojje, che egli fi dejfi non alla mercatura,
cornei pm fanno de' giouani Fiorentini, ma alle lettere,
dellccjuali tanto fidilettaua, e cotale profitto dentro ui faceua(che non
uob le,tjfindo rimafi ancora fanciullo finzjt padre, e non molto
agiato delle co fi c'hauendo il padre gran parte difiipato delle fue
facultd) per coja, che gli fi diceffi consentire mai d' abbandonarle. oyinzfi
hauen do egli,per ubbidire alla madre, deliaejuale fu fimpre
offiruantifiimo, e Soddisfare a parenti, non armando ancora aldicid
nouefimo anno.prefi per donna laLucre Ha di Cappone di Capponi,
la M meno con efio fico a^Pifà, e quiui tanto la tenne, che
forniti i fuoi fludtj, e battuto di lei figliuoli, fi ne torno a Firenze, doue
in quel tempo fionua la fihcifiima Academta di Lorenzo uecchio de Atedici,nella
quale tnfieme con molti altri huommi (Fogni lingua, e in tutte le faculta
dottifi fimi, fi ntruoua FICINO (si veda), canonico fiorentino,
tlquale oltra la finceritd de co fiumi, fu d'eccellenza d'ingegno, e di
profondità di dottrine co fi grande, che io per me non credo, che Firenze
habbia mai, e parmi dir poco, hauuto alcuno, defilale fi gh pofj'a non che
preporre, agguagliare. Coflui effendo ( come ho detto ) Qmonico di J anta
^Maria del Fiore, haueua con incredibile s ìndio, e immortale beneficio
la Filofifia Platonica per mol te centinaia d'anni piu lofio perduta,
che finarrita, come piu conforme alla religton ;;•
Chrifiiana, Chrtfhana, che l'zArifiotelica non folamente ritrovata, e
rimeffa per la buona ma, cofd uer amente piu tofìo diurna, che
humana, ma datole ancora credito, e riputatone non pkciola. La onde Ad.
Fran cefo, tratto dada fama di quell'huomo fn golarifimo(Jè pur
huomo chiamare fi deb be co fi alto, e nobile Spirito) e guidato dalla
‘Telatura, lacuale perche egli cjuedo facejfi, che egli fece, prodotto
l'haueuajaccoflo incontanente al Ficino, tlaualt ( come gratifiimo del dono da
Dio concedutogli, e delle Jue proprie fatiche ) come nero
Filofofoyliberahfiimoyinfignaua, epubhca mente, e privatamente a tutti
coloro, che d'apparare difiderauano ; e l'udì con tanta ingordigia, che
egli in non molto tempo non pure Platonico, ma eccedentifiimo T
latonico divenne. Onde egli 3 fi bene m uarij tempi, e luogi 3 diuerfi
Dottori udito iso hàuea, confiejfia
nondimeno tutto quello,' che fàpeua, hauerlo da <&iarfilto.
filo imparato, fi in molti altri luoghi, e fi particolarmente nel proemio
del libro, che egli fece, e intitolo del H utero, cioè del 3ello,
doue f duellando di lui dice quefie parole proprie. Dicam firn, nec
unquam me pcenite^ bit, quoniam boni airi ejse duco, cui magna beneficia
debeas, eidem ipfaaccepta referre, nosidipjum, quodfiumus,fìquid
Jumus ilio efie. Qoè in fintene. lo ne ramente il diro, ne mai farà, che
io me ne penta, ptrcioche iopenfo ejfiere cofa da huomo da bene
ilconfejjare da colui haue re i benefici] grandi riceuuto, a cui tu
ne fii debitore ; Noi tutto quello, che fiamo, Je fiamo cofa alcuna,
ejfiere da M* Mar fillio Ficini. / ; v v £ dall'altro lato
conofeendo M. Mar fillio la 'M 1: V ì C
Jto J ilio la grandezza dell ingegno y t /’ inchinaime dell'animo di lui
alle co fi di Platone e ueggendo il profitto, che egli u'haucudentro in picciol
tempo fatto grandifiimo, l'amaua affettuofifiimamente y e lodando v
lo eccefiiuamente y lo chtamaua non filo du fiepolo y ma compagno, come
fi può m malti luoghi ueder e delle opere fue, doue egli fa di lui
mentione honoratifiima y e Jpe t talmente nel Parmenide al capitolo
ottan taquattroefimo y neiquale fi leggono quefie parole
formali. Sed dum pulchritudinem hic diuinam commemoro y commemorare
fas eft Fransi fium Dtacetum y dtle£itfiimum Compiuto -ntcum noftrum y de
hac ipfa pulchrit udine quotidte multaipulcherrimaq^firibentem, quem
Jane utrum ad c Platontcam fapien ttam natura y geniusc £ formauijfi uidetur
y leq uali fuonano co(ì. < c M iij
I L 4 eZMentre cheto fornendone qui della bellezza diurna,,
giufta e pia coja e, <che io faccia mentione di Francefilo da
Diacceto no/lro diletti /?imo compagnone gli ftudij Platonici, tlquale di
qucfla ftefi fa bellezza firiue ogni giorno molte, e belUfiime cofi,enel
aero egli pare, cheda ‘Futura, e il gemo fuo formato l'hauejfono, pèrche
egli la fàpitnzp, di Platone intendejfe,e imitaffe. Dellcquah còfe fi pub
ageuolrnente cattare, prima quanto pojfaejfere dipanamento a una città, anz} a
tutto 9 1 mondo un huomo filo colla prudenza, e liberalità sua ;
poi quanto fia necefiarioa un buono ingegno abbatter fi ad hauere, o
faperfi elegger e un buono precettore; conciofia co/a, che fiCofimo de
<JMediculuecchio, e di mano in mano i /uoi /ucce/fin, e mafiimamente
Lorenzo, non hauefiono fauorito le lettere, e coloro, aiutati,
icjualt d'ejjire litterati defederanno, *fMar fello non farebbe
flato Ai. Aiarfiho,e per confeguenza il Diacceto, per tacere di tan
ti altri, non farebbe flato il Gbiacceto, e confeguentemente Firenze,
anzi tutto il fiondo farebbe di (i chiaro lume connofero, e fuo gran
danno per fempre mancato. c tfefi merauigà alcuno, che io feri ua bora D.
colD.fenz# f a ff trattone, e bora Cjhiacceto col G. colta foratone y concio
(ia che io cofi nella lingua latina de ^Moderni, come nel uolgare
Fiorentina truoui feritto bora nell'un modo, e bora nell'altro.feleua
ancora Marfìho É mentre y che egli ytrouandofi hoggimat oL tra
coltetà, leggeua a fuoi dfetpoh, dire 5 io me ne uo, ma fi bene mi parto,
io ut lafeio lo fiambio, intendendo di A4. Francefeo, Uguale fi chiamaua
per fepr anoma tiij il r Pagonazgo: perche, mentre era
gioitane, fi tùie t (atta molto, e ufaua utfiire di quel colore, ilqual
cognome gli duro firnprò, mentre che uifje, a differenza diun filo cugino
carnale, ilquale haueua nome 'anch'egli francefco: era del mede (imo
Gufato,e di una medefìma età, e faceua la medefìma prò festone di FILOSOFO,
e perche nefhua di nero, fi gli diceua per difttn guerlo dal ‘Tagonazgp,
JUd. Francefco ‘Nero, raro dono de Cieli, che tnunmcdefimo tempo, in una
medefìma città, e dima medefìma famiglia fiorirono due cofi gran
Filofofi, benché il Pagonazzp, come auuiene ancora ne colori, molto fojfi
di maggior pregio, ertputatione, che Aneto non era. Ne fu ingannato
^Mar filio, ne inganno egli altrui, quando difi fi, che lafeiaualo
fiambio fuo, conciofia cofit, che dopo la morte di lui o figuendo 1*S' feguendo
l'effempio, e calcando l'ormedi cofi grande, e cortefe matjìro, e
compagno, oltra il fare di fi amoreuohfitma t. mente a chtunche nel
ricercala gratiofifiu m amente copta, lefie molti anni, e molti
pubicamente nello fludw Fiorentino, con trecento fiorini d'oro di
prouifione per etàfiuno anno, egli tiro fimpre mentre uijjè, non ottante,
che egli negli ultimi tre anni della Jua ulta per le cagioni, che poco
appre/fi fediranno non uolejfi piu leggere. E benché i Signori Tmetiant
mofii dal grido della fua fama lo fàcejfiro piu uolte in fi antemente
ricercare per mezzo di À4onfignore l'f\Arciuefiouo di Cor fu, e del
fyuerendifiimo Cardinale fprnaro,de' quali egli era amictfiimo, che uolejfi
andare 4 leggere nello ttudio di Tadoua, con grandifiimo /alano, egli
nondimeno, che fi contenta delle Juef acuita, ancoraché mol* te non
fuffono,ed era lontano da ogni ambinone, e grande amatore della quiete,
non uolle accettare mai partito nejjuno, per grande, e bonoreuole,
che egli fojfe, e fi < refio a uiuere tranquillamente nella fio
patria y e arrecare giouamento a Juot cittadini. Quegh,cbe frequentauano la
{cuoiame la cafi (uà, o come dtfiepoh, o come amici, o come l'uno, e
l'altro mfìeme, sono et ogni tempo molti y de quali non mi par. rà fatica,
ne fuori di propofito raccontar . ne alcuni de piu fìgnalati, iquah
furono quefti: P ter o Martelli: Giovanni forfii fiAdouardo (
^tacchinotti: Bernardi: riAndrca Rmuccim: Benedetto d'zAntonto (Quaker otti: Ftcino
Ficini nipote di Marfibo, Luca della Robbia: Ale fi fandro.de
Paz&fT ter firance fio ‘Por tinori: ‘Palla Rufeellai, e Giouanni fio
fratello, che fu poi Caflellano di Caftel fin?
Agnolo ! 1 ft. ài m fini Agnolo, e Cofimo lor
nipote, nelquale m ( ejfendofì egli morto ne /noi piu uer
d'anni) fc fecero Firenze, t le Mufi Tori ' y cane danno, e perdita
me filmabile:Ftlipfu po Strozzi » e Lorenzo fio j rateilo: Luigi or.
Alamanni: Zanobi c Buondelmonte, la, v. copo da D., chiamato tl D.
m no gioitane letterati fimo, e d'alto cuore: u c, /intorno
trucioli: ^Maeflro zAleffandro ir da “Ripa: Filippo Carenti:
Giannotti, e Vettori, iqnah ho 0 poflo nell'ultimo, non perche eglino non
fof 1 /èro de’primi, e de' piu dotti, ma perche ancora uiuono
amendue. c Ne uoglio tace re, che egli, tutto, che fofie fi grande
Fu i lofi fo, non filo zAcademico ma ettandio ; J ^Peripatetico,
oltra l'inteDigenza della lingua co fi Cjreca, come Latina, non uolle mai
conuentarfì, giudicando, per quanto io fimo, che tl Dottorarle
fpettalmente I in FILOSOFIA a coloro, iquah la loro fetenza 0
uendere,o farne la moftra non uogliono, fia co fa finon ridicola, almeno
foperchta. E di ttero cotali ttficij, e preminenze, come rifpofi
già Traiano Imper udore a uno, che gli dimandaua il prtutlegio di
potere come giureconfulto auuocare, e fare de Configli, fi debbono
piu tofio dare da chi fi finte da ciò, che riceuere. Afa quello,
che a me pare 9 e che douerrà,s'io non m'in ganno, parere ancora a de gli
altri piu marauigliofo, e di maggior loda degno è, come egli,
effendo tutto occupato non fila-, mente nel leggere, e intertenere tanti
cofi amici, come dtfiepoli: ma ancora nelle moke, e importanti
faccende, cofi pubìice, come priuate, potefie tante opere comporre, e cofi
perfette, quanto egli fice, delle quali to racconterò cofi alla rwfufa tutte
quelle, che io ho parte ueduto,e parte da coloro i V ro.
U9 coloro fintilo dire, che uedute l'hanno, le' quali fino quefte tutte
latinamente firme. Vna'Parafrafì [opra tutti e quattro i litri del
Cielo d'zArifiotilejndritta aPa pa Lione. Tre litri intitolati de Pulchro
a Palla, e M. Cjiouanm T^ufiellai. Tre labri dimore a Pindaccio da 2
licafili..• v vA: H: Panegirico d'Amore a Cjìouami Cot fi y ea Palla ‘Rpfiellai
Una Parafiafi fipra i quattro libri delle eJ Meteore d'zAriflotile y ma i
tre ulth mi non fi ritruouano. Vna Parafrafi [opra gii otto libri
della Fifica d'oAri/lotile, laquale o non è in pie y o chi l'ha la tiene
guardata per fi. Una Parafrasi fipra la Politica dell’ACCADEMIA (cf. H. P.
GRICE, REPUBLICA), ma tanto breue y che fipuo chiamare piu tono prefatione %
thè altro, jpo Vna r Parafiafi f opra il Dialogo di Alatone
chiamato ilTeage, onero della Jàptenza. una Parafiafi ne gli Amatori
di Pia ione y onero della FILOSOFIA. Un comento fipra il libro di
Plotino dell' efiinz& dell'anima. Vna dichiaratone fipra quei
uerfidx Boetio ytqnali cominciano. Tu trtplicis medium natura
cuntka mouentem, a "Bernardo Rufiellai o Alcune prefazioni
[opra diuerfi ma-terie. Alcune epijlole a dluerfi amici molto dotte
y ne Ile quali fi dichiarano afidi dubbi di Filofifia. L'ultima fina
compofitione fu un comento yilquale egli a petttume di Monfigno re M.
Giulio de medici > che fu poi Papa Clemente, fece [opra il CONVIVIO dell’ACCADEMIA; w
ipi quali componimenti olir a lattarietà, e la profondità della dottrina,
e mafeimamente Platonica, e Tlotimana pare a me, che due co fi fi
pofjano, anzi fi debbiano confederare, mofirantt ambedue
l'eccellenza, e perfettione dell'ingegno, e gtuditio feto. La prima è,
che egli usò nel fuo comporre uno Hile,fe non Ciceroniano [CICERONE
(si veda)]del tutto, graue nondimeno, e filofoficb molto, e tutto lontano
da quelle laidezza > e barbarie, collequali Jcrtueuano in quel
tempo y e feriuono ancora hoggidi per lo piuì filosofi latiniyfenza
leggiadria e gratta neffema. 6 tanto è da marauigltarfi piu y quanto
ancora coloro, iquali fatuano profe filone di bene, ff) eloquentemente fer luer
e y dietro un co fi fatto mifitfo non imitauano ( gran fatto ) nelle loro
fcrit ture la diuina candidezza, e purità di CICERONE y mao TlintOy o Valerio
A4 afeimo } o altri tali non buoni c Autori della latinità, o almeno
della uera, e finterà eloquenza Fumana, lacuale manzi che
Afonfignore dietro 'Bembo, buomo piu toflo di nino, che bumano la
dimofirajfi,fi giàceua o fiono fciuta del tutto, o dijpregiata in
grandifiima parte p percioche colui, il quale piu Stortamente, e piu
[curamene te firiue cua, era e da fi Sieff, e dagli altri piu facondo
tenuto, e maggiormente ammirato, come fi la principale uirtà co fi
dello firiuere,come delfauedare confi ftefie inalerò, che nella
chiarezza, o fifauellaffi, e finuefie da gii buomini ad altro fine, che
perejfire intefi. La ficondaè, chi doue quafi tutti gli altri fi
faceuano beffe, o haueuano compafiione di chiunque uolgarmente
fcriueua, e haueano la lingua Fiorentina per niente, egli quafi precedendo
quello, che di lei mediante limedefimo BEMPO auuenire doueua, tradufje,
alcune delle fue opere y e piu fi dee credere 9 che egli tradotte
n'harebbe fe piu lunga mente uiuuto foffe. Lequali fue opere fi
flampatcfi foffono y non ha dubbio, che la fua fama fi farebbe y e
allungatale allargata molto piu, che ella forfè fatto non ha£d egli per
configuenz et s' bar ebbe maggior gloria, e piu chiaro grido, e in fimma
piu lunga anzi immortale uita y acquifiato. Le quali pero fino di
manierale elleno lungamente Ilare nafiofi non poffono y e Fr ance fio fuo
Nipote, ilqualenon ha filamento il nome di lui, m'ha piu uolte collantemente
affermato y finonhauer cofa y che piu lo prema ; e laquale egli, per
fioddisfare alla pietà y e debito suo, maggiormente difìderi y che di rinuemre
fènon tutte y la maggior parte delle fritture dell duo lo fuo per
publicark B allhora fi potrà meglio
cono far e dagli intendenti chente, t quale fojjl d'ingegno, e la
dottrina di cotaU, e cotanto lo uomo; e Ji marauigheranno infieme con
effio meco della capacità del fuo intelletto, e come un buomo filo potè
(fi cjfieretanto uniuerfikle, che m tutte le cosi, nelle quah egli
fi metteua, nufiijfie non dico raro y ma qua fi filo. Ecco: egli come che
fojfie amanttfiimo della quiete, e lungi da ogni ambinone, e auaritia
fatico nondimeno oltr a ogni credere non fidamente ne gli ftudij delle
buone lettere, e della santifiuna filofifìa, come s'è ueduto,ma ancora nell
anioni humane, e nelle bisigne socolari ( come fi uedrày di maniera, che
fi può ficuramente credere, e con uetita dire, che egli di rado col corpo si
ripofiafie y ma colla mente non mai y e fi bene egli e da naturayefua
uoluntà era più mito a gli fiudij, e al contemplare, che
alle faccende, I9S faccende,
e al negotiare, tutt amagli bisignaua fare, come si dice, della necefrità
uirtù yper laqupl co/a e neceffario di [apere, che quando 'Pago lo fuozAuolo
uenne amorte, egli come co Iucche era flato firnprèy amictfrimo, e
fautore della famiglia de ^Medici, e conofceua la prudente la
potenza di Co fimo, e forfè la fortuna di quella cafd, fece (come
racconta il Fon no nella uita di luì)una bella diceria, nella quale fra
l' altre cofe auuertii figliuoli, e comando loro, che amafrino fempre y
eof firuafrmo Cofrmo,e tutti i fuoi 'Difendenti quanto fapeffiro, e
poteffono il piu, e dall'altro lato pregò fìrettifrimamente Cofimoycbe
glidouefie piacere cfhauere loro, t tutti i fuoi Po fieri, per
raccomandati, e si coment affi di pigliare la protezione lo T ro. E
di qui nacque ( penfò io ) oltra le fut fingolarifiime qualità 9 che non
filamenti ? X ; jf i9(f
r Papa Lione, Uguale fu Jòpra tutti gli huomini grattfiimo, e
libtrahfìimo, gli porto fempre affettione ftraordmaria,e gli fece
molti fauori,e prefìnti di mn picciolo, Prima e valuta, ma ancora tutti gt
altri di quella famiglia,e in ijfetialità tifar dinaie, che fu poi c Tapa
Clemente, colqua le ( mentre, che egli reggeua Firenzi) praticano molto
familiarmente, e conmeraui gltofa dimefiichez&a. Quelle furono le
cagioni, che egli, ancora, che Fdofifo,e della fitta di Platone prima entro,
epoi non fi ritiro dalle faccende civili, per non dir nulla, che
hauendo egli molti figliuoìi(còme diremo ) e non molte / acuità, non poteua, ne
doutua fare altramente, e di quin ci ancora auuenne, che nel dodici per
la guerra, e ficco di Prato, quando i Medici ritornarono in Firenze, egli
con alcuni altri Cittadini, de' quali come amici delle W
Palle s'baueua fefpetto, e in Palazzo, dove era 'Piero Soderini gonfaloniere a
ulta ) fiftenuto. Ma non prima furono i Siedici rimefii in Firenze, che
douendofi per co/e importantifiime creare uno c Ambafciadore per la Città
a Mafmiano Im peradore, fu tra tutti gli altri eletto Francefco,
benché poi per lo ejferjì affettate, e accomodate le cosi in quel modo,
che voleuano quei, che poteuano, non facendo piu luogo d'
ambafciadore, non ui fu mandato ne egli, ne altri 6 nell amo mille ctn
queceto diciannoue, e [fendo morto a quattro di faggio Lorenzo de Medici
Duca d ye Urbmo, e douendofigh fare filenni fiime, e magnifiche
eJfiquie, ancora,che non man co chi bucherajfi dibattere l or adone,
d Cardinale firijje a Francefco, ilquale fi ritrouaua in
uilla, che fi trasfenjfi frittamente a Firenze, e cofi la fece, e recito
iij ip t - T I T A DSL f egliil fittimogiorno,
nelqualeficelebranano nella Qoiefa di S. Lorenzp con pompale honoranza
incredibile, e fu tenuto tojà rara, e degna d’ammiratione che
in meno di tre giorni fujfi fatta da lui latina mente e recitata
alla prefenz, a d'infinita moltitudine cotale oratone. *Nel medefimo
anno, hauendo prima hauuto i primi honori,e magiflrati delta città,
ejfindo fta to e di Collegio, e de Signori Otto, e de Qt- j pitam
diparte (guelfa, fu fatto (gonfaloniere digiufì ma per lo filo Quartiere
di Santa Croce nelmefi di gennaio, e di febbraio, e doue negli altri
uficij s' era fatto co no/cere per huomo non men giuflo, che pietofi, in
cjuefto fi dtmoftro non men benigno, chegraue,mguifa,che come l'uniuer fiale [e
ne lodaua, cofii particolari ne diceuano bene, e quanto i parenti fi ne
glorianano, tanto gli amtct, e dtfiepoh
Juoine prendeuano s JfH Utck I Ì0
(mà m 4 m \( 1
ir ì è C IM prendeuano piacere, e
contento marauigliofi. Onde auueniua,che coloro Squali 0 per l'inuidia,
che haueuano alla fitagrandezs za, 0 per Iodio, che portavano alle fue
uir, tà, harebbono uoluto morder lo, nonofauano di farlo, temendo di non
efjere creduti "Dopo cotale degnità trouandofieglt hoggU mai
attempato, e [oprafatto dalle cure familiari, e forfè per potere 0 comporre
mone opere, 0 riuedere le già compofte,nongU parue di douer piu leggere
in publico ; ma non per quefto manco mai i alcuna maniera di cortefia a
niuno di colora, iquali gli andauano tutto il giorno a cafa, 0 per
uicitarlo come amici,o per dimandarlo co me fcolari,anzi fi tenne, che
quefìa fujfe in gran parte la cagione della fua Morte:
lmperocht,non fi fintando egli bene, e non uolendo mancare ne a parenti
ne agli ami ci, ne a Difiepoli, cadde in una infermità, K %
per la uiolenza dellaquale in poco piu et un me fi, ancora, ckefuffi
fiato finiamo e molto regolato nelfuo uiuere,e con tutti gli
ordinamenti, e fagr amenti della (bufa coftantemente, e Chrifiianamente
moriva gli diece d'aprile delmille cinquecento uentidue, e fu alla Q loie
fa di Santa (foce nella fipoltura de fuoi maggiori femplicemente, e finta
alcuna popa fìraor dinar ta portato, Jotterrato. La firn morte difpiacque
molto fi generalmente a tutto Firenze, e fi in ifpetie a coloro, iquali o
baueuano lettere, o defiderauano d'bauerne, e mafiima mente di FILOSOFIA. È di
fiatar a piu che mezzana, non di molta carne, ma offuto forte, e nerboruto,
eh pelo bruno, e Sommamente pelofi ; hauca la pelli biancha, e frefia molto.
Cjli occhi neri non troppo grandi, le ciglia nere,e folte. La qual co fa lodi
mofirauaa riguardanti anzi brufeo e bùr bero, zor hero y che
non. E niente dimeno egli fi bene era grane, e fiueroy batte a pero con
quella feueritàyt granita una dolce e cortefi piace uolez&a
me/colato ylaqnale lo rendena gratiofiy e amabile. £ auuenga, cheegh,come
tutti gli altri huomini in qualunque o arte o fetenza eccellentifiimiyfujje
di natura ma ninconico, e filetario 3 tutta uia, quando coll' altre
perfine fi rttrouaua, motteggiaua uolentieri non fittamente coglihuomtni
di lettere, ma ettandio co gli Idioti, e colle donne medefime y tanto che
non pareva piu quel deffiy prendendofi fefla, e filazzp per fi y e
dandone altrui. Spiacemi, che ejfindo egli flato yper quanto ho udito dire y
trat tofiy e arguto molto, io non habbta potuto nefiuno rmuergare
de firn mottiyper farne parte a coloro, cheque fi a ulta per alcuno
tempo leggeranno ffi mai nejjuno la leggerà. Era e come T* latonico, e come
allievo del FICINO grandtfiimo, ma Jantifiimo ama > dorè, e nell'
opere, che egli firifie de amore, le quali furono molte, e molte dotte,
Si utde lui ejfere flato feruenttfiimo, anzi tutto fuoco ; da queflo per
auuentura piu, che v, da altro fi può prendere nero figno,e certifi fimo
argomento della nobiltà, e unicttà(fia mi lecito in una persona nuoua e unica)
for mare un vocabolo unico, e nuouo, dell' ani- ’ mo,e intelletto J
uo,conciofia,che quanto al cuna cofa è piu degnale piu perfetta,
tanto fenza dubitatione alcuna, e s'innamora piu tofto, ft) arde
uta maggiormente. Fu catto beo, e religiofi in tutto il tempo, che
uijfe,e da cotali huomini douerebbono imparare, e prendere ejfempio coloro,
iquabfi fanno a crederei di non cffère,o di non do uere e fiere
tenuti filofofifi non di (pregiano il culto diurno, e fi beffano di chi
L'ojfirua, quafi ghaltri uer amente non conofcano i quello, che
uogliono moflrare falfamente difapere efii, ocome fecofa alcuna piu
a filofefo conuemjfe, che conoscere e contemplare e configuentemente
ammirare, e ri k uerire in quel modo, che fi può la Maeftà di Dio, e
l'eternità di tutte le cofi celefti. tìebbe M.Francefio della moglie,
laquale non fenz& fua noia, e danno fi morì l'anno Mille cinque cento
diciotto, efiendofi prt ma morta la madre nel mille cinquecento
quattro, tredici figliuoà, fette mafihij, e fet femine. La prima
dellequah maritò a Daniello di farlo Canigiani, laquale dopo molti anni
nmafit uedoua rimarito a Ruberto di Donato Acctaiuoli, huomo no bilifiimo,
e d'ine fi imabile prudenza. La feconda a Carlo di Meglio Pandolfini,
tre di loro fi uoltcro far tonache, delle quali ne uiue ancora una molto
uener abile, degna di tanto padre ì laquale è [fino già tot
molti anni ) Hadefid del ^Munifiero del Paradtfò. L'ultima maritarono poi
gli heredi Juoi a c Pierfrantefio di Ruberto de 7{tcci. I figliuoli
furono Pandolfo', Agnolo : Dionigi : Theodoro : Stmone : Carlo : e Cofimo.
Pandolfo fimorìhuomo fatto eJJèndo duimuto dietro le vestigia paterne filosofo
eccellentissimo. e. Agnolo uiuente il padre, tlquale come amoreuole, efauio non
uolle contrapporfi, ne alla uolunta del figliuolo, ne alla fpiratione
dtuina,fi rende Frate nella Religione di San Dome nico, nel tomento
di San sbarco, ihjuale fiate Agnolo urne ancora, prouinciale nel
medesìmo ordine de predicatori, ‘Rekgiofi di buona ulta, e d'ottima fama
. Stmone Carlo, e Cofimo fi morirono tutti e tre giouanetti, tra gli
fedici,e i diciott 9 anni,ciafiu no, e tutti profitteuolmente, e con
grande Jperanz& fludiauano > La cofioro morte dolfi, come fi
dee credere, ai&ii. trancefio lor padre, come a buomo, infinitamente, e
tanto piu, che effindo egli amoreuolifi fimo uerfi gli Urani, potemo
pen/àre quello . che egli fujje uerfi i figliuoli, e cotali figliuoli, ma come
a Ftlofifo,fetppiendo,che efiendo mortale, egli hauea coja mortale
generato, tomamente ut pofi fu piede, e come Cbrifiiano,non dubitandole ne
una foglia ancora fi muoua finza la voluntà di Dio, rtprefi ogni
cofit per lo miglior e. On de fi agli Hiftorici fuffe quello
conceduto, che a i Poeti, e a gli oratori non e difdetto, anzi
mafiimamente richiefto, largbifiimo campo harei qui diffamarmi
lungbifiimo tempo per le file lodi . Theodor o non men bello
d'affetto, che digrandifiima affettatone, morì anch'egli dopo la morte
del padre, in Francia, tale, che di fette hoggi non è uiuo al fico
lo fenon TDionigi, ilquale datofì dalla faagtouent udine, alla mere atura
y hoggi e per la fa f faenza y e lealtà faa in quel credito y e
riputatane tra i più borre uoh, e riputati mercatanti ì che fu il
padre tra i più chiari letterati \e tra i piu perfetti
filofififioftui di Madonna Maria figlino la di Martino di CjugUelmo Mar
tini faa dilettifiima moglie, ha undici figliuoli cinque fimine di due
delle quali ha nipoti e fai mafchiyiquali fono il 'Bruendo M.France
fio Qanomco di [anta Ltperata e Protono tarioAppofìohco, della cui
qualità hauemo fauellato di jopra.Pandolfo ilquale di tuo no Spirito
y e fludtofi delle lettere no filo Cjre che y eLatme y ma ancora Tofane
fi truoua hoggi in Rpma. Agnolo : Cjwuàbatifla, Buierto e Carlo Squali
fino no pur uiui y e fini tutti 3 ma in buono y e profpero fiato
Jequah cofi ho uoluto non fi fi troppo largamente, otrvppo
fiarfamente raccontare, perche le
CATTALO. felicità di queflo modo di qua, qualunque cs4riflotile
nell' Scica pare, che ne dubiti, pojfono nondimeno fecondo t Theologi
chri fiumi a co loro, che fino nell'altra uita,giouare.Onde fecondo i
Flofififì può, eficodo i theologi fi dee credere che M. Francefio di
Zanobi Qattani da Ghiacceto cittadino fiorentino, ueggendo infìno dal piu
alto cielo tanta# cofi chiara fuccefiione,figoda infiemec olle
figliuole# co figliuòli morti qui e lafiù uiuijiwio quella feltafiima,{t)
eterna beatitudine, che deono quegli huomini dopo la morte goder e, tquah
mentre che uif fero cofi lodtuoh per la uita attiua come ho nor
àbili per la conteplativa, furono non me no ottimi chriftianiyche dottissimi
filosofì. Grice: “If these
Italians, pretentious as some are, want to use more than one surname – their
loss!” – Grice: “It was an excellent idea of
Diacceto to translate is grandfather’s Latin works (‘enarratio’) of
Plato’s little dialogue on the unspeakable vice of the Greeks into ‘vulgar
Florentine!” -- Franciscus Cathaneus. Franciscus
Cataneus, Diacetius. Francesco de Cattani da Diacceto. M. Francesco Cattani da
Diacceto. Francesco Cattani di Diacceto. Diacceto. Keywords: i tre libri
d’amore, diacetius, amore, “la sequenza del corpo” “l’autorita del papa” -- Refs.:
Luigi Speranza, “Grice e Diacceto” – The Swimming-Pool Library.
Luigi Speranza – GRICE ITALO!; ossia, Grice e Diano:
la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale dell’errante dalla
ragione – emendato – scuola di Vibo Valentia – filosofo vibese – filosofo
calabrese -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Vibo Valentia). Filosofo vibese. Filosofo calabrese. Filosofo italiano.
Vibo Valentia, Calabria. Grice: “I love Diano, but Italians usually take him to
be a bit too Hellenic; recall that a true Roman considers himself a Troian, i.
e. an enemy of a Greek! But as a scholarship Midlands boy from Clifton to Corpus,
I’m a Dianian!” Compie gli studi classici al Liceo
Filangeri di Vibo Valentia, allora Monteleone Calabro. Rimane orfano di padre
all'età di 8 anni e questo fu un evento che segnò la sua vita e molte delle sue
scelte giovanili. Si trasfere a Roma, dove si iscrive alla Facoltà di
Lettere della Sapienza ove segue le lezioni di Festa e Rossi. Il suo progetto è
di laurearsi con una tesi in Letteratura greca, ma la necessità di iniziare a
lavorare lo spinge a scegliere una via più breve e si laurea con 110 e lode con
una tesi su Leopardi, un poeta che amò subito e che lo accompagnò nel corso di
tutta la sua vita. Immediatamente inizia a insegnare letteratura latina e
greca, dapprima come supplente e poi, di ruolo come vincitore di concorso a
cattedra. La sua prima nomina è a Vibo Valentia, cui segue un periodo di alcuni
anni a Viterbo e una breve parentesi al Liceo Vittorio Emanuele II di Napoli.
Nella città partenopea frequenta la casa di Benedetto Croce, ma in seguito il
giovane Carlo Diano si allontanerà decisamente dal gruppo dei crociani. Trasferito
a Roma, dove insegna prima al Liceo Torquato Tasso e in seguito al Liceo
Terenzio Mamiani. Sempre a Roma consegue la libera docenza. È fatto oggetto di
inchieste ministeriali e pressioni per il suo rifiuto di iscriversi al Partito
fascista, come chiedeva il suo ruolo di dipendente pubblico. Né mai si iscrisse. Su
incarico del Ministero degli Esteri, è lettore presso le Lund, Copenaghen e
Göteborg. Gli anni in Svezia e Danimarca non furono solo utili per apprendere
alla perfezione lo svedese e il danese, ma segnarono un profondo cambiamento.
Il contatto con l'ambiente scandinavo gli spalancò la visione della grande
cultura liberale nord europea e l'amicizia di poeti, letterati e studiosi
scandinavi, tra cui lo storico delle religioni Martin Persson Nilsson e lo
scrittore ed esploratore Hedin, dei quali traduce anche alcune opere. Al
suo ritorno in Italia ricopre un incarico presso la Soprintendenza
bibliografica di Roma ed è a Padova in qualità di Ispettore dell'istruzione
classica presso il Ministero dell'Educazione Nazionale della Repubblica Sociale
Italiana. Grazie a questo ruolo e obbedendo alla propria coscienza,
all'insaputa di tutti, aiuta molte persone a mettersi in salvo dalla
persecuzione fascista e nazista. Ricopre gli incarichi di Papirologia,
Grammatica latina, Storia della filosofia antica, Letteratura greca e Storia
antica presso la Facoltà di Lettere dell'Bari. Vince il concorso alla cattedra
di Letteratura greca ed è chiamato a Padova a ricoprire, presso la Facoltà di
Lettere dell'Università, la cattedra che era stata di Valgimigli. A Padova
rimarrà ininterrottamente fino alla sua morte. Più volte Preside della Facoltà
di Lettere e Filosofia, fondò e diresse il Centro per la tradizione
aristotelica nel Veneto. Molte delle sue traduzioni dei tragici greci
sono state messe in scena dalla Fondazione del Dramma Antico a Siracusa, al
Teatro Olimpico di Vicenza, a Padova, portate in giro nei teatri italiani,
interpretate da noti attori quali Zareschi, Ninchi, Pagliai. Grandi le sue
traduzioni, per la ricerca filologica, la lettura rivoluzionaria e la bellezza
dello stile in versi, fra le altre, dell'Alcesti, dell'Ippolito, dell'Elena,
dei Sette a Tebe, dell'Edipo Re, del Dyskolos di Menandro. Cura, fra le altre
cose, l'edizione di tutto il teatro greco per Sansoni e la traduzione dei
Frammenti di Eraclito, volume della Fondazione Lorenzo Valla. Insignito
di numerose onorificenze (Valentia Aurea, Premio Nazionale dei Lincei, Medaglia
d'oro della Città di Padova ecc.) e membro di numerosissime accademie in
Italia, in Europa e in USA, ebbe profonde e durature amicizie tra gli altri con
Quasimodo, Bettini, Eliade, Otto, Spirito, Argan, Berenson, Montano, Mazzarino,
Bo, Kerényi, Nilsson, Caccioppoli e
molti altri fra i maggiori protagonisti della vita culturale e artistica. Tra i
suoi allievi più noti troviamo il filosofo ed ex sindaco di Venezia
Cacciari. Per i suoi amplissimi studi e i suoi contributi originali su
Epicuro è da tempo riconosciuto a livello internazionale come uno dei maggiori
e più autorevoli studiosi del filosofo di Samo. Nei suoi scritti teorici,
principalmente in Forma ed Evento e in Linee per una fenomenologia dell'arte, fonda
un vero e proprio sistema filosofico in cui filologia, studi storici,
filosofici, sociali, storia dell'arte e la storia delle religioni si integrano
a creare un nuovo metodo di indagine. Fondamentale, a tale scopo, è la
creazione delle due categorie fenomenologiche di "forma" ed
"evento", che gli permettono non solo di esplorare l'intera civiltà
greca, ma possono divenire strumento di analisi generale di una cultura.
Altre opere: “Commento a Leopardi”; “Commemorazione virgiliana. Dall'Idillio
all'Epos” (Boll. Municip. Viterbo); “ Il titolo De Finibus Bonorum et Malorum”
(FBO). “L'acqua del tempo” (Roma, Dante Alighieri); “Note epicuree, SIFC);
“Questioni epicuree, RAL); “La psicologia di Epicuro, GFI); “Epicuri Ethica
(edidit adnotationibus instr. C.D. Florentiae, in aedibus Sansonianis, “Lettere
di Epicuro e dei suoi nuovamente o per la prima volta edite da C.D., Firenze,
Sansoni); “Aristotele Metafisica, Libro XII. Bari); “La psicologia d'Epicuro e
la teoria delle passioni, Firenze, Sansoni); “Lettere di Epicuro agli amici di
Lampsaco, a Pitocle e a Mitre, SIFC); Voce Aristotele in Enciclopedia Cattolica);
“Edipo figlio della Tyche. Commento all’Edipo Re di Sofocle, Dioniso); “Forma
ed evento: principi per un'interpretazione del mondo greco” (Venezia, Neri
Pozza); “Il mito dell'eterno ritorno, L'Approdo); “Il concetto della storia
nella filosofia dei greci, in: Grande antologia filosofica, Milano, Marzorati);
“La data della Syngraphé di Anassagora. Scritti in onore di Carlo Anti,
Firenze); “Linee per una fenomenologia dell'arte” (Venezia, Neri Pozza); “La
poetica dei Feaci. Memorie dell'Accademia Patavina); “Pagine dell'Iliade,
Delta); “Note in margine al Dyskolos di Menandro” (Padova, Antenore); “Menandro,
Dyskolos ovvero Il Selvatico, testo e traduzione, Padova, Antenore); “Martin
P.Nilsson, Religiosità greca, (traduzione) Firenze, Sansoni); “Saggezza e
poetica degli antichi”; “Orazio e l'epicureismo” (Atti Istituto Veneto); “La
poetica di Epicuro, Rivista di Estetica); “La filosofia del piacere e la
società degli amici, Boll. del Lions Club di Padova); “D'Annunzio e l'Ellade,
in L'arte di Gabriele D'Annunzio, Atti del Convegno Int. di Studio); “L'uomo e
l'evento nella tragedia attica, Siracusa, Dioniso); “Il contributo siceliota
alla storia del pensiero greco, Palermo, Kokalos); “Euripide, Ippolito
(traduzione e cura). Firenze, Sansoni); “Eschilo, I Sette a Tebe, Firenze,
Sansoni); “Menandro, Dyskolos ovvero il Selvatico, Sansoni); “Meleagro,
Epigrammi traduzione di C.D. (con una tavola di Tono Zancanaro) Vicenza, Neri
Pozza); “Epikur und die Dichter: ein Dialog zur Poetik Epikurs, Bonn, Bouvier);
“Saggezza e poetiche degli antichi, Venezia, Neri Pozza); “Gotthold Ephraim
Lessing, Emilia Galotti, (traduzione) Milano, Scheiwiller); “Euripide, Alcesti
(traduzione e cura) Milano, Neri Pozza); “Euripide, Elettra, (traduzione e
cura), Urbino, Argalia Editore); Voci Eoicurus e Epicureanism per Enciclopedia
Britannica); “Il teatro greco. Tutte le tragedie, C.D. Firenze, Sansoni); (di
C.D. Saggio introduttivo. Traduzioni: Eschilo, I Sette a Tebe; Euripide, Alcesti,
Ippolito, Eracle, Elettra, Elena, Le Fenicie, Oreste, Le Baccanti). Epicuro,
Scritti morali, Trad. C. Diano, Padova, CLEUP); “Euripide, Medea, (traduzione e
nota di C.D.) Padova, Liviana); “Aristofane, Lisistrata (traduzione e cura)
Padova, Liviana); “Anassagora padre dell'umanesimo e la melete thanatou in
L'Umanesimo e il problema della morte, Simposio Padova Bressanone); “Studi e
saggi di filosofia antica, Padova, Antenore); “Scritti epicurei, Firenze, Leo
Olschki); “La tragedia greca oggi, Nuova Antologia); “Limite azzurro, Milano,
Scheiwiller); “Eraclito, Frammenti e testimonianze, (traduzione e cura) Milano,
Fondazione Lorenzo Valla); “Epicuro, Scritti morali, Milano, BUR); Platone, Il Simposio (traduzione e cura),
Venezia, Marsilio); Il pensiero greco da Anassimandro agli stoici, Torino,
Bollati Boringhieri, Introduzione di Massimo Cacciari. e Lia Turtas. Introduzione Jacques Lezra.
Curatele Platone, Ione, Roma, Dante Alighieri, M.T.Cicerone, De finibus bonorum
et malorum, GFI, Omero, Iliade. Libro I, Firenze Bemporad, Platone, Dialoghi Convito,
Fedro, Alcibiade I e II, Ipparco, Amanti, Teage, Carmide, Lachete, Liside,
Bari, Laterza; Il teatro greco: tutte le tragedie, Firenze, Sansoni); “Eraclito,
I frammenti e le testimonianze, Milano, Fondazione Lorenzo Valla, Arnoldo Mondadori
Editore); “Epicuro Giovanni Gentile Tragedia greca. TreccaniEnciclopedie on
line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.
Carlo Diano, in Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia
Italiana. Opere di Carlo Diano,. Carlo
Diano Forma y evento, Madrid, Circulos Bellas Artes (estratto traduz.
spagnola)Brian Duignan, Carlo Diano, Epicureanism, in Enciclopedia Britannica,
Encyclopædia Britannica, Inc. D., nel sito "Il Ramo di Corallo", di D..
IL CONVITO. ATOLLODOllO E UN AMICO. Apollpdóro. Credo di nonSmotto,
P- 172 ispondere alla vostra no ues^ < . Galero, uno dei
Srm^STiTp.lWo.0 , o M -
Èd io mi fermai e aspettai. „i ie poc’anzi ti di 'raccontarmi
la ™ pensiero filosofico greco, fu tntt ^ ” C ; u raorto ad maestro,
o, stando a più fieli o devoti seguaci (l a Kliano, no ricopri o
voleva un aneddoto riferitoci da t>10tcl “ teUo - Quanto allo
scherzo, dm ricoprirne il cadavere col ' >r0I ’ ? “ t f, ò moUo
discusso in ohe consista. Apollodoro rileva nelle pardo doli arpico, .
cominciato dal ehm- Forse, oltreché nel tono nome Matteo o ohe
tosso marie Falere. < So un amico nostre. clm gr Vcllotrl \ anziché nato a
Vellotri noi comin^assimo col olila ar^ lnl uno scherzo, sol-rat - Matteo
’, por farlo voltale, l’allusione a uualcunu delle suo uua- tutto se col
chiamarlo cosi si taccs ““ u 0 i luogo . Noi nou sappiamo. Uhi. «he si
solesse attribuire gla altan rlpuUv,iono o di elio genere: se 1
Falerosl avessero unniche loi partlooi (Bonghl) . E none, a ogni
modo anche sonza^uesto loA^y^ mM, naro „ i marinai mi paro,
Impossibile olio, cssoni t . e u uca t 1L, la ciunlitìl di Valoroso
rìi^ol qu alcuno, formano un emlecflfilllitbo. conversazione
tra Agatone e Socrate e Alcibiade (2) e gb Xi, che allora presero parte
al banchetto c che discorsi intorno all’amore ri si fossero temiti. Me
ne accennò un tale che ne aveva udito da Fenice di Filippo è
aggiunse che anche tu ne eri informato; ma non seppe dirmi nulla di
preciso. Raccontamela tu dunque. Nes- M mo più di te è tenuto a riferire
i discorsi del tuo amico. E prima di tutto, mi chiese, dimmi: a quella
conversazione eri tu presente o no! Ed io: Si vede bene che quel
tale che te la raccontò non ti deve aver raccontato nulla di preciso, se
credi che quella conversazione, di cui mi chiedi, abbia avuto luogo
così di recente, che anch’io avessi potuto assistervi. Ed egli: Difatti lo
credevo, rispose. E come, dissi, Glaucone? Non sai che da molti anni
Agatone non è più venuto tra noi; e che da quando frequento assiduamente
Socrate e mi studio di seguire giorno per giorno ciò che egli dice o fa,
non sono ancora tre anni? Prima andavo errando a caso di qua e di
là, e pure illudendomi di fare qualcosa, ero il più infelice degli
uomini, non meno che non sia ora tu, perchè pensavo che bisognasse occuparsi di
qualunque altra cosa piuttosto che di filosofìa. Ed egli: Smetti di
canzonare e dimmi quando ebbe luogo quella conversazione. Quando e noi eravamo ancora dei ragazzi
Agatone vince il premio per la sua prima tragedia, nel li) Agatone,
Ilglio di TisAmeno, ora nativo di Atene, clic tra il -10!) c il 1117 a.
C. egli lasciò icr andare a vivere nella corte di Archelao di Macedonia. il cui
splendore lo attirava. Bollo, elegante e ricco, fu scolaro di I ròdico e
di Gorgia, dai riunii apprese Io siile protonaionoso e retorico ed ebbe
imimi^^ di celebri per il successo del suo drama. intitolato ., S,, m0 :
nel n al °,,sclva dagli argomenti
tradizionali e dalla via c lr U tavn imEfa,l 1r ? <l0OeSSOrl - 11 Ptto
Umusi muliebre .oZir a 7ì:^T a V m V0,t0 bCT8UC ° al mmi ™'e.
contempi,rana. Nel Ilo aveva forse poco pii, di tronfanni. ed u n, o d stilò lm
‘ tUB dW ° ! Kli ò ta-PP- noto come
generalo Òvevu,t,!,.n„?ò ° ? n
e0 aVYennt0 11 Mochetti. (0 a. C.), egli $ n ^ potonzft
pouuoa - Altro ignoto, da non confondere con Glaucone, fratello di
Platone., omo seguente a quello in cui egli coi suoi coreuti celebrò
fsacrifico nolti anni or sono, a quanto pare. Ma^te’chi té la che ne
parlò ; &r-ra tota, ote ri XeK il ™ alla, conveisazioue, 1 Tutta™, interroga, amanti di
feociatc a q 1 udifce da Aristodemo, anche Socrate su qualcuna
delle aveva riferito, eda lui ebbi la conferma d#ò che 1 a L
a Perchè dunque non t afte apposta via, che s’ha a
percorrere lino alla citta, per discorrere e per udire. di que i
discorsi, Così cammin facendo, rapo
impreparato; sicché, come ho detto a prmcn|, nO|Soim V
c se volete che io li ripeta anche a voi, ecconn^ ricchi e
dediti ai guadagni, d : j ar
Scesa e i^’f^nS'prSSmente anche voi dai canto vostro penserete
di me che sono' u ?.^Ton lò e credo che voi crediate il vero; io pero di
voi non Sei sempre lo stesso, Apoilodoro: non fai che dir
male di te c degli altri, e ai tuoi echi siamo, mi pare, tutti
degl’infelici, all’mhion di So f sodando da te. Perchè ti chiamino tenero, non
so, Da questa indicazione si desume elio il banchetto avrebbe avuto,U0 % e
ÌH. anch’egli uno scolare di Scorato. Cidatonoo, si faoova, sembra, notare per
la sua smania c m anche in corte abitudini di vita, come, per
esempio, in quella d andar sempi et) Tutti i testi, a cominciare
dai piìi antichi, danno qui |j.a).axo; mollo • tenero ', lezione respinta
dalla maggior l'arto degli editori, elle hanno accolta invece la
correzione |iavixó? ‘ pazzo \ ‘ turioso ’, occorrente ir eai soniDre cosi!
xccrbo con tc ma corto ncll °,[ U
' fuo rchè con Socrate, stesso e con gli alt, dunqu e indiscutibile
che, se j^nso così^'di^mè e di^voi, io debba essere un pazzo e
un insensato? nena 0 ra di leticare,, r 1,™5 A Fa° SS 4 bbl , Hsrtósfssis-rr £t meglio che io mi pori M .1
.1,. capo, come a me lo fece Aristodemo.,1 - Egli dunque mi
disse di avere incontrato Socrate
cbe usciva dal bagno e calzava delle pantofole cosa che suol fare di
rado, e dovergli chiesto, dove s'incamminasse cosi rimbellito. E l'altro:
A cena da Agatone. Ieri mi sottrassi al banchetto della vittoria, per
paura della folla. Ma promisi che oggi non sarei mancato. E mi Ron fatto
bello appunto per presentarmi bello ad un bello. Ma tu, gli
dimandò, come ti senti disposto a venire a un banchetto non
invitato? in parecchi codl. La lezione più antica, ripristinata dal Burnet,
nonché dallo Schoenc nella sua revisione dell’edizione dell’Hug, era già
stata difesa dal Ilfìckert, e con buone ragioni. Ciò che sappiamo dal
Fedone, in cui Apollodoro c’ò dipinto come un carattere impressionabilissimo,
clic passava facilmente dal riso al pianto c viceversa, e che negli
ultimi istanti di Socrate si abbandonò a così incompostc manifestazioni di
doloro da provocare un richiamo del maestro, accenna, mi pare, piuttosto
a un uomo d’indole molle, che ad un furioso o pazzo. Nò la risposta
dApollodoro, nella quale h’ò voluto veder la conferma della lezione
|iotyiy.Ó£, ò una prova addirittura decisiva, giacché, osserva il
RUekert, non dici haec, ut éxplanelur caussa cognominis, sed indignantis
verbo, esse, conccdcntls, ni fit per indignalionem, atquc in maim augentis
id quod arnione diadi. Qui quii in rcprchciuliseet nimiam aeveritatem,
hoc ipsum, niininm ceso, arripicna, acerbe rcapondel: concedo, manifestimi
est, me qui uliter sentilim atquc vos, debcrc insanire atquc
delirare. Da questo disse ’ (IcpY))
dipendo nel testo tutta la narrazióne dApollodoro, che nel greco ha la
forma d’uria oratio obliqua. Qui nel testo c’è sTtoóei ‘ faceva’ in
conformità dell’uso greco che adopera l’imperfetto per significare uno
stato clic dura tuttora nel presente, àia poiché il racconto si suppone
fatto, mentre Socrate è ancora in vita, ho sostituito il presente
all’imperfetto. Per me, rispose Aristodemo, sono ai tuoi ordini. Ebbene,
riprese, seguimi, affinchè, mutati 1 termini, la si faccia finita col
vecchio proverbio, mostrando cn anche dei buoni ai conviti vanno non
invita i buoni. Omero però, se non mi sbaglio, non si conten di
farla finita con esso, ma volle anche fargli oltraggio, perchè dopo
d'averci rappresentato Agamennone come singolarmente prode in guerra, e
Menelao come un f ia ( °
guerriero, al sacrifizio ed al banchetto, offerto < a Agamennone, fa
che intervenga non invitato Menelao, un dammeno alla mensa d’un uomo che
valeva di piu U fi E l'altro nell’udir ciò: Ho paura anch’io,
Socrate, di non essere quel che tu dici, ma piuttosto, secondo
Omero, quel dappoco che va, non invitato, al banchetto d un
sapiente. Del resto, dacché vuoi condurmici, preparati a giustificare la
mia presenza, perchè io per me non diro d’esserci andato senza invito, ma
in vitato da te. In due andando per' via, riprese, consiglieremo su quel che ci converrà di
dire. Per ora andiamo. E scambiate queste parole, s’avviarono. Socrate
camminava immerso in qualche pensiero, e rimaneva indietro; e poiché egli
si fermava ad attenderlo, gli disse d andai pure innanzi. Giunto a casa
d'Agatone trovò la poi tu, spalancata, e lì, disse, gli capitò una cosa
da ridere. C’ù nella risposta, ili Socrate un ginoco li parole che non e
^possibile rendere in italiano. 11 proverbio era. pare. BsAfflv sin Batta;
taotv aOxóuatot avallo! . dogi-inferiori ai conviti vanno non invitati i
buoni- O anello meglio dei vili (o dei deboli) ai conviti vanno non
invitati i torti .. Sdorato, gtuòcando sulla somiglianza elle, a parto
l’aceento, e'e tra aYaddW •del Paoni ’ o ’A T <W•AY'M-nm ‘ad Agatone'
ri f.1 il proverbio in modo che esso si presti a (Uro tanto . dei Inumi
ai conviti vanno i buoni non invitati -, quanto • da Agatone ai corniti
vanno i buoni non invitati . E si noti elio anche II nomo ’Ay ec&MV
corrispondo suppergiù a ‘ Oinobono '. Quanto ad Omero poi Socrate,
celiando, immagina cito il poeta nel tìngere (/(. Il 108) clic Menelao 4
flocco guerriero ’ vada non invitato alla mensa d’un prode conto
Agamennone, abbia voluto addirittura fare oltraggio (ti proverbio, che
egli, invertendone gli estremi, avrebbe implicitamente (giacché al
proverbio In Omero non s’accenna né punto né poco) rifuggiate io quest
altra forma àralfiSv Èro Baita; taoiv aùti|iatoi Bs’Aoi • dei forti ai
conviti vanno non invitati i vili (2) Allusione a un luogo omerico:
cf. II. X ’224.Giacché gli si lece subì. 'J ?^stateti a memaano ione-e lo
condusse dove g< 1 ’ Come Agatone lo quasi sul punto di niet ^
in buon punto ^e: Oh! Aristodemo f £’ y g£i per altro, rimet-
pcr cenare con noi. il per rcai per
invitarti senza ZSJtì Sin Ma em}
hri biotto Socrate? mi volsi indietro, ma non •r
in nessun luooo che Socrate mi seguisse, e dissi: S,2 •. a. lai qi
11- Ed hai fatto benone. Ma dov’è Socrate? Un momento
fa mi seguiva; ma ora dov è. Sono io mire sorpreso di non vederlo. Va
subito a cercarlo, ragazzo, disse Agatone, e introducilo qui. E tu, Aristodemo,
prendi posto a lato ad Erissimaco .
IH.
E mentre un servo gli lavava i piedi, perchè potesse sdraiarsi, un
altro entrò dicendo: Questo Socrate s’è ritratto nel vestibolo d una casa
qui accanto, e sta li fermo. Io l’ho chiamato, ma non ha intenzione
d’entrare. Strano!, disse Agatone; corri dunque a chiamarlo, e non
smettere, finché non si muova. No, no. diceva d’aver soggiunto Aristodemo.
Lasciatelo stare. Egli l’ha quest’abitudine. Certe volte si tira da parte
e riman fermo dove gli capita. Verrà ben presto, ritengo. Voti lo
disturbate; lasciatelo stare. Facciamo pure cosi, se codesto è il tuo avviso,
disse Agatone. E voi, ragazzi, dateci da mangiare a noi altri, e
imbanditeci tutto quel elio vi pare. Non c’è nessuno che vi sorvegli: è
una bega che non mi son mai presa. Fate conto che ci abbiate voi invitati
a cena, me e questi altri, e trattateci in modo da meritare i nostri
elogi. Dopo ciò,'diceva, si misero a desinare, ma Socrate non compariva.
Agatone aveva ordinato più volte che fi) lirlssùuaco, figlio d'Aedmeno,
ora, conio il padre, un modico litui noto in Alene. 21 s’andasse a rilevarlo, ma
egli non l’aveva permesso. Finalmente, men tardi però che non fosse nelle
sue. altitudini. ma tuttavia quando la cena era già a mezzo, Socrate
entrò. E Agatone, che occupava 1 ultimo posto, per caso da solo: Vien
qua, Socrate, disse; sdraiati accanto a me, affinchè al tuo contatto
m’avvantaggi anch’io di quel pensiero sapiente di cui ti sei arricchito
nel vestibolo. Perchè gli è certo che 1 hai trovato e lo J possiedi: chè-
prima non ti saresti mosso. Socrate si mise a sedere e rispose: Sarebbe,
Agatone, una gran bella cosa, se la sapienza fosse cosiffatt a, che
potesse scorrere dal più ripieno nel più vuoto di noi. al solo toccarci a
vicenda, come l’acqua nei bicehien, che a traverso un fìl di lana scorre
da uno più colmo in un altro più vuoto! Se lo stesso avviene anche
della sapienza, son io che devo far gran conto d essere accanto a
te, giacché penso che, mercè tua, mi riempirò di molta . e squisita
sapienza. La mia non può essere che povera cosa o anche di dubbio valore,
come un sogno;, ma la tua è luminosa e destinata ad un grande avvenire,
dal momento che da te, giovane ancora, ha sfolgorato poco fa di
così viva e chiara luce davanti agli occhi di piu che trentamila Elleni. Sei
un gran canzonatore, Socrate, disse Agatone. Ma di questa faccenda della
sapienza discuteremo fra poco tu ed io, e, ne prenderemo a giudice
Dióniso , Per ora pensa a mangiare.
IY. Dopo di ciò, raccontava Aristodemo,
Socrate si sdraiò, e finito che ebbero di cenare, lui e gli altri, fecero
lo libazioni, cantarono un inno in onore del dio, adempirono tutte le
pratiche di rito (2), e quindi si vol ai Dióniso, il dio della
poesia di'amatloa, por un poeta tragico era il miglior giudico al quale
potesse appellarsi. (2) Questo cori inolilo orano: 1° i convitati bevono un
sorso di vino puro In onoro del ‘ dèmone buono [del buon genio]; 2° i
servi sparecchiano; 3° o portano acqua ^crollò i convitati si lavino le
inani una seconda volta (la prima volta l’han fatto prima di mettersi a
cona); 4° distribuiscono ancora corone ed unguenti; 5° poi si fanno lo
libazioni di vino temperato pi prima a Zeus Olimpio (o alla Sanità), la
seconda agli Eroi, la terza a • n \ oli ora fu il primo a prender la
s ero al bere. iei< c he regola terremo nel parola e: Orsù,
disse amie ., pel, me V1 c011 .bere per aggravarci g ^h P rabtiso di ieri, fesso che mi
sente e CO sì forse la più parte e h0 bisogno d un po^ Y P edete
dunque come si possa bere°con^la'maggior discrezione
^ossibUe^ . 'U, Acumeno. Ed ora non ho bisogno, che d udire come
si 1 in f orz e per bere un. altro solo di voi, Agatone. no davvero, non
me la sento neppnr io, rispose CO ¥a'nto meglio per noi, mi pare,
disse Erisstamco per me . per Aristodemo; per Fedro e per questi altri,
se ma cedete il campo voi che siete dei bevitori a tutta prova,
giacché noi siamo sempre debolissimi. Quanto a Sociat % egli fa
eccezione: si trova a posto in un caso e nell altro, e gli sarà
indifferente comunque si beva. Bacche, dunque, nessuno dei presenti è
disposto a bere rii molto, non vi rincrescerà, spero, ch’io vi dica la
verità a proposito dell’ubriacarsi. Dalla pratica della medicina ho
cavato questa convinzione: che per gli uomini è dannoso 1 abuso del
vino: e di mia volontà non eccederei mai nel bere, nè lo consiglierei ad
un altro, soprattutto se si risente ancora della sbornia del giorno
prima. Per me non c'è caso, prese a dire Fedro da Mirrili unte; io lui
l’abitudine di seguire i tuoi consigli, specie quando parli di medicina;
ina ora, se hanno giudizio, faranno così anche gli altri. Zeus salvatore. I/ultiina tazza cho ai beveva
a questo si diceva la ‘ por- lotta .; 0 spesso alle libazioni seguiva una
musica di Munti c un bruciamento d’incensi; 7° con la prima libazione
s’accompagnava il canto di un inno religioso. (Da Bonghi). Doveva
esscro un ammiratore di rotori e sofisti, ma è noto soprattutto come amante
d’Agatonc. Aristofane, è superfluo dirlo, è il famoso comediografo. (3) Su
Fodro v. la nota alla mia versione del Fedro. jp£ijÌMpM
h'. Udito ciò, tutti convennero che non si dovesse far del
bere il passatempo di quella riunione, ma che ognuno bevesse quanto e
come gli accomodava. y. _ Poiché è stata accolta la mia proposta, che
ognuno beva quanto gli accomoda, disse Erissimaco, c che non ci sia
nessun obbligo, ne faccio ancora un al inaurila di mandar via la suonatrice di
flauto entrata dianzi, perchè suoni per conto suo o, se vuole, per le
donne cu casa, e che noi oggi si passi il tempo a conversare fra
no. E voglio anche, se me lo permettete, proporvi U tema
discorsi. ìtì Tutti consentirono e lo esortarono a farne fa.
1 posta. E comincerò, riprese Erissimaco, come la ^ e lanippe ’ di Euripide: Miei non son questi
detti che m’accingo a pronunziare, ma di Fedro qui pi sente. Non
passa occasione infatti eh egli non mi up • indignato: Ma Erissimaco, non
è enorme, che mentre poeti han cantato inni e peani in onore degli alto d,
di Eros, un così antico e possente iddio, neppui u _ tanti poeti, che ci
sono stati, abbia mai composto un eloo-io’f E se poi vuoi guardare ai
buoni sofisti, essi ha Sto in prosa le lodi di Éracles e di altri, come
quel valentuomo di Predico... E questo ite, esorprendente; ma c’è di
peggio. A me proprio una ^oha accadde dibattermi in un libro d’un
sapiente, m cui si facevano sperticate lodi del sale pei vantaggi che
reca, E puoi vedere parecchie altre cose simili celebrate con lode. Spender
tanta cura intorno a siffatti argomenti, e pii Eros non esserci nessuno
fin oggi, che abbia osato lai ne un degno elogio: a tal punto è
trascurato un cosi grande Iddio- ) E in ciò’, secondo me, Fedro ha ben
ragione. 10 dunque, oltre che desidero .li pagare il mio contributo a
costui e fargli cosa grata, ritengo che questo sia per noi qui radunati
proprio il momento .li adornai e di lodi 11 dio. E se così pare anche a
voi, ecco trovato torse un Cf. N.vuoic, Trita- Or. Fratjmm.' tramili.
181, 1. a l. è „ueUo elio si trova riferito In sunto da Senofontei nei
Momo- rubili ’ 11 21, 1 sgg., o elio fu tradotto dal Loop®!! col tlt. '
I.reale . buon argomento di conversazione. In sostanza io pro- onlo
che ciascuno ili noi. per turno a destra, dica le Foladi Eros, come
può meglio, e sia il primo ladro, non Tolo perchè egli occupa il primo
posto, ma anche uerchè egli è il padre del discorso. Nessuno,
Erissimaco, disse Socrate, voterà contro la proposta, Nè potrei certo
oppormi io, che dichiaro di non esser competente in altro che m cose
d’amore: nè vi si opporranno Agatone e Pausatila e tanto meno Aristofane,
la cui vita è tutta cosi profondamente devota a Dioniso ed Afrodite, o
qualche altro di quelli che vedo qui presenti. Senza dubbio, la
partita non è uguale per noi che siamo negli ultimi posti: ma se quelli
che ci precedono parleranno esaurientemente e bene, noi saremo sodisfatti.
Dunque, con buona fortuna, inauguri Fedro la serie dei discorsi e
pronunzi l'elogio di Eros. A queste parole anche gli altri fecero eco e
npetet- 178 tero l'invito di Socrate. Ma di tutto ciò che ognuno
disse, nè Aristodemo si rammentava con precisione, nè io, dal canto
mio, di tutto quello che egli mi riferì. Vi dirò per altro le cose più
degne di ricordo e i discorsi, che mi parvero tali, di ciascuno.
Come dunque dicevo, stando al racconto d’Aristodemo, Ferirò fu il primo a
parlare e cominciò suppergiù a questo modo: Eros è un grande iddio e ammirabile
tra gli uomini e tra gli dei, oltreché per tante altre ragioni,
soprattutto per la sua origine. Perchè l’essere tra gli antichi iddìi
antichissimo è cagion d’onore, diceva, e ne abbiamo la prova. Difatti genitori
di Eros nè vi sono, nè si rammentano da verun prosatore o poeta ;
anzi Esiodo dice che dapprima fu il caos, ma dopo Oea
dall’ampio seno, saldissima, eterna di tutto sede ed Eros ; Cf.
Theog. e con Esiodo s’accorda Acusilao
noU'afferniaro che dopo il Caos si generassero questi due, Gea ed
Eros. E Parmenide dice della generazione che infra gl’iddìi
tutti Eros concepì per il primo. E così da molte parti si consente che Eros fu
tra gli antichi antichissimo. E perchè antichissimo, è cagione a
noi dei più grandi beni. Io infatti non so dire qual maggior bene possa
esservi per chi entri appena nell’età dell'adolescenza d’un amante buono, e per
l’amante d’nn fanciullo amato. Giacche ciò che agli uomini deve servir di
guida per tutta la vita, se vogliono nobilmente vivere, questo non
valgono ad ispirarlo altrettanto bene nè la comunanza di sangue, nè gli
onori, nè la ricchezza, ne alcun’altra cosa, quanto l’amore. E che è mai
questo. La vergogna per ciò che è brutto, l’ambizione per ciò che ò
bello, senza le quali nè ad uno Stato, nè ad un privato è possibile
operare grandi c nobili opere. Ebbene io affermo che un uomo che ami, se
fosse sorpreso in atto di commettere qualcosa di brutto o di soffrirla
da un altro senza reagire per vigliaccheria, non s affliggerebbe tanto ad
esser visto nè da suo padre, nè dai compagni, nè da nessun altro, quanto dal
suo diletto fanciullo. Così del pari vediamo che anche 1 amato si
vergogna soprattutto degli amanti, ove sia sorpreso a commettere
qualcosa di brutto. Se dunque ci fosso modo d avere uno Stato o un
esercito composto damanti e damati, non potrebbe esserci per la loro
città miglior governo ì costoro, perciocché 'asterrebbero da ogni cosa
turpe e gareggiherò di virtù fra loro; e combattendo
gb 171 Acusilao d’Argo ora uu logografo contemporaneo delle guerre
persiane, autore di ' Genealogie Questo Torso faceva parto del poema llspì
cpoactofi Sulla natura del grande
Hlosofo di Elea, fiorito tra la fino del vi e il principio del v s. a. 0.
Cf. Dirla, Forsokr. P P- 1U2. .Lottoralmento: So dunque si trovasse modo ohe oi
fosso uno stato O un esercito d’amnuti o d’amati, non potrebbero governar
meglio la propria citta, elio astenendosi da tutto lo cose brutte e
gareggiando fra loro eoe. £ sLo non possa animare d’un divino
coraggio cosi da renderlo pari all'uomo più di sua natura vaio .roso.
E QU el che Omero dice: avere un dio ispnato l'ardire in taluni
eroi, questo appunto per virtù propiia Eros l’effettua negli
amanti. Ed .infatti solo quelli che amano son pront i a morire
in cambio d’un altro; nè soltanto gli uomini, ma anche le donne. E di
questo ci offre, a noi Elioni, una testimonianza bastevole la figliuola
di Pelia, Alcéstide. che fu sola a voler dare la propria ruta in cambio di
quella del marito,, sebbene questi avesse e padre e madre tuttora
viventi. Ma costoro per virtù d’amore ella li sopravanzo tanto nell
affetto, da farli apparire degli estranei al figliuolo e legati a lui
unicamente di nome. E per aver fatto ciò parve non solo agli
uomini, ina anche agli dei che avesse fatto cosa tanto bella, che
quantunque molti avesser compiuto molte belle azioni, a ben pochi gli dei
concessero questo premio, di richiamarne l'anima dall’Ade; ma quella di lei la
richiamarono, ammirati di ciò ch’ella aveva fatto; tanto altamente
onorano anco gl’iddii un amore profondo e virtuoso! Invece rimandarmi via
dall’Ade a mani vuote Orfeo d’Eagro, dopo (riavergli mostrato il
fantasima della moglie, pei' la quale egli 'era sceso laggiù, senza per
altro dargli la donna, perchè parve loro circi mancasse di coraggio, da
quel citaredo ch’egli era, e non gli bastasse l’animo d’affrontare per
amore la morte, come Alcéstide, ma s’ingegna da vivo di penetrare
nell’Ade. E però lo punirono, fa - h un modo <11 dire elio ricorro più volto
nei poemi muorici. l.u devozione di questo, eroina verso 11 marito forma
il soggetto (Cuna tragedia d’Euripidc, intitolata appunto ‘
Alcéstide dolo morire per mano di donne. Al contrario,
onorarono Achille, il tiglio di Tétide, e gli assegnarono un posto
nell’isole dei beati, perchè, sebbene avvertito dalla madre ohe sarebbe
morto come .avesse ucciso Ettore, laddove. ciò non avesse fatto, ritornato a
casa, vi sarebbe finito di vecchiezza; egli, bramoso di correre alla
riscossa dell’amante Patroclo e vendicarlo, osò non solo di morire
ner lui ma di soprammorire a lui estinto. Ond anche, gli dei compresi di viva
ammirazione, gli concessero un onore addirittura segnalato, (lacchè aveva
mostrato di tenere in così alto pregio l’amante. Ed Esclnlo vaneggia,
oliando afferma che Achille era L’AMANTE DI Patroclo. Achille è più bello
non solo di Patroclo, ma di tutti quanti gli altr’eroi, ed è ancora
imberbe, e per giunta più movane di molto, come dice Omero. Gli e che
in realtà, se gli dei onorano singolarmente questa virtù
dell’amare, essi tuttavia ammirano e pregiano e ricompensano più largamente la
devozione dell amato pei l'amante, che non quella dell’amante per
ornato L’AMANTE infatti è qualcosa di più divino dell AMATO, perchè
posseduto dal dio. E perciò appunto gli dei onorarono Achille a preferenza
d’Aleéstide, assegnandoci un posto nell’isole dei beati. Per conto
mio, adunque, concludo che Eios e t a gli dei il più antico, il più
augusto, il piu capace di rendere virtuosi e felici gli uomini, così in
vita come m morte. Questo a un dipresso, disse Aristodemo, il
discorso di Fedro. Altri ne seguirono (lei quali non si rammentava bene e
che omise, e passo al discorso di Pansaaia, che parlò così: A me pare che
non ci si sta pn- pitocon chiarezza il tema del discorso, quando se
detto, così senz’altro, di pronunziare 1 elogio di Eros. s.e Eios
non fosse che un solo, via, la cosa potrebbe andare, ( ìa ecco, esso, non
è un solo, e non essendo un solo, e più Accenno iul una traspaia perduta,
intitolata ‘I Mirmldom, nella quale talune espressioni allettilo
d'Achille erano da alcun, mterpro- tate conio qui si complaco
d‘interpretarle Iedro. criusfo che si fissi in precedenza quale sabbia a
lodare, fo dmu e mi proverò a rimetter le cose a posto, a due aual
è l’Eros che merita lode, c poi a pronunziarne 'ì’elogio in maniera
degna del mime. Tutti infatti sappiamo che Afrodite non è senza
Eros. Se VENERE fosse una sola, non ci sarebbe che un solo Eros; rail
poiché di Afroditi ce n’è due, due devono essere di necessità anche gli
Erotes. E come non sono due le dee. L’ima è più antica, non ha madre, e
figliuola d Ulano, e però è detta Urania [o celeste]; l’altra è più
giovane, figliuola di Zeus e di Dione e la chiamiamo Pan demos
10 volgare]. Ne consegue perciò clic l'Eros, collabora- lore di
questa, si chiami a buon diritto Pandemos [o volgare] e l'altro Uranio [o
celeste]. E se giusto è elle tutti gli dei si lodino, è pur necessario
provarsi a dire le qualità toccate in aorte a ciascuno dei due.
Perché d'ogni nostro atto può affermarsi questo: che esso di per sé
non è nè hello uè brutto. Per esempio, ciò che ora Tioi facciamo: bere,
cantare, discorrere, nessuna di queste cose è di per sè bella, ma nel
fatto divien tale, secondo 11 modo come si fa. Fatta bene e
rettamente diventa bella; non rettamente, brutta. E così anche l’amare
ed Eros non è tutto bello e degno d’esser lodato, ma solo quello
clic nobilmente spinge ad amare. L’Eros quindi, collaboratore delTAfrodite
volgare, è veramente volgare, ed opera come gli vien fatto; e questo è
l’Eros che amano gli uomini di animo basso, fòsforo innanzi l utto amano
non meno le donno che i fanciulli, e poi, pur di quelli che amano, i corpi a
preferenza delle anime, e poi ancora i meno intelligenti che
possano, giacché essi non mirano ad altro, che a sodisfarsi, non
importa se bellamente o no. Onde accade loro ili fare come capita, nello
stesso modo il bene e nello stesso modo il contrario. Perocché quest’Eros
trae anche origine dalla dea elio è ben più giovane dell’altra e che dal
modo, onde fu generata, partecipa di femmina e di maschio. L’altro invece
é dell’Afrodite celeste, la quale 1,1 P r 'mo luogo non partecipa di
femmina, ma solo di maschio ed è
questo L’AMORE dei giovanetti e
poi intica pura (fogni lascivia.. Onde al MASCHIO pl '‘;! 8Ì
volgono gl’ispirati da questo amore, perchè ;UJP u io-ono quél che è per
natura più forte e piu Intel- f 11 :: ; -Ed anche nello stesso amor pei
fanciulli è pos- u • discernere quei che sono sinceramente mossi
da ' S nesto amore. Giacché essi non amano i fanciulli, se non ?
andò questi comincino a dar segni d’intelligenza, cioè òn lo simulare sul
volto della prima lanugine. Coloro infatti 'che cominciano ad AMARE da
quel momento, si mostrali disposti, secondo me, a legarsi per tutta la
vita Giovanotto AMATO e a viver con esso m comune, non oi-r dopoché
l'abbian tratto in inganno per averlo .sorpreso nella sua inesperienza
giovanile, a ridersi di lui e orrore ad altri amori. Converrebbe anzi che
una le^ge vietasse l’amare i fanciulli, affinchè un grande studio
non si spendesse in cosa d’esito incerto, perchè incerta e la
riuscita dei fanciulli, dove vada a riuscire, quanto a vizio e virtù
d’animo e di corpo. Questa legge, è vero, 1 buoni se la impongono
spontaneamente a sè medesimi; nondimeno sarebbe necessario che a ciò codesti
amanti vogali fossero anche costretti, come, per quanto è possibile, li
costringiamo ad astenersi daU'amare le donne di libera condizione. Poiché
sono essi appunto che hanno anche disonorato l’amore, tanto che alcuni
osali di dire che è brutta cosa compiacere agli amanti. E dicon
cosi, perchè hanno dinanzi agli occhi costoro, e vedon di questi il
procedere intempestivo ed ingiusto, laddov e non c’è cosa che, fatta con
decoro e in conformità del costume. possa giustamente meritar biasimo. E certo
qual sia nelle altre città la norma enea l’amore, è facile intendere, chò il
concetto ne è semplice. Ma da noi e a Lacedemone essa è varia. Così
nell'Elide, tra’Beoti e dove non son punto esperti nel dire, e senz
altio ammesso come bello il compiacere agli amanti; e nes- Il testo
lui fini la pacala vó|io? ‘ leggoelio compiendo cosi In legge Boritta, la
leggo in senso ristretto, corno l’oplnlou pubblica, la consuetudine, lu nonna,
il costumo. Io l’ho tradotta di solito così, ma anello in qualche caso,
nel quale in questo disoorso di Pausania mi son valso della parola ‘
legge s’intende olio a questa parola va
dato il significato più. largo cho ha nel greco. im0 sia giovane o
vecchio, oserebbe tacciarlo di turpe affinché, credo, non incontrino
difficoltà nel persuadentigiovani per via di ragionamenti metta come sono
al parlare. Per contro m molti luoghi della Ionia e in altri paesi,
soggetti ai barbari, la cosa e ritenuta senz'altro quale una bruttura.
Pei barbari, infatti, a camion delle tirannidi, è brutto questo, non meli
che lo studio della sapienza e della GINNASTICA, perocché, credo,
non conviene ai governanti che allignino alti sensi nei (invernati e si
stringano indissolubili amicizie e intimità, che, tra tanti altri, è il
più meraviglioso effetto, che si compiace di produrre l'amore. E ciò
anche i nostri tiranni sperimentaron col fatto, cliè l’amore di
Aristogitone e l'amicizia d'Annodio (1), divenuta salda, abbatterono
la loro signoria. E, così, dov’è considerata brutta cosa
compiacere agli amanti, ciò si deve alla malizia dei legislatori, alla
prepotenza dei dominanti e alla viltà dei soggetti; e dove invece fu
senz'alcuna eccezione considerata come cosa bella, alla pigrizia d’animo
di chi fece la legge. Da noi al contrario la consuetudine è assai più
bella, sebbene, come ho detto, non sia, agevole penetrarne lo
spirito.Chi consideri infatti come sia opinion comune che allumare di soppiatto
sia preferibile l’amare palesemente e soprattutto i più generosi e i
migliori, per quanto mori leggiadri d’aspetto, e come per converso
l’amante abbia da tutti mirabile incoraggiamento ad amare, non come chi
faccia qualcosa di brutto, e sia tenuto in gran conto chi conquista e
deriso chi si lascia sfuggire la preda, e come nel tentar di siffatte
conquiste i nostri costumi abbian concesso all’amante d’aver lode,
anche se l'accia cose sbalorditive e tali, che se uno osasse farlo per
correr dietro a qualunque altro oggetto e per conseguire qualunque altro
scopo, aH’infuori di questo, ne raccoglierebbe i maggiori biasimi se, ad
esempio, per ottener danari da qualcuno o un pubblico ufficio o Ad
Armodlo c Artotogitone, 1 famosi tirannicidi, l’opinione colmino degli
Ateniesi attribuiva la cacciata dei Plsistratldi. Cd) Qui il lesto ha
<ptXoooiplas ’ da parto della lllosolln ’. clic la maggior l'arto
dogli editori, compreso il Burnct, s’accordami u considerare corno un
aggiuuta arbitraria o orrore dei copiati. disiasi altro potere uno s ^J^ e
Uc e con gli amati gli amputi, ^ ^ menti e dormono ° e
<rano e supplicano eg ;. rosi delle servitù quali Suanzi alle
porte e serron ™ dal fare BÌ ffatte cose nessun servo; ei saiebbe
nnp^^ rin{accer eb-ei ' iurp n u Mi uni li rinfaccereb- e da
amici e ila uenuci, cu fiU'^. )f) ammonirebbero e bere adulazioni e aU '
a .nmnte che faccia tutte arrossirebbero di ess - 11 fe permesso
dal costume queste cose s’accresce grazia, de £attì oltre di
farle senza biasimo, che almeno a quanto modo belli. E quel eh è pmj gU
dei perdonano si dice, se anche „i eHt o amoroso, sosten-
di spergiurare perche ‘ e gU nomini han ono, non esiste (1).
corae la legge di qui fatto lecita ogni lieenz^ c credere che nella dice. Da questo
lato, dunque, t ( l’amare e il città nostra si stmii una P b .
padrii preponendo compiacere agli amanti. <1 p lascian discorrere
con dei pedagoghi agli amai, nedagogo, e eoe- tanei e compagm
h vitupera,^ì vituperano n on son qualcosa di simile, ne upur biasimati dai pai d'altronde nè
trattenuti 11 insto. chi badi per anziani, come que che non be la s i ritenga qui l'opposto a
tutto ciò, p fecondo me, invece, la la più brutta cosa del mondo.
comc s ’è cosa sta a questo nioi o.
J bella nè brutta; detto in principio, noi 1 ge bruttamente.
I mpure stabile, come colui clic - co, mw stabile. Giacché insieme con lo
sfiorire il corpo, che egli ama, v asse no via a volo, eliso È un modo
proverbiale olio negli scrittori greci ricorro sotto varie
formo. Reminiscenza omerica; cf.
Tl norando tanti discorsi e promesse. Ma chi ama l’indole
buona riman costante per la vita, come colui che s’è isi attaccato a cosa
stabile. E costoro appunto il nostro costume vuol mettere a prova bene e
bellamente, e che agli uni si compiaccia, dagli altri si frigga. E però
appunto gli im i esorta a dar la caccia, gli altri a fuggire,
istituendo una gara e mettendo a prova di qual mai sorta sia
l’amante e di quale l’amato. E così, per questo motivo, in primo luogo il
lasciarsi accalappiare subito è ritenuto brutto, affinchè ci sia di mezzo
del tempo, il quale può, sembra, metter bellamente a prova la maggior
parte delle cose; e poi l'essere accalappiato dal danaro e dalla
potenza politica è brutto, sia elle uno, maltrattato, si avvilisca e non
resista, sia che, beneficato di danari o agevolato nelle faccende
pubbliche, non disprezzi. Che nessuna di tali cose par che sia nè ferma nè
stabile; senza due che non può neppur nascere da esse una generosa
amicizia. Sicché, secondo il nostro costume, una sola via rimane, se
all’amante deve bellamente compiacere l’amato. È infatti legge per noi
che, siccome per gli amanti il servii’ volentieri qualunque servitù agli
amati non è, come s’è visto, nè adulazione nè vergogna, così
appunto anche un’altra servitù sola volontaria rimane non vergognosa, e
questa è quella che ha per oggetto la virtù. Perocché presso di noi è
ammesso che, ove qualcuno voglia servire un altro, stimando di
poter divenire per via di quello migliore o in sapienza o in
qualsiasi altra parte di virtù, questa servitù volontaria non è dal canto
suo brutta, e non è nemmeno adulazione, (inde conviene che queste due
leggi convergano insieme al medesimo segno, e quella che ha per oggetto
l’AMORE dei fanciulli e quella che ha per oggetto l’amore della sapienza
e d’ogni altra virtù, se dovrà riuscire a bene il compiacere dell’amato
all’amante. Perchè, quando s'incontrino l’amante e l’amato, ciascuno recando la
propria ( gge, 1 uno che nel prestare qualsiasi servigio al giovanelio
che gli ha compiaciuto, glielo presti secondo giu-, K lzia altro che nel
concedere qualsiasi favore a chi o li nde sapiente e buono, glielo
conceda secondo giusizia, e 1 uno, potente di senno e d’ogni altra
virtù, n . i-altro bisognoso di educazione e d’ogni altra 1U ‘ ne
acquisti; allora, queste leggi convergendo S Tmedésimo segno, in
questo caso soltanto accade che nel So òhe l’amato compiaccia,
all’amante-, m ogni sia n0 B in questo caso anche il trovarsi
ingannato In è punto brutto; in tutti gli altri, si sia o no ingan-
i norta vergogna. B cosi, se qualcuno a un amante, nat P r l ricco in
vista della ricchezza avesse com- st S e si trovasse poi ingannato e non
ne cavasse danari perchè l’amante s’è scoperto povero, non sarebbe
d '' (,ùesto men brutto, dappoiché un amato siffatto P per quel ch’è in
lui, che in vista del danaro ri kz ‘ srjtfsc ramante, divenir
migliore, si 'ciò nonostante^l’inganno^bello, perchèa^e qj^per
ciò SSfJS ^ H fÌT5| l r^tSenté bello' compiacere
per Sefò l’amore S&i di gran pregio e l’amato a
porre ogni sono TLSJL
• £# m’insegnano a lare di si, ‘ Vvist0 [. ine .
Senoncliè vuto. diceva Azistodemo pa aie ^stob m()tiv0,
costui, o per aver mangiato tiojjo P ^ [Uscor . era stato
coltoinetto a destra di lui. c’era il medico iSSSXmA Eri, .co Vaio
a lUro l sofisti c i rotori. :i subito di questo singhiozzo, o di parlare
invece mia, finche non mi sia cessato. Ed Erissimaco: Ma farò runa cosa e
l’altra, rispose. Io parlerò ora per te. e quando ti sarà cessato il
singhiozzo, parlerai tu invece mia. E mentre io patio, se, trattenendo a
lungo il respiro, il singhiozzo vorrà andarsene. < tanto di guadagnato ; se
no, fa dei gargarismi con l’acqua. Che se poi fosse addirittura ostinato,
prendi qualche cosa da solleticarti le narici e cerca di
starnutire. Basta che faccia così una o due volte, e cesserà per ostinato
che sia. Affrettati dunque a parlare, disse Aristofane; io seguirò i tuoi
suggerimenti. Ed Erissinmco disse: Orbene, dal momento che Pausante,, dopo
d aver preso bene le mosse per il,K6 suo discorso, non l'ha compiuto a dovere,
credo che a me convenga di provarmi a completare il suo discorso.
Che Eros sia doppio, pare a me che egli abbia fatto benissimo a distinguere;
però che esso non sia soltanto negli animi umani rispetto alle belle
persone, ma che abbia molti altri obietti e sia' in altri, nei corpi di
tutti gli animali e nelle piante della terra e, per dirlo in una
parola, in lutti gli esseri, credo d'averlo imparato (bilia medicina,
dalla nostra arte, com’egli sia un dio grande e meraviglioso, ed estenda
il suo potere su tutte le cose umane e divine. E eomincerò, partendo,
dalla medicina, anche per rendere omaggio all’arte. Infatti te natura
dei corpi ha questo doppio Eros, giacché la sanità del corpo e la
malattia sono, per consenso unanime, cosa diversa e dissimile; e il
dissimile desidera ed ama cose dissimili. Altro, dunque, è l’amore che
risiede nel sano, altro quello che risiede nel malato. Ed appunto, come
Pausante dice or ora, clic è bello compiacere ai buoni tra gii uomini, ma
brutto ai dissoluti, così anche negli stessi corpi è bello e, conviene
compiacere a ciò che v'è di buono e di sano in ciascun corpo ed è ciò a cui si dà nome di medicina
ma' brutto compiacere a ciò che v’è di cattivo e di morbóso, e si deve
negare a questo ogni favore, se si vuol essere un medico esperto. Perchè
la medicina, in sostanza, è la scienza delle TENDENZE AMOROSE DEL CORPO a riempirsi e a vuotarsi; e ohi sa distinguere
in esse l’amor bello dal brutto, costui sarà il pili acuto medico; e chi
ù capace di produrre tal mutamento, che i corpi acquistino l'mi amore in
cambio dell'altro, e in quelli, nei quali non sia amore e dovrebbe
esserci, sappia farlo nascere e da quelli nei quali sia e non
dovrebbe , espellerlo, questi potrà esser davvero un medico abile.
Occorre infatti che egli possegga la capa cita, di metter d’accordo gli
elementi più avversi, esistenti nel corpo, e procurare che si amino l'un
l'altro. K avversissimi sono gli elementi affatto contrari, il freddo e
il caldo, l'amaro e il dolce, il secco e l’umido, via dicendo. TC perchè
seppe ispirare in essi amore e concordia, Àsclépio, il nostro capostipite, come
affermano i nostri poeti, ed io credo, fondò la nostra scienza,
ha medicina, dunque, dicevo, è governata tutta intera da questo
dio; e al pari di essa anche la ginnastica e l’agricoltura. Quanto alla musica
poi è chiarissimo a chiunque W voglia appena riflettervi, che il caso è
affatto identico, c quest o forse volle dire anche Eraclito, sebbene egli
non lo esprima in forma perspicua. L'uno, egli dico, discordando con sè
medesimo si accorda, come armonia d’arco c di lira. È difatti un vero
assurdo affermare clic l’armonia discordi o risulti da cose tuttora
discordi. Ma forse egli voleva appunto dir questo: che essa nasce da cose
per l’innanzi discordi, l’acuto e il grave; ma che in seguito si sono
accordate per opera del- l’arte musicale, giacche non è in alcun modo
possibile, clic dall’acuto e dal grave, tuttora discordi, nasca
armonia. Asciò pio o Esoulapìo ora un eroe-modico divenuto piti tardi
un ilio-modico. 1 suoi discendenti, gli Asolcpiadl. tra cui Krlssimaco
pone se medesimo, dovevano essere in origino limi gente congiunta da
legami di sangue, in cui era tradizionale la cognizione e la pratica
della medicina. 1 j0 famiglie di Asclepindi più celebri orano Quelle di
Cos, a cui apparteneva, il grande lppoerate, e di ('nido. Ma in tempi più
recenti tutti i medici, compiacendosi di far risalire al <Uo la
propria genealogia, presero indistintamente il nomo d’Asolopiadì. (•) (’f.
DllCl-s, Vorqokr. V p. S7, .1. „ ; n certo ino rio conche è consonanza, e
consonanz^ da cose discordanti, senso, e U consenso non può discorda e non tinche discordino;
e d altra P Così, per esempio, consente nOn può coautore ai ^ da cose
clic anche il ritmo nas f ^^ consentirono poi. E in tutte
discordavano prima, ma ci dalla me dicma, qui e queste cose il
consenso, come 0 concor dia vicen- ! osto dalla musica, che v ispm
‘ la scienza delle devote. E però la Soffia e’di ritmo. Nella tendenze
amorose m tatto e dell armonia composizione, considerata discernere
le tendenze e del ritmo non e punto dime oliando occorra
amorose, nè,ulvi c'6 Mggg't’SflB. con gli servirsi del ritmo e
dell. c h e chiamiamo uomini, o clic si compong cbe
s’adoperino melopea [creazione musicale] t _ ed è ciò acconciamente
melodie • e metri gn ® usioa i e ]
qui. ohe vien detto ‘ slbi ie artefice. E qui temati, e
affinchè diventino pm costumati q^rni lo sono ancora, Insogna compuie
p^ros celeste, volgare e questo, a coloro, a cui si somministri, s ha
da sonnninistr .re con molta Cautela, affinché se ne colga il
piacere) ma non ingeneri alcuna intemperata mm nell’arte nostra vai molto
sapersi giovale dei desideri eccitati da una buona cucina in modo che,
senza procurarsi una malattia, se ne goda il piacere. Cosi, dunque, e
nella musica e nella medicina e in tutte le altre cose, umane e divine,
si deve, per quanto si può, aver riguardo a ciascuno di questi due
Erotes, perche ci sono. Poiché anche la costituzione delle stagioni
dell’anno è piena di tutti e due questi amori; e quando gli elementi, dei
quali dianzi parlavo, il caldo e il freddo, il secco e Tumido, si trovino
in una scambievole e ben regolata relazione d’amore e s’accordino e si
temperino saggiamente, essi vengono apportatori d’nna buona annata e di
buona salute, cosi agli uomini, corno agli altri ammali e alle piante, e
non soglion produrre alcun danno. .Ma quando invece, l’Eros compagno
dell’intemperanza prevalga nelle stagioni dell’anno, egli suol corrompere
'• danneggiare molte cose. E da tali cause derivano di solito e
pestilenze e tante altre malattie diverse e negli animali e nelle piante.
Infatti e le brinate e la grandine e la ruggine dei cereali sono il
frutto della sopercliieria e della sregolatezza vicendevole di cosiffatte
TENDENZE EROTICHE, la cui scienza rispetto al moto degli astri e alle
stagioni dell’anno prende nome di astronomia. Inolt re tutti i sacrifizi
e quei riti a cui presiede l'arte divinatoria
ossia la scambievole comunione tra gli dei e gl' uomini non vertono intorno ad altro, se non
intorno alla preservazione ed alla cura di Eros. Giacche ogni forma
d’empietà suol nascere, ove non si compiaccia all’Eros ordinato e non gli si
renda onore e venerazione in ogni cosa, ma si tenga in pregio quell
altro, cosi nei rapporti coi genitori, vivi e morti, come nei
rapporti con oli dei. Ed appunto osservare siffatti amon curarli è il
compito della divinazione, e la divinazione è a sua volta, operatrice
d’amicizia tra gh elei e gu uomini, perchè sa discernere, tra le
inchnaziom ainc^se deo-li uomini, quante tendano alla giustizia e alla
pietà, l'osi ogni Eros ha un potere esteso e grande, anzi, iu una
parola, universale, ma quello che, e Pi'esso 'li noi e presso gli dei,
trova il proprio compimento nel buie con temperanza e giustizia, questo
ha il maggmr potere e ci assicura ogni felicità, sicché si possa viveic
in pace fra noi ed essere anche amici di quelli che son ungimii
di noi, degli dei. Porse, in questo elogio di Eros, anche io ho
tralasciato molte cose, ma non l’ho fatto apposta. Se per altro c’è
qualcosa ch’io abbia omesso, tocca a te, A stofane, di supplirvi. Ma se
invece ti frulla per il capo di elogiare altrimenti il dio, fa pure a tuo
modo, che anche il tuo singhiozzo è cessato. Leggo qui Iponas- :3
P= ^V5=Hf Bsfc = - s S 8 Sf 3£ iV'l.- • t d ' caso che
ti sfugga qualche cosa da lai -f sawst.#r n ; ’yffes
conto ch'io non abbia detto ciò che ho detto. E non stare a farmi
la guardia, perchè temo di tee non g. cose da far ridere questa sarebbe una fortuna, SpSaSl
fleto mm H. - ma Ufc te d Bravo. Aristofane! hai tirato il sasso e
nascondi la mano. Ma bada a’ casi tuoi e parla come chi lui da
render conto delle proprie parole. Quanto a me, se mi pare, ti lascerò in
pace. Comunque, caro Erissimaco, disse Aristofane. io mi propongo di
parlare in modo diverso da te e da Pausania. Io penso che gii uomini non
abbiali sentito nè punto nè poco la potenza di Eros, perche, se la
sentissero. gli dedicherebbero i maggiori tempi ed altari e gli
offrirebbero i maggiori sacrifizi, cosa che ora non fanno per nulla,
mentre è ciò clic si dovrebbe fare a preferenza di tutto. Eros è infatti
tra gli dei il più amico degli uomini, perchè è il loro protettore e il
medico di quei mali, la cui guarigione sarebbe per il genere umano
la maggiore delle felicità, lo dunque mi studierò d’esporvi la.
potenza di lui, e voi ne sarete maestri agli altri. Ma, innanzi tutto,
occorre che impariate quale sia la natura umana e le sue vicende non
liete. Giacché la nostra nani Il tosto ilice: hai tirato il colpo e ora ricusi
di svignartela, modo proverbialo anch’esso. tura non era un tempo
la stessa (li oggi, ina tuli altra. In origine c’eran tre sessi umani, non due,
maschio <• femmina soltanto, come ora, ma ce n era un terzo,
clic mrtecipava dell’uno e dell’altro e che, scomparso oggidì,
sopravvive appena nel nome. C’era allora un terzo sesso., l’andrògino,
che di fatto e di nome aveva del maschio e della femmina, e questo non
esiste piu. fuorché nel nome che suona un oltraggio. Inoltre ogni uomo
aveva una figura rotonda, dorso e fianchi tutt'intorno, quattro
braccia, gambe di numero pari alle braccia, su un collo cilindrico due
visi, perfettamente simili tra loro, un unica I- testa su questi due
rósi, posti l’uno in s|so con ramo all’altro, quattro orecchie, doppie F
(ta e ut l resto come si può supporre da ciò che s e detto, i ari
minava anche ritto come ora, in qualunque direzion volesse- e quando si
mettevano a correre, quei uost progenitori, come i giocolieri che a gambe
per aria an delle capriole a ruota, essi, appoggiandosi sui loro
otto arti si muovevano rapidamente, tacendo la.ruota. I ^ poi eran
tre e cosiffatti per questa ragione: esso maschile traeva origine
dal sole il J!; rt eripà e lrindrórino dalla luna, perche anche
questa paitccipa del itle e della terra. La loro figura dunque era
rotonda e cofano^ il modo di muoversi, appunto^perchi- m,l ai loro
genitori. Avevano vigore e gagl ardia tel i 1 c„,o -o. a;
numi. XV - A mesto pH s #rt
#? consiglio,,, ciò che ^
Jggg; Non sapevan risolversi ad uccido c N i la razza) fulminandoli, come i
giganti, perche cosi saie - ( 1 ) Oto 1 Eflolto orano i duo
glovonissluil ^lonutoto'ùcr llKliuoU di Aloco, olio dopo dover nca . (H
ul)onl t,„ por opera di Erniosi tredici mesi in uu gran vaso ali von i o.
. all 0sBa tentarono di dare
la essi Omero accenna in 11. V sgg. Or. -„ero venuti a privarsi
degli onori e dei sacriti/., umani; ^potevano tollerare che ne facessero
d og... sorta, B analmente Zeus, dopo matura riflessione, disse: C redo di e -ovato la via. affinchè gli
uomini continuino a esistere, ma, divenuti più deboli, smettano la
loro tracotanza. Segherò . disse,
ciascun di loro m due, e S mentre saranno pii. deboli, ci saranno
ad un tempo S utili, perchè diverranno più numerosi. E cammineranno ritti
su due gambe. Chè, ove poi seguitino a insolentire e non vogliano starsene in
pace, li segherò , disse,, ili nuovo in due, cosicché cammineranno su una
gamba sola, a saltelloni (1).
Dette queste parole, venne segando eli uomini in due, come quelli
che tagliali le sorbe per metterle in conserva, o quelli elio dividon le
uova coi capelli. E a misura clic ne segava uno, ordinava ad Apollo
di girargli la faccia e la metà del collo dalla parte del taglio,
acciocché l'uomo,' avendo sotto gli occhi il proprio taglio, fosse più
modesto; e medicargli le altre ferite. B Apollo girava a ciascuno la
faccia in senso opposto, e tirando d’ogni parte la pelle verso quello
ohe ora chiamiamo ventre, come le borse a- nodo scorsoio,
lasciandovi appena una boccuccia, la legava nel mezzo del ventre, in
(pie! punto preciso che chiamano ombelico. Itti Spianava poi tutte le altre
grinze, che orati molte, e rassettava le costole, servendosi d’uno
strumento suppergiù simile a quello che adoperano i calzolai per spianare sulla
forma le rughe del cuoio; ma ne lasciò poche nel ventre e intorno
all’ombelico, ricordo dell’antica pena. Orbene, poiché la creatura umana
fu divisa, in due, ciascuna metà presa dal desiderio dell’altra, le andava
incontro, e gittandole le braccia intorno e avviticchiandosi
scambievolmente, nella brama di rinsaldarsi in un unico corpo, tnorivan
di fame e d’inerzia, perchè l’una non voleva far nulla senza dell’altra.
B quando l’una delle (I) Il greco ha àoxop.ià£<ms<; cho vuol
dire propriamente ' saltumlo sminuire' (àox4f). • I.'espressione 6 tolta
ila un giuoco contadinesco dell'Attica. 1 contadini dulia pollo dui hocco
saorllloato a indulso facevano un otre olio riempivano di vino o ungevano
d’olio. Su di usso saltavano con una sola gamba altornaUvamcnlo, o
vinceva old sapova roggorvlsl.
(Unir). nielli moriva e l’altra sopravviveva, quella che
sopravviveva andava in cerca d'un'altra metà e le si avvinghiava, sia clic
s’imbattesse nella metà d’una donna in- IL quella appunto elle ora chiamiamo
donna sia che nella metà d’un uomo; e così morivano. Mosso
pertanto a compassiono. Zeus no escogita un'altra: trasporta le loro pudende
nella parte anteriore lino a quel
momento anche queste le avevano avute al difuori, c generavano e
partorivano non tra loro, ma in terra, come le cicale... gliele trasportò
dunque così, sul davanti, e per tal mezzo rese possibile la generazione
fra loro, per mezzo ilei MASCHIO nella femmina, con questo line,
che nell’amplesso, ove un maschio s’incontrasse in una femmina,
generassero e si perpetuasse la specie; ma. ove invece un maschio
s’imbattesse in un maschio, provassero sazietà dello stare insieme e
smettessero e si volgessero ad operare e attendessero agli altri doveri
della vita. Cosicché fin da quel momento l’amore vicendevole è
innato negli nomini: esso ci riconduce al nostro essere primitivo, si
sforza di fare di due creature una sola e di risanare così la natura
umana. O'imn di noi, in conclusione, è una con tre mala d'uomo, in
quanto che è tagliato come le sogliole, è due di uno; c però cerca sempre
la propria contromarca. Quanti sono una fotta di quel sesso comune,
che loia si diceva andrògino,
annui le donne, e la maggmi p. dogli adulteri soli nati da esso; e cosi
pure le donne. sU truggon per gli uomini, e le adultere provengo., da, u
eS e m.aL4 Tl <! 1 ‘'i una fetta di donna, non corron dietro agli o, un
uà sono piuttosto inclinate alle donne; e
questo appartengono le tribadi. Ma quanti sono una fe la li
maschio, danno la caccia al maschio; e 1 ! ut ' u ' ’ S01 \ r)j coni, fanciulli, conio parte d’un
uiasciuo jpu o gli uomini e godono a giacere e a starsene abbracciata
con gli uomini; e questi sono tra i fanciulli e tra po'anett i
migliori, perchè i piè v ' r '' di hno na u . mancali di quelli clic li
chiamano inipudent. ina uien liscino. Perchè essi non lo fanno per
impudenza, ma pei baldanza. per coraggio, per virilità d animo, giacché
.si attaccano a ciò che è simile a sé. Ed ecco vene ima prova decisiva:
costoro, a tempo debito, sono 1 soli che negano uomini davvero, adatti alla
vita politica. E pervenuti all'età virile, mettono amore al fanciulli; e
al matrimonio e alla procreazione dei figliuoli non si volgono per
inclinazione naturale, ma costretti dalla legge, chi anzi per conto loro
soli ben contenti di viver sempre gli uni con gli altri, da scapoli. Per
ciò chi è così fatto, diventa un amante di fanciulli o un amato, perche
desidera sempre ciò che gli è congenere. E quando poi 1 amante dei
fanciulli e chiunque altro s’incontra in quella sua propria metà d'un
tempo, allora son presi d’un amicizia, d'un intimità, d'un amore
meraviglioso, senza volersi separare gli uni dagli altri, per così dire,
nemmeno un istante. E quelli che vivono insieme tutta la vita son
questi, che non saprebbero neppur dire che cosa vogliono che avvenga loro
all’uno per opera dell’altro, giacché nessuno può credere che ciò che
desiderano sia l'uso dei piaceri amorosi, quasi che in questo debba
cercarsi la ragione per cui provano un così vivo diletto a stare insieme;
ma è evidente che c’è qualche altra cosa che l'anima di ciascun di loro
desidera, qualche altra cosa che non sa esprimere, ma che sente vagamente
e a cui accenna per vie coperte. E se ad essi nel momento, in cui
giacciono insieme, si presentasse Efesto coi suoi strumenti alla mano e
chiedesse loro. Che volete, o uomini, che avvenga di voi. alFuno per
opera dell’altro 1 ? e mentre e’ sono tuttora indecisi,
soggiungesse: Desiderale voi, non è
vero? soprattutto essere nello stessissimo luogo l’uno con l’altro in modo da
non separarvi mai né notte nè giorno? Ebbene, se è questo elio
desiderate, io voglio rifondervi e riplasmarvi in un’unica natura, sicché
di due diventiate uno, e finché vivrete, viviate tutti e due in comune,
come un essere solo, e anche da morti, laggiù nell’Ade, non siate, invece
di due, elle un morto solo... Guardate se è questo che amate e se
vi basta di conseguir questo... a udir
ciò sappiamo bene che nessuno, proprio nessuno, risponderebbe di no,
nò mostrerebbe d'aver mai desiderato altro, ma crederebbe 103
nllit0 precisamente quello che egli desiderava da tlavei i
sentirsi unito e fuso con l’amato, e divetanto ten i solo e la ragione è
appunto questa: ot0, eri in origine la nostra natura, e che
eravamo Cb teii 'Ebbene, al desiderio e alla caccia dell’intero si
da n ° U p,-ima dunque, come dico, eravamo uno; ma ora per, .
nequizia siamo stati separati di casa dalla mano ’ìV’rno còme gli
Arcadi da quella dei Lacedemoni. ’ ltra che a non essere ossequenti verso
gli dei.. h . 'incontro a venir segati daccapo, e a dover an- d.,re
intorno come le figure scolpite a bassorilievo sulle Se spaccati per il
mezzo dei nasi, divenuti come dei dirti’tagliati in due. Ma perciò
conviene che ognuno esorti ogni altro alla pietà verso gli dei, affinché
si evitino : m; di e si conseguano i beni, tenendo presente che
Eros è nostra guida e nostro duce. A lui nessuno vada conilo c o-n
va contro chiunque venga m uggia agli dei _ nerchè divenuti amici del dio
e vivendo in buoni termini con lui. troveremo e incontreremo ì nostri
propri AMATI, il ora capita a pochi. E non sospetti Erissimaco,
mettendo L caiSonatura ì mio discorso, che io alluda a Pausami, cd
Agatone oliò forse anche essi sono di
quelli, e tutti c due maschi per natura - ma dico avendo di mira
tutti e uomini e donne, che m questo modo il genere nostro troverebbe la
sua felicità, se all’amore, e ciascun di noi, ritornato nell antica natii
a, s’imbattesse nel proprio amato. E se poi qne meglio, ne segue di
necessità che di quanto oiaè nostro potere, il meglio sia ciò che piu vi
si avvmuia, e ciò è rincontrarsi in un amato fatto secondo d
piopno 7 Aristofane accenna, secondo roplnUm.Mplfc £ . Gli
Spartani, vinta Mautinea in Alca, silaggi, della città o la
sciolsero, com’era precedutomene, ci sarebbe Tenuto conto elio il
banchetto avrebbe avuto’ wlt0j è n u è impos- qui un anacronismo. Ma
rnUnsiouo non 6 do . .inlln storia sibilo cho si accenni a qualche
altro avvenimento ante, toro della arcadica. . „ uim mota,
conservata l dadi talvolta si tagliavano
in due, c ua.ci tessera, di ricoda duo persone legate da vincoli di ospitalità,
seivna noscimeuto por loro o per lo loro famìglio. che nel presente
^maggiori affidamenti nel proprio; e per 1 prota jftà verso gli
-lei, ^ -i. ei render, feUei e beati. v è p lu io
discorso intorno altri due, Agatone e Socrate. Farò a modo
tuo, disse Erissimaco. perchè il tuo discorso l'ho ascoltato con piacere.
E se non sapessi che Socrate e Agatone sono addirittura dei maestri
m cose d’amore, avrei gran paura clie non doves ®.® 10, vaisi a
corto d’argomenti, tante cose si son dette e cosi svariate. Tuttavia ho
fiducia in loro. 1 E Socrate: Ah, sì, Erissimaco, perche tu te la
sei cavata egregiamente. Ma se fossi dove ora son io, o meglio,
dove sarò, quando Agatone avrà parlato da par suo, temeresti anche di
più. e saresti su tutte le spine, còme son ora io., Ammaliarmi
(1) vuoi,- Socrate, disse Agatone, affinché io mi turbi, immaginandomi
che il teatro deva essere in grande aspettazione, ch'io parli bene. Mio
caro, dovrei esser proprio uno smemorato, rispose Socrate, se dopo di
aver visto con quanto coraggio e con quanta sufficenza salisti sul palco
insieme con gli attori e guardasti in faccia un teatro così affollato, in
procinto di dare alla scena i tuoi componimenti (2),.senza
(1) Vantarsi muove l’Invidia degli
uomini; ma l’invidia ha il malocchio e può ammaliare e turbare senz’altro la
persona Invidiata. Sonouohò anche la lodo esagerata d’un altro (Socrato
aveva lodato Agatone) può suscitare contro costui l’invidia con tutto lo
suo tristi conseguenze. (Hug). Da questo pasqo si concludo clic il poeta
insieme col suol attori prima della recita si presentava in forma solenne
al pubblico. E sembra del pari elio egli presentasse anche il Coro col
suo corego. Questa cerimonia, detta Ttpoaywv ‘ preludio ’ o ' preparazione al
certame ’ drainatico. .s ’rr^zk s f ' iS S Vuko <l<™ to
P™ '’ ™ £Z?X~. ? T; Sarei, Agatone, pnrtese So bene elio a
se io pensassi di te sag gi, saresti più in imbatterti m
atan- la folla . Ma, bada, probabil- pensiero per loio e 1 1 buon
conto, lì anche ne elici 1 ? fi So avresti vergogno, ove ,.eresse .11
fare qualcosa di male? Affatone, disse, Ma Fedro,
interrompendo: .Mio de i se gli rispondi, Socrate noi basta
d’aver resto, qualunque cosa qui avven et ^ )( q dovane. :tis: i? Jgs -~f n s ss
avrà saldato il suo conto col dio, alloia '''of'VSto; rispose
M e so,, qui pronto . „’Z, ó,, 5 monebe.it,i Mft. ,.vem,e spesso con Socrate. Or
dunque io vo’ in prima dire come io deva dire, e poscia dire. Che tutti
quelli, i quali han pallate precedentemente, non hanno, parmi, encomiato
dio, bensì la felicità degli uomini Ivan messa m nlu pei beni, de’ quali
il dio 6 ad essi cagione. Ma qual sia avveniva ncU’Odeon. teatro
fatto costruirò da Pericle, e doveva, com’ò ^supporre. attirare la
curiositi! del gran pubblico, ohe -interessava così vivamente agli
spettacoli teatrali. egli è il più giovane (legl’iddii. E una gran prova
con porge ' medesimo fuggendo di fuga la vecchiezza. che pure è
così veloce: la ci raggiunge più presto che non dovria! E questa Eros per
natura la detesta e non le si accosta nemmen da lungi. Egli sta e resta
sempre coi giovani, poiché ben dice l'antico adagio che sciupio
simile con simile s’accompagna (1). Ed io, pur consentendo con Fedro in
molte altre cose, in questo non consento: che Eros sia più vecchio di
Crono e di Giàpeto; affermo anzi ch'egli è tra’ numi il più giovane, e
sempre giovane; e le vecchie storie che Esiodo e Parmenide (3) ci ricantano
dcgl’iddii, a’ tempi d Ananke, [della Necessità] e non di Eros,
risalgono, posto pure che quelli ei contino il vero. Imperocché non ci
sarieno state né evirazioni, né ceppi, né tante altre violenze reciproche,
se Eros fosse stato tra loro; ma amicizia e paco, come ora, dacché Eros
regna sugli iddìi. Egli è dunque giovane, e perdippiù delicato. E ci
vorria un poeta quale Omero per mettere in luce la delicatezza del dio.
Omero infatti dice che Ale è dea e delicata e delicati almeno
dovevano essere i suoi piedi dicendo egli di lei: son
delicati i piedi, oliò sovra il suolo non mai muovesi, ma sul capo
ella degli uomini incedo. MlK modo proverbialo e allusione,i nn verso omorlco;
cf. Od. XVII ì IS. ( ) Ulro modo proverbiale per impennare alla nifi
renn.l.i ....Hoi.n;. Minare alla più remota antichità. Mille abbia
ipii in melile Agatone, inc sembra che della delicatezza di lei una bella,-ovu
sia che ella non cammina sul duro, ma sul tenero, r -incile noi (li questa
medesima prova ci varremo per dimostrare di Eros circuii è delicato,
dappoiché e' non cammina sulla terra, nè sui cxanii, che non sono
davvero tèneri, ma in quel che vita di più tenero al mondo e
cammina e s’annida. Egli infatti e nei costumi e negli mimi degl’iddìi e
degli uomini pone sua stanza, e non mica in tutti gli animi, ma ove mai
s’imbatta iti qual- cuno d'indole dura, se ne diparte; ma se tenero è, vi
si •umida. Or poiché adunque egli e co’ piedi e con ogni parte del
corpo tocca sempre quel che ve di più tenero Jra le tenere cose, è
giuocoforza che sia il piu delicato l. fri (d’iddii. Égli è così il più giovane
e il più delicato-, niu 1- per dippiù flessuoso di forma, che non gli
sana possibile insinuarsi dappertutto, nè penetrar tutta l’anima,
entrandovi la prima volta senza lasciarsi sorprendalo t uscendone, se
duro e’ fosse. Del suo aspetto proporzionato e flessuoso, argomento grande è 1
avvenenza che Eros per confession di tutti in grado eccelso
possiedi. chè tra disavvenenza ed Eros è guerra sempre, ha leggiadria del
colorito, il suo viver tra hon la sigillili., poiché in quel che fiorente
non sia o sui n ’ o anima o qualsivoglia altra cosa, non risi, de L
o . . a ovunque sia un luogo e ben fiorito e fragranti, (pi 1 e
risiede e rimane. Della beltà, adunque, del dio e questo o bastante
e ancora molto sopmvanzat .na; seguiia^m lei]., v i r tù di Eros mi
eonvien dopo no dm. lai < ' i .
h ini che nè fa nò soffre ingiustizia, ni da sano vanto (Il Pii CHI
violenza. Pio nè -1 dio nò da uomo nè ad uomo. Nè già p i ' 'li nzu
e so fre se qualcosa so.Vre - chè violenza noi tango, u si
concede a volente, le leggi, fello Stato u D). h-n elle è ('insto. E oltreché
della giustizia c partecipa della maggior temperanza. S’ammette infatti
che lem- in . Molatori georgiana. evidóulomoilto una eluizioni'. (Unir). paranza sia il signoreggiar piaceri e
desideri, e clic di Eros verun piacere sia più potente. Or se meno
potenti, è ovvio che sien vinti da Eros, ed egli vinca; e vincendo
piaceri e desideri, Eros in sommo grado temperante esser deve. E per
fermo, quanto a coraggio, ad Eros neppur Ares contrasta (1). poiché non
Ares possiede Eros, ma Eros Ares
amor di VENERE, come è fama
e ehi possiede è più possente di chi è posseduto, e chi
vince l'iddio più valoroso di tutti gli altri, e’ dev’essere il più
valoroso di tutti. Ho detto della giustizia, della temperanza, del coraggio del
dio; a dir mi rimane della sapienza, e per quanto è possibile,
m’ingegnerò di non fallire alla prova. E in primo luogo, perchè dal canto
mio anch’io renda alla nostra arte omaggio, come alla sua Erissimaco,
poeta è l'iddio, sapiente così, da render anco gli altri poeti. Ohè
ognuno poeta diventa, quand’anche prima di ogni Musa schivo, cui Eros
tocchi. Della qual virtù convienci usare a documento che Eros, a dir
breve, è poeta valente in qualsivoglia genere di creazione che
attenga alle Muse, dappoiché quel che non si ha o non si sa. nemmeno ad
altri non si può dare o insegnare. E invero la creazion degli animali
tutti chi niegherà che sia sapienza di Eros, mercè la quale tutti gli
animali e nascono e si generano! E quanto alla pratica delle arti,
non sappiam noi forse che colui, al quale questo iddio sia divenuto
maestro, famoso diviene ed illustre; e chi per converso da Eros non sia
stato mai tocco, rimansi oscuro! L’arti del saettare, del curare e del
divinare ritrova Apollo, scorto dal desiderio e dall’amore, sicché
anch’egli dir si può scolare d’Eros. E alle Muse fu maestro dell’arte
musicale, ad Efesto di quella dei metalli, ad Atena del tessere, a Zeus
di governar numi e mortali. Laonde anche nelle faccende degl’iddii si
mise ordine, poiché vi si fu generato Eros, amore evidente-
(Da uu verso del ‘Tlesto ’ di Sofocle; cf. Nauck, Tran. Or. Fraomm.
framin. Da un verso della ‘Stonoboa’
d’Eurlpido; cf. Naucic, Tran. Or. Fraumm. framm. 063 Verso giambico
probabilmente d’un tragico. meniti; di bellezza che del brutto non è
amore laddove per l’innanzi, come da principio ho detto, molte e
terribili cose, a quanto si narra, fra' numi awemano, pr x c i ie vi
regnava Ananlce. Ma dappoiché questo iddio ebbe nascimento, dall’amore
per le cose belle ogni bene nrovenne e agli iddìi e agli uomini. 1 E così
panni, Fedro, che Eros, essendo egli per il minio bellissimo e ottimo,
sia dipoi agli altri cagione di Stri cosiffatti doni. Ed ei mi salta in
mente di aggiunger qualcosa in versi, dicendo che questi è colia il
quale ivice tra gli uomini reca, nell' ampio mare bonaccia calma,
riposo ai venti; nel duolo conforto di sonno. Questi (Fogni sentimento ci
vuota che ci strania, d ogai sentimento ci empie che ci affratella; tali
e tonti convegni lri istituito per ravvicinarci, nelle solennità, ne con.
n sacìihzi facendosi nostra guida; di mitezza ispiratore di
rustichezza espulsore; prodigo di benevolenza, avaro malevolenza;
propizio, buono; spettabile ai sapienti, venerabile agl’iddii; segno d’invidia
per chi noi possiede, cu Sosa di chi il possiede; di voluttà, di mollezza
di delcatezza, di grazie, di desio, di brama padre; cmant^dc buoni non
curante dei tristi; nei travagli, mu pin^n nelle brame, nei discorsi
timoniere, soldato, commilitone
xr„fr!ito-VSlso ...io .<
L, i A •. ir-. u si poteva, di misurata
serietà temperato. Quando Agatone ebbe fluito, diceva.Ariate- demo,
lutti i presenti proruppero ni applausi, lasciai,n Vò snidato' nò 'marinalo equivalgono a iitlPiWQS d 1 tosto, a
llanco il’un altro intendere che il giovane aveva discorso in maniera,
degna- di sé e del dio. Al che Socrate, volgendosi ad Erisslmaco: O
figliuolo d’Actìmeno, disse, ti pare che poco fa io temessi d'un timore da non
temere, o non fossi piuttosto profeta, quando dicevo quel che dicevo
poc’anzi: che Agatone avrebbe parlato mirabilmente, ed io mi sarei
trovato in impaccio? Per un verso, sì, rispose Erissimaco, lo riconosco,
sei stato profeta, che Agatone avrebbe parlato bene; ma quanto a-1
tuo impaccio, via, non ci credo. E come mai, beato uomo, riprese Socrate, non
dovrei trovarmi ìd impaccio io e chiunque altro sul punto di
parlare dopo la recita d’un discorso così bello e così varia mente
adorno? Certo non tutti i punti sono stati egualmente stupendi; ma, nella
chiusa chi di noi non è rimasto addirittura intontito dalla bellezza
delle parole e delle frasi? Per me, considerato che non potrò dir nulla
che s’avvicini appena per bellezza a ciò che egli ha detto, quasi quasi
per vergogna me ne sarei scappato, se avessi potuto. Il suo discorso
infatti mi ha richiamato alla mente GORGIA, tanto che m’è occorso quel
che dice Omero: ho temuto, cioè, che alla fine Agatone nel discorrere non
scaraventasse contro il mio discorso la testa di Gorgia, parlatore da far
paura, e mi pietrificasse, ammutolendomi. E mi sono accorto allora quanto
ero stato ridicolo, allorché avevo preso con voi l’impegno di fare a
mia volta l’elogio di Eros e dichiarato d’esser competente in cose
d’amore io, e lo vedo, che non so nemmeno come s’ha da fare l’elogio
d’una cosa qualunque. Giacché io, nella mia dappocaggine, ritenevo che
nell’elogio di qualsiasi cosa non si dovesse dire che il vero e che
questo dovesse essere il fondo del discorso, salvo a scegliere Ira- le cose
vere le più belle e metterle in mostra nel miglior modo possibile. E
presumevo assai di me nella fiducia di parlar bene, convinto di saper la
verità sul modo di lodare qualsiasi cosa. Ma ora credo d’accor-
(1) Allusione a mi luogo dell O di seca ’ (XI 032 sg.). Ulisse,
sceso nell’Ade, temo per un momento che Persofono non mandi contro di
lui la testa della Gòrgóne o Gorgo. Scherzo sulla somiglianza di nome tra
Gorgo e Gorgia, il famoso sofista. germi che noti è questo il modo
di lodar bene una cosa, bensì l’attribuirle i maggiori e i più bei pregi
possibili, li abbia o no; se poi sono falsi, che importai
Dev’essersi infatti proposto, se non erro, che ciascun di noi finga
di pronunziare l’elogio d’Eros, non che lo pronunzi davvero. E perciò
appunto, credo, razzolando da ogni parte, avete attribuito ogni pregio ad
Eros e detto ch’egli è così e così, e autore di tali e tanti beni,
affinché appaia bellissimo ed ottimo, evidentemente a chi non sa non
certo a chi sa e cosi l’elogio assume un aspetto bello e venerabile. Io,
senza dubbio, ignoravo il modo di tesser l'elogio, e, ignorandolo, presi
impegno con voi che a mia volta avrei anch’io lodato Eros. Ma la lingua
promise, la mente no. Dunque, addio elogio! Io non vi seguirò su
questa via perchè non potrei quésto è sicuro; ma, comunque, la verità, se
volete, ve la dirò, a modo mio. senza gareggiare coi vostri discorsi, per
non far ridere a mie spese. Vedi, dunque, Ecdro, se mai anche
questa forma di discorso ti accomodi: sentir dire, la verità intorno ad
Eros con quelle parole e con quella disposizione di frasi che mi verranno
per le prime sulle labbra. Fedro e gli altri, raccontava Aristodemo,
approvarono che dicesse pure come gli pareva di dover dire, Uberamente. E
allora, Socrate aggiunse, Fedro mio, permettimi di rivolgere qualche
interrogazioncella ad Agatone, affinchè, ottenuto il suo assenso, io
cominci a parlare. Ma sì, rispose Fedro, te lo permetto; interroga pure. E dopo
ciò, continuava Aristodemo. Socrate cominciò suppergiù a questo modo. Senza
dubbio, mio caro Agatone, tu ti sei aperta bene, secondo me, la via nel
tuo discorso, dicendo che ti conveniva prima mostrare quale è mai Eros,
e dopo lo opere di lui. E questo principio nr è piaciuto assai.
Orbene, via, poiché d’Eros, per tutto il resto, hai esposto in forma
bella e magnifica quale egli è, dimmi ancora (1) Allusione ad un
verso (612) famoso dell’Ippolito di Euripide., mosto- se eoli è tale che sia
amor di qualcuno, di;qualche v r,7ui F bada non domando se è di madre
o £ Bros è eros di madre o di padre D - ma fa conto, come Te
a-proposito d’un padre io ti chiedessi proprio questoT s’egli è padre di
qualcuno o no. A volemu risponder bene, mi diresti certo, che d padre è
padre d'nn figlio o dima figlia. O no 1 Ma certo, disse
Agatone. E non diresti altrettanto della madre? E Alatone
consentì egualmente. Ancora, soggiunse Socrate, qualche altra risposta,
affinchè tu veda meglio ciò che desidero. Se ti chiedessi, per esempio: E
dimmi: un fratello, ili quanto fratello, è fratello di qualcuno, o
no? Ma sì, rispose. È fratello, non è vero, d’un fratello o d
una sorella. Appunto, dice. Via, provati a dirmi anche dell’amore:
Eros e amore di qualche cosa o di nulla? Di qualche cosa,
senza dubbio. Ebbene, questo ili che cosa tientelo dentro di te, ma
rammentatene, riprese Socrate. J?er ora dimmi soltanto, se Eros, quello
di cui è amore, lo desideri o no? Ma si, rispose. E ciò che egli
desidera ed ama, lo desidera perche lo ha o perchè non lo ha?
Perchè non lo ha, è naturale. Rifletti, disse Socrate, se, più che
naturale, non sia addirittura necessario clic il desiderare sia un
desiderare ciò di cui si manca, o non desiderare, ove non si
manchi. Poiché in epe)£ UVÓ£ ‘amor (li qualcuno’ o ‘di qualcosa’ il
•uve? può aver valore tanto soggettivo, quanto oggottlvo Socrate chiarirà
con esempi che egli ha inteso darò a xtvó; il valore di genitivo
oggettivo. Ma siccome d’altro lato w Epitì£ xivòg potrebbe anche ossoro
scambiato con un genitivo d’origine (‘ Eros tìglio di qualcuno ’),
Socrate vuole olirainaro anche quest’altro equivoco. In sostanza egli,
paro, vuol dir questo: Io ti domando, non già se Eros ò amato da qualcuno o ò
figlio ili qualcuno, ma se egli ama qualcuno o qualche cosa. Ma il luogo,
non Tacilo, ò stato variamente discusso, e si può prestare audio a qualche
altra Interpretazione. Io almeno, Agatone mio, credo fermamente che, .sia
addirittura necessario. E tal Anch'io, disse. Va bene. E per
conseguenza può mai esserci qualcuno che voglia essere grande, mentre è
grande, c forte, mentre è forte 1 ? Non è possibile, dopo le nostre
premesse. Non può infatti essere manchevole di queste doti chi
già le possiede. È vero. Perchè, se chi è forte volesse esser forte,
seguito Socrate e veloce chi è veloce, e sano chi è sano... poiché forse
qualcuno potrebbe credere che queste qualità e tutte le altre simili
coloro che son tali e le hanno, desiderino ancora quello stesse cose che
già hanno, insisto su questo punto, affinchè non si sia tratti in
inganno. si u rifletti, caro Agatone, costoro devono per necessita
avere in quel momento ciascuna delle qualità che hanno. 1 vogliano
o no; e queste olii mai potrebbe desiderarle? Ma allorché qualcuno
dice: Io. essendo sano, Aesid di
esser sano, ed essendo ricco, desidero d esser ricco; e desidero appunto
queste cose che ho-, noi gh possiamo rispondere: Tu, amico, possedendo
ricchezze, salute c forza desideri di possedere queste cose anche m a 1
®- perchè in questo momento, che tu lo voglia o no tu le hai.
Guarda dunque, se, quando tu dici: Desidero le cose presenti, tu non
voglia dire altro che questo: D^deio che le cose che ora ho mi sieno
conservate anche tempo avvenire. E
potrebbe egli negarlo? Al che Agatone rispose assentendo. Orbene,
seguitò Socrate, e questo non e appunto annue quel che non ancora si ha
sotto mano, nè si possiede: il voler conservare e possedere anche nell
avvenne medesime cose? Certamente, disse. E quindi costui ed
ogni altro che desideri, di suit i. ciò che non ha sotto mano e non possiede m
quel momento; e ciò che non ha, o che egli stesso non e e che gli manca,
questo è precisamente quello di cui è il desiderici e l’amore? Niun
dubbio, rispose. Suvvia dunque, disse Socrate, riassumiamo le nostre
conclusioni. Prima di tutto Eros è forse altro che amore di certe cose, e
poi amore di quelle cose, delle quali soffra difetto?
Non è altro, rispose. Di più ricordati di che cosa nel tuo discorso hai
detto che Eros fosse amore. Se vuoi, te lo rammenterò io. Credo che
tu abbia detto suppergiù cosi: che nelle faccende degli dei fu messo ordine
mediante 1 amore del bello, chè non può esserci amore del brutto. Non
hai detto suppergiù così? Infatti, rispose Agatone, così ho
detto. E sta bene, amico mio, riprese Socrate. Ma se e cosi. Eros non
sarà altro che aurore di bellezza, non mai di bruttezza?
Agatone rispose di sì. O non s’è convenuto che quello di cui uno è
manchevole e che non ha, questo egli ama? Certo, disse. Dunque Eros è
manchevole di bellezza e non l’ha? Necessariamente, rispose. Ma dunque?
Ciò che è manchevole di bellezza e non possiede punto bellezza, dirai che
è bello? Ah, no! E se è così, continuerai a sostenere
che Eros è bello? E Agatone: Temo, Socrate, di non aver inteso nulla
di ciò che ho detto poc’anzi. Eppure hai parlato splendidamente, Agatone
mio. Ma dimmi un’altra cosuccia: ciò che è buono, non pare a te
anche bello? A me, sì. Se per conseguenza Eros è manchevole di
bellezza, e se bontà è bellezza, sarà anche manchevole di bontà. Per me,
Socrate, non posso contradirti: sia puro come tu dici. Mio diletto
Agatone, è la verità quella a cui non puoi contradire, chè contradire a
Socrate non è punto diffìcile. Ed ora lascerò in pace te, e vi
riferirò su VrnH li discorso che un giorno udii da una donna di
Man- tiuea Diotima, che in questo era sapiente, come in tante'
altre cose, e agli Ateniesi prima della peste suggerì saer iflzi che
ritardarono di dieci anni il male, e fu iella appunto che ammaestrò me
pure in cose d’amore... nuel discorso, dico, che ella mi tenne, procurerò
di esporcelo movendo dai punti concordati tra me ed Agatone per conto mio, come
posso. E bisogna naturalmente, Agatone, come tu hai aperto la via, chiarire
per mima cosa chi sia Eros e quale, e poi le opere di lui. B mi pare che
il modo più spiccio sia chiarirlo come quella forestiera fece,
interrogandomi. Suppergiù anche io dicevo a lei delle cose simili a
quelle che Agatone diceva a me poc’anzi: che Eros fosse un gran dio e
fosse amor di bellezza. Ma ella mi convinse del contrario con
quelle stesse ragioni con cui io ho convinto costui, dimostrandomi che secondo
il mio discorso Eros non e nè bello nè buono. Ed io: Come dici,
Diotima? Eros e dunque brutto e Ed ella: Parla, ti prego, con reverenza,
disse. O credi che quello che non è bello, debba necessariamente
esser brutto? Senza dubbio. . . on2 E
allora anche quello che non è sapiente sarà gn Tante? E non t’avvedi che
c’è qualcosa di mezzo tra sapienza e ignoranza? E che cosa?, .
L’opinar rettamente, anche senza poterne rende < - gione, non sai,
disse, che non è nè sapore perchè
ciò È un personaggio; storino o addirittura fittalo Il non esserci
di lei alcun ricordo o. per tacer d’altro, il nomo stesso, che vaio -
onorata da Zeus corno la patria Mantinoa, che paro alluda alla montica, a
to divinatoria escluderebbero la prima ipotesi. Ma, fu osservato, non
potrebbe esser IpTtóa in Atene alcuni anni prima della guerra del
Peloponneso e della pestilenza che afflisse la città, una sacerdotessa
straulera <U molta reputazione (comunque chiamata), che avesse
suggerito agli Ateniesi del sacrifizi o Intorno al oul nomo si fosse
formata poi la leggenda, a cui accenna Platone? israrjsìs. S£ opMm
; un cbe .li mezzo t e . 6 „or,,n. Non
Attingere dunque ciò die uon è bello ad esser brutto nè ciò che non è
buono ad esser cattivo. E cosi aule Eros, poiché tu stesso convieni che
non è ne buono nè bello, non per questo devi credere che egli sia di
neces- shà brutto e cattivo, ma qualcosa di Eppure, osservai, si conviene da tutti
che egli Da^tutti, vuoi dire, quelli che non sanno, o anche quelli
che sanno’? Da tutti, senza eccezione, si capisce. Ed ella,
ridendo: E come mai, disse, Socrate, si potrebbe convenire che egli sia un gran
dio da quelli che negan perfino che egli sia dio ? E chi sono
costoro? chiesi. Uno sei .tu, rispose, ed una io. Ed io: Ma come puoi affermar
codesto? Ed ella: Facilmente, rispose. Dimmi: non dici tu che
tutti gli dei sono beati e belli? O oseresti dire che qualcuno degli dei non è
nè bello nè beato? Per Zeus, io no davvero, risposi. E non chiami
tu beati quelli che posseggono bontà e bellezza? Certamente. E
non hai ammesso che Eros, perchè manca di bontà e di bellezza, desidera
queste qualità, delle quali è manchevole? L’ho ammesso, è vero. E come
potrebbe essere un dio chi è privo di bellezza e di bontà? In
nessun modo, mi pare. Vedi dunque che tu pure ritieni che Eros non è un
dio. E cosi, dissi, che. cosa mai sarebbe Eros? Un mortale?
Nemmen per idea. un che di mezzo tra il 2C Ma
allora, che cosa f ( ’oine nel caso precedente, t „le e rimmortale.
peroni tatto rii, qmloooo W- I F chiesi, qual è il suo poterei
l’essere interprete e messaggero dagli uomnu agli, ó ? daS dei agh
nomini, degli uni recando le preginole II nvifizi degli altri gli
ordini e le ricompense dei a- e Stando nel mezzo degli uni e degli
altri, lo riempie eri iz, •, | trovi collegato in sè medesimo. Atti
a- i’o/lÌ 3 S l’arte Mi . 7T?.r.Sfy.nir oi tacrifltì, alle
WriHtah Sol ™tl g e egei rapporto eri ogni colavo e a E
Cl chS 0 8U0 padre, chiesi, e cln sua mato
La storia è un po’ lunga, a rartela. Quando nacque
.Afrodite, di Metia [Sa- banchetto, e tra gli altri anche ì ^l ^
occo gacia], Poh [ Ac ^® to ^'° mend icare, come avviene
sr-V? èrt buttato a dormire. Allena Pema, n . ge a
gìacere povertà d’avere un hglmo ° < • h,’ Q E p PV questo
accanto a lui e divenne n t tl S cV Afrodite, perchè appunto
egli è anche seguace e n perc hè da natura ito e bello, come
generalmente si crede, e an V ilzo, senzatetto, uso a
dormire sulla nuda coperte, dinanzi alle porte, a cielo aperto,, _l.vll.i
no ri 11 n ini covi Q tendere insidie ai belli e ai buoni,
coraggioso, temerario, impetuoso, cacciatore terribile, sempre occupato a
preparar lacciuoli, avido d’intendere, ricco d espedienti, dedito a filosofare
per tutta la vita, ciurmadore, mago e solista insuperabile. E di sua
natura non è nè immortalo nè mortale, ma a volte, nello stesso giorno,
germoglia e vive, quando tutto gli va a vele gonfie; a volte muoie
e poi, data la natura del padre, rivive daccapo, e spreca sempre tutto
quel che guadagna, sicché non è mai ne povero nè ricco, e d'altro lato
tiene il mezzo tra la sapienza e l'ignoranza. E s’intende: degli dei nessuno
lilo- soleggia o desidera di divenir sapiente perchè è già tale e
se e'è altri sapiente,. non filosofeggia nemmeno. Ma, d’altronde, neppur
gl’ignoranti filosofeggiano o desiderano di diventar sapienti. Giacché
proprio questo è il guaio dell’ignoranza: che chi non è nè ammodo
nè saggio s'illude d’essere un uomo che basti a sè medesimo. E chi non
crede d’esser manchevole non desidera nemmen per sogno quello di cui non
crede di mancare. E chi. Diotima, diss’io, son quelli che si volgono
alla filosofia, se non sono nè i sapienti nè gl’ignoranti?
Codesto, rispose, dovrebbe esser manifesto perfino ad un ragazzo:
son quelli che tengono il mezzo tra gli uni e gli altri; e tra questi è
anche Eros. Perchè la sapienza è tra Io cose più belle, ed Eros è amore
del bello, sicché necessariamente Eros deve aspirare alla sapienza,
deve esser filosofo, e come filosofo tenere il mezzo tra sapiente e
ignorante. E anche questo gli vien dalla nascita, giacché egli è di padre
sapiente e ricco, ma di madre nò sapiente nè ricca. Questa, mio caro
Socrate, è la natura del dèmone. Che tu poi fi fossi immaginato Eros come te
lo eri immaginato, nessuna meraviglia: tu avevi creduto, se non
m'inganno, a giudicarne da quel che dici, che Eros fosse l’amato, non
l’amante, e però penso che Eros fi paresse bellissimo, perchè difatti ciò
che è degno di è il realmente bello, delicato, perfetto e tale da aU
'° rsi beato Ma l’amante ba tutt’altro aspetto, e precisamente quello che t’ho
ritratto. Ed io dissi: Sia pure, ospite; che infin dei conti''
tu ragioni bene. Ma se Eros è tale, che utile reca agU CodTsto, ?
disse, Socrate, mi proverò d’insegnartelo fra lin00 intanto Eros è tale e
nato a questo modo, ed e di bellezza, come tu dici. Ora se qualcuno ci
domandasse: Che cosa vuol dire, Socrate
e Diotima, Eros di bellezza? O più
chiaramente: Chi ama ama il bello, e che ama? Ed io:
Possederlo, risposi. Ma, soggiunse, la tua risposta chiama quest altra domanda:
Che' ci guadagna chi possiede il bello ! Io dissi di non saper
veramente che cosa nspondcie, così, su due piedi, a questa domanda.
Ma riprese, fa conto che qualcuno, mutando 1 ter mini, sostituisse bene a
bello, e ti chiedesse: Orsù, boccate, chi ama ama il bene; e che ama?
Possederlo, risposi. E che ci guadagna chi possiede il bene!
Ecco M’d™Tn,l Pi -finisce qui, mi pare. E onesto 1 desiderio e questo
amore credi tu che sia comune a tutti gli uomini e che tutti vogliano
possec ei sempre il bene? O come dici? Così è, risposi: comune a.
tiitti tti diciam o E perché mai dunque, Sociale, non,i
che amano, se poi tutti amali lo stessotal uni diciamo che amano e
d’altri no! Me ne meraviglio anch’io, dissi. No. non
meravigliartene, soggiunse, pe ’ a di aver preso a parte una delle specie
d amore, diamo a rme-sta il nome dell'intero, e la chiamiamo
amore, mentre per le altre ci serviamo di altri nomi. Come sarebbe a
dire? chiesi. Ecco per esempio: sai bene che pohsis, [ Iattura, poesia ’]
implica molti significati, giacché ogni operazione, la quale faccia che una cosa
dal non essere passi all’essere è poièsis, sicché le produzioni,
attinenti a tutte le arti, sono aneh esse poièseis, e i loro
produttori tutti poiètai. È vero. E tuttavia, disse, sai pure che
non si chiamano poteteli, poeti. ma hanno altri nomi; e una particella
sola, distaccata da tutta la poièsis, quella che ha per oggetto la musica
e le composizioni metriche, è chiamata col nome delimiterò. Soltanto
questa infatti prende nome di poesia, e poeti quelli che posseggono
questa particella della poièsis. È vero, dissi. E così, dunque, anche dell
amore. La somma n è ogni desiderio del bene e delTesser felice, il
massimo e ingannevole amore d'ognuno. Ma di quelli che vi si
volgono per un’altra delle molte vie, o del guadagno o della ginnastica o
della filosofia, non si dice che amino, nè son chiamati amanti, laddove
coloro che tendono a questa sola specie, e si consacrano ad essa,
prendono il nome del tutto, amoree amare e amanti. Mi pare ohe tu
dica il vero, risposi. Eppure, seguitò, corre per le bocche un certo
discorso: che quelli i quali vanno in cerca della propria metà,
questi amano. Il mio discorso invece dice che 1 amore non è nè della metà
nè dell’intero, ove, amico mio, non si creda di scorgere un bene, poiché
gli uomini si lasciali volentieri amputare e piedi e mani, sempre che
paia ad essi che le loro proprie membra non sieno più buone.
Giacché, secondo ine, non è il proprio quello che ciascuno ha caro, se pure non
si chiami proprio il bene Pare una citazione; ma la frano destò dot
sospetti in parccclii interpreti, e fu addirittura considerata come un glossema
dall’Hug o dal Bonghi. n male. Perchè io non vedo altra cosa
che gli 206 uomini amino, all'infuori del bene. E tu? r,v Zeus, e
nemmeno io. O dunque, possiamo affermare, così senz’altro, che g li
uomini amano il bene? hTche?' r'iprès™non si deve anche soggiungere
che essi amano d’averlo con sè, il bene l Tpcr dippiù, disse,
non solo d’averlo, ma anche d’averlo sempre? Ssom Eque,
concluse, l’amore è amore di aver sempre il bene con sè. Tu hai
pienamente ragione, dissi. Poiché l'amore è questo sempre per
imparare appunto codeste . partorire nel - 4et?-sstiS?. gli uomini,
Socrate, concipn etòi i a . nostra secondo l’anima; e, S 1 ' 11 '
< partorire nel brutto natura desidera di paidon ; m. nU) infn fti
deludi può; nel hello, Mi 1 fj?,p°ff rtl „. E questa è cosa l'uomo c
della donna \ mor talo, questo è immortale: divina, e nel vivente, ora è
impossibile che il concepimento c' a h ‘ disarmonico è il
brutto ciò avvenga nel disaiic m . q iuvooc n bello. Sicché
rispetto a tutto i cl ’ dea de ua nascita e della morte] Bellezza è Mona
1 . t0 ed a Ua generazione]. b srasr? & ' diventa gaia, e nella
sua letizia s’effonde e partorisce e genera. Ma quando al contrario
s’appressa al brutto, si abbuia, e nella sua tristezza si contrae, si
volge indietro, si raggomitola e non genera; ma, trattenendo in sè
il feto, si sente male. Donde appunto nella creatura, gravida e già
smaniante di desiderio, l’ansia grande per ciò che è bello, giacché esso
libera ehi lo possiede dalle gravi doghe del parto. Perchè, Socrate,
l’amore non è amore del bello, come tu pensi. Ma e di che allora?
Di generare e partorire nel bello. E sia, dissi. Mon c’è dubbio, riprese.
Ma perchè poi della generazione? Perchè la generazione è un sempregenerato
e immortale nel mortale. Sicché da ciò che s’è convenuto segue
necessariamente che l’amore è desiderio d’immortalità nel bene, se è amore
d’aver sempre il bene con sè. E un’altra conseguenza necessaria di
questo ragionamento è che l’amore è anche amore
dell’immortalità. Tutte queste cose ella m’insegnava ogni volta che
si ragionava d’amore. E un giorno mi chiese: Che cosa mai, Socrate, credi
tu che sia causa di codesto amore e di codesto desiderio? O non senti che
tenibile crisi attraversino tutti gli animali, e terrestri e volatili,
quando senton desiderio di generare, ammalandosi tutti e struggendosi
d’amore, prima, di mescolarsi insieme; poi, di allevare la prole; e come
sieno pronti per essa a combattere, i più deboli coi più forti, e a spender la
propria vita in difesa di quella e a soffrire essi la fame, pur di
nutrire i loro nati, e a fare qualunque altra cosa? Degli uomini, tanto,
si può credere che lo facciano per effetto d’un ragionamento; ma e gli
animali, che cosa può indurli a questo prodigio d’amore? Sai
dirmelo? Ed io a risponder daccapo di non saperlo. Ella ripigliò: E
pensi, dunque, di poter divenire esporto in cose d’amore, se non intendi
questo? Ma per questo appunto, Diotima, come dianzi dicevo, vengo da te,
perchè so d’aver bisogno di maestri. Ala tu dimmene la cagione, e di
queste e delle altre cose relative all’amore. Ebbene, se ritieni per
fermo che 1 amore sia pei tura amóre di quello di cui s’è convenuto più
volte, nn te ne meravigliare: Giacché qui si torna allo stesso
bscorso- la natura mortale cerca, per quanto può, di essere sempre e
immortale. E può esserlo soltanto per està via per la generazione, cliè
così lascia sempre dono di sé qualcos’altro di nuovo in cambio del
vecchio. Poiché anche in quello spazio di tempo durante il quale di
ciascun animale si dice che è vivo e che e lo stesso... „or esempio, d’un uomo,
da bambino fino a che non diventi vecchio, si dice che è il medesimo;
eppure costui, quantunque non conservi mai in sé stesso le stesse
cose tuttavia passa per essere il medesimo, pur rifacendosi in
parte incessantemente giovane, e m parte deperendo e nei capelli e nelle
carni e nelle ossa e nel sangue e in tutto il corpo. E nonché per il
corpo, ma anche per l’anima, i modi, i costumi, le opinioni, i desideri,
i piaceri i dolori, le paure, ciascuna di queste vane cose no rimati
punto la stessa in. ciascuno, ma talune nascono, dire periscono. E, quel
che è ben piu sorprendente, non si le cognizioni, altre nascono, altre
periscono m noi e noi non siamo, nemmen rispetto alle cognizioni, semp
ghS, ma anche per ciascuna s’avvera lo stesso. Giacche ciò che si
^e meditare^ dice appunto della cognizione m quanto 1 ' ticanza infatti è uscita di
cognizione etemeMaage, non con l’essere in tutto sempre lo stesso, come il
<hvi, nuT col' 1 lasciare dopo di sé, in cambio di ciò che va via, .
nn ni cos’altro di nuovo che gli somiglia pei e invecchia, qualcos
altro | ocrat0) diss’ella, ifmortaio partecipa dell’immortalità,
sia corpo, sia checché si voglia Ma l’immortale procede per altra via.
Non meravigliare dunque, se ogni essere per natura oncia i proprio
germoglio, giacché per desiderio d immortalità siffatta cura ed amore
s’ingenera in ogni creatura. All’udire questo ragionamento ne rimasi
sorpreso, è dissi: Sia pure, sapientissima Diotima; ma è tìoì
realmente così? Ed ella, come i perfetti sofisti: Abbilo per fermissimo
Socrate, rispose. Oliò, se vuoi guardare anche all’amore degli uomini per
la gloria, ove tu non tenga presente ciò che ho detto, avresti motivo di
meravigliarti della loro stoltezza, riflettendo da quale ardore sien
posseduti di divenir celebri e gloria procacciarsi ne’ secoli tutti
immortale, e come perciò sieno pronti a sfidare qualsiasi pericolo, anche
più che per i figli, e consumar sostanze e soffrire qualsiasi
sofferenza e far getto della propria vita. Poiché credi tu, disse,
che Alcéstide sarebbe morta in cambio di Admeto o Achille
soprammorto a Pàtroclo o Codro- vostro (3) premorto per assicurare il
regno ai figliuoli, se non avesser creduto di lasciare quel ricordo di
sé, che ora noi serbiamo di loro'? Pi vuole ben altro! disse. Ma per
conseguire virtù immortale e siffatta fama gloriosa, tutti, a parer
mio, son pronti a qualsiasi cosa, e quanto migliori, tanto più,
perché amano l’immortale. Quelli dunque che son gravidi. disse, nel corpo, si
volgono di preferenza alle donne, e per questa via sono amorosi,
procurandosi per mezzo della generazione dei figliuoli, come pensano,
immortalità, ricordo e beatitudine per tutto il tempo avvenire. 209 Coloro
invece che son gravidi nell’anima... perchè, dice, c’è pure di quelli che son
gravidi nell’anima, ancor più che nei corpi, di ciò che all’anima
s’addice e di concepire e di partorire; e che cosa le s’addice? la
saggezza c le altre virtù; e di queste sono generatori i poeti
tutti, e degli artisti quanti son detti inventori. E tra le forme
di saggezza, disse, la più alta di gran lunga e la più bella
L’osservazione di Socrate ai riferisco al tono di sicurezza, por- dir
cosi, cattedratico e dogmatico clic assumo Diotima, la quale di qui in
poi abbandona la conversazione familiare per pronunziare un discorso
lungo c filato. Dev’essere una citazione poetica. L’Hng osserva elio
in questa parte Diotima si compiace di versi o di forme
poetiche. Codro ò il leggendario re clic andò volontariamente incontro
alla morte per salvare l’Attica dalla invasione dorica. che s’occupa
degli ordinamenti politici e donic- Ò - q !, cui si dà nome di prudenza e
di giustizia. E allor- S Ì 1C1 ™i uualcuno di costoro per esser
divino sia da 1 1 gravido
nell’anima, e giunta l’età desideri oramai vtnrire e generare,
anche costui, credo, ricerca premurósamente quel bello nel quale possa
generare, giacche 'e 1 brutto non vorrà generar mai. E quindi egli
gravido r 4 si compiace dei bei corpi piu che dei bratti, e °e
s’incontri in un’anima bella e generosa c d indole mona si compiace
vivamente d’un tale insieme e con e òo egli è subito largo di discorsi
intorno alla virtù e su miei che dev’essere l’uomo dabbene e sul tenore
di vita che questi deve proporsi; e si dà a educarlo Perche,, credo
a contatto della bella persona e nei colloqui con essa egli partorisce e
genera quello di cui da gran tempo e ra 'gravido, ricordandosi di lei,
presente o lontano, e la prole egli alleva in comune con quella, cosicché
uonnn siffatti mantengon tra loro una comunanza assa P intima che
non quella che avrebbero per mento dei figliuoli, e un’amicizia assai più
salda, dacché ^ in comune dei figli più belli e piu mimo potinoli
•per sè preferirèbbe d’aver piuttosto di sillatti h ^ . che quelli
umani, guardando a Omero a Esu^ c agli altri poeti insigni, invidioso dei
nati_ l lasciali di sè e che assicurano loro gioire ; uoi
immortale, perchè sono essi stessi inumatali, . • disse, dei
figliuoli come quelli che tediò Um 0 demone, salvatori di Lacedemone
e,spù.c( i-Eliade E da voi è anche onorato Soloiu pu lì SmSSo
oiÒff. ta’ove..por gli umani fin qui a nessuno. Sino a questo grado
nei Socrate forse avresti potuto iniziarti da b • Ma min dottrinò
perfette e contemplative, alle quali, ove si pioli) Mantengo qui la lozione
ilei oodd. 9-stos lov. ceda rettamente, quelle finora esposte servono di
preparazione, non so se ne saresti capace, le le esporrò dunque io,
disse, e non trala scerò di metterci tutta la mia buona volontà. E tu
cerca di seguirmi, se ti riesce. Perchè chi vuol incamminarsi per la via
diritta a questa impresa, deve da giovane andare verso i bei corpi,
e dapprima, se chi lo guida lo guida' dirittamente, amare un sol
colpo c generare in esso discorsi belli; e poi intendere che la bellezza in un
qualunque corpo è sorella della bellezza dim altro corpo; e se convien
perseguire ciò ohe è belio d'aspetto, sarebbe una grande stoltezza non
stimare che una sola e identica sia la bellezza in tutti I CORPI. E inteso che
abbia questo, divenire AMANTE di tutti i boi corpi, e calmare quei suoi
ardori per uno solo, spregiandoli o tenendoli a vile. E in seguito
reputare clic, la bellezza delle anime sia di maggior pregio clic la
bellezza del corpo, sicché, ove uno sia bello dell’animo, quand’anche
poco leggiadro, se ne contenti e Io ami e ne prenda curii e partorisca e
cerchi ragionamenti siffatti, che valgano a render migliori i giovani,
affinchè sia dipoi costretto a considerare il bello clic è nelle,
istituzioni e nelle leggi, e riconoscere che esfjo è tutto congenere a sè, e si
persuada così che il hello corporeo non è che piccola cosa. E dopo le
istituzioni < In sua guida lo conduca più in alto, alle scienze,
perché veda alla loro volta la bellezzadelle scienze, e mirando all'ampia
distesa del BELLO, non più, estasiandosi come uno schiavo, davanti alla
bellezza d'una singola cosa, d’un giovanetto o (L’un UOMO o d’una
istituzione sola, e servendo sia una abietta o meschina persona; ma volto
al gran mare della bellezza, e contemplandolo, partorisca molti e
belli e magnifici ragionamenti e pensieri in un amore sconfinalo di
sapienza, fino a che, in questo rinvigorito e cresciuto, non s’elevi alla
visione di queU’unica scienza, che è scienza di cosiffatta
bellezza. E ora, continuava, la di aguzzare rocchio della mente
quanto più puoi.Giacché colui che sia stalo educato fin qui alle cose
amorose, contemplando a grado a grado e rettamente il bello, pervenuto al
termine della via d’amore scorgerà d’improvviso una bellezza di
sua mumluìi natura stupenda, e precisamente quella, Socrate,
per la quale si eran durati tutti i travagli precedenti, quella che
innanzi tutto è eterna, che non diviene e non perisce, non zi 1 cresce e
non scema; e poi, che non è bella per un verso e brutta per un altro, nè
a volte si a volte no, nè bella rispetto a una cosa e brutta rispetto ad
un’altra, nè qui bella e lì brutta, o bella per alcuni e brutta per
altri. Ne, per dìppiù, la bellezza prenderà ai suoi occhi la forma
come (li volto o di mano o d’alcunchè di corporeo, nè d’un discorso o
d’una scienza o di qualcosa che sia in un altro, in un animale, poniamo,
o in terra o in cielo o dove che sia; ma gli apparirà qual è in sè,
uniforme sempre a sè medesima, e tutte le altre cose belle, partecipi
(Vessa in tal modo, che, mentre queste altre e divengono e periscono,
essa non divien punto nè maggioro nè minore, e non soffre nulla. E quando
alcuno per aver rettamente amato i fanciulli, sollevandosi dalle cose di
quaggiù, prenda a contemplare quella bellezza, allora può dirsi che
abbia quasi toccato la meta. Perchè questo appunto è sulla via d’amore
procedere o esser guidato dirittamente da un altro: muovendo dalle belle
persone di quaggiù ascendere via via sempre più in alto, attratto dalla
bellezza di lassù, quasi montandovi per una scala, da un bel corpo a-
due, e da due a- tutti i bei CORPI, e da bei corpi alle belle istituzioni
e dalle istituzioni allo belle scienze per finire dalle scienze a quella
scienza che non è scienza d’altro se non di quella bellezza appunto;
e pervenuto al termine, conosca quel che è il bello in se. Questo, mio
caro Socrate, se altro mai, diceva 1 ospite di Mantinea, è il momento
della vita degno per un uomo d’esser vissuto, allorché egli può
contemplare la bellezza in sè. Ed essa-, ove mai tu la veda., non ti
parrà comparabile nè con oro nè con vesti nè con quei bei fanciulli
e giovanetti, al cospetto dei quali rimani ora sgomento e sei pronto, e
tu e molti altri, guardando codesti vostri amati c standovi con loro, se fosse
possibile, sempre, a non mangiare nè bere, ma soltanto a eontem-
plarveli e starci insieme. E che sarebbe, diceva, se a qualcuno riuscisse
di vedere il bello in sè,' sclùetto, puro, sincero, non infarcito di
carni umane e di colori e di tante altre vanità mortali, ma potesse
scorgere la divina bellezza in sè medesima, uniforme? Creiti tu che sia
una vita da tenere a vile quella di chi possa guardare colà e contemplare con 1
intelletto quella bellezza e starsi con essa? O non pensi, disse, che quivi
soltanto, a lui che vede la bellezza con quello per cui essa è visibile,
verrà fatto di partorire, non immagini di virtù, perchè non è in contatto
con immagini, ma virtù vera, perchè in contatto col vero; e che,
avendo generato e nutrito virtù vera, a lui solo è concesso di
divenir caro agli dei, ed anche, se altri mai iu tale al mondo,
immortale? Eccovi, Fedro e voi altri, quel che diceva Diotima,
e io ne fui persuaso; e, persuaso, mi adopero a persuadere anche
gli altri che per procacciare alla natura umana un tanto acquisto non si
può facilmente trovare un collaboratore più valido d’Eros. E perciò
appunto affermo che ogni uomo ha l’obbligo di rendere onore ad Eros, e io
stesso onoro e coltivo in modo speciale le discipline amorose e vi esorto
gli altri; ed ora e sempre, per quanto è in me, encomio la possanza e
la fortezza di Eros. Questo discorso, Fedro, ritienilo detto come
un elogio d’Eros, se credi; se no, chiamalo pure come ti piacerà di
chiamarlo. Poiché Socrate ebbe finito, tutti, raccontava
Aristodemo, gli rivolsero delle lodi, eccetto Aristofane, che s’accingeva
a dire nòti so che cosa, perchè Socrate, nel parlare aveva alluso al
discorso di lui, quando, a un tratto, s’ode picchiare violentemente alla
porta di strada e insieme un gran chiasso, come d'i gente
avvinazzata, che usciva da un banchetto, e la voce d’una suonatrice
di flauto. Al che Agatone: Ragazzi, disse, andate a vedere; e se è qualcuno dei
nostri, fatelo entrare; se no, dite che s’è smesso di bere e stiamo già
riposando. Ed, ecco, un momento dopo, si sente noi vestibolo la
voce Alla lettera: con quello con cui si convieno (contemplarlo),
cioè v(p con la monte d’Alcibiade,
ubriaco fradicio, che strepitava: Pov’ò Agatone? Menatemi da Agatone! Entrò,
sorretto dalla suo- natrice e da alcuni dei suoi compagni, e si fermò
sulla soglia dell’uscio. Aveva il capo ricinto d'una folta corona
di edera e di viole e adorno d’una infinità di nastri. E disse: Salute, amici!
Vorrete compiacervi di dare un posto per bere con voi a un ubriaco
fradicio, o dobbiamo andar via subito dopo di aver incoronato Agatone, che è lo
scopo per cui siamo qui? Ieri non mi riuscì di venire, ma ora eccomi qui,
col capo coperto di nastri, per rieingerne dal mio il capo del più
sapiente, del più bello, lasciatemelo dire, tra gli uomini. Iriderete voi
forse, perchè sono ubriaco? Ebbene, ridete pure; ma io so di B3
dire la verità. Intanto ditemi senz’altro, se posso o no entrare a queste
condizioni. Siete pronti a bere con me, o no? Tutti
in coro con alte grida gli risposero che entrasse e si mettesse a
giacere, e Agatone ve lo invitò. Egli venne avanti condotto dai
compagni, e poiché si veniva levando que’ nastri per incoronarne
l’ospite, non s’accorse di Socrate, che pure gli stava dinanzi agli occhi, ma
si mise a sedere accanto ad Agatone, tra questo e Socrate, il
quale, come l’aveva visto (2), s’ora tratto da parte. Sedutosi. abbracciò
Agatone e gli cinse il capo. È Agatone disse: Ragazzi, slacciate i sandali ad
Alci- biade, perchè possa sdraiarsi terzo fra noi. Benissimo, disse
Alcibiade; ma chi è questo nostro terzo compagno? E ad un tempo, volgendo
gli occhi, vide Socrate, e vistolo diè un balzo, esclamando: Per
Éraeles. che roba è questa? Socrate qui? Àncora un agguato! E hai
preso questo posto per apparirmi, al solito, dinanzi, dove meno me
l’aspettavo? E ora, perchè sei qui? E perchè poi ti sei messo a giacere
proprio in questo posto? Perchè non accanto ad Aristofane o a qualche
altro, che sia o voglia parere un burlone, ma tanto ti sei destreg-
i Alclbiado voniva coronato, pcrchò usciva da uu altro banchetto.
Le corono, elio solovano essero di foglio di mirto, di pioppo bianco o di
odora intrecciato con roso o In Atene a proferonza con violo, si distribuivano
dal servi, quando, finita la cena, si passava a boro. (Hug). Leggo (1)£ éxetvov xctxstfiev secondo
il pap. d’Osslrinco. g iato da venirti a sdraiare accanto al più bèllo di
quanti SOn °B q Soc Agatone, disse, guarda un po’ di difendermi. perchè
l'amore per me di costui non un dà poco a fare Dacché presi ad amarlo,
non son pm padrone di guardare o discorrere con nessun altra bella
persona senza che costui, roso dalla gelosia o daU invicha, non
faccia cose dell’altro mondo, e mi copra d insulti, e per poco non mi
metta le mani addosso. Guarda che anche ora non ne faccia qualcuna delle
sue. Metti pace tra noi, o, se cerca d’aecopparmi, aiutami, perche io ho
una paura matta dei suoi furori e delle sue smanie amorose. Pace tra
me e te? ribattè Alcibiade; non è possibile. Ma di questo ti castigherò
in qualche altra occasione. Per ora, Agatone, rendimi un po’ di codesti
nastri, perche ne ricinga il meraviglioso capo di costui qui, e non
mi accusi d’aver coronato te, e lui poi, che vince nei discorsi
tutti, e non solo ier l’altro, come te, ma sempre, non 1 ho coronato. E
così dicendo, prese alcuni nastri, ne cinse capo di Socrate e si mise a
giacere. Dopo che si fu sdraiato, riprese: E che amici? non siete in vena
di bere? Io non posso permetterlo; bisogna bere: è stato il nostro patto. Io
scelgo a re del bere, finché non avrete bevuto abbastanza, me
stesso. E Agatone faccia portare, se c’è, una gran tazza. No, no, non
occorre. Ragazzo, a me quel bigonciolò all s’eraaccorto che conteneva più
di otto colili lo riempì e bevve per il primo; poi ordinò clic si
mescesse per Socrate, aggiungendo: Del resto, amici, con Socrate la mia
astuzia non attacca: si può farlo bere quanto si vuole, non c’è caso che
s’ubriachi. Socrate, quando il ragazzo gli ebbe mesciuto, bevve. Ma Erisslmaco
disse: Che facciamo, Alcibiade? Tracanneremo così un bicchiere sull’altro senza
intramezzarvi nè un discorso nè un canto, proprio come degli
assetati? Tì Alcibiade: Erissimaco, eccellente figlio d’eccellente e
sennatissimo padre, salute! La eotile equivaleva a circa un quarto eli
litro. E salute a te pure! rispose Erissimaco. Ma che dobbiamo fare!
Quel che tu ordini: a te bisogna obbedire, Che certo un
medico solo vai quanto molti uomini insieme. Ordina dunque a tuo
modo. Ebbene, da’ retta, riprese Erissimaco. Prima della tua venuta
s’era fissato che ciascun di noi per turno a destra pronunziasse un
discorso, il meglio che si poteva, su Eros, in elogio di questo dio.
