Luigi Speranza -- Grice
ed Archibugi: la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale della PAX
ROMANA – la scuola di Roma – filosofia romana – filosofia lazia -- filosofia
italiana – Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The
Swimming-Pool Library (Roma).
Filosofo romano. Filosofo lazio. Filosofo italiano. Roma, Lazio. Grice: “I
would hardly call Archibugi a philosopher, but he did compile a thing ‘filosofi
per la pace’ none of them Italian! So much for ‘pax romana’!” – Grice: “Strawson does
call Archibugi a ‘filosofo,’ though!” -- DanieleArchibugi (Roma), filosofo. Nell'ambito della teoria politica, ha sviluppato,
insieme a David Held, l'idea di una democrazia cosmopolita. Ha anche lavorato
su diversi aspetti della globalizzazione, ed in particolare sulla
globalizzazione dell'innovazione e del cambiamento tecnologico. Dopo una
non assidua frequentazione del Liceo Sperimentale della Bufalotta, si è
laureato con lode alla Facoltà di Economia e Commercio dell'Roma La Sapienza
con Federico Caffè. Ha conseguito il dottorato di ricerca presso lo Science
Policy Research Unit dell'Università del Sussex, dove ha lavorato con
Christopher Freeman e Keith Pavitt. Ha insegnato alle Università del Sussex,
Madrid, Napoli, Roma La Sapienza e Roma Luiss, Cambridge, London School of
Economics and Political Science e Harvard. Ha anche tenuto corsi presso
università asiatiche quali la Ritsumeikan University di Kyoto e la SWEFE
University di Chengdu. Nominato Professore Onorario presso l'Università
del Sussex e nel Membro d'Onore del
Réseaux de Recherche sur l'Innovation. Dirigente presso il Consiglio
Nazionale delle Ricerche a Roma, è Professore di Innovation, Governance and
Public Policy presso l'Londra, Birkbeck College. Dal 1997 al 2002 è stato
Commissario dell'Autorità sui servizi pubblici locali di Roma, eletto a larga
maggioranza dal Consiglio Comunale. La democrazia cosmopolita Il progetto
della democrazia cosmopolita o cosmopolitica si interroga sulla possibilità di
applicare alcune norme e valori della democrazia anche nelle relazioni
internazionali. La necessità deriva dal fatto che la globalizzazione economica
e sociale ha reso gli stati sempre più vulnerabili e che decisioni importanti
per loro sono prese al di fuori dal processo democratico. La soluzione proposta
dalla democrazia cosmopolita è sviluppare istituzioni sovra-statali che siano
capaci di affrontare democraticamente problemi comuni quali l'ambiente, la
sicurezza, le migrazioni, il commercio estero e i flussi finanziari. La democrazia
cosmopolita guarda con fiducia alle organizzazioni internazionali, e desidera
rafforzare al loro interno il controllo dei cittadini, cui va dato un peso
politico parallelo e autonomo rispetto a quello che già hanno i loro governi. A
livello politico, Archibugi ha sostenuto la limitazione del potere di veto nel
Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite e la formazione di un'Assemblea
Parlamentare Mondiale. Ha invece ritenuto insoddisfacenti e anti-democratici i
vertici inter-governativi quali il G7, G8 and G20. Ha anche preso posizione
contro l'idea di una Lega delle democrazie sostenendo che una riforma
democratica delle Nazioni Unite riuscirebbe assai meglio a soddisfare le
medesime istanze. Giustizia globale Fautore della responsabilità individuale
dei governanti nel caso di crimini internazionali, Archibugi ha anche
attivamente sostenuto, sin dalla caduta del muro di Berlino, la creazione di
una Corte penale internazionale, collaborando sia con i giuristi della
Commissione del diritto internazionale delle Nazioni Unite sia con il governo
italiano. Nel corso degli anni, la sua posizione è diventata sempre più
scettica per l'incapacità dei tribunali internazionali di incriminare i più
forti. Ha, quindi, preso posizione a favore di altri strumenti quasi-giudiziari
come le Commissioni per la verità e la riconciliazione e i Tribunali
d'opinione. Globalizzazione della tecnologia Archibugi ha proposto una
tassonomia della globalizzazione della tecnologia che distingue fra tre
meccanismi di trasmissione della conoscenza: sfruttamento internazionale delle
innovazioni, generazione globale delle innovazioni e collaborazioni globali
nella scienza e nella tecnologia.. Come Presidente di un Gruppo di
Esperti dello Spazio di Ricerca Europeo della Commissione europea dedicato alla
collaborazione internazionale nella scienza e nella tecnologia, Archibugi ha
indicato che il declino demografico dell'Europa, combinato con la scarsa
vocazione delle nuove generazioni per le scienze, genererà una drastica carenza
di lavoratori qualificati in meno di una generazione. Questo metterà in
pericolo il livello di benessere della popolazione europea in aree cruciali
come la ricerca medica, le tecnologie dell'informazione e le industrie ad alta
tecnologia. Ha così sostenuto di rivedere radicalmente la politica
dell'immigrazione europea in maniera di accogliere e formare in un decennio
almeno due milioni di studenti dai paesi emergenti e in via di sviluppo,
qualificandoli in discipline quali le scienze e l'ingegneria. Economia
della ricostruzione dopo le crisi economiche Da studioso dei cicli economici,
Archibugi ha combinato la prospettiva keynesiana derivata dai suoi mentori
Federico Caffè, Hyman Minsky e Nicholas Kaldor con quella schumpeteriana
derivata da Christopher Freeman e dallo Science Policy Research Unit
dell'Università del Sussex. Combinando le due prospettive, Archibugi ha
sostenuto che per uscire da una crisi, un paese deve investire nei settori
emergenti e che, in assenza di spirito imprenditoriale del settore privato, il
settore pubblico deve avere la capacità manageriale di sfruttare le opportunità
scientifiche e tecnologiche, anche a salvaguardia dei beni pubblici.
Relazioni familiari Figlio dell'urbanista Franco Archibugi e della poetessa
Muzi Epifani, ha numerosi fratelli e sorelle, tra cui la regista Francesca
Archibugi e il politologo Mathias Koenig-Archibugi, con il quale frequentemente
collabora nei suoi studi. I fratelli maggiori del nonno di suo nonno furono
Francesco e Alessandro A., volontari del Battaglione universitario della
Sapienza e la difesa della Repubblica Romana. Uno dei più vicini allievi di
Caffè. Partecips attivamente alle sue ricerche dopo la misteriosa scomparsa.
Cfr. A., I ragazzi che cercarono Caffè, La Repubblica, 8 aprile. Si veda anche
Fabrizio Peronaci, La scomparsa di Federico Caffè. «Un genio anche nell’addio.
Come lui solo Majorana», intervista a Daniele Archibugi, Corriere, Membres
d'honneur du Réseaux de Recherche sur l'Innovation Consiglio Nazionale delle Ricerche, Istituto
di Ricerca sulla Popolazione e le Politiche Sociali Birkbeck College, Department of
Management Tom Cassauwers, Interview
with A., E-INTERNATIONAL RELATIONS Campaign for the Establishment of a United
Nations Parliamentary Assembly Copia archiviata, su en.unpacampaign. A., The
G20 is a luxury we can't afford, The Guardian, A., A League of Democracies or a
Democratic United Nations in., Harvard International Review, Ottobre 2008. Intervista su Delitto e castigo nella società
globale. Crimini e processi internazionali, Letture.org.. Daniele Archibugi e Alice Pease, Delitto e
castigo nella società globale. Crimini e processi internazionali, Castelvecchi,
Roma,. A., La giustizia penale
internazionale tra passato e futuro, Questione Giustizia, Archibugi and
Jonathan Michie, The Globalization of Technology: A New Taxonomy,
"Cambridge Journal of Economics",
Archibugi (Chair) Opening to the World. Opening to the World: International Cooperation in
Science and Technology European Research Area, A. e A. Filippetti, Innovation
and Economic Crisis. Innovation and Economic Crisis. Lessons and Prospects from
the Economic Downturn, Routledge, London, A., A. Filippetti et M. Frenz,
Investment in innovation for European recovery: a public policy priority,
Science et Public Policy, November. A., «Generare imprese europee per la ricostruzione:
la lezione Airbus», Il Sole 24 Ore, Bulfon, «Nuovi imprenditori e lavoratori
soddisfatti: solo così dopo il virus l'Italia sarà migliore. Intervista a A.»,
L'Espresso, Daniele Archibugi, Mathias Koenig-Archibugi, Raffaele Marchetti,
Global Democracy. Normative and Empirical Perspectives, Cambridge University Press,
Cambridge,. Nell'ambito degli studi sull'organizzazione internazionale, ha
pubblicato: “Filosofi per la pace” (Editori Riuniti); “Cosmopolis. È possibile
una democrazia sovra-nazionale?” (Manifestolibri); “Il futuro delle Nazioni
Unite” (Edizioni Lavoro); “Diritti umani e democrazia cosmopolitica”
(Feltrinelli); “Cittadini del mondo. Verso una democrazia cosmopolitica” (Il
Saggiatore); “Delitto e castigo nella società globale. Crimini e processi
internazionali, (Castelvecchi); “Cambiamento tecnologico e sviluppo industriale,
(Franco Angeli); “Economia globale e innovazione” (Donzelli). “Il triangolo dei
servizi pubblici, (Marsilio). “Relazione sulla ricerca e l'innovazione in
Italia. Analisi e dati di politica della scienza e della tecnologia, seconda
edizione (CNR Edizioni, ). daniele archibugi.org. Opere di Daniele Archibugi, su open MLOL,
Horizons Unlimited srl. Registrazioni di
Daniele Archibugi, su RadioRadicale, Radio Radicale. Sito CNR-IRPPS, Commessa Globalizzazione.
Determinanti e impatto economico, tecnologico e politico. University of London,
Birkbeck Archibugi. London, Birkbeck Intervista su "The Global
Commonwealth of Citizens" Intervista della LA7 a Daniele Archibugi
Sull'innovazione tecnologica, (video). Intervista alla trasmissione Mapperò,
SAT, sulla Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, (video), Parte prima;
Parte seconda; Parte terza. Dibattito presso la London School of Economics
"È possibile una democrazia globale?" (video in inglese):// globaldemo.org/
film/1255[collegamento interrotto] Intervista a LA7 su "Cittadini del
mondo. Verso una democrazia cosmopolitica",. Intervista a TG3 Linea Notte
su "Cittadini del mondo. Verso una democrazia cosmopolitica"
Intervista a TG2 Punto IT su "Cittadini del mondo. Verso una democrazia
cosmopolitica", Discorso su Secrets, Lies and Power, Berlino, European
Alternatives. Intervista sul volume The Handbook of Global Science, Technology
and Innovation, Londra, Birkbeck College, Lo Stato dell`ArteQuale futuro per
l’Europa?, Trasmissione Rai5, conduce Maurizio Ferraris, con A. e Politi,
Quante storie Rai3I grandi crimini contro l'umanità, intervista di Corrado
Augias a Daniele Archibugi, Crime and Global Justice, Book Launch alla London
School of Economics and Political Science, 28 Febbraio, podcast con Gerry
Simpson, Christine Chinkin, Richard Falk e Mary Kaldor. A., Do we Need a Global
Criminal Justice?, Conferenza alla City University of New York, A.,
"Cosmopolitan democracy as a method of addressing controversies",
IAJLJ CONFERENCE "CONTROVERSIAL MULTICULTURALISM", Roma, Novembre,. Daniele Archibugi, "What is the difference
between invention and innovation?", Birkbeck College University of London,
Presentazione della Relazione sulla ricerca e l'innovazione in Italia, Roma,
Consiglio Nazionale delle Ricerche, 15 ottobre
Filosofi della politica, Filosofi italiani del XXI secolo. Daniele
Archibugi. Archibugi. Keywords: PAX ROMANA, due citadini del mondo. Refs.:
Luigi Speranza, “Grice ed Archibugi” – The Swimming-Pool Library. Archibugi.
Luigi Speranza --
Grice ed Archippo: il principe filosofo -- Roma antica -- filosofia italiana –
Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. A correspondent of PLINIO (si veda)
Minore, pleads exemption from jury service on the grounds that “he is a
philosopher” and produces a letter from DOMIZIANO testifying to that fact, and
to his good character. It emerges later that A. had previously been sentenced
to hard labour in the mines for forgery, which might cast some doubt on the
authenticity of the letter. Although some were keen to see him back in the
mines, he is generally popular. Archippo.
Luigi Speranza --
Grice ed Archippo: la diaspora di Crotone -- Roma – filosofia italiana – Luigi
Speranza (Taranto). Filosofo italiano. A follower
of Pythagoras. While living in Crotone, he nearly lost his life when those
opposed to the Pythagoreans set fire to a house in which he was attending a
meeting. Archippo.
Luigi Speranza --
Grice ed Archita: l’implicatura conversazionale della colomba -- Roma –
filosofia italiana – Luigi Speranza
(Taranto). Filosofo italiano. According to Giamblico di Calcide, a pupil of
Pythagoras. According to
Suda, A. teaches Empedocle di GIRGENTI (si veda), which is IMPOSSIBLE – But the
reference may be to THIS Archita, who also seems to have come from Taranto,
although some question whether such an individual exists. Archita.
Luigi Speranza -- Grice
ed Arcidiacono: all’isola -- l’implicatura conversazionale della sintropia – entropia
ed informazione – la scuola di Acirelae – filosofia siciliana -- filosofia
italiana – Luigi Speranza (Acireale). Filosofo
siciliano. Filosofo italiano. Acireale, Catania, Sicilia. Grice: “I like
Arcidiacono, and Floridi should pay more attention to him; after all he what
Austin called an ‘Oxonian myopist’! I love him!” “It took me a while to digest Aricidiacono’s
non-intentional use of ‘inform,’ but I suppose he rather follows Shannon than
Plato!” “Arcidiacono pays due attention to Aristotle’s ‘finalismo,’ and as an
Italian, he gives proper due to Plionio – ‘il vecchio,’ as Arcidiacono
comically calls him – Strawson: “As if Pliny the Younger were not now part of
‘storia vecchia’!” – Grice: “In any case, give me Salvatore anyday – his
brother, Giuseppe, cannot qualify as a philosopher!” – Grice: “And another good
thing, too, Arcidiacono, the ‘filosofo’ brough Fantappie as a hashtag in
‘filosofia’!” Grice: “As Arcidiacono notes, Fantappie, not being a filosofo,
committed the usual mispellinggs – ‘syntropia,’ rightly corrected to
‘sintropia’ by the philosophy-educated philosopher Salvatore Arcidiacono!” Nato e, per una
sorprendente coincidenza, morto lo stesso anno del fratello gemello Giuseppe, divise
con quest'ultimo anche gli impegni di ricerca. Laureatosi a Catania. Insegna a
Catania. Perfeziona la Teoria unitaria del mondo fisico e biologico,
collegandola ai più moderni sviluppi della biologia teorica e molecolare. Da supporto
teorico speculativo nel campo della chimica e della fisica teorica. Elabora una
formulazione mediate della teoria sintropica nonché della Teoria degli
universi. Saggio “Visione unitaria dell'Universo”. “Spazio, tempo,
universe”. Altre saggi: Visione unitaria
dell'Universo” (UCIIM, Roma); “Spazio, tempo, universe” (Fuoco, Roma); “Materia
e Vita” (Massimo, Milano); “Ordine e Sintropia la vita e il suo mistero” (ed.
Studium Christi, Roma); “L'evoluzione sintropica” (Accademia degli zelanti e
dei dafnici, Acireale); “Creazione, evoluzione, principio antropico” (ed. Il
fuoco-Studium Christi); “Entropia, sintropia, informazione. Una nuova teoria
unitaria della fisica, chimica e biologia” (Renzo, Roma); “L'evoluzione dopo
Darwin. La teoria sintropica dell'evoluzione, ed. Di Renzo, Roma); “Problemi e
dibattiti di biologia teorica, ed. Di Renzo, Roma. Licata, Teoria degli
Universi e Sintropia. L'accoglienza delle idee di Teilhard de Chardin nella
cultura italiana, Scapini, Demetrio Sodi Pallares, Terapia metabolica delle
cardiopatie. Nuovo approccio terapeutico PICCIN, Padova Vannini; L'accoglienza
delle idee di Teilhard de Chardin nella cultura italiana; A., Nuevas ideas para
la evolución biològica, articolo su Folia humanistica, Barcellona, Revue
internationale Teilhard de Chardin, Edizioni Ministère de l'éducation nationale
et de la culture Belgique, Editore Société Teilhard de Chardin, Vannini, From
mechanical to life causation,, Syntropy, (WC ACNP); Scapini, La logica
dell'evoluzione dei viventi Spunti di riflessione, in Atti del Convegno del
Gruppo italiano di biologia evoluzionistica Firenze, Firenze, University press,
Fantappié Giuseppe Arcidiacono Sintropia
Biografia sul sito del suo editore, su direnzo ). VDM Filosofia della
scienza Filosofi. Salvatore Arcidiacono.
Keywords: sintropia, entropia, ed informazione; sintropia, antropia, entropia. arcidiacono l’implicatura del principio antropico biologia
filosofica filosofia della vita fissisismo naturalismo finalismo vivere vivente
ominazione animazione definizione del vivente como movente autonomo il fine —Refs.: Luigi Speranza,
“Grice ed Arcidiacono” – The Swimming-Pool Library. Arcidiacono.
Luigi Speranza -- Grice
ed Arco: l’implicatura conversazionale della GRAVITAS – la scuola di Teano –
filosofia campanese -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Teano). Filosofo
campanese. Filosofo italiano. Teano, Caserta, Campania. Grice: “I should like
Arco; but he is a priest and I’m C. of E.; on top, I love to say that
philosophy ought to be FUN, provided it’s MY FUN – not Arco’s – so I find
Arco’s ‘dictionary of philosophical ‘umorismo,’ or filosofia ‘umoristica’
frivolous, and unworthy of Roman gravitas!” Nato nella frazione
Fontanelle entra fra i Salesiani di Bosco e fu ordinato sacerdote a Roma.
Consegue a Napoli la laurea in filosofia. Per la sua preparazione filosofica,
nonché per la profondità della sua filosofiai, è considerato tra i maggiori
filosofi italiani. Per lungo tempo è stato professore di filosofia presso gli
Istituti Salesiani di Bosco. Ricoverato
all'ospedale “San Leonardo” di Castellammare di Stabia, per un blocco renale, e
ritornato a Pacognano di Vico Equense dopo aver superato la crisi, è morto novantaquattrenne.
Uomo di anima sensibile e di infinita fede ha trascorso molto della sua vita
scrivendo, interessandosi di agiografia. È stato protagonista televisivo sulla
prima rete nazionale con il programma: Tempo dello Spirito. Intensa e vasta la sua opera letteraria. Altre opere: “Longo e la sua intimità con Dio”;
“Don Bosco si diverte”; Sorgenti di gioia; Gesù sotterra un chicco di grano;
Pira e il risorto; “Fiori di sapienza. Dizionarietto di saggezza”; “La Donna
del Sanctus; Papa Giovanni beato. La parola agli atti processuali; Quando la
teologia prende fuoco. Giuseppe Quadrio sacerdote salesiano; Don Bosco nella
luce del Risorto; Don Bosco sorridente entra in casa vostra”; “Così Don Bosco
amò i giovani”; “Il Padre Nostro”; “Ma c'è poi questo Dio; Nota bene; Sorgenti
di Gioia; L'Ave Maria inno dell'amore filiale; Rinaldi copia vivente di Bosco; “La
sorgente eterna dell'amore”; “Noi esistiamo perché Dio Padre ci ama; Stile di
Serenità; La Gioia a Portata di Mano; Ridi e sorridi da saggio; Il Beato
Bartolo Longo; Dolcezza e speranza nostra; Dio ci ama con cuore d'uomo; Il
Padre nostro; La Leva del Mondo: la preghiera; Sant'Eustachio; Il Cristo in cui
Spero; Giorgio La Pira Profeta e testimone del Risorto; Serva di Dio Elisabetta
Jacobucci Francesca Alcantarina; Beata Maria della Passione; Il Servo di Dio B.
Longo; Papa Giovanni Beato; Così ridono i saggi; Fiori di sapienza; Il segreto
di papa Giovanni; S.Alfonso amico del popolo; La Donna del Sanctus; Il Sacro
nome ti chiama per nome; La Leva del Mondo: la preghiera; Il monumento alla
Pace Universale del beato Bartolo Longo; Il Salesiano è fatto così; Messaggio
di Teilhard De Chardin. Intuizioni e idee madri (Elledici Torino); Un
esploratore della felicità: biografia del Servo di Dio Giacomo Gaglione, Apostolato
della Sofferenza. Citazionio su A. La
comunità di Pacognano ricorda A. Meazza, Giornale di Napoli, sito "Positano
news", Identities Biografie
Biografie: di Biografie Categorie: Religiosi
italianiTeologi italianiFilosofi italiani Professore Teano Vico Equense. Adolfo
L’Arco. Arco. Keywords: gravitas, hagiography; if he has religious faith, he is
not a philosopher. Refs.: Luigi Speranza, “Grice ed Arco” – The
Swimming-Pool Library. Arco.
Luigi Speranza – GRICE ITALO!; ossia, Grice ed Ardigò: la ragione conversazionale e l’implicatura
conversazionale – la scuola di Casteldidone – la scuola di Cremona – filosofia
cremonese – filosofia lombarda -- filosofia italiana – Luigi Speranza, pel
Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The Swimming-Pool Library (Casteldidone). Filosofo lombardo. Filosofo
italiano. Caseldidone, Cremona, Lombardia. Grice: “I love Ardigo – but I have a
few qualms – his “Opere filosofiche’ is improperly indexed! The man
wrote zillions! My attention was first caught by minor editorial note: “’La morale dei
positivisti’ was reprinted a few years later after its first edition as divided
into two parts, “la morale’ proper and ‘Sociologia’ – Since I have used
philosophical biology and philosophical psychology, Ardigo is indeed into
‘philosophical sociology’ – As he notes, ‘sociology’ is today’s philosophese
for Aristotelian politics – politica – re publica romana – And being a
positivist, Ardigo provides some good background – which will later be
‘refuted’ by the neo-idealists that opposed this sort of philosophy – to the
idea of two organisms (two pirots) interacting --. While I speak of
conversational egoism as balanced by conversational tu-ism; Ardigo, less of an
altruist, and who laughs at the ‘ridiculous’ sensist conception of ‘simpatia’ –
speaks of two principles: the principle of egoism, or prepotence, found amoung
brutal animals – and the principle of what he calls ANTI-EGOSIM, found in the
civil Italian gentleman – the word ‘civile’ is crucial, as in Castiglione,
‘discorso,’ or ‘conversazione’ civile. If Wilson found it offensive when Chomsky
spoke of two ideal communicadtors, this is no problem for the positivist – As
Ardigo notes, an Italian will not behave conversationally in the same way when
conversing with some he regards as below his station -- that’s why he (and later I adopted the
same guideline) uses ‘Romolo’ and ‘Remo’ (rather than Jack and Jill, since
there is a gender issue here) as communicators.
As he puts it, ‘the fact that Romolo eventually kills his ‘fratello’ is hardly
relevant from a positivist point of view – surely we don’t require ANTI-EGOSIM
to hold indefeafeasibly, I would disagree with Ardigo’s dismissal of Remo’s
murder – ‘l’assassinio di Remo’ – I discussed this with Hardie – in English,
and, after a ten-minute pause, all I got from him was, ‘what do you mean by
‘of’?’” -- Essential Italian philosopher. Grice: “It’s amazing Ardigo found
psychology a science, and a positive one, too!” – Altre opere: “La psicologia come
scienza positive”; “Scritti vari”; “Venti canti di H. Heine tradotti 100
percent.svg di Heine, traduzione dal tedesco. Testi su A.. Per le
onoranze a A. 100 percent.svg di Mario Rapisardi. Gemeinsame
Normdatei data.bnf.fr Comité des travaux historiques et
scientifiques Brockhaus Enzyklopädie Dizionario Biografico degli
Italiani Categorie: Casteldidone Mantova
1828 1920 28 gennaio 15 settembreAutoriAutori Autori Autori italiani Autori
italiani Religiosi Filosofi Pedagogisti Religiosi Religiosi Filosofi Filosofi Pedagogisti Pedagogisti
Autori italianiReligiosi italianiFilosofi italianiPedagogisti italianiAutori
citati in opere pubblicateAutori presenti sul Dizionario Biografico degli
Italiani Refs.: Grice, “Ardigò
and a positivisitic morality,” Luigi
Speranza, "Grice ed Ardigò," per Il Club Anglo-Italiano, The
Swimming-Pool Library, Villa Grice, Liguria, Italia. ARE. Ricerca A. psicologo, filosofo e pedagogista italiano,
Lingua Segui Modifica «L'inconoscibile di oggi è il conosciuto di domani.»
(Roberto A.) Roberto Felice Ardigò (Casteldidone, 28 gennaio1828 – Mantova, 15
settembre 1920) è stato uno psicologo, filosofo e pedagogista italiano.
Roberto Felice Ardigò Biografia Modifica Roberto Felice A. nacque a
Casteldidone, in provincia di Cremona, da Ferdinando A.. A causa delle
difficoltà economiche della famiglia, un tempo agiata, si dovette spostare a
Mantova, dove il padre trovò lavoro presso i cognati. La madre era
profondamente religiosa, mentre il padre sostanzialmente indifferente in
materia. Egli ne avrà sempre profondo rispetto e un forte legame, come anche
con la sorella. Studi teologici Modifica Studiò a Mantova, per poi iscriversi
nel 1845 al liceo del Seminario vescovile. Nel 1848 ottiene un posto gratuito
nel seminario di Milano, ma in seguito ai moti risorgimentali é costretto a
rientrare a Mantova. Il suo successivo tentativo di arruolarsi nell'esercito di
Guglielmo Pepe è frustrato da una febbre malarica che lo colpisce alla vigilia
della battaglia di Goito. Proseguì poi gli studi teologici. Dopo la morte dei
genitori, fu accolto a casa sua da Mons.
Martini, rettore del Seminario mantovano. In quegli anni il Seminario
era investito dalla congiura patriottica che porterà al supplizio dei Martiri
di Belfiore, dei quali ben tre erano sacerdoti, tra cui il leader della
congiura Don Enrico Tazzoli, insegnante presso lo stesso Seminario.
Ardigò fu infine ordinato sacerdote. L'insegnamento positivista, la
sospensione e la scomunica Modifica Nel 1870 pubblicò La psicologia come
scienza positiva e nel 1876 tentò di istituire presso il Liceo di Mantova, dove
insegnava[4], un Gabinetto per le ricerche psicologiche.[3] Nel metodo di
insegnamento, poi, privilegiava il personale e diretto coinvolgimento degli
allievi, sollecitandoli al libero dialogo, con una attenta analisi di brani
critici e dei filosofi, cosa non troppo gradita alle gerarchie ecclesiastiche e
al Ministero dell'Istruzione. Già preda di una crisi religiosa molto
forte, che lo portò infine a divenire ateo[5], tutta questa polemica lo
condusse appunto a smettere l'abito ecclesiastico nel 1871, a 41 anni, dopo
aver aderito ormai completamente alle posizioni positiviste ed evoluzioniste,
che andavano nettamente in contrasto ai dettami della Chiesa cattolica del
tempo, e aver attaccato apertamente il dogma dell'infallibilità papale.
Alla fine, Ardigò venne anche scomunicato, ultimo atto della polemica contro la
Chiesa di cui aveva fatto parte.Professore universitario Modifica
Casteldidone, lapide sulla casa natale In totale insegnò storia della filosofia
all'Università di Padova per 28 anni dal 1881. Considerato tra i padri della
psicologia scientifica italiana per aver promosso una concezione scientifica
della psicologia, concepì una complessa teoria della percezione e del pensiero
che non ebbe completa dimostrazione sperimentale. Nel 1882 Ardigò svolse uno
dei suoi maggiori esperimenti in campo psicologico sperimentale, sulle
condizioni dell'adattamento visivo su prismi ottici. Diverse furono le materie
che insegnò nei lunghi anni d'insegnamento universitario fino alla data del 1º
giugno 1909 quando fu collocato a riposo. Fu, altresì, preside della facoltà di
filosofia e lettere dal 1899 al 1902. Il 31 maggio 1908 divenne socio
dell'Accademia delle scienze di Torino. Il 16 ottobre 1913 fu nominato
senatore del Regnoma fu impossibilitato a raggiungere Roma per il giuramento. Durante
la sua vita elogia Mazzini e Garibaldi, critica la massoneria (in quanto la
ritene non necessaria in uno stato ormai libero) ed espresse idee fortemente
repubblicane. Ultimi anni e suicidio Negli ultimi anni di vita, isolato
dall'ambiente intellettuale, ma non dai suoi discepoli più stretti, soffre di
gravi problemi fisici e depressivi (acuiti dalla morte della sorella Olimpia,
che vive a casa sua), che lo conduceno a un primo tentativo di suicidio a
Padova (dopo aver appreso della disfatta di Caporetto e della morte di molti italiani),
fallito perché la ferita non è grave, ma che si sarebbe ripetuto, questa volta
riuscendo nel suo intento. A. muore infatti suicida nella sua ultima
sistemazione a Mantova a casa Nievo, abitazione che è di Nievo. S’auto-inflisse
una ferita colpendosi con un rasoio (o una roncola) arrugginito alla gola. Le
testimonianze dell'epoca riferiscono che venne trovato seduto alla scrivania,
con la barba bianca del tutto sporca di sangue (barba che gli è tagliata dai
soccorritori ed è tuttora conservata come cimelio nella sala blindata della
Biblioteca di Mantova. Soccorso dai medici, perde comunque conoscenza dopo aver
ribadito le sue intenzioni, e muore due settimane dopo. Ricezione dell'opera d’A.
Il tragico atto finale della sua vita venne usato dai suoi detrattori clericali
o neo-idealisti per screditare il positivismo in declino o visto come un gesto
di demenza senile, e non come un atto di un uomo ormai stanco a livello psico-fisico,
che da tutto e vissuto la sua lunga vita secondo coscienza, quale in effetti è.
D'altra parte, seppur il sistema di A. non è anti-idealistico, sono gl’idealisti
ad attaccarlo filosoficamente, seguiti dai marxisti, come Gramsci, talvolta
paragonandolo agl’esiti più deleteri del positivismo, come l'antropologia
criminale di Lombroso, risultata poi non scientifica, determinando l'oblio
parziale delle sue opere, tra i maggiori libri filosofici tra il periodo
illuminista (con l'esclusione delle opere filosofiche di Leopardi) e il neo-idealismo
di Croce e Gentile. Con lo sviluppo del positivismo logico e la riscoperta del
positivismo, si è avuta una lenta rivalutazione d’A., il maggiore esponente italiano
del movimento, assieme a Montessori e, come lei, tra i fondatori della
pedagogia e della psicologia moderna, oltre che uno dei maggiori filosofi laici
della cultura italiana. Commemorazioni Sulla sua casa venne apposta una lapide,
quando ancora egli è in vita: Mantova in una pergamena. Indagatore
sapiente dei fenomeni del pensiero e del sentimento. Assertore impavido della
naturale formazione e dell'unità molteplice della vita. La Società magistrale
Mantovana, col plauso degl'insegnanti elementari d'Italia, della Società
filosofica dei professori di Morale e di Pedagogia, festeggiando l'ottantesimo
compleanno del maestro sublime, augura con fervidi voti che la nuova
generazione cresca degna di lui nel culto della scienza, nell'apostolato della
verità. (Epigrafe di Rapisardi. La città di Monza gli dedica una scuola media
inferiore e una strada. Anche Milano gli dedica una strada in zona Forlanini,
così come Roma che gli dedica una piazza tra il quartiere dell'EUR e la Via
Laurentina. I libri della sua biblioteca personale sono conservati presso
la Biblioteca universitaria di Padova. Pensiero Mantova, lapide commemorativa Il suo pensiero
mosse dalla conoscenza dei classici teologici e filosofici, come Agostino
d'Ippona ed AQUINO, poi abbandonati, all'adesione al razionalismo e al
positivismo di Comte e Spencer (con cui ha
una corrispondenza epistolare, ma di cui non condivide né il darwinismo
sociale, né il ruolo marginale da questi attribuito alla filosofia, passando
attraverso il naturalismo del rinascimento, come quello panteistico di BRUNO
(si veda). D'altra parte, del sapere magico-ermetico della filosofia della
natura, da Bruno stesso a Telesio, non vi è alcun residuo nella filosofia
positiva d’A., che prova disinteresse e disprezzo per la rinascita
romantico-idealista della filosofia, a cui, dopo la conversione laica,
contrappone la vera filosofia scientifica.Caratteri della filosofia positiva d’A.
L'originalità della sua filosofia si distanzia tanto dall'enciclopedismo
naturalistico quanto dal tradizionale spirito di sistema, aprioristico,
deduttivistico, dogmatico. La filosofia trova la sua specificità nel fondamento
del fatto (fisico o psichico) e nell'argomentazione induttiva, contro le
deduzioni a priori, metafisiche, che non hanno fondamento nell'esperienza come
la deduzione logico-matematica. Comte Una filosofia, che accetti metodo
scientifico e voglia dirsi scientifica, rifiuta quindi le tesi metafisiche, le
entità trascendenti inverificabili, accetta le ipotesi da verificare. Contro
l'astratto razionalismo metafisico della filosofia, è andato emergendo, secondo
A., dapprima il naturalismo rinascimentale, che ha trovato seguito
nell'empirismo, nell'illuminismo e nel sensismo, fino al darwinismo e al
positivismo. Una filosofia positiva non può nutrire certezze definitive (se
vuol essere portatrice di tesi riformulabili come le teorie scientifiche) e non
può essere un sistema unitario e dogmatico. A. propone una filosofia che,
perduto l'ambito delle scienze naturali positive, si specifica in autonomia
come scienza dei fatti psichici (psicologia) e dei fatti sociali (sociologia). Psicologia,
pedagogia e sociologia positive Modifica I suoi contributi nell'ambito delle
scienze sono importanti per l'impostazione generale. Interessanti sono le sue
idee sull'evoluzione intesa come passaggio dall'indistinto al distinto, ma
anche condizionata dal caso e caratterizzata dal ritmo. Non tutto dunque è
lineare e meccanico. A. fu uno dei primi psicologi moderni, anche se non nel
senso di terapeuta, ruolo che sarà ricoperto dagli psicoanalisti e dagli
psichiatri, ma nel senso di formatore pedagogico e professionale, oltre che di
teorico e studioso della psiche, come Bergson. A. insistette sulla necessità di
una psicologia ed una pedagogia scientifiche, soffermandosi sul ruolo delle
abitudini. L'educazione infatti sul piano naturale può essere ricondotta
all'acquisizione di comportamenti sedimentati e certi; questo significa il
passaggio da una pedagogia metafisica ed astratta ad una pedagogia intesa come
scienza dell'educazione.L'Io, l'Indistinto e la nascita della coscienza Seguendo
comunque l'assioma comtiano che "non ci può essere scienza se non di
fatti" (anche se Comte riconduce la psicologia alla filosofia e alla
medicina, oltre che alla sociologia), egli conia inoltre il termine di
"confluenza mentale". Teorie pedagogiche Modifica A. dice:
«la pedagogia è la scienza dell'educazione, per questo l'uomo può
acquisire le abitudini di persona civile, di buon cittadino.» Per Ardigò
dunque non tutte le abitudini sono educative. Dal punto di vista didattico
privilegiò l'intuizione, il metodo oggettivo, la lezione delle cose, il
passaggio dal noto all'ignoto, insegnando poche cose alla volta, ritornando più
volte sulle cose spiegate e facendo continue applicazioni di teorie e casi
nuovi. Egli rivalutò la funzione del gioco, il quale permette al bambino
l'occasione di vedere e toccare gli oggetti, riconoscerne le proprietà e le
somiglianze, favorendo lo sviluppo fisico, il quale va d'accordo con quello
mentale. Proprio in riferimento al gioco, Ardigò criticò le idee di Fröbel Il
problema di A. fu quello di coniugare la formazione di giuste abitudini con la
libertà e l'autonomia propugnata dai Giardini d'infanzia di Fröbel. Darwin
Natura ed evoluzionismo Modifica Il sistema ardigoiano si configura come un
“naturalismo” evoluzionistico (da lui chiamato però realismo positivo) che
cresce sulla consapevolezza delle scienze e della tecnica, e si regge sotto una
solida epistemologia, mentre si rivolge anche alla morale, sottraendola al
riduzionismo naturalistico e meccanicistico, riservando alla psicologia la
funzione di sovrintendere al tutto. Se tutto ciò che esiste è un fatto
naturale, dal cosmo al cervello umano, dai vegetali ai minerali, non esiste e
non può esistere un Ente trascendente metafisico e non è pensabile alcun
progetto finalistico che permetta una comprensione teleologica della Natura; ad
essa ci si può avvicinare solo con spirito scientifico. L'ignoto d’A. non
trascende l'esperienza, non ne è causa prima e soprannaturale, per cui il suo
immanentismo non finisce mai nello spiritualismo a-scientifico e
irrazionalistico (accusa spesso rivolta da Benedetto Croce ai positivisti).[24]
Un motivo di originalità è offerto dal tentativo di attenuare il determinismo e
meccanicismo evoluzionistico e positivistico tramite la dottrina della
casualità. La realtà è per lui continuo passaggio dall'Indistinto al distinto,
e i distinti sono la coscienza umana e il mondo esterno, frutto entrambi dalle
sensazioni e da quell'Indistinto dalla quale procedono per auto-sintesi ed
etero-sintesi. Riflessione morale Modifica Egli punta a far rinascere un'etica
laica, naturalistica, non prescrittiva, che pone l'uomo davanti alle scelte,
dandogli strumenti conoscitivi per una scelta razionale. Rimane estraneo però
alla questione sociale e alle istanze socialiste (nonostante la collaborazione
con Turati), e, ancor prima, anarchiche, ampiamente diffuse in Italia, come
isolato è anche rispetto alla politica. Le idealità sociali o massime morali si
distinguono in: naturali, perché frutto solamente dell'evoluzione della
specie e della psiche individuale sociali vere e proprie, cioè etico-giuridiche
perché determinate dalla convivenza; esse devono la propria oggettività alla
loro genesi individuata nello sviluppo materiale dell'uomo (biologico, fisico,
ecc.) e (...) si esprimono storicamente in istituzioni (come la famiglia, lo
Stato) le quali disciplinano e orientano le azioni umane. Va detto che la
riflessione ‘di periodo’ ardigoiana sulla moralità e sulle idealità sociali
“nell’idea della giustizia” mostra l’intento di fondare in Italia la sociologia
come scienza sulla cauta possibilità di concepire nella società la morale senza
la religione (Roberto Ardigò, La morale dei positivisti, Milano, Natale
Battezzati. Il progetto di A. si concretizza maggiormente nelle pretese di
fondare un sapere laico in grado di confrontarsi con le sfere dell’etica e
della filosofia speculativa, senza che quest’ultima possa vantare ex ante una
alleanza “forte” di filosofia e religione e senza avere avuto un confronto con
i temi messi in campo dalla scienza e dai suoi più immediati avanzamenti, così
e come mostrano proprio i primi passi dell’idea di formare un sapere
sociologico autonomizzato dalle sfere dell’eticità (Guglielmo Rinzivillo,
Ardigò e la prima sociologia in Italia, su “Scienzasocietà” n.50, A. In questo
senso l’impresa di Ardigò di confrontarsi direttamente con il sapere
speculativo risulta essere l’unica nel suo genere al cospetto del positivismo
di fine secolo XIX (Rinzivillo, La scienza e l’oggetto. Autocritica del sapere
strategico, Milano, Franco Angeli, Ma il tentativo di formare una scuola si
infrange nella ripresa sia europea dello spiritualismo che più nostrana
dell’idealismo e nella contestazione delle dottrine filosofiche di seguaci come
Marchesini e Tarozzi (Portale,Marchesini e la “Rivista di Filosofia e Scienze
Affini”. La crisi del positivismo italiano, Milano, Angeli, Altre saggi: “Discorso
sulla difesa dalla inondazione”; “Pomponazzi”; “La psicologia come scienza
positive” – cf. Grice psicologia filosofica --; “La formazione naturale nel fatto
del sistema solare”; “La morale dei positivisti”; “Sociologia”; “Il fatto psicologico
della percezione”; “Il vero”; “La scienza della educazione”; “La ragione”;
“L'unità della coscienza”; “La nuova filosofia dei valori”; “Canti di Heine,
traduzione dal tedesco Raccolta delle opere, “Filosofia” (Padova, Draghi). Citato
in: Bonetti, Mazzoni, L'Università degli
studi di Firenze nel centenario della nascita di Occhialini, Firenze, Allegri,
Il realismo positivo di A.. L'apogeo teoretico del positivismo. in Internet
Archive. Guido Cimino e Foschi, Percorsi di storia della psicologia italiana,
Kappa, Covolo, A.. Dal sacerdozio all'ateismo
A. su Chi era costui? A. e il
sistema positivistico, dal sito della Congregazione per il Clero del Vaticano Riccardo,
Breve storia della psicologia italiana. Psicologia Contemporanea, A., su accademiadellescienze. Mazzini, Milano). ^ Discorso commemorativo
pronunciato sul Monumento dei Martiri in piazza Sordello. Dal giornale Il
Mincio, 11 giugno Egregio Sig. Genovesi. Rispondo subito alla di Lei lettera,
che convengo interamente con Lei che dice giustamente che La Massoneria in uno
stato libero è un non senso: e che a combattere l'oscurantismo è più efficace
l'opera indefessa ed aperta di educazione e di elevazione civile che non
l'opera tenebrosa e nascosta di una setta: e che coll'esistenza di questa la
gran massa popolare non può che perdere la fiducia nella giustizia pubblica del
proprio paese, nell'idea che la massoneria sia poi in fine una associazione di
interesse pei soci a danno di quelli che non vi appartengono. E fortuna per me
che alle scomuniche sono avvezzo, e nulla temo perché nulla spero. Lettera in
Lettere edite ed inedite, a cura di Büttemeyer, A., Il Contributo italiano alla
storia del Pensiero – Filosofia, Savorelli, Treccani A. su
lnx.societapalazzoducale mantova). ^ La cultura filosofica italiana, Lampi di
stampa, Büttemeyer, Roberto A. e la psicologia moderna, Firenze, La Nuova
Italia, Veniero Accreman, La morale della storia, Guaraldi, Landucci, Roberto A.
e la "seconda rivoluzione scientifica", ed Franco Angeli, RIVISTA DI
STORIA DELLA FILOSOFIA, Allegri, Il realismo positivo di Roberto A.. L'apogeo
teoretico del positivismo Archiviato il 10 dicembre 2014 in Internet Archive.,
Groppali e G. Marchesini, Nel 70º anniversario d’A., ed, Bocca, Torino; A., La
psicologia come scienza positiva, Guastalla editore, Mondovì Froebel Allegri,
Il realismo positivo d’A. L'apogeo teoretico del positivismo Internet Archive., Quaranta, Etica e politica
nella filosofia di A., “Rivista di storia della filosofia”, Quaranta. Gentile,
Il positivismo d’A: un'ideologia italiana, Rivista di storia della filosofia.
Mille anni di scienza in Italia, opera del Museo Galileo. Istituto Museo di
Storia della Scienza di Firenze. Poggi, La coscienza e il meccanesimo
interiore. Bonatelli, A. e Zamboni, Padova,
Poligrafo. Dizionario di filosofia, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, A., su
sapere.it, De Agostini. Bortone, A., in Dizionario biografico degli italiani,
Istituto dell'Enciclopedia Italiana,Opere di Roberto A., su openMLOL, Horizons
Unlimited srl. Opere di Roberto A., su Open Library, Internet Archive consultabili nell'Archivio di Storia della
Psicologia, su archiviodistoria. psicologia1.uniroma1.it. URL). Savorelli, Il
contributo italiano alla storia del Pensiero: Filosofia, Istituto dell'Enciclopedia
Italiana. Altre opere: Pomponazzi. La psicologia come scienza positiva. La
formazione naturale del sistema solare. L’inconoscibile di H. Spencer e il
Positivismo. La religione di Mamiani. Lo studio della Storia della
filosofia. La Morale dei Positivisti. Relatività della Logica umana. La
coscienza vecchia e le idee nuove. Empirismo e scienza. Sociologia. Il
compito della filosofia e la sua perennità. II fatto psicologico della
Percezione. Il Vero. La Ragione. La scienza sperimentale del pensiero. Il mio
insegnamento della filosofia nel R. Liceo di Mantova. L’Unità della
coscienza. L’Inconoscibile di H. Spencer e il Noumeno di Kant. Il meccanismo
dell’intelligenza e l’ispirazione geniale. L’indistinto e il distinto nella
formazione naturale. Note etico-sociologiche
Articoli pedagogici. Il Pensiero e la Cosa. L’idealismo della vecchia
speculazione e il Realismo della filosofia positiva. La formazione naturale e
la dinamica della psiche. Saggio di una ricostruzione scientifica della
psicologia. La perennità del Positivismo. Monismo metafisico e monismo
scientifico. La filosofia nel campo del sapere. Atto riflesso e atto
volontario. I tre momenti critici nella storia della Gnostica della filosofia
moderna. Il sogno della veglia. Tesi metafisica, ipotesi scientifica e fatto
accertato. Il quadruplice problema della Gnostica. Guardando il rosso di una
rosa. La nuova filosofia dei valori. Una pretesa pregiudiziale contro il
Positivismo. L’Inconscio A. Comte, H. Spencer e un positivista italiano. Infinito
e indefinito. Fisico e psichico contrapposti. Repetita juvant. I
presupposti Massimi Problemi. Il Positivismo nelle scienze esatte e nelle
sperimentali. L’individuo. Estema, idea, logismo. Le forme ascendenti della
realtà come cosa e come azione e i diritti veri dello spirito. Lo spirito
aspetto specifico culminante della Energia in funzione nell’organismo animale.
La meteora mentale. Filosofia e positivismo. La ragione scientifica del dovere.
La filosofia vagabonda. L’intelligenza. Altre opere: SCRITTI VARI RACCOLTI
E ORDINATI DA MARCHESINI Le Monnier scuola nuovo FIRENZE FELICE LE
MONNIER. Prefazione; opere filosofiche; Polemiche; La confessione; Sulla storia
della confessione esposta nel n. 181 della Favilla dal sig. Eugenio Pettoello.
Il prete professore Ardigò e la confessione. Calunnie. Risposta del prete
professore A. alla lettera di SANCTIS (si veda) inserita nel n. 217 della
Favilla. Dichiarazione ai lettori. Lettera dell'illustre De Sanctis. Articolo
comunicato. La psicologia positiva e i problemi della filosofia. Dialogo. Il
filosofo e un ignorante. Il liberalismo d’A. Contro la massoneria. R. A. e A.
Fouillée. Discorsi. Garibaldi. Discorso di commemorazione. Per il 70°
anniversario. Le Ancelle della carità al Civico Spedale. I programmi e l’ordine
dell’insegnamento. Il cultore vero della scienza. La gerarchia dei godimenti.
La libertà del sentimento religioso. L’unità internazionale. La filosofia col
nuovo regolamento universitario. La scuola classica e la filosofia. Divisi
dalle religioni, la scienza ci riunirà. Il dolore morale nella società. La
polarizzazione del lavoro mentale. La breccia di Porta Pia. Il significato
morale del XX Settembre. Le immagini rovesciate. Il metodo del lavoro
intellettuale di A.. La formazione inconscia delle convinzioni. La condizione
fisica della coscienza. Lettere 100%.svg Lettera 1 100%.svg
Lettera. Giudizi e pensieri. Giudizi. Pensieri. Versi. Uno scherzo in un'ora
allegra. Intecta fronde quies. Venti canti di Heine. Schöne Wiege meiner Leiden.
Warte, warte, wilder Schiffsmann. Berg und Burgen schaun herunter. Der Traurige. Zwei Brüder. Die
Grenadiere. Auf Flügeln des Gesanges. Liebste, sollst mir heute sagen. Mein
süsses Lieb, wenn du im Grab. Ich weiss nicht was soll es bedeuten. Mein Herz, mein Herz ist traurig wie
der Mond sich leuchtend dränget auf dem Hardenberge. Der Hirtenknabe. Nachts in der Kajüte. SOCIOLOGIA.
Dedica. Avvertenza. Il potere civile; La reazione dell' individuo e
quella della società; il Diritto intemazionale; Machiavellismo politico;
l’ideale della società umana; le giustizie sociali; L'Idealità sociale
impulsiva del volere individuale è una giustizia; L'Idealità sociale è
una giustizia potenziale; diritto positivo e diritto naturale; triplice ufficio
del potere; giustizia e diritto nella convenienza; la giustizia; la Giustizia
legale (seconda forma dell' ufficio del Potere) è una gradazione
evolutiva superiore di un indistinto inferiore da cui emerge; dall'indistinto
della prepotenza (principio egoistico) nasce il distinto della
giustizia (principio anti-egoistico) che è la risultante dinamica di
quella; la formazione della giustizia nel senso proprio va colla
formazione del potere onde è l’espressione; la giustizia è la forza
specifica dell' organismo sociale; la gradazione della giustizia;
dovere giuridico e dovere morale; obbligatorietà e trascendenza
imperativa del dovere nella coscienza morale; atteggiamento vario della
giustizia e coefficienti relative; funzione della giustizia morale; l'autorità;
criterio positivo del diritto e del dovere; i diritti dell'uomo
sopra le altre cose della natura; i diritti dell'uomo sopra se
stesso; suicidio; il diritto d’autorità; l’autorità nel diritto naturale; la
dottrina positiva dell'autorità e del diritto è liberale; Gl’attti benefici
nell' etica tradizionale; gl’atti benefici nel positivismo; falsa apparenza di paralogismo;
la virtù, il merito, il premio; l’ordine morale; il bene sociale; il fatto del
diritto (diversità, specie, coordinazione) e il suo ideale; il diritto
è in virtù di se stesso; il diritto è la facoltà del bene sociale;
l'esercizio del diritto è la funzione del bene sociale; il diritto costa
una contribuzione; le unità minime, le unità medie e l’unità massima nel corpo
sociale; la selezione interorganica nella evoluzione formatrice
dello Stato Come risulti spiegata la prima forma dell' ufficio del
Potere, e anche la terza: e stabilito r assunto del libro
Conclusione. SOCIOLOGIA Atxyj^ 8vo|ia oòx dEv ^Seaav, el xaOxa fJ “Non ci
sarebbe l’idea della giustizia se non fossero i supplizi.” -Eraclito di Efeso presso
Clem. Strom. IV, j.. ALL’ILLUSTRE FERRI IL QUALE PRIMEGGIANDO FRA I MAESTRI
DELLA SCIENZA NUOVA DEL DIRITTO PENALE SI COMPIACE DI RICORDARE CHE ALL’INDIRIZZO
POSITIVO DELLA SUA MENTE FECONDISSIMA NON SONO ESTRANEE LE LEZIONI DEL SUO
ANTICO MAESTRO L'AUTORE DEDICA QUESTO SAGGIO IN SEGNO DI FRATERNO AFFETTO.
AVVERTENZA. Questa sociologia costitue una parte della morale dei Positivisti.
Fu in ogni parte o ritoccata o rifatta. Non vi si trattano tutte le questioni
introdotte e discusse generalmente nei saggi di sociologia; ma solo la
fondamentale: quella cioè della formazione naturale del fatto speciale
caratteristico dell' organismo sociale, ossia della giustizia. E, relativamente
a questo fatto, non dà una riproduzione pitc meno manipolata delle idee messe
in voga dai filosofi più celebrati di questa materia. Qualunque ne sia il
valore, chi scrive presenta qui il frutto della sua riflessione solitaria; e
non recente, ma di vecchia data, e già matura fin da quando lo esponeva ai
filosofi di Mantova, pei quali divenne germe e stimolo ad elaborazioni ed applicazionidi
merito nel campo della filosofia. Restringendosi poi la trattazione, come qui è
divisato, al fatto della giustizia, con ciò la sociologia tiene a mantenersi nel
campo, che le spetta in proprio, e pel quale riesce una disciplina a sé e
distinta da tute le altre. È un errore capitale quello comunissimo di fare
della sociologia un ammasso di tutte le dottrine riguardanti i fenomeni svariatissimi,
che suppongono l’ambiente della società umana, A tale stregua la cosmologia
dovrebbe constare di tutte le dottrine riguardanti i fenomeni svariatissimi,
che suppongono l’ambiente dell’universo visibile. A questo modo si dà ragione a
quelli che persistono a *negare* alla sociologia filosofica la qualità di
disciplina autonoma. Una sub-disciplina filosofica è un tutto a sé, che si pone
e si distingue da quello di tutte le altre, come la specialità del fatto che
essa considera. E, nel caso nostro, la sociologia filosofica, o la psicologia
filosofica dell’intersoggetivita, si pone e si distingue, come la specialità
del fatto della giustizia, nel quale è la ragione diretta dell'organismo
sociale; a quel modo che nel fatto della gravitazione è la ragione diretta
della mutua dipendenza delle masse astrali, considerata dalla cosmologia
filosofica. Così, essendoci il fatto Fisico si dà la Fisica; essendoci il fatto
chimico si dà la chimica; essendoci il fatto psichico, si dà la psicologia
filosofica, e via discorrendo per ogni sub-disciplina. Si restring la presente
trattazione allo studio della formazione naturale della giustizia, e limitandosi
a considerare il fatto di essa in generale, e non estendendosi a considerarlo
in particolare nelle molte e diverse forme svariate, che si munifesiano,
funzionando la giustizia nelle differenti comàiìmzioni secondarie pnllulanti ed
armonizza nèi nella totalità malto complessa dell’organismo sociale. Ed è solo
in qneslo senso, die fuesta trattazione non aòòraccia tutto r amèito della Soetologia
j. co7icernendo solo la sua farle introduttiva e fondamentaie. Esaurita la
prima edizione di questo quarto Volume delie Opere filosofiche, e anche la
seconda, nella quale tra stata introd^itta qualche piccola correzione ed
aggiunta, colia presente terza questa Sociologia comparisce nella sua edizione
quinta. Questa trattazione deWdi Sociologia suppone e completa quella della morale
dei positivisti. La suppone, in quanto nella morale medesima è presentata l’analisi
della attitudine etico-civile umana, ed è esposta la teoria positiva della responsabilità
sotto tutti i suoi aspetti e rapporti. La completa, in quanto studia la
formaziofie della attitudine etico-civile suddetta. Specialmente sotto V
di-spetto e il rapporto della sua obbligatorietà si interna che esterna. Ma questa della sociologia è poi, come tale,
una trattazione distinta da quella della morale. La morale ha per oggetto suo
speciale e proprio la attitudine etica e quindi la virtu individuale. La sociologia
ha per suo oggetto la costituzione della società civile e quindi la gitistizia
che ne è la funzione caratteristica. Il punto di partenza del nostro
ragionamento è la questione proposta dalla morale dei posttivisti. Il concetto
della responsabilità (definito precedentemente come l'astratto delle sanzioni,
onde la società reagisce, rintuzzandola, contro l’azione propriamente umana
individuale) fosse manchevole, non estendendosi quanto la moralità, e quindi
fosse da ripudiarsi. E ciò per la considerazione che sembrerebbe così la responsabilità
riferirsi solamente agli atti intesi nel concetto stretto del giusto, cioè ai
pochi atti esterni, aventi importanza per l’ordine sociale, commessi in misura
e in circostanze determinate, discorso basta notare il fatto, la cui spiegazione
si lascia alla fisiologia. Come l’apparato nervoso delF organismo
biologico vi si forma a poco a poco per naturale svolgimento e trasformazione
di una parte degli elementi prima omogenei della sostanza viva, cosi l'apparato
del P<:7/^r^ nell’organismo dello stato vi si forma a poco a poco per
naturale selezione ed adattamento dì alcuni fra gli individui del *consorzio*
umano informe primitivo. Del pari, come la funzione speciale dell'
apparato nervoso si è in esso determinata per Io svolgimento e la
trasformazione della attività vitale generica della sostanza animale,
cosi la specialità della reazione del potere non è altro che una
distinzione, operatasi a poco a poco e di mano in mano che andava
formandosi, della reazione istintiva comune degli individui eslegi del *consorzio*
umano primitivo. E, come l’attività nuova speciale sovrapposta e dominante
dell' apparato nervoso dell'animale superiore sviluppato non vi sopprime
l’attività iniziale semplice e comune del materiale biologico, la quale vi
persiste allato e al disotto dell' attività nervosa, che la regola,
così la reazione del potere, svoltasi naturalmente collo svolgersi dell'
organismo sociale, non vi sopprime la reazione istintiva detta sopra, la
quale quindi persiste nello Stato civile allato e al disotto della
reazione del Potere, che la regola. E cosi nello Stato vengono a
riscontrarsi contempo è assai opportuno studiare ulteriormente, e sotto
/r^r df~ versi aspeliì, l'analogia notata fra T organismo dell' animale
superiore e quello della Società civile. Nel corpo di un animale, anche di
organizzazione superiore (e quindi massimamente in quello dell'
uomo), ogni parte viva ha in sé la ragione della propria attivita
puramente vegetativa, che ha luogo quindi indipendentemente dal concorso diretto
della funzionalità nervosa centrale. Ma questa funzionalità nervosa
centrale può intervenire ad impedire tanto o quanto la detta attività puramente
vegetativa della parte subordinata, A far ciò l’uomo, nel caso che la
parte si ammali e quindi la sua attività vegetativa si renda anormale,
si sforza (valendosi dell' apparecchio nervoso sovrastante alle
parti) di limitare l’anormalità e di contrastame gli effetti perniciosi
sulle altre. Mettiamo, sostituendo la medicina al cibo, o tralasciando di
mangiare e di adoperare se possibile la parte malata, o operando su di
essa, o staccandola in caso estremo dal resto del corpo. Quindi, l’intervento
della funzionalità centrale qui sarebbe puramente negativa; cioè solo di
impedire tanto o quanto l’attività vegetativa; la quale, nella parte,
sorge in virtù della propria natura dì questa, e non potrebbe esservi
creata ed infusa dalla medesima funzionalità centrale. Un fatto analogo si
osserva nel corpo della società civile. In questo corpo sì riscontrano due
generi di reazione sociale, quello della convenienza, proprio di ciascun
individuo e nascente direttamente dall’urto degli individui fra di loro,
indipendentemente dalla sovrapposizione ad essi del potere al quale sono
subordinati; e quello della giusto, proprio di questo potere. La
reazione di convenienza tra individuo e individuo tende con forza ad
assumere, e spesso assume effettivamente forme irregolari nocive e atte a
turbare in misura più o meno grande il buon assetto della società. Ed è
qui che intervitìne la reazione del giusto per parte del potere
sovrapposto. Ma con effetto solo di impedire e limitare, per quanto
possibile, la irregolarità della rea
zione della convenienza. Si che questa, funzionando pure per forza e legge
propria, non ecceda però la forma e la misura compatibile coll’andamento
migliore del corpo sociale. Le parti singole dell'animale sono
coordinate insieme mediante una funzione, che sì aggiunge alle particolari di
esse e loro sovrasta, dominandole e subordinandole nel sistema complessivo deir
individuo. Questa funzione centralizzatrice ha una efficienza negativa,
na ne ha anche una positive, ed è quella di produrre il concerto delle
parti nell’attività dell’individuo totale. Coè, la vìta propriamente
detta, elevantesi sulla semplice vegetazione di ciascuna parte, adattata
e resa ubbidiente alle esigenze della vita medesima, e quindi, per cosi dire,
ingentilitane. Cosi anche nella societa. Nella quale la funzione assodante
del potere si sovrappone a quelle degli due *associate*, ed è puramente
negativa o di limitazione per rispetto a queste, ma è positiva per rispetto a
se stessa, in quanto cioè si pone e produce un effetto speciale suo
proprio, che si risolve soprattutto in quello della moralizzazione dell'
uomo nello Stato civile. Annunciamo qui solo il fatto, la cui
spiegazione dettagliata risulterà dal corso della trattazione. L'
individuo eslege è pronto ad impiegare a proprio vantaggio, come T
istinto naturale lo sospinge, tutta la forza materiale onde dispone; e ad
elidere e a togliere di mezzo il più debole. Il che impedirebbe la
formazione della società e il concerto civile delle sue parti. Perchè
tale concerto sia possibile è necessario che sopravvenga neir umano
consorzio una forza superiore, la quale, in nome e colla mira
dell'interesse di tutti, rintuzzi e contenga la forza esuberante e trasmodante
dei singoli più forti o irregolarmente operanti, e renda cosi
attuabile lo sviluppo e l’esercizio pieno e non impedito, e tranquillo, e
benefico delle attitudini di ogni elemento, onde è costituito il corpo
sociale. L' istinto della reazione individuale, per sé, rappresenterebbe
il princìpio egoistico antisociale. Invece il Potere subordinante rappresenta T
Idealità sociale ossia il principio morale antiegoistico. L'
individuo nella Società diventa morale in quanto, ridotto dalla coazione
della Giustizia a riconoscere il principio antiegoistico rappresentato
dal Potere associante, vi si uniforma, ingentilendosi, rinunciando alla
tendenza di usare la violenza rispetto agli altri, contenendosi nei
limiti permessi dal Potere, cooperando con esso al Bene comune. La
costituzione quindi della Società umana, fino al grado di un' alta
Civiltà, è possibile, perchè la psiche umana, a preferenza di quelle dei
bruti, è atta alla formazione caratteristica della Idealità sociale, come è
dimostrato nella Morale dei Positivisti. Nella macchina fisiologica dell'
animale non si dà potenza centralizzatrice delle parti senza un organo
distinto da esse, che ne sia investito e la possegga. La forza
centralizzatrice poi, in un animale, è in ragione della massa di questo
organo; come la massa stessa è in ragione del bisognodella forza occorrente per
dominare le parti. E inoltre neir animale la materia dell' organo
centralizzante è presa dalle parti stesse centralizzate per via di un
processo di selezione naturale, come dimostra la embriologia e la
zoologia comparata. E secondo il principio generale, da me tante volte
ricordato, del passaggio dall' indistinto al distinto. Vedi specialmente il
Capo III della terza Parte del Libro primo; e la Parte seconda del Libro
secondo. Per questa espressione bisogno vedi la nota alla pag. 17
del volume ILI di queste Op, fil. Per la teoria dell' indistinto e
del distinto vedi la Fortnazione naturale nel fatto del sistema solare y
nel Voi. II di queste Op, fil. Cosi nella Società» La coordinazione delle
partì componenti e la relativa reazione della Giustizia non vi può aver
luogo senza che vi sia costituito un ordine di persone investito del Potere occorrente
all'uopo, e fornito dei mezzi sufficienti all' effetto. Tale ordine
di persone si stabilisce nella Società per la legge suddetta della
selezione naturale, come già accennammo sopra; e di ciò parleremo in seguito
più a lungo, E r ordine sovraiieggiante nella Società deve
essere in ragione della forza occorrente a produrre Teifetto di
contenere le parti nella associazione dello Stato. Più in queste è la
resistenza alla coordinazione sociale, come nella barbarie o nella
depravazione, quando ha ana grande prevalenza T egoismo (o perchè le
Idealità sociali non sono ancora progredite nella loro formazione, o perchè
abitudini prave sottentrate le paralizzano), e più il Potere centrale è
poderoso e A'iolento, e ha quindi il carattere di Potere militare. E la
Giustizia allora assume la forma del fato inesorabile e crudele, che
sforza ad agire colla violenza necessitante. E, nel caso che
manchi nel Potere la forza sufficiente, la Società si trova in quello stato di
organizzazione imperfetta che si osserva negli animali inferiori
aggruppati in masse, che sono piuttosto delle colonie che non degli
individui propriamente detti. Se invece poca o nuila è la renitenza alla
coordinazione sociale, come nelle Società adulte, colte e virtuose.
quando le Idealità sociali negli individui sì sono già formate e si mantengono
impulsive, allora il Potere centrale assume il carattere di un semplice
arbitro morale fra gli individui associati. E la Giustizia qui perde il
carattere della violenza^ assumendo invece quello di una sentenza
vera ed equa, che ottiene il rispetto e T assentimento col solo essere
enunciata. E si conferma ciò che dicemmo altrove del regno del fato e del regno
della Giustizia fra gli uomini, E discende anche dalle cose
dette che, siccome il dispotismo militare è proprio dello stato della
barbarie, così invece il governo repubblicano è proprio dello stato
della cultura più compita; intendendo per questo governo (idealmente) un
governo formatosi per la selezione naturale più propria dell' uomo, ossia
razionale; e di persone funzionanti quasi come semplici arbitri morali; e
rappresentanti U Idealità sociali ammesse dagli individui associati, che
sono disposti per ciò a rispettarle, senza bisogno di coazione e di
violenza. Le cose dette hanno una conferma da ciò che si riferisce
al Diritto internazionale, e servono a chiarirne ÌL fatto e la teoria.
1 diversi Stati tra loro indipendenti sono come degli Nella Morale
dei Positivisti, Per es. Gap. II della Parte IV del Libro li, al numero
i6 (pag. 399 del voi. Ili di queste Op, fil, nella edijE. del tSSs^ e 432
dell' ediz. del 1893 e del 1901, e 432 Dell' ediz, dei 1908). 3"«|P).individui
non co-ordinati l’uno con l’altro sopra i quali vige la ragione del più
forte, poiché l' idealità sociale co-ordinante non è realizzata in un potere
effettivo sovrastante, che si faccia valere; e quindi vi campeggiano sole
attività egoistiche dei singoli, staccati V uno dall' altro.
Ma, essendo il principio della socialità naturale all' uomo, come per
esso tendono a stare uniti gli individui nella Società più semplice della
famiglia, e questa e le altre unità sociali più o meno grandi tendono a
collegarsi organicamente nelle unità dello Stato, cosi gli Stati tendono
poi a riunirsi fra di loro: e, parzialmente, in gruppi di Stati; e,
totalmente, nella unità universale della umanità intera. E da
ciò si vede che il Diritto di uno Stato è relativo al pari di quello dell'
individuo, che ne fa parte; per la ragione che, come il Diritto di questo
viene a soffrire una limitazione e una rettificazione col prevalere su di
esso del Diritto del Potere dello Stato particolare che se lo subordina,
così anche il Diritto di questo è limitabile e rettificabile nella sua
subordinazione all'organismo più grande, del quale tende a far
parte. E cosi dicasi della Giustizia, che è la funzione del
Potere. Nella Giustizia del Potere si riassumono tanto o
quanto, diventando la Legge propriamente detta, o almeno (se non ne sono in
tutto sostituiti) vi si appuntano come tollerati, o permessi, o anche
incoraggiati, certi atti di iniziativa degli individui ispirati dalla
Idealità sociale, tendenti a frenare o vendicare la reazione istintiva
irregolare: avverantisi già nel consorzio umano non ancora sviluppatosi
nell'organismo sociale civile, e perduranti in questo, o produeentisi nella
condizione della Civiltà. Il padre che governa la famiglia, il forte
generoso che difende il debole, V associazione che si prefigge scopi
umanitari, e via dicendo, ne sono esempi. Qui abbiamo le virtualità della
Giustizia, che ne preparano r avvenimento, o la riforma miglioratrice,
nella Giustizia di fatto dello Stato. E questa Giustizia di fatto di
uno Stato è soggetta a limitazioni e rettificazioni ulteriori, per
via di una Giustizia più ideale, in quanto uno Stato può subordinarsi
alle unità sociali maggiori, delle quali dicemmo, e quindi alla Legge
loro. Data la riunione effettiva di più Stati in una unità sociale
maggiore che li comprenda, e della quale essi siano le parti componenti,
in questa si avrà il Potere distinto o specifico coordinante, del quale
abbiamo parlato sopra, col carattere della Giustizia, di fronte
alle funzionalità particolari degli Stati componenti; la reazione diretta
dei quali per ciò fra di loro avrà il carattere della Convenienza, mentre V uno
non potrà valersi della forza materiale contro T altro, sia in sostegno
del proprio Diritto, sia in offesa dell' altrui, ma dovrà lasciarne r uso
al Potere internazionale sovrastante. Il Diritto internazionale quindi non
è effettivamente un Diritto, se non ha il detto carattere, della
Giustizia. E non ha questo carattere, se non esiste un organo
reale, colla forza sufficiente all'uopo, per esercitarla
praticamente. La storia ci presenta diverse forme di questo potere
intemazionale o egemmiico, che dir si voglia. Ma sempre più o meno
imperfette. Per esempio quello esercitato dalla madre patria sopra gli Stati
delle colonie, che ne furono fondate. O quello di uno Stato più
forte sopra altri più deboli soggiogati colle armi, o ridotti a
protettorato, o confederati, O quello di una autorità religiosa sui popoli che
la riconoscono. O quello risultante da una lega, più o meno precaria, per
iscopi determinati. Le forme suddette, come già accennammo, sono
forme di egemonia imperfette, o per la loro ristrettezza e precarietà, o
perchè non abbastanza potenti per farsi valere, o perchè una tirannia di
im forte su molti deboli, E per ciò disfatte o da disfarsi col
progredire della Società. La quale invece tende ad una consociazione
più ideale degli Stati fra di loro. Ma a quale? Poiché, e questa non deve
essere per mezzo di uno Stato più forte che soggioghici altri più
deboli, e tuttavia la consociazione, colla Giustizia sovrastante relativa, non
è una vera realtà organica se non esiste effettivamente il potere che la
eserciti. La risposta alla domanda si ha in ciò che dicemmo
costituire il governo più perfetto, ossia del vero regno della Giustizia,
cioè n^W Aròiiraio. L'Arbitrato o l'Anfizionia internazionale. E
come si va già disegnando sempre più concretamente nel fatto dei
trattati internazionali aventi forza esecutiva, e del consenso moralmente
giusto e fortemente efficace, che si va stabilendo nel gruppo degli Stati
più civili circa te questioni sociali di interesse universale, e che
influisce anche sopra la legislazione interna dei singoli Stati,
Solo acquando esista realmente, in forma ben determinata e colla
forza necessaria di farsi valere, questa Anfizionia, potrà esistere un Diritto
internazionale veramente tale. Dico, quando esista questa Anfizionia.
Fogniamo sul fare della autorità centrale elvetica o degli Stati
Uniti di America. E dico, quando questa Anfizionia sia un Potere veramente
efficace. Il che non può essere, se non pel progresso sociale dei singoli Stati
dipendenti; come T Arbitrato efficace fra gli individui non è possibile che a
misura che questi si perfezionano moralmente, come dimostrammo. E in
effetto il progresso sociale degli Stati civili è già riuscito a stabilire
delle legislazioni, o comuni, o concordanti, colle rappresentanze e coi mezzi
di esecuzione rispettivi, in ordine ai rapporti di interesse non
politico; come sarebbero il Commercio, T Industria, la Navigazione» le
Comunicazioni, i Diritti privati, le Monete le Misure, la Scienza. E tende ad
estendere sempre più questo genere di Giustizia universale, sia colle
Compagnie internazionali riconosciute per imprese di interesse della
Civiltà generale, sia coi Congressi pure internazionali per altre sue esigenze,
come sarebbe p. e. l'Igiene. Lontana ancora è T epoca della unione
politica in discorso. Ma va facendosene sempre più forte V aspirazione,
che è già T anima del partito politico dell' internazionalismo, e che per la
forza delle cose deve ormai essere confessata più o meno dagli stessi
governi. Queir epoca è lontana; ma arriverà una qualche
volta; e cioè quando nei singoli Stati saranno state rimosse le cause che la
ritardano: quelle cause precisamente che la Civiltà attuale tende a rimuovere:
e che saranno rimosse quando ogni Stato avrà ottenuto il suo assetto naturale
giusto rispetto all' Estero nella sua circoscrizione etnografica, nella sua
sicurezza, nel suo equilibrio cogli altri Stati. Anche la questione del
Machiavellismo politico trova la sua risposta nei principj da noi
indicati; riuscendo cosi in pari tempo a riconfermarne la verità. La
reazione dell'individuo nella rozzezza eslege del consorzio ancora
selvaggio non è una reazione morale. Non lo è, né di fatto, né di
diritto. Non di fatto, perché il suo movente é il puro
istinto egoistico, pronto senza ritegno al danno altrui, indifferente
all'uso di tutti i mezzi di riuscire: fino alla violenza più spietata, fino
all' inganno più vile e sfacciato. Non di diritto, perché, mancando
l'ordinamento sociale e la Giustizia del Potere che ne é il prodotto, non
si ha ancora la ragione, onde le reazioni umane siano giudicate col criterio
della moralità. In una condizione analoga si trova il Potere nello
Stato non progredito nella Civiltà. In tale condizione si rivela nel
Potere ciò che si chiama il Machiavellismo. Il Machiavellismo del Potere
può divenire, nel fatto, una impossibilità e, nel diritto, una immoralità,
solo in forza di una Giustizia relativa che lo impedisca e lo
riprovi, E come? Per rispondere bisogna distinguere la
reazione del Potere di uno Stato per rispetto al Potere di altri
Stati, e quella del medesimo per rispetto ai propri subordinati. Nel
caso della reazione del Potere di uno Stato per rispetto agli altri Stati
è evidente che, se esso non è tutelato nella sua esistenza da una forza
internazionale equa e^ nella sua tendenza a vantaggiarsi sugli altri e
a soperchiarli, non è frenato dalla medesima, non farà differenza tra
mezzo e mezzo che giovi al suo intento; e il danno altrui lo procurerà
come bene suo proprio. Il ricorrere ai mezzi opportuni all' intento, nel
caso in discorso, come non ne è impedito dalla Giustizia internazionale,
che non esiste, cosi non è nemmeno riprovato, E per ciò il ^lachiavellismo
del Potere nella sua reazione cogli altri Stati viene ad essere una possibilità
di fatto, senza essere ancora una immoralità di diritto. Ciò è
dimostrato storicamente nelle formazioni internazionali imperfette di epoche e
regioni diverse. Valga r esempio dei vari Stati della Grecia antica,
collegati tanto o quanto fra loro, e insieme isolati dalle genti
non greche; alle quali, considerate per ciò come barbare, negavano i
riguardi che pure si avevano fra loro. E valga r altro esempio delle religioni
abbraccianti diversi Stati, i quali insieme per ciò di fronte agli altri,
considerati siccome infedeli, si credevano sciolti da ogni freno di
procedimento. Nel caso della reazione del Potere per rispetto ai
propri sudditi è da considerare che la sua condizione in uno Stato
progredito nella Civiltà è ben diversa da quella che la precede. Qui
il Potere non è ancora divenuto la semplice espressione del volere di tutti che
lo pone, lo regola, lo sancisce, come la Giustizia che lo rigfuarda. Ma è
ancora solo la conquista machiavellica di una casta, di una famiglia, di
una persona, lottanti per conservarlo con tutti i mezzi atti all' uopo di
fronte alle altre caste, ad altre famiglie, ad altre persone dello Stato
medesimo, con una reazione quindi come tra individuo e individuo
prima della costituzione definitiva di una Giustizia superiore al
di sopra di essi. Nel caso in discorso è notevole il fenomeno del
concetto della Giustizia divina, che si pensa sovrastare alla stessa persona
del Principe (come spiegheremo in seguito); in modo che le sue azioni,
quantunque fuori d* ogni Legge, tuttavia vengono considerate dal punto
di vista della moralità: onde il suo Machiavellismo, persistendo di
fatto, viene a cessare in qualche modo di esistere di diritto. Questo
fenomeno non è un argomento contro il nostro principio, ma a favore di
esso. La Giustizia perfetta accompagnante lo stesso sviluppo iniziale
dell'organismo sociale, informa naturalmente la coscienza di quelli che ne
fanno parte. E questi, ignorando come si è formata veramente, la immaginano una
entità assoluta preesistente alla Società e propria del nume divino. E
cosi la si pensa valere, nella lotta fra i competitori del Potere, al di sopra
e delle imprese degli emuli e di quelle del vincitore. In
effetto però il Potere conquistato dallo stesso vincitore lo emancipa dalla
Giustizia, che esso esercita sopra gli altri, e (massimamente se la lotta
è eccitata da idee sociali nuove) si fa autore di una Giustizia nuova
che deroga quella anteriore creduta divina; e questa per consegfuenza non
serve più quale criterio di moralità delle azioni del Potere medesimo. Di
che luminosamente ci ammaestra la storia nei contrasti multiformi col
Potere sacerdotale sostituito da quello militare, e tra questo e il
civile che gli sottentra nella Civiltà più avanzata. Il conòetto
quindi della Giustizia divina né valse da sé a impedire nel fatto il
Machiavellismo del Potere, né a riprovarlo nel diritto. Parlando
però di impedimento del Machiavellismo non abbiamo inteso di un impedimento
assoluto, ma solo relativo. La forza della Giustizia, che si stabilìsce
nella Civiltà avanzata, anche al di sopra del Potere di uno Stato, ne
impedisce il Machiavellismo tanto o quanto; ma non mai affatto. La
cosa qui è precisamente come nelle reazioni inique tra cittadino e cittadino,
che la Legge dello Stato tende ad impedire: ed impedisce realmente tanto
o quanto ma non mai del tutto. Dalle cose dette importa soprattutto
che si raccolga V importanza suprema, in ordine alla moralità,
dello sviluppo dell' organismo sociale sopra indicato. Come accennammo (e
lo dimostreremo più largamente in seguito) lo sviluppo del consorzio
umano nello Stato ha per effetto la moralità privata. La Civiltà che
perfeziona r organismo dello Stato all' interno, e promuove r
associazione civile degli Stati ha per effetto la moralità politica. La
Giustizia (e quindi la Responsabilità, che è un suo correlativo) non è
perfettamente tale nell'organismo civile se in questo non si ha la libertà
ù.^\\^ parti coordinatevi, e la distinzione netta del Potere e delle
sue attribuzioni. Importa fissare in modo preciso in che
consista, teoricamente, la libertà. La libertà consiste in ciò, che la
parte coordinata neir organismo sociale vi possa funzionare secondo la
disposizione naturale onde è atta a funzionare. E, in base a tale
disposizione, imprescrivibilmente. E, tanto relativamente a se stessa, quanto
nel reagire all' azione collaterale delle altre parti. S' intende
bene che la disposizione naturale onde la parte è atta a funzionare,
traente con sé il diritto imprescrivibile alla funzione relativa, deve essere
quella dell' uomo socialmente perfezionato; e quindi in tutto razionale in
ordine alla convivenza e alla collaborazione cogli altri nel consorzio
civilmente perfetto. Ma la reazione della parte verso le altre deve
essere tale che non le impedisca. Che altrimenti si avrebbe elisione di
attività nelle parti impedite, e quindi lesione in queste della loro
libertà. È questa una condizione essenzialissima perchè
esista realmente nell'organismo sociale la libertà vera e perfetta delle
sue parti. Ora tale condizione importa che la reazione della parte
sulla parte si limiti a quella della pura Convenienza, che esclude la violenza
dell' uno suir altro. E cosi questa esclusione,. ossia questo limite
negativo, viene ad essere essenziale al concetto della libertà. Sicché
questa è determinata positivamente dalla attività intrinseca dell'
operante che ne è fornito, e negativamente dalla rimozione della violenza
estrinseca che la impedirebbe nella sua sfera di coordinazione. Il limite
negativo suddetto della libertà ne porta seco di necessità anche uno
positivo, per la ragione che la rimozione degli impedimenti estrinseci
alle libertà delle parti non si può ottenere se non mediante la costituzione
di una forza superiore a tutte, sufficiente all'uopo. La co-azione, colla
quale questa forza deve reagire, per lo scopo detto, sopra le parti
subordinate, non elimina la libertà, come sarebbe la coazione tra parte e
parte. Come notammo sopra, la coazione della parte come tale è
egoistica, e quindi a vantaggio della parte che la esercita e a danno
della parte che la soffre; mentre la coazione del Potere sovrastante alle
parti è antiegoistica, vantaggiosa alla Società, e quindi diretta a
salvare nella integrità della sua attitudine e funzione la
disposizione naturale di ogni sua parte. La forza superiore del
Potere essendo richiesta dalle esigenze delle stesse libertà delle parti
subordinate» queste devono concorrere a costituirla con una parte della
loro attivitàt sottoponendola quindi alla necessità della organizzazione
sociale. Qui, come dicemmo, abbiamo un limite positivo della
libertà delle parti costitutive della società; ma, siccome è posto da
esse liberamente (mentre l'organizzazione sociale è una spontaneità naturale
del consorzio umano nel quale si produce)» allo scopo di sussistere,
torna poi sempre che la libertà delle parti medesime rimane on primo ed
un assoluto da cui tutto in ultimo dipende nella società. Dal bisogno
stesso della libertà adunque dipende anche il Potere subordinante. E con
ciò è legiitimaiù. E quindi anche determinato in ciò che deve
essere. Determinato nel corpo che ne è investito, il quale
non deve essere una delle stesse parti coordinate, perchè con ciò essa si
troverebbe nel caso sopra indicato ed esclusOf della parte che impedisce V
altra Determinato nella azione che deve esercitare, che è
quella precisa richiesta dai due limiti «opra detti, cioè^ quello di
porsi, onde essere in caso dì funzionare, e non più; e quello di impedire
la violenza della parte sulla parte, e non piùCiò posto r ideale della
Società umana richiede le ragioni che seguono. L' autonomia perfetta
delle parti, che cioè ognuno sia veramente un arbitrio, come dicemmo
nella Morale dei Positivisti. E precisamente quel tanto che si
trova di poter essere realmente. Secondo. Nessuna esecutività
diretta o violenta del volere dell' una sull' altra. Sicché la reazione
loro sia quella della Convenienza, scevra da costringimento
materiale. Costituzione distinta del Potere, al quale solo competa
la esecutività coattiva sopra le parti subordinate. Quarto. U
ordine del Potere derivante dal corpo dello Stato per selezione naturale
degli ottimi, in dipendenza dal volere stesso delle parti che vi si subordinano;
e in virtù delle Idealità sociali proprie delle stesse, e quindi non
altro che allo scopo della tutela delle autonomie coordinate nella Società, e
della stessa loro coordinazione nella medesima. Quinto. Giusta e
stabile organizzazione e subordinazioue delle parti corrispondente alla stabile
giusta organizzazione ed efficacia d' azione del Potere. Ma il fatto
concreto delle Società storiche dell' umanità si presenta assia vario e
complesso. E lo stesso fU. nella ediz, 118 della ed. del 1893 e del 1901,
122 della ediz. del 1908). Ideale generico di queste Società non sì
può rettamente comprendere senza lo studio diretto del fatto
medesimo. E noi qui lo tenteremo, prendendo le mosse dalla stessa
analogia, alla quale ricorremmo sopra, tra V organismo sociale e l’organismo
biologico. Nelle specie infime degli animali le parti del corpo sono
omogenee ed indistinte, o pressoché tali. E somiglia a questo indistinto
preorganico della zoologia r indistinto preorganico sociale delle truppe
o coacervazioni disordinate delle popolazioni selvaggie. Nelle
specie animali che seguono alle infime nella scala zoologica si ha una
prima distinzione di formazione: cioè una moltitudine di parti distinte,
congiunte insieme in colonie, nelle quali non è ancora costituito un
apparato speciale distinto unico atto a subordinarle insieme nella
unità più perfetta dell' individuo. E a ciò somiglia il fatto dei primordi
di una formazione sociale, nei quali, sul suolo medesimo e coi soli
rapporti della vicinanza, e della parità maggiore o minore delle idee,
dei costuiri e della discendenza comune, si trovano a contatto, in
un certo numero, le tribù o i pìccoli Stati indipendenti gli uni
degli altri. Nelle specie animali superiori, per una distinzione ulteriore
(onde si forma la diversità dei tessuti e uno di questi, il nervoso,
resta con una speciale superiorità verso gli altri in quanto, formando un
sistema solo di tutte le sue diramazioni nate in ogni parte, associa cosi
colla unità del suo lavoro i lavori di tutte le unità singole su cui
domina), si arriva alla unità organica propriamente detta, che non è più
quella della massa informemente coacervata, né quella delle semplici colonie
delle unità distinte, ma quella dell' individuo complete, E
somiglia a questa distinzione progredita quella della Società civile,
formatasi in seguito alla distinzione delle tribù in caste, e al
predominio della più forte e intelligente sulle altre, e alla
trasformazione successiva della sua tirannia nel Potere regolare,
moderatore delle unità sociali confederate. Nel processo evolutivo di
distinzione della formazione biologica l’apparato, onde si unificano le
parti neir organismo assai complesso dell' animale, sorge dalle
intimità della sostanza viva. La quale però non risente l’effetto proprio
dell' apparato stesso, uscito dal proprio seno, se non a misura che si è
formato effettivamente. Lo stesso avviene nel processo evolutivo di
distinzione della formazione sociale. Il Potere subordinante, e
quindi ciò che si dice la Legge e la Giustizia, e la relativa
Responsabilità dell' individuo verso di esse, nasce dalla stessa virtù
intima delle parti associate; ossia in ultimo, degli individui umani. E
accennammo già come; e spiegheremo più a lungo in segfuito. Nasce cioè in virtù
delle Idealità sociali (i), che sono un fenomeno psichico proprio dell'
individuo. Ma r individuo non ne ha coscienza distinta se non
dopo che, pel processo naturale indicato, e inconsciamente per lui, il Potere
stesso si è costituito. Ed ecco come l' individuo è il fattore
della Legge, della Giustizia, della Responsonilità; e, nello stesso
tempo, (i) Su ciò verte in generale tutto il Libro I della Maiale dei
positivisti, e in particolare il suo Capo III della Parte III. queste
suppongono l’evoluzione sociale già avvenuta, e vi sono risentite siccome
la correlazione dell' individuo subordinato col potere
sovraneggiante. E con ciò siamo ora in grado di rilevare ancora m.eglio, e
una volta di più, la verità, già illustrata nella Morale dei Positivisti,
del concetto della morale degli antichi e di Aristotele in ispecie, che
la consideravano correlativa essenzialmente alla Società formata; e la
falsità del concetto ascetico-scolastico, che la considera siccome indipendente
dalla Società stessa, fondandosi sul fenomeno sopra indicato (2) del
concetto della Gitistizia divina. Ma la coordinazione e subordinazione,
nel corpo sociale come neir animale, e in qualunque altra unità organica
naturale, non è cosi semplice quale, per chiarezza e preparazione del
discorso ulteriore, sopra abbiamo supposto. Non è cosi semplice. Vale a
dire non è puramente un certo numero di parti, proprio eguali ed
equipollenti, concertate per la dipendenza diretta unica e sola di ognuna
da un centro immediato di tutte unico e solo; come, per esempio, i raggi
di un cerchio dal punto di mezzo, dal quale si dipartono uniformemente
con uguaglianza di lunghezza e di divergenza. E invece immensamente più
complessa. Gl’elementi fondamentali ed ultimi del corpo sociale sono gli
individui umani, i quali formano, in gruppi di pochi, degli organismi
sociali elementari distinti; queCapo V della Parte III del Libro I. N. 6 del l
III. sti piccoli organismi elementari poi si coordinano come
parti di associazioni e di organismi superiori; i quali alla loro volta
di nuovo si aggruppano in complessi maggiori. E la serie di tali ordini
maggiori, che ne abbracciano dei minori, è ben lunga. Come è anche
il caso dell' animale superiore, soprattutto dell'umano, nel quale ogni arto ed
ogni viscere è già un complesso ottenuto per una certa serie di combinazioni
di gruppi minori; e gli arti e i visceri sono insieme collegati dai centri del
midollo spinale, al quale poi sono sovrapposti gli altri centri superiori
del cervelletto e dei lobi cerebrali, dipendenti alla loro volta dalE qui
possiamo venire a una conseguenza importantissima circa i diversi aspetti che
assume nella Società civile ciò che dicemmo in genere, la Giustizia; e quindi
anche la Responsabilità. Data la serie delle subordinazioni dette sopra, solo
degli estremi si potrà dire che siano assolutamente, T infimo, la piura
Convenienza, e il sommo, la piura Giustizia. Non COSI dei medii. Qualunque dei
quali non sarà assolutamente, né la Giustizia, né la Convenienza; ma
con incoata, e si compia solo in virtù del Tribunale dello Stato. E
cosi il Potere dello Stato, per rispetto all' esercizio della Giustizia subordinata
della associazione particolare, no permette solo quello che non danneggia l'assetto
generale della Società o il Diritto dei soggetti in quanto questi sono
enti, oltreché della essociazione particolare, anche in pari tempo della
totale. Il che fa sì che la Giustizia propria dei Poteri
subordinati, col progredire della Società, va sempre più avvicinandosi a ciò
che chiamammo sopra V arbitrato, E che rispteade massimamente in quello
paterno del buon padre di famiglia. Spieghiamoci meglio.
Nelle popolazioni selvaggie l’individuo è vindice di se stesso, o dei propri voleri,
al di sopra dei quali non è costituito ancora, per la imperfezione della
associazione in cui vive, nessun potere giudicatore. E vindice dei propri
voleri, anche se violatori della libertà dell’altro. La costituzione di.
un Potere superiore. nelle Società progredite, che si assume la vendetta
delle violazioni della libertà individuale, togliendo la esecutività co-attiva al
*volere dell' individuo sopra l’altro*, assicura la libertà di ambi. Tanto
la cosa è cosi che, se per poco vien meno questo Potere superiore, torna
subito all' individuo la necessità e quindi il Diritto della propria vendetta.
Come nel caso che una persona appartenente ad una società civile si
trovasse fra una popolazione selvaggia, o sopra una nave in alto mare e
quindi fuori della portata del Potere vendicatore, o assalito senza
scampo immediato da malfattori, o in un momento di anarchia dello Stato
in cui vive. Nel primo embrione di Società, in quello mettiamo di
una famiglia isolg-ta dal resto degli uomini, le contese tra i fratelli
le giudica e le vendica il padre, che ne è il capo naturale. E la sua
vendetta è illimitata e senza responsabilità verso nessuno. Nessuno per
ciò gli impedisce o gli contende il Diritto anche sulla vita dei figli e della
moglie. Non così però, coordinate che siano le famiglie sotto
un Potere superiore nella città che le abbraccia in una società sola. In
questa città il Potere superiore tende a limitare il Potere del padre al
puro necessario per l'esistenza, il ben essere, la prosperità della famiglia
come tale; e veglia a che il padre non eserciti verso i suoi
dipendenti altro Potere che questo, che però in pari tempo concorre ad
assicurare: e vendica su di lui ogni eccesso od abuso del potere. E da
ciò consegue naturalmente, che se ne restringa sempre più la esecutività,
e che si converta in semplice arbitrato; nel quale può soprattutto, e da
sé sola, per la propria impulsività morale, la Idealità sociale, nella
quale consiste la Legge, nel cui nome l'arbitrato si esercita. Ed
ecco quindi l’effetto naturale del progresso della evoluzione
sociale: salvare e garantire sempre più le autonomie naturali. Stabilire
sempre più distintamente il compito dei Poteri subordinanti; e impedirne gli
eccessi e gli abusi. Rendere quindi con ciò più evidenti le
Idealità s(h ciali, e rafforzarne la impulsività, e ridurle alla
condizione di Poteri efficaci senza uso di violenza e quali semplici arbitrati.
Come più volte, e per varie g^ise, deducemmo sopra. Il quale eflFetto,
che il Potere si converta in semplice arbitrato, lo riscontrammo anche
nello stesso Potere, solo provvisoriamente supremo, di un singolo
Stato. Solo provvisoriamente supremo. Perchè notammo, che lo
Stato tende a coordinarsi naturalmente nei collegamenti intemazionali di più
Stati. E per la stessa legge; mentre dimostrammo, che il Potere di
uno Stato va sempre perdendo del violento, e avvicinandosi alla natura
puramente persuasiva della Idealità, che si impone da sé, in conseguenza di una
forza estema e superiore ad esso; cioè del potere inter-nazionale,
tendente ad impedire gli atti di lesa umanità nei singoli Stati
intemazionalmente collegati o altrimenti, e il loro Machiavellismo.
Come emerge poi luminosamente anche dalla storia politico-sociale
contemporanea. Un saggio storico eloquentissimo di un Potere
superiore convertitosi in semplice arbitrato si ha nel fatto della Chiesa
Romana, e in seguito all' abolizione di ciò che in essa si chiamava il
braccio secolare. Si verificò in questa conversione, per questo
lato, r Ideale della Società umana, sopra da noi chiamato anche il
regno (razionale) della Giustizia sottentrante a quello irrazionale del
fato; ossia il regno del concorso libero o autonomico delle parti costituenti;
e non eteronomico(\)y ossia p>er violenza materiale esercitata sopra
di esse da una forza, non morale, ma bruta. E questo arbitrato
sociale non è poi altro in fine se non lo stesso arbitrato della volontà
dell' individuo sopra se stesso, onde emana, come più volte dicemmo. Ne
emana, e quindi ne ha in sé le ragioni costitutive. Nel medesimo tempo però, per
le ragioni già ripetute, lo stesso arbitrio individuale non finisce di
diventare ciò che deve essere (vale a dire una forza che muove per la impulsività
pura delle Idealità sociali), se non a misura che, idealizzandosi nel
modo anzidetto, si perfeCirca r Autonomia e la Eteronomia, vedi la Morale dei
Posiiivisti, Lib. I, Parte II, Capo IV (Pag. 113 del volume III di queste Opere
filosofiche nella ediz., 118 della ed. e del 1901, e 122 della previa
edizione). seziona il Potere sociale al quale V individuo è
subordinato. Onde poi lo studio dell' arbitrio sociale
subordinante serve indirettamente a far conoscere la natura dell'arbitrio
deir individuo umano. E siccome lo studio da noi qui fatto dell'
arbitrio sociale subordinante ci ha condotto al concetto di una
Legge© che si impone colla sola evidenza della propria Giustizia, con ciò
abbiamo una nuova prova della nostra dottrina (esposta nella Morale dei
Positivisti). L'idealità sociale impulsiva del volere individuale è una
Giustizia. Ed ora poi dalle cose dette possiamo ricavare la
conseguenza, alla quale mirava tutto il lungo discorso fin qui fatto
sopra la distinzione e la genesi della Convenienza e della Giustizia. L'
Idealità sociale è la stessa Legge che si stabilisce nella Società. E la
Legge è la Giustizia in quanto importa una Responsabilità dei subordinati verso
il Potere. L' idealità sociale (impulsiva della volontà dell'
individuo, com' è dimostrato nella Morale dei Positivisti) si viene
formando nella psiche dell' individuo convivente nella Società per
effetto di questa convivenza. Per ciò diciamo che r Idealità sociale è infine
nuli' altro che l'mpronta, nella psiche singola di un dato uomo, della
Legge o del Volere sociale subordinante. Nello stesso luogo indicato nella
nota precedente. Da ciò consegne poi che l’Idealità sociale nella psiche
o nella mente dell' uomo, in cui si è formata nel modo ora detto, non si
presenta come una semplice verità logica, dipendente da una propria
speculazione teorica, ma si come qualche cosa che si impone; cioè come una
Legge che la domina da una altezza superiore, e accompagnata dalla minaccia di
una Sanzione vendicatrice; ossia, non come una semplice idealità
qualunque, ma come una Giustizia. Ed ecco scoperto il nostro gran
difficile. La Giustizia non può essere che la legge del potere
subordinante: e tuttavia la Idealità sociale, impulsiva del volere dell'
individuo e nascente in lui per la evoluzione intima e propria della sua
psiche, è pure una Giustizia. I due asserti parevano contradditorj;
e invece sono veri ambedue, accordandosi tra di loro e spiegandosi a
vicenda. Si spiegano a vicenda. Da una parte, non è possibile
il fatto della Legge del Potere subordinante senza il lavoro psichico dei
diversi individui che compongono la Società. Dall' altra, le stesse
attitudini dell' individuo sono però massimamente gridate nel loro
funzionamento naturale dall' ordine delle cose della Società in cui vive.
E quindi le Idealità sociali dell' individuo devono assumere nella
sua mente la forma della Legge subordinante che domina nella Società che
lo involge: devono essere nella sua mente come 1' eco o la
soggettivazione o il pensiero del fatto oggettivo reale dell'ambiente che
determina il suo lavoro intimo. Il valore scientifico della detta
soluzione della difficoltà propostaci è tanto maggiore in quanto l’induzione
sociologica qui conferma pienamente l’induzione psicologica, che nella
Morale dei Positivisti ci portò alla medesima conclusione. Alla
conclusione cioè, che la morale individuale è essenzialmente dipendente dalla
morale sociale; e che VEtica è un ramo della Politica, come diceva
Aristotile, ossia della Sociologia, come si dice adesso. E che il
principio dei Metafisici, che sia l'Etica che crei la Sociologia (e non
il contrario), è falso. Falso, come, in ogni altro ramo della
scienza, il credere che il fatto complesso della natura sia determinato
direttamente dalle azioni indipendenti dei singoli componenti, e non che l’azione
di ogni componente sia essa stessa determinata dal suo rapporto col resto
della natura; come ho spiegato nel libro della Formazione natila rale nel
fatto del sistema solare, dove dimostrai che la legge di una formazione
naturale qualunque è questa: che un fatto singolo è il punto nel quale si
intersecano le due linee infinite dello Spazio (o delle cose tutte quante
esistenti) e del Tempo (o delle azioni tutte quante succedutesi). E godo
adesso di avere illustrato quella legge generale col rilevarne la verifica
anche n^Wz. formazione etica. La quale ha questo carattere, di apparire
nella coscienza individua siccome una Giustizia. E la Giustizia implica
un ambiente esterno alla coscienza stessa, dal quale sia determinata. Del
quale principio poi (e gioverà notarlo qui ancora, quantunque, la cosa, l’abbiamo
accennata altre volte precedentemente) è prova positiva diretta il
fatto storico (superiore a qualunque eccezione, e accertabile nel
modo più evidente) che nmt non fu possìòtle di iravare in una coscienza
individuale una Idealità elica, ossia un principio di Giuslizia, di
formazione inconsapevole, £he non corrispondesse al fatto della Legge
sociale realmente riabilitasi neir amòiente nel quale la coscienza stessa
fu educata. Proprio come sopra nessuna bocca d'uomo parlante fu mai possibile
una parola inconsapevolmente appresa, che a lui non abbia insegnato la Società
dei parlanti fra i quali crebbe. E come in tutte le cose le diversità
degli ambienti creano le varietà e le specie delle individualità
dipedenti, cosi le Varietà e le Specie eliche fra gli uomini sono create
storicamente dagli ambienti sociali vari e diversi, ai quali essi appartengono;
e per quella stessa leg^ge dell’ordine e del Caso, che in ogni parte
della natura si verifica nella produzione delle Varietà e delle Specie
delle cose, come dimostrai nel libro testé citato. Che più? La stessa teoria
dei metafisicici fornisce un argomento in appoggio della nostra. Anche il
Metafisico ha trovato nella coscienza umana Una serie di Idealità,
direttive del volere, con questo carattere della Giustizia o della
Obbligatorietà; e ha argomentato che, per ciò stesso, ossia per tale carattere
della obbligatorietà, era giocoforza ricorrere a qualchecosa di
esterno alla coscienza medesima, onde quelle Idealità le fossero dettate,
e di fronte ad essa sancite. Se non che il Metafisico non si è apposto
nella determinazione giusta di questo esterno. Ossia il suo esterno non è
quello distinto e vero del Positivista, che è quanto dire l’ambiente
sociale; ma l’indistinto, anzi il confuso della speculazione volgare
antiscientifica, ossia dio. Non si è apposto qui il Metafisico, come non
si è apposto neir assegnare T esterno onde dipende la produzione della
pianta e dell' animale, che il Positivista ha trovato essere la stessa
natura (i) e il Metafisico ha creduto fosse il volere diretto della
divinità. L' Idealità etica è una Legjge obbligante, ossia una
Giustizia. Dunque, ha detto il Metafisico, tale Idealità è prima una
realtà fuori dell' uomo, ossia è un pensiero di dio. E da esso è dettata
in modo misterioso all' uomo. Vale a dire lo stesso pensiero divino di
quella Idealità è riflettuto nella mente umana, come in uno specchio
il raggio di luce che lo illumini da un corpo per sé luminoso. L'
Idealità etica è una Legge obbligante. E non lo sarebbe realmente se non
importasse una Sanzione. Dunque, ha detto il Metafisico, lo stesso dio ha
decretato quella sanzione e la applica in un modo misterioso. Un
castigo misterioso è preparato in una vita misteriosa avvenire a quelli che
trasgrediscono la Legge stessa. Non sarà inutile qui di avvertire che, pel
significato dì questa parola natura, mi riferisco alla spiegazione che ne
do negli 'altri miei libri, e specialmente in quello della Formazione
naturale nel fatto del Sistema solare: e per la quale intendo solamente
le proprietà inerenti alle stesse cose. Sicché è ridicola affatto V
osservazione di certi miei accusatori superficialissimi^ che io con
questa parola non faccia altro che sostituire al soprannaturale, chiamato
dio dai metafisici, un’altro soprannaturale chiamato natura. Dal che si
rileva, che la Metafisica ha notato giustamente la relatività della Giustizia
data nella coscienza verso una esteriorità che renda ragione delle
qualità caratteristiche della Giustizia medesima quali la osservazione le
riscontra nel fatto della coscienza stessa. Solo ha sbagliato nel
projettare questo fatto. Ha sbagliato la Metafisica nel projettare V
individuo cosciente sul fondo della esteriorità immaginaria e fallace
della divinità anziché su quello della esteriorità positiva e vera della
Società, Ha sbagliato qui la Metafisica, come negli altri
campi dello scibile la scienza vecchia in genere. Per esempio, l’astronomia
tolemmaica, che aveva ragione nel distinguere i fatti dei movimenti dei
corpi celesti, ma errò nella loro projezione. Proiettandoli essa secondo
la ragione del suo falso supposto che la Terra fosse immobile, le
osservazioni vere condussero ad un disegno falso del movimento cosmico
reale. Per render vero questo disegno l’astronomia copernicana non ha avuto
bisogno di altro che di projettare le figure medesime del movimento
sidereo, notate dai tolemmaici, secondo una ragione prospettica diversa; cioè
secondo la ragione della immobilità del Sole, e della mobilità della Terra
intorno ad esso. E così qui possiamo riconfermare il nostro
asserto per ciò che dicemmo in un capitolo della Morale dei
Positivisti, dove accennammo alla genesi storica della (i) Capo VII della
Parte I del Libro I, n. 8 (Pag. 70 del Voi. Ili di queste Opere
filosofiche nella ediz., 72 dell' ed. del 1893 e del 1901, e 75 dell'ediz.). stessa
Idea della Giustizia divina nel terzo stadio della evoluzione del sentimento
religioso. L’Idealità sociale è gia Giustizia potenziale. La
Giustizia adunque, secondo le cose dette, ha due lati essenziali
correlativi V uno air altro; correlativi come r individuo e la Società. Due
lati: dalla parte della Società, ossia come un fatto verificatosi
persistentemente nel Potere che la esercita sugli individui dipendenti: e per
questo rispetto specialmente si chiama Giustizia. E dalla parte dell* individuo
nel quale è, non qualchecosa di statico, come nel Potere, ma una
potenzialità, ossia qualche cosa di dinamico: e per questo rispetto
specialmente si chiama Idealità sociale. Capitale questo carattere della
Giustizia o dell'Idealità sociale dell' individuo. E positivamente certo:
poiché corrisponde alla osservazione del fatto. E che non si può
spiegare se non per le vie onde qui lo scoprimmo. E senza del quale poi è
impossibile chiarire le diverse forme delle reazioni sociali, e quindi
delle responsabilità corrispondenti al principj etici dominanti nella coscienza
individuale. E in che consiste questa ragione dinamica o questa
Potenzialità? Ossia in che modo la Giustizia nella coscienza individuale è una
Giustizia potenziale? Nell’individuo non può esistere distintamente
in un determinato modo il concetto della Giustizia sociale obbligante, e
correlativa ad una Sanzione, se non per effetto sull'individuo stesso
della vita sociale complessiva, della quale esso faccia parte. Questo si: ma
è pur vero che, come la Società è V opera degli individui che r
hanno costituita, cosi la Giustizia che vi domina si deve in ultimo alle
loro disposizioni psicologico-morali, che ne sono la potenzialità
inconsapevole. Secondo. Una volta che la Giustizia sociale è divenuta, pel
processo naturale inconsapevole della formazione della Società, un fatto
statico atto ad informare di sé la coscienza dell' individuo vivente
sotto il suo regfime, questa coscienza concorre a mantenerla nell'essere
suo. E ciò più o meno consapevolmente. Così, per esempio, il maestro di
musica di una data epoca è in possesso della sua arte perchè questa vi si
era naturalmente maturata; e cosi potè essere da lui appresa nella forma
che vi aveva. Egli poi serve in pari tempo a mantenerne la
tradizione. La applicazione della Sanzione sociale in virtù della
detta consapevolezza viene ad essere reclamata dallo stesso pensiero
della Giustizia vivente nella coscienza individuale. E quindi la detta
applicazione è una soddisfazione della stessa coscienza individuale. E tanto,
che la Sanzione medesima essendo applicata, mentre soddisfa il
reclamo della coscienza individuale, nello stesso tempo la rafferma e la
rende più viva e sentita, come osservammo nella Morale dei Positivisti (pag. 400 e seg. del Voi. Ili di queste
Opere filosofiche nella ediz. del 1885, 423 dell' ed. del 1893 e del
1901, e 433 delPediz.). La coscienza individuale diventa per tal
modo giudice in primo appello, o potenziale, dei fatti e degli
ordinamenti della Socteià complessiva. E giudice delle parti coordinate
nella Società^ Settimo, E giudice di se stessa. Ed ecco, in
questa ultima cerchia, la Giustizia sociale divenuta Giustizia
etica. La Giustizia sociale cosi nell'individuo lo rende un giudice
potenziale verso tre termini: la Società stessa, le altre parti
coordinate (ossia ciò che anche si dice, il prossimo), e se stesso.
Come giudice potenziale verso la Società coopera nella produzione
del Potere e nella riduzione di esso alla sua forma giusta. Come
giudice potenziale verso il prossimo si atteggia nella reazione che
dicemmo della Convenienza. Come giudice potenziale verso se stesso si
manifesta nel fatto intimo del rimorso per la colpa e della compiacenza
morale per la virtù, Resta che si considerino un poco queste
tre specie di giudizi del tribunale individuale della coscienza di
ciascun uomo, E, per ora, la prima e la seconda. E cominciando
dalla prima, ossia del giudizio dell' individuo verso il Potere
sovrastante. Nello sviluppo normale della vita sociale la ragione
della Autorità subordinante e la sua fissazione in un Potere
effettivamente affidato ad un dato ordine di persone va producendosi di
continuo inconsciamente (quantunque in modo inegualissimo dall' uno all' altro)
nella psiche dei singoli individui. E perciò fu da noi detta sopra,
non statica, ma dinamica. Vi si va producendo di continuo secondo che la
compartecipazione precedente degli individui stessi li ha messi in grado
di procedere, dalla formazione psichica acquistata inconsciamente nella
matrice sociale educativa, ad una formazione ulteriore. E con
un lavoro, che si svolge si nei singoli individui, ma nello stesso tempo, per
la comunanza della vita morale, si aiuta nel formarsi del lavoro
simultaneo degli altri. Inegualissimamente, abbiamo detto,
nei singoli individui. Ma colla consapevolezza del consentimento nella
formazione stessa della massa sociale. In modo che la formazione medesima,
quantunque inegualissima nei singoli, determina una tendenza complessiva,
che ha la potenza unica e grande corrispondente alla somma delle
individuali. Potenza che si attesta con un effetto proporzionato:
cioè colla creazione del Potere sociale, che rappresenta quella Idealità
sociale onde è l’effetto (come già dicemmo), o col perfezionamento del Potere
già esistente, in corrispondenza col perfezionamento delle stesse
Idealità sociali. Per tal modo il Potere, come è una
manifestazione spontanea della vita sociale, nella quale concorrono i
singoli individui inconsciamente, e prorompe quindi da tale inconscio
concorso irresistibilmente, cioè pel processo invincibile della natura, e
diventa coscienza dell'individuo solo dopo che si è manifestato nella
realtà sociale pròdotta dal processo medesimo, così è potenzialmente
prima neir individuo. Ne viene, che V individuo stesso, una
volta che ha potuto cosi accorgersi dell' Idealità sociale produttrice
del Potere sociale (accorgersene cioè dopo la sua manifestazione comune
in esso operatasi), s' accorge insieme di due cose. Che cioè la detta
Idealità ha all' estemo per suo corrispondente il Potere stabilito nella
Società, ed è nata dentro di sé: e che vi è nata col carattere di una
Giustizia; vale a dire con quel carattere col quale apparisce all'
individuo quando arriva ad averne la coscienza. E tanto, che l' individuo
sfesso per tale Idealità concepita come Giustizia giudica lo stesso fatto
esterno del Potere: ossia rileva come corrisponde o meno al principio
di Giustizia della propria coscienza, e pone astrattamente una
Responsabilità dello stesso Potere verso esso principio. Ed è ciò
precisamente che notammo sopra, parlando del Machiavellismo polìtico nel
suo riguardo all' interno, e del fenomeno storico del concetto della
Giustizia divina. Il che poi spiega un altro fatto della evoluzione
sociale. Quello cioè che, a misura che una Società progredisce nella
cultura e nella umanità, diminuisce ciò che si dice il Diritto del più
forte, é cresce ciò che si dice il Diritto dell' uomo, e l’ordinamento
sociale va sempre più diventando elettivo. Che è mai il Diritto dell'
uomo, che si attesta di fronte al Diritto del Potere subordinante, se non
la suddetta coscienza individuale della Idealità sociale, onde il potere
medesimo nasce e vige? Si: è proprio la suddetta coscienza individuale,
che ne è il giudice potenziale, ponendolo, fissandone i confini, e creandone la
responsabilità in modo. astratto verso se stessa. Questo Diritto, la
coscienza lo trova in sé, in seguito al fenomeno sociale corrispondente
verificatosi; a quel modo che la coscienza dell'arbitrio sopra le proprie
gambe si ha solo dopo che si è fatto Tuso volontario delle gambe
medesime. E l’arbitrio la causa onde si muovono le gambe; ma solo r
effetto seguito del movimento rende avvertita la coscienza di tal suo
potere. E ciò è proprio di ogni genere di coscienza. Per
esempio, dell' arte. Che sa dell'arte l'uomo prima di avere prodotto un'
opera d' arte? U opera riuscita inconsciamente estetica gli rivela il suo
potere estetico. E dair opera medesima che 1' uomo ricava la coscienza e
la regola dell' arte in genere e la mossa a progredire nel
correggere e migliorare la precedente, e a giudicarne. E di mano in mano
che la coscienza della Idealità sociale va facendosi nella generalità
distinta e forte e impulsiva in proporzione dell’atto umano, anche la
creazione del potere si sottrae al caso della forza brutale e si fa
dipendente dalle deliberazioni dirette degli individui associati: tanto più
razionali e libere dalla violenza, quanto più la massa degli individui
stessi è umanizzata. Onde, se la selezione naturale è la legge secondo
la quale negli organismi in genere si crea il loro apparecchio
centralizzatore, nell'organismo sociale, per la creazione del Potere, che è il
suo apparecchio centralizzatore. "TW^W^^PP^la selezione naturale si
specifica nella forma superiore della ciezìofie, E anche in ciò
toma il principio già ricordato del procedimento progressivo della
Società nel suo sviluppo: cioè del regno della Giustizia razionale, che
si va sempre più sostituendo a quello del fato: analogo al procedimento
generico della natura, che neir uomo tanto più è diventata psiche quanto
più ha cessato di essere cosa meramente _^ica. Tutto ciò nel processo sociale
di evoluzione normale. E nell'anormale? Xeir anormale si genera un
movimento periferico contrastante la funzionalità centrale, che non
armonizza colle Idealità sociali già formate negli individui sottoposti.
Un movimento contrastante che può andare fino alla distruzione della
funzionalità esistente, e quindi alla sostituzione di un'altra che
armonizzi colle dette Idealità, ossia colla Giustizia potenziale degli
individui medesimi. E questo il processo della rivoluzione. Succede
in questa un fatto analogo a quello fisiologico della passione, nella quale una
eccitazione insolita invadente le parti subordinate dell' organismo
sopraffa i centri, sostituendo quindi il proprio impulso a quello
normale dell'apparato volitivo libero. E tale processo anormale della
rivoluzione, nel fondo, è quello stesso normale detto sopra della evoluzione.
Poiché anche in questo il Governo sociale è determinato dal consenso
delle parti subordinate. La differenza sta solo in ciò, che nel processo
normale della evoluzione il centro si presta, cedendo, ad atteggiarsi
secondo le esigenze della Giustizia potenziale; e nell'anormale della
rivohinone no. In una parola, le forze che agiscono sono le stesse, e gli
eflFetti diversi dipendono dalla diversità dei rapporti delle forze
medesime. La rivoluzione sociale propriamente detta dunque suppone una condizione
avanzata di cultura morale dei membri della Società. Più è questa cultura
morale e più è irresistibile la forza rivoluzionaria. Ma più questa
forza è irresistibile e più la sua anione è moderata e procede per moto
evolutivo anziché sovversivoIn modo che, nel massimo della cultura, e
quindi della irresistibilità, e conseguentemente della moderazione, il
moto rivoluzionario coincide con quello normale progressivamente
riformante detto sopra. Q, Perchè non si incorra in un equivoco circa
il principio sopra stabilito, bisogna ricordare qui esattamente il
concetto da noi posto a fondamento di tutto il nostro discorso; ossia
quello della Giustizia potenziale, che infine è la stessa Idealfià
sociale an^iegoùHca; la quale nella umanità perfezionata è impulsiva
irresistibilmente della volontà individuale. Onde r individuo
rivoluzionario per eccellenza è, non Tuomo di poca levatura, nel quale la
mente e il volere si acconciano a ciò che impera esternamente» trovando
tutto buono; ma il Sapiente, quale fu da noi definito nella Morale dei
positivisti. (D Libro I, Parte li. Capo IV, w. 17 (^ag^ lay del Voi. Ili
di queste Ofté re filosofiche nella ed, dei iS85, 132 dell* ed* del
J&93 e deJ 1901, e 136 dell" ed. del 1908). Il sapiente,
come ivi dicemmo, è quello nella coscienza del quale le Idealità sociali
antiegoistiche si sono espresse colla massima evidenza, e acquistarono la
massima impulsività sul volere. Onde è ciò che si dice un carattere. Esso
è per questo nella impossibilità di patteggiare cogli ordinamenti riprovati
dalla potenzialità della Giustizia imperante nella sua coscienza: anche
se il patteggiare gli porti soddisfazioni egoistiche. Ed è anche nella
impossibilità di non isforzarsi secondo la potenzialità medesima; anche se il
farlo gli porti danni personali. Questi egli li incontra senza
impensierirsene e tranquillamente come Cristo e Socrate, e tutti i cosi
detti martiri delle idee. Sublimemente questo fatto nel cristianesimo
primitivo è stato espresso nel principio, che òisogna ubbidire prima a
dio poi agli tcomini, E il principio, come è chiaro dopo le cose dette, è
in tutto vero, quando alla espressione dio, che indica indistintamente
una realtà giusta, si sostituisca quella di Giustizia potenziale,
che indica distintamente la realtà stessa. E discende poi da ultimo
dalle cose dette anche la conseguenza, essere la teoria della
rivoluzione del positivismo diametralmente opposta alla vecchia
della Metafisica, espressa soprattutto oella dottrina del contratto
sociale di Spinoza e di Rousseau. Il contratto sociale è falso per la
storia naturale della umanità. Per la storia naturale dell' umanità
è vera invece un' altra legge: la legge della naturalità della
società umana, formantesi spontaneamente, e inconsci gli individui
subordinativi. Nella dottrina di Spinoza e di Rousseau il moto rivoluzionario
è determinato dall' individuo che si pone come un assoluto; e quindi è
affatto egoistico; e quindi tende a disfare la Società. Nella dottrina
positivistica invece il moto rivoluzionario è determinato dall'individuo
siccome ordinato naturalmente alla Società; ossia è determinato dall’idealità
che vi hanno relazione. E quindi è essenzialmente ant-iegoistico o
altruistico – l’amore dell’altro, la benevolenza, la beneficenza: e conseguentemente
tende, non a disfare la diada sociale, rna a migliorarla. Consideriamo
ora il giudizio del tribunale individuale della coscienza di ciascun uomo verso
le parti coordinate nella Società, ossia verso di ciò che si chiama il
prossimo. Nel che tocchiamo di un argomento di importanza principalissima tanto
dal lato sociologico quanto dal lato morale propriamente detto. E
la nostra considerazione, cominciando in questi due ultimi paragrafi del
primo Capo del libro, sarà pròsegpiita nel seguente. La Idealità sociale è
una formazione naturale della psiche individuale umana: e tale Idealità è
impulsiva del volere: e per esso gli atti liberi dell' uomo sono
antiegoistici e quindi morali. E (come indicammo anche qui nei paragrafi
precedenti) la Idealità sociale agisce sopra il volere dell'uomo
presentandosegli nella forma della Giustizia; vale adire come qualchecosa
che ha rapporto con una Sanzione: ossia è una legge che importa la
Responsabilità del volere verso di essa. La Giustizia onde è
dettata e autorizzata Téizione del volere ne costituisce il
Diritto, La Giustizia che importa verso di se la Responsabilità del
volere ne costituisce il Dovere a). Ed ecco in che modo la Idealità
sociale, che è una formazione naturale spontanea dell* individuo, è in
pari tempo, e un concetto mentale, e un motivo pratico (ossia una
forza che determina T atto volontario), e una Giustizia, e una Legge, e un
diritto, e un dovere. L'essere umano, unico o collettivo, in quanto
r azione ne è determinata dalla Giustizia, è una Persona, Il genere poi
della Personalità varia secondo il genere del rapporto creato dalla
Giustizia medesima. Considerando qui il rapporto di subordinare
nell'organismo sociale, si ha la Personalità del Potere. Considerando il rapporto
di esservi subordinato, si ha la personalità della parte sociale sottoposta che,
in ultimo, è r individuo. Pel potere la Giustizia è la stessa Legge
dello Stato. Per r individuo è la stessa Idealità sociale che in lui
si forma e che chiamammo Giustizia potenziale. In virtù della Legge
il Potere costringe il subordiVedi la Morale dei Positivisti; per es. Libro I,
Parte II, Capo IV, n. 15 e 16 (Pag. 125 del Voi. Ili di queste Opere
filosofiche nella ediz. del 1885, 131, 132 dell* ediz. del 1893 e del
1901 e pag. 135» 136 nella ediz. del 1908). nato alla osservanza
della Idealità sociale. E quindi il Potere ha un Diritto sul subordinato,
e il subordinato ha un Dovere verso il Potere. E il Diritto del Potere
qui è positivo. Ma in virtù della Giustizia potenziale anche il subordinato
ha una azione sopra lo stesso potere. E per tale rispetto quindi il
potere ha un *dovere* verso il subordinato; e questo ha un *diritto*
verso il Potere. E il *diritto* del subordinato qui è *naturale*. Ed ecco
il concetto vero del diritto naturale, creatore e gfiudice del positivo e
vendicatore sopra lo stesso potere delle ragioni del subordinato. E
cosi, per asserire lo stesso diritto naturale, non occorre punto uscire
dall’uomo, e riferirsi ad una divinità e ad una Legge da essa emanata.
Questo diritto naturale appartiene all'essere umano, malgrado che in esso
non possa formarsi al di fuori della Società e senza che V Idealità
sociale della psiche singola siasi prima convertita nella Legge positiva
del Potere. Essendo poi il Diritto positivo lo stesso fatto
del Potere che si è costituito efifettivamente in una data Società, con
ciò si spiega come possa essere più o meno in contraddizione col Diritto
naturale, preso siccome la Giustizia potenziale astratta, desunta dallo
studio comparativo dei fatti sociali, e rappresentante quindi un ideale,
che solo imperfettamente si trovi realizzato nelle singole formazioni
storiche della Società umana. Ed essendo il Diritto positivo stesso una
formazione naturale della totalità sociale, che diventa qual' è col
passare dall' indistinto al distinto (per la legge comune ad ogni
formazione naturale), cosi si spiega come, prima di essere un codice
scritto, è stato una consuetudine sorta per inconscia spontaneità; e come
la stessa consuetudine, che seguita a sorgere pure per inconscia
spontaneità anche dopo la fissazione del codice, possa a poco a poco
avere prevalenza, come diritto, sopra la legge positiva. Il Diritto naturale,
oltre comprendere la ragione, imperante nel subordinato, di creatore, giudice
e vindice verso il Potere sovrastante, ne ha in sé anche un'
altra. Vale a dire ha in sé anche la ragione di ciò che designammo sopra
col nome di Convenienza, che riguarda i rapporti dei subordinati tra di
loro, e non ha esecutività propriamente detta. Ora é da dire di questa più
chiaramente e precisela mente, se e come sia o no una Giustizia, e quindi
appartenga alla Moralità; poiché la Moralità non si può concepirla se non con
una Sanzione e con una Responsabilità; e quindi in ordine ad una Legge
sovrastante: cioè come una Giustizia. Domanderemo e risponderemo di
nuovo: Quale é l’ufficio del Potere? L'ufficio del Potere è triplice.
Dì stabìlii-si aella Società a spese delle sue partì. Di difendere
l’autonomia di ciascheduna dalla violenza delle altre. Dì dispensare
nell'effetto del mij^Uoramenta delle parti quella forza coniane dell*
ambiente sociale che opera per esso Potere. In tutte e tre le suddette
forme del suo ufficio il Potere esercita sulle parti un Diritto, come
abbiamo detto. E la ragione della azione del Potere è quindi una
Giustizia, ossia è col legata ad una Sanzione, E ciò perchè esiste una
Responsabilità per parte dei subordinati verso di essa azione, se mai
violassero gli ordini stabiliti. E il Diritto medesimo lo dicemmo un
Diritto positivo. Ma questo Diritto positivo dimostrammo sopra dipendere
in ultima analisi dal Diritto potenziale o dalle Idealità mentali degli
individui» Onde, in ultima analisi, potenzialmente la Giustizia non è
altro che le stesse Idealità mentali. La Giustizia dunque si estende
quanto la potenzialità della Idealità sociale, formantesi nella psiche
singola dell’uomo per la sua partecipazione alla vita comune della
Società; nella quale si cova, per cosi dire, il germe individuale, si che si
maturi in lui la disposkione naturale al civile coasorzio. Maturazione
questa che importa tutte tre le forme suddette dell' ufficio del Potere,
se non che il Potere stesso non è tutto l’effetto di tale maturazione; ma solo
una parte* Quella cioè, che si potrebbe chiamare V effetto più
disHnéù. Oltre sififatta parte ne resta un'altra; e più estesa
ancora: ed è quella che non si matura nel fatto di un Potere legale, ma
rimane neW indistinto di ciò che chiamiamo la Convenienza. E la
Convenienza la diciamo un indistinto appunto perchè il Potere non è altro che
un distinto che si forma posteriormente da essa per una elaborazione più
compiuta. Ne /iene che, se il Potere è il Diritto distinto, e quindi
la sua ragione una Giustizia distinta, (e cosi la Sanzione e la
Responsabilità) la Convenienza è invece un Diritto indistinto, e quindi
anche una Giustizia indistinta. Una Giustizia indistinta si, ma pur sempre
una Giustizia. Ed ecco come il concetto della Giustizia, e quindi
della Legge morale (col suo rapporto ad una Sanzione e con una Responsabilità)
si allarga oltre la sfera delle prescrizioni del codice pubblico e si
estende a tutte le relazioni libere tra individuo e individuo. E
come questa Legge morale extralegale sia anch'essa puramente una
formazione naturale della psiche dell'uomo civile. E quindi non occorra
per ispiegarla ricorrere al sogno della Legge eterna della divinità. E il
farlo sia un errore analogo a quello della vecchia astronomia che, il moto
della Luna intorno alla Terra, lo spiegava col comando dato alla
Luna da dio di girare cosi intorno alla Terra, e non per via della stessa
naturale evoluzione cosmica; e, la virtù dell'acido di intaccare il metallo, lo
spiegava colla proprietà intaccatrice capricciosamente concessa da dio
all'acido, e non per via della stessa disposizione intima degli atomi
componenti la molecola dell'acido e del metallo, onde dipende naturalmente
ossia necessariamente, il fatto chimico suddetto. La Giustizia legale
(seconda forma dell' ufficio del Potere) è una gradazione evolutiva superiore
di un indistinto inferiore da cui emerge. Ma la cosa ha bisogno di essere
dilucidata meglio e con esempj più concreti. K per ordine.
Cioè secondo le tre forme dette sopra deir ufficio del Potere. E
comincieremo dalla seconda, di difendere l’autonomia di ciascheduna parte della
Società dalla violenza delle altre. La difesa dell' individuo subordinato,
assunta dal Potere, importa che questo lo guardi dalle ofifese
degli altri, e faccia che V ofifensore risarcisca T ofifeso; e che gli
arbitrj singoli nella loro attività si equilibrino vicendevolmente in
modo che la limitazione imposta a ciascheduno sia la minima necessaria,
la minima indispa usabile ad ottenere la coordinazione giusta nella Società,
richiedente la collaborazione egualmente non impedita di tutte le sue
parti. Ma tale difesa, assunta dal Potere, della libertà e
del Diritto individuale non si pud estendere a tutti assoiuiamente i fatti
sociali verificantisi attorno ad un indi" viduo. Non a tutti, di
gran lunga. Non a tutti, che sono infinitamente molti. Ma solo ad alcuni
pochi. A quei pochi solamente che è strettamente richiesto dalla
esistenza del corpo sociale. E la difesa in discorso, circa i detti
pochi fatti, è propria di quella che si chiama la Giustizia legale, o
positiva, o distinta. Quanto poi agli altri infiniti fatti rimanenti ha
luogo il fenomeno sociale della Convenienza, che dicemmo essere pure una
Giustizia; ma non legale, o positiva, o distinta: sibbene potenziale, o
indistinta, o morale. Quella della convenienza è anch' essa una Giustizia,
come la legale. Ma indistinta. E per la ragione che, nel fondo, V una
e r altra sono la cosa medesima, e si differenziano tra loro
solamente come il distinto dall' indistinto. E tanto che, provenendo
nelle formazioni naturali il distinto dall' indistinto, qui nella Società la
reazione della Giustizia legale non è altro infine se non una forma evolutiva
superiore della stessa reazione della Convenienza. Anzi di più. Come l'idealità
sociale della psiche umana è solamente una forma evolutiva superiore di un
indistinto che si trova già nei bruti, cosi la Giustizia legale si
collega nelle sue gradazioni formative, non solo con quella della
Convenienza propria dell' uomo, ma anche con quella del semplice talento
egoistico osservabile nelle reazioni tra bruto e bruto. E mettiamo in
chiaro la cosa. La reazione tra bruto e bruto è V effetto di un
impulso istintivo quasi affatto egoistico. Ma non del tutto, poiché (come
osservai più volte nella Morale dei Positivisti in certi istinti socievoli dei
bruti fa capolino qualche cosa di anti-egoistico. L' istinto
egoistico del bruto si continua anche nell’uomo; nel quale però va emergendo
l'impulso antiegoistico a misura che si sviluppano in Fui le formazioni
psichiche superiori (2); in modo che nell' individuo umano vivente nella
Società apparisce la reazione della convenienza, che è mista di talento
egoistico e di ragione antiegoistica. Quindi nella reazione della
Convenienza si ha una forma di passaggio dal talento egoistico del bruto
alla ragione dello schietto antiegoismo della Giustizia legale. E
questa è il divenuto della Convenienza, come la Convenienza è il divenuto del
talento egoistico del bruto. E in effetto infinite sono le gradazioni
della reazione della Convenienza; da quella che rasenta la brutale
del Per es. Libro I, Parte III. Capo III, n. 6 (Pag. 149 del Voi.
III di queste Op, fil. nella ediz. del 1885, 156 dell' ediz. del 1893 e
del 1901 e 161 dell'ediz. del 1908. Ciò è dimostrato in tutto il corso della
Morale dei Positivisti, essendone V assunto fondamentale. l^WU IP I
puro egoismo, a quella che tocca la più nobile del puro
antiegoismo. Infine, se si guarda una medesima Società nel suo
progresso storico dallo stato della barbarie a quello della civiltà, e se
si guardano le diverse condizioni degli individui di una medesima Società in un
dato tempo. Per la legge, più volte indicata, che nella formazione
naturale i diversi del coesistente sono T immagine dei diversi del
successivo. E in oltre, da una parte, nelle Società imperfette il
talento egoistico si riscontra nello stesso Potere, e dall' altra, la
Convenienza, a misura che si spoglia dell' egoismo, si fa più antiegoistica e
tende a diventare una Giustizia legale. E la Giustizia legale da
prima è stata sempre e da per tutto una Convenienza radicatasi neir uso e
finalmente stabilitasi come legalità. Dall'indistinto della prepotenza
(principio egoistico) nasce il distinto della giustizia (principio anti-egoistico)
che è la risultante dinamica di quella, per rendere evidente la
verità dell'asserto, che la Giustizia emerge, come formazione superiore,
dal talento egoistico precorso, giova vedere come succede il fatto.
Il più forte [cf. Grice, TRASIMACO] è prepotente verso il più debole. E
la Prepotenza è precisamente l'espressione del talento egoistico in opposizione
colla ragione antiegoistica, o della Idealità sociale, o della
Giustizia. Ne viene che l’adulto è prepotente col fanciullo, l’uomo
colla donna, il robusto col debole, il ricco col povero. Fra gli uomini
sempre si verifica tale prepotenza, ma in gradazioni infinitamente diverse: da
un massimo ad un minimo. Cioè in ragione inversa dell’idealità anti-egoistica
contrastante, ossia in ragione inversa della civiltà. E ciò, tanto considerando
la successione dei momenti del progresso di incivilimento, quanto
considerando gli elementi più o meno inciviliti di una medesima
società. Considerando gli elementi più o meno inciviliti di una
medesima Società, la prepotenza dell' adulto del robusto del maschio del ricco
e via discorrendo è sempre maggiore fra le persone rozze e minore fra le
colte. E in queste per la ragione del maggiore sviluppo delle
Idealità sociali contrastanti. Le Idealità sociali si impongono alle persone
colte per la semplice abitudine che abbiano di concepirle. Ai rozzi possono
imporsi quando, neir atto che essi inveiscono con Prepotenza, esse
balenano neir atteggiamento disapprovante e minaccioso di vendetta degli
altri uomini. Cioè, alle persone rozze, nelle quali, le Idealità sociali
non sono ancora una coscienza ben forte e distinta, queste frenano il
talento egoistico nella forma di volere sociale con qualche maniera di
Sanzione; e alle persone colte non occorre la manifestazione estema
vendicatrice, perchè in esse V imperiosità della ragione della Società è
diventata una loro coscienza, che rinasce efficace senza la espressione
materiale esterna del volere sociale. Ed ecco come avviene il passaggio
Dell' individuo dalla disposizione egoistica del bruto alla antiegoistica dell'
uomo civile. Considerando poi i momenti successivi di formazione di
una medesima Società, la Prepotenza degli individui si vede a poco a poco
eliminata dalla formazione contrastante del Potere; il quale, per esempio, ha
tolto, in tutto o in parte, le Prepotenze dell' arbitrio assoluto del
padre di famiglia sui figli e sulla moglie, della schiavitù sotto
le diverse sue forme, dei privilegi dei nobili, della inferiorità della donna,
e via discorrendo. Quando il Potere non era ancora riuscito a eliminare
queste Prepotenze anche la coscienza comune non sentiva distintamente la
ingiustizia loro. Mentre questa ingiustizia vi è divenuta evidentissima
in seguito al fatto della Legge che le ha inibite. Questo fatto ha reso
l'ingiustizia medesima evidente al segno, che nella coscienza di tutti
gli individui della società civile le Prepotenze suddette appariscono
delle vere impossibilità, non solo per gli altri, ma anche pel proprio
volere; cioè, nel volere, formatasi pienamente l' Idealità sociale
antiegoistica corrispondente, questa riusci ad ottenervi una forza assoluta
di impulsività. E con ciò si ha la prova di fatto, e della dottrina
nostra generale circa la Moralità esposta nella Morale dei Positivisti, e
della dottrina qui toccata del divenire della Idealità impulsiva: e della
Giustizia legale distinta dalla Giustizia indistinta della
Convenienza. Ancora, le persone civili sono meno manesche delle
rozze. Onde, come fra queste è facilissima e pronta la vendetta dell'
offesa, così fra quelleriesce invece e difficilissima e tarda. E ciò
nulla ostante la persona civile ha esigenze infinitamente maggiori e più
sottili verso le altre, e nello stesso tempo assai più raramente offende.
E la cosa parrebbe assurda. E lo è colla teoria vecchia della ragione degli
atti morali. Ma si spiega chiarissimamente colla positiva. Il rozzo
reagisce direttamente colle proprie mani, e punisce l’offesa atrocemente:
tuttavia è offeso ad ogni poco. E basta udire, per convincersene, le
ingiurie che due persone rozze si scagliano colla massima facilità. Dunque
T idea dell' utile non è quella che insegna il contegno dell' uomo. Il
rozzo è più religioso del civile; e tuttavia con ciò non è più rispettoso
del Diritto altrui. Dunque 1' idea religiosa non è la ragione della
Giustizia. Immensamente più che nel rozzo è estesa l'idea del
proprio diritto nell' uomo civile, il quale dell' offesa recatagli si risente
nel suo intimo assai più ohe il primo. Ciò dipende dalla più progredita
formazione psichica dell' uomo civile. E questa dal beneficio più largamente
produto della influenza formatrice dell' ambiente sociale. Il risentirsi
poi più forte dell' offesa porta seco una tendenza più forte a
reagire. Ma nell’uomo civile anche la reazione (quantunque più
fortemente disposta) ha il carattere della umanità più progredita. Quella
dell' uomo civile è una reazione non di egoistica e brutale Prepotenza:
cioè non è fatta di propria autorità e di propria mano. E invece una reazione
fatta in nome di qualche cosa che trascende l'individuo; vale a dire in nome di
una Idealità sociale riconosciuta come tale. In nome insomma di ciò che si chiama
la pubblica opinione. E questa pubblica opinione, diventata la
coscienza della persona civile, che la trae al risentimento; ed è a
questa medesima pubblica opinione che è lasciato l'incarico della vendetta: in
modo che l’offensore è responsabile deir offesa verso la stessa pubblica
opinione vendicatrice, la quale per ciò viene ad essere una Giustizia. E
conseguentemente una Gitistizia viene ad essere pure la coscienza
individuale, che ne segue la morale impulsività. Una Giustizia indistinta, che
precorre e prepara alla distinta o legale. E come? La pubblica
opinione si forma nel cozzo delle parti della Società fra di loro, onde
nascono le diverse Idealità sociali relative. Questa pubblica opinione si
annuncia prima vagamente nelle parole e negli atti accidentali degli individui.
A poco a poco si stabilisce nei detti e nei proverbi e nelle usanze e
consuetudini comuni. Un pò' alla volta poi crea i suoi rappresentanti
diretti. Da questi quelli del Potere. Ma con ciò, che il Potere non può
assorbirli in sé tutti. Onde, sotto tale rapporto, il Potere deve considerarsi
siccome il vertice di una piramide, nel quale va a collimare una infinità
di piani sempre più allargantisi di sotto, cioè una serie di
associazioni giudicatrici subordinate. Costante e organica è questa legge
della formazione sociale. Da prima è V individuo che si fa giustizia da
se stesso. Nel che però non si ha la Giustizia vera, ma ancora solo la
Prepotenza. Poi più persone aventi speciali interessi comuni si
associano in modo tacito e anche espresso in vista di essi; e nella
associazione si va costituendo naturalmente r arbitrio collettivo sopra
le contestazioni che la riguardano; nel quale è già quindi un principio di vera
Giustizia, quantunque ancora più o meno indeterminata o indistinta. Da
ultimo il Potere supremo della Società si arroga il giudizio nelle
contese, fissandone precisamente i termini; ed ecco il meno della Prepotenza e
il più dell' antiegoismo e della Giustizia. E questa è la Giustizia distinta,
derivata per evoluzione dalla indistinta, come questa lo è dal talento più egoistico
dell' individuo. E nella nostra attuale Società la legge medesima
apparisce nella sua massima evidenza. Vediamo costituirvisi dei giuri al
di fuori del Potere legale; i quali, in nome di una pubblica opinione
(che è il loro codice) pronunciano dei verdetti, vendicatori almeno iniziali
delle violazioni della opinione stessa, e che quindi ne sono la Sanzione
sociale diretta. Giusta, ossia antiegoistica, perchè sociale e non
individuale o di Prepotenza. Sanzione producente una Responsabilità pei
violatori delle Idealità sociali corrispondenti; e quindi atta ad
innalzare le Idealità stesse nelle coscienze di tutti al grado di vera
Giustizia; tanto più distinte quanto più stabile e ordinato e ripetuto e
normale è l'esercizio del suo ufficio. E anche quando non è
eliminata ancora del tutto nella vendetta V azione diretta della persona,
che ne ha da essere soddisfatta, si può tuttavia palesare l'intervento
subordinante di una autorità superiore all'individuo. Come nel duello;
nel quale la ragione di intimarlo e di accettarlo deve essere sancita dal
codice della opinione corrente ad esso relativa, e giudicata 1' applicabilità
al caso particolare da padrini, e questi devono presenziare r esecuzione.
Nel duello si ha quindi una certa Giustizia, quantunque molto imperfetta.
Imperfetta, perchè vi si mantiene ancora troppo 1' eccessivo e il brutale dell'
atto di Prepotenza dell' individuo di vendicarsi colle sue mani.
Imperfetta ancora perchè 1' autorità che vi si intromette non è
riconosciuta come tale dalla Legge. Il fatto del duello qui ricordato
toma poi opportuno per confermare, colle particolarità da esso offerte, la
verità delle cose suesposte. L’opinione, che vige nei paesi civili
di. oggi in relazione al duello, è una formazione storica della nostra
Società. Perchè, se, da una parte, esso ha la sua causa generale in
alcune ragioni costanti di ogni formazione sociale, dall' altra però, le
formalità che lo accompagnano accusano la sua provenienza per
trasformazione storica dalla consuetudine di un tempo dei cosi detti
giudizi di dio, E da ciò si vede, come sia vero che la Giustizia
(anche quella naturale o potenziale o etema che dir si voglia), quanto
alla forma precisa colla quale è effettivamente in una data Società o
coscienza, è una accidenta" lità storica. Come la produzione di un
dato frutto di una data pianta. L’opinione circa il duello non è
qualchecosa di fissato e sancito dal Potere legittimo, che T infligga
indeclinabilmente anche a chi vi si rifiuti. Ma ciò non toglie che r
opinione stessa abbia una forza; e tale da imporsi quantunque
gravosissima, alla volontà. E da ciò si vede che la Giustizia ha già una
effettività piena di efficacia anche nella forma indefinita della
spontaneità vaga della opinione pubblica. Ma r opinione circa il
duello, appunto perchè ancora in quello stadio della vaga spontaneità
sociale, non maturata e non maturabile in una Legge del Potere che la
stabilisca per tutta la Società, vi si restringe ad un certo ordine di persone.
E (cosa curiosissima) per questo ordine di persone è divenuta una idea di una
impulsività potente, certa, indeclinabile, atta a tenerlo sotto il
proprio impero, mentre per gli altri, esenti dalle influenze onde è
insinuata, è come se non esistesse. E tanto che, dove presso gli uni è
moralmente spregevole e disonorato chi non si attiene alle prescrizioni
della opinione favorevole al duello, per gli altri è cosa ridicola e
stolta il tenerne conto. L' opinione relativa al duello associa
delle conseguenze esecutive gravissime a fatti riguardanti V onore. L'
onore, che è un semplice rapporto mentale dell' individuo colla Società. E da
ciò si vede che neir uomo, per lo sviluppo speciale onde la sua psiche è
capace, si Voi. IV. 6 creano delle entità di un ordine superiore,
che sono impossibili pel bruto e si trovano solo inizialmente e quindi
poco avvertite nelle Società rozze e nelle classi sociali meno colte.
Delle entità aventi per base, non il benessere materiale dell* individuo, che è
l'espressione del puro egoismo, ma il benessere degli spiriti associati,
che è r espressione della ragione antiegoistica. Qui insomma r
individuo si trova necessitato perfino al sacrificio volontario della vita in
omaggio di un' idea che lo padroneggia. L' opinione relativa al duello
tende (come tutte le altre opinioni, con tendenza positiva o negativa) a
diventare una Legge della Società. Questa tendenza in parte è riuscita,
in quanto esistono già delle disposizioni positive di Legge che riguardano il
duello. Ma in parte non è riuscita. Ora T analisi accurata della tendenza
medesima e di ciò che n' è riuscito e non riuscito ci ragguaglia circa il
processo naturale, onde la Giustizia indistinta, ossia la Convenienza, si fa la
Giustizia distinta, ossia la Legge positiva. Il Potere ha emanato
delle disposizioni relative al duello. Ciò ha potuto fare solo in seguito
all'essersi questo fenomeno sociale fissato a poco a poco nelle sue forme
precise, che presentarono 1' occasione alla opinione pubblica di manifestarsi
nel senso del partito adottato nella Legge. Ma, delle
disposizioni stesse prese una volta dall'autorità in relazione al duello, altre
rimasero poi anche in seguito perchè trovate rispondenti allo scopo
sociale, di non impedire in modo nocivo il corso inevitabile di
certe reazioni di Convenienza j altre invece dovettero essere smesse
come inopportune e quindi contrastate nella prova dalla coscienza dei
cittadini, cioè dalla Giustìzia potenziale che, come dicemmo tante volte, è
Tarbitro naturale di ogni Legge sociale. Il Potere però, nella
reazione anche esecutiva del duello, non ha potuto sosHiuirsi ialalmenie,
come è la sua tendenza in generale per rapporto a qualsiasi esecutività
forzata delle reazioni dirette tra individuo e individuo. E ciò ci
istruisce praticamente di due cose, che già osservammo sopra. Vale a
dire: Primo. Che nel Potere non si può appuntare se non una parte
delle reazioni tra indivìduo e individuo; come nel cervello non arrivano
direttamente dei fili nervosi che governino immediatamente tutti i punti
della massa del corpo: ai quali invece in gran parte il cervello fa
sentire la sua influenza solo per J' azione che esercita sopra centri
secondari, aventi però anch' essi una propria azione, che si compie in
parte senza rintervento degli organi cerebrali. Secondo. Che,
se una tendenza reale dell' individuo non può essere soddisfatta
intéramente dalT intervento del Potere, Tindividuo cerca la soddisfazione
da se; come in un assalto improvviso dì un assassino, dove, non polendo
la forza pubblica difendere il cittadino, a questo è concesso il Diritto
anche dell' uccisione a propria difesa. Per cui si arguisce, che il
fatto ancora incivile ed anomalo del duello non sarà evitato nella
civiltà, se non quando in questa le questioni circa V onore potranno
essere risolte appieno giuridicamente, sia modificandosi l'opinione pubblica
relativa, sia trovata in base a questa una legislazione atta all'
effetto. Vedemmo fin qui come la Giustizia legale, affatto antiegoistica,
del Potere sorga dalla potenziale della coscienza degli individui, che ha
per base una Idealità sociale antiegoistica non ancora divenuta una
Legge, e nello stadio tuttavia solamente di opinione più o.meno
comune. Resta ora a chiarire come questa Giustizia potenziale,
avente per base una Idealità antiegoistica, si svolga anch' essa alla sua
volta da una forma ancora più imperfetta di tendenza dell' uomo, cioè dal
talento brutale egoistico della Prepotenza. La reazione del semplice
talento brutale, o della Prepotenza, per la concorrenza dei prepotenti
di pari forza, diventa Equipollenza: e quindi Giustizia, Non
occorre per ciò che intervenga un elemento nuovo. Il diverso, anzi 1'
opposto, della Giustizia si ottiene per la semplice reduplicazione dell'
identico della Prepotenza elementare dell' individuo. Per la legge
universale dell' emergere del diverso distinto dair identico indistinto
per la reduplicazione dei molti identici (prima distinzione dell*
indistinto uno), che ha luogo in tutte le formazioni naturali. Come ho
dimostrato nello scritto sulla Formazione naturale nel fatto del sistema
solare (Voi. II di queste Opere filosofiche)^ e come dimostrerò nei libri
relativi alla Formazione del pensiero (nei voi. V, VI e VII di queste
stesse Op, fil.) Così nella formazione chimica la materia identica
diventa gli opposti deir acido e della base dopo che, distintasi in atomi
diversi, questi poi si reduplicano e si aggruppano variamente. La
Prepotenza è la coscienza che l' individuo ha acquistato del fatto della
propria Attività che esso ha esperimentato; e la Giustizia è la
coscienza che neir individuo stesso ha dovuto formarsi del fatto
della Equipollenza degli altri individui dato dalla espericìiza delle Prepotenze
concorrenti nella Società. Sicché nel bruto la psiche non arriva alla
trasformazione in discorso, perchè in esso, non essendo un essere sociale, non
si può formare la coscienza successiva a quella della Prepotenza come
nell’uomo, che è un essere sociale (Onde poi raccogliamo la conferma di un
altro dei grandi principi da noi già spiegati della Formazione naturale:
vale a dire che la Cosa è il molteplice preso nella coesistenza dei
singoli, e la Forza è lo stesso molteplice preso nella loro successione.
Sicché Cosa e Forza non sono che distinzioni di un identico indistinto:
il quale, preso nello schema della coesistenza, è la Cosa, e, preso nello
schema della successione, è la Forza. La Giustizia o T idealità
sociale, come apparisce dalle cose dette nel libro, suppone una
successione di fatti; ed è assurda senza questa supposizione. Ma nello
stesso tempo, potendo questi fatti succedentisi essere presenti
contemporaneamente al pensiero, pel lavoro suo descritto nella Morale dei
Positivisti^ è una entità (Cosa) del pensiero, ed è una virtù efficiente
(Forza) nella dinamica morale (Impulsività dell’idea). E qui dobbiamo
notare una cosa curiosissima, spiegabile solo colla nostra teoria della
identità, nel fondo, della Cosa che è, e della Forza onde essa
agisce. L' Idealità sociale è impulsiva del volere umano in quanto
gli si presenta siccome una Giustizia, vale a dire in quanto gli fa
prospettare una Sanzione; ossia lo avverte della sua responsabilità. E
tuttavia, a misura che V Idealità sociale si fa più viva e abituale,
diviene invece più vago il presentimento pauroso delle relative
conseguenze di punizione per parte della reazione sociale. Anzi il
massimo della impulsività dell' Idealità sociale (nel Sapiente e nel
Regno della Giustizia, come dicemmo nella Morale dei Positivisti) va col
minimo del presentimento pauroso della punizione sanzionatrice. Il concetto
umano della Giustizia si forma da quello della Prepotenza per V
equilibrio di molti prepotenti nella loro concorrenza sociale. La
filosofia tradizionale (o la filosofia sana, come la chiamano) spiega la
Giustizia ponendola siccome lo stesso comando di dio. La spiega
così: aggiungendo molto ingenuamente alla sua spiegazione V avvertenza,
che la Giustizia, rimane distrutta assolutamente tosto che si rimova la
divinità e il suo volere assoluto. E invece la verità è precisamente il
contrario. La Giustizia» in questo volere divino, è l’opposto, ossia
la negazione, della Giustizia come tale. Come ne è l'opposto e la
negazione la Prepotenza come tale. Il volere di dio è la Prepotenza
innalzata al grado dèlia Prepotenza assoluta. E il bello si è che la
stessa filosofia tradizionale ha dovuto accorgersi de IT inconveniente,
tanto o quanto, anch' essa, senza intenderlo distintamente. Poiché ha
dovuto maritare, nella sua dottrina della ragione della Giustizia,
il principio del volere divino con quello della conoscenza che dio debba
avere dell' essere intimo delle cose, e della necessità onde il suo
volere sìa costretto assoluEgli è come dire, che è l’ordine dei fatti sociali,
il quale è diventalo un inrro ordine ideale, presente al pensiero in un
suo atto intuitivo momentaneo: qiTasi forza fissatavisi dal di fuori
come sommi» unica di efileni ng^i untisi a poco a poco l’uno all'
altro. Proprio come la proprietà attuale, onde una sostanza è atta
ad agire in un dato momento con una data intensità dì forza, sì è formata
in questa per la addizione successiva, mettiamo, dì un certo numero di
\:alorie, entratevi dal di fuori a poco a poco V una dopo l’altra. tamente
(se ha da essere giicsto) a regolarsi nel suo comando secondo le esigenze della
essenza da sé conosciuta appieno della cosa, alla quale impartisce il
comando. In questo secondo principio maritato al primo è stata
riconosciuta implicitamente, in qtuilche maniera, tardi, imperfettamente,
confusamente e con una contraddizione col primo principio la verità di
ciò che dimostrammo; ossia della derivazione della Giustizia dallo stesso
uomo per effetto della sua convivenza sociale. Imperfettamente,
dicemmo. E la dottrina teologica della predestinazione n' è testimonio. E
tardi: cioè a misura che lo studio dei fatti guidò al presentimento
confuso della verità contenuta nella dottrina positiva. Tanto che la
storia della idea di dio ce lo presenta prima coir impero capriccioso,
dispotico, appassionato, mutabile del tiranno prepotente. E
successivamente con una mitigazione del capriccio e della prepotenza, quale era
suggerita dal fatto della legislazione sociale in lui oggettivata, che
venne diventando sempre più giusta per T equi librar visi sempre maggiore
degli elementi componenti. Come si è detto, nell'individuo non
coordinato nella Società si ha la sua autonomia che si goverua colla
Prepotenza. una risultante dinamica di esse, per le considerazioni
che seguono. Con uno straniero, e soprattutto con un barbaro, o con un
selvaggio, un uomo in generale non sente il dovere della Giustizia come con un
altro uomo della sua stessa Società. Perfino si dà che in faccia ad un uomo di
razza diversa si atteggi ne' suoi sentimenti come in faccia ad un bruto o ad
una fiera. E la cosa è naturalissima. La sua Società è in lotta colla
popolazione alla quale appartiene queir uomo. La sua Società quindi si atteggia
verso di essa e verso i suoi Componenti come un prepotente; ed egli pure. Anche
se non è in lotta, dal momento che 1' offesa recata al(Il Nel che si verifica la legge generale di tutta
la natura, che l’ambiente è necessario all' ottenimento di una formazione,
mettiamo la nebulosa solare alla formazione di un pianeta, o 1’ambiente
vegetativo alla formazione di un seme; ma una volta ottenuta la formazione
questa funziona come tale anche indipendentemente dalle condizioni onde emerse.