Tutti noialtri abbiamo parlato. Tu che non hai parlato, ma hai bevuto, è
giusto che ne faccia imo tu pure. Dopo, imponi a Socrate quel che
ti piace, ed egli farà altrettanto per turno a destra con gli altri. Belle
parole, Erissimaco! rispose Alcibiade. Ma non ti pare che a mettere un
ubriaco in gara di discorsi con gente che ha la testa a posto, la partita
non sia pari! E dimmi pure, beato amico: ci credi tu a quel che
Socrate ha detto or ora di me? Non sai che è proprio il rovescio di
ciò che egli diceva? Giacche costui, se in presenza sua mi permetterò di
lodare un altro, dio o uomo che non sia lui, non terrà a posto le mani. Parla
con più rispetto, disse Socrate. Per Poseidone, riprese Alcibiade; non
contradirmi. Sai bene che in presenza tua non potrei lodare nessun
altro. E tu fa' come vuoi, ripigliò Erissimaco: loda So'crate. Come
dici! Ti pare, Erissimaco, che convenga? Posso dare addosso a quest’uomo
e vendicarmi di lui sotto i vostri occhi? Ohe, giovanotto,
che ti salta in niente? Con la scusa di lodarmi vuoi mettermi alla berlina?
O che vuoi fare? Dirò la verità. Guarda però di lasciarmela dire. Ma,
certo, la verità te la laseerò dire, anzi voglio che tu la dica. Son
pronto, riprese Alcibiade. E tu fa’ così: se non dico la verità,
interrompimi e dammi una smentita, che di proposito non dirò nessuna
bugia. Ma se salterò di 21 palo in frasca, come la memoria mi suggerisce,
non teue sorprendere, giacché non è facile per chi è neUgnie condizioni
enumerare per filo e per seguo tutti 1 tiatti della tua originalità. Socrate,
amici, comiucerò a lodarlo così, per via di paragoni. Costui crederà
forse ch’io voglia farvi ridere alle sue spade; eppure il paragone mira
a rappresentarvelo qual è realmente, non a metterlo in burla. Dico
dunque ch’egli è similissimo a quei Sileni esposti nelle botteghe degli
scultori, che gli artisti raffigurano con zampogne o flauti in mano e che,
aperti in (lue, mostrano nell’interno immagini di dei. Ili dico per
dippiù che somiglia al satiro Marsia. li/ che tu sia nell’aspetto simile
a quelli, neanche tu, boera te, oseresti metterlo in dubbio. Che poi
somigli anche nel resto, stanimi ora a sentire. Sei un gran
canzonatore; o no ? Se lo neghi,, presenterò dei testimoni. E un
flautista, no? Anzi più meraviglioso di Marsia. Questi, è vero?, molceva
gli uòmini per via di strumenti con la potenza della sua bocca, e anche
oggi chi suona le composizioni di lui perchè già quelle che Olimpo
suonava appartengono senz’altro a Marsia, che gliele aveva insegnate... e
a buon conto le sonato di lui, o che le esegua un abile flautista o una
flautista dappoco, per essere opera divina, valgono da sole a soggiogarci
e farci sentire (fili prega gli dei e chi aspira ad essere iniziato. Ma
Il discorso, ohe Plutone la pronunziare ad Aloibiado, oltre ad essere l’upplioozione
pratica della toorlca bandita da Socrato, ohe ci ò cosi rappresentato domo
l’amanto perfetto o il tipo vivente del filosofo, è assiri probabilmente
anche nn'ahilo o splendida difesa di costili contro lo maligno
insinuazioni d'nn sofista. Pollerato, cho in un ili,olio contro Socrate
doveva aver presentato sotto una luco tutt’altro olio favorevole lo
relazioni d’AMICIZIA elio lutoroedovuno tra 11 maestro od
Alclbiado. Questi Sileni orano, paro, una spedo d'armadi, riproducesti
lo fattozzo dei popolarissimi compagni di Dlóniso. e dovovano esseri,
d’uno certa capacita, so nell’intorno potevano contenoro parecchio
statuette o simulacri di numi. E 11 modo corno v'oeconna Aloibiado fa
Intenderò ohe dovessero essere assai noti o comuni !u Atene. Il satiro
Murala, in origino un dio fluviale dell’Asia Minoro, inventore del flauto,
flautista cccoUonte o maestro di Olimpo, a cui Alcibiade accennerà fra
poco, addò ad una gara musicalo Apollo olio suonava la cetra, e, vinto
dal dio, fu tratto fuori, della vagina dolio membra sue tu tu sei (li tanto
superiore a lui, che senza bisogno di strumenti con semplici parole
ottieni questo medesimo effetto. Difatti noi, quando udiamo qualche altro
oratore sia pure eccellente, pronunziare degli altri discorsi, non'ce ne
interessiamo, per così dire, nè punto nè poco. Ma ove qualcuno oda te o qualche
altro, e sia pure il più inetto parlatore, che riferisca le tue parole, o
che le oda una donna o un uomo o un giovanetto, no siamo rapiti ed
esaltati. Ed io, amici, se non temessi di passare per ubriaco sino alle
midolla, vi direi, e giurerei, che sorta d’effetti ho risentito dallo
parole di costui e ne, risento tuttora. Giacche a me, quando le odo,
ben più che agl’invasati d’un fluoro coribantico, il cuore ini
balza nel petto e mi sgorgali le lagrime ai discorsi di costui; e anche a
moltissimi altri vedo che capita lo stesso. A udir Pericle e altri
oratori di grido dicevo tra me e me: parlano benissimo; ma non risentivo
nulla di simile, nè la mia anima era messa a soqquadro, nè mi
attristavo di menare una vita da schiavo. Ma sotto i discorsi di questo
Marsia ch’è qui, ho provato spesso l’impressione che non valesse la pena
di vivere, vivendo come vivo. E questo, Socrate, non dirai che non sia
vero. E anche ora, non lo nego, ho coscienza che, a volergli prestare orecchio,
non potrei resistere, ma risentirei gli°stessi effetti. Giacché egli mi
obbliga a confessare che, con tante delìcenze che ho, trascuro ancora me
stesso per occuparmi delle faccende degli Ateniesi. E por a viva
forza, come dallo Sirene-, tappandomi gli orecchi, mi sottraggo,
fuggendo, per non invecchiare seduto accanto a costui. E soto davanti a
quest uomo ho provato quel sentimento, che nessuno sospetterebbe m me, il
sentimento della vergogna. Io, sì, ini vergogno soltanto di costui.
Perchè sento dentro di me di non potergli contradiro, che non si debba
fare quello a cui egli mi esorta; ma poi, non appena m’allontano daini,
ecco che mi lascio vincere dalle lusinghe del favor popolare. I
Gorlbntltl orano 1 sacerdoti della doa asiatica l’ibelu, elio o^si
'veneravano con nn colto orgiastico, nelle ani cerimonie erau presi da un
furore divino. Sicché lo evito e lo fuggo; e ogni volta che lo vedo,
mi vergogno d’aver# dato ragione. E spesso vedrei volentieri ch’egli non
è più tra gli uomini; eppure, se ciò avverse, son certo che me ne dorrei assai
dippiù, sicché di quest’uomo non so addirittura che farmi. Dunque,
dalle sonate di costui, di questo satiro qui, e io e molti altri
abbiamo provato questi effetti. Ora statemi a sentire com’egli e simile,
anche pei altri versi, a quelli a cui lo paragonavo, e come e
meraviglioso il potere che possiede. Perche, siatene certi, nessuno di
voi lo conosce. Ma ve lo scoprirò io, dacché mi ci son messo. Voi vedete
che Socrate si strugge di amore per i bei giovani, ed è sempre a loro
dintorno, e se ne mostra fuori di sé, e del resto ignora tutto e
non sa nulla. E non è da Sileno codesto? E come! Ma questa, è
l'apparenza, sotto cui s’è nascosto, come il Sileno scolpito. Ma di dentro,
aperto, indovinate voi, compagni bevitori, di quanta temperanza è pieno?
Sappiate che se uno è bello, a lui non gliene importa nulla, ma lo
disprezza, quanto nessuno lo crederebbe; nè se è ricco, nè so ha
qualcuna di quelle dignità che costituiscono per la folla il colmo della
beatitudine. A tutti questi beni egli non dà nessun valore, e nessuno a
noi ve lo dico io e passa tutta la
vita a far dell’ironia e a scherzare alle spalle degli altri. Ma quando
fa sul serio ed è aperto, non so se qualcuno ha visto i simulacri di
dentro; ma io li ho visti una volta, e mi parvero così divini e aurei
e 21? bellissimi e mirabili da dover fare senz’altro quel che
Socrate comanda. Infatti, credendolo preso davvero della mia bellezza,
stimai un guadagno e una fortuna meravigliosi che mi si offrisse il destro di
far cosa grata a Socrate e udire così tutto quello che egli sapeva,
perchè ero orgoglioso della mia bellezza, e in che modo! Con questo
in mente, mentre prima non ero solito di trovarmi da solo a solo con lui,
senza qualcuno che m’accompagna, d’allora in poi mandavo via il mio
accompagnatore e rimanevo solo con lui... giacché a voi devo dire tutta
la verità; ma voi state attenti, e se mentisco, tu, Socrate, sbugiardami.
Dunque, amici, rimanevo con 1ni solo a solo, e m’aspettavo eli egli mi
tenesse subito uel discorsi che un amante suol tenere con un amato,
rmattr’oeehi, e ne godevo. Eppure non avveniva nulla m mesto: com’era
solito, discorreva con me, e, trascorsa tutta la giornata insieme, andava
via. In seguito lo invitai ad esercitarsi con me nella ginnastica e mi
esercitavo con lui, illudendomi che così avrei raggiunto il mio ‘ooo E
infatti egli si esercitava e lottava con me, spesso senz’alcun testimone.
Ma che! non si faceva un passo. Poiché nemmeno questa via spuntava, mi
parve che con nuest'uomo si dovesse venire ai ferri corti e non
dargli tregua dal momento che mi ci ero messo, ma vederci chiaro in
questa faccenda. Lo invitai così a cena con me, tendendogli un tranello,
proprio come un amante a un amato. E sulle prime non volle neppure
accettare; tuttavia, in capo a qualche tempo, s’arrese. Quando venne la
prima volta, finita la cena, volle andarsene, e pei allora,
vergognandomi, lo lasciai Ubero. Ma un alti a y fatto il mio 'piano,
poiché si finì di cenare, Scorsi con lui sino' a notte inoltrata; e
quando egli voleva andai via, col pretesto che- fosse tardi, lo costrinsi
a rimanere Egli riposava nel letto dove aveva cenato, accanto a
mio, e nella stanza non dormiva nessun altro ah infuori di noi. Ein qui
il racconto è tale, che si può faie in p senza d’ognuno-, ma di qui in
avanti non im sentireste parlare, se in primo luogo, come dice il
proverbio il i ino e senza fanciulli e con fanciulli, non fossi
veritiero, e poi nascondervi un tratto cosi superbo di Socrate, ora
'che son qui per farine un’ingiustizia. Ma c’è'di più: io sento ancora 1
effetto eli prova chi è morso da una vipera. Porche, dicono, ì’ha
sofferto non vuol parlare del proprioa ai morsicati, come i soli che
sappiano smn chsposri a compatire
tutto quello che egli e giunto a fare e dire sotto la, sferza del dolore.
Sicché io, morso da tintura più dolorosa e nel punto più doloroso ni cui
si possa Da du^o luogo il provo.-t.io apparisco corno presente alla
mente il ’Aicibia.lo sotto lo ano formo, tra lo parecchie che so ne
coniano. .1. oho £ ’ vi- e vorilA-, c olvo; xat ì8s C ™o o
fanciulli sono voritlorl ’. esser morsi ferito e morso nel cuore, e
nell’anima, o com’altro si voglia chiamare, dai discorsi filosofici
che son più cattivi d’una vipera, quando s’attaccano all’anima non
ignobile d’un giovane, e gli fan dire e fare qualsiasi cosa. E, del
resto, in presenza d un Fedro, d’un Agatone, d’un Erissimaco, d’un
Pausania, d un Aristodemo e d’un Aristofane Socrate stesso a che-
nominarlo? e txitti voi altri? chè tutti siete posseduti dal delirio e
dal furore filosofico e però tutti udrete, perchè siete tutti in grado di
compatire ciò ch’io feci allora e vi dirò ora. Quanto a voi, servi, è se
c’è altri profano e rozzo, tiratevi delle porte ben grandi sui vostri
orecchi Poiché, dunque, amici, fu spenta la lucerna e i servi andarono a
dormire, mi parve che non fosse il caso di ricorrere a raggiri con lui,
ma di spiattellargli francamente quel che sentivo. E, scotendolo, gli
chiesi: Socrate, dormi? No, non dormo, rispose. Ebbene,
sai che cosa ho risoluto? E che cosa? mi chiese. Tu sei,
ritengo, il solo degno d’esser mio amante, e vedo che esiti a farmene
parola. Ora io la penso cosi: credo che sia una grande stoltezza da parte
mia non compiacerti e in questo e in altro, se hai bisogno delle
mie sostanze o dei miei amici. Per me, quello che soprattutto mi preme è di
divenire quanto migliore io possa; e in ciò, credo, non potrei trovare un
collaboratore più valente di te. Sicché a non compiacere ad un nomo
come te mi vergognerei ben più agli occhi delle persone di senno, che non
a compiacerlo, agli occhi dei molti e sciocchi. Egli mi stette a sentire,
e poi con quella sottile ironia, che gli è propria od abituale, mi
rispose: Parto Alcibiade, tu risichi realmente di non essere un
dappoco, se mai è vero ciò che dici di me, e se c’è in me un potere, per
il quale tu possa divenir migliore. Tu avresti così scorto in me una
bellezza irresistibile e La locuzione 6 tolta dal linguaggio del
misteri. ma molto superiore alla tua leggiadria. Cosicché,
scorgendola, tenti d’accomunarti con me e barat- Mre beSa per bellezza,
ti proponi di fare a mie spese fca in (la ano tutt’altro che
insignificante, anzi in lao„o a-.o.!.™ 1. veri. del teli e
luisidi scambiare veramente ferro con oro. Ma, beato amico, rifletti meglio, se
non t’inganni a partito m conto mio. Bada: gli occhi della mente vanno
diventando più acuti a misura che quelli del corpo perdono del loro vigore, e
tu sei ancora lontano da questo momento. c iò, dissi: La mia idea è
questa, e non ho detto niente di diverso da quel che penso.
Quanto a te. considera quel che ti sembra il meglio nel tuo e nel
mio interesse., Ma sì, ben detto! rispose. Difatti non mancherà
tempo per ripensarci e fare quel che ci parrà meglio nell interesse di
tutt’e due, così in questa, come in ogm altra faC Orario, dopo d’aver
detto e udito queste parole e avergli tirato quelle frecciate, lo
credetti ferito. E levatomi dal mio posto e senza più dargli tempo di dir
nulla, gli gettai addosso il mio mantello, proprio questo qui era anche
allora d’inverno e nn rannicchiai sotto la mantellina logora di costui, e
gettate le braccia al collo di quest’uomo veramente divino e
meraviglioso, me ne stetti a giacere accanto a lui l’intera notte. E
nemmeno in questo, Socrate, dirai che mentisco. Ebbene nonostante che io
avessi fatto tutto questo, egli si mos r di tanto superiore e tenne così
a vile e sprezzò tanto la mia bellezza e la vilipese a tal punto eppure
io credevo che qualcosa valesse, o giudici, perche voi ora siete mudici
della superbia di Socrate... ebbene ve lo giuro per tutti gli dei e per
tutte le dee, dopo d’aver dormito accanto a Socrate l’intera notte, mi
levai, nò piu uè meno, che come se avessi dormito con mio padre o con un
mio fratello maggiore. Allusione al cambio dello anni tra Glauoo e
Diomede: et. sgR. E dopo ciò,
quale credete che fosse il mio animo? Da un canto mi vedevo disprezzato,
e dall'altro ammiravo l'indole, la temperanza e la fortezza di
costui, che m’ero imbattuto iu un uomo tale, come non credevo mai di
poter incontrare il simile per senno e per forza d’animo. Cosicché non
riuscivo nè ad adirarmi con lui e rinunziare alla sua compagnia, nè a
trovar la via per attirarmelo. Ben.sapevo che al danaro egli era.
da ogni parte assai più invulnerabile che Aiace al ferro, e solo
mezzo, per cui credevo di poterlo prendere, m’era sfuggito di mano. E
così, a corto d’espedienti e asservito da quest’uomo, come nessuno da
nessun altro al mondo, io gli giravo sempre dattorno. Questi casi
m'erano già seguiti, quando più tardi facemmo insieme la campagna di
Potidéa ed eravamo compagni di mensa. Ebbene, innanzi tutto, nelle
fatiche egli vinceva non solo me, ma anche tutti gli altri.
Allorché, in qualche luogo, come spesso capita in guerra, eravamo
costretti a patir la fame, gli altri, nel resistervi, appetto a lui non
valevano uno zero, mentre imi nei momenti di scialo, era il solo che
sapesse goderne, e senza esser proclive al bere, quando v'era costretto,
superava tutti, e, cosa anche più sorprendente, non c’è nessuno che
abbia mai visto Socrate ubriaco. E di ciò penso che ne avrete ben presto
la prova. Quanto poi a sopportare il freddo e lassù i freddi sono
terribil faceva cose inverosimili, e perfino a volte, mentre c’eran delle
gelate da non si dire, e tutti o non mettevano il naso fuori o si
coprivano fino alla cima dei capelli e calzavano scarpe e 'avvolgevano le gambe
in feltri e pellicce, costui, con un tempaccio di quella sorta, se n'usciva
coperto della sua, mantellina abituale, e scalzo camminava sul ghiaccio
meglio degli altri calzati, e i soldati lo guardava]) di traverso, perchè
pensavano che egli li disprezzasse. Politica, colonia di'Corinto
nella penisola ili Pallone, erti, albata tlegli Ateniesi. Ma noi, con
l'aiuto dei Corinti o di Perdlccn re ili Macedonia, si ribellò, e non fu
ridotta all'obbedienza, se non dopo una cam- rogna o un assedio E questi, non
c’è che flire, fatti. Ma quello -che poi fece e sostenne il
fortissimo uomo ima volta, durante quella spedizione, mette conto
li-essere udito. Assorto in qualche pensiero stette in piedi odo stesso
posto a meditare sin dalle prime ore del mattino, e poiché non ne veniva
a capo, non si moveva, ma rimaneva li fermo a meditare. Era già mezzodì,
la o-ente lo notava e diceva: rSocrate e li inchiodato a Lunare da
stamani per tempo. Finalmente alcuni Ioni, sopravvenuta la sera, dopo
d'aver cenato era d estate portaron fuori i loro pagliericci; e mentre si
metteno a dormire al fresco, seguitavano a tenerlo d occino per vedere,
se ci fosse rimasto anche la notte. Ed egli ci rimase fermo sino all’alba
e allo spuntare del sole poi fece la sua preghiera al sole e andò
via. Ora, se volete, nelle battaglie perchè è giusto rendergli questo
merito quando avvenne quella battaglia, in cui 1 generali dettero a me
anche il premio del valore, nessun altro mi trasse in salvo se non costui,
clic non volle abbandonarmi ferito, e salvò insieme e le mie armi e
me stesso. Ed io anche allora, Socrate, insistetti presso ì
generali, perchè il premio fosse attribuito a te, e in questo non mi
moverai rimprovero, nè dirai che mentisco, .a poiché quelli, per riguardo
alla mia condizione sociale, volevano dare a me il premio, tu eri anche
piu insistenti dei generali, perchè l’avessi piuttosto io che tu. E
ancora, amici, degno di ammirazione fu il contegno di Socrate,
quando l’esercito si ritirò in fuga da Delio. Io cero tra’cavalieri, lui
tra gli opliti. Nello scompiglio generale egli S i ritirava insieme con
Lachete. Io sopraggiungo, e come li vedo, li esorto a farsi animo, e di
coloro che non il) È un verso omerico leggermente modificato; cf.
Od. La battaglia <11 Dello in Beozia, dove gli Ateniesi lurono
sconfitti dai Tolmuì, accadde noi. Era un bravo gonorate ateniese,
di poco più vaccino di Scorato. olio mori In battaglia nel US a. C. Da
lui prose nomo uno doi dialoghi piatonici. Soli abbandonerò. E qui ammirai
Socrate anche più che a Potidea
giacché io stesso avevo meno paura, perchè stavo a cavallo in
prima, di quanto egli fosse superiore a Lachete per la padronanza di sè, e poi
mi pareva mi servo delle tue parole, Aristofane
che egli cammina lì come qui, con aria spavalda, gittando gli
occhi a destra e a sinistra, squadrando calmo amici e nemici e mostrando
chiaro a tutti, anche di lontano, che se qualcuno lo avesse toccato, egli
si sarebbe difeso con la maggiore bravura. E così se n’anda via con gran
sicurezza, egli e l’amico. Perchè quelli che in guerra mostran questo
contegno, quasi quasi non li toccano neppure, ma danno addosso a chi
scappa a gambe levate. ('erto, di Socrate ci sarebbero da lodare
molti altri lati, e non meno ammirevoli. Però d’altre qualità si
può forse dir lo stesso anche per altri, ma quel non essere simile
a nessun altro uomo, così tra gli antichi come tra’ presenti, questo è
soprattutto ammirevole. Ad Achille, per esempio, possiamo paragonar
Bràsida e qualche altro, e Pericle a Nestore e ad Antenore e ce n’ò
parecchi e così potremmo trovare dei confronti per altri. Ma un uomo che
sia stato per originalità come costui, e lui e i suoi discorsi, nessuno
non lo troverebbe nemmeno a un dipresso, per quanto cercasse, nè tra
i presenti, nè tra gli antichi, a meno che non lo paragoni a quelli
che dicevo, a nessun uomo, ma ai Sileni e ai Satiri, lui e i suoi
discorsi. Giacché, a proposito, anche questo ho dimenticato di dirvi
da principio, che anche i suoi discorsi sono in tutto simili ai Sileni
che s’aprono. Infatti, se uno volesse prestare orecchio ai discorsi di
Socrate, gli par- Allusione al v. delle ‘Nuvole’. Brasida, morto in
una famosa battaglia, nella quale inflisse uno terribile rotta affli Ateniesi
presso Anflpoli, colonia attica sullo Strimone in Tracia da lui tolta ai
suoi fondatori, fu uno dei più eroici e maffnanimi generali
spartani. Antenore, eroe troiano, che ai distingueva per la sua
prudenza, come per prudenza c valore si distingueva Nestore tra
Greci. rebbero addirittura ridicoli a prima giunta; tali sono le
parole e le frasi di cui si rivestono, pelle di satiro burlone: non
discorre che d’asini da soma e di fabbri e di calzolai e di conciapelli,
e par che dica sempre le stesse cose con le stesse parole, sicché
qualunque persona ignorante e sciocca può ridere dei discorsi di lui. Ma
chi per caso li veda aperti e vi s’addentri, prima di tutto li troverà i
soli discorsi che entro di sé abbiano una mente, e poi divinissimi e
pieni d’innumerevoli simulacri di virtù, tendenti ad altissimi fini, o, per dir
meglio, tendenti a tutto quello a cui deve mirare chiunque voglia essere
un uomo veramente ammodo. Questo, amici, è il mio elogio di Socrate.
E d’altronde, mescolandovi anche le accuse, v’ho detto in che egli
mi offese. Del resto egli non s’è condotto a questo modo soltanto
con me, ma e con Càrmide di Glaucone e con Eutidemo di Diocle e con
moltissimi altri, dei quali si fingeva l’amante, e ne divenne piuttosto 1
amato. E perciò appunto avverto anche te, Agatone, di noli lasciarti
abbindolare da. costui, ma, ammaestrato dai nostri casi, sta’ in guardia
e non imparare, secondo il proverbio, come uno sciocco, a proprie spese. Quando
Alcibiade finì di discorrere tutti, al dire d’Aristodemo, scoppiarono in
una grande risata per la franchezza di lui, chè si mostrava tuttora
innamorato di Socrate. E Socrate osservò: Alcibiade, tu non sei, mi pare,
niente affatto ubriaco, altrimenti non avresti potuto, rigirando con
tanta abilità il tuo discorso, nasconder lo scopo di tutto quello che hai
detto, e che hai poi accennato di straforo -in fine di esso, quasi
che non avessi parlato unicamente per questo: pei metter Càrmide
ora zio di Platone dal lato materno. Nel dialogo intitolato da lui cl 6 dipinto
corno bello dolio persona e d’animo aperto agli studi filosofici.
Aristocratico o partigiano doll’orìstocrazia, cadde nel. combat- tlmonto
ia seguito al quale fu rovesciato il governo del Trenta tiranni. Eutidemo
di Diodo ora un giovano ammiratore di Socrato da non confonderò col
solista omonimo da cui s’intitola un dialogo platonico. Aeoonno ad un
proverbio olio troviamo gu\ sotto varie forme in Omero e in
Esiodo. male tra ine e Agatone, perchè ti sei fitto in mente che io
devo amare te e nessun altro, e Agatone dev essere amato da te e da
nessun altro. Ma ti sei tradito, e tutti hanno visto a che mira codesto
tuo (trama satiresco e silenico. Senonchè, caro Agatone, procuriamo che
egli non se ue giovi punto, ma fa’ in modo che nessuno metta male
tra me e te. E Agatone: Socrate, in fede mia, hai ben ragione, mi
pare. E lo argomento dal fatto ch’egli s’è venuto a sdraiare in mezzo tra
me e te per tenerci separati. Ma non ne caverà nulla, anzi io verrò a
sdraiarmi accanto a te. Benissimo, rispose Socrate, vieni qui, alla
mia destra. O Zeus, disse Alcibiade, che mi tocca di soffrire
da quest’uomo! Vuol sempre e ad ogni costo sopraffarmi, ila, se non
altro, mirabile uomo, lascia che Agatone resti almeno fra noi
due. Impossibile, riprese Socrate. Tu hai lodato me, io, a mia
volta, devo lodare chi mi sta a destra. Se Agatone si sdraierà dopo di
te, non dovrà egli lodare nuovamente me piuttosto che esser lodato da me?
Ma via, non insiste, divino amico, e non invidiare a questo giovane le
lodi che voglio farne, perchè sono impaziente di tesserne l’elogio. Ahi!
Ahi! Alcibiade, disse Agatone. Non c’è verso che io resti qui; cambierò
posto ad ogni modo per avere le lodi di Socrate. Ed eccoci alle
solite! Dov’è Socrate, è impossibile che un altro goda delle belle
persone. Vedete ora che pretesto opportuno e plausibile ha saputo
trovare, perchè Agatone vada a mettersi accanto a lui! A questo
punto, dunque, Agatone si levò per andare a sdraiarsi a lato a Socrate.
Ma, ad un tratto, ima numerosa brigata di nottambuli avvinazzati
giunse davanti alla porta-, e trovatala aperta, perchè qualcuno era
uscito, si cacciò nella sala e prese posto a tavola. Allora il chiasso
divenne incredibile, e tutti, senz’alcuna regola, furon costretti a bere
disperatamente. Erissimaco, Fedro e qualche altro, diceva
Aristodemo, andarmi via; egli fu preso dal sonno, e rimase un gran
perché le notti eran lunghe, ne S1 tratto a do ’ oa nto dei galli. E destatosi, TJu .o „
se no er.no andnft de elio h U ‘ ^tofane e Socrate rimanevano au-
soltanto Agatone, AJq ^ ^ verg0 destra, da coni desti, So ’ ora te
discorreva con loro. Di che una gran donassero, Aristofane non
ricordava Costi > c qonneòchiare, e prima cadde addormen cominciarci
<,, minutar del °iorno, Agatone. iiiiSBESii naia e
Topo, siiinmbrunire, tornò a casa a riposare. uno dei
"aeiia oitu ° 8oelto più tardi da Aristotele a sede
della sua scuola. rz„thvohro. Apologià, Crito, Phneilo (Bonghi) l Mn t O
i e- 0 ; 0 I ? n ^ P 0 hnni sulla vita d, Platone .> 0 I»
'£..fed5sicr-.tè » n il Fellone • • • ent,; r ii, curante H. Ottino
1 20 ® e “*^®ffTni CÌr An b
i •" K,l ”. SI; . . >, ' 1 . Li
ber > Al Jri rimedia), curante H. Ottino.> H Institut.o Cyrt^C P c 1 q
uìi i h (prossima pubblio a zwnt). 11 Gerone, e cor» Colon0i ourlHÌt e E.
De March. . ® Sofocle “Tt? ì>e Marchi). 1 S°Cchtnie?curante
S. Traduzioni di Autori Latini. V
Enitalamio per le nozze ili 'fetide c l'eleo. Carme Catullo 0. v Ri ‘moento e
traduzione poetica di 1. Gironi L. 1 20 testo latino, c.i J _ p 008ie scc
lte voltate in prosa italiana, cor Catullo, libali»^ Vtoerzo i Seconda edizione
o0 redato di noto da/-.. „ uorro gallica e civile volg.,nauti
da CM ‘ te c-Ugoni SS bmg;.aifchc e sferiche per cura di G.
Pinzi _ commentari sulla guerra gallica Commentari “ u R“XTett£e
piti 'comunemente studiate negli istituti “•Soi."Traduzione di
VzfcUhcorredata TnSi’eJ'rivcdut’a'mi cmeUita suil’ediz. Tei.tiiicriuna da
T. Gironi Dei Doveri (gli Uiìzi) .*.> La Vecchiezza e l’Amicizia a- x g Pollini . 1 “ Scinione. Testo
eversione pe cu Il «agito cU^o^iono T^to e g- - L’orazione a difesa
di T. A., a Capitani ; traduz. e noto di Z. Canni Cornelio N. - De vite
degli eqooULnn C 1 t ^ ^ note storiche, lllolo- Fedri). Favole
voltate in lingua la"™! .1 . s, edizione gicl.e, geografiche e mitologici
e da Atm rm^ Q Le favole nuovo recate in v( ;^ 1 (la o. L. Mabil:
Livio T. La Storia romana,
tradotta na .> l,ibri I-H riveduti da T. Gironi. da !.. Andreozzi. {In ristampa)- fji r0 „i.
con note. > 1 Fasti; volgarizzamento poetico d. i. ., Ut
£ UMli; . • ‘ tro ; nionotu. 'lesto latino e traduzione
to^A.-Trin»mmu8V\T V sia,«nini «uiBnao scoile; ioni»» w
Tibullo. Catullo e Properaio. a 0 . / Vrtw.5-C?, S?, !h
SSutS"., 1 . K«1J« * «* Le imprese di AU-h-u» 1 poetico d. f.
Girci,. e > viratila p m 1,11 Buoolieu ; '•o'K,n,fAf“"' i r
s ., lix | 0 n>- 1 ; fllnlnma 0 dhltterpi ih rtó di' opere e
ani Lm-iiif. (tradotta da Caro) coti not' • n ftr bone
gariz/iuneuti di Virgilio, u cura «li * PARAVIA et C. Traduzioni di Autori
Greci Aaaertonle ed Anacreontiche.
Traduzione letterale con riguardo alla costruzione-o brevi note per 01.
Aurenghi: Edizióne espurgata L. Demostene
Le tro Orazioni contro Filippo; traduzione letterale con ri- J. guardo
alla costruzione o note per Ol. Aurenghi Lo Olinticho; traduzione letterale
italiana con riguardo alla costruzione o note per 01. Auronghi. Kschllo.
Le Eumenidi, dramma. Traduzione letterale con riguardo alla
costruzione 0 uote di 01. Aurenghi.> Esiodo.
Le opere e i giorni. Traduzione di C. Mazzoni ( jìroasima
pubblicazione). filala. Eo Orazioni contro Eratostene c contro
Agorato; traduzione lct- teralo con riguardo alla costruzione e
note poi 01. Aurenghi . j j0 Orazioni:
per un cittadino uccusuto di moueoligar chiche Fer un invalido; traduzione letterale, coti
riguardo alla costruzione, e note di Ul. Aurenghi. Omero.Canto VI dellTliado;
colloquio di Ettore e di Andromaca. Traduzione e noto per 01. Aurenghi.> 0
60 Iliade; canto I, La peste - L’ira. Trad. letterale e noto per
01. Auronghi > 0 60 Odissea ; canto I, Concilio degli Dei - Esortazione
di Atena a Telemaco. Traduzione letterale e note per Ol. Auronghi
.L’Odissea tradotta da Pimientonte, con note di X. Festa.> Platone. I
dialoghi. Nuovo volgarizz. di GL Me ini, con argoiuonti e note: Il
Olitone, ossia dello azioni l in ristampo,). L’Eutitxom, ossia del Santo. Apologia
di Socrate.> Fedone, OEsìa della immortalità dell’amiPft.> Il r elione. Ubala uuiiu mimui imiia ucii .
Il Critone; traduzione letterale italiana con riguurdo alla costruzione
o noto per DI. Auronghi.Apologia di Socrate; traduzione letterale,
italiana con riguardo alla costruzione e noto per 01. Aurenghi.v
..Fedro,Traduzione di Martini. Il Convito. Traduzione di Martini. Senofonte. Anabasi
0 spedizione di Ciro, traduzione di Aaibrosoli Mollnori Mi; Brani scelti
di poemi omerici è dólPErieide nelle migliori iitO/lllTt/ln! I Kt
I r. i\ » biuuufiiuin immilli! .. 1
Oi*j “* Crestomazia degli autori grooi e latini nelle migliori
traduz. italiane . lo ; Botiertl'G,
La eloquenza greca. Vita ili Pericle. Epitomo, nigonmuto © noto Vita di
Usila. Apologia prr l uccisione di Eratostonn, argomento e noto. Orazione
contro Erntostono, argomento © noto Orazioni» contro AvÀrnth nmninanfi.
1» nnit> — vii» ft’Tsn, AUMENTO. Carlo Alberto Diano. Carlo Diano. Diano.
Keywords: errante dalla ragione, emendato, il segno della forma, il simposio
ovvero dell’amore, Mario l’epicureo – homosocialite – forma, segno, convite,
Orazio, Virgilio, filosofia roma antica. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Diano”
– The Swimming-Pool Library.
Luigi Speranza --
Grice e Dicante: la ragione conversazionale e la diaspora di Crotone -- Roma – filosofia
italiana – Luigi Speranza (Taranto).
Filosofo italiano. According to Giamblico, a Pythagorean.
Luigi Speranza --
Grice e Dicerco: la ragione conversazionale e la diaspora di Crotone -- Roma – filosofia
italiana – Luigi Speranza (Taranto).
Filosofo italiano. According to Giamblico di Calcide (“Vita di Pitagora”), a
Pythagorean.
Luigi Speranza --
Grice e Diconte: la ragione conversazioale e la setta di Caulonia -- Roma –
filosofia italiana – Luigi Speranza
(Caulonia). Filosofo italiano. According to Giamblico, a Pythagorean.
Luigi Speranza --
Grice e Dima: la ragione conversazionale e la setta degl’ottimati -- Roma –
filosofia italiana – Luigi Speranza
(Crotone). Filosofo italiano. According to Giamblico a Pythagorean.
Luigi Speranza --
Grice e Diocle: la ragione conversazionale e la a setta degl’ottimati -- Roma –
filosofia italiana – Luigi Speranza
(Crotona). Filosofo
italiano. According to Giamblico, a Pythagorean – one of those who left Italy
when the Pythagorean communities there came under attack. According to Diogene Laerzio, a pupil of Filolao di
Crotona and Eurito di Taranto.
Luigi Speranza --
Grice e Diocle: la ragione conversazionale a Roma – filosofia italiana – Luigi
Speranza (Sibari). Filosofo italiano. Pythagorean.
Giamblico.
Luigi Speranza --
Grice Diodoro: la ragione conversazionale all’orto di Roma – filosofia italiana
– Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. A follower
of the Gardener. He committed suicide in a state of contentment and with a
clear conscience, according to Seneca.
Luigi Speranza --
Grice e Diodoro: la ragione conversazionale a Roma – filosofia italiana – Luigi
Speranza (Palermo). Filosofo italiano. He writes a
history of the world that largely survives. The Library of Hstory is a valuable
source of information about the thought of antiquity. Ed. C. H. Oldfather. Diodoro Secolo. Diodoro.
Luigi Speranza --
Grice e Diodoro: la ragione conversazionale e la rettorica filosofica -- Roma –
filosofia italiana – Luigi Speranza
(Roma). Filosofo
italiano. According to Suda, a philosopher and the son of Polio Valerio. He wrote on rhetoric. Diodoro Valerio. Diodoro.
Luigi Speranza --
Grice e Diodoto: la ragione conversazionale al portico di Roma – filosofia
italiana – Luigi Speranza (Roma).
Filosofo
italiano. Member of the Porch, tutor of Cicerone. He lives in Cicerone’s house.
He dies there and leaves Cicerone all his
property.
Luigi Speranza --
Grice e Diogene: la ragione conversazionale al portico a Roma – filosofa italiana – Luigi
Speranza (Roma). Filosofo italiano. One of a deputation to Roma – with
Carneade and Critolao – before the Senate. Thanks to the lectures he gives
during his Roman holiday, many Romans became interested in the Porch for the
first time.
Luigi Speranza --
Grice e Dione: la ragione conversazionale all’orto di Roma – filosofia italiana
– Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. He appears
to have been a follower of The Garden with whom Cicerone was acquainted but for
hom he had little time or respect.
Luigi Speranza --
Grice e Dione: la ragione conversazionale del principe filosofo -- Roma –
filosofia italiana – Luigi Speranza
(Roma). Filosofo
italiano. Cristostomo – Cocceiano – Taught at Rome, became a philosopher thanks
to the influence of Musonio Rufo. According to Flvio Filostrato, he was
acquainted with Apollonio and Eufrate. One of his pupils was Favorino. He was
banished from Italy by Domiziano.
Luigi Speranza --
Grice e Dione: la ragione conversazionale a Roma – filosofia italiana – Luigi
Speranza (Roma) Filosofo italiano. Philosopher.
He was honoured by a statue in Rome.
Luigi Speranza --
Grice e Dione: la ragione conversazionale all’isola – Roma – filosofia italiana
– Luigi Speranza (Siracusa). Filosofo italiano. A friend
of Plato for years. He had an erratic political career, sometimes seeking or
managing to rule Syracuse either directly or through others, sometimes in
exile. During one of his periods in exile he stayed at the Accademia. He was eventually assassinated.
Luigi Speranza – GRICE ITALO!;
ossia, Grice e Dionigi: la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale intorno al
Cratilo – scuola di Barletta – filosofia barlettese – filosofia pugliese -- filosofia
italiana – Luigi Speranza (Barletta). Filosofo barlettese. Filosofo pugliese. Filosofo
italiano. Barletta, Puglia. Grice: “I like Dionigi; for one, he wrote on
Cratylo, which I love!” – Grice: “In Plato’s Cratylo there’s possibly all the
vocabulary you need to understand Peirce! As if Plato foreshadows C. W.
Morris!” -- “Postmodern Italians like Donigi, and they created a cocktail in
his honour! His philosophising on Socrates philosophising with Cratilo on
semeiosis proves Whiteheads’s dictum that all pragmatics is footnotes to Grice,
and all Grice is footnotes to Plato!” Si laurea a Barletta. Il suo primo saggio, sotto Althuser, Bachelard.
La "filosofia" come ostacolo epistemologico. Insegna Bologna. Centrale,
nella sua riflessione, e Nietzsche (Il doppio cervello di Nietzsche), analizzato
sia in chiave ermeneutica che logico-filosofica. Anche Bataille e un lucido
bilancio di Marx ("L'uomo e l'architetto”). Il processo di ripensamento
della sinistra italiana lo vide di nuovo impegnarsi in prima persona. Si
accostò poi alla filosofia analitica e alla svolta "linguistica",
vista come approfondimento della critica della metafisica. Le saggi si
concentrano sull'ermeneutica ("Nichilismo ermeneutico”), sulla semiotica,
segnatura, semantica antica (Nomi Forme Cose. Intorno il “Cratilo” di Platone)
e soprattutto sul pensiero di Wittgenstein (Definite descriptions – descrivere
-- La fatica di descrivere. Itinerario di Wittgenstein nel linguaggio della
filosofia), del quale condivideva pienamente l'esigenza di ripensare il
linguaggio (segnatura) come la "cosa stessa" della filosofia. “Cocktail Dionigi” e un documentario
contenente testimonianze di alcuni dei maggiori pensatori italiani su Dionigi,
tra i quali Berardi, Bonaga, Picardi, Eco, Cacciari, Marramao. Altre opere: Bachelard. La "filosofia"
come ostacolo epistemologico, Il doppio cervello di Nietzsche, Bologna,
Cappelli Editore, Nomi Forme Cose. Intorno al Cratilo di Platone, La fatica di
descrivere. Itinerario di Wittgenstein nel linguaggio della filosofia: “Un
filosofo tra Platone e il bar” – cf. Speranza, “Grice: un filosofo tra
Aristotele e il pub”. su
ricerca.repubblica, Cocktail Dionigi. The
development of Plato’s “Cratilo”. Commentaries on the Cratilo nella filosofia romana antica.
Cicerone e il Cratilo. Κρατύλος -- Sulla
correttezza -- dei nomi. Personaggi: Socrate, Cratilo, Ermogene. Il Cratilo è
un dialogo di Platone. In esso è trattato il problema del linguaggio, o meglio,
della “correttezza” -- dei nomi o espressioni. Protagonisti del dialogo sono
Socrate, Ermogene e Cratilo. La maggior parte dei filosofi concorda sul
fatto che venne scritto principalmente durante il cosiddetto periodo di mezzo
di Platone. Incontro tra Socrate, Ermogene e Cratilo. Formulazione del problema
e delle due tesi sulla ‘correttezza’ – corretto – lo corretto – di una
espressione o nome. Socrate incontra Ermogene e Cratilo, che stanno discutendo
attorno al problema del ‘corretto’di una espressione e viene messo a parte da
Ermogene delle teorie di cui sono sostenitori. Cratilo afferma infatti che una
espressione e “per natura” – physei -- ossia rispecchia realmente il reale; Ermogene
crede invece che l’espressione e non naturale, ma arbitrario (lo naturale,
physikos; l’arbitrario – thetikos --. deciso dall’uso e dalla convenzione.
Confutazione della tesi di Ermogene: Una espressione racchiude in sé qualcosa
della cosa (il reale) a cui si riferisce. Socrate comincia a confutare la tesi
di Ermogene, mostrando che una espressione non e solo convenzioni, ma anzi
rappresentano un qualcosa della cosa o del reale a cui si riferiscono; contiene
cioè una qualche caratteristica che la rende perfetta nell'adattarsi alla cosa
descritta. Lo dimostra il fatto che esistono un discorso vero e un discorso
falso. Poiché l’espressione (A, B) è parte del discorso (A e B, S e P), è
evidente che l’espressione utilizzata nel discorso vero deve essere ‘corretta’.
Quella usata nel discorso falso non lo e. Colui che ha deciso l’espressione, il
legislatore, uomo sapiente (the master) ha infatti rivolto la sua attenzione
all' ‘idea’ o concetto (implicatum) dell’espressione, adattandolo poi a questa
o quella necessità descrittiva, adoperando sillabe e lettere differenti. Il legislatore
crea una espressione solo corretta, basandosi proprio sulla natura della cosa,
del reale. Ha qui inizio una sezione etimologica. Vengono presi in
considerazione l’espressione di dèi come “Tantalo” e “Giove” e viene
parallelamente sviluppato un eguale ragionamento sull’espressione delle qualità
dell'uomo, come l' “anima” o il “corpo”. In seguito si passa ad analizzare il
‘corretto” dell’espresione degli astri, dei fenomeni naturali. Il ragionamento
si dilunga sulle qualità morali dell'uomo. Il corretto di una espressione
si misura in base al corretto degli elementi che lo compongono, le fonemi Dopo
questa disquisizione Socrate spiega ad Ermogene che l’espressione fino ad
adesso analizzato e una espressione composta (complexus). Questa caratteristica di essere un compost
(complexus) la rende suscettibili di un'ulteriore indagine: quella degli
elementi che lo compongono, come le fonemi. Le fonemi, o, più in generale,
l’elemento morfo-sintattico che forma l’espressione (“Fido is hairy-coated”,
Fido was hairy coated, Fido and Rex ARE hairy coated – l’espressione, deve infatti
riprodurre l'essenza della cosa, del reale, giacché è al reale che si riferisce.
Inizia qui l'analisi di alcune fonemi come rho e lambda. Cratilo si oppone a
questa tesi di Socrate. Sostiene che una espressione è sempre giusta, corretta,
propria, vera, perché è della stessa natura delle cose che descrive. Una sbagliatura
non è una espressione. Socrate comincia a confutare la tesi di Cratilo. Non è
possibile infatti dire che l’espressione e il reale a cui si riferisce siano la
stessa cosa. L’espressione “Fido is hairy coated” e il fatto che Fido is hairy
coated e proprio hanno qualcosa in comune, così come un ritratto di Alcebiade
racchiude qualcosa d’Alcebiade che reproduce. Tuttavia non sono due cose
uguali. Se si ammette questo fatto (e Cratilo, seppur poco convinto, lo fa)
bisogna allora ammettere anche che esistono sbagliatura e l’espressione
corretta, vera, giusta. Del resto un ritrattista può nelle intenzioni riprodurre
Alcebiade e poi essere dissimile. Cratilo contesta ancora a Socrate il
problema della conoscenza tramite il linguaggio. Se l’uomo conosce e apprende
il reale attraverso l’espressione, è evidente che non potrebbe esistere nessuna
conoscenza se l’espressione non fosse corretta, vera, giusta, propira, cioè se
l’espressione non fossero della stessa natura delle cose. Socrate sostiene
allora che un legislatore, all’adopere una espressione, non è detto che avesse
un'opinione giusta corretta vera del reale. Il legislatore infatti non poté
apprendere attraverso l’espressione, perché ancora non era stata inventata (cf.
muon). È possibile allora che abbia fatto dell’errore e ciò è dimostrato dal
fatto che una espressione puo non essere corretta, giusta, vera – atomo, anima,
ecc. Esiste un modo migliore per conoscere: non attraverso l’espressione, ma
attraverso il reale; solo il reale puo non essere contraddetto, mentre
l’espressione si presta a molteplici interpretazioni. La possibilità di una
conoscenza (opinione vera e giustificata) e del corretto dell’espressione
risiede nella stabilità del reale. Poiché la natura è stabile, e rimane sempre
uguale, allora è possibile denominarla con precisione. Cratilo si mostra
poco convinto e alla fine si allontana da Socrate insieme ad Ermogene. Ermogene
simboleggia la concezione sofistica del linguaggio. Per il sofista, a partire
dal italico Protagora, se “l'uomo è misura di tutte le cose”, ogni tipo di
espressione si adatta a seconda delle condizioni poste dall'uso. L’espressione
“Fido is hairy-coated” è puramente arbitraria – convenzionale. E possibile che
non c'è nulla in comune tra una espressione ed il reale (traspassa la fase
iconica). Tuttavia l'uso comune fra il mittente e il recettore ha permesso
quest'accettazione (arbitraria da parte del mittente) e si reputa ‘corretto’
spiegare che Fido è ‘hairy-coated (shaggy)’. Tuttavia ugualmente bene andrebbe
l’espressione "scoiattolo" o "cicala" giacché non sussiste
nessuna somiglianza tra l’espressione (“shaggy”) e il reale
(hairy-coatedness). Cratilo simboleggia invece la concezione naturale
(pre-iconica) della communicazione. Esiste un'assoluta identità tra espressione
e espressum, explicatura ed explicatum, implicatura ed implicatum, profferenza
e profferito. L’espressione è vera sempre, perché racchiude in sé la stessa natura
che pervade il reale segnato per il segno che e primariamente iconico. Ogni
espressione è un “indizio” (index, traccia, segnale) di conoscenza, di una
conoscenza meravigliosa, divina, quasi sacrale. Il segno è giusto perché il
primo legislatore a segnare il segnato fu come un dèo che, essendo perfetto,
assegna un segno (fa un segno – significa) perfetti al segnato. Una sbagliatura
non e un segno; Non tutto e un segno --. Platone fonda la sua concezione
della communicazione sull'ontologia. Per Platone è immediatamente evidente che
esista un segnato al di fuori del segno; è il segnato stesso a cui il segno si
riferisce. Bisogna infatti che esista un segnato perché esista una segnabilita.
Senza questo segnato, senza quest'essenza, rimarrebbe inutile segnare, giacché
non si dovrebbe indicare “nulla” con il segno, perché non ci sarebbe nulla da
indicare. Platone allora comincia dal Cratilo ad elaborare una teoria dell’idea
immutabile: di un'essenza stabile nella natura, che rimanga uguale ed
inalterata nel tempo e che renda valida la segnabilità. Più volte Platone fa
riferimento alla figura del legislatore e a quella del dialettico. La figura
del legislatore è la figura di colui che adopera il segno per riferirsi al
segnato. Si utilizza il termine legislatore in senso molto ampio, intendendolo
sia come uomo sia come divinità, secondo la concezione naturalistica di
Cratilo. Tuttavia si è visto come Socrate alla fine dubiti della infallibilità
del legislatore, poiché egli ha assegnato anche un segno errato. La figura del
dialettico rappresenta invece la nuova concezione del linguaggio elaborata da
Socrate. Secondo Cratilo non esiste altra conoscenza al di fuori del segno.
Platone invece è convinto che la vera conoscenza sia al di là del segno,
nell'essenza stessa del segnato. Se il legislatore è colui che crea il segno
sulla sua opinione riferendosi alla natura del segnato, il dialettico conosce
il segnato e in maniera approfondita e, di conseguenza, sa quale segno attribuire
al segnato (H2O). Tale segno (H20) sarà per forza corretto. Genette,
nell'opera Mimologie. Viaggio in Cratilia, parte dal discorso di Platone per
argomentare l'idea di arbitrarietà del segno. Secondo questa tesi, sostenuta da
Grice con il suo “Deutero-Esperanto” e il nuovo “High-Way Code”, il
collegamento tra il segno e il segnato non ha necessita di essere naturale (“A
segna che p” no implica “p”). Le idee sviluppate nel Cratilo, benché datate,
storicamente sono state un importante punto di riferimento nello sviluppo della
prammatica. Sulla base del Cratilo Licata ha ricostruito, nel saggio Teoria
platonica del linguaggio. Prospettive sul concetto di verità (Il Melangolo), la
concezione platonica della semantica, in base alla quale il segno avrebbero un
legame naturale, una fondatezza essenziale, col loro segnatum. Sedley, Plato's Cratylus,
Cambridge. Bibliografia ̈ Ademollo, ‘The Cratylus of Plato. A Commentary’, Cambridge.. Gaetano Licata, Teoria
platonica del linguaggio. Prospettive sul concetto di verità, Genova: Il
Melangolo, Luigi Speranza, “Platone e il problema del linguaggio” seminario.
Lettura e commentario di testi di filosofia antica. testo completo in italiano
e lingua greco antico. Traduzione integrale del Cratilo su filosofico.net, su
intratext.com. Il testo greco presso il Perseus Project, su perseus.tufts.edu. Sedley,
Plato's Cratylus, in Zalta (a cura di), Stanford Encyclopedia of Philosophy,
Center for the Study of Language and Information (CSLI), Università di
Stanford. Bibliografia su Cratilo. Dialoghi di Platone I tetralogia Eutifrone Apologia
di Socrate · Critone · FedonePlato-raphael.jpg
tetralogia Cratilo Teeteto Sofista Politico III tetralogia Parmenide
Filebo Simposio (o Convivio) Fedro tetralogia Alcibiade primo · Alcibiade
secondo Ipparco Amanti V tetralogiaTeage · Carmide · Lachete · Liside VI
tetralogia Eutidemo Protagora Gorgia Menone VII tetralogia Ippia maggiore Ippia
minore Ione Menesseno VIII tetralogia Clitofonte La Repubblica Timeo Crizia IX
tetralogia Minosse Leggi Epinomide Lettere Opere spurie Definizioni Sulla
giustizia Sulla virtù Demodoco Sisifo Erissia Assioco AlcioneEpigrammi. Linguistica
Categorie: Dialoghi platonici CRATILO VEL DE RECTA NOMINVM RATIONE: TRANSLATVS
FICINO (si veda) ad Petrum Medicem uirum clariſſimum. A MARSILIO ec HERMOGENES.
CRATYLVS, SOCRATES. Is igitur sermonem nostrū et cum hoc Socrate conferamus:
CRAT. Vo: Io equidem, si tibi uidetur. HER. Cratylus hic ô Socrates, rebus
singulis ait natura inesse rectam nominis rationem, neqid esse nomen, quod
quidã ex constitutione vocant, dum vocis suæ particulam quandā pronunciat, sed
rectam rationem aliquam nominū et græcis et barbaris eandé omnibus innatam.
Percontor itags ipsum, num revera Cratylus sit eius nomen. Ipfe fatetur.
Socrati vero quod nomen, inquam: Socratesait.Nónne cæteris omnibus,inquã,id eft
nomen quo quenquocamus.Illenõ tibi tamen ait Hermogenes nomen eſt,nec etiã ſi
omnes homines teita uocarint. Dumýobfecro ut ſciſcitanti mihi quidnamdicat
aperiat, nihil prorſus declarat, sed me ludens, simulatſeſe aliquid
uerſareanimo,quali nõnihil hac de re intelligat,quod li uellet
exprimere,cogeret meidipfumfateri,eadēý dicere quæ ipſe dicit. Quamobrem
libenter ex te audirem, siqua ratione Cratyli uaticiniâ potes conījce
se.libentius tamen fencentiam tuam denominum rectitudine,fiquidem
tibiplacet,audi rem. soc. Hipponici fili Hermogenes,ueteriprouerbio fertur.
Pulchra eſſe cognitü Prouerbia e difficilia.Atquiilla nominū notitia haud parua
res eft.Equidem ſi ex Prodico illa quin quaginta drachmarum demonſtrationě iam
olim audiffem, in cuius traditione etiã hæc inerant, ut ipſeteſtatur, nihil
prohiberet quin tu ſtatim nominū rectitudiné intelligeres. cam porrò nun
audiui, fed illamdrachmæunius duntaxat. Quare quid in his uerû ſit, neſcio,inueftigare
autem tecum ſimul &cum Cratylo paratus ſum.Quodautem dicit ti bi noneſſe
reuera nomen Hermogenes,quod à lucro dicitur, mordetteputo quaſi pecu niarum
auidus ſis, et impos uoti. Verum,ut modo dicebam, diſficilia hæc cognicu ſunt.
Oportet autem rationes utring in medium adducendo perquirere,utrum ita sit ut
dicis ipse, an potius ut Cratylus ait. HER.Enimuero ô Socrates,licet frequenter
cum hoc cær terisc permultis iam diſputauerim,nondum tamen perſuaderimihi
poteft aliã eſſe no minisrectitudinem, conuentionemipfam conſenlionemě.Mihi
quidē uidetur quod cungnomen quis cuig imponit, id eſſerectů.Acſi rurſus
comutat,aliudó imponit, ni hilominus o primum, quod illi ſuccedit nomen rectấexiſtere,
quemadmodüſeruis no mina cómutare solemus: nulli quippe rei natura nomē
ineſſe,fed lege &uſu illorum qui fic uocare conſueuerunt.Quod quidem ſi
aliter ſe habet,paratus ſum non à Cratylo tan tum,uerumetiã àquouis alio
diſcere ac audire.soc.Forte'aliquid dicis Hermogenes: Conſideremusitap. quodcũq
imponit quis cuinomen uocato, id illi nomen effe af feris:HER.Mihi ſane'ita
uidetur. Soc. Et ſiue priuatus uocet, ſiue civitas. HER. Affero. soc. Quid vero
si ipſerem aliqua vocem, veluti fi quem nunc hominem vocamus, ego “equum” nominē,
quem'ue equum, hominē: publice quidem erit eidē homo nomen, pricatim “equus”,
&priuatim rurſus homo, publice “equus”. Ita loqueris: HER.Ita uider.soc. Diciterum
num aliquid nuncupes vera loqui, aliquid loquifalſa. HER. Equidem. Soc. Nónne
illa quidem uera erit orario,hæcaūtoratio falſa: HER.Ita prorſus. So c.Illa
uero Quæ oratio oratio quæ existentia dicit ut exiſtűt, vera est,quæ ut no
exiſtűt, falsa: HER.Certe. soc. uera, quæ Est autem hoc,oratione,ea quæ ſunt,
et quæ non ſunt,dicere?HER.Idipfum.soc. Ora- falfa cio quæ uera eſt,utrum tota
quidem eft uera,partes non uerærher. Imò&partes ueræ. soc. Vtrữ partes
magnæ ueræ,exiguæ uero particulæ fallæ,an ueræ ſunt omnes. HER. Omnes arbitror.
soc.Habes orationispartem aliquã minorēnominer HER.Nequaç, Orationis hęceſ pars
minima.so c. Et NOMEN quidē hoc pars orationis ueræ.H ER.Proculdubio. pars
minio soc.Pars utiq uera,utais ipſe. HER.Vera.soc.Pars autem falfa.HER.Aio.
soc. Licet ma eſt nos ergonomen uerű, et nomen falſum dicere, fiquidē et orationem.HER.
Quid prohibet, men soc. Quod quis cuiq nomen esse ait,id et cuiq; nomen eft? HER. Idipſum. soc. An
etiam quotcungquis nomina cuique tribuit,totidem erunt:ac etiam quandocuno tri
buit HERM. Haud equidem habeo Socrates, aliquam præter hanc nominis
rectitudinem am rerum ipſas effe dinens, ut uidelicetliceat mihi quidē alio rem
uocare quodipfe impoſuinomine,tibiay tem alio quod tuimpoſuifti. Ita equidem in
ciuitatibus uideo eorundem ppria quædam haberinomina, et Græcis ad alios Græcos,
et Græcis ad Barbaros. soc. Animaduerta. Mus Hermogenes,utrum resipilaita se
habere tibiuideantur, utpropria rerum apudu Sententia numquenq effentia fit,
quemadmodum Protagoras tradidit: rerum omnium dicens ho Protagoræ minem effemenſuram,
ita ut qualiamihiquæq uidentur,talia et mihiſint: item qualiad circa eflenti
big& tibi talia. An potius quædam eſſe putes, quæ effentiæ ſuæ quandã
habeant firmita rém.HER.QuandogóSocrates,dubitansad hæc deductusfum, quæ tradit
Protagoras. Ita tamen effe haud fatis mihi perſuadeo.soc. Nunquid et ad hoc
aliquando es dedu ctus, ut tibinequaquam uideretur aliquem eſſe hominem omnino
malum: her. Non per louem.imò fæpenumero ita fum affectus,utexiſtimarem
hominesnonnullosomni nomalos effe, et quidem plurimos.soc. Prorſus autem boninulliadhuc
cibi ufi funt HER. Admodum pauci. soc. Viſi ergo ſunt aliqui.HER. Aliqui.soc.
Quaratione hociudicaschac ne omnino quidem bonos eſſe,omnino prudêtes: prorſus
vero prauos imprudentes omnino: HER.Mihi fane'ita uidetur.soc. Si Protagoras
uera dixit, eſto hæcipfa ueritas,ut qualia quæą cuiq uidentur, talia ſint
fieri'ne poteft,ut alij hominum prudentes ſint,imprudentes alí:HER.Nequaquam.soc.Atqui
hæc, ut arbitror,tibi omnino uidentur,cum uidelicet prudentia quædam et imprudentia
fic,Protagorā baud omnino uera loquipoffe.Neqenim alter altero reuera
prudētiorerit,fi quæcuiquiden Sententia tur,cui uera erunt.HER.Ita eft.Atneqz
Euthydemoaffentiris, utarbitror,dicenti om Euthydemi, nia omnibus eſſe
ſimiliter ac ſemper.Nec enim ali boni, alí mali effent,fiſemper et æ nibuselle
û que omnibus et uirtus ineffet et prauitas. HER. Vera loqueris. soc. Ergo
fineqom. militer, ac nia omnibus inſunt ſemper ato ſimiliter,ne cuiq proprium
unumquodq, cõſtat res femper quæ effentiam quandam firmam in fe habent,ne® quo
ad nosneæ ànobis per imaginationem ſurſum deorfumą diſtractæ, fed fecundum
feipras quoad ipsarum elfen tiam ut natura institutæ sunt permanentes. HER.
Idem mihi quoq uidetur Ô Socrates. soc.Vtrum res ipsæ ita natura conſiſtunt, actiones
autem illarum non ita, ſed aliter: an et actiones ipsæ similiter quædam rerum species
ſunt: HER. Et ipfæ omnino. soc. Ergo actiones ipfæ secundum naturam ſuam, non
ſecundum opinionem noftram fiunt. Quemadmodum finosrem quampiam diuidere
ftatuamus,utrum ſic diuidēdares quæ que eft,utnos uolumus, et quo uolumus: an
potius ſi unumquodqs diuidamus ſecun dum naturam qua diuidere et diuidioportet,
item eo quo ſecundum naturam diuiſio fieri debet,diuidemus utiqrecte, et aliquid
proficiemus,ac recte iftud agemus: Sinau tem præternaturam,aberrabimus,nihilg
proficiemus? HER. Mihi quidem ita uidetur. soc.Atqueetiam ſicomburere aliquid
aggrediamur,non fecundum omnem opinio nem comburereoporter,fed fecundum
opinionem rectam. hæc autem eſt qua ratione naturaliter quode comburi debet atæ
comburere,& quo debet. HER. Vera hæcfunt. soc.Nónne eadem decæteris ratio:
HER. Eadem.Soc. Annon et dicere una quæ dam operationữeſt: HER.Eft
plane.soc.Vtrum rectedicet, qui ut ſibi dicendum ui detur, ita dicitran potius
qui ita dicit,utipſa rerum natura dicere diciç requiritiet fi quo natura
exigit,eo et dicat,aliquid dicendo proficiet:ſin aliter,aberrabic:nihilós
efficier. HER.Ita equidem utais,exiſtimo.soc.An non dicendipars quædam est NOMINARE:
et quinominant, loquuntur quodamodo? HER.Omnino.soc. Et nominare actio quæ dam
eft: quando quidem et dicere actio quædam circa res eft. HER. Prorſus. soc. A. Ationes
autem nobis apparuerunthaud ad nos reſpicere, fed propriam quandam ſui ha bere
naturam. Her. Est ita.so c.Nominandű itaq; ea ratione qua rerum ipsarum natu.
ra nominare ac nominari poftulat, et quo poftulat, nõ autem PRO NOSTRÆ
VOLVNTATIS ARBITRIO,liftandum est in his quæ dicta sunt. HER. Sic eſt.s o c. Ato ita aliquid per agemus,
nominabimusý, aliter uero nequaquam. HER. Apparet. soc. Quod incidendum eſt,
aliquo incidendű. HER. Aliquo.soc. Et quod texendữ, aliquo certe texendű,
quodue perforandum,aliquo perforandū. HER. Plane. soc. ltem quod nominandũ, aliquo nominandum.
HER. Sic oportet. soc. Quid illud, quo aliquid perforareoportet? HER. Terebrum.
soc. Quid quo texere: HER. Radius pecteng. soc. Quid quo nomina. Reč HER.
NOMEN. soc. Beneloqueris, ideog inſtrumentum aliquod nomen eft. HER Ert Eft. soc.
Si quærerē quod inſtrumentū eſt radiuspectený, reſponderes quo teximus: HER.Non
aliud.soc.Texentes uero quid facimus, an non fubtegmen et stamina confusa, radio
diſcernimus. HER. Iſtuc ipſum.so c. Idem de terebro ac cęteris reſpondebis:
HER. Idem. soc. Potes et circa NOMEN similiter declarare, quid facimusdum
nomine Nomen, res ipso quod inſtrumentū eſt, aliquid NOMINAMVS (H. P. GRICE. “I
name”). HER. Nequeo. soc. Nűquid docemus tias docen's inuicem aliquid, ac res
ut sunt discernimus. HER.Nempe. soc. Nomen itaqrerű ſub di discernen Itantias docendi
discernendig inſtrumentū eſt, ficut pecten et radius ipſe telę. HER. Sic
diğinftru eft dicendű. soc. Radiusporrò textorių eſt inſtrumentū. HER. Quid
nir'. SOCR.Texcor mentum icaç radio ac pectinerecte uterur, recte, inquā, ſecundű
texendirationē. Ille uero quido cet,
nomine Pombaur, et recte, recte uidelicet ſecundű docendi propriâ rationē: HER.
Cer te.soc. Cuius artificis operebene Pombaurtextor, quando radio pectineś Pombaur:
HER. Fabrilignari. soc. Quiſque'nelignarius faber,an potius quiartē habet? HER.Quiha.
betartē.soc.Cuius item opere recte perforator Pombaur? HER.Aerarijfabri.soc. Num
quiſqz eſt faberærariusè an potius quihabet artem: HER.Quiartē. soc.
Ageergo,dic cuius opere ipſe doctorutatur,quotiesnomine uticur.HER.Neſcio.soc.
Allignare et hocneſcis: quis nobis tradit nomina quibus utimur. Her. Ignoro et hoc.
soc. Nónne lex tibi uidet nobis nomina statuisse HER. Videtur. soc. Ergo
legislatoris Pomba opere doctor,quádo nomine ipfo Pombaur. HER. Opinor. soc.
Códitor legis quilibet tibi æque uidetur, an quiarte eſt præditus. HER. Arte
præditus. soc. Quarenö cuiuſcunq uiri eſt Hermogenes NOMEN IMPONERE,uerũ
cuiuſdam nominữautoris. hic autem etiam, ut videtur, NOMINVM INSTITVTOR,
quirarior omni artifice inter homines reperit. HER. Apparet. Soc. Animaduerte
obſecro, quô reſpiciens NOMINVM INSTITVTOR, NOMINA REBVS IMPONIT:imò ſuperiorű
exempla dýjudica, quò reſpiciens faber radium pecteng cõficit. non nead tale
aliquid quodad texendum natura fit aptum: HER. Prorſus. soc. Siin ipſo operera
dius hic frangatur, utrum alium iterű fabricabit ad fracti iſtius imaginēžan
potius ad ſpe ciem ipfam reſpiciet, ad cuius exemplar radium qui fractus
eſt,fecerat: HER. Adipſam ut arbitror, speciem.soc. Nón ne speciem ipfam merito
ipſius radij rationé,ipſum pra dium maximenominabimus: HER.Opinor.soc. Siquãdo
oportet cõficiendæ ueſtite nuiuelcraſſiori lineęſiue laneę,ſiue cuiuis
alteriradiữ apparare, radios singulosoportet ſpeciem radīj ipſius habere:qualis
uero cuiqznaturaliter eſt accómodatiſſimus,talem ad opus peragendű, VT NATVRA
POSTVLAT, adhibere. HER. Oportet ſané.soc.Eadem de cætè ris inſtrumétis eftratio.Nam
quod natura cui et congruit; instrumentũadinueniendum eſt,atq id
illiattribuendű,ex quo efficitno qualecunq uult quifabricat, ſed quale natu ra
ipſa exigit. Terebrum nam cuiæ accommodatum ſcire oportetin ferro perficere.
HER. Patet. soc. Radium quinetiam singulis competentem in ligno. Her. Vera hæc
ſunt.soc.Quippeipfa rationenature alius radius telæ alteri competit, et in
alijs eodem modo.HER. Sane. soc. Oportet quoguir optime, ucillenominum
inftitutor nomen Quomố no natura rebus ſingulis aptű in uocibus et fyllabis
exprimat, ad idý reſpiciés quod ipſum minabit qui nomen eſt, ſingula nomina
fingat,atque attribuat, li reuera nominum autor eſt futurus. recte nomi Quod
ſinonñſdem ſyllabis quiſq nominum conditornomen exprimit,animaduerten dum eſt,
quod neq fabriomnesærarñ eodem in ferro id faciunt, quoties eiuſdem gratia idem
fabricant inftrumentum. Verum quatenus eandem ideam attribuunt, licet in alio,
et alio ferro,eatenus recte ſe habet inſtrumentum,ſiuehic,fiue apud Barbaros
fabricēt. Nónne; HER. Maxime. soc.Nónne et eodem modo cenſebis,donec inſtitutor
no minum quiapud nos eſt, et qui apud Barbaros, nominis speciem cuim cõpetentem
tria buunt,in quibuslibet fyllabis nihilo deteriorem efle unű altero in
nominibus imponena dis: HER. Equidem. SOCR. Quis cogniturus eſt utrum
conueniens radij species cui cunqueligno fitimpreſſar num faber qui efficit: an
textor uſurus. HER. Probabile eft ô Socrates,magis eữ quieſt uſurus,
cognoſcere.soc. Quis lyræ fabricatoris opereuti tur:nonne ille qui fabricantem
inſtruere poteft, et opus recte'ne an cótra factâ fit,iudia care: HER. Omnino.soc.Quis
ergo: HER.Cithariſta.soc.Quis autem opere ſtructo. ris nauiữ. HER. Gubernator.soc.Quis
item nominữ conditoris operioptime præſides, bit, et expletû dijudicabit et apud
Græcos et apud Barbaros: Nónne et quiuteſ: HER. Is certe.so c.Annõ is eſt qui
interrogare ſçitç HER. Iſte. $ 0 c.Idem quog reſpondere, HER nabic zi HER. Nempe.
SOC. Eum uero qui interrogare ſcit ato reſpondere, aliumuocas i diale
Dialecticus nouit recte cticum: HER.Dialecticum profecto.socr. Fabri ita
opuseſt temonem facere guber impofita no natore præcipiente,li bonus futuruseſt
temo. HER. Apparet. soc. Nominum quoq au
minarebus torisnomen, monentedialectico uiro, ſi modo recte ponenda ſunt nomina.
HER. Vera ſint, necne hæc funt. Soc. Apparet ergo Hermogenes haud leue quiddam,utipfecenſes,nominis
impoſitionem eſſe,neæ id effe imperitorum &quorumuis hominum opus.NempeCra
tylus uėra loquitur,cum nomina dicit natura rebus competere, neg unum quemuis
eſſa nominum autorem, sed illum duntaxat quiad nomen reſpicit, quod natura cuiq
conue. nit, pofteag ſpeciem eâ literis ſyllabisq inſerere. Her. Neſcio Socrates
qua ratione his quæ dixiſti,lit repugnandã: forte'uero non facile eſt ſubito
fic perſuaderi. Videor autem mihi hâc in modumtibi potius aſſenſurus,fi
oftenderis quam dicaseſſe natura rectano. minis rationem. soc. Equidem ô beate
Hermogenes,adhucnullam dico, ferme'nama è memoria excidic quod dixerā suprà,
meuidelicet hocignorare,uerum una tecum per quirere. Nunc aucem mihi &tibi
limul inueftigantibus hoc duntaxat præter ſuperiora compertõeſt, rectitudinem
aliquã natura nomen habere, nec quemlibetpoffenomen rebus accommodare.Nónne:
her.Valde.soc.Conſiderandum reſtat, ſi noſſe deſide. ras, quænã ipſius ſit
nominis rectitudo,id eftratio recta. Her. Deſidero equidem.soc. Animaduerte igitur. HER.
Quauia inueſtigandâmones. soc. Rectissima estô amice, consideratio,ab his qui
ſciūt hæc perquirere,oblatis pecunis, et gratöjs inſuper actis:hi uero ſophiſtæ
ſunt, quibus frater tuus Callias multis erogatis pecunijs, ſapiês euafiffe ui
detur. Poftquam uero in res paternas iusnon habes,reliquũ eſt fratrem ſupplex
ores, ut te doceat nominâ rectitudinem quam à Protagora didicit. HER.Quàm
abſurda hæcel Veritas no, ſet petitio Socrates, fi cum illam Protagoræ
ueritatem nullomodo recipiã,ea quæ ex uc men ſcripci,ritate illa
dicuntur,alicuius precí æſtimarē.soc.Acuero ſi tibi hæc non placent,ab Ho aut
ironicũ mero cæterisý poetis est diſcendum. HER. Quid de nominibus, et ubi
Homerus ô Socrates,tradic:so c.Paſimmulta, maximauero et pulcherrimaſuntilla,in
quibus diftin guitcirca eadem quæ nomina homines, &quæ dö ipfi inducunt.
Annoncenfes ipſum in his magnificum alíquid et mirandumde recta ratione nominữ
tradere: Constat enim deos nominibus illis ad rectitudinem ipfam uti, quæ
natura conſiſtunt. Annon putas: HER. Certe equidem fcio,fiqua dij uocant,recte
eos admodum nominare. Verum quæ nam ista: Soc. An ignoras quod de Troiano
flumine, quod ſingulari certamine ca Vul cano pugnauit, inquit: quod Xanthứdijuocant,
uiriScamandrum.HER.Scio. SOCR. Annoncenſes magnificum quiddam cognitu
eſſehoc,qua ratione rectius fit flumen il lud Xanthű, quam Scamandrâ nominare. Item
fi uis, animaduerte &iftud, quod auem eandem dicit Chalcidem quidêa dřs,
Cymindin uero ab hominibus nominari. Leuem cognitionem hanc putas, ut fciat
quanto rectius fit eandem auem Chalcidem quam Cy mindin nuncupare, uel Batieam
aros Myrinen, alias permulta &apud huncpoetam &apud alios talia: Verum iſtarữrerum
inuentio acutius ingenium quam noſtrũ exigit. Scamandrius autē &Altyanax
quid ſignificent,humano ingenio, utmihiuidetur, com prehendi,facile et percipi
poteſt,quam rectitudinem eſſeHomerusuelit in his nomini bus quibus Hectoris
filium nuncupat. Scis ea carmina quibusinfunt,quæ dico: HER. Omnino.soc. Vcrum
iſtorum nominâ putasHomerum exiſtimaſſe conuenire magis puero, Aſtyanacta'ne,an
Scamandriã: HER. Ignoro. soc. Sicautem conſidera:liquis te interrogaret, utrữ
putes fapientiores rectius nomina rebus imponere, an minus ſapien.
tes,reſponderes ucią ſapientiores.HER. Sic certe. soc.Vtrũmulieresin urbibus
sapientiores eſſe tibi uidenč, an uiri: quantı ad genus attinet. HER. Viri.so
c. Neſcisquod in quit Homerus, Hectoris filium a Troianis Altyanacta,a
mulieribus Scamandriū nuncu patum: quandoquidem uiri illum Aſtynacta uocare
conſueuerűt. Her. Videtur, soc. Nónne Homerus Troianos uiros fapientiores, quam
mulieres eorũ exiſtimauit: HER. Arbitror equidem. SOCR. Aſtyanacta
igiturrectius quàm Scamandrium nominatum - esse cenſuit, HER.Apparet.SOCR.
Animaduertamusquam ipſe denominationishuius cauſam affert, Solus enim, inquit,
ciuitatem ipſis cutatus eſt amplas mænia. Quapro prer decet, ut uidetur, protectoris
filium nominare &svavaxta, id est regem urbis, urbis, inč,eius, quam pater
ipſiusſeruauit;ut inquit Homerus. HER. Idem mihi quocuider: Soc.Quod aức hoc
maxime;porrò &ipfe nondum fatisintelligo, ô Hermogenes. Tu vero percipis:
HER. Nõ perlouem.soc.Arqui et Hectori ó boneuir,nomen ipfeHo meras impoſuit.
HER. Quamobrem: soc.Quoniã mihi uidet id nomen Hector Aſtya
sactieſſequamproximum: ferme'enim idem SIGNIFICANT, putanta Græciutraq hæcno
mina regiaeffe. Cuiuſcunæ enim quis avaş, id eſt rex extitit,eiufdem eft et fxTue,
id eſt poſtelfor.Conftat enim dominari illi,pofliderecſ, et habere.An
forte'nihil tibidicere ui deor meg fallit opinio, quaHomeriſcientiam circa
nominum rectitudinem, ceu per ue ftigia quædam attingere cöfidebam: HER. Nullo
modo, ut arbitror. forte enim nonni hil actingis. SocR.Decet,utmihiuidetur,
leonis filiū leonem ſimiliter nominare, equi filium equum haud certe dico,
liquid tanquammonſtrum exequo nafcatur aliud quid dam quám equus: fed cuius
generis ſecundum naturam eſt quod naſcitur, hoc dico.Sies nim bouis fecundum
naturam filius equũ gignit,non uitulus qui naſcit, ſed pullus equi nus eſt
nuncupándus.Et fi equus præter naturam gignit úitulum,non pullus equinus di
cendus eſt hic,fed uitulus. Neqetiam ſi ex homine alia proles quam humana
producit, quodnaſciturhomo uocari debet.Idemg eſt dearboribus,dešcæteris omnib.
iudican dum.Probas hæc: HER.Probo equidem. soc.Obſerua me nequid defraudem.
Eadem quippe ratione,fiquis exrege naſcitur, rex eſt nominandus: in alíis uero
et alíjs ſyllabis idemlignificari,nihil intereſt, neck referc ſiue addatur
litera aliqua,ſiue etiã ſubtrahatur, donec ESSENTIA REI SIGNIFICATÆ IN IPSO
NOMINE dominacur.HER. Qui iſtucais:'soc. Nihil mirum nouum ue dico, uerű ita ut
in elementis fieri cernis, ſcis enim quod elementora nomina dicimus,ipfa uero
elementa nequaç, quacuor duntaxat exceptis.dicimus enim &utonów, o fixpou
et whéya. Cæteris autem tam uocalibus quam non uocalibus alias addentes liceras,ut
Båtte 4.7.c. nomina conſtituimus,atq;ita proferimus. Verum quo uſg elementi
ipſius uim declarată inſerimus, conuenit nomen illud uocare ipſum quod nobis
fignificet elementum, ut in Bizu apparet, ubi additis 8. 7.éc, nihil obftitit
quin in tegro nomine natura elementiilliusoſtenderetur, cuiusnominum autor
uoluit:uſquea deo ſcite literisnominadedit. Her. Vera mihi loqui
uideris.soc.Nónne eadē derege ratio erit: Erit ex regerex, ex bonobonus, ex
pulchro pulcher, &in cæteris omnibus fimiliter ex quolibet genere alterữ
quiddam tale,niſi monſtrữ fiat, eademq dicendano: mina.Variare autem licet per fyllabas,ut
uideantur homini rudi,quæ ſunteadem, eſſe di Gería. quemadmodữ pharmaca
medicorũ coloribus &odoribusuariata ſæpe cã eadem fint,nobis diuerſa
uidentur: Medico aūt uim pharmacorũ conſideranti eadem iudican tur,neß eum
additamēta perturbant. Similiter forte qui eſt in nominibus eruditus, uim
illorum conſiderat,neq; eius turbaſiudicium, liqua litera addita eſt, uel
tranſmutata,uel dempta, uelin alijs literisac multis eadē uis
nominisreperitur.Vteanomina quæ fuprà diximus, Altyanax &Hector, liceras omnino
diuerſas,præter folum habent, idem ta menſignificant. Item quod &exémolis,
id eſt,princeps ciuitatis dicitur, quam literarum communionẽ cum duobus
ſuperioribushabet: Idem nihilominus infert. Multaq; ſunt alia, quæ nihil aliud
quam regem SIGNIFICANT. Multa præterea ſunt, quæ exercitus du cem
ſignificant,ut čys, worém cedoOMG,.Alia item quæ medicinæ profefforem declarant,ut
ictportas, a xecik @ poro. Aliaó
permulta reperiri poflunt,fyllabis et literis diſcordantia, ui autem SIGNIFICATIONIS
penitus conſonantia. Sic ne et ipſe putas, an alia ter: HER. Sic certe.SOCR.
His profecto quæ fecundum naturam fiunt, eadem tribu enda ſuntnomina.HER.
Omnino. SOCR. Quoties uero præter naturam hominesali quifiunt in quadam fpecie
monftri, uelut quum ex bono pioq uiroimpius generatur, quigenitus eft,non
genitoris nomen ſortiri debet, ſed eius in quo ipfe eft generis:quem admodum
ſuprà diximus, ſi equusbouisprolem generet,non equum eiusfilium,fedbo uem
denominandum.HER. Siceſt. Socr. Homini igitur impio ex pio genito, non pa
rentis, sed generis nomen attribuendum. HER. Vera hæc ſunt.soc.Neque
igitur6tocosia Agy, id eft Deiamicum, nex uygoitzoy, id eſt Dei memorem, uel
talem aliquem huiuſmo diuocarefilium talem decet, sed contraria SIGNIFICANTIBVS
NOMINIBVS appellare, ſi modo recte nomina inſtituta effe debent.HER. Sic
prorſusagendum ô Socrates. soc. Profe dio Oreſtinomen recte,o
Hermogenes,uidetur impoſitum, fiue aliqua ſors illi nomen dedit, liue poeta
quidā, ferinam cius naturã agreſtē &moncanã nomine eo SIGNIFICANS. HER.Sic
apparet,Socrates.soc. Viderur &patri eius ſecundum naturam nomen esse. HER.
Apparet.soc. Apparet utiq talis efTe Agamemnon, utſibi laborandũcenſeat,to
lerandumý, &in ijs quædecreuit,per uirtutem perfeuerandã. Argumentũuerotoleran
tiæ ſuæ apud Troiam tanto cum exercitu perduratio prębuit. Quod igitur
mirabilisper feuerantia uir hic fuerit, nomen ſignificai Agamemnon, quali
ayasos 967 oli ümrovlu. Fortè uero et Atreusrecte eft nominatus.Nexenim
Chryfippi, et crudelitas aduerſus Thyeſten,noxiữ perniciofumo illum
demonſtrant.Vnde cognominatio parumperde clinat, et clam innuit,ut non
quibuslibet naturam huius uiri declarent:his autem qui no minum periti ſunt,
ſatis Atrei ſignificatio pater. Dicitur enim ſecundum erogès, afeger's atypów,
quaſiindomitus, inexorabilis, noxius contumeliofusq fuerit. Videtur et Pelopi
nomen haudab re tributum. Hominem quippe quæ prope ſunt uidentem,nomen iſtud
congrue significat. HER. Cur illi id conuenit: socR. Quoniam in Myrtilicæde,
utfer tur, prouiderenihil potuit, nec eminus pſpicere quãta toti generi ex hoc
calamitas im mineret. Quæ enim antepedeserant, &ad præsentia tantum respiciebat,
hoc autem eſt prope aſpicere: quod et fecit, cum Hippodamiæ coniugium
omniconatu inire conten dit. Vnde Pelopinomenawines, id eft,prope,& ontos,
quodad uiſionem pertinet. Tan talo quinetiam nomen natura ipſa uidetur
impofitum, ſi uera ſunt quæ circunferuntur. HER. Quænam iſta: soc.
Quoduiuentiadhuc illi aduería plurima &grauia contige runt,tandemý patria
eius omnis fubuerſa eſt. Defuncto præterea faxum in caput immi. net, ſors certe
duriffima. hæcprorſuscum nomine congruar, perinde ac fi quis nomina re THION to
you,id eft, inteliciſſimű uoluiffet, fed paulo locutus obſcurius, pro Talancato
Tantalum poſuifler. Taleutiæ nomen fortuna eius aduerſa ipſorumore gentium præ
buiſſe uidetur. Quinetiam patri eius loui recte nomen eſt indicum,nec tamen
facileco. gnitu.Eftenim uelut oratio quædam louis nomen, quod quidcm bifaijā
partientes,par tim una,partim altera parte utimur. Quidamfive, quidamdia,
uocani. Quæpartes in unumcópofitæ, naturam dei ipſius oftendűt,
quodmaxiinedebernomen efhcere por ſe. Nulla enim nobis cæterisomnibus
uiuendimagis cauſa eſt, quam princeps, rexo omniữ. Quapropter decens nomen eſt
hic Deus fortitus, per quem uita íemper uiuent bus omnibus ineſt.Sectum autem
in duo eft unum, ut diccbam,nomen,in diæ uidelicet ata awa. Hinc Saturnifilium
cum quis audiat, forte inſolentem contumelioſumópu tarit. Verű probabile
eft,magnæ cuiuſdam intelligentię piolem louem elle. Quod enin Hóp - dicitur,non
puerum ſignificat,ſed puritatem mentisipfius, et fynceram integria tem. Est
aurem is opavo, id eft, cæli filius,ut fertur. Quippeafpectus ad ſupera merijo
z pane uocatur, quafi opacz zecvw. Vnde affirmant,o Hermogenes, qui
derebusiutli mibusagunt, puram mentem adeffe, et recevo, iure nomen
impofitum.Siautem genealo giam deorum ab Hefiodo traditam mente tenerem, et quos
horum progenitores indu. cic,recordarer,haudquaq ceſſarem oftendere tibérecte
illis nomina infcripta fuiffe,quo ad huius fapicntie periculü facerem,liquid
ipſa proficiat peragator, et an deficiatnecne, quæ mihi tam ſubito ignoro
equidem unde nuper illuxit. HER. Profecto mitttiden som Ô Socrates iliareorum
quinumine capitatur, protinus oracula fundere. soc. Reor equidem,ô
Hermogenes,hanc in me ſapientiam ab Euclıyphrone Pantij filio emanalie. Illi
fiquidem aſtiti a matutino affiduus,auresó porrexi. Patet igitur eum deo plenú
non modo aures meas beata ſapientia impleuiſle, uerumetiam animum occupalle.
Sic utico agendum arbitror, ut hodie quidem utamur ipfa, et reliqua quæ ad
nomina pertinet, ini dagemus. Cras uero,fiin hoc conſenſerimus,excutiamuscam,
expiemusý, aliquem par ſcrutati,ſiuefacerdotem, feu ſophiſtam qui purgare hæc
ualeat. HER. Probo hæc maxi.
me Socrates. libentiſſime nang quæ de nominibus reſtant, audirem. soc. Ira
prorſus agendum. Vnde igitur potiffimum exordiendű iudicas,poftquam formulam
quandam præfcripfimus,ut pernoſcamusſi etiã nomina nobis ipía teſtantur non
caſu quodama. » ata fuiſſe,uerum rectitudinem aliquam continere: Nomina quidem
heroum atq;homi / num nos forte deciperent. horum nang multa ſecundum
cognomenta maiorum pofita) ſunt, et fæpe nequağ conueniüt, quemadmodã in
principio diximus.Multa uero ex uo ') to homines nomina tribuunt,ut UtuXidmW,
owciQ, Itópinoy, alia “ permulta.Talia itaq ) prætermittenda cenſeo.decens
eñconſentaneumg maxime reperire nos quæ in rebus ſempio Lempiternis &naturæ
ordine cõſtitutis recte ſunt poſita. Nam
circa iſta in condendis no minibus ftuduiffe maxime decet.Forte'uero
ipſorūnonnulla diuiniore quadam poten tač humanaſunt inſtituta. HER. Præclare
mihi loqui uideris,ô Socrates. soc.Nonne pareſtabipfisdíjs incipere, rationemý
inueſtigare qua bcos uocati ſunt: Her.Nempe, soc.Equidem ita
conício.Videnturutiq mihi Græcorum priſci deos solos putaffe eos, quos etiam
his temporibus Barbarorű plurimiarbitrantur, solem, luna, terrram, stellas,
calum. Cum ergo hæc omnia perpetuo in cursu esse coſpicerent,ab hac natura
moldatu få nominalle uidentur, deinde &alios animaduertêtes omneseodem
nominenuncu pale. Habeoquod dico uerifimile aliquid, nec'ne HER. Habetcerte. soc. Quid poft hac
inucftigandum: Conſtat de dæmonibus heroibusø et hominibus quærendum eſſe, HER.
Dedæmonibus primum. soc. Proculdubio Hermogenes.quidlibi uultdæmo. nun nomen
animaduertenum aliquid dicam.HER.Dicmodo.soc.Scis'nequos Hes Liolus claipovas
effe inquit, HER. Non.soc.Nec etiam, quod aureum genus hominum zitin principio
extitiſſe? HER.Hoc equidem noui. Soc. Ait enim ex hocgenerepoſt przſentis uitæ
fara fieri dæmones ſanctos,terreſtres,optimos,malorũ expullores,& cu licdes
liominum.HCR. Quid cum: soc.Nempe arbitror uocare illum aureum genus; no ex
auro conſtitutū, ſed bonum atos præclarum.quod inde conſcio, genus noftrum
fereum eſſe dicit. HER. Vera narras. Soc. Annon putas ſiquis nunc ex noſtris
bonus fc,aureihunc generis ab Heliodo æftimari? HER. Conſentaneum eſt.soc. Boni
autem anj sprudentes: HER. Prudentes. $ o c.Idcirco,ut arbitror,eosdæmones
præcipuenup cupat,quia fapiêtes d'ahuontsó erant.Et ex noſtraiſtud priſca
lingua nomen exiſtit. Qua obrem &is, et cæteripoetæ permultipræclare
loquuntur, quicunq aiunt uidelicet,poft quambonusaliquis uita functus eſt,
maximam dignitatem præmiumý ſortitur,fic et dæ monſecundum ſapientiæ
cognomentūIca et ipfe affero dæmuova, id eſt ſapientemom- nem efle hominem,
quicung ſitbonus, eumó dæmonicum effe,id eſt felicem,uiuenten » acc defunctũ,
recteý dæmonem nũcupari.HER Videor. mihi ô Socrates, in hoctecum s maxime
conſentire. soc. newsautem quid lignificar: Id nequaſ inuentu difficile.paur lo
enim heroumnomen ab originediſtac,indicans generationem illorum čre WTO
manaſſe. HER.Qua rationeid ais: soc. Anignoras ſemideos heroas effe: HER. Quid
tum: soc.Omnesutiq heroes uel ex amore deorũ erga mulieres humanas, uel amore
uirorum erga deas ſuntgeniti.Prætereaſi hocfecundã priſcam Acticorum linguam
con fideraueris, magis intelliges.reperies enim quòd pauliſper mutatū eſt
nominis gratia ex UTO,undeſunt heroes geniti: quod'ueaut hincheroum nomen eſt
ducium,aut ex eo quòd fapientes,rhetores fuerunc.facundi uidelicet, et ad
interrogandữ diſſerendűó promptiflimi,ziedy Aang dicere eft:Quare,ut
mododicebamus,Attica uoce heroes the tores quidam, et diſputatores et amatori
uidentur. Vnderbetorum ſophiſtarum gee nusheroica prolesexiſtit. Verum nõ
iſtud quidem difficile cognitu,imò illud obfcurű, quamob cauſam homines
ävbewmoi nominantur. habesipfe quid afferas: HER. Vndeid habeābone uir: Quin ſi
reperire quoquo modo poffim,nil cotendo, ex eo quòdtemo lius facilius“
quammereperturum ípero.so c.In Euthyphronis inſpiratione confider se
mihiuideris. HER.Abſc dubio.soc. Ec merito quidem confidis.Nam belle nimium
mihi nunc uideor cogitafle,ac periculü eſt niſi caueam, nehodie ſapiêtior quam
deceat, uidear euafiffe. Attende ad ea quædicã. Hoc in primis circa nomina
animaduertere de serves cet, quòd ſępe literas addimus, lepe ctiam demimus pro
arbitrio,dum nominamus, et a cuta ſæpenumero transmutamus, ut cum dicimus
dicíres: hoc ut pro uerbo nomen nor bis foret,alterum, inde excerpfimus, et pro
acuta fyllaba media, grauem pronūciamus. Jn alijs quibuſdam
literasinterſerimus,alia uero grauiora proferimus. HER. Vera refers. soc. Hoc
et in ävegen O côtingit,utmihi quidem uidetur.Nam ex uerbo nomen con ftitutum
eſt,uno a excepto,grauiorig fine effecto.HER. Quomodo iſtud ais 's o c. Itak"
hominis nomen illud ſignificat, quod cætera quidem animalia quę uident,non
confide rant,neq; animaduertunt,nec contemplantur: homoautem et uidet ſimul
&contemu platur,animaduertito quod uider. Hincmerito solus ex omnibus
animátibus homočvrse @puro eſt nuncupatus, qualiaabeau contemplans,quæ ön WT5,
id est, uidit. Quid poft ce haqquæram: Anuidelicet quodlibenter perciperem HER:
Maxime.SOC. Succede D teftas reſtatim ſuperioribusmihi uideturdeanima et corpore
cõſideratio.Nam anima& cor pusaliquid hominis funt. HER. Sine cótrouerſia. soc. Conemurhæc quem ad modū ſuperiora diſtinguere. Quærendum primodeanima
putas, utrecte Luxá nominata fuerit deindede corpore: HER: Equidem.soc.Vtigitur
ſubito exprimarn quod primumm. hinunc ſe offert,arbitror illos qui
ſicanimāuocitarunt,hocpocillimum cogitaffe, quod » hæc quoties adest corpori,
caula est illi uiuendi, reſpirandi,& refrigerandi uim exhibês: 9 et cum
primūdelierit quodrefrigerat,diffoluitur corpus,& interit.Vnde fuxlu noni
21 naffeuidentur, quaſi awatúzov, reſpirando refrigerans.Atuero, si placet, fifte
parumper. Videor mihi aliquid inspicere probabilius apud eos quiEuthyphronem
ſequütur,nım iftud quidem aſpernarenf,ut arbitror, et durû quiddã eſſe
cenferent. ſed uidean hoc ibi sit placiturű.HER. Dicmodo.soc. Quid aliud
animatibiuidetur corpus continae, uehere, et utuiuat et gradiatur efficerer HER.
Nil aliud.soc. Annon
Anaxagoræ ce dis,rerum naturam omniẩmente quadam et anima exornari ſimul et contineri:
HIR. Credo equidem.soc.Pareſt igitur eam potentia nominare quelw.quæ
quan,naturan, oxa et xe, id eft uehit et continet.politius autem fuxó
proferſ.HER. Siceſtomninoji detur et mihiiſtud artificiofius effe.soc. Eft
profecto.Ridiculum aữc quia apparere, si ita ut pofitüfuit, nominaret. Quod
uero pofthoc ſequiſ corpusnonne owua nücupis: HER.Certe.soc. Atquiuidełmihiin
hocnominepauliſper ab origine declinari. nen. pe corpushoc animæ omua, sepulchrâ
quidam eſſe tradunt:qualiipfa præſenti in tempo se ſic ſepulta:ac etiam quia
animaper corpus omualvd,ſignificat quæcung ohelwa lign ficare poteſt.idcirco et
rivec iure uocari. VidenturmihiprætereaOrpheiſectatores no mēhocobid potiſſimữpoſuiffe,q
anima in corpore hoc delictorũ det pænas, et hocci: cũſepto uallo
claudatur,uelut in carcere quodā,utolor ferueſ. Effeitac uolunthoc ita
utnominat,animęoãu ce ſeruandigratia clauſtrữ, quoad debita quæQ expendar,neq
literam aliquã adăciendam putant. HER. Dehis fatis dictum ô Socrates,arbitror.
Veri denominibusaliquorû deorum poſſemus ne ita utdeloueactum
eſt,conſiderare,fecun dum quam rectitudinēnomina lint impoſica: soc. Per Iouem
nos quidē ſimentem ha beremus Hermogenes, precipuũrectitudinismodấarbitraremur,faceri
nihil nos de dijs cognofcere,ne deipſis inquam, neq deipſorīnominibus quibus
iplifeuocant. Con ſtar enim illos quidem ueris ſenominibusnuncupare. Secundâ
uero recte DENOMINATIONIS modum exiſtimo, ut quem ad modülex in uotis ftatuit
precarideos, quomodocung nominarihis placet,ita et nos ipfos uocemus,tanğ nihil
aliud cognoſcētes.Recte não, utmihiuidetur,eft decretū.Quare, li uis,ad hanc
inueſtigationēpergamus,primo quidē díjs præfati,nosnihilde iplis
conſideraturos: neq; enim poſſe confidimus:fed de homini bus potius, qua
potiſfim opinionecirca deosaffectinomina ipfis inſtituerunt. Hoceñ à diuina
indignatione procul.HER.Modeſte loquiuideris ô Socrates, atqita prorfusa
gendum.soc. Nónneà Vesta fecundum legem incipiendű. HER. Sicutim decet. soc.
Quaratione éstav hanc nominatam dicemus HER. Per Iouem haud facile iftud inuen
9) tu.soc.VidenturprobeHermogenes PRIMI NOMINAM AVTORES non hebetes quidā
fuisse, verum acuti fublimium rerum inveſtigatores HER. Quamobrem: soc. Talium
quo rundam hominum inuentione nomina apparent impofita.ac ſi
quisperegrinaconlide. retnomina, nihil ominus quod ſibiuult, unum quodq; reperiret.quemadmodőhocquod nos
días, eſſentiam nominamus, quidam golov nuncupant,alij wvia.Primo quidem ſecundum
alterum nomen iſtorum, haud procula rationeuidetur rerum effentiam ésiav
uocari. et quia nos quod efteffentiæ particeps ésiav uocamus,ex hocrecte éstæ
poffet denominari. Superioresnoftriquondam šriav,tola uocabant.Quinetiã ſi quis
facrorí ritusanimaduerterit, exiſtimabit ſic eosputaſſe quihæc poſuerűt.Etenim
ante deosom nes Veltæ facra faceredecet eos, qui effentiam omnium Veſtam
cognominarunt. Qui item wola nominarunt,hifermeſecundâ Heraclitum cenfuerüc
fluere omnia femper, nihilo conſiſtere.Cauſam igitur et ipſorum originem ducem
ipſum wow, quod impel lit.quaproptermerito ipſum wola impellentēcauſam
nominari. Dehis hactenusitalic dictų,uelut ab ijs quinihil intelligunt.Poft
Veftam aất, de Rheaato Saturno conſidera reconuenit, quanğ de Saturninomine in
ſuperioribus diximus.Forte'uero nihildico. HER.Curnam ô Socrates: soc. O
boneuir, ſapientiæ quoddam examen animaduer ti. HER. Quale iſtud: soc.
Ridiculum dictu.habet tamen nonnihilprobabile. HER: Quid ais: et quo pacto
probabile.so c.Infpicere mihi Heraclitum uideor, iã pridem ſa pienter nonnulla
de Saturno Rhea tradentem, quæ et Homerus dixerat. HER. Quid iftud ais:'s o
c.Ait enim Heraclitus fluere omnia,nihilo manere,rerum ipſarum pro - ce greflum
amnis fluxuicomparás, haud fieri poffe inquit,utbis eandem in aquam temerou
gas.HER.Vera hæcſunt.soc. An uidetur tibi ille ab Heraclito diſſentire, qui
aliorum a deorum progenitoribus inſeruitRheam atą Saturnữ:Nunquid putas temere
illum no mina iſtis impoſuiſſe.Quin et Homerus Oceanum deorum originem
inſtituit, et The tyn genitricem.Idemouoluit,utarbitror, et Heſiodus.Aitpræterea
Orpheus, Oceanű primum pulchrifluum cõiugium inchoaſſe, quicum Tethy germana
ſeſua commiſcuit. Vide ő maximehæc inuicem cõfonant,omniağ in opinionē Heracliti
redeunt. HER. Viderismihialiquid dicere Socrates. Tethyosautem nomēhaud fatis
quid ſibiuelit, in telligo. soc.Hocutißidem fermeſignificar:quoniam fontis
nomēeſt reconditů.Nam doctons et xlsus,id eſt ſcaturiens et tranſiliens, fontis
imaginem præ ſe ferunt, ex utrif queuero hiſce nominibusnomen tudúceſt
compoſitum. HER. Hoc quidem belliſi mum eſt ô Socrates.soc..Quid ni? Verum quid
deinceps:Deloue profecto diximus. HER. Siceſt.soc.Fratres autem eius
dicamusNeptunum atq Plutonē,nomeno aliud quo ipfum uocant.HER.Prorſus.soc.
Videtur Neptunusab eo qui primum nomina uit,idcirco mooddãy uocatusfuiſſe, quia
euntem ipſum marisnatura detinuit,nec pro, grediultra permitit,ſed qualiuincula
pedibus ipfius iniecit.Maris ita principem rood @ væ uocauit, quaſi qosideouov,
id eſt pedum uinculũ.& uero decoris gratia forte adie ctum fuit. Forſitan
nő hoc fibiuult,fed pro ar, a primo fuit pofitum, quafi dicat mom sidós, id
eftmultanofcens Deus,Fortaſſis ab eo quod dicitur códy, id eft quatere,okwu
ideft quatiens eſtnominatus, cuiw et d fuitadiectū. Plutonem autem quali zašto,
id eſt diuitiarī datorem dicimus, quoniam diuitiæ ex terræ uiſceribus
eruuntur:& dxs uero multitudo interpretatur, quali addis, triſte
tenebroſum'ue. Atæ hocnomen horrentes Plutonem uocitant.HER.Tuuerò quid fentis
Socrates. soc. Videnturmihi homines circa potētiam Deiiftiusmultifariam
errauiſſe,eumg exhorruiſſeſemper,cum minime deceat. Porrò quiſ ex
hocpertimeſcit,quòd nemo poftquam defunctus eſt,hucredit, quod'ueanimanudata
corpore, illucabit. Cæterum hęcomnia et regnum et nomen hư ius dei,eodem
tenderemihiuidentur.HER.Quo pacto: soc. Dicam quod fentio. Dic age. Vtrữ
horũualidiusuinculâ eft ad quoduis animal alicubidetinendű, neceſſitas'ne, an
cupiditas? HER. Longeô Socrates,præſtat cupiditas.soc.Annõ plurimi,&dw quo
tidie ſubterfugerent,niſi fortiſſimo uinculo eos quiillucdeſcendunt, uinciret:
HER. Vi delicet. Soc. Quare cupiditate quadam eos,utuidetur,potius ő
neceffitate deuincit, fi modouinculo nectitfortiſſimo.Her. Apparet.soc.Nónne
rurſus multæ cupiditates funt HER. Multę.so c.Ergo uehemētiſlimaoñiữ cupiditate
nectit eos, fimododebet inſolubilinodo conectere. HER. Certe.soc.Eft'neuehemētiorulla
cupiditas, ş ea qua quiſcrafficitur,dum alicuius conſuetudine meliorem
feuirūſperat euadere: HER.Nul..“ lamehercle Socrates.so C. Hacdecaufa dicendű Hermogenes,
neminem hucillincuel lereuerti, nec etiã Syrenesipfas, imò et eas et cæterosomnes
ſuauiſſimis Plutonis ora tionibusdemulceri.Éſtý,utratio hæcteſtat, deus is
ſophiſta proculdubio diſertiſſimus et ingentia confert his quipenes ipſum
habitãtbeneficia, qui uſ adeo diuitñs affatim abundat, ut tantanobis bona
ſuppeditet,unde et Pluto eſt nuncupatus. Annõ philoſo. phitibiuidet officium, q
nolithominibus corpora habentibus adhærere, sed tūc demữ admittateos, cũanimus
illorum eft corporeis omnibusmalis cupidinibus* purgatus: Excogitauitnempehic
deus hacratione fe animosmaxime detenturũ,ſi uirtutis eos aui ditate uinciret. Eosautem
quiftupore et infania corporis ſuntinfecti,nepater quidem Plutonis Saturnus
ipfe,fuis illis uinculis coercere ualeret,fecumý tenere. HER.Nonni hil
loquiuiderisÔ Socrates. soc.Longeabeft Hermogenes utnomē& dos, quali cudes
id eft trifte tenebroſum'uefit dictâ,imoab eò trahiturquod eft sid qvac, id eſt
noſle omia pulchra.Ex hoc itaq deus ifteà nominữ conditore &dys eſt nấcupatus.HER.Quid
præ terea dicimusde Cereris nomine, Iunonis“, Apollinis et Minervæ,Vulcanig et Martis,cæterorumýdeorum:
soc. Ceres quidem dwuktor nuncupatur ab ipſa alimentorī largitione, quaſi
didolæ pektyg,hoc est exhibensmáter. Kex uero, id eſt Iuno, quali fatá, id eft
amabilis,propter amorem quo Iupiter in eam afficit.Forte'etiam ſublimeſpectans
quihoc nomen inſtituit,aeram,spav denominauit, et obſcurelocutus est, ponensin
fine principiữ quod quidem patebittibi,finomen illud frequenter pronüciaueris.
DefélQKT say,id eſt Proſerpinam, et denómw nominare nõnulliuerent, propterea
quòdillis ignota eſt nominum rectitudo. Enimuero permutantes degregóvlw ipsam
considerant,graue id illis apparet. hocautēdeæ ipsius sapientia indicat.
Sapientia utic eft quæ resfluentes attingit,& aſſequi poteft.Quamobrem
gegéraqemerito dea hæcnominaretur,propter fapientiam, et Encolu, id eſt
contacta, qepomlis, id elt eius quod fertur, ueltale aliquid, Quocirca adhæret
illi ſapiens ipſe édes, quia ipſa talis eſt.Nunc autem nomen hocde.
clinant,pluris facientes prolationis gratiam ueritatem, utqepiqastav nominēt. Idem
quoq circa Apollinis nomen accidir. nam pleriq id nomen exhorrent,
quasiterribile ali quid preſeferat.Annõ noſti:HER.Vera penitus
loqueris.soc.Hocaūt,utarbitror,hu ius dei potentięmaxime cõuenit.HER.
Quarationeso c.Conabor sententia meam ex primere.Nullű profecto nomen aliud
unum quatuorhuiusdei potentijs reperiri conue nientius potuiſſet, quod et cöprehenderet
omnes, et iplius quodammodo declaret musicam, uaticinium, medicinam, et sagittandi
peritiam. HER. Aperias iam.Mirum quiddã nomen effe id ais.soc.Congrue quidem
compoſitõeſt, conſonatý, utpote quod ad de um pertinet muſicum. Principio
purgatio purificationesø et ſecundum medicinam,& ſecundum uaticinium,item
quæ medicorum pharmacis peraguntur, ac uatum incanta tiones expiationes,
lauacra, et afperſiones, unum hocintendunt, purum hominem et corpore et anima
reddere. HER. Sic omnino. soc. Nónnedeus qui purgat, ipse erit aro aówn et Ösp
núwy,id eft abluensa malis, solvens,q Apollo ipfe SIGNIFICAT? HER. Abſque Tubio.soc.
Quatenusitap diluitata soluit, uttaliū medicus, åpnvwy merito nuncupa tur. Secunda
vero divinationem uerumg &moww, id est simplex, quod idem eft, recte more
Theſſalicorű nominarehunc poſſumus.hinempe omnes deum hunc ámró uocãt.
Quatenusaấtási Boda wy, id eft ſemper iaculando arcu uehemens eft,ás Badawy
dicipo teſt,hoc eſt,perpetuus iaculator. Secundữueromuſicam, dehoc eſt
cogitandū quemad modum de eo quod dicit et nórolo et « xomis,id
eftpediſſequus,comes, et uxor, in qui. bus& ur et in alijsmultis, idem quod
ſimul ſignificat.Hic quoq && zónas ſignificant uerfionem quæ ſimul et unaperagitur,
quam cöuerfionem dicamus.Ea in cælis eft,quæ per eos fit quos sónos uocamus:in
cantu uero et quovia, quam dicimus ovuqwricw. Quia in his, uttraduntmuſicæ et aſtronomiæ
periti,harmonia quadā ſimulomnia cõuertunt. Hicaấtdeusharmoniæ præfidet
omonwy,id eft fimuluertenshæc omnia,& apuddeos et apud homines. Quemadmodum
igitoorkeudoy et Oxóxosniv, id eft ſimuleuntem et ſimul iacentē,uocauimus
anonovlov et KOITIY, o in ermutantes, ita Apollinem nomi navimuseum qui erat
&Mortondy, altero a interiecto, quia æquiuo cũfuiſſetduro cum no mine.quod
et his temporib. ſuſpicati pleriq, ex eo q non recteuim nominishuius ani maduertűt,
perindehocmetuunt, ac si perniciem quandã SIGNIFICARET. Sed reueranomen
hocomneshuiusdei uires cõplectitur, quemadmodūſupra diximus. Significat eſlim
plicem,perpetuũiaculatorem, expiatorē et conuertentem. Muſarā uero et muſicæno
men,ab eo quod dicitpães, id eft inquirere,indagatione et ftudio ſapientiæ
tractõelt. agtá,id eſt Latona,à manſuetudine dicit,quia fic edereuwy, id eſt
prompta et expofita et Tibens ad id quodpetit quiſqs exhibendű. Forte'uero ut
peregriniuocãt:multinamga, tú nomināt, quod nomen tribuiſſe uident,quia non
rigida illi mens,ſed mitis,ideo agli, quali neopress,id eftmos lenis et mitis ab
illo cognominat. opruis, id est Diana, ex eo quòd aprejés, quali integra
modeſtaciz sit propter uirginitatis electionē. Forſitā etiã qua fiageplisoge,id
eft uirtutis conſciã, uocauit nominis inftitutor.Fortaffis etiã dicta eft'Ar
temis,quafi apo u des Chocous,id eft quafiilla cõgreſſum oderit uiricum
muliere.Vel enim propterhorâ aliquid,uel propteromnia huiuſmodinomen eſt
inſtitutű. HER: Quidue ro dióvvoos et espositor's O.Magna petis Hipponici
fili.Atqui eſtnominâ ratio his díjs inpoſitorâ gemina,ſeria uidelicet et iocoſa.Seriã
quippe ab alñs quære,iocofam aứcni hil prohibetrecenſere. locoſi fanè et difunt:
Dionyſuso eft didòs i ciroy id eſt uinida tor, qual tor, quafi nobivuosioco
quodã cognominatus. Vinum autem merito uocari potest oto 18s quod efficiatut
bibentes pleriq mentealienati, oisdocevouü exay, ideftmentem habe rele putent. DeVenere
Hefiodorepugnarenon decet,ſed concedere propter ipfam ex dogo, hoc eſt ex
ſpuma, generationē đopoditlw uocari.HER.Acuero Minerua, ô Socra tes,Vulcanūča
et Martem,cum fis Atheniēlis,ſilentio nõ præteribis. soc.Haudquais
decet.HER.Non certe.soc.Alterâ quidem eius nomen quamobrē ſit impofitũ, haud
difficile dictu.HER.Quod: soc. Palladē eam uocamus.HER. Planè.soc. NOMEN hoc
cenſendum eſt à faltatione in bello ductum fuiſſe.porro uelfefe,uel aliud à
terra attolles re ſeu manibusaliquid efferre,dicimus cámay, et wameat,id eſt
uibrare,agitare et agitari,& ſaltare, et ſaltationem perpeti. HER. Ablo
controuerſia, Palladem hac ratione uocamus,acmerito.Her.Alterű eiusnomē quo
pacto interpretaris: so c. állwaữ quæris: HER. Id ipsum. soc. Grauius hocamice:
vident prisci å blwaw exiſtimare,quemad, modum hiquihis temporibusin Homeri
interpretationibus ſunteruditi.Nam iftorum plurimi Homerữ exponuntåbwaw tano
mentem cogitationemg finiſſe. Et qui nomi na inuenit,tale aliquid de illa
fenfiffe uidetur,imò etiam altius eam extollēs,utDeimen tem induxit, perinde ac
fi diceret sleovõu, hoc eftutens æ pro y externo quodam ritu, s uero et o
detrahens,fortè'uero non ita, ſed IGavónas, id eft,utpote quæ diuina cogno
ſcat,præ cæterisomnibus deoroli, id eſt diuina cognoſcentē, uocauit.Neqab re
erit,li di xerimus uoluiſſe illũappellareeam klovólw, qualiipſa in more
intelligentia fit. Ipſe poſt modữ,uel eciam pofteriores in pulchrius,ut
uidebat,aliquid producendo,Athenean de nominarunt.HER.Quid de Vulcano quem
aquusov nominãt: so'c. Quidais:Num ge neroſum ipſum páso- isogæ,id eſt
luminispræfidem quæris? HER.Hâc quæliffe uideor. soc.Hic utcuiq patere poteft,
quiso eft,& x ſibiuendicat.Vnde igas id est,lu minis preſes eſtdictus.HER. Apparet:
niſitibiquoq modo adhucaliter uideaf.s o c.An neuideatur aliter de Marte, interroga.HER.
Interrogo. soc. Siplacet, õpys, id eft Mars, dicitur fecundâ ãgger,id eſt
maſculã, et av dogov,id eſt forte. Quinetiã fi uolueris ob na turam quandã aſperam,
duram atq inuictã,immutabilemý, quod totumägøæby appella tur, ogy uocatum
fuiffe, hoc quo et Deo penitusbellicoſo cõueniet. HER. Prorſus.Soči Deosiam
mittamus per deos obsecro.Nãdehis diſſerere uereor.Adalia uero quecung
uis,meprouoca,ut quales Euthyphronis equiſunt, noueris. HER.Faciam utpetis,ſi
unű deme quæfiuero. meliquidē Cratylus Hermogenē eſſe negat. Inueſtigemus ita
quid épus,id eft Mercurii nomen fignificet,ut fiquid ueri
hicloquit,uideamus.soc. équis, id eſt Mercurius, adſermonē pertinere uidetur,
quatenus égjelw rús eft, hoc eſt interpres et nuncius, furtiuús inloquendo
ſeductor,ac uehemens concionator. Totum id circa fer monem uerfatur.profecto
quemadmodum in fuperioribus diximus, kedy ſermonis eſt uſus.Sæpeuero
dehocHomerusait £ukcal, id eft machinatuseſt. Ex utriſq igitur no. men huius
dei componit,tum ex eo quod loquieſt,tum ex eo quodmachinari et exco gitare
dicenda, perindeac ſi nominis autornobis præciperet: Pareſt, ô viri, ut deum
illa quiaipfufukcal, id eſtloquimachinatus eſt, sipíulw uoceris. Nos aấtarbitratiſice
legan tius eloqui, éguli uocamus. Quinetiam ies, ab eo quod apdu, id eſt loqui,
nomen habet, propterea quod nuncia eſt. HER.Probemediusfidius Hermogenē elleme Cratylus
ne gauilfe uidetur. Adorationis enim inventionem hebes ſum.Soc. Conſentaneâ
quoc amice, wową biformem filium efle Mercurî.HER.Qua rationer'soc. Scis quòd
fermo # aw,id eftomne ſignificat,circuitý et uoluit ſemper,eſtó geminus
uerusuidelicetac falsus: HER. Equidem. soc. Annon id quod eſt in ſermoneuerum,leue
eftatæ diuinâ, ſu praç in dñshabitans.Contrà quod falſum,infrà in hominữmultis,afperű
ato tragicũ: Hincenim fabularum comenta et falfa et plurimacirca tragicam uitam
reperiunt.HER. Sic eft omnino.soc.Merito igitur quiefttaw, id eft totâ
nuncians, et æs monasy, id eſt femper uolutans,7 dezóros biformisMercurij
filiusdiceret, ex ſuperioribus partibus lenis ac delicatus, ex inferioribus
aſper atok hircinus.Eftg Panuelipſe ſermo,uel ſermo nis frater,fiquidem eſt
Mercurij filius.Fratrem uero fratri limilem effe quid mirum: Ce terüiã o beate,
ut et paulo ante rogabā, ſermonem dedñshunc abrumpamus. HER. Ta. les quidem
deos,li uis,mittamuso Socrates, huiuſmodiuero quædam percurrere quid prohibet. Solem, lunam, ftellas,terram,
ætherem,aerem,ignem, aquam, ver et annum: D soc. Multa funt acmagna quæ
poftulas. Sicamen gratum tibi futurum eſt,obfequar. HER. Pergratum plane.soc.
Quid primum poſcis: an utipſenarrabas in primis stov, id eft folem; HER. Profecto.soc.Manifeſtius id fore uidetur, li Dorico
nomine quis uta tur. Dorici enim asoy uocant,ato ita uocatur ſecundữ
&nizdv, id eſt ex eo quodcongre gat in unum homines,cum exoritur. Item ex
eo quod circa terram &scina, id eſt ſemper reuoluitur.Præterea quia uariat
circuitu ſuo quæ terra naſcuntur. Variareautem et duo. agy idem eft. HER. Quid
uero de anlws, id eft luna,dicendum: soc.Nomen hocui detur Anaxagoram premere.
HER.Cur.soc. Quoniam præ se aliquid fert antiquius, quod ille nuperdixit,
quodlunaà fole lumen haurit. HER.Quo pactors o coenas idem eſt quod lumen; HER. Idem. SocR.Lumen
hocperpetuo circa lumen voy et güvoy eſt id eſt nouum ac uetus,limodo
Anaxagoriciuera loquuntur:nam circûluſtranseam con tinue renouatur, Vetusautem
eſtmenſis præteritilumen. HER.Vtig. soc.Lunam qui dem odavalav mulcinominant.
HER.Certe. soc. Quoniam uero lumen nouum acue tus ſemperhabet,merito
uocarideberetadægurteoddam Nunc autem conciſo uocabulo ahavice uocatur. HER.
Dithyrambicum nomen hoc eſt, ô Socrates. Verum uave, id eftmenſem:& äspe
quomodo interpretaris. soc. Menſis quidem várs recteab vas. atroce, id eſtàminuendo,
iure nuncuparetur. Astra uero et sectic, id eſt coruſcationis co gnomentum
habent. « Soekautem quia au o ads avasosqe, ideft uiſum ad fe conuer. tit,
ánæspon á dici deberet, nunc cõcinnioriuocabuloaspauinominal. Her.Vnde no men trahil mie et idap,
id eft ignis et aqua:' Soc. Ambigo equidē,uideturg autMuſa
meEuthyphronisdeſeruiſſe, authocarduum quiddam effe. Aduerte obſecro quò confu
giam in omnibus quæcunq dubito. HER. Quonam:
soc. Dicam tibi.ſcis ipſe qua ratio ne wüe nominat: HER. Non hercle.soc. Vide
quid dehoc ſuſpicer.Reor equidêmul ta nomina Graecos a Barbaris, eos preſertim
quiſub Barbaris ſunt, habuiſſe. HER. Quor ſum hæc.soc.Siquis rectam iſtorũ
impoſitionem fecundum græcã uocem quærat,non ſecundum eam qua eſt nomen inuentũ
nimirum ambiget. HER. Verifimile id quidem. soc. Vide itaç nenomen hoc
quebarbaricum ſit.neo enim facile eft iſtud græcæ lin guæ accomodare,
conſtataita hocPhrygios nominare parum quid declinantes, et ý. dwg et xuías,id
eft canes, alia permulta. HER. Vera hæc sunt. soc. Ergo distrahereiſta nihil
oportet, quandoquidem deipſis nihil dicere quiſquã poteſt.Quapropter nomina
illa ignis et aquæ huncinmodum reñcio kázautēſic eft dictus Hermogenes, quia
quæ circa terram ſunt, deed,id eſteleuat.uel quia aega, hoc eft ſemperfluit,uel
quia eiusflu xu ſpiritusconcitatur. Poetæ quippe flamina aktasnuncupant.Forte
igitur aer dicitur quali avocTócow, agzóſſow id eſt ſpiritus fluens, uel fluens
flamen, dedica præterea fic exponendum arbitror, quoniã đa dicirca ãégæ pêwy,
id eft ſemper currit circa aerem fluens, quocirca čeddeks dicipoteft.gæ autē,
id eſt terra,planius fenſum exprimit,ſigara dicatur. yaa enim recte görkodea,
id eltgenitrix dicipoteft,utait Homerus.Nãquod gazdan dicit, genitum in
re,inquit. Quid reftat
deinceps. HER. Ver et annus, ô Socra tes. soc. Spore quidē, id eftueris temporapriſca et Attica uoce
dicendaſunt,ſi uis quod conueniens eſt, cognoſcere. Horæ nanquocant, quia
ief80, id eſt terminant hyemem atçæftatem uentosca et fructus ex terra
nafcentes. giveau tos aất et čnos, id eft annus,idem effe uidet. Quod eñ in
lumen uiciſlim educit,quęcung naſcunifiunto exterra,ipſum in ſeipſo examinat et
diſcernit,annus eft: et ut ſupra louis nomen diximus in duo ſectű, ab aliquibus
Pavæ,ab alijs diæ uocari,ita et annữ quidam giardy yocant, quia in ſeipſo,
quidā quia examinat.Integra uero ratio eft ipfum q in ſeipſo examinat.Vndeexo
ratiõeunanominaduo ſelecta funt.quòd eñ limuldicit,co giairū étolov,id eft in
ſeipſo examinās, diſtinctum dicitur griaunos, et £70s, id est annus. HER. Atuero
Ô Socrates,iam longe pgrederis.soc.Longiusequidēin philoſophia uideor euagari.
HER. Quinimò. soc.Forte'magis cöcedes. Her.Verum pofthancfpeciē libentiſlime
contêplarer,qua rationerectenomina iſta præclara uirtutūſint impofira,ut
ogórkas,id eft prudentia,cuir as, intelligentia, xacoou's, iuftitia, ac reliqua
huius generisomnia.so c.Haud conte. mnendum genus nominū ſuſcitas,ô amice.
Veruntamen poſto leoninā pellem ſum in dutus,haud deterreridecet,imò præclara
ipfa,utais,nomina prudentiæ,intelligentię, cogitationis ſciêtiæ
cæterorūphuiuſmodicõliderare.HER.Quin profecto prius deſiſtere nullo mododebemus.Soc.
Ædepolnõmalemihide eo conijcere uideor, quod modo conſiderabam, antiquiflimos
uidelicet illos nominữ autores, ut et fapientiâ noftrorum plurimis accidit,ob
frequentem ipfam in rebus perueftigandis reuolutionem, præter ceteros in
cerebri vertiginem incidiſſe:quo factum puto utres ipsæ proferri et vacillareil
lis apparerēt.opinionis autem huius caufam.haud interiorem uertiginem,ſed
exterior? cc ipfarum rerű circuitum arbitrātur:quas ita natura habere ſe putāt,
ut nihil in eis firmum. ZE et ftabile fic,fed fluantomnesferanturo,&
omnifariam agitentur, ſemperø gignantur.PC et defluant. Quod quidem in his nominibus,
quæ nuncrelata ſunt, conſpicio. HERM. CC Quo pacto Socrates.soc. Haudaduertiſti
superior nomina rebus qualidelatis, fluentibus, et iugigenerationetranslatis
impofita fuiſſe: HERM.Nă ſatis percepi.soc.Prins cipio quod primûretulimus,ad
aliquid huius generis attinet. HERM. Qualeiſtud: soc. apórnois,id eſt prudétia
eft,qopás a govórous, id eſt lacionis et fluxus animaduerſio. Signi ficare quog
poteſt,recipere övnou dopás,id eſt lationis utilitatê.Tádem circa ipfam agita
tionem uerſatur. Quinetia liuis yvaus id eft cogitatio fignificat govis várnoip,id
eft gene rationis cõliderationem.you cû quippecõſiderare eſt. voxois autem, id
eft intellectio, eſt réov čois,id eft nouideſideriũ.nouas uero res
eſſe,ſignificat eas fieri ſemper.atqß hoc deſi derare et aggredi animum indicat
qui nomēillud inuenitvsotow. principio nang vósois, nõdicebatur,fed pro,duo se
proferēda erant,ut rebois, quafivéov, id eſt noui toisappe. titio et aggreſſio.ow
poowy,id eſttemperātia illius quodmodo diximus Opornotus, id eſt prudêtiæ, falus
et conſeruatio eft. udtskun,id eſt ſcientia, ab eo quod inftar et fequit tra
&tum eſt,quafi res fluentesſolas animus perſequatur, inſtetø et comitetur: at
negexmo tra poſterior,neæ præcurſioneſicprior.Quare& interiecto shylew
uocare decet ouisas tanquam fyllogiſmus,id eft ratiocinatio quædam eſſe
uidetur.Cum autem owibrac dici tur,idem intelligiturac fi diceretur etiska. Nam
oftendit cum rebusanimum congre dirogix, id eft fapiêtia, agitationis eft
tactus. Obſcurius autem, et alieniushoc à nobis. Verum animaduertendữeſt in
poetis, quoties uolunt aduentantem aliquem et irruen tem exprimere,ovulo.id eſt
erupit,profiljjt,dicere.Quin et illuftricuidam apud Lacedæ. moniosuiro nomen
erat oös,id eſt præpes.Sic enim Lacedæmones cõcitationis impe tum indicant.
Qualiitaqomnia perferantur, huiusipſiusagitationis, quę eo quod oos di
citur,ſignificatur,iniqw,id eft tactum perceptionem aſophia demonſtrat..yglóxid
eſt bonum cuiufqsnaturæ « y« sóy,id eft mirabile, amabile,delectabile
ſignificat.Enimuero poſtos fluuntomnia,partim celeritas, partim tarditas
ineſt.Eft igiturnon omneuelox, fed ipſius aliquid « y « soy.Quod quidēayasov
ipfius& yali nomine declaratur.ductoo uby, ideft iuſtitia,quod xaiov oubsou
ideſt iuſti intelligentiam importet, facile conijcere pol fumus. Quid autem
ipſum singu op fibi uelit, difficile cognitu.Videtur autem huculoa multis quod
dictum eſt cocellum,reliquum uero dubium. Etenim quicung totum mobile
arbitrantur, plurimum agitari ipſum exiſtimāt,per omnealiquid permanare quo
fingula fiant, quod'ue tenuiſlimum fit et uelociſſimum.Nec enim per
omniadiſcurrere polle,nifiadeo tenuelit ut nihil possit
obliſterepenetráci,& adeo uelox, ut cæteris quafi ſtancibus utatur.Quoniam
uero gubernatomnia, dlačov, id eſt diſcurrens et permanans, merito dinglov eft appellatū,
x uno politioris prolationis gratia interiecto. Hactenus quod modo diximus,
inter plurimosconftat hoceffe iuftum.Ego autem Hermogenes urpo te
diſcēdideſiderio flagranshæc omnia perfcrutatus ſum,& in arcanis
percepiquod hoc ipſum iuftum ſit, et cauſa.quo enim res ipfæ fiunt,hoc eſt
caufa:proprieś ita uocariiſtud debere quiſpiam tradidit.Cum uero ab his iam
auditis iftis nihilominus diligenter ex., quiro quid ipfum iuftum ſit, quando
quidem ita fehabet, uideor iam ulterius quam decet exigere, et caueam,utdicitur,uallūý
ſupergredi.Satis enim femperrogaſſeme et audiſ- Prouerbia fereſpondent,meg
uolentes explere alius aliud afferre conantur,neo ultra coſentiunt. Quidam ait
iuſtű hoc, folem effe.Solâ quippe folem diſcurrendo calefaciendog omnia
gubernare. Cum uero hoc alacer cuiquam qualipræclarum audierim, refero, ftatim
ille meridet, quærito nunquid exiftimem post solis occaſum iuftűnihil hominibus
superef le: Percontanti itaq mihiquid ille fentiret,ipfum ait ignem iuftâ
exiſtere.neqid cogni tu facile, quarealius,inquit,nõignem ipſum ſed ipſum
potius innatum ignicalorē.Alius hæc omnia pro nihilo habet.eſſe enim iustamentem
illâ quâ induxit Anaxagoras. Dominam certe illam fuapte natura,necalicuimixtam
exornare omnia inquit, per omnia pe netrantem.Hic quidem ô amice in maiorē ambiguitaté
fum prolapsus, quàm antea dum nihil deiuſtitia ſclſcicabar.Cæterű utredeamus ad
id cuiusgratia diſputaus,nomēillicale propter hæc, quale diximus,eft tribucũ.her.
Videris Ô Socrates, ex aliquo audiſſe hæc, nec ex tua officinaruditer
deprompſiffe. soc. Quid alia: HERM. Non ita. soc. Atten de igitur;
forte'nançsin reliquis te deciperem, quali quæ afferam non audierim.Poſtiu
ftitiam quid reſtare avdgíay, id eft fortitudinēnondum peregimus.iniuſtitia
faneobſtacu lum eiuseſt quoddilcurrit per omnia, dvd piæ in pugnauerfatur.pugna
in rebus fi quidē fluunt nihilaliud fluxusipfe contrarius. Quapropter fi quis d
ſubtraxerit ex nomine hocadipiæ,nomen quod reftat aveia, opusipſum declarat.
constat planè quòd non flu xus cuiuſqz contrarius gom id eſt fluxus,fortitudo
eft,fed oppoficus illi quipræter iuſtum ficfluxui.Neqzenim aliterfortitudo
eſſet laudabilis. žeệw autem,ideft mas, et civip,uir à ſimili quodã
ducâtoriginē,ſcilicet ab ävw gom,id eſt ſurſum fluxu.pusuero,id eſtmulier,
quafi jová, id eſt fæcunda et generatrix,bãiv,id eft fæmina.cn? Begrãs, id eſt
papilla dici tur,oxå saấcuideturHermogenes dici,quia retraçúc, ideft germinare
pullulareg facit,ut irrigans ea quæ irrigantur.HERM.Sicapparet,ô
Socrates.SOCR.Idride,id eſt uireſcere, adoleſcere, floreſcere, augmentum iuuenum
repræſentat, quaſi uelox quiddam et fu bicum, quod innuitille quinomen
conflauit ex leiv, id eſt currere, et &Ma, id eft faltare.
Animaduertismeuelui extra curſum delatâ,poftquãplana ac peruia nactus ſum: Mul
ta quoqz ſuperſunt quæ ad ſeria pertinere uident.HERM.Veraloqueris.soc. Quorữu
num eft utuideamus quid de xuwid eſt ars importet. HERM. Prorſus.SOCR.Nonnehoc
şuu vä, id eſt habitum mentis oſtendit, ſi z demitur,interſerifautêomediữ inter
x et v,& interv et nézován: HERM. Aridenimiū Socrates et inculte. soc. Anignoras
beateuir no mina uetera diſtracta iam effe,atq cõfuſa à ſermonis
tragiciſtudioſis,elegantiæ gratia ad« dentibus et fubtrahentibus literas,ac
partim tēporis diuturnitate, partim exornationis& ftudio undiq
peruertēcibus ucecce in na rów,id eft fpeculo, abſurdű eft ipliusaddi “ tamentū:
Talia certe,ut arbitror,faciâtquioris illecebras pluris æſtimantő ueritatem.
Quamobré cũ multanominibus ipſis adiecerint,tãdem effecerűt, utnemoiam nominūdu
fenfum animaduertat.Quemadmodãdum o qizæ,id eſtmõſtrum quoddã proferunt,cūcl
oqiya pronunciare deberēt,ac cæteramulta. Profecto fidareturcuiş arbitratu ſuo
et de mere& addere,magna utic eſſet licentia, et quodlibetnomē cuiæ rei
unuſquiſq tribueu ret:HERM.Veranarras, so CR.Vera plane, ſed enim mediocritatem
quandam aros decorum ſeruare te decet præsidem sapiętem.HERM.Outinam.soc.Atqui&
ipſe,o Her mogenes, opto uerum ne exacta nimium diſcuſſione, uir felix,
exquiras, neuim meam prorſus exhaurias.Afcendam quippead ſupradictorum apicen:
posto post artem cõli. derauerimus Myjavlw,id eftmachinationéexcogitationemg
ſolertem. Videtautem li gnificare idem quodmultum pertingere et aſcēdere.Componitur
ergo ex his duobus, púxos, id eſtlonge et multum, et dvey,id eft
aſcendere,penetrare,pertingere. Sedutmo. do dicebam, adſummam dictorum
perueniendum eft, quærendum quid nomina iſta significant, opeta, id est uirtus,
et xcxiæ,id eft prauitas.Alterum quidem nondum reperio, alterum patere
uidetur.Nam ſuperioribusomnibus conſonar,nempetanquam eancom nia:Kards sok,id
eſt male uadens:xariæ, id eft, prauitas erit. quarecum animamale adres ipfas
accedet,communiter praua dicetur. proprie uero acmaximeprocedendihæcfa. culcas
inoshiq,id eſt timiditate patet, quam nondum declarauimus. prætermiſimuse nim. Oportebatautem
continuopoft fortitudinem ipfam inferre. Multa inſuper alia prę teriſſeuidemur.
ddníc SIGNIFICAT durum animæ uinculum.domés enim uinculum eſt.nian uero forte
quiddam durumg SIGNIFICAT quare timiditasuehemensacmaximum eſt ani mæ uinculum:
quemadmodum et exeíc,id eſt defectus inopia, dubium,malum quiddã eſt,ac
fummatim quodcuną progreſſus ipfius impedimentum,idé male progredi uide tur
oſtendere,in ipſa uidelicetmotione impediri atą detineri. Quod cum animaſubit,
prauitate plena dicit. Quod ſi illud prauitatis nomen talibus quibuſdam
cõpecit,contra rium osti,id eſt uirtus ſignificabit.In primis quidē facilē
agilemą progreffum, deinde folutum et expeditū animæ bonæ impetum effe oportet.
Quamobréabloaz impedimēto obſtaculog és béov,id eſt ſemperfluens iure
cognominari poffet adgfútn.fortè uero et αριτίω degerli uocatquis, quia
litaliftas aép&TUTTys,id eftmaxime eligendæ. Verum colliſo uocabulo
obetxdenominatur. Forſitan mefingere dices:ego autem aſſero, ſimodo no men
illud prauitatis quod retuli,recte eſt inductum,recte quoc et iſtud uirtutis
nomen induci. HERM. Arranów,id eftmalum,per quod in ſuperioribusmulta dixiſti,
quid ſibi uult: so c.Extraneum quiddam per louem,ac inuétu difficile. Icaq ad
hoc etiam machi namentum illud fuperiusafferam. HERM. Quid iſtud: SOCR.
Barbaricum quiddam et hoc esse dicam. HERM. Probeloquiuideris. soc. Cæterum
hæciam fi placet mittamus, nominauero iſta menon et degeóv, id eſt pulchrum et turpe,
conſideremus. Quid degepon innuat, fatis mihipatere uidetur.Nempecum
ſuperioribus conuenit. uidetur quinomi na ſtatuit, paſſim agitationis
impedimentum uituperare.utecce,és igorri zion pouw, id eft femper
impedientifluxum nomen dedit aegóggow. Nuncuero collidentes degsów
appellant.HERM. Quid nonoy, id eſt pulchrum: soc.Hoc cognitu difficilius,
quanquam ip ſum ita deducitur,utharmoniæ duntaxat et longitudinis gratia ipſum
æ ſit productum. HERM. Quo pacto: soc. Nomen hoc cogitationis cognomentum
quoddam esse videtur. HERM. Quiiſtud ais:'soc. Quam tu cauſam appellationis rei
cuiuſ cenſes: an nó quod nominatribuit: Herm.Omnino.so c.Nónne causa hæc
cogitatio est veldeorũ, vel hominum,uel amborum: HERM. Nempe.soc.Ergo xaréoa,ideft
quoduocatres, et kxaóv,idem accogitatio ſunt. HERM.Apparet.soc. Quæcunq mens et
cogitatio a gunt,laudanda ſunt:quæ non, uituperanda. HERM. Prorſus.soc. Quod
medicinæ par. ticeps,medicinæ opera efficit:quod fabrilis artis,fabrilia.Tu
vero quid fentis? HERM. Idem. soc.Pulchrum ita pulchra. HERM. Decet.so c.Eft
autem hoc,ut diximus,cogi tatio. HERM. Maxime. soc. Nomen ita @ hoc naróv, id
eſt pulchrum,merito erit pru dentiæ cognomentum,talia quædam agencis, qualia
affirmantes pulchra eſſe,diligimus. HERM. Sicapparet. SOCR. Quid ultra generis
huius reftat inveſtigandum: HERM. Quæ ad bonum et pulchrum ſpectant,conferentia
uidelicet, utilia, conducibilia, emo lumenta,horum contraria. soc. Quid our
popov,id eſt conferens ſit,ex ſuperioribus ip ſeinuenies. Nam nominis illius
quodad ſcientiam attinet, germanum quiddam appa ret.Nihil enim præ ſe ferc
aliud quam qopav,id eſt lationem animæ ſimul cum rebus, quæ ue hinc
proueniunt,uocari orredoporre et ovu qopa, id eſt conferentia,ex eo quod fimul
circumferuntur.Herm. Videtur.soc.Losdantov autem, id eft emolumentum: 7 koše
dos, id eſt lucro.xopdos uero,li quisv prod nominihuic inferat, quod uult
exprimit. Ná bonum alio quodam modo nominai. Quod enim omnibus xopavuutui, id
eſt miſcetur diffuſum per omnia,hanc ipfam eiusuim fignificansnomen illud
excogitauit pro vap ponens, ac Kopdo pronunciauit. HERM. Quid autem vorzask,id
eft utile soc.Vides tur Ô Hermogenes,non ſicut cauponeshoc utuntur, idcirco
Avantasy uocari, quia avesa a whece despaúx, id eſt ſumptusuitat et minuit:uerum
quia cum velocissimum sit, res ftareno finit,neq permittit lationem réao-, id
eft finem progreſſionis accipere atæ ceffare: ſed ſoluitfemper ab illa fugató,fi
quis terminusfuperueniat, ipfamós indeſinentem immor talemg præbet.hac
rationebonum avame18yuocatū arbitror.ipſum enim motionis aú ou do río, id eft
foluens terminum,avandou uocari uidetur.coénomoy uero, id eſt con ducibileperegrinum
nomēeſt, quo ſæpenumero Homerus eſt uſus. Eftauté hocaugen difaciendio
cognomētum.Her.Quid de horâ contrarijs eſt dicendûrsoc. Quæ per negationem
iſtorum dicuntur,tractarenequaquam oportet. HER. Quænã iſtar'sOc.co.uk gogov,kiw
deres davandés, axopdes. HERM.Vera loqueris. soc. Sed Brabopov et yusão s, id
eft noxium et damnofum. HERM. Certe.soc.Braboooy quidembacitou tou how effe
dicit,id eſt quod uult& nav, id eſtimpedire et coercere:pšu id eft fluxum:hocautem
passim uituperat:quodő uultanlay góp pouw, recte bonomopou appellaret. uerum
ornatus gratia Brabopón arbitrornominatū. HERM.Varia tibifuboriâtur,ô
Socrates,nomina.at quimihi uideris in pralentia, quali Palladiæ legispraeludiữ
quoddã præcinuiſſe,dum no men Bracoitopöy pronunciares. so. Nõego in cauſa ſum
Hermogenes,fed quinomēip ſum inſtituerunt. HERM. Vera loqueris. Verum
Cauãdoquid: soc. Quid effe debeat {#ubades dicam Hermogenes: et uide uere
loquar,quoties dico quod addētes ac de mētes literas lõge nominū ſenſum
uariant,adeo ut ſæpe exiguâ quidmutantes, cótraria SIGNIFICATIONEM inducant quod
apparethoc in nomine dear,id eſt opportunữ. uenithocnu permihiin mētem deeo
quod di& urus ſum cogitanti.Recēs eſt profecto uoxnobispul chra
illa,coegitý côtrarium ſonare nobis d'top et {mps&d ov, fenſum ipſum
cõfundens.Ve tus autem quid nomen utrung uulc, explicat. HERM. Qui iftucais:
soc.Dicam equi. dem.haud præteritmaiores noſtrosfrequentero et d
utiſolitos,necrariusmulieres,quæ maximepriſcam uocem feruant.Nunc autem pro
uelipfum et uelx adhibent, produe. ro (quali hæcmagnificentius quiddam ſonent. HERM.
Quo pactorsoc. Vtecceuetu ftiſſimiuiriin op'a diem uocabant,pofteriores autem
partim čuopov,partim su'épow,co cant. HERM.Vera hæc funt. soc.Scis igitur
uetufto illo nomine tantum mentem eius quinomen impoſuit declarari.Nam ex eo
quod imeipzory, id eſt deſiderantibus homini bus gratulantibus etenebris lumen
emicuit,diem inopor cognominarunt. HERM.Ap paret.so c.Nunc autem illa
tragicisdecantata quid ſibiuelit suopa,nequaquam intelli. gas.quanquam
arbitrantur nõnullispopov dici,quod kuopa,id eftmāſueta quæg efficiat. HERM. Itamihi
uidetur.soc.Neq te fugitueteres Puyóv,id eft iugum, dvozov uocauiſ fe. HERM. Planè.
soc. Enimuero luzów nihil aperit. at d'voyou,divoiy dywylw,id eſt duori
conductionem ligandi ſimul gratia,monftrat.Idemø eftdemultis alijs iudicandű. HER.
Patet.soc.Eadem rationediopita pronunciatum cótrarium nominum omniâ quæ ad
bonum ſpectant oſtendit.porro boniſpecies exiſtens,déondeouós,id eft uinculum
quod dam et impedimētum proceſſionis effe uidet, tanquam Bag Bopo,id eftnoxij
affine quid dam.HERM.Icamaximeapparet,ô Socrates.Soc.Verum nõſicin
nomineueteri, quod ueriſimilius eſtrecte inſtitutum fuiffe, quàm noftrum. Nempe
cum ſuperioribus bonis conſenties,fi pro 4,1 uetus reſtituas.Nec enim deby;ſed
toy bonum illud ſignificat,quod ſemper nominūlaudat inuentor: Atą ita
fecũipſenõdiſſidet, imòad idem ſpectat,d'ion, quali δίομ, ώφέλιμομ, λυσιτελών, κάρδιαλέον, αγαθόν, συμφόβου, εύπορου, ideft facile ad pro,
greffum.uniuerſü hocdiuerlisnominib.innuit aliquid per omnia penetrās, omniaq
pe rornans,idő ubiq laudatü: qd uero obftat et detinet, improbata. Quinetiã
nominehoc {Butãds,liyeterű mored profpoſueris,apparebit tibinomen iſtud
disutisè boy, id eft li ganti fiftentiç quod pergit,impofitum.unde et Musãdes
cognominandum eſt. Herm. Quid ádura,númy, uslupia,uoluptas ſcilicet,dolor,
cupiditas, Socrates, et huius generis reliqua: soc.Haudnimis obſcura mihi
uidentur Hermogenes, šidbvi,id eſt uoluptas lir quidem actionis illiusnomen
eſt, quæ adóvgay, id eſt utilitatem emolumentumo tendit duero adiectum facit,ut
pro eo quod eſt sova,údova proferatur.Ajax, id eftdolor,à Stanús Gews,id
eſtdiſſolutione corporis trahi uidetur.Nam in huiuſmodi paflione corpus diffol uitur.xvíc,
id eſt triſtitia, quod impeditigio,id eft ire,demonftrat.& aguda, id eft
crucia tus,peregrinum nomen uidetur,ab ängdvö dictum.éduig,id eft dolor et afflictio,ab
güdlü Oews,id eft ingreſſionedoloris denominatur. HERM. Videtur.so Cårigoló, id
eftmoe ror languor,lationis grauedinem tarditatemg ſignificat. ãxto enim
onuselt.ioy uero pergens.xapod uero,id eſt lætitia gaudium,à diazúrews, id eft
profuſione, et progias, id eft facilitate,poas, id eſt motionis animæ, dicitur.
Tosalesid eſt delectatio,ab toptivs,id eft oblectamento ducitur. Topavoy autem
à trom,id eft inſpiratione delectationis in animā Quaremerito uocaretur
égaršv,id eſt inſpirans. Temporis autem interuallo ad Top Arvo deuentum
eſt.cuqpoouis,id eſthilaritas et alacritas, quam ob cauſam dicatur,aſſignareni
hil opus.Nam cuicp patet hocnomen trahiab eo quod dicitur eü, id eſt bene.
oum @ opeally id eft unaſequi qualidicat animabeneres affequi.Vnde cu poporubs
uocarideberet:ta men Bagooutlw appellamus. Sed neg difficile est assignare quid
üsgutta, id eſtcupidi. tas ſibiuelit.Nomen quippehocuim tendentem in Ovuoy, id
est animam et iram et fu rorem oftendit. Ovuós autem à lúoews& toews,id eft
flagrantia, feruore,& impetu animę. proindeiupo,id eft fuauis et blandaperfuſio,dicitur,jm,id
eſt fluxu animam uehemen ter alliciente.ex eo enim quodiulio ga,ideft
incitatusrerumgappetens fluit,animam uehementerattrahitpropter impetum ſiue
incitamērum fluxus.ab hac tota uiHimeros eſt nuncupatus.Præterea Pothos
uocatur,id eſt deſiderium, quod fane præfentem fuaui tatem nõ reſpicit,
quemadmodū iuepo,fed abfentem ardet. Vnde wale_diciturqualiá wóvrG,id eft
abſentis cócupiſcentia.Idem ipſe in id quod gratñeſt animinixus,præ ſente co
quod cupitur iuopo,abſente wólo denominatur. iews autem, id eſt amor, quia
doga,id eft influit extrinſecus,neg propria eſt habēti gas,id eſt fluxio ilta,fed
infuſa per oculos. Quapropterabcogar,id eſt influere,čopo, id eft influctio, amor
ab antiquis no ftris appellabat,nam opro wutebantur.nuncautem épwsdicitur,wproo
interpoſito. Ve. rum quid deinceps conſiderandum præcipis? HERM. dlófæ, id eft
opinio, et talia quædã, undenomen habentisoc.déke,uel à diwa,id eſtperſecutione
dicit, qua pergit et pro ſequituranima, conditionem rerum inueftigans:uelà tófo
Borm,id eft arcus iactu. uides turautem hinc potiusdependere. oinois, id eft
exiſtimatio,huic confonat. oftendit quip pecioiy,id eſt ingreſſum animæin
unumquodß conſiderandum, oioy,id eſt quale fic:quê admodum et bons,id eft
uoluntas a Borá,id eſt iactu dicitur: et Bóns, id eſt uelle, pro pter ipſum
attingendinixum ſignificat etiamélis,id eſt cupere:& Bonbuch, id eſt cõſu
lere. Omnia hæ copinionem fequentia,Boras ipfius, id eſt iactus et nixus
imagines eſſe uidentur.quemadmodum contrarium, et boniæ, id eſt priuatio
uoluntatis,defectusquidã conſequendiimpos apparet, quali non contendat, neq
etiam quod intendit,uult, cupit, inueftigat,adipiſcatur.HERM.Frequentiora hæc
congerere uideris, ô Socrates. Quare finis iam fic fauence deo. Volo tamen
adhuc, ávéyxlu et Exšonoy,id eſt neceſſarium et uo luntarium declarari. Nempe
ſuperioribusilta ſuccedunt.socRéxóozoy equidem eft si noy,id eſtcedensneg
renitens, hoc fiquidem nomine declaratur zinoy lestorti, id eſt ces denseunti, quod'ue
ex uoluntate perficitur. avayeccoy uero, id eſt neceſſarium et obfi ſtens,cum
præter uoluntatem ſit,circa errorem infcitiam uerſabitur deſcribiturautem ex
proceſſu ſecundum neceſſitatem, quoniam in uia aſpera denſa inceffum prohibent.
Vndeavaysazov dictum eſt,quali per et yroscop,id eſt per uallē uadēs.Quouſ uero
uiget robur,ne deſeramus. Quamobré interrogaamabo, ne deſiſtas. HERM. Ecce rogo
quæ maxima ſunt et pulcherrima:« aksaa,id eft ueritatem, et fordo,id
eftmendacium, et öy,id eft ens, et quareid quodehicagimus,övoua,id eft nomen, dicitur.
SOCR. Quid vo casmaksa: HERM.Voco equidem inquirere.so c.Videtur nomen hoc ex
sermone illo conflatum, quo dicicuröv, id eſt ens esse,cuiusnomen inquiſitio
eſt. Quod clarius certe comprehendes in eo quod dicimus óvojasóy, id eſt
nominandum. hic enim exprimitur nomen quid ſit, entisuidelicet inquiſitio. &ikbļa
uero ficut et alia componiuider.Nam diuina entislatio, nomine hoc includitur, ankódæ,
quaſi exiſtensOscarx,id eft diuina que dam uagatio.Foido- autem contrarium
motionis. Rurſushic uſurpatur
agitationis obstaculum, quod'ue ſiſtere cogit. Nam à reboudw, id eſt dormio
dicitur. 4 uero adiectum ſenſum nominis occulicouuero et Xoia, id estens et essentia,cum
et rx66ą, id eſtueritate, congruunt: fic apponatur.namrov, id elt uadens
ſignificat.Atdrøv id eſt non ens,quidam nominant xxcov, id eſt non uadens.
HERM. Hæcmihiuideris, 6 Socrares, fortiter admo dum discussisse. Verum si
quiste perconteturquæ fitrecta iſtorum interpretatio, quæ di cuntur čov, id eſt
uadens:géov, id eft fluens,doww,id eſt
ligansac detinens, quid illi potiſſi. mum reſpondebimus: habes'ne: Socr. Habeo
equidem.profecto nuper ſuccurrit no bis aliquid, cuiusreſponſione quicquam
uideamur afferre. HERM. Quale iſtud: soc. Viquodminime cognoſcimus, barbaricum
eſſe dicamus. fortè enim partim reuera talia ſunt: forte'uero partim, ac
præſertim nomina prima,temporum confuſione infcru. “ tabilia.Etenim cum paflim uocabula diſtrahantur, nihilmirum
eſſet ſi priſcalingua cum Ç noſtra collatanihilo à barbarica uoce differret.
HERM.haud alienum eſtà ratione quod a dicis. Socr. Conſentanea quidem affero,
non tamen idcirco certamen excuſationem uidetur admittere.Sed conemur hæc
diſquirere, ato ita conſideremus: fiquis femper uerbailla per quænomen dicitur,
quæreret,rurſus illa per quæ dicuntur uerba, ſciſci taretur, pergeretob ita
perquirere, non'ne qui refpondet, defatigari tandem et renuere cogeretur: HERM.
Mihiſane'uidetur. SOCR. Quando ita quireſponſum denegar, merito ceſſabit: An
non poftquam ad nominailla peruenerit, quæ cæterorum ſunt& ſermonum et nominum
elementarHæcutio fi elementa funt,ex alñsnominibus com pofita uiderinon
debent.quemadmodum ſupra et yalóy,id eſt bonâ diximus, ex « y så, id eſtiucundo
amabilio, et 805,id eftueloci compofitum.gooy rurſus ex alijs conftare di
cemus,illağ ex alijs. ſed poftquam ad id peruenerimus quod ultra ex
alíisnominibusno coſtituitur,merito nosad elementű perueniſfe dicemus,nec
ulteriusbocin alia nomina, referendum. HERM. Scite mihiloquiuideris.soc. Annon
ea de quibuspaulo ante in terrogabasnomina eleméta funt oportet rectam
illorõrationem aliter quam reliquorum inueftigare. HER. Probabile id
quidem.soc.Probabile certeHermogenes. Supe riora itaq omnia in hæcredacta
uidentur:ac ſi ita ſe res habet, ut mihiuidetur, rurſusage hic unamecum
conſidera, neforte delirem dum rectam primorum nominum rationem exponeretento.
HERM. Dicmodo. ego nang pro viribus meditabor. soc. Arbitror equidem in hoc
tecõſentire,unam efferectam et primi& ultiminominisrationem, nul lumğ
illorum eo quod nomen est, ab alio diſcrepare. HERM. Maxime.so c.Etenim om 2
nium quæ ſuprà retulimusnominum recta ratio in hoc cõſticit, ut qualis quæ res
litin 7) dicaretur. HERM. Proculdubio. soc. Hocutio non minus prioribus quam
pofteriori. bus competere debet sinomina fucura sunt. HERM. Prorſus.so-c.Atquipoſteriora
no. minaper priora hocefficere poterant. HERM. Apparet. soc. Primauero quibus
alia nõ præcedunt, quo pacto quam maximeres ipsas nobisoftendēt, ſi nomina effe
debet: Adhoc mihireſponde. ſiuoce et lingua caruillemus,uoluiffemusgres inuicem
declara re,nonneperindeac nuncmuti, manibus capite et cæterismembris
ſignificare tenta uiſſemus? HERM. Haud aliter Socrates, soc. Ergo supernữ
quippiam ac leue demonftraturi, cælum uerſusmanum extuliffemus, ipſam rei
naturam imitantes: inferiora uero et grauia deiectione quadã humiinnuillemus.
quinetiã currentem equũuelaliud quic quam animalium indicaturi,corporum
noftrorum geftus figuras ad illorum ſimilitudi nem quam proximequiſo finxiſſet.
Herm. Neceſlariû quod ais eſſemihiuidetur.soc. Huncinmodűutarbitror his
corporis partibus ostensum eſſet, corpore videlicet quod quifq monstrare voluerat
imitante. Herm. Ita certe.soc. Postquá uero uoce, lingua, et ore declarare
uoluimus, nónne ita demum per hæcoſtenſio fiet,li per ea circa quodli bet,facta
fuerit imitatio: HERM. Neceſſarium puto. soc.Nomen itaq eſt, urapparet, imitatio uocis, qua
quiſquis aliquid imitatur,per uocem imitat et nominat. HER. Idem mihi quoq
uidetur.soc. Nondum tamen recte dictum existimo. HERM.Quamobrē: Soc. Quoniam
hos ouiū et gallorum cæterorum animalium imitatores fateri cogere. murnominare
eadem quæ imitantur. HERM.Vera loqueris. SOCR.Decereid cenſes: HERM. Nequaquam
sed quænam ô Socrates imitatio nomen erit: s o c.Non talisimi. tatio qualis quæ
permuſicam fit,quamuis uoce fiat,nec etiã eorundem quorum et mu. fica imitatio
eſt,nec enim permuſicam imitationem nominare uidemur. Dico autê ſic:
Adeſtrebusuox et figura colorø plurimus. HERM. Omnino.soc.Videturmihiſiquis
hæcimitetur,neq circa imitationes iftas nominandifacultas cõfiftere. hæfiquidem
ſunt partim muſica, partim uero pictura.jnonne.HERM. Plane. soc. Quid ad hoc:
nonne essentia eſſe cuiq putas, quemadmodú colori et cæteris quæ ſuprà diximus:
an nõ ineſt coloriacuocieſſentia quædam,& alijs omnibus quæcunc essendi appellationefundi.
gna: HERM. Mihi quidem uidetur. soc. Siquis cuiuſą eſſentiam imitari
literisfylla. biscß ualeret,nonne quid unumquodo fit declararet: HERM.
Maximequidem. Soci Quem hunc eſſe dices: ſuperiores quidem partim muſicum,partim
pictorem cognomi nabas,hũcuero quomodouocabis? HERM. Videturhicmihiô Socrates
quem iamdiu quærimus nominandiautor. soc. Siuerum hoc eſt,conſiderandum iam
denominibus illis quæ tu exigebas, pess, ideſt fluxu,igra,id eſt ire, géoews,
id eſt detentione,utrumli teris ſyllabisą luis reuera effentiam
imitantur,nec'ne.Herm.Prorſus. soc. Ageuidea musnunquid hæcſola
primanominaſint,an fint et alia præterhæc. HER.Alia equidem arbitror. Soc.
Consentaneum est cæterum quis diſtinguendimodusunde imitari incir pitimitator: Nónne
quãdoquidem literis ac ſyllabis eſſentiæ fit IMITATIO, præſta tprimu elementa
distinguere: quemadmodum qui rhytmis dant operam, elementorum primo uires diſtinguunt,
deinde syllabarum tanium, rhythmoscandem iprosaggrediuntur,pri usnequaquam. HERM.
Vtiq.soc.Annon ita et nos primo oportet literas VOCALES distinguere, poftea
reliquas ſecundum ſpecies, mutas et SEMI-VOCALES. Ita enim in his erudi ti uiri
loquuntur.acrurſus uocales quidem,non tamen ſemiuocales, et ipſarű uocalium
ſpecies inuicem differentes. Etpoftquam
bæcbene omnia diſcreuerimus,rurſus induce, renomina,conſiderareg ſi ſuntin quæ
omnia referuntur, quemadmodum elementa,ex quibuscognoſcere licet& ipfa, et fi
in ipſis ſpecies continentureodem modo ficutiner lementis. His
omnibusdiligenter cogitatis,Icire oportet afferre secüdum fimilitudinem unumquodą,
ſiueunum uniſit admouendum, ſeu mulcą inuicem commiſcenda:ceuph Storesctores
similitudinem volentes exprimere, interdum purpureum duntaxat coloré adhi
bent,interdum quemuis alium colorem, quandoque multos conmiscent,ueluti cum
imaginem viri quam similimam effingere volunt, vel aliud quiddam huiusmodi,
quatenus ima goqueo certis coloribus indiget. haud ſecus et noselementa
rebusaccomodabimus,& unum uni, quocunq egere maxime uideatur:oumbona “, id
eſt coniecta conficiemus, quas ſyllabasuocant. Quas ubiiunxerimus, ex eisö
nominauerba constituerimus, rur fusex nominibusac uerbismagnum iam quiddam et pulchrum
et integrum conſtrue mus:& quemadmodum totum ipſum compoſitum pictura
animal uocat, ita noscontes xtum huncintegrű; orationem uel nominandi peritia,uel
rhetorica fábricatam,uel alia quauis quæ id efficiatarte.Imòno nos
iſtudagemus.modūnamą loquendo tranſgref fus fum, quippe ueteres ita
conflarunt,fi ita eſt conſtitutum. Nosautem oportet,fimodo artificiofe
conſideraturiſumus,ipſa omnia fic diſtinguentes, fiue ut conuenit primano mina
et pofteriora ſint poſita,ſiue non,ita excogitare.Aliter autem cõnectere
uidendű eft ôamice Hermogenes,ne forte ſit error.Her. Forte per louem ô
Socrates. soc. Nun quid ipfe cöfidis ita te posse
diſtinguere: Ego enim mepoſſe diffido. HEŘ.Multo igitur magis ipſe
diffido.soc.Dimittemus igitur?an uis utcun @ ualemus experiamur,et ſi pa rum
quid horum noſſe poffumus,aggrediamur,ita tamen utfuprà,dis præfati:ucq illis
ediximus,nihil nosueriintelligentes opiniones hominūdeillis conñcere:ita et nấcper
gamusnobiſipſi ſimiliter prædicentes, quod fi quam optime diſtinguenda hæc
fuiffent, uel ab alio quopiam,uela nobis,ſic certe diſtinguereoportuiſſet:
nuncautem,ut fertur, puiribus ifta nostractare decebit. Admittishęc'uel quid
ais.HER. Sic prorſusopinor. soc. Ridiculum uiſum iri ô Hermogenes, arbitror,
quod res ipfæ imitatione per literas fyllabas a factamanifeſta fiát. Neceſſarium
tamen:nec enim meliushochabemus quic quam,ad quod reſpicientes deueritate
primorum nominū iudicemus:niſi forte quemad modum Tragiciquoties ambigunt,
cõmentiris quibuſdam machinamentis ad deosco fugiunt,ita et nos ocyusrem
expediamus,dicentes deos prima nomina poſuiſſe, et idcir corecte inſtituta
fuiſſe.nunquid potiſſimusnobis hic fermoran ille, quod ipſa a barbaris
quibuſdam accepimus: Nobis quippe antiquiores ſuntbarbari,uelquòd ob uetuftatem
ita ea diſcerninequeuntut et barbara: Tergiuerſationeshæ ſunt, et belliſſimæ
quidem, illorum quicunq nolint derecta impoſitione primorum nominû reddere
rationem. Ete nim quiſquis rectam primorā nominum rationem ignorat, ſequentium
cognoſcerene quit.hæcporrò ex illis declaranda ſunt,illa autē is ignorat. quin
potius neceffe eft fequê tium peritiam profitentem,multo prius et abfolutius
antecedentia comprehendiffe, por feq oſtendere, aliter autem ſciredebet fe in sequentibus
deliraturũ.an aliter ipſe confess HER.Haud aliter Socrates. soc. Quæ ego
ſenſideprimis nominibus, inſolentia ridicu lag admodum eſſe mihiuidentur,eaç
tecû, ſi uelis, comunicabo. Siquid uero tumelius inueneris,mecum et ipſe
comunica. HER. Efficiam.fed diciam forti animo. soc.Princi pio ipſum g uelut
inftrumentum omnismotuseſſe uidetur. Curautem motuslivrosap pelletur,non
diximus.patet tamen quoditors, id eftitio eſſe uult.Non enim quondam,
fedeutebamur.principiữautē ab liay, id eſtire, quodperegrinum nomen eft,&
igra,id eſtire ſignificat.Quare fi priſcum eiusnomen reperiatur in uocem
noftram translatum, recte i'eois APPELLABITVR. Núc autem ab kiau
nomineperegrino, et ipfiusy conmutatione, et vipſius interpofitione livyoisnuncupatur.
Oportebat autem sidingoy uel any dicere. súčas,id eft ftatio,negatio ipfius iga,
id eft ire eſle uult, ſed ornatuscaufa séas denomi natur.Elementū itaq ipſum
qopportunűm motus inſtrumentum, ut modo dicebā,uiſum eſt nominum autori ad
ipfam lationis fimilitudiné exprimendā: paflim itaggad motus expreſſionē
utitur.In primo quidem ipſo jau et goñ, id eſtfluere, fluxuğ per literampla
tioně imitatur,deinde in touw,id eft tremore,& baya aſpero.item in uerbis
huiufmodi, kódy percutere,&gaver uulnerare, oʻúrdy trahere, @ gúndu
frangere eneruareg, kopuerto siddy incidere,pêué du uacillare, irritare, et circumuerſare.
Hæcomnia ut plurimâperp ad similitudinem motionis effingit. Mitto enim quod
lingua in hac litera pronunciadamini meimmoratur, quin potius cocitatur.