Mettiamo la forma e la solidità di un pianeta, e la virtù vegetativa specifica
del seme. ^'^''PfliW^^IF lontano selvaggio non è vendicata dal tribunale del
proprio paese, né di nessuno, queir offesa stessa non apparisce un attentato
vero e proprio contro la Giustizia. Che se ci sono degli uomini che sentono la
Giustizia anche per gli estranei, fossero anche dei selvaggi,
questo succede solo per quelli nei quali il sentimento della Giustizia,
prodotto prima nel modo che spiegammo, è diventato una forma perfetta e
assolutamente dominante della psiche, e che agisce da sé e senza il
bisogno più del costringimento dell' ambiente produttore, e con una spontaneità
esuberante. Ancora, nella stessa Società un gentiluomo è molto cauto
nelle sue relazioni coi stcoi pari. Non lo è egualmente trattando con
persone di condizione inferiore.E ciò perchè co' suoi pari le conseguenze
speciali del suo contegno (quelle mettiamo di un duello) hanno
indotto un ordine di Convenienza che non occorre per gli altri,
relativamente ai quale le conseguenze non hanno la medesima gravità.
In una parola, chi sta sopra è prepotente cogli inferiori, e non co' suoi
pari, coi quali è più giusto. La formazione della Giustizia nel senso
proprio va colla formazione del Potere onde è l' espressione. L’idea
della Giustizia non nasce se non dietro i fatti determinati prodottisi
effettivamente nelle reazioni degli associati. Dico, dietro i fatti
determinati. Non prima di essi. contenuta. Per questo il
Potere (nel senso da noi qui inteso) è eminentemente la Giustizia, che i
poeti rappresentarono colla bilancia in mano (1* equipollenza giusta
degli arbitrj) e colla spada nell' altra (la forza onde si determina r
equilibrio tra arbitrio e arbitrio). E lo è perfettamente esso
solo. Lo è eminentemente in quanto dispone di una forza che
costringe e determina i soggetti alla osservanza della Idealità sociale,
o giusta, che dir si voglia. Lo è perfettamente esso solo, in quanto a sé
solo riserba il costringimento violento alla osservanza della medesima Idealità
giusta. Onde viene poi che la Giustizia propriamente detta si
restringe agli atti che possono cadere sotto la direzione del Potere, e
non comprende quelli che ne sono esenti: i quali per ciò rimangono la
sola Convenienza. E su tutto ciò non cade dubbio. Il furto, per esempio,
dove non e' é un Potere che lo inibisca, non é un delitto. È solo un atto
pericoloso e che esige del coraggio e della avvedutezza in chi lo
commette. Dove e' é un Potere, che proibisca sì il furto, ma sia
impotente a impedirlo, il furto stesso é un delitto vago e non
grave. Dove il Potere lo impedisce effettivamente e lo colpisce con
forti punizioni è un delitto grave. E può essere un delitto di varie
specie se la punizione è varia. Per esempio, il furto del privato a
danno del privato, che importa la prigionia del ladro, è perciò un delitto
infamante. Il furto invece di un privato che non paga un diritto della
pubblica finanza, onde incorra solamente in una multa pecuniaria, non è
più infamante, a motivo che la punizione non è la prigionia ma la
multa. La quale forza poi del Potere, onde è mantenuta violentemente V
osservanza della Legge, in due maniere è dispensata. ' Direttamente
cioè dal Potere, stesso per V ottenimento delle condizioni occorrenti alla vita
sociale, e indirettamente quando esso è domandato per interesse proprio delle
parti individualmente offese. E da ciò due forme di Giustizia.
Questa seconda più sentita dagli individui meno educati e quindi più
egoisti; la prima più sentita dai più eletti e quindi meno egoisti.
L' avaro si commuove per la infrazione della Legge. della proprietà
individuale, che è per esso la Giustizia per eccellenza. Il virtuoso si
commuove per una disposizione politica antiliberale, preoccupandosi soprattutto
della Giustizia in se stessa. La circostanza di questa forza materiale
occorrente al Potere ci conduce a scoprire una legge fondamentale della
Sociologia, ossia della formazione naturale deir organismo e della vita
sociale. Nel Potere, per costituire questa sua forza, sono
assorbite delle forze prese dal corpo sociale: e in ima certa misura.
Così la forza propria del cervello, onde sono Ci limitiamo qui a notare
il fatto. Quale sia questa misura, e come sia variabile fra estremi assai
distanti secondo le condizioni e gli stadj storici di una Società, deve
essere lasciato a uno studio regolate le funzioni del corpo di un uomo, è
costituita dalle forze prestate dal sangue del corpo medesimo in
una misura, che non può essere oltre certi limiti. Ora una quantità
determinata di forza non può produrre se non un effetto limitato, proporzionato
ad essa. Ne viene che, se la Società è mcipiente o selvaggia o
rozza, tutta la forza rimanendo impegnata nel costringere gli individui a
osservare la Legge fondamentale della esistenza sociale, il Potere rimane senza
altra forza da disporre per la produzione nella Società di miglioramenti
ulteriori (i). Ma quando in seguito si sono introdotte, colla ripetizione
degli atti violenti di coercizione sociale, le abitudini giuste, queste
producono poi V effetto della osservanza della Legge per parte dei soggetti da
sé; e lasciano la forza del Potere disimpegnata e quindi disponibile per altri
usi, per altri lavori, per indurre altre abitudini superiori; insomma pel
progresso ulteriore della vita sociale. Cosi nel corpo dell' uomo.
Nel bambino il cervello è tutto impegnato nel produrre le abitudini dell'
esercizio delle membra; e pogniamo anche in quelle di leggere e
scrivere. Prodotte queste abitudini iniziali, resta disponiparticolare, che può
da sé fornire materia per una scienza spcciaU, E per noi basta notare,
che la misura in discorso va crescendo in ragione che progredisce V
organizzazione sociale; analogamente a quanto si osserva negli organismi
biologici, nei quali cresce la proporzione del cervello in ragione che si fa
maggiore la centralizzazione degli organi. Ciò si ripete nel caso di
una guerra, che assorbisca le risorse del Governo; e nel caso di anarchia
che le dissipi. bile per altri esercizi. Mettiamo per la cultura
propriamente detta. E ottenute le abitudini di questa cultura, rimane poi
libero per V esercizio di una professione particolare. E cosi via.
E insomma la questione dell' immagazzinamento delle forze. Un'
abitudine in un individuo è la forza che, portata sopra di lui una lunga serie
di volte, vi si è immagazzinata in questa forma. Come nella produzione
delle proprietà delle sostanze chimiche dalle più semplici alle più
complicate. Come nella produzione della pianta dal seme fino al frutto
maturatone. Onde la Giustizia, che va producendosi nelle coscienze
dei singoli uomini raccolti nella Società civile è )' immagazzinamento lento e
progressivo della forza dispensata dal Potere nei singoli atti infiniti
del suo esercizio, e impressa e ricevuta in quelle coscienze volta per volta.
Anche nel fatto del concetto della Giustizia, come in ogni fatto distinto
della natura, si ha una forza o un rifmo persistente, ottenuto per la
fissazione di una forza applicata dall' ambiente e divenuto 1' essere
costitutivo di ciò in cui si è formato (i), ossia dell' uomo civile come
tale. Il che poi dimostra che anche la Società, come ogni altra
formazione naturale, è una formazione che nasce, progredisce e
muore. Quando nasce, è la violenza che tende a produrre il
fatto e il sentimento della Giustizia. Quando progredisce, è la
forza del Potere che si diI) Si allude alla Legge della Formazione naturale
\A\\\q\X.^ ^o^x?i accennata. spensa ad ottenere ordini sempre più
alti di azioni e di idee giuste. Quando muore è V organismo vecchio,
che non si presta più al mantenimento di questa forza comune
organicamente subordinante del Potere. Come (per una forma dì questa
morte) nella famìglia vien meno il potere subordinante del padre quando la
personalità adulta dei figli non si presta più alla coordinazione di essi
sotto la tutela del capo della famiglia. Se non che, riguardo alle
Società che muoiono, vale del pari ancora la relativa legge naturale di
ogni altra formazione, per la quale la morte «di un organismo non è
mai totale, restando tuttavia i ritmi singoli prodotti dallo stesso organismo
mentre era vivo. Come nel seme della pianta, che resta alla morte di
questa. Come nelle idee, che restano per gli uomini succedenti a
quelli che le hanno trovate. Sicché il mondo greco e il mondo
romano, per es., sono morti come quelle date formazioni sociali, ma
restarono le idee della Giustizia umana nate nel loro seno. Restarono come
germi, o magazzini di forza già elaborata. E dei quali si giovarono le Società
europee venute dopo, che non dovettero ricominciare da capo (ossia dalla
condizione infima dell' uomo preistorico) il lavoro della organizzazione
sociale. La giustizia è la forza specifica dell'organismo sociale. Siccome
poi V organismo e la vita sociale si spiegano per la Giustizia che vi si
produce, cosi la teoria «T della formazione naturale
della vita sociale è anche nello stesso tempo la teorìa della formazione
naturale della Giustizia. La quale per ciò è una formazione
naturale, come il Sistema solare, come un Minerale, come un Vegetale,
come un animale, come una Goccia di Rugiada, come un qualunque Pensiero
di un uomo. È cioè la Giustizia una formazione naturale della
Società; come, ad esempio, si direbbe che la vegetazione è una formazione
naturale del nostro Pianeta. Ed è la Giustizia la forza specifica della
società medesima. Ne è la forza specifica, come si direbbe che V affinità
è la forza specifica delle sostanze chimiche, la vita delle organiche, la
psiche degli animali. Nessuna affinità, o vita, o psiche, senza
sostanza chimica, organismo vivo, animale. Del pari nessuna Giustizia senza
Società umana. L’affinità, la vita, la psiche scaturiscono dalle
stesse forze onde esistono i loro soggetti; e ne rappresentano la
risultante, che, come tale, si distingue specificamente dalle forze
producenti medesime. E cosi la Giustizia scaturisce dalle stesse autonomie
prepotenti degli individui, ed è la specie distinta di essere risultante
naturalmente dal loro contemperarsi insieme. La società quindi, come
tale, è tanto più perfetta quanto più è forte V idea della Giustizia
formatasi nei consociati; ossia quanto più questi sono morali: sicché
meno sia uopo concorrere colla forza materiale all'ottenimento dell* ordine
sociale. D che equivale al dire che T Idealità sociale sia
più Voi. IV. impulsiva da se stessa nella psiche di ciascheduno, e
quindi il regno della Gitcstizia {adoperando la nostra solita espressione) si
sostituisca a quello del Fato o della Prepotenza. In modo analogo
una sostanza chimica è tanto più stabile e perfetta quanto più V Affinità
degli atomi vi è grande» e la rende atta a mantenersi nell' essere suo
indipendentemente dalle circostanze fisiche esterne della temperatura,
delP ambiente, della compressione e via dicendo, che suppliscano colla loro
azione al difetto della forza di coesione intima dei componenti. La
costituzione dell'organismo sociale, e quindi la sostituzione della
Giustizia alla Prepotenza, produce la incolumità dei consociati. La
incolumità, che non è altro appunto se non la elisione della Prepotenza
oflFendente. Questa incolumità ha due fattori: Primo. La
forza materiale disposta nelle mani del Potere per far valere
violentemente la Legge contro la Prepotenza non domata delle parti
subordinate. Secondo. Il sentimento del Dovere formantesi negli
individui associati nel modo detto sopra. Ora, siccome questo sentimento del
Dovere (o questa Idealità sociale impulsiva, che torna lo stesso) è una
vera forza traente l' individuo a vincere la propria tendenza
egoistica della Prepotenza, e a segfuire la ragione antiegoistica della
Giustizia o della Legge, cosi le due forze suddette, del Potere di fuori
e del Dovere di dentro collimanti a produrre V incolumità dei consociati
e in^egranfisi vicendevolmente nella intensità sufficiente all' uopo, si
troveranno concorrervi in ragione inversa. Meno è il sentimento del Dovere
sviluppatosi nei singoli individui, e più dovrà essere la forza
materiale usata dal Potere. E viceversa, più il sentimento del Dovere, e
meno la forza materiale. E ciò, sia normalmente, sia
accidentalmente; e per certi momenti critici sociali, e per certe
Idealità. La incolumità poi del
cittadino importa un complesso di condizioni sue particolari molte e
diverse, cominciando dalla fondamentale della salvezza della vita
materiale e andando fino alle più delicate (proprie delle condizioni
sociali più perfette) del rispetto morale vicendevole negli atti anche più
comuni della vita. Il Potere supremo della Società non può (come
altre volte avvertimmo) provvedere per tutte le dette condizioni della
incolumità del cittadino: ma deve necessariamente intervenire almeno per le
fondamentali. Da ciò consegue che l’azione materiale sulla persona del
cit Chi consideri tutte le possibili reazioni tra uomo e uomo in una
Società di leggeri può rilevare due cose molto importanti pel discorso
che facciamo qui. Cioè: Primo. La varietà infinita delle azioni di un
uomo atte a destare in qualunque modo la attenzione di un altro.
Fogniamo, partendo da un assassinio e venendo fino ad uno sbadiglio. Nella
quale varietà, come è chiaro da sé, si hanno delle vere diflFerenze di
generi e di specie. Secondo. Il sentimento nascente in un uomo, per
reazione, in seguito all' azione da lui osservata in un altro. E di tale
sentimento abbiamo parlato nella Morale dei Positivisti, mostrando quanto
sia variato e come formi una serie di sentimenti diversi, anzi una scala
in ordine di nobiltà. Ora, per le cose dette, ripetendosi e le
azioni e i sentimenti accompagnanti le reazioni che le susseguono,
si producono un po' alia volta e si fissano nella psiche, come sue
potenzialità, delle Idealità sociali corisppndenti. Le quali per ciò sono
costituite dalla rappresentazione della azione e dalla reazione effettiva
conseguente: onde sono Idealità impulsive del volere, ossia
Giustizie. La mente si confonde pensando alle varietà possibili ad
emergere in ragione di tale processo. I pochi elementi del chimico, si sa a
quale infinita varietà di formazioni di sostanze si prestano: le poche note
musicali, a quale infinita varietà di composizioni musicali; le
poche lettere dell' alfabeto, a quale infinita varietà di suoni ar[Libro
I, Parte I, Capo III (Pag. 21 e segg. del Voi. Ili di queste Op, fil.
nella ediz. del 1885, del 1893 e 1901, e pag. 22 nell'Ediz. del
1908). I20 ticolati. Or che sarà della varietà delle
formazioni psichiche della Giustizia, pensando anche solo alla varietà
dei sentimenti componibili colle rappresentazioni degli atti sociali? Per
farcene una qualche idea prendiamo un esempio. Nell’uomo, fra i molti
sentimenti onde è capace, si ha anche quello caratteristico
corrispondente alla espressione del ridere. È questo si può connettere con un
numero senza fine di rappresentazioni di atti, dando origine cosi al genere
delle Idealità comiche; le quali nessuno ignora quanto siano potenti neir
indirizzo della vita e nell'impero della volontà; mentre è pur vero che
il timore del ridicolo ha talvolta più efficacia che non il timore
del carcere e della multa. Il fatto, pel mondo morale, è analogo a
quello di una sostanza che, potendosi combinare con tutte le altre
nel mondo materiale, è atta a determinarvi un atteggiamento particolare per
tutto T essere suo. Il nostro mondo, per esempio, sarebbe un mondo
aflFatto diverso da quello che è, se gli mancasse il ferro. E cosi dicasi
degli organismi in genere se mancasse, mettiamo, il potassio che concorre
a formarli, essendovi quindi un ministro della vitcu Allo stesso
modo l’atteggiamento morale dell'uomo, quale è al presente, verrebbe
meno, se mancasse il coefficiente del riso, che concorre a formarlo, essendovi
quindi con ciò anche esso un ministro del bene. Il quale
ragionamento poi va ripetuto per tutti i sentimenti umani ad uno ad uno,
che sono altrettanti coefficienti dell’Idealità sociale direttiva delle
azioni umane, attivandola sotto la forma di generi speciali dì Idealità o
di Giustizie. E della varietà inesauribile di queste, per tale via
ottenute, è un saggio l’arte, che nella scultura, nella pittura, nella poesia,
nella prosa, riproduce dalla coscienza, in tante forme, gli atteggiamenti
morali dell' uomo. In tante forme li ha riprodotti, e in tante ancora, senza
fine, è atta a riprodurla. E i sentimenti umani riescono cosi coefScienti della
Giustizia, perchè un sentimento, qualunque sia, essendo la reazione
corrispondente ad un atto, ne è anche la Sanzione; e chi commette l’azione atta
a suscitare un sentimento incontra una Responsabilità in ordine ad esso. Anche
ciò è essenziale al concetto naturale vero e pieno della Responsabilità
umana. Anche ciò quindi appartiene all' ordine naturale della
Giustizia nella varietà delle sue formazioni. Il restringere 1* ordine
della Giustizia a quei pòchi atti ai quali si rìduceva una volta, e che si
abbracciavano nei dieci comandamenti del decalogo, è eflFetto di nna
grossolana e non scientifica idea della cosa. Come il restringere che fa
il volgo dell' idea dell' animale a quelli che sono forniti di occhi e di
gambe per camminare: e il restringere l' idea del vegetale a quelli
soltanto che hanno le foglie verdi. La scienza ha trovato animali
anche senz' occhi e fissi alle pietre; e vegetali senza foglie e senza
verde. E cosi trova delle Giustizie senza la Sanzione del carcere e
della multa. La restrizione suddetta corrisponde insomma perfettamente a
quella che fa il volgo e fecero gli antichi delle specie degli animali,
credute poche e sempre quelle e modellate a priori sugli esemplari fatti
passare da dio in rivista davanti ad Adamo nel paradiso terrestre. E
dipende dalla stessa ignoranza della legge della formazione naturale. Poche,
dicevano, e sempre quelle, le specie degli animali; e create direttamente da
dio, e mostrate ad Adamo al principio del mondo nel paradiso terrestre. E
cosi, poche e sempre quelle le specie della Giustizia, impresse da
dio direttamente neir anima di ogni uomo che nasce e scritte sulle tavole
di Mosè dalla cima del monte Sinai [cfr. Grice, ’10 comandi’, decalogo] La
scienza sbugiardò V idea meschìnissima quanto alle specie degli animali.
Sbugiarda col positivismo l'idea meschinissima quanto alla Giustizia. Non
dio, autore delle specie degli animali; ma la natura: e le specie, un
numero stragrande; e non fisse, ma variabili; e variabili
accidentalissimamente. E cosi, non dio autore delle specie della
Giustizia, ma la natura: e queste specie, un numero stragrande e
immensamente differenziato; e non fisse, ma variabili; e variabili
accidentalissimamente. L'idealità sociale, ossia la giustizia
morale, formata che sia nella coscienza dell' individuo, vi funziona come
una forza speciale, nel senso antiegoistico chiarito nella Morale dei
Positivisti; e vi produce un doppio effetto, secondo che si applica al
giudizio e alla direzione delle azioni individuali proprie, ovvero al
giudìzio e alla direzione delle azioni degli altri. Da questo
secondo effetto dipende la vitalità intrinseci e vera della Società,
considerata siccome un organismo naturale nel senso proprio della parola.
Perchè la Giustizia, parlando nella coscienza dell' individuo, è la
potenzialità indistinta onde originano i distinti dei Poteri sociali effettivi
e delle Leggi da essi emananti; e perchè la Giustizia potenziale degli
individui associati collabora a rendere efficace l’opera del potere e
della legge sociale. E come se si dicesse che un organismo,
pogniamo vegetante, si sviluppa nei suoi organi caratteristici
mercè la vitalità delle parti componenti: e che poi T attività di
questi organi speciali è operativa de' suoi effetti particolari sopra le parti
mercè il concorso della vitalità che si mantiene nelle parti stesse.
Sempre insomma la legge generale della formazione naturale, che l'
indistinto non cessi mai di sottostare al distinto, e di offrire cosi la
ragione naturale e del suo essere e del suo operare. Cosi si osserva che
una legge in un paese rimane senza efficacia e come lettera morta se, a
farla valere, è solo il Potere, e non lo ajutano di conserva le
singole coscienze dei cittadini; le quali, accogliendo in sé la
forza viva già formata della Giustizia morale, ne ricevono un impulso
atto a muoverle alla disapprovsizione degli atti contrari alla Legge e a
concorrere per quanto possono a farla valere. E, quanto sia vero
ciò che affermiamo, lo dimostrano i fatti sociali tutti quanti. Anche, per
esempio. r interesse vivissimo onde si tien dietro allo
svolgimento di un processo criminale, pur dei paesi lontani, pure
relativo a persone che non ci riguardano punto, né direttamente, ne
indirettamente. Che più? Tanto è viva e potente nell'uomo l’idea della
Giustizia antiegoistica, che egli non può stare che non ne provi V
eflFetto più vivo anche pei fatti immaginari delle fole, dei racconti, delle
poesie, dei drammi. Data r immaginazione di un fatto, al quale sia
applicacabile l'idea della Giustizia, questa per legge psicologica
indeclinabile si ridesta nella mente, e col suo naturale atteggiamento:
come in tutte le altre associazioni mentali. In ciò la spiegazione della
vivezza della voluttà, onde si leggono o si odono i suddetti racconti, e
si assiste ai drammi. E la vivezza di tale voluttà è il termometro che prova la
presenza nella coscienza della idea efficace della Giustizia e ne ne
misura l' intensità. La punizione materiale, vendicatrice della
Giustizia, sarà necessaria quindi in ragione inversa della effettuazione nella
coscienza della Idealità sociale giusta. Meno sarà questa, e più dovrà
essere la severità e la prontezza della pena materiale, che n' è la
Sanzione. Il che, come altrove dicemmo, si fa per due scopi: per
quello di supplire, colla impulsività dall' esterno della minaccia del
castigo, al difetto della impulsività dall* interno della Idealità sociale
direttrice dell'azione: e per quello di giovare a produrre questa
impulsività nel!' individuo. Onde, più questa è già prodotta, e meno
occorre di coazione a supplirla. E al massimo assoluto della produzione
della detta impulsività corrisponderà V assenza del bisogno della
coazione materiale e la sufficienza per la Moralità del puro fatto
psichico della idea e della disposizione della Giustizia, e del giudizio
mentale dettatone di approvazione e disapprovazione dell' atto
relativo. Ciò nel rapporto dinamico tra chi detta la Legge e chi ne
è obbligato ad eseguirla. Ma e' è di più. La effettuazione
della Idealità della Giustizia, in ragione che più avviene, più paralizza il
suo contrario, onde deriva; cioè la Prepotenza. E quindi i
sentimenti nei quali questa si esprime: come è, tra gli altri,
quello della vendetta considerata quale sodisf azione egoistica.
E più invece ravviva i sentimenti antiegoistici, come quello della
benevolenza altrui. Ravviva cioè i sentimenti che, nella Morale dei
Positivisti (i), distinguemmo colla denominazione di pietosi, dopo avere
dimostrato che la Pietà è il carattere del sentire dell' uomo in
corrispondenza della sua formazione caratteristica della Idealità
sociale. Per conseguenza, la stessa pena materiale, a misura
che una Società diventa civile, va perdendo del carattere di una vendetta
espiatoria ed appassionata, assumendo quello di un semplice rimedio; che
si applica a malincuore e con sentimento di compassione essendocene il
bisogno e per questo bisogno solamente. E in generale, questa
qualità della assenza del carat(i) Libro I, Parte III, Capo III, n. 7 (Pag.
150, 151 del Voi. Ili di queste Op, fil, nella ediz. del 1885, e pag.
158, 159 nella ediz. del 1893 e del 1901, e pag. 163, 164 nella ediz. del
1908) e altrove. tere appassionatamente vendicativo e di pura
espiazione si trova nella Società assai più nella reazione del
Potere, che rappresenta maggiormente V Idealità antiegoistica, di
quello che nella reazione della Convenienza, nella quale assai più rimane
dell' egoismo e della Prepotenza. E, negli atti stessi della
Convenienza, la vendetta appassionata, egoistica, prepotente, è più o
meno in ragione che è più o meno eflFettuata l’idea della Giustizia neir
individuo reagente. Ossia, in una parola, quantunque la Giustizia
implichi la Responsabilità, e questa una Sanzione o una vendetta
punitrice, tuttavia, compiuta che sia come formazione psichica individuale essa
Giustizia, vi si dissi" mula o vi si fa latente la vendetta
relativa: a quello stesso modo che, formata che siasi in una sostanza
la sua affinità chimica per la trasformazione in questa di un certo
numero di calorie, il fenomeno propriamente termico vi si dissimula e non si
manifesta più in una temperatura misurabile col termometro. E torna cosi,
anche nello studio della Responsabilità e del carattere della Idealità sociale
come Giustizia, il principio più volte illustrato nella Morale dei
Positivisti per altre vie (i), del regno della Giustizia sottentrante nella
Società, di mano in mano che questa si perfeziona, al regno del
fato. E torna ad apparire del pari il carattere speciale deir
uomo formato sotto V influenza dell' ambiente o del (i) Libro II,
Parte IV. Capo II, n. 16 (Pag. 399 del Voi. Ili di queste Op, fil. nella
ediz. del 1885, e pag. 422, 423 nella ediz. del 1893 e del 1901, e pag
432, 433, nella ediz. del 1908) e
altrove. PPipm>yi^"imtVik^i.J»^-» -pr^\»y-^r* t-^»t-«^vv
--.. vt-w l'organismo sociale: ossia dell' uomo virtuoso, o
sapiente, che dir si voglia. Per lui basta, ed è tutto, V
idea della Giustizia; e il giudizio che fa egli stesso di se medesimo in
virtù di essa: e al di fuori e al di sopra di ogni punizione materiale.
Come dice Dante di Virgilio: El mi parea da sé stesso
rimorso, O dignitosa coscienza e netta, Come t' è picciol fallo
amaro morso! E, relativamente al malvagio che lo oflFende, in
ragione della offesa, anziché il sentimento della vendetta, cresce in lui
quello della pietà. Come in quel divino crocefisso, al quale, negli spasimi di
dolore cagionatigli dalla più atroce delle ingiustizie col più atroce dei
supplizi, l'offesa immensa non riusci che a trargli dall'anima la
preghiera sublime: Padre, perdgna a questi miei crocifissori, perchè non sanno quello
che si facciano. Abbiamo parlato di quello che, sulla fine del
primo, avevamo chiamato il secondo degli uffici del Potere.
Resta dunque a parlare del primo di questi uffici, che dicemmo
essere di stabilirsi nella Società a spese delle sue parti; e del terzo
che dicemmo essere di dispensare nell'effetto del miglioramento delle
parti quella forza comune dell' ambiente sociale che opera per esso
Potere. E lo faremo, cominciando la illustrazione divisata in questo
Capo e nel seguente, e compiendola nelF ultimo. La Giustizia propriamente
detta non è tutta la moralità. Questa Giustizia, cóme vedemmo, riguarda
la ifuolumità delle parti sociali. E quindi è il solo lato negativo della
Moralità. Ma la Moralità ha anche i suoi lati positivi: come quelli
indicati dalle parole Diritto e Autorità; e quello dei mezzi onde si
costituisce e vive il Potere, organo della Società; e quello del Premio
della virtù. Anche di questi lati positivi quindi (e sotto il punto
di vista prefissoci (i) della Responsabilità) si deve chiarire la formazione naturale.
Con ciò potrà rimanere spiegato appieno il fatto naturale della Moralità, e la
ragione della Responsabilità potrà apparire sotto tutti i suoi
aspetti reali. Criterio positivo del Diritto e del Dovere. Il Diritto
(come dimostrammo nel luogo più volte citato della Morale dei
Positivisti) è la stessa potenza libera che si avvera rielT essere
umano. Considerato questo essere isolatamente, il Diritto, come
dicemmo sopra, coincide colla Prepotenza; e diventa il Diritto sociale
antiegoistico e giusto (o il Diritto propriamente detto) in quanto è
ridotto in limiti determinati dal contrasto della potenza opposta degli altri
uomini consociati. Vale a dire: la potenzialità astratta dell'
individuo, nella condizione eflFettiva del suo esercizio (cioè di
fronte alle reazioni delle potenzialità degli altri), diventa una
potenzialità reale determinatamente limitata dalla efficienza contrastante
delle potenzialità degli altri uomini. 12) Libro I, Parte II, Capo IV. n.
15 ecc. (pag. 125 del Voi. nidi queste Op, ftl. nell' ediz. del 1885, e
131 dell' edìz. del JS93 e del 1901, e pag. 135 nelle ediz. del
1908). Tf^r»* Con che però resta sempre il principio, che il Diritto
di un uomo è ciò che esso può fare. Resta sempre; per la ragione
xche, posto V uomo di fronte agli altri, e rimanendone elisa per tale
relazione una parte della potenzialità, la potenzialità sua
effettiva non è tutta V astratta, ma solamente quella che residua
dalla elisione soffertaE, per togliere ogni dubbio su ciò, basta l’osservazione
del fatto che, cambiandosi le condizioni e i rapporti dinamici, onde dipende la
elisione di una parte della potenzialità di un individuo, questa torna
attiva, e con ciò torna Diritto. Il potere di staccare un frutto
maturo da un albero non è Diritto dove il contrasto del possesso altrui
impedisce di esercitarlo; ma tolto questo contrasto (portandoci, mettiamo,
in una regione nella quale le piante sono proprietà comune) lo stesso
potere di staccare il frutto torna Diritto, per la sola ragione che
non ha più T impedimento al suo esercizio del possesso altrui. Il
Diritto quindi, come dicemmo pure nello stesso luogo della Morale dei
Positivisti, se in astratto è identico per ogni uomo, (essendo Tuomo in
astratto identico all' uomo) nella realtà per ogni uomo è diverso,
per la ragione che la potenzialità di un uomo differisce sempre nel caso
pratico da quella di un altro: quella del maschio, ad esempio, da quella
della femmina; quella dell' adulto, del sano, del civile, del colto,
dell' educato, dell' uomo di genio, da quella del bambino, del
malato, del selvaggio, dell' ineducato, dell' imbecille; e via dicendo. wyfmwii^i
' P Jl >»u-.ry l’uomo ha nella natura in forza del suo arbitrio in quanto è
determinato dalla Idealità lituana che è la Idealità sociale. Qui colla
spiegazione della formazione della Giustizia (o dell' Idealità sociale)
spieghiamo anche la formazione del Diritto, e quindi ne indichiamo le
condizioni dettagliatamente, che si possono riassumere nel quadro che segue: A)
Arbitrio umano libero. Non il potere generico della cosa sulla cosa. Non quello
della persona in condizione irresponsabile. B) Arbitrio libero di un uomo
(sulla cosa o sull* uomo) in confronto colla reazione dell’arbitrio libero dell’altro
uomo. Non dove non si pone questa reazione: e in quanto è regolata dalP
Idealità sociale. E in ordine a ciò: Arbitrio libero di un uomo in confronto
con una reazione possibile. E qui Diritto potenziale o naturale. Arbitrio
libero di un uomo in confronto con una reazione reale. E qui Diritto di
fatto o positivo^ nelle diverse forme di questo. il Diritto può essere
nello stesso tempo un Dovere, e non che deòòa. E perchè questa
differenza fra Diritto e Diritto? Rispondendo, apparirà insieme come e
quanto convengano fra loro le definizioni apparentemente diverse da noi
date del Diritto nella Morale dei Positivisti (nel luogo sopra citato),
dove dicemmo che è in se stesso la Giustizia, o la Legge o la Idealità
sociale, e qui, dove diciamo che è un potere libero implicante una
Responsabilità verso una Sanzione che ne salva V esercizio. Nel caso di
chi mangia la propria mela, M impulsività traente all' azione è data, non dalla
Idealità sociale anti-egoistica, ma dall' istinto egoistico, o da quella
che dicemmo la Prepotenza, precedente l’Idealità morale propriamente
detta. Trattandosi di questa Prepotenza, la Responsabilità r accompagna solo in
quanto la limita, e non in quanto la produca. E quindi la stessa
Responsabilità ha con essa un rapporto unico. E. per ciò non può aver che
il nome di Diritto, ossia si può pensare soltanto che r esercizio ne è
reso incolume dalla Responsabilità che lo salva. In vece, nel caso
del padre che educa il figlio, T impulsività traente all' azione è data dalla
Idealità sociale antiegoistica, ossia da qualche cosa che è già una
Giustizia, implicante quindi l’elemento della Responsabilità. Da ciò
proviene che il potere del padre di educare il figlio sia fra due
rapporti: fra quello di eserizio incolume, in quanto è salvaguardato da
una Sanzione sociale relativa, onde è Diritto; e quello che il padre è alla
sua volta obbligato, pure per una Sanzione sociale relativa. ad
avere in sé la Idealità della sua disposizione o del suo potere di
educare il figlio, onde è Dovere. In una parola, il potere egoistico, non
derivando estrinsecamente dall' ordinamento sociale, ma dalla
stessa spontaneità dell' individuo, non può importare se non la
Responsabilità di chi volesse impedirlo. E quindi è solo un Diritto.
Mentre invece il potere antiegoistico, derivando come tale dall' ordinamento
sociale, che lo ingenera per mezzo della relativa Sanzione, impòrta due
Responsabilità. Una per chi non lo rispettasse: onde gli corrisponde il
Dovere in un altro. Ed una seconda per chi non lo avesse e non lo
esercitasse: onde, sotto questo rispetto, è un Dovere esso stesso. Dunque
il Diritto è sempre una potenzialità che importa una Responsabilità,
secondo la definizione che qui ne abbiamo dato. Ma questa potenzialità
può essere determinata da una Legge, o Giustizia, o Idealità sociale,
secondo che importava la definizione data nella Morale dei
Positivisti, In questo secondo caso, come ivi dicemmo, il Diritto è
nello stesso tempo un Dovere. Non cosi quando la potenzialità è di un ordine
estramorale. E cosi siamo arrivati, per mezzo della analisi
positiva del fatto umano e sociale, a scoprire // criterio positivo del
Diritto e del Dovere. Con questo criterio (e non altrimenti) si possono
risolvere i problemi che li riguardano; e specialmente i quattro fondamentali
che seguono: circa i Diritti dell' uomo sopra le altre cose della
natura. Circa i Diritti dell' uomo sopra se stesso. Circa i Diritti di
Autorità. Circa il Diritto, non di Giustizia, ma di Carità o Beneficenza,
che dir si voglia. Nell'esempio innanzi citato di uno che pigli dei
pesci notammo, che il Diritto di chi lo fa è solo per quanto il fatto
riguardi altri uomini, e non per quanto riguarda i pesci. Coi pesci,
che prende, l'uomo ha il semplice rapporto generale della cosa colla
cosa, quale è quello, pogniamo, della foglia verde oscillante al sole e
rubante all'atmosfera la molecola di acido carbonico che vi nuota dentro
e si imbatte alla portata delle boccuccie predatrici. In confronto col
pesce 1' uomo non ha né Diritto né Dovere. Esso, in forza del potere onde
é fornito, ne usa e ne abusa senza offesa della Moralità, che é estranea
a tale ordine di azioni. E nessuno dice reo di colpa e immorale, né il
pescatore di professione che trae dall'acqua il pesce e ne contempla
impassibile gli spasimi dell'asfissia, onde muore dibattendosi convulsivamente
sulla secca arena, e lo piglia cosi per procacciarsi da vivere; né
il pescatore dilettante, che gli infligge quel martirio per
semplice spasso. Ma nella Civiltà progredita si può arrivare fino
al punto di estendere il carattere del Dovere anche alla detta
azione dell' uomo in rapporto col pesce. La Zoofilia 138 (che è una
tendenza della Civiltà progredita) cosi parlerebbe in proposito air uomo; Il pesce, prendilo pure: x:hè ti
abbisogna per vivere. Ma nel farlo non eccedere i limiti della stretta
necessità. Prendilo per quanto ti occorre, o per mangiarlo, o perchè ti è di
danno o di pericolo il viver suo. Altrimenti rispetta in lui il godimento della
propria vita. E, dovendo prenderlo, fa ia modo che avvenga col minore suo
dolore possibile. E tutto ciò consideralo siccome un tuo Dovere verso il
pesce. E, un Dovere analogo, i moralisti più delicati oggi lo
stabilirebbero, non solo pei pesci, ma anche per tutti gli altri animali;
e non solo per gli animali, ma anche per le piante; e non solo per le
piante, ma anche per le cose inanimate senza distinzione. Stabilirebbero
cioè quella ordine quarto di Doveri, che chiamano dei Doveri dell' uomo verso
le cose della najtura: essendo l’ordine primo, secondo loro, quello dei
doveri verso dio; il secondo, quello dei Doveri, verso se stesso; il
terzo, quello dei Doveri verso il prossimo. E come ciò? E giusta tale
estensione dell'idea del dovere? E, se giusta, non si avrebbe con ciò
una smentita alla nostra dottrina della formazione naturale deir
idea del dovere? Dicemmo che la effettuazione della Idealità della
Giustizia, in ragione che più avviene, più paralizza il suo contrario,., e più
invece ravviva i sentimenti antiegoistici, che distinguemmo col nome di
pietosi, caratteristici del sentire dell' uomo in corrispondenza colla
sua formazione della Idealità sociale. In ordine a ciò, parlando in
ispecie della Idealità sociale della famiglia, nella Morale dei
Positivisti scrivemmo quanto segne: Questa Idealità diversifica secondo le
varietà umane. Rozza fra le rozze, gentile fra le gentili; portante a
illimitato uso di potere nelle Società embrionali, ristretta alla mera
necessità dell* allevamento, dell' educazione, e dei riguardi necessari, nelle
Società più perfette; e cosi via per altre diversità e gradazioni senza numero.
Sicché si può dire, che, se dal bruto air uomo r idealità in discorso si
umanizza, questa umanizzazione è neir uomo stesso maggiore o minore. E,
dove è minore, vediamo T effetto, e nella forma ancor fiera del
sentimento relativo, e nella sua limitazione, restringendosi, o alla nazione, o
allo stato, o alla tribù, o ad un semplice branco di uomini. Mentre, dove
è maggiore, vediamo Teffetto, e nella gentilezza del sentimento, e nella
sua estensione, che abbraccia tutti quanti gli uomini, per quanto diversi
e immeritevoli: e travalica anche il confine dell'umanità, e si presta a che
l'uomo sia pietoso anche cogli animali inferiori, e perfino cogli esseri
inanimati, La pietà cosi estesa, o in genere Tappi icazione del
potere proprio verso le cose 7iei limiti del necessario e del ragionevole,
è una moralità indiretta, e non una mralità diretta. Che questa è solo
quella che dipende immediatamente dalla reazione tra uomo e uomo; e
che quindi ha per correlativo una Sanzione sociale e conseguentemente ne
implica la Respc^nsabilità. Libro I, Capo III, 11. 6 (|)a^. 149, 150 del
voi. lU di queste Op. fiL nella ediz. del
nel!' ediz. del 1893 e del 1901, e nella ediz. del 1908). Onde
storicamente (nella successione dei periodi della evoluzione della
Moralità umana), e statisticamente (nei gradi di evoluzione della
Moralità propria dei diversi ordini costitutivi di una stessa Società) da
prima si ha solamente la Moralità diretta, o che riguarda V uomo e
non le cose. Le genti più rozze oggi e, fra le genti più colte, le
persone che lo sono meno, né sentono né sospettano neanco che la Moralità
possa riferirsi anche agli atti relativi ai bruti e alle cose inanimate. Il
decalogo mosaico, sintesi dei precetti morali di uno stadio evolutivo
antico e non ancora perfetto della Moralità, non ne fa cenno
nemmeno esso. Ma, sviluppatasi più fortemente col progredire della civiltà
nel sentimento pio la espressione della Idealità antiegoistica, questa
dovette risentirsi e muovere ogniqualvolta nella rappresentatività umana si
fossero avute anche solo delle analogie coi fatti umani eccitatori dello
stesso sentimento pio. E ciò per la legge generale della attività
psichica, la quale importa che la rappresentazione somigliante (ossia il
ritmo analogo dell' attività centripeta) determini affetti e volizioni
somiglianti (ossia ritmi analoghi dell’attività riflessa). Mansuefatto
l’uomo per l’effetto dell' ambiente sociale, e reso più umano, e cresciuta in
lui la potenza pietosa, questa dovette scuotersi al palpito, non solo
delle viscere del fratello immolato dalla ferocia dell' assassino, ma
(per somiglianza della cosa) anche di quelle dell’agnello semivivo sul lastrico
del pubblico macello. Do||Wli|ILP!iWWiJi,iS"iWii vette scuotersi
perfino alla dilaniazione dei ramoscelli vivi di una pianta, onde il pensiero
è tratto per analogia a rappresentarsela con un senso di dolore. Come
quando Goethe canta di una pianticella di rosa. Der wilde Knabe brach*
s Rdslein auf der Heiden; Ròslein wehrte sich und sùach, Hai/
ihm dock kein Weh und Ach ! Mussi* es eben leiden, E siccome il
senso della pietà è, come dicemmo, il sentimento riassuntivo dell’idealità
antiegoistica, ossia doverosa, cosi il concetto vago del dovere, colla
sua imperatività astratta e quindi misteriosamente indefinita, dovette
associarsi anche alla Pietà sentita in causa dell’analogia per T agnello e per
la rosa; e conseguentemente si dovette indirettamente o per riflesso, la
ragione del Dovere, estenderla anche al rispetto di un animale e di
una pianta. Ed è ciò che confusamente presentirono quei vecchi
sensisti che posero la facoltà immaginaria del senso della Moralità, o
queir altra misteriosa della *simpatia* o compassione. Ma la cosa può
andare anche più oltre. Il sentimento pio medesimo, rimanendo offeso in
chi è testimonio della azione spietata, compiuta da una persona o sopra
un bruto o sopra un' altra cosa, e perciò in lui risentendosi, può far sì
che egli si esprima riprovando r azione offendente. Tale espressione
riprovatrice sarebbe una vera Sanzione vendicatrice della resizione di
Convenienza, e che potrebbe essere assunta dal Potere, quando esso (come
è possibile, anzi probabile, an2i in gran parte si è già fatto (i)
progredendo la Civiltà) convertisse in Legge pubblica il giudizio privato
divenuto comune. Come è notissimo, in tutti si può dire i paesi civili si
sono formate delle società per la difesa degli animali, e si sono
fatte delle confederazioni di esse anche internazionali, e si tengono
di tratto in tratto dei congressi dei loro rappresentanti. E si sono
anche fatte delle leggi proibitive degli eccessi contro le povere bestie.
E credo opportuno riportare (jui tradotto un tratto a proposito del
Konversations Lexikon del Brockhaus (Lipsia) La legislazione più antica contro
quelli che maltrattano gli animali ci è presentata dall' Inghilterra dove
essi erano puniti fino dal secolo passato. Seguì una serie di leggi per
la protezione degli animali domestici, per la proibizione delle giostre
delle fiere, per la limitazione delle vivisezioni. Relativamente presto
anche la Germania dettò leggi nello stesso senso; oltre le misure di
polizia, il codice penale sassone del 30 marzo 1838 indisse la
prescrizione generale per la quale si deferivano alle autorità di polizia
le punizioni per gli eccessi dell' uso anche legittimo degli animali.
Seguirono tosto la Prussia, il Wtirtemberg, ecc. con prescrizioni in
parte più estese. Al presente vige un paragrafo del codice penale dell'
Impero, col quale è punito con una multa che va fino ai 150 marchi, o
col carcere, chi pubblicamente o in modo da fare scandalo con
malvagità d' animo tormenta o tratta male gli animali. Oltre ciò sono in
vigore nei diversi stati delle ordinanze speciali delle autorità
amministrative proibitive di particolari maltrattamenti degli animali e
in favore di un contegno ad essi favorevole, e in specialità con
prescrizioni circa il trasporto degli animali, i cani da tiro, la
macejleria, il sopraccarico dei carri ecc. Nell'Austria, oltre certe
ordinanze speciali delle autorità, ha valore di legge l’ordinanza
ministeriale che dichiara punibile il maltrattamento degl’animali che
desti pubblico scandalo; in Francia la cosidetta legge Grammont del 2
luglio 1850 per la protezione degli animali domestici, ecc. I
rappresentanti delle società per la difesa degli animali tendono a che la
punibilità si estenda maggiormente e non si limiti a restrizioni fissate,
come per esempio la pubblicità def maltrattamento. Di tale tendenza pare
abbiano tenuto conto la Svizzera, 1' Italia (art. 491 del Codice penale
del 1889), il Belgio (Codice penale), l'America del Nord, ecc. ^i Nel
qual caso poi si avrebbe una doverosità diretta formatasi da una
indiretta. E con una Sanzione e una Responsabilità, non misteriosa e
indefinita e vaga, ma determinata. E lo stesso avviene poi per
molte altre dell’idealità morali. E anche per un altro verso V esercizio
del potere di un uomo sulle cose può finire coir essere governato da una
doverosità. Come dove uno, che possiede un podere e potrebbe farne lo
strazio che volesse, è trattenuto dair idea di non lasciare i figli senza pane.
Nel quale ordine di idee cade il fatto della legislazione sulla
interdizione dei prodighi. E per altri versi ancora; e per moltissimi.
Ogniqualvolta cioè r esercizio del potere, di un uomo sulle cose offende,
o affetta in qualsiasi maniera, il senso e l’appreziazione dell’altro e ne
provoca una reazione, incontrandone quindi una sanzione e la
responsabilità. E in tale ordine di casi è da notarsi che certi atti
fisiologici necessari ed inevitabili, ma incomodi o al senso esterno o al
sentimento estetico, importano una doverosità solo in quanto sono compiuti da
un uomo alla presenza di altri e non in quanto sono fatti in disparte e
in segreto. Fatta però V abitudine di considerare gli atti medesimi fatti
alla presenza degli altri come illeciti, V idea della loro sconvenienza
si associa poi ad essi • tanto o quanto. anche compiendoli nascostamente.
E quindi l'uomo, a misura che diventa civile e moralmente più perfetto,
si studia o di evitarli più che è possibile o, non poten-. I !ij.i«pj dolo
assolutamente, di eseguirli nel modo meno indecoroso. Ciò conferma anche
la dottrina positiva già da noi accennata (i) della formazione naturale
dei Doveri dell' uomo verso se stesso. E spiega in pari tempo il fatto
curioso delle antiche Moralità religiose, che consideravano alcuni fatti
fisiologicamente necessari dell'uomo, anche compiuti insegreto, impuri e tali
da inquinarlo, e richiedenti quindi i riti della purificazione,
Secondo le idee religiose T arbitrio sulle cose sarebbe una concessione
di dio, creatore e quindi proprietario di esse: e in forza di questa
concessione l'arbitrio medesimo sarebbe intero ed assoluto ed esente dalla restrizione
doverosa sopra chiarita di un trattamento umano e di un uso razionale,
mancando il precetto divino relativo, che solo, secondo le idee stesse, può
stabilire la ragione del Dovere. E da ciò si vede che il positivismo,
anziché distruggere la Moralità, è atto invece ad allargarla più che non
lo faccia la religione. La quale anzi, nella sua gelosia pel monopolio
arrogatosi della morale, si irrita e si impenna per questo eccesso (come essa
lo chiama) di Moralità positiva della Società moderna più colta, che vuol
essere buona anche colle bestie e coi fiori. La religione si sente in ciò
moralmente soverchiata, e se ne vendica chiamando questa bontà, che essa
non sente e non può insegnare, cosa diabolica e perversa. relativa. Si
teme che, perduta la religiosità, V uomo tornerà alla ferocia brutale della
prepotenza egoistica; e non si vede che invece il positivismo è ancora
più umano e morale che non la religione. Cosi si lamenta che la
Civiltà vada distruggendo la ingenuità santa dei tempi antichi; e non si
vede che' i santi ingenui dei vecchi tempi, perfino le matrone patrizie e
venerabili, erano, verso le stesse persone umane degli schiavi, più fieri
e crudeli che il rozzo mulattiere colla sua bestia ricalcitrante, e il
ragazzo ineducato colr insetto che strazia senza pietà. L' uomo del
positivismo non si umilia irragionevolmente col credere che V uso delle cose,
sulle quali sente di avere un potere, sia una concessione gratuita e
capricciosa che gli sia stata consentita dal talento o dalla misericordia di
qualcheduno. Ed è orgoglioso di ritenere cosa sua ciò che egli è in
gprado di appropriarsi: anche i mari, le montagfne, il vapore, V
elettricità, che non sono enumerati nel rogito di consegna del paradiso
terrestre. Ma ciò non impedisce che egli agisca verso le cose con
meno insolenza dell' uomo religioso e con maggiore mitezza. Il proposito
del positivista non è quello avaramente egoistico del moralista della
religione, che dice a se stesso: Queste cose dio me le ha date in proprietà:
dunque perchè non ne caverò per me tutto il profitto possibile? Il suo
proposito è quello retto, onesto, morale della razionalità, di servirsi
cioè delle cose pel bene in genere, proprio od altrui; fosse pur anco
solo il bene delle cose che non sono lo stesso uomo. Pel moralista
della religione le cose sono una proprietà, onde dio, che le ha create e può
quindi disporre a suo talento, lo ha investito, col controsenso che abbia
ancora a sudare per raccogliere i frutti del campo, e lottare contro la rabbia,
molte volte fatale, delle bestie feroci. Il moralista del positivismo invece,
fiero di se stesso, audace, generoso come Giapeto, non riconosce
donatori. Egli si sentepadrone della natura come frutto della siia
conquista faticosa; e, come un duellante cavalleresco, all' elemento immite
della natura dice: Eccoci alla prova; se varrai più di me soccomberò io;
sarai tu a soccombere, se sarò io il vincitore. Ma si dice dal moralista
religioso, che un Dovere originato nel modo da noi detto sopra non è
propriamente un Dovere: e che, se V ha fatto l’uomo, esso può anche
disfarlo. Secondo il moralista religioso il Dovere propriamente
detto è quello che non è abbandonato alla balia del talento mutabile e
capriccioso dell'uomo: onde è necessario che sia un comando di dio, al quale
non è possibile sottrarsi. E in tale credenza è secondato dalla falsa
idea, pur generale ancora fra gli stessi positivisti, che le buone
azioni in genere, e in ispecie la pietà verso i bruti e la ragionevolezza
neir uso delle cose, siano naturalità irresponsabili, al pari, mettiamo, degli
effetti delle cause fisiche sui corpi: disconoscendosi cosi, per ispiegare i
fatti in discorso, la loro natura morale, che è pure una realtà
attestata sperimentalmente. Il positivismo (malgrado i positivisti che
sbagliano) vita futura, conchiudono generalmente che l'uomo da nulla è
obbligato ad avere rispetto alla propria vita, poiché, suicidatosi, rimane
senza efficacia qualunque minaccia che la Società ponesse a trattenerlo. E che
quindi sia V uomo anche moralmente padrone assoluto della propria vita, e possa
disporne come gli talenta. Queste sono due soluzioni opposte ed estreme.
False ambedue, perchè dedotte da una idea del Dovere scientificamente non
vera. Una doverosità diretta, relativamente al suicidio, certo che non si
può trovarla, poiché, né ha nessuna presa sul suicida una minaccia di punizione
per parte della Società sulla di lui persona, che se ne sottrae col
suicidio stesso, né é ammissibile l' idea della Legge divina e della immortalità
dell' anima. E, assolutamente parlando, quanto alla conservazione della
propria esistenza, V uomo potrebbe considerarsi nella condizione estramorale
indicata sopra parlando degli atti deir uomo sopra le cose della natura.
E quindi, come non si ascrive a merito il tendere, nelle condizioni
normali dell'animo, a conservarsi in vita, e neanche a tirare il respiro
(quantunque a ciò si possa concorrere anche colla volontà), cosi il
suicidio potrebbe essere riguardato semplicemente quale effetto naturale
di condizioni anormali dell' animo di un uomo, come il tossire delle condizioni
anormali degli organi della respirazione. Ma, se non una doverosità
diretta, si può bene avere, circa il suicidio e la conservazione della
propria vita, una doverosità indiretta; per la ragione che molte e
diverse Idealità morali doverose, connesse col fatto della conservazione
della vita, possono essere presenti imperativamente (ossia con una
impulsività morale o doverosa) nella coscienza disposta al suicidio; e
rivestirne la deliberazione del carattere della reità morale.
Mettiamo un padre disposto a suicidarsi, che pensi di creare, facendolo,
la infelicità materiale e morale der figli superstiti. O uno che pensi
danneggiare suicidandosi dei creditori onesti, che si sono fidati di lui e
lo hanno beneficato prestandogli del denaro, che avrebbe potuto
pagare almeno in parte continuando a vivere. E cosi via per moltissimi
altri casi consimili. Molto istruttivo per questo è il noto dramma di Paolo
Ferrari, intitolato // Suicidio^ nel quale, come le tirate
spiritualistiche sono freddure senza fondamento scientifico, senza sugo e
ridicole, che è strano che egli creda che si possano prendere sul serio,
cosi invece è pieno di verità e di effetto il quadro delle conseguenze
nella famiglia superstite del suicida. Onde poi si deduce che anche nei
casi nei quali la doverosità affetta, per impedirla, la deliberazione del
suicidio, questa doverosità non è sempre la stessa, ma varia secondo il
numero, la importanza e la qualità delle ragioni morali intervenienti. Cosi, se
un corpo insipido per sé acquista un sapore da sostanze che glielo danno,
questo suo sapore varia secondo la diversità delle sostanze dalle quali
Io riceve. Tanto è vero poi che la doverosità non è intrinseca al suicidio
per se stesso, e gli è. conferita, quando si dà che Io accompagni, da
ragioni morali intervenienti diverse secondo i casi, che si può pensare
Inter venirvene anche di opposte; e tanto da produrre perfino la
doverosità contraria, ossia quella puranco di commetterlo. E invero tutti
quanti i ragionamenti ingegnosissimi architettati da certi moralisti non
poterono mai togliere r aureola di eroismo virtuoso onde risplende la
memoria di Lucrezia romana e di CATONE (si veda) uticense. Dicemmo,
che la doverosità può associarsi al fatto del suicidio, e contrastarlo
quindi nella coscienza morale in quanto si dà accidentalmente la
circostanza che, commettendosi da un uomo, restino inadempiuti dei
Doveri che gli incombono e sono da lui apprezzati. E per ciò affermammo
che la doverosità stessa viene così a riguardare il suicidio, non per sé,
ma indirettamente. Se non che è pur vero che anche una doverosità
diretta, atta a contrastare da sé la deliberazione di commetterlo, si
accompagni al suicidio. E per ciò per una Sanzione che minacci, non la
persona viva (che non può I"II* PF.I 'darsi come dicemmo), ma la sua
fama dopo la morte. La paura di nuocere alla propria fama col suicidio
può trattenere tanto o quanto un uomo dal commetterlo, e in tal caso
esisterebbe per quest' uomo una doverosità diretta impeditiva del
suicidio. E sono due gli ordini dei motivi che possono determinare questa
Sanzione per la quale la Società può vendicarsi del suicidio sopra la memoria
del suicidato. Il primo è quello delle doverosità indirette accennate
sopra. E per esse viene ad avverarsi così ciò che si disse al numero 5 del
paragrafo precedente della doverosità indiretta occasione della diretta. Il
secondo è quello della opinione sfavorevole che domini in una Società o
in una classe di persone riguardo all'atto der suicidio, fondata sopra la idea
che sia una irreligiosità abbominevole o una rivelazione di
debolezza d' animo o di alterazione delle facoltà mentali. La doverosità
diretta dipendente da una Sanzione sociale, determinata da questo secondo
ordine di motivi, è una doverosità accidentale e temporanea, e non
normale e durevole, come si richiede pel Dovere assolutamente tale. E in
vero l’opinione relativa al suicidio, non sempre, non dapertutto, si trova ad
esso sfavorevole. Quante volte, e presso quanti invece il suicidio è solo
ragione di compassione, come per una disgrazia non colpevole, o è
anche una ragione di lode! La disapprovazione motivata dalle idee
religiose vien meno con queste. Si danno circostanze nelle quali il
suicidio si riveste del carattere di atto eroicamente lodevole, come nei
citati di Lucrezia romana e di CATONE (si veda) uticense. Si danno
condizioni e periodi dello stato di una Società, che fanno considerare il
suicidio siccome una fatalità irresponsabile. Che più? Se uno è colto a
commettere una azione criminosa, la gente si avventa sdegnata contro il
delinquente e si presta in aiuto della pubblica autorità vendicatrice. Si corre
invece a salvare dalla morte chi è in procinto di darsela, e con senso,
non di sdegno, ma di pietà, Tutto giorno si moralizza sul suicidio
a fine di impedirlo, ritenendosi di danno alla Società in generale e a
certe sue istituzioni in particolare. Ma si moralizza inutilmente. Le ragioni
che si fanno campeggiare sono inefficaci per mancanza di solidità
intrinseca. Il fatto si ripete ugualmente, come la febbre curata coll’acqua
fresca. E il male, riguardo alla Società, non è tanto nella perdita dei
suicidi, che in generale non costituiscono la sua parte più attiva e
sana, ma nelle condizioni stesse della Società, che, se sono favorevoli
al suicidio, con ciò dimostrano di essere non buone e da
migliorarsi. Per le cose dette certo si scandolezzeranno molti. E
crederanno di avervi trovato un capo d' accusa ineccepibile contro l’etica
del positivismo, per sostenere che essa è esiziale alla Moralità dell'
individuo e del corpo sociale. Ma noi rideremo dello scandalo;
ingenuo, se chi lo prova è un pusillo; e ipocrisia, se chi lo pretesta è
un accorto. E diremo: Acquietatevi, che né la Moralità individuale, né la
Società avranno danno nessuno. Anzi ne avranno vantaggio. L' esperienza
dimostra che anche tra i credenti in una fede, che riprova assolutamente
il suicìdio, si danno di quelli che lo commettono. Sicché non si può
sostenere che la religiosità valga ad impedirli. Quanto alla minaccia
dell' eterno castigo il credente suicida, o la affronta disperatamente, o trova
modo di persuadersi di poterlo evitare. Tanto che si sa di suicidi cattolici
che si confessano prima di darsi la morte. E nei credenti, se si ha
il ritegno della paura della pena avvenire, non si ha poi queir altro,
del non credente, dell'orrore di metter fine per sempre alla esistenza,
che per questo non si prolunga oltre la vita attuale. E se si disse, che i
credenti un tempo si trattenevano molte volte dal suicidarsi per r
idea di essere sepolti fuori del cimitero consacrato, non è men vero che
ora possa altrettanto l'idea del biasimo che può restare alla loro
memoria. Abbastanza ha provveduto la natura coli' istinto
strapotente della vita alla conservazione dell' umanità, malgrado i mali
gravissimi che ne accompagnano la esistenza. La disperazione che
porta al suicidio non si manifesta con frequenza allarmante se non in certe
condizioni morbose sociali; e ne è il sintomo. Si manifesta per effetto
delle condizioni medesime, regnino o non regnino le religiose credenze.
Ed avviene pel morbo, onde il suicidio è il sintomo, come per tutti gli altri
morbi; che, se non producono la morte, le loro crisi stesse ajutano
la guarigione, sia segnalandoli alla cura da applicarsi, sia promovendo
una reazione salutare. Quando in una Società si verificano
frequenti suicidi HW"*^ » è certo ch^ la pubblica opinione si
scuote dalla sua indifferenza per le cause dalle quali essi dipendono. E
finisce per rendere giustizia alla protesta contro di lei di quelli, ai
quali fu fatale lo sdegno contro la sua durezza. E i singoli individui
sono avvertiti e ammaestrati circa i pericoli fatali di certe posizioni e
circa gli effetti funesti di certi indirizzi della vita, perchè li
evitino e si ravvedano intanto che il male può essere ancora
scongiurato. Il Diritto suppone l'Autorità; ossia è Diritto solo in
quanto è autorizzato ad esserlo. Ma la stessa Autorità è tale solo in quanto è
un Diritto. E lo stesso Diritto, qualunque esso sia, è in se stesso una
Autorità. Questi asserti sono altrettanti principj fondamentali
positivamente veri; quantunque la loro enunciazione abbia r apparenza di un
circolo vizioso. Come dicemmo sopra tante volte, il Diritto per
essere veramente tale (e non semplicemente la potenza di fare, comune ad
ogni cosa che agisce), deve corrispondere ad una Sanzione che ne assicuri V
esercizio, conforme air Idealità sociale o giusta: e importare quindi una
Responsabilità morale. Ora la potenza che stabilisce questa Sanzione, e
verso la quale esiste questa Respon (E si veda per tutte la nota al n. 5
del § II di questo Capo III ) sabilità, è ciò che si chiama una Autorità.
Onde è chiaro essere il Diritto un correlativo della Autorità, e
quindi supporla necessariamente. Potrebbe sembrare a prima giunta
che questa dottrina fosse identica alla vecchia religiosa e
politica circa TAutorità e la dipendenza da essa del Diritto. Ma
tra quella e la nostra corre una differenza di opposizione
perfetta. La vecchia dottrina religiosa della Autorità insegna, che
ogni Diritto dell’uomo risulta da una concessione gratuita di dio: che il
Diritto, assolutamente parlando, non l'ha se non dio: che T uomo di suo
ha solo il Dovere: che quindi, quando si dice di un uomo che ha un Diritto
verso un altro, la cosa va intesa cosi, che dio ha imposto a questo il
Dovere di fare o rispettare o lasciar fare una cosa che lo stesso dio
vuole che sia pertinenza del primo. Politicamente poi la stessa
dottrina insegna che il capo dello Stato è investito divinamente (e ciò
significa la consacrazione e la incoronazione con rito religioso
per parte del sacerdozio) di un potere sopra tutti i cittadini; che
esso ne è il sovrano per volere diretto di dio (onde il titolo Per la
grazia di dio) e indipendentemente dal volere loro e da qualunque ragione
naturale di Giustizia o di bene comune (onde il precetto religioso:
Obedite praepositis vestris etiam discolis)\ e che quindi i cittadini,
per lo stesso arbitrario volere divino, non sono altro che sudditi. La
scienza ha fatto ragione del principio religioso; revoluzione storica
sociale del politico. IP^II^KIIV idn,»»^ij5'tr«'isnfc#«^--xj' Il principio
religioso è il solito fenomeno psicologico volgare, onde, concepito l’astratto
di un ordine naturale di fatti, il medesimo astratto è pensato come una
realtà fuori degli stessi fatti e come causa di essi. Gli esseri viventi,
ad esempio, danno V astratto dalla vt^a, che non è se non la forma
caratteristica speciale che li distingue dai non viventi. Pel fenomeno
psicologico suddetto si fece di questa vita una realtà atta ad introdursi
in questi esseri che lo possiedono e a renderli vivi con ciò. Cosi fu
fatto per l’Autorità. Per una illusione analoga; separata mentalmente dalla
funzionalità sociale, onde è un aspetto, fu collocata in dio, e di là si
è fatta valere a cagionare la funzionalità medesima. E qui,
come è ben noto, ci troviamo col solito abbaglio, del metodo metafisico, che
spiega la cosa e il fatto colla stessa cosa e collo stesso fatto. Come
nel derivare gli effetti fisiologici dell'Oppio dalla sua Virtù
dormitiva: per citare lo stesso esempio addotto da Pasquale Villari nel suo
scritto intitolato e La Filosofa positiva e il Metodo storico » pubblicato nel
Politecnico di Milano, e che io qui ricordo perchè egli fu il primo che ponesse
la questione del Positivismo (nel senso che ha oggi) in Italia, e perchè
una grande influenza anch' esso ebbe sopra l’indirizzo delle
riflessioni che finirono a produrre l'ordine attuale delle mie idee
filosofiche. Parlando poi della applicazione politica dello stesso principio
religioso basterà osservare come per essa il Potere è concepito, non come
Giustizia, ma come Prepotenza ed Usurpazione; onde si ha la Prepotenza,
ossia r Ingiustizia, eretta alla dignità di principio inorale. Il che è bene
scandaloso in una dottrina che pretende di essere la salvaguardia unica
possibile della Moralità. E questa applicazione politica del
principio religioso si trova poi corrispondere precisamente ad uno
stadio arretrato della evoluzione. Il contrasto sociale (dal
quale, come dimostrammo, dipende la riduzione della Prepotenza e la sua
trasformazione in Giustizia) si attestò da prima nell' impero della
religfiosità e della sua rappresentanza, cioè in quella del sacerdozio. E
allora si disse, il sovrano avere il potere da dio, ed essere responsabile
verso di lui dell'uso di esso; e il sacerdozio si atteggiò a creatore e
giudice del sovrano in nome di dio. Poi, venuta meno per le ragioni
storiche la forza effettiva del sacerdozio nella Società, e quindi il peso
del suo contrasto, la sovranità se ne emancipò, e il legittimismo di
ortodosso divenne eterodosso; cioè, riconoscendo ancora T esser suo dal
cielo, autore e giudice della sovranità della terra, sottrasse però questa alla
elezione e al foro sacerdotale. Incontrastabile veramente è il
principio della filosofia etica tradizionale, che il Diritto suppone la
Autorità e che quindi questa si richiede pure per la Moralità. Ma si
ragiona falsamente dicendo, che il Positivismo viene a distruggere la
Moralità, dal momento che toglie di mezzo l'Autorità; sicché per salvare
la Moralità si debba necessariamente tornare alla filosofia
tradizionale, che sola possa stabilire il principio della Autorità.
L'Autorità, il Positivismo, la pone anch' esso; e con certezza, poiché ne
trova il fatto nella Società e nella psiche deir uomo civile, e ne dà la
spiegazione partendo dalla osservazione di ciò che succede realmente. E
cosi la fissa scientificamente ne' suoi termini veri e giusti, e la
garantisce dal dubbio (fatale sempre in materia di morale), e da ogni falsa, e
dannosa, e immorale interpretazione e applicazione. L'Autorità, che la
filosofia tradizionale fa venire dal cielo, è un sogno antiscientifico ed
involgente una contraddizione. Come avvertimmo un' altra volta, il comando
divino – H. Grice, “Perhaps Moses got things other than the 10 comms from
Sinai”] imponente il Dovere all' uomo è un principio immorale della Moralità,
mentre in fondo è la tirannia, o l'ingiustizia, in grado infinito. E
mostrarono d'essersene accorti gli stessi metafisici quando concedettero,
che il comando divino abbia da essere non ripugnante alla essenza stessa
delle cose, per cui riesca giusto, e dio che ne usa debba chiamarsi
santo. La stessa condizione posero anche per la sua Autorità; e cosi,
ammettendo una dipendenza di essa dalla essenza delle cose, fecero
di questa il primo e di dio il secondo, e quindi vennero a
disautorarlo. E r ammettere la condizione in discorso è poi infine
un riconoscere in modo indistinto la verità della nostra dottrina, per la
quale l'Autorità, non è un assoluto,. xm, un relativo. Cioè
l'Autorità è il relativo di qualche cosa che si impone moralmente; vale a
dire con una Responsabilità Sopra Capo II, § II, n. ii. ..LUI
«IVI verso una Sanzione, e quuidi verso una reausione libera
od umana: insomma verso la Sanzione sociale. Per cui l'Autorità non può
nascere se non nella Società degli uomini, e non può essere se non una
formazione naturale della sua attività organica. Ma questa dottrina
del positivismo circa l'Autorità pare anch' essa contradditoria alla sua
volta. Un Potere, come si disse, è una Autorità in quanto conviene
con una Idealità sociale ed è giudicabile secondo questa; e quindi il suo
esercizio è passibile di una Responsabilità verso un Tribunale che
dispone di una Sanzione per far valere i principj secondo i quali
sentenzia. Ora, siccome tale è precisamente anche il Diritto, cosi
l'Autorità viene ad essere anch' essa un Diritto. Ma se l'Autorità
è un Diritto, e il Diritto lion è tale se non per l'Autorità subordinante
che lo riconosca e lo sancisca, come potrà darsi l'Autorità, non potendo
essere che il subordinante sia nello stesso tempo il subordinato? Per
rispondere alla difficoltà basta richiamare quanto fu detto sopra della
Giustizia effettiva o giuridica, o del corpo sociale; e della potenziale, o
dell' individuo. Ciò che sancisce l'Autorità suprema dello Stato è
in genere l' indistinto delle coscienze individuali, che vedemmo sopra
come esista e come operi. E che, in modo via via più distinto, si
concreta nelle prerogative proprie della gerarchia sociale Capo I. i
VII. E COSI è tolta la contradd^ione obbiettata. Il diritto del
subordinato è sancito dalla Autorità stabilita nella Società. Il Diritto
di questa Autorità è sancito anch' esso da qualche cosa. Ma non da un'
altra Autorità superiore a quella della Società, che non può darsi:
sibbene dalla potenzialità morale del corpo sociale collettivo (o delle
coscienze individuali) che si forma ed esiste e funziona ed è efficace in
r^ione e a misura che vige l'ordinamento effettivo della Società. E
questo vero è attestato dal fatto storico costante della Società umana, nella
quale sempre si è manifestato questo processo; da una parte, della
Autorità stabilita che sancisce il Diritto del subordinato; e dall'altra,
della coscienza comune dei subordinati che sancisce il Diritto della Autorità
stabilita. Questo fatto è evidentissimo nella costituzione
delle Società moderne più avanzate, nelle quali é già riconosciuta anche
legalmente la dipendenza del Governo, in tutte le sue parti, dal
beneplacito dei cittadini. In tutte le sue parti; mentre ormai la
irresponsabilità, o si limita alla sola persona del capo supremo, o è
tolta affatto anche per questa. All' infuori del potere
tirannico della forza e della violenza di certe Società informi, che non
è ancora l'Autorità giusta propriamente detta, ma la Prepotenza ingiusta, nei
governi teocratici la potenzialità morale del corpo sociale collettivo si
manifesta nella istituzione e dipendenza del Potere dalla religione. E
nei governi assoluti laici la potenzialità stessa si manifesta nella dipendenza
del Potere sovrano, che pure ivi ha luogo, da qualche cosa; come
dalle consuetudini, dalle caste, dagli ottimati e via
discorrendo. Ed è poi confermato il vero medesimo dalla distinzione,
che sempre fu riconosciuta, fra il Diritto reale e il potenziale; ossia,
che è lo stesso, fra il Diritto positivo e il naturale.
Poiché, scientificamente parlando, che è mai il Diritto naturale, se non
la potenzialità morale propria degli individui componenti la Società. Il nostro
ragionamento ci ha condotto: Primo, a scoprire la vera indole del Diritto
naturale. Secondo, a spiegare con ciò V origine e la natura
vera della Autorità sociale. A darci il criterio per istabilire i
rapporti del Diritto naturale col positivo, tanto storici quanto
ideali. Il Diritto positivo è, come già dicemmo più volte, il
Potere quale è costituito e funziona nella Società umana; il Potere dei
subordinanti e quello dei subordinati, in quanto è riconosciuto fissato e
garantito dal primo. Vedi in proposito: Morale dei Positivisti Libro I, Parte
li. Capo IV. . ( Voi. Ili di queste Op. fil, nella edizione, e.
nella ediz. del 1893 e del 1901, e pag. 135 e segg. nella ediz. del
1908), e Parte HI, Capo I (pag. 129 e segg. del medesimo nella ediz. del
1885, e pag. 135 e segg. nella ediz.
e del 1901, e pag. 139 e seg. nella ediz. del 1908). E questa
Sociologia Capo I J VII (principalmente n. 6) e J Vili (principalmente n.
3 e 4), e Capo II.? 11, nota al n. Il Diritto naturale non è altro che il
potenziale. Ossia quello che corrisponde alle Idealità sociali, o giuste,
o morali. £ alle Idealità sociali universe: tanto a quelle che si sono
già avverate nella psiche e nella coscienza umana, quanto a quelle che non vi
si sono ancora avverate, ma vi si possono avverare quandochesia. Dalle
quali definizioni enaerge che il Diritto positivo è determinato e giustificato
dal naturale; che il Diritto naturale è imprescrivibile, ed ha un valore
trascenclente assoluto, corrispondendo al va-lore trascendente assoluto della
natura onde è il prodotto: come una forza o una specie naturale
qualunque, che l'uomo trova nella realtà e deve subirvi e riconoscervi; che
il Diritto naturale è universale, come la natura umana, allo svolgimento
proprio della quale corrisponde. Quarto, che il Diritto naturale è
infinito. Il Diritto naturale è
infinito, nel senso positivo della parola, spiegato nella Morale dei
Positivisti (i). Infinito cioè nel senso, che è una potenzialità
interminabile nelle serie e nelle forme de' suoi svolgimenti. Una
potenzialità indistinta atta a determinarsi nei fatti dei Diritti
distinti che si verificano via via senza fine, come i fatti in genere
nella natura per la sua forza inesauribile. E non mica un pensiero, o un
sistema di pensieri, già determinato e fissato in tutto il suo contenuto (Libro
II, Parte III, Capo I (pag. 255 e segg. del Voi. Ili di queste Op. fil,,
neir ediz. del 1885 e pag. 268 nell'ediz. del 1893 e del 1901, e pag. 275
nella ediz. del 1908). e in una forma unica, nella mente di dio, come dà
la filosofìa tradizionale. La quale immiserisce
meschinissimamente il concetto del Diritto. Come immiserisce
meschinissimamente il concetto delle specie naturali delle piante e degli
animali, riducendole ad un numero chiuso di archetipi fissi prestabiliti
in una mente creatrice. Come realtà attuale, già distinta nella sua forma
di Diritto, questo è un fatto accidentale; è il risultato del caso
dell'incontro fortuito delle reazioni particolari che ne determinarono la
effettuazione reale, analogamente a ciò che avviene per ogtii fenomeno
naturale, e come nella Formazione naturale nel fatto del sistema solare
dimostrai importare la legge universale della Formazione naturale. Ma esso
Diritto poteva realizzarsi in un infinito numero di altri modi; come era
possibile un infinito altro numero di accidenti nella coincidenza
produttrice della serie degli eventi e della serie delle condizioni
dell'uomo, in cui si avverò la coincidenza. E, del pari, resta
sempre infinito il numero dei momenti evolutivi ulteriori, per la
stessa ragione, e perchè V attività naturale resta sempre inesauribile, e
non si arresta al punto al quale è arrivata in un dato momento. Dalle
quali cose poi emerge che tra il Diritto positivo e il naturale vi deve
sempre essere lotta. Tanto è lungi che il positivo (come discenderebbe
dalle dottrine dell' etica tradizionale) sia T acquietamento definitivo del
naturale; e che questo, eflFettuatolo, riposi in Vedi la Parte IV dello
stesso libro. quello, e solo debba stare in guardia contro i
principj contrari (sia delle passioni ree dell' uomo, sia di
potenze sovrannaturali perverse) tendenti a disturbare V assetto
etico definitivo del mondo. Eterna è la lotta fra il «Diritto
positivo e il Diritto naturale. E non effetto della reità di nessuno, ma
dello stesso Processo del Bene. Il Diritto naturale lavora
continuamente a trasformare il talento della Prepotenza egoistica, che
rimane nella Autorità vigente, in ijome della Idealità antiegoistica. E
la trasformazione, incominciata sopra il massimo della Prepotenza, e continuata
pei gradi insensibili infiniti della sua diminuzione, non è mai compiuta
totalmente. Il Diritto positivo di un dato momento è sempre
in arretrato verso le Idealità sociali più progredite, già albeggianti
nelle coscienze sociali. E la evoluzione di queste Idealità, che, nate, si
ribellano subito al Diritto positivo discordante per riformarlo ad immagine di
se stesse, è una evoluzione che mai non cessa. L’Autorità del
subordinante e in pari tempo, un suo Diritto. Soggiungiamo ora che anche
il Diritto del subordinato è, esso pure, una Autorità nel vero senso
della parola. Il Diritto del subordinato è si riconosciuto
dalla Autorità del subordinante, mai non è da questa creato. Esso esiste
per sé in virtù del fatto del suo comparire nella coscienza individuale.
Se questo fatto non si avesse, l'Autorità del subordinante non potrebbe fare
che fosse il Diritto relativo. Dato che sia il fatto, la stessa Autorità
non può esimersi dall' ammettere il Diritto. Il Diritto del subordinante
quindi si impone per questo verso all'Autorità del subordinante, e perciò è
esso stesso una Autorità. Oltreché poi ogni Diritto, anche di un
subordinato, è sempre tanto o quanto subordinante, cioè atto a
determinare dei Doveri e dei Diritti correlativi. E questa dottrina
della autorevolezza intrinseca del Diritto del subordinato (santo pel
subordinante, come l'Autorità di questo è santa pel subordinato), era
sentita nella coscienza etica degli antichi, malgrado il falso loro
riferimento della cosa, quando all' ordine iniquo del principe tendente a
violare il Diritto naturale del suddito, questo rispondeva: Se il
principe comanda ciò che dio proibisce, o proibisce ciò che dio comanda,
l' ordine e il divieto del principe non hanno valore per la
coscienza. La dottrina positiva dell'Autorità e del Diritto è
liberale. Questa dottrina (che è
quella del liberalismo positivo) contrasta a due estremi opposti;
esiziali 1' uno e r altro alla Moralità vera. A quello del Nichilismo
del Diritto individuale della dottrina etico-religiosa dei metafisici; e
a quello del dichilismo deldiritto del Potere di un certo socialismo
materialistico. Il Diritto naturale e l'Autorità del Potere, che lo
riconosce, sono fatti naturali della Società, correlativi ruoo all'altro.
Onde» sopprimendo T uno di essi, sì sopprime anche V altro. Il Nichilismo
materialistico dunque, annullando l'Autorità del Potere viene ad
annullare lo «tesso Diritto individuale, che vorrebbe rimanesse col carattere
di Diritto unico ed assoluto Il Diritto individuale è un effetto
dell' organismo sociale; e tanto che» tolto questo organismo, né potrebbe
formarsi, né perdurare, esistendo di già; come la funzione e il prodotto
speciale di un viscere particolare non è segregabile dall’organismo deir
animale e dai centri nervosi superiori, onde è determinata e regolata V
attività di ogni sua parte. Si form<\ il viscere a misura che si
formarono i centri regolatori; si mantiene finché si mantengono i
rapporti di dipendenza da essi. E analogo è il caso del Diritto
individuale nel suo rapporto coli' Autorità centrale. E dunque
liberale la dottrina positiva che, mantenendo TAutorità subordinante, può
mantenere anche il Diritto dell' individuo. E, per conseguenza,
illiberale è quella del Nichilismo materialistico, poiché,
distruggendo questa Autorità, finisce con ciò a distruggere anche questo
Diritto. Ma la stessa dottrina positiva combatte, nel medesimo
tempo, il principio illiberale del Nichilismo teistico, dal quale non è
riconosciuto nelT individuo un Dìntto propriamente detto, o proveniente
dal suo essere stesso; ed è insegtiato essere il Diritto una
concessione gratuita di dio, che egli possa dare e togliere a suo
piadmento, e lasciare anche alla balia degli usurpatori della sovranità,
nei quali si debba in ogni caso riconoscere una Autorità che non emani dal
corpo sociale e sia irresponsabile verso di esso. Il positivismo combatte
questo principio, stabilendo l'Autorità originariamente ed
inalienaòilmente risiedente neir individuo di esercitare il suo naturale imperio
sopra le cose, sopra di sé, sopra gli altri. E mostrando, come la
dipendenza dell' individuo dal Potere subordinante non è quella dello
schiavo, che è costretto colla violenza dal padrone, e ne eseguisce i
comandi suo malgrado, e colr ira incitante alla vendetta; ma è quella liberale
di chi fa con persuasione e con amore. E ciò perchè, l'Autorità
giusta subordinante, l'individuo la pone esso stesso pel Bene di tutti;
anche se importa un sacrificio per parte propria: la pone, la coltiva, la
difende come cosa, propria, anzi come suo proprio Diritto. Proponemmo
quattro problemi fondamentali da risolvere secondo il criterio positivo
del Diritto e del Dovere prima indicato. Dei primi tre problemi
abbiamo trattato nei paragrafi successivi del Capo medesimo. Tratteremo
in questo del quarto, cioè circa il Diritto, non di Giustizia, ma di Carità
Beneficenza, che dir si voglia. Fin qui il nostro sagio ha voluto
soddisfare a due dei tre suoi intendimenti; cioè di dimostrcure che
la Moralità, come è spiegata nella filosofia positiva, comprende, non
solo gli atti della Gitistizia propriamente detta, ma anche: Gli
atti infiniti offensivi non contemplati e uon contemplabili dalla Legge.
I quali perciò, esclusi dal campo della Giustizia propriamente detta,
vanno attribuiti a queir altro della pura Convenienza. Gli atti sindacabili
soltanto dalla coscienza intima dell' individuo in cui si avverano, e
producenti la sola reazione del Rimorso intemo. Trattando ora del quarto
problema suddetto, vedremo di soddisfare al terzo degli intenti
propostici, vale a dire di mostrare, che la Moralità, come è spiegata
nella filosofia positiva, comprende anche; Gli atti virtuosi, che V
individuo potrebbe fare e sarebbe bene facesse, e non è costretto a fare.
Ossia quegli atti, che non si attribuiscono né alla Giustizia né
alla Convenienza, ma alla Carità, come dicevano i moralisti vecchi, o alla
Filantropia o Beneficenza, come direbbero i nuovi. Gli atti benefici nell’Etica
tradizionale. E noto che nell' Etica tradizionale si stabiliscono due ordini
diversi di atti buoni: Quelli ai quali uno é tenuto per poter essere
senza colpa, che si dicono atti di Giustizia; e si riassumono nel
detto: Non fare agli altri ciò che non vuoi che sia fatto a te. Che é
quindi un vero Precetto, E quelli che uno può tralasciare senza diventare
con ciò colpevole, che si dicono atti di Carità o di Beneficenza, e si
riassumono nel detto: Fa agli altri ciò che vorresti fosse fatto a te.
Che è quindi propriamente, non un Precetto, ma un Consiglio, Ed è
noto che 1' osservanza dei primi si dice produrre la semplice Onestà morale; e
la semplice Esenzione dalla punizione. E che la pratica dei secondi pro duce
anche una Perfezione morale; e quindi il Merito di un premio.
Ed è noto ancora che, tra i pronunciati morali appartenenti alla
categoria dei Consigli miranti alla mag giore Perfezione morale, se ne pongono
anche di quelli relativi, non al bene da farsi agli altri, ma alla
nobilita zione interna della Persona morale. Il principio del Bene morale
non prescritto, e quindi n&n obbligatorio o gratuito (che è un
principio ve rissimo, anzi è il principio morale per eccellenza), l'Etica
tradizionale, e non potè mai riuscire a dedurlo rigorosa mente, ed è, nel
sistema di essa, contradditorio. E regge solo nella dottrina dell'Etica
positiva. E ciò malgrado sembri a tutta prima che questa,, posta la
dipendenza da essa stabilita del fatto morale dalla Sanzione
costringente, conduca ad una conseguenza affatto opposta; a quella cioè
di togliere di mezzo quello che ora chiamammo (ed è senza dubbio) il
principio morale per eccellenza. L' Etica teologico-metafisica
tradizionale si è accorta dell' imbroglio che sta nella sua dottrina; e
ha cercato di cavarsene colla sua solita gherminella (rilevata
stupendamente dal Mefistofele del Faust di Goethe) di un vocabolo
equivoco. Cioè col vocabolo Consiglio contrap posto a quello di Precetto.
Il Bene morale obbligatorio (ha detto V Etica teologico-metafisica
tradizionale) è il Precetto di dio, che non si può non seguire: il Bene
morale gratuito invece è il suo Consiglio da prudenza (Kantotle – Grice),
che l'uomo può anche non seguire. Ma ciò non è altro, come dicemmo, che
una gherminella. La mentalità divina del Bene morale, onde
partono i metafisici in discorso, derivandone tanto il Precetto
quanto il Consiglio da prudenza (Kantotle – Grice), sta, secondo loro, colla
ragione divina dell' Ordine morale. Ora si può domandare: L'
Ordine morale metafisico, ragione del Bene, è esso esigenza assoluta
dell' essere proprio delle cose che ri guarda? E allora è necessario che sia
Precetto tutto il Bene. O sta invece che l'Ordine morale sia il puro bene
placito di dio, il quale possa stabilirlo arbitrariamente in un dato
modo, e di due sorta, cioè uno da esigersi inesorabilmente, e un altro da
consigliarsi soltanto e quindi da permettere che sia anche violato da chi
voglia? E allora il Bene morale, anche quello prescritto, non ha un
valore assoluto; e si può supporre che dio po tesse non averlo voluto, come si
suppone dagli stessi me tafisici, che egli potesse non aver voluto creare il
mondo. Si può supporre insomma, che il male sia male solo perchè dio r ha
decretato, e che egli avesse potuto decre tare che non lo fosse. Il che sarebbe
la distruzione pili radicale immaginabile della Moralità. E da questo
dilemma non si scappa. Cosa ben curiosa e ridicola il sistema etico
della filosofia sana, anche da questo punto di vistai Secondo questa
filosofia sana un uomo sa che dio io consiglia ad un Bene che egli
potrebbe fare benissimo; e sa che con ciò darebbe soddisfazione a lui che
deve amare sopra ogni cosa: ma quest' uomo non si cura, né del Bene
per sé, né dell'autorità di dio che lo invita a farlo, né del dispiacere
che gli reca trascurandolo; e ciò per la preferenza data a un proprio
interesse egoistico contrario: e tuttavia il medesimo uomo rimane dopo
tutto questo esente da colpa, e nella grazia dello stesso dio cosi
postergato. L' imbroglio e l’assurdo della distinzione tra il precetto
e il Consiglio (di prudenza – Kant – Grice – Kantotle) dipende dalla
distinzione falsa, posta dai moralisti in discorso nella stessa ragione
divina del Bene morale, del Bene doveroso e di quello non doveroso,
corrispondente all' altra distinzione falsa, di un Ordine morale che dio
voglia necessariamente e di uri Ordine morale che egli voglia
arbitrariamente; e che è la conseguenza di un principio ontologico fondamentale
erroneo circa le leggi dell' essere e della causalità in generale e della
provvidenza in particolare. Nel principio ontologico al quale alludiamo si
accozzano, in modo confuso e contradditorio, il necessario e r
arbitrario, come nell' Etica corrispondente la Moralità determinata dalla
ragione assoluta dell' essere e quella determinata dalla ragione di un
comando arbitrario. E per un processo logico analogo. Il
concetto del necessario e dell'assoluto deriva dalla osservazione della
costanza delle leggi naturali dove queste appariscono a tutti. Il concetto
dell' accidentale e dell'arbitrario deriva dalla osservazione dei fatti, che
nella apparenza non si connettono necessariamente a cause naturali, onde
si attribuiscono all' intervento diretto volta per volta dell' arbitrio
divino; come, pel volgo, la piogcolare della povertà (che anzi questa sublimità
per sé la povertà non V ha niente affatto, se non ha invece la qualità
opposta); ma bensì se mai fosse V effetto inevitabile di una azione o
giusta o caritatevole, sì che uno non avesse potuto rimaner giusto se non si
fosse rassegnato ad incontrare la povertà, o avesse sofferto perfino di
subirla per un maggior bene altrui.E così la povertà volontaria può
essere anche pel positivista una cosa sublime ed eroica. Mentre in caso diverso
egli la direbbe una stoltezza ridicola e riprovevole. Che se pel religioso la
elezione della povertà non è una stoltezza, ciò dipende unicamente dalla
circostanza che egli la riferisce ad uno scopo; cioè a quello di guadagnare con
essa il paradiso. Ma, se cessa così di essf re una stoltezza, riesce però un
atto al tutto egoistico e quindi ancora tutt' altro che eroicamente
morale. E merita una speciale
considerazione a questo proposito la dottrina relativa alla elemosina e al dare
a prestito. Ho un ricco, fatto proprio secondo lo spirito dell'Etica sana
teologico-metafisica. Egli crede fermamente che r esser lui nato ricco e
destinato, senza lavorare, a go di ogni genere, mentre il povero non ha da
coprirsi avendo freddo; se il ricco ha a sua disposizione palazzi e ville,
quando il povero manca di un tetto qualsiasi; se il ricco imbandisce la propria
mensa di cibi e vini costosissimi con profusione, dove il povero manca della
stessa polenta; se il ricco ha cavalli e cocchi e servi che lo
ajutano a fare niente, mentre il povero si stima fortunato che altri gli
offra per carità un lavoro che lo esaurisce senza compensarlo; se al ricco si
offrono tutti i piaceri da vicino e da lontano (poiché non gli bastano
quelli che può dargli il suo paese e gli occorrono anche quelli che solo
si trovano altrove), e questi gli sono sempre perdonati quand' anche
affatto eccessivi e corrompenti e illeciti e scandalosi, quando il povero ne è
privo al tutto ed è barbaramente rimproverato pur dei pochissimi e grami che
gli sia dato di procurarsi; se fa tutto questo il ricco, non solo crede,
secondo la sua sana morale (che sempre ha cura di contrapporre ad un' altra
diversa, detta da lui empia e sovversiva) di far uso di un Diritto concessogli
da dio per un gusto particolare di predilezione, ma crede poi anche di
adempiere ad nn Dovere: a quel Dovere che si chiama il Dovere di vivere secondo
il proprio stalo. Or bene questo ricco, fatto secondo lo spirito
dell’Etica sana teologico-metafisica, riconosce fra i Doveri del proprio
stato anche quello della elemosina, ritenendo che coir adempirlo diventi, non
solo buono (che lo è già senza la elemosina), ma ottimo, ed in modo perfetto
ed eroico. Ed è assai bello vedere come il nostro ricco
intenda la detta elemosina. C è da rilevarne proprio la sublimila della
morale onde ha lo spirito. Prima di tutto, se egli si trova padrone di una
sostanza vistosissima ereditata nascendo (quanta fatica, quanto studio, e
quanto merito!), la sua proprietà è cosa sacra, qualunque ne sia la
origine antica: anche se in questa origine fu accumulata colla frode e
colla rapina. È cosa sacra, che gli viene da dio stesso. E, se deve contribuire
una parte piccola e superflua per lui dell' aver suo, per concorrere alle
spese dello Stato che glielo difende, o per dare un pane insufficiente a chi si
logora lavorando penosamente per lui, che nulla fa e solò consuma godendo
e corrompendo, egli intende, nella goffaggine superlativa del suo pensiero, che
l;operaio, che suda per la scarsissima paga, e il funzionario pubblico,
che si sacrifica pel meschino stipendio, della paga e dello stipendio
debbano arrossire come di suoi compassionevoli e gratuiti donativi, e
debbano riconoscere che, se faticando assai hanno poco da mangiare, anche
questo poco è tutta generosità sua, per la quale si compiaccia di largirlo,
privandosi di una piccola parte di ciò che gli sovrabbonda. Ma va più in
là l’eroismo della sua generosità di dare del superfluo a chi non ha di
proprio se non il dovere di lavorare (quando. gliene danno) e di soffrire.
Va più in là; poiché, oltre pagare le imposte che non può frodare,
oltre angariare V operajo coir avarissimo compenso dei servigi avutine,
esercita anche la viriti dell’eielosina. Non già impoverirsi per ciò. E
nemmeno restringere di nulla gli scialacqui demoralizzanti. Oibò! Sarebbe
questo un venir meno ai Doveri del proprio stato. E nemmeno impiegarvi una,
anche piccola, parte delle superfluità più riprovevoli. Tanto non occorre; e di
gran lunga. Se, per cavarsi un capriccio stimato come un
nulla, il nostro ricco non bada a spendere un migliaio di lire, una
lira sola è anche troppo gettarla, come si farebbe di un osso ad un cane,
ad un vecchio cadente per la fame. Un pugno di monete di rame, ecco quanto
basta per adempiere al Dovere di perfezione della elemosina, per essere morale
in grado superlativo ed eroico, per acquistare il merito -di un posto
riservato in paradiso. Poiché anche quelle miserabili monete di rame
della elemosina non si intende mica s'abbiano a gettare gratis. Né
anche per sogno! Anche da esse, quantunque non abbiano un valore
apprezzabile per chi le getta, deve venire un vantaggio: e un vantaggio assai
grande; devono fruttare nientemeno che una felicità eterna in un'altra
vita. E la cosa va di suo piede. Il povero, la cui vita fu uno
strazio continuo, é ben giusto e naturale che vada poi air inferno,
essendo infine, un povero, un malvagio mascalzone; mentre il ricco, che
ha sempre goduto senza nessun merito, deve essere premiato colla
beatitudine del cielo, essen'do infine, un ricco, una persona
buona. Un pugno di piccole monete di rame; ecco dunque la limosina
del ricco, secondo l'Etica sana. Un pugno di piccole monete di rame date
all' impazzata ad una turba degradata di accattoni che le implorino,
facendo ressa e alzando le mani supplichevoli, intorno al castello
minaccioso e al cocchio superbo, di chi le getta loro col piglio del
disprezzo. E questa turba di accattoni degradati é poi necessario, secondo
la stessa Eti.ca sana, che ci sia anch'essa. Altrimenti come sarebbe
possibile al ricco di avere il vantaggio di procacciarsi il paradiso a si
buon mercato, e di far risplendere, al di sopra dei languenti per
inopia, r orgoglio stupido della ricchezza in tutta la forza della
sua brutalità? Onde, nel pensiero del nostro ricco (fatto secondo
ìct spirito dell'Etica sana), è cosa immoralissima e sovversiva del Bene,
che altri, come il positivista, cerchi di togliere dalla Società l’ignominia
dell'accattonaggio: che consigli la Società a provvedere, non in
apparenza ma in realtà, V impotente, 1' ammalato, il disgraziato: e
senza degradarlo, e con un soccorso che apparisca un Diritto
riconosciuto in chi lo riceve, e non una elemosina che lo avvilisca; che
faccia opera affinchè il povero sia educato in modo da sentire il danno e
la vergogna di accattare il pane poltrendo neir ozio; e il vantaggio e la
soddisfazione confortevole di guadagnarselo nobilmente col proprio
lavoro. E, il sommo della immoralità della condotta del positivista, il
nostro ricco la riscontra poi in questo; che, se si dà il caso dell'
incontro di un infelice bisognoso di soccorso, egli, il positivista,
glielo porga per puro sentimento antiegoistico di umanità, senza pensare punto
allo interesse, né del paradiso né di nient' altro, da ricavarne; e
lo faccia senza avvilire chi riceve, comportandosi con esso come il
fratello col fratello; e nell' intento, non di perpetuarne lo stato
miserabile, che faccia risaltare meglioil proprio più decoroso, ma di
agevolargli la via per uscirne al più presto, diventando un suo pari. Dopo
tutto però bisogna confessare che il nostro ricco, fatto secondo lo spirito
dell' Etica sana, è logico. Ma le conseguenze pratiche di tale sua
logica servono assai bene per farne apprezzare i principj. Come, al
contrario, la verità dei principj positivi apparisce nelle conseguenze
opposte or ora accennate, eminentemente (ed esse sole) buone e
morali. Certo si deve ammettere, che nella Società (pur prevalendo nelle
dottrine dei maestri di morale il concetto teologico-metafisico sopra
descritto) si fece strada a poco a poco, e per, la condotta individuale e
per la direzione delle cose pubbliche, V idea della beneficenza
propugnata dal positivismo, fondata sulla benevolenza effettiva che
r uomo, diventato buono, ha pe' suoi simili, stimati tutti avere gli
stessi Diritti ai beneficj della vita e della Società; alla quale perciò
incomba il debito di provvedere normalmente, più che sia possibile utile
e morale, per gli infelici. Ma giò è V effetto della stessa natura,
che opera secondo le sue leggi invincibilmente, senza e malgrado le
teorie dei filosofi. E qui pure, come in tutto il resto dei fatti
etici, essa natura ha dimostrato, che la Moralità non si attacca
materialmente ad un atto determinato circa. il quale dio abbia detto:
Questo atto voglio che sia un atto buono. E ha dimostrato che la Moralità
consiste invece nella stessa disposizione antiegoistica dell' animo,
creata dal vivere sociale; e per la quale V atto materiale (che per
sé non è moralmente né buono né cattivo) diventa buono, se la
disposizione relativa dell' animo è buona, e cattivo, se cattiva, E ha
dimostrato che non occorre, che un atto buono sia stato prescritto
positivamente da nessuno, perchè si introduca nella pratica morale degli
uomini, e che questi lo eseguiscono anche senza e prima che sia stato
prescritto. Che anzi la prescrizione positiva medesima è pur essa non altro che
V effetto della disposizione potenziale degli individui precedentemente
formatasi neir animo moralizzato, nel modo sopra descritto. Un discorso
analogo si può fare circa il dare a prestito. L' Etica religiosa,
computandolo fra gli atti di beneficenza e volendo quindi che, se altri
lo eseguisce, abbia da, poterlo fare solamente sotto questo riguardo,
e conseguentemente senza interesse, ne sopprime la funzione
vitalissima per la prosperità commerciale ed industriale nel meccanismo
economico sociale; lasciando più libero il campo alle imprese esiziali
degli usurai; sottraendo il capitale all'ingegno e all'operosità dei
volonterosi; restringendo le fonti del benessere pubblico e quindi della
Moralità comune. E allora non sarà colpa l'approfittarne per
contravvenirla: e Vufficio del galantuomo sarà tulio nello studio di
elu^ dere la Legge, E vi riuscirà, più o meno sempre, essendo verissimo V
adagio: Fatta la Legge, trovato l’inganno. Ed ecco il galantuomo inappuntabile
dell'Etica sana. Quanto diverso, e più veramente galantuomo, quello del
positivismo, che l'Etica sana dice sovversione, distruzione, negazione
della Moralità. Lo scopo dell' attività umana congegnata insieme nell’organismo
sociale è di produrre nella coscienza degli individui la Idealità morale
antiegoistica, atta a muoverne la volontà a fare il Bene. Fino a che
l'individuo, questa Idealità, non ha potuto formarsela, è un infelice da
compassionarsi, come il selvaggio che non ha appreso da una Società colta
a procurarsi ciò che forma il benessere e il decoro di un uomo. Si faccia
dunque ogni sforzo per isvolgerne le facoltà etiche onde egli goda del
bene di avere il carattere dell' essere morale. Una volta che Tuomo sia
tale, egli fa il Bene in virtù della Idealità, che è viva in lui e impulsiva
per sé del suo volere. Impulsiva per sé: tanto pel Bene della Giustizia propriamente
detta quanto per quello della beneficenza. Impulsiva sempre; ogni volta che si
presenti l’occasione di ravvivarsi nella coscienza. Operatrice del Bene nella
stessa misura della sua impalsività, ossia del suo esserci. Impulsiva
finalmente pel solo fatto di esserci; e senza la scappatoja immorale del difettò,
o nella promulgazione della Legge, o nella sua redazione negli articoli
del co" dice. Poiché, come dimostrammo già più volte,
l'Idealità morale, essendo essa la Giustizia potenziale, non segue
(come vaneggia la filosofia da noi riprovata), ma precede la Legge
propriamente detta; e quindi esiste nella coscienza (ancor prima della
redazione scritta di una Legge e della sua promulgazione) un suo dettato
e una sua annunciazione, che integra qualunque difetto della redazione e
della promulgazione positiva; e conseguentemente impedisce che la Legge e il
suo spirito siano ipocritamente dissimulati e dolosamente elusi. Il
Bene di perfezione non obbligatoria, la vecchia Etica teologico-filosofica, lo
ravvisò anche negli stessi atti della Giustizia propriamente detta.
E in vero essa insegna, come notammi^ altrove, che, se la volontà si
decide a questi atti unicamente perchè premuta dalla minaccia del castigo
sancito per essi, si ha solo la Giustizia e non la perfezione; e la
perfezione si raggiunge, eseguendo gli atti della Giustizia indipendentemente
dalla minaccia del castigo e per la pura soddisfazione di fare le cose
giuste. Ed è giustissima questa distinzione fra il primo e
il secondo genere della deliberazione volontaria rispetto ad un medesimo
atto obbligatorio. E l'etica positiva la ripete e la mantiene anche per conto
suo. E ne approfitta per argomentarne ad hominem contro TEtica vecchia. Poiché
questa colla distinzione in discorso (che è una prova della verità dei principj
della nostra Etica sperimentale) mette a nudo il proprio difetto per gli
artificj, ai quali deve ricorrere affine di conciliarla colle sue teoriche; e
per le incongfruenze che, malgrado gli artificj stessi, vi risultano. Notiamo,
per esempio, l’incongruenza relativa alla distinzione tra T atto di rigorosa
Giustizia e V atto gratuito, al quale essa annette il carattere di perfezione
morale. Qui non si tratta più di un Bene supererogatorio, e tuttavia vi trova
il carattere della stessa perfezione. La quale incongruenza svanisce subito
partendo dai principj da noi esposti dell'Etica positiva. L' essenza dell' atto
morale propriamente tale, ossia di perfezione, di un'atto che ecceda l' efifetto
diretto della minaccia del castigo, consiste, come dicemmo, nella attitudine
del volere a esegfuire l’atto indipendentemente dalla eccitazione esterna della
Sanzione del castigo minacciato. E questa attitudine si ha quando, per effetto
appunto della applicazione della eccitazione esterna medesima, a poco a poco si
ingenerò e si rinforzò la disposizione psichica impulsiva per sé; e tanto, che,
divenuta questa una autonomia morale, ha da sé quanto basta per agire, senza
bisogno di esservi ajutata dalla eccitazione della minaccia esteriore. Il che
in qualche maniera é ammesso anche dall' Etica vecchia, che pur riconosce la
detta spontaneità morale, ricorrendo però per ispiegarla al sogno della grazia
di dio, che sostituisca il timore del castigo all' uopo di muovere la volontà
al Bene. Coi principj dell'Etica positiva é dunque spiegata nel modo più ovvio
e conseguente 1' analogia che corre tra r atto della stretta Giustizia eseguito
per pura bontà d' animo, e l' atto della beneficenza in pari modo prodotto; e
come ambedue possano avere cosi egualmente il carattere della Moralità
perfetta. Molto più che è precisamente la spontaneità di operare la Giustizia
(ossia lo Giustizia potenziale) che, precedendola, promuove la legislazione
positiva colla relativa Sanzione costringente (come dimostrammo). Ed é la
stessa spontaneità che ne mantiene il vigore. Chi ha in sé l'amore alla
Giustizia si fa autore diretto o indiretto della Legge, la difende, e concorre
a renderla efficace e a vendicarla, se violata. E non impegna persé la forza
del Potere, lasciandola disponibile interamente all' utile comune della
Società. Dalle quali cose si trae un nuovo argomento in favore del principio
etico positivo in confronto col metafisico tradizionale. Nella formazione della
Moralità umana, secondo le cose dette, va considerato il momento disponente
alla formazione stessa, e il momento della Moralità già attuata neir animo. Il
momento disponente si ha nel cedere che fa il volere alla eccitazione che le
viene esternamente dalla sanzione della legge. Il momento della Moralità già
attuata si ha nella spontaneità acquistata dallo stesso volere air azione
giusta e buona senza il bisogno della suddetta eccitazione. Or bene: il
principio etico metafisico, onde la ragione deir atto morale è riferita al
motivo della pena e del premio, contempla la Moralità nel Momento disponente,
vale a dire quando essa non è ancora la Moralità già fatta: dove il principio
etico positivo, pel quale la ragione dell' atto è nell' Idealità sociale
impulsiva per sé, contempla la Moralità proprio nel momento nel quale essa
esiste veramente nella disposizione effettiva del volere. § VII. La virtic, il
merito e il premio. Ora poi, esposte le quattro considerazioni proposteci, e
confermata cosi e chiarita pienamente la dottrina positiva riguardante gli atti
cosidetti di carità o beneficenza, possiamo anche iritendere più compiutamente
e precisamente, che sia ciò che si chiama la viriti e il me-' rito, nel loro
senso distinto e proprio. Pl'lt.l.J Tr"»T' ^rIl merito è la proprietà
della virtù, come tale; e non del semplice atto morale. E la virtù è una
disposizione esistente realmente nell'uomo virtuoso. Il che, come sia, è chiaro
dalle cose dette sopra. Cosi la scienza è V attitudine particolare dello scien;
ziato. Ed essendo la virtù una disposizione reale dell'uomo virtuoso, questo
per ciò è un essere diverso dall'uomo non virtuoso; poiché in questo secondo
non esiste la potenza etica, che esiste nel primo. E questo vero è stato
riconosciuto (quantunque confusamente e in contraddizione col loro principio
(i)) dai moralisti della chiesa, in quanto per essi il merito e la virtù
richiedono la presenza nell'anima di una attività speciale, vale a dire di ciò
che da loro è chiamato, la grazia. Se qualcheduno osservasse che noi, col ricorrere
alle dottrine dei teologi cattolici per trarne una conferma dei dettati del
positivismo, tiriamo in campo insegnamenti già abbandonati dalla stessa
filosofia etico-metafisica che combattiamo, e che quindi facciamo opera inutile
(come anche oppugnando il dogma della grazia, che è voler sfondare una porta
aperta, non credendo ad esso oramai più nessuno dei moralisti metafisici non
teologi), soggiungeremo che la teoria dei metafisici non teologi non è che un
riflesso sparuto della dottrina teoloVedi Morale dei Positivisti Libro li,
Parte I, Capo II, n. 26, 27 e 28 (pag. 224 e segg. del Voi. Ili di queste _Op,
fil, nella ediz. del 1885, e pag. 234 e segg. nella edìz. del 1893 e del 1901,
e pag. 241 e segg. nella ediz. del 1908). •'^gica patristico-scolastica
precedente; e che ne ha ereditato i difetti perdendone i pregi; rimanendo cosi
una superficialità destituita anche di quel valore scientifico, che bisogna
pure riconoscere, anzi ammirare, nella metafisica ecclesiastica. Gli autori
della quale furono grandi pensatori che, se non poterono arrivare alla
soluzione positiva del problema morale (ed era impossibile al loro tempo e
nelle loro circostanze), ne ebbero però dei presentimenti. E il principale fra
questi pensatori fu S. Agostino vescovo di Ippona, il cui genio potè a ragione
essere messo allato a quello del divino Platone. La dottrina della grazia,
relativamente al fatto morale, è analoga alla dottrina della forza creativa,
relativamente al fatto fisico. Il corpo agisce fisicamente perchè ha in sé la
proprietà di farlo. Del pari l’uomo agisce moralmente perchè ha in sé la
proprietà di agire cosi. Per ispiegare V azione fisica gli antichi supponevano
la produzione della proprietà relativa nel corpo per parte della onnipotenza
divina. E così davano una ragione della azione fisica stessa quantunque falsa.
Il positivismo (come dimostrai nel libro della Formazione naturale nel fatto
del sistema solare) trova che la proprietà del corpo di agire fisicamente è la
stessa sua costituzione naturale. E così spiega Y azione fisica in modo analogo
a quello degli antichi: ma colla differenza che, dove questi considerano la
proprietà introdotta nel corpo arbitrariamente da dio nel crearlo (che è contro
l' insegnamento del fatto), il positivista considera la proprietà connaturale
al corpo medesimo. Nella evoluzione scientifica, onde si passò dalla
spiegazione antica della azione fisica alla positiva attuale, tra quella e
questa si formò una spiegazione ibrida e contradditoria; la quale, da una
parte, riconosceva l’appartenenza della proprietà al corpo, proclamandola
quindi una naturalità; e, dall'altra, riconosceva ancora dio quale primo autore
di ogni naturalità; il che è una incongruenza scientifica, ed è il vizio
capitale della dottrina teistica, come si trova ad esempio nel sistema del
padre Secchi.Tale e quale la storia della evoluzione della dottrina etica. La
virtù, o la proprietà psichica specifica dell'uomo morale, i teologi cattolici
la supponevano un dono santo e sovrannaturale di dio. Il positivismo invece trova
che tale proprietà santa è la stessa costituzione che potè acquistare la psiche
umana per 1* azione esercitata sovr' essa dalla Società; ed è quindi una
naturalità nel senso assoluto della parola. La dottrina ibrida intermedia dei
metafisici non teologi rende confuso econtraddittorio il concetto, pur semplice
e chiaro, escogitato dai teologi, della proprietà etica infusa come grazia
diviua. Rende, dico, confuso e contradditorio questo concetto in quanto, da una
parte, negano V intervento diretto dell' azione divina sulla volontà, e,
dall'altra, ne mantengono la indiretta. Il merito è l' indice della virtù. Esso
è quindi per ogni atto virtuoso in ragione inversa dell'intervento del motivo
estemo nella spinta alla deliberazione volontaria. Appunto come la virtù, la
quale, essendo la propensione ad astenersi dal Male e a fare il Bene
ingeneratasi neir animo per le vie già indicate, tanto più ha in W-Vfl«-JJJ
«.P., —sé di intensità quanto meno ha bisogno di essere mossa dal
costringimento della minaccia del castigo e dall'ade» scamento della
prospettiva di un vantaggio. Per conseguenza, minimo è il merito nelle azioni
buone dipendenti al tutto dalla diretta efficacia della loro Sanzione
esteriore: come in quelle che si fanno perchè imposte dalle Leggi positive. Ed
è massimo nelle azioni buone per nulla determinate da motivo di fuori: come in
quelle del Bene gratuito o supererogatorio, o di carità e beneficenza, per le
quali, o non esiste Sanzione positiva determinata, o, esistendo, non si
considera da chi le fa. Ma la stessa osservanza della Legge avente 4a sua
Sanzione può in un uomo, indipendentemente dal rigfuardo della Sanzione stessa,
essere determinatadallavirtùformatasi in lui di eseguirla solo perchè giusta,
come vedemmo sopra nella osservazione quarta, E così anche per questa
osservanza può aversi un grado di merito: e per questo distinguersi nella
Società il semplice galantuomo (o quello che non può essere messo in pri-»
gione perchè non fu còlto a delinquere) dall' uomo virtuoso, che è stimato non
disposto a mancare agli obblighi del cittadino anche aboliti il Tribunale e il
carcere. L' uomo, per la formazione che in lui si veri* fichi della energia
morale o della virtù, diventa un essere fornito di una eccellenzaparticolare;
cioè della eccellenza dignità o prerogativa d’essere morale. E il fatto è
analogo a quello, per esempio, della formazione della energia vitale nel corpo
materiale, per la quale questo si distingue fra le cose come ESSERE VIVENTE. Il
premio, in relazione alla Moralità, o è una sua causa, o è un suo effetto. Come
causa è la Sanzione allettatrice della quale parlammo nel paragrafo quarto al
numero sette. E con ciò si comprende percliè alla osservanza della Legge
imposta colla minaccia di una Sanzione punitrice, ed eseguita per evitarla, non
si addica la ragione di un premio, ma solo la esenzione dal castigo. Con questo
la Società si difende dalla offesa dell' individuo; dal quale si procura invece
l'opera utile della beneficenza colla offerta di un vantaggio. Dove è da
considerare che la offerta stessa, facendosi più per r utile dell' azione che
per la sua Moralità, non si differenzia da quella che si fa in generale per la
prestazione dell' opera volontaria da chi la desidera, cominciando dai premj
dei concorsi riguardanti o un libro, una cosa d' arte, o una invenzione
scientifica, meccanica, industriale, o un' impresa, e venendo fino allo
stipendio dell'impiegato e alla mercede giornaliera dell' operajo. Come
semplice effetto il premio è la conseguenza spontanea del merito; ed è
l’espressione onde altri lo riconosce. Sotto questo riguardo anche la semplice
osservavanza della Legge punitrice può avere una ragione di premio, se V
osservanza avviene nel senso detto sopra al numero sei, parlando dell'' uomo
virtuoso. E il premio consiate in questo caso, oltreché nella stima comune,
anche in ciò, che questo uomo virtuoso è considerato siccome il rappresentante
nato della Legge e del Diritto, come spiegheremo meglio in seguito. Il premio
conseguente al merito della virtù è una naturalità non determinata positivamente.
In generale si restringe alla stima e alla venerazione degli uomini pel
virtuoso; la quale non è altro che la reazione spontanea sociale di fronte al
Bene morale, e quindi si produce negli uomini in ragione che sono buoni, ossia
bene disposti moralmente. Ma alla detta stim^ e venerazione si possono
accompagnare anche vantaggi di posizione sociale e di benessere materiale. La
mancanza del premio o della espressione del riconoscimento del merito, quando
si verifica, è una ingiustizia, ma non distoglie dalla virtù chi ha la
proprietà di averla; essendoché la virtù è per sé, e basta a se stessa. E non
si addice il nome di virtù a quella disposizione a fare il Bene che sia
determinata proprio dalla sola idea di averne la rimunerazione; secondo V
osservazione sublime del Vangelo su quelli che fanno il Bene per essere veduti
e rimeritati dagli altri.Esso dice di loro giustissimamente, che rimangono così
senza il merito della virtù, essendo già pagati per quello che hanno fatto
egoisticamente in vista della ricompensa. Il che però non vuol dire che il
virtuoso non apprezzi la lode e l’ammirazione altrui e non se ne soddisfi.
Nobilissimo sentimento é questo di fare stima e di soddisfarsi del giudizio
morale degli uomini che apprezzano e ammirano la virtù; e più che di vantaggi
materiali anche grandi. E di ciò parlai nel mio Discorso su POMPONAZZI (si
vda), dicendo del pensatore, che esso ama la solitudine. Ma non perchè sia
privo di sentimenti benevoli, che anzi in lui si trovano più generosi; mentre
nulla tanto disavvezza dall' egoismo, quanto la scuola delle idee. ^^P". E nemmeno perchè non apprezzi la stima e la
lode degli uomini; che, invece, in nessuno la passione della gloria è più viva,
che in lui. E, nobilmente altero della sua oscurità, solo egli rinuncia
sdegnosamente all' onore, che si acquista colle umili arti. Sciolto cosi il problema propostoci,
riguardante r azione benefattrice e la virtù che porta ad essa, gioverà
fermarci a considerare il fatto dell' Ordine morale, e la naturalità della sua
formazione. Circa la FORMAZIONE NATURALE NEL FATTO DELL' ORDINE MORALE, in
quanto questo fatto è un Ordine, alle cose dette alla fine del Capo precedente
e a quelle più generali esposte nel libro della FORMAZIONE NATURALE NEL FATTO
DEL SISTEMA SOLARE e nel lavoro s\x\Y Inconosciòile di Spencer (4), qui ci
proponiamo di aggiungerne una nuova. L' insufficienza e quindi la falsità del
principio assoluto, che un Ordine qualunque naturale presupponga (Vedi pag. 51
del Voi. I di queste Op, fil, nella ediz. del 1S82, ^ P3&54 nell'edìz. del
1908). (2) \ VII. Vedi sopratutto V Appendice sul Caso e s%%%. del ). una Mente, che lo abbia
concepito anteriormente e predisposto, emerge: Primo. Dalla considerazione che
ciò che si chiama, la mente, è il fatto stesso della formazione psichica umana
svolgentesi da ciò che non è ancor tale: onde la stessa Mente è per tal verso,
essa pure, un effetto, come tutti gli altri avvenimenti naturali. Secondo.
Dalla considerazione che, se la Mente (sorta per graduale isvolgimento da ciò
che non era tale), è anch' essa la causa dell' Ordine che è subordinato alla
sua efficienzaspecifica, sono del pari cause di Ordini subordinati propri anche
tutte le altre formazioni naturali: anche quelle puramente meccaniche e
fisiche. Sicché la illazione che 5i fa per la Mente, come ragione dell'Ordine,
vale tanto quanto la illazione identica che si faccia per l'agente puramente
fisico e meccanico. E in effetto, se r analisi del fatto mentale vi discopre
gli elementi e le ragioni della sua efficienza ordinatrice, anche l'analisi del
fatto puramente fisico e meccanico vi rintraccia pure gli elementi e le ragioni
della sua analoga efficienza ordinatrice. Né più, né meno. Dalla considerazione
che I' efficienza ordinatrice della Mente, da una parte, si estende solo alla
sfera dell' ambiente da essa abbracciato, e quindi è impotente al di fuori di
questa; e, dall'altra, essa stessa suppone un ambiente maggiore nel quale si
forma e che la fa essere: un ambiente che é, non una Mente, ma qualchecosa di
puramente meccanico e fisico. Sicché, paragonando insieme le due formazioni
ordinatrici (cioè la formazione meccanico-fisica, e quella della Mente), la
prima è più ampia della seconda e quindi superiore ed anteriore ad essa. Dalla
considerazione che l'Ordine, che realmente si trova esistere in un dato punto
della natura e in un dato momento del tempo, non è V effettuazione di un
disegno, nel quale fosse stabilita la serie degli atti occorrenti alla
effettuazione stessa, fino all'ultimo, cioè a quello del compimento dell'
Ordine contemplato. No. Nella linea del tempo questo ordine ha la sua ragione
in un primo che è fuori della Mente: cioè nelle stesse possibilità di
svolgimento verso un Ordine proprie dell' essere naturale attivo. Nella linea
dello spazio poi 1' Ordine in discorso ha tante ragioni quanti sono gli
incontri fortuiti subiti dall' essere naturale attivo nel corso del suo
svolgimento; in modo che ad ogni incontro lo svolgimento stesso devia
accidentalmente dalla sua direzione precedente, e quindi V ordine ultimo non
corrisponde più alla virtualità Iniziale dell' essere che si svolge, ma solo a
quella diversissima e puramente casuale portata dall' incontro ultimamente
subito. In una parola, la Mente, né pone il disegno dell' Ordine, che è già
nell' essere naturale stesso, né lo eseguisce come l'aveva disegnato, poiché la
esecuzione sempre ne differisce per opera degli agenti naturali casualmente
concorrenti. Fra i quali può benissimo essere anche la mente stessa (che è pure
una attività naturale), ma 'solo con analoga accidentale efficienza. Ciò fu già
chiarito a lungo e dimostrato con argomenti positivi nelle trattazioni sopra
citate. Ora faremo un ragionamento che suppone i suddetti. ne discende e li
completa: ed è poi senz' altro la semplice constatazione logica del fatto dato
dalla osservazione. La teoria metafisica, onde si pone in una Mente la ragione
dell' Ordine delle cose, è basata sopra i due falsi supposti, che il disegno
finale della Mente preceda al tutto la esecuzione estema, e che l'adattamento
delle parti nel tutto reale effettuato sia stato determinato dal concetto
medesimo di esso tutto; sicché questo sia assolutamente un fine e le parti
siano assolutamente mezzi; e non il contrario. Il secondo falso supposto deriva
dalla osservazione superficiale ed illudente della specie già formata, che
apparisce come un ultimo, ossia come un fine. Anche perchè la specie è di una
stabilità relativamente grandissima per rispetto alla esperienza dell' uomo.
Egli, trovandone già r esistenza anteriormente alle mutazioni conosciute, la
immagina realizzata nella sua interezza attuale fino dal suo principio: e, non
essendogli dato di essere testimonio del suo trapasso in una specie nuova,
ritiene che sia destinata a durare inalterata fin che dura il mondo. E cosi si
forma il proprio concetto della specie, che, o sia come è, o non sia punto. E,
siccome la esistenza di una specie implica quella delle parti onde risulta,
cosi l'uomo pensa che queste non siano altro che i mezzi necessari al fine di
essa, e quindi siano il trovato ingegnoso di una Mente; la quale, formatasi da
prima il disegno della specie, sia passata poi a divisare le parti occorrenti
alla sua realizzazione. Il primo falso supposto poi deriva dalla esperienza del
fatto della Idealità dell' arte, che è qualchecosa di relativamente compiuto e
fisso, e che si comunica qual' è da uomo a uomo: e in un modo che uno avendone
la cognizione e segtiendone la rappresentazione mentale, è atto ad eseguire
addirittura, senza tentennamenti e prove imperfette, un' opera definitiva,
predisponendo e coordinando all'uopo tutto ciò che si esige. perchè riesca
nella realtà quale si concepisce. I metafisici fanno i due detti falsi
supposti, commettendo l’errore di considerare il tempo della osservazione
siccome una eternità, nella quale non sia differenza tra un momento e l’altro
della esistenza; mentre invece nella durata reale i momenti sono effettivamente
diversi l'uno dall'altro, ed essa nei precedenti va diventando ciò che risulta
poi nei successivi, cessando in questi quello che era nei primi. L'essere
naturale esiste trasformandosi (i); e, nella linea infinita del tempo, solo per
un tratto di questo si trova in una forma che svanisce col venire del
successivo. La specie è questa forma, instabile come il tempo del quale è
figlia. Si muta insensibilmente nel mentre che pare persista la medesima, come
il posto del Sole in cielo che sembra fermo a chi lo guarda. E ciò vale tanto
per la specie, quale complesso di parti, quanto per la parte coordinata nella
specie. L' una e l' altra soggiace del pari al fato del mutamento. E cosi n)
Vedi per ciò 1’Osservazione III del libro della Formazione naiuraie nel fatto
del Sistema solare e sopratutto il J X (p-ig. 193 del Voi. II di queste Op,
fil. nella ediz., pag. 204 nella ediz. del 1899, e pag. 209 nella ediz. del
1908). la parte viene ad essere, non solo un mezzo, ma anche un fine, come la
specie; e questa, non solo un fine, ma anche un mezzo, come la parte. Molto più
che nella natura nessuna cosa è tanto una specie, che non sia nello stesso
tempo semplice parte in una specie più grande; e nessuna cosa tanto è una parte
che non sia nello stesso tempo una specie per sé. E nella natura medesima non è
la esigenza a priori di una specie, destinata ad esistere, che abbia
determinato il farsi delle parti occorrenti alla sua esistenza, secondo il
divisamento precorso di una mente ragionatrice: ma è la esistenza avveratasi
delle stesse parti costitutrici che ha determinato la formazione della specie,
quale si trova in effetto nella realtà. Se le cause naturali relative
(indipendentemente affatto da un concetto della specie che non era prima della
esistenza reale di essa) non avessero prodotto le parti costitutive della
specie, questa non si sarebbe realizzata. E se le cause naturali avessero
prodotto le parti in modo diverso, la specie si sarebbe realizzata
diversamente. La CO-ORDINAZIONE quindi delle parti alla specie, come del mezzo
al fine, è una coordinazione a posteriori. Non può esistere la specie qual' è
senza le parti occorrenti; e se esiste la specie è solo pel caso avvenuto della
formazione delle parti richiestevi. Per ciò, se la parte è il mezzo a cui
consegue il fine della specie, questo mezzo non è un effetto (come è supposto
nella teoria metafisica della Mente che è determinata a ricorrervi dalla
necessità del fine della specie); ma è la stessa causa della specie. E quindi,
se si vuol chiamare la specie un fine, ciò va inteso come dell' effetto che
segue la sua causa, e non viceversa, come nella teoria che ripudiamo. Così, se
si avverasse che il tronco di un albero per un accidente qualunque cadesse
sopra un altro tronco in modo da stare sovr' esso in bilico, e questo fatto
dello stare in bilico lo si prendesse come un fine, apparirebbero mezzi per
ottenerlo la esistenza sotto il caduto di queir altro tronco colla sua
sufficiente resistenza a non piegarsi e rompersi, e T esservi dato sopra il
tronco in bilico col centro della sua gravità. Ma qui il detto fine, nessuno lo
direbbe la causa precedente del fatto; nessuno direbbe i detti mezzi degli
effettivenuti dopo, ossia divisati e predisposti da una Mente consecutivamente
al pensiero di avere un tronco in bilico sopra un altro. Non altrimenti è la
cosa nel fatto della Idealità e dell'Arte umana, e in genere di tutto ciò che
si chiama il disegno ordinatore della Mente. La Mente e il suo disegno sono
fatti della natura, analoghi a tutti gli altri in essa verificantisi nella
sfera biologica e nella inorganica; e quindi soggetti alle stesse leggi: sono
casualità, come la produzione di una specie o la caduta or ora accennata di un
albero sopra un altro. Quando un dato disegno è già un fatto compiuto, allora
certo può rimanere un certo tempo come è riuscito; ed essere trasmesso da uomo
ad uomo; e servire per produrre addirittura l’opera corrispondente, e per
predisporre e coordinarvi le parti come mezzi al fine dell'opera stessa; e in
modo che questo fine venga ad essere proprio la causa di dovere divisare i
mezzi relativi, e il divisamento di questi mezzi venga ad essere l’effetto di
aver voluto r opera. Ma ciò non succede soltanto per la mente e pel suo disegno:
che succede lo stesso anche per la specie fisica, una volta che sìa g^ià un
fatto compiuto. Una volta che esista g^à la gallina, essa potrà produrre un'
altra gallina. Cosi un bruco nato da un altro potrà fare un bozzolo simile a
quello che faceva il suoprocreatore. Un uomo, arrivato a comporre nella sua
Mente il disegno di una locomotiva a vapore, ha potuto costruirne una reale: i
meccanici in seguito poterono imparare quel disegno e costruirne delle altre.
Non potè succedere che la gallina procreasse altre galline prima che se ne
formasse la specie. E lo stesso del bruco. E lo stesso dell' uomo. Non potè
succedere che questo costruisse la locomotiva a vapore prima che se ne fosse formato
il disegno nella sua Mente. E come la specie della gallina e quella del bruco
non proruppero tali e quali dal nulla, secondo la credenza di un tempo, ma
furono la riuscita ultima di una serie lunghissima di gradazioni di svolgimento
dell'essere, che prima non era né gallina né bruco, cosi il disegno della
locomotiva a vapore della Mente umana, fu la riuscita ultima di un lavoro del
suo pensiero, che prima non era quel disegno. Né divèrsa nel fondo è la legge
della formazione nelle specie biologiche della gallina e del bruco e nel
disegno della mente umana. E analoga nei due casi è la ragione della potenza di
produrre la cosa a propria immagine e somiglianza, e di fare che nella cosa
stessa corrispondano allo scopo dell' essere suo i mezzi impiegativi. £ quindi
un libro che narri la storia della invenzione di una macchina è analogo a
quello che esponga la evoluzione formativa di una specie naturale. E, se, come
dicono i teisti, dio è 1' autore della natura, questa non serebbe altro che il
libro nel quale si può leggere ciò che esso è arrivato a inventarvi, una cosa
dopo l'altra, a poco a poco. Ma dobbiamo dimostrare e chiarire meglio la cosa. Un
uomo ha fatto bollire dell'acqua in un vaso. Ne ha visto sortire del vapore.
Per caso copre il vaso mente ritenta l' esperimento, e il vapore solleva il
coperchio. E l'uomo pensa allora: Dunque il vapore è una forza: e non si
potrebbe adoperarla a produrre un qualche lavoro? Sì certo. E si prova ad
applicare al coperchio del vaso un' asta, la quale, alzandosi il coperchio,
trasmette il suo movimento ad un corpo che essa urta. Ma il movimento così è in
un solo senso; e l' uomo immagina che si potrebbe averlo nei due contrarj di va
e vieni. E che perciò sarebbe necessario che il vapore spingesse il coperchio
una volta al disotto e un' altra al disopra. E quindi studia e trova il modo di
far passare il vapore dal vaso dell' acqua bollente, per un foro in un
cilindro, nel quale sforzi il coperchio medesimo ora al disopra e ora al
disotto. E allora gli soccorre V idea di applicare r asta, moventesi avanti e
indietro, ad una ruota per farla girare. E vi riesce praticando un foro
all'estremità libera dell' asta e applicandolo ad una caviglia fissata vicino
al centro della ruota. Ed ecco inventata la locomotiva a vapore. Ecco tutto. Il
disegno della locomotiva a vapore, la Mente non lo creò con un suo fiat. Quel
disegno in essa è r esito faticoso e lento di una serie di operazioni
succedutevi r una dopo T altra; e determinatevi da una serie di accidentalità
che la trassero fino al compimento della sua invenzione, che riusci una
sorpresa per la mente stessa che si trovò di esservi arrivata. Analogo è il
processo di tutte le formazioni mentali. La Psicologia positiva lo dimostra nel
suo studio della FORMAZIONE NATURALE NEL FATTO DEL PENSIERO in genere, e logico
in ispecie; su di che spero di pubblicare presto un mio lavoro g^à pressoché
ultimato. L'Estetica positiva lo dimostra nel suo studio della FORMAZIONE
NATURALE NEL FATTO DELL'ARTE, che mi duole assai non avere potuto ancora presentare
in un libro pel quale ho già preparato tutti i materiali. L'Etica sociologica
positiva lo dimostra nel suo studio Cosi ho scritto e ripetuto nelle edizioni
precedenti, quando aveva ancora la fiducia di poter ultimare il lavoro. La
speranza ora è quasi svanita. La circostanza di essere impegnato otto mesi
dell' anno per le lezioni mi lasciò sempre poco tempo per ciò che avrei voluto
fare fuori di esse. Gran parte del materiale preparato per la Formazione
naturale nel fatto del Pensiero mi ha servito pei tre libri del Vero^ della
Ragione e della Unità della Coscienza, E questi quindi possono supplire tanto o
quanto invece del libro promesso; che poi non ha cessato di preoccuparmi, come
apparisce dai lavori sull'argomento pubblicati nei Volumi IX e X di queste Op,
fU, Ptll della FORMAZIONE NATURALE NEL FATTO DELL’ORDINE
MORALE, che è l' oggetto della presente trattazione. 10. Ora è noto come la
scienza oggi, illuminata e messa sulla strada dal genio di Darwin, dimostri
avvenire allo stesso modo la FORMAZIONE NATURALE NEL FATTO DELLA SPECIE
organica: e per ciò mi devo rimettere ai libri che uq trattano. Anche qui si
rileva lo stesso processo di formazione, indicato per V invenzione del disegno
della locomotiva a vapore nella Mente umana, pei lenti e accidentali
ingrandimenti e tramutamenti di struttura e conseguentemente di funzione: la
stessa ragione, onde la formazione già ottenuta è riprodotta nella forma
raggiunta. E per la stessa legge, da me formulata nel libro della Formazione
naturale più volte citato, del ritmo che lentamente si trasforma per gli urti
esterni non concordanti, e indefinitamente si conserva in quanto non è
disturbato, e si trapianta fuori di sé, applicato come forza ad un altro essere
atto a riceverla. Ciò posto, riepiloghiamo il nostro ragionamento. Il piano
mentale è un meccanismo o apparato psicologico riuscito per aggiunte e
modificazioni cernali successive, indipendenti da un proposito consapevole del
soggetto pensante, e occasionato dalle azioni e reazioni accidentalmente verificatesi
tra esso soggetto e le cose ate. Vedi Formazione naturale nel fatto del Sistema
Solare Osservaz. Ili, J XIV.a
impressionarlo,come la specie della gallina è un meccanisfno o apparato
fisiologico riuscito per aggiunte e modificazioni casuali occasionate dalle
azioni e reazioni dell' ambiente in cui si è formata. L' apparato psicologico
del piano mentale serve alla produzione di un' opera a sua immagine e
somiglianza: come l'apparato fisiologico della specie della gallina serve alla
produzione di un individuo nuovo della specie medesima. Il fatto è come di uno
stromento che 1' arte della natura (cioè del complesso delle cause che esistono
in essa) ha preparato, nel primo caso entro la psiche deU r uomo, nel secondo
caso entro la vita della gallina, per produrre 1'opera relativa. Dunque nel
disegno della mente ciò che si chiama il fitte di esso (poniamo per la
locomotiva a vapore di muoversi della macchina sulla ferrovia colla forza di
trascinarsi dietro il treno attaccatovi) non è un primo, che la Mente si sia
proposta e che abbia motivato per essa il divisamento, al quale sia quindi
venuta solo dopo, delle sue parti, come deimezzi necessari al conseguimento del
fine medesimo: nel che si fa consistere la ragione di dover Nel Capo I della
Parte II del Libro I della Morale dei Positivisti, numero 3 ho mostrato potersi
definire la Psiche: Un mondo possibile^ che si presenta coyne il piano dell’opera
a chi ha da produrne uno reale. E precedentemente vi è dimostrata la casualità
della formazione del stessa psiche. Una cosa affatto analoga è V energia
specifica di un agente naturale fisico qualunque. Tale energia è un ordine di
proprietà costituite nella cosa per la stessa ragione della casualità della sua
formazione, le quali vengono ad essere la possibilità degli effetti che la cosa
è atta a produrre, e precisamente di un ordine di eff*etti corrispondente all'
ordine delle proprietà dalle quali dipendono. Fra la psiche e V agente puramente
fisico nel riricorrere alla Mentalità per ispiegare il fatto dell’ordine,
inteso quale divisamento dei mezzi necessari al conseguimento di un fine. Nel
disegno della mente, ciò che si chiama il fine non è un primo, ma un ultimo,
che vi si verifica posteriormente, perchè prima vi si è verificata la
cognizione dei mezzi. Nel fatto particolare della concezione del disegno della
locomotiva a vapore allo scopo di trascinare il treno ferroviario, la Mente che
vi è arrivata possedeva già la cognizione della forza del vapore; e del modo di
farlo agire sopra uno stantuffo si che ne risultasse un movimento di va e vieni
sopra un'asta; e del modo di convertire il movimento rettilineo dell' asta in
quello circolare di una ruota; e la cognizione, che un peso, gravitando sopra
ruote che lo portino è girino su guide di ferro, si trasloca con esse. Solo
dopo ciò, solo dopo che la Mente era già pervenuta alla cognizione di questi
mezzi, ad esso potè sovvenire l’applicabilità loro al fine di avere un motore
di un treno ferroviario. L'Ordine adunque anche nella Mente è un risultato
accidentale di concorrenze casuali nel quale i mezzi non spetto in discorso si
ha la sola differenza, che nella prima l'ordine mentale, causa dell'ordine
delle opere, mettiamo dell* uomo, è accompagnato dalla coscienza di sé, mentre
nel secondo 1' ordine delle proprietà attive, causa dell' ordine de' suoi
effetti, non è fornito di tale coscienza. Ma ciò non influisce punto ad
alterare la natura del processo della estrinsecazione, per così esprimermi,
della attività. Cosciente o non cosciente, l’attività funziona in un agente
sempre e necessariamente nel modo onde è atta a funzionare, ossiasecondo
lacostituzione propria dell'attività stessa nella intimità dell'agente che la
esercita. L sono determinati dal fine,
ma è questo determinato dai mezzi. E tanto, che supporre il contrario è
supporre ima impossibilità o un assurdo della dinamica della natura. E cesi la
tantovantata scoperta di Anassagora, che V Ordine dell'universo importi una
Mente ordinatrice, vale quella del suo predecessore Talete, che si argomentò di
ritenere doversi V attrazione della calamita pel ferro ad un' anima che vivesse
in essa, e ne determinasse questo effetto curioso. Se qualcheduno qui credesse
di sfuggire alla nostra conclusione, osservando che il pensiero che si
attribuisce a dio non è come il pensiero dell' uomo, sul quale noi facemmo la
nostra argomentazione, risponderemmo due cose: Primo. O il pensiero attribuito
a dio è qualche cosa di analogo al pensiero dell'uomo, e allora
l'argomentazione fatta su questo vale anche per quello: o non è una cosa
analoga, e allora non si può dire che sia un pensiero. Perchè a noi, quando
diciamo, pensiero, è impossibile concepire altro che non sia lo stesso nostro
pensiero. E poi non si può ancora in nessuna maniera fondarvi sopra r
argomentazione relativa all' Ordine, dal momento che questa è suggerita
precisamente (quantunque per semplice illusione) dal fatto dello stesso
pensiero umano. Secondo. Lo stesso fatto della natura poi smentisce
direttamente la supposizione della obiezione. E in che modo? Si dice: Concepì
dio il disegno del mondo e poi lo esegui creandolo: e tale subitoqualedoveva
essere poi sempre a gloria sua; e quindi coli' uomo, dotato per ciò da lui, non
solo del senso come il bruto, ma anche della ragione e del libero volere, che
lo rendessero atto a conoscerlo e a rendergli omaggio e culto spontaneo. E il
sistema era logico. Non aveva che il piccolo difetto di essere basato sul falso
supposto che il mondo attuale sia una formazione che persista immutabilmente:
tale al suo primo principio, tale ancora fin che ne dura la esistenza. Ma la
scienza s'è avveduta che la formazione quale ora si presenta, l'uomo compreso,
è una fasetransitoria della esistenza. E con ciò ha distrutto il sogno che
fosse r opera definitiva, nella quale si fosse realizzato appuntino il disegno
di una Mente divina. La scienza s' è avveduta, che lo stato attuale delle cose
è dovuto ad un processo continuo di formazione analogo a quello delle idee e
dell' arte dell' uomo, e che questo processo è determinato dalla attività intrinseca
delle stesse coseche si formano, e dal caso delle reazioni delle cose fra di
loro. E con ciò ha distrutto il sogno che siano r Ordine preveduto come fine in
una divina idea. I teisti, smentiti così nel campo degli Ordini della natura
fisica, si restrinsero a sostenere il loro principio della preordinazione della
Mente divina, nel campo dell' ORDINE MORALE; e credettero che quivi sarebbero
rim£isti eternamente inoppugnabili. Ma ahi! che anche qui la scienza li ha
seguiti e ha messo in evidenza la insostenibilità della loro tesi.La scienza
positiva dell' Etica sociologfica ha scoperto, come vedemmo, 1'analogia
perfetta che corre tra la formazione naturale in genere e quella della
Giustizia e del Bene morale in tutte le sue forme. Ha scoperto quindi che tutto
ciò che si riferisce all' Ordine morale, e r Ordine morale medesimo, sono il
prodottolento e progressivo {e vario secondo le dccidentalitàaccompagnanti)
della attività intrinseca dell' essere umano e delle reazioni degli individui
nella convivenza della Società. Il fatto
del Diritto (diversità, specie, co-ordinazione GRICEIANA) e il suo Ideale. Circa
la diversità del Diritto tra individuo e individuo, in ragione della
potenzialità non ugnale dall' uno air altro, alle cose dette nel libro della
Morale dei Positivisti {\) e superiormente in questo, un'altra importantissima
qui ora torna la opportunità di aggfiungerne. La diversità in discorso dipende
in parte dalla stessa costituzione fisico^psichica colla quale uno nasce; e per
questo riguardo si potrebbe chiamarla diversità inizicUe; e in parte
(grandissima) è il prodotto della convivenza sociale: e per questo altro
riguardo si puo chiamarla diversità riuscita. La quale poi alla sua volta
influisce pur anche indirettamente sulla disposizione iniziale della nascita.
L' argomento della diversità del diritto, considerata sotto il secondo degli
aspetti ora indicati, è vastissimo: ma noi qui lo toccheremo solo per ciò che
occorre allo scopo della nostra trattazione. Le specialità di condizione di un
uomo, dipendenti dalla sua relazione e convivenza cogli altri uomini uniti in
Società, sono moltissime; come ognuno sa. Per esempio, la ricchezza, la
parentela, la clientela, gli aderenti, gli amici, i conoscenti, T ufficio, il
grado, la cultura, il merito, le idee, e via discorrendo. Queste specialità di
condizione sono nello stesso tempo altrettante specialità di attitudini e di
potenza dell'uomo. E quindi anche, secondo le cose stabilite sopra, altrettante
specialità di Diritti di esso. Si verifica perciò nell'organismo sociale la
legge di tutti gli organismi, per la quale V elemento, che, considerato in
astratto e fuori dell' orgfanismo, è uniforme, una volta entrato a farne parte,
si diversifica per opera dell'organismo medesimo; poiché questo, fra le
moltissime funzioni delle quali un elemento ha primitivamente la potenzialità
indistinta, lo dispone e lo destina ad una data funzione distinta. Che è ciò
che si chiama anche il fenomeno della divisione del lavoro, ed è nello stesso
tempo ciò che altrove dicemmo corrispondere alla (i) Per esempio, nella
Formazione naturale nel fatto del sistema solarCy Osservazione III, § V (nel
Voi. II di queste Op, fil,). wf^'^vmmmifm^gg^ della varietà, onde si spiega T
attitudine alla esistenza e alla virtù formativa nella natura in generale e
negli organismi in particolare. Così vediamo che gli atomi polivalenti del
carbonio si costituiscono, negli organismi degli animali e delle piante, in una
serie di forme diverse di radicali: in una serie tanto più notevole per numero
e varietà, quanto più complicato e perfetto è l’organismo costruitone.
Nell'organismo sociale poi i suoi radicali (per adoperare questa espressione) o
le sue varietà elementari costitutive, o attitudini distinte di funzione, onde
emerge r essere suo complessivo quale organismo sociale, sono precisamente le
specialità di condizione dell' uomo sopra accennate: ossia quelle specialità di
potenza, che l'uomo vi assume: ossia le specialità dei Diritti, I quali
Diritti, nell' organismo sociale, in pari tempo, e lo costituiscono, e ne sono
determinati. In modo che la Società si può chiamare la procreatrice dei
Diritti, Come la pianta è la. procreatrice delle sostanze speciali necessarie
alla sua vita particolare; le quali, nello stesso tempo, e la costituiscono e
ne sono determinate. I diritti individuali, per tal modo nascenti e vigenti in
una Società, sono in numero immensamente gratide: e perchè i fatti determinati
sono moltissimi, e perchè questi si connettono insieme in maniere
differentissime, e perchè le attitudini emergenti si diversificano all'
infinito secondo le condizioni infinitamente diverse nelle quali si verificano.
Tuttavia si deve avere nella Società umana, in quanto è un organismo speciale
dato, una certa costanza nel numero e nella qualità dei generi secondo i quali
si possono classificare i Diritti. Allo stesso modo che nell'organismo
vegetale, per esempio, si ha una certa costanza nel numero e nella qualità dei
generi delle sostante componenti. La quale costanza però non sarà mai quella
delle Idee^ eternamente immutabili, di Platone; né quella delle specie, sempre
le medesime dopo la creazione, dei vecchi naturalisti; né quella dei Diritti ab
eterno ed immutabilmente stabiliti dal verbo divino, dell'etica metafisica: ma
sarà solo, come dicemmo, una certa costanza; e si che, da una parte, ammetta
una lenta trasformazione secondo i tempi le circostanze e i casi e, dall'altra,
nella realtà si verifichi sempre con qualche diversità, come il tipo di un uomo
o di una foglia, che non si effettua mai lo stesso in ogni uomo, in ogni
foglia. Il Diritto, che si forma nel modo suddetto, è il Fatto del Diritto; ma
non il suo Ideale, Un uomo esercita la propria potenza in quanto l'ha e in
quanto glaltriglielo permettono, o gli detta la Idealità sociale: che torna lo
stesso, dal momento che la Idealità sociale non è che 1' astratto della
reazione altrui e quindi del permesso dato dagli altri di agire. £ la forma
della reazione altrui e quindi della Idealità sociale, nella loro tendenza a
ridurre e trasformare la prepotenza egoistica originaria dell' arbitrio
individuale nella Giustizia antiegoistica del suo concc«:so nel lavoro
socialmente utile, sono continuamente in via di progressivo mutamento; come
spiegammo sopra, e come esige, secondo che pure avvertimmo più volte, la legge
universale della ^'«ifannipiiij I Formazione naturale applicata al caso
particolare della Formazione etico-sociale. Un uomo esercita la propria potenza
in quanto r ha e gli altri glielo permettono, o gli detta V Idealità sociale
regolante il suo operare. Ecco il Fatto del Diritto. La reazione sociale, e
quindi V Idealità mentale conseguente diretttiva dell' azione umana, va sempre
trasformando r arbitrio individuale dalla sua originaria prepotenzaegoistica
nella Giustizia anti-egoistica. £ questa Giustizia anti-egoistica, alla quale
tende la detta forza trasformatrice, è T Ideale del Diritto. Ma questo Ideale è
un termine al quale si può andare avvicinandosi sempre più, senza che si
effettui però mai perfettamente. E da ciò consegue: Che V Ideale assoluto del
Diritto non esiste realmente. Sicché è una assurdità il concetto di un
ordinamento morale definitivo, come porta la dottrina metafisica della
istituzione morale per parte di un legislatore divino, che la fissasse una
volta per sempre, e nei termini di una sognata Giustizia assoluta e quindi
irrefor-mabile. Che il fatto del Diritto è sempre una Giti^ stizia relativa: e
cioè relativa al lavoro di riduzione sociale precedente e alla potenza attuale
dell' organismo sociale derivatone. Ma tale Giustizia, quantunquesolamente
relativa quando sia rapportata ad un concetto astratto più perfetto dell'
organismo sociale, nella Società in cui vige ha valore come se fosse assoluta, perchè
essa giùdica, non in base all' Ideale o di un' altra Società o di una Società
possibile più perfetta, ma in base al Fatto che si è già verificato in essa.
Che ogni Diritto di fatto è nello stesso tempo in parte una prepotenza
ingiusta, che si tende ad eliminare, e si va sempre più eliminando. E ciò, sia
regolando meglio il fatto medesimo, sia, quando occorra, togliendolo del tutto.
Senza questi criteri è affattoinspiegabile la storia del Diritto, e il processo
legislativo delle Società. Tale processo, senza questi criteri, apparirebbe,
non la Giustizia in azione (come è realmente, e non può non essere), ma la
ingiustizia incaricata di creare la Giustizia. E con questi criteri poi si
spiega il fatto storico della evoluzione sociale procreatrice del Diritto più
utile e più giusto. La quale evoluzione quindi, secondo i criteri medesimi, si
può dire consistere in ciò, che il Diritto dell' avvenire, ossia il Diritto
ideale, combatte e vince il Diritto delpassato, ossia il Diritto di fatto. L'
Ideale assoluto del Diritto dicemmo che non esiste realmente. E che nella
realtà non si ha, dell'Ideale del Diritto, se non una effettuazione incompleta.