Quocirca ad iſtorũ expreſſione iplo s potiſſimữ uſus fuiffe uider. Vfus eft
&, scilicetiota, ad tenuia quæ per omniamaximepenetran tia.idcirco igra et icadou,
id eft ireprogredió per o imitatur. Quéadmodū per 4.0, quæ E literæ
uehementioris fpiritus ſunt, talia quædam nominum autor exprimit, fuzeów frigt
dum, (soy feruens, osoatare concuti, et communiter aconoy, concuſſionē
quaffationem: quoties uehemens quippiam &fpiritu plenum imitari uult
nominum inftitutor, tales utplurimum literas adhibet.Quinetiam ipſiusd
cõpreſſionem aco, linguæ et uelut ha. rentis retractionem, peropportunã exiſtimaſſe
uideturaduinculi&ftationis potentiâ exprimendam. Etquia in a proferendo
maximelingua prolabitur, idcirco per hoc uelur ex fimilitudine quadam nominauit
nga, id eſt lenia et órcdaerah labi, et noMūdeslie quidum,Ascrapov pingue,
cætera huiuſmodi.Quiauero labentem linguam y remoratur eo interiecto
formauityhioggoy lubricum, gauxudulce, yrādes uiſcoſum, luculentum.
Animaduertens quo&ipfius v ſonum imoin gutture detineri, eo nominauit so
výdby et te gutos, id eſtąd intus eſt, et quæ intrinfecusſunt, utres per
literas repræſentarer.Ipſum uero w,meyer@,id eſt magno tribuit &ipſum %
ukus,id eſt longitudini, quoniamma. gnäliteræ ſunt.in nomineautem spozzinoy, id
eft rotundum,ipfo o indigens, o ut pluri mummiſcuit. Eadem ratione cętera
ſecundum literas ac ſyllabas rebus ſingulis accom modare uidetur nominum
autor,ſignữnomenoconſtitués,ex his deinde ſpecies iamre liquas per
ſimilitudinem conſtituere. Hæc mihi Hermogenes recta uidetur effe nomina ratio,
niſi quid aliud Cratylus hic afferat. HER. Etenim ở Socrates, fæpemeturbat
Craty lus hic, uc à principio dixi,dum eſſe quandã afferit rectam nominû
rationem, quæ uero sit, non explicat, utdiſcernere nequeam utrum de induſtria,
nec'ne adeòfit obſcurus. In præſentia igitur Ô Cratyle,coram Socrate dicas,
utrum placeant ea tibi quæ Socrates de nominibuspredicat,an preclarius aliquid
afferre poffis:quodfi potes,adducas in me dium, ut uel a Socrate diſcas,uel nos
ambos erudias. CRAT. Videtur netibi Hermoge nes facile eſſe tam breui percipere
quoduis atque docere,nedum rem tantam, quæ maxi mum quid demaximis æstimatur. HER.
Non mihi per louem, quinimò ſcite loquutum Heliodum arbitror, quod operęprecium
ſit paruum paruo addere.Quare fi quicquamli cet exiguum perficere uales,ne
graueris, fed et Socratem istum iuua,& me insuper.de. bes enim.soc. Equidem
ô Cratyle, nihil eorum quæ ſupra comemoraui; aſſererē.Nem peutcunq; uiſumeſt,
cum Hermogene hoc indagavi quocirca aude fi quid melius habes, exprimere, tanquã
ſim libenter,quod dixeris,ſuſcepturus. Neqz enimmirarer liquid tu
hiſcehaberespræclarius. Videris porrò &ipfe talia quædã conſideraffe,
&ab alijs di diciſſe. Siquid ergo præstantius dixeris, me interdiscipulos
tuos circa rectam nominā rationem unum connumerato. CRAT. Certe mihi ô
Socrates,utais, curæ hæc fuerunt,ac forte diſcipulum te efficerem.Vereortamen
ne contrà omnino ſe res habeat.Conuenic mihi nuncidem erga te dicere,
quodaduerſus Aiacem in ſacris Achilles inquit.Genero. Iliadosi fe,ait,Aiax
Telamonie populorũ princeps, omnia mea ex ſententia protulifti.Ita cu quo queô
Socrates, nostra exmente uaticinari uideris, fiue ab Euthyphrone fueris inſpira
tus, ſiue Muſa quædam tibipridem inhærens nuncte protinus concitauerit. soc. O
uir bone Cratyle, ego quoß fapientiam meam iampridem admiror,neq nimis confido.
qua re examinãdum quid dicam, exiftimo.Namaſeipſo decipi grauiſſimum eſt nimis
enim 2 periculosa res eft, quum ſeductorabeſt nunquam ſemperdeceptum proxime comita,
tur. Oportetitao superiora frequêter
animaduertere, et utpoeta ille ait, ante illa retros conſpicere.Atqui &in præsenti
videamus quid à nobis sit dictum. Rectam diximus nominis rationem, quæqualis quæqres fit,
oftendit.Nunquid ſufficienter eſſe dictâ afferi mus: CRAT. Ego quidem aſſero.soc. Docendi igitur gratia nomina
ipfa dicuntur: CRAT. Prorſus. soc. Annon et artem eſſe hancdicimus, et ipfius artifices: CRAT.
Maxime. soc. Quos. CRAT. Quos à principio tu legum &nominum conditores co
gnominabas.soc.Vtrum hanc artem ſimiliter atą alias ineſſe hominibus, an aliter
arhi tramur:Idautem eft quoduolo.pictores quidam deteriores ſunt,quidam
pręſtantiores? CRAT. Sunt.soc. Nónne præstantiores opera sua pulchriora
faciunt, figuras uidelicet animalium: cætericontra: Aedificatoresquoq ſimiliter
partim pulchriores, partim tur piores domos efficiūt: CRAT.Sic eſt.soc. Nónne
et legum ipsarī autores partim opera suapulchriora, partim turpiora efficiunt:
CRAT. Haud ampliusiftud admitto. soc. Non ergo leges aliæmeliores,deteriores
aliæ tibiuidentur. CRAT. Non. soc. Nec etiã nomen utapparet, aliud melius, aliud
deterius impoſitum ARBITRARIS. CRAT. Negiſtud.
soc.Ergo omnia nomina recte poſita ſunt. CRAT. Quecunqueuidelicet nominaſunr.
soc. Quid de huius Hermogenisquod ſupra dictum eſt, nomine: Vtrum dicendű non
effeilli iftud impoſitum, niſiquod équo geridews,id eft Mercurij generationis
illicompe car: Animpoficum quidem, non tamen recte: CRAT. Nec impositum esse ô
Socrates, arbitror,fed uideri.eſſe autem alterius cuiusdā nomen, cui natura
inest quæ nomine con cinetur.soc.Vtrum nequementicur quisquis Hermogenem eſſe
eum dicit:Nec enim hoc eft dubitandum, quin eum dicatHermogenem eſſe,cum non
fit. CRAT. Quaratig ne id ais: so c. Nunquid ex eo quod non datur dicere falſa,ſermo
tuus conftat, et circa id uerſacur permulci nempeô amice Cratyle, et nunc PRÆDICANT
et quondam aſſerue runt. CRAT.Quo pacto ó Socrates,dum dicit quis quod dicit
quod non eſt dixerit; An non hoc eſt falla dicere,quæ nõ ſunt dicere:
soc.Præclarior hic fermoamice,quam con dicio mea et ætas exigat.Attamen mihi
dicas,utrum loqui falſa non poſſe aliquis tibi ui detur,fariautē pofle? CRAT. Neq
fari.soc.Acetiam nec dicere,nec apppellare, falu tare: Quemadmodum liquis tibi
obuiushoſpitalitatis iure manu te prehendens dicat Salue hoſpes Athenienſis,
Šmicrionisfili Hermogenes. illeloqueretiſta,uel fari dicere tur,uel diceret,uel
falutaret,appellaretę ita, non te quidem,ſed hunc Hermogenem,aut nullum:
CRAT.Videtur mihi ô Socrates, incaſſum hæc iſte uociferare.so c.Šat habeo. utrū
uera uociferat, qui ita clamat, an falſa: Anpartim uera, partim falſa: Namhoc
quo queſufficiet. CRAT. Sonare huncego dicam feipfum fruſtra mouentem, ceu
fiquis æra pulſer.soc.Animaduerte Cratyle,utrum quoquo modo conueniamus.Nõne
aliud no men, aliud cuius nomen eſt,effe dicis: CRAT. Equidem. soc. Etnomen rei
ipsius imita tionem quandam effe: CRAT.Maxime omniū. So c. Et picturas alio
quodam modo re rumquarundam imitationes: CRAT. Certe.so c. Ageuero, force'ego
quid dicas, non fa tis intelligo,tu autem forſitã recte loqueris.poffumus has
imitationes utraſą et picturas et nomina rebus his quarű imitationes ſunt, attribuere,
nec'ne: CRAT. Poſſumus. SOC. Adverte hocin primis,nunquid poffit aliquisuiri
imaginē uiro, &mulieri mulieris tri buere, et in alijs eodem pacto:
CRAT.Sic certe.soc.Num &contra,uiri imaginem mu lieri,& mulieris uiro. CRAT.
Ethoc. soc. An utræquediſtributioneshuiuſmo directæ sunt: uelpotiusaltera,quæ
cuiæ proprium fimileg attribuit: CRAT. Mihi quidem uide tur.SOC.Ne igitur ego
actu cum ſimusamici, in uerbis pugnemus, aduerte quod dico. Talemego
diſtributionem in imitationibus utriſqz tam nominibuső picturis rectã uo co. et
in nominibus nõrectam modo, fedueram. Alteramuero diſsimilisipſius tributio nem
illationem non rectam,& in nominibus præterea falſam. CRAT. Atuide ô Socra
tes,nefortè in picturis duntaxat id contingere poſſit,ut quis male diſpertiat,
in nomini bus autem minime,fed neceſſariū ſit recte femper adſcribere.soc.Quid
ais: quo ab illo hoc differt: Nonefieri poteſt ut cuipiam uiro quis obuius
dicat,hæctua figuraeſt, oſten datók illi forte'uiri illius figuram, forte'etiã
mulieris: Oftendere, inquam, ſenſibus oculo rum offerre. CRAT.Certe.soc.Nónneiterum
ut eidem factus obuiam dicat, nomen id tuum est. Imitatio quippe aliqua nomen
est, quemadmodũ et figura. Dico autéita.Nón ne licebit illi dicere,nomen
hoctuum eft: deinde in aurē idem infundere,fortè'eius imi tationem dicendo quod
uir eſt,forte' uero fæminæ cuiuſdã generis humani imitationē, dicendo quod
mulier: Non uidetur tibihoc aliquãdo fieripoffe: CRAT.Concedere ti bi uolo, o
Socrates, licefto.soc. Recte facis amice.acſi id ita fe habet, controuerſia iam
tolletur. Porrò si in his huius modi quædã partitio fit, alterâ uereloqui,alterữloqui
falſa uocamus.Si hocaccidit, et poſſumus non recte nomina diſtribuere, et quænon
propria funt cuic reddere,fimiliter in uerbis aberrare licebit.Sinautem uerba
nominağ ita con gerere datur, necesse est et orationes similiter. Oratio
quippe,utarbitror, eſt uerborum &nominum cõpoſitio. Quid ad iſta Cratyle:
CRAT. Quod et tu.probe namg loqui ui deris.soc. Quinetiã si prima nomina ad
literas ipſas quadã imitatione referimus, cótin. gere poteſt in his quemadmodã
in picturis,in quibusaccidit ut congruas omnes figuras coloresg;
adhibeamus.Item (ut non omnes,fed partim ſuperaddamus,partim ſubtraha mus,plura
et pauciora exhibeamus. Nõne fieri hoc potest? CRAT. Proculdubio.so..
Quicóuenientia oſia tribuit,pulchras literas et imagines reddit. Quiuero
addit,uel au fert,liceras quidem ac imagines &ipſe facit, fedmalas,CRAT. Nempe.
soc. Qui autem per literas ac syllabas rerum eſſentiam imitatur,nónne eadem
ratione fi comperētia om nia tribuit,pulchram imaginem efficit: Idautem nomen
exiſtic.finautem in paucás defi, ciatuelexcedat,imago quidem efficietur, sed
non pulchra: Quamobrem nomina quæ. dam beneinſtituta erunt, quædam contra.CRAT.
Forte. soc.Forſican ergo nominum hicbonus erit artifex,illemalus.CRAT.Profecto.soc.Nónne
huic nomen erat nomi numcõditor: CRAT.Plane.so c.Erititag in hocquemadmodū in
cæteris artibus con. ditor nominum bonus unus,alius uero non bonus,limodo
fuperiora illa inter noscon ftant. CRAT. Vera hæc funt. Verum cernis ô
Socrates, quotiens has literas « et B et quoduis elementorű nominibus per artē
grammaticamattribuimus, ſiquid auferimus, ueladdimus, uel etiam permutamus,
quod nomen quidem ſcribimus;non tamen recte, imò uero id nullo modo fcribimus, quin
potius ſtatim aliud quiddã eſt, cũ primum horű aliquid patitur.soc.Videndű
Cratyle,ne force'minusrecte hoc pacto conſideremus. CRAT. Quo pacto:so c. Fortaſſis
quæcune aliquo ex numero conſtare uel non cõsta reneceſſe eſt, id quod ais
perpetiuntur, quemadmodūdecem, autquiuis alius numerus. Nam quilibet numerus
quocûç additouel ablato, alius ſtatim efficitur. Fortè uero qua litatis
cuiuslibet et imaginis haud eadēratio eſt, ſed diuerſa. Neg enim omnia imago ba
bere debet quæcũą illud cuius imago eſt, li modoeſt imago futura. Animaduerte
num aliquid dicam. Anduoquædam hęcerunt,Cratylus uidelicet, et ipfius imago,
ſiquis deo rum nõmodo colorem tuum figuramß expreſſerit,ut pictores ſolent,ſed
interiora quò que omnia fimilia tuis effecerit,mollitiem eandem, caloremý, motum,animā,
fapientiā; &ut breui complectar, talia prorſus effinxerit omnia, qualia
tibiinſunt: Varum, inquá, alterum iſtorum Cratylus erit,alterum Cratyli ipsius
imago:AnCratyli potius gemini: CRAT. Cratyli ô Socrates, ut arbitror, duo.soc.Cernis
amicealiam imaginis rationem eſſe quærendam, quàmillorum quæ paulo ante diximus
ne cogendum effe liquiduel additum,uelablatum fuerit,ut non ampliusſit imago
Annonſentis quantã deeſt ima ginibus, ut eadem habeantquæ et illa quorû
imagines sunt: CRAT. Equidem.soc. Ri. diculum aliquid Cratyle exnominibus
contingeret his quorum nomina ſunt, fi prorfus illis fimilia redderentur.Gemina
quippe omniafierent, neutrumą illorūutrum effetpo tius dici poffet,res'ne ipſa
annomen. CRAT. Vera loqueris. soc. Ingenueitaqz fatearis o uirgeneroſe,nominum
aliud bene,aliud contra pofitum effe:nec cogas omnes literas continere,adeò ut
penitus tale fit, quale et id cuius eft nomen:ſed mitte literá quoq mi nus
congruam afferri quãdoq:ſi literam, &nomen ſimiliter in ſermone: ſi in
fermoneno men,ſermonem inſuper nequaq connenientem rebus tribui, et rem ipsam
nihilominus nominari diciç,quoad rei ipſiuscuius fermo eft figura,inſit:
quemadmodü in elemento rum nominibus quæ nuper ego &Hermogenes
comemorauimus,lirecordaris. CRAT. Recordor equidem,soc. Benehercle igitur
quandocung hocinerit, quamvis non om nia conuenientia prorſus adſint,
dicetur.bene quidem, cum omnia:male uero, cum pau ca.Diciitap ô
beate,mittamus,nequemadmodû qui in Aegina noctu circumuagãtur, fero iter
peragūt, ita &nos hoc pacto ad res ipfas reuera ſerius quàm deceat,
perueniſſe uideamur,uelfalutem aliam quandã exquiras rectam nominis rationem,nec
confitea. ris declarationem rei literis ac fyllabis facta,nomen effe.Porrò ſi
ambo hæc dixeris, tibi ipfe conſtare &conſentire non poteris. CRAT.
Viderismihi probeloqui ô Socrates.at que ita pono.soc. Poſtquam de his
conſentimus, quod reſtat diſcutiamus.Si bene no men poſitum eſſe debet,oportere
diximus literas fibi cõuenientes ineſſe. CRAT. Plane. soc. Conuenit autem ut
literæ rerum fimiles inſint. CRAT. Omnino. soc. Quæigi tur recte ſunt poſica
ita pofita ſunt.Siquid autem non recte poſitum eſt ut plurimum qui demex
conuenientibus ſimilibusý literis conſtat, fi quidem imago eſt.habet auté et ali
quidnon conueniens,propterquod non rectâ eſt,nerecte nomen eſt inſtitutű,Sic'ne
an aliter dicimus, CRAT. Nihileft ô Socrates, ut arbitror, contendendã: neq
enim mihi placet,utņomen quidem eſſe dicatur,non tamērecte poſitű. soc.Vtrum
hoc tibi non placet, quod noměreiipfius declaratio lit: CRAT. Placet. soc.At vero
nomina partim ex primis constituta esse, partim esse primanon probedictâ putas:
CRAT.Probe.soo Enimuero prima ſi quorundā declaraciones effe debent, habes'ne
modû commodiore quo id fiat, qa li talia fiát,qualia illa funt quæ declarari
volumus:Anmodus iſte pocius ei bipla. i biplacet, qué Hermogenesalijý plurimi
tradunt,quòd uidelicet nomina conuentiones quædam lint ijs qui ita
coſtituerunt, acresipfa præcognouere,aliquid referentes:rectas nominis ratio in
cõuentioneconſiſtat,nec interſit utrum quis ita utnunc ftatutű eſt de cernat,
an contra:ut uideliceto, quod nunc o paruũuocatur, o magnum cognominetur, wuero
quodmodow magnum, w paruum dicatur: Vter iftorum magis tibimodus pla cer: CRAT.
Pręſtatomninoô Socrates,fimilitudine referre quod quis oftendere uult, quouis
alio. soc. Scice loqueris. Nõneli nomen rei ſimile eſt,neceſſe eſt elemēra ex
qui bus prima nomina cõponuntur,natura ipſa rebus eſſe fimilia: Sic autem dico:
an aliquis quandox picturā iz ſupra diximus,rei cuiuſquã ſimilem
effinxiſſet,niſi colores ipfi qui bus cõſtatimago, efTentnatura reiillius
ſimiles quam pictoris ſtudium mitatur: Anno impoſſibile: CRAT. Impoſſibile
plane. soc. Eadem rationenomina ipſanun alicuius fimilia fierent,niſi illa
quibus nomina cõponuntur, limilitudinem aliquam haberent ea rum reru, quarum
nomina imitationes sunt. Ea vero quibus constant nomina, elementa sunt. CRAT. Sane.
soc. lam tu sermonis eius esto particeps, cuius nu per Hermogenes. An recte diceretibi
uili sumus, quod ipsum plationi, motui, asperitati congruit? CRAT. Rectemihi quidem. soc. Ipsum
aūta leni et molli, accæteris quæ narravimus: CRAT. Profecto.so c. Scis ne quod
idem, id est asperitas ipsa nobis quidē oxigpótys uo icatur, Eretriensibus vero
oxi spóryg: CRAT.Vting.soc. Vtrữambo hæclp& o, eidem fimilia videntur, idemg
ostendűc tam illis per ipliuse determinationē, quam nobis pero nouissimű, uel
alteris nostrum nihil referunt: CRAT. Vtriſą plane demonstrant. soc. Vtrum
quatenus similia ſunt peto, uel quatenus dissimilia: CRAT. Quatenus fimilia.
soc. Nunquid penitus ſimilia ſunt,ad lacionē æque ſignificandā: quin et ipſum a
inie ctum,cur non contrariū aſperitatis ipſius SIGNIFICAT. CRAT. Forte'non
recte iniectữeſt ô Socrates, quamadmodūea quæ tu in superioribus cum
Hermogenehoc tractabas, dum &auferebas et inferebas literas ubimaxime oportebat.
Acrecte mihi facere uidebaris. et nunc forte pro 1, s apponendű eſt. so. Probeloqueris.
Quid uero nuncuc loqui nihil percipimus inuicé, quando quis orangón pronunciat:
nec tu quidnuncego dicã, intelligis: CRAT. Intelligo equidem propter
conſuetudiné. soc. Ouir lepidiſſime, cum consuetudinem dicis, quid aliud præter
conuentionem dicere putas. An aliud conſuetu dinem uocas, quàm quodego cum id
pronuncio,illud cogito,eu quoc quod ipſe cogítē percipis: Nonhocdicis: CRAT.
Hoc ipsum. soc. S; id mepronunciante cognoscis, per mne tibi fit declaratio,ex
diſſimili uidelicet eius quod ipſe cogitans profero: quãdoquide ipsum, dissimile
eft eius quo tu ordygótym, id eſt aſperitatem úocas. Si hoc ita ſe habet,
profecto ipfe ad id teipfum aſſuefacis, et ex hac CONVENTIONE rectam tibi
nominis ratio nem proponis,poſtộ tibi idem tã diſſimiles of ſimiles literæ
repræſentãt propter ipfum conſuetudinis et conuentionis acceſſum. Sin autem CONSUETUDO
CONVENTIO MINIME SIT. Haudadhuc recte dici poterit ſimilitudinē esse
declarationem, imò cõſuetudinem dicere oportebar. Siquidē ex ſimilitudine et diſſimilitudine
conſuetudo declarat, Hisaricco ceffis, o Cratyle nempe ſilentiñ tuum pro
cõceſſioneponam) neceſſe eſt conſuetudině cca aliquid CONVENTIONEM ģconcere, conferreġ
ad eorû quæ sentimus et loquimur expreſſio nem.Nam ſi uelis,optime uir,ad
numerorũ conſiderationem defcendere, quo pactoſpe ras, adeò propria reperturű
te nomina ut ſingulis numeris ſimile nomen attribuas, ſi no permiſeris
cõcefſionem tuam, CONVENTIONEM AVCTORITATE aliquam circa nominū rationem habere.
Mihi quidē et illud placet, ur nomina quoad fieri poteſt, rebus fimilia ſinta
Coc Vereor tamen neforte, utdicebatHermogenes, tenuis quodãmodoſic iſtius
ſimilitudi nis uſurpatio, cogamurg et oneroſa hacre, CONVENTIONE uidelicet uti,
ad recta nominum rationem:quoniã tunc forte pro uiribus optime diceretur,cum
uel omnino,uel maxima ex parte similibus, id eſt cõuenientibus diceremus, turpiſſime
uero cữ contrà. Hocautē poft hæc inſuper mihi dicas: quã nobis uim habētnomina,
quid'ue pulchrâ perhec effi. cinobis afferimus. CRAT. Doceremihi quidē nomina
uident, o Socrates, idý fimplicia ter aſſerendű, quòd quiſquis nomina ſcit, et res
itidē ſciat.so. Forte ô Cratyle, tale quid cuc dam dicis, q cũnouerit aliquisquale
ſitnomē,eſt aūt tale qualis &res exiſtit, rem quoq ipſam agnoſcet,
quandoquidē nominis eft res ſimilis. Arsaūtuna eadem eſt omniüin cor ter ſe
ſimiliū. Hac ratione inductus dixiſſe uideris; quod quiſquis nomina cognoſcit,
res ecc quoghi quoq ipfas agnoſcet. CRAT. Veraloqueris. soc. Age,uideamus
quismodus docenda rum rerum iſte ſit,quem ipſenuncdicis, et utrum alius
prætereaſit,hic tamen potior ha beatur, uel alius præcerhuncnullus. utrum
iſtorum pocius arbitraris: CRAT. Hoccerte, quòd nullusuidelicet alius ſit,fed
hic folus et optimus. soc.Vtrum uero et resipſas ita reperiri cēſes, ut quicung
nomina reperit, ea quoq quorum nomina ſunt,inueniat: An quærendum potiusalium
modum quendā,hunco diſcendű. CRAT.Maxime omniale cundum iſta huncipfum et quærendű
et inueniendum. soc. Age, ita conſideremus, o Cratyle: ſiquis dum res investigat,
nomina ipsa sequitur, rimatur; quale unãquodą uule elle,uides maximum
decepcionis pericula ſubit: CRAT. Quo pacto: soc. Quoniam qui principio nomina poſuit,
quales effe resopinatus est, talia quoq nomina,ut diceba mus, effinxit.Nonne
itar CRAT.Ita prorſus. Soc. Siergo illenõrecteſenlit, et ut ſenlie inſtituit, nõne
et nos sequentes eius ueftigia deceptos iri exiſtimasť CRAT.Haud ita elt
imòneceffe ſciencem fuiffe illum quinomina poſuit.Aliter autem, ut
iamdudâdicebam, nomina nequaſ effent. Euidentiſlimo autem argumento id eſſe
tibipoteſt, haudà ueri tate aberrauisse nominum AUTORE (cf. H. P. Grice,
AUTHORITY), quòd ſimale ſenſiſſet, nequaq libiita omnia consonarent. An non aduertiſti et ipfe, cum diceresomnia in idem
tendere 'soc.Nihil ifta obo. ne Cratyle,ualet defenſio. Quid enim mirum eft, li
primodeceptus nominâ institutor, se quentia rurſusad primum ui quadã
traxit,& ipfi conſonare coegit:Quemadmodücirca figuras interdűexiguo quodam
primo ignoto falſof exiſtente, reliqua deinceps multa Circa prin, inuicem
conſonant. Debetenim quiſo circa rei cuiuſ principium ſtatuendű differere »
cipium ſta, multa,diligentiſſime conliderare, utrum recte decernat,nec ne. quo
quidem fufficiens tuendă diſ ter examinato,cætera iam principium fequidebent, Miror
tamen,fi nomina libímet con i ſereremulta gruunt. Conſideremus iterum quæ ſupra
retulimus. diximus profecto ita nomina effen. oportet tiam ſignificare
qualiomnia currat,ferant et defluant. Ita'nelignificare cenſes? CRAT. Ita certe. et recte
quidē. soc. Videamusitaqs ex illis aliqua repetentes. Principio nom hocwrshug, id
eſt scientia ambiguum eſt,magis a SIGNIFICARE uidetur, quod istory,ideft fiftit
in rebus animam, ĝ quod cum rebus pariter circumfertur:rectiusos eſſe uidetur, ut
principium eiusutnuncüdishulu dicamus, per e ipſius eiectionem, et pro 4, 5
potius adijciamus. Deinde Bébajok, id eſt firmum dicitur, quoniam badoows et
scotas, ideft firmamenti, et status potius quam lationis est imitation. Præterea
igoelæ ad forte SIGNIFICAT quod isgor t powi, id eft ſiſtit fluxum, et ipſum
nisov, id eſt credendum, isaw, id eſtfira mare omnino SIGNIFICAT. Quinetiã
uykusid eſtmemoria, ostendit prorſus quod in anima nõagitatio est, fedpovni,id
eft quies, ſtabilise permansio. Atquifiquis nomina ipſaobler ueta écueapariæ et
ovuqoça, id eft error et cótingentia caſus, idem uidebuntinferre,quod owens et ufiskur,
id est intelligentia at scientia, et cætera nomina quæ præclarisſunt rebus
impoſita.ltem cualíc et cronacíc, id eſt inſcitia et intêperantia, proxima
hisui dentur icuclic quidē importareuidetur,&cket demi loves aegear, id est
simul cum deo eun tis progreſſum. cronæriæ uero omnino quandam ipfarum rerum
arodubiav,id eft perſe. cutionem atq cogreffum.At ita quæ rerum turpiſſimarű
nominaeffe putamus,nomi num illorû quę circa pulcherrimaſunt,
ſimillimauidebuntur. Arbitror et aliamultare periri poffe,fiquis ad hæc
incumbat, ex quibus iterum iudicabit nominữautorêno cur rentes delataso res,imò
ftabiles indicare. CRAT.Verūtamen multa o Socrates ſecundi agitationis SIGNIFICATIONEM
uides illum conſtituiffe. soc. Quid agemusô Cratyle: Nun quid suffragiorum calculorum
inſtarnomina ipſa dinumerabimus: at ad hancnormă derecta ratione nominū
iudicabimus,ut ea tandem uera ſint,quibus significationes plu rium nominum
fuffragantur: CRAT. Haud decet. soc. Non certe amice. Sed his iam
omiſſis,redeamus illuc unde digreffifumus. Dixiſtinuper, firecordaris, neceffariñelle,
illűquinomina ſtatuit, prænouille ea quibus nomina tribuebat: perſtasadhuc in SENTENTIA,
nec ne' CRAT. Adhuc. so c. Nunquid et illum qui prima nomina poſuit, nouiſicais
dum poneret: CRAT. Nouiſſe. soc. Quibus ex nominibus resueldidicerat, uel invene
rat, quando necdâ prima nomina fuerāt inftitutar cum dicta sit impossibile esse
resuelig vuenire, vel discere, nisi qualia nominaſint, didicerimus, uelipfinosinuenerimus.
CRAT: Videris mihinonnihil ô Socrates, dicere. soc. Quo igitur PACTO dicemus
eos ſcientes, nomina poſgillexuellegum et nominü conditores ante POSITIONEM cuiuslibet
nominis extitille extitiffe, eosý res antea cognouiffe, fiquidem nõ aliter quam
ex nominibus diſcires por finer"CRAT. Reor equidem Socrates uerissimum eum
esse sermonem quo dicitur excellentiorem quandam potentiam quam humanam
primarebus nomina præbuiffe, quo neceffarium lit ut recte fuerint diſtributa.
soc. Nunquid putas cótraria libijpfipofuif-cc ſe nominum AUTORE (cf. H. P.
Grice, AUTHORITY) li dæmõ aliquis ueldeusextitit: an nihiltibi fupra dixiffe
uidemur: CRAT. Forte'nondum alterum iftorum nomina erant. soc. Vtraigitur
erantuir opti me; num quæ ad ftatum uerguntian quæ ad motum potius Neq enim,
utmodo dixi mus, multitudine iudicabitur. CRAT.Sic decet Socrates.soc.Cum
itaque diſſentiant contendanto de ueritate inuicem nomina, et tam hæcquàm illa
uero propinquiora effe feafferant,cuiusadnormam dijudicabimus. Quò nos uertemus: Nec enimad
alia no mina confugiemus, quia præterhæcnulla. Verum alia quædam præter nomina
quæren da funt,quæ nobis ostendantabſque nominibus, utra iſtorum uera ſint,
rerum uidelicet monſtrantia ueritatem. CRAT.Itamihiuidetur.soc.Si hæc uera ſunt
Cratyle, pof ſunt,utuidetur, res line
nominibus percipi. CRAT. Apparet. soc. Per quid potiſsi mum aliud fperas res
ipfas percipere: Nónne per quod conſentaneum ac decenseft: pet mutuam illarum
communionem, fcilicet fiquomodo inuicem cognatæ sunt, et perse ipsas maxime.
Quod enim aliud eft ab illis, aliud quiddam non illas SIGNIFICAT. CRAT. Vera
loquiuideris. soc. Dicobſecro nonne iam sæpe concessimus, nomina quæ recte posita
sunt, fimilia illorum eſſe quorum ſuntnomina,rerão imagineseffe: CRAT. Con
ceſsimus planè.soc.Si ergo licet res per nomina diſcere, acetiam per ſeipfas,
quæ præ ftantior erit lucidiorý perceptio:Num si ex imagine cogitetur et imago
ipſa utrum re cteexpreſſa fit, et ueritas cuiushæc eftimago: Anpotiusfi ex
ueritate tam ueritas ipſa. quàmipſius imago, nunquid decenter imago ad eam
fueritinſtitucar CRAT. Siexueri tate.soc. Qua ratione res vel per doctrinam vel
per inventione comprehendendęſint; iudicare, maioris quàm meum ac tuūſit, ingenñ
opus esse uidetur. Sufficiat autem nunc internos conftitiffe quod non ex
nominibus,immoex ſe ipſis potiusdifcendæ quæren dæg ſunt. ERAT. Sicapparet ô
Socrates. soc. Animaduertamus et hocpræterea,në mulra hæcnomina in idem
tendentia nosdecipiant, cũ quiilla impofuerunt, currere om nia semper
flueresputauerint,ato ea cõſideratione poluerint:uidenturnempemihiita
exiftimaffe:quorû camēopinio fi talis extitit,falſahabêda eſt.profecto
illiuelut in quan dam delapfi uertiginem, et ipfi uacillant iactanturcs, et nosin
eadem rapientes immer gunt. Cõlidera uir mirifice Cratyle quod ego sæpenumero
fomnio, utrum dicendû est: esse aliquid ipſum pulchrum ac bonum,& unum
quodas exiſtentium ita,nec ne.CRAT. Mihiquidem ô Socrates eſſe uidetur.so c.Illud
igitur ipſum cõſideremus, non ſi uul cus quidam aut aliquid taliú pulchrum eſt,
quippe hæc omnia fluunt:ſed ipſum pulchrữ dicimus, nonne ſemper tale quale eſt
perfeuerat: CRAT. Neceſſe eſt.soc. Nunquid possibile eft ipſum recte denominare
si ſemper fubterfugit, acprimo quid illud fic dein de quale ſit
dicereruelneceſſariû eſt,dum loquimur aliudipſum ftatim fieri,iugitero dif
fugere,nec tale amplius eſſe: CRAT. Neceflarium.soc. Quo pacto aliquid illud
erit, quod nunquam eodem modo ſe habet: Sienim quandoq eodem modo fe habet, eo
in tempore minime permutatur:fin autem ſemper eodémodo ſe habet;idemg exiſtit,
quo modo tranfituelmouetur, cum ideam ſuam non deferat: CRAT. Nullo pacto: so
ca Præterea ànullo cognosceretur. dum enim cognitura uis ipsum aggrederetur,
aliud alie numosfieret.quare quid ſit aut quale cognoſcinõpoffet.nam
cognitionulla ita réper cipit, utnullo modo fe habentem percipiat. CRAT. Eft ut
ais.soc. Sed ne cognitio nem ipfam effe affirmandẫeſt ô Cratyle ſi
deciduntomnia,nihilg permanet.Sienim co gnitio ex eo quod cognitio eſtnon
decidit, permanebit semper, ac ſemper eritcognitio irautem cognitionis
ſpeciesipſa diſcedit,ſimul et in aliam cognitionis fpeciem delabe tur,neæ
cognitio erit.Quod fi perpetuomigrat, ſempernon erit cognitio. Aro hacra.
tionenew quod.cogniturum eſt,nec quod cognoſcen lum,ſemper erit. Sinautem fem
per eſt quod cognoſcit,eft quod cognoſcitur,eft pulchrű,eft et bonum, eſtý
deniq exi. Itențium unűquod et quæ in præſentia dicimus,fluxus lationis ſimilia
non uidentur.Vtrum uero hæcita ſint,an ut dicebantHeraclitiſectatores, alijg
permulti,haud facile di ſcerni poteſt.Nec hominis ſanæmentis eft feipfum
animumg luū nominibuscredere; et autorem nominum sapientem asseverare, atqz ita
de ſeipſo rebus omnibus maleſen 9 ) tire,ut pPomba nihil integrum firmumą
exiftere,ied omnia uelutfictilia fluere atg conci. v dere, &quemadmodum
homines deſtillationibus capitisęgrotantes,fimiliter quoqres w ipsas affici
iudicet, adeo ut deſtillatione et fluxu omnia comprehendantur. Forteộ Cratyle
ita eſt,forteetiã aliter:forti animo &diligenti ſtudio inueftiganda res
eſt.neqením fácile aſſentiendum.Iuuenis adhuces, arque tibi fufficitætas. Et
liquid inveneris inda gando, mihi quog impartiri debes. CRAT. Nauabo operam
Socrates. Ac certe {cito meetiam in præfentia non torpere,immocogitāti mihi et multa
animo reuoluenti mul tomagis ita ut dicebas ipse, quam ut Heraclitus,res ſeſe
habere uidentur.soc.Dein ceps amice poftquam redieris me docero. Nuncautemut conſtituiſti in agrum perge. Atqui et Hermogenes
hicte comitabitur. CRAT. Fietutmones Socrates.Verum tu quoque iam de his cogita. IL CRATILO - DELLA RETTA INVENZIONE DE' NOMI. ERMOGENE
-- CRATILO – SOCRATE. A vuoi tu ancora, che noi communichiamo il parlar
nostro con Socrate? c*. Se il pare a te.
ehm. O Socrate, Cratilo dice, che ai ritrova in qualunque degli enti per
natura la retta invenzione del nome, nè aia nome quello, onde convenendo
alcuni il chiamavano, mentre proferiscono certa particella della sua
Toce: ma sia naturalmente certa retta invenzione di nomi la medesima in
tutti e Greci e Barbari. Sicché io Io addimando se daddovero sia Cratilo
il nome di lui, o nò: ma egli confessa esser questo il suo nome. Or
Scrate dissi io, qual nome tiene egli? di Socrate disse: non hanno tutti
quel nome, col quale chiunque il chiama da noi: nondimeno disse egli uon
è il tuo nome Ermogene, nè se ancora tutti gli uomini ti CHIAMASSERO cosi. E
mentre io lo addimando, e desidero sapere, che cosa dica, non mi dichiara
affatto niente: ma beffandomi, simula di aver nell’ animo alcuna
cosa, come egli intenda non so che d’intorno a questo, i! che se
volesse esprimer niartifVstnmfcnte, farebbe che io confessassi, e dicessi
lo stesse, che egli si dice. Laonde udirci da te volentieri, se in qualche
maniera tu potessi congetturare il vaticìnio di Cratilo. Anzi
udirei molto volentieri la tua opiuione intorno alla RETTA INVENZIONE DE
NOMI, se ti fosse in grado, soc. 0
Ermogene, figliuol di Jponico, è proverbio vecchio, che sia malagevole da
conoscer in qual guisa se ne stiano le cose belle. Or la notizia de’ nomi
non è picciola disciplina. In vero se io avessi udito già molto tempo da
Prodico quella ostentazione di cinquanta dramme, nella cui dottrina
ancora era questo, come egli ne rende testimonianza; niuno impedimento
sarebbe, che tu non conoscessi incontinente la verità intorno alla
retta invenzione de’ nomi. Ma ora io non I’ . ho udita ma si ben quella
d’ una. dramma. Per la quale cosa; non sò quello che d’ intorno a
queslavi sia di vero: ma sono prrsio ad investigar, inlteoie. con
essd.tecoj.èfcon Cratilo. In quanto poi dice, else tu non abbia'
versi mente nome Ermogene, io sospetto, che egli motteggì; perchè egli
forse pensa, che tu sia -desideroso dello acquisto de’ danari, e
impoleule.seinjpre ad otieuerli: ma come ho detto poco, f», egli è difficile,
«Ite ciò si conosca. Or fa misticri, da tutte due le porli spoetando iu
meszo le ragioni, che si investighi se sia cosi, come tu di o piuttosto
come dice Cratilo. e»m. E pur o Socrate, tuttoché spesso io abbia
disputato già contostai, con altri molti tuttavia non ancora mi posso
persuaderò, che altra ai.» la rotta invenzione del nome, phe lo assenso, e il
consentimento; perciocché a me pare, clic quel sia nome retto, il quale
impone chiunque a ciascheduno, e se di nuovo il mutasse, e altro ne
ponesse, non meno del primiero quello, che Si trasportasse sarebbe nome
retto, come siamo noi soliti di cambiare i nomi a servi, non vi essendo
per jialura a ninna cosa il nome! ma per legge, e secondo la usanza di
coloro, che furono soliti cosi chiamarli. Il che se sia. altrimenti, io sono
apparecchiate .ad impararlo, o adirlo non solamente da Cratilo; ma
da qualunque altro, soc. O Ermogene peravveptora tu dì alcuna cosa: ma
consideriamola. Quello che porrà alcuno, con cui chiama qualunque cosa,
sarà egli, il nome di ciascuna cosa? ehm. A me pare, soc. O
se il privato, o la città il dicesse? uh. Lo assentisco. soc. Ma che, se io
chiamassi qualunque degli enti, come per esempio, se quello, che al
presente chiamiamo uomo, chiamassi cavallo, e uomo quel, che cavallo:
pubicamente sarà egli il nome all' uomo, privatamente cavallo; e di nuovo
privatamente uomo, cavai lo puiilicnmenle Parli così tu? erm. Tosi mi
pare. soc. Or mi dì questo. Chiami
tu alcuna cosa il dir il vero, e il Tabu? erm. In vero sì.
soc. Non lia quella vera ORAZIONE: ma
quest’ORAZIONE falsa? erm. Così affatto, soc. Quei parlar poi, che die* le
cose, che sono quali son esse ai » ìli h
rero: ma falso quello, che non come sono? n», Cosi è. soc. Adiviene egli questo, che col parlare si
dicano le cose, che sono, e che non sono? ehm.
Si. soc. Il parlar che è vero mi di, se è vero tutto, non vere le
parti? ehm. Nò: ma le parti ancora, soc. Dimmi, le parti grandi
saranno vere: ma le picciole nò, oppur tutte? exm. Io mi stimo
tutte, soc* Puoi tu dire altra parte piu picciola del sermone, che il nome? erm
In modo nin no, essendo questa la minima parte, soc..Ed ancora si dice
egli peravventura il nome parte della vera ORAZIONE? erm. - Senza dubbio, soc.
Veramente parte vera, come è, tu di. erm. Veramente, soc. E
la parte del falso, non è ella falsa? erm.Lo dico si. soc-Dunque è lecito dir
nome vero, e nome falso, se si dice ancora la orazione. erm. In che modo nò? soc. Dunque quel nome, che chiunque dirà, che in
alcun si ritrovi, sarà egli il nome di ciascheduno? erm Si. soc. Peravventura quanti nomi dice
alcun, che abbia chiunque, tanti saranno essi? e allora, quando egli li
dice? erm, Per certo, o Sncrate: io non ho alcuna retta invenzione
di no / t me, fuor che questa, in modo, che non sia lecito a
« me con altro nome chiamar la cosa, che con quello, che io ho
imposto, nè a te con altro, che con quello, elle le imponesti. Cosi per
certo io veggo nella città, che si hanno
alcuni propri nomi delle medesime cose, e fra Greci in verso ad altri Greci, «
in verso a i Barbari, «oc. Or rediamo o Ermogene, se pare a te,
che gli enti se ne stiano in questo modo; che ognun di loro tenga la
propria essenza, come diceva Protagora, dicendo egli esser 1’ uomo misura di
tutte le cose in modo, che quali qualunque cose mi paiono, tali io le
abbia; similmente quali tu, e tali le ti abbi; o pensi piuttosto che
siano alcune cose, le quali tengano alcuna fermezza della sua essenza,
eem. Alcuna volta, o Socrate,
dubitando sono condotto a quello, che dice Protagora: per tanto non mi
persuado a bastanza, che se ne stia egli cosi. soc. Ma che? set tu ancora alcuna volta
condotto a questo, che non li paia in modo niuno, che alcun nomo sia
cattivo? erm. Per Giove nò; anzi
spesse volte cosi sono disposto, che io stimo, che alcuni uomini siano al
tutto cattivi, e molti, soc. Ma che? non ti è parso ancora, che siano
molti uomini buoni? erm. Molto pochi, soc. Nondimeno pare a te vero?
erm. A me si. soc.In che modo poni
tu questo? forse cosi, che i molto buoni siano molto prudenti, e i rei al
lutto molto imprudenti? ebm. In
vero a me pare cosi, soc. Se
Protagora diceva il vero, e se ò questa la ventò, che quali qualunque
cose pareranno a ciascheduno, tali siano; è egli possibile, che altri di noi
siano prudenti, altri imprudenti? ebm. Per certo nò. soc.E come io penso
ti pare ad ogni modo che Protagora non possa al tutto parlar il vero,
essendovi «erta prudenza, e imprudenza, perciocché non sarebbe veramente
l’uno dell’ altro piò prudente, se le cose, che paiono a chiunque,
le tenesse ciascheduno per vere. IBM -Cosi è. Ma nè ed Eutidemo '
assentisci, come io penso, che dice, che tutti abbiamo tutte le cose
similmente, e sempre, perchè cosi' non smeldio. no altri buoni, nitri
cattivi, se sempre, e pariménte si ritrovasse in tulli e la virtù, e la
malvagità! ehm; Tu palli il vero, soc. Dunque se nè tutte le rose
si ritrovano sempre in tutti, e simiglmutcìiiente; uè qualunque cosa è
propria di ciascheduno, manifesto è, rise siano le cose quelle, che
tengono in su stesse certa essenza ferma, uè sono in quanto a noi
tirate in diverse parli, nò da noi con la imaginazione e in suso, o
in giuso: ma stabili secondo se stesse in quanto alla loro essenza, come sono
'ordin. ite dalla natura. uu. Cosi ini è avviso, elio se ue stia
questo. *oc Dunque mi di, se le còse se ne stanno si per u«-. torà,
ma non nella stessa guisa lu loro azioni o eziandio esse azioni sono una
certa specie degli enti? esm. Ani cora esse ad ogni modo. soc. Dunque le
azioni sa tonno secondo la natura loro, non secondo la nostra
opinione, come per esempio, se noi si mettessimo a divider alcuno degli
enti, forse sarebbe qualunque cosa d» dividersi ila noi come vorremmo, e coti
che ci a„ gradissi.? o più tosto, se volessimo partire quafuo/pio
cosa secondo la natura, con cui fa mislieri che S‘ I 1 al f lisca, e sia
partita; parimente con cui secondo l« tura ti dee fare il partiraento;
invero la dividerei. *io« bene, e si farebbe «la noi alcun profitto, e
questo si operetébbe bene; ma se cóntro la natura travieremmo
nè si farebbe niente «la noi? erm Così mi pare. soc. E se ci mettessimo ancora àd ffhbrugiiir
alcuna cosa: non fa nilstieri, chieda sì ‘ablmigi secóndo Ogni opinione:
ma sibbene secondo la reità opinione/ Quésta è poi quella, onde qualunque cosa
naturdlòientc è atta ad abbrugiarsi,' é di abbruciare, e con cui
nai turalmente ne era atta, erm
Queste cose son vere, soc.
Non si ritrova la stessa maniera d’intorno alle altre cosi? ehm La
medesima sì. soc Anco-ra il dire non è egli forse una certa delle azioni,
ehm. -r Certo si. soc. Or dirà
bene chi così dice, coirne li par di dire . 5 o piuttosto dii in colai guisa
dice, come ricerca la natura del dire, e che si dica? e- se eziandio
dicesse con cui ricerca la natura, in dicendo farebbe alcun profitto,
altrimenti 1 . travierebbe egli, nè farebbe nulla? ehm. In vero io stimo
così, cometa di. soc.- Dunque il nominar "è particella di dire;
perciocché nominando si fanno i‘ ragionamenti; erm Ad ogni modo.
soc. Dunque e il nomina re è 'certa
azione, se ancora il dire era certa azione; d' intorno alle cose?
erm.-Così è. soc. Or le azioni ci par vero di non risguardar a noi: ma di teneré
certa propria lor natura. ehm. - Così è. soc Sicché è da nominarsi in
quella guisa, onde la natura delle cose ricerca di nominate, e che si nomini,
con cui, ma uon secondo lo arbitrio deWolcr no- ’ ì ) «
( atro, se ti ba a dire alcuna cosa concorde alle cosa dette.
Ed in colai guisa facessimo noi alcun guada» gno, e nominaressimo: ma
altrimenti nò? krm. Così mi pare. soc.
Or dimmi ciò, cbe era da tagliarti, diciamo noi cbe era da tagliarsi con
alcuna cosa? erm. Con alcuna si. soc. E ciò, cbe si doveva tesser
da tessersi con alcuna cosa? e ciò, che era da forarsi, con alcuna cosa
si dovea egli forare? erm.Al tutto. soc.Sim il niente ciò, che
nominar si dovea, era da nominarsi con alcuna cosa? ibi*. Si- soc.
Ma che era quello, con cui f«cea mistieri, che alcuna cosa si forasse?
erm. La trivella? soc. Che è quello, con cui fa mistieri, che si
tessa? erm. La navicella,
soc. E che con cui si nomini? erm. Il
nome, soc. Tu parli bene. Dunque e il nome è certo stromento. ss**. E’ si. soc. Dunque se io cercassi quale
stromento è la navicella • o non sarebbe d' esso quello, con cui si
tesse? erm. Così è. soc. Or
tessendo, che facciam noi? o non separiamo la trama, e gli stami confasi?
ehm. Questo stesso, soc.Or potrai tu dir così della trivella, e delle altre
cose? erm. Lo stesso, soc. Puoi • tu ancora dir similmente d* intorno al
nome ciò, che facciamo mentre col nome, che è stromento, nominiamo
alcuna cosa? erm. Nò il posso nò. soc. For se di compagnia insegniamo noi
mente, c dividiamo le cose, come sono? erm. Per certo, soc. Sicchò il nome è certo stromento di
insegnare, • divide» 1sostanza, come !a navicella della testura erm. 1 lassi a dire in colai guisa, soc La navicella è ella strumento acconcio al
tesserei 1 ehm, • In che modo nò. soc.
Per la qual cosa il tessitore si vaierà bene della navicella, dice
bene, secondo la maniera del tessere: ma chi insegna, egli si vaierà del
nome, e bene, dico bene secondo la maniera propria dello insegnare,
ehm. Per certo, soc. Dell’ opra di quale artefice si vaierà bene il
tessitore, quando si vaierà della navicella? erm. Di quella del
legnaiuolo, soc. E egli chiunque legnaiuolo, o piuttosto chi tiene
P arte? erm. Chi tiene l’arte, soc.
Similmente dell’ opera di cui il foratore si vaierebbe bene, quando
si valesse della trivella? erm. Del maestro del metallo. soc. E forse chiunque maestro di metallo? o
chi tiene l’arte? erm. Chi tiene l’arte,
soc. ' Stiano le cose cosi.
Dell’opera di cui il dottor si vaierebbe, qualora si servisse del nome? erm. Nè
ciò posso dire io. soc. Ancora non puoi tu dir questo. Chi ci dà i nomi,
dei quali ci serviamo? erm. Per
certo nò, i soc. - Non pare a tè peravventura, che la legge sia quella,
che ci dà i nomi? erm. Apparisce. soc.
Dunque il dottore si vaierà dell’ opra del legislatore, quando del nome
si vaierà, erm. Io penso si. soc.
Pare a te, che ognuno egualmente sia facilor di leggi, o chi è dotato di
arte, erm. Il dotalo delP arte. soc. Si che o Erinngene non è. ufficio di
qualunque uomo lo imporre i nomi; ma di certo autor di nomi e costui è
come apparisce ii legislatore, il quale fra gli artefici si fa raro
appresso agli uomini, ehm. » Apparisce, soc. Deh considera, ove
riguardando il legislatore impone i nomi, e considera dalle cose antedette
ove riguardando il legnaiuolo fa la navicella? non ad una cosa tale, che
da natura sia al tesser acconcia? ehm.
Al tutto, soc. Ma che? se nell’ opera si rompesse la
navicella, mi di se fabbricherà egli un’ altra di nuovo alla somiglianza
della rotta, o piuttosto alla specie risguarderà, secondo il cui esempio avrà fatto
la navicella,' che si ruppe? erm. Alla specie, come io stimo,
soc. Dunque chiameressimo noi
meritamente la specie la navicella? erm.
Io penso si. soc. Se fa mestieri alcuna volta, che si apparecchi
la navicella per fornir la veste, o qualunque altra cosa di filo, e
di lana sottile, o grossa, bisogno è, che tutte le navicelle tengano la
specie della navicella; e quale naturalmente è a ciascheduna cosa
accommodatissima, tale si usi al fornir l’opera, come il ricerca la
natura, erm. Iti vero fa mislieri.
soc. La medesima ragione è d’ intorno
agli altri stromenti conciossiachè è da ritrovarsi quale stromento si
confaccia per natura a qualunque cosa, ed è da darsi a lei, con
clii si fa ella, uon quale vuole chi fabbricai ma quale è ella per
natura. Perchè fa mistieri, come appare, che si sappia accommodar a qualunque
cosa ciò, die naturalmente acconcia al ferro, erm. Cosi si. soc. ‘Più- oltre nel legno la navicella
confacevole a ciascheduna. e*m.
Egli è vero. soe. Perciocché. secondo la ragione della natura altra
navicella si confà ad altra tela, e nell’ altre nella medesima
guisa, ehm* Veramente, soc. Fa mistieri ancora -ottimo uomo, che il
posìlor dei nomi proferisca un nome per natura acconcio nelle voci, e
nelle sillabe a tutte le cose, e riguardando a quello stesso di cui è
nome, formi qualunque nome, e gli attribuisca, se daddovero dee esser positor
proprio di nomi. Che se non con le medesime sillabe qualunque pocitor di
nomi esprime il nome, fa mistieri, che noi sappiamo, che nè tutti i fabri
ciò fanno nel ferro per la stessa ragione; qualora fabricauo il medesimo
stroxnento: ma nondimeno in quanto gli attribuiscono la stessa idea, in
tanto se ne sta egli bene, tutto che in altro e iu altro ferro; o qui si
fabrichi egli, o fra barbari non è egli cosi? ehm. -a. Si. soc. Dunque islimerai tu ancora nel medesimo
modo finché il positor dei nomi, ebe è fra noi, e fra barbari concede una
specie di nome convenevole a qualunque cosa in qualunque sillaba, che 1’
uno dell’ altro non sia punto peggiore nell’ imporrei nomi. ehm. In
vero si. sqc. Chi è per conoscer se sia impresso in qualunque legno
una specie convenevole di navicella? fpr&e il, legnaiuolo, che la fai
o il tessitore, che se ne dee servire? ehm. O Socrate, gli è
verisimile, die la conosca molto piu, chi se ne dee valere, soc.
Dunque chi si servili dell’opera del Tacitar delllira? non colui Torse, che
benissimo saprà esser soprastante alla cosa Tatta, e conoscerà Tatta che sia,
se sia Tatta bene o no? ehm. Al
tutto, soc. Chif hm. « Il
citarista, soc. Chi poi dell'Opera di
coloro, che Tanno le navi? erm. Il governatore, soc. Chi eziandio
benissimo sarà soprastante all’opra del Tacitar delle leggi, e Tornita la
giudicherà e qui, e Tra barbari? non chi se ne dee servire? ehm.
Cosi è, soc, *- O non è egli d* esso chi sa interrogare? ehm. Costui si. soc, Il medesimo che saprà
risponder ancora? ehm. Si certo,
soc. Or chiami tu altro che
dialettico chi sa interrogar, e rispondere? ehm. Non altro; ma lui. soc.
Siche è Tattura di lignaiuolo il Tabbricar il timone esscndo soprastante
il governatore, se è egli per dover esser buono, ehm, Apparisce, soc.
Ancora come è avviso, è opra di positor di nomi il nome, cui è
soprastante 1’ uomo dialettico, se sono per doversi por bene i nomi.
ERM.-*Que$te cose son vere. soc. Dunque, a Erraogene, corre rischio, che
non Ha cosa lieve, come tu stimi, il por dei nomi, nè Tattura d’ uomini
bassi, e vulgari. Per certo Cratilo parla il vero, dicendo, che i nomi per
natura siano nelle cose; nè sia chiunque autore di nomi: ma colui
solamente che risguarda al nome, che è in ognuno per natura, e sia
possente di por la specie di lui nelle lettere, e nelle sillabe, ehm. O
Socrate, io non so in che modo sia da opporsi alle cose che tu di:
ma peravventura non è cosa agevole il per«cadérsi cosi allo improviso: ma mi è
avviso, che io ti sarei piuttosto per ubidire in questo modo, se
dimostrassi quale da te si dica, esser la retta natura del nome. soc. In
vero, o beato Ermogene, non dico alcuna: ma tu ti sei scordato di ciò, che io
diceva poco inuanzi, cioè, che io non la conosceva! ma, che io la
considererei insieme con esso teca. Al presente poi questo solamente si è
fatto chiaro oltre alle antedette a me, e a te di compagnia investigando,
che Certa retta invenzione per natura tenga nome, nè chiunque sappia
adattar bene esso nome a qualunque cosa, non è egli così? rum. Grandemente,
soc Dunque rimane da Considerarsi se tu desideri di conoscer quale sia la
retta invenzione del nome, ehm. In vero la desidero sapere, soc. r-
Dunque cobsidcra. erM. In che modo adunque fa inistierì, che si consideri?
soc.^O umico rottissima. è la considerasione; ricercandosi questo da
coloro, che sanno con 1' offerir danari, e col il render loro grazie’ oppresso.
Or d’essi sono i sofisti, coi quali Calia tuo fratello pare, che sia
riuscito saggio, pagati molti danari, ma poiché non hai, che fare nella
robba patema, rimane, che tu supplichevole preghi il fratello, che ti
insegni la retta invenzione di questétàll cose, che Protagora egli
imparò, erm. O Socrate, quanta
sconvenevole sarebbe questa dimanda, se non prestando aiuto alla verità di
Protagora amassi le cose, che si dicono con tal verità, quasi degne di
alcuna considerazione, toc. Ma se
a te non piacciono elle, si dee imparar da Omero, e dagli altri poeti.
erm. O Socrate, e che è in che
luogo ne dice Omero dei nomi? soc. Per tutto molte cose: ma grandissime e
bellissime son quelle, onde distingue d’intorno a quei nomi, che introducono
gli uomini, e i Dei, o non istimi tu, che egli d’ intorno a questi dica
alcuna cosa magnifica, e maravigliosa della retta maniera dei nomi?
essendo manifesto, che i Dei chiamano rettamente quei, che son nomi
naturalmente, o no il pensi tu? ikm. In vero io so certo, se i Dei ne
dicono alcuni, che essi lr~cbiamano bene; ma quali di tu questi?
soc. O non sai tu ciò, che si dice del
fiume troiano, che con vulcano combatte a singoiar battaglia, il quale i
Dei chiamano santo, gli uomini Scamandro. ehm.
Il so. soc. Che dunque? non
istimi tu certa cosa grave il conoscer in che modo sia meglio, che
si chiami quei fiume santo piuttosto, che Scarnando? ma se vuoi considera
questo, che il medesimo dice dell’ uccello, che i Dei chiamano Calcidei
ma gli uomini Cimindi. Tu stimi vii disciplina il sapere quanto sia
meglio, che si chiami il medesimo uccello Calcide, che Cimindi, o Bracia,
e Mirine, e molti altri tali, detti da questo poeta, e da altrui? ma le.
invenzioni di queste cose peravvenlura superano le forze nostre. Cii cbe
poi signifìchioo Scamandrio, e Astiane si può comprender, come mi pare da
ingegno amano, e apprendersi agevolmente qual retta invenzione vuole Omero, che
sia in questi nomi, coquali chiama il figliuolo di Ettore: perciocché tu
certamente sai, ove si ritrovano questi versi, che io di- v co.
a**. Ad ogni modo, soc, Dimmi, pensi tu, che di questi nomi
stimi Omero che peravventura pili convenisse Astianate al fanciullo, che
Scamandrio? vrm. Io no il posso
dire. soc. Or in colai modo considera,
se alcuno ti addimantlasse, se tu pensassi che i piò saggi ponessero i nomi
meglio alle cose, o i manco saggi, erm. Chiaro è, che io risponderei i
piò prudenti, soc. Dimmi, se le donne nelle città pare a te, che siano piò prudenti,
o gli uomini? per dir tutto il genere? erm. Gli uomini. soc. Dunque tu sai, che dice Omero, che il
figliuolo di Ettore era chiamato da’ Troiani Astiaua. te, dalle donne
Scamandro, poiché gli uomini lo chiamavano Astianate. erm. Apparisce, soc.-
Dunque eziandio stimava Omero, che gli uomini Troiani fossero piò saggi,
che le lor donne, erm. Io lo stimo. soc.
- Dunque stimò, che egli si chiamasse, meglio Astianate, che Scamaudrio. ehm. -
Apparisce, soc Consideriamo qual cagione egli apporti di que sta
denominazione, perchè dice egli, che solo difese loro la città, e le
ampie muraglie. Per la qual cosa, (come pare) conviene# che si chiami il
figliuolo del Salvatore, cioè di colai, che il padre di lai saiva va, come
disse Omero, erm. A me pars
soc. Per qual cagione? perciocché o Ermogene, nè io lo intendo
ancora bene: ma lo intendi tu? erm. Per Giove nò. soc. O uomo da bene
ancora Omero pose ad Ettore il nome. erm. Perchè? soc. Perchè mi è avviso, che
questo nome si assomigli ad Astianate; e essi nomi si assomiglino a
Greci: dimostrando quasi il medesimo, cioè che ambidue questi nomi siano
regali; perciocché di cui sarà alcuno re, dello stesso sia ancora possessore;
essendo manifesto, che egli lo signoreggi, e possegga, e abbia. O
peravventura non pare a te, che io dica niente? e m' inganna la opinione,
onde mi confidava, come per certi vestigi, di toccare la opinione di
Omero d’ intorno la retta invenzione dei nomi? erm. -* In modo niuno,
come io penso: perchè^forse tu tocchi alcuna cosa. soc. Egli conviene, come a me pare, che si
chiami similmente leone il figliuol del leone, il figliuol del cavallo
cavallo; non dico, se alcun’ altra cosa fuor che il cavallo (come mostro)
nasoesse dal cavallo: ma quel mi dico, del cui genere secondo la natura è
ciò, che nasce, se il cavallo naturale partorisse il figliuolo del bue vitello
contro natura, non sarebbe da chiamarsi poliedro: ma vitello, nè
eziaodio se dall'uomo altra prole si producesse, che umana, ciò che
nascesse si dovrebbe chiamar noaio. 11 medesimo è da giudicarsi degli alberi, e
delle altre cole tutte, o non pare ancora a te? erm. A me par si. soc. Tu dì bene-,
perciocché guardati, che io non ti inganni in alcun modo; conciosia,
che secondo la stessa, ragione eziandio se alcuna cosa nascesse da re,
sarebbe da chiamarsi re, non importando che si significhi lo stesso in queste,
e in quelle sillabe, o se vi si aggiugni alcuna lettera, o se anche la vi
si levi; mentre la essenza della cosa dichiarata nel nome signoreggi./,
erm Come dì tu cotesto? soc. Io non dico
oiuna cosa meravigliosa, o nuova: ma siccome tu sai, che diciamo i nomi
degli elementi: ma non essi elementi, eccettuatine solamente quattro,
cioè b N E fi ma «1 rimanente, così vocali, come mutoli, tu sai che
aggiugnendovi altre lettere, li proferiamo formando i nomi: ma iinchè
inferiamo la forza dichiarata dell’ elemento conviene, che quel nome si
chiami ciò, che egli si dichiara, norme per esempio il B, vedi i che il T
aggiunte non impedì che con lo intero nome non si dimostrasse la
natura di quello elemento, di cui volle il positor del nome,
siffattamente non li è prestato fede di aver posto bene i nomi alle lettere,
erm. Tu mi pari di parlar il vero, soc. Dunque fla la stessa ragion ancora
d’intorno al re. Perciocché sarò alcuna volta il re dal re, il buono dal
buono, dal bello il bello, e le altre cose tutte similmente da qualunque
genere certa altra progenie, e sarebbono da dirsi gli stessi nomi, se non
ci facesse mostro. Egli è lecito, che in modo si variino per sillabe, che sia
avviso all’ nomo rosse, che le cose, che sono le stesse siano diverse tra
loro, così come le medicine dei medici variate con colori, •ed odori
spesse volte essendo le medesime, pare a noi, che siano diverse: ma dal
medico considerata la virtii loro, sono giudicate le stesse; nè il
perturbano le cose aggiunte. Similmente peravventura chi è erudito
d’intorno a nomi considera la virtii loro nè si perturba il giudició di
lui, se vi è aggiunta alcuna lettera o trasmutata o levata, o se in
altre, e motte lettere si ritrova la stessa virtii del nome. Come
quei nomi, i quali di sopra abbiamo detto Astianate, e Ettore hanno
le lettere ad ogni modo diverse, fuorché il sol T, non pertanto
significano il medesimo... Mei medesimo modo ciò che si dice prencipe di
città, qual communicanza di lettere tiene egli con li due
antedetti? nulladimeno significa il medesimo, e molti altri vi sono, i
quali nient’ altro significano, che il re. Oltre ciò molti sono, che
significano il capitano dell’esercito, come altri ancora, che dichiarano
il professor dell^medecina. E si possono ritrovar molti altri discordanti
nelle sillabe, e nellj lettere: ma accordatisi al tutto nella virtù, del
significare, par egli che così sia, o pur nò? zrm. Così certo,
soc. Or a queste cose, che si
fauno secondo la natura sono da darsi gli stessi nomi, ehm.
Adognimodo, soc. Ma qualora alcuni uomini si fanno contro la natura
in certa specie mostri, come quando sì genera l’empio dall’ uomo buono, k
pio; ohi è generato non dee sortire il nome del genitore- ma di quel
genere, nel quale ei si ritrova, come diami di centrilo; se il cavallo
generasse la prole del bue, non sa» rebbe da chiamarsi il figliuolo di
lui cavallo: ma buemm. C osi è. soc. -Dunque all’uomo empio generato dal
pio, bassi a dare il nome del genere. ehm. Queste cose sono vere, soc.
Dunque non conviene, che si chiami un figbuol tale, amico di Dio nè
ricordevole di Dio, nè alcuna cosa siffatta: ina con ' nomi il contrario
significanti se pur i nomi deono conseguire la retta invenzione. sbm. Cosi al
tutto o Socrate è da farsisoc. Come ancora Oreste, o Ermogene, corre
rischio» che sia ben messo, o se alcuna sorte H pose il nome, o alcun
poeta; con quel nome significando la dì lui natura ferina, selvaggia, e
montana, erm. Cosi apparisce, o
Socrate, soc. Àncora è avviso, che il parere di lui tenga il nome secondo
la natura, erm. Apparisce, soc. la vero tale appar egli, che sin
Agamennone, quale pare che si affatica, e sopporta» imponendo fine alle
cose, le quali parvero da terminarsi per la virtù. Argomento poi della sua
toleranza ne diede il durar sotto Troia con tanto esercito. Dunque che
questo uomo sia stato buono nella perseveranza, il nome di Agamennone lo significa.
1$ peravventura eziandio Atreo se ne sta bene, conciosia, che la
uccisione di Crisipo, e la crudeltà intoruo a Tiesse sono tutte le cose
daouosc, e perniciose in verso alla virtù, onde la denominazione del nome
declina un tantino, ed è gelata in modo, che non dichiari
.^chiunque la natura di questo nomo: ma cui som» periti di nomi si
mauifesta bastevolmente la significazione di Atreo; perchè esso nome è posto
bene in- ogni luogo secondo 1 intrepido. Ancora pare che il nome di
Felope non sia dato a lui fuor di proposito, significando questo nome, che sia
degno di questa denominazione chi vede le cose dappresso, zbm. In che modo?
soc. Come si dice nella morte di Mirtillo contra di lui, che egli non
abbia possuto proveder niente, nè da lunge vedere di quanta calamità
fosse ripieno il genere tutto, riguardando alle cose, che gli erano
innanzi a piedi, e solamente alle presenti. Ciò poi è il veder dappresso, il
che ei fece avendosi aiTaticato con ogni sforzo di accompagnarsi in
matrimonio con Ipodamia. Appresso penserebbe ognuno, che il nome Tantalo
li sia stato posto bene, e secondo la natura, se sono vere le cose, che
si raccontano di lui. erm. Quali sono coteste? soc. Che a lui ancora
vivente moltissime cose avverse, e gravi avvennero, il fio delle quali si
era, che tutta la patria di lui si vogliesse sossopra. Più oltre, lui
morto gli sta sopra la testa un sasso, per certo, durissima sorte. Tutte
queste cose adognimodo si confauno col nome, non altrimenti, che se alcun
l’avesse volato nominar pazientissimo: ma avendo parlato alquanto
oscuramente, abbia posto Tantalo per Talantato- In c
vero pare, che un tal nome la fortuna di lui avversa lì abbia dato
col rumor della gente. Anzi che bene si applicò ancora il nome a Giove
padre; nondime» no egli non è agevole da conoscersi» essendo «1 no»
1 me di Giove qual certa orazione, il quale in due parti partendo, in
parte si vagliamo d’nna, in parte del» l’altra parte, chiamandola. alcuni
altri, le quali per» ti in uno poste, dimostrano la natura di Pio, il
che dee poter fare il nome massimamente; non avendo noi, nè tutti
gli altri niuna maggior cagione di viver, che il prencipe, e re di tutti-
Dunque avviene, che si nomini bene in cotal guisa, essendo ‘Dio, per cui
ca» gioite il viver si ritrovi sempre in tutti i viventi. Essendo poi uno
il nome, è in dtfe parti partito, come io dico. Questo poi essendo
fìgliuol di Saturno clù all’ improviso l'udisse penserebbe cosa
insolente. Mè ragionevole, ehesia prole Giove di certa grande in»
telligenza; perchè quello, che si dice non significa fanciullo; ma
purità, e incorruttibilità deliamente di lui. Egli è poi, come si dice,
figliuolo del cielo; conciossiachè lo aspetto alle cose di sopra
meritamente sidee chiamare con questo nome, come all' alto risguardi
onde, o Ermogene, affermano coloro, che trattano delle cose sublimi, cheavvegna
una pura mente, e a lui si ponga bene il nome del cielo. Or se io
tenessi a memoria la geneologia scritta da Esiodo: e mi ricordassi quali
egli introducesse i progenitori loro, in niuu modo non cesserei di
dimostrarti, che fossero scritti loro i nomi bene, finché facessi la
provi» di questa sapienza, se ella faccia alcun profitto, e alcuna cosa
fornisca e se si dubiti, o nò, la quale io non se certo, onde poco fa mi
sia venuta cosi allo ìmproviso. za» In vero, o Socrate, pare a me,
che t« alia similitudine di coloro, che sono da divinità rapiti,
mandi fuori oracoli. soc. O Ermogene, io stimo, che. questa sapienza si
cagionasse in me da Eutifrone figliuolo di Panzio; poiché assiduo gli era
instami dal matutino, e li porgeva gli orecchi. Sicché é manifesto, che
egli pieno di Dio, non solamente abbia ripieni di sapienza beota gli
orecchi miei? ma occupato t'animo ancora: io stimo veramente, che
si abbia a fare in cotal guisa. Che si vagliamo -oggi di lei, e si
investighi da noi il rimanente, che pertiene a nomi: diman poi, se in ciò
converremo, la manderemo fuori, e la mondaremo con diligenza, ricercando alcun
o sacerdote, ovver sofista, che sia buono a purgar queste cose, bum. O
Socrate, io approvo questo si, perchè molto volentieri udirei ciò, che
rimana d'iutorno a nomi. soc. Al tutto si dee fare cosi. Dunque ove
giudichi tu principalmente, clic si abbia ad incominciare; poiché abbiamo
prescritta Certa legge per conoscere, se eziandio gli stessi nomi
ci attestino, che non siano stati fatti a «uso: ma contengano alcuna
invenzione? i nomi dunque degli croi* C degli uomini peravventura ci
inganaerebbono, essendo molti di questi posti secondo le denominazioni de’
maggiori, e spesse volte non convengono in modo niuno, come abbiamo detto nel
principio. Molti nomi poi pongono gli uomini quasi pelvoto, come e altri molti
Per la qual cosa io stimo, che siffatti siano da tralasciarsi: ma è cosa
verisimìle si, che noi ritroviamo i nomi posti bene, e naturali intorno «Ile
cose, che son sempre, convenendosi mollo, che qui si abbia a cercare
diligentemente la maniera del por i nomi: ma peravventura alcuni dì
loro sono stati posti ancora da certa potenza più divina, che umana. ehm. 0 S
ocrate, tn mi pari dì parlar eccellentemente. soc.« Non è egli cosa
convenevole lo iucominciar da Dei, considerando in qual guisa sono stali
chiamati i Dei bene con questo stesso nome? erm.-E verisimile. soc.-In vero
cosi io sospetto; mi par certo, che i primi de’ Greci abbiano pensato
quei soli Dei, i quali eziandio sono stimati in questi tempi da molti,!«'
barbari il sole, la luna, la terra, le stelle, il cielo. Dunque quasi,
che essi vedessero tutte queste cose essere in un perpetuo corso, da
questa natura è avviso, che ic si abbiano nominate,poscia osservandone altri;
le abbiano chiamate tutto con lo stesso nome. Ciò, che io mi dico tiene
egli al®uua verisomigliauza, oppur nò? ««.-Appar molto, soc che si ha poscia ad investigare? ehm E
ma-nifesto, che si dee cercare de’ demoni, e degli eroi,» degli uomini.
$oc.- De’ demoni? o Ermogene, considera veramente se ti è avviso, che io ti
dica alcuna cosa intorno a ciò. che si vuole inferire il nome dedemoni, ehm. DI
pure. soc. Sai tu dunque quali si
dica Esiodo, che siano i demoni? * km Non intendo. soc. Nè eziandio, che egli
dica essere stato degli uomini primieramente il genere dell' oro? erm.
Solio sì. soc. Or dice d’intorno a lui, poiché la sorte coprì questo
genere, che altri si chiamano demoni puri, terrestri, ottimi fuggatori di mali,
e guardiani di uomini mortali, erm. Che poi? soc. Per certo io stimo, che egli chiami
genere d’ oro, non fatto d’ oro: ma buono ed eccellente, e di ciò ne
fo la congettura, dicendo egli, che il genere nostro sia del ferro,
ehm. Tu narri il vero, soc. O non pensi tu, se al presente alcun de’
nostri fosse buono, «he egli si stimerebbe da Esiodo del genere dell'oro?
erm. E cosa verisimile, socOr sono
alcun' altra cosa i buoni, che prudenti? erm Prudenti. soc Sì
che come io penso chiama quelli demoni principalmente; perchè erano
prudenti ed intelligenti, e pervenne questo nome dalla nostra lingua
antica. Perlaqualcosa ed egli, e qualunque altri poeti molti parlano bene, che
dicono, che poiché alcun buono si parte di vita, prende in sorte
grandissima dignità e premio, e si fa demone secondo la denominazione
della prudenza. Così mi affermò ancora, che sia ogni uomo prudente, il qual è
buono, e sia egli demonio, e vivendo, e morendo, e si chiami demone bene.
erm. Mi pare o Socrate, che io consento d’intorno a questo con esso loco,
soc. Poi, SIGNIFICA egli? ciò non è molto malagevole da considerarsi,
essendo poco distante il nome degli eroi, dimostrando che la generazione loro
sia derivata dall’ amore. erm. In che modo dì tu questo? soc. O non sai
tu, che sono se-, midei gli eroi? erm. Che dunque? soc. In vero tutti sono generali, avendo o
Dei portato amore a donna mortale, o mortali a Dea, oltre ciò se
considererai queste secondo la vecchia lingua degli Ateniesi il saprai
maggiormente; perciocché ti dichiarerà che si è mutato nn tantino per causa del
nome, onde so«o fatti gli eroi, o che egli significa gli eroi, o
perchè furono savi, e retori, e facondi, e al disputare acconci, essendo
bastevoli allo interrogare. Sicché quello, che poco fa noi dicevamo,
dicendosi gli eroi nella vece attica pare, che gli eroi siano atctmr
relori, e che interrogano e amano; onde il genere degli eroi si fa genere
di retori e de' sofisti: ciò poi non è malagevole da intendersi: ma più
oscuro quello, per qual cagione Si chiamino gli uomini gf$pcTrol’ P uo tu
dire il perchè? ersi. Uomo dabbene dove avrei io questo? anzi se io
potessi ritrovare alcuna cosa, uon 1’ affermerei, pensando, che tu meglio
di me saresti per ritrovarla, soc. Egli mi è avviso, che tu ti confidi
nella ispirazione di Eutifrone. erm. Senza dubbio, soc. E meritamente tu
ti confidi; perciocché troppo bellamente ini pare ora di aver pensato, ed
è pericolo (se io non mi guardassi) che no» pares- ® e °gg>> c h® io
fossi divenuto piti saggio, che non si converrebbe. Or non considera ciò,
che io dico; perciocché conviene primieramente, che si consideri
questo intorno a nomi, che spesse volte aggiugniamo lettere, e ne
leviamo, nominandole fuori della nostra inleuziope, e mutiamo le
acutezze, come quando diciaroo Alì <p'lAo$. Da questo nome, affine egli ci
servi per lo verbo, caviamo poscia fuori l’uno I, e per la sillaba
del mezzo acuta pronunciamo la grave, in alcuni altri framettendo le lettere, e
altre più gravi proferendone. erm Tu
riferisci il vero. soc. -.Questo come a me pare adivietie ancora al
nome degli uomini; essendosi il nome formalo dal verbo, fuori, che uno A,
e fatto grave nel fine. srm. Come
di tu questo? soc. Cosi. Egli significa questo nome o’ ivoSt cioè
di nomo; perchè le'altre fiere non considerano, nè osservano, nè contemplano
alcuna delle cose, che veggono: ma l’uomo incontinente, che vede (e
questo significa 1’ oTTùiTTs) e vede, e contempla, e considera ciò, che
ha veduto. Quindi meritamente l’ uomo solo di tutti gli animali è
chiamato, considerando ciò che vide. Che da te poscia addimanderò io?
quello peravyeutura, che io udirei volentieri? erm. Si. soc. Dunque mi è avviso, che incontinente
succeda alle cose antedette la considerazione dell’ anirua e il corpo
alcuna cosa dell’ uomo. erm. In che modo nò? soc. Ora sforziamoci di distinguere ancora
questo come le antedette, pensi tu, che iunanzi si. ql>bia a cercare dell’
Miima, come sia ella chiamala bene? poscia del corpo? erm. In vero si.
soci Dunque acciò io subitamente esprima quello,' che ora mi si
offerisce primieramente, io : stimo che Colo-i ro, che' cosi chiamarono
l’anima abbiano ciò pensato principalmente, che questa quante Tolte è col
corpo si è-, cagione, che egli viva, dandoli la virtù del rispirare, e
rifrigerandolo; e come prima lo abhando-t nera quello, che il refrigera,
eglisi scioglie, e Sene muore, onde pare, che 1’ abbiamo chiamata, quasi
rifrigerante: rtȈ se, ti aggrada fermati alquanto. Mi par divedere
alcuna cosa più di questa probabile presso coloro, : i quali seguitano
Eotifrooe; perciocché sprezzerebbono essi questa, come io penso, e la
dimostrerebbono certa cosa molesta: ma vedi, se ciò ti sia per dover
piacere, erm. Dì pure, soc. Qual* alt+a cosa pare a te, che contegno il
corpo, e il guidi, e faccia, che egli v;va, e vadi intorno* che 1? anima?
eatu.ij-' JNient’ altro? soc. Ma che?
non credi tu ad A nassa-' gpra, che la natura di tutte le cose sia lo
inieMetto,e l’anima che l’adorna e contiene?.
erm. Così si.' soc. Dunque ben fia, che a quella potenza si
applichi questo nome (pvvgyjnj, cioè contenente la naturai ma si
può chiamare ancora ornatamente. ' erm. Così è ad ogni modo, e mi pare,
che questo . sia di» quello' più artificioso- soc. E verameute, anzi par.
certo cosa ridicolosa, se si nominasse, come le fan posto.: brw” Or, che
dobbiamo dir api ciò, che segue? soc. Tu dì del corpo? brm.-Sì. soc. Questo a me pare in molti modi, se alcun
declinasse un tantino. Perciò, che alcuni dicono, che egli sia all’anima
sepolcro, quasi ella sia sepellita in questo tempo presente, e anco perchè 1’
anima col messo del corpo significa qualunque cose può significare per
questa ca« gione è chiamato ancora bene. Nondimeno mi Ravviso, che gli
settatori di Orfeo abbiano posto questo nome principalmente a questo
fine; perchè l'anima iti questo corpo dia la pena de’ delitti, e sia
chiusa iti questa siepe, e trincea affine servi imagine di prigio«
ne. Per la qual cosa vogliono, che sia questo cosi; come è chiamato un
chiostro per custodir l’ anima fin, che purghi qualunque debiti; nè
pensano, che vi si abbia a tralasciar pure alcuna lettera, ehm Or, O Socrate, mi pare, che d’j intorno
a questo si sia detto bjBstevolmetite: ma de’ nomi de* Dei potressimo
forse noi considerare, come si è fatto di Giove, secondo qual retta
invenzione fossero posti i nomi loro? soc. Per Giove sì, o
Ermogónè; se noi avessimo intelletto sarebbe una maniera buonissima il
confessare, che iton conosciamo niuna cosa d’ intorno a' Dei, dico
nè d’ intorno ad essi, nè a’ nomi loro, co’ quali si chiamano; manifesto
essendo, che essi si chiamino coi veri nomi: ma la seconda maniera della
retta intenzione si è, che così come ordina la legge, che si pre-i ghino
i Dei ne’ voli comunque aggrada loro di esser chiamati; così ancora noi
li chiamiamo, quasi da noi non si conosca niun' altra cosa. Perchè si è
deterrai. nato bène, come mi pare. Per la qual cosa, se ti piace,
consideriamo quasi avendo detto innanzi a Dei, che da' noi non sia per
conoscersi niuna cosa d’ intorno a loro? ‘non confidandosi noi di esser
possenti: ma piò tosto- d' intorno agli uomini oon che opinitine principalmente
intorno a Dei disposti posero lóro i nomi; essendo .ciò lunge da
riprensione. fi erm. O ' Socrate; egli è avviso, che tu parli
modestamente, c facciasi da noi in cotal guisa. .Dunque
incominciamo .alcuqg,co$a da Veste. secondo le legge.- bum. Cosi
veramente conviene, spc.a-t, Q ual cosa porrebbe dir alcuno, che
considerasse chi la si chiamò Veste? erm. -Io pon penso per Giove,
«bis ciò siaagevole do riprovarsi. som O firnwgene buono. In vero par
bene, che i. prinp autori, de’, nomi non siano «tati certi grò*,
solqni; ma investigatori sottili di cose Sublimi. 11» Perchè? sac Perchè,
mi pare cheil por de' stomi sia stato di . certi uomini siffatti, *' se d leu n
considerasse i nomi forestieri^; non tnanbo ritroverebbe ciò, che
qualunque significasse, come eziandio in qaesto, il qual noi chiamiamo essenza,
alcuni sono,.' che il chiamano altri di nuovo. Primieramente
secondo l’uno di questi nomi,,,non ^ ovviso^ che si fofamrai
forte lontano dalia ragione la essenza delle Icose, e perchè noi
chiamiamo ciò, che è partecipe dS essenza; per questo si potrebbe nominar
Itene; perchè parte, che ancora noi anticamente,, chiamavamo già
< >?rÌ* o6(rf«fc- Appreso »e «leu* considerali*
isàcrifieà, stimerebbe, che; c^»l cqn|i derisero doloro, ( «bfc .li, et posero;, perciocché è vcrisùniU
iunanM-4-iWtt». • i-, I>«i^ che facessero i sacrifici a Veste
chi denominarono la essenza di tutte le cose.- ma quanti di;, nuovo,la.fthiamarono
ùaiOCV, stimarono quasi di mlovo secondo Eratlito, che sempre scorressero tutte
le cose, e Piente •Don si fermasse. Danqoe la cagione, 'e la origine loro
fosse, chi le spingesse. Sicché meritamente si chiami la cagione, che spinge.
D’ intorno 1 0 questi fin qui siane detto in .colai guisa, come da
coloro, Che' 'non intendono piente. Dopo Veste con-vien, Che si
Iconstderi di Rea e di Saturno,* tuttoché de! nome di Saturno abbiamo detto di
sopras-hiB forse, chef io noti died nulla. EHM.-Perchè, o Socraté? soc. O
uomo dabbene, ho considerato certo esime di' sapienzd. erm. Quale é
eglit socv-Cosd'dS dirsi ridfirolosa niol-U>, fiondimene '«Urn®, che tenga
‘àfeuno probabil cosà. k*m.> Q uale n’-è dessa? soc. Mi pàrvedere; che
E• radilo già. molto nani chiaramente aldune cose saggio, che si fecero nel
tempo di Saturno e dì Rea, fe quali eziandio si raccontavano da Omero,
ehm. Come di tu cotestoì soc. Eradito
dice, che scorrano tuttéalacose, e, non si fermi nulla; e
assomigliandogli -.enti al flusso d’ un- fiume, dice non esser possibile,
che nei medesimo, fiume tu possa entrar due volte. ehm. Q uesto A vero.
soc. J O ti par egli, che colui da praclito dissentisca, il quale pose
Rea e Saturno Si < IVa progenitori degli altri Dei? dimmi,
pensi tn, che egli abbia posto temerariamente i nomi ad ambi lorò
delle flussioni; come ancora Omero dice, che l’Oceano sia la generaeione
de' Dei, e la madre Tele; e il medesimo, come pare, volle ancora Esiodo. Oltre
ciò db ce Orfeo, che l’Oceano primo abbia dato incominciai mento
alle nozzi; che corrono bene, avendosi accompagnato con Tele sua sorella. Dunque
considera come si confacciano insieme queste cose, e tendano tulli alla
opinione di Eraclito, erm O Socrate*
pare a me che tu dica alcuna cosai ma non intendo bastevolmente
ciò, che inferir si voglia il nomedi Tele, soc. E nondimeno significa quasi
questo stesso, che sia un nome ricondito di fonte; perciocché quello, che
corre, e sì spinge è un simulacro di fonte, e d’ arnbidue questi
nomi è composto il nome erm. O Socrate, questo è bellissimo, soc. In che
modo nò? ina che poscia? di Giove abbiamo detto veramente,
ehm. Così è. soc. Or diciamo de’ fratelli di lui Nettuno, e
di Plutone e dell'altro nome, col quale è chiamato' da loro. erm. Al tutto, soc. Egli è avviso, che Nettuno da
chi primieramente il nominò, sia perciò sta. to chiamato* Troa-g/ofiàlt,
perchè mentre egli cambiava, «1 ritenne la natura del mare, uè
permise, che se ue andasse più oltre: ma se li fe quasi legame a
piedi. Sicché chiamò Dio 7T0<retc/là>lùX, il prencipe di
questa virtù, come TTOff/c/lefffiolf OVTK, cioè legame di
piedi: ma l’E vi fu trasmesso forse per ornamento, ftla per»M
avventura non si vuote egli inferir quatto.- ma in véce di E si diceva
primieramente «on due LL come se dicesse fa ttoAAc
bÌ</IÓto<tTov$*ov, ci °è* che qua» si sia Dio coguitore di molte
cose. Peravveotnra dal ctteu, cioè dal movere fu nominato èa-g/ar, cioè
mo. venie, cui si aggiunse poi il P e il OeilD. Or il no» me di
Plutone fu nominato secondo il compartimento delle ricchezze, cavandosi
etle dalle viscere delta terra. Il nome poi ac/|»J, pare, chela moltitudine
gliele abbia dato quasi t ò AeuAtSt c ' 0 ^ cosa invisibile, e di
questo nome avendo onore il chiami Plutone., eia. Or in che modo pare a te, o Socrate?
soc. A me pare, che gli uomini in
molti modi abbiano errato intorno alla potenza di questo Dio, e lo
abbiano avuto sempre in orrore, non convenendosi punto, teraen • dolo
chiunque; perchè morto una fiata sta sempre quivi; e ancora, perchè l'anima del
corpo spogliata cola se ne vi ella. Alla perfine tutte queste cose, e il
regno, e il nome di questo Dio mi pare, ebe tendano al medesimo,
enti. In che modo? soc. Ti dirò
ciò, che mi pare. Perchè dimmi, qual di questi due è legame pili forte al
tenere in qualsivoglia luogo qualunque animale, la necessiti forse, o il
desiderio? erm. Di gran lunga, o Socrate, avanza il desiderio,
soc. Pensi tu dunque, che molti non
fuggirebbono lo inferno; se egli non legasse coloro, che quivi discendono
con un fortissimo legame? srm. C hiaro è. soc. Sì che li lega, come pare,
con certo desiderio, non con neoesiità, se pure li annoda co*
legsmh fortissimo, erm. Apparisce, soc. Sicché di: n«o?0 sono molli
i desideri? «a*i. -Molti si. • soó. -Dunque li annoda colla
grandissima cupidità, se pur li dee contenere col grandissimo legame.
<rm. Per certo, soc. Or vi è «gl* alcuna cupidità maggiore* che quando
alcun con altrui accompagnatosi, pensi di dovere esser uomo migliore per
causo di l’uJP «aat. O Socrate, iti ninn
modo per Giove, soc. Forte per questa cagione hassi a dire, o Ermogene,
che nien di colà se ne voglia' ritornar qni, nè iè stesse sirene,
anzi e esse, e gli altri tutti siano addolciti; cosi belle parole sa
formar lo inferno, eéttrt apparisce, ed è questo Dio, come testifica
questo parlare Sodala perfetto; e a colóro apporta gran benefidi, che
abitano presso lui, e dà loro cotanti beni; siffattamente i egli di
ricchezze abbondante in qael luogo, onde ancora di quà ebbe il nome di
Piatone, o non ti pere officio di filosofo il non volersi accostare agli
nomini, che hanno i corpii ma il riceverli allora finalmente, quando
l’animo loro é purgato da tutti i mali, e da desideri, che sono d’ intorno al
corpo? per certo pensò questo Dio di dover tener in questa maniera gli
animi, se li legasse col desiderio della virtìit ma chi sono infetti da stupore
e da pazzia di corpo, nè il padre Saturno sarebbe possente di raffrenarli con
quei suoi legami, e di tenerli seco. efcM.-O Socrate, pare, che tu parli
alcuna cosa. soc. O Ermogene, è forte lontano, che il nome sia quali
imminato invisibile, ansi ai cava dal conoscer tutte le cose belle. Per
la qual cosa -da ciò è questo Dio chiamato idei facitore de’ nomi. erm.
Stiano lé cose cosi. Che diciamo noi pili oltre del nome di Cerere, di
Giunone, di ’ Apolline, e di Minerva, ’e di Vulcano, e di Marte, e del
rimanente de’ Dei? soc. Cerere si chiama Jt«T« -rnvc/lótr/l! rriff
èj\a>if(is dal dopare gli alimenti, crtte/loti<r<X d$ (isp, c
'°* quella, che dà quasi, madrq: ma Spx, Cioè Giunone, come gp«r*TlC>.
c ‘°,è certa amata, così come si racconta, che Giove amata l’ebbe.
Ancora risguardqqdo all’alto peravveulura chi ordini) questo nome,
denomino l’aere e parlò oscurar mente, ponendo ci principio nel
fine, il che ti si farà manifesto, se spesso pronuncierai quel nome di
Proserpina, ed enroAAtav temono alcuni 'per quello di nominare, che è ignota:
loro la retta invenzione de’ np; mi: perciocché mutando considerano la
<pgp(j-£<pótfW, e ciò loro par cosa grave. Ciò poi dimostrai c
h® Dea sia sapienza. In vero la sapienza fìa quella, che tocca, e
palpa le cose, che scorrono, e lepuòcopse; guire. Per la qual cosa
Qepé'lTCUpX, questa Dea meritamente si chiamerebbe per la sapienza,
toccamente di quello, che scorre, o alcuna tal cosa. E però lo
inferno, essendo sapiente è congiunto con lei per esser. ella siffatta. Ma ora
schivano questo nome, stimando più la grazia del proferimento, chq la verità:
in modo, che la nominino (pepp&QXTyxi- M medesime
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nome dì A polline, avendo molti in orrore questo nome, come porti seco
alcuna terrihil cosa, o no il conosci tu? ehm. Il Conosco ai, e tu
di il vero. soc. -Ma ciò, come mi è avviso, è posto benissimo rispetto
alla potenea di Dio. erm. In che modo? soc. Sforzerommi di
esprimere il mio parere, in vero non si avrebbe possuto
ritrovare un’ altro nome solo più convenevole -alle quattro potenze, di
Dio, di maniera, che le tenesse tutte, e in un certo modo dichiarasse la
musica, il vaticinio, la 1 I T u ' ', medicina, e 1’
arte del saettare. Or di, per chè mi è avviso, chp,tu dica un nome
strano,, soc. Anzi egli è
conveuevolmente addattato; essendo Dio musico; perciocché la purgagioue
primieramente, e le mondazioni, che si fanno colla medicina, e col
vaticinio; ancora le cose, che si torniscono colle medicine ’ de’ medici, e gli
incauti degli indovini, C le purificazioni, i lavacri, egli spargimenti possono
questo solo, cioè di. rendere 1’ uomo puro, e del corpo e deU’aniina; non
è egli cosi? erm. Cosi ad ogni modo, soc. Dunque sarà colui il Dio, il
qual purga e lava chi libera da mali siffatti, ehm. Senza dubbio,
soc Per la qual cosa in quanto lava, e
libera come medico di tali inali; è meritamente chiamato liberatore. Ma secondo
la indovinazione, e il vero, e il semplice, essendo una stessa cosa il
possiamo ancora nominar bene secondo il costume de’ Tessali. Per
l certo tutti costoro
chiamauo questo Dio, semplice: ma perehè sempre imbroca il sogno con
l'arte del saettare, sempre percuote-, si può dire perpetuo percotente.
Secondo la musica poi, si ha a pensar di costui come di chi si dice, che
segue alcuno; e della moglie, perchè 1 ’ A dimostra, come in altri molti luoghi
il congiuogimento, e qui ancora significa 1 * accompagnamento delle
conversazione, e intorno o cieli, i quali chiamiamo «7 TÓAovff, « SIGNIFICA
eziandio 1 * armonia, che è nel canto, la qual ai chiama concordanza.
Perchè d’intorno a queste cose, come dicono i periti di mn•sica e di
astronomia, si rivoglie egli con Certa armonia. Questo Dio poi è
soprastante all’armonia volgendo insieme tutte queste cose, e appresso agli
uomini, e~a'ppresso V Dei. Dunque così come T J y o^oa/Afii/Sor, Kffì
opóJtO<T«V, 0, °® va insieme, e chi giace nello stesso letto abbiamo chiamato
«kuAovSov, X ai SttOITtY, cablando l’ O nell’ A, così quello abbiamo chiamato Apollo,
il quale era o’fXOTTCÀàv, frammesso l’altro L: perchè sarebbe stato
equivoco col duro nome. Il che ancora a questi tempi avendo sospettato
alcuni per quello che non considerano bene la virtù del nome, così
il temono, come significasse certa corruzione. Ma daddovero questo nome
abbraccia- tutte le virtù di questo Dio, come di sopra detto abbiamo;
conciossia, che il significa semplice, perpetuo, ‘ percotente, lavatore,
e insieme conversante. Il nome poi delle muse della musica i cavato da quello
ebe si dice h ( c '°®
cercare i come è avviso, e co* la investigazione, e con lo studio della
sapienza. Latona si dice dall* mansnetndine dèlia Dea, perchè sia
pronta; ed esposta, e presta al dar ciò, che chiunque ricerca. Ma
peravventura, come chiamano i peregrini perchè molti nominano il qual
nome pare che lì sia stato dato, perchè non abbia ella la mente
rigida: ma, mite, perciò si denomini qiwaì Aitò» ì$6$, cioè
costume piacevole e mite $prt[ìl(, cioè Diana per quello che s ‘ a quasi
integra, e modesta per lo desiderio della virginità, ancora lo
institutore del nome la chiamò peravventura quasi òlfSTÌi iffTO p«tj
cioè chi conosce virtù eziandio è detta forse SpTeyttS, quasi £; TÓV
«fyoTOV TOt OtVcApài «’»7V I ctiKi, cioè che ella abbia avuto' quasi in
odio il congiungimento dell’uomo colla donna essendosi ordinato il nome,'o per
alcuna di queste 1 cose, 0 per tutte di siffatta sorte, erm. Ma che Airfrtfd'O?
g'(pp o</IÌTt cioè di Dioniso e Venerei soc. O figlinolo di Iponico, tu addimandi gran
cose. Or è doppia la maniera de* nomi imposti a questi Dei, 1* una seria,
1* altra giocosa. Dunque da certi nitri ricerca fa seria: ma la
giocosa niuna cosa vieta, che non si racconti: perciocché sono ancora i Dei de’
giuochi amatori, e sarò uno Al'orvtrog i J\l<Aoùs to'» ODO», cioè
Dioniso miniatratore divino, quasi cognominato' JU<A\jtvv<roS,
nel giuoco. Ma ti può meritamente chiamar vino; perché faccia, che
molti, i quali beono essendo alienati di mente, pensino di avere
intelletto qh al&S^xl VOÙV »v«<» tò» TTt*óv3fi>v roti :
ttoAAoÙs, d’onde meritamente si può chiamar obi pensa avere
intelletto. D’ intorno a Venere non è cosa degna, che si contradica ad
Esiodo: ma si conceda, che si chiami &QfO<AiTH TSt T«V «iJ>poù
7 évetrw, ci°é per la generazione della spama. MM.-Or, o Socrate,
non trapasserai sotto silenzio Minerva, e Vulcano, e Marte essendo
ateniese, soc. Non conviene itKolcun modo. ehm. Per certo nò. soc. Egli non è malagevole da dirsi, perché sia
posto l’uno de’ nomi di lei. Kit». Quale? soc. Per certo noi là chiamiamo
Pallade. ehm. Si certo. sac^-Or istimando noi, che 1» sia posto questo
nome dal saltar fra le arme, lo stimeremo bene, come io penso, perciocché lo
inalzar se stesso, o altra cosa in alto, o da terra, o colle mani il
diciamo TróAAetif, e thxAAe adii, Xfid àpX B ^*. vi v XK< c ‘°®
cr °ll are » e crollarsi, e saltare, e patire il salto, ehm. Così
è. soc Dunque in colai guisa la chiamano Pallade. ehm. E meritamente;
ma 1’ altro suo nome, in, che modo lo di tu. soc. Cerchi tu tÒ .
À9NV&? ( ehm. Questo stesso, soc. Questo è piu difficile, o amico, pare che
gli antichi stimino £$ come costoro, che a questi tempi sona dotti
d’intorno ad Omero. Perciocché di costoro malti interpretando il poeta dicono,
che òt$tlVoiV «TOV yovv, Kx\ JÌIXVOIXV TTSTTOIHkÌvÓCI, abbia fatto la
stessa mente e il discorso, e chi fece i nomi pare, che abbia considerato
alcuna cosa tale d* intorno a lei: anzi ancora dall’ alto innalzandola,
la introduce come intelligenza di Dio, qnasi dica, che questa sìa
5eovÓo, cioè quella, che intende Dio, valendosi dellX in luogo del y secondo
certo rito forestiero; levandone appresso lo j e il ma peravventura nè a questo
modo: ma come, che ella diversamente dagli altri intenda le cose divine
la chiamò ^eoto'nif, cioè intendente le cose diyine. Uè fìa fuori di proposito
se di. remo, che egli 1’ abbia voluta chiamare rf$oVÓtf quasi essa
sia intelligeuza d’ intorno a costumi. Egli dopo, o coloro ancora, che
vennero poscia come era avviso tirandola nel meglio, come credettero la
denominarono Atene, ehm. Che di Yulcauo, il quale è nominato ÌQxHnotf in
che modo dì tu? soc. Ocerehi tu il generoso intelligente di lume? ehm. Cosi mi e avviso, soc. Costui come può
esser manifesto a ciascuno è tpoÙffT Off, e si attribuisse lo onde
è . t . v i detto £ Qxi$TQS- ehm. Apparisce se eziandio
non ti paresse pra altrimenti, soc.y- Ma acciò non mi paia
cosi addimanda di Marte. ERM.-Addimand,o. soq, Se li piace KfltTOt TP
Xf>ps, y, cioè Alarle, si dice secoudo il maschio è «MpetOtfjiCioè forte.
Più «lire sft la vorrai, che egli aia stato chiamato per certa aspra
natura, dura, e invita, e immutabile, la qual si chiama ttppXTOI, questo
ad ogni modo convenirli al Dio guerriero. xrm.
A d ogni modo. soc. Deh per li Dei lasciamo oggimai i Dei, temendo
io di disputar di loro: ma proponimi qualunque altre cose tu vuoi, affine tu
conosca quali siano i cavalli di Eutifrone. un. Farollo addiinandandoti ancora una cosa
di Mercurio poiché Cratilo nega, che io sia Ermogene, sicché
tentiamo di considerar ciò che significhi éppw$, cioè il nome di
Mercurio: affine conosciamo, se egli dica alcuna cosa. soc. E nondimeno g’pgyg, cioè Mercurio pare che
sia intorno al sermone in quanto è i/tfmete, Iteti sryeAof, noi) tò
nhu'juKÓne, k«ì to xTxrnXoi s’r ih * <?» x*ì tò ciipopxaTinòv,
cioè interprete e nuncio, e ha nel parlare lo ingannar
furtivamente, e versa nella piazza. Tutto questo trattato versa intorno alla
virth del parlare. Per certo come abbiamo detto dianzi yò etpeil, ®
usanza di parlare.ma spesse volte dice Omero di costui e’p scorro, cioè
machinò egli. Dunque d’ ambidue si compone il nome di questo Dio, si di
quello, che è parlare, sì di ciò cbe è il ntachinare e 1’ investigar le
cose da doversi dire, così come 1’ autor del nome ci ordinasse. O nomini,
è cosa decente, che voi chiamiate quel Dio, il quale ha machinalo il
parlare: ma noi al presente it chiamiamo gpjiìy, pensando di abbellire il
nome: anzi, e ipi$ pare che sia chiamata da sip$u per quello, che era
messaggera, erm. Per Giove pare, che Cratilo abbia negato bene, che io non sia
Ermogene, essendo io grossolano alla invenzione del parlare, soc. t- 0
amico, egli è ancora verisimile, che ir fax figliuol di Mercurio. sia di
due forme, erm. - In che modo? soc. Tu sai, che il sermone significa il
tutto, e attornia, e versa sempre, ed è doppio, cioè, vero e falso. erm. In
vero sì. soc. Dunque la verità di lui è cosa piana e divina: e di sopra
abita fra Dei: ma la falsità al basso fra la turba degli uomini, ed è
aspra e tragica: perciocché qui si ritrovano molte favole e falsità
intorno la vita tragica, erm. Così è ad
ogni modo, soc. Meritamente adunque egli, che significa il tutto, e
sempre versa, sarà di due forme figliuolo di Mercurio nelle parti di
sopra molle, e delicato, nelle inferiori aspro, e caprino, ed è pane, o il
Sermone, fratello di sermone, poi che è figliuolo di Mercu/rio. Non è poi maraviglia
che il fratello sia al fratello somigliante. Alla perfine, o beato,
dipartiamoci da’ Dei, il che io poco fa diceva, erm O
Socrate da questi tali sì, se il piace a te: ma quale impedimento ti
tiene, che non racconti di questi altri? cioè del sole, della luna, delle
stelle, della terra, del cielo, dell'aere, del fuoco, dell’acqua, della
stagione, e dell’anno? soc. Sono
molte, e grandi le cose, che tu mi comandi; non per lauto dovendoti esser ciò
grato, ti ubidirò. ( ikm Per cerio tu mi Tarai cola graia. »oc. Che chiedi tu prima? o vuoi tu forse,
come hai detto, che discorriamo dei soie. erm. Invero si, soc.
Questo è avviso, che potrebbe esser più chiaro, se alcun si valesse
del nome Dorico, chiamandolo i Dorici et\Ì0i ed in cotal guisa è chiamato
secondo xktÌ TO à\i£s/V e li TOCvyópoòs XìlSp ÓttoIs, C1 °è per quello,
che riduce gli uomini insieme quando nasce : ancora Kfltl "TÙ
TTepì tW «et EtAitv, per quello ched’ intorno alla terra si rivoglie
sempre. Piu oltre perchè varia col suo giro le cose, che nascono nella
terra, il variar poi, è lo stesso, erm.
Ma che si dee dire d» <reÀÌvt)J, della luna? soc. Pare, che
questo nome premi Anassagora, erm. Perchè? soc. Perchè dimostro
alcuna cosa vecchia, il che egli poco fa di» ceva traendo la luna il lume
dal sole, erm. In che modo? soc. Il c-e’A CCS, P er cer to, e la luce è
lo stessoerri. E’ si. soc. Questo lume perpetuamente è d’ intorno alla luna
y£ov, hx'i BVVOf, cioè nuovo e vecchio, se pure gli settatori di
Anassagora parlano il vero, conciossia che attorniandola di continuo la
rinova: ma vecchio è egli il lume del mese passalo? brm. Veramente. soc.
Molti chiamano la luna o-sAxtCclxt, erm. Per certo sì. soc Ma
perchè tiene sempre il lume nuovo, e il vecchio, meritamente si
dovrebbe chiamare <rgAA*eyveo«6t«. Ora poi spezzato il vocabolo si
chiama <rgA<m tot. tMt. O Socrate, questo nome è ditirambico: ma
come interpreti tu T< j r Cioè il mese, e T * forpx, cioè le stetle?
soc.-ll mese si chiamerebbe bene yg/j, T0 ^ ynuoìfBxu cioè dal
sminuirsi: ma pare, che le stelle abbiano la denominazione di òffTfflnr?S,
cioè del folgore : «TTfMnri poi, perchè a se rivoglie gli occhi si
dovrebbe dire aTpoì’Jtì: ma ora con vocabolo più aoconcio si chiama ònTTpentì.
erm. Onde ne cava.il nome "jrSp, nxì TÒ ic/l&p, cioè il fuoco e
l’acqua? •oc. Dubito veramente del fuoco, e corre rischio, o che la
musa di Eutifrone mi abbia abbandonato, ossia questo cosa difficilissima.
Dunque considera qual «nachinazione io introduca, d' intorno a tutte siffatte
cose, nelle quali io dubito, erm. Quale? soc. Dirpl? loti. Perchè
rispondimi, potresti tu dirmi, perchè si chiami fuoco, erm. Per Giove nò.
soc. Considera ciò, che io sospetti d'intorno a questo: in vero io stimo,
che molti Greci abbiano avuto molti nomi da' Barbari, massimamente
coloro, che sono a* Barbari •oggetti, erm. A che queste cose? soc. Se alcun cercasse secondo la voce greca
la retta imposizione di questi, non secondo quella, dalla quale ha
origine il nome, sai tu com’ egli dubiterebbe? erm. Verisi1 mente si.
soc Sicché vedi che questo nome * 7
^, non sia alcun nome barbaro, non essendo agevole lo
accommodarlo alla lingua greca, e manifesto è, che declinando
alquanto, i Frigi lo nominino incoiai guisa, TÒ vJìtof K«ì T«£
KÓKX? KtÒ » cioè l’acqua, ei cani, e altri molti nomi. ehm.
Questo sì è vero, soc.- Dunque non fa raistieri, che si usi violenza a
quelle cose, poiché d’ intorno ad esse non potrebbe alcuno dirne niente.
Sicché in questo modo io rifiuto quei nomi di fuoco, e d’acqua: ma lo
c('ip, cioè 1* oere è cosl dell °» 0 Errao B ene » l,erchè crfpsi
T« «TTÒ T*S ci0è S0lleva Ci6 ’ Cbe è d ’ ia torno alla terra, o perché scorre
sempre, o perché si genera lo spirito col flusso di lui, conciossiachè
chiamano » poeti tHrxs, gli «Pi» - '!'Dunque si dice aere peravventura,
quasi *7TI(ev(iflCTÓppoi/V, «STOppov», cioè corso di spirito. Ma del
cci$epeC >° sospetto in questa tal guisa, perchè sfóttei, cioè sempre
scorre, scorrendo intorno all* aria, perciò meritamente si può
chiamar fatfripo 7* <Aa cioè la terra maggiormente significarebbe ciò che si
vuole se alcun la nominasse 7«?«V, perchè •ysvl/VITeipflC S1 P u °
cbiamar bene » cioè genitrice, come dice Omero. Conciossiachè ciò
che si dice yeyiwi, diss’egli 7S76V?<r3*i, c,oè l ’ esser fatto,
ehm. Si stiano le cose cosl. soc. Che ci rimane dopo questo? erm. Le stagioni, e l’anno, o Socrate, soc. upxi, cioè le stagioni, sono da
dirsi colla voce vecchia, e Ateniese, se tu vuoi conoscer quello,
che è convenevole, essendo elle ore .upctt, c '°è perchè determinano il
verno, e là state, e i venti, e i tempi, per li fruiti, che nascono dalla
terra, e determinando esse, meritamente ore si chiameranno. ilici t/TOff
po«* e sTO?> cioè l’anno pare che sia lo atesso; perciocché quel che a
vicenda manda in luce qualunque cose nascono e si fanno, e le essamina
ia se stesso, e discerne è l’anno, e come di sopra dicemmo, che ’l nome
di Giove era segato in due, e si chiamava d’alcuni « d’altri a/# cosi
ancora chiamano qui l’anno altri evi flfUTÒy, perchè in se stesso,
. f ^ altri ajoS, perchè essaraina. Ma ia ragione intera
è, che chi .esamina se stesso, si chiami ia due maniere essendo uno
dj modo che da un parlar solo si facciano dpepomi,eVl «t/TÒ», e bT-OSì cioè anno,
ehm O Socrate, tu te ne vai luoge oggimai. soc.-In vero mi è avviso di
far progresso nella sapienza, ebm. Ansi si. soc. Per avventura il concederai
maggiormente, xaw. Hor dopo questa specie Volentieri contemplerei,
in che rpodo questi nomi eccellenti di virili siano posti bene, come
(ppóvn<ris, cioè la prudenza anwdcns, la intelligenza, JitKCltOffvvì
1* giusti®!», e il rimanente di queste sorte, soc. O amico, tu susciti
una sorte di nomi da non dispreizarsi; tua nondimeno, poiché mi
sono vestito della pelle del Icope, noa conviene, M<5 ( .
che io mi spaventi, anzi consideri, come è avviso, i nomi della prudenza,
della intelligenza, della opinione, della scienza, e delle altre
cose siffatte. EnM. -Non dobbiamo veramente cessar innanzi in modo
veruno, soc. Nondimeno per cane non mi è avviso di far mala
congettura d’intorno a quello, che al presente io ho considerato, cioè
che questi antichi autori di nomi, come adivien ancora a molti de’ nostri
savi, siano caduti fra gli altri nella vertigine dell’intelletto per la
frequente rivoluzione nell’iuvestigar, come se ne stiano gli enti, e
poscia pari loro, che le cose vadino intorno, c si portino da ogni modo.
La cagiou poi di questa opinione stiman essi non la passione interna, che
è presso loro: ma, che esse se ne stiano così per natura, e in loro non
vi sia niente di fermo, e istabile; ma scorrino tutte, e siano portate, essendo
ripiene sempre d’ogni portamento, e generazione, e ciò mi dico
considerando tutti i nomi, che ora si son detti, kbm I n che modo di tu,
o Socrate? non hai considerato per avventura essersi posti i nomi pòco fa dctti
alle cose, che quasi si portano, e fluiscano, e si facciano, erm. Non li appresi bastevolmente.' soc Primierameute
ciò che abbiamo riferito dinanzi appartiene ad alcuna cosa di questa sorte,
ehm. Quale è cotesto? soc. E £
<ppóvw<r/J, c *°è prudenza, essendo ella (popi? xotf poi? vÓltO'lt?, c
*°è intelligenza di portamento, e di flusso. Ancora si potrebbe
imaginare, che significasse o»»<m <P0fXÌ, c ‘ oè nlI1 ‘ tà d: P or
'‘ lamento; nondimeno versa ella intorno alla agitazione.
Anzi se vuoi *7»a(X» cioè la opinione significa al tutto
701»? (TX6 i4»IF KOCÌ l/àima'ir, cioè considerazione di genitura; essendo lo
stesso il i/apit e <rK 0 Trei», cioè il considerare: ma se vuoi lo
stesso g’ V0»<rU, cioè la intelligenza è tov 160 U Ciri?, cioè de** 4
! 0 ' rio di cosa nuova; che poi siano gli enti nuovi, significa, che
essi ai faccian sempre, e dimostra, che ciò desideri, e prenda a far
l’animo, chi pose quel nome f 0 Hri$ : perchè da principio non si diceva
vonaif: ma erano da proferirsi due in vece di g come quasi Veoe
<r IH, cioè appetito di cosa’ nuova: tracppotri/VU, cioè la temperanza
è salute, e conservazione di quello, che ora abbiamo considerato,
tppovtreaf, cioè della prudenza: gTriffTItfi», cioè 1® scienza è tratta da ciò,
che insta e segue, quasi segditi, e insti, e accompagni I' animo le
cose sole, che scorrono, nè per dimora sia ultimo, nè primo col corpo
correr innanzi. Sicché fa mistieri fraroettendo 1 ’ g, si nomini
eTr/ffTHfiEVDV, cioè prudenza: (ri/VKa’/f d* nuovo cosi parerebbe esser
sillogismo, ciò certo discorso. Ma conciossia, che si dica < rvtìevxt
si intende lo stesso: come se si dicesse 8 Tr/ffT«ff 3 (XI, perchè il
dice che concorra l’animo colle cose, aotpl'a, cioè,a sapienza
significa popvf e<pct i rye<r9c(l, ctoi i* toccar il portatnento.
Ciò poi è egli pih oscuro e istrano: ma da’ detti depoeti ci abbiamo ad
arricordare qualora vogliono esprimere alcuno, che si avvicini, o se ne venga
coti empito, dicono ga-t/,9», cioè usci con empito, anzi fra
Lacedemoni ancora sol/?, cioè veloce era il nome di certo uomo illustre,
significando in colai guisa i Lacedemoni 1’ empito veloce. Dunque la sapienza
significa TKUTHS T*9 cpopocs e’TTOCtpUf, cioè tatto di questo
portamento ; quasi siano portati gli enti : e pure TO «7«3oV, cioè il
bene di tutta la natura significa Tffl ccyxtncò, c *°è *1 mirabile,
perciocché scorrendo li enti vi si ritrova in loro la prestezza e la
dimora. Dunque non è ogni cosa veloce: ma di lei alcuna cosa xyocaTOVt *1
4 ua * ^ ene s * dichiara col nome dell’ «7«<ttov, «/IntaioffW*,
eTr», c '°è * a S,ustiz * a possiamo fare agevolmente congettura, che sia tosto
questo nome 7-5 tou c/ltK0t'/o!/ffl/V6ff8l,.cioè nella intelligenza del
giusto: ma è malagevole da conoscersi quel che è giusto, parendo fine a
certo termine, che sia ciò conceduto da molti: ma si dubiti poscia.
Perchè chiunque stima, che sia in moto il tutto sospetta, che la maggior
parte di lui sia certa cosa tale, la qual non sia altro, che capire; e
per tutto questo sia alcuna cosa, che scorra, con cui si facciano tutte le
cose che si fanno, e sia ella velocissima e tenuissima, per
) 4M eh è non potrebbe altrimenti discorrer per tatto L’ente, se
tenuissima non fosse, in guisa, che niente in penetrando le possa far
resistenza, e velocissima in modo, che se ne serva delle altre cose quasi
stabili. Dunque perchè ella governa c/luoi/, cioè discorrendo per
tutte le altre cose, meritamente è addimandata c/I/kociov framesso uno y
per causa di più leggiadro proferimento. Fin qui ciò, che dicevamo poco
fa, si confessa da molti, che sia il giusto. Or io, o Ermogene, ardendo
di desiderio d’ imparare, ho tutte queste cose investigato sccretamentc, quasi
questo sia il giusto e la cagione; essendo quella la causa, per la
quale si fa alcuna cosa, e si disse da alcuno, che in colai guisa si
debba chiamarla. Ma tutto che io abbia udito questo, tuttavia ritorno ad
addimandare. Dunque, o ottimo, che è il giusto, poiché se ne sta egli
cosi? a me par già di ricercar piu oltre di quello, che si conviene, e
salir fuori della fossa; perciocché dicono che io a sufficienza ho
addimandato e udito: e in volendomi empire sì sforzano di dir chi una,
e chi un’ altra cosa, nè convengono più oltre. Altri dice, che
questo giusto si è il sole, poi che egli discorrendo sopra la terra, e
riscaldandola governa il tutto. Ma quando io riferisco questo ad alcuno,
quasi io mi abbia udito cosa eccellente, incontinente egli mi ride,
e ricerca se io stimi dopo il tramontar del sole avauzar agli
uomini niente di giusto. Sicché pregradolo, che di nuovo dica ciò, che sia il
giusto, dice, che è il fuoco: nè questo è agevole da conoscersi: altri poi dice
non il fuoco: ma pii» tosto il calore innato nel fuoco: altri di queste tutte
se ne ride: ma dice, che il giusto sia quella mente, la quale Anossagora
introduce. Per certo, dice egli, che ella sia imperatrice, c adorni tutte
le cose; penetrando ella per tutte, nè mescolandosi con alcuna cosa. Qui,
o amico, sono sdrucciolato in ambiguità maggiore, che prima, mentre
io procurava di saper qual fosse il giusto. Dunque alla fine pare, che QUESTO
NOME SIA POSTO per queste cagioni a quello, d’ intorno al quale noi
consideravamo. erm.- 0 Socrate egli è avviso che tu abbia udito questo da
qualcheduno, nè cavatolo rozzamente dalla tua officina, soc. Ma che dell altre? ERM.-Non molto, nò. soc. -
Dunque attendi: perchè forse io ti ingannerei d’ intorno alle altre cose,
quasi io le riferisca, non avendole udite. Che rimane dopo la giustizia? non
ancora come stimo abbiamo raccontato eivJìplxV, c *°è f° rlezza » p erc ‘ oc
chè la ingiustizia è lo impedimento di ciò, che discorre: ma 1’
et\iJ\pix dimostra quasi, che si nomini nel combattimento. Ma che il
combattimento sia nell’ente s’ egli scorre, non è altro, che il contrario
flusso. Per la qual cosa se alcun leverà via il J\ da questo
nome av «/lp/<«, » nome che rimane * V P lX dÌChlara 1* opera
stessa. Dunque è manifesto, che non a qualunc que io», cioè flusso,
il contrario flusso èforhaxa: ma 'quel flusso Che corre oltre il dovere;
perchè bon altrimenti sarebbe lodévole la fortezza. Or pò affli cioè il
maschio, e S XV» f, ci ° ò l ’ uom ? lrae l ’ 0ti ‘ gine da certa cosa
somigliante p j iva pó», c,oe dal flusso di sopra. Ma <p UV », cioè la
donna, mi par che voglia esser *yoV») cioè genitura: po yxf poi
cioè Temine pare, che sia stato detto da $»AÌ£, cioè dalla mammella. B
egli poi avviso, o Ermogene, che $n\n «« dica, perchè fa pgS«A6tr<XI,
c,oè B ene ‘ rare e pullulare come quelle coie che si irrigano?
xkm. Còsi apparisce, o Socrate, soc. E pure p o 5otA Xciv cioè il
germogliare mi par, che rassomigli it
crescer de’ giovani, facendosi esso veloce, e alt improviso; il
che accennò colui, che formò il nome cavò T0\i reìv, cioè di < Sorrere
e «AAso-3«i, c ‘ oè di saltare, consideri tu, che io sono portato
come fuori del corso, poiché ho ritrovato piana e agevole la via?
eziandio rimangono molle cose, le quali paiono pertenere al serio? ehm. Tu di
il vero. soc. Di cui una, si è, che vediamo ciò, che si voglia
significare cioè l’arte, erm . Ad ogni modo. soc. Non si dimostra egli é^tVfOV, . l’ abito
della mente quasi ej^ovo», cioè avente mente, se si levi il p, e si
fraraetti 1’ o fra il e il y, e f ra '* » e il *? >**\L
è**» Troppo aridamente, o Oberate, ed incivilmente. 1 •oc t-r-Q non sai
tn, uomo beato, che i nomi, i quali prim|erjqjentf furono posti, siano
stati celati, da cip tragicamente li vogliono narrare; aggiugnendo essi
per eleganza, e levandone via lettere, e parte per lunghezza tempo, ®
parte per desiderio di ’ ornamento 'rivoltandoli" da tutte le parti, come per esempio tV
TcS Hpctfaipa, c,oi nello specchio, non parola te disconvenevole che si
siaframesso il pa? per certo tali cose fanno, come io stimo, chi
prezzano, pih vezzi della bocèa, che la verità, per la qual cosa framettendo molte
cose a’ primi nomi, alla fine fanno, che niun uomo intenda ciò, che si
voglia il nome, come mentre proferiscono T»y aai'y’yce, cioè
certo li i ; .-i • » f'iitij n sì . T ' *17 mostro,
dovendosi pronunciare <r<t>/'yot, e "tolte altre ' !
"!.• T I, .sose. ZBM, ciò, o Socrate se ne sta veramente cosi, soc.
Ma se si concedesse di nuovo ad ognuno secondo il suo volere di aggingnere e
levare a’ borni, grande in vero sarebbe la licenza: e chiunque darebbe
qualunque nome a ciascheduna cosa, za»*.Tu narri il vero; ma si conviene,
come io penso, che da tè presidente savio, si servi certa mediocrità e
decoro. irm. I o il vorrei si. soc. E ancora io, o Ermo’gene, il
desidero con esso téco: ma no il nctìncarè, ò Uòmo félice, coi» troppo
eSsata investigazione, affine non annichili al tutto k virtù mia: perciocché
io me ne vengo alla cimjt delle cose antedette, poiché dopo 1 J-*!
arte avremo considerato |iSJ<^«rÌT, cioè la machinazio-< ne,
perchè P 8re me. Che Sia segno f
oj) ecw7l, cioè delio aseender rooho*, perfchè' significo
flttOf, cioè lunghezza, vrpo? T<#TroXv, Cioè appresso al molto. Dunque
il nome ^l|^flCy»,.conje egli si com ; pone da questi due k«Ì TOÙ àtUÌI, :cìoè
di lunghezza, e ascesa. Ma come ora diceva, 4 da pervenirsi alla
cima della cose dette, e da ceròarai ciò, che significhino questi nomi
«psT*, cioè virtù,- e netti Oli cioè vizio: .ora V uno nou il ritrovo
ancorai l’altro par manifesto, confacendosi eoa tutte le cose antedette,
perciocché quasi scorrano le cose ciò che fìa KftK£>£ iti, cioè è
scorre malamente > sari nati i/ct, cioè vizio. Ed il proceder
malamente che si fa nell’ anima inverso alle cose, ritiene massimamente
la denominazione del vizio; ma il hxkù)$ (Si'XI, cioè il pròcèdere malamente
ciò, che egli si sia, pare a me che si dichiari ancora nel nome
t/fgiA/oe, cioè nella timidità, la qual non ancora abbiamo dichiarato; aveodola
noi tralasciata; facendo mistieri che la si considerasse dopo la fortezza.
Appresso ci è avviso di aver tralasciato molte altre cose. Dunque it«/ls
l A/«x significa il forte legame dell* animai perciocché 7 -$ Aistf è
certa forza. Si che J\ei\ix, cioè la timidità è il grandissimo legame
dell'anima, così come ancora j xitopix. )>S4C cioè il
dubbio è male,, e, sommariamente qualunque impedimento del. progresso.
Questo dunque pare, che dimostri x,Ò K*k5s ì«»*», cioè l’ andar male
senza moversi, e con impedimento; la proprietà quando l’anima tiene si riempie
di vizio, che $e quel nome di malvagità compatisse ad alcune cose siffatte, il
contrario significherà virtlt. Primieramente SIGNIFICANDO abbondanza, e poscia
che il flusso dell' anima buona sia sempre sciolto. Perlaqualcosa quello-
che è senza retto tiono e impedimento xò CÌ<r%B T6>£ Itati ÌKfl»Aw/eoa,
cioè che sempre scorre ha avuto, come è avviso, questa denomufazióne. Si
che stà bene, che alcun lo chiami À&ippé frtf, 4°*** 8em lj re fluente.
Ma peravvèntura lo può chiamar alcuno oupgx&y, quasi, che
qtiesto abito sia da elèggersi massimamente. Ora Spezzalo il vocabolo si
chiama «psT». D *rai lu forse, che io finga: ma io mi affermo, che se pur
quel nome dì viziò, che io ho riferito è introdotto bene, che ancor bene
si introduca questo nome di virtù, erm Ma che si vuole T Ó KfltRf, cioè >*
raa,e i P er *° quandi sopra hai detto molte cosef soc. Certa cosa strana per Giove, e
malagevole da ritrovarsi. Si che ancora a questo io apporterò quella
machinazione. ehm. Qual macbina'zionef soc Il dire, che questo
ancora sia certa cosa barbara. ERM.-EgH è avviso, che tn
parli bene. soc. -Alla fine lasciamo oggimai questi da parte, se il ti
piace: ma tentiamo d* sedere In die modo se ne stiano bene
ragionevolmente questi nomi TÒ K*A<fr, >t«ì TO edxpoi, cioè
di bello e di turpé. Or ciò, che significa oiìc^pat m > par manifesto,
per certo egli conviene con gli antedetti: perciocché mi è avviso,
che chi ha posto i nomi biadimi ciò, che iropedhce e ritiene dal corso gli
enti* e ora pose il nome ocel TW povv a ciò, che sempre impedis*.
se il flusso ocsiaryoppovt. Ma ora «pezzato il nome, lo chiamano cthry^p
0». Che si vuole il’ kccAov, cioè’ il bello?* soc. Ciò è via pih malagevole da conoscersi,
dicendosi che questo solamente per causa di armonia, e di lunghezza sia
derivato, donde sì trasse. érm. In
che modo? soc. Questo nome pare, che sia certa denominazione di
discorso. ' erm. Come di tu questo? soc. Qual cosa stirai tu, che sia stata
causa della DENOMINAZIONE di qualnuqne degli enti? o non ciò,
che diede i nomi? erm. Ad ogni modo, soc Dunque questo sarò
discorso o dei Dei, o degli uomini, o di ambidue. erm. Per certo si. soc. Dunque 70 KKÀOV» ret Trp«7(jiflCTflf,
cioè quello, che chiama le cose, e xò k«AÒ? sono lo stesso, che
discorso. erm. Apparisce, soc. Dunque qualunque cose fa di nuovo la
meote, e il discorso sono degne di. lodi.- ma quelle, che no, sono da
biasimarsi. erm. Ad ogni modo. soc. Dunque ciò, che è alto al
medicare fa ( le opre della medicina, ciò che è atto all’
arte del legnaiuolo quelle, che sono proprie di lei: ma tu come >1
potresti dire? ehm. Cosi. soc. Si, che
eziandìo il bello, le cose belle? ehm. Fa certo mistieri. soc
Poscia è questo egli il discorso, come diciamo noi? erm. Si certo, soc. Si che questo nome di
bello, meritamente fa la denominazione della prudenza operante certe cose
siffatte, le quali abbracciamo, dicendole belle, erm. Cosi apparisce.
soCi-Quale altra cosa ..oltre al genere di lei rimane da
investigarsi? e*m. Quelle che riguardano
al buono e al bello, cioè quelle, che conferiscono, e sono utili e
ci giovano, e ci sono di guadagno, e le contrarie a queste. soc.-Ciò, che
sia quello che conferisce, tu il ritroverai considerandolo dalle cose
antedette, parcndj» certo germano di quel nome, che peritene alla scienza,
non dimostrando egli niun’ altra cosa, che 7HV Ò(piX(pQp XV TUS flBfCt
T6IV '7rpOC'yjiffTOV, cioè il portamento dell' anima insieme colle
cose, e quelle che quinci provengono sono chiamale < pjpoVTK K«(
ffl jpupopX, cioè giovevoli per quello, che sono insieme portate intorno.
e»m Apparisce. soc.-Il K <xp</l*XeoV poi. ci° è *l ueUo che
dà * l gUad8 ' gno *jrà toDksHovS, cioòdal guadagno: ma M pJ\oS
esprime ciò, che vuole, se inserisse alcuno in questo nome il V per lo J\
nominando il buono in certo altro modo: perchè K gppftlWT«l, cioè
si mescola scorreudo in. tutte le cose li POSE IL NOME, SIGNIFICANDO
questa sua virtù; fraroeltendo il J[ per lo y t il proferì xèpcAo£.
jsBM.-Che poi il Av<tìàeAov», cioè l’utile? soc. Pare, o Ermogene, che
non si ragliano di questo, co. me i mercatanti, perciò sia chiamato e «¥
X'JTCùAÌm, - perchè schivi, e isminuisca tÓ XVxAu^X, cioè le spese:
ma perchè essendo velocissimo non lassa, che Je cose si fermino, nè
permette che il portamento ricevi TSÀOJ, c '°è il fine del progresso, nè si
fermi e cessi.* ma se alcun ternane si imponesse, Io svorrebbe sempre da
lui, e il. renderebbe incessabile e immortale, in colai guisa io stimo, che il
buono sia chiamato Al/fflTeAotio», perchè ha chiamato -j-q
7*15 Il,* - ' . ''VI < .
(popis Avo» TO T6À0S, cioè quello, che scioglie il fine del
portamento, à^eAipo» P°'i cioè *1 giovevole è nome forestiero, di cui
Omero spesse fiate si serve. Ma questa denominazione è dello accrescere,
e del fare. erm. Che si ha a dire de’ conlrarii loro? soc. non fa in verun modo
mistieri, che di quelli si traiti che si dicono per la negazione di questi.
erm Quali sono d’essi, soc.- A<ri[Upopov *i*ì XV 6 )<p
sAÓj, ucci ÌAvafreAs$. srm T u parli il vero. soc. 'AAAx
fiAxjÌBpoi kxi ^Kp/atc/llS, cioè >1 nocivo, e il dannoso . erm, Per certo .
soc. Ed il fiAxfiepov, dice
sia t 0 fhAxvyov TO» poD, cioè ) 58 ( quello che nuoce
si corso, t* J\g jSAatT'yOI, TO jSot/ÀOfievoV cnrrei», cioè quello, che
vuole impedire. e cnTTBIV Reti c/leTlf, c '°è impedire, e il legare
di nuovo significa lo stesso, e questo biasima per tutto. Dunque ciò, che
vuole ecmeil K«ì cAell’ T 0 £>6v Aofteroi I ttntTBlV po0\ l si
chiamerebbe bene fiovXonrTepOV, nia P er ornamento io stimo, che sia stato
nominato /JActjSspoV. O Socrate, vari
nomi se ti vanno nascendo di sotto via, e mi pare al
presente, che tu abbia cantato innanzi certa quasi ricercata della legge
di Pallade, mentre proferivi il nome jJot ) .1 AaTTTepoJ/V.
soc.-,0 Ermogene, io non sono cagione. - ma chi posero il nome, ehm, Tu di il
vero: ma che sarà poi il £uji/£c/|ef, c '°è dannoso? soc. Vedi, o
Ermogeue, ciò, che debba essere e vedi quahto daddovero io parli, qualora
io dico, che aggiugnendo essi, o ^minuendo le lettere, alterano dì
gran lungo il senso de’ nomi» in modo, che cambiando certa picciol cosa
facciano alcuna volta, che SIGNIFICHINO COSE CONTRARIE, il che. apparisce
in questo nome Jisovjl, cioè opportuno. Ciò poco fa in pensando quello,
che io sono per dire, mi e venuto in mente. In vero noi abbiamo nuova
quella voce bella, e ci sforzò a suonare il contrario TO c/l/o» K*ì
TÒ confondendo il senso ma certo nome vecchio f i s 9
( dichiara quello, che ai voglia, e i‘« no e allro me.
eem. Come di t„ cotesto? soc Dirolloli,
tu sai che, magg.on nostri erano aoliti di vaierai molto del I e
del A, e maggiormente le donne, le qu.fi mmn . t tengono si la voce
vecchia, ma ora in vece del, vii aggiungono ovver I* g o 1* ma in luogo
del J il o come queste suonino alcuna cosa più magnificamente.
che modof soc. Come per esempio gli uo rntm antichissimi eh, amavano T| ;
y . cioè il giorno: ma altri poscia il chiamano é^ p J t e »
presenti ^ epxr, erm. E gli è vero. soc.-Dun-’ qne tu sai, che con quel
vecchio nome si dichiara so. la mente la mente di colui, che pose il
nome; perciocché eh, amarono il giorno S(lepxv> perchè da|Ic ^
bre s, faceva il lume agli «omini «*/ povìjlt, Che,1
desideravano, e si allegravano . IZ “, AP / arÌSCe * S0C ' ~ Ma °
ra in ”0* ninno non intenderesti, q ue,, cbe voglia «..tato
nelle tragedie, benché stimano alcuni, che si d,c * Wépct, perchè faccia
egli qualunque cose,u{ po( cioè mansuete, ehm. - Così mi pare. soc. - Nè
ti * occulto, che abbiano chiamato i vecchi ^ 1070 cioè,1 giogo t,yQ Vt '
erm Per cert0( soo _ Ma ye
raraeme T0 ' tyyfo aoa dimostra niente: ma j 0V70t )
fio ( dimostra s'neK# T»? J\oaeu$ 65 *m «7^7*»,*' cioè il
conducimento di due per causa di legare, e lo stesso si dee giudicar di
molti altri, erm. E manifesto. soc. Nel medesimo modo il to J\&ov cosi
proferito dimostra il contrario di tulli i domi; che ris guardano si bene;
perchè certo essendo il idea. • del bene, pare che sia
c/ÌSO'piOf, cioè legame e impedimento del progresso » come certa cosa
germana TO jSÀKjSspOÙ, cioè al nocivo. erw: Ó Socrate, cqs'i appar si. soc. Ma non già incoiai guisa nel nome vecchio, il
quale è yerisinaile, che meglio sia; sta-, to ordinato del nostro, per
certo tu coovenirai coj beni antedetti, se per lo g renderai lo / t come
anti-r ' 4 camente si diceva; non significando c/|èov :
ma J\lói quel bene, il quale è sempre lodato; dall/ inventore dei
nomi; e in siffatta maniera non discorda egli eoa seco, anzi pare che sia
lo stesso t/Isoy, KCtì (à ftov, kx'i A.t/<r/ TeAow, it«ì
nepo'ltfAsuv, K«ì uyx0OV, K*ì <rviUpspov, K x) BV-KOpor Tutto questo
universo significa con diversi nomi alcuna cosa, che adorna, e penetra per
tutto, e questo è lodato: ma biasimalo ciò, clic ritiene e lega. Anzi se in
questo nome porrai secondo la usanza dei vecchi il J\ per lo
£ ti parerà egli posto giti JlovVTl TO ÌOV, cioè a chi lega, e ferma ciò,
che cantina, onde auco Digitized by Google ) 6 . (
ra è do 1 nominar»! J \iynSJ\s(. «tto.-Che, o Socrate «dèi
\wnn,£'jn8vyilXI, cioè del piacere, del dolore, e della cupidità, e del
rimanente di cotal sorte? 'soc. O
Ermogene, non mi paiono troppo oscuri; perciocché a’c/lov», cioè il piacere ha
questo nome, dimostrando quella azione, la quale tende alla ov*cr/V, Cioè
«dia 'utilità: ma il J\ aggiunto fa, che in vece di tjuello, che è|,op»
si proferisca Dc/bA.», ryv7r#, cioè il dolort pare che si nomini
da^^At/ireaff to? <r&'ft«T0W cioè dallo scioglimento del corpo;
dissòlvendosi egfi con cosi fatta passione, e xVÌX cioè * a
tristezza è quella, che impedisce 7o teVXl, cioè l’andare A^ye e/l£i>v,
cioè il cruciato par nome forestièro detto da oc^yeiVOV' oJlvì/n
poi, cioè il dolore, e FaSlitione si denomina da e Vc/lu &BCo$ THS
Al/TT»?, c! °è dall’ entrar del dolore, erm. Apparisce, soc. a ‘yJtiJlÒV,
cioè il dispiacere chiaro è ad ognuno che e assomigliato il nome alla gravezza
del portamento, ma ^ctpx cioè l’allegrezza, e la letizia par, che sia
chiamata da J\ loc^vireus, c '°è dallfacilità evTTOpixs cioè del movimento
dell’anima. Si cava T } p'M St cioè il diletto da Tg/>4.t?, cioè dal
dilettevole; maT-gp^j^ydaTÒ rspJWoy da JìtXTÌS £pr\-e&)$, cioè dalla
inspirazione del diletto aell’auinia. Sicché meritamente si chiamerebbe
tpTrrovi, ' ) ( cioè inspirante; ma dal progresso del tempo
il è divenuto a t«/>TTV 0». Per q ual cagione si dica cioè
l’allegrezza e vigoria non è bisogno renderne conto, essendo manifesto a
chiunque trarsi questo nome da efò, che si dice èv TOÌS TrpxypLXXI
TtV ffvp Hpepsa<pXI, cioè perchè l’anima si porti bene con le
cose, onde si dovrebbe chiamare et/tpEfOtrufl, nomdimeno l’appelliamo
tvtppotTOVIV. Egli non-,è poscia • • difficile d’assegnar ciò che si
voglia i'juSvpHX, cioè il desiderio, conciossiache questo nome dimostri
la forza tendènte Bnr ) T jy et/fxòv, cioè all’ira; ma $^9' cnrò TI?
Bvaeus, *xì leaeas, cioè dal furore, e dall’ ardore dell’anima, ipepoS
e/)è poi cioè il desiderio fu chiamato rÒ [ia\t<rTX sAkovtj t*V
oj-t/jc.»» pò, cioè dal flusso, che tira l’anima massimamente, perchè
da quello che ìepieVOS pel, cioè incitato' corre, e desidera le cose e tira
in colai guisa grandemente l’anima, J\lX TtV etri r TtS pois, P er lo
empito, ovver incitamento del corso. Da tutta questa forza è chiamato
"ipLBpoS, Oltre ciò è chiamato -j^oBos, cioè desiderio; perchè
ve. raraenle non risguarda la soavità presente come fytg/JOl/, ma
di quella vede che altrove si trova, ed è assente, pnjle si dice ttoSos,
'* quale quando è presente ciò che si desidera si chiama 'ipitpos, «sente
votQS, sptaS, poi cioè l’amore: perchè eitrp$i 6%a$6V, c '°è
influisce dal di fuori nè è proprio questo pon f cioè corso di chi
il tiene: ma per gli occhi infuso. Sicché si chiamava l’amore dagli
ontichi nostri da gg-pg??, cioè dall’in fluire tapo$, Cl0 ^ in rt uen * a
» valendosi doì dell’ o per Ma ora si dice gpaj per lo cambiamento del o
nel et Or che ordini tu, che si
consideri di poi? erm. J\o%X, c ' 0 ^ * a °P* n ' one > e certe altre
si fatte cose, onde hanno esse i nomi? soc.*-Si dice J\o£oc, o
da cioè dall’investigazione, con la qual cambia, e segue l’anima
investigando la coudizion delle cose, o da -j-jy TO^OU JèohìSt cioè da ^°
scoccar dell’arco: ma quinci pare più tosto, che dipenda, | omeri J, cioè
la stimazione a ciò consona, assomigliandosi allentrar dell’anima in qualunque
cosa, il qual dichiara ciò che sia qualunque degli enti, cosi come e
jgot/A*, cioè lo volontà si dice da »l*Ho scoccare, • TO
£0VÀE<r8*<, cioè a volere P er,0 sr °"° del toccamento,
significa ancora $<f>lecr$ttl, c,oè ll desi ' derare, e
j?ovAst/«<rS«l, cioè 11 con8Ì 8 1,,re ’ Tulte t l ue «te cose seguenti la
opinione pare che siano simulaci T«J jgoÀ»5 del,iro ’ come '* conlrario »
«jSowAi*, cioè il scoccar a falli apparisce certo, difetto impotente *1
percuoter, come non abbia tocco il segno, nè conseguito ciò che voleva, e
di cui si consigliavo, e mr desiderava.
zrm;-P6fc, chè tto metti- insieme questi nomi più frequenti, si che ornai
facciasi fine favorendoci Dio. Oltre di questo desidero, che mi sia dichiarato
ciò che sia oCVXV.il, e 6X0U<r(0V cioè la necessità^ e il volontario?
soc. Or to' gKOi/fftOV, cioè il
volontario TO 61 K 0 V, K«ì ft« ocrf ITl/TTOt/V, Cl °è chi ced^ nè
contrasta, ma ubidisce a chi camma sarà dichiarato con questo nome, che si fa
secondo il volere. Ma TO av«7K«tOV cioè il necessario, e il rimanente
essendo fuori della volontà verserà intorno allo errore, e alla
ignoranza, è assomigliato t5 K 0 !T ÒtTot Sc'/VH TCopstOC, cioè al
camino, che è nelle valli, perchè essendo esse malagevoli, e aspere a
passarsi, e dense (V^stTOt/ JeVflft, ritengono dal caulinare. Quindi
dunque fu peravventurà chiamato avcc'yxcclov cioè necessario assomigliato
al cammino che si fa per valle. Ma fin che abbiamo possanza non ci
manchiamo sicché ne ancora tu non voler cessare: ma interrogami. ebm. Ora io addimando quelli, che son
grandissimi, e bellissimi tdv T6 Oi\^^BlXV, c ‘° et > l la verità e t 0 cioè la
bugia, e to oy, c,oe l’ente, e 0V0fi« cioè il nome di cui ora
trattiamo, perchè tenga questo nome. soc.
Chiamami tu pcc! ecrBxt, alcuna cosa? ebm. In vero chiamo lo
investigar^,- soc. Egli è avviso, che questo nome sia generato da
quel sermone, onde si dice esser oy, cioè l’ente, di cui il nome è
investigaiipnfc, il che, pii»,, chìqramat^ con^prend erai. Per cert,o In quello
che, noi; t}icjwò TOtì voj Utr O-TOl/, cioè nominato esprimendosi
qui ciò, che sia no•® es ‘ <x\nBelX pòi cioè la verità pare che sì
eorapongi ancora come gli altri, perciocché il 'portaménto
‘cfivi . a-ji' •»!*.? no «n, > dell’ente
par che si dica con questo nome QÒpx, w«>; i.i ri ■ ’ r i otatf
;oq[ no«' r ft. r ql« essendo quasi flst« Oliffflt «A», c,oe certa
> div,na in',n t>. et «MI scorreria: ma il
>J,sV(/|o5, c ‘°è bugia, £ al portamento. Perciooehèdi nnovo si
disprèggi* quello, che vien’ ritenuto, e costretto; a star quieto* ed è
asso» migliàio T<) f ? K*9*v^óy<rl, cioè ai * hi dòrmonoi
uid lo 4, aggiuntò occhila il senso del nome, ov pòi e 0 t/tì"
ioti cioè l’ente, e la essenza si confanno con «Aot/^st, c
'°^ ó! ..,1. 1 1 tip II .10105 5 ; ‘"Iti» eoi
vero, gettando via il / perchè significa iptfp ( C'oè lo andante, e
di nuovo' tq 6K0V il wn C*U e » come il nominato alcuni
oi/Ktov> cioè che 'non va. sart. Q Socrate, mi è avviso, che rimilo
fortemente' tu abbi» ventilato questi nomi: 'ma se alesili) li
addiniandassè di questi t# tOV, TO p’eOV,KO U Tft (Httl/V tosse U
retta loro interpretazione, che principalipenle 1» risponti eremo noi ? i
1 tieni tu forse? soc. Teugolo
certo. In vero poco fa .tei sovvenire un non. so che, coir la cui
risposta pare a noi di risponder alcuna cosa, san» Qualej è cotesto? soc.
Che diciamo, chesia Barbarei ciò, che non conoSeijdno,- perchè forse sono
daddovc >«( re io parte tali, e malagevoli da
ritrovarsi i nomi pfimieri per. l’antichità; perciocché «torcendosi i
nomi per tatto, non sarebbe maraviglia niuna, «e la voce antica colla
nostra pareggiata non fosse niente differente dalla voce Barbara, erm. Non e
fuor di proposito ciò, che tu db soc. Dunque io apporto cose verisimili,
non per tanto perciò pare, che la contesa ammetta la scasa: ma sforziamoci di
investigarli, e consideriamo in colai guisa, se alcun sempre cercasse
quei verbi, per li quali si dice il nomò, e di nuovo procurasse di saper
quelli, per li quali si dicono i verbi, nè ciò facendo cessasse, forse non
sarebbe egli ne-, eessario, che alla fine si stancasse il. rispondente?
brm. À me par si. soc. Dunque quando cesserà meritamente colui, il qual
nega la risposta? o non quando a quei nomi pervenirà, i quali sono quasi
elementi del rimanente, cioè de’ sermoni e de’ nomi? in vero se in
colai guisa ne stan' essi, non dee parer piò, che d’altri nomi siano composti,
come per esempio abbiamo detto poco fa che to otyxS OV, cioè d bene fosse
composto da ecyxtTTOv, cioè del mirabile, e $ov, tì °à del veloce 3eOV
P°* cioè il veloce, diremo noi che costi d’altri, e essi da altri: ma se alcuna
volta a quello perveniremo, che più oltra non si forma d’altri
nomi, meritamente diremo noi di esser pervenuti allo elemento, nè piò
oltre faccia mistieri, che’l riferiamo ad altri nomi, bum.' T u mi parj di
parlar bene, soc. O non sono quei nomi elementi» i quali tu ora
addìmandi? e fa egli bisogno che altrimenti si consideri la retta
interpretazione? sbm. Ciò è verisimile, soc. Verisimile certo, o Ermogene. Per
la qual cosa tutti gli antedetti pare, che siano a questi ascesi, e se
ciò se ne sta cosi come mi pare, or di nuovo considera con esso
meco afline per avventura non impazzisca, mentre tento di dichiarare la retta
inlenzion dei primi nomi. zbm. Di pure, perciocché io vi penserò secondo
il potere, soc. Io stimo veramente, che in questo tu assentisca, che una
sia la retta invenzione di qualunque nome, e del primo, e dell’ultimo e niun di
loro in quanto nome discordi dall’altro, ehm. Si. soc. E nondimeno la retta invenzione de’
nomi, i quali poco fa riferito abbiamo, voleva esser certa tale, che
dichiarasse, quale si fosse qualunque degli enti, ehm. Senza dubbio, soc.
Questo veramente non dee convenir manco o primieri, che agli ultimi, se
sono per dover esser nomi, ebm. Al tutto, soc. Ma gli ultimi nomi, come è avviso, potevano
fornir questo per li primieri. ebm.
Apparisce, soc. Stiano le cose jcosì. Or i primi, a quali altri
ancora sottoposti non sono, in che modo secondo ’I possibile, ci
dichiareranno gli enti, se deono esser nomi? rispondimi a questo. Se
non avessimo voce, nè lingua, e avessimo voluto dichiarar
Vicendevolmente le cose, non avremmo tentato noi cosi, come i muli al presente,
di significarle colle mani, coll* tetta, e col rimanente del corpo? ibm.-
Non al i ;> i iiit k ' ci : •» !>«M Ili menti, o
Socrate, soc. Ma, come io penso, se volessi ni o dimostrar il supremo, e il
lieve inalzeremo le •mani in. verso al cielo, la stessa natura delle cose
imitando: ma se le inferiori, c gravi le rivoglieremo alla terra; pia
oltre dovendo dimostrare un cavai corrente; o alcun altro animale, tu
sai, che da noi si sarebbe finto i gesti de’ corpi nostri, e le figure quanto
più presso alla loro somiglianza. erm. Ciò, che tu dì mi pare necessario,
soc. la questo modo, com’io penso,
con lo imitar il corpo, si sarebbe con queste parti di corpo dimostrato
quello, che chiunque avesse voluto dimostrare. erm. Così certo, soc. Ma poiché
vogliamo dimostrar colla lingua, e colla bocca, nou si fa cosj finalmente
la dimostrazione da queste se per esse d’intorno a qualunque cosa si fa la
imitazione? erm. Io penso
necessario, soc. Sicché, come apparisce,
è il nome imitazione di voce di quella cosa, la qual imita, e nomina chi
imita con la voce, erm Il medesimo mi
pare ancora si sia detto bene, erm
Perchè? soc. Perchè saremmo costretti a confessare, ohe questi
imitatori di pecore, e di galli, e d’altri animali nominassero le stesse cose,
de’quali si imitano. *hm. Tu pnrli il vero, soc. Non pare a te, che stia
ben questo? erm. A menò: ma o
Socrate; qual’ imitazione sia il nome? soc. Non tal imitazione, qual è
quella che si fa per la masica tutto che si faccia colla voce: nè
delle stesse ancora delle quali la musica eziandio è imitazione; non
dicendo noi, conio è avviso, la imi tallone per la musica. Ma così mi dico, li
trova egli iti quaizfnqtre cosavoce, *v figura, e in motte color ancora?
twm^kd wgnf modo.'- SOC. Dunque se
alcuno queste imitasse, intorno a queste imitazioni non si ri
Irorarebhe io facoltÒdel nominare, essendo altre d’esse la musica, 1
altre lo dipintura; non è egftì 1 cosi? va*». Veramtfhte. soc, Che a questo? non pensi ta, che
qualunque coso tenga còsi la essenza, come if Colore, e le altre cose,
che abbiamo detto dianri? o hon si ritrova egli* ntìl colore, e nello
vóce certa essenza e in qualunque altre cose, che so n degne della
denominazioné dell’essere? ehm. A me parsi, soc. Che duh" que è se alcun fosse
possente di imitar con lettere, e con sillabe la essenza di qualonqdé
còsa; non dichiarerebbe egli ciò, che fosse qualunque 'Cosa, o pur nò.
soc. Qual diresti tu, che potesse far questo? tu gii antedetti'
parte chiamavi' mùsici, parte dipintori:' ma costui, come il Chiamerai
tu? "e»w\ Mi par, o Socrate, che egli sia l’autore del nominare 1, ’ ! il
quale già molto cerchiamo, soc. Se
questo ò vero, ò-òggimni da cònbiderarsi d’intorno à quei nomi, che 1 ;
tu ricercavi pouj, c ioò del flusso, levai dell’andare, a-^e<reo£
della retenzionc, se daddovero imitino la essenza, ovver nò colle
lellere, e colle sillabe loro, ras:. Al tutto, sóc. Or vediamo se questi soli sono i nomi
primieri, o ne siano ancora altri molti, In vero io sti mo degli altri,
soc. E cosa verosimile. Allo perfine, qual maniera sia della divisione,
onde incomincia ad imitare, chi imita, non giova egli primieramente, eh»
distinguano gli dementi; poiché si fa la imitazione dell’essenza con
lettere, e con sillabe? come chi si maneggiano d’intorno a ritmi,
distinguono primieramente la virtù degli elementi, poscia le sillabe e in
colai guisa, se ne vengon essi alla considerazione de' ritmi, e non
prima, ehm. Così è. soc. Onon fa
primieramente mistieri, che ancora noi distinguiamo le lettere vocali, dopo il
rimanente secondo le specie, cioè le mutole, e quelle, che non rendon
suono? parlandone iu colai guisa gli uomini eruditi, e di nuòvo le non
vocali: nondimeno non al tutto senza suono? e le specie vicendevolmente
differenti delle vocali: e poiché avremo ben diviso tutti questi enti: di nuovo
fa mistieri ebe popiamo i nomi, consideriamo se sono quelli, ne’ quali si
riferiscono tutte le cose come elementi, da' quali eziandio lecito è, che
essi si veggano e se si; contengano in loro nel medesimo modo le specie,
come negli elementi. Considerale bene queste cose tutte,' fa mestieri,
che si sappia apportare qualunque di loro, secondo la somiglianza; n se
una aduna sia daappor-. tarsi, o molte da mescolarsi, come i dipintori in
valendo assomigliare alcuna volta applicano il color purpureo solamente, altra
volta qualunque-altro. colore, altra volta ne raescolauo molti, conta quando
vogliono figurare la imagine somigliantissima all’uomo, o altra siffatta
cosa in quanto ciascuna imagine ha bisogno di ogni colore, non altrimenti
ancora uoi accommoderemo gli elementi alle cose, e l’uno all’uno, ove psrosse,
che facesse bisogno, fornendo Ta cioè I SEGNI, i quali son detti sillabe.
Le quali poiché avremo congiunte di compagnia, e di loro formati I NOMI E I
VERBI i nomi, di nuovo fabricberemo de’ nomi e verbi certa gran cosa, e bella,
e intiera. E così come si ft li con la dipintura l'animale, così qui
chiameremo orazione fabricata, o colla perizia del nominare, o colla
retlorica, o con qualunque arte, che ciò si faccia, anzi non faremo
questo avendo noi in parlando trasgredito la misura petciocché i vecchi cosi
composero, come si è ordinato.' Ma fa a noi mistieri, che investighiamo
tutti questi in cotal gnisa, se pur siamo per considerarli
artificiosaroeol«, distinguendoli così, o se siano posti i primi nomi
come conviene, e gli ultimi, ovver nò: ma lo annodarli al rimanente è da
vedersi o Ermogene amico, che per avventura, non sia errore, nè secondo
il dovere, zaii Peravveutnra si per Giove, o Socrate, soc.- Che donque ti
confidi tu di te stesso di poterli distinguer in questa maniera? perchè
io mi diffido potere, ehm lo mi diffido molto piò. soc.- Dunque li
dobbiamo lasciar noi? o vuoi tu, che comunque siamo possenti facciamo
esperienza, e incominciamo se si possa da noi conoscer certo poco di queste
cose, dicendo davanti aDei così, come poco fa abbia lor detto, che noi
non conoscendo nulla di vero, congetturiamo le opinioni degl,
uomini d’intoriv, ad essi: cosi al presente ancora seguitiamo, predicendo parimente
a noi stessi, che ) r*'C •« fosse atil cosa chfe
si distinguessero o d’alcun altro** noi, cosi sarebbe mistieri, che si
dividessero: ma .ya» come si dice, converrà, che noi trattiamo questo,
secondo il potere, ti par egli posi, o come di tu? erm. C osi forte mi
pare, soc. O Ermogene, io stimo, che sarebbe per parer cosa ridicolosa, che le
cose •i facessero manifeste con la imitazione fatta per le lettere, e per
le sillabe; nondimeno necessario è, non avendo noi niente di questo miglioro,
al qual riferendo giudicassimo d’intorno alla verità d e> noroj
primieri, se peravventura, come i tragici, qualora dubitano ricorrono
alle machinazioni innalzando i Dei, cosi ancora noi non, ci . espedissinv*
tosto questo dicendo; che da’ Dei siano posti primi nomi, perciò siano
stati ordinati be«e. Duuqne questo parlare sarà egli ottimo presso noi,
Oiquello che gli abbiamo ricevuti da alcuni barbari, essendo i barbari di
noi .più antichi, o per la vecchiezza non li possiamo discernere cosi
come i nomi barbari ancora. Questi sono schermi, o leggiadri al di
chiunque non vogliono render la diffinizione della imppaiaiono retta de’
primi nomi: perciocché chiunque non tiene la retta diffinizione de'prirui
nomi, non può conoscer i seguenti. Questi per certo sono da dichiararsi
da quelli,, de’ quali non è alcuno, che ne sappia nulla. Anzi chiaro è,
che chi fa professione della perizia de* seguenti, abbia compreso gli
antecedenti inolio prima, e perfeltissimamente li possa dimostrare,
ma altrimenti dee sapere, che egli sia per prender errore ne’ seguenti; c siimi tu in ultra guisa? ehm.
N on altrimenti, o Socrate, soc. Le cose dunque, che io sento d’intorno
a' primi nomi mi è avviso, che sinno cose ingiuriose, e ridicplose, e se
vorrqi con esso teco le conferirò: ma se tu ritroverai cosa migliore,
eziaudio tu Con esso meco la' comruunicherai. erm. Farollo; ma dì
oggimai con fidanza; soc. Dunque, primieramente jl p pare a me, che sia come
stromento del movimento tutto: ma perchè tenga questo nome non
l’abbiamo detto: ma .phiaro è, che vuol esser (eirtS", cioè andata;
perchè non si valevamo noi, per lo- adietro del jj- ma dell' 8) egli SIGNIFICA il
principio {la it/str. cioè t'andare, il qual è nóme forestièro; è
egli' lo f e yJj : ‘il j r r . v ' . r cioè lo
atiflarè.- Sicchè^sè 41 prifnt? nóme* di luì si ritrovasse iraspaptalb nella
voce nostra, bene Ye-rtC si chiamerebbe.' Ora poi chi' K/6/V nome
fòre stiero, e dal riiutaniento del « e' dal frammettersi il *,,
‘ y si chiama Ma faceva bi so gii oidio qi dices-, • !•' • ' ir.
t>-| ii -, j se k ieiveei?, ovver eitr/j, * c/|s <xrxais,
c,oè *° stare h ;•«..» . ;, v "T A'vumsori'.moi . !
vuol esser negativa di temi, cioè dell’audare: ma per 'fiiijs
qfeoa •••unric yi. H causa di oruainento si, chiama Di >080^0 il
p elémento, parve come ora diceva* opportuno stromento del
moto all'autore de’ nomi per esprimer la somiglianza del, portamento perla
qual.cqsa'uso il p pec tutto alia espressione del movimento.- Primieramente
T £ ( p e 6 1 V K«ì poti, cioè ne Ho scorrere, e nel
flusso imita il portamento per la lettera p poscia nella voce
•jrpoy.n cioè tremore, e nel Ypxyjs.1, cioè nell’aspero, ancora
nelle parole di colai sorte ^poveiV >1 percuoter, Spxvsiy il romper
fpln$iy il tirare SpvTTT&lV rompere, xeji«T t? tagliare in
pezzi pspjSeiy, vacillare, tutti questi per lo pili figura per lo p
conciOssiache, io la lingua nel proferir questa lettera non ritarda
niente, anzi pili tosto si commove. Sicché egli è avviso, che si
abbia servito del p principalmente alla espressione di queste cose.
Eziandio in tutte le cose tenui penetranti massimamente per tutto si ba
servito del t; laonde imita per lo / jofapjCI, KCc'l 70 UcBx, cio «
l’andare, e il far progresso, come ancora per lo q e ^ e e £ le
quali lettere sono di spirito pili veemente. Cose si fatte ci esprime l’
autor del nome, come per esempi 0 TO 1° C08a fredda yo ( 90V, la
bogliente, 70 <rele<r9xi, i 1 commoversi, e al tutto
<rej<r{iov, cioè la commozione; e qualora l’ordinatore de’ nomi
vuol imitare alcuna cosa spiritosa per lo pili impone lettere si fatte.
Oltre ciò la strettezza del </| del y, e il tirar in dietro della
lingua come attaccata, pare che sia estimata molto opportuna alio
esprimer la potenza del legame, e dello stare, e perchè nel proferir il
^oKiaBxmt y.x\ia'7ct ÌVKÙ77X, sdrucciola la lingua massimamente, perciò
con questo come da certa somiglianza nominò TfltTfiAfi tot * e cose piacevoli,
e «TOUTO «A/<r0#/veiV lo sdrucciolare, e T0 \nrxpov «1 grasso
H«< TO KoAAà^le?, cioè quello che ha virtù di conglutinare, e le altre cose
di sì fatta sorte. Ma perchè il «y ritarda la lingua, che se ne scorre,
imitò to V A/o-J^.o» >1 lubrico, T0 «yA^KU *' doIce tt*ì
J^Aottà cAbs, e il viscoso. Di nuovo avvedendosi dell’interno suono
del p con lui nominò to 6»dlov, K«tì TO 6VT0J, cioè le cose interne,
qnasi assomigliando le opre alle lettere- poi diede ja fts'yotAw, cioè al
grande e t£ p*K6l, c *°è “Ha lunghezza perchè sono lettere grandi: ma
ffTpq'y'yuA^ c *°ù rotondo, avendo egli bisogno dell’ o, per lo più nel nome lo
mesoolò. E nella stessa guisa 1’ autor del nome pare, che si sforzi di
accommodar a qualunque ente segno, e pome secondo le lettere, e le
sillabe, e da questi poscia comporre il ' rimanente delle specie secondo
la somiglianza. O Ermogene, mi pare che questa sia la retta interpretazione de’
nomi, se non apportasse Cratilo alcun’altra cosa. ehm. E pure, o Socrate, spesse volte mi travaglia
Cratilo, come ho detto da principio, mentre afferma, che vi sia alcuna retta interpretazione
di nomi: ma nondimeno quale ella si sia non la dice chiaramente in guisa, che
io non possa conoscere se egli volontariamente lo faccia, o pur nò; cosi
ne parla semprc d'intorno ad essi. Dunque, o Cratilo, dimmi ora alla
presenza di Socrate, se ti piace il modo, con cui egli ne parla d’intorno
a’ nomi,' o Se tu puoi dire io altra miglior guisa, il che se puoi il
dirai a line, che o da Socrate tu impari, o ammaestri nmhidue noi.
ca. Ma che, o Ermogeuc? ti par egli ogevol cosa rapprender in cosi poco
tempo, c lo insegnare qualunque cosa noti che una cotanta; la qual d’intorno
alle grandissime è stimata certa grandissima cosa?’ ersi. Per Giove
nò, anzi io stimo, che Esiodo abbia parlato bene, che utile sia l’aggiuguer il
poco al poco. Sicché se tu sei possente al fornire alcuna cosa se
ben picciola, no il ricusare: ma giova a Socrate, ed a me appresso,
dovendolo tu fare, soc. In vero, o Cratilo, nè io stesso affermerei niuna di
quelle cose, le quali dianzi ho raccontato. Ma iu quel modo, che mi
parve ho ciò considerato con Ermogene. Laonde prendi ardir in esprimere, se hai
alcuna cosa migliore, come io sia per ricever volentieri ciò, che dirai:
nondimeno nè mi meraviglierei se tu potessi dire alcuna cosa di queste
migliore, parendo a me, che tu abbia considerato siffatte cose, e
imparatele da altrui. Duo-, que se da te si dirà alcnna cosa eccellente; mi
annovererai fra tuoi scolari intorno alla retta investigazione de' nomi, cr.