E da ciò potrebbe altri dedurre, che il Diritto di fatto sia un relativo il
quale supponga un assoluto: e che questo assoluto sia l'Ideale o il tipo
eternamente determinato del Diritto, che la mente o possieda gfià o abbia la
possibilità di possedere quandochesia. Ma anche ciò è un errore. L'Ideale del
Diritto non è un tipo assoluto o eternamente determinato, nemmeno come semplice
mentalità. L' Idealità del Diritto è, anch' essa, un fatto, come quello del
Diritto effettuatosi realmente. U Idealità del Diritto presiede si, come
mentalità direttiva, nella produzione del Diritto di fatto, ma è pur sempre un
fatto anch' essa. Solo che questa Idealità è un fatto della mente, dove il
Diritto effettuatosi realmente è un fatto della costituzione già vigente
esteriormente in una Società. Ed essendo un fatto ha le proprietà di tutti gli
altri fatti jn quanto tali: cioè di essere casuale e quindi relativo. Il tipo
ideale del Diritto è come tutti gli altri tipi ideali. Per esempio, come quello
del disegno della crea-zione supposto nella mentedi dio, del quale abbastanza
ho discorso nel libro della Formazione naturale, E come, quello dell' arte;
mettiamo dell'Architettura: che (per una serie di casualità) è riuscito diverso
nell'India, in Egitto, in ROMA, in Germania, e via dicendo; e pur nello stesso
paese non fu mai identico affatto nemmeno nella stessa epoca, e nemmeno in due
soli architetti, anzi nemmeno nello stesso architetto in tutta la sua vita. Il
tipo ideale del Diritto, come tutti quanti i tipi ideali, è una formazione
mentale, che apparisce un dato momento per una accidentalità che la suggerisce;
vi si perfeziona poi in una data maniera per altre accidentalità che guidano la
mente a farlo; e un dato momento poi si oblia e si sostituisce con altri
diversi e opposti, ancora per delle accidentalità che ve la inducono. E tanto,
che il tipo ideale stesso non è quindi determinabile a priori, come un vero
preesistente inmodofisso e inalterabile nella mente di ognuno: ma solo a
posteriori, cioè come 1' astratto di tutti i tipi conosciuti veriVol. IV. 16 ficatisi
effettivamente nelle Società umane d’ogni tempo. A quella maniera che il tipo
del vegetale non si può avere se non pel confronto mentale fra le forme reali
che effettivamente s* è dato che se ne producessero. IO. Che se altri dicesse
che il tipo ideale del Diritto è assoluto in quanto è il corrispettivo
necessario etico-sociale di una entità reale, cioè dell' uomo e della sua
convivenza nella Società, risponderemmo: Primo. Che la reale entità stessa,
dell' uomo e della sua convivenza nella Società, determinante necessariamente
il tipo ideale del Diritto, è ancora una somma di accidentalità, che si rileva
a posteriori, e non si prefigge a priori. Secondo. Che il tipo ideale del
Diritto sipresta al concetto di essere il correspettivo necessario del fatto
sociale, non come il disegno preesistente di ciò che non è ancora succeduto; ma
solo come V astratto rilevato dopo (i) Su ciò ho scritto nella Psicologia come
scienza positiva (Voi. I di queste Opev e filosofiche) un tratto che stimo
opportono di ripetere anche qui: « Anche nel dire, idealità, il filosofo
positivo esprime un concetto armonizzante i veri imperfetti di diverse scuole.
La scuola psicologica dà l'idea, come una mera forma del tutto soggettiva,
accidentale e variabile del pensiero. La scuola ontologica le assegna un valore
oggettivo, immutabile ed assoluto. La scuola storica ricorre per ispiegarla
alle relazioni dell'uomo colle condizioni esterne in cui vive, per cui le
attribuisce una semioggettività, e la considera, da una parte contro i
psicologi, non una creazione facile ed efimera dell' individuo, ma una
produzione faticosa,lenta, durevole della Società, e dall' altra contro gli
ontologi, non una intuizione che la riveli d' un tratto nella sua interezza ed
in una forma unica sempre e per tutti, ma una formazione progressiva e varia,
che incomincia dall' abbozzo per venire al lavoro sempre più finito; e che
riesce con aspetti diversi, secondo le circostanze differenti dalle quali
•*-^..r9,rr-frdi ciò che è già succeduto. Onde il ricorrervi che fanno i nostri
avversari è un circolo vizioso. Diritto è in virtù di se stesso, gioverà qui
ripetere, in forma appropriata a questo punto del nostro discorso, ciò che
pursopra sotto vari aspetti dimostrammo. Quello che può un uomo, che fa parte
di una Società, è una forza, che vi si pone da sé col solo fatto che r uomo
medesimo ne faccia parte; e che vi emerge in quanto non vi è elisa dal
contrasto dei consociati. Come già dicemmo più volte. Emergendo la forza di un
uomo nella Società, vi è dipende. Or bene anche nel filosofo positivo l' idea è
una formazione lenta, progressiva, durevole, non dell' individuo, ma della
società, e dipendente dalie esteme condizioni di essa, ma solo in quanto queste
condizioni esterne e l'opera sociale giovano a dare eccitamento e rinforzo al
pensiero individuale, il quale è il vero fattore dell' idea, secondo chedicono
giustamente i psicologisti. Ma l' individuo e la società, producendo l' idea,
non fanno opera capricciosa, ed avente solo valore momentaneo e soggettivo. No:
tale lavoro ha la sua ragione nella stessa natura per la quale agiscono, come
la forma che assume il seme germogliando. E come la forma assunta dal seme per
la germogliazione, più che se stessa, rappresenta queir ordine di cose, che ha
determinato la formazione della specie vegetale a cui appartiene, cosi r idea
di un uomo, più che 1' operazione accidentale, soggettiva, variabilissima di
esso, rappresenta, secondo che dicono giustamente gliontologisti, queir ordine
assoluto e immutabile, almeno quantola natura, nel quale è la ragione oggettiva
del fatto particolare, che consideriamo. Vedi per esempio nel Capo I, dove
parlammo della Giustizia potenziale y e nel Capo II, dove parlammo della
derivazione della Giustizia dalla prepotenza. «Triconosciuta: o estrale
galmente nel tacito consenso degli altri uomini, e nell'uso, e nella esplicita
manifestazione dell'opinione pubblica in qualunque modo approvante: o
legalmente nelle forme stabilite dal Potere sociale riconosciuto come tale. E
pel detto riconoscimento la forza in discorso acquista il carattere di Diritto,
per la ragione che importa la Responsabilità di chi la lede verso la Società,
la quale, col suo riconoscimento, se ne è costituita tutrice e vindice. E
quindi è falsa V idea che il Diritto emani assolutamente dall'Autorità
superiore, che lo doni o lo conceda air inferiore. Non emana da essa: esiste
potenzialmente prima e indipendentemente e malgrado di essa: si impone da sé: e
sforza la stessa Autorità ad ammetterlo col riconoscerlo e sancirlo. E anche
questo dicemmo già più volte. Ma ci occorre ora di far notare un fatto
essenziale alla dottrina della sociologia positiva, non ancor rilevato: il
fatto cioè che il Potere sociale crea pur esso direttamente dei Diritti
individuali. E, dato questo, si domanda: come si accorda questo fatto col
suddetto principio della emanazione del Diritto dall'individuo e non dalla
Società? Facile è la risposta. Il fatto della creazione di un Diritto
individuale per parte del Potere sociale si accorda col principio in discorso
per la ragione che questo Potere, nel caso qui contemplato, può porre il
Diritto neir individuo in quanto può fornirlo di una forza; e in quanto questa
forza, che l' individuo ha ritratto dal potere che gliel' ha fornita, sia
riconoscibile quale Diritto come le altre forze possedute comecchessia dall'individuo
medesimo, e dalla società rispettate o difese. In ogni caso il fatto del
Diritto di un uomo neir organismo sociale è analogo a quello delle proprietà
acquistate dall' elemento materiale quando é entrato a far parte di un
organismo; e, per un esempio, dalla molecola combinata nel tutto di una
sostanza, che acquista la forza specificamente funzionante della sostanza
medesima solo perchè è divenuta V elemento di essa. Nell’organismo chimico di
una sostanza V elemento è la molecola, come neir organismo sociale l’elemento è
la persona di un uomo. L' organismo intero, neir un caso e neir altro, e' è
solo pel rapporto della forza di un elemento con quelle degli altri; ossia per
orientarla secondo la coordinazione acconcia di tutte. Il che però non esclude:
Primo. Che, coordinandosi nella complessa azione dell' organismo le forze
proprie degli elementi, ognuno di questi non ne ceda un tanto a formare delle
somme comuni, che poi siano distribuite di nuovo nelle parti in ordine alle esigenze
generali dell' organismo. Secondo. Che l' individuo stesso non dipenda (e in
quanto giunge all' acquisto di tutte le forze onde riesce rivestito, e in
quanto le conserva e ne usa liberamente) dall' ambiente sociale, nel quale
trova il mezzo dell'acquisto e della sua gsiranzia. Sicché per questo lato (ma
per questo solamente) è vero il principio della derivazione del Diritto neir
individuo dalla Società e dal suo Potere direttivo: e come, per esempio, nella
sostanza del chimico, nella quale, in virtù della sua costituzione, le forze
sono condotte ad assommarsi in certi punti determinati, e in certa maniera; e
poi anche V acquisto e la costanza della forza specifica operante negli atomi
dipendono dall'esservi co-ordinati (“dove-tailed” – H. P. Grice). Il diritto è
la facoltà del bene sociale. L’esercizio del diritto è la funzione del bene
sociale. Dalle cose dette apparisce, che il Diritto è la facoltà del Bene
sociale; e che l'esercizio del Diritto è la funzione del Bene sociale. E ciò, o
solo indirettamente, o anche direttamente. Solo indirettamente, in quanto la
facoltà individuale sia puramente V egoismo contenuto nei limiti inoffensivi per
gli altri e producente il Bene dell' individuo investitone; che torna il bene
della Società, e perchè è il Bene del suo elemento, e perchè se ne possono
giovare e se ne giovano anche gli altri. Come nel fatto di una industria, che
arricchisce l'industriale, e quindi anche il paese, e offre nello stesso tempo
un utile e un comodo ai consumatori de' suoi prodotti. E anche direttamente, in
quanto la facoltà individuale sia quella che corrisponde alla Idealità
antiegoistica; la quale, come si estenda in urla Società adulta e colta e bene
ordinata e fiorente, vedemmo sopra; dove anzi dimostrammo che, se si tien conto
di tutte le gradazioni della Idealità e delle disposizioni anti-egoistiche (da
una minima che lavori insieme con un massimo di egoismo, ad una massima che
lavori insieme ad un minimo di ego-ismo), si trova in tutto ciò che può fare e
fa r individuo sociale. Il Diritto costa una contribuzione, I.Ma, se, da una
parte, l'individuo è investito di una potenza o di un Diritto (del quale usa
poi facendo, o indirettamente, o direttamente, il vantaggio altrui) dall'
altra, la stessa potenza o Diritto costa una contribuzione per parte degli
altri. E questa una legge naturale correlativa alla sopra accennata e
necessariamente ad essa collegata. Si piglia; ma si deve dare. Si dà; ma si
piglia per poter dare. Questa legge dell' organismo sociale non è altro cioè
che r applicazione al caso particolare di esso organismo della legge che domina
in tutti gli organismi, anzi in tutta la natura, dove una forza, posseduta da
un agente che funziona in virtù di essa, è, non una forza creata dal nulla neir
agente medesimo, ma comunicata ad esso da altri agenti, che gliela cedono in
ragione dei rapporti correnti fra quello che cede e quello che acquista; come
ho dimostrato nel libro della Formazione naturale, parlando del ritmo. Il VEGETALE
si appropria l' acido carbonico che lo at[Vedi Formazione naturale nel fatto
del sistema solare^ Osservazione terza. (nel Voi. II di queste Op. Jil.J.] tornia,
e con esso mantiene LA VITA. Gl’animali maggiori vivono cibandosi dei minori.
Nell’organismo di un mammifero alcune parti lavorano a preparare il sangue, e
le masse nervose ne fanno consumo. Impossibile l’attività specifica nervosa,
necessaria al funzionamento generale dell’organismo e anche a quello
particolare delle parti preparanti il sangue, senza la contribuzione di queste
alla nutrizione dei nervi mediante la somministrazione del sangue acconciamente
preparato e distribuito. Parlando in particolare dell’organismo sociale, la
partecipazione al contributo di ciascuna parte è in ragione della importanza
del Diritto, e quindi della facoltà di produrre il Bene sociale. Più è r
importanza del Diritto, e più è la facoltà di produrre il Bene sociale. Più è
questa facoltà e più è la partecipazione al contributo delle parti. Come nel
resto della natura, dove si trova che le funzioni più elevate de* suoi agenti
costano un immagazzinamento di forza tanto più grande quanto più distinta è la
forma e ìa sfera della efficienza. Risultando cosi una proporzione di
equivalenza tra la natura che dà e quella che riceve. E in questo modo, che al
più della contrizione apportata corrisponda il più della importanza della
attività emergente. Per la stessa ragione il Diritto di un ordine superiore,
quello ad esempio di un Giudice, costa una contribuzione per parte di quelli
sui quali ha giurisdizione. Sicché il Giudice mangia dei frutti della terra che
essi hanno lavorato, come il sistema nervoso consuma del sangue che fu
preparato da altre parti dell'organisme animale. PPP^P"?!'^. Come molto
movimento equivale a poco di calore, e molto calore a poco di attività chimica,
e molta attività chimica a poco di attività vitale, e molta attività vitale a
poco di pensiero; cosi, nell'ordine etico della natura, a molta materialità
(intendendo con questa espressione le forme inferiori della esistenza)
corrisponde poco di attitudine morale: poiché, nella gradazione delle
formazioni naturali e quindi delle equivalenze delle forze, i suoi poli opposti
possiamo rappresentarceli, o andando dal movimento meccanico al pensiero, che
ne è l'ultima trasformazione, o andando dalla materialità alla moralità, che è
r ultima e più sublime sfera della evoluzione ascendente della natura insensibile
e bruta. Naturale è questo fatto della contribuzione delle parti nell'organismo
sociale. E quindi, non effetto solo di arbitrio o prepotenza di alcuno, ma
necessario; a quel modo che è necessario l'assorbimento del carbonio per parte
del vegetale, e il consumo del sangue per parte dei nervi. E naturale il fatto
stesso; ed anche giusto, in quanto è, direttamente o indirettamente, consentito
ed approvato da quelli che contribuiscono. Ed è consentito ed approvato da
questi per la legge, rilevata dagli economisti, della domanda; la quale, come
tutti sanno, consiste in ciò, che più una cosa importa a molti e più è
domandata; e tanto più si paga quanto più [Intendendo questo nel senso della
filosofia positiva e non in quello della metafìsica materialistica. Come spiego
da per tutto nei miei libri, e più a lungo in quello col titolo V Unità della
Coscienza nel VII voi. dì queste Op. fil. iiu^.i'i>nn^ si domanda; ma si paga quanto occorre per
averla e non più. Questa legge poi, che determina nei suoi limiti necessari la
contribuzione assentita e giusta nell'organismo sociale, è analoga alla
fisiologica, onde un tessuto vivo si impadronisce delle sostanze che lo nutrono
nei limiti determinati dallo stesso bisogno della funzione domandatagli. E
quindi il fatto in discorso deve essere considerato come un caso speciale di
selezione naturale; che si potrebbe chiamare la selezione etico-sociale. E
dalle cose dette si conferma e si chiarisce viemmeglio la dottrina sopra
esposta, che il Diritto individuale è pur esso una autorità (i). Poiché, come
vedemmo, il Diritto individuale si impone a tutti quelli che contribuiscono
all' essere suo; e agli eguali, che lo riconoscono e lo rispettano; e agli
inferiori, ossia a quelli che, in ragione dei rapporti nascenti dalla sua
speciale natura, ne subiscono una dipendenza e una direzione; e al Potere
sociale subordinante, in quanto questo non lo crea ma lo riconosce, ed è
determinato a riconoscerlo dal fatto stesso di porsi da sé; onde, una volta che
si sia posto, viene ad essere realmente Diritto in virtù di se stesso. Le unità
minime, le unità medie, e l’unità massima nel corpo sociale. L’individuo è l’unità
minima del composto sociale, come l’atomo del composto chimico. E, come in
tutti gl’altri organismi naturali, cosi nel sociale, oltre le unità minime
degli individui sociali, e Munita massima dell' intero organismo, si trovano
delle unità di mezzo di terzo grado, risultanti di più individui associati
particolarmente fra loro, o di più di queste associazioni di individui
collegate particolarmente in federazioni più grandi. In unaSocietà adulta,
fiorente e grande, la vita del tutto si manifesta nelle più svariate e
spiccanti differenziazionidelle attitudini e conseguentemente dei Diritti
individuali, come accennammo or ora. Anzi la grandezza della Società è, alla
sua volta, il risultato di tali varietà o specificazioni di attitudini; ovvero
di tale divisione di lavoro, verificatavisi: come in ogni altro organismo; per
esempio, in quello fisiologico dell' uomo, nel quale la eccellenza zoologica
sopra gli altri animali dipende da una suddivisione di specificazioni in
massimo gradodegli organi componenti. In un animale del grado infimo della
scala ZOOLOGICA la sostanza componente (come avvertimmo nel principio del
libro) non è né muscolo ne nervo: come in una Società umana primitivissima
tutti gli individui sono, mettiamo, dei guardiani d' armenti: e non vi si trova
una distinzione di occupazioni, per salire, pogniamo, da uno che attende a far
pascolare le oche ad uno che attende a costruire stromenti di ottica o di
astronomia. La differenziazione in discorso nella Società più pro-gredita va,
si può dire, all' infinito. E non solo nelle unità minime degli individui, ma
anche nelle combinazioni medie già dette delle associazioni degli individui e
delle confederazioni di queste associazioni. Le quali pure, nelle Società
adulte fiorenti e grandi, si producono, per cosi dire, anch'esse all' infinito:
dalle più comuni, normali, e costanti, come quella della/amiglia, alle più
insolite, accidentali ed efimere, come quella ad esempio per dare una volta una
festa o uno spettacolo: dalle più piccole, come di due persone in una impresa
commerciale, alle più grandi, come di due provincie di uno Stato tra loro
consorziate per interessi speciali. Or bene, anche queste unità medie sono (al
modo che una data somma, come tale, si distingue dalle singole quantità
sommate, considerate ad una ad una) soggetti distinti in possesso di una
facoltà speciale, analoga alla individuale, a somiglianza di ciò che pur si
verifica neglialtri organismi naturali: nei quali, per esempio, la cellula
nervosa singola ha le sue proprietà particolari, e una data massa distinta di
cellule nervose ha un dato ufficio distinto fisiologico, che essa esercita in
quanto esiste e si conserva nella peculiarità del suo insieme. E siccome poi il
possesso di una potenza di fare importa il possesso di un diritto, come
dimostrammosopra,cosinellaSocietà si danno i Diritti degli individui e i
Diritti delle stssociazioni loro. E questi Diritti delle Associazioni hanno le
proprietà già notate dei Diritti individuali più quelle dipendenti dalla
specialità proporzionale della associazione. Delle quali ultime proprietà una
massimamente occorre che sia qui messa in rilievo. L' individuo, in astratto,
si può considerare siccome un plasma generico, il quale, nell' ambiente sociale
e nel circolo della sua vita, secondo le disposizioni già possedute nascendo, e
le circostanze accidentali nelle quali viene a cadere, riceve una particolarità
di impronta distinta e tutta sua. Nel che ha luogo un fatto di selezione
naturale: cioè la selezione naturale onde una unità sociale si sceme quale
individualità distinta fra altre unità. Anche l’agglomerazioni di più individui
in associazioni o totalità distinte sono determinate e foggiate, con grandezze,
tendenze e attività particolari, neir ambiente sociale, secondo i bisogni ed i
fatti, e costanti e accidentali, onde emergono, per una analoga selezione
naturale distinguente un composto singolo fra altri composti. Ma in questo
composto (o unità media, come sopra lo chiamammo) ha luogo un' altra forma
della selezione naturale: cioè quella che, neir interno stesso del composto,
diflFerenzia edistingue fra loro le parti componenti: e si che esso composto
riesca un organismo e non rimanga una semplice agglomerazione inorganica di
elementi tutti identici fra loro. E questa forma di selezione si potrebbe
chiamare selezione interorganica. La unità sociale da noi detta media non è
puramente un certo numero di parti addizionate le une alle altre, ma è una
collaborazione organica degli individui o dei sodalizi aggregati insieme; e
quindi con diversità di attinenze e di facoltà distribuite fra loro. Altri
fanno numero, contribuiscono e concorrono a mantenere T associazione: altri
invece la rappresentano, la dirigono, ne applicano le forze accumulatevi. E,
occorrendovi specialità di lavoro e di ufficio, queste vi sono divise quali
negli uni e quali negli altri. E, come è naturale la creazione di queste
differenze interorganiche delle parti costitutive delle unità medie, cosi è
naturale la selezione interorganica dalla quale dicemmo che proviene. Questa
selezione interorganica, come insegna la osservazione del fatto, avviene in
diverse maniere secondo i casi; ma soprattutto secondo la legge, che riesce a
una data facoltà ufficio chi piti vi ha attitudine, o ne ha il merito, e colla
condizione del consentimento degli associati. Il fatto del merito, onde uno
acquista una prerogativa o una particolarità d'ufficio a preferenza di altri, è
analogo a quello notato da Darwin della specie prevalente nella lotta per la
esistenza. Il fatto del consentimento degli associati è analogco air altro,
pure da Darwin segnalato, dell’efficacia dell'ambiente nel secondare la
trasformazione progressiva dell' essere naturale. L' individuo investito di nna
facoltà o di un ufficio in un corpo di individui o di sodalizi viene con ciò ad
avere due sorta di facoltà o di Diritti: cioè il Diritto fondamentale spettante
a lui come parte elementare della Società intera, e il Diritto avventizio, onde
è investito come organo speciale della associazione particolare a cui
appartiene. Il Diritto fondamentale ha il suo rapporto immediato colla
costituzione generale delle Società che lo garantisce direttamente a tutti
senza distinzione: T avventizio V ha con quella della associazione particolare
per la quale emerge; ed è garantito dal potere sociale supremo in quanto esso
riconosce il Diritto della medesima associazione particolare. Se privato si
dice ciò che è proprio della unità sociale minima, come tale, e pubblico ciò
che è proprio della unità massima, parlando delle unità medie si dirà che hanno
un carattere di mezzo tra i due, e gradatamente; in ragione cioè della
importanza loro, intensivamente o estensivamente, nella vita sociale
complessiva. Il pubblico poi si differenzia in genere dal privato in quanto ha
un rapporto diretto col Bene, non individuale, ma sociale; ossia è, non
egoistico, ma antiegoistico. La proprietà quindi di ente morale anti-ego-istico
compete massimamente alla unità più glande o allo stato. E se, come sopra
dicemmo, il Diritto in genere è \2l facoltà del Bene sociale e il suo esercizio
è la funzione del Bene sociale, ciò si avvererà meno pel diritto privato, più
pel Diritto delle associazioni sociali intermedie, e in grado più alto pel
Diritto dello Stato. Ma non diremo che per questo Diritto dello Stato il
principio si avveri proprio nel grado massimo, per la ragione che, come sopra
dicemmo n), uno Stato singolo, o già in effetto, o almeno in potenza, si
coordina internazionalmente con altri Stati, anzi con tutte le Società umane
esistenti sulla terra. La selezione interorganica nella evoluzione formatrice
dello Stato. La legge della selezione interorganica, che si avvera nella
costituzione degli organismi delle unità com[Dove parlammo del Diritto internazionale]
-plesse medie, si avvera poi per le ragioni medesime nella costituzione dell'
organismo della unità massima dello Stato. Ed è per essa legge che ha luogo in
questo la formazione del Potere onde si esercitano le sue fimzioni
subordinanti, che sono poi funzioni del Bene sociale. Questa selezione assume
storicamente forme svari atissime. Ma anche la varietà è determinata da una
ragione costante, che si rivela chiarissimamente nella storia politica degli
Stati, e che non è altro che una applicazione del principio nostro fondamentale
della formazione eticosociale, che cioè la prepotenza è V indistinto onde si
forma il distinto della giustizia, E in vero nello stadio iniziale, o della
prepotenza, la selezione formatrice del Potere sociale è dipendente dalla
violenza, che a poco a poco si mitiga nella eredità, finché da ultimo è
sostituita, prima in parte e poi del tutto, dalla elezione (per parte dei
subordinati, e in modo legale e pacifico) dei più degni, in ragione del merito
morale e della Giustizia e non del soprastare materiale della ricchezza o della
forza dei muscoli: e si che riesca investito dell' ufficio chi si trova piti
atto ad esercitarlo, e che il Potere nella direzione del corpo sociale sia quel
premio del virtuoso. Il costante e vivissimo lavoro evolutivo dell'organismo
dello stato italiano, onde si ha la sua formazione naturale e il suo sviluppo e
isuo progresso, è l’applicazione nel grado massimo del principio della formazione
. morale, cioè, dall' indistinto (morale solo virtualmente) della prepotenza e
dell' egoismo, al distinto (morale in atto) della Giustizia anti-egoistica, ma
cooperativa. Più procede la formazione organica dello Stato e più si estende e
arriva in tutte le parti e nel!' intimo di esse la virtù direttiva e moralmente
perfezionatrice della Sovranità politica. In modo che, dove prima le parti
erano agglomerate e coacervate e tenute in fascio violentemente, a poco a poco
vanno organizzandosi vitalmente insieme e finiscono coli' aderire 1' una con V
altra, e tutte nel tutto, volontariamente e per libero consentimento. Come, per
esempio, le molecole di certe sostanze, che fanno sentire la loro affinità e
aderiscono insieme a formare un cristallo solo in seguito ad una compressione
che le sforzò a ravvicinarsi meccanicamente. Il quale processo però va di pari
passo con quelr altro; che le parti stesse subordinate, di mano in mano che si
orientano nella armonia politica dello Stato, diventando partecipi e
collaboratrici della sua vita, reagiscono sul Potere sovraincombente, rintuzzando
la prepotenza, che vi fosse, e riducendolo ad una forza giusta e morale; ad una
forza, in una parola, diretta al Bene di tutti. Non è nostro compito (non
richiedendolo lo scopo del presente saggio) di studiare i modi precisi onde,
per la elezione interorganica, e pel processo di distinzione, si va formando
nell' organismo dello stato l’ordine del Potere, che riesce un sistema
complesso di funzioni speciali esercitate da individui e corpi particolari; e
come nasca il fatto, mettiamo, della divisione del governo in diversi
ministeri, e di ciascuno di questi in parecchie dipendenze, alle quali,
variamente e per mez£o di centri subordinati, si rannodano le ultime propag^ni
della am-ministrazionepubblica sparse in ogni parte dello Stato. Pel nostro
scopo, in riguardo alle specializzazioni accennate degli organi del Potere,
basterà fare l’osservazione (pure importantissima) che, come si distinguono tra
loro le amministrazioni pubbliche, e quindi gli c^getti di ciascheduna, e
conseguentemente il modo di funzionare (che deve atteggiarsi in conformità
dell' intento da ottenere), cosi si distinguono tra di loro le Sanzioni
pubbliche e legali degli atti sociali relativi; e quindi (si noti bene) le
specie di Responsabilità, che neemergono. E da ciò proviene che le forme della
Giustizia e quindi della Moralità si specializzano insieme collo specializzarsi
della pubblica amministrazione; onde, moralmente, non sono, per esempio,
identiche le azioni degli individui giudicate da un tribunale civile e
quellegiudicate da una una intendenza di finanza, o da una commissione igienica
o di belle arti; e per un reato controla proprietà individuale o per uno contro
le restrizioni della libertà della stampa, in materia scientifica; e cosi via.
Il che non vuol dire però che non si possano tutte le dette azioni ridurre al
genere comune delle obbligatorie nel foro intimo della coscienza, in ragione
che Dell' individuo si è formata, come sopra abbiamo dimostrato, r abitudine
virtuosa e propria del saggio; l'abitudine cioè di attribuire universalmente
alle Idealità antiegoistiche sociali un valore obbligativo per se, assoluto e
indipendente dalle specialità di procedura e di Sanzione, che loro
corrispondono nella amministrazione governativa. m Come risuiii spiegata la
prima /orina de li* ufficio del Intere, e anche la terza: e stabilito l'
assunto del liérù. Ora, facendo, colla proporzione dovuta, al fatto del Diritto
del Potere, Tapplicazione del priacipio stabilito sopra, che ogni Diritto
importa una conirièuzionc, possiamo trovare la verità di quella che dicemmo la
pritna forma dell' ufficio del Potere, cioè: di stabilii*^! nella Società a
spese delle sue parti. Et facendo allo stesso fatto» pure colla proporzione
dovuta, r applicazione dell' altro principio, che il Diritto è la facoltà del
Bene^ constatiamo la verità di quella, che ivi stesso chiamammo la terza forma
dell' ufficio del Potere, cioè: di flÌH|ìensHri^ la forza propriadeir ambiente
sociale (cioè le contribuzioni suddette) al migli orauiento delle sue parti. In
questo ultimo enunciato poi abbiamo il compendio, per cosi dire, di tutta la
trattaEione di questo libro, E> in relazione allo stesso enunciato, si
verificano, in ragione cho lo Stato si perfeziona in ogni sua parte, i principj
che seguono: Primo* Che le contribuzioni di ogni genere, prestate da tutti gli
elementi costitutivi dello Stato, diventano liberamente consentile. Secondo.
Che le contribuzioni medesime si vanno avvicinando al massimo di ciò che pi4Ò
dare ciascuno senza suo esiziale detrimento* ^ i '«.iFI-i-^..' TChe nulla, di
ciò che è contribuito, va consurmalo prepotentemente ed egoisticamente da chi è
investito del Potere di disporne. Quarto. Che la erogazione medesima è fatta
secondo il volere di quelli stessi che contribuiscono. Quinto. E alla tutela
dei Diritti di tutti; e dXVottenimento della prosperità, e al miglioramento
morale. Sesto. E a questo soprattutto. E nella ragione che il miglioramento
morale ottenuto, supplendo da sé, come dimostrammo sopra, alla tutela dei
Diritti e all' ottenimento della prosperità materiale, lascia per sé disponibili
mezzi sempre maggiori. E cosi nello Stato siverifica T idea della provvidenza,
che il teista colloca in dio, come in esso colloca il tipo della specie di una
pianta, per la solita illusione tante volte notata. E si verifica anche V idea
della grazia, immaginata per una simile illusione dalla teologia cattolica
siccome emanazione divina, atta a rendere V uomo morale, a far che segua le
leggi della Giustizia ed eserciti la beneficenza. La possibilità per 1’individuo
di essere morale, di conoscere e seguire la Giustizia, e di essere benefico
verso gli altri, si ha, come dimostrammo nel corso del libro, dalla sua
convivenza nella Società e dalla proprietà di questo di svolgere e perfezionare
le facoltà dell'uomo, e di moralizzarlo.
Onde lo Stato, cosi concepito, viene ad essere l'attuazione pura e
compiuta della Idealità sociale, ossia In molti luoghi: per es. Numero 2 del J
VI del Capo del principio del Bene anti-egoistico, del Bene morale, in una
parola del Bene pel Bene, E quindi lo Stato medesimo riesce la prova concreta '
sperimentale della verità del principio della Morale dei positivisti da noi
affermato, chiarito, dimostrato: e una prova evidente, in quanto nel fatto
dello Stato il fenomeno individuale si trovaingrandito, E mi spiego. Se, ad
esempio, si può dubitare che un atomo materiale preso da sé sia pesante, perchè
il peso deir atomo è tanto piccolo che non si può rilevare isolatamente, il
dubbio cessa affatto prendendo una grande congerie di atomi, nella quale i pesi
minimi non valutabili di ognuno sisommano in un peso valutabile, dal quale si
arguisce quello troppo piccolo dei componenti. E, se si può dubitare che una
molecola di ferro, considerata isolatamente, sia calamitata, il dubbio cessa
quando se ne prenda una grande massa. E cosi nel caso nostro. Se si può
dubitare che T uomo singolo sia mosso nelle sue azioni da una Idealità sociale
antiegoistica, perchè la ragione di questa, nella singola azioneumana di un
individuo, si sottrae facilmente alla osservazione, stante il concorso e il
contrasto colle ragioni egoistiche, le quali ve la accompagnano, il dubbio è
tolto interamente arguendo dal fatto che, appuntandosi i voleri individuali
nella totalità dello Stato, ne risulta la incontrastabile sovranità del volere
morale, e antiegoistico, che vi osservammo. Le cose dette nel corso del libro
dimostrarono che la Responsabilità, intesa nel senso che sia Vastraito delle
Sanzioni,onde la Società reagisce, rintuzzandola, contro V azione propriamente
umana individuale, si riferisce, non solo agli atti della Giustizia
propriamente detta, ma anche a tutti gli altri atti etico-civili
dell'uomo; cioè: Agli atti offensivi non contemplati e non contemplabili dalla
Legge. I quali perciò, esclusi dal campo della Giustizia propriamente detta,
vanno attribuiti a quella altro della pura Convenienza. Agli atti sindacabili
soltanto dalla coscienza intima dell’individuo in cui si avverano, e producenti
la sola reazione del rimorso intemo. Agli atti virtuosi, che l’individuo potrebbe
fare e sarebbe bene facesse, e non fa. Ossia a quegli atti che non si
attribuiscono, ne alla Giustizia, né alla Convenienza, ma alla Carità, come
dicevano i moralisti vecchi, o alla Filantropia o Beneficenza, come direbbero
inuovi. E cosi è sciolta la questione, propostaci nella Introduzione, come
compito di questa nostra Sociologia. Rodrigo Felice Ardigò. Rodrigo Ardigò. Keywords: sociologia. Grice ed Ardigò: implicatura cooperativa positivismo
filosofico biologia filosofica psicologia
filosofica naturalista il sociale l’intersoggetivo ——, la morale positivista,
il positivism filosofico. La morale e il diritto all’altro – la convivenza
sociale – la giustizia, il bene sociale – la benevolenza e la beneficenza – il
calcolo ragionale nella convivenza sociale – l’evoluzione sociale – l’organismo
sociale – il positivismo filosofico – communicazione e convenienza sociale –
l’onesta morale – spettazione di onesta reciproca – Fondazione naturalistica
della morale – Fondazione – il fatto sociale – il devere, la regola d’oro, fare
all’altro cioe che vorreste fatto a te – consiglio di prudenza – kant – costume
– fatto sociale presupposizione del linguaggio -- Refs.: Luigi Speranza, “Grice
ed Ardigò” – The Swimming-Pool Library.
Luigi Speranza – GRICE
ITALO!; ossia, Grice ed Arena: la ragione conversazionale e l’implicatura
conversazionale dei nudi – la scuola di Ripastransone – filosofia marchese -- filosofia
italiana – Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P.Grice, The Swimming-Pool
Library (Ripatransone). Filosofo marchese. Filosofo
italiano. Ripastransone, Ascoli Piceno, Marche. Grice: “I like Arena; my
favourite of his tracts are one on what he calls, ambiguously, ‘guerriero dello
spirito,’ which is pretty naif – wasn’t Aeneas killing for something too, not
necessarily ‘spiritus’? – His focus is two orders: the templari and the
teutonic order – my other of his favourite trats is his ‘nudi’ – or ‘gnudi,’ if you mustn’t –
when Romolo converses with Romo, they are ‘nudi’ – what they say is what they
mean and what they mean is what they say – ‘nakedness’ becomes a philosophical
category, as when Strawson says, ‘the naked true.’” “There is no reason why it
shouldn’t be a philosophical category, since the etymology is fascinating –
vide Clarke, “The naked and the nude,” -- Leonardo Vittorio Arena (Ripatransone),
filosofo. Arena insegna "Storia della
filosofia contemporanea" presso Urbino. Filosofo e orientalista,ha
dedicato in particolare al Buddhismo Zen, al Taoismo e al Sufismo una vasta
produzione saggistica; è anche autore di romanzi e traduzioni sui medesimi
temi. Insegna tecniche di meditazione tratte da pratiche buddhiste e sufi. Ha
collaborato ai programmi religiosi della Radio Svizzera. Pensiero La sua
visione filosofica è esposta principalmente nelle tre opere Nonsense o il senso
della vita, Note ai margini del nulla e Sul nudo, dove si propone una sintesi
delle grandi correnti filosofiche orientali e occidentali, con particolare
riguardo a Nietzsche, Wittgenstein, Zhuāngzǐ e il Buddhismo Chán/Zen. Il
nonsense, come dall'opera Nonsense o il senso della vita, è da intendere come
la meta di ogni autentica indagine filosofica, realizzando la "distruzione
delle opinioni" sulla scorta del Buddhismo. La filosofia del nonsense non
è teoria, bensì non teoria: come la zattera del Buddhismo o la scala di
Wittgenstein, serve ad arrivare a una sorta di consapevolezza speciale, per poi
essere tranquillamente accantonata. Punto di partenza: non è possibile formulare
una filosofia esente da contraddizioni. Nelle pagine di ogni filosofo si cela
il tarlo dell'incoerenza. Traendo tutte le conseguenze logiche di ogni
filosofia se ne attesta la contraddittorietà. L'idealismo, base di ogni
filosofia, dovrà sfociare nel vuoto e nel nonsense, laddove se ne sviluppi il
suo principio-base, che è esistenziale prima ancora che teoretico, secondo cui
il mondo è la rappresentazione del soggetto o di una mente cosmica. La
posizione del nonsense spinge a riconoscere che le cose stanno proprio così
(Tathātā), cioè sono caratterizzate da una nudità che non può essere
interpretata o espressa attraverso alcuna dottrina od opinione. Non c'è
senso nascosto, e tutto è già qui, direttamente accessibile nella vita
quotidiana all'uomo comune e al Risvegliato, mai così tanto accomunati. Lo
strumento del nonsense è l'arte, specialmente la musica e si procede verso la
dimensione del non suono, già cara a John Cage, nella sua composizione
4'33", cui Arena dedica una lunga disamina, nella sua opera La durata
infinita del non suono. La stessa tematica viene ripresa e ampliata in Il tao
del non suono, nonché nell'analisi di alcuni solisti o gruppi di musica
contemporanea, come Lennon, Sylvian, Eno, Wyatt, SCELSI (si veda) e akamoto.
Musica e filosofia si intersecano, entrambe sono mezzi di conoscenza,
addirittura intercambiabili. Arena è influenzato dalla beat generation, e
riconduce parte del suo interesse di lunga data per l'Oriente ai Beatles e ai
grandi gruppi rock dei '60 e '70. Nella poesia, l'haiku esprime lo yugen,
un senso di "profondità misteriosa" che convive con la semplicità del
"qui e ora". Nonsense implica il superamento degli opposti, quindi
permette di giungere alla non dualità, al di là della logica formale di
Aristotele, perseguita dall'esorcista del nudo, il quale pretende di cogliere e
congelare in una articolazione sistematica il caotico divenire della vita;
operazione votata all'insuccesso, e alla contraddittorietà. Come per Nāgārjuna
e Wittgenstein, anche per A. la logica può servire a invalidare sé stessa, ma
nella dimensione radicale del kōan, come è concepita nel Chán/Zen.
L'insegnamento si trasmette grazie a una sorta di empatia o comunicazione
energetica tra maestro e allievo -, di baraka nel senso che il termine acquista
nel Sufismo -, veicolata dal silenzio e dal non suono. Nella sua opera
Note ai margini del nulla, A. riprende la posizione di Bodhidharma, relativa al
"non sapere, non distinzione" (fushiki), in direzione epistemologica
ed ermeneutica, sottolineando la complessità della diffusione del nonsense
nell'ambito del sociale. Egli analizza le concezioni di vari esponenti del
pensiero orientale e occidentale, tra cui Stirner, Pessoa e i maestri del
Taoismo, specie Zhuāngzi. Il nonsense propone un nichilismo costruttivo, dove
le "ragioni" del nulla non vengano concepite attraverso la modalità
unilaterale del nihil privativum, negativum od oggettivizzato. A. rovescia la
conclusione del Tractatus Logico-Philosophicus: di tutto ciò su cui si dovrebbe
tacere occorre proprio parlare. A. propone di sondare il nonsense
attraverso il nudo, una comprensione che sfoci nella non comprensione e nel non
pensiero, ben più fecondi di quanto la riflessione logico-formale non abbia
dato da vedere all'Occidente. Nietzsche, Dylan e i maestri Zen si rivelano, al
momento, i suoi principali ispiratori nei toni di una filosofia non accademica,
nemica del dogmatismo e della necrofilia della teoresi. La musica elettronica
contemporanea sembra particolarmente adatta a sondare la nudità, nei modi della
improvvisazione radicale, cui Arena dedica anche un'attività concertistica
solista con lo pseudonimo Mu Machine. Arena ha pubblicato una serie di
ebook sull'analisi di maestri e filosofi alla luce delle categorie del nonsense
e del nudo, sondandone tratti indipendenti dai "punti nodali",
riscontrabili nei compendi od opere manualistiche, e considerando queste figure
nella loro alterità: Beckett, Derrida, Nietzsche e Wittgenstein rientrano nel
novero, ma anche Jacques Lacan (cfr. la voce Opere). Parallelamente, sta
sondando le illusioni e i condizionamenti dell'animo, che non lasciano
percepire il nudo/nonsense. La produzione romanzesca è iniziata con La
lanterna e la spada, dove A. analizza la figura di Qinshi Huangdi, il primo
imperatore della Cina, famoso per l'unificazione della lingua, del Paese, e il
forte impulso dato alla costruzione della Grande Muraglia, ma anche per il rogo
dei libri, che ha ispirato Bradbury in Farenheit 451, e varie efferatezze. La
produzione letteraria è proseguita con un altro romanzo, L'imperatrice e il
dragone (ripubblicato come Il Tao del sesso), in cui si rievoca un'altra figura
molto discussa, stavolta nella Cina medioevale, quella di Wu Zhao, la quale
regnò per virtù propria, fondatrice di una sua dinastia, e non come semplice
imperatrice vedova, altresì famosa per gli eccessi e le passioni sessuali.
Anche di questa figura A. dà un ritratto senza giudizi moralistici ed
esaminandone i multiformi aspetti, come per il primo imperatore. In L'Ordine
nero, ripubblicato come La svastica sul Tibet, si tratta della spedizione
Schaefer, alla ricerca delle origini della razza umana e di ineffabili segreti
magici. Nel gruppo di nazisti si trova anche il filosofo Mayer (personaggio
inventato), alla ricerca del segreto della mente. In Il coraggio del samurai,
si parla dell'arcano connubio tra samurai e ninja, e dei segreti di questi
ultimi, descritti attraverso un gruppo di donne guerriere, la cui sovrana è la
misteriosa Padrona, di cui si dice che abbia quattro secoli; si parla anche di
Yoshitsune, un samurai del clan dei Minamoto, sfortunato quanto valoroso,
ostile al fratello Yoritomo. Nell'ultimo romanzo pubblicato, La corda e il
serpente, A. si discosta dal romanzo storico e scrive un'opera sperimentale,
dove la trama è un pretesto, e si nota l'influsso di Burroughs anche di
Lovecraft, per certi aspetti: nell'opera si parla di Atlantide, un mondo
sommerso, distrutto da una catastrofe; il protagonista L., darà vita a una
nuova specie umana. Arena propone una personale versione della
meditazione nella sua opera La Via del risveglio, Manuale di meditazione. Egli
prende spunto dal buddhismo, vipassana e Zen, dal sufismo e da Gurdjieff, dalla
psicologia analitica di Jung (il Libro rosso) e dal lavoro sull'ipnosi d’Erickson.
Una meditazione che conduce talvolta agli stati alterati di coscienza e
permette di sviscerare il nudo nonsense, caposaldo della visione filosofica d’A.
Una meditazione che ha il suo supporto nella musica, la quale non ne
costituisce solo il sottofondo, ma anche la base per approfondire le intuizioni
che ne emergono. "Difficile separare la musica dalla meditazione",
scrive A., "l'una porta all'altra". Scopo della meditazione è anche
attingere il non suono, categoria che Arena aveva sviscerato nei succitati
studi su Cage ed Eno. Una meditazione che attinge all'Oriente, ma fa tesoro
delle conquiste psicologiche e spirituali dell'Occidente. Per indicare la
modalità filosofica della pratica A. propone una metafora: "La meditazione
è premere il pulsante della consapevolezza". Dopo anni, e non sulla base
di un ripensamento quanto di un ampliamento, A. torna sul nonsense con una
nuova riflessione, imperniata sul non sapere alla luce del buddhismo Chan/Zen
nel suo complesso (non solo in riferimento a Bodhidharma), e soprattutto da non
intendere come non sapere socratico. Il non sapere invita a diminuire la
quantità di nozioni, a spogliare la mente dei preconcetti, principio che
potrebbe essere il pilastro della scoperta scientifica. Lo anima il non
pensiero, attività più affine alla intuizione, che usa la logica ponendola
contro se stessa. Anche questa posizione, come quella relativa al nonsense
nelle opere precedenti, mira all'acquisizione di un equilibrio psicofisico,
all'autorealizzazione, al riparo da dogmatismi ed eurocentrismi. L'incontro con
la nudità permetterà, nella solitudine esistenziale, di svelare nuove risorse
nel soggetto, un incontro con se stessi fecondo e produttivo, senza entrare in
polemica con alcuna visione filosofica, anzi ospitando visioni del mondo contrastanti.
La contraddizione, implicita nel nonsense, è foriera di nuovi sviluppi
teoretici, e consente di recuperare istanze che, nel pensiero occidentale,
erano state sepolte dopo la demonizzazione dei sofisti. Altre opere: “Nietzsche-Wagner-Schopenhauer”
(Fermo); “Il Vaisheshika Sutra di Kanada (Quattroventi) La filosofia di Novalis
(Angeli) Comprensione e creatività. La filosofia di Whitehead (Franco Angeli)
Novalis, Polline (Studio Editoriale) Antologia della filosofia cinese (Mondadori)
Storia del buddhismo Ch'an (Mondadori) Il canto del derviscio [povero
mendicanti sufi] (Mondadori) Il Nyaya Sutra di Gautama (Asram Vidya Edizioni)
Antologia del Buddhismo Ch'an (Mondadori) Diario Zen (Rizzoli) I maestri
(Mondadori) Haiku (Rizzoli); “Al profumo dei pruni. L'armonia e l'incanto degli
haiku giapponesi, Rizzoli ). Realtà e linguaggio dell'inconscio (Borla)
Novalis, Enrico di Ofterdingen (Mondadori) Vivere il Taoismo (Mondadori) Il
Sufismo (Mondadori) Il bimbo e lo scorpione (Mondadori) La grande dottrina e Il
Giusto mezzo (opere confuciane) (Rizzoli) La filosofia indiana (Newton) Buddha
(Newton) La via buddhista dell'illuminazione (Mondadori) Del nonsense (Quattroventi)
Sun-tzu, L'arte della guerra (Rizzoli) Iniziazione all'autorealizzazione. Un
percorso verso la consapevolezza (Mediterranee) Chuang-tzu, Il vero libro di
Nan-hua (Mondadori); Zhuangzi (Rizzoli). Poesia cinese dell'epoca T'ang
(Rizzoli) La barriera senza porta (Mondadori) La filosofia cinese (Rizzoli) La
storia di Rama (Mondadori) Nei-ching, canone di medicina cinese (Mondadori)
I-ching. Il libro delle trasformazioni (Rizzoli) Samurai. Ascesa e declino di
una nobile casta di guerrieri (Mondadori) Musashi, Il libro dei cinque anelli
(Rizzoli) Kamikaze. L'epopea dei guerrieri suicidi giapponesi (Mondadori); “Hagakure,
Il codice dei samurai (Rizzoli) La mente allo specchio (Mondadori) Il sogno
della farfalla (Pendragon) Il libro della tranquillità. 100 koan del buddhismo
Zen (Mondadori) Sun Pin, La strategia militare (Rizzoli) Dogen, Shobogenzo
(Mondadori) Tecniche della meditazione taoista (Rizzoli); “Il tao della
meditazione, Rizzoli); I 36 stratagemmi (Rizzoli); I guerrieri dello spirito
(Mondadori); La lanterna e la spada (Piemme) Lo spirito del Giappone (Rizzoli)
L'imperatrice e il dragone (Piemme) La pagoda magica e altri racconti per
trovare la felicità dentro di sé (Piemme); “Il libro nella felicità”; “II pensiero
indiano (Mondadori) Orient Pop. La musica dello spirito (Castelvecchi) L'arte
della guerra e della strategia (Rizzoli) Il lago incantato. Racconti sull'amore
(Piemme) L'ordine nero (Piemme) L'innocenza del Tao (Mondadori); Il maestro e
lo sciamano (Piemme) Incontri di filosofia. La biblioteca di Babele, I (Città di Ripatransone). Xunzi, L'arte confuciana
della guerra (Rizzoli) Confucio (Mondadori) Il coraggio del samurai (Piemme)
Nietzsche in Cina nel XX secolo”; Incontri di filosofia. La filosofia come
conoscenza di sé, II (Città di
Ripatransone). Memorie di un funambolo; Note ai margini del nulla; Nonsense o
il senso della vita; La durata infinita del non suono (Mimesis) Il pennello e
la spada. La Via del samurai (Mondadori, ) Introduzione al Sufismo (ebook, ).
Un'ora con Heidegger (Mimesis). Introduzione alla storia del Buddhismo Ch'an
(ebook, ). Il libro della tranquillità (Congronglu) 100 koan del Buddhismo
Zen”; L'arte del governo (Huainanzi) (Rizzoli); “Heidegger, il Tao e lo Zen
(ebook, ). Il Tao del sesso: La storia di Wu Zhao; La lanterna e la spade”; “La
svastica sul Tibet”; Il libro dei segreti d'amore”; All'ombra del maestro”; Il
Tao del non suono”; “La filosofia di David Sylvian. Incursioni nel rock
postmoderno (Mimesis); “Ikkyu poeta zen; “La filosofia di Brian Eno. Filosofia
per non musicisti (Mimesis); “Novalis come alchimista”; “La filosofia di Wyatt.
Dadaismo e voceunlimited (Mimesis). Yogasutra (di Patanjali) (Rizzoli ).
Sun-tzu: l'arte della guerra per conoscersi; La barriera senza porta (Wu-men
kuan) 100 koan del buddhismo Zen”; “La comprensione negata”; “Buddha: La via
del risveglio”; “Nagarjuna: la dottrina della via di mezzo (Zhonglun)”; “Il
libro rosso di Jung (ebook, ). La storia di Rama (Ramayana)”; “Sul nudo. Introduzione
al Nonsense (Mimesis). Storia del pensiero indiano”; Lacan Zen, L'altra
psicoanalisi (Mimesis). Storia del pensiero indiano”; “Oltre il nirvana”;
L'altro Derrida”; “Watt, la cosa e il nulla. L'altro Beckett; L'altro
Wittgenstein”; “Nietzsche, lo Zen, Bob Dylan. Un'autobiografia”; “ L'altro
Nietzsche”; “Una introduzione alla filosofia di John Lennon”; “Scelsi: Oltre
l'Occidente, Crac Edizioni. La corda e il serpente, Illusioni, La filosofia di
Sakamoto, Il Wabi/Sabi dei colori proibiti, Mimesis. La Via del risveglio,
Manuale di meditazione, Milano, Rizzoli. Wenzi, Il vero libro del mistero
universale. Un classico della filosofia taoista, Milano, Jouvence. La filosofia
di John Lennon. Rock e rivoluzione dello spirito, Milano-Udine, Mimesis.
Togliersi le idee. L'ombra del nonsense, Il Tao della pedagogia (selezioni da:
Annali Primavere-Autunni di Lu Buwei); Il libro segreto dei ninja: Shoninki; Ikkyu:
l'Antibuddha, (poesie in traduzione dal giapponese); Confucio come counselor, Miyamoto
Musashi: Dokkodo; Quanti orientali. Oltre il Tao della fisica; Daodejing: Laozi
come counselor; Zhuangzi: i capitoli interni; Bhagavad Gita; Qohelet, l'interpretazione
"orientale"; Il pensiero giapponese. L'età moderna e contemporanea,
Jouvence. La filosofia di Bob Dylan, Mu Machine Collection; Zhuangzi: i
capitoli esterni, Mu Machine Collection; Zhuangzi: miscellanea, Mu Machine
Collection; La raccolta della roccia blu (i cento koan del Biyanlu), Mu Machine
Collection; Basho:Haiku, Mu Machine Collection; Vivere il taoismo, Mu Machine
Collection; Il libro rosso di Jung: Liber Primus, Mu Machine Collection, ebook.
Storia del pensiero indiano, II, Mu
Machine Collection, Storia del pensiero indiano, III, Mu Machine Collection, Storia del
pensiero indiano, Mu Machine Collection,
ebook. Il libro rosso di Jung: Liber Secundus, Mu Machine Collection, L'antistoria
della filosofia, Mu Machine Collection, Zen contro Zen, Mu Machine Collection, I greci in Oriente, Mu Machine Collection, Liezi
il libro taoista della verità, Mu Machine Collection, Lo spirito del samurai:
Budoshoshinshu, Mu Machine Collection, Il giardino nascosto (sul tempo), Mu
Machine Collection, Neijing il canone di medicina cinese, Mu Machine Collection,
Dogen Shobogenzo, Mu Machine Collection, Guida al cinese classico, Mu Machine
Collection; Nascita di un samurai, Mu Machine Collection; Il Canone di Mozi. La logica cinese, Mu Machine
Collection, ebook. Jung Zen, Mu Machine Collection. In Inglese Nonsense as the Meaning, ebook,.
Nietzsche in China in the 20th Century, ebook,. The Shadows of the Masters,
ebook,. An Introduction to Sufism, ebook,. The Dervish, ebook,. Cage Nagarjuna
Wittgenstein, ebook,. Nosound, ebook,. The Red Book of Jung, ebook,. Illusions,
ebook,. The Book On Happiness, ebook. On Nudity. An Introduction to Nonsense,
Mimesis International. Sylvian As A Philosopher, Mimesis International. In
Spagnolo El canto del derviche. Parabolas de la sabiduria Sufi, Grijalbo,
Barcelona In Francese Sur le nu. Introduction
à la philosophie du Nonsense, Editions Mimésis,. A., Nonsense o il senso della
vita, ebook, cap. 1 Nonsense o il senso
della vita, A., La durata infinita del
non suono, Mimesis A., Il tao del non suono, ebook A., Una introduzione alla filosofia di John
Lennon, Kindle Edition A., La filosofia
di Sylvian. Incursioni nel rock postmoderno, Milano, Mimesis A., La filosofia di Brian Eno, Milano,
Mimesis,. A., La filosofia di Robert
Wyatt, Milano, Mimesis,. A., Scelsi:
Oltre l'Occidente, Falconara Marittima, Crac Edizioni,. A,, La filosofia di
Sakamoto, Il Wabi/Sabi dei colori proibiti, Milano-Udine, Mimesis,.. L. V. Arena, Orient pop. La musica dello
spirito, Roma, Castelvecchi, Nagarjuna, The Philosophy of the Middle Way, D.
Kalupahana, Albany, L. Wittgenstein,
Tractatus Logico-philosophicus, Torino, Einaudi; A., Note ai margini del nulla,
ebook, passim A., Note ai margini del
nulla, ebook, cap. 1 Biyanlu, 1 A.,
Zhuangzi: I capitoli interni, ebook; Idem, Zhuangzi: i capitoli esterni, ebook,
idem, Zhuangzi: Miscellanea. ebook..
Contra Kant, Critica della ragion pura, Roma-Bari, Laterza Nonsense o il senso della vita,
Appendice A., La comprensione negata,
ebook,. A., La filosofia di Dylan, Collezione Mu Machine, ebook.. A.,
Nietzsche, lo Zen, Dylan, Autobiografia,
I, ebook. A., Illusioni, Kindle,. A.. La Via del risveglio, Manuale di
meditazione, Milano, Rizzoli..A/, Il libro rosso di Jung, ebook. A., Togliersi le idee, L'ombra del nonsense,.. su A. Nonsense o il senso della vita, su
amazon. Note ai margini del nulla, su
amazon. L'attività accademica di A.; su uniurb. Il blog filosofico di A., su
leonardo vittorioarena. wordpress.com. L'autobiografia, su amazon. Filosofia
Letteratura Letteratura Religioni Religioni Storia Storia Filosofo del XXI secoloOrientalisti
italianiStorici delle religioni italiani Ripatransone. Leonardo Vittorio Arena.
Keywords: nudi, Novalis, Schopenhauer, Nietzsche, Wagner, Puccini, Butterfly,
Turandot, Mascagni, Iris, Leoni, L’Oracolo, Confucio, la guerra, stratagema,
strategia, antistoria della filosofia, Heidegger, Wittgenstein, l’unconscio,
Whitehead, Grice on east and west, Staal, ‘those in a position to know’ –
metafisica, greco-latina, Heidegger citato par Arena, Leonardo Arena, Leonardo
Vittorio Arena. Cinese, linguaggio, la filosofia del linguaggio di Novalis,
Gozzi, libretti di Butterfy, Turandot, Isis, L’Oracolo. Refs.: Luigi Speranza, “Grice ed Arena” – The
Swimming-Pool Library. Arena.
Luigi Speranza --
Grice ed Aresandro: la setta di Lucania -- Roma – filosofia italiana – Luigi
Speranza (Lucania). Filosofo italiano. According
to Giamblico di Calcide, a Pythagorean. Aresandro.
Luigi Speranza --
Grice ed Aresa: la setta di Crotone -- Roma – filosofia italiana – Luigi
Speranza (Crotone). Filosofo italiano. A
Pythagorean. According to lamblichus of Chalcis, he re-establishes the school
of Pythagoras, and Diodoro of Aspendus becomrd one of his students or
companions. He is also said to have previously fled from Crotone when it is
attacked by enemies of the Pythagoreans and seeks safety with friends at a
distance, but he would have had to have lived an extraordinarily long time for
both stories to be true. Although many identify A. with Aresandro of Lucania,
it may be that two separate stories and people have been confused, with the
earlier history belonging to Aresandrus and the later one to Aresa. Aresa.
Luigi Speranza – GRICE ITALO!; ossia, Grice ed Argentieri:
il deutero-esperanto – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo
italiano. Roma, Lazio. Lingua euratlantica. L'integrazione linguistica
euratlantica, Roma, Siderea. Questo ingegnosissimo saggio d’A. agita il
problema dell'unificazione delle lingue
parlate nell'area euratlantica, cioè dell'italiano, ecc., e propone una soluzione
mediante l'integrazione, che dove aver luogo con metodo rigidamente
democratico. Tale metodo si articola in un itinerario di tappe. Una prima tappa
è la normalizzazione delle singole lingue mediante la semplificazione e il
fissaggio della grammatica fondamentale comune e la valorizzazione del
patrimonio comune vocabolaristico. La seconda tappa è l'assimilazione dell’italiano
e l’altri lingue col rendere comune anche la grammatica complementare. La terza
tappa è l'arrivo alla costituzione d’una lingua atlantica. In questa lingua c’eun
largo fondo comune di parole uguali, ugualmente scrite e pronunciate – cf.
Grice on ‘suit’ pronounced as ‘soot’ --- which irritated him. C’e una struttura
comune grammaticale (morfo-sintattica) e sintattica; e c’e divergenze soltanto
nelle parole di radice strettamente latina, le quali però sono unificate
rispettivamente alla lingua di cui sono proprie. La quarta tappa è quella
finale, in cui anche il dizionario atlantico si sono compenetrati, dando luogo
al prevalere di una parola piuttosto che di un'altra nell'ambito delle masse
delle lingue integranti, in modo da aversi UNA LINGUA SOLA, COMUNE, ai milioni
di uomini dell'area. La lingua,
applicando tutti i suggerimenti d'A., puo essere un fatto compiuto in breve
tempo; e ricca, varia, piacevole, adatta alle esigenze della vita moderna, cara
a tutti, perchè ottenuta senza offendere i sentimenti nazionalistici di nessun
popolo. Come si vede, anche nella sua
scarna linearità, l'idea d'A. è estremamente suggestiva e meritevole
dell'attenzione dei filosofi come H. P. Grice e i suoi sequaci – ‘e meglior dal
deutero-esperanto’ -- degli studiosi, dei politici, e dei tecnici. Emanuele
Argentieri. Argentieri. Refs.: Luigi Speranza, “Grice ed Argentieri”. Argentieri.
Luigi Speranza – GRICE
ITALO!; osia, Grice ed Ario – filosofia italiana – Roma – Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. Insegnante di filosofia di
Ottaviano. Ario era un cittadino di Alessandria d'Egitto. Ottaviano lo
stima talmente tanto che, dopo la conquista di Alessandria, dichiara di aver
risparmiato la città solo per il bene d’Ario. Secondo Plutarco, Ario suggere ad
Ottaviano di giustiziare Cesarione, il figlio di Cleopatra e Giulio Cesare, con
le parole οὐκ αγαθὸν πολυκαισαρίη "non è bello avere troppi Cesari",
un gioco di parole basato su un verso di Omero. Ario, come i suoi due figli
Dionisio e Nicanore, insegnano filosofia ad Ottaviano.Viene spesso citato da
Temistio, il quale afferma che Ottaviano lo considerava meritevole quanto
Agrippa. In Quintiliano si scopre che Ario scrive o insegna anche retorica. Si
tratta probabilmente dello stesso Ario la cui Vita era nella parte finale
mancante del libro VII delle Vite di Diogene Laerzio. Ario Didimo viene
solitamente identificato con l'Ario le cui opere vengono citate a lungo da
Stobeo, e che sintetizzano lo stoicismo, la scuola peripatetica ed il
platonismo. Il fatto che il nome completo sia Ario Didimo lo sappiamo grazie ad
Eusebio, il quale cita due lunghi passaggi della sua visione stoica del
dividno; la conflagrazione dell'universo; e l'anima. Plutarco, Ant. 80,
Apophth.; Cassio Dione, li. 16; Giuliano, Epistles, 51; comp. Strabone, xiv. ^
David Braund at al, Myth, history and culture in republican Rome: studies in
honour of Wiseman, University of Exeter Press, La frase originale era οὐκ αγαθὸν
πολυκοιρανίη " cioè "Non è bello avere troppi capi" o "il
regno di molti è una brutta cosa" (Omero, Iliade II, v. 204).
"polukaisarie" è una variante di "polukoiranie".
"Kaisar" (Cesare) sostituisce "Koiran(os)", che significa
"capo". Sventonio,
Augustus, Temistio, Orat., Quintiliano, iComp. Seneca, consol. ad Marc. 4;
Eliano, Varia Historia, xii. 25; Suda; Richard Hope, The book of Diogenes
Laertius: its spirit and its method, Inwood, The Cambridge Companion to the
Stoics, Cambridge University Press ^ Eusebio, Praeparatio Evangelica, xv.
Arthur J. Pomeroy (ed.), A. Epitome of Stoic Ethics. Texts and Translations 44;
Graeco-Roman 14. Atlanta, GA: Society of Biblical Literature, Inwood, e Gerson, Hellenistic Philosophy.
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W. (Editor), On Stoic and Peripatetic Ethics: The Work of Arius Didymus. Transaction; A. Treccani.it – Enciclopedie on line,
Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Modifica su Wikidata Andrea Ferro, A. in
Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 1929. Modifica su
Wikidata Ario Didimo, in Dizionario di filosofia, Istituto dell'Enciclopedia
Italiana, 2009. Modifica su Wikidata Arìo Dìdimo, su sapere.it, De Agostini.
Modifica su Wikidata (EN) Opere di Ario Didimo, su Open Library, Internet
Archive. Modifica su Wikidata Eusebio di Cesarea, Praeparatio Evangelica,
Portale Biografie Portale Filosofia Categorie: Filosofi
romaniFilosofi del I secoloRomani del I secoloNati nel I secolo a.C.Morti nel I
secoloAlessandrini di epoca romanaStoici. Ario Didimo. Ario.
Luigi Speranza --
Grice ed Arione: la setta di Locri -- Roma – filosofia italiana – Luigi
Speranza (Locri). Filosofo italiano. A Pythagorean
visited by Platone. Arione.
Luigi Speranza --
Grice ed Aristea: la diaspora di Crotone -- Roma – filosofia italiana – Luigi
Speranza (Metaponto). Filosofo italiano.
According to Giamblico di Calcide (“Vita di Pitagora”), Aristea was a
Pythagorean. Aristea.
Luigi Speranza --
Grice ed Aristeneto – Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Nizza). Filosofo italiano. A pupil of Plutarco. Aristeteneto.
Luigi Speranza --
Grice ed Aristeo: la setta di Crotone -- Roma – filosofia italiana – Luigi
Speranza (Crotone). Filosofo italiano. According
to Giamblico di Calcide, a pupil of Pythagoras. When Pythagoras died, Aristeo became his successor ad
married his widow, Theano. Fragments of a work on harmony are attributed to
him. Legend has it that he married Pythagoras’s widow, herself the daughter of
Brontino. There is however, some confusion over this. According to another
tradition, it was Brontino who married Pythagoras’s widow. Still according to a
yet another tradition, the woman was Pythagoras’s pupil, not wife, whom
Brontino married. Schuler argues that there were actually two women involved,
perhaps mother and daughter. This convolution is one of the main reason why
Oxford is not co-educational. Aristeo.
Luigi Speranza --
Grice ed Aristide: la setta di Reggio -- Roma – filosofia italiana – Luigi
Speranza (Reggio). Filosofo italiano. According
to Giamblico di Calcide (“Vita di Pitagora”), Aristide was a Pythagorean.
Luigi Speranza --
Grice ed Aristippo: la diaspora di Crotone -- Roma – filosofia italiana – Luigi
Speranza (Taranto). Filosofo italiano. According
to Giamblico di Calcide (“Vita di Pitagora”), Aristippo was a Pythagorean.
Luigi Speranza --
Grice ed Aristo – Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. He specialised in legal philosophy.
Plinio (si veda) Minore describes him as a man of great wisdom, and superior in
virtue to all the philosophers of his time. Aristo.
Luigi Speranza --
Grice ed Aristo – Roma –filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. The brother of Antioco and a friend
of Brutus. Aristu was said to hae been an inferior philosopher to his brother,
but a wholly admirable individual. Aristo.
Luigi Speranza --
Grice ed Aristocleida: la diaspora di Crotone -- Roma – filosofia italiana –
Luigi Speranza (Taranto). Filosofo italiano. According
to Giamblico of Calcide (“Vita di Pitagora”),
a Pythagorean. Aristocleida.
Luigi Speranza --
Grice ed Aristocle: il Lizio a Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. A member of the Lizio, studied at
Rome under Erode Attico. Tito
Claudio Aristocle. Aristocle.
Luigi Speranza --
Grice ed Aristocrate – Roma – filosofia italiana. – Luigi Speranza – Filosofo italiano. Regarded as an accomplished philosopher, a man of
great learning, and someone who lead a pious life. A puil of Lucio Anneo
Cornuto and a friend of both Persio and Agatino. Petronio Aristocrate. Aristocrate.
Luigi Speranza --
Grice ed Aristocrate: la setta di Reggio -- Roma – filosofia italiana – Luigi
Speranza (Reggio). Filosofo italiano. According to
Giamblico di Calcide, Arisocrate was a Pythagorean. Aristocrate.
Luigi Speranza --
Grice ed Aristodoro: all’isola -- Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Siracusa). Filosofo italiano. Aristodoro was the recipient of the
tenth letter of Platone – but we do not if he responded to it. In the letter,
Plato credits Aristodor as being a “philosopher” himself. Aristodoro.
Luigi Speranza --
Grice ed Aristomene: la diaspora di Crotone -- Roma – filosofia italiana –
Luigi Speranza (Metaponto). Filosofo italiano. According
to Giamblico di Calcide (“Vita di Pitagora”), Aristomene was a Pythagorean. Arostomene.
Luigi Speranza --
Grice ed Aristone – Roma – filosofia italiana – Filosofia del principtao --
Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. A philosopher at Rome, attached to
the household of Marco Lepido. According to Seneca, A. used to engage in
philosophical discussions when travelling around in a carriage, leading a wit
to observe that he was obviously not a ‘peripatetic.’ Aristone.
Luigi Speranza --
Grice ed Aristone: la setta di Ceo -- Roma – filosofia italiana – Luigi
Speranza (Ceos). Filosofo italiano. Ariston of Julii after the town on
Ceos. Aristone.
Luigi Speranza – GRICE
ITALO!; ossia, Grice ed Aristosseno – Roma – la scuola di Taranto – filosofia
pugliese -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Taranto). Filosofo pugliese. Filosofo italiano. Taranto, Puglia. How to live the good life. Aristosseno filosofo greco antico Lingua Segui
Modifica «Diceva Aristosseno che il vero amore del bello sta nelle attività
pratiche e nelle scienze; perché l'amare e il voler bene hanno inizio dalle
buone usanze e occupazioni, così come, nelle scienze ed esperienze, quelle
buone ed oneste amano davvero il bello; mentre ciò che dai più è detto amore
del bello, cioè quello che si manifesta nelle necessità e nei bisogni della
vita è, se mai, la spoglia del vero amore.» (Stobeo, Florilegio) Filosofo
antico, peripatetico e scrittore di teoria musicale. Ritratto immaginario
di Aristosseno. Figlio di Spintaro (allievo di Socrate), fu da questi e dal
padre avviato alla musica e alla filosofia. S'interessò alla dottrina
pitagorica, per poi diventare discepolo di Lampo Eritreo, di Senofilo e infine
uno dei principali allievi di Aristotele: infatti ebbe l'incarico di tenere
nella sua scuola lezioni di musicologia. Aspirò alla successione del maestro e
la nomina di Teofrastoalla direzione della scuola peripatetica, dopo la morte
di Aristotele, fu la profonda delusione della sua vita. Infatti si
trasferì a Mantinea, una città del Peloponnesofamosa per la diffusione della
musica, dove visse per molti anni, ebbe molti discepoli detti Aristosseni e fu
consigliere del re Neleo. Qui scrisse due opere, Il carattere dei Mantinei e
l'Elogio dei Mantinei. Opere. Secondo Suda, A. scrive 453 saggi, molte
delle quali sulla musica, per la quale divenne autorità indiscussa. In base ai
frammenti, le opere aristosseniche possono essere divise in vari gruppi.
In primo luogo, Aristosseno si dedicò, sulle orme di Aristotele, allo studio
delle teorie pitagoriche, con opere come la Vita di Pitagora (Πυθαγόρου βίος,
fr. Wehrli); Su Pitagora e i suoi allievi (Περὶ Πυθαγόρου καὶ τῶν γνωρίμων αὐτοῦ,
fr. 14 Wehrli); La vita pitagorica (Περὶ τοῦ Πυθαγορικοῦ βίου, fr. Wehrli);
Massime pitagoriche (Πυθαγορικαὶ ἀποφάσεις, fr. Wehrli). L'attenzione
alla dimensione educativo-pedagogica è testimoniata dalle Leggi educative
(Παιδευτικοὶ νόμοι, fr. Wehrli) e dalle Leggi politiche (Πολιτικοὶ νόμοι, fr. Wehrli).
Numerose furono anche le sue biografie: Vita di Archita (Ἀρχύτα βίος, fr.
Wehrli); Vita di Socrate (Σωκράτους βίος, fr. Wehrli); Vita di Platone
(Πλάτωνος βίος, fr. Wehrli); Vita di Teleste (Τελέστου βίος, fr. Wehrli), sul
poeta ditirambico. Dove, però, Aristosseno lasciò una duratura impronta
fu la teoria della musica, con opere come Sui tonoi(Περὶ τόνων), di cui resta
una breve citazione nel commentario di Porfirio agli Armonica di Claudio
Tolomeo; Sulla musica (Περὶ μουσικῆς, fr. Wehrli); Ascolto della musica (Μουσικὴ
ἀκρόασις, fr. 90 Wehrli); Su Prassidamante (Πραξιδα .μάντεια, fr. 91 Wehrli);
Sulla melica (Περὶ μελοποιίας, fr. Wehrli); Sugli strumenti (Περὶ ὀργάνων, fr. Wehrli);
Sugli auloi (Περὶ αὐλῶν, fr. Wehrli); Sui flautisti(Περὶ αὐλητῶν, fr. 100
Wehrli); Sui fori degli auloi(Περὶ αὐλῶν τρήσεως, fr. Wehrli); Sui cori (Περὶ
χορῶν, fr. 103 Wehrli); Sulla danza della tragedia (Περὶ τραγικῆς ὀρχήσεως, fr.
104-106 Wehrli); Comparazioni (Συγκρίσεις, fr. Wehrli); Sui poeti tragici (Περὶ
τραγῳδοποιῶν, fr. Wehrli). Infine, tipicamente erudite erano le
Miscellanee simposiali (Σύμμικτα συμποτικά, fr. Wehrli); Memorabilia (Ὑπομνήματα),
Memorabilia storici(Ἱστορικὰ ὑπομνήματα), Memorabilia in breve (Κατὰ βραχὺ ὑπομνήματα),
Note miscellanee (Σύμμικτα ὑπομνήματα), Note sparse (Τὰ σποράδην): Wehrli. A
noi sono giunti gl’elementi di armonia (᾿Αρμονικά) divisi in tre libri: nel
primo, intitolato Principii vengono esposti la definizione della scienza
armonica e i suoi argomenti, quali la voce, acuto e grave, intervalli, melodia,
generi, suoni e tonalità; nel secondo vi è una introduzione filosofica, una
presentazione innovativa delle caratteristiche dell'armonia, una polemica
contro gli esperti di musica passati e tradizionalisti; il terzo libro inizia
con l'approfondimento degli intervalli e s'interrompe sulla parte intitolata
Elementi. Musica ed estetica in Aristosseno. Interessa rilevare negli
scritti di Aristosseno la presenza più o meno esplicita di un pensiero
estetico: un'idea di quel che sia o come debba essere intesa l'opera d'arte
musicale. Alla musica attribuì un notevole influsso etico ed educativo, ma
anche un uso terapeutico: il vero amore del bello sta nelle attività
pratiche e nelle scienze; perché l'amare e il voler bene hanno inizio dalle
buone usanze e occupazioni, così come, nelle scienze ed esperienze, quelle
buone ed oneste amano davvero il bello; mentre ciò che dai più è detto amore
del bello, cioè quello che si manifesta nelle necessità e nei bisogni della
vita è, se mai, la spoglia del vero amore.» (Stobeo, Florilegio, III, 1,
101.) Aristosseno applicò alla musica il duplice metodo, sperimentale e
teorico, di chiara influenza aristotelica, tanto da scrivere che i pitagorici
«usavano medicine per purificare il corpo e musica per purificare la mente.
Abbinò questi studi allo sviluppo della dottrina dell'anima come armonia del
corpo, perfezionando gli astratti presupposti dell'aritmeticapitagorica con
l'osservazione attenta dei fenomeni del suono. È, tra l'altro, andata perduta
un'opera di Aristosseno che era intitolata Sull'ascoltare musica, nella quale
pare si sostenesse il carattere necessariamente attivo di questa operazione,
che richiede un vigile e assiduo confronto tra i suoni passati e quelli
presenti e futuri. Ossia, Aristosseno riconobbe la funzione fondamentale della
memoria nell'intelligenza della musica, come risulta da un paragrafo degli
Elementi di armonia: «Di queste due cose, invero, la musica è coesistenza:
sensazione e memoria. Bisogna infatti sentire ciò che accade e ricordare ciò
che è accaduto». Grazie a Plutarco sono giunte fino a noi altre parti del
modello musicale elaborato da Aristosseno, il quale era consapevole che la
musica non poteva essere limitata a una ricreazione scientifica e nemmeno a un
gioco di sensazioni, bensì alla riuscita di tutte le sue parti, dalle parole ai
ritmi e ai suoni, e il compito del genio è quello di creare le corrispondenze
fra questi elementi, attraverso un lavoro di sintesi. Il compito
dell'ascoltatore, secondo le teorie di Aristosseno è quello di ricostruire l'opera
stessa e se la fusione è esaustiva, in qualche modo l'opera esiste. Secondo la
Cronaca eusebiana. Suda, s.v. Μαντινέων ἔθη, fr., I, rr. 1-9 Wehrli. Μαντινέων ἐγκώμιον,
fr., I, rr. 10-12 Wehrli. ^ Il riferimento è all'edizione di F. Wehrli, Die
Schule des Aristoteles, A., Basel/Stuttgart con il testo greco dei frammenti e
commento in tedesco. Dizionario di Musica", di Corte e Gatti, Torino, voce
"A.". Huffman (ed.), A.
of Tarentum: Discussion, New Brunswick – London; Gibson, A. of Tarentum and the Birth of
Musicology, New York, Routledge, Visconti, A. di Taranto. Biografia e formazione spirituale, Napoli; Wehrli,
Die Schule des Aristoteles, A., Basel/StuttgartA., Treccani.it – Enciclopedie
on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Aristosseno di Taranto, in
Dizionario di filosofia, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, A., su Enciclopedia Britannica, Encyclopædia
Britannica, Inc. Opere di Aristosseno, su Open Library, Internet Archive. A.,
in Enciclopedia Italiana, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Trattato
di armonica di A. di Taranto, su users.unimi.it. Portale Biografie Portale
Filosofia Portale Magna Grecia Portale Musica Spintaro compositore
e filosofo greco antico Clearco di Soli filosofo cipriota De
audibilibus opera dello Pseudo-Aristotele. Aristosseno. Keywords: Ravel,
Pavane, Mahler, Wagner. Refs.: Luigi Speranza, “Grice ed Aristosseno,” pel
Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The Swimming-Pool Library.
Luigi Speranza – GRICE
ITALO!; ossia, Grice ed Armetta: all’isola – FILOSOFO SICILIANO, NON ITALIANO. l’implicatura
conversazionale del dialogo – la scuola di Palermo -- filosofia italiana –
filosofia siciliana – Luigi Speranza (Palermo). Filosofo siciliano. Filosofo
italiano. Palermo, Sicilia. Grice: “I like Armetta; he is into ‘dialogue,’ I am
into conversation. I once suggested to Strawson that he should write a
dissertation on the distinction betweehn dia-logos and cum-versatio, but he
said that ‘converse’ is used to mean ‘make out’ in the Bible, while ‘dialogue’
ain’t!” Principale
allievo di Santino Caramella, di cui cura il lascito. Si è laureato in Filosofia presso l’Palermo
con Santino Caramella, di cui è diventato subito assistente universitario. Con
lui e gli altri allievi e collaboratori ha fondato la rivista di filosofia
«Dialogo» (1964-1974); dal 1960 al 1992 ha insegnato nei licei di stato (per un
lungo periodo di tempo presso il Liceo Ginnasio Vittorio Emanuele II); dal 1981
insegna presso la Pontificia Facoltà Teologia di Sicilia «San Giovanni
Evangelista», prima come docente incaricato di Dottrine filosofiche e fino al
2004 anche di Logica; ha fatto parte della segreteria della Rivista della
Facoltà per un decennio fino al 1998 e sin dall’anno accademico 1985 è
Segretario Generale della medesima Facoltà.
Il pensiero di Armetta è una rilettura del neoidealismo crociano e
gentiliano sulla base dello spiritualismo cristiano. I suoi studi sono rivolti
soprattutto alla storia del pensiero filosofico e teologico in Sicilia, e sono
culmila curatela del monumentale Dizionario Enciclopedico dei pensatori e dei
teologi di Sicilia. Altre opere: "La
filosofia del volere da Omero a Platone”; “Storia e idealità in S.
Kierkegaard”; “L’uomo come natura”; “Guida agli scritti di Santino Caramella”;
“Teoria e pratica in Santino Caramella”; “Caramella e Gobetti. Un rapporto
oscurato”; “Il Carteggio Caramella-Croce”; “Il carteggio tra Caramella e
Radice”; “Per una società in dialogo”; “Il pensiero filosofico in Sicilia”; “Elementi
di ideologia”; “Istituzioni ideologiche”; “Rosario La Duca. Guida agli
scritti”; “La toponomastica di TerrasiniFavarotta”; Dizionario enciclopedico
dei pensatori e dei teologi di Sicilia. Sciascia Editore, Caltanissetta-Roma);
“Dizionario enciclopedico dei pensatori e dei teologi di Sicilia. Dalle origini
al sec XVII (Sciascia Editore, Caltanissetta-Roma). Riconoscimenti Papa
Benedetto XVI lo ha insignito del titolo di Cavaliere Commendatore dell'Ordine
di S. Silvestro. Caltanissetta, Sciascia Editore,. Filosofia Filosofo del XX
secoloFilosofi italiani Professore1928 Palermo. Francesco Armetta. Keywords: dialogo,
fascimo filosofico, filosofi del fascism, croce e caramella – il carteggio
curato da Armetta, presenza di Caramella nel primo convegno a Milano, dialogo,
implicatura dialettica, Caramella e Giobetti, storia della filosofia italiana,
filosofia politica nella Italia del primo novecento, la metafisica del dialogo
in Vico. Refs.: Luigi Speranza, “Grice
ed Armetta” – The Swimming-Pool Library. Armetta.
Luigi Speranza -- Grice ed Arnoufi – Roma – filosofia
italiana – Luigi Speranza. (Roma). Filosofo
italiano. A philosopher. His talents extended to magic. He conjured up a storm
for the Romans at a time when they were short of water. Arnoufi.
Luigi Speranza -- Grice ed Arriano: il portico a Roma
– filosofia italiana – Luigi Speranza – (Roma). Scolaro di Epitteto. Lucio
Flavio Arriano. Arriano.
Luigi Speranza – GRICE
ITALO!; ossia, Grice ed Arrighetti: la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale – la scuola di
Firenze – filosofia fiorentina – filosofia toscana -- filosofia italiana –
Luigi Speranza (Firenze). Filosofo
fiorentino. Filosofo toscano. Filosofo italiano. Firenze, Toscana. Grice: “I
like Arrighetti: his forte was Aristotle’s rhetoric, and he was very popular
with the Accademia degli Ardenti, and later with a subgroup of this, The
Accademia degli Svelati (which later merged with the Accademia dei Lunatici);
his other forte was the distinction between ‘oratio’ and ‘oratio vvocalis’ –
“Os” is of course Romann for ‘mouth’ – but figuratively for ‘linguaggio’ –
(after all, the tongue is IN the mouth). I happen to prefer ‘mouth,’ because
Roman ‘os’ is related to ‘essere’: you are who you are, i.e. you exist, because
you can breathe through your mouth. Appartenente a una nobile famiglia
fiorentina, studia la lingua greca e le filosofie Aristotelica e Platonica a Pisa
e Padova. Dedicatosi agli studi teologici, venne ascritto al corpo dei teologi
dell'università fiorentina. Urbano VIII, che ha molta stima per A., lo crea canonico
penitenziere della cattedrale di Firenze e esaminatore sinodale, posizione che
mantenne fino alla morte. È uno dei membri più illustri dell’accademia
Fiorentina e di quella degl’alterati fra i quali si chiama Fiorito. Altre saggi: “La rettorica d’Aristotele e
Cicerone spiegata” (Firenze); “La
Poetica d'Aristotele, spiegata” (I Svogliati, Pisa), “Il Piacere” (Firenze);
“Il riso” (Firenze); “L’ingegno” (Firenze), “L’onore” (Firenze); “Vita di S.
Francesco Saverio estratta dalle relazioni, fatte in Concistoro da Francesco
Maria Cardinale del Monte”, “Sermoni sacri, volgari e latini fatti in varie
chiese e compagnie di Firenze”; “Opere spirituali”; “L'Orazione vocale e
mentale”; “Tractatus de iis quae necesitate medii et precepti credenda sunt”. Note Arrighetti (Philippe), in: Louis Gabriel
Michaud: Biographie universelle ancienne et moderne, A., Filippo. In:
The Biographical Dictionary of the Society for the Diffusion of Useful
Knowledge, sg. A. (Philippe), in: Nouvelle biographie
générale, 1852–66, 3358 Arrighetti,
Filippo. In: The Biographical Dictionary of the Society for the Diffusion of
Useful Knowledge, sg. Biografie Biografie Cattolicesimo Cattolicesimo Filosofia Categorie: Religiosi
italiani Filosofi italiani Filosofi italiani Grecisti italiani Firenze
PadovaTraduttori dal greco all'italiano. RETTORICA
E POETICA D'ARISTOTILE TRADOTTE E SPIEGATE. PROLOQVII NELLA RETTORICA D'ARISTOTELE
RECITATI NELL'ACCADEMIA DELLI SVEGLIATI IN PISA. RAGIONAMENTO I. De principii
vniversali dell'arte. Prooemium. E' lodevol'usanza di tutti i buoni espositori
et massime di quelli d'Aristotele proporr'alcuni capitoli dal principio di
qualunque trattato ch'eglin si metton ad esporre, i quali da lor son detti
prolegomeni, o ver proloquii, molt'utili reputati non senza legittima cagione,
per chiarezza et intelligenza delle cose che si deven trattare, et molti son
questi de quali si fa maggior o minor copia secondo la qualità de trattati
parte nascenti dalla natura delle cose da insegnarsi, parte da varii accidenti
onde si vede che questa, per non dir come tropp'alta et forse troppo oscura ma
al men come lontana dalla prattica, è stata involta 'n un tenebroso silenzio.
Pregoti dunque benigno uditore, poich'io solco mar non troppo cognito, che tu
aiuti questo mio corso con l'aura benigna della tua attentione. Quel
ch'inducesse li huomini et quando a ritrovar l'arti. E' cosa manifesta a
ciascheduno che l'huomo è composto di due parti principali, d'anima et di
corpo. L'anima divina et immortale et per se stessa aspirante a cose alte et
elevate: ma per esser racchiusa nel profondo del corpo nostro, tale che non può
senza l'aiuto suo sostenersi, il ch'è la vita nostra. Hebben acconcia la terra,
onde potessen nutricarsi et altresì provedut'onde commodamente vivesseno, si
dieden alla contemplazione. Et tanto basti haver detto dell'occasion del
ritrovar l'arti, et del tempo in che elle si ritrovarono. Trattano i
logici e metafisici della diffinizione ma con esquisitezza singulare mostrando
che la diffinitione è una oratione, la quale dichiara la essenza et natura
della cosa, et questa da loro si compone di genere et differenze. Ma havendoci
noi proposto di ragionar di quelli che son più oscuri et manco trattati da
professori della Rettorica, che son chiaramente quelli di cui già habbiam
discorso. Poscia che havuto fine il nostro proposito, porrem anchor noi fine al
nostro ragionamento. Camminando su l'orme de discorsi fatti sin a qui sì
in generale, sì in particolare sopr'il negozio rettorico acciocché si proceda
secondo l'ordine della natura, che è cominciando prima delle cose prime, andrem
ritrovando il fine a cui s'indirizza questa professione, o ver arte che dir la
vogliamo. Però essend'egli parte della felicità, vien ad esser ancho parte del
fine humano. Insin a qui habbiam vedut'in quanti modi si piglia il diletto, et
non ha dubbio alcuno ch'un di questi si convien alla poesia; hora è da veder
quale et come, et scior le dubitazioni ch'intorn'a ciò accadesseno. Dice
Aristotele l'imitazione esser una delle principali cagioni della poesia et noi
poco fa l'habbiam posta come fine. Adunque terremo per fermo che l'imitazione
co'l metro habbin dat'origine alla poesia et che le sien la vera essenza di
quella. Del suggetto della poetica. S'egli è vero quel che noi habbiam
determinato ne discorsi rettorici essend'il suggetto quel ch'è capace della
forma che intende d'introdur l'artefice et ove s'impiega l'opera del poeta,
tutta rigirandos'intorno a questo che s'imiti alcuna attione è necessario dir
ch'ella sia il suo suggetto. Et vedesi che s'è ben dato qualche condimento
all'arti et alla filosofia mediante il verso come fecen molti scrittori innanzi
a Platone Anassagora GIRGENTI (si veda) ET APPRESS'I LATINI LUCREZIO et di
medicina da Q. Sereno et altri la qual'usanza non è stata approvata né seguita
da maestri delle scienze et pur le cose da loro eran trattate co' principii
proprii, cosa molt'alieno dal sentimento et processo poetico. Che sorte
d'arte sia la poetica. Dell'unità dell'arte poetica. Dell'origine della poesia.
Del furor poetico. Quel che nel poeta possa più l'arte o la natura. Due son le
parti del ben poetare come di esercitar ben tutte l'arti et professioni, l'una
è l'ingegno, l'altra il giudicio, perché ogni buon opera debbe esser regolata
da buon giudicio. Ma si com'il giudicio non ha luogo ove non è l'invenzione, sì
anchor l'invenzione senza giudicio è cosa poc'artifiziosa et casuale. Della
Rettorica d'Aristotele libro primo. La Rettorica ha convenienza con la
dialettica trattando l'una e l'altra di quelle cose le quali communemente da
tutti in un certo modo si conoscono, né si riferiscono ad alcuna determinata
scienzia. Di qui è che tutti gli huomini in qualche modo dell'una o dell'altra
partecipano, conciosiache tutti infino a un certo termine sappino arguire e
rispondere, e difendere e accusare. Noi dunque (disse colui) domanderemo che
voi giudici stiate a le cose che con il giuramento havete sententiato, et noi
ci staremo? Anchora le altre cose simili che appartengono all'amplificatione.
Et questo basti haver detto quanto alla fede senza artificio. Sommario del
primo libro della Rettorica d'Aristotele. La Rettorica è distinta da Aristotile
in tre libri. Nel primo narra le cose communi a i tre generi dell'oratione, i
quali distinguendosi in deliberativo, dimostrativo e giudiziale, dichiara le
propositioni et il fine di ciascheduno. Intorno a quai modi allega Aristotile i
precetti di trattare de giuramenti. E così pon fine alle fedi et al primo libro
della Rettorica. Seguendo di ridurre in breve le cose principali del 2°
libro della Rettorica d'Aristotile diremo avanti come in questo libro
Aristotile tratta de gli affetti dello animo, de costumi. Termina poi questo
libro annoverando le cose egli ha trattato nell'ultima parte et proponendo la
materia del 3° libro che resta a perfettionare questa arte, cioè la locutione
et dispositione. Sommario del terzo libro della Rettorica. Nel terzo
libro della Rettorica si contengono come dicemmo da principio due cose
principali che sono gli ornamenti della oratione con le parti di essa.
Comprende dunque l'epilogo la benevolenza dell'uditore, la amplificatione, la
commotione degli animi et l'essamenatione delle cose dette. Lettione.
Proemio nella Rettorica d'Aristotele. Se dalle operationi si conosce la nobiltà
della cosa niuna è più propria a manifestare l'eccellenza dell'animo nostro che
quell'istessa la quale da gl'animali irragionevoli ci fa differenti. E' l'huomo
mercé della divina bontà di molti doni dotato; onde secondo il Filosofo
mediante la parte intellettiva vive sempre desideroso di conoscere la verità.
Et Quintiliano seguitando Cicerone afferma che quest'opera è come un germoglio
della civile filosofia. Et questo basti haver detto circa i preloquii della
Rettorica. Qui fa fine Aristotile al trattato delle fedi senz'artificio et al
primo libro della sua Rettorica. Intorno all'espositione della quale mi sono
affaticato, per dar maggior luce et agevolezza a voi più giovani accademici
nell'apprender da questo famoso filosofo i precetti dell'arte poetica. Il fine
della dichiaratione del primo libro della Rettorica. Proloquii nella Rettorica
d'Aristotele. Proemio. E' lodevol cosa di tutti i buoni espositori et massime
di quelli d'Aristotele proporr'alcuni capitoli dal principio di qualunque
trattato che eglin si metton ad esporre, i quali da lor son detti prolegomeni,
o ver proloquii, molt'utili reputati non senza legittima cagione, per chiarezza
et intelligenza delle cose che si devon trattare, et molti son questi de quali
si fa maggior o minor copia secondo la qualità de trattati. Onde si vede che
questa, per non dir come tropp'alta et forse troppo oscura ma al men come
lontana dalla prattica, è stata involta 'n un tenebroso silenzio. Pregoti
dunque benigno lettore, poich'io solco mar non troppo cognito, che tu aiuti
questo mio corso con l'aura benigna della tua attentione. Quel che nel
poeta possa più l'arte o la natura. Delle parti del poema. Della poetica come
metodo. Delle parti della poesia come metodo. Ne metodi ben ordinati il
principio e comincia dalle cose che per ordine di natura procedono et questo
ordine è di più maniere perché o egli è di perfettione, o di origine. Resta
solo per dar fine a questo trattato che noi aggiunghiamo le considerazioni
della musica delle quali col tempo piaccendo a dio da cui ogni mia attione
riconosco, un'altra volta ne scriveremo. Magl. Cl. Rettorica e Poetica
d'Aristotile tradotte e spiegate d’A. canonico fiorentino. Il testo del
vol. I.com. con questo titolo, Proloquii nella Rettorica del LIZIO recitati ai
svegliati in Pisa. Cart., autogr., in fol. Leg.in mezza membr. Già della
Bibl. Mediceo. Palatina. Precede il vol. I la tavola delle materie (lezioni,
proloqui e versioni). (Magl.CI). Il titolo è di a Lezioni, relazioni e ricordi
varii. Ma il vol.contiene "Lettione del Piacere recitata nell'Accademia
degl'Alterati da Filippo A. accademico detto il Fiorito Del Riso del medesimo. Lezione
sull'In gegno, del medesimo. Notitiaetincontridelviaggiodel R. card. di Firenze
Legato in Francia. Propositi tenuti da S. M. tả (Enrico iv] alli signori del
suo Parlamento in presenza del suo Consiglio et de Duchi et Padri di Francia. «
Lettera in materia delle cose di Francia e de Ghisi. « Lettera del Re di
Navarra [Enrico iv) ai tre Stati del Reame di Francia. Cart., infol., sec.XVII,
autogr.dafol.1-6,f.79. Leg. inmezza membr.Proviene dalla Bibl. Mediceo-Palat.
(Magl.CI.. MAZZATINTI Manoscrilli delle biblioleche d'Italia. (Carlo di Tommaso
Strozzi, at: interlocutori Saccentee Frinfri— «Ricordian l'Alchimia u
tichi. Autore Iac. Petriboni fiorentino. Precede na nota dei Gonfalonieri di A.. Keywords: il
piacere, lista di figure rhetoriche Accumulazione
Adynaton Agnizione Allegoria Allusione Anacoluto Anadiplosi Anagramma Analogia
(retorica) Anastrofe Anfibologia Annominazione Antanaclasi Anticlimax Antifrasi
Antilogia Apagoge Apallage Aprosdoketon Arcaismo B Baritonesi C Cacofemismo
Cacofonia Captatio benevolentiae Catacresi Catafora (figura retorica) Chiasmo
(figura retorica) Clavis aurea Climax (retorica) Concinnitas Correctio D Deissi
Diafora Dialefe Dialisi (figura retorica) Diallage Diastole (retorica) Dieresi
Difrasismo Dilogia Disfemismo Distribuzione (figura retorica) Dittologia E
Ekphrasis Ellissi (figura retorica) Ellissi temporale Enallage Endiadi Endiatri
Enfasi Engo Enjambement Entimema Enumerazione Epanadiplosi Epanalessi Epanodo
Epanortosi Epicherema Epifora (figura retorica) Epifrasi Epitesi F Fallacia
patetica Figura di stile Figura etimologica Figure di suono H Hysteron proteron
I Iato Invettiva Ipallage Iperbato Ipocoristico Ipofora Ipotassi Ipotiposi
Ironia Isocolon K Kakekotoba Kakemphaton Kenning L Latinismo Leixaprén M
Merismo Metalessi Metalogismo Metanoia Metasemema Metatassi N Nemesi storica
Neologismo Noema O Occupatio Olofrase Omeoarco Omeottoto Omoteleuto Onomatopea
P Palindromo Palinodia Panegirico Paradosso Parafrasi Paragone Paraipotassi
Parallelismo Paraprosdokian Paratassi Parequema Paretimologia Parodia Paromeosi
Paronimia Paronomasia Patronimico Pleonasmo Polisemia Polittoto Premunizione
(figura retorica) Priamel Prolessi R Reduplicazione S Sarcasmo Scarto semantico
Senhal Sillessi Similitudine (figura retorica) Simploche Sinafia Sinalefe
Sinchisi Sincope (linguistica) Sineddoche Sineresi Sinestesia Sinonimia Sistole
Tautologia Tmesi Truismo Umorismo Understatement Variatio Zeugma tipi di discorsi,
discorso dimonstrativo, discorso deliberative, discorso di giudizio,
imitazione, ornamentation, parte dell’orazione, giovinetti, rettorica per
giovinetti, dialettica a la sua convenienza colla rettorica, rettorica come
arte, dialettica come arte, l’arte di conversare, filosofia civie, rispondere,
argomentare, il fine della retorica, le la rettorica distinta in tre parti,
demostrazione, giudizio, buon giudizio, deliberazione, albero della retorica,
luoghi retorici, il fine della poesia e il diletto, animale ragionabile,
animale non-ragionabile, lucrezio, cicerone, quintiliano, il dire dilettevole,
la benevolenza dell’oratore, la benevolenza del conversante, la benevolenza
dell’auditore, la benevolenza dell’audienza, principi di rettorica, cicerone
sulla rettorica di Aristotele – l’aristotele toscano, aristotele per i
platonici di fiorenze, del piacere, della lussuria, dell’onore, dell’ingegno,
del riso – Bergson – la felicita come fine – arte e natura – poetica come arte,
il poeta e la natura – l’imitazione come fine della poetica, la filosofia e la
rettorica. Rettorica e dialettica, universalita fra i uomini, la villa di
Giulio di Filippo Arrighetti – Filippo Arrighetti, canonico, detto il Fiorito –
pseudonimo, figura retorica, Refs.: Luigi Speranza, “Grice ed Arrighetti” – The
Swimming-Pool Library. Arrighetti.
Luii Speranza -- Grice ed Artemidoro – Roma –
filosofia italiana – Luigi Speranza. Filosofo
italiano. Expelled from Rome. A close friend of Plinio Minore, who admired him
greatly and supported him after he was one of the philosophers expelled from
Rome. Plinio describes him as a s a man of sincerity and integrity, as someone
ho lived a frugal and disciplined life, and as someone who faded physical
hardship with indifference. Artemidoro.
Luigi Speranza -- Grice ed Aruleno: il portico a Roma
– filosofia italiana – Luigi Speranza (Padova). Filosofo
italiano. Of the porch. Specialised in political philosophy. He actively
supported the opposition of the Porch and was condemnded to death by Domiziano,
for publily defending the activities of Thrasea Paetus and Helvidius Priscus. Quinto Giunio Aruleno
Rustico. Aruleno.
Luigi Speranza -- Grice ed Asclepiade: gl’accademici
di Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo
italiano. Based in Rome, he was a member of the Accademia. He wrote a book on
the immortality of the soul based on his interpretation of certain
pronouncements of the oracle of Apollo at Delphi. Asclepiade.
Luigi Speranza -- Grice ed Asclepiade: Roma antica --
filosofia italiana – Luigi Speranza. Filosofo
italiano. Friend of Lactanzio. Wrote a book on Providence. Asclepiade.
Luigi Speranza -- Grice ed Asclepiade: Roma antica --
filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo
italiano. He develops a new approach to medicine by introducing ideas on
atomism. Asclepiade.
Luigi Speranza – GRICE ITALO!; ossia, Grice ed Ascoli
– la scuola di Gorizia – filosofia friulana -- filosofia italiana -- (Gorizia). Filosofo friulano. Filosofo
italiano. Gorizia, Friuli-Venezia Giulia. Considerato il padre della
dialettologia e dell’ideolettologia (H. P. Grice) in Italia, è uomo e studioso
di indiscusso spessore e importanza. A lui si devono alcune delle più
importanti intuizioni e riflessioni in campo filosofico-linguistico. Fonda e
dirige l’Archivio Glottologico Italiano, tra le più importanti riviste di
filosofia linguistica d'Europa. Il primo volume comprende i “saggi ladini,” a
cui è conferito il premio della Fondazione Bopp e il premio della Société pour
l'étude des langues romanes di Montpellier. Vi pubblica il celeberrimo saggio,
“L'Italia dialettale,” la prima classificazione dello spazio linguistico
italiano basato su criteri interni alle varietà linguistiche. È fin da subito
attratto da questioni linguistiche-filosofiche, probabilmente grazie all’amicizia
con lo studioso Filosseno, figlio di Luzzato. La sua città natale gode ai tempi
di una strategica posizione che permette l'approccio a diverse parlate,
italiano, tedesco, sloveno, ma anche FRIULANO e veneto. Dopo aver passato i
primi anni della maturità a dedicarsi allo studio glottologico e alla
riflessione, pubblica il primo fascicolo degli Studi Orientali e linguistici,
dimostrando una predisposizione allo studio dei fenomeni del mutamento
linguistico e una verace curiosità per le teorie della indoeuropeistica. Per
approfondimenti vedasi VILLAR, Gli indoeuropei e le origini dell'Europa. Lingua
e storia, cur. Siviero, Bologna, Mulino. Conosce, per sua stessa ammissione, le
teorie di Bopp, padre della linguisticacomparata e figura a cui si deve la
scoperta delle corrispondenze morfologiche tra lingue imparentate. I contributi fondamentali della
linguistica comparativa, soprattutto nel campo dell'indo-europeistica, sono
quelli di Jones, che individua, seppur in nuce, una serie di corrispondenze
lessicali tra la lingua latina (“ego”) e la greca (“ego”); Schlegel,che in Über
die Sprache und Weisheit der Indier ragiona su di una prima classificazione
delle lingue su base morfologica -- per cui distingue tra lingue flessive,
agglutinanti, ecc. -- e, sulla scia di quanto affermato prima da Jones,
riconferma l'esistenza di una parentela linguistica tra latino (ego) e greco
(ego); Bopp, che nel suo saggio più importante, Über das Conjugationssystem der
Sanskritsprache in Vergleichung mit jenem der lateinischen (ego) und griechischen
(ego) Sprache, individua per primo dei tratti morfologici, e non solo
lessicali, in comune tra le due lingue. È infatti errato confermare l' ipotesi
di discendenza genealogica tra lingue tramite la presa in analisi del solo
lessico simile. Esso infatti, nella scala della vulnerabilità al cambiamento
dei diversi domini linguistici, rappresenta il primo che ad esso è
suscettibile, per via della facilità con cui avvengono fenomeni di prestito o
calco). A Rusk si deve poi l'ulteriore merito di aver individuato tra le lingue
citate una serie di corrispondenze a livello fonetico. Ascoli, che da subito
dimostrò interesse per la linguistica, si avvicinerà ben presto anche a questo mondo. A quei tempi in Germania la filologia
germanica stava compiendo grandi passi in ambito linguistico (si ricordino la
scoperta delle leggi di Grimm e di Verner che regolano il mutamento fonetico
nel passaggio dall'indoeuropeo alle lingue europee, in particolare germaniche)
e proprio, tra gli altri, i suoi lavori sulle lingue semitiche, sul sanscrito,
sull'iranico, e l'aver introdotto in Italia il metodo storico-comparativo
valsero ad Ascoli la nomina di membro della Società Orientale di Lipsia, oggi Società
Orientalistica Tedesca. A. Muore a
Milano. Il progetto pasitelegrafico e i
suoi antecedenti. L'interesse d’A. per il sistema pasi-grafico e il sistema pasi-lalico
comincia quando da alla luce un saggio - che non si premura mai di intitolare-,
pubblicandolo in appendice al Mosaico filologico. Il Mosaico filologico
costituisce una parte dell'opera complessiva Memorie filologiche. Il carattere
delle proposte differisce significativamente nelle parti. Nella prima parte, A.
enuclea alcuni principi e regole di formazione, derivazione e flessione. Nella
seconda parte, con atteggiamento più cauto, annota riflessioni e spunti sulla
costruzione di UNA LINGUA UNIVERSALE, fermandosi sul lessico, sulla morfologia e
anche sull'alfabeto, e motivando le ragioni che lo inducono a compiere questo
tentativo. BONOMI, Idee per un progetto di lingua universale in un inedito d’A.,
Milano, Accademia Scientifico-Letteraria. Studi in onore di Vitale, cur. Barbarisi,
Decleva, Morgana, Milano, Monduzzi. L’intuizione
di comporre una lingua internazionale deriva da molteplici fattori, che
possiamo però considerare tra loro collegati. Da un lato, la sua educazione classica
può aver generato in A. l'utopica idea dell'unità linguistica e, quindi, dei
popoli. Importante poi è sicuramente la convinzione sull'origine mono-genetica
delle lingue. Infine, gioca un ruolo fondamentale il tempo speso per la ricerca
nel campo della linguistica comparativa e dei tratti comuni alle lingue, come
la conoscenza delle teorie dell'indo-europeistica. I sostenitori della teoria
monogenetica credono possibile ricondurre a un unico uomo (o popolo) la
discendenza di tutti gli altri. Come conseguenza di questo fatto, alcuni
linguisti sostengono che in origine sulla terra fosse parlata e intesa una sola
e unica lingua. Almeno fino all'avvento della linguistica scientifica, e
soprattutto per influsso della tradizione religiosa, che vuole la nascita delle
diverse lingue storico-naturali come castigo a seguito dell'erezione della
mitica torre di Babele, nome che qualche studioso accosta a balal, 'confondere'
-- GRANDI, Fondamenti di tipologia linguistica, Roma, Carocci («Bussole»)] -, si crede che la lingua
primordiale è l'ebraico e che da questo sono discese tutte le altre. Così ad
esempio crede anche Isidoro, quando nelle sue Etymologiae scrive: ex linguis
gentes, non ex gentibus linguae exortae sunt. VINEIS, MAIERIÙ, La linguistica
medievale, Storia della linguistica, cur. Lepschy, Bologna, Mulino]. Al di là
delle influenze religiose, la teoria del mono-genismo linguistico trova
sostenitori anche dopo l'avvento della linguistica comparativa (forte delle
prime considerazioni attorno ai tratti comuni a più lingue e alla successiva
ricerca in ambito di tipologia linguistica - il cui merito va a Humboldt, padre
della disciplina e figura a cui A. fa spesso riferimento) e conta tra le sue
file numerosi sostenitori anche al giorno d'oggi. S’evince nel saggio la
primogenita volontà di utilizzare come sistema di comunicazione internazionale
i numeri da 1 a 17, associando a ciascuno una consonante secondo una scala
crescente di difficoltà – al l numero 1 la consonante più semplice - e non
specifica cosa con questa affermazione intenda (H. P. Grice crede ‘d,’ da
‘dada,’ Speranza ‘b’ da ‘baba’ – mio babbino caro – Strawson ‘m’, da ‘mama’ -- per
arrivare fino al 17, stante per la consonante più complicata. La lingua così pensata d’A. - che ignora
completamente i suoni vocalici ed è priva di segni diacritici o di
punteggiatura - si configura più come un sistema crittografico per sola
scrittura in cui a ogni numero è possibile ricondurre un solo suono, che come
una vera e propria lingua – il deutero-Esperanto. Già nel secondo suo saggio però A. abbandona
l'idea di comporre la sua pasi-grafia con i soli numeri arabi, giacché l'uso di
numeri superiori al 9 (composti quindi da doppia cifra) causa grossi fra-intendimenti,
forse risolvibili solamente tramite l'introduzione di spazi o segni di
punteggiatura preposti, a segnarne i confini, opzione che comunque non viene
contemplata. Se, ad esempio, si segue una serie di corrispondenze per cui, come
in latino, 1=”b”, 2=”c”, 3=”d”, [...] 11=r, 12=s, 13=t in mancanza di spazi tra
un numero e l'altro come si puo asserire che “12” = “bc” – la prima e la
seconda -- e non “s” – la XII? Così A. propone un sistema alterno di scrittura
che prevede l'uso di solo IX consonanti, e precisamente solo di quelle che
mancano del tratto +sonoro - cioè le sorde. Per realizzare l'equivalente
consonante *sonora*, A. propone di utilizzare il grafo della consonante sorda
con sovrapposto un piccolo punto (es. plp] e ?[b]). Cf. H. P. Grice, “Phoneme
and distincive features”. Per quanto riguarda il lessico, A. vi riserva la
parte più consistente d’entrambe le due parti del suo saggio. Nella prima, A. propone un
sistema di glossopoiesi che define come “graduale,” in cui i nomi primitivi -- di
cui disfortunatamente non fornisce una definizione, ma si limita piuttosto a
dare una sommaria lista -- posseggono obbligatoriamente la vocale «a» e ai
quali, mediante l'aggiunta di altri prefissi vocalici, è possibile MODIFICARE
IL SIGNIFICATO secondo una scala privativa. Un'E (seconda vocale) pre-posta al
nome primitivo ne scema d'un grado la forza. Un O (la quarta vocale) pre-posto
al nome primitivo ne scema di DUE gradi la forza. Un I (la terza vocale) preposto
al nome primitivo ci dà il senso OPPOSTO, es. A = “il divino”; E-A, “angelo” –
animato incorporale --, oa, “anima” (=animale, uomo, ma essere vivente in gnere
--, ia “demonio” – il non-divino – cf. Satana, l’angelo caduto. BONOMI. Non
sfugge poi che la lingua del Deutero-Esperanto d’A. Puo rimandare per alcuni
versi alla pan-glottia fantasiosa di Comenio che, oltre a sfruttare il
procedimento fono-simbolico, prevede una serie di morfi che ha il ruolo di MODULARE
GRADUALMENTE il significato – in sensu latu, il SENSO -- delle parole così
ottenute. Una ulteriore “A-“ vale allora, come in greco, "privazione"
– cf. Grice, “Negation and privation” --,
', una E "eliminazione", una U "accrescimento" ', ecc. Quindi, se “lus” significa
"luce", “a-lus” significa "buio" -- cf. VELIA, a-peiron.’ E “u-lus” significa
"luce splendente" [SIMONE]. CHIUSAROLI, «La Pasi-tele-grafia d’Ascoli
(cf. Grice, tele-mentationalism) nella riflessione linguistica europea, tra
paradigma universalista e scritture veloci, La cultura linguistica italiana,
Roma, Bulzoni. Nella seconda parter,
A. propone invece di proseguire mediante un lavoro di tipo comparativo tra le
varie lingue al fine di individuare le radici comuni mono-sillabiche, a cui
successivamente è possibile modificare il significato in un derivato. Per A.,
fondamentale importanza nella creazione del lessico deve poi ricoprire la
componente onomatopeica, di modo che i suoni che compongono le nuove parole
siano quanto più possibile motivati (“ouch” – theory, groan – Grice), icon. A. crede
che è onomatopeicamente motivato un nesso bi-tri-sillabici, da cui l'idea di
adottare lo stesso principio anche nella sua pasigrafia. In questo è evidente
anche l'influenza di Humboldt, al quale A. riporta la teorizzazione di una
lingua madre (lingua matrix) che, costruita nella ricerca d’elementi comuni
alle lingue "figlie" attraverso l'apporto fondamentale dell'elemento
significativo ARBITRARIO (‘ad placitum’) e di quello onomatopeico (motivato e
dunque non arbitrario), consenta la comunicazione universale, come nell’antico
ario, “il riferimento privilegiao della mia ricerca.” Quando tratta della componente
morfologica della sua lingua, propone, come tanti filosofi fanno prima e di lui
– dall’Accademia e poi --, una semplificazione delle coniugazioni e delle
declinazioni. Questa sostanzialmente è la prima - semplice - proposta (o, se
vogliamo, le prime due) che A. fa di lingua, ma non è l'ultima e nemmeno la più
importante. Infatti, a seguito della notizia della stampa di un'opera analoga a
Vienna, A. si decide di stendere per iscritto, e nel più breve tempo possibile
(«pure m'impegno di cominciare in pubblici fogli, entro dieci giorni al più
tardi»), la sua personale, rivista e definitiva proposta di lingua del
Deutero-Esperanto. Così come promete, pubblica dunque il suo progetto integrale
di pasigrafia - che nomina Pasitelegrafia - il cui scopo dichiarato è quello di
facilitare la comunicazione tramite telegrafo tra differenti parlanti. Dimostra
di conoscere i progetti e gl’intenti di Gesner, Bacon, Becker, Kircher,
Wilkins, Descartes, Comenio, Leibniz, Dalgarno e altri, così come prima di lui confessano
i nostri SOAVE (si veda) e MATRAJA (si veda). A. accenna allo stesso SOAVE (si
veda), ma ne critica i risultati asserendo che proponendo SOAVE (si veda) stesso
una scrittura universale cade nel sistema figurativo che trascina al labirinto
minoico, ed ammisera lo scopo della lingua universale del Deutero-Esperanto,
supponendola particolarmente un veicolo letterario, e perciò ostinatamente
INUTILE quando si ha il latino di Cicerone e d’Orazio. Come sottolinea
Chiusaroli nel suo saggio su A.l'Autore
recupera dunque nomi e temi della teoresi universalista, di cui ri-propone (per
superarli, d in parte riproducendoli) la tassonomia combinatoria per
l'edificazione di una ‘biblioteca universalis’ dei saperi (Gesner), l'analisi
misterica e simbolica delle scritture figurate e crittografiche (Kircher), la
propedeutica operazione dell'astrazione delle forme rispetto alle lingue
storiche (Bacone), la dominanza attribuita al significato nell'elaborazione del
sistema dei primitivi (Comenio), la correlata dimensione logica annessa al
presupposto della grammatica generale (Cartesio), il metodo della riduzione
alle unità lucreziane minime concettuali (Wilkins) e l'idea della scrittura
come strumento di comunicazione globale e l'autonomia del significante
pasigrafico (Bacone, Wilkins e Maimieux), l'assunzione del modello matematico
per la rappresentazione meta-linguistica del reale (Leibniz), la
semplificazione morfologica come indice della perfezione strutturale (Faiguet, GIGLI
(si veda)), la redazione del vocabolario di base e/o universale poli-glotta con
corrispondenze numeriche (Hourwitz). La
lingua d’Ascoli è allora volta alla comunicazione di tipo tecnico-scientifico,
tra nazioni che vogliano lo scambio facile e veloce di informazione, e non alla
stesura di opere letterarie. A. cita il lavoro di GIGLI (si veda), la cui
lingua la forma egli pure da mutilazioni galliche. Di nuovo, il filosofo goriziano
non riserva parole gentili per il collega italiano. La sua idea di lingua Deutero-Eperanto
è diversa e scavalca gl’impedimenti grafici legati ai singoli alfabeti,
scegliendo di esprimersi per cifre, ciascuna delle quali passibile di
trasmutazione in simbolo telegrafico e, quindi, in idea o concetto,
comunicabile in tutta l’Italia – “da Gorizia alla Catania, o almeno al di la
del stretto di Messina. Il telegrafo è infatti secondo A. lo strumento che
rende la ricerca e l'adozione della lingua internazionale o universale del
Deutero-Esperanto possibile al suo tempo. La scelta ricade allora su un sistema
crittografico, di cui fornisce la chiave, a cui ad ogni idea fondamentale
corrisponde un gruppo di cifre e simboli che sono successivamente trasponibili
in codice utilizzabile tramite telegrafo. La lingua pasitelegrafica deve essere
astratta da ogni lingua – il gallico incluso -- e da ogni grammatica. L’unica
cosa che chi ad essa si approccia deve conoscere è l'alfabeto LATINO, il
sistema numerico romano – I, V, X, L, C, M --, e la propria lingua madre: il toscano, non il
friulano! Segni pasitelegrafici I segni
utilizzati sono gli stessi che già venivano usati normalmente durante le
comunicazioni tramite telegrafo, ovvero la linea, -, e il punto, ., del codice di
Morse. La virgola è indicata «..- - » e
il punto fermo «— —». Le otto
categorie A. divide poi le aree
semantiche in OTTO macro-categorie - che molto si avvicinano alla struttura
ontologica delle lingue filosofiche a priori - che nomina: Indizi di persona;
relazione e moto del discorso; congiunture di moto, tempo e luogo; II. Religione, universo, la terra; III: Uomo fisico e morale e gli altri
animali; IV: Commercio, nazioni, paesi,
città; V: diplomazia, cancelleria,
guerra, giurisdizione; VI: scienze,
arti, mestieri, loro prodotti e strumenti; VII: tempo, luogo e qualità; e finalmente, VIII: nomi proprie (“Ascoli,”
“Grice,” “Speranza”) -- distingue ciascuna categoria numerandola con i numeri romai
da I a VIII. e i cui simboli telegrafici
sono: 2. .. 3. ...
4. -. 5. .- 6. -
7. -.- 8. E per completezza
informa che il numero IX sarebbe rappresentato dalla sequenza « ..-» e lo
zero «—.». Ad ogni idea rappresentata
sottopone tutte quelle che vi soggiacciono, numerando anche queste, ma pur
sempre senza rigore sistematico, ovvero non a mo' di vocabolario o grammatica. Accanto ad ogni idea vi sono poi due numeri
sovrapposti l'uno all'altro e separati da una linea trasversale, il primo dei
quali indica a quale categoria appartiene l'idea che accompagna, e il secondo
al numero che nella numerazione progressiva della categoria, spetta a tale idea.
A seguire A. fornisce le tabelle, dette numeratori pasitelegrafici, delle OTTO
categorie, di cui si fornisce un
esempio. Nell'immagine sottostante si riporta a titolo di esempio la tabella
immaginata d’A. per la categoria III.
¾ “uomo,” creatura umana) ⅜ uomo (“vir”) ⅜ trisavolo ¾ bisavo %.
antenato ⅗ avo ⅗ “padre” ⅜ “figlio” ⅜
zio ¾o fratello ¾1 cugino, Categoria III: L' uomo fisico e morale e gl’altri
animali. ⅜1 coraggio ⅜a salvezza
⅔a baldanza ⅜4 timidezza ⅜5 “speranza”
⅜& rassegnazione ⅜7
fedeltà ⅜s pazienza ¾9 giustizia
¾o onestà ¾1 pietà
(compassione)Se si volesse esprimere il concetto di 'uomo' inteso come essere
umano di genere maschile (nella tabella al secondo posto) basterebbe tradurre i
numeri, detti cifra pasitelegrafica, in simboli telegrafici (sapendo che la
linea trasversale è indicata con « ... ») di modo che esca la trascrizione « ....-.-...». Ciascuna lingua
naturale, come il friulano, la sua ‘lingua matrix,’ dove a tal scopo avere il
proprio numeratore pasi-telegrafico in cui ogni idea è ben definita – chiara e
distinta – cf. Grice, “Descartes on clear and distinct perception” -- o da un
vocabolo solo o, nel caso in cui sia necessario, da una ristretta peri-frasi
(“bachelor,” unmarried male – Grice/Strawson, In defense of a dogma; in questo
modo il lavoro di traduzione deve essere fatto una volta solamente (così nel
numeratore francese 3/2 sarebbe “homme” e in quello tedesco Mann, ma la
trascrizione pasitelegrafica è sempre la stessa e corrisponderebbe tanto a
quella italiana quanto a quella friulana, latina, siciliana, ecc.). Ciascun paese o popolo (Grice on C. A. B.
Peacocke – ‘population utterance meaning”) dove poi procedere alla compilazione
di vocabolari nei quali, oltre al significato o SENSO delle parole, è indicato
anche il segno telegrafico. E così ogni popolo – e idioletto per gl’individui
-- per comprendere i messaggi che arrivano dagli altri paesi non avrebbe che da
usare un vocabolario pasitelegrafia-lingua nazionale e, per inviare i messaggi,
lingua nazionale-pasitelegrafia. Il
risparmio nell'uso di questo sistema sarebbe, a detta dell'autore, doppio,
giacché per comporre i simboli pasitelegrafici sono sufficienti un numero
minore di caratteri/segni rispetto al codice Morse (come ad esempio nel caso di
'splendore', nel numeratore italiano indicato da 2/29 e in pasigrafia
«.........-“. Ma nel codice Morse «
......・・・_・
--..») e quindi per riprodurlo si
impiega sia meno tempo che meno spazio. Ogni cifra pasitelegrafica può inoltre
prevedere ulteriori modificazioni indicate da PIU simboli: - un punto sovrapposto, che nel telegrafo si
indica con una linea che la precede con breve spazio, denota un ENTE che COMPIE
l'azione o uno STATO in cui questo continua l'azione indicata dalla cifra – cf.
H. P. Grice on von Wright, “Action and Events”. Ad esempio 4/1 significa
'commercio' (cf. amazione, o amore) ma
se sottoposto ad un punto ⅛ significa “commerciante”
“amante,” non “amato” (tel.«--.--»). Un accento circonflesso sovrapposto
esprime la natura non-maschile dell'ente o dell'idea rappresentata dalla cifra
(es. 3/7 significa 'padre', ma sottoposto ad un circonflesso % ‘l’altro
genitore,’ i. e., 'madre'). Di nuovo quindi, come visto in altri sistemi di filosofi
precedenti, è sufficiente avere l'idea SOLO MASCHILE – “such artless sexism!” –
H. P. Grice -- di ciò che si vuole esprimere e aggiungere ad essa un simbolo,
un qualcosa che ne indichi l'essere femminile. Nel telegrafo il femminile è
indicato con una linea che segue la cifra pasitelegrafica («....-.-.-.--»). Una
parentesi tonda che precede esprime pluralità: ad esempio significa
'commercianti'. Nel telegrafo è indicato da doppio tratto a seguito
della cifra (tel. «—-. .-. .—»); un tratto sovrapposto alla cifra indica che
l'azione è conclusa o che il soggetto subisce
l'azione e nel telegrafo lo si indica con doppio tratto che precede la
cifra (es. significa 'la donna amata',
tel. «— ....--»);un apostrofo anteposto alla cifra (telegraficamente «.—. »)
indica che la condizione o l'azione è espressa al tempo presente. Ad esempio la
cifra ½*/ significa tu adesso sei commerciante' o più semplicemente 'tu
commerci' (tel. «.-...-.-.-.--.--..»);
una barra verticale anteposta alla cifra (telegraficamente « .—. »)
indica che la condizione o l'azione è espressa al tempo PASSATO – Grice,
“Socrates whatted – drank hemlock”. Ad esempio la cifra ½8 1%8 significa, per
dare l’esempio di Colorni-Leibniz, 'Paride
FU amante o più semplicemente 'PARIDE amò Elena’ – Nel caso di Patroclo ed
Achille, si presuppone che Achille è AMATO da ma non AMANTE di Patroclo (cf.
Eurialo ama Niso. Due barre verticali anteposte alla cifra (telegraficamente
«—. ») indicano che la condizione o l'azione è espressa al tempo FUTURO
CONTINGENTE (“Avra una battaglia navale”.. Ad esempio la cifra ½8. !|⅜8
significa 'Patroclo sarà amante d’Achille’ o ‘Eurialo SARÀ amant di Niso', 'Egli
amera'; tre barre verticali
anteposte alla cifra (telegraficamente « ...-») esprimono imposizione, o modo
imperativo dell'azione (“!Enjoy” – Holdcroft on Vendler – H. P. Grice, “Modes”,
“Aspects of reason”. Ad esempio ⅓ Il significa 'sii commerciante'. Una t rovesciata
anteposta alla cifra (telegraficamente « -... ») esprime desiderio,
supposizione o credenza (come il modo condizionale italiano, o l’ottativo
latino – H. P. Grice, “I wish we had it!” --. Ad esempio ¼ 1⅓ significa
'commerceresti' o 'SE fossi commerciante!'. Un grande cerchio anteposto alla
cifra (di cui non viene data difortunatamente la trascrizione telegrafica)
indica che due o più azioni si svolgono CONTEMPORANEAMENTE (“Patroclo took off his
leff and right shoe” (H. P. Grice on J. O. Urmson – “Philosophical Analysis
between the two wars”. Ad esempio % 0% 1%% significa Patroclo, mentre era
soldato, amò Achille'; una f rovesciata anteposta alla cifra (di
cui nuovamente non si conosce difortunatamente la trascrizione telegrafica)
esprime l'ente descritto dalla cifra AL MODO INDEFINITO o infinito. Ad esempio
J/18 significa 'amare'. Una c rovesciata anteposta alla cifra (telegraficamente
« ..-. ») indica che quella è una caratteristica dell'ente rappresentato dalla
cifra (ovvero un aggettivo), “amoroso”. Ad esempio • % significa 'europeo', o
goriziano, laddove senza la c indicherebbe solamente Europa, o Gorizia. Questo
carattere può essere anche duplicato e donare il significato o SENSO di
'maggioranza' (telegraficamente « ..... »). Triplicato e donare il significato
di 'assoluto' (telegraficamente « ......
»), come nell’ablativo latino. Ad esempio
8¾ ¾ significa 'DIVINISSIMO uomo'
– ma MORTALE. Una linea che segue la cifra ne indica la natura di AVVERBIO
(telegraficamente «.-.»). Ad esempio ⅝o
1⅝ ¾- significa 'Luigi agì DIVINAMENTE'.
Le parentesi quadre che precedono e seguono la cifra indicano un ente che crea
o produce l'idea da questa espressa (telegraficamente «.-.. » che precede la
cifra). Ad esempio coraggioso
l'esercito'. ⅝ [∞ ⅜1]% significa il vittorioso condottiero che rende.
Ordine e distanza tra le cifre . L'ordine delle cifre può variare, ma rimane comunque
simile a quello del latino e l’italiano, se non del friulano. Per non
confondere agente (Patroclo, Eurialo) e paziente (Niso, Achile), questi sono
quanto più separati e in questa sequenza. La distanza tra cifre deve essere
simile a quella che normalmente si lascia tra le parole. Ma le cifre che
concorrono insieme a definire una sola idea devono essere più vicine tra loro
delle altre. Nomi propri. A. associa ad ogni lettera dell'alfabeto latino un
numero e ne specifica, per quasi tutti, il suono. Per scrivere un nome proprio
non compreso nella categoria VIII, come può essere un cognome (“Grice,”
literalmente “pig”), basta scrivere in fila i numeri associati a ciascuna
lettera. I numeri pasi-telegrafici che devono servire per lettere sono
preceduti e seguiti dai segni «—.-». 1
[a] [b][ [d] ABCDEFGGH1 [e]/[&], non specificato 23456789 [f] [d3] (gl [h] 10 [1] 11 non specificato 12 [k] 13 14 (m] 15[n] 16 [o]/[o], non
specificato 17 [p] 18 [kw]
19 [r] 20 [s]/[z], non specificato
21 5 22 [t] 23 (u] 24
[v] 25 W non
specificato 26 Y non
specificato 27 non specificato 28
Z [dz]/[ts], non specificato numeri
I numeri si indicano con numeri romani preceduti e seguiti da due v
(telegraficamente «-.—»). In questo modo
v 99% v I numeri ordinali come
primo (universita: Bologna), secondo – seconda universita: Oxford, terzo –
terza universita: Parigi o Sorboan -- si ottengono aggiungendo alla cifra tre
tratti posposti, e così anche telegraficamente (ad esempio 20 ——— significa
'ventesimo', telegraficamente «
.... -»): Napoli, la ventesima
uiversita. I numeri che esprimono ripetizione (una volta, once, due volte, twice,
tre volte, thrice) si ottengono aggiungendo alla cifra tre tratti e un punto
posposti, e così anche telegraficamente (ad esempio 3-- significa 'tre volte', o ‘thrice’,
telegraficamente «... —.») Sistemi crittografici di questo tipo hanno grande
fortuna. Ma ovviamente in ragione dello scopo contrario a quello qui perseguito
d’A., il rendere illeggibile un testo non possedendone la chiave di lettura.
Più sistemi di questo tipo sono ad esempio creati dal padre gesuita, e allievo
di Kircher stesso, Francesco Lana conte de’ TERZI (si veda) nella suo saggio “Prodromo,
overo saggio di alcune inventioni nuove premesso all'Arte Maestra pubblicato
a Brescia nel 1670.10 Vedasi FRANCESCO LANA CONTE DE' TERZI,
Prodromo, overo saggio di alcune inventioni nuove premesso all'Arte
Maestra, opera che prepara il P.
Francesco Lana bresciano della Compagnia di Giesu per mostrare li piu reconditi
principij della Naturale Filosofia, riconosciuti con accurata Teorica nelle piu
segnalate inventioni, ed isperienze fin'hora ritrovate da gli scrittori di
questa materia et altre nuove dell'autore medesimo, Brescia, presso Rizzardi.
Lana nacque a Brescia e vi muore.
Studia filosofia presso l'ordine dei gesuiti a Roma, dove conosce anche Kircher
che lo introduce alla fisica e al poker.
È insegnante di matematica e filosofia.
A., così come è già stato fatto da altri dotti, come per esempio da
Kircher nella sua Polygraphia nova et universalis, reinventa allora un codice
linguistico nato per CELARE informazioni – cf. J. L. Austin, D-DAY -- di modo
che diventi anzi il sistema prediletto per lo scambio di informazione
internazionale. Ascoli. Keywords: Deutero-Esperanto. Refs.: Luigi Speranza,
“Grice ed Ascoli,” pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The Swimming-Pool
Library. Ascoli.
Luigi Speranza – GRICE ITALO!; ossia, Grice ed
Assarotti: la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale – la
scuola di Genova – filosofia genovese – filosofia ligure -- filosofia italiana
– Luigi Speranza, pel Gruupo di Gioco di H. P. Grice, The Swimming-Pool Libray (Genova). Filosofo genovese. Filosofo ligure. Filosofo
italiano. Genova, Liguria. Dizionario biografico degl’italiani. Nato da
Giuseppe. Entra nell'ordine delle scuole pie. Fatta la professione solenne,
insegna nella casa dell'Ordine a Voghera. Inizia gli studi filosofici ad
Albenga, e li continua a Genova sotto la direzione d’AGENO (si veda) e GIACOMONE
(si veda). Insegna grammatica superiore nella casa professa di Genova, fino a
quando divenne insegnante di fisica ad Albenga. Insegna logica a Savona, e
logica e fisica a Genova. Insegna teologia a Savona e a Genova.
All'insegnamento di filosofia e di teologia d’A. si formarono esponenti del
movimento giansenista quali Degola, Buccelli, Capurro, Carosio, e Casella.
A., però, finisce per abbandonare l'insegnamento di quelle discipline per
dedicarsi quasi totalmente all'opera di ri-educazione dei sordomuti, “il suo
maggior titolo di rilievo filosofico,” nelle parole di H. P. Grice. In Francia,
Epée è il primo a richiamare l'attenzione sulla gravità del problema della ri-educazione
dei sordomuti e pone a base del suo metodo di insegnamento la mimica griceiana.
Interessato a questi esperimenti, che sono continuati da Sicard, A. inizia la
ri-educazione di alcuni ragazzi. Incoraggiato dal successo ottenuto, volle
allargare il numero dei suoi allievi, ciò che gli è possibile fare quando
ottenne da BUONAPARTE (si veda) un finanziamento, la garanzia di alcune borse
di studio per sordomuti indigenti, oltre che l'autorizzazione a installarsi in
un locale appartenente a corporazioni religiose soppresse. A. pone la sede del
suo istituto dei sordo-muti in un convento delle monache brigidine. Finito il
dominio di BUONAPARTE (si veda), l'istituto attravese un periodo di crisi, fino
a che non prende a cuore le sue sorti, dopo l'annessione della Liguria al regno
della Sardegna, il re Vittorio Emanuele, per l'aiuto del quale esso conosce un
notevole ampliamento. Ben presto la sua fama si estende all'Italia e anche
all'estero. Numerosi illustri personaggi, da Mayer a Cuvier e Staël, lo
visitano. Esso è preso a modello da molti altri analoghi istituti fondati a
Torino, Milano, Livorno, Roma, Napoli, ecc. Lo stesso Aporti, che lo visita, ne
utilizza le esperienze per i suoi asili infantili. All'abdicazione del re
Vittorio Emanuele, l'istituzione è presa sotto la protezione del nuovo re Carlo
Felice. Il metodo d’A., MIMICO (alla Grice) ed essenzialmente pratico ed
empirico, utilizza l'alfabeto dattilogico, la scrittura e I GESTIi, e si
propone d'insegnare ai sordo-muti, oltre che a leggere e a scrivere, cognizioni
diverse riguardanti le varie lingue e i vari campi dello scibile, la filosofia
inclusa. Il limite di questo metodo è forse quello di dare soverchia importanza
al numero delle cognizioni da impartire, col rischio di fornire un'eccessiva e
inutile erudizione agli allievi. (Grice: “Do they NEED to *know* Heidegger?”). A.
concive il progetto, che non puo però seguire, d’estendere l'istruzione a tutti
i sordomuti dello stato sardo. Esegue la sua missione di educatore
nonostante le numerose difficoltà economiche e l'ostilità dei gesuiti e del
clero retrivo, con una fede porto-realistica. Allievo di Molinelli., legato
all'ala più religiosa e mistica del giansenismo ligure, quella di Vignoli, di
Degola, al quale è molto vicino, non prende parte alla lotta politica in cui
altri suoi amici giansenisti s'impegnano. Neppure partecipa molto alle dispute
teologiche. In questo campo pubblica, in collaborazione con Molinelli, De homine ante et post lapsum et
de Ecclesia militante in terris. Propositiones theologicae publice propugnandae,
Genova, mentre non ottenneno l'imprimatur ecclesiastico alcune sue tesi
intitolate De fructibus divinae Incarnationis,accusate di giansenismo,
baianismo e quesnellismo. Gl’è ancora negato, a Genova e a Torino, il permesso
di stampare cinquantadue profezie della Bibbia sulla conversione degl’ebrei.
Tutta la fede e le energie d’A. si riversarono così nella ri-educazione dei
sordo-muti, attività in cui è co-adiuvato dagl’amici Degola, che dell'Istituto è
il cappellano, Scalzi, Carrega, Boselli, che gli succede alla direzione dell'istituto.
Ai sordo-muti A. dedica pure numerosissimi saggi, fra cui si ricordano, “Esercizi
di pietà ad uso de’sordo-muti istruiti e di chiunque altro desideri praticarli,
Genova, e, Ristretto delle dottrine cristiane ad uso de’sordo-muti istruiti nel
R. Istituto di Genova, Genova, e Punti di religione ad uso de’sordo-muti
istruiti nel R. Istituto di Genova, Genova. A. è anche chiamato a insegnare
all'Istituto nazionale di Genova (nel periodo di BUONAPARTE denominato
Accademia imperiale), istituto di studi superiori soppresso dalla restaurazione.
Muore a Genova. Refs.: Storia della Università di Genova, di Isnardi,
continuata da Celesia, Genova; Mayer, Frammenti di un viaggio Pedagogico, Firenze;
Monaci, Storia del R. istituto nazionale dei sordo-muti in Genova, Genova (con
bibl.); Donaver, A., Rass. naz.; Codignola, Pedagogisti ed educatori, Milano;
Picanyol, Il primo apostolo dei sordo-muti in Italia: A., Rass. di storia e
bibl. scolopica; Codignola, Carteggi di giansenisti liguri, Firenze, con il carteggio
d’A.); Illuministi, giansenisti e giacobini nell'Italia, Firenze. Ottavio Assarotti. Assarotti.
Keywords: love. Refs.: Luigi Speranza, “Grice ed Assarotti,” pel Gruppo di
Gioco di H. P. Grice, The Swimming-Pool Library. Assarotti.
Luigi Speranza -- Grice ed Assiopisto: la setta di
Locri –- Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Locri). Filosofo
italiano. Epicarmo. Assiopisto.
Luigi Speranza – GRICE ITALO!; ossia, Grice ed Assunto:
all’isola – FILOSOFO SICILIANO, NON ITALIANO -- la ragione conversazionale e l’implicatura
conversazionale dei nazareni – la scuola di Caltaissetta – filosofia siciliana
-- filosofia italiana – Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The
Swimming-Pool Library (Caltanissetta). Filosofo siciliano. Filosofo italiano. Caltanissetta,
Sicilia. Grice: “I like Assunto; of course in Italy they take aesthetics
seriously; my wife would say that they ONLY take aesthetics seriously! And I
would correct her, ‘You mean that they take only aesthetics seriously,’ and she
would re-correct me, ‘Whatever, dear.’” – “Anyhow, Assunto is best known in
Italy as a historian, but he fails to see that when at Clifton we speak of the
classics we mean the timeless – my timeless meaning was meant as a
Cliftonianism! So Assunto is lacking background when he equates classicism, or
worse, neo-classicism of the Canova type popular in London, as dealing with
‘l’antichita’ – that would have offend Canova: his statues were meant to
represent Platonic timeless ideas or ideals!” Grice: “Gilbert and Leighton are
very explicit about this in ‘The Artist’s Model’!” “Then Assunto thinks he can
play with a fictiotious dichotomy between ‘l’antico’ and ‘il non-antico.’”
Grice: “I treasure Millais’s slogan that at the Royal Academy, he had to do
only TWO things: draw naked men ‘from nature’ – or draw naked men ‘dall’antico’!”
– Grice: “As Millais suddently realised: ‘We found out that there were no
English types that would represent the ‘antico’, or timeless ideal, so we had
to deal with Italian models!” -- L'uomo che contempla il giardino vivendo il
giardino [...] solleva se stesso al di sopra della propria caducità di mero
vivente.» -- Ontologia e
teleologia del giardino). Ha compiuto i suoi studi secondari presso il Liceo
Classico di Caltanissetta nella sua città natale. Laureato in Giurisprudenza è
stato avviato alla filosofia da Pantaleo Carabellese professore di filosofia
teoretica presso l'Roma. È stato docente di Estetica a Urbino dal 1956 e
titolare dal 1981 della cattedra di Storia della filosofia italiana presso la
Facoltà di Magistero a Roma. «Il suo insegnamento è anticonformista,
fortemente intriso di contraddittorio. Ma forse proprio per questo motivo,
quando arriva il Sessantotto, il filosofo sceglie la via della controrivolta:
quella che passa attraverso l'élite. Rifiuta di adeguarsi al voto politico, si
oppone ai collettivi e agli insegnamenti assembleari. I suoi allievi non si
oppongono al suo rifiuto, anzi con questo comportamento Assunto riesce ad
attirarsi la stima di molti esponenti del Movimento studentesco. Talmente
rivoluzionario da divenire reazionario, Rosario Assunto dagli anni Settanta in
poi avrà un atteggiamento sempre più schivo...» Un isolamento, il suo,
iniziato col Sessantotto, ma poi sempre più accentuato; infine, si chiuse nei
suoi studi e nelle sue speculazioni dopo la morte della moglie, la storica
dell'arte Wanda Gaeta, molto amata («Sono la fotocopia di lei, che è stata
uccisa dal mio stesso male»). A Roma fu molto amico di Giulio Carlo Argan
pur contrastando le sue idee politiche. Pensiero Rosario Assunto,
interessato ai temi estetici della filosofia da un punto di vista storico e
teoretico li ha trattati non solo come tipici della filosofia dell'arte e del
bello ma considerandoli coincidenti con la filosofia stessa giudicata come pura
estetica. Egli si rifà a Baumgarten, Cartesio, Leibniz, Kant esaminati
soprattutto per la loro concezione dell'uomo e del suo rapporto con la natura.
Una visione tradizionalista della filosofia, proprio nel momento in cui
l'estetica si rivolgeva alla semiotica, che isolò Assunto soprattutto in
Italia, mentre in Germania veniva tradotto e apprezzato. Assunto ha rappresentato
una delle voci più significative all'interno del dibattito filosofico estetico
del Novecento. Vivamente interessato all'estetica dei giardini anticipa
largamente nelle sue opere alcuni rilevanti concetti per la riflessione più
recente, come per esempio quello di "estetica del paesaggio", che
hanno ispirato i temi ambientalisti sulla tutela e conservazione del paesaggio,
naturale o elaborato dall'uomo, che egli definisce «Spazio limitato, ma aperto;
presenza, e non rappresentazione, dell'infinito nel finito». Altre opere:
"Civiltà fascista"; “Il teatro nell'estetica di Platone, in
"Rivista italiana del teatro"; Curatela di Heinrich von Kleist,
Michele Kohlhaas, Torino, Einaudi); “Essere e valore nella filosofia di C. A.
Sacheli, in "Rivista di storia della filosofia"; “L'educazione
estetica, Milano, Viola); “Educazione pubblica e privata, Milano, Viola); “La
pedagogia greca, Milano, Viola); “Forma e destino, Milano, Edizioni di
comunità); “L'integrazione estetica. Studi e ricerche, Milano, Edizioni di
comunità); “Teoremi e problemi di estetica contemporanea. Con una premessa
kantiana, Milano, Feltrinelli); “La critica d'arte nel pensiero medioevale,
Milano, Il saggiatore); “Estetica dell'identità. Lettura della Filosofia
dell'arte di Schelling, Urbino, STEU); “Giudizio estetico, critica e censura.
Meditazioni e indagini, Firenze, La nuova Italia); “Stagioni e ragioni
nell'estetica del Settecento, Milano, Mursia); “L'automobile di Mallarmé e
altri ragionamenti intorno alla vocazione odierna delle arti, Roma, Ateneo); “L'estetica
di Immanuel Kant, una antologia dagli scritti a cura di, Torino, Loescher); “Hegel
nostro contemporaneo” (Roma, Unione italiana per il progresso della cultura); “Il
paesaggio e l'estetica I, Natura e storia, Napoli, Giannini); Arte, critica e
filosofia, Napoli, Giannini); “L'antichità come futuro. Studio sull'estetica
del neoclassicismo europeo, Milano, Mursia); “Ipotesi e postille sull'estetica
medioevale. Con alcuni rilievi su Alighieri teorizzatore della poesia, Milano,
Marzorati); “Libertà e fondazione estetica. Quattro studi filosofici, Roma,
Bulzoni); “Intervengono i personaggi (col permesso degli autori), Napoli,
Società editrice napoletana); “Specchio vivente del mondo. Artisti in Roma”
(Roma, De Luca); “Hohenegger. Esploratore del possibile” (Roma, De Luca); “Infinita
contemplazione. Gusto e filosofia dell'Europa barocca, Napoli, Società editrice
napoletana); “Filosofia del giardino e filosofia nel giardino. Saggi di teoria
e storia dell'estetica, Roma, Bulzoni); “La città di Anfione e la città di
Prometeo. Idea e poetiche della città, Milano, Jaca); “La parola anteriore come
parola ulteriore, Bologna, il Mulino); “1. Il parterre e i ghiacciai. Tre saggi
di estetica sul paesaggio del Settecento, Palermo, Novecento); “Verità e bellezza
nelle estetiche e nelle poetiche dell'Italia neoclassica e primoromantica, Roma,
Quasar); “Ontologia e teleologia del giardino, Milano, Guerini); “Leopardi e la
nuova Atlantide, Napoli, Istituto Suor Orsola Benincasa-Edizioni scientifiche
italiane); La natura, le arti, la storia. Esercizi di estetica, Milano, Guerini
studio); “Giardini e rimpatrio. Un itinerario ricco di fascino attraverso le
ville di Roma, in compagnia di Winckelmann, di Stendhal, dei Nazareni, di
D'Annunzio, Roma, Newton Compton); “La bellezza come assoluto, l'assoluto come
bellezza. Tre conversazioni a due o più voci, Palermo, Novecento); Il
sentimento e il tempo, antologia Giuseppe Brescia, Andria, Grafiche Guglielmi.
A. Ontologia e teleologia del giardino, Guerini; Enciclopedia multimediale
delle scienze filosofiche, su emsf.rai. Nicita, Assunto scandaloso esteta, La
Repubblica Cutinelli-Rendina, Emanuele, Il Sessantotto di Rosario Assunto,
Ventunesimo secolo: rivista di studi sulle transizioni: 22, 2,, Soveria
Mannelli: Rubbettino,. Op. cit.
ibidem Assunto scrisse contro il
progetto politico della realizzazione del ponte di Messina Debenedetti, A., filosofo delle forme,
Corriere della Sera, Raffestin, Dalla nostalgia del territorio al desiderio di
paesaggio. Elementi per una teoria del paesaggio, Alinea Editrice, 2005
p.90 Marisa Sedita Migliore, Il
giardino: mito estetico d’A., Società Dante Alighieri, 2000. Teresa Calvano,
Viaggio nel pittoresco: il giardino inglese tra arte e natura, Donzelli;
Cassatella, Enrica Dall'Ara e Maristella Storti, L'opportunità
dell'innovazione, Firenze; Caotorta, All'ombra delle farfalle. Il giardino e le
sue storie, Edizioni Mondadori,, Luciani, Luoghi, forma e vita di giardini e di
paesaggi: Premio internazionale Carlo Scarpa per il giardino, Fondazione
Benetton Studi Ricerche Pier Fausto Bagatti Valsecchi e Andreas Kipar, Il
giardino paesaggistico tra Settecento e Ottocento in Italia e in Germania:
Villa Vigoni e l'opera di Giuseppe Balzaretto, Guerini, Rendina, Il Sessantotto
di A. (con un carteggio inedito), in «Ventunesimo secolo», A. Opere di Rosario
Assunto,. Rosario Assunto, su Goodreads. Filosofia Filosofo Professore Caltanissetta
Roma. Rosario Assunto. Assunto. Keywords:
i nazareni, massimo, sala dante, koch, civilta, civilta fascista, theorie des
schoenen; D’Annunzio, i Nazareni, I nazareni, pittori germani a Roma, Casino
del marchese Carlo Massimo, Aligheri, Tasso, Ariosto. D’Annunzio, la
preservazione dei Giardini antichi, villa, giardino di villa, giardino di
palazzo, estetica del giardino, il giardino e il uomo, giardineria, filosofia
del giardino, il giardino di Epicuro a Roma. Horto di Epicuro – il giardino
d’Epicuro (non di Epicuro). Hortus, orto romano, i Scipione e la filosofia a
Roma dopo Carneade – filosofia al giardino – filosofia nell’orto – orto
italiano, giardino italiano, orto romano, simmetria, “teatro, cinematografo,
radio” “sono tre simboli ideali” – “Civilta” – “estetica del teatro in Platone”
assunto annunzio i nazareni a roma il
giardino d’epicuro “teatro, cinematografo, radio” teatro nell’estetica
platonica schelling il bello intro alla fondazione della metafisica dei costumi
natura ed arte — roma città — giovanni gentile — -- Refs.: Luigi Speranza, “Grice ed Assunto” –
The Swimming-Pool Library. Assunto.
Luigi Speranza -- Grice ed Astea: la diaspora di Crotone -- Roma –
filosofia italiana – Luigi Speranza (Taranto). Filosofo italiano. Pytthagorean according to Giamblico di
Calcide (“Vita di Pitagora”). Astea
Luigi Speranza -- Grice ed Astilo: la diaspora di Crotone -- Roma –
filosofia italiana – Luigi Speranza (Metaponto). Filosofo italiano. Pythagorean according to Giamblico di
Calcide (“Vita di Pitagora”). Astilo.
Luigi Speranza -- Grice ed Astone: la setta di Crotone -- Roma –
filosofia italiana – Luigi Speranza (Crotone). Filosofo
italiano. A Pythagorean. According to Diogene Laerzio, there is a view that he is
the true author of some works attributed
to Pythagoras. Astone.
Luigi Speranza – GRICE ITALO!; ossia, Grice ed Astorini:
la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale – la scuola d’Albido
– filosofia cosentina – filosofia calabrese -- filosofia italiana – Luigi
Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The Swimming-Pool Library (Albidona). Filosofo
calabrese. Filosofo italiano. Albidona, Cosenza, Calabria. Grice: “I like
Astorini, but more so does Sir Peter, vide his section on ‘Space’ in
“Individuals: an essay in descriptive metaphysics”: ‘Surely we wouldn’t have
space as we know it if it were not for Astorini.” La vivacità del suo ingegno, e il desiderio di apprendere
cose nuove, lo induce a spogliarsi de' pregiudizi del secolo, e a studiare
attentamente i filosofi, conosciuta la forza delle loro ragioni, ardì
dichiararsi nemico del peripato del LIZIO; al che avendo congiunto lo studio
delle lingue ebraica e siriaca, ei cadde presso alcuni in sospetto di novatore,
e per poco non si attribuì ad arte magica ciò che era frutto del raro suo
ingegno e del suo instancabile studio.” Alcuni considerano i paesi di Cirò o di
Cerenzia la sua patria. Si ritieneno deboli gl’argomenti esposti da un
ingegnoso filosofo di Cirò il quale volle onorare la sua patria della sua
nascita. Molti filosofi presero a difendere l'autorità del romano pontefice e a
sostenere la chiesa romana contro i nimici della medesima. Uno solo, A., ne accennera
per amore di brevità, con tanto maggior vigore si accinse a difenderla, quanto
più avea per sua sventura potuto comprendere la debolezza dell'armi con cui
essa era oppugnata. Vari luoghi della Calabria Citeriore han preteso all'onore
di aver dato i natali a questo insigne filosofo, ma noi crediamo rimuovere ogni
dubbio intorno al luogo di lui natìo, seguendo in questo punto l'opinione di Zavarrone,
il quale afferma esser egli nato nella città di Cirò, detta anticamente
Cremissa, luogo non ignobile del paese de' Bruzi, dove questa famiglia vive
ancor oggi onorevolmente. «Molti scrittori di materie ecclesiastiche rilussero
in questo secolo, e fra i più celebri si annoverano: primo, A.. Studia con il
padre Diego, medico in loco, la grammatica, la retorica e la lingua greca. Si
trasfere a Cosenza per completare gli studi e poi a Napoli per apprendere gli
studi di FILOSOFIA, e di teologia a Roma, dove è insignito dalla corte papale
del compito di scrivere alcuni annali. In questo periodo pubblica “De vitali aeconomia
foetus in utero”. Pubblica alcuni saggi di matematica e geometria, come gli “Elementa
Euclidis ad usum nova methodo et compendiare olim demonstrate” e un “Decamerone
pitagorico”. Dopo alcuni anni lascia l'Italia per raggiungere la Svizzera e la
Germania, ma in quei territori, come la città di Groninga, riscontra una
notevole influenza religiosa protestante e poiché il conversar co' i filosofi
protestanti gli fece conoscere chiaramente che fuor dalla chiesa di Roma non
v'e unità di fede, decide di tornare in patria -- Terranova, feudo del paese di
Tarsia. Gimma, Elogi accademici della società degli spensierati di Rossano,
Troise. Si tratta di Zavarrone (Montalto Uffugo, Roma), religioso dell'ordine
dei Minimi e teologo al servizio di illustri politici, come Augusto III re di
Polonia e pontefici. È lettore del collegio urbano Propaganda Fide e consultore
del tribunale dell'inquisizione. Tiraboschi, Storia della letteratura italiana,
Notizie e opere d’A., Firenze: Molini,
Landi, Pietro Napoli-Signorelli, Vicende della coltura nelle II sicilie o sia
storia ragionata, Morelli di Gregorio, Panvini (Martuscelli), Biografia degl’uomini
illustri del regno di Napoli, ornata de loro rispettivi ritratti, Gervasi. Falcone,
Biblioteca storica topografica delle Calabrie. A., Dizionario degl’italiani,
Istituto dell'Enciclopedia. Opere di A.,
su open MLOL, Horizons Unlimited srl. Filosofi
italiani Matematici italiani Professore Albidona Terranova da Sibari Carmelitani.