Per certo, o Socrate, questo tu di, mi fu a cuore, e ptravvenlura ti
farei scolare, nondimeno dubito, che la cosa se ne stia incontrario
ad ogni modo, perchè mi sovvieue di dir in certa maniera lo stesso in verso a
te che disse Achille ne’ sacrifici in verso od Aiace. O Aiace, nato di Giove,
figliuolo di Telamone, re di popoli, tu hai proferito tutte le cose
secondo il mio parere. Ancora tu, o Socrate, pare che indovini secondo la mente
nostra, o essendo tu inspirato da Eulifrone, o ritrovandosi in te
alcun’ altra musa, il che ti era ceialo innanzi, soc. O Grati lo, uomo
dabbene, ancora io ammiro già molto la mia sapienza, nè mi confidi
troppo. Sicché . io stimo che sia da considerarsi da nuovo ciò clic
io mi dica, essendo gravissima cosa lo ingannarsi da se stesso; perchè
come non fia cosa grave, quando non è poco lontano: ma sempre presente
chi è per ^ingannare? sicché fa mislieri, come è avviso, voglicrsi spesso
alle .cose antedette, e come dice il poeta, tentar di guardar innanzi, e
indietro parimente. Or al presente vediamo ancora ciò che si è detto.
Abbiamo detto retta int» rpetrazione di nome ciò, che dimostra quale sia
la cosa. Mi dì, dobbiamo dir noi, che qitesto si sia detto bastevolmente?
in vero io l 'affermo. soc Dunque si dicono i nomi percausa d’insegnare? eh. Al
lutto., soc. Dunque dobbiamo dir noi, che questa ancora sia arte, e
mietici di le.? er.^Sì. soc. Quali? cn Quelli che da principio tu
chiamavi facitori di nomi. soc. Mi
di, possiamo dir noi, che questa arte sia negli uomini parimente come le
altre, o altrimenti? questo è poi quello, che io voglio I
dire. Sono egli alcuni dipintori peggiori, altri piti eccellenti? ce. Sono
il. soc. Non fanno gli eccellenti 1’ opere loro più belle, cioè gli animali?
incontrario gli altri? ancora i muratori fan essi parimente le case parte più
belle, parte più turpi? ca. Cosi è. soc. Gli autori eziandio delle leggi
non fanno essi l’ opere loro parte più belle, parte più turpi?
ce. Questo non mi par no. soc.
Dunque non pare a te, che altre leggi siano migliori, altre
peggiori? ca. Per certo nò. soc. Nè anco come apparisce stimi, che altro
nome sia posto migliore, altro peggiore, cr. Nè questo, soc. Dunque
tutti i nomi sono posti bene. cr.
Quanti sono nomi, soe. Che
del nome di Ermogene che si è detto di sopra? come dobbiamo dir noi, che
a lui non sia posto nome, se non, cheli compatisca spfiov'yGVEO'EflJ,
cioè, che sia della generazione di Mercurio? o che sia posto: ma non
bene? cr. O Socrate, non mi è avviso, che ancora gli sia stato posto: ma
paia si: ma che sia d’altrui questo nome, dì cui è la natura ancora, che
significa il nome. soc.-Dimmi, non mentisce chiunque dice, che egli non
si diea Ermogene non essendo da dubitarsi, che egli non si dica Ermogene non
essendo, cr In che modo di tu questo? soc. Forse perchè non è lecito al
tutto il dir il falso? e si suol SIGNIFICAR poi questo il tuo
sermone? perciocché, o amico Cratilo, sono alcnni ancora, che
il dicono al presente, e il dicevano già. ca. Perché, in che modo, o Socrate,
mentre dice alcuno ciò, che dice, dirà egli quello, che non è? o non
è egli il dire il falso,, dicendo le cose, che non sono?,soc.-0
amico,questo parlar è più eccellente di qnelche ricerca la condizione, e
età mia; nondimeno dimmi se paia a te; che alena non possa parlar il
falso: ma il possa dir sì. ca. Nè
dire, soc Nè ancora dirlo, nè chiamarlo?
come se alcuno fattosi incontro prendendoti per la mano iosegoo di
ospitalità dicesse, Dio ti salvi, o Ospite Ateniese Ermogeoe figliuol di
Smicrione; parlerebbe egli questo, o si direbbe che parlasse; a direbbe
questo, o saluterebbe in colai guisa non te:, ma Erraogene, o ninno? ca* O
Socrate, mi pare che costui gridi, ciò in vano, soc. Questo mi basta, dimmi grida il vero chi cosi
grida, o il falso? o parte il vero, parte il falso? perciocché
basterà eziandio questo. ca. Io direi,
che questo tale strepitasse, indarno movendo se stesso, come
se alcun battesse i rami. soc. Considera, o Cratilo, se in alcun
modo conveniamo, non diresti tu forse; che sia altra cosa il nome, altra
quello, di cui è il nome? cr. Veramente. soc.
Dunque confessi tu, che ’1 nome sia certa imitazione della cosa?
ca. Sopra il tutto, toc Dunque e
le dipinture in certo altro modo dì tu, che siano imitazioni di alcune
cose? ca. Per certo sì. soc. Or dimmi, perciocché forse i» non
. intendo, quel, che tu di.- ma tu peravventura parli bene;
polressiroo noi dispartire,, e portare ambedue queste imitazioni, e
dipinture, e quei nomi alle cose, di cui sono imitazioni, o nò? cr.~ Possiamo
si . 1 soc. Or. questo considera primieramente, se potesse' alcuno
attribuire la imngi.ne dell'uomo all'uomo, e alla donna quella della
donna, e le altre nel medesimo modo? cr. Così certo, soc. Dunque iu contrario ancora la imagine
dell’uomo alla donna, e della donna all’uomo? cu. L- E questo, soc. Or ambedue questi compartimenti son forse
elli, retti? ovver^ l’un di essi? cn.
L'uno dì. soc. Quello penso io,
il qual dà il proprio, C simile a ciascheduno. cb, A me par sì. soc. Dunque acciò tu e io essendo amici, non
contendiamo nelle parole, considera ciò, che io djco. Io chiamo retto (
compartimento una cosa siffatta in ambedue le imitazioni e negli animali,
e nei nomi: ma ne* marni non solo, retto: ma vero. Ma l’altro
conducimento, e portamento dal dissimile non retto, e appresso falso ne’ nomi.
cr. O Socrate redi che ciò peravventura possa solamente cader nelle dipinture,
che alcuno compartisca male: ma non nei nomi: ma sia necessario che sia
sempre bene. soc. In che modo di tu? d’intorno a che è questo da quelle
differente? non è egli forse possibile, che nd alcun uomo fallósi alcun
incontro dica, questa è tua figura, e peravventura a lui dimostri la
figura di lui peravventura anche di donna. Dico essfcr il dimostrare 1*
offerire a sensi degli òcchi.' c».’ <*- Per certo. : soc. Ma che? di
nuoto’ fattosi all» stesso incontra dica, questo è il tuo nóme,
essendo il nome certa imitazione, cosi come la Figura; ma dico in
colai guisa. Forse non fia lecito a Ini di dire questo è il tuo nome? poscia
infondergli il medesimo nelle orecchie, peravventura dicendo la imitazione di
lui, che egli è uomo, e forse la imitazione di- alcun genere umano
dicendo, che è donna? non pare a te: che ciò sia possibile, e si possa
fare alcuna tolta? cr. Te il voglio
conceder, o Socrate,’ e così sia. soc.
O amico, tu fai bene, se ciò se ne sta in cotal guisa, perciocché
al presente non fa’ mistieri, che d’ intorno a questo si contrasti.
Dunque sequivi,si ritrova on certo tal compartimento; l’ uno
chiamiamo parlar il'vero, l’altro parlar il falso, e se questo così se
rie slà egli, ed è lecito, che non si conipartnno i nomi bene, nè si
rendano a qualunque i propri: ma alcuna fiata quelli sì, che non
sono propri; sia lecito parimente, che si l'accia questo neU le
parole. Ma se possiamo poner i verbi e i nomi in cotal guisa, necessario è, che
similmente si póbgano ancora le orazioni, essendo esse, come io
penso componimento di .questi, o come di tu, o Cratilo? cr. Così parendomi, che tu dica bene.
soc. Dunque se assomigliamo i
primi nomi alle lettere con certa imitazione, pnò avvenire d’ intorno a
questi come nelle dipinture, che si diano confacevolt tatti ì
colori, e le figure: e medesimamente non li aggiungiamo tutti; ma parte,
e parte ne leviamo, a Li dimostriamo, e più, e manco, non è egli
possibil questo? cr. Possibile sì.
soc. Dunque chi tutte le cose
rende concordanti, rende le lettere belle, e le imagini: ma chi ne leva,,
o ne aggiugne fa egli lettere ancora, e imagini: ma cattive, cr. Per certo. soc. Ma che? chi imita poi la
essenza delle cose per lettere, e per sillabe, non fa egli forse la
imagine bella secondo la stessa ragione, se convenevoli rende tutte le cose?
questo poi è il nome: ma se mancasse poco, o vi aggiugnesse alcuna volta,
si farebbe egli la imagine: ma nou bella? sicché alcuni nomi saranno
ordinati bene, altri in contrario? cr. «. Peravventura. soc. Dunque fia
questi peravventura buon artefice de’ nomi, quegli cattivo? cr. Veramente. soc. Orerà costui facitor de’
nomi. cr. Veramente, soc. Dunque per Giove, fia forse in questo
come nelle altre arti, che sia un buon facitor di nomi, l’altro cattivo, se pur
fra noi conveniamo nelle cose antedette, ca.
Questo è vero: ma vedi tu, o Socrate, qualora diamo queste lettere
1’ x o il fi, e qualunque elemento a’ nomi con l’arte della
grammatica, se li leviamo alcuna cosa, o li aggiugniamo, o eziandio mutiamo,
che da noi si scrive il nome, nondimeno non bene: anzi egli non si
scrive affatto.- ma incontinente è cosa diversa, se li adiviene alcuna
di queste cose. soc. * E da vederti, o Cratilo» che peravventura non
consideriamo bene, in cotal gaisa considerandolo, cn. Iti che modo? soe.
PeraVventura quantunque cose, le quali necessario è, Che siano, o non
siano da alcun numero ciò patirebbono, che tu di come il dieci, o qualunque
altro numero, che tu vuoit che se tu ne levassi alcuna cosa, o la
aggiugnessi, incontinente si farebbe diversa: ma non è questa
peravventura la retta maniera di alcuna qualità, nè di tutta la imagine
insieme: ma il contrario; nè al tutto bisogna, che la imagine tenga itt
se qaalunqne cose lien quello, di cui è imagine, sé pure è per dover
esser imagine, e considera se io dico alcuna cosa. Saranno forse queste due
cose, cioè Cratilo, e la imagine di lui, se alcun de’ Dei non solamente
esprimerà il tuo colore, e la figura, come sogliono i dipintori: ma farà
eziandio tutti gli interiori somiglianti a’ tuoi: la stessa tenerezza, é
il calore, il moto, 1’anima, la prudenza, e per abbracciar in poche
parole, tali affatto farà tutte le cose, quali in tè sodo? dimmi questa
tal cosa forse sarà ella Cratilo» è la imagine di Cratilo? o due Cratili?
CB.Due Cratili, o Socrate, come io penso. soc. Vedi tu, o amico, che è da
cercarsi altra retta maniera di imagine, che di quelle cose, che abbiamo poco
fa dette? nè si abbia a sforzare-, se alcuna cosa si aggiuguesse, òri levasse,
che prh imagine non siti? 0 boa ti avvedi tu quanto manchi aHe imaginì,
che ‘tenga ) m do te stesse cose, che ha quello, di cui sono
imftgini?,ca. Veramente, soc. O Cratilo,
nvvenirebbe da’, nomi alcuna cosa ridicolosa d’intorno a queste cose, di cui
sono nomi; se si rendessero loro somiglianti al tutto, perciocché si
fnrebbono doppie tutte le cose, nè si potrebbe dir qual fosse
l'una, o l’ altra di toro, forse la cosa, o il nome* cr. Tu parli il
vero. soc. Dunque, o uomo
generoso, con fidanza permetti, che altro de’ nomi sia posto bene, altro
nò; nè voler far forza, che egli abbia tutte le lettere,, acciò sia tale,
quale è quello ancora di cui è nome: ma permetti, che porti una lettera
manco confacevole, e se lettera, parimente è uomo nell’orazione, e se
nome, che si porti eziandio appresso nel parlar sermone non confacevole
alle cose, e niente manco si nomini la cosa, e si dica finché si
ritrovi la figura di ciò, di cui è il sermone, come ne’ nomi degli
elementi, se tu li ricordi, quello che poco fa io, e Ermogene dicevamo,
ca. la vero mi lo ricordo. soc Dunque
bene; perciocché quando vi farà questo, benché non si ritrovino
tutte le cose coufacevoli; nondimeno si dirà ben la cusa quando
saranno tutte: ina inale quando poche. Sicché per? mettiamo, o beato, che
si dica, acciò come coloro, che iu Egina vanno vagando di notte
forniscono tardi il viaggio,, così paia, che iu questo modo noi perveniamo alle
cose piò lardi da buon senuo del dovere; o ricerca alcun altra retta maniera d’
intorno al nome; nè confessar tu, che sia nome la dichiaratone della cosa
fatta con lettere, c con sìllabe: perchè, se queste due cose dirai, tu non
potrai accordare, e convenir con te stessei. ex. O Socrate, tu pari di
parlar bene, é cosi io assentisco, soc. - Poiché d’intorno a questo Convenimmo
si ventiti da noi il rimanente. Se dee esser il nome posto bene, diciamo
far mistieri, che si ritrovino lettere a lui decenti. ce Per certo, soc. Convien
poi, che lettere siano simili alle cose, cm "Sì. sOc. Dunque quelli nomi, che sono posti
bene, cosi son posti: ina se alcuno non « posto bene, perawentura per
lo piu sarà di lettere convenienti, e somiglianti, se doveri esser
iniagine; terrà poi ancora alcuna cosa noci convenevole, per la quale non
sarà buona, nè fatte bene: diciamo noi in cotal guisa, ovver
altrimenti! ® Socrate, io penso; che non faccia mistieri, che
contendiamo, non mi piacendo, -che si dica esser nome, nondimeno non
posto beile.- soc.J- Forse non-' piace a te, che il nome aia
-dichiarazione di 'cosa! CJt Mi pisce sì.' suo. Ma' pensi tu', che non W
sia detto bene. Che parte siano i nomi de’ primi composti, e parte siano
i primi?' cu. A me sì. soc Or se
deooo esser I PRIMI SIGNIFICAZIONI di alcune cose, hai tu forse più
commoda maniera, onde si 'faccia questo, che se si facessero tali, quali
son quelle, coi se, le quali vogliamo, che si dichiarino? o
piultosttf ti piace, questa maniera, la quale è detta da Erbogene, e da
altri molti, cioè, che i nomi siano certi componimenti, e dichiarino a
chi composero le cose, e le conobbero innanzi, e ne sia questa la retta
maniera del nome, cioè il componimento, nè imporli, se componga alcuno
cosi, come si è oro composto, o incontrario? cioè come l ’ o picciolo, il
quale ora o picciolo si addimanda, si nominasse o grande: ma l’&
f che al presente si dice o grande, si dicesse o pie • ciolo? qual
di queste due maniere piace a tef ca. Adognimodo, o Socrate, importo, che alcun
dichiari con somiglianza ciè, che vuole dimostrare: ma non con
qualsivoglia cosa, soc, Tu parli bene. Dunque non è egli necessario, essendo il
nome simile alla cosa, che gli elementi, dei quali si compongono 1 primi
nomi, per lor natura siano alle cose somiglianti? ma così dico, o si sarebbe
fatto da altri la dipintura alcuna volta, la quale dianzi abbiamo detto
simile ad alcuno degli enti: se i colori, di cui si fa la iraagine non
fossero per natura somiglianti a quella cosa, la quale è imitata dallo
studio del di pintore? « è egli impossibile? ca Impossibile certo, soc. ~ Nel medesimo
modo non si farebbouo i nomi somiglianti mai ad alcuna cosa, se quello,
di cui si compone i nomi non tenesse alcuna somigliànzà di quelle
cose, di cni sono i nomi imitazioni. Quello poi, 'di cui si compongono i
nomi, sono gli elementi. cr.-* Veramente, soc. Oggimai fatti partecipe di
quei sermone, del quale ne è partecipe Ermogene pòco fa. Or dimmi, ti è egli
avviso, che noi diciamó bene. Che il p coovehisse al portamento, al moto
e alla asprezza, o non bene? CR.-Bene sii soc. Ma A piano, e a! molle, e alle altre
cose da noi narrate? cr Veramente.
soc Sai tu dunque che Io P :
chiama da noi ffKÀ*pOTl£; ma da Eretriesi <rKAty>0T«£?.
CR--Corto si. *oc. Dimmi, se questi due p e+ paiono somiglianti allo
stesso, e dimostrano il medesimo cosi loro per la determinazione del p f come a
noi per lo ultimo o non significa niente agli noi di noi? cr -Anzi
il significa agli uni e agli altri, boc
Forse in quonto sono somiglianti il p e il o in quanto
dissomigliane ti? ca In quanto somiglianti, soc. Dunque ìn quanto sono
simili in ogni luogo? CR.-Peravventura al SIGNIFICARE almeno il portamento,
soc. 0 il \ framesso ancora dimostra egli il contrario dell' asperità? CR
Peravventura, o Socrate, non è framesso bene, co-me quelle cose, le quali tu
trattavi dianzi con Ermogene, mentre e levavi via, e ponevi le lettere
ove massimamente facea mislieri. E tu mi parevi dì far bene, e ora hassi
a por forse il p per lo soc. Tu
parli bene: ma che? al presente quando alcuno prònuncia <rKÀ»/>oif,
come dicevamo, non ci intendiamo tranci? nè sai tu ciò, che io al
presente mi dica? cr,- 0 amicissimo, per usanza lo so veramente,
soc. ( Quando tu dì usanza, pensi tu dir cosa diversa dal
componimento? chiami tu altro usanza, che quando 10 pronunciando
questo, e considerando quello, tu conosci, che io considero; non dì tu questo?
cr. Questo stesso, 'soc. Dunque se tu conoscessi questo pronunciandolo io, li
si fa per me la dichiarazione, cr. Così è. soc. Cioè dal dissimile ili quello, che io
pensando proferisco, poi che è dissimile il \ a quello, che tu chiami
<rn?iHp OTUTflC, cioè asprezza, e se ciò se ne sta così, che altro ha
egli se non, che tu I con te stesso sii convenuto? e ti si fa egli
la retta tnaniera del componimento? poiché cosile simili, come le
dissimili lettere li dimostrano lo stesso, conseguendo lat usanza, e il
componimento ma se la usanza nou fosse componimento, nou si potrebbe, dir
bene ancora, che la somiglianza fosse dichiarazio ne: ma usanza; poiché,
come pare, la dichiara colla similitudine, e con la dissomiglianza. Ma, o
Cratilo poiché noi concediamo questo ( couciossiachè, IO PONGO IL TUO SILENZIO
PER CONCESSIONE) è necessario, che la usanza, e il componimento
appartenga alla dichiarazione di quello, che considerando diciamo, perciocché,
se tu ottimo uomo volessi discender alla cousiderazione de 1 ' numeri; donde
penseresti tu di poter apportare nomi somiglianti a qualunque numero, se
non permettessi, che la concessione c componimento tuo tenesse
alcuna autorità intorno alla retta maniera do' nomi? eziandio
mi piace, che i nomi in quanto è possibile, siano simigliatiti alle cose; dubito
nondimeno, che peravventura, come diceva Ermogene, sia in c^rto
snodo lubrica la usurpazione di questa somiglianza, e siamo sforzati a
valersi ancora di questa cosa trava gliosa, cioè del componimento
d’intorno alta retta maniera de’norai: percbè secondo il potere
peravventura si direbbe allora bene, quando si dicesse o con tutti,
o similmente con la maggior parte, cioè con convenevoli: ma sozzamente quando
in contrario. Or ciò appresso a questo dimmi, qual forza tengano appressa
noi i nomi o qual cosa beilo affermiamo, che si faccia da noi col mezzo loro?
cb. O Socrate, pare a me, che insegnino i nomi, e ciò sia molto semplice,
cioè che chiunque sa i nomi, eziandio sappia le cose. soc. O
Cratilo, tu peravventura dì alcuna cosa siffatta, che quando conoscerò
alcuno quale sia il nome (essendo egli tale, quale ancora si ritrova la cosa )
eziandio conoscerò la cosa, poiché è la cosa somigliante al nome;
essendo un’arte, e la stessa di tutte le cose tra loro somiglianti Da
questa ragione indotto pare, che tu abbia detto, che chiunque conosce i
nomi, ancora conoscerò le cose stesse, cr. Tu parli il vero, soc. Or
vediamo qual sia questa maniera della dottrina degli enti, la quale ora tu dì,
e se piu oltre ve ne sia d’altra, nondimeno sia questa tenuta migliore; o
fuor di lei, non ve ne sia niun’altra, in qual di questi due snodi
pensi tu? ex. Cosi io stimo, che nou ve oc 6 Cr. sia d’altra; ma
questa sola, e ottima- soc. -Ma dimmi se questa stessa sia la invenzione
degli enti, che chi ba ritrovato i itomi, abbia ritrovato ancora le cose,
«li cui sono i nomi? o faccia ni isti eri, che .altra maniera •„ r
c si cerchi, e si ritrovi; e questa si impari?, ca. Sopra tutte le cose è da cercarsi
questa maniera, e ritrovarsi, soc.
Or, o Cratilo consideriamo si, se a!cun mentre investiga la cose
segue i nomi, considerando quale dee esser ciascheduno. Consideri tu
forse, che non sia piccini il pericolo di non restar ingannato? cu.
in che mi'do? soc. Perché chi da principio pose i nomi quali stimò
egli, che fossero le cose, eziandio tali nomi pose, come diciamo, non è
egli cosi? ca. Cosi affatto, soc. Dunque se egli non pensò bene: ma
li pose quali lisi stimò, che pensi Ju, che sia per avvenir a noi, che lo
seguitiamo? altro forse, che di restar ingannali? cn. O Socrate, chi sà, che
questo non se ne stia cosi: ma sia necessario, che' quegli. sia
Stato scientifico, che pose i nomi, altrimenti come un pezzo fa diceva,
non sarchbono nomi. Questo poi ti può esser di evidentissimo argomento,
che non traviò dalla verità l’au(o e del nome? che se avesse avuto rea
opinione, in moilo niuno tutte le co e non si accorderei)bono in colai guisa
appresso di lui o non consideravi ancora tu quando dicevi; che tolti i oomi
tendessero nello stesso? soc. O buon Cratilo, non vai niente questa
difesa, perchè non è cosa sconvenevole, se da .principio ingannalo
['ordinatore de* naini, tirò di uuq-’) s« f ^0 » seguenti nbini con
ceria fona si primo, e Isforzò ad accordarsi seco, come intorno alle figure,
ritrovandosi alcuna volta la prima figura ignota e falsa, I* • 1 : le rimanenti poscia essendo molte
conviene, che insteme Si accordino; conciossiachè ciascheduno dèe disputar
molte cose' intorno al determinare il principio di (]ualunque!tCOsa, e
considerar diligenlissimainente se il principio è supposto bene o nò, il
che bastevo) mente esaminato, le altre cose ornai lo deono seguire. Nondimeno
mi maraviglio, se i nomi couvegnano con loro stessi. Perciocché
considereremo da capo le cose dinanzi da noi narrate, come, che i pomi ci
significhino la essenza, quàsi che l'universo vada, si porli e
scorra. Stimi tu fórse, che èssi significhino in cotal guisa, o
altrimenti.!^ cr.- Cosi sì, e il significan bene. soc. Sicché
consideriamo se assumendo alcuna cosa da loro. Primieramente questo nome
CTIffTtlftdt, c ‘°*“ di scienza, come é egli ambiguo, e pare, che più tosto
significhi, 0T / larniTìv etri tùìs Trptryftoctri rnv cioè che
ferma l'animo nostro nelle cose, che sia egli portato intorno con esse,
ed è meglio, che diciamo il principio di lui, come ora, che gettando l’g
dir TriffTtljiltV, ma frammettiamo in vece del g il /. Poscia il
jSsjSa/GV, cioè il fermo; perchè è imitazione fixo-eas Ttvog, hoc) (TTCUreas,
c»°è di certo stabilimen to, e state, che del portamento. Più oltre g’
tO’TOpt ) 9» I SIGNIFICA per certo questo, che ciò, che poti»
le 1 ™* ‘l corso e TOTTWTO», c*òè quello che sf ha a credere, significa
ad ogni modo tffTXV, c *°è «l fermare. Poscia) j xytiym, cioè la memoria
dimostra certo ad ognuno, che è nell'anima poM, c '°è fermezza: me
non agitazione: come per esempio, se alcuno rolesse seguire i nomi 0
apiXpTix, ttfltt « ffV[I(pOpX, c * oè 1 ® errore, e la calamiti;
parerebbe di inferire lo stesso, che si riferisce -jr» e-vvsirej sa)
6Trt<rT»ft», cioè *“ intelligenza, e la scienza, e gli altri nomi, che
posti sono alle cose serie. Ancora £ ec^x 3 ix, xaì rf XKOfiKfflX,
cioè la ignoranza, e la intemperanza paiono simili a questi; perciocché £
xpixBtX pare, che sia 7-01/ x^ixBsu tOVTOS TTOpelx, cioè il progresso di
chi se ne va insieme con Dio: ma cctLOXxrix P are •* tulto certa «KOÀovglg'
cioè conseguenza alle cose. Ed in colai guisa quei, che noi pensiamo nomi
t^i sozzissime cose pareranno somigliantissimi a quelli nomi, che sono intorno
alle cose bellissime, eziandio stimo, che si potrebhono ritrovare d’altri
molti, se a ciò alcun attendesse; onde penserebbe di nuovo, che l’autor de’
nomi significasse non cose correnti, e portate: ma permanenti. cb. Nondimeno o
Socrate tu vedi, che la maggior parte de* nomi significavano in quel
modo, «oc.— Che è dunque questo 0 Cratilo: annovereremo forse ì nomi
qual suffragi, e sassettif e consisterli ?» questo la retta maniera, cioè
quat di queste due guise de' nomi paia di SIGNIFICAR pili, e questa sia la
vera Non convien nò. soc. O amico in modo miuno. ÌOr qui'
lasciamoli:' ma consideriamo, se in cotal guisa ci assentissi, •ovver nò.
Dimmi non confessavamo noi poco la, die -coloro, che ponevano i nomi nel
Te città GrCche, e Barbane fossero positori de* 1 nomi, é Ifarte,
che ciò poteva ftossC de' nomi postricé? cr Al tutto slr «oc.— Or dimmi
tu, chi pose i primi nomi, "conoscevan essi Ié còse, 1 cui ponevano i
nómi, o non le conoscevaSo? 10 c*>. Io penso, '0 Socrate, che Ie^etìno 1
scesseroi s oc;— Per certo, o amidó Crétìlo, non essèitdo essi ignorami; cir.
Non rtìi 2 5 sdt.-iR'itòd niamo di nuoi-o colà, Ondò si
'^ipàrtimriro. Perciò posto fa dicesti-, se tu li raccordi'; èli® era tìeeessario,'
che «hi poneva' i’WóWii conOSctìsè'Ié^'cbse/'cui 'tl penevai dimmi
pare à- tu ancóra' ; cosV; hòP 'cit.4-Eziatf* diO si; "stìd.'—
‘PeTavventura dllu'J'che chi pose i 'priì ini nómi, cbuoscendòH 'H
ponessé. ' cA. Conoseèndòlk soci. Da’ quàlì homi ' avrebbe egli'imparato,
o ritrovato le cose,- ! sé Otti a fossero ancora 'pósti i primi nomi! e di
nhdVo'tfibiamD nóij èhè sià’ Còsa impossibile di ritrovar lé' èòSéj o impararle
altrimenti, che imparando i nhiéi/’ ò per noi quàlì siWo 1 ritrovandola
CR.— O SOcràte,’fnf è avviso, che lÓ~dìcà alcuna cosa, toc- Duriqóe io
che ‘modo ‘dirémo''%iòi che essi sapendo abbiano posto ? ‘nomi! ossiatro dati
facitari dd’ )&< Domi insanii che si
ponesse qualunque nome, e abbia! solessi conosciate, le cote innaoti, nou
potendosi) «Ile «llmnenli imparare, che co’ oprm? c«.— In vero: io penso,
Soc Fate, che questa sia_ verissime ragiono, d’iniorjse questo, che certa
.potenza maggior dell utnaud sia stata qneHa, che pn»e,^pri#»i homi ;fl!e
cote, 4t maniera die aia necessario, chiosai tfi pestiano bm»f.3,»«c.-4.Posc»a
penti tu, che Fautpr de’ nptni li* abbia ppsli contras ri a se stesso, o
se fu egli alcun dtnipoe p Dio? o pare fi r te, che di sopra da noi nop,^;jgi»(deUo,aicn>
te? ca. Ma chi sa, che gli altri j nqmj; non fossero di questi, soc. Quali
d* questi due p, ottimo uomo e^ano. es s > forse di quelli* che, si
rifulgono olio sta? Io? o di quelli pi u,. tosto, che al mpviinputfe?
[ilrciocchè nou ancora si giudicheranno colla moltitudine seaon r
do, quello chq poco^a abbianao ^ttos ;,^tf^CÌ0si con»yjenfj p ^oprate. i u ^o«i
e:dV cendo parje di essi .e^er siglili ajlfl. 1 .flfr
fermando di so sa il^ medepi 6 &P ' ’.'U ‘ <d i r
torniremo noi?, ©, a chop^vfln^d^ -pgvfthè fcerlp #4 allri nomi, da
.qufstft <K»n;flSftr^rqgjq^»jjii^#r jepdpup. d’oltrg ma ( c^iarp
g 8 »,qfe4 'WW HO fi. Cerca rp, perle, altpp c«tSf,^C.,^i 0 9hiM r
W n 9 TO%- nifeste ^enaft^qiRijop. ci ^mustrer^ngp ^^Ojit*;, de-
gli epti^cjoè qapLdt questi due,, <y*.,-n-Coj. si . mi .parer, Mfij-gp
C‘V- 0 -i9f* l lKj c .3Bfia«lé ^.coy tf( guisa.pqssiappo,, comp
pa^iip^arj^ gli enti _5.eBXf «pmL. «h-rApjptfjjcp. sof.T^P^r- mezzo di
qual t)r tra cola pensi tu principalihénte, che ih
possami * tip* prender cose, è forse per mezzo di alcun’ altra, che
per quella, che è convenevole, e giustissima per U Vicendevole
tomunicanza loro, Cioè se in qualche modo sono insieme in parentela congiunte,
e per toro stesse msssimàtneute? perciocché quello, che è diver* ib
da lord divèrsa cosa significa non quelle. cu.*- A - me pare, che tu dVil
vero. ioc.-'-Deh d\, non abbia^ tìio noi conceduto già molte volte, che
siano : i nohàiy i quali Spn posti bene ‘similissimi a quelle‘‘Cose, d'i
cup Son nomi*, e imagini loèo? ’ Cr. -< Per certo l'abbiamo
conceduto, soc. Dunque se lecito; è di imparar le' Cose per li nomi,i e'
per loro-stésse ancora, qual sa-' rebbe apprensione ‘più eccellente, e
più chiara: Corse' se dell’imiigine si imparasse, esprimendone ella
'beilo' la verità di oui è ella imagine, o più. 'tosto dalla ve^
rilà còsi ella, eome la imagine di 1 lei, se essa fosse fatta
Convenevolmente? ‘ Cri— Mi par ' necessario dalla verità- 1 Sòc.— Egli
Rppar fattura d’ingegno maggiore' del mio e del tuo, il giudicare in che
modo siano da comprendersi le cose, o per dottrina, o per invenaione. Basterà
poi al presente, che siamo fra noi- convnuti, che elle non siano da impararsi,’
ie da cercarsi/ i da' nomi: ma per loro stesse più tosilo.;' er.-i*Cos«i
«p*v perisce, o Socrate, sóc.— Appressò- considenaino/ancori' questo,
acciochè questi molti nomi nello stesso/ tercw! denti ‘boa ci ingannino,
avendo pensato, ehi si posero,/ •he Mute le cose corressero scazp(é, e .
socrressi.ro, ci I Ì9 «f «on quella
considerazione «tendali polli, parendome, che essi abbiano pensato in colai
guisa. Ma se a caso, non se ne starebbe egli eoa). In vero essi
quasi sdrucciolati in certa vertigine vacillano, e ai travaglia,
no, e nello .stesso tirando noi, ci alludano. Perchè considera, o Cratilo, uomo
maraviglioso, che io spesse voi* te sogno, se è da dirsi, clic sia alcuna
cosa il bello, e il buono, e Cosi qualunque degli enti, oppur uò? ca. O
Socrate a me par si. aoc.— Dunque consideriamo questo, se alcun viso, o
alcuna delle cose silTalte sia bella, parendo, che scorrino tutte: ina
quello, ebe di-, ciomo bello non persevera sempre tale, qu.de è
egli?, c* Necessario è. soc. Dunque è possibil forse, cha, egli si
denomini bene, se (ugge sempre, e primieramen- te si dica ciò, che egli
sia, poscia quale sia? o neces- sario è mentre parliamo, che egli si
faccia altro incon- tinente, e si fugga, nè più sia tale? cr.— Egli è
necessario. SOC,— In che modo sia quello alcuna cosa; che non se ne sta
mai nella stessa maniera? percioc-,. cbè se alcuna volta se ne sta nello
stesso mod'>, chia- ro è, che non si muta niente in qui 1 tempo, «die
«c do sta cosi: ma se slà sempre uella stessa guisa, ed è il
medesimo, in che maniera si potrebbe mutare, o mo- ver non diseostaudosi
punto dalla sua idea? cr.— tu modo ninno, soc. Più oltre uè alcuno si conoscereb-
be facendosi altro e diverso incontinente, che se no ; vico quello, che
l’ idee conoscere. Sicché non si po- trebbe conoscer più, che, < quale
si sia, o come si ritrovai*®, ♦ per certo niiina c<jgoÌRÙ)taat$anosce 1* co*
sa, la quii conosce, non stendo ella;inalcuo modo» cu.— figli è coese tei
dii i socy7rMe,nè.onAOW* 0 CraltlPià verisimiln che sùdice
c©gi»iaioDe,,8e si nantanp tulle le cose, -e «ente^sù-ffetow-iChèise la
cognizione ppo ca« desse da quello, onde è cognizione, si f cr m erebbe
SCO* 1 pre,* e sarebbe sempre qognixione. Ma;se essa Specie anr Cora di
cognizione 'Si' dipartisse, in altea^pecie passerebbe -insieme ilicognitionenè
cogniaìone starebbe» che sta' pdrileteamewtfe si 1 mutai non sia sempre
cognizione» d di ^aéSta' ragiorte,; no® 'sarài eli# nè ciò», che» et per
cò'dtfscel^i ttè fciè, éh« è r -per" dovérsi poposoere: ma se
ditèmprè'queito che conosce, >ed è qoelio ohe si co* no sa e, «d è il
bello, ed anche il buono, ed èoquàl*iB4 qnc degli enti, non mi pare che
ciò che diciamo al presente sia simile al flusso ed al portamento. Or
se questo se ne slà egli cosi, o come dicevano i settatori di
Eraclito, e altri molti non si può discerner agevol* mente, non è
ol^jtrid’qaaqèirfbf, jhp intelletto fidar se stesso, e l’animo suo a’
nomi e raffermar sapiente l’ootore del nome; e in colai guisa dispreggiar
se stes- so e gli enti, quasi, che niuna cosa sia vera: ma scor-
rano, e cadano tutte, conHMewfcne; e qual gli uomi- ni malati delle
distillazioni della testa giudichi, che iimilmeule si dispongano le cose
stesse in modo, che si tengano tutte dallo scorrimento, o dal flusso.
Peravventura, o Cratilo, egli è cosi peravventura è altrimenti ancora.
Dunque egli si dee investigar questo con aui- Mo fòrte, e
heriefaron dovendoti ammetter ^erolmen- te: perciocché ancora tu sei
giovane, e ti à beetetole la età, e se ritroverai alcuna cosa iti
investigante), ezian- dio la dei compartire con esso meco. ca.— O
Socrate, io vi attenderò e saprai certo, che ancor io al presente non sto senza
considerazione; anzi in pensando,, e in rivolgendomi molte cose per
l’animo, pere a me, che se ne stieno elle maggiormente in quel modo,
che. come Eraclito' diceva, soc.— Da qui innanzi o amico poiché sarai
ritornato, mi insegnerai: ma qra come sei. apparecchiato vattene al
campo; perchè ancora Ermogene ti accompagnerà, ci.— -Si farà, o Socrate,
come, tu ammonisci.' ma d’intorno a quello aforzati ancora tu di
considerare. Roberto Dionigi. Dionigi. Keywords:
in torno al cratilo, ermeneutica, svolta linguistica, cratilo, linguaggio, la
forma del linguaggio, forma logica. Nietzsche. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e
Dionigi” – The Swimming-Pool Library. Dionigi.
Luigi
Speranza -- Grice e Dionisio: il portico a Roma – filosofia italiana – Luigi
Speranza (Roma). Filosofo
italiano. Mentioned by Cicerone was a philosopher of the Porch who liked to
quote poetry when he was teaching. Grice: “So do I: never seek to tell thy love
– for love its own pleasure – the four corners.
Luigi
Speranza -- Grice e Dionisio Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo
italiano. A slave of Tito Pomponio Attico before being set free. Atticus and
Cicerone often referred to him in their correspondence. He was evidently a man
of learning who had studied philosophy.
Luigi
Speranza -- Grice e Dionisio: la ragione conversazionale all’isola -- Roma –
filosofia italiana – Luigi Speranza (Siracusa). Filosofo italiano. The ruler of Siracusa, the nephew
of Dion of Siracusa. Interested in philosophy, he invited Plato to his court,
but Plato’s attempts to put his political ideas into practice were thwarted. Dionisio is eventually deposed and
went into exile. Dionisio.
Luigi
Speranza -- Grice e Dionisodoro: la ragione conversazionale e l’accademia a Roma
– filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. A member of the Accademy. Flavio
Mecio Severo Dionisodoro. Dionisodoro.
Luigi
Speranza -- Grice e Diofan: la ragione conversazionale a Roma – filosofia
italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. A tutor in philosophy and
acquaintance of Plotino. He teaches that pupils should submit completely to
their tutors, including sexually. Plotino was shocked by this, and asked
Porfirio to come up with an argument to use against D. on this matter. Diofane.
Luigi
Speranza -- Grice e Dionneto: la ragione conversazionale del prrincipe filosofo
-- Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo
italiano. He was Antonino’s tutor, who first fired the future emperor with
enthusiasm for philosophy. Antonino says that he learned from hin not to be
distracted by trivia, to take a sceptical attitude towards those who claim to
be able to work magic, and to avoid cock fighting. Dionneto.
Luigi
Speranza -- Grice e Dioscoro: la ragione conversazaionale a Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo
italiano. D. or Dioscuro studies philosophy in Rome. He writes a letter to
Agustino seeking to discuss a number of philosophical issues. Agostino replies at
length, arguing that the issues are of no real importance. Dioscoro.
Luigi Speranza -- Grice e Disertori:
la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale della tensione
dell’arco e il volo della freccia – scuola di Trento – filosofia trentese --
filosofia trentina -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Trento). Filosofo trentese. Filoso
trentino. Filosofo italiano. Trento, Trentino-Alto Adige. Grice: “I
like Disertori; especially his ‘studi platonici’ on the archer, and, ‘under the
sky (or is it heaven – ‘cielo’ is a trick) of Saturn!” Frequenta il Ginnasio liceo Prati.
Si iscrive poi a Firenze e quindi si trasferisce a Genova, dove si laurea con
“Fisio-patologia del sistema nervoso centrale”. Si trasferisce a Milano e si
specializza in neurologia e psichiatria con Besta. Torna a Trento, dove
esercita la libera professione: la carriera pubblica e ospedaliera gli era
preclusa in quanto privo della tessera del Partito Nazionale Fascista. Antifascista da sempre, negli anni quaranta
partecipa attivamente alla Resistenza, incontrando fra gli altri Reale,
Pacciardi, Battisti, Bacchi, e Manci. -- è costretto a riparare in Svizzera.
Finita la guerra ritorna in Italia e, a Trento, diventa primario nel reparto di
neurologia dell'ospedale Santa Chiara e docente sia di neurologia e psichiatria
a Padova, sia di socio-psichiatria e criminologia a Trento. Pubblica più di 300 saggi di filosofia. Per tutto il secondo dopoguerra si occupa
attivamente di politica, ricoprendo la carica di presidente regionale del
Partito Repubblicano. Diventa inoltre presidente della Croce Rossa.Altre opere:
“Il libro della vita”; “Trattato delle nevrosi”; “De anima”; “Trattato di
psichiatria e socio-psichiatria”; “Sfida al secolo, La collezione si trova già
chiaramente ordinata e organizzata dal Disertori stesso, con un ricco carteggio
con scienziati, personalità politiche e del mondo della cultura, documenti
sull'attività scientifica e pubblicazioni; cronache e materiali raccolti
durante i viaggi; recensioni alle sue opere e materiali di ricerche
scientifiche. Coppola, Passerini,
Zandonati. SIUSA. G. Coppola, A. Passerini e G. Zandonati, Un
secolo di vita degli Agiati. “Sotto il segno dell'uomo” D. Atti del convegno di
studio, Trento, Palazzo Geremia, Pensiero e opera letteraria di D., Manfrini,
Calliano (TN), L. Menapace et al., Note biografiche, R. Bacchi et al.,
Biografia, Accademia del Buonconsiglio, Trento, Raccolta di scritti di D. (con
documentazione) Studi scientifici del
periodo svizzero Fascicolo, carte 131, opuscoli 10 3 Raccolta di
articoli e scritti di D. rilegati in volume denominata "Zibaldino" "Saggi
nel cassetto" Fotocopie rilegate in 3 volumi di scritti inediti di D.
"Il libro della vita" Traduzione in inglese di alcuni capitoli
de "Il libro della vita" ad opera di Nicola Lubimov. Contiene anche:
alcune lettere a D. di Lubimov relative al lavoro di traduzione Fascicolo,
carte 360 32 6 Scritti di D. rilegati in volumi Minute
dattiloscritte rilegate in volume. - "Scritti vari "Scritti vari "Scritti vari vol. "Scritti vari ;
contiene anche carte sciolte
"Trattato di psichiatria" [Minuta dattiloscritta e a
stampa con ampie correzioni e integrazioni del "Trattato di psichiatria e
socio-psichiatria", scritto con Marcella Piazza e pubblicato a Padova:
Liviana, Bozze a stampa con correzioni dell'edizione in spagnolo, Buenos Aires:
Libreria El Ateneo. Raccolta di scritti,
discorsi, relazioni ed appunti di Disertori riguardanti argomenti vari
Recensioni e documentazione relativa agli scritti di D. Unità archivistiche 30
Contenuto Raccolta di recensioni a opere di D. 1 "Gandhi"
Recensioni relative all'opera "Gandhi: pensiero ed azione" (Trento:
Disertori, "Saggio di fisiologia del liquido cerebro-spinale"
Estratti e recensioni relativi al "Saggio di fisiologia del liquido
cerebro-spinale" (Roma: Pozzi); "Encefalite" Recensioni e articoli di giornale relativi ad
alcune pubblicazioni di Disertori sull'encefalite Fascicolo,
"Liquor" Recensioni relative a "Saggio di fisiologia del
liquido cerebro-spinale" (Roma: Pozzi,"Sulla biologia
dell'isterismo" Estratti, recensioni e articoli di giornale relativi
a "Sulla biologia dell'isterismo" (Reggio Emilia: Poligrafica
reggiana, "Il libro della
vita" Estratti, recensioni e
articoli di giornale relativi a "Il libro della vita" (Verona:
Mondadori, "Trattato delle nevrosi" Estratti, recensioni e articoli
di giornale relativi al "Trattato delle nevrosi" (Torino: Edizioni
scientifiche Einaudi, "Itinerari pitagorici" Recensioni e
documentazione varia relativa all'opera "Itinerari pitagorici"
(Trento: TEMI, "Parapscicologia e
ipnosi" Estratti di riviste e articoli di giornale riguardanti la
parapsicologia e l'ipnosi Fascicolo, "De anima" Recensioni e
ritagli di giornale relativi al "De anima: saggio sulla psicologia
teoretica" (Milano: Edizioni di Comunità, "Mazzini
filosofo" Recensioni e ritagli di giornale relativi a "Mazzini
filosofo: nel centenario dell'Unità" (Trento: TEMI) Fascicolo, carte "Trattato di
psichiatria" Estratti, recensioni e articoli di giornale relativi al
"Trattato di psichiatria e socio-psichiatria" (Padova: Liviana) di D.
e Marcella Piazza "Pellegrinaggio in Egitto" Recensioni e
documentazione varia relativa all'opera "Pellegrinaggio in Egitto"
(Venezia: Pozza, "Timeo" Recensioni dell'opera "Il messaggio del
Timeo" (Padova: "Esperienza dell'India" Recensioni
relative a "Esperienza dell'India" (Vicenza: Pozza, "Personalità
caratteropatiche" Estratti di riviste e recensioni relative alla
pubblicazione di "Le personalità caratteropatiche submorbose e
tetratologiche"; con Marcella Piazza (Padova: Liviana, "Cronaca di un
safari" Recensioni relative a "Cronaca di un safari"
(Venezia: Pozza, "La montagna di Vishnu" Estratti, recensioni e
articoli relativi a "La montagna di Vishnu: taccuini di viaggio nel sud-est
asiatico e nell'Uganda" (Vicenza: Pozza,
"La sfinge olmeca" Recensioni relative a "La sfinge
olmeca: note di viaggio in Messico e Guatemala" (Vicenza: Pozza, "Trattato di psichiatria e
socio-psichiatria" Estratti
di riviste, recensioni e documentazione varia relativa a "Trattato di
psichiatria e socio-psichiatria", scritto con Piazza (Padova: Liviana; Contiene
anche: dispense del Convegno nazionale di psichiatria sociale (Bologna,
"Parkinson" Recensioni relative a "Fisiopatologia e terapia
del morbo di Parkinson e dei parkinsonismi: contributo teorico ed esperinza con
l- dopa" (Padova: Liviana, "La via delle perle"
Documentazione varia, tra cui alcune lettere, relativa a "La via delle
perle: note di viaggio in Birmania, Borneo, Giappone, Cina esterna, golfo del
Siam" (Vicenza: Pozza, "Sfida
al secolo" Recensioni e articoli di giornale relativi a "Sfida
al secolo: la natura, l'uomo, il tessitore" (Padova: Liviana; Trento:
TEMI) Fascicolo, "La stagione dell'infanzia" Estratti,
recensioni e articoli di giornale relativi al contributo "La stagione
dell'infanzia" (Forlì: Cooperativa industrie grafiche) "Luci d'autunno" Recensioni
relative a "Luci d'autunno: diari, taccuini di viaggio, saggi,
poesie" (Trento: TEMI). Contiene anche lettere di Piccoli e Demarchi "Il
monolito dei fulmini" Recensioni relative all'opera "Il monolito
dei fulmini: (note di viaggio in Sud America)" (Vicenza: Pozza, Contiene
anche lettere di Prò e Condini; La tensione dell'arco" Recensioni
relative all'opera "La tensione dell'arco e il volo delle frecce"
(Abano Terme: Piovan). Contiene anche: lettera con recensione di Capasso
"Poesie" Recensioni di
poesie di D. "L'ombra eleusina" Recensioni relative all'opera
"L'ombra eleusina: studi su l'arte e la cosmovisione di Annunzio"
(Abano Terme: Piovan) Contiene anche: 2 lettere a Disertori di Lidia Ratti e
della Fondazione Il Vittoriale degli Italiani
"Sotto il cielo di Saturno" Recensioni relative a "Sotto
il cielo di Saturno" (Trento: TEMI). Contiene anche: 1 lettera a Di. Di Graffer
Documentazione raccolta a fini di studio e relativa all'attività accademica,
(con documentazione) Unità archivistiche 13 Contenuto Dispense relative a
studi, scritti e ritagli di giornale 1 Documentazione varia relativa al
Movimento Federalista Europeo "Cronaca su conferenze"
Appunti di Disertori per conferenze e articoli su argomenti vari; "Psichiatria
sociale" Dispense di psichiatria sociale relative a problematiche
socio-economiche
"Criminalità" Dispense relative a criminalità, obiezione
di coscienza, diserzione "Riabilitazione" Dispense riguardanti
terapie di riabilitazione Fascicolo, carte
"Stupefacenti, leggi" Testi di leggi riguardanti gli
stupefacenti Fascicolo. Dispense e documentazione varia relative all'attività accademica.
La documentazione è relativa ad esami e
tesi di laurea. Contiene anche: alcune lettere di studenti a Disertori
riguardanti le tesi di laurea. Fascicolo, carte
Relazione di Disertori e Marcella Piazza circa Copie della
relazione presentata al seminario di neuropsichiatria, psicologia e filosofia a
San Miguel de Tucuman (Argentina) Attività in Sudamerica Raccolta di scritti di
Pincherle "Lavori
neurologici" Estratti di riviste e dispense relativi a studi di
neurologia; Contributi vari relativi a terapie farmacologiche e note
informative di case farmaceutiche
Miscellanea (con
documentazione dal 1904) Contiene anche: autografi di Annunzio inviati a Rovetta;
scritti di Marcello D. e ritagli stampa con anche articoli sulla scomparsa del
padre Marcello; manoscritto "Elementi di fisica per le classi inferiori
delle scuole medie", compilato dai professori Vittorio Magnago e Arcadio
Emmert Fascicolo, carte, volume 1 Beppino
Disertori. Giuseppe Disertori. Disertori. Keywords: la tensione dell’arco e il
volo della freccia, libro della vita (why do we live?), il messagio di Timeo,
itinerari pitagorici, pitagora e aligheri – tensione dell’arco, volo – eraclito
– platone – politeia di Platone – Grice on Plato’s Republic – plato carmide e
la medicina – dell’anima – psicologia teoretica -- sul segno dell’uomo, de
anima. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Disertori” – The Swimming-Pool Library.
Luigi Speranza – GRICE ITALO!; ossia, Grice e Dòdaro:
la ragione cconversazionale e il convito, ossia, tracce di un discorso amoroso
– scuola di Bari – filosofia barisese – filosofia pugliese -- filosofia
italiana – Luigi Speranza
(Bari). Filosofo
barisese. Filosofo pugliese. Filosofo italiano. Bari, Puglia. Grice: “Dòdaro is
an interesting one – totally cryptic of course! It is as if he were
Nowell-Smith, Austin, and Donne, combined into one! Recall Nowell-Smith’s
challenge to Austin: “Donne is incomprehensible,” “He surely ain’t!” Costretto
a riparare a Turi per sfuggire ai bombardamenti. A Bari si legò a Maglione,
Castellano, Piccinni e, assieme allo zio Silvio, prendeva parte agli incontri
artistici e letterari del caffè-pasticceria Il Sottano (in quegli anni
frequentato da Moro, Albertazzi, Scotellaro, Bodini, Calò ecc.), fondato da Scaturchio,
e agli incontri di Laterza e del circolo La Scaletta di Matera. Nello stesso
periodo conobbe Nazariantz, il quale rappresentò per Dòdaro una sorta di guida,
fu lui, infatti, a introdurlo per la prima volta agli incontri del Sottano dove
ebbe modo di stringere amicizia con Bodini, Calò, Scotellaro. Abbandonò presto
Bari, tentando una prima fuga a Parigi, città in cui sarebbe tornato a vivere
altre volte, prima di tornare a Bari per poi trasferirsi a Lecce. Altre tappe,
prima del trasferimento a Lecce, furono Milano e Bologna. Divenne allievo di Morandi,
presso l'accademia, infatti, prime espressioni della sua attività artistica
furono la pittura, praticata per una manciata di anni, e il teatro, poi diluito
nelle successive esperienze poetiche e narrative. Come pittore produsse alcuni
quadri in cui all'informale materico univa le combustioni, applicate, di fatto:
Verri riporta in suo intervento: arriva con la novità dei colori
"bruciati". Di questo ciclo di opere faceva parte "Svergognato
incantesimo di barca", che gli valse, successivamente, la segnalazione
presso il premio "Il maggio di Bari". Prima del trasferimento a
Lecce, lavora presso l'ufficio stampa della Fiera del Levante, a stretto
contatto con Fiore, figlio di Tommaso, venendo influenzato dal meridionalismo.
Sempre nel clima della Fiera del levante, strinse un ottimo legame con Tot. Al
suo arrivo a Lecce riallacciò i rapporti con Bodini e Calò, oltre che con Suppressa,
conosciuto in occasione del premio Il Maggio di Bari, entrò, inoltre, in
contatto con quelli che sarebbero stati poi suoi amici e compagni artistici:
Durante, Massari, Candia, Pagano. Ebbe frequentazioni con Bene e strinse
importanti sodalizi amicali e letterari con Verri, Gelli, Caruso, il quale, in
corrispondenze private, ebbe modo di rinominare la loro amicizia e
collaborazione come il "sodalizio Caruso-D.". A Leccesi rese protagonista,
con Candia, di un grande falò in cui i due bruciarono tutti i quadri realizzati
fino a quel momento. Per quanto riguarda l'opera pittorica "Svergognato incantesimo di barca",
insieme a pochi altri, si salvò dal falò perché all'epoca custodito presso la
casa dello zio Silvio. Dopo questo iniziale periodo di ricerca e
sperimentazione, abbandona la scena artistica per circa vent'anni, anni in cui
si dedicò allo studio intenso nel tentativo di scoprire il perché del
linguaggio, rompendo il silenzio con la fondazione del Movimento di Arte
Genetica con sede a Lecce, Genova e Toronto. Con tale movimento, rintracci
l’origine dell’italiano o romano nel battito materno ascoltato in età fetale,
teorizzando il romano o italiano come una congiunzione volta a rifondare la
dualità dell’essere umano non un regressus ad uterum, bensì la coppia, la
dualità, ovvero la dimensione originaria della comunione con l’altro e come lutto,
annodandolo alla mancanza di Lacan. Il movimento si doterà di due riviste:
“Ghen”, giornale modulare ideato da D. con sede a Lecce, e “Ghen Res Extensa
Ligu” con sede a Genova e diretta da Mignani. L’idea del modulo come unità di
misura sarà alla base della struttura modulare di “Ghen” oltre che della
concezione dello spazio, mutuata sempre dagli studi sulla dimensione pre-natale,
fino a sfociare nel manifesto "Incliniamo l’orizzonte”. L’italiano o il
romano diventa una congiunzione, una dichiarazione onomatopeica in cui si
alimentava il trionfo del lutto e la mancanza. L’orizzonte diventa orizzonte
mediale: poesie per i treni, per gli altoparlanti e più in là romanzi in tre
cartelle, romanzi su cartolina, collane spaginate, poesie e poesie visive da
proiettare per le strade, poesie per internet, net.poetry, narrazioni su
leaflet, romanzi da muro-narrativa concreta, romanzi di cento parole da
pubblicare in store, nelle vetrine dei negozi. Al Movimento di Arte Genetica
aderirono, o ruotarono attorno alle sue riviste e attività, un numero considerevole
di autori provenienti dalle sperimentazioni poetiche e poetico-visive,
performative, sonore, plastiche: Miccini, Marras, Mignani, Fontana, Munari,
Fiore, Dramis, Perfetti, Pagano, Gelli, Noci, Greco, Lorenzo, Marocco, Massari,
Miglietta, Center of Art and Communication (Toronto), Giorgio Barberi Squarotti,
Toshiaki Minemura, Xerra, Sicoli, Souza, Alternativa Zero, Experimental Art
Foundation (South Australia), Block Cor (Amsterdam), Genetet-Morel, Lepage,
Martini, Valentini, Restany, Etlinger, Caruso, Verri, Miglietta, Nigro
ecc. Con la nascita del movimento di Arte Genetica, avvia una personale
riflessione sull'oggetto-libro e le sue modalità fruitive, avviava il progetto
"Archivio degli operatori pugliesi", per una catalogazione degli
operatori estetici e culturali. Crea e anima «il centro di ricerca (strutturato, nel nome, sulle coordinate
della Classificazione Decimale Dewey, ad indicare i percorsi di ricerca:
filosofia, linguistica, arte, letteratura), ospitato dalla Libreria Adriatica di
Lecce, e con il quale coinvolge numerosi operatori del territorio (docenti
universitari, il gruppo Gramma, il Centro ricerche estetiche fondato a Novoli
da Greco e Lorenzo, il gruppo Oistros di Durante e Santoro, gli autori del
gruppo di Arte Genetica da lui fondato ecc). Ha diretto la casa editrice Conte
di Lecce, ha fondato a Lecce, il movimento letterario New PageNarrativa in
store. La sua attività letteraria ed editoriale è stata caratterizzata da uno spiccato senso
per la formazione di gruppi e la ricerca di autori da lanciare, rappresentando
sul territorio pugliese un autentico volano per operazioni di ampio respiro che
andavano spesso a coinvolgere autori del panorama letterario internazionale. Idea
e dirige una mole notevole di collane editoriali volte al rinnovamento
dell’oggetto-libro, fra queste: «Scritture» (Parabita, Il Laboratorio),
«Spagine. Scritture infinite» (Caprarica di Lecce, Pensionante de' Saraceni)
scritture di ricerca formato poster, spaginate, «Compact Type. Nuova narrativa»
(Caprarica di Lecce, Pensionante de' Saraceni) ovvero romanzi in tre cartelle,
«Diapoesitive. Scritture per gli schermi» (Caprarica di Lecce, Pensionante de'
Saraceni) scritture di ricerca da proiettare, «Mail Fiction» (Caprarica di
Lecce, Pensionante de' Saraceni) romanzi su cartolina, «Wall Word» (Lecce,
Conte Editore,)tradotta in giapponese ed esposta all’Hokkaido Museum of
Literature di Sappororomanzi da muro, ovvero collana di narrativa concreta,
«International Mail Stories» (Lecce, Conte Editore), «Internet Poetry» (Lecce,
Conte Editore) una delle primissime esperienze italiane di net poetry, «Walkman
Fiction. Romanzi da ascoltare» (Lecce, Argo), «E 800 European Literature», in 5
lingue (Lecce, Conte Editore), «Pieghe narrative» (Lecce, Conte Editore),
«Pieghe poetiche» (Lecce, Conte Editore), «Pieghe della memoria» (Lecce, Conte
Editore), «Foglie nude» (Doria di Cassano Jonio), «Locandine letterarie»
(Lecce, Il Raggio Verde), «Romanzi nudi» (Lecce) in unico esemplare, «Carte letterarie»
(Lecce, Astragali), Mail Theatre (Lecce, Astragali), «New Page. Narrativa in
store», (Lecce) narrativa breve, poi anche poesia e teatro, in cento parole,
collana che guarda alla comunicazione pubblicitaria con i testi applicati su
crowner, pannelli cartonati in uso nella comunicazione pubblicitaria, ed
esposti in store, nelle vetrine dei negozi. Nell'ambito della poesia
verbo-visiva e del libro-oggetto, è presente in numerose manifestazioni di
«Nuova scrittura»: Ma il vero scandalo è la poesia. Un salto di codice,
Ferrara, Ipermedia; Attorno a noi poeti in gruppo, Strudà (Lecce), Ospedale
psichiatrico; Dentro fuori luogo, Casarano, Palazzo D'Elia; Centro
internazionale Brera, Documenti di gestione alternativa. Appunti sulla Puglia,
Milano, Chiesa San Corpoforo; Artigianare '81, Lecce; Cercare Bodini, Bari /
Lecce, Ab origine, Martina Franca; Parola fra spazio e suono. Situazione
italiana, Viareggio; Le brache di Gutenberg, Caruso, Visco, Livorno; Far libro.
Libri e pagine d' artsta in Italia, Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze, Il
segno della parola e la parola del segno, Milano, Mercato del sale, Breton et
le poeme-objet, Ugo Carrega, Milano, Mercato del sale, Le porte di Sibari,
Sibari, Visibile Language. Numero speciale sulla poesia visuale. Sezione
Italia, E. Minarelli, USA; Cartoline d'artista, Livorno, Belforte, Terra del
fuoco. Intersezioni per Adriano Spatola, QuartoNapoli, La parola dipinta.
Rassegna di poesia visuale, Belluno, Comune di Gallarate Civica galleria d'arte
moderna. Casa d'EuropaSede di Gallarate, Pagine e dintorni, Libri d' artis ta, Gallarate,L.
Pignotti, “La poesia visiva”, L'immaginazione (Lecce), S-covando l'uovo,
Firenze, Terra del fuoco, QuartoNapoli, Musei Civici di Mantova, Poesia totale.
Dal colpo di dadi alla Poesia visuale. Mantova, Sarenco, Palazzo della Ragione,
Archivio libri d' artista. Laboratorio, G. Gini e F. Fedi, Milano, È presente
in Musei, Biblioteche, Archivi. Tra i più importanti: Biblioteca Nazionale
Centrale di Firenze“Libri e pagine d'artis ta”con l’opera Mar/e amniotico,
1983; Galleria d’arte moderna di Gallarate, con le opere Mourning Processes.
The word, e Processi di lutto. Notizen: dis; Museo S. Castromediano di Lecce,
con l'opera Matram psicofisica, Archivio Sackner, Miami Beach, e Archivio Della
Grazia di nuova scrittura, Milano, con varie opere; Hokkaido Museum of
Literature, con la collane “Wall Word”, nteramente tradotta in giapponese;
Imago mundi-Visual poetry in Europe (Fondazione Benetton, ) ecc. Altre
opere: Dichiarazione onomatopeica (Lecce); Progetto negativo (Lecce,); Disianza
Congiuntiva (Livorno); Disperate Professore (Parabita); dis/adriatico
(Caprarica di Lecce); Tracce di un discorso amoroso (Caprarica di Lecce);
Compact Type. Nuova narrative Con Verri, (Caprarica di Lecc); Sconcetti di luna
(Caprarica di Lecce); Mail Fiction. Free Lances Con A. Verri(Caprarica di Lecce);
Navigli (Caprarica di Lecce); Void Fiction (Sibari,); Street Stories (Lecce)tradotto
in giapponese(SapporoJapan); Parole morte. Dead Words (Lecce); L’addio alle
scene (Lecce); Antonio Verri. Schegge del contestocon M. Nocera (Lecce); 18 i
titoli pubblicati su leaflets (Lecce), 16 «Pieghe narrative» e 2 «Pieghe
poetiche»: “Pieghe narrative”: Vento, vento, I colombi della clausura, Il
figlio dell'anima, La Balilla, Graziato, Il monumento, Dove volano i gabbiani,
La mimosa, Ricordanze zigane, Franco, Cocker, All'ombra del grande vecchio,
Reparto «P», Il tradimento, 27 marzo, L'esame. “Pieghe poetiche”: Rosa
virginale, Il solista; Dichiarazione d'innocenza (Lecce); 7 i «Romanzi nudi»,
titoli in unico esemplare (Lecce, Dis, Era d’autunno, Il falò, L’Objet trouvé,
Silenzi, Why, Ballata migrante, Uscita in marasma (Lecce); Di viole. D’incanti.
Astragali teatro (Lecce ); New Page: In un bosco di frammenti (Lecce), La
parola tramava (Lecce); Le prime notti stellate (Lecce) interrogatorio violento
(Lecce, ) I suoi ramaggi (Lecce, ). Grigiori dell’anima (lecce, ), Di un
solstizio d’amore (Lecce, ), Maria la magliaia (Lecce), Teresa. L’Altrove,
(Lecce), La mer. Ma mère (Lecce), Una notte senza stelle (Lecce). Le distese di
grano, (Lecce), Gastronomia da asporto (Lecce), Una sua lettera (Lecce),
Trincee matricali (Lecce), Compagno d’accademia (Lecce). Tra i gabbiani (Lecce),
Cioccolatini di Chicago (Lecce), Cantata duale (Lecce). La tromba dell’altrove
(Lecce), Il nipote violoncellista (Lecce); ‘Operatori culturali contemporanei
in Puglia. Archivio storico divulgativo, Lecce); “Ambivalenze genetiche”, Ghen
(Lecce) ora in “Genetic Ambivalencie”, Art Communication Edition,
Toronto-Canada) “Links”, Ghen (Lecce), “Il complesso di Edipo e quello di Caino”,
Quotidiano (Lecce); “I processi di lutto. La Weltanschauung ghenica” in, La
parola tra spazio e suono. Situazione italiana, Viareggio, “Codice yem: le
origini del linguaggio, ovvero la rifondazione della coppia”, Ghen (Lecce) (ora
in Regione Puglia, Creatività e linguaggio. Atti del Convegno, Maglie);
“Dis-astro”, in A. Massari, Dis-astro. Loos, Lecce, “L’area inter-media”, in F.
Gelli, Transitional Objects. Mutter Fixerung, Lecce; “Ipotesi interpretativa
del fenomeno droga, formulata da una coscienza che opera nella poetica. Della
scissione. Della prevenzione” in Tossico-dipendenza: progetto di lotta Centro
studi giuridici M. Di Pietro. Convegno. Lecce; “Mater externata”, in L. Caruso,
Mater: poesia. Madre e signora dell’acqua, Lecce; “Lontananze genetiche. Ad
cantus enclitico”, in Manifesto mostra gruppo Ghen, Milano; Progetto
negativo, Galatina (ora in Ab origine. Presenze pugliesi nell’arte contemporanea,
Roma-Bari); “La letterarietà di Caruso”, in E. Giannì, Poiesis: Ricerca poetica
in Italia, Arezzo; “La poesia totale di Spatola. Il convegno di Celle Ligure”,
On Board, Lecce; “Wall Word: parole da muro, romanzo da muro”, in F.S. Dòdaro,
Street stories, Lecce; “Dodici haiku. Dodici punti di rilevamento”, in E.
Coriano, A tre deserti dall’ultimo sorriso meccanico. Three deserts from the
shadow of the last mechanical smile, Lecce; “Una pagina diversa, up to date”, in
Pieghe narrative, Lecce; Schede d'arte contemporanea. Implicatura e Mappatura
schedografica degli Autori contemporanei, Lecce; “L’ampliamento della
flessione”, in Archivio libri d’artista. Laboratorio 66, Milano; “Le anime
narranti di Alberto Tallone”, in Tallone. Manuale tipografico, Alpigiano
(Torino), New Page (Lecce); L'ortografia è morta. L'apparato pausativo, in New
Page (Lecce). Francesco Aprile, Già così tenera di folla, in Intrecci, Napoli,
Oèdipus, Edoardo, un cavaliere senza
terra, su bit. Antonio Verri, Edoardo, Un cavaliere senza terra, su bit. Francesco Aprile, Poesia qualepoesia/06:
Un’altra pagina. Le ricerche intermediali a Lecce, su Puglia libre, Testi di
teoria letteraria/editoriale, su utsanga.
Archivio di nuova scrittura, su verbo visual virtuale.org. Cantata duale, Imago mundi-Visual poetry in
Europe, su imagomundiart.com. Antonio
Verri, Una stupenda generazione, SudPuglia, Antonio Verri, Edoardo, un
cavaliere senza terra, SudPuglia, Aprile, Già così tenera di folla, Napoli,
Oèdipus, Francesco Aprile, La parola
intermediale: lineamenti di un itinerario pugliese, in Aprile F.-Caggiula C.,
La parola inter-mediale: un itinerario pugliese, Cavallino, Biblioteca
Rizzo, Aprile, Fra parola e new media,
in Aprile F.-Caggiula C., La parola intermediale: un itinerario pugliese (atti
del convegno), Cavallino, Biblioteca Gino Rizzo, Cristo Caggiula, Intersezioni asemiche nel
movimento di Arte Genetica, in Aprile F.-Caggiula C., La parola intermediale:
un itinerario pugliese, Cavallino, Biblioteca Rizzo, Visual poetry: A short anthology, in utsanga,
L'ortografia è morta. L'apparato pausativo, in utsanga, Testi di teoria
letteraria/editoriale, Codice Yem, le
origini del linguaggio: ovvero la rifondazione della coppia, in utsanga,
Letterarietà di Caruso, in utsanga, La poesia totale di Spatola/Il convegno di
Celle Ligure, in utsanga Francesco Aprile, Il rapporto D.-Verri attraverso la
critica, in utsanga Francesco Aprile, Dal modulo all'internet poetry, in
utsanga, Aprile, L’Arte Genetica, in utsanga, Aprile, New Page: Narrativa,
Poesia, Teatro, Scavi in store, in utsanga, Aprile, New Page: la poiesi come approccio
etnografico, Cavallino, Biblioteca Gino Rizzo, Aprile, New Page, collana di
critica letteraria, Sondrio, Edizioni CFR,
Intervista a Vincenzo Lagalla, Francesco Aprile, in utsanga Lamberto
Pignotti, Introduzione, L'addio alle scene, Lecce, Argo,ora in utsanga Lamberto
Pignotti, Rebus, iper-rebus. Parole da vedere, immagini da leggere, in utsanga,
Caruso, Frammento, in utsanga Julien Blaine, Omaggio alla "O" in D.,
in utsanga Ruggero Maggi, Dedica, utsanga Alessandro Laporta, cercarlo dove non
appare, in utsanga, Mignani, Ghen against again. Risarcimento dei supporti o
della signatura dei segni, in utsanga Egidio Marullo, F. S. Dòdaro. L'ultimo
mentore, in utsanga Omaggio, in
utsanga Cantata plurale, materiali 01,
Caprarica di Lecce, Utsanga. AP01-L0T30R0 g lift rhe mi domandate,
U-» [U quello che « svista, mi Inon son pre molto ch’io
mi trovavo a risali Filerò, in città-, ed ecco, .
j.^^-jania da staimi riaonosctoo J d.=«o ^ ^ H,,e- 1 fu/rirt™
't-irràT,t punto poco fa, che ^ guita tra Agatone
contarmi la conversazione seg e Socrate e Alcibiade ® ‘j discorsi,
sai, di allora parte al convito ^S)> ^ perché me gli Amore; o
che vi si disse C ^ ggntiti da Fe- rapportati un altro che g detto
che nice, figliuol di Filippo (7)> B Convito
li conoscevi anche tu. Ora, egli non nii dir nulla di chiaro.
Sicché ridimmeli tu tu sei proprio quello a cui si conviene rifèr’'
discorsi deir amico tuo. E per prima cosa,
mi domandò a quella conversazione t-r; Ed io gli risposi : Si vede davvero, che dite ne ha fatto il
racconto, non t’ha rapporta/' nulla di chiaro, se tu credi che la
conversazióne della quale mi chiedi, sia succeduta da poco tanto
che io ci avessi potuto essere. Ma si. 0 come mai, Glaucone, dissi
io ; o non lo sai, che sono anni parecchi che
Agatone non è più tornato qui? Mentre da quando io ho dimestichezza con
Socrate,' e ho fatto mia cura di sapere giorno per giorno ciò ch’egli fa
o dice, non sono ancora passati tre anni: Prima giravo a caso di
qua e di là, e immaginandomi di far qualcosa, ero l’uomo più misero del
mondo, non meno di te ora che credi di dover fare qualunque altra cosa
piuttosto che filosofare. E lui Non
celiare, disse: ma dimmi: quando ebbe luogo quella conversazione?
Ed io Mentre eravamo ancora ragazzi
risposi quando Agatone vinse per la prima solta nella gara della
tragedia, il giorno dopo e ie egli e i coristi celebrarono il sacrifizio
di ringraziamento. Un gran pezzo, dunque, si vede. Ma
chi 'Socrate stesso? B niVff-'1 cl medesimo che a Fe-
un certo Aristodemo, Cidateneo, un omet !h adatta a a s _
in t^'^'' ’ „ ai auei discorsi, C '?'cosi '! >
'' ' rircipio, O P ?. f. com 'i' ' t
nUssario che io h siccità’ Se duirque ta ^, >50 quanto
alla sprovvista. Cli 'O.! fuor di misura; ment q gente 1
discorsi, e in ispecie a e, me. e ; acca e d’affari, e 1. ne ru,
1 sento compassione,,uUa. E forse, pare di far qualcosa 1
gtimate me uno sforc> -.- jtrc-cdi e
il vero-,,e lunato; e credo, c do
ma lo so. non die io di voi non lo credo, ni amico
dici Sei sempre lo stesso, Apollodor ^ sempre male e di
te nic esimo ^^iseri, da par propriamente, die tu £ di dove
:ratciii fuori, conlinciando io ti sia venuto il soptamm
^osi dnvvero ; ma cer ne’ discorsi; aspro con te e coa-1! .fu
con Socrate. 'o
fuorci,(, APOLLODORO E Già s’intende, carissimo; perchè ia e
di me e di voi, sono furioso e deUro^
AMICO Non mette conto, Apollodoro, qugsj- ora di ciò; però,
quello di cui t’abbjan chiesto, fòlio e non altrimenti, ma
raccontac'i T discorsi si fecero. APOLLODORO Furon su
per giù di questo tenore. Ma piuttosto (9) mi proverò a raccontarvi ogni cosa
dal principio, come quello fece a me. Egli, dunque, mi
raccontò, d’essersi incontrato con Socrate, lavato (io), e anche calzato,
cosa che a Socrate non succedeva spesso; e d avergli domandato dove
s’avviasse così rimbellito; e quello gli rispondesse: A cena da Aga-
Olle. oiche ieri a’ sacrifizi del ringraziamento 0 scansai, per paura
della gente; ma gli proson ^ d un bello Ma'em' è il tur, r-
disse, che sentimento tato?
(12) mudare a una cena non invi^d m disse vuoi. ' sposi: Quello che tu
perchè noi’si mm? fiFtese anche proverbio, sicché dica
che buono P^r guerriero, C ? aue o ' ,otetò il ré ' ' ^ ^he io, Socrate, cor
presentarmi, f '' £i,. Tcinvuó di un,a r;. ona di P . ,ó-
Guarda tu d,e m. D uomo, non mvi^ ^hì;, quanto a 0^,6 rveici non inviuro, bensì
italo da te. ^^nsuUerem V ,::t:;tdi'ci6 he . 0,0,
dire, su, anScambiate che si furono queste narono. ' Ora, Socrate
^soenava, siero, fermandosi per istrada, ^ ® che gli
ordinava di andar pure innanzi. trovò quando fu giunto alla casa di
Aga o, aperta la porta, e gli venne incontro caso
ridicolo. Perchè gh Un ragazzo e lo condusse dove e Convito i giacere, e ii
colse, che stavano per nf- cenare (17). E appena Agatone T j
disse : O Aristodemo, tu arrivi in punt
^ ' 'sto nare, s’intende, insieme con noi. venuto per
qualche altra cosa, rimettila Anche ieri t’ho cercato per invitarti
^ m’ò riuscito di vederti in nessun luogo (ìst come mai non ci
conduci Socrate? ' Ed io
disse mi voltai addietro e non in nessun luogo Socrate che mi
seguisse; Si risposi che io ero venuto appunto con Socrate invitato
qui a cena da lui. Hai fatto bene ripigliò Agatone, ~ lui dov’ è ?
Dianzi, egli era per entrare dietro a me - 0 dov’è? Son tutto
stupito. Ragazzo, o non t’affretti a guardare, riprese
Agatone e non ci meni qui Socrate? e tu,
Aristodemo, dice, sdraiati accanto a Erissimaco, E, mentre il
ragazzo gli lavava i piedi, perchè si mettesse a giacere, un altro dei
ragazzi, raccontava, tornò annunziando, che questo Socrate, ritiratosi
nel vestibolo della casia accanto, se ne stava li fermo, e per quanto lui
lo chiamasse, non era voluto entrare (20). 0 che strana cosa tu
dicil disse Agatone. 0, dunque, non lo chiami da capo e non seguiti?
Ma nientaffatto lasciatelo stare. riferiva d’aver
detto; anzi Perchè lui ha
quest’usanza-; dovunque si trovi, ira ( ’ Ja
las ripresa 1 ’fs - 1
dStènoùUsi. iP : M '’ÈbbePe.
Sf he vói volete, gi e tg ' ' 7urittura ?rleervi-, il dte io on siedili fate COMO ìSSU’’^’
. epoi mai invitati da voi, 'C’ppe 'T S ve
11- eSble a l to'ìttateci iti ssi principiarono a
c, raccontava, ess p ^„atone pm ^ m Socrate ^X' socrate, ma Aristoè 'r^ór óhft.ie.ilopo hmd S .oaonlope™' ,„a,emte; s era
tanto lungo, con ^ Aratone- si. che a mezzo della . Qua,
Sopiva solo a giacere ti ^ e _ disse idea sapiente, che
vXlo; giacchi. ^ ?::róhtóvó.a,euti-ip™' mosso. ^ S.,rebbe pur
bene, dis- Socrate sede, e Sa V -Agatone, se la
saptcì . rete dal più P''™ t,ei Wechtol l’ l i'r tdo ci tocchiamo; come p,u
„„ filo di latta, scotte ^ P' ^ j
rosi, io 0 . Chi, se 1' : forchi di molta ;o molto lo starti a ’
^jj,|,j,pito da te. Ila sapienza io sarò, pcn sarebbe tti, la
mia, quando j. siccome un so-hina c disputabile, g'^c rigoglio la
mentre ò splcmhda e pien, ^ 1., ITONE, Voi. /-Vt
Convito tua, che da te ancor giovine ha sf„i COSI gran Juce
ed ha brillato diana^'® co pm d. trentantila Elleni per testiSo?'
Tu sei un impertinente, Socrat ^’ 5 ). Agatone; se non che questa dell^. f'^Ose .
quistione che decideremo anch’essr qui a poco, prendendo Dioniso^
ce (27); ora, per prima cosa, mettif^'^'^ a cena. Dopo ciò, raccontava, Socrate si
mettessi- giacere ; e quando lui e gli altri ebber finito a -
cenare, facessero le libarioui, e cantato l’innò all Iddio, e compita
ogni altra cerimonia ('28') si voltassero al bere; ma qui Pausania
principisi a parlare in questo tenore: Bene sta, amici disse come
faremo a bere fi p,u a comodo? Io vi so dire in ve- ità che mi
sento molto aggravato dal bere di cri. ' POSO, e cosi, vate ’ ’ g'^^chò
jeri ci erabere ! in che modo
potremmo bere fi pm a comodo. bene rispose : Di ciò tu
dici certo nel bere . comodità li jeri ' vocile io sono
degli annaffiati ^euiiieno ^^ tito Erissimaco figliuolo di
uùa cfsf ~ bene davvero; si sente in fnr,,' f gna sapere da voi, come per bere
Agatone? c neanclie io ^rispos^^'
^ f ^oC.„.„--rep '>®Sre’p (tra per me e po ne una . ^„3tra, P
.entissrmt ne rci''’^ se v ' ’ ' } ntianto
a nor > „ ci alto. perche, q^t^n ^i m t strac '''Socrate
e aU’altra, >:rradatto ^'7:,n. to, delP-i, si chiamerà
dunque, li arante^ o 1 altra. g-i
senta vogha ? a eh nessuno tie’fcse^ Olfo vi. , ? r sia
vai.™- ^ aire la
medicina La ta o %5lS'3sri- giorno innanzi. j^pse
Fedro acanto a me, di obbedirti, prendendola
parola massime, in . ;';^bediranno anche gh altri,
medicina; ma ora ti odo se si consigliano bene. unti di non
Sentite queste della lor rmfare dell’ubriacarsi il ^ piacere ’
nionc, ma di bere cos ^ poiché s’e Or
bene, - ripigliai Jo^.pole, e non a deciso che ciascuno beva q _ pp’
altri sia nulla di forzato, fo dopo proposta; cd è che si
congedi la son trata or ora; lei
suoni per conto suo ^''® piace, alle donne di dentro, e noi si n’ il nostro tempo a conversare. E su
qn^p getti, se siete contenti, ve lo proporrei ’ AI che tutti
diceva acconsentissero c 1 ' tasserò a fare la sua proposta; sicché
Eriss' riprendesse: II principio del mio disco^r! conforme alla
Menalippe di Euripide h > non è mia, bensì di questo Fedro
qui, la / che son per dire. Fedro, di fatti, se'ne lag sempre meco.
Non è intollerabile, dice, 0 Eris'' siraaco, che ad altri Dii si sian
composti da’ poeti inni e peani, e all’Amore, che è cosi antico e
cotanto Iddio, nessun poeta mai, di tanti che B ce n’è stati, abbia
composto un elogio; aiui se vuoi guardie a quei bravi sofisti,
scrivano’ si, gli elogi di Ercole e di altri eroi in prosa per
esempio l’eccellentissimo Prodico ; è questa è anche meno da stupire, ma
io stesso mi sono g.à imbattuto in un libro d’un sapien- l’mTfA’
lodato soprammodo per c drpcV simili cose tu ne veconto 'Tiolte.
Fare un cosi gran al mond ^ l’Amore, nessun uomo <i esto
inneggiarlo fino a così! (ir') n ' Uu tanto Iddio trascurato
n ragione ’ Fhk^ ^'PPosgio
e\l'l ’- P '’e, che nelli „ e
insieme mi '' 1 che siamo occasione s’addica, a . se
pare eli l’ecidio. Sic >nchca voi, c’intratterremo Erissi '^ ' ;rLrto
l^on ti direi di ó ®.ri ' Ù™^™ì di niente sostengo di ot j, Agatone c ®,U amore U?- .-^„fone. t,e sostengo u. . . ^gaiuL^v- '
’ fi di cose di Vende, Aristofane, ! e neanche, /,, nè alcun altro
E Mutto Dioniso e A to 1 ^^unque la parafa io vedo qui. f Jo
l'ultimo CsiaP-VP-ritrimi avranno detto,.tiPlU Clic . Ug
auDiuiiw ;’n. rie peri P iranno detto nsto- se non che, _,
Su via, con bbastanz oa (S)’,uona
fortuna C39;> P 'Amore. . assentirono tutti, e feA ciò anche gh
Però, di tutte cero lo stesso invito di Aristodemo si rile cose che
omscun > „,ia, di cordava appuntino, t P_^ P^^ tutte quelle che npet _ ' ehe a me parve di memoria e i
discorsi d quelli c fossero tali, un per uno (.qOA VII
discorso di FEDRO, a-,co raccontava che E per il primo, come
dm, Fedro cominciasse a un n maravighoso tra grande
Iddio fosse l’Amore, e mar ® r Convito gli uomini e tra
d;: 7 ' B 1 essere tra i più antichi T la- g’AMORE ni vi
sono, ni si citano j, ''S' itotì di nè prosatore nè poeta; Està
prima fosse il Caos, dice, nni I ^ terra Dal largo
petto, d'ogni cosa sede' In eterno sicura e Amor. Afferma, che dopo
il Caos queste dn. nascessero, Terra e Amore. Pannenide che la
Generazione Pnraissimo l’Amor di tuttiquanti Iddìi pensò. con
Esiodo s’accorda Acusileo ; da tante i'chiss antichissimo. Antichissimo, poi, com’egli
è. ci è causa dei nulfa^dr ’Op eli certo, non so di un
appena giovine giovi più diunorr !-^^' ^ all’amante
viro di tri ^^PPoichè ciò che deve ser'’ene Qiip f intera
vita a chi sia per viverla la ricchezza Parentela, nè gli onori, nè
benencll’nn ^ 'ont altro può insinuarlo cosi tiuesto?
La' come l’Amore. Ora, che è egli 'azione
nei brutti, l’emu nè privato qualità
nè C tlà nè privato ' v .. u,. ijuam.i > c belle Opere pui S^ado di
compiere grandi i o ' ac è tróv affermo che un uomo ^ crarla da ^ qualche brutta cosa ti
senza difendersi per vi hcri .'' ^ dagU amici nc n^cche egli soprattutto da
E li^,/da ^i-U’amato, che ^ Q^to vediamo neh, d
esser feria' Pantano, n.i Sechi:, se aie vi ( f ts.
P Ji ;.
iiez^a esercito si c P modo di reg T^’non ci i-orc di quello
di con uS tre I Sauendo gli 11 ' i;c r;bbcro,
s.o pe, dire, li accanto a„ ^mjni tutti quanti ( 44 )- Idre
in ponW S'' esser sdsro disertsre i,è un nonio che ’/.e' lo ammetterebbe Vsr he eWrrrrriue nitro i 1.,,.
persoir direbbe morire più volre^ ; prima
che questo, ^ in un pencolo I serro, bbnmlo r^„
„ „ ehe aon dargli ajuto, no
.^g^be d’un divino l’Amore di per se P di pm vaspirito di virtù da
che Omero B lorosa indole (46). E, coraggio m dice,
nvere un Idd P^ ^p,,ato taluni croi, questo 1 An da lui negli
amanti. Vili fi sono disposti a E si, che soli .
8 Xe
uomini, r morire per sli-^i ?''^'’testimonianza,
quanto le donne. E di ciò,-,inla di Pelio, che basta, agli Elleui
Alceste Sglmola C sola consenti a morire per il marito s pure
aveva padre e madre; i quali essa, pe f d’amore, tanto superò
nell’affetto da farl- rere estranei al figliuolo, e non appartenen lui
che per il nome. E per aver compiuto a ^ st’atto, parve n’avesse compiuto
un cosi bei[' agli uomini e agli Dei, che, avendo pur niohi
compiuto molti e belli atti, ad assai ben pochi det tero gli Dei
quest’onore, di ricondurne quassù l’aninia daH’Inferno, ma la sua la
ricondussero D compiaciuti dell’atto suo. Tanto anche gli Dg;
pregiano sopra ogni altra l’osservanza e la virtù di Amore (49). Invece,
Orfeo, figliuolo di lagro, lo rimandarono via dall’inferno a mani
vuote mostrandogli un fantasma della donna per la quale era
disceso, anziché dargli questa stessa, poiché, come un citaredo che era,
s’era chiarito di animo molle, e gli era mancato l’ardire di morire
di amore come Alceste, anzi s’era ingegnato d’entrare vivo nell’inferno. Sicché
per questo gl’inflissero una pena, e lo fecero mo- E rirc per mano
di donne; in quella vece Achille, figliuolo di Tetide, onorarono e
mandarono alle isole de’ beati; perché egli, saputo dalla madre, che, se avesse
ucciso Ettore, sarebbe morto, dove, non uccidendolo, avrebbe,
tornato a casa, finito vecchio i suoi giorni, 80 osò prescegliere,
andando in ajuto a Patroclo amante suo e traendone vendetta, non solo
morire per lui, ma soprammorire(53) ^ lui già uscito causa gli Dei, soprammodo anci
essi compiaciuti di lui, l’onorarono partico- rmente, perchè egli aveva
tenuto in cosi gran Conv <’
racconta fiaBd Escbf \„,ante di
i o^di Patrono era te?'®? col d> ’ ’ non solo -j^n. :!^àoi^^\fdcgy^
^ZXo^to, come dice %eUe> giovi ® ^Lhe -llE>cio o’'^: AMARE ;
per6 0 n arato >1 „uage
dell’amante, an :.3 '' mv 0
a f r '' ri 17) E P ? Setok
de’beati. - S^te^idS ret ato e in morte
W). Di questo tenore / ùssero termi altri ehe „., dopo im ei
li saltando recr-,sìrieordav.gran ta m. ’.j^„,l, dicesse, a il discorso
di t'ausa oisoonsQ m DlSCUi<e2>v \ e ci si
sin lon bene, o Eetoo- ^ P-'J,èssere,osto il soggetto f ^ i,re
Amore. Foi plicemcnte invitati ad elog^^^^^e bene, ma %e l’Amore
fosse uno^^^,gU uno, 0, e’ non è uno. or, n
lSi Convito coiivieii meglio dire prima qual^ i
amndi io „,i sforzerà a corregge^
cloanrc quale Aurore bisogna lodare P-i ;,n erodo degno dell'Iddio. Perche,m’,f d. che Afrodite non è senza Amore PP'
''^o fosse una, uno sarebbe Amore- due C6o), anche due è necessità
che ^ siano ( 60 . E come non son due le De ? più antica e senza
madre, figliuola di Ciel„ appunto nominiamo celeste - l’altra da
Giove e Dione, che appuntò chiamTainr^l gare (62). Quindi, è necessario,
l’Amore J deU’una, chiamarlo a buona ragione volcrare ^1 leste
l’altro. ^ Ora, gli Dei si devono bensì lodare tutti (6A-
pure, ci si deve provare a dire le qualità sortite da ciascuno dei due.
Imperocché (64) ogni azione ha questa natura; di per sè nè buona è
ne cattiva. Ciò per esempio che noi facciamo o il bere 0 il cantare o il
discorrere, son cose di cui buona non è per sè stessa nessuna; ma
ne -tra, per il modo com’è fatta, riesce tale; perche fatta bene e
rettamente diventa buona, così appunto l’amare im ^ buono c
degno d’elogio; quello che bene incita ad
amare. L’Amore, veracemente icello con
cui veracenii quello CC IL X
adunque dell’Afrodite volgare è vo gare, e opera a caso; ed esso
è amano gli uomini abbietti. Amano cUc i S'O'.
iricoo 1 ^ ^ piuttosto I costo^ ''%i che più stoUac P '^ ^àrdavtdo che a sod- o non
ng^'^^'^Xintenù. Onde Dtr' i,e P ^^ \orc, se V occasione,
sen'- '’ '^,cUo di cn' ' il contrafa
®’ //>! ^Perocché es ^p\\’altra, e p.<oca „„iH nascita sua celeste da
contro >’A' . '%Tfe ,mto, .00
t'p tési 0 poi cruna e „,aschio > P appunto si rivol 5 ' ' li
lascivia ( 69 ) prediligendo dtscl.io 8Vispi. ^Tme8'lo lofo, fc per natura pw forte iigenaa. ^
^l'^^^^rnte riconoscere jelh T afooo® i,c oaiotcn- 1>
t® ' Scindono gii ' ?„'lata.'>r>
Sfitto,SO g.-J ;jSrrro pcchò q o i. frisoUtto 0 ot ad amare, sono P „„„,e l’intera '.to. col tancinllo e
vvere n co orto e non gii,dopo 'f ; ; óra di senno,0. come giovine, co P uotsi
di corsa prendersi beffe di 1 . 'ol,,,o, fan altro. Vi dovrebbe '' on
fosse i cMli non si amino r afffncbl n^^,,^ ^
a cosa spesa di mo ta cuta^ P .poanto a ' 0 fine dei tandnlli dove 6 ’ ora.
> e virtù d’animo e d. corpo Convito mettono
essi questa legge a sè proprio volere; se non che bi sogneS lor cotesti amanti volgari, come appunta,82
il pm che per noi si possa, a non . libere (73). Chò essi son
quelli volto l’amore in vituperio, tanto che tal dire che turpe
cosa sia il gratificare T ti C74). E dicon così, avendo l’occhio V
di cui vedono l’intempestività ed poiché, di certo, nessun atto compiuto
ordin mente e conforme alla legge potrebbe co.rrT gione arrecare
biasimo. E appunto la legge, che governa 1 amore nelle altre
città, è Exdle ad intendersi poiché nei! concetto uno solo ; ma
qui varia. Dappoiché nell’Elide e nella Beozia e dove non sanno
ragionare, unica legge è questa che é bene gratificare gli amanti, e
nessuno^ nè giovine nè vecchio, direbbe che sia male ; affinchè, credo,
non abbiano a durar fatica a persuadere i giovani con ragioni, inabili
come'sono ^ ragionare; invece, in molti luoghi di Ionia, c m molti
altri è riputata cosa turpe, tra quelli lutti che son soggetti a’ barbari
(80). Di fatti, Ira 1 arbari, per ragione delle tirannidi, si
reputa ^ turpe questo, e così ancora ogni studio di sapienza e di GINNASTICA.
Poiché quivi, m’im- giova a chi governa, che si gene- o alterigie
grandi nè amicizie d’offnt g^giiarde, quello che, non meno
prattuttn l’Amore so’^sperienzrfirr^^^' ii^parato per ini anche di
qui; chò l’amore di -.rnona- Cosi dove disciolse la lor sig
^^^^fjcare gli salda, di cosa sia il g ^,.^,,c7.^a r SSo
delUsoverchlena jiriaa^'’ ' l’hanno effemminatezza dei
dei quella vece, dov^_ a sia in ^n n V.cposto hanno (84) fo
di quelli che cosi dispo^ p., bella, e com XI
I,uperocchè (85) chi nJii bello r amare aper ottimi,
:s„!esop„ o>£frs -. e ancorché sieno pm cabile
incoraggia altra parte, chi -a nqualcosa mento da tutti,un
innamodibrutto; c che il co brutto, e la rato par bello, non cO q
lode, legge ha dato licenza a chi j quah, ;?ndo sia per
conquistar^ ; ^\,„que altra chi osasse fare per correr
raccoglierebbe ca da ' 'dfppoUtó, s P ''^ i maggiori biasimi,- , q q averne u di cavar denaro a
qualc^'^J^ ^solvesse fido (90) o un altro g^Jo I 9 amati, 1
a fare quello che g > un quali nelle lor richieste dormite
sulle implorazioni e giuramenti C
i) ), e servono ' servo tollererebbe serv,v
^ dagli ann-ci e’daC,''' sua adulazione e abL ^ elli vJ monendolo e arr^ ^ '^'ezione
fq.x ' Petatid! f-- li cosrreT
'' .? > li i- P rn. „ Sr,^ me a
q„dIo che effetti L ' ^ to. E il pii, tecribile r' ' S
a meno dice )a geme, s„,o J,,? ' 'l ,
co . gli_ Dei perdonano, se trasgredisci poiché giuramento
Afrodisio i f^. CosihannoefhDefri, licenza accordato a chi ama ogni
legge di qui. Da questo lato terrebbe, che nella citf\ nn t 1 ®’ o
ne l’amore7- ' '' simo e
amore e il mostrarsi amici agli amanti. Ma Jlh VV’ P^dri,
preponendo pedaS g I 3 gh amati, non permettono che discorrano cogli amanti, e
i coetanei e gli amici ) \ itnperano quando vedano succedere
qualcosa di simile, e i vecchi, d’altronde, non inter icono cotesti
censori, nè Ji biasimano, come se non dicessero giusto, uno, che per
opposto ^ardi^ a tutto ciò, stimerebbe che qui una simile cosa si
reputi bruttissima. Ebbene, la cosa, credo IO, sta così ; non è a mi solo
modo ; eh’ è ciò e ie s è appunto detto in principio, eh’essa non
sia bella nè brutta; ma fatta bellamente bella, ruttaniente brutta (100).
Ora, bruttamente è, belT^ gratifichi un malvagio e in malo modo;
niodo^'^'^p'^ quando un uomo probo e in
probo malvagio è quell’amante volgare, che Convi 0
„on L i r< >'
^^' „;, la ìia. P '' '^ ' 1
/Ilfscors f fprmo Ip IpfTffC l>
' nresto, perchè s' L' r esser preso p crrutinitore, truuo 1 esse p scruti
tempo Aprp da denari e ua- P l ' òl il lasciarsi prendere da
s, sgo;;Ucii è brutto, sia eh (loa) non menti e non resista, s^ e
par disprezzi. senza dire che da cJ sia nè ferma nè
stabile, s .^^Ha i sauna
nobile rbellan.entc deve
leiTge nostra una sola y Dappoiché a noi Saio gratificale n.i d questa è la legge; ^'f Vrervitù verso l’amato servire
spontanei qualunq ^^ulazione, cosi s’è concluso, che non,està non
vitupeun’ altra servitù sola spon oggettorcvole, quella che ha la v'rtn p
Chò appunto ò ammesso n quando uno si risolva a niH ^ ii noi, perchè egli creda di diventa^r^m
ài',''di lui o in sapienza o in qualun
virtù, questa servitù spontanea no pur essa brutta, nè sia
piaggeria ? ? Pqueste
due leggi, - quelf ch^ regf/? dei fanciulli e quella che regge Pai
sapienza e di ogni altra virtù (foj) IT4 correre al medesimo, chi voglia
che to™^?' Il compiacere l’amato all’amante. Chè qual? insieme
s’incontrino l’amante e l’amato, ree nt ciascuno la sua legge - quello
che qualunque servizio egli renda agli amati che lolompTc! ciono,
giustamente lo renda, questo, che a chi sapiente lo faccia e buono,
qualunque ufficio egli presti, giustamente lo presti, e l’uno, potente
d’intelligenza e d’ogni altra virtù, ne dia, a tro manchevole in coltura
e in ogni altra sapienza, ne acquisti, allora si, queste due concorrendo
in uno, egli accade, e sol- tamo cosi, che bello sia il compiacere l’amato
all amante, ma in altro caso no. In questo, persino il trovarsi ingannato non è
punto ùi ogni altro, o che tu sia ingannato 0
^,0. ti porta bruttura. Perchè, se uno che a\- ricco avesse per
ragion di ricchezza perto i?' '^ ’ ^™vasse deluso per essersi sco-
n^en brutto^-^'^^ Povero, non perciò gli sarebbe ’ perchè un siffatto
uomo dà a di B I anin .0
suo. a>ep perché buono c P .j„y;ore egU stesso,
diluì diventare Lll’ ' '^ ' poi deluso, P bello
l’ÌBga’ anche questi da a divede^ I,£t 0 V P™ ^T'r^ ''^.1 diventare mighore 5
.^ontro, e la ter chicchessia; e quest . bello per '. ?ella
cosa di tutte. Cosi, £ di virtù comptacere ^ Celeste, I
' Questi ù r Autore della D 1 di gran pregio alla \ amante
' ài .Uri - sopra dì st q volgare. E
qaesK sono dell’ultra Deu.d ^ all’improvviso sono, 0
Fedro, le ’ ^ er la mia parte. intorno all’a\more IO t arreco
p „ aiacchè i sapienti Fatto pausa assonanze - avrebbe
m’insegnano a fare di q a. ^ere Aristofane; dovuto, disse Aristodemo
discorre ^ se non che gli era o per _ p ^ altra causa venuto il ^aco il
medico: -di parlare, sicché disse ^ ^^i O EriS’siquesti giaceva nel letto op
cessare (m) maco, il dover tuo e ^naié il singhiozzo, o
di P^^' Erissimaco rispose; non mi sia cessato „..rché parlerò m
E io farò tutteddue le cose, l n' ™cc, c sato, in vece mia, p „pi, SP'onao
li . guarda se il f P che ì jg r . nendo,1 fiato per „„
peaaetto .t S' E gargarismi coll’acqua. Se o. fa'^ lascia vincere, e
letichi il naso e starnutisci ; e quando ®olqiiesto una volta o due, ti
cesserà molto forte. _ O parla d„„,re Stofane io farò
così. ^n- Ed Erissimaco principiò a dire : Dunque, siccome Pausania,
prese bene le mosse del di- i86 scorso suo, non l’ba compiuto a dovere,
mi par necessario che io mi deva provare a metter la fine al
discorso. Di fatti, che l’Amore sia duplice, pare a me si sia distinto
bene; però, eh’esso non risieda soltanto negli animi umani nè abbia
soltanto i belli per oggetto, ma molti altri siano gli oggetti suoi, e
risieda anche altrove, nei corpi, cioè, di tutti quanti gli animali, e
nelle piante della terra, e per dir cosi, in ogni cosa che viva, a
me pare averlo appreso dalla medicina, 1 arte nostra, come grande e
maraviglioso Iddio egli sia, c a tutto si distenda e per le umane e
le divine cose(ii2). E comincierò a dire dalla medicina, anche per fare
onore all’arte. La natura dei corpi ha il duplice amore aneli’essa,
cd è questo: il sano nel corpo e l’ammalato Convito 5
.-no per consenso di tutti,
cosa diversa e dissi- rnile- e il dissimile desidera ed ama cose dissidi
i sicché altro è l’amore che ha sede nel
sano. -Itrò t quello che nell’ammalato. Siccome, dunque,
secondo ha detto or ora Pausama e bene gratificare i buoni tra gli
uomini, male i Snaiosi; e cosi anche ne’corpi é bene gratificare quanto
v’é di buono e di sano in ciascun Spo e si deve, - e questo fe ciò che si
chiama arte medica - e invece male il gratificare quanto v’é di
cattivo e di morboso, e gli si ^^ ve far brS 0 amore, questi è
l’uomo sopra tutu intenderne d medicina. E chi sa farli mutare, in modo
dm in ricambio di un amore si acquisti J Mi; ;n
cui l’amore non sia, ma bi- tro, e in farcelo nascere, o, quando
sogni generarlo., -uesti sarebbe davvero un valente artenc i,- ip
rose che vi sono di f7^ ^n-unaanù
l’altra nemicissime, e la -nnnste il freddo 0 U ™ ' , 'vi vi. -sr
aX tra tali „„asti(ii7)
PO^ti ed pio, secondo la L credo, dico io, è
T,.a\rco. r gìnnaSca O'ii e l’agricoltura.
La musica poi. Convito' per poco che ci si badi, si vede chi.
stesso tenore, come forse anche p ’deiu .87 dire;chè, quanto alle parole,
egh^n me bene. Giacché dice che
l’uno si accorda con sé, come armonia lira. Ora, é grande assurdità
17 i'
un’armonia discordi n rieri,,: j. ’c,
che B discordanti. tuttora
derivi da cose tu Se non che forse voleva dir sto, eh’essa nasca
dall’ acuto e grave discordi; priiTiii e dopo consenzienti per opera dell
musicale; ché, certo, armonia non nascerebb ^ dall’acuto e grave
discordanti tuttora; ché armonia é consonanza, e consonanza é un consenso; ora,
consenso è impossibile che provenga da cose discordanti, finché
discordano; e quello d’altra parte, che discorda e non consente, è
impossibile che armonizzi : appunto come il ritmo nasce dal veloce e dal
lento, discordanti da prima e poi consenzienti. In tutte queste cose é la
musica quella che mette il consenso, come in quelle altre la medicina,
generandovi un amore e concordia vicendevole. Sicché la musica, alla sua
volta, é scienza dell’amoroso nell’armonia enei ritmo. E nella
composizione stessa dell’armonia e del ritmo non è punto difficile
discernere l’amoroso, né costì v’è il duplice amore : ma quando
bisogni usare del ritmo e dell’armonia cogli uomini, sia componendo, che
e quello che chiamano niclopea sia usando rettamente di melodie e metri
composti ciò che s’é detto educniione qui c é la difficoltà e c’ é
bisogno di buono artefice. Poiché torna da capo lo stesso discorso, che
gl> Convito fine che diventino più uomini J non son
tali in tutto, perbene quelli che tenerlo
caro, e bisogna_ gffceleste, l’amore della ce- E invece
quello di Polimnia leste Musa Ci 7 j> jj deve amministrar con t
il volgare, n qnm ci col< a bensì cautela a chi 3’, ?n-eneti
punu incon11 nostrale gran cosa l’usar tinenza, i-ome nei -scinte
dall’arte della rettamente nè colga il piacere .cucina,
per modo e nella musica : dJsrdS’1
-™-' ^'^enl^l^X'ddu^qtes\e indura-^ JlTrquando le
co^ caldo e il freddo, coll’altra, e forin un 'ontempéranza sapiente. nVmo un’armonia
e una coma ^ vengono apporta ne ^ pinate, e agli
uoniiiu c nrln in
quella vece non fanno punto diventa il più fo e rumore
infetto di molte cose c fa nelle stagioni dell ann ^ jogUono esser
generate danno. Di lam P malattie
diverse d. ..di cagiom. d. <>, le
piade; c 1 tanto negli aiiiniali c _gù miscono dal brinato 1 '';„ „ Labpr0PP V accesso e disordine
risp amorose, la cui scienza de' jielle stagioni degli anni si'
c1h; as^i ^ Di pu. ancora,
ci sacrili.! tutti e presiede I arte divinatoria, p ® a cui vicendevole comunione degli
dei'èoar'a non hanno altro oggetto, se non Pose. risanamento di
Amore. Chè >' suol generarsi, quando uno
non grati£ ordinato, e onora e venera in ogni suo questo, ma
l’altro, si rispetto o VIVI 0 morti, si rispetto agli Dei; dove aT
punto è commesso all’arte divinatoria di vigilare gli amori e sanare;
sicché, da capo, 1>arie divinatoria è operatrice di amicizia tra gli
Dj! c gli uomini mediante la scienza di quali tra le propensioni
amorose di questi tendono al lecito e quali all’empietà. Cosi molteplice e
grande, anzi, in breve, una universale potenza ha ogni Amore; però la
maggior potenza la possiede, si presso noi e si presso gli Dei, quello la
cui sodisfazione è nel bene accompagnato di sapienza e giustizia; esso
appresta ogni felicità, e ci mette in grado di convivere gli uni cogli
altri e diventare anche amici agli Dei, migliori di noi. Ora, ancor
io (136) forse nel lodare Amore tralascio molte cose, non però di
proposito. Ma se ho tralasciato qualcosa, spetta a te, Aristofane, di supplire;
o se tu hai in mente d’elogiare l’Iddio in qualche altro modo, e tu 1’
elogia ; ché ti é anche cessato il singhiozzo. Q.UÌ,
Aristofane, presa la parola, cominciò) raccontava, a dire: Si, è appunto
cessato, non file io ali abbia applicato lo star: richiedi iili roihoti e
ptent, quii l tr ;Ó Lrnu.0 . Pd
’W'
ho dppliccto lo su,™ . c nW -
g p 1 d '
'; ';'i ™ rl sV 'per cominci ™ P ' >
' Tu burli, man ^ ^j^ella al
discorso tuo, ’^ioTcX Vdire' qualcosa di ridicolo, mentre ^
avresti potuto parlare bene, E Aristofane, ridendo, P istare Erissimaco, e sia per
non a farmi che me n esca SI stanno per . che sarebbe
un guarg o to’S;.™ >i ' _ e or cedi di f p 'dj (' >
r:.:o„rpdrrr.rm-.p .Mn. d
stare. Discorso di Aristofake cominciò a dire E in
vero, ménte di discorrere in Aristofane lO q^jella che tu e
una maniera diversa ^ pare che gh Pansini die
fitto. pottor uomini non abbiano pu Convito di
Amore, chè. se l’avessero con,„ mnakato in onorsuo i maggiori ' fcbbcf, e celebrato i maggiori sacd£i,
noS che di tutto questo non gli si fa SI dovrebbe fare più che
altra cosa D Perchè è, tra gli Dei, il più amico dcel essendo
soccorritore loro, e medico di ^ dalla cui guarigione deriverebbe la
felicur giore al genere umano. Io, adunque, mi sCf^ . a dimostrarvi
la potenza di lui, e voi ne sarct maestri agli altri. Ma vi bisogna per
prima cosi intendere la natura umana, e i casi di essa. Ab antico,
di fatti, la natura nostra non era quella medesima d’ora, bensì diversa.
Chè da prima E erano tre i sessi umani, non due, come ora, maschio e
femmina; ma vi se ne aggiungeva un terzo, partecipante di tutteddue
questi, del quale resta oggi il nome, ma esso stesso è scomparso.
Allora, di fatti, v’era e la specie e il nome uomo-donna che partecipava
di tutteddue, maschio e femmina ; ora non ne resta che il nome a vituperio.
Di poi, l’intera figura di ciascuna persona era rotonda, colle spalle e i
fianchi tutt’intorno, e di mani n’aveva quattro, c gambe quante le mani, e sul
collo tondo due visi, simili da ogni parte ; su ciascuno poi de’
due visi posti 1’ uno di rincontro all’ altro una 90 sola testa, e quattro orecchi, e due
membri, e il rimanente, quale da ciò si può congetturare. Camminava poi si
ritto, come ora, per il verso che voleva, e si quando si metteva a
correre, reggendosi sulle sue otto membra andava via lesto facendo la
rota, a modo di 57 Convito quelli che,
\MssT,'’poi. ^ ^ s ’ Xchè il Maschio fu in origine protre e
siffatti, p, della terra, e il terzo genie del sole, ^ ^^eddue,
della luna, giacche partecipava d’i quello e di questa)- ^^gVianza co’loro progenitori,
cammino, per ® ® terribili per forza e per Sicché in
principio grandi e assalirono gli Dei. r .litri Dei si
consultarono Sicché Giove e g i ^ stavano che cosa occorresse
loro^dj in dubbio ; che nc a fulminarla nt di farne J P^^^bhero scomparsi insieme come t
celebrati dagli uomim; e gli onori, e 1 imoerversare. Infine, „ea„d, volevano If f 'X ,4
E' mi pa- Giove si formò a fané. uomini esire disse
avere un LholffU?). cessino stano e insieme, P ra - disse - H
spardalla petulanza. Giacdr tirò ciascuno m dtie, ^ noi perranno pib
deboli, e mstenmj^diritti ché cresciuti di nunier^, . ^j^e contisopra due
gambe. Ght P luiino a imperversare, e non vogliano stare quilli, e
io, disse, li segherò da capo ''' due, sicché cammineranno sopra una
gamba s 7 saltellando. E detto questo, tagliò gli ®
mini per il mezzo, come quelli che tagliano ] sorbe per salarle 0 quelli
che tagliati le povj E col capello (149): e a quelli che tagliava,
comanda ad Apollo di girargli il viso, c metà del collo dalla parte del
taglio, peròhù r uomo, guardando il taglio fatto di lui, si conducesse
con pili misura; il resto lo medicasse. E Apollo girò il viso, c col
tirare da ogni parte la pelle verso il ventre, come si chiama ora,
vi fece, a modo delle borse a nodo scorsoio, una sola bocca, c la
legò nel mezzo del ventre, tgi quello che si dice ora l’ombelico. E le
altre grinze ve n’ era rimaste
tante le spianò, e rassettò le costole, servendosi di un
istrumento, su per giù come quello dei calzolai nello spianare
sulla forma le grinze delle pelli, e ne lasciò alcune poche, nel ventre e
nell’ombelico, per ricordo dell’antica jattura. Or bene, quando la
creatura umana fu tagliata per il mezzo, ciascuna metà desiderando l’altra
le si faceva incon- gittandole attorno le braccia, e avviticchiandosi
runa all’altra, poiché si strugge- H vano di risaldarsi, morivano di fame
e d’ogni altra sorta d’ozio per non voler fare nulla l’unO senza
dell’altro. E ogni volta che una delle metà morisse, e l’altra
sopravvivesse, la sopravvissuta ne ricercava un’altra c le si
avviticchiava) 0 che s’imbattesse in una metà d’una intera
onna, quella ^i^g chiamiamo donna
Mio,. Giove, omo; 0 I o ''
^ li oerchc sino avendo ® oonip
pudende, pej rfn terra,
come le che meSin^e, così sul negli nlm, diante quelle la femmina
niediame .tll’abbraccio. se un uomo con questo fine, eh
onerasse, e la specie s> imbatteva J^ttesse maschio con
esistesse, e se im ^^are insieme, maschio, venisse 1 ’' ^ a operare.eprene smettessero, e si rnolg
dulia vita. \\ Tini è un contrasse Ciascuno, dunque, come
le gno d’un uomo, ulte eiasogliole; uno due. S inten scuno
cerca il contrassegno insieme uomini che sono come un taglio di
qu che allora si chiamava i(omo-ioM a, son di donne e i piti degli adulteri da
questo sess son proveiiun; e così q^- sesso, Convito 6o sono
taglio di donna, le non badano di molto a^Ii uomini queste, ma hanno
piuttosto il cuore alle donne ed il sesso loro è quello da cui prò.
vengono le tribadi, aitanti poi sono taglio di maschio, vanno dietro al
masclùo ; e sinché sono ftnciulli, come particelle che sono di
maschio, amano gli uomini e si compiacciono di giacere - con questi
e tenerli abbracciati, e son costoro ’ i migliori fanciulli e giovinetti,
chè non v’è nature più virili di loro. E v’é chi afferma, che
questi sieno degli svergognati! bugiardi; non è già per svergognatezza
che cosi fanno, ma per ispirito di,baldanza e virilità e ma-
sciiiezza, appetendo il simile a sé. Una gran prova n’è questa; soltanto
costoro fatti giovani riescono uomini da attendere agli affari pubblici E
diventati maturi, mettono amore ai fan- li ciulli, c di nozze o di far
figliuoli non si danno pensiero di per loro, ma la legge ve li costringe;
quanto ad essi, son contenti di vivere gli uni cogli altri senza
ammogliarsi. Sicché un siffatto uomo diventa addirittura amante (i
i) di fanciulli od amato, appetendo sempre nei due casi quello che
gli è congenere. Ora, poi, quando C un amante di fanciulli, o
chiunque altro s ini colla sua propria metà di prima, allora è
una maraviglia come si struggano di amicizia e m trinsichezza ed
amore, tanto da non volere, per cosi dire, separarsi gli uni dagli altri
neancie per un minuto. E questi son coloro, che riman gono insieme
l’intera vita, e non saprebbero neppur dire, che cosa mai vogliono che
per opera dell’uno succeda all’altro. Giacché non pn' t Siòn rinsien''® . .v, ciascuno dei esprimere,
Lm ^ralcos’ altro, cbe tjo ^ ^-ee ^’ 'Tl nrc%ti ^ /' eoel’instr'if^'' „ia ha £ se Elesto, cogl
in cnimm sopra di > {. rnai, niano, si domandasse onera delI.icceda all’altro? ^dasse da
incerti della risposta, ^.^^nrel’uno nello stessissimo luogo
n nt notte - potervi lasciare l’un liqnefarvi e eoachè se desiderate nhe
siete, diven^ilarvi insieme,,n tiate uno, e sinché >
morti, comune come uno \i,m invece di due anche laggiù
nei reg ^^^^^date. se è questo morti uno solo (i6 ^^ddisfatti,
quando lo che ’ inmo bene, che, sentito ciò, nessuno,
proprio nessun darebbe di avere strerebbe di volere altro, . ^
desiderava pure propriamente sentito qu,j, ^to diventare da
un penzo, unito e fuso coll ^to di due uno. E la causa nò questa,
cne, nostra natura era si desiderio, adunque, e all.
d;\ nome amore. eravamo uno; E prima d’ora, come dico, i
ora, poi, per la malizia nostra, sia paniti di casa dalla mano di
Dio, come i- Arcadi da quella dei Lacedemoni. Sicchfc^ ' cogli Dii
non ci si conduce come si conviene ^ v’è da temere, che si possa essere
segati da capo’ e si vada attorno, come le figure delineate dj
rilievo sulle tombe, tagliate per il me^o dei nasi, diventati a modo di
dadi cotisunti. Anzi per questa cagione bisogna che ogni uomo
esorti B ogni altro a condursi piamente verso gli Dei, perchè
alcune si sfuggano, altre si conseguano delle cose, a cui Amore è guida e
capitano. A cui nessuno faccia nulla in contrario; e fa in
contrario chi s’inimica gli Dei giacché
diventati amici dell’Iddio e rimpaciati con lui, ci succederà di
ritrovare- e incontrare i propri amati nostri, il che ora accade a pochi.
Ed Erissimaco non mi s’immagini, per canzonare il mio discorso, che
io parlo di Pausania e di C Agatone; forse, anche loro sono di quelli,
e tutteddue maschi da natura ; se non che io parlo di tutti, e
uomini e donne; chè così la stirpe nostra diventerebbe felice, se dessimo
perfezione all’amore, e ciascuno s’incontrasse nel proprio suo
amato, tornando nell’antica natura. E se l’ottimo 6 questo, è necessario,
che di quanto è oggi in poter nostro, ottimo sia quello che più vi
si avvicina. E ciò è il ritrovare un amato, fatto secondo il proprio
cuore. Del che, se s’inneggia autore un Iddio, Amore è quello a cui a
ragione spetterebbe l’inno. Amore che ci è di moltissimo giovamento
nel presente, poiché ci riconduce nel proprio, e ci dà le maggiori
speranze per l’avvenire, se però noi,i .-.età v W sii a
Só-'r-' xvin j il mio discorso tr.rno ad Amore, di'crs ^ ^ canzonatura,
t „%c p- g ; . r, ' ir.„d,c
a pari P' quelli che rimangono P ^ Socrate,
rimangono, di fatti, §, racconta che Ma io taro a tuo n do^ j,,,1
„o rispondesse Enssimaco ^P ^^p^ss, discorso sono
valenti in cose che Socrate e A^a dovessero esd’amore, temerei g' ^
^-ose oramai si sere
impacciati a ’ ^ro fiducia, son dette e cosi
perchè E Socrate rispose; dóve sono 94 tu te la sei quando avrà
discorso,ira..uraro, perché io mi turbi, che il teatro sia in grande
aspettazion me, che io debba discorrer bene. Sarei d^avvero uno
smemorato, Agatone, soggiunse Socrate,
se, avendo visto 1 raggio e Palterczza con cui tu sali su pa^
co insieme cogli attori, e guardi in accia ^ gran teatro, quando tu
devi rappresentare 1 componimenti, e non ti mostri sgomento un poco,
ora credessi, che tu ti debba a cagione di questi pochi che siamo
Ma che !, riprese Agatone, non mi cred Socrate, cosi pieno del
teatro, da ignorare ne che a un uomo di mente fanno più paura n
persone di senno che molte senza. Certo, Agatone, non farei bene, ripigliù
Socrate, se pensassi di te nulla men che gentile Anzi io so bene, che se
tu t’imbattessi in-persone che tu reputassi sapienti, ne saresti in
maggior pensiero che della folla. Ma, bada, che noi non si sia già
di quelle; perchè noi ed eravamo in teatro e facevamo parte della folla.
Però, se tu t’imbattessi in altri sapienti davvero, ne sentiresti
tu rossore, quando tu credessi di fare qualcosa di brutto? (170) o come
l’intendi? Dici il vero rispose l’altro. E della folla
tu non ti vergogneresti, se tu credessi di fare qualcosa di brutto?
Dove Fedro, raccontava, interloquendo Caro Agatone mio, dicesse quando tu
risponda a Socrate, non gl’importerà più nulla di nulla, di quello
che qui succeda comunque succeda, purché abbia soltanto con chi
conversare lui, specie con un bell’ omo. Ora, Socrate io lo sento
conversare volentieri ; ma a me è necessario aver cura dell’elogio di
Amore, e riscuotere da ciascun di voi il suo discorso. Dopo
sodisfatto ddio ciascuno conversi poi quanto vuole. Ma tu
parli bene, Fedro, disse Agatone c
niente m impedisce di parlare ; non mancherà poi occasione di conversare
con Socrate. .v mponÌ!n,tntt, c non li mostri T pocoi
ohi credessi, chr f.® r® ®,, ^<^ ^chc:t;Td:vTiÉ^
cagione di questi pochi che l- ^ ^WÈÉ iS^. . MucheJ rbrese Agatont’' Socrate, cOS\
rneno del teatro, da'i'! ' f^.
-cheuun nòmo di munte.(anno p®, ' itrn> ''.ihr rt \ ^ P'I Jf m Futdjo che:
molte-ci Jo. A.-atc-uc, nonfiiiti htne, - nv'l,> -.MJ.S - se p s I di :c nalla uicn chè£ - t so bc ^,
cho se tu l’imbattessi fe?:tB r.epntf.
-i rapanti, ne Sare.sti inV,.’-1 r^’ero che deiia folla. M.s, bada-
die .UU fiJ, d! c, parchi noi cl tuati-0 e fflceaamo parte della
folla. Petò,fc.,r ^ t’iaib.ittcssì M :iln-it;. p{cnti davvero-, nc
scw.h - tu t-o$.sore, quando in crcdtssi di -fare quaì. -li
brullo? o come rintendi?
rtk'ci 11 Tcro rispose Taltro. . il j- . .in f>>}lii tu non
ti vergognerusti, t ti i di f.)ro qualcosa d! brutta? 4 -’’ l odro, raccontava,
inierioquetido->~ <S^’j^'t UO, -- dicesse quando tu ris;- V
v^:Tàfé. jpon priuaporteri più nulla^ji ' f iUo che ani succeda coinunqyu .^ucc ' M,-i.!:
hb abbia s-^tanto con.chi
convcrj.at5glui5^sj^^' ::;con un bairomo. Ora, Sgcirate/lo
converj^ret'oitn litri ; ma a me è jiccessarww^^ tra ik'ir elogia di'Amore (tyt) ^
erlscuoicr -ciascun di voi il suo disco^-'; .C>opc? C^ ^ l'Iddio
clascuuci conversi poi qyaj 4 l? J Ma in p,i. li bene,.Fedro,
c niente m’impedìsfc di parlarci nph-manv:, poi occasione di cons etsare
cori .Socrate. „ ni AGVrONE Discorso o’ priwa ha?
discorso T’c'ct > P^'^ ^’%arabbiano l’ldd\o poi dire Cn
^ non,. .. ^o dei beni, pvand gli uomini nup\e essendo i
-- 'Chiusi l’Iddio; r/ntsuno
l’ba di n tutti cotesti beni ^% ure, d’ogGi lode go
quale di quali cose E cosi è g^Jf egli u discorso sia
075; stesso quale eg bello, egli ^^/osiff^to. D P^ ge d
più giovine degli Dei, g foggu di 'quesm suo tratto eg smsso,
P,e,oce b fuga la vecchiaia, P dovere ci arrii almeno
assai pih pres p aver a a’ fianchi. Ora, P neanche di
lontano, iu odio e non le si acco, ^ ^ ^^^6) ; -b E
sempre co’ giovani usa e sempre bene sta 1’ antica oute - . consen col simile
s’accompagna ( questa non ziente con phio in conscio,
che lui gc di lapeto O? )- C vanissimo
tra gl’ Iddii c gio\ gli antichi fatti intorno agh Parmenide dicono
(179), esse di Necessità, e non di Amore, se pur sero
il vero; chò non si sarebbero viste
tazioni e legamenti vicendevoli ed altri violenti atti, se Amore fosse
stato tra lor^b^’ ® amicizia e pace, come ora, dal di che sopra i
Numi regna. Dunque giovine eguT P e oltreché giovine, delicato: solo un
poetà gli fa difetto quale Omero, che mostri la delicatezza di lui. Ché
Omero afferma, che Dea Ate sia e delicata, almeno delicati sieno i
piedi di lei, poetando: I piè di lei son delicati; e il
suolo Non tocca; dei mortali ella sui capi Cammina.
Ora, è buono argomento a mostrare la delicatezza sua, ch’ella non sul
duro cammini, ma E sul tenero. E lo stesso useremo noi argomento a
provare di Amore che delicato egli è. Che nè cammina sul suolo, nè sui
crani i quali punto teneri non sono, ma nelle più tenere cose e
cammina e dimora. Perocché nelle indoli e negli animi degli Dei e degli uomini
la dimora pone, e nè in tutti gli animi del pari, ma dove in uno
s’imbatta d’indole dura, va via; dove di tenera, vi s’accasa. Poiché
egli, dunque, e co’piedi e con ogni sua parte è a contatto delle più
tenere g(5 tra le tenere cose, è necessario che delicatissimo sia. Sicché
giovanissimo è e delicatissimo, e di giunta fluido di forma. Ché non
sarebbe neU’enU ' ( !?'. C o s p o^. iorf , M , l ''?Si
AmP pos ' ''’,jvveoen '^ „nso di ^
guerra sempre. .! P T Wer. d
irM chè f del colore, ad
anima e ctó.a So.e o cta ' K' I soggetto la Amore; e
dove f ner£, non s’accoppa A, Todoroso loco sia, 1 P fiorito c ou pernianej
iiMddio e basta sin Orbene, della 0' Jella vlrtì d’A ore
qui e molto resta a g U principaltsconviensi dopo quella P ^ offesa
nt sinio è. cito Amore ^ ^,84> di Dio o a Dto nc -tUre
eo'U stesso, s Perché nfc per violenza non tocca ^ qualcosa
patisce; - eh ^ volontario i; in tutti il servigio ' ^ jj^ reme (t
5) > assente a volente, h legSh, giustizia,
affermano che giusto sm- ^ ^i^sinaa. Peroc; è provvisto di
temperanza ora^^ ^ ^esidern chè si consente che vince P non
sia temperanza, e che p gè sono da me, v’abbia piacere essuno- O questi è forza che sien
soverchiati soverchi : ma se piaceri e desidp t.(. E quanto a coraggio adr^ P^^tut
pure Are contrasta. Chi n (, Amore, ma Amore Are possied^'^am^
Afrodite, secondo è fama (188) or ’l di tiene in poter suo il posseduto
é più coraggioso d’ogni altro, debbe esli certo il più coraggioso
di tutti ^'?®5' della giustizia e temperanza e coraggio dS'r? d.o
s’è toto; resta ddk sapiens,; SI può, bisogna provarsi a non ometterla
(looT E da prima, perchè io per la mia parte lodi l’LÌ nostra, come
Erissimaco la sua, poeta è l’Iddio sapiente per modo che rende tale
altrui; almeno diventa poeta, ancorché pria fosse di Mm privo, quello
cui tocchi Amore. Il qual suo tratto ci si addice usare a testimonianza
che Amore, in somma, è artista buono in ogni creazione che attiene alle
Muse (192); dappoiché le cose, che uno o non ha o non sa, non mai le
darebbe ad altri, nè le insegnerebbe ad alcuno. Oltreché la creazione
degli animali tutti, chi vorrà contradire, che non sia sapienza d’Amore,
quella per cui opera gli animali tutti e nascono e crescono? Ma nel
magistero delle arti, non sappiamo, che quello di cui questo Iddio si sia
fatto maestro, rinomato è riescito ed illustre; quello, cui Amore
toccato non abbia, oscuro è rimasto? L’arti del saettare e del sanare e
del divinare Apollo trova, guidato da desiderio e da amore sicché anche questi
discepolo saria d’Amore, c le Muse ne appresero musica, ed Efesto
l’arte Zi ^^ ’ le cose dCo' amore, s m c
' onpoirto 1 ft-i genererò, vive
d'.C ''chfe^rn brutte..^ ’ jf di bellez5-a. priircipro ^
o;ndc>,„„onzi, _An SI narra (, ai bellez^-' '’, principro u- - inna®'. si ^ ; terribili eventi,
-t^ecessità % i nsi s ; /
ts -s ' Vantare
Amore, es-o Fedro, a \ ^ e ottimo, dipoi 1 sr: Ji ,. .,
mar cairn ,„ ai,caco, . s> D
attesti <i’0B i „ empie che cl atvttOta, e d'ogni mgunate degli
tttt. tmelia, egli. ’S ttnSsero, aeUe e cogli altri instttttl che s, o,gli m. ezaa „ei coti, nel
saenfien g, benevolenza inspira, selvatichezza sband .^^^i^ordioso
ai largo, di lenabile,
buoni (zoo), a sapm ^ custodito d bile-, invidiato da chi n F
. dilettosa, na’rlcco, di re ').'';, '? grazie, di brama, i ^
; m trav g > tore dei beni, timoniere, ' paure, in
pencoli, m ^ ^tore ottmm, di I marinaro, commilitone quanti
gli Dii c uomini adorm bellissimo e ottimo, che ad ogni'?,? '’ seguire
innepiando e prendendo pa?? canzone, eh egli, molcendo ]’intellel
gli Dn e degli uomini, canta (203) 'ti
auesto discorso, dice, o Fedrh sia parte offerto in voto all’Iddio,
dove di s^T dove di misurata seriet.^, in quanto ir, perato. duando
ebbe finito Agatone, tutti, disse Aristodemo gli astanti esclamassero, che il
giovi- netto avesse discorso in maniera degna e di sé e dell’Iddio.
Sicché Socrate, volto ad Erissi- maco, dicesse : O figliuol d’Acumeno, ti
par egli che un timore da non intimorire m’intimorisse poco fa e
non fossi invece profeta nel dire quello che io ho detto dianzi, che
Agatone avrebbe parlato mirabilmente ed io mi sarei trovato
nell’imbarazzo ? DeU’una cosa rispondesse Erissimaco mi pare
che tu l’abbia indovinata, che Agatone par- B lerebbe bene; ma che tu ti
troveresti imbarazzato, non lo credo. E come, beat’uomo ripigliasse
Socrate non mi troverei imbarazzato cosi
io come chiunque altro, che dovesse prendere la parola dopo la recita di
un cosi bello e svariato discorso ? E il rimanente non ò stato
altrettanto maraviglioso; tua sulla fine, quella tanta leggiadria di
vocaboli ® __ me. di clràdo di dir nulla, scndr'^- non
sarò ^^^i^zza, per poco - s> ^-’Cia
^lla vergogna, se C sono t'^g? Vaiscorso m’ha rrchu- \ia. Giacchi-_ occorso 1 caso d’
Omero (ao/b Agatone lanciasse^ e nu faGORGIA, E ho capito
> ''X s. ->^r: '?dS ^ 1 stato davvero ndmo, q p^^te
rSHiSSi che D Sa ; S S lualunQue cosa. biso'^ni dire
il ' ì, _ m’immaginavo, che o ila cosa, quale si
s-^nto; pd, scelto del ; che questo fosse 11 ^ia acconcio vero il
meglio, pot ^,He
avrei di E presumevo gran c del ino scorso bene, ). Invece, si vede d di lodare ogni
cosa ^ era gìcose V’ha 1 VVt
'nenzognere, età cosa^^a mila. Giaccnc s - f., v
Amore, o dascuno di noi paia di lo razzolando a che lo lodi,
n 1'P
X cono ed A . ogni patte, e tale, e aotote i c
affermate eh egli :rj.r ^ T™' n b |,.S i-l.£ M io noncoò c;:o'rn, H'' ' chè non lo conoscevo, mi so no i!
'' '®’P ! r I ?ì ''io
all, M ,S V 3 (zio), questo
modo; non nma chè la lingua ha promeslò la Adunque, addio elogio; che ì„
odare a questo modo ; non potrei. plT lete, il vero, si, non ricuso di
dirlo di nr^®' e non rispetto ai discorsi vostri perché S. rida
dietro. Ora, tu, o Fedr^'^guarj™f discorso COSI ti fa prò ; sentir dire
il vero di Amore c n quei vocaboli e quella giacitura di senteme
che mi verrà per prima alla bocca. E a questo, raccontava, Fedro e
gli altri Pili- virassero a parlar pure nel modo, che a lui paresse di
dover fare. Ebbene, Fedro Socrate riprendesse permettimi anche, che io
faccia qualche piccola interrogazione ad Agatone, affinchè prima io mi
abbia C alcune concessioni da lui, e poi, così, discorra. Ma
si, lo permetto; rispondesse Fedro interroga pure. Dopo di che oramai
Socrate avesse cominciato, su per giù, di qui. Di certo, Agatone caro,
tu ti sei introdotto bene, m’è parso, nel tuo discorso col dire che
prima bisogni mostrare quale egli è, l’Amore, poi E
7 ^ . . „vi va a gen'O . Q^^^sto in ogni altra,re Ji .
via, esposto qnaW HS - 'S’e.WB
’'^ Teg'''r? D up questo t- ^8 ^ nulla ^ D f ' . L> ' di
q0 ' d,c o
di ma ad’a^f jj padre e
cgir P. ondere a dolere. fp^rfi' 5
t ma'drd del pat>’ p
anche a questo. jjspondinti Assentiss ^ . y^^sse gallo ciò
I Or bene, -- tu intenda me„ poche altre cose^ P ^^^. dassi :
O 'r;srid^c;.-o.t-e,,o,.tr 'qualcuno o
no? Rispondesse, c D’un fratello oDicesse di si.
domandasse dis^SSSaSrsulVatttore.^^ Di^qualcosI ciottissimo-
.^„gesse Sotanto questo. 1 lo desidera o O Di certo
r'sp'^ Ora, desidera egli e ai sesso della cosa che desidera
^ j. sedendola? ^ nr,-,-. ama;, 'aoti
Pos. B V D Non possedendola, par
naturale Guarda-riprendesse Socrate natura e, non sia necessario,
che dera desideri ciò di cui è manchevoI ^ desidena dirittura,
quando non ne l ''o role.
Tu non puoi, Agatone, immagi„are ’' ’'-
5 aia necessario a mw ^ Quanto grande, es
paia necessario a me; o a te pare? E anche a me dicesse. Dici
bene : vorrebbe forse chi è ser grande, o forte chi è forte?
Impossibile, dietro l’intesa. Perchè, appunto, non
sarebbe-manchevole di tali qualità chi le ha. Dici il
vero. Percliè, se uno che è già forte, volesse esser forte ripigliasse
Socrate, e veloce uno eh’è veloce, e sano uno eh’è sano... giacché
qualcuno potrebbe credere, che queste e simili qualità, quelli che son tali e
le hanno, desiderano quelle stesse che hanno; sicché questo io lo
dico, peichè non ci lasci trarre in inganno or bene, costoro,
Agatone, se tu la intendi, devono pure avere nel presente ciascuna delle
qualità che hanno, o le vogliano, o no, e queste, oh citi mai le
desidererebbe?. Però, quando uno dicesse : Io che son sano, voglio anche
esser sano; ed io che son ricco, voglio anche esser ricco, c
desidero appunto queste cose che ho, noi
gli risponderemmo Tu, amico, che possiedi ricchezza e sanità e forza,
vuoi possederle anche o
tu le l’^'- .,,,o qtiello eh e ^JpSesse ' V untare
^ ^ O non t in proi^ ’ Z che non si ^ ancora t P^ aò
l^!^ il inantenerntt pe r ksic^®’ j presente? ' 0 no -- '’ 'Tchi nque altro il 1 '' ^ E questi, Lello che non
tiene desUeri tuttavia, desi
J „on ha e t mano e al cui h manchevole. .e
egli d i desiderio e Vamotc n Sr- -tSse. ^,„cr.te-ri.ssu^LLvia.-coimlnd-Socm^^
mianio quello d. OT poi, di co in primo luogo, e u di cui
patisca difetto Si - affermasse. ^ente, Jt che Ora, per
^etto che l’Amore sia. tu nel tuo discorso hai „,ente im
Anzi, se vuoi, te giù questo; che Tu hai detto, credo,assetto
per via d agli Dei le cose ^ ^i bruttezza non amore di
bellezza-, g a detto su p potrebb’ essere amore. giù
cosi? rispondesse AgatoneSi che l’ho detto - risp par]: da
galantuomo . e, ora, se è rnci,>^ 4 ) Socrate; ora e 0 Acconsentisse. ' on s’è rimasti d’arr a CIÒ di cui è in difetto, e che 0 am Si - dicesse. >ia?
É in difetto, dunque, di bellezza a non l’ha? ^aiore, ^
Necessariamente affermasse Che dunque? quello che è in difetto di
1,, lezza, e non possiede bellezza per ness^ì^ ' oh lo dici tu
bello? ^ ^sunmodo^ No davvero. Ebbene convieni tu
ancora, che Amore sia bello, s’egh è cosi? E Agatone Risico,
dicesse - 0 Socrate, di non avere inteso nulla di ciò che ho dettò
dianzi. Eppure hai squisitamente parlato, Agatone - C
Socrate ripigliasse. Ma dimmi ancora una piccola cosa: il bono a te non pare
anche bello? A me si. Se, adunque, Amore difetta di bellezza e
se bontà è bellezza, anche di bontà, dunque, esso
difetterebbe? Io rispondesse non saprei come contradirti; sicché
sia pure come tu dici. Alla verità, amato Agatone concludesse ^ tu non puoi contradire; chè a Socrate non
i punto difficile. e U discorso in- ^ io giorno d Dio£ ora „ r-he sentii nn ^ ^,rno iteXe cose,
e una Tdeila peste, fece, col àP ^''\gli Ateniesi, pt'ttj ^tardasse
loro di olia agli _ .ricrifizio. cbe la_n^e m quella appunto
cit ^ g, eh’essa jgcianni,qu ^ ^ discorso, outi fra ose
d’antore, punti cou tenne, lo, roverò a ripetervel, p
Agatone, nu P c g’intende, Ag ' e il #> '
impano la via. teogo .1 modo che tu hai ape VTcorrere
chi l’Amore J facile £ fcriiua discor ^ che P . ?!
lco.,amo si. quello,^ -t iroono,e,io-og ^'^ „,es.^ Tma
Agaldno a me, '^ Èlei, cose che ora Ag bellezza.
f' 'do me'còlle stesse ragioni con cui^t^^^^ sSo cosmi, ., ne n d^o. come l'inmo^ ;r
tinta; ò brutto, adunque, ^.^p^tto? D lei-'' o - /;Sp ciré non s.a
belio, rese o credi, clte 4 brutto? Icbba
necessariamente esser Certissimo. O anche quello che
rante? o non senti, che tra sapienza e ignoranza Coni
E che mai? L’opinar rettamente e senz’essere di dar ragione, non sai, dice, V
sapere; poiché come sarebbe mai coV^- '
naie la scienza? E neanche é ignoranz' '' ®' che apporsi al vero, come
mai sarebbe ranza? L’opinione retta è appunto cosi'®,?' cosa di
mezzo tra intendere e ignorare ’ Dici il vero risposi io.
B Non forzare, dunque, ciò che non è bello a esser brutto, o ciò
che non è buono, cattivo. E ! così anche l’Amore, poiché tu stesso
convieni che non é buono né bello, non credere per ciò che deva
essere brutto e cattivo, ma una cosa di mezzo, dice, tra questi.
Eppure, diss’io si conviene da tutti, che é un grande Iddio.
Da tutti quelli, intendi tu, che non sanno o da quelli che
sanno? Da tutti quanti a dirittura. E lei ridendo O
come, Socrate, disse converrebbero che è
un Iddio grande coloro, i 0 quali dicono ch’egli non è neanche un
Iddio? Chi costoro? dissi io.
Uno tu, risponde, e uno io. E io domandai : Come mai dici tu
questo ? E lei Facilmente rispose : perchè, dimmi ; tutti gli
Dei non dici tu die sono felici? O che ardiresti tu dire, che
alcuno degli Dei non sia felice? io no possiedono 'A'„ oo v.n to, Di non
to’ desidera, appunto, a'^ ,4 e boto '' eoo t in dite
’ 0 come Tni^ r^nt: oto aneto A To'^aedi
un Dio? . dissi .sarebbe maiVa^more? Che,
dunque, tortale? r f; '''ltpto''e-un eto di metto Come
prima V rti! to,Dio.i’’ >^ inno B il demoniaco e un
il mortale. - diss’^E quale possanza ^gU ^ei D’intetpmte '. f oni, degU um, nomini, agli uomn ^
n^^jjjjii, deg’^ smettendo preghi ^^rrifizh . . pgr mandi e
rieambii de. a fb,,„i, nenipm pe t nel meato tra gl’
n Convito modo che il tutto resti colleentr. simo.
Attraverso di lui pasfa 'r? I
na tutta quanta e quella de’ sacS saenfizu c le iniziazioni. Dio
non si ^ ì uomo; però ogni conversazione e coll Dei cogli uomini,
sia desti, sia addormì per mezzo del demoniaco che la si fa p > ^
i che è sapiente in simili cose, è uomo d ^ ^ chi è
sapiente in ogni altra cosa o dUrr'^' ' mestiere, ò un manuale. ^
urte 0 (li 0^a,di questi demoni, 1 Amore è un, 1 ~ ^
CS^i ò suo padre - dissi io - e chi suà ve ne son
molti e diversi : E chi madre ? É lunghetta, risponde,
a narrare; pure te 10 dirò. Quando nacque Afrodite, gli Dei
celebrarono un banchetto, e v’era cogli altri Poro 11 figliuolo di
Meti (218). Quando ebber cenato, ecco che arriva Penia per accattare,
perchè era luogo di scialo; e girava attorno alle porte. Ora, Poro
briaco di nettare, chè il vino non c’era peranche, era entrato
nell’orto di Giove, e vi s’era, sopraffatto dal sonno,-addormentato;
sic- C chè Penia, macchinando per la miseria sua di avere un
figliuolo da Poro, gli si mette a giacere accanto e concepisce Amore. Ed
è per questo che l’Amore diventò seguace e ministro di Afrodite,
perchè fu concepito nel giorno natalizio di lei, e insieme è di sua
natura amante del bello, poiché anche Afrodite è bella. Perciò come figliuolo
di Poro c di Penia, l’Amore s’ebbe questa sorte ; prima eh’ egli è sempre
povero, c tutt altro che delicato c belio, come i più credono, anzi duro,
e squallido e scalzo, e senza 8i D dormendo
avanù | r nò oi i-sofist ’ ^ e\io stesso g' mudre e p Inta
^ada bene del padre, ' T rVa Ìe<l
? Sero Aii >''' Chi h t ® ret e -- ^TXìSn:
Se.' tr fi S>s; . sri'S- Sf' :.,.eh..o.e.0„ _ disse - ^ V e -li ole„„
raBSs . q e ^ apP ' ^jd't '! um e altri, e d q cose pmbell
^rio clic Amore sla filosofo, Convito egli sia un che
di mezzo tra sapiente e rante. E
di ciò gli ò causa anche la sua; perchè lui viene, si, da padre sapiente'
^'’!? molti ripieghi, ma da madre non sapiente e se ripieghi.
Questa, dunque, è, amico SocrateT natura del demone; e l’aver tu
ritenuto Amore fosse quello che tu hai detto, è stata una C svista
da non doverne fare le maraviglie. credevi, come a me pare congetturando
dalle tue parole, che Amore fosse l’amato, non gii l’amante.
Perciò, credo io, l’Amore ti appariva bellissimo. Chè di fatti l’oggetto
dell’ amore è il veramente bello e il delicato e il perfetto e il
beato ; invece, quello che ama, presenta un’ altra idea, quale l’ho
discorsa. Ed io ripigliai Sia pur così, forestiera: chè tu
parli bene. Ma se è tale l’Amore, di che uso è agli uomini? D
Q.uesto, Socrate rispose mi sforzerò d’insegnartelo ora. Dunque è tale l’Amore,
e nato a questo modo, ed è, come tu dici, amore di bellezza. Ora,
se uno ci domandasse O Socrate e Diotima, che è egli mai l’Amore di bellezza?
Ma lo dirò più chiaro cosi: Chi ama la bellezza, che ama egli
mai? Ed io risposi Che la diventi sua. La risposta dice desidera
quest’ altra interrogazione : Qjuello, a cui la bellezza diventa sua, che
n’avrà egli? Io A rispondo'' 1' uundo, si sei- ^ i. 8' ' f p sé ' ' ! S bello e li
down'.rd;iééoo>d,' rs. Socrate, su. diventi suo ^ Snti suo, che
n’avrà,.,,nriparpihage- aos 3 sarà felice. possesso del bene Di fatti. -- dtsse
domandare son feli<^' '
vuole esser felice; an Trite ^bbia qui termine. ^'’dIcì
la rquesto amore, credi Ora, questa vo uomini, e eh ?
-noTav t empfe il bene? o come
tutti desiderino di avi. dici tu?, rnmune a tutti. Cosi -
dissi to _^-jsse lei non dt0 perchè mai, Socrate lo clamo che tutti
diciamo che amano stesso e sempre, ma di alcuni e di
altri no? ._anche io. Me ne maraviglio -- dissi ^ noi.
Ma non te ne maravig i i^ chiamiamo sceverando una specie e
.^ig q nome t col nome del tutto, ass g nomi. amore; e
per le altre usiamo al Come che? - poUsis (aai) Come questo. Tu sa
atto eh cosa di molto comples causa che una cosa qualunque
passi dal n sere all’essere, è poiesis; sicché le operazic^ ^
pendenti da qualsiasi arte sono poieseis operatori poieiai tutti. ’ Dici
il vero. Eppure, tu lo sai dissé, non si chiamano tutti
poietai, ma hanno nomi diversi; e una par tirella della poiesis sceverata
da tutte le altre quella che ha per oggetto la musica e i metri’ si
domanda sola col nome dell’intero: giacchi questa sola .si cloiama
poiesis, e poieiai quelli che possiedono questa particella.
Dici il vero, diss’ io. Ora è appunto cosi dell’ amore ; la somma n’
è ogni desiderio del bene e dell’esser felice; ma quelli che vi si
avviano per un’altra delle molte vie, del guadagnare, poniamo, o
dell’esercitarsi in ginnastica o del filosofare, non si dice che amino nè
che sieno amanti; invece, quelli che mirano a una sua specie, e a questa
pongono il cuore, prendono il nome dell’intero, amóre e amare e
amanti. Risichi diss’io di dire il vero. E v’é disse un
certo discorso, che quelli amino i quali cercano la metà di sé
stessi; ma il discorso mio dice, che l’amore non sia nè della metà
nè dell’intero, quando, amico mio, non si trovi essere un bene; dappoiché
gli uomim si tagliano volentieri e mani e piedi, quando le membra
lor proprie le credano malandate. Giacché non è il proprio, credo io, quello
che ciascun uomo ha caro, se già uno non chiami pròprio il bene,
altrui il male ; comecché non sia altro iciò no-'nspos te P ' 'r'di iri - S pu6 di s' 'P' ' dtól- j„e aggl 8 'sTiv.
aSS'ffSdd - di £ non . sempre ^ Verissimo x:^v I Ora, poiché l’amore^
^fo^zo^^dT^chi'vi corre I riprese lei. la cura chiame dietro, in che modo e m q ^o sai
rcbbe amore? che opera e mai q tu dire? . ^isgi taato, o
Diotima, Non t’ammirerei- di ^. per la tua sapienza, m- q
parare appunto questo. ^ . l’opera é parMa te lo dirò io -- tisp j-ome
torire nel bello, nei rispetti deir anima. l’indovino; che
mai Ci vuole diss io vuoi tu dire? hlon ^ ™P^^ -egherò pih chiaro. Ma
io-disse lei -telo spiega Oh uomini, dice, tutf corpo e nell’anima,
e la natura nostra ha desiderio di partorire nel brutto non può
0 E cosa divina è questa - e^in’ siO tale, questo è
inmtomi;, il co .'2; rare Ora. l’uno e l’al„„ j
succedano nel disarmonico. E il ' ’' cht monico da tutto quanto il
divino bello. Sicché Bellezza é Moira ed’Flir Ì. alla generazione. Perciò, quando la?
pregna s’ accosta al bello, diventa ilare gioia sdilinquisce e partorisce
e genera i qu? ! invece al brutto, si rannuvola e per il dolore raggomitola (229), e si raggrinza e non
genera' ma, poiché vieta al feto d’uscire, se ne sente male e qui
appunto è la causa che la creatura pregna e già smaniante è presa da
ansietà molta alla vista del bello, perchè questo libera da gran
doglia chi lo possiede. Giacché Socrate, disse l’amore non è del bello, come tu
credi. Ma e che? Della generazione e del parto nel
bello. Sia pure diss’io. Certissimo rispose lei ; ma 0
perchè della generazione ? Perchè la generazione è un gene’ rato
sempiterno, e, per mortale, immortale, Però, dietro quello che s’ è
convenuto, è neceS’ sario che dell’immortalità l’amore senta si
desi derio, ma accompagnato dal bene, s’esso èamotf dell’ aver seco
il bene sempre. Sicché, conformi a questo discorso, è necessario, che
l’amore anchi dell immortalità sia amore.,pnti dunque, mi dava .
nesti insegnami’’ ’ J A,more; nfS S,i. o Socrate. '8 ' ia mi >
® taesto .mote e iel deM- : sia causa di 0 violenta disposiit' , O non „ jllorchè deside ' 1 enttano gU .t 'ti
q . i olaf''.
^ S8rlS’m reomotosamenm^ ;' ifcoSattere i per
proprio . . p si a venir meno aeiw qualunquealtro atto? ^ facciano
per virtù di ';' ''’-o' S # animali, qoale d c
raziocinio, o g rnsi? Lo sai tu dire ^ struggersi d’amor
saprei. Ed io da capo diss ^ ^ai diin cose dimore, se non
mteod, J'^Ma^ppunto per J^j 2 so''chrho bisogno or ora, io
vengo da te, peretóso ^ di maestri. Ma dimmela m e di tutt’
altro nelle cos amor Ebbene, se tu credi eh P ^ pib vohe
sia di quello che abbiamo c ^^.^a il non te ne ^ale cerca essere, P
L discorso, la natura m gitale
- quanto può, sempre può solo per questa via, per la via dell
razione, perchè lascia sempre un n'^ '^' invece del vecchio ;
giacché anche nel tratt'o '^ tempo che ciascun animale si dice vivere
e rare il medesimo, come, per esempio uno T fanciullo insino a che
sia diventato vecchio t detto il medesimo ; però è cliiamato il
desimo, quantunque non conservi mai b st ig stesse cose, ma parte si
rifaccia sempre giovine parte alcune cose le perda e nei capelli c
nella, carne e nelle ossa e nel sangue e in tutto quanto il corpo.
E non solo nel corpo ; ma anche nel- l’anima il tratto, i costumi,
opinioni, desiderii, piaceri, dolori, paure, tutte le disposizioni
siffatte non sono mai presenti le stesse in ciascuno, ma quale
nasce e quale muore. E, cosa più bizzarra ancora, le cognizioni non solo
alcune nascono c altre muoiono, e non siamo mai neppur rispetto
alle cognizioni i medesimi, ma anche ogni singola cognizione è soggetta allo
stesso. Giacché quello che si dice meditare, ha luogo perchè la
cognizione va via; dimenticanza, di fatti, è dipartita della cognizione :
meditazione, invece, ingenerando una cognizione nuova in luogo di
quella che se n’è ita, salva la cognizione tanto da parere la stessa. Chè
a questo modo tutto il mortale si salva, non col restare sempre in
tutto e per tutto lo stesso, come il divino, ma col lasciare quello che
se ne va e invecchia, qualcos’ altro nuovo, quale esso era. Con questo
mezzo o Socrate dice il mortale partecipa della immortalità, così il corpo come
ogni altra cosa: impossibile in altro modo., „ r n. ' 08 r,o siacchè per .8 xxvn me nc . ito q
! I! ;dio-s pi dubi ^ . j^.dare all’ amor
stupore, '?irfagio'^ -h aie io
ho uoiuim . ^ niente ci
i>j.jnore del di- o come si struggono d amor concependo ccn^^ e
di ventare rin eterno, lasciar di se g ^gnl
pericolo e son pronti per e consumar le sonorto a PATROCLO ^f^no,
se non avessero figliuoli per salvar loro il reg creduto, die una
immorta ppuiito conser a; loro, come apF
_anzi> rimasta memoria ^j^vvero ’ viamo noi oraf i io
credo. per imniortal virtù Convito e per siffatta gloriosa fama,,, cosa, tanto più,
quanto mieiin sono dell’immortale innamorar pS Ora
quelli disse, che so ^ poralmente, si voltano piuttosto allff^ diventano amorosi a questo modo
e diante la generazione dei figliuoli, Immortai vita, insin che il tem, Procurando , ^urì, secondo credono, e
felice e ricordata; i pregni invece nell’anima... giacché vi
sonopu, quelli, dice, che concepiscono nelle anime anche più che
nei corpi, le cose che all’anima s addice e concepire e partorire. E oh!
che le SI addice? La sapienza e ogni altra virtù, cose appunto di
cui sono generatori i poeti tutti, e quanti v ha artisti che si dicono
inventivi: però d ogni intendere dice il maggiore e il più bello è
quello il cui oggetto sono gli ordini delle città e delle case, a cui si
dà nome di temperanza e di giustizia. E quando poi uno, essendo
divino, sia da giovine pregno di tali cose nel- 1 anima, e, giunta l’età,
desideri oramai di partorire e di generare, cerca, credo io, anche lui,
girando attorno, il bello in cui generare ; giacché uel brutto non
genererà mai. Sicché, come pregno eh’ egli è, si compiace de’ corpi belli
piuttosto che de’ brutti; e quando s’incontri in una Della anima e
generosa e di buona natura, si compiace, e di molto, dell’insieme, e
subito con, honda in „ ^he studii prò- ^ ersona poomo buon
venuto ^ette a educarlo.^ ^„„,ersando con della beila
^15 di cui era ^ntan credo,
e gener {Ìa.pa^^;\cnin> ^'^to insieme con quella, %< e
alleva il ^ggior comunanza jU:,rcbe una molto gVi um ’f
figlinoi' (ai?)- ! poicbt in pm cbe e amicir-ia prn accomunati.
' immortali ftgbn®^’ lui
nascessero nTe avrebbe caro .^ando e a D chet:
0 se ti piace, .f ^.^eutone, salvatori d ^ I lasciò
Licurgo m L 1 EUade. I tcedemone, 0, per Solone per la g^n ! E
presso di voi ;Xi valenti uomini in
altri ' aione delle leggi, ed altr ^ ^.bari, luoghi parecchi,
e tra g^^f/^.ueratori di virtù autori di molte e belle per, ^ furono si.
eretti per via di tali 5 umani sinora a nessuno. E,ta qui, qu A ' cui i.. coi torso, So .’!''y„ìtivo (oi® k; ma in quello P '' queste,
quando uno procede bene IO non so se tu saresti capace. Te dunque,
io dice, e ci metterò tuttrirb ® ’
voglia ; e tu provati a tenermi dietro, se ti Giacché dice chi vuol mettersi per
la via a simile impresa, deve cominciare da gì ad andare incontro
ai bei corpi; e da quando chi lo guida, lo guidi rettamente, ama'r ' ’
uno di quelli, e quivi generare bei pensieri^ e di poi intendere, che il
bello di qualunque corpo è fratello con quello di un altro corpo- e
se bisogna andare in cerca di ciò eh’è bello in genere, sarebbe una
stolteaza grande non riputare una e medesima la bellezza su tutti i
corpi; e quando abbia inteso questo, renderlo AMATORE di tutti i corpi
belli, e rallentargli quello struggersi violento per uno solo,
facendoglielo sprezzare e tenere a vile; e di poi reputare la
bellezza nelle anime più preziosa di quella nei corpi, di maniera che, se
anche uno, ben fatto di animo, abbia del rimanente poca venustà
(241), egli se ne contenti e lo arai e n’abbia cura e partorisca
pensieri e ne cerchi di tali, che facciano migliori i giovani; affinchè da capo
e’sia costretto a contemplare il bello negrinstituti e nelle leggi,
e vedere com’esso è tutto connaturato con se medesimo; c dopo gli
instituti lo meni alle scienze perchè di novo veda la bellezza delle
scienze ; e guardando ormai a un bello già copioso, non sia, servendo al
bello in una singola cosa come domestico, un’abbietta e meschina persona,
che s’attacca alla bellezza d’un fanciulletto 0 d’un uomo o d’un
instituto unico. dclbcUoccontcmdiscorsi e ma rivo'' 'torist^^
filosofia infinita, smo k>' CV' >VTeS cWto,n<.n;.s ’-ga
fcf.a J- e SU sc.c r^ '’';Su -'SS. E gù,
E . ctato educsito sin qui alle cose Qgpetti, pressoch
srs ss qSii
pp ®’.
rrp<;ce nfe scema, e a y e ora
no, tncii cresce u^i- i-tn ne or ^ j. verso e per e
brutto in un JJ nt bello in un spu o g neanche il bello qua bello
e qua brutto come un si presenterà alla sua . p ^tecipa il
corpo, visS 0 mani o nient’ altro cm par neppure come
un discorso .^,erso, m u c eppure come m qual ^,ieio o m
animale, per esempio, uniforme s altro, ma esso stesso di P
belle tutte stesso in sempiterno, e che partecipanti di
esso pe periscono, ess queste altre si generano uà patisce
diventa punto maggior nulla. Sicché, quando uno, per aver am
fanciulli nel buon modo, risalendo dallp .. quaggiù cominci a vedere cotesto
bello all si può dire che tocchi la meta. Giacchi sto è nelle cose
di amore procedere o essT^' condotto bene da altri ; movendo da’belli
sensu^ di quaggiù salire sempre sempre attratto dal bello di lassù,
montando come per gradini, da uno a due e da due a tutti i bei corpi e
dai bei corpi ai begl’ instituti e dai begl’ instituti alle belle
discipline, e dalle discipline terminare in quella disciplina, che
di altro non è disciplina se non appunto di quel bello ; e conosca
terminando ciò che ò per sè bello (244). Questo, se altro mai, disse l’ospite di Mantinea, è il punto
della vita, degno che l’uomo ci viva, contemplando il bello in sè;
il quale, quando tu una volta lo veda, non ti parrà da metterlo nè con
oro, nè con veste, nè con bei fanciulli e con giovanetti, che
vedendo tu ora sei tutto sgomento, e sei pronto, e tu ed altri molti, se
possibile fosse, guardandoli, questi amati vostri, e vivendo sempre con
loro, a non mangiare nè bere, ma solo contemplarli e stare insieme. O che
cosa, dice, pensiamo, che debba essere, se uno abbia la sorte di vedere
il bello per sè, sincero, puro, inmisto, e non già ripieno di carne umana
e di colori e d’altra molta inezia mortale, ma possa riguardare
esso il divino bello di per sè uniforme? O credi tu, dice che sia spregevole la
vita dell’uomo che guardi colà, e quello contempli sempre e stia insieme
con esso? O non intendi, dice, che quivi soltanto, ri9>
con coi C il W' > „ n immagini di <, li non vp.ra., Kiio con a
.W, ..aa' ' ' li parto ma
vitti vera, tocc^^ una virtù vera e ncca il ^di diventare
amico di ^'riisse aVf anche gli ^1 r 70 di persuader _ potrebbe da nessuno siffatto non si
p TC aiuto all’ umana u umj^.
Moro. ' J’l'onoro io atasso (a4 ).
uomo onori Auu esercito soprattutto e c nelle
cose di am^ ^.omio la v’esorto gh ^e a tutto mio pot e.
potenza discorso tu ritienilo C Or bene, o,d Amore’, se
no. detto, se ti piace, m ^^^ba. e tu dagli quel nome,
che Finito ch’ebbe raccontava, lodassero, parlando
aveva a dire qualcosa, perch jq ecco all'imalluso al discorso di
lui- q sentire provviso la porta del au yseiù da^ un un
gran rumore come i ^ una flautista, banchetto, e si ode ^ '^^ „g 22 Ì,
non andate Sicché Agatone dicesse. o entrare se a vedere? e
se è uno di casa no, dite, che nbbiamo finito di ber E di li a poco
si udì nellS,,,! ci :0 frarlirìn urlando SI
riposa di Alcibiade briaco fradicio, che domandava dove è Agatone, e
ordinav^'j tasserò da Agatone. Sicché la flautista reggeva e alcuni
altri della compagnia^ j tarono da loro ; e, coronato di una coróna
f di edera e viole e tutto coperto il capo dì infinità di nastri
(248), lo fermarono sulla po'' ' ed egli disse: Amici, vi saluto; un
uomo, bria proprio fradicio, lo pigliereste con voi a bere 0 ce ne
dobbiamo andar via, dopo avere soltanto coronato Agatone, eh’ è quello
per cui siamo venuti ? Giacché -io dice jeri non ci potetti essere, ma
vengo oggi, coi nastri in capo, perché dal mio capo quello del più
sapiente e deh più bello io ne recinga. Forse, riderete di me
perché son briaco? Ombè, io, quand’anche voi ridiate, pure so bene che
dico il vero. Ma dite su, a questi patti entro o no? Beverete 0 no
con me? E qui tutti strepitarono e gridarono che entrasse e si sdrajasse,
e Agatone ve lo invitò: ed egli, condotto dalla sua gente, venne; e,
poiché a un tempo si levava di capo i nastri come per incoronarne altri,
non s’accorse di Socrate, che pure gli stava davanti agli occhi, ma si
messe a sedere accanto ad Agatone in mezzo tra Socrate e questo ; giacché
Socrate s’era tirato da parte per fargli posto: c cosi sedutoglisi
accanto fece riverenza ad Agatone e lo coronò. E Agatone qui disse :
Ragazzi, levate le scarpe ad Alcibiade, perchè si metta a giacere in
terzo con noi. Sicuro rispose Alci compagno no jo’uj è questo te Socrate,
e al e- - voltato ' f ^ & <r6 Dunque, da capo L ' . ii! 5 ' Tkf
' ' Pl Pi qui
sdtaU'^®.^,improvviso dove meno ffpoi ti sei messo a g^ace^
^P''lcaJto ad Ma tanto hai a o o qua dentro. uarda
luauti sono q Agatone disse, ^& E Socrate, cerchi:
l’amore che to P . nii vieni in aiuto ; P un affar fili
è diventato per m, m:;rDifatti, dal tempo <^e m or..o ' i. „rp -a D ' dTco o re Ln o-, no V sto nessuna, ne di c
invidioso fa cos qui ingelosito di J.peri, e poco manca
strabiliare e mi copr Addosso. Guarda, che non mi metta le
m^n dunque, che non faccia un d,na metti pace tra ^el
furore di costui lenza, difendimi tu, perd è addirittura
e del suo innamoram -pigliò Alcibiade: Pace fra te e me ^ jto
io ti g^ ' no davvero. Se non
ehejer p,,te girerò poi; ora, Agatone questa testa qui
L nnstri, P cM .0 e J
maravìglìosa di ’ oronaw 'e. nien pioverà, che io 1' f
ji,cofii, noi solete viiiee tuni gli 7 Platone, Vo/ 9 ^
Convito tanto dianzi, come tu, ma sempre renato. ’ ho E
qui, prese i nastri, ne cinse So mise a giacere. E quando si
fu sdraiato: Su via, amici disse a noi ; mi sembrate gente che non
T ancora bevuto; questo non va, bisogna bere; cllè cosi è l’accordo
nostro. Or bene, io scelgo a re del bere, insino a che voi abbiate bevuto
abbastanza, me stesso. Agatone porti, se v’è, un gran tazzone. O
piuttosto non occorre- porta qua, ragazzo, quel bigonciolo vedendo che
conteneva più di otto cetili. E riempitolo, tirò giù tutto prima lui;
poi, ordinò, che si mescesse a Socrate, e insieme disse: Con
Socrate, amici, l’invenzione non mi giova a nulla; questi può bere quanto
uno vuole, e non v’è caso che si ubriachi mai. E Socrate, quando il
ragazzo gli ebbe mesciuto, bevve. Qui Erissima- co, Che modo è questo, dive,
Alcibiade ? cosi nè discorriamo di nulla sul bicchiere, nè
c’intoniamo un canto; oh! berremo proprio come assetati ? E Alcibiade di
rimando : O Erissimaco, ottimo figliuolo di ottimo e sapientissimo padre,
salute. E anche io a te rispose Erissimaco; ma che s’ha egli a fare? Il
piacer tuo ; giacché ti si deve obbedire. Un medico vai solo
uomini molti; 1 sicché comanda ciò che tu vuoi. t)a
tS aS 'TSsfAS:: T .Coe ’l > Ti
Tjo che fu W So parli bene; però bad, non hanno
di fronte a discorsi ^ aguale. E insieme, bevuto, può non esser p S
gocrate ha b-ruomo. appunto addosso., disse Socrate? Ti
vuoi chetare Alcibiade -, non Affé di Posidone - P P^ f non v’ è ci metter bocca;
che io in faccia a te, no nessuno al mondo che o crei.