Altre saggi: "De Vitali Oeconomia foetus in utero" (Groninch);
"Elementa Euclidis ad usum novæ Academiæ Nobilium Senensum, nova methodo
et compendiariè demonstrata", Sienna e Napoli, Mosca); "Prodromus apologeticus";
"De potestate sanctæ sedis apostolicæ"; "De vera ecclesia Jesu
Christi, contrà Lutheranos et Calvinianos libri III”, Napoli, Bono; “Apollonij
Pergæi Conica integritati suæ ordini atque nitoripri stino restituta,” Napoli;
"De recto regimine catholicæ hierarchiæ; “Ars magna pythagorica";
"PHILOSOPHIA SYMBOLICA”; "Archimedes restitutus";
"Decameron Pitagorico"; "Il consenso, e dissenso delle III Gramatiche
Ebraica, Arabica, e Siriaca e'l modo facilissimo per apprenderle ciascheduno da
se stesso in breve tempo"; "Commentaria ad Scientiam GALILEI (si
vedda) de Triplici Motu". La movimentata vicenda biografica di A.
aonda le radici in una formazione cosmopolita e interdisciplinare, iniziata in
Calabria sotto la guida del padre e proseguita accanto allo zio Tommaso
Cornelio, esponente del fronte de inovatores nella Napoli. È per lui naturale
ripudiare la filosofia scolastica e aderire alle teorie dei moderni, da GALILEI
(si veda) a Cartesio, Hobbes e Gassendi, teorie che diuse a Cosenza e tra i
filosofi nobili in varie località del vice-regno e che gli recarono grande
notorietà. Al termine di un lungo viaggio in Svizzera, Germania e i paesi bassi
durante il quale si fa apprezzare per le non comuni capacità didattiche, vive
alcuni anni tra Firenze e Siena dove frequenta i principali esponenti della
cultura umanistica e scientifica toscana, da Magliabechi a Redi e Viviani.
Ritornato nel vice-regno per dedicarsi alla pubblicazione di numerosi saggi, si
pone sotto la protezione del principe di Tarsia, ed anche d’Orsini, avvezzi
amendue a favoreggiar letterati. Per l’ampiezza dei temi arontati, sua
“PHILOSOPHIA SYMBOLICA” puo giovarsi del ricco patrimonio librario custodito
nella biblioteca di Spinelli. “PHILOSOPHIA SYMBOLICA” è divisa in dialoghi nei
quali sono illustrati tutti i sistemi filosofici, colle dimostrazioni e
osservazioni fatte in varie sette, ed erudizioni prese da' FILOSOFI ROMANI. Sebbene
varii luoghi della Calabria si contendano la patria d’A., pure l’opinione più
comune de’ suoi biografie che egli è nato a Cirò ed è nel battesimo nomato
Tommaso Antonio. È gli padre Diego, professore di medicina reputatissimo in
Albidona, ove da questi il figliuolo apprese la grammatica, la lingua greca e
la rettorica. Studia quindi in Napoli e Roma la FILOSOFIA aristotelica del
LIZIO, in che acquista tale riputazione, che gli venne permesso di scrivere a
fronte delle sue conclusioni il motto: de/‘elndet ipse solus. Morto il genitore
ripatrio per assestare i suoi domestici affari, e iotè frai libri e fra le
conversazioni dei suoi concittadini, dopo non lievi meditazioni, darsi tutto
alle dottrine filosofiche del TELESIO (si veda), ed alla libera maniera di
ragionare. Era cosi istrutto nella lingua latina che ne compose una GRAMMATICA
FILOSOFICA. E si dice, secondo l’andazzo de’tempi, e è accusato lotto per
magia; ma ei pote discolparsi dalla bassa calunnia, e percorrere per ben tre
volte l’ltalia, ovunque acquistandosi e fama ed amicizia. Nominato a reggente
di filosofia a Cosenza, è da qui il propagatore della filosofia per le
calabrie; come lo fu altresi della città di Penne per gli Abruzzi. Invitato in
Roma, vero o supposto che vi sfinfermasse, egli invece dimora per qualche tempo
in Albano. Ritenuto a Bari da alcuni nobili filosofi, che lo vollero a maestro,
ha a cominciare in quella Chiesa di S. Nicolo il suo annuale di prediche. Ma le
convinzioni libere che egli spacciava, gli mossero fiera persecuzione. Sicclie
passa in Zurigo, ed indi in Basilea, ove non dimore che un solo aniie. Pescia
recessi nel Palatinato, donde si trasferì nell’Assia, dove è costituito maggiore
-- ossia vice-prefetto -- dell'universita di Marburgo con la facoltà d’
insegnar FILOSOFIA. In stabile sempre si conduce dappoi in Groninga e da quella
Repubblica ha l'incarico di insegnar filosofia e quivi a spese del Senato e
dottorato, nel quale anno pubblico il suo saggio, "De vitali oeeonomia
foetus in utero", in cui sostenne la opinione, non per ance in quell’era
divulgate, della generazione dell'uomo. Scorgendo intanto, che iteo legi della
Chiesa riformata. fra le mille contese religiose si laceravano, penso
ritornarsene fra’cattolici in ltalia; e d’Amburgo chiese il condono d’ogni
apostasia; il che ottenuto dal S. Uffizio, recatosi presso il Vescovo di
lilunster fece solenne abiura, e si porta in Roma, onorevolmente accolto, ed
inviato in Pisa come predicatore generale. Dopo un anno da Pisa si traduce in
Firenze, ove si acquista il favore del Granduca, e si concilia l’amistà
fraternevele di Redi, Viviani, Marchetti e d’altri molti filosofi. In Siena,
dove recessi come professore di filosofia, coopera efficacemente alla
istituzione dei Fisio-Eritici, e ne e eletto Principe e Censore perpetuo. Qui
pubblica nel medesimo anno “Eiementft Euclidis nova methodo demostraiei”. Ritornato
in Roma è inviato a Cosenza col grado di maestro in filosofia, e di prefetto
degli studii. Ma riaccesigliodii sempre a cagien de’ suoi meriti, si ritira in
Cervinara nel Principato Ulteriore; e da la spesso recandosi in Napoli ha a
cenciliarsi la stima di Spinelli principe di Tarsia, il quale per Paifetto che
porta ad A. e per rimuoverlo dalla tristezza in che è caduto per la morte di
Francesco Mainerio A., lo indusse a recarsi in Terranova, deputandolo custode
della sua scelta biblioteca. È questa l'ultima residenza. Sono del pari suoi
saggi stampat: Apollonii Pergei conica integritati suae ac nitori
restituta" (Nap.); "De potestate S. Sedis apostolicae, Siena;
"De‘nera Ecclesia Christi disciplina, libri III Nap.). Fra i molti altri
saggi che lascia si commendano: PHILOSOPHIA SYMBOLICA IVXTA PROPRIA PRINCIPIA IN
DIALOGHI; Ars magna Pythagorica, una specie di enciclopedia
scientifico-universale; Decamerone Pitagorico, in verso, diviso in X
giornate, e contenente tutta la filosofia naturale pitagorica in forma di
satire in verso sciolto bernesco; Commentario, ad scientiam GALILEI (si veda)
de tripliei motu"; "Archimedes restitutus"; "De reato
reyimine Catholicaelticr archiae; "De vita Christi"; Apologia pro
fitte catltolica, che divisa di dedicare a Filippo di Spagna. Parlano con somma
lode di questo dotto filosofo Cimma, Zavarroni, Amato, Aceti, Mazzucchelli,
(lriglia, liraboschi, Alllitto, Relli, i
dizionarii storici, e per tacer‘ di tanti altri,. il Cantù. A. Nacque -- è incerto se a Cirò, feudo degli Spinelli
principi di Tarsia che lo protessero nelle ultime fortunose vicende della sua
vita (Zavarroni), o ad Umbriatico oppure ad Albidona (Gimma), dove il padre
Diego esercita la professione di medico e dove sicuramente egli trascorse gli
anni dell'adolescenza. Entra fra i carmelitani dell'antica osservanza, mutando
il nome di Tommaso Antonio in quello di Elia. Completa gli studi di FILOSOFIA aristotelica a Napoli nel convento dei Carmine
Maggiore dove appartenne agl’INCAUTI e a Roma quelli di teologia. La morte del
padre lo richiama in Calabria, nell'ambiente familiare. Stando ai suoi
biografi, in questi anni si colloca la
sua prima crisi spirituale che investe il campo delle dottrine filosofiche
acquisite: un radicale atteggiamento anti-peripatetico lo induce a formarsi un sistema eclettico
platonico-pitagorico e meccanicistico-materialistico, quest'ultimo ispirato
dalla lettura delle opere di GALILEI (si veda), Gassendi, Cartesio, Mersenne,
Hobbes. Più prechaniente possiamo dire, sulla base degl’elementi desumibili da
taluni suoi saggi, che egli riprese il pensiero dei suoi conterranei, del
famoso "notomista" SEVERINO, erede delle speculazioni campanelliane e
delle teorie fisiognomiche di Porta; di Musitano, che aveva accolto le
posizioni dei moderni come elaborate dagl’investiganti di Napoli; e soprattutto
di Comelio, del quale A. ama più tardi dichiararsi nipote (cfr. Giornale de,
Letterati). La crisi non gli impede tuttavia di raggiungere il sacerdozio
e di divenire reggente degli studi e lettore di filosofia e teologia nel
convento dei suo ordine a Cosenza. Ma i confratelli della congregazìone della
provincia di Calabria gli si ribellarono apertamente chiedendo al generale la
sua sostituzione. Rivalità locali, come il contrasto tra A. e il provinciale
Puglisi, adombrano l'inquietudine intellettuale del religioso e le resistenze
di metodi tradizionali di studio. Sospeso dall'insegnamento, penitenziato nel
carcere della curia arcivescovile di Cosenza, A. è infine inviato a Roma per un
giudìzio definitivo da parte deì superiori dell'ordine. Dopo un breve ciclo di
predicazìone si ritira ad Albano, non si sa se per punizione inflittagli o per
motivi di salute. Ha comunque ìnizio adesso il momento più ambiguo e per taluni
aspetti più oscuro della sua vita. Passa a Bari, dove stringe amicizia con
Tremigliozzi, seguace del gassendista Bartoli e di Cornelio e uno dei Coraggiosi,
bandìtrice delle nuove dottrine anti-galeniche nel settore delle scienze
mediche. Partecipa alle polemiche di Tremigliozzi in difesa di Musitano e
compose un epitafio alla materia prima per quella nuova staffetta del Parnaso
circa gl’affari della medicina dirizzata agl’illustrissimi spensierati di
Rossano, Francoforte, che ad opera di Tremigliozzi costituì una convinta difesa
del metodo sperimentale degl’investiganti contro la metodologia cartesiana. A
Bari conosce Gimna, che è il suo più diffuso biografo, al quale mostra vari
suoi manoscritti, tra essi un'ars magna trigonometrica. Predica a S. Nicola e
vive nel convento carmelitano barese dal quale poco tempo prima e fuggito,
apostata in Svizzera, il priore Rocco. Se dietro esempio di Rocco o pella sua crisi,
è certo comunque che di lì a poco A., rotto ogni indugio, depone l'abito
religioso e ripara anch'egli oltr'Alpe. Da Zurigo raggiunge Basilea, dove presenzia
a esperimenti. di medicina di Harder (Apiarium observationibus medicis refertum,
Basileae) e dove rimane circa un anno seguendo anche i corsi di Wettstein -- non
si sa se il padre o il figlio succedutogli sulla cattedra. Sosta nel Palatinato
presso il principe elettore Carlo fino alla morte di lui, per trasferirsì poi,
nel suo peregrinare da università ad università, a quella di Marburgo dove
divìene viceprefetto con facoltà di insegnare filosofia -- stando al Gimma, ma
la notizia non trova conferma nel Catalogus professorum Academiae Marburgensis,
a cura di F. Gundlach, Marburg. A Marburgo prosegue con fervore gl’intrapresi
studi di medicina ascoltando le lezioni di Waldschmiedt. Dopo un soggiorno a
Brema, è a Groninga: insegna nel collegio dei nobili cadetti francesi e compone
“De vitali œconomia fœtus in utero” (Groningae), che pare sottendere nello
studio del problema della fecondazione, oggetto allora di discussione tra gl’ovisti
e gl’animalculisti, le preoccupazioni speculative del filosofo, volte sulla
scia di SEVERINO e più di BARTOLI alla ricerca del PRINCIPIO VITALE (zoologico)
e formativo dell'embrione. Durante il soggiorno in Olanda si ha notizia
vaga di una sua partecipazione alle polemiche religiose nell'ambito del
calvinismo. La difesa che A. assume del cattolicesimo pre-annunzia un suo più
meditato ritorno alla fede cattolica. Attaccato pubblicamente dai ministri
calvinisti, si rifugia ad Amburgo. Qui una sua lettera al s. uffizio, con la
richiesta di poter ritornare in Italia, gli procura una benigna risposta da
parte di Brancati di Lauria e un salvacondotto. Assolto dal vescovo di Münster,
è a Roma. Riammesso nell'ordine, predica a Pìsa e Firenze. Conosce allora
Marchetti, cui l’unie l'interesse per la filosofia corpuscolare e che lo
presenta a Magliabechi, Redi -- cui lo lega la comune curiosità per il problema
della generazione -- e Viviani. Là questo,
il periodo culturamente più felice d’A. Per interessamento del
principe Gastone de’ Medici, ottiene la cattedra nella Accademia Nuova dei
nobili senesi. Per l'insegnamento prepara un'edizione degl’Elementa Euclidis ad
usum Novae Academiae Nobilium Senensium nova methodo et succincta demonstrata,
Senis, dedicata al principe protettore. Ma la prefazione è indirizzata a Redi,
e in essa A. chiarisce il proprio metodo. Etiam proportiones ipsas, quarum
nimis longa est series, redigerem. ad acquationes, more Analystarum -- ed
esalta la matematica in funzione dello sviluppo delle scienze naturali,
concludendo con un elogio della scuola scientifica toscana, da BUONAIUTI (si
veda) GALILEI a Redi a ROBERTI Torricelli a Viviani a Marchetti a Bellini a
Malpighi. Redi lo ringrazia (v. lettera, edita in Gimma), promettendo di
intervenire nuovamente presso il Granduca: il che dove procurare ad A. la
cattedra straordinaria di FILOSOFIA NATURALE – cf. Waynflete Meta-Physical
Philosophy -- nell'università di Siena, che resse. Intanto, A., con
Gabrielli e Grifoni, è tra i fondatori dei FISIO-CRITICI e ne diviene principe
(v. lettera di Redi a Gabrielli, in Redi, Opere). Dalle lettere che A. indirizza
in questo tomo di tempo a Maghabechi desumiamo molte preziose notizie circa i
rapporti tra cultura filosofica e scientifica e tradizione sperimentale,
rinnovando A. quell'incontro che per la generazione precedente e stato compiuto
a Pisa dalla scuola iatro-meccanica di Borelli. Il rapporto ideale tra “le due
culture” – al dire di Snow -- è anzi tanto stretto che A. teme per quella
toscana, le ri-percussioni della lotta scoppiata a Napoli contro la filosofia
moderna esperimentale -- processo degli ateisti. In Napoli vi sono di gran
rumori. Mi scrivono che sia stata origine la dottrina del zio CORNELIO e che
già la modernità va sossopra. Mi dispiace per diversi capi, benché io non
dubiti esservi framischiate delle calunnie degl’emoli aristotelici del LIZIO e
galienisti, e molto più mi dispiace per essersi già qui in Siena eretti i
FISICO-MEDICI tutti esperimentali e per esserne io stato eletto principe.
L'abbiamo celebrata due volte con l'intervento di tutta la più dotta nobiltà,
ma adesso ci siamo raffredati non sapendo dove vadano a terminare le faccende
-- a Magliabechi, Siena. Sotto la guida d’A. I FISIO-CRITICI possono tuttavia
continuare con tranquillità le riunioni colla metodo de' Progimnasmi -- i
Progymnasmata Physica -- di CORNELIO -- a Magliabechi, Siena. A. spera
contemporaneamente di raggiungere una sistemazione migliore. Ambì al titolo di
maestro e sollecita, tramite Magliabechi, un intervento di Malpighi, per il
momento senza successo. Compone, mettendo a frutto la sua diretta esperienza
del mondo protestante, un Prodromus apologeticus de Potestate sanctae Sedis
Apostolicae, Senis, dedicato a Francesco de' Medici, Roccaberti, Bibliotheca
maxima pontificia, Romae), introduzione a una progettata serie di dissertazioni
controversistiche che però non si distacca dalla consueta letteratura dei tempo.
Dedica tuttavia il meglio della propria attività ancora al settore teorico,
apprestando, tra l'altro, l'edizione delle Coniche di Apollonio, con la quale
per suggerimento di Redi e Viviani intese completare e sistemare l'edizione già
apprestata da Borelli con l'aiuto di Echellense (Firenze), e stendendo uno
scritto di meccanica, Commentaria ad scientiam Galilaei de triplici motu. Ma A.
lascia quasi improvvisamente Siena per le non buone condizioni economiche, dati
gli scarsi proventi che gli venivano dall'insegnamento, e per le sue precarie
condizioni di salute. È a Roma, poi a Cosenza, quale prefetto degli studi e
successivamente commissario generale nel suo convento di un tempo. Si
riaccendono le persecuzioni a suo danno, le vicende sono ancora più oscure, ma
gli procurano la protezione del principe di Tarsia, presso il quale, a
Terranova, dimora, e quella d’Orsini, di Benevento. Chiede il trasferimento
dalla provincia di Calabria a quella di terra di Lavoro nel convento di
Cervinara e, in un secondo momento, in quello di Mongrassano. E però di nuovo
prefetto degli studi a Cosenza, priore del convento di Scala e come tale
partecipa al capitolo provinciale. Eletto priore di Mongrassano, non partecipa
al capitolo per le peggiorate condizioni di salute e rinunzia anche alla
carica. Cura nel frattempo a Napoli la stampa dei De vera Ecclesia Iesu
Christi contra Lutheranos et Calvinianos libri III, degli Apollonii Pergaei Conica e la ristampa
degli Elementa Euclidis, Neapoli. Il nucleo ispiratore dei De vera
Ecclesia libri III, abbozzati in parte a Siena e dedicati al principe di
Tarsia, ha un reale interesse. A., come accenna in una lettera a Magliabechi, appare
preoccupato di confutare la tesi protestante circa i fondamenti aristotelici
della dottrina cattolica e sostenere invece l’identificazione della linea
culturale incentrata sull'umanesimo e sul neoplatonismo con il cattolicesimo (Badaloni).
Sulla linea umanistica viene rivendicata anche la continuità del movimento
scientifico. Ma tali motivi accennati nella prefazione sono sommersi nell'opera,
da un denso argomentare tradizionale in cui tuttavia è messa a frutto d’A. la
conoscenza della dialettica e della filosofia simbolica. Nel chiuso ambiente
conventuale, dopo l'esperienza in terra tedesca e in Toscana -- durante la
quale però sembra che A. e spinto più dall'esigenza di contatti e di fresche
osmosi scientifiche che non da un meditato approfondimento culturale --,
accanto a un crescente disagio che lo rende insofferente della disciplina dell'ordine
e lo induce a frequenti viaggi a Napoli per sorvegliare la stampa delle sue
opere, riaffiorano in A. le preoccupazioni proprie di una formazione e di una tradizione
meno aperta e duttile: il pesante enciclopedismo e il gusto mnemotecnico
prendono il sopravvento sull'inteligenza sperimentale della natura, e A. si dedica
a studi linguistici, condotti con criteri analogico-combinatori, Il consenso e
dissenso della grammatica filosofica latina e la grammatica filosofica del
volgare italiano e ad elaborare o completare questa “Philosophia symbolica,” sorta
di enciclopedia pitagorica di cui fa parte opere che dai biografici sono
indicate con titoli particolari: un'Ars magna pythagorica, un Decamerone
pitagorico, esposizione IN RIME BERNESCHE della filosofia naturale, una LOGICA
PYTHAGORICA seu de natura et essentia rerum -- lo stesso che l'Ars magna.
Degli inediti è conosciuta soltanto l'Ars magna in duas divisa; Dissertationes
Altera De origine rerum altera De ortu et progressu Scientiarum della
Biblioteca Alessandrina di Roma. La copia e effettuata da Zavarroni per la
Raccolta d'opuscoli scientifici e filologici diretta da Calogerà -- cfr.
acclusa allo stesso ms. una lettera di Zavarroni a Calogerà. Probabilmente il
carattere in apparenza bizzarro del saggio dove dissuadere gli editori dal
darlo alle stampe. Esso, almeno nella copia di Zavarroni, pare l'introduzione a
una serie di Dissertationes e non va tout court identificato con l'Ars magna di
cui fa menzione Gimma. Se il De origine rerum, cioè la prima parte del
manoscritto, può in qualche modo connettersi ai studi d’A., a escludere che il
De ortu et progressu Scientiarum sia un saggio esperimentale contribuiscono il
cenno all'edizione dei Progymnasmata del Comelio, il ricordo di Redi e di
Viviani, la notizia degli studi compiuti d’A. sulla scienza galileiana del
triplice moto, la notevole conoscenza che A. dimostra degli studi di anatomia,
elementi tutti che presuppongono appunto la sua esperienza culturale in
Germania e in Toscana. La prima parte dell'opera che vuole essere una
guida ad metam naturalis sapientiae, contiene una critica agli schemi
mnemotecnici di Lullo e Kircher e si
svolge nell'elencazione di triadi platonico-pitagoriche, alla cui base v'è il
presupposto gnoseologico della possibilità di conseguire verità assolute
attraverso l'ordine naturale delle idee, poiché nella natura creata v'è una
triplex virtus: intellectiva, volitiva et effectrix, ad essa corrisponde una
triplex operatio -- interectio, volitio et impetus, ecc. Tale schema conduce
ovviamente alla critica decisa della definitio logica aristotelico-scolastica
che non attingerebbe alla quidditas rei come la definitio metaphysica, vagheggiata
dall'autore. La Parte II è in sostanza una ripartizione delle scienze
ancora su base platonico-pitagorica. Da "Sophia" è esclusa la logica,
di cui sì ribadisce il carattere meramente discorsivo. Ma a "Sophia"
appartengono la metafisica, notevoli i cenni platonizzanti circa il rapporto
microcosmo-macrocosmo; la fisica, per la quale A. si dilunga nella critica
all'aristotelismo e al cartesianesimo e nell'esaltazione della filosofia
atomistico-gassendiana e dello sperimentalismo galileiano, pur richiamandosi
insieme nettamente alla tradizione filosofica da Telesio a Cornelio; la
politica, per la quale egli esalta l'insegnamento di Platone; l'etica, per cui
continuo è il richiamo alla filosofia politica di Hobbes, ecc. A questo
impasto di vecchio e di nuovo, che contrappunta un momento della cultura
italiana e riflette il travaglio di una filosofia A. si dedica alla meditazione
filosofica e la occupazione di biblìotecario presso il principe Spinelli, a
Terranova di Sibari, dove muore. Fonti e Bibl.: Firenze, Bibl. Naz. Centrale,
Magl., A. lettere ad Ant. Magliabechi; Giornale de' Letterati e primo di
Modena, Giornale, Redi, Opere, Milano; Gimma, Elogi accademici della società
degli Spensierati di Rossano, Napoli; Zavarroni, Bibliotheca calabra, Napoli; Mazzuchelli,
Filosofi d'Italia, Brescia, riprende dal Gimma;
Di Cagno-Politi, E. A. filosofo e matematico, Appunti, Roma; Maugain, Etude sur l'évolution intellectuelle
de l'Italie environ, Paris; Grammatico, A., O. Carm., insignis disceptator, in
Analecta Ord. Carm., Badaloni, Introduzione a Vico, Milano, Elia Astorino. Elia
Astorini. Tommaso Antonio Astorini. Astorini. Keywords: dialettica, filosofia
simbolica, metodo discorsivo, grammatica filosofica, triade, triplex virtus:
intellectiva, volitiva et effectrix, ad essa corrisponde una triplex operatio
-- interectio, volitio et impetus. Refs.: Luigi Speranza, “Grice ed Astorini” –
The Swimming-Pool Library. Astorini.
Luigi Speranza – GRICE ITALO!; ossia, Grice ed Ateiniano – Roma –
filosofia italiana – Luigi Speranza (Nizza). Filosofo italiano. Marco Ateinaiano. Ateinaiano.
Luigi Speranza – GRICE ITALO!; ossia, Grice ed Atenodoro: il portico a
Roma -- il tutore del principe -- Roma –
filosofia italiana – Luigi Speranza. (Roma). Filosofo italiano. Maestro d’Ottaviano. Atenodoro Cananita. Atenodoro
di Tarso Atenodoro di Tarso, o Atenodoro Cananita o Atenodoro Calvo (Cana),
è uno filosofo italiano. Nacque a Cana
presso Tarso da un uomo di nome Sandone. Studente di Posidonio di Rodi e
maestro dell'imperatore romano Ottaviano Augusto a Apollonia e, in seguito, di
diversi esponenti della famiglia imperiale. Pare che segue Ottaviano a Roma.
Ottaviano, proprio per i natali dati a maestro di filosofia, allevia la
tassazione della città di Tarso. In seguito fa ritorno a Tarso dove aiuta ad
eliminare il governo di Boeto e abbozza una nuova costituzione che da vita ad
un'oligarchia pro-romana. Dopo la sua morte in suo onore fu tenuto un festival
ed un sacrificio annuale a Tarso. Plinio il giovane racconta un episodio
secondo il quale Atenodoro prende in affitto una casa a basso prezzo poiché era
infestata da un fantasma. Mentre scrive di filosofia a tarda notte, un fantasma
incatenato gli apparve e lo invita a seguirlo fino in cortile ove spare. Il
giorno successivo, con il permesso dei magistrati della città, Atenodoro fa
scavare nel punto in cui il fantasma e scomparso e trova uno scheletro
incatenato. Dopo che allo scheletro venne data una degna sepoltura il fantasma
non infesta più la casa. Gli vengono attribuite le seguenti opera: un'opera
contro le Categorie aristoteliche (sebbene venga talvolta attribuita a
Atenodoro Cordilione), una storia di Tarso, un'opera di qualche tipo dedicata a
Ottaviano, un'opera intitolata περί σπουδη̃ς και παιδείας ("Sul fervore e
la giovinezza"), un'opera intitolata περίπατοι. Nessuna di queste opere ci
è pervenuta. Aiuta anche Cicerone nella scrittura del “De Officiis” ed è
stato suggerito che la filosofia di Atonodoro possano aver influenzato Seneca e
Paolo di Tarso. Note ^ Plutarco: Vita di Publicola 17; Strabone,
Geografia, Pseudo-Luciano, Macrobii, 21. ^ Strabone, Geografia, Pseudo-Luciano,
Macrobii, 21, secondo il quale Atenodoro morì a 82 anni. ^ Plinio il giovane,
Lettere, libro VII, lettera 27. A Sura Griffin, p. 201. ^ Griffin, p. 201; sempre
Griffin, pp. 206-208, ritiene possibile che l'autore di questo trattato sia
l'Atenodoro logico stoico menzionato da Diogene Laerzio in Vite dei filosofi,
Plutarco: Vita di Publicola; Griffin, Which 'Athenodorus' commented on
Aristotle's Categories?, in Classical Quarterly. Atenodoro di Tarso, figlio di
Sandone, in Dizionario di filosofia, Istituto dell'Enciclopedia Italiana,
Athenodorus Cananites, su Enciclopedia Britannica, Encyclopædia Britannica Stoicismo
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Categorie: Storici romani Storici Storici Romani Romani Stoici. Atenodoro.
Luigi Speranza – GRICE ITALO!; ossia, Grice ed Atenodoto: il portico a Roma
– filosofia italiana – Luigi Speranza. Filosofo italiano. Porch. Pupil of Musonio Rufo, and a teacher of FRONTONE
(si veda). Atenodoto.
Luigi Speranza – GRICE ITALO!; ossia, Grice ed Attico – Roma – filosofia
italiana – Luigi Speranza.
FIlosofo italiano. best under Pomponio. Tito Pomponio detto l’“Attico”.
Luigi Speranza – GRICE ITALO!; ossia, Grice ed Attalo: il portico a Roma
– filosofia italiana – Luigi Speranza. Filosofo italiano. Vive a Roma. Maestro di Seneca che lo stima molto e
lo cita spesso come nelle Lettere morali a Lucilio quando scrive. Come soleva
dire il nostro A. 'il ricordo degli amici estinti è gradevole come certi frutti
sono soavemente aspri.” -- o ancora a proposito dell'avidità dell'uomo che gode
senza discernimento dei beni della fortuna come fa il cane che inghiotte
voracemente i pezzetti di carne lanciati dal padrone. Così rifacendosi a A.,
Seneca afferma che una vita senza affanni e senza nessun attacco dalla Fortuna
non è tranquillità è bonaccia. “A. lo stoico soleva dire 'Preferiamo che la
fortuna mi abbia nel suo accampamento piuttosto che tra le mollezze. Subisco la
tortura, ma coraggiosamente. Questo è vero bene'” e che procurarsi un amico è
più piacevole che averlo poiché, dice Attalo, avviene che «come per un artista
è più piacevole dipingere che aver dipinto.” Ed infine da A. Seneca reca il
supremo insegnamento riferito principalmente all'ingrato che si tormenta e odia
il bene ricevuto perché dovrà ri-cambiarlo, ne sminuisce i valore e accresce
l'importanza delle offese ricevute. “La malvagità stessa beve la più grande
porzione del suo veleno.” Una massima che Attalo ha modo di vedere applicata
quando messo al bando da Roma, Lucio Elio Seiano, amico estremamente influente
di Tiberio, e infine da questo stesso fatto giustiziare. Seneca, Lettere morali
a Lucilio, Edizioni Mondadori. Seneca. Seneca. Seneca. Seneca. Pierre Matthieu,
Historie delle prosperità infelici di Elio Seiano, Grillo, 1620 p.48
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romaniFilosofi del I secoloRomani del I secolo. Attalo.
Luigi Speranza – GRICE ITALO!; ossia, Grice ed Aulo – Roma – filosofia
italiana – Luigi Speranza. Filosofo
italiano. Aulo Gellio. under Gellio? Pupil of Lucio Calveno Tauro and Peregrino
Proteo. Friend of Erode. Aulo.
Luigi Speranza – GRICE ITALO!; ossia, Grice ed Aurano: gl’ortelani di
Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Napoli). Filosofo italiano. He follows the doctrine of the
Garden. Gaio Stallio Aurano. Aurano.
Luigi Speranza – GRICE ITALO!; ossia, Grice ed Aurelj: ragione
conversazionale e implicatura in
Deutero-Esperanto – la scuola di Macerata – filosofia marchese – filosofia
italiana – Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The
Swimming-Pool Library. (Macerata).
Filosofo italiano. Pausula, Macerata, Marche. Direttore dell'istituto tecnico.
Un grande appassionato di matematica e tecniche mnemoniche. Nel suo “L'arte di
ricordare,” Civitanova, Natalucci, dedicato al fratello Filippo,
professore di matematica a Rieti, dopo una veloce disamina delle mnemotecniche
inventate da studiosi precedenti, come Lullo, Bruno, ecc., espone le sue
personali riflessioni e invenzioni. A. presenta un alfabeto in cui ciascuna
lettera corrisponde a una delle cifre arabe da 0 a 9, secondo criteri
come la vicinanza di forma tra la lettera e la cifra (es. 9 = 9, 1=t) e di
pronuncia tra lettera e lettera (se 1= t allora 1 è anche uguale ad, consonante
che ha lo stesso modo e luogo di articolazione della t). Il saggio comunque
non può configurarsi come una ricerca intorno alla lingua universale, perché
espone semplicemente delle tecniche per velocizzare i processi di
memorizzazione. Nonostante questo, i suoi studi e interessi per il campo della
combinatoria e dei numeri devono essere stati propedeutici alla ricerca sulle
lingue ausiliarie che edita con il titolo “Ai più illustri uomini e ai giornali
i più riputati per la diffusione della lingua universale scritta,” Roma, Unione
Cooperativa. L'idea d’A. è quella di distribuire a tutti i paesi dei vocabolari
in cui le parole, tradotte ovviamente in ogni lingua, siano associate a
dei numeri - e in questo ricorda vari altri progetti precedenti. Ciascuna
parte del discorso possiede un numero di riferimento (così ad esempio
un insieme di cifre che inizi con il numero 1 indicha i nomi, il numero 4
gl’aggettivi, ecc.). A queste composizioni di numeri sono da aggiungere
poi dei segni (19 in totale) che ne specifichino genere, numero (nomi e
aggettivi), grado (aggettivi), persone, tempi, modi (verbi). L’accento indica
il genere femminile. Due puntini sovrapposti all'ultimo numero indicano il
plurale. Il segno matematico “-“ indica diminuzione, il “+ “ accrescimento, la
“x” peggioramento. I due punti indicano che il grado dell'aggettivo è
comparativo. Se doppi « :: » indicano grado superlativo. Gl’esponenti
sull'ultima cifra indicano la persona, il modo e il tempo (per esempio 123 in
esponente significa: prima persona singolare, modo congiuntivo, tempo
imperfetto). Si veda ALbani, BuonarROTI. Nuovamente si tratta di linguaggio
matematico, così come è già stato immaginato anche da vari altri filosofi, in
cui ogni numero aggiunge un'informazione al complesso. Una lingua abassissimo,
se non inesistente, ordine di fusione tra i morfemi, lessicali e grammaticali,
identificati tramite numeri, e perciò esatti. DELL’ ARTE DI RICORDARE.
LETTERA DELL’AVV. PROF. A. AL SUO FRATELLO FILIPPO DOTTORE IN
LEGGE E PROF. DI MATEMATICA E DI SCIENZE NATURALI IN
CENTO Camerino Borgarelli T. S'MaMaa© Questa lettera Primi
studii di Mnemotecnia Cento L’ Arte della memoria in Arcevia e documenti A che
fine li ho allegati Programma d’insegnamento Il Governo fa buon viso alla
Mnemotecnia I miei conti Il Sindaco non vuole Chi era il Sindaco U interazione
di un Deputato L’orario della Scuola Normale Gli abusi di potere e la libertà I
miei concittadini Un opuscolo prima di un’ opera Gli effetti d’ un reclamo Questo racconto era d’ uopo farlo
Esperienze fatte ed esperienze impedite Le Autorità scolastiche le han
da conoscere Gli esperimenti e i precetti Ti do ragione Le cose e le idee
I rapporti fra le cose e i rapporti fra le idee Gli antichi L’inventore
della Mnemotecnia, e poi IL LIZIO, CICERONE (vedasi) e Quintiliano Lullo e
Frate Bartolomeo Bradwardine, PICO (vedasi) e Pubblicio Pietro da RAVENNA
(vedasi), PORTA (vedasi), e un racconto del Mureto Il Rombcrch, GRATAROLI (vedasi), BRUNO (vedasi), il Maraforti o
Malafioti, lo Schenckel c Mario d’ Assigny Claudio Buffier, il Grey e Salomons
Lowe 11 Freyjoo, il Kiistner e il barone d’Aretin Aimè Paris e i fratelli
De Castilho P. I. Fraticelli, e il Garello lodato da Massimo d’ Azeglio Il
metodo di Antonio Jazwinski e il Generale Bem Il conte Mailath, C. Ottone
Reventlow ed il Silvin Il Worterbuch, Francesco Orioli, Niccolò Minola,
A. Appollonio d’ Istria, il Kothe, Vincenzo De Castro e la Mnemotecnia in
parecchio scuole d’ Italia Un’ altra volta una storia più lunga Parlerò del mio
metodo Le regole di un alfabeto mnemonico Quanta oscuritàl Un alfabeto non mio
Esaminiamolo Prima regola Seconda regola 11 mio alfabeto di consonanti È
più semplice Difetto comune ai due alfabeti esposti Le vocali si
raddoppiano In che modo? Classificazione delle sillabe Le varie sillabe nel
linguaggio Un’altra osservazione SEGNI CONVENZIONALI – cf. H. P. Grice on SEGNI
NATURALI E SEGNI CONVENZIONALI in ‘Meaning’ -- Nuovo alfabeto di vocali Esempi
Bisogna fare degli esercizi Quali? I principii di tutte le arti sono umili ma
necessarii A che servono gli alfabeti? Un’ epoca storica e una forinola
Formolo migliori e licenze Formolo in rima Dieci esempi di licenze
Spiegazione Le licenze hanno ad esser l’ eccezioni e non le regole Uso
promiscuo de' duo alfabeti Obbiezione e confutazione Nascita e morte, o
giorno, mese ed anno Analogie foniche I capo-luoghi delle provincie italiane
Dizionario mnemonico La seconda parte della Mnemotecnia Ti ricordi come fa
Simonide? Atto di fede Tu puoi con queste parole ricordarne altrettante
Associazioni mentali Magnificamente! Parole o frasi è lo stesso I primi
prodigii di memoria non si compiono senza stento Difetti dei punti di ricordo
usati in principio Punti di ricordo associati fra loro Tavola di 99 punti
di ricordo Spiegazione di questa tavola Estensione di questa tavola per
lungo e per largo Classificazione delle tavole I verbi in luogo degli aggettivi
Un altro esercizio Serie di regnanti Una moltitudine di cifre numeriche Varietà
dello applicazioni mnemoniche e il lunario I giuochi di carte [cf. H. P. Grice,
AUCTION BRIDGE], il dettar più lettere a un tempo e il parlare all’ improvviso
Chi promette troppo suol far fiasco E tutto questo come c’ entra nella
Mnemotecnia? Ancho un ignorante sa qualche cosa e lo spiritello può farlo
parlare Tavola per improvvisare Perché non la espongo La Mnemotecnia
picchia alle porto delle scuole affinchè le siano aperte Timori e
speranze Perchè non ho da trovar gli uomini ragionevoli? Obbiezioni
generali e risposte Oh! ma ci vuol tempo ad imparare quest’ Arte,
eccetera Obbiezioni particolari Argomenti e buone ragioni (Posso illudermi
ancho ma. Gli argomenti crescono Concludo Ho finito Carissimo fratello. Ho
in animo di farti cosa grata col ragionare un po di proposito della
Mnemotecnia, della quale sai quanti studii feci negli anni trascorsi, e che
ignori quanto ora mi costi di pene e di lotte, per 1’ impresa a cui mi
son messo di farla conoscere e prevalere in Italia. Però mi accingo a
scriverti e alla buona un letterone, con le principali idee che su
questo subbietto mi si aggirano per la mente: e quando mi parrà di averle
appieno significate, chi sa che non mi raccomandi ad uno stampatore
per farle correr fra gli amici ed i nemici! Sulla Mnemotecnia, che è 1’
arte di accrescere la potenza della memoria, mi diede per cortesia
due lezioni, egli è già lunga pezza, il eh. prof. Oswaldo Casali, nostro
parente ed amico, e il resto lo imparai colla lettura del Silvio allora e
di pochi altri in appresso. Le prime esperienzemi riuscirono bene;
e fu male per me, perche credei fatto il fattibile, e non pensai
per molti anni che si sarebbe potuto far meglio. Quando lo pensai, di
tempo ne aveva fatto trascorrer molto senza frutto; e me ne dolgo, perche
altrimenti forse adesso mi troverei salvo iu porlo, mentre invece sono
dal porto lontano, c in un mare che non è in bonaccia. Mi scuserà il
proverbio: Meglio lardi che mai. Dunque tardi mi posi all’ opera di
riformare la Mnemotecnia, lardi ci riuscii, e più tardi ottenni di
poterla pubblicamente insegnare. Allora io dimorava costi, ove tu sei ed ove
eravamo ambedue professori, ove soavi ricordi e la più terribile
delle memorie mi richiamano sovente! Cento, la patria di simpatici e
cari cittadini, dei nostri bravi alunni, di tanti amici dolcissimi, della
mia diletta compagna, la patria e la tomba del mio povero figlio!., lo
li amo sempre i Cenlesi! Grandemente mi dispiacque di allontanarmi
da Loro, quando fui eletto professore di Lettere e nominato precettore di
Mnemotecnia in Areevia. Ma si trattava di mettere alla prova
pubblicamente quest’ arte, c di un Municipio che 1 accoglieva sulla mia
parola, dandomi con ciò un attestato d’ immensa stima, che mi è stato
rifiutalo da qualcuno perfino de’miei più intimi amici e dopo la
prova fatta e riuscita! Colà trovai buona accoglienza c un vile nemico, il
quale si diede a perseguitar me e la mia nuova scuola; ma non sarei
generoso a nominarlo ora che, esecrato da tutti, giace col capo nel
fango. Alle prime lezioni di questo nuovo insegnamento accorse una
folla di persone d’ ogni età e d’ ogni grado, che s’ andò poco alla volta
diradando; ma gli scolari fissi furono sempre venti e pochi più, «
fra questi un professore e due maestri. Ricorderò sempre con affetto que’
cari miei giovani, che studiarono con tanto impegno alla mia scuola ( e non era
mica obbligatoria! ), e contribuirono moltissimo a procurarmi quella
buona nominanza, che senza le loro fatiche non avrei al certo ottenuta
nell’ arte della memoria. Della quale i primi frulli cominciarono a farsi
ogni dì più chiari anche agli occhi di coloro che ne avevano per lo
innanzi dubitato, siccome emerge dalle seguenti parole del Direttore
scolastico, che così mi scriveva oflìcialmcnle: c Noi abbiatt mo sentito dei
giovani recitare, dopo uri istruii zione di poche settimane, gran copia di
avvenitt menti storici, sia progressivamente, sia iuversat » 9 P, b
O s, z, ce, ci Vediamo in questo alfabeto, una alla volta,
le due suddette regole come furono praticale, ed anche il loro
perchè. Prima regola: la quale ha per fine che siano con facilità
ricordate le dette lettere correspettivamente a ciascun numero. Corrisponde
alla cifra l la t perchè senza taglio è un’ asta, e la d per analogia di
suono si accompagna colla t : alla cifra 2 la n perchè formata di due
aslicciuolc, e lo gn perchè.?: alla cifra 3 la m perchè, come la n di
due, così questa di tre asticciuole si compone: alla cifra 4 la r
perchè s’ incontra nelle parole che esprimono questo numero nelle lingue,
italiana, latina, greca, francese, tedesca, inglese, spaguola: alla
cifra S la / perchè L equivale a cinque decine, e lo gli perchè.?:
alla cifra 6 la g dolce perchè è un 6 rovesciato e perchè si pronunzia
con dolcezza (!), c sce sci perchè.?: alla cifra 7 la c aspra
perchè incomincia con essa la parola cassette che poi finisce con sette
(!), e tutte le altre per analogia di suono colla prima: alla cifra S la
f perchè, togliendole il taglio e disegnandone più tondi gli occhietti,
se ne* forma un 8, e la » per analogia di suono colla f : alla cifra 0 la
p, perchè a portar 1’ occhio da destra a sinistra, se ne fa un 0, e la b
per analogia di suono colla p: alla cifra o la s perchè ha in sè due
semi-zeri (!), la z per analogia di suono colla s, e ce ci perchè in
francese (!) pronunziansi se si. Seconda regola: non tutte le
lettere dovevano essere a quest’ uso adoperate. Infatti le vocali
ne sono escluse: e perchè? Perchè ad es. nella parola Tito, e
medesimamente in tutte le altre, si cambiano nelle rispettive cifre numeriche
tutte le lettere, eccettuate le vocali, e Tito diventa il: e allo inverso
tutti i numeri si convertono in parole nel seguente modo. Proviamo nel 12: la
cifra 1 è eguale ad una delle due consonanti t ovvero d, 1’ altra
cifra 3 alla n od allo gn. Per trasformare il 13 in una parola, fra le lettere
corrispondenti alle sue cifre interporrò vocali a piacere ( le quali non
hanno valore numerico ), ma sì che un vocabolo di qualche
significato ne risulti, come tuono, tana, dono, degno, e simili. E tutto questo a che prò?.. Te lo
spiegherò più avanti; che nè tutto si può esprimere nè tutto si può
intender in un istante. Ricorda le due regole che ho premesse e
precisamente la prima. Ti par che sia stata puntualmente osservata nello
esposto alfabeto? A me pare di no, perchè le analogie tra le lettere e i
numeri mancano tal Gaia, tal altra sono imperfettissime, e nel caso
dello zero e forse in altri sono dipendenti dalle regole della pronuncia
francese. Per ciò 1’ ho io modificato e ridotto come appresso: 1 t, d 3
IL 3 ILI 4 • • •
1 • • • • • •( • ) s ... t • • j
ZK e i>, p 7 ... ... r
. . . . • •( ? ) 8 .. ... i*, V
• • ( /) 9 ... • >' alla m
o” => qualunque consonante dalla n alla 35 Finalmente eccoti il
mio nuovo alfabeto detto di vocali, per contrapposto all’ altro pur mio
detto di consonanti : 1 c’n- cac. 2 c’e -
eoe. 3 c’ i - oit% 4 o’ o - eoo. ^ 3 c’ 11
- 0110 - v. 6 c a - ao - ooac - ccoac. 7 c”o - 00 -
ocoo - coooo. 8 e” i - io - coio - cooio. 9 0 0 - 00 -
0000 - 00000. ^ ^ O O li - no - cono - CCCÌIC - oov-cocv. Da
questo chiaro apparisce che le sillabe cv sono state divise in due metà,
una per la prima serie, per la seconda 1’ altra; e che nella parola
ca-sa, la prima n, è l, la seconda » è 6. Inoltre alla prima serie
appartengono tutte le sillabe evo, sicché nella parola Par-ma le due a
sono due 1, e tutta la parola è il. Le sillabe -ve, cove, coevo,
appartengono alla seconda serie; dunque at-to-re è 007, gran-de 02,
ri-strot-lo 870. Al et si sono date in sussidio le sillabe v,
cioè tutte le vocali isolate, ed allo o le sillabe ccv o cccv; dunque
mì-e-i è 355, sti 120, dis-tra-e 305. Ti dirè poi come ho
trovata la maniera di servirmi de’ due alfabeti di vocali e di consonanti
indifferentemente, sicché s’abbiano a moltiplicar sempre più le
combinazioni possibili nella traduzione di un numero in parole
equivalenti: della qual cosa non ti ho ancora potuto mostrare l’
importanza. — Ora è necessario eh’ io ti preghi a fare alcuni
esercizi pratici per renderti familiari i due alfabeti. Sono
quattro per ciaschedun alfabeto, e graduali ; e non dovrai passare al
secondo, finché non sarai certo di eseguire prontamente il primo! Così
non dovrai trascorrere agli esercizi ( che sono i medesimi ) pel
secondo alfabeto di vocali, prima di aver compiuti quelli pel primo alfabeto di
consonanti. I detti esercizi graduali sono: Traduzione delle parole
nei numeri corrispondenti leggendole: La stessa traduzione a
mente:Traduzione dei numeri, prima di due cifre, poi di tre, poi anche
di quattro, nel maggiore possibil numero di parole colla penna: 4° La
stessa traduzione a mente. Non isdegnare, fratello mio, questi
umili esercizi. I prineipii di tutte le arti si assomigliano in questo,
che sono umili ma necessarii; e senza di essi non c è continuazione
possibile, e non si arriva al fine. Chi volesse dire il contrario mostrerebbe
di non avere imparato mai nulla. Adesso viene a proposito la
domanda: A che bell’ uso sono destinati questi alfabeti? i quali ho
inventati non senza grande fatica e luogo tempo, Filippo mio, che nessuno
immagina in cose fatte e finite il quanto di quella e di questo! L' uso, a cui sono destinali, c la base
di tutta 1’ arte: ma la prima applicazione di essi, che è
fondamentale, risguarda la ricordanza delle epoche storiche, delle
cifre geografiche, statistiche, astronomiche, matematiche ec. Un’
epoca storica è un numero: questo numero pub esser tradotto in una o più
parole: queste parole rappresentano diverse idee: fra queste idee se ne
pub sceglier una, che abbia rapporto col fatto, a cui 1’ epoca stessa si
riferisce: il detto rapporto si pub esprimere con parole: questa
espressione dicesi formola mnemonica. Esempio: Gli specchi ustori
d’Archimede, secondo il Levi-Alvares, furono conosciuti 220 anni av.
Cristo. V epoca 220 è un numero: questo numero pub tradursi nelle
parole, tergeste, le gesta, le ceche, celeste, perdesti, le leste
ec. ec: varie idee sono da queste parole rappresentate: l’ idea di cosa
celeste panni che abbia uno stretto rapporto col fuoco prodotto dagli
specchi ustorii, perchè la luce da quelli concentrata è un fuoco che vieu
dal cielo, e la prescelgo: esprimo con brevi parole questo
rapporto: an. av. C . Gli specchi ustorii di Archimede
220 Incendiavano con un fuoco veramente . celeste
Questa è una forinola mnemonica; nella quale ho curato di metter in
fine la parola corrispondente all’ epoca e di scriverla con carattere
diverso dal resto della formola. Ora che tra specchi ustori! e celeste il
rapporto s’ è trovato, le due idee sono nella nostra mente associate-, se
associale, 1’ una deve richiamar 1’ altra; dunque 1’ idea di specchi
ustorii risveglia quella di fuoco celeste; ma celeste è 220; quindi il 220 è
unito agli specchi ustorii di tal maniera che, ricordando questi,
ci verrà fatto di ricordare facilmente anche quello. Questo
processo dicesi mnemonizzazione di un’ epoca, ed è sempre il medesimo per
tutte le epoche possibili: se non che nei varii casi pratici lo
mnemonico può per varii mezzi render migliori le formole, o prendersi
qualche licenza nell’ uso della parola corrispondente al numero. Può
renderle migliori, componendole in uno o più versi, valendosi delle rime
ec. Giusta 1’ Arte di verificare
le date, ottimo libro di cronologia, il Digitized by
Google 49 Diluvio universale sarebbe avvenuto
3308 anni avanti Cristo. Forinola: a. C. Diluvio
universale 3308 e furori quasi tutti Spaventati da prima e al
fin distrutti Se la parola alfìn non potesse dividersi in due,
un esempio di licenza, che mi sarei presa in questa formolo, sarebbe stalo
nella detta parola, di cui una sola parte, disgiunta dall’ altra, si
troverebbe nel finale corrispondente al numero. Un’ altra licenza è la
sottrazione del millesimo nelle epoche dopo Cristo, che non fa danno,
perchè nella storia un errore di mille anni è impossibile. Varii esempi di altre licenze sono
espressi nelle seguenti formole: a. C. 1. La
birra inventata dagli Egizi . . 1996 Se è cavata dalla
fermentazione del r orso, perchè non dir . la orzosa? 2.
Invenzione dei caratteri della scrittura attribuita ai Sidonii 1860
Inventarono la scrittura 0 6 3. Fenicio figlio di
Agenore inventa 1’ arte di tingere in porpora 1519 Porporato Fa
rima e poi s accorda con . . caudato 4 4. Jagnide di Frigia inventa il flauto . . .
1506 Il flato è cosa naturale, ma è brutta 5. Fondazione di
Cartagine 860 Per fondarla,
o Didone, da Tiro lungi ti tirasti 6. Talete di Mileto ( Jonia
) uno dei sette savi della Grecia 6
XX Talote 2 7 7. Ciro 53X .... è
Oiro 9 8. Ritirata del popolo romano sul Monte
Sacro 484 Su quel monte si ritirò di Roma il bopolo è 9.
Coriolano 48X Corio
5 10. Simonide inventore della Mnemotecnfa .
480 Fu di prodigiosa me moria 5 Nel primo esempio
si è usata una parola nuova, orzo^a, ma molto davvicino collegata
colla birra che si ottiene dalla fermentazione dell’ orzo: nel
secondo, se si altera di qualche anno 1’ epoca, che in realtà non può
esser precisa perchè un’ invenzione di quella natura non può essere stata
fatta in un solo anno nè si sa bene quando, si guadagna d’ altronde per
grande sicurezza di memoria, nella quale non si può la scrittura
disgiungere dalla invenzione della medesima: nel terzo, dalla idea di
porpora si passa subito a quella di porporato, alla quale per la rima e per 1*
idea trovasi bene unita 1’ altra di caudato: nel quarto, di flauto
si fa flato per immediata analogia di suono, e col flato la parola equivalente
all’epoca si collega evidentemente: nel quinto, il giuoco di parole
che unisce Tiro a tirasti giustifica la forinola: nel sesto, non
nuocciono 27 anni in più od in meno, ma giova che Talete faccia ricordare
1’ epoca di Talete: nel settimo è quasi lo stesso: nell’ ottavo, quella
stranezza di bopolo ne facilita grandemente la ricordanza, perchè
le strane cose meglio delle comuni si tengono a mente: nel nono,
altro esempio del come si possano utilmente adoperare i nomi e le loro parti
nelle forinole: nel decimo è il medesimo che nel nono, colla differenza
che in vece del nome di un uomo si ha il nome di una cosa, alla quale
peraltro si riferisce r epoca immediatamente; oltre di che, della parola - per
il finale - s’ è presa una parte. Questi esempi valgano ad
autorizzarne ( parola un po’ vanitosa ! ) altri simili o poco dissimili,
bene inteso che abbiano ad esser le eccezioni e non le regole. Ecco
il momento di esporre come promiscuamente, e senza pericolo di confusione,
possano usarsi e 1’alfabeto di vocali e anche quello di consonanti in queste
mnemonizzazioni. Al quale proposito vo’ raccontartene una curiosa. Io non aveva per molle ricerche e per
mollo tempo potuto inventare il modo di questa combinazione; e sì, che era
importantissima, perchè da un’ associazione più o meno giusta ed
immediata dell’ epoca al fatilo dipende la più facile e la più duratura
ricordanza della medesima. Or tu vedi chiaro quanto valga a questo
fine il poter tradurre 1’ epoca in un grande numero di svariate parole,
per isceglier tra molte quella che più dappresso, per l’ idea
significata, al fatto si riferisce. Se la sostituzione dell’ alfabeto
di vocali a quello di consonanti mi aveva tanto bene a questo scopo
servito, quanto meglio avrei fatto coll’ evitare senza pericolo di errori
la detta sostituzione e col cavare da un numero, non le sole parole
dovute all’ alfabeto di vocali, ma anche quelle provenienti dall’
alfabeto di consonanti ! In breve, se 1’ ultimo di questi alfabeti può
dar 5 e 1’ altro 15, col sostituir questo a quello io aveva guadagnato
10: ma coll’ unirli avrei ottenuto 20 tondo tondo ! Ebbene, quello che
non avevo potuto cavare dallo studio, dal tempo e dal mio cervello,
venne fuori da un’ espressione di un mio scolaro in Arcevia, la quale
pareva che non dovesse aver nemmeno la più piccola relazione col mio proposito,
e che pure valse a farmi risolvere su due piedi il problema, e,
quel che più monta, in un modo sera plicissimo. Eccoli la soluzione. Se la parola,
corrispondente alle cifre numeriche dell’epoca, s’ incominci con una vocale
significante lo zero, o da questa vocale sia stata preceduta, quel zero
sarà indizio che si è usato 1’ alfabeto di consonanti, e che dunque
le susseguenti consonanti, e non le' vocali, s’ avranno a tradurre. Nel mnemonizzare è lo stesso. Quando si vuole
usare 1’ alfabeto di consonanti, alla parola estrema della formola
si premette lo zero, od essa stessa collo zero s’ incomincia. — Quante
sono le cose semplici che non si possono semplicemente esprimere ! Questa
è una. Ma non importa: esempio: d • d « C Guerra di
Roma contro Giugurta, 113
Egli disse a Roma: poiché ti ^ vendi, non ì) 6 1 tCCO • • • • eh©
t;©IH£l; Il eli© è uno zero: dunque si è fatto uso del1'
alfabeto di consonanti : dunque nel tradurre in numeri il ti tema
considero t-t-m e non già i-©-a.
Ci siam capiti eh?. Pare impossibile che si diano al mondo antipatie
contro persone o cose sconosciute, eppure è così: contro le persone poi
!... ma di persone il meglio è non parlare. Alcuni di quelli ohe
non conoscono la Mncmotecnia, e che appena appena han sentito
parlare di queste formole, dagli e dàgli a perseguitarla con tutta 1’
avversione, e ad esclamare: Bel tornaconto ci si trova a mnemonizzare le
epoche ! Mentre si compone la formo la per una, quante più se ne
imparerebbero colla memoria naturale!... eccetera! Ho tre argomenti per la confutazione. Uno
mnemonico esercitato e valente ( e senza esercizio non si diviene valenti
nemmeno a fare i chiodi ) non ha bisogno ' di scrivere le formolo,
quantunque sia bene che se le noti anch’ egli, e le immagina appena
conosciuto il fatto e visto il numero. 2° L’opera di chi volesse
mnemonizzare tutta la cronologia, o una parte, non varrebbe solo per lui,
ma per tutti gli altri se la pubblicasse; e questo, quando la Mnemotecnia
fosse divenuta comune, s’ avrebbe a fare e si farebbe, di lavorare
un per tutti: e di epoche mnemonizzate se ne imparano anche cento all'
ora; e perciò mille in dieci ore, e di questo passo la cronologia in
un mese ! 3° Quanto alla durala della ricordanza, nessuno in pieno senno
ha forse dubitato mai che debba essere immensamente più lunga quella delle
idee associate di quella delle idee sconnesse: ma se pure un
qualche infelice fosse innamorato dell’ opinione contraria oh per me che se la sposi pure! Non tutte le
epoche sono semplici come quelle, sulle quali abbiamo studiato.
Potrebbero anche volersi ricordare le epoche della nascita e della morte
di molti uomini illustri. La formola in questo caso debbe contenere una
parola per la nascita, che si collocherò la prima, e un’altra per la
morte che si collocherò in fine; coll’ avvertenza che la prima o le
prime due cifre dell’ anno della nascita non vale a nulla ripeterle per
1’ anno della morte. Inoltre, di
certi avvenimenti è il giorno, è il mese, che si vogliono ricordare coll’
anno. Il giorno è un numero, ed anche il mese, perchè Gennaio 1, Febbraio
2, Marzo 3, ecc; e insieme si mnemonizzano in due parole da esser
le prime della forinola, come 1’ ultima sarà la parola dell’ anno. Spesso il
mese e il giorno si possono chiudere in una sola parola, quando
cioè non ne derivino errori. Il 13 del 4° mese per esempio, si pub senza
confusione far diventare 134, perchè il mese 34° non c è: e similmente il 2 del
5° mese si converte in 25, e il 10 del IO, 0 che porta a quattro cifre,
in 1010 chè per necessità due al giorno e due al mese dovranno
attribuirsene. Come è detto delle epoche storiche, così è ' a
dirsi delle cifre geografiche, astronomiche e statistiche: rispetto alle
matematiche usus te plura docebit, nè questo è il luogo di trattarne, chè
bisognerebbe esporre tutta la scienza per applicarle tutta F arte. In
tutte le dette cifre però, cade un’ osservazione importante, ed è che non si
prestano molto facilmente ad associazioni logiche e sicure. Infatti
a voler mnemonizzare le popolazioni, s’ ha un bel dire, ma, se si
riferiscono a città, i più non hanno di ciascuna di queste così distinta
idea da non confonderle spesso fra loro: e sai che la Mnemotecnia, non
bau da utilizzarla solo i maestri, ma anche gli scolari! Per ciò si
ricorre alle analogie foniche, le quali sono parole per il loro suono
analoghe, giacche parliamo di città dirò, analoghe al nome della città di
cui si mnemonizza la popolazione. Con queste parole si associa la parola
della cifra. Non crederai senza prova, che con questo metodo s’ imparino
più facilmente, e più fermamente si tengano a memoria le formolel —
Per fartene certo, eccoti le popolazioni dei capoluoghi delle provincie
italiane, mnemonizzate dai miei scolari di Arcevia, che in 30 o 40 minuti
ti riuscirà facilmente di mandare a memoria. Ciò che ho detto delle analogie foniche
per le città, vale egualmente per le altre cifre geografiche, per
le astronomiche e per le statistiche, e può valere an che per
la cronologia. abitanti 1. Chieti ( Abruzzo Citeriore )
. . 20. 000 Quieti son gli abitanti nei dì di lesta. 2.
Teramo ( Abruzzo Ulteriore I ) 16. 000 Questa città t* era molto .
. . cara 3. Aquila ( Abruzzo Ulteriore II) 12. 000 V
attuila dalle somme altezze si precipita nella valle 4.
Alessandria 54. 00 Il Papa Alessandro i nemici fug-ò 5.
Ancona 40. 000 Ancóra tu sei fondata sull’ adriaca costa
6. Arezzo 36. 000 In Toscana si rizza 7. Ascoli
17. 000 Se ! acqua non s\ scoli non va al mare
ab. 8. Potenza ( Basilicata ) 13. 000 Chi ha gran
potenza può far grandi mali 9. Belluno 13. 000
J3ell’ uno non è dei talli 10. Benevento 19. 000
y iene bene il vento quando ci porta da lontano il
canto 11. Bergamo . 35. 000 Perchè amo l idolo . .
mio"? 12. Bologna 97. 000 Bologna la dotta la
base ìlla scienza legale pose 13. Brescia 35. 000
10 non ho prescia di pagare il . . fio 14. Cagliari 31.
000 11 cagliare serve a chi di cacio si cil>a 15. Cosenza (
Calabria Citeriore ) . 16. 000 L’ Italia è nazione con o senza
Malta 16. Reggio ( Calabria Ulteriore I ) 30, 000 Il
Calabrese era regio suddito dei Borboni nella _ lista
ab. 17. Catanzaro ( Calabria Ulteriore II ) 16. 000
A che f alzarono gli amici nella )?am? 18. Caltanisetta
18.000 Canta, Lisetta; perchè oggi non canti? 19.
Foggia ( Capitanata ) ... 25. 000 A loggia, di semicircolo il tuo
fondaior ti fea 20. Catania 62. 000 Il cacciatore porta
catana ed . armo 21. Como 21. 000 Come è Lolla!
22. Cremona 28. 000 Il cremore bevi 23. Cuneo 22.
000 Mettendo il ciuieo nella spaccatura, il legno si fende
24. Ferrara 68. 000 Il ferro ara il tcrreno r perchè dia
pani 25. Firenze 129. 000 Fiorente io ero, e poi
diseccato cadevo 26. Forlì 37. 000 Far li le cagioni
della lite ab.
27. Genova 120. 000 Genova, dall' allo, ov eri, .
cadesti 28. Girgenti 17. 000 Vedo gir genti per il ...
mare 29. Grosseto 4. 000 Sono grossetto, son
piccoletio, e capo luogo son 30. Livorno 91. 000
Livor uofl mi roda 31. Lucca 65. 000 Tu, o San
Luca, l' evangelio . . sai 32. Macerata 20. 000 Canapa
macerata per tempesta Al possidente toglie di far . . . .
lesta 33. Mantova 29. 000 Contro il manto va il ...
vento 34. ® Massa 15. 000 Da Carrara non ti
disgiungi mai 34. b Carrara
14. 000 Cara e rara è la tua cava di marmo 35. Messina 94.
000 Sotto la covatrice messi, na scono gli uccelli al
volo # ab. 36. Milano 219.
000 Mi lag-no, perchè invano . cercavo 37. Modena 32.
000 Le mode nascono a mille a . . mille 38. Campobasso
( Molise ) ... 12. 000 Il campo basso sta nella . . valle
39 Napoli 417. 000 TVei poli della terra I uomo non può
v . toccare 40. Novara 27. 000 Con nuova ara si
misurano le terre o 41. Padova 34. 000 Il
pardo va lontano dal . . fumo 42. Palermo 186. 000 Par
1’ ermo lontan dalla . marina 43. Parma 46. 000 Farmi
d' aver perduta la . . borsa 44. Pavia 23. 000 Far via
la virtù per arrivare gli I>ei 43. Pesaro ( e Urbino ) .... 20.
000 La pesarono colla cesta ab. 46.
Piacenza 30. 000 La
compiacenza è sempre al sacrificio mista? 47. Pisa 49.
000 Pesa il campanile dalla parte dov ' è torto 48.
Porloraaurizio 6. 000 Porta Maurizio se stesso : dove va?
49. Salerno ( Principato Citeriore ) 81. 000 Halirono nell ”
albero per prendere una mela 50. Avellino ( Principato Ulteriore )
19. 000 Area il lino in un ... campo 51. Ravenna 54.
000 [Rivenne di lontano /’ eco eh’ io . odo 52. Reggio
( Emilia ) 18. 000 La flavo sm « « • 53. Rovigo 10.
000 Rovigo non è nelle
Marche 54. Sassari 24. 000. / sassi ricadono, ma
io non . . cedo 55. Siena 23. 000 Sulla scena primeggiano
le Opere del "Verdi ab.
56. Siracusa 20. 000 Si ricusa il codardo alle gloriose
guerriere gesta 57. Sondrio 5. 000 S* ode un rio che
corre verso il . sud 58. Bari ( Terra di Bari ) ... 31. 000
Fari al cane nessuna bestia è . fida 59. Caserta ( Terra di
Lavoro ) . 30. 000 Il muro di una casa erta di pietre e
di cemento è misto 60. Lecce ( Terra d’ Otranto ) 19. 000 Lecca il piatto, perchè
ghiotto come un gatto 61. Torino 180. 000
Per paura d' un torino voi . partiste 62. Trapani 28.
000 / trapani sono ferri 63. Treviso 23. 000
Con tre visi un mascherone
feci 64. Udine . 24. 000 Sopra V incudine colle
tanaglie il ferro tengo ab.
65. Perugia ( Umbria ) .... 43. 000 Nel Perù gl ano a ....
torme 66. Venezia 120. 000 Venne zia quando tu
cadesti 67. Verona 59. 000 Il vero nascondesi, ed il
falso si trova per tutto 68. Vicenza 34. 000
Vincenza, non volete il ... filo? Quanto sarebbe utile un dizionario
mnemonico ! Hai veduto che 1’ han fatto in Francia e che n’ han
spacciata sin la 6. a edizione! Ma quello non serve a noi Italiani, e
molto meno coi miei alfabeti. Se riuscirò a far conoscere e
convenevolmente apprezzare la Mnemotecnia in Italia, chi sa che a qualcuno non
venga la buona volontà di compilarlo! Allora il mnemonizzare sarebbe
facilissimo, e chi sa pure quanti libri mnemonizzati si
stamperebbero! e con quanto grande vantaggio della pubblica istruzione ed
economia di tempo negli studii, ognuno il comprende. Ognuno il comprende?
Questo è un errore madornale. Mi contenterei bene se il comprendessero
tutti i pochissimi, che non avran gettato il mio libercolo prima di giungere a
questa paginal La speranza di un così gran bene, s’ eglino fossero
per nudrirla, basterebbe a muoverli in fa vore della causa, che in
questo momento da solo difendo, e basterebbe a vincerla! Passo alla
seconda parte della Mnemotecnia. Questa risguarda la ricordanza ordinata
delle parole, delle frasi, dei periodi, dei paragrafi di un intero
e grosso volume, e di tutte queste cose abbenchè non fossero punto
associate fra loro, e ancorché s’ avessero a ripetere incominciando dall’
ultima verso la prima. Ti ricordi come faceva Simonide? Così
faremo noi; se non che in luogo dei suoi luoghi metteremo parole,
cioè idee di cose ordinate secondo un certo metodo convenzionale, e colle
quali associeremo poi parole, frasi, periodi, paragrafi ec. Quando
avrai letto e riletto ciò che son per dirne, avrai capito. Ora ti
basti di seguirmi con attenzione, e con un pochino di buona fede, e passo
passo per la nuova via che disegnerò.
Nota bene: ti è duopo ricordare 1’ alfabeto di consonanti, e lasciar 1’
altro per ora in non cale. DIO - EXE.I - UOMOJ- ALA - USO -
APE » ORO « UOVO - AGO - DUCA - TEOIO - TUONO • TOMO - DOLO - DOSE
- TOPO • ODORE • TITO - toga - anca... sono parole. Bella novità!
Ma bada bene; sono parole che corrispondono ai numeri - 1 - 2 - 3... sino
al - 20 -, e per conseguenza tali, da potertele stampare nella memoria in
minor tempo, di quello che ci sarà voluto per istamparle su questo pezzo di
carta. Or dunque tu le hai in
memoria, e puoi... Ma ora domando da te un alto di fede per quello che
puoi e non sai di potere. il quale atto ha da durare sino alla fine della
prova. Nella scuola che ho fatta ho imparato a premunire di questo
avvertimento gli alunni, perchè molti, pel timore di non riuscire, non
volevano nemmeno provare. Tu puoi, con queste parole a
memoria, ricordarne altrettante che io alla rinfusa verrò scegliendo, e
ricordarle appena appena lette, e senza rileggerle. E come? Ecco il
come. Scelgo amore. Tu mentalmente e rapidamente associa 1’ idea di amore
con quella di mo ( parola n.° 1), pensando per esempio: «dio è il
sommo amore». Appena formato questo giudizio, il pnmo che t’ è ricorso alla
mente, abbandonalo come cosa da dimenticare: e attendi ad associare con
enea (n.° 2) 1' altra parola che sarà fortuna. « enea fu un esempio dei
giuochi della fortuna ». Similmente opera in queste altre parole:
dominio, leggerezza, abito, dolore, desiderio, struzzo, lavoro,
nobiltà, ozio, pioggia, celebrità, tribunale, arsenico, magazzino, rosa,
spavento, avvocato, appoggio. A’ uomo ha il dominio della terra. A’ala ha il
pregio della leggerezza. A uso consuma l abito. La puntura dell’
ape produce dolore. A’ ORO è nel desiderio di quasi lutti. Il più grand’
uovo è quello dello struzzo. A’ acjo serve al lavoro delle donne.
Duca è titolo di nobiltà. Il tedio può esser prodotto dall’ ozio » .
« Il tuoio predice la pioggia » . « Un bel tomo può condurre al tempio della
oolobrità » . « Del dolo giudica il tribunale » . « Secondo la DOME
medica od uccide /’ arsenico )) . « Il topo vive nel magazzino » .
cA .c ... J .* H- *.
t.l-I* 1 4 ‘' WR^mrTfft *T i \ . \ . | 5*
nuHLv y -r r . 11 tuo affezionatissimo fratello DELLA EDUCAZIONE
DISCORSO LETTO DALL'AVV. A. PROF.
DI A. «IP
DELLA EDUCAZIONE DISCORSO
LETTO DELL' AW. TITO AtffiELJ PROF. Dt LETTERE ITALIANE il ^tOtUO ik- HKltlO iSjO [ELLA ^OLEKNE piSTRIBUzrONE J}E1 j^REMI AGLI ALUNNI . DELLE SCUOLE MUNICIPALI DI TRIiJi
CAMERINO Tipografia d.i G.
Bors&rclli. 1870 Al NOBILI ED ILLUSTRI SIGNORI CAV. GIUSEPPE E FELICITA BORSELLI Se
auJiieo Acttvete i fcoto oRaowu tu jioule
a cjuwto Roveto Acuito, e Aofo j^et autoussatlo et jtuét facete. GoAi potuti uu piatito |ate
opta tlitj-tict bei £oto autittt e
jr-ttn potztoual et ut òeutiuteutt L>t oju-eff ajjeHuoia ami cista die pei
uie A e joHa vtièo ci fcoto «ho ce jmu
cau e bofci Ihùo^ih bef cuote. |.«to o££l.mo òetuo eo aiuico A. U„:
a voi studiosi giovanetti, miai piccoli
ojjgi la bella sorte di parlare la prima volta pubblicameli t a in
un, giorno di grande solennità e mentre
si loda e si premili il merito de'
migliori alunni di queste civiche scuole, i quali preparansi per tal modo alla vita di uomini ooori-ti e
degni dì ae, delle famiglie loro, della patria comune. A ragione dunque mi
stimo fortunatissimo dell'essere stato
in simile circostanza! prescelto al
nobile e grato oflizio di Oratore: so non che m' increato ohe pari a questa dignità ed agli ardui doveri che no'
derivano io non abbia le forze e 1' ingegno. Pur mi rassicuro pensando alla
gentilezza vostra ed ai rentimcnti dai quali sono inspirato, non indegni per
certo uè di me né di Voi.,a famiglia, di ciascuni rtinente é al pubblico i giustamente le alte ! le debbe toccare i cuoi rciù solo di non dovervi riuscire discaro:
no I poiché a Voi, dei figli vostri, dei
figli de J vostri figli! Che 1' educazione sia la scienza dell' umano
perfezionamento non È d' uopo ohe io a
Voi lo dichiari; e per ciò aolo possiamo
scusarci, se non sappiamo educare. Kè vai ch'io spieghi ora il mio proposito: nessuno di- Voi puù supporre
ch'io circoscriva questo vastissimo ramo del sapere entro i limiti delle frasi
imparate a memoria, degli inchini
obbligati, e di certe sociali frivolezze,
che, mentre offendono 1' umana dignità, imbestialì scodo i 'cuori e snervano i cervelli. Ma la scienza dell' umano perfezionamento [
1' avete pensato f ) non pub spiegarsi
in un discorso accademica. -È vero: io però posso per sommi capì riassumerla e fermarmi là dove
il male più grave reclama più pronto ed efficace il rimedio: e il tenterò. Rivolgiamo indietro il pensiero ai secoli
trascorsi e alle diverse età dell' umao
genere, e fermiamoci sulle vergini terre ovr i primi uomini vissero. Le piante d'ogni famiglia
ingombrano il suolo inospitale, e gli
animali d' ogni genere lo dominano. L'uomo inerme incomincia le sue prime lotte colla natura
intorno a lui aspra e selvaggia: lotte
tremende, o signori I Le belve infieriscono, gli uragani fischiano ed ululano, le acque
straripano, la terra trema, — e 1' uomo
cpmbatte per non morire. Là, dentro la caverna, partorisce la donna i suoi
figli, là dentro li educa allo più orrende
delle battaglie: ed essi crescono spietatamente feroci. Appena appena
nelle loro stupide menti penetra una falsa e languida inv- magino del Dio delle tempesto, sanguinario e
spaventevole, cui temono più che non
rispettino. Eglino sentono la libidine e non
V amore; la paura d'un essere fantastico più potente di loro, ma non il culto; la cosoienza della forza, ma
non dell' azione. — Seno uomini educati
come i figli della tigre, ma uomini.