Ebbene, tu fa’ cosi, riprese i. se tu vuoi, loda de_? S’ha a
fare. Come dici -ripetè Alcibiade Erissimaco ? Che io dia lo gastighi davanti a ^ che hai
tu O tu interruppe Socrate ^ per il capo? Mi loderai per
canzo farai? r\ir<S W vprn. Convito An^i, il
vero Io permetto, e t! dirlo. 1
comando dSon pronto disse Alcibiade, Se io dico qualcosa di non vero ^osl
a mezzo, se vuoi, e di che quella 6 giacché di proposito bugie non
ne . Sia; '5 però le cose io le dico, secondo mi c. . in mente
l’una dall’altra, non ti stup non è
punto facile, a un uomo in quesm lo spiegare alla lesta e per ordine
roriginar à B c Socrate, amici, io mi proverò a lodarlo
cosi per via d’immagini. E forse questi crederà, che io lo canzoni;
ma l’immagine in verità avrà per suo motivo il vero, non lo scherzo. Io
dico dunque ch’egli è somigliantissimo a cotesti Sileni esposti negli
studii degli scultori, che gli artisti fanno con zampogna o flauti in
mano;i quali aperti in due mostrano aver dentro immagini di Dii. E dico
per giunta, ch’egli s’assomigli a Marsia il Satiro. E, che tu sia di
aspetto simile a questi, neanche tu, Socrate, ne faresti questione;
ma come tu somigli anche nel resto, sentilo ora. Sei tu petulante o no?
Ché, quando tu non lo confessi, presenterò testimoni. Ma non
flautista forse? Anzi molto più niira- bile; l’altro, di fatti, attraeva
gli uòmini colla potenza, sì, della sua bocca, ma attraverso
istrumenti, e anche ora, chi suona le cose di ui, giacché quelle che
Olimpo sonava, io le D lOI Convito. o di Marsia, .f^eseguisca
un buon, cenate di quello, o fi ^ causa, Si uno si'l’S ’ta'bisogno
degli Di' ;^ono, f\u gli vai tanto innanzi, d’iniziazioni. ^ ieni
quel medesimo che senza istrumen . c y Almeno, noi, S.0 0 f uii™-
Ti quando si ode discorrer^ ^i dicitore anche nulla, vi
so dire, a un altro, non ne impor te, o un altro
nessuno; gè anche chi li reciu che reciti i
discorsi tuo, ^na sia proprio un uomo a P^ ^ restiamo sba-
d„„L d ua uomo o se non lorditi 0 ' V,, per briaco, vi
rac- velessi passare addinttur p cornerei con giumme; fpoSsento
tuttora, risentito dai suoi Che, quando'’SÌ'
XìltnSmi àendo Pericle e altri buoni parlatori, io ero anima
mi ma non provavo nulla di sim, siTer^nrTa’i r^esto Marsia gui mMtanno pib volte
fatto tale renili, non sacrate, tu non dirai ai6 nel
mio stato. E ciò, o S,, mscienza che non sia vero. E che, se
volessi prestare sforza ma mi seguirebbe il medesimo. a
convenire, che, con tanti mancamenti, trascuro me, e attendo agli
aflfari Sicché io, turandomi le orecchie si Sirene, mi fo forza e
fuggo vir ' ^ invecchiare seduto accanto a costui quest’uomo m’ò
seguito quello che nessuno erederebbe di me, vergognarsi di uno. Io di
solo mi vergogno. Giacché sento dentro di non poter contradire,
che non bisogni far quello a che lui mi esorta; ma poi, appena io
mi son staccato da lui, ecco, la voga dell’aura po polare mi vince.
Sicché io lo scanso e lo fuggo- e quando lo vedo, mi vergogno di ciò che
si t caduto d’accordo. E tante volte io vedrei volentieri che non fosse
più tra gli uomini; ma d’altra parte, se ciò accadesse, so bene che
me ne rincrescerebbe assai più, per modo che di quest’uomo io non so che
mi fare. Dunque, dalle sonate tanto io che molti altri abbiamo provato
tali effetti, da questo satiro. Il resto, sentite da me, com’egli è
simile a quelli a cui l’ho raffigurato, e la potenza ch’egli ha,
come sia maravigliosa. Perché siate ben persuasi che nessun di voi lo
conosce ; ma ve lo scoprirò D io, giacché ho cominciato. Voi vedete che
Socrate ha tenerezza pei belli, c gira loro sempre d intorno e n’ è tutto
fuori di sé come mostra la sua figura; e non è da Sileno cotesto?
Eccome 1 Giacché e’se l’é avvolta per di fuori’ ' ù Sto scolpi ; B 8 o> s
r- %A rhe son levai'- ì^rp e noi
altri Ma quapi canzonare la erto, io non so se si mette sul
seno ed t p jo gl qualcuno ha visto t
s'rnulaar ho visti una volta, doversi far m aurei e
bellissimi e m ^;,enendo tutto 50 della mia bellezza, che sul
seno si fo^s^ ^ inaspettato c una mia lo giudicai un guada S P . modo, a tS,.; d' pptendera . .o ci 6 : compiacendo
Socrate ore i che costui sapeva, già ^ Sicché, con ! ne
tenevo non vi so <\ solito di CS4) ursenza
uno accompagnad- allora io P . ^,o^.a B toro e me no i™, bone attenti, e se dire tutta
f sbàttimi. Adunque, io mentisco, tu, bocrate, me ne stavo, amici, ^ meco nei didevo
eh’ egli sarebbe su i o amato scorsi che un innamorato
questo non a quattr’occhi, e ne 8 5^0^52 meco come ne fu nulla,
proprio nu s, .era solito, e dopo, passata cou me tutta nata, se n’andò. Di poi
lo . ginnastica; troverò quivi il bL ;->g-avo. Ebbene fece ginnasdcrt lottò
spesse volte, senza che ci fo nessuno. E che s’ha a dire? No un
passo avanti. Poiché non venivo nessuna di queste vie, mi parve cheV ^dovesse
assalirlo alla gagliarda, e una voir u nn ci ero messo, non smettere,
ma oramai che affare é questo. Sicché lo inlv a cenare meco,
tendendogli un agguato propri! come un innamorato all’ amato. E neanche 0
diede retta subito; pure col
tempo s’arrese. Ora la prima volta eh’e’ci venne, volle, finito dì
cenare, andar via. E per quella volta io ebbi vergogna e lo lasciai
andare; ma la seconda, fatto il mio piano, dopo che ebbe cenato,
conversai con lui molto avanti nella notte, e siccome voleva andar via, col
pretesto che fosse tardi, lo forzai a rimanere. Ora egli si mise a
riposare sul letto vicino al mio, su cui aveva cenato, e nella stanza non v’
erano altri a dormire, fuori di noi. E, sin qui, è un discorso da
potersi fare a chiunque; ma di qui avanti non mi sentireste
parlare, se, prima, dice il proverbio, il vino non fosse veritiero coi
fanciulli e senza 1 fanciulli: e poi mi pare ingiusto, una volta
che mi son messo a far l’elogio di Socrate, di nascondere un suo superbissimo
atto. E per di più l’effetto del morso della vipera ha luogo anche
in me. Giacché raccontano, che la persona che l’ha provato, non vuol dire
com’ egh k stato, se non a’morsicati, poiché questi soli
Convito _ j -inno e compatiranno, 'siccht i -r. £ o- doite s
to'’fare e dire doloroso (jorso fl P potesse essere fTX
®. e'-e'morso da discorsi me gli
s ^ ' no neggio d’una vipera,
ffamio operare Agatoni, Ens-, rte vedendomt davmi Aristofamsimachi,
Pausami, ^nsto ^jj^inarlo, e Socrate stesso, che ^ e dal
delirio tanti altri? Che sen. della filosofia siete m
voi B Poiché, dunque, amici, p^^ve^ che io ; i ragazzi
furono usciti, a P lon dovessi pigliarla larga con ^jgsi;
libera quello ^^tto - quello rispoSocrate, dormi? ^ Che cosa?se - Sai tu
che cosa ho ^ciso disse. A me diss to g ti vedo esitare
innamorato ùo degno ' questa dia farmene
parola. tJr, grande il sposizione-, io ritengo . g y’è altro
che non compiacerti anche melò e se ti faccia bisogno
della sostane-, amici miei. A me nulla è
di . deei: quanto diventare il migliore
che iT'' '' 4 CIÒ io credo, che
nessuno mi sìa aium à di te. Ora, a non compiacere un tua
fatta io mi vergognerei assai più dav persone
di senno, che non davanti alla ge stolidi a compiacerlo. E lui ebbe ascoltato,
con aperta ironia, e proL io'’ è solito, risponde: O caro Alcibiade
rTw m realtà di essere un uomo non dappoco: cade che sieno vere le cose
che tu dici di’ v’è in me una potenza per cui tu potresti diventare
migliore ; una infinita bellezza tu avresti scorto in me, e superiore di
molto alla venustà eh’ è attorno a te. Sicché se tu, avendola
vista, tenti di accomunarti con me e barattare bellezza con
bellezza, non è piccolo il vantaggio che tu pensi di prendere sopra di
me, anzi in cambio dell apparenza tu cerchi di acquistare la realtà
del bello, e pensi di barattare davvero oro con ferro. Ma, beat’uomo, guarda
meglio; che io non sia nulla e tu t’inganni. Appunto, la vista
della mente comincia a vedere acuto, quanto quella degli occhi prende a
scemare del vigor suo; ora tu sei ancora lontano da questo. E io,
sentito ciò. Quanto a me ripigliai, le mie disposizioni son quelle, nè se
n’ è detto nulla diversamente di come penso : decidi poi tu come tu
credi meglio per te e per me. Ma di ciò riprese tu dici bene ; sicché a
suo tempo ci consiglieremo insieme e faremo quello che ci parrà il
meglio cosi in questa, come in ogni Convito cpntite e Ora io.
P'' 'lomTsaW'.'’ ® loi ' reaovo aver lanca ni lafi' ' /' Vr iu. 5o réti C Latori' P jJ era <1 ly™ le mairi alvino (attorno
a q ^ cosi l’m^era no £bffrtrbtare aire,
::tiot-r:it:'t'rpt venustà mia e la P giudici che valesse qualcosa fJ / x\o di
Socrate chè voi siete affidigli Dn. affé delle giacché sappiate,
che 1, dormito con Dee, mi levai da avessi dormito Socrate, to
maggiore. I con mio padre 0 coi Ora i^oPO f 'par;
; rr lataft e la -e^po-a ' U co di lai, io che m'ero rX; ,„ai, goanto come non credevo ?orcr
}^conn^. l^^^niera che a saviezza e fortezza d’animo? Dima
10 non sapevo, come ad neanche vedevo I rinunziare alla
sua compag ’ . conoscevo il modo di conciliarmelo. invulnerabile
bene, che al denaro egli mezzo da ogni parte che Aiace al
ferro, e 1
io8 invito con cui solo credevo che si ni era
sfuggito di mano. SiLSf P^end zato, e fatto schiavo da quest’uo' ’ nbaf mai nessuno da nessun altrui-
<:ome casi m-aran,„.i seguì cenimo tuttedduela
compagna f' quivi fummo compagni di mensa cominciare,
non solo nel durar le mi vinceva,
ma in ogni altra cosa ogni volta che - son casi che succedonot- ra
- intercettati in alcun posto, eravamo os^oT- a rimanere senza cibo, gli
altri, quanto Tre? stervi, non valevano un ette. E d’altra narto banehetti,
non c’ era chi sapesse goderne Se ® lui, cosi 111 tutto il resto, come
anche nel bere- e non ci ha gusto ,
s’ei v’era costretto, vinceva tutti; e quello che è più
maravighoso, Socrate briaco non c’ è uomo al mondo che l’abbia visto mai.
E del resto mi pare che di ciò s avrà la prova subito. Q.uanto poi a
resistere al freddo e là gl’inverni sono terribili fa cose mirabili
in tanti altri casi, e una volta, essendo gelato come peggio non si può,
e tutti o non uscendo fuori, o, se pure, coperti tanto da fare
stupire, e calzati e coi piedi rinvoltati in feltri e pelli di pecora,
ecco lui, con un tempo di quella sorta, se n’esce con un mantello
come quello che soleva portare anche prima, e scalzo camminava per
il ghiaccio meglio che gli altt calzati. I soldati lo sogguardavano come
uno che li sprezzasse. D 'tee e tollerò l’uom forte
or che merita di sentirlo. Ve„ giorno all’esercrto^ m un r un
pensiero stett r! iJettendo,epof ;;teri E Csniesse. nta
^ /nomini se n’accorg;; maravigliati ^l^'^tuminando qualcosa. ente
dall’t^lba J r^g), - poicltè era sefinirla' alcuni Joni era io--' a’estate 1 \nsieroe per
spiare, se lui sa all'aria fresca, e si, in ^ ghette ebbe
stato ritto ^ non si fu levato ritto, sino a che non j^ra al sole il sole; di poi, fatta la preg.
bauase n’andò via. E ’ giusto che gh si glie-giacche questo men^^,
renda -, quando accadd esgenerali
dettero la_ palma PP^^^ nou sun altro uomo ' i salvò volle abbandonarmi
ferito. '50 Socrate, c le armi c me. E j . S si desse la sin
d’allora dichiarai a g rimp^vero palma a te, e di ciò tu n avendo i
gene- e non dirai che io tentisco-
e covali riguardo al mio gta facesti premura lendo dare la palma a
endessi io e non anche piò dei generali che i F no tu. Ancora, amici, valse
templar Socrate, quando ] in fuga da Delio; g sente a cavallo, lui
da f sbaragliati già tutti, egl Lachete, e io
m’imbatto per li à esorto subito a star di buon animo loro di
non abbandonarli. Or hf’no crate mi dette più bello spettacolo che in p
dea giacché quanto a me stavo
meno in pa?' per essere a cavallo prima, in ciò ch’egb perava di molto
Lachete, quanto all’essere p - B sente a sè; poi a me pareva, o
Aristofane,- sai, la tua frase che anche li egli camminasse come
qui, in sussiego e guardando di scancio, sbirciando
tranquillo, e lasciando scorgere a tutti, persin da molto lontano, che,
se uno lo toccherà, e’ farà difesa ben gagliarda quest’ uomo. Perciò se
ne andava via sicuro e lui e l’altro; giacche quelli che in guerra
mostrano questa disposizione, non li toccano, sto per dire, neppure;
invece quelli che fuggono C alla dirotta, questi sì,
gl’inseguono. Ora, di molte altre cose e mirabili uno potrebbe lodare
Socrate, però in altre parti si potrebbe forse dire lo stesso anche di altri,
ma quel non essere simile a nessuno nò tra gli antichi nò tra i
presenti, questo a me par degno di ogni maraviglia. Giacché Brasida e altri uno se li potrebbe figurare
come fu Achille; e come D d’altronde e Pericle, così Nestore e Antenore;
t ve ne sono diversi ; e gli altri uno se li potrebbe figurare del pari;
ma uno fatto in originalità, e lui e i suoi f ;tono. P S ù. r Jbe’ neppn^® a meno che non si asnon a
nessun uomo, ma . vho tralasciato sinora-, che Glacchèquesto to
somigliantissitni a. E nche i discorsi di 1 volesse
Sileni che s’aprono. prima gli pat' jS. p r' tts^òl p
'p ' >' rebbero da ridere, tal propriamente di
I So i 1 „S i t Satiro
petulante, p sempre e calzolai e ’ ^lodo, sicché ogni perstesse
cose nello smss aerebbe sona inesperw e priva 3, beffa
dei suoi discon . rima le vede aperti e p j^^nno lì „ov
à i soli .<!?' ' in sè pia
poi dmn®n ' „.i,o an
di simulacri di Virtù, conviene meditare con mira a tutto per
bene, a chi voglia essere una p lodo Queste, o amici,
son . quelle di Socrate; e in <^he egli m’ha cui lo
biasimo, v ho questo sol- B offeso. E, in fede nnn.non .^ne
tanto a me, ma anche tantissimi e ad Eutidemo di Diocle
^ altri, ai quali lui dando ad intendere di v 1 essere ramante, se
n’è fatto l’amato in camk-'^ d’amante. È appunto quello che dico anche te, Agatone; non ti lasciare ingannare
da lup ma ammaestrato da’ casi nostri, tienti in guardia e non
imparare, secondo il proverbio, come un ragazzo, a tue spese. Quando
Alcibiade ebbe finito di parlare, si fece, raccontava, un gran ridere
della franchezza con cui egli si dava a divedere tuttora innamorato di
Socrate. E Socrate O Alcibiade dice, tu non sei per niente briaco, mi
pare; altrimenti non ti saresti provato, rigirando il discorso con tanta
finezza, ad occultare la causa per cui hai detto tutte queste cose ; e
l’hai messo poi come di passaggio, in fine, quasi non D avessi
detto ogni cosa per metter male fra me e Agatone, giacché, a parer tuo,
io devo amar te e nessun altro, e Agatone deve esser amato da te, e
da nessun altro al mondo. Ma ti sei fatto capire; chè cotesto tuo dramma
satirico e Silenico s’è scoperto. Ma, caro Agatone, ch’egli non ne
profitti punto; anzi, fa proposito, che te e me non ci separi nessuno. E
Agatone risponde: Certo, o Socrate, tu risichi di dire il E vero: e lo
argomento anche da questo ch’egli s’è messo a giacere fra te e me,
appunto per separarci. Or bene, egli non ne profitterà niente
affatto; anzi, ecco, mi levo e mi metto a giacere, dice Alcibiade, q
proposto Jm’ba a dare lascia, to ' Iffarnii in wtto. Ma se ^ d' lomo che
Agatone si lodato niirabd u^'!: Socrate u capo nie, in uomo,
lascia ria me? (^9 onesto giovinetto che sia re e non
invidiare f^pto desiderio di
lodato da me; chè . y, -soggiunse Agatone -, no^ mai. di mutar
posto, risoluto, ora P siamo
alle sohte esser lodato da g^^ate, b mtposrispose Alcibiade, P
belle per sibila a chiunque altro di g persuasivo sene. E ' p^cUi stm
ha trovato e con clie
u giaccia vicino a lui 1 Agatone, dunque dar a
sdraiarsi accanto S ^ue .ir improvviso s i, uscita di uno, si
[ porte; e trovatele aper P ^ ^ g,^eerc, l fecero avanti m ver . ^i
a bere vino I c tutto andò sossopra e SI tu o quello che dicessero,
Aristodemo dichiarasse? non ricordarsene nel resto; poiché non
v’aveS D assistito da principio, e sonnecchia ; ma la som? ma,
diceva, era, che Socrate li costringeva a convenire, che appartenga allo
stesso uomo il saper fare tragedia e commedia, e chi per virtù
d’arte sia autor tragico, sia anche comico; del che costretti a
consentire, senza seguire gran fatto, prendessero sonno, e prima si fosse
addormentato Aristofane, poi, a giorno fatto, Agatone. Quanto a Socrate, dopo
averli messi a dormire, si levasse e se ne andasse via, e lui,
com’era solito, lo seguisse; e andato al Liceo, lavatosi, vi si
trattenesse come altre volte, il rimanente della giornata, e trattenutosi cosi,
andasse poi la sera a riposare a casa. Francesco Saverio Dòdaro. Dodaro.
Keywords: tracce di un discorso amoroso, mappatura, signature, segnatura,
cantata duale, cantata plurale, cantata duale, origine del romano, edipo,
caino, mancanza di Lanca, communicazione inter-mediale, communicazione
inter-mediale e luto, immagine e segno, senso, sensibilia, visibilia, Freud,
Jakobson, Levi-Strauss, Magritte, silenzo
silenzo silenzo silenzo Catullo poema
rima ritmo batto cuore figlio madre padre orale genitale ma-ma etymology of altro’ – Hegel on conscience of ego and
conscience of alter, Sartre on ‘nous’ and love affair – infinito – lingua a
codice – codice come ripetizione – ripetizione dei suoni del cuore – ontogenesi
ripete filogenesi – commune, vacuum del ventre della madre, etimologia di
termine chiave, fonema, unita etica, unita emica, Speranza, Schultz, unita
emica come classe di unita etica – criterio: un accordo o codice di relevanza –
l’intenzione del mittente. Refs.: Luigi Speranza, Grice e Dòdaro” – The Swimming-Pool Library. Dodaro.
Luigi Speranza -- Grice e Dolabella: la ragione conversazionale all’orto
romano -- Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano.Publio A follower of the philosophy
of the Garden, and the son-in-law of Cicerone. The achieved the distinction of
being pronounced a public enemy by the Roman Senate. He ordered one of his
soldiers to kill him. Publio Cornelio Dolabella. Dolabella.
Luigi Speranza -- Grice e Dommazio: la ragione conversazionale a Roma –
filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo
italiano. A philosopher, known only from
a surviving bust. Dogmatius.
Dommatio. Dommazio.
Luigi Speranza – GRICE ITALO!;
ossia, Grice e Donà: la ragione conversazionale e la sessualità – scuola
di Venezia — filosofia veneziana – filosofia veneta -- filosofia italiana –
Luigi Speranza (Venezia). Filosofo veneziano. Filosofo
veneto. Filosofo italiano. Venezia, Veneto. Grice: “Well, Donà has
philosophised on almost anything – I drank wine; he philosophises on it –
‘bacchiana,’ he calls it – he has also philosophised on ‘eros’ for which he
uses the very Italian idea of ‘sesso.’ – And he has also punned with
‘di-segnare’ – ‘di-segno’ – In sum, a genius!” Si laurea a Venezia sotto Severino, presso la Facoltà
di Lettere e Filosofia dell'Venezia, iniziai a pubblicare diversi saggi per
riviste e volumi collettanei, partecipando, lungo il corso degli anni ottanta,
a diversi convegni e seminari in varie città italiane. A partire dalla fine
degli anni ottanta, collabora con Cacciari presso la cattedra di Estetica
a Venezia e coordina per alcuni anni i seminari dell'Istituto Italiano per gli
Studi Filosofici di Venezia. Sempre a partire dalla fine degli anni ottanta,
inizia la sua collaborazione con la rivista di architettura Anfione-Zeto, della
quale dirige ancora oggi la rubrica Theorein. In quegli stessi anni, fonda, con
Cacciari e Gasparotti, la rivista Paradosso. Negli anni novanta, invece, ha
insegnato Estetica presso l'Accademia di Belle Arti di Venezia. Attualmente
insegna Metafisica e Ontologia dell'arte presso la Facoltà di Filosofia
dell'Università Vita-Salute San Raffaele di Milano. È inoltre curatore, sempre
con Gasparotti e Cacciari, dell'opera postuma del filosofo Emo. Dirige per la
casa editrice AlboVersorio le collane "Libri da Ascoltare" e
"Anime in dettaglio" ed è membro del comitato scientifico del
festival La Festa della Filosofia. Ha scritto diversi saggi e articoli per
riviste, settimanali e quotidiani di vario genere. Collabora con il settimanale
"L'Espresso". Attività musicale In qualità di musicista, dopo
aver esordito, ancor giovane, con Giorgio Gaslini e con Enrico Rava, forma un
suo gruppo: i Jazz Forms, di cui è leader. In seguito sviluppa il suo
linguaggio trasformando l'idioma ancora bop dei primi anni in una scrittura più
articolata in cui entrano in gioco elementi tratti dalla musica rock e da molte
esperienze etniche maturate nel frattempo con diversi gruppi musicali. Si
esibisce in diverse città italiane con un sestetto, in cui ad accompagnarlo
sono una chitarra, una batteria, un basso, delle percussioni e una tastiera.
Nasce così il D. Sextet. Suona con
musicisti che sarebbero diventati protagonisti della scena musicale italiana.
Suona in jam session anche con alcuni padri storici del jazz, come Gillespie,
Brown, Gordon e Drew. Riprende a suonare professionalmente e forma un nuovo
gruppo: il D. Quintet, con il quale si esibisce in Italia e all'estero. Il
quintetto diventa quindi un quartetto; che è la formazione con cui Donà suona
da almeno tre anni. A tutt'oggi il nostro ha all'attivo ben sette CD incisi con
suoi gruppi. La sua etichetta di riferimento è sempre la "Caligola
Records", il cui responsabile artistico è Claudio Donà, fratello di
Massimo e importante critico musicale jazz. Altre opere: “Il 'bello, o di
un accadimento. Il destino dell'opera d'arte” (Helvetia, Venezia); “Le forme
del fare” (Liguori, Napoli); “Sull'assoluto (Per una reinterpretazione
dell'idealismo Hegeliano” (Einaudi, Torino); “Aporia del fondamento” (La Città
del Sole, Napoli); “Fenomenologia del negative” (Edizioni Scientifiche
Italiane, Napoli); “Arte, tragedia, tecnica” (Raffaello Cortina Editore,
Milano); “L' Uno, i molti: Rosmini-Hegel un dialogo filosofico” (Città Nuova,
Roma); “Aporie platoniche. Saggio sul ‘Parmenide’” (Città Nuova, Roma); “Filosofia
del vino” (Bompiani, Milano); Magia e filosofia (Bompiani, Milano); Joseph
Beuys. La vera mimesi, Silvana Editoriale, Cinisello Balsamo (Milano); Sulla
negazione, Bompiani, Milano); Serenità: una passione che libera, Bompiani,
Milano); La libertà oltre il male” (Città Nuova, Roma); Il volto di Dio, la
carne dell'uomo, con Piero Coda, AlboVerosio, Milano); Dell'arte in una certa
direzione” (Supernova, Venezia); “Filosofia della musica, Bompiani); Il mistero
dell'esistere: arte, verità e insignificanza nella riflessione teorica di Magritte”
(Mimesis, Milano); L'essere di Dio. Trascendenza e temporalità” (AlboVersorio,
Milano); Dio-Trinità. Tra filosofi e teologi” (Bompiani, Milano); Arte e filosofia”
(Bompiani, Milano); “L'anima del vino. Ahmbè, Bompiani, Milano); “Non uccidere”
(AlboVersorio, Milano); L'aporia del fondamento, Mimesis, Milano), “I ritmi
della creazione” (Bompiani, Milano); La "Resurrezione" di Piero della
Francesca, Mimesis, Milano); Il tempo della verità, Mimesis, Milano; Non avrai
altro Dio al di fuori di me” (AlboVersorio, Milano); “Il conciliabile e L'inconciliabile.
Restauro Casa D'Arte Futurista Depero” (Mimesis, Milano-Udine PANTA decalogo” (Bompiani, Milano); Filosofia.
Un'avventura senza fine, Bompiani, Milano); Comandamenti. Santificare la festa”
(il Mulino, Bologna Abitare la soglia.
Cinema e filosofia, Mimesis, Milano-Udine); “Eros e tragedia, AlboVersorio,
Milano); “Il vino e il mondo intorno. Dialoghi all'ombra della vite” (Aliberti,
Reggio Emilia Figure d'Occidente.
Platone, Nietzsche e Heidegger” (AlboVersorio, Milano); “Le verità della
natura, AlboVersorio, Milano”; “Filosofia dell'errore” – errore vero, la verita
come errore relative – “Le forme dell'inciampo, Bompiani, Milano); “Parmenide.
Dell'essere e del nulla” (AlboVersorio, Milano); “Eroticamente: per una
filosofia della sessualità” (il prato, Saonara (Padova) Misterio grande. Filosofia di Giacomo
Leopardi, Bompiani, Milano); “Pensare la Trinità. Filosofia europea e orizzonte
trinitario” (Città Nuova, Roma Erranze
(Gatto), AlboVersorio, Milano); L'angelo musicante. Caravaggio e la musica” (Mimesis
Edizioni, Milano-Udine); “Parole sonanti. Filosofia e forme dell'immaginazione”
(Moretti et Vitali, Bergamo J. Wolfgang
Goethe, Urpflanze. La pianta originaria; Albo Versorio, Milano); La terra e il
sacro. Il tempo della verità, Luca Taddio, Mimesis, Milano); Teomorfica.
Sistema di estetica” (Bompiani, Milano); “Sovranità del bene. Dalla fiducia
alla fede, tra misura e dismisura, Orthotes, Salerno); “Senso e origine della
domanda filosofica, Mimesis, Milano-Udine); “La filosofia di Miles Davis. Inno
all'irrisolutezza” (Mimesis, Milano-Udine); “Dire l'anima. Sulla natura della
conoscenza” (Rosenberg e Sellier, Torino); “Tutto per nulla. La filosofia di
Shakespeare” (Bompiani, Milano); “Pensieri bacchici. Vino tra filosofia,
letteratura, arte e politica” (Edizioni Saletta dell'Uva, Caserta); “In
Principio. Philosophia sive Theologia. Meditazioni teologiche e trinitarie,
Mimesis, Milano-Udine); “Di un'ingannevole bellezza. Le "cose" dell'arte”
(Bompiani-Giunti, Milano); “La filosofia dei Beatles” (Mimesis, Milano-Udine);
“Un pensiero sublime: saggi su Gentile” (Inschibboleth, Roma); “Dell'acqua” (La
nave di Teseo, Milano); “Essere e divenire: riflessioni
sull'incontraddittorietà a partire da Fichte” (Mimesis, Milano-Udine); “Di qua,
di là. Ariosto e la filosofia dell'Orlando Furioso” (La nave di Teseo, Milano);
“Miracolo naturale. Leonardo e la Vergine delle rocce” (Mimesis, Milano); "Arte
e Accademia", in Agalma; New Rhapsody in blue, Caligola Records; For miles
and miles, Caligola Records; Spritz, Caligola Records; “Cose dell'altro mondo.
Bi Sol Mi Fa Re, Caligola Records); Ahmbè, Caligola Records; Big Bum, Caligola
Records; Il santo che vola. San Giuseppe da Copertino come un aerostato nelle
mani di Dio, Caligola Records
Iperboliche distanze. Le parole di Andrea Emo, Caligola Records. Il
mistero della bellezza svelato da Massimo Donà. Intervista Alberto Nutricati,
in L'Anima Fa Arte Blog e Rivista di Psicologia Video-intervista sul mistero
dell'esistenza, su asia. "Arte e Accademia", in Agalma, Wikipedia
Ricerca Mascolinità assieme di qualità, caratteristiche o ruoli associati a
ragazzi o uomini La mascolinità (o il genere maschile) è un insieme di
attributi, comportamenti e ruoli generalmente associati agli uomini. La
mascolinità è costruita socialmente e culturalmente, anche se alcuni
comportamenti considerati maschili, come indica la ricerca, sono biologicamente
influenzati. Fino a che punto la mascolinità sia influenzata biologicamente o
socialmente è oggetto di dibattito. Il genere maschile è distinto dalla
definizione del sesso biologico maschile, poiché sia i maschi che le femmine
possono esibire caratteristiche maschili.
Nella mitologia greca Eracle è uno dei massimi simboli di mascolinità.
Gli standard di mascolinità variano a seconda delle diverse culture e periodi
storici. Le caratteristiche tradizionalmente, culturalmente e socialmente
considerate maschili nella società occidentaleincludono virilità, forza,
coraggio, indipendenza, leadership e assertività. Il machismo è una forma di
mascolinità che enfatizza il potere ed è spesso associata a un disprezzo per le
conseguenze e la responsabilità. Il suo
opposto può esser espresso dal termine effeminatezza. Uno dei sinonimi
maggiormente usati per indicare la mascolinità è virilità, dal latino virche
significa uomo. Contesti storici e
culturali L'interpretazione ed il riconoscimento della mascolinità variano
all'interno dei diversi contesti storici e culturali. Nell'antichità era
prevalente prendere a modello l'uomo d'arme; la figura del dandy, tanto per
fare solo un esempio, è stato considerato un ideale di mascolinità nel XIX
secolo, mentre è considerato al limite dell'effeminato per gli standard
moderni. Le norme tradizionali maschili,
così come vengono descritte nel saggio di Levant intitolato "Mascolinità
ricostruita" sono: evitare ogni accenno di femminilità, non mostrare le
proprie emozioni, tenere ben separato il sesso dall'amore, perseguire il
successo e raggiungere uno status sociale più elevato, l'autonomia (il non aver
mai bisogno dell'aiuto di nessuno), la forza fisica e l'aggressività, infine
l'omofobia (disprezzo per il frocio, il finto maschio). Queste norme servono a
riprodurre simbolicamente il ruolo di genere associando gli attributi e le
caratteristiche specifiche creduti appartenere di diritto al genere maschile. Lo studio accademico della mascolinità ha
subito una massiccia espansione d'interesse, con corsi universitari che si
occupano della mascolinità passati da poco più di 30 ad oltre 300 negli Stati
Uniti. Questo ha portato anche a ricerche riguardanti la correlazione tra
concetto di mascolinità e le varie forme possibili di discriminazione sociale,
ma anche per l'uso che del concetto se ne fa in altri campi, come nel modello
femminista di costruzione sociale del genere.
Natura ed educazioneModifica Competizione
sportiva, scontro fisico e militarismo sono caratteristiche della mascolinità
che appaiono in forme analoghe in quasi tutte le culture del mondo. La misura
in cui l'espressione della propria mascolinità possa esser un fatto di natura o
il risultato di un'educazione (e quindi appartenente all'ampio spettro del
condizionamento sociale) è stato oggetto di molte discussioni. La ricerca sul genoma umano ha dato
importanti informazioni circa lo sviluppo delle caratteristiche maschili ed il
processo di differenziazione sessuale specifico per il sistema riproduttivo
degli esseri umani: il TDF sul cromosoma Y, che è fondamentale per lo sviluppo
sessuale maschile, attiva la proteina chiamata "Fattore di trascrizione
SOX9" la quale aumenta l'ormone antimulleriano che reprime lo sviluppo
femminile nell'embrione. Vi è ampio
dibattito poi su come i bambini sviluppino a partire dalla realtà corporea una
propria identità di genere; chi la considera un fatto di natura sostiene che la
mascolinità è inestricabilmente collegata al corpo umano maschile, ed in tale
visione diventa qualcosa che è legato al sesso maschile biologico, cioè
all'apparato genitale maschile il quale diviene così l'aspetto fondamentale
della mascolinità. Altri invece
suggeriscono che, mentre la mascolinità può essere influenzata da fattori
biologici, è anche però ampiamente costruita culturalmente; la mascolinità non
avrebbe quindi una sola fonte d'origine o creazione, ma sarebbe anche associata
a certi condizionamenti sociali. Un esempio di mascolinità socializzata è
quella rappresentata dallo spuntare della barba, cioè dall'avere peli sul viso:
l'adolescente che viene considerato e trattato da uomo a partire dal momento in
cui comincia a radersi. Mascolinità
egemonicaModifica Magnifying glass icon mgx2.svgLo stesso argomento in
dettaglio: Maschilismo. Esempio di
maschio poco più che adolescente con corpo muscoloso. Nelle culture
tradizionali la maniera principale per gli uomini di acquistare onore e
rispetto era quello di arrivare a mantenere economicamente la propria famiglia
assumendone al contempo anche il comando e la leadership[23]. Raewyn Connell ha
etichettato i tradizionali ruoli e privilegi maschili col termine di
mascolinità egemonica, cioè la norma maschile, qualcosa a cui tutti gli uomini
dovrebbero aspirare e che le donne invece sono scoraggiate dall'adottare:
"Configurazione del genere come prassi che incarna la risposta accettata
al problema della legittimità patriarcale... che garantisce la posizione
dominante degli uomini e la subordinazione delle donne. Pleck sostiene che una
gerarchia di mascolinità tra gli uomini esiste in gran parte nella dicotomia
riferita all'orientamento sessuale tra maschio eterosessuale e non-maschio
omosessuale e spiega che "la nostra società utilizza la dicotomia
etero-omo come simbolo centrale per tutte le sue classifiche di mascolinità,
distinguendo i veri uomini dotati di virilità da quelli che invece lo sono solo
per finta. Kimmel promuove questo concetto, aggiungendo però anche che il tropo
"sei gay" indica che uno è innanzitutto privo di mascolinità, prima
ancora d'indicare un maschio attratto da persone del proprio stesso sesso.
Pleck conclude sostenendo che per evitare la continuazione dell'oppressione
maschile sopra le donne, sopra gli altri uomini, ma anche sopra se stessi,
debbono essere eliminate una volta per tutte le strutture ed istituzioni
patriarcali dall'auto-consapevolezza maschile.
CriticheModifica Si tratta di un argomento dibattuto la questione se i
concetti di mascolinità seguiti storicamente debbano ancora continuare ad
essere applicati. I ricercatori hanno rilevato un corrente di critica alla
mascolinità, dovuta al rimodellamento dei valori contemporanei, ai gruppi
femministi più attivi che hanno assunto per sé certi ruoli tradizionali
appartenenti alla mascolinità, all'ostilità culturale che la società d'oggi ha
in certi casi posto sui cosiddetti valori maschili, ed infine anche alla
promozione della mascolinità nella donna abbinata ad un pressione rivolta agli
uomini per femminilizzarsi. Le immagini
di ragazzi e giovani uomini presentati nei mass media possono portare alla
persistenza di concetti nocivi alla mascolinità; gli attivisti per i diritti
degli uomini sostengono che i media non prestano una seria attenzione alle
questioni relative ai diritti maschili e che gli uomini vengono spesso dipinti
in una luce negativa, soprattutto nella pubblicità. Jackson scrive che le forme
dominanti di mascolinità possono essere di sfruttamento economico e di
oppressione sociale. Egli afferma che "la forma di oppressione varia dai
controlli patriarcali sui corpi delle donne e dei diritti riproduttivi,
attraverso le ideologie di domesticità, femminilità ed eterosessualità
obbligatoria, alle definizioni sociali del valore del lavoro, le presunte
maggiori abilità naturali del maschio e la remunerazione differenziale del
lavoro produttivo e riproduttivo. Il lavoro meccanico in fabbrica è associato
con la mascolinità tradizionale. Nozione di mascolinità in crisiModifica Un
discorso sulla crisi della mascolinità è emerso negli ultimi decenni,
sostenendo l'ipotesi che il concetto di mascolinità si trovi oggi nella civiltà
occidentale in uno stato di più o meno profonda crisi. La crisi è anche stata
spesso attribuita alle politiche conseguenti al femminismo in risposta sia al
presunto dominio degli uomini sulle donne, sia ai diritti attribuiti
socialmente sulla base del proprio sesso d'appartenenza. Altri vedono il mercato del lavoro in
costante evoluzione come fonte della crisi della mascolinità, la
deindustrializzazione e la sostituzione delle vecchie fabbriche con nuove
tecnologie ha permesso ad un numero sempre maggiore di donne di entrare in
questo mercato competendo alla pari con gli uomini, riducendo al contempo la
necessità e domanda di forza fisica. Tendenze contemporaneeModifica L'operaio edile, esempio moderno di
mascolinità. Anche se gli stereotipi effettivi siano rimasti relativamente
costanti, il valore collegato alla concetto di mascolinità maschile è in parte
cambiato nel corso degli ultimi decenni, ed è stato sostenuto che la
mascolinità è pertanto un fenomeno instabile e mai raggiunto in modo
definitivo. Secondo un documento
presentato all'American Psychological Association: "Invece di vedere una
diminuzione dell'oggettivazione delle donne nella società, si è recentemente
verificato un aumento nell'oggettivazione di entrambi i sessi. Uomini e donne
possono limitare la loro assunzione di cibo nello sforzo di ottenere quello che
considerano un corpo attraente sottile, in casi estremi portando anche a gravi
disturbi alimentari. Sia gli uomini che
le donne più giovani che leggono riviste di fitness e di moda potrebbero essere
psicologicamente danneggiati dalle immagini perfette di fisico femminile e
maschile che vedono: alcune giovani donne e uomini si esercitano eccessivamente
nel tentativo di raggiungere ciò che essi considerano una forma corporea più
attraente, che in casi estremi può portare a disordine dismorfico del corpo
(dismorfofobia) o dismorfismo muscolare (anoressia riversa). Terminologia I
concetti di mascolinità sono variati a seconda del tempo e del luogo e sono
soggetti a costanti cambiamenti, quindi è più appropriato parlare di
mascolinità al plurale che di una singola tipologia di mascolinità. Constance L. Shehan, Gale
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Bushidō Castro clone Comunità ursina Femminilità Indice di mascolinità Leather
Patriarcato (antropologia) Sessismo Twink (linguaggio gay) The Men's
Bibliography, bibliografia completa sulla mascolinità. Boyhood Studies, bibliografia
sulla mascolinità giovanile. Practical Manliness, sugli ideali storici della
mascolinità applicati agli uomini moderni. The ManKind Project of Chicago, supporting men in
leading meaningful lives of integrity, accountability, responsibility, and
emotional intelligence NIMH web pages on men and depression, sulla depressione
maschile. Article entitled "Wounded
Masculinity: Parsifal and The Fisher King Wound" Il simbolismo storico che
si riferisce alla mascolinità, di Richard Sanderson M.Ed., B.A. BULL, sulla
narrativa maschile. Art of Manliness, sull'arte mascolina. The Masculinity
Conspiracy, critica mascolina online. Future Masculinity, corso di critica
sulla mascolinità. Portale Antropologia Effeminatezza termine Michael Messner (sociologo) sociologo
statunitense Privilegio maschile
privilegio sociale degli individui maschi derivante solamente dal loro sesso. Massimo
Donà. Dona. Keywords: sessualità, eroticamente, per una filosofia della
sessualità. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Donà” – The Swimming-Pool Library.
Luigi Speranza – GRICE ITALO!;
ossia, Grice e Donatelli: la ragione conversazionale e l’implicatura
conversazionale dell’esperienza – scuola di Roma – filosofia romana – filosofia
lazia -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo
romano. Filosofo lazio. Filosofo italiano. Roma, Lazio. Grice: “I like
Donatelli – his titles can be too expansive, like the one about ‘philosophy and
common experience,’ as a subtitle, which incorporates the all too controversial
notion of experience simpliciter!” L’etica, la sua storia e le problematiche
contemporanee sono al centro dei suoi interessi. Studia a Roma, dove ha
conseguito la laurea e il dottorato. Insegna alla Luiss Guido Carli. Insegna a
Roma. La sua ricerca spazia dalla ricognizione dei classici dell’etica alla
filosofia morale contemporanea. Si occupa della riflessione sulla vita umana,
in bioetica e nel pensiero teoretico e politico, e del pensiero ambientale. Nel
dibattito bio-etico ha difeso una concezione laica delle istituzioni. La sua
proposta si situa nella filosofia di ispirazione wittgensteiniana (Cavell,
Diamond, Murdoch) che fa incontrare con i temi del pensiero democratico e
perfezionista nella scia della filosofia di Mill. Dirige la rivista Iride.
Filosofia e discussione pubblica (il Mulino). È membro di numerosi comitati,
tra cui del comitato scientifico di Bioetica. Rivista Interdiscliplinare ed
Etica e Politica. Altre opere: “Filosofia morale. Fondamenti, metodi, sfide
pratiche” (Milano, Le Monnier, Il lato
ordinario della vita. Filosofia ed esperienza comune” (Bologna, il Mulino,
Etica. I classici, le teorie e le linee evolutive, Torino, Einaudi); “Quando
giudichiamo morale un’azione?” (Roma-Bari, Laterza); Decidere della propria
vita, Roma-Bari, Laterza); “La vita umana in prima persona duale” (Roma-Bari,
Laterza); “Manuale di etica ambientale” (Firenze, Le Lettere); “James Conant e
Cora Diamond, Rileggere Wittgenstein, Roma, Carocci); “Mill, Roma-Bari,
Laterza); “Virtù” (Roma, Carocci); Immaginazione e la vita morale, Roma,
Carocci); La filosofia morale, Roma-Bari, Laterza); Wittgenstein e l’etica,
Roma-Bari, Laterza);Etica analitica. Analisi, teorie, applicazioni” Milano,
LED,I destini dell'etica Bioetica e
progresso morale dell'Italia, su
ilrasoiodioccam-micromega.blogautore.espresso.repubblica. Bioetica Consulta
di bioetica The Italic branch
consists of Latin on the one hand and of the Urabrian-Samnitic dialects,
on the other. Latin, with which the little known dialect Sf Faleriv
is closely related. So long as the language is confined to Latium, there
exists no dialectical differences of any importance. The contrast between
the popular and the literary language, which arise from Livio Andronico –
up to Cicero -- becomes sharper in the classical period, and the further
development of the former is almost entirely lost to our observation
until the Middle Ages, when the popular Latin of the various provinces of
the Roman empire meets us in a form more or less changed and with a
rich development of what we know call Italian. We should also consider the
development of the Latin of antiquity. Cp. Corssen Uber Aussprache,
Vocalismus und Betonung der lateinischen Sprache, Leipzig Kuhner
Ausfiihrliche Grammatik der lateinischen Sprache, Hannover, Stolz and
Schmalz Lateinische Grammatik, in Muller’s Handbuch der klass.
Altertumsw. IThe Umbrian-Samnitic dialects are known to a certain extent
through inscriptions, and through words quoted by Roman writers. We are
best acquainted with Umbrian (Breal Les tables Eugubines, Paris Biichelor
Umbrica, Bonn) and Oscan (Zvotaieff Sylloge inscriptionum Oscarum,
Petersburg- Leipzig). Of the Volscian, Picentine Sabine, Cp. Budinszky Die
Ausbreitung der lat. Sprache uber Italicn und die Provinzen des rSmisohen
Reiches, Berlin, Cirober in the Archiv fur lat. Lexikographie g
KeUio; Aequiculau, Yestinian, Marsian, Pelignian and Marrucinian dialects
we have only very scanty remains (Zvetaieff Inscriptiones Italiæ Mediæ
dialecticæ, Leipzig). All these dialects are forced into the background
at an early period by the ifitrusion of Latin. The Sabines, who receive
citizenship, seem to have been the first to become romanised. The s^west
to give way was Oscan, which in the mountains does not perhaps become
fully extinct. Cp. further Bruppacher Osk. Lautlehre, Zurich, Endoris Yersuch
einer Formenlehro der osk. Sprache, Zurich. Piergiorgio
Donatelli. Donatelli. Keywords: esperienza, let’s cooperate (cooperiamo), let’s
make the strongest utterance; let’s trust each other; let’s be relevant (siamo
relevanti), let’s be perspicuous (siamo perspicui), prima persona, prima
persona duale – noi – nostro – numero nel verbo greco: singolare, duale,
plurale, Mill, virtu, Conant, ambi, both
– the dual – Both conversationalists must cooperate towards a mutual goal. Refs.: Luigi Speranza,
“Grice e Donatelli” – The Swimming-Pool Library. Donatelli.
Luigi Speranza – GRICE ITALO!;
ossia, Grice e Donati: la ragione conversazionale e l’implicatura
conversazionale del fra – scuola di Budrio – filosofia budriese – filosofia
bolognese – filosofia emiliana -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Budrio). Filosofo
budriese. Filosofo bolognese. Filosofo emiliano. Filosofo italiano. Budrio,
Bologna, Emilia-Romagna. Grice: “I like Donati; most of what he says is very basic, and
he says it from what he thinks is a scientific perspective – but then he writes
about morality and you start to wonder – anyhow, his central concept is that of
reflexitvity, which he multiplies into goal-centred, rule-centred,
means-centred, and value-centred – Since my oeuvre dwells on rellexivity I feel
a lot of affection for Donati and his approach!” Nella sua filosofia occupano una posizione centrale
la tematica epistemologica inerente alla ri-fondazione della ‘sociologia
filosofica’, re-interpretata alla luce della "svolta relazionale”. Su tali
basi, vengono svolte l'analisi del concetto di ‘cittadinanza’, del fenomeno
associativo della società civile e della politiche di welfare state nelle
società altamente differenziate; l'analisi del ruolo dell’istituzione sociale che
emergono dai processi di morfo-genesi sociale, in particolare nelle sfere di
terzo settore; l'apertura di una nuova prospettiva negli studi sul capitale
sociale e sui processi di “riflessività” in rapporto alla legittimazione di
nuove forme di democrazia deliberativa. L'elaborazione di una ‘sociologia filosofica
relazionale' è andata di pari passo con la fondazione filosofica di un nuovo e
più generale ‘paradigma relazionale' che si pone come superamento della
contrapposizione fra realismo e costruttivismo, fra l’individualismo o
intersoggetivismo metodologico e olismo o collettivismo metodologico. Questa
prospettiva porta alla elaborazione di nuovi concetti come quelli di “critica
della ragione relazionale” e bene relazionali, come soluzioni rispettivamente
dei problemi inerenti a idiosincrasie culturale e alla mercificazione del
welfare nelle società. L'etichetta "sociologia filosofia relazionale"
viene usata, oltre che da D., da vari filosofi. Emirbayer ha scritto un
‘Manifesto di sociologia relazionale' elaborato in maniera del tutto
indipendente rispetto a D. Crossley usa la medesima etichetta. Alcuni studiosi
assimilano la sociologia relazionale alla network analysis (Crossley, Mische ),
altri tracciano delle differenze fra questi due modi di intendere l'analisi
della società (D., Terenzi, Tronca). Indipendentemente dalla filosofia di
Donati, esistono gruppi e reti di sociologia relazionale in vari paesi, tra cui
il Canada (si veda il sito della Canadian Sociological Association,,
l'Australia (si veda il sito della Australian Sociological Association,). In
Italia, gli filosofi vicini a Donati si riconoscono nel network Relational
Studies in Sociology,). Donati ha prodotto numerosi saggi di carattere
teorico ed empirico. Propone una teoria generale per l'analisi della società:
la “sociologia filosofica relazionale”. Insegna a Bologna, direttore del Centro
Studi di Politica Sociale e Sociologia Sanitaria). Presidente dell'Associazione
Italiana di Sociologia. Direttore dell'Osservatorio Nazionale sulla Famiglia.
Ha fatto parte del comitato scientifico di Biennale Democrazia. Fondatore e
Direttore della Rivista “Sociologia e politiche sociali”, editore FrancoAngeli.
Membro del Comitato Scientifico della Rivista "Sociologia", Istituto Luigi
Sturzo, Roma. Ha ricevuto il riconoscimento dell'ONU come membro esperto
distinto nel corso dell'Anno Internazionale della Famiglia. Premio Capri San
Michele per "Pensiero sociale
cristiano e società post-moderna" (Ave, Roma). Premio San Benedetto per la
promozione della Vita e della Famiglia in Europa. Attraverso la sua filosofia,
Donati mostra con specifiche indagini empiriche in che modo la società possa
essere conosciuta e interpretata come una semplice “relazione sociale” diadica
-- e non come un prodotto culturale. La sociologia relazionale (o teoria
relazionale della società) viene per la prima volta esplicitata con “Introduzione
alla sociologia relazionale”. Questa “Introduzione” è nata come una sorta di
“Manifesto della sociologia relazionale”, anche se da allora pochi se ne sono
accorti. I punti essenziali di quel Manifesto sono varie. La sociologia
relazionale consiste nell'osservare che una società, ovvero qualsiasi fenomeno
o formazione sociale (la famiglia, una impresa o società commerciale, una
associazione, una società nazionale), la società globale, non è né una idea (o
una rappresentazione o una realtà mentale soggetiva) né una cosa materiale (o
biologica o fisica in senso lato), ma è una relazione sociale – una
intersoggetivita. L’intersoggetivo è né un “sistema”, più o meno pre-ordinato o
sovrastante i singoli fatti o fenomeni, né un prodotto di una azione soggetiva,
ma un altro ordine di realtà. L’intersoggetivo è relazione. L’interosggetivo è
fatto di una relazioni fra un soggetto S1 e un soggetto S2, che distinguono la
forma e i contenuti di ogni concreta e specifica “diada. L’intersoggetivo – la
relazione intersoggetiva -- deve essere concepito non come una realtà accidentale,
secondaria o derivata dall’altre entità: il soggetto S1 e il soggetto S2),
bensì come un levello ontologico differente sui generis, appunto,
‘l’intersoggetivo’. Affermare che “la società è relazione” può sembrare quasi
ovvio, ma non lo è affatto ove l'affermazione sia intesa come presupposizione
epistemologica generale e quindi si abbia coscienza delle enormi implicazioni
che da essa derivano. Ogni filosofo parlano dell’intersoggetivo della relazione
di una diada fra soggeto S1 e soggetto S2 (Aristotele: ogni uomo e politico,
Marx, Durkheim, Weber, Simmel, Parsons, Luhman, Grice), ma quasi nessuno ha
compiuto l'operazione che viene proposta dalla sociologia
relazionale: partire dal presupposto che “all'inizio c'è la relazione”,
ossia che ogni realtà sociale emerge da un contesto di relazioni e genera un
contesto di relazioni essendo essa stessa ‘relazione sociale'. Ciò non
significa in alcun modo aderire ad un punto di vista di relativismo. Si tratta
esattamente del contrario: la sociologia relazionale si fonda su una ontologia
dell’intersoggetivo relazionale, e dunque su una ontologia dell’intersoggetivo
della relazione che vede nella relazioni il costitutivo di ogni realtà sociale
seconda la loro propria natura. La sociologia relazionale e una forma del relazionismo
filosofico. Per l’intersoggetivo (la relazione) intende l’intersoggetivo nel
spazio-tempo, dell'inter-umano, ossia ciò che sta fra un soggetto agente S1 e
un soggetto agente S2 chi collaborano, o cooperano. e checome tale costituisce
il loro orientarsi e agire reciproco (o riflessivo, al modo di Grice), per
distinzione da ciò che sta nel singolo attore individualo o collettivo considerati
come poli o termini della relazione. Questa «realtà dell’intersoggetivo – che D.
chiama ‘il fra’ -- fatta insieme di due soggetti che collaboron, è la sfera in
cui vengono definite sia la distanza sia l'integrazione dei due soggetti che
stanno in società: dipende da questo ‘fra’ – fra tu e me -- (la relazione
sociale in cui le due soggetti si trovano) se, in che forma, misura e qualità
le due soggetti può distaccarsi o coinvolgersi rispetto agli altri soggetti più
o meno prossimi, alle istituzioni e in generale rispetto alle dinamiche della
vita sociale. La teoria relazionale della società ha elaborato nuovi
concetti che sono stati utilizzati non solo da filosofi, ma anche in altri
campi, come il diritto, la legislazione sociale, l'economia. I concetti originali
elaborati da D. sono varie. Il concetto di ‘privato sociale’ e applicato in molte
leggi dello Stato italiano. Il concetto di ‘cittadinanza societaria è stato
utilizzato dal Consiglio di Stato (Sezione consultiva per gli atti normativi,
Adunanza, N. della Sezione: in importanti deliberazioni. Il concetto di ‘beni
relazionali’ è stato ripreso in campo economico da filosofi come Zamagni e
Bruni. Il concetto di un ‘servizio relazionale’ è stato ripreso nella
legislazione regionale e nazionale in Italia, anche in relazione alla buona
pratica nelle politiche familiari analizzate con le ricerche svolte per
l'Osservatorio nazionale sulla famiglia. Il concetto di ‘lavoro relazionale’ e
il concetto di ‘contratto relazionale’ sono importanti. Il concetto di ‘welfare
relazionale’ e usanto in buona pratica nei servizi alle famiglie (utilizzato
dal Centro studi Erickson). Il concetto di differenziazione relazionale si
applica in particolare alla problematica della conciliazione fra lavoro e
famiglia. Il concetto di una critica della ‘ragione relazionale’ e dato come
una possibile soluzione ai problemi dei conflitto. Il concetto di capitale
sociale come relazione sociale con una ridefinizione degli studi sociologici si
applica nel capitale sociale. Il concetto di "riflessività
relazionale" si applica per superare il concetto puramente soggettivo di
riflessività come mera riflessione interiore. Il concetto di "genoma
sociale della famiglia" s’applica nella evoluzione. Ha affrontato una
serie di tematiche di ricerca il cui sviluppo è ancora in corso. La prima e più
estesa riguarda la tematica della sociologia della famiglia. Si vedano I saggi
di D., Lineamenti di sociologia della famiglia. Un approccio relazionale
all'indagine sociologica, Carocci, Roma, D., Manuale di sociologia della
famiglia, Laterza, Roma-Bari). Si vedano anche i Rapporti Cisf sulla famiglia
in Italia, per gli aspetti applicativi: Sociologia delle politiche familiari,
Carocci, Roma, è il più recente D, "La famiglia. Il genoma che fa vivere
la società", Soveria Mannelli, Rubbettino. Un'altra tematica è quella
della salute: si veda Donati Manuale di
sociologia sanitaria” (La Nuova Italia Scientifica, Roma); Sui giovani e le
generazioni nella società dell'indifferenza etica: “Giovani e generazioni.
Quando si cresce in una società eticamente neutral” (il Mulino, Bologna); Sul
cittadinanza e welfare: La cittadinanza societaria, Laterza, Roma- Bari); Sul
welfare state e le politiche sociali, “Risposte alla crisi dello Stato sociale”
(Franco Angeli, Milano); “Lo Stato sociale in Italia: bilanci e prospettive”
(Mondadori, Milano); “Sul privato sociale o terzo settore e la società civile:
Sociologia del terzo settore” (Carocci, Roma); sulla società civile: “La
società civile in Italia, Mondadori, Milano; Generare “il civile”: nuove
esperienze nella società italiana, il Mulino, Bologna); Il privato sociale che
emerge: realtà e dilemmi, il Mulino, Bologna, Sul lavoro: Il lavoro che emerge,
Bollati Boringhieri, Torino); I rapporti fra sociologia relazionale e pensiero
sociale cristiano: Pensiero sociale cristiano e società post-moderna, Editrice
Ave, Roma, La matrice teologica della società, Rubbettino, Soveria Mannelli. Sul
capitale sociale: Donati, Terzo settore e valorizzazione del capitale sociale
in Italia: luoghi e attori, Angeli, Milano, D., I. Colozzi, Capitale sociale
delle famiglie e processi di socializzazione. Un confronto fra scuole statali e
di privato sociale (FrancoAngeli, Milano). Attraverso queste saggi, la
sociologia relazionale ha sviluppato un nuovo quadro teorico e ne ha dimostrato
la validità sia sul piano della ricerca empirica, sia sul piano delle
applicazioni concrete (in termini di legislazione e di programmi di intervento
sociale). La conoscenza sociologica che la sociologia relazionale intende
perseguire non rifiuta a priori nessuna teoria, né vuole “unificare” tutte le
teorie sotto un'unica bandiera, ma tutte le prende in considerazione e le
valuta per mettere in evidenza quelle verità, anche parziali, che ciascuna di
esse contiene. Tuttavia, perché di solito una teoria offre una visione
limitata, se non riduttiva della realtà, la sociologia relazionale è in grado
di inserire ogni teoria in un quadro concettuale più ampio, nel quale ritrovare
le verità parziali ad un livello più elevato, coerente e consistente di
conoscenza della realtà sociale. Terenzi, Percorsi di sociologia
relazionale, FrancoAngeli, Milano,.
Luigi Tronca, Sociologia relazionale e social networks analysis. Analisi
delle strutture sociali, FrancoAngeli, Milano.Enzo Paci, Dall'esistenzialismo
al relazionismo, D'Anna, Messina-Firenze. Per un nuovo welfare locale “family
friendly”: la sfida delle politiche relazionali, in Osservatorio nazionale
sulla famiglia, Famiglie e politiche di welfare in Italia: interventi e
pratiche. I, il Mulino, Bologna,
Politiche sociali e servizi sociali di fronte al modello sociale europeo: lo
scenario del “welfare relazionale”, in C. Corposanto, L. Fazzi, Il servizio
sociale in un'epoca di cambiamento: scenari, nodi e prospettive, Edizioni Eiss,
Roma, Quale conciliazione tra famiglia e lavoro? La prospettiva relazionale, in
Donati, Famiglia e lavoro: dal conflitto a nuove sinergie, Edizioni San Paolo,
Cinisello Balsamo, La valorizzazione del capitale sociale in Italia: luoghi e
attori Donati, I. Colozzi, FrancoAngeli, Milano, Altre opere: “L'enigma della
relazione” Mimesis, Milano); “La famiglia. Il genoma che fa vivere la società”
(Rubbettino, Soveria Mannelli); “Sociologia della riflessività. Come si entra
nel dopo-moderno, il Mulino, Bologna); “I beni relazionali. Che cosa sono e
quali effetti producono (Bollati Boringhieri, Torino); “La matrice teologica
della società, Rubbettino, Soveria Mannelli); “Teoria relazionale della
società: i concetti di base, FrancoAngeli, Milano); “La società dell'umano, Marietti,
Genova-Milano); “Il capitale sociale degli italiani. Le radici familiari,
comunitarie e associative del civismo” (FrancoAngeli, Milano); “Oltre il
multiculturalismo. La ragione relazionale per un mondo comune, Laterza,
Roma-Bari); “Manuale di sociologia della famiglia, Laterza, Roma-Bari); “Sociologia
delle politiche familiari, Carocci, Roma); “Il lavoro che emerge. Prospettive
del lavoro come relazione sociale in una economia dopo-moderna, Bollati
Boringhieri, Torino); “La cittadinanza societaria” (Laterza, Roma-Bari); Teoria
relazionale della società, FrancoAngeli, Milano, La famiglia come
relazione sociale, FrancoAngeli, Milano, La famiglia nella società relazionale.
Nuove reti e nuove regole, FrancoAngeli, Milano); “Introduzione alla sociologia
relazionale, FrancoAngeli, Milano); “Risposte alla crisi dello Stato sociale.
Le nuove politiche sociali in prospettiva sociologica, FrancoAngeli, Milano); “Famiglia
e politiche sociali. La morfogenesi familiare in prospettiva sociologica,
Angeli, Milano); “Pubblico e privato: fine di una alternativa?” (Cappelli,
Bologna). Der Dual ist ein Numerus, der sich in indogermanischen wie
nicht-indogermanischen Sprachen findet. Die indogermanistisch zentralen
Sprachen Altgriechisch und Altindisch haben diesen Numerus in allen
flektierenden Wortarten; andere Sprachen haben ihn nur in einer Wortart. Die Minderheitensprachen
Ober- und Niedersorbisch pflegen den Dual bis heute. Auch im Bairischen gibt es
noch formale Dualrelikte. Das Buch bietet eine Darstellung der einzelsprachlichen
Dualsysteme in der Indogermania und Rekonstruktionen der Dualsysteme der
Zwischengrundsprachen und des Ur-Indogermanischen. Neben dem genealogischen
Vergleich wird auch der typologische Vergleich mit Dualsystemen anderer
Sprachgruppen wie etwa Finno-Ugrisch, Semitisch und Bantu angestellt. Der Leser
gewinnt so einen Überblick über die Entwicklung einer typologisch markierten
grammatischen Kategorie und einen Einblick in die kognitiven Prozesse, die zum
Werden und Schwinden des Duals im Wandel der Sprachen führen. Rezensionen "" Salvatore Scarlata in:
Kratylos, Pinault in: Bulletin de la Société de Linguistique de Paris, Pierce
in: Journal of Historical Linguistics, Bohumil Vykypel in: Linguistica
Brunensia, http://hdl.handle.net""
Remo Bracchi in: Salesianum, Lühr in: Germanistik, Heft, Duale (linguistica)
numero grammaticale Lingua Segui Modifica Ulteriori informazioni Questa voce
sull'argomento grammatica è solo un abbozzo. Contribuisci a migliorarla secondo
le convenzioni di Wikipedia. Il duale in linguistica è una delle possibili
realizzazioni della categoria morfologica del numero grammaticaleche può essere
espressa tanto nel nome (sostantivo e aggettivo) quanto nel pronome e nel
verbo. Benché sia meno diffuso di singolare e plurale, il duale è presente in
molte lingue del mondo. Esso è presente nelle più antiche lingue
indoeuropee, come il sanscrito o il greco antico, nel lituano, nello sloveno
moderno, nel friulano e anche nelle lingue semitiche, come l'arabo - che ne fa
tuttora uso nelle sue varietà moderne, sia pure limitatamente al nome -
l'ebraico e nell'egizio. Il duale è frequente per indicare parti doppie
del corpo, per esempio le mani, le narici, le gambe, ma nelle lingue che lo
possiedono non è raro il suo uso anche per indicare oggetti a coppie o
semplicemente coppie di oggetti o persone casuali: due persone, due anni, ecc.
("duale occasionale"). Mentre in francese, in tedesco, in
italiano o in spagnolo, tutte lingue che non presentano la forma duale se non
per tracce come per esempio in italiano ambo, si è soliti anteporre al
sostantivo plurale l'aggettivo numerale che ne indica la quantità esatta (due
uova, due amici, ecc.), nelle lingue che posseggono il duale questo può bastare
per indicare una quantità pari a due. Per esempio in arabo sanah "(un)
anno", sanatayn "(due) anni". La mu'allaqa di Imru l-Qays,
una delle più famose poesie arabe, esordisce con un imperativo duale: Qifâ,
nabki... "fermatevi (voi due) e piangiamo...", riferimento al fatto
che il poeta si rivolgeva a due suoi compagni. Bibliografia Modifica
Albert Cuny, Le nombre duel en grec, Paris, Klincksieck, Fontinoy, Le duel dans
les langues sémitiques, Paris, Les Belles Lettres, Molinelli, Il numero duale
nel greco antico, Roma, Fritz, Der Dual im Indogermanischen, Heidelberg,
Winter, Grammatica Morfologia (linguistica) Portale Linguistica:
accedi alle voci di Wikipedia che trattano di linguistica Salvatore Talia
Numero (linguistica) categoria grammaticale Grammatica lituana regole
della lingua lituana Articoli del greco antico Wikipedia Il contenuto. Grice: “In my seminars I
explained explicitly that we would be dealing only with conversational DYADS!”
Grice: “This was my nod to the Old Latin dual!” – Grice: “Austin used to say
that no distinction is too fine, or too nice. The origin of the Latin fifth
declension out of the dual number – We can provide an EXPLANATION of the
appearance of the Latin fifth declension (e stems) as a result of the LOSS of
an earlier dual inflection, whose main feature is the suffix jk (full grade ej)
. The dual character of the Latin -ies (series) forms can be demonstrated on
the basis of their ‘semantic’ development. The dual number in the Indo-European
languages. The most ancient Indo-European languages had three number
categories: the singular, the dual, and the plural. In the Indo-European
languages, the dual number was typically used for NATURAL PAIRS (‘oculi’, the
‘same’, two hands), sometimes also for an accidental or artificially arranged
pair (‘two men’ (andre), two horses pulling one carriage, two oxen in one
yoke), and possibly for two objects of the SAME kind (two fires, two lime
trees). Elliptical usage of the dual is also attested, ‘two fathers’, as when
Homer refers to ‘Ayax and his brother’ or Latin ‘octo, ‘eight’, originally, or
literally, two sets of four finger-tipes Wackernagel, Campanile, Malzahn,
Clackson). The degree of preservation and PRODUCTIVITY of the dual in the
Indo-European languages differ considerably. Traces of the dual in Latin. The
dual number as a separate CATEGORY was presumably lost by Latin and the other
Italic languages already in the pre-historic period (Buck). Lat. ‘duo,’ ‘two’
< IE duwo < PIE duwo-hj (Tagliavini). Lat. ‘okto’ ‘eight’ < IE okto,
‘8’ < PIE hkekto-h0. Lat. viginti, ‘twenty’ (< IE wiknti < PIE
dwi-dknt-ih), literally, ‘two tens.’ A few Latin forms – ambo, duo -- have a
specific inflexion which may be the result of the transformation of the dual
form within a declension. Thus we have masc. nom. ‘ambo’, duo; gen. ‘amborum’,
duorum; dative-ablative ‘ambobus’, duobus; and acc. ambos/ambo, duos/duo. Lat.
masc. ‘ambo’. The inflection of ‘ambo’ and ‘duo’ keeps the original dual ending
in the nominative. It does not show the dual ending in the other four cases –
where it adops the regular PLURAL ending. Here we have a case of an ADAPTATION
(SUBSTITUTION_of the dual inflection by the plural inflection. Traces of the
dual number in Latin are restricted to ‘ambo’, ‘both’, and the numerals (‘duo,
octo, viginti) – while some have traced other dual forms in declesions –
Danielsson). The question of a dual form, e. g. ‘Pomplio,’ (Lat. Pompilio, nom.
du. ‘two of the Pompilius family’), attested in epigraph CIL I 30: M. C.
POMPLIO NO. F. DEDRON HERCOLE = ‘Marcus and Gaius Pompilius, the sons of
Novious, gave (this) to Hercules.’ The interpretation of the form POMPLIO as
dual may be implicatural rather than semantic. The form POMPLIO need not be a
dual form -- it may be just the
nominative singular with the final s by custom omitted when there is a formal
agreement with the second prae-nomen, though belonging to both. Dual endings in
the Indo-European languages. In proto-Indo-European hl forms the basic dual
ending, which may have a strong form (ehl or hle) in animate nouns. It is
assumed that the numeral ‘two’ has the form ‘duwo-ehl’ (literally, ‘two
persons, or animals’), which later develops into the masculine form. IE ‘duwo,
m. Latin for some time kept the dual ending -e (PIE ejl). The loss of the dual
causes the proto-Latin forms ending in -e (once dual forms) to generate a
separate group: a fifth declension. From a variant dual ending -e, the -e-
would have to have formed in the oblique cases. The genitive dual ending in
Indo-European is -es (PIE ejls gen. du). Both a dual inflection with -e (gen.
du. -es) and -e (gen. du. -es) would have ensured the stabilization of the
feature -e- after the loss of the dual number in the Italic languages. The
cause of the loss of the dual number in Latin. Most probably, the loss of the
dual as a separate CATEGORY takes place within the a- stem and the -o- stem
declensions. In the nominal paradigm, a specifically Latin innovation causes a
change in the infection system. This innovation is the loss of the old plural
ending -os, which are well attested in the other Italic languages, along with
the adaptation of the enings of the PRO-nominal system -oi -- whence Latin
‘-i.’ – cf. nom. sg. m. -os > -us. Nom. du. M. -o (ambo, octo, duo). The
PLURALISATION of the dual in the -o- stem declension happens largely without a problem – providing
you keep a Griceian ‘eye’ – Cf. ‘pater,’ father. nom. sg. m. pater; nom. du. m. ‘patere’.
nom. pl. m. ‘pateres’. As Austin pointed
out to me, the loss of the dual in the Indo-European languages suchas Latin did
not happen solely via the good old pluralisattion of the dual form, but also by
way of a ‘singularisation’: i. e. the dual inflection is re-fomed into the SINGULAR
inflection. This way of the elimination of the dual number is very much
attested in Latin, in all the forms ending in -ies, for example. Then we have
the dual forms of the Lat. viginti type. The Latin cardinal number ‘viginti,’
‘twenty,’ is a remnant of the dual number. ‘Viginti’ represents the IE
archetype wiknti nom. acc. du. ‘twenty’, from PIE dwihl-dknt-ihl, literally,
‘two tens’. Since, unlike ‘duo,’ it represents a numeral higher than 4 – and
all Latin numerals from ‘quattuor’ up to ‘mille’ did not decline --, ‘viginti’
simply keeps the shape of the nominative dual. Some dual forms with no singular
form underwent a singularization (or sometimes a collectivization). As a result
of such an adaptation, the dual is re-constructed morphologically, and
re-interpreted pragmatically via implicature. This singularization (but
sometimes collectivization) of a dual form creates the need to establish a
declension. The literally DUAL character of some Latin expressions ending in
-ies may be explained through a detailed pragmatic calculation. Pierpaolo Donati. Donati. Keywords: il fra, relazionalismo,
internal conversation, l’intersoggetivo, realta fra, il fra, fra tu e io, intersoggetivismo
metodologico, communicazione come realta fra, implicatura, reflessivita,
reciprocita. Ambidue. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Donati” – The
Swimming-Pool Library.
Luigi Speranza – GRICE ITALO!; ossia, Grice e Dondi:
la ragione conversazionale e ’implicatura conversazionale -- l’astrario – iter romanorum
– colonna giulia – la colonna del circo neroniano di Buschetto -- petrarca – scuola
di Chioggia – filosofia chioggese – fiolosofia veneziana -- filosofia veneta --
filosofia italiana – Luigi Speranza
(Chioggia). Filosofo chioggese. Filosofo veneziano. Filosofo Veneto. Chioggia,
Venezia, Veneto. Grice: “I like Dondi
and I like a watch chain!”. Figlio di Jacopo, studia FILOSOFIA a Padova.
Insegna a Padova. Si trasfere a Pavia. Dopo un periodo a Firenze, vi ritorna
come filosofo di corte dei Visconti. Insegna a Pavia. Scrittore di rime, amico
e corrispondente di PETRARCA (si veda), è anche tra i pionieri
dell'archeologia. In occasione di un viaggio a ROMA, descrive e misura
monumenti classici, copia iscrizioni e trascriv i dati rilevati nel suo ‘Iter
Romanorum. La sua fama è legata
soprattutto all'astrario da lui progettato a Padova e costruito a Pavia, dove, è
conservato, nel castello di Pavia, presso la biblioteca Visconteo-Sforzesca. L'astrario è un orologio astronomico che
mostra l'ora, il calendario annuale, il movimento dei pianeti, del sole e della
luna. Per ogni giorno sono indicati l'ora dell'alba e del tramonto alla
latitudine di Padova, la lettera domenicale che determina la successione dei
giorni della settimana e il nome dei santi e la data delle feste fisse della
Chiesa. L'orologio astronomico (o astrario) di D. è andato distrutto, ma è ben
conosciuto perché il suo ideatore ne dette una particolareggiata descrizione
nel saggio Astrarium, trasmesso da due manoscritti. Si tratta di un congegno
mosso da pesi, di piccole dimensioni (alto circa 85 cm, largo circa 70), racchiuso
in un involucro a base eptagonale. Grazie ad una serie di ingranaggi l'astrario
riproduce i moti del sole, della luna e dei cinque pianeti. Esso indica anche
la durata delle ore di luce alla latitudine di Padova. Come misuratore del
tempo esso, oltre all'ora, indica (forse per la prima volta tra gl’orologi
meccanici) anche i minuti, a gruppi di dieci. La presenza di trattati di
astrologia nella biblioteca di D. fa sospettare che la progettazione sia stata
influenzata da astrologi antichi. L'orologio astronomico che si può tuttora
ammirare sulla torre dell'orologio, Padova, in piazza dei signori, è una copia
non dell'astrario di D., ma dell'orologio costruito dal padre Jacopo. Secondo
la tradizione è stato D. ad introdurre a Padova la gallina col ciuffo, oggi
nota come gallina padovana. In realtà, il giornalista padovano Holzer in una
sua ricerca ha potuto stabilire che non vi è documentazione alcuna che attesti
che D. ha mai avuto contatti con la Polonia o che l'abbia mai visitata. A lui è
dedicata una delle statue che adornano il prato della valle a Padova. Il circolo
numismatico patavino gli ha dedicato una medaglia commemorativa opera dello
scultore bellunese Facchin. Ai D. è dedicata la ballata iniziale di Mausoleum.
Siebenunddreißig Balladen aus der Geschichte des Fortschritts di Enzensberger.
Altre opere: Rime, Daniele, Neri Pozza, Vicenza; “Astrarium, E. Poulle, CISST; Opera omnia D., corpus pubblicato sotto la
direzione di Poulle. Padova. Andrea Albini, Op. La Biblioteca Visconteo
Sforzesca, su collezioni. Musei civici pavia. Albini, L'astrario di D., su
Museoscienza. Ricerche d'Archivio riguardanti la famiglia D. Di Holzer. Albini,
Machina Mundi. L'orologio astronomico di D., Create Space, Astrario, Gabriele D.
Università degli studi di Padova. Dizionario biografico degl’italiani, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana. Replica in scala 1/2 dell'Astrario, su clock maker.
Replica in scala ¼, su pendoleria. com. (Di Cjiovauui Odo ndi òalf'Otcfcgto,
TTtedico eli Padova, e Dei uiouumeutv antichi da fui animati a
ctonia, e di afcuui ceitti inediti def medesimo. rt A FILIPPO
SCHIASSI CAHOMCO MILLA CHIESA MAGGIORE DI BOLOCRA, E PROFESSORE DI
archeologia bella criverbitì. JL u non ignori certamente, o amatissimo
Schiassi, cum io faccia di le gran cubitale per la somma erudi-zione
archeologica che possedi, e per la forbitezza dello scrivere latino,
nella quale con pochi vai distinto ; e come poi io non sia ad alcuno secondo
nell'osservanza ed amore verso di te per le doti singolari dell'animo
tuo. In verità io ho sempre desiderato mi fosse pòrta occasione di farti
noto pubicamente questo mio volere; ma quella mi fallì maisempre, o, a
meglio dire, non ebbi mai ardimento di abbracciarla, parendomi da non
doversi indirizzare a te cose che non fossero parlo d'in- gegni maturi,
fra' quali per fermo non è da riporsi il mio. Tuttavolta altre ragioni
m'inducono ora a prendere contrario divisamento. Il perchè, in arra di
rispetto e di benivoglienza, ho deliberalo di spedirti questa Lettera
intorno a D., e publicarla intitolata al tuo nome ; indotto anche da ciò,
che in essa circa l’obelisco vaticano, della cui traslazione tu di fresco
con scienza e perizia ne hai scritto ho io allegate alcune cose,
dalle quali appare essere ora per la prima volta manifesto come il
medesimo nel medio-evo sia stato atterrato, e non guari appresso di bel
nuovo ristabilito, non altri- menti come sono di comune consentimento i
più accreditati scrittori delle cose passale: de’ quali in ispezialità
qual sia il giudizio da tenersi tu puoi decidere. Io intanto a te sottometto di
tallo cuore e senza cerimonie la mia opinione, qualunque ella siasi:
ritieni poi, che con animo a tc per intiero affezionatissimo mi
dispongo a ciò fare. V enezia
v>die PETRARCA (si veda) abbia scritto di D. suo amico non meno con
verità die con magnificenza, essere egli stalo d'ingegno sì sublime e potente,
che ito sarebbe alle stelle, se rattenulo non lo avesse lo studio della
Medicina,Jo capiranno coloro specialmente, i quali siano a giorno come il medesimo
siasi reso distintamente celebre nelle scienze mediche, FILOSOFICHE ed
astronomiche; c, di più, conoscano come in altre discipline, a dir vero non
comuni, fosse egli oltre l’ usato erudito. Peritissimo ancora in
scienza morale, nella cognizione dei monumenti antichi, e nel linguaggio
delle Muse italiane : le quali cose, come disse Celso in altra occasione,
quantunque non costituiscano il Medico, tuttavolta lo rendono più
atto alla Medicina, e fanno sì che abbia a primeggiare fra i dotti del
suo tempo. Ed in vero, che non si possa lare un pieno uso della
Medicina nella maggior parte delle malatie del corpo, se quelle
dell’animo del pari non si curino, è chiaro di già abbastanza per
concorde dottrina degli antichi e recenti filosofi, suffragata dalla
sperienza. Intorno a ciò sono manifesti i sentimenti del LIZIO, d’
Ippocrate, di Galeno, e di altri ; come pur anco Lettera III. a Sancse data
in luce a Venezia. ne fanno chiara prova quelle cose che sopra lo
slesso argomento ci hanno lasciato in appresso uomini sa-
pientissimi. Che poi da un’accurata osservazione degl’antichi monumenti, e
dalla lettura delle iscrizioni ne vengano singolari ajuti onde conoscere più
diffusamente l’ arte medica, ce lo dimostrano le Opere dei valenti
in quella, cioè di MERCURIALE (si veda) intorno alla GINNASTICA, il quale
tratta anche del sito più salubre alla costruzione delle fabbriche e
circa gli strumenti chirurgici; di Sicco e di Baccio intorno ai
bagni termali; di Bartolini sopra l’antico puerperio: ai quali libri se
ne potrebbero facilmente aggiungere altri di tal fetta, cioè di
Bellonio, Gioberti, Cagnato, Reinesio, Rodio, Patino, Sponio, Trillerò, Ilundertmarki, Cocchi,
e altri; cosicché niuno deve maravigliarsi del progetto di Bartolini
nel comporre l’opera intitolata Antichità necessarie ad un medico,
del cui apparecchio, in appresso incenerito dalle fiamme, lo stesso
autore ne diede breve compendio in una Dissertazione stampata in Hafnia sopra
l’incendio della biblioteca. Le moltissime sue lodi, scritte in prosa ed
in verso, ci fanno ampia testimonianza che lo studio della poesia giova a
meraviglia per fecondare e ricreare l’ ingegno, per aggiungere fregio
alla lingua ed allo stile, e per fare acquisto di altre doti richieste ad
un uomo di lettere; nè vi sarà al certo chi ignori che i Medici
versati nella medesima n’ andrebbero stimati da più che gli altri, e si
leggerebbero con più di di- letto le Opere loro. Noi conosciamo ancora
che gli stessi scrittori dell’arte medica, distinti fra gli antichi,
Ippocrate ed Areteo, succhiarono da Omero il loro bello; il primo de’
quali fu detto d’Eroziano uomo omerico quanto allo stile (Glossar .
Hippocr. Praef., edit. Lips.); e Trillerò fa vedere che al secondo giovò
d’assai la lettura dello stesso autore (Opuscula medico-philologica): il
che chiaro apparisce parimente di Galeno e di altri. Eccellente si è la
cura posta da Bartolini nel trattare che fece di questo argomento nella
Dissertazione intorno ai Medici-poeti, publicata in Hafnia; ed ora se ne
potrebbe formare un soggetto con assai più di splendore. Sono poi da
tenersi in gran conto quelle cose che furono scritte da Fracastoro, uomo
grande nell’ una e nell’ altra facoltà, ad Amalteo, medico non meno
che poeta celebre del suo tempo; cioè andare di gran lunga errati
coloro i quali avessero per niente la poesia, e la stimassero cosa
incompatibile colla Medicina: che anzi dichiara apertamente con Andrea Navagerio,
essere inetti a toccare il fondo di ogni scienza, o a gustare appieno le
bellezze di qualsiasi arte meccanica, coloro i quali andassero privi e
mancanti di vena poetica (Fracast. Opera edita Corniti). D. per coltivare l’
animo in questi studj, indotto dall’ esempio ed intrinsichezza del
Petrarca, il quale nei medesimi avea tocco l’ apogèo della gloria,
consegnò allo scritto monumenti non dubj di questo studio,
commettendoli ai posteri; ma quelli inediti, ed appena conosciuti
in un codice cartaceo di quella età, posseduto un tempo dallo
stesso autore, toccò per avventura a me solo di vederli presso Papafava,
figlio d’Albertino, fregiato della primaria nobiltà fra i Padovani e
Patrizio Veneto, il quale mi onorava di singolare cortesia; nel qual
codice io stesso ho letti gli scritti inediti del Dondi senz’altro
giudizio od altro ordine, da quello in fuori con cui qui li
riporto. Vi sono nel codice Lettere intorno a diversi argomenti,
scritte dal Dondi a varie persone ; cioè: A PETRARCA (si veda). Si
protesta tornargli a grande vantaggio 1’amicizia di lui, per arricchirsi
a perfezione della morale filosofia ; il che osserva essere assai conforme all’
insegnamento di Seneca nella Lettera <08 a Lucilio intorno al conversare
co’filosofi. Nel dipartirmi da te (scrive egli) ne riporto ogni giorno
frutti novelli, e alla tua presenza mi si ricrea l’animo d' insolita
gioja. Ad Aquila fisico (Padova). Annunzia e mostra allo cordoglio
per la morte del Petrarca, d’ improviso avvenuta la notte
antecedente. E morto un personaggio unico, a dir vero, ed ammirabile
tra i pochi di ogni età; ma a’nostri giorni il solo, a mio giudizio, che
v’abbia su tutta » la terra, e da non potersi trovare in
qualsivoglia » parte di essa: uomo da essere ricordalo e tenuto a »
venerazione da tutti i secoli. Fatale disgrazia e lagrimevolc a tutto il genere
umano, ma assai più amara a buon diritto all’Italia, della quale non
» senza gran merito egli n’ era amante perduto, e in ogni circostanza
partigiano caldissimo ; sopra tulli per altro a me e a te, ai quali era
legato con nodo » strettissimo d’amore e di singolare benevolenza. Manca
un uomo senza dubio grande, ottimo, soavissimo, amantissimo di noi ; ma non per
altro cessò del tutto, poiché anzi diede principio a vita migliore,
richiamato dall’ esiglio alla patria: se vero è che gli offici di questa
vita mortale, la Religione di continuo venerata e studiosamente coltivata,
l’opera assidua agli sludj unicamente onesti e lodati, dieno fidanza di
alcun premio nella vita a venire. A Leniaco, uomo di singolare
ingegno. Ad Argentino (Arsendino) da Forlì, e a Paganino da Sala padovano,
Dottori in legge. A Ravenna, fisico. A Geminiano, fisico di Cesa. A
Broaspina di Verona c Hai pòrto materia, nella quale mi ricordo di essere
stato titubante aneli’ io, mentre scorreva la »> Lettera a Lucilio di
quell’ eccellente e tutto nerbo » Anneo, maestro mio e tuo, e di tutti i
buoni amici in generale. A Gasparo, che lo dimanda di quelle cose
che Seneca scrive nella settima Lettera a Lucilio sopra gli spettacoli dei
Romani, gli dà spiegazione abbastanza chiara, come portavano quei tempi
sì riguardo alla materia, come pur anco alle parole; vi adoperò eziandio
dell’arte critica a motivo delle scorrezioni del testo, per colpa in gran
parte della ignoranza degli amanuensi, e dell’audacia di coloro che
vi posero mano alla emendazione. A Mazio di Verona, fisico egregio. A
Petrarca (Padova) Una lunga Lettera circa il metodo di vita da seguirsi
dal Petrarca, la quale i precettori del Seminario di Padova avendo ricevuta da
me, che la trascrissi dal codice soprallegato, non dal Marciano,
come porta l’edizione, aggiuntane un’altra del Pe- trarca al Dondi, fu da
loro data alle stampe. A Lombardo Serico, cittadino padovano. Al
frate Guglielmo da Cremona, teologo. Fa vedere gl’ ingegni degli antichi
di gran lunga supe- riori ai moderni sì in fatto di lettere, come ne
fa chiara testimonianza PETRARCA (si veda), non meno che riguardo alle
opere famose delle arti più belle, coll’esempio alle mani di un insigne
scultore soprafatto di ammirazione alla vista di monumenti
antichi. A Leniaco, cittadino veronese. A Cremona, maestro nelle arti
liberali. Ad un suo intimo amico, uomo singolare ed egregio. A
Caselle, cittadino padovano. Aromatario. A Paganino da Sala, Dottore
in legge e uomo di milizia. Con queste si congratula della dignità di
Cavallicre conferita di fresco a Paganino; così per altro, che ne fa di
molto più stima dell’onore ottenuto dall’alloro in Diritto civile, dal
quale egli traeva di già vantaggio e lode. A Nicolò Alessi,
Protonotario e Vice-Cancelliere del Signore di Padova. Ad Andreolo Arisio
Cremonese. Biasima e si fa beffe della scarsezza che v’ è nelle
biblioteche di Francia dei libri specialmente di Filosofìa morale,
di cui era tenuto a giorno per lettere di Arisio cola dimorante. Al
frate Guglielmo, Vescovo di Pavia. Ad Albertino Salso, precettore di
Fisica. AdAngarano di Vicenza. Data in luce in uno all’ Opera del
Pondi intorno alle Fonti calde nel Territorio padovano, al Maestro
Giacomo Vicentino, fra i Trattati di vari autori circa i Bagni,
stampati a Venezia Panno Ai Professori direttori di Medicina e delle Arti
nello Studio di Padova. Fa loro avere un libro da lui composto, del quale
dà contezza con queste parole: » Ricevete un Trattatello che vi darà
per » ispiegato P ordine oscuro di Galeno nella distinzione » delle
disposizioni dei corpi umani, il quale ei ristrinse con brevità nel libro di
Microtegno, asse- n gnandovene le reali differenze fra quelle,
tranne » poche che vollero accennare sin qua di volo altri »
espositori, ma in molte colle relative differenze. Al maestro Guidoni (di
Bagnolo) in Venezia, nomo egregio, fornito di molto sapere e virtù. Padova,
Cappelli, cittadino cremonese. Intorno a Pasquino, Cancelliere di Galeazzo
Visconti Principe di Milano, ne fece parola Pietro Lazerio nelle
Miscellanee cavate dai libri manoscrilti nel Collegio Romano dei Gesuiti. Pasquino
avea fatto richiesta delle Lettere scritte dal Dondi a diversi; e D. si
argomenta a tutt’uomo per dissuaderlo che quelle Lettere non erano
tali che meritassero a pezza le sue dimande. Poscia scrive molle cose
circa i rotti costumi degli uomini del suo tempo, degne alla scorza di un
va- lente filosofo. Queste Lettere sono piene a ribocco di
sentenze morali, siccome quelle che furono composte da un au- tore
che metteva ogni cura nel leggere le Opere di Seneca, e ne avea anche
dilucidate le di lui Lettere a Lucilio, con annotazioni allegate circa
alle medesime da Gasparino Barzizio nel suo Commentario, da me
veduto scritto a mano. Di qual desiderio ardesse D, di vedere
monumenti antichi, ne fa aperta testimonianza il viaggio di lui a Roma, ad
unico oggetto di venire in pieno conoscimento dell’antico e nuovo stato
della città. Del qual viaggio non rimane alcuna traccia dalla
publica autorità confermata ; tuttavolta ho letto io stesso nel
codice manoscritto, di cui feci menzione di sopra, le annotazioni dello
stesso D. intorno ai principali monumenti dell’ antichità nel viaggio e
nella dimora che fece a Roma, esaminati, credo io, da lui
appassionatamente ; delle quali annotazioni ei fa fede così dal principio
: « Ilo riportato queste cose scritte in lettere quando fui reduce da
Roma. « Non è prezzo dell’opera il rescrivere qui le anno-
tazioni del D., nelle quali v’hanno anche difetti di scritturazione,
potendosi avere alla mano scrittori famosi per molto sapere, i quali ci
hanno chiarito dei medesimi monumenti con mollo più «li accuratezza
e dovizia. Ci piace di riportare qui sotto la prima sol- tanto, la
quale versa circa l’ obelisco valicano, poi- ché mollo è stimala per
singolare novità, facendoci vedere un distico da nessuno, per quanto io
sappia, riportato, c del quale importa se ne faccia ricerca. Quella
poi suona così. In Roma La colonna Giulia a quattro lati, che si eleva
di costa a S. Pietro, ha di grossezza presso l’ estremità di mezzo,
lunghesso ciascun lato, otto piedi all’ in- circa ; di altezza poi,
secondo un buon calcolo, ascen- de a 00 piedi, ossia a dieci pertiche. Ma
un prete ac- casalo lì vicino affermò che un tale l’aveva misurata
con uno strumento ad ombra, e la trovò di braccia. Martino nella Cronaca dice
che la sua lun- ghezza va a un dipresso a 120 piedi; ed Eutropio
afferma la stessa cosa. Svetonio poi dice eh’ è di pie- tra di Numidia. E
vi sono poi ne’ suoi due lati lettere incise di tal maniera:
Divo Cnesari Divi Julii F Augusto Ti Cacsari Divi Augusti F Augusto
Sacrimi. Intorno alle antichità romane sogliono premettere alcune
cose più memorabili di Martino Polacco, Cronicista dei Pontefici e
degl’imperatori, specialmente nei codici ma- noscritti. Quelle poi che
trovansi aggiunte come tratte da Eutropio e da Svetonio, falsamente
vengono loro attribuite. ir» Al di sopra della mela di questa colonna
Giulia vi sono scolpili questi due versi: Ingenio Buzeta tuo
bis quinque puellae Appositi s manibus itane erexere columnam. Plinio
{Hi storia Nat..), e Svetonio (nella Vita di Claudio) dimostrano
apertamente che l’in- signe obelisco sia stalo trasportato dall’Egitto a
Roma per comando di Cajo Caligola ; e in séguito, mes- sa a fondo da
Claudio nella costruzione del porto di Ostia la nave su cui era stato
trasportato, la più me- ravigliosa di quante mai si fossero vedute solcar
ma- ri, il medesimo sia stato collocalo nel circo di Ne- rone ; ned
è da entrare in forse che il medesimo, fregiato di quella cospicua iscrizione
ne’ due lati, non sia quello stesso che sempre fu tenuto per
l’obelisco vaticano. Di questo attestano tutti gli scrittori più
accreditati, che non sia mai stato mosso da dove per la prima volta fu
inalzato, nè in alcun tempo atter- rato, fino a tanto che, volendolo
Sisto V. Pont. Massimo, trasportato dal luogo, dove pri- ma era posto,
mediante un congegno di macchine maravigliose di Domenico Fontana del contado
di Campo Novocomese, nella piazza di S. Pietro, dove al giorno
d’oggi si trova. Di tanto unanimemente ne stanno mallevadori in
particolar modo Decembrio, Poggio Fiorentino, Vegio, Alberiino,
Bargeo, Panvinio, Marliano, Pigafelta, Palladio, Gamuccio, Mercato, Nardinio,
Kirhero, Fontana, Bellorio, Fontana, Bonanno,
Bandinio, Milizia, Cancellieri, Winckelmanno, Fea, Zoega; l’ultimo dei
quali, che ci da un’opera perfettissima sopra gli obelischi,
impressa a Roma, come a nome di tutti gli altri scrisse di quello con
facondia. Questo dei romani obelischi il solo superstite alle rovine della
città, si tenne in piedi nel Circo vaticano fino a tanto che l’architetto Fontana,
per comando di Sisto Pontefice Massimo, lo trasferì nella piazza di S.
Pietro. Quindi non è da prestarsi credenza a Ciampinio, a Molineto, a
Vitlorellio, a Ficoronio, a Marangonio, a Guattanio, e a pochi altri, i
quali affermarono che il medesimo era di già abbattuto e steso al suolo
allorché si fece la sua traslocazione sotto il Pontefice Sisto V.
Tuttavia, giudice e testimonio D., ora ci si para innanzi all’ impensata
il distico da tempo scolpito sopra l’ obelisco, dal quale non fuori di
propo- sito n’ è lecito far congettura eh’ esso avesse incontrata cogli
altri la stessa sorte, e poscia nel medesimo sito, dove dapprima era posto, sia
stato di bel nuovo inalzato ; ovvero, se non fu ritrovato intiera-
mente abbattuto e steso a terra, fosse almeno così piegato, che il suo
inalzamcnto si avesse a tenere in conto non altrimenti che di fatto assai
meraviglioso, e da tramandarsi con lode alla memoria dei posteri per
mezzo d’ un monumento cospicuo cesellalo a Roma; al quale in séguito, come sarà
a vedersi dalle cose che qui sotto si diranno, se ne aggiunse un
altro di simile a Pisa. Per verità, tostochè lesesi questo distico,
ci ricorre alla memoria quel tetrastico sopra quella grandissima mole di
marmo, tradotta per mare ed inalzata dalle mani di dieci
fanciulle, per il sommo ingegno del chiarissimo architetto Buscheto; il
quale tetrastico si vede scolpito nel medesimo tempo sopra il di lui sepolcro,
che fronteggia il tempio maggiore di Pisa, e parla così, Quod vix mille
boum possent juga junctn movere, Et fuod, vix poluil per mare ferve
ralis, Busketi iiisu, quod crat mirabile vini, Dena puellarum turba
levabai onus. Del qual tetrastico, siccome è noto, furono fatte
tante e così scipite interpretazioni, che il fatto delle dieci fanciulle
si spacciò per una favola ; quasi che quelle parole non si potessero
applicare all’ inalzamene della gran mole, portato a termine per opera di
Buscheto con tale perfezione, che dieci donzelle colle sole loro mani
sarebbero state da tanto a quell’impresa, e che a loro in certa guisa sembrasse
do- versi attribuire la grande erezione. Pare che P opinione popolare
abbia condotto in errore tutti coloro che di questo fatto hanno discorso
per iscritto ; cioè che il contenuto in quei quattro versi accennasse
alle macchine costrutte da Buscheto nella fabbrica del tempio
pisano ; perchè il medesimo, ma in altri versi, vi si leggeva in lode di
Buscheto sulla facciata di quel tempio. Per quanto poi si sa,
nessuno avrebbe sospettato se sia da intendersi lo stesso intorno al
lavoro eseguito in Roma. Se non che quelli che giudicano
imparzialmente de’fatti, e sono di parere che P obelisco nel medio-evo
sia stato atterralo, e poco dopo novamente inalzato da Buschelo, sembra ciò
possano fare senza taccia di errore, se specialmente considerino che
tutti quegli aggiunti, rappresentati ab antico colle stesse parole
intorno al trasporto dell’ obelisco sopra una nave d’una meravigliosa
grandezza, e la maniera stessa adoperata nel suo secondo inalzamento,
acqui- stano insieme chiarezza e fede ; altrimenti non veggo quello
che se ne possa dire di vero e di ragionevole su questo fatto. Che l’obelisco
sia stato fermo in piedi presso la Cappella della Basilica Vaticana, nel
qual luogo sino dal principio era stato posto, è chiaro dalla Bolla di
Leone, per Li quale viene confermato il fondo ai Canonici della Basilica
medesima, nel cui terzo lato (disse) corre un'altra via dall'aguglia che si
nomina sepolcro di GIULIO (si veda) Cesare; colla qual denominazione sol-
tanto apparisce sia stato in uso nel medio-evo d’ indi- carsi questo
monumento (Collezione delle Bolle della Basilica Vaticana di Roma. Tennero
dietro quei lagrimevoli tempi, ne’quali per la discordia di Enrico e
Gregorio, che tra loro si combattevano, toccò a Roma di patire
moltissime calamità, nonché assedj, incendj, smantel- lamenti e
distruzioni di fabbriche anche in quella parte che si chiamava Città
Leonina, in cui stava l’obelisco: le quali cose tulle noi leggiamo
testimo- niate publicanienle da scrittori di quell’età, c di
già scritte da storici accurati d’ Italia di tempo posterio-
re nei loro divulgati lavori, senza che mai ne accada per avventura di
vedere da essi fatta alcuna menzione dell’ obelisco ; onde sorge qualche
probabilità, che ad esso pure sia toccata in quel tempo la medesima
disgrazia d’essere rovesciato. Questo certamente cade ora in taglio di
osservare, che niuno di quelli de’quali abbiamo gli scritti circa le
antichità di Roma, o di quelli de’ quali abbiamo le collezioni da gran
tempo date in luce delle antiche iscrizioni, ha fatto mai cenno del
distico intorno a Buscheto; non pure eccet- tuato lo stesso Petrarca, che
sappiamo aver egli stu- diosamente esaminato gli antichi monumenti, e
dell’obelisco aver fatto parola soltanto secondo la voce del popolo (
Epislolæ familiares, edit. Genev.). Noi pertanto andiamo debitori al
Dondi, siccome a quello che forse primo di tutti ci diede una giusta
conoscenza del tetrastico pisano, e la notizia della mole insigne
ultimamente alzata in Roma, la quale è di moltissimo vantaggio per
far conoscere la storia delle arti meccaniche del medio- evo in Italia :
soggetto di un voluminoso ed utilissimo scritto. Un silenzio così
durevole ed universale non può essere di certo a molti senza ammirazione
; ma ove essi considerino che l’ obelisco di bel nuovo inalzato era
stato a cielo scoperto bersaglio delle ingiurie dei tempi per il giro di
quasi tre secoli avanti D,, e che mostrava quel distico a lettere
sfuggevoli, sebbene ab antico scolpite, difficili alla lettura per la
sconvenienza del sito, talché siasi preso Buzeta per Buscheto ; e che
finalmente nel secolo XV. le medesime erano del tutto scomparse, non avranno
più luogo sì fatte meraviglie. Senza dubio Decembrio Opera ripiena
di scelta erudizione e poco conosciuta, scritta circa la metà di quel tempo,
intitolata hibri selle di polizia letteraria, c data ai tipi in Augusta,
ce lo rappresenta tanto ridotto a mal termine, che non dee fare stupore sia
esso sfuggito a’curiosi indagatori degli antichi monumenti, ed abbia
indottoVeronese a parlare in tal foggia. Quel lato eh’ è posto a
Mez- » zogiorno viene corroso ogni dì più dai continui vapori dell’
Austro e dalle procelle ; e i geometri e gl’architetti tutti del nostro tempo
ne trovarono tanto di logoro, che ritengono sia scemato da imo a sommo
quasi duecento libre. E il Bembo nel Dialogo ad Ercole Strozio intorno la
zan- zara di Virgilio e le favole di Terenzio, impresso la prima
volta a Venezia con altre sue Operette, mette in bocca a Barbaro Ermolao questi
delti. Appena si può descrivere a parole la grave colpa » che hanno i
Romani per quell’ obelisco vaticano, i quali, quasi invidiando che
sopravivesse una qualche opera alla nostra età, cui lunghezza di anni o »
durata di tempo non valesse a distruggere, adoperarono sì che fosse quasi tolto
alla publica vista per » mezzo di ammonticchiati rottami e murate
easupole. »Ma che D. si abbia procurato colle osservazioni sulle romane
antichità cognizioni per dare a buon diritto lodi secondo le azioni, n’ è
prova la Letlera diciottesima a Paganino Sala, decoralo poco in- nanzi
della dignità di Cavalliere : nella quale difende che la scienza delle
leggi è da tenersi in maggiore estimazione che l’arte militare,
scrivendo: « Che il senato e il popolo romano avessero operato secondo questo
parere di CICERONE, lo attestano alcune facciate, le quali sino al giorno d’
oggi si conservano nella città scolpite in marmo, alcune delle
quali, ) nè m’ inganna la mia memoria, ho lette io stesso, » dove
vengono anteposti in ordine di scrittura gl’uomini famosi in pace per consiglio
a quelli che travagliarono nella guerra. A’ piedi della rupcTarpéa si
conserva uno splendido arco trionfale di » marmo, che tiene inscritti due
grandi uomini, vale » a dire Lucio Settimio e Marco Aurelio, sopra
cui « dopo una lunga serie si offrono a lettera alcune » cose in
proposito, le quali, tienle a mente, sono » queste: Ob rem publicam
restitulam itnperiuinque » populi romani propagatimi insignibus
virlutibus eorum domi forisque. Ecco preferirsi il publico interesse
» consolidato per senno alla conquista dell’imperio, » e i grandi in pace
a’ grandi in guerra, quantunque » senza dubio l’ una e l’ altra sia cosa
gloriosa. Così » il titolo di Dottore avuto per scienza in Diritto
civile, colla quale si amministrano bene in pace i » publici affari, si
giudica doversi anteporre al titolo » di Condoiliere d'eserciti, colle
armi de' quali si gover- ni nano le cose al di fuori. » Posciachè D.
ebbe osservate le rovine della romana antichità, nella Let- tera
duodecima al frate Guglielmo da Cremona ne scriveva in tal modo, Quantunque
poche ne sieno rimaste delle opere degli antichi ingegni, pure
se alcune qua e là se ne conservano, vengono ricerca- » te,
esaminate, e tenute in gran pregio dagli appassionati in tal genere; e se
vorrai mettere a para- » gone queste dei giorni nostri con quelle, ti
sarà » chiaro come gli autori di quelle sieno stati più avvantaggiati
dalla natura e dall’ ingegno, e più dotti » nel magistero dell’arte.
Parlo di edifizj antichi, di » statue, di sculture, e d’altre cose di
simil fatta, alcune delle quali, con diligenza osservate dagli artelici di
questa età, li fanno dare nelle meraviglie.» Nella qual Lettera stessa,
dopo di avere trattato dif- fusamente sulla eccellenza degli antichi,
aggiunse anche le seguenti cose, spettanti allo studio degli anti- clii
monumenti. Io avrei credulo che tu ti avessi occupato con piacere a
leggere di quando in quando scritti di tale specie, o almeno alcuni dei
principali tra essi, ed in quelli ne avessi considerato in > molte
parti, non senza stupore, i costumi e le azioni dei tempi andati: perchè se
vorrai con giustizia » raffrontare quelli con questi che di presente
conosciamo, sarai costretto a confessare che la giustizia, il valore, la
temperanza e la prudenza hanno avuto » certamente un seggio luminoso nei
loro animi, e » dall’ impulso di quelle virtù si hanno procacciato
» alcun che di magnifico a gran lunga superiore alle » più larghe
mercedi. Del resto, prova di ciò sono » quelle cose che, ordinate una
volta per onorare » gloriose intraprese, durano ancora nella città
di Roma. Conciossiachè sebbene molle e delle più preziose ne abbia mandalo
a male il tempo, e di alcune » sieno mostrate soltanto le rovine,
che ci presen- ti tano alcune tracce di ciò che per lo innanzi
erano; tuttavia quelle poche e a meraviglia stupende che ne restano,
sono più che bastanti onde fare testimonianza che coloro i quali le
decretarono, non poteano essere che dotati di somma virtù, e che coloro
a’quali venivano dedicate ad eterna ed onorevole ricordanza doveano avere
operato gesta magnanime e strepitose. Voglio dire statue che, fuse in
bronzo o scolpite in marmo, durarono fino al giorno d’ oggi ; e mollissimi
pezzi sflagellati a torli ra, ed archi trionfali di pietra di gran lavoro, e
co- li lonne storiate di memorabili imprese, ed altre
cose moltissime di tal genere, messe alla vista di tutti onde onorare
personaggi illustri o per avere stalibilita la pace, o scampata la patria da
sovrastante » pericolo, o disteso il dominio sulle vinte nazioni. E
siccome mi sovviene eli’ io vi leggeva con molto mio compiacimento, così
voglio sperare che tu pulì re, passandovi sopra qualche fiala, le avrai
considerale, e fatto sovr’esse alcun segno di meraviglia, ed avrai detto per
avventura teco stesso: Queste per fermo sono prova d’ uomini grandi. Resta che
a fornire l’elogio di D. io lo dimostri anche amante dello studio poetico, onde
sia manifesto com’ egli abbia occupato un luogo cospicuo fra i
Medici del suo tempo. Anche i meno esperti di tali cose sapranno che
delle sue composizioni italiane una sola ne fu data alle stampe,
indirizzata a PETRARCA (si veda), la quale con altre dello stesso autore
suolsi vedere congiunta, e ne fu fatta memoria nel Dizionario degli
Academici Fiorentini della Crusca. Ma nel codice manoscritto, di cui sul
principio ho fatta menzione, se ne leggono quaranta del genere di quelle
che con vulgare vocabolo è invalso chiamare Sonetti. Queste trattano di varj
argomenti, e specialmente dell’ amore alla virtù, della malvagità dei
costumi del suo tempo, della lode e del biasimo di alcuni Principi
allora regnanti, di città vedute nel suo viaggio per Roma, di risposte ad
amici; e di amorose assai poche, ben diversamente da quello che portail
suo secolo. Le poesie volgari du D. furono scritte a PETRARCA (si veda), e
a quelli amatori delle Muse che a lui erano legati in istrelta amicizia ; cioè
a Broaspitia veronese, a Vanozzi, a Melchiore e Benedetto parimente
veronesi, a Pace padovano, al frate Guglielmo da Cremona, a Giovanni di Venezia
suo condiscepolo, a Campo, e Castellione Aretino. D. visitando la
tomba del Petrarca in Arquà scrisse forse il primo di tutti su tale
argomento una composizione, imitato poscia da uomini dotti d’ogni
nazione e d° ogni tempo ; cosicché coll’ andare degli anni io ho raccolto
versi in gran copia sopra questo soggetto, i quali potrebbero uscire in
luce con generale approvazione. La poesia usata da D, non è sempre sciolta
e facile; tuttavia è fornita di gravità e di eleganza: gli piaque
di framischiare sovente versi latini ai volgari, come sappiamo su IP
esempio degli antichi poeti es- sersi usalo fare da alcuni moderai con
vano sforzo. Nella sua giovinezza atlendeva con piacere a verseggiare,
come scrive a Guglielmo da Cremona: Già nella vaga elade de’
prim’anni Mi piaque udir e dir talvolta in rima, Benché con grosso
stile e rude lima: Poi che l’alma vestir di miglior panni Mi
piaque più, perch’io conobbi i danni Dei persi di, lasciai la via di
prima. Prendendo quel che piu prezzo si stima Con maggior cura e
studiosi affanni. I codici scritti a penna assai di rado ci
offrono versi di D., ed io ne ho veduti se non pochissimi in due
soltanto: uno de’ quali trovasi nella Biblioteca del Seminario di Padova,
un tempo posseduto dal Facciolati ; l’ altro squarcialo, e mal difeso
dalle in- giurie dei tempi, fu da me rinvenuto poco fa nell’ul-
tima stanza della Basilica di S. Marco in Venezia, e portato nella
Biblioteca regia : il perchè non dee parere fuori di ragione eli’ io ponga qui
appiedi di que- sta Lettera, come per saggio, sei componimenti
volgari di esso Dondi. Da tutto il fin qui detto risulta, che
presso i giusti estimatori degl’ingegni il Dondi andò fornito di tanta e
sì svariata dottrina, che v’ha onde tenerlo del tutto eccellente fra i
pochi periti in Medicina del suo secolo, e che perciò non ho gettato
inutilmente il tempo e la fatica nel farlo riconoscere per tale. Venezia,
Se’l veder torto del vostro Giovanni Mira la region terrestre ed
ima. La gente ricercando in ogni clima, Ebrei, LATINI, Greci ed
Alemanni, Regni comuni, e sudditi a’tiranni; Al mal son pronti, e per
quel si sublima, Spenta è virtù, e la fortuna opima Col vizio sta
su gloriosi scanni. Ito è il tempo che fu col buon Augusto, Rari son
quei che per virtù guadagna; Astuzia e frodo regna con bugia. A cui
dunque direm del calle angusto, Per qual si va con la virtù
compagna? Degno è del mal così lagnarsi pria. Oli puzza abbominabil
di costumi! Oli maledetti dì di nostra etade! Oli gente umana senza
umanitade! Più che senza splendor oscuri fumi! Convien che ’l
mondo in breve si consumi. Poiché giustizia ed innocenza cade; E sol
quell’arte e studio par che aggrade. Per qual l’un l’altro offenda,
inganni e schiumi. Qual’ cieli infortunati, qual’ figure. Qual’
mimiche stelle o gravi segni In ogni nostro ben or s’è disperso?
Quanto beate fur più le nature Nell’imperio d’ Augusto,
quando ingegni, Virtute e pace ebbe l’Universo! Cantra insolenliam
Fenetorum inferentium guarani Amino Paduae. Se la gran Babilonia fu
superba, Troja, Cartago, e la mirabil Roma, Che ancor si vede, e
quell’ altre si noma. Ma dove sletler pria stan selve ed erba; E se
altra possa fu mai tanto acerba A metter sopra altrui gravosa soma.
Tutte san già quant’ogni orgoglio doma Al fin colei clic a sè vendetta
serba. Però qualunque è maggior signoria Dovrebbe rifrenar
con più misura Fraterna di giustizia sua potenza; Di aver con suoi
minor consorte pia. Non arrogante, ingiuriosa e dura, E temer sopra
sè dal Ciel sentenza. Cum visitasset sejiulchrum Domini Fraudici
PelrarcUae in A rquada. Ilei sommo cielo con eterna vita Gode
P alma felice tua, PETRARCA; Quindi di sodo sasso in nobil’ arca La
terrena caduca parte uscita. La fama del tuo nome già gradita
Sonando va con gloriosa BARCA – la barca di PETRARCA --, Di vera lode e
d’ogni pregio carca, Per l’Universo in ogni canto udita. Nelle
scritte sentenze tue si vede La gentilezza dell’ingegno divo,
E qual sii stato in cattolica fede. Forò chi anco t’ama non è
privo Ancor di te; c chi morto li crede Erra, ch’or vivi e sempre
sarai vivo. Y. Joannes ile Domiti socio et eoiuliscipulo tuo Joanni
de Fenetiis studenti in Medicina, qui tcripseral eidem quondam
tmlgares rhythmos. Le tue parole mi par belle tanto, E
sì bene ordinate tutte quante. Qual se dette le avesse o Guido o DANTE
ALIGHIERI (si veda), Ovvero esaminate in ogni canto. Però quando fra me mi
penso alquanto, Parmi che tu non sei molto distante Da color che tu
imiti, buon rimante, E che han vestito di quell’arte il
manto. Ond’io ti prego che scrivi talvolta, Sì che
svegli il mio piccol ingegno, Per te sottratto dalla turba
stolta. Onor ti renderò, che sei ben degno. Più che’l fanciul al
maestro ch’ascolta. Guardando a te col balestriere <0 al
segno. Così il codice. Dica contra chi vuol: il saper
vale Più che il folle ardimento, cd ogni schiera Produrrà a
torto quantunque sua fiera: Per ragion giusta, dee terminar male.
E chi per van conforto d’altrui sale Oltra quel che convien a sua
maniera. Degno è che non governi ben bandiera, Nè ben cavalchi
alcun sotto sue ale. Adunque imprenda pria quei che non sanno, E non
ardisca saltar di leggieri; Contra s’alza a baldezza di vesciche.
Chè chi è corrente ha più volle le fiche, E scaccomato in mezzo il
tavolieri, Sì ch’ei riporta la vergogna e ’l
danno..tK*rCP odiatene di »oti 300 esemplati. BUSCHETO di Isa Belli
Barsali - Dizionario Biografico degli Italiani - Pubblicità BUSCHETO (Busketus,
Buschetto, Boschetto). - Si ignorano l'origine e gli estremi biografici di
questo architetto attivo a Pisa tra il terzo venticinquennio del sec. XI e i
primi del XII. Compare in due soli documenti certi (pubblicati dal Pecchiai), e
come operarius di S. Maria. È l'ideatore del progetto della cattedrale pisana e
come tale infatti è ricordato ed esaltato, nel paragone con Ulisse e con
Dedalo, nell'iscrizione che si legge sulla sua tomba collocata nella prima
arcata a sinistra della attuale facciata (trasferitavi da quella primitiva):
"Non habet exemplum niveo de marmore templum. Quod fit Busketi prorsus ab
ingenio. Una più tarda iscrizione elogiativa aggiunta sul sarcofago in occasione
del trasferimento della tomba dalla vecchia alla nuova facciata (al tempo cioè
dell'architetto di quest'ultima, Rainaldo) esalta del B. soprattutto le
capacità tecniche: "Quod vix mille boum possent iuga iuncta movere / Et
quod vix potuit per mare ferre ratis / Busketi nisu quod erat mirabile visu
Dena puellarum turba levabat onus. Accenti assai simili aveva un'epigrafe
romana, ora scomparsa, trascritta da G. Dondi, che celebrava un
"Buzeta" per aver nuovamente eretto l'obelisco nel circo neroniano:
"Ingenio Buzeta tuo bis quinque puellae / appositis manibus hanc erexere
columnam". Questa somiglianza di tono nelle due epigrafi, pisana e romana,
indusse il Morelli a proporre l'identificazione di "Buzeta" con
Buscheto. Non risulta certo che sia da identificare con il B. che compare
in due atti della canonica del duomo di Pistoia (L. Chiappelli, Storia di
Pistoia..., Pistoia). Per altre ipotesi (B. del fu Giovanni giudice dei signori
di Ripafratta, Monini), basate su documenti presunti o per documenti (Pecchiai)
poinon rintracciati, si veda Scalia. I lavori della cattedrale pisana,
iniziati nel 1063 al tempo del vescovo Guido da Pavia, proseguirono, sostenuti
da donazioni, tra cui quelle di Enrico IV e della contessa Matilde. Gelasio
consacra la cattedrale, forse non ancora del tutto compiuta. Dopo questa data,
l'edificio venne ampliato con il prolungamento a ovest del corpo longitudinale
della chiesa, di circa quindici metri, che portò di conseguenza alla
costruzione dell'attuale facciata (per il Sanpaoles. Per le fondazioni della
prima facciata si veda Bacci). L'individuazione, ovviamente fondamentale,
dell'attività di B. nella parte più antica del duomo, ha avuto un lungo iter
critico. Alla luce degli studi recenti è da credere che il B. progettasse e
iniziasse la costruzione in età ancor giovane, proseguendone poi la fabbrica
fino al primo decennio del sec. XII. Molte ipotesi sono state avanzate
sui tempi e i modi della fabbrica del duomo durante la direzione di Buscheto
(Dehio-von Bezold; Salmi, 1938;Sanpaolesi). Una documentazione indiretta aiuta
solo parzialmente. Accettando l'ipotesi del Burger, che l'epigrafe con data
1085 murata sulla porta della pieve nuova di S. Maria del Giudice (Lucca) vada
riferita al completamento dell'abside di questa chiesa - anteriore
stilisticamente alla sua facciata - il1085verrebbe ad essere anno ante quem per
il completamento di una parte dei lavori al duomo pisano attribuibili a B.,
dato il rapporto esistente tra il duomo di Pisa e l'abside della pieve nuova di
S. Maria del Giudice: la chiesa del contado lucchese sarebbe anche il più
antico edificio derivato dalla cattedrale pisana. I forti pilastri
interni all'incrocio del transetto delineano le dimensioni della cupola e
autorizzano a ritenere che B. progettasse anche questa parte (Sanpaolesi),
anche se poi è possibile che i lavori si protraessero. La cupola originaria -
poggiante su un tamburo con monofore ad archetto e su trombe coniche venute in
luce durante i restauri del secondo dopoguerra - indica rapporti con l'architettura
del Mediterraneo orientale e della Sicilia. Un problema aperto è quello
della forma della facciata di B., forse già compiuta nel 1118 quando fu
consacrata la chiesa, certo già esistente quando nella chiesa fu tenuto un
concilio, e disfatta probabilmente dopo la costruzione della nuova. Ipotesi
ricostruttive possono trovare appoggio nell'esame analitico e comparativo di
alcune facciate di chiese pisane (S. Frediano di Pisa, la pieve di Calci già
aperta al culto, la pieve di Vicopisano) e lucchesi (le due pievi di S. Maria
del Giudice), tutte in contatto con la cattedrale pisana. Queste facciate
mostrano una ricorrente tipologia ad archi ciechi su due ordini, che si
presenta in logico e armonioso rapporto con quella soluzione ad archi ciechi
che compare nei fianchi del duomo di Pisa. Il linguaggio di B. non è
certo riconducibile ad una tradizione locale, ed è estremamente colto.
Accettando l'ipotesi di identificazione con il Buzeta dell'iscrizione romana,
il soggiorno a Roma illuminerebbe sul sottofondo classico della sua cultura:
l'impianto dell'edificio e i grandi colonnati basilicali, i capitelli foggiati
ad imitazione dell'antico, la quasi completa assenza di decorazioni figurate
rivelano infatti la conoscenza e lo studio delle opere romane; è significativo
che anche il neoclassico Milizia ne notasse "le proporzioni del tutto
non... spregevoli" e la sodezza. Nello stesso tempo B. è a conoscenza
dell'architettura lombarda e dell'architettura orientale, dalla bizantina
all'araba. Contatti e rapporti culturali sono d'altronde superati in una
unitaria visione di grande respiro, che fa di B. uno dei massimi
architetti. La cattedrale pisana è capostipite del romanico pisano.
All'opera di B. e del suo continuatore Rainaldo si rifece non solo la generazione
a loro più vicina, ma una folta scuola, estesasi nella Lucchesia, nel
territorio fiorentino, e nelle zone politicamente o commercialmente in rapporto
con Pisa (in Sardegna e in Puglia), scuola che ne mantenne alcuni tratti
essenziali, pur modificandosi nel tempo e nei diversi centri. Fonti e
Bibl.: B. Maragone, Annales pisani, in Rerum Italic. Script., a cura di
Gentile; Sardo, Cronaca pisana, a cura di Banti, Roma, D., ITER ROMANVM, in CODICE TOPOGRAFICO DELLA
CITTA DI ROMA, cur. Valentini-G. Zucchetti, IV, Roma, Milizia, Mem. degli
architetti antichi e moderni, Parma; Morrona, Pisa illustrata, Pisa, Morelli,
Operette, Venezia; Grassi, Descriz. Stor.-artistica di Pisa, Pisa, Parte
storica; Parte artistica; Fleury, Les monuments de Pise au Moyen Age, Paris, Rossi,
Inscriptiones christianae Urbis Romae, I, Romae, Dehio-Bezold, Die kirchliche
Baukunst des Abendlandes, I, Stuttgart, Monini, B. pisano, Pisa; P. Schubring,
Pisa, Leipzig Venturi, Storia dell'arte italiana, Milano; J. B. Supino, Arte pisana,
Firenze, Pecchiai, L'opera della Primaziale pisana, Pisa, Papini, Pisa, I, Roma,
La costr. del duomo di Pisa, in L'Arte, Bacci, Le fondaz. della facciata nel
duomo di Pisa, in Il Marzocco, Tronci, Il duomo di Pisa, cur. Bacci, Pisa; M.
Hauttmann, Die Kunst des frühen Mittelalters, Berlin, Salmi, L'architettura
romanica in Toscana, Milano-Roma, Toesca, Il Medioevo, I, Torino, Guyer, Der
Dom zu Pisa und das Rätsel seiner Entstehung, in Münchner Jahrbuch der
bildenden Kunst, Salmi, La genesi del duomo di Pisa, in Boll. d'arte, Thümmler,
Die Baukunst in Italien, in Römisches Jahrbuch für Kunstgeschichte, Ragghianti,
Architettura lucchese e architettura pisana, in Critica d'arte, Burger, L'architettura romanica in Lucchesia
e i suoi rapporti con Pisa, in Atti del Seminario di storia dell'arte,
Pisa-Viareggio, Sanpaolesi, La facciata della cattedrale di Pisa, in Riv.
dell'Ist. d'archeol. e storia dell'arte, Il restauro delle strutture della
cupola della cattedrale di Pisa,in Boll. d'arte, Burger, Osservazioni sulla
storia della costruzione del duomo di Pisa, in Critica d'arte; Barsotti, B. e
Rainaldo, in Cattedrale di Pisa (catal. della mostra), Pisa, Delogu, Pistoia e
la Sardegna nell'architettura romanica, in I Convegnointernaz. di storia e
arte,Pistoia Scalia, Ancora intorno all'epigrafe sulla fondazione del duomo
pisano, in A G. Ermini, Spoleto, Thieme-F. Becker, Künstlerlexikon, s.v.
Busketus. Circo di Nerone Circo scomparso della Roma antica Circo di
Nerone (o Vaticano) Sito archeologico Roma Nero Circus Ricostruzione del Circo
di Nerone in un disegno di Pietro Santi Bartoli Civiltà Civiltà romana Utilizzo
Circo Localizzazione Stato Città del Vaticano Mappa di localizzazione Il
circo di Nerone era un impianto per spettacoli dell'antica Roma lungo 540 metri
e largo circa 100, che sorgeva nel luogo dove oggi si trova la basilica di San
Pietro in Vaticano, in una valle che correva da dove si trova la parte sinistra
della basilica fino quasi ad arrivare al Tevere. L'area dei Carceres, da dove
partivano le bighe, era situata nel punto dal quale la Via del Sant'Uffizio
lascia piazza Pio XI, mentre quella del lato curvo va rintracciata qualche
decina di metri dopo l'abside della basilica di San Pietro.
StoriaModifica L'opera, iniziata da Caligola e completata da Nerone, era stata
costruita all'interno della villa di Agrippina Maggiore, villa che alla morte
della madre di Caligola passò in eredità a Nerone. Nel circo privato
dell'imperatore si tenevano corse di cavalli, bighe e quadrighe, molto popolari
a Roma, tanto che in alcune occasioni l'imperatore, che normalmente vi
assisteva solo con la sua corte, fece aprire le porte del circo al popolo
romano. È probabile che l'impianto non dovesse contenere più di 20.000
spettatori. Qui ebbero luogo, forse per la vicinanza all'adiacente
necropoli, alcune esecuzioni dei cristiani giudicati colpevoli di aver causato
il grande incendio di Roma. Nerone, secondo Tacito, aggiunse lo scherno al
supplizio. Come avvolgere gli uomini con pelli di animali perché fossero
dilaniate dai cani, o inchiodarli alle croci, o destinarli al rogo come
fiaccole, che illuminassero l'oscurità al termine del giorno. Nerone aveva
offerto i suoi giardini per lo spettacolo, e vi aveva organizzato giochi
circensi, mescolandosi alla folla in abito d'auriga o guidando un carro da
corsa. In tal modo si aveva pietà di quei condannati, benché colpevoli e
meritevoli del supplizio, perché venivano sacrificati non per l'utilità
pubblica ma per la crudeltà di uno solo.[1] Il circo fu abbandonato già
verso la metà del II secolo d.C. e l'area fu suddivisa e assegnata in
concessione ai privati per la costruzione di tombe appartenenti alla necropoli.
Tuttavia pare che fino al 1450 ne sopravvivessero ancora molti resti, distrutti
con la costruzione della nuova basilica vaticana. L'obelisco, che era
posto al centro della spina del circo, era stato per volere di Caligola
trasportato fin qui da Eliopoli, dove si trovava nel Forum Iulii. Qui rimase
fino a che papa Sisto V lo fece spostare
al centro di Piazza San Pietro. L'area dove sorgeva anticamente il
Circo di Nerone. Publio Cornelio Tacito, ''Annales, Basilica di San Pietro
in Vaticano Via Cornelia Altri progettiModifica Collabora a Wikimedia Commons
Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su circo di Nerone. Portale Antica Roma
Portale Architettura Portale Roma Necropoli vaticana Ager
Vaticanus Via Cornelia Strada romana antica Wikipedia Il contenutoGrice:
“I thought it was a good idea of the Anglo-Normans to retain the Anglo-Saxon
idea of ‘time’ (as stretch – a rather English root – cf. German ‘zeit,’ our
‘tide’ --, and borrow from Latin, ‘tempus’, which gives us ‘temporary’, as I
use in my ‘Personal Identity,’but also ‘tense’ – This tense is better than by
vice/vyse, since vice and vyse are both cognate with violence. But tense and
tense are not. One is cognate with Latin tension. The other is just a
mispronounciation of Fremch ‘temps,’ Latin/Roman ‘tempus’ – So as Cicero would
have it, it’s ‘tempus’ we should care about!” -- Giovanni Dondi dall’Orologio. Giovanni
De Dondi. Dondi. Keywords: l’astrarium, Leibniz’s Law, time-relative identity,
total temporary state (Grice: “I’m thinking of Hitler”); Wiggins, Myro, The
Grice-Myro Theory of Identity, sameness and substance, Mellor, filosofia del
tempo, Prior, Creswell, Mellor – logica cronologica, ‘tense logic’ ‘tense
implicature’ -- “iter romanorum”. Refs:
Luigi Speranza, “Grice e Dondi” – The Swimming-Pool Library. Dondi.
Luigi Speranza – GRICE ITALO!; ossia, Grice e Dorfles:
la ragione convversazionale e l’implicatura conversazionale del kitsch – scuola di Trieste – filosofia
friuliese -- filosofia italiana – Luigi
Speranza (Trieste). Filosofo trestino. Filosofo
friulese. Filosofo italiano. Trieste, Friuli – Venezia Giulia. Grice: “Must say my favourite Dorfles is his
‘artificio e natura,’ on the doryphoros!”. Nato a Trieste nell'allora Austria-Ungheria da padre
goriziano di origine ebraica e madre genovese, si laurea a Trieste. Si dedica
allo studio della pittura, dell'estetica e in generale delle arti. La conoscenza
dell'antroposofia di Steiner, acquisita grazie alla partecipazione a un ciclo
di conferenze a Dornach, orienta la sua arte pittorica verso il misticismo,
denotando una vicinanza più ai temi dominanti dell'area mitteleuropea che a
quelli propri della pittura italiana coeva. Isegna a Milano, Cagliari e
Trieste. Fonda il Movimento per l’Arte Concreta (vs. arte astratta). del quale
contribuì a precisare le posizioni attraverso una prolifica produzione di
articoli, saggi e manifesti artistici. Prende parte a numerose mostre in Italia
e all'estero: espone i suoi dipinti alla Libreria Salto di Milano e in numerose
collettive, tra le quali la mostra alla Galleria Bompiani di Milano,
l'esposizione itinerante, e la grande mostra "Esperimenti di sintesi delle
arti", svoltasi nella Galleria del Fiore di Milano. Risulta
componente di una sezione italiana del gruppo ESPACE. Diede il suo contributo
alla realizzazione dell'Associazione per il Disegno Industriale. Si dedica
quindi in maniera pressoché esclusiva all'attività critica. Con la personale
presso lo Studio Marconi di Milano, torna a rendere pubblica la propria produzione
pittorica. L'arte non prescinde dal tempo per esprimere semplicemente lo
spirito della Storia universale, bensì è connessa al ruolo delle mode e a tutti
gli ambiti del gusto. Considerevole è stato il suo contributo allo sviluppo
dell'estetica italiana, a partire dal Discorso tecnico delle arti, cui hanno
fatto seguito tra gli altri Il divenire delle arti e Nuovi riti, nuovi miti.
Nelle sue indagini critiche sull'arte contemporanea si è sovente soffermato ad
analizzare l'aspetto socio-antropologico del fenomeno estetico e culturale,
facendo ricorso anche agli strumenti della linguistica. È autore di numerose
monografie su artisti di varie epoche (Bosch, Dürer, Feininger, Wols,
Scialoja). Pubblicato due volumi dedicati all'architettura (Barocco
nell'architettura moderna, L'architettura moderna) e un famoso saggio sul
disegno industriale (Il disegno industriale e la sua estetica). è il primo
a vedere tendenze barocche nell'arte moderna (il concetto di neobarocco sarà
poi concettualizzato da Calabrese) riferendole all'architettura moderna in:
Barocco nell'architettura moderna. Contribuisce al Manifesto dell'antilibro,
presentato ad Acquasanta, in cui esprime la valenza artistica e comunicativa
dell'editoria di qualità e il ruolo del lettore come artista. A Genova si
occupa anche del lavoro di Costa. Partecipa alla presentazione del libro
Materia Immateriale, biografia di Costa, Miriam Cristaldi, di cui Dorfles ha
scritto la prefazione. L'editore Castelvecchi ha pubblicato Horror Pleni. La
(in)civiltà del rumore, in cui analizza come la scoria massmediatica ha
soppiantato le attività culturali; Conformisti e Fatti e Fattoidi. Pubblica un
inedito d'eccezione, “Arte e comunicazione”, in cui mette la teoria alla prova
con alcune applicazioni concrete particolarmente rilevanti e problematiche come
il cinema, la fotografia, l'architettura. è uscito Irritazioni: un'analisi
del costume contemporaneo, uscito nella collana Le navi dell'editore Castelvecchi.
Con la sua ironia ha raccolto le prove della sua inconciliabilità con i tempi
che corrono. Nel saggio c'è una critica sarcastica e corrosiva all'attuale iperconsumismo.
NComunicarte Edizioni, pubblica 99+1 risposte di Dorfles nella collana Carte
Comuni. Un'intervista "lunga un secolo" con la quale il critico
ripercorre la sua vita e alcuni incontri d'eccezione: da ISvevo a Warhol, da
Castelli a Fini. La Triennale di Milano ospita la mostra "Vitriol,
disegni" Colonetti e Sansone; V. I. T. R. I. O. L. è un simbolo alchemico, acronimo del motto
rosa-crociano “Visita Interiora Terrae Rectificando Invenies Occultum
Lapidem”. Assieme ad artisti e autori come Anceschi, Enrico Baj, Marchesi,
Mulas e Niccolai, partecipa al numero quattordici di BAU.. Muor e a
Milano, nella sua casa di piazzale Lavater. Zio di Piero Dorfles, critico
letterario della trasmissione televisiva Per un pugno di libri (il padre di
Piero, Giorgio, era fratello di Gillo). Tra i riconoscimenti ricevuti:
Compasso d'oro dell'Associazione per il Design Industriale, Medaglia d'oro
della Triennale, Premio della critica internazionale di Girona, Franklin J.
Matchette Prize for Aesthetics. È stato insignito dell'Ambrogino d'oro dalla
città di Milano, del Grifo d'Oro di Genova e del San Giusto d'Oro di
Trieste. È stato Accademico onorario di Brera e Albertina di Torino,
membro dell'Accademia del Disegno di Città del Messico, Fellow della World
Academy of Art and Science, dottore honoris causa del Politecnico di Milano e
dell'Università Autonoma di Città del Messico. Palermo gli conferì la
laurea honoris causa in Architettura. Ricevette dall'Cagliari la laurea honoris
causa in Lingue moderne. Onorificenze Cavaliere di gran croce dell'Ordine
al merito della Repubblica italiana nastrino per uniforme ordinariaCavaliere di
gran croce dell'Ordine al merito della Repubblica italiana, Di iniziativa del
Presidente della Repubblica» Medaglia d'oro ai benemeriti della cultura e
dell'arte nastrino per uniforme ordinaria Medaglia d'oro ai benemeriti della
cultura e dell'arte. Altre opere: “Barocco nell'architettura moderna” (Studi monografici
d'architettura, Libreria Editrice Politecnica Tamburini, illustrazioni); “Discorso
tecnico delle arti, Collana Saggi di varia umanità, Pisa, Nistri-Lischi,Il
pensiero dell'arte, Milano, Marinotti); “L'architettura moderna, Collana serie
sapere tutto, Milano, Garzanti); “Le oscillazioni del gusto e l'arte moderna” (Forma
e vita, Milano, Lerici); “Il divenire delle arti, Collana Saggi, Torino,
Einaudi, ed. accresciuta, Torino, Einaudi; Collana Reprints Einaudi, Bompiani);
“Ultime tendenze nell'arte”, Collana UEF, Milano, Feltrinelli); XXVII ed., UEF,
Milano, Feltrinelli); “Simbolo, comunicazione, consume” (Torino, Einaudi, Il
disegno industriale e la sua estetica, Bologna, Cappelli, Kitsch e cultura, in
Aut Aut, Nuovi riti, nuovi miti” (Torino, Einaudi, Milano, Skira, L'estetica
del mito (da Vico a Wittgenstein), Milano, Mursia, Kitsch: antologia del
cattivo gusto, Milano, Mazzotta); “Artificio e natura” (Torino, Einaudi); Milano,
Skira, Le oscillazioni del gusto. L'arte d'oggi tra tecnocrazia e consumismo, Torino,
Einaudi, Milano, Skira, “Senso e insensatezza nell'arte d'oggi, ellegi
edizioni, L'architettura moderna. Le origini dell'architettura contemporanea; I
quattro grandi: Wright, Corbusier, Gropius, Rohe); Dall'espressionismo
all'organicismo razionalizzato, dall'ornamented modern al brutalismo, ai più
avveniristici tentativi attuali, I Garzanti, Milano, Garzanti, Dal significato
alle scelte, Torino, Einaudi, Massimo Carboni, Collana I Timoni, Roma, Castelvecchi,
Il divenire della critica, Collana Saggi, Torino, Einaudi); “Le buone maniere,
Milano, Mondadori, Mode et Modi, Collana Antologie e saggi, Milano, Mazzotta, II
ed. riveduta, Mazzotta, Introduzione al disegno industriale. Linguaggio e
storia della produzione di serie” (Torino, Einaudi, L'intervallo perduto, Collana
Saggi, Torino, Einaudi, Milano, Skira, I fatti loro. Dal costume alle arti e
viceversa, Milano, Feltrinelli, Architettura ambigue. Dal Neobarocco al Postmoderno,
Bari, Dedalo, La moda della moda, Collana I turbamenti dell'arte, Genova, Costa
e Nolan, La (nuova) moda della moda), Costa et Nolan, Elogio della disarmonia:
arte e vita tra logico e mitico” (Milano, Garzanti, Milano, Skira, Itinerario estetico,
Milano, Studio Tesi, Itinerario estetico. Simbolo mito metafora, Luca Cesari,
Bologna, Editrice Compositori); “Il feticcio quotidiano” (Milano, Feltrinelli, Massimo
Carboni, Collana I Timoni, Roma, Castelvecchi, Intervista come auto-presentazione,
con tavole di Paolini, Collana Scritti dall'arte, Tema Celeste Edizioni, Preferenze
critiche. Uno sguardo sull'arte visiva contemporanea, Bari, Dedalo, Design:
percorsi e trascorsi” (Design e comunicazione, Bologna, Lupetti, Fulvio
Carmagnola, Lupetti, Conformisti, Roma, Donzelli, Fatti e fattoidi. Gli pseudo-eventi
nell'arte e nella società, Vicenza, Neri Pozza, Massimo Carboni, Roma, Castelvecchi,
Irritazioni. Un'analisi del costume contemporaneo, Collana Attraverso lo
specchio, Luni, Carboni, Roma, Castelvecchi, Scritti di Architettura, L.
Tedeschi, Milano, Mendrisio Academy, Puppo, D. e dintorni, Milano, Archinto, Lacerti
della memoria. Taccuini intermittenti, Bologna, Compositori, L'artista e il
fotografo, Verso l'Arte, Conformisti. La morte dell'autenticità, Massimo
Carboni, Roma, Castelvecchi, Horror Pleni. La inciviltà del rumore, Collana I
Timoni, Roma, Castelvecchi); “Arte e comunicazione: comunicazione e struttura
nell'analisi di alcuni linguaggi artistici” (Milano, Mondadori Education, Inviato
alla Biennale, A. De Simone, Milano, Scheiwiller, 99+1 risposte, Lorenzo
Michelli, Trieste, Comunicarte Edizioni, Movimento Arte Concreta, Sansone e N.
Ossanna Cavadini, Milano, Mazzotta, Poesie, Campanotto Editore, L'ascensore
senza specchio, Quaderni di prosa e di invenzione, Milano, Edizioni Henry
Beyle, Kitsch: oggi il kitsch, Colonetti et al., Bologna, Compositori, Arte con
sentimento. Conversazione,Meneguzzo, Collana Polaroid, Milano, Medusa, Essere
nel tempo, Achille Bonito Oliva, Milano, Skira, Gli artisti che ho incontrato,
Sansone, Milano, Skira, La logica dell'approssimazione, nell'arte e nella vita,
Aldo Colonnetti, Estetica senza dialettica. Scritti, al, Luca Cesari,Milano, Bompiani,
Paesaggi e personaggi, Rotelli, Milano, Bompiani, La mia America, Sansone, Milano,
Skira; "Interviene D.", in alterlinus "Calligaro: parole e
immagini", in Preferenze critiche, Dedalo, "Né moduli, né
rimedi", in Agalma, "Disarmonia, asimmetria, wabi,
sabi", in Agalma, "Feticcio", in Agalma, "Barozzi", in Da Duchamp agli Happening.
Il Mondo di Pannunzio e altri scritti, Campanotto Editore, Traduzioni Rudolf
Arnheim, “Arte e percezione visive” (Milano, Feltrinelli, Arnheim, Guernica.
Genesi di un dipinto, Milano, Feltrinelli); Addio a D. «La mia vita infinita da
Giuseppe agli smartphone», su corriere. Cazzullo: la mia vita infinita da
Giuseppe agli smartphone, Corriere della sera, il Redazione, Novità formali e
riesumazioni di precedenti esempi, il contemporaneo è un linguaggio nuovo di un
sapere condiviso, QM, su quid magazine, biografia sul sito delle Edizioni Il
Bulino, Galliano Mazzon, Mostra antologia: Civico Padiglione d'Arte Moderna, Milano,
Civico Padiglione d'Arte Moderna, Mostra antologia di Mazzon: Civico Padiglione
d'Arte Moderna, Milano,Caramel, Arte in Italia, su Dioguardi Gianfranco,
Processo edilizio e progetto: vecchi attori alla ricerca di nuovi ruoli, Milano:
Franco Angeli, Studi organizzativi. Fascicolo, Corriere della Sera, Cfr. la raccolta
degli scritti raccolti in Architetture Ambigue: Dal Neobarocco al Postmoderno,
Dedalo, Bari Di Giovanni, Il corpo, nuova forma: la “body art”; Cheiron:
materiali e strumenti di aggiornamento storiografico. Lecta web, arte e
comunicazione. Vitriol Triennale, Sussidiaria: GPS/GaPSle Forbici di Manitù
(BAU14). Celeste Prize BAU 14 Gnoli, D. il rivoluzionario critico d'arte, La
Repubblica, Bucci, Morto, critico
poliedrico. Corriere della Sera, Addio ad Alma D., signora di cultura, Il
Piccolo, Sito web del Quirinale: dettaglio decorato., su Quirinale, dettaglio
decorato., su Quirinale, Intervista su conoscenza.rai. Mandelli, Capire l'arte
contemporanea su youtube.com D., «Mi sveglio, lavoro. Amo il vino», in Corriere
della Sera, Cazzullo, la mia vita
infinita da Francesco Giuseppe agli smartphone, in Corriere della Sera. Natura insieme degli esseri viventi e
inanimati considerato nella sua forma complessiva Lingua Per natura si intende
l'universo considerato nella totalità dei fenomeni e delle forze che in esso si
manifestano, da quelli del mondo fisico a quelli della vita in generale.
Paesaggio naturale Storia del concetto Natura (filosofia). Il termine
deriva dal latino Natura e letteralmente significa "ciò che sta per
nascere": a sua volta deriva dalla traduzione latina della parola greca
physis Il concetto di natura come una totalità che va a comprendere anche
l'universo fisico è una delle molte estensioni del concetto originale; sin
dalle prime applicazioni di base della parola φύσις da parte dei filosofi
presocratici, esso è entrato sempre più nell'uso corrente. Questa
concezione è stata riaffermata con l'avvento del moderno metodo scientifico
negli ultimi secoli. Natura e ambiente Ambiente (biologia). I
boschi fanno parte del gruppo della Natura. La "natura" può riferirsi
alla sfera generale delle piantee degli animali, ai processi associati ad
oggetti inanimati, al modo in cui determinati tipi di forme esistono ed ai
cambiamenti spontanei come i fenomeni meteorologici o geologici della Terra, la
materia e l'energia di cui tutte queste realtà sono composte. Viene inteso come
ambiente naturale il deserto, la fauna selvatica, le rocce, i boschi, le
spiagge, i mari e gli oceani, e in generale quelle cose che non sono state
sostanzialmente modificate dall'intervento umano, o che persistono nonostante
l'intervento dello stesso. Ad esempio, i manufatti e le trasformazioni umane in
genere non sono considerati parte della natura, venendo preferibilmente
qualificati come una natura più complessa. Più in generale, la natura
comprende i seguenti contesti e dimensioni della realtà. La Terra è il luogo
primigenio degli esseri umani, che ospita la vita come da noi concepita e
conosciuta. Sulla sua superficie si trova acqua in tutti e tre gli stati
(solido, liquido e gassoso) e un'atmosfera composta in prevalenza da azoto e
ossigeno che, insieme al campo magnetico che avvolge il pianeta, protegge la
Terra dai raggi cosmici e dalle radiazioni solari. La sua formazione è
datata a circa 4,54 miliardi di annifa. Vita Le piante (Plantae Haeckel) sono
organismi unio pluricellulari, che comprendono tutti i vegetali, soggetti a
nascita, crescita, riproduzione e decesso. Gli animali comprendono in totale
più di 1.800.000 specie di organismi classificati, presenti sulla Terra dal
periodo ediacarano. Il numero di specie via via scoperte è in costante
crescita, e alcune stime portano fino a 40 volte di più la numerosità
accertata. Delle 1,5 milioni di specie animali attuali, 900 000 sono
appartenenti solo alla classe degli Insetti. Ecosistemi. Una tempesta. Gli
ecosistemi sono costituiti da una o più comunità di organismi viventi (animali
e vegetali), e da elementi non viventi (abiotici), che interagiscono tra loro;
una comunità è a sua volta l'insieme di più popolazioni, costituite ognuna da organismi
della stessa specie. L'insieme delle popolazioni, cioè la comunità, interagisce
dunque con la componente abiotica formando l'ecosistema, nel quale si vengono a
creare delle interazioni reciproche in un equilibrio dinamicocontrollato da uno
o più meccanismi fisico-chimici di retroazione (detti anche
"feedback"). Troll, dall'esame di alcune serie storiche di foro
aeree, notò che gli ecosistemi mostravano una tendenza ad aggregarsi in
configurazioni unitarie (denominate principalmente Macchie, Isole e Corridoi).
Ricordando la dizione di Humboldt, Troll chiamò tali formazioni "paesaggi". L'ipotesi
Gaia è la teoria, inizialmente avanzata da Lovelock, ma già anticipata da Keplero,
secondo la quale tutti gli esseri viventi sulla Terra contribuirebbero a
comporre un vasto ed unico organismo (chiamato Gaia, dal nome della dea greca),
capace di autoregolarsi nei suoi vari elementi per favorire a sua volta le
condizioni generali della vita. Naturale e artificiale. Natura e
artificio. Il concetto più tradizionale della natura, che può essere usato
ancora oggi, implica una distinzione tra naturale ed artificiale: con
"artificiale" si intende cioè che è stato creato dall'opera o da una
mente umana. A seconda del contesto, il termine "naturale" potrebbe
anche essere distinto dall'innaturale, dal soprannaturale e
dall'artefatto.Bottega dello scultore, miniatura che raffigura l'opera umana di
modifica degli elementi e degli arredi naturali Le difficoltà nella definizione
stessa della naturacomportano un'ambiguità nel rapporto tra uomo e natura. Alle
volte il concetto è usato in senso derivato per riferirsi a quelle zone create
dall'uomo, ma dove grande spazio è riservato alle popolazioni vegetali e
animali. Si può parlare ad esempio della natura di una foresta, anche se
coltivata e sfruttata da secoli. In tal caso ci si riferisce a una modalità di
gestire l'ambiente da parte degli umani, piuttosto che all'assenza di
intervento umano. L'idea di natura è stata rielaborata dalla cultura
urbanache ha formulato la mitica nozione di barbarie per definire tutto quanto
si pone al di fuori della civiltà. Il fatto che il termine selvaggio vienne
usato da un lato come sinonimo di naturale, dall'altro per denotare certi atti
come particolarmente violenti o efferati, mette in evidenzia una certa tendenza
ideologica, piuttosto inconsapevole, a considerare parte della natura come
estranea alla culturadominante, come qualcosa di primitivo se non di malevolo. Paradossalmente
accade anche che, in altri contesti, la parola «naturale» possa venire usata
nel linguaggio corrente come sinonimo di normale, legittimo o logico, come la
fonte cioè dei principi più retti dell'uomo civilizzato. Lo sviluppo della
scienza e della tecnologia negli ultimi due secoli è stato a sua volta in gran
parte accompagnato da una certa contrapposizione ideologica tra uomo e natura;
la conoscenza viene generalmente considerata uno strumento di dominio della natura
piuttosto che un mezzo per vivere in armonia con essa. L'epoca moderna ha visto
d'altra parte lo sviluppo della teoria della legge naturale, che pone in
risalto i diritti dell'uomo, il quale sarebbe stato dotato dalla natura di
prerogative inalienabili; in tale contesto si fa riferimento ad una natura
umana senza implicare necessariamente l'appartenenza ad una natura ancestrale. Tutela
della natura. Lo sfruttamento del suolo e il problema dello smaltimento dei
rifiuti procede di pari passo con la crescente urbanizzazione. La crescente
industrializzazione ed urbanizzazione del pianeta ha posto il problema della
conservazione della natura in forme nuove e sempre più urgenti. Agli ambienti
naturali si sono andati via via sostituendo paesaggi artificiali, che oltre a
distruggerne l'amenità, ne hanno alterato la loro peculiare storia ecologica.
Sin dalla preistoria l'uomo è intervenuto a modificare il paesaggio naturale,
attraverso disboscamenti e l'introduzione di colture e animali di importazione,
con grave danno per la flora e la fauna locali, oltre che di quelle non
addomesticabili. Ma è stato soprattutto a partire dalla rivoluzione industriale
che l'umanità si è dotata di mezzi molto più invasivi, che deturpano gli
ambienti fino a provocarne spesso la desertificazione. Fra le principali cause
della distruzione della natura vi sono: inquinamento, ed emissioni di gas
serra; sfruttamento delle risorse naturali, deforestazione, agricoltura
intensiva con uso di pesticidi, pescamassiccia; estinzione di numerose specie viventi;
ignoranza dell'ambiente biofisico, mancanza di cultura ecologica. Alle
alterazioni della natura ha contribuito inoltre la crescita esponenziale della
popolazione umana, soprattutto nei paesi del Terzo Mondo.[2] Con la
ricerca scientifica si riesce soltanto a rimediare per lo più parzialmente ai
danni, cercando di razionalizzare lo sfruttamento del suolo, arginare la
diffusione dei parassiti e limitare l'inquinamento. Per il resto, la lenta
crescita di consapevolezza dell'importanza di tutelare la natura nei paesi
industrializzati ha portato a provvedimenti come l'istituzione dei parchi
naturali. Dopo la seconda guerra mondiale sono sorte alcune organizzazioni
internazionali per la difesa della natura come l'IUCN, il WWF, l'UNESCO,
l'UNEP. Dagli anni ottanta le varie nazioni del pianeta hanno iniziato a
partecipare a delle conferenze su scala globale per trattare soprattutto dei
problemi del clima, con risultati di scarsa efficacia. Ducarme e Denis Couvet,
What does 'nature' mean?, in Palgrave Communications, Springer Nature, Natura,
su treccani.i Newman, Age of the Earth, in U.S. Geological Survey's Geologic
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nsect Species, su infoplease. Rawls, Lezioni di storia della filosofia morale,
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della civiltà, Feltrinelli, Brevini, L'invenzione della natura selvaggia.
Storia di un'idea dal XVIII secolo a oggi, Bollati Boringhieri, Pollo, La
morale della natura, Belardinelli, La normalità e l'eccezione: il ritorno della
natura nella cultura contemporanea, Rubbettino. Voci correlate Ambiente
naturale Ecologia Filosofia della natura Ipotesi Gaia Natura (filosofia)
Naturalismo Scienze naturali natura, su Treccani.it – Enciclopedie on line,
Istituto dell'Enciclopedia Italiana. natura, in Dizionario di filosofia,
Istituto dell'Enciclopedia Italiana, Natura, su Enciclopedia Britannica,
Encyclopædia Britannica, Inc. Opere riguardanti Natura, su Open Library,
Internet Archive. Natura, in Catholic Encyclopedia, Appleton. Ducarme e Couvet,
What does 'nature' mean?, in Palgrave Communications, Springer Portale
Ecologia e ambiente Portale Scienza e tecnica Ecosistema porzione
di biosfera delimitata naturalmente Ecologia branca della biologia che
studia le interazioni tra gli organismi e il loro ambiente Ecosistema
terrestre Madre Natura personificazione della natura Lingua Segui. Madre Natura
è la personificazione della natura. Werner, Diana di Efeso come
allegoria della Natura, circa Caratteristiche Madre Natura, figura dal trattato
Atalanta Fugiens Essa (a volte conosciuta come Madre Terra) è la comune
personificazione della natura focalizzata intorno agli aspetti di donatrice di
vita e di nutrimento, incarnandoli nella figura materna. Immagini di
donnerappresentanti madre natura, o la madre terra, sono senza tempo.
In età preistorica le dee erano venerate per la loro associazione con la
fertilità, la fecondità e l'abbondanza agricola. Le sacerdotesse mantenevano il
dominio di vari aspetti religiosi delle civiltà Inca, Algonchina, Assira,
Babilonese, Slava, Germanica, Romana, Greca, Indiana e Irochese per millenni
prima dell'inizio delle religioni patriarcali. Talvolta viene indicata
come la sposa di Padre Tempo. Grande Madre Gea Tellus Mati Zemlya
PachamamaTeteoinnan dea azteca della guarigione, e dei bagni di vapore.
Madre Russia personificazione nazionale della Russia Padre Tempo personificazione
del tempo. Gillo Dorfles. Angelo Eugenio Dorfles. Dorfles. Keywords: filosofia
del kitsch, “Artificio e Natura, natura, artificio, communicazione, mito,
simbolo, segno, linguaggio, interpretazione, semiotica, disarmonia, Refs.:
Luigi Speranza, “Grice e Dorfles” – The Swimming-Pool Library. Dorfles.
Luigi Speranza – GRICE ITALO!; ossia, Grice e Doria: la
ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale -- scuola di Genova – filosofia genovese –
filosofia ligure -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Genova). Filosofo geovese. Filosofo ligure. Filosofo
italiano. Genova, Liguria. Grice: “I love Doria: a nobleman who should be
sailing off Portofino, is writing a ‘progetto di metafisica’ after discussing
the ‘filosofia degl’antichi’ – you HAVE to love him! Plus, he philosophised
WHILE sailing!” Figlio di Giacomo e Maria Cecilia Spinola, appartenente alla
nobile casata dei Doria Lamba dalla quale provennero ben quattro dogi della
repubblica di Genova, ha un'infanzia travagliata segnata a cinque anni dalla
morte del padre. L'uscita dalla famiglia delle tre sorelle lo fa rimanere solo
con la madre che influenza negativamente il suo carattere melanconico ma
vivace, il suo desiderio di virtù e Gloria. La madre, che egli accusa esser
stata de' miei errori la prima e principal cagione, si era disinteressata del
figlio limitandosi ad affidarne l'educazione a filosofi bigotti che lo fano
crescere con la paura delle malattie e della morte, che gli viene indicata dai
suoi educatori gesuiti come un positivo castigo all’uomino re. Divenne
quindi vivace e grazioso nelle conversazioni affabile con tutti, facile e
condiscendente con gli amici e allo stesso tempo pieno di sé e fatuo divenendo un
Petit Maitre disinvolo e alla moda, e prende per idea di virtù vera ed
esistenta ogni vanità e molte volte prende con l’idea di virtù il vizio ancora!
Pieno di sé e fatuo. Compì con la madre il “grand tour” – Firenze, Capri,
Girgentu -- dei ‘viri’ ben nato dal quale ne usce libero dall’inibizione
religiosa, ma con un nuovo abito di un anima viziosa, la quale lo fa mirare
come idea di virtù la rilassatezza nel senso, la prepotenza con i deboli e la
vendetta. Tornato a Genova, la trovò bombardata dal mare dalle navi di Luigi
XIV. In quell'occasione conosce il conte di Melgar che l’avvia nell’arte
militare e lo introduce nel giro del patriziato mondano. Innamoratosi
fortemente di una meritevole donna che muore poco tempo dopo, cadde in
depressione e per distrarsi dal dolore riprese i suoi dispendiosi viaggi.
Ridotto in ristrettezze economiche si reca a Napoli per recuperare certi suoi
crediti ma dove lottare per districarsi dalla palude di leggi e cavillose
procedure al punto che si mise a studiare filosofia con un certo profitto per
ottenere dal tribunale quanto gli spetta. La sua fama di spadaccino gli
fa guadagnare la simpatia del patriziato napoletano che ritiene massime di
cavagliero che fusse atto di disonore e di vergogna il non punire un uomo a sé
inferiore quando si ha da quello qualche offesa ricevuto, e che il perdonare generosamente
fusse vergogna. Ma poscia era massima d'estrema vergogna il non chiamare
a duello un nobile a sé uguale quando da quello si era qualche offesa ricevuta.
Si diede quindi a duellare per qualsiasi puntiglio cavalleresco tanto da essere
messo in prigione aumentando così la sua fama di duellista e vendicativo presso
la nobiltà locale. Comincia a disgustarsi di questa sua vita fatua e falsa
trasformandosi in filosofo metafisico ed entrando nella cerchia degli
intellettuali cartesiani e gassendisti che caddero sotto l'attacco della Chiesa
preoccupata che il loro sensismo approdasse a un conclamato materialismo. La
posizione della Chiesa fu esplicitata dal grande processo contro gl’ateisti,
quegli intellettuali che si erano illusi di poter modernizzare la dottrina
cattolica. Si schierò con questi frequentando il salotto filosofico Caravita
che si era già battuto contro l'Inquisizione e che era divenuto il centro di
diffusione della filosofia cartesiana. Qui D. ha modo di conoscere il protetto
di Caravita, quel VICO (si veda) che scriverà del genovese che «fu il primo con
cui poté cominciare a ragionar di metafisica nella quale si intravedevano «lumi
sfolgoranti di platonica divinità. Per organizzarsi contro le polemiche dei
tradizionalisti, sostenuti dalla Chiesa cattolica, il Caravita pensò di fondare
un'associazione di intellettuali modernisti che, dopo diverse difficoltà, finalmente
vide la luce col nome di Accademia Palatina e che annoverava fra i 18 soci
fondatori anche Doria che pronunzia in quella sede lezioni concernenti la
teoria politica (Sopra la vita di Claudio imperadore) dove sostene la
superiorità della nobiltà per virtù e non per nascita, e dove contestava la
base valoriale dell'aristocrazia fondata sull'uso delle armi (Dell'arte
militare, Del conduttor degl'eserciti, Del governatore di piazza, Della
scherma). La guerra, scriveva D., non e un privilegio della nobiltà di spada ma
un'attività che richiede l'applicazione di una tecnica e il comando affidato a
ufficiali competenti nel dirigere l'animo umano (Il capitano filosofo,
Napoli) Pubblica la Vita civile e l'educazione del principe, criticata da
alcuni per alcuni fraintendimenti sul pensiero di Cartesio. Non ha inteso il Cartesio,
o ad arte ne tronca o perverte il senso.
Critica la politica di Tacito e Machiavelli sostenendo che questa va basata non
sopra l'idea degli uomini quali sono ma sulla virtù, il giusto e l'onesto». Lo
Stato anda guidato, come dettava l'insegnamento platonico, dal filosofo facendosi
così sostenitore, secondo le nuove idee riformatrici che cominciavano a
circolare in Europa, di un assolutismo moderato nel Regno di Napoli. Doria
cominciò ad interessarsi a temi scientifici mandando alle stampe le sue Considerazioni
sopra il moto e la meccanica de' corpi sensibili e de' corpi insensibili
(Augusta) e una Giunta d iM. Doria al suo libro del Moto e della Meccanica. Opere
queste, dove si critica il metodo di GALILEI (si veda) e si mette in
discussione la distinzione cartesiana fra res extensa e res cogitans in nome
del principio neo-platonico dell'Uno immateriale, che non ebbero il successo
sperato e vennero anzi aspramente criticate da più parti. Divenne un
personaggio ambito da nobili e femmes savantes che lo invitavano nei loro
circoli culturali dove riceve numerosi attestati di stima. Per ricambiare le
nobili dame, sue discepole, pubblica i Ragionamenti ne' quali si dimostra la
donna, in quasi tutte le virtù più grandi, non essere all'uomo inferior. La
donna ha gli stessi diritti naturali dell’uomo e puo governare e fondare grandi
imperi ma non e adatte fisiologicamente a formulare leggi per le quali occorre
una sapienza storica e filosofica. Cartesio infatti aveva errato nel credere
che Dio avesse dato a tutti eguale abilità per intender le scienze, mentre iddio
non ha ugualmente a tutti gli uomini distribuito e perciò vediamo che molti non
son capaci nelle scienze. Quindi la donna che egli ammirava moltissimo e che lo
ricambiavano con tante lodi, deve tuttavia accontentarsi di poter dirigere lo
stato ma non puo essere legislatrice. Un rapporto questo con l'altro sesso che
rimase problematico per Doria che non volle mai sposarsi ritenendo il
matrimonio una legge dura che non trova precisa corrispondenza nella teologia.
Si considera ormai un filosofo metafisico e mattematico che adottando il
platonismo ha pressoché distrutto li saggi di filosofia di Locke ed in parte
ancora la filosofia di Cartesio. Compiva un capovolgimento delle sue
convinzioni moderniste passando nel campo degli antichi quando il suo Nuovo
metodo geometrico (Augusta) e i Dialoghi ne' quali s'insegna l'arte di
esaminare una dimostrazione geometrica, e di dedurre dalla geometria sintetica
la conoscenza del vero e del falso (Amsterdam), furono aspramente criticati da
parte della rivista Acta eruditorum. Ancora più aspre le contestazioni ricevute
a Napoli che gli costarono un sonetto denigratorio che così recitava. Di rispondere
a te nessun si sogna /de' nostri, e strano è assai che Lipsia mandi/ risposta a
un uom che 'l matto ognun lo noma. Illustrazione
alla recensione pubblicata sugli Acta Eruditorum al Capitano filosofo. Gl’Oziosi,
dove profuse tutte le sue energie nel criticare i moderni, seguaci del pensiero
filosofico di Locke, dell'Accademia delle scienze di Celestino Galiani che
aveva detto di lui «il Doria ha ristampato tutte in un corpo le sue
coglionerie. Con l'avvento del re riformista Carlo III di Borbone nel Regno di
Napoli, si trova completamente isolato col suo platonismo pratticabil che
continua a difendere scrivendo “Il Politico alla moda”. Si rendeva ormai conto
di come fosse irrealizzabile il suo ideale di un governo ad opera del concetto
di “sovrano virtuoso” e di “filosofe legislatore.” Il magistrato, il capitano,
il sacerdote e tutti gli ordini che governano hanno diviso la filosofia dalla
politica per unire alla politica la sola prattica; ormai i principi scriveva vogliono
governare lo stato colla politica del mercadante, e non con la politica del
filosofo. Constatava come vi fosse ormai una generale crisi dei valori perché
in questo nostro tempo si corre dietro solamente alla perniciosa filosofia di
Locke e di Newton e si pratica solamente la politica mercantile. Completamente
ignorato dall'ambiente intellettuale, D. malato e in difficoltà economiche
muore indicando nel suo testamento la volontà che fosse pubblicata a spese di
un suo cugino, a saldo di un debito da questi contratto, l'opera “Idea di una
perfetta repubblica”. Quando il saggio e infine edito fu condannato dai
revisori ad essere bruciato per il suo contenuto contro Dio, la religione e la
monarchia. In realtà contesta il celibato ecclesiastico, l'indissolubilità del
matrimonio, la castita, l'eternità delle pene inflitte ai dannati e l'ideologia
etico-politica dei gesuiti. Il governo perfetto doveva essere a imitazione
di quello della Roma repubblicana, perché posto il governo in mano agli uomini,
è forza che sia moderato da un magistrato ordinato alla difesa del popolo
contro la tirannia. Gli unici a esecrare il rogo del saggio furono proprio i giuristi
napoletani difendendo i libri di quel savio e cordato vecchio di D., di cui s'infama
la venerata memoria. E al centro del saggio “La distruzione della fiducia e le
sue conseguenze economiche a Napoli”. Si argumenta che il governo nell'azione
di depredazione del Regno di Napoli ha spogliato i loro sudditi della virtù e
della ricchezza, introducendo al posto loro ignoranza, infamia, divisione e
infelicità. Altra azione, che si rivelerà in seguito disastrosa per la società
napoletana e in genere per il Mezzogiorno, fu lo smantellamento dei rapporti
inter-personali di fiducia tra le diverse classi, necessari per lo sviluppo dei
commerci e dell'iniziativa privata e l'introduzione di una cultura dell'onore
attraverso l'infoltimento dei ranghi nobiliari, il rafforzamento
dell'Inquisizione, l'inasprimento della segretezza dell'attività di governo,
l'incremento delle cerimonie religiose e di devozione ritualizzata, l'aumento
della diseguaglianza davanti alla legge e infine l'indebolimento apertamente
perseguito del rapporto armonioso che si era creato in passato tra i diversi
ordini del Regno: tutto ciò al fine di scoraggiare, minando la fede pubblica,
l'ascesa di una classe imprenditoriale-commerciale che avanzasse i propri
diritti e rompesse l'equilibrio dei poteri tra la corte e il patriziato locale
che gli spagnoli intendevano mantenere. Tutti questi fattori, lesivi di quel
rapporto di fiducia tra le classi necessario per l'avvio e il consolidamento
dell'attività di co-operazione e di intrapresa economica, non tarderanno a
produrre effetti duraturi sulla società meridionale, non solo a livello
mentale-culturale, e di converso a livello economico, costituendo uno dei
fattori prodromici dell'arretratezza socio-economico-culturale del Mezzogiorno
d'Italia. Altre opere: “Considerazioni sopra il moto e la meccanica de' corpi
sensibili, e de' corpi insensibili, In Augusta [i.e. Napoli?, Hopper); “Considerazioni
sopra il moto e la meccanica de'corpi sensibili, e de' corpi insensibili.
Giunta, In Augusta [i.e. Napoli?, Daniello Hopper; Dialoghi, Amsterdam, Esercitazioni
geometriche, In Pariggi, Duplicationis cubi demonstration” (Venezia); “Discorso
apologetico” (Venezia); “Soluzione del problema della trisezione dell'angolo”
(Venezia); “Vita civile” (Napoli, Angelo Vocola. Pierluigi Rovito, Dizionario
Biografico degli Italiani. “L’arte di
conoscer se stesso, in De Fabrizio, Manoscritti napoletani. Autobiografia, in Cristofolini,
Opere filosofiche, R. Ajello, Diritto ed economia, Vita civile, ed. Augusta, S.
Rotta in Politici ed economisti del primo Settecento. Da Muratori a Cesarotti,
V, Milano-Napoli, L'arte di conoscere se stesso. Eugenio Di Rienzo, GALIANI,
Celestino in Dizionario Biografico degli Italiani, V. Ferrone, Scienza natura
religione. Mondo newtoniano e cultura italiana nel primo Settecento, Napoli,
Manoscritti, La Politica mercantile, Manoscritti, Idea di una perfetta repubblica "accorato" Ajello. Segnatamente: Del commercio del Regno
di Napoli, in E. Vidal, Il pensiero civile di D. negli scritti inediti,
Istituto di Filosofia del diritto dell'Roma; Della vita civile, Torino; Massime
del governo spagnolo di Napoli, V. Conti, Guida, Napoli Contenuto nel volume
miscellaneo Gambetta, Le strategie della fiducia, Einaudi, Torino, D. Gambetta,
Rovito, «DORIA, Paolo Mattia», in Dizionario Biografico degli Italiani, Roma,
Istituto dell'Enciclopedia Italiana, Scazzieri, Il contributo italiano alla
storia del Pensiero Economia, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, Belgioioso,
Il Contributo italiano alla storia del Pensiero Filosofia, Roma, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana, Vidal, Il pensiero civile di D. negli scritti
inediti, Istituto di Filosofia del diritto dell'Roma. Fondatore di Roma e primo
re de' romani. Romolo fu il primo re de’ romani e padre della romana republica.
Uomo primieramente d’ardentissimo animo e per le armi grande. E così
fatto certamente l'aveva disposto la fortuna a quello che dovea seguire.
Per la cui opera, in tratante minaccie di vicini, di spinose
montagnie surgesse il fondamento dello’mperio che dovea crescere infino al
cielo. Perchè non si potea porre sicuramente tanta grandezza in
debole fondamento. Sì gran cosa richiedea terra salda e duca d’alto
animo. E così e, che dove prima a pena e assai erba per lo armento d’Ercole,
e dove prima a pena solea essere assai fronde per le capre di
Faustulo, in quello luogo puose la fortezza di tutte le terre e la somma
signoria delli uomini. Dunque costui CON REMO SUO FRATELLO (e insieme con
Rea Silvia, la quale e chiamata Ilia, madre senza dubio) creduto o fitto FIGLIUOLO
DI MARTE, incontanente com’elio nacque prova la crudeltà di Amulio, re
dell’albani, e non solamente contro alla madre, ma eziandio contro a
sé e CONTRO AL SUO FRATELLO. Dal quale Amulio e comandato eh' ellino fossero
gittati NEL TEVERE. E a caso elli sono liberati, o che fosse per divina
provedenzia, la qual cosa è lecito di credere dello imperio che
dovea essere sì grande, quella provedenzia apparecchiante non
sperato cominciamenlo alle grandissime cose. Soperchiando il fiume a caso
le ripe e non potendosi andare a quello, furono gittati quelli
fanciulli presso alla ripa; e, partendosi li famigliari del re, i quali li
avevano gittati, rimasono salvi. A questo luogo, TRATTA DAL PIANTO DI
QUESTI FANCIULLI, venne una lupa (o eh' ella fosse vera o ch'ella
fosse cosa finta, dell'una e dell' altra è nominanza), e, com’ella avesse
compassione, venne a questo luogo, del cui latte elli sono nutricati, traendo
con li labri il latte delle tette della detta fiera, infino che
furono trovati da Faustulo pastore del re, il quale di sopra avemo nominato, e
la lupa similmente, essendo discresciuto il fiume; e in fino agli
anni della pubertà coli' amore del padre sono nutricati. Ma allora
più di dì in dì il suo vigore si mostrava e per effetto diventava Famoso. Già sono
cari da ogni parte e ampiamente sono terribili, ogni cosa ardivano; già il suo
notricatore, per le opere informato, comincia a fermarsi in quella
openione ch'egli aveva pensalo, cioè quelli essere figliuoli del
re. Questo celato per alcuno tempò, finalmente apparve: preso Remo da'
famigli del re e datogli pena, per consolare la ingiuria fu dato a NUMITORE
suo avolo per parte di madre, nel cui terreno tramendue i frategli
avevano fatte correrie. Il quale veduto, non mosso ad ira, com'è usanza, per l'
ingiuria ricevuta, ma mosso verso di quello con una nascosa dolciezza, e
udito ch'elli sono due, considerato da l'una parte l'etade di quelli, da
l'altra l'aspetto nobile e non di pastori, vennegli a memoria i suoi
nipoti; e, dimandando pianamente delle circostanzie, trova poco
meno che costui e l' uno de' suoi nipoti, e di questo non dubita. Però
elio il tene in più libertà, e non come preso ma come suo, come veramente
elio e. E questa e più diritta via a distruzione del re, perchè
manifestato a Romolo non solamente la condizione del presente stato del
fratello, ma la nazione di tramendue nascosta infino a quello tempo;
ammonendoli colui, ch'e tenuto padre, ch'elli non sono suoi figliuoli ma sono
di schiatta reale; e, spostali per ordine l’ingiuria di quegli e
con questa l’ingiuria di suo avolo e di sua madre, fatto Romolo più
animoso, conosciuto il fatto, dispuosesi non solamente a LIBERARE IL
FRATELLO, ma vendicare sé e '1 fratello e l'avolo e la madre, non
manifestamente perchè era dispari in possanza, ma pianamente mandati
alcuni giovani di qua e di là, i quali si trovassono a una ora nella
casa del re. Così disposti gl’agguati, e a tempo accorrendo Remo, corsono
contra Amulio, il quale non si guarda e non pensa sì fatto
pericolo. Morto Amulio, NUMITORE fratello di quello, e innanzi cacciato
da lui, fu ristituito nel regno, essendo allegro, non meno per la
condizione de'trovati nipoti, che per avere acquistato il nonne sperato
regnio. Da poi, perchè elli erano di grande animo, e '1 regno di suo
avolo gli paree picciolo, lassano Alba all'avolo. E, amando il luogo della sua
puerizia ovvero del suo pericolo, procurarono di fondare nuova terra in
quello luogo. E così, per buono agurio, edificarono aspera e, acciò
ch'io dica più propriamente, pastorale casa in SUL MONTE PALATINO. E fu posto
alla terra il nome di Romolo solamente, essendo vinto il fratello nello
agurio: il quale nome e temuto poi al mondo da li popoli e dai re.
Poi, o che tra quelli fosse nata discordia, o che fosse perchè egli avesse
dispregiato il comandamento del fratello, Remo, avendo passato il nuovo
muro, E MORTO. O che e per cupidità della signoria, o per rigore di
giustizia, la credenza è varia nelle cose antiche. Romolo, avendo
presa la signoria, ordina sacrifici della patria e forestieri, e prende
abito di re e ornamenti, e ordina XII littori, e compone la legge.
Solo a fermezza del popolo e fondamento di pace e di concordia tre cose
sommamente li pare di provedere : il consiglio, e io accrescere della
cominciata città, e la durabilità; perchè era in picciola terra pochi abitatori.
E per questo gli e speranza di brevissimo tempo, mancando la
cagione del generare de' figliuoli. Dunque primieramente furono eletti C
antichi al Senato, chiamando questo ordine dalla etade, perchè il
nome de' padri e detto dallo amore e da la cura della republica. Secondo,
intra due boschi fu posto uno tempio chiamano asilo -- i greci il
chiamano santo -- il quale stando aperto, grande turba incontanente venne
di vicini paesi; la terza cosa parea che si dove fare con matrimoni -- perchè
soli i maschi non poteano durare se non una etade -- ; la qual cosa,
perchè e negata da' vicini superbamente e vituperosamente, si fa per forza e
per ingegnio. Perchè in questo mezzo, non mostrando l'ira e il
dolore d'essere rifiutato, il re apparecchiò di fare solenni giuochi a Nettunno,
e comanda di fare dinunziare il dì per li popoli vicini. II quale poi che
sopravenne, molti maschi e femmine delle terre vicine a Roma vennero per
vedere i giuochi, e non meno per cupidità di vedere quella nuova terra
quasi nata di subito. Nel mezzo de’ giuochi, essendo ogni uomo attento
con gli occhi e con l'animo, diliberatamente SONO PRESE TUTTE LE FANCIULLE,
non a fine di sua vergognia, ma di tenerle per mogliere e per avere
figliuoli. Dunque confortate con buone parole, tra lo isdegno e le
lacrime, pelle lusinghe di quegli li quali l'aveano prese, prima Romolo,
e poi gli altri, una per uno ne tolseno per moglie: e questo e cagione e
cominciamento di molte battaglie. I padri e i parenti di queste
fanciulle, lamentatisi della forza e della malvagità de' suoi osti, dai
quali ellino, invitati a giuochi, sono stati offesi per gravissima
ingiuria, incontanente uscirono fuori della terra e tornarono a
casa; e, moltiplicando le lamentanze, aggravarono l'offesa, e pigliarono
l'arme e apparecchiaronsi di fare la vendetta. E di lutti i popoli
si fece una raunanza a Tazio re de' sabini, perchè questi avevano più possanza
e aveano ricevuto più ingiuria. Ma perchè la presuntuosa ira non può
indugiare né ricevere consiglio, e perchè l'apparecchiamento alla guerra
pare pigro per rispetto dello ardore dell'animo, ciascheduno, non aspettando
l'uno l'altro, andarono alla battaglia. E innanzi a tutti i ceninesi con
l' oste corsero nel terreno de' romani : contro ai quali venendo Romolo,
mise in rotta i nimici, e UCCIDE ACRONE, re di quelli, venuto alle
mani con lui in singolare battaglia; e, con lieve assalto, prende la
terra di quelli, la quale era impaurita per la morte del re e per
la fuga del popolo. E, tornando a Roma vincitore, porta in Campidoglio
l'armi del re ed edifica lo primo tempio in Roma e sacrificollo
sotto il nome di GIOVE Feretrio -- dove i capitani de' romani non
portano, quando sono vincitori, se non la preda de' capitani vinti
in singolare battaglia, la quale elli chiamano grassa robarìa. Dunque
in quello luogo egli appicca l'armi del morto re, per esempio del
tempo da venire, rado ma grande dono di quelli che venieno dietro.
I secondi che corsono nel terreno de'romani furono gli atennati; e questi sono
vinti e perderono la terra. Ma per prieghi di Ersilia, moglie di Romolo, la
quale e una di quelle sforzate che porta a gli orecchi del re i prieghi e
i desideri dell'altre, ricevuti a misericordia, venneno ad abitare a Roma.
Da poi i crustumini, movendo elli la guerra, sono vinti
leggiermente, crescendo ogni dì la virtù di Romolo; e, venuti a Roma
quelli chi sono vinti, crescendo Roma per li danni de'nimici. E più a
fare colli sabini, i quali quanto più tardi tanto più
maturamente si moveano: presa la rocca di Campidoglio, per
tradimento d'una donzella figliuola di Spurio Tarpeo, il quale era
castellano della delta rocca, dal quale ancora è nominato quel
monte in mezzo di Roma, e dubiosa battaglia, combattendo quelli dal
luogo di sopra. Nella quale battaglia mancando Osto Ostilio, il quale e
arditamente per la parte de' romani infino ch'elio puo, la gente de'
romani tutta si cessò in dietro, cacciando indietro eziandio Romolo il
quale li contrasta. E elli, non sperando già più della forza umana, dirizzando
al cielo le armate mani, chiamando Giove com' elio e presente, pregando o
che gli togliesse la vergogaia del fuggire vilmente, o eh' elli
fortificasse gli abbattuti animi de' suoi con celestiale aiutorio, fa
voto di fare in Roma uno secondo tempio a GIOVE STATORE, secondo
che piace agli scrittori; e, quasi ricevuta la promissione dal cielo,
fatto più ardito ristoroe con sollecita mano la battaglia già caduta,
dicendo a'suoi chiaramente che Giove comanda così. Per questo la
sua gente, seguendo lo esempio del suo re e il comandamento di Giove,
torna contro a'nimici, da' quali non speravasi ch'egli tornassino;
e combattendo innanzi a gli altri aspramente Romolo, essendo già mutata
la condizione della battaglia, quelli che incalzavano cominciarono
a fuggire. Intra i quali MEZIO CURZIO, secondo dopo il re de'
sabini, uomo famosissimo e in quello di 'nanzi a tutti gli altri in fatti
e in virtù molto ardito, non sostenne il furore. Una palude, ch'era
presso, e pericolo e salute a lui, nella quale spaurito il suo cavallo
furiosamente salta con grande paura de' suoi, ma confortandolo elli
e mostrandogli la via, usce fuori. E di questo nacque il nome di
quella palude, cioè, lago Curzio. Uscitone fuori costui, gli animi
crebbono a' suoi, e ancora, bene che con varia fortuna contro
a' sabini, corsono insieme. E, sendo in questo stato, la pietà trova via
di non sperata pace. Combattendo dall'una parte i mariti, da l'altra
parte i padri, vennero tra questi quelle eh' erano state sforzate;
e, non considerando sé essere femmine, non temendo il pericolo, con prieghi
pieni di lagrime e misero abito, pregarono che fosse posto fine
alla guerra. E se voleano pure andare dietro, volgessono le spade
più tosto contro a quelle, le quali erano cagione della guerra, che,
uccidendosi insieme, bruttassono se di presente e per lo tempo a
venire bruttassero li figliuoli di quelle -- dall'una parte essendo
i figliuoli, dall'altra essendo i nipoti --- e dessono eterna infamia
a quelli che ancora non poteano peccare. Dall' una parte e dall' altra si
piegano gli animi e l'ira s'abbattè e, che maraviglia è a dire,
subitamente nell'una oste e nell'altra fu arrestato il romore
dell'armi e il gridare de’ combattitori, sì umile ammirazione e intrata
per quelle rabbiose menti! E non potè lungamente stare nascosta: le
affezioni mutate incontanente uscirono fuori, e lo riposo segue a
la pietà, e la pace segue al silenzio; la concordia e fatta toccandosi i re le
mani, e Roma maravigliosamente crescette per lo venire de' sabini. E non
meno crebbe Y amore dell'una parte e dell'altra verso di quelle valenti
donne, e innanzi a gli altri di Romolo, il quale rendè loro grandi
e debiti onori. Ancora restano due guerre. L'una colli fìdenati li
quali, temendo la potenzia della signoria di Roma, la quale cresce, e
avendola sospetta, per sé fecero la pruova che gli altri aveano fatta.
Entrando elli nel terreno de'romani come nimici, Romolo li anda incontro,
e puose il campo non lungi dalla terra de' nimici; e, mostrando
maliziosamente temere, conduce i nimici nelli agguati, e di questo e una
non proveduta paura e uno subito fuggire, in tanto che, mischiati insieme
i vinti e i vincitori, le guardie delle porte appena discerneano i
suoi cittadini da’ nimici; e, entrati dentro, e presa la terra. L'altra
guerra e con quelli da Veio, li quali si mossono per amore de’ fìdenati
e per odio de’ romani, e questi, vinti in campo, e guasto il paese,
dimandando pace, fecero triegua per cento anni, perdendo parte del suo
terreno. Questi furono i cominciamenti di Romolo, questo e il corso di
sua vita e l’ordine de’ suoi fatti; per li quali, appresso quella salvarla
generazione d' uomini e non ancora assai ammaestrati animi del
vulgo, egli merita essere creduto avere alcuna divinità per lo padre e
per se. Uomo al quale non manca animo né ingegnio, in battaglia
glorioso, in casa savio: ordina centurie del popolo e di cavaglieri,
acciò che in ogni tempo di pace e di guerra elio e niuno nega
ch'elio non e inolio amato. Le opinioni di questa cosa sono varie.
Alcuni dicono ch'elio e portato in cielo e posto nel concilio delli dei.
Ma questo è gran salto a uno uomo armato e gravato di peccati,
bagniato di sangue e ignorante del vero Iddio e della via del cielo. Ma
lo ardente e non temperato amore sì fa credere ogni cosa. Dunque,
achetata la tempesta, essendo risposto da' senatori -- eh' erano stati
d'intorno -- al popolo -- disideroso di vedere il suo re e a pruova
cercandolo -- eh' elio e andato in cielo, affermando uno eh' e' lo ha
veduto, e creduto. E quello e
GIULIO PROCULO, uomo di grande nominanza appresso a' suoi, secondo
che si trova, e di grande santitade e, che manifesto è, di gran nobilitade,
come colui che, nato di re albani, venne a Roma con Romolo ed e cominciamento
della giente de’ Giuli -- il quale, ardito di venire in palese, da parola
d'allegrezza al popolo eh' e in tristizia, dicendo che in quello
medesimo dì Romolo, discéso da cielo in abito più che d'uomo, e stato con lui,
affermando eh' ha comandato a lui, con grande tremore non ardito di
guardare la sua facia, questo,
cioè eh' egli dicesse a' suoi cittadini che onorassino l'arti delle
battaglie, essendo certi che ogni potenzia umana è diseguale alla
sua in fatti d'arme; e che la sua città, così piace alli dei, sarà
capo e donna di tutte le terre. E, dette queste parole, levatosi da
gli occhi monta in cielo. E queste cose sono credute a GIULIO il quale le
conta e giura, e lo dolore della morte e mitigato con lo consolamento
della divinità, e l'ira, la quale il popolo ha concetta per la morte
di sì caro re, e umiliata: così ogni uomo crede leggiermente quello
ch'elli desidera. Ma altri pensano che e morto da' senatori, veduto il
buon destro per la tempesta del tempo, e ch'elli il nascosono
nel pantano della palude, acciò CHE NON APARE ALCUNO SEGNIO DELLA SUA
MORTE. Questa, chente dice Livio, è oscura fama, ma, come piace a
chiarissimi scrittori, certamente è vera; bene che, come dice quello nel
medesimo luogo, quell' altra fu nobile per l'ammirazione dell'uomo
e per la presente paura. Puossi forse credere ancora quello che alcuni
hanno pensato, eh' elio non e portato per divinità in cielo né in
terra morto come uomo, ma eh' elio fu morto per la lempestade e per
lo furore della saetta -- la cui forza è ineffabile, e l'
operazione è nascosa --. E questo essere avvenuto a tutti quegli sono con lui,
i quali, quanto elli sono più presso, tanto sono smarriti più e
impauriti. E la libertà è di molte mani nelle cose dubbiose, ma la verità
è una sola, e questa è profondamente nascosta della morte di Romolo
come in molte altre cose. Paolo Mattia Doria. Doria. Keywords:
co-operazione, duelo – duel, the duelists, cooperation – il sensismo, roma
repubblicana, la aristocrazia romana, Romo, Romolo, aristocrazia. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Doria” – The
Swimming-Pool Library.
Luigi Speranza --
Grice e Dosseno: la ragione
conversazionale alll’orto romano -- Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo romano. A follower of the sect of the Garden.
Seneca mentions a monument to him with an inscription testifying to his wisdom.
Luigi Speranza – GRICE ITALO!; ossia, Grice e Dottarelli:
la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale di Musonio – scuola
di Bolsena – filosofia bolsenese – filosofia viterbese – filosofia lazia -- filosofia
italiana – Luigi Speranza (Bolsena).
Filosofo bolsense. Filosofo viterbese. Filosofo lazio. Filosofo italiano. Bolsena,
Viterbo, Lazio. Grice: “I like
Donatelli; he is an Etruscan, from Balsena, and it’s only natural that he is
obsessed with the one and only Etruscan philosopher, Musonio!” Si è formato alla Facoltà di Filosofia dell'Perugia,
dove ha studiato con Cornelio Fabro e si è laureato con una tesi sul dibattito
epistemologico del Novecento (Popper, Feyerabend, Lakatos, Kuhn) sotto la guida
di Baldini. Si è poi specializzato in Filosofia all'Urbino, dove ha avuto come
maestri Italo Mancini e Salvucci, con cui ha discusso una tesi sulle
implicazioni epistemologiche della filosofia di Kant. Ha insegnato nei Licei ed
è stato docente a contratto di Filosofia della scienza, Filosofia morale,
Bioetica nelle Università della Tuscia, di Macerata e Firenze. Ha sempre
coniugato il lavoro didattico e di ricerca con l'impegno civile. Per 13 anni
consecutivi è stato Sindaco della città di Bolsena (VT). Eletto la prima volta
con una lista civica di sinistra, è stato successivamente confermato. Direttore
generale della Provincia di Viterbo e in tale veste, oltre al coordinamento e
alla sovrintendenza della gestione complessiva dell’Ente, ha avuto la
responsabilità diretta della formazione e organizzazione delle risorse umane,
del percorso di certificazione EMAS, del processo Agenda 21 locale e del
progetto Arco Latino, strumento per la definizione di una strategia integrata
di sviluppo dell’area del Mediterraneo. Con Picone, filosofo e psicoanalista
junghiano, nel 2004 è stato cofondatore della Società Filosofica
Italianasezione di Viterbo, di cui è attualmente vicepresidente. Nel ha costituito il Club per l’UNESCO Viterbo
Tuscia, di cui è presidente. I suoi interessi teorici si sono rivolti
all'epistemologia, all'etica, alla filosofia politica e alla pratica
filosofica. In Popper e il gioco della scienza ha svolto un'analisi critica
dell'epistemologia falsificazionista, mostrando come l'ultimo Popper, pur
rendendosi conto della coerenza dello sviluppo evoluzionistico della propria
epistemologia, arretrasse e resistesse dal trarne le estreme conseguenze,
restando fedele al paradigma del razionalismo critico, difendendolo sino in
fondo, ma con ragioni sempre più deboli. Nei suoi lavori su Immanuel Kant (Kant
e la metafisica come scienza, Abitare un mondo comune. Follia e metafisica nel
pensiero di Kant) ha evidenziato sia il proposito kantiano di fondare come una
scienza rigorosa la metaphysica generalis, prima parte della metafisica come
era intesa nella tradizione razionalistica tedesca, sia il carattere che viene
ad assumere la metaphysica specialis, dopo la critica: un pensare congetturale
e analogico che è anche prassi, vita. In questa prospettiva la filosofia
kantiana viene valorizzata per la sua peculiare dimensione "cosmica",
come «scienza della relazione di ogni conoscenza e di ogni uso della ragione
umana con lo scopo essenziale di essa», e viene ricollegata alla filosofia come
era praticata soprattutto nell'antichità: arte di vivere, esercizio spirituale.
Il filosofo pratico, il maestro di saggezza tramite l’insegnamento e l’esempio,
è così «l’autentico filosofo», che, nel quadro della complessiva ed originale riorganizzazione
kantiana dell’orizzonte utopico di derivazione platonica e rousseauiana,
diventa esso stesso un ideale regolativo, al quale colui che più si è
avvicinato è stato Socrate, per via della sua esemplare coerenza di vita. In
Freud. Un filosofo dietro al divano, il lavoro del fondatore della psicoanalisi
viene letto come un episodio della lunga tradizione che ha interpretato la
filosofia come "medicina per l'anima". Il rapporto di Freud con la
filosofia si nutre di una profonda ambivalenza: da un lato un'irresistibile
attrazione; dall'altro quasi la necessità di rassicurare se stesso e gli altri
su una propria «incapacità costituzionale» (Autobiografia) alla pura
speculazione e sulla sua ferma volontà di sottrarsiproprio lui, formidabile
affabulatoreal fascino delle narrazioni filosofiche. La riflessione di Freud
non trascura nessuna delle dimensioni fondamentali della ricerca filosofica.
Neanche quella teoretica, volta a costruire visioni complessive dell’uomo e del
mondo; quella che gli appare la più rischiosa, perché la più astratta, la più
esposta alla frequentazione della metafisica e della religione, sempre in
procinto di cadere nella trappola della verità assoluta. Più a suo agio Freud
si sente invece nel lavorare lungo un'altra linea d’impegno tradizionale della
filosofia: la riflessione critica sui saperi e sulle pratiche umane. Nell'opera
di smascheramento dei meccanismi con cui le ideologie e le prassi individuali e
sociali ammantano la loro miseria “umana, troppo umana”, le potenzialità della
psicoanalisi si esprimono al meglio. Masecondo l'interpretazione di D. la
fatica intellettuale di Freud trova la propria collocazione più appropriata
nella dimensione della ricerca filosofica che interpreta se stessa come
un’attività in cui l’uomo si dedica alla cura e alla fioritura di sé, alla
coltivazione della propria umanità. Questa dimensione della filosofia come arte
di vivere è stata approfondita da D. attraverso la ricostruzione della vita e
del pensiero del filosofo stoico Musonio Rufo nella monografia su Musonio
l'Etrusco. La filosofia come scienza di vita. Testimonianza della vitalità
della tradizione culturale etrusca in epoca romana, la filosofia di Musonio è
espressione significativa di quel crogiolo di idee ed esperienze di ricerca
della felicità che è l'ellenismo della tarda antichità, in cui si rispecchierà
poi la civiltà medievale e soprattutto quella umanistico-rinascimentale.
Musonio ha dato il tono di fondo all'impegno prevalente nella tradizione
filosofica della Tuscia: ricerca di una scienza di vita, studio di perfezione,
imitazione di Dio, àskesis, esercizio per sviluppare la conoscenza e la
coltivazione di sé, finalizzata alla fioritura dell’autentica esistenza umana.
L’adesione del filosofo di Volsinii allo stoicismo è decisamente sotto il segno
di Socrate: la filosofia può proporsi come arte regia in quanto, in primo
luogo, è arte di governare se stessi. L’ideale dell’autosufficienza del saggio
si traduce nella predilezione per l’agricoltura, come attività più appropriata
per il filosofo. «La terra in effettiaffermava Musonioricambia con i frutti più
belli e più giusti coloro che si prendono cura di essa, dando molte volte tanto
quel che riceve ed offrendo grande abbondanza di tutto quanto è necessario per
vivere a chi ha la volontà di faticare: e tutto questo con decenza, nulla di
ciò con vergogna». Ad un analogo sentimento di appartenenza al cosmo e ad un
profondo rispetto per gli altri esseri umani e per tutti i viventi, sono
ispirate anche le sue riflessioni sui rapporti sociali, sulla schiavitù, sulle
donne, sulla nonviolenza, sull'alimentazione, sul vestire e sull'abitare.
Riflessioni che Musoniosecondo la concorde testimonianza dei contemporaneiseppe
tradurre con coerenza esemplare in una efficace pratica di elevazione spirituale,
diretta a coinvolgere, insieme, il corpo e l’anima. Sobrietà, rispetto,
universalità e condivisione sono le parole di riferimento di una visione etica
che anticipa in modo sorprendente istanze fondamentali della moderna
sensibilità ecologista. La visione della filosofia come arte di maneggiare gli
assoluti è approfondita nel libro Maneggiare assoluti. Kant, Levi e altri maestri. La filosofias ostiene
D. anche quella più incline a farsi coinvolgere nell'impresa di estinguere la
sete dell’assoluto, contiene in sé, nella propria vocazione alla ricerca di una
comune verità mediante il dialogo, un antidoto indispensabile al rischio
distruttivo che può annidarsi in ogni tentativo umano, tanto umano di cogliere
la totalità, l’infinito, Dio. Anche le grandi tradizioni religiose, quelle che
da secoli sono impegnate a tracciare sentieri, trovare parole, celebrare
liturgie per saziare la fame di assoluto che agita il cuore e la mente degli
uomini non possono fare a meno di intessere un intenso dialogo con questa tradizione
di ricerca, soprattutto nei momenti cruciali, quando diventa urgente
addomesticare i dèmoni che una frequentazione inadeguata del sacro può evocare.
Dèmoni che portano il nome di fanatismo, intolleranza, totalitarismo e di cui
la storia degli uomini alla ricerca della verità assoluta, della totalità
autentica ed incondizionata, dell’esperienza integrale è purtroppo costellata.
La consapevolezza che anche la filosofia non possa dichiararsi storicamente
innocente, non cancella ma spinge a ritrovare sempre di nuovo la vocazione più
profonda di quest’originale forma di esercizio spirituale: una ricerca
appassionata del bene e della verità, capace di resistere alla suggestione del
possesso compiuto e di mantenersi in quella apertura alla possibilità dell’errore
che è presidio di autentica libertà per sé e per gli altri». Altre opere:
“Il gioco della scienza” (Massari); “Metafisica non scienza” (Massari);
“Abitare un mondo comune: follia e metafisica nel pensiero di Kant
(Introduzione al Saggio sulle malattie dell’anima di I.Kant” (Massari); “Utopia
e ragione come luoghi del incontro dell’ego ed il tu”, in Le ragioni della speranza” (La Piccola
Editrice); “L’assoluto e il relative” (Il Prato); “Musonio” (Annulli Editori); Freud.
Un filosofo dietro al divano, Annulli Editori,
Riverberi Di Tuscia e d’altro, Annulli Editori); “La farfalla dell’anima
e la libertà, Armando Editore. ETRUSCO MUSEO CHIUSINO DAI
SUOI POSSESSORI PUBBLICATO CON AGGIUNTA DI ALCUNI RAGIONAMENTI DEL
DOMENICO VALERIANI E CON BREVI ESPOSIZIONI DEL CAV.
ai© smagata POLIGRAFIA FIESOLANA A SUA ECCELLENZA IL SIG.
MARCHESE ANGELO CHIGI LUOGOTENENTE GENERALE E
GOVERNATORE DELLA CITTA E STATO DI SIENA CAVALIERE DELLA LEGION D’
ONORE DI FRANCIA CONSIGLIERE INTIMO ATTUALE DI STATO, FINANZE E
GUERRA CIAMBELLANO DI S. A. IMP. E REALE IL GRANDUCA DI
TOSCANA PRESIDENTE DELL’ ACCADEMIA DEI FISIOCRITICI E DELLA
DEPUTAZIONE DEL PIO DEPOSITO DI MENDICITÀ’ CHE LO SPLENDORE DELLA
FAMIGLIA NOBILISSIMA DA CUI DISCENDE CON TANTE EGREGIE DOTI SOSTIENE
ED ACCRESCE E DELL’ARTI LIBERALI CULTORE E FAUTORE CALDISSIMO SI
MOSTRA QUESTA RACCOLTA D’ETRUSCHI MONUMENTI CHIUSINI
CANDIDAMENTE E CON GIOIA 0. D. C. GL’EDITORI P. B. C. C.
F. S. C. A. M. P. F. D. ri si trova itna mirabile
abbondanza di marmi finissimi consistenti in colonne antiche di granito nero e
dell’ Elba e d’Egitto, di granito rosso del più compatto, di cipollino
orientale, e d’altri marmi duri e fin anche di breccia d’ E- gitto, di
che va ricca ed ornata la cattedrale, ove son poste in uso con antichissimi
capitelli di gusto squisito. Anche sparsamente per la città s’incontrano
in copia marmi duri o eretti in usi decorativi o depositati a parte e non
ancora posti in opera. Non mancano monumenti di romana scultura di raro
pregio in basso e tondo rilievo, tra i quali splende un sarcofago colla caccia
di Meleagro, ed una assai bella testa di Augusto nel palazzo episcopale,
e nelle case Paolozzi. Le antiche iscrizioni lapidarie son pur frequenti
per la città sparsamente. E poi sorprendente il numero dei sotterranei
che s’incontrano sotto le fabbriche del paese, e sono per ordinario
eseguiti di ben connesse pietre quadrate assai grandi. Rieca è pure la città di
avanzi di fabbriche antiche romane, parte delle quali si giudicano bagni.
Ed in vero non sembra che di tali pubblici comodi mancar dovesse un
paese, ove si trovano s or genti ab b ondantis s im e di acqua potabile,
e delle quali non ha guari e stata fatta bella scoperta dal nobile sig. Flavio
Paolozzi, in alcuni spaziosissimi sotterranei, da luì aperti, ove non ancora si
è osato avanzarsi attesa la co nfu sione dei loro sentieri numerosi e
feraci di sorgenti, che per via di canali antichi di piombo
somministravano per quanto apparisce, acque abbondanti e perenni all' antica
città. Ma ciò che maggiormente sprona la curiosità degli eruditi è
il visitare nel territorio di Chiusi gli etruschi sepolcreti, dove fu trovato
quanto di più mirabile conserviamo nei nostri musei, mentre non senza una
qualche almen lo tana emulazione col famigerato sepolcro di Porsenna
eretto un tempo in questa nostra patria, presero i suoi citladini
etruschi l'esempio di rendere le lor tombe in vario modo as- J-Ja
dovìzia dì antichi monumenti d’arte nell'etrusco città di Chiusi nostra patria,
non ha guari trovati, e nei nostri musei custoditi, ci ha fatto
sospettare che saremmo giustamente ripresi, qualora tal dovizia si tenessè fra
noi medesimi inosservata ed inutile all’ incremento della scienza archeologica.
A ciò credemmo sufficiente riparo di offrir libero accesso a chi volesse que’
monumenti osservar con a- gio nelle nostre private collezioni. Ma
riflettendo poi che la più gran parte degli eruditi, cui non è dato il
potersi recare personalmente a Chiusi, restavan privi del bene di conoscere
questo ramo speciale di etruschi monumenti: cosi a sodisfare anche questa
numerosissima classe di eruditi, non crediamo che trovar si potesse
miglior divisamento di quello da noi già compito, di far disegnare con
fedeltà massima i monumenti più ini ere s santi, che possediamo, e quindi a
nostre spese farli incidere in rame in dugento sedici tavole distribuiti,
raccomandandone l'edizione al cavalier Francesco Inghirami. A tale nostro
invito egli non solo ha cortesemente aderito c oli’ ine arie ar s ene per
nostro conto, ma si è compiaciuto inoltre di venir più volte da Firenze
a Chiusi per confrontare i disegni coi monumenti originali, e ci ha
fatto inoltre il dono da noi gradito delle brevi interpetrazioni che abbiamo
apposte a ciascun monumento, al che abbiamo aggiunto anche alcuni
ragionamenti, donatici dall’egregio sig. prof. Valeriani nostro concittadino. Chi
ha per le mani l’ opera che ora pubblichiamo, non creda già di conoscere,
p e' suoi rami, tutti i monumenti antichi di Chiusi, mentre n’ è assai più
dovizioso il paese. Qui ì ti dì quei di Tarqui ni a, fo rse perchè
ne fu inventore un diverso architetto. Nell’annoverar che facciamo de monumenti
antichi più insigni di nostra patria, non è da pretermettersi che in vicinanza
della città rèsta sotto una collina di tufo breccioso verso l Oriente un
cimitero antico di cristiani, eh’è noto sotto la denominazione di
Catacombe di s. Mus tio la Vergine e Martire, inclita patrona della città e
della diocesi- Questi sotterranei non solo servivano alla sepoltura de’
cristiani, e in specialità dei martiri, ma nel giorno di festa e nel
natalizio dei Santi vi si raccoglievano per celebrarvi i divini misteri,
ivi oravano, ivi stavano refugiati nel maggior impeto della persecuzione, a
scansar la rabbia dei tiranni, come descrive un nostro concittadino che di tali
sotterranei h a ragiona to eruditissimamente, L'abbondanza delle
cristiane iscrizioni che spettano a questorispettabile sotterraneo, notante dal
prelodato relatore, lo rendono anche più degno dell'attenzione d'ogni
erudito. Il libretto che a memoria di ciò egli ha scritto con somma eleganza
e dottrina, dove si trova incisa inclusive la piant a dell 1 2 ampio
sotterraneo, oltre le iscrizioni ivi adunate e illustrate ',e l’altro
libretto di non inferior merito, scritto da vari eruditi, circa il già nominato
monumento sepolcrale del Poggio al-moro 1, forma insieme colla presente opera
l’ informazione di quanto crediamo ess er su ffidente ad erudire i cultori
dell' archeologia circa le antichità osservabili di Chiusi nostra
patria. 1 Pastumi, Relazione di un antico cimitero di cristiani, in vicinanza
della città di Chiusi con le iscri zioni ivi trovate. Montepulciano
Sepolcro Etrusco Chiusino illustrato nelle sue epigrafi dal Prof. Gio. Batt.
Vermigliolì, con l’aggiunta di una memoria del sig. Giuseppe del
Rosso sulla parte architettonica dello stesso monumento ed una lettera
del sig. Dolt. Francesco Orioli. Sta anche negli opuscoli del Vermigliolì ec.,
Perugia sai magnifiche e ricche d' oggetti d'arte. Si è reso celebre fra
gli altri l ipogeo situato in un possesso della g ra riducale fattoria di
Dolciano, il quale conserva in se stesso un antico modello rarissimo di
fabbrica etrusco, perchè a differenza degli altri scavati nel tufo, questo
vedesi edificato di travertini tagliati regolarmente, e situati senza
cemento m volta arcuata di tutto sesto, e da varie urne cinerarie
occupato, le quali hanno in fronte sculture vaghissime ed epigrafi etru s
che, dalle quali resulta essere stato questo sepolcro a più famiglie
comune. Altri non meno importanti ipogei scavati nel tufo si osservano in
varie pendici del monticello, sul quale era ed è tuttora la nostra città.
In alcuni di essi, con animo di sodisfare Valtrui erudita e commendevole
curiosità, i proprietari lasciarono in parte i monumenti meri facilmente
amovibili, acciò sia noto come e con quali riti vi fossero depositati fin da
quando ve li posero gli Etruschi. Fra questi ipogei, mediante le
nostre indagini fin ora scoperti, due soli noi trovammo scavati regolarmente
nel vivo tufo m guisa di camere e dipinti : l’uno aperto nel maggio
del 1827 in un podere chiamato P o gg io-al-moro, l altro in alt ro podere
detto il C olle, le cui pitture son riportate in quest’ opera. Pare che lo
stesso pittore li dipingesse ambedue, ma l’ ultimo aperto si conserva
assai meglio, forse perchè l’adiacente suolo è men’ umido . I soggetti
quivi dipinti son pure i me des imi in amb edue gl’ ip 0 gei ; nòdi
{feriscono granfatto, si nello stile, si. nel metodo del dipinto, e sì
nel s og g ett o iv i Ir att ato dalle pitture dellegrottecornetane, che
si altamente sono state encomiate . E probabile che in questi due
sotterranei dipinti vi fossero depositati oggetti di prezzo
ragguardevole, e perciò dagli stessi antichi derubati, perchè non vi è stato
trovato quasi nulla, specialmente in quél sepolcro che l’ultimo è stato
scoperto. È poi singolare, come i soffitti intagliati nel tufo sieno più
elegan- lei il loro cognome anche gli altri re etruschi, cosi esprimendosi
quel dotto ed ingegnoso poeta. Nomina videbis, modo namque
Petulcius idem, Et modo sacrifico Clusius ore vocor.
Questa già potentissima città, che fu detta Camars nella lingua dei
nostri padri, ( il qual vocabolo però significa lo stesso che il più
moderno Clusium, imperocché le dué voci ca, e mar, o mars, che lo
compongono, vengono interpetrate, chiuso dalle paludi ); Che la nominarono pure
Chiamarle, e Camarsoli, Livio, Eutropio, ed Antonio Sabellico, diede luogo
a molte dispute fra gli eruditi per determinare se annoverar si dovesse
fra le dodici antiche città etruschs, capi di origine-, ma le ragioni
addotte in contrario non montano a nulla di fronte all’ unanime consentimento
di tutti i più accreditati scrittori antichi, e moderni, che lo
affermano. Ed lo sorto persuaso che non manchino autorità bastanti a
provare, che non solo ella fu una delle dodici città capi d’ origine,
delle quali era composta la famosa, ed antichissima confederazione etnisca
residente a Fiesole, che risale per autorità di molti gravissimi scrittori, a
2o5o. anni circa prima dell era volgare, ma che avesse puranco l’onore di tener
lunga stagione lo scettro sii tutta l’Etruria, come lo afferma il
dottissimo Dempstero, che sostiene avervelo ella tenuto per 5qo anni di
seguito- Di fatti anche Virgilio, parlando di Chiusi -, nomina un
suo re chiamato Osi- nio, la cui età è molto antica, essendo quello
stesso che trovassi impegnalo nelle guerre eli ebbe a sostenere il Frigio Enea
in Italia, contro Turno, ed i Rullili, prima di stabilire i suoi penati in
questa bella, e da tutte le straniere nazioni ambita penisola. Ma anche molto
avanti che quel Troiano quà navigasse, aveva avuti Chiusi i suoi
regnanti, poiché si annovera Osinio trentesimo sesto dei regi Etruschi.
Ciò che basta a togliere l’onore della fondazione di tal città, a
Tirreno, a Telemaco, e a Clusio . Che poi continuasse Chiusi a fiorire in
potenza, ed in ricchezze, ed anzi Salisse ognora a maggior altezza nell'
una e nelle altre, dai tempi troiani fino a quelli in cui fu scacciato
dal trono Tarquinio Superbo, ne fanno chiara fede gli storici, ed. i
poèti. Imperocché Livio nel secondo libro della prima deca, narra che i
Tarquinii espulsi da Roma, eransi rifugiati presso Larte Porsena re di
Chiusi. Ed aggiunge lo stesso storico, al luogo citato, che giudicando quel
valoroso monarca nobilissima impresa per lui l’ includere quella metropoli nei
suoi domimi, mosse a quella volta con poderoso esercito grandemente
inanimito contro i Romani, ed avendo posto il campo sul Gianicolo, cinse la
città et assedio, e tanta costernazione vi sparse, che mai prima d’ allora sì
gran terrore aveva invaso il senato, ed il popolo romano. Cotanto
formidabili erano in quel tempo le genti chiusine, e sì grande e temuto
suonava per le terre italiche il nome di Porsena . DELL’ ANTICA CITTA
DI CHIUSI li impresa malagevole assai quella di rintracciare le origini
delle antichissime città italiche, i cui fondatori si perdono, per lo
più, nel buio delle età favolose. E quanto furono esse più cospicue, e
più potenti, per valor d'armi, e per senno dei loro abitanti, per
sapienza, e per arti belle, tanto cresce la difficoltà di poterne
rinvenire con sicurezza, e fissare i cominciamenti Avvegnaché i poeti
singolarmente, seguiti poi dagli storici ancora, assumendosi l' incarico di
celebrarne i pregi, e cantarne le lodi, pare che siansi fatto uno studio
esclusivo di nasconderci il vero. Questa sorte pertanto è comune con
molte altre anche alla nostra famosa Chiusi. Tuttavia, benché io
non dissimuli a me stesso, che ben aspro e certamente il cammino, in che
sono entrato, e tale forse ancora da non trarmene fuori senza pericolo di
smarrirmi tra vìa -, pure non so astenermi, spintovi da quel caldo amor
patrio, che mai non tace negli animi bennati, dallo scrivere alcuna cosa
intorno alla città di Chiusi . E tanto più volentieri lo faccio, m quanto
che pubblicandosi un'Opera ove non sono raccolti che antichi monumenti chiusini,
non giudico disdicevole che vi si legga, cosa fosse nei vetusti tempi quella
si splendida, e si rinomata città. Lasciando pertanto da
parte, come, e quando cominciasse ella ad esistere, se Tirreno, o
Telemaco ne ponesse le fondamenta, come pretesero alcuni scrittori, o
sivvero Classo re degli Etruschi, che si vuole da altri che fosse figlio di
un secondo Tirreno, e se ne riguarda come il fondatore esso pure, ( ed io
lo direi meglio arnpliatore, e ristauralore della medesima, benché s’
ignori in qual secolo ciò avvenisse ), egli è fuor d' ogni dubbio che
questa città risale ad una remotissima origine . Lochè peraltro
discoprire volendo, e stabilir con certezza, sarebbe lo stesso che mettersi a
navigare in un mar senza sponde. Per lo che, scenderò ad epoche
meno lontane, e più certe, quando già la città di Chiusi teneva ampio
dominio sull' antica Etruria. Mentre pare da un distico che si legge nel
primo libro dei Fasti d Ovidio, che prendessero da Elr. Mas. Chius. zo
coll' uccisione del Console Lucio Cevìlio, e di 3 ooo soldati, furono
dalla valida l'esistenza dei Chiusini obbligati ad abbandonarne
l'impresa, e spingersi a sciogliere il freno ai loro furori contro Roma.
Lo che narrasi da Lucio Floro nel primo libro della storia romana, e
possono consultarsi ancora su questo proposito, Diodoro Siculo, e Polibio. Ne
fa pure un cenno Plutarco nella vita di Numa Pompilio, e ne parla più a
lungo in quella di Camillo. Anche la risposta, che lo storico di Cheronea
fa pronunziare con barbara confidenza da Brenna condottiero dei Galli,
agli ambasciatori romani, che s'erano a lui recati per chiedergli ragione
a nome del Senato, del suo procedere verso i Chiusini, infestandone i
possessi, disertando i campi, e minacciando la città, ne fa viepiù chiara
testimonianza intorno alla celebrità, ed opulenza della medesima, essendosi
cosi espresso quél fiero conquistatore. Ci fanno manifesta ingiuria i Chiusini,
come coloro che ambiscono di possedere una estensione di compagne, molto
maggiore di quella che possono coltivare, e superbamente ricusano di concederne
una porzione a noi forestieri, che siamo in gran numero, e poveri.
Circa la fertilità poi dell’ agro chiusino, leggasi Plinio, ove ne
loda il frumento, cosi per la qualità sua, come per la quantità che ne
produceva. E Marziale erasi prima di lui nell ottavo epigramma del i 3 .° libro
espresso in tal guisa « Imbue plebejas clusinis pultibus ollas jj.
Moltissime altre autorità di antichi scrittori avrei potuto raccogliere,
onde mettere in più chiara luce, ed evidenza, la grandezza, e V opulenza
della città di Chiusi iti remotissimi tempi, la potenza dei suoi re, il
valoroso coraggio, e l'operosa industria dei Suoi abitanti, t libertà del
suo territorio, e lo splendore che la rese tanto famosa per lunga serie di
secoli, ma stimo che bastino le
già riferite, ed i pochi cenni che ne ho dati, per farne concepire, a,
chi vorrà leggere questo ragionamento, una giusta, e non umile idèa. Nè
poteva d’altronde dilungarmici gran fatto, attesa V indole di quest'
Opera, e la brevità della periferia, cui ho dovuto perciò ristringermi nel
comporlo. Mi contenterò dunque di aggiungere, che venendo puranco ad
epoche a noi più vicine, dopo lo smembramento dell impero romano per
opera dei Longobardi, ebbe Chiusi, benché decaduta immensamente dall’
antico suo lustro, il titolo di Ducalo; leggendosi presso Anastasio
bibliotecario in s. Zaccaria, che Liutprando mandò ad ossequiarlo il suo
nipote Agiprando, 0 come leggesi in altro codice Adelprando, duca di
Chiusi. Il qual fatto viene riferito egualmente dall’ autore dell’
Etruria Regale. Ed anche giunta la citta di Chiusi all estrema sua
umiliazione, rimase ognora città vescovile, come lo è tuttavia, e fregiata di
assai privilegi. E si legge in un manoscritto che tratta di cose
etnische, e conservasi nella libreria Rondoni JlcJlklh che circa di n'
era vescovo un tal Teodosio. Ricavasi pc-i dal decreto di Gregorio, cap. 9.°
delle costituzioni, che l' anno 3 II qual fatto confermano,
oltre Polibio, Dionisio d’ Allea mas so, ed altri Storici, anche
sant’Agostino nella sua Città di Dio, Sidonio Apollinare, Chilidiano, Orazio
Fiacco, Marziale, Tzétze, e molti altri. Nè parrà strana una si
gran potenza dei chiusini, ed una tanta opulenza, a chiunque facciasi a
riflettere ai magnifici e sontuosi edifizi, dei quali Chiusi adornavasi.
E basterà riferire a questo proposito la descrizione del labennto fattovi
costruire dallo stesso Porsena, perchè gli servisse di sepolcro, e che si
legge in Plinio al capo decimo terzo del libro trentesimo sesto, ove
riporta, co/n’ ei dice, le parole stesse di Marco V àrrone. Fu
sepolto, scrive egli, questo monarca, sotto la città di Chiosi ove erasi
fatta inalzare una tomba di larghe pietre quadrate, e compresa da quattro
lati, o muri, ciascuno dei quali estendevasi per trecento piedi in
lunghezza, avendone cinquanta di altezza. Nell’ area interna di nove mila
piedi, raggravasi un inestricabile laberinlo, nel quale chi si fosse
introdotto senza un gomitolo di filo, non avrebbe potuto ritrovare la
strada onde uscirne. Ergevansi poi sopra il vasto quadrato cinque
piramidi, quattro negli angoli, ed una nel mezzo, larghe alla base,
ciascuna setlantacinque piedi, ed alte centocinquanta. Slava nella cima
dì ognuna di esse un grosso globo di bronzo, sovrappostovi un petaso, dal
quale scendevano varie catene, cui vedevansi sospesi dei campanelli
mobili, e sonanti quand’ erano agitati dal vento, come raccontasi pure
del tempio di Do- dona. Sulla cima delle grandi piramidi ne sorgevano
altre quattro alte cento piedi', sopra le quali era praticato un piano,
ed in esso pure si alzavano altre cinque maggiori piramidi, che secondo
gli annali degli Etruschi veduti da f arro nc, erano tanto alte, quanto il
rimanente dell’ edifizio. Ora domando io : a qual potenza, ed a
quanta ricchezza doveva esser salita la città di Chiusi, onde concepir potesse
un suore, e condurre ad effetto la superba idea di fare erigere una
fabbrica di questa sorte, per servirsene di sepoltura, quando ancora si voglia
credere esagerato un tal racconto ! E veramente, o esagerazione, o
stranezza vi è certo, nella surriferita descrizione, giacché è più
agevole il disegnare quelle piramidi sulla carta, come saviamente riflette
anche il Pignotti, che il trovar la maniera di farle stare in
piedi. Tuttavia però, benché debbasi ridurre la cosa a più ristretti, e
più giusti limiti', conviene non pertanto ammettere, che la tomba di Porsena
fosse una fabbrica sorprendentissima, e tale da superare di gran lunga
quanto di più grandioso fece ammirare V umana vanità nei trascorsi tempi,
o si ammira pure nei nostri, presso le altre nazioni, se non per altro per la
singolarità della sua costruzione, e per la gigantesca sua mole-, poiché
tal cose possono ingrandirsi bensì dai narratori di esse, ma inventarsi non
mai. Nè meno splendida è da credere che fosse la nostra città, nè
inferiore la sua potenza 284 anni più tardi, quando scesero in Italia i
Galli Senonio Avvegna ché avendola quei barbari cinta d’ assedio, dopo aver
battuti i Romani ad Arez- 5 iig8, il pontefice Innocenzo III scrisse
al vescovo di Chiusi, benché se ne taccia il nome nel luogo donde ho
tratta questa notizia. E finalmente narrano, il Surio tomo l\, e 1
Usuando nel Martirologio, che il dì 3 di luglio, imperando Aureliano, vi
conseguirono la palma del martirio i santi Mustiola cugina dell'
imperator Claudio ed Ireneo diacono, i cui corpi sono esposti alla venerazione
dei fedeli nella stessa città. Non solamente gli antichi monarchi, ed i
grandi Chiusini avevano le loro tombe gentilizie ; ma le private famiglie
eziandio, e queste più c meno grandiose, a seconda della propria
condizione e ricchezza, come ne fan fede tutti quegl ’ ipogei, che
sortosi in buon numero dissepolti finora. E non dispiacerà, cred’io, agli
amatori delle cose etrusche, il sapere in qual modo discopronsi
cotali sepolcreti. Nei trascorsi tempi era stato il solo caso l'autore di
simili ritrovamenti, poiché ì contadini arando la terra si abbattevano di
tempo in tempo in alcuno di essi, senza cercarne. Ma da varii anni
a questa parte, la cosa ha cangiato d 3 aspetto e si è determinata
la maniera di rinvenirli a colpo sicuro, ed eccone il metodo.
Avendo osservato alcuni signori Chiusini, come, e dove erano situati gl ipogei
discoperti dal caso, pensarono di fare dei tentativi, saggiando il
terreno, per discoprirne degli altri espressamente cercandoli, ove se ne
riscontrasse del sovraimpostoj ed i primi saggi \ per essi
sperimentati, sortirono un felicissimo effetto. Questi diedero loro
animo a procedere ai secondi, e quelli ai terzi, e così ad altri di mano in
mano. Di modo che nel corso di pochi anni se ne scoprirono in tal
quantità, che alcuni dei sullodati signori, come fra gli altri,
Casuccini, e Sozzi, arricchirono, o formarono di pianta, ragguardevoli
collezzioni, di urne funebri, vasi, specchi mistici, idoli, sitale,
scarabei, ed altre interessantissime anticaglie. Le quali collezioni si
vanno pure di giorno in giorno aumentando, mediante i nuovi scavi che si
continuano sempre a fare con caldissimo amore di patria, e senza
risparmio di spese. La qual cosa, se e lodevole in un governo, lo è molto
più nella condizione privata. Che al nascimento del cristianesimo, ed al tempo
della propagazione di esso, fosse Chiusi tuttavia una rispettabile città, e fra
le prime ad abbracciare la fede evangelica, si deduca ancora da
quanto sono per dire. Nelle catacombe che si trovano situate alla
distanza di circa un mezzo miglio dalla città medesima, e delle quali fanno
menzione, V Ughelli, il Boldetti, ed altri, essendosi di recente
intraprese delle escavazioni, che si vanno proseguendo con ardore, sono
stale riaperte molte strade, ove si è rinvenuto un numero
considerevolissimo di sepolcri murati a più ordini, che saranno ben
presto formalmente aperti. Nei quali, se per mancanza di autentiche non si
potrà asserire con sicurezza che vi siano siati sepolti corpi di
Santi Martiri, non può dubitarsi però che abbiano servito di tomba ad
individui della primitiva cristianità. In alcuni di essi trovati
discoperti si è osservato essere state deposle in ciascuno le ossa d{ due
o tre individui : lo che mostra ad evidenza che fosse grande in quei
tempi il numero dei cristiani in Chiusi, venendo ciò infermato dall ’
essersi colà diretti dalla stessa Roma, diversi seguaci della nuova
religione, fra i quali la surriferita Vergine Mustiola, e dall 3 avervi
spedito l* imperatol e Aureliano un suo Prefetto per nome Pardo A
promano, affine di perseguitarvi i cristiani -, e non pochi di essi vi subirono
il martino, come t due santi nominati qui sopra le anime
goduto dopo ch’elleno son separate dal corpo. Furon varie presso gli
antichi le maniere di figurare un simile godimento, e noi vediamo
frequentemente nelle pitture dei vasi fittili, e ne’bassirilievi alcune
imbandite mense, i cui commensali starinosi lautamente bevendo a! suono
di piacevoli strumenti, poiché prevaleva presso di loro la massima che il
premio concesso alle anime beatificate era il godimento di una eterna
ubriachezza. Al pari dissoluta sembra l’altra massima degli Etruschi i
quali fanno consistere tal beatitudine nel libero consorzio di ogni
senso, per cui si vedono replicatissime pitture nei vasi etruschi d’un satiro
ed una menade, ai qual soggetto si dà nome di baccanale. Men dissoluta è 1’
immagine del Chiusino scultore antico di quest’ara, ove al suono di variati
strumenti ci rappresenta una mimica danza, replicato soggetto nelle sculture
più antiche di Chiusi. Il rilievo di questa è bassissimo, al pari
dell’antecedente, e il disegno è parimente un terzo del suo
originale. JSum. j. Tra le molte immaginette in bronzo che trovaronsi
nelle terre degl’Etruschi rappresentative della SPERANZA se ne incontrano
alcune alate come la presente. Le ragioni che mossero questi popoli ad AMMETTERE
LE ALI ALLA SPERANZA, son da me dichiarate nello spiegare i monumenti
etruschi, non meno che il significato della veste che tiene scostata dal fianco.
Qui soltanto ripeterò brevemente, che gl’3truschi hanno spesso confuso LA
SPERANZA colla Nemesi, dando all’ una ed all’altra le ali MA LA SPERANZA,
A DIFFERENZA DI NEMESI, CONTRAE LA VESTE PER AVER PIU SPEDITO IL PASSO, ONDE
MOSTRARE CON QUANTA ANSIETA L’ATTENDE CHI SPERA. La mano elevata suole averè
altresì qualche simbolo o significato, ma di questa nulla diremo per
esser guasta; e solo avvertiremo esser questo disegno uguale in grandezza
al suo originale. JSum. 2 . Lo scarabeo rappresentato in questo
num. 2, ha una figura scolpita rozzamente al segno da mostrare una sola
gamba, sebben sia nuda in tutto il corpo. Il petto è delineato in guisa
che addita esser donna,- e qualora interpetrar si volesse quel che tiene
in mano, direbbesi non impropriamente un pomo granato, sicché il combinare con
tutto ciò l’atto di stare assisa ci potrebbe far creder che fosse Euridice o
Proserpina, entrambe dimoranti all’ inferno, dove figurasi assiso chi vi è
destinato, per mostrar cred’ io la stanchezza di quella dimora. Così
Teseo condannato all’ inferno fu non solo così rappresentato dagli Etruschi 6,
1 Ivi, ser. i, 4i2. 5 Ivi, Ragionamento ìv, p. 17 5, sq., e cap. u,
2 Micali, Monuments ant. pour l’ouvrage inlilulé p- 110. sq.
l'Italie av. la dommation des Romains, Lanzi, Saggio di lingua etrusca,
tav. Monum. Etruschi; ser. nij p. 202, sq. n. 2, p. lai» 4 Ivi, p.
ao 5 ETRUSCO 2D2IL2.1 S&TftiL2 Non vi è soggetto che abbia tanto
occupato il genio degli artefici scultori nei monumenti ferali, quanto i
Dioscuri. Noi vediatno soventi volte nei cassoni mortuali i simulacri di
quei due giovani allegorici, posti simmetricamente alle due estremità
delle cotriposizioni, senza che abbiano colle composizioni medesime
nessuna connessione storica o favolosa ivi posti manifestamente non solo
per ornamento, ma per allusione speciale al passaggio dalla vita alla
morte, e nuovamente dalla morte alla vita, come dicevasi dai Gentili che i
Dioscuri ebbero da Giove il vicendevole dono della immortalità 3 . Or poiché il
presente bassorilievo è in un’ara di quattro facce, ove da ognuna di esse
ripetesi a guisa d’ornato il soggetto medesimo di due giovani equestri, e
poiché questo monumento è stato ritrovato in una tomba sepolcrale, così non
credo erronea 1’interpetrazione ch'io dò a tal soggetto dei due dioscuri,
ripetuti simmetricamente per ogni faccia dell’ara. Il rilievo della
scultura è bassissimo, eseguito in pietra tofacea, la quale si lavora con
molta facilità per esser fragile. Il disegno è un terzo dell’ originale.
È frequentissimo al pari dell’antecedente soggetto quello che l’osservatore
trova in queste 4 Tavole distribuito, non altro ivi raffigurandosi che il
gaudio mistico dal- i B. rii. del Mus. Borgia riportato dal Millin,
Galler. Mythologique Pian, lxxx, n. 53o. Cori, Inscript. Antiq. in Etruriae
urbi bus ex- iati., Pars ni, Tab. x. et xGxrti, 2 Inghirami, Monumenti
Etruschi, r nuovo negli oggetti ferali l’augurio di prosperità che
i vivi facevano ai morti, nella fiducia che godessero una vita migliore.
L’altezza di questo vaso è un terzo dell’ originale.
tavola. Ecco un saggio dei tanti vasi di bronzo che si trovano a
Chiusi. La grandezza del disegno è pari a quella del suo originale, ed ha
ornamenti siffatti, che non disdirebbero ad un’opera di fusoria dei
migliori tempi dell arte; specialmente se consideriamo quel manubrio a
cui si leggiadramente vien data la forma d un giovine in atto di
riposo. Un altro genere d’ utensili tutto diverso dai fin qui esposti,
occupa la Tav. X, ove pure è diverso in tutto lo stile del disegno che ne
traccia la rappresentanza; talché sarei per dire che altri fossero gli artefici
e la scuola di scultura, altra quella di plastica, altra quella di
fusoria, altra quella gliptica, altra quella di grafito in Chiusi, e che
tutte separatamente si vedono in queste dieci tavole. Nel presente disco
manubriato di bronzo rappresentansi fuoi d ogni ub io i Dioscuri:
soggetto ripetutissimo in simili oggetti, che perciò diconsi spec chi
mistici; e su questi e su quelli ho scritto abbastanza, ragionando dei
Menu menti etruschi *. Uno dei giovani colla mano portata in alto accenna
il cielo, l’altro l’inferno col braccio al basso: attitudine che a
meraviglia esprime 1 al tei - ila loro posizione, come dicemmo spiegando
la tavola prima. Onde qui mi resta da notar brevemente, che questi
mistici utensili si trovano tra i cadaveri come un amuleto relativo al
transito delle anime da questa all’ altra vita. Una gran parte di figure
in bronzo quasi esattamente simili alla presente si trova in vari musei
d’ Etruria ; e poiché io ne vidi alcune che sostenevano un gran disco con
una incassatura al lembo di esso, così mi detti a credere che in antico siano
stati specchi di toelette, il cui disco lucido era probabilmente incastrato
nella ghiera del disco di bronzo ade r ente alla anzidetta figura, che gli
serviva di manico 3, e della grandezza di questo disegno, eh'è uguale al bronzo
archetipo. Non è dunque inverisimile che essendo questo un vero specchio da
toelette, sia quel manico dal quale è retto, la figura di Veneie.3 Ivi, tav.
g ma descritto in simile attitudine anche da Virgilio *. La stessa
Euridice si vede rappresentata all’inferno sedendo per terra, in atto d’esser
liberata da Orfeo * 11 pomo granato nelle mani delle persone infernali è
superstizione che usavasi anche tra gli Etruschi, rappresentati nei
coperchi delle loro urne cinerarie 3 . Ma in tanta goffaggine chi
decide? Num. 3. Lo scarabeo di questo num. sarà spiegato con altro
d'ugual soggetto. mrriensa varietà di forme che s’incontra nei vasi
sepolcrali, ve ne son 1 • j C | 6 ^ 6r °® n ' r ‘o uar do meritano
d'esser fatte conoscere coi rami per la H’ r t0 s ‘ n S°^ ar ‘ ta ; e per
quanto non potremo in quest’opera dar
0 °. °o nuna di esse, pure non sapremmo astenerci dal farne conoscere le
più a™’- 3 ' H t0 r >r *. nc T a ^ menl:e riguardo alla utilità che
queste nuove forme poscaie a e aiti meccaniche, ed al miglioramento degli
utensili domestici. t . . Pj ente,n questa VII tavola figurato è di terra
cotta di color rosso, si- rorrisn 3 m6nte sn P ra a ^ tr ' quattro
vasetti insieme uniti al disotto, ed ai quali • . . n on° quattio fori
nel recipiente maggiore praticati, onde potrebbero ntrodurvs.
quattro diversi liquidi, come si vede chiaramente nel disegno superate " 6
^ ° recc liette c ^ e servono di manichi nel vaso di mezzo sono trafoche ' C °
me Se V1 fo8Se P assa t a una cordicella per appendere tutta la
macchinetta, per ques o aggiunto sembra essere stata di qualche
uso. tavola Vili. annoverare preSeiUe è da re P u
tarsi antichissimo, qualora non vogliasi mento eli occh' imi ^ tlV0
delIe antiche opere plastiche. I profili con gran ’ g a Ì a
pert.ss,m. ne. volti che vi son modellati, e quei veli che hanno
nera anche^nfll* *' mm< \ tnche Sono caratteristiche di grande antichità.
La terra sa che tende al ern ° 6 tenuta P er mater ia di antica
manifattura. La forma stes- Quegli animali m ° St ™ Ua 8:11810 non
raffil)at ° dal progresso dell’arte. Ses^r r^ neOrHanOllC0r P°’
C0Ì1 ’ 6SSer S6nZa °^ tt0 "1*^ indicano tav XII eiarrh' T ™ tUr ‘ A
j ma del significato loro dò cenno spiegando la mina in’ una « 6 ^
una leonessa o tigre che sia, con la coda che ter- sta sull’ fi A r
Pe ’ f ebbeS ‘ quest animale riguardar per un mostro. Il gallo che,, ° e vaso e
un au o ur ^° pel morto che fu cornane fra gli Etruschi e dei,»], ho trattato
anche altrove i. Solo,ui r.m.L.o " i Virgil. Aeneid., lib.
vi, y. 6iy. l Monum. etruschi cit, «er. vi, l,v. C5, n. i. Etr.
Mas. Chiùs. Tom. I. 3 Ivi, ser. vi, lav. Ha, unni 4
Ivi, ser. i, p. 3 I0 . P- I#?. SULLA LINGUA ETRUSCA O e egli è
vero, come nessuno può dubitarne, che le lingue sono molto più antiche di
tutti i monuménti delle nazioni, sarà vero del pari che lo studio delle
medesime, e particolarmente lo studio comparativo, possa contribuire più di
ogni altra cosa, a rintracciare con sicurezza le origini dei popoli, le
loro affiliazioni, ed i loro mescolamenti, non meno che le divisioni, e
successive riunioni di essi, e le varie peregrinazioni, cui sono i
medesimi andati soggetti nel corso dei tempi. Ed infatti, chi non vede a
primo colpo d'occhio, per esempio, osservando la gran somiglianza che
passa fra i primitivi vocaboli della lingua samscritica, con altrettanti dell
antica persiana, della greca, della teutonica, della illìrica, e della latina,
che tutte queste lingue, o debbono procedere in prima origine da un
medesimo, fonte od esservi stato in epoche da noi lontanissime un
mescolamento, o per emigrazioni o per cagion di commercio, di tutti quei popoli
che le parlarono ? Oltre di che, sarebbe veramente un voler andare a
ritroso, pretendendo che possa dipendere dalla semplice casualità un
lavoro così metafisico, e così profondamente pensato, quale è quello dei
significamenti dati ai vocaboli di antichissime lìngue, e che furono
parlate da popoli tanto lontani fra loro per geografica posizione e tanto
differenti per indole, per costumi, e per usi religiosi, e civili, piuttosto
che attribuirlo, o ad una sorgente comune, o ai mescolamenti dei varii popoli
in remotissime età, per qualunque cagione, ed in qualsivoglia maniera
siano questi avvenuti. Ciò premesso, e venendo a parlare più di proposito
dell’ etrusco, dirò liberamente che non giungono a persuadérmi nè punto
nè poco ì sistemi formati, e adottati finora dagli archeologi, intorno a
questo antichissimo, e presso che del tutto perduto idioma, benché io
professi una profondissima stima per ognuno di essi. E vaglia il vero,
benché il Cori, ilMajfei, il Guarnacci, il Dernpstero, gli accademici di
Cortona, ed il chiarissimo Abate Lanzi, abbiano fatto ogni loro sforzo
per diradare le tenebre nelle quali giaceva involta la nazione etrusca, e
piu ancora la sua lingua, e ci abbiano aperta colle opere loro una strada
onde poter fate nuovi passi, e nuove scoperte in questa interessantissima
parte della antiquaria, non possiamo tuttavia dissimulare, che le
oscurità non siano peranche grandissime, e singolarmente intorno alla
lingua, primo fondamento di tali studii, e unica face atta ad illuminare
le nostre archeologiche indagini, sulla origine, sulla remotissima
antichità, sui monumenti, e su qualunque vogliasi oggetto, nguar ante
questa nazione perduta. E benché ancora, dopo quei celebri nomi- Nell'
esporre questo pregevole vasetto di terra nera a quattro anse con coperchio, mi
fo pregio di riportare la notizia che annettono al disegno gli zelantissimi
editori di quest’ opera del Museo etrusco chiusino. « Si crede, essi
dicono, che i vasi di questa terra non siali cotti, ma solamente
disseccati al sole, poiché infondendovi dell’acqua li compenetra, e si
disfanno. Cotal genere di vasi non si son trovati fin ora che a Chiusi e
nei suoi contorni ». Questa è la loro avvertenza. L’ animale che vi si
vede espresso è chimerico a rammentare i mostri caotici che precedettero
l’ordine della natura. In dimostrar ciò non mi estendo, perchè abbastanza
scrissi altrove onde far conoscere la frequenza di simili soggetti cosmogonici
>, espressi dagli antichi nei monumenti sepolcrali. Avverte chi ha
fatto eseguire’questa tavola, che sotto al vaso è copiato un ornato d’oro
dalla parte anteriore, il doppio dell’ originale, e sotto è disegnata la
parte posteriore di esso, della grandezza del monumento, ed aggiunge che
le due sfingi rappresentatevi sondi un lavoro mirabilmente finito e
minuto. ISCRIZIONI FUNEBRI ETRUSCHE Quanto saviamente
dichiarasi dal eh. pr. Valeriani nel secondo suo dotto ragionamento che segue,
mi dispensa dall’onere di spiegare le iscrizioni funebri che trovansi nei
cinerari etruschi di Chiusi, perche scritti in una lingua perduta.
Tuttavia quel barlume che le moderne indagini dei dotti sopra di essa ci
fan vedere, sarà posto a profitto dall' eruditissimo sig. prof. Vermigiioli il
più meritamente accreditato in simile materia, onde in fine di
quest’opera trovisi qualche notizia di queste iscrizioni funebri chiusine, che
ove lo concede lo spazio vi si distribuiscono, senz’ altro dirne per
ora. V* : IHd-M 3 Pi -O J I- :ian 0qm v : Pi +i fì® 11 •
A? 3 d-flq = i anq V >/ di. yfìMRY/\ IV. =3 Dliaq
=> --1 Mti™ V V -, Mooum. Eu.., set. m.
36» >4 dì^ìosamcnte remota, dice il Pejleuttier
nella sua storia dei Celti, gli antichi popoli di questo nome, o i
Cello-Sciti, la cui lingua se non è primitiva in un senso assoluto, 10 è
per lo meno relativamente a quasi tutte le lingue conosciute, sì furono sparsi
da una parte nell Asia occidentale, e dall altra nell Europa, si estesero in
quest ultima regione, gli uni al Settentrione, e gli altri lungo il Danubio. La
posterità di questi poi rimontando quel fiume, pervenne in seguito alle
sponde del Reno, le quali oltrepassò, e riempi delle sue numerose
popolazioni tutto l’ intervallo che si estende dalle Alpi ai
Pirenei, e ai due mari. Laonde ovunque la lingua dei Celti mescolandosi agl’
idiomi indigeni, formò delle combinazioni, ov’ ella dominò sensibilmente . Ed
anche in quei contorni che aveva trovati deserti, o dai quali aveva fatto
scomparire gli abitanti, il celtico si conservò nella sua purità originale.
Alcuni secoli dopo la popolazione sempre crescente di questi Celti, o Galli, li
costrinse a passare i Pirenei, e le Alpi. In Italia, dopo avere occupato
da prima tutto il paese posto al piede delle montagne, eglino si estesero
di mano in mano, nel- l'Insubria, nell’Umbria, nel paese dei Sabini, in
quello degli Etruschi, degli Osci, dei Sanniti, ed in tutto il resto della
penisola al dì qua del Garigliano. Nel medesimo tempo alcune colonie greche
approdarono all’ estremità orientale d’Italia, e vi formarono degli
stabilimenti. Lasciami poi ben presto le sponde del mare, e spingendosi
sempre avanti, incontrarono finalmente i Celti, che continuavano pure dal
canto loro ad avanzarsi ancor essi • Dopo alcune guerre, poiché questo è
sempre 11 primo caso dei due popoli che s incontrano j sì riunirono
nell’ antico Lazio, e non vi formarono più che una sola società, che
prese il nome di popolo latino. Allora le lingue delle due nazioni si
mescolarono insieme, e si combinarono con quelle dei primitivi abitanti.
Nè bisogna dimenticarsi di osservare che in quest' amalgama aveva il
celtico un gran vantaggio. Il greco, che non è allora, o a grandissima
distanza, la lingua di Omero, di Platone, doveva dal canto suo il
nascimento ad un miscuglio di mercatanti fenìci, d’ avventurieri di
Frigia, di Macedonia e d’ llliria, e dì quegli antichi Celto-Sciti, che
mentre i loro compatriotti si precipitarono in Europa, eransigettati sull'
Asia occidentale, donde erano discesi in seguilo fino al paese che fu poi
la Grecia. Eravi dunque del celtico alterato nel greco, che si combinava
di nuovo col celtico. Dalla qual moltiplice combinazione nacque la lingua
latina, che rozza nella origin sua. ripulita poi, e perfezionata col
tempo, divenne in fine la lìngua di Terenzio, di Cicerone, di Orazio, e di
Virgilio. Ed è questa medesima lingua latina, che dopo un si bel regno
terminato con un sì lungo e tristo tramonto, veniva ad amalgamarsi ancora
un’altra volta col celtico : sorgente comune dei barbari dialetti dei
Goti, dei Lombardi, dei Franchi, e dei Germani, per divenire poco tempo dopo la
lingua di Dante, di Petrarca, e di Boccaccio. Per tali considerazioni, e per quelle
già riferite in questo ragionamento, io credo che si debba battere un
cammino diverso da quello che si è battuto finora dagli archeologi, nell’
investigazioni intorno gli antichi Etruschi, ed al loro linguaggio. E non già
perdi’ io abbia la nati dì sopra, molta gratitudine dobbiamo avere ai
Signori, Vermiglìolì, Zannoni, Mleali. Orioli, Ciampi, e più particolarmente
all’ infaticabile cav• In- giurami, per i tentativi che tutti questi
hanno fatto, onde aggiungere dal canto loro nuovi lumi, affine di
condurci vie più addentro nei penetrali delle cose etrusche, non ci siamo
non pertanto finquì partiti, quanto alla lingua, dal punto dove eravamo
cinquanta, o sessanta anni, per non dire quasi un secolo addietro. Nè qui
sarebbe per avventura fuor di proposito lo stabilirese la nazione etrusco
debbasi avere assolutamente nel numero delle perdute, e nel caso
affermativo determinare il come, e il quando sia questo avvenuto, oppure
considerare la dobbiamo come trasfusa nella romana, o combinata con tutte
quelle che invasero a piu riprese l’Italia. Ma siccome cotali ricerche mi
farebbero deviar troppo dallo scopo che mi sono prefisso in questo
discorso, e mi trarrebbero troppo in lungo, cosi le serbo ad altro tempo,
e ad altro lavoro. E per istringermipiù dappresso al mio soggetto,
dovremo noi riguardare la lingua etnisca, o come primigenia, e indi genia
dell antica Etruna,o come proveniente da altro più vetusto idioma italico-,
o sivvero come un composto di più dialetti stranieri, combinati
coll’indigeno, quali sarebbero, il pelasgo, il lidio, il celtico, il greco
antico, il traco-frigio, ed altri, qua portati a diverse epoche dalle varie
colonie che si venneroa stabilire nelle nostre belle contrade.
Riflettendo che tutti gli archeologi, i quali procacciarono di
rischiarare questa materia oscurissima, hanno ben poco, o nulla concluso
finora circa l’intelligenza dell antica favella dei nostri padri, e quelli che
pretesero di trarla dall’ Oriente senza alcun altro soccorso, e quelli
che la vollero derivare dai greci e i fautori dell antico latino $ pare
che ne inviti la sana critica, e ne sproni il buon senso, a tentare un’
altra via, per vedere se si giungesse finalmente a sciogliere questo famoso
nodo gordiano. Ed io penso che giovandosi di quanto si può raccogliere di
antichissimo italico, donde procede in gran parte il vècchio latino, non
trascurando il greco, per le ragioni che svilupperò altrove, e ricorrendo
pure ai dialetti annoverati qui sopra, si possa con sicurezza avanzare
qualche passo, e forse ancora giungere a fissarne un compiuto alfabeto, e
quindi a bén leggere, ed intendere, tutto quello che ci rimane di etrusco.
Imperocché, sia che abbia veramente esistito una lingua primitiva, della quale
tutte le altre non siano che derivazioni, e prodotti, o sia che le diverse
popolazioni umane siensi fatta da principio, ciascuna la sua lingua, e
che per moltiplicate combinazioni, e dopo una lunga serie di secoli,
questi diversi idiomi particolari siano venuti, per cosi dire, a fondersi
in un idioma generale, che in seguito poi siasi diviso, e suddiviso di
nuovo, in lingue, e in dialetti diversi, vi sono pochi argomenti più degni
dell’ attenzione del filologo, e del filosofo ad un tempo, di queste
formazioni, di queste separazioni e di queste riunioni dì linguaggi, che
indicano le principali epoche della formazione, della separazione, e
della riunione dei popoli. L’idioma latino che disparve al nascere dell'italiano,
era stato in una molto recondita antichità il prodotto di una simile
rivoluzione. Quando ad un' epoca prò- Porgiamo alla considerazione dello
spettatore in questo disegno la più grande urna in marmo che siasi fin ora
trovata nei moderni scavi di Chiusi, misurando in lunghezza circa 4
braccia. Ha nel cornicione superiore una lunga iscrizione etnisca, ma
disgraziatamente dipinta, e non conservata come desiderar si potrebbe per
l'intelligenza compita, quantunque da quel che resta comprendesi essere
un aggregato di nomi famigliari e nient'altro. Vi corrisponde la
rappresentanza della scultura, ove si vede la moglie che dal marito
congedasi, o questo da quella per girsene all’altra vita. Una Furia come
addetta al ministero delle anime, abbracciando la donna par che indichi esser
lei la defonta, e non 1’ uomo che il soggetto ivi appella. Infatti
contiene il coperchio dell’urna una donna, come vedremo. Termina la
composizione con altre due Furie, una delle quali è pronta a ricever
l’anima alla porta infernale per dove passavasi quindi agli Elisi a ; e le
altre cinque figure intermedie non altro significano a mio credere che
parenti, e forse anche estinti antenati, de’quali siansi voluti rammentare i
nomi nella iscrizione. Forma questo bel monumento e rarissimo in Etruria
uno dei principali ornamenti del Mueo Casuccini di Chiusi. Ecco il coperchio in
marmo dell’ urna già osservata nella Tavola antecedente. Quivi e una
donna mutilata in parte, come esser sogliono le sculture sepolcrali visitate
dai primitivi cristiani, ed in quella occasione depredati quei loro sepolcri;
ma pure non sempre del tutto, e infatti si è trovato in Chiusi qualche
ornamento d’oro uguale alla collana che riccamente scende sul petto di
questa defonta, la quale è succinta, come esser sogliono le protome delle
donne. Ha in mano un pomo granato, conforme davansi a chi si portava all’
inferno. Quando si volesse dare una interpetrazione a quest’oscuro
soggetto in bassorilievo, si potrebbe dire essere il giovane Astianatte
genuflesso sul larario, in atto di venire immolato al furore di Pirro. Il
monumento è un’urna di terra cotta non molto conservata. Monum.
Etr., ser. i, p. 191, 229. a Ivi, p. 177, »46. 3 Ivi, ser.
11, p. 229, a 3 o. stolta presunzione di credermi più perspicace, e più
istrutto di quei dottissimi, che si affaticarono in clamo su questo
istesso argomento, ma solamente perchè il tentar nuove strade in materia
cotanto astrusa, è permesso a chi che sia, particolarmente quando tutte quelle
tentate finora, non sono opportune a condurci a buon porto . E perché è
pur vero che non di rado toccò in sorte ad uomini di mediocre ingegno e
sapere, il discoprimento di ciò che rimase lungamente occulto alle più
profonde, e costanti ricerche di sapientissimi osservatori.
Protesto peraltro ampiamente d’esser pronto ad abbandonare la mia
opinione su questo proposito, quando i dotti me ne oppongano un’ altra
più plausibile, e più idonea allo scopo cui è diretta. Essendo io scevro
affatto di ogni particolare affezione per essa, ed alienissimo da
qualunque spirito di sistema, nè altro cercando che la verità . Avvegna che,
una delle cause positive, anzi la principale, a mio credere, che abbia
così ritardalo, ed impedito la scoperta del vero in questa materia, è stato
senza dubbio lo spirito di sistema, portatovi da ciascuno di quegli
archeologi, che vi esercitarono con particolari indagini il proprio ingegno,
ostinandosi, e forzandosi per ogni maniera, a derivare da un solo fonte
la Unga etnisca. Idifatti, niente è più funesto ai veri progressi delle
scienze, nè più contrario al discoprimento della verità, di quello che lo
sia uno spirito sistematico. Imperocché tutto allora si sconvolge, si
contorce, si altera, anche senza avvedersene, per trarlo comunque al proprio
sistema, adattarcelo, e farlo a diritto o a torto, convenire con quello . Ma
chi adopra in tal guisa, non và altrimenti in cerca del vero, e si affatica
soltanto a rinvenire ciò che egli si è preventivamente immaginato di
dover trovare. Cosi, tutti coloro i quali pretesero di far venire gli
Etruschi da una colonia di Cananei, o di altri Orientali, crederono di
vedere perfino la forma delle lettere etnische, in quella delle ebraiche,
e più specialmente delle cosi dette sanimaritane, benché non ve ne fosse la
minima idea. E t.enevansi tanto più sicuri del fatto loro, in quanto che
usarono i nostri antichi padri condurre la loro scrittura da destra a sinistra,
come gl’ebrei, i Sammarilani,ed altri popoli dell’Oriente.I Sè mancarono di
viepiù confermarsi in tale opinione, osservando alcune voci etrusche, simili, o
provenienti dai dialetti semitici-, quasi che fossero queste argomento
bastante a costituire la identità di origine dell' etrusco con quelli, e non
sapessero tutti i filologi, che s’incontrano delle voci simili di suono,
e di significato ancora, in quasi tutte le lingue conosciute, senza poter
giungere a provare per questa via, che l una derivi con sicurezza dall' altra,
e tutte da un fonte comune. Mentre sono tali somiglianze, ed analogìe, il
prodotto di quei mescolamenti, dei quali ho parlato in principio. E con
tanta maggiore facilità debbono essersi mischiate, e combinate non poche
voci orientali all’ etrusche, per lo commercio singolarmente dei Fenici
coi nostri antenati, in epoche da noi remotissime, come altrove si è detto-,
insegnandoci concordemente gli antichi scrittori quanto in ciò valessero
gl’etruschi, o Tirreni, e come signoreggiassero i due mavì che circondano
Italia, cui diedero perfino il nome. si vede nel manico è il sole, come
io spiegherò meglio in seguito, e l'atto delle mani e dei piedi che volgesi in
alto, in basso e per ogni senso, è simbolo della generale influenza dei suoi
raggi, cbe si spargono in giro Gli ornamenti a bassorilievo che circondano
questo vaso NON HANNO UN SIGNIFICATO DIVERSO da quei che vedemmo alle yavole,
ed è perciò inutile ripetere ulteriormente il già detto. M’ immagino che
la figura qui espressa, e ripetuta più volte in molti vasi trovati nei
sepolcri, possa esser Marte, il quale significar vi debba, che il tempo
in cui domina quel pianeta è l’autunno, come in altri monumenti se ne vede
l'indizio i 2, e questo tempo vi si rammentava per la ricorrenza del suffragio
delle anime 3, al quale oggetto erano istituite feste ed offerte ; o
forse rammentasi la deità degl’itali primitivi. Sono assai numerosi
gl’ idoli femminili in bronzo di piccola dimensione pari al presente, eh’
io credo essere stati nominati comunemente dagli antichi gli Dei Lari, o
Penati, o Geni tutelari, e Giunoni 4, quando, come questa statuetta,
erano femmine; e dice vasi che ogni donna aveva la sua Giunóne per
protettrice 5 . Il gusto dei Greci, come ricaviamo dalle opere loro
trovate in Ercolano e Pompei, era d’inventare ornamenti per le
suppellettili anche non attinenti al fasto ed al lusso, dove introducevano con
molto genio ed ingegno animali ed umane figure : genio che si propagò per
l’Italia, come vediamo nelle opere di Chiusi,• di che abbiamo un bell’ esempio
nei due manichi di bronzo incisi in questa XXHI Tavola, un de'quali ha un
mascherone bizzarramente travisato con fogliami, fiori ed una barba assai
schersosamente spartita. Bella è parimente l’immagine dell’altro manubrio
disegnato di faccia e di profilo, dove si vede un anima- i Monumenti etr.,
ser. 11, Tay. xc, pag. 762. 4 Monumenti etr., ser. 1, p. 279. %
Ivi, ser. vi, tay. F2, num. 3, p. 17 5 Virgil. Aneid., Ovid., fastor. 5x2, 544 * y* 4 ^ 5 .notabile che i coperchi
delle urne in terra cotta sieno di miglior modello eh esser non sogliono
quelli scolpiti in pietra N’ è chiaro esempio questa re- combente figura
che servì di coperchio all’ urna precedentemente esposta. Ognun vede
quanto il panneggiamento sia più ragionato nelle pieghe di quel che osservammo
allaTav. XIV ove ne reputammo l’urna spettante a ricca matrona. Chi sa
che il lusso de marmi non prevalesse in tempo della maggior decadenza
delle arti ? La muliebre figura qui esposta fu eseguita in fragile pietra
tofacea e trovata acefala in un sepolcro, colla particolarità che il
collo è vuoto come anche il torso, ed è servito per deposito d umane
ceneri e d J ossa cremate, che vi si trovarono al- 1 aprir della tomba,
ove la statua era sepolta. Il significato non è facile a penetrarsi, ma
dal pomo che ha in mano, e dall atto sedente, non sarebbe fuor di proposito
il congetturarne che fosse una Proserpina, la quale riceve unitamente col
suo consorte Plutone le anime che scendono al Tartaro. Difatti anche al Museo
Pio dementino vedonsi que’ due numi sedenti a . La singolarità dell’
esposto monumento esige che se ne mostri anche la parte avversa alla già
veduta. Ivi più chiaramente si nota che a formarne il magnifico sedile
concorrono i simulacri di due sfingi, le quali assai frequentemente
s’incontrano in monumenti ferali; poiché la sfinge reputavasi animale chimerico
infernale 3, e perciò attamente posti ad ornar la sedia della divinità che
attende alle anime trapassate da questa all’ altra vita. La frequenza dei
volti velati che vedonsi ne’yasi di terra nera, come in questo, non
lasciano luogo a porre in dubbio se siano o nò rappresentanze di larve o
Lemuri, cioè delle anime 5, ed il gallo che sovrasta al vaso, pare, come ho
detto altrove 6, indubitato simbolo del buon augurio di felicità nella
futura vita, che a quelle anime predicevasi dai superstiti viventi. La
figura con faccia larvata che 1 Monum, etr., ser. ni, p. 4 io, e
ser. vi, Tav. i, pag. ai,
52. Visconti, Mus. P. Clem. Voi. li. Tav.
3 Monum. etr. «er. i, p. 582. Etr. Mas. Chius. SULL’
ALFABETO ETRUSCO Uopo che gli uomini ebbero trovato coll’ uso naturale
degli organi della parola, un mezzo facile di comunicare i loro pensieri
ai presenti, cercarono, e trovarono in seguito, quello di parlare agli
assenti, e di rammentare a se stessi, ed altrui, ciò che era stato pensato, e
detto da loro, e da altri, e ciò ancora di che erano convenuti insieme. La
prima cosa pertanto che si presentasse loro allo spirito in questa
ricerca, furono le figure geroglifiche ; ma colai segni non erano
abbastanza chiari, e precisi, nè abbastanza univoci, per adempire lo
scopo che avevasi in mira, di fissare cioè la parola, e di farne un
monumento più espressivo del marmo, e del bronzo. Il desiderio
dunque, ed il bisogno di compiere questo disegno, fecero finalmente immaginare
quei particolari segni, che noi chiamiamo lettere ognuna delle quali fù
destinata a notare uno dei suoni sémplici, che formano le parole', la
riunione dei quali segni, è ciò che dicesi alfabeto. Volendo però risalire
fino alla prima origine dì questo maraviglioso ritrovamento, rischieremo
sempre di smarrirsi senza riparo, in un mare di oscurità, e d’incertezze,
e circa V epoca in cui giunsero gli uomini ad un si nobile discoprimento,
e circa la nazione che prima di ogni altra vi pervenne. Lasciando
perciò da parte la ricerca di quello che io giudico moralmente
impossibile a rinvenirsi, volgerò le mie indagini a cosa più certa, od
almeno piu probabile, qual e la quistione, se gli Etruschi, od i Greci
fossero i primi a far uso di una cosi bella, ed utile invenzione. E qui
pure siamo costretti a navigare, presso che senza bussola, m un ampio
pelago, sparso di profondissimi vortici, d' orribili mostri, e di scogli assai
pericolosi. Imperocché, se molti dotti sostennero, e sostengono tuttavia
che i Greci sono anteriori agli Etruschi nell’uso dell’ alfabeto, e vengono
riguardati come i maestri di essi, in qualsivoglia arte o scienza, non è
per altra parte minore il numero, nè di minor momento V autorità di
quelli, che citar si possono per sostenere il contrario. Perlochè io
aderisco a questi ultimi, sembrandomi la loro opinione più ragionevole, e
più giusta, ed i sostenitori di essa persuadendomi colle loro ragioni,
ciò che non giungono a fare i propagatori del grecismo, ad onta ancora di
tutte le parole greche, o grecizzanti, che s’ incontrano ad ogni passo in quasi
tutti i monumenti etruschi, discoperti finqui, avvegnaché intorno a le
mostruoso, che per aver motivo d' essere attaccato al vaso figura di
morderlo. Sotto è un Ercoletto giovane, che tiene la mano alzata,
vibrando la clava in segno di recar danno e morte, ed ha cinti i lombi
colla pelle di leone, simboleggiando di non curarsi della generazione,
come è proprio d’Èrcole quando figura il sole iemale. Difatti rispetto ai
viventi è il sole che loro apporta la vita coll’universale tepore della
natura in primavera, e porta danni o morte col raffreddamento del tempo
iemale. Qual simbolo può dunque esser più adattato a decorare un
sepolcro, che quello dove rammentasi la vicendevole transizione dalla
vita alla morte? Lo scarabeo di cui si vede f impronta ha inciso un
centauro con un fanciullo sul dorso, forse Chirone col giovane Achille
che dicesi da taluno essere stato affidato a quel mostro per riceverne la
puerile educazione. La rappresentanza di questo specchio mistico sarebbe forse
difficile ad inter- petrarsi, qualora non fossene venuto a luce un altro
di quasi ugual soggetto. In quello vedesi Giunone sedente in atto di
porgere ad Ercole la mammella, perchè ne succhiasse il latte, il chè
succede alla presenza di Mercurio 3 . Sappiamo infatti che Giove bramava
che Ercole per ottenere l’immortalità, benché nato da mortai femmina,
sorbisse almeno latte divino, onde per uno dei soliti inganni frequentissimi
nella mitologia, Giunone gliel porse senza avvedersene. Mercurio vi si
crede introdotto, per attestare ad Ercole d’aver egli pure profittato di tale
arguzia, per entrar fra gli Dei, benché nato da Maia donna mortale. Qui
non è espresso l’atto di Giunone per allattar Ercole, ma pur vi si vede
Mercurio che si fa noto col suo cappello, e par che accenni d’ aver
profittato egli stesso dell’espediente che suggerisce ad Ercole, il quale
gli sta davanti. Ha la clava, in mano ed un piede elevato, indicando che
salir deve all’ immortalità 3 per opera di Giunone 6 eh’ è fra
loro. fli8v«q :ian8 j v :ioj vi. j a 11 y fi j 1 :i n tnq r = o 4
vii. 1 f\ il 8 4 Y d : fi m 3 4 t :42 vili. •-ifi n t v t :o 4
.• in i n q n o n lx - -4/nm-rfl4 itntnqfl .-4sa x. Monumenti etr.
Galleria Omerica Tom. ii, Tav. cxxi, pag. 2,4. 3 Schiassi, De
pateris ariliquor.ex schedis Blandirli Sermo ed epislolae tab. 4
Diodor., Sic. Bibliot. bist. Mon. etr.
ser.n, Tavv. lxxu, lxxìii, lxxiv, lxxv, 6 Zarinoni, Lettere di
etrusca erudizione pubblicate dall’ Inghirami, pure in ogni tempo di
tracciare nello stesso modo le loro scritture. E tutti, c/uesti ultimi
specialmente, furono sempre uniformi in questo, ad eccezione degli Etiopi
soli, e degli Abissini, che sebbene parlino, e scrivano un dialetto semitico,
scrivono tuttavia da sinistra a destra, come gl’ Indiani, ed i segni deliaco
alfabeto hanno un valore sillabico, come gli alfabeti indiani, ed anche il
tibetano, ciascuno dei quali segni porta seco, in certo modo incorporata una
vocale, e forma una sillaba. Ciò che non accade in nessuno degli alfabeti
europei, e neppure nel giorgiano, e nell 1 armeno, che vengono pure
delineati da sinistra a destra. Laonde non pare poi tanto strana l’opinione
di quelli, i quali pensarono, che gli Etruschi propriamente detti,
fossero discesi in prima orìgine da una colonia, o emigrazione asiatica.
Ma di ciò altrove. E se i Persiani, ed i Turchi scrivono da destra
a sinistra, benché la lingua dei primi venga dalle Indie, e quella dei secondi
dalla Tartaria, ciò procede dall’ aver tanto gli uni, che gli altri
adottato i caratteri arabici, ed al tempo stesso la religione del borano.
Quindi tenendo in conto di cosa sacra i suddetti caratteri, non è da
maravigliarsi nè punto nè poco, se essi non abbiano ardito dì alterarli,
nè quanto alla primitiva lor forma, nè quanto alle maniere di rappresentarli
colla scrittura. Ché del resto ben diversi riscontratisi gli antichi caratteri
persiani chiamati zendici, e pelvici, come assai differenti ritrovatisi, e
pel modo di scrìverli, e perla loro forma, ofigura, quelli dei
Tartari. Ciò premesso o siano stati gli Etruschi i ritrovatori
dell’alfabeto che porta il loro nome, o l’abbiano composto di più antichi
alfabeti italici, o V abbiano derivato da altrove, come pare dai nomi stessi
che portano le lettere del medesimo, benché sia diffìcilissimo, e forse
impossibile a provarsi, per mancanza di documenti sicuri, il come, ed il
quando abbiano ciò fatto-, è peraltro fuor d’ogni dubbio, che i Greci non lo
comunicarono loro, e non furono per conseguenza i loro maestrì.Che anzi è da
credere che sia accaduto tutto al contrario, e che gli Etruschi, nazione
mitissima, e potentissima in età molto remote, e quando la Grecia era tuttora
barbara, e selvaggia, 1’ abbiano comunicato ai Fenici per via di
commercio, e che da quelli passasse ai Greci, se vogliamo ammettere ciò
che sostengono quasi tutti gli antichi scrittori, cioè, che Cadmo facesse
loro il dono del primo alfabeto. Del qual Cadmo scrive Plutarco nei
Simposiaci iib. 9 quist. 5, che quel sapiente pose Z'aleph, o alpha per
prima lettera del suo alfabeto, perchè cosi chiamasi il bue nella lingua
dei Fenìci, il quale animale non è da stimarsi nè secondo nè terzo fra le
cose necessarie all’ uomo come pensò Esiodo. Circa poi al grecismo, che
s’incontra nell’ etrusco, e nell’Etruria, e circa le arti greche, che vi
si osservano, come ancora in altre parti dItalia, ne parlerò a lungo in
un discorso, che tutto si aggirerà intorno a questa materia,
esclusivamente da ogni altro oggetto. E proverò allora, che l’idioma
degli antichi Etruschi è nel suo fondo tutt' altra cosa che greco;
dimostrando ad un tempo, in qual modo, e questo grecismo sian da dirsi
alcune cose eli io riserbo ad un altro ragionamento. Ma ritornando
al titolo del mio discorso, cosa è V alfabeto etrusco? É questo un prodotto
indigeno dell’ antica Etruria, o sivvero vi fa trasportato da altra parte
del mondo? E se qua venne da estranei lidi, chi fu mai quel benefico straniero,
che fece all ’ Etruria un dono cosi prezioso ? Ed in questa supposizione,
passò egli ai nostri antenati dall’ Oriente, oppure dall’ antica Grecia ? O si
compose egli forse degli elementi di più antichi alfabeti italici, o di
questi, e del pelasgo fra loro mescolati, e confusi ? E se vi fossero
ragioni bastanti a dichiararlo prodotto indigeno, a quale epoca
rimonterebbe l’ antichità sua, ed a quale ammettendo che sia frutto
straniero, e per qual mezzo pervenne ai padri nostri? A tutte
queste quistiom, che possono opportunamente esser mosse intorno al tema
che ho tra mano, io mi studierò di rispondere, quanto meglio e più concisamente
per me si potrà, e come sarà possibile rispondere, in qusto breve ragionamento,
m una materia cosi oscura, e difficile • E circa alla prima quistione, l
alfabeto etrusco, quale noi lo possediamo presentemente, non è certo una
cosa diversa dall antico alfabeto greco, ma sono anzi talmente somiglianti fra
loro, se tolgasi il rovesciamento delle lettere nell’ uno di essi, da doverli
giudicare al confronto, senza timore d’ ingannarsi, la stessa cosa, sia diesi
riguardi la forma delle lettere, o si consideri l uso delle medesime, Nè giova
opporre a questa asserzione, la maniera di scrivere degli Etruschi da
destra a sinistra, avvegnaché usavano di fare lo stesso anche gli antichi
Greci, prima dell’ età di Pronapide, che si pretende essere stato il
maestro di Omero. Che anzi esser potrebbe credi io, una tale
particolarità, un argomento favorevole agli Etruschi, per crederli i
ritrovatori del loro alfabeto• Al che si aggiungerebbe forza non poca,
considerando l antichità loro, più recondita assai di quella dei Greci.
E più ancora verrebbe avvalorato, e confermato un tale argomento, che
gli Etruschi, cioè, siano stati eglino stessi gli autori del loro
alfabeto, riflettendo che i medesimi continuarono in ogni tempo a
scrivere, ed anche sotto la dominazione dei Romani, da destra a sinistra-, lo
che non avvenne dei Greci, iquali cangiarono metodo, e presero a condurre
la loro scrittura da sinistra a destra. Ora è più ragionevole il credere,
che il rovesciamento degli elementi alfabetici, e del modo di scrivere,
siasi operato da chi l’apprese da altri, che da chi ne fù l inventore. E
questo rovesciamento di scrittura presso i Greci, vuoisi fissare, come di sopra
accennava, ai tempi omerici, o di Pronapide. A questo argomento
però se ne potrebbe, per avventura, opporre un altro, dicendo, ché giusto
appunto perchè gli Etruschi scrissero sempre conducendo, e tracciando i
caratteri da destra a sinistra, non debbono riguardarsi come i ritrovatori del
loro alfabeto, ma convien credere che lo abbiano ricevuto da qualcuno dei
popoli asiatici, e particolarmente di quelli così detti semitici., ì quali
usarono T-;,- Per la qual cosa, mi pare che dopo tutto quello
che ho detto finqui', si possa rispondere alle questioni proposte in
questo medesimo discorso, che V alfabeto etrusco non è venuto dal greco,
ma bensì questo da quello j che desso non è primitivamente indigeno dell’
antica Etruria, quanto ai suoi elementi, i quali furono quà portati da
una emigrazione antica, in tempi tanto reconditi da non poterne fissar V
epoca precisa, e che s’ ignora chi ne fosse il primo inventore, e chi lo
portasse il primo fra noi. Sulla qual primitiva derivazione asiatica dell'
alfabeto etrusco, in età da noi remotissime, dettero un ragionamento a parte,
che verrà pubblicato in seguito in quest’ opera stessa. Ciò peraltro non
vuol già dire, che anche la lingua etnisca sia una lingua del tutto
asiatica, come la giudicarono troppo leggermente alcuni filologi, sebbene
asiatici si riscontrino l’ antico culto, e la maggior parte dei riti
religiosi, e civili degli Etruschi. Or qui farebbe di mestieri
combattere, e confutare tutte le opinioni contrarie ; nè io sarei alieno
dal prendermi un tale assunto, se i limiti prescritti a questi ragionamenti,
nei quali non deve olt repassare, per l’indole dell' opera cui son
destinati, la periferia di poche pagine di stampa per ognuno di essi, me
lo concedessero. Non potendo ciò fare, nel modo che si converrebbe, mi
ristringerò ad aggiungere quanto segue, e mi terrò per ora contento di
questo. Il Cori, il Majfei, ed il Mazzocchi confrontando gli
alfabeti punico, e celtibero, o cantabro coll’etrusco, dicono che vi trovarono
minore analogia, quanto alla forma dèlie lettere, che coll’ ebraico. Il
Donati poi che fece la stessa cosa nei suoi Dittici seguitando le
osservazioni, che avevano già fatte prima di lui a questo proposito, l’
Aquila, Teodozione e San Girolamo, scrive nell’ opera sua intorno alle
iscrizioni, che quelle così dette Cizzie, sono riguardo ai caratteri, mollo
simili alle etnische j e lo stesso dice ancora del marmo Sanvicense conservato
in Osford, che vuoisi più antico della guerra troiana, e dei caratteri
incisi sulla lamina bustrofeda di bronzo, riportata dal prelodato Majfei
nella sua Critica Lapidaria, non meno che di quelli sulla colonnetta del
Museo Nani di Venezia, giudicata pelasga-tirrena, benché fosse ritrovata
a Mitilene . Questi monumenti, che si credono tutti scrìtti in greco
antico, e per essere questo mollo simile all’ etrusco, specialmente circa
la forma delle lettere, sono stati quelli che hanno fatto mettere in campo,
o convalidare l' opinione di coloro, i quali pensarono che il greco
antico, é l'etrusco fossero la stessa cosa, e che per giunta alla
derrata, la lingua dei nostri antenati sia nata dal greco. Senza avere
peraltro mai pensato a provare, che i Greci, ed il loro alfabeto fossero
più antichi degli Etruschi. Il Gori,fra gli altri, stabili
come un assioma, che la lingua etrusco era greca in non differiva da
quella che nel dialetto, nella quale opinione fu seguito dal Lanzi, e da
altri. Ne si avvidero, nè lui stesso, nè i suoi seguaci, che i Pelasghi,
i lirrem, i Pladani, i Lidii, gli Arcadi, e gli Ausonìi, sono perchè s J
introdussero nell' etrusco, e nèll' Etruria propriamente detta, quel grecismo,
e quelle arti. Che in quanto alla somiglianza, ed anche identità dei caratteri
etruschi, e greci antichi, sii di che fondarono finora il loro più valido
argomento tutti gli archeologi fautori del grecismo, per asserire che l'
etrusco, ed il greco antico sono in ultima analisi la medesima lingua, è
il più frivolo, ed anche il più ridicolo ragionamento, che immaginar mai
si possa, Avvegnaché, vale lo stesso che se io ragionassi cosi: gl’italiani,
i francesi, i fiamminghi, gli spagnuoli, i Polacchi, i Portoghesi, ed
altri popoli d'Europa, come gl'inglesi, i dalmati, e gl’olandesi, si servono
dello stesso alfabeto per iscrivere le loro lingue, dunque tutte quelle
lingue sono la stessa cosa. Ma quante sono in antico le lettere dell’
alfabeto etrusco, poiché essendone stati pubblicati finora dagli
antiquari fino a tredici, o quattordici, chi ne conta un numero maggiore,
e chi minore; ed il laborioso, e dotto abbate Lanzi ne ammette venti nel
suo ? Si deve credere che fossero sempre in egual numero, oppure che
venisse questo accresciuto a più riprese, e ad epoche diverse, come si
narra essere avvenuto dal greco, il quale fù condotto fino al numero di
ventiquattro lettere, benché non ne avesse che sedici nel suo principio ? E non
sarebbe questa una ragione di più, onde confermare ciò che accennava poc
anzi, che l’ alfabeto, cioè, facesse passaggio dagli Etruschi ai Fenici,
e da questi ai Greci, osservandosi ancora che nessuno degli antichi
alfabeti italici oltrepassò mai il numero di sedici lettere? Difatti nei piu antichi
monumenti, fra i quali nessuno vorrà contradire che siano da riporsi gli
atti dei fratelli Ar- vali, non se ne contano che sedici sole.
Di più non trovandosi mai usato l o nelle epigrafi antiche veramente
etnische, riscontrandosi questa lettera fra quelle degli altri monumenti
italici parimente antichi, come pure fra le prime sedici dell alfabeto greco,
cosi detto cadrneo, sì può dubitare se gl’etruschi ne avessero neppur
tante in principio, e cresce sempre più la probabilità della mia
asserzione. Secondo t enciclopedico Plinio, le lettere dell
alfabeto cadrneo furono le seguenti . cioè: ab r a eikamnoiipstt. Alle quali
poi ne aggiunse quattro Palamede, che sono, e 3 $ x. E finalmente
Simonide lo accrebbe di altre quattro, cioè, zìi va. E pare anche ben
naturale, come fù pure osservato dall’ erudito filologo francese Sig.
Letronne, che quei primi sedici caratteri siano stati inventati avanti
agli altri, perchè rappresentano i sedici tuoni elementari, o semplici,
ché formar si possono colla bocca umana, sia per intuonazione, o per
articolazione. Mentre gli altri caratteri aggiunti a questi, ed usati
negli alfabeti dei differenti popoli, esprimono, o delle gradazioni di
quei suoni principali, o la riunione eli più articolazioni in una sola . Di
maniera che ognuno di essi può essere più, o meno esattamente decomposto
nei primitivi suoni eh’ egli contiene. Che s’è regola di sana critica di
non prestar fede agli antichi poeti, in tutto ciò che narrano di
sovrumano, e di misterioso, lo è del pari di rintracciare il vero anche
in mezzo alla favola, che viene giustamente definita dai sapienti, il
velo deila verità, e della storia. Ipoeti dell’ antichità, ché erano più
istruiti di tutti gli uomini dell’età loro non inventarono, come si crede
male a proposito, le favole, ma bensì adornarono con finzioni la storia .
Rimossele quali finzioni, è cosa ben facile di rinvenire la verità, nei più
notabili avvenimenti per essi narrati, e abbelliti. Cosi la pensa Agostino
nel lib. della Città di Dio. E ci avverte Vossio nell’ aureo suo trattato De
fatione studiorum, che non si dicono favolose le antiche età, perchè sia
falso ciò che di essici vien riferito dagli scrit-, tori, ma perchè la
storia di quella ci è pervenuta insieme colle favole mista, e confusa. /u
M : oj : ntriq r : oqflj v/r 3Hfl Jiiffl -1 = q/i j/r n# j a san/urn/Mq/i V/13 : q A : D l
= irnoai 4 /ini AD Jfìlmq 3E : Am 34t : 44
-1V84flHMI3:3Hiq3®:q/1 4/mmq vo • IHltfl 4 14 : I ?434 : I
\IA8 JAMAJll V A'! vq 1 : U434 .- A» n 33 4fl mif A4 : Al 3 f
25 tutti popoli anteriori ai Greci, e che trovansi tutti
amalgamati cogli Etruschi nelle età più lontane. Perlochè convien dire
che siano gl’etruschi stessi, i quali portino diverse denominazioni,
dalle diverse provincie dà loro abitate, nelle quali era divisa l’antica
Etruria. E come oggi i fiorentini, i senesi, i pisani, i lucchesi, ì magellani,
i casentinesi, e simili, sono tutti toscani, cosi pure nei più reconditi
tempi gli Umbri, gli Enotrl, gli Aborigeni, e tutti gli altri annoverati di sopra,
erano Etruschi. Silio Italico lib. a. 0 chiama Ausonia la Lombardia. Ed
Eliano lib. 8.° della Varia istoria, crede che gli Ausoniifossero i primi
abitatori di Italia-, mentre Pirgilio nel io. 0 dell’ Eneide, li confonde con
quelli che popolavano questa bella penisola sotto il regno di Saturno.
Servio poi commentando un tal passo, dice che gli Ausonii furono sì dei
primi popolatori cì Italia, ma non già i primi di tutti, nei soli. Ed
ecco perchè alcuni scrittori hanno compreso sotto il nome di Ausonia
tutta l’Italia. Ora tutti i surriferiti popoli, non esclusi neppure
i Latini, che molti autori vogliono che fossero diversi, e dagl Italici
propriamente detti, e dagli Etruschi, ripetono la loro prima origine da una
colonia, o emigrazione qua venuta dall’Asia, in tempi forse al di là di quelli
che da noi son detti storici. Lo che fu negato acremente da altri per la sola
ragione di potere stabilire, che i Greci furono i primi coloni di
Etruria, e che vi s’introdussero insieme con essi, le arti e le scienze,
e perfino la cognizione dei segni alfabetici. Ma non potendosi negare, senza
offendere il senso comune, che queste regioni erano popolate molti secoli prima
che i Greci le conoscessero per via di commercio, e vi spedissero in
seguito delle colonie, conviene di necessità ammettere, che i Greci non furono
i primi abitatori d’Italia, e per conseguenza neppure di Etruria, e molto
meno insegnarono loro a parlare. Quando peraltro non voglia credersi, ché
i popoli italici, e gli Etruschi, fossero tutti muti prima dell’ arrivo dei
Greci fra loro. Laonde cade, e si annulla il sistema dei fautori del
grecismo. Macrobio infatti ammette un diluvio, non già ai tempi di
Deucalione, e di Ogi- ge, ma bensì a quello di Giano, ch’ei qualifica per
primo re di tutta l'Italia. E Dionisio d’Alicarnasso, che è sempre in
contradizione con se stesso, dopo avere scritto che i Pelasghi furono i
primi popolatori d! Italia, che 5oo anni prima di Giano ne scacciarono i
Siculi, e che gli Enotri eransi prima dei Siculi stabiliti nell’ Umbria,
pretende poi di darci ad intendere, e farci credere, che Giano precedesse la
venuta di Enea in Italia di un solo secolo, e mezzo. Ma se il cosi detto
secolo d’ oro, ossia il secolo della pace, e della giustizia, fu secondo
Virgilio, ed altri scrittori antichi, quello in cui regnarono Saturno, e Giano,
questo non può essere stato posteriore all’ età di Noè, e de'suoi figli, che
dietro gli insegnamenti paterni, calcarono essi pure la via della
giustizia, e coltivarono tutte le virtù sociali. Etr • Mas.
Chius. Tom. nemico se gli Dei, per suggerimento di Nettuno, non lo
avessero voluto salvo 2 . Or non vedi qui pure Achille che tenendo lo scudo
lungi da se, pone mano alla spada ? Non vedi il Tanato che quasi
obbrobriato volge il tergo alla pugna col suo martello sugli omeri, per
mostrare che morte non avea luogo in quel conflitto, perchè ad ogni costo
dovevasi Enea salvare alla gloria d’Italia? Questo disegno è una quarta parte
del suo originale in marmo d’ alto rilievo. Qui si mostrano i due
laterali scolpiti del cinerario che è nella Tavola. Nell'uno e nell’altro sono
rozzamente indicate due porte, che rappresentano, credo io, le infernali, alla
custodia delle quali stan vigilanti due ministri del Tartaro. La figura
femminile al num. 2 è visibilmente una Furia, come dichiaralo quella face
che regge con ambe le mani; di che detti altri cenni 3 ; la virile col martello
sugli omeri è il Tanato, altrimenti detto Cliarun tra gli Etruschi \ e confuso
coll’Orco, ministro anch’egli di morte e d’inferno, che spesso incontrasi nei
monumenti antichi d’Etruria 5, e non già tra quei de J Greci, nè
de’Romani cosi rappresentato. La testa eh e nel mezzo, serve per
coperchio ad un vaso di terra cotta, di che dovrò trattare altrove; ora
avverto che questa è la terza parte del suo originale : Affinchè I’ urna
cineraria già esposta si mostri compita, fa d’ uopo di non disgregarne il
suo coperchio, dove si vede un seminudo recornbente con una patera in mano,
nell’attitudine stessa che vedonsi rappresentati gli Etruschi a mensa. Nè la
patera disdice a chi cena, mentre vedesi usata a convito dai commensali 6 . La
veste che in parte copre il recornbente è detta sindone, pure usata ai
conviti 7. La nudità della persona indica 1’apoteosi, di che altrove dò conto 8
. Il frammento di scultura segnato in questa tavola, è un tufo tenero, e
del genere di quello notato nelle prime cinque tavole della presente
collezione Chiu- sina. Orchi mai crederebbe, che nella tomba dove fu ritrovato
non vi fossero gli altri frammenti, che ne componevano l’ara intiera? chi
crederebbe che questa sorte di monumenti in tenera pietra arenaria si trovino
quasi costante- 1 * spiegazione
della Tav. xm. 4 Monumenti elr. s -5 Mono. etr. ser. i, p. 44 » 73,
74, 264, 284. 6 Ivi, ser. vi, tav. F. num. 2 . 7 Ivi
ser. i, p, 395. 8 Ivi ser. n,j>. 628. Nelle urne di
Volterra parventi ripetuto questo soggetto medesimo, ed ivi spiegandolo,
avventurai l’interpetrazione di un fatto tebano, del quale io stesso poco
andai persuaso, nè ora saprei meglio dire. Vi suppongo Anfiarao nell’atto
d’aver tagliata la testa di Menalippo, che Tideo, sebben ferito, aveva
già ucciso; e gliela portò, per cui da Tideo medesimo fu commessa
l’atrocità di aprir quel cranio, e divorarne le cervella. In ogni
restante ancora son simili queste due sculture, sebbene men rozza l’urna
di Chiusi. Questo disegno è una quarta parte del monumento originale di marmo
in bassorilievo. Quanto la frequenza delle rappresentanze di avvenimenti
ferocie marziali, come quei della tavola antecedente, fan giudicare l’etrusca
nazione d’umor malinconico 3, altrettanto voluttuosa e molle giudicar si
dovrebbe dal presente gruppo che appartiene alla scultura antecedente, per
esser quella un’urna cineraria, questa la di lei copertura . Credo per
altro che l’uno e l’altro soggetto non dall’indole degli Etruschi abbia
origine, ma da loro massime di religione, dove dicevasi che la vita era
un irrequieto contrasto, e la morte conduceva ad un vero godimento, il
quale non sapevasi esprimere che mediante la soddisfazione dei sensi 3.
Mentre il fasto orientale sfoggiava in lusso degli abiti, l’EROISMO dei Greci
caratterizzavasi col MOSTRARSI A NUDO Tra i guerrieri di questo bassorilievo ne
vedi uno vestito, e in questo caso potrebb' esser troiano, e tra i
Troiani credilo ENEA, che soggiacque a mille peripezzie di grave cimento,
senza però mai soccombere, perche gli Dei, per quel che ne dicono Omero \ e VIRGILIO
5, avean destinato ch’egli regnar dovea sopra i superstiti Troiani, e sopra i
figli dei figli, e sopra quei che appresso erano per venire da loro.
Difatti racconta specialmente Omero che Achille, cosa strana ! si
sgomentò nel combattere con Enea, e tenendo discosto da se lo scudo,
cercava di sottrarsi ai colpi vibrati da quell’eroe 6 ; ma poiché questi
a vicenda contrattosi colla persona, e copertosi collo scudo evitava
l’assalto dell avversario ', come nel bassorilievo mirasi espressa la
figura che ne occupa la parte media, Achille allora pose mano alla spada, ed
avrebbe trucidato <il 1 Monum. etruschi, Ser. 1, Tav. lxxxiii,
p. 666. 5 Virgil, Aeneid. ].
ni, y . 97, 98. 2 Ivi, p- 667. 6 Homer. Iliad. 1 . xx, v, 261,
26a. 3 Ivi, ser. v, spieg. della Tav. Homer.
Iliad. fu detta di lui consorte. Se consideriamo i due nomi spettanti ai
due pianeti Venere e Marte, potremo giudicare la figura terza per un Saturno,
altro pianeta. Nè da ciò si allontanano i di lui attributi, poiché ad
esso rompetesi, non solo quella barba prolissa che gli orna il mento, ma
eziandio quelle fronde, e germogli, o gemme di vegetabili che gli cuoprono il
capo, attributi propri di sì antico nume, non meno che la spada falcata da lui
sostenuta '. Queste tre deita e pianeti possono appellare all j oroscopo
di un’ anima che nella stagione di primavera passa agli Elisi, di che altrove
do più esteso conto a . 11 vaso contiene altre tre figure che saranno
spiegate nella Tavola seguente. Ecco le altre tre figure che vedonsi nel
b. rii. del vaso esposto nella Tav. antecedente. L’interpetrazione
dottissima scrittami di esse dal eh. sig. dott. Maggi, merita d’esser
nota preferibilmente a qualunque mia congettura. Egli dichiara in quel
mostro una Gorgone, o un Tanato: in quell’ uomo con testa ferina un
Minotauro: nell’uomo alato che sta nel mezzo un Mercurio. La totalità della
composizione credesi dal dotto interpetre allusiva al tempo nel quale facevansi
le annuali commemorazioni delle anime. Quindi la figura larvata è da esso
giudicata il Male personificato in un mostro, come fecero gli Egiziani
del loro Tifone; mentre credevasi che prevalesse il male all’ entrare
dell’ autunno . E questi nel tempo stesso il Charun degli Etruschi che
fingevano orridamente larvato, e di testa grossa. Indicano quelle mal collocate
sue ali che la morte raggiunge l’uomo ancorché fuggitivo da essa, di che
l’interpetre dà ragioni che appagano. La seconda figura è da esso dichiarata
per quel Mercurio, che occupato nell’ uffizio di accompagnar le anime, ha
deposti gli emblemi che lo distinguono per ministro dei numi. Giudica poi
la terza mostruosa figura esser il Minotauro allusivo al centauro o
centauri celesti, piuttosto che al figlio di Pasifae; e qui pure dà ragione in
qual modo leghi la dottrina delle anime colle favole dei centauri autunnali.
Nota egli che il fiore sia un anemone significativo del sole passato ai segni
inferiori, per cui sopravviene l’inverno, vale a dire il male che da ciò
risente la natura, e quindi anche le anime come credevasi,- tantoché quel
mostro con testa gorgonica rappresenta parimente il sole iemale. Gli
uccelli sono, a tenore del di lui parere, siderei, anch’essi spettanti ai
segni inferiori, e indicanti la via lattea che percorrevano le anime nel
passaggio loro alle sfere celesti. Da ciò conclude che tutta la rappresentanza
sia una spece di geroglifico significativo dell’autunno, cioè del tempo
in cui le anime dovevan esser suffragate. Egli palesa d’ aver tratta
questa interpetrazione dallq mie opere 3 . i Bianchini, Stor.
universale,cap. li, §x,p. 84 * >, pag. i8t, lettera al dott. Maggi,
a Inghirami, Lettere di etnisca erudizione, Tom. 3 Lettere, lettera di Maggi. mente
mutilati? Eppure è così; nè ciò farà tanta sorpresa, se consideriamo che
anche i vasi fittili sepolcrali si trovano spesso rotti dagli antichi. Sarebbe
forse ella mai una ferale cerimonia liturgica ? Qui
osserviamo ancora un vasetto in pietra arenaria, tre quarti men grande
del suo originale; ed è simile a quei che prima dicevansi lacrimatorii, e che
ora si dicono unguentari 3, perchè si vedono in mano di chi versa
unguenti sul rogo 3, nè questo è dei comuni per la gran somiglianza coi
vasi egiziani dell’uso stesso.Notiamo questi recipienti con volgar nome di
bracieri, mentre per tali si tengono quei che sono atti a contener brace,
ed insieme i vasi escari, e culinari. Ma l’originale qui copiato a metà di
grandezza, non fu vero braciere, nè veri escari quei recipienti che vi si
contengono, mentre l’uno e gli altri sono di fragile terra cruda, non
atta a resistere l’effetto del fuoco . Io suppongo essere stati adoprali
nei riti funebri i veri bracieri di bronzo detti anche borni, usati a
bruciar vittime, e profumi. Quindi al termine della funebre cerimonia in luogo
di lasciar questi nel sepolcro, come lo esigeva il rigore del rito, altri
bracieri di semplice figura, e formalità, perchè di terra non cotta,
sostituivansi a quelli. Il pollo che vi si vede nel mezzo, è consueto
simbolo di buon augurio, che vedemmo altrove 4 . Le varie teste che
ornano l’utensile han pur esse il significato medesimo relativo alle anime,
come in altre occasioni ho notato*. Serve la tavola presente a
mostrare qual fosse la forma esteriore del braciere o escaria, o estia che dir
si voglia, la quale vedemmo nella parte anteriore disegnata nella tavola antecedente.
Le sfingi e larve che vi si vedono apposte, sono analoghe all'uso ferale di
questi monumenti 6 .Questo vaso ch’è una quarta parte dell’ariginale, è della
solita pasta nera con ornati, e figure a bassorilievo i, le quali sono in
questo disegno della loro naturai grandezza, e ne occupano tutto il
corpo. Ivi son ripetute tre volte. La prima di esse figure
indubitatamente è un Marte; e in conseguenza la donna che gli è dappresso,
quantunque priva di attributi, può credersi Venere, che nella mitologia
1 Museo Chiaramonii Tav. xxv. 5 Pollux. 1 . i, segm. 3 . 2
Paciaudi, Monuoi. peloponues. Voi. u, p. iSo 6 Motium. etr. ser. i, p.
aao. 3 V e d. p. ij, 7 V’cd. la spiegazione della Tal. ini. SUL
GRECISMO CHE S’INCONTRA NELL' ETRUSCO, SULLE ARTI GRECHE OSSERVATE IN
ETRURIA, E SULL’ ORIENTALISMO CHE RIDONDA PER TUTTA ITALIA. Era involta
l’origine degli Etruschi in ima impenetrabile oscurila fino dal tempo in
cui scrivevano i più antichi storici che noi conosciamo. Lo che fa
certamente gran maraviglia, quando si riflette all’ esteso dominio di quel
popolo, sì celebre, e sì potente, che aveva una Casta sacerdotale, e
possedeva tempo immemorabile un particolare alfabeto, ed era più avanzato
nella civiltà di tutte le altre nazioni di Europa. E ciò molto prima dei
Greci, pensino, e ne scrivano in contrario, i dotti compilatori della
Rivis a Lungo. Tutto quello poi, che noi sappiamo della sua susseguente
istoria, e c e e suìistituzioni, non ci è stato trasmesso che dalle nazioni
contemporanee, giacche gli scritti degli autori etruschi, sono periti da lunga
età. E le loro iscriA ni scolpite sul marmo, e sul bronzo, non sono
finora più intelligibdi per noi, i quello che lo siano i
geroglifici egiziani. Ma se dunque la lingua etrusco, non è in prima
origne la stessa che a greca antica, con piccola diversità di dialetto,
come pretendevano, il Gori, e i suoi fautori, e più modernamente l
industriosissimo Abbate Lanzi, e tutta la sua scuola. Se i Greci non
furono i maestri degl’etruschi, in qual modo, riprendono quelli di
contraria opinione, s J incontra cosi frequente il grecismo nell'
etrusco, e si osservano cosi comunemente le arti greche in Etruria . ben
rispondere a queste domande, sono da premettersi alcune considerazioni,
che verrò qui brevemente esponendo. Ridonda in primo luogo, nell’etrusco,
il grecismo, per una ragione opposta diametralmente a quella predicata, e
diffusa fin qui dagli archeologi, cioè, perchè furono gli Etruschi ad un’
epoca assai recondita, i maestri dei Greci, i quali riceverono da essi, e
dagl’egiziì, le prime nozioni della scrittura, per mezzo dei Fenici, come
altrove accennammo. Questi elementi però non erano in prima origine
prodotto indigeno della Etruria, ma v’ erano stati trasportati da
una più antica emigrazione asiatica. Osservansi poi, in secondo luogo, in
ogni parte di Etruria, ed anche nel resto dell’antica Italia, gli avanzi
delle arti greche, perchè quella vivace, ed ingegnosa nazione, che aveva
il talento e l’attitudine di perfezionare, non me- Quando si trova nei
monumenti Mercurio che ha sulle spalle un ariete, se gli dà il nome di
Crioforo, e cosi nominavasi la di lui statua venerata in Lesbo, che avea
scolpita Cakmide, a significare ch'era il dio dei pastori, come crede la plebe, mentre altri asserivano eh’ aveva
liberato quei di Tanagra dalla peste, girando tre volte in forma
espiatoria intorno alla città, con un montone sulle spalle. Ma il vero
senso, benché mistico di quell’atto, è la congiunzione del sole col segno
dell’Ariete, per cooperare allo sviluppo della generazione, mediante la quale
son rivestite le anime d’utnana spoglia, per cui cred’io che talvolta il
nume vien espresso con lubriche forme. Il religioso cerimoniale degl’idoli
portava in fatti che l’ariete o lo stesso nume si rappresentasse nelle patere
libatorie per onorare i morti. Questa pittura è nel mezzo d’ una tazza di terra
cotta, che ha di più il pregio d’essere scritta, ove peraltro non leggesi
che un saluto di buon augurio ad Erilo Eprìo; K«)oe. tavola
xxxvr. Di questa muliebre figura non mi occorre dir molto, per
esser già nota mediante l'estese notizie e congetture che ne detti
altrove ». Io la giudicai rappresentativa della divinità presso gli Etruschi,
giacché ne monumenti de'Greci non si trova mai, e la dissi una Nemesi Dea
ch’ebbe origine in Asia, e perciò munita di pileo frigio, e di doppie ali, onde
mostrare la velocità del suo corso, per cui le si vedono altresì le
scarpe. Ha in mano un simbolo eh' io giudicai allusivo alla natura
prolificante w*, »//>, mentre gli Etruschi tennero la narura e la
divinità per una cosa medesima. La corona che l’attornia è di frassine,
vegetabile sacro a Nemesi. Tutto il monumento, eh’è uguale in grandezza
al suo originale, è un disco di bronzo assai frequente tra i monumenti
etruschi, lucido nella parte avversa, e manubriato in sembianza di
specchio; e poiché se ne son trovati alquanti nelle ciste mistiche, ove
Clemente Alessandrino dice esservi stati riposti gli specchi unitamente ad
altri simboli mistici, così li chiamai ordinariamente specchi mistici 3
. i Monumenti etr. ser. ti, dispregiarsi l'etimologia, quanti 1 ella è
sobria, e ragionata,) comincerò da quelli delle lettere dell’ alfabeto .
1 quali non avendo alcun significamento in greco, e portandone uno
analogo alla loro posizione,ofigura, o suono, negl’ idiomi asiatici, è ben
facile a comprendersi da chicchesia, che non dalla Grecia, ma dal- l’
Asia derivar debbono la propria origine. E vaglia il vero: Alpha,
per esempio, significa principe, primo, principio, e sìmili, in più
dialetti asiatici, e precisamente in quelli cosi detti semitici, nei
quali si pronunzia aleph, o alepha, e per contrazione alpha, cui pare che
fosse dato un tal nome per essere la prima lettera dell’ alfabeto,
Beta, che viene da beth, betha, suono imitato dal belare delle pecore, e
però sempre inalterabile nella sua naturale Semplicità, checche ne ciancino in
contrario i grammatici, i quali pretendono di farcelo pronunciare bita, ed
anche più barbaramente vita, vale una sorta di casa, per la somiglianza
che ha questa lettera colla casa stessa, nell’ Alfabeto semitico.
Gamma viene da ghirnel, gamia, gamal, che vuol dire carnelo, ed imita
colla sua forma la gobba, o le gobbe di quell’ animale. Cosi delta deriva da
da- leth, o deleth, deletha, e per sincope delta, e significa porta, cui
somiglia pure nella figura. E cosi ancora epsilon fu presa dalla he semitica, e
trae la sua denominazione dal suono che si manda fuori nel
pronunziarla. La zeta, deriva dalla zain, quasi ziian, che vale un’ arme,
perchè somiglia nella sua forma ad un dardo. E cosi percorrendo l’
intiero alfabeto. La quale opinione acquista una forza tanto
maggiore, in quanto che si osserva, che gl' ingegnosissimi Greci, non hanno
neppure nella loro lingua, che è si ricca, un vocabolo indigeno per
nominare la più bella, e la più maravigliosa di tutte le cose create, qual è il
Sole. Imperocché la voce, elios, di cui si servono per nominarlo, non è
altro chela pura semitica, el, o eloab, inflessa alla greca . E SIGNIFICANDO
essa, fra le altre cose, anche Dio nel suo primitivo idioma, si vede il perchè
si propagasse ancora in Grecia, come altrove il culto del Sole. A maggior
conferma poi del mio assunto, ecco una serie di nomi, presi qua, è là
senza scelta, ed appartenenti a cose assai diverse fra loro, come a dire,
divinità, eroi, fiumi, monti, città, provincie, popoli, edifici!, e
simili, i quali tutti sono evidentemente orientali, avendo nelle lingue
asiatiche, un significato, mentre non ne contengono alcuno nei linguaggi
degli altri paesi. Lo che viene a provare ad un tempo, che i Greci non
sono i ritrovatori della loro mitologia, e che altro non hanno fatto che
foggiare un infinito numoro di ridicoli Dei, prendendo per cose reali ì simboli
degli Orientali, e le loro allegorie, e parabole . ti. facile
infatti avvedersi, che Pale, la quale presiedeva alle feste rurali in Italia, e
Pallade, che mentre era la Dea della guerra, e delle arti, insegnava la
convenevole cultura agli Ateniesi, non sono che un soggetto medesimo, sotto due
nomi diversi; ì quali però vengono entrambi dalle voci semitiche, palai, e
pillai, che significano, regolare i cittadini, e da pillali, che vuol dire
ordine pubblico. no che l'industria di farsi suoi gli altrui ritrovamenti,
mandò a più riprese, come tutti sanno, colonie in Italia, le quali vi
fecero pure lunga dimora. Queste colonie pertanto, riportarono nelle
nostre contrade, più belle, e più gentili quelle arti medesime, che ne avevano
prima trasportate, grossolane, e rozze alla terra natale, i loro
predecessori. Ora, siccome andrebbe grandemente errato il giudizio di
colui, che vedendo un italiano vestito alla parigina, o all’inglese,
volesse inferirne, che quella foggia di vestimento sia invenzione
italiana, cosi è di quelli, che tutto vogliono attribuire ai Greci, perchè i
monumenti che ci rimangono dei nostri antenati, sentono più, o meno del greco
stile, e della greca maniera. Nè vale opporre, che mancandoci le autorità
degli antichi scrittori, onde fiancheggiarla, e provarla, fa d’uopo rigettare
una tale opinione. Imperocché, ove siamo privi di monumenti scritti, che
bastino a provare un assunto di questa specie, è giuoco forza ricorrere
al senso comune, e farsi scudo del raziocinio ; i quali valgono m ultima
conclusione più di qualunqué autorità degli scrittori, trattandosi dei
non contemporanei. Ora questo senso comune, e questo raziocìnio,
rafforzati da un gran numero di nomi, ( oltre quelli dell alfabeto, e dei suoi
elementi ), di fiumi, di montagne, di città, di provincie, di divinità,
di eroi e simili, ci attestano altamente, e chiaramente ci dicono, che dessi
non possono esser venuti che dall’ Asia, perchè sono asiatici, e tutti
ritrovano il loro significamento negli idiomi di quella parte di mondo.
Ed essendo questi medesimi nomi per la maggior parte assai più antichi di tutti
i monumenti, e di tutte le storie che finqui si conoscano, non si può
negare di ammettere, che se asiatici non furono i primissimi abitatori di
Italia, e per conseguenza d’Etruria, tali però debbono essere stati
assolutamente, quelli che insegnarono agli Etruschi l’arte Ai scrivere, e
ne volsero gl’intelletti alla cultura delle arti necessarie alla vita, e
delle utili, e dilettevoli discipline. E perchè non paia ai nan dotti in
tali materie, ed agli imperiti delle lingue orientali, che io mi tragga
dalla propria Minerva siffatte opinioni, così contrarie alle già invalse,
ed approvate dal maggior numero degli archeologi, che scrissero sull’
Etruria, e sugli Etruschi, è necessario che io venga esponendo, le
opportune prove di quanto asserisco, ai miei lettori. Perlochè, senza
veruna pretensione all' infallibilità delle mie asserzioni, eccomi pronto
alla dimostrazione delle medesime. E tralasciando di riferire in questo
ragionamento tutte le tradizioni, non mai interrotte dai tempii più reconditi
fino all’ età nostra, le quali dicono essere stati gli antichi Etruschi
nazione cultissirna, e potentissima, mi ristringerò a quella che
c’istruisce aver eglino attinti i primi lumi della loro civiltà, da una
colonia, o emigrazione proveniente dalle parti orientali, che furono la
cuna del genere umano, e di ogni sapere, e non già dai Greci, che erano a
quei tempi, se pure esìstevano, del tutto incolti, e selvaggi. Venendo
pertanto all’ etimologia dei suddetti nomi, ( che non è sempre da Etr.
Mus. Chius. ^ libio, e Tolomeo, dalbascuenze pitsà, equivalente a
schiuma, perchè situata, secondo Rutilio, vicino al fiume Ausuro, e sull’
Arno, Quam cingunt geminis, Arnus, et Ausur aquis. Orvieto, chiamato
Herbanum da Plinio, prende il nome dalle celtiche voci herd, e baun che
vagliano terra alta. E di là scendendo verso Roma, incontrasi non lontano dal
Tevere il lago Vadimone, o all’etrusca Vadimune, oggi lago di Bassano,
alle cui acque attribuisce lo stesso Plinio, fra le altre qualità, vis qua
fracta solidan* tur; la qual salutifera proprietà è significata dalla
prima parte del suo nome, chea vateded equivale in celtico ad
utile,proficuo,e simili. Angiunge poi lo scrittore medesimo che era quel lago
riguardato come sacro, perchè sotto l immediata protezione di non so qual
deità ; lo che viene espresso dalla seconda parte del nome ch’ei porta,
cioè, mund, o più dolcemente mun che corrisponde difesa, protezione, e
tutela. Trovavasi poi al mezzodì di tal lago Fescennio, luogo celebre per
le sue oscenità, e le quali sono indicate dal nome, essendo gitisi’ appunto
licenza, sfrenatezza, il SIGNIFICAMENTO di quello; e però ne cantarono,
Orazio Fescennina per hunc inventa licentia morena, e CATULLO, Ne
diu taceat procax Fescennina licentia; Oltre di che, il
celtico wels-hein, latinamente Fescennium, s’ interpetra bosco di
Venere. Nomina Tito Livio, Fanum Voltumnae, oggi Viterbo, e credesi
comunemente che questa Voltumna fosse una divinità. Difatti il Dempstero
la reputa la prima fra tutte le etnische, e Banier V annovera frale
campestri. Ma è da credere che Voltumna, venga dalle due voci volt e tun,
e per questo il Fano prendesse il nome non già dalla divinità, ivi
adorata, ma dal luogo ov’ era posto, poiché significa colle percosso dal
fulmine,o colle fulminato. Cosi pure, Auno, famoso Ligure, ausiliare di
Enea, quando venne a stabilirsi in Italia, e che trovasi descritto
nell'undecimo libro dell’ENEIDE, come paurosissimo nello scontro colla
valorosa Camilla, significa precisamente pauroso, timido in lìngua armorìca,
uno dei dialetti indo-scitici. E Cupavone, che andò pure col suo naviglio in
soccorso di Enea, si traduce capitano di mare, come Taro,,f ’interpetra
gran fracasso, o che fà gran fracasso, rovinìo, o danno, ed ognuno di
leggeri comprende, quanto ciò si convenga ad un tal fiume romorosissimo,
e precipitoso. Iasio viene da iasesc, che vuol dire, longevo, antico, e
ben corrisponde all’idea, che ce ne danno ipoeti, come Capi deriva da
capasci, uomo libero, traendosi da ca- pasc, libertà. Laberinto procede
da labiranta, che vuol dire torre, palazzo; Trittolemo da triptolem, che vale
l’apertura dei solchi, Celeo da celi, vaso, ordigno, masserizia, e però dice VIRGILIO
(si veda), Virgea preterea Celei, vilisque supellex. Palilie, ossia la
festa degl’istituti, e delle leggi, derivada palilià, c he significa l’ordine
pubblico, o da peli], che vale moderatore/Iella cosa pubblica, il primo in
Isaia, Penati, è voce che deriva da penisi!, luogo interno, o intimo, e la
cui radice è penàh, che vale penetrare; tutte le quali significazioni
convengono benissimo a quelle familiari divinità degli antichi Romani. E Levana
deità latina essa pure, è la medesima che Lucina, la quale sostenta i
nati di fresco, e deriva da Jevanàh, che vuol dir Luna. La Parca,
non è cosi detta a non parcendo, come pretendono i Grammatici, e gli
Etimologisti latini, ma bensì da parech, che vale rottura, perchè tronca essa
il filo della vita; come Cerere, da gheres, spiga matura, e Cibele, da
chebel partorire. Difatti quella prima è la dea delle messi, e viene
riguardata la seconda come la madre di tutti gli Dei . Osservo il
Passeri, che Venere, detta Venus dai Latini, era parola sconosciuta ai
Greci, i quali esprimono questa pagana divinità, colle voci Sfpofarv,
topo, Afroditi, o Afaodite, Kipris, Kitereia. E fu per lungo tempo ignota
anche ai Romani, come attesta Macrobio nel primo libro dei Saturnali.
Afferma poi Earrone che il notile di questa Dea, non conoscevasi fra gli stessi
Romani, nè greco nè latino, neppure sotto ire. Ed aggiunge Pausatila nel
suo primo libro, che era ignoto agli antichi Greci, e che lo aveva trasportato
fra loro Egeo dalla Fenicia, e dall’isola di Cipro. Gli Etruschi però
conoscevano benissimo una tal Dea, eia chiamavano Vendra, come rilevasi
da un antico specchio mistico . E la sua origine sente dì ebraico, avvegnaché,
ben-thara vuol dire figlia del mare perchè tbara significa umidità, dal
qual vocabolo fecero i Grecite, tharas figlio di Nettuno. Quindi furono
dette Tbarso quasi tutte le città marittime, e tarsisc, il mare, il lido,
un porto. Dalla stessa voce ben, che si cangia spesso in ven, per le regioni a
tutti note, furono composti molti nomi di Dee, come quello della Bendit degli
Sciti, di Bentasicima figlia di Nettuno presso Filostrato, ed altri. Nè
vennero da una sola parte, e nomi, e riti, e costumanze asiatiche in
Etruria, ed in tutta Italia, ma per più e diverse vie: peri oche non da
un solo linguaggio asiatico trar si debbono le spiegazioni dì questi
nomi, ma da più, e diverse lingue, e dialetti di quella famosa contrada.
Quindi tutti i celtici, e tutta la gran famiglia degl’ idiomi così detti
indo-scitici, possono esser messi utilmente a contribuzione, come altra
volta accennammo per la retta intelligenza dell’ etrusco, e per interpelrare
gli antichi monumenti del nostro paese-.Dal che viene a dimostrarsi, che il
dotto, ed acuto padre Rardetti, non aveva poi tutti i torti, di che altri
volle troppo leggermente aggravarlo. Ma riprendiamo la nostra disamina. LIGVRIA,
nome di quel tratto di paese, detto la riviera di Genova, fu cosi detta
da Liguria voce bascuenze,che vuol dir soave. E si formarono probabilmente
da questa, il verbo latino, ligurire, che significa mangiare soavemente,
o mangiare cose soavi, e il nome greco liguros che vale anche soave. Pisa,
cosi chiamata, o per la figura dell’ antico suo porto, che si trarrebbe da
pi* se,che vale in dialetto lidio porto lunato, o se fu detta Pissa, come
la chiamano Po - II NUDO idoletto in bronzo che in questa Tav. si espone
davanti e da tergo, nella grandezza medesima dell’originale, con altri
similissimi a questo, sparsi pe'musei, forma soggetto di mature, ma non per
anche fruttifere riflessioni degli archeologi, che se per un lato vi ravvisano
una gran somiglianza coi monumenti egiziani da far sospettare che sian
idoli venuti d’Egitto in Etruria, atteso specialmente il costume e f
acconciatura anteriore e posteriore de’capelli; dall’altra non concepiscono
come gli Etruschi abbian potuto ridursi a mendicare manifatture
d’Egitto,menti'’ erano essi medesimi famigerati artefici; nè la storia ci addita
in conto veruno un traffico simile tra le due sì disgregate contrade. È
vero che Strabone veduti i lavori d’ambedue le indicate nazioni, li
giudicò di un medesimo stile, simile a quello dei Greci antichi ma par
ch’ei ciò riferisse allo stile dell’arte, e non al costume delle figure .
In qualunque modo peraltro si volesse risolvere l’obiezione, qui non
sarebbe luogo opportuno di estendervi. L’altro bronzo che
rappresenta una fiera testa di lupo, servì probabilmente per ornato nel
manubrio d’ un arme da taglio. Ebbero gli antichi una singoiar cerimonia
religiosa, alla quale davano il nome di Jettisternio, consistente in un
convito che si faceva nel tempio, o nel sacro recinto, dove si
apparecchiayano le mense ed i letti, perivi stendersi i devoti che lautamente
mangiavano in onor degli Dei, ma vi si preparavano ancora altre mense ed
altri letti, dove si deponevano le statue dei medesimi numi, a’quali porgevan
vivande, come se fossero stati realmente Ior commensali =. È dunque probabile
che il presente rudere antico facesse parte d’un di que’Ietti che preparavansi
per le statue, i quali si potevano usare a tal uopo di qualunque
grandezza. L’ornato stesso di un seguito di figure tutte ugualmente
recombenti, con tazze in mano, come stavasi a mensa, fan sospettare
delbanalogìa di rappresentanza coll’uso accennato del rudere, ch’èdi
pietra arenaria, una terza parte maggiore del presente disegno. Lo stile
a parer mio si mostra imitativo piuttosto che ingenuo d’un’ antichità non
poco lontana. É già noto all osservatore il nome e l’uso di questo
mobile, per le tavole, al cui proposito dissi che \non veri foculi, ma figure
di ì Monum. etr. ser. m, p. 4 oi. a LIVIO. Laurent, de
prond.et coena vet, c. zi, conviv. vet. c. 4 *, il secondo in Giobbe. E
Pamilie, festa che veniva dopo la raccolta, ed il cui significato e 1 uso
moderato della lingua, da dove s introdusse presso i Greci il costume di fare
esclamare e rivolgere al popolo le parole «pi« yWoias tamnete glossas.
cioè, troncate le lingue, astenetevi dal parlare, derivansi da pa-mul, la
bocca circoncidere, o da pamylah, circoncisione della bocca. E siccome
era questa una ottima lezione morale per rendere gli uomini sociabili, e
felici, così tutte le piccole società dei congiunti, o d’altre persone
che vivono insieme, furono dette fatniliae, e da noi famiglie.
Camilla è voce pretta etrusca, dicono Servio, e Festo, e significa
ministra degli Dei . Sia pur vero, ma in idioma orientale significa un
tal nome, ciò che dissero i Latini serva a manu; o filia a rnanu, giacché
cam vaia mano, ed bill figliolanza, come osservò Eccardo al titolo 23
della Legge Salica. E filia a manu, o serva a manu e una espressione
convenientissima alle giovinette, che metter dovevano le mani in cento
cose, essendo destinate a servire. Tarconte, autore secondo le favole di
Tarquinia, fratello di Tirreno, o disceso da lui, che sopraintese a
dodici città, il che non è bagattella,fà secondo la verità storica un
valoroso soldato, che avendo difesa la sua gente, venne denominato lo scudo 5
tale essendo ilsignificamenlo del gallico tarcon, o dell’armorico targad.
E finalmente, Tages, o Tagete, che narrano esser saltato fuori fanciullo,
dalla terra che sfavasi arando, che fu alla nazione etrusca il primo
maestro delVaruspicio, che il senatore Buonarroti lo ha creduto espresso
nella tavola 45 fra le aggiunte al Dempstero, non può venire che dalla
voce asfcia, tag, la quale significa giorno. E pare che gli Etruschi
volessero fare intendere con questa figura, o parabola, che i giorni, p
come noi diremmo il tempo, aveva loro insegnato l aruspicina, o l'arte di
antiveder l avvenire. Avvegnaché di simile parlare figurato, sono ripiene
le pagine degli scrittori sacri, e profani. Dei quali basterà nominar
qui, tralasciando gli altri, David, Pindaro, Tullio, e VIRGILIO. E
siccome dice lo stesso Pindaro che le ore avevano insegnato agli uomini
molte delle antiche arti, così poteva secondo gli Etruschi, aver loro il
giorno insegnato l aruspicina-, Imperocché scrive il prelodato Tullio,
che opinionutn commenta del etdies, naturae iudicia confirmat; E Virgilio
cantò, Turne, quod optanti, divum permittere nemo Auderet,
rolvenda dies en attullit ultro. Domanderò ora ai dotti, se dopo la
spiegazione da me data a tanti nomi dei quali potrebbe estendersene il
numero per centinaia, e migliaia, sia possibile che una fortuita
combinazione, possa rendere così ragionevolmente corrispondenti i loro
significati, agli usi, ai tempi, ai luoghi, ed alle circostanze degli oggetti
per essi indicati. 4 ° va spossato di forze; e incontro a lui,
come narra Omero i Troiani e gli Achei si tagliano a vicenda gli scudi e
le targhe. Il berretto asiatico, del quale il recombente è coperto in
questa tavola, mostra più manifestamente che altrove la sua qualità di
Troiano, e perciò mi confermo nel crederlo Enea. Gli altri corpi che
vedonsi rovesciati a terra, fan fede che il fatto accade in un campo di
battaglia; e nel tempo stesso più che bellezza, dà merito al monumento quella
ricchezza di lavoro, che ne’tempi dell' arte in decadenza preferivasi al bello,
che n’è il vero pregio. La ricchezza colla quale vedemmo decorata di
scultura l'urna cineraria in marmo, il cui disegno è stato presentato
nella tavola antecedente, tre volte più piccolo della di lei grandezza,
non potette appartenere che a persona qualificata e facoltosa. Ciò si
verifica nell'osservarne il coperchio in questa tavola disegnato, sul quale
riposa un giovine riccamente vestito, decorato di onorifiche insegne,
quali sono principalmente l’anello e la corona di alloro che ha in mano, il
torque che gli orna il còllo, ed un ricco balteo che dall' omero sinistro
gli scende al destro fianco. La corona che ha in capo non è di semplice
onore, ma gli spetta come recombente a convito: posizione che viene affermata
dalla tazza che ha in mano, come usa chi sta a mensa. É stato ragionato
dagli antichi di una guerra delle Amazzoni, la quale ha non poco del
favoloso 3, come lo prova inclusive la diversità colla quale è narrata,
ma nella varietà della favola v’è gran concordia tra i mitologi per
introdurvi i cavalli 4 . Or poiché veri combattimenti antichi a cavallo
non si conoscono descritti dagli autori de’tempi omerici, o poco dopo, così non
resta che quel delle Amazoni, o con gli Argonauti 5, o con gli Ateniesi 6,
che incontrisi nei monumenti, come approvato tra le rappresentanze
dell’antichità figurata. Dunque intendo di calcar le massime consuete
spiegando il presente bassorilievo per un Amazone equestre, la quale combatte
con un militare a piedi, sia pur costui un eroe degli Argonauti seguaci di
Ercole, o un Ateniese del seguito di Teseo. La Furia con face in mano è spesso
introdotta nei combattimenti anche dai tragici greci 7. L’urna cineraria
in marmo originale misura quattro volte questo disegno. La semplicità
dello stile caratterizza questo bas- i Iliad. a Inghirami
Galleria omerica, Iliade Tav., Monumenti etr. Diodor. Sic. Monum.
etr. 7 Ivi, Ser, 1. p. 269, 3 i 6,
477 » 534 » 5 ^ 9 » 568 . 3 9 essi erano quei che si
trovavano entro le tombe di Chiusi, perchè essendo di terra non cotta,
potevan soltanto servir per figura in qualche sacra cerimonia 1 2 . Ecco
pertanto in questo disegno uno de’ veri foculi, o thimiateri qualora
questo braciere sia stato in uso per cuocer vittime, percb’è di bronzo, e
per ciò capace a resistere all' azione del fuoco, siccome anche i vasi e gli
altri arnesi da cucina, che vi si trovarono dentro. Anche la sua grandezza
eh’è due terzi maggiore di questo disegno, attesta della capacità d’essere
stato ado- prato. L’indefessa gentilesca superstizione ci fa supporre,
che non a caso fosse un tale utensile ornato dal Capricorno, ripetuto nei
quattro suoi angoli, mentre ogniun sa che quel celeste segno fu oroscopo
di fortuna, che tennero per loro impresa Cesare Augusto, l’imperatore Carlo V,
e Cosimo I Granduca di Toscana. Quell'animale vi sta dunque in luogo del
gallo che vedemmo nell’altro foculo già rammentato. La forma di
questo foculo di terra nera e non cotta permette che se ne osservino
distintamente i vasi da cucina e da tavola ivi contenuti. Le replicate teste
d’ariete ivi affisse, nonlascian dubbio che il vaso non sia fatto
espressamente per uso sacro, ed allusivo a Mercurio; il quale presedeva
alle libazioni, come il mediatore delle preci che gli uomini porgevano ai
numi 4. Oltredichè ci è noto, che alle anime, come anche ai numi
infernali, facevasi olocauso d’un ariete di color nero; ed io vidi a
questo proposito vari bassi altari nel museo etrusco di Volterra, ornati
di teste d’agnelli, come il foculo qui esaminato. In un bassorilievo
trovato a Chiusi, ove sembrommi di vedere il medesimo soggetto che nel
presente, all'occasione d’averlo dovuto spiegare, scrissi quanto appresso. «
Quando Venere e Apollo ebber sottratto Enea dalle furibonde armi del
prode in guerra Diomede, allora Febo immaginò di lasciar combattere a
sazietà i Troiani coi Greci, sostituendo ad Enea l’idolo, 9 1’ ombra di
lui 6 . Questa poetica immagine del combattimento di due partiti per un
fantasma, fu cara oltremodo agli Etruschi, mentre ne vediamo la
rappresentanza in diversi dei lor cinerari, dove si osserva il simulacro
d’Enea caduto a terra per la percossa del sasso gettatogli da Diomede, in atto
di cercare una qualche difesa nella trista situazione in cui si tro-
1 Ved. Tav., VIRGILIO, Aeneid, 1 . vi. v- 2 4 L Varrò ap. Geli. 2
Inghirami, Im, e R. Palazzo Pitti, p. 88. !• iu, c. 11. 3 Ved. Tav.
6 Ilomer Iliad. Monuin. etr: ser. n, p. mostra in questa Tavola il
disegno rappresentatovi, non potea meglio esprimere in esso un tale
avvenimento, poiché dipinse Peleo qual destro giovine preparato alle
nozze, in atto di tenere stretta la ritrosa Teti, che quasi è per coprirsi ’J
volto col ve lo per l’onta di quell'atto. Peleo eseguì ciò per consiglio
di Chirone divenuto il di lui suocero con quelle nozze. A lui davanti
Peleo conduce la sposa, quasi che gli domandasse assenso della unione maritale,
mentre il centauro coll’atto di stender la mano dimostra l’annuenza
paterna dell’imeneo. È superfluo il sospettar ch’altra favola sia
rappresentata in questa pittura fuor che quella di Peleo e Teti davanti a
Chirone, mentre lo attestano le iscrizioni che vi si leggono setie teaes
kipos, e quindi un nome proprio di Nicostrato coll’aggiunto consueto
nikoztpatos kaaos. Le figure qui riportate son alte la metà di quelle che
vedonsi nella pittura del vaso originale, che ha fondo nero, con lettere
dipinte in bianco appena visibili. I vasi che han la forma come il
presente sogliono avere altresì tre manichi, ed una sola fronte ornata a
figure; questo a differenza degli altri è dipinto da due parti, una delle
quali è descritta nella Tavola antecedente, f abra, che dir si potrebbe
la parte opposta del vaso, a causa della inferiorità della esecuzione del
disegno, è la qui delineata, ed il vaso tracciato sotto di essa è poco
più della decima parte dell’originale, in fondo nero con figure rosse. 11
vecchio calvo che sta nel mezzo a due donne in atto di correre o di
ballare, è tema comunissimo anche ad altri vasi. Ma in uno di essi, per
quanto appresi da S. E. il principe di Canino esimio possessore e cogni-
tore di tali pitture, uno di essi, io diceva, manifesta con epigrafe il nome
del vecchio Tindaro, dal che si dedurrebbe essere una delle donne la figlia
Elena danzante con una delle sue compagne nel tempio di Diana, dove fu
rapita da Teseo, e portata in Atene: tema che ora m’avvedo essere più
chiaramente espresso nel vaso che io inserii nell’opera dei Monumenti
Etruschi, e che dissi allusivo al corso degli astri a, e che ora
maggiormente confermo per la relazione di quel ballo e di quel ratto con
la guerra dei Dioscuri onde riprender Elena, con altri simili tratti di
quella favola, i quali non significano in sostanza che un continuo levare
e tramontare degli astri 3, e delle combinazioni loro con la luna: nome
che in greco porta con poca varietà anche Elena Selene da sto» la risplendente,
e aiUn la luna. La figura di questa Tavola è dipinta nella grandezza medesima
in una tazza di terra cotta con giallastro colore su fondo nero, il cui
aspetto ha tutti i segni del sati 1 Ser. v. Tav. g 8 . 2 Ivi, ser v,
p. 87, li 4, 4 Ivi, p. 567. sorilievo non distante dai buoni tempi dell’
arte; e se la figura equestre comparisce alquanto piccola, fu condotto a sì
ingrata licenza lo scultore nel volervi introdurre delle figure a piedi e
a cavallo protratte ad un'altezza medesima, e che tutte empissero il
fondo sul quale son collocate. Prima di coricarsi a mensa usarono gl’italiani
dei primi tempi di Roma di spogliarsi de'propri abiti, e prendere un manto che
dissero veste cenatoria o sindone, colla quale in parte avvolgevansi e in
parte potean restare a nudo, per aver le braccia più libere all’azione di
prendere il cibo,- e così coperti dieevansi dai latini semi-amidi, ma quell’uso
fu abbandonato e non tardi, ond’è che d’Erodiano fu addotto come
affettata imitazione delle antiche statue Di tal costume par che serbi memoria
la figura della Tavola presente che giace sul coperchio,spettante all’urna in
marmo che antecedentemente abbiamo veduta. Dell'iscrizione sarà dato conto a
suo luogo. Il vaso che qui si mostra un terzo più piccolo dell' originale,
è di que’soliti di terra nera che si trovano a Chiusi, nè potrassi mai
supporre che siano d’altra fàbbrica fuori della chiusina, poiché oltre la
terra nera e non cotta che vi si adopra- va più che in altre officine,
hanno essi vasi certe forme, una delle quali è la presente, che mostrano un
carattere del tutto originale ed unico, sì nelle sagome, sì negli ornati. Accenna
Omero essere stata volontà degli Dei,che Peleo togliesse Teti per
moglie, quantunque Dea; mentre quell’eroe non avrebbe volontariamente
aspirato ad una unione sì eminente. Apollodoro ne spiega più minutamente
il successo, e dalla di lui narrazione par che abbia origine questa
pittura. Era fama che Giove unitosi con Teti, da cui restò incinta
d'Achille, ne procurasse 1’ imeneo posteriore con Peleo, quantunque
mortale 3 . Quindi soggiunge Apollodoro, che il centauro Chirone consigliò
Peleo ad impadronirsi della ninfa divina con sagace destrezza, nè lasciarla
andare, per qualunque forma ch’ella avesse presa. La insidiò difatti Peleo, e
quantunque la Dea si trasformasse in acqua, in fuoco, ed in bestia feroce, egli
ritennela finché non ebbe ripresa la di lei primiera forma di ninfa. Il
pittore del vaso di cui si i Monum. Etr. ser, i, p. 3^6. 3 Scol. ap. Heine lliad.H-imer.
lliad. Elr. Mas . Chius. Torti.
I. ragionamento y SUGL’ETRUSCHI
Disputarono lungamente frà loro gli scrittoli, come abbiamo accennalo, intorno all’
origine degl’etruschi, e fabbricarono su questo soggetto tre sistemi diversi.