Culla umanità che si moltiplica e cresce avanziamoci d'un tratto, lo veggo pascoli, greggio e pastori,
e la terra seminata panne, ascolto i
primi accenti musicaci uscir dagli instrumenti in- ventati, a quel che si dice, da J uba), e
dalle conquiste sulla terra miro
nascente e scapigliata la gelosia, che accmde 1 odio eie guerre tra i popoli vicini. Una religione v' è: il
settimo giorno è santificato, le oblazioni sono istituite, ed ogni uomo è un
sacerdote perchè ognuno 6 sacrificatore.
— Un' educazione h data ai figliuoli,
che hanno ad esser pastori, agricoltori, 'combattenti e devoti. Innanzi, o Signori. Lo terre dell' alto
Egitto sono coltivate: gli Etiopi vi
accorrono, e vi fondano alcuni piccoli stati, di Tebe, d' Elefantina, di This, d' Eraclea: il basso
Egitto impara dall' alto e ha Menfi,
Mendes, Xois, Taris, Buhaste. Quo' popoli si dividono in caste superai ed inferiori; in quelle sono
i sacerdoti e i guerrieri, in queste si comprendono tutti gì' indigeni: è il
diritto del più forte, il diritto del
vincitore sul vinto. Al dominio de 1 sacerdoti è sostituito il potere dei re:
ai molti stati e ai re loro col tempo 1'
impero d' Egitto e Menete, che ò Misr&ìm figlio di Cam. — A questo punto abbiamo tanta educazioni
quanto caste, e spìe cano quelle dal
padrone oppressore e dello schiavo oppresso: Agar è scacciata e Giuseppe è venduto. Altri luoghi, altri tempi. Altri grandi
imperi si fondano, e traversano la Bcena
Sesostri, Belo, Nino e Semiramide. Idhco Insci»
P Egitto e si ferma in Grecia: Foraneo, suo figlio, vi fonda Foronica:
Argo, suo pronipote, sbattezza Foronica o la chiama Argo: EEra, sua sorella, fonda Corinto: fc'egeo,
suo figlio, edifica Fege nell'Arcadia:
i'elasjro, suo nipote,) 1883 a. C. |, fonda il regno d'Arcadia, ed insegna a' suoi sudditi il
vestir pelli di cinghiali, il costruir
capanne, il mangiar ghiande e non foglie: Sparto fonda Sparta, Miceneo Micene, Licaono Licosura. —
L' educazione è qui operosità e
movimento, mentre i Caldei, i Sidonii e gli Egizi sono già astronomi, navigatori, filosofi e
sapienti, che istruiscono gli Ebrei.
Infra i quali sorge il più grand 1 uomo di quell' epoca, Mosè, il rii:;i]e sai vii i suoi iViifclli dal
dispotismo d un Faraone, e li educa
all'obbedienza della legge, al rispetto dell'autorità, ai pericoli de' viaggi e delle battaglie,
all'adorazione del Dio unico, del Dio
de' Padri loro. Altrove Urano, Saturno,
Giova ed nitri furono onorati dell'apoteosi, e gli uomini si abituarono a
divinizzare i loro simili. In appresso,
parendo ciò stranezza, si sostituirono agli umani Dei gli eroi, e fra questi ottennero venerata
nominanza Deucalione, Pelope, Danao,
Teseo, Giasone ed Ercole, fatti immortali dalla potenza della pittura, della scultura e della poesia.
— La gloria delle difficili imprese educò allora gli uomini all' esercizio
della forza e della destrezza: e,
vivendo essi o morendo fra i più grandi pericoli, inspirarono generalmente un
coraggio, che trasformavasi di □elle
donne e nti fanciulli. Per la qual cosa 1' educazione materiale dei corpi prevalse, e di fortificò ingenerando
il desiderio del sacrificio, che spontaneo si compì della roba e doli'
esistenza; «, gloriosa la tomba dell' eroe, fu maledetta la vita del
codardo. Il Genio della poesia a'
accese allora del sacro fuoco delle
muse, e Omero cantò, prima del
Pelide Achille L' ira funesta che
infiniti addusse Lutti agli Achei .... quell' uom di moltifonne ingegno Che molto errò .... Egli, il « Signor dell' altissimo canto, Che
sopra gli altri com' aquìla vola » compose i due i primi, i due più grandiosi
poemi del mondo. — Omero non racconta,
ma dipinge; non diletta, ma trasporta; e se dorme talvolta, sì risveglia poi
come Giove per iscagliare il suo fulmine. Ei non rapproseDta solo P Arte, ma
un' intera civiltà. La pittura, la
poesia, la scultura, la fede furono modellate
dalla contemporanea e dalle successive generazioni sugli eterni suoi canti. I Rapsodi, percorrendo città e
nazioni, li ricantarono alle 8 genti, e i popolani ne ripeterono i Tersi
a memoria. Popoli e principi s'educarono a quella splendida scuola di morale e
di legislazione, di domestiche o di sociali virtù, d' eroismo e dì religiose
credenze; ma Omero, 1' educatore di tanti secoli, era già morto cieco e mendico 1 Sino a quest' epoca
1' educazione fu data senza leggi prescritte. Ma ora assistiamo al sorgere dì
quattro grandi legislatori, di Lieurgo
in Sparta, di Numa io Homi, di Solone in Atene, di Confucio nella China. Il più antico di essi, Licurgo,
ordino - ii morti non s'innalzino ricchi
monumenti, e la sola tomba di chi muore per la
patria suleampo avrà un'iscrizione: non si può pi ungere in
pubblico. Gli Spartani abbiano desco in
comune; i lor figli appartengano alla
repubblica. 1 fanciulli si educhino all' amore dulia patriu, al desiderio della guerra, al disprezzo della
morte, alla virtù del sacrificio; e perciò debbono camminare a piedi nudi, cibarsi
raramente e semplicemente, c guai agli
intemperanti ! A ciascuno si concede un
solo abito per un anno. Imparino a parlare con chiarezza e brevità e a cantare inni patri i. Dracono, uomo virtuoso, ma d' una severità
eccessiva, stabilì in Atene leggi tremendo; l'ozioso vi era condannato alla
morto I Sicché fu dotto che le avesse
scritte col sangue. Solone, uno de 1
sette sapienti della Grecia, le cancello e ripostiti!! la
repubblica, statuendo; che il povera
votasse nelle pubbliche assemblee, diritto
che si fè poi onnipotente; che 1' Areopago avesse un' autorità suprema;
che gli affari fossero deferiti ai membri del Pritaneo prima e poi demandati
all'assemblea del popolo, lasciandone ai saggi
la deliberazione e la decisione uglì stolti, giusta il detto di
Anacarsi; che i dissipatori, i vili, gli ingrati verso i genitori fossero
dannati alla infamia. Gli fu chiesto perchè non avesse fatta alcuna legge contro
i parricidi, ed ei rispose: Perchè non credo che ve no possano essere. Nume, che avrei dovuto collocare
cronologicamente fra Licurgo e Solono, se mi fosso piaciuto di farvi
passeggiare dalla Greeia a Roma per
ricondurvi poi dn Roma alla Grecia, compilo
il suo codice su quello del legislatore spartano, ma divinizzò ogni cosa. — Per temperare e addolcire i barbari e
feroci spiriti dei Romani, institui una
moltitudine di cerimonie religiose, eresse
un tempio a Vesta, cu! accese un fuoco sacro, mantenuto sempre vivo da uno stuolo di Vergini a questa Dea
per indissolubil voto consacrate, stabili
otto collegi di sacerdoti, prescrisse il culto a Giaco, e si fece credere inspirato dalla
Ninfa Egeria, colla quale Confucio,
famosissimo filosofo e legislatore della China, divisa la sua dottrina in quattro parti e i suoi
tremila discepoli io quattro classi. Alla prima classe insegnava la virtù, alla
seconda l'eloquenza, alla terza la legislazione, alla quarta la scienza dei costumi. Questa educazione legislativa coti Licurgo
fece dunque ia trepidi, forti,
invincìbili gli Spartani; con Solone morali e virtuosi gli Ateniesi; con Numa religiosi i Romani;
con Confucio filosofi i Cliinesi. Quindi
la gloria delle armi e quella del genio tocco presso ì Greci all' ultimo apogeo, e Ciro
respingendo in Europa le colonie, che ne erano uscite e che vi si ricondussero
colla piena conoscenza delle arti, fece penetrar queste nella Grecia, la quale, come il sole, sfavillò di sovrano splendore e
lo irradiò nello epazio e nel tempo. La
China fu preste c prima dì molti altri popoli civile, ma si arrestò.
Roma, la città eterna, s' ingentilì con Kuma, s' agguerrì con i suoi successori, si fece virtuosa colla
repubblica, splendida cogli imperatori. Conquistò prima mezzo mondo, poi si
scisse in fazioni sanguinose con i
Gracchi, con Mario e Silla ; eoo Cesare e
Pompeo, poi dominata dall' impero vìnse i barbari e<J ebbe un Augusto imperatore e pontefice: in fine
decadde. L'educazione nei tempi della
conquista fece stimar lecitoli furto e
1' assassinio, quand' è compiuto armata mano da un esercito e da un capitano, e
sancito dai voti d' un senato e d' un popolo: nei tempi delle civili discordie,
autorizzò le ire cittadina e le
infiammò: l'odio e le più violente passioni, gli esili), le carceri, le proscrizioni, lo morti più. crudeli e
numerose, atterrirono, sbandarono, infiacchirono un popolo d' eroi, e
distrussero colla repubblica la libertà: nei tempi dell' impero fece nascere
vili adulatori e ribelli regicìdi,
dimenticare i Fabii e sorgere gli eserciti mercenarii, dispregiare le glorie
passato per i vituperi prosentì, accarezzare le libidini dei principi per avere
nel popolo il diritto d'imitarle e d' immergersi nelle stesse lordure (lei
trono ., ... .1 Signori, Roma cadde nel
fango per la stessa legge, che fa Oddore nef fango le fronti delle
bagasce. Al disfarsi del più
meraviglioso impero del mondo,,tre potenti fattori sociali ai trovarono
commisti, i quali poi compcnctrandosi dopo lungo tempo di contatto e di movimento
costituirono il carattere dominante
dello società moderno in Kuropa. U elemento
romano, 1' elemento barbaro e V elemento cristiano, tennero il carneo in
tutto il medio evo, a mano a mano modificandosi a vicenda e componendosi in uno, finché immedesimati
uscirono in una sola forma, direi jn un
individuo, che signoreggiò la moderna storia
B ne fu 1' anima, racchiudendo in se le cagioni, o cagione esso stesso, degli avvenimenti posteriori. — Il
medio evo è una vera epoca di
transizione, dì trasforminone, di organizzazione sociale, nella quale 1' Oriente e l' Occidente
cambiano temperamento, modi e costumi, e
si .travestono: qua sì fondano quasi tutti gli stati moderni, a' accampa il feudalismo, brilla la
cavallerìa, sorgono i comuni, marciano
le crociate, i re si assicurano sui loro troni, i papi ingemmano la loro tiara, e trasformano
la loro verga pastorale in iscettro; là il Corano, con una dottrina composta di
virtù e di vizi, di beni e di mali, di
verità e di errori, illustre, l'oscura
Digitized 0/ Google Arabia,
percorri trionfante lo vaste Provincie della Persiti, lo' ritfchfe vTe dell'
Asia Minore, la Palestina, 1> Egitto, la' Libia, la MatìrWania é' quasi
tutta V Africa, a ad osso a' impone col' ferro e col fuoco 1, aprendosi l' ingresso in Europa e
minaBc'mnda' tutto il no-Stro emisfero: qua s' immortalano- Clodoveó,
Carlomagno, il grande Alfredo, Ottone il
grande, Ugo Capete, Goffredo Buglione, Gregorio VHy Filippo Augusto e Rodolfo'
il' Asbùr,0; la a' tedia Maometto, che
la ad aspettare i suoi proseliti nel pn^adiso delle Huri.
Passando per queste svariate fasi, l'educazione .1 '-''■evtf in se- come specchio le immagini è le riflette,
romana <• Romani, barbara coi
bàrbari, cPistinn-t eoi Cristiani in Kuropa, maumettthiià eoi Maomettarii iu Ksià ed ili Africa; or
grande, or rozza, or santa ( or tutte'
q-uéste còse insieme appo noi, si fa presso loro carnale immaginosa, furibonda, or guerriera colla
scimitarra alla mano; or devota nello
moschee, or prostituiti fra le schiavo nel chir-so dell' Harem'. LS bùssola",- k s'ta'mpa é ti polvere
sono invontate. Le navi sdtéarró ì
iftaTÌ più vasti é più' lontani, le scienze si propagano rapidamente, lo f-uerre si fanno grandiose e
Cangiano rhade. Colombo, Luigi XIV,. Pietro il grande, Federico II, Washington
e Nàpbleorfè danno t loro fiomi ai lóro
tempi. Due religioni a" affrontano a Lepanto, e la mezza luna b vinta
dalla croce. Due civitti a' accapigliano sulla terra, 0 infierisce incessante
la lotta dei gióvani secoli contro i
secoli decrepiti. L' America dà il segnale,
itì Frància risponde, é incominciano le grandi rivoluzioni Sodali. I (jfovóhii assoluti sono sostituiti dai
governi rappresentativi. I popoli
reclamano i loro confini naturali, e si stabilisce il principio dèlie nazionalità. Cóme inviolabile il
domicilio della famiglia, vaolsi
inviolabile la patria d' un popolo. Sacra mania e sacri i confini. L' agricoltór'à, I' industria e il commercio
danno ricchezza e benessere, e soD dalla guerra disturbate; dunque s'ama la
pace per la felicita,- ma è necessaria
la guerra per il violato diritto di nazionalità. Quando ciascuna sr sarà chiuso
in tssa sua, disar- njeremo i nostri eserciti e le nostre armate; prima no I
Innanzi che si finisca la atorià dello
battaglie, vi si han da notare col sangae
mólti e molti altri conflitti. I possedimenti stranieri a' bau da cancellare dalle carte geografiche prima d'
inchiodare tutti i cannoni. — Non per ciò s' arresta il carro del progresso ma
fa la sua corsa trionfale, e s' affretta
ogni dì più. Noi incanaliamo per
gl'istmi le aeqùé dell'oceano 0 traforiamo lè montagne; faceiam portare rapidamente dalla forza del vapora
per terra e per mare ilói e le coso
nostra; abbiamo telegrafi e furii transatlantiche e il pan telegrafo; teniamo lo spettroscopio nelle
mani e analizziamo gli astri
chimicamente, dopo averli misurati ó pesati; è forae presto navigheremo per 1'
aria, dimentichi forse che lesrus
icarias nòmine fecit aquas. Questi
donni, quasi brevi linee che abbozzano la fisonomiB dell' istoria modem* tfompres* entro
qwatfro secorr, eum^m*io» allo svolgersi
della nwovs ediieaziorie, della qnale ffncrw aBbianro assistito ai diversi sviluppi, e vorrei dire
alto varre età decolori',, é che sì
mostra in quest'ultimo periodo più: che altro positiva: e scientifica, ma imperfetta sempre, studiata
poco, raro applicata, pìfr spesso
dipendente dagli avvenimenti e dai tempi di quello chequesti dipetid-mti da
essa, aubbielto di profonda meditazione
p.:' filosofi, di -ridicola e inopportuna a rumi raziona per gli
ottimisti, di stup v o di scellerato dispregili per i pessimisti, di colpevole
'rannerati" Ber tolti, di lagrime dolorose e di tanto pentimenti t.-per i padri, per le madri e per
gli ari, cria mirano tìgli e nepi'i nifi
troppo comunemente indegni del secolo in cut
viviamo, dei diritti che abbiamo rivendicati, dei d'ovari più gravi q pi a sacri che ci sono imposti, ile]
compito che ha la generazione presento
di preparare la via del progresso alfa civiltà delle generazioni future. Grandi ammaestra menti possiamo trarrò da
questa quantunque rapida escursione attraverso dei secoli; e se .il possiamo,
è nostro dovere il farlo! Noi abbiamo
tenuto dietro ali educazione in tutti i
luoghi e in tutti i tempi, e ci lucemmo storici per divenire filosofi. f>oì
risvegliammo e interrogammo la polve degli eroi
che furono, ed eaea ravvivata ci rispose. Alla nostra evocazione accorsero gli estinti più rimoti
scoverchiando i marmi delle tombe, e interrogati ci risposero i capitani, i re,
i sacerdoti, i legislatori, i popoli, dal primo giorno dell'uomo sino al giorno
che splende ! Eglino c' insegnarono, che il bisogno della
difesa permanente contro il pericolo
incesaante fa 1' uomo selvaggio, senza coscienza, soni» culto e senza amore; educazione
brutale: ohe la pastorizia e 1'
agricoltura lo temperano a lo fanno devoto, ma lo costringono a tenera! pronto a combattere per serbare
incolume il suo gregge e i mirti
lyiu.ipì; educazione fisica o religiosa; che il diritto del più forte erea la casta e fa gli schiavi;
educazione della forza e della .violenza:
che l'operosità e il movimento sono lo prime cagioni della civiltà, e che i primi frutti di questa
furono l'astronomia, la navigazione e la
filosofia, delle quali piena la mente potè esser Moeè 1' educatore d' un gran popolo e
condurlo a conoscere e ad adorare il Dio
vero; educazione fisica, morale e religiosa: data dalla intelligenza d' un sapiente- che I'
amore della gloria divinizzi» gli
uomini, e creo gli eroi; educazione fisica e mitologica: ohe la poo'ia d' Omero tu emine ninniti: educatrice
u per conseguenza civilizzatrice;
educazione migrale o politila data dalla poesia etto la legganone educò la Grecia, Koroa o la Uiua,
(odo il t'ilaugeri hen disse: si'er
fermare un uouii io preferisco li domestica educazione; per formare un popolo
io preferisco la pubblica;» educazione
natca-Ugi slati va: che 1' amore della patria inspirò ai Romani la grandi virtù, che non anno però da
confondersi col furore delle conquiste, cogli orrori delle intostino discordie,
eoo i vizi dell' im pero, imperciocché
guelle fossero cagione della loro grandezza e
Suesti della loro rovina; educazione patriottica e guerriera: che
l'eucaiione del medio-evo partecipi) delle romane reliquie, della barbarie
deirli invasori, e della influenza in ultimo predominante del cristianesimo, ed oscillando e quasi
dibattendosi fra così diversi elementi fu causa ed effetto ud un tempo di quel
periodo di sociale trasformazione;
educazione fisica a cavalleresca in uni classe, morale e intellettiva in
un'altra: finalmente che la storia moderna, la
cui ragion d' essera rìnvienst nel medio-evo, e i cui precipui caratteri
sono il progresso della legislazione e delle scienze, ba avuto ed ha in sò stessa i mutivi della educazione
eminentemente positiva e scientifica, che da quattro secoli si fa ogni di più
per ogni dove predominante; educazione
singolarmente intellettiva. Se mi avete
sino a questo punto, come pormi, onorato, o Signori, della vostra intelligente
e benevola attenzione, io v' ho fatto indubbiamenle manifesto e Voi avete
compreso, che nella storia manca 1' esempio di una educazione completa, data
cioè nello stesso tempo, e ad ogni
classe di cittadini la medesima, e di ciascun cittadino al corpo, al cuore,
allo spirito; i quali elementi sono
l'uomo e in lui coordinati cosi da costituire in un tutto la
composizione, la cooperazione, 1' armonia delle parti. Se l'educazione ò la scienza dell' umana
perfezionamento, a se 1' uomo nel tempo
della sua vita mortale 6 ita* unità indivisibile, quantunque risultante di
elementi ebe la scienza può distinguere, non già nel vivente senza morte
scomporre, è chiaro doversi 1'
educazione darà a tutto 1' uomo, io va' dire ai suoi organi ed alle sue membra,
ai suoi affetti ed alta sua coscienza, alle
facoltà, tutte della sua anima e perciò al suo intelletto: onde avviene
che la educazione debbe darsi e debb' essere tisico, morale e intellettivo. Or nella storio antica è prevalente
l'educazione fisica; nella madia la fisica in una classo, la morale e la
intellettiva in un' altra; nella moderna
1' educazione intellettiva prevale a scapito della fisica e un po', diciamolo con franchezza,
anche della morale educazione.
Dappoiché la grande guida e la grande maestra del filosofo è la storio, sappiamone trarre gì'
insegnamenti e lo regole che à offre. È
chiaro: il nostro supremo dovere fi quello di preparare ai nostri figli, ai nostri nepotì, e alle
generazioni che verranno da loro un'
epoca, il cui carottare, quasi complemento do' secoli trascorsi, abbia ad essere una educazione compiuta: e
pefcié educhiamo e ad un tempo i
muscoli, i sentimenti e le intelligenze. — Di questa triplice educazione vengo quindi a
discorrere, e dello fisica in Questa debbe aver principio, non vogliate
meravigliar vene e stupirne, o Signore,
ne II utero materno. Allorché la donna ha concapito, ha tutto comune col frutto
delle sue viscere:. il oiho, il sangue, il moto, le infermità e per conseguenza
le .passioni, .che so no i mali del
cuore e dello spirito; pensateci, o madri 1 Certi bambini malsani, e per ciò
impressionabili, irritabili, e che voi chiamate cattivi, sodo 1' opera
vostra! Appena nati, i fanciulli
respirano. L' aria, questo elemento
vitale degli organismi, ò il veicolo della forza o della
.debolezza: fa vivere quando abbonda
pura e salutare, fa morire quando è poca
o malsana. L' aria campestre, lasciatemelo dire, è più nobile dell' aria cittadina: è più ricca di
ossigeno, meno pregna di evaporazioni putrida, nudrita dalle piante e
purificata dai venti. Sepotete, o balie, andato in campagna. Dopo che ha respirato, il bambino vuol due
mammelle. Madri, se siete sane, dategli le vostre: se no, cercatevi la più
robusta balia, figlia di robusti genitori, e, ae è possibile, nepote di nonni robusti aneli' essi, e che sia una
eontadinotta lieta e tranquilla; se
allegra, tanto meglio. Avvenuto lo slattamento, cibi sani Dopo i primi passi sicuri, moto sempre e
all' aperto. Camminare, correre, saltara; portar pesi, lanciar pietre, colpire
il bersaglio; inerpicarsi sugli albm e
sullu corde e discenderne; schrnua di
spada e di bastone a una a a due muli; cavallerizza, caccia, punca « nuoto: ecco gli esercizi
dell' uomo sin j a venti anni. In ultimo
per obi '1 putì, viaggi per terra e per mare.
Il marmalo lia o;:bi d' aqjila; esercitiamo la vista sul più loncota
orizzonte. Baerai tiam ola pjre al gusto del bello collo studio del diiwgno sulle copie o sul vero. Nella scuula
u nella casa ordina a pnlii^zza, quadri
e statue. Chi non arriva oggi a potersi comprare fotografie scelte e statue di scagliola?
l'nuia queste, poi la pipa; il vino per
ultimo, e poco o punto. Cui non diletta
!a ruusicu Y Anche l' orecchio ha il suo diritto di essere educato. Ma che rosa è In musica?
l'o risponderò :l più simpatico italiano
dei tempi nostri, il ll'Azugliu, «Di tutte lu opere dell' uomo, di.^s nei suoi
Iti cordi, la più meravigliosa ed
insieme la sola, per me inesplicabile, è la musica. - Capisco la poesia, ciucco ia r-ii'-ura. la sculture, le
orti d' imitatone insomma. Il loro nomo uo svela I' origine. V era un modello,
1' umanità c' impiego- s?c"li par giungere ed imitarlo; é finalmente
Io imitò. — Capine» lo scituze. Dutu il
raziocinio, non trovo dificiltà a comprendere
che, profittando ogni età delle riflessioni dell' età antecedenti, e, per dir cosf, oaleudo sulle
sue spalle, I' umanità ni sia innalzata
al punto al quale oggi si trova. Ma dove
diamine siamo andati a prender
la'musieaY questo e quello che non capisco. La musica i un mistero Credo che
bisogna dirne quello che si dice delle
lingue. Kppure la musica cV, e nella noi-tra natura. (Non in tutte, e vnro.j Mi ricordo che ad un
concert'». Citòden mi s'inchinò all' orecchio, e mi disse: « Non ho mai capito
che cosa significhi quello strepito che chiamano musica. » Le esperienze sul
monocordo o_ sul prisma, la relazione che esisto fra le distanze delle note e dei colori, mostrano ohe consonanze e
dissonanze non Bono 14 un fatto arbitrario nè una convenzione
acustica. Ma con questi dati che cosa
spiego ? Lei dirà eh' io vo nelle nuvole e nelle nebbie, ma voglio pur parlare. — Non ha mai provato
talvolta, a corte melodie, sentirsi
umidi gli occhi come ad una cara voce, come ad
una dolce memoria sopita cho si ridesta ? e tal altra, sentirai diventar
migliore, più franco, trovarsi 1' ari ini a nobilitata ad un tratto ? il cuore reso più generoso ? la volontà
più onesta ? Come si spiega l' influenza della melodia e dell' armonìa sul
senso morale? f!he cosa vi dissero
quelle note, quali ragioni vi esposero
per ispirarvi libello, il buono, il grande? — Non sarebbe la musica una
lingua perduta? della quale abbiamo dimenticato il senso, e serbata soltanto 1'
armonìa ? non sarebbe una reminiscenza?
la lingua dì prima? e forse anche la lingua dì dono? .... » E se la musica è tutto ciò, vorremo privare delle
sue delizie, dei suoi conforti i nostri
figliuoli? — Ora b il Montesquieu che parla.
« — 11 savio Polibio ci dice, cho la musica ora necessaria per addolcire
i costumi degli Arcadi, oha un paese abitavano d' aria rea e fredda: che quei di Cinete, che la musica
trascurarono, vinsero in crudeltà ì
Greci tutti, e che non vi ha cittì, in cui siensi veduti tanti delitti, quanti
in quella. Platone non tome d’affermare,
che non può farsi 'cambi amento nella musica, sema farlo di pari nella costituzione dello stato. —
Aristotile, il quale sembra che per
altro non iscrivesse la sua politica che per opporre a quei di Platone i suoi sentimenti, s'accorda però
con esso rispetto alla forza che ha la
musica sopra i costumi. — Teofrasto, Plutarco,
Strabone, gli antichi tutti opinarono nel modo stesso. — Non È questa un' opinione buttata senza
riflessione; ma bensì uno dei principi
della loro politica. » Gli altri sensi
si perfezionano col non abusarne. — Passo alla
educazione morale. Se delle tro ora
ben distinte specie di educazione se ne dovesse dare una sola, questa sarebbe
dessa. La forza e la sapienza sono armi
pericoloso nelle mani d' un uomo immorale. Senza moralità un individuo e un
popolo sono vili egualmente. Io preferirei d'aver discepoli ignoranti ma
onesti, e figli asini, infermi ma
virtuosi, piuttostocliè dovermi vergognare delle cattive azioni degli uni e degli altri, fossero anche i primi
genii dell' universo. La proprietà È un
furto, disse Proudhon. Questa massima antisociale e sovversiva nudra il
malcontento degli oziosi e le rivolte di
ohi, non avendo nulla da perdere, vuol la confusione per pescarvi dentro. La
proprietà è un diritto naturale consacrato dal
lavoro, dico io, ed è la ragione e l'effetto di quasi tutta 1'
umana operosità; in somma è stimolo e
premio. Disogna abituare i giovanetti a comprenderne tutto il valore,
insegnando loro il rispetto della roba
altrui e l'economia della propria. Lo spilorcio è un vizioso, il prodigo nn
pano, e chi ha il vischio nelle mani e un ladro. Si fa questione sul diritto della pena di
morte, ma si menano giù coltellato a
occhi chiusi: oramai si languisce di umanitarismo, ma s'ammette la vendita della carne umana
virente, e ne n'aprono spacci
dappertutto: si 6 proposta di portar le donne al ministero ma son desse tuttavia le nostre schiave.
Cotalì contraddizioni bastano e dimostrare quanto siano grandi le lacune nel
senso comune. E d'uopo rimediare: ma come? Gridando alto e sempre in tutti ì tempi e in tutti ì luoghi; 11
corpo umano 6 Baerò ed inviolabile più o
almono quanto la persona <S' un Ke. Si, parche ciascuno ò un re, Enctie non «fonile il suo
simile. Quanto al cuore, chi n' ha
troppo e chi troppo poco. Un» vin di
mezzo, signori '. Apriamo asili infamili, scuole ver gli ignoranti, ospizi per i poveri, ospedali per gì' infermi
a roan.comii per i matti; ma se un
truffatore va in carcere, un assassino in galera e un parricida sulla forca, oh i.nn ci
facciamo prendere dagli sveuimeuti' — Curiamo i nostri bambini malati,
procuriamo che non gì ammalino,
baciamoli, accarezziamoli, scherziamo, giochiamolo loro, siano i nostri piccoli amici, i nostri
conforti, la nostre gioje piti sublimi e
pili sante, ma educhiamoli alla vita a per la vita; u perciò conduciamoli e sovente, se uz a
avvezzarli a un ridicolo e daonoio eenti
montai temo, a visitare i tuguri più miseri dov« si laogue per freddo e per fame, le prigioni ove
si espiano i delitti, i letti dove giacciono gì' inferni! e quelli ove
agonizzano i muri "ti, finalmente
anche i cadaveri, ai, anche i cadaveri ! Cui
vuol familiarizzarsi colla vita deve conoscere- audio la morte! Noi,
educati altrimenti, siamo usciti dalla famiglia a quindici o veni' anni ed entrati d'uu salto nel mondo. E
che n é avvenuto? Tutti lo sappiamo:
disinganni erudirli, straiiac'.i 1 Non più carezze, roa urti; non pili lodi, ma disprezzo; non più
amore, ma odio; non più compassione, ma
crude!;»; non più genitori affettuosi, ma giudici i-eitri; uor. ;:iù fruttili,
ruu uc.iii.';; uir. p j nr.rcllr, mi sgualdrine; e il nostro paradiso
terrestre? la nostra felicità ideale? lo
nostra più liete, più care, più caldo speranze ì Tutto a' è
disperso come per incanto, tutto 6
finito come sogno al destarsi 1 Quasi
tutti siamo gli scolari della nostra esperienza, o Signori, e beato chi pu5
contraddirmi! — Montesquieu ha scritto; a A' giorni « nostri noi riceviamo tre educazioni diversa
e contrarie; quella « do'noslri padri,
quella decori maestri, e quella del mondo. Ciò
« che ci vico detto nel!' ultima, rovescia le idee tutto delle prime
». Pur troppo ! aggiungo io. Avete udito mai quei padri che strilla no i
figli, perchè vanno, secondo essi, con t compagni cittiv: v V.\:U-m. rnd.le .
Le abbiano torto? Niente affatto. Oh badate di non prendermi oggi per un predicatore quaresimale! lo, Signori,
sono un uomo libero ielle plebee, mi
soli perfino trovati in mezzo a ) amico,
proprio amico, di qualche valente e j
iquistato il diritto di parlare por esperiunza, c un viaggio, di dire a chi 1' imprende:
Bada che là c' è una palude miasmatica; passa di giorno, col sole ardente, e
galoppa ! E i cattivi compagni, Signori
miei, sono miasmatici, e posso assicurarvene. Quattro chiacchiere con loro
sembrano cose da ridere, e sono cosa
serie: è come a farle con un coleroso; forse non contrarrete il male, ma potete
contrarlo; anzi avete per contrarlo almeno
ottanta probabilità su cento ! — E non ho capita mai porche il male abbia da esser più contagioso del bene,
ma è cosi, e cosi non fosse !.. Io ricordo tre governi, quello del papa
governo assoluto, quello della
repubblica governo di popolo, e questo in cui il popolo e il Re fanno le leggi, di concerto. Ho sentito
maledirli t un' e tre. Ma che si vuole
dunque 1 Le prove per coutentare gì' incontentabili sono oramai esaurite: eppure 1' autorità e la
legga non sì rispettarono e non si rispettano I E sapete perchè ? Perchè
abbiamo perduto il rispetto par tutte le cose rispettabili. E sapete dove e
come? Nel seno delle famiglie, ove incomincia la ribellione all' au-" ferità paterna, perchù o troppo rilasciata o
troppo severa, e d'ondo esce per
espandersi o propagarsi nella società politica, dalla quale vien rientrando in casa spesso o volontiori:
circolo vizioso I I genitori se la leghino al dito ! Io sono stato sempre nemico del duello per
quella vieta ragione, .che la forza e la destrezza non possono risolvere una
questione. Ma in certi oasi sono stato 11 11 per battermi davvero. C'è al mondo una maledetta genia che si fa giuoco
dell' amor proprio e anche dell' onore altrui j segno evidente che con ne
conosce il prezzo .o peggio ), e, per
es. vi mette in ballo delle storielle
ignominiose sul conto vostro o di quelli o di quelle che maggiormente
amate e giustamente rispettate. La legge tace; e s' ha a star colle mani alla cintola? 0 se la legge
provvede, eccole pubblicità, gli scandali, e la malignità che v' attacca molto
bene il dento ! Infami tutti i
maldicenti ! Ma imparino gli uomini sin
da fanciulli che dopo il culto a Dio, il più sacro è il eulto all' onore dei loro simili ! La Chiesa ha collocato V invidia fra i
peccati mortali, e par che P abbia fatto
a posta per mandar molta gente all' inferno,
imperciocché pochi vadano esenti da questa di superbia figlia, D' ogni vizio radice, Nemica di se stessa, invidia rea, Che gli animi consuma Como ruggine il ferro; Che 1' edera somiglia, Distruggendo i sostegni a cui s'
appiglia. Quasi tutti i vizi portano
seco qualche diletto; questo no, che rode
1' animo e consuma la vita di chi n'è preso; e nondimeno 6 cosi comune e pernicioso, che basta solo a
distruggere la felicità di moltissime
famiglie. La sola invidia dei begli abiti, nelle donne, consuma il povero stipendio di non pochi
impiegali, fa -purea e talGata misera ia
mciisn, U^h- a. f..;;ii...U il ;:aiie u I? miteruo i- iis, induco i mariti a
commettere oerte Ggure, chn 1* sa Iddio! e
poi t Voluto pi ù ridicolo spettacolo che la gara iosfituitar tra
le povertà o le duviiiu inoltra 1*
invidia C la numioa più di chiarata del vero merito, 'quan'.unqui" bassa,
vile 'e paurosa passiono. Oh dite ai bambini felle e vero' é'potete 'loro
dimostrarlo j dite ch'èril benessere
altrui 6 un patrimonio comune che.ia'sentira
a tutti ì suoi beneficìi. Quando, non. ha' gran tempo; 1' economia politica vagiva nelle fasce, s'insegnava e ai
credeva' Che la ricchezza d' un popolo dovesse essere a danno di quella, da'
pnpoli vicini: ■ errore funesto- clin
;ia mmloi'.i nienti siati in rovina, e ohe
oggi la Dio mercè è confutato dai fatti e dalla scienza. Or pèrche la scienza non confuterà 1' invidiai flQS è
hon solo un ! stìnti mento, ma anche un
errore e dello stesso genero ? Noi siamo per, lo meno imbecilli guando ci
adoperiamo a' dlstruc-Erern 1- nostra 'nel-,' altrui felicità! > ' Neil' America civile, ove la. libertà più
estosa non si confonde eolia 'licenza,
ovo le virtù repubblicano' ' non sono, velo a 'volgari passioni o a vergognose mene o ad interessi
non degni,' ove la miseria è una colpa e
virtù la ricchezza, .ove la volontà è' -la! po-» lonza di ciascuno come di tutti,' sorgono
tèmpii cattolici a fianco di quelli
riformisti, religioni novelle' accanto alle antiche, 'apostoli nuovi in mezzo >a sacerdoti di ritio
secolare,, e' la' figlia del fanatico entra -sposa' nella essa d' Ira 1 'ateo.'
Noi all' 'm contraiamo intolleranti delle persone, delle opinioni e delle
credenze: non intolleranti solo, ma V03-IÌ atrio colla ftirza 'attaccar ' la
nostra coccarda sul petto di chi -va
tranquillo per la sua tia^ È un birhante'chi
nóii'pensa come noi, è inia spicchi non parla, e ehi parla troppo Sun brigante.- Ma non-siarmo invece nòi'l
brigatati, 'quando rompiamo così spudoratamente le tasche a questo e a quello ?
. . . . TI prìmb caràttere d' Un popolo
vcrnmento civile ò la : tolleranza; chi
non tollera ha paura ! Per averè io il diritt» 1 di giudicare colla testa mia, d'amare col mio cuore, 0
d'intendermela colta .mia coScienza; 'colla baia ndn colla vostra, 1 È d' uòpo
chó riconosca A medesimo dritto in altrui. In quest'affare ci vuole il non
iati! trend); 0 non 'mica il patto, ma
il fatto -, ■ • : : Colla massima-
brevità; ché"si' potesse 'accordare con la
vastità de! tema d con la pazienza vostra Beli' ascoltarmi, ho della- morale educazione discorse quelle
parti, delle quali fa, presso iioi
Italiani, maggiore difetto. Se'ho- parlato .francamente e liberamente,
attribuitelo e all' indipendenza- del 'mio carattere, e ai nostri guaj, .e al dovere che hanno
i'^arlatori di svelarli senza mistero.
Vi sono, o Signori, delìfe piaghe sociali, che non si sanano colle blandizie— E vengo a diro della
educazione 'intellettiva.' Como lo
varie membra del corpo 'acquistano in forzo e destrezza per convenienti
esercizi,' così le foeoltà dello spirito si migliorano per educazióne ben data.
— Io stimo che l'educazione del 18 l' anima debba precedere l' istruzione, e
che questo aia ufficiodelie prime scuole.
Un tempo le esercitazioni della memoria erano ■ barbare-. Si obbligava un fanciullo a ricordare parole e
non idee, segni e non immagini. Ricordo
per conto mio d' avere imparato tutto l'Alvaro
senz' averne mai capito il senso. Fu una tortura che duro due anni, e
che mi fece odiare la acuoia e il maestro, che Dio gliel perdoni ! Dopo ho
avuto sempre avversione alte gsnmm .iìnhi di parole, alle pedanterie e a tutti ì pedanti: e in
qui-sio, il-J di sentire e d'aver
sentilo bene, e me ne vanto. Povera mia memoria, I Echi m' avesse predetto allora che sarei divenuto
un maestro di mnemonica! Nessuna meraviglia: aborrendo dalla ricordanza
materiale, ho studiato l'associazione
delle idee. Sulla quale è d'uopo fondare le
prime e tutte Io esercita/ioni della memoria, che bisogna abituare alle impressioni ripetute e profonde,
affinchè sia tenace nella ritentiva, ycauta e logica. Poi s' arricchisce
d'idee, chiaro- e sode, e non di futili
cognizioni^ i-n -™4tò, non fresiamo di quegli eruditi che ricordano tutto e non
capiscono niente ! Questi sono più
dannosi degli ignoranti. 11 celebre Ranalli, il vostro Deputato, mi scriveva questo precise parole: « Non credo
che il maggior mala « sia l' ignoranza,
che pure ò un gran male. Ma ve n? ha uno
* peggiore che è il falso sapere 1 .... » Noi italiani abbiamo una buona
immaginazione, e lo provano le nostre gallerie,
di quadri e di statue, e ì nostri monumenti architettonici, i nostri sovrani
poeti, i nostri divini compositori di
musica. Ma le stramberie straniere cominciano a viziarla. L' arte d'oggi non è più l'arte dei nostri grandi
maestri. Si dipingono e si scolpiscono,
e, quel che è peggio, si scrivono cose, che sembrano delirii: e anche in ciò
dalla liberti siamo trascorsi alla licenza. Non si patisce dì languori, ma se
ne fa patir gli altri. L' arditezza s' è
convertita in temerità; 1' immaginazione è feconda, ma sgregolata: è pronta, ma
6 febbricitante. — Egli fa d' uopo ricondurla sotto 1' impero dell'
intelletto. Il quale non è presso noi
esercitato, quanto pur vuoisi che sia
affinchè regga alle fatiche della meditazione. Lo studio delle
grandi cose lo fa grande, e quello delle
molte vasto; ma nei giovani cide:
concepimenti più ristretti, ma sicuri e indubitabili: giovano a ciù gli esempi, le similitudini e le
ripetizioni. Le giovani menti non
debbono spaziare per plaghe sterminate, ma nonno elevarsi e anche, ma
raramente, toccare il sublime: elevarsi coi subbietti concernenti la virtù, o sublimarsi colle idee
d' eroismo, di religione, di patria. Le
sottigliezze vanno sbandite, perchè avvezzano alla pedanteria, che è il veleno
delle scuole. Profondi concetti ed alti e forti sensi, eoco quanto in Bingolar
modo ci abbisogna. Nobiltà di carattere, ordine nello idee, conversazione eoi
buoni e coi dotti, uso di scrivere e di parlare, e finiremo d' esser
semplicemente facondi per divenire eloquenti. Bi lu
ci 19 sogna inoltre abituare gì' ingegni alle scoperte ed alle
invenzioni: flooo desso il segreto del
progresso. Delle cose vecchie ne abbiamo
abbastanza; cerchiamone delle nuove, se vogliamo arricchire il
patrimonio delle scienze e non moltiplicarlo d inutili e non raramente falsate
ripetizioni. Due piri 0 ' ' ■'■»
voloni'i. Questa, o Signori, dà o toglie valore a tuti -^Ità inic.lettive, al
senso morale e alle ferie fisich iono vane le regole e anche i subbietti delle r%. non v' ha ne applicazione n&
perseveranza, ne l . ..un ;io, e manca il carattere: senza di essa no" ai sa, ami non si pn/ trarre alcun
vantaggio dalle arti, dalle scienze,
dalla murale, c neppure dallo occasioni. Senza volontà sarebbero vissuti
inutilmente Newton, Cialileo, Davy, Harvey, Jenner, Herschell, Humboldt, e
molti altri simili ad essi. — La fiducia
in ss pud ispirare il sacrificio e pub dare una volontà eostante: inspiriamola in tutti. Ciascuno ha il suo
valore: sviluppiamolo. Mift ha scritto:
« Il valore di ano atatj, è a lun^o -andare, il vaa lore degli individui che lo
compongono. » Eccovi, o Signori, le
precipuo regolo della educazione fisica,
morale e intellettiva, desunte dai difetti della storia passata b della contemporanea. In un discorso io non
poteva presentarvi un trattato. Ho
sfiorato le osservazioni e le massime: non avrei potuto governarmi
altrimenti. Un' avvertenza. Dalla
definizione che ho data dell' argomento
che ho preso trattare, chiaramente deriva che ho inteso di esporre precetti riferibili tanto agli uomini, quanto
alle donne. Anch' esse debbono esser
forti, morali e intelligenti, anch' esse debbono perfezionarsi. Se i filosofi
fi' accapigliano sulla istruzione dovuta alla
parte più graziosa dell' uman genere, 1' educazione rispetto a questa non può esser posta in dubbio e
discussa. — Le nostre madri e le nostri
mogli debbono essere educate come noi e quanto noi. Se è vero, o Signori, com'è vero
indubbiamente, che tanto 1’uomo dagl’animali d’un ordine inferiore si distingue
e ai eleva, quanto è ad essi superiore
per la ragione ed j| linguaggio, io non veplo come si debba disconoscere che
tanto un uomo sia all' altr* uomo, e un
popolo agli altri popoli superiore, quanto è
maggiore il perfezionamento da loro per una miglioro educatone conseguito. Quindi non mi vale forza
d'intelletto a spiegare che sia codiata
ignavia, codesto abbandono, per cui si chiudono gii occhi dei padri sulla vjtH dei figli e cosi,
che non veggono e, cib eh' e ancor
peggi», noi. curano di vedere la ruina a cui molti di essi eorrono e non pochi e: slanciano. Sui
capelli incanutiti o sulle calve fronti siede poi tarsio h U'.a'.v il
pt-t.lixt.-nli>, c curva innanzi tempo il capo del veocnio verso la turra,
ohe sta per accoglierlo nel suo umido grembo.
Più dì frequente h incontra chi serba o chi accumula tesori pe' suoi discendenti, di quello the padri e
madri che pensino a farli crudi e
mdivisioMmeule padroni di quel tesoro, che non ha pari, di un' oducazioDC
forte, onesta, sapiente, e un carattere
atto a difenderai dalh bufere e dagli urajr^ ita. Le greche madri
piangevano al ritorno di:' figli s - vi jjisteaza dal nemico ferro del vincitore, ed emù lieta
e< i\;t<-"s ili poter noverare le ferite sul petto ilei tiglio ur i
■■>■■ ^itraglia, e morto per la
salvezza e per la gloria della jv '*' - Eia, figlia di beipione l'Africano e mogli*) u.l con?' * /
■•no, a una matrona romana che, dopo
averle ino-: i "hieSta l'avea
de'suoi per ammirarli, presentò ■ . . ir- Vanamente orgogliosi della gloria li
i. cene belli. Wa le virtii loro, la
potemo, i!,«•• ■ i --r-->, ia \
costanza, il senno ove sono? li so non sono, a ■> di ohe? — Eccoci liberi, quasi indinendenti, e
si;.'' ■' "' : '' .tostro ridenti
-oootradc 1 mari sono aperti alte «i itr v - ' Ta disposte alla nosii-i
cultura, potenze uni: -T"-.la nostra naziona, e abbiamo porti e fortezze, un es.r!.;it-:
un'armata, un parlamento e una legge. Il soldato è citt-mliii'.,,] .ititi ìino
è giudico del fatto nel delitto, la
storia del delitto è di ragion pubblica, e
siamo tutti-eguali d'innanzi all'autorità delle leggi; tutti eguali,
. e quando occorra processiamo e
condanniamo i nostri senatori ei nostri
ammiragli. So ci paro, noi parliamo e scriviamo contro il" governo, e ì rapproaentunti del popolo ad
ogni pie sospinto rovesciano un Ministero. L' ignoranza ó una nebbia che si
dirada un po' lentamente; ma l' istruzione,
che in ■} «cita metafora naturalmenta ò il sole, noa si stanca di ardere e d'
irradiare luce o calore. 6Ì paga, ecco
il grido ! ma si paga la sicurezza personale all' interno o la nazionale alla
frontiere, si pagano i maestri che c' insegnano, i magistrati eho d reggono, le
vie per le quali viaggiamo, i mezzi rapidissimi che trasportano le nostre idèe,
i coìht* . merci guarentiti, le
industrie incoraggiate, l'agricoltura migliorata, le arti e. le scienze perfezionate, si pagano
le battaglie vinte e quelle perdute,
quando i nostri fratelli o il re stesso e ' figli puoi stavano coi petti contro i cannoni, e intanto noi
giocavimo, o ravamo e ■ poltrivamo, e si
paga anche qualcbe cosa per non avere 1' incomodo dì ricevere, venti o trenta
austriache legnate ad libitum della
convertita casa d' Asburgo; in somma non si paga, ma sisemina per raccogliere. Del resto un grande
progresso sodalo e' 6, un gran passo s'
è fatto,' anzi un' salto; ma, Signori miei, il progresso individuale manca, perchè non fummo educati e
non sappiamo educare. Or dunque all'
opera. Alle madri, ai padri, ai maestri è
^affidata la grande missione di compier 1' impresa iniziata dai mar■ : *
'•'l'indipendenza itfllìana,da chi per amoro di patria ha sofferto viti dell' esilio o gli orrori del carcere, o
è morto strozzato •àia. o fucilato senza
processo, o decapitato sul palco, o mitraglilo w ! -vopo. ■ ' '■ N i
L\'arte della Memoria - Manuale di mnemonica compilato secondo il sistema A. –
vf. IL SISTEMA GRICE-HP di MYRO E SPERANZA SISTEMA A. GIUDICATO DA AUTOREVOLI
COMMISSIONI SISTEMA A. GIUDICATO DA
AUTOREVOLI COMMISSIONI Della facile
efficacia del nuovo sistema mnemonico stato concretato dal professore Tito
Aurelj, se ne ha una splendida conferma non solo dagli elogi che l'egregio
autore ha ricevuto da uomini illustri d'Italia e da moltissimi giornali, ma
ancora e più specialmente da
molteplici, famose e prodigiose prove della memoria artificiale date da
parecchi suoi alunni in occasione di pubblici esami. Un primo saggio della scuola pubblica
dell'arte di ricordare, aperta in Roma sotto il patrocinio del Municipio, fu
dato il 24 giugno 1874 da uomini e fanciulli, da signore e bambine, innanzi a
un pubblico numerosissimo e plaudente. La Commissione esaminatrice composta
dagli illustri uomini comm. Cesare Correnti ex ministro della pubblica
istruzione, commendatore Marco Tabarrini senatore del Regno e consigliere di
Stato, comm. B. Pignetti capo dell' ufficio d'istruzione nel Municipio di Roma,
fece, una lunga e ragionata relazione sui grandi risultati di questo saggio
dovuti alla prodigiosa efficacia delle regole mnemoniche ideate ed insegnate
dal prof. Aurelj, e, riconosciuto come: “agli studi dell'arte di ricordare
basti consacrare brevissimo tempo perché se ne raccolga abbondantissimo
frutto”, finiva con questa conclusione. L'altra cosa che importa accennare
perché questo pubblico saggio non resti senza qualche buon effetto, ne pare
questa; che gioverebbe in qualche scuola iniziare alcuni giovanetti di vario ingegno
alle regole dell' arte di ricordare, e poi tener dietro ai loro progressi negli
studii, e al loro modo di giovarsi delle regole apprese per tesoreggiare le
cognizioni, e all' influenza che questa nuova ginnastica intellettuale sarebbe
per avere sullo sviluppo dei loro ingegni, imperocchè sarebbe, a c parer
nostro, scarso il compenso alle diligentissime fatiche del prof. Aurelj, quando
delle innovazioni e dei perfezionamenti da lui recati all'arte mnemonica non si
traesse generalmente profitto nelle scuole e nei diversi studii. Or si vedrà come a questo voto abbia
risposto il prof. Aurelj. Il 23 e 24 giugno 1876 ebbe luogo, pure in Roma, un
secondo e maggior saggio mnemonico dato dagli alunni della scuola che era stata
aperta il 13 marzo dello stesso anno per i maestri e le maestre municipali di
Roma, con determinazione del Ministero della pubblica istruzion. A questo
saggio vennero assegnati dal Governo dieci premi di cinquanta lire l'uno. La
Commissione esaminatrice si componeva come segue. La splendida relazione di
questo saggio che predetta Commissione ha estesamente ed accuratamente redatta,
merita tutta l'attenzione di coloro che si occupano dell'insegnamento, perché
costituisce il più grande documento storico dell'arte di ricordare. Di tale
relazione diamo le seguenti testuali conclusioni che la Commissione ha
approvato a parere unanime: I voti
espressi dalla Commissione che presiedette al saggio sono stati appieno
compiuti e i suoi consigli seguiti. Ad apprendere l'arte di ricordare, quale è
dal prof. Aurelj insegnata, basta assai breve tempo non vi sono difficoltà non occorrono speciali disposizioni
dell'ingegno non vi sono notabili
differenze a fare rispetto all' età, ma i giovanetti l'apprendono più
agevolmente degli uomini giunti alla virile età, e questi più agevolmente degli
attempati. La memoria artificiale che si acquista con questo studio è
immensamente più duratura della memoria naturale, perché fondata
sull'associazione delle idee e su associazioni divenute famigliari a chi ha
studiato l'arte, facili a farsi, facili a richiamarsi. La utilità dell'arte
mnemonica è tanto più grande in quanto per essa si ricordano senza fatica
mentale quelle cognizioni che anche alle memorie più poderose, riescono
difficili a ritenere perché non legate fra di loro dal vincolo del ragiona•
mento, come sono le date e le cifre in genere.
II dubbio di taluni che la memoria artificiale nuoccia all' educazione
dell' ingegno, facendo apprendere e ritenere le cognizioni senza che la
riflessione vi abbia parte, non ha più ragione di essere quando si consideri:
che anzitutto, anche nell'apprendere e nel ritenere per virtù dell'arte si
esercita la riflessione, dovendosi trovare un'idea con cui la cognizione da
apprendere e da ritenere in qualche modo si leghi: che l'arte mnemonica non
pretende di sostituirsi alla memoria naturale, né di ricordare quelle
cognizioni che la mente può da sé agevolmente ritenere; essa vuole aggiungersi,
non sostituirsi, aiutare, non creare o distruggere: se la memoria naturale e la
cognizione che voi avete della geografia patria fanno che voi sappiate
ricordare benissimo, senz'aiuto dell'arte, la superficie, la popolazione
assoluta e relativa dell'Italia, e la popolazione non di xo ma di zoo città: se
voi senza bisogno dell'arte, ricordate la nascita e la morte di Dante, di
Colombo, di Galle°, ecc., tanto meglio per voi, ma non disdegnerete l'aiuto
dell'arte quando vi occorra di ricordare la nascita e la morte di cent'altri
uomini illustri, su ciascuno dei quali la vostra mente non si può tanto fermare
come su quei grandissimi. Noi faremo anzi a questo riguardo una chiara
distinzione fra quelle date e quelle cifre in genere, le quali rappresentano
cognizioni che diremo sostanziali, cardinali, e quelle, pur sempre necessarie
od almeno utili, ma di minore rilievo; rispetto alle prime diciamo che la
memoria naturale e la intensità della riflessione fattavi sopra debbono bastare
a darne la ricordanza, e l'arte non deve altro fare che confermarle, porgere un
aiuto a ritenerle più saldamente, più lungamente e più esattamente; alla
seconda invece la memoria naturale non basta, e che la riflessione ci si fermi
molto non è possibile, né desiderabile; a queste dunque deve provvedere
esclusivamente l'arte. Aggiungiamo che ginnastica intellettuale utilissima ai
giovani pare a noi quella per cui lo studioso possa tratto tratto porre a
riscontro la notizia ritenuta per virtù di memoria naturale e di riflessione,
con quella ritenuta per la via dell'arte.
Fatta questa distinzione, per la quale non è possibile stabilire regole
generali, dipendendo la maggiore o minore importanza delle nozioni dal grado
ch'esse tengono nella scienza di cui sono parte, la Commissione crede che
l'arte mnemonica torni utilissima ai docenti ed agl' imparanti, e possa agli
uni ed agli altri risparmiare tempo e fatica, se le sue applicazioni siano
fatte con ordine e temperanza ed alle sole nozioni più necessarie ed
utili. Mirabile veramente e di non
contestabile vantaggio è la facilità che mercè l'arte mnemonica si acquista di
ricordare e ripetere in perfetto ordine le parti più rilevanti di un libro di
qualsivoglia mole, o di un discorso dei più lunghi. Perciò la Commissione fa voti che questo
utile sussidio all' insegnare, all' apprendere ed al ritenere, venga introdotto
nelle scuole italiane e particolarmente nelle primarie e in quelle di medio
grado, specialmente per lo studio delle nozioni di storia e geografia, e crede
che gioverebbe anzitutto introdurre 1' insegnamento dell'arte mnemonica nelle
Scuole normali e dar facoltà ai maestri ed alle maestre già dichiarati idonei,
di valersene nelle classi loro affidate, considerando che trattasi per gli
alunni non già di una materia di studio che si aggiunga, ma di un sussidio che
loro si porge, perché le altre materie più agevolmente apprendano e ricordino.
Ad A. si deve riconoscere il merito di avere con uno studio paziente di più che
quattro lustri, condotta l'arte mnemonica a tale semplicità e perfezione e
fondatala su basi cotanto razionali, da renderla applicabile agli studi della gioventù,
ed è giusto che le sue fatiche abbiano premio nella gratitudine dei suoi
concittadini, e nell'incarico che dovrebbe commettergli il Ministero della
pubblica istruzione d'insegnare l'arte sua nelle pubbliche scuole e di educare
i maestri nell'arte sua stessa, alla quale disposizione non dovrebbe fare
impedimento il pensiero di aggiungere una materia di più, ma dovrebbe dare
coraggio la sicurezza di porgere un aiuto onde più agevolmente si apprendano le
altre. Firmati: MAURI. TROMBETTA.PIANCIANI. MARCUCCI. PIGNETTI. DELOGU. Roma.
Dopo questo decisivo e solenne giudizio di così autorevole Commissione, non è
più possibile mettere in dubbio la immensa efficacia di quest'arte di
ricordare, la quale ha ormai acquistato il diritto di prendere un posto distinto
fra tutte le altre nobili arti. E
questa verità di Niccolò Tornmaseo: “Insegnisi a tutti stenografia; un'arte è
un'arme di più deve essere con più forte ragione applicata all'arte mnemonica,
in quanto che è dessa considerata dallo stesso Tommaseo la vera stenografia
della mente, oltrechè essere della mente una utile ginnastica. Se la ginnastica
fisica è considerata come mezzo principale di una sana e maschia educazione, ed
è la vera applicazione del mens sana in corpore sano, la ginnastica intellettiva
è a sua volta un potente mezzo per accrescere, rafforzare e sviluppare la
memoria, rendendo la mente meglio atta al meditare ed al riflettere, e noi
sappiamo che l'abitudine della riflessione è un gran mezzo di studio efficace e
quindi giova fare ogni sforzo per acquistarla. Albani e
Buonarroti AGA MAGÉRA DIFÚRA Dizionario delle lingue
immaginarie Zanichelli, Les Belles Lettres I testi evidenziati in
grassetto sono, nello specifico campo di ricerca (ad esempio: lingue
filosofiche, lingue immaginarie di tipo letterario, lingue internazionali
ausiliarie, ecc.), opere fondamentali. Aarsleff, Da Locke a Saussure.
Saggi sullo studio del linguaggio e la storia delle idee, Bologna,
Mulino, Abbott, Flatlandia. Racconto fantastico a più dimensioni, Milano, Adelphi,
Academia pro Interlingua, Torino, Accame, Il segno poetico. Materiali e
riferimenti per una storia della ricerca poetico- visuale e
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1981. Adams, Richard, La valle dell'orso, Milano, Rizzoli, 1976.
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Jean-Baptiste Le Ronde d', a cura di, Encyclopédie ou Dictionnaire
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fiction, Lausanne, l'Age d'homme, Vesin, Resumé de la cryptographie
dévoilée ou l'art de traduire ou déchiffrer toutes les écritures en
quelques caractères et en quelques langues que ce soit, quoique l'on ne
connaisse ni ces caractères ni ces langues. Appliqué aux langues latine et italienne suivi
d'un précis analytique des langues écrites au moyen duquet on peut les
traduire, sans en avoir aucune connaissance préalable, Florence, Aux
frais de l'Auteur, Vetri, Letteratura e caos, Mantova, Edizioni del Verri,
Vico, La scienza nuova prima con la polemica contro gli "Atti degli
eruditi" di Lipsia, Bari, Laterza, Villani, Ragionamento dello
Academico Aldeano sopra la Poesia Giocosa de' Latini, e de' Toscani con
alcune Poesie piacevoli del medesimo autore, Venezia, Pinelli, Virmaux,
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Luigi Speranza – GRICE ITALO!; ossia, Grice ed Ausonio – Roma –
filosofia italiana – Luigi Speranza – filosofo italiano. Ausonio.
Luigi Speranza – GRICE ITALO!; ossia, Grice ed Avieno: il portico a Roma
– filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. Porch. A Distant descendant
of Musonio Rufo. Writes “Phenomena”. Avieno Rufio Festo. Avieno.
Luigi Speranza – GRICE ITALO!; ossia, Grice ed Azeglio:
la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale -- non si danno
doveri reciprochi senza società – la scuola di Torino – filosofia piemontese --
filosofia italiana – Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The
Swimming-Pool Library (Torino).
Filosofo
piemontese. Filosofo italiano. Torino, Piemonte. Grice: “I like Azieglo; first
he was a marchese, unlike me – second he looked for the fundamental law (or
‘fundamental question,’ as I call it) for the principle of cooperativeness – he
finds it’s a natural thing, not a Rousseaunian contractualist thing – so he is
a Griceian at heart – on top, he relies on Bentham, to minimise the Kantian
rationalism and make it digestibale to those who care about what Azieglo calls
‘amore proprio’ – i. e. conversational self-love as still operating under a
wider principle of conversational benevolence.” Coniò il termine giustizia sociale, successivamente
ripreso e sviluppato da SERBATI (si veda) nel saggio La Costituzione secondo la
giustizia sociale e da Mill nel saggio Utilitarianism. E stato anche uno dei
primi teorici del principio di sussidiarietà. Era il quarto degli otto figli del
conte di Lagnasco e marchese di Montanera, diplomatico della corte di Vittorio
Emanuele I. Alla nascita gli fu imposto il nome di Prospero che, divenuto
gesuita, cambia in Luigi. I fratelli Massimo e Roberto sono politici e senatori
del Regno. Maturò la propria vocazione
religiosa a seguito di un corso di esercizi spirituali dettati da Lanteri,
fondatore della congregazione degl’oblati di Maria Vergine. Studia nel Collegio
Tolomei di Siena e poi nell'Ateneo di Torino. Entrato nel seminario di Torino,
quando il padre fu inviato come diplomatico alla corte di Pio VII si trasferì
con lui a Roma e fu ammesso nel noviziato dei gesuiti di Sant'Andrea al
Quirinale. Fu ordinato sacerdote. Inizia
a studiare la filosofia d’ AQUINO (si
veda), studio che continuò a Napoli. Destinato al Collegio Massimo di Palermo
dove insegnò lingua francese per poi assumere la cattedra di diritto
naturale. Pubblica con i tipi della
Stamperia di Muratori di Palermo il suo testo più importante, il Saggio
teoretico di dritto naturale appoggiato sul fatto, considerato a quel tempo una
vera enciclopedia di morale, diritto e scienza politica. Ricevette da Pio IX il
permesso di cofondare con Curci “La Civiltà Cattolica”, rivista della Compagnia
di Gesù, ove scrisse per venti anni per poi assumerne la direzione nell'ultimo
periodo della vita. I suoi oltre duecento articoli pubblicati sulla rivista
furono tutti caratterizzati da un contenuto tale da meritargli il titolo di
«martello delle concezioni liberali» (Messineo). Muore a Roma. Preoccupato soprattutto dai
problemi che nascevano dalla rivoluzione industriale. Il suo insegnamento
sociale influenzò papa Leone XIII nella stesura dell'enciclica Rerum novarum
sulla condizione dei lavoratori. Propone
di riprendere gli insegnamenti della scuola filosofica tomista. Porta avanti
questa convinzione, ritenendo che la filosofia soggettiva di Cartesio portasse
a errori drammatici nella moralità e nella politica. Argomenta che mentre la
differenza di opinioni sulle scienze naturali non ha nessun effetto sulla
natura, al contrario idee metafisicamente poco chiare sull'umanità possono
portare al caos nella società. A quel tempo la Chiesa cattolica non aveva una
visione sistematica chiara sui grandi cambiamenti sociali in Europa, la qual cosa portava molta
confusione tra la gerarchia ecclesiastica e il laicato. In risposta a tale
problema, Taparelli applicò, in maniera coerente, i metodi del tomismo alle
scienze sociali. Dalle pagine de La Civiltà Cattolica attaccò la tendenza a
separare la legge positiva dalla morale e lo "spirito eterodosso"
della libertà di coscienza che, a suo avviso, distruggeva l'unità della
società. Termini chiave della sua opera
sono socialità e sussidiarietà. Vedeva la società non come un gruppo monolitico
di individui, ma come un insieme di varie sub-società disposte in diversi
livelli, ciascuna formata da individui. Ogni livello di società ha sia diritti
che doveri, ognuno dei quali deve essere riconosciuto e valorizzato. Ogni
livello di società deve cooperare razionalmente e non fomentare competizione e
conflitti. Dopo l'istituzione della
Società delle Nazioni, A. ne vanne considerato un precursore. Sua fu l'idea di
un'autorità universaleda lui chiamata "etnarchia"con il ruolo di
tribunale e di arbitrio, che potesse proteggere ogni nazione dalle minacce
esterne. A. continuò a fungere da autorevole guida al pensiero cattolico in
materia di pace e guerra ancora nel Novecento. Altre opere: “Saggio teoretico
di diritto naturale appoggiato sul fatto” (Palermo); “Nazione e nazionalità”
(Genova, Ponthenier); “La Legge fondamentale d'organizzazione nella società” (Roma,
Edizioni di Storia e Letteratura); “La libertà tirannia” “Saggi sul
liberalesimo risorgimentale” (Piacenza, Edizioni di Restaurazione Spirituale);
“La Civiltà Cattolica). Diritto soggettivo, proprietà e autorità in Luigi
Taparelli d'Azeglio, di Alessanfro Biasini, sito della Università Ca Foscari
Venezia. Scuola Dottorale d'Ateneo. The
Origins of Social Justice: Taparelli d’Azeglio, su home.isi.org. Education and Social Justice, J. Zajda, S.
Majhanovich, V. Rust, Sabina, Springer Science et Business Media, Armando, Il
Welfare oltre lo Stato. Profili di storia dello Stato sociale in Italia, tra
istituzioni e democrazia Seconda edizione, G. Giappichelli Editore, Georges
Minois, La Chiesa e la guerra. Dalla Bibbia all'èra atomica, Bari, Dedalo,
Pereña, La autoridad internacional en Taparelli, Libreria editrice
dell'Università Gregoriana, Studi Pierre Thibault, Savoir et pouvoir.
Philosophie thomiste et politique cléricale, Québec, Maria Rosa Di Simone,
Stato e ordini rappresentativi nel pensiero di A., «Rassegna storica del Risorgimento»,
Giovanni Miccoli, Chiesa e società in Italia fra Ottocento e Novecento: il mito
della cristianità, in Id., Fra mito della cristianità e secolarizzazione, Casale
Monferrato, Francesco Traniello, La polemica Gioberti-A. sull'idea di nazione,
in Id., Da Gioberti a Moro. Percorsi di una cultura politica, Milano, Traniello,
Religione, Nazione e sovranità nel Risorgimento italiano, «Rivista di storia e
letteratura religiosa», Emma Abbate, A. e l’istruzione nei collegi gesuitici,
«Archivio storico per le province napoletane», Saggio teoretico di dritto
naturale appoggiato sul fatto, Palermo, Stamperia d'Antonio Muratori, S. T.,
Per il centenario della nascita d’A., Rivista Internazionale di Scienze Sociali
e Discipline Ausiliarie, Luigi Di Rosa, A.. L'altro A., Milano, Cisalpino,
Gabriele De Rosa, I Gesuiti in Sicilia e la rivoluzione del '48, con documenti
sulla condotta della Compagnia di Gesù e scritti inediti d’A., Roma, Edizioni
di Storia e Letteratura; Perego, La «Miscellanea A.», in Divus Thomas, Gianfranco Legitimo, Sociologi cattolici
italiani. De Maistre Taparelli Toniolo, Roma, Volpe, Messineo S.J., A. e il
Risorgimento italiano, in La Civiltà Cattolica, Carlo Maria Curci Compagnia di
Gesù La Civiltà Cattolica Rerum novarum
Luigi Taparelli d'Azeglio, su TreccaniEnciclopedie on line, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana. Angiolo
Gambaro, Luigi Taparelli d'Azeglio, in Enciclopedia Italiana, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana. A. su
Enciclopedia Britannica, Encyclopædia Britannica, Inc. Opere d’A., su open MLOL, Horizons Unlimited
srl. Opere di A., Pappalardo, A. in Giovanni Cantoni, Dizionario del pensiero
forte, Piacenza, Cristianità, Vian, A., Il contributo italiano alla storia del
Pensiero: Storia e Politica, Istituto dell'Enciclopedia Italiana,.Aloysius
Taparelli, in Catholic Encyclopedia, Compagnia di Gesù Filosofia
Sociologia Sociologia Categorie: Gesuiti
italianiFilosofi italiani Sociologi italiani Torino Roma. Non si danno doveri
reciprochi senza società. Egli è costume di chi spiega diritto naturalo -- il
ius naturale -- il considerare certe classi di doveri dell'un uomo verso
l'altro anteriori ad ogni idea di società. E un tal modo di speculare è
coerente con tutto il resto della dottrina allorchè la società si riguarda come
una pura convenzione umana. Ma siccome il fatto di questa convenzione, per
confessione di parecchi fra i suoi difensori, non è se non una finzione di
diritto, fictio juris, ed io non amo fondar sopra una finzione quanto vi ha di
più sacro ed importante nel commercio fra gli uomini, mi vidi astretto a
cercare nel *fatto reale* (italici d'A.) altro miglior appoggio. E sì mi parve
averlo trovato con nulla più che analizzare la idea che ognuno si forma
allorché pronunzia il vocabolo *Società*, o paragonar questa idea collo stato
*naturale* in cui ogni uomo trovasi sulla terra. Ecco per qual motivo non
credei poter trattare dei *doveri reciprochi* fra gli uomini se prima non li
considerava formanti una qualche società. E in verità, come potrebbero esservi
*doveri* reciprochi senza relazioni reciproche? Come relazioni senza qualche
congiunzione? Come congiuzione senza qualche legge? Come legge senza
legislatore e senza autorità? Data poi la congiunzione di molti esseri
intelligenti sotto una autorità comune che altro ci manca per costituire una
società? Parventi dunque ripugnante la voce di *relazioni extrasociali*, usata
dal ch. C. di Haller -- di cui per altro ammiro in molti punti la dottrina --,
nù seppi come introdurmi a considerare i doveri reciprochi se prima non no
stabiliva *sul fatto* le fondamenta con una attenta osservazione dell’essere
sociale. La legge fondamentale del *civico* operar sociale potrebbe dunque
ridursi a questa — la società (e per essa la autorità) dee far sì che ciascuno
*cooperi* a *difendere* e crescere il bene altrui senza sua perdita, anzi con
vantaggio proporzionato alla sua cooperazione. Della società in generale.
Società suol dirsi una concorde comunicazione di bene fra esseri intelligenti.
Società di questi esseri *in istato di tendenza* sarà dunque la *tendenza
concorde a fine comune*. E siccome la tendenza intelligente fra uomini dee
produrre azione esterna, cosi la società umana potrà definirsi *cooperazione
concorde di uomini ad un bene comune*. Gli uomini tutti hanno nella lor
*natura* un elemento di società universale. Gli uomini tutti sono obbligati a
secondare l’ intento del Creatore. Or il Creatore vuole da essi *cooperazione
concorde a ben comune*. Dunque ec. La minore si prova. Uno è per natura il
bene da tutti conosciuto, ed a cui tendono tutti, giacche una è la loro
*natura* ossia impulso primitivo. Questo impulso manifesta l'ntento del
Creatore. Dunque ec. Diremo questo elemento *dovere di socialità*. Coroll. 1.:
Ogni dovere sociale deriva da questo principio *fa il bene altrui*. Giacché la
causa che mi obbliga a far ad altri *un* qualche bene è che debbo far loro il
bene. Coroll. 2.: Questo è il primo principio *sociale* applicazione del primo
principio morale. Il precipuo bene di ogni società è la *onestà*, giacché a
questa tende precipuamente la *natura umana*. Poiché *ottener il bene* è negli
*enti ragionevoli* un *divenir felice*, il fine di universal società è rendere
gli *associati* *onestamente felici*. E poiché la felicità dell’uomo consiste
*secondo natura* nei beni di *mente* e di *corpo*, *assicurarci* e *crescerci*
queste due specie di beni è il fine naturale della società universale. Una
società determinata può o abbracciare tutto il fine naturale con mezzo
particolare cioè col convivere stabilmente, o abbracciarlo parzialmente. Il
*fine* particolare della prima sarà il *convivere* onestamente felice. Della
seconda il conseguire quel particolare oggetto per cui ella si associa. Diremo
società *completa* quella che abbraccia tutto l'obbietto naturale della umana
società, cioè il bene di mente, quello di corpo, o la difesa di entrambi.
Incompleta quella che ne abbraccia sol qualche parte. Coroll. 5.: La società è
*mezzo*, non fine dell’ individuo. Alosyus Taparelli. Luigi Taparelli
d’Azeglio, marchese d’Azeglio. Luigi Prospero Taparelli d’Azeglio, marchese
d’Azeglio. Prospero Taparelli d’Azeglio, marchese d’Azeglio. D’Azeglio. Azeglio.
Keywords: non si danno doveri reciprochi senza società, ius naturale, “non si
danno doveri reciprochi senza società”, cooperazione, cooperare, fa il bene
altrui – onesta, fine, principio della socialita, applicazione del principio
della moralita, natura umana, fatto, socieeta totale, societa parziale,
definizione di societa in termine di cooperazione, ‘de more geometrico’ –
tendenzia impulso naturale all’onesta – societa – azione esterna, esseri
ragionabile, esseri intelligente, convivir stabilmente, felice, -- Refs.: Luigi
Speranza, “Grice ed Azeglio” – The Swimming-Pool Library. Azeglio.


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