Volevano, per esempio, alcuni che eglino fossero un popolo uscito dalla Grecia,
ed una colonia di Pelasghi, mentre sostenevano altri che erano Lidii, e veni
nano dall’ Asia, ed altri finalmente affermavano essere i medesimi
originarli di Italia. La quale ultima opinione è ragionevolissima, e noi
la crediamo la vera. I moderni poi hanno superato gli antichi nel
numero delle ipotesi, e dei sistemi-. Imperocché il Maffei,col Mazzocchi,
ed il Guarnacci, li fanno venire dalla Fenicia, il Buonarroti dall'
Egitto, il Pelloutier, il Bardetti, ed il Frerst, dai Celti. Li crede Humboldt
I anello di comunicazione frà i Latini, e gl’ Iben, laddove Niebuhr riguarda la
Rezia come la primitiva lor sede. Ed in fine il Mailer suo discepolo,
adottando un termine medio, ammette un popolo primitivo di Etruria, eh’
ei chiama Rase ni con Dionisio d Alicarnasso, e sulla cui origine lascia la
qm- stione indecisa, benché creda d’ altronde, che questi Raseni si
mescolassero coi Pelasghi, qua venuti colle loro colonie di Lidia.
Ora questa moltitudine d’ipotesi antiche-, e moderne, da altra causa non
possono cèrtamente procedere, che, oda troppa leggerezza, e
precipitazione nell’ esaminare i monumenti dei nostri padri, o da
impremeditato sistema in coloro, che ne presero a scrivere, o dal più
nocivo di tutti i sistemi, V amore di parte. Per poco infatti che vi
sifaccia attenzione, e si vogliano mettere alla prova, non è difficile a
chicchesia di accorgersi, che q.essuna di quelle ipòtesi, e nessuno di quei
sistemi, contiene elementi che bastino a diradare il buio che involge le
cose etnische, ed a spiegare, anche probabilmente i monumenti che ci rimangono
di quella illustre nazione. Scegliendo peraltro da ciascuna di
quelle ipotesi, e da ognuno di quei sistemi, ciò che vè di più
ragionevole, e di più giusto, e formandone un insieme, vi si troverà, se
il giudizio nostro non và errato, quanto fà di mestieri, per portar piena luce
e spiegare con ogni chiarezza, e senza replica, tutto quello checi rimane
di etrusco. Stabiliremo dunque frattanto, che furono gl’Etruschi un popolo
particolare d’Italia, indigeno di questa bella penisola, che ebbe, com è
naturale, una lingua sua propria; la quale non è la. Stessa che la greca
antica,, come dimostrammo nel precedente ragionamento, e che anzi ne
differisce mollissimo, anche per sentimento del prelodato Mailer. Col
quale aggiungeremo, a conferma di quanta asseriamo, che inori>', dei
loro ro: orecchie ircine, barba prolissa,naso simo e coda di
cavallo. L'otre vinaria ove stassi assiso è pure suo speciale attributo.
L’iscrizione letta come qui rappresentasi, poco giova ad intenderne il
significato panaitios iupos kacos. Non oso farvi emenda, mentre non
avendo io veduto il monumento, non posso nè asserire, nè porre in dubbio
se questa sia la vera lezione. Quando non vogliasi azzardare il supposto
che la terza lettera dell’ ultima voce sia nell’ originale un p, per cui
avremmo due volte ripetuta la voce bello, come in altri esempi si vede,
potremmo almeno pensare ad una omissione dell’asta che del c ne dovea
formare unir, e la voce significativa di pernicioso potrebbe alludere al
vino, quando n’è fatto abuso. Nè nieu dubbie si mostran le altre voci, a
meno che vogliansi leggere ««<05 che sarebbe un saluto al dio Pan
l’autore della universale natura. Ma tali dubbie iscrizioni debbonsi a
mio parere consegnar colle stampe alle indagini di quelli ellenisti che
in particolar modo si occupano dei vasi dipinti e scritti.
Epigrafi tratte dal museo Oasuccini, come le altre venti già stampate, scolpite
in urne di travertino, o segnate in urne di coccio. :fì\u il AH :
43 :4flHfYf = fln-iq/iDvnas : ma : qd >- tv
-7 bifidi) : dfiUfVf: V13M : lllfttqfi : 04
:4fi0qfl4 : dfidfVf : liHblqfi : 43 #filflfiOmfiq ; invddfi :
O4 > /in fio Doppia epigrafe 4fi
Sopra il coperchio filfin8dV3 Nell’ orlo del coperchio
Iffifliqa : ignqfiq : Jfi 1 -r fi sic om 131 : lantqfi : I O
q fi 4 fiinvi-nai : firmo filflfl031 6 *
46 il nome di quei nuovi coloni, e non quello dei primitivi
alitanti. Imperocché, trovandosi, prosegue lo stesso Mailer, nella Tavole
Euguhine, la parola Tursee, con quelle di Tuscom, e di Tuscer, è
impossibile di non conchiudere, che dalla radice Tur si sono fot mali
Tursicus, Turscus, e Tuscus, come dalla radice Qp, derivaronsi Opscus, ed
Oscus; Di maniera che Tuprìvoi o Tv eP moi e Tusci, non sono che le forme
asiatiche, ed italiche di un solo, e medesimo nome Che del resto,
un argomento per noi fortissimo, atto a dimostrare oltremodo remota la civiltà
degli Italioti, e singolarmente degli Etruschi, ricavasi pure da tutti quegli
antichi scrittori, i quali parlano della cosi detta Confederazione etnisca
residente a Fiesole, e da tutti quei Gronólogisti, che ne fissano lo
stabilimento a lobo anni prima dell’era volgare ; dei quali vedasi, fra
gli altri, il Sìg. de Long-Champs, nei suoi Fasti universali. Lo che ci fa
credere che gli abitanti dì questa regione, avessero già acquistale fino
diallora, non ordinarie nozioni di politica teoria. Ed infatti,
benché la voracità dèi secoli, e più ancora la feroce ambizione, e la
crudele prepotenza romana, ci abbiano invidiate le storie etnische, ed anche
la maggior parte dei monumenti di quel popolo celebratissimo. Benché la
vanità senza limiti dei Greci, sia venuta, per giunta alla derrata, ad
involgerne di puerili, e RIDICOLE FAVOLE, perfino il nome, non che le
azioni dei nostri antenati, per quella loro presunzione stoltissima, di
far credere che tutte le altre nazioni del mondo, non furono nulla, in paragone
di loro; esistono pure tuttavia in Etruria delle costruzioni, che gli
eruditi chiamano Ciclopèe, perchè non hanno il carattere, nè fenicio, nè
egizio, e che sono per conseguenza indìgene, le quali sfidano da quattro mila
anni a questa parte,gl’insulti degli uomini e gli urti del tempo, e
stanno a conferma di quanto asserimmo qui sopra, circa la suaccennata
civiltà, e straordinaria potenza, ed energia degli Etruschi . E tali
sono, fra le altre, le mura di Volterra, e di più altre città dell’
antica Etruria, le quali sono formate di enormi macigni, senza alcun
cemento, resi fermi soltanto dal proprio peso- Mal epoca della
colonizzazione, della quale parlammo di sopra, non si può fissare che per
approssimazione. La quale peraltro credè il Mùller, già citato più volte,
che coincida colla emigrazione dei popoli, e che fosse cagionala, e prodotta da
quella, e se la ragiona cosi- Gli Umbri, dice egli, e lo ripetono pure i
compilatori di Edimburgo, erano potenti nella contrada, di cui presero
possesso i nuovi coloni. I quali ebbero a sostenere lunghe, e sanguinose
guerre, prima di spossessarli delle trecento città, che eglino occuparono,
al dire di Plinio lib. terzo, cap. decimo nono, nel paese che fu più
tardi chiamato Etruria. E poi fuori di ogni dubbio che gli Etruschi si
estesero dalla parte del Mezzogiorno, fino alle sponde del Tevere, ed anche al
di là nel Lazio, come lo prova il nome di Tusculo, o Tusculano. E dietro
le tradizioni popolari, quello stesso Tarconte, al quale si attribuisce
la fondazione delle dodici città di Etruria, condusse anche dodici colonie al
di la degli Appennini, e vi gitlò le fondamenta di Dei, non sono quelli
che s' incontrano presso gli Elleni, e che trovatisi nelle dottrine dei
Sacerdoti Etruschi, molti punti, affatto diversi dalla greca teologia. E
ripeteremo ciò che altrove dicemmo, che la sorte, cioè, di questa
nazione, pare che è quella di essere debitrice dei suoi primi progressi
nella civiltà, non ad una tribù greca, o mezza greca, siccome crede lo
stesso Mailer, e con esso lui i dotti compilatori della Rivista di
Edimburgo ; ma bensì ad una emigrazione asiatica, più antica dei greci
medesimi come abbiamo assento, ed in parte ancora provato nel precedente
ragionamento. Nè punto esiteremo d affirmar qui, che la lingua etnisca, o
ella non fu mai scritta nella sua purità primitiva, e scevra di ogni
mescolamento di stranieri vocaboli, o se pure lo fu in lontanissima età,
non è fino a noi pervenuto alcun monumento scritto, il quale ce ne possa far
fede. E ciò sosteniamo con tutta franchezza, perchè quelli
conosciutifinqui, sono tutti composti, senza veruna eccezione, di un rnescuglio
di voci, prese ad imprestito, per la maggior parte, da ognuno di quegli
antichissimi linguaggi, e dialetti, che nominammo nei ragionamenti già
pubblicati in quest' opera stessa. Di che daremo una sicura prova in
altro discorso a questo solo scopo diretto. Sul proposito però dell'
essere, o non essere gli Etruschi una tribù greca, o mezza greca, è molto
curiosa la novelletta che vanno ripetendo, il prelodato Mùller, e con
esso ancora i surriferiti Compilatori della Rivista edimburghese, ove
dicono che i toscani attribuivano eglino stessi, nelle loro nazionali
leggende, la propria civiltà alla marittima città di Tarquinia, e
nominatamente a Tarconle. I quali due nomi altro non sono, secondo essi,
che due variazioni di Tirreni . Ma questa è una greca invenzione, ed
anche di moderna data, in confronto della remota cultura degli Etruschi,
ed è similissima a tante altre dello stesso calibro, dai medesimi Greci
accreditate, e spacciate per fatti, intorno all’origine di tutte le più celebri
nazioni dell’antichità . Ed aggiungono i medesimi autori, che sbarcarono
precisamente a Tarquinia, e colà stabilironsi da prima, quei terribili
Pelasglii di Lidia, i quali portano seco le arti, e le scienze, che avevano già
apprese o nella patria loro, o nei loro viaggi -, credendo di poter cosi
conciliare maggior fede al loro racconto circa la primitiva civiltà degli
Etruschi. Al venir dunque di si fatti coloni, secondo quell' eruditissimo
prussiano, e quei dotti inglesi, vide per la prima volta 'questo barbaro
paése, degli uomini coperti di bronzo, equipaggiarsi a suono di tromba
per la battaglia. Udì allora per la prima volta, l acuto squillo della
tibia lido-frigia, accompagnare i sagrifizii, e fu testimone della rapida corsa
delle galere a cinquanta remi, Siccome però la tradizione passando
poi di bocca in bocca, non conosceva più limiti, cosi tuttala gloria del
nome toscano, anche quella che non apparteneva prò- priameiife ai coloid,
si attaccò a Tarconte discepolo di Tagete, o d e ! tempo, come dicemmo
nel precedente discorso, riguardandolo quale autore di urlerà novella, e
migliore, nella storia di Etruria. Ed i popoli vicini, vale a dire, gli Umbri,
ed i Latini ; diederq a questa nazione, che incominciò allora ad
accrescersi, ed estèndersi Nè credo che allia torlo il MiMer, attribuendo
alla preminenza di questi ultimi sul mare inferiore, la mancanza delle
colonie greche, sulla costa settentrionale della Sicilia, ove al tempo di
Tucidide, non eravi che Lnera. Il timore degl’truschi, chiuse per lungo tempo
ai Greci, il passaggio dello stretto di Reggio- E non avvenne che dopo V
epoca in cui ebbero acquistata i Focesi una potenza navale, che fu dato
loro di esplorare entrambi i mari. Ma la rivalità non tardò molto a
manifestarsi frà i due popoli, i quali cércarono d'impadronirsi dell’
isola di Corsica . E gli Etruschi uniti ai Cartaginesi, disfecero i
Focesi. Furono pero meno fortunati nelle loro guerre marittime coi Borii di
Guido e di Rodi che avevano formalo uno stabilimento a
Lipari. Finalmente, il popolo di Ciana in Campania, avendo
dichiarata la guerra ai Tirreni, chiamò in suo soccorso Gerone tiranno di
Siracusa, che li disfece completamente, e liberò, dice Pindaro nella
prima Ode pizia, la Grecia dalia schiavitù. E difetti uno scudo di Bronzo
trovato nelle rovine di Olimpia, porta questa iscrizione = Gerone, figlio di
Dimmene, ed i Siracusani, hanno consacrato a Giove queste spoglie dei
Tirreni vinti a Clima. Ammesso pertanto che furono gli Etruschi un
antichissimo popolo d’ Italia originario dello stesso paese,
conchiuderemo questo breve ragionamento, colle riflessioni
seguenti. L° Che di necessità ebbero essi, linguaggio, usi, Leggi,
costumanze, arti, scienze, e religione loro particolari, e proprie,
benché dovessero i primi progressi nella civiltà ad una emigrazione asiatica,
in un epoca quasi impossibile a stabilirsi con precisione. Il.° Che
per conseguenza, fra le altre cose, che qui per brevità si tralasciano, i
vasi dipinti di terra cotta, come quelli neri, ed altri, di qualunqueforma, e
grandezza, siano essi aretini, o chiusini, o campani, sono genuinamenee
etruschi, e non altro che etruschi. Benché sia piaciuto agli Archeologi
di chiamarli vasi greci, e più modernamente ancora italo-greci. Le quali
denominazioni hanno dato loro quei dotti, perchè vi si scorgono, come
pure nelle urne cinerarie, e nei sarcof agi, disegnate e dipinte, o scolpite, a
basso, e a gran rilievo, rappresentanze, o storie e favole greche; ovvero
che tali divennero dopo essere state prima etnische, e perchè vi si leggono
parole greche, o che alle greche somigliano. Come se non potessero essere nel
mondo due diversi idiomi i quali abbiamo alcuni vocaboli comuni ad
entrambi. Conforme fu sagacemente osservato, dal dotto, e perspicace sig.
principe di Canino nel suo Museo Etrusco. Campani poi faron detti,
eziandio tali vasi, perchè se ne fabbricavano . e se ne trovano nella Campania,
che fu pure colonia etnisca, come si dicono chiusini, ed aretini, da
Chiusi, e d’Arezzo, ove esisterono speciali fabbriche dei medesimi. E sul
proposito del sig. principe di Canino, sono assai dispiacente di non aver
letto prima d’ora quel suo dotto e giudizioso lavoro, perchè avendovi
riscontrate al- altre dodici città. Lo che serve a trovare che l
Etruria della valle del Pò, fu colonnizzata dall' Etruria del
Mezzogiorno. La medesima tradizione di dodici colonie, viene ripetuta sul
proposito dello stabilimento degli Etruschi in Campania-, Ed il Miiller
suppone che quelle colonie fossero realmente etnische, contro, l’opinione di
Niebuhr suo maestro, il quale pensa che elleno fossero fondate dai Pelasghi
Tirreni, confusi cogli Etruschi, a cagione dell’identità del
nome. In ogni caso però, sembra allo stesso Miiller, che la popolazione
etrusco della Campania, non debba essere stata molto considerabile, perchè
vi prevalse il dialetto Osco, e perchè non si è mai trovata in tutto quel
tratto di paese, una sola iscrizione veramente etnisca. Laonde convien
credere, prosegue egli, che quel fertilissimo paese, immerso nel lusso, e
nella mollezza, esercitasse la sua fatale influenza sugli Etruschi, che vi si
erano stabiliti, mentre furono obbligali ad abbandonare il possesso delle
ricche pianure di Capua ai Sanniti, colà discesi dalle loro
montagne. Io non saprei qui sottoscrivermi all’opinione del dotto
archeologo prussiano, sembrandomi troppo debole la ragione che egli
adduce, per ìstabilire che fosse piccolo il numero dei coloni Etruschi
della Campania, quella cioè del dialetto Osco rimastovi dominante, poiché
potrebb’ essere ciò avvenuto anche dall' avervi quegli ospiti soggiornato
per breve tempo, oppure da un riguardo che poterono benissimo avere i
Vincitori verso i vinti. Di che abbiamo avuto un esempio noi stessi nelle
nostre contrade al tempo dell’ Impero francese. E certamente gli Etruschi, non
erano cosi feroci, come i Romani, i quali ebbero l’inumanissimo orgoglio
di togliere perfino la lingua ai popoli che avevano l’infortunio di
cadere sotto il loro giogo di ferro: ( checché ne cantino in contrario
ifanatici loro lodatori .) E se è permesso di paragonare le grandi cose
alle piccole, quando sono dello stesso genere, dirò in appoggio della mia
supposizione, che anche i Chinesi soggiogati già da piti secoli dai Tatari
Mant- sciu, hanno conservato, e conservano tuttavia dominante il proprio
idioma, benché soggetti ad una dominazione straniera. Oltre di che, viene
ad accrescersi la forza del mio ragionamento, riflettendo che era ben facile, e
naturale il conservare nella Campania il linguaggio del paese, altro non
essendo il medesimo, che un dialetto della lingua Etnisca. Sembra poi cosa
provata, e da non controvertersi, che i Tirreni dopo il loro stabilimento in
Italia, esercitassero per lungo tempo la pirateria, e che si rendessero così
famosi nelle pianure della Grecia, ma è peraltro assai difficile a decidersi,
se una tale accusa debba applicarsi a Tirreni del mare Egeo, oppure ai
Tirreni Etruschi', I quali possedendo dei buoni porti sui due mari,
conservaronsi la dominazione dell’uno, e dell' altro, e si resero formidabili,
non solamente alle navi mercantili, colle loro corsare, ma eziandio alle altre
potenze, coi loro navali armamenti. A molti sarà nuovo ed inatteso
questo singoiar monumento,- ma non a chi ha scorsa la mia Opera su i
Monumenti Etruschi ove alla ser. VI, e precisamente alla Tavola G5 ne ho
dati a luce due inediti, nè finallora da nessun altro mostrati, In
seguito si videro esibiti ripetutamente nelle Opere del eh. dot. Dorow. Io
dissi di quelli, come pur di questo ripeto, esser vasi di terra nera, al
cui orifizio è soprapposto per coperchio un capo umano, ed a suo luogo spiegai
come que’recipienti dovean simboleggiare il mondo, ed il capo sovrimpostovi la
divinità che Io governa dall’ alto de’cieli \ Ma poiché questa specie di
vasi trovasi nei sepolcri, cosi potremo credere che i soprimposti capi
rappresentino deità speciali, cosicché se avrà barba un di essi, come
quello che pubblicai altra volta 3, si potrà dire un Bacco infernale,
mentre nel presente monumento dov’ è un capo imberbe, ed alcune protuberanze
che dan segno di petto femminile ravviseremo una Proserpina. Se il vaso qui
esposto avea ceneri umane, di che non posso giudicare dal solo disegno
ch'io vedo di questi monumenti chiusini, in quel caso direbbesi che le
braccia, avvingendone il recipiente, indicano il patrocinio che la
divinità dovea prendere di quel morto ritornato nel caos della materia
mondiale. Dico tuttociò brevemente perchè in queste materie mi sono
esteso altrove abbastanza. Qui aggiungo l'osservazione che molti vasi uguali
a questi, ma in pietre di varia specie trovatisi nei sepolcri egiziani e
in gran parte anche dipinti nei papiri, nelle casse e nelle pareti delle tombe;
e dai capi che hannovi soprapposti di forme varie 4, si ravvisano per
figure delle principali deità egiziane, Questo vaso in terra nera è due
terzi più piccolo dell’ originale. È tuttavìa non risoluta questione se figure
simili alla presente, cioè che abbiano lunga barba, corona in testa,
abito lungo fino ai piedi un manto sugli omeri con vaso in mano, ed attorniate
da sermenti d’edera o di vite, è questionabile, io diceva, se dir si
debban figure di Bacco o d'un qualche di lui sacerdote.È altresì cosa degna
d’osservazione che l’occhio qui eseguito, non come dalla natura umana si
mostra, è poi disegnato precisamente come si vede nelle figure de’ vasi di
Grecia di Sicilia, e di tutta 1* Italia meridionale, ove trattisi di
pitture che affettino qualche arcaismo nel loro stile, e specialmente ove
le figure sono come qui di color nero sul fondo gialla- 1 Dorow, Voiage
archeologique dans V a °cienne xbtrurie avec xvi Planches. 1 Voi. io 4 -°
P- 46, Paris. 1829. Notizie intorno ad alcuni Vasi. Etruschi Pesaro
Monumenti Etruschi, 1 2 > ser. v
f p. 490» ser - Vi* Tav., p. 4 ^. 3 Ivi, ser. vi, Tav.
num. 1, 3 . ser. vi, tav. N4, num. 1, e P4. numm. 1,
2. cune opinioni, che mi paiono le più giuste, e ragionevoli in
questa materia, e le quali si accordano con quelle da me emesse nei
precedenti ragionamenti, mi sarei fatto un dovere di render nolo al
Pubblico molto prima, quanta sodisfazione io ni abbia di trovarmi
d'accordo con un uomo di tanto ingegno e di tanta dottrina . 0 Che si
avvicina al delirio l'ostinarsi ancora a voler credere opere greche i
suindicati vasi, perle sopra esposte ragioni, e perchè se ne rinvennero alcuni
persino nell' Attica, ed in altre parli della Grecia, i quali sono peraltro in
piccolissimo numero, in confronto a quelli discoperti in Etruria, e nelle
altre parti d'Italia. Ed una tal foggia di ragionare, è simile a quella
di chiunque osservando per T Italia, o in Francia dei lavori di
porcellana della China, e del Giappone, pretendesse di stabilire, che quei
lavori sono italici, o francesi, solo perchè si trovano in Francia, ed in
Italia. IV. ° Che non è meno strano, per non dire assurdo il
pretendere di togliere agli Etruschi l’ onore di tali manifatture, per
farne dono ai Greci, perchè s‘ incontrano molti dei suddétti vasi che
hanno elegantissima forma, e sono disegnati pure, e dipinti con un gusto
squisito. Quasiché gli Etruschi non avessero fatto che comparire sulla
faccia del globo terrestre, e ne fossero subito scomparsi. Oppure, avendovi
dimorato per lunga serie di secoli, lo che non hanno saputo negar loro neppure
i più furiosi partigiani dei Greci, fossero stati poi forniti di tale, e
tanta stupidità, da non saper migliorare, ed anche condurre a perfezione,
le loro invenzioni, come fanno tutti i popoli del mondo Che non si
vorrà sostenére finalménte, che le arti non pvesserò presso gli Etruschi,
come presso tutte le incivilite nazioni, che le coltivarono, diverse epoche,
cioè quella della primitiva rozzezza, qxiella del miglioramento, e quella
della perfezione, come quelle del decadimento, e della successiva
barbarie. Nè saprei addurre, per rivendicare questa usurpazione fatta dagli
archeologi ai nostri padri, più bella prova, e più convinciente ragione
dì quella prodotta dallo stesso signor Principe di Canino, apag. ig
dell’opera citata qui sopra. Cioè, che i vasi dipinti non sono sicuramente
greci perchè i Greci stessi non se ne sono vantati giammai. Ed è ben gloriosa
per gli Etruschi una tele invenzione, conforme riflette pure il prelodalo
scrittore, perchè furono essi i primi ad iscoprire colla meditazione, e colle
più profonde indagini, che per eternare le tradizioni dei popoli, più del
marmo, e del bronzo, è valevole Iùmile terra cotta, perchè ella sola
passa a traverso alla fuga dei secoli senza alterazione veruna . jflniiia
: 3 n iq 3© or 248v8 in gran
travertino che serviva di porta ad un sepolcro amq&o :
ofl janqoai Etr. Mus. Chiut.
ha sulle spalle, e come questo riferir si debbe all’autunno
l'accennai spiegando altri vasi chiusini analoghi a questo, LVI. Le
quattro tavv. sono impiegate a mostrare
un bel monumento di pietra tofaceadella figura d’ut) cubo, della grandezza due
volte maggiore del disegno qui ripetuto, e che mostra quattro lati
scolpiti con figure a rilievo assai basso, come sono gli altri monumenti di
simil natura trovati a Chiusi. Io non saprei dire se ara sia questa, oppure
altare, o foculo, o base, o altr'oggetto qualunque, perchè non vedendone
io che i disegni non posso da essi giudicarne con fondamento. Esaminiamone le
sculture che si vedono in quattro lati del cubo. È fuori di dubbio che
qui si tratta di riti funebri, e d'ultimi uffici di pietà resi ad un morto, che
vedasi steso sul feretro alla Tavola LUI. Il fanciulletto eh’ è in piedi
presso a quel letto di morte ha un tale atteggiamento di dolore, che non
saprebbesi meglio immaginare dal più sagace dei nostri artisti, brattanto
c’insegna che tenevasi per atto di duolo il porre le mani al capo. Infatti
nel quadro medesimo compariscono due altri astanti colle mani portate al
capo ugualmente, ma ben si ravvisa che l'atto è suggerito più da formalità che da
quel vivo dolore che esprime IL GIOVANETTO PROBABILMENTE FIGLIO DELL’ESTINTO,
di cui qui si rappresentano l’esequie. Un simile atto, e da uomini
similmente abbigliati, è pure nella pietra di memoria perugina da me
pubblicata *, ove rappresentasi ugualmente la funebre cerimonia che praticasi
all’ occasione di un morto. Espressiva è parimente la prefica a capo al
letto, in sembianza di strapparsi per dolore i capelli, mentre ì’uonio
che al cadavere è più vicino, alza le mani probabilmente per espressione
pure di dolore, mista però di sorpresa. Una figura eh’è ultima nella
composizione, suona le tibie con certa bocchetta che legavasi agli orecchi o al
capo in giro. Un tal suono in occasione di funebre cerimonia non credo che
andasse esente da superstizione tuscanica, passata ai Romani ancora, mentre
credevasi di poter porre in fuga gli spettri coll'armonia della musica 1 2 3,
e così allontanare quelle malie dalle quali avevano opinione che le anime
restassero consacrate alle deità infernali 4 : superstizione peraltro che manca
nel monumento perugino indicato. Dietro al tibicine alla Tavola LIV
vediamo quattro uomini armati di bastoni, che in mano di Etruschi non è
improbabile che siano augurali, ancorché non Lettere di etnisca
erudizione. e seguente Tav. xi. 2 Monumenti etruschi, ser.
vi, tav. Za, e Lanzi Della Scultura degli antichi e vari suoi
stili Tav. ìv. 3 Ved. Luciano pitato dal Ma ilei nella sua
memoria sulla religione dei Gentili nel morire ; Osservazioni letter.
Tom. 1, art. ìx. 4 Tacito, Annali 1 . 1. ap, il Mafie! cit. p.
5i stro 1 2 . Una tale osservazione unitamente con altre può essere
di non poco rilievo per indagare l’origine primitiva dell’uso di porre
siffatte stoviglie dentro i sepolcri. A chi ha buon gusto peri
lavori di metallo sarà gradevole il conoscere la forma singolare e del
tutto nuova non men che bella di questo vasetto di bronzo, disegnato nella
grandezza medesima dell’originale. Apparentemente dovea contenere de’
liquidi, e perciò l’intelligente artefice operò per modo che tutto
vicorrispondesse l’ornato. Ecco là un uccello aquatico sopra una pianta
quadrifoglia palustre, il che serve di pomo al coperchio: ecco là una
conchiglia lacustre che serve di borchia a! manico : ecco là infine i
lunghi manichi formati in guisa di colli d’uccelli aquatici come del
becco loro nel quale han termine si rav visa. Il vaso di terra cotta di
color rosso che vedesi rappresentato nella parte superiore di questa LII
Tavola, è già noto per la frequenza colla quale si trova nelle collezioni
di simili antichi oggetti. Par che i Gentili 1’usassero per lucerna; ed
alternativamente colle lucerne trovasi difatti nei sepolcri, ma in esso
valutavano anche la forma di barca e di recipiente, alludendolo a certa
favola d'Èrcole eli’ebbe in dono del sole un vaso, col quale varcò
l'Oceano. Come poi si applicasse al vaso qtìi esposto l’indicata favola è
cosa inutile ch’io lo ripeta, dopo averne sufficientemente parlato nell’
opera de’Monumenti Etruschi % dove ne ho riportati alcuni di varie forme.
L’iscrizione che è sul manico suole indicare il figulo, o la fabbrica
figulinaria. Il Vaso al disotto in questa medesima tavola è di que
consueti chiusini di color nero sì nella superficie che nell’interna sua
pasta. Questa qualità di vasi aver suole dei bassirilievi, che girano
attorno ripetendosi ogni quattro o sei figure, perchè fatti colle stampe.
Bisogna convenire della gran somiglianza tra quella manifattura, e le
cose egiziane. Vedo nella prima figura femminile l’atto d’alzare un’uccello,
così nelle figure egiziane dei calendari vediamo elevare per la testa, o
calare al basso tenuti per la coda animali, che indicano il sorgere o
calare abaco dei segni zodiacali. Dell’uomo che segue con bastone in mano
io non saprei dir cosa che avesse inoppugnabile sostegno. Ben potrò dire che a
lui segue la chimera colla doppia testa di leone e di capra, ch’io
mostrai altre volte 4 esser composto di segui celesti. E poi chiaro il
centauro qual cacciatore, che porta la preda appesa al suo frassine che
1 Moni;memi etr. Ser. v. Tav. 2 Ser. li, p. 359, 36 i,
3 Ivi ser. vi, Tav. E 4, F^. 4 Monurn. etr. ser. w, p. 38
a. Vogliamo credere che nella statuetta in bronzo qui rappresentata di
naturai grandezza sia da riconoscersi una Minerva per 1’ usbergo del
quale vedesi armata? Del piccol mostro pure uguale in grandezza all’originale
in bronzo, non fo parola, poiché probabilmente dagli editori di
quest’opera ne saran pubblicati dei simili, ch’io vidi vari anni indietro
a Chiusi. Il vaso è de’soliti che trovansi per tutta 1 Italia
meridionale, con figure giallastre in campo nero, la cui gola soltanto a una
pittura che vedremo nella tavola seguente, mentre è monocromo, ed ha tre
manichi, d una forma essatta- mente ripetuta molte volte coi medesimi accessori
nei ricchi scavi di Canino, e d’altre parti d’Italia. Io non mi
persuado come il mito delle Amazoni combattenti, sì ripetuto nei vasi
fittili di tutta l’Italia, come si vede in questo, non abbia una qualche
allusione religiosa, come ho supposto trattando altre volte questo medesimo
soggetto. Si vedono in fatti sempre come qui le Amazoni a cavallo, ed i
loro avversari sempre a piedi, ed in positure di soccombenti al conflitto,
colle ginocchia piegate. Eppure se alle favole che trattano delle Amazoni
dovessimo ricorrere per Spiegarne il mito, noi le troveremmo sempre vinte o da
Ercole, o da Teseo, o d’Achille Io non
vedo in quel mito che 1’allegorìa del contrasto e del dominio del tempo
in cui si trattiene il sole nei segni inferiori del zodiaco, ma siccome
troppo lungo sarebbe il mostrar qui di tale allegorìa lo sviluppo, così
rimando chi legge ad altri miei scritti, ove trattai lungamente di questa
materia. Questa è la pittura del vaso, la cui forma vedemmo nella Tavola
antecedente, e che vien riportata nella grandezza di due terzi del suo
originale. xxxi. /uif/mDajmjaa xxxii. jfliDnaD :
an/d-nit/ìi : Yfl xxxm. i/ìvjad anfl-uitfl'i ; or
xxxiv. j/qnqai ; vJDfi : ofl, V433 : J lf d Galleria Omerica Tom
ii,Tav.VJlDfl : 31 : Vfl Veil. Mommi, etr. agli articoli A magoni.
abbiano la forma di lituo, come osservansi nel monumonto perugino. Infatti
ad essi spettava il presagire che l’anima del defonto fosse passata in
luogo di riposo; di che se non troviamo prove di antichi scrittori, certamente
ne conosciamola pratica presso gli Etruschi, per mezzo del più volte
citato monumento perugino, dove inclusive il vestiario di quegli auguri
muniti di lituo è simile a quello di costoro che qui hanno in mano le
verghe, eh' io dissi augurali. Dopo gli auguri vengono immediatamente nella
Tavola LV le prefiche, donne prezzolate che a suono di tibia cantavano
lamenti, e piangevano la perdita del morto ed in modo sconcio e forzato
strappandosi le chiome e perquotendosi, mostravano cordoglio di quella disgrazia.
Quel che sia rappresentato nell’aggregato di figure della Tavola LVI non
mi è possibile il dichiararlo nè mi è concesso d’ azzardare quelle
congetture che può immaginare a suo grado ugualmente chi l'osserva. tavola
evie Questo bronzo in tutto uguale al suo originale fu anticamente
uno specchio dall’opposta parte, come lo attesta lo specular pulimento
che vi si trova. Qui nel suo quasi insensibile concavo, invece di grafito
ha soprapposta una lamina cesellata a bassorilievo, e in fondo una cerneria,
forse adattata all'adesione del manico. lo vi ravviso Bacco,
il quale ha sulle spalle una face, che tale vedrehhesi qualora fosse intiero il
monumento, poiché ve ne sono altri esempi 3 . Egli si appoggia ad un altro nume
significativo della forza creatrice dalla quale dipende Bacco il demiurgo
artefice del mondo, che il trae dal disordinato e tenebroso caos per
virtù concessagli dal creatore, e vi porta luce con la sua face, non men che
ordine armonico, indicato da quella ninfa che precede i suoi passi,
arpeggiando la lira: cosmogonica rappresentanza che in cento guise
ripetesi nei monumenti antichi, e della quale ebbi luogo di trattare altrove 3,
Sebben questa bella tazza sia di bronzo, pure se ne usavano dagli antichi
anche di terra cotta d ugual forma e lavoro, come si vedono in Volterra
nel museo del pubblico, ed in quello del Sig. Cinci. Il disegno qui
esposto è soltanto un terzo minore del suo originale. Il pezzo aggiunto
lateralmente fa vedere l’acconciatura di testa ch’è dalla parte opposta del
recipiente. i Fest. in sua voc. Lecil. Sat. xxn. »
Monum. etr. ser. vi, Tav. Y, n. i., ser. v, p. 3 a,, ser. vi, Tav. Y, n.
1 . W' Principe di Canino, ed altri già se ne
conoscevano, dissotterrati a diverse epoche, ed in luoghi diversi .,
Diodora Siculo poi descrive nel libro quinto, dietro Possidonio le mense
degli Etruschi imbandite due volte al giorno, le loro drapperie ricamate,
le loro coppe eli oro, e d’argento, e le loro falangi di schiavi. Al cui
quadro aggiunge Ateneo nuovi tratti, e. mostrano chiaramente le figure
giacenti nei sarcofagi, che gli aggiunti di pmgues, ed obesi, dati dai Romani
per isclierno agli Etruschi, non erano suggeriti dalla malizia nazionale
soltanto. E Roma prese ad imprestito dall'Etruria i combattimenti dei
gladiatori, benché sembri che l’uso orribile d’introdurli nei conviti, e
nei banchetti, appartenga sopratutto agli Etruschi della Campania, e
specialmente a quelli di Capua. Altrìbuisconsi però agli antichi
Etruschi anche alcune invenzioni nella musica, e singolarmente rapporto
agli strumenti di essa, poiché non havvi autore, ch'io mi sappia, il quale
pretenda che questa nazione abbia discoperto qualche modo particolare di
tale scienza, benché le venga accordata in essa qualche celebrità, egualmente
che nella plastica ; E non già come piace ai compilatori della rivista
edimburghese, perchè e Aino erano vicini ad un popolo, il quale essendo
estraneo ai Greci, era costretto ad imprestar loro tuttociò che
riguardava il miglioramento, o l'abbellimento della vita pubblica, e privata,
mentre avvenne appunto il contrario. Benché non si possa decidere dietro
alcun monumento storico, se dovessero gli Etruschi a se medesimi, oppure
al commercio che ebbero coi Greci, dopo che già le arti erano giunte ad
un certo grado di perfezione fra loro, i successivi progressi, fatti dai
medesimi nella scultura, e nella statuaria, pur tuttavia ciò che dicemmo in
altro ragionamento intórno all’anteriorità degli uni, o degli altri,
rende quest'ultima supposizione molto probabile. Ma egli è però certo, che se
questo rapporto esistè per qualche tempo fra gli Etruschi, ed i Greci,
non fu mai dì una grande intimità. Lo stile toscano nelle arti presenta
sempre qualche rassomiglianza con quello deoli Egiziani-, E le opere più
perfette di questa nazione, hanno tutta quella durezza, e quella mancanza di
vita, e di espressione, che qualificano la scultura greca, anche prima che
Fidia accendesse la sua immaginazione alle descrizioni omeriche di Giove,
e di Minerva, e che avesse Prassitei e espresso col marmo l'ideale ch’egli
si era fatto della bellezza. Lo che prova essere stati i Greci i
perfezionatori, e non gl'inventori di quelle arti che si dicono belle ; E
viepih si conferma che i medesimi furono in antichissimi tempi i
discepoli degli Etruschi. non già i maestri, come pretendono i nostri
grecomani. Al contrario, in tutta quella parte dell arie ove il meccanismo
senza vero gemo può mungere alla perfezione, gli Etruschi non la cedono
in verun modo ai Greci stessi, biella maggior loro raffinatezza. Ed un
poeta Ateniese riferito da Ateneo nel primo libro dei Dipr.osqfisti,
celebra le opere etnische in metallo, come le migliori m tal genere ;
Facendo egli probabilmente allusione alle coppe, alle lampade, ai
candela- QUALI FOSSERO LA VITA POLITICA, E DOMESTICA, LA RELIGIONE
ED IL GOVERNO DEGLI ETRUSCHI, E QUALI ARTI, EGLINO COLTIVASSERO
PRINCIPALMENTE Ma chi pensasse il pone sieroso tema, E 1 omero
mortai che se ne cerca, Noi hiasmerebbe, se sott’ esso trema.
Caute Par. - -=-x jgj>
1\ on è certamente agevole impresa quella di ritrarre i costumi
domèstici di un popolo, che non ha trasmesso alla posterità veruna immagine di
se stesso nelle produzioni letterarie. E tali appunto sono gli Etruschi, della
cui prosperità nazionale pare che sia stata la primaria base
l'agricoltura, che veniva si ben favorita dal loro suolo, e dal loro
clima, e che sembra avere in ogni tempo fiorito in questo paese, quando i
benefizii della natura non sono stati distrutti da un cattivo governo, o
da una assurda Legislazione, Tuttavìa però, non ha mai goduto V Etruria
centrale, come la Campania, di una spontanea fertilità. Fu d'uopo ognora
che spiegassero i suoi abitanti la loro industria, e la loro destrezza,
per adattare la cultura alle diverse qualità del terreno, che s
incontrano in questo paese, e per arrestare le mondazioni del Pò nelle
provinole che circondano l Adriatico, e che ne furono parte nei tempi
antichi. I primitivi costumi degli Etruschi erano semplicissimi, se vogliamo
credere alla storia, la quale ci dice che la conocchia di Tanaquilla fosse
conservala lungo tempo a Roma nel tempio di Sanco; E pare che un
passaggio di Giovenale nella satina sesia, ci mostri la stretta rassomiglianza
che passava fra le virtù domestiche delle donne romane degli antichi
tempi, e quelle delle donne etnische. Nè ciò desterà maraviglia a chi
sappia, che i primi abitatori dì Roma, non eccettuato il suo fondatore,
non furono altro che Etruschi, della cui energia, e del cui nazionale carattere,
formano al parer mio una sufficiente prova, le grandi loro conquiste, la loro
destrezza, ed il loro coraggio nella navigazione. Ma quando
il commercio, e la conquista nelle parti meridionali d’Italia, ebbero
condotto la ricchezza fra loro, gli Etruschi se ne impossessarono coll’avidità
di un popolo mezzo barbaro ed il lusso invece d‘ introdurre fra essi il
raffinamento, e l’eleganza delle maniere, non vi portò che un vano splendore,
ed un gusto disordinato per ì sensuali piaceri, come rilevasi anche dalle
pitture di alcuni vasi, delti male a proposto italo-greci, dei quali ne ha
discoperti un gran numero nei suoi scavi il signor La forma del governo
etrusco, ove riunivansi l’ aristocrazia, ed il sacerdozio, impedì efficacemente
al genio di quella nazione, di prendere lutto il suo naturale sviluppamelo.
Imperocché ai Lucomoni, ossia alla nobiltà ereditaria, aveva rivelato
Tagete, ed il tempo, gli usi religiosi, che si dovevano osservare dal popolo,
col potere di Applicarli nella maniera che paresse loro la piti propria
aperpetuare il loro monopolio esclusivo, e tirannico-, E per rapporto poi al
potere civile, formavano questi medesimi Lucomoni il corpo governante di
tutte le città di Elruria. Nei primi tempi si parla di re, non già dell’
intiero paese, ma bensì di stati separati, ed il cui potereera senza dubbio
limitatissimo da quello dell’ alta aristocrazia-, E questi re senza potere,
spariscono ben presto intieramente, come più tardi nella stona greca, e
romana, Mentre che in Etruria, non sorge alcun ordine corrispondente ai
plebei, per rappresentare V elemento popolare della Costituzione. E
molto difficile di poter fissare con esattezza i privilegi del gran corpo della
Casta potente-, E Miiller inclina per l'opinione, e mi pare eli abbia
dato nel segno,che i coltivatori fossero i servi dei proprietarii del suolo,
come furono in tempi a noi piu vicini i Penasti in Tessaglia, e gl Iloti
a Sparta. É cosa certa difatti, che esistesse una classe simile in
Etruria, ma non è però probabile eli ella comprendesse una gran parte
della popolazione, non essendovi altro argomento, al quale appoggiare
questa, ipotesi contrastabilissima, se non quello che i clienti di Roma fossero
servi dei Patrizn. Tuttavia però è fuori di ogni dubbio che l
aristocrazia etrusco teneva gli ordini inferiori in una dipendenza
politica, e che per questo non pervenne quella nazione, al grado di potenza, a
cui avrebbe potuto giungere-, Ma la sua prosperità prova ad un tempo che
non era governata neppure affatto tirannicamente. Non sembra nemmeno che
l’agitasse lo spirito della democrazia, fino al punto di risvegliar dei timori,
ed eccitare la severità della casta governante. Le insurrezioni di cui parlano
gli storici, sono attribuite espressamente agli schiavi. Era
l'antica Etruria fertile di grani, e particolarmente di quel farro che i
Latini chiamarono far, ed anche odor, la cui farina forniva il puls, che
noi diremmo polenta, o polenda e che era l’ordinario nutrimento degli
abitanti di questa parte d’Italia. Il ferro delle sue miniere, e
specialmente quello dell Isola d'Elba era celebre per la sua purità-, E
forniva pure la stessa isola anche del rame per le monete, e perle opere
di bronzo, tanto comuni fra gli Etruschi. È poi molto probabile, anche
secondo il Miiller, che eglino facessero un commercio di ambra, che loro
venisse dal Settentrione. Il precitato Miiller, che è come
abbiamo detto uno degli Scolari di Niebuhr, và discutendo con moli
acutezza nell’ opera sua, la natura dei rapporti che esisterono nei primi
tempi di Roma, e fra i Romani, e gli Etruschi. E si accorda col suo
maestro a preferire alla tradizione che fa di Servio Tullio unfiglio di
schiavo I origine etrusco di quel principe, menzionato dalli Imperatore
Claudio nel suo discorso sull’ammissione dei provinciali nel Senato, il cui
testo fu discoperto nel secolo decimo sesto in taòn, ed ai tripodi, e simili,
giacché discopronsigiornalménte alcune di tali opere egregiamente
eseguite. Si spiega però facilmente la differenza che incontrasi
fra le opere degli Etruschi, e quella dei Greci col carattere della
religione dei due popoli. Imperocché la religione dei Greci conti Univa
potentemente al perfezionamento delle arti plastiche, ove quella degli
Etruschi, in ciò che le appartiene in proprio, non ha niente che risvegli, e
che trasporti V immaginazione dell’ artista. Pare anzi che ella favorisse
efficacemente una opinione, che noi ritroviamo del pari nella teologia dei
popoli settentrionali, ed in quella degl’Indii, ed è questa: che gli Dei
erano eglino stessi, come pure il sistema, al quale presiedevano, gli
effetti di un potere che non iscorgevasi che a lunghi intervalli nella
produzione degli esseri, e che assorbiva tutto ciò che aveva crealo, per
crearlo di nuovo. I SIMBOLI di questo potere erano gli Dii involuti della
teologia etnisca, i cui nomi rimanevano ignoti e non erano oggetto di un
culto popolare, ma che Giove stesso consulta. Gli Du consenti poi, che erano
dodici, sei di ogni sesso, presiedevano alt ordine delle cose esistenti, e
ricevevano degli omaggi, e dei sagrifizii. Manifestatasi la loro
intervenzione negli affari umani, più che in altra maniera con presagi di
grandi disgrazie, che dovevano essere allontanate con espiazioni
sanguinose, e crudeli. Ma se da un Iato potè la moralità guadagnare
qualche cosa dalla religione etrusco, che non corrispondeva in verun modo
alla mitologia ridente, ma licenziosa dei greci, la poesia e le arti dell
altro, vi dovettero indubitatamente scapitare non poco. Lo stesso difetto
d immaginazione viva e disinvolta caratterizzava la dottrina etrusco dell
immortalità dell’anima. Il loro mondo sotterraneo, non era altroché un
Tartaro senza Eliso. La superstizione non formò in nessuna parte del mondo,
un sistema più completo che in Etrucia, senza eccettuarne neppure le
Indie, e t Egitto Le regioni del cielo erano divise, e suddivise in modo
che ogni prodigio poteva avere la sua spiegazione precìsa. Ifenomeni
dell’atmosfera, il tuono soprattutto, ed i lampi, erano osservati, e classati
comma minutezza, che avrebbe potuto fornire oli elementi, aduna vera
scienza, se gli osservatorifossero stati veri filosofi, e non Sacerdoti. Ma nel
fatto t osservazione di quei fenomeni, non servi ad altro che ad
accrescere la servitù della moltitudine, a quelli che reclamavano la co'nuzioné
esclusiva dei mezzi coi quali potevano placarsi gli Dei sdegnati contro
il genere umano. Non è necessario di avvertire, che la filosofia nel
senso greco di questaparola, vale a dire lo studio libero dell’uomo della
natura, e della provvidenza, era ignota agli Etruschi, benché non si
possano negar loro le cognizioni pratiche, col mezzo delle quali
eseguivano le belle opere d'Architettura, e di Idraulica, che vengono ad
essi attribuite dagli antichi scrittori, i quali parlano delle cose
etnische senza prevenzione veruna, e senza spirito di parìe. Elv. Mas.
Chius. Go tavola. Quanto sia malagevole scioglier l’enigma che nelle
strane loro figure chiudono le pietre incise in forma di scarabei, ben
potrebbero dirlo e il Caylus, e il D’Han- carville, ed altri chiarissimi
ed eruditissimi ingegni che in vano vi si applicarono; e quantunque in
gran parte non mostrino significato nessuno che ragionevolmente si presti alle
indagini dell’erudito, pur taluni, ancorché pochi, han contrassegni da non
permettere che siano annoverati tra i soggetti capricciosi insignificanti e per
conseguenza inesplicabili. Nello scarabeo di n. 1 ci guidano con
qualche indizio 1 epigrafi, che sebbene sconce come le figure alle quali
si vedono applicate, pure danno adito a ragionarvi sopra non senza
qualche fondamento. Quantunque le lettere siano di forma etrusca, pure
nèson disposte all’uso inverso come scrivevano gli Etruschi, nè presentano voci
che dirsi possano etnische, ma ritengono un misto di paleografia, e
glossologia, che partecipano dell'antico greco e dell’antico latino. Qualora
non vi fosser lettere direbbesi che vi si vede Vulcano assiso sulla sua
pesante incudine in atto di ascoltar le preghiere della consorte sua Venere a
prò d'Enea, come ne dà sospetto lo specchio femminile che tiene in mano, la
donna è la libera di lei nudità. Che le lettere esprimenti parole tronche vi si
conformino lo congetturo dal potervi leggere fex, quasi ephestus ch’era
nome grecamente dato a Vulcano anche dagli antichi Latini. Segue 1 altro
bisillabo vev, che se crediamo sformata l'ultima per una v, potremmo leggervi
la voce Venus con poca difficoltà. Ed in vero quella barba, che in un modo sì
sconcio si volle accennare all’uomo sedente, dà qualche idea del rozzo costume
praticato dal marito di Ciprigna, che qui si vede contro a lui con assai
studiata, sebben antica maniera d’acconciarsi la testa per viepiù sedurre il
manto a compiacerla nell’ inchiesta delle armi pel figlio Enea : soggetto
non raro nella glittografia, dove l’artefice Vulcano è sempre assiso, e
Venere che incontro a lui si trattiene a pregarlo, sempre in piedi.
Quando si voglia credere che la composizione incisa in questo scarabeo
num. 2 abbia un qualche significato allegorico, e non sia stato fatto a
solo oggetto di mostrare lo sgradevole assalto dato da un leone ad un
cinghiale, potremo credere che stiano i due animali a rammentare due precipue
situazioni del sole nel cielo, dalle quali ne avviene il calor benefico
dell'estate, e 1 importuno freddo nell’inverno. Infatti è il segno del
Leone che domina in estate, e che abbatte colla forza dei raggi solari
quei mali che alla natura cagiona 1 ingrato e sterile, inverno
significato dal porco, di che ho^scrittu molto nel trattare dei Monumenti
etruschi - vote eh bronzo a Lione ; Il quale pretende che il vero suo nome
fosse Mastarna, e che foss e compagno di un capo dicosi detti
Condottieri, o mercenarii toscani. Il fatto si è che la voce
etrusco Mastarna, vale imbrattato, ossia di sordida origine,^ corrisponde cosi
a quanta ne dice la tradizione. Ma mentre JMebuhr si allontana
intieramente dalla storia, supponendo che Tarquinio il vecchio fosse uno di
quei Latini pnschi da ha immaginati, pensa il Mailer eh’ei fosse veramente
etrusco, e che traesse il suo nome da Tarquinia, ( e lo pensiamo noi
pure,) il cui dominio estendevasi allora dalla parte del mezzogiorno,
fino alla città di Roma, che erane anche dipendente in quel tempo. I
compilatoli della Rivista edimburghese non credono che questa opinione sia
basata sù fondamenti abbastanza solidi, benché paia loro più probabile di
quelle di lebuhr, per sostituirla ai racconti della storia comune ; E non
sanno comprendere neppure, come dei fatti accompagnati da circostanze sì
ben precisate, quali sono quelle dell'esistenza di Servio Tullio, e
deiTarquinii, del loro paese, e dello stato loro possano cangiarsi tutto
ad un tratto in un simbolo di etnisca supremazia. Lo che peraltro non
desterà nessuna maraviglia a chiunque sia meglio di loro istrutto delle
antichità etnische, e conosca più a fondo che essi non conoscono,
l’universalità dello spinto simbolico di quei remotissimi tempi. E
comunque sia poi la cosa, checché si debba pensare eh tali supposizioni,
il fatto vero si è che Roma fu conquistata dagli Etruschi sotto la
condotta eli Porsetto re di Chiusi, come lo provò, sono già molti anni,
Beaufoit, disvelando gli artifizii, sotto i quali avevano procuralo i Romani
scrittori di nascondere questo colpo umiliante. Oltre di che, furono,
come abbiamo già detto, anche i fondatori, ed i primi abitatori di Roma,
una truppa dibanditi toscani. Ma circa ad un secolo dopo il regno di
Porsena, vennero gli Etruschi umiliati essi pure dai Celti, e da altre
barbare genti, che si resero padrone di tutto ciò che eglino possedevano
sulla riva meridionale del Pò fino a Bologna, e che occuparono anche.
Roma, benché temporanamente. I Romani però, vincitori dei Galli, e cosi
più fonnidabih che mai, non tardarono molto a conquistare, e colonizzare
quella parte i ’truna, che si estendeva al mezzogiorno della selva
Ciminia; Ed anche laCam- pania eia caduta allora sotto il potere dei
Sanniti, e tutte le provinole etnische al settentrione degl’Apenninì, erano
rimaste sotto la dominazione dei Galli. Tentarono indarno gli Etruschi,
dopo la gran disfatta, che ebbero presso il Lago Va di mone, oggi di
Bussano, di chiamare in loro soccorso i mercenarii Galli, poiché furono
battuti di nuovo, perchè le loro temporarie confederazioni, non poterono
opporre una efficace resistenza, contro la disciplina, che la vittoria aveva
già organizzata nelle armate romane; Eia potenza di quel popolo celebre,
e valoroso per sì lunga serie di secoli, rimase intieramente abbattuta,prima
delle guerre di Pirro, e di Annibale. del cielo, di che ho trattato in
altre mie opere. Le colonne ed i vasi che son sepolcrali rammentano le
ceneri degli avi, presso i quali fu ucciso l’infelice Laomedonte assalito da
Ercole nplia sua patria presso le lor ceneri. Questo disegno è una quinta
parte della grandezza che ha 1’urna di marmo. La rozzezza della scultura
di quest’umetta in pietra tufacea che nel suo originale è soltanto doppia di
questo disegno, non permette ad ognuno di ravvisarvi il soggetto che a me
sembra esservi espresso. Imperocché io vi scorgo nella figura equestre
un’Amazone, di che ho non lieve indizio nel berretto che le copre la fronte, e
quindi in ogni restante della composizione, che non differisce dalle già
esposte alle tavole. Qui v'èuna circostanza che ne scopre sempre più
l’allusione a soggetto ferale, ed è 1’ albero significativo d’ombra, e
privazione di luce : luogo insomma dove passano i mortali dopo il periodo
vitale assegnato loro dalla natura in questa terra. Un pregio singolare
di questi bassirilievi di pietra tofacea è in qualche modo Tesser tutti
chiusini, e d’uno stile che può dirsi unico in questo genere di
antichissimi oggetti d'arte. Quel di Perugia ch’io riportai con esattezza
alla Tav. Z 2 della ser. VI de’Monumenti etruschi, è inferiore
nell’esecuzione forse per difetto della cattiva scélta nella pietra eh'è
molto più tenace di quella chiusina, e più assai porosa, ed a luoghi
affatto spugnosa. L’originale di questo che abbiamo sott’occhio non è che per
metà maggiore del suo disegno. Si vede assai chiaramente esservi
rappresentata una processione religiosa. La prima figura che ha semplice
manto, e non veste lunga è dunque un uomo che ha in mano una gran foglia,
dalla quale argomento esser questa una pompa sacra, mentre in tali riti
portavansi le foglie, e se ne danno persuadenti ragioni, ch’io esposi altrove 3
. Segue la figura di una donna che per essere assai danneggiata non se ne
sa il destino, Dopo è una figura con bastone in mano,molte delle quali vedemmo
già nelle tavole scorse. Ma siccome tien dalla sinistra mano un uovo, così
potremo in qualche modo congetturare che la pompa della quale quel
seguace fa parte sia espiatoria, e perciò analoga al defonto, presso al
quale quest’ ara è stata trovata. Poco sappiamo di una tale
superstizione, ma ci è noto che all'uovo, dedicandolo ad Ecate
infernale, 1 Ingliirami, Monum. etr. g 5, e Galleria Omerica Tom. n, tav.
cxciv, p. j 54 * 2 Monumenti etr. ser. v, p. 44 l 2 * 3
Ved. le tavole 11, lii, iv,, xxxvni, lui,, Lvi. L’Amorino qui
espresso è copia d’un bronzo grande quanto il suo originale, eh’è d’una
bellissima patina verde. Non saprei giudicare dal solo disegno, che m’è
sottocchio, qual ne sia l’azione, e quale il significato di essa, onde mi
limito ad osservare che l’acconciatura di testa, non meno che lo stile
assai molle, e sì vistosamente lontano da quel rigido, che vedemmo nei
già esaminati bassirilievi chiusini, mi fanno giudicare quest’idoletto
per un opera eccellente degli Etruschi, allorché sottoposti ai Romani
praticaron le arti ne’tempi di Adriano. Leggendo lo storico Diodoro
ho incontrato un avvenimento d’Èrcole, che mi sembra molto analogo a
quanto si rappresenta in questo bassorilievo. Narra quello scrittore che
tornato Ercole insieme cogli Argonauti alle spiagge troiane, ove avea
lasciati in deposito a Laomedonte la vinta Esione ed i cavalli di
Diomede, invia suo fratello Ifito, e Telamone a riprendere il deposito
affidato a quel re; ma il perfido ne ricusa la restituzione, ed oltraggia
i messaggi. Allora gli Argonauti muovono contro Laomedonte e contro i Troiani
suoi sudditi, e dopo un vivo combattimento trionfano. Ercole sopra d’ogni
altro fa prodigi di valore, ed uccide di sua propria mano il re
Laomedonte Tanto basti a ravvisar qui E avvenimento or descritto. Ercole
ha in mano la spada per uccidere il perfido Laomedonte che h». già
ghermito pei capelli, nè può altrimenti evitare il colpo fatale di morte.
La pelle di leone che si annoda sul di lui torace lo manifestano per Ercole,
sebbene usi spada e non clava. Laomedonte altresì fassi noto al berretto
asiatico proprio dei Frigi e Troiani in modo speciale, come ripetuti
esempi ne dò nella Galleria omerica 3 . Il bastone pastorale gli è posto
in mano dall’ artista ad oggetto di aumentarne la distinzione, come
spettante alla famiglia di Dardano, eh io dissi altrove 3 essere stata
distinta per la sua occupazione di guardare gli armenti de suoi antenati,
non meno che per la singolare bellezza della quale furono adorni i di lei
componenti. Difatti qui Laomedonte si mostra bellissimo e delicatissimo, in
paragone del robusto Ercole, e dell’altro eroe eh’è degli argonauti combattenti
in quella occasione con Ercole. Le due Furie con face
rovesciata, ripetutissime nelle urne etnische, non hanno un positivo ed
intrinseco rapporto col fatto. L'altare serve soltanto di espressione per
mostrare che il paziente altro scampo non ha che reclamare la
protezione Diod. Sic. Bibl. hist. Galleria Omerica, Iliad-, Tav. le arche
racchiudevano oggetti sacri di mistica rappresentanza, non visibili ad
ogni profano. Il vaso dipinto con queste donne che staccano in giallastro
su fondo nero, fu, cred’io, venerando per gli oggetti contenuti nella cesta,
piuttostochè per le donne che la portano. Nell’interna e concava
parte duna tazza di terra cotta vedesi dipinto con fondo nero un sacrifizio,
che mostra, cred’io l’atto del camillo, o vittimario di cuocer le carni della
vittima sul fuoco acceso nell’ara o foculo, mentre il sacerdote che
sembra di Bacco è pronto a farvi una libazione, versandovi parte della
sacra bevanda. Dalla bassezza di quell’altare, pare che l’atto religioso
fosse diretto al culto di Bacco stigio, che pregavasi perchè fosse
favorevole ai morti; come difatti la tazza dov’è questa pittura fu posta
come le altre in un sepolcro. È invero assai singolare il bronzo num. 1
che qui presentiamo in disegno nella dimensione del suo originale, come
si può riscontrare nel privato e ricco museo del sig. capitano Sozzi di
di Chiusi dov’esiste. Non è del tutto nuovo per altro; ed io vidi un
idolo lungo due piedi e sottile nel museo di Volterra tutto nudo, e colle
braccia aderenti al corpo, senza nessun emblema. Il Gori che lo illustrò, gli
dette nome di Lare domestico ridotto più grande e piu maestoso della
specie umana, oppure un dei Lemuri che credevansi ministri del Genio
malo, ossivvero lo stesso Genio malo, che da Plutarco si dice esser
comparso a Bruto in aspetto più grande di quel ch’esser suole l’umana
specie 4 . lo crederei che più convenientemente confermar si potesse
esser quest’idolo chiusino un Lare domestico, forse anche Lemure, pei lumi che
ce ne dà Plutarco, giacché Tesser vestito e l’aver patera in mano tanto
converrebbe ad un Lare, quannto sconverrebbe ad un semplice Genio. Lo
stesso Gori ha posti nella sua collezione altr’idoletti che hanno la
qualità speciale d’esser più lunghi delle dimensioni spettanti all’umana
specie, ma che l’espositore per bizzaria dichiarò con nomi speciali =, senza
darne sodisfacente ragione. I bronzi notati di numm. 2 e 3 sono le
due estremità d’un manubrio di qualche vaso usato probabilmente per sacri riti,
come lo mostra la testa d’asino che ne compone la superior parte, mentre
si tien per ovvia la notizia che questo 1 Plutarc. de animi
tranquillitate, ap. Gori, Mus. Etrusc. Voi. i, Tab. cim, Voi. n,
i. 2 Gctì, Mus. etr. Tom, tab. v. si attribuiva una virtù
espiatoria 1 . La figura virile ultima non ha caratteristica veruna che
la distingua. Da un lato, cred'io, di questo cippo o ara che sia, v’è
un’auriga nell'atto di guidare il suo carro alla corsa : istituzione
antichissima rammentata inclusive da Omero % fra gli onori compartiti da
Achille all’ombra di Patroclo.Sorprenderà gli archeologi la novità di questa
lucerna fittile che porta effigiato un centauro colle ali non più veduto, ch’io
sappia. Ma cangerà la sorpresa in persuasione, tostochè richiamerà alla
memoria quanto dissi altrove rapporto alla composizione siderea di untai
mostro; di che ripeto qui soltanto qualche leggierissimo cenno. Dissi pertanto
che stando alle dottrine d’Ipparco, il Centauro si compone di un
cacciatore, o per meglio dire della costellazione che in antico aveva il
semplice nome di un dardo, e dell’alato cavallo sidereo che dicesi Pegaso
[citato da H. P. Grice]. E poiché questo rappresentasi per metà soltanto
nel davanti, così inventarono di aggregare il restante del cavallo, o sia
la posterior parte al cacciatore arciere. E siccome il Pegaso composto
dal Centauro è figurato con ali, così non è fuor di proposito il trovare
in questo arciere colla caccia in mano la posterior parte del cavallo
Pegaso colle ali che formano il distintivo del destriere abitatore del
Parnaso. Il vaso rappresentato in questa Tavola due terzi più
piccolo del suo originale è di terra cotta di naturai colore, a differenza
d’altro simile qui pure esposto alla Tav., eh' è di terra nera. E poi
singolare in questo il veder le braccia staccate dal vaso e fermate con
delle cuciture di fil di ferro agli orecchi o manichi di esso vaso, e
pare che abbiano tenuto qualche cosa nelle mani che soglion esser
traforate . Un indizio di barba rasata ce lo fanno credere un Bacco. Per
ogni restante si legga quanto dissi alla Tav. Fu costume
frequentissimo nei sacri riti del gentilesimo l’introdurvi le femmine canefore,
o cistofore ma specialmente in Etruria, e i monumenti ci mostrano come un tal
uso invalse qua nei tempi antichissimi, come Io mostra il famoso vaso
d’argento di Chiusi da me riportato altrove. Quelle ceste, o picco- i
Suid. in VOC. Excctjjv. a Galleria Omerica Toni, n, lav. ccxvu #
3 Monumenti etr. ser. v^av. lyii, p* 561. 4 Ivi, ser. ih,
Ragionamento vii. SULLA VERA SITUAZIONE TOPOGRAFICA DI V1TULON1A ANTICHISSIMA
SEDE DELL’IMPERO ETRUSCO. AffdS'v’tffzoufft yap y,<x.i nohU «c rirep av^pwirdi,
A. A. . li ori aveva torto lo spiritoso, e bizzarro filosofo di Samosata,
quando scriveva nel suo dialogo intitolato Caronte, che le città muoiono
come gli uomini. Imperocché nella stessa guisa che si perde la memoria di
moltissimi di questi, così perisce la ricordanza di non poche di quelle. Nel
cui numero è da riporsi con tante altre, la famosa Vitulonia, prima
capitale dell’ Impero Etrusco, della quale sì scarsamente lasciarono scritto
gli antichi, e sì vagamente, e con grande incertezza ne parlano i moderni.
Trovasi infatti accennata dagli uni e dagli altri, quella già potentissima, e
ricca città, con molta dubbiezza, e circa la vera sua topografica situazione,
e circa l’estensione del suo circuito, e perfino riguardo al modo di scriverne
il nome . Avvegnaché PLINIO chiama Yvi ulonii, e Vetuloniensi i suoi
abitanti, e Silio Italico nomina Vetulonia la città stessa, mentre avvi qualche
altro autore, che la dice promiscuamente Vetulonio e Vetulonia. Quanto poi
alla sua topografica situazione, pare anche dal passo del precitato
Plinio, ch’ella fosse come era difatti, vicina al mare -, poiché sebbene al
tempo di quello scrittore già più non esistesse da lunga data, nondimeno
la memoria della sua situazione, e della sua grandezza sussisteva
tuttavìa nella tradizione dei popoli etruschi . Ed il Cluveno,lib. ila colloca
egli pure non lontano dal mare, e nelle vicinanze delle paludi caldane,
confondendo però, per quanto mipare, le Caldane volterrane, o i Guadi
volterrani, colle Caldane della Fiora, che sono tutt’altra cosa. Che
sorgesse però nei contorni di quel pareggio, non è da mettersi in dubbio,
giacché leggiamo in Dionisio di Alicarnasso, lib. 3, che al tempo di Tarquinio
Prisco, quand’ egli guerreggiava contro i Latini, i Sabini, e gli Etruschi
propriamente delti, fecero legaper andare contro il medesimo, le cinque
popolazioni seguenti, cioè, i Chiusini, gli Aretini, i Volterrani, i
Rosellani, ed i Vètuloniensi, che Plinio al già citato libro terzo nomina
con ordine inverso. Nè senza ragione è da credere, che quei due
gravissimi scrittori nominassero i popoli, piuttosto che le città dei
medesimi, perchè Vitulonia era stata distrutta molli secoli prima della
fondazione di Roma, come congettura il dottissimo Dempstero, il quale
crede ancora giudiziosamente, che perciò si di rado ne abbiano gli autori
fatta menzione. quadrupede spettò a Bacco 1 o a Vulcano a . Nell'uno e
nell’altro supposto converrebbe 1’ unione loro aiCabiri, che furon detti e
figli di Vulcano,ed apportatori del culto di Bacco in Etruria. Una tale
osservazione mi farebbe credere i Cabiri o Dioscuri quei due giovanetti
sedenti e con berretto in testa, che trovansi nel1’estremità inferiore del
manubrio medesimo . E tanto piu me ne persuado, in quanto che molti
bronzi ritrovati in Etruria hanno Bacco unito ai Cabiri 5 . Nè si
allontana da questa congettura lo stesso lor gesto che addita il cielo, mentre
stanno coricati per terra, giacché tale additamento del cielo e della terra è
lor proprio in molti antichi monumenti dell’arte 6 .Il bronzo di questa Tavola
veduto da due parti mi vien descritto di un lavoro squisitamente condotto per
la sua esecuzione, al che si può aggiungere il pregio dell’arte che
splende anche nella giusta, non men che bella proporzione della figuretta
che qui si vede per metà maggiore del vero. Io la credo una di quelle
Giunoni, o genii delle donne che tenevansi nei larari dal gentilesimo. La
pittura di questo vaso consiste in tre figure femminili, che avendo in mano
delle aste armate di punte, corrono sfrontatamente luna presso l’altra.
Così narra Euripide che Penteo al di lui ritorno in patria udì che la
madre di lui con altre donne Tebane aveano abbandonato il proprio
albergo, e n’eran gite sul monte Citerone a celebrar le feste di Bacco, piene
di lascivo furore 7. ÌR<S>° 1 U : VI I q 3 : aìlflNS
J/ìttq A J : ÌV1V :tfntnqf\ jmn/qo . jfjvm/dn ••
©nq/i R13D J/ilflllV Monutn. etr., sei:, u, p. 56. 2 Milli», Peintures de Vases
ani., Tom. 2 3, not. (6). 3 Monum. etr., ser. n, p.
i52. 4 Ivi, p. 693, 713. Etr. Mus. Chius.
Tarn. 1. 5 Ivi. Ved. la spiegazione delle Tavole i, p. e
ixxvui. 6 Ivi, tav. xlÌx, e sua spiegazione. 7 Euripide
nelle Baccanti atto primo scena iv in principio. 9vono
discorso anche intorno alle sue terme, ed al suo anfiteatro, celebrandone
le ime, e 1‘ altro. Scrive La-Martiniere che le rovine dì questa città
ritengono tuttavìa t antico nome, e che si chiamano Vetulia,ree/ che concorda
coll'Alberti, e si legge in una nota del precitato Cluverio, che
Vitulonia era situata fra Populonia, e la torre dì San Vincenzo, presso alle
paludi caldane, ed il fiume Linceo, detto oggi la Cornia. La quale
opinione pare appoggiata da quel passo del sullo dato PLINIO; ove nomina
insieme ì Tarquiniesi, i Tuscanesì, i Vetuloniensi, i Veientani, i Visentini,
ed i Volterrani, cognominati etruschi, com’egli si esprime.
Molte altre citazioni, ed altre notizie avrei potute raccogliere ed
aggiunger qui, riguardanti la nostra Vitulonia, ma le ho tralasciate per
brevità, e penso che siano anche troppe le già addotte, per dimostrare
quanta confusione, e quanta incertezza si riscontri negli autori, ogni
volta che ne fanno parola. Ad onta però di tanta confusione, e di tanta
incertezza degli scrittori antichi, e moderni intorno a Vitulonia, per cui
è sembrato ad alcuni archeologi, non solamente difficile ma eziandio
impossibile di poterfissare, ove sorgesse un giorno quella primitiva sede dell
impero etrusco, quandi esso estendevasi a tutta l Italia; io voglio non
pertanto tentare in questo ragionamento di stabilirlo. E voglio in questo
tentativo mettere a profitto le belle, e ricche scoperte di vasi
etruschi, e di altre anticaglie, fatte dall'egregio signor prìncipe di Canino
nelle sue terre di questo nome, e giovandomi ad un tempo dei lumi sparsi
da quel chiarissimo scrittore, illustrando gli uni, e le altre, e per cui viene
ora meritamente lodato in questa materia, come il più benemerito
promotore della gloria dei nostri padri. Tralasciando pertanto di
rintracciare, lo che sarebbe ricerca inutile, e vana, se Vitulonia/bwe
edificata da Tarconte, come pretendono alcuni autori, o dal celeste
Ogige, il quale come vuole non so qual poeta, Itali® Tuscas pelago
descendit ad oras, dove torreggiò Vitulonia, o finalmente lo fosse dagli
Etruschi, regnando su di essi, come piace ad altri quello stesso Giano
Velo che istituì, per quanto si dice, il culto di Vestà, e le Vestali
nelle nostre contrade, diede il suo nome al Gianicolo, combattè per tre
anni coi Celtiberi, e finalmente li vinse, e li sottomise alla sua
dominazione: quello stesso infine, che consacrò, giusta le tradizioni, una
gran selva a Crono nelle vicinanze appunto di Vitulonia, il cui nome
potrebbesi interpetrare stagno, od acqua incostante, passerò in quella
vece a determinarne subito la topografica situazione. Circa la quale
io credo che non possa rivocarsi in dubbio, quanto il sullodato signor principe
di Canino ne ha detto nel primo volume del suo Museo etrusco, parlando in particolar
modo della sua Necropoli; E sono persuaso che ella sorgesse veramente nel luogo
da lui supposto, e descritto. Bifalti la prodigiosa quantità di
vasi etruschi di sommo pregio, e di somma bellezza, e nei quali sono
rappresentate favole, o storie anteriori alla fondazione di Ro- Crede
Ermolao Barbaro, che Orbetello occupi ora il sito dov era una volta Vilu-
lonia, lo che non può essere. E VAlberti scrive che ai suoi tempi chiamavasi
Veletta, o Vetulia, il luogo ove fu Vitulonia; laddove altri sostengono,
che altro in oggi ella non sia ché un luogo deserto, distante tre miglia
dal mare, fra Populonia, e Pisa. E nonmancano neppure di quelli che
confondono Populonia stessa con Vitulonia, benché fossero per località,
per età e per potenza paranco, l’una ben distinta dall' altra. Jf erudito
Guarnacci poi, dice di non poter determinare neppur egli, ove giacesse questa
famosa, ed antichissima città, perché sì conosce, secondo lui, solamente
il nome della medesima, ignorandosi però del tutto, a qual distanza precisa
fosse ella situata da Volterra, e dal mare Ma Annio da Viterbo nelle sue
note agli Equivoci, di Senofonte, afferma esservi un colle chiamato Vetuleto, e
lo afferma con qualche probabilità, per l’età sua, sul quale crede che fosse
situata altre volte Vitulonia. E pensa che dopo la rovina di questa, gli
restasse un tal nome. Il medesimo poi ne deriva l’etimologia del nome da
due parole araniee, che verrebbero a significare, capo di molte città; ciò che
non sarebbe disconvenevole a Vitulonia,- ed aggiungendo, quello che in
molti altri scrittori si legge paranco, che essa godeva il privilegio di
ammettere i forestieri alla cittadinanza volterrana, come ancora la privativa
in età più remota, di dare i fasci, e le insegne reali, la qual cosa
indica essere stata la medesima al disopra di Votterrà. Non di meno il
chiarissimo Passeri nel suo trattato della Numismatica etrusca ; la crede
colonia dei Voltérrani, benché ciò non possa essere accaduto, se pure vogliamo
ammettere che avvenisse in alcun tempo, se non dopo la sua decadenza, e totale
rovina, e dopo il successivo ingrandimento dell'altra. Mentre quando
eraVitulonia nel suo pieno splendore, e capo di potente impero, è ben
ragionevole il credere che succedesse tutto il contrario . Lo stesso
Silio Italico, citato disopra, chiamò la nostra Vitulonia splendore della
Meonia gente, alludendo probabilmente a quei Lidii che si dicevano venuti a
stabilirsi in Etruria, e principalmente in quella regione-, e la disse ad un
tempo inventrice dei Fasci, delle scuri, dei Littori, della Sedia Curale,
e della pretesta, come pure le attribuisce il merito di avere adattata
l'enea tromba agli usi guerrieri-, cantando nell’ ottavo libro delle
guerre puniche. Meoniosque decus Vetuionia gentis, Bissenos
hoec prima dedit precedere fasces, Et junxit totidem tacito terrore secures:
Et princeps Tyrio vestem prsetexuit Ostro; Hasc altas eboris
decoravit honore curuies, Heec eadem pugnas accendere protulit
sere. Esistono infatti antiche medaglie, riferite dal prelodato
Passeri, ed anche dal Guarnacci, coll epigrafe Vetiunia, e coll’ emblema
della scure, o bipenne, insegna dei Magistrati etruschi, e precisamente
di quella città. Ed alcuni gravi scrittori mo- Messina, e fuori ancora
dItalia per fiancheggiare le inaudite millanterie di quei medesimi Greci, e
loro forsennati seguaci, riprodurrò qui una opinione singolare, ma vera,
e che mi pare che siastata sostenuta anche dal Vico ; e dirò che le Muse ebbero
origine in Italia, nell’infanzia, per cosi dire, del mondo. Ed aggiungerò, che
da questa bella penisola emigrando, pèr quelle vicissitudini, che modificano,
e fanno cangiar di aspetto continuamente a tutte le cose umane, passarono
in Arcadia, colle prime colonie italiche di Pèlasghi Tirreni, che erano
indigeni di questo delizioso paese, favorito in ogni tempo sopra di ogni altro
dalla natura, per tutte le arti dilettevoli, e per tutti gli ameni studi.
Ed andarono ad invadere, é popolare la Grecia, e la Tracia, selvagge allora ed
incolte, dove ebbero poi nome, e culto per opera di Anfilone, di Lino,
d’Eumolpo, e d’ Orfeo, ma vi si erano condotte da prima coi sunnominati
Pelasglii-Tirreni, pastori ad un tempo, e poeti. Da dove ritornarono più
tardi in queste benedette contrade in compagnia d’Evandro, e non ne
partirono mai più-, ad onta di tutte le devastazioni e di tutti i
flagelli, che vi portarono gli stranieri, i quali ne fecero in tutte le età
il primo oggetto delle loro ambiziose conquiste . E persuaso
come io sono, che Vitulonia dettasse in remotissime età le sue leggi agli
Italioti, potentissimi allora sovra ogni altra nazione, da quei luoghi
medesimi, nelle cui vicinanze riscontrasi la grande necropoli, discoperta
\dal signor principe di Canino, come Roma le dettò loro, e all’ universo,
in altri tempi, dall alto del Campidoglio, terminerò questo mio
ragionamento, ripetendo con VIRGILIO, Purpureos spargain flores, animasque
parentum His saltelli accumulem donis. Mà non voglio però dar
fine al medesimo, senza rivolgere brevi parole al signor compilatore dal
Ballettino archeologico di Roma, per pregarlo col dovuto rispetto, a
volersi compiacere di farmi comprendere cosa mai ha preteso di dire, quando ha
scròto del medesimo, con franchezza più che cattedratica, «
Contribuiscono ad illustrare qualunque parte delle antichità dell'
Etruria le utilissime lettere d’ etnisca erudizione che si pubblicano dal
cavaliere Inghirami; siccome allo stesso tendono nel modo loro particolare,
le ingegnose conghietture del signor Principe di Canino, é quelle di
simil genere del professor Euleriani, premesse ai fascicoli del Museo
chiusino » perchè sebbene io confessi ingenuamente : che mi rifugge t animo alt
idea, che debba venire un Oltramontano ad insegnare a noialtri Italiani,
a conoscere le cose nostre, e quelle dei nostri padri, mi sarà tuttavia
gratissimo di potergli rendere pubblica testimonianza di avere imparato qualche
cosa da lui, come non poche me ne insegnarono altre volte, e di vario
genere, ì Dempsteri, gli Acker- blad, gli Zoega, che qui nomino a titolo
cìi onore, ed altri ancora che per brevità si tralasciano. e 9 ma,
e vi si osservano costumi anti-romani ancor essi, dal medesimo dissotterrati
nelle sue campagne della Cucumella, e Cannellocchio, mostra ad evidenza,
che tanta ricchezza di vasi dipinti, non poteva appartenere che alla Necropoli
di una città grandissima ed opulentissima, e capo di potentissimo impero. Nè i
tre ponti dallo stesso discoperti sulla Fiora cosi l uno all altro
vicino, servir potevano ad altro che a mettere in comunicazione fra loro le due
parti di questa medesima città ; E questa non poteva esser che V itulonia, se
ben si voglia riflettere alla sua località, dietro quello che si legge
negli scrittori antichi, e moderni, benché alquanto oscuramente, intorno
alla situazione di quella metropoli. Che se qualche
ultra-greco si ostinasse ancora a sostenere il contrario, è pregato a
considerare un poco meglio i monumenti dei nostri antichi, e singolarmente
quelli dissepolti nelle terre di Canino, ed anche a porre maggiore
attenzione quandi egli legge le opere degli antichi, e son di parere,
scorgerà facilmente timpossibilità di provare il suo assunto.
In quanto poi al predicare la civiltà italica molto anteriore a quella
della Grecia, noi non abbiamo fatto altro in ultima, analisi, che riprodurre
quanto era stato opinato nello scorso secolo dai dottissimi archeologi, e
filologi italiani, e stranieri, assai giudiziosi e non greco-mani,
Dempstero, Buonarroti, Maffei, Cori, Guarnacci, Bocliart, Mazzocchi, Lami
.Bourguet, ed altri ancora. E più modernamente dalli eruditissimo poliglotta
Acherblad, dall’illustre Marini, e dal celebre Visconti, prodigio
d’ingegno, e di dottrina, anche a giudizio dei più dotti francesi. La
quale opinione, propagata da tutti i surriferiti grandi uomini, che
trovasi confermata nelle memorie dell'accademia delle iscrizioni di
Parigi, e che è messa in piena luce da quella mente straordinaria di VICO
(si veda), è poi quella stessa riprodotta, e commentata dal sullodato
signor Principe di Canino, nei varii articoli del precitato primo volume
del suo Museo etrusco, dopo che la riscontrò comprovata dai Monumenti da
lui discoperti, negli scavi fatti eseguire nelle sue terre. Nè di poco
momento è per me, onde viepiù confermarmi in questa opinione che mi è
divenuta certezza, t autorii a del profondo archeologo romano AMATI (si veda),
uomo di somma perspicacia, e dottrina, e nelle italiche antichità versatissimo,
e che la sostiene egli pure. Che del resto la iattanza
impudentissima dei Greci, è dei grecomani, circa la civiltà, e le arti
italiche, non è nuova in queste contrade, sapendo ogni mediocre erudito,
che per rintuzzarne soltanto la vanagloriosa ciarlataneria, pose mano Catone a
scrivere i suoi libri dèlie origini, e si mostrò grandemente sdegnato, perche
nessuno si fosse alzatOkprima di lui a rigettar loro in faccia si
nauseanti, e boriose pretensioni, e si grandi sciocchezze. Ora
dunque, animato dal medesimo amor patrio, e stimolato da eguale sdegno,
per le tante inezie che sf vanno ripetendo ogni giorno a piena bocca, dalli
Alpi a Etr. Mus. Chius. Torri. Quando Venere e Apollo sottrassero Enea,
come inventa Omero alle furibonde armi del prode in guerra Diomede, allora Febo
immaginò di lasciar combattere a sazietà i Troiani coi Greci, sostituendo ad
Enea l’idolo, o popolarmente parlando, l'ombra di lui. Questa poetica
immagine del combattimento de’due partiti per un vano fantasma fu cara
oltremodo agli Etruschi, mentre ne vediamo la rappresentanza in molti
de’lor cinerari, un de’quali eh’è in marmo, fu da me inserito nella serie
che ho data de’monumenti omerici della Iliade, similissimo a questo ch'è
di terra cotta due terzi soltanto maggiore del presente disegno, mentre quel di
marmo è due terzi maggiore di questo modellato in creta. Vi si vede pertanto il
simulacro d’Enea caduto a terra per la percossa del sasso gettatogli da
Diomede, in atto di cercare una qualche difesa nella trista situazione in
cui si trova, spossato di forze. Intorno a lui si tagliano a vicenda gli scudi
e le targhe Troiani ed Achei. L’originale in terracotta era dipinto a
vari colori, ma ora svaniti. L’ iscrizione è soltanto dipinta in color di
porpora, e rammenta, come sapremo a suo luogo, il nome del morto, le cui
ceneri chiudeva l’urnetta. Un licenzioso stuolo di baccanti si offre allo
sguardo dell’.osservatore della tav. presente, e ci avverte esser questa
la pittura d’un vasetto ch’è rappresentato alla tavola e frattanto si
verifica la massima comunemente invalsa per esperienza, che tre quarti dei vasi
fittili dipinti hanno soggetti bacchici. Questo ha figure nere su
fondo rosso ed è il vasetto originale tre volte maggiore del disegno dato alla
tav. suddetta. La statuetta di Venere che orna quest' ago crinale grande al
pari del presente disegno è adattatissima a dar compimento ad un utensile di
muliebre decoro. È singolare il vedere nei Monumenti etruschi la Venere quasi
sempre coperta negligentemente in una sola gamba. Io vi ho spesso, ravvisato il
velo del quale son coperte agli occhi della nostra penetrazione
moltissime delle operazioni della natura: osservazione che dovette esser
propria specialmente degli Etruschi, i quali si magnificano come studiosi della
filosofia naturale. Proporrei ancora il sospetto che l’ago crinale fosse
un simbolo mistico, e per tal cagione posto nel i Iliade Tav. Non credasi però mai da alcuno, che io
ni" altlia la stolta pretensione di non essere criticato, ché anzi
mi reputerò sempre ad onore ogni critica fatta a dovere, Ma quando venga
questa in mal tempo, e con peggior garbo, metterò sotto gli occhi di chi vorrà
leggermi, il seguente epigramma. Censura sapiens, et doctus
acutnine gaudet : Stultus at insano carpere dente solet.
Ex tribus his titulis, quem vis, tibi delige lector: Sic
sapiens, doctus, stultus et esse potes. XLI. VIDflDMU 4/mvfl4i
•• flnoai ; qn-i XLEL -.43 : F\\F{- 1/1-1 : 4 /ÌOq/ : i4 :
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4An#isa : ianq3i : no L. 1 nxnn\ M3f : laUfVf :
flitifl© Al disopra del copercìiio. a Siccome finisce il lembo del
coperchio pare che abbiano continuata la parola al di sopra
del coperchio della stessa urna. I 74 (lutto
nell'arte, mentre qui la Furia infernale esce di sotto terra; come nel teatro.
Se quest’uso non è molto antico, non potremo reputare antichissime
neppure queste sculture ove tal uso è imitato. L’urna è due terzi più
grande del presente disegno. Il soggetto di questo rozzo vasetto
non è che un baccanale. Il vecchio barbato e nudo rappresentar dovrebbe un
satiro, mentre a centinaia s'incontrano i satiri nei vasi che trovansi
nei sepolcri, e le lor mosse costantemente bizzarre, come acche la lor
nudità costante, non permettono di separar questa virile figura dal coro
satiresco di Bacco. Ma la rozzezza del lavoro accompagnato da negligenza; fece
dimenticare al pittore di aggiungere alla sua figura la coda equina che
a’ satiri non manca mai. La donna eh’ è dalla faccia opposta del vasetto, non
può essere per conseguenza che una baccante . I circoli che in buon
numero si vedono attorno alle due figure sono un enigma finora
inesplicato. La grandezza delle figure è uguale a quella dell’uomo
barbato. La pittura è giallastra in fondo nero. I tre recipienti che
occupano questa tavola son vasi con pitture in parte nere e in parte
giallastre, che si mostrano separatamente dai loro vasi, e che vedremo in
seguito coi respettivi loro richiami. Ma il vaso segnato di numero 2 ha
soltanto una pittura a parte, l’altra di minor conto si vede qui in piccolo.Io
vi ravviso due degli Efebi davanti al ginnasiarca, il quale ha verga in
mano insegno che istruisce e comanda. Tali erano gli esercizi del ginnasio,
dove la gioventù s’istruiva negli esercizi del corpo e dell’animo; e gran
parte delle pitture de’vasi han simil soggetto nella parte opposta ad altra,
che aver suole qualche rappresentanza mitologica o simbolica, come in questo
vaso, dove si vedrà Ercole accolto dal centauro Eolo. Queste favole
cred’io avevano un senso misterioso, e la gioventù s’istruiva nell’iutelligenza
di quel senso non a tutti palese, per cui ne’ vasi comparisce nel tempo
medesimo l’istruttore e 1 istruzione che rnostravansi con quelle pitture.
Questo, pare a me, eh’esser possa il momento in cui Ercole passando dal
monte Foloe per andare a cercar del cinghiale d’Eriinanto, trattenutosi dal
centauro Folo figlio di Sileno e della ninfa Mitra, fu ricevuto nel modo il più
ospitale che potevasi. Ercole ebbe desiderio di bere del vino. Folo ne avea
soltanto in un vaso eh’era stato dato da Bacco ai centauri in comune, e
perciò non ardiva d’aprirlo. Ma Ercole incoraggillo a deporre ogni timore, ed
apri egli stesso sepolcro dov' è stato trovato . Dissi altrove difatti,
che si venerava in Roma l'ago crinale della Madre Idea custoditovi fra le
cose fatali, da cui facevasi dipendere la stabile conservazione
dell'impero. Le oreficerie degli Etruschi, di che presentiamo qui un saggio,
esser sogliono di uno squisito lavoro. I due pezzi superiori pare che siano
stati usati a formare una collana, poiché di simili ornamenti vedonsi le
belle collane scolpite al collo delle matrone che si trovano giacenti sopra i
coperchi delle urne 3 . Ciò sia detto per disinganno di coloro che
trovando nella Grecia altri ornamenti muliehri lavorati in oro con una
perfezione e con un gusto simile a quei dei nostri Etruschi, ne dedussero
che di Grecia si facesse smercio in Italia di tali bigotterie; ma poiché la forma
dei due pezzi superiori trovasi ripetuta soltanto nelle sculture
d'Elruria,e non in quelle di Grecia, così non abbiamo pruove che usassero tali
ornamenti fuor dell’Etruria, nè che non si potessero quivi anche
eseguire. Tra le infinite bizzarrie che vennero in testa ai figuli per
variar le forme dei vasi, che servirono per ornar le ceneri dei sepolti,
questa che presentiamo qui non è certamente delle men singolari. Il suo
nome suol essere d' un ciato quando ha forma d’un corno potorio; ma in
figura di gamba non avendone io mai incontrati, per quanto abbia veduti
moltissimi vasi sepolcrali, non saprei certamente quei che possa dirsene.
La sua grandezza è due volte maggiore di questo disegno. È della solita terra
nera di Chiusi, ed ha vernice nera assai lucida che lo cuopre d'uu color
solo. In generale questi eran vasi da bere usati col rito, che dovevasi
affatto votarne il recipiente, per cui non era necessario di tener questi
vasi in piedi, ma suolevano star discenti sulla mensa. La tragica morte di
Eteocle e Polinice è soggetto che fu caro agli antichi Toscani che lo
elessero soventemente per ornarne i loro sepolcri. Qualche mossa, qualche
ornato,lo stile medesimo della scultura, fan vedere che vi fu
comunicazione tra la scuola di Volterra e quella di Chiusi. Il costume
della Furia eh' è fra i due moribondi più che altro manifesta la
probabilità di questa mia opinione; come si riscontra dai paragoni che posson
farsene 3. Altrove notai parimente 1’uso teatrale di far comparire, non
già dalle scene i soggetti infernali, ma dal palco medesimo, quasi che
sorgessero di sotto terra ^. Un tal uso vedesi esattamente intro- Monum.
etr., ser. li J 2 Ved. la Tavola. Monum. etr., Tavv. II
vasetto che primo si presenta in questa tavola è di terra nera, uguale in
tutto al disegno. Le teste velate son così ripetute nei vasi sepolcrali
chiusini, che io non dubito di confermare il già detto, nel supposto che
siano indicative di larve Ci vien fatta peraltro notare 1 ’esattezza del
lavoro, non meno che la perfetta conservazione del monumento. Si osserva
un anello d’ oro eh’ è in proprietà del sig. capitano Sozzi. Il lavoro, per
quanto mi si elicerà finissimo e di grandezza in tutto eguale
all’originale. È stato, per tanto riportato in doppia grandezza l'incavo che
tien luogo di pietra anulare, perchè meglio si osservi lo stile elevato
di quel lavoro. I due animali, il leone cioè e la sfinge potrebbero
essere interpetrate pel passaggio del sole dal solstizio estivo all’autunno,
mentre quel mostro con corpo di leone e testa e petto di donna non altro
pare che indichi, sennonché il sole che uscito dal segno del Leone
ardentissimo passa in quel della Vergine, ove comincia a perdere l’estiva sua
forza, per cui si assomiglia a una femmina. La galante forma del vaso n. 1 non
è comune fra quelle usate dai Greci. L’impasto della terra è tutto nero,
ed in luogo di figure dipinte ha dei bassiri- lievi minutissimi,
da’quali, come da una doppia fascia, è circondata la più larga parte di
esso . In una delle nominate fasce al n. 3 stanno assisi due uomini con
veste talare, in atto di voler dispensare delle corone, che ricevon coloro i
quali stanno in piedi. Sotto alla lorsedia è un uccello, che secondo le
moderne interpe- trazioni dei geroglifici egiziani, come dissi altrove ?,
significa la casa dello sparviere, eh’è pur simbolo della divinità; e in
conseguenza la casa o regione del cielo, sul quale stabilite si vedono le
figure sedenti del nostro bassorilievo. Porgono esse dunque delle corone ai
guerrieri, in premio di aver combattuto. Le sfingi nei sepolcri le
ho sempre credute indizio del tempo nel quale passa il sole dai segni
dell’emisfero superiore a quello inferiore 4, che dicevasi regno dei
morti 5, e per tal memoria credo esser poste le sfingi nella fascia num. 4 -
Nel bassorii. n. 2 v’è un uomo sedente che ha in mano Io scettro, e ad
esso presentasi un individuo munito di lancia che probabilmente significa
un’anima che passando ad altra vita domanda il premio delle eroiche sue
virtù' 6, accennando non altro che il tempo di tal passaggio, come ho
provato anche altrove? in quest’Opera. 1 Monum. etruschi, ser. i } i, Ved. la spiegai, della Tav. 3 Lettere di
etnisca erudizione; Monum etr.; Lettere; Vedasi tutta la mia lettera scritta al
dottor Maggi nel Tom. delle lettere, Ved. la pag. 5i, e 52 . ;5 quel vaso
dov’era, come appunto si vede in questa pittura. I centauri tratti colà
dall’odore del vino vennero in folla alla cantina del centauro Folo, armati
di grosse pietre, un de quali è qui rappresentato in dietro ad Ercole in
atto di scagliarliela ; e forse è Anchio, o Agrio che furono uccisi da
Ercole, perchè i primi ardirono d’entrare in quella caverna 1 . Questa
pittura con figure giallastre è inetà del suo originale. In questo
bassorilievo ravviso Paride, il quale mentre viveva oscuro ed ignoto sul
monte Ida tra i pastori, scendeva talvolta alla città di Troia, ove segnalavasi
in tutti i giuochi e combattimenti che vi si facevano, ed in essi
riportava la palma sopra ogni altro concorrente, inclusive sopra Ettore e
su gli altri suoi fratelli, che sdegnando d' esser vinti da un ignoto pastore
meditarono di assalirlo ed ucciderlo. Ma Paride allora si dette a conoscere per
loro fratello, e cosi fu salvo. Qui Paride è NUDO COME SI COMPETE AD UN ATLETA,
ed ha lunga palma sugli omeri, qual vincitore in competenza coi fratelli
che invidiosi lo guardano, e meditano la di lui perdita, istigati a tanto
misfattto dalle Furie infernali che loro si fanno dappresso. Il ginocchio
che Paride tiene sull’ara significala protezione divina eh’egl’ implora
da Venere, come ho detto altre volte a, e 1 ’ ottiene; mentre Priamo suo
padre, a cui si palesò, lo ristabilì nel suo rango 3 . Il disegno è una
terza parte dell’originale.Chi mai trovar potrebbe in questo vaso un gusto
greco? Anzi a rettamente parlare diremo esservi un fare eh'è tutt'altro
che greco.L’ornamento del piede partecipa delle scannellature che sì
frequenti ravvisiamo nelle opere dell'Egitto. In ogni restante v'è una
originalità singolare. I mostruosi animali a bassorilie* vo che ne ornano
il corpo son frequenti in questi vasi chiusini di terra nera, ed io li
tengo sempre per quelli animali caotici che ad oggetto di rammentare la
pili antica delle orientali cosmogonie ne ornarono i sepolcri, di che ragionai
anche altrove L La donna che serve d'apice a! coperchio del vaso, in
quanto al disegno non è molto dissimile da quelle dipinte in giro nel
vaso della Tav. LXXII, come ancora in riguardo al costume
dell’abbigliamento. Questo è dunque l’antico etrusco stile, o l imitazione
di esso, come resulta dal paragone della indicata pittura pur trovata in
Chiusi, ma di stile totalmente greco. Or s’io ripetessi qui pure, come ho
detto altrove 5, che i Greci lavorarono vasi in Etruria, e quindi anche i
nazionali ma in uno stile del tutto differente, non ne avrei forse in
simili esempi le prove? Diodor. Sicul. Nonn, Dionis. intit. l’Italia
avanti il dominio de’Romani Monum elruschi, ser.[i,p. /{Q 3 i 4 ^ 5, .Monum.
etruschi ser. v, Tav. lx. 3 Ved.le mie Osser.sopra i raonum.ant.uniti
all’op. droni perfino del tuono, e del fulmine, i quali peri loro sorprendenti,
e terribili effetti, somministrarono in ogni tempo e in ogni dove abbondante
materia alla superstiziosa credulità dei popoli. Giammai però, nè presso
alcun’altra nazione, ebbe la scienza tonilruale, efulguraria tanti
cultori, come presso gli antichi Etruschi, nè mai se ne fece altrove uno
studio così costante, come nell’ Etruria propriamente detta, e con successo
così, favorevole. Ma i sacerdoti etruschi, dopo avere immaginata
una scienza profonda, e difficile, sui tuoni e sui fulmini, trovarono
ancora il modo di renderla terribile e spaventevole al volgo della loro
nazione. Imperocché, stabilita la distinzione tra ifulmini di consiglio quelli
di autorità e di decreto, tra i postulatorii, i monitorii, i confermatorii',
gli ausiliarii, gli ospitalieri, ed i fallaci, i pestilenziali, i
micidiali i minacciami, ed i reali, e simili, ne fabbricarono ancora una spece
di Diario, ossia Rituale. Del quale, per darne una idea ai nostri
lettori, ne riporteremo qui uno squarcio, tradotto in italiano.
Questo Rituale adunque, o Diario tonitruale, e locale secondo la luna
coni essi lo chiamavano, fu tratto, per quanto ne dicono le tradizioni,
parola per parola, da Publio Nigidio Figlilo, dagli scritti sacri di
Pagete ; Ed è riportato da Lidio nel suo libro dei prodigi al cap. xxvu, pag.
101, dell edizione fattane a Parigi,per cura di Carlo Benedetto Tinse.
Ecco in qual maniera si esprime il sullodato autore, al luogo citato, su
tal proposito . Se egli è manifesto che gli antichi sapienti etruschi
prendessero in ogni disciplina augurale per guida la luna, poiché secondo il
corso di quella espongonsi qui appreso anche i segni tonitruali, e
fulgorarli, rettamente farà chiunque si sceglierà per duce in questa scienza le
stazioni lunari, Laonde quinci dal cancro, e quindi dal novilunio,
istituiremo la diurna cognizione dei tuoni, secondo i mesi lunari. Dalla
quale passavano i Tusci, o sacerdoti etruschi ad insegnare le osservazioni locali,
anche intorno ai luoghi percossi dal fulmine. E pare che il principale di tut
fi i collegi di questi Tusci risiedesse a Fiesole, leggendosi in Silio
Italico Adfuit et sacris interpres fulminis alis, Faesula
Incominciando poi il Diario, o Rituale fulgurano, e tonitruale
etrusco, dal primo giorno lunare del mese di giugno, dice cosi. Se tuonerà
nel'primo giorno della luna di giugno, vi sarei abbondanza di biade,
eccettuato l'orzo, ed i corpi umani saranno attaccati da perniciosi morbi ; E
se tuonerà nèl secondo, le donne partoriranno piu facilmente, ma peri ranno le
greggi, e vi sarà abbondanza di pesci. Tuon andò poi nel terzo sara il
caldo secchissimo per modo, che non solamente gli asciutti prodotti della
terra, resteranno inariditi, ma si abbruceranno ancora gli umidi e i
verdi. Laddove se tuonerà nel quarto, l’aria sarà talmente coperta, di
nubi, e sì piovosa, che le biade periranno per la putrida umidità. Se
tuonerà nel quinto giorno, sarà dinfausto presagio alla campagna, e si
turberanno tutti quelli, che presiedono ai villaggi, ed ai piccoli castelli, e
borghi ; Se nel RAGIONAMENTO Vili, E IX SULLA SCIENZA TONITRUJLE, E
FVLGURARIA DEGL’ETRUSCHI rpày.[x«Tcc re Fai $u<rto> oyìav
è?s7rovv;'7av ( oi Svpfavot ) sm' Aererò» 9 stai ra 7repe t»jv xepavvosxomav
sarà to*vt&>v àv.S'peomav e^et^yacavro. Diod. Sic.
B^ovrat xaS' v7rvous ayyèXwv èics Xòyot, Astrampsycb. de Sonili. interp.
F_Ja superstizione, il più funesto di tutti i flagelli che affliggessero mai,
in qualunque regione, ed in qualunque età, Ì umana specie, facendola gemere
sotto il giogo più duro, e più pesante di quanti ne seppero immaginare, e
fabbricare, la tirannide più scaltra, e il despotismo più sospettoso,
mescolando ognora profanamente, per meglio abbrutirla, ed opprimerla, il
venerando nome di Dio, alle loro malvagità le più enormi, fu sempre, e
presso tutti i popoli della terra, il maraviglioso ordigno, e l’efficace
strumento, onde si valsero gli astuti, ed i tristi, a danno dei semplici, e
dei buoni, ed i potenti, é gl’ippocriti, per dominare i deboli, e farsi
giuoco dei creduli- Questa Furia pertanto, esecranda, e crudele, la
peggiore di quante ne racchiude nel suo seno lInferno, che ha percorso
sotto varie vestimenta, e con diverso aspetto, tutta la superficie della
terra, è quella che fece risuonare di strani ululati, e di querule grida le
selve di Marsiglia, pei riti sanguinari di Teuta, le foreste di Norimberga, per
quelli d'Irmensul le montagne della Scandinavia, per placare l ira di
Thor o la vendetta di Odino, e le pianure della Perside, onde rendersi propizio
Arimane; ed è pure quella medesima, che tinse di umano sangue le rive di Aulide,
e della Tauride, fece scorrer vermigli itessalonìci torrenti, e quelli d
Irlanda, accese gli orrendi roghi di Lisbona, e di Spagna, desolò le Americane
contrade, e coperse in una sola notte la Francia intiera, di spavento e dì
lutto. Questa Furia spaventevole che prende tutte le forme, e che le varia
poi in mille guise secondo i climi diversi, ed atteggiandosi ancora nel
percorrere in ogni direzione la terra, secondo le differenti passioni, e la
varia indole dei popoli, ebbe anche presso gli antichi Etruschi,
influenza grandissima, e prepotente dominio. Nè avrebbe, potuto accadere
diversamente in una nazione, ove la casta sacerdotale, o i collegi dei
Tusci, facevansi, come in Egitto, e nelle Indie Orientali, una privativa dell
istruzione, e di tutte le cognizioni letterarie e scientifiche. Ora questa
medesima Erinni,invadendo l’antica Etruria, e facendone in cèrto modo suo
nido, signoreggiò in singoiar guisa gli spiriti dei nostri antenati,
prevalendosi anche presso di loro, di tutti gli strumenti opportuni al
suo scopo. Laonde s impa- Etr. Mus . Chius. 11 ri
0 8o o/o dal fulmine aneli essi, come facevano i loro
maestri. Quindi allorché esso partiva dall' Oriente, ed avendo toccato
leggermente alcuno, ritornava da quella parte, era questo il segno di una
perfetta felicità . Non traevasì peraltro nessun augurio del fulmine, quandi
esso altro non faceva che strepito. Quelli poi che sembravano promettere
lene, o male, erano presi per contrassegni della protezione, o della collera di
Dio. Laonde V erano fulmini di cattivo augurio, dei quali potevasi
peraltro allontanare il presagio, come dipendeva dalla volontà degli
uomini il procurarsi quello dei fulmini di augurio favorevole, per mezzo di
cerimonie religiose, e di offerte. Ve n erano poi altri, di cui non era dato ai
mortali di rimovere la minaccia, per via di alcuna espiazione.
Brasi introdotto pure fra i romani, come insegnavasi in Etruria, che
romoreg- giando il tuono dalla parte destra, annunziava sempre qualche
cosa di felice, e che era di funesto presagio allorchéfacevasi sentire
dalla parte sinistra. I luoghi colpiti dal fulmine divenivano sacri anche
pei Romani, come tali divenivano per gli Etnischi, e non era più permesso
d!impiegarli ad usi profani. J i s inalzavano allora degli altari al dio
Tonante, e gli Aruspici avevano cura di consacrarli col sagrifizio di una
pecora, dal cui nome venivano detti bidentali. Anche gli alberi fulminati
dovevano essere purificati, ed una certa classe di sacerdoti delti strufertarii
facevano in tale occorrenza un sacrifizio colla pasta cotta sotto la
cenere. Se dobbiamo prestar fede a P ausonia gli abitanti della
città di Seleucia adorano il fulmine, che eglino riguardavano come la loro
divinità suprema. Cantavano inni in suo onore, ed il culto di esso era
accompagnato da singolarissime cerimonie. Ma è da credersi che il fulmine
altro non fosse, se non se il simbolo di Giove, che adoravano quegli
idolatri come essendo il padrone degli Dei. Nella Mitologia sono i ciclopi
che fabbricano entro la fucina dell’Etna i fulmini al padre degli Dei, e
servivansi per comporli, e temprarli delle seguenti materie. Mescolavano
insieme i terribili lampi, lo strepito spaventevole, le striscianti
fiammé, lei collera di Giove s ed il terrore degli uomini. Il
fulmine però non era l’attributo esclusivo di Giove. Nell’opera di Ralle intitolata
Ricerche sul culto di Bacco, stampata a Parigi, domo primo, si legge che
Proserpina ingenerò Zagreo, cioè Bacco, colla testa ornata di corna, il quale
da se solo, e senza veruno esterno aiuto, s inalzò al trono di suo padre,
e trattò il fulmine colle mani ancora infantili. E nella descrizione delle
pietre incise del gabinetto Stoscliiano parla Winkelmann di una corniola,
rappresentante Bacco con diversi attributi, ed un Satiro, ai piedi del quale
vede si il fulmine. Anche Luciano, e Nonno panopolita, come pure molti
monumenti antichi anno il fulmine per attributo a Bacco. Tutte le grandi
divinità del paganesimo hanno due caratteri distinti: Luna generale, ed
era quello del primo principio, dotato della forza, e della potenza universale,
e l’altro particolare, che ciascuna di quelle divinità riceveva dalle funzio-,
7sesto s ingenererà un insetto nocino nelle mature biade, e se nel settimo
regneranno dei morbi, senza però che ne molano molti, e le secche
biade cresceranno, mentre s’inaridiranno le umide e verdi. Tuonarldo nel giorno
ottavo sarà annunzio di grandi piogge, e della morte del frumento, nel
nono significherà che dovranno perire le greggi per l'incursione dei
lupi, e nel decimo che vi saranno frequenti morti, ma che tuttavia l'annata
sarà fertile;Mentre se tuonerà nelVundecimo, annunzierà innocenti calori, e
letizia alla repubblica, e se nel duodecimo accadeva lo stesso Quando
tuona nel giorno decìmotèrzo, minaccia la rovina di un uomo prepotente,
nel decimoquarto, indica che l’aria sarà eccessivamente calda, e non dimeno
sarà lieto il provento delle biade, con gran comodità di pesci fluviali, ma i
corpi cadranno in languore; E se poi tuonerà nel decimoquinto i volatili
saranno affetti da incomodi nell estate, e periranno le bestie
natanti. Se nel decimo sesto giorno tuonerà, non solamente minaccia
diminuzione dell'annona, ma anche guerra, e verrà tolto dimezzo un uomo
floridissimo; Se tuonerà nel dectmo settimo, vi saranno calori
grandissimi, e mortalità di topi, di talpe e di locuste i E non pertanto l’anno
apporterà abbondanza e stragi al popolo romano. Tuonando nel decimottavo,
minaccia calamità ai frutti, nel decimonono moriranno gli animali nocivi agli
stessi frutti, e nel ventesimo minaccia dissezioni al popolo
romano. Quando tuona nel ventunesimo giorno, indica penuria di vino, buon
provento delie altre raccolte, e gran copia di pesci, nel ventesimosecondo
presagisce un calore dannoso, e nel ventesimoterzo dichiara letizia,
allontanamento di mali, e fine di morti. E così nel ventesimoquarto
annunzia abbondanza di tutte le cose, e nel ventesimo quinto significa che vi
saranno guerre, e mali innumerevoli. Finalmente se tuonerà nel
giorno vigesimo sesto, il freddo nuocerà alle biade, nel vigesimo
settimo, i primati della repubblica avranno da temere di andare incontro
a perigli per parte dei soldati, nel vigesimottavo, sarcivvi libertà di
biade, mentre tuonando nel vigesimonono, le cose della città si troveranno
in migliore stalo, e nel trentesimo, vi saranno per breve spazio di tempo
spesse morti. E così di tulli gli altri mesi. Allafine poi dell’ultimo
mese, 5 viene osservato, che Nigidio oiu- dico che questo Diario
tonitruale, non fosse generale, ma per la sola città di Roma. Nè ciò
parra fuori di proposito, a chiunque facciasi a riflettere che i sacerdoti
etruschi, erano solili vendere a caro prezzo la loro scienza, a tutti quelli
che ambivano di farne acquisto, e singolarmente ai Romani, che ebbero cominciamento
da u na ciurma di banditi d Etruria, e ne divennero poi gli emuli, quindi
i nemici, e finalmente i padroni, ed oppressori. Impararono però
ben presto anche i Romani a fare la distinzione fra i fulmini lanciati il
giorno, e quelli che lo erano nella notte-, E credevano che partissero i
primi dalla mano di Giove, ed i secondi da quella di Summanno, la qual
dottrina è tutta etnisca. Dopo questa distinzione, non tardarono molto a
trarre ogni sorta di presa- m p. e. gl' Iotorti, i quali sono
quelli che tracciano cadendo una linea tortuosa, nei quali sono prima di
tutto da ammirarsi,al dire di essi, la loro natura, e la difficoltà di
contemplarli ; Ed aggiungevasi dai medesimi libri, che non lutti producono
i medesimi effetti, neppure quelli che vengono formati, secondo loro,
dall' aria, e dal concorso delle nubi. E vi si trovano più altre
osservazioni di questa, e di altra specie, che sono pure riferite da Lidio a
pag. 171, cap. 44 • Afferma anche Arduino che i Tusci attribuivano
a noveDei la facoltà di scagliare i fulmini, e che ne distinguevano undici
specie diverse j E per viepiù persuadersi che eglino riguardavano come
cosa di grande importanza la scienza dei fulmini, leggasi anche Seneca, lib.
2.° cap. 32, 33, e seguenti, delle questioni naturali, ov’ egli descrive
prolissamente tutta la lor dottrina, e tutta la loro scienza sui fulmini, ed
anche intorno alla divinazione per mezzo dei medesimi-. Lo che tocca pure CICERONE
(si veda) nel libro primo della divinazione. Censormo poi al capitolo xi,
pag. 69, De die natali, loda esso pure i libri rituali degli
Etruschi. I medesimi Etruschi avevano eziandio alcune singolari opinioni
per impedire che i fulmini cadessero in certi luoghi, piuttosto che in
altri. E cosi, leggiamo nei Geoponìci, o scrittori delle cose rustiche, che
sotterrando in un campo la pelle di un ippopotamo, ivi non cadrà il
fulmine-, E nel lib. 8.°, cap. xi, è soggiunto, con una sentenza di Zoroastro «
affinchè nè i tuoni nè i fulmini facciano svanire i vini » dopo di che si
prosegue cosi, Il ferro sovrapposto ai coperchi dei dogli, e delle botti,
allontana qualunque danno possano cagionare ai vini i fulmini, e i tuoni.
Osservazione la quale fa un poco ai calci colla buona fìsica, ma ciò non monta.
Cosi la spacciavano i Tusci ! Certuni poi vi sovrapponevano alcuni rami di
alloro, i quali dicevano essere giovevoli in ciò, per contrarietà di
natura, e qui avevano ragione. Nei suddetti libri sacri, e rituali dei Tusci,
incontratisi ancora altri nomi da ti ai fulmini, oltre quelli già
riferiti in questo ragionamento. Imperocché altri ne chiamarono Fumidi, altri
Candidi, altri Irruenti, ed altri Presteri,' E ciò dicevano essi di aver
istituito, perchè producono diversi effetti. Quindi soggiungevano che gli
Ardenti sono quelli che si dicono Presteri, e quelli senza fuoco son chiamati
Tifoni, laddove i più languidi son detti Enifie. Diconsi poi Egide quelli
che noi diremmo Prefratti, o rotti prima, i quali sono portati da un
igneo globo • Donde avviene che V etnisca tradizione, mette le Egide
intorno a Giove, quasi insinuando che l’aria è la causa cosi della
procella, come del fulmine, e della concussione del tuono. Quando il
fulmine romoreggiava fra il giorno, e la notte, solevano chiamarlo I ROMANI fulmen
prevorsum, e dietro gl’insegnamenti degli Etruschi attribuivanlo a Giove,
ed a Summanno. Gli Scandinavi, ed i Celti, abitanti delle parli
settentrionali d’Europa, credevano che i rimbombi dei tuoni fossero
cagionati dai colpi di clava, coi È cosa degna di osservazione il vedere
che gli Scandinavi, ed altri popoli del Settentrione facessero essi pure
uno studio particolare sui fulmini, sui baleni, e sui tuoni, e che
avessero formato di ciò una scienza come gl’antichi Etruschi, giacche
rAnnuani, alle quali l'aveva ridotta il sistema del politeismo. Elleno ha per
attributo il fulmine, sotto il primo rapporto, ed è ciò che si ritrova
presso tutte le nazioni antiche. I libri degli Etruschi contenevano secondo PLINIO
(si veda), nove divinità che lanciavano i fulmini -,fEd attribuivano a Marte
quelli che producevano degl' incendii. Eravi a Milon in Egitto, un tempio
dedicato a Nettuno fulminante, per testimonianza di Ateneo, lib. 8.° E Sidonio
Apollinare chiama lo stesso Nettuno Giove Tridentifero, in questi
versi, Sacra Tridentiferi lovis hic armenta profundo Pharnacis
immergi! Genitor. Mentre Stazio nel primo libro dell'Achilleide, lo chiama ii
secondo Giove. Apollo vienne spesso rappresentato, secondo Golzio, colle
ale ed il fulmine j. E si vede su molte medaglie romane colla testa
coronata di lauro, ed il fulmine in mano. Sofocle nell’Edipo
Tiranno, J, e PLINIO (si veda), lib. x,
cap. 2. 0, parlano pure di Marte fulminante, come si vede su diversi
monumenti antichi. Vulcano lanciava aneli’esso il fulmine, secondo
Virgilio, e Nonno nelle Dionisiache, ed alcune medaglie dell isola di Samo, lo
rappresentano cosi. Vedesi poi il Dio Pane col fulmine, su due piccole
figure romane in bronzo, e ne parla Ateneo nell ’undecitno libro dei
Dipnosofisti. Cibele si vede spesso rappresentata col fulmine, e lo
portavano pure Minerva, e Giunone. E quest’ultima era collocata a
Cartagine sopra un lione, tenendo il fulmine sulla destra, e lo scettro sulla
sinistra-, Mentre della prima dice Virgilio: Ipsa lovis rapidum
jaculata e nubibiis ignem. Finalmente lanciava il fulmine lo stesso
Amore, E questo Amore Kspmvofofos, cioè laudante il fulmine, è scolpito
sullo scudo di Alcibiade, secondo l’Epigramma dell’Antologia
greca. Molti poi sono i generi degli stessi fulmini. Insegnavano i Tusci,
e lo riferisce anche Plinio, che quelli i quali vengono asciutti, non
ardono, ma disperdono, e che gli umili non bruciano mainfoscano.Quindi ne
annoveravano un terzo genere,chiamato chiaro', i quali sono di una natura
veramente mirabile, imperocché asciugano, p. e. le botti, piene di vino o
di altro liquido, lasciandole intatte, e non iscorgendovisi alcun
vestigio per ove le abbiano vuotate . Di più, l’oro, l'argento, ed il bronzo,
vengono da tali fulmini liquefatti entro gli scrigni o nei sacchetti, ove suino
riposti, senza arderli in verun modo, e neppure abbronzargli, ed anche
senza guastare il sigillo di cera col quale siano stati chiusi. Si racconta che
Marcia principessa romana fu colpita da uno di questi fulmini, essendo gravida,
il quale uccise il feto che ella portava, ed essa poi sopravvisse senza
verun altro incommodo; E narrasi ancora nel prodigi Catilinarii del Municipio
Pompeiano,che Marco Erennio Decurione fu percosso da un fulmine in giorno
perfettamente sereno. Oltre questi generi di fulmini, ì libri dei
Tusci ne contenevano ancora altri, come, Etr. Mai. Chius. trar nel cielo:
opinioni uscite tutte quante dalle dipinture allegoriche delle antiche
rivoluzioni del nostro globo. I Brasiliani, ad ogni scoppio di tuono,
riguardano tremando il cielo, e sospirando ; E credono che sia il loro Agnian,
o lo spirito maligno, che minacci di percuoterli. Almeno cosi ci assicura il
viaggìator Cereal. In Circassia, i piartele tuona, escono gli abitanti
dai villaggi, e dalla città, e tutta la gioventù si mette, al dire di Tavernier
nei suoi viaggi, a ballare, e cantare in presenza dei vecchi. Le
quali danze, e le quali cantilene, se non furono funebri, o guerriere nel
loro principio, bisogna dire che la gioia di quei popoli sia fondata
sull' idea che il tuono sia di un felice presagio. Idea conforme ancor
questa a quella dei Persi, e di un gran numero di popoli antichi, ì quali
credevano che il fulmine rendesse sacro tuttocio che toccava-, E ciò
perchè presso i Magi era il fuoco temblèma della Divinità, conforme si
può vedere eruditamente provato dal Signor La [fide, nell opera da lui
composta sulla religione dei Persiani, cap. primo. Presso i
sunnominati Circassi, un uomo ucciso dal fulmine è giudicato avere ricevuto da
Dio un gran favore : E se il fulmine stesso è semplicemente caduto sulla
sua casa, egli e tutta la sua famiglia sono nutriti per un anno a spese del
pubblico. È opinione degli antichi idolatri, che Giove punisse, non già
con volgari ga- stighi, ma bensì fulminandoli, tutti gli spergiuri. E
però si legge in Aristofane, nh. w Si i z* tw-wtmSt ~ h cioè « Imperocché
Giove scaglia questo fulmine veramente mirabile, contro gli spergiuri . Ad onta
però di queste popolari credenze, non mancavano tuttavìa di quelli, che
le schernivano, e se ne ridevano di tutti i volgari timori . Difatti Luciano,
nel Timone, riprendendo timprudenza di alcuni uomini, che spergiuravano
in dispregio dei Numi, subindicò il timore del fulmine dìcen o che que
sta specie di mortali, temono più una lucerna spenta, che la caduta di uri
fulmine, e di esserne colpiti. s™» w » «cuy»:. ™ ™ 5 T0=
«fawoo vale a dire: pertanto alcuni di quelli che spergiurano, temerebbe
piuttosto una lucerna spenta, che Infiamma di quel fulmine domatore di
tutte le cose. I Romani, che al dire di Cicerone, presero auspicia
et sacra ab Ltruscis, e secondo Valerio Massimo derivarono tutti i semi della
religione dall Etruria, e noi aggiungeremo francamente, anche ogni demento di
civiltà, fecero passare un gran numero di etruschi Numi a Roma . Quindi
provano con buone ragioni, ed autorità . il Dempstero, ed il Gori, che
erano presso che infinite le divinità adorate dai nostri maggiori, e che
la più gran parte presero domicilio in Roma. Laonde chiameremo temerarie,
e stolte le critiche mosse da alcuni Archeologi più moderni, contro
quei te alla prima percossa che hanno dal fulmime, non dispiacerà ai
nasini lettori il vedere mescle nessuno animale è arso, o acceso dal te qui a
confronto le supersituom tomtrual, r7P f u l vararle desìi
Scandinavi, ed altri setten- fulmine, se non e morto, e simili.
ejiu 0 uiun 5 t j ], . t j’ /-.p trionali con Quelle desìi cinlichi
Etruschi sui' Lasciando ora da parte quanto siano tali os• inori un / et servazioni consentanee alla buona fìsica,
1 ° stesso proposito» quali il loro Dio Thor percuoteva ì Giganti. Il
qual linguaggio è lo stesso che quello dei moderni Persiani, i quali credono
che le stelle cadenti siano colpi di fulmini, che gli Angioli scagliano
nelle altre regioni, contro i Demoni, che si forzano di rieririo tonitruale di
quelli, ha molta somiglian za col Diario fulgorale, e tonitruale di
questi. Si legge infatti in Olao Magno, lib. i, cap. 3i della sua
storia delle genti, e della natura delle cose settentriouali, cne i tuoni
di gennaio significano che i venti soffieranno con mag gior gagliardia
del solito, e che sorgeranno le biade più dritte, e grandi. Quelli di
febbraio annunziano una grande mortalità e singolarmente di quelli che
vivono nella delizia. E quelli di Marzo indicano gagliardi venti, e che
vi dev’essere gran fertilità in quell anno, e straordinario strepito
nei giudizii . Indicano i tuoni di aprile che cadrà una
pioggia conveniente elle biade 9 e che la campagna sara abbondante in tutto il
corso dell'anno, mentre quelli di maggio significano tutto il contrario,
cioè, penuria di biade, ed una formidabile carestia di tutte le cose.
Presagiscono poi quelli di giugno una piu abbondante fertilità, benché
predi cono al tempo stesso infermità spaventevoli. 1 tuoni di
luglio annunziano abbondanza di frumenti, ma distruzione di legumi 9 e
di frutti . Predicono quelli di agosto che gli uomini converseranno
pacificamente fra toro 9 ma vi saranno malattie pericolose 9 E quelli di
settembre denotano fertilità in quelIalino, nel quale però sovrastano
guerra, sedizioni, e morti . 1 tuoni di ottobre sono qualificati
coll’epiteto di portentosi, perche indicano grandi tem peste in
mare, ed in terra ; quelli di novembre, benché raramente tuona in tal
mese, promettono fertilità nell'anno seguente. E quelli finalmente
di dicembre significano abbondanza di tutte le cose, ed una gioconda
conversazione degli uomini fra loro. Altre osservazioni dei settentrionali
sui fulmini, sui lampi, e sui tuoni portano quanto segue. Quando
nell’estate per esempio, tuona più che non lampeggia, significa dover
soffiar venti da quella parte, e per lo contrario se balena più che non tuona,
deve cader molta pioggia. Quando lampeggia essendo il cielo
sereno, vuol dire che vi saranno pioggie, e tuoni 9 e farà un tempo
da inverno E tali cose poi saranno gravissime, ed atrocissime quando
questi lampi, e questi tuoni verranno da tutte le parti del cielo. Ma se
balenerà soltanto dalla parte ciV Aquilone indicherà pioggia nel
giorno seguente j E se i lampi verranno dal punto preciso del
Settentrione 9 soffieranno venti. Lampeggiando dalla, parte di Austro, di
Coro 9 o f avonio, essendo serena la notte, significherà che devono venir
pioggie, e venti da quelle medesime parti. Dicevano ancora i
settentrionali, che i tuoni che scoppiano la mattina di buonora
annunziano venti e quelli che si sentono nel mezzogiorno predicono
una grossa pioggia . Aggiungevano poi essere imjjortantissimo il sapere
da qua! parte vengono i fulmini, e dove si dirigono. Imperocché
sono crudelissimi quelli che partendosi dal settentrione vanno verso l Occaso,
e sono di ottima natura quando ritornano finalmente a quelle parti dalle
quali sono venuti, perche quando vengono da quella parte del cielo
d’ond’ebbero origine, e poi ritornano alla medesima, presagiscono allora una
somma felicità da quella parte di mondo 9 rimanendo però infelici tutte
le altre. E finalmente altre curiose osservazioni aggiungevano intorno a
quest’articolo, come, che la notte piu che il giorno lampeggia senza
tuoni, che la natura ha dato il privilegio al- l’ uomo di essere rare
volle ucciso dal fulmine, e che se questo accade talvolta, è assai più
conveniente, e pietoso ufficio il sotterrare quel morto, che il bruciarlo. Che
te ferite dei fulmini sono più fredde che tutte le altre, che le
bestie moiono istantaneamen- parla CICERONE (si veda) nel primo
della divinazione, nè fa diuopo osservare il diverso inalzarsi della fiamma, o
lo scrosciar della medesima, nè lo scoppiettar dell incenso, delle quali
cose scrisse, secondo Stazio, un tal Tiresia, famosissimo augure etrusco.
J\è occorre tampoco far menzione, per esaltare Tetnisca sapienza, di ciò
che osserva fra gli altri Seneca, Uh. n, delle quistioni naturali, circa
l avere i medesimi fatta anche la distinzione tra i fulmini prodotti
nelle nubi, é nell'aria, d onde scendevano in terra, e quelli che prodotti
nella terra slanciavansi in alto, e verso le nubi medesime, giacché
queste, e molte altre simili cose trovansi narrate, e raccolte da vari
autori. Ma non sono però da passarsi sotto silenzio alcune memorie
di PLINIO, ove narra distesamente in due capitoli, le opinioni degli Etruschi,
appoggiate ad una ragionevole fiolosofia, circa lessenza, o la natura, e circa
le diverse specie di fulmini da essi distinte. Conferma ivi quel
sapientissimo scrittore ciò che abbiamo qui sopra accennato, che vengono
cioè i fulmini, tanto dalle nubi, quanto dalla terra, ed assicura aneli
esso, che trovavansi negli scritti etruschi, nove, o più probabilmente
undici specie di fulmini, delle quali ì Romani loro figli, e discepoli,
non ne avevano osservate, e mantenute che due. Il che viene a confermare sempre
piu il detto di Cicerone, che quei superbi conquistatori, ed oppressori
del mondo, ebbero dagli Etruschi non solamente lorigine, ed i riti
religiosi, tutti quanti ne usarono mai, ma eziandio la civiltà. Egli
osserva pertanto particolarmente, la diversa natura, e diversi
singolarissimi effetti dei fulmini, che dal cielo provengono, e di quelli
che dalla terra sono prodotti-, ed avverte ad un tempo, che queste
osservazioni furono trasportate, e trascritte negli annali romani,
aggiungendo inoltre che vi erano pure le maniere ed i riti per chiamare i
fulmini, ed impetrarli dal cielo, come fece forse Porsernia, che con un
fulmine così ottenuto, ed accompagnato da un mostro chiamato Volta,
devastò, come dicono, le campagne dei Volsinii. Ei dice di più, che in
questa scienza era dottissimo Numa Pompilio, e che avendolo poco bene imitato
Tulio Ostilio, fu arso da un fulmine-, E che per questo fra i diversi nomi che
per l'etnisca disciplina furono dati a Giove, di Statore, di Tonante, Feretrio,
e simili, s'incontra pure quello di Elido, o Evocatore. E finalmente che
si prevedono in tal guisa le cose future, benché sia temerità il credere, che
si possa comandare alla natura, o sforzarla . Il medesimo autore osserva
poi, come il baleno sia piu veloce del fulmine, e del tuono, e come
perciò il fulmine stesso debbasi prima vedere, che udire. Circa le qiiali
osservazioni di Plinio intorno alla scienza tonitruale, e fuigurari a degl’Etruschi,
vi sarebbero da fare molte fisiche riflessioni, se l indole dell opera
per la quale sono scritti questi ragionamenti, lo comportasse. E
sul proposito di questa scienza etrusca, nella quale dice il sullodato
Plinio essere stato peritissimo il re ISuma, ascoltisi anche Ino Livio,
lib.t, il quale lo chiama non solamente dotto nelle arti peregrine, ma
eziandio nella tetrica, e trista due dottissimi scrittori; Colle quali
critiche pretendono di negare, che per esempio, un tal Nume, non abbia potuto
aver culto in Etruria, perchè si cede adorato net Lazio, ed m Roma,;
Avvegnaché dovrebbe piuttosto aver luogo la congettura contraria, come
saviamente rifletteva il sapientissimo Guarnacci. Imperocché, dovrebbe dedursi
che se una tale divinità si vede adorata in Roma e nel Lazio, è ben
ragionevole il credere, che abbia prima avuto culto in Etruria- quando si
voglia riflettere, che una colonia etrusca erano i Latini, e che lo stesso
fondatore dell Eterna Città, coi suoi primi abitanti, non furono altro come
anche altrove accennammo, che una banda di fuorusciti Etruschi. c
he se poi igrecomani, sottilizzando, ed ostinandosi ognora più a volere
irrefragabili prove, e quasi ancora la fede di battesimo, come diceva il
prelodato Guarnac- ci, che un tale idolo, od un tal monumento qualunque,
sia veramente etrusco, e non greco, nè romano ; Oltre che si può
risponder loro che queste prove intrinseche, non le hanno d’ordinario
neppure le cose veramente greche, e romane, e che l'antiquaria iti genere si
aggira sulle asserzioni degli antichi autori, i quali ci hanno lasciato
scritto, dove i vani Numi, e i diversi riti abbiano avuto l’originario loro
culto, Si può ad essi aggiungere ancora che ve una probabilità, la quale
confina colla certezza, che dove un si gran numero d’idoli, di vasi ed altri
monumenti di ogni maniera, sono stati trovati, siano stati pur lavorati. Ed
essendo imedesimi stati dissotterrati negli scavi etruschi, ed indicando una
grandissima antichità, e mollo superiore alla civiltà greca, e romana, è
irragionevole, ed assurdo il credere, che i soli Greci, e romani li abbiano
dappertutto disseminati. Ed anche a ciò che dice il chiarissimo signor
Vermigliali, il qlude pretende (. E roga ime di Admeto e di Alceste) che
i monumenti italici più sono antichi, e più grecizzino, ed al contrario
latineggino maggiormente, quanto più si avvicinano all epoca del dominio
romano in Etruria, come pure che gl’itali antichi spesso aspicassero, si può
rispondere cosa che sarà di scandalo agli Archeologi pedanti i quali non
sanno, o non vogliono trarsi fuori della traccia segnata dai loro predecessori
abbiano essi fatto bene o male. Ed è questa :,o,m, ere l e osservazioni
del sullodato filologo perugino, perchè la lingua greca è figlia della
vetustissima etnisca in quanto alle sue radicali, benché ne differisca
grandemente nelle inflesStoni, édi Greci sono scolari degli antichi Etruschi,
ossiano Pelasghi Tirreni, indigeni d Italia, i quali andarono in remotissima
età a colonizzare, e popolare la Tracia eia Grecia, come m altro ragionamento
accennammo . In quanto poi alle aspirazioni degl Itali antichi, procedono
queste dall’orientalismo, che ridonda in ogni dove in Italia, e che vi fu
introdotto in tempi da noi oltremodo lontani da una colonia orientale,
coi primi elementi della civiltà, come pure asserimmo nel quarto di ave
Sti ragionamenti medesimi. Ma torniamo ai fulmini ed ai tuoni. Non occorre
citar qui i libri fatali degl’etruschi, ricordati da Livio, hi. V, nè i
fulgorali, e gli aruspici, dei quali j3 Etr. Mus . Chius. Tom.
J, Chi mai oserebbe di qualificare l’avvenimento qui espresso, non
vedendovisi che due militari pronti alle difese e alle offese, senza
ravvisarvi ne 1 inimico, ne oggetto veruno che sia motivo di questa loro
disposizione al combattimento? Ma siccome questa pittura è nel mezzo
d’una tazza, intorno alla quale sono altre figure giallastre, come
questa, in fondo nero, così tenteremo di trarre da quellequalche
argomento a cognizione di questa. Un corpo esanime steso al suolo,
presso cui stanno alcuni combattenti che ne scacciano altri in costume
diverso, mi richiama alla mente l’avvenimento del corpo di Patroclo,
contrastato fra i Greci e i Troiani,e finalmente ottenuto da quelli
coll’espulsione di questi. Non vi sono caratteristiche assolutamente variate
tra combattenti e combattenti, a dichiarar Greci gli uni, e Troiani gli
altri,ma pure la totale nudità dei primi li fa credere eroi,che la Grecia
rappresentar suole in tal guisa 2 ;mentre gli altri tre hanno in testa un
berretto: uso asiatico e particolarmente dei Frigi 3 .Hanno essi pure
nella clamide che indossano un segno d'abbigliamento, che raramente onon mai
trascurasi nelle figure asiatiche, per quanto io abbia nei monumenti antichi
osservato. L'uomo steso al suolo qual corpo morto, è altresì nudo del
tutto, e inconseguenza spettante ai Greci, cqme difatti era Patroclo il
caro amico di Achille, che fu ucciso in guerra da Ettore, secondo Omero l
. Probabilmente anche i due guerrieri dipinti nel mezzo della patera, e
che vedemmo nella tavola antecedente,son due Greci alla custodia e difesa del
corpo di Patroclo, ch'è dipinto nel fregio della tazza medesima. Infatti essi
vedonsi ARMATI, MA NUDI, giusta il costume greco eroico, siccome dicemmo. Qui
le figure son ridotte un terzo più piccole di quelle che vedonsi nella
tazza originale, ove sono di color giallastro in fondo nero.
Qualora mi si conceda esser probabile la interpetrazione dell’antecedente
rappresentanza della morte di PATROCLO, e del contrasto tra i Greci e i
Troiani, per ottenerne il cadavere, non mi sarà negata fiducia nella
supposizione eh'io son per proporre, che in questa pittura, la qual fa
seguito all’antecedente, vi siano espressi gli o- nori funebri che furon
resi dall’amico Achille a quell’estinto eroe, e particolari Galleria oraer.
Iliade, Voi. 11, Tavole cxcix, 3 loghirami, MoDum. etr. ser. 11, p. 45°-
cc, cci, ccn. - a
Plot., Vii. Alexand. I? disciplina de vecchi Sabini ( che erano
Etruschi ), di che non vi è stata mai veruna cosa piu incorrotta, e
veneranda. E dicendo che lo stesso Numa era dotto anche nei liti
peregrini, si deve intender qui di quelli di Samotracia, che erano i idrici, e
tri- sti dei Pelasghi, Tirreni, Etruschi ancor essi, come altrove dicemmo,
e lo abbiamo ripetuto pocanzi; E che i Romani riguardavano come
peregrini, perchè tali erano divenuti per loro, essendo in tempi da essi
lontani, passati dagli Etruschi ai Samotraci . La scienza dei quali
riti possedè Porsenna, e molto prima di lui anche Dardano, il quale
portossi in Samotracia pel solo oggetto di conferire con quei sacerdoti, e
per introdurre poi in Troia una religione del tutto ponforme a quella dei
suoi antenati, che era l Etnisca. E si noti, che il medesimo Livio, e
tutti gli antichi scrittori ci fanno sapere che il più volte nominalo
Numa Pompilio fu religiosissimo, e propagatore in Roma di ogni pia istituzione
; Ove non altro ei propagò certamente, che riti etruschi. Ed ecco
una erudita chiacchierata sulla scienza tonitruale, e fulguraria degli
Etruschi. La quale potrebbesi ancora condurre più a lungo, ed arricchire di più
altre peregrine notizie su questa recondita disciplina, se non fosse il già
detto più che abbastanza pel nostro scopo. Ma come e quando mai, e per
quale sovrumana potenza, andarono a mancare queste, e tante altre
superstizioni, stabilite, ed inveterate nel mondo, radicatissime nei
cuori degli uomini, e venerate, e temute in tutte le regioni della terra aliar
conosciute? In qual modo cessarono i terrori e la paura, onde avevano
saputo gli antichi sacerdoti, di concerto sempre cui Despoti, invadere
gli spiriti dei mortali, tenuti ognora da essi, a bello studio nella
cecità, nel timore e nella più profonda ignoranza con mille misteriose ambagi,
e con mille disperate minacce? Scomparvero tutte queste tenebre, e caddero
tutti questi arcani e portentosi ordigni, al comparire della luce Evangelica.
Al comparire di quella legge, t unica fra quante ne vide l'universo, che
introducesse la vera libertà, e la vera eguaglianza fra gli uomini. Al
comparire di quella legge in somma, che mette, davanti a Dio, a livello
del più temuto tiranno, e del più potente monarca, anche il più infimo del
popolo. In urna di marmo LI. : flnoai ; qflj J3 : M : 43
un. fm \iflj : miai : janavi : armo LIV. : iaruv/Hflm
; f\nn o Nell’orlo d’un vaso cinerario di terra cotta
LV, mtvfl Jtiat v/rji 9° È questo idoletto in piccolo, quello
che dissi esser l'altro, rappresentato più in grande, e con alquanta
varietà nelle Tavole XLIX, e LXVII di questa raccolta, essendo il presente di
grandezza simile al suo originale. Ma la di lui piccolezza, e 1 non esser
vuoto, non permette che si riconosca per un cinerario, sicché fu tenuto
soltanto pel nume che riceve, abbraccia e protegge gli estinti, che nati
dalla materia terrestre tornano dopo la morte in seno alla terra, o per
meglio dire alla natura mondiale, della quale Bacco era il nume tutelare.
E poiché mi si dice che piu d uno di tali idoletti si trovarono in uno
stesso sepolcro, da ciò argomento che speciale fu nel sepolto la
venerazione pel nume da questa immagine rappresentato. Si vede un fregio
in bassorilievo che ricorre in giro in un vaso dei consueti chiusini di terra
nera, e non v’è differenza in misura tra l’originale e la copia. Il significato
mi sembra lo stesso dei precedenti lavori di simil genere. Vedo ancor qui come
altrove la Chimera, e credo che l’oggetto sostenuto in mano dagli uomini sia,
come nei calendari egiziani, lo Scorpione sidereo. Aoterò di passaggio a tal
proposito che il famoso torso egiziano in basalto, che un tempo fu del card.
Borgia, pubblicato dal eh. Lenoir alla Tavola VI del forno [, num. g si
vede come qui una figura con Io Scorpione tenuto per la coda, e dietro a se v’è
parimente il leone con la coda che termina in un serpe, e con la Capra
sul dorso, nè spiegasi differentemente che pei segni delle celesti
costellazioni. Si vuol peraltro che nella Capra sopra del Leone si
ravvisi il trionfo del Capricorno sopra il Leone, e probabilmente i due
serpenti che nel nostro bassorilievo si manifestano, saranno quei che dominano
il cielo nel tempo dell'indicato trionfo. A tal proposito, gli astronomi osservano,
che mentre il Capricorno comparisce al nostro Zenith, la Vergine si
mostra sotto il segno dello Scorpione, o del domicilio di Marte 3 : e
difatti sì nel monumento chiusino, che nell'egiziano comparisce una
figura che ha in mano uno scorpione, se non che nell'egiziano si mostra
femminile quella figura, che qui per la sua nudità, par eh esser debba
maschile, ma ciò non si manifesta con sufficiente chiarezza. Che i cavalli
abbian luogo in simile rappresentanza relativamente ai Cavalli siderei, già me
n espressi altrove abbastanza,, ove mostrai principalmente essere il cavallo
sidereo un paranatellone del levare eliaco dello Scorpione J .Lettere di
etnisca erudizione. 1 Lenoir, Nouvelle explic. des hieroglyphes a ivi.
Tom.i, p. io4- % mente il giuoco del pugilato col cesto, che
Omero 1 * pone il secondo tra gli spettacoli dati in onore di Patroclo
nel di lui funerale. Nei vasi, che negli annali dell’istituto di
corrispondenza archeologica si dicono panatenaici, vedonsi a lato dei combattenti,
col cesto come qui, degli uomini coperti d'un manto con braccio scoperto, e
dall'in- terpetre attamente chiamati rabdofori 3, i quali assistendo a
quel giuoco hanno in mano una verga biforcata, similissima a questa dei
presenti i . Le due ultime nude figure una soccombente all’altra
prevalente, ancorché senza cesti alle mani, mostrano che i pittori aggiungevan
talvolta delle figure e dei gruppi a capriccio, ad oggetto d'empir lo
spazio che doveasi dipingere. Se però consultiamo i più moderni sentimenti
degli archeologi, troveremo-ammessa pure l’ipotesi, che una figura umana stesa
per terra presso alcuni combattenti, ascrivere si debba, unicamente ad alcuno
dei contrasti gimnici, senza ricorrere al particolare avvenimento di Patroclo
per isvilupparne il significato. Un sacerdote di BACCO ed una Menade con dei
vasi libatori formano il soggetto di questa pittura, e son frequentissimi
quanto altri mai nei vasi fittili dipinti, onde potremo giustamente ripetere
col Lanzi che di cento vasi tornati a luce, novanta contengono soggetti
bacchici. È singolare il tirso eh’ entrambe le figure sostengono, mentre
ha un'armilla che nei tirsi non è comune, ma nemmeno del tutto insolita, senza
che per altro s’intenda qual n'era l'oggetto. Nell’oscurità di questo
soggetto non altro saprei ravvisarvi che il celebre greco Capaneo estinto sotto
le mura di Tebe. Altrove pure narrai come questi van- tavasi che avrebbe
presa Tebe, volesse Giove o non volesse, ma provocati gli Dei con tali
bestemmie, ne accadde che mentre il primo dava la scalata, Giove non
lasciò compier l’impresa, e con un fulmine Io precipitò dalla scala e lo uccise
6 . Or io noto che qui si vede una scala squarciata dal fulmine, un uomo
rovesciato che dall’alto cade a terra, e dietro a lui le mura forse di Tebe, dove
stanno alla guardia militari tebani. Le altre figure si possono intendere
pel restante dell’esercito, eh’è spaventato, e stramazzato a terra per lo
spavento del fulmine. L'urna in marmo è cinque volte maggiore di questo
disegno. i Iliad. a Galleria omerica Iliade. 3 Voi. n,
p. 218. 4 Ivi, lav. xxi, io, 6. xxu, 8. 6. 5 Gerhard,
Annali dell’istituto di corrispondenza ardi. Monumenti etr. ser. i, Tav.,
e altrove, mentre altri sono come il presente eseguiti in forma di vasi
con capricciosi ornamenti, rivestiti per lo piu da fogliami, e con iscrizioni
latine, come pur qui si legge, indicando il nome di Lucio Aulo Carino. Io
stesso nella mia dimora in Chiusi vidi molti monumenti e rottami di essi, di
stile greco e romano e bellissimi. Nell’interno d’ una tazza
di terra verniciata in nero, si vedono queste due figure di color
giallastro; e sono, per quanto mi sembra, d'uno .stile perfettamente simile a
gran parte di quelle pitture monocromate dei vasi italo-greci. Vi si
rappresenta un suonatore con cetra e plettro, in atto di attendere dalla
Vittoria il premio del suo valore, e credo che ciò alluda ai pregi morali
dell’ani- ma, che negli estinti son premiati nella vita futura; e perciò
soggetti simili ed analoghi a questo si trovano frequentemente dipinti
nei monumenti che pone- vansi nei sepolcri, ma ora corrono altre
opinioni. Se aver vogliamo un esatto conto d’ogni figura eh’è in
quest’ urna di marino, il cui disegno qui è un ottava parte del suo originale,
non saprei se potessimo riescirvi con plausibile disimpegno. Ma se consideriamo
che gli artisti obbligati a trattare nelle opere loro un qualche mitologico
soggetto, eran poi costretti ad ornarne tutto lo spazio del marmo che formava
il primario lato dell’urna sepolcrale, ancorché il soggetto da loro
scelto non richiedesse tante figure, quante ne occorrevano ad ornare lo
spazio determinato, noi troveremo irreprensibile lo artista che abbonda
in figure, ancorché non richieste dal soggetto che tratta, come ne somministra
un esempio assai chiaro il bassorilievo di questa Tavola. Io vi ravviso
Ulisse in atto di adoprare il suo arco, il qual potea dalle sole sue mani esser
teso, ed uccide i proci di sua moglie Penelope, i quali dilapidavano le
di lui sostanze. Egli ha un berretto appuntato, eh’ è la consueta causia
che lo distingue come famoso viaggiatore del mare ’. Sta con un ginocchio
sull’ara, mostrandosi protetto dai numi 3 nella difficile impresa d’esterminare
egli solo coll'aiuto del figlio Telemaco i tanti suoi nemici. La colonnetta
sulla quale solevansi tener degli idoli domestici, mostra ch’egli è già
penetrato nell'interno della sua casa, mentre le colonne doriche vedute
nella parte opposta danno indizio che lo avvenimento accade nella sua
reggia. La forza ch’egli mostra di fare col braccio destro per tendere un
arco, fa ben ravvisare ch’ei solo poteva piegarlo a forza. i Inghirami,
Monum. etr. % Ved. Monum. etr. Qui si mostra nuovamente un
ago, o spillo crinale in oro di un lavoro delicatissimo, considerando che nel
suo capo segnato num. 1, della misura stessa di questo disegno, vi è il
lavoro che portato in grande, si vede al min. 2, il cui ornato è di
semplice bizzarrìa. Il monumento di numero 3 si rende assai singolare,
per essere una di quelle solite fermezze che in luogo d esser di bronzo, come
se ne trovano a centinaia, è doro, e rarissima. Si è creduto da taluno che
queste fermezze servissero a chiudere il cadavere nel lenzuolo d amianto
dove bruciavasi, ed in tal guisa è stata trovata ragionevole
l'indifferenza che tali fermezze siano in maggiore o minor numero in un
sepolcro; e se questo è, noi reputeremo più che altri opulente il morto
presso al quale è stata trovata questa fermezza d’oro. Il numero 4 è similmente
d’oro, e credesi frammento d'una collana . II pregio di questo monumento
consistendo principalmente nella iscrizione dalla quale è circondato,
così attenderemo di conoscerne 1 interpetrazione per opera del cultissimo
Vermiglioli che unitamente alle altre del Museo chiusino, ce le piepara per
darcele tutte di seguito in quest’ opera stessa. I Centauri, che
nel calendario del gentilesimo, servirono a notare il tempo d’autunno, in
cui celebravasi coi misteri la commemorazione dei morti -, hanno servito
altresì d'ornamento adattato alle lor cassette cinerarie, come qui si vede, figurandovi
uno di tali mostri che avendo rapita una delle donne invitate alle nozze
d’Ippodamia la difende dai Lapiti, che vogliono rivendicarla. II disegno
del vaso che qui presentasi la metà più piccolo del suo originale in marmo
statuario, ci fa sicuri che in Chiusi, dove stato trovato, fiorirono due
scuole assai diverse di scultura; funa etnisca, 1 altra romana, giacche si
trovano recipienti eseguiti per l’uso medesimo di riporre ceneri di umani
cadaveri, gli uni in forma quadrangolare a modo di cassetta, con
bassirilievi di figure e con etiu- sche iscrizioni, come ne abbiamo fatti
vedere in quest opera alle Tavole, 1 Inghiraroi, Mommi, etr. - Sa
mai v’ha luogo all’interpetrazione di queste due statuette di bronzo num,
i e 2, i cui disegni sono grandi quanto i loro originali, potrei avventurare
che 1 una di a. i fosse d’Apollo laureato in fronte e con tazza in mano,
comesi vede altrove nei vasi dipinti 'ri’altra n. 2. diMercurio
conpetasoin testa,sostenendo con la sinistra mano una sacca o borsa,ch’è
propria di questo nume, come tutelare del commercio. La corniola che qui
mostriamo al num. 3, ci fa istruiti quanto dagli antichi fosse apprezzato
il gruppo delle tre Grazie, che vediamo ripetuto in un modo medesimo in tanti
luoghi e in tanti tempi diversi. La dimensione della pietra è misurata
dall'ellisse num. Fu posto in ridicolo il Gori celebre antiquario di cose
etrusche, perchè fatti disegnare una quantità d’idoletti in bronzo che si
conservano nella R- Galleria di Firenze i * 3, pretese dare a tutti loro un
nome speciale, formandone una serie di etrusche divinità senza
rammentarsi che soggiogati gli Etruschi, signo reggiarono i Romani in questo
nostro paese, ove introdussero colle lor colonie artisti e culti sacri
tutti lor propri. Perch' io vada esente da simil taccia non mi costringa
l'osservatore a dare un nome all’idoletto di bronzo che i sig." editori
del Museo chiusino han posto al num. ì, 2 della Tavola C, che nel disegno
trasmessomi per la incisione trovo notato esser della grandezza medesima
dell'originale come pure l’altro di num. 3 .È grave danno per la scienza
antiquaria che dai collettori di antichi monumenti non facciasi caso nessuno
della maniera come questi si trovano sotterrati, dal che non pochi lumi
trar si potrebbero per la storia dell’arte, non men che dei riti sacri
presso gli antichi. N’è prova la figura che trovo disegnata al num. 3 di
questa Tav., mentre si scorge di un arcaico stile ben diverso da quello che
spetta alla figura superiore . Or se questi idoletti furon sepolti
promiscuamente fra loro in un sepolcro medesimo, potremo frale
supposizioni lecite ammettere che la figura di num. 3 sia eseguita ad
imitazione dell’ antico stile, e contemporaneamente all'altra modellata
certamente quando nell'arte era noto uno stile assai più perfetto . Dopo
varie mie riflessioni sul significato di queste donne che in piccol
bronzo trovansi frequenti negli scavi d’Etruria, restai perplesso nelle
due i Tishbein, Pittare de’ Vasi antichi posseduti dal cav.
Hamilton. Tom. i, Tav. 8, 9 .Visconti, Museo Pio dementino, Tav.
r. 3 Museum etr. exhiben» insigne veterum Etruscorum monumenta
aereis tabulis cc, edita et illustrata .4 Maffei, Osservazioni letter L
uomo già rovesciato per terra, che vedasi nel sinistro Iato dell’urna
rispetto al riguardante, fa conoscere già incorniciata la carnificina dei
proci. 11 giovine che vibra la bipenne sopra un armato può significar
Telemaco, il quale si presta in aiuto del padre alla strage di quei
malvagi. La Furia infernale tra le colonne della reggia attamente
manifesta il terrore di sì lugubre azione che scompiglia la casa reale
d’Ulisse.I due combattenti al sinistro fianco di quell’eroe son figure, a mio
credere, arbitrariamente dall'artista introdotte ad empire un vuoto che
restava senz’esse nel suo bassorilievo, come ho detto poc’anzi, ed anche in
occasione di spiegar la Tavola. Mi sia permesso di rimettere ad
altro miglior Edipo, ch’io non sono, d’in- terpetrare qual fosse l’intenzione
degli antichi Gentili nel rappresentare questo, come pure mill’ altri
idoletti di bronzo, che trovansi nello scoprire antichi sepolcri. Io posso dire
soltanto essermi noto che innumerabili erano gl’idoli dagli antichi
tenuti nei larari come dissi poc’anzi . Ma non so poi quel che significhino
gran parte di essi, come il presente, nè per quali superstizioni passassero nei
sepolcri, qualora non sieno stati considerati che per semplici bronzi atti a
dissipare i maleficii 2 . L’Arpocrate fanciullo inetto e silente, perchè
non compiutamente ben formato, significativo del sole ibernale, è il soggetto
che in questa piccola statuetta uguale al suo originale in bronzo si
rappresenta. Fu antichissimo in Egitto, e ne conserva nel fior di loto,
che ha in capo, il segnale, ma introdotto a’tempi de’To- lomei fra i
Greci e fra i Romani formossene una divinità pantea 3 con forme non
altrimenti egiziane, fingendolo un Amore, perchè da questi nasce lo
sviluppo della natura produttrice, per cui gli posero in mano il corno
dell’abbondanza che attender dobbiamo dallo sviluppo del calor solare,
passato il tempo d’inverno. Il vasetto di terra cotta è parimente
rappresentato di misura uguale al suo originale, ed è dipinto a figure
nericcie con fondo giallastro pendente al bianco, o piuttosto d’un bianco
abbagliato, ed è d’un genere che gli archeologi convengono di nominare maniera
egiziana 4, sì perchè vi si vedono strane figure sul gusto di quella
nazione, e sì ancora perchè in Egitto si trovan similissimi a questi. Ved.
la Tavola uxi. a Monum. etr. 3 Iablonski Pantheon
Aegyptior. lib. u, cap. vi, Etr. Mus. Chius. Gerhard, Annali dell
istituto di corrispondenza archeologica voi. in, anno i 83 i, p.
i4> *4 orecchi, piedi e coda di cavallo, con busto virile:
aggregato non comune in Sìmili fantastiche figure, delle quali ebbi luogo
di trattare estesamente altrove, dandole per simboli autunnali II vaso
che ha in mano quel mostro non è che un emblema di più per indicare la
stagione d’autunno, allorquando s’empiono tali olle di vino. La donna che
gli è dappresso è una Tiade seguace di Bacco. II perchè poi la unione di
queste due figure significasse il passaggio della razza umana dalla vita rozza
e disordinata, alla virtuosa e civile per opera di Bacco e dei suoi misteri,
è argomento sul quale scrissi altrove abbastanza per darne il conveniente
sviluppo a . Delle due figure, che qui sotto al num. 2 si vedono
riportate nella misura di un quarto più piccole dell'originale, dipinte
nella parte opposta di questo vaso, non saprei indovinarne il
significato, tranne il supposto d'un’armatura da un giovane ottenuta nel
passaggio all’ età virile i . Il disegno del vaso è ridotto alla
grandezza di un quarto del suo originale, Questo mistico specchio non può
spiegarsi che mediante l'osservazione di molti altri, nequali per
ordinario si trovano insieme dei numi o eroi di opposta natura o potenza.
Spesso vi sono espressi Dioscuri, la cui consueta combinazione fu da me
assai esaminata in altre mie carte, ov’io li mostrava in sostanza 4 espressivi
di due contrarie potenze, le quali concorrevano, secondo i Gentili alla
formazione e conservazione del mondo 5 . Qui pure è Teti e Giunone
perpetuamente nemiche fra loro, di che ho pure altrove ragionato 6 . Che la
donna seduta sulla pistrice sia Teti lo mostra chiaro un frammento d una
tazza etrusca, dove la figura medesima ivi dipinta ne porta il nome scritto.
Che la donna opposta sia Giunone lo prova Io scettro che impugna.
tavola cv. Il manico doppio di bronzo qui espresso nella grandezza del
suo originale num. 1 mostrasi attaccato da un lato ad una testa femminile
di nessuna significazione, e dall altra ad una maschera scenica virile,
nel che manifestasi quanto fossero vaghi gli Antichi di variare
ornamenti, giacché non altro che il capriccio può a\erli dettati, come
qui li mostriamo, per ornarne un vaso di bronzo. Possiamo frattanto tener
per sicuro che gli artisti di Chiusi non furono di meno elevato genio
degli ercolauesi nell’eseguir le opere loro metalliche. Del bronzo in figura di
maschera di cui vedu qui il disegno n. 2, nulla so dire ad istruzione di chi
l’osserva. 4 Monumenti etr., ser. 11. 5 Plutatc. de Iside et Osir. in
prineip. 6 Galleria omer. voi.
1, tav. xxxix. opinioni o di assegnar loro il nome di Speranza o quel di
Giunone, invocata dal femminil sesso in loro tutela. Ma chi non sa che la
Speranza, e la Fortuna, ossia la fiducia di migliorar sorte nel mondo, era
l’oggetto primario del culto gentilesco d’Italia? 5 Il bassorilievo della
Tavola presente è un’urna di marmo due terzi maggio- giore di questo
disegno. Qui, a parer mio, si rappresentano i due strettissimi amici
Oreste e Pilade nel pericoloso momento d’essere a Diana immolati, per
l'uso barbaro ordinato da Toante in Tauri, che li stranieri a quel lido
approdati dovevano essere immolati a Diana tutelare del luogo <. Varie
tragedie si scrisse- sero dagli antichi su questo soggetto, taluna forse
delle quali dichiarava Oreste d’età più avanzata che Pilade, o l’età di
questo più avanzata di quella dell’altro, e perciò Pilade più prudente,
per cui cred’io, qui è l’uno imberbe, l'altro, barbato. Le donne che vi
si vedono sono le sacerdotesse di Diana, che vicine al di lei altare stanno
con i coltelli pronte ad immolare li sconosciuti stranieri. Le teste
umane posate sull’ara medesima vi son per indizio della consuetudine di
quel barbaro sacrifizio. Per simil modo vedonsi tali teste pendenti ad un
albero presso l’altare di Diana, ove pure Oreste e Pilade son condotti al
crudo supplizio in un sarcofago del palazzo Accoramboni di Roma, e recato
in luce dal Winkelmann . Questa Pallade in bronzo della gradezza
dell’originale è come ognun vede, d’un gusto squisito. Nè vorremo negare,
che sia di toscanica officina, giacché è trovata a Chiusi, quantunque lo stile
dell’arte ivi usato direbbesi comunemente greco, o del buon tempo romano. Oltre
di che possiamo additar quest’idolo col generico nome di Lare, vale a dire un
di quei che i Gentili tenevan chiusi per loro devozione in alcuni armadi
delle lor case col nome di larari. E dicevansi anche patellari, come
Plauto li appella 6, perchè avevano, come il presente, e come altri riportati
in quest’Opera i, piccole patere in mano, in segno di domandare ai devoti le
prescritte libazioni agli Dei. Riconosco per un satiro il mostro dipinto
nel vaso num. i, perchè vi si vedono Antichi momim. inedit. 6 PJautoap.
Inghirami Monum etr. ser. il. Plinio. Nat. Hist. Ved. Tavv. un, lxx.
4 Euripide, Ifigenia in Tauri nell’argoin. greco. L opposto
lato del vaso che porta l'antecedente pittura ha similmente dipinte quattro
figure ammantate, insegno, secondo alcuni 1, di precettato silenzio, come
sembra che non ricusi di ammettere modernamente uno de’ più attenti ed
eruditi interpetri di tali stoviglie, 3 o secondo altri della palestra e del
bagno, e gli ultimi che ne scrissero, notarono in tal circostanza, che
riguardo ai bagni è assai più comune il vedere i loro utensili posti per
dare indizio della palestra, che il trovar particolari espressioni della
loro struttura. Quindi argomenta che i giovani avviluppati nel manto e forniti
degli arnesi atti al bagno si mostrino di là partirne onde recarsi alla
palestra. Io peraltro che soglio dare al significato di tali pitture
maggiore importanza, mentre le vedo sì ripetute da tutto il paganesimo, dove fu
in uso il seppellir vasi coi morti-senza neppure distruggere l'opinione
modernamente invalsa, che significhino esse unicamente il passaggio dei
giovani dai bagno alla palestra, proporrei altresì l’opinione, a parer mio non
re- pugnante, che il vedersi in mano degli efebi gli strigili che
usavansi a purgar la cute da ogni sozzura dopo il bagno, denotasse l’uso
delle virtù catartiche, mediante le quali veniva un’ anima virtuosa a purgarsi
d’ogni viziosa impurità, e farsi degna della celeste beatitudine. Erano infatti
virtù somiglianti insinuate nei ginnasi dai precettori, che in segno di
loro autorità non meno che della disciplina dottrinale che da lor comunicavasi
agl’iniziati, e del silenzio che loro impo- nevasi circa i precetti
religiosi dati colla massima segretezza, tennero, come qui, un bastone in
mano. Io dunque vedo nel vaso in complesso, l’immagine della beatitudine in
quel convito eh'è daH’anterior parte di esso già esposta antecedentemente, e la
occulta e misteriosa via di conseguirla nel significato degli strigili
che hanno in mano i giovani qui espressi davanti ai loro precettori, e
inistagoghi. Leggo nel disegno di questa incisione mandatami da Chiusi esser le
figure, rosse in fondo nero la metà dell’originale. Ho il piacere
di dar termine alla prima parte di quest’opera sul Museo chiusino, con un
monumento de'più interessanti che vi siano stati esibiti, sì per la
perfezione del suo disegno, come anche per l’epigrafi, dalle quali vanno
indicate le figure di deità che vi si contengono. Quest’ultima qualità
che rende il monumento assai pregevole alla considerazione degli eruditi,
voglio dire 1’essere 3 Ivi, e Gerhard Rapporto intorno ai Vasi Voi-
centi. Sta negli Annali dell’ istituto di corri» spondenza archeologica,
voi. m, anno i83i r primo fascicolo, Monumenti, Gerhard, Monum. etr. ser.
Fin ora sanasi detto esser qui
rappresentata un agape o cena funebre, colla quale si terminavano gli estremi
onori che rendevansi agli estinti qualificati, ed a così giudicare ne
moveva per ordinario il trovar vasi con tali pitture vicini sempre ai cadaveri ‘.Per
simile analogia solevasi dire ancora esser quel convito, accompagnato da
piacevole melodia, una immagine del godimento riserbato alle anime virtuose
negli Elisi dopo la morte, come promettevasi agli iniziati nei misteri
del paganesimo a . Ma nel momento attuale corre opinione che non altro in
pitture tali debbasi ravvisare, se non che domestiche mense ed allegrezza
sociale, senza frammischiarne l'allusione a varun culto religioso. Rifletto
peraltro che sfio spiego nel metodo primitivo, cioè l'allegorico, la mensa
priva di commestibili, posso ripeter, come dissi altrove, non esser
l’anima suscettibile di pascolo materiale, essendo la sola mensa un
sufficiente segnale del godimento. Se il pittore ebbe in animo di
rappresentarci con questa pittura non altro che una domestica cena, dirò
che la composizione resta incompleta per mancanza dei cibi,
indispensabili ad effettuare l’azione del mangiare. Spiegai altrove
simbolicamente anche Patto, come è qui, ripetutissimo in altre pitture, di una
tazza sostenuta da un commensale cori un sol dito 5, ove dissi che a
tenore d’ una dottrina platonica le anime che debbono scendere in questa
terra si trovano in uno stato il più leggero possibile, e quindi situate nella
più elevata parte del mondo; e conchiusi esserla tazza del recombente
significativa del recipiente del nettare per uso de'numi alzata da lui per
simbolo del- Panima sì per la sua elevatezza, e sì ancora per la
leggerezza che mostra uel- l’esser sostenuta con un dito 6 . E qui mi
giova il notare altresì che nessuno dei tre recombenti mostra di bere
alle tazze da loro sostenute, nè v’ è alcun vaso da cui rilevisi essere state
empite onde bere . Non ostante anche le moderne opinioni hanno tal peso che
meritano considerazione, ed io mi son fatto un pregio di esporle qui non
volendomi caricare del giudizio sulla preferenza delle une sulle altre.
Leggo nel disegno di questa incisione mandatomi da Chiusi essere la metà de!
suo originale, e le figure di colordi rosa. Vermiglio!!, Lezioni elementari
di archeologia, Monum. etruschi Monum etruschi, ser. v, 3 Annali
dell istituto di corrispondenza archeol. Voi. ili, anno i 83 i,
Gerhard, Monumenti Rapporto intorno i vasi volcenti, p. 5y. Politi,
descrizione di due vasi fittili greco siculi agrigentini i 83 r. Ved,
bullettaio dell’istituto di corrispondenza archeol. Monumenti etruschi.
ò Milli», Peintur. de \ases ant. tot». 11. PI. Monumenti etr. W"
.;.;;Y ; ' Iv i;. 1 1-i. 1. i -li • ir -':i [!T V C R flS i K
R 11 B j, -* • ‘ * r ' :A f
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v •; r. f- M 5 !,$ 1 C V 5 V V* . c se ? n 11 a
. Egè ri) ' Z > • 'i:- ai scritto, mi costringe a tenermi in assai
ristretti limiti nel ragionarne, poiché i nientissimi sigg. TÌ editori di
quest'opera destinarono con savissima sceltala illustrazione della parte
epigrafica di tali monumenti al prof. Vermiglioli espertissimo quanto altri mai
di sì difficile scienza. A sodisfar dunque soltanto la sollecita
curiosità di chi osserva il monumento qui esposto mi permetto di accennar
di volo, esser questo uno specchio mistico di que’tanti che trovatisi storiati
nei sepolcri d’Etruria, e solamente lisci in quei della Magna-Greeia, ed
in esso esservi quattro figure di deità cioè la Parca, Apollo,
Venereletea o libitina, e Giunone; e presso le indicate persone i nomi loro
scritti in etrusco. /3DIVM moiran nome della Parca ripetuto in altri di questi
manubriati dischi 1 . V4-1/3 Aplun nome chiarissimo d’Apollo, ed altresì
ripetuto io vari specchi etruschi 3 . HVT34 Letun Venere letea o libitinia,
o Proserpina, che il Gerhard ha così bene illustrata per una Dea
infernale, non distinta però dalla luna 3, per cui cred’io qui si vede connessa
in amplesso con Apollo considerato come il sole. Ecco dunque per la prima volta
incontrato negli specchi mistici il nome di quella donna che sì
ripetutamente vi si vede rappresentata, e che per Venere libitina azzardai
nominarla tal volta anche prima della presente ed importante scoperta 4. In
fine AH 4/3 0 Talna eh’è nome altresì ripetuto nei mistici dischi, e che
io sostenni con lungo ragionamento esser significativo di Giunone 5 quantunque
disgiunta dai consueti simboli di questa Dea, mentre qui ha lo scettro che la
•fanno indubitatamente conoscere per la regina degli Dei unitamente con
Giove che n’era il supremo loro imperante. Ma una più sodisfacente
interpetrazione dell'etrusche parole qui riferite debbesi attendere
dall’erudito Vermiglio]/', al quale, come io dissi disopra, è
destinata. In urna figulina i flit a a = flnflo )
f\XF\Y\M LVH. AlAtlqAD : 1SUfflM : lOqfld In urna
figulina lviii. CO -A l#q vn : im :
fìURO M : VfflDt : r Ì :
VA LX V-ÌV# : VD flitmao i Monumenti
etruschi s a -Gerhard, Venere
Proserpina illustrata, Nuora collezione d’opuscoli e notizie di
scenze, lettere ed arti, pubb. dal cav. Fr. Inghirami, 4 Monum.
etr. <a, , e Sol. làaBaHBBsasaasa
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Musonio (Bolsena) G. MUSONIO RUFO C. Musonio Rufo esercita un forte
influsso sui contemporanei. Di famiglia equestre dell’etrusca Volsini
(Bolsena) suscita per la sua fama di filosofo l’invidia di Nerone. C.
MUSONIO RUFO segue Rubellio Plauto nell'Asia Minore e lo incoraggia a
togliersi la vita quando Nerone lo condanna a morte. Ritorna a Roma, dove
e bandito insieme con Cornuto in occasione della congiura
di Pisone e confinato nell’isola di Gyaros nelle Cicladi, ove per la
sua rinomanza attira uditori da ogni parte.Verosimilmente richiamato a Roma
da GALBA, negli ultimi giorni di Vitellio si une ad una ambasceria del
Senato presso Antonio Primo per perorare la causa della pace fra i suoi
soldati, ma senza successo.Quando VESPASIANO assunse il potere, C. Musonio Rufo
accusa davanti al Senato P. Egnazio Celere, quale delatore e falso testimonio
nel processo di Borea Sorano. Vespasiano lo escluse dalla prima espulsione dei
filosofi da Roma, ma poi lo esiliò per la seconda volta ; però Tito, che
già lo aveva conosciuto, lo richiamò dopo la sua assunzione al trono. In
seguito mancano notizie su di lui, ma da una lettera di PLINIO (si veda) il
Giovane sembra che non fosse più in vita. Non risulta che abbia composto e
pubblicato seritti, anzi sembra che si sia servito soltanto dell’insegnamento
orale, del quale, però, rimangono frammenti abbastanza numerosi. Essi
comprendono : 19 brevi apoftegmi conservati da Plutarco, da Aulo Gellio e dallo
Stobeo ; 2° altri apoftegmi e trattazioni filosofiche relaivamente ampie
raccolti da Epitteto nelsuo insegnamen-È e trasmessi i primi da Arriano, le
seconde dallo Stobeo ; 3° esposizioni o lezioni che si trovano nello Stobeo o
costituiscono la parte più estesa dei frammenti. È verosimile che provengano da
uno scritto di quel Lucio che si è già ricordato e che si deve ritenere la
fonte più importante dello Stobeo ; un’altra è Epitteto, cioè Arriano. Sembra
che un Pollione (probabilmente Valerio Pollione da Alessandria, vissuto sotto
Adriano) abbia composto Memorabili di Musonio, ma non ne restano tracce. È
giudicata falsa una lettera di Musonio a un certo Paneratide. Le concordanze
che si sono osservate tra i frammenti di Musonio e il Pedagogo di Clemente di
Alessandria hanno fatto pensare o alla dipendenza di questo da uno seritto di
Lucio o alla derivazione di ambedue da una fonte più antica. Della forte azione
di Musonio sui contemporanei sono prova i suoi numerosi scolari, tra i quali si
ricordano (oltre al genero Artemidoro, amico e maestro di Plinio il Giovane), i
filosofi Epitteto, Dione di Prusa, Eufrate di Tiro e il suo scolaro Timocerate
di Eraclea, e insigni romani, come Rubellio Plauto, forse Borea Sorano e
Minicio Fundano, Musonio si avvicina ai cinici nell’assegnare alla filosofia
finalità radicalmente etico-pratiche, accetta spunti dell’ascetismo neo-pitagorico,
ma nel complesso dipende dallo Stoicismo con influssi posidoniani. Nel sno
insegnamento non trascurò le esercitazioni logiche e i frammenti toccano
argomenti di fisica, ma ciò che vi è detto degli Dei, designati con le
denominazioni della religione tradizionale, non supera la sfera del pensiero
comune e non ha carattere filosofico determinato : invece riporta allo
Stoicismo l'affermazione della necessità universale, che equivale alla teoria
del fato. Però l'interesse di Musonio si concentra sulla funzione pratica della
filosofia, che è assolutamente necessaria in quanto (secondo la tesi introdotta
dai cinici nel I secolo a. C. e poi generalmente accettata) gli uomini sono
malati che richiedono una cura continua la quale dev'essere prestata dalla filosofia,
che perciò è necessaria a tutti, alle donne non meno che agli uomini : essa
però è identificata alla ricerca e alla realizzazione della virtù, per
conseguire la quale non vi è necessità di molti discorsi, nè di molte teorie ;
inoltre, in essa l'esercizio ha maggiore importanza dell’insegnamento o del
discorso. Siccome la natura ha posto in ogni uomo i germi della virtù, se il
discepolo non è stato corrotto, una breve dimostrazione è sufficiente per
fargli riconoscere i principi etici giusti. Ciò che soprattutto importa è
che maestro e discepolo uniformino la loro condotta ai propri principi. Si
comprende che Musonio si interessasse in primo luogo della formazione etica
degli scolari. Nell’insieme, la morale di Musonio si conforma alle
dottrine tradizionali della sua scuola. Occorre distinguere ciò che è e ciò che
non è in nostro potere: ora da noi dipende soltanto l’uso delle
rappresentazioni, cioè l'assenso dato alle opinioni sul bene e sul male, dalle
quali è determinata la giusta valutazione delle cose e quindi l'intenzione
quale atteggiamento interiore della volontà; in essa, se è retta, consiste la
libertà, la virtù, la felicità. Tutto il resto non dipende da noi e perciò
rispetto ad esso, ossia alle cose esterne, dobbiamo rimetterci all’ordine necessario
dell'universo e aecettare volentieri ciò che arreca. Soltanto la virtù è bene,
soltanto la malvagità è male e ogni altra cosa è indifferente. Però, per
rafforzare la volontà, Musonio ‘ riteneva necessario, oltre l'insegnamento e
l’esercizio morale, anche l’indurimento fisico, perchè, essendo il corpo uno
strumento indispensabile dell’anima, occorre rafforzare ambedue. In generale
raccomanda, avvicinandosi al Cinismo, la vita semplice e conforme
alla natura e accoglie dal Neo-Pitagorismo il divieto dei cibi carnei.
Oltrepassando le opinioni di molti stoici antichi, esige una vita morale
severissima, raccomanda il matrimonio, condanna la limitazione delle nascite e
l’esposizione dei figli. Nell'insieme, i frammenti di Musonio rivelano un’anima
nobile e retta, appassionata per il bene e guidata dal desiderio di educare gli
spiriti, ma a queste doti non corrisponde il valore scientifico degli
insegnamenti, perchè i suoi pensieri sono molto mediocri e privi di originalità
; inoltre non si può trovare nelle sue parole l’espressione di una visione
della vita vi- brante di dolore e di amore simile a quella di
Seneca. aio Musonio Rufo. Gaio Musonio Rufo (Volsinii) è un filosofo
romano. Frammento di papiro (P. Harr. I 1, Col.), con parte di una
diatribe. Sulla vita di Gaio Musonio Rufo, stoico, si posseggono poche notizie
certe. È noto che nacque a Volsinii, corrispondente all'odierna Bolsena, in
Etruria, che fu cavaliere. Il ‘præ-nomen’ Gaio lo conosciamo solo attraverso
Plinio il minore che ci fornisce anche un’altra notizia su una sua figlia
(presumibilmente chiamata Musonia, secondo l’uso romano), sposata ad
Artemidoro, al quale Plinio presta aiuto anche per stima e affetto nei
confronti del suocero. Sappiamo dalla voce “Mousonios” della Suda che Musonio e
figlio di Capitone ma non abbiamo altre notizie sulla sua famiglia, che era
comunque di origine etrusca. In effetti, il nomen “Musonius” denotare la gens,
e viene indicato da alcuni studiosi della lingua etrusca come forma latina di
un gentilizio etrusco “Musu,” “Muśu-nia.”. E capo a Roma di un circolo o
gregge filosofico e si dedica anche alla politica, con idee abbastanza
tradizionali e moderate. Fa parte del gruppo creatosi intorno a Rubellio
Plauto, un discendente della famiglia Giulia. Quando Rubellio Plauto e
allontanato da Roma in via precauzionale da Nerone, Musonio lo segue in Asia.
Due anni dopo giunge l'ordine del principe di eliminare Rubellio Plauto.
Musonio ritorna a Roma, ma, in
concomitanza della congiura di Pisone, e mandato in esilio, in quanto allievo
di Seneca, nell'isola di Gyaros, inospitale e rocciosa nel Mar Egeo.
Indicativi della sua integrità morale e della sua coerenza sono altri due
momenti della sua vita, entrambi riportati da Tacito nelle Storie. Dopo
essere ritornato dall’esilio, forse grazie a GALBA, con il quale sembra fosse
in amicizia, nella fase finale della guerra civile seguita alla morte di
Nerone, Musonio si rese protagonista di un primo episodio significativo,
rivelatore della sua generosa attitudine a mettere in pratica i principi morali
e gli ideali di pace che insegna. In una Roma che era teatro di violenti
scontri tra le fazioni avverse, il filosofo di Volsinii si impegna a svolgere
un’improbabile opera di pacificazione. “S’era mescolato agli ambasciatori
Musonio Rufo, di ordine equestre, zelante filosofo e seguace dei precetti dello
stoicismo, ed in mezzo ai manipoli prendeva ad ammonire gli uomini armati con
le sue disquisizioni sui beni della pace e sui mali casi della guerra. Ciò fu
per molti motivo di scherno; per la maggioranza, di fastidio. E non mancava chi
l’avrebbe spinto via o l’avrebbe calpestato, se, dietro consiglio dei più
equilibrati e fra le minacce di altri, non avesse deposto la sua inopportuna
esposizione di saggezza.” Il secondo episodio, ci presenta Musonio Rufo
impegnato nella riabilitazione della memoria dell’amico Barea Sorano, che era
stato sottoposto a processo e condannato a morte insieme alla figlia Servilia e
a Trasea Peto. Contro di lui era stata resa una falsa testimonianza da parte
del suo stesso maestro, Publio Egnazio Celere, anche lui appartenente alla
corrente stoica. Musonio, che pure nei suoi insegnamenti si dichiarava
contrario ad intentare cause per difendere se stesso dalle offese ricevute, in
questo caso non esita ad accusare in Senato il traditore per difendere la
memoria dell’amico condannato ingiustamente. Come scrive Tacito: “Allora
Musonio Rufo attacca Publio Celere, accusandolo di aver attaccato Barea Sorano
con una falsa testimonianza. Evidentemente con quell’accusa si rinnovavano gli
odii delle delazioni. Ma l’accusato, vile e colpevole, non poteva essere
difeso. Di Sorano e santa la memoria. Celere, che fa professione di sapienza,
testimoniando contro Barea, ha tradito e violato l’amicizia.” Musonio porta
avanti con tenacia il suo impegno, che e coronato da successo. “Fu deciso
allora di ri-aprire il processo tra Musonio Rufo e Publio Celere: Publio venne
condannato ed ai mani di Sorano e resa soddisfazione. Quel giorno, che si
distinse per la severità dei magistrati, non manca nemmeno di elogi ad un
cittadino privato. Si era, infatti, del parere che Musonio avesse agito con
giustizia in tribunale. Opinione ben diversa si ha di Demetrio, seguace della
scuola cinica, in quanto aveva difeso, più per ambizione che con onore, un reo
manifesto. Quanto a Publio, non ebbe né animo, né eloquenza sufficienti in quel
frangente.» Più tardi Musonio riusce a guadagnarsi la stima di VESPASIANO
evitando la cacciata dei filosofi. Ci e però un secondo esilio e, dopo il suo
rientro a Roma, voluto da TITO, le fonti tacciono. Potrebbe essere stato
espulso da Roma, assieme agli altri filosofi, a causa di un senatoconsulto
sollecitato da DOMIZIANO, che fa uccidere Aruleno Rustico e cacciare Epitteto e
altri. Da un'epistola di Plinio minore si apprende che egli non era più in
vita. Si proclama suo discendente il poeta Postumio Rufio Festo Avienio.
Probabilmente in modo volontario, sull'esempio di Socrate o Grice e come fa
anche il discepolo Epitteto, non lascia nulla di scritto. I principi della sua
predicazione filosofica si ricavano da una raccolta di diatribe dovuta a un
discepolo di nome Lucio, di cui 21 ampi estratti sono conservati nell'Antologia
di Stobeo. Essi sono intitolati: “Che non è necessario fornire molte prove per
un problema” “Su chi nasce con un'inclinazione verso la virtù” “Che anche le
donne dovrebbero studiare filosofia” “Se le figlie debbano ricevere la stessa
educazione dei figli maschi” “Se è più efficace la teoria o la pratica” “Sul
praticare la filosofia” “Che si dovrebbero disprezzare le difficoltà” “Che
anche un principe deve studiare filosofia” “Che l'esilio non è un male” “Il
filosofo perseguirà qualcuno per lesioni personali?” “Quali mezzi di
sostentamento sono appropriati per un filosofo?” “Sull'indulgenza sessuale” “Qual
è il fine principale del matrimonio. Il matrimonio è un ostacolo per la ricerca
della filosofia. Ogni bambino che nasce dovrebbe essere allevato. Bisogna
obbedire ai propri genitori in tutte le circostanze. Qual è il miglior viatico
per la vecchiaia?” “Sul cibo” “Su vestiti e riparo” “Sugli arredi” “Sul taglio
dei capelli”. Lo stile delle diatribe è semplice. In genere viene posta una
questione iniziale, poi sviluppata con chiarezza durante il testo, spesso
costruito in modo figurato, usando metafore e similitudini (spesso sfrutta il
paragone con il medico, alcune volte intervengono immagini di animali). Questa
caratteristica si adatta bene alla sua personalità e al suo tipo di
insegnamento, tutto rivolto alla schiettezza della vita. Ci restano, inoltre,
frammenti minori, spesso in forma di apoftegma. A parte quelli sempre di Stobeo
(in numero di 14), due frammenti conservati da Plutarco sono brevi aneddoti che
potrebbero essere definiti come "detti celebri", mentre tre brani di
Aulo Gellio conservano detti memorabili ed un quarto è lungo abbastanza da
rappresentare la sintesi di un intero discorso. C'è, poi, un aneddoto in Elio
Aristide ed Epitteto ne racconta una mezza dozzina (11, per la precisione).
Restano, inoltre, due epistole, concordemente ritenute spurie. Musonio
rappresenta, con Epitteto, il principe Marc’Aurelio Antonino e Seneca, uno dei
quattro esponenti più significativi del portico romano del principato. Egli, se
per certi versi corrisponde appieno alle istanze propugnate dalla temperie spirituale
del suo tempo, per altri si distingue e mette in luce, soprattutto per il
recupero radicale e profondo di una filosofia intesa come arte del vivere bene
e onestamente, cioè mezzo per conseguire uno scopo riscontrabile nei
fatti. Il ruolo della filosofia Egli crede che la filosofia (stoica)
fosse la cosa più utile, in quanto ci persuade che né la vita, né la ricchezza,
né il piacere sono un bene, e che né la morte, né la povertà, né il dolore sono
un male; quindi questi ultimi non sono da temere. La virtù è l'unico bene,
perché da sola ci impedisce di commettere errori nella vita. Del resto, sembra
che solo il filosofo si occupi di studio della virtù. La persona che afferma di
studiare filosofia deve praticarla più diligentemente di chi studia medicina o
qualche altra attività, perché la filosofia è più importante e più difficile da
comprendere di qualsiasi altra occupazione. Questo perché, a differenza di
altre abilità, le persone che studiano filosofia sono state corrotte nella loro
anima da vizi e abitudini sconsiderate, imparando cose contrarie a ciò che
impareranno in filosofia. Ma il filosofo non studia la virtù soltanto come
conoscenza teorica. Piuttosto, Musonio insiste sul fatto che la pratica è più
importante della teoria, poiché la pratica ci porta all’azione in modo più
efficace della teoria. Sostene che sebbene tutti siano naturalmente disposti a
vivere senza errori e abbiano la capacità di essere virtuosi, non ci si può
aspettare che qualcuno che non abbia effettivamente imparato l'abilità di
vivere virtuosamente viva senza errori più di qualcuno che non è un medico
esperto, un musicista, studioso, timoniere o atleta ci si poteva aspettare che
praticassero quelle abilità senza errori. In una delle sue diatribe, si
racconta il consiglio che offrì a un re in visita, dicendogli che deve
proteggere e aiutare i suoi sudditi, quindi sapere cosa è buono o cattivo,
utile o dannoso, utile o inutile per le persone. Ma diagnosticare queste cose è
proprio il compito del filosofo. Poiché un re deve anche sapere cos'è la
giustizia e prendere decisioni giuste, il principe studia filosofia, anche per
possedere autocontrollo, frugalità, modestia, coraggio, saggezza, magnanimità,
capacità di prevalere nel parlare sugli altri, capacità di sopportare il dolore
e deve essere privo di errori. La filosofia, sosteneva Musonio, è l'unica
disciplina che fornisce tutte queste virtù. Per dimostrare la sua gratitudine
il re gli offrì tutto ciò che desiderava, al che il filosofo chiese solo che il
re aderisse ai principi stabiliti. Musonio sosteneva che, poiché l'essere
umano è fatto di corpo e anima, dovremmo allenarli entrambi, ma quest'ultima
richiede maggiore attenzione. Questo duplice metodo richiede l’abituarsi al
freddo, al caldo, alla sete, alla fame, alla scarsità di cibo, a un letto duro,
all’astensione dai piaceri e alla sopportazione dei dolori. Questo metodo
rafforza il corpo, lo abitua alla sofferenza e lo rende idoneo ad ogni compito.
Crede che l'anima fosse rafforzata in modo simile sviluppando il coraggio attraverso
la sopportazione delle difficoltà e rendendola autocontrollata astenendosi dai
piaceri. Musonio insisteva sul fatto che l'esilio, la povertà, le lesioni
fisiche e la morte non sono mali e un filosofo deve disprezzare tutte queste
cose. Un filosofo considera l'essere picchiato, deriso o sputato come né
dannoso né vergognoso e quindi non avrebbe mai litigato contro nessuno per tali
atti, secondo Musonio. L'opposizione di Musonio alla vita lussuosa si estendeva
alle sue opinioni sul sesso. Pensa che gli uomini che vivono nel lusso
desiderano un'ampia varietà di esperienze sessuali, sia legittime che
illegittime, sia con donne che con uomini. Osserva che a volte gl’uomini
licenziosi perseguono una serie di partner sessuali maschili. A volte diventano
insoddisfatte dei partner sessuali maschili disponibili e scelgono di
perseguire coloro che sono difficili da ottenere. Musonio condanna tutti questi
atti sessuali ricreativi. Insiste sul fatto che solo gli atti sessuali
finalizzati alla procreazione all’interno del matrimonio sono giusti. Denuncia
l'adulterio come illegale e illegittimo. Giudica i rapporti omosessuali un
oltraggio contro natura. Sosteneva che chiunque sia sopraffatto dal piacere
vergognoso è vile nella sua mancanza di autocontrollo. Musonio difende
l'agricoltura come un'occupazione adatta per un filosofo e nessun ostacolo
all'apprendimento o all'insegnamento di lezioni essenziali. Gli insegnamenti
esistenti di Musonio sottolineano l'importanza delle pratiche quotidiane. Ad
esempio, ha sottolineato che ciò che si mangia ha conseguenze significative.
Crede che padroneggiare il proprio appetito per il cibo e le bevande fosse la
base dell'autocontrollo, una virtù vitale. Sostene che lo scopo del cibo è
nutrire e rafforzare il corpo e sostenere la vita, non fornire piacere.
Digerire il cibo non ci dà alcun piacere, ragiona, e il tempo impiegato a
digerire il cibo supera di gran lunga il tempo impiegato a consumarlo. È la
digestione che nutre il corpo, non il consumo. Pertanto, concluse, il cibo che
mangiamo serve al suo scopo quando lo digeriamo, non quando lo
gustiamo. Musonio sostenne la sua convinzione che le donne dovessero
ricevere la stessa educazione filosofica degli uomini con i seguenti argomenti.
In primo luogo, gli dei hanno dato alle donne lo stesso potere di ragione degli
uomini. La ragione valuta se un'azione è buona o cattiva, onorevole o
vergognosa. In secondo luogo, le donne hanno gli stessi sensi degli uomini:
vista, udito, olfatto e il resto. In terzo luogo, i sessi condividono le stesse
parti del corpo: testa, busto, braccia e gambe. Quarto, le donne hanno un
uguale desiderio per la virtù e una naturale affinità con essa. Le donne, non
meno degli uomini, sono per natura compiaciute delle azioni nobili e giuste e
censurano il loro contrario. Pertanto, concluse Musonio, è altrettanto
appropriato che le donne studino filosofia, e quindi considerino come vivere
onorevolmente, quanto lo è per gli uomini. Suda μ 1305: «Figlio di
Capitone, etrusco, della città di Volsinii; filosofo dialettico e stoico,
vissuto ai tempi di Nerone, conoscente di Apollonio di Tiana e di molti altri.
Ci sono anche lettere che sembrano provenire da Apollonio a lui e da lui ad
Apollonio. Naturalmente per la sua schiettezza, le sue critiche e il suo
eccesso di libertà fu ucciso da Nerone. Numerosi sono i discorsi filosofici che
portano il suo nome e anche le lettere» (tr. Andria). Epistole. Di origine
etrusca: cfr. Filostrato, Vita di Apollonio di Tiana, Cfr. M. Pittau,
Dizionario della Lingua Etrusca (DETR), Dublino, Ipazia Books. Tacito, Annales,
XIV, Epitteto, Diatribe. Storie. Storie, Cassio Dione. Girolamo, Chronicon, Titus
Musonium Rufum philosophum de exilio revocat»; Temistio (Orationi), inoltre,
attesta l'amicizia tra Tito e Musonio. A. Cameron, Avienus or Avienius?, in
"Zeitschrift für Papyrologie und Epigraphik". L'attribuzione è data nell'estratto XV Hense:
sicuramente questo Lucio era un allievo di Musonio, e uno specifico riferimento
in cui Musonio parla da esule a un esule rivela che anche Lucio partecipò al
bando del suo maestro. Per la datazione, nella diatriba VIII (60, 5) Lucio
riporta una conversazione di Musonio con un re siriano e dice, tra parentesi,
che c'erano ancora re in Siria a quel tempo, vassalli dei romani. Dato che
l'ultima dinastia di sovrani siriani fu detronizzata nel 106 d.C., Lucio deve
aver scritto qualche tempo dopo questa data. nell'edizione Hense del 1905. Una
delle due è una lunga lettera scritta da Musonio a Pancratide sul tema
dell'educazione dei suoi figli (dell'edizione Hense). Diatriba VIII Hense. Cfr.
anche il detto «Un re dovrebbe voler ispirare soggezione piuttosto che paura
nei suoi sudditi. La maestà è caratteristica del re che incute timore
reverenziale, la crudeltà di quello che ispira paura» (in Stobeo). A differenza
del suo allievo Epitteto, che mostrava disprezzo per il corpo, Musonio
sottolinea l'interdipendenza tra anima e corpo. Questa visione, del tutto
coerente con il panteismo stoico, non è estranea al pensiero neoplatonico. Diatribe III e IV Hense; cfr.
Nussbaum, The Incomplete Feminism of Musonius Rufus, Platonist, Stoic, and
Roman, in The Sleep of Reason. Erotic Experience and Sexual Ethics in Ancient
Greece and Rome, ed. Nussbaum and Sihvola, Chicago, The University of Chicago
Press. Bibliografia C. Musonii Rufi reliquiae, edidit O. Hense, Lipsia,
Teubner, Cora Lutz, Musonius Rufus, the Roman Socrates, in Yale classical
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Education in the Good Life: A Model of Teaching and Living Virtue. University
Press of America. Renato Laurenti, Musonio, maestro di Epitteto, in Aufstieg
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Irvine. Create Space. D., Musonio l'etrusco. La filosofia come scienza di vita,
Roma, Annulli. Musònio Rufo, Gaio, su Treccani.it – Enciclopedie on line,
Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Calogero, MUSONIO Rufo, Caio, in Enciclopedia
Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, Musonio Rufo, Gaio, in
Dizionario di filosofia, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, Gaio Musonio
Rufo, su Internet Encyclopedia of Philosophy. Opere di Gaio Musonio Rufo, su
Open Library, Internet Archive. Stoicismo Portale Antica Roma Portale
Biografie Categorie: Filosofi romani Filosofi Romani Stoic i[altre]. Luciano
Dottarelli. Dottarelli. Keywords: l’implicatura di Musonio, Musonio, Etruscan
influence on Roman philosophy, Why Roman philosophy is not Greco-Roman – The
Etrurian connection. Etrurian as
‘antique’ – Etrurian as exotic for Indo-European Aryan Latins (Romans). Refs.:
Luigi Speranza, “Grice e Dottarelli” – The Swimming-Pool Library. Dottarelli. Dottarelli.
Luigi Speranza --
Grice e Drimonte: la ragione conversazionale e la setta di Caulonia -- Roma –
filosofia italiana – Luigi Speranza
(Caulonia). Filosofo italiano. A Pythagorean, according to Giamblico.
Luigi Speranza – GRICE ITALO!; ossia, Grice e Duni:
la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale della costume, o
sia, sistema di dritto [sic] universal – il diritto romano universalizzabile – scuola
di Matera – filosofia materese – filosofia basilicatese -- filosofia italiana –
Luigi Speranza (Matera). Filosofo materese. Filosofo
basilicatese. Filosofo italiano. Matera, Basilicata. Grice: “I like Duni; but
of course he errs, as Kant does – for how can a ‘sitte’ a mere costume, become
‘universal’ – yet that’s the oxymoronic title of his tract, ‘scienza dei
costume, ovvero, diritto universale’. Figlio di Francesco, maestro di cappella della cattedrale di Matera, e
fratello dei compositori Egidio Romualdo ed Antonio, nell'ambiente familiare
impara la musica scrivendo anche alcune composizioni da gravicembalo, pur se
non seguì le orme dei fratelli maggiori in campo musicale, e fu avviato agli
studi religiosi nel Seminario della città di Matera. Si laurea in Napoli. Torna
a Matera dove aveva già intrapreso la pratica di avvocato presso la Regia
Udienza e dove, chiamato da Lanfranchi, fu insegnante presso il Seminario; lo
stesso Palazzo del Seminario divenne in seguito sede del Liceo Classico di
Matera, che fu a lui intitolato. Dopo la morte del padre, lascia Matera
trasferendosi dapprima a Napoli e successivamente a Roma. Presso l'Università degli Studi La Sapienza
fu docente di diritto canonico e di diritto civile, e pubblica un Commentarius
in cui esponeva la dottrina giuridica del codicillo, con una dedica a Benedetto
XIV che in seguito lo sostenne nella sua nomina alla cattedra universitaria; a
Roma entrò in contatto con le opere di Vico, del quale divenne un convinto
sostenitore. Eleggendo Vico a suo maestro, si propose di realizzare un
programma di diritto universale come fonte di tutte le leggi e costumi umani. Partendo
dalla sua formazione cattolica, crede in Dio creatore del mondo e suo
legislatore, e non distinse l'etica e la giurisprudenza considerandole
integrative in quanto tendenti allo stesso fine, cioè a dare il senso della
vita, e quindi facenti parte entrambe della filosofia. Nacque così il “Saggio sulla
giurisprudenza universale”; sua opera fondamentale, dedicato al promotore della
politica riformatrice del Regno meridionale, il ministro Tanucci. Il “Saggio”
indica esclusivamente nel vero il principio unitario delle conoscenze umane, a
cui ricondurre anche la fondazione delle scienze morali. Il bene o vero morale
(Cicerone e buono), che differisce dal vero metafisico perché comporta anche
l'elezione volontaria del vero conosciuto, si esprime come onestà e come
giustizia. La morale propone l'honestum, cioè il bene secondo coscienza, e
opera dall'interno, invece il diritto indica la via per andare al giusto,
regolando i rapporti tra gli individui o soggetti e quindi la vita sociale. Successivamente
al Saggio, scrisse un'opera sul rapporto tra filosofia e filologia nell'ambito
della storia di Roma, ed in seguito una Risposta ai dubbi proposti da Finetti
in cui polemizzava contro Finetti difendendo la memoria del Vico. Pubblica a
Napoli la “Scienza del costume o Sia sistema del diritto universale”, dedicata
a Antonelli, in cui prosegue l'opera iniziata con il Saggio. Opere: “De veteri
ac novo iure codicillorum commentaries; “Saggio sulla giurisprudenza universale”;
“Origine e progressi del cittadino e del governo civile di Roma”; “Scienza del costume o sia sistema del
diritto universale”. LA A falſa comune opinione adotta ta co me
un'affioma dai Politici, che le So cieti Civili naſcono colla forma di Governo
Monarchico, diede occaſione non meno agli antichi, che moderni Scrittori della
Storias Romana di formare di queſta Nazione tutt ' altra idea di quella, che fu
realmente. I vo caboli di Re e di Regno appreſi nel ſenſo di quei tempi, in cui
viſſero gli Storici, quando già fioriva in Roma la Monarchia, gli traſportarono
a credere, che il Governo cominciaſſe fin dal tempo di Romolo colla, forma
Monarchica. Taluni peraltro convinti da’ fatti contrari della Storia furono
obbligati a confeflare che ne' primi tempi di Roma quantunque regnaffe la
Monarchia, pure.que Ita non poteſſe dirá alſoluta ma che folle accom
accompagnata, e mifta di Ariſtocrazia, ' é, Democrazia; ' e che in conſeguenza
i Patrizi inſieme co ' Plebej rappreſentaſsero qualche dritto nel Governo, di
cui peraltro la ſomma foſse preſso de' Re. L'Idea adunque che tam luni
Scrittori fecero del Governo di Roma fin dal fuo nafcere, fu di conſiderare Romolo
co'ſuoi Succeſsori o per veri Monarchi; o per Monarchi, che aveſsero comunicato
parte dell'amminiſtrazione ai due Ceti di Patrizi, e Plebej, riputando i
Patrizi e Senatori, come Ceto di Cittadini illuſtri ricchi e favj, im piegati
dai Re nelle cariche più gelofe del lo Stato, ed i Plebej per Ceto anche di Cit
tadini ma ignoranti e vili, che ſerviſsero per le faccende ruſtiche, e per la
guerra; e che aveſsero qualche parte anche ne' pubblici affari. Venne, come
diſi, tal falfa opinione fo ſtenuta da quel comune errore, che tutte le Società
Civili non poſsano altrimenti comin ciare, fe non con la forma Monarchica, non
fapendo eſli immaginare con qual altra for ma di Governo poſsa mai unirli, e
comporli B un > 7 un Ceto di famiglie
a convivere tra loro, ed a formare un corpo. Imperciocchè, dico no efli, non è
poſſibile di concepire il prin cipio di tal unione, ſenzachè qualcuno di eſſi,
o per violenza, o per fraudolente ambizione induca gli altri alla di lui
foggezione e Si gnoria; tantoppiù che non ſi faprebbe in al tra maniera
immaginare, come i Padri di fa miglia, i quali prima di entrare in Società Ci
vile, facendo ſenza dubbio la figura di Mo narchi nella propria famiglia,
pofsano ſenza il mezzo della violenza, o dell'inganno, ab bandonare la propria
Signoria col foggettarfi al Governo Civile. Su queſta mal fondata, opinione
incontrandoſi nel fatto della Nazio ne Romana, in cui intefero parlare di Re, e
di Regno nel ſenſo appreſo di Monarca, e Monarchia non dubitarono punto di defi
nire il Governo fotto Romolo, e Tuoi fuccef fori per Monarchico. Ma poichè i
fatti ſteſſi della Storia realmente non s'uniformano all ' Idea di una perfetta
Monarchia, furono co ftretti ad ainiettere una Mon: irchia mitta di
Ariſtocrazia inſieme, e Democrazia. Tutte Tutte le ragioni politiche, che
ſogliono ads durſi dagli Scrittori nel pretendere, che le So cietà Civili non
poſſano altrimenti nafcere che colla forma Monarchica, fono a mio giu dizio
tanto lontane dal dimoſtrarla, che anzi provano tutto il contrario, cioè, che
la unione de' Padri di famiglia, nel comporre la Società Civile, debba
neceſsariamente pro durre forma di Governo Ariſtocratico, e non Monarchico;
poichè fe effi non fanno im maginare, come tali particolari Monarchi di
famiglia poſsano ſoggettarſi alla pubblica, Podeſtà ſenza frode o violenza di
qualcuno di loro, io al contrario non ſo concepire,.come tal violenza o frode
d' un ſolo por fa eſser valevole ad obbligare un Ceto in tiero di Padri di famiglia
avvezzi a ſignoreg. giare in caſa propria per ſoggettarſi al Mo narca,
Qualunque voglia figurarfi la frode o la violenza d'un folo, egli è chiaro che
tali mezzi non faprebbero indurgli a foffrire di buon animo un totale
cambiamento di con dizione, quanto, lo è il paſsare da quella, in cui
trovavanli di Signori aſsoluti, a queſta di B 2 fud E fudditi, trattandoſi di
cambiare condizione in tieramente oppofta; ed ognun fa, quanto rin.: creſce al
Signore il paſſare di fatto dallo ſta to di comandare a quello di ubbidire. Che
ſe mi diceffero, che ciò nafce dalla violenza, cui non ſi può reſiſtere, io gli
riſpondo, che nei naſcimenti delle Repubbliche la for za d'un ſolo non è, ne
può eſſere parago nabile alle forze unite di tanti Padri di fa miglia, quanti
converranno ä formare la So cietà. Sicchè tanto è fupporre, che la forza d'un
folo baſti per opprimere gli altri, quan to è dire, che molti non fiano in
grado di vincere la violenza d' un folo; ciò che o non è affatto poſſibile, o
almeno lo potrà eſſere in qualche caſo troppo raro, e ſtravagante; ma la
ſtravaganza e la rarità non può in durre un ſiſtema generale. Quindi il preten
dere, che le Società Civili debbano necella riamente cominciare colla forma di
Governo Monarchico, è lo ſteſso, che fupporre la violenza, o la frode d' un
folo maiſempre ſuperiore alla forza, ed alla deſtrezza di mol ti; e ciò non
baſta, perchè biſognerebbe an che > 1 che ſupporre, che al numero di molti
non fc gli preſenti mai occaſione favorevole per re fiftere, e liberarſi dall'
uſurpato potere di un ſolo; cioche realmente s’oppone ad ogni no ftra
immaginazione. Se poi vorranno fingere, che dopo la violenza, o frode uſata dal
Mo narca per ſoggettare gli altri, poffa ſeguire il compiacimento degli ſteſſi
ſoggetti, forſe perché il Monarca ſia dotato di virtù tali, che baſtino ad
innamorargli, oltreché une tal ſupporto non ſi può ammettere general, mente,
incontra il maſſimo oſtacolo di non poterſi concepire, come gli Uomini avvezzi
a dominare poſſano cosi preſto invogliarſi della condizione oppofta di ubbidire
per qualunque ammirazione di virtù nella perſona del Moia. narca. Ma poi non è
poſſibile il concepire nel Monarca virtù degna di ammirazione preſo co loro,
che naturalmente, non fanno ſpogliarli di fatto del proprio carattere di
dominare, ſenzaché entrino almeno a parte della pub blica amminiſtrazione; fe
pure non vogliamo fingerli per Uomini affatto ftolidi ed alieni dalla maſſima
delle Umane paſſioni. Qui Qui potrei co ' monumenti pervenutici de gli
antichiſsimi Popoli dimoſtrare col fatto l? inſuffiſtenza di un tal ſentimento
dei Politici col riconoſcere nelle origini delle Nazioni tutt altra forma di
Governo, che la Monar chica; e che laddove eſli ſuppongono, che la Monarchia
ſia ſtata la prima a forgere nel le Società Civili, fi troverà maiſempre l'ulti
tima a venire dopo l' Ariſtocrazia, e Demo- ' crazia; perché la naturalezza
delle Umane vicende è tale, che i Padri di Famiglia nel formare la Società
Civile dovendo decadere da quella podeſtà afloluta, che eſercitavano in Caſa,
cercheranno di cedere il meno che ſia poſſibile dell'antica Signoria; poichè
l'Uo mo per natura non fa mutarſi di fatto da, uno ſtato ad un altro
direttamente oppoſto al primo, e perciò quando trovali nella contin genza di
dover paſſare da una condizione ſuperiore all' inferiore, procura ſempre di
paſſarci per gradi, e non di ſalto. Quin di è, che fe vogliamo ragionare a
ſeconda, dell'idee Umane, dobbiam dire, che tali Pa dri di famiglia qualora li
vedranno obbligati dalla dalla neceſſitii di laſciare la Monarchia del ta loro
famiglia, ſebbene converranno vo lentieri in Società Civile per trovare mag
gior ſicurezza coll'erezione della poteſtà pub blica compoſta di forze unite, e
per confi gliare ai vantaggi, e comodi della vita; pu Te non ſi diſporranno mai
a cedere dell'anti ca poteſta, fe non quanto biſogna per reg gerſi il Corpo
Civile, e quanto meno liane poflibile di quella dominazione, che lafciano. Or
la forma di governo, che dovranno fce gliere, farà certamente l'Aristocratica,
come quella, in cui fi cede il meno dell'anticas Signoria, formandoſi una
Podeſtà pubblica che riſiede nondimeno preſſo gli iteſi mem bri, che la
compongono, e nel tempo ſtello col Governo Ariſtocratico ſieguono a ſignorega
giare ſul Volgo, e ſulla Plebe, che ſi ricovera ſotto la loro protezione. Che
ſe poi vorremo fare un' efatto giudizio, come coll' andar del tempo dall'una
forma di Governo ſi fuol para ſare all'altra, poſſiamo qul accennare breve.
mente, che ſtabilitaſi la Societ: Civile nella ſua origine colla forma
Ariſtocratica, che dee ellere 1 B 4 priva d'ogni dritto Civile i Indi
l'oppreſſo eſsere la prima a naſcere, gli Ottimati na turalmente faranno
traſportati dall’amor pro prio ad opprimere, e tirannizzare il Volgo, o ſia la
Plebe, che ricoverandoſi ſotto la lo ro protezione, per ſoſtentare la vita,
rimane Volgo creſciuto in numero, maſſime col mez zo della procreazione, pel
deſiderio iſpiratoci dalla Natura di fottrarci dall' altrui tirannia, cogli
ammutinamenti e ſedizioni cerca di li berarſene; e quindi avviene, che dall'
Ari ftocrazia ſi paſſa alla Democrazia. Finalmente il Popolo tutto reſo
partecipe del Governo, naturalmente ſi divide in fazioni, le quali agi tandoſi
continuamente tra loro, non trovano altro ſcampo per ſalvarſi dalle guerre
Civili, che di ricoverarſi ſotto la Monarchia. E que Ito ſembra il corſo
ordinario e naturale delle Origini e de' progreſſi delle Nazioni tutte uniforme
altresì alle memorie pervenuteci del le antichiſſime Nazioni. Ma per non
partirci dal noſtro argomento, ci conviene di fermarci ſull' eſame del Go verno
Civile di Roma. E ſulla prima fa duo po po di ſviluppare dalle tante incoerenze,
che troviamo nella Storia, quella prima forma di Governo, che venne iſtituita
ſotto Romolo nel naſcimento della Città Romána. Dicia ino adunque, che la prima
forma diGover no iſtituita fin dal tempo di Romolo tanto è lungi, che fofle
ftata Monarchica, o miſta di Monarchia, che anzi ſi riconoſce chiaramen te
Ariſtocratica delle più feverè, che mai li poſſa immaginare, come realmente lo
furono le Nazioni tutte nei loro forgimenti. E pri mieramente l'efferſi
attribuita a Romolo, e ſuoi Re fucceffori la Monarchia, nacque fo vratutto,
come diſli, dalla falſa intelligen-. za della voce Rex, col di cui nome vennero
chianati tutti quei, che da ROMOLO fino al la creazione de' DUE CONSOLI ANNALI hanno
la cura di presedere, e far da Capi del Senato regnante. La voce “rex” nei
tempi, in cui gli Storici, come LIVIO e Dionisio compilarono la STORIA ROMANA, e
certamente appresa in SENSO DI “mon-arca”, come temps, in cui fioriva. la monarchia
e con un tal supposto non ſapendo neppur eſi immagina. re re altra forma di
Governo nel naſcimento della Città Roinana, andarono a credere, che o in tutto,
o in parte regnaſſe la Monarchia. Ma ſe vogliamo inveſtigare la vera originaria
fignificazione della voce Rex, troveremo, ch'ella viene da reggere, e ſoſtenere,
e che propriamente dinotava un Capo e Dace del la Repubblica, e non un Monarca
di pode Atà aſſoluta. La ſtella eſpreſſione di rex tro viamo uſurpata in tutte
le altre Nazioni, di cui ci è pervenuta la Storia; ma il Governo del le
niedeſime non ſi può attribuire a Monar chia ſenza ſmentire i fatti medefimi,
dai quali ſcorgeſi, che tali Re altro realmente non era no, che Capi, e Duci
delle Repubbliche: per che inſieme colla perſona del Re troviamo i Senati, da
cui definivanfi gli affari pubblici dello Stato. Soleaſi per altro diſtinguere
l' incombenza dei Re in pace ed in Città da quella, che rappreſentavaſi in
guerra; poi che qualora erano in piegati a far da Capita ni Generali a
comandare l'eſercito, ſpiega vano certamente una podeſtà affoluta, come quella,
ch'è troppo necelaria nel Capitan Gen Generale per lo buon regolamento delle
fac cende militari. Trattaſi in guerra di porre in eſecuzione all'iſtante le
opere militari, le qua li non ſoffrono dilazione, e richieggono la più rigoroſa
ſegretezza per forprendere l'ini mico, ed in conſeguenza i Re in guerra per
natura dell'impiego medeſimo ſpiegavano po teſtà aſſoluta, perchè non giova di
eſercitarſi colla dipendenza dal volere degli altri, è maf fimamente de'
Cittadini, come lontani e che non poſſono eſſer preſenti alle diſpoſizioni mi
Jitari, e perciò non ci dee far maraviglia, fe per conſigliare al pubblico bene
fafi co ſtumato di concedere al Re, quando coman da in guerra, una poteſtà
indipendente e Monarchica. Ma di qualunque carattere ftata foſſe lae poteftà
dei Re in guerra, non dobbiamo con fonderla colla podeſtà da effi loro
praticata in pace e nel Governo Civile dello Stato. In fatti Tacito narrando i
coſtumi degli antichi Germani ci fa ſapere che prello tali antis chi Popoli ſi
diſtinguevano i Re propriamen te 1 te detti nel ſenſo di reggere la Repubblica
dai Capitani Generali; poichè i primi fi eleg gevano dal Ceto degli Ottimati e.
Signori, ed i ſecondi fi ſceglievano tra quei, che li erano reſi celebri pel
valore, ' I Re, dices egli, ſi eleggono dal Ceto de' Mobili, e per Capitani
Generali ſi ſcelgono i più celebri nel valore; Ma i Re non rappreſentano pode
fà libera ed illimitata (a ); quanto a dire che la qualità di Re preflo gli
antichiſſimi Germani non produceva poteſtà fuprema, e Monarchica, tuttoche
Tacito gli aveſſe at tribuito il nome di Rex. Dionisio parlando degli antichi
Re della Grecia fcrive, che i Re delle antiche Greche Nazioni, preffo di cui il
Principato era ereditario, o pure elettivo, governavano col conſiglio degli
Ottimati, come lo atteſtano Omero, e gli antichiſſimi Poeti. Nè quei tali
antichi Re eſercitavano il Prin cipato con poteſtà aſſoluta, come veggiamo a
tempi (a ) Tacit. de moribus Germanorum 9. VII. Reges ex nobilitate, duces ex
virtute fumunt. Nec Regi bus infinita, aut libera poteftas. DI ROMA. 29 tempi
noftri (a ). La voce Rex adunque nell' originaria ſignificazione Latina
dinotava une Capo di qualunque Ceto, o di Repubblica, e non un Monarca z e
queſto Capo qualora veniva deſtinato a comandare in guerra; al lora fpiegava la
poteſtà aſſoluta; Ma nei tem pi poſteriori, quando le Nazioni pervennero allo
ſtato di Monarchia fi ritenne la ſteffa voce “rex”, che paſsò a SIGNIFICARE il
Monarca, quan to a dire, che il nome di Rex attribuito a ROMOLO, ed agli altri
Re successori, non può eſſere un argomento per definire il Governo Monarchico
nel naſcimento della Città Romana. Parliamo ora ad esaminare i fatti narratici
dagli storici, dai quali unicamente dipende lo ſchiarimento di queſto articolo.
Dioniſio, il quale a differenza degli altri s'impegna a de (a ) Dioniſio Antiq.
Rom. lib. 2. Graecanici Reges çerte, qui haereditarium Principatum fumerent,
quolve Populus fibi ipfe praeficeret, confilium habebant ex OPTIMATIBVS ut
Homerus, et antiquitlimi quique Poetarum teftantur.. neque (ut fit in noſtro
feculo ) veteres illi Reges ex ſui tantum animi fententia poo feſtatem
exercebant. deſcriverci minutamente l'origine del Govere no Civile ſotto ROMOLO,
febbene non ſeppe, formare un' eſatto e coſtante giudizio della forma del
Governo, pure ci ſomminiſtra ba. ftanti lumi, onde poſſiamno ſcovrire il vero.
E ſulla prima introduce un allocuzione fatta da. Romolo ai ſuoi Compagni ſul
propoſito di doverſi ſtabilire una forma di Governo che foſſe più utile, e più
atta per tener lon tana la Città dalle fedizioni Civili, e per di fenderla
dagl' inſulti dei Popoli eſteri. E qui ci rappreſenta Romolo per Uomo ben
iltrutto ed erudito delle Nazioni Greche, e delle Barbare, delle forme del loro
Governo della difficoltà nello ſcegliere la migliore; indi gli conſiglia a
riflettere maturamente l' affare, affinchè poteſſero riſolvere, se piutto fto
voleano ubbidire a un ſolo, o pure a pochi, moſtrandoſi pronto e pieno di
moderazione a ſeguire il loro volere. Dopo una ſpe cio Dioniſio antiq. Rom.
lQuum autem diffi çilis fit earum (vitae uempe rationum ) electio, juf lit
ciofa allocuzione i compagni di Romolo te. nendo conſiglio tra loro, non
dubitarono di preſcegliere la forma del Goveno Regio in perſona dello ſteſſo
Romolo, non ſolamente perchè l' aveano ſperimentata la migliore per quanto
l'aveano inteſo approvare dai loro Maggiori, ma perchè giudicavano, che con una
tal forma di Governo ſi otteneffero i due maſimi vantaggi, cioè la libertà
propria, e · l' impero preſſo degli altri (a). Da un tal racconto ognun vede,
che Dio. nilio fit eos re per otium conſiderata dicere, NUM UNI RECTORI, AN
PAUCIS PARERE MALINT. Etenim, inquit, quamcumque Reipublicae formain in
ftitueritis, ad eam recipiendam paratus fum, nec principatu me indignum
cxiſtimans, nec detrcaans imperata facere. (a) Dioniſio loc.cit.Illi,
communicato inter fe con filio, reſponderunt in hunc moduin: nobis nova Reid
publicae forma non eft opus; nec a majoribus proba tam, et per manus traditam
mutabimus, fed et pri fcorum conlilium fequimur, quos non ſine inſigni prů.
dentia illam Reipublicae formam inſtituiſſe credimus, et praefenti fortuna
contenti ſumus; cur enim illam in. cuſemus, quum fub Regibus contingerint nobis
bona, quae apud homines habentur praecipua, LIBERTAS ET IMPERIUM IN ALIOS Haec
eft noftra de Republica fententia &c. niſio compoſe tali narrazioni
piuttoſto allas maniera, com'egli avrebbe penſato di fare, che con quella, che
Romolo realmente ufaf ſe preſſo i lnoi compagni'. E tralaſciando di riflettere
le tante improprietà di ſimile allo cuzione, in cui ci propone Romolo per Uo mo
iſtrutto delle Barbare, e delle Greche Na zioni, anzi delle varie forme del
loro Gover no; quando al contrario, come dimoſtraremo a fuo luogo, i Romani per
molti ſecoli fu rono affatto ſconoſciuti ed ignoti, mallime alle Greche Nazioni,
ci giova quì di notare quell'eſpreſſione, che il Governo Regio po tea loro
conſervare il pregio della libertà, il quale certamente non ſi può ottenere
colla Mo narchia preſa nel ſuo vero fenfo di podeſa d' un ſolo aſſoluta, ed
arbitraria; poiché an che ſul ſuppoſto d'un Monarca dotato della più retta
politica ę ſaviezza, e di coſtumi i più ſublimi ed innocenți, il Popolo non può
godere altro pregio di libertà, ſe non quello, che deriva dalla rettitudine
dell'animno dalla ſaviezza del Monarca medeſimo; mais non ſi può pretendere
ſotto la Monarchia di 1 DI ROMA. godere il dritto e la libertà di reſiſtere, ed
oppora al di lui ſentimento e comando; poiché la forma Monarchica, come tale,
racchiude la fuprema poteſtà preſſo di una folo; e tutto il reſto del popolo
potrà fo lamente eſercitare quell'autorità, che pia ce rà al Monarca di
comunicargli; ficchè ſi conſidera allora ' tale autorità come dipen dente e
ſoggetta maiſempre al voler del Monarca e non libera del popolo, che l'
eſercita per comando del Principe. Ed ecco che Dioniſio leffo finora ci propone
il Gover no Regio non già in ſenſo di Monarchia, ma di Capo e Duce d ' un ceto
d' Uomi ni, che intendono d'eſser membri del Go verno medeſimo, per eſſere
anch'eſſi a par te della libertà di comandare. Siegue indi Dioniſio a narrare
la diviſione del Popolo in Tribù, e Curie, inſieme colla egual partizione de'
campi, e de' terreni tralle Curie; e poi paſſando alla diviſione de' Ceti fatta
in Padri e Plebe, nel riferire il carat tere che i Patrizi doveano
rappreſentare nella Repubblica, chiaramente ci atteſta, Tomo II. С che che ai
Patrizi apparteneva la cura dei Sacri, l'eſercizio de' Magiftrati,
l'amministrazione della Giuſtizia, ed il Governo della Repubblica unitamente
con ROMOLO. Ę poco dopo narran do l'erezione del Senato dal Ceto de? Patrizj
replica lo ſteſſo, cioè, che Romolo avendo ri dotto le coſe in buon ordine,
immediatamen-: te creò dal Ceto de' Patrizj i Senatori, i quar. li doveſſero
ſeco lui amminiſtrare la Repubbli. E queſta ' erezione di Senato l'affomi glia
alle Repubbliche delle antiche Nazioni Greche ſulla teſtimonianza di Omero, e
di altri Poeti Greci, che fanno menzione di fimi li Senati regnanti, cui
preſedeva il Re, il qua le per altro facea da Capo e Duce, in ma niera $
Dionifo loc. cit. Romulus porro poftquam difcre vit potiores ab inferioribus,
mox legibus latis praefcri plit, quid utriſque faciendum effet: ut Patricii
facra curarent, Magiſtratus gererent, jus redderent,SECUM REMPUBLICAM
ADMINISTRARENT. Dioniſio loc. cit. Ceterum Romulus poftquam haec in decentem
ordinem redegit, confeftim decrevit Se fatores creare, ut ellent, QUIBUS CUM
ADMINI STRARET REMPUBLICAM. DI ' ROMA. 35 niera però, che il Governo della
Repubblica riſedelle prello il Senato compoſto degli Ot timati, come per
l'appunto furono i patrizi di Roma. Indi riferiſce le particolari in combenze
attribuite a Romolo, come Capo del Senato, cioè, che prello di lui eſſer do
veſſe la principal cura dei Sacrifizj e del le coſe Sacre: che doveſſe aver
cura delle Leggi e de' Coſtumi Patri; che ſi riſerbaf ſe il giudizio per gli
delitti più gravi, e de' minori ne giudicaſſero i Senatori; che foſſe di ſua
incombenza di convocare il Senato ed il Popolo tutto, colla prerogativa di
dover eſſere il primo a profferire il ſuo ſentimento, ma che le determinazioni
del Senato dovef ſero dipendere dalla pluralità dei fuffragi; e finalmente, che
poteſſe ſpiegare Poteſtà aſſo luta in guerra, Paſſando poi a ſpiegare, C 2 qua
Dioniſio it. Graecanici Reges certe > qui hereditarium Principatum fumerent,
quoſve populus fibi ipfe praeficeret, conlilium habebant ex Optimatibus, ut
Homerus et antiquiſſimi quique Poetarum teſtantur &c. Dioniſio loc.cit. His
conſtitutis, honorcs, et potefta tes in fingulos Ordines diſtribuit. Regi
quidem eximia mune DEL GOVERNO CIVILE quale eller doveſſe l'autorità del Senato,
fcri ve, che gli affari del Governo ſi doveſſero dal Re proporre al Senato,
preſo di cui non di meno doveſſe riſedere la potefta fuprema di decidere col
mezzo della pluralità dei ſuf fragj, ſoggiungnendo inoltre, che un tal fix
ſtema di Governo folle ftato appreſo dalla Repubblica dei Lacedemoni, (fempre
col falfo fuppofto, che Romolo in tali tempi aveſſe avuto cognizione de' Papoli
della Gre cia ) in cui i Re non erano Monarchi, nè Die {potici del Governo, ma
ſemplici Capi del Senato il quale fpiegava la fuprema pote ftate munera fuerunt
haec: Primum, ut Sacrificiorum, et re liquorum Sacrorum penes eum eflet
principatus, per quem çumque gereretur quidquid ad placandos Deos attinet;
deinde uit legum ac conſuetudinum Patriarum haberet cuſtodiam, omniſque Juris,
quod vel natura di&ar, vel pacta et tabula fanciunt curam ageret; utque de
graviſſimis delictis ipſe decerneret, leviora permitteret Senatoribus,
providendo interim, ne quid in judiciis pece caretur; utque Senatum cogeret,
Populum in concio nem vocaret, primus fententiam diceret, quod pluçi bus placuiſſet,
ratum haberet. Haec Regi attribuit mu nia, et practerea fummum in bello
Imperium, (be neppur ftà nell'amminiſtrazione della Repubblica. Da tutto queſto
racconto di Dioniſio non v'è chi pofſa negare, che Romolo non eb l'ombra, della
poteſtà Monarchica; poichè colla coſtituzione del Senato la poteità ſuprema
riſedeva preſſo il Senato medeſimo, e preſſo gli Ottimati; e che tutto quello,
che fu attribuito alla perſona del Re, conſiſte va nel fare da Capo del Senato
Regnante col la ſemplice prerogativa di poter proporre gli affari, e di eſſere
il primo tra i Senatori 2 profferire il ſuo fentimento; ma che la poteſtà di
determinargli riſedeſſe preſſo il Ceto dei Senatori, in maniera che le
determinazioni ſi coſtituivano colla pluralità de' Suffragj, a cui il Re
medeſimo dovea foggiacere; ciocchè non ſolamente eſclude ogni idea di Monarchia,
ma C3 ci Dioniſio loc. cit. Senatui vero dignitatem ac po teſtatem hanc addidit,
ut is s de quibus à Rege ad ipſum referretur, de his decerneret, et ferret
calculum, ita ut ſemper obtineret plurium ſententia. Id quoque a Laconica
Republica defumtuin eſt; Lacedaemonio, rum cnim Reges non erant fui arbitrii,
ut, quidquid vellent, facerent; fed penes Senatum erat tocà publi cæ
adminiftrationis poteftas. ro ci
manifeſta chiaramente una perfetta Ariſto crazia compoſta di Senatori, i quali
furono eletti dal Ceto nobile de’patrizj. Egli è ve che il re di Roma ſpiegava
la poteſtà aſſoluta ſoltanto in guerra; ma queſta, come dicemmo, non toglie, nè
s’ oppone alla for ma del Governo mero Ariſtocratico, perchè in tutte le
Ariſtocrazie troviamo tal poteſtà ſuprema nella perſona del Capitan Generale,
per la ragione di non poterſi altrimenti eſer citare con felice effetto il
comando del Du ce dell' Eſercito: E qui giova d' oſſervare, che ſebbene nelle
Ariſtocrazie il Capitan Generale faccia ufo di poteſtat aſſoluta in guer ra;
pure la dichiarazione della guerra, e tut to ciò, che appartiene al ſiſtema
generale di eſercitarla, dipende dal volere dello ſteſſo Se nato regnante,
quatito a dire, che tutta live poteſtà ſuprema del Capitan Generale ſi ridu ce
ad eſeguire gli ſteſſi ordini del Senato éd a riſolvere all'iſtante da ſe
medeſimo ciò che non ſoffre dilazione, e l'attendere l'ora colo del Senato
ſarebbe inutile e dannoſo Del rimanente la forma del Governo ſi diſtin gue
ITgue non già dall'uſo della poteſtă, che ſi eſercita in guerra, ma dalla
ragione delle pubbliche determinazioni, le quali, qualora dipendono dall'
arbitrio di quei pochi, che compongono il Senato, ci manifeſtano chiara mente
l'Ariſtocrazia, e non la Monarchia, anzi neppure un miſto dell'una è dell'altra;
perchè la coſtituzione d'un Capo del Senato, ſempreche tutte le pubbliche
determinazioni ſono riſerbate alla pluralità de' Suffragj dei Senatori s non ſi
può aſcrivere, che ad un più ordinato regolamento del Senato mede ſimo, come
avviene in tutti i Ceti di per fone, in cui vi ſia un Capo, il quale ſembra
effer neceſſario, affinchè ſia meglio regolato il Corpo intiero di quei, che lo
compongo ño; ma non già che la coſtituzione del Capo vaglia à mutare o alterare
in minima parte il fiftemå del Ceto medeſimo. So bene, che anche nelle
Monarchie fogliono eſſervi i Se nati, maſlime de Grandi dello Stato ma cali
Senati ſono di gran lunga diverſi da quello, che fu ſtabilito in Roma forto
Romolo; poi chè il Monarca talvolta ſuole commettere a C4 quals 0 qualche Geto di Perſoné la deliberazione de
gli affari, o pubblici, o privati; ma tali de liberazioni non oltrepaſſano i
confini d'un mero configlio, ſicchè rimane maiſempre al Monarca la facoltà di
approvare, di repu diare la deliberazione; quanto a dire, che la determinazione
dipende maiſempre dall' arbitrario fuo volere e non dai ſentimenti dei ſuoi
Conſiglieri; ragion, per cui nelle Mo narchie ſi trovano talvolta ſtabiliti
tali Ceti di perſone, che ſogliono aver nome di Con ſiglieri del Monarca.
All'incontro il Senato di Roma era compoſto di perſone, di cui ognu na ſpiegava
uguale autorità a quella di Ro molo per le pubbliche determinazioni, e queſta
tal ſorta di Senato Regnante è quel la propriamente, che coſtituiſce la vera
forma di Governo Ariſtocratico. Quindi pof ſiamo francamente affermare, che
dove re gna la Poteſtà fuprema nel Senato, ivi non vi può eſſere neppur l'ombra
della Monar chia, ed al contrario dove regna la Monar chia, ivi non può eſſervi
Senato di poteftà ſuprema; perchè l'una e l'altra forma di governo come verno
non ſi diſtinguono in altro, ſe non che nella Monarchia la poteſtà fuprema
riſiede in un folo, e nell' Ariſtocrazia in molti. Ma per eſſer meglio convinti
d'una tal ve rità, ci conviene di eſaminare con maggior diſtinzione quel Capo
di Poteítà, che riguar da lo ſtabilimento delle Leggi, il quale più d'ogni
altro fa diſtinguere la Monarchia dal? Ariſtocrazia, ſecondo che venga
eſercitata da un ſolo, o da molti, è che ſecondo il ſenti mento di tutti i
Politici ſi conſidera la maſſima nell' amminiſtrazione dello Stato. In fatti
tra tutte le pubbliche deliberazioni la più ſpecioſa ed importante è certamen
te quella, che diceſi poteſtà Legislativa; poi chè lo ſtabilimento delle Leggi,
come quel lo, che più d'ogni altro riguarda l'intereſſe e la pubblica
tranquillità, è il punto più ge lofo, che poſſa eſſervi nel regolamento del le
Società Civili, e come tale ci manifeſta, e ci fa diſtinguere ad un tratto la
Monarchia dall'Ariſtocrazia. La ragione ſi è, perchè pre ſcriver la Legge allo
Stato altro non è, che obbligare e ſoggettare tutti i particolari mes membri del Corpo Civile alla cieca obbedien
za di ciò, che la Legge comanda; e perciò ñon li può riconoſcere poteſtà più
ſublime di quella di poter comandare la Legge. Or fen za biſogno di ſoggettarci
ſu tale articolo ai ſentimenti degli Storici; qualora ci riuſciſſe di
dimoſtrare, che la Poteſtà Legislativa di fat. to riſedeva non nella perſona di
Romolo, ma preſſo l'Ordine del Senato regnante, non ci rimarrà luogo da
dubitare, che l'iſtituzio ne del Governo folle di forma mera Ariſto craticào É
qul fa d’uopò di ricorrere alla narrazio ñê del Giureconfulto Pomponio nella
Legge feconda de Origine juris į ove impreſe con particolari cura à trattare
dell'origine delle Leggi Romane · Ci fa egli ſapere, che ſul principio il
Popolo Romano ſi regolava ſenzos leggi certe e determinate; ma che tutto ſi go
Bernava col mezzo della dutorità del Re. A tal de Orig. Juris: Et quidem initio
Ci vitatis noftrae Populus fine lege cerca, fine jure certo pri A tal
narrazione di Pomponio gl' Interpreti del Dritto Civile, valutando aſſai più la
di lui Autorità, che quella di Dioniſio li dettero a credere che realmente il
Governo iſtituito fotto Romolo folle itato Monarchico, poichè (dicono eſli ) ſe
ne primi principi della fonda zione di Roma al dir di Pomponio non v'era no
leggi ſtabilite, e determinate, ma tutto li regolava collº autorità del Re, ne
liegues neceſſariamente, che la forma del Governo cominciare dalla Monarchia.
Ma io non sò, come tali Interpreti poſſano formare da quelle parole di Pomponio
un tal giudizio, quando dall' altre, che ſeguono, li dimoſtra il con trario.
Indi (fiegue Pomponio ) eſſendoſi ing qualche maniera ingrandita la città,
dicéſi, che lo ſtesſo Romolo aveſſe diviſo il Popolo in trenta parti, chiumate
CURIE a motivo, che allo primum agere inſtituit, omniaque manu Regis guber
nabantur. NellePandette Fiorentine leggefi MAŇU A REGIBVS GVBERNABANTVR ma de
ciocchè fregue, e dall' eller direito il diſcorſo di Pomponio alla perfona di
Romolo, dee fi piuttosto abbracciare la lezio ne volgata, omniaque manu Regis
gubernabantur. allora Spediva gli affari della Repubblica coi ſentimenti, e
colle determinazioni delle medeſime Curie; ed in tal maniera promulgò egli
alcune leggi dette CVRIATE, come fecero altresì i Re ſuoi successori. Or fe
folle vero, che Romolo cominciaſſe a governare la Città colla fornia Monarchica,
dovrebbe eſſer falſo, che lo ſteſso Romolo indi ſtabiliſſe la Repubbli ca degli
Ottimati, con attribuire al Senato l' Autorità ſuprema di diſporre degli affari
pub blici per mezzo della pluralità de' Suffragi. Nè vale il ſupporre, che
Romolo regolaſſe, la Città coi ſentimenti delle CURIE di puro conſiglio, quafi
che ſi riſerbaffe l'arbitra rio volere di ſeguire, o di ripudiare tali fen
timenti. Imperciocchè lo ſtello Pomponio chia ramente s'eſprime, che gli affari
ſi determi navano per Sententias partium earum, che in buon (a ) Poftea
au&a ad aliquem modum Civitate ipfum Romulum traditur, Populum in triginta
partes divififfe, quas partes Curias appellavit, propterea quod tunc
Reipublicae curam per Sententias partium caruni expediebat; et ita leges
quaſdam et ipfe Curiatas ad Populum tulit. Tulerunt et fequentes Reges. buon
latino non poſſono ſignificar Configlio; ed oltracciò le Leggi ſi chiamarono
Curiato non per altra ragione, fe non perchè le de terminazioni venivano
preſcritte co' ſentimens ti delle ſteſse Curie, e non dall' arbitrario vo lere
di Romolo. Egli è vero, che tali Leggi coll'andar del tempo furono anche dette
Regie a cagion che ſi proponevano dai Re ne' Comizj Curiaci; ma poichè tutti
gli Storici con vengono nell'affermare, che gli affari li de terminavano
dalSenato a relazione degli ftelli Re, come Capi di quella adunanza, non ci dee
far maraviglia, ſe le Leggi ſi foſſero dette anche Regie; perchè venivano
propoſte dal Capo del Senato, cui ſi dette il nome di Re. Dunque fe vogliamo
credere più a Pompó nio, che a Dioniſio, pure ſiamo obbligati coll'autorità
dello ſteſſo Pomponio di ammet tere ne' tempi di Romolo l'Aristocrazia, u non
la Monarchia; perché altrimenti non ſi potrebbero comporre le prime colle
ſeguen ti parole del Giureconſulto. All'incontro egli farebbe coſa ridicola il
ſupporre, che pri ma di ſtabilirſi le leggi certę, Romolo governaſse da Monarca,
e che poi iſtituiſſe l' Ariſtocrazia; e quando anche potefle'aver luogo una tal
fuppoſizione, non dobbiamo at tenerci a quel che foſſe ſeguito, prima che ſi
dalle una certa forma al Goveșno, la quale non fi dee ripetere, fe non dal
tempo, in cui la Città preſe i ſuoi certi regolamenti. Ма,per meglio chiarirci
di tal verità, con „ viene di riflettere, che quella eſpreſione di Pomponio,
cioè, che fu i principi della cit tà non v'erano leggi certe, ma che tutto ve
niva regolato coll'autorità di Romola, non può ſignificare forma di governo monarchico,
come è itata appreſa dagl' Interpreti. E qut fa d 'uopó d'inveſtigare la vera
ſignifi çazione di quelle parole, Omniaque manu Regis gubernabantur. La voce
Manus, è vero, che per traslato • ſtata anche appreſa da' Latini in ſenſo di
poteftà (a); pure non hanno 1 I Latini
quandą apprefero la voce Manus in senſo di POTESTA', s' avvalſero di quelle
locuzioni IN MANU ESSE, HABERE, IN MANUM CON VE DI ROMA, 47 hanno mai detto
gubernare manu in ſenſo di governarc, colla poteſtà; nè mai trovaremg gubernare,
o regere, o altre fimili parole in ſieme colla voce manu, per ſignificare
poteſta nel governo, Molto meno può adattarſi alla voce manus la ſignificazione
di arbitrio, o la diſpotiſmo, come piacque ad altri Inter preti; perché un tal
difpotiſmo altro non è, che poteft fuprema, ed indipendente; ma comunque ſi
apprenda tal poteſtà, ſiamo pur troppo ſicuri, che nel linguaggio latino quel
gubernare many non ſi può apprendere in ſen ſo di poteft. In queſta eſpreſſione
adunque di Pomponio la voce manus deeſi riferire a tutt'altra intelligenza, che
a quella di po teſtà; e poichè tal voce è ſtata anche appre fa dai Latini in
ſenſo di forza, e di valore di corpo, o d'animo, come la troviamo in tan te
locuzioni (a), non poſſiamo fpiegare il detto VENIRE > DARE, MANU MITTERE
fimili. (a) Nel fenſo di FORZA, VALORE, E CO RAGGIO i Latini han detto MANUS
MILITARIS, MA detto di Pomponio, ſe non nel ſenſo d ' ef ferli in quelle prime
origini della Città re golati gli affari colla forza, col valore, e col la
guida di Romolo, come quegli, che tra quelle poche perſone, che ſi unirono ſeco
lui nella fondazione della Città, facea la fi gura di Capo e Duce. E queſta
intelligen za ci fa intendere altresì tutto il compleſſo del racconto di
Pomponio; poichè, dic'egli, che ne' principi il Popolo vilfe ſenza legge certa,
fine lege serta, fine jure certo; perché prima di ſtabilirſi moltitudine cale
di abitanti, che formafle un corpo abile a comporre una Società Civile, non
v'era biſogno di formare leggi e regolamenti pubblici, ma tutto re golavaſi con
quei medeſimi coſtumi, fecon do i quali erano ſtati educati quegli ſteſli, che
unironſi con Romolo; e perciò dice Pomponio, che ſi vivea ſenza Leggi certe,
perché MANUS ARMATA, MANUM CONSERERE, IN JICERE, INFERRE MANUM ALICUI REI
IMPONERE, MANU DOCERE, e fimili. E noz Italiani abbiamo ritenuta l'eſpreſione
di MANO RE GIA per hgnificare la forza legittima dello Stato di pronta, e
spedita eſecuzione. D'L ROMA.perchè allora la Legge era la voce mede ſima del
Capo dell'unione, il quale poteva occorrere ad ogni diſordine. Ma quando poi
crebbe la moltitudine degli Abitanti, allora biſognava di ſtabilire le Leggi,
non poten doli regolare un Corpo Civile colla fola voce parlante del Duce. In
fatti le Leggi certe e ſtabilite altro non ſono, che voci mute di chi governa;
e ſiccome per regolare i pic coli Corpi può baltare la voce parlante di chi gli
regge, cosi moltiplicataſi l'unione degli abitanti, e pervenuta al grado di
formarli un Corpo conſiderabile richiede neceſariamente lo ſtabilimento di
Leggi certe, le quali pre ſtino l'uffizio della voce medelima di quel Ceto,
preſso di cui riſiede la pubblica pote ftà. Ciò ſuppoſto, fino a tanto che
Roina ven ne abitata da piccol numero di perſone, la vo çe parlante di Romolo
baſtava per regolare gli affari; ma moltiplicatoſi il numero, fi do vette
venire alle determinazioni delle Leggi certe, non potendoſi altrimenti
ſoſtenere un Corpo Civile. Ma prima di ſtabilirfi tali Leg gi non poſſiamo
ſupporre, che Romolo co D man mandaffe coll'arbitrario fuo volere; perchè lo
Steffo Po mponio ci aficura, che quando ci fu biſogno di stabilire le Leggi
certe, furono queſte determinate colla pluralità de' fuffragi delle Curie, o
ſia del Senato; e poichè non è poſſibile l'immaginare, che il Governo per coså
breve tempo dipendeſse dal voler del Mo barca, e che immediatamente poi
paffalle nella poteſtà Ariſtocratica, perciò dobbiams conchiudere coll'
autorità dello ſteſſo Pompo nio, che fin dal principio la Città fu eretta colla
forma del Governo Arittocratico. Ne G può conoſcere altra divertità tra quel
tempo, in cui fi vivea ſenza Leggi certe, e quell' altro, che venne
immediatamente, in cui furo no ftabilite le Leggi, fe non che in quello la
poteſtà degl’ottimati ſpiegavafi colla voce parlante di Romolo, manu Regis,
laddove in quefto il Senato fpiegava la sua potestà colla voce muta delle
ſtabilite Leggi; ma l' uno e l' altro tempo riconobbe la medeſima forma, Aristocratica;
Quindi è ancora, che quelle locuzioni di Pomponio ſine Lege certa, fine's jure
certo, non si poſſono apprendere, come fecea fecero alcuni Interpreti, quaſiché
il regola mento in quel tenipo folle vario ed inco ftante, perché non ſi può
fingere ſocietà d’uomini, che vivano ſotto un yario fiftema di Regolamento, ma
ſi debbono riferire a quella intelligenza, che meritano, cioè che tutto veniva
preſcritto a voce ſecondo le opportu nità delle contingenze, che ſpiegavali col
mezzo di Romolo loro Capo; perché non v ' era biſogno ancora di ſtabilirſi
leggi certe, come figui poi colla moltiplicazione degli abitanti, Siegue
Pomponio a narrare, che eſéndoli diviſo il Popolo in trenta Curie, coi di cui
ſentimenti li determinavano gli affari, allo ra cominciaffero a ſtabilirli le.
Leggi cere te, che furono perciò dette Curiate, come fecero altresi i Re fuoi
fucceffori: Et ita le ges quafdam cuo ipſe Curiatas ad Populam tri lit,
tulerunt eam fequcntes Reges: 1 qut gł Interpreţi del Dritto Romano per
ſoſtenere la fognata Monarchia di Romolo caddero in tun'al tro equivoco
nell'apprendere l'eſpreſſione di Pomponio di ferre legem ad populum in fente D2
d'ef d'eſſerſi comandate le leggi da Romolo, e dai Re fuoi fucceffori. E
febbene una tale interpretazione ſi oppone direttamente a cioc. chè lo ſteſſo
Pomponio riferiſce nelle parole antecedenti, cioè che il governo della Re
pubblica ſi amminiſtrava per mezzo de' fen timenti delle Curie: propterea quod
tuma Reipublicæ curam per ſententias earum partium expediebat; pure abbagliati
da quel guberna bantur manu Regis, ſi videro obbligati a rico noſcere nella
perſona di Romolo e degli al tri Re la poteſtà fuprema di comandare le leggi.
Siminaginarono dunque, che lo ſta bilimento delle Curie non toglieva al Re la
poteſtà Monarchica, poichè febbene il Sena to interveniva nelle deliberazioni
dello Stato, pure i ſentimenti delle Curie ſi debbono ri ferire piuttoſto a
ragion di conſiglio, e che in conſeguenza la poteſtà di comandare le Leggi
riſedeſſe preſſo di Romolo, e ſuoi Re ſucceſſori. Or (dicono eſli) ſe la
poteſtà di co mandare le Leggi, al dir di Pomponio, fpie gavaſi dal Re, ne
ſiegue, che la forma del Governo debbafi attribuire anzi a Monarchia, che, che
ad Ariſtocrazia. Ma io non só intendere con qual fondamento poſſano afcrivere
l'e ſpreſſione latina di ferre legem ad populum al fenſo di comandare, e
preſcrivere la legge, quando al contrario egli è coſa notiſlima pref fo i
Latini, che il ferre legem nella ſua vera intelligenza ſignifica ſemplicemente
il propor re la legge per determinarji, o ripudiarſi, e non il preſcriverla, e
comandarla; anzichè qualora dagli Scrittori Latini al ferre legem fi aggiligne
ad populum, ad plebem, e ſimili, non v'è eſempio, che foſſe ſtata mai tal lo
cuzione appreſa in ſenſo di comandare la leg ge al Popolo, alla Plebe, ma
ſempre nel ſen ſo di proporla, per determinarſi dal ceto del popolo o della plebe.
E quando la lega ge propoſta veniva coi fuffragi ſtabilita v preſcritta, allora
diceaſi lex juſſa, condita; ſic chè altro era il ferre, altro il jubere legem;
il ferre fignificava proporre, ed il jubere pro D 3 pria (a ) Vedi Briſſonio de
Formulis. il quale traſcrive i laoghi degli Scrittori Latini ſu sale articolo priamente
dinotava la determinazione, o sia le juffione della legge. Tra gli altri
Scrittori Latini ſono innumerabili i luoghi di Livio, in cui cgli îi avvale
dell' eſpreſsione di ferre legem, o pure rogationem, nel ſuo vero ſenſo di
propar re, e non già di comandare, e ſoprattutto quando riferiſce le
pretenſioni de' Tribuni del la Plebe, in cui fa uſo della voce ferre ine fenſo
ſempre di proporre o promuovere, e lis mili, e non mai di preſcrivere, o
comandare, perchè i Tribuoi della Plebe non aveano altra facoltà, fe non quella
di promuovere, e di eſporre le petizioni del Ceto plebeo, e non già di
comandarle. Ma per eller convinti di queſto vero ſenſo ſecondo l'originaria fua
fi gnificazione baſta un luogo folo di LIVIO (si veda), in eui eſpreſamente ſi
addita la differenza tra "! ferre, e jubere legem. Racconta egli, che
pell'anna 372. il Senato ordinà, che ſi fosſe pro poſto al Ceto plebeo la
deliberazione d' intimark la guerra a' Popoli di Veletri. I Patrizi co nofcendo
d' eſſerſi laſciata più volte impunitra la ribellione de' cittadini di Veletri,
decreta rono, che al più preſto che fosſe poſſibile, ſi pro poneffc SS ponefe,al Ceto plebeo l'affare d'
intimarye loro la guerra, e che propoftafi una tal delibera zione tutte le
Tribù conſentirono a coman dare', e determinare una tal guerra. E qui Livio
eſpreſſamente fi avvale della voce fer re, quando parla di proporſi l'affare al
Ceto plebeo, e della voce jubere, quando riferiſce la juffione della guerra
ſeguita coi fuifragj di tutte le Tribù (a ). Egli è vero, che l' eſpreſ Gone di
ferre legem é ſtata poi dai Latini tra ſportata anche a fignificare la promulgazione
della legge in quelle locuzioni Lata lex eft, e limili; ma neppure "la
trovaremo uſurpata in queſto ſenſo, quando ci ſi aggiugne ad Populum, ad plebem
c. perchè allora ritie ne l' originaria ſignificazione di proporre, e non di
promulgare (.b). Comunque però fi D4 ap LIVIO. Id Patres rati contemptu accidere, quod
Veliternis Civibus ſuis tamdiu impuni ' ta dete &tio effet, decreverunt, ut
primo quoque rem pore ad populum FERRETUR de bello cis indicen do...... Tum, ut
bellum JUBERENT, latum ad Populum eft; et nequidquam diffuadentibus Tribu nis
Plebis, omnes Tribus bellum JUSSERUNT. Tum ut bellum juberent, LATUM AD PO
PULUM EST. Livio loc. cit. apprenda, o in ſenſo di proporre, o di pro mulgare,
egli è fuor di dubbio, che non mai può ſignificare juffione è determinazione
della legge. Ciò ſuppoſto, per ritornare ora a Pomponio, ognun vede, che le di
lui parole: Et ito leges quaſdam et ipfe Curiatas ad populum tue lit; tulerunt
ex Sequentes Reges non pofſono apprenderli nel ſenſo, che Romolo, e gli altri
Re aveſſero preſcritte le leggi Curiate ſe non vogliamo tacciare il
Giureconſulto per ignorante del linguaggio latino, ma quel tu lit ad populum
deeſi riferire a quella facoltis che riſedeva ſoltanto preſso la perſona del Re,
di proporre gli affari pubblici in Senato, ed in conſeguenza le leggi, la di
cui juffio ne nondimeno dipendeva dal fuffragio delle Curie medesime per
fententias earum partium, e non dall'arbitrario volere del Re; e le leg gi fi
diſſero Curiate non per altra ragione, ſe non perché vennero preſcritte, e
comandate dalle Curie, e non dal volere del Re, quan tunque egli come. Capo del
Senato, e come riconoſciuto per lo più abile e favio trai Senapa " DI ROM
A 57 Senatori godeſſe la facoltà di proporre cioc chè gli ſembrava più
eſpediente per l'ottimo regolamento dello Stato; ma' una tal prero gativa fu
fpiegata' altresì dopo il diſcaccia-, mento de'Re dai Conſoli, dai Tribuni mili
tari di poteſtà Confolare, dai Ditcatori, e da altre Magiſtrature di ſublime
autorità, le quali tutte proponevano al Senato, alla Plebe, al Popolo tutto, le
determinazioni degli affari pub blici, e maſſime delle leggi; niuno però fin è
ſognato finora di aſcrivere la forma del Governo ſotto i consoli a Monarchia,
perchè la ragione di Capo d'un Popolo senza carattere di potestà assoluta non
può produrre monarchia, fe non vogliamo confondere ! idea del governo monarchico
coll'aristocratico e democratico. winno Conchiudiamo adunque. Gli Scrittori
chepiù degli altri ci narrano con qualche diſtinzione la forma del Governo
tenuta ſotto Romolo, fo no Dioniſio, e Pomponio. Il primo ci de fcrive
chiaramente la coſtituzione del Senato, dal di cui arbitrio dipendevano le
determina zioni degli affari e l'intiero regolamento dello dello Stato, ciocchè
eſclude di fatto ogniom bra diMonarchia in perfona di ROMOLO. Il fecondo non
ſolamente non fi oppone a quan to riferiſce Dioniſio, anziché ce lo conferma
più chiaramente, prima col riferirci, che nel naſcimento della Città non
v'erano leggi cer te e preſcritte, ma che tutto regolavaſi col conſiglio e
guida di Romolo, ed indi cot narrarci, che creſciuta in qualche maniera la
moltitudine degli abitanti, fu neceffario di venirli allo ſtabilimento delle
leggi certe. Quali leggi inſieme col reſto de' pubblici af fari, eſſendoſi
diviſo il Popolo in trenta Cu rie, furono preſcritte col fuffragio delle me
defime; ragion, per cui fi diſsero leggi Cum riate; e che finalmente la
prerogativa di Rom molo, come Capo del Senato, fi riduceaus alfa - facoltà di
proporre predo il Ceto de Se natori ciocchè gli ſembrava opportuno per
determinarli gli affari dal Senato medeſimo per ſententias carum partium. In
fomma, che Je leggi col reſto delle pubbliche determinazia -ai fi ſtabilivano
colla juſsione delle Curie, o fia del Senato, non si può negare per l'alt
torita DI ROM A.torità di Pomponio, di Dioniſio, di Livio, e di tutti gli
Storici, i quali concordemente combinano ſu tale articolo. Il determinarli gli
affari per ſententias delle ſteſſe. Curie e de Senatori, in buon latino non può
fignifica re pareri confultivi, ma juſsione per mezzo della pluralità de*
fuffragi. Quel tulit leges ad populum attribuito a Romolo, ed ai Re fuc celori,
altro non contiene, che la facoltà del Re nel proporle, e non già nel
comandarle, e prefcriverle. Dunque dai detti degli ſteffi Storici siamo
convinţi, che la forma del Gom verno iſtituita fatto Romolo non ebbe nep pur
l'ombra dellaMonarchia, perché doves vi è Senato, preffo di cui rilieda la
poteftà. ſuprema di decidere gli affari dello Stato, ivi non vi può regnare il
Monarca. E per ultimo troviamo nella Storia Civile di Romaun fatto
incontraſtabile, che di ſya natura ci dimoſtra, quanto foffe lontano dalla
Monarchia il Governo Civile iſtituito foto Romolo. Egli è troppo noto il dritto
di Pa tria poteſtà, che eſercitavaſi in Caſa dal Citta dino Romano ſulla ſua
famiglia ſenza limiti, @fen. 3 e fenza la minima dipendenza dal re, o dal
Senato. Non intendā io qui di quella potefta patria praticataſi nei tempi
poſteriori, e maf fime fotto gl’Imperatori, ma di quell'affolu to Impero
Paterno eſercitato fin dalla fonda zione di Roma, e che dai Decemviri fu tra-.
ſcritto nelle xir. Tavole, come riferiſce Dio-, niſio (a ). Era certamente la
Patria poteſtà di quel tempo fornita d'un aſſoluta dominazio ne ſulla ſua
famiglia, finanche verſo i pro prj. Figli, fovra di cui il ' Padre eſercitava
dritti di vera Monarchia, com'era l'effer di ſpotico della vita, e della morte loro
(b), eltre dell'arbitraria facoltà di poterli vende re, in manierachè dopo la
terza vendita i Fi gli di liberavano dal diſpotiſmo Paterno. Or queſto dritto
Patrio, che con vera efpref fione Antiq. Rom. lib. 2. Sull' autorità di
Dioniſio gl' Interpreti del dritco Romano compoſero quel capo di legge delle
mit. Tavole con quelle parole: ENDO LIBERIS JUSTIS VITAE NECIS VENUM, DANDIQUE
POTE STAS EI ESTO. SI PATER FILIVM TER VENVM DUIT, FILIUS A PATRE LIBER ESTO:
altro capa delle? fione da Valerio Massimo e da Quintiliano venne detto Patria
Majeſtas, fu eſerci tato dai Romani non ſolamente dal teropo della
promulgazione delle XII. Tavole, ma fin da’ pri ra, delle xir. Tavole riferito
da Ulpiano. E Dionifio loc. cit: Romanorum autem legislator (inc tende di
ROMOLO) omuem ur breviter dicam, pour teſtatem patri dedit in filium, idque
toto vitae tem pore, five in carcerem eum detrudere; five fla gris caedere,
five vinctum ablegare ad ruſtica ope five necare libeat, etiamli filius tractet
Rempue. blicam, etiamfi Magiftratus gefferit maximos, etiamſi fudii erga
Rempublicam laudem fit promeritus. Jux ta hanc certe legem illuſtres viri pro
roftris favente plebe concionantes in Senatus invidiam, fruenteſque aura
populari, detracti e ſuggeſto, abducti ſunt apa tribus, poenas daturi ex
ipforum fententia; quos, duin per forum ducerentur, nemo adftantium eripere
poterat, non Conſul, non Tribunus, non ipſa turba, cui tuin adulabantur, licet
omnem poteſtatem ſua minorem exi ftimans. Taceo, quot viri fortes necati Gnt. a
patri bus &c.... Nec contentus hanc poteſtatem parentibus dediffe
Legislator Romanus, permifit etiam vendere fi lium.. Majorem largitus
poteſtatem patri in filium, quam hero in mancipiuin; lervus eniin ſemel
venditus, deinde libertatem adeptus, in poſterum fui juris eſt; fi lius vero a
patre venditus, fi liber fieret, rurſum fub ра tris poteftatem redigebatur;
iterum quoque venunda tus, et liberaçus, fervus patris crat tertiam demum
yendiționem eximebatur e patris po teſtare et c. Declamat., ut ante? poſt primi
tempi di Roma, poichè Ulpiano afferma d'ellerli introdotto moribus, cioè, non
per legge ſcritta, ma per antichillimo coftu me Patrio; Dioniſio (6) lo
riferiſce ad una legge di Romolo; e Papiniano (c) l' attri buiſce ad una legge
Regia. Ma Ulpiino a mio giudizio l'indovina meglio di tutti, coll' affermare
d'eſerli tal dritto di Patrią poteſtå ricevuto per coſtume; e la ragione ſi è,
perchè una tal poteſtà diſpotica del Padre di famiglia dobbiamo fupporla nata
inſieme col la coſtituzione delle Famiglic medefime, e prima che quefte
conveniſſero a formare So cietà Civile, ſicchè troyandofi tal coſtuine già
introdotto nello Stato di famiglie, natu ralmente fu conſervato e ritenuto
dalle Fa miglie, che convennero con Romolo nella fon dazione di Roma. In fatti
tal coſtume trovali quaſi uniforme in tutte le Nazioni ne'loro for gimenti per
le chiare teſtimonianze degli an tichi (a) L. 8. de his, qui ſunt fui, vel
alieni juris. (b ) Loc. cit. (c ) Collar. leg. Mofaic. tit.). tichi Scrittori (a ). E ſebbene Triboniano (b
) credette, che folle queſto dritto proprio de' Romani, pure s'inganno, forſe
dall' avere of fervato, che ne’tempi, in cui i Romani eſer citarono queſto
dritto con aſſoluta poteſtà, e. nel maſſimo ſuo rigore, l'altre Nazioni l'avea.
no già raddolcito con ridurlo a limiti più be. nigni ed umani, come avvenne
altresì presso gli itefli Romani, mallime fotto gl'Im peradori, nella di cui
età la poteità Patria decadde in buona parte dall'antico fuo ri gore. Comunque
sia, quanto al preſente ar gomento çi baſta di potere afficu are colla tea
ftimonianza di tanti Scrittori, che il Diſpo tilmo Patrio fu eſercitato
da'Romani fin dai primi tempi di Romolo. Qui cade in acconcio di riflettere
ciocche gli Storici ci narrano dell'accuſa d'Orazio per aver ucciſa la Sorella
in atto, che ritornava trion LIZIO Nicomache. Cesare, de bell. Gill. Plutarco
in Lucullo Giustiniane Novella Inf. trionfante per la vittoria contro i curiazi.
Dionisio fembrami', che racconti il fatto al ſai meglio di LIVIO (si veda),
allorchè cinarra l'accuſa, e'l giudizio d'Orazio, in cui non fa men zioné né
del Giudizio de' Duum viri, nè dell' appellazione propoſta da Orazio al Popolo,
che ſono le due circoſtanze che fi leggo no in Livio; ma ſemplicemente ci rac
conta, che füll'accuſa propoſta da taluni con tro Orazio al Re Tullo, il Padre
di Orazio, oltre di aver dichiarato di non meritare fuo Figlio la minima pena,
pretendeva, che un tal giudizio apparteneſſe privativamente alla di lui
cognizione, tractandoſi d'un fatto acca duto tra i ſuoi figli, e che in
confeguen za per dritto di poteſtà Patria dovea egli ef fere il giudice di
queſta Cauſa. Ma il Re per una parte credeva anch'egli di doverli af fólann
Dionis. Antiquit. Romanarum. Pater contra patrocinabatur filio, acculans filiam,
et negans eam dicendam cædem, fed poenam verius, poftulabatque fibi de fuis
malis permitçi Judicium ut qui ambo rum effet Pater. 2 • Í folvere ORAZIO (si
veda) io benemerenza della vittoria ed
in conſiderazione dell'inſulto di parole fat to dalla Sorella al Fratello in
tempo, che aſpettava dà lei piùcche da ogni altro lode, ed applauſo per
un'opera egregia preſtata alla Pa tria; è molto più à cagione, che il Padre
preſſo di cui rifedevå fecondo i coſtumi di que' tempi l'indipendente poteſtà
di giudica re ſulle perſone de propri Figli fi era dichia rato d'averlo già
adoluto. Dall'altra parte il Re temeva il tumulto Popolare eccitato dagli emuli,
ed inimici d'ORAZIO. Tra tali dubbiezze pensò di prendere l'eſpediente di
rimettere la cognizione della Caufa al Popo lo, il quale confermò il giudizio
Paterno con affolvere l' accufato Orazio. Un tale rac conto è molto più
verifimile di quel; che ci narra Livio fúl giudizio de ' Duumviri, e dell'
appellazione propoſta da Orazio al Popolo; poichè in que' tempi l'Impero
Paterno eras Tomo 11. E nel Dionis. Praeſertim patrc quoque ipſum abfolvente,
quem potiſſimum Filiae ultorem jus * natura fecerar: nel ſuo miglior vigore; nè
il Re fenza of fendere le leggi del Patrio Impero potea to gliere il giudizio
di queſta Cauſa dallauto gnizione del proprio Padre, e tasferirlo ai Duumviri,
e molto meno in ſimili Cauſe era permello al Popolo di prenderne cognizio ne in
pegiudizio del dritto Paterno. Ma la contingenza straordinaria d ' eſſerſi
mella, la Città in rivolta per queſto fatto, produſela neceflità di ſedarſi il
tumulto coll’eſpedien te politico di rimettere l'affare al giudizio del Popolo,
e l' Impero privato del Padre dovette cedere alla ragione della pubblica
tranquillità. E quindi intendiamo ancora la ragione, per cui Dioniſio riferiſce,
che que Ita fu la prima volta, in cui il Popolo preſe cognizione d ' un
giudizio Capitale (a), non gia perchè prima di queſto tempo non aveſſe mai il
Senato giudicato di delitti capitali, come Pion. lor. cit. Populus autem
Romanus tum pri mum capitalis judicii potestatem nactus, comprobavit Patris sententiam
Juvenemque abſolvit a cac dis crimine, come ſe prima non foſſero mai accadute
con tingenze fimili o fe al Senato, che gode vala ſuprema poteſtà del Governo
folle mancata fino allora quella di poter giudica re di delitti Capitali; Ma
l'eſſere ſtata que. fta la prima volta, in cui eſercitoſli dal Po polo il
dritto di giudicare d ' un delitto capitale, deeſi riferire al fatto
particolare, di cui ſi trattava, cioè alla poteſtà di giudicare d'un Figlio di
Famiglia contro il ricevuto ca ſtume dell'impero paterno, a cui privativa mente
ne apparteneva la cognizione. Or per tornare al noſtro propoſito diciamo, che
fe que? Scrittori, i quali s'immaginarono, che Romolo infieme coi Re ſucceſſori
fpiegaro no carattere di Poteſtà Monarchica, aveſsero fat to oſſervazione
ſull'Impero Patrio, e familia re praticato da ’ Romani fin dalla fondazione
della città, ſi ſarebbero accorti dell' impof ſibilità di poterſi unire inſieme
Monarchia, Civile prello del Re, e Monarchia familiare preſſo i privati cittadini;
poichè chi dice Monarchia familiare prello de' privati Citta dini cfclude ogni
ombra di Monarchia preſſo E 2 il ma dello il Re; e la ragione ſi è, perchè fe i
Padri di famiglia ſenza la minima dipendenza non folamente del Capo del Senato
fteſſo Senato regnante erano gli aſſoluti Mo narchi dell'intiera loro famiglia,
ſia de ' figli, fia dei fervi, e famoli, come mai poſſiamo figurarci, che tali
Monarchi familiari foſſero nel tempo ſteſſo ſoggetti alla Monarchia Ci vile?
Chiamaſi Monarchia Civile quello fta TO, in cui tutto l'intero corpo civile in
tutte le ſue faccende pubbliche e private trovali ſoggetto all'autorità fuprema
d'un folo che comanda. Or chi non vede la manifeſta diſſonanza e contradizione
nel ſupporre il Ceto 'de' Cittadini fornito di po* teftà ſuprema, ed
indipendente nella fua fa miglia, é foggetto nel tenipo Ateſo al Mo narca? E
come mai poſſono fingerfi unite in ſieme poteſtà fuprema, e foggezzione? In
tutte le Società Civili, ove regna la Monar chia, non trovaremo mai poteftà
familiare in dipendente dal Monarca, perchè l'una eſclu de direttamente l'altra.
In fatti tali poteft:s private in perſona de' Cittadini non pollonio altri
altrimenti eſercitarſi, fe non in quelle società civili, che ſiano governate
colla formas Ariſtocratica perchè tal forma di Gover no ſolamente può
comportare diviſioni di po teſtà pubblica, e privata; pubblica preſso il Ceto
degli Ottimati e privata preſo le perſone particolari degli ſteſſi rappreſentan
ti della Repubblica, i quali ſpiegano la po teſtà pubblica, quando uniti
inſieme com pongono l'autorità regnante, e la privata, quando ſeparatamente
regolano gli affari para ticolari delle loro famiglie: Or quanto tal diviſione
di poteftà pubblica, e privata è comportabile call' Ariſtocrazia, altrettanto
fi oppone direttamente alla Monarchia veggiamo colla ſperienza, la quale coſtan
temente ci atteſta, che la Monarchia non mai ammette un tale impero paterno
nelle famiglie, come in fatti avvenne preſſo i Ro mani in tempo, che la
Repubblica cadde nella poteſtà aſſoluta del monarca. Ne poſliamo figurarci, che
la poteſtà fa niliare de’Romani foſſe ſtata in qualche ma niera ſubordinata
alla poteſtà pubblica; pero E 3 chè 9 come / E ché ſono troppo chiare le
teſtimonianze de gli Storici, come abbiam veduto, dalle quali Siamo a ſacurati,
che l'Impero Paterno de' Romani in que' tempi avea carattere di po teſtà
aſſoluta; ed indipendente; e quando al tro mancaffe il dritto vite e necis, e
di vendere i propri figli ci dimoſtra chiaramen te, che non potea eſſere un
dritto ſubordina to; poichè i dritti ſubordinati, e dipendenti riconoſcono
neceffariamente certi confini, ol tre de' quali non lice di eſercitarli; ma
qualo ra ſi tratta di dritto ſulla vita, ch' ċ l'ulti mo termine di ogni
poteſtà aſſoluta ſi poſſa uſare ſulle perſone, ceſsa ogni ſoſpetto di
ſubordinazione; ed oltracciò colle chiare teſtimonianze degli Storici ſiamo
convinti, che l'impero paterno di fatto è esercitato da’Romani senza la minima
dipendenza del la poteſtà pubblica. Dunque non abbiam cam po da fuggire da quel
dilemma, cioè, che o fi dee ammettere per punto di Storia certa, che quei Padri
di famiglia eſercitavano poteſtà fuprema in caſa, e non poſſiamo fingere
poteſtà Monarchica Civile; o fe vogliamo nega negare tal poteſtà familiare ai
Padri di fami glia, allora ci ſi chiude affatto la ſtrada di fapere la Storia
Civile di Roma; perchè fe voglianio mettere in dubbio i punti di Storia
confermatici concordemente da tutti gli Scrittori, non ſiamo più in grado di
dar fe de a tutto il reſto. Grice: “Unfortunately, Duni, being the elitist he
is, spends more time on the monarchy than the republic, and focuses on the
concept of ‘citizen.’Ricerca Imperativo categorico concetto della filosofia
kantiana L'imperativo categorico è il principio centrale nella filosofia morale
di Kant, così come dell'etica deontologica moderna, altrimenti chiamata legge
morale. Immanuel Kant Introdotto nella Fondazione della metafisica
dei costumi, potrebbe essere definito come lo standard della razionalità da cui
tutte le esigenze morali derivano. Secondo Kant, gl’esseri umani occupano
uno speciale posto nella creazione, nella quale la moralità può essere definita
come somma ultima dei comandamenti della ragione, o imperativi, da cui ciascun
uomo deriva tutte le altre obbligazioni e i doveri. Egli definì un imperativo
come una proposizione che dichiara una certa azione (o anche un'omissione)
essere necessaria. Mentre la massima è un principiosoggettivo, l'imperativo
categorico è invece un principio oggettivo; l'intenzione è poi il fondamento
intrinseco della massima. L'etica di Kant si riferisce a massime e ciò a cui
attribuisce grande importanza è l'intenzione. Un imperativo ipotetico
costringe all'azione in determinate circostanze: se io desidero dissetarmi devo
assolutamente bere qualcosa. Un imperativo categorico, d'altro canto,
denota un'assoluta e incondizionata richiesta: un "devi"
incondizionato, che dichiara la sua autorità in qualsiasi circostanza, entrambi
necessari e giustificati come un fine in sé stesso. È meglio nota nella sua
prima formulazione: "agisci soltanto secondo quella massima che, al
tempo stesso, puoi volere che divenga una legge universale"ma esistono
altre due formulazioni dello stesso imperativo categorico: "agisci
in modo da trattare l’umanità, sia nella tua persona sia in quella di ogni
altro, sempre anche come fine e mai semplicemente come mezzo." e
"La volontà non è semplicemente sottoposta alla legge, ma lo è in modo da
dover essere considerata auto-legislatrice e solo a questo patto sottostà alla
legge."[3] Kant espresse estrema insoddisfazione per la cosiddetta
filosofia popolare dei suoi tempi, credendo che non avesse potuto mai superare
il livello degli imperativi ipotetici: una persona utilitarista direbbe che
l'omicidio è sbagliato perché non massimizza il bene per il maggior numero di
persone, ma questo è irrilevante per coloro i quali sono interessati solo nel
massimizzare risultati positivi solo per sé stessi. Conseguentemente Kant
argomentò che i sistemi di morale ipotetici non possono convincere all'azione
morale o essere visti come base per giudizi morali verso altri, perché gli
imperativi sui quali si basano si rifanno troppo pesantemente a considerazioni
soggettive. Egli presentò un sistema di morale deontologica basata sulle
richieste degli imperativi categorici come alternativa. Natura del
concetto. Dal punto di vista di Kant un atto morale è un atto che sarebbe
giusto per qualsiasi tipo di persona, in circostanze simili a quelle nelle
quali un agente si trova nel momento di eseguirlo. La facoltà che ci permette
di prendere decisioni morali è chiamata ragion pratica pura, che è in contrasto
con la ragion pura (la capacità di conoscere) e la semplice ragion pratica (che
ci permette di interagire con il mondo dell'esperienza). La guida alle
azioni determinate dall'imperativo ipotetico ha un uso strumentale: ci dice cosa
sia meglio raggiungere per i nostri obiettivi. Non ci dice, in ogni caso,
niente circa i fini che dovremmo scegliere. Kant, viceversa, considera il
giusto essere antecedente al buono come importanza assoluta; infatti sostiene
che il buono raggiunto ha una irrilevanza morale. La giusta moralità non
può essere determinata con riferimento a niente di empirico o sensuale; si può
determinare solo a priori, con ragion pratica pura. La ragione, separata
dall'esperienza empirica, può determinare il principio secondo il quale tutti
gli obiettivi possono essere determinati come morali. È questo principio
fondamentale della ragione morale che è conosciuto come imperativo
categorico. La ragion pratica pura, nel determinarlo, determina cosa
sarebbe necessario intraprendere senza riferimenti ai fattori contingenti
empirici. Questo è il senso in cui la meta etica di Kant è oggettivista piuttosto
che soggettivista. Le questioni morali sono determinate indipendentemente dal
riferimento al particolare soggetto che viene loro posto. È per il suo
essere determinata dalla ragion pratica pura, piuttosto che dal particolare
empirico o dai fattori sensoriali, che la moralità è universalmente valida.
Questa morale universale è considerata come un aspetto distintivo della
filosofia morale kantiana e ha avuto un grosso impatto sociale sui concetti
politicie legali dei diritti umani e dell'uguaglianza sociale. Libertà ed
autonomiaModifica Kant vide l'individuo umano come un essere razionale
autocosciente con una scelta di libertà impura. La facoltà di desiderare in
base a concetti, nella misura in cui il motivo determinante della sua azione va
individuato in lei stessa e non in un oggetto, si chiama facoltà di fare o di
non fare a piacimento. In quanto legata alla coscienza della capacità della sua
azione in vista della produzione dell'oggetto, essa si chiama arbitrio, mentre
se è priva di questo legame, il suo atto si chiama aspirazione. La facoltà di
desiderare, il cui motivo determinante interno, quindi anche il gradimento, è
da cercare nella ragione del soggetto, si chiama volontà. La volontà è quindi
la facoltà di desiderare considerata non tanto (come l'arbitrio) in rapporto
all'azione, quanto piuttosto in rapporto al motivo determinante dell'arbitrio
in vista dell'azione. Inoltre non ha di per sé in verità alcun motivo
determinante, ma, in quanto può determinare l'arbitrio, la volontà è piuttosto
la ragione pratica stessa. Nell'ambito della volontà può rientrare l'arbitrio,
ma anche la semplice aspirazione, in quanto la ragione può determinare la
facoltà di desiderare in generale. L'arbitrio che può essere determinato dalla
ragione pura, si chiama libero arbitrio. Quello che si lascia determinare
soltanto dall'inclinazione (impulso sensibile, stimulus), sarebbe arbitrio
animale (arbitrium brutum). Al contrario l'arbitrio umano è tale da venire sì
sollecitato dall'impulso, ma non determinato, e non è dunque puro di per sé
(prima di acquisire la prerogativa della ragione), ma può essere determinato ad
agire dalla volontà pura. Immanuel Kant, Die Metaphysik der Sitten,
Metafisica dei costumi, tr. it. cur. di Petrone, Milano, Bompiani)
Per poter considerare una volontà "libera", dobbiamo intenderla
capace di influenzare il potere causale senza essere essa stessa causata a fare
ciò. Ma l'idea dell'essere di un libero arbitrio "senza legge", vale
a dire un volere che agisce senza alcuna struttura causale, è incomprensibile.
Dunque, un libero arbitrio dovrebbe agire sotto leggi che esso dà a sé
stesso. Sebbene Kant ammise che non vi potesse essere alcun esempio
concepibile di esempio di libero arbitrio, perché un qualunque esempio ci
mostrerebbe solo come una volontà come ci appare come soggetto alle leggi
naturali — in ogni caso argomentò contro il determinismo. Propose che il
determinismo fosse inconsistente dal punto di vista logico: il determinista
afferma che A ha causato B, e B ha causato C, che A è la vera causa di C.
Applicato al caso della volontà umana, un determinista potrebbe discettare sul
fatto che la volontà non ha un potere causale perché qualcos'altro ha causato
la volontà di agire come ha fatto. Ma tale argomentazione semplicemente assume
cosa si era prefigurato di dimostrare; che la volontà umana non è parte della
catena causale. In secondo luogo Kant sottolinea che il libero arbitrio è
intrinsecamente inconoscibile. Poiché dunque anche una persona libera non
potrebbe avere la conoscenza della propria libertà, non possiamo usare le
nostre sconfitte per trovare una prova del fatto che la libertà esiste o l'assenza
di essa. Il mondo osservabile non potrebbe mai contenere un esempio di libertà
perché non mostrerebbe mai una 'volontà' come appare a "se stessa",
ma solo una 'volontà' che è soggetta alle leggi naturali imposte su di essa. Ma
alla nostra coscienza appariamo come liberi: dunque trasse le conclusioni che
per l'idea della libertà trascendentale questa sarebbe, libertà come
presupposto della domanda "cosa sarebbe necessario che io
faccia?". Questo è ciò che ci dà base sufficiente per definire la
responsabilità morale: il razionale e il potere dell'auto-realizzazione
dell'individuo, che egli chiama "autonomia morale": «la proprietà che
la volontà ha di essere una legge per essa stessa». Buona volontà, dovere
e l'imperativo categoricoModifica Dacché considerazioni dei dettagli fisici
dell'azione sono necessariamente legati alle preferenze soggettive di una
persona, e potrebbero essere attivate senza l'azione del volere razionale, Kant
concluse che le conseguenze che ci si attendeva di un atto sono esse stesse
neutrali moralmente, e quindi irrilevanti alle delibere morali. L'unica base
oggettiva per un valore morale dovrebbe essere la razionalità della buona
volontà, espressa in riconoscimento del dovere morale. Il dovere è la
necessità di agire in rispetto della legge dettata dall'imperativo categorico.
Poiché il suo valore morale non scaturisce dalle conseguenze di un atto, la
sorgente della sua moralità dovrebbe essere semmai la massima sotto la quale
l'atto è eseguito, senza rispettare tutti gli aspetti o le facoltà del
desiderio. Un atto può dunque avere un contenuto morale se, e solo se, è
eseguito con riguardo verso il senso di dovere morale; non è sufficiente che
l'atto sia consistente con il dovere, deve essere intrapreso in nome
dell'adempimento del dovere. NoteModifica ^ Immanuel Kant, Fondazione
della metafisica dei costumi, in Scritti morali, traduzione di Pietro Chiodi,
Torino, UTET, Kant, Fondazione della metafisica dei costumi, in Scritti morali,
traduzione di Pietro Chiodi, UTET, Kant, Fondazione della metafisica dei
costumi, in Scritti morali, traduzione di Pietro Chiodi, UTET, Orlando L.
Carpi, Il problema del rapporto fra virtù e felicità nella filosofia morale di
Immanuel Kant, Bologna, Edizioni Studio Domenicano, Etica Imperativo ipotetico Imperativo categorico, su Enciclopedia
Britannica, Encyclopædia Britannica, Inc. Imperativo categorico, in Catholic
Encyclopedia, Robert Appleton Company. Portale Filosofia: accedi alle voci di Filosofia.
Critica della ragion pratica testo filosofico di Immanuel Kant Imperativo
ipotetico termine Fondazione della metafisica dei costume. Emanuele Duni.
Duni. Keywords: costume, o sia sistema di dritto [sic] universale, diritto universale – diritto filosofico -- Vico,
filologia, Roma, universalita – Cicerone e buono. Cicerone e onesto – Cicerone
dice la verita, il diritto romano universalisabile --. Refs.: Luigi Speranza,
“Grice e Duni” – The Swimming-Pool Library. Duni.
Luigi Speranza – GRICE ITALO!; ossia, Grice e Duso:
la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale di Romolo e
compagnia – scuola di Treviso – filosofia trevisese – filosofia veneta -- filosofia
italiana – Luigi Speranza (Treviso).
Filosofo
trevisese. Filosofo veneto. Filosofo italiano. Treviso, Veneto. Grice: “While
Duso is right that Hegel makes constitution and freedom analytically connected,
the Romans didn’t! -- Grice: “My favourite Duso is his study of Hegel on
freedom and the constitution – but Duso, who could have drawn from ‘diritto
romano’ doesn’t!” Studioso dei
concetti della politica moderna e riconosciuto per i suoi interventi su
Althusius e sul giusnaturalismo. Studia a Padova. Si laurea con “Hegel
interprete di Platone” (cf. “L’influenza di Hegel su Platone”). Assistente di
Storia della filosofia e Professore di Storia della logica. Insegna a Padova.
Dirige un Gruppo di ricerca sui concetti politici. È stato membro della
redazione delle riviste "Il Centauro" e Laboratorio politico. Membro
della Direzione della rivista "Filosofia politica", membro fondatore
dell'associazione "Centro di ricerca sul lessico politico europeo",
insieme a Roberto Esposito, Alessandro Biral, Adone Brandalise, Nicola Matteucci
e altri. Fonda con alcuni colleghi il Centro Inter-Universitario di Ricerca sul
Lessico Politico e Giuridico Europeo (CIRLPGE), con sede presso l'Istituto suor
Orsola Benincasa a Napoli, di cui è Direttore. Ha tenuto corsi di Storia della
Filosofia politica, di Filosofia politica e di Analisi dei Linguaggi e dei
Concetti Politici a Padova. In occasione della sua ultima lezione
"ufficiale", gli allievi del gruppo di ricerca padovano sui concetti
politici hanno edito in suo onore il volume "Concordia discors”. Il 27 maggio
l'Universidad Nacional de San Martín gli conferisce la laurea honoris
causa per il suo lavoro accademico in quanto "costituisce un fondamento
teorico indispensabile per comprendere l'attualità" -- è tra i principali
fautori italiani di una riflessione sui concetti del politico, che si inserisce
nel solco della Begriffsgeschichte tedesca di Brunner, Conze, Koselleck. Nei
confronti di quest'ultima il gruppo padovano coordinato da D. ha elaborato una
originale linea di ricerca caratterizzata in modo duplice dalla filosofia: in
primo luogo in quanto i concetti che si affermano e si diffondono con la
Rivoluzione francese sono esamila loro genesi, che avviene nell'ambito delle
dottrine del ‘contratto’sociale e dei sistemi di ‘diritto’ naturale; ma
soprattutto perché filosofico è il movimento di pensiero di chi pratica una
storia concettuale consistente nell'interrogare e mettere in questione (nel
senso dell'elenchos socratico) il concetto (‘diritto’, ‘ius’, ‘uguaglianza’,
‘libertà’ ‘potere’ ‘democrazia’) che sono in genere ritenuti ovvii sia nel
dibattito intellettuale, sia nella lotta politica. La storia concettuale
consiste in questo modo nel comprendere la genesi, la logica e le aporie dei
fondamentali concetti politici. "Storia dei concetti"
(Begriffsgeschichte) compare per la prima volta nelle “Vorlesungen über die
Philosophie der Geschichte” diHegel. Stanti le caratteristiche di quel testo,
non si sa se ‘Begriffsgeschichte’ sia di conio hegeliano, o non piuttosto
frutto di interpolazione. Esso allude ad una delle tre modalità storiografiche
discusse da Hegel, ed in particolare alla "storia interpretativa" (“reflektierte
Geschichte”), che indirizza la storia generale o storia del mondo o storia
universale (“Weltgeschichte”) alla filosofia, da un punto di vista universale.
Quest'uso della “Begriffsgeschichte” resta senza seguito. La tradizione
storico-concettuale evolve invece, tra il XVIII secolo ed il XIX, nell'alveo della
lessicografia filosofica. Nella
riflessione di Duso, la filosofia politica da una parte coincide con il lavoro
critico della storia concettuale, e dall'altra tende, sulla base delle aporie
emerse, a trovare linee di orientamento per un nuovo pensiero della politica.
In tal modo viene messa in questione la modalità generalmente accettata di
pensare la politica, che ha la sua radice nello sviluppo teorico che va dalla
nascita della sovranità sulla base del concetto di ‘libertà’ ai concetti
fondamentali delle nostre costituzioni democratiche, in particolare ‘sovranità
del popolo’ e ‘rappresentanza politica’. Il lavoro critico sul concetto ha
perciò una sua ricaduta nella messa in questione del dispositivo formale sia
della ‘democrazia rappresentativa’ che della ‘democrazia diretta’, e nel
tentativo di pensare la politica mediante nuove categorie. Altre opere: “Hegel e Platone, Padova; Contraddizione
e dialettica nella formazione in Fichte, Argalìa, Urbino; Weber: razionalità e
politica Arsenale, Venezia; La politica oltre lo Stato: Carl Schmitt Arsenale,
Venezia; Il contratto nella politica (Il Mulino, Bologna); Filosofia politica e
pratica del pensiero: Eric Voegelin, Leo Strauss e Hannah Arendt”
(FrancoAngeli, Milano); “Il potere. Per la storia della filosofia politica
modernaCarocci, Roma (disponibile su cirlpge); “La logica del potere. Storia
concettuale come filosofia politica” (Laterza, Roma-Bari (Polimetrica, Monza (disponibile su cirlpge); “La libertà nella
filosofia classica tedesca. Politica e filosofia tra Kant, Fichte, Schelling e
Hegel (ed. con G. Rametta), Milano, FrancoAngeli); “La rappresentanza politica:
genesi e crisi del concetto, Franco Angeli Milano, cirlpge)(Duncker et Humblot,
Berlin, 2006 (disponibile su cirlpge); “Oltre la democrazia. Un itinerario
attraverso i classici” (Carocci, Roma); Sui concetti giuridici e politici della
costituzione dell'Europa (ed. con S. Chignola), FrancoAngeli, Milano, Polimetrica,
Monza; Ripensare la costituzione. La
questione della pluralità, (ed. con M. Bertolissi e Antonino Scalone),
Polimetrica, Monza, (disponibile su cirlpge) Storia dei concetti e filosofia
politica, (con Sandro Chignola), FrancoAngeli, Milano; Come pensare il
federalismo? Nuove categorie e trasformazioni costituzionali (ed. con A.
Scalone), Polimetrica, Monza
(disponibile su cirlpge). Santander, Il concetto di ‘libertà’ e
costituzione repubblicana nella filosofia politica di Kant, Polimetrica,
Monza, (disponibile su cirlpge)
Ripensare la rappresentanza alla luce della teologia politica, in «Quaderni
fiorentini per la storia del pensiero giuridico moderno», (centropgm.unifi) Libertà
e costituzione in Hegel” (FrancoAngeli, Milano,
Parti o partiti? Sul partito politico nella democrazia rappresentativa,
in «Filosofia politica» cirlpge); “Buon governo e agire politico dei governati:
un nuovo modo di pensare la democrazia? (A proposito di Rosanvallon, Le bon
gouvernement), in «Quaderni fiorentini per la storia del pensiero giuridico moderno»,
centropgm.unifi. libri scaricabili
gratuitamente in formato dal sito del Centro Interuniversitario di Ricerca sul
Lessico Politico e Giuridico Europeo. Nello stesso sito sono disponibili
inoltre altri saggi dello stesso autore.
Carl Schmitt Georg Wilhelm Friedrich Hegel Johann Gottlieb Fichte
Roberto Esposito Alessandro Biral Adone Brandalise Gianfranco Miglio. CIRLPGE:
Sito Ufficiale.Ricerca Romolo primo leggendario Re di Roma Lingua Segui
Modifica Nota disambigua.svg Disambiguazione – Se stai cercando altri
significati, vedi Romolo (disambigua). Romolo Brogi, Carlo - n. 8226 - Certosa
di Pavia - Medaglione sullo zoccolo della facciata.jpg Romolo e suo fratello
Remo da un fregio del XV secolo, Certosa di Pavia. 1° Re di Roma In carica Predecessorecarica
creata SuccessoreNuma Pompilio NascitaAlba Longa, 24 marzo del 771 a.C. MorteRoma,
il 5[5] o il 7 luglio del 716 a.C.[2] Casa realedi Alba Longa DinastiaRe
latino-sabini Padre Marte MadreRea Silvia ConsorteErsilia[8] Figli Prima e
Avilio Romolo (in latino: Romulus, in greco antico: Ῥωμύλος, Rōmýlos; Alba
Longa, – Roma]), gemello di Remo, è il nome della figura leggendaria a cui la
tradizione annalisticaattribuiva la fondazione di Roma e delle sue principali
istituzioni politiche, nonché il ruolo di primo re della città e l'origine del
toponimo. La sua storicità è oggetto di dibattito da parte degli studiosi
dall'inizio del XIX secolo, così come l'inizio della tradizione letteraria
sulla sua figura. Di origini latine-Sabine, figlio - a seguito di un
rapporto estorto con la forza - del dio Marte e di Rea Silvia,[7]figlia di
Numitore, re di Alba Longa,[1] secondo la tradizione fondò Roma tracciandone il
confine sacro,[7] il pomerio, il 21 aprile 753 a.C..[10] In tale occasione
uccise il fratello gemello Remo, reo di aver varcato in armi il sacro confine
[10]: tale fratricidio è stato sovente evocato come segno violento della
necessaria unicità del potere regale. Una volta costruita la città sul colle
Palatino, egli invitò criminali, schiavi fuggiti, esiliati e altri reietti a
unirsi a lui con la promessa del diritto d'asilo. Così facendo Romolo popolò
cinque dei sette colli di Roma, rapendo poi le donne ai vicini Sabini della
città di Cures, così da dare delle mogli ai suoi uomini. Ciò provocò una guerra
tra i due popoli, che alla fine si risolse con una pace con i Sabini che
poterono insediarsi sul vicino colle del Quirinale con il loro re, Tito Tazio,
che condivise con Romolo il potere per cinque anni. Romolo divise il popolo tra
coloro che potevano combattere e coloro che non potevano farlo. Scelse 100 tra
i più nobili cittadini per formare il Senato, tanto che i loro discendenti
andranno a costituire l'élite nobiliare della Repubblica. Romolo istituì anche
i comizi curiati, a cui spettava il compito di ratificare, tra le altre cose,
le leggi. Romolo condusse, quindi, diverse guerre di conquista. A lui risale la
divisione della popolazione patrizia nelle 3 tribù di Tities, Ramnes e Luceres
- a loro volta suddivise in dieci curie ciascuna - le quali dovevano in caso di
pericolo fornire all'esercito romano un contingente militare costituito da
cento fanti e dieci cavalieri, per un totale complessivo di 3 000 fanti e 300
cavalieri. Dopo aver regnato per poco più di 37 anni, Romolo, secondo la
leggenda, fu rapito in cielo durante una tempesta. Secondo i suoi stessi
desideri, una volta morto fu divinizzato nella figura di Quirino, dio sabino
venerato sul Quirinale. Leggenda Magnifying glass icon mgx2.svgLo stesso
argomento in dettaglio: Romolo e Remo. Origini familiariModifica Magnifying
glass icon mgx2.svgLo stesso argomento in dettaglio: Enea, Alba Longa, Rea
Silvia e Marte (divinità). Secondo la leggenda Romolo e Remo erano figli di
Marte e di Rea Silvia, sacerdotessa vestale figlia del re di Alba Longa,
Numitore, diretto discendente di Enea.[4] Romolo era quindi per parte materna
di stirpe reale albana. Plutarco racconta che un certo Lucio Taruzio, matematico,
astrologo ed amico di Marco Terenzio Varrone (l'autore del De lingua Latina),
aveva calcolato il giorno esatto in cui i due gemelli furono concepiti (24
giugno del 772 a.C.) e nacquero (24 marzo del 771 a.C.).[1][16] Dopo la
fuga da Troia, Enea giunge nel Lazio e viene accolto dal re Latino, che gli fa
conoscere sua figlia Lavinia. Enea se ne innamora, ma la fanciulla era già
promessa a Turno, re dei Rutuli.[4] Il padre di Lavinia ascolta le intenzioni
di Enea ma temendo una vendetta da parte di Turno si oppone ai suoi desideri.
La disputa per la mano della fanciulla diventa una guerra, a cui partecipano le
varie popolazioni italiche, compresi Etruschi e Volsci; Enea si allea con le
popolazioni di origine greca stanziate nella città di Pallante sul Palatino,
regno dell'arcade Evandro e di suo figlio Pallante. La guerra è molto
sanguinosa (subito muore Pallante ucciso da Turno), e per evitare ulteriori
vittime si decide che la sfida fra Enea e Turno dovrà risolversi in un
combattimento tra i due "comandanti" e pretendenti. Enea ha il
sopravvento, sposa Lavinia e fonda la città di Lavinium (l'odierna Pratica di
Mare).[4]Ben diversa la versione di Livio nei capitoli 1 e 2 del I libro della
sua "Ab Urbe Condita" (il titolo è traducibile dal latino con
"dalla Fondazione di Roma"). I Troiani nel loro peregrinare arrivano
nell'agro Laurente e dopo uno scontro Enea addiviene a un patto d'alleanza con
il re Latino e ne sposa la figlia, Lavinia, e fonda la città di Lavinio dal nome
della moglie. Dal loro matrimonio nasce Ascanio.[4] Turno, re dei Rutuli, a cui
era stata promessa in sposa Lavinia, dichiara guerra ai Latini, come si
chiamano le genti del luogo dopo il patto. I Latini hanno la meglio ma Enea
muore combattendo. Infanzia ed adolescenzaModifica Romolo e Remo
allattati dalla Lupa dipinto di Rubens, ca.1616, Roma, Musei capitolini
La lupa, Romolo e Remo, nella monetazione romana del II secolo a.C.. Magnifying
glass icon mgx2.svgLo stesso argomento in dettaglio: Lupercale. Dopo trent'anni,
Ascanio (detto anche Iulo) fonda una nuova città, Alba Longa,[18] sulla quale
regnano i suoi discendenti. Molto tempo dopo il figlio e legittimo erede del re
Proca di Alba Longa, Numitore, viene spodestato dal fratello Amulio,[18] che ne
costringe la figlia Rea Silvia a diventare vestale e a fare quindi voto di
castità.[4][19] Tuttavia il dio Marte s'invaghisce della fanciulla e la rende
madre di due gemelli, Romolo e Remo.[20] Il re Amulio ordina l'uccisione dei
gemelli, ma il servo incaricato di eseguire l'assassinio non ne trova il
coraggio e li abbandona alla corrente del fiume Tevere. La cesta nella quale i
gemelli sono stati adagiati si arena sulla riva, presso la palude del Velabro
tra Palatino e Campidoglio in un luogo chiamato Cermalus,[22] dove si trovava
il fico ruminale.[6] Qui i due vengono trovati e allevati da una lupa (probabilmente
una prostituta, all'epoca chiamata anche lupa, di cui si ritrova oggi traccia
nella parola lupanare) e da un picchio (animale sacro per i Latini) che li
protegge, entrambi animali sacri ad Ares.[23] Li trova poi il pastore Faustolo
(porcaro di Amulio) che insieme alla moglie Acca Larenzia li cresce come suoi
figli. Una volta divenuti adulti e conosciuta la propria origine, Romolo e Remo
fanno ritorno ad Alba Longa, uccidono Amulio e rimettono sul trono il nonno
Numitore. Fondazione di RomaModifica Roma attorno all'anno della sua
fondazione, nel 753 a.C. Magnifying glass icon mgx2.svgLo stesso argomento in
dettaglio: Fondazione di Roma, Roma quadrata, Roma antica e Septimontium.
Romolo e Remo, non volendo abitare ad Alba Longa senza potervi regnare almeno
fino a quando fosse stato in vita il nonno materno, ottengono il permesso di
andare a fondare una nuova città, nel luogo dove erano cresciuti. Romolo vuole
chiamarla Roma ed edificarla sul Palatino, mentre Remo la vuole battezzare
Remoria e fondarla sull'Aventino. È lo stesso Livio che riferisce le due più
accreditate versioni dei fatti: «Siccome erano gemelli e il rispetto per
la primogenitura non poteva funzionare come criterio elettivo, toccava agli dei
che proteggevano quei luoghi indicare, attraverso gli auspici, chi avessero
scelto per dare il nome alla nuova città e chi vi dovesse regnare dopo la
fondazione. Così, per interpretare i segni augurali, Romolo scelse il Palatino
e Remo l’Aventino. Il primo presagio, sei avvoltoi, si dice toccò a Remo.[27]
Dal momento che a Romolo ne erano apparsi il doppio quando ormai il presagio
era stato annunciato, i rispettivi gruppi avevano proclamato re l’uno e l’altro
contemporaneamente. Gli uni sostenevano di aver diritto al potere in base alla
priorità nel tempo, gli altri in base al numero degli uccelli visti. Ne nacque
una discussione e dal rabbioso scontro a parole si passò al sangue: Remo,
colpito nella mischia, cadde a terra. È più nota la versione secondo la quale
Remo, per prendere in giro il fratello, avrebbe scavalcato le mura appena
erette [più probabilmente il pomerium, il solco sacro] e quindi Romolo, al
colmo dell’ira, l’avrebbe ammazzato aggiungendo queste parole di sfida: «Così,
d’ora in poi, possa morire chiunque osi scavalcare le mie mura.» In questo modo
Romolo s’impossessò da solo del potere e la città appena fondata prese il nome
del suo fondatore.» (Livio, Garzanti, trad. Reverdito) Regno Rex (Roma
antica) e Lex regia. Plutarco narra che una volta seppellito il fratello Remo,
morto nello scontro che precedette la fondazione della città, Romolo fece
venire dall'Etruria esperti di leggi e testi sacri che gli spiegassero ogni
aspetto del rituale da attuare. Fu scavata una fossa circolare attorno al
Comizio e deposte offerte votive per ottenere il favore degli Dei. Romolo però
aveva bisogno di più abitanti per popolare la nuova città, e così accolse
pastori latini ed etruschi, alcuni anche d'oltre mare, Frigi affluiti sotto la
guida del suo avo Enea, oltre ad Arcadi arrivati sotto quella di Evandro. Dopo
la fondazione Romolo riunì uomini errabondi, indicò loro come luogo di asilo il
territorio compreso tra la sommità del Palatino e il Campidoglio e dichiarò
cittadini tutti coloro dei vicini villaggi che si rifugiassero lì. (Strabone,
Geografia) Ogni abitante portò una piccola zolla di terreno e la gettò,
mischiata alle altre, nella fossa chiamata mundus, che costituiva proprio il
centro della città. Fu poi tracciato il solco primigenius tutto intorno alla
città, i cui confini ne rappresentavano il pomerium, racchiuso all'interno
delle mura "sacre. Quindi Romolo chiese al popolo quale forma di governo
volesse per la città appena fondata, e questo rispose che avrebbe accettato
Romolo come proprio re. Ma Romolo accettò la nomina solo dopo aver preso gli
auspici favorevoli del volere degli dei, che si manifestò con un lampo che
balenò da sinistra verso destra. Dal ratto delle Sabine alle guerre di
conquista nel Latium vetus Lo stesso argomento in dettaglio: Storia delle
campagne dell'esercito romano in età regia e Latium vetus. Romolo, divenuto
unico re di Roma, decise per prima cosa di fortificare la nuova città, offrendo
sacrifici agli dèi secondo il rito albano e dei Greci in onore di Ercole, così
com'erano stati istituiti da Evandro; successivamente dotò la città del suo
primo sistema di leggi e si circondò di 12 littori. Con il tempo Roma andò
ingrandendosi, tanto da apparire secondo Livio "così potente da poter
rivaleggiare militarmente con qualunque popolo dei dintorni". Erano le
donne che scarseggiavano.Questa grandezza era destinata a durare una sola
generazione se i Romani non avessero trovato sufficienti mogli con cui
procreare nuovi figli per la città, nonostante Romolo avesse proibito di
esporre tutti i figli maschi e la prima tra le figlie, tranne che fossero nati
con delle malformazioni. Romolo su consiglio dei Senatori, inviò ambasciatori
alle genti vicine per stipulare trattati di alleanza con questi popoli e
favorire l'unione di nuovi matrimoni. All'ambasceria non fu dato ascolto da
parte di nessun popolo: da una parte provavano disprezzo, dall'altra temevano
per loro stessi e per i loro successori, ché in mezzo a loro potesse crescere
un simile potere.» (Livio, Ab Urbe condita libri) L'intercessione
delle Sabine, olio su tela di Jacques-Louis David, 1795-1798, Parigi, Musée du
Louvre. La gioventù romana non la prese di buon grado, tanto che la soluzione
che andò prospettandosi fu quella di usare la forza. Romolo, infatti, decise di
dissimulare il proprio risentimento e di allestire dei giochi solenni in onore
di Nettuno equestre, che chiama Consualia (secondo Floro erano dei ludi
equestri) e che si celebravano ancora al tempo di Strabone.[4] Quindi ordinò ai
suoi di invitare allo spettacolo i popoli vicini: dai Ceninensi, agli
Antemnati, Crustumini e Sabini, questi ultimi stanziati sul vicino colle
Quirinale. L'obiettivo era quello di compiere un gigantesco rapimento delle
loro donne proprio nel mezzo dello spettacolo. Arrivò moltissima gente, con
figli e consorti, anche per il desiderio di vedere la città nuova. Quando
arrivò il momento stabilito dello spettacolo e tutti erano concentrati sui
giochi, come stabilito, scoppiò un tumulto ed i giovani romani si misero a
correre per rapire le ragazze. Molte cadevano nelle mani del primo che
incontravano. Quelle più belle erano destinate ai senatori più importanti.
Livio, Ab Urbe condita libri) Terminato lo spettacolo i genitori delle
fanciulle scapparono, accusando i Romani di aver violato il patto di
ospitalità. Romolo riuscì a placare gli animi delle fanciulle e, con l'andare
del tempo, sembra che l'ira delle ragazze andò affievolendosi grazie alle
attenzioni ed alla passione con cui i Romani le trattarono nei giorni
successivi. Anche Romolo trovò moglie tra queste fanciulle, il cui nome era
Ersilia. Da lei il fondatore della città, ebbe una figlia, di nome Prima ed un
figlio, di nome Avilio.Tutto ciò diede origine ad una serie di guerre
successive. Dei popoli che avevano subito l'affronto furono i soli Ceninensi ad
invadere i territori romani, ma furono battuti dalle schiere ordinate dei
Romani. Il comandante nemico, un certo Acrone fu ucciso in duello dallo stesso
Romolo, che ne spogliò il cadavere e offrì gli spolia opima a Giove Feretrio,
fondando sul Campidoglio il primo tempio romano. Eliminato il comandante
nemico, Romolo si diresse contro la loro città che cadde al primo assalto, trasferendone,
poi, la cittadinanza a Roma e conferendole pari diritti a quelli dei Romani. Gli
stessi Fasti trionfali celebrano per l'anno 752/751 a.C.: «Romolo, figlio di
Marte, re, trionfò sul popolo dei Ceninensi, calende di marzo. (Fasti
trionfali, 2 anni dalla fondazione di RomaFasti Triumphales: Roman Triumphs.)
Tale evento era, invece, avvenuto secondo Plutarco, basandosi su quanto
raccontato a sua volta da Fabio Pittore, solo tre mesi dopo la fondazione di
Roma (nel luglio del 753 a.C.). Dopo la vittoria sui Ceninensi fu la volta
degli Antemnati. La loro città fu presa d'assalto ed occupata, portando Romolo
a celebrare una seconda ovatio. Ancora i Fasti trionfali ricordano sempre per
l'anno.: Romolo, figlio di Marte, re, trionfò per la seconda volta sugli
abitanti di Antemnae(Antemnates).» (Fasti trionfali, 2 anni dalla
fondazione di RomaFasti Triumphales : Roman Triumphs.) Rimaneva solo la città
dei Crustumini, la cui resistenza durò ancora meno dei loro alleati. Portate a
termine le operazioni militari, il nuovo re di Roma dispose che venissero
inviati nei nuovi territori conquistati alcuni coloni, i quali andarono a
popolare soprattutto la città di Crustumerium, che, rispetto alle altre,
possedeva terreni più fertili. Contemporaneamente molte persone dei popoli
sottomessi, in particolar modo i genitori ed i parenti delle donne rapite,
vennero a stabilirsi a Roma. Il Latium vetus con le città elencate in
questo capitolo di Caenina, Antemnae, Crustumerium, Medullia, Fidenae e Veio.
L'ultimo attacco portato a Roma fu quello dei Sabini del Quirinale, nel corso
del quale si racconta della vergine vestale, Tarpeia, figlia del comandante
della rocca Spurio Tarpeio, la quale fu corrotta con dell'oro (i bracciali che
vedeva rilucere alle braccia dei Sabini) da Tito Tazio e fece entrare nella
cittadella fortificata sul Campidoglio un drappello di armati con l'inganno. L'occupazione
dei Sabini della rocca, portò i due eserciti a schierarsi ai piedi dei due
colli (Palatino e Campidoglio), dove più tardi sarebbe sorto il Foro romano, mentre
i capi di entrambi gli schieramenti incitavano i propri soldati alla lotta:
Mezio Curzio per i Sabini e Ostio Ostilio per i Romani. Quest'ultimo cadde nel
corso della battaglia che poco dopo si scatenò, costringendo le schiere romane
a ripiegare presso la vecchia porta del Palatino. Romolo, invocando Giove e
promettendo allo stesso in caso di vittoria un tempio a lui dedicato (nel Foro
romano), si lanciò nel mezzo della battaglia riuscendo a contrattaccare e ad
avere la meglio sulle schiere nemiche. Fu in questo momento che le donne
sabine, che erano state rapite in precedenza dai Romani, si lanciarono in mezzo
alla battaglia per dividere i contendenti e placarne la collera. Da una parte
supplicavano i mariti [i Romani] e dall'altra i padri [i Sabini]. Li pregavano
di non commettere un crimine orribile, macchiandosi del sangue di un suocero o
di un genero e di evitare di macchiarsi di parricidio verso i figli che
avrebbero partorito, figli per gli uni e nipoti per altri. Livio, Ab Urbe
condita libri) Là mentre stavano per tornare a combattere nuovamente, furono
fermati da uno spettacolo incredibile e difficile da raccontare a parole.
Videro infatti le figlie dei Sabini, quelle rapite, gettarsi alcune da una
parte, ed altre dall'altra, in mezzo alle armi ed ai morti, urlando e
minacciando con richiami di guerra i mariti ed i padri, quasi fossero possedute
da un Dio. Alcune avevano tra le braccia i loro piccoli... e si rivolgevano con
dolci richiami sia ai Romani sia ai Sabini. I due schieramenti allora si
scostarono, cedendo alla commozione, e lasciarono che le donne si ponessero nel
mezzo. Plutarco, Vita di Romolo) Con questo gesto entrambi gli schieramenti si
fermarono e decisero di collaborare, stipulando un trattato di pace, varando
l'unione tra i due popoli con comunanza di potere e cittadinanza, associando i
due regni (quello di Romolo e Tito Tazio), lasciando che la città dove ora era
trasferito tutto il potere decisionale continuasse a chiamarsi Roma, anche se
tutti i Romani furono chiamati Curiti (in ricordo della patria natia di Tito
Tazio, che era Cures) per venire incontro ai Sabini. Contemporaneamente il
vicino lago nei pressi dell'attuale Foro romano, fu chiamato in ricordo di
quella battaglia e del comandante sabino scampato alla morte (Mezio Curzio),
Lacus Curtius, mentre il luogo in cui si conclusero gli accordi tra le due
popolazioni, fu chiamato Comitium, che deriva da comire per esprimere l'azione
di incontrarsi. Qualche anno dopo Tazio fu ucciso a Lavinium e Romolo, che non
reagì al fatto con alcuna azione militare, rimase unico regnante della
città.Successivamente Romolo riuscì prima a conquistare Medullia, poi a battere
Fidenae installandovi 2.500 coloni, a farsi amici ed alleati i prisci Latini, a
battere gli abitanti di Cameria (sedici anni dopo la fondazione) ed infine
sconfiggere la potente città etrusca di Veio, sottraendole i territori dei
Septem pagi (ad ovest dell'isola Tiberina) e delle Saline, in cambio di una
tregua della durata di cento anni. Questa fu l'ultima guerra combattuta da
Romolo. Istituzioni Romolo, uccisore di Acrone, porta le sue spoglie al tempio
di Giove dipinto d’Ingres. Lo stesso argomento in dettaglio: Lex regia, Senato
romano, Gentes originarie, Tribù (storia romana) ed Esercito romano. Al regno
di Romolo si attribuiscono i primi ordinamenti romani. Sembra, infatti, che per
prima cosa organizzò l'esercito, sulla base della popolazione adatta alle armi.
Successivamente istituì un'assemblea, formata da 100 Patres, mentre i loro
discendenti furono chiamati patrizi, a cui diede il nome nella sua globalità di
Senato (Senatus da senex per la loro anzianità). A lui si attribuisce
l'istituzione del diritto di asilo, a quanti erano stati banditi o fuggivano
dalle città vicine; la circostanza si può ricollegare all'esigenza di popolare
la città. Gli si attribuisce anche il fenomeno del patronato dei patrizi nei
confronti dei plebei che gli facevano da garanti e protettori in cambio di
favori conosciuto anche con il termine clientela. Livio racconta che in
seguito alla pace stipulata con i Sabini di Tazio (con il quale regna in
assoluta armonia, fino a quando quest'ultimo non è assassinato a Lavinio cinque
anni dopo l'inizio del loro regno congiunto), essendo raddoppiata la
popolazione, non solo sibieletti altri 100 Patres tra i Sabini, e raddoppiati
gli effettivi dell'esercito (ora composto da 6 000 fanti e 600 cavalieri), ma
divise anche l'intero popolo in tre tribù: i Ramnes, i Titiesed i Luceres, a
loro volta suddivisi in dieci curie ciascuna, attribuendo ad esse i nomi di
trenta donne. Plutarco racconta che i due re, Romolo e Tazio, non tennero un
consiglio comune tra loro, ma ognuno deliberava prima separatamente con i
propri 100 Patres, e poi si radunavano tutti insieme in uno stesso luogo per
deliberare. Plutarco racconta che Romolo, inorgoglitosi dei successi conseguiti
contro tutte le popolazioni limitrofe alla città di Roma, con grande arroganza
abbandonò la precedente tendenza democratica, per sposare un modello di
monarchia assoluta, opprimente ed intollerabile. Egli indossava un mantello
purpureo e una toga bordata di porpora, dava udienza su di un trono, attorniato
da alcuni giovani, chiamati celeres (una forma di guardia del corpo reale da
lui creata), ed era preceduto da alcuni littori, che respingevano la folla con
dei bastoni a difesa del rex. In effetti si tratterebbe di un'istituzione già
presente nelle città etrusche, dalla quali fu probabilmente ripresa ed
introdotta in Roma in epoca storica. Si racconta, inoltre, che, quando il
nonno Numitore morì, a Romolo spettasse il governo della città di Alba Longa,
ma egli preferì affidarne l'amministrazione al popolo, attraverso un suo
magistrato che eleggeva annualmente, e così insegnò anche ai cittadini più
potenti di Roma a desiderare di vivere in una città senza un rex, autonoma.
Infatti a Roma, da quando Romolo aveva mutato il suo atteggiamento da
democratico a dispotico, i cosiddetti patrizi, pur partecipando alla vita
pubblica, portavano solo un "titolo" onorifico ed un prestigio
apparente, riunendosi in Senato più per abitudine che per esprimere un parere.
Di fatto tutti si limitavano ad obbedire agli ordini di Romolo, avendo un unico
privilegio: quello di essere informati per primi sulle decisioni de re,
rispetto alla moltitudine. Plutarco aggiunge che Romolo coprì di ridicolo il
Senato, distribuendo personalmente ai soldati la terra conquistata in guerra e
restituendo gli ostaggi ai Veienti, senza aver preventivamente consultato ed
ottenuto l'assenso da parte dei senatori. Prime forme di diritto privato romano
Lo stesso argomento in dettaglio: Diritto romano. A Romolo si fa
tradizionalmente risalire l'introduzione della proprietà terriera privata a
Roma, con l'atto, legato alla fondazione della città, di attribuire ad ogni
gens un heredium di terra, che sarebbe poi passato in proprietà agli eredi. Romolo
stabilì anche una legge secondo la quale una moglie non potesse lasciare il
marito. Al contrario la donna poteva essere ripudiata se tentava di avvelenare
i figli, di sostituire le chiavi di casa o in caso di adulterio. Nel caso in
cui fosse stata ripudiata per altri motivi, il marito era tenuto a versarle una
quota del suo patrimonio e ad offrirne una seconda al tempio di Demetra. Chi
ripudiava la propria moglie era, infine, tenuto a sacrificare agli dei
Inferi.Curioso che Romolo non stabilì alcuna pena contro i parricidi, ma definì
parricidio tutte le forme di omicidio, come se il parricidio fosse un delitto
impossibile da compiersi. Festività e riti sacri Lo stesso argomento in
dettaglio: Religione romana, Festività romane e Mitologia romana. Sabini e
Romani, una volta uniti sotto Tazio e Romolo, parteciparono alle rispettive
feste e riti sacri, senza eliminare nessuno di quelli che ciascun popolo aveva
fino a quel momento celebrato singolarmente. Al contrario ne istituirono di
nuovi, come i Matronalia, i Carmentalia ed i Lupercali.Romolo decise di
accogliere i rituali dedicati ad Ercole, unico tra i riti non romani da lui
accettati,e sempre a lui (o al suo successore, Numa Pompilio) è inoltre
attribuita l'istituzione del culto del fuoco, con la creazione delle vergini
sacre a sua custodia, chiamate Vestali.Calendario romuleo Lostesso argomento in
dettaglio: Calendario romano. La tradizione afferma che Romolo avrebbe
istituito per primo il Calendario romano (un calendario lunare con inizio alla
luna piena di marzo, costituito da 10 mesi - 6 mesi di 30 giorni e 4 mesi di 31
giorni, per un totale di 304 giorni; i restanti 61 giorni di inverno non
venivano assegnati ad alcun mese). Va altresì segnalato che altri storici come
Eutropio, sostengono possa essere stato il suo successore Numa Pompilio. Questo
fu un argomento molto dibattuto dagli storici del tempo (da Livio a Dionigi
d'Alicarnasso o Plutarco) poiché alcuni di loro affermavano trattarsi di un
calendario piuttosto disordinato, dove i mesi variavano da 20 giorni a 35
giorni. Morte, sepoltura e deificazioneModifica Dopo trentotto anni di
regno, secondo la tradizione (all'età di cinquantaquattro anni), Romolo venne
assunto in cielo durante una tempesta ed un'eclissi, avvolto da una nube,
mentre passava in rassegna l'esercito e parlava alle truppe vicino alla Palus
Caprae in Campo Marzio. L'improvvisa scomparsa del loro fondatore fece sì che i
Romani lo proclamassero dio (con il nome di Quirino, in onore del quale fu
edificato un tempio sul colle, chiamato in seguito Quirinale), figlio di un dio
(Marte), re e pater (padre) di Roma. Ancora ai tempi di Plutarco si celebravano
molti riti nel giorno della sua scomparsa. Sembra anche che, per dare
maggiore credibilità all'accaduto, la tradizione racconta che riapparve al suo
vecchio compagno albano Proculo Giulio, il più antico personaggio noto
appartenente alla gens Iulia. Stamattina o Quiriti, verso l'alba, Romolo,
padre di questa città, è improvvisamente sceso dal cielo e apparso davanti ai
miei occhi. Va e annuncia ai Romani che il volere degli Dei è che la mia Roma
diventi la capitale del mondo. Che essi diventino pratici nell'arte militare e
tramandino ai loro figli che nessuna potenza sulla Terra può resistere alle
armi romane. LIVIO (si veda), Ab Urbe condita libri) L'evidente somiglianza
delle tradizioni, ha indotto alcuni storici a ritenere che questo racconto
abbia ispirato quello relativo alla risurrezione di Gesù. Nella probabile
realtà storica, invece, il primo re di Roma sarebbe morto assassinato dai
Patres durante una seduta del consiglio regio al Volcanal (ovvero il tempio di
Efesto nel Foro romano). Si racconta infatti che, a causa delle continue
limitazioni che aveva posto al Senato, organo divenuto più che altro di
facciata ad una forma di monarchia sempre più "assoluta", soprattutto
dopo la morte di Tito Tazio, caddero sui suoi membri sospetti e calunnie. Il
suo corpo sarebbe stato poi simbolicamente smembrato dai senatori, "a
causa del suo carattere troppo duro" e le sue parti (divise tra gli stessi
membri del Senato) sepolte nelle varie aree componenti il territorio della
città. Dietro la leggenda: la realtà storico-archeologicaModifica
Magnifying glass icon mgx2.svgLo stesso argomento in dettaglio: Populi
albensese Gentes originarie. La reale esistenza di Romolo è stata lungamente
discussa, ma secondo lo storico Theodor Mommsen sarebbe comprovata dalla
presenza tra le gentes originarie di Roma (di cui parla Livio) della gens
Romilia, nota da iscrizioni, che è stata identificata con il clan familiare dei
discendenti di Romolo, e che diede anche il proprio nome ad una delle più
antiche Tribù territoriali. Se ne ha conferma da una glossa di Festo (la 331
nell'epitome di Paolo Diacono, edita da Lindsay), che riporta appunto
l'esistenza di una tribù Romulia. Altri autori ritengono sia una creazione
artificiale, fantasiosa quella di Romolo, pur riconoscendo nella stessa figura
"leggendaria" la sintesi di elementi topografici, politici e
religiosi realmente accaduti, a partire dalla tribù dei Romili oltre alla
figura di Remo, identificabile con l'antico centro di Remuria nei pressi della
Roma quadrata(sull'Aventino). Secondo il linguista Carlo de Simone, i nomi di
Roma e Romolo sarebbero collegati ed entrambi deriverebbero da un termine
ricostruito in ruma, al quale la tradizione romana assegnava il significato di
"mammella". Il termine sarebbe di origine etrusca, perché non ne è
stato trovato l'etimo indo-europeo (e l'unica lingua non-indoeuropea della zona
è appunto l'etrusco. Il termine entra come prestito nel latino arcaico e
avrebbe dato origine al toponimo Ruma (più tardi Roma) e ad un prenome Rume (in
latino divenuto Romus), dal quale sarebbe derivato il gentilizio etrusco
Rumelena, divenuto in latino Romilius. Il Villar, invece, sostiene che il nome
Romafosse, molto probabilmente, il nome preindoeuropeo del Tevere trasferito
alla città che esso bagnava, come accadeva frequentemente a quel tempo. Secondo
altre ipotesi (sempre più smentite dalle campagne archeologiche), i più antichi
dei re di Roma sarebbero figure principalmente simboliche (in particolare
sembrano complementari i primi due, Romolo e Numa Pompilio, che avrebbero
introdotto le massime istituzioni politico-militari e religiose dello
stato). La reale esistenza della figura di Romolo come effettivo
fondatore, primo legislatore e re-sacerdote, è stata rivalutata dall'archeologo
Andrea Carandini, sulla base di moderni scavi condotti alle pendici del
Palatino, che avrebbero portato al rinvenimento dell'area corrispondente alla
vera Regia di Romolo, nonché dell'antico tracciato del pomerio. Ivi sono stati
rinvenuti reperti fittili, resti di una palizzata e di un muro in tufo
(derubricato come «muro di Romolo») databili con certezza, circostanza che
darebbe conferma anche dell'esattezza cronologica delle fonti storiografiche
latine sull'epoca della fondazione di Roma e della consistenza del suo rito di
fondazione. Inoltre, sulla base di una fonte letteraria, la scoperta del sito
del lapis niger fu associata all'ipotesi
di un possibile sito della tomba di Romolo o di un arcaico luogo di culto a lui
dedicato. A possibile conferma di quanto sopra, nella zona sottostante alla
scalinata di accesso alla Curia è stato rinvenuto un cenotafio ipogeo databile
al VI secolo a.c. dedicato al suo culto, contenente un sarcofago della
lunghezza di circa m 1,50, che alcuni studiosi hanno ipotizzato possa essere
stata la sua tomba, mentre altri hanno escluso tale possibilità. Va osservato
tuttavia che la lunghezza del sarcofago, (corrispondente in modo abbastanza
preciso alla statura media degli uomini di quell'epoca) farebbe pensare ad una
funzione di inumazione di un corpo integro, non delle sue parti. Antenati
Genitori Nonni Bisnonni Dio Giove Dio Saturno Dea Opi Dio Marte Dea Giunone Dio
Saturno Dea Opi Romolo Numitore Proca Rea Silvia Eutropio, Breviarium ab Urbe
condita, Eutropio, Breviarium ab Urbe condita, Floro, Epitoma de Livio bellorum
omnium annorum DCC, Strabone, Geografia,
Plutarco, Vita di Romolo, Livio, Ab Urbe condita libri, Floro, Epitoma de
Livio bellorum omnium annorum DCC, Livio, Ab Urbe condita libri, Marcone,
Livio, Ab Urbe condita libri, Plutarco,
Vita di Romolo, Strabone, Geografia, Livio, Ab Urbe condita libri, Plutarco,
Vita di Romolo Livio, Ab Urbe condita libri, Floro, Epitoma de Tito Livio
bellorum omnium annorum DCC, Plutarco, Vita di Romolo. Sia Livio (Ab Urbe
condita libri), sia Ovidio (I Fasti) narrano di una migrazione dalla città
greca di Argo, guidata da Evandro ^ a b Floro, Epitoma de Tito Livio bellorum
omnium annorum DCC, Plutarco, Vita di Romolo, Plutarco, Vita di Romolo, Floro,
Epitoma de Livio bellorum omnium annorum DCC, Varrone, De lingua latina,
Plutarco, Vita di Romolo, Plutarco, Vita di Romolo, Plutarco, Vita di Romolo, Floro,
Epitoma de Livio bellorum omnium annorum DCC, Floro, Epitoma de Tito Livio
bellorum omnium annorum DCC, Floro, Epitoma de Tito Livio bellorum omnium
annorum DCC, Floro, Epitoma de Tito Livio bellorum omnium annorum DCC,
Plutarco, Vita di Romolo, Dionigi di Alicarnasso, Antichità romane, Dionigi di
Alicarnasso, Antichità romane, Dionigi di Alicarnasso, Antichità romane, Livio,
Ab Urbe condita libri, Livio, Ab Urbe condita libri, Floro, Epitoma de Tito
Livio bellorum omnium annorum DCC, I, 1.10. ^ Livio, Ab Urbe condita libri, Dionigi
di Alicarnasso, Antichità romane, Plutarco, Vita di Romolo, Plutarco, Vita di
Romolo, Floro, Epitoma de Livio bellorum omnium annorum DCC, Livio, Ab Urbe
condita libri, Plutarco, Vita di Romolo, AE Plutarco, Vita di Romolo, Plutarco,
Vita di Romolo, Plutarco, Vita di Romolo, Plutarco, Vita di Romolo, Dionigi di
Alicarnasso, Floro, Epitoma de Livio bellorum omnium annorum DCC, Plutarco,
Vita di Romolo, Floro, Epitoma de Livio bellorum omnium annorum DCC, Plutarco,
Vita di Romolo, Livio, Ab Urbe condita libri, Plutarco, Vita di Romolo,
Plutarco, Vita di Romolo, Floro, Epitoma de Livio bellorum omnium annorum DCC,
Plutarco, Vita di Romolo, Plutarco, Vita di Romolo, Livio, Ab Urbe condita
libri, Plutarco, Vita di Romolo, Plutarco, Vita di Romolo, Plutarco, Vita di
Romolo, Carandini, Tito Livio, Ab Urbe condita libri, Plutarco, Vita di Romolo,
Plutarco, Vita di Romolo, Plutarco, Vita di Romolo, Floro, Epitoma de Tito
Livio bellorum omnium annorum DCC, Plutarco, Vita di Romolo, Plutarco, Vita di
Romolo, Plutarco, Vite parallele, Vita di Romolo, Dionigi di Alicarnasso,
Antichità romane, Plutarco, Vite parallele, Vita di Romolo, Plutarco, Vita di
Romolo, Plutarco, Vita di Romolo, Plutarco, Vita di Romolo, Varrone, De re
rustica, Plutarco, Vita di Romolo, Dionigi di Alicarnasso, Plutarco, Vita di
Romolo, Plutarco, Vita di Romolo, Plutarco, Vita di Romolo, Plutarco, Vita di
Romolo, Livio, Plutarco, Vita di Romolo, Dionigi di Alicarnasso, Eutropio,
Breviarium ab Urbe condita. Plutarco, Vita di Romolo. O è ucciso. Appiano di Alessandria,
Storia romana (Appiano), Floro, Epitoma de Tito Livio bellorum omnium annorum
DCC, Plutarco, Vita di Romolo, Floro, Epitoma de Tito Livio bellorum omnium
annorum DCC, Plutarco, Vita di Romolo, Floro, Epitoma de Livio bellorum omnium
annorum DCC, Plutarco, Vita di Romolo, Livio, Ab Urbe condita libri, Plutarco,
Vita di Romolo; Guerri, Antistoria degli italiani, Milano, Dionisio di
Alicarnasso, Antichità romane, Plutarco, Vita di Romolo, Paul. Fest.: Romulia
tribus dicta, quod ex eo agro censebantur, quem Romulus ceperat ex Veientibus.
Plutarco, Vita di Romolo, Piganiol, Simone. "Considerazioni sul nome di
Romolo". In Carandini, Carafa (cur.), "Palatium e Sacra via" I.
Bollettino di Archeologia, Gentilizio Rumelna attestato dall'iscrizione
sull'architrave della tomba 35 della Necropoli del Crocifisso del Tufo, a
Orvieto. Iscrizione: Mi Velthurus Rumelnas. Villar Carandini, Marcone, Marcone,
Il "sepolcro di Romolo" scoperto nel Foro Romano, su storicang.it.
Foro romano, Russo: "L'ipogeo scoperto non è la tomba di Romolo", su
rainews.it, Appiano, Historia Romana (Ῥωμαϊκά), libri III e IV (Versione in
inglese disponibile qui). Diodoro Siculo, Bibliotheca historica. Testo
originale Dionigi di Alicarnasso, Antichità romane. Eutropio, Breviarium
historiae romanae (testo latino). Fasti triumphales. (Testo in latino: AE Versione
in inglesei). Floro, Epitoma de Livio bellorum omnium annorum DCC (testo
latino), Liber I. (Versione in inglese). Livio, Ab Urbe condita libri (testo
latino); Periochae (testo latino) Wikisource-logo.svg. Plinio il Vecchio,
Naturalis Historia (testo latino). Plutarco, Romolo. Strabone, Geografia
Γεωγραφικά (Versione in inglesei). Varrone, De lingua Latina. Fonti
storiografiche moderne, Storia Einaudi dei Greci e dei Romani, Roma in Italia,
Milano, Einaudi, Briquel, Romulus jumeau et roi. Realite d'une legende, Les
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Storia di Roma. 1.Dalle origini ad Azio, Bologna, Pàtron, Carandini (cur.), La
leggenda di Roma I Dalla nascita dei gemelli alla fondazione della città,
Mondadori, Milano, Carandini (cur.), La leggenda di Roma II Dal ratto delle
donne al regno di Romolo e Tito Tazio, Mondadori, Milano, Carandini, Roma il
primo giorno, Roma-Bari, Laterza, Connolly, Greece and Rome at War, Londra,
Greenhill, Fraschetti, Romolo, il fondatore, Roma-Bari, Laterza, Gabba, Dionigi
e la storia di Roma arcaica, Bari, Edipuglia, Matyszak, Chronicle of the roman
republic: the rulers of ancient Rome from Romulus to Augustus, Londra et New
York, Thames and Hudson, 2Marcone, I popoli dell'Italia antica e le origini di
Roma, in G. Geraci e A. Marcone, Storia romana, Firenze, Mondadori Education,
Mommsen, Storia di Roma antica, Firenze, Sansoni, Pallottino, Origini e storia
primitiva di Roma, Milano, Rusconi, Piganiol, Le conquiste dei Romani, Milano,
Il Saggiatore, Scullard, Storia del mondo romano, Milano, Rizzoli, Villar, Gli
indoeuropei e le origini dell'Europa, Il Mulino, Romolo e Remo Fondazione di
Roma Gentes originarie Gens Romilia Rex (storia romana) Età regia di Roma lex
regia Flamini Romolo Portale Antica Roma Portale Biografie
Portale Mitologia Età regia di Roma periodo monarchico della città di
Roma, Battaglia del lago Curzio Storia delle campagne dell'esercito romano in
età regia storia delle campagne dell'esercito romano. Grice: “I consider myself, like
Rawls, a contractualist – my steps towards a quasi-contractualism, are
formulated elsewhere.” Grice: “I should not be confused with Grice – a
FULL-BLOWN contractualist!” Grice: “’May’ only has one sense – it may rain, you
may run. Credibility and desirability modalities are not Fregeian senses! ‘may’
is aequi-vocal. In Latin it is more obvious, since there is only ‘possum’ for
‘I may’. ‘Can’ is of course a solecism!” Giuseppe Duso. Bepi Duso. Keywords: Plato-Hegel, Aristotle-Kant –
Plathegel, Ariskant – zoon politikon – contratto sociale – democrazia –
repubblica – il primo contrattualista cita Aristotele – Contratto nel diritto
romano – aporia della rappresentazione – concetto di politica, concetto di
soveranita – concetto di potere – io posso – concetto di liberta – la filosofia
politica italiana – l’influenza di Fichte nell’idealismo rivoluzionario del
risorgimento --. Regime di governo – storia del concetto – aporia del concetto
-- Welsh philosopher Geoffrey Russell
Grice, modalita, verbo modale, verbo servile, verbo aussiliare, puo, posso,
possiamo. Modalita aletica o doxastica (posso passarti la sale) e deontica
(puoi ma non puoi – you can but you may not --. Contract, pact, compact. Foundations of morality
– contract in ethics, meta-ethics, politics, meta-politics. Refs.:
Luigi Speranza, “Grice e Duso: zoon politikon” – The Swimming-Pool Library. Duso.


